Keep your mind open

di Pervinca95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova vita ***
Capitolo 2: *** Scontri e dubbi ***
Capitolo 3: *** Punti di scontro ***
Capitolo 4: *** Fiducia ***
Capitolo 5: *** Sorpresa ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Litigi, nuovi ricordi e desideri ***
Capitolo 8: *** Il numero 8 ***
Capitolo 9: *** Passato invasivo ***
Capitolo 10: *** Smascherata ***
Capitolo 11: *** Presentazioni ufficiali ***
Capitolo 12: *** La vera pace ***
Capitolo 13: *** Ricordi da batticuore ***
Capitolo 14: *** Il momento della verità ***
Capitolo 15: *** Tripudio di emozioni ***
Capitolo 16: *** Mission Impossible ***
Capitolo 17: *** La verità. Nient'altro che la verità. Parte 1 ***
Capitolo 18: *** La verità. Nient'altro che la verità. Parte 2 ***
Capitolo 19: *** Meno Uno ***
Capitolo 20: *** La Cena ***
Capitolo 21: *** Piccoli spiragli e grandi giochi ***
Capitolo 22: *** Imprevisti ***
Capitolo 23: *** Infiniti secondi ***
Capitolo 24: *** Colpi di testa ***
Capitolo 25: *** Vittoria ***
Capitolo 26: *** Il posto giusto ***



Capitolo 1
*** Una nuova vita ***



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Una nuova vita 

 



Erano trascorse tre settimane dal giorno in cui gli altoparlanti della squadra militare avevano annunciato la fine di quell'inferno. 
In ogni quartiere erano state adibite delle tendopoli dove poter ospitare gli sfollati o chi aveva perso la famiglia. Per circa una settimana ero stata parte della tendopoli di Riverdale in attesa di ricongiungermi con il mio nucleo familiare, in quel momento disperso.
Avevo profondamente odiato quei sette giorni infernali. Ad ogni ora vedevo arrivare persone nuove e la calca che si formava attorno ai nuovi sopravvissuti era disumana. Tutti che urlavano e spintonavano per vedere che facce avessero, poi pian piano la ressa scemava e sui volti della maggior parte si leggevano delusione e sconforto. 
Io non mi alzavo mai per andare a scoprire chi fossero i nuovi arrivati. Restavo sempre in disparte, nel mio angolo di depressione a trattenermi dal piangere. 
Ogni minuto mi chiedevo dove fossero andati a finire i miei genitori e mio fratello, che cosa impedisse loro di venirmi a prendere, e poi... il presentimento peggiore penetrava come una lama acuminata tra i miei pensieri. 
Non volevo crederci e non volevo nemmeno rassegnarmi a sperare, ma giorno dopo giorno continuare ad avere fiducia diventava sempre più faticoso. 
E ad aggiungere una nota stonata in quella situazione già di per sé negativa, era la lontananza forzata tra me e David. Dopo che eravamo stati divisi per raggiungere le aree allestite dei rispettivi quartieri, non avevo più avuto sue notizie. Ero completamente sola. 
Mi auguravo soltanto che lui stesse bene e che avesse ritrovato sua madre e suo fratello. 
Nel frattempo ero venuta a conoscenza che le squadre dell'esercito, quelle di edificazione ed i volontari avevano ricominciato a ricostruire ciò che era stato distrutto, a spianare e ripulire le strade, a restaurare le facciate degli edifici e a fare chissà quanto altro ancora. 
Tutti agognavamo un ritorno alla normalità. Era tutto ciò che desideravamo. 
Durante il quarto giorno della mia permanenza nella tendopoli avevo assistito ad uno scenario straziante. Un militare era salito su un tavolo e con l'ausilio di un megafono aveva richiamato l'attenzione di tutti i presenti. 
Mi ero sollevata in piedi con i palmi sudati ed il cuore carico di aspettativa, ma quando il suo sguardo si era fatto serio e rammaricato, avevo intuito che quel foglio che teneva in mano non avrebbe portato nessuna buona notizia. 
Ed infatti fu così. Annunciò la lista definitiva di coloro che non erano sopravvissuti e di cui erano stati rinvenuti i corpi. Nome dopo nome si erano levate urla agghiaccianti e pianti disperati capaci di scuotermi profondamente e farmi esplodere in un pianto sofferto. 
Fortunatamente non avevo sentito pronunciare né i nomi dei miei genitori né quello di mio fratello, ma la vista di decine di persone annientate dal dolore e di decine di occhi sgranati e persi nel vuoto era stata più che sufficiente per abbattere la diga che avevo eretto. 
Ogni notte restavo sveglia a guardare il soffitto e a ripensare a quelle precedenti settimane in compagnia di David. Ripercorrevo minuto per minuto i momenti più belli che avevamo condiviso, ma poi, come ogni volta, la mia mente si fossilizzava sui ricordi spiacevoli. Nella mia mente venivano proiettate le immagini di desolazione, sangue e morte a cui i miei occhi avevano assistito quel terribile giorno in cui ero uscita dal rifugio. 
Immediatamente mi sentivo assalire dalla paura e dal panico che tutto quello potesse ritornare da un momento all'altro o che, peggio, non fosse mai finito. 
Solo quando dirottavo i miei pensieri di nuovo su David riuscivo a tranquillizzarmi e a recuperare un briciolo di lucidità che non mi permettesse di fare stupidaggini. 
Il settimo giorno, alle prime luci del giorno, vidi entrare sotto il tendone tre persone. Erano smagrite, spettinate e sporche, ma la luce familiare nei loro occhi guizzanti mi fece arrestare il battito cardiaco. 
Mi ero alzata in piedi con uno scatto ed ero rimasta ad osservarle con le gambe tremanti. Non appena i miei occhi si erano incontrati con quelli di una donna alta e dai lunghi capelli castani, il tempo mi era parso fermarsi. 
Avevo sussurrato un flebile "mamma" tra le lacrime ed ero corsa ad abbracciarla con tutta la forza rimastami. Lei mi aveva stretta a sé come se potessi scivolarle dalle mani e si era lasciata cadere a terra, tenendomi saldamente e piangendo tra i miei capelli. 
Un attimo dopo ci eravamo ritrovate addosso il peso di mio padre, che non aveva fatto altro che pronunciare il mio nome e baciarmi sulla testa. 
Una parte del vuoto che per settimane avevo avuto al posto del cuore si era colmato proprio in quegli istanti. Ma si era riempito definitivamente quando, una volta sciolto l'abbraccio di mia madre, mi ero alzata in piedi ed avevo incontrato lo sguardo lucido di mio fratello. 
Ci eravamo osservati in silenzio per degli istanti, poi mi ero gettata tra le sue braccia e lui mi aveva bloccata contro il suo petto con una stretta disperata. Mi aveva sospirato tra i capelli ed avevo chiuso gli occhi per bearmi del suo calore familiare. 
In quegli attimi mi ero sentita rinascere, riesumare dallo stato d'ansia e paura di quei sei giorni precedenti. 
Nel pomeriggio stesso una pattuglia fu inviata a controllare le condizioni della nostra casa per ritenere se fosse più giusto tenerci alla tendopoli già sovraffollata oppure farci tornare nella nostra dimora. Fortunatamente ci fu riferito che la nostra abitazione non aveva subito nessun danno ingente in quanto la nostra zona non era stata gravemente colpita. 
E così, quella sera stessa, ci venne data la possibilità di recuperare delle briciole delle nostre vite, rientrando nella nostra casa come se nulla fosse mai successo. 
Nel corso delle due settimane successive avevo assistito alla rapida riedificazione della città. C'era un gran fermento ovunque, tutti cooperavano assieme per rigettare le basi della civiltà e ripristinare la quotidianità per come ognuno l'aveva conosciuta prima che tutto fosse spazzato via. 
La mia scuola era già stata ristrutturata e di lì ad una settimana tutti gli studenti avrebbero potuto riprendere posto ai loro banchi. Il sindaco aveva deciso così. I giovani sarebbero stato i primi a riprendere contatto con la loro quotidianità in quanto capisaldi della città. Il passo successivo sarebbe stato quello di restituire gli impieghi a tutti i cittadini che già lo avevano e di offrirne di nuovi a chi non deteneva più nulla. 
Di sicuro con tutto il lavoro di ricostruzione in atto chiunque avrebbe potuto trovare un posto per guadagnarsi da vivere. 
Giorno dopo giorno tutto sembrava vertere nuovamente verso la normalità. 
Nonostante ciò, non riuscivo ancora a chiudere occhio durante la notte. Ero sempre stata terrorizzata dal buio, ma adesso a quella paura se n'era aggiunta un'altra, ovvero quella di rivedere tutti gli orrori che avevano segnato la mia mente. 
Era come se mi si fossero impressi a fuoco dentro la testa e non riuscissi a liberarmene. 
Nemmeno sapere che mio fratello si trovasse nella stanza accanto mi tranquillizzava. No. Sentivo un bisogno sia fisico che mentale di un'altra persona, l'unica che avesse così tanto potere su di me da essere in grado di calmarmi e farmi dimenticare tutto ciò che di brutto esistesse.  
Peccato che dopo ben tre lunghe ed intense settimane non ci fossimo né sentiti né visti. Non sapevo come stesse, se avesse ritrovato la sua famiglia, dove abitasse, cosa facesse giorno per giorno. Insomma, nulla. E questo mi faceva sentire estremamente sola e costantemente in ansia. 
Non avevo ancora un cellulare, avrei dovuto comprarne uno il prima possibile, non appena avessero riaperto i negozi. Ma anche se lo avessi avuto non avrei saputo come mettermi in contatto con lui. Speravo soltanto che il primo giorno di scuola si presentasse a lezione, almeno avrei potuto finalmente abbracciarlo. 
E mentre i miei sospiri si perdevano nell'aria in fermento della città in costruzione, i giorni continuarono a trascorrere inesorabili. 
Dopo tre settimane e mezzo furono riaperti vari negozi, compresi i supermercati. Un buon numero di case furono rese nuovamente accessibili e l'area ovest della tendopoli fu smantellata. 
Il lunedì della quarta settimana, alle 5.30 a.m., la mia sveglia scatenò il suo acuto suono petulante per avvisarmi di che giorno si trattasse. Senza alcun lamento, dal momento che ero già sveglia, la spensi e mi sollevai dal letto con un piccolo sorriso sulle labbra. 
Avrei rivisto David. Finalmente avrei potuto inspirare il suo profumo e sentirmi protetta tra le sue braccia. 
Mi era mancato da morire, come solo l'acqua può mancare ad un pesce. 
Corsi al bagno e mi catapultai sotto il getto caldo della doccia per distendere i nervi tesi e la consueta ansia che mi si stava condensando nello stomaco. 
Non vedevo l'ora di uscire di casa e salire sul pulmino per cercarlo con lo sguardo nell'ultima fila. Chissà come avrebbe reagito dopo avermi vista. Si sarebbe alzato e sarebbe venuto a salutarmi? Oppure avrebbe preferito non dare nell'occhio e sarebbe rimasto a sedere al suo posto? 
Mi morsi un labbro indecisa sulle due ipotesi che avevo formulato. Forse mi stavo facendo tanti problemi per nulla. Magari sarebbe stato tutto molto più naturale di quanto immaginassi. 
Dieci minuti più tardi uscii dalla doccia e mi asciugai i capelli, cercando di conferirgli una forma non astratta. Insoddisfatta del risultato, afferrai una pinzetta e bloccai due ciocche anteriori dietro la testa, lasciando che dei piccoli ciuffetti mi ricadessero in modo naturale sul viso. Ritornai in camera ed aprii l'armadio alla ricerca di qualcosa di carino da indossare. 
Dopo circa mezz'ora di sbuffi e lamenti vari, mi vestii con dei semplici jeans a sigaretta, una maglietta nera a maniche corte ricamata sul davanti ed un golf grigio piuttosto pesante. 
Dopotutto eravamo in pieno inverno, precisamente al 12 di Dicembre. Una data piuttosto inusuale per riaprire le scuole, ma il ritorno alla normalità era ormai diventato l'imperativo mondiale, fondamentale affinché non ci si fossilizzasse sul passato. 
Scesi le scale con un passo baldanzoso e mi recai in cucina. Mia madre mi sorrise raggiante e si distanziò dal fornello per depositare un piatto ricco di pancakes sul tavolo. << Sei emozionata per questo primo giorno? >> mi chiese mentre mi accomodavo. 
Annuii con una smorfia. << Abbastanza, come sempre del resto. >> Sospirai e piantai lo sguardo sui fumanti pancakes di mia mamma. 
<< E quindi non hai fame >> constatò come se fosse la conseguenza logica di un ragionamento. 
Annuii di nuovo e mi voltai a guardarla con gli occhi leggermente spalancati in un disperato tentativo di farle tenerezza. << Posso non mangiare e portarmene qualcuno nella tracolla? >> 
Il suo sguardo si fece più severo e storse la testa, esattamente come faceva quando stava per vietarmi qualcosa. << No, Sarah. >> Infatti. << Mangiane almeno uno, altrimenti non ti faccio uscire di qui >> contrattò dopo aver notato la mia smorfia. 
<< Ok >> acconsentii, facendo la sua felicità e guadagnandomi una carezza sui capelli. 
Me ne misi uno nel piatto, non calcolando la ribellione in atto del mio stomaco, ed iniziai a tagliarlo in grossi pezzi, almeno avrei finito di mangiarlo prima. 
Mia madre mi aveva raccontato che il giorno dello scoppio del pandemonio lei e mio padre si trovavano in auto. Erano appena usciti dall'ospedale e si stavano recando a vedere una partita di basket di mio fratello. 
Quando la terra aveva cominciato a tremare ed il cemento a sfaldarsi, avevano abbandonato l'auto in mezzo alla strada ingorgata dal traffico ed avevano percorso a corsa i pochi chilometri che li dividevano dalla palestra. Una volta entrati ed aver individuato mio fratello che stava aiutando un suo amico a liberarsi da dalle macerie, si erano precipitati da loro ed avevano contributo a salvare la vita del ragazzo ferito. 
Poi non ebbero più modo di allontanarsi da quella palestra. Divenne il loro rifugio condiviso con un'altra famiglia accorsa lì dentro in seguito alla distruzione della loro abitazione. 
Ingoiai l'ultimo pezzetto di pancake e bevvi un lungo sorso di latte. << Fatto >> annunciai sfiancata dallo sforzo. 
<< Che impresa titanica, eh? >> mi prese in giro mio fratello Cameron appena mise piede in cucina. << Hai finito un minuscolo pancake, non so in quanti ce l'avrebbero fatta >> proseguì con un sorriso divertito. << Ciao mamma >> aggiunse poi, mentre si riempiva la tazza di caffè. 
Mi madre si avvicinò per dargli un bacio sulla fronte ed istintivamente sulla mia bocca si proiettò un piccolo sorriso intenerito. 
<< Come hai fatto a convincerla a mangiare? >> le chiese Cam, riducendo gli occhi a due fessure. << Che poteri hai, donna? >> 
Scoppiai a ridere e mia mamma gli tirò uno schiaffetto scherzoso sul braccio. << E non mi chiamare così, stupido >> lo ammonì con un sorriso. 
Mio fratello mantenne un'espressione seria. << Io uomo, tu donna, lei opossum >> sciorinò come un cavernicolo, indicando me per ultima. 
<< Ma dai >> protestai tra le risa, battendo una mano sul tavolo. << Sei sempre il solito scemo. >> Alzai gli occhi al cielo divertita ed in risposta sentii arrivare un nocchino contro la nuca. Ridacchiai e seguii con lo sguardo mio fratello che stava facendo slittare la sedia davanti alla mia. 
<< Allora, mi dice che potere ha usato, signora mamma? >> insistette con un sorrisino mentre prestava attenzione a non far cadere il contenuto della tazza sul tavolo. 
Mia madre sventolò lo strofinaccio che teneva in mano e schioccò la lingua al palato in un gesto altezzoso. << Be', le mie doti persuasive possono anche essere considerate dei poteri, ma stavolta non sono servite. Sarah ha semplicemente ascoltato la sua mamma >> concluse annuendo con vigore. 
Sollevai le sopracciglia di fronte a quella bugia bella e buona e la guardai scettica. 
<< Fesserie >> esordì finemente Cam. << Non lo avrebbe mai fatto neanche sotto tortura, oggi è il primo giorno di scuola. >>
Mia mamma gli lanciò un'occhiata raggelante ed incrociò le braccia al petto con stizza. << D'accordo, l'ho minacciata >> confessò con una leggera scrollata di spalle. 
<< Oh, questo comincia ad avere più senso >> dichiarò lui visibilmente compiaciuto. << Che tipo di minaccia? >> Sorseggiò il suo caffè e ridacchiò per il mio sbuffo. 
Era scontato come che il sole è caldo che avrebbe usato quella minaccia contro di me per il resto dei mie giorni. Glielo si leggeva in faccia, specialmente dal suo ghigno. 
<< Nessuna >> m'intromisi con un sorriso forzato da parte a parte. 
<< Ho chiesto alla venerabile mamma, non a te, opossum >> mi zittì con tanto di linguaccia. 
Spalancai la bocca basita e volsi la testa di lato per appoggiarla sulla mia mano stretta a pugno. << Sei un gran maleducato >> gli feci notare indispettita. 
<< Allora? >> incalzò non considerandomi di striscio.
Sentii mia mamma sbuffare dal naso ed appoggiare una mano sullo schienale della mia sedia. << L'ho minacciata di non farla andare a scuola >> confessò in fretta. << Contento ora? Con te non si può avere nemmeno un piccolo segreto. Sei petulante come una suocera ficcanaso. >> 
Scoppiai a ridere e mi girai per darle delle pacche di approvazione sulla mano. Ci scambiammo uno sguardo d'intesa e ridemmo insieme come delle vecchie confabulatrici.
<< E che minaccia sarebbe? >> commentò sconcertato. << Mi avessi intimidito così quando andavo io al liceo a quest'ora non avrei un diploma >> constatò divertito, poi d'un tratto i suoi occhi si assottigliarono e me li puntò addosso con sospetto. << A meno che tu non abbia un motivo preciso per voler andare. >> 
Persi il sorriso e mi ritrovai a deglutire in difficoltà. Perché mia mamma non interveniva e mi salvava dal peso di quello sguardo? E perché io stavo sudando nonostante fosse inverno? 
<< Con chi hai detto di aver trascorso quel periodo? >> Con "quel periodo" si riferiva chiaramente alle settimane dell'inferno, ed io avevo loro confessato di essermi ritrovata a viverle con un compagno di corsi che mi aveva trascinata via prima che diventassi un appetitoso bocconcino.
Mi schiarii la voce e mi mossi irrequieta sulla sedia. << Con un compagno di corsi. >> Mi liberai di quelle parole con un fastidioso pizzicore sul fondo della gola. 
All'improvviso mi sembrava facesse un caldo soffocante, talmente tanto da avermi prosciugato la bocca. 
<< Mm >> asserì Cam pensieroso. Sorseggiò un altro po' del suo caffè e si umettò le labbra prima di tornare a guardarmi. Avrei tanto voluto sapere cosa stesse aspettando mia madre ad intervenire e ad ordinargli qualche commissione. Ma riuscii a darmi una risposta non appena la vidi spostarsi dietro la sedia di mio fratello e rivolgermi un sorrisino malizioso. Nei suoi scuri occhi potevo leggere tutta la curiosità per la piega imbarazzante assunta da quel discorso. 
Cercai di mostrarmi sicura e sostenni lo sguardo di Cameron. 
<< Devo andare, potrei fare tardi e perdere il pulmino >> troncai frettolosamente. Non vedevo l'ora di uscire da quella cucina e correre in camera mia per respirare a pieni polmoni e nascondere il lieve rossore che percepivo propagarsi sulle guance. 
Sfuggii dalle loro occhiate fin troppo attente e salii il primo gradino, ma venni subito bloccata dalla voce di mio fratello. << A che ora esci? >> 
Per un attimo fui tentata di sparare un orario a caso, ma il senso di colpa mi fece desistere ancor prima di aprire bocca. << Alle 5. >> Ruotai la testa e piantai i miei sospettosi occhi su di lui. Speravo solo che non stesse per dire quello che... 
<< Verrò a prenderti. >> Preciso. Perché il mio piano di trascorrere più tempo possibile con David doveva essere annientato dalla sua non richiesta e mai dimostrata gentilezza? Quale altro peccato dovevo espiare? 
<< Perché? >> chiesi infatti con uno sguardo attonito. 
Sollevò un sopracciglio e posò la tazza con studiata lentezza. << C'è forse un motivo per cui non dovrei venire? >> 
<< Certo che no >> replicai in fretta. Ridacchiai nervosamente e battei una mano sulla ringhiera. << Che domande >> aggiunsi scuotendo il capo come se fosse una cosa tanto ovvia. 
Sorrise compiaciuto. << Perfetto, ci vediamo dopo, opossum >> concluse con un piccolo cenno della testa. 
Mi forzai di distendere le labbra in un sorriso falso tanto quanto il fatto che fossi felice di quella notizia e salii le scale. 





                                                                       *  *  *





Dopo venti minuti varcai la soglia di casa e m'incamminai verso la fermata. 
Alcune zone della strada erano transennate per via dei lavori di cementificazione di larghe e profonde crepe. Più procedevo e più notavo quante case fossero già state ricostruite e ristrutturate. Su molte facciate erano ancora montati i ponteggi su cui, anche in quel momento, stavano lavorando dei muratori, ma tutto sommato si poteva ben dire che ogni cosa stesse tornando al suo posto originario. 
Alzai gli occhi al cielo e sospirai di sollievo nel riscontrare la presenza del familiare azzurro. Nei miei incubi quotidiani rivedevo quel vitale colore sfumare verso il rosso e pietrificare l'intera volta celeste. I ricordi di quel periodo ed in particolare del giorno in cui ero uscita dal rifugio, a distanza di un mese, non mi avevano ancora abbandonata. Non riuscivo a non pensarci e non farmi prendere dal panico ogni santa notte.  
Nei fortuiti momenti in cui mi appisolavo, ogni orrore mi si ripresentava davanti agli occhi con spietata brutalità. Immaginavo di rivivere quei giorni da sola in mezzo alle pelli delle vittime che mi avrebbero preceduta. Poi iniziavo a correre senza meta, accecata dal terrore e dal ribrezzo per la vista di infinite pozze putride e laghi di sangue. E nel frattempo urlavo a squarciagola per farmi sentire da qualcuno. 
Ogni volta mi svegliavo scossa dalle mani di mio fratello che accorreva trafelato dopo aver udito le mia grida. I miei genitori erano sempre dietro di lui ad osservarmi preoccupati. 
Mia mamma rimaneva per un po' di tempo seduta sul letto accanto a me e mio padre scendeva in cucina a prepararmi una camomilla. Alla fine li costringevo a ritornarsene a dormire e rimanevo sveglia per il resto della notte, ad ascoltare i rumori e gli scricchiolii della casa. 
Giunsi alla fermata in perfetto orario, come sempre. Sorrisi a me stessa per quella ritrovata abitudine ed esaminai i volti degli altri ragazzi che come me stavano attendendo l'arrivo del pulmino. 
Uno dei due, quello più alto e biondo, aveva una zona di capelli rasata per via di una lunga cicatrice. Distolsi lo sguardo imbarazzata non appena si volse verso di me con un'aria infastidita. Perfetto, avevo appena fatto la figura della stupida che s'imbambola a fissare i difetti altrui. 
Mi schiarii la voce e feci finta di nulla, guardando a destra e a manca con falso interesse. 
Qualche minuto più tardi intravidi il familiare pulmino giallo svoltare nella nostra direzione. Il cuore cominciò a battermi a ritmo sostenuto per l'emozione. Pochi istanti e, dopo ben quattro settimane, avrei finalmente rivisto David. 
Quando le porte del mezzo si spalancarono accelerai il passo ed entrai per prima, tagliando la strada al tizio con la cicatrice. Già mi odiava, perciò non mi curai molto del fatto che potessi infastidirlo. 
Salii di corsa i tre gradini, salutai l'autista e feci scivolare le mie suole sullo stretto e scivoloso corridoio. I miei occhi saettarono come calamite verso l'ultima fila. 
Ebbi un tuffo al cuore quando la mia mente registrò il familiare profilo del volto del mio ragazzo. Mossi un piccolo passo in avanti e persistetti ad osservarlo mentre tirava un pugno scherzoso sul braccio di un suo amico con un sorrisetto beffardo. 
<< Tanta fretta per mettere qui le radici? >> mi sbeffeggiò il ragazzo dietro di me. Mi volsi con uno sguardo tutt'altro che amichevole verso il biondino con la cicatrice. Cos'aveva da scocciare tanto? Poteva sempre chiedere "permesso" e superarmi, invece di starmi incollato come una cozza. 
Sollevai un sopracciglio. << Problemi? >> 
<< Tu che dici? >> ribatté spalancando le braccia. << Sei ferma nel mezzo del corridoio. >>
<< Allora fatti più stretto e superami >> contrattaccai con un'occhiata acida quanto il mio tono.
Già c'era mio fratello che doveva per forza venire a prendermi fuori da scuola, in più ci si metteva pure quell'armadio a due ante ad impedirmi di godere della vista di David dopo un mese di lontananza. 
Prima che il tizio aprisse bocca per ricoprirmi d'insulti, ne ero certa, una presa ferrea si chiuse attorno al mio braccio e mi sentii strattonare contro un petto caldo. << Che problemi hai? >> Quella voce, quel tono duro e quel calore che solo la vicinanza di una persona poteva donarmi furono più che sufficienti per far impazzire il mio battito cardiaco. 
Alzai la testa con un colpo secco ed osservai i suoi lineamenti tesi, la sua mascella contratta, i suoi penetranti occhi ambrati ed i suoi capelli scompigliati. Come faceva ad essere tanto perfetto anche di prima mattina? 
Troppo tardi mi accorsi che all'interno del pulmino era piombato il silenzio e che il motivo di quell'improvvisa quiete era la tensione tra David ed il ragazzo con la cicatrice. 
Spostai lo sguardo da uno all'altro, ripetendo lo stesso movimento per un paio di volte. 
David avanzò di un passo e rivolse un cenno di sfida al biondino. << Hai perso la parola, per caso? >> Oh mio Dio. Perché prevedevo una rissa? 
Lanciai degli sguardi agli studenti seduti e mi schiarii la voce prima di spostare l'attenzione sul mio ragazzo. << David... >> 
<< Credo che sia lei l'unica ad avere qualche problema >> m'interruppe il simpatico giovanotto alle mie spalle, riferendosi ovviamente a me. 
Se esisteva una cosa che mi mandava in bestia nel giro di pochi secondi era l'essere interrotta durante un discorso. Quel frangente non faceva differenza. 
Con un diavolo per capello mi girai verso il ragazzo e lo fulminai con un'occhiata. Feci per aprire la bocca ed impartirgli una lezione di buona educazione che si sarebbe ricordato fino alla fine dei suoi giorni, ma venni prontamente spostata di lato con uno scatto quasi felino. 
Appena dopo sentii un "ehi ehi" di ammonimento di alcuni ragazzi seduti; quando rialzai gli occhi vidi le mani di David strette attorno al colletto della maglietta del tizio. << Dillo un'altra volta se ne hai il coraggio >> sibilò intimidatorio sul suo viso. 
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa ed arcuò le sopracciglia. << D'accordo, amico. Pace, ok? Non voglio rogne. >> 
<< Saggia decisione >> lo sfotté David, mollando la presa ed esortandolo a togliersi dai piedi con un cenno del capo. 
Sospirai di sollievo per il pericolo di rissa appena scampato ed osservai il mio ragazzo venire nella mia direzione con lo stomaco in subbuglio per l'emozione. 
I suoi occhi mi travolsero come solo un'onda può fare con uno scoglio, accrescendo il ritmo già frenetico del mio cuore. Arrestò il passo una volta essermi giunto davanti e fui costretta ad alzare il viso per poter mantenere il nostro contatto visivo. 
<< Ciao >> pronunciai con un flebile tono di voce e la felicità dipinta negli occhi. 
La sua bocca si distese in un sorriso. << Ciao >> mi salutò a sua volta, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni bassi sui fianchi. << La tua amica ti sta aspettando >> mi avvisò in seguito, indicando Clarice col mento. 
Mi ritrovai a sbattere le palpebre rapidamente, sorpresa dalle sue parole. Mi ero immaginata tanti possibili modi in cui ci saremmo salutati, numerose alternative riguardo ciò che ci saremmo detti, ma... be', di sicuro non quello. Mi sembrava quasi di vedere della freddezza nei suoi modi, come se si stesse trattenendo. 
<< Ah >> riuscii a dire dopo poco. << Ok. >> 
Annuì inespressivo e si umettò le labbra. << Ok >> ripeté distogliendo gli occhi per puntarli sull'ultima fila del pulmino. << A dopo allora. >> 
Non ebbi il tempo di aggiungere altro, mi superò e si recò al suo posto. 
Ottimo, come inizio non era andato male. Era stato semplicemente un disastro. 
Sospirai e mi morsi il labbro inferiore mentre mi dirigevo verso il sedile tenuto libero dalla mia amica. Spostai la sua borsa zeppa di libri e sorrisi intenerita nel vederla riversa sul finestrino con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. 
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lasciai che i pensieri mi occupassero la mente. 
Sinceramente, dopo quel saluto freddo e secco, non sapevo più come avrei dovuto comportarmi con David. Un conto era essere una coppia isolata dal resto del mondo e costretta a vivere insieme per cause di forza maggiore, un conto era vivere una relazione durante la quotidianità, alla luce del giorno, senza avere la possibilità di vedersi ventiquattr'ore su ventiquattro. 
Inizialmente non credevo che ci sarebbero state differenze, insomma avremmo continuato a comportarci come avevamo sempre fatto da che eravamo diventati ufficialmente una coppia, ma dopo quel saluto ed il suo modo di troncare in fretta il discorso le mie certezze stavano cominciando a vacillare. 
Come avrei dovuto comportarmi? Forse ero stata troppo zuccherosa? Magari lo avevo messo in imbarazzo con quel mio sguardo da maniaca innamorata... Davvero avevo avuto uno sguardo da maniaca innamorata? 
Sbuffai stufa di quei pensieri e mi concentrai sugli schiamazzi che mi circondavano. 
I discorsi frivoli che riuscivo a captare ad intervalli dalle due ragazze dietro di me mi tennero compagnia sino all'arrivo del pulmino davanti a scuola. 
A quel punto scossi delicatamente Clarice ed aspettai che si svegliasse. Nulla, si rifiutava di collaborare. 
<< D'accordo, Clar. L'hai voluto tu >> dichiarai rimboccandomi le maniche. Avrebbe assaggiato le maniere forti. 
Le afferrai un braccio e la scotolai con vigore come se fosse stata una bomboletta spray, senza però accorgermi che ad ogni scossone le facevo picchiare la testa contro il finestrino. 
<< Ehi, Anderson, stai forse cercando di ammazzarmi la ragazza? >> mi canzonò la voce di Kevin Torn, che intravidi con la coda dell'occhio in piedi accanto al mio sedile. << Tra un po' le fai sfondare il finestrino >> notò allungandosi sopra di me come se nemmeno esistessi. 
Alzai gli occhi al cielo e sbattei i palmi sulle gambe. << Tranquillo, fa' pure come se non ci fossi >> borbottai sarcastica. Si piegò ancora di più su di me ed avvicinò il viso a quello della mia amica appena svegliatasi. 
<< 'Giorno, eh >> la prese in giro con un sorriso dolce. Le diede un bacio sulla guancia e scorsi un sorriso sul volto di Clarice. 
Erano troppo carini insieme. Mi facevano sciogliere solo a guardarli. 
Mettendo a confronto il saluto tra me ed il mio ragazzo e quello tra loro due... sembrava quasi che io e David non stessimo nemmeno insieme. O forse ero io ad esigere troppo da lui. 
Sospirai abbattuta ed abbassai la testa per osservarmi le dita che stavo intrecciando compulsivamente. 
<< Anderson non ti deprimere >> mi riprese il ragazzo della mia amica con un tono ironico. << Se vuoi un bacio anche tu basta chiedere. >> 
Alzai il capo e lo guardai con un sopracciglio sollevato. << Piuttosto preferirei riceverlo da un topo in fin di vita. >> Della serie acidità portami via. 
<< Muoviti, cretino. >> E qualcuno mi aveva appena battuta. Sia io che Kevin ci voltammo in contemporanea, neanche fossimo stati sincronizzati, per osservare il proprietario di quella voce severa ed infastidita. Non mi meravigliai affatto nel ritrovarmi davanti agli occhi David, lo sguardo fermo su Kevin ed un atteggiamento di provocatoria superiorità. 
Perché nemmeno mi guardava? Cosa cavolo gli prendeva tutt'ad un tratto? Un mese di lontananza gli era stato sufficiente per dimenticarmi? A quell'ipotesi sentii una pressione sullo stomaco e l'impulso di vomitare. No, non volevo crederci. Non era possibile. 
Kevin si voltò verso Clarice con un'espressione seccata per quell'interruzione. << Ci vediamo dentro >> le disse prima di scendere dal pulmino. 
David avanzò dietro di lui. Stupidamente mi ero aspettata almeno un'occhiata e lo avevo seguito con gli occhi fino a quando non era uscito dal mezzo con un piccolo saltello. Non un sorriso, non una parola, non uno sguardo. 
La rabbia stava cominciando a ribollirmi nelle vene. Avrei voluto prenderlo per un orecchio ed urlargli contro fino a farlo diventare sordo. 
Afferrai la mia borsa a tracolla e mi alzai di scatto dal sedile. 
<< Sarah. >> Sentire il mio nome pronunciato da Clarice mi distrasse dalla mia furia cieca. Mi girai a guardarla e sorrisi nel vedere le sue iridi accese di felicità ed uno splendido sorriso illuminarle il pallido incarnato. 
Si avvicinò e mi strinse in un abbraccio. << Mi sei mancata da morire >> affermò con la voce rotta. 
Le circondai la schiena e sospirai tra i suoi capelli. << Anche tu, Clar. >> Sciolsi l'abbraccio e strizzai un occhio. << Ma da adesso in poi potremo recuperare tutto il tempo che abbiamo perso. >> 
Ridacchiò e mise la sua tracolla su una spalla. << Mi sembra un'ottima idea. >>
Iniziammo a raccontarci tutto ciò che avevamo fatto in quel mese trascorso prima dell'inizio della scuola, senza mai spendere una parola sul periodo antecedente. Nessuna delle due aveva intenzione di ricordare cosa fossimo state costrette a vivere. Quel primo giorno di scuola doveva segnare l'inizio di una nuova vita, non il proseguimento della vecchia. 
I miei occhi si posarono sulla schiena di quello stupido del mio ragazzo. Camminava a qualche metro di distanza da noi con le mani nelle tasche dei pantaloni, i suoi amici attorno, eccetto Kevin, ed alcune ragazze troppo sorridenti tra i piedi che sembravano non infastidirlo. Anzi. 
Sarei voluta andare lì, fermarlo e fargli un applauso davanti al naso. A quelle tipe, amiche o non amiche poco m'importava, sorrideva e parlava, a me nulla. Si era forse rincretinito? 
Scalciai un sassolino con forza e sbuffai per distendere i nervi. 
<< Sarah? >> mi richiamò la mia amica con un tono quasi preoccupato. 
Mi voltai di scatto verso di lei. << Dimmi. >> L'espressione tranquilla che le mostrai risultò falsa persino a me che non mi potevo guardare. 
Infatti lei corrugò la fronte e mi rivolse un'occhiata di rimprovero. << Sei tu quella che ha da dirmi qualcosa, no? >> Sollevò un sopracciglio ed inclinò la testa. << È da quando abbiamo iniziato a parlare che non fai altro che fissare la schiena di qualcuno e sbuffare. Cos'è successo tra voi? >> 
Mi limitai a scrollare le spalle. << Nulla. >> Ed era vero accidenti! Non era successo un bel niente, eppure quello stupido mi evitava come la peste. 
La vidi alzare gli occhi al cielo ed arricciare le labbra in una smorfia. << Ti conosco, Sarah. Un tuo "nulla" nasconde una valanga di cose che in realtà non vanno. >> Scosse il capo e tornò a guardarmi. << Hai voglia di rendermi partecipe o preferisci tenerti tutto dentro e farti venire i brufoli per lo stress? >> 
Scoppiai a ridere e le diedi una piccola spinta scherzosa. << Ok, d'accordo >> acconsentii alla fine, annuendo ed espirando pesantemente per farmi passare la ridarella. << Quell'idiota troglodita mi sta evitando da stamani >> buttai fuori tutto d'un fiato. << Quando sono salita sul pulmino non si è neanche girato a guardarmi, poi c'è stata una piccola discussione con un ragazzo coi nervi a fior di pelle e lui è venuto a difendermi >> spiegai gesticolando ossessivamente. << Mi ha salutato con un semplice "ciao" e poi mi ha indicato te dicendo che mi stavi aspettando. Non ho avuto il tempo di aggiungere altro perché se n'è subito ritornato fra i suoi amici >> ammisi infastidita mentre salivamo gli affollati scalini dell'ingresso. 
<< E ti sta ancora evitando >> concluse al mio posto Clarice. 
Annuii con uno sbuffo da facocero incavolato. Mi stava evitando eccome. Avrei tanto voluto poter entrare nella sua testolina contorta e capire cosa gli stesse frullando dentro. 
Ci fermammo in un angolo dell'atrio in attesa che il fiume di gente si disperdesse. Vedere quella calca di ragazzi urlanti e spintonati in avanti dalla furia di quelli dietro mi ricordò una scena del Re Leone: quella in cui gli gnu avanzano senza freni e travolgono tutto ciò che risiede sul loro cammino. Ecco, se io e Clarice ci fossimo lanciate nella ressa molto probabilmente avremmo fatto la triste fine di Mufasa. 
<< Ho inquadrato la situazione >> affermò Clar. 
Riportai lo sguardo sul suo viso pensieroso e nel frattempo iniziai a giocare nervosamente con le mie dita. << Tu credi... che possa essere cambiato qualcosa? >> domandai con un filo di voce. Non volevo nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi, ma quella freddezza...
<< Stai scherzando? >> esclamò scettica, ritraendosi e sgranando gli occhi. << Non esiste proprio. Ho visto il modo in cui si è comportato ed il calore con cui ti ha guardata quando eravamo tutti insieme in quella casa. >> 
<< Clar >> la interruppi con un sospiro. << È passato più di un mese. Per quattro intere settimane non ci siamo né sentiti né visti. Non vorrei che questa lontananza avesse... >> Mi umettai le labbra ed abbassai la testa. << Cambiato i suoi sentimenti per me. >> 
Nell'esatto momento in cui terminai la frase sentii una fitta di dolore allo stomaco. Già dirlo faceva un male assurdo, se solo le miei ipotesi fossero state vere ne sarei rimasta distrutta. 
La mia amica incrociò le braccia sul petto. << C'è solo un modo per scoprirlo. Va' da lui a parlagli. >> 
Annuii mesta ed attorcigliai quasi dolorosamente le dita. Dopotutto non avevo altra scelta se non quella di chiedere spiegazioni al diretto interessato.
Avvertii il peso della mano di Clar sulla mia spalla. << Sono sicura che sia ancora tutto come prima >> mi rassicurò con un tono dolce. 
Alzai la testa e le sorrisi. << Me lo auguro. >> 
Dopo qualche altro suo incoraggiamento ci salutammo con un bacio sulla guancia e mi diressi al mio armadietto. 
Immisi il codice soprappensiero e spalancai la stretta anta di latta. Ebbi un tuffo al cuore quando lo ritrovai colmo di tracce di farina risalenti al giorno in cui tutto aveva avuto inizio. 
Sfiorai la morbida polvere bianca con i polpastrelli mentre con la mente rivangavo tutti gli istanti che avevano preceduto la scesa dal cielo di quei mostri.
<< Ehi. >> 
Sobbalzai impaurita e mi gettai un fiotto di farina addosso. << Accidenti >> borbottai tra i denti, osservando il mio golf ed i miei pantaloni sporchi. 
Una familiare risata mi giunse alle orecchie con l'effetto di farmi battere il cuore e surriscaldare. Dirottai lo sguardo sul viso che per tutto quel tempo mi era mancato come l'aria e sorrisi inebetita. 
<< È rimasto tutto come quel giorno >> considerò osservando l'interno del mio armadietto. 
Mi risvegliai dal mio torpore ed annuii. << Già, è quello che stavo notando prima che tu mi facessi saltare in aria dalla paura. >> 
Sorrise sghembo e puntò i suoi ambrati occhi nei miei. << È sempre stato divertente vederti schizzare come una molla >> confessò, riferendosi a tutti gli scherzi che aveva ordito contro di me nei quattro anni precedenti. 
<< Un giorno potrei restituirti il servizio >> buttai là con un tono di sfida ed un sorrisetto provocatorio. 
Si avvicinò con un passo lento e cadenzato fino a giungere davanti a me e far incontrare le punte delle nostre scarpe. Alzai la testa per non interrompere il nostro contatto visivo e lui abbassò la sua, osservandomi tra i ciuffi chiari che gli ricadevano sulla fronte. << Mancano dieci minuti prima che inizino le lezioni >> asserì socchiudendo gli occhi ed inclinando il capo. << Puoi venire con me? >> 
Quel suo ultimo sussurro fu sufficiente per ridurre in poltiglia il mio cuore ed il mio cervello. Annuii quasi senza rendermene conto ed un attimo dopo mi ritrovai a seguirlo per i corridoi. Avevo un disperato bisogno di stare sola con lui, di abbracciarlo, di respirare il suo odore, di sapere come avesse trascorso quel mese e di chiedergli un mucchio di cose. 
Svoltammo in un corridoio a me molto familiare ed arrestammo i nostri passi in un posto altrettanto noto ad entrambi. 
David si chiuse la porta dello sgabuzzino alle spalle ed accese la luce. 
<< Ricordi? >> mi domandò con un sorriso divertito dipinto in faccia. 
<< Eccome >> esclamai guardandomi intorno. << Il tugurio in cui mi hai rinchiusa per un'intera giornata >> rammentai con un sorriso. << Certe cose non si scordano >> conclusi riportando gli occhi su di lui. 
Per qualche istante ci studiammo senza proferire parola, come se entrambi avessimo la necessità d'imprimere i reciproci volti nella propria memoria. 
Appena lo vidi compiere un passo avanti, feci altrettanto, fino a ritrovarmi stretta tra le sue braccia. Immersi il viso nel suo petto ed inspirai profondamente mentre la sua bocca si muoveva sui miei capelli e le sue mani mi stringevano a sé. 
<< Mi sei mancato da impazzire >> bisbigliai strusciando la guancia sulla sua camicia. 
Rilasciò un tremulo sospiro sulla mia testa. << Avrei voluto venire a trovarti, ma... le cose si sono complicate. >> 
Spalancai gli occhi preoccupata e ritrassi il capo per guardarlo in faccia. Aveva un'espressione stanca, ma ciò che maggiormente mi colpì fu la luce più adulta presente nei suoi occhi. << Cos'è successo? >> chiesi allarmata. << Stai male? O si tratta della tua famiglia? Non li hai trovati? >> 
Sorrise e mi avvicinò a sé. << Fai sempre un sacco di domande tutte insieme >> notò divertito. Appena un attimo dopo il suo sorriso svanì ed il suo sguardo si fece più profondo. << Li ho trovati. E non si tratta di me, ma di mio fratello >> ammise con un tono serio. << A sei anni ha visto cose che nessun bambino dovrebbe vedere. Ne è rimasto scioccato. >> 
Deglutii intimorita da ciò che avrebbe potuto rispondermi. << Sta male? >> 
Scrollò le spalle. << Difficile saperlo visto che ha smesso di parlare. >> 
<< Oh mio Dio >> sussurrai impensierita. << Durante questo mese non ha mai aperto bocca? >> 
<< No, mai >> rispose sospirando. << Non l'ho nemmeno più visto sorridere >> aggiunse con una smorfia. 
Abbassai gli occhi con palese preoccupazione ed osservai distrattamente il pavimento. 
Non era giusto che un bambino di soli sei anni dovesse vivere assillato dagli incubi e tormentato dai ricordi spiacevoli. Avrebbe dovuto godersi la spensieratezza e la gioia di quell'età, giocare con gli altri bambini e ridere felice. 
Percepii il calore di una mano di David solleticarmi la guancia. << Anche tu non hai una bella cera >> constatò scrutando il mio viso.
<< No no >> mi affettai a dire, guardando i suoi attenti occhi. << Io sto bene. >>
Sollevò un sopracciglio dubbioso. << Sei pallida come un cadavere, hai delle occhiaie che assomigliano a due fossati, sei per giunta dimagrita e mi vorresti far credere di essere il ritratto della salute? >> 
<< Mi hai descritta come un mostro >> gli feci presente con una punta di stizza. 
Mi circondò il viso con le mani ed approssimò le distanze tra i nostri volti. Le sue iridi si fecero più scure e l'intensità del suo sguardo mi attirò come una calamita. << Cosa c'è che non va? >> mi domandò con estrema serietà. 
<< Nulla >> replicai in fretta. 
<< Smettila di dire cavolate e rispondi >> ribatté perentorio. 
Perché il mio "nulla" non veniva mai preso sul serio? Alla fine mi toccava sempre sputare il rospo. 
Intrecciai le dita e me le torturai ansiosa. << Ehm... diciamo che per ora non dormo molto. La notte non riesco a chiudere occhio e quelle poche volte che succede... >> Sospirai e spostai lo sguardo sul muro. << Urlo in preda agli incubi. Ho paura di addormentarmi e di rimanere al buio da sola, ma prima o poi mi passerà >> conclusi con un'alzata di spalle. 
Tornai a guardarlo e notai che mi stava osservando cupo. << Hai ritrovato tutta la tua famiglia? >> 
Annuii. << Sì. >> 
Continuò ad esaminarmi minuziosamente, dopodiché distese i muscoli contratti del viso e si abbassò per baciarmi la punta del naso. Solo per quel piccolo gesto il mio cuore impazzì. 
Allungai il collo, mi appoggiai ai suoi avambracci e catturai le sue labbra in un delicato, ma sentito bacio. Morivo dalla voglia di farlo dal primo momento in cui lo avevo visto quella mattina. 
La sua risposta fu istantanea. Mi circondò la vita con un braccio e mi attirò a sé facendo cozzare i nostri corpi. Mosse dei piccoli passi in avanti e mi trovai costretta ad indietreggiare fino a giungere con le spalle al muro. 
A quel punto sentii qualcosa cambiare nel nostro bacio. Le sue labbra si fecero più urgenti e fameliche mentre si muovevano in fretta sulle mie, quasi senza darmi il tempo di rispondere. Era come se con quel contatto mi stesse parlando, come se mi stesse trasmettendo tutto ciò che aveva sopportato in quelle quattro settimane: disperazione, gioia, furia, impotenza. 
Gli circondai il collo e mi distanziai appena, permettendo alle nostre fronti di sorreggersi vicendevolmente. 
<< Perché prima mi evitavi? >> chiesi col fiato corto ed il battito accelerato. 
Il suo respiro agitato si scontrò contro la mia bocca, facendomi rabbrividire di piacere. Ancorò le mani sui miei fianchi ed osservai il suo pomo d'Adamo abbassarsi. << Non sapevo come comportarmi >> confessò con un tono estremamente rauco. Fece una smorfia con la bocca ed arricciò il naso. << Non sono il tipo da effusioni in pubblico. Mi riesce difficile anche solo pensare di prenderti per mano e camminare lungo il vialetto della scuola. >> 
Sorrisi rincuorata e divertita dalla sua espressione nauseata. << Mi avevi fatto prendere un colpo >> ammisi tirandogli uno schiaffetto sul petto. Mi umettai le labbra ed allontanai la testa per guardarlo dritto negli occhi. << Pensavo che mi avessi dimenticata. >> Il tono con cui lo dissi fu talmente basso da risultare impercettibile persino alle mie orecchie. 
Ma appena scorsi un sorrisetto sghembo e quasi intenerito spuntare sulle sue labbra mi resi conto che aveva udito le mie parole. << Ah sì? >> domandò ironico, sollevando un sopracciglio. << In effetti durante questo mese ho conosciuto un'altra ragazza con cui mi sono dato un po' da fare, ma... Ehi, mi fai male >> si lamentò ridendo sotto i colpi dei miei pugni contro il suo petto. 
<< Razza di stupido >> sbottai accigliata. << Io ti dico che mi sei mancato da morire, che ti ho pensato continuamente, che avevo paura che tu mi avessi dimenticata e tu cosa rispondi? >> 
Mi afferrò i polsi e con un rapido scatto mi attirò contro di sé. Avrei potuto incenerirlo solo col mio sguardo tant'ero furiosa, se solo avesse osato sparare un'altra delle sue scemenze non sarebbe più uscito da quella porta. Un nuovo sorriso compiaciuto si affacciò sulla sua bocca. << Mi hai pensato continuamente? Questa non me l'avevi detta. >> 
Alzai gli occhi al cielo e soffiai dal naso. << Dio, sei incorreggibile. >> Peccato che proprio mentre lo dissi mi scappò un sorriso che mi fece risultare molto poco cedibile. 
Le sue mani scivolarono sulla mia schiena ed un attimo dopo mi trovai stretta in un saldo abbraccio. Sospirò tra i miei capelli e mosse la testa fino a sfiorarmi il collo con la punta del naso. Il suo freddo respiro contro la pelle mi fece fremere come una fogliolina sospinta dal vento. Socchiusi gli occhi assuefatta ed appoggiai una guancia sul suo petto. 
Fu in quel preciso istante di pace che prestai attenzione al battito leggermente più accelerato del suo cuore. Mentre quel dolce suono mi riempiva le orecchie la mia mente scattò a ritroso. 
"Lo senti questo?" Mi aveva preso la mano e se l'era posta sul cuore. "Questo batte per te. Non farlo smettere mai."
Sorrisi caldamente dinanzi a quel ricordo e depositai un piccolo bacio su un suo pettorale. 
La campanella fece scoppiare la bolla di perfezione e pace di quel momento. Maledissi mentalmente la scuola e chiunque avesse a che fare con quell'orario poco consono ai miei bisogni personali, in seguito sospirai e sciolsi il nostro abbraccio.
<< Dobbiamo andare >> dichiarai sconsolata. 
Le sue pozze ambrate scrutarono minuziosamente ogni tratto del mio volto. << Devi dormire di più >> affermò aprendosi poi in un sorrisetto sfrontato. << Pensa a me, vedrai che saranno dei bei sogni movimentati. >> 
Scoppiai a ridere e gli diedi un leggero pugno sul petto. << Dai, stupido >> borbottai a dir poco imbarazzata. Come faceva a dire certe cose con una tale tranquillità? Era disarmante. 
<< Dico sul serio >> si difese divertito, alzandomi il mento con una mano. Si chinò su di me ed i suoi occhi si socchiusero mentre mi osservava le labbra. << Magari poi potremmo farli diventare realtà >> aggiunse con un tono basso e rauco accompagnato da un sorrisetto ad illuminargli le iridi. 
Mio Dio, sarei potuta morire seduta stante per combustione interna. Una parte dentro di me avrebbe voluto saltare quelle inutili lezioni e chiudere a chiave la porta dello sgabuzzino, l'altra, la più giudiziosa, mi esortava a scappare prima che mettessi in pratica le intenzioni sopracitate. 
Mi morsi un labbro e calai lo sguardo sulla sua bocca a pochi centimetri dalla mia. Avrei desiderato mordicchiargliela e tracciarne il contorno con la punta della lingua, passare le mani tra i suoi capelli e sentire il suo respiro corto scontrarsi contro la mia pelle sudata. << Magari >> sussurrai con un filo di voce. Sobbalzai e sgranai gli occhi non appena mi resi conto che non mi ero soltanto limitata a pensarlo, ma che le mie stupide corde vocali si erano mosse per dare adito a quell'affermazione. 
Il mio autocontrollo era così flaccido e deboluccio da essere annientato da una semplice provocazione? Ero messa così male? 
Le sue dita si strinsero attorno ai miei fianchi ed il sorriso che prima era pennellato sulle sue labbra scomparì nel giro di un secondo. << Sta' attenta, rischi di non uscire più di qui come l'ultima volta >> mormorò calandosi sul mio collo per sfiorarlo con la bocca. << Solo che stavolta ti farei compagnia. >> Dischiuse le labbra e mi baciò un tratto di pelle per poi cominciare a stuzzicarlo lentamente con la lingua. 
Addio lezione, addio scuola, addio neuroni. Dopo quel tocco il mio cervello era partito per la tangenziale e forse non sarebbe mai più tornato in carreggiata. 
Strinsi la sua camicia tra le dita e mi lasciai sfuggire un ansito di piacere. Bastò quello per farlo distaccare da me di scatto, come se si fosse bruciato. 
E pensai che si fosse davvero scottato non appena vidi i suoi occhi bruciare di pura passione mentre mi guardavano. 
Si passò una mano tra i capelli e spostò lo sguardo sul muro di fianco. << Ti conviene uscire di qui il prima possibile >> mi avvisò deglutendo. 
Per un attimo rimasi immobile ad osservare rapita il suo profilo teso e perfetto, successivamente mi riscossi dal mio torpore ed annuii. << Sì, ehm, la lezione... faremo tardi >> ricordai senza realizzare ciò che stessi dicendo. Mi ci vollero altri secondi prima di riprendere pieno controllo delle mie facoltà mentali. << Oh mio Dio, la lezione! >> esclamai sgranando gli occhi. Ero di sicuro in ritardo e come minimo sarei dovuta entrare in una classe in cui il professore non era affatto flessibile in fatto di ritardi. Dio, qual era la mia prima lezione? Possibile che mi fossi così tanto rincretinita? 
David mi agguantò un polso e mi trascinò frettolosamente fuori dallo sgabuzzino. 
I corridoi erano già vuoti, cattivissimo segno che contribuì ad agitarmi. 
Spostai lo sguardo da una parte all'altra in ansia, alla fine lo riposai sul mio ragazzo che mi stava osservando con sommo divertimento. << Che lezione hai? >> mi domandò prima che potessi afferrarlo per le spalle e scuoterlo in preda alla disperazione. 
<< Non so... io... il foglietto, accidenti. >> Misi una mano dentro la tasca esterna della tracolla ed estrassi il familiare e sgualcito foglio su cui erano segnati i miei orari. Lo spiegai con urgenza e focalizzai l'attenzione sulla prima casella in alto sinistra che in passato avevo cerchiato di rosso. 
Rosso. Fin dalle medie ero solita fare un cerchio di quel colore sulle lezioni coi professori più ostili. Se la fortuna era bendata, la sfortuna aveva certamente l'occhio lungo. 
Sbuffai col ritmo cardiaco accelerato a causa dell'angoscia e rificcai con stizza il foglio nella tasca. << Calcolo >> dichiarai riportando lo sguardo su David. 
Il sorrisino malizioso che si pennellò sulle sue labbra mi fece ricordare che quella era anche la sua prima lezione del lunedì. 
<< Oddio, è vero. Siamo insieme >> rammentai con orrore. Mi sbattei un palmo della mano sulla fronte e sgranai gli occhi. << Signore santissimo, appena entreremo in classe tutti crederanno che ci siamo imbucati da qualche parte e... >> 
<< E che ci abbiamo dato dentro >> proseguì al posto mio con una luce fin troppo divertita nello sguardo.  
Spalancai la bocca e mi schiacciai le guance tra le mani. << Ma è terribile. >> 
Scrollò le spalle e si aprì in un sorriso sghembo colmo di sottintesi maliziosi. << Non sarebbe così terribile se solo fosse vero >> affermò avanzando verso di me. 
Arrestai la sua avanzata posando le mani sul suo petto e guardandolo accigliata. << Scordatelo, dobbiamo andare a lezione. Adesso >> aggiunsi con un tono perentorio. 
Ero fiera di me, finalmente la Sarah giudiziosa stava riprendendo il controllo. Un applauso a me stessa.
<< Ok >> accordò con un'altra scrollata di spalle. << Andiamo, se proprio non ne possiamo fare a meno. >>
<< Esatto, non possiamo farne a meno. >> Annuii convinta ed insieme ci avviammo verso l'aula A5. Durante tutto il percorso fui vittima dell'ansia e dell'agitazione, mi torturai le dita e morsi più volte il labbro, ma nulla di tutto questo riuscii a farmi smaltire la trepidazione. 
David mi lanciava occhiate divertite ed ogni tanto mi punzecchiava scherzosamente con il gomito. Ogni volta lo fulminavo con lo sguardo e lui sghignazzava.
Quando giungemmo davanti alla porta chiusa mi soffermai ad ammirare il pannello di plastica con riluttanza. << Che figura pietosa >> borbottai con una smorfia. 
Inspirai profondamente e mi voltai a guardare David che mi stava già osservando con un sorrisetto ironico. << Prima le signore >> osò dire indicando la porta con un gesto teatrale del braccio. 
Ridussi gli occhi a due fessure ed arricciai le labbra. << Ricordati che questa me la paghi. >> Sventolai un dito davanti alla sua faccia con aria minacciosa ed infine posai la mano sulla maniglia. 
Sospirai pesantemente ed aprii la porta, facendola cigolare. L'ideale per passare inosservati.
Il professore si voltò nella mia direzione con una rapida rotazione dei tacchetti delle sue scarpe. Fui fulminata con un'occhiata severa ed intransigente nel giro di un nano secondo. 
A quel punto sarei voluta entrare, spalancare le braccia con un enorme sorriso stampato in faccia ed urlare un "ma che caldo benvenuto, professor Judge". 
Insomma si stava impegnando davvero tanto se quell'espressione rigida era il meglio che potesse fare per accogliermi calorosamente. 
Il mio ragazzo si accostò al mio fianco e distese le labbra in un sorriso beffardo. << Lieto di rivederla, prof. >> Detto ciò si diresse ad un banco libero e vi si accomodò. 
Come cavolo faceva ad essere così a suo agio nonostante la situazione disperata? Si vedeva lontano un miglio che al professore stava per partire un embolo tant'era rosso dalla rabbia. 
David mi lanciò un'occhiata di sprono e così mi affrettai ad occupare un altro banco libero sotto lo sguardo dell'intera classe e nel silenzio generale.
Sospirai di sollievo nel momento in cui il professore ricominciò a parlare come se nulla fosse successo. 
Come primo giorno scolastico rientrava nella lista nera, ma per una volta l'unica nota positiva era costituita dall'unica persona che aveva rovinato tutti i miei primi giorni di scuola degli ultimi quattro anni. E quella persona sedeva disinvolta ad alcuni banchi di distanza da me. Sorrisi nell'osservare il suo sguardo seccato rivolto al professore e la sua postura sfacciatamente provocatoria. 
Chissà perché, ma prevedevo che quell'ultimo anno sarebbe stato decisamente diverso da qualsiasi altro. In una parola: memorabile.






Angolo autrice:

Buonaseraaaaaa!!
Oddio, sono super emozionata *_* 
Vi spiego perché: innanzitutto perché non avevo premeditato di postare il primo capitolo proprio oggi. Anzi, ero certissima che lo avrei fatto a Novembre! Invece è da oggi pomeriggio che mi è preso il folle sghiribizzo di pubblicare l'inizio del seguito di "Keep Your Eyes Open". All'inizio mi sono detta "no dai, Fede, aspetta, ancora non hai finito il secondo capitolo. Cosa pubblichi la settimana dopo se no?" Non c'è stato niente da fare. Quando mi metto in testa una cosa divento un mulo ahahahah XD Perciò mi sono detta "d'accordo, facciamo 'sta pazzia!" 
E ta-dannnnn!!! 
E sono anche sicura di una cosa. Come ho detto non ho ancora finito di scrivere il secondo capitolo, ma ho come l'impressione che i capitoli successivi riuscirò a scriverli in fretta grazie a voi. Mi succede sempre così. Quando leggo le vostre recensioni o vedo il numero delle letture salire mi sento dieci volte più spinta e motivata a scrivere per farvi leggere il più in fretta possibile. Perciò sono sicura che stavolta il mio folle istinto stia facendo la cosa giusta ahahahah ;) 
Il secondo motivo per il quale sono super emozionata è che finalmente questo momento è arrivatooooo!! D'ora in poi Sarah e David torneranno a tenerci compagnia *_* 
Se penso che un anno fa, in questo periodo, succedeva la stessa cosa mi emoziono come una scema ahahahah! 
Sono troppo sentimentale *si asciuga una lacrima*. 
Ahahah, ok, ma bando alle ciance! Spero che questo ritorno in piazza di David e Sarah vi sia piaciuto e che vi abbia fatto piacere! E spero soprattutto di non avervi deluso >< 
Qua sotto vi lascio un collage stupendo, e che io personalmente amo, che ha fatto Roberta (dreamer_rob245) *_* una ragazza meravigliosa! Al prossimo capitolo lo metterò come banner, così alterno ;) GRAZIE ANCORA, Roberta! E ringrazio di cuore anche Matilde *_* (Stella_Potter394) una ragazza altrettanto stupenda che ha ama questa storia tanto da averla fatta conoscere anche a Roberta!! 
Inutile dire che che io vi A M M O entrambe ahahahah!
Detto ciò concludo! Dovete perdonarmi, ma sono talmente rintronata dall'emozione che non mi viene in mente nient'altro da dire ahahahah. 
GRAZIE PER TUTTO IL VOSTRO SUPPORTO! <3 Non smetterò mai di dirlo, per me siete fondamentali! 
Vi voglio davvero bene <3 
E se tutto va bene ci vediamo domenica della settimana prossima ;) 
Un bacione gigantesco a tutte!!!!!!! <3

Ps: il titolo è provvisorio, non so proprio come chiamare questo seguito >< se avete dei suggerimenti dite pure!!! ;)


Federica~






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Capitolo 2
*** Scontri e dubbi ***


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Scontri e dubbi







La campanella che decretava l'inizio della pausa pranzo suonò nel preciso istante in cui il mio stomaco decise di far notare la sua presenza con un rumoroso gorgoglìo. 
Fortuna che lo scampanellio fu capace di coprire quel saluto molesto del mio egocentrico organo. 
<< Hai fame, eh? >> 
Mio Dio. Chi era stato a parlare? Ma soprattutto, a chi si riferiva?
Sudai freddo e caldo in contemporanea non appena mi resi conto che per quel giorno la sfiga mi aveva scelta come vittima. 
Il ragazzo verso cui mi voltai con degli scatti meccanici del capo si stava rivolgendo proprio a me. A me, e non a qualcun altro. Dannata sfortuna. 
Abbozzai un sorriso ed impilai i miei libri. << Già >> fu tutto ciò che riuscii a dire. Non ero esattamente un esempio di loquacità, ma in quel momento di profonda vergogna non fui in grado di trovare altre parole.  
Il ragazzo sembrò comprendere lo stato in cui mi aveva ridotta dopo avermi fatto notare quel piccolo particolare che avevo cercato di nascondere con dei movimenti improvvisi della sedia, tanto per fare rumore. Infatti, appena un secondo più tardi, sorrise imbarazzato e mi salutò frettolosamente. Saggia decisione. 
Raccolsi i miei libri ed uscii dall'aula diretta al mio armadietto. Fui più volte spintonata da una parte all'altra per via del mare di gente riversa nei corridoi, ma arrivò un momento in cui fui totalmente travolta. I miei tomi ricchi di sapienza caddero a terra e slittarono sul lucido pavimento di linoleum; per poco non feci la loro stessa fine, o meglio, quella di Mufasa.
Corsi con lo sguardo all'artefice di quel disastro e mi trovai a fronteggiare l'occhiata adirata di una ragazza. Non una ragazza qualunque, nient'affatto. Si trattava di una gallina presuntuosa, nota in tutta la scuola per i suoi trascorsi e per il semplice quanto superfluo fatto di essere la capo cheerleader. Jessica Wright.
Il sangue mi schizzò immediatamente al cervello. << Hai i paraocchi, per caso? Perché non guardi dove vai? >> sbottai furiosa. Lo aveva fatto apposta, ne ero più che certa. 
La gallina incrociò le braccia sul petto e la sua camicetta dalla generosa scollatura si arricciò, mostrando ancor più di quanto fosse già visibile. << Sei tu la stupida che mi è venuta addosso >> asserì con un'espressione arrogante. << Dovresti imparare a camminare in linea retta. >> 
Trattenermi dal prenderle i capelli tra le mani e tirarli fu difficilissimo. L'impresa più ardua che avessi mai compiuto. 
<< Stupida a chi? >> Ridussi gli occhi a due fessure ed avanzai di un passo. << Non sei proprio la persona più indicata per dare della stupida a me. >> Volevo essere cattiva? Be', mah, insomma... sì, eccome accidenti. Sollevai un sopracciglio e mi stampai un sorrisetto provocatorio in faccia. << Perché non parliamo del risultato al test sul QI che abbiamo svolto qualche mese fa? >> Aggrottai la fronte ed arricciai le labbra in una smorfia teatralmente dispiaciuta. << Oh, giusto, non eri nemmeno riuscita a portarlo a termine. >> 
In quel momento di netta superiorità avrei voluto concludere con un gestaccio del braccio e girare i tacchi. Ma ci rinunciai soltanto per ammirare la sua reazione. 
La vidi inspirare profondamente e strizzare la bocca con l'aria di chi era appena stata colpita nell'orgoglio e non sapeva cosa ribattere. Povera cucciola. 
<< Credo non ci sia altro su cui discutere >> affermai con un'alzata di spalle ed un sorrisino trionfale. << È sempre un piacere parlare con te >> conclusi ironicamente. 
Mi affrettai a recuperare i miei poveri libri maltrattati dalla serpe, rischiando più volte di essere investita dalle gambe degli studenti che correvano verso la mensa. Con un sospiro allungai un braccio per acciuffare l'ultimo, ma nel momento in cui le mie dita si posarono sulla copertina, il libro, come animato da vita propria, slittò ancor più lontano finendo per essere pestato da un ragazzo. 
Peccato che in quel frangente solo un piccolo particolare stonasse: il mio libro non era vivo o dotato di poteri magici.  
Con uno scatto voltai la testa per scagliare tutta la mia furia sulla gallina velenosa che aveva calciato volontariamente il mio volume. Sul suo viso risiedeva un sorriso beffeggiatore che avrei tanto desiderato far sparire a furia di testate nei denti. 
<< Ops >> esordì con una scrollata di spalle. "Ops" un corno. Il suo gesto era stato più che premeditato, compiuto in totale coscienza. 
Mi morsi l'interno guancia per il nervoso e mi sollevai da terra con lentezza, appoggiando il peso delle mani sulle cosce. << Complimenti, la tua infantilità batterebbe quella dei bambini dell'asilo >> riuscii a dire con apparente calma. << Immagino tu non ti debba sforzare molto >> aggiunsi con un tono canzonatorio. Incrociai le braccia sul petto e le rivolsi un'occhiata gelida. Odiavo essere acida e cattiva, ma quella stupida gallina era in grado di tirare fuori il mio lato peggiore con le sue velenose stoccate ed i suoi gesti provocatori. 
La serpe mi guardò di sottecchi con un sorriso malizioso. << Conosco molti giochetti tutt'altro che infantili >> assicurò schioccando la lingua al palato. Reclinò leggermente il capo ed il suo sorriso divenne maligno, la perfetta anticamera di un qualcosa di altamente spietato che avrebbe detto di lì a poco. << A David sono sempre piaciuti >> sparò con un'espressione eloquente. 
Appena finì di pronunciare quelle parole nel mio stomaco si miscelarono una serie di emozioni pungenti: gelosia, fastidio, rabbia, dolore e qualche altra che non fui in grado di decodificare. Il tutto si concentrò in un'irrefrenabile voglia di metterle le mani addosso e farle rimpiangere tutto il veleno che le era uscito dalla bocca. 
Mi appellai all'ultimo barlume di autocontrollo rimastomi e sfoderai un sorriso strafottente. << Peccato però che lui non abbia scelto te ed i tuoi giochetti. >> Maledetta gallinella, a costo di farla morire d'invidia ed attirarmi ancor di più il suo odio, le avrei sbattuto in faccia quella verità fino alla fine dei miei giorni. Voleva giocare sporco insistendo sul fatto che lei avesse avuto dei trascorsi col mio ragazzo? Bene, l'avrei ripagata con la stessa moneta. 
La rabbia che lessi nei suoi occhi mi ripagò immediatamente. Sembrava che le sue scure iridi blu scagliassero saette d'odio contro di me con l'intento di folgorarmi. Illusa.
Accentuai il mio sorriso schernente e le rivolsi le spalle per recarmi a prendere il povero libro sottoposto alle angherie di quella vipera. 
Improvvisamente sentii un forte dolore alla nuca. Senza neanche capacitarmi di come fosse successo, mi ritrovai col sedere a terra e con una trentina di paia d'occhi addosso. 
Mi tastai la testa con una smorfia e realizzai cosa fosse appena accaduto. La serpe mi aveva indiscutibilmente tirato i capelli con una tale forza da farmi perdere l'equilibrio e finire a gambe all'aria. 
Non ci vidi più. Non solo mi attaccava verbalmente, in più osava mettermi le sue sudicie dita addosso. 
Volsi il capo all'indietro e la raggiunsi con il mio sguardo adirato. << Razza di cretina >> sibilai rialzandomi. Avanzai frettolosamente nella sua direzione mentre la deficiente se ne stava con le braccia strette al petto ed un'espressione rabbiosa. 
Voleva fare a botte? Sarebbe stata accontentata presto. Un incontro di wrestling era proprio quello che ci voleva per inaugurare il primo giorno di scuola dopo la restaurata pace in tutto il mondo.
Il pubblico riunito attorno a noi cominciò a fare un coro da stadio incitandoci alla lotta. Ma non prestai loro attenzione, io e la mia furia eravamo troppo concentrate su un unico soggetto. 
<< Fatti sotto, Anderson >> mi canzonò lei, spostandosi i capelli sulla schiena con un colpo studiato che fece sospirare quasi tutti i ragazzi presenti. Peccato che quei capelli di lì a poco glieli avrei strappati. I ragazzi avrebbero dovuto trovare altro per cui sospirare come dei facoceri pompati di ormoni.  
Percorsi l'ultimo metro che ci divideva ed allungai le braccia per afferrarle quei venti peli che si trovava in testa. Occhio per occhio, capello per capello. Le avrei riservato lo stesso trattamento con tanto di testata tra i denti, così la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di farmi quegli odiosi sorrisetti. 
Proprio un attimo prima che le acciuffassi i capelli, un braccio mi circondò la vita e mi strattonò all'indietro. << Ehi ehi >> sentii al mio orecchio da una voce familiare e trafelata. 
David mi strinse contro il suo corpo mentre io cercavo di liberarmi per raggiungere quella serpe e fargliela pagare. << Lasciami andare >> ordinai spingendo il suo braccio verso il basso. 
<< Se ti lascio cos'hai intenzione di fare? >> 
<< Andare lì e strapparle tutti i capelli >> affermai secca, tenendo gli occhi puntati sulla vipera. Oh, ma guarda, non stava più sorridendo. Evidentemente vedere David tanto vicino a me le dava un particolare fastidio. Ben le stava. D'ora in poi lei lo avrebbe solo potuto vedere col binocolo. 
Percepii David sorridere contro il mio orecchio. << Allora sarò costretto a portarti via con la forza >> sussurrò indietreggiando e trascinandomi con sé in mezzo alla folla. 
Sbuffai innervosita mentre ci allontanavamo sempre di più da quel ring improvvisato. Purtroppo la mia occasione di vendicarmi era stata spazzata via, ma speravo ardentemente che se ne presentassero di nuove. Non avrei lasciato passare le sue parole chiudendo un occhio. 
David mi lasciò andare solo quando mettemmo piede in un'aula vuota. Si chiuse la porta alle spalle e si girò ad osservarmi con un sorriso divertito. << Che cos'è successo tra te e lei? Sembravate piuttosto pronte ad uccidervi a vicenda. >> 
<< Ed è così >> convenni sbattendo una mano sulla cattedra. << Quella stupida mi è venuta addosso come un rinoceronte facendomi cadere tutti i libri. In più ha osato tirarmi i capelli con una brutalità tale da trascinarmi col sedere a terra >> gridai furiosa. Ridussi gli occhi a due fessure e gli puntai un dito contro. << Non avresti dovuto intrometterti, almeno non prima che le mettessi le mani addosso >> mi lamentai con uno sbuffo seccato.
Avanzò verso di me e la sua espressione si fece seria. << Hai idea di cosa sarebbe successo se qualche professore vi avesse viste? >> 
Sì, lo sapevo eccome. Una sospensione di qualche settimana non me l'avrebbe tolta nessuno, specialmente se si considerava da che genere di situazione eravamo tutti appena usciti.
Sbuffai ancora e spostai lo sguardo irritata. 
<< Sarah. >> Il suo tono di rimprovero mi spronò a tornare con gli occhi nei suoi. Erano indubbiamente severi, ma non la severità con cui può guardare un professore. Si trattava di una diversa: una tipica di un ragazzo amorevole che rimprovera la propria ragazza di un'azione sconsiderata. E bastò quello per farmi sbollire totalmente la rabbia. 
Sospirai e mi sedetti sulla cattedra. << Sì, ho sbagliato >> ammisi puntando lo sguardo sulle mie mani. << Ma dopo la sua frecciatina ed avermi tirato i capelli non ci ho più visto. >> Aggrottai la fronte e mi umettai le labbra. << Volevo vendicarmi e restituirle pan per focaccia. >>
Intravidi le scarpe di David entrare nel mio campo visivo, successivamente le sue mani si posarono sul tavolo ai lati delle mie gambe. << Che ti ha detto? >> domandò abbassando il capo per cercare d'instaurare un contatto visivo. 
<< Mi dà fastidio solo ripensarlo >> confessai con una smorfia. Per qualche istante mi rifiutai di parlare, poi alzai una mano e la strinsi su un lembo della sua camicia. Portai gli occhi nei suoi e mi schiarii la voce. << Lei non ti piace più, vero? >> Il filo di voce che mi uscii dalla bocca fu talmente rauco ed impercettibile che persino io faticai a capire cos'avessi chiesto. 
Sulle sue labbra si delineò un sorriso sghembo. << Non mi è mai piaciuta. Era solo una delle tante con cui andavo a letto. Nessun legame sentimentale o di altro tipo >> rispose facendo un passo avanti per accorciare le distanze. 
<< Ma... >> Deglutii e mi sforzai di guardare i suoi occhi, invece che la sua bocca. << Fisicamente ti piaceva, no? >> 
<< Be', certo >> sussurrò con una scrollata di spalle. Il mio stomaco si contorse ed il mio cuore aumentò i battiti. << Ma poi è arrivata una nanerottola di cui mi piace il fisico... >> Mi sfiorò l'orecchio con le labbra e depositò un piccolo bacio sul lobo. << Il carattere... >> Proseguì verso lo zigomo e si aprì in un sorriso. << Anche se lì pecca di difetti. >> Ridacchiò per il debole calcio che gli tirai e spostò la bocca sulla mia mandibola. << Di cui mi piace il sorriso... >> Raggiunse il mento e pose un altro bacio. << Il suono della voce... >> La sua voce invece sfumò e divenne roca e profonda. << E di cui non potrei fare a meno neanche volendo >> si liberò tutto d'un fiato, una volta giunto a contatto con le mie labbra. 
Il mio cuore palpitò emozionato ed i miei occhi, come i suoi, si chiusero per il languore provocato dalla vicinanza. 
D'istinto dischiusi le labbra che vennero dolcemente catturate da quelle di David. Una sua mano mi sollevò il mento mentre la mia scivolò lungo il suo costato per depositarsi sulla sua schiena. 
Il nostro contatto fu cauto, delicato e lento. La sua bocca si mosse con flemma sulla mia, senza brama o urgenza; la sua mano invece non si spostò mai dal mio mento. 
Con degli ultimi teneri e rapidi baci si distanziò da me quel tanto che bastava per far convergere i nostri sguardi. I suoi occhi ambrati, lucidi ed intensi contribuirono ad esasperare il mio ritmo cardiaco. 
Non mi sarei mai abituata alla sua presenza, ma mi avrebbe sempre emozionata come il primo giorno che avevo iniziato a provare qualcosa nei suoi confronti. E ciò che più di tutto faceva svolazzare i condor nel mio stomaco era la certezza che lui fosse mio e che mi amasse a sua volta. Mi sarebbe bastato quello per morire felice. 
Mi destai dai miei pensieri appena sentii una sua mano giocare con i miei capelli. I suoi occhi si concentrarono sulla ciocca che teneva tra le dita ed un suo sopracciglio scattò verso l'alto. << E quindi ti ha quasi scotennata >> constatò irrigidendo la mascella. 
Da quel piccolo particolare capii che la cosa lo innervosiva parecchio. Mi scappò un sorriso e cercai il suo sguardo. << Ti dà fastidio? >> 
Riportò le sue serie pozze ambrate su di me e lasciò cadere la ciocca. << Secondo te? >> ribatté seccato. << Le avevo intimato di non azzardarsi a toccarti un'altra volta. Evidentemente non ha recepito il messaggio. >> Schioccò la lingua al palato e si rizzò dritto in piedi con un lungo sospiro irritato. Incrociò le braccia sul petto e focalizzò lo sguardo sulla porta, immerso tra i suoi pensieri.  
Per un minuto buono lo osservai ammaliata. Nonostante fosse inverno teneva la camicia risvoltata sulle maniche in modo tale da scoprire gli avambracci, ed in quel momento pensai che mancasse qualcosa... Sì, qualcosa attorno al suo polso. Ci sarebbe stato bene un braccialetto di cuoio nero, magari regalato dalla sottoscritta. 
Emozionata da quella mia geniale idea saltai giù dalla cattedra e lo raggiunsi. Con un sorriso posai le mani sulle sue braccia ed i suoi occhi saettarono immediatamente nei miei. Mi studiò per qualche istante, dopodiché abbozzò un sorrisino sghembo e mi afferrò entrambi i polsi. << Quest'aula è vuota >> considerò sollevando un sopracciglio in modo malizioso. 
Aggrottai la fronte e mi guardai attorno senza capire cosa volesse dire. Era impazzito? Lo vedevo anch'io che la classe era priva di presenze umane eccetto le nostre, ma... << Oh >> esclamai appena realizzai il significato velato delle sue parole. Subito dopo assunsi un'espressione scandalizzata e spalancai gli occhi. << Che? Ma sei impazzito? Oh mio Dio, spero tu stia scherzando. >> La mia voce raggiunse ottave talmente alte e stridule da rintontirmi. 
David scoppiò a ridere e mi lasciò andare per reggersi la pancia e piegarsi su stesso. 
<< Ma t'immagini se qualcuno ci vedesse? >> continuai a dire con la mia irriconoscibile voce acuta. Un velo di rossore mi ricoprì le guance. << Oddio, sarebbe imbarazzantissimo. Non posso nemmeno pensarci. >> Scossi la testa e mi portai una mano sugli occhi. 
<< Quindi... >> Una risata interruppe le sue parole. << A preoccuparti sarebbe solo questo? >> Lo sentii avanzare e così aprii due dita per osservarlo guardinga. Sul suo volto era disegnato un sorriso divertito e al contempo provocatorio, i suoi occhi erano lucidi ed un suo sopracciglio era sollevato in maniera palesemente maliziosa. << Perché per eliminare il problema basterebbe chiudere a chiave. Nessuno ci vedrebbe. >> Appunto, come volevasi dimostrare. 
Scostai la mano ancor più sconcertata ed il mio mento per poco non sbatté a terra. << Ma... >> Che cos'aveva appena detto? Non potevo crederci. << Ma come ti vengono certe idee? >> esclamai mentre il rossore si espandeva sempre di più. << Tu... tu... >> Non mi venivano nemmeno le parole, accidenti! 
Il suo sorriso divertito si allargò. << Io? >> 
<< Tu sei un depravato! >> prorompetti additandolo scandalizzata. La sua forte risata si propagò per tutta l'aula. 
<< Non ho parole, me ne vado >> convenni scuotendo la testa mentre mi dirigevo alla porta. 
Avvertii i rapidi passi di David dietro di me, poi un suo braccio mi circondò la vita e mi strinse a sé con vigore. Ridacchiai divertita mentre mi solleva da terra per allontanarmi dalla maniglia e rideva nel mio orecchio. << Dove credi di andare, nanetta? >> fiatò avvicinandomi ulteriormente al suo petto. 
<< A mangiare, pervertito >> risposi con una risata. 
<< Mm. >> Allentò la presa e sentii la sua bocca inspirare tra i miei capelli. << Te lo permetto, tanto anch'io devo andare. >> 
<< Ti sono infinitamente grata per questa generosa concessione >> scherzai appoggiando una mano sulla sua. 
Le sue labbra si trascinarono sino al mio orecchio con una lentezza sensuale, provocandomi una scarica di brividi lungo tutto il corpo. << Avrai modo di sdebitarti, non ti preoccupare >> mormorò malizioso. 
Be', se voleva giocare sporco lo stava facendo benissimo. Dopotutto lui era un maestro in quello. E la sottoscritta non era abbastanza allenata a resistere a tutte le sue provocazioni, specialmente se pronunciate con quel tono roco e profondo. 
Inspirai a fondo e chiusi gli occhi assuefatta, mentre la sua mano saliva morbida lungo il mio braccio. Che schifo di autocontrollo il mio. Un secondo prima piantavo i piedi per terra e lo fissava scandalizzata, un attimo dopo avrei desiderato "sdebitarmi" in quell'aula fregandomene di tutto e tutti. 
<< Cambiato idea? >> sussurrò divertito sul mio collo. 
Mi morsi un labbro e scossi il capo. D'accordo che con un solo suo tocco perdevo il novanta percento dei miei neuroni, ma c'era pur sempre un dieci percento di valorosi superstiti che mi vietavano di compiere pazzie. 
La sua risata sommessa m'inondò le orecchie, facendomi scendere altri brividi lungo la spina dorsale. 
Dovevo staccarmi da lui e dal suo corpo. Subito. Immediatamente. 
Mi schiarii la voce e riaprii gli occhi, stordita come dopo venti ore di sonno e rintronata come una che è stata appena investita. Dovevo ammettere che David, sul mio cervello, aveva proprio un effetto salutare e benefico. 
<< Bene, ehm... >> Fissai la porta ed aggrottai la fronte per riprendere pieno controllo delle mie facoltà mentali. Obiettivo: mensa. Mezzo per arrivarci: piedi. Perfetto. << Dobbiamo andare a mangiare. Adesso >> dichiarai categorica, liberandomi dal braccio di quella piovra del mio ragazzo. 
Avanzai con passo risoluto in stile militare in direzione della porta e l'aprii con uno scatto. Osservai il corridoio deserto come una spia della CIA ed infine decisi di tornare con lo sguardo su David. Vederlo camminare verso di me con le mani nelle tasche dei pantaloni, la testa bassa ed un sorrisetto impertinente pennellato sulle labbra mi fece, per un attimo, venire la malsana idea di richiudere quella dannata porta e saltargli addosso. 
Da quando in qua ero una tale pervertita? Probabilmente il fatto di non averlo potuto vedere e toccare per un mese aveva contribuito a trasformarmi in una specie di gatta in calore. 
Lo fissai quasi con la bava alla bocca per tutta la durata della sua traversata. Quando i suoi vispi occhi lucidi si posarono sui miei, il mio cuore accelerò come se avesse preso la scossa. E bastò quello per farmi capire ciò che la mia mente, i miei istinti ed il mio battito cardiaco avevano cercato di rendermi palese per tutto il giorno. 
La verità era che ero ancora più innamorata di lui rispetto a quanto già non fossi. 
Mi bastava guardarlo in quei suoi pozzi ambrati per averne la conferma. Bastava una sua occhiata per farmi librare in aria con i pensieri. Bastava un suo tocco per farmi vedere tutte le stelle dell'universo. E bastava la sua vicinanza per farmi provare la felicità più estrema. 
Il suo sorriso si allargò. << Che c'è? >> domandò incuriosito, accennando un movimento del capo nella mia direzione. 
Espirai piano e sul mio volto si fece largo un tenero sorriso. << Niente >> sussurrai scuotendo la testa. Mi strinsi nelle spalle e ridacchiai timidamente. << Sono solo felice. >> 
Non me ne accorsi nemmeno tanto fu rapido. Fatto stava che mi ritrovai le sue labbra sulla fronte intente a depositare più di un piccolo bacio. << Anch'io >> dichiarò insieme ad un leggero sospiro. << Non puoi immaginare quanto. >> 
Mi ritrassi e sollevai un sopracciglio in modo scherzoso. << Non sottovalutarmi, spaccone >> affermai con una linguaccia. 
Incrociò le braccia sul petto e mi rivolse un'occhiata dall'alto al basso. << Se no che mi fai? >> Le sue labbra si distesero in un sorriso sghembo che uccise la maggior parte dei miei neuroni superstiti. Di quel passo sarei diventata una decerebrata con uno sguardo da ebete e la bava alla bocca. Che triste destino. 
Sfoggiai sicurezza e gli rivolsi uno sguardo intimidatorio. << Potrei strapparti le gambine a morsi. >> Una minaccia più assurda non l'avevo mai tirata fuori. Se solo avessi avuto un briciolo di dignità mi sarei già dileguata, invece me ne restavo lì come una cretina solo per poterlo ammirare ancora un altro po' prima di mettere piede nella mensa. 
<< Morsi? >> Un suo sopracciglio scattò verso l'alto insieme ad un sorrisetto malizioso da capogiro. << Puoi darmene quanti vuoi. >> Oh Signore, avevo generato un mostro. 
Aria. Avevo bisogno d'aria fresca e pulita. Faceva fin troppo caldo lì dentro. D'accordo che era inverno, ma a quanto cavolo avevano impostato i termosifoni? 
Deglutii accaldata sotto la famelicità dei suoi occhi. Non poteva guardarmi in quel modo, altrimenti io...
<< Sarah. >> Schizzai in aria come una molla e cambiai repentinamente visuale, focalizzandomi su Clarice. << Ciao David >> aggiunse con un sorriso ed un cenno amichevole della mano. 
Signore santissimo, avevo decisamente rischiato l'infarto con l'imboscata della mia amica. Se solo non fossi stata tanto stordita avrei immediatamente notato il sorrisino che mi stava rivolgendo con una certa insistenza. 
<< Hai già mangiato? >> mi domandò, notando la mia incapacità nel spiccicare parola. 
Sbattei le palpebre come una mentecatta in attesa che il mio cervello si riconnettesse alla Terra. Uno, due... segnale riacquistato. << No, non ancora >> risposi scuotendo il capo. 
Il suo incarnato s'illuminò insieme alla strana luce presente nei suoi occhi. << Perfetto, nemmeno io. Possiamo andare insieme. >>
<< Oh, ehm... ok >> acconsentii annuendo. Mi voltai verso David ed il mio cuore perse un altro battito nell'osservare la profondità travolgente delle sue iridi. << Vieni con noi? >> domandai speranzosa. Già immaginavo la scena di noi due che varcavamo la porta della mensa l'uno accanto all'altra con gli occhi di tutti puntati addosso. Era sempre stato noto a mezza scuola che tra me e David ci fosse dell'odio manifesto e profondo, perciò vederci entrare appiccicati senza scannarci avrebbe destato più di un sospetto. Non vedevo l'ora di mostrare a tutte le ragazze che gli andavano dietro chi fosse l'unica ad averlo tutto per sé. 
Mentre lo guardavo, potevo distintamente avvertire il rimbombo della mia risata malefica nella mente.
Scrollò le spalle ed immise le mani nelle tasche dei pantaloni. << Andiamo >> disse soltanto, superandomi di qualche passo. 
Ottimo. Sul mio viso si affacciò un sorriso dannatamente soddisfatto. Il mio piano stava andando a gonfie vele. 
Feci un cenno del capo a Clar per intimarle di sbrigarsi e raggiunsi il mio ragazzo con una piccola corsetta. Aveva le gambe troppo lunghe e stargli dietro era, per la sottoscritta, un'impresa titanica, ma avrei tenuto duro almeno fino alla mensa. 
Che dannato genio che ero! 
Mentre camminavo al suo fianco nascondendo la mia folle gioia, avvertivo i passi della mia amica dietro di noi. Girai il capo e le lanciai un'occhiata che mi restituì accompagnata da un sorriso complice. Aveva capito tutto. Il secondo posto nella classifica dei geni spettava a lei senza ombra di dubbio. 
Quando le mie orecchie udirono i consueti e familiari schiamazzi, non riuscii a trattenere un risolino maligno. Fortunatamente David sembrava non avermi sentita, altrimenti avrei dovuto rispondere al suo sguardo interrogativo. 
Dopo all'incirca una decina di passi entrammo nell'enorme sala fornita di decine di tavoli dalle varie dimensioni e di banconi da cui le addette spartivano cibo con un muso lungo fino ai piedi. 
Era giunto il tanto atteso momento di agire, perdinci! 
Mi guardai attorno e notai una serie di teste voltate nella nostra direzione. Ottimo. Anche da quella distanza potevo percepire gli ingranaggi delle loro menti mettersi in moto alla ricerca di risposte. Le avrebbero ricevute molto presto, specialmente le ragazze.
Alzai il mento e posai lo sguardo sul mio ragazzo, di fianco a me con la solita postura da menefreghista capace di farmi scoppiare il cuore. 
Sollevai lentamente un braccio con l'intento di avvolgere il suo e far capire a chi appartenesse, ma appena prima di portare a compimento il mio geniale piano David si mosse in avanti per raggiungere la fila di studenti in attesa dei loro piatti. 
Inutile dire che rimasi con un braccio a mezz'aria ed un'espressione da ebete sul volto. Ma non avrei demorso. Certo che no.
Abbozzai uno stiracchiamento per dissimulare il fallimento e lo seguii con un'andatura pacata. Mi posizionai nuovamente al suo fianco ed abbassai il capo per esaminare con la coda dell'occhio quanto distante fosse il suo braccio. Non avrei fallito un'altra volta. A costo di strappargli quel benedetto arto e sventolarlo come un trofeo per tutta la mensa. 
Mi schiarii la voce, m'impettii come uno struzzo ed allungai silenziosamente la mano. Mi sentivo una completa demente a compiere tutto quel teatrino per mostrare agli altri che David fosse il mio ragazzo, ma era necessario affinché raggiungessi la mia pace interiore. 
Appena sentii sotto alle dita la sua camicia, oltre a liberare un urlo di gioia nella mia testa, mi girai per guardarlo. I suoi occhi saettarono nei miei un nano secondo più tardi. Erano interrogativi, sorpresi e dannatamente belli. Come faceva a far ingranare la quinta al mio cuore con un solo sguardo? 
Boccheggiai per una decina di secondi alla ricerca di una scusa plausibile, dopodiché sbattei le palpebre in rapida successione e schiaffeggiai la sua camicia con un sorriso angelico. << Avevi una bestia addosso >> mentii diminuendo la forza con cui lo colpivo fino a trasformare le percosse in carezze. 
Sollevò un sopracciglio e si osservò il braccio che avvolgevo con la mano. << E me l'hai spiaccicata sulla camicia? >> 
Scoppiai in una risata acuta ed enfatizzata all'inverosimile per farmi sentire dalle ochette nei dintorni. Dovevano vederci come il ritratto della coppia perfetta e felice. << Ma no, l'ho solo mandata via. >> Quasi urlai tra le risa, tirandogli delle pacche amichevoli. 
In vita mia non ricordavo di essermi mai abbassata a tanto: a passare per una deficiente in un teatrino ai limiti del grottesco. Ma in fondo lo stavo facendo per una buona causa. 
David studiò concentrato l'espressione beota sulla mia faccia. Non volevo sapere cosa stesse pensando di me in quel momento, probabilmente che fossi impazzita o ubriaca. 
Per fortuna dopo poco vidi spuntare sulle sue labbra un piccolo sorriso sghembo. Ma non disse nulla. Si limitò a rialzare la testa e puntare lo sguardo davanti a sé con quell'enigmatico sorrisetto. 
Lo osservai incuriosita per un po', finché non dovetti allontanarmi da lui per prendere un vassoio e seguire la fila di ragazzi che come me attendevano di scegliere una portata. 
Una decina di minuti più tardi vidi David uscire dalla coda col suo pranzo tra le mani e dirigersi... L'energumeno che avevo davanti m'impediva la vista con la sua possente stazza. Perdinci, tutti io li beccavo. 
Sporsi il collo come uno struzzo ed immediatamente individuai il mio ragazzo tra le centinaia di persone sedute ai vari tavoli. Il fatto che si fosse accomandato a quello dei suoi amici significava che ognuno avrebbe mangiato per conto suo? Be' di certo non sarei andata fin lì per fare la ragazza cozza. Insomma, avevo ancora un briciolo di dignità da salvaguardare come un animale protetto. E poi se avesse voluto mangiare insieme a me avrebbe cercato un altro tavolo. Quello era un gesto più che eloquente. 
Con un misto di delusione e rabbia avanzai nella fila fino ad impossessarmi del mio pranzo ed evadere dalla calca. 
Mi spostai da un lato ed attesi che anche Clar uscisse dal trenino umano. Fortuna che avevo lei, altrimenti mi sarei dovuta ritirare, sola come un cane, in un tavolo popolato da sconosciuti. 
Mentre la seguivo con lo sguardo, avvertivo la delusione scemare e la rabbia raggiungere picchi epici. Cosa cavolo sarebbe costato a quello stupido dirmi chiaro e tondo che avrebbe pranzato coi suoi amici? Invece se n'era stato muto come un pesce ed aveva imboccato la sua via. Non pretendevo che abbandonasse tutte le sue conoscenze e le sue abitudini per stare con me, ma almeno... almeno cosa? Se ne ero rimasta tanto delusa era ovvio che sperassi che decidesse di pranzare in mia compagnia. 
Sbuffai seccata dalla vocina nella mia testa intenta a sgridarmi. 
Sì, d'accordo lo ammettevo. Avrei voluto che rinunciasse ai suoi amici e che stesse con me. Ebbene sì, ero egoista e viziata. Oltre che stupida... 
Abbassai la testa e guardai con sguardo vitreo il mio piatto. 
Non potevo pretendere che tutto il suo mondo ruotasse attorno a me, esattamente come non avrebbe dovuto fare il mio. Io avevo Clarice, lui avrebbe dovuto avere i suoi amici. Le amicizie e la nostra relazione dopotutto erano due sfere separate, e non per questo una avrebbe dovuto prevalere sull'altra. Ed era anche naturale che non mi avesse avvertita, ma che fosse andato dritto verso il suo solito tavolo. 
Sospirai e rialzai il capo per puntarlo verso la fila in movimento.
Clar mi venne incontro con una breve corsetta ed un sorriso dispiaciuto. << Scusa ci ho messo un bel po'. Ti si sarà raffreddato tutto >> ipotizzò osservando il mio vassoio.
Sorrisi serena e scossi la testa. << Non ti preoccupare, ho talmente tanta fame che mi mangerei pure il piatto. >> Risi insieme a lei e ci recammo ad un enorme tavolo già occupato da altri studenti, ma che fortunatamente aveva ancora qualche posto libero. 
Clar si sedette davanti a me e rilasciò uno sbuffo spossato. << Finalmente. Mio Dio, c'è sempre troppo casino qui >> borbottò impugnando la forchetta.
Annuii in completo accordo con le sue parole ed infilzai un rigatone al pomodoro. << Perché anche tu sei venuta così tardi a mensa? >> le chiesi mente mi portavo la pasta alla bocca. Che schifo, era pure scotta e mezza sfatta oltre che fredda. Nella mia scuola la pasta aveva sempre fatto schifo. Non sapevano cuocerla o ogni santo giorno si dimenticavano di tirarla fuori dall'acqua in tempo. Per quel motivo, dopo il mio primo pranzo risalente a quattro anni prima, mi ero sempre rifiutata di riprenderla. Il fatto che in quel momento me la ritrovassi nel vassoio denotava quanto mi fossi concentrata su David piuttosto che su quello che avrei dovuto mangiare. A furia di pensarlo in continuazione mi sarei intossicata ed avrei fatto la fine di Giulietta. 
<< Ero con Kevin in giardino >> rispose la mia amica, risvegliandomi dalla natura tragica dei miei pensieri. 
Il mio sguardo si fece scherzosamente malizioso. << Ah ah >> pronunciai sospettosa. << E che ci facevate con questo freddo là fuori? >> 
Dovevo ammetterlo: ero curiosissima di quei due. Innanzitutto perché come coppia erano adorabili, in secondo luogo perché pensarli e vederli insieme mi faceva emozionare come una sognante ragazza davanti ad un film romantico. Insomma, ero diventata una fan sfegatata della loro storia. Se si fossero lasciati avrei sofferto come un cane. 
Sorrise imbarazzata e m'indicò con la forchetta. << Signorina Anderson, le sue domande stanno diventando indiscrete >> asserì ridacchiando. 
<< E dai >> mi lamentai ridendo. << Dimmelo, sono la tua migliore amica. >> Sfoderai il mio sguardo più tenero col fine d'impietosirla ed in risposta alzò gli occhi al cielo divertita. 
<< E va bene, ok, te lo dico >> acconsentì sollevando le mani in segno di resa. Per poco non saltellai sul posto come una bambina a cui hanno regalato il suo giocattolo preferito. 
Si schiarì la voce e si sporse sul tavolo per farsi più vicina. << Stamattina dopo essere scesi dal pulmino non ci siamo più visti. Purtroppo il lunedì non abbiamo mai le stesse lezioni >> dichiarò con una smorfia. << Ma prima della pausa pranzo siamo andati a fare una piccola passeggiata in giardino. Ci siamo fermati sotto un albero a parlare e... come cavolo si dice? Insomma, coccolarci. Ma nulla di che, cioè, voglio dire, solo baci. È inutile che fai quella faccia da chi la sa lunga, perché non c'è stato altro >> concluse con una linguaccia. 
<< Quale faccia? >> domandai con finto stupore. Risi per la sua espressione eloquente e giocherellai con la forchetta. << A parte gli scherzi, sono felice che le cose tra voi vadano bene. All'inizio ero un po' titubante e lo sai. Non mi fidavo di Kevin. Però poi si è rivelato essere un bravo ragazzo realmente interessato a te, quindi... >> Scrollai le spalle. << Già lo sapete che avete la mia benedizione >> terminai lasciandomi andare contro lo schienale della sedia. Le feci l'occhiolino e lei mi restituì un sorriso caloroso.  
<< Per me è davvero importante che tu veda di buon occhio Kevin. Ti considero come una sorella, perciò se sapessi di non avere il tuo appoggio ci starei male >> confessò abbassando gli occhi sul piatto. << All'inizio non sapevo come darti la notizia, ma poi quando mi hai chiesto cosa ci fosse tra me e Kevin con quel sorriso malizioso ho capito che avrei potuto fare affidamento su di te. >> Rialzò la testa e mi fissò seria. << Stavi rispettando i miei sentimenti senza giudicarmi. Questo è quello che fanno le sorelle, e per me è valso tantissimo. Quindi grazie, Sarah. >> 
Le sorrisi dolcemente ed annuii. << Grazie a te, Clar. Anche per me tu sei una sorella. >> 
Ci osservammo per qualche secondo in silenzio, sorridendoci reciprocamente; dopodiché Clar si buttò i capelli dietro la schiena e si piantò un'espressione furbesca sul viso. << Ma a proposito di coppie... >> iniziò a dire incrociando le mani sotto al mento. << Sono arrivata prima che accadesse il fattaccio, eh? >> 
Corrugai la fronte e le rivolsi uno sguardo interrogativo. Se si stava riferendo al fatto che avessi quasi messo le mani addosso a Jessica-la-serpe non afferravo il concetto di coppia. 
Alzò gli occhi al cielo e rise della mia faccia. << Eri troppo concentrata per accorgetene, solo qualcuno di esterno avrebbe potuto rendersi conto che te e David vi stavate spudoratamente spogliando con gli occhi. E sono sicura che di lì a poco sareste passati a farlo con le mani. >> Fece roteare il bicchiere e sollevò un sopracciglio in una muta sfida a dirle il contrario. 
<< Oh >> affermai sorpresa. Be' in effetti i miei pensieri in quel momento avevano ruotato solo sul modo più appropriato per saltargli addosso. Ma era piuttosto imbarazzante sapere che Clar lo avesse notato e che soprattutto fosse stato tanto evidente. Anche se, da una parte, sapere che David mi stesse spogliando con lo sguardo riusciva a provocarmi dei piacevoli dolori allo stomaco. I condor stavano di nuovo svolazzando. 
<< Mi fate spazio? >> Alzai la testa ed i miei occhi si posarono su Kevin, accanto a Clar e con un vassoio pieno zeppo tra le mani. 
La mia amica scivolò di lato con la sedia e lo aiutò a non far rovesciare il contenuto di nessun piatto sul tavolo. Li osservai con un sorriso intenerito sulla bocca. Erano adorabili pur senza far niente per esserlo. 
Il ragazzo di Clar si sedette e rilasciò uno sbuffo seccato. << Il coach doveva scocciarmi proprio durante la pausa pranzo. Che cavolo? Non poteva farmi chiamare durante le ore di lezione? Perlomeno avrei saltato quella pacchia >> si lamentò prima di riempirsi la bocca con enormi pezzi di carne. 
Clar rise e gli passò una mano fra i capelli per pettinarglieli, io invece sollevai un sopracciglio e lo guardai basita. << Certo che la tua finezza nel mangiare supera quella delle principesse Disney >> affermai sarcastica. 
Kevin sollevò la testa e mi piantò i suoi scuri occhi castani addosso. Mi fissò con le guance piene come quelle di un criceto ed uno sguardo serio, quasi glaciale. Di colpo spalancò la bocca e mi mostrò i pezzi di carne spappolata che risiedevano sulla sua lingua. 
<< Ma che schifo! >> esclamai voltandomi di scatto. Con quello avevo la prova concreta che si trattasse di un troglodita a tutti gli effetti. 
Sentii Kevin ridere e controllai con la coda dell'occhio che avesse richiuso le sue fauci. Perfetto, sembrava avesse anche ingurgitato quella rivoltante poltiglia marrone. 
Gli rivolsi un'espressione schifata ed in risposta mi arrivarono una risata divertita di Clar ed un sorrisetto beffardo del suo ragazzo. 
<< Così, Anderson, la prossima volta ci penserai due volte prima di offendere i miei modi aristocratici di mangiare >> asserì sollevando entrambe le sopracciglia a mo' di avvertimento. 
Avrei voluto ribattere che i suoi modi erano tutto fuorché aristocratici, ma mi zittii per evitare che turbasse il mio stomaco con un altro gesto simile a quello. 
<< Certamente >> risposi con un teatrale sorriso angelico. Misi in bocca alcuni broccoli già conditi col limone ed esaminai il loro colore decisamente pallido. Non volevo sapere cosa fosse successo a quei poveri broccoletti, in alcuni casi era meglio rimanere all'oscuro e farsi poche domande. 
Di colpo, come un elastico lasciato improvvisamente, la mia mente scattò a ritroso riproponendomi un ricordo particolarmente piacevole.
Ti prendo a schiaffi e poi ti stendo con un calcio dove so io, avevo affermato con un tono di sfida.
Abbiamo già appurato che sono più veloce di te, broccoletta.
Come mi hai chiamata?
David mi aveva rivolto uno sguardo divertito e mi aveva baciata sul collo. Broccoletta. La mia broccoletta, aveva poi ribadito con un tono estremamente dolce. 
Mio Dio, ma che caldo faceva in quella mensa? Mi sentivo sciogliere sotto le luci al neon di quella stanza come burro al sole. 
<< Sarah, perché sei arrossita? >> Cosa? Ero arrossita? Perché il mio corpo non rispettava la mia volontà e faceva come accidenti gli pareva? 
<< Pensi a cose zozze, eh Anderson? >> mi stuzzicò quello stupido di Torn. 
<< Ma che dici? Magari non si sente bene >> lo riprese la mia amica tirandogli uno schiaffetto sul braccio. 
Alzai lo sguardo su quei due e mi schiarii la voce per recuperare un minimo di dignità. Che figura pietosa. << No, sto bene. Mi è solo preso caldo >> inventai, accompagnando le mie parole da un'alzata di spalle. Sarei voluta scappare in quel preciso istante o rifugiarmi sotto al tavolo, invece me ne rimasi lì ad essere studiata come un extraterrestre. 
<< Strano, Anderson, perché siamo in pieno inverno >> dovette puntualizzare quell'idiota di Kevin. Cos'avevo detto poco prima? Che lo avevo rivalutato? Baggianate. Era un troglodita deficiente e sempre lo sarebbe stato. 
Lo fulminai con un'occhiata tutt'altro che amichevole ed arricciai le labbra per trattenermi dal prenderlo a schiaffi. << Senti un po', ma te non avevi tanta fame? Ingozzati con i tuoi tocchi di carne da cavernicolo e stai zitto. >> Perfetto, ero stata il più gentile possibile. Clar avrebbe dovuto apprezzare il mio sforzo. 
<< Colpita nel segno, eh? >> insistette rivolgendomi uno sguardo compiaciuto. 
<< L'unico che tra poco verrà colpito sei tu >> ribattei minacciosamente. Addio gentilezza e toni pacati. Se quel troglodita voleva sfidarmi in antipatia avrebbe miseramente perso. In quanto a frecciatine, acidità e risposte secche potevo essere una vera e propria macchina da guerra. Non gli sarebbe convenuto mettersi contro la sottoscritta. 
Kevin sorrise divertito e scosse il capo incredulo. << Chissà cosa ci trova David in te >> osò dire rigirando la forchetta tra i suoi spinaci. 
Sollevai un sopracciglio ed assottigliai lo sguardo. << È la stessa cosa che mi sono chiesta quando Clar ti ha messo gli occhi addosso. >> Me le toglieva proprio di bocca. E pensare che fino a dieci minuti prima stavo parlando bene di lui. Tutto fiato sprecato. 
<< Siete proprio amici per la pelle >> considerò la mia amica annuendo piano. Mi volsi a guardarla temendo che fosse rimasta ferita dal modo in cui avevo trattato il suo ragazzo, ma la luce divertita che vidi nelle sue iridi mi fece tirare un sospiro di sollievo. 
Kevin fece spallucce ed ingoiò ciò che aveva in bocca. << In fondo in fondo, ma proprio in fondo, la Anderson non è male. >> Issò il capo e mi rivolse un sorrisetto sghembo. << Sei spassosa. >>
Distesi le labbra e scrollai le spalle per fargli il verso. << In fondo in fondo, ma proprio in fondo, Torn non è male. >> Assunsi un'espressione altezzosa e volsi la testa di lato con un colpo secco ed il naso all'insù. << Ma non sei spassoso >> conclusi ironicamente. 
Tornai a guardarli e mi unii alla loro risata. 
Ecco, quello era uno dei momenti che avrei ricordato per il resto dei miei giorni. Non si trattava di niente di eclatante, ma di un semplice attimo di spensieratezza e libertà. Ed era esattamente quella la libertà che desideravo dopo settimane trascorse in una prigionia sia fisica che mentale. 
Tra le nostre risate ed il caos generale che riempiva la sala, per un attimo spostai lo sguardo alla ricerca di una sola persona. Il cuore mi svolazzò per tutto il petto non appena mi resi conto che un paio di occhi ambrati mi stavano già osservando da lontano con un piccolo sorriso pennellato sulle labbra. 
Gli sorrisi di rimando ed agitai debolmente una mano per salutarlo. Abbozzò un cenno del capo nella mia direzione e dopo vari secondi trascorsi ad esplorarci con gli sguardi si voltò verso i suoi amici che stavano reclamando la sua attenzione. 
Abbassai la testa con un'espressione trasognata e ripresi a mangiare i miei pallidi broccoli senza notare le occhiate che mi lanciava Clarice. Ero troppo concentrata su un'unica persona per accorgermi di ciò che mi circondava. Succedeva sempre così quando David era vicino a me. Esistevamo solo io, lui e la gioia che mi regalava. 
Ed in quel momento pensai che niente avrebbe potuto scalfire la mia felicità. Assolutamente niente. 













Angolo autrice:

Buonasera! XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Nonostante l'abbia ricorretto, mi auguro che non abbiate trovato molti errori >\\< qualcuno sfugge sempre -.- quei maledetti sono insidiosi come le zecche!
Volevo inoltre ringraziarvi per il grandissimo affetto che avete dimostrato per questa storia *_* ne sono rimasta colpita! *^* 
GRAZIE MILLE!! <3 
Adesso mi dileguo ahahah, così la smetto di rubarvi tempo >.< 
Alla settimana prossimaaaaa!! <3 
Un bacione gigantesco e tanti tanti baci! 

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Federica~ 



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Capitolo 3
*** Punti di scontro ***


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Punti di scontro 





Ed invece mi sbagliavo. 
Era ovvio che qualcosa potesse scalfire la mia felicità, o meglio qualcuno. Un qualcuno col mio stesso gruppo sanguigno ed i miei stessi occhi cerulei. 
La campanella che decretava la fine di quella giornata scolastica era suonata ormai da quindici minuti buoni. La scuola si era spopolata ed io me ne stavo appostata come una spia in incognito in attesa di quel qualcuno.
Affacciai la testa oltre la parete contro cui ero appoggiata e lanciai una fugace occhiata attraverso il vetro del portellone d'uscita. 
Appena intravidi Cameron nel giardino, con le mani in tasca e lo sguardo rivolto ad ogni ragazza che gli passava accanto, sbuffai seccata e tornai ad appoggiare la nuca contro il muro. 
<< C'è mio fratello >> annunciai con un tono più spento di quello di un bambino a cui hanno distrutto il suo gioco preferito. << Speravo se ne scordasse, dopotutto la sua memoria non è mai stata formidabile. Anzi, il contrario >> affermai con un'espressione consapevole. Ricordavo più o meno un centinaio di episodi in cui quel babbeo si era dimenticato di avere una sorellina e se n'era tornato a casa da solo, lasciandomi nei posti più disparati. La prima volta era successo quando avevo sette anni e stavamo uscendo da scuola per prendere il pulmino. D'accordo che anche lui era piccolo, avendo tre anni in più di me, ma come aveva potuto scordarsi di passare davanti alla mia classe e correre al bus senza di me? Già a quell'epoca peccava di memoria. Eppure proprio quel giorno non aveva fatto cilecca. Avrei messo la mano sul fuoco che quell'oca di Jessica Wright mi avesse lanciato una maledizione. Altrimenti non si spiegava la mia costante sfortuna. 
David, in piedi davanti a me, si sporse di poco ed ispezionò il giardino con lo sguardo. Osservai incantata il suo collo allungarsi ed i suoi muscoli del petto tendersi. Più lo guardavo e più rimpiangevo il fatto di non poter fare la strada insieme a lui. 
<< Credo di averlo individuato >> annunciò per poi aprirsi in un mezzo sorriso. 
<< Sì, abbiamo gli stessi occhi. >>
Scosse il capo e tornò a guardarmi divertito. << È che è l'unico a starsene piazzato in mezzo al giardino >> precisò con una breve risata. 
Alzai gli occhi al cielo e scongiurai tutti i santi che avevano deciso di voltarmi le spalle. Non avevo altra scelta che salutare lì David e trotterellare felice da Cam. Felice, certo. 
Mi sarei ricordata di vendicarmi a tempo debito. 
Sospirai e posai uno sguardo affranto sul mio ragazzo. << Devo andare, se no sarebbe capace di venire a cercarmi fino a qua. >> 
David sollevò un sopracciglio e compì un passo avanti, posandomi una mano sul fianco sinistro. Il mio battito cardiaco impazzì nel giro di un nano secondo. 
<< E cosa ti fa credere che io non abbia intenzione di seguirti? >> domandò avvicinandomi a sé con uno piccolo scatto. 
Sgranai gli occhi sorpresa dalle sue parole e mi umettai le labbra. David seguì attentamente quel mio ultimo gesto e nell'immediato aumentò la presa sul mio fianco. 
Mio Dio, ecco che rifaceva caldo. Non avevo mai vissuto un inverno così poco inverno; avrei potuto benissimo definirlo estate. 
<< Cosa? Ma sei impazzito? Mi farebbe un sacco di domande >> replicai a scoppio ritardato, concentrata com'ero su mille altri pensieri meno casti.  
Scrollò le spalle e per mia fortuna risollevò lo sguardo sul mio. Un sorrisetto sfrontato si pennellò sulle sue labbra con la stessa velocità con cui svolazzavano le ali dei condor nel mio stomaco. << E allora? Se farà delle domande gli darai delle risposte. >> 
<< Certo, tu la fai facile >> borbottai spostando l'attenzione sul pavimento. 
Già immaginavo quanto Cam mi sarebbe stato addosso se avesse saputo che avevo un ragazzo. Come minimo avrebbe monitorato ogni mio spostamento ed ogni mia azione. Non ero assolutamente pronta per essere esaminata come un opossum da laboratorio. 
Cam e mio padre sarebbero dovuti essere gli ultimi a saperlo. 
Sentii un sospiro di David sulla fronte ed un attimo dopo le sue labbra sfiorarono la mia tempia. << Mi presenterò più tardi >> sussurrò facendo scivolare la mano sulla mia schiena. 
Socchiusi gli occhi e mi avvicinai al suo petto per sentirne il calore. << Grazie >> mormorai più tranquilla. Almeno una cosa, in quella giornata disastrosa, stava andando per il verso giusto. 
La bocca di David scivolò sui miei capelli, provocandomi una profonda sensazione di pace e benessere. << Però uscirò con te da qui. Faremo solo finta di non conoscerci. >>  
Annuii piano e mi distanziai, a malincuore, da lui. << Ok >> acconsentii rivolgendogli un sorriso. << Andiamo. >> 
Varcammo la porta e scendemmo gli scalini senza rivolgerci parola. Esattamente come due estranei. Il che mi faceva una particolare impressione dal momento che nemmeno quando ci odiavamo stavamo zitti, ma riempivamo quei silenzi con insulti e litigi. 
Accelerai il passo per distanziarmi da David, alzai lo sguardo su Cam e lo salutai con la mano per destare meno sospetto possibile. 
Mentre gli sorridevo forzatamente percepii una risatina sommessa di quel babbuino del mio ragazzo. Avrei desiderato riavvicinarmi a lui e tiragli una gomitata nelle costole. Dovevamo passare per due sconosciuti e lui si faceva notare beffeggiandomi a distanza. 
Nonostante gli imperativi che mi stavo gridando nella testa, non resistetti alla tentazione di girare la testa per guardarlo. Fu una questione di pochi secondi. I suoi vispi occhi incontrarono i miei e sulle sue labbra si distese un ghigno. Tornai a focalizzarmi sulla stradina davanti a me un attimo dopo, interpretando quel suo sorrisetto come una presa in giro. 
Percorsi gli ultimi metri che mi dividevano da Cam e mi fermai davanti a lui. << Ciao >> pronunciai con un sospiro. Mi tolsi la tracolla e gliel'ammollai in quattro e quattr'otto. << Gentilissimo >> aggiunsi con un sorriso angelico da orecchio a orecchio. 
<< Non te la sai portare da sola? >> ribatté scocciato. Con uno sbuffo se la mise sulla spalla e mi rivolse un'espressione sarcasticamente interrogativa. << Hai altro da darmi? Sai, sono venuto fin qui solo per farti da facchino. >>
<< Se vuoi mi puoi portare in collo fino a casa. >> Misi le mani nelle tasche del giubbotto e sfoderai un altro dei miei sorrisi angelici. << I miei piedi sarebbero un po' stanchi. >> 
A quel punto strinse gli occhi e strizzò la bocca con uno sguardo teatralmente dolce. << Oh, ma povera creatura. >> Mi diede qualche pacca sulla testa e ridacchiò come un'inquietante vecchietta. << Non avrai bisogno di usare i piedi, perché se continui di questo passo arriverai a casa a forza di calci nel sedere >> terminò con un largo sorriso beffeggiatore. 
<< Molto simpatico >> borbottai spostando leggermente la testa. Neanche a farlo apposta i miei occhi si posarono sulla schiena di David che stava procedendo per il vialetto con un passo cadenzato. 
Quanto avrei voluto essere lì accanto a lui. Peccato che la sfortuna avesse deciso di essermi fedele per tutta la giornata. 
Un attimo più tardi il mio cuore accelerò impazzito. David aveva voltato il capo e mi stava fissando con quel sorrisino pennellato sulle labbra. 
No, oh mio Dio! 
Sgranai istintivamente gli occhi quando lo vidi ruotare il corpo e tornare indietro, precisamente verso la sottoscritta. No, no! Dovevo scappare, rifugiarmi, nascondermi prima che mi raggiungesse. 
Cosa cavolo gli pendeva tutto ad un tratto? 
Scossi la testa come una pazza e mimai un "no" per intimargli di fermarsi, ma la sua andatura non rallentò minimamente.
<< Che stai facendo? >> mi domandò Cam, attirando la mia attenzione. 
Deglutii terrorizzata da ciò che sarebbe potuto succedere di lì a poco e puntai gli occhi su di lui. << Io... no, è che... mi sentivo... cioè, hai capito? >> conclusi dopo aver gesticolato come un'ossessa. 
Il quadretto era tragico. Mio fratello mi guardava come un'evasa di manicomio, dietro di lui potevo vedere David raggiungermi con le mani in tasca e quel maledettissimo ghigno divertito, ed io sudavo come un facocero in attesa della fine. 
Cam sollevò le sopracciglia ed aprì la bocca come se avesse appena realizzato qualcosa che a me sfuggiva. << Ah, ho capito! >> Schioccò le dita e la sua espressione mutò in una dubbiosa. << E ti comporti sempre così quando hai le tue cose? >> Oh mio Dio! Volevo scavarmi la fossa da sola e sotterrami. 
Perché la mia vita doveva assumere delle striature così tragiche ed imbarazzanti? Perché non potevo avere un'esistenza dignitosa come chiunque altro? 
Alternai compulsivamente lo sguardo tra Cam e David. Dentro il mio cervello, stordito dalle troppe emozioni affatto positive, regnava il caos più totale su un sottofondo di urla. 
Avrei voluto abbracciare mio fratello come in una di quelle scene tragiche da film e dirgli che comunque sarebbe andata io gli avrei sempre voluto bene, perciò lui avrebbe dovuto fare altrettanto. 
Lanciai un'altra occhiata a quell'idiota del mio ragazzo e per poco non mi saltarono coronarie, emboli e sistema nervoso. Era ormai vicinissimo, con delle esigui falcate ci avrebbe raggiunti e la mia vita da ragazza libera sarebbe finita. Buttata nel gabinetto da quel troglodita deficiente. 
<< Sarah. >> Oh Cristo! Sobbalzai come una povera pazza nell'udire David che mi chiamava. 
Cam si voltò di scatto e posò gli occhi sul mio spacciato ragazzo. Lo avrei ucciso. Oh, sì. E poi avrei dato fuoco al suo corpo. Aveva le ore contate. 
Deglutii un bolo di terrore e lo fissai senza avere la forza di aprire bocca. Con la coda dell'occhio riuscivo a vedere come Cameron non gli staccasse lo sguardo di dosso neanche per un secondo. Al cento percento delle probabilità si stava chiedendo chi cavolo fosse quel tipo mozzafiato, muscoloso e dannatamente sexy. 
Ma non era quello il momento più opportuno per sbavare dietro all'imbecille. 
<< Mi sono dimenticato una cosa >> pronunciò guardandomi intensamente con quel maledetto ghigno. Per un breve lasso di tempo nel mio cervello si aprì uno spiraglio di luce. Il fatto che si fosse rivolto subito a me mi fece presagire che non si sarebbe presentato a Cam. Ed invece, se possibile, fece di peggio. 
Avanzò di un passo fino ad arrivarmi a pochi centimetri di distanza, si abbassò, inclinò la testa e mi baciò. Non sulla guancia, non sulla fronte, ma sulle labbra! 
Circa cinque secondi dopo si allontanò quel poco che bastava a sorridermi sfacciatamente. << A domani >> sussurrò soddisfatto. Dopodiché girò i tacchi e se ne andò. 
Dire che ero sotto shock era un puro eufemismo. Per tutta la durata del bacio i miei occhi erano stati spalancati come due fari. 
Ed in quel momento avvertivo il peso di quelli di mio fratello gravare sulla mia persona che mano a mano si sentiva rimpicciolire. Perché non poteva aprirsi un cratere sotto ai miei piedi? Ci sarei volentieri sprofondata dentro. 
Che schifo di situazione. 
La mia libertà era appena stata trasformata in prigionia da un emerito cretino anche noto come mio ragazzo. 
Non avevo il coraggio di posare lo sguardo su Cameron. Perciò rimasi in silenzio in attesa che la tanto desiderata voragine mi risucchiasse. 
<< E quello? >> Oddio, no. Aveva parlato. Santo cielo, che cosa avrei dovuto dire? La verità, ovvio. Oppure esisteva un'alternativa... certo, la fuga! Quale momento migliore se non quello per darsela a gambe? 
Deglutii pesantemente e mi guardai attorno con dei rapidi scatti degli occhi. 
<< Ti ho fatto una domanda, Sarah. >> Gesù! Mi aveva chiamata per nome e non con il simpaticissimo nomignolo che mi aveva affibbiato. La situazione era più schifosa di quanto pensassi. Non solo pretendeva delle risposte immediate, ma era pure nervoso. E per esperienza sapevo che quando s'incavolava non era affatto una passeggiata. 
Mi contorsi le mani ansiosa e dirottai lo sguardo sul suo: duro, serio ed esigente. In poche parole la mia condanna. 
Umettai le labbra ed aprii la bocca, ma non una sola parola spiccò il volo. Mi metteva troppa agitazione vederlo in quella posizione rigida, con un'espressione apparentemente innocua che però veniva tradita dalla severità dei suoi occhi. 
David me l'avrebbe pagata cara. 
Abbassai la testa e cercai di coprirmi le mani con il giubbotto. << È... Mm. >> Distesi la bocca in una linea sottile ed arricciai il naso. << È... un ragazzo... >> 
<< Ma dai, non lo avevo notato >> ribatté sarcasticamente, agitando un braccio in aria. 
Scrollai le spalle e rialzai il capo per fissare gli occhi su di lui. << Benissimo, ho risposto alla tua domanda >> tagliai corto con un piccolo sorriso sornione. << Possiamo andare, si sta facendo buio. >> Cominciai a camminare spedita lungo il vialetto e sospirai stremata. In un solo giorno il mio stress aveva raggiunto vette elevatissime. Se avessi proceduto di quel passo sarei morta giovane, ma di sicuro avrei fatto sprofondare anche David nel baratro. Quello scimmione dispettoso aveva appena firmato la sua condanna a morte. 
Cam mi raggiunse in meno di cinque secondi. Intravidi con la coda dell'occhio che mi stava esaminando, il che contribuì ad agitarmi; poco dopo lanciò lo sguardo davanti a sé ed inspirò a fondo. << Sarah, ti conviene parlar chiaro. Non sto affatto scherzando >> dichiarò con un tono severo. 
Mi morsi un labbro e scostai dei ciuffi che mi erano finiti in faccia per via del vento. Ricordavo poche volte in cui Cameron era stato tanto rigido con me. Litigavamo spesso, ma l'atteggiamento che stava dimostrando in quel preciso istante era totalmente diverso da quello che teneva sempre durante i nostri battibecchi. 
Schiarii la voce e sospirai ancora. Non mi restava altro da fare che sputare la verità e confidarmi con mio fratello. Anche perché non mi avrebbe dato pace fino a che non avessi confessato tutto, persino il più insignificante particolare. 
<< Si chiama David >> pronunciai d'un fiato. Abbassai la testa ed osservai i miei piedi muoversi sull'asfalto. << È con lui che ho convissuto durante quel periodo >> continuai a dire mentre il cuore mi rimbalzava nel petto. 
<< Ed è il tuo ragazzo? >> domandò senza smussare la durezza del suo tono.
Annuii piano e riparai le mani nelle tasche del giubbotto. << Sì. >> Il mio battito cardiaco accelerò per l'emozione. A volte mi sembrava di non aver ancora realizzato la meraviglia di quel fatto: che David fosse tutto per me e che fosse ufficialmente il mio ragazzo. Ogni volta che lo pensavo o lo sentivo dire, il mio cuore ne rimaneva piacevolmente colpito. 
Lanciai una breve occhiata con la coda dell'occhio a Cam e lo vidi sgranchirsi le spalle con lo stesso sguardo intransigente puntato davanti a sé. << Da quanto state insieme? >> 
Riflettei per qualche secondo e sorrisi d'istinto. << Un mese e qualche giorno >> affermai mentre i condor volavano felici nel mio stomaco. << Dall'8 Novembre >> precisai. 
Dopo quelle mie parole Cam non parlo più. Se ne stette per un minuto buono in assoluto silenzio. Alzai la testa e mi voltai a guardarlo stranita. La sua fronte era aggrottata in maniera meditativa ed i suoi occhi erano ridotti a due fessure. 
<< Che c'è? >> chiesi esitante. Avrei tanto desiderato sapere cosa gli stesse frullando per il capo. 
Schioccò la lingua al palato e ad arcuò maggiormente le sopracciglia. << Come hai detto che si chiama? >> 
Ritrassi la testa e sbattei le ciglia in rapida successione. << David. David Trent. >> 
Si voltò verso di me con uno scatto improvviso e rimase a fissarmi immobile, smettendo persino di camminare. << Quel David Trent? Quello che è diventato capitano della squadra di football quand'era solo al primo anno? >> domandò con gli occhi sgranati. 
<< Oh... ehm, sì. È lui >> risposi, stupita dalla sua reazione. Non riuscivo a capire se lo ammirasse o lo odiasse. Speravo ardentemente la prima opzione, ne andava della mia libertà. 
<< Dio, non si sentiva parlare d'altro a scuola >> ricordò alzando gli occhi al cielo. << Fortuna che io ero all'ultimo anno >> aggiunse con una scrollata di spalle. Ottimo, la mia speranza era appena morta. 
Riportò lo sguardo su di me e sollevò un sopracciglio con un'espressione profondamente scettica. << E pensi che quel tipo faccia sul serio con te? Ci sono stato anch'io in quella scuola, e posso assicurati che dopo due mesi già tutti conoscevano la sua fama di playboy >> asserì guardandomi come una povera cretina all'oscuro di tutto. << Dopotutto era capitano della squadra, era bello, si atteggiava da figo e le ragazze gli morivano dietro. >>
Il sangue stava cominciando a ribollirmi nelle vene come lava ardente. Se mi stava scambiando per l'ingenuotta di turno che veniva presa per i fondelli dal classico cattivo ragazzo si sbagliava di grosso. Non ero ingenuotta e David non era un cattivo ragazzo. 
Inspirai a fondo e gli puntai un dito contro a mo' di maestrina. << Innanzitutto ti vorrei far presente che in quella scuola c'ero pure io e che fino ad oggi David ha sempre avuto lezioni in comune con me, quindi so benissimo quale sia la sua fama e chi lui sia. Secondo punto... >>
<< Cacchio, ma lui è quel deficiente che tanto odiavi? >> m'interruppe sorpreso. Rise beffardamente e si passò una mano tra i capelli incredulo. << Non posso crederci. Tu non lo potevi vedere, lui ti detestava e credi davvero che stia facendo sul serio con te? Ti sta solo prendendo in giro, come fai a non capirlo? >> 
Mi morsi l'interno guancia per il nervoso e strinsi le mani a pugno per contenermi dal prenderlo a schiaffi. << Non sai un bel nulla e ti permetti di giudicare? >> domandai con un sopracciglio sollevato. << Hai idea di quello che David ha fatto per me durante quel periodo orribile? No, non lo sai. >> Ridussi gli occhi a due fessure ed avanzai di un passo contro di lui. << Ha messo a rischio la sua vita così tante volte, pur di tenermi al sicuro, che ho perso il conto. Ha sfiorato la morte per evitare che io vedessi lo schifo che c'era fuori dall'abitazione dove eravamo rifugiati. Ha corso fino a casa nostra per recuperare le mie pasticche e rendermi più facile tenere gli attacchi di panico sotto controllo. Ha curato ogni mia minima ferita cercando di farmi soffrire il meno possibile. E cosa ancor più importante, c'è sempre stato quando ne avevo bisogno. >> Avanzai ancora sotto il suo sguardo neutro e lo fissai intensamente. << Solo io so quello che abbiamo passato e quello che ci lega. Lo odiavo, è vero, ma adesso le cose sono cambiate. E se non credi che lui mi ricambi avrai tutto il tempo per ricrederti, fidati >> conclusi risoluta. 
Sarebbe potuto venire persino il Papa a dirmi che David si stava solo divertendo con me, non avrei mai creduto ad una sola parola. Mi bastava guardare i suoi occhi ambrati per essere sicura che i suoi sentimenti fossero veri e profondi. Ogni giorno, anche se non nel modo in cui speravo, mi dimostrava quanto tenesse a me e alla nostra storia. Di certo non mi sarei fatta influenzare dalle ipotesi pessimistiche del primo che capitava, anche se si trattava di mio fratello. 
Cam rimase a studiarmi con insistenza, quasi come se stesse valutando la veridicità delle mie parole attraverso la risoluzione del mio sguardo. E non avrei di certo chinato la testa. Potevamo rimanere in quella posizione in eterno. 
Mandò indietro il capo e sollevò un sopracciglio. << Mi sembri piuttosto coinvolta >> notò con una certa riluttanza. << Confido nella tua intelligenza, ma poi non venire da me a piangere quando ti avrà spezzato il cuore. >> Mi diede le spalle e riprese a camminare lungo il vialetto. 
Alzai gli occhi al cielo e lo seguii con una breve corsetta. Perché non riusciva semplicemente ad accettare il fatto che avessi un ragazzo? Perché doveva comportarsi in quel modo distaccato e scorbutico? 
Non era mai stato tanto protettivo nei miei confronti come in quel momento. A dire il vero non lo era proprio mai stato, o almeno non mi aveva dato modo di notarlo. 
Cam era sempre stato il tipico fratello che ti riempiva di commenti acidi e poco carini, che ti faceva impazzire a furia di scherzi, che si prendeva continuamente gioco di te e che non dimostrava il proprio affetto. Eppure sapevo alla perfezione quanto amore nutrisse nei miei confronti, lo stesso che avevo io per lui. 
Sospirai e dirottai lo sguardo sul suo profilo rigido. << Mi spieghi perché dovrebbe spezzarmi il cuore? Non lo conosci nemmeno >> pronunciai addolcendo il mio tono. 
Odiavo quando assumeva quell'atteggiamento freddo e serioso con me. Non mi faceva sentire tranquilla ed in pace con me stessa, ma più di tutto mi procurava dolore pensare di averlo deluso. 
<< Conosco la sua fama e questo mi basta >> rispose secco, mantenendo gli occhi puntati sulla strada. << E conosco anche alcune delle ragazze che si è portato a letto. Quel tipo non sa nemmeno che cosa sia una relazione seria. >> Scrollò le spalle e scosse la testa. 
<< E credi che per me non potrebbe fare un'eccezione? >> domandai pacata, fissandolo intensamente. 
Si voltò a guardarmi e rimase in silenzio. Era evidente che non sapesse cosa rispondere, probabilmente la mia sicurezza e la mia caparbietà lo disorientavano. 
<< Voglio dargli il beneficio del dubbio, Sarah >> ammise infine. << Dopotutto lo odiavi e ci litigavi di continuo, perciò sai bene con chi hai a che fare. Spero solo che tu non ti stia sbagliando >> concluse osservandomi serio. 
Sorrisi appena ed annuii. << Posso assicurarti che ne rimarrai sorpreso. >> Tornai a guardare davanti a me ed il mio sorriso si allargò. << Lo conoscerai presto. Molto presto. >> Oh sì, quel dannato babbuino avrebbe pagato molto cara la sua cretinata. Voleva a tutti i costi presentarsi a mio fratello? Benissimo, lo avrei accontentato in quattro e quattr'otto. Un'uscita a tre sarebbe stato il suo premio. Già fremevo all'idea di vederlo sudare sette camicie nel disperato tentativo di far cambiare idea a Cam. 
Oh sì, non vedevo l'ora. 





                                                                       *  *  * 





La mattina seguente, quando salii sul pulmino, il mio sguardo di fuoco saettò immediatamente verso il deficiente. Avrei voluto polverizzarlo e ballare la zumba sulle sue ceneri.
In risposta mi arrivò un sorrisetto sfrontato che avrei volentieri tolto dalla sua faccia a furia di schiaffi. Evidentemente il tipetto non aveva ancora capito con chi avesse a che fare; gli avrei dato una dimostrazione pratica di lì a poco. 
Mi lasciai cadere sul sedile, accanto a Clar, con la grazia di un bovino e la femminilità di un gorilla. La mia amica sobbalzò sul posto e spalancò gli occhi con un'espressione interrogativa. << Qualcosa non va, Sarah? >> domandò timidamente. 
Certo che qualcosa non andava.
Dopo essere tornati a casa avevo dovuto scongiurare mio fratello di non spifferare nulla a mia madre e mio padre. In cambio del suo silenzio, ottenuto dopo infinite preghiere, non solo non sarei potuta uscire di casa il venerdì e sabato sera, ma in più sarei sempre stata scortata da lui nel tragitto scuola-casa. Ma il peggiore tra gli ordini e le negazioni che mi aveva imposto era quello di dover lavare i suoi calzini puzzolenti e nauseabondi per un mese e cinque giorni. E quella specie di dittatore che mi ritrovavo in casa non aveva affatto scelto un lasso di tempo a caso. Eh no, perché il genietto aveva fatto un semplice calcolo a dir poco vendicativo partendo dal giorno in cui io e David stavamo insieme. Un mese e cinque giorni, per l'appunto. 
Puntai il mio sguardo omicida su Clarice e stritolai la borsa a tracolla tra le mie braccia immaginando che fosse il mio ragazzo. << Sai cos'ha fatto ieri quel celebroleso? >> Inspirai a fondo mentre Clar scuoteva la testa. << Mi ha baciata davanti a mio fratello >> quasi strillai, sbattendo una mano sulla tracolla. << Gli avevo detto di far finta di non conoscermi... >> M'interruppi e meditai per una manciata di secondi sulle mie parole. << Anzi no >> ricordai picchiando ancora una volta il palmo contro la borsa. << È stato quell'idiota a proporre di passare per due estranei davanti a Cam, ed invece lui ha fatto quel che accidenti ha voluto! >> gridai furibonda. Fortunatamente, col casino che regnava in quel pulmino, nessuno sembrò far caso ai miei strilli da pterodaptilo. 
<< Oh >> commentò Clar con un tono provato. 
<< Esatto >> affermai torturando la tracolla tra le mani. << Non hai idea di quel che ho dovuto passare ieri per colpa di quel bradipo senza cervello. Se solo potessi mettergli le mani attorno al collo... >> Arricciai le labbra e ridussi gli occhi a due fessure guardando il sedile davanti al mio. 
Sentii la mia amica tossire e muoversi sul sedile. << Forse però... David voleva solo presentarsi a Cameron per rendere ancora più ufficiale la cosa >> osò dire con un tono incerto. 
Le sue parole mi penetrarono le orecchie come degli spilli. Mi voltai a rallentatore verso di lei e le lanciai un'occhiata raggelante. << Lo stai giustificando, per caso? >> Sollevai un sopracciglio ed il mio sguardo dovette diventare ancora più omicida dal momento che le vidi sgranare gli occhi e scuotere convulsamente la testa. 
<< No no, certo che no >> si corresse subito. << Sul fatto che abbia sbagliato non ci sono dubbi. Come minimo avrebbe dovuto rispettare la tua volontà e rimanere in disparte, per il momento. >> 
Annuii fiera del concetto da lei espresso e sfoderai un sorriso soddisfatto. << Parole sante >> affermai continuando ad annuire. << Niente di più vero. >> 
Clar rise divertita e raccolse la sua borsa da terra mentre tutti cominciavano a scendere dal mezzo ormai giunto davanti a scuola. 
Mi alzai in piedi e rimasi bloccata nel mio posto per via della coda che ogni volta si creava quando dovevamo scendere dal pulmino. Lasciai vagare lo sguardo in fondo alla fila ed incontrai un paio di occhi ambrati che mi stavano fissando. Glieli avrei cavati presto. 
A passo di formica, la coda cominciò a scorrere ed il babbuino si avvicinò a me. E più le distanze tra noi si facevano misere più il suo sorriso divertito si allargava. Razza d'idiota, non sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Qualsiasi traccia d'ilarità sarebbe sparita dal suo bel viso. 
M'immisi nello stretto corridoio proprio davanti a lui e gli pestai volontariamente un piede. Perfetto, il primo colpo era andato a segno.
<< Ahi >> si lamentò con una risatina. Un attimo dopo avvertii una sua mano posarsi su un mio fianco e spingermi contro il suo corpo. 
Per poco il mio cervello non andò in corto circuito e la mia volontà di vendicarmi rischiò di svanire. 
Il mio cuore iniziò a pompare con la stessa velocità con cui le scariche di piacere provenienti dal punto in cui si trovava il suo palmo si stavano diramando per tutto il mio corpo. 
Avevo proprio un autocontrollo inespugnabile. 
<< Arrabbiata? >> La sua voce roca e bassa s'insinuò nel mio orecchio procurandomi lo stesso effetto del canto delle sirene sui marinai di Ulisse. Socchiusi gli occhi e sospirai ammaliata... No, dovevo mantenere il polso della situazione; non potevo lasciarmi distrarre in quel modo. Insomma, che lezione avrei potuto dargli se per un nonnulla cadevo tra le sue braccia come una pera cotta?
Coraggio, Sarah. 
Riacquistai il mio precedente fervore e tirai uno schiaffetto poco delicato sulla sua mano. La ritrasse di scatto e borbottò un "ehi" di protesta che non calcolai di striscio.  
Mi bastava ripensare alle stupide imposizioni di Cam per riaccendermi di rabbia come una fiaccola olimpica. 
Avanzai nella fila e scesi in fretta dal pulmino, evitando sempre di voltarmi a guardarlo. Fu un'impresa piuttosto ardua, ma fu proprio il mio furore a rendermela possibile. 
Non vedevo l'ora di acchiapparlo per il colletto del golf ed urlargli nelle orecchie fino a farlo diventare sordo. 
Un sorriso malvagio si stampò sul mio viso mentre percorrevo a passo svelto uno dei vialetti del giardino.
<< Sarah, aspettami >> sentii urlare dietro di me. Mi arrestai di colpo e ruotai il corpo verso Clarice che stava correndo trafelata. Come avevo potuto dimenticarmi della mia migliore amica? La colpa era ovviamente da attribuire a David. Era sempre lui ad occupare per intero il mio cervello.  
Appena mi raggiunse le sorrisi ed arricciai il naso dispiaciuta. << Scusami, Clar. Ero soprappensiero e ho tirato dritto. >> 
<< No, macché, figurati. >> Alzò il pollice della mano e subito dopo mi sorrise divertita. << Non noti nulla? >> 
Aggrottai la fronte confusa. << In questo momento? >> 
<< Già >> confermò allargando il suo sorriso ed annuendo. Sinceramente non capivo a cosa si stesse riferendo o cosa stesse cercando di comunicarmi. Mi sembrava di dover risolvere un rebus intricato. 
<< Mm... Noto che sei davanti a me >> buttai là, titubante delle mie parole. 
<< Ma no >> disse scoppiando a ridere. << Mi stavo riferendo a David. È da quando sei scesa dal pulmino che ti fissa con una certa insistenza. Anche adesso ad esempio >> mi fece presente con uno sguardo malizioso. 
Appena ebbe finito di pronunciare quell'ultima frase, senza pensarci, dirottai i miei occhi sul diretto interessato. Il mio cuore accelerò come il battito delle ali di un passerotto che tenta di scappare da un predatore. Perché sì, David mi stava guardando anche in quel momento. Dal suo sguardo sembrava quasi che mi stesse studiando con attenzione, probabilmente dopo aver captato che qualcosa non andava. 
Be', se quel troglodita si era immaginato che, dopo il casino in cui mi aveva cacciata, gliel'avrei fatta passare liscia aveva fatto male i suoi conti. 
Mi girai con un colpo stizzito del capo e ripresi a camminare al fianco di Clar. 
Durante il breve tragitto parlammo del più e del meno, ridendo e scherzando su tutto ciò che ci veniva in mente. E la cosa riuscì a far distrarre la mia mente da quel babbuino che camminava a qualche metro di distanza da me. Almeno fino a quando non dovemmo salutarci e darci appuntamento a mensa, considerando che pure per quel giorno non avremmo avuto lezioni in comune. 
Rimasta sola, mi diressi al mio armadietto e posai una mano sopra il lucchetto per evitare ad occhi indiscreti di leggere il codice che avrei immesso. Non che avessi manie di egocentrismo o che pensassi che il mondo ruotasse attorno a me, ma ero convinta del fatto che un curioso con gli occhi lunghi esistesse sempre. 
<< 1, 3, 4, 7 >> pronunciò una voce estremamente familiare. 
Lo avrei ucciso tra atroci sofferenze. Era deciso.
Girai la testa e fissai lo sguardo su un paio di occhi ambrati. Il mio cervello registrò alla velocità della luce qualsiasi aspetto, persino il più insignificante, della sua figura. Indossava un golf beige dalla trama intrecciata risvoltato fino ai gomiti ed un paio di pantaloni neri bassi sui fianchi. Ma tralasciando il fatto che lo avrei trovato attraente persino truccato e con un vestito da donna, la sua postura disinvolta e provocatrice stava uccidendo il novanta percento dei miei neuroni. Il signorino se ne stava con una spalla appoggiata ad un armadietto vicino al mio, le braccia conserte sul petto, una gamba davanti all'altra ed un bel sorrisetto beffardo stampato in faccia. 
Non sapevo se prenderlo a schiaffi oppure saltargli addosso. 
Sollevai le sopracciglia e lo fulminai con un'occhiata. << Sai perché metto una mano davanti al lucchetto? >> domandai con un tono falsamente gentile. << Te lo dico subito. Perché non voglio che altri vedano il mio codice. E tu che fai? Lo dici ad alta voce >> affermai sconcertata, sbattendo i palmi sulle gambe. 
Scrollò le spalle ed il suo sorriso divenne sghembo. << Il tuo metodo non funziona da quattro anni >> asserì divertito. << Pensavo te ne fossi accorta. >> Si staccò dall'armadietto ed avanzò con passo cadenzato verso di me. 
No, non dovevo sciogliermi come un cioccolatino solo perché... Scossi la testa e mi ripresi in corner da un cedimento. 
Risoluta come non mai, posai le mani sul suo petto ed arrestai la sua camminata. << Fossi in te non scherzerei troppo col fuoco >> lo minacciai con uno sguardo penetrante. << Abbiamo dei conti da regolare. >> 
Un suo sopracciglio scattò verso l'alto in una maniera palesemente maliziosa. << E li vuoi regolare qui? Davanti a tutti? >> mi provocò mostrando la sua fila di denti bianchi. 
Voleva morire, era ovvio. Il poveretto non si rendeva conto contro chi avesse a che fare. In quel momento ero pericolosa tanto quanto un rinoceronte imbestialito. 
Strinsi le dita attorno suo golf e ridussi gli occhi a due fessure. << Senti un po', grandissimo pezzo di sterco equino, hai la minima idea di quello che mi hai fatto passare ieri sera? Immagino di no considerata la tua voglia di scherzare. >> Sbuffai dal naso come un toro e mi avvicinai al suo corpo per sembrare quantomeno minacciosa. 
A giudicare dal suo sorriso sfacciatamente divertito, fallii miseramente. Ma non m'importava, avevo in serbo per lui una sorpresa migliore. Una che gli avrebbe fatto passare la voglia di beffeggiare la sottoscritta. 
Abbassò gli occhi sulle mie mani chiuse a pugno e rimase a fissarle per qualche secondo; dopodiché rialzò la testa ed il suo sguardo, illuminato da una luce diversa, si riposò su di me. << E tu hai la minima idea di quello che mi stai facendo passare per la mente adesso? >> domandò con un tono basso e dannatamente allusivo. 
Deglutii accaldata ed un attimo dopo misi distanza tra i nostri corpi, ritraendomi di scatto. 
Non avevo ancora espresso tutta la mia rabbia nei suoi confronti che la situazione stava già degenerando. Ed era tutta colpa di quel babbuino dalla mente perversa. 
<< Vieni con me >> ordinai battagliera. Gli lanciai un'occhiata truce alla quale rispose con uno sguardo serio ed un movimento del capo. 
Ottimo, finalmente aveva capito che non stavo affatto scherzando. 
Camminai come un militare sino al nostro familiare sgabuzzino che fortunatamente era piuttosto distante dai corridoi più trafficati. Almeno avrei potuto fare in libertà tutti i miei acuti da soprana nelle orecchie di David. 
Aprii la porta con un colpo secco e gli intimai di entrare con un rapido gesto degli occhi.  
Ubbidì remissivo e lo seguii a ruota; accesi la luce e chiusi la porta dopo aver controllato che nessuno ci avessi visti. 
Quando il mio sguardo atterrò su David, il mio cuore ricominciò a dimenarsi emozionato. Se ne stava appoggiato alla parete con la schiena e con un piede, le braccia le teneva conserte sul petto e gli occhi... Dio, quelle scrutatrici pozze ambrate erano fisse su di me.
<< Per quanto ancora vorrai avercela con me? >> La sua domanda seccata rifocalizzò la mia attenzione su quel momento in un nano secondo. 
Spalancai gli occhi e protrassi la testa. << Che razza di domanda è questa? Se tu avessi rispettato la mia volontà forse adesso non sarei così arrabbiata con te >> mi difesi scostando un ciuffo di capelli con un gesto stizzito. << Ti avevo detto che avevo bisogno di più tempo e mi hai fatto credere che me ne avresti dato. >> 
<< Cosa sarebbe cambiato se tuo fratello mi avesse visto tra un mese? >> domandò spalancando le braccia. << Mi vuoi far credere che tra tre, quattro o cinque settimane saresti stata pronta a far sapere a tutti di me? >> 
<< Probabile, ma di certo non lo sapremo mai >> controbattei acida. 
Una breve risata dissacrante gli scappò dalle labbra. Scosse la testa e ritornò a guardarmi con un sorrisetto irrisorio. << Stiamo insieme da un mese e mi vieni a dire che probabilmente avevi bisogno di un altro mese prima di parlare di me? A questo punto tanto valeva aspettare un anno >> concluse con un'alzata di spalle. 
Alzai gli occhi al cielo e sbattei i palmi sulle mie gambe. << Io veramente non ti capisco. Ma cosa cavolo ti sarebbe costato aspettare? >> sbraitai preda della rabbia. 
Assottigliò lo sguardo e si staccò dalla parete. << Vuoi sapere perché non ti ho dato tempo? Perché non saresti mai stata davvero pronta. Sono sicuro che il giorno in cui avresti deciso di presentarmi avresti avuto lo stesso identico timore che hai provato ieri. Perciò cos'avremmo aspettato? Dopo ben due mesi di relazione avresti fatto sapere ai tuoi di me? Un po' tardino, non trovi? >> Sollevò un sopracciglio a mo' di sfida e si stampò un'espressione eloquente. 
Distolsi lo sguardo e deglutii in difficoltà. Non aveva tutti i torti, lo dovevo ammettere. Fin da piccola avevo sempre avuto una sorta di timore al solo pensiero di presentare, un giorno, un mio ipotetico ragazzo alla mia famiglia. Non perché me ne vergognassi, ma perché immaginavo quali sarebbero potute essere le loro reazioni. Magari mi sarebbero stati più col fiato sul collo, oppure avrebbero ostacolato la mia storia perché non vedevano di buon occhio il mio ragazzo, oppure... oppure erano solo mie ipotesi prive di fondamento. Forse mi ero sempre fatta troppi problemi per nulla. Dopotutto come potevo sapere quale atteggiamento avrebbero adottato se non avevo mai portato un ragazzo in casa? 
<< Sarah >> Il tono più pacato con cui pronunciò il mio nome mi fece battere il cuore e sospirare debolmente. Due sue dita si chiusero attorno al mio mento con delicatezza, costringendomi ad alzare la testa e puntare gli occhi nelle sue intense pozze d'ambra. << Voglio poter vivere questa storia alla luce del giorno. Senza nascondermi o dover passare per uno sconosciuto mentre camminiamo davanti a tuo fratello >> dichiarò serio in volto. 
Osservai le sfumature chiare e scure delle sue iridi fino ad imprimermele nella mente, dopodiché annuii piano e gli circondai i fianchi in un abbraccio. Adagiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi mentre le sue mani si posavano sulla mia schiena e le sue labbra s'immergevano tra i miei capelli. 
<< Dovrai sudare non poco per piacere a mio fratello >> gli feci presente in un sospiro mesto. << Non si fida di te. Crede che le tue intenzioni non siano buone e che tu ti stia soltanto prendendo gioco di me. >> 
David mi strinse maggiormente a sé e mosse le labbra sulla mia tempia. << Credo di non aver mai fatto un'impressione tanto brutta in vita mia >> affermò ironico, prima di aprirsi in un sorriso. 
Sospirai ancora ed appoggiai il mento sul suo petto per poterlo guardare negli occhi. << In realtà ti conosceva già. Quando noi eravamo al primo anno lui era all'ultimo e... be' la tua fama di bello e dannato, di playboy incallito e di capitano della squadra di football si è radicata nel giro di qualche mese. Ed è proprio per questa tua reputazione che non si fida delle tue intenzioni. >> Abbassai lo sguardo sul suo golf e cominciai a giocare con un lembo. Al pensiero di come David avrebbe potuto cambiare l'idea che Cam si era fatto di lui, mi scappò un sorriso divertito. << Devo ammettere che sono piuttosto curiosa di vederti all'opera >> dichiarai rialzando lo sguardo sui suoi attenti occhi. 
Sfoderò un'espressione sicura e sollevò un sopracciglio con fare altrettanto deciso. << Si ricrederà nel giro di pochi minuti >> asserì con una scrollata di spalle. 
Sorrisi ilare ed inclinai la testa. << Cameron è un tipo estremamente testardo. Dovrai sudare molto più di quanto immagini >> lo avvertii con un'occhiata eloquente. 
<< La cosa ti diverte, non è vero? >> mi domandò con un sorriso sghembo stampato in faccia. 
Feci roteare gli occhi per il soffitto e mi trattenni dal ridergli in faccia come una pazza. << Diciamo che non vedo l'ora di vedere come ti comporterai >> dissi soltanto, restando sul vago. Dentro di me potevo distintamente sentire la mia risata malvagia propagarsi come un tuono. << E a questo proposito... >> Gli puntai un dito sul petto ed esibii un sorriso da bambina cattiva. << Questo sabato usciremo con mio fratello. >> Bum. Bomba sganciata. 
David perse immediatamente il sorriso e ritrasse il capo seccato. << Un'uscita a tre? >> si lamentò sbuffando. 
<< Ti sei ficcato tu in questo casino >> gli feci notare con un'espressione da maestrina. 
Sbuffò ancora ed alzò gli occhi al cielo. << Che rottura di scatole >> borbottò contrariato. In quel momento fui davvero ad un passo dal prorompere in una grossa e grassa risata, ma continuai a mostrarmi calma e sorridente per destare meno sospetti. 
In fin dei conti era stato lui a farmi sprofondare in quella situazione di cacca, perciò mi sembrava giusto condividerla. 
Riportò il suo indignato sguardo su di me e mi fissò intensamente. << La domenica la possiamo trascorrere insieme o qualcun altro deve starci incollato al sedere? >> 
Non ce la feci più. Scoppiai a ridere come una cretina e scossi la testa in risposta. << Domenica... siamo soli >> riuscii a dire tra le risa. I ruoli si erano appena invertiti, adesso ero io quella ad essere divertita dalla situazione e lui ad essere quello innervosito. 
<< Bene, perché non vorrei ritrovarmi pure tuo fratello nella mia camera da letto >> esordì spiazzandomi e facendo quasi fermare il mio cuore. Ed ecco che il familiare caldo si condensava attorno a me col rischio di soffocarmi. 
Rialzai gli occhi sui suoi e rimasi intontita dinanzi al suo malizioso sorrisetto sghembo. << Credevi che saremmo andati a fare una passeggiata romantica? Dopo un mese che a malapena ti sfioro, come minimo, ti voglio in camera mia per un giorno intero >> affermò con un tono risoluto e dannatamente provocante. Una sua mano salì lentamente lungo la mia schiena ed il suo viso si fece più vicino al mio con la stessa rapidità con cui il mio cuore martellava incalzante. Strinsi le dita attorno al suo golf e socchiusi gli occhi nell'osservare le sue invitanti labbra a pochi centimetri dalle mie. 
All'improvviso mi alzò il mento e ritrasse il capo per osservarmi con meticolosità. << Sbaglio o non hai dormito nemmeno stanotte? Le tue occhiaie sono ancora più scure e profonde >> notò assottigliando lo sguardo. 
Riemersi dal mio mondo romantico e sbattei le palpebre rapidamente. << Ah... ehm, no... cioè, è successo come tutte le altre notti. Mi addormento, ho gli incubi e mi sveglio. Poi non chiudo più occhio >> riassunsi in un sospiro. Non potevo dire di esserci abituata, ma ormai era diventata una sorta di consuetudine. Tutte le notti accadeva la stessa identica cosa. 
La campanella suonò qualche secondo più tardi. Sospirai di nuovo e sciolsi l'abbraccio con cui mi ero arpionata a David. << Dobbiamo andare, stavolta non ho intenzione di fare la stessa pietosa figura di ieri >> dichiarai con un sorriso ed una linguaccia. 
<< Come vuoi >> accondiscendette con un'alzata di spalle ed una luce divertita negli occhi. 
Uscimmo dallo sgabuzzino e ci recammo nel corridoio principale, camminando l'uno accanto all'altra. L'armadietto di David si trovava distante dal mio, perciò quando mi arrestai in prossimità del blocco di latta che conteneva quello che mi apparteneva, virai lo sguardo sul mio ragazzo in attesa di salutarlo. 
La sera prima avevo controllato l'orario e con somma delusione avevo riscontrato che quel giorno non avremmo avuto lezioni comuni. 
<< Ci si vede dopo a mensa >> dissi con un tono quasi sconsolato, abbozzando un sorriso. 
David annuì e si fissò le punte delle scarpe immerso tra i suoi pensieri. Alzò il capo con un colpo secco ed avanzò di qualche passo. << Ti aspetterò qui >> annunciò deciso, prima di chinarsi su di me e lasciarmi un frettoloso bacio sulla fronte. 
Sgranai gli occhi sorpresa mentre lui se ne stava già andando nella sua direzione. 
Mi tastai il punto che le sue labbra avevano sfiorato e sorrisi felice. Felice per un semplice motivo: quel corridoio era ancora gremito di altri studenti che come noi non erano ancora entrati in classe. Per la prima volta, David aveva compiuto un gesto affettuoso in pubblico. 
E lo aveva fatto per me. 

















Angolo autrice: 

Buonasera!! \(^.^)/ 
Innanzitutto voglio scusarmi per non aver ancora risposto ad alcune recensioni, ma vi prometto che lo farò a breve. Scusatemi davvero, mi dispiace un sacco >.< 
Poi, passando al capitolo, spero vi sia piaciuto *_* e che vi abbia strappato qualche sorriso! 
... Uffa, non so mai cosa dire quando arrivo qua -.- 
Vi ringrazio tantissimo per ogni parola spesa nelle recensioni *_* per aver letto fino a qua e per essere al mio fianco anche in questa avventura *^* GRAZIE MILLE!!!
Vi mando un bacione gigante e tanti tantissimi abbracci!! <3 
A domenica prossima! <3 

Ps: se avete tempo vi invito a leggere una storia che a mio modesto parere merita molto. Si chiama "Fly By" di Evelyn98.

Pps: per chi volesse essere sempre aggiornato su questa storia vi lascio il link del gruppo Facebook :) -----> Gruppo Facebook








































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Capitolo 4
*** Fiducia ***


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Fiducia 







Mio Dio, ma come faceva ad essere tanto bello pur senza far nulla? Bastava che si toccasse i capelli ed io iniziavo a sudare come un cubetto di ghiaccio al sole. 
<< Sarah, mi stai ascoltando? >> 
Per non parlare della posa disinvolta con cui se ne stava seduto a tavola. Le gambe divaricate e fasciate in quei dannati pantaloni neri col cavallo leggermente basso, i gomiti sul pianale di plastica e gli avambracci scoperti in un modo a dir poco stuzzicante per la mia fantasia. 
<< Chissà che pensieri perversi si starà facendo l'Anderson. >>
Il ghigno da bambino cattivo che aveva stampato in faccia in quel momento, mentre rideva coi suoi amici, era da mozzare il fiato. Peccato che io potessi ammirarlo solo da lontano. 
Si portò il gambo di un sedano crudo alla bocca e lo morse con lentezza, permettendo ai suoi denti di imprimersi nello stelo morbido. Il mio cuore accelerò e le mie guance si surriscaldarono per la sensualità di quel gesto. Non era normale che trovassi sexy il mio ragazzo mentre mangiava un sedano. Ma era così dannatamente invitante...
<< Sarah! >> sbottò Clar, sbattendo una mano sul tavolo per richiamare la mia attenzione. 
Sobbalzai scossa e piantai i miei confusi occhi su di lei. Oh mamma, che era successo mentre la mia mente vagava per terre proibite? A giudicare dallo sguardo severo di Clar sembrava che mi fossi persa molte cose. 
Deglutii imbarazzata e schiarii la voce. Eravamo giunti a mensa da circa un quarto d'ora. Io e David per primi, Clarice e Kevin mi avevano raggiunto poco più tardi. Solo che, come il giorno precedente, dopo aver fatto la fila insieme David se n'era andato al tavolo dei suoi amici ed io ad un altro. 
Solo ventiquattr'ore prima mi ero fatta un discorsetto mentale su quanto fosse giusto che il mio ragazzo continuasse a portare avanti le sue abitudini, eppure in quel momento la cosa non riusciva ad andarmi giù. Ero contorta. Se da un lato mi andava bene che mangiasse coi suoi ragazzoni trogloditi, dall'altro avrei voluto che trascorresse quel tempo con me. Probabilmente non ero sana di mente a volere due cose opposte. Insomma, Kevin mangiava con me e la sua ragazza. Perché quello scimmione non poteva presentarmi ai suoi amici e seguire l'esempio di Kevin? 
Forse non mi voleva sempre incollata al sedere. Eppure era stato lui a dire che avrebbe voluto vivere la nostra storia alla luce del sole. Ottimo, quindi se io lo dovevo presentare alla mia famiglia a lui cosa accidenti costava introdurmi ai suoi amici? Magari quelli neanche sapevano che David fosse fidanzato con me. Ci avrei messo la mano sul fuoco, dopotutto davanti ai loro occhi non aveva mai compiuto un gesto nei miei confronti, a parte quella volta sul pulmino. Ma era durata talmente poco, e finita con un insignificante "a dopo", che non la prendevo nemmeno in considerazione. 
Solo in quel momento cominciavo a mettere insieme più parti un puzzle sconnesso, ma legato da un filo comune. Ogni volta che David si era avvicinato a me per parlare o per stipulare un altro tipo di approccio, i suoi amici non erano nei paraggi. E persino poco prima, quando mi aveva dato quel fugace bacio sulla fronte, del suo gruppo non c'era stata l'ombra. Non potevo e non volevo credere che si vergognasse di me. Non riuscivo a contemplare l'idea. 
Dirottai lo sguardo su Kevin che si strafogava di patatine fritte e ruotai il corpo nella sua direzione. Volevo risposte e spiegazioni. E se in quel momento non le potevo ottenere dal diretto interessato, avrei interrogato qualcuno di molto vicino a lui. << David che rapporto ha con i suoi amici? >> domandai diretta. 
Kevin masticò ciò che aveva in bocca e mi fissò inespressivo. Se non si fosse sbrigato a darmi una risposta lo avrei scosso per le spalle fino a fargli sputare tutta la poltiglia che teneva tra le fauci. 
Ingoiò lentamente mentre le mie dita tamburellavano impazienti sul vassoio. 
<< Io non sono più suo amico, dovresti saperlo >> rispose con un tono serio e, oserei dire, rassegnato.
Sondai le sue iridi scure e mi mossi irrequieta sulla sedia. Sapevo bene come stessero le cose tra lui e David. Dopo quell'episodio che mi aveva vista protagonista, David non aveva più rivolto la parola al suo migliore amico e aveva persino cominciato a far finta che non esistesse. 
Mi umettai le labbra e feci vagare lo sguardo tra i piatti. << E quando lo eravate? Intendo dire, come si comportava con voi quando aveva una ragazza? >> Schietta, senza vergogna ed insensibile di fronte a ciò che aveva detto. Ecco com'ero appena stata. Lui mi diceva che non erano più amici ed io me ne fregavo ed andavo dritta per la mia strada, intenta a raggiungere la meta. 
<< Che ne so? Non ha mai avuto una ragazza fissa e seria >> tagliò corto con un'alzata di spalle. 
Issai il capo e posai i miei occhi su di lui in attesa che continuasse a parlare. Se pensava che con quelle quattro parole messe in riga mi soddisfacesse, si sbagliava di grosso. Esigevo una risposta lunga ed argomentata nei particolari. Se oralmente non ne era in grado avrei accettato la forma scritta. 
Mi fissò di rimando e sollevò un sopracciglio. << Cosa cavolo vuoi sapere ancora? >> 
Ci mancò poco che non ribaltassi il tavolo e sfogassi la mia rabbia su di lui. Inspirai a fondo e strappai la tovaglietta di carta sul vassoio immaginando che fosse il suo collo. << Quando ha cominciato a "frequentarsi" con Jessica... >> Mimai le virgolette ed alzai gli occhi al cielo seccata dal ricordo. << Che ha fatto poco dopo? Ve l'ha presentata? Vi parlava di lei? >> domandai nascondendo l'apprensione nel mio tono. 
Con la coda dell'occhio vidi Clar sorridere e posare una mano sotto al mento. << Sei preoccupata perché non ti ha ancora presentata ai suoi amici? >> 
Oddio, era così evidente? Apparivo così tanto disperata? 
Indirizzai la mia attenzione su di lei ed esitai a lungo prima di annuire piano. Avrei preferito che non se ne accorgesse, ma mi conosceva fin troppo bene per non farci caso. 
A quel punto sarei stata spinta a raccontarle tutto, a partire dai motivi per cui mi preoccupavo fino a quelli per cui desideravo che mi introducesse alla sua combriccola di scimmie, ma la presenza accanto a lei mi fece desistere dallo sputare fuori tutto ciò che covavo dentro.
Kevin ridacchiò divertito e spostai i miei glaciali occhi su di lui. Che aveva da ridere il cretino? Voleva assaggiare il mio gancio destro? Avrei potuto accontentarlo.
<< Be' se ti aspetti questo da David, mi dispiace per te, ma non lo farà mai >> dichiarò afferrando un'altra patatina. Reclinò la testa, spalancò la bocca e se la lanciò dentro come solo un vero uomo delle caverne sa fare. 
<< E perché? >> esclamai sconcertata. Ma cosa accidenti mi veniva a dire, quel cinghiale peloso? Le sue parole non avevano il minimo senso, almeno non nella mia testa. 
Masticò teatralmente e scrollò le spalle sotto lo sguardo ammonitore di Clar. << Perché David è fatto così. Da che lo conosco non mi ha mai presentato nemmeno una delle ragazze con cui è andato a letto. Erano loro che, standogli appiccicate, si facevano conoscere nel gruppo. Jessica compresa. >> Afferrò due patatine, una con una mano e la seconda con l'altra, e me le mise davanti alla faccia. << Per David gli amici sono una cosa. >> Ne mosse una di lato osservandomi serio. << E le ragazze un'altra. >> Spostò la mano destra distanziandola dalla sinistra. << Non ha mai fuso questi due mondi >> dichiarò risoluto, facendo scontrare le due patatine con un colpo secco. 
Rimasi in silenzio, allibita dalla sua spiegazione grottesca. Non riuscivo a capire se mi avessero scossa più le sue parole o i suoi gesti esplicativi. 
<< Sarah non è una di quelle che David si porta a letto >> ribatté Clar accigliata, svegliandomi dal mio stato di shock. << Quello che hai detto poteva benissimo valere fino a qualche mese fa, adesso che sta con Sarah le cose sono cambiate >> proseguì imperterrita, mentre il suo sguardo accesso era rivolto al suo ragazzo. << Dai, è evidente, Kev >> insistette battendo una mano sul tavolo e tenendolo sotto tiro col suo paio di scuri e profondi occhi. 
Il ragazzone virò la testa per guardarla ed incatenò i loro sguardi. Non contai i secondi, ma fui sicura che ne fossero passati molti prima che quei due interrompessero il loro contatto visivo. Tra i loro occhi aveva corso pura elettricità, sarebbe stato impossibile non notarla. E quella stessa elettricità, nel guardarli, aveva raggiunto il mio cuore. 
<< Sì >> asserì Kevin, focalizzandosi sul suo piatto. << Molte cose sono cambiate. >> Alzò la testa e mi rivolse un mezzo sorriso. << Perciò Anderson non so darti una risposta precisa. Aspettati di tutto da David. >>
Quell'ultima frase mi si conficcò nella mente come una scheggia. Dovevo aspettarmi di tutto... il che era una cosa positiva o negativa? Ai miei occhi appariva tanto come una lama a doppio taglio. 
Decisi di non pensarci oltre ed annuii distrattamente. 
<< Sarah >> mi richiamò Clar. Spostai il mio sguardo su di lei in attesa che parlasse. << Stai tranquilla >> mi rassicurò con un sorriso dolce. 
Immediatamente le mie labbra si distesero e tirai un piccolo sospiro di sollievo. Clar riusciva a capirmi meglio di quanto molto spesso capissi me stessa. Non sapevo che cosa avrei fatto senza di lei. Al novanta percento delle probabilità avrei vissuto tra ansie e paranoie. 
Quel pensiero mi fece tornare alla mente l'amicizia tra David e Kevin, troncata a causa mia. Perché per quanto sapessi che non ero stata volontariamente complice nel farla finire, sapevo che l'origine di quella separazione ero comunque io. Il che mi rendeva ancora più pesante accettare la questione. 
Osservai il mio piatto e giocherellai con la forchetta. << Kevin >> mormorai mentre un milione di pensieri mi affollavano il cervello. Sentii i suoi occhi su di me e tirai su il capo per guardarlo. << Tu e David non vi siete più parlati? >> 
Scrollò le spalle e deviò lo sguardo. Dal modo in cui lo fece intuii che, anche se non voleva darlo a vedere, soffrisse per quel loro allontanamento. I suoi occhi si erano subito rabbuiati e le sue iridi avevano assunto delle sfumature cupe, serie, consapevoli.  
Sospirai afflitta e lanciai un'occhiata a David, seduto ad un tavolo distante dal mio, che in quel momento rideva e tirava un tappo di bottiglia contro un amico. 
Ero sicura che anche il mio ragazzo sentisse la mancanza del suo migliore amico. Non me ne parlava mai, ma ne ero profondamente convinta. 
Kevin era sempre stato al suo fianco, si conoscevano dalle medie ed avevano condiviso così tanti momenti insieme da potersi ritenere fratelli. E mentre riflettevo su quel fatto avvertii nascere, dentro al mio stomaco, una sorta di fiamma che man mano espandeva le sue lingue di fuoco. Una fiamma alimentata dal desiderio di fare qualcosa per quei due ragazzoni testardi. 
A costo di litigare con David e prenderlo a schiaffi gli avrei fatto capire cosa si stava perdendo. 





                                                                    *  *  *





Uscii dall'aula di storia e sospirai stancamente mentre percorrevo il corridoio gremito di studenti. Non vedevo l'ora di tornare a casa e gettarmi sul letto. Quello era uno dei momenti più soddisfacenti di tutta la giornata. 
Fulminai un tipo che nella foga di raggiungere il proprio armadietto mi aveva quasi lussato una spalla e sbuffai dal naso. Perché la gente non stava attenta a non urtare il mio sistema nervoso? Mi costringevano a girare per la scuola con una di quelle specie di armature da giocatore di football. E come accessorio mi sarei portata dietro una mazza da baseball. Così ogni qual volta qualcuno avesse osato colpirmi, anche distrattamente, io avrei restituito il colpo. 
Procedetti lungo quel campo di battaglia che era il corridoio e lanciai un'occhiata al mio armadietto ormai vicino.
Il cuore mi ballò nel petto dinanzi alla vista di uno stupendo ragazzo appoggiato al blocco di latta, il cui sguardo era alto e sicuro e la cui postura mandava in pappa il mio cervello. Un sorriso mi affiorò istantaneamente sulle labbra mentre acceleravo il passo per raggiungerlo. Ma con la stessa velocità con cui esso nacque, morì. 
Vidi il mio ragazzo vagare con gli occhi nel fiume di persone fino a puntarli su una ragazza, o meglio dire, su un'oca a me molto familiare. 
Di colpo si staccò dall'armadietto ed avanzò verso la tipa che nel frattempo gli stava sorridendo viscidamente. 
Rimasi a bocca aperta in mezzo al corridoio. 
Non sapevo cosa fare o cosa pensare. Avevo solo una domanda che mi martellava nella testa: cosa diavolo stava combinando? Non solo non mi considerava a pranzo, in più se ne andava a chiacchierare con quella... con quella vipera ossigenata. 
<< Ehi, ma ti levi? >> mi domandò una voce maschile. Neanche mi voltai a guardare chi fosse per dirgliene quattro. Ero troppo imbestialita con David per dare spago ad un altro deficiente. Avanzai furiosa fino al mio armadietto e lo aprii con un colpo secco. 
Riposi alcuni libri lanciandoli malamente e ne afferrai altri per sistemarli nella mia borsa a tracolla. Richiusi quel pezzo di latta con forza e m'incamminai spedita all'uscita della scuola. 
Se voleva starsene a parlare con quella cretina non avevo nessuna intenzione di essere d'impiccio. Preferivo tornarmene a casa a sgozzare qualche peluche per sfogare la rabbia. 
Avrei sopportato che parlasse con qualsiasi altra ragazza, ma, Dio, non quella! Si vedeva lontano un miglio che quell'oca gli moriva dietro e che voleva riprenderselo a tutti i costi. Poveretta, non aveva fatto i conti con me. 
<< Oh, dove vai? >> Venni agguantata per un polso e strattonata fuori dalla calca senza che il mio cervello riuscisse a registrare la successione di quelle azioni. 
Una decina di secondi dopo la mia schiena si scontrò contro la parete di un corridoio vuoto.
Quando i miei occhi incontrarono quelli interrogativi di David e fui capace di recepire la sua domanda, sollevai un sopracciglio stizzita. << Mi sembrava che tu fossi impegnato. >>
Aggrottò la fronte ed un sorrisino sghembo si affacciò sulle sue labbra. << Ti riferisci a Jessica? >> 
Mi morsi l'interno guancia per il nervoso e feci vagare lo sguardo sul pavimento. << No, a Madre Teresa di Calcutta >> borbottai pregna di acidità. Alzai il capo e lo fulminai con i miei occhi fiammeggianti. << Secondo te a chi? A quella gallina, è ovvio >> sbottai con uno sbuffo. 
Scrollò le spalle con un sorriso divertito e posò le mani sui miei fianchi. Infervorata com'ero, gliele tolsi un millesimo di secondo dopo. Se pensava di poter aggiustare le cose col suo solito modo di fare si sbagliava di grosso. Mi sentivo una iena incallita in quel momento.
<< Sei parecchio arrabbiata >> constatò con un tono scherzoso. Mi chiedevo cosa ci trovasse di tanto spassoso. Io mi stavo trattenendo dal prenderlo a pugni e lui ridacchiava. 
Lo fissai con uno sguardo gelido e la mascella contratta. << Cosa volevi da quella? >> 
Si portò le mani nelle tasche dei pantaloni e reclinò la testa per sgranchirsi il collo. Ma certo, se voleva fare anche un po' di stretching non c'erano problemi. Tanto io avevo tutta la pazienza del mondo. 
Quando riportò i suoi occhi nei miei, ero già arrivata al mio massimo livello di sopportazione. << Volevo solo mettere delle cose in chiaro >> asserì perdendo il suo sorrisetto ed osservandomi serio. 
A quelle parole la mia rabbia cominciò a scemare. << Del tipo? >> domandai in un sussurro mentre il mio sguardo si caricava di aspettativa. 
Avanzò di un passo e mi circondò la vita con le mani, facendo agitare il mio povero cuore. << Le ho ricordato un paio di cose. Del tipo che non deve osare toccarti, che deve girarti al largo e che non sono interessato a lei >> elencò senza allontanare le sue intense pozze ambrate da me. Il tono roco e sempre più basso con cui sciorinò quelle parole bastò ad elettrizzare i miei neuroni ed ucciderne la maggior parte. 
Abbassai la testa e mi torturai le dita in preda all'imbarazzo. Insomma, mi ero subito fatta prendere dal nervoso e non avevo ragionato sulla sua azione. Come avevo fatto ad essere tanto cretina? 
<< Non ti fidi di me? >> domandò ridestandomi di colpo. 
Alzai il capo con uno scatto da velociraptor e sgranai gli occhi mentre il cuore mi batteva furiosamente. << No, ma cosa dici? Certo che mi fido di te >> lo rassicurai osservando le sue pozze serie e profonde. 
Sollevò un sopracciglio e sbuffò piano. << E allora perché sei partita in quarta senza chiedere prima spiegazioni? >> insistette scrutandomi a fondo; talmente a fondo da lasciarmi boccheggiante per svariati istanti. Abbassò gli occhi sulle sue mani e rafforzò la presa delle dita sulla mia vita. << Te l'ho detto anche ieri che Jessica non m'interessa. Con lei andavo solo a letto, tu sei la mia ragazza. La differenza è notevole >> mi fece presente abbassando la voce fino ad un sussurro. 
Sospirai colpevole e rilassai le spalle. << Non è questo. Io mi fido davvero di te. È solo che... >> Mi morsi un labbro e distolsi lo sguardo dal suo viso per voltare la testa di lato. << Cioè, se penso a Jessica mi saltano automaticamente i nervi. Quando poi ricordo cosa c'è stato tra voi e noto il suo modo di guardarti o di sorriderti ammiccante... >> Emisi un versetto frustrato e feci una smorfia con la bocca. << Mi dà noia, tutto questo mi provoca un enorme fastidio. E... quando prima ho visto che le stavi parlando non è che non mi fidassi di te, mi dava solo sui nervi che fosse lei quella a cui rivolgevi parola >> terminai d'un fiato, liberandomi dell'enorme fardello che covavo nel petto. 
<< Mm >> mugolò al mio orecchio, scostandomi dei cappelli con le labbra. Rabbrividii a quel tocco delicato ed appoggiai le mani sui suoi bicipiti. << Quindi ti andrà bene quando parlerò con Amy, Denis, Rue, Lindy, Caroline... >>
<< Ok, non t'allargare troppo >> ribattei storcendo il naso. Quante cavolo di ragazze conosceva? Speravo vivamente che non avesse i numeri di telefono di tutte, altrimenti si sarebbe dovuto preparare alla mia furia omicida. 
Ridacchiò contro il mio lobo e mi strinse a sé con vigore, facendo aderire i nostri corpi. Mi si bloccò il respiro in gola nell'esatto momento in cui anche il suo si arrestò ed i suoi muscoli fremettero a contatto con i miei. L'istante dopo le sue labbra scesero sul mio collo e saggiarono la mia pelle con famelicità. Socchiusi gli occhi e mi lasciai sfuggire un breve sospiro di piacere a cui David replicò introducendo una mano sotto la mia maglietta. 
Gli afferrai quasi bruscamente i capelli e feci scontrare le nostre labbra. Urgevo di un contatto più diretto e profondo o sarei impazzita di lì a poco. Annesso e concesso che già non lo fossi. 
Dall'intensità e dall'irruenza con cui David contraccambiò, mi resi conto che non ero l'unica ad averne un disperato bisogno. Adagiò una mano nell'incavo del mio collo e l'altra la tenne ben aperta sulla mia schiena per trattenermi saldamente contro di sé. 
Lambii con avidità le sue labbra e mi ritrovai ad inclinare il capo quando la sua lingua penetrò d'impeto nella mia bocca, facendomi scendere dei brividi lungo la spina dorsale.
La situazione stava degenerando di secondo in secondo ed io non facevo niente per farla rientrare nei binari della decenza. Anzi, con tutta sincerità avrei voluto finire quel che avevamo iniziato proprio contro quel muro. La mia ragione aveva stretto la mano all'istinto ed insieme mi stavano conducendo sulla strada della perversione. 
David si staccò di scatto dalla mia bocca ed una parte dei miei neuroni sembrò risvegliarsi dallo stato di trance in cui erano calati. Sollevai le palpebre e mi ritrovai a fronteggiare un paio di liquidi, accesi, famelici e sconvolgenti occhi castani che stavano portando ad ebollizione il mio sangue tant'era il caldo che mi suscitavano. 
Il suo sguardo si riposò sulle mie labbra e lo sentii inspirare a fondo prima di chiudere gli occhi. << Non puoi immaginare la fatica che sto compiendo per non prenderti qui, adesso >> sussurrò rauco, mandando in poltiglia il mio cervello e facendo impazzire il mio cuore. 
Oh, potevo immaginarlo eccome visto e considerato che stavo compiendo lo stesso immane sforzo. 
Emisi un sospiro tremulo e mi umettai le labbra prima di deglutire. << Domenica sarò tua prigioniera? >> buttai là con un sorrisino. 
Riaprì gli occhi e me li scagliò addosso con una forza travolgente. Poco più tardi sul suo volto si affacciò un sorriso sghembo colmo di sottintesi. << Detta così suona ancora più eccitante >> notò lasciando che le sue dita scivolassero delicate lungo la mia schiena. Rabbrividii a quel contatto e mi morsi un labbro per trattenere un gemito. Il tutto fu carpito dalle sue gemme di roccia fusa annebbiate dal desiderio. 
Deglutì rumorosamente e fissò con insistenza la mia bocca; pochi secondi dopo distolse lo sguardo di scatto e retrocesse di qualche passo per mettere distanza tra i nostri corpi. 
Immise le mani nelle tasche dei pantaloni e tornò a guardarmi con intensità. << Ho gli allenamenti di football oggi >> m'informò. << Ci vediamo direttamente domani. >> 
Annuii distrattamente. Metà del mio cervello era ancora sepolto da pensieri poco casti ed immagini a luci rosse. Avevo perso completamente il senno, ormai era lampante. 
Appena fui in grado di recepire le sue parole, annuii con più vigore. << Ah sì >> borbottai in fretta. << Ci vediamo domani >> aggiunsi con una sfumatura triste nella voce. Dovevo ammettere che un po' mi dispiaceva non uscire di scuola con lui e sapere che lo avrei rivisto solo il giorno dopo. Un po'... be', molto più di un po'. 
<< Già >> affermò scalciando qualcosa d'invisibile. Sembrava quasi che nemmeno lui volesse lasciarmi andare. Il cuore mi batté rapido al solo pensiero. 
Lo osservai mentre percorreva quel misero metro che ci divideva col battito cardiaco fuori controllo. I suoi occhi parevano non avere la minima intenzione di perdermi di vista, il che mi fece surriscaldare in svariati punti del corpo. 
Si piegò rapido su di me, afferrò il mio mento tra pollice ed indice ed appoggiò le labbra sulle mie in un bacio dolce. La sua bocca si mosse con flemma sulla mia, trasmettendomi una sensazione di serenità. Quando si distanziò da me, dopo due ultimi brevi baci a stampo, mi sembrò che quel momento perfetto fosse durato troppo poco. Non ero minimamente pronta per allontanarmi da lui, cosa che invece ero costretta a fare. 
<< A domani >> mormorò rauco prima di avviarsi lungo il corridoio. Lo seguii con lo sguardo fino a che mi fu possibile, dopodiché recuperai la mia tracolla e mi catapultai fuori dalla scuola. 





                                                                      *  *  * 





Mi lasciai sprofondare a sedere sul letto, facendo lamentare le molle, ed accesi il computer portatile. 
<< Sarah, lo vuoi il dolce? >> mi urlò mio padre dalle scale. 
Sporsi il collo ed osservai la mia porta di camera chiusa. << No, ora non mi va >> risposi, prima di essere accecata dalla lucente schermata di accensione dell'aggeggio che tenevo sulle gambe.
Mio Dio, perché tutte le volte mi scordavo di abbassare la luminosità? Di quel passo avrei perso gli occhi.
Accesi l'abat-jour sul comodino e permisi ad un po' di luce di rischiarare quell'ambiente buio che era la mia stanza. Non sapevo per quale strano motivo, ma fin da piccola avevo la bizzarra abitudine di creare, dopo cena, un'atmosfera soffusa. Quando rientravo in camera non mi piaceva accendere il lampadario al soffitto, ma preferivo di gran lunga tenere solo la mia fidata e secolare abat-jour. Soprattutto d'inverno. Mi donava una sensazione di calore e protezione. 
Cliccai sull'icona di Google incuriosita dallo strano logo che aveva quel giorno: 13 dicembre. Immediatamente si aprì un campo di ricerca riguardante Santa Lucia. Lessi in fretta qualche notizia ed infine mi concentrai sul reale motivo per cui stavo vagando per internet. 
Quel pomeriggio il professor Fewton aveva consegnato un plico a ciascuno di noi su cui erano scritti vari argomenti di biologia ancora non svolti a lezione. Ognuno avrebbe dovuto scegliere un argomento, farci una ricerca, approfondirlo e presentarlo alla classe. Era un vero e proprio geniaccio il caro Fewton. Aveva messo a puntino un semplice metodo per non fare il suo lavoro e lasciare che noi facessimo sia il suo che il nostro. 
Perciò in quel momento stavo spulciando a destra e a manca nel tentativo di capire, in linee generali, di cosa trattassero quegli argomenti elencati. 
Non mi era mai piaciuto ridurmi a fare i compiti la sera, anche se quello non era proprio un compito che avrei dovuto portare l'indomani. Il fatto era che dopo essere uscita da scuola ed aver percorso la strada insieme al mio carabiniere di fiducia, Cameron, mi ero rilassata davanti alla televisione con una tazza di the caldo ed avevo perso la cognizione del tempo. Solo quando erano rientrati i miei genitori mi ero risvegliata dal torpore ed ero corsa a farmi una doccia prima di cenare. 
Mi strinsi nel mio caldo pigiama felpato e risistemai i capelli con la mollettina mentre tenevo lo sguardo puntato sullo schermo. Capivo un quarto di quello che leggevo, il che era già una grande soddisfazione. Speravo almeno che una volta aver scelto uno di quei temi ed averlo approfondito, la cosa risultasse più semplice. 
Per quanto in quel preciso istante stessi detestando il vecchio Fewton, desideravo, anzi, esigevo un buon voto. A costo di passare tutte le notti davanti al computer e sudare sette camicie, io ne sarei uscita vittoriosa. 
Per più di un'ora proseguii ad annotarmi delle osservazioni su un foglio, a fare ricerche, a scartare i temi che ritenevo più ostici o meno interessanti, a mordicchiare la penna che tenevo in mano e a sgranchirmi le gambe. 
Quando sentii bussare alla porta sobbalzai per lo spavento e di riflesso lanciai la penna che tenevo in mano. La testa di Cam si affacciò incuriosita. << Sei ancora al computer? >> mi chiese entrando ed avvicinandosi al mio letto. 
<< Sì >> affermai in uno sbadiglio. 
Mi raggiunse e posò una mano sulla mia testa prima di dirottare gli occhi sullo schermo abbagliante. << Cos'è, una ricerca di scienze? >> 
Annuii piano e presi il plico consegnato dal professore per indicargli i vari argomenti. << Ne va scelto uno, poi si deve fare una ricerca ed esporlo alla classe >> spiegai mentre gli occhi mi diventavano mano a mano più pesanti. 
Speravo con tutto il cuore che quello fosse un segno positivo e che almeno quella notte avrei dormito senza svegliarmi a causa degli incubi. Sia il mio cervello che il mio corpo erano esausti. 
Cam mi grattò la testa e prese i fogli che gli stavo mostrando per studiarli più da vicino. << Questa roba me la ricordo, più o meno >> asserì scrollando le spalle. 
M'illuminai di colpo e voltai la testa per guardarlo implorante. << Allora da domani mi aiuti a sceglierne uno e a fare la ricerca? >> Congiunsi le mani per impietosirlo, ma il suo sguardo rimase fermo e severo. << Dai dai, ti prego >> aggiunsi afferrandogli un braccio per strattonarlo. 
Alzò gli occhi al cielo e schioccò la lingua al palato. << Va bene, va bene. Lo faccio solo perché assomigli più ad un cadavere che ad un essere umano >> precisò con un sorriso ironico. 
Gli mollai il braccio e lo fulminai con un'occhiata tutt'altro che amichevole. << Scusa e con questo che vorresti dire? >> Lo ammettevo, negli ultimi tempi non ero uno splendore, ma era già la seconda volta che mi sentivo dare di cadavere. Prima David ed ora lui. La cosa cominciava a ferire il mio orgoglio. 
<< Sei sempre pallida ed hai due occhiaie che fanno paura >> iniziò a dire con un sorriso divertito. << È ovvio che questo mi spinga ad aiutarti. >>
Un mio sopracciglio scattò verso l'alto scettico. << Veramente ti ho dovuto implorare. >> 
Fece spallucce. << Vabbè, che c'entra? Ho comunque accettato >> tagliò corto con un'espressione vittoriosa. 
Scossi il capo insieme ad una smorfia basita e sospirai. << È inutile discutere con te. >> Ed era vero, con Cameron non ci si cavava le gambe. Riusciva a far volgere tutto a suo favore e a vendere pure l'acqua santa al diavolo. Era un maestro di retorica, un abile corruttore ed un naturale ricattatore. 
<< Brava, piccola opossum. >> Mi batté delle pacche sulla testa e sorrise beffardo. << Ora dormi, dai >> aggiunse facendosi serio ed addolcendo, anche se di poco, il tono. 
Annuii ed abbassai lo schermo del computer. 
Solo quando tornai a guardarlo mentre si dirigeva alla porta feci caso al fatto che non indossasse il pigiama. Aggrottai la fronte stranita. << Perché sei vestito? >> 
Ruotò il capo e, con un sorriso sghembo stampato in faccia, puntò i suoi occhi cerulei nei miei. << Esco >> disse soltanto. 
Le rughe sulla mia fronte si fecero sicuramente più profonde. << Di martedì sera? E con chi? >> 
<< Con i miei amici, che domande >> rispose con un'alzata di spalle. << Dormi ora. >>
<< Mm >> borbottai riducendo gli occhi a due fessure in uno sguardo indagatore. << E dove vai? >> La cosa mi puzzava non poco. Ero più che certa che mi stesse nascondendo qualcosa. 
<< Ad una festa qui vicino >> affermò in fretta con un tono seccato. Eccola lì la prova inequivocabile che mi stesse tenendo all'oscuro di svariati particolari. Quando dava risposte infastidite e rapide significava che stava mentendo. 
<< Mamma e papà lo sanno? >> domandai torturandomi le dita improvvisamente sudaticce. Perché cavolo non mi diceva la verità? Ero sua sorella, accidenti. E lui non mi aveva mai mentito più di tanto, a parte per qualche sciocchezza. 
Sbuffò. << Certo che lo sanno. >> Perfetto, aveva raccontato la stessa balla anche a loro. << Dormi, opossum >> ordinò poi con un sorriso scherzoso. 
Si chiuse la porta alle spalle ed io rimasi impalata ad ascoltare i suoi passi per le scale. 
Le mie orecchie da pipistrello restarono tese fino a quando non gli sentii chiudere anche la porta d'ingresso. A quel punto saltai giù dal letto e mi catapultai alla finestra per spiarlo tra le tende. Ci vollero una decina di secondi prima che la mia vista si adattasse all'oscurità, ma al termine di quel breve lasso di tempo fui in grado di individuarlo mentre percorreva il vialetto di casa e salutava col braccio dei ragazzi all'interno di una macchina scura. 
Avrei tanto desiderato sapere chi fossero quei cavernicoli che urlavano ed osavano fare schiamazzo a quell'ora... anche se non sapevo che ore fossero. 
Cam salì sulla vettura ed udii un cavernicolo urlare qualcosa come "si fa festa, ragazzi". Era forse un messaggio in codice o io mi stavo preoccupando per nulla? 
Mi ritrassi con un sospiro quando la macchina sfrecciò via e li persi di vista. 
Mi fidavo di mio fratello e sapevo che non avrebbe mai fatto scemenze, ma sentivo che  mi stava nascondendo qualcosa. Il che non mi faceva stare serena e rilassata, ma metteva in moto gli ingranaggi del mio provato cervello.











Angolo dell'autrice: 

Buonasera! \(^.^)/ 
Scusate per il ritardo >\\< ma la scorsa settimana è stata piuttosto piena. 
Riguardo al capitolo volevo dire qualche cosa...
Prima di tutto l'ho dovuto spezzare in due parti, ebbene sì *annuisce con vigore*. 
Sarebbe stato trooooooppo lungo e mi avrebbe richiesto ulteriore tempo per finirlo. 
Quindi mi son detta "tagliamolo a metà così un ci si pensa più" ahahah. 
Perciò la seconda parte giungerà domenica *_* se tutto va bene *_* ma spero di sì *_*
Poi poi poi, che altro volevo dire... Ah sì! Nonostante non sia un capitolo molto focalizzato su David e Sarah come coppia, non so perché ma fino ad ora è il mio capitolo preferito. Anche se... *sguardo di chi la sa lunga* penso che il suo podio sarà occupato molto presto da un altro. 
*annuisce e scansa le pentole che le lanciano addosso* lo so che state odiando David per il suo comportamento, anche se da una parte lo amate *_* questi rapporti amore/odio sono così turbolenti... *riflette guardando il cielo* 
Ahahah, no ok, a parte tutto, Sarah ha ragione. Lui vuole essere presentato alla sua famiglia, ma al contempo non fa niente per introdurla nel suo mondo (e qui per mondo intendo le amicizie). Ma tempo al tempo, e qui mi zittisco. Ahahah, sì sono perfida U.U
E poi arriviamo a Cameron! Anzi no, sto zitta e non dico nulla. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi ;) 
Bene, ho detto tutto (e quindi nulla ahahah) perciò è giunto il mio momento di lasciarvi ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di avervi tenuto compagnia! <3
A domenica!!! 
GRAZIE DI TUTTO! <3

Federica~




















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Capitolo 5
*** Sorpresa ***


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Sorpresa

















Cam era salito su quella macchina da almeno una ventina di minuti ed io ero ancora in piedi davanti alla finestra con la speranza di vederlo tornare. 
Lanciai un'altra occhiata alla sveglia sul comodino. Era passata la mezzanotte da ormai una quindicina di minuti. Dove cavolo si andava a cacciare quel cretino a quell'ora della notte? 
Avrei tanto voluto svegliare i miei genitori e chiedere loro qualche informazione sul giro  frequentato da Cam, ma resistetti alla tentazione e me ne rimasi lì come un avvoltoio.
All'ennesimo brivido di freddo decisi di entrare nel letto ed infagottarmi nelle coperte. 
In quel momento ero certa di assomigliare più ad un baco da seta che ad un essere umano. 
Mi girai su un fianco e fissai la porta da cui era uscito quello stupido di mio fratello. 
Non mi piaceva per niente quella situazione. Non pretendevo di essere messa al corrente di ogni suo spostamento, ma come minimo esigevo che non mi si dicessero bugie. E poi chi diamine erano quei ragazzi dentro la macchina? Non ero riuscita a vederne neanche uno in faccia o di profilo, ma la voce che avevo udito non mi era affatto familiare. Di solito conoscevo, anche se solo di vista, gli amici di Cam. Era ovvio, li portava a casa e loro si presentavano. O meglio, era Cam a presentarmi con la solita frase: "quest'opossum è mia sorella. È petulante e fastidiosa, fate come se non esistesse." 
Non ero mai riuscita a capire se m'introducesse ai suoi amici in quel modo per farmi arrabbiare oppure per tenere quei ragazzoni lontani da me. Dopo aver visto la sua reazione alla scoperta di David, propendevo per la seconda ipotesi. 
In realtà Cam non si era mai dimostrato geloso nei miei confronti, almeno non prima del fatidico "incontro" col mio ragazzo. O forse, più semplicemente, me lo aveva dato a vedere con dei piccoli gesti che io non avevo captato.   
Ma non era quello il punto focale della questione. Il perno dei miei confusi ragionamenti ed il motivo per il quale ero ancora sveglia era molto più pressante. Avrei dovuto cominciare a spiare le mosse di quel procione per ottenere informazioni preziose e stabilire un'ipotesi sulla sua sospetta uscita. Mi sarei presto trasformata in una detective con tanto di cappellino mimetico e pipa in bocca. 
Avvertii un rumore simile ad un ticchettio e sgranai gli occhi terrorizzata. 
Che cavolo stava succedendo? Oh Signore, i fantasmi no. Eppure secondo le mie conoscenze basate su Harry Potter, i fantasmi non potevano toccare gli oggetti e spostarli. Che avessi capito male e la mia infanzia si fosse fondata sulla menzogna?   
No, non potevo accettarlo. 
Un altro spiacevole e grottesco colpetto mi fece ridestare da quegli stupidi pensieri e scivolare la testa sotto le coperte. 
Era la fine. Ero giunta al capolinea. Non sapevo cosa accidenti fosse quel rumore, ma non era affatto un buon segno. Ma perché Cam se n'era dovuto andare proprio quella notte? Non poteva sceglierne un'altra? Al suo ritorno mi avrebbe trovata stecchita per un infarto e mi avrebbe avuta sulla coscienza a vita. Ben gli stava. Così imparava a raccontarmi bugie e a fare il procione coi suoi amici procioni in una notte da procioni. 
Il terzo colpetto fu più forte degli altri, tant'è che dovetti tapparmi la bocca per non urlare e svegliare tutta Riverdale. 
<< E che cavolo, Sarah. >> Fu solo un sussurro ovattato quello che raggiunse le mie orecchie, ma ebbe un effetto a dir poco devastante sul mio cervello. 
Tolsi le coperte con una fretta disumana, accartocciandole senza pietà, e scesi dal letto con la grazia di un bue di dieci tonnellate per raggiungere la finestra. 
L'aprii in preda all'agitazione rischiando di staccarla dai cardini e mi affacciai al di fuori per puntare lo sguardo sul cortiletto buio. 
I miei occhi vagarono come mine impazzite nell'oscurità mentre il cuore mi picchiava forsennatamente contro il petto. Non ero impazzita, vero? Non avevo immaginato tutto? Ero sicura di aver sentito la voce di...
Nel preciso istante in cui i miei occhi vennero catturati da un paio di pozze dorate rese più scintillanti dal buio, pensai davvero di essere impazzita, ma di felicità. 
David se ne stava nel mio cortile, appoggiato scompostamente ad un albero con le mani nelle tasche dei pantaloni ed un sopracciglio sollevato. << Ce ne hai messo di tempo >> asserì secco. 
Ero troppo felice e scossa da quella visione paradisiaca per poter parlare, perciò mi limitai ad un sorriso da orecchio a orecchio. 
Mio Dio, era davvero lui. Non una mia allucinazione. Lui era lì. Se fossi stata un tantino più pazza di quanto già non fossi, mi sarei messa ad urlare per tutta la casa con le mani nei capelli. 
Si staccò dal tronco e rimboccò le maniche del giubbotto. << Ora salgo >> dichiarò sicuro. 
Che aveva detto? Corrugai la fronte e lo osservai inebetita. Mi pareva di aver capito che si sarebbe apprestato a raggiungermi, solo che non mi era chiaro il metodo che avrebbe utilizzato. 
Quando saltò sul tronco ed iniziò ad arrampicarsi come una strana specie di scimmia sexy, il cuore mi smise di battere. Ero davvero sicura che per una decina di secondi il mio battito cardiaco si fosse arrestato in preda allo shock. 
Se da una parte il mio cervello era occupato da un insieme di pensieri romantici, sdolcinati e sentimentali, dall'altra ero letteralmente terrorizzata che cadesse e si facesse male. Però era così pericolosamente romantico in quel momento... Sospirai come una povera decerebrata mentre lo osservavo salire man mano con più rapidità ed agilità. 
Mi sembrava di essere una Giulietta dei tempi moderni, solo senza balcone. E mi auguravo che la fine tragica di quei due disgraziati rimanesse impressa esclusivamente nelle pagine del libro. Non ci tenevo a condividere quel misero destino con David. 
Il robusto ramo che si snodava verso la mia finestra si piegò in modo problematico sotto il peso del mio ragazzo. 
Trattenni il respiro e sgranai gli occhi di colpo. << Oddio David, fa' presto >> sussurrai portandomi le mani davanti alla bocca. Non mi ero mai mangiata le unghie, ma in quella  stressante circostanza non riuscii a non mordicchiarmele. Vedevo il destino di Romeo e Giulietta incombere su di noi con una certa insistenza. 
David si attaccò saldamente al ramo traballante e si trascinò con lentezza nella mia direzione. I suoi occhi scrutavano attenti ogni particolare e saettavano ogni qualvolta avvertivamo uno scricchiolio infelice. E purtroppo ne udivamo tanti. 
Appena fu estremamente vicino, di slancio, mi sporsi dalla finestra per agguantarlo. Il problema fu proprio quello slancio che mi diedi, perché rischiai di spiccare il volo e precipitare come uno sfortunato piccione. Se non fosse stata per la prontezza di riflessi di David, il giorno dopo mi avrebbero trovata in una bara. 
Mi afferrò un braccio di scatto e mi spinse indietro col corpo fino ad assicurarsi che fossi al sicuro. 
<< Vengo a trovare la mia ragazza e lei si butta dalla finestra >> ironizzò con un mezzo sorriso prima di aggrapparsi al cornicione e premere sui bicipiti per sollevarsi ed introdursi nella mia camera. 
Appena fu dentro, m'inginocchiai davanti a lui e lo abbracciai stretto, quasi stritolandolo solo per sentirlo vicino. << Stupido, mi hai quasi fatta morire di crepacuore >> borbottai tirandogli uno scappellotto poco delicato sulla nuca. 
Sghignazzò contro il mio orecchio e mi passò un braccio attorno alla vita. << Per la sorpresa o per l'arrampicata? >> 
<< Entrambe. >> Chiusi gli occhi ed appoggiai la fronte sulla sua spalla. << Però sono contenta che tu sia venuto >> mormorai con un tono più basso, ai limiti del percettibile. 
Capii che mi aveva sentita nel momento in cui mi strinse più forte a sé e nascose il viso nel mio collo. Per un po' rimanemmo in quella posizione senza far nient'altro che abbracciarci. Non avevamo bisogno di riempire quei minuti con niente che non fosse quello. Era tutto perfetto così com'era. 
Fui io la prima a sciogliere l'abbraccio, ma solo perché morivo di freddo a causa della finestra aperta. 
Dopo averla chiusa, mi voltai verso David e lo vidi che si toglieva il giubbotto mentre si osservava intorno. In quel momento pensai che non esistesse una combinazione tanto perfetta: il mio ragazzo nella mia camera. La cornice a quella circostanza rendeva tutto ancora più eccezionale: la pace restaurata nel mondo, il fatto che fosse tarda notte, il tepore sprigionato dai termosifoni e la debole luce diffusa nella stanza. Sapevo già che quel ricordo si sarebbe fossilizzato nella mia memoria per accompagnarmi tutta la vita. 
<< È carina. Mi piace >> commentò appoggiando il giaccone sulla mia adorata poltroncina bianca. Ruotò la testa e piantò i suoi lucidi occhi su di me. 
Il cuore iniziò a battermi ad un ritmo sostenuto non appena si voltò con l'intero corpo per studiarmi attentamente. Era incredibile l'effetto che una sua sola occhiata riusciva a scatenarmi. Era come se riuscisse a darmi una scarica elettrica di pura eccitazione, adrenalina e felicità. 
Incrociò le braccia sul petto e schioccò la lingua al palato con un sorrisetto sghembo. << Che pigiama eccitante >> dichiarò divertito. 
Oddio. Che aveva detto? Il pigiama? Come una vera cretina abbassai lo sguardo su... Oh Cristo! Paperelle e maialini ballavano allegramente sulla mia maglietta. Dovevo seriamente impedire a mia mamma di comprarmi quei pigiami ridicoli. Non aveva senso unire maialini e papere, o gli uni o gli altri. 
Mi schiarii la voce per dissimulare l'imbarazzo e rialzai gli occhi sui suoi ironici. << Non avresti mai dovuto vederlo >> asserii puntandogli un dito contro. << Fanne parola con qualcuno e ti assicuro che sarà l'ultima cosa che dirai. >> Ottimo. Il mio tono minaccioso unito al mio sguardo omicida era abbastanza inquietante. Di sicuro non si sarebbe mai azzardato a spifferare quel particolare ad anima viva. 
Sciolse le braccia ed avanzò verso di me fino a giungermi a pochi centimetri di distanza. Il sorriso compiaciuto che aveva stampato in faccia si allargò appena mi tirò a sé e mi fece sussultare per la sorpresa. << Non sono disposto a condividerti con nessuno >> fiatò tra i miei capelli con un tono rauco. Le sue mani scivolarono con studiata lentezza lungo la mia schiena. << Neanche se si tratta di un particolare come questo >> aggiunse inclinando la testa per sfiorarmi una tempia con le labbra. 
Dio, il mio cuore era sul punto di scoppiare. Come diavolo faceva a ridurmi in quello stato di perenne eccitazione, stupore, gioia e di qualche altro militando di emozioni? Non era scientificamente possibile. Sarei impazzita presto, era lampante. 
Deglutii accaldata e ritrassi il capo per incontrare i suoi occhi. Erano così belli... oltretutto in quel momento erano più lucidi per via della stanchezza, supponevo; riusciva a guardarmi con un'intensità tale da lasciarmi ogni volta senza fiato, perché lui non si limitava a guardare, ma a scavarmi dentro per leggere tra le pieghe più profonde del mio essere. 
Alzai una mano e gli sfiorai una guancia per poi salire lungo il profilo del suo viso e scostargli un ciuffo vicino all'occhio. << Sei stanco? >> domandai in un sussurro. 
Scrollò le spalle. << Un po'. >> 
<< E perché sei venuto fin qua? Ti sei fatto un sacco di strada con questo freddo >> constatai corrugando la fronte. << Ci saremmo visti domani a scuola. >> 
Ero la persona più felice del mondo per quella sorpresa, ma dovevo guardare in faccia alla realtà. David si era fatto chilometri di strada in tarda notte per venire a farmi una visita, rischiando anche di spezzarsi l'osso del collo sull'albero. A che ora sarebbe tornato a casa sua? Magari sua madre non ne sapeva nulla e lo stava cercando in ogni stanza. 
Inclinò il capo all'indietro e mi osservò con un sorriso ricco di sottintesi. << Una certa persona si diverte a fare la vampira. Sono venuto ad assicurarmi che per una notte si comportasse da essere umano. >> 
Sgranai gli occhi di colpo mentre un presentimento mi trapassava la mente come una freccia. << Dormirai con me? >> 
Nel momento in cui annuì, mancò poco che gli svenissi tra le braccia per la felicità. Saltellai sul posto come una bambina ed un largo sorriso mi sorse spontaneamente sulle labbra. << Oddio >> squittii in preda all'euforia. Avevo sperato che quel mio desiderio divenisse realtà per più di un mese, ed ora... Santo cielo, non potevo crederci. 
David ridacchiò e si distanziò da me per togliersi il golf e rimanere con una canottiera bianca dannatamente sexy. Scannerizzai il suo intero corpo, da capo a piedi, con uno sguardo ammaliato e mille pensieri perversi che mi sciamavano per il cervello. I suoi bicipiti risaltavano in maniera provocante sotto la soffusa luce della lampada, per non parlare del modo in cui i suoi addominali e pettorali venivano ricalcati dalla canottiera. 
Per un istante invidiai quella misera maglietta. 
<< Se continui a guardarmi in quel modo non dormirai nemmeno stanotte >> mi ammonì lanciandomi un'occhiata divertita mentre si sbottonava i pantaloni. 
Incrociai le braccia sul petto e mi stampai un sorriso di sfida. << Perché potrei avere gli incubi? >> 
Sollevò un sopracciglio e si morse un labbro con uno sguardo altamente malizioso. << Perché potresti essere impegnata a fare altro con me. >> Abbassò la cerniera e mi rivolse un sorriso che dire provocante sarebbe un eufemismo. 
Arrossii di botto ed accorsi a chiudere la porta della mia camera a chiave. Era disarmante la facilità con cui riusciva a dire cose che io ero solo in grado di pensare. 
<< Farò finta che tu non abbia detto nulla >> borbottai prima di entrare nel letto e coprirmi fino al collo nonostante il caldo che avessi addosso. 
Lo sentii sghignazzare e poi muovere dei passi verso di me. Il cuore mi martellava nel petto ad un ritmo incalzante sia per la gioia che per l'eccitazione di dormire di nuovo con il suo corpo a stretto contatto col mio. Solo in quel momento mi rendevo effettivamente conto di quanto mi fosse mancato, molto più di quanto avessi immaginato. 
Entrò sotto le coperte ed in contemporanea spensi l'abat-jour. 
Era perfetto. 
La fioca luce dei lampioni all'esterno s'irradiava fino alla mia stanza, illuminandola appena e creando un'atmosfera rilassata. Il silenzio fatto di respiri che calò tra di noi mi trasmise una sensazione talmente pacifica da farmi sentire, dopo tanto tempo, i muscoli distendersi come prima di calare in un sonno profondo. 
<< Vieni qui >> sussurrò David con delicatezza, avvolgendomi la vita mentre mi rannicchiavo contro il suo petto. Appoggiai la fronte su un suo pettorale e passai un braccio attorno ai suoi fianchi, dopodiché attorcigliai le gambe alle sue e sospirai tranquilla. 
Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal movimento delle sue labbra tra i miei capelli. Nello stomaco percepivo condensarsi un qualcosa di diverso rispetto a tutte le altre volte che avevamo dormito insieme, abbracciati in quel modo. Probabilmente dipendeva dal fatto che in quel momento fossimo davvero al sicuro, oppure dal fatto che per me David fosse diventato ancora più importante e fondamentale di quanto già fosse. 
Una sua mano risalì lungo la mia schiena con lentezza. S'insinuò tra i miei capelli e cominciò a toccarmeli con tocchi cadenzati e delicati, proprio come amavo io. 
<< Ti rilassa, vero? >> domandò piano, abbassando la testa per posare la bocca sulla mia fronte. 
Annuii appena e sorrisi intenerita. << Te lo ricordi >> bisbigliai stringendolo a me. Io me lo ricordavo alla perfezione. Una sera, nel rifugio, gli avevo raccontato di quella mia particolare stranezza. Ovvero che quando gli altri mi toccavano i capelli riuscivo a rilassarmi talmente tanto da addormentarmi nel giro di poco. 
<< Ricordo tutto >> fiatò sulla mia pelle. 
Aprii gli occhi e distanziai il capo per guardarlo bene in viso. Il mio battito cardiaco accelerò sotto l'intensità travolgente del suo sguardo ambrato. Se avessi saputo disegnare avrei voluto creare un quadro del suo volto per com'era in quel preciso istante. La debole luce incontrava dolcemente il suo profilo conferendogli un'aria ancora più familiare, le sue pozze marroni erano lucide e screziate di sfumature più scure ed i tratti del suo viso erano rilassati come non li avevo mai visti. 
<< Ai compiti in classe non ricordavi mai nulla >> buttai là ironica mentre appoggiavo la mano libera sul suo petto. << Eri sempre il primo a consegnare. >> 
Da che conoscevo David scolasticamente sapevo che l'ottanta percento delle verifiche le rimandava al professore un minuto dopo che gli erano approdate sul banco. Solo negli ultimi mesi di scuola s'impegnava a raggiungere la media sufficiente per non essere bocciato. 
Si aprì in un sorriso sghembo. << Ci tengo ad essere sempre il numero uno. I libri nemmeno li guardavo, a quest'ora saranno sepolti dalla polvere. >> Il suo sguardo s'illuminò di divertimento. << A qualcuno ho pure strappato le pagine per usarle come carta igienica. A qualcosa si sono rivelati utili. >> 
<< Ma dai >> esclamai ridendo. << Come hai potuto? Hai usato la sapienza per pulirti il sedere. >> 
Scrollò una spalla e liberò una risata ilare. << Sapienza o non sapienza mi mancava la carta e con qualcosa dovevo pur sostituirla >> si giustificò osservandomi con un sorriso radioso. 
Scossi il capo divertita e lo affondai nel suo petto. Immediatamente dopo avvertii le sue labbra scendere sui miei capelli con lentezza, fino a raggiungermi l'orecchio. Sospirò piano contro la mia pelle e mi strinse a sé. << Dormi, ok? Io sono qua con te. Non ti succederà nulla. >> Il suo dolce sussurro unito al delicato bacio che mi depositò sulla tempia, fu sufficiente a rasserenarmi e a farmi annuire. 
Quella notte, per la prima volta dopo più di un mese, ero sicura che avrei dormito. 










Angolo autrice:

Buonaseraaaaa! 
Scusate il ritardo >\\< ma l'influenza e tutti i suoi derivati mi hanno messa KO. 
Passando al capitolo spero vi sia piaciuto *_* 
Il prossimo arriverà domenica prossima e sarà sicuramente più lungo, ihihih *si sfrega le mani*
Volevo scusarmi di cuore per non aver risposto alle recensioni *^* questa benedettissima influenza m'ha proprio stroncata -.- ma da domani conto di mettermi in pari con tuuuuuutte le recensioni e di rispondere a ciascuna \(^.^)/ 
Detto ciò vi mando un bacione gigante!!! 
Per chi facesse parte del gruppo su Facebook, questa settimana vi posterò qualche spoiler ihihih *si sfrega di nuovo le mani con un sorriso da pazza*
A prestooooooooo! <3



Federica~







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Capitolo 6
*** Risveglio ***


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Risveglio












Il petulante e acuto rumore della sveglia mi fece riprendere contatto con la realtà a me circostante. Liberai un braccio dalla coltre di coperte e con un occhio mezzo aperto le diedi un colpo secco che la fece zittire. 
Ero sicura che un giorno o l'altro l'avrei spaccata a furia di tirarle quelle botte. 
Mi sforzai di aprire anche l'altro occhio e guardai davanti a me con un'espressione da ebete. Ero ancora nella fase in cui non capivo niente e mi facevo domande esistenziali. Una delle tante riguardava il motivo per il quale non mi era concesso restarmene a letto tutto il giorno. Perché la scuola non poteva durare un'ora soltanto? E perché non poteva essere aperta in tarda mattinata? Avrei scatenato una rivoluzione davanti al portone d'ingresso per ottenere i miei diritti di cittadina pigra. Mi sarei incatenata ad un albero fino a che non avessero approvato le mie proposte. E sarei diventata l'idolo incontrastato di tutti gli studenti della mia scuola. 
Fui ridestata dai miei fantastici pensieri dal movimento di un corpo accanto al mio. Per meglio dire, di un bel corpo accanto al mio. 
Voltai la testa ed osservai David che si stava mettendo prono con gli occhi socchiusi ed i capelli arruffati. Puntellò i gomiti sul materasso e si girò a guardarmi con uno sguardo assonnato. << Che ore sono? >> biascicò con un tono tremendamente roco e profondo. 
Signore santissimo. Avevo già caldo. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene per colpa di un desiderio piuttosto impellente che non era la pipì, sebbene anche quella fosse difficilmente contenibile. 
Deglutii un mattone di emozioni spedendolo direttamente al cuore e gli sorrisi. << Le cinque e mezza >> risposi girandomi su un fianco per osservarlo meglio. 
La sua bocca, nell'immediato, si storse in una smorfia. Si passò una mano tra i capelli, generando un fuoco nel mio basso ventre, e subito dopo mi fissò con un'espressione seccata. Per una decina di secondi non disse nulla e compì solo dei leggeri movimenti con le dita tra i capelli, poi, d'un tratto, mi circondò la vita con un braccio e mi trascinò vicina a sé. Si lasciò cadere disteso sul materasso e nascose il viso nel cuscino. << Tu rimarrai qua con me per tutta la giornata >> asserì tenendomi stretta contro il suo fianco. 
Ridacchiai divertita, adagiai una gamba sulla sue e successivamente portai una mano tra i suoi ciuffi disordinati per pettinarli. << Dobbiamo andare a scuola >> gli ricordai con un tono paziente. 
In realtà, in quel momento, poco me ne fregava della scuola. Sarei volentieri rimasta lì, al calduccio con lui, per tre giorni e tre notti. Sarei uscita dalle coperte solo per andare al bagno e fare scorte di cibo. 
Quella sì che sarebbe stata vita.
Ruotò lentamente il capo ed i suoi lucidi occhi già più vispi puntarono i miei. << Da zero a dieci, quanto credi che me ne freghi della scuola? >> mi domandò sollevando un sopracciglio. 
<< Ma è ovvio, dieci. >> Alzai gli occhi al cielo ed assunsi un'espressione inequivocabile. Riuscivo a stento a trattenermi dal ridere, ed il sorriso che in quel momento avevo piazzato in faccia lo dimostrava benissimo. 
Le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto sghembo che non prometteva nulla di buono. Nella mia mente scattò l'allarme a protezione dei miei neuroni per cui prevedevo una morte estremamente vicina. 
<< Riformulo la domanda >> dichiarò abbassando il tono, già dannatamente roco. 
Sarah, calmati. Stavo andando in iperventilazione e mi stava salendo la tachicardia per poche semplici parole. Come sarei uscita da quel letto? Totalmente rimbambita o con qualche neurone ancora in vita? 
Il suo braccio si allontanò dal mio fianco e si trattenne a mezz'aria per pochi istanti che a me parvero durare ore. Infine appoggiò la mano sulla mia spalla e mi spinse distesa supina senza distogliere il suo sguardo dal mio. 
Il battito di ciglia successivo, David era sopra di me e continuava a guardarmi con quel sorrisetto malizioso. Posizionò gli avambracci ai lati della mia testa ed inclinò il viso mentre si faceva lentamente più vicino al mio. 
Dinanzi alle sue pozze illuminate di malizia, il mio cuore accelerò la corsa fino a farmi sentire i battiti nelle orecchie. 
Ero vicina alla combustione del mio intero corpo. Se mi avessero gettato della benzina addosso molto probabilmente avrei preso fuoco. 
<< Da zero a dieci >> pronunciò abbassando il capo per sfiorarmi le labbra con le proprie. Dio mio, non ero psicologicamente pronta a quell'imboscata. Necessitavo di tempo per svegliarmi del tutto e... Oh, ma chi volevo prendere in giro? Bramavo quel contatto come una maniaca. 
Sollevai il mento, strinsi le dita attorno ad un lembo della sua canottiera e socchiusi gli occhi ammaliata dalla sua vicinanza. 
Le sue labbra mi accarezzarono la guancia per poi dirottare verso l'orecchio. << Quanto credi che me ne freghi della scuola... >> Il suo bisbiglio rauco alimentò la fiamma che bruciava nel mio ventre. I miei poveri neuroni avevano iniziato a soccombere e ad inibire le mie facoltà intellettive, oltre che decisionali. 
Nel momento in cui una sua mano afferrò l'orlo del mio pigiama per sfiorarmi la pelle su un fianco, rabbrividii assuefatta. 
La sua bocca si calò sul mio collo con delicatezza, senza alcun tipo di urgenza. Pensai che quello fosse uno dei contatti più dolci che avessimo condiviso fino a quando non  dischiuse le labbra e ne saggiò un tratto con famelicità. Nell'immediato, il respiro mi si bloccò in gola ed aumentai la presa sulla sua maglietta. 
I tre quarti dei miei neuroni morirono sul colpo. 
<< Sapendo che potrei levarti questo inutile impedimento... >> Tirò un lembo del mio imbarazzante pigiama e risalì col capo per incastrare i suoi lucidi occhi ai miei. << Anche adesso? >> terminò sollevando un sopracciglio. Bum. Quei poveri esserini nel mio cervello schiattarono tutti in contemporanea. Nella mia testa ora si stendeva incontrastata una valle di deficienza. 
Deglutii senza sapere cosa ribattere, essendo ormai priva di forme d'intelligenza, e mi lasciai trasportare dal mio insaziabile desiderio di lui. Incastrai una mano tra i suoi capelli e lo attirai rapidamente a me fino a far scontrare le nostre labbra.  
La bocca di David rispose con prontezza al mio scatto, quasi come se non stesse aspettando altro da giorni. Il che elettrizzò il mio intero corpo, spronandomi a ricercare un contatto diretto con la sua pelle. 
Con la furia degna di una pervertita calai l'altra mano sul suo petto, scesi fino all'orlo dei boxer e strattonai la sua canottiera mentre i suoi denti mi mordicchiavano un labbro. Mugolai di piacere e catturai la sua bocca con avidità, innescando un nuovo bacio pregno di passione. 
David si abbassò sul mio corpo e permise ai nostri bacini d'incontrarsi mentre con le dita mi stuzzicava la pelle sul fianco. 
In quel momento nulla avrebbe potuto staccarmi da lui. A costo di fingermi malata sarei rimasta nel mio letto, in sua compagnia, per tutto il giorno. Poco m'importava di andare a scuola o di andare al bagno. 
E realmente nulla avrebbe potuto rovinare quell'atmosfera, peccato che non avessi tenuto conto delle altre familiari persone che popolavano la mia casa. 
Appena sentii che la maniglia della mia porta veniva abbassata a vuoto, mi spaventai talmente tanto da scattare come una molla e picchiare la testa contro quella di David. 
<< Sarah? Perché la porta è chiusa? >> domandò la voce di mia mamma. Mentre mi mordevo un labbro per la botta subita, osservai divertita il mio ragazzo che si posava le mani sulla fronte dolorante con una smorfia. Borbottò qualche lamento sottovoce ed infine si accasciò accanto a me con la leggerezza di un mammut. 
<< Sarah, stai bene? >> Oddio, che situazione imbarazzante. Sentivo che se avessi aperto bocca sarei scoppiata a ridere come una celebrolesa, ma non potevo far finta di essere morta e non rispondere a mia mamma. Anche perché, come minimo, avrebbe chiamato mio padre per sfondare la porta. 
Mi schiarii la voce, mi tirai su a sedere ed evitai di guardare David, concentrandomi sul pavimento. << Sì, mamma. Sto bene, tra poco scendo >> asserii con tanto di finto sbadiglio. << Mi sono riaddormentata, per questo non ti ho sentita subito. >> 
<< Va bene >> rispose, senza però muoversi. Nei secondi di silenzio che seguirono sudai freddo. Speravo con tutto il cuore che sorvolasse sul... << Ma perché ti sei chiusa a chiave? >> Preciso. Come avevo potuto pensare che non ci facesse caso? La sfortuna era come sempre dalla mia parte. 
Il mio cervello andò in tilt ed i miei occhi saettarono per la stanza alla ricerca di un'ispirazione. Non ero mai stata brava a mentire, specialmente a mia madre. Nel giro di un minuto riusciva a smascherarmi e a farmi sputare tutta la verità. Fortuna che in quella circostanza non potesse guardarmi in faccia. 
David mi pungolò una gamba mentre il panico mi assaliva di secondo in secondo. Mi voltai a guardarlo disperata e corrugai la fronte di fronte ai gesti che stava compiendo con le mani per comunicarmi qualcosa. 
Spalancai la bocca e mi stampai un'espressione interrogativa in faccia. Non riuscivo a decifrare nulla di ciò che cercava di dirmi. 
Intuendo il mio confuso stato mentale, si alzò dal letto e, continuando a guardarmi con uno sguardo eloquente, iniziò a camminare per la stanza tutto ingobbito e con le mani chiuse a pugno su una spalla. 
<< Ehm, perché... >> Mi morsi un labbro e persistetti ad osservarlo, perciò non mi persi il momento in cui i suoi occhi vennero attratti dal labbro che mi stavo mordendo per l'ansia. << Perché c'era... >> Uno schifo di situazione, ecco cosa c'era. Più il tempo passava e più sentivo gli ingranaggi del cervello di mia mamma mettersi in moto. 
David risollevò lo sguardo sui miei occhi e riprese a muoversi in quella strana posa. Aggrottai ulteriormente la fronte e mi torturai le dita. << C'era una specie di... >> Il mio ragazzo scosse la testa in fretta e mimò un'espressione terrorizzata. << Avevo paura di... >> Annuì con un sorriso divertito e riassunse la posizione precedente mentre la mia agitazione cresceva sempre di più. << Ehm, avevo paura di... >> Nel momento in cui David iniziò anche a saltellare con un passo leggero da un piede all'altro, il mio cervello lo ricondusse così in fretta ad un personaggio che non ebbi il tempo di frenare la lingua. << Di Babbo Natale >> buttai fuori d'un fiato. 
David si fermò di botto ed io sgranai gli occhi rischiando di farmeli uscire dalle orbite. 
Oh mio Dio. Che cosa avevo appena detto? 
Ero spacciata. Se prima la situazione faceva schifo, adesso ero decisamente sprofondata nella cacca. 
David non mi fu affatto di aiuto, perché dopo un primo momento di shock si portò le mani davanti alla bocca per attutire le risate. Avrei voluto fulminarlo con un'occhiata, ma ero troppo turbata per considerarlo. Lui, la mia rovina. 
<< Di Babbo Natale? >> domandò mia madre con un tono incerto e al tempo stesso sospettoso. 
Il cuore mi sobbalzò nel petto. << No no, certo che no. Stavo scherzando >> affermai fingendomi ilare. << Comunque tra poco scendo e ti spiego tutto >> conclusi con una risata forzata. 
<< D'accordo >> acconsentì con mia somma gioia. 
Appena le sentii scendere le scale sospirai di sollievo e mi lasciai cadere distesa sul materasso. Ero già esausta, e ancora mi aspettavano un interrogatorio ed una brillante giornata scolastica. Che programmino entusiasmante. 
Avvertii il mio letto da una piazza e mezzo piegarsi sotto il peso di un babbuino, così spostai gli occhi sui suoi, illuminati di divertimento, per fulminarlo. 
Per nulla intimorito dalla mia occhiata, osò posizionarsi sopra di me ed ingabbiarmi tra le sue braccia. << Ti stavo mimando un ladro, non era tanto difficile da capire >> rincarò la dose sollevando un sopracciglio. 
<< Sfotti pure? >> Arricciai le labbra e gli puntai un dito sul petto. << Non è colpa mia se la tua imitazione era identica a quella di Babbo Natale. Anzi, ci assomigliava decisamente di più. >>
Sul suo volto si pennellò un sorrisetto sghembo che gli illuminò le iridi ambrate. << Quindi non me lo dai un bacio? >> Oh Signore. Voleva uccidermi? Ci stava andando molto vicino. 
Il cuore iniziò a martellarmi nel petto e la mia volontà di tenergli testa divenne quasi nulla. Dissimulai il mio stato emotivo incrociando le braccia ed assottigliando lo sguardo. << Per cosa dovrei dartelo, di grazia? >> L'acidità si rivelava un'arma sempre utile. 
<< Per averti aiutato, ovvio >> ribatté in fretta, scrollando le spalle. 
Mi trattenni a stento dallo scoppiare a ridergli in faccia. << Che divertente. >> Alzai gli occhi al cielo ed infine ripiombai su di lui. << Tu non mi hai aiutata. Mi hai depistata. >>
<< Sei tu quella che ha interpretato male >> affermò mostrando tutta la sua fila di denti bianchi. << Fino a prova contraria io ti ho aiutata. >> La sua espressione mutò in una di sfacciata vittoria. 
Be', forse, ma solo forse, aveva un pizzico di ragione. Ma non glielo avrei mai e poi mai confessato altrimenti si sarebbe montato la testa. 
Distesi i muscoli con un sospiro e feci scivolare le mani tra i suoi capelli sulla nuca. << Te lo darò solo perché sono buona >> dichiarai con un sorriso, avvicinandolo a me. 
David inclinò il capo e si abbassò in fretta sulla mia bocca, limitandosi a sfiorarla con la sua. << E anche perché muori dalla voglia di baciarmi >> aggiunse con un ghigno malizioso. 
Gli tirai uno scappellotto delicato e socchiusi gli occhi. << Pallone gonfiato. >> 
Sorrise e sfregò la punta del naso contro la mia. << Testarda. >> 
Si piegò ancora su di me e dopo altri istanti di temporeggiamento, finalmente le nostre labbra si unirono. Fu un bacio pacato e delicato, uno scambio di dolcezza e tenerezza. 
Le nostre bocche si muovevano con flemma ed i nostri movimenti rispettavano quella stessa calma, senza mai pretendere di più. 
Quando David si distanziò di poco dal mio viso, mi sembrò di essermi appena svegliata da un bel sogno. Sollevai le palpebre in stile "Bella Addormentata" e puntai gli occhi in quelli accesi del mio ragazzo. E come ogni volta, per un suo solo sguardo, il mio cuore accelerò la corsa. 
Strinsi le braccia intorno al suo collo ed intrecciai le gambe alle sue per impedirgli di andarsene. Avrei voluto rimanere lì con lui tutto il giorno, peccato che mia mamma mi stesse aspettando in cucina con chissà quanti punti interrogativi nella testa. 
<< Oggi non ci sarò a scuola >> esordì David, facendomi tornare rapidamente coi piedi per terra. << Ho gli allenamenti di football allo stadio per tutta la giornata >> spiegò con una smorfia. 
Arricciai il labbro inferiore e mi stampai un'espressione da bambina delusa. << Quindi non ci vedremo >> constatai. 
Scosse il capo e sospirò seccato. << Il coach ci vuole far recuperare la forma fisica per la partita di venerdì prossimo. >> 
Avrei voluto consigliare a quel panzone che li allenava come fossero macchine da guerra di mettersi gli occhiali. Il mio David in quanto a forma fisica stava più che bene, aveva un fisico da far invidia ad un modello. Era evidente che il panzone ne fosse geloso. Come dargli torto dopotutto. 
<< Verrai alla partita del 23? >> 
Mi risvegliai frettolosamente dai miei pensieri ed annuii vigorosamente, facendomi quasi uscire gli occhi dalle orbite. << Certo che verrò >> affermai aprendomi in un sorriso. << Voglio vederti giocare, quarterback. >> 
In un nano secondo la sua espressione mutò in una di sfacciata sicurezza. << Non mi vedrai solo giocare >> dichiarò con un sorrisetto impertinente. << Mi vedrai vincere. >>
<< Non mi aspettavo una risposta diversa >> confessai scherzosa. Abbassai gli occhi sul suo petto, scendendo poi con una mano per fargli delle carezze, e m'inumidii le labbra. << Cerca di non farti male però, ok? >> domandai con un tono più serio, risalendo con lo sguardo fino alle sue pozze di terra fusa. 
Mi fissò in silenzio per dei secondi, leggendo nelle miei iridi tutta la mia apprensione. Non andavo quasi mai a vedere le partite di football, anche perché mi sembravano più degli scontri di lotta greco romana che degli incontri sportivi. Le uniche volte che ero andata allo stadio avevo visto più barelle e medici in campo che giocatori. Mi metteva i brividi pensare che anche David potesse essere massacrato da un branco di energumeni con pedigree di cinghiali. 
A ridestarmi da quelle spiacevoli riflessioni furono le morbide labbra di David, intente ad accarezzarmi una tempia. << Promesso >> mi rassicurò depositando un piccolo bacio. << Anche perché se no come le faccio le cose sconce con te? >> aggiunse, ridendo sulla mia guancia nel momento in cui gli tirai uno schiaffetto sul petto. 
<< Scemo >> lo appuntai facendomi scappare un sorriso divertito. Non si sarebbe mai smentito. Ma dopotutto non volevo nemmeno che lo facesse. Amavo anche quella sua sfaccettatura che, nonostante a volte mi mettesse in imbarazzo, era capace di provocarmi una piacevole morsa allo stomaco. 
David continuò a sghignazzare persino mentre si alzava dal letto e si rivestiva. Alternava un'espressione seria ad uno scatto di ridarella, trascinandomi con sé nella risata. 
In attesa di salutarlo lanciai uno sguardo allo specchio per controllare le mie condizioni. 
Disperate. Quella era l'unica parola che potesse riassumerle in modo preciso. Avevo i capelli di una strega, sparati in tutte le direzioni come per effetto di una scossa elettrica, un pigiama che... be', dire orribile sarebbe stato un complimento generoso, e l'impronta del cuscino su un lato della faccia. 
Mi sistemai in fretta e furia i capelli, bloccando le loro manie di egocentrismo con una crocchia, e mi lisciai il pigiama come se servisse ad eliminare la stampa ridicola. 
Mentre continuavo ad osservarmi insoddisfatta, David comparve dietro di me. I miei occhi saettarono nei suoi riflessi nello specchio. Come facevano ad essere tanto belli anche da lì? 
<< Che fai? >> domandò piegando la testa per baciarmi sul collo. Il mio cuore perse numerosi battiti in attesa che il mio provato cervello registrasse il suo gesto inaspettato. 
Mi schiarii la gola e ruotai il corpo per avvolgergli il collo con le braccia. << Niente >> dissi con un sorriso. Di certo non avrei perso quel briciolo di dignità che mi era rimasto per confessargli che stavo cercando di darmi una sistemata al fine di non apparire uno yeti. Le sue mani si posarono sui miei fianchi ed i suoi occhi si illuminarono di divertimento, come se avesse intuito ogni mio singolo pensiero. 
<< Sei pronto? >> chiesi con un breve sospiro. Mi sarei dovuta munire di una corda per legarlo in camera mia ogni qual volta avesse dovuto andarsene. 
Annuì distrattamente e si avvicinò per posare le labbra sulla mia fronte. << Ci vediamo domani >> sussurrò prima di depositare un bacio a stampo anche sulla mia bocca. 
<< Ok. >> Sciolsi l'abbraccio mesta e lo seguii alla finestra, monitorando col cuore in gola ogni movimento suo e dell'albero. 
Quando saltò giù dal tronco e mise i piedi sull'erba liberai un sospiro di sollievo. 
Per i minuti successivi, nonostante gelassi dal freddo, non mi allontanai dalla mia posizione per accompagnarlo con lo sguardo lungo il viale. 
Solo quando mi fu impossibile continuare nella mia impresa, richiusi la finestra e mi precipitai ad aprire la porta. 
<< Sarah è pronta la colazione >> mi avvisò mia mamma dalle scale.
Uscii nel corridoio e scesi di gran carriera, sentendo il mio stomaco risvegliarsi e ruggire. << Eccomi >> esordii presentandomi in cucina. 
Mia mamma mi sorrise ed indicò col mestolo un piatto con tre pancakes giganti. << Li devi mangiare tutti. Non voglio vedere avanzi >> ordinò compiaciuta. 
Storsi la bocca in una smorfia e mi sedetti a tavola. Va bene che, stranamente, quella mattina avevo fame, ma quei tre frisbee erano troppi persino per il mio affamato stomaco.
Prima che mi portassi il primo boccone alla bocca alzai lo sguardo sulla schiena di mia mamma. << Ma Cam dov'è? A letto? >> Era strano che non fosse già lì a fare colazione con me. Molto strano. Non andava al college, ma ogni santa mattina, eccetto il fine settimana, si alzava alle 6 per andare a correre. 
Il fatto che in quel momento non mi stesse facendo compagnia mi metteva non poca ansia, considerate le mie supposizioni della sera precedente. 
<< No >> pronunciò mia mamma mentre asciugava un bicchiere col panno. << Ieri ha detto che dopo la festa si sarebbe fermato a dormire da un amico. >>
La forchetta mi scivolò di mano e picchiò contro il piatto, espandendo un rumore assordante. La ripresi frettolosamente ed i miei occhi saettarono tra i pancakes. 
Non sapevo il motivo preciso, ma improvvisamente mi si era chiuso lo stomaco. 














Angolo autrice:

Scusate il ritardo >\\< 
E scusate anche se questo capitolo è più corto degli altri, ma avendo avuto poco tempo per scrivere ho dovuto risolvere così >\\<
Il prossimo sarà molto più lungo, anche perché ho dei piani mentali da rispettare ;) 
Perciò preparatevi muahahah.
Sempre riguardo al prossimo capitolo non so se arriverà questa domenica o il lunedì, ma vedrò di farcela per domenica \(^.^)/ 
Vi mando un bacione gigante e a prestooooooo! <3
GRAZIE DI TUTTO!!  <3


Federica~







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Capitolo 7
*** Litigi, nuovi ricordi e desideri ***


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Litigi, nuovi ricordi e desideri 







Era ormai sabato. Ed ancora non ero riuscita a scoprire dove Cam se ne fosse andato martedì notte. 
Quando il mercoledì pomeriggio era venuto a prendermi fuori da scuola, non gli avevo chiesto nulla. La mia tattica per ottenere informazioni era improntata sull'osservazione. 
Registravo ogni suo guizzo o movimento apparentemente rilassato e normale, ma più di una volta mentre eravamo a cena lo avevo beccato immerso nei suoi pensieri. E fin lì non ci sarebbe stato nulla di strano, peccato che ogni volta lo sorprendessi in quello stato di isolamento la sua posa era rigida ed il suo sguardo sembrava sprizzare fiamme.  
Ormai era palese che qualcosa non andasse. Conoscevo mio fratello quanto le mie tasche e percepivo a pelle quando mi teneva all'oscuro di una questione. 
Anche mia mamma si era resa conto di quei brevi attimi di distacco mentale di Cam. Più volte gli aveva chiesto che cosa lo turbasse, ma quel procione si era sempre giustificato dicendo di essere stressato per le importanti partite di basket che avrebbe disputato a breve. 
In tre giorni aveva sparato più scemenze di quanto ne avesse dette in tutti i suoi vent'anni. Su quel fronte mi aveva davvero sorpresa: era un racconta-balle eccellente. 
Ma la prova effettiva che dopo quel martedì notte qualcosa lo avesse cambiato, rendendolo più irascibile e teso, l'avevo ottenuto il venerdì sera durante la sua partita di basket. 
Per metà match non aveva segnato neanche un canestro, non si era sforzato di dribblare i suoi avversari e non aveva quasi mai passato la palla ai suoi compagni. Ad ogni insulto che gli era stato scagliato contro dagli spalti, mio padre si era alzato in piedi rosso di rabbia ed aveva sbraitato a destra e a manca per zittire le malelingue. Al termine di ciò si rimetteva a sedere e si scolava mezza bottiglietta d'acqua per prepararsi alla prossima sgridata. Io avevo assistito all'intera scena con i nervi a fior di pelle. 
Avrei tanto voluto alzarmi, scendere in campo e prendere Cam a sberle. E lo avrei desiderato fare per dei semplici motivi: primo fra tutti perché rischiava di far scoppiare un embolo a mio padre, in secondo luogo perché dava motivo alle persone di insultarlo ed in terza istanza perché giocava come non aveva mai fatto. Da schifo. 
Avevo profondamente odiato vederlo comportarsi in quel modo. 
Il colpo di grazia, però, ce lo aveva dato alla fine quando, in seguito ad un canestro della squadra avversaria, si era tolto la maglietta sudata, l'aveva gettata per terra ed era uscito dal campo aprendo la porta che portava allo spogliatoio con un calcio. 
Sia io che mia madre e mio padre eravamo rimasti attoniti di fronte al suo atteggiamento. Inutile descrivere i fischi che erano piombati addosso a Cam dopo quell'uscita in grande stile. 
Durante il tragitto verso casa mio padre non aveva fatto altro che giustificarlo ed incoraggiarlo con parole ricche di fiducia. Quello stupido procione in risposta aveva scelto il silenzio. Se n'era stato a guardare fuori dal finestrino e non aveva minimamente dato corda al mio papà, tant'è che quest'ultimo, presa coscienza del suo temporaneo mutismo, si era zittito con un sospiro deluso.
Se in quel momento mi ero trattenuta dal prendere Cam per la collottola e riempirlo di schiaffi, adesso possedevo un autocontrollo inespugnabile. 
In realtà stavo solo incamerando per esplodere quando sarebbe stato più opportuno. Mi sentivo una supernova estremamente pericolosa. 
Quel sabato mattina, ad esempio, ero parecchio nervosa ed agitata. 
Non avevo quasi chiuso occhio per tutta la notte e, come ogni volta, gli incubi si erano ripresentati. Solo la notte trascorsa con David avevo dormito in completa tranquillità, addirittura senza mai svegliarmi. E non era successo soltanto perché amavo percepire il calore del suo corpo a contatto col mio o perché desideravo essere racchiusa tra le sue braccia. No. Era accaduto perché David per me incarnava la sicurezza. Perché nei momenti più brutti della mia vita era stato lui a proteggermi. Perché quando avvertivo la sua presenza vicina mi sentivo al sicuro come con nessun altro. Ed allora gli incubi sparivano, i ricordi strazianti si nascondevano in un angolo buio della mente e le paure si dissolvevano come un pugno di cenere spazzato via dal vento. 
Quello era uno dei tanti effetti travolgenti che David aveva su di me. 
<< Perché sorridi? >> Di scatto alzai la testa dal computer e mi girai a guardare mio fratello sulla soglia della porta. Mi osservava con uno sguardo furbo, uno di quelli che sfoderava quando aveva intenzione di prendermi in giro. 
Scrollai le spalle e tornai a concentrarmi sulla ricerca che stavo effettuando. << Così. >> Concisa ed incolore. Lui voleva tenermi all'oscuro di tutto? Bene, lo avrei ripagato con la stessa moneta. 
Digitai sulla tastiera altre parole riguardanti l'ereditarietà genetica e cliccai invio con un colpo secco. Comparvero una marea di risultati che per poco non mi fecero cadere le braccia a terra. Già leggendo i titoli non capivo niente. Come avrei potuto portare quella ricerca a compimento? Era scientificamente impossibile. 
Malgrado i miei tragici pensieri e l'impulso di strapparmi i capelli per la disperazione, mantenni una posa rilassata ed uno sguardo neutro rivolto allo schermo. Esternamente ero il ritratto della serenità. 
Cam varcò il mio territorio e si piazzò davanti al mio letto. Nonostante ciò non lo considerai di striscio, ero troppo falsamente concentrata sul mio compito per degnarlo di attenzioni. 
<< Hai detto al tuo ragazzo il piano per questo pomeriggio? >> domandò con un tono pretenzioso. Mi irritava da matti quando impostava quella sfumatura nella voce. Sembrava quasi che fosse lui ad essere seccato di uscire con noi, non il contrario. 
Alzai gli occhi su di lui innervosita. << Non vedo cos'avrei dovuto dirgli visto che tu non verrai con noi >> ribattei alzando un sopracciglio a mo' di sfida. 
<< Ah no? >> mi canzonò incrociando le braccia sul petto. << E questo quando lo avresti deciso? >> 
Strinsi le labbra e feci spallucce. << Be', quando hai iniziato a mentirmi. E non solo a me, vero Cam? >> 
Per un attimo mi resi conto di averlo colpito nel segno, perché sgranò impercettibilmente gli occhi e sbatté rapidamente le palpebre. Si riprese l'istante dopo, corrugando la fronte e scuotendo il capo in un finto stato confusionale. << Ma che cavolo dici? Hai le paranoie. >>
<< Certo. E della festa di martedì cosa mi dici? >> Il mio tono indagatore stava diventando man mano più tagliente. Non avevo previsto di attaccarlo in quel modo, almeno non prima di aver raccolto più informazioni, ma ero giunta al limite della sopportazione. << Che strano. Non avevo mai sentito parlare di feste il martedì notte, o meglio, il mercoledì mattina >> precisai inclinando il capo. 
<< Aggiornati allora >> rispose secco. Assottigliò lo sguardo e s'indicò con un dito. << Non devo di certo rendere conto a te di dove vado con i miei amici. I genitori li ho già, tu rimani al tuo posto. >> 
Quell'ultima frase mi fece scatenare in tutta la mia furia. Ero stata fin troppo buona a trattenermi. Quel cretino non si meritava un briciolo della mia educazione. 
Seduta com'ero sul letto, mi tirai su in ginocchio e gli scagliai contro un'occhiata fiammeggiante. << Ma come ti permetti di dirmi una cosa simile?! >> sbraitai muovendo le mani come una pazza. << Rimani al tuo posto? Ma per chi mi hai presa, per un'estranea? Io intervengo tutte le volte che voglio e se mi va ti faccio passare le pene dell'inferno, mio caro. >> Ridussi gli occhi a due fessure e gli puntai un dito contro. << So benissimo che non sei andato a quella stupita festa immaginaria. Guarda caso quella che se ne deve restare al proprio posto ti conosce tanto bene da sapere che sono giorni che racconti balle. >> 
<< Abbassa la cresta, Sarah >> m'intimò con un tono freddo e deciso. Le sue iridi celesti si fecero talmente severe da apparire irriconoscibili. Per un attimo mi sembrò di avere davanti uno sconosciuto e non più il mio fratellone pestifero. Quella spiacevole sensazione mi colpì alla sprovvista, incrementando la mia disperazione. Mi sembrava di essermi appena scontrata contro uno spesso vetro invisibile; il dolore e la brutta sorpresa erano da mozzare il fiato.
Mi passai le mani tra i capelli ed inumidii frettolosamente le labbra. << Cam dimmelo. Sei cambiato; in questi giorni non sei te stesso. Cosa c'è? >> tentai ancora, fissandolo supplichevole. << Possiamo parlarne e magari trovare una soluzione >> suggerii mentre mi torturavo le dita ansiosamente. 
<< Non c'è niente di cui parlare >> tagliò corto arretrando di un passo. << Lasciami in pace e basta. >> Il suo sguardo si spostò sulla finestra e le sue mani si chiusero a pugno. 
<< In pace un corno! >> strillai nuovamente su tutte le furie. Come poteva chiedermi una cosa simile dopo tutti i suoi atteggiamenti da psicopatico? A costo di incatenarlo alla mia poltrona e torturarlo con l'olio bollente gli avrei fatto sputare la scomoda verità che si ostinava a proteggere. 
<< Racconti bugie, esci di notte senza dire dove vai nemmeno a mamma e papà e alla partita di ieri, oltre ad aver fatto schifo, ti sei comportato in modo vergognoso! Papà per poco non faceva a pugni con la gente che ti fischiava! Non te ne frega nulla di questo? >> sbraitai sbattendo i palmi contro le gambe. << Papà e mamma contano su di te. >> 
Gli occhi di Cam si abbatterono su di me con la durezza di un macigno di piombo. Le sue iridi si accesero di rabbia ed i tratti del suo volto si contrassero. << Che cosa diavolo c'entra la partita di ieri?! >> gridò fumante d'ira. << È andata com'è andata. Non devo giustificarmi di niente con nessuno; sai com'è, siamo una squadra, la responsabilità non grava solo sulle mie spalle. I fischi della gente sai dove me li metto? Che vadano all'inferno tutti quanti >> concluse con una smorfia della bocca ed un gesto eloquente del braccio. 
<< E di mamma e papà non te ne frega nulla? >> insistetti caparbia. 
La sua posa divenne rigida e tesa. << Non metterli in mezzo solo per farmi sentire in colpa. Non ho niente di cui rimproverarmi. >> 
Mi scappò un risolino isterico ed annuii con amara ironia. << Bel modo di pensare il tuo. Davvero esemplare. >> Scossi il capo e sospirai stremata da tutta quella discussione. << Lascia che ti aiuti, Cam. Parliamone. >>
Passarono dei secondi di assoluto silenzio. Gli occhi freddi di mio fratello trafiggevano i miei come lance di piombo. Mi osservavano senza espressività e calore fraterno, ma lo conoscevo tanto bene da sapere che in quel momento il suo cervello stava prendendo in considerazione la mia proposta. 
Rimasi immobile a guardarlo supplichevole in attesa che si liberasse con me del fardello che si stava portando addosso. 
<< Non ho bisogno del tuo aiuto >> pronunciò glaciale. << Restane fuori. >> 
Non ebbi il tempo né la forza di trovare delle parole per trattenerlo. La mia speranza si sgretolò come un frammento di roccia erosa. 
Il mio sguardo sconfitto precipitò sul pavimento mentre i suoi passi si facevano man mano più lontani. Non sapevo più che fare e dove sbattere la testa. 
Era ormai palese che stesse nascondendo qualcosa dal momento che lo aveva implicitamente ammesso. Ma cosa? Dannazione, perché non voleva dirlo? 
Se mettevo insieme i dettagli che avevo raccolto non ne usciva nulla di buono. La festa immaginaria, i suoi nuovi amici, i successivi momenti di estraniamento, il suo comportamento nevrotico e quasi violento non facevano presagire risvolti positivi. 
Se non voleva confessare una briciola di quel che stava combinando significava che non avremmo visto di buon occhio il giro che stava frequentando o che non voleva gli si vietasse di fare quello che stava già compiendo. In entrambi i casi era facile intuire che qualsiasi cosa stesse commettendo non fosse buona. 
Reclinai la testa e mi soffermai a fissare il soffitto. 
Non sapevo che strada avrei dovuto percorrere per farlo parlare, ma di una cosa ero più che certa: non mi sarei arresa. Rivolevo il mio fratellone dispettoso e divertente, quello che mi prendeva in giro, ma che era sempre al mio fianco, quello incapace di esternare il proprio affetto a parole, ma capace di dimostrarlo coi piccoli fatti. 
Anzi, ero sicura di due cose: non mi sarei arresa ed avrei varcato mari e monti pur di riprendermi il vero Cam. Era mio fratello, non lo avrei mai abbandonato. 





                                                                       *  *  *





Venerdì, mentre eravamo a scuola, io e David ci eravamo dati appuntamento per quel sabato pomeriggio davanti alla scuola. Mi sentivo una completa demente a non avergli ancora chiesto il numero di telefono, e lui era più demente di me a non aver fatto il primo passo. Insomma, era lui l'uomo. Lui doveva richiedere il mio numero, non io. 
Il mio ragionamento non faceva una piega. 
Controllai l'ora sul mio orologio al polso ed accelerai istantaneamente il passo. In realtà non ero in ritardo, ma da rispettabile maniaca della puntualità quale ero non volevo rischiare di sforare di un solo secondo. 
Mentre percorrevo rapidamente il marciapiede, le mie riflessioni saettarono a Cam. Dopo il nostro scontro era uscito di casa e non aveva fatto ritorno neanche per pranzo, lasciandomi sola come un cane dal momento che i miei genitori erano entrambi a lavoro in ospedale. Ero sicura che quello stupido non si sarebbe fatto vedere fino a tarda serata. Anzi, molto probabilmente sarebbe rientrato per l'orario di cena.
Mi chiedevo cosa stesse facendo in quel momento e con chi fosse. Forse avrei dovuto parlare di tutta quella situazione con i miei genitori, ma c'era qualcosa che mi bloccava. Temevo che se avessi confessato loro le mie preoccupazioni ed entrambi si fossero attivati premendo Cam a parlare, lui si sarebbe rivoltato in modo drastico, magari decidendo di andarsene di casa. Non sarei mai stata in grado di perdonarmelo, ma soprattutto non sarei mai stata capace di sopportare lo sguardo accusatorio che Cam avrebbe potuto rivolgermi. Perciò mi sarei tenuta tutto per me fino alla fine. Perché una fine ci sarebbe stata, no? 
Mi morsi un labbro ansiosa ed infine sbuffai rumorosamente, attirandomi gli occhi di alcuni passanti addosso. 
Certo che quella stupida questione sarebbe terminata. Non era il momento più adatto per farsi prendere dal pessimismo e dallo sconforto. 
Cercai di liberare la mente da quei pensieri e raggiunsi il giardino della scuola. Arrestai il passo e mi guardai attorno alla ricerca di David. 
Del babbuino non c'era ancora traccia, mai che fosse puntuale. 
Mi strinsi nel pesante cappotto ed espirai dalla bocca, formando una nuvoletta di aria condensata. Eravamo al 17 Dicembre e, come un buon inverno che si rispetti, faceva decisamente freddo. 
Le case iniziavano a decorarsi con ghirlande di lucine ed alcuni Babbi Natale svettavano allegramente dai tetti delle villette. Avevo sempre amato l'atmosfera natalizia. Mi trasmetteva calore, serenità ed un pacifico senso familiare. Forse perché il Natale lo avevo sempre trascorso con la mia famiglia. Ricordavo con una piacevole sensazione di affetto la sera della vigilia di qualche anno prima. Dopo cena ci eravamo tutti seduti sul divano a guardare un film natalizio, precisamente "mamma ho perso l'aereo"; le uniche luci che rischiaravano il salotto erano quelle del nostro albero vicino al televisore. Io mi ero infagottata in una morbida copertina rosa con una tazza di latte caldo tra le mani ed alternavo sorsate a risate. Quella era stata in assoluto la mia vigilia preferita, sebbene non avessimo fatto niente di particolarmente memorabile. 
Sorrisi al ricordo e puntai lo sguardo per terra, dondolandomi sui piedi per riscaldarmi. 
Nel mentre, qualcosa di molto piccolo catturò la mia attenzione facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa. Alzai la testa di scatto ed osservai il cielo. 
Stava cominciando a nevicare. Se non fossi stata in pubblico avrei certamente urlato dalla felicità. Io amavo la neve. Non esisteva niente di più bello e rilassante che vederla scendere col suo danzare elegante mentre ricopriva tutto col suo manto vellutato. 
Aprii il palmo di una mano e lasciai che dei fiocchi ci si posassero sopra. 
<< Ehi. >> Quella semplice parolina fece sobbalzare il mio cuore per l'emozione. I miei occhi incontrarono immediatamente quelli ilari di David. Indossava un cappellino di lana che gli lasciava scoperti alcuni ciuffi castani ed un pesante giubbotto verde militare aperto fino a metà petto. Quel non trascurabile dettaglio mi fece arricciare il naso e muovere dei rapidi passi verso di lui. 
<< Ti prenderai un malanno se non lo chiudi tutto >> affermai risoluta, tirandogli su la cerniera fino alla gola. << Così va meglio. >> Gli diedi qualche pacca scherzosa sul petto ed alzai lo sguardo sul suo divertito. 
<< Grazie, mammina >> mi canzonò abbassandosi su di me. Catturò le mie labbra in un bacio delicato e caldo. Perché la sua bocca era letteralmente calda, al contrario della mia, il che rese quel contatto ancora più piacevole. 
Ci distanziammo poco dopo, quando il freddo stava rischiando di trasformarci in statue di ghiaccio. 
<< Hai i capelli pieni di fiocchi di neve >> mi fece notare con un sorriso. 
Spalancai gli occhi e mi diedi dei colpi sulla testa per spiaccicarli. << Se ne sono andati? >> 
<< Be', coi tuoi metodi delicati li hai decisamente annientati >> rispose ridacchiando. L'attimo dopo si tolse il capello e me lo porse mentre si passava una mano tra i capelli. << Mettiti questo, altrimenti sarai tu ad ammalarti, mammina. >> 
Il mio cuore palpitò furioso per il suo gesto inaspettato. << E tu? >> domandai prendendolo e stringendolo tra le mani. 
Scrollò le spalle e si stampò un mezzo sorriso sbruffone. << Io non mi ammalo mai. Saranno cinque anni che non prendo nemmeno un raffreddore. >> 
<< Preciso, l'hai detto. Ora ti verrà una broncopolmonite >> asserii secca. 
<< Non mi verrà un bel nulla >> ribatté alzando gli occhi al cielo, divertito. << Mettitelo e basta. >> 
Sorrisi intenerita e mi calai il capellino sulla testa. << Grazie, figlioletto sconsiderato. >> Quando i miei occhi si riposarono sui suoi, notai che mi stava osservando con un piccolo sorriso pennellato sulle labbra. 
<< Che c'è? >> domandai illuminandomi di curiosità. 
Scosse il capo con quel sorriso enigmatico e mi diede le spalle iniziando a camminare. Rimasi per qualche secondo a fissare la sua schiena con un piacevole calore in tutto il corpo. Quello sarebbe stato il mio primo Natale con David, ero a dir poco entusiasmata all'idea di trascorrere dei momenti memorabili con lui. 
Sentii le guance colorarsi mentre un risolino elettrizzato mi fuoriusciva dalle labbra. Con una piccola corsetta raggiunsi il mio ragazzo e mi posizionai al suo fianco; ruotai il capo e fissai il suo volto con un sorriso da orecchio a orecchio. << Dai, mi dici cosa stavi pensando? >> 
La sua bocca si distese mostrando una fila di denti bianchi. << No >> dichiarò guardando dritto davanti a sé. 
<< Ma dai >> mi lamentai arricciando il naso completamente ghiacciato. << Io ti dico sempre tutto. >>
Si voltò a guardarmi con un sorriso compiaciuto. << Fai bene, nanetta. >> 
Prima che lo scuotessi per le spalle per fargli confessare cos'avesse pensato, la sua fronte si corrugò ed i suoi occhi si mossero circospetti alle nostre spalle. << Ma tuo fratello dov'è? Nascosto su qualche tetto con un fucile ed un binocolo? >> domandò sollevando un sopracciglio. 
Al pensiero di Cam, la mia bocca si storse istantaneamente in una smorfia. Abbassai lo sguardo sul marciapiede ed espirai pesantemente. << Abbiamo litigato. >>
Sentii gli occhi di David atterrare subito su di me. << Perché? >> domandò con un tono delicato. 
Sospirai e risollevai il capo per osservare la strada, le lucine dei negozi e le persone che passeggiavano. << È cambiato. Da qualche giorno non è più lo stesso, è sempre nervoso o distratto. Tutto è cominciato martedì notte, quando è uscito con alcuni tizi che non avevo mai visto prima. Nei giorni successivi si comportava in modo diverso, anche mia mamma se n'era accorta. Poi ieri sera, durante la sua partita di basket, era... >> Corrugai la fronte alla ricerca della parola giusta. << Irriconoscibile. Lui ha sempre amato giocare, invece ieri sembrava che non gliene importasse nulla. Ad un certo punto è pure uscito dal campo incavolato nero. >>
David rimase in silenzio per dei secondi. Sapevo che stava riflettendo sulle mie parole per cercare di dare un senso a tutta quella storia. 
<< Sai dov'è andato quella notte? >> 
Scossi la testa e spostai gli occhi sui suoi. << È proprio per questo che stamattina abbiamo litigato. Volevo che si aprisse con me e mi spiegasse che cosa gli sta succedendo, ma nulla >> buttai fuori con uno sbuffo. Il mio sguardo atterrò sulla strada. << Quell'idiota mi ha detto di restarne fuori. >> 
Se ripensavo a quelle parole mi saliva il sangue al cervello. 
Udii David sgranchire la schiena, così focalizzai la mia attenzione su di lui. Il suo sguardo era concentrato e calcolatore, ed ancora una volta mi accorsi della luce più adulta presente nei suoi occhi. << A giudicare dalla sua reazione immagino che forzarlo a parlare non sia la strada giusta per scoprire qualcosa >> pronunciò inclinando il capo per guardarmi. << Io opterei per lo spionaggio. >> 
Valutai il suo suggerimento ed annuii assottigliando lo sguardo. Era geniale. Non a caso era il mio ragazzo. 
<< Come dovrei agire secondo te? >> Mi portai una mano sotto al mento per riflettere. << Dovrei seguirlo la prossima volta che esce di casa con quei ragazzi? O forse dovrei ispezionare la sua camera? >> 
Sul suo volto si disegnò un sorriso sghembo capace di far battere rapido il mio cuore. << E tu credi che ti lascerei inseguire tuo fratello ed i suoi amici in piena notte? >> domandò retorico mentre un suo sopracciglio schizzava verso l'alto. << Te lo puoi scordare >> dichiarò secco e categorico. 
Sbuffai e riposai lo sguardo sulla strada. << Come faccio allora a spiarlo? Non poss... >>
<< Verrò con te >> m'interruppe deciso. 
Mi girai di scatto a fissarlo con gli occhi sgranati dalla sorpresa. << Davvero? Mi aiuterai in quest'impresa di spionaggio? >> L'idea mi stava entusiasmando all'inverosimile. Non solo avremmo potuto trascorrere altro tempo insieme, ma in più avremmo agito come una squadra. 
Scrollò le spalle e calò le mani nelle tasche dei pantaloni. << Basta che non mi fai frugare nei cassetti della biancheria di tuo fratello. >> 
Le mie labbra si distesero in un sorriso raggiante. La mia immaginazione si stava già mettendo in moto mostrandomi immagini di me e David vestiti in abiti neri aderenti mentre ci muovevamo come ninja da una parte all'altra, sempre in contatto con ricevitori nelle orecchie. << D'accordo. Qua la mano, socio >> esclamai su di giri, porgendogli la mia. 
David sorrise divertito e mi restituì la stretta. << Comportati bene, socia. >> 
Feci spallucce. << Sì, come sempre >> affermai con un tono altezzoso, per poi lasciarmi andare ad una risata insieme a lui. 
<< Posso fare una proposta su dove andare adesso? >> domandai appena dopo, animata da un'idea che mi era appena frullata per la testa. 
David mi rivolse un cenno del capo con un sorrisetto sghembo. << Spara. >> 
I miei occhi s'illuminarono di entusiasmo. << A pattinare sul ghiaccio. >> Alla vista di una sua smorfia, congiunsi le mani a mo' di preghiera e lo fissai supplichevole. << Dai, ti prego, ti prego, ti prego. >> 
<< Non ho intenzione di andare in un posto affollato da coppiette sdolcinate >> borbottò con un'altra smorfia schifata. << Il solo pensiero di vedere tutti quei salami mi stomaca. >> 
Gli circondai un braccio con le mani, arrestando il suo passo, ed attirai i suoi occhi su di me. << Ma infatti tu dovrai guardare solo me >> sussurrai con un tono che speravo suonasse suadente. 
Con immenso piacere notai il colore delle sue iridi farsi più scuro e liquido. 
Il successivo istante un sorrisetto impertinente fece capolino sul suo viso, velocizzando il mio battito cardiaco. Le sue mani raggiunsero i mie fianchi e mi attirarono contro il suo corpo per poi stringersi sulla mia schiena. << Dopo però faremo a modo mio >> mormorò al mio orecchio mentre dei brividi di eccitazione mi attraversavano la spina dorsale. 
<< Ci sto >> pronunciai con un filo di voce. In realtà in quel momento avrei potuto concedergli tutto quello che voleva. La sua vicinanza riusciva ad inibire le mie facoltà mentali come ogni benedettissima volta. 
<< Allora possiamo andare >> acconsentì distanziandosi da me per rivolgermi un'espressione soddisfatta. La luce presente nei suoi occhi era felice, elettrizzata e carica d'impazienza. Senza neanche rendermene conto gli sorrisi ed annuii con vigore. 





                                                                        *  *  *





<< Ma tu sai pattinare, vero? >> mi chiese David prima che mettessimo piede sulla pista con i nostri pattini. 
<< Certo che no >> risposi aggrappandomi alla ringhiera. << Oddio come si scivola >> borbottai spaventata. Mossi dei piccoli passi, sempre avvinghiata al manico saldo della recinzione, e mi voltai ad osservare il mio ragazzo che mi stava già fissando basito. 
<< Come non sai pattinare? >> ripeté sconvolto. << E allora che siamo venuti a fare? A pigliare culate e basta? >> 
Scoppiai a ridere di gusto. << In realtà non ho mai pattinato >> confessai, aumentando il volume delle mia risa. Mi piegai sulla ringhiera mentre delle lacrime di divertimento mi scivolavano lungo il viso. 
Le asciugai in fretta e mi focalizzai su David che ancora doveva entrare nella pista. Come un coniglietto spaurito tastò il ghiaccio con dei colpetti del pattino. << Cristo, com'è scivoloso >> bofonchiò accigliato. << Ma chi cavolo me l'ha fatto fare di venire qua? >> 
<< Io >> risposi esplodendo in una nuova risata. 
<< Ecco >> borbottò risentito. Varcò la soglia della pista e traballò pericolosamente sulle ginocchia, rischiando di cadere fin da subito. Agguantò di scatto la staccionata e si rimpossessò dell'equilibrio. << Ricordami di non darti più retta >> affermò con un sospiro stressato. Ruotò il capo per guardarmi corrucciato e sollevò entrambe le sopracciglia. << Mai più. >>
Ridacchiai ancora, divertita dalla situazione comica. << Certo, certo. >> Mi sollevai sulle punte dei pattini e mi sporsi per baciarlo sulla guancia. << Ora dobbiamo staccarci da qua e provare a raggiungere il centro della pista >> gli feci presente con un sorriso ilare. 
Mi fissò come se avessi appena detto la cosa più stupida del mondo. Corrugò la fronte e si stampò un sorrisetto mellifluo. << Certo, tu vai pure, io ti raggiungo tra un po'. >> 
<< Dai, bugiardo >> lo ripresi ridendo e tirandogli uno schiaffetto sul braccio. << Tu te ne vuoi stare attaccato qua come una cozza. >> 
<< È ovvio che me ne starò appicciato a quest'attraente ringhiera >> esclamò stringendosi ancora di più alla sbarra. << Ma tu puoi andare a prendere tutte le boccate che vuoi >> concesse con un gesto della mano. Un sorriso divertito si affacciò sulle sue labbra. << E quando tornerai sdentata sarò tanto buono da non prenderti in giro o dirti "te lo avevo detto." >> 
<< Gentilissimo >> lo canzonai riducendo gli occhi a due fessure. << Ma tu verrai con me fino a lì. >> 
Povero illuso. Se pensava che avrei demorso si sbagliava di grosso. Quando mi mettevo qualcosa in testa niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea. 
Alzò gli occhi al cielo e così ne approfittai per colpirlo nell'orgoglio. << David Trent che si rifiuta di sfidare il ghiaccio non si è mai sentito >> buttai là con nonchalance osservandomi le unghie.
Sentii immediatamente il suo sguardo su di me, il che mi fece gongolare soddisfatta. 
<< Come vuoi >> dichiarò risoluto. Mi voltai a guardarlo con un sorriso da parte a parte e gli occhi accesi di felicità. La tecnica dell'orgoglio ferito si rivelava sempre vincente, avrei dovuto usarla più spesso. 
<< Sei la solita testarda >> commentò espirando pesantemente mentre io mi voltavo verso la pista con delle difficili manovre.
Gli rivolsi un sorrisone ironico ed arricciai il naso. << Ammettilo che sono più brava di te ad ottenere ciò che voglio. >> 
Sollevò un sopracciglio e mi osservò con un'espressione di puro scetticismo. << No, affatto. >> Si mosse lentamente fino a posizionarsi nella mia stessa posizione e ritornò a guardarmi. << Lo faccio solo perché così ce ne andremo prima e faremo quel che ho in mente io >> specificò. << E ora che dobbiamo fare? >> 
Ridacchiai e gli porsi la mano. << Dammi la tua, così riusciamo a bilanciarci meglio >> suggerii emozionata. Deglutii per far scendere il cuore che mi era salito fino alla gola ed osservai la sua mano che si avvicinava alla mia. Le sue dita fredde si strinsero attorno alle mie mentre nel mio stomaco si concentrava una piacevole sensazione di calore. 
Alzai lo sguardo su David, perdendo dei battiti nel momento in cui incontrai le sue intense pozze ambrate già proiettate su di me. In quel momento di assoluta perfezione avrei voluto dirgli che lo amavo più di prima, ma mi trattenni per non rovinare quella bolla di significativo silenzio entro cui eravamo racchiusi. 
Appena lo vidi piegarsi lentamente su di me, mi issai con cautela sui pattini e socchiusi le palpebre in prossimità del suo viso. Il suo fiato caldo s'imbatté contro le mie labbra ed alcuni suoi ciuffi di capelli mi sfiorarono la fronte. Quando la sua bocca accarezzò con delicatezza la mia, il cuore iniziò a picchiarmi contro il petto come un forsennato. Dischiusi le labbra e suggellai le sue con un tenero bacio in cui vi erano racchiusi tutto l'amore che provavo per lui, tutta la felicità di quel momento e tutta l'aspettativa per i numerosi splendidi ricordi che avremmo condiviso in futuro. 
La sua bocca rispettò la dolcezza di quel contatto lambendo la mia con tocchi soffici. 
In contemporanea a ciò le sue dita si mossero fino ad incastrarsi con le mie in una presa salda. Inutile dire quanto il mio battito cardiaco avesse accelerato per quel gesto. 
Ci allontanammo per recuperare fiato pochi istanti dopo; e durante quel lasso di tempo i nostri sguardi non si lasciarono per un solo attimo. Erano indissolubilmente incastrati tra loro come pezzi di un puzzle. 
Osservai il pomo d'Adamo di David abbassarsi rapido. << Ok, facciamo questa cosa e poi andiamocene >> affermò concentrandosi sulla pista. << Pronta? >> 
Sorrisi divertita ed annuii. << Prontissima. >> 
Ci staccammo dalla ringhiera e, dopo un po' di tempo speso a riacquistare l'equilibrio, muovemmo nello stesso istante il piede opposto per andare in direzioni opposte. 
Strillai come una gallina strozzata e precipitai col mio povero sedere sul ghiaccio, seguita a ruota da David che per un pelo non mi cascò addosso schiacciandomi. 
<< Ma che cavolo c'ha questo ghiaccio? Il sapone? >> sbottò il mio ragazzo. 
Scoppiai a ridere e scossi la testa. << No... il piede >> farfugliai tra i singhiozzi. << Bisogna partire con lo stesso piede >> fui in grado di dire dopo essermi ripresa. << Capito? >> 
L'espressione schifata di David mi fece scappare un'altra risata. Il fatto di essere immediatamente caduto lo colpiva nell'orgoglio più di quanto volesse dare a vedere. 
<< E ora come ci alziamo? >> domandò spostando gli occhi dai pattini al ghiaccio. 
<< Boh >> risposi mentre gli ingranaggi del mio cervello si mettevano in moto. 
<< Ok, ho io la soluzione >> intervenne fissandomi serio. << Strisciamo fino all'uscita ed andiamocene. >> 
Esplosi in una nuova risata e mi piegai su me stessa. << Ma dai >> esclamai battendo una mano sulla gamba. << Forse ho un'idea >> aggiunsi riducendo gli occhi a due fessure. << Ci mettiamo sulle ginocchia... >> Assunsi la posizione che avevo appena detto ed aprii le braccia per mantenere stabilità. << E poi appoggiamo un pattino dopo l'altro fino a... Ecco fatto! >> esultai applaudendomi da sola. << Visto? Non è difficile. >> 
<< Lo dici tu >> mugugnò ripetendo i miei movimenti con cautela. In meno di un minuto si tirò su e puntò i suoi occhi su di me, allungò un braccio nella mia direzione ed io, col cuore palpitante, afferrai la sua mano per intrecciare le nostre dita. 
<< Non sbagliare di nuovo piede, nanetta >> mi stuzzicò con un sorrisetto sfrontato. 
Ritrassi il capo e sollevai un sopracciglio. << Oh certo, perché sarei io quella che ha sbagliato >> affermai con una sfumatura scherzosa nella voce. 
<< Ovvio >> ribatté con una scrollata di spalle. << Chi altro credevi? >> 
<< Nessun altro, figuriamoci. >> 
Il suo sorriso divertito si allargò ulteriormente. << Vedo che cominci ad imparare, piccola caprona >> asserì compiaciuto.
Assottigliai lo sguardo a mo' di sfida. << Grazie, grande caprone. Sempre gentile. >> 
Fece spallucce con un'espressione eloquente. << Dovere. >> 
Ridacchiai divertita e camminai letteralmente sul ghiaccio per posizionarmi accanto a lui. << Con che piede partiamo? Il destro, ok? >> 
<< Va bene, al mio tre >> affermò stringendomi la mano. << Uno... Due... Tre. >> Stavolta partimmo coordinati, scivolando nel modo giusto sulla superficie scivolosa, solo che la sottoscritta non riusciva a mantenere l'equilibrio. Ero sempre stata poco stabile, del tipo che non riuscivo a star ferma su un solo piede. 
<< Oddio David tienimi >> mugolai spaventata, mentre alternavo passetti rapidi a normali scivolamenti. 
<< Come faccio a tenerti se mi tiri verso di te come una dannata? >> si lamentò quel babbuino, invece di aiutarmi come un cavaliere.
<< Ma certo che ti tiro! >> sbottai strattonandolo di nuovo per salvarmi da una brutta caduta. << Come fai tu ad andare così? >> esclamai scandalizzata, lanciando delle veloci occhiate alla sua andatura fluida. << Io sto rischiando di fare una spaccata. >> 
La schiena per poco non mi si spezzò nel momento in cui un pattino mi schizzò troppo avanti rispetto all'altro. Urlai per lo spavento e mi mossi come una pazza per recuperare un briciolo di quello schifoso equilibrio che mi ritrovavo. 
<< Dio, mi sembra di aver accanto un'anguilla indemoniata >> commentò quel deficiente, prendendosi sfacciatamente gioco di me. 
Gli strinsi la mano per rimettermi con la schiena dritta invece di continuare a dondolarmi come una demente come stavo facendo. Assomigliavo ad uno di quei pupazzetti che dimena la testa avanti e indietro. << Ma mi spieghi come fai a pattinare così, invece di deridermi? >> sbraitai con uno sbuffo stressato. << E poi non riesco a fermarmi >> mi lamentai con un tono piagnucoloso. << Oddio, morirò qua. >> 
La risata strozzata di David mi fece commettere il fatale errore di voltarmi a fulminarlo. Fatale, esatto, perché persi il mio scarso equilibrio e caddi rovinosamente a terra, facendo espandere per tutta la pista il rimbombo del mio pesante tonfo. Sembrava fosse caduto un mammut, non io. 
Mi meravigliai del fatto che il ghiaccio non si fosse spaccato sotto il mio sedere. O almeno credevo... In caso contrario sarei scappata da quel posto con l'orgoglio e la dignità feriti. 
Borbottai dei lamenti confusi e mi dipinsi una smorfia di dolore in faccia. 
Il troglodita non solo era rimasto in piedi, ma in più riusciva anche a piegarsi in due per ridere sfacciatamente di me. Beata ignoranza. Non sapeva che appena usciti di lì gliel'avrei fatta pagare. 
Gli strattonai la mano e richiamai i suoi occhi lucidi e divertiti su di me. 
<< Be', si può dire che con questo sport hai rotto il ghiaccio... in tutti i sensi intendo >> mi canzonò esplodendo in una nuova risata. 
Ridussi gli occhi a due fessure ed annuii come una mafiosa che valuta una questione. << Oh si si, prenditi pure gioco di me. Me lo sto segnando tutte, mio caro. >> 
Continuò a sghignazzare, sprezzante del pericolo in cui incorreva, anche quando mi aiutò a risollevarmi in piedi. 
Mi passò un braccio attorno ai fianchi ed avvicinò a sé con un gesto rapido. Alzai la testa per osservarlo nelle sue iridi ambrate ed appoggiai il mio braccio sul suo. 
<< Qualcuno qui è, come al solito, permaloso. >> Sollevò un sopracciglio mentre le sue labbra si stendevano in un mezzo sorriso sghembo. 
Sbuffai, tirai all'insù il naso con fare altezzoso e chiusi gli occhi. << Non è vero >> mentii con nonchalance. Aprii un occhio e lo guardai. << Ma potrei perdonarti se tu m'insegnassi a pattinare. >> 
Con la stessa espressione sbruffona e maliziosa, mi scrutò minuziosamente. << Cosa ci guadagnerei io? >> Tipico di lui voler qualcosa in cambio. Avrei dovuto immaginarlo che mi sarebbe costato caro chiedergli aiuto. Era uno scimmione avido. 
Ci pensai per qualche secondo, infine lo fissai con i miei grandi occhi spalancati a mo' di cucciolo per impietosirlo. << Ti compro dei marshmallow arrostiti e ricoperti di cioccolato fondente. >> In effetti me ne stava venendo parecchia voglia in quel momento. Me ne sarei mangiata volentieri un chilo...
<< Mi fanno schifo, sono disgustosi >> irruppe con una smorfia disgustata. << Vada per un hot dog. >> 
<< Come puoi dire una cosa simile dei marshmallow? >> domandai scossa. << Sono buonissimi. Comunque vada per l'hot dog >> acconsentii alzando il pollice della mano. << E ora insegnami a pattinare >> ordinai animata dal mio fuoco interiore. Sarei diventata una pattinatrice provetta ed avrei fatto vedere a quello sbruffoncello di cosa ero capace. Mai mettersi contro Sarah Anderson. 
Il suo sorriso divertito, ma al contempo intenerito, mi fece sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole. Il cuore riprese a pomparmi frettolosamente, facendomi affluire il sangue sulle guance. Tutto di lui aveva un effetto immediato e potente sul mio cervello.  Bastava che muovesse un dito ed i condor nel mio stomaco prendevano a librarsi in volo felici. 
<< Cerca d'imparare in fretta, nanetta >> mi prese in giro insieme ad un sorriso sghembo. 
In risposta gli feci una linguaccia e gli passai una mano fra i suoi adorati capelli per liberarlo dai fiocchi di neve. << Ti stupirò >> affermai tirandogli una pacca sul petto. Dopodiché intrecciai le nostre dita e mi preparai a mantenere la mia parola. 





                                                                     *  *  *





Lo avevo certamente stupito. Non avevo dubbi a riguardo. 
Ero caduta così tante volte da sentire il mio sedere a pezzi e le ginocchia sgretolarsi. E David aveva riso come un pazzo ogni benedettissima volta. Avrei messo la mano sul fuoco che adesso gli facesse male la gola. 
Una volta essere usciti dalla pista gli avevo comprato il suo bramato hot dog ed avevamo compiuto un piccolo giro tra le vetrine dei negozi. Amavo vedere i colori e gli addobbi del Natale. Mi infondevano serenità ed allegria. Ma quell'anno avevano acquistato un significato ancora più profondo dopo tutto ciò che avevamo passato in quell'orribile mese di ansie e paure. 
Guardandomi attorno mi ero resa conto del bisogno che le persone avessero di quella festa. Non soltanto da un punto di vista economico, ma anche da uno mentale. 
Dopo l'inferno che ognuno aveva attraversato, quella era la prima celebrazione. Il primo vero gradino per risalire la scalata che conduceva alla normalità. 
Quell'anno il Natale non sarebbe stato solo la solita festa, ma avrebbe segnato una concreta riappropriazione della vita. 
<< A che pensi? >> mi domandò David mentre ci avvicinavamo a casa mia. 
Sorrisi e mi strinsi nel cappotto. << A quanto mi piace questo periodo >> confessai voltandomi a guardarlo. I suoi occhi mi osservavano con attenzione ed interesse mentre i fiocchi di neve continuavano a cadere fra di noi con eleganza. 
Spostò lo sguardo davanti a sé e gli vidi abbozzare un piccolo sorriso sincero. << Anche a me piace >> pronunciò sgranchendosi le spalle. 
Trascorse un minuto di silenzio in cui non staccai i miei occhi dal profilo del suo viso. Ne ero letteralmente attratta. Be', ero attratta da qualsiasi suo aspetto che fosse esteriore o meno, ma in quella circostanza ad affascinarmi era quel sorriso che gli incurvava gli angoli della bocca. Se avessi dovuto descriverlo con una parola avrei certamente scelto pace. Quello era il ritratto della sua pace interiore. 
Fui risvegliata dai miei pensieri quando notai che il suo passo si era arrestato in prossimità del mio portone di casa. 
Afferrai frettolosamente la borsa e ne estrassi il mio mazzo di chiavi. Ne inserii una nella toppa e girai le varie mandate con forza. 
<< Benvenuto in casa Anderson >> pronunciai mettendo piede nell'ingresso buio. 
Accesi i luminosi faretti sul soffitto e mi voltai a guardare David, che nel frattempo si stava osservando intorno. << Vista così è molto più bella >> asserì avanzando fino alla cucina. 
Chiusi la porta e mi apprestai a seguirlo. Quando comparvi al suo fianco, scorsi che i suoi occhi erano puntati sull'armadietto delle medicine. Istantaneamente la mia memoria scattò a ritroso con la velocità di un flash, riproponendomi davanti agli occhi l'episodio legato a quell'armadietto. 
Perché allora? Perché te ne sei andato? Avevo domandato flebilmente.
Mi aveva sorriso sulla guancia e si era ritratto per puntare le sue pozze di terra fusa su di me. Le tue pasticche. Quelle parole mi erano rimbombate nella mente per ore. 
Era stato il primo gesto folle, sconsiderato e al tempo stesso dolce che aveva compiuto nei miei confronti. 
Gli circondai un braccio, stringendolo al mio petto, e ci abbandonai la testa contro. Nel momento in cui sospirai, avvertii i suoi muscoli rilassarsi. 
Per chissà quanti secondi rimanemmo immobili in quella posizione, ognuno accompagnato dai propri ricordi e pensieri. 
Soltanto quando l'orologio scandì le cinque e mezza con tre rintocchi ci riprendemmo silenziosamente da quei privati istanti di rimembranze. Gli presi una mano ed iniziai a giocare con le sue dita, richiamando la sua attenzione su di me. << Che cosa vuoi fare? >> chiesi insieme ad un sorriso. << Guardare un film, bere qualcosa di caldo... >>
<< Una mezza idea l'avrei già >> m'interruppe mentre sul suo volto compariva un sorriso malizioso. << È un pallino fisso che ho da tutto il pomeriggio, per non dire da oltre un mese >> aggiunse sollevando le nostre mani per attirarmi lentamente a sé. 
Per tutto il breve tragitto che dovetti fare prima di entrare in contatto col suo petto, i suoi occhi non mi lasciarono per un singolo istante. 
<< E perché sarebbe una mezza idea? >> domandai con un filo di voce mentre il mio cuore accelerava i battiti. 
Socchiusi le palpebre non appena le sue labbra scivolarono sui tratti di pelle del mio collo non coperti dalla sciarpa. << Perché va messa in pratica >> mormorò rauco. 
In contemporanea a lenti movimenti della sua bocca, raggiunsi con le dita la cerniera del suo giubbotto. Iniziai ad abbassarla mentre l'eccitazione si mescolava all'adrenalina, surriscaldandomi il sangue ed alleggerendomi la mente. 
Mi sentivo come se fossi sospesa a metri di altezza, priva di un suolo sotto ai piedi. E quella strana sensazione, oltre a farmi sentire le gambe molli, mi permetteva di essere libera. 
Quando finalmente riuscii ad aprirgli il giubbotto, David ritrasse la testa e mi baciò d'impeto. Accolsi le sue labbra con la stessa fame ed intrecciai le dita tra i suoi capelli, stringendoli forte. 
Pensai di essermi effettivamente librata in volo appena i miei piedi si staccarono dal parquet ed il mio corpo si mosse fino alla mia camera senza che io lo governassi. Non mi resi neanche conto della velocità con cui la mia schiena si ritrovò attaccata ad un'anta dell'armadio. 
Il mio cervello si era disconnesso da qualsiasi collegamento con spazio e tempo. Era approdato in una sorta di stato catatonico in cui l'istinto si era impossessato dello scettro del comando. 
Mi allontanai dalla bocca di David ed i miei occhi saettarono immediatamente ai suoi: lucidi, accesi e bramosi. Dinanzi a quella vista il mio cuore accelerò la maratona e lo stomaco mi si contrasse piacevolmente, lanciando delle scariche di eccitazione per tutto il mio corpo. 
Spinta da una nuova ondata di adrenalina, gli calai il giubbotto sulla spalle e con il suo aiuto fui capace di gettarlo per terra. La stessa sorte spettò pochi secondi dopo al mio, accompagnato da sciarpa e cappellino. 
Mi sporsi col petto in avanti ed inclinai la testa per baciarlo lascivamente sul collo. Con la punta della lingua premetti su un lembo di pelle caldo e lo mordicchiai piano mentre le sue mani si ancoravano con forza sui miei fianchi ed il suo respiro si velocizzava. 
Mi sentivo sempre desiderata ed in un certo senso potente quando mi accorgevo di provocargli delle reazioni malgrado i miei gesti impacciati. Non avevo mai pensato di essere in grado di sedurre, invece lo splendido, e prima anche odioso, ragazzo di cui ero follemente innamorata mi aveva fatto ricredere su molte cose. 
Con le dita risalii fino ai suoi scompigliati capelli sulla nuca e presi a massaggiarli con gesti lenti e cadenzati. Il suo spezzato respiro freddo contro la clavicola nel frattempo mi mandava scariche di brividi lungo la spina dorsale, annebbiandomi man mano la mente. 
La mia schiena si staccò in fretta dalla superficie solida dell'armadio per poi sprofondare su quella morbida del materasso. La bocca di David corse rapida alla mia e diede vita ad un bacio frenetico e profondo in cui la sua lingua si intrecciava senza sosta alla mia ed i suoi denti di tanto in tanto mi mordicchiavano le labbra. 
Se avessi aperto gli occhi ero certa che avrei visto delle scintille correre tra i nostri corpi bollenti. 
Poggiai una mano sul suo cuore e gioii mentalmente nel sentire quanto il suo battito fosse rapido e potente, sembrava che come il mio cercasse di scappargli dal petto. 
Le mie dita discesero da quel punto fino all'orlo del suo golf. Glielo tirai avidamente verso l'alto per scoprirgli gli addominali ed iniziai ad accarezzarli con famelicità. Mio Dio, come una perfetta maniaca me li ero sognati per oltre un mese. Era l'incarnazione di un sogno poterli finalmente toccare.
David rallentò la rapidità del bacio ed emise un gemito roco sulle mie labbra, mandando in estasi tutto il mio cervello. Successivamente si sollevò sulle ginocchia e si sfilò il maglione, permettendomi di godere di una vista a dir poco paradisiaca. Le sue brucianti pozze ambrate s'incatenarono ai miei occhi offuscati dal desiderio. 
Un attimo dopo una sua mano era stretta attorno al mio polso e mi invitava a mettermi a sedere. Non me lo feci ripetere due volte ed alzai entrambe le braccia per dargli la possibilità di sfilarmi il golf. Alla vista del mio reggiseno rosso, scorsi le sue iridi scurirsi ed il suo pomo d'Adamo abbassarsi pesantemente. Le mie guance si colorarono subito del medesimo colore del mio reggiseno, non sapevo se per il caldo soffocante che percepivo o per la sua occhiata avida. 
Non mi venne dato modo di saperlo, perché i miei pensieri cambiarono ancora una volta lunghezza d'onda quando la sua testa si riavvicinò lentamente alla mia e le sue labbra si adagiarono sulle mie con dolcezza. 
Le mie braccia s'intrecciarono attorno al suo collo e così, con una leggera pressione, lo rispinsi disteso su di me. Appena la pelle calda del suo petto entrò in diretto contatto con la mia, percepii distintamente l'evolversi di una serie di reazioni. Per prima cosa avvertii un tanto violento quanto inebriante fremito tra i nostri corpi, a ciò David reagì intensificando il nostro bacio: mi morse un labbro, stuzzicandolo poi con la lingua, ed infine introdusse quest'ultima nella mia bocca. Mentre le mie gambe si stringevano attorno ai suoi fianchi ed il mio respiro si faceva sempre più spezzato, le sue mani cominciarono a percorrere la mia pancia, i miei fianchi, il mio petto, risalirono sino al collo e riscesero lungo le braccia. 
Fui costretta ad allontanarmi per prima dalla sua bocca per assenza di ossigeno. Aprii gli occhi ed incontrai il soffitto bianco della mia camera dal momento che David era già sceso sul mio collo. 
Le sue labbra mi avrebbero condotta alla pazzia prima o poi. Si muovevano ad un ritmo irregolare per poi affondare sulla mia pelle con intensità, insieme all'usilio della lingua. 
Ero totalmente ed incondizionatamente stregata dal suo tocco soffice, ma al contempo  deciso. Mi sfuggii un gemito ed inarcai la schiena contro di lui in un riflesso istintivo. 
Prima che mi lasciassi nuovamente sprofondare nel materasso, un suo braccio mi circondò rapidamente la vita per tenermi stretta al suo corpo. 
<< Stavo pensando a quanto tu sia bella >> espirò d'un fiato, prima di mordicchiarmi la clavicola. Mi ci vollero circa venti secondi prima che fossi in grado di recepire le sue parole e collegarle al momento in cui, notando che mi stava osservando con un sorrisetto enigmatico, gli avevo chiesto a cosa stesse pensando. 
Il cuore per poco non mi scappò dal petto insieme ai condor giganti nel mio stomaco. Adesso, oltre ad essere assuefatta dai suoi tocchi, ero anche piacevolmente rintronata dalla sua affermazione. 
Lo strinsi a me e sorrisi felice contro la sua spalla. Lui era l'unica persona che con poche parole e qualche gesto riusciva a farmi librare in aria dalla contentezza. Giorno dopo giorno si era trasformato in uno dei miei pilastri fondamentali, era stato capace di trasformare l'odio che inizialmente nutrivo nei suoi confronti in amore profondo ed era stato il primo a cui avevo ceduto tutto il mio cuore senza remora, senza paura e senza rimpianti. 
Le mie labbra cercarono vogliose le sue. Ruotai la testa e mi soffermai a scrutare i suoi occhi lucidi. Erano così... perfetti, così profondamente trasparenti da mostrarmi quanto mi desiderasse. 
Appoggiò i gomiti ai lati delle mie braccia e si chinò su di me fino a posare la fronte sulla mia. << E anche al fatto che possa averti solo io >> sussurrò con un tono roco. Il suo fiato freddo si scontrò contro le mie labbra accompagnando il brivido che mi scese lungo la schiena. 
Il battito del cuore ormai non mi rimbombava solo nelle orecchie e nelle tempie. Lo sentivo pulsare ovunque. 
Gli strinsi le ciocche di capelli che tenevo tra le dita e sollevai il mento per accarezzare la sua bocca con la mia. << Ti amo tanto, David >> mormorai in un soffio. Le sue palpebre calarono lentamente e si chiusero appena le nostre labbra entrarono in contatto. A quel punto chiusi anch'io gli occhi e mi lasciai cullare dal ritmo dei nostri cuori e dalle molteplici emozioni. 
A malapena mi accorsi di quando i suoi pantaloni scivolarono sul pavimento, di quando a seguirli furono i miei e di quando anche il mio reggiseno raggiunse tutto ciò che già giaceva a terra. 
Ero talmente presa da lui da non riuscire a concentrarmi su nient'altro. 
Le sue mani si muovevano veloci, ma con delicatezza sul mio corpo; ed io rispondevo a quelle sue attenzioni con altrettante mirate. 
Lasciai che i miei polpastrelli seguissero un percorso immaginario dall'orlo dei suoi boxer fino ad un pettorale, per poi disegnare dei cerchi leggeri fino ai suoi addominali. 
Il suo respiro corto dentro l'orecchio mi rese tanto audace da afferrare con decisone quei maledetti boxer e premere per abbassarli. Istantaneamente David si staccò da me e si mise a sedere per toglierseli con una furia crescente. Lo seguii con lo sguardo mentre scendeva dal letto per poi piegarsi sui suoi pantaloni riversi a terra ed estrarre il portafoglio. Cercò al suo interno con impazienza fino a tirarne fuori una bustina quadrata. Qualche istante dopo era nuovamente disteso su di me.
Appoggiai le mani sul suo petto e sollevai un sopracciglio. << Come mai tieni i preservativi nel portafoglio? >> Esigevo delle spiegazioni concise e rapide, altrimenti ci avrei messo molto poco a rivestirmi. 
Le sue iridi offuscate si accesero di divertimento insieme alla comparsa di un sorrisetto sulla sua bocca. << Perché è più comodo che portarli in mano. >> 
<< Tu giri coi preservativi ficcati lì dentro? >> insistetti accigliata. 
Si piegò sul mio collo e sfiorò coi denti la mia clavicola. << Giravo >> specificò risalendo con la punta del naso sino alla mia guancia. << Poi è arrivata una nanetta testarda ed ho smesso di comportarmi come facevo prima >> soffiò sorridendo. I miei muscoli si rilassarono e le mie palpebre si socchiusero per il languore. 
<< Adesso non sapevo se ce ne avrei trovato uno. Ero sicuro che tutto questo sarebbe successo domani a casa mia, ma le sorprese sono sempre gradite >> concluse con un risolino che mi fece pizzicare il punto accarezzato dalla sua bocca. 
Ridacchiai insieme a lui e gli circondai il collo per stringerlo a me. A ciò seguirono altri baci, numerosi gemiti e carezze talvolta più dolci talvolta più decise. 
Quando le mie mutandine, per ultime, scomparvero dalla nostra vista e David entrò in me lentamente, proprio come la prima volta, l'elettricità che permeava la stanza divenne quasi tangibile.
Le sue pozze ambrate saettarono ai miei occhi e ne rimasero incollate fino a che non fu completamente dentro di me. A quel punto il mio cervello era talmente annebbiato da non permettermi più di ragionare. Sollevai la testa di scatto e mi precipitai sulla sua bocca come un'affamata che dopo giorni vede qualcosa di commestibile. 
Le labbra di David reagirono prontamente al mio impeto e risposero con la stessa famelicità, avviando nello stesso tempo i movimenti del bacino.
Non saprò mai per quanto i nostri gemiti ed i nostri respiri agitati riempirono la stanza, ma fui certa che aspettammo molto prima di lasciarci andare e permettere che il culmine arrivasse. Era come se entrambi avessimo desiderato che quel momento, atteso per settimane, non finisse più per rendere tutto ancor più indelebile. 
E lo fu, fino al suo culmine. 
David si lasciò ricadere sopra di me ed io lo accolsi immediatamente tra le mie braccia. Eravamo entrambi sudati fradici e col respiro corto, ma la gioia e l'elettricità che percepivo nel mio stomaco erano talmente forti da farmi sentire piena di energie. Poi percepii le labbra di David sulla mia spalla e poco più tardi mi ritrovai raggomitolata contro il suo corpo bollente. 
<< Che ore sono? >> mi domandò con un tono assonnato ed ancora rauco. 
Voltai il capo per guardare la sveglia ed infine tornai ad osservare i suoi occhi liquidi. << Le sei e mezzo >> biascicai con uno sbadiglio. << Tra un'ora dovrebbero tornare i miei genitori e Cam. >>
Il suo braccio si strinse attorno alla mia schiena e la sua bocca si appoggiò contro la mia fronte. << Dieci minuti e poi vado. >>  
Annuii con un sospiro e chiusi gli occhi per godermi appieno il ritmo del suo cuore. La mia musica preferita. 
















Angolo autrice:

Buonasera!! Prima di tutto scusate il ritardo, ed in secondo luogo perdonatemi di cuore per gli errori che avrete certamente trovato in questo capitolo. 
È che ho appena finito di scriverlo e volevo farvelo leggere subito, quindi ho deciso di non correggerlo >\\< ma lo farò domani! 
Mamma mia, scusatemi davvero! Spero non sia troppo illeggibile >\\< Oddio che vergogna -.- 
Ci vediamo domenica!!! Un bacione a tutte!! 
GRAZIE DI CUORE!! <3


Federica~

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Capitolo 8
*** Il numero 8 ***



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Il numero 8










 



La domenica seguente, purtroppo, non avevo potuto trascorrerla con David. La mattina mia mamma mi aveva avvertita che saremmo andati da nostra nonna per pranzo. Quella notizia mi era precipitata sopra la testa come un macigno. Il problema infatti era che, non solo non avrei visto il mio ragazzo per quel giorno, ma neanche per tutta la settimana a scuola. La sera prima, il signorino mi aveva fatto sapere che da lunedì a venerdì sarebbe stato ad allenarsi con la squadra allo stadio, tutto in vista della partita. Se non avessero vinto quel cavolo di match avrei scatenato l'inferno. 
E fortuna che, sempre quella sera, gli avevo chiesto il numero di telefono. 
Per circa un'ora ero stata indecisa se chiamarlo oppure mandargli un messaggio. 
Prendere quella difficile decisione mi aveva prosciugato le forze, ma alla fine, con le mani sudate ed il cuore in gola per l'emozione, avevo optato per la telefonata. Ed ovviamente non l'avevo fatto solo per sentire la sua voce... Certo che no. 
Ci eravamo messi d'accordo di vederci direttamente al termine della partita di venerdì. Nonostante il mio cuore si fosse spezzato nel momento in cui gli avevo risposto in modo affermativo a quella proposta, purtroppo non avremmo potuto fare altrimenti. Lui sarebbe stato impegnato tutta la settimana con gli allenamenti ed io avrei dovuto studiare per la mia ricerca. 
Perciò il resto della settimana trascorse in modo piuttosto monotono e tranquillo. Persino Cam non fece nulla di strano, ad eccezione di alcuni momenti di estraniamento. In compenso non uscì mai la notte, forse per il freddo dato che la neve aveva iniziato a raggiungere centimetri notevoli, o forse perché il mio discorso gli aveva fatto rizzare le antenne e sospettare che lo avrei tenuto sotto controllo. Fatto stava che aveva iniziato a trascorrere molto tempo in camera sua, impedendomi così di perlustrarla. Ma ovviamente la sottoscritta non si era fatta frenare da quel superfluo impedimento. Più volte mi ero inginocchiata davanti alla sua porta chiusa e lo avevo spiato dal buco della serratura. Non aveva mai compiuto nulla di strano, anche se svariate volte lo aveva visto piegato sulla scrivania, concentrato a guardare qualcosa. Supponevo fossero dei fogli quelli che attiravano tanto la sua attenzione, perciò sarebbero stati la prima cosa che avrei cercato nella sua stanza. 
Un giorno, durante il mio spionaggio dalla serratura, per poco non ero stata scoperta. Quando lo avevo visto andare davanti all'armadio e calarsi pantaloni e mutande per poco non mi era preso un infarto. Mi ero ritratta così in fretta da cadere sul sedere e sgattaiolare carponi fino alla mia camera. 
La vista del sedere di mio fratello mi aveva profondamente turbata oltre che schifata. Ogni volta che ci ripensavo mi venivano i brividi. 
Il mio telefono squillò ridestandomi dai pensieri poco piacevoli formulati dal mio simpatico cervello. Schizzai come una molla mentre il cuore aumentava drasticamente i suoi battiti con l'intento di farmi venire un infarto. Come una lottatrice di sumo mi tuffai sul letto ed allungai un braccio per acciuffare il mio fidato cellulare. 
Quando lessi il nome sullo schermo la mia precedente sorpresa sfumò tra le pieghe della delusione. << Ciao Clar >> risposi con un breve sospiro che speravo non avesse sentito. 
<< Ciao Sarah >> trillò la mia amica, contenta come una pasqua. << Che stavi facendo? >> 
Scrollai le spalle e mi distesi a pancia in su. << Stavo cercando qualcosa da mettermi per stasera. >> Mi portai una mano sulla fronte ed osservai il soffitto assorta. << Tu come ti sei vestita? Perché farà sicuramente freddo, però non vorrei essere troppo infagottata da non potermi muovere. >> 
<< Proprio per questo ti ho chiamata >> confessò ridacchiando. << Pensavo di fare un salto a casa tua, aiutarti a prepararti e poi andare insieme alla partita. Che ne dici? >> 
Lei sì che era la mia salvatrice; in quel modo avrei potuto evitare di essere accompagnata da Cam o dai miei genitori fino allo stadio. 
Mi sollevai a sedere, dondolando i piedi con un enorme sorriso stampato in faccia. << Ottima idea. Ti aspetto allora. >>
<< Non dovrai aspettare molto, perché sono già davanti al tuo portone di casa >> precisò con una risata. 
<< Oddio arrivo subito! >> Scesi in fretta e furia le scale, rischiando di travolgere mio fratello nel corridoio, e mi precipitai di corsa sino alla porta. 
<< Ma che fai, Sarah? >> mi riprese mio padre, seduto sul divano. Potevo immaginare il suo sguardo confuso dinanzi al mio scatto da pazza. 
<< Nulla, c'è Clar >> risposi abbassando la maniglia. La mia amica mi salutò con una fila di denti bianchi e due baci sulle guance.
<< Fa un freddo assurdo >> borbottò mentre varcava la soglia di casa mia. 
<< Oh, ciao Clarice >> la salutò mio padre con un gesto della mano. Le rughe sul suo volto si accentuarono per il sorriso che le rivolse, i suoi capelli grigi invece assunsero delle sfumature più scure e più chiare per via dei faretti di luce che carpivano i suoi movimenti del capo. << Ha ricominciato a nevicare? >> aggiunse incuriosito. 
<< Sì, da cinque minuti circa >> rispose Clar, rabbrividendo nel giubbotto. << La mia macchina segnava meno tre gradi. >> 
Mia mamma si affacciò dalla cucina con uno strofinaccio tra le mani e si illuminò appena si accorse della nostra ospite. << Ciao Clarice >> esclamò contenta. << Come stai? La tua famiglia? >> 
Clar sorrise cordiale. << Stiamo tutti bene, grazie. >>
<< Avete qualche piano per la serata? >> s'interessò mia mamma. 
Corrugai la fronte stranita. << C'è la partita di football allo stadio stasera. Giocherà la squadra della nostra scuola, ma questo te l'avevo già detto mamma. >> Come aveva fatto a dimenticarsene? Erano giorni che le ripetevo la stessa identica cosa. 
<< Ah già, è vero >> ricordò annuendo rapidamente. << Preferite che vi si accompagni noi o volete andare da sole? >> 
<< Ho la macchina qua fuori, non importa che vi disturbiate a portarci >> s'intromise la mia amica con un sorriso angelico. << Per le undici Sarah sarà a casa. >> 
<< D'accordo >> acconsentì mia mamma. << Ah, e mi raccomando copritevi bene. >> Ci sorrise calorosamente e rientrò in cucina con un passo baldanzoso. 
L'accompagnai con lo sguardo ed un sorriso fino a che non le vidi raggiungere l'acquaio e ricominciare a sciacquare i piatti, dopodiché presi sottobraccio Clar e ci precipitammo in camera mia per lottare contro il mio armadio. 





                                                                     *  *  *





Io e Clar prendemmo posto su una delle infinite panche di alluminio davanti al corridoio. Ero stata io a scegliere quella location, così avrei potuto distendere le gambe senza rischiare di uscire rattrappita. 
Non che avessi delle gambe chilometriche, ma stare bella comoda non mi dispiaceva. 
Fortunatamente lo stadio era coperto, o almeno in gran parte. La zona centrale del campo da gioco non aveva nessun tetto sopra la testa ed infatti stava diventando man mano più bianco. 
<< Credi che riusciranno a giocare con questo tempo? >> domandai a Clar mentre sorseggiavo la mia cioccolata calda ed osservavo gli addetti alla manutenzione che gettavano sale sul campo. 
La mia ansia ed agitazione per quella partita stavano cominciando a manifestarsi in maniera sempre più palese. Il mio piede che batteva incalzante per terra ne era una prova. 
Erano molteplici i motivi per i quali sentivo lo stomaco contorcersi e le mani sudare. Innanzitutto quella sarebbe stata la prima partita in cui avrei potuto osservare David giocare, in secondo luogo lo avrei rivisto dopo quasi una settimana di lontananza ed in terza istanza avevo paura che si facesse male. Forse ero pessimista, o forse solo ansiosa, ma il mio cervello aveva già iniziato ad elaborare immagini catastrofiche del tipo: David schiacciato da un energumeno, David su una barella, David caricato su un'ambulanza e via discorrendo. 
Sì, ero decisamente pessimista. 
<< Immagino di sì... Se no l'avrebbero già rimandata, non trovi? >> rispose Clar con un tono incerto, come se stesse cercando conferme da me. In quella circostanza ero la meno adatta per delle conferme ottimistiche, al massimo avrei potuto tirare fuori un gioioso "moriremo tutti". 
<< Mm, sì... Credo tu abbia ragione. >> Mi rigirai il cartoccio della cioccolata tra le mani per riscaldarmele e continuai ad osservarmi intorno. Lo stadio si stava decisamente riempiendo. La gente sembrava spuntare come funghi da ogni parte. Accanto a Clar i posti erano ormai tutti occupati, così guardai il mio orologio al polso per controllare che ore fossero. Le 9 p.m. La partita sarebbe dovuta cominciare di lì a breve e la mia ansia aumentavano di conseguenza.
Una voce di uomo risuonò improvvisamente per lo stadio, fomentando la competitività nell'aria dato che più persone si alzarono dai posti per gridare come dei dannati. 
Io e Clar ci guardammo per un attimo sbigottite. Sembravamo entrate in una cerchia di pazzi senza un briciolo di sana educazione. Quello era uno dei motivi per cui non ero mai andata a guardare una partita di football. Odiavo la gente che insultava i giocatori o altri disgraziati nei paraggi, oppure quelli che sbraitavano senza motivo o che non sapevano stare un secondo fermi. 
Quei tipi di persone mi snervavano. Potevo sforzarmi di comprendere la passione che li spingeva ad agitarsi, ma, Dio, un minimo di contegno. 
Appena il telecronista strillò il nome della squadra della mia scuola, mi girai di scatto verso il campo ed aguzzai la vista per cercare David tra la fila di ragazzi che stavano entrando con una lenta corsetta. 
Riconobbi immediatamente i suoi capelli castani che ondeggiavano insieme al suo passo e la sua divisa bianca col numero otto impresso di rosso. Essendo quarterback era il primo della sua squadra. 
Il mio cuore palpitò furioso e le mie labbra si stirarono d'istinto in un sorriso. 
Mio Dio, quant'era bello. Vederlo in quel momento mi faceva avvertire ancor di più la sua mancanza. Se solo avessi potuto fermare il tempo sarei scesa in campo e lo avrei stritolato in un abbraccio. 
Mentre l'altra squadra faceva il proprio ingresso, mi voltai a guardare Clar. I suoi occhi erano accesi di felicità e la sua bocca era tirata in un piccolo sorriso. 
<< Hai già visto Kevin? >> le domandai con una spallata leggera ed uno sguardo malizioso. 
Ridacchiò e mi diede una pacca sulla gamba. << E dai, smettila >> si lamentò guardandomi di sottecchi con la lingua tra i denti. << Tu, invece? L'hai già adocchiato il tuo bello? >> 
Annuii ridendo ed insieme tornammo a concentrarci sul campo, o meglio, sui rispettivi ragazzi. Da lì godevo di una perfetta visuale di David, nessuno avrebbe potuto scollarmi dal mio posto. Cosa volevo di più dalla vita? Avevo la possibilità di fissare il mio ragazzo senza che anima viva se ne accorgesse o mi scambiasse per una maniaca.
Distolsi un istante gli occhi da David per passare in rassegna tutti i ragazzi della squadra avversaria. A giudicare dalle loro stazze assomigliavano a dei bisonti, per non parlare delle loro espressioni combattive. Speravo sinceramente che in quel caso valesse il detto "l'apparenza inganna". 
Il loro quarterback era una specie di armadio a due ante, oltre che trenta centimetri più alto di David. Ma non avrei dovuto preoccuparmi, insomma il mio ragazzo era agile e scattoso. Non c'era motivo che mi sudassero le mani e che il mio piede battesse a terra frenetico. Certo che no. 
David si mosse verso l'altra squadra ed iniziò a stringere la mano di ciascun componente con uno sguardo neutro, sembrava quasi che concedesse loro di stringergli la mano per pura carità. 
Mi portai le dita davanti alla bocca ed iniziai a torturami le labbra. Perché quell'imbecille del mio ragazzo non cercava di mostrarsi un minimo più cordiale? Voleva forse attirarsi l'antipatia di tutti ed esser preso di mira? 
Nella mia mente si riproposero le immagini catastrofiche di poco prima. Le scacciai con uno sbuffo e mi mossi irrequieta sul posto. 
Al termine di quel gesto pacificatorio, entrambi i gruppi si infilarono il casco, andarono a posizionarsi al centro del campo ed assunsero le diverse posizioni l'uno di fronte all'altro. Già il semplice fatto che per quello sport fosse necessario un casco di protezione ed una specie di armatura faceva presagire quanto poco tranquillo fosse. Ma quei pensieri non erano certamente di aiuto alla mia ansia crescente. 
Insomma, come accidenti facevo a stare calma e rilassata vedendo David piegato davanti al bisonte di due metri? 
Una questione di secondi e si sarebbero... 
L'arbitro soffiò nel fischietto e di scatto tutti i giocatori si mossero l'uno contro l'altro. Oh mio Dio. Ma che sport era mai quello? Sembravano dei branchi di gnu intenti a spostarsi di peso e lanciarsi per aria. 
Il mio ragazzo dribblò il bisonte ed iniziò a correre come un fulmine con la palla sottobraccio, seguito a ruota da dei suoi compagni. 
Distesi la schiena per seguire meglio la sua azione ed incrociai le dita, speranzosa che riuscisse a portarla alla meta. 
Mentre continuava a correre si girò verso un suo alleato e gli lanciò la palla con un tiro lungo che per alcuni secondi fece restare tutti col fiato sospeso. Quando l'altro ragazzo ricevette in modo a dir poco perfetto, il telecronista strillò entusiasmato, facendo esplodere nello stadio un boato di approvazione.  
Un avversario sbarrò senza motivo la strada a David, così senza pensarci mi alzai dal posto e raggiunsi la ringhiera per osservare meglio. Cosa cavolo voleva quel cinghiale dal pelo ispido? Se lui non aveva la palla perché doveva infastidirlo? 
La questione mi innervosiva all'inverosimile. Fortuna che il mio ragazzo, dopo qualche finta, si destreggiò da quell'impiccio e ricominciò a correre dietro ai suoi compagni. 
Sobbalzai impaurita nel momento in cui tutte le persone presenti nello stadio gridarono impazzite e si alzarono in piedi. 
<< Kevin ha fatto touchdown! >> urlò Clar su di giri, alle mie spalle. 
Mi voltai per raggiungerla e battemmo le mani entusiaste, saltellando come delle squilibrate euforiche. 
<< Era Kevin quello a cui David ha lanciato la palla? >> domandai con un tono di voce alto per sovrastare il casino. 
Clar annuì con gli occhi accesi di gioia ed io gongolai per la notizia. Dopotutto, anche se per il momento non erano più amici, li univa ancora uno spirito di squadra. Erano sempre stati una coppia vincente in campo, o almeno questo è quello che per anni avevo sentito dire da tutta la scuola. David infatti era il quarterback, mentre Kevin era un Wide Receivers, il che gli permetteva di ricevere i tiri lunghi del quarterback e correre con la palla fino alla meta. Anni prima avevo sentito dire che Kevin era stato elevato a quel ruolo per l'alchimia che lo legava a David. Insieme erano una macchina da guerra inarrestabile. 
Mi rimisi seduta composta ed osservai le squadre che si riposizionavano al centro. 
La mia ansia stava rapidamente lasciando posto all'eccitazione. Ero elettrizzata all'idea di vedere David fare squadra col suo vecchio migliore amico e vincere la partita. 
Il cartellone su cui venivano registrati i punti ne segnava già sei a favore del Manhattan College e questa cosa mi faceva sentire orgogliosa della mia scuola. 
Fui ridestata dalla voce maschile dell'altoparlante che contava in fretta le yards che, a detta sua, stava divorando la maglia bianca col numero otto. 
I miei occhi saettarono per il campo alla ricerca del mio ragazzo mentre il cuore mi batteva rapido nel petto. Lo individuai dopo pochi secondi, e non fu affatto difficile perché la sua agilità nella corsa mi era ormai estremamente familiare. 
Come un fulmine stava superando tutti i suoi avversari e si stava avvicinando alla meta col pallone sottobraccio. Ogni tanto compiva dei veloci scatti del capo per guardare alla sua destra e cercare un compagno, probabilmente Kevin. 
Appena lo focalizzò mosse rapidamente il braccio e si apprestò a lanciargli la palla, ma in una frazione di secondo avvennero così tante cose da lasciarmi senza fiato. 
Mi alzai in piedi di scatto e raggiunsi la ringhiera con gli occhi fuori dalle orbite ed il cuore in gola. 
David era stato travolto dal quarterback della squadra avversaria ed in quel momento si trovava disteso a terra. Quel bisonte gli era apparso da un fianco ed aveva caricato contro di lui come un pazzo. 
Mi passai le mani sudate tra i capelli mentre le persone fischiavano senza sosta al cinghiale di due tonnellate. Non solo ero impaurita che il mio ragazzo si fosse fatto seriamente male, ma in più sentivo una rabbia cieca divamparmi nelle vene. Ebbene sì, perché quel deficiente peloso sembrava non avesse puntato alla palla, come stava affermando il telecronista, ma che il suo fosse stato un gesto di sfida. 
David si rimise in piedi grazie all'aiuto dei suoi compagni e si tolse il casco per gettarlo a terra furioso. Si volse verso il facocero ed avanzò contro di lui con delle frettolose falcate; il tutto culminò con uno spintone capace di far traballare quel cinghiale. 
In una manciata di secondi tutti i componenti dei due diversi gruppi si frapposero tra i due e li divisero, nonostante continuassero a volare insulti. Il fischio dell'arbitro fu a malapena sufficiente per ripristinare l'ordine e costringere i giocatori a riprendere le loro posizioni. 
Altro che eccitazione, mi era tornata l'ansia. Era impossibile che stessi tranquilla dopo quel che avevo visto. Era lampante che al bisonte David non andasse a genio. E conoscendo il mio ragazzo sapevo che non avrebbe lasciato correre la cosa, ma che avrebbe restituito con gli interessi tutto ciò che gli era stato fatto. 
Ad un nuovo fischio il match ripartì. 
Mi torturai le dita mentre uno dei giocatori avversari s'impadroniva della palla e correva alla meta con un passo massiccio e deciso. Per sua sfortuna la corsa fu abbastanza breve perché David gli si affiancò dopo poco e gli strappò via la palla. 
Mezzo stadio proruppe in un boato di approvazione accompagnato da un frenetico scalpitio per terra. La ringhiera che aveva sotto le dita ne risentì tremando. 
I miei occhi seguivano il mio ragazzo come un falco; e nel frattempo stavo anche attenta che nessun malintenzionato gli si avvicinasse. 
Neanche a dirlo, un avversario gli si accostò incrementando il mio disperato stato di agitazione. 
David reagì arrestando il passo tutto d'un colpo e virando per allontanarsi dal ragazzo, dopodiché lanciò in lungo la palla. Rimasi ammaliata dalla rapidità con cui mosse il braccio e dalla potenza insita nel tiro. Se pensavo che quelle erano le stesse braccia che mi stringevano delicatamente e che mi cullavano come una bambina, sentivo il mio stomaco accartocciarsi come una pallina di carta. 
A risvegliarmi bruscamente dai miei piacevoli pensieri ci pensò il bisonte demente che tornò alla carica con una spallata al mio ragazzo. 
Non ci vidi più dalla rabbia. Cosa diamine voleva quel tipo? Se aveva intenzione di fare a botte mi sarei offerta volontaria. 
<< Razza di cretino! >> strillai tra il caos generale. Mi girai a guardare Clar ed indicai il campo. << Ma hai visto quel demente cos'ha fatto?! >> 
Sbuffai senza attendere una sua risposta e tornai a focalizzarmi sulla partita. 
Ottimo, David era rientrato in possesso palla e tre energumeni si stavano dirigendo contro di lui per sbarrargli la strada. Mi passai le dita tra i capelli, rischiando di strapparmeli, e mi morsi un labbro per l'angoscia.
Con dei rapidi scatti e varie finte riuscì a sorpassare due degli avversari, ma il terzo gli si gettò praticamente addosso, colpendolo al petto. 
<< Imbecille! >> sbottai insieme al fischio dell'arbitro. Quest'ultimo corse fino ai due ragazzi e li separò prima che dalle parole passassero alle mani. Anche se ero lontana riuscivo a vedere quanto David fosse incavolato per quei continui attacchi, mentre invece quello stupido arbitro sembrava non decidersi a tirare fuori il cartellino per l'energumeno.
<< È fallo! >> gridai furente. << Dove accidenti hai gli occhi? Ti pesa la mano per caso? >> Stavo rischiando una crisi isterica. Sì, decisamente. 
Dovevo darmi una calmata se non volevo tornare a casa senza capelli. 
Appena vidi svettare una cartellino rosso per aria mi tranquillizzai e tornai a sedermi soddisfatta. 
Sbuffai stressata e lanciai all'indietro una ciocca che mi era ricaduta sulla faccia. Riuscivo a malapena a contenere la mia furia. Se quello era l'effetto che ogni partita di David avrebbe avuto su di me, allora me ne sarei rimasta volentieri a casa... con l'ansia. 
Be', in ognuno dei due casi sarei morta giovane. L'angoscia e lo stress mi avrebbero divorato il fegato prima o poi. Oppure il nervoso che mi saltava ogni due per tre mi avrebbe danneggiato in modo irreversibile il cervello. 
Ripresi il cartoccio di cioccolata calda e feci per portarmelo alla bocca, ma Clar mi bloccò il braccio prima che ne bevessi un sorso. << Meglio un po' d'acqua >> suggerì con un sorriso. << Ti do la mia. >>
Corrugai la fronte confusa. << Perché? >>
Estrasse dalla borsa la sua bottiglietta e me la porse stringendosi nelle spalle. << La cioccolata provoca lo stesso effetto del caffè. Sei già agitata, credo che per la tua salute sia meglio evitare. >> 
Spalancai gli occhi sorpresa e la fissai con uno sguardo ebete. Lei rise della mia espressione e mi tolse la cioccolata calda di mano per sostituirla con l'acqua. << Dai, bevi un po' >> mi spronò con un cenno del capo. 
<< Grazie, Clar. >> Le sorrisi calorosamente e seguii il suo consiglio. Oh sì, qualcosa di fresco era decisamente meglio dato che mi bruciava la gola a forza di urlare. 
I miei occhi ripiombarono sul campo, dove un altro match era già cominciato e, per il momento, sembrava procedere senza intoppi. 
Cercai David in lungo e in largo, individuandolo poco dopo che correva senza palla davanti ad un compagno che l'aveva. Quest'ultimo lanciò il pallone al mio ragazzo che accelerò improvvisamente la corsa, facendo esaltare il telecronista che nel frattempo contava le yards da lui percorse. 
Un tizio dell'altra squadra si fece scivolare a terra per colpire David ai piedi, ma, alla facciaccia sua, lui fu capace di saltare e superarlo senza problemi. 
<< Sì! >> gridai lasciandomi andare ad una folle risata.
Clar ridacchiò insieme a me e mi tolse di mano la bottiglietta prima che la rovesciassi. 
Ma non feci molto caso ai suoi movimenti, ero troppo concentrata a pedinare il mio ragazzo con lo sguardo. 
Quando cominciò a guardarsi intorno capii che stava cercando qualcuno a cui passare la palla. La traiettoria del tiro che l'attimo dopo scaturì dal suo braccio fu, oltre che lunghissima, estremamente precisa. Kevin, con un piccolo salto, s'impossessò del pallone e proseguì nella corsa. David, seppur si trovasse dall'altro lato della metà campo, non arrestò mai il passo e non abbandonò mai il suo ex migliore amico con lo sguardo. 
Vedere quella scena mi strappò un sorriso malinconico. Era come se quell'atmosfera riassumesse il rapporto tra quei due. Erano lontani, eppure non si perdevano mai di vista; in un certo senso erano sempre presenti l'uno per l'altro. Ed il fatto che David stesse continuando a correre in parallelo a Kevin sembrava un'affermazione ancor più alta di quella similitudine. In quel gesto sportivo parevano racchiusi tutti i valori più importanti dell'amicizia. Significava offrire un aiuto in caso di bisogno, mettersi sullo stesso piano per vivere insieme ciò che si sarebbe presentato, spalleggiarsi in qualunque circostanza e soprattutto non abbandonarsi mai. 
La strada di Kevin fu ostacolata da due avversari, così fu costretto a rilanciare la palla a David, che la prese al volo. Mancavano ancora venti yards prima che il mio ragazzo giungesse alla meta. L'unico problema era che sembravano una piscina di squali, piene com'erano di energumeni assetati di vittoria. Due ragazzi della nostra squadra gli si accostarono per proteggerlo da eventuali attacchi ed insieme avanzarono come missili. Uno tra i due, poveraccio, fu preso in pieno da uno dei cinghiali avversari e sbalzato via. Malgrado ciò, David continuò a correre e a dribblare tutti i tizi che gli si paravano davanti o che cercavano di afferralo. Prima che uno di questi lo acciuffasse, si lanciò sulla meta facendo esplodere lo stadio in grida di gioia. 
Il cartellone su cui erano segnati i punti ne aggiunse in automatico altri sei al Manhattan College. A quella vista mi alzai in piedi euforica e battei le mani con qualche urletto di approvazione. 
<< Stiamo vincendo >> affermai su di giri, voltandomi a guardare Clar. 
<< E a segnare per ora sono stati i nostri ragazzi >> aggiunse mentre gli occhi le si illuminavano di orgoglio. 
Annuii ridendo e mi risedetti con un sospiro più rilassato. 
I giocatori si rimisero a centro campo ed alcuni di loro, tra cui David, si piegarono sulle ginocchia per assumere la posizione di partenza. Nel breve lasso di tempo che seguì al fischio dell'arbitro, non mi persi lo stupido gesto che David rivolse al quarterback dell'altra squadra. Un dito medio. Quanto poteva essere cretino quel celebroleso? Voleva a tutti i costi essere annientato dal bisonte, era ovvio. Peccato che in quel caso mi sarei rifiutata di accompagnarlo all'ospedale. 
La palla saettò rapida tra i ragazzi della Newton High School. Il loro capitano, anche noto come armadio a due ante, si impossessò del pallone ed iniziò a correre come un razzo. Alcuni giocatori della nostra squadra cercarono di placcarlo o buttarlo a terra. Uno gli si attaccò addirittura ad una gamba finendo per essere trascinato via come Ettore da Achille. Purtroppo si rivelò tutto inutile, perché il bisonte riuscì a giungere alla sua meta lasciando dietro di sé una distesa di vittime delle sue gomitate. 
I miei occhi sgranati esplicavano piuttosto bene il mio stato di shock. 
Mio Dio. Quello non era un ragazzo comune. Era cresciuto con latte e concime ed un'unica ambizione nella vita: sterminare. 
David aiutò un suo compagno ad alzarsi e successivamente andò a rimettersi in posizione. 
Un nuovo fischio, un nuovo inizio. 
Stavolta la palla atterrò subito tra le mani del mio ragazzo, il quale prese a correre verso la sua meta con rapidità. 
Mi morsi un labbro per l'ansia ed attorcigliai le dita frenetica. Era una mia impressione o  tutti i facoceri dell'altro gruppo si stavano dirigendo contro di lui? 
Sobbalzai per la paura appena uno dei sopracitati si lasciò scivolare a terra per colpire David alle gambe, ma fortunatamente lui lo scavalcò letteralmente con un salto e proseguì a correre deciso. Come diavolo faceva quello stupido a farmi volare le farfalle nello stomaco e nello stesso tempo farmi sudare le mani per l'angoscia? Da una parte non facevo altro che pensare a quanto fosse dannatamente sexy, dall'altra ero sul punto di morte per ogni sua mossa. Il mio cervello stava rischiando di esplodere. 
All'improvviso un energumeno lo colpì su un fianco, facendolo cadere e rotolare per circa un metro. Trattenni il respiro e senza accorgermene aumentai la presa dei denti sul mio labbro, procurandomi una piccola spaccatura. 
Sembrò che non fosse successo nulla, David si rialzò con un movimento fluido e riprese a correre permettendomi di liberare un sospiro di sollievo. 
Mio Dio, che stress. Se ad ogni partita avrei dovuto patire quelle pene sarei diventata calva molto presto. L'alopecia incalzava. 
D'un tratto lo vidi. Sterminator. Avanzava con la grazia di una macchina da guerra dietro il mio ragazzo che ovviamente non si era accorto di nulla. 
Oh Signore. David si fermò per un manciata di secondi ostacolato da altri ragazzi; di quel tempo ne approfittò l'armadio a due ante che lo afferrò da dietro, stringendogli le braccia attorno al petto, e lo sollevò da terra. 
Scattai in piedi come una molla e raggiunsi la ringhiera. << Lascialo andare, feccia immonda! >> gridai con tutto il fiato che avevo nei polmoni. 
Il mio cervello era partito del tutto, le parole del telecronista le sentivo in lontananza. 
Il bisonte issò maggiormente David e se lo portò sopra la testa per poi lasciarlo ricadere dietro la sua schiena come se fosse stato un sacchetto di patate. 
<< Imbecille! Schifoso facocero puzzolente! >> strillai fuori di me dalla rabbia. Sbattei una mano sulla ringhiera e mi passai l'altra tra i capelli. Ero quasi sul punto di scendere le gradinate e saltare dentro al campo per prendere quel pezzente a sberle. 
Il mio ragazzo, nonostante il volo, possedeva ancora la palla, perciò si sollevò di poco col busto e la scagliò verso un suo compagno, ma non ebbi modo di guardare chi fosse quel qualcuno perché fui inondata da uno tsunami di rabbia che mi annebbiò la vista. 
Un secondo dopo che David ebbe concluso il suo lancio, un gruppo di tre ragazzi gli diede addosso. Nel vero senso della parola. Gli si gettarono sopra creando una sorta di piramide umana la cui base era costituita dal mio ragazzo. 
In quel momento vedevo rosso. Non ero mai stata tanto incavolata in vita mia, e la sensazione non era affatto piacevole. 
<< Pezzi di sterco suino! >> sbottai tirando un calcio a quella stupida ringhiera. << Non aveva più la palla! Razza di vigliacchi! >> 
Nel frattempo la nostra squadra compì un altro touchdown, ma sinceramente non avevo niente da festeggiare. 
Ero concentrata sui tre idioti che si stavano alzando. Volevo guardare bene le loro stupide facce da troll per ricordarmele in futuro. Se quella sera avessi avuto la fortuna di incontrarli fuori dallo stadio, uno schiaffo non glielo avrebbe levato nessuno. Avrei gonfiato i loro visi.  
David si sollevò a sedere e scosse la testa come per riprendersi dalla botta. 
Poco dopo era in piedi che procedeva spedito verso il bisonte. Lo spintonò con rabbia, proprio come avrei voluto fare io, e gli urlò qualcosa che non riuscii bene a capire cosa fosse. C'era troppo casino perché fossi in grado di afferrare una sola parola. 
A quel gesto, l'energumeno si tolse il casco e s'impettì come uno struzzo, probabilmente cercando di apparire minaccioso. 
Il mio ragazzo proseguì a spingerlo, per poi concludere in bellezza con un calcio nello stinco ed una testata, con tanto di casco, sulla sua fronte. 
Quello cadde a terra e si coprì la faccia mettendo in atto una sceneggiata melodrammatica. Ridicolo. Nonostante fossi lontana lo avevo visto pure io che il colpo che David gli aveva tirato non era stato eccessivamente forte. 
L'arbitro li raggiunse subito dopo, fischiando a ripetizione sopra le parole che il mio ragazzo gli gridava contro. Alzò il braccio e sventolò un cartellino rosso con un'espressione intransigente. 
La mascella per poco non mi sbatté a terra. << Ma cosa sta facendo? Stupido incompetente! >> Mi sporsi dalla ringhiera, non facendo caso a quelli che stavano seduti sotto e che mi fissavano turbati. << Venduto! Dove li hai gli occhi?! Ha cominciato quel cretino ed espelli la vittima?! >> 
<< Ma la vuole smettere? >> mi reguardì una signora seduta lì sotto. 
Abbassai la testa per rivolgerle il mio sguardo di fuoco. << Ma la smetta lei di rompermi le scatole >> tagliai corto spostandomi un ciuffo dal viso. 
Ebbi solo il tempo di osservare la sua bocca che si spalancava per l'offesa subita, dopodiché mi concentrai sul campo dal quale stava uscendo David. 
Mi staccai in fretta dalla ringhiera e corsi al mio posto per recuperare la borsa. << Clar ci vediamo alle... Che ore sono? >> domandai corrugando la fronte. 
<< Un quarto alle dieci >> rispose lei con un sorriso. << Facciamo alle dieci e mezza davanti alla macchina? >> 
Alzai un pollice ed annuii distratta. << Perfetto, a dopo. >> 
Mi precipitai alle scale e le scesi con la furia di un rinoceronte a cui hanno pestato una zampa. Mi snodai tra le varie persone e scesi altri gradini per entrare nell'interno dello stadio e cercare David. Chissà dove si era cacciato. 
Mi osservai attorno, tra il vuoto più assoluto. 
Il corridoio che mi si presentava davanti era privo di presenze umane, il che poteva rivelarsi un punto a mio favore. Magari mi sarei potuta infiltrare nello spogliatoio maschile senza essere vista. 
Animata da quella geniale idea lo percorsi con un passo felpato e svoltai in corrispondenza di una deviazione. Se ci fosse stata una maledetta porta le cose sarebbero state un pelino più semplici, invece nulla, solo muri. Mi sembrava di girare a vuoto in un labirinto di pareti grigie. 
Finalmente, dopo un'altra decina di metri, adocchiai una porta. Che fosse lodato il cielo. Ci corsi contro con un moto d'impazienza e la spalancai senza neanche leggere cosa ci fosse scritto fuori. Mai fatta una cavolata peggiore. 
La piccola stanza che mi si aprì davanti agli occhi era niente poppò di meno che un bagno per invalidi. E purtroppo non era vuoto. Un uomo sulla cinquantina era accomodato sulla tazza con una rivista di gossip tra le mani ed un auricolare all'orecchio. Fu una questione di secondi: lui si girò a guardarmi, io lo fissai con gli occhi fuori dalle orbite ed insieme gridammo per lo spavento misto all'imbarazzo. 
Mi affrettai a richiudere la porta con un colpo secco e per una decina di secondi rimasi immobilizzata sul posto con la faccia paonazza. 
Quella sì che era un'esperienza traumatica. Mi sarebbe rimasta impressa nelle mente fino alla fine dei miei giorni. 
Scossi il capo cercando di scacciare quell'orribile immagine e mi affrettai a percorrere il corridoio. Ottimo, si diramava. Dove sarei dovuta andare? Il mio sesto senso mi consigliava di svoltare a destra. 
<< Che ci fai qui tutta sola? >> Mi voltai a sinistra ed incontrai gli occhi indagatori di David. Il mio sesto senso faceva piuttosto schifo, mi toccava riconoscerlo.
Lo raggiunsi con delle rapide falcate, malgrado le gambe corte, e posai le mani sui suoi avambracci. << Stai bene? Ti fa male qualcosa? Hai picchiato la testa? >> domandai apprensiva mentre i miei occhi vagavano lungo il suo corpo per controllare che non avesse delle ferite. 
Ridacchiò e mi prese il mento tra le dita per sollevarmi il viso. << Sto bene, nulla di rotto. >> Scrollò le spalle e subito dopo se le sgranchì. << È sempre così, ormai ci sono abituato. >> 
Sospirai sollevata e l'istante successivo mi accigliai. << Non mi capacito di come tu possa chiamarlo sport. È una specie di... wrestling di gnu >> affermai basita. << Gente che vola di qui, corpi a terra di là... Ma è legale? >> domandai sospettosa. 
<< Certo che lo è >> rispose esplodendo in una risata. Ero sempre più convinta che avesse picchiato la testa. 
<< Sarà >> borbottai con un'alzata di spalle poco convinta. Inclinai il capo e studiai il suo volto rilassato. << Credevo che saresti stato più nervoso per l'espulsione. >> 
Sollevò il mento e la sua bocca si stirò in un sorriso sghembo. << Infatti lo ero fino a due minuti fa, poi sei arrivata tu >> confessò provocando il battito accelerato del mio cuore. 
<< Chiamami pure camomilla >> dichiarai con un'espressione altezzosa. Mi sollevai sulle punte e gli allacciai le braccia dietro al collo mentre le sue mani scivolavano leggere sui miei fianchi. << Mi sei mancato >> sussurrai socchiudendo gli occhi con un sospiro. 
La sua fronte si appoggiò alla mia e le sue labbra si avvicinarono alle mie per sfiorarle con dei soffici tocchi. << E se ti dicessi che la nuova partita si terrà la settimana prossima? >> 
Mi ritrassi di scatto e sgranai gli occhi. << Cosa? >> Altri allenamenti estenuanti, altri giorni senza vederci e soprattuto altra bomba d'ansia per me. 
I suoi occhi si illuminarono di divertimento. << Sto scherzando >> ammise ridacchiando allo scappelloto che gli rifilai sulla testa. << Fino a quando non ricomincerà la scuola non avrò più allenamenti né partite. >> Mi strinse a sé ed espirò sulla mia bocca. << Ciò significa molto tempo libero >> asserì con un sorrisetto malizioso. 
<< Così va già meglio. >> Mi allungai contro il suo corpo ed osservai i suoi occhi scurirsi di secondo in secondo. Quando si protese in avanti per baciarmi, mi tirai indietro con la testa e sfuggii alle sue labbra. 
<< Lo sai che stai molto bene con questa divisa da football? >> mormorai con un sorriso compiaciuto. 
<< Dovresti vedere sotto >> rispose sicuro di sé. Abbassò gli occhi sulla mia bocca e scosse impercettibilmente il capo mentre il suo pomo d'Adamo si abbassava ritmicamente. << Sto morendo dalla voglia di baciarti, Sarah. >> 
Quelle poche parole mandarono in cortocircuito il mio povero cervello. Non me lo feci ripetere due volte, mi avvicinai a lui e chiusi gli occhi nel momento in cui le sue labbra s'incontrarono con le mie. 
Dopo giorni finalmente sentivo di aver riacquistato la mia pace interiore. Ero tra le braccia del mio ragazzo con la consapevolezza che avrei potuto trascorrere i giorni successivi in sua compagnia. Tutta l'ansia che avevo covato fino a poco prima si stava sciogliendo una volta per tutte. 
Una sua mano si posò su una mia guancia fredda ed iniziò ad accarezzarmela con dei leggeri movimenti del pollice. Rabbrividii di piacere e mi ritrassi quel tanto che bastava per guardarlo nelle sue lucenti iridi di terra fusa. 
Altri brividi mi attraversarono la spina dorsale come scariche elettriche dinanzi all'intensità del suo sguardo. Aveva un qualcosa di magnetico. 
Le sue braccia si saldarono dietro la mia schiena, sospingendomi verso il suo corpo contro il quale mi lasciai andare più che volentieri. Adagiai la testa sul suo petto e sorrisi felice mentre percepivo il peso della sua bocca sui miei capelli. 
<< Comunque, anche se vederti giocare mi riempie d'ansia, sei molto bravo >> sussurrai fissando il pavimento. << Mentre ti guardavo mi sentivo orgogliosa di essere la tua ragazza >> aggiunsi con un filo di voce per l'imbarazzo. 
Oddio il cuore mi stava per scoppiare. Sarei morta lì fra le sue braccia dopo aver espirato quelle ultime parole cariche di sentimento. Quale fine più triste e dolce di quella? 
<< Come non darti ragione >> rispose quell'idiota, uccidendo l'atmosfera romantica creatasi. << Soprattutto se considerato quante ragazze farebbero la fila per stare al tuo posto. Prima che iniziasse la partita ne ho viste un bel po' che mi lanciavano occhiatine maliziose o che si sbottonavano per mostrarmi la scollatura >> dichiarò con un risolino divertito. 
Stupide gallinelle in calore senza un briciolo di pudore. 
Mi staccai dall'abbraccio ed incrociai le braccia sul petto con un sopracciglio sollevato per il nervoso. << E tu che hai fatto? >> 
Fece spallucce e piegò la bocca in una smorfia d'indifferenza. << Nulla, ero in campo. >>
<< Però ti guardavi intorno >> constatai stizzita. Appena raggiungevo un briciolo di pace arriva subito qualcosa che mi faceva saltare i nervi. Che destino infame. 
<< C'era un perché >> affermò mentre il suo sguardo si faceva più intenso. << Cercavo una nanetta >> buttò fuori con un piccolo sorriso sghembo. 
In un nano secondo il mio cuore si sciolse e le mie guance si colorarono di rosso. Mio Dio. Quella era una delle cose più tenere che avesse mai fatto e successivamente ammesso. Me lo immaginavo mentre con gli occhi vagava per lo stadio alla mia ricerca; assomigliava così tanto ad un cucciolo. 
Mi aprì in un sorriso intenerito e gongolai come una scema dondolandomi sui talloni. << E mi hai trovata? >> 
Scosse il capo. << No, probabilmente eri la più bassa dopo i bambini >> mi prese in giro ridendo. 
<< Dai, scemo >> lo appuntai scalciando un sassolino invisibile. Ci fissammo per una serie di secondi con le iridi accese di divertimento ed un sorriso da parte a parte, alla fine mi decisi a saltellare fino a lui come un coniglio ubriaco e ad abbracciarlo stretto. 
Avvertii la sua bassa risata nell'orecchio e successivamente la sua bocca che mi depositava un bacio sulla tempia. Mi lasciai cullare da quelle stesse braccia che fino a venti minuti prima lanciavano la palla con una potenza ed una precisione strabilianti e sospirai serena. 
<< Domani sei libera? >> mi domandò contro il lobo. Me lo morse piano e rabbrividii ammaliata. 
<< Tutto il giorno. Devo anche comprare dei regali per Natale >> asserii distanziandomi per guardarlo negli occhi. Le sue iridi erano accese e guizzanti, attente a captare ogni mio più superfluo movimento. Erano così...
La suoneria del mio telefono fece scoppiare la bolla di romanticismo nella quale ero sprofondata e mi costrinse a slacciarmi da David. 
Acciuffai il cellulare in fondo alla borsa e sbloccai la chiamata. << Dimmi Clar. >>
<< Sarah non puoi capire! Ho una notizia bomba! Tu non immagini neppure >> esclamò, a tratti su di giri a tratti spaventata. 
Sgranai gli occhi ed il cuore mi batté frenetico in riflesso. << Cosa hai scoperto? Ma stai bene? Dove sei adesso? >> Mio Dio, perché mi faceva prendere quei colpi? Adesso avevo l'ansia che le fosse successo qualcosa di brutto.
Portai lo sguardo su David che sollevò un sopracciglio interrogativo. Gli feci segno di aspettare e mi concentrai sulle parole frenetiche della mia amica. Non ci stavo capendo niente. 
<< Ma dove ti trovi ora? >> 
<< In macchina, sbrigati a venire! >> strillò scoppiando poi a ridere. Non riuscivo a comprendere se si fosse ubriacata o se fosse semplicemente impazzita.  
<< Sì arrivo subito >> affermai riattaccando. Sospirai e dirottai la mia attenzione su David. << Devo andare, Clar ha bisogno di me. >> 
Annuì con un lento movimento del capo e, per un attimo, mi sembrò di leggere nei suoi occhi una nota di tristezza. D'istinto mi alzai sulle punte e catturai le sue labbra in un bacio. La sua bocca rispose prontamente e le sue mani scivolarono in fretta tra i miei capelli per stringermi a sé con decisione. 
Mi ancorai alle sue spalle e per alcuni istanti dimenticai cos'avrei dovuto fare e dove mi trovassi. A ricordarmelo ci pensarono dei lontani schiamazzi che provenivano dal corridoio. 
Mi distanziai controvoglia e puntai gli occhi nelle gemme luminose di David. << Ci vediamo domani dopo pranzo, ok? >> 
Mi sorrise sghembo ed afferrò una mia mano per attirarmi di nuovo contro il suo corpo. Il respiro mi si mozzò in gola per la sorpresa. 
<< Non ho intenzione di farti uscire da dove sei arrivata >> affermò trascinandomi per un altro corridoio. 
<< E perché no? >> domandai con l'espressione di chi la sa lunga. Eccome se lo sapevo, volevo solo che ammettesse quanto fosse geloso. 
Scrollò le spalle. << Perché potresti essere schiacciata dalla calca di gente che si allontana dallo stadio. >> 
Come no. << Quindi quegli schiamazzi di gorilla che si avvicinavano allo spogliatoio non c'entrano nulla? Sai, perché sarei dovuta passare in mezzo a loro per uscire >> buttai là con un tono suadente, o almeno speravo che lo fosse. 
La sua bocca si storse in una smorfia. Segno inequivocabile che ci avevo azzeccato. 
Ridacchiai della sua ammissione implicita e lo seguii con la sua mano stretta nella mia. Qualche minuto più tardi raggiungemmo la porta d'uscita. Purtroppo. 
Il tempo trascorreva sempre troppo in fretta quando ero insieme a lui. 
<< Alle tre davanti alla scuola? >> mi chiese voltandosi a guardarmi. 
Annuii e mi sollevai sulle punte per andare in contro alle sue labbra per un rapido bacio a stampo. << A domani >> sussurrai con un sorriso prima di aprire il portellone. 
Il freddo dell'esterno mi colpì come un pugno nello stomaco. Mi strinsi nel cappotto e corsi fino al parcheggio dove si trovava la macchina di Clar. 
Non mi ci volle molto a trovarla, sebbene non mi ricordassi dove l'avevamo lasciata di preciso, perché appena le passai davanti la mia amica si attaccò al clacson come un'ossessa. 
Entrai frettolosamente nel piccolo abitacolo finendo per essere investita dagli acuti di Clar. << Oddio, appena te lo dirò morirai sul colpo! >> gridò afferrandomi per un braccio e strattonandomi. 
Era impazzita sul serio. << Ma cosa? >> domandai mentre venivo scotolata come un sacchetto. 
Scoppiò a ridere e si passò le mani tra i capelli. << Me ne sono accorta troppo tardi, se no ti avrei evitato di scatenarti come hai fatto per tutta la partita. Sembravi un'ultras. Insomma vuoi sapere chi era seduta esattamente dietro di te? >> 
Ci avevo capito molto poco del suo discorso, ma in ogni caso la questione mi inquietava. << Mio Dio, chi? >> domandai col cuore in gola. 
I suoi occhi si accesero e mi fissarono con forza. << La mamma di David. >> 
Oh. Mio. Dio. 

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Capitolo 9
*** Passato invasivo ***



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Passato invasivo












 



Era una tragedia. Una gigantesca e colossale tragedia. 
Non ero riuscita a chiudere occhio per tutta la notte, il che non era stato proprio un male. Così mi ero tenuta lontana dagli incubi e dal conseguente stato di agitazione nel quale di solito sprofondavo. 
Mi sarei strappata i capelli dalla disperazione se solo non ci avessi tenuto tanto. Mio Dio, che idea avrebbe potuto farsi di me la mamma di David? Per tutta la partita mi aveva vista strillare e dimenarmi come una pazza nevrotica. Speravo che almeno non avesse udito le gentili parole che avevo rivolto alla bisbetica signora che si era lamentata del mio comportamento. 
Rigirai la forchetta nel piatto e sbuffai seccata. 
Ma perché tra tutti i posti presenti in quello stadio la mamma del mio ragazzo si era dovuta sedere proprio dietro alla sottoscritta? Che domande. Parlavamo di me: l'abbonata alle figure di cacca e alla sfortuna.
<< Non mangi? >> 
Alzai il capo e puntai gli occhi su mio fratello. Che aveva detto? 
Il mio sguardo da pesce lesso dovette essere sufficiente a fargli capire che non avevo afferrato una singola parola del suo discorso. 
Allungò un braccio sul tavolo ed indicò il mio piatto ancora pieno di pasta. << Non mangi? >> Oh, adesso era tutto più chiaro. 
Scossi il capo con una smorfia. << Non mi va molto. >>
<< Be' allora dammelo, che aspetti? >> 
Mi accigliai e gli porsi ciò che tanto desiderava. << Le buone maniere sono sempre un optional >> constatai mentre la sua forchetta si conficcava nel tritume di pasta che aveva cucinato lui stesso. 
Da sempre, quando i miei genitori non erano in casa per pranzo o cena, Cam si eleggeva re della cucina. Si divertiva a creare pietanze che... be', si potrebbero definire originali. Non era proprio un asso, ma qualcosa di commestibile a volte riusciva a produrlo. 
Lo fissai attentamente mentre masticava con voracità. Sembrava che digiunasse da giorni. In realtà non era una novità, aveva sempre mangiato quanto un bue pur senza prendere un filo di grasso. Il metabolismo da favola, neanche a dirlo, era andato a lui. 
Se io mi fossi strafogata come lui di schifezze e chili di pasta, a quell'ora sarei potuta uscire dalle porte solo di profilo. 
D'un tratto la mia attenzione fu catturata dal risvolto del suo golf, o meglio, dall'avambraccio sinistro scoperto. Aggrottai la fronte e mi sporsi sul tavolo per sfiorargli la zona che aveva attirato il mio sguardo. << Dove te lo sei fatto? >> domandai mentre i miei polpastrelli scivolavano leggeri su un lungo ed esteso ematoma viola dalle venature rossastre e blu. 
Sentii distintamente i suoi muscoli tendersi ed il respiro mozzarglisi in gola. Sollevai gli occhi interrogativa ed incontrai i suoi che mi osservavano con una freddezza timorosa, come se quella domanda lo avesse messo con le spalle al muro. 
<< Cam >> lo spronai con un tono calmo. Volevo che parlasse. Se una volta non ci ero riuscita, ci avrei riprovato fino a che non fosse stata quella buona. << Da dove viene questo? >> mormorai con un'espressione decisa, ma al contempo supplichevole. 
Il silenzio che seguì fu carico di tensione. La sua mascella si contrasse ed i suoi occhi guizzarono per la stanza come se fossero stati alla ricerca di una via di fuga. In quegli istanti provai una profonda tenerezza mista a dispiacere nei suoi confronti. Era come se... come se il mio fratellone estroverso e sicuro di sé fosse improvvisamente diventato impotente. Una sorta di cucciolo denudato di tutto. Spaurito. Insicuro. Confuso.
Quella vista mi fece estremamente male. 
Mi ritrassi a testa bassa e bevvi dei sorsi d'acqua per far scendere il magone che mi si era condensato nella gola. Dopodiché presi il mio bicchiere, le posate e mi alzai per portarle all'acquaio. 
Non sapevo cosa fare. Mi sentivo messa da parte ed inutile in tutta quella situazione. Perché non poteva semplicemente permettermi di aiutarlo? Era frustrante vederlo in quella condizione e non sapere dove mettere le mani per essergli d'aiuto. 
Alzai gli occhi sul soffitto e mi soffermai ad osservarlo distrattamente. 
<< Sarah? >> La voce bassa di Cam mi fece sussultare di sorpresa. Mi precipitai al tavolo e focalizzai il mio sguardo carico di aspettativa su di lui. Teneva la testa bassa e le mani chiuse a pugno. Notai che aveva abbassato la manica del golf e ne stringeva l'orlo tra le dita. << Potresti non dire nulla a mamma e papà? >> mormorò evitando di alzare gli occhi sui miei. << È solo un livido. >> 
Solo un livido. Certo. Il suo braccio, fino al gomito, era violaceo e lui lo chiamava livido. Sembrava che si fosse rotto le vene da quanto quelle orribili tinte rosse, blu e viola erano accese. 
Il cuore mi batté improvvisamente più rapido ed un'ondata di sudore mi sommerse da capo a piedi. Vene. 
Mi umettai le labbra ed il respiro accelerò quanto il mio battito cardiaco. 
<< Cam ti droghi? >> gettai fuori con un filo di voce rotta. Mi stava girando la testa e sentivo gli occhi uscirmi quasi dalle orbite. Dovetti aggrapparmi con forza al tavolo per evitare di cadere a terra tanto le gambe mi erano diventate di gelatina. 
La sua testa scattò di colpo ed i suoi occhi saettarono su di me. << Ma cosa accidenti dici? >> sbraitò alzandosi fulmineo. Fu talmente violento il modo in cui si sollevò che la sedia ricadde con un tonfo assordante sul pavimento. Quel rumore mi rimbombò nelle orecchie costringendomi ad assottigliare lo sguardo per il fastidio. 
<< Spari un mucchio di cavolate >> continuò a vociare furioso, mentre si dirigeva all'acquaio col piatto in mano. Ce lo gettò dentro con una rabbia aggressiva, mandandolo in frantumi e facendo schizzare la pasta dappertutto. Sobbalzai impaurita da quel gesto e, se possibile, i miei occhi si spalancarono ancora di più. 
Quello non era mio fratello. Lui non era quella persona violenta e schizzata. Lui non era quell'estraneo che mi trovavo davanti. 
Per una manciata di secondi rimase a fissare il macello che aveva combinato con i muscoli del viso contratti, poi si voltò verso di me per scagliarmi il suo adirato sguardo addosso. Istantaneamente sgranò le sue pozze cerulee e deglutì quasi con colpevolezza. Lo leggevo nei suoi occhi: era dispiaciuto. Si era reso conto di aver esagerato e di avermi impaurita. 
Abbassò la testa e fece vagare lo sguardo per terra. << Lascia tutto così. Poi pulisco io >> dichiarò secco. 
<< C... >> Le labbra mi si erano seccate così come la gola. << Cam >> riuscii a pronunciare con la voce strozzata. << Tu non fai cose pericolose, vero? >> 
<< Basta, Sarah. >> 
Sbattei le palpebre frettolosamente ed afferrai uno spigolo del tavolo con le mani sudate. << Domani è Natale >> affermai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. << Tu starai con me, mamma e papà, vero? Come abbiamo sempre fatto. >> Tirai su col naso e mi morsi un labbro. << Insomma, non è cambiato nulla. Vero, Cam? Dimmelo! >> sbottai battendo una mano sul pianale. Cominciavo a non sopportare più quella sua nuova freddezza ed il suo atteggiamento distante. Mi faceva male sapere che non si fidasse di me e che mi trattasse in quel modo schivo. 
In dei momenti mi sembrava di non conoscerlo per niente. E quel fatto riusciva a devastarmi più di ogni altra cosa.
Le sue pozze azzurre mi esaminarono con una luce diversa. Era come se anche lui, in quel momento, stesse soffrendo quanto me, ma facesse di tutto per mascherarlo. Ed ancora una volta mi chiesi cos'avesse da nascondere. 
D'un tratto si schiarì la voce e distolse lo sguardo scottato. << È cambiato l'intero mondo, lo sai benissimo anche tu >> affermò con un tono tagliente. 
Scossi la testa in un gesto di repulsione verso le sue parole ed inspirai a fondo per cercare di trattenere le lacrime. << Non m'interessa del mondo >> sputai chiudendo per un istante gli occhi. << Voglio sapere di te. >> 
<< Sì, sì, sono cambiato! >> sbraitò tornando a guardarmi e spalancando le braccia. << Esattamente come sei cambiata tu e tutti coloro che sono sopravvissuti. >> Assottigliò lo sguardo e s'indicò il petto. << Ma cosa credi, che vedere morire degli amici non ti cambi interiormente? Mamma e papà non ti hanno mai raccontato come sono andate veramente le cose durante quello schifo di periodo. Ma sappi che no, non sono andate rose e fiori come ti hanno fatto credere. Non ce ne siamo stati lì con le mani in mano ad attendere che tutto finisse >> confessò con gli occhi illuminati di consapevolezza e dolore. Sbuffò rabbioso e lasciò ricadere le braccia lungo il corpo esasperato. Sembrava che stesse compiendo uno sforzo immane per trattenersi dal rivelarmi qualcosa. Ma compresi che aveva abbattuto quel muro da lui stesso eretto nel momento in cui riaprì la bocca. << Ti sei mai chiesta perché tre magliette erano attaccate alla parete della palestra mentre giocavo la partita? Be', te lo dirò io >> dichiarò fissandomi con un'intensità tale da lasciarmi senza fiato. Tirò su col naso e deglutì pesantemente, le mani che tremavano come foglie. << Quelle maledette divise ricordavano tre ragazzi della squadra, i cui sogni sono stati frantumanti prima ancora di essere realizzati e la cui voglia di vivere è stata stroncata da una morte atroce >> affermò con rabbia e risentimento. << E mi vieni a chiedere se sono cambiato? Hai idea di cosa voglia dire vedere un amico che conosci da dieci anni e con cui hai giocato le più belle partite della tua carriera morirti tra le braccia? >> Il suo sguardo bruciante rimase incastrato al mio, mentre il silenzio calava su di noi con tutta la sua pesante tristezza. Solo i miei singhiozzi sommessi spezzavano di tanto in tanto quella bolla di amarezza e depressione. 
Il mio cervello non faceva altro che rimbalzare avanti e indietro tra i ricordi ed il presente. Davanti ai miei occhi si era ripresentato prepotentemente il volto di Bim, poi sostituito da quello dell'amico di Cam che avevo visto in svariate partite. Subito dopo tornavo a ripensare a Bim, alla famiglia per la quale si era sacrificato ed ai suoi urli straziati mentre... 
Mi sorressi al tavolo ed abbassai la testa per dare sfogo ai singhiozzi che dolorosamente mi si erano conficcati nella gola. Perché i ricordi più dolorosi non riuscivano a sbiadirsi come quelli belli? Perché la mente non poteva seppellirli in qualche meandro oscuro? Di Bim avrei soltanto voluto portare con me il ricordo del suo sorriso e della sua folle immaginazione, della sua generosità e del suo istinto a sacrificarsi per chi amava davvero. Ed invece, a ripensarci, prima di tutto mi saltava alla mente il giorno in cui la sua vita aveva avuto fine. 
La superficie bianca del tavolo iniziò a sfocarsi mano a mano che le lacrime mi inondavano gli occhi. Ad una ad una cominciarono a cadere con dei leggeri tonfi, rammentandomi quanto fosse doloroso rivangare il passato. 
<< Vieni qui. >> Una mano di Cam si strinse attorno al mio avambraccio e l'attimo dopo mi ritrovai accoccolata contro il suo petto. Ci affondai la testa e gli stritolai dei lembi della maglietta tra le dita. 
Una sua guancia si appoggiò sui miei capelli ed il suo torace si sollevò per rilasciare un sospiro. << Sono cambiato, Sarah, ma non nel modo che pensi tu >> sussurrò stanco. << Sto solo cercando di... >> S'interruppe per dei secondi e lo sentii espirare pesantemente sulla mia testa. << Di proteggere chi amo. >> 
Sollevai il mento e puntai gli occhi nei suoi. << Ma domani... non vuoi stare con noi? Possiamo trascorrere il primo Natale dopo quell'inferno facendo finta che nulla sia cambiato. So che sarà comunque diverso, ma possiamo provarci >> lo supplicai. << Potremmo costruire dei nuovi ricordi belli che contrastino quelli brutti. Ma questo non significherebbe dimenticare chi ci ha lasciato, significherebbe soltanto reagire ed andare avanti. >> 
Bim vivrà nei tuoi ricordi per sempre, non lo scorderai mai. Si può andare avanti anche portando con sé le proprie cicatrici per trasformarle in qualcosa in grado di fortificare. Questo significa reagire.
E mentre le parole di David mi risuonavano nella mente, sul volto di Cam vidi spuntare un piccolo sorriso. << Non potrei mai perdermi la tua faccia da opossum mentre scarti i regali >> affermò scompigliandomi i capelli. << E stasera cioccolata calda sul divano, vero? >>
Le mie iridi s'illuminarono con la stessa rapidità con cui un enorme sorriso mi nacque sulle labbra. Annuii con vigore e saltellai sul posto mentre le mie braccia cercavano di stritolarlo in un abbraccio. << Non vedo l'ora >> squittii su di giri.
<< Sì, ma adesso levati, tutto questo affetto manifesto mi sta turbando >> borbottò tirandomi dei nocchini sulla pancia.
Mi ritrassi divertita e scacciai la scia umida lasciata dalle lacrime. 
Non credevo che la questione ancora oscura di ciò che combinasse si fosse conclusa, ma in un certo senso ero contenta che ci fosse stato quel confronto, seppur violento, tra noi. Ero venuta a conoscenza di un recente passato di sofferenza nella sua vita che prima neanche immaginavo, ma soprattutto ero felice che si fosse sfogato con me. Quello che adesso mi pungolava e mi prendeva in giro era mio fratello, ma non soltanto. Lui era anche quello che si era incendiato e che aveva sbattuto il piatto in uno scatto di rabbia legato alle ferite ancora troppo aperte che aveva sul cuore. 
Era cambiato, ma non in peggio. Si era tenuto dentro quell'enorme dolore cercando di farci i conti da solo per metabolizzarlo e non farlo pesare su di noi. 
Stava davvero cercando di proteggerci. Mi chiedevo se anche ciò che stava combinando avesse a che fare quello. Ma lo avrei scoperto con l'aiuto di David. 
Mi fidavo di mio fratello come di pochi altri, e sapevo che la droga non c'entrasse nulla col suo braccio, ma il fatto che non avesse risposto quando gli avevo chiesto se faceva qualcosa di pericoloso non mi faceva stare tranquilla. Anche io volevo proteggerlo. 
E lo avrei fatto a qualunque costo.





                                                                      *  *  *





Alle tre in punto, sempre precisa come un orologio svizzero, ero piazzata davanti alla scuola in attesa di quel bradipo del mio ragazzo. 
Sarebbe arrivato come minimo cinque minuti dopo. Me lo sentivo. 
Del resto lui abitava nel Bronx ed il suo tragitto era più lungo di quello che dovevo percorrere io. Ero curiosa di scoprire come fosse casa sua, oltre che di conoscere suo fratello e... oh mio Dio, sua mamma. Per un po' mi ero quasi scordata della brutta figura che avevo fatto il giorno prima. 
Santo cielo, al novanta percento delle probabilità David era venuto a conoscenza di tutto. Chissà cosa gli aveva raccontato sua madre su di me. Il cuore mi batteva già ad un ritmo più che sostenuto per l'ansia. 
Magari la signora mi aveva scambiata per una teppista da stadio, oppure per un'isterica che avrebbe fatto passare le pene dell'inferno a suo figlio. Mio Dio, che orribili prospettive. 
Sospirai una nuvoletta di vapore condensato e mi mossi da un piede all'altro per riscaldarmi. Fortuna che mi ero vestita pesante, con tanto di capellino di lana e guanti, visto che stava nevicando da tutto il giorno. I capelli li avevo sistemati in una larga treccia laterale, con due ciuffi che ricadevano da sotto il berretto color panna ad incorniciarmi il viso. 
Avevo speso più di un quarto d'ora per ottenere quell'acconciatura. L'avevo fatta e disfatta circa mille volte prima di farmela andare bene ed esserne abbastanza soddisfatta. Dopodiché una passata di mascara, un velo di fard sulle guance ed ero uscita di casa. 
Non mi truccavo quasi mai, non perché avessi un'avversione ai cosmetici, anzi li ritenevo dei fidi alleati, ma semplicemente perché mi faceva fatica. A scuola, ad esempio, andavo sempre struccata. Era troppo impegnativo trovare del tempo la mattina per mettermi qualcosa in faccia, anche perché dovevo mantenere il mio personale record di puntualità. 
Se ci pensavo bene, quella era la prima volta che David mi avrebbe vista con un po' di trucco. Oh mio Dio, fremevo all'idea di sapere cosa ne pensasse. Magari mi avrebbe trovata più carina. Al solo pensiero le mie guance si arrossarono e le mie labbra si stesero in un sorriso. 
Scalciai un po' di neve con i miei stivaletti marroni impermeabili e raddrizzai la borsa sulla spalla per scrollarla dalla neve. 
<< Stai diventando un pupazzo di neve >> mi canzonò una profonda voce familiare. 
Il mio cuore scattò con la stessa velocità con cui i miei occhi saettarono su quelli ambrati e divertiti di David. L'impertinente sorrisetto sghembo che gli illuminava il viso, la testa leggermente abbassata che gli permetteva di osservarmi di sottecchi tra alcuni ciuffi sfuggiti dal cappellino e la sua posa disinvolta, con tanto di mani calate nelle tasche dei jeans, lo rendevano assolutamente ed irrimediabilmente irresistibile. 
Gli sarei volentieri saltata addosso se solo non fossimo stati in pubblico. 
Come cavolo faceva ad essere tanto bello pur indossando un giubbotto? Insomma, non riuscivo neanche a vedere un centimetro della sua pelle e già mi sentivo andare a fuoco. 
Mi riscossi dal mio stato di trance e lo raggiunsi rapidamente, rischiando d'incespicare ad ogni passo. Dio, possibile che vederlo mi facesse pure scordare come si camminasse in linea retta? 
Al termine del mio tortuoso percorso sospirai di sollievo. Per lo meno avevo evitato di cadere come una pera cotta e di spiaccicarmi ai suoi piedi, sarebbe stato piuttosto imbarazzante. 
Sollevai il capo e gli sorrisi felice. << Ciao. >> Amore. Quanto avrei voluto aggiungere quella parolina, ma probabilmente sarei morta d'imbarazzo subito dopo. David non era un tipo che amava le smancerie, e di conseguenza non sapevo come avrebbe reagito nel sentirsi chiamare in quel modo. 
Chissà se avrei mai avuto il coraggio di scoprirlo. 
<< È da tanto che aspetti? >> mi domandò, gli occhi felini che non abbandonavano mai i miei. 
Scossi la testa sbattendo rapidamente le palpebre. << No, saranno cinque minuti. >> Mi sentivo una completa demente in quel momento. Ero talmente ammaliata dal suo sguardo e dalla sua presenza da captare a malapena le sue parole. 
Le sue labbra s'incurvarono in un sorriso radioso, mandandomi in estasi. << Hai i fiocchi di neve persino sulle ciglia. >> Con una mano mi smosse piano il cappello, successivamente si abbassò sulle ginocchia per calarsi alla mia altezza ed esaminarmi con attenzione. << Chiudi gli occhi. >> Il suo respiro caldo si scontrò contro le mie labbra fredde, e fu una sensazione così piacevole da spingermi a mordermele per trattenere quel calore. 
Mentre il mio cuore palpitava emozionato, le sue dita affusolate si operavano per togliermi la neve dalle ciglia con delicatezza. 
Poi successe tutto alla velocità della luce. 
Che vuoi farci?
Bendarti.
Perché? Ce la posso fare.

Strizzai gli occhi e mi costrinsi a scacciare quel ricordo. 
Stupida, perché sei andata in quella pozza?!
Non l'ho mica fatto apposta! Non ci vedo. Perché? Cos'è?
È solo acqua. Acqua putrida.

Deglutii pesantemente ed espirai con lentezza, svuotandomi i polmoni nel tentativo di calmarmi. 
Come un flash si ripresentarono alla mia memoria le orribili immagini che ogni notte mi facevano strillare in preda al panico. Vidi sangue, corpi fatti di sola pelle, edifici smembrati dalle fiamme, un cielo rosso con striature nere. Le orecchie mi si riempirono delle urla straziate di Bim, della donna che non avevo avuto la possibilità di salvare e delle altre persone che in lontananza venivano massacrate. 
Spalancai gli occhi terrorizzata, incontrando quelli di David che mi scrutavano guardinghi. 
Retrocessi di qualche passo col respiro accelerato ed il cuore che batteva impazzito dentro al petto.
Era ancora tutto così vivido da farmi apparire vero quell'inferno, come se non fosse mai finito. Ed era proprio quello a spaventarmi più di ogni altra cosa: che non fosse terminato. 
<< Sarah. >> La voce pacata di David mi fece risalire lo sguardo sino alle sue iridi serie ed intense. Con delle rapide falcate mi raggiunse e mi esaminò come se fossi stata sotto una lente d'ingrandimento. << Che cosa c'è? >> I suoi occhi si muovevano rapidi per tutto il mio viso alla ricerca di un indizio. 
Fu solo grazie alla sua vicinanza e all'ansia che lessi nei tratti tesi del suo volto che la mia mente scacciò quegli orribili ricordi e tornò a concentrarsi sul presente. 
Rilassai le spalle e sospirai una nuvola di stress. << È stato... >> Umettai le labbra secche e mi schiarii la voce. << Quando ho chiuso gli occhi. Tu eri davanti a me, ti sentivo vicino. >> 
L'attenzione con cui mi osservava, quasi senza perdersi in un battito di ciglia, mi fece salire un groppo alla gola. Non ne sapevo nemmeno il motivo. Forse perché in quel momento ero particolarmente sensibile, essendo ancora scossa, o forse perché in ogni singola sfumatura delle sue iridi avevo la prova di quanto lui tenesse a me.
Attorcigliai le dita e mi morsi un labbro sbattendo rapida le ciglia. << Proprio come quando mi mettevi la benda >> confessai facendo vagare lo sguardo per la strada. Persone apparentemente spensierate camminavano avvolte nei loro pesanti cappotti, alcune ridendo, altre chiacchierando, altre ancora con delle buste tra le mani. 
Sbuffai frustrata e riportai i miei supplichevoli occhi su quelli seri di David. << Perché non riesco a superarlo? Ogni notte è la stessa storia, adesso... >> Scossi il capo. << Sono stanca. Più mi sforzo di non pensarci più il mio cervello me lo spiattella in faccia. Eppure credevo di aver fatto dei passi avanti. Almeno di giorno credevo di aver iniziato a condurre una vita normale. >> Gli occhi mi si inumidirono per la rabbia. << Cosa c'è che non va in me? >> 
David mi fissò per una manciata di secondi in silenzio, dopodiché abbassò la testa e scalciò un piccolo cumulo di neve. << Non c'è assolutamente nulla che non vada in te >> asserì con un tono calmo e profondo. << Devi darti più tempo di quanto pensi. >> Alzò il suo magnetico sguardo e prese ad osservarmi tra i ciuffi di capelli ricaduti sulla fronte. << Ti stai sforzando di dimenticare qualcosa che non riuscirai mai a cancellare. Più forzi il tuo cervello più ti farai del male. Datti tempo, è la sola medicina. Ogni ferita deve fare il suo corso prima di rimarginarsi completamente e trasformarsi in una cicatrice. Solo a quel punto ti farà meno male. >> 
Al termine delle sue parole, distolsi lo sguardo ed annuii tirando su col naso. Forse stavo pretendendo troppo da me stessa, avrei dovuto darmi maggiore tempo per metabolizzare e stipare il passato in un angolo remoto della mia testa. Il fatto che quella stessa mattina, con Cam, fosse saltato fuori proprio quel discorso mi aveva colpita più di quanto inizialmente mi fossi resa conto. Erano tornati a galla così tanti ricordi spiacevoli e dolorosi che, per quanto mi stessi sforzando, non avrei potuto far sprofondare nel giro di uno o due giorni. 
Aveva ragione David: il tempo era la sola medicina. 
<< Ehi. >> Le sue dita si chiusero attorno al mio mento, facendomi voltare la testa affinché i nostri sguardi si saldassero insieme. << Non sei sola >> mormorò mentre io continuavo a sentire il magone premermi nella gola. Si umettò le labbra ed avvicinò il viso al mio per osservarmi con maggiore decisione. << Ce la faremo. Insieme. >> 
I suoi occhi bruciavano di determinazione e sicurezza. Sentivo davvero di non essere sola a combattere quella battaglia. Era come se quel fardello lo stessi condividendo con lui in modo tale che gravasse meno sulle mie spalle. 
Annuii con più grinta e mi lasciai andare ad un sorriso. 
Fino a qualche ora prima ero stata io ad incoraggiare mio fratello con ciò che mi aveva detto tempo addietro David, ed adesso ero lì ad essere io quella che aveva bisogno di sostegno.  
Sospirai per scaricare la tensione e ridacchiai nel momento in cui David mi pungolò una guancia con un categorico "ridi, nanetta". 
Dopodiché c'incamminammo per la strada, ognuno avvolto dai suoi pensieri in un rilassato silenzio. Spesso gli lanciavo delle occhiate per scrutare i tratti del suo volto e carpire un indizio di cosa gli stesse frullando per la testa. 
D'un tratto un angolo della sua bocca si sollevò in un ghigno beffardo. << Sei diventata famosa in casa mia >> affermò virando la testa per guardarmi con un'espressione palesemente divertita. 
Oh Cristo! Sgranai gli occhi e sentii i battiti del mio cuore accelerare di colpo. 
<< Tua madre >> sussurrai con un filo di voce. Pronunciare quella parola ormai mi terrorizzava, avrei preferito sostituirla con un semplice Tu-Sai-Chi. Non che paragonassi la mamma del mio ragazzo a Voldemort, ma si trattava comunque di una figura che al solo pensiero mi faceva venire la tremarella. 
<< Già >> asserì schioccando la lingua al palato. 
<< Oh mio Dio. >> Mi passai una mano sulla treccia e lo fissai con apprensione. << Ma cosa ti ha detto di me? Insomma che pensa? Io non sapevo che tua mamma fosse seduta proprio dietro di me, altrimenti mi sarei contenuta. Me l'ha detto alla fine della partita Clarice, ma ormai era troppo tardi >> dichiarai fatalista. Mi morsi un labbro e spostai lo sguardo sulla strada. << Penserà che sono una pazza isterica, me lo sento. >> 
La risata di David mi fece tornare a guardarlo, stavolta accigliata. << C'è poco da ridere, mio caro. Tu non hai idea di come io mi sia scatenata durante la tua... >> 
<< In realtà un'idea ce l'avrei >> m'interruppe. Le sue sopracciglia si sollevarono mentre un sorrisetto da chi la sa lunga gli si pennellava sulle labbra. 
<< Oddio. >> Mi tappai la bocca sotto shock. << Oddio oddio. Ti prego dimmi che non ti ha raccontato tutto >> piagnucolai con una faccia da cane bastonato. 
Il suo sorriso si allargò compiaciuto. << Devo ammettere che con l'originalità dei tuoi insulti ti sei superata. Facocero puzzolente, pezzi di sterco suino, per non parlare del venduto all'arbitro. Ah, e poi il bellissimo "la smetta di rompermi le scatole". Come dimenticarlo. >> 
Dov'era la zappa quando serviva? Avevo l'urgenza di scavarmi la fossa e sotterrarmi fin quando le figure di cacca non avessero smesso d'inseguirmi. Ero stufa di essere la loro vittima prediletta. 
<< Non ci posso credere >> borbottai sconvolta. << Tua mamma ha sentito ogni minima parola. Sono rovinata >> dedussi, la bocca piegata in una smorfia. Speravo d'incontrarla il più tardi possibile, al momento non avrei avuto il coraggio di guardarla negli occhi. Ero quasi tentata di non voler sapere cos'altro gli avesse detto su di me. 
Quasi, appunto. 
Cercai gli occhi di David con aspettativa mentre le mie dita fasciate nei guanti si contorcevano in preda all'ansia. Il mio cervello si era diviso in due blocchi contrapposti: uno voleva conoscere cosa la signora pensasse della sottoscritta, l'altro mi esortava ad evitare di farmi del male. Neanche a dirlo, prevalse la mia curiosità di scimmia. 
<< Ma che altro ti ha detto? Insomma, che pensa di me? >> 
Le sue iridi si accesero di divertimento. Il cretino se la stava spassando a mie spese, scherzando con la mia sanità mentale. E nel frattempo se ne stava in silenzio per accrescere la suspance e farmi completamente uscire di zucca. 
Inspirò a fondo e sgranchì le spalle con un sorrisetto beffardo, sapendo quanto quell'attesa mi facesse stare in pena. Me l'avrebbe pagata cara, molto cara.
<< Diciamo che le piaci >> buttò fuori con una smorfia d'indifferenza, facendo spallucce.
Aggrottai la fronte. << Che vuol dire "diciamo"? >> Non capivo se era un modo carino per dirmi che in realtà le repellevo come un grappolo di emorroidi. 
Scoppiò a ridere e si voltò a guardarmi scuotendo il capo davanti al mio sguardo confuso. << Ti sto prendendo in giro. Le piaci sul serio. Mentre mi raccontava cosa tu avessi fatto, non la finiva di elogiarti e di ridere. Mi ha persino ordinato di portarti a casa nostra il prima possibile >> confessò. 
Sgranai gli occhi mentre le palpitazioni divenivano incontrollabili. << Mio Dio, dici sul serio? Non è che mi stai prendendo per i fondelli anche adesso? >> Se così fosse stato lo avrei riempito di mazzate tra capo e collo. 
<< Dico davvero >> ammise alzando gli occhi al cielo divertito. 
Il sorriso che mi spuntò sulle labbra l'attimo successivo fu talmente grande da farmi dolere i muscoli della faccia. E per tutto il pomeriggio continuai a tenermelo stampato sulla bocca come una celebrolesa. 
Sentivo che finalmente la nostra relazione stava iniziando a saldarsi in modo ufficiale, ad uscire allo scoperto. Il prossimo gradino da superare sarebbe stato parlarne coi miei genitori ed introdurre loro David. Entro la fine di Dicembre ce l'avrei fatta. 
Tutto sarebbe andato al suo posto per un nuovo inizio. 





                                                                      *  *  *





Quel pomeriggio del 24 Dicembre era praticamente volato via. Io e David avevamo fatto un giro per i negozi alla ricerca dei regali che dovevo ancora fare a Cam e ai miei genitori. Nonostante fossi una fissata con la puntualità, per fare i regali mi riducevo sempre all'ultimo minuto. 
Ne avevo anche approfittato per farne uno a David senza che se ne accorgesse. Da genio del male quale ero, dopo aver adocchiato in lontananza dei braccialetti di cuoio delle varie misure e colori, gli avevo indicato la direzione opposta facendogli credere che avessi visto un suo amico che lo stava salutando. 
Quell'allocco ci era caduto in pieno. Si era messo a cercare il suo immaginario amico mentre io ero sgattaiolata tra la folla con movenze di ninja. Ero entrata in fretta e furia nel negozio ed avevo compiuto il colpo. Gli avevo comprato un braccialetto a fascetta in cuoio nero, al cui interno avevo fatto incidere il suo nome. 
Dopo aver nascosto il pacchetto in borsa ero uscita con nonchalance e mi ero immessa nella calca di gente. L'unico problema era stato che, non solo David mi aveva persa di vista, ma pure io non sapevo dove lui si trovasse. 
I miei geniali piani si rivelavano sempre una lama a doppio taglio. 
Ero tornata nel punto in cui lo avevo lasciato e mi ero piazzata lì come una colonna, sporgendo il collo a mo' di struzzo per cercarlo con lo sguardo. 
Dopo poco lo avevo visto arrivare verso di me con una cannuccia in bocca, un cartoccio di cioccolata calda tra le mani e nell'altra un sacchettino di fumanti marshmallow coperti di cioccolato. 
I miei occhi si erano illuminati come le lampadine di un albero di Natale ed il mio cuore aveva palpitato per il sorriso da tachicardia che mi aveva rivolto. 
Ci eravamo seduti su una panchina ed avevamo bevuto a metà la cioccolata calda. Inutile dire quanto quella condivisione mi avesse smosso un turbine di emozioni tale da farmi sorridere per tutto il tempo. 
Tra un sorso e l'altro mi ero ingozzata di marshmallow come un maiale. E David si era divertito da matti a farmi parlare mentre avevo la bocca piena; mi aveva elencato delle parole da ripetere ed io ero stata al gioco. Ad ogni verso ridicolo che mi era uscito al posto della parola eravamo scoppiati a ridere come due scemi. 
Purtroppo il pomeriggio era trascorso alla velocità della luce senza che ce ne fossimo accorti. David mi aveva riaccompagnata a casa alle otto e dopo un lento bacio in cui le nostre labbra si erano fuse con dolcezza, si era defilato. 
Quella stessa sera, una volta finito di cenare, Cam aveva rispettato la promessa fatta in mattinata. Così aveva preparato una cioccolata calda per entrambi e ce l'eravamo bevuta sul divano, avvolti da una coperta, mentre veniva trasmesso un film natalizio. 
I miei genitori, specialmente mia mamma, erano stati più concentrati ad osservarci che sulla televisione. Il piccolo sorriso che mia madre aveva avuto sulle labbra per quasi tutto il tempo era stato impossibile da non decifrare. Anche a lei quella serata aveva ricordato quella di qualche anno prima, quando io e Cam eravamo più piccoli. Eppure, nonostante fossero trascorsi gli anni ed entrambi fossimo cambiati interiormente, quelle piccole tradizioni ci avevano sempre riportato ad essere gli stessi di un tempo.
Era esattamente quello che amavo del Natale. E proprio quella sera mi ero resa conto di quanto anche mia mamma tenesse a quella festività per lo stesso motivo. 
Il 25 Dicembre mi ero svegliata euforica ed in agitazione per lo spacchettamento dei regali. Avevo praticamente volato per le scale e mi ero precipitata davanti all'albero con un sorriso da parte a parte. 
Mia mamma mi aveva dovuta trattenere dal fiondarmi sui pacchetti come un cane in una pozza esortandomi ad aspettare che arrivassero pure mio padre e Cam. 
Non avevo perso tempo. Ero andata a svegliarli con le maniere forti e li avevo catapultati sul divano mentre io mi ero posizionata per terra. 
Uno dopo l'altro avevo aperto i miei cinque regali ed avevo consegnato loro quelli che avevo comprato il giorno prima. 
Il resto della giornata era trascorso nella quiete più assoluta con il tipico pranzo da lievitazione istantanea ed un pomeriggio di relax in famiglia. 
Ero sicura che tra cioccolate calde, tacchino ripieno e dolci vari fossi ingrassata come una botte. Mi sentivo io stessa un tacchino che camminava per casa con la grazia di un mammut. 
A cena mia mamma aveva riproposto tutti gli avanzi del pranzo, compresa la torta. Il mio nuovo girovita ne aveva certamente goduto, per non parlare dei simpatici airbag anche noti come maniglie dell'amore. Insomma, senza tanti giri di parole, quel Natale ero diventata una foca. Avevo mangiato di gusto e non mi ero fatta pregare per prendere una seconda porzione di tutto. Quella sì che era vita. 
<< Il prossimo anno, per il giorno del ringraziamento, proporrei di cucinare Sarah >> annunciò Cam dopo essersi lasciato sprofondare sul divano accanto a me. Allungò un braccio sulla testata, proprio dietro le mie spalle, e mi fissò con un sorrisetto da bambino cattivo. << Guardate che bel tacchino ripieno che abbiamo qui. A tirarle il collo ci penserò io >> assicurò toccandosi il petto. 
Mossi il braccio di scatto e lo colpii nello stomaco, facendolo piegare in due. Avevo sempre saputo di avere un gancio destro micidiale, dopotutto me l'ero forgiato con David anni prima, quando ancora ci odiavamo. 
<< Così impari. >> Mi stampai un sorriso compiaciuto e mi sporsi per battere il cinque a mio padre, orgoglioso della mia prestazione. 
<< Che sta succedendo qua? >> Mia madre fece il suo ingresso in salotto con uno strofinaccio in mano, lanciando occhiate sospettose ad ognuno di noi. 
<< Sarah mi picchia e papà le fa i complimenti >> sputò subito fuori mio fratello. Mi girai per fulminarlo con lo sguardo ed incontrai il suo sorriso beffardo che mi istigava a picchiarlo ancora. 
Mio padre ridacchiò e batté una mano sulla gamba. << Ma no, è stato solo un colpetto delicato >> cercò di giustificarmi scuotendo la testa come a voler dire "sono ragazzi, lasciamoli fare". 
<< Un colpetto delicato? >> ribatté Cam prontamente. << Ma se mi ha sfondato lo stomaco? >> 
<< Lo stomaco? >> ripeté mia mamma ritraendo il capo confusa. Dopodiché sospirò e mi rivolse un'occhiata ammonitrice. << Sarah, ha appena mangiato. Gli fai vomitare tutto. E poi non stravaccatevi troppo sul divano che l'ho messo in ordine cinque minuti fa. >> 
Da quando avevamo comprato quel nuovo sofà bianco di pelle, lei ci si era fissata a tal punto da rivestirlo con un telo del medesimo colore per evitare che lo sciupassimo o, peggio, lo sporcassimo. Non volevo immaginare il pandemonio che sarebbe scoppiato in casa se qualcuno le avesse osato insudiciare, anche solo per sbaglio, il suo gioiellino. 
<< Hai sentito che ha detto mamma? >> mi pungolò Cam con un mormorio simile al ronzio di una mosca. << Non stravaccarti troppo, tacchino. >>
Evitai di rispondergli e puntai i miei occhioni da cucciolo affranto su mio padre. << Papà, Cam mi sta bullizzando. Mi chiama tacchino solo perché ho mangiato tanto. >> 
<< E tu chiamalo tricheco. Lui si è spolverato tutta la tavola >> asserì aprendo le mani con una scrollata di spalle. 
Scoppiai a ridere e mi sporsi ancora una volta verso di lui per battergli il cinque. 
Quella serata trascorse così, tra risate, dispetti, ammonimenti di mia mamma, battutine di Cam e risposte secche di mio padre. Non guardai nemmeno la televisione, ero troppo focalizzata a seguire l'astrusa conversazione sui tacchini e i trichechi con le lacrime agli occhi. 
Verso mezzanotte, dopo che i miei se ne erano andati a letto, sia io che Cam salimmo al piano di sopra per recarci nelle nostre camere. Io ciondolavo sui gradini come uno zombie tant'ero assonnata e stanca. 
<< Mi raccomando non sognare di mangiare tacchini, sarebbe cannibalismo >> mi prese in giro lui, rifugiandosi nella sua stanza prima che lo colpissi con una ciabatta. 
Quando aprii la porta della mia per poco non mi prese un infarto. O ero impazzita o stavo sognando. In ambedue i casi non era matematicamente possibile che l'abat-jour fosse già accesa, che David fosse seduto sulla mia poltroncina, che si stesse sorreggendo la testa con una mano e che mi stesse fissando con un sorrisetto che andava man mano ad allargarsi. 
Sbattei le ciglia in fretta e chiusi la porta a chiave con un'espressione da pesce lesso. 
Tornai a guardarlo e corrugai la fronte. Forse era solo un'allucinazione della mia mente stanca. << Ma sei vero? >> Fu la prima intelligentissima domanda che sussurrai. 
Dov'era il mio Nobel per il quesito più brillante dell'anno? Con quella domanda avevo vinto tutto. 
<< Be'. >> La mia allucinazione schioccò la lingua al palato e si alzò in piedi. << Me lo sono chiesto tante volte anch'io. Però sì, la perfezione esiste >> affermò spavaldo. Inclinò la testa e mi osservò con un sopracciglio sollevato. << Puoi toccare con mano se vuoi. >> 
Oh mio Dio. Ma quale visione? Quello era David in carne ed ossa. Le sue uscite erano inconfondibili. 
Le mie labbra si stirarono in un sorriso da orecchio a orecchio prima ancora che la mia mente avesse compreso quanto stesse accadendo. 
Trotterellai fino a lui e gli saltai addosso per stritolarlo in un abbraccio. Quello era decisamente il regalo di Natale più bello che avessi potuto ricevere. 
Le sue braccia si chiusero sulla mia schiena e le mie gambe si aggrovigliarono attorno ai suoi fianchi. 
<< Come hai fatto ad entrare? >> domandai con un risolino. Ritrassi il capo ed i miei occhi vennero calamitati da due ridenti pozze di terra fusa che mi scrutavano. 
<< Devi ricordarti di bloccare la serratura della finestra quando la chiudi, potrebbe entrare chiunque. >> 
<< Ma poi tu come faresti a venire fino a qua? >> mormorai calando lo sguardo sulle sue labbra. Erano talmente vicine alle mie che se solo avessi mosso il mento avrei potuto sfiorarle. 
La punta del suo naso mi accarezzò piano una guancia, trasformando il mio cuore in un tamburo. Socchiusi gli occhi e trattenni il respiro nel momento in cui una sua mano mi premette contro il suo corpo. << Troverei un altro modo per intrufolarmi >> soffiò distrattamente. 
Non ebbi la prontezza di registrare le sue parole che il mio cervello si trovò occupato a pensare a ben altro. Ad esempio al modo perfetto in cui le sue labbra si muovevano sulle mie o a come la sua mano infilata sotto al golf mi stesse incendiando la pelle. 
Rabbrividii come una fogliolina per il suo tocco leggero lungo la spina dorsale e mi trovai costretta ad allontanarmi dalla sua bocca per recuperare fiato. 
Quando riaprii gli occhi trovai i suoi fanali ambrati che già mi osservavano con intensità. Un'altra scossa di pura elettricità mi percorse il corpo. 
Non mi sarei davvero mai abituata a lui, alla sua presenza e ai suoi sguardi. Ogni giorno c'era sempre qualcosa di nuovo in lui che riusciva a sorprendermi, a mandarmi in pappa il cervello o a farmi battere forte il cuore. 
<< Ho una cosa per te >> annunciò d'un tratto, lasciandomi scivolare coi piedi per terra. 
Si distanziò per frugare nella tasca dei pantaloni mentre i miei occhi si accendevano di entusiasmo e le mie mani si congiungevano elettrizzate. Appena estrasse un cofanetto bianco, il mio cuore tamburellò così forte nel petto da farmi pulsare persino le tempie. 
Quello era il suo primo regalo per me. Da un lato mi sentivo un fascio di nervi per l'ansia di scoprire cosa fosse, dall'altra ero la persona più felice del mondo solo per il suo pensiero. 
Sapevo già che qualunque cosa fosse stata l'avrei custodita gelosamente, come anche il cofanetto che avrebbe fin da subito preso posto sulla mia scrivania. 
Quando me lo porse lo presi con entrambe le mani, come se la scatolina fosse stata di cristallo ed avessi potuto scalfirla. 
Prima di aprirla alzai lo sguardo su David e sorrisi d'istinto per la sua espressione. Fissava attentamente il cofanetto con le mani calate nelle tasche dei pantaloni e la mascella contratta. Ogni tanto spostava gli occhi per terra e scalciava qualcosa d'invisibile con la scarpa. 
<< Sei imbarazzato? >> domandai ridacchiando. Avrei tanto voluto fargli un filmino, era così inconsapevolmente tenero che mi sarei sciolta ogni volta che lo avessi rivisto. 
Le sue gocce d'ambra schizzarono sul mio viso. << No, affatto. Aprilo e basta >> ordinò secco. E da sempre, quando era nervoso per qualcosa le sue risposte erano telegrafiche e concise. Si era appena fregato con le sue stesse parole, affermando quanto in realtà fosse imbarazzato. 
Ridacchiai divertita e mi decisi ad aprire la confezione. I miei occhi si spalancarono gradualmente fino a farmi assomigliare a Gollum del Signore degli Anelli. Per una decina di secondi boccheggiai come uno stupido pesce alternando lo sguardo tra David ed il regalo che mi aveva fatto. 
<< È bellissimo >> riuscii a dire estraendolo dalla confezione con misurati movimenti. 
Lo sollevai ed ammirai estasiata ognuno dei cinque ciondolini che pendevano dal braccialetto d'argento. Ciò che più mi colpì fu il fatto che ciascuno di quei piccoli pendagli tempestati di brillantini fosse una lettera del mio nome. Una dopo l'altra componevano un'unica parola: Sarah. 
<< Ti piace? >> La lieve nota ansiosa presente nella sua voce attirò la mia attenzione sui suoi occhi, in quel momento fissi su di me. 
Annuii ridacchiando, stupida e felice com'ero, e mi sollevai sulle punte per dargli un bacio a stampo. << Grazie >> mormorai sulle sue labbra prima di riportare lo sguardo sul braccialetto. << Me lo metti? >> 
Poco dopo mi ritrovai a contemplare la bellezza di quel regalo attorno al mio polso.  Avrei voluto correre per tutta casa e per strada urlando dalla felicità mentre sventolavo quel prezioso braccialetto. Poi, d'un tratto, mi ricordai di quello che dovevo ancora dare a David. 
<< Anch'io ho una cosa per te >> dichiarai precipitandomi all'armadio per prelevare la confezione dalla borsa. 
Tornai davanti a lui e glielo porsi con un enorme sorriso. Non vedevo l'ora di ammirarlo con quel bracciale addosso, la mia mente già immaginava quanto sarebbe stato tremendamente sexy. 
Le sue iridi si accesero di curiosità ed un angolo della sua bocca si sollevò mentre toglieva il fiocco dalla scatolina. 
Mio Dio, adesso ero io quella nervosa. E se non gli fosse piaciuto? Lo avrebbe certamente accettato, ma se poi non lo avesse voluto indossare? Magari lo avrebbe preferito marrone... E se ne avesse già avuto uno identico? 
Quando aprì la confezione, mi ero praticamente mangiata tutte le mani dall'ansia. Immediatamente mi concentrai a scrutare con apprensione il suo volto. Il fatto che stesse sorridendo e che stesse estraendo la fascetta dalla scatolina si poteva classificare come un buon segno? 
<< Com'è? >> domandai intrecciando le dita. << Cioè, voglio dire, ti piace? >> 
Il cuore mi batteva come un pazzo e quel babbuino non si decideva a darmi segni di vita. Aspettava che iniziassi a sudare come un maiale prima di dirmi se gli piaceva o meno? 
Alzò gli occhi sui miei e mi mostrò il braccialetto tenendolo tra pollice ed indice. << Ci hai fatto incidere il mio nome >> notò con un sorriso enigmatico. Oddio, avevo fatto male? Magari era proprio quello a non piacergli. Stupida me, perché ci avevo fatto scrivere il suo nome? << Era da un po' di tempo che pensavo di comprarmene uno fatto così >> aggiunse dopo svariati secondi di silenzio. 
In quel momento sentii circa una quindicina dei miei chili vaporizzarsi. Avrei voluto buttarmi sul letto e sospirare di sollievo. Mio Dio, che stress. 
Gli tirai un leggero pugno sul petto risentita mentre lui sghignazzava divertito. << Tra quanto avevi intenzione di dirmelo? Sei uno scemo >> borbottai con un risolino attutito dall'abbraccio in cui mi trovai stretta. << Dovevo farci incidere "idiota" non David. >>
Lo sentii ridere contro il mio orecchio e premermi maggiormente a sé. << Ed io dovevo regalarti uno scaleo. Sei una tappa. >> 
Gli tirai uno scappellotto sulla nuca e, proprio per coerenza, subito dopo lo strinsi a me come se avesse potuto rischiare di scivolarmi via. 
Per parecchio tempo restammo in quella posizione. Ci dondolammo da un piede all'altro ridendo ad intermittenza o pungolandoci con qualche frecciatina ironica, soprattutto lui non faceva altro che prendermi in giro. 
Alla fine arrivò il momento di prepararci per andare a dormire. Mentre lui si spogliava e mi lanciava occhiatine maliziose da combustione istantanea, io vidi bene di rifugiarmi in bagno sia per infilarmi il pigiama che per controllare la condizione dei capelli e del viso. Sciolsi la coda di cavallo che avevo da tutto il giorno e spazzolai la mia chioma con delicatezza. Non soddisfatta del risultato ripresi l'elastico ed optai per una bassa coda laterale. 
Mi controllai circa una ventina di volte prima di uscire dal bagno e rientrare in camera. Fortunatamente il pigiama che indossavo non aveva niente di imbarazzante, era semplice, bianco e morbido. 
Bianca come la canottiera sbracciata di David e semplice, ma decisamente d'impatto, come i boxer neri che indossava. Riuscivo a vederlo solo di spalle, ma... accidenti aveva un sedere perfetto.
Mio Dio, dov'era l'estintore quando serviva? Dovevo ricordarmi di comprarne uno ed attaccarmelo al muro. 
Deglutii dissimulando il mio stato di perversione mentale e mi affrettai a spegnere l'abat-jour nella speranza di nascondere la mia faccia rossa. Stavo impazzendo. Com'era possibile che tutta la stanchezza di poco prima fosse scomparsa e che il mio cervello riuscisse a generare solo pensieri a luci rosse? 
<< Sei già a letto >> notò David con un sorriso che riuscii a vedere in penombra. 
A letto. Letto. 
Perché la mia stupida mente continuava a farmi rimbombare quella parola nel cranio? 
<< Ah... Sì >> borbottai confusa, rimboccandomi nelle coperte. Ero da internare, non c'erano altre soluzioni. 
Appena avvertii David entrare sotto il piumone e sospirare rilassato, il mio cuore si agitò come un matto ed i miei fedeli condor si librarono in volo. 
<< In che posizione vuoi dormire? >> Posizione? Le mie orecchie avevano sentito bene? Eh sì, aveva detto posizione. Avevo bisogno che qualcuno chiamasse un esorcista e mi liberasse dai pensieri da maniaca che stavo formulando. 
Voltai il capo per guardarlo mentre si passava una mano fra i capelli e la mia attenzione fu catturata da ciò che gli circondava il polso. << L'hai messo >> constatai sorridendo. Le mie dita passarono leggere sulla sua fascetta di cuoio. Avevo ragione, oltre a stargli decisamente bene, lo rendeva ancor più attraente. Se prima lo trovavo irresistibile, in quel momento lo era come minimo dieci volte di più. 
Mi girai su un fianco di modo che ci trovassimo faccia a faccia e lasciai che il suo braccio mi circondasse la vita. Per un po' restammo fermi in quella posizione. Io con la fronte premuta sul suo petto e lui col mento appoggiato alla mia testa. 
Per me era quella la vera pace. Averlo con me e sentire la sua presenza vicina. In poche parole l'esatto opposto di quello che succedeva quand'eravamo a scuola. In quel caso sapevo di averlo vicino, ma non come avrei voluto. 
Non che volessi intromettermi per forza nelle sue amicizie, mi sarebbe bastato molto meno. Avrei soltanto voluto che non mi "evitasse" quando i suoi amici erano nei paraggi e che non mi tenesse lontana. 
Sospirai debolmente e mi morsi un labbro. Forse era quello il momento migliore per ottenere delle risposte a tutti i punti interrogativi che ogni giorno, puntualmente, mi martellavano la testa. Insomma, non c'era motivo che avessi paura delle risposte. Era stato lui a dire che avrebbe voluto vivere la nostra relazione alla luce del sole. I miei timori erano del tutto infondati. 
Raccolsi un po' di coraggio ed artigliai un lembo della sua canottiera tra le dita. << David... posso farti una domanda? >> sussurrai nascondendo l'ansia. 
<< Dimmi. >> La sua voce calma e profonda mi conferì maggiore sicurezza in ciò che stavo facendo. Volevo risentire quel suono tra i capelli anche davanti ai suoi amici, e non solo quando eravamo soli. 
Sollevai il viso ed attirai i suoi curiosi e lucidi occhi su di me. << Perché a scuola, davanti ai tuoi amici, non mi consideri? >> Ottimo. Più diretta non sarei potuta essere. Io sì che conoscevo le mezze misure. 
Lessi sorpresa nelle sue iridi ambrate. Subito dopo piegò la bocca in una smorfia e fece vagare lo sguardo. << Non è che non ti consideri. >> 
<< Non ti avvicini mai se ci sono loro nei paraggi >> puntualizzai accigliata. << Non dirmi che non è vero. >> 
Nell'immediato le sue gocce di terra fusa s'incatenarono ai miei occhi. Sapeva perfettamente che avevo ragione, inutile negarlo. E sapeva anche che non avrei gettato la spugna fin tanto che non avessi ricevuto una risposta. 
Sospirò e sentii la sua presa farsi più salda attorno alla mia vita. Mio Dio, stava per sganciare la bomba. La mia angoscia stava raggiungendo vette epiche. 
<< Non ti dirò che non lo faccio di proposito, perché sarebbe falso. E non ti dirò nemmeno che lo faccio perché voglio nascondere a tutti che stiamo insieme, sarebbe falso pure questo. >> Sbuffò come un leone in gabbia e l'intensità del suo sguardo divvene fiammante. << Fosse per me a quest'ora tutti saprebbero che sei mia e nessun cretino oserebbe metterti gli occhi addosso. >> 
Il mio cuore tamburellò la marcia turca e le mie guance ne risentirono surriscaldandosi. 
<< Allora perché lo fai? >> mormorai avvicinandomi. 
<< Per Brad >> rispose secco. Mi ci vollero alcuni secondi prima di fare mente locale e capire che si stava riferendo a Bradly Thomson. 
Corrugai la fronte e sbattei frettolosamente le ciglia. << Ma... >> 
<< Prima che accadesse quel che è accaduto, a lui piacevi. E tanto anche >> m'interruppe, la mascella contratta ed i muscoli delle braccia tesi come fossero stati sotto sforzo. << Non è ancora rientrato a scuola, ma tornerà dopo le vacanze. >> I suoi occhi seri e profondi non si allontanarono dai miei neanche per un istante. << Durante quel periodo è morto suo padre. So come ci si sente quando si perde un genitore. È per questo che non si è ancora fatto vedere a scuola, ma quando rientrerà volevo essere io a dirgli di toglierti dalla testa. Non volevo che lo venisse a sapere in malo modo dagli altri ragazzi del gruppo. È solo per questo motivo che ho evitato i contatti con te davanti a loro >> confessò insieme ad un sospiro. 
<< Perché non me l'hai detto subito? >> mormorai mentre mi accoccolavo contro il suo petto per abbracciarlo. << Mi hai fatta stare in pena per un sacco di tempo. >> 
Il suo fiato caldo s'imbatté sulla mia fronte. << Preferivo non coinvolgerti. Quello schifo che abbiamo passato è ancora troppo recente, specialmente nella tua mente. Non volevo ricordartelo con la storia del padre di Brad. >> Mi avvicinò a sé e nascose le labbra tra i miei capelli, incrementando il tepore creatosi tra i nostri corpi. 
Fu proprio grazie a quel calduccio confortante che chiusi le palpebre e dischiusi le labbra. << Mi dispiace tanto per Brad >> mugolai con un filo di voce. << Sii il più dolce possibile quando gli parlerai >> aggiunsi sbadigliando. 
<< Farò il possibile >> fu l'ultima cosa che le mie orecchie riuscirono a captare.  
Subito dopo nella mia mente calò un tendone scuro. Mi addormentai cullata come una bambina tra le braccia più calde e belle che il mio cuore potesse desiderare. 





































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Capitolo 10
*** Smascherata ***


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Smascherata 











 









Ero davvero una gran burlona. Eccome se lo ero. 
Cosa mi ero proposta di fare entro la fine di Dicembre? Parlare ai miei genitori di David? Pff, detto fatto. Che ci voleva? 
Peccato che fossimo già al primo di gennaio e dalla mia bocca non fosse ancora uscita una parola. Ma non era colpa mia. Il tempo mi era sfuggito di mano e non avevo avuto l'opportunità di confessare nulla. Ci avevo provato... oh sì che ci avevo provato. La mattina del ventisei dicembre, dopo che David se n'era andato, ero scesa in cucina ed ero esplosa con un secco "devo dirti una cosa, mamma". 
Neanche due minuti più tardi stavo parlando di tutt'altro. Avevo tirato fuori un'assurda storia su quanto fossero lievitati i prezzi nei negozi. Mia mamma mi aveva dato corda, ma dal suo sguardo avevo intuito che non mi avesse creduta fin in fondo. Lei sapeva, o comunque sospettava, qualcosa. Ne ero più che certa. 
La notte del ventisei, David si era nuovamente intrufolato nella mia camera. Per la mia gioia aveva cominciato a farlo ogni notte. Mi mandava un messaggio quando era nelle vicinanze ed io accorrevo a sbloccare la finestra. 
Gli incubi mi assillavano con meno frequenza da quando avevo iniziato a condividere il mio adorato letto col mio ragazzo. Era successo soltanto una volta che mi fossi svegliata sudata ed impaurita, ma a differenza delle altre mi ero riaddormentata dopo poco, stretta tra due braccia calde e forti. 
Riguardo la questione da svelare ai miei genitori, David non mi faceva alcuna pressione sebbene sapessi quanto ci tenesse. 
Mi sentivo una totale idiota a non riuscire a superare quello scalino. Non riuscivo a comprendere che cosa mi bloccasse. E mentre il mio cervello si arrovellava, i giorni sul calendario si susseguivano uno dopo l'altro. 
Prima che fossi stata in grado d'impormi sulle mie astruse riflessioni era arrivato capodanno e con lui il primo gennaio. 
Quell'ultimo dell'anno era stato... assolutamente diverso da qualsiasi altro e distante anni luce da come ero solita trascorrerlo. La diversità di quell'evento non solo era stata rappresentata dalla presenza di David, ma anche dal luogo in cui lo avevo festeggiato. Una festa. Ebbene sì. Uno di quei posti zeppi di gente sconosciuta che urlano come bestie, che ballano come anguille e che bevono come alcolizzati. Eppure, in contrasto ad ogni previsione, mi ero divertita. Avevo ballato quasi tutta la sera con David, mentre le sue mani percorrevano il mio corpo e mi facevano aderire al suo. Potevo ben dire che in confronto alla nostra danza, un bacio sarebbe stato meno intimo. Non mi ero nemmeno accorta delle altre persone presenti in quella stanza. 
Un'altra nota positiva di quella serata era stata la compagnia di Clarice, sebbene fosse arrivata verso le undici. Lei e Kevin si erano gettati sulla pista ed avevano ballato abbracciati per quasi un'ora. Era stato bello vederli tanto complici ed innamorati. 
Meno piacevole era stato beccare Jessica Wright in bagno o notare come David non posasse mai lo sguardo sul suo ex migliore amico. 
Per circa mezz'ora dopo la mezzanotte avevo cercato di costringerlo a fare gli auguri anche a Kevin, ma era stato come parlare ad un muro. Anzi peggio. Un muro mi avrebbe dato più soddisfazione. 
Tutto sommato mi sentivo di classificare quel capodanno tra i più belli che avessi mai festeggiato. Era stato diverso, ma non per questo spiacevole.  
Il pomeriggio di quel primo giorno del nuovo anno mi trovavo seduta sul mio letto, con le gambe stese in una posa rilassata ed il computer adagiato sopra una coperta bianca di pile. Tra le feste e la pigrizia che ne era derivata mi ero completamente dimenticata dei compiti, in particolar modo dell'orribile ricerca che dovevo effettuare. Ero decisamente indietro sulla tabella di marcia, il che mi faceva salire l'ansia ed il nervoso. 
Come avevo potuto ridurmi fino a quel punto? Io che di solito cercavo di sbrigare in fretta le faccende scolastiche per avere più tempo libero. 
Sbuffai di fronte ai mille nomi scientifici e bevvi un sorso di latte caldo al cioccolato. 
Speravo che quel poco cacao che avevo mescolato nella tazza servisse a liberare tutte le mie endorfine della felicità e ad alleviarmi da quel compito deprimente. 
D'un tratto sentii il trillo del mio cellulare. Mi sporsi con l'agilità di una contorsionista ed allungai il braccio per acciuffarlo dal comodino. 
Una volta essermi risistemata sbloccai lo schermo ed aprii la casella dei messaggi in arrivo. Per poco non mi rovesciai il latte addosso nel momento in cui lessi il nome del mittente. David.
Che fai, nana? 
Il cuore mi batteva talmente forte da rendere instabile non soltanto la mia sanità mentale, ma anche la mia mano. Appoggiai la tazza sul comodino e deglutii svariate volte in preda ad un miscuglio di emozioni. 
Nonostante il messaggio non contenesse niente di romantico, il mio battito cardiaco proseguiva ad impennare. Probabilmente contribuiva il fatto che non me lo aspettassi. 
Quella mattina prima di uscire dalla mia camera, come sempre dalla finestra, mi aveva detto che il pomeriggio lo avrebbe trascorso con gli amici. Per me era stato quasi un ragionamento spontaneo pensare che non ci saremmo sentiti fino a sera. 
Mio Dio, dovevo rispondergli. E in fretta anche. 
Mi mordicchiai le nocche titubante su cosa scrivere. Fosse stato per me avrei potuto buttare giù un papiro su quanto mi mancasse con tremila faccine dagli occhi a cuoricino. Ma no. Dovevo contenermi e trattenermi. 
Una ricerca per scuola... Tu, caprone? 
Inviai ed immediatamente mi diedi della stupida. Che cavolo di domanda era la mia? Sapevo già cosa stesse facendo, perché glielo avevo chiesto? E perché avevo aggiunto quel nomignolo tutt'altro che dolce ed affettivo? Un conto era chiamarlo caprone con un tono scherzoso di persona, un conto era scriverlo in un messaggio. Mio Dio, sembrava che lo avessi offeso e che lo avessi fatto volontariamente. 
Mi schiacciai le guance tra le mani ed assunsi un'espressione drammatica, molto simile a quella dell'urlo di Munch. Avrei dovuto chiedere consiglio a Clar prima di mettere la quarta alle mie dita e rispondere in quel modo osceno. 
Al nuovo trillo del mio cellulare ci mancò poco che non lo facessi volare dal letto per la sorpresa. Mentre sentivo lo stomaco spremersi con una spugna, navigai alla ricerca del nuovo messaggio. 
Come siamo dolci. Comunque sono fuori con i ragazzi. 
Lo sapevo. A chi sarebbe piaciuto avere un nomignolo simile dopotutto? Be', non che nana fosse meglio, ma era comunque più accettabile. E poi il fatto che avesse dovuto ripetermi cosa stava facendo era imbarazzante.
Non mi restava che aprire la finestra e lanciarmi con le braccia spalancate in stile Titanic. 
Immediatamente dopo il telefono mi vibrò tra le dita. Oh Dio, Dio. 
L'ansia stava dando sfogo alle mie ascelle facendole sudare come se non ci fosse stato un domani. 
Che tipo di ricerca?
Bene, molto bene. Quella non era una domanda troppo difficile a cui rispondere. Avrei potuto farcela senza complicazioni e senza mettere caproni di mezzo. 
Scienze. Posso scegliere un argomento da trattare dalle cellule agli organi del corpo umano. 
Troppo dettagliata. Sembrava avessi scopiazzato Wikipedia o un implicito imperativo ad aiutarmi in quella maledettissima ricerca. Ma perché anche alle domande più semplici dovevo rispondere in modo contorto e complicato? Però se avessi scritto solo scienze forse sarebbe stato peggio. Troppo secca e fredda. 
La risposta non tardò ad arrivare, anzi fu addirittura più veloce delle altre. 
Se hai bisogno di un corpo da studiare da vicino, il mio è disponibile. Ho un organo di cui vado particolarmente fiero. Un amico fidato ormai. 
Oh. Mio. Dio. Il sangue mi stava bollendo nelle vene e la mia faccia stava per essere arsa dalle fiamme. 
Staccai gli occhi dallo schermo e mi sventolai con una mano per cercare di raffreddarmi nel modo più pietoso possibile. 
Come eravamo entrati in quella zona a luci rosse? E cos'avrei dovuto rispondere? 
Prima che il mio cervello registrasse le mie azioni, mossi le dita sulla tastiera. Ero curiosa di scoprire cosa stesse provando David a scrivermi quel genere di messaggi. Ovviamente non lo avrei inviato, neanche morta. Lo avrei scritto e cancellato subito dopo aver sperimentato il brivido.
Credo di conoscerlo abbastanza bene il tuo amichetto. Ma forse dovremmo approfondire la conoscenza. 
Lessi ciò che avevo scritto e scossi la testa dandomi della scema. Mio Dio, come facevano alcune ragazze a mandare messaggi simili ai loro ragazzi? Io sarei morta di vergogna nell'immediato. 
Pigiai il tasto per cancellarlo ed il secondo dopo lo vidi comparire nella bacheca dei messaggi inviati. 
<< Oh Cristo! >> strillai con un acuto da cento decibel. Mi sollevai in piedi di scatto ed osservai basita il telefono.
Ero sotto shock. Gli occhi fuori dalle orbite, le mani fredde e sudate, il cervello in panne e la postura rigida come un pezzo di granito. 
Non era possibile. Quella era una tragedia imbarazzante di dimensioni epiche. 
Perché diavolo la tastiera doveva avere il tasto "Invio" proprio sotto quello del cancelletto? Chi era quel maledetto che li aveva disposti così? Aveva idea di quante figure di cacca avrebbe fatto commettere a coloro che accidentalmente sbagliavano a pigiare?
Mio Dio, mi sentivo male. Doveva pur esserci un modo per non farlo leggere al destinatario. 
La risposta a quella mia sciocca ipotesi mi piombò addosso come un macigno: no, non c'era. Incapace di arrendermi a quella disastrosa verità mi misi a smanettare come un'isterica nel tentativo di fare... non sapevo nemmeno cosa. 
La figura di cacca era ormai stata completata coi fiocchi. 
<< Sarah, che è successo? >> Sobbalzai per lo spavento e virai la testa di scatto. 
Mia madre si trovava sulla soglia della mia camera. La curva assunta dalle sue sopracciglia si accentuò, accennandole delle rughe sulle fronte. << Sei paonazza >> notò con la confusione dipinta in faccia. 
Mi ero sbagliata. La figura di cacca era ancora in corso. 
<< Io... >> Il filo di voce che mi uscì dalle labbra riassumeva tutta la voglia di vivere che possedevo in quel momento. Avessi avuto un martello lì vicino me lo sarei tirata in fronte per risvegliarmi quando tutto fosse finito e stipato in un angolo remoto della memoria di tutti.
Gli angoli della bocca di mia mamma s'incresparono in un sorriso. << È lui? >> domandò indicando il cellulare tra le mie mani. 
Cosa? Avevo sentito male? Mi sentivo sempre più stordita. Che stava succedendo di preciso? 
Incrociò le braccia sul petto ed entrò nella stanza con un'andatura timida ed un sorrisetto furbo. << Ti ha proposto una cena? Qualcosa di carino insomma? >> 
Mi ero nuovamente trasformata in un masso di granito. Ero diventata una specie di gargoyle da poter attaccare alla grondaia per spaventare i piccioni. 
I miei neuroni vorticavano impazziti da una parte all'altra del mio cervello, impedendomi di costruire una frase di senso compiuto. 
Se avessi detto a mia madre che l'unica cosa che David mi aveva proposto era di studiare il suo corpo da molto vicino, probabilmente avrei fatto la fine di Raperonzolo. 
<< Tu... >> Ero migliorata, qualcosa avevo detto. Se fossi andata di quel passo a fine giornata avrei saputo elencare tutti i pronomi personali. Prima "io", poi "tu"...
Sbattei le ciglia a ripetizione e cercai di stamparmi un'espressione intelligente. << Tu sai di David? >> Oh, maledettissimo Cam! Non solo gli lavavo calzini e mutande, in più mi pugnalava alle spalle. Chi altri poteva aver sputato il rospo se non lui? 
Gli occhi di mia mamma s'illuminarono d'orgoglio materno. << Oh, quindi si chiama David >> trillò entusiasta. << Ed è più grande di te? Fa la tua stessa scuola? Di che quartiere è? Da quanto state insieme? Ti piace? >> 
Dov'era il faro proiettato contro la mia faccia? Ci mancava soltanto quello e quel quarto grado sarebbe stato identico a quelli della televisione. 
Appoggiai il telefono sulla coperta e mi schiarii la voce tenendo gli occhi fissi su di lei. Era un incubo. 
<< È tre mesi più grande di me e... frequenta la mia stessa scuola, abbiamo... dei corsi in comune. >> Oh santo cielo, mi stavo sciogliendo per l'imbarazzo. Ecco perché avevo sempre rimandato quel momento. Non avrei mai creduto che fossero necessari una ricerca di scienze ed un messaggio sbagliato per farmi confessare tutto. << E... è capitano della squadra di football della scuola. Vive nel Bronx insieme alla mamma e al fratellino. Stiamo insieme da quasi due mesi >> conclusi distogliendo lo sguardo, rossa in volto. All'ultima domanda non avevo alcuna intenzione di rispondere. Non solo perché era scontato che David mi piacesse, ma anche perché ammetterlo sarebbe stato ulteriormente imbarazzante. 
<< I suoi sono divorziati? >>
<< No. >> Alzai la testa. << Suo padre è morto anni fa. >> 
<< Oh >> commentò dispiaciuta, intrecciando le mani. << Dev'essere un ragazzo forte allora. >> 
Annuii e mi sfuggì un sorriso. 
In quel momento il mio cellulare vibrò pericolosamente. Il sorriso mi scomparve dalle labbra ad una velocità supersonica e l'ansia per ciò che il messaggio potesse contenere s'impossessò di me. 
Accadde tutto in fretta. Mentre io riattivavo la mia trasformazione in gargoyle, vidi mia madre sporgere il collo ed inclinare la testa per leggere il messaggio. Stupidamente avevo lasciato la schermata degli sms aperta. 
Appena mi resi conto della postura da impicciona da lei assunta, scattai come una pantegana che vede del cibo e mi tuffai a peso morto sul letto, schiacciando il telefono sotto di me. 
<< Oh, scusa >> bofonchiò con una risatina. << È che sono curiosa. Ma non sono riuscita a leggere nulla, sei stata troppo veloce. >> Per fortuna, avrei voluto aggiungere. << Dai leggilo tu, che dice? >> Oh mio Dio, no. 
<< Ah, ehm... aspetta guardo. >> Mi tirai a sedere prestando attenzione a tenere lo schermo del cellulare ben premuto contro lo stomaco, in quel momento in subbuglio, e sollevai piano il tutto per dare una fugace occhiata. Mi sembrava di compiere quell'azione a rallentatore, percepivo ogni goccia di sudore scendermi lungo la schiena. 
Il mio collega concorda. Ha intenzione di approfondire la conoscenza molto presto. Avrebbe già voluto farlo ieri notte mentre ballavamo. 
Santo cielo. Mi sentivo le guance in fiamme. Non volevo immaginare la faccia di mia madre se avesse letto quella conversazione. Come minimo sarei stata spedita in un convento di clausura. 
Subito dopo arrivò un secondo messaggio. 
Per il 3 considerati prenotata. Ci sarà solo l'intoppo di mia mamma e mio fratello per qualche ora, ma appena usciranno avremo casa libera: tavolo, doccia, divano, letto... Ti concedo la prima scelta. 
Sgranai gli occhi, il cuore che batteva ad un ritmo sostenuto nel petto. 
<< Allora? Che dice? >> incalzò mia madre incapace di contenere la curiosità. Quella caratteristica dovevo averla presa da lei. 
Schiarii la voce e mi sforzai di apparire calma. Alzai il capo e posai gli occhi nei suoi accesi d'interesse. << Credo mi abbia... invitata a conoscere sua mamma >> confessai, omettendo tutto il resto. 
Non potevo crederci. Ero talmente emozionata da quella notizia, oltre che per come avremmo impiegato il tempo subito dopo, da non riuscire a capacitarmene. 
Si stava tutto ufficializzando. Mi sembrava un sogno. 
<< Allora è una cosa seria! >> esclamò con un sorriso da orecchio a orecchio. << Gli piaci davvero >> gongolò fiera. << Quando ce lo presenti? Forse sarebbe il caso che io lo inviti per una cena >> meditò, la mano sotto al mento e lo sguardo calcolatore. 
<< Sì, però prima... >> Mi sentivo frastornata dalla velocità con cui le cose stavano assumendo pieghe diverse. Appena fossi rimasta da sola avrei urlato dentro al cuscino per liberare tutta la pressione e l'ansia accumulate. << Magari prima gli chiedo quando preferisce venire >> proposi. 
Mia mamma annuì con vigore. << Sì, ecco brava. Così intanto io avrò il tempo di dirlo a papà e Cam. O preferisci dirglielo tu? >>
Corrugai la fronte e ritrassi il capo. Qualcosa non tornava. << Cam? Ma non è stato lui a spifferarti tutto? >> 
<< No, anzi non sapevo nemmeno che lui lo sapesse già. >> Il sorriso sulla sua bocca sfumò nella tenerezza. << Mi sono accorta che c'era un ragazzo di mezzo perché ti comportavi in modo diverso. Ad esempio adesso stai più attenta ai capelli, ai vestiti, al trucco, sei più sorridente, esci più spesso... E sei andata a vedere una partita di football. >> Mi strizzò l'occhio e sorrisi divertita. << Ti ho tenuta in pancia nove mesi, vuoi che non conosca mia figlia come le mie tasche? Te e Cam non avete segreti con me. >> 
Ridacchiai e mi dondolai da seduta. << Allora hai davvero dei poteri come sostiene Cam. >>
<< Ho un super potere >> affermò alzando l'indice. << Si chiama "fare la mamma", da quello poi derivano poteri minori. >> Sorrise e mi puntò quello stesso dito contro. << Mi raccomando, fammi sapere in anticipo quando David è libero. Voglio preparare una cena diversa dal solito, devo raccogliere le idee. Speriamo venga bene. >> 
Annuii con un sorriso intenerito mentre lei si apprestava ad uscire dalla stanza. << Verrà benissimo, super mamma >> bisbigliai vedendola imboccare il corridoio. 
Per una decina di secondi restai immobile a fissare il punto da cui l'avevo vista scomparire con un piacevole calore all'altezza del cuore. 
Dopodiché presi il cellulare e digitai velocemente un messaggio col sorriso stampato in faccia. Premetti "Invio" e mi lasciai ricadere sul letto con un sospiro rilassato. 

Mia mamma già ti adora. Preparati ad una cena di presentazione.









Angolo autrice:

Zauuuuuu! 
Prima di ogni altra cosa mi voglio scusare per gli errori che certamente avrete trovato in questo capitolo. Domani mattina lo correggerò tutto, promesso. Scusatemi ancora. >\\< 
Poi... altra cosa importante che vi volevo comunicare è che pensavo, se v'interessa ovviamente, di scrivere un Missing Moment riguardo il capodanno di David e Sarah. Ma solo se v'interessa *_* a me piacerebbe farvi sapere nel dettaglio cos'hanno combinato *_* Non l'ho scritto e descritto in questo capitolo perché non era... come dire... esattamente funzionale alla trama per come voglio che si svolgano le cose... Sì, una cosa simile... Passando oltre! Spero di avervi strappato un sorriso con questo capitolo e che vi sia piaciuto! 
Inoltre volevo scusarmi per non aver risposto a tutte le recensioni *^* lo farò da domani, comprese quelle del capitolo scorso a cui non ho dato risposta *^* è che sono stata sommersa dallo studio (e purtroppo lo sono ancora -.- maledetti esami -.-). 
Vi mando un bacione gigante e tanti tantissimi abbracci!!! Auguri Brendaaaaaa!!! <3 <3 
A domenica prossima, studio permettendo -.- lui è il sovrano della mia vita, ma conto di ribellarmi presto, sto progettando una sommossa di neuroni. Li incito ogni giorno e li preparo alla dura guerra che dovranno affrontare con gridi tipo "chi è con me? Chi è con me?! Per la libertààà!" E roba varia... Ok, basta, è fin troppo imbarazzante raccontare queste cose.
Ancora tanti baci e GRAZIEEEEE!!! 
A prestooooo!!!


Federica~





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Capitolo 11
*** Presentazioni ufficiali ***


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Presentazioni ufficiali









Il pomeriggio di lunedì 2 Gennaio lo avevo trascorso con Clar per una sessione di shopping incentrata sull'acquisto del regalo per David. 
Per tutto il tempo non avevamo fatto altro che girare tra i negozi e chiacchierare come non facevamo da molto. 
Erano state delle ore spese in confidenze e risate. Avevo avuto l'impressione di aver recuperato e risaldato qualcosa nella nostra amicizia. 
Dovevo ammettere che quella era stata una delle nostre uscite più belle, se non la più intensa e ricca. 
Per circa due ore, o forse più, entrambe ci eravamo scervellate su un possibile regalo per il mio ragazzo. In fatto di idee non ero mai brillata particolarmente. Ed il problema di non aver avuto uno spettro d'idea era che ogni cosa che avevo visto non mi aveva entusiasmata. Ero una piaga in fatto di scelte. 
Dopo aver perso il conto dei negozi visti, Clar aveva impugnato il cellulare ed aveva chiamato Kevin ordinandogli di raggiungerla subito per una questione urgente. 
Inizialmente ero rimasta a dir poco basita. Non avevo capito se lo avesse chiamato per farsi portare via, e dunque scappare da me, oppure per qualche altro oscuro motivo. 
Successivamente mi aveva spiegato che Kevin ci sarebbe servito per individuare un regalo, dopotutto lui conosceva David come le sue tasche. 
Nell'immediato avevo immaginato quale sarebbe stata la reazione del troglodita non appena avesse scoperto il perché di quella chiamata. Ed infatti le mie aspettative avevano rispecchiato la realtà. Kevin era rimasto di sasso, la bocca leggermente spalancata e lo sguardo incredulo. Come biasimarlo. 
Nonostante le sue prime resistenze, alla fine eravamo riuscite a convincerlo ad aiutarmi. Ovviamente avrei dovuto restituirgli il favore, come ci aveva tenuto a sottolineare. Nulla era gratis. 
Mi toccava ammettere che la compagnia di Torn aveva dato un tocco folle e colorato a quel pomeriggio. Mi ero divertita sul serio con lui e Clar, malgrado i battibecchi col troglodita. 
A fine giornata ero tornata a casa con due buste tra le mani: una contenente una camicia bianca di ottima qualità e l'altra un portafoglio di cuoio nero.
In caso Torn mi avesse consigliato male lo avrei ucciso.  
Quel martedì mattina ero un fascio di nervi. Mi ero alzata presto per fare una lunga doccia rilassante, lavare i capelli con cura e scegliere i vestiti che avrei indossato quel giorno. 
Mio Dio, non potevo credere che di lì a qualche ora avrei conosciuto la madre del mio ragazzo. Sentivo già lo stomaco in subbuglio. Speravo vivamente di non vomitarle in faccia una volta averla vista. 
Da quel che avevo dedotto dalle poche parole di David, sua madre sembrava una persona alla mano, amichevole, ironica... e se non le fossi piaciuta? Tremavo all'idea. 
Ma non dovevo essere pessimista, dovevo cercare di essere naturale ed evitare di uscirmene con frasi idiote. Molto difficile, ma forse non impossibile. 
Sospirai per rilassare i muscoli ed aprii le ante dell'armadio per avviare la guerra contro i miei vestiti. Mi prendeva male solo a guardare il macello che imperava. Nessuno avrebbe mai dovuto vedere quel caos, specialmente David. 
Mi fiondai a capofitto ed iniziai a rovistare come fossi stata alla ricerca del Santo Graal, ed in effetti lo ero. Trovare qualcosa di carino e stirato in quell'ammasso informe era praticamente impossibile. Le grucce avevano innescato una rivolta e si stavano rifiutando di compiere il loro lavoro, ovvero sostenere i vestiti. In compenso non facevano altro che incastrarsi ai miei capelli e tirarmeli. 
Avrei tanto voluto sfogare la rabbia prendendo una di quelle maledette per spezzarla in due contro la gamba. 
Sbuffai e m'immersi ancor più in profondità nell'armadio. Le mie braccia già si lamentavano per il dolore di spostare la palla di vestiti da una parte all'altra. 
Come avevo fatto a perdere il controllo di quell'armadio fino a quel punto? 
<< Ma che fai? >> La voce stralunata di Cam mi fece alzare gli occhi al cielo. Come se non fosse stato ovvio quel che stavo combinando. 
<< Sto entrando a Narnia >> risposi con il sarcasmo che traboccava da ogni poro. << Perciò ti saluto fratello. >> Allungai un braccio all'indietro e sventolai la mano. 
<< Guarda che ti sta cascando roba per terra >> mi fece notare. Potevo benissimo immaginare la sua espressione: sopracciglio sollevato e occhiata sconcertata. 
Era inutile che facesse tanto il sorpreso, ero sicura che il suo armadio fosse messo peggio del mio. 
Mi ritrassi seccata e raccattai gli odiosi vestiti finiti sul pavimento per gettarli sul letto. Mi misi le mani sui fianchi, stanca e nervosa, e fissai l'armadio con sguardo truce. << Non ho nulla da mettermi. Possibile che la roba sia sempre a lavare? La metto nel cesto dei panni sporchi e non fa più ritorno. >> 
<< Chi vorrebbe far ritorno in un ammasso simile? >> intervenne Cam, un sorrisetto beffardo dipinto in faccia. << Se mamma vedesse come sistemi i vestiti che ti stira come minimo sverrebbe. >> 
Lo fulminai con un'occhiata ed inclinai il capo. << Scusa, ma tu perché sei qui? >> 
Scrollò le spalle. << Ho sentito qualche sbuffo e sono entrato a vedere che cosa facevi. È per caso vietato? >> domandò con un tono indisponente. 
<< Esatto, è vietato. >> 
<< Un motivo in più per farlo >> affermò lasciandosi cadere pesantemente sul letto. Che fratellone simpatico e rispettoso dei miei confini. Se solo fossi stata più alta lo avrei volentieri preso per un orecchio e sbattuto fuori dalla mia stanza a fuori di calci nel sedere. Peccato che mia mamma avesse spartito poco equamente l'altezza. 
<< Almeno aiutami >> buttai là mentre quel procione si stiracchiava. << Sii utile a qualcosa. >>
<< Ti sto regalando la mia compagnia, questo basta e avanza >> asserì distendendosi e passandosi le braccia dietro la testa.
Per un attimo rimasi immobile sul posto. Una parte di me era pericolosamente tentata di gettarsi addosso a lui e riempirlo di pugni, un'altra, la più saggia supponevo, mi comandava di mantenere la calma. 
<< Sei utile soltanto a consumare l'ossigeno qui presente e a disfarmi il letto >> gettai fuori con un'occhiata feroce. Il binomio armadio caotico e Cam inutile era il mio tallone d'Achille. Mi trasformava in una furia. 
Cam sollevò il capo ed osservò il piumone spiegazzato sotto il suo peso. << Ah perché questo sarebbe un letto rifatto? Incredibile come tutto possa apparire diverso a seconda dei punti di vista. >> 
L'attimo dopo gli ero saltata addosso. Ebbene sì, il mio lato istintivo aveva stravinto sulla saggezza. 
Acciuffai una maglietta dal letto e la trasformai in una frusta capace di sfoderare stoccate micidiali. 
<< Oddio, un opossum aggressivo! >> strillò tra le risa mentre parava alcuni colpi. << Ehi, ma mi fai male! >>
<< Zitto e subisci >> lo reguardì perentoria. Quella sì che era un'ottima soluzione per scaricare i nervi. Finalmente mio fratello si rivelava utile a qualcosa. 
Con un braccio mi spintonò di lato e si allungò per agguantare anche lui una maglietta. 
<< No, lasciala! >> urlai afferrandola dal lembo opposto al suo. 
Un conto era una frustata tirata con la mia debole forza, un conto era invece se tirata da un braccio muscoloso. Sarei rimasta segnata a vita. Potevo già immaginare il bruciore sulla pelle. 
Ci guardammo negli occhi in una muta sfida a chi avrebbe lasciato per primo la presa. Io no di certo. A costo della vita sarei rimasta attaccata a quella maglietta. 
Un sorriso canzonatorio si fece largo sul suo viso illuminato di divertimento. << Paura, sorellina? >> 
Sfoderai un'espressione sicura di me e rilasciai un breve sbuffo. << Certo che no. Sto solo evitando che tu ti faccia ancora del male. >> 
<< Fino ad un minuto fa eri tu a farmene >> precisò sollevando un sopracciglio. 
Alzai una mano e la sventolai. << Dettagli. >> 
Errore fatale. Cam approfittò del momento in cui avevo allentato la presa per strattonare la maglietta e farmela sgusciare dalle dita. 
Ebbi solo il tempo di sgranare gli occhi, darmi della stupida e lanciare occhiate furtive alla porta: la mia unica salvezza. 
Senza pensarci troppo mi ci fiondai contro mentre intonavo varie urla miste a risate. Poi, però, arrivò il colpo, tanto forte quanto rapido. 
Sentii il mio sedere incendiarsi di secondo in secondo fino a diventare incandescente. 
Cam scoppiò a ridere mentre i miei muscoli arrestavano la corsa per riprendersi dallo shock. 
<< Oh oh, hai perso opossum. Ma dimmi un po', la sconfitta quanto contribuisce a farti bruciare il c... >>
<< Papà! >> urlai dal corridoio. << Cam mi... >> Non finii la frase che mi ritrovai sia con la maglietta davanti alla faccia che ad essere strattonata all'indietro come un animale, anzi, da un animale. 
<< Ho lavato i capelli... Me li scompigli, accidenti >> borbottai faticosamente, cercando di togliermi quell'indumento dal viso.
<< Avanza e non ti sarà fatto alcun male >> pronunciò nel tono solenne di un generale, ricalcando una battuta che avevamo sentito la sera prima in un film. Mio fratello era decisamente impazzito. Aveva ormai imboccato la via del non ritorno. 
<< Almeno dimmi dove andare >> dissi esasperata. 
<< Richiesta accolta. Tre passi a diritto e altri tre a sinistra. >> 
Sospirai contro la maglietta e mi apprestai a compiere quel breve tragitto verso la liberazione. 
Peccato che al secondo passo a sinistra tutto il mio corpo si spalmò addosso ad un muro. A risentirne furono soprattutto il mio ginocchio e la mia faccia, in particolar modo il setto nasale. 
<< Oh, ho contato male. Che sfortunato errore >> si giustificò Cam, trattenendo a stento le risate. 
Inspirai a fondo dal mio dolorante naso schiacciato alla parete e sollevai con calcolata furia omicida una mano; arpionai la maglietta e me la tolsi dal viso con un colpo secco. 
<< Caro, carissimo, fratello >> annunciai insieme ad un sorriso pacifico mentre mi voltavo a guardarlo. << Hai due scelte. La prima: andare in punizione fino alla fine dei tuoi giorni dopo che avrò raccontato tutto questo a papà, ovviamente enfatizzando e magari sfoderando un po' della mia fantasia. La seconda: aiutarmi a sistemare l'armadio e a trovare quel che cerco. Cosa scegli? >> Sbattei le ciglia ed incrociai le dita. 
<< Scelgo di tornare in camera mia. Arrivederci. >> Mi diede le spalle e si avviò nel corridoio. Sciocco procione.
Sfoderai un sorriso diabolico e mi sporsi per le scale. << Pap... >>
La velocità con cui Cam fece inversione fu sorprendente. Un secondo dopo era davanti a me che si rimboccava le maniche del pigiama. << Ho deciso di venire a Narnia con te. Un gesto di carità insomma. >> 
<< Che gentile. >> Inclinai la testa e gli rivolsi un sorriso angelico. << Sono proprio questi gesti spontanei che apprezzo. Magari poi mi risistemi anche il letto >> aggiunsi tirandogli qualche pacca d'incoraggiamento sul braccio. 
Con le buone si otteneva sempre tutto. 





                                                                       *  *  *





Alla fine la mia scelta era caduta su un morbido golf rosa cipria a collo alto, un paio di jeans chiari e gli stivaletti neri. Avevo creato delle leggere onde ai capelli, specialmente ai ciuffi davanti di modo che mi aprissero il viso, ed avevo fissato due forcine decorate da delle perline bianche ai lati per sollevare le ciocche dietro ai due ciuffi. 
Avevo speso circa mezz'ora per inventarmi e mettere in pratica quell'acconciatura. Non che fosse particolarmente difficile, ma esigevo la perfezione per quella circostanza. 
Avevo anche messo un po' di trucco per donare un'aria più ordinata e romantica al tutto. Si trattava soltanto di un velo di ombretto rosa pallido ben sfumato, una linea sottilissima di eyeliner ed una passata di mascara marcata soprattutto sulle ciglia più esterne. 
Nel complesso mi sentivo carina. Oltre che in ansia, agitata, emozionata, timorosa e in febbricitante attesa di fare il mio ingresso in casa di David. 
Tra le mani, ovviamente sudate, tenevo la busta con i regali per il mio ragazzo ed un altro sacchettino con una scatola di cioccolatini per sua madre. 
Ero intenzionata a fare bella figura ed eliminare la mia reputazione da ultras dalla mente della signora. Se tutto fosse andato come il mio cervello aveva programmato, a fine serata mi avrebbe amata... e magari sarei riuscita a farmi raccontare qualcosa sull'infanzia di David. Ero curiosa di sapere che tipo di bambino fosse stato, di vedere delle sue foto o dei filmati di qualche suo compleanno. 
Più ci pensavo e più sentivo i miei occhi trasformarsi in cuoricini. 
<< Che guardi? >> Il cuore mi tamburellò nel petto. 
Solo una voce riusciva a farmi librare le farfalle nello stomaco in quel modo. 
Spostai lo sguardo sul suo proprietario ed allargai il sorriso, facendomi dolere i muscoli della faccia. 
Mio Dio. Ogni volta che lo vedevo la mia mente formulava subito due aggettivi: bello e mio. Anzi, stramaledettamente bello e meravigliosamente mio. 
Indossava un berretto di lana, un paio di pantaloni color cachi scuro, le scarpe da ginnastica nere di pelle ed il giubbotto. Sulle sue labbra era pennellato un mezzo sorriso da infarto mentre gli occhi erano vispi ed accesi di divertimento mentre percorrevano il mio corpo ed il mio viso. 
Sbattei le palpebre in fretta per riprendermi dallo stato di trance nel quale ero sprofondata. << Ah... ehm, stavo guardando... >> Che diavolo stavo guardando? Ero stata talmente tanto presa dall'immaginarmi David da piccolo che non mi ero accorta di niente. 
Lui inclinò la testa di lato e si portò le mani nelle tasche del giubbotto. Schioccò la lingua al palato e mi fissò con un sopracciglio sollevato. Qualcosa nella sua espressione denotava una punta di fastidio per un motivo che al momento mi sfuggiva. 
<< Stavi guardando il sedere di un ragazzo >> mi fece presente con un lento sospiro dal naso. 
Oh. Perdinci. 
<< Ah >> fu la mia brillante risposta. 
Il suo sopracciglio si sollevò maggiormente mentre con lo sguardo chiedeva spiegazioni. 
<< Oh... No, io... >> Mi grattai la testa ed arricciai le labbra. << Stavo solo riflettendo e non mi sono accorta di nulla. Ero... in un mondo a parte, davvero. >> Mi avvicinai ed afferrai un lembo del suo giubbotto. << E poi secondo te mi metto a fissare il sedere di ogni ragazzo? >> domandai accigliata. 
Insomma, io mi trasformavo in una maniaca soltanto quando si trattava di David.  
Scrollò le spalle ed abbassò il capo per osservarmi negli occhi, un sorrisetto sfrontato ad increspargli la bocca. << Anche perché il mio è molto più bello. >> 
Ridacchiai ed annuii. << Ovviamente. >> 
Avvertii due dita di David sotto al mento che mi sollevavano il viso. Appena dopo incontrai i suoi occhi ridenti che passavano in rassegna ogni centimetro della mia pelle.  Il cuore che mi martellava nel petto era soltanto una delle tante reazioni che quel contatto stava scatenando in me. 
<< Stai bene truccata così >> asserì poco più tardi, mandando in estasi i miei neuroni. 
Sentivo che i miei sforzi per apparire più carina venivano finalmente ripagati. 
Ovviamente non mi ero truccata nella speranza di ricevere un complimento... certo che no. 
Sorrisi emozionata, contenendo il novantanove per cento della mia gioia che altrimenti si sarebbe manifestata in grida. << Grazie >> mormorai. 
Vidi progressivamente le labbra di David avvicinarsi alle mie e la sua testa inclinarsi con flemma. Pochi millimetri prima che le nostre bocche si unissero, la sua si stese in un sorrisetto familiare. Lo stesso che gli avevo visto fare dal primo giorno in cui ci eravamo incontrati per i quattro anni successivi quando stava per prendermi in giro. << Ah, non era un complimento >> fiatò beffardo. 
<< Sei proprio un cret... >> Le mie parole furono soffocate dalla rapidità delle sue labbra. Risposi immediatamente al bacio, ma non mi privai di tirargli uno schiaffetto scherzoso sul braccio. Eppure mi aveva provocato una sensazione bella, di calore familiare sentirgli dire quella frase. 
Quando era scoppiato l'inferno ed eravamo stati costretti dalle circostanze disperate a vivere insieme, ogni volta che mi aveva rivolto delle parole carine aveva subito precisato che non si trattava di un complimento. Se inizialmente quel suo ritrattare mi aveva dato sui nervi, gradualmente avevo imparato ad adorarlo perché avevo capito che quello era il suo modo di esprimersi quando gradiva qualcosa e non poteva fare a meno di dirlo. 
Una sua mano fredda mi accarezzò una guancia con tocchi soffici, facendomi rabbrividire. Dopodiché ci distanziammo per osservarci negli occhi e riprendere fiato. 
Non potevo essere più felice mentre le sue iridi ambrate brillavano e catturavano le mie con la loro profondità. 
In quel momento non sentivo nemmeno più gravare l'ansia per l'incontro con sua mamma.
<< Pronta? >> mi domandò con un sorriso. 
Scrollai le spalle imitando la sua aria da spaccone. << Sono nata pronta. >>





                                                                       *  *  *





Durante il tragitto in bus David si era offerto di tenermi almeno una busta, ma avevo rifiutato. 
Ero terrorizzata dall'idea che potesse sbirciare e scoprire cosa fosse il suo regalo. Preferivo tenere il sacchetto appiccicato al mio corpo e lanciare occhiatacce ogni qual volta lo vedevo aprirsi leggermente. 
Poi avevo tirato fuori il discorso di mia madre e della futura cena alla quale lui avrebbe dovuto partecipare. A differenza mia, lui non sembrava minimamente ansioso per la notizia. Anzi, pareva rilassato e soddisfatto. 
Nel momento in cui gli avevo confessato che in realtà era stata mia mamma a scoprire della sua esistenza, sul suo volto era spuntato un sorriso enigmatico. Sembrava quasi che quel mio racconto gli avesse ricordato qualcosa. Ma non avevo avuto modo d'indagare, perché tra una chiacchiera e l'altra eravamo giunti dinanzi ad uno stretto portone consumato dal tempo. 
<< Siamo arrivati? >> domandai col cuore in gola e la familiare nebulosa di ansia nello stomaco. 
David annuì con un sorriso ed estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca. << Agitata? >> Mi lanciò un'occhiata obliqua mentre faceva scattare la serratura; dopodiché ridacchiò ilare, probabilmente per la mia espressione terrorizzata. 
<< Un po' >> mormorai con un labbro tra i denti, intenta a torturarlo. Un po'. Che colossale fesseria. Ero talmente tesa e carica d'ansia che se mi avessero attaccato un caricabatterie alle narici molto probabilmente sarei stata in grado di far resuscitare telefoni. 
<< Solo un po'? Ti stai attorcigliando le dita, sembrerebbe molto più di un po' >> mi stuzzicò quel deficiente. 
Sbuffai dal naso e lo fulminai con un'occhiataccia degna del più spietato malavitoso. << Apri questa porta o la sfondo e faccio irruzione in casa tua. >> Così sì che avrei fatto buona impressione su sua madre. 
David increspò le labbra con aria riflessiva. << Mm, siamo pure nervosetti. Credo che oggi mi godrò un bello spettacolo >> aggiunse con un sorrisetto da schiaffi ed un sopracciglio sollevato. 
Assottigliai lo sguardo fino a ridurlo più tagliente di una lama. << Quanto sei str... >>
<< David! >> esclamò una voce femminile adulta. Oh Cristo. Chi era colei che aveva appena spalancato la porta? 
Senza avere il coraggio di voltare la faccia, mi stampai un sorriso falsissimo e persistetti ad osservare il mio ragazzo. << Stupidino, stavo per dire stupidino >> asserii con un risolino isterico e qualche pacchetta sul suo braccio. Oh, come avrei voluto staccarglielo a morsi. Quel mentecatto mi stava osservando visibilmente divertito dalla situazione, si vedeva lontano un miglio quanto stesse facendo fatica per trattenersi dallo scoppiare a ridere. 
<< Tu devi essere Sarah. >> Oh mio Dio. 
Con un piccolo balzello di sorpresa mista a timore scattai a guardare la signora ferma sul pianerottolo con un sacchetto d'immondizia in mano. Per una frazione di secondo mi chiesi se quel sacchetto fosse per me, poi mi diedi mentalmente della stupida ed abbozzai un sorriso timido. << Sono io. Piacere di conoscerla >> buttai fuori insieme ad un leggero balbettio. 
Allungai una mano ed attesi che la signora ricambiasse il gesto. 
Le guance della mamma di David si riempirono per il sorriso affabile che le spuntò sulle labbra, mentre ai lati dei suoi occhi si affacciarono delle simpatiche zampe di gallina. 
Dovevo ammettere che esteticamente era una donna che ispirava allegria. La sua pelle sembrava sciupata dalla stanchezza in quanto priva di lucentezza ed opaca, ma erano i suoi occhi castani a comunicare vivacità e giovinezza. 
Nonostante in quel momento fosse vestita con dei semplici jeans, un maglione scolorito ed i capelli lisci le ricadessero disordinatamente sulle spalle, non le avrei dato più di cinquant'anni. 
Ebbi un tuffo al cuore nel momento in cui nelle sue iridi vidi diffondersi una luce divertita estremamente familiare. 
Era come guardare David negli occhi. 
<< Lascio la busta e... Anzi, David vammela a buttare così intanto io faccio salire Sarah in casa >> propose passando il sacchetto al figlio. 
Lanciai un'occhiata terrorizzata al mio ragazzo alla quale mi rispose sghignazzando come il cretino quale era. Solo lui trovava spassosa quella situazione.  
Sentii la mia mano saldarsi a quella della signora. << Io sono Dorothy. Il piacere è tutto mio >> affermò con un grande sorriso. << Vieni, bella, ti preparo un buon thé caldo per riscaldarti. >> Ok, era fattibile. Potevo farcela, anche se da sola. Insomma, non mi avrebbe mica mangiata. 
Prima di seguirla mi voltai ancora una volta a guardare David che si stava avviando per la strada. Me l'avrebbe pagata, era sicuro. Quando gli sarebbe toccato vedersela con mio padre e Cam mi sarei fatta delle grosse e grasse risate come le sue. 
Sospirai per distendere i nervi e misi piede nell'angusto ingresso condominiale. Dirottai verso le scure scale di legno ed iniziai a salirle con non pochi scricchiolii. 
Ben presto mi accorsi che su ogni pianerottolo si affacciavano due porte, quindi due appartamenti. Giunta al terzo piano vidi che Dorothy si era soffermata davanti ad una in legno dall'aspetto vecchio e vissuto. Il che stonava con lo zerbino nuovo e pulito su cui svettava la parola "Welcome". 
<< Eccoci qua, scusa il disordine. Dwight lascia sempre tutto in mezzo. >> Le sue sopracciglia si arcuarono in una muta supplica ad essere clemente. 
Le sorrisi intenerita e ridacchiai per smorzare l'imbarazzo. << Non si preoccupi. Mio fratello è il re del disordine, ormai non ci faccio più caso. >> Bugia colossale. 
Dopo che quella mattina Cam aveva finito di aiutarmi con l'armadio, stressata dalle sue prese in giro e dai suoi commentini, lo avevo sfidato a farmi vedere il suo. Ero rimasta di stucco. Tra noi due sembrava lui la donnina di casa. 
Lo sguardo della signora sembrò accendersi d'interesse mentre mi faceva entrare in casa prima di lei. << Oh, hai un fratello? Maggiore o minore? >> 
Mi voltai a guardarla leggermente più rilassata. Quella era una domanda a cui potevo rispondere facilmente. << È più grande di me di tre anni. Si chiama Cameron. >> 
Annuii delle mie stesse parole come una scema e seguii con lo sguardo Dorothy che appendeva le chiavi ad un chiodino nel muro. 
Intercettò la mia occhiata e sorrise con un velo d'imbarazzo. << Un tempo qui c'era un quadro >> spiegò. << Poi il vetro si è rotto per colpa di una delle scosse sismiche antecedenti all'attacco e... ho reso questo chiodo un po' più funzionale. >> Una breve risata le increspò gli angoli delle labbra, ma senza arrivarle agli occhi. 
Più osservavo quella donna e più mi sembrava di trovarmi di fronte ad una forza ed una fragilità enormi. In dei momenti riuscivo quasi a percepire quanto lei avesse sofferto nella sua vita. 
<< Siediti pure, Sarah >> mi disse indicando il tavolo dietro la mia schiena. << Ti preparo subito il thé. >> 
Abbozzai un sorriso. << La ringrazio. >> 
<< Dammi pure del "tu" e chiamami Dorothy >> mi corresse dirigendosi al piccolo piano cottura posto a cinque passi dal tavolo dov'ero seduta. 
Ad una prima rapida occhiata mi ero accorta che quella casa non possedeva un ingresso, ma appena dentro ci si trovava in una sorta di cucina-salotto. Il tavolo era al centro, la cucinetta di fronte ed il divano rivestito da un lenzuolo celeste decorato con un motivo a fiori dietro alla tavola. Era un ambiente piccolo e spoglio, ma al tempo stesso accogliente. 
<< Anche perché sei la prima ragazza che David mi fa conoscere e che porta qua >> aggiunse aprendo uno sportello sotto il lavello dove si trovava una bombola del gas. Ruotò una manovellina e si girò per rivolgermi un sorriso. << Vorrei che tra noi nascesse subito un po' di confidenza. >> 
Annuii con vigore, felice delle sue parole. Mi sembrava il modo migliore per stringere una sorta di amicizia con la mamma del mio ragazzo. 
<< Ti volevo ringraziare per l'ospitalità >> dissi mentre osservavo la sua schiena. << Sono contenta di trovarmi qui. >> 
Appoggiò il pentolino con l'acqua sul fornello e si volse per sorridermi calorosamente. << Anch'io sono felice che tu sia venuta. E soprattutto di conoscerti. David non mi ha detto praticamente nulla su di te. >> Si avvicinò ed allungò il collo come se stesse per confidarmi un segreto. << Anche se non lo si direbbe mai, lui è molto timido quando si tratta di parlare con sua mamma di ragazze. Sfugge di continuo alle domande o risponde a monosillabi >> confessò a bassa voce. 
Ridacchiai ed annuii conscia. << Infatti ogni volta che è nervoso ed in imbarazzo mi risponde in modo secco e conciso. >> 
<< Esatto >> esclamò sorridendo. << È quasi impossibile tirargli fuori una parola di più. Figurati che sono solo riuscita a fargli dire il tuo nome, ma deduco che andiate a scuola insieme. >> Fece scivolare la sedia vicina e si sedette con le mani chiuse in grembo. 
<< Sì, abbiamo delle lezioni in comune. Frequentiamo lo stesso anno >> chiarii scostando un ciuffo dietro la spalla. 
Mi sentivo stranamente a mio agio in quella cucina, a parlare con quella signora dal sorriso gioviale ed i modi gentili. 
Tutta la pressione e l'agitazione che avevo covato fino a dieci minuti prima sembravano essersi dissolte. Anzi, avevo persino voglia di parlarle e rispondere a qualsiasi sua curiosità. 
Probabilmente ad averla subito fatta entrare nelle mie simpatie aveva contribuito il fatto che mi avesse confessato che ero la prima ragazza che David portava a casa e che le faceva conoscere. Stavo ancora gongolando per quella notizia. 
Solo che non mi tornava una cosa...
Aggrottai la fronte e m'inumidii le labbra. << Ma se David non parla mai di ragazze... come hai fatto a sapere di me? >> 
Gli angoli della bocca di Dorothy s'incresparono e la sua espressione si addolcì. << Ad una mamma non si può tenere nascosto nulla >> dichiarò scuotendo lentamente la testa; dopodiché avvicinò la sedia ed appoggiò gli avambracci sul tavolo. << Mi ero accorta che durante il mese antecedente all'inizio della scuola era sempre nervoso, quasi intrattabile. Ogni giorno usciva per andare a controllare a che punto fossero i lavori di ricostruzione delle strade per il passaggio dell'autobus, oppure prendeva continuamente in mano il cellulare. Ma la cosa strana era che non ci faceva nulla. Lo sbloccava, lo ribloccava e così via. >> Sollevò le spalle con un'espressione stranita. << Pensavo fosse un antistress perciò non gli dicevo nulla. Quando è ricominciata la scuola, il suo umore è cambiato radicalmente. Dalla prima sera che ha messo piede in casa mi sono resa conto che era finalmente rilassato. Nei giorni successivi ha smesso di essere scostante, nervoso e scorbutico. Aveva davvero una faccia che parlava da sola. Così ho sospettato che c'entrasse una ragazza >> affermò con un sorrisetto sghembo estremamente simile a quello del figlio. << Gli ho chiesto se per caso avesse in testa qualcuna e lui ha immediatamente sorriso. >> Oh, ora mi era chiaro il perché quel babbuino avesse sorriso nel momento in cui gli avevo confessato che era stata mia madre a scoprire della sua esistenza. Era successa la stessa cosa a lui. 
Dorothy allungò una mano e la posò sulla mia mentre i suoi occhi mi fissavano con intensità. << Figlia mia, quando un ragazzo sorride al solo pensiero di una ragazza o è innamorato o è innamorato. C'è davvero poco su cui scervellarsi. E poi conosco mio figlio come le mie tasche, mi accorgo subito quando qualcosa cambia nella sua vita. E scommetterei tutto quello che ho che prima che ripristinassero la linea del bus dava in escandescenza perché non poteva venire a trovarti. >> Inclinò la testa ed il suo sguardo si fece interrogativo mentre il cuore mi batteva freneticamente nel petto per tutte le notizie ricevute. << A proposito di ciò, quasi tutte le notti David esce e torna solo la mattina dopo. Durante la scuola lo faceva di meno, ma adesso che è in vacanza sgattaiola via ogni notte >> mi informò con un sospiro. Oh santo cielo, eravamo già giunte alle domande critiche. 
<< Se almeno mi dicesse dove va starei più tranquilla >> meditò abbassando la testa. 
Oh Dio, che dovevo fare? Confessare o far finta di nulla? No, non potevo starmene zitta e farla crogiolare nell'ansia. 
Dorothy rialzò il capo. << Per caso viene da te? >> Nei suoi occhi lessi così tanta apprensione che mi sciolsi come un pezzetto di burro al sole. 
Annuii lentamente, sperando che la prendesse bene e non mi si avventasse contro per strapparmi i capelli. << Quando sono tornata a scuola David si è accorto che ero pallida, stanca e spossata. Per tutto il mese precedente non avevo quasi mai dormito. Ogni notte appena chiudevo gli occhi venivo sommersa da incubi riguardanti tutto ciò che avevamo vissuto prima, perciò mi svegliavo gridando impaurita. Poi non riuscivo più a riprendere sonno. Era tutto così vivido e reale da farmi credere che fosse ancora in corso o che potesse ritornare. >> Rabbrividii al ricordo e sentii la mia mano stringersi in quella di Dorothy. 
<< Continua, tesoro. Intanto ti porto il thé >> mi incitò con un tono dolce, da mamma. 
<< Grazie >> sussurrai con un sorriso. Mi tolsi il giubbotto e lo appoggiai allo schienale della sedia. D'un tratto mi sentivo avvolta dal calore. 
<< Durante quel periodo... >> Calcai su quella parola per farle capire che mi stavo riferendo all'inferno trascorso, dopodiché afferrai la tazza calda sul tavolo e posai lo sguardo sul liquido fumante. << David è sempre stato con me. Io... soffro di attacchi di panico, ma lui mi ha sempre aiutato a controllarli e a far sì che non perdessi la testa. Ogni notte mi addormentavo accanto a lui, mi sentivo... protetta >> dichiarai con un piccolo sorriso. << Perciò quando tutto è finito e siamo stati divisi, le nostre vite hanno ripreso a scorrere nella normalità, ma... ho cominciato ad avere gli incubi, a vedere quel che era stato dappertutto, a sentirmi ancora in pericolo. E così non ho quasi mai dormito per un mese. Quando David mi ha costretta a dirgli cosa c'era che non andasse, qualche sera dopo me lo sono trovato in camera. >> Alzai il capo e le sorrisi. << Mi disse che era venuto per assicurarsi che dormissi. Quella fu la prima notte che non urlai e che riuscii davvero a riposarmi >> conclusi. 
Dorothy abbassò gli occhi sulla tazza che tenevo fra le mani, ma non prima che mi accorgessi della luce intenerita che le rendeva lucide le iridi. 
Sorrise e scosse piano la testa. << Assomiglia così tanto a suo padre. >> Il suo sguardo s'incastrò al mio. << Mio marito era un uomo in apparenza freddo, ma non in senso cattivo. Lui non ti faceva mai vedere ciò che provava, i primi tempi in cui eravamo sposati pensavo che non gli importasse niente di me, eppure ogni tanto se ne usciva con dei gesti che ti scaldavano il cuore. A parole non era bravo >> ricordò con una debole risata. << Anzi, si vergognava tantissimo ad esprimere anche il sentimento più elementare come l'affetto. Quindi mascherava questa vergogna con un atteggiamento spavaldo, sicuro e quasi scostante. Ma ogni giorno mi faceva capire quanto fossi importante per lui. Magari senza alcun gesto eclatante, ma con dei piccoli e quasi invisibili fatti. >> Il suo sorriso malinconico si allargò. << Mentre parlavi di quel che David ha fatto per te mi è sembrato di rivedere mio marito. >> Allungò le mani e prese le mie, sfiorandomi i dorsi coi pollici. << Sono davvero contenta che mio figlio abbia trovato una ragazza a cui tiene tanto come te. Quando torna a casa leggo sempre felicità nei suoi occhi, e per me è questo l'importante >> mormorò con un sorriso grato che le percorreva le labbra sino ad illuminarle gli occhi. 
Il mio sorriso nacque spontaneo. Come si faceva a non adorare quella signora? Era la suocera perfetta. Mi sentivo libera di parlarle di qualsiasi cosa come se la conoscessi da molto più tempo. Era una sensazione strana che non avevo mai provato prima, eppure estremamente elettrizzante. 
Mi lasciò le mani e ridacchiò. << Scusami, non ti sto facendo neanche bere il thé. >> 
<< Oh, non preoccuparti >> la tranquillizzai con una scrollata di spalle. Mi portai la tazza alla bocca e bevvi un sorso, ricordandomi di colpo del regalo che le avevo portato. << Quasi dimenticavo >> esclamai piegandomi per afferrare il sacchetto da terra. << Questo è per te. >> Glielo porsi con un sorriso e mi trovai a ridere nel momento in cui la sua espressione divenne un concentrato di felicità. Aveva inclinato la testa ed i suoi occhi erano quasi chiusi da quanto esteso era il sorriso che le faceva gonfiare le guance. 
<< Grazie, Sarah. Non dovevi disturbarti >> asserì scartandolo con la trepidazione di una bambina. << Oh, ma questi cioccolatini sono buonissimi! >> Spalancò gli occhi e la sua bocca assunse la forma di una O. << Oddio, quanti ricordi >> mormorò appoggiandosi una mano su una guancia. << Devi sapere che l'ultima volta che ho mangiato un cioccolatino di questa marca avevo trent'anni. Me lo aveva comprato mio marito in un bar >> rimembrò con le iridi che brillavano come diamanti. 
Sorrisi commossa nel vederla osservare la confezione con quell'espressione trasognata. Sembrava che la sua mente stesse viaggiando tra i ricordi e le emozioni di un tempo. 
Appoggiò lo sguardo su di me. << Grazie mille, Sarah. È un regalo stupendo. Che ne dici se ce ne mangiamo subito uno insieme? >> 
<< D'accordo >> acconsentii ridendo. 
Lei iniziò ad aprire la confezione con cura, prestando un'attenzione quasi maniacale a non sciuparla. Da quel semplice gesto intuii quanta importanza desse a quel piccolo regalo. Ero quasi sicura che avrebbe conservato tutta la confezione anche una volta terminata. 
Appena ebbe estratto lo stampino su cui erano disposti i cioccolatini, me lo porse affinché ne prendessi uno. 
Ci mangiammo quella prelibatezza dal cuore morbido col sorriso sulle labbra. 
<< Sono ancora più buoni di quanto ricordassi >> notò Dorothy con un gesto della mano. << Sarei tentata di mangiarmeli tutti, ma ne lascerò qualcuno anche a David e Dwight >> asserì con una risata dalla quale mi lasciai trasportare. << A proposito di Dwight, vado a vedere se si è svegliato così te lo faccio conoscere. >> Si alzò dalla sedia con un sorriso vivace e si diresse ad una porta. 
La aprì ed affacciò la testa prima di scomparire al suo interno. 
In quel momento la mia attenzione venne attirata dalla serratura di quella d'ingresso che si sbloccava. Un attimo dopo la figura di David fece capolino nella stanza mentre il mio cuore cominciava a rimbalzare per l'emozione. 
<< Qualche idiota aveva spostato il cassonetto >> esordì seccato. << Mi è toccato andare a cercarne un altro. >> Si tolse il giubbotto e lo lanciò sul divano prima di far atterrare lo sguardo su di me. Studiò la mia figura da capo a piedi con un sorrisetto da bambino cattivo che mi mandò in ebollizione il sangue. 
Con un passo felino si avvicinò, appoggiò una mano sul tavolo, una sullo schienale della mia sedia ed incurvò la schiena per abbassare la testa alla mia altezza. << Stai bene seduta qua >> bisbigliò facendosi più vicino. << Mi piace. >>
Inclinai il capo ed irrimediabilmente le mie palpebre si socchiusero per il languore insieme alle sue. Tutto ciò che sentii dopo furono le sue labbra fredde, ma morbide che si muovevano con tenerezza sulle mie. 
Allungai un braccio e lo passai dietro al suo collo per attirarlo a me, mentre con una mano gli accarezzavo i capelli sulla nuca sfuggiti dal berretto. 
Ci staccammo di scatto non appena avvertimmo una porta aprirsi. 
I miei occhi saettarono sulla piccola figura di un bambino dagli occhi assonnati che teneva per mano Dorothy. 
<< Ecco Dwight, il bambino dormiglione >> annunciò lei con un sorriso. 
Mi alzai dalla sedia ed avanzai verso il bimbo intenerita dal suo viso paffuto. Assomigliava davvero tanto a David: aveva gli stessi capelli castani chiari ed altri tratti comuni, come il taglio degli occhi e la forma del naso. Era solo il colore delle iridi ad essere diverso: il suo era verde oliva. 
<< Ciao Dwight >> esordii piegandomi sulle ginocchia. << Io sono Sarah >> aggiunsi porgendogli una mano. 
Il bambino mi osservò ancora frastornato dalla dormita, poi alzò la sua manina paffuta e toccò un mio dito. Sorrisi divertita e dondolai la mano in su e in giù. << Piacere >> dissi con una risata. 
Dwight sorrise di quel gesto e mi strinse il dito con più forza, cominciando a far dondolare anche lui la manina. 
<< Ti piace Sarah? >> domandò David, inginocchiandosi sui talloni accanto a me. Volsi lo sguardo su di lui ed il mio cuore perse una decina di battiti nel vedere il sorriso affettuoso che stava rivolgendo al fratello. 
Se pensavo che fino a quattro anni prima lui per me era solo un demonio, mi veniva da ridere. Mentre io tornavano a casa a pensarne peste e corna sul suo conto, lui metteva piede nell'ingresso e regalava quei sorrisi al suo fratellino. 
Non mi persi il momento in cui Dwight annuì ed appoggiò la testa alla gamba di sua mamma.
<< Oh, che carino. >> Avevo gli occhi a cuoricino. Quel bambino era la dolcezza in versione tascabile, oltre che un David in miniatura. Metteva in moto il mio istinto protettivo come se fossi stata sua madre. 
<< Ti va di andare a fare la spesa con me? >> gli chiese Dorothy. 
Dwight annuì di nuovo e si lasciò andare ad uno sbadiglio. 
<< Allora devi lasciare la mano a Sarah >> gli fece presente con un tono delicato. 
Il piccolo mi guardò negli occhi per qualche istante, poi senza alcuna intenzione di mollare la presa alzò la testa per fissare sua madre. 
Dorothy ridacchiò e scosse il capo. << No, Dwight, lei adesso non può venire con noi. Ma la vedrai di nuovo, non ti preoccupare >> lo rassicurò. 
A quella promessa lui tornò ad osservarmi e mi lasciò la mano. Ero quasi del tutto sciolta dalla dolcezza di quel bambino, quando d'un tratto lo vidi avvicinarsi per darmi un delicato bacino sulla guancia. Quello era il colpo di grazia. Stavo per collassare da quanto il mio cuore si era ingigantito. 
Sentii Dorothy ridere e con la coda dell'occhio notai il largo sorriso di David. 
<< Sarah noi adesso dobbiamo andare, ma tu resta pure quanto vuoi >> mi invitò lei. 
Mi sollevai da terra e le sorrisi in risposta. << Grazie mille. >>
<< Grazie a te >> esclamò massaggiandomi un braccio. << Torna pure quando vuoi, sei la benvenuta. >> 
Dopo quelle parole ed altri saluti al piccolo Dwight, io e David restammo soli in casa. 
Per quanto mi avesse fatto piacere conoscere sua madre e trascorrerci del tempo, avevo atteso con trepidazione il momento in cui avrei potuto avere il mio ragazzo tutto per me. 
<< È andato tutto bene, no? >> mi domandò mentre gli allacciavo le braccia dietro al collo. 
Annuii. << Per fortuna. Tua madre è una donna fantastica. >>
Le sue mani vagarono per la mia schiena ed in poco tempo mi ritrovai stretta al suo petto. << Lo so >> ammise con un sorriso fiero. 
Era bello vedere quanto lui tenesse a sua madre e non si facesse problemi a mostrarlo. Amavo quel suo lato affettuoso e dolce. 
Nei secondi successivi il mio corpo si mosse da solo. Le nostre teste accorciarono le distanze in sincro fin quando le nostre bocche non si fusero in un lento bacio. 
Avevo bramato quel momento per tutta la giornata, ed in quel preciso istante mi sembrava quasi un sogno poter passare le dita tra i suoi capelli e stringerlo a me. 
Il mio cuore pompava ad un ritmo sostenuto mentre le sue mani si stringevano sui miei fianchi per sollevarmi da terra e trasportarmi a sedere sul tavolo. 
Mi allungai verso il suo petto e scesi a baciarlo sul mento. Le sue dita mi sollevarono il golf e s'intrufolarono al di sotto per sfiorarmi la pelle con tocchi decisi e famelici. 
D'un tratto colpii con il piede un sacchetto, facendolo cadere a terra. 
La mia mente registrò quella sequenza di rumori ricordandomi cosa fosse contenuto in quella busta. 
Spalancai gli occhi e mi ritrassi dal tocco di David. << Aspetta, devo darti una cosa >> dichiarai col fiato corto. 
<< Non puoi rimandare? >> mi chiese con un tono rauco e gli occhi accesi di desiderio. 
Di fronte a quella vista dovetti far appello a tutto il mio autocontrollo per non mandare tutto al diavolo e lanciarmi addosso a lui. 
<< No, adesso >> m'impuntai scendendo dal tavolo. Raccolsi il sacchetto e glielo porsi con un sorriso da orecchio a orecchio. << Auguri, diciottenne. >>
Ed ecco che mentre prendeva in mano la busta, la familiare ansia tornava a torturarmi. 
<< Devo iniziare dal pacchetto più piccolo? >> chiese lanciandomi una divertita occhiata di sbieco. 
Annuii e mi portai una mano davanti alla bocca per mordicchiarmi le nocche. E se non gli fosse piaciuto? Magari la camicia non era della sua taglia, o peggio, gli faceva schifo. In quel caso avrei ucciso Kevin.
Scartò il primo pacchetto ed estrasse il portafoglio di cuoio nero con un sorrisetto sghembo. 
<< Ti piace? >> domandai agitata. << Avevo pensato che il colore si potesse abbinare al braccialetto, però se non va bene possiamo tornare a... >> 
<< È perfetto >> m'interruppe divertito, inclinando la testa per guardarmi. << Grazie. >>
Oh santo cielo, uno era andato. Potevo finalmente tirare un mezzo sospiro di sollievo. 
Sorrisi più rilassata e gli indicai l'altro pacchetto. << Tocca a quello ora. >> 
Dieci secondi più tardi David stendeva la camicia sul tavolo per osservarla da vicino. Nel frattempo, inutile dire che io mi torturavo le dita con abili mosse da contorsionista.
Appena gli angoli della sua bocca si incresparono in un sorriso, mi sentii leggera come una farfalla. Anche quello era andato a buon segno. 
<< La camicia bianca è la mia preferita >> confessò continuando ad esaminarla. 
<< Non l'ho scelta da sola >> precisai con un sorriso, sperando che la notizia che gli stavo per dare avrebbe dato frutti positivi. << È stato Kevin a consigliarmela. >> 
L'istante successivo vidi il suo sorriso scomparire, la sua mascella contrarsi ed i suoi occhi lampeggiare di un miscuglio di rabbia e risentimento al ricordo di quel nome. 
Le mie speranze erano state appena spazzate via. 










Angolo dell'autrice:

Buonasera! 
Innanzitutto scusate per il ritardo! >\\< 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non sia stato una delusione. >\\< 
Il prossimo arriverà questa domenica, e non vedo l'ora di iniziare a scriverlo perché sarà importante. ;) 
Non so se avete notato che nella famiglia di David si chiamano tutti con la D ahahah. Giuro che non l'ho fatto apposta, mi sono venuti spontanei XD
Nulla, vi mando un bacione gigante e vi ringrazio come sempre di tutto!
A domenicaaaaaaa!

Federica~











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Capitolo 12
*** La vera pace ***




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La vera pace




 









<< In un modo o nell'altro è sempre tra i piedi >> sibilò David, stringendo i lembi della camicia tra le mani. 
Da quanto si era fatta salda la sua presa, le nocche gli erano diventate bianche. 
<< Gli ho chiesto io di aiutarmi >> ci tenni a precisare con un tono deciso. 
Era insensato il suo atteggiamento. Potevo capire quali fossero le motivazioni che lo avevano portato a covare rancore nei confronti di Kevin, ma era giunto il momento che ponesse una pietra sopra il passato. Esattamente come cercavo di fare io ogni santo giorno. 
La sua mascella si contrasse con un guizzo ed i suoi occhi ardenti di rabbia atterrarono su di me. Per un attimo sentii il mio cuore dolere dinanzi a quella vista. << Credevi che così tutto sarebbe tornato come prima? Sbagliato, nulla sarà più come un tempo. >> 
Scossi il capo. << Perché fai così? Il tuo comportamento non ha senso >> buttai fuori con un sospiro esasperato. 
Era più testardo di un mulo. Quando prendeva una decisione non c'era verso di fargliela cambiare, ma se volevo potevo essere più ostinata di lui. Mi ero ripromessa di fare qualcosa per lui e Kevin e così avrei fatto. 
<< Ha senso per me >> tagliò corto, una punta di freddezza ad indurirgli il tono. << Non ti vieto di rivolgergli parola perché sei libera di fare quel che vuoi, ma non chiedermi di seguire il tuo esempio. >> 
<< Sei solo uno stupido >> proruppi mentre il nervoso cominciava a pervadermi. << Ti diverti a soffrire e a far soffrire Kevin? Metti una dannata pietra sopra il passato e... >>
<< Non me ne frega una beneamata mazza se quell'imbecille soffre >> m'interruppe, gli occhi che scintillavano di cattiveria. << Anzi, gli auguro di sopportare esattamente quel che ho sopportato io. Non so che farmene di un vigliacco traditore >> sputò lasciando la presa sulla camicia. 
Stavo letteralmente per scoppiare di rabbia. Avevo i nervi talmente tesi da sentire le tempie pulsare ed il cuore battere frenetico. 
<< Perché tu dov'eri quel giorno?! >> sbottai battendo una mano sulla superficie di legno del tavolo. Immediatamente le sue iridi furono attraversate da un lampo di consapevolezza e dolore. 
Mi odiai per quelle parole che erano sfuggite al mio controllo. Percepii il mio stomaco contorcersi ed accartocciarsi per lo spasmo. 
Inumidii le labbra ed abbassai la testa. << Non... non te ne voglio fare una colpa. Non l'ho mai pensato. Stavo solo dicendo che devi smettere di avercela con Kevin. Lui... non poteva sapere cosa sarebbe successo, esattamente come te e me >> conclusi in un sussurro smorzato. 
Ero stata una stupida a lanciargli quell'implicita accusa. Non avevo davvero mai pensato che potesse essere stata colpa sua per quel che mi era successo. 
Nella mia mente era accaduto e basta. Nessun colpevole. Fine della storia. 
Udii un suo sospiro misurato ed alzai la testa. David aveva la linea del collo tesa, lo sguardo fisso sul muro e la postura rigida. La luce che filtrava dalle tende gli illuminava solo la parte di viso che non mi era concesso vedere, rendendo più marcati i tratti duri del suo volto. 
<< So benissimo di essere il responsabile per quel che hai visto e vissuto >> dichiarò severo. Digrignò i denti in un gesto furioso e strinse i pugni. << Vedere quell'idiota ogni giorno, a scuola, mi ricorda tutti gli errori che ho commesso. Odio lui tanto quanto me >> ringhiò. 
Sentirgli pronunciare quelle parole mi trafisse il cuore come una lama. 
Non avevo mai minimamente immaginato che David soffrisse ancora tanto per quel dannato giorno in cui ero uscita dal rifugio da sola, ma soprattutto non avrei mai creduto che il motivo per il quale detestava Kevin fosse perché gli ricordava in cos'aveva sbagliato. 
Avvertii la mia gola bruciare per lo sforzo di trattenermi dal piangere. 
<< Ribadisco che sei uno stupido >> affermai con voce tremula. La sua testa virò con lentezza ed i suoi occhi al momento inespressivi si appoggiarono su di me. 
<< È passato. Fa parte di quel periodo che abbiamo deciso di superare insieme >> mormorai addolcendo lo sguardo. << Sei stato tu a dirmi che ci vorrà del tempo per metabolizzare ciò che è stato. E sempre tu mi hai detto che ogni ferita deve fare il suo corso prima di rimarginarsi completamente e diventare una cicatrice. >> Mantenni gli occhi fissi nei suoi mentre una carica invisibile m'inondava il corpo. << Tu stai permettendo a quelle ferite di farti ancora del male. Stai continuando a vivere nel passato più di quanto probabilmente faccia io >> constatai. Appoggiai un pugno sul tavolo e mi protesi in avanti. << Mi hai detto che prima o poi ce la farò ad andare avanti e a lasciarmi tutto alle spalle. Voglio che tu lo faccia con me. >> 
La sicurezza che percepivo in quel momento era l'unico motivo per il quale non ero scoppiata a piangere come molto probabilmente avrei fatto tempo addietro. 
Di fronte a quella debolezza ben nascosta di David la mia mente aveva reagito infondendomi forza e volontà, di modo che riuscissero a compensarla e a trasmettersi a lui.
Dopo interminabili secondi di silenzio, incrociò le braccia sul petto e persistette a mantenere i nostri occhi calamitati. << Perdonare Kevin a cosa sarebbe utile? Proverò sempre rancore nei suoi confronti. >> 
Avevo davanti un cretino. Aveva capito eppure si rifiutava di... capire. 
<< Proverai rancore fin quando ne proverai nei tuoi stessi riguardi >> proruppi indicandolo con un braccio. << Perdonare Kevin significherebbe mettere una pietra sopra ciò di cui ti accusi. Significherebbe non guardarsi più indietro. Sarebbe un primo passo avanti. >> 
<< Non ha assolutamente senso >> troncò scuotendo la testa. 
<< È il tuo atteggiamento a non averlo! >> sbraitai attirandomi la sua attenzione. << Cosa pensi di ottenere facendo così? Te lo dico io cos'avrai in cambio: sofferenza, odio nei tuoi stessi confronti... >>
<< Pensi che mettere in pratica quel che dici tu sia facile invece?! >> gridò, gli occhi accesi di rabbia, il corpo rivolto verso di me e le braccia aperte. 
Spalancai la bocca e m'indicai. << Perché, credi che per me non sia altrettanto difficile? Però ci provo, accidenti! >> asserii battendo la mano sul tavolo. << Io voglio davvero andare avanti e vivere nel presente, non starmene ingolfata in quello schifo! >> 
<< Oh, perché io invece sì! >> proruppe con una vena di acida ironia. 
Scrollai le spalle e sollevai un sopracciglio. << Evidentemente sì. >>
Il suo sguardo divenne tanto freddo quanto duro in meno di un attimo. << Non capisci niente >> sputò secco. 
<< Bene, preferisco >> ribattei facendo spallucce. Sapevo di star esagerando, ma volevo che si sbloccasse e facesse scattare l'interruttore nel suo cervello. Quell'interruttore che gli avrebbe permesso di accendere la luce sul presente. 
Appoggiai entrambe le mani sul tavolo e mi sbilanciai in avanti. << Fammi capire cosa vuoi tu >> buttai fuori decisa. I miei occhi lo tenevano incastrato come se si fosse trovato con le spalle al muro. Ed era proprio quello ciò che volevo: che si sentisse in trappola e si liberasse dei suoi fardelli. 
Scorsi il suo pomo d'Adamo abbassarsi pesantemente. Stava compiendo un enorme sforzo a rendere visibile quella debolezza, lo capivo dal luccichio spaesato in fondo alle sue iridi e dalla tensione che gli percorreva il viso. 
<< Quello che vorrebbe chiunque >> espirò seccato, con una scrollata di spalle. 
Assottigliai lo sguardo e scossi piano la testa. << Non ho chiesto cosa vorrebbe chiunque. Ho chiesto cosa vuoi tu, David. >> 
La sua mascella si contrasse maggiormente, il suo petto si gonfiò per rilasciare un lento sospiro dal naso e le sue lucide gemme ambrate vagarono per la stanza in difficoltà. 
Aspettai in silenzio nella speranza che abbattesse tutti i muri che aveva eretto contro se stesso nella mente. Non avrei mai creduto che lui, giorno dopo giorno, sostenesse quel senso di colpa a causa del quale non riusciva a disancorarsi dal passato. 
Avevo erroneamente pensato che il suo odio verso Kevin fosse dovuto a ciò che era successo quando mi aveva fatta uscire dal rifugio, invece Kevin era soltanto l'incarnazione del suo senso di colpa. 
<< La normalità >> sentii pronunciare a bassa voce. 
Quella semplice parola mi smosse una marea di emozioni. 
Sorrisi per quella piccola vittoria, non solo mia, ma soprattutto sua. Qualcosa si stava finalmente smuovendo nella sua ottica per tendere ad un assestamento.
<< Perdonare Kevin è il primo passo per ragg... >> 
<< Non ho intenzione di perdonare un bel niente >> m'interruppe mentre il suo sguardo feroce piombava su di me. << Non ha alcun significato ormai. Per me lui è morto. >> 
Aggirai il tavolo con rapidità, divorai i pochi passi che ci dividevano e gli mollai uno schiaffo in piena faccia. 
L'impatto fu talmente forte da fargli ruotare la testa di lato. 
Mentre i suoi occhi sgranati dallo stupore incontravano i miei ardenti di rabbia e le mie dita tremavano per l'adrenalina e l'agitazione, strinsi i denti e mi trattenni dal far sfuggire una lacrima. 
<< Non ti azzardare mai più a dire una cosa simile >> proferii, il cuore che mi scoppiava nel petto. << Un giorno potresti pentirti di ogni secondo sprecato a portare rancore. Hai una sola vita ed una seconda possibilità di ricominciare! >> sbottai colpendolo al petto con un pugno. I miei occhi lucidi per le lacrime congelate non abbandonavano mai i suoi spalancati per la violenza con cui recepiva ogni parola. << Come puoi buttare via altro tempo?! >> Mi morsi un labbro ed assottigliai lo sguardo. << Quell'inferno ha portato via più di un mese delle nostre vite, e tu stai permettendo che te ne rubi ancora! Non esiste un modo per recuperarlo, ma solo un modo per rendere migliore quello che abbiamo a disposizione. >> Mi sfuggì un sospiro tremulo dalla bocca. << Perdonare, David. Perdonare è la tua unica fonte di liberazione. Regalati quella possibilità che ad altri è stata tolta barbaramente. Regalati una vita. Fallo per te. >> 
Dopodiché il silenzio. 
Le mie parole erano cadute a terra come mattoni, lasciando dietro di loro solo un leggero rimbombo capace di far vibrare l'aria. 
Nel momento in cui vidi David girare la testa, abbassai la mia. 
Sapevo di aver svegliato qualcosa dentro di lui, ma temevo anche che decidesse di richiudere quello spiraglio per cui avevo lottato con tanta ferocia. 
Lasciai andare un sospiro spezzato incapace di svuotarmi i polmoni. 
Non aveva più senso che rimanessi lì. Quello era il momento per David di rimanere solo coi suoi pensieri.
Raggiunsi il mio cappotto e lo infilai con lo sguardo rivolto al pavimento. Presi anche la borsa e la issai su una spalla, infine mi recai alla porta e la aprii. 
<< Ferma. >> Il mio cuore sembrò obbedire al comando insieme alla mia mano a mezz'aria. 
Spostai gli occhi su David piena di speranza. Invece tutto ciò che incontrai furono un paio di iridi serie. << Ti accompagno >> aggiunse incolore. 
Per qualche motivo non me la sentii di rispondere, forse perché avevo già detto abbastanza. Annuii soltanto. 
Uscimmo silenziosamente di casa, lo stesso silenzio che ci accompagnò per tutto il tragitto fino al mio portone. 
Quando arrestammo il passo percepii un blocco di tensione gravarmi addosso come un macigno. Era talmente insopportabile che alzai il capo per aprire bocca, ma ben presto mi accorsi che David aveva già girato i tacchi per andarsene. 
Non un saluto, non uno sguardo. Niente di niente. 
Entrai in casa con un orribile sensazione. Temevo più di ogni altra cosa di aver esagerato, di aver urtato la sua sfera privata ed intima con aggressività. Forse mi ero spinta troppo in là, ma... nonostante tutto non riuscivo a pentirmi di quel che avevo detto. 
Salii le scale ed appena in camera mi lanciai sul letto per nascondere la faccia nel cuscino. 
Io e David non avevamo mai avuto uno scontro di quel tipo. Avevamo litigato tante volte, ma quella circostanza era diversa. Non si era trattata solo di una lite, ma di un vero e proprio scontro sul piano morale, più personale e profondo. 
In quel momento mi sentivo priva di forze, una specie di automa con la mente stracolma di punti interrogativi ed esclamativi. 
Non riuscivo a decidermi se avessi sbagliato ad urlargli in faccia in tutte quelle cose, per non parlare dello schiaffo. Avevo ancora il palmo che bruciava. 
Sospirai stancamente e mi voltai pancia in su per guardare il soffitto. 
Ero sicura che la mia stupida accusa lo avesse ferito, e tanto. 
Mi sarei voluta prendere a manate subito dopo aver sparato quelle parole dettate dalla rabbia. Ma era stato proprio quello, un moto di rabbia. Non lo pensavo ora e non lo avevo mai pensato prima. 
Stupidamente lo avevo colpito nel suo tallone d'Achille senza neanche accorgermene. 
Il breve trillo del mio cellulare spezzò il silenzio. 
Mi sollevai a sedere con uno scatto ed aprii la borsa per cercarlo con impazienza mentre il cuore mi batteva furiosamente. 
Quando lo estrassi, sbloccai la schermata e cercai il messaggio. Le mani che mi sudavano e la velocità con cui il mio sguardo saettava da una parte all'altra erano conseguenze dirette dell'ansia che mi aveva offuscato il cervello. 
Papà e mamma stasera torneranno tardi. Hanno dovuto allungare il turno fino a mezzanotte. Io torno per cena. 
Era Cam. 
Che cosa mi aspettavo in fin dei conti? Che David mi mandasse un messaggio con scritto "pace e amore"? 
Non era stato lui ad urlarsi in faccia tutte quelle cose e a mollarsi uno schiaffo. Avrei dovuto fare io il primo passo, ma... che cosa avrei dovuto dire? Che mi pentivo di tutto ciò che avevo detto? Non sarebbe stato vero. L'unica cosa per cui mi odiavo era quell'infelice frase che gli avevo vomitato addosso. Però... forse avevo esagerato nei modi... 
Sbuffai innervosita e mi alzai per togliermi di dosso il giubbotto. Lo gettai malamente nell'armadio e richiusi le ante provocando un boato che risuonò per la casa vuota. 
Un secondo trillo del telefono catturò la mia attenzione. 
L'ansia tornò a circolarmi nelle vene come liquido, mentre la speranza ricompariva dietro l'angolo.
Gradirei mangiare qualcosa di commestibile, opossum. Datti da fare. 
Lanciai il cellulare sul letto e mi diedi nuovamente della stupida. 
In un'altra circostanza sarei stata divertita dal messaggio di Cam, invece in quel frangente non provavo nient'altro che rabbia. Non ce l'avevo con lui, ma unicamente con me stessa. 
Avevo ferito David. 
Più ci pensavo e più la mia certezza su quanto fossero state giuste le mie parole vacillava. 
In quel momento mi sentivo una tigre in gabbia. Non sapevo letteralmente cosa fare. Avrei dovuto mandare un messaggio? Telefonargli? Prendere chiavi e giubbotto e tornare da lui? E se non avesse voluto vedermi? 
Quando eravamo giunti davanti a casa mia non mi aveva rivolto neanche uno sguardo. Se n'era andato senza proferire parola. Significava che dovevo correre da lui o che non mi voleva tra i piedi? 
La verità era che avevo complicato tutto. Mi ero buttata a capofitto in un'impresa che forse era più grande di me e che probabilmente richiedeva molto più tempo per sbrogliarsi. 
Chiusi gli occhi e cercai di rilassare i muscoli contriti delle spalle. 
Fu inutile. 
Per tutto il pomeriggio mi trascinai da una parte all'altra della casa senza prestare attenzione a ciò che facevo. Cercai di guardare un film alla televisione per distrarmi, ma il mio cervello non sembrò intenzionato a mollare la presa.
Riordinai la camera, mi struccai e pulii il bagno malgrado fosse già stato pulito. Per errore buttai il rotolo di carta igienica nuovo nel water e quello finito lo lasciai al suo posto. 
Le manovre di recupero furono esilaranti, o almeno così le avrei trovate in un altro momento. 
Per cena cucinai della verdura e dei petti di pollo. Portai tutto a tavola ed attesi che Cam tornasse. 
Non avevo per niente fame, anzi semmai una gran voglia di vomitare. Il problema era che se non avessi buttato giù qualcosa mio fratello mi avrebbe costretta o tartassata di domande. Di fronte a quelle alternative preferivo tapparmi il naso ed ingurgitare la cena. 
<< Sono tornato. >> Udii la porta richiudersi e dopo poco la figura di Cam spuntò nella cucina. 
I suoi occhi sondarono il mio viso con attenzione, così distolsi lo sguardo e mi sforzai di sorridere mentre osservavo la tavola imbandita. << Su, sbrigati. Ho fame >> mentii sfregandomi le mani. 
<< Sì, tolgo il giubbotto >> acconsentì calando la zip, il corpo ancora rivolto verso di me. 
Feci finta di niente e scoperchiai la pentola col pollo, inondandomi la faccia di vapore. Aspettavo con impazienza il momento in cui sarebbe uscito dalla cucina per andare ad attaccare il cappotto nella sua camera. 
I miei muscoli della faccia si stavano lamentando per quel sorriso forzato che facevo fatica a sostenere. 
Invece, contro ogni mia aspettativa, Cam appoggiò il giubbotto su una sedia e si sedette davanti a me. 
<< Passami il piatto >> dissi incolore, il braccio sospeso per aria. 
Puntellò un gomito sul tavolo e me lo porse senza staccarmi gli occhi di dosso. 
Glielo restituii pieno mentre il tempo sembrava essere scandito soltanto dai rumori delle posate contro la pentola e contro i piatti. 
Alla fine mi decisi a sollevare lo sguardo su di lui e a sorridere. << Buon appetito. >> 
Buon appetito un corno. Avrei potuto vomitare seduta stante da quanto lo stomaco mi doleva. 
Abbassai lentamente la testa e fissai il cibo caldo che avrei dovuto mangiare trattenendo una smorfia. 
<< Che è successo tra te e quel tipo? >> Quella domanda mi piombò addosso come un secchio d'acqua ghiacciata. 
Sgranai gli occhi per la sorpresa e li riportai in fretta su di lui. Se ne stava ad osservarmi senza alcuna ironia nello sguardo, ma piuttosto con una serietà perforante. 
<< Si vede lontano un miglio che hai qualcosa >> continuò. << Che ti ha detto? >> Dal modo in cui strinse le spalle e sollevò il mento per sgranchirai il collo, dedussi che era nervoso. Faceva sempre quel gesto quando cercava di mascherare l'irritazione. 
<< Nulla. >> Un velo di tristezza mi rabbuiò lo sguardo. << Sono stata io a parlare troppo >> confessai con un filo di voce. << Pensavo che... così avrei potuto aiutarlo. >> 
Emisi un sospiro e seguii il mio dito che percorreva il bordo del bicchiere. 
<< Magari ci sei riuscita >> ipotizzò. Con la coda dell'occhio vidi che rilassava la postura. 
Scossi la testa con lentezza. << Non credo proprio. >> 
<< E da cosa lo dedurresti, sentiamo >> mi sfidò ruotando i polsi in una muta domanda. 
<< Be'. >> Scrollai le spalle con una smorfia di ovvietà. << Quando urli delle cose in faccia a qualcuno e questo qualcuno smette di parlarti... e di guardarti negli occhi... È ovvio che ho solo peggiorato le cose. >>   
<< O forse hai fatto centro >> esordì lasciandosi andare contro la sedia. 
Alzai il capo con un barlume di speranza. << Tu credi? Sono stata molto... dura >> asserii aggrottando la fronte, infastidita dal ricordo dello schiaffo. 
<< A volte è necessario, no? >> domandò, una luce consapevole ad illuminargli le iridi celesti. << Essere duri, alzare la voce o arrabbiarsi certe volte si rivelano necessari per un bene superiore. Per proteggere chi non vuol essere protetto, ad esempio. >> Seguì una pausa durante la quale il suo sguardo non lasciò mai il mio, infine fece spallucce e si soffermò a guardare la bottiglia sul tavolo. << Oppure per svegliare e far puntare la torcia sugli errori che si stanno commettendo. In ogni caso credo che al tipo serva del tempo per incassare e fare chiarezza. Il tuo contributo l'hai dato, non puoi fare altro >> concluse. 
Agguantò la forchetta e la rigirò negli spinaci, dopodiché alzò la testa e mi fissò interrogativo. << Che è quella faccia? >>
Stavo sorridendo. 
In un modo o nell'altro lui c'era sempre. Nonostante non dimostrasse mai il suo affetto con gesti espliciti come un abbraccio o con frasi zuccherose, era costantemente al mio fianco per alleviarmi dai dispiaceri, aiutarmi a prendere una decisione e più semplicemente per farmi sentire meglio. E ci era riuscito, pur non conoscendo fin in fondo come fossero andate le cose. Gli era bastato trovare le parole giuste al momento giusto. 
Scossi il capo senza che il sorriso mi abbandonasse ed impugnai la mia forchetta. << Nulla. >> 
Avevo improvvisamente fame. 





                                                                      *  *  *





Dopo aver aiutato Cam a riordinare la cucina, mi ero accomodata sul divano insieme a lui in attesa che tornassero i nostri genitori. 
A mezzanotte e un quarto avevano aperto il portone con uno sguardo stanco; riuscivo persino a percepire la pesantezza delle loro palpebre. 
Li ammiravo, perché nonostante le preoccupazioni e la spossatezza riuscivano a dedicare tutto loro stessi al lavoro. 
Un giorno avrei voluto possedere quella maturità. 
Dopo esserci dati la buonanotte erano sgattaiolati nella propria stanza per potersi finalmente riposare. 
Quando, dieci minuti più tardi, mi alzai dal divano per seguire il loro esempio mi voltai a guardare Cam che teneva ancora lo sguardo puntato sulla TV. 
<< Vado a dormire. Tu non vieni? >> domandai con uno sbadiglio. 
<< Tra un po'. Voglio vedere se ridanno la partita di oggi pomeriggio. >> 
Annuii assonnata e cominciai a strascicare dei passi verso le scale. Mi stavo praticamente trascinando. Prevedevo una nottata favolosa in cui non avrei mai preso sonno e mi sarei massacrata di domande, ansie e sensi di colpa. 
<< Sarah. >> Arrestai la mia aggraziata camminata e portai gli occhi sul profilo di mio fratello. Teneva il telecomando in mano ed evitava di guardarmi. << Stai tranquilla >> proferì con un tono incolore, nessuna nota dolce ad intenerirglielo. Eppure sapevo che in quell'esatto momento, con quelle parole, mi stava dimostrando l'opposto. << Si risolverà tutto. Cerca di dormire >> aggiunse. 
Ancora una volta le mie labbra si erano stese in un sorriso spontaneo. 
Non ci pensai più di tanto, ritornai sui miei passi e gli passai le braccia intorno al collo per abbracciarlo da dietro. Prima che cercasse di scansarmi gli scoccai un bacio sulla guancia con una risatina divertita per la sua espressione schifata. 
<< Ti ho dato troppa confidenza >> borbottò scuotendo il capo. Nonostante tutto, però, aveva smesso di allontanarmi. E così me ne stavo con le braccia attorno al suo collo e la testa appoggiata sulla sua. 
Risi della sua affermazione. << Eh, accidenti, sono tua sorella. >> 
<< Troppa confidenza, troppa >> insistette, la bocca piegata in una smorfia di disgusto. << Ricordati che sei solo una schiava con sembianze di opossum. >>
<< E tu sei un fratellone buono buono >> ribattei sfregando la testa sulla sua come un gattino che fa le fusa. 
<< Oh mio Dio >> biascicò, il tono schifato dal mio gesto affettuoso. << Potrei vomitare. >> 
Scoppiai a ridere e mi ritrassi per rifilargli uno scappellotto. << Basta, me ne vado a letto. Sei un cafone. >>
<< Brava, sparisci. >> Sventolò la mano come a voler scacciare una mosca. << Sciò. >>
Sorrisi osservando la sua nuca. << Buonanotte. >>
<< Sciò >> ripeté. 
Il sorriso che avevo stampato in faccia si estese fino a farmi dolere le guance. Mi chiedevo dove avrei sbattuto la testa se non avessi avuto lui al mio fianco. Era il mio secondo porto sicuro. 
Mi affrettai a raggiungere le scale e a salirle. Una volta in camera mi disfai dei vestiti, riponendoli accuratamente nell'armadio, ed indossai un pigiama rosa e caldo di pile. 
Entrai sotto le coperte e spensi la luce con un sospiro stanco. 
C'eravamo solo io ed il buio. Quel buio che mi terrorizzava tanto e che m'inondava gli occhi impedendomi di vedere cosa si celasse al suo interno. 
Perché scusa? Vacci te, io non ci sto.
No, ci stai te lì, punto e basta. Almeno se entra un assassino ammazza prima te.
Grazie eh.
Prego, non c'è di che. E poi io ho paura del buio.
Oh, ma che tenera.

Mi sfuggì un sorriso al ricordo che la mia mente aveva recuperato. Ma poco dopo lo sentii affievolirsi mentre un'ondata di tristezza mista a malinconia mi assaliva. 
Avrei tanto voluto che David in quel momento si trovasse accanto a me, e non a casa sua. 
Non era una questione di orgoglio se non avevo impugnato il telefono per chiamarlo. 
Avevo soltanto... paura. Paura di un rifiuto, di sentire lo stesso tono duro e freddo che avevo udito quel pomeriggio, di essere allontanata... 
Mi rigirai nel letto ed abbracciai il cuscino, gli occhi sempre aperti ad esaminare l'oscurità. 
Ero ancora al punto di partenza. Non sapevo che fare. Cam aveva detto che si sarebbe aggiustato tutto, ma come? Forse, per una volta dovevo lasciar fare al tempo. 
Lanciai un'occhiata alla sveglia. Dieci minuti all'una. 
Avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa stesse facendo David in quel momento. Magari stava già dormendo, oppure... mi pensava come io stavo pensando a lui. 
Udii le scale cigolare e successivamente una leggera corrente d'aria provenire dalla mia porta. Chiusi gli occhi di scatto e dischiusi le labbra per far finta di dormire mentre i passi felpati di mio fratello si facevano più vicini al letto.
Espirai con lentezza e mi trattenni dallo sfoderare un sorriso a trentadue denti nel momento in cui sentii che la coperta mi veniva trascinata sopra la spalla e che dei capelli mi venivano scostati delicatamente dal viso. 
Successivamente udii i suoi passi allontanarsi. La camera piombò nel buio appena fu richiusa la porta. 
Sapevo il perché di quella breve intrusione. Cam aveva voluto assicurarsi che mi fossi addormentata e che non mi stessi ancora torturando sullo scontro con David. 
Faceva tanto il freddo e poi di soppiatto, quando credeva di non essere visto, permetteva che l'affetto prevaricasse sul suo carattere. 
Mi veniva da sorridere ogni volta che lo coglievo in flagrante.
Dopo circa una ventina di minuti che la casa era piombata nel silenzio e che i miei pensieri vagavano come saette, udii Cam russare. 
Ero contenta che almeno lui stesse dormendo. Avrei preferito che lo facesse senza quel rumore costante e molesto, ma mi andava bene. Anche se... be', il verso che ogni tanto faceva la sua gola era piuttosto preoccupante. Come faceva a russare e contemporaneamente a fare quella specie di "tin"? Sembrava quasi che avesse dei sassolini sul fondo della gola. 
Sgranai gli occhi di colpo e m'irrigidii. 
Sassolini. 
Accesi l'abat-jour, lanciai via le coperte e corsi come una pazza alla finestra. Non potevo essermelo sognato, non stavo neanche dormendo. Io avevo sentito qualcosa. 
E allora perché il mio cortile era vuoto? No, non era possibile che mi fossi sbagliata. 
Sbloccai la sicura e sollevai la finestra, dopodiché mi affacciai fuori e venni brutalmente schiaffeggiata dal vento freddo. 
Le temperature erano gelide, ma non m'importava. 
I miei occhi vagarono nell'oscurità come proiettili. Doveva esserci qualcuno là fuori, doveva. 
D'un tratto la mia fronte fu colpita da un oggetto piccolo, ma estremamente spietato. La mia testa si piegò all'indietro mentre la mia bocca si apriva per assumere la forma di una O, tant'era il dolore. 
Santo cielo. Mi sentivo rimbambita. Un meteorite era appena approdato sulla mia faccia. 
<< Dannazione. >>
I miei occhi si spalancarono come fanali, il mio cuore smise di battere e le mani mi tremarono per una manciata di secondi. 
Quella voce. Mio Dio, se era un sogno era il più bello che avessi mai fatto. 
Se qualcuno avesse osato svegliarmi gli avrei fatto rimpiangere amaramente quell'errore. 
La mia bocca si era talmente prosciugata che nel momento in cui lo vidi, vidi il mio David, comparire alla finestra non ebbi la prontezza di dire nulla. 
Sentivo il cuore battermi persino nella pianta del piede. I miei neuroni ballavano da una parte all'altra del mio cranio come farfalle. 
Una volta aver rimesso la sicura, i suoi occhi lucidi ed arrossati atterrarono sulla mia figura pietrificata dal miscuglio di emozioni che mi ribollivano dentro. 
<< Ti ho fatto male? >> domandò, la voce arrochita e pervasa da una nota ansiosa. 
Lui era lì, davanti a me nel suo cappotto che gli lasciava la gola scoperta e senza il solito berretto a riscaldargli la testa. Da una prima occhiata sembrava che fosse uscito di casa in fretta e furia. 
Il mio labbro tremò pericolosamente mentre le lacrime si annidavano dietro gli occhi. 
Scossi piano il capo e mi torturai le dita per trattenermi dal toccarlo. 
Più di ogni altra cosa avrei voluto allungare un braccio ed aspettare che la sua mano si saldasse con la mia. 
Vidi il suo pomo d'Adamo abbassarsi e la sua mandibola irrigidirsi, dopodiché il suo sguardo atterrò sul pavimento. << Volevo solo dirti che... >> S'interruppe e per una decina di secondi non si sentirono altro che i nostri respiri. 
Che cos'era quella cosa che voleva dirmi? Ogni istante che trascorreva non faceva che accrescere la mia ansia. Be' il fatto che mi parlasse di nuovo era un segnale positivo, no? Oppure presagiva qualcosa di peggiore? 
Santo cielo, perché il tempo scorreva tanto lentamente? 
Mentre io mi mordicchiavo un labbro istericamente, i suoi occhi, di colpo, si alzarono con decisione su di me. 
Ruotò rapidamente il corpo, allungò un braccio per afferrami un polso e mi strattonò a sé per racchiudermi in un abbraccio. 
Il cuore per poco non mi scoppiò nel petto dalla sorpresa. 
Gli passai le braccia sulla sua schiena ed artigliai il suo giubbotto con disperazione. 
Quanto avevo atteso quel momento... Dio, sentivo il mio stomaco contorcersi dalla felicità e dal senso di colpa. 
<< Mi dispiace tanto, David >> mormorai tirando su col naso. << Ho esagerato. Io... io non volevo accusarti o tirarti quello schiaffo >> proseguii affondando la faccia nel suo petto. << Scusami >> mugolai. << Ti prego, scusami. >> 
Mi sarei messa pure in ginocchio se fosse stato necessario a farmi perdonare. Non me ne fregava nulla dell'orgoglio, volevo soltanto che David non soffrisse più per quel che gli avevo urlato e che rimanesse con me. 
Le sue labbra mi accarezzarono i capelli e subito dopo inspirò tra di essi. << Dispiace anche a me >> sussurrò con un sospiro. << Non dicevo sul serio quando ho detto che non capisci niente. In realtà mi dai un sacco di filo da torcere per il motivo opposto >> confessò con una risatina che contagiò anche me. << Per quanto riguarda quel che ci siamo detti... >> Il suo tono di voce tornò ad essere serio mentre la sua fronte si appoggiava sulla mia testa. << Ho deciso di ricominciare a parlare con Kevin >> espirò d'un fiato. 
Il mio battito cardiaco ebbe un'impennata. 
Mi ritrassi sorpresa e lo guardai con gli occhi sgranati. << Davvero? >> 
Il piccolo sorriso sghembo che tanto mi era mancato riaffiorò sulle sue labbra. << E secondo te venivo fin qua per dirti una bugia? >> 
<< Oh mio Dio >> esclamai felice prima di saltargli addosso. Le sue braccia si strinsero sulla mia schiena mentre le mie si chiudevano attorno al suo collo. 
Riuscivo a malapena a crederci tanto era inaspettata quella notizia. Ero al culmine della gioia non solo perché finalmente avrei rivisto David e Kevin insieme, ma anche perché quel cambiamento significava che David aveva deciso di porre una pietra sopra il passato e liberarsi del senso di colpa. Significava che avrebbe lottato con me per vivere nel presente.
Scivolai coi piedi per terra e sollevai la testa per guardare le sue pozze d'ambra fusa. Il mio sguardo venne immediatamente ricambiato con la stessa intensità. 
Appoggiai una mano sulla guancia che quel pomeriggio avevo colpito e l'accarezzai con delicatezza. << Hai gli occhi rossi >> constatai a bassa voce. 
<< Il vento >> rispose soltanto, distratto dalla mia bocca. 
Le sue dita corsero su per il mio fianco, seguirono il profilo del costato e raggiunsero il retro del collo per premere e farmi avvicinare al suo viso man mano più vicino. 
Calai le palpebre d'un tratto pesanti e dischiusi le labbra per accogliere le sue, calde e morbide. Le nostre bocche si mossero lentamente, con una dolcezza che si opponeva alla forza con cui ci eravamo gridati contro ore prima. 
Non fu niente più di quello, niente più di un contatto tenero. 
Quando ci allontanammo David depositò altri brevi e rapidi baci sulle mie labbra, l'ultimo dei quali ricambiai col sorriso. 
<< Potresti viziarmi >> gli feci presente sfiorandogli il mento con la bocca. 
<< È quello che voglio >> replicò con un tono roco, le mani che mi tenevano ben stretta a sé. 
Ancora una volta il mio battito cardiaco ebbe un picco di frequenza. 
<< Allora... >> mormorai fissando le sue iridi divertite, ma al contempo stanche. << Esigo che tu dorma con me. >> 
Le sue labbra si stesero in un sorriso malizioso e la sua testa si abbassò lentamente. Fremetti dall'emozione quando percepii le sue labbra sfiorarmi il collo e successivamente il suo respiro caldo contro l'orecchio. D'istinto chiusi gli occhi. 
<< Credevi che potesse esserci un altro posto in cui avrei voluto dormito stanotte? >> bisbigliò con una sfumatura ilare nella voce. Sorrisi contenta ed appoggiai una mano sul suo petto. 
<< A volte fai delle domande incredibilmente scontate, Anderson >> mi stuzzicò, il tono dannatamente sensuale. Subito dopo chiuse i denti sul mio lobo e lo mordicchiò piano, mentre una pura scarica di elettricità mi percorreva la schiena. 
Dio, di quel passo avrei perso la ragione. 
Nonostante fossimo stati distanti solo per poche ore, mi era mancato da matti non averlo vicino. Mi sembrava quasi un sogno riaverlo lì, nella mia camera. 
<< Perché non ti spogli? >> sussurrai distanziandomi per guardarlo negli occhi. Le sue iridi erano tutto ad un tratto accese. 
Sollevò un sopracciglio sfoderando un sorriso pericolosamente malizioso. << Te l'ho già detto che mi piace quando prendi l'iniziativa? È più eccitante. >>  
Oh santo cielo. Dovevo prestare più attenzione alle parole che sceglievo. 
Gli tirai un leggero pugno sul braccio e risi. << Scemo. Fallo e basta. >> 
<< Oh, siamo anche impazienti >> replicò mentre si calava la zip del giubbotto. 
<< Quanto ti diverti a prendermi in giro? >> Mi puntellai le mani sui fianchi ed assottigliai lo sguardo in modo ironico. 
Schioccò la lingua al palato e mi fissò con il divertimento dipinto negli occhi. << È sempre stato il mio hobby preferito. >> 
<< Lo avevo notato >> gli feci presente con una linguaccia. Dopodiché mi diressi a chiudere la porta a chiave e a risistemare le coperte lanciate a destra e a manca. 
Mi seppellii sotto di esse ed attesi che David mi raggiungesse col cuore che palpitava emozionato. Tutto ciò che desideravo in quel momento era accoccolarmi contro di lui e stringerlo forte per impedirgli di starmi ancora lontano. 
Appena lo vidi entrare nel letto con solo i boxer, per un attimo... be', per più di un attimo, pensai che dormire non fosse poi tanto importante. 
Ma richiamai all'appello tutto il mio autocontrollo, in quel momento molto scarso, e mi concentrai su pensieri più casti. 
Spensi la luce e mi girai su un fianco per avvolgere il suo torace con un braccio ed appoggiare una gamba sulle sue. Inspirai a fondo il suo odore, riempiendomi i polmoni, ed adagiai la testa sulla sua spalla con un sorriso rilassato. 
Quella era la pace. L'unica vera pace che conoscevo e di cui non avrei mai potuto fare a meno. 
Ben presto sentii una sua mano appoggiarsi su una mia coscia e le sue labbra tra i capelli. 
Chiusi gli occhi e rilasciai un sospiro stanco di tutta quella giornata. Percepii ogni muscolo allentarsi, dopodiché la pace. La vera pace.




















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Capitolo 13
*** Ricordi da batticuore ***


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Ricordi da batticuore 
















Aprii un occhio dopo l'altro ed osservai con la prontezza mentale di un'ameba il petto nudo a cui ero stretta. 
Era così caldo che mi avvicinai ulteriormente. Dopodiché sollevai il capo ed appoggiai lo sguardo su un paio di labbra dischiuse e rosee, su due palpebre distese e su dei morbidi e scompigliati capelli castani. 
Per un po' non feci altro che vagare con gli occhi sul viso rilassato di David. Esaminai ogni centimetro della sua pelle per assicurarmi che non ci fosse niente che mi fosse sconosciuto. Infine scesi a fissare la mia mano aperta sul suo fianco. 
Per qualche assurdo ed astruso motivo la mia memoria si attivò in quel preciso istante.
Scattò a ritroso riportandomi ad una situazione risalente a due anni prima, quando frequentavo il secondo anno del liceo. 
Ricordavo che un giorno mi era toccato raggiungere la palestra della scuola per via di un compito assegnatomi dal club di giornalismo. L'ingrato compito prevedeva che intervistassi alcuni componenti della squadra di football per un articolo. 
Anche in quel caso David non aveva fatto altro che punzecchiarmi, prendermi in giro e rendermi impossibile mantenere la pazienza. Però... improvvisamente il cervello mi ricordava particolari che sul momento, due anni prima, non avevo considerato o ritenuti importanti. Dopotutto come avrei potuto focalizzarmi su dei dettagli quando sbraitavo o sentivo la testa fumare? 
Eppure, a pensarci bene, quella volta c'era stato qualcosa
Ricordavo che mentre la squadra di scimmie si era disposta attorno a me, David se n'era stato in disparte con la schiena al muro e le braccia sul petto. Me n'ero accorta soltanto perché, per qualche inspiegabile motivo, lo avevo cercato con lo sguardo tra i suoi compagni. Quando lo avevo trovato, i miei occhi si erano per un istante legati ai suoi che mi stavano osservando seri. Poi mi ero subito voltata verso le altre scimmie e... com'era che poi avevo intervistato soltanto David, Kevin e Bradly? Mi sembrava di aver fatto due domande a Bradly, tre a Kevin e una decina a David. 
Perché diamine ero andata ad interrogare il mio peggior incubo se avevo avuto tutta la squadra a disposizione? Rammentavo anche che durante la sua intervista... Be' chiamarla intervista era fasullo. Durante il nostro acceso battibecco, mentre io sbraitavo per le sue battutine e lui sghignazzava beffardamente, lo avevo beccato a guardarmi la bocca. Ma quel momento era durato talmente poco, circa un millesimo di secondo, che non ci avevo fatto minimamente caso. Avevo tirato dritto con la mia sfuriata e me n'ero andata inviperita. C'era un motivo se avevo abbandonato in tronco il club di giornalismo. 
Eppure, se ci ripensavo, il mio cuore non poteva che battere frenetico. 
Incuriosita da quel ricordo, alzai la testa e scossi piano David. << Svegliati >> bisbigliai sorridendo per la sua smorfia. << Dai, apri gli occhi. >> Volevo solo fargli il quarto grado su tutti i particolari che mi erano saltati alla mente. Mica chiedevo tanto. 
Io dovevo sapere, perdinci.  
<< Non mi scocciare >> biascicò. Si distese pancia in giù e girò la testa di modo che non potessi disturbarlo. Illuso. Doveva ancora venire il giorno in cui avrei gettato la spugna al primo tentativo. 
Sollevai leggermente le coperte e con la grazia di un ippopotamo portai una gamba oltre il suo corpo inerme. Dopodiché mi slanciai e saltai sulla sua schiena come Simba con Mufasa. 
Il suo lamento misto ad un borbottio neanche lo sentii, ma non perché fossi sorda, semplicemente non me ne fregava nulla. Esigevo la sua attenzione. 
<< Svegliati >> cantilenai scuotendolo per le spalle. 
<< Sono già sveglio >> puntualizzò, il tono arrochito di prima mattina. << Che ore sono? >> 
Sorrisi, incrociai le mani sul suo solco in mezzo alle scapole e ci appoggiai sopra il mento. << Le otto e venti. >> 
<< Oh santo cielo >> si lamentò portandosi un braccio sugli occhi per coprirsi dalla luce. 
<< Non puoi riaddormentarti >> lo minacciai con delle pacche sulla nuca. << Se lo farai andrò in bagno a prendere il rasoio e ti raperò mezza testa. >> 
Scorsi un sorriso pericoloso affiorare sulle sue labbra. Successivamente allungò le braccia all'indietro e finì per posare le mani sul mio sedere. 
Di riflesso il mio cuore tremò insieme al respiro per il sovraccarico di emozioni. 
Mio Dio, faceva un caldo allucinante lì sotto. Il mio stomaco si stava agitando come un frullatore. 
<< Perché così minacciosa? >> mormorò beffardo, continuando a tenere gli occhi chiusi. 
Passai le dita tra i suoi capelli e cominciai ad accarezzarli, lo sguardo rivolto alle sfumature dorate tra le sue ciocche. << Ti ricordi quand'eravamo al secondo anno? Un giorno venni in palestra per fare un'intervista alla squadra >> rammentai mentre un sorrisetto sghembo si affacciava sul suo viso. Ottimo. Anche lui rimembrava. Il mio piano proseguiva a gonfie vele. << Non capisco perché alla fine rimpinzai di domande soltanto te, tu te lo ricordi? >> 
<< Eri pazza di me, ovvio >> rispose con una scrollata. << Mi fai un massaggio? >> 
Sollevai un sopracciglio per la sua prima affermazione ed in contemporanea portai le mani sulle sue spalle per accontentarlo. Sentire la sua pelle nuda e calda sotto le dita mi trasmise una scarica di piacere. 
<< Semmai eri tu quello pazzo di me >> replicai con un tono di sfida. 
<< Ah sì? >> domandò divertito. C'era poco da ridere, esigevo risposte precise ed articolate nei minimi particolari. 
<< Be'. >> Mi stampai in faccia un'espressione indifferente che non poteva vedere. << Eri tu a guardarmi la bocca mentre discutevamo >> buttai là con finta nonchalance. 
Oh oh, eravamo giunti al sodo. Avrei voluto sfregarmi le mani per la soddisfazione, ma in quel momento si trovavano piuttosto impegnate. 
La sua bocca si stirò in un sorrisetto astuto. << Non ricordo. >> 
<< E invece sì, caro >> ribattei tirandogli uno schiaffetto sulla schiena. << Sputa il rospo o ti fracasso le spalle. >> Ottima scelta lessicale. Mi complimentavo con me stessa per essere apparsa pacifica e rilassata. Nessuno avrebbe mai sospettato che desideravo avere quelle spiegazioni più di ogni altra cosa. 
<< Sei talmente forte che mi sento molto minacciato dalle tue parole >> ebbe il coraggio di rispondere con un tono fin troppo beffardo. Voleva scherzare, il babbuino. 
<< Bene >> asserii con una punta di stizza. << Vado a prendere il rasoio. >> 
Feci per scostarmi dal suo corpo più che intenzionata a mettere in pratica le mie intimidazioni, ma le sue mani si saldarono prepotentemente sul mio didietro impedendomi di muovermi. 
<< Per caso hai deciso di parlare? >> chiesi, un sorriso angelico dipinto sulla bocca. 
<< No, voglio che continui il massaggio. >>  
Non potevo crederci. La mia mascella si era schiantata a terra. Avevo davvero a che fare con un babbuino mentecatto. Cos'era che non l'aveva convinto della mia minaccia? 
Ma non c'erano problemi. Se nella veste da mafiosa non ero abbastanza credibile sarei passata alla mia seconda arma. Il cosiddetto asso nella manica: il ricatto. 
<< Continuo a fartelo solo se mi rispondi >> sibilai, gli occhi ridotti a due fessure. Ero un genio. Io ed i miei neuroni eravamo invincibili. << Perciò, ti ripongo la domanda, perché quel giorno mi avevi guardato la bocca mentre ti sbraitavo addosso? >> 
Caspita, avevo il cuore che ballava il tip tap dall'emozione. Non avrei mai immaginato che un ricordo passato a cui inizialmente non avevo dato peso potesse scatenarmi una simile reazione. 
Ero in febbricitante attesa di conoscere la risposta. Ma quel cretino non si decideva a parlare. 
Improvvisamente aprì gli occhi e si girò per farmi scivolare sul materasso. Ruotò il corpo e si puntellò su un gomito per osservarmi con un sorrisetto per niente rassicurante. La sua mano sinistra mi accarezzò la pancia e scese sul fianco. 
Intanto i miei fedeli condor svolazzavano felici nello stomaco. 
<< Perché mi era presa una voglia irrefrenabile di fare una cosa >> confessò, gli occhi accesi di malizia. 
Sollevai un sopracciglio per niente soddisfatta da quelle quattro parole messe in croce. << Tipo attaccarmi al muro? >> ipotizzai. Perché dovevo sempre tirare ad indovinare? 
Annuì, il sorriso stuzzicante ancora stampato in faccia. << E subito dopo avrei voluto fare questo. >> 
In meno di un secondo le sue labbra erano sulle mie. O meglio, divoravano le mie. Dalla velocità e dalla famelicità con cui si muovevano facevo quasi fatica a ricambiare con lo stesso fervore. 
Subito dopo si distese sopra di me e trasportò una mano sotto il mio pigiama; la fece scivolare sulla schiena e mi strinse a sé con possessività. 
Nel momento in cui sentii la sua lingua raggiungere la mia, una scarica di elettricità mi trapassò lo stomaco. Al cuore ormai non facevo più caso, era completamente impazzito. 
Se immaginavo che quel giorno, mentre lo "intervistavo", avrebbe voluto tapparmi la bocca in quel modo... santo cielo, rischiavo il collasso. 
Gli strinsi le braccia attorno al collo e le gambe intorno ai fianchi mentre inclinavo la testa e sollevavo il petto verso di lui. Di riflesso, la sua bocca divenne più esigente. 
Mi mordicchiò un labbro e scese a depositare una lunga serie di bollenti baci sul collo. Percepivo il suo respiro freddo ed irregolare scontrarsi con la mia pelle resa calda dalla sua bocca, il connubio mi mandava in cortocircuito il cervello. 
<< Questa è la reazione nella quale avrei sperato >> fiatò con un sorriso, tornando a guardarmi. Aveva le pupille dilatate e le iridi accese, sembrava quasi che il loro colore avesse preso fuoco. Lo stesso fuoco che aveva appiccato al mio corpo con una sola occhiata. 
Deglutii per buttare giù il miscuglio di emozioni, successivamente appoggiai una mano sul suo petto e mi soffermai ad ammirare come le mie dita stessero bene sulla sua pelle. << Quindi dovrei pensare che ti piacevo? >> buttai là con un sorriso gongolante. 
Oh sì, eccome se gongolavo. Stavano venendo a galla dei particolari talmente interessanti che avrei voluto ballare una zumba per la gioia. 
<< Non mi dispiacevi, nanetta >> ammise chiudendo delicatamente i denti sul mio mento. Sorrise e seguì con la punta del naso il profilo della mia mandibola. 
Il mio cuore stava danzando un tip tap frenetico. 
<< Diciamo che mi stuzzicavi molto la fantasia >> confessò in un roco sussurro al mio orecchio. 
Oh Cristo! Come facevo a stare calma e a non saltargli addosso dopo quell'affermazione? Il mio autocontrollo si stava sgretolando come un castello di sabbia. 
Nel frattempo, tanto per rendermi più difficile la cosa, le sue labbra si muovevano con lentezza lungo la linea del mio collo per cospargerlo di baci. 
<< E allora... >> Gli strinsi i capelli sulla nuca nel momento in cui la mano che teneva sulla mia schiena si spostò sulla pancia; mi sollevò il pigiama e si calò ancor di più in modo che le nostre pelli accaldate aderissero. << Perché mi davi sempre fastidio? >> gettai fuori col fiato corto. 
<< Per divertimento >> rispose con una breve risatina. Risalì con la testa e mi fissò con una luce provocante negli occhi. << Diventi incredibilmente buffa quando ti arrabbi. Ma anche dannatamente eccitante >> espirò abbassando lo sguardo sulla mia bocca.
Oh santo cieletto. Stavo per andare incontro ad una combustione spontanea. 
Nelle orecchie mi rimbombava il battito frenetico del cuore. 
Avrei tanto voluto conoscere ogni suo minimo pensiero su di me quando litigavamo e ci insultavamo quotidianamente. 
<< Quindi... >> M'inumidii le labbra e respirai il suo respiro più rapido che mi scivolava sul naso. Gli passai una mano tra i capelli sulla nuca e lo spinsi più vicino al mio viso. Le nostre bocche si sfioravano ad ogni sospiro agitato. << Solo per divertimento? >> chiesi con un filo di voce. 
Per un attimo vidi le sue labbra fremere, dopodiché le sentii sulle mie. 
Ancora una volta non c'era nessuna pacatezza nel nostro contatto, anzi il contrario. Era profondo, irruento, frenetico e stramaledettamente intenso. 
Ogni mio muscolo reagiva tremolando come una foglia mentre il mio cervello chiedeva sempre di più. Anzi, pretendeva. 
Ero talmente presa da quella foga passionale che mi accorsi in ritardo che la maglietta del pigiama mi stava passando sopra la testa per volare sul pavimento. 
David mi rispinse con la schiena sul materasso e mi schiacciò sotto il suo peso, intrufolò le dita sotto la leggera canottiera che indossavo e scese a posarle sul mio fondoschiena. 
Gli artigliai le mani sulla schiena, sentendo i suoi muscoli flettersi e tendersi ad ogni movimento, e ricercai le sue labbra con bramosia. Non ci volle molto prima che le nostre bocche si suggellassero in un altro bacio pregno d'irrefrenabile desiderio. 
Mentre le sue dita mi spingevano via i pantaloni e le mie unghie gli graffiavano la pelle, sentivo la testa leggera ed annebbiata. 
Ero in balia della cocente cupidigia che mi si rimescolava nello stomaco, avida del suo tocco e vogliosa di ottenere sempre di più. In poche parole ero drogata di lui. 
Quando percepii la sua presa saldarsi con fervore sul mio sedere, annaspai dal piacere e mi ritrassi dalle sue labbra. Il suo concitato respiro freddo s'imbatté sul mio viso, facendomi rabbrividire. 
<< Mi piaceva averti intorno >> fiatò prima di baciarmi sul collo, poco sotto la mandibola. << Non ero mai sazio di te >> aggiunse con un tono talmente roco da farmi fremere dalla testa ai piedi. << Proprio come adesso >> bisbigliò. 
Lo strinsi maggiormente e subito dopo feci pressione sulle sue spalle per farlo distendere accanto a me. Rispettando la mia volontà, si lasciò andare contro il materasso con un sospiro. 
Scalciai via i pantaloni che avevo raggomitolati alle caviglie e li lasciai cadere a terra. 
Quando mi voltai per osservare David, i suoi occhi erano già piantati su di me. 
Il fremito che mi percorse la schiena fu tanto violento quanto infuocato. 
Senza abbandonare il suo rovente sguardo, mi trasportai a sedere sul suo bacino con movimenti lenti e calcolati. Nell'immediato le sue mani corsero ai miei fianchi. 
I punti ricoperti dai suoi palmi presero subito fuoco. Era come se io fossi stata la benzina e lui il mio accendino. Ovunque toccasse si generava una fiamma ossidrica. 
Appoggiai le mani sui suoi pettorali e mi lasciai scivolare distesa su di lui. Ad ogni mio gesto vedevo una lingua di fuoco divampare dietro le sue iridi. 
Protesi la testa verso la sua e mi ritrassi con un sorriso non appena le sue labbra cercarono di avventarsi sulle mie. 
<< Vuoi giocare? >> mi chiese facendo scivolare le dita sulla mia schiena, sotto la canottiera. Quella domanda l'aveva pronunciata con una voce talmente provocante da farmi accapponare la pelle per il piacere. 
Lo baciai sul collo e mossi intenzionalmente il bacino sul suo. << Se ti dicessi di sì? >> mormorai dischiudendo le labbra su un altro punto vicino alla clavicola. Lo assaggiai con la punta della lingua e lo mordicchiai piano, udendo il suo respiro spezzarsi. 
Amavo fargli quell'effetto; in quel momento mi sentivo anche più sensuale di quanto mi fossi mai sentita in tutta la mia vita. Era una sensazione totalmente nuova ed elettrizzante.
<< Andresti incontro alle conseguenze del gioco >> rispose, il tono roco che gli faceva vibrare le corde vocali. 
Risalii lungo il collo e lo stuzzicai in un altro punto sia con le labbra che con la lingua. << Correrò il rischio >> bisbigliai insieme ad un piccolo sorriso. 
Un secondo dopo la sua bocca si era mossa talmente veloce da catturare la mia ed intrappolarla in un bacio arroventato. 
Calò entrambe le mani sotto la mia canottiera e le condusse ai lati del mio seno, facendomi fremere per quel tocco caldo e deciso. 
Il turbinio di emozioni miste ad adrenalina che mi si rimescolavano nello stomaco contribuiva a farmi percepire la testa leggera. Non riuscivo a pensare a nient'altro che non riguardasse David. Ero totalmente in sua balia.
La mia schiena atterrò sul materasso mentre le mie dita si stringevano tra i suoi capelli. 
Amavo quei capelli, specialmente quand'erano in disordine. Erano morbidi, modellabili e dal tocco sbarazzino. 
Attorcigliai le gambe attorno al suo bacino e lo spinsi contro il mio. Dopo l'impatto sentii le spalle di David fremere, il suo respiro corto m'inondò la bocca. 
Abbandonò la mia bocca e scese a baciarmi sul collo come un affamato, scendendo sempre di più, sempre più giù. 
Poco più tardi la mia canottiera non esisteva più. Era volata via insieme a tutto il resto. 
Mi ritrovai ad inarcare la schiena e a mordermi un labbro per trattenere un gemito nel momento in cui la sua bocca si chiuse su un mio seno con voracità. 
Strinsi saldamente alcune ciocche dei suoi capelli e rilasciai un sospiro vibrato. 
Le sue dita intanto continuavano a muoversi lungo il mio corpo, scendevano a toccarmi una gamba, si soffermavano sul sedere, risalivano sulla pancia per giocherellare con l'ombelico, poi sulla schiena, il collo e giù di nuovo. 
Era una tortura così piacevole da mandarmi in pappa il cervello. Non capivo davvero nulla, sapevo solo quello che desideravo più di ogni altra cosa.
Inoltre, sentire la sua condizione fisica non aiutava di certo la mia lucidità mentale.
Allungai le braccia ed afferrai l'orlo dei suoi boxer per tirarlo goffamente verso il basso. 
David carpì al volo la mia intenzione e si mise a sedere per sfilarseli, li lanciò da una parte, scese in fretta e furia dal letto con i capelli arruffati e corse ai pantaloni. 
Lo osservai quasi con la bava alla bocca per tutto il tempo. In realtà potevo ben dire che guardandolo stavo adempiendo alla mia ricerca scolastica. Stavo ammirando dei muscoli che non sapevo neanche esistessero. 
Oltre ad essere dotato di un sedere di tutto rispetto, la sua schiena era qualcosa di... Dio, mi sentivo in fibrillazione al solo pensiero. Era un'opera d'arte. La linea della spina dorsale era ben evidenziata dai muscoli che spiccavano tutt'intorno e che sentivo sempre tendersi sotto il mio tocco. 
Deglutii accaldata quando lo vidi ritornare verso di me. 
Lo accolsi a braccia aperte mentre la sua bocca si stendeva in un sorriso ed il suo petto tornava a combaciare col mio. 
Inspirò sul mio collo e si spostò a mordicchiarmi una spalla.
<< Avevi detto che il preservativo dell'altra volta era l'ultimo che avevi nel portafoglio >> gli feci presente con una punta di stizza. Eh già, perché oltre ad averlo ammirato praticamente per tutto il tempo non mi era sfuggito da dove avesse preso quella bustina. 
<< La colpa non è mia >> si difese aprendosi in un sorrisetto, prima di baciarmi la clavicola. Mi sfiorò il collo con la punta del naso ed infine emise un leggero sospiro contro il mio orecchio. << È che la mia ragazza è talmente eccitante che avrei voglia di prendermela in ogni dove >> sussurrò con un tono dannatamente attraente. 
Chiuse i denti sul mio lobo e lo stuzzicò con la punta della lingua. 
Il mio cervello andò in cortocircuito. Nonostante le sue parole non fossero state un esempio di romanticismo allo stato puro, le avevo apprezzate, e molto anche. Mi avevano smosso più di un'emozione all'interno dello stomaco. 
Il mio cuore stava ancora battendo come un forsennato. 
Emisi un gemito quando la sua mano raggiunse un lembo delle mie mutande e lo sospinse in basso. Lo aiutai nell'impresa di sfilarmi da quell'impedimento ed in contemporanea alzammo la testa per permettere alle nostre labbra di unirsi. 
Ancora una volta non c'era nulla di delicato nel nostro bacio. Era bramoso, rovente ed incredibilmente eccitante. 
La sua lingua inseguiva la mia mentre con la mano sembrava osannare ogni centimetro del mio corpo. Soffermò le dita sotto il ginocchio e mi sollevò la gamba per legarsela attorno alla vita, dopodiché corse ad accarezzarmi la coscia e risalì lungo il fianco. 
E poi, mentre la mia mente fluttuava leggera e le mie dita si allungavano sulla sua schiena, lo sentii entrare. 
Ogni singolo movimento successivo fu accompagnato da sospiri di piacere, baci piccanti e gocce di sudore che imperlavano le nostre fronti. 
Quando entrambi raggiungemmo il culmine di quel vortice, le labbra di David si appoggiarono delicatamente sulle mie. Mi baciò con tenerezza, sfiorandomi i capelli con soffici tocchi che mi fecero sciogliere come un pezzetto di burro nel microonde. 
Massaggiai piano i suoi capelli e mi distanziai appena per depositare un bacio sul suo mento e sul naso. 
Aprii gli occhi e sprofondai nel calore delle iridi d'ambra fusa che mi osservavano con dolcezza. 
<< Tutto bene? >> domandò in un roco sussurro. 
La molla nella mia memoria si attivò di colpo. 
Come stai? Ti ho fatto male?
Mai stata meglio, dico sul serio.

Sorrisi al ricordo della nostra prima volta ed allacciai le braccia attorno al suo collo. << Mai stata meglio. >>





                                                                      *  *  *





I giorni successivi trascorsero in fretta. 
Tutto regolare. E speravo ardentemente che quella mattina del 9 Gennaio tutto continuasse a procedere in maniera lineare. 
Avevo una serie di dubbi al riguardo, ma la speranza non mi abbandonava. 
Più che altro era la mia costante e snervante ansia a farmi pensare che ogni cosa sarebbe volta per il peggio. E perché? Bradly Thomson. Un nome, mille paranoie. 
Mentre mi apprestavo a raggiungere la fermata del pulmino sentivo il cuore battermi ritmicamente. 
Quella stessa mattina, prima di uscire dalla finestra, David mi aveva detto che durante la pausa pranzo avrebbe parlato col suo amico. Insomma, gli avrebbe confessato tutto. 
Ciò che più temevo era che Bradly non la prendesse bene. Anche se... magari erano solo mie futili preoccupazioni, probabilmente lui neanche mi pensava più. Lo speravo ardentemente. 
Ma poi, come cavolo aveva fatto a prendersi una cotta per me? Ci eravamo parlati poche volte perché lui faceva parte delle tre T, anche se, c'era da dirlo, lui era sempre stato il più carino nei miei confronti. Non mi aveva mai presa in giro, non aveva mai partecipato agli scherzi di David e Kevin e più di una volta lo avevo visto mettersi contro i suoi amici per intimar loro di lasciarmi in pace.
Era un bravo ragazzo, in fin dei conti. 
All'inizio avevo creduto che mostrasse dell'interesse nei miei confronti soltanto per ordire qualche scherzo. Per quel motivo ogni qualvolta si era avvicinato per aiutarmi a portare i libri o per parlare, lo avevo trattato con freddezza. 
Un po' mi dispiaceva, soprattutto dopo aver appreso da David che a Bradly piacevo veramente. 
Inspirai profondamente ed alzai il viso per permettere al sole di riscaldarmi. 
<< Sarah Anderson >> sentii pronunciare con un tono solenne e al contempo scherzoso.
Mi voltai di scatto ed il mio sguardo atterrò su un petto largo fasciato in un piumino verde militare. Alzai lentamente la visuale ed il mio cervello iniziò a delineare con più precisione i tratti di quel ragazzo. Era indubbiamente alto. I capelli erano mossi e biondi, più corti sui lati e poco più lunghi sulla parte centrale. Gli angoli delle labbra erano incurvati in un sorriso amichevole e... un paio di penetranti occhi azzurri mi stavano fissando con vivacità. 
Oh mio Dio. Come avevo fatto a dimenticarmi dove abitasse? 
<< Oh... >> Boccheggiai per qualche secondo in preda allo stupore. << Bradly Thomson >> buttai fuori stirando un sorriso di circostanza. 
Cavoli, cavoletti e cavolfiori. Che cosa accidenti avrei dovuto dire? Oh, ma certo!
<< Come stai? >> Quelle tipiche domandine si rivelavano sempre utili per portare la conversazione su un terreno sicuro. 
Scrollò le spalle senza perdere il sorriso. << Il peggio è passato. Per tutti intendo. >>
<< Oh sì, quello è poco ma sicuro >> convenni annuendo con vigore. 
Ridacchiò e nel farlo gli spuntarono delle fossette sulle guance. Più lo guardavo e più mi rendevo conto del suo cambiamento. Era dimagrito, non di tanto, ma si notava dalla forma del viso più affusolata. Sulla base del collo aveva una cicatrice leggermente arrossata, probabilmente un ricordo del periodo.
Gli occhi, poi, sembravano nascondere un mondo. 
Era difficile da spiegare, ma nonostante esteticamente fosse più o meno lo stesso, chiunque avrebbe potuto dire che era cambiato. Non si trattava di un cambiamento superficiale, ma di uno più profondo ed interno che si poteva solo percepire. 
<< È il tuo primo giorno di scuola, giusto? >> domandai. Mi diedi subito della cretina. Avrebbe potuto sospettare che qualcuno me lo avesse detto o che nei giorni precedenti lo avessi cercato come una disperata tra gli altri studenti. E, peggio ancora, gli avevo sicuramente rievocato il motivo per il quale si era assentato. 
Avrei tanto voluto chiedere a Brad di aspettarmi un attimo, correre dietro un albero e prendermi a schiaffi. 
<< Giusto >> affermò annuendo. << Immagino che la scuola sia sempre uguale. Almeno così mi ha raccontato David. >> Si aprì in un sorriso e calò le mani nelle tasche del giubbotto. 
Deglutii lava bollente. << Sì, sempre... uguale. >> Per poco non mi strozzai a pronunciare quella parola. Nulla era uguale se si considerava la relazione ancora nascosta tra me e David. 
E più studiavo il modo in cui Bradly mi guardava più mi rendevo conto che no, non mi aveva affatto dimenticata. Mi si spezzava il cuore a sapere che quel giorno David gli avrebbe detto che io ero la sua ragazza. 
<< Quindi devo pensare che David e Kevin ti diano ancora fastidio? >> domandò storcendo di lato la testa. Non sorrideva più, il che mi fece intuire che la questione gli stesse a cuore. Di male in peggio. 
Che schifosissima situazione di cacca.
Mi apprestai a scuotere il capo e ad agitare le mani. << No no, siamo arrivati a... >> A cosa cavolo eravamo arrivati? Ad essere una coppia. Se glielo avessi detto sarebbe stramazzato al suolo. << A... ad una tregua >> cacciai fuori con un sorriso. << Sì, una tregua >> ribadii, fiera della mia non bugia. 
Sorrise dolcemente ed abbassò lo sguardo per terra. << Ne sono contento. >> 
Oh, poverino. Mi ricordava un sacco il protagonista di un cartone che guardavo da piccola. Un cucciolo di orso buono come il pane a cui era stato spezzato il cuore da un suo compare più grande. 
<< Sembra che sia arrivato il pulmino >> annunciò risvegliandomi dai miei tragici pensieri. 
Si voltò per sorridermi ed allungò un braccio, calando appena la testa. << Prima le signore. >> 
<< Grazie, Brad. >> Gli restituii il sorriso e salii i gradini del mezzo. 
Perdinci, Thomson era tornato più agguerrito di prima. 
Giunta nel corridoio, i miei occhi saettarono verso David seduto in ultima fila come sempre. Accanto a lui era tornato Kevin e, anche se non si stavano parlando, si vedeva lontano un miglio che qualcosa era successo. Qualcosa di buono. 
Quella vista mi strappò un sorriso. 
In quattro e quattr'otto la mia bocca assunse la forma di una O ed il mio cuore palpitò per la sorpresa. Ero stata quasi travolta da dietro. 
Il mio corpo si trovava sbilanciato in avanti in una posa molto precaria per colpa della quale avrei dovuto cadere. Ed invece no. Perché un braccio avvolto intorno alla vita mi stava sorreggendo a tenendo stretta ad un corpo. 
<< Scusa >> pronunciò Brad tra i miei capelli. << L'autista è partito di scatto ed ho perso l'equilibrio. >> 
Ed in effetti era vero, avevo sentito anch'io la pessima partenza di quello scemo alla guida. Il peggio però era qualcos'altro. 
Sentivo lo sguardo di David bruciarmi addosso. 
Mi scostai in fretta da Brad e mi girai per sorridergli. << Non ti preoccupare. >> 
Detto ciò sgattaiolai per lo stretto corridoio e sprofondai nel mio sedile con un sospiro. Clar stava dormendo pesantemente come la maggior parte delle volte. 
Quando Brad raggiunse i sedili in fondo si sentirono i versi cavernicoli dei ragazzi che esultavano per il suo ritorno. 
Per pura curiosità mi sporsi dal sedile e lanciai delle occhiate al gruppetto di David. 
E va bene, in realtà non me ne fregava niente del gruppo di scimmioni, m'interessava soltanto vedere il mio ragazzo. 
Brad si era appena seduto vicino ad un tizio che gli tirava dei pugni scherzosi sul braccio, David era spaparanzato accanto a questo tizio. 
Se ne stava con un piede piantato sul sedile davanti, le gambe divaricate, un braccio mollemente abbandonato sul cavallo dei pantaloni e la testa appoggiata allo schienale. La mascella contratta e lo sguardo torvo erano soltanto degli indizi del suo umore. 
D'improvviso i suoi occhi affondarono nei miei. Era decisamente incavolato, o meglio, infastidito oltre ogni dire. Le sue iridi sembravano sprizzare lampi di gelosia capaci d'incenerire. Ed in quel momento, mentre mi fissava con possessività, era come se volesse mettere in chiaro che io ero sua. 
Mi rimisi composta sul posto e guardai fuori dal finestrino. 
Prevedevo una lunga giornata. 








Angolo dell'autrice:

Buonasera! 
Dunque dunque, prima di tutto ci tengo a scusarmi con le ragazze a cui non ho ancora risposto nelle recensioni. Domani finirò di rispondere a tutte, promesso! 
Sono davvero contenta quando leggo ciò che mi scrivete, mi fate sempre venire gli occhi a cuoricino ed un sorriso da parte a parte. Perciò mi dispiace da morire quando non riesco a dimostrarvi quanto vi sia immensamente grata. 
Detto ciò, ringrazio anche tutte coloro che hanno letto questo capitolo!
Nel prossimo si entra nel vivo ihihih. 
In questo ci tenevo soprattutto a far comparire Brad e a scaldare la situazione. Per ora diciamo che ho solo gettato legna sul fuoco, nel prossimo passerò alla benzina. 
Ahahah, no a parte queste inquietanti frasi da piromane, ancora non so cosa succederà nel prossimo capitolo, mi verrà tutto scrivendo. Quindi, in effetti, anch'io sono curiosa... O.O
Ma parlando di cose più pratiche e sicure, il prossimo capitolo arriverà domenica. :)
Vi mando un bacione grande grande ed ancora una volta GRAZIE! 
A prestooooooooo! <3


Federica~




































































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Capitolo 14
*** Il momento della verità ***



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Il Momento Della Verità


















 

I freni del pulmino stridettero sull'asfalto. 
Voltai la testa e mi soffermai ad osservare il volto rilassato di Clarice. Teneva la testa appoggiata al finestrino e la bocca semiaperta. Mi chiedevo come facesse ad appisolarsi con tutto il casino che regnava intorno. Nonostante fossero passati quasi quattro anni da che la conoscevo, per me quello rimaneva un mistero. 
Le pungolai un braccio mentre le persone si alzavano in piedi. 
<< Clar, svegliati. Siamo arrivati >> dissi, il tono carezzevole. 
Vedendo che non reagiva, mi accigliai. Tutte le volte la stessa storia. Mi toccava diventare aggressiva. 
La scossi brutalmente e mi sporsi su di lei. << Clar, cavolo svegliati! >> le urlai in un orecchio. 
Si mosse di scatto, sbarrando gli occhi e sobbalzando come una molla. << Oh, sì. Ah. >> Si guardò attorno con lo sguardo ancora annebbiato dal sonno, poi lo calò sulla sottoscritta. << Grazie, Sarah. >> 
Le sorrisi mentre mi abbassavo per raccogliere la tracolla. << Non c'è di che. >> 
Mi alzai dal posto e le lanciai un'occhiata per vedere a che punto fosse. La trovai che strattonava lo zaino incastrato sotto il sedile davanti. << Aspetta ti aiuto >> mi proposi chinando la schiena. Stesi un braccio ed afferrai una spallina di quel benedetto aggeggio. 
<< Ma come cavolo ha fatto ad impigliarsi? >> sbottai strattonandolo con furia.
Clar diede un vigoroso scossone finendo col picchiare la nuca contro lo schienale. << Che ne so >> borbottò tastandosi la testa. 
Ok, era ovvio. Dovevo sfoderare tutta la mia forza. 
<< Non ti preoccupare, ci penso io >> dichiarai risoluta. 
Avvolsi entrambe le mani attorno alla spallina che mi ero conquistata e mi preparai psicologicamente. Sentivo che se non avessi calibrato bene la mia immane energia distruttiva, avrei potuto persino sradicare il sedile. 
Trattenendo un urlo di guerra, tirai un poderoso strattone. Mentre la mia testa si piegava all'indietro e perdevo stabilità sulle ginocchia, mi resi conto di aver compiuto la titanica impresa di liberare lo zaino. 
Non a caso percepivo il mio corpo incassare il rimpallo del colpo secco e tendere verso la caduta. 
Prima che il mio fianco si disintegrasse contro un bracciolo, una mano mi afferrò il costato e mi bloccò. 
Non mi ci volle molto a capire a chi appartenessero quelle dita affusolate. La scarica elettrica che avevo percepito aveva inviato un chiaro messaggio al mio cervello. 
Girai la testa con lo stomaco in subbuglio ed un'irrefrenabile voglia di sprofondare nel calore avvolgente di un paio di iridi ambrate. 
Il mio cuore ebbe un sussulto, peccato che non fosse dettato da una piacevole sorpresa. 
Non c'era nulla di caldo in quelle iridi, malgrado il loro colore. Erano fredde, severe ed impassibili. 
La mascella era ancora contratta e le lunghe ciglia nere incorniciavano uno sguardo cupo. Quello stesso sguardo era, in quel momento, conficcato nel mio. 
<< Grazie di nuovo, Sarah >> pronunciò Clarice con una risatina, prendendosi lo zaino dalle mie mani. 
Ritornai con gli occhi su di lei in un baleno. << Oh, no... Di niente >> balbettai mezza intontita. 
Sbattei le ciglia frettolosamente, come tutte le volte che non capivo qualcosa, e m'immisi nella coda davanti a David. 
Il mio cervello doveva ancora assimilare ciò che avevo visto. Possibile che il mio ragazzo mi avesse appena fulminata? Be', a giudicare dall'occhiata che mi aveva scoccato pareva di sì. Eppure io che colpa avevo se Brad mi era venuto addosso? Nessuna. Ero innocente. 
Oltretutto ero piuttosto sicura che Thomson non l'avesse fatto di proposito. Insomma, l'autista era partito di scatto manco avesse avuto un razzo ficcato in quel posto. Lui aveva soltanto perso l'equilibrio. 
Mossi un piccolo passo avanti e proseguii ad arrovellarmi con quei ragionamenti. 
E poi non era successo niente di che. Solo un semplice contatto durato una manciata di secondi. Sarebbe potuto succedere con chiunque e a chiunque. Non c'era certo bisogno di farne una tragedia. 
Un palmo caldo mi sfiorò il fianco destro in una delicata carezza. In quel momento il mio battito cardiaco ebbe un'impennata vertiginosa. 
Sentii quelle dita tracciare un percorso discendente, verso le estremità del giubbotto. S'intrufolarono poco al di sotto, dopodiché virarono in direzione della pancia. Si soffermarono, invece, sul ventre mentre tutto il mio corpo veniva attraversato da sottili scariche elettriche. 
Quando percepii un respiro caldo tra i capelli, ci mancò poco che non abbandonassi la testa sul suo petto e chiudessi gli occhi. 
Se con quei piccoli gesti intendeva farmi liquefare tra le sue braccia, ci stava riuscendo benissimo. Ed oltretutto stava esasperando la mia condizione mentale con un milione di punti interrogativi. 
Il suo ginocchio mi sospinse in avanti per farmi compiere un altro passo. 
Non ci capivo davvero più nulla. Un attimo prima mi gelava con lo sguardo, quello successivo mi avvicinava a sé. Mi stava forse comunicando qualcosa? E se sì, cosa? 
Avanzammo ancora mentre percepivo l'agitazione montarmi dentro. 
Deglutii e lanciai delle furtive occhiate oltre i finestrini del pulmino. 
Oh cavolo. Oh perdinci. Oh santo cieletto. 
Il riflesso. 
Maledetta di una puzzola, eravamo riflessi nei finestrini! 
Potevo vedere i miei occhi sgranati per lo shock, la mano di David che spariva poco sotto il mio giubbotto e come il suo corpo si trovasse a pochissimi centimetri di distanza. 
E mi era concesso di vedere anche chi ci fosse dietro il mio ragazzo: Kevin, Clar... Thomson... Oh santo Dio! 
Con un colpo secco tolsi la mano di David e cercai di frapporre una certa distanza tra noi. 
Stavo sudando per l'ansia. Speravo vivamente che Bradly non ci avessi visti. Non era giusto che lo scoprisse in quel modo. Come aveva fatto David a non accorgersi del riflesso? Fortuna che ci aveva fatto caso la sottoscritta. Mi auguravo in tempo. 
Un minuto dopo scesi i gradini del veicolo ed inspirai l'aria pulita. 
Sistemai la tracolla sulla spalla e mi voltai a guardare gli altri che scendevano in attesa di Clar. Volevo acchiapparla e scappare. 
Il mio ragazzo scese dal mezzo con le mani nelle tasche dei jeans ed un'espressione  seria, per non dire granitica. Non mi rivolse neanche uno sguardo. Iniziò a camminare lungo il viottolo che conduceva all'ingresso della scuola senza aspettare i suoi amici, nemmeno Kevin con cui avevo creduto che le cose avessero cominciato a risistemarsi. 
Mentre studiavo la sua camminata disinvolta, scorsi degli scimmioni corrergli dietro. 
Ero diventata d'un tratto scema oppure lui era impazzito? Che cavolo stava succedendo? 
<< Eccomi, Sarah. >> Voltai il capo e mi concentrai sul sorriso di Clar. 
<< Che faccia sveglia, Anderson >> mi prese in giro quel cerebroleso del suo ragazzo, accanto a lei.
Mi risvegliai dal torpore mentale e corrugai la fronte. << Ma tu e David... insomma, cos'è successo tra voi? >> domandai alzando gli occhi su Kevin. 
Lui scrollò le spalle ed iniziò a camminare. Che risposta era mai quella? 
Osservai per un attimo Clar che sbatteva le palpebre confusa quanto me, poi sollevò le mani come a voler dire che non ne sapeva nulla. 
Ci apprestammo a raggiungere Kevin con una breve corsetta. Io mi piazzai alla sua destra e Clar alla sua sinistra. Era in trappola, il facocero. 
Inclinai la testa e sondai il suo profilo con fare investigativo. Doveva pur esserci un indizio, un qualcosa che mi facesse intuire cosa stava accadendo. 
Improvvisamente le sua labbra si stirarono in un sorriso. 
<< Anderson, cosa vuoi? >> Si voltò a guardarmi con lentezza, gli occhi assottigliati per il divertimento. Finalmente qualcuno che mi considerasse. Era ora. 
<< Voglio sapere se è cambiato qualcosa tra te e David >> esplicai concisa. 
Raddrizzai la tracolla e mi spostai un ciuffo dalla faccia. 
Ancora una volta Torn fece spallucce, successivamente si focalizzò sulla strada. << Stamani quando sono salito sul pullman stavo per andare al mio solito sedile, ma David mi ha fermato e mi ha detto di sedermi accanto a lui. >>
Sollevai le sopracciglia in attesa che continuasse a parlare. << E poi? >> 
<< E poi nulla >> troncò calando le mani nelle tasche del giubbotto. << Non ci siamo parlati se è questo che vuoi sapere. >> 
Era proprio quello che avevo temuto. Ne avevo avuto il sospetto nel momento in cui li avevo visti di nuovo insieme. Era stato strano vederli accanto, ma non vederli parlare come sempre. 
Gettai lo sguardo a terra ed iniziai a torturarmi le dita, immersa tra i pensieri. Eppure David mi aveva detto che avrebbe ricominciato a parlargli, probabilmente aveva soltanto bisogno di un po' di tempo. Il ghiaccio lo aveva già rotto. 
<< Anche se... non ti ha rivolto parola >> pronunciai impacciata. << David oggi ha fatto un primo sforzo per riallacciare i rapporti con te. Insomma, lui... >>
<< Lo so, Anderson >> m'interruppe Kevin. Alzai la testa sorpresa ed intercettai i suoi occhi, sul volto aveva pennellato un sorriso sincero. << Lo conosco, e so bene quanta fatica abbia fatto per fare quel che ha fatto. Sinceramente non me lo aspettavo neanche >> ammise scuotendo il capo. 
Di fronte alla sua felicità sapientemente mascherata, mi ritrovai a sorridere di cuore. 
La scintilla che gli brillava in fondo alle scure iridi castane era a dir poco inconfondibile. Se mi avessero chiesto cosa fosse la gioia avrei indicato gli occhi di Kevin. Ne erano lo specchio. 
Ero sicura che anche il mio ragazzo avesse provato le stesse emozioni a riavere il suo amico vicino. 
Mentre osservavo Kevin, abbassai lo sguardo e lo posai su Clarice che stava ammirando la sua dolce metà con un sorriso da orecchio a orecchio e gli occhi trasognanti. Anche lei aveva percepito quanto il gesto di David avesse riscosso successo su di lui. 
Salimmo i gradini dell'ingresso ed entrammo nell'atrio già strapieno di studenti. Come al solito attraversare quel covo di gnu sarebbe stato un bagno di sangue. 
Allungai il collo e mi issai sulle punte per cercare il mio capo scimmione tra tutte quelle facce, ma non ebbi mai la fortuna d'incontrare i suoi occhi ambrati. Sembrava essersi dissolto nel nulla. 
Mi voltai verso Kevin e Clar. << Ci vediamo dopo >> li salutai immettendomi nella folla. 
Neanche un secondo dopo ricevetti un'accidentale gomitata sulla testa da un tipo alto due metri. 
Mentre mi tastavo la zona lesa, udii la risata di Torn alle spalle. << Cerca di non uscirne rattrappita, Anderson. Sei già bassa di tuo >> mi canzonò divertito. 
Ebbi solo il tempo di linciarlo con un'occhiata prima di essere inglobata alla calca di bestie selvagge ed essere spintonata come un sacco di patate. 
Dopo essermi venuto il mal di mare per tutto quello sbalestramento, ebbi la possibilità di ancorarmi al mio armadietto: il mio scoglio di salvezza. 
Fu in quel momento che adocchiai David. Era a qualche metro di distanza da me e stava ascoltando una ragazza. 
Un mio sopracciglio scattò come un fulmine per il nervoso. Il signorino spariva nel nulla per poi farsi beccare con una tipa? 
Esaminai da capo a piedi la ragazza. Era alta, col sorriso stampato in faccia ed i capelli corti a caschetto color corteccia. Da come era vestita non sembrava una cheerleader, ma una normale studentessa come me. 
David la guardava senza l'ombra di un sorriso, il che mi faceva molto piacere. Non sembrava neanche interessato a ciò che gli stava comunicando. Meglio per lui. 
<< Chi è quella? >> domandò una voce femminile alle mie spalle. 
<< Non ne ho idea >> sibilai continuando a tenere gli occhi su quei due. 
Aspetta un attimo. 
Corrugai la fronte e ruotai il capo. Oh mamma, no. Di male in peggio. 
Jessica Wright strinse la bocca ed abbandonò con lo sguardo la tipa che stava parlando col mio ragazzo per concentrarsi su di me. Mi fissò con un che di sufficienza per poi sollevare le sopracciglia ed esaminarmi per intero. << Sei talmente insignificante che David deve andare a cercarsi un rimpiazzo >> sputò velenosa. 
Ok, le avrei spaccato la faccia. Era deciso. 
Incrociai le braccia sul petto per trattenermi dal farne un uso violento e m'impettii. << Sbaglio o sei tu quella che è stata rimpiazzata? Ops, mi correggo, tu non sei mai stata la sua ragazza >> attaccai con un sorrisetto beffardo. 
1 a 0 per me. 
I suoi occhi furono percorsi da un guizzo di rabbia. Poveretta, non aveva ancora capito che qualsiasi cosa avesse potuto dirmi gliel'avrei ritorta contro con il rincaro. 
La sua era una battaglia persa in partenza. 
<< Tiffany! >> urlò una ragazza dietro l'oca, iniziando a correre verso la tipa che continuava a parlare al mio ragazzo. 
In perfetto sincro, sia io che quella cretina che al momento mi toccava avere vicino, ci voltammo ad osservare la scena. 
<< Ma certo >> bisbigliò la serpe. << Tiffany Stanford. >> 
<< Chi è? >> incalzai secca. Tornai a trafiggerla con lo sguardo e strinsi i denti. David mi avrebbe sentita, eccome. Gli avrei sfondato i timpani a forza di urli. 
L'oca dal dente avvelenato assottigliò i suoi occhi già di per sé piccoli. << Una viscida sgualdrina >> sputò. 
Avrei voluto farle notare che quindi erano colleghe, ma ero troppo arrabbiata con David per degnare quella cretina dei miei eleganti insulti. 
Scagliai lo sguardo su di lui e cominciai a battere un piede per terra. 
Ero un enorme fascio di nervi, ad un passo dal vedere tutto rosso. Più guardavo quella ragazza, Tiffany, più mi prudevano le mani. 
David sembrò intercettare i miei pensieri omicidi, perché alzò la testa di scatto e si girò dalla mia parte. Sollevai un sopracciglio in una muta domanda, o meglio, minaccia e sul suo viso apparve un sorrisetto da bambino cattivo. 
Senza aspettare che la ragazza gli finisse di parlare, iniziò a procedere verso la sottoscritta. Ammirai con immensa soddisfazione l'espressione sconvolta e la bocca totalmente spalancata della tipa, dopodiché feci convergere tutta l'attenzione sul deficiente che avanzava con le mani calate nelle tasche dei jeans e gli occhi accesi di divertimento. 
Io non trovavo niente di spassoso in quella situazione. Anzi, il contrario. Sentivo di essere prossima alla trasformazione in orco. 
<< Tu >> pronunciai additandolo, appena mi fu vicino. << Con me, adesso >> decretai decisa. 
Gli diedi le spalle e sorpassai qualsiasi bue mi ostruisse il passaggio, talvolta rifilando spallate o gomitate. In meno di due minuti arrivammo al familiare sgabuzzino che veniva lasciato puntualmente aperto. 
Spalancai la porta e gli feci segno di precedermi con un'espressione eloquente. Lui ubbidì col suo solito sorrisetto stampato in faccia. 
Lo seguii e ci chiusi dentro subito dopo aver acceso l'unica lampadina penzolante dal soffitto. 
Lasciai cadere la tracolla a terra e mi tolsi il giubbotto. Ero talmente incavolata da sentire caldo. 
Conficcai i miei occhi in quelli di David mentre sollevavo i capelli e li lasciavo ricadere di colpo. << Chi era quella con cui parlavi? >> domandai arricciando le labbra. 
Fece spallucce e si appoggiò con la schiena al muro, le mani ancora nelle tasche. << Non ne ho idea. Voleva scambiare il suo armadietto col mio >> asserì con una smorfia d'indifferenza. 
Sollevai un sopracciglio. << E perché? >> 
<< Non lo so, ha detto qualcosa come che voleva stare vicina alla sua amica. >> Reclinò la testa all'indietro, contro il muro, e mantenne lo sguardo ancorato al mio. << Non me ne fregava nulla. Ho ascoltato poco e niente. >> 
Sbuffai per il nervoso e ricominciai a toccarmi i capelli per fare una crocchia. << Lo sai, vero, che quella era solo una scusa per abbordarti? >> 
<< Per questo non le ho dato spago >> confessò con una scrollata. Dopo quelle parole mi sentii più sollevata e lasciai in pace la mia povera chioma, permettendole di scivolarmi sulla schiena. 
<< Mm >> borbottai incrociando le braccia sul petto. La rabbia aveva cominciato a scemarmi, ma percepivo ancora un profondo fastidio per le avances di quella ragazza. 
La mascella di David si contrasse mentre il suo sguardo diventava duro. << E tu lo sai, vero, che Brad non ti è venuto addosso per errore? >> 
Sgranai gli occhi. << Cosa? Davvero? Ma il pulm... >>
<< Aveva visto che ti eri fermata nel mezzo ed ha rallentato per aspettare che quell'idiota dell'autista ripartisse >> spiegò, il tono irritato. << Ti si è praticamente buttato addosso. >> 
Oh, be' quello cambiava di molto le cose. Avevo creduto che fosse stato un incidente, invece, come avevo sospettato, Thomson era tornato più agguerrito che mai. 
<< Non lo sapevo >> mormorai. 
I suoi occhi sondarono i miei. << Lo so >> soffiò in un sospiro. 
<< E allora perché sembrava che tu ce l'avessi con me? >> La cosa non mi quadrava. Mancava sicuramente qualche altro tassello affinché il suo comportamento acquistasse un senso. Comprendevo la sua irritazione nei confronti di Bradly, ma non nei miei. 
Si mosse irrequieto fino ad appoggiare un piede alla parete. Distolse lo sguardo da me per una manciata di secondi; dal modo in cui stava muovendo la mandibola capii che si stava mordicchiando la lingua. 
Espirò pesantemente dal naso e roteò gli occhi in un gesto nervoso. Alla fine li fece saettare nei miei con una forza penetrante, la testa leggermente inclinata da un lato. << Mi hai respinto >> disse soltanto, dal tono non pareva un'accusa. Però, a giudicare dalla postura rigida e dall'inflessibilità della sua occhiata, la cosa lo aveva molto infastidito. 
Scossi il capo stupita e mi attorcigliai le dita. << L'ho dovuto fare, eravamo riflessi nei finestrini. Thomson avrebbe potuto vederci >> mi difesi. << Ho pensato che non fosse giusto che lo venisse a sapere in quel modo. E poi tu avevi già programmato di parlargli durante la pausa pranzo. >> 
<< L'ho fatto apposta >> ammise di colpo. Nelle iridi ambrate serpeggiava la stessa severità di quando, sul pulmino, mi ero sporta per guardarlo. 
Ritrassi la testa e ridussi gli occhi a due fessure, confusa. << Cosa? E perché? David, avresti potuto mandare tutto a scat... >>
<< Lo so cos'avrei potuto fare >> m'interruppe bruscamente. << Lo so, accidenti. >> 
<< E allora perché cavolo volevi complicare le cose? >> sbottai irritata. Dove lo metteva il cervello quando macchinava quelle stupidaggini? 
Prima mi nascondeva ai suoi amici per proteggere il suo amico e poi cercava di mandare tutto all'aria, fregandosene delle conseguenze. Cos'aveva in quella zucca?
I suoi occhi lampeggiarono di rabbia. << Perché lui si è preso una libertà che io non ho, dannazione >> sputò staccandosi dalla parete d'impeto. << Non davanti a lui >> aggiunse abbassando lo sguardo su un banco riposto in un angolo. 
Calò il silenzio. 
Nella mia mente sciamavano miliardi di pensieri, alcuni contrastanti tra loro. 
Da una parte capivo il suo gesto sconsiderato, dall'altra avrei voluto sgridarlo per la sua solita impulsività. 
Santo cielo, non sapevo nemmeno io cosa pensare. 
<< E credi che marcare il territorio sia stata una mossa intelligente? >> Avevo optato per la seconda opzione: sgridarlo. Intrecciai le braccia sul petto e sollevai un sopracciglio. << È tuo amico e non sa ancora che stiamo insieme. Crede di avere delle possibilità con me, per questo ha fatto quel che ha fatto. >> 
Voltò il viso lentamente, fino a che il suo duro sguardo non trafisse il mio. << E secondo te dovrei starmene tranquillo mentre vedo che un mio amico si butta addosso alla mia ragazza? >> Nel sentirgli pronunciare la parola "mia" con quel tono possessivo, un brivido mi attraversò la colonna vertebrale. 
<< Forse aspettare tanto prima di confessargli che stiamo insieme non è stata la scelta più saggia >> asserii scrollando le spalle. << Avresti dovuto dirglielo durante le vacanze, così adesso non saremmo qui a discuterne. >> 
Spalancò le braccia e scosse il capo. << Oh certo, col senno di poi è sempre più facile. >>
<< Allora adesso ti becchi le conseguenze e cerchi di fartele andare bene >> dichiarai con un'occhiataccia. 
Mi stavo innervosendo parecchio. Anzi, ero già incavolata nera. Un mese di sotterfugi, di sguardi da lontano e chiacchiere di nascosto per cosa? Avevo sopportato tutto in attesa che le cose si sistemassero, non che peggiorassero per un suo colpo di testa. 
<< Non potevo dirglielo >> sibilò. Si passò una mano tra i capelli e per un attimo chiuse gli occhi come se stesse cercando di calmarsi. Quando li riaprì, li piantò nei miei con una sfumatura più consapevole. << Volevo parlargliene di persona, non per telefono. E lui si è sempre rifiutato di uscire, non voleva che qualcuno andasse a trovarlo, non voleva vedere nessuno. >> 
<< Per la morte del padre >> sussurrai. 
Annuì e subito dopo si sgranchì il collo. 
Sospirai mentre il mio sguardo piombava sul pavimento sudicio. << Hai paura di dirglielo oggi? Intendo per il colpo che gli darai >> mormorai mesta. 
Per un po' non sentii niente dalla sua parte, solo qualche sbuffo stressato. 
<< Ho più paura che si metta tra noi >> ammise in un soffio, il tono profondo. 
Alzai la testa di scatto con gli occhi leggermente sgranati mentre il mio cuore batteva impetuoso. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che, a parole, mi aveva dimostrato di avere il timore di perdermi. Avevo creduto che non gli avrei mai più sentito dire qualcosa di simile, anche perché le condizioni nelle quali vivevamo adesso erano totalmente diverse da prima. Non più ad un passo dalla morte. 
Percorsi il poco spazio che ci divideva ed appoggiai la fronte sul suo petto, con le braccia gli circondai i fianchi. Appena percepii le sue labbra muoversi tra i miei capelli, espirai più rilassata e chiusi gli occhi. 
<< Dipende da noi, David >> bisbigliai delicatamente. << Dipende da quanto permettiamo agli altri di entrare nella nostra relazione. Tu lo sai che sono innamorata di te. >> Appena ebbi concluso la frase il mio battito cardiaco ebbe un'impennata, tanto che sentii le guance riscaldarsi. 
Non avevo il coraggio di alzare la testa e guardarlo, mi sentivo andare a fuoco. Il mio corpo aveva avviato l'autocombustione.
<< Anche tu lo sai >> mormorò rauco, saldando le mani attorno alla mia vita. Le sue labbra scesero a baciarmi una tempia. 
Aprii gli occhi e sorrisi tra il felice e l'astuto. << So cosa? >> buttai là cercando i suoi occhi. Ero troppo genia. L'atmosfera era perfetta per quelle poche paroline, magari bisbigliate. Nella mente sospirai romanticamente. 
Le sue iridi mi osservarono con intensità, dopodiché iniziò a calarsi su di me. << Lo sai che... >> Si umettò le labbra mentre il mio cuore schizzava impazzito. Oh Cristo! Stavo per svenirgli tra le braccia. 
D'un tratto la sua bocca si piegò in un sorrisetto beffardo. << Bel tentativo. >> Subito dopo mi arrivò un nocchino sulla fronte. 
Spalancai gli occhi intontita e per una manciata di secondi boccheggiai. 
Sbaglio o aveva appena mandato in frantumi la mia speranza facendosi per giunta beffa di me? 
Il suono della campanella servì a ridestarmi dal coma. 
Misi a fuoco l'espressione sfacciatamente divertita di David e mi accigliai. << Sei un caprone ignorante >> dichiarai stizzita, tirandogli uno schiaffo sul braccio. 
Mentre lui rideva, sciolsi l'abbraccio e mi diressi a raccogliere le mie cose tutta impettita. Ero stata crudelmente illusa di ricevere una seconda confessione per poi essere svegliata da una doccia ghiacciata. 
La mia testa venne avvolta da un suo braccio prima che riuscissi ad aprire la porta, e così venni strattonata all'indietro, contro il suo petto. 
Sentii la sua bassa risata nell'orecchio e mi ritrovai a sorridere. << Sei uno scemo >> lo appuntai sollevando il capo. 
Incontrai i suoi occhi ridenti che mi osservavano, mentre con una mano risaliva lungo il mio collo per prendermi il mento e trattenermi in quella posizione. << Non mi dai neanche un bacio? >> 
Il mio cuore saltellò dall'emozione. 
Sollevai le sopracciglia e sfoderai un'espressione risentita. << No. Dopo il tuo scherzetto non ti meriti nulla, solo botte. >> 
Un poco rassicurante sorrisetto si fece largo sul suo viso. << Peccato che io non accetti mai un no come risposta >> bisbigliò praticamente sulla mia bocca. 
Sfregò le labbra sulle mie in un gesto tenero, dopodiché fece risalire una mano sulla mia pancia. 
Un giorno mi avrebbe fatta impazzire, a meno che non lo fossi già diventata. 
Socchiusi le palpebre e mossi il mento per sigillare la sua bocca con un bacio. 
Prontamente le sue labbra lambirono le mie e le sue dita mi artigliarono con fermezza il golf. Inclinai la testa e lo trattenni a me con una mano dietro il collo. 
Potevo già percepire un certo calore diffondersi per il corpo come una nuvola di vapore. Mano a mano la nube saliva e mi appannava la mente. 
Un brivido mi corse lungo la schiena nel momento in cui ci distanziammo ed il suo fiato freddo mi pizzicò la lingua. A quel punto avrei voluto saltargli addosso e distenderlo sul banco vicino, ma mi ricordai in corner della campanella. 
Aprii gli occhi e mi morsi un labbro dinanzi alla famelicità delle sue iridi. << Dobbiamo andare >> dissi soltanto, con un tono talmente basso da essere quasi impercettibile. 
Lui annuì e mi lasciò andare. Ma non mi ero persa il momento in cui il suo sguardo era calato sulla mia bocca ed il suo pomo d'Adamo si era abbassato. 
Uscimmo dallo sgabuzzino in silenzio e ci recammo alla prima aula della mattinata, oltretutto la stessa. 
Eravamo già in ritardo, quindi affrettai il passo e mi beccai le sue risatine e prese in giro sulla mia fissazione per la puntualità. 
Una volta giunta davanti alla porta mi voltai a guardarlo ed attesi che mi raggiungesse. Era il ritratto della tranquillità. Camminava con le mani nelle tasche e l'andatura da menefreghista disinvolto, il giubbotto aperto e lo zaino su una spalla. 
Oltretutto il maglione blu che indossava gli stava particolarmente bene. Come avevo fatto a non farci subito caso? Anzi, forse era meglio così, se no non saremmo più usciti dallo sgabuzzino. 
Appena arrestò il passo, afferrai un lembo del suo giaccone. << Allora dopo... Insomma, dopo che gli hai parlato vieni in mensa a chiamarmi, ok? Voglio sapere com'è andata. >> 
Annuì. << Ok. >>
<< Ah, e... >> Mi mordicchiai un labbro tenendo gli occhi fissi nei suoi. << Cerca di essere gentile, niente impulsività. Non si merita di stare male per me >> affermai con un tono supplichevole. 
Le sue iridi scandagliarono il mio volto con un'intensità travolgente. Sapevo che stava meditando sulle mie parole, glielo leggevo in faccia. Anche perché nemmeno lui avrebbe voluto che Brad la prendesse male. 
<< D'accordo, come vuoi >> acconsentì infine. 
Sospirai più tranquilla ed afferrai la maniglia della porta. Ed ora mi toccavano un altro paio di maniche per giustificare il ritardo col professor Judge. 





                                                                       *  *  *





Controllai l'orologio deglutendo un mattone d'ansia. Mancavano due minuti all'inizio della pausa pranzo. 
Sentivo che nel momento esatto in cui fosse scoccata l'ora, dentro la mia testa si sarebbe esteso un sonoro "gong". Come quello prima degli incontri di wrestling. 
Sinceramente non mi sarei voluta trovare nei panni di David. Io non avrei neanche saputo trovare le parole giuste per cominciare il discorso. 
E poi, dopo la chiacchierata, Brad come si sarebbe comportato nei nostri confronti? Continuavo a chiedermelo da più di due ore. 
Avrebbe continuato a parlarmi come se nulla fosse? E con David? 
Speravo davvero che la loro amicizia non si congelasse, ma... non sapevo se per pessimismo od altro, lo sospettavo. 
Insomma, mi toccava essere realista. C'erano più probabilità che prendesse male tutta quella faccenda che il contrario. 
Come biasimarlo? Uno tra i suoi migliori amici si era messo con la ragazza che gli piaceva da anni. Ma non un amico qualsiasi, bensì quello che fin dal primo anno aveva torturato la suddetta. 
Era ovvio che ne sarebbe rimasto spiazzato. Magari si sarebbe sentito anche tradito e pugnalato alle spalle. In quattro e quattr'otto avrebbe perso un amico e la ragazza a cui era interessato. 
Santo cielo, che situazione. 
Giocherellai con la penna sul banco, sorreggendomi la testa pesante. Ero talmente angosciata da non aver prestato minimamente attenzione alla lezione. Avevo scritto due righe di appunti, e già quello era stato un grande sforzo. 
Nella mia mente partì il temuto "gong" in corrispondenza del suono della campanella. 
Raccolsi frettolosamente la mia roba, la riposi a casaccio nella tracolla e schizzai fuori dall'aula. 
Mentre mi avviavo all'armadietto, avvertii una stretta allo stomaco. Mi era del tutto passata la fame, come ogni volta che ero alimentata dall'ansia. 
Se fossi andata in mensa ed avessi sentito l'odore del cibo ero sicura che avrei onorato tutti i presenti con una vomitata epica. Preferivo evitare. 
Depositai la borsa nella mia scatola di latta ed attesi che la calca di buoi impazziti si disperdesse in direzione della mensa. Appena mi fu possibile camminare senza rischiare di essere asfaltata, decisi di dirigermi al bagno.
Prima che abbassassi la maniglia, i miei occhi si appoggiarono distrattamente su due schiene. Una, però, mi era molto familiare. Per l'appunto era fasciata in un golf blu. L'altra era indubbiamente di Thomson. 
Il mio cuore accelerò la corsa mentre i palmi iniziavano a sudarmi. 
Era già arrivato il momento della verità. Se da una parte la cosa mi faceva sentire più leggera, dall'altra mi terrorizzava. 
Vidi David aprire la porta di un aula e fare un cenno all'amico per suggerirgli di entrare. 
Brad gli sorrise, gli diede una pacca sulla spalla che lo fece irrigidire e subito dopo sparì dalla mia visuale. 
L'ultimo gesto che scorsi del mio ragazzo fu quello di appoggiare la fronte al pannello della porta, poi seguì Bradly. 
Sentii il cuore stringersi. 
Anche se David non dimostrava quasi mai di tenere ai suoi amici, ci teneva eccome. Kevin era sicuramente una delle persone più importanti che avesse, un secondo fratello. E sebbene conoscesse Brad da minor tempo, sapevo che nella sua classifica d'importanza non era di certo da meno. 
Quei tre erano sempre stati uniti, fin dal primo anno. Non a caso li avevo battezzati "le tre T". Perché loro erano il gruppetto di amici per eccellenza, insieme dappertutto e sempre presenti l'uno per l'altro. 
Animata dalla speranza che rimanessero compatti, mi recai a passo di ninja fino all'aula dentro la quale si erano chiusi. 
Mi appoggiai con la schiena al muro ed allungai l'orecchio per origliare. 
<< ... cambiate molte cose >> sentii pronunciare da David. Potevo già immaginarlo mentre si passava una mano fra i capelli. << Durante quel periodo la vita di ciascuno di noi ha subito una svolta. Mai come in quei momenti avevo capito fin in fondo cosa significasse non poter controllare qualcosa. >> 
Silenzio. 
Deglutii ansiosa e mi attaccai con più decisione alla porta cercando di non fare rumore. 
<< Lo so, amico >> sospirò Thomson. 
<< No, Brad >> intervenne il mio ragazzo. << Tu non sai con chi ho vissuto quello schifo. E quando ho detto che non potevo controllare ciò che succedeva non mi riferivo soltanto alla situazione in sé. >> 
Altra pausa. 
<< Perché non avresti dovuto dirmi con chi eri? >> domandò Bradly, il tono cauto, quasi guardingo. Udii il rumore di un banco che si muoveva, probabilmente uno dei due ci si era appena seduto sopra.  
<< Per lo stesso motivo per il quale adesso siamo qui >> rispose David. << E per il quale fatico a trovare le parole giuste, sempre che ce ne siano. >> 
Seppur fievole, sentii un suo sospiro.
Cominciai a torturarmi le dita in preda al nervoso e all'angoscia. Più trascorrevano quei secondi di meditativo silenzio, più il mio stomaco si contorceva come una spugna da strizzare. 
Eravamo già giunti al dunque. Lo percepivo a pelle.
<< Sarah Anderson? >> 
Nel sentire Brad pronunciare il mio nome con quel tono basso, il respiro mi si mozzò in gola. Dalla sfumatura incredula che avevo carpito nella sua voce, riuscivo ad immaginare la sua espressione. 
Da parte di David non ci fu risposta, probabilmente si era limitato ad annuire. 
Il silenzio che seguì mi parve interminabile. Sarei voluta entrare dentro a controllare che ci fossero ancora. 
<< A cosa ti riferivi quando parlavi del controllo? >> Fu quasi un sussurro quello che uscì dalla bocca di Thomson, ma per un attimo mi sembrò di avvertirci una gradazione minacciosa. 
<< Stiamo insieme, Brad. >> Oh cavolo! Il mio cuore ebbe un sussulto a quelle parole. 
Oltretutto la risposta di David era stata secca e diretta, segno inequivocabile che si stava innervosendo. 
Pausa.
<< Stai scherzando, vero? Non è possibile. >> 
<< Credici. >>
<< No. >> Udii dei passi per la stanza. << No, Dave. Non sta né in cielo né in terra. Tu non le hai mai dato respiro, mai. Dal primo anno, cavolo >> precisò alzando il tono, stavolta irritato. << L'hai sempre fatta dannare, l'hai presa costantemente per i fondelli, la insultavi ogni volta che la vedevi e ora mi vieni a dire che è la tua ragazza? Accidenti, lei ti odiava! Cosa cacchio è successo? >> 
<< Te l'ho già detto. Le cose sono cambiate >> dichiarò David, impassibile. 
Silenzio. Ancora. 
Tutte quelle pause non facevano che esasperare la mia condizione mentale. 
La situazione stava già volgendo per il peggio, con quei silenzi non sapevo cosa dovermi aspettare. 
<< La stai prendendo in giro? Le stai facendo credere di tenere a lei per poi scaricarla quando ti sarai stufato? >> 
<< Credi che sarei capace di farlo? >> 
<< Non lo so, Dave. Sinceramente non lo so. Stiamo parlando di Sarah, della persona che hai tenuto di mira per quasi quattro anni >> puntualizzò Brad, come se ci tenesse a ricordarlo per dimostrare quanto le parole dell'amico fossero inverosimili. << Vuoi farmi credere che stai facendo sul serio con lei? >> incalzò con un tono dubbioso. 
<< Non devo farti credere niente. Sei già piuttosto convinto del contrario >> replicò il mio ragazzo, la voce fredda. 
In quel momento mi resi conto che David si stava limitando a rispondere senza attaccare. Il semplice fatto che il suo tono fosse duro e la sua concisione fosse un avvisaglia di nervosismo, erano soltanto un modo per celare quello che in realtà avrebbe voluto dire. Si stava trattenendo. Stava controllando la sua impulsività nell'agire e nella scelta delle parole come gli avevo chiesto.
Malgrado il momento poco consono, le mie labbra si stirarono in un piccolo sorriso. 
<< Infatti. Non scommetterei un centesimo sulla veridicità di ciò che provi per lei >> sputò Bradly. << Hai solo cambiato il modo di divertirti, la vittima è la stessa. >>
<< Addirittura. >>
<< Sì, Dave. E ciò che è peggio è che hai deciso di fare il tuo sporco giochetto con la ragazza a cui corro dietro da tre anni! >>  
Sobbalzai nel sentire che qualcosa veniva sbattuto contro il pianale di un banco, forse una mano. 
Subito dopo le mie orecchie captarono la bassa risata di David. << Sei completamente fuori strada. >> 
<< Vedremo >> sentenziò l'altro. << Aspetto con ansia il momento in cui Sarah aprirà gli occhi e ti manderà a quel paese. Ed indovina chi le farà cambiare idea sul tuo conto? >> sibilò. << Vuoi giocare sporco, Dave? Sarai accontentato, solo che io lo farò per il suo bene. Sono stato a guardare per quattro anni, adesso hai proprio superato il limite. >>
<< Tu azzardati a toccarla e non hai idea di quello che ti farò passare >> ringhiò David, il tono talmente basso da apparire ancor più minaccioso. << Non sto scherzando. Né ora né tantomeno prima. >> 
<< Hai paura che ti venga tolto il giocattolo? >> 
<< Non mi provocare. Non ti conviene, Brad. >> 
Silenzio. 
Il cuore mi era salito fino alla gola e stava picchiando contro la trachea. Lo sentivo pulsare sotto la pelle. 
D'un tratto udii dei frettolosi passi che si dirigevano alla porta. Sgranai gli occhi per lo spavento e corsi più veloce che potei dentro l'aula più vicina. 
Mi abbassai sui talloni per spiare dal buco della serratura appena in tempo per vedere Thomson che percorreva il corridoio come una furia, lo sguardo adirato. 
Santo cielo, per un pelo. 
Uscii frettolosamente dal mio nascondiglio e divorai i pochi metri che mi dividevano dalla classe in cui si trovava ancora il mio ragazzo. 
Nel momento in cui svoltai per entrare come un rinoceronte, il mio corpo si spalmò addosso a quello di David che stava uscendo. 
Sentii il mio povero naso accartocciarsi, e prima che rimbalzassi all'indietro le sue mani mi trattennero a sé con uno scatto repentino. 
<< Ehi >> pronunciò con una nota di divertimento. 
Alzai la testa, mezza intontita, e scorsi un sorriso addolcirgli lo sguardo ancora provato dal nervoso. 
<< Mi hai attaccato una cimice? >> domandò sollevando un sopracciglio. 
<< Oh, ehm... Io... >> Mi morsi un labbro in difficoltà. Non era esattamente corretto quello che avevo fatto, però la curiosità aveva vinto sull'educazione e... insomma, potevo ritenermi giustificata. 
<< Hai origliato, vero? >> Perfetto, smascherata in un nano secondo. 
Abbassai lo sguardo sul suo petto e ci appoggiai le mani. << Sì, ma... per caso. Cioè, non per caso, vi ho visti e... insomma, potrei avervi seguiti >> buttai là con una smorfia dubbiosa. 
Le sue dita risalirono fino alla mia vita. << E potresti aver ascoltato tutto >> mormorò rauco, la stessa venatura divertita nella voce. 
<< Sì, ecco, potrei >> asserii con una scrollata di spalle.  
La sua risata sommessa m'inondò le orecchie, la reazione del mio cuore fu immediata. 
Amavo sentirlo ridere, mi trasmetteva una felicità incondizionata. Una di quelle di cui non si teme il momento in cui finiranno. 
<< Meglio, così mi hai risparmiato la fase del riassunto >> dichiarò. 
Issai la testa ed affondai nel colore caldo delle sue iridi. Nonostante stesse sorridendo, non mi sfuggì la tensione che gli percorreva il viso. Aveva delle leggere rughe di espressione tra le sopracciglia e l'irrequietezza negli occhi. 
Probabilmente un estraneo non avrebbe neanche fatto caso a quei particolari, perché David sapeva nascondersi molto bene. Era un eccellente camuffatore. 
<< Non ti ha creduto >> mormorai con una nota afflitta. << E non ho ben chiaro quale sarà il suo metodo per cercare di farmi aprire gli occhi. >> Sollevai un sopracciglio scettica. Semmai, fra tutti noi, era Brad quello che avrebbe dovuto guardare in faccia la realtà dei fatti. Ma non potevo neanche biasimarlo per l'idea distorta che si era costruito della faccenda.  
Ovviamente gli appariva impossibile. 
David contrasse la mascella ed aumentò la pressione sulla mia vita, senza però farmi male. << Vuole farti allontanare da me. >> I suoi occhi sprizzavano lampi di rabbia. << Ad ogni costo. >> Deviò lo sguardo sul corridoio alle mie spalle e fece una smorfia con la bocca. << Come se glielo permettessi >> ringhiò a bassa voce. 
Il mio battito cardiaco accelerò drasticamente. Come una stupida mi ritrovai a sorridere davanti alla sua gelosia. Mi faceva sentire... amata. 
Gli accarezzai una guancia e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. Le sue iridi bruciavano come tizzoni ardenti. 
Riuscivo a percepire il suo affrettato respiro freddo contro il palmo. 
<< Quanto credi che resisterà dopo aver capito che non ho il minimo interesse per lui? >> chiesi sollevando le sopracciglia. << Alla fine saprà farsene una ragione, non mi starà dietro a vita. >>
Per una quantità imprecisata di secondi si limitò a fissarmi, alla fine emise un lungo sospiro e strinse i denti. << Me lo auguro. >>
Me lo auguravo anch'io. 

















































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Capitolo 15
*** Tripudio di emozioni ***


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Tripudio di emozioni





















Non ci capivo davvero più nulla. 
Mi chiedevo cosa cavolo stesse succedendo. Il mio cervello non sapeva darsi delle spiegazioni logiche. 
Ero arrivata ad una sola conclusione: o ero cretina io o lo erano gli altri.
Insomma, com'era possibile che in quel momento fossi seduta al tavolo di Clar e Kevin senza David? Dico, ci stavamo prendendo in giro? 
Eravamo usciti allo scoperto con "il problema", che oltretutto era sparito chissà dove, e ancora non riuscivamo a mangiare allo stesso tavolo. 
Anche se non avesse voluto presentarmi subito ai suoi amici, sarebbe potuto venire lui da me. Ma cosa accidenti gli frullava per la testa? 
Ero una belva. Se prima mi si era un po' riaperto lo stomaco, adesso lo avevo sigillato coi catenacci. 
Sentivo l'agitazione mescolarsi alla rabbia come in una pentola ad alta pressione. Ci mancava poco che non mi sbuffassero le orecchie. 
Clar ogni tanto mi lanciava delle occhiate interrogative, ma io scuotevo puntualmente la testa per farle intendere che non ero in vena. Se avessi aperto bocca non mi sarei più frenata. Non volevo neanche immaginare la quantità d'improperi che avrei scagliato a destra e a manca. 
Volevo soltanto andare da David, prenderlo per il collo, sbatacchiarlo ed urlargli in faccia. 
L'unica cosa che mi tratteneva dal farlo era il carcere nel quale mi avrebbero rinchiusa. Davanti agli occhi degli altri sarei passata per una pazza psicopatica, non per la sua ragazza imbestialita. Eh certo, perché nessuno sapeva di noi. 
Misi una mano sugli occhi e cercai di trattenere la furia omicida che mi stava montando dentro. 
Quella sì che era una giornata di cacca coi fiocchi. Se non le avevo io, l'abbonata fissa alla sfiga, chi doveva averle? 
<< Aria di burrasca, Anderson? >> 
Alzai la testa lentamente e misi a fuoco Kevin, più che altro mi focalizzai sul suo sorriso pestifero. 
Se voleva due schiaffi non c'era bisogno di chiedere. Più che in vena di chiacchiere ero in vena di fare a botte.
Di fronte al mio mutismo aggrottò la fronte sconcertato. << È raro che tu stia zitta >> mormorò guardingo, come se temesse che da un momento all'altro mi trasformassi in un mostro mitologico. 
<< E non hai toccato cibo >> aggiunse Clar indicando il mio piatto. << Si può sapere che sta succedendo? >> 
Sbuffai e spostai l'attenzione su David, seduto scompostamente al suo tavolo con lo sguardo pensieroso. Non stava neanche parlando con gli altri. 
<< Vorrei saperlo anch'io >> asserii sollevando le sopracciglia. 
Dopo quelle parole mi guadagnai due paia di occhi scrutatori addosso. Sentivo i loro sguardi sondarmi come un topo da laboratorio. Al che girai la testa e li osservai a mia volta. 
Clar si spostò una ciocca di capelli dietro la schiena mentre le si formava una ruga tra le sopracciglia. << Che vuol dire che non sai cosa sta succedendo? Hai litigato con David? >> 
<< No, è questo il punto >> affermai con forza, sbattendo un gomito sul tavolo. 
Più ne parlavo e più sentivo crescere la rabbia. Ancora un altro po' e sarei esplosa come una mina. 
Scorsi Kevin abbassare la testa con un'espressione consapevole. << È per Brad, giusto? >> chiese subito dopo, mentre punzecchiava i broccoli nel piatto. 
Per un attimo rimasi sorpresa dalla sua domanda, poi mi ricordai che ovviamente lui sapeva. 
Era amico di Brad ed era a conoscenza della sua infatuazione nei miei confronti, probabilmente si era aspettato che sarebbe successo qualcosa col suo ritorno.
Annuii con un sonoro sbuffo. 
Immediatamente Kevin mosse il capo per mascherare una smorfia. 
Corrugai la fronte alla vista di quel gesto. << C'è qualcosa che dovrei sapere? >> 
<< Hanno parlato? >> domandò rapido piantando i suoi scuri occhi nei miei. 
<< Sì, e Brad non crede che David faccia sul serio con me. Ha praticamente minacciato di volermi far aprire gli occhi per far sì che io lasci David. >>
<< Santo cielo >> commentò Clar. Si passò una mano sulla fronte ed arricciò le labbra come tutte le volte che non le quadrava qualcosa. << Ma perché non dovrebbe credere che lui ti ami? >> 
Sollevai le sopracciglia. << A parte che quel cretino neanche glielo ha detto >> misi in chiaro con un gesto della mano. << Quando Brad gli ha chiesto se voleva fargli credere che stesse facendo sul serio con me, David si è limitato a dire che non doveva fargli credere nulla. È ovvio che quello si sia fatto un'idea ancor più contorta della cosa. >> 
<< Non è da David dire ai quattro venti i fatti suoi >> intervenne Kevin. << Per lui gli affetti sono una cosa privata ed unicamente sua. Non li metterebbe mai sulla piazza, specialmente se si tratta di doversi giustificare. >> 
Scossi la testa assottigliando lo sguardo. << Ma non doveva giustificarsi, avrebbe semplicemente spiegato il motivo per il quale sta con me. >>
<< Dai Anderson, vuoi farmi credere che Brad non lo abbia accusato? >> domandò agitandosi sulla sedia. << E secondo te un tipo come David risponderebbe: "ma... sai, amico... io... >> Intrecciò le mani con uno sguardo sognante, la voce teatralmente più stridula. << Io mi sono follemente innamorato di quella nana nevrotica che ho preso in giro per anni. Cosa posso dirti, amico? Al cuor non si comanda. Mi dispiace >> concluse con un sospiro mesto. 
Ero a dir poco basita dal suo modo, come al solito grottesco, di spiegarsi. Ancora una volta ero senza parole. 
Anche Clar pareva del mio stesso avviso, solo che lei lo guardava con gli occhi dell'amore. Ero sicura che se Kevin un giorno si fosse presentato vestito e truccato da donna, lei lo avrebbe sempre guardato in quel modo. 
Torn riportò lo sguardo nel mio, stavolta serio. << David non parlerebbe mai dei suoi sentimenti sapendo che verrebbero presi per falsi o denigrati. Né tantomeno per giustificarsi di un qualcosa di cui, sicuramente, non si sente in dovere di giustificarsi. >> Ci fu una pausa durante la quale non volò una mosca. Poi, improvvisamente, gli scappò un piccolo sorriso ed abbassò la testa, gli occhi persi in qualche remoto mondo. << È nel momento in cui usiamo qualcosa d'importante come giustificazione che gli facciamo perdere valore. Se teniamo davvero a quel qualcosa dobbiamo lottare con convinzione senza mai abbassare la testa. Deve diventare il nostro obiettivo, non una scusa per arrivarci. >> Il suo sorriso si fece più caldo mentre il mio cuore, irrimediabilmente, batteva più forte per quelle parole. 
<< Chi lo ha detto? >> domandai in un flebile sussurro. 
Sollevò gli occhi e mi osservò. Probabilmente stava notando le mie guance rosse ed il mio desiderio di sapere a chi appartenessero quelle parole riflesso nelle iridi. 
Forse, per quel motivo, il suo sorriso si estese. Subito dopo mi rivolse un cenno col mento. << Il tuo David, qualche anno fa. >> 
Lo sapevo, lo sapevo santo cielo. 
Calai lo sguardo sul piatto e mi grattai la testa per nascondere un sorriso. Come cavolo faceva quell'essere a farmi passare dalla rabbia cieca alla tenerezza? 
Kevin lo conosceva davvero bene. Molto più di me. 
Dovevo ammettere che un po' ne ero gelosa, però da un lato quello non faceva che accrescere la mia voglia di scoprire tutto di lui. 
E quindi dovevo dedurre che David non si fosse trattenuto soltanto perché glielo avevo chiesto, ma per la sua volontà di non usare ciò che provava per me come una giustificazione. Altrimenti, secondo la sua ottica, lo avrebbe privato del suo valore. 
In quel momento mi sarei voluta alzare per andare a baciarlo, poi picchiarlo e ribaciarlo.  
Era... un cretino. Ma il cretino più dolce che avessi mai conosciuto. 
Mi schiarii la voce e cercai di ricompormi. Sentivo le guance in fiamme.
Mentre rialzavo la testa, intercettai lo sguardo caloroso di Clar che mi stava osservando con un sorriso tenero. 
Mi scappò un altro sorriso, dopodiché portai una mano dietro al collo e guardai Kevin che si stava grattando il petto. << Tu... >> Cos'era quella vocina da micio morente? Tossii e m'impettii per darmi un minimo di contegno, attirando l'attenzione del troglodita. << Dicevo, tu hai idea del perché David... insomma, del perché non si sia seduto qua con noi? >> 
Oddio, ce l'avevo fatta. Via il dente via il dolore. 
Torn mi fissò come se fossi stata scema. << Vaglielo a chiedere. >>
Eh no. Che razza di risposta era quella? Se prima aveva guadagnato dei punti, adesso se li era persi tutti. 
Clar gli tirò una gomitata e lui si girò a guardarla risentito. << Dai aiutala, Kev. >> Gli scoccò un'occhiata perentoria, quasi minacciosa. << Niente torta se no. Decidi tu. >>
Torta? 
<< Torta? >> domandai dando adito ai miei pensieri. Ma di che stavamo parlando? 
Mentre Kevin la guardava con la bocca spalancata, come se non riuscisse a credere a quella cattiveria, la mia amica volse la testa verso di me e distese un braccio sul tavolo. << Sì, hai presente quella che faccio al limone? Quella col pan di Spagna e la panna. >>
Annuii con l'acquolina in bocca. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che avevo mangiato quella delizia. Clar era una cuoca eccezionale, a differenza mia. Io e i dolci eravamo come due rette parallele: senza punto d'incontro. 
<< Ecco >> riprese lei. << Kev ne va pazzo. La mangerebbe tutti i giorni, è diventata la sua droga. Durante le vacanze era sempre a casa mia a farne scorpacciata. Adesso mi sta implorando che gliela porti qua a scuola ogni santo giorno. >> 
<< Sì d'accordo, non c'era bisogno di raccontare tutte queste cose alla Anderson >> si lamentò il troglodita, imbronciato. 
Si era portato una mano sotto al mento e guardava fisso un muro della mensa. Sembrava che fosse... imbarazzato.
<< Non volevi che sapessi della tua intimità con la torta? >> lo stuzzicai sghignazzando. 
Lui mi lanciò un'occhiata fulminante e s'indicò il petto con un dito. << Te lo sogni il mio aiuto. >> 
<< E tu ti sogni la torta >> ribatté Clar facendo spallucce. 
Che ragazza! La adoravo ogni giorno di più. Lei sì che era un'amica. 
<< Vai così >> esclamai con approvazione, alzando il braccio. Clar mi schiacciò il cinque sotto lo sguardo stomacato del suo ragazzo. 
Poveretto, non aveva idea di con chi avesse a che fare. Sapevamo trasformaci in una macchina da guerra ad ogni evenienza. 
Il seriale mangiatore di torta sospirò rassegnato. Mi faceva quasi pena. Quasi. 
<< È incavolato, no? >> mi domandò con un gesto della mano.
Sbattei le ciglia più volte con un'espressione da fessa. << Chi? >>
<< Il dolce >> rispose serio. Vedendo che non reagivo alzò gli occhi al cielo. << Ma come si fa a parlare ad una così >> borbottò esasperato. << Stiamo parlando di David. Accidenti, prima mi fai le domande e poi ti scordi del soggetto. Io... boh >> concluse spalancando le braccia e scuotendo il capo. 
Ridacchiai divertita dalla sua espressione incredula e gli tirai un colpetto sull'avambraccio che aveva fatto ricadere sul tavolo. << Dai, ci sono. Dimmi tutto quello che sai. >> 
<< Sei tu quella che mi deve rispondere. Ti ho fatto una domanda >> mi fece presente con la stessa espressione. 
Mi rimisi a sedere composta con un colpo secco. << Ah, giusto. >> Mi schiarii la voce. << Dopo aver parlato con Brad era furioso, poi siamo venuti subito qui. Quindi deduco che sia ancora incavolato nero. >> 
<< E allora il mistero è risolto >> dichiarò buttandosi all'indietro, con la schiena contro la sedia. << Quando è furioso non vuole mai nessuno intorno. È pressoché impossibile che si avvicini a qualcuno. >>
Sollevai un sopracciglio. << E allora perché è andato tra i suoi amici? >> 
D'accordo che non lo avevo mai visto rivolger loro parola, ma se non voleva nessuno intorno perché era lì?
<< Be' perché sa che loro non gli faranno domande. Quando i ragazzi vedono che a David girano parecchio, lo lasciano in pace. Sanno che non tira aria >> spiegò con una scrollata di spalle mentre giocava col tappo della bottiglia. 
Il mio sopracciglio schizzò ancora più in alto. << In parole povere stai dicendo che io lo tartasserei? >> Cioè, non avevo capito, ero io il problema? 
Un lato della sua bocca si piegò all'insù. << No, ma probabilmente cercheresti di tranquillizzarlo. In questo momento ha bisogno di darsi una calmata da solo. Fa sempre così quando è particolarmente nervoso. >> Guardò ancora il tappo, poi sollevò la testa ed i suoi occhi vennero catturati da qualcosa oltre le mie spalle. << O forse a volte fa delle eccezioni. >> 
Prima che capissi il significato di quell'affermazione, sentii una mano sulla schiena. 
Il mio cuore ed il mio intero corpo ebbero un sobbalzo incredibile. Era stato come se una scarica elettrica mi avesse trapassato il cervello.
Un attimo dopo udii la sedia accanto alla mia slittare. Alzai il capo di scatto ed il mio battito cardiaco ebbe una seconda impennata. 
Santo cielo. Non potevo crederci. Ero sveglia o stavo dormendo? Avrei dovuto tirarmi uno schiaffo per scoprirlo, ma non mi sembrava opportuno. 
David si girò per guardarmi. 
Boom. Morta. 
Dio, avevo bisogno di acqua. Acqua fredda. In testa avevo un tale traffico di pensieri da essere andata in tilt. 
Richiusi la bocca, che non mi ero accorta di aver avuto spalancata, e lanciai uno sguardo a Kevin. << Mi passi l'acqua? >> domandai tendendo il braccio. 
Se quel cretino non si fosse sbrigato sarei morta d'iperventilazione. 
Quel maledetto si dondolò sulla sedia con un sorrisino che, purtroppo, conoscevo. Significava che si sarebbe divertito a mie spese. 
<< Manca una parolina magica >> se ne uscì infatti. 
Gli scoccai l'occhiata più omicida del mio repertorio. << Dammi l'acqua, idiota >> sibilai tra i denti. 
Clar sospirò e si sporse per prendere la bottiglia, dopodiché me la passò. Mentre mi versavo avidamente l'acqua nel bicchiere sotto lo sguardo attento di David, non mi persi il momento in cui la mia amica fulminò il suo ragazzo e gli disse le parole che più temeva: "niente torta". 
Sorrisi malignamente e mi beccai lo sguardo di fuoco di quel cavernicolo. Ben gli stava. 
<< Non hai mangiato nulla >> constatò David, indicando il mio piatto col mento. Adagiò gli avambracci sul tavolo e risollevò lo sguardo nel mio. 
No, non potevo farcela. Mio Dio, era la prima volta che ci comportavamo da coppia davanti agli altri a scuola. Era tutto talmente nuovo da mandarmi in fibrillazione. 
<< È quello che le ho detto anch'io >> intervenne Clar, lanciandomi un'eloquente occhiata di sprono. 
Sì, dovevo parlare. Ne ero capace. Sì, potevo farcela. 
Cercai di dissimulare l'imbarazzo, e quell'altro miliardo di emozioni che mi si mescolavano nello stomaco, con un colpo di tosse. 
Fissai i penetranti occhi del mio ragazzo, la gola improvvisamente secca. << Non avevo fame >> riuscii a dire con non poca fatica. 
Santo cielo, non poteva guardarmi in quel modo. Sembrava che mi stesse scavando dentro. Mi sentivo... nuda. 
Gli angoli delle sue labbra s'incresparono in un sorrisetto furbo. << Quindi adesso ne hai. >>
Boccheggiai come una scema. Ero così presa dallo straordinario fatto che lui fosse lì accanto a me da non capire un accidente di nulla. 
Il suo sorriso si estese, facendomi battere forte il cuore. Successivamente abbassò le palpebre e guardò qualcosa nel mio piatto. << Almeno mangia un po' di carne. >> Ripiantò gli occhi nei miei e mi osservò per qualche istante. Non volevo sapere che intelligente faccia avessi. Puntellò le mani sul tavolo e fece slittare la sedia per alzarsi. << Aspetta qua >> ordinò prima d'incamminarsi verso un luogo a me ignoto. 
Mio Dio. Quanto avevo già sudato? Stavo forse puzzando? 
Avrei voluto annusarmi un'ascella, ma resistetti alla tentazione. 
<< Sta andando bene, Sarah >> m'incoraggiò Clar mostrandomi i pollici di ambedue le mani con un sorriso smagliante.
<< Sì, molto. Quando la Anderson perde la lingua si sta sempre bene >> commentò quel facocero del suo ragazzo. 
Fu grazie a quelle antipatiche parole che riassunsi il controllo della mia faccia e mi tolsi l'espressione da pesce lesso intontito. 
Lo fulminai e subito dopo sollevai un sopracciglio. << Non ti va giù la faccenda della torta, eh? >> lo pungolai beffarda. 
I suoi occhi si ridussero a due fessure. << Certo che non mi va giù. >> Si sporse sul tavolo e m'indicò minacciosamente con l'indice. << Quindi tu adesso farai qualcosa per me. Dille di farmela mangiare >> comandò spostando il dito su Clar. 
<< Vaglielo a dire tu >> gli feci il verso. 
La mia amica sospirò ed alzò gli occhi al cielo. Era divertita ed al tempo stesso esasperata dai nostri continui battibecchi, lo si capiva dal modo in cui sorrideva e scuoteva il capo. 
<< Anderson >> mi richiamò Kevin in un sibilo. << Diglielo. >> 
<< No, stattene a dieta. Nel frattempo me la mangerò io >> asserii con un sorriso angelico. 
Torn cercò di uccidermi con lo sguardo. Lo percepivo. Ci stava mettendo tutta la sua forza per riuscirci. Peccato che io fossi immortale alle sue occhiatacce. 
<< Spero che ti vengano dei fianchi talmente larghi da non poter passare dalle porte >> sputò risentito. 
Mi accigliai e gli scoccai uno sguardo di fuoco. << Ed io spero che ti venga una pancia talmente grossa da far rimbalzare le palle durante le partite. >> 
Per i secondi successivi ci guardammo in cagnesco. Come aveva osato augurarmi di non passare dalle porte? E pensare che in alcuni momenti riuscivo anche a rivalutarlo. Quello zotico troglodita non si meritava la mia infinita magnanimità. Era e sempre sarebbe stato un cinghiale maleducato. 
Alla fine sbuffai dal naso e distolsi l'attenzione stizzita. 
Sentii un nuovo sospiro di Clar, stavolta afflitto. << Cosa devo fare con voi? Ma neanche tra cani e gatti succedono queste cose >> si lamentò facendo rimbalzare lo sguardo tra me e quel facocero ignorante. << Dai, fate pace. >>
Le rivolsi un'occhiata di sufficienza con la coda dell'occhio. << Esigo delle scuse prima. >> 
<< Ma col cavolo, Anderson >> ribatté lo zotico. << Prima la torta. >> 
Strinsi i denti e ruotai il busto di scatto, gli occhi accesi di sdegno. << Sei incivile >> dichiarai secca. Poi posi l'attenzione su Clar. << Puoi continuare ad essere la sua pusher. Più va in astinenza, più diventa odioso. >> 
La mia amica si lasciò andare ad una risata e diede una gomitata al suo ragazzo dolce-dipendente. 
Lui osò fare una smorfia con la bocca prima di guardarmi. Che maleducato. 
<< Sto aspettando >> incalzai battendo un piede per terra. 
<< Mm >> mugugnò inespressivo. << Scusa. >> Oh, sentivo le campane. Finalmente dalla sua bocca era uscita una parola educata. Che momento incredibile. 
Clar batté le mani soddisfatta. << Oh, bravi! Così si fa >> esclamò annuendo. << Sono molto orgogliosa di entrambi. >> 
D'un tratto vidi la sua bocca stirarsi in un sorriso e gli occhi di Kevin alzarsi. Irrimediabilmente il mio cuore ricominciò a battere. 
Girai il capo non appena udii la sedia accanto slittare di nuovo. David si risedette ed adagiò un piattino con una fetta di torta al cioccolato sul mio vassoio. 
Oh santo cielo. Era andato a comprarmi il dolce. Quando avevamo fatto la fila insieme gli avevo detto che avrei voluto mangiarlo, anche perché era una delle poche cose buone in quella mensa, ma una ragazza si era preso l'ultimo piatto ed aveva crudelmente infranto i miei sogni. 
In quel momento il cuore stava per zomparmi fuori dal petto. 
Intrecciai le mani ed osservai quella gustosa fetta con gli occhi illuminati di felicità. << L'hai trovata. >> 
<< Sì, ne hanno riportati dei piatti >> spiegò lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. 
Impugnai la forchetta come fosse stata un'arma e ne tagliali un primo pezzo per poi portarmelo in bocca. Finalmente le mie papille gustative si svegliavano. 
Mentre il cioccolato si scioglieva morbidamente sulla mia lingua, adocchiai lo sguardo di Kevin fisso sulla mia torta. 
Ma allora era un drogato di dolci a livelli estremi. 
Spinta da un moto di compassione per la sua espressione da cucciolo affamato, allungai il piatto verso di lui ed indicai la fetta con la forchetta. << Ne vuoi un pezzetto? >> 
Le sue iridi castane s'illuminarono come lampadine ed annuì. Prese frettolosamente la sua posata e tese un braccio. 
<< Ho detto un pezzetto, Torn. Non la fetta intera >> gli ricordai. Era sempre meglio ribadire. Non sarei voluta rimanere a bocca asciutta per la seconda volta. 
<< Sì, ho capito. Un pezzetto >> ripeté mentre imprimeva la forchetta nel dolce per tagliare la sua piccola parte. Subito dopo la infilzò ed io potei ritrarre il piatto per continuare a mangiare. 
Misi in bocca un altro pezzo e lo assaporai deliziata. Quella sì che era la bontà. Probabilmente mi sembrava ancora più buono per via della fame.
Nel momento in cui stavo per deglutire ci mancò poco che non mi strozzassi. 
C'era un braccio. Dietro di me. 
Oh mammina santissima.
David aveva appena abbandonato il braccio sulla testata della mia sedia. 
Quello era un gesto da coppietta, no? Oddio, non potevo crederci. Era tutto così improvviso e meravigliosamente inaspettato che il mio cervello non riusciva a darsi tregua. I miei neuroni saltellavano da una parte all'altra come le caprette di Heidi. 
Per quel motivo percepii un certo calore risalire lentamente fino al viso e riscaldarmi le guance. 
Quando alzai la testa per osservarmi intorno mi trattenni dallo sgranare gli occhi. Ardua impresa. Soprattutto se considerato che un sacco di capocce erano rivolte verso di noi e ci stavano fissando con palese curiosità. La maggior parte ragazze. 
Da una parte ero ampiamente soddisfatta della cosa, così quelle oche pettegole avrebbero capito che David era off limits, dall'altra però odiavo ricevere tutte quelle attenzioni. Insomma, era imbarazzante. 
<< Com'è la torta? >> domandò David, il tono tranquillo. Subito dopo lo sentii pungolarmi la schiena con le dita, come se stesse suonando su una tastiera. 
Oh Signore! Ero vicina al collasso. Non credevo che il mio cuore avrebbe retto ancora per molto. 
Lo guardai da sopra la spalla e mi sforzai di fingermi rilassata. Certo, come se la cosa fosse stata semplice. Avevo le sue intense pozze ambrate fisse addosso e la sua mano che continuava a punzecchiarmi delicatamente. 
<< Buona, la vuoi assaggiare? >> risposi speranzosa. Mi piaceva condividere il cibo con lui. Era come se ci rendesse ancora più vicini, in sintonia ed intimi. 
Con mia immensa gioia, annuì e si aprì in un sorriso sghembo. Assomigliava ad un bambino al quale viene concesso di scartare un regalo prima del tempo. 
Il mio battito cardiaco, neanche a dirlo, ne risentì. 
Si staccò dallo schienale per mettersi seduto composto mentre gli porgevo il piatto. 
Mi sfilò la forchetta di mano, esasperando la condizione dei miei neuroni ballerini, se ne tagliò un pezzetto e lo mise in bocca. 
<< David >> lo chiamò Kevin. 
Il mio ragazzo girò la testa ed appoggiò lo sguardo su di lui. Io nel frattempo non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Lo osservavo masticare come se non ci fosse stato niente di più bello. 
<< Prima il coach mi ha fermato nel corridoio. Dopo le lezioni vuole fare il punto della situazione con tutta la squadra in vista delle prossime partite >> gli spiegò il suo amico. 
<< Fino a che ora? >> domandò lui. Oh santo cielo. Non potevo crederci. Quella era la prima frase che gli rivolgeva dopo mesi. 
Mi ero aspettata che avrebbe semplicemente annuito, invece stava cercando di allungare la conversazione. Anche Kevin sembrava sorpreso quanto me, lo supponevo dall'impercettibile dilatazione dei suoi occhi. 
<< Non lo so >> rispose sbattendo in fretta le palpebre. Corrugò la fronte e si grattò il naso come per camuffare lo stupore, poi rifocalizzò l'attenzione su David. << Credo durerà al massimo un'ora. Ho sentito dire da Hernest che quest'anno il mister ha intenzione di farci scontrare con la squadra che da due anni è in cima alla classifica. >>  Il mio ragazzo puntellò i gomiti sul tavolo e distese le labbra in un sorriso. Un sorriso rivolto unicamente al suo amico. << Bisognerebbe superare il primo girone intanto >> asserì inclinando la testa. << L'anno scorso abbiamo fatto schifo per tutta la stagione. >>
Mi voltai a guardare Clar con un sorriso da parte a parte. 
Si stavano parlando. Di nuovo. Lo sport si rivelava sempre un terreno fertile. 
Quella giornata aveva dell'incredibile, era un tripudio di emozioni e gesti inaspettati. 
Lei annuì lentamente con gli occhi accesi di entusiasmo, conscia di quali fossero i miei pensieri. Sicuramente gli stessi che stava sfornando lei. 
<< Dipende da quanto sono disposti a sacrificarsi i ragazzi a questo turno >> rispose Kevin. << L'anno scorso ci allenavamo, ma ogni volta mancava qualcuno. >>
Tornai a guardare il profilo di David, che in quel momento stava facendo segno di assenso col capo. << Probabilmente è per questo che il coach vuole vederci oggi, prima che da domani ripartano gli allenamenti >> ipotizzò. 
Misi in bocca un altro pezzo di torta e continuai ad esaminare il mio ragazzo. Fu proprio durante la mia meticolosa osservazione che mi accorsi della traccia di tensione che ancora gli induriva la mascella. 
Era palese che il nervosismo per la faccenda di Brad non gli fosse scemato del tutto. 
<< Sì, credo proprio che voglia farci recuperare lo spirito di squadra >> convenne Kevin. << È quello che per adesso ci manca. >> 
Ed ora che ci facevo caso anche la postura delle sue spalle era rigida. Solo il tono con cui parlava era rilassato, in perfetto contrasto con quel che comunicava il suo corpo. 
<< Per quando è fissata la prossima partita? >> chiese appoggiando gli avambracci sul pianale. 
Senza pensarci minimamente, ma neanche per un secondo, alzai una mano e l'allungai verso la sua testa. Prima che il mio cervello si riattivasse, i miei polpastrelli sfiorarono i suoi capelli sopra l'orecchio. 
Iniziai a pettinarglieli delicatamente con le unghie come se stessi facendo dei grattini, udendo immediatamente un flebile sospiro uscirgli dalla bocca. 
Ero talmente assorta dall'azione che stavo compiendo da non far caso nemmeno al mio cuore. Il fatto che battesse frenetico era superfluo. 
<< Credo sia agli inizi di febbraio, ma dovrei ricontrollare il calendario per esserne sicuro >> affermò Kevin. 
David annuì e rilassò le spalle con un altro sospiro, dopodiché tese una mano fino al mio piatto e staccò un pezzo di torta per portarselo alla bocca. 
Sorrisi nel guardarlo mentre ancora gli passavo le dita in mezzo a quell'anfratto di capelli. Per stare più comoda appoggiai l'avambraccio sulla sua spalla e la schiena contro la sedia. 
Kevin corrugò la fronte titubante e persistette a fissare il suo amico. << Secondo te quest'anno quante probabilità abbiamo di arrivare a sollevare quella benedetta coppa? >> domandò prendendo il tappo della bottiglia per giocarci. 
Clar osservava assorta la sua mano mentre faceva saltare quel piccolo oggetto tra le dita. In effetti mi chiedevo anch'io come facesse. Probabilmente era il frutto della sua nullafacenza durante le lezioni.
<< Se c'impegnassimo sul serio, senza prendere la cosa sottogamba, credo che potremmo farcela >> dichiarò David prima di prendere l'ultimo grosso pezzo della torta. Solo che stavolta, invece che mangiarselo, deviò il tragitto del braccio e me lo porse. 
Lo presi con un piccolo sorriso mentre i condor mi svolazzavano energicamente nello stomaco. 
<< E poi questo è l'ultimo anno >> continuò a dire senza allontanare lo sguardo da Kevin. << Io quella stramaledetta coppa voglio alzarla. >> 
Torn sorrise per il suo discorso ed annuì risoluto. << Deve essere l'ultima cosa che facciamo qua dentro. >>
<< Almeno tutte le lezioni che avete saltato avrebbero un senso >> m'intromisi. 
David girò la testa per guardarmi con un sorrisetto divertito mentre Kevin mi fissava inespressivo. Clar invece di darmi manforte, ridacchiava. 
<< Quella sarebbe l'ultima delle motivazioni, Anderson >> mi fece presente lo zotico facocero. 
Ed io che pensavo di aver detto una cosa di rilievo. 
Lasciai cadere la mano con cui stavo accarezzando i capelli di David ed incrociai le braccia sul petto. << Be', dovrebbe essere tra le prime >> mi difesi sollevando le sopracciglia. 
<< In un'altra vita forse >> ribatté ancora una volta Torn. 
Prima che lo attaccassi alla giugulare e gli facessi raggiungere quella seconda vita, la campanella risuonò per tutta la mensa. 
Quello stridio mi rese consapevole che quel momento era finito. 
Mentre ci alzavamo dalle sedie lanciai delle occhiate a David, Clarice e Kevin senza impedirmi di sfoggiare un piccolo sorriso. 
Quell'originale ed emozionale pranzo era già diventato un ricordo. 
Un ricordo che avrei sicuramente custodito con calore fino alla fine dei miei giorni. 





                                                                    *  *  *





Le ultime due ore erano trascorse nella quiete più assoluta. Fortunatamente non avevo avuto lezioni in comune con Bradly, il che mi aveva fatta stare più tranquilla. 
Per quella giornata avevo in un certo senso evitato il problema. 
Ed in quel momento, mentre ero sdraiata sul mio letto con il computer sulle gambe, preferivo non pensare a quello che sarebbe potuto succedere il giorno dopo. 
Appena il pensiero mi correva a Thomson venivo invasa dall'ansia. Soprattutto al ricordo delle sue parole che suonavano come una minaccia. 
Se credeva che avrei cambiato opinione su David si stava illudendo. 
Il passato era ormai passato. Adesso giudicavo il mio ragazzo sulla base dei sentimenti che mi suscitava e su ciò che mi dimostrava ogni giorno. 
Non sarebbe di certo bastato l'intervento di Brad per farmi cambiare idea, neanche se avesse tentato di farmi il lavaggio del cervello.
Essendo una persona tendenzialmente insicura potevo affermare di avere poche certezze nella vita. Una di queste era David. 
E quando qualcuno cercava di minare le mie solide convinzioni diventavo una iena. 
Per quello ed altri motivi ero sicura che Brad avrebbe gettato la spugna presto. Alla fine avrebbe capito che non c'era verso di farmi allontanare da David. 
Se dovevo trovare qualcosa che, in tutta quella faccenda, non mi faceva dormire tra due cuscini era per colpa di Kevin. Perché aveva fatto quella smorfia? 
Alla fine mi ero fatta trascinare dal flusso del discorso e non avevo insistito su quel particolare. C'era forse qualcosa di cui non ero a conoscenza? Mi sembrava impossibile. Insomma, io e David ci eravamo sempre detti tutto. 
Be', più che altro ero io quella che tendeva a raccontare qualsiasi cosa, anche la più insignificante. David era solito trattenere tutto dentro di sé, probabilmente per non farmi preoccupare. Confessava soltanto quando lo mettevo con le spalle al muro. Quindi la domanda mi sorgeva spontanea: la smorfia di Kevin celava qualcosa? 
Abbassai lo sguardo sulle mie mani appoggiate alla tastiera. 
Non ci avevo mai fatto molto caso fino a quel momento, ma... David non si apriva quasi mai di sua spontanea volontà. Non l'aveva fatto quando mi aveva spiegato perché mi evitasse davanti ai suoi amici, non l'aveva fatto quando avevamo parlato di Kevin, non l'aveva fatto quel giorno mentre discutevamo su Brad e continuava a non farlo non dando delle risposte precise alle mie domande. 
E pensare che, ogni giorno, ripetevo a me stessa che avrei voluto sapere tutto di lui. Ma come facevo se non si apriva? E se poi, a furia di bombardarlo di domande, si fosse stancato di me? 
Sospirai dal naso mentre gli occhi mi scivolavano sul braccialetto che mi aveva regalato per Natale. Iniziai a giocarci con una mano, facendo muovere piano i pendenti. 
Mi sentivo... No, non esisteva una parola che potesse descrivere in modo dettagliato il mio stato d'animo. 
Insomma, eravamo diversi, e questo ovviamente non era un problema. Solo che... magari ero io a sbagliare, forse non avrei dovuto fargli carico di tutto quello che succedeva nella mia vita. Non volevo passare per la bambina che raccontava tutto senza freni. 
Probabilmente l'atteggiamento di David era più maturo... 
Ma col cavolo che lo era. Com'era invece che io, la sua ragazza, non sapessi quasi niente della sua famiglia se non per quello che mi aveva detto Dorothy? 
Avevo conosciuto sua mamma e suo fratello, d'accordo, ma poi lui mi aveva mai raccontato qualcosa in più sul suo passato? Su suo padre? No, non lo aveva mai fatto. 
Non pretendevo che mi mettesse al corrente di tutto, ma pretendevo di conoscere ciò che lo aveva fatto diventare il ragazzo che era. Non pretendevo di sfondare la porta ed entrare nella sua vita come un'inquisitrice, ma avrei desiderato che mi tendesse una mano e mi ci facesse entrare in punta di piedi. 
Non volevo conoscerlo attraverso gli altri. Volevo sentire la sua voce. Volevo sentirla mentre mi raccontava di sé: del suo carattere, dei suoi difetti, delle sue passioni, del suo gusto di gelato preferito, di tutto. 
Volevo la condivisione
Era quello che cercavo di fare ogni giorno mentre gli riportavo ciò che mi era successo. Cercavo disperatamente di condividere la mia vita con lui. 
Quanto si stava sforzando David per fare lo stesso? Probabilmente non ci aveva mai pensato. E quindi quanto si stava ancora tenendo per sé? Io non volevo essere protetta, dannazione. Se c'era un problema volevo che lo condividessimo e lo affrontassimo spalla contro spalla. 
Lui non doveva fare l'eroe, non doveva dimostrare nulla, doveva solo darmi la possibilità di esserci sempre. 
Sentii bussare alla porta, oltretutto già aperta, e girai la testa. 
Cam era immobile sulla soglia con le braccia incrociate sul petto. La prima cosa a cui feci caso, oltre alla sua postura, fu l'abbigliamento. 
Stranamente non indossava la tuta da casa come tutte le sere. Quel dettaglio mi fece rizzare le orecchie. 
<< Papà vuole sapere perché a cena non hai mangiato la frutta >> esplicò annoiato. 
Sollevai le sopracciglia e sbattei le ciglia. La risposta mi sembrava ovvia. << Perché non mi andava. >> 
Cam voltò il capo verso il corridoio, in direzione delle scale. << Perché non le andava! >> gridò con la sua potente voce. Non mi sarei meravigliata se con quell'urlo il pavimento avesse tremato. 
<< Sarah >> vociò mio padre dal piano di sotto. << Vieni a mangiare un'arancia. >>
<< Ma non mi va >> risposi guardando Cam, che nel frattempo stava alzando gli occhi al cielo. << Perché, tu te la sei mangiata? >> gli chiesi scettica. 
Sfoderò un sorriso da chi la sa lunga. << Certo, che domande. >>
<< Bugiardo >> lo accusai accigliandomi. Credeva di poter prendere in giro me? Ancora non aveva capito che lo avrei sempre smascherato. Sapeva mentire così male, ed io lo conoscevo così bene, che non c'era verso che riuscisse a farmela sotto al naso. 
<< Sarah, le arance stanno diventando due se non ti sbrighi >> insistette mio padre. 
Oh santo cielo, no. Come minimo sarei stata tutta la notte in bagno a fare pipì. 
<< Arrivo! >> urlai gettando il computer di lato ed alzandomi in piedi. Fulminai Cam prima di raggiungere la scrivania ed acciuffare il cellulare. Dovevo mandare un messaggio a David per dirgli di sbrigarsi ad arrivare. 
Ero quasi certa che quella notte Cam sarebbe uscito. Il fatto che indossasse ancora i vestiti del giorno era un indizio che concretizzava il mio sospetto. 
Sbloccai la schermata e lanciai un'occhiata di sottecchi a mio fratello. << Come hai fatto a non mangiare la frutta? Confessa. >> 
Lui fece spallucce e sospirò teatralmente. Si sentiva un genio del male, era evidente. 
<< Sorellina, devi ancora imparare i trucchi del mestiere. Basta chiacchierare un po', far deviare l'attenzione della vittima e lanciare l'arancia nel cesto senza farsi notare. È un ottimo allenamento per basket >> concluse con una smorfia di apprezzamento. 
Cam è vestito. La cosa è sospetta, quindi devi venire prima.
Inviai il messaggio, sentendomi immediatamente una sorta di spia in incognito. Era una sensazione elettrizzante. Mi sembrava di essere sul set di un film d'azione. 
Alzai lo sguardo sul sospettato per destare meno sospetti possibili. << Quindi non l'hai mangiata >> constatai con un sorrisetto furbo. 
Mi sarei vendicata, perdinci. A me toccava sempre ubbidire a papà mentre lui invece riusciva sempre a cavarsela. Dov'era la giustizia? 
<< Certo che no >> rispose pavoneggiandosi. 
Il cellulare mi vibrò tra le mani.
Perché, di solito sta nudo?
Oh, povera me. Il mio ragazzo era un idiota. Nonostante ciò, mi scappò un sorriso. 
Scemo, significa che stanotte saremo in missione! 
Sorrisi angelicamente a Cam e riposi il telefono in un cassetto della scrivania. 
<< Che stai combinando? >> mi chiese, le sopracciglia arcuate con sospetto. 
Giustamente quando volevo apparire il più disinvolta possibile, mi succedeva il contrario. Facevo davvero schifo a mentire. 
Scossi la testa e ridacchiai istericamente come una cretina. << No, nulla. Clar ha scritto una cosa che mi ha fatta ridere. >> Certo, come no. La pura verità. 
Prima che mio fratello fosse in grado di smascherarmi, schizzai nel corridoio e presi a scendere le scale. << Papà, Cam non ha mangiato la frutta. L'ha lanciata nel cesto senza farsi vedere! >> urlai scoppiando poi a ridere. 
Cam mi stava inseguendo a gran velocità. Appena saltai sul pavimento, mi sentii investire dal suo corpo e sospingere in avanti. 
Gridai tra le risa mentre cercava di mettermi una mano davanti alla bocca per evitare che dicessi altro. 
<< Complimenti, Cam >> disse solennemente nostro padre dalla cucina. << Ti sei appena aggiudicato tre arance. >> 
Nel sentire quelle parole, io risi ancora più forte, lui si immobilizzò. 
Cameron odiava le arance. Mangiava qualsiasi tipo di frutto, ma quello proprio non gli andava giù. Quella sua intolleranza era nata quando aveva cinque anni, più precisamente quando aveva vomitato la torta alle arance di nostra nonna. Quell'evento lo aveva talmente traumatizzato da avergli scatenato un'avversione per quel frutto. 
<< Tre arance >> ripetei soddisfatta. << Tre. >>
Un attimo dopo stavo ridendo fino alle lacrime per le sue mani che mi torturavano col pizzicorino. Cercai di liberarmi e bloccare le sue braccia, ma fu tutto inutile. Era, come minimo, dieci volte più forte di me. 
<< Finché non dirai che ti mangerai due delle mie arance, non ti lascerò andare >> minacciò divertito. 
Mi facevano male gli addominali, ma non potevo dargliela vinta. Sarei morta con onore. 
Mi lasciai scivolare a terra in un disperato tentativo di svicolare dalla gabbia nella quale mi aveva imprigionata e per un attimo mi sentii sollevata. Le sue mani non mi avevano ancora raggiunta. 
Approfittai di quel momento per scappare via carponi, ma venni afferrata per una caviglia e strattonata all'indietro. 
Persi l'appoggio con le mani e mi schiantai distesa sul pavimento mentre Cam rideva e mi trascinava come un sacco di patate. 
<< Mamma, papà, aiutatemi! >> gridai divertita. Allungai le braccia per terra e cercai goffamente di arrestare la mia triste sorte di essere usata come mocho. 
Mia mamma si affacciò dalla cucina e sgranò gli occhi. << Ma che state facendo? Cam, lasciala >> ordinò aprendosi in un sorriso. 
Peccato che mio fratello non fosse il tipo più ubbidiente sulla faccia della Terra. Infatti non mollò la presa sulla mia caviglia, ma bensì iniziò a camminare trascinandomi con sé. << L'accompagno in cucina, deve mangiarsi un bel po' di arance >> affermò sghignazzando. 
<< No! >> piagnucolai ridendo. << Sei tu quello che se le deve mangiare. >> Battei un pugno per terra e sospirai scuotendo la testa. Povera me. Che disgraziata. Sfruttata per lucidare il pavimento. 
Ma non importava, io ero una spia in incognito ed in quel momento stavo depistando l'attenzione del sospettato per agire al momento più opportuno. Forse mi ero calata un po' troppo nella parte, ma era necessario. 
Sì, perché quella notte insieme al mio socio avrei scoperto che cosa stava nascondendo Cam. 
La mission impossible stava per avere inizio. 

















Angolo dell'autrice: 

Hola, popolo!
Allora, prima di tutto mi volevo scusare per non aver ancora risposto alle recensioni. Ovviamente sono in ritardo, che novità! -.- 
Ma da domani, o da stasera, comincerò a rispondere a tuuuuuuuuutte quante! 
Passando a questo capitolo... allura, tutto ciò che avete letto non era previsto. Esattamente. Il mio cervello non aveva progettato niente del genere, ma poi il capitolo si è scritto da sé e... bah, è venuto fuori così. Spero vi sia piaciuto */\* 
Ci sono un po' di cose importanti in questo capitolo. Prima fra tutte quella che salta più all'occhio, ovvero il primo dialogo tra David e Kevin. Finalmenteeeeeeeeeeeee! *petardi a gogo*
Poi, andiamo avanti, la smorfia di Kevin. Cosa vorrà dire? *sguardo sospetto*
Ma prima ancora della smorfia, c'è una domanda di Clar alla quale non viene data risposta. Quella domanda sarebbe stata fondamentale per capire un po' di cose, ma ahimè, niente risposta. Eh eh eh. *si sfrega le mani*
Cos'altro? Ah sì, David! Come ho fatto a scordarmene? David che si siede accanto a Sarah! *_* 
Penultima cosa, Sarah che medita sul comportamento di David. Ecco, quella è una parte importante che verrà poi ripresa più avanti. Perché ovviamente il discorso non si chiude lì, ma ci saranno... delle conseguenze diciamo. Ma non posso dire altro >\\< 
E poi, per finire, la mission impossible. Ci siamo, girls!! Scopriremo qualcosa! \(^.^)/
Non so voi, ma io amo Kevin, specialmente quando bisticcia con Sarah. Quei due hanno un rapporto particolare. 
Bene, ho detto tutto! 
Il prossimo capitolo arriverà domenica prossima! XD
Intanto vi mando un bacioneeeeeeeee!! <3
GRAZIE DI TUTTO! <3


Federica~































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Capitolo 16
*** Mission Impossible ***



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Mission Impossible














Ogni cellula del mio corpo era in fermento. Per la prima volta in vita mia ero in procinto di compiere un'azione folle, ai limiti della sconsideratezza. 
Camminavo avanti e indietro facendo cigolare il parquet sotto ogni rapido passo. 
Il cuore mi batteva forte ed i palmi mi sudavano. 
Mi ero già cambiata. Avevo indossato un paio di comodi leggins neri ed un maglione nero a collo alto. Nell'armadio avevo già pronti il cappotto nero ed il berretto di lana nero. 
Sì, mi ero molto calata nella parte della spia. Ma dopotutto era ciò che ero. Il mio abbigliamento dovevo per forza essere consono alla grande impresa che mi attendeva fuori casa. 
Per destare ancor meno sospetti avevo appoggiato una maglietta sopra l'abat-jour accesa, in modo tale che la luce che filtrava da sotto la mia porta fosse più impercettibile che mai. 
I miei genitori si erano già ritirati in camera a dormire, Cam invece era davanti alla televisione. Lo capivo dal lieve mormorio che giungeva dal piano di sotto. 
Chissà quale altra cretinata aveva raccontato ai nostri genitori per ottenere il permesso di sgattaiolare fuori a... Che ore erano? Le undici e un quarto. 
Ero quasi sicura che sarebbe uscito di lì a poco. Ed io lo avrei seguito. Non avevo ancora ben chiaro in che modo, ma lo avrei fatto. 
Durante l'attesa avevo formulato un piano, anche se presentava qualche piccolo punto interrogativo. Uno fra i tanti riguardava il mezzo di trasporto con cui avrei dato la caccia a Cam e ai suoi amici procioni. A pensarci bene non era poi così piccolo come punto di domanda. 
Mica lo potevo rincorrere in bicicletta... o forse sì? No, era impossibile. Come minimo sarei stata smascherata dopo un nano secondo. E poi per sostenere la velocità di una macchina guidata da procioni fuori di testa avrei dovuto sputare un polmone. No, era infattibile. 
Cosa mi restava quindi? Arrestai il passo. Il monopattino? Certo, perché non ci avevo pensato prima. Io e David a cavallo del mio vecchio monopattino delle principesse a rincorrere una macchina nel cuore della notte. Alla faccia della professionalità. 
No no, dovevo pensare a qualcosa di più pratico e fattibile. Quelle proposte partorite dal mio cervello erano assurde. 
Il mio cellulare vibrò in quell'istante. 
Sono qua sotto. Apri la finestra.
Oddio, David era arrivato. Il cuore mi balzò in gola per l'emozione. 
Issai la finestra e lanciai un rapido sguardo nell'oscurità del giardino. Il vento sferzava i rami dell'albero su cui il mio ragazzo si stava arrampicando, facendomi salire l'ansia. 
Ci mancava pure quel gelido vento, non era bastata la neve dei giorni precedenti. Se non altro in quel momento non si vedevano fiocchi all'orizzonte. 
I miei occhi non si staccarono mai dalla sua figura. Era veloce e agile nei movimenti nonostante indossasse il giubbotto. Per un attimo immaginai il modo in cui i suoi muscoli si stessero flettendo e contraendo sotto la maglietta. Malgrado il freddo che penetrava dalla finestra, fui colta da una vampata di calore. 
Infilò un piede, poi l'altro, finché non me lo trovai davanti in tutta la sua altezza. 
I suoi occhi percorsero il mio intero corpo mentre un sorrisetto sghembo gli accendeva lo sguardo. In quel momento mi sentii spogliata di tutto. Era come se mi avesse fatto una radiografia. Anzi, senza il "come". Me l'aveva fatta e stava continuando a farla senza minimamente immaginare l'effetto che quella lunga occhiata stava avendo sui miei neuroni. 
Sentii le guance riscaldarsi come un microonde. << Che c'è? >> domandai guardandomi. Forse aveva intuito che il mio abbigliamento monocromatico aveva il compito di farmi calare più nella parte della spia. 
Non sembravo mica scema, vero? Avevo solo preso molto sul serio la faccenda. 
Alzò lentamente la testa e mi fissò tra i ciuffi di capelli ricaduti sulla fronte. Le sue iridi luccicavano come pezzi d'ambra arsi dal fuoco in una notte stellata. Nella penombra quasi oscura della stanza risaltavano come tizzoni, rendendo visibili le sfumature più calde della fiamma che sembrava divorarle. 
Le mie guance dovettero assumere delle tinte ancora più calde, perché il suo sorrisino si estese ed i suoi occhi si velarono di divertimento. << Imbarazzata? >> domandò provocatorio. 
Mi accigliai e gli scoccai un'occhiata omicida. Odiavo quando mi veniva fatto notare che ero arrossita. Mi metteva ancora più in imbarazzo. E quel babbuino lo sapeva bene.
<< Cretino >> lo appuntai superandolo a testa alta per andare a chiudere la finestra alle sue spalle. 
Il suo braccio si mosse rapido. Mi circondò la vita e mi sospinse con la schiena contro il suo petto. Successivamente si chinò per solleticarmi l'orecchio con una bassa risata. << Dovrei farti arrossire più spesso. Diventi quasi tenera. >>
<< E il quasi che starebbe a significare? >> Sollevai un sopracciglio ed appoggiai le mani sul suo avambraccio per stritolarlo. 
Mi scostò i capelli di lato e depositò un bacio sul profilo della mia mandibola. Il mio battito cardiaco accelerò di conseguenza. 
<< Quasi, perché poi torni ad essere una belva. Non a caso stai cercando di rompermi un braccio >> mormorò divertito. 
Glielo strinsi scherzosamente con un sorriso. << Mi vendico >> ribattei prima d'inclinare la testa sotto la pressione delle sue labbra. Premevano esattamente al di sotto del mio orecchio, sull'osso della mandibola. 
Socchiusi gli occhi mentre mi sfiorava quell'anfratto con la punta del naso. Rilassai le spalle e mi abbandonai completamente contro il suo torace. 
Ogni muscolo del mio corpo si stava sciogliendo per via di quel tocco leggero e morbido. Assomigliava a quello di una soffice piuma sospinta da un tiepido vento primaverile. 
Percepii la sua bocca raggiungere l'orecchio nel momento in cui espirò. 
<< A cosa stavi pensando prima? >> chiesi con un filo di voce. Ero curiosa di sapere che significato avesse avuto il suo sguardo a raggi X. Probabilmente aveva davvero intuito quanto mi sentissi spia. 
Le sue labbra si stesero in un sorriso, la sua presa attorno alla mia vita si fece più salda. << A quanto tu sia eccitante vestita così. >> 
Oh Madre Santissima. Sgranai gli occhi mentre il cuore mi zompava nel petto come un chicco di mais nell'olio bollente. Che cosa aveva appena detto? 
Improvvisamente mi resi conto che dal piano di sotto non proveniva più alcun brusio. E che le scale stavano cigolando. 
Oh Cristo!
Mi staccai frettolosamente da David per guardarlo negli occhi. Anche lui si era accorto che eravamo nei guai, lo avvertivo dall'improvvisa rigidità della sua mascella e del suo sguardo. 
Dovevo inventarmi qualcosa, e in fretta. Cam sarebbe sicuramente entrato per controllare che io dormissi, ci avrei messo la mano sul fuoco. 
Il panico che potessimo essere scoperti mi stava ingolfando i pensieri e la capacità di reagire in tempi brevi. Santo cielo, era la fine. Prima che morissi sul colpo, sentii David afferrarmi un fianco e spingermi verso il letto. 
Il mio cervello, a quel punto, si riattivò. 
M'intrufolai furiosamente sotto le coperte e feci in modo che mi coprissero il collo alto che stavo indossando. Il mio ragazzo mi osservò interrogativo. 
Be', in effetti non gli avevo lasciato posto accanto a me. Ma non c'era tempo per il senso di colpa. Gli indicai il pavimento sotto al letto e lo spronai con lo sguardo a sbrigarsi. 
Oddio, i passi di Cam erano giunti nel corridoio. Stavo per collassare dall'ansia. 
David si stese a terra e scivolò rapido sotto al letto. In quel momento la porta si aprì cigolando in un modo che mi mise i brividi. Chiusi gli occhi e dischiusi le labbra per fingermi addormentata. 
Temevo che il battito furioso del mio cuore potesse essere udibile persino al di fuori del mio corpo. Se Cam avesse deciso di rimboccarmi le coperte sarei stata spacciata. Sarebbe spuntato fuori il mio stramaledetto collo alto nero e tanti saluti al piano. 
Ma perché avevo indossato proprio quel golf? 
Ad un certo punto nella stanza calò il buio. Cam aveva spento l'abat-jour ed i suoi passi adesso si stavano dirigendo... alla porta. Oh Signore, sì! Sì, ecchecavolo! Finalmente un dannato colpo di fortuna. 
Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene come un fiume in piena. Il cuore mi sarebbe uscito dal petto. 
Sia io che David rimanemmo immobili per i minuti successivi. Appena udimmo la porta di casa chiudersi, sgattaiolammo fuori come dei ninja. 
La mission impossible stava per avere inizio. Eravamo agli sgoccioli. 
<< Non posso accendere la luce. Cam potrebbe vederla dal giardino >> sussurrai mentre individuavo il profilo di David accostato alla finestra. 
<< È fermo sulla veranda >> mi fece presente spostando gli occhi su di me. 
Fortunatamente i lampioni esterni gettavano dei tenui fasci di luce nella camera. In quel modo ebbi più facilità ad abituarmi al buio e a riconoscere i tratti del volto di David. 
Annuii. << Ottimo, abbiamo ancora un po' di tempo per raccogliere le cose. I suoi amici arriveranno da un momento all'altro. >> 
Raggiunsi l'armadio, acciuffai il giubbotto, il berretto e lo zainetto nero di pelle che avevo riempito durante la precedente attesa. 
Mentre infilavo il giubbotto, David avanzò e corrugò la fronte davanti al mio zainetto. << Che ci hai messo dentro? Sembra pesante >> constatò ispezionandolo. Aprì la cerniera e rovistò al suo interno. 
Calai il berretto sulla testa e lo osservai mentre estraeva una macchina fotografica con un sopracciglio sollevato. << E questa? >>  
<< Mi serve per incastrare Cam. Così potrò schiaffargli in faccia che so cosa sta facendo. Ho bisogno di prove per metterlo con le spalle al muro >> asserii con decisione. Quella sì che era stata un'idea geniale. A quel punto Cam non avrebbe potuto far altro che confessare. 
<< E la corda? >> domandò con un sorriso divertito. << Oltretutto una semplice corda per saltare. >>
<< Nei film di spionaggio hanno sempre una corda. E poi quella professionale non ce l'avevo >> mi difesi con un'alzata di spalle. 
Il suono di un clacson mi fece sussultare sul posto. David accorse subito alla finestra e lanciò un'occhiata nel giardino. 
<< Sono arrivati. Tuo fratello sta per salire in macchina. >> Le sue iridi ambrate atterrarono su di me. << Dobbiamo sbrigarci o li perderemo. >>
Per carità, tutto ma non quello. Dopo la fatica che avevamo fatto per non farci scoprire non avrei accettato di perderli di vista. 
Indossai gli stivaletti, ovviamente neri, raccolsi lo zainetto e corsi alla porta dove il mio ragazzo mi stava già aspettando. La chiusi alle nostre spalle, facendo calare un buio pesto nel corridoio e per le scale. Ottimo. 
<< Quanti scalini sono? >> mi chiese David mentre gli appoggiavo una mano sul fianco per non rischiare di travolgerlo. Non si vedeva ad un palmo dal naso.
<< Diciassette, perché? >> 
<< Contali mentre scendiamo, così sapremo quando la scala è finita. >> 
Era un genio. Non a caso era il mio ragazzo. 
Feci come aveva detto e sussurrai ogni numero mentre appoggiavamo i piedi su ciascun gradino. 
Quando giungemmo al piano di sotto, gli lasciai il fianco al quale mi ero aggrappata. Lui corse alla finestra che dava sulla strada e scostò la tendina. << La macchina è ancora lì. Sembra che si stiano passando qualcosa >> mormorò aggrottando la fronte. 
Il mio cuore accelerò agitato. << Riesci a vedere cosa? >> 
Dio, Cam mi stava facendo perdere anni di vita. Che diavolo stava combinando? Quella notte non me ne sarei tornata a casa finché non lo avessi scoperto. 
Nel momento in cui vidi il profilo di David tendersi, i miei palmi divennero ancora più freddi. Che cosa aveva visto? 
Aprii la bocca per chiederglielo, ma lui mi anticipò. << Dobbiamo sbrigarci. >> Lasciò la tendina di scatto e mi raggiunse, lo sguardo serio dritto nel mio. << Mi servono le chiavi della macchina dei tuoi. >>
Sgranai gli occhi presa in contropiede. Quella non me l'aspettavo proprio. << Sai guidare? >> 
Alzò il mento con un sorrisetto sghembo. << Non te l'aspettavi, eh? >> 
Scossi la testa come una cretina. Ero la sua ragazza da due mesi e neanche sapevo che avesse la patente. Non avevo parole per me stessa. Quante cose ancora non conoscevo di lui? 
Mi risvegliai dal torpore negativo dei miei pensieri e mossi dei rapidi passi verso l'ingresso. In una ciotolina argentata sopra un tavolino a muro erano radunati tutti i mazzi di chiavi. Presi quello della macchina di mia madre: era nera e più piccola rispetto a quella di mio padre. Pensai che ci saremmo potuti muovere meglio nell'oscurità. 
David mi raggiunse con frettolose falcate nell'esatto istante in cui il rombo di un motore vibrò nell'aria. 
<< Stanno partendo >> dichiarò guardandomi. Un angolo della sua bocca si sollevò mentre una scintilla di trepidazione gli accendeva le iridi. << Pronta? >> 
Annuii, il cuore che palpitava e le labbra arricciate in un sorriso da bambina cattiva. 
Ero più che pronta ad immergermi in quell'avventura dagli esiti ignoti. E ciò che più mi elettrizzava era la certezza di avere David al fianco. Saremmo stati schiena contro schiena come due vere spie, come quelle che tanto amavo guardare alla televisione. 
Aprii la porta ed uscii per prima. Il vento gelido mi frustò il viso con la sottigliezza di una lama affilata. Dei brividi mi camminarono lungo la schiena mentre mettevo un piede dopo l'altro fino allo sportello del passeggero della FIAT di mia madre. 
David si accostò al lato opposto dell'auto ed alzò un braccio. Gli lanciai le chiavi, che afferrò al volo, ed entrammo all'interno dell'abitacolo. 
Cercai di scrollarmi di dosso il freddo che mi era penetrato nelle ossa sfregandomi le braccia e le gambe. Quando David mise in moto la macchina, la prima cosa che feci fu accendere il riscaldamento. Se fossi morta d'ipotermia, tutto il piano che avevo macchinato si sarebbe rivelato inutile. 
Guardai la strada che stavamo per imboccare in retro. << Come faremo a rintracciarli? >> domandai mentre il mio ragazzo cambiava marcia per mettere la prima. << L'altra volta li avevo visti seguire questa strada, che è abbastanza lunga... Magari non hanno ancora deviato in qualche via. >>
Accelerò ed immise la seconda. << Ho gli ultimi numeri della loro targa, li troveremo. Non ci sono molte macchine in giro a quest'ora >> mi rassicurò, lo sguardo dritto sulla strada. 
In effetti non c'era quasi nessuno. Quel dettaglio avrebbe potuto giocare a nostro favore come non. Avremmo potuto individuare la macchina su cui era salito Cam con più facilità, ma esisteva anche l'eventualità che potessimo essere scoperti. Se mio fratello avesse dato un'occhiata allo specchietto retrovisore ed avesse riconosciuto la macchina di nostra madre, sarei stata spacciata. Non osavo immaginare le conseguenze di quella disgrazia. 
Mentre percorrevamo il viale semideserto in terza, virai la mia attenzione sul profilo di David. Teneva il volante con la mano sinistra, l'altra era appoggiata sul cambio. Aveva la schiena rilassata contro lo schienale e le gambe divaricate in una posa tranquilla. Lo sguardo, invece, era vigile sulla strada. 
Mi faceva quasi... non so. Era strano vederlo guidare la macchina di mia madre. Più che altro era strano vederlo guidare. 
<< Da quant'è che hai la patente? >> chiesi incuriosita. 
<< Da quasi due anni. L'ho presa pochi mesi dopo aver compiuto sedici anni. >> Le sue labbra si stirarono in un sorrisetto mentre mi lanciava una rapida occhiata divertita. << Ancora sorpresa? >> 
<< Be', sì >> confessai spalancando leggermente gli occhi. Mi morsi un labbro e ripuntai lo sguardo sulla strada facendo calare il silenzio. 
Sapevo che quel particolare non era importante, ma se si aggiungeva alle tante altre cose che ancora non sapevo di lui non si trattava più di particolari. Si trattava di piccoli pezzi della sua vita che mi erano oscuri. Era tanto assurdo che volessi conoscere anche quelli? 
<< Perché non me l'hai mai detto? >> mormorai. 
Lo vidi fare spallucce con la coda dell'occhio. << Non era importante. >>
Voltai il capo per guardarlo, apparentemente inespressiva. << Io ti racconto un sacco di cose che non sono importanti. Lo faccio perché voglio che tu sappia tutto di me. >> 
Sapevo che quello non era il momento più adatto per tirare fuori l'argomento, ma non ce l'avevo fatta a trattenermi. Avevo quel peso che mi gravava sullo stomaco come un macigno di piombo. 
Non pretendevo che da un giorno all'altro mi raccontasse tutta la sua vita, ma semplicemente che non ci fossero segreti. Il fatto che sapesse guidare era soltanto la punta dell'iceberg. 
<< Con questo che vorresti dire? >> domandò mentre ingranava la quarta. Sollevò un sopracciglio e si girò per un attimo a guardarmi. << Che io non ti racconto mai nulla? Non è affatto vero, Sarah. >> 
<< Non è vero neanche il contrario >> ribattei. << Vengo sempre a sapere qualcosa di te dagli altri o per caso, come questa cosa della patente. Se stanotte non si fosse presentata l'occasione forse non lo avrei mai saputo. >> 
<< Era così importante per te saperlo? >> replicò seccato. 
Alzai gli occhi al cielo inspirando a fondo. << Non è solo questo. Si tratta di tante piccole cose che fanno parte di te. Se tu non mi permetti di conoscerle, come faccio a dire di conoscerti davvero? A te non darebbe fastidio sapere cose su di me attraverso la voce di Clar? Immagino che preferiresti scoprire le sfaccettature del mio carattere o anche solo il mio gusto di gelato preferito da me, non da un portavoce. >> 
Al termine delle mie parole calò il silenzio. 
Esaminai il profilo di David alla ricerca di una nota di nervosismo. Invece ciò che vidi mi lasciò per un attimo interdetta. Non sapevo come decifrare il suo sguardo. Era fisso sulla strada, ma al contempo pareva pervaso da una consapevolezza disarmante. Come se ciò che gli avevo fatto presente non fosse una novità, non fosse qualcosa che non si sarebbe aspettato. Era... strano. I suoi occhi mi stavano dando ragione e la sua bocca non osava smentire. 
D'un colpo il suo sguardo divenne sottile come una lama. << Li abbiamo raggiunti >> pronunciò scalando in terza. 
La mia attenzione venne catturata dalla macchina che avevamo davanti. La sorpassai con un'occhiata e mi concentrai su quella nera che le stava a capo. 
Sì, era quella. Non c'erano dubbi. Dal vetro posteriore potevo vedere il gran trambusto che stavano facendo i passeggeri sul divanetto. Mi sembrava si stessero passando delle lattine, ma non potevo esserne sicura data la lontananza. 
Sviarono a destra con una brusca manovra che fece attaccare al clacson il conducente della macchina dietro. Poi uno degli amici di Cam si sporse dal finestrino per mostrargli il dito medio e ridere come un pazzo. 
<< Sono fuori di testa >> sussurrai con gli occhi che per poco non mi uscivano dalle orbite. Ma che gente frequentava mio fratello? Avevo fatto bene a preoccuparmi fin dal primo momento che lo avevo visto salire su quell'auto. 
David rallentò e li seguì lungo la nuova via che avevano imboccato. Adesso li avevamo davanti, senza più niente a frapporsi fra noi. Malgrado ciò ci tenevamo a debita distanza per non destare sospetti. Se quei pazzi avessero intuito che li stavamo seguendo, non credo che ci avrebbero pensato due volte a scendere di macchina per farci un salutino. 
La strada era buia e fredda. Le insegne dei negozi erano spente, le lugubri saracinesche assomiglianti a ragnatele argentate erano calate fino a terra. La fioca luce dei lampioni sembrava tremolare a causa del vento che faceva ululare i finestrini dell'auto. Sentivo gli spiragli gelidi penetrare dalle fessure dello sportello e avvilupparmi i polpacci come rampicanti. 
Rabbrividii e rannicchiai le gambe contro il petto. Chissà dove saremmo finiti a furia di seguirli. 
Ruotai la testa e vidi che David stava alzando il riscaldamento di qualche grado. In quel momento feci caso a che ore fossero. Mancavano tre minuti all'una. 
Le mie palpebre sentivano tutto il peso di quell'orario. Ero stanca morta, e se non fosse stato per l'adrenalina che mi scorreva nelle vene sarei crollata addormentata. 
Sollevai lo sguardo sul mio ragazzo e lo osservai a lungo. 
Sebbene non lo desse a vedere, sapevo che anche lui era stanco. C'era sempre qualcosa, nel suo viso, che tradiva quel che invece voleva dimostrare. Mesi prima non sarei stata capace di oltrepassare la barriera che ogni tanto ergeva per nascondere il suo stato d'animo. Da quando avevo cominciato a tenere gli occhi aperti, a scrutarlo in maniera diversa, avevo imparato a riconoscere quei momenti. 
Allungai un braccio e gli accarezzai una guancia col dorso della mano. << Mi dispiace farti fare questa sfacchinata. Stamattina ti sei alzato presto >> bisbigliai mentre il mio indice lo sfiorava insù e ingiù. 
La sua bocca si stirò in un mezzo sorriso, poi girò la testa senza allontanare gli occhi dalla strada. Il cuore mi scalpitò nel petto non appena i suoi denti si chiusero delicatamente attorno al mio dito. Lo mordicchiò piano, in maniera scherzosa, da ultimo lo lasciò per posarci un lieve bacio. 
Il mio cervello probabilmente rimase a corto di ossigeno per un tempo esagerato. Mi accorsi che avevo smesso di respirare soltanto quando sentii un lungo sospiro uscire dalle narici. 
<< Domani a scuola ci vedranno col binocolo >> dichiarò fermamente. 
Ritirai la mano, le guance ancora accaldate per il suo gesto. 
Annuii e riportai lo sguardo sulla strada cercando di non pensare alle sue labbra sul mio dito. Ero in iperventilazione. Improvvisamente non mi faceva più tanto freddo. 
<< Potresti dormire da me >> proposi schiarendomi la voce. << I miei genitori usciranno di casa alle cinque e mezza. Non passeranno dalla mia camera per svegliarmi e Cam sono quasi sicura che trascorrerà la notte con quei tipi, proprio come l'altra volta >> asserii con una leggera smorfia di disappunto. 
Svoltammo poco dopo la macchina dei sospettati, ritrovandoci su un viale ancora più buio. Mi sembrava d'intuire che ci stessimo allontanando dalle vie principali, soprattutto se si faceva caso al fatto che le luci delle abitazioni diventavano sempre più rade. 
<< Be', se insisti tanto >> esordì David, gli angoli della bocca increspati in un sorriso divertito. 
Risi ed osservai il suo profilo. << Ma se ti piace da morire dormire con me. >> Gli tirai un leggero pugno sulla gamba, ma nel momento in cui feci per ritrarmi le sue dita si saldarono attorno al mio polso. Scivolarono leggere lungo il palmo, provocandomi dei brividi, e si chiusero sulle mie con delicata decisione. 
I suoi occhi s'incatenarono ai miei per una manciata di secondi che mi bastarono per scorgere la luce maliziosa che gli brillava nelle iridi. << Mi piace da morire fare anche altro con te >> fiatò con un tono basso, leggermente roco. << Questa macchina sembra comoda >> aggiunse insieme ad un sorrisetto provocante. 
Mi ci vollero un paio di secondi per spogliare quell'affermazione e capirne il vero significato. Appena ci arrivai sgranai gli occhi e lo ricolpii sulla gamba malgrado le nostre dita intrecciate. << Scemo, pensa a guidare. >>
Scoppiò in una risata mentre le mie guance assumevano tinte color porpora. Ringraziai il buio di mascherare quel rossore. 
Mio Dio, non ci sarebbe mai stata una sua sola parola che non mi avrebbe sorpresa. Riusciva sempre a lasciarmi boccheggiante come un pesce. 
Vidi l'auto incriminata svoltare ancora, stavolta con una manovra meno azzardata. Due minuti più tardi gli eravamo dietro, ma pur sempre ad una trentina di metri di distanza. 
Osservai fuori dal finestrino. 
L'oscurità era pesante come un mantello bagnato, ricopriva tutto rendendone meno nitidi i confini. Eppure quella strada mi sembrava di averla già percorsa in passato. C'era qualcosa di familiare. 
Assottigliai lo sguardo alla ricerca di un indizio. In quel momento desiderai di possedere la vista di un gatto. Era talmente buio da... Sgranai gli occhi. Il buio. Non c'erano più lampioni.  
<< Ci stiamo avvicinando alla zona industriale >> pronunciai voltandomi a guardare David. 
<< È quello che stavo pensando anch'io >> confessò lasciandomi la mano per cambiare marcia. 
Sperai che subito dopo riallacciasse le nostre dita, invece non lo fece. Con un pizzico di delusione mi avvolsi le gambe strette al petto ed osservai la macchina su cui era montato Cam. 
<< Secondo te cosa potrebbero farci in questa zona? Ci sono un sacco di cantieri da lavoro >> ragionai confusa. << Non ne capisco il senso. Che cos'ha a che vedere tutto questo con Cam? >> 
<< Non tutti i cantieri sono stati ristrutturati. Alcuni sono ancora vuoti o dismessi. Potrebbero essersi intrufolati in uno di quelli. >>
<< Ma per fare cosa? >> chiesi, sapendo che non ci saremmo potuti dare una risposta. 
Per quanto mi lambiccassi il cervello non riuscivo a trovare un filo conduttore tra Cam e quell'area entro la quale ci stavamo spingendo. 
<< Potrebbero fare di tutto >> annunciò David, il tono serio. << È una zona disabitata, a quest'ora deserta. Nei cantieri abbandonati non saranno state ripristinate le telecamere, sarebbe uno spreco di tempo e soldi. Nessuno controllerebbe quelle registrazioni. >> 
La consapevolezza che le sue parole fossero vere, mi fece rabbrividire. Ciò che più mi spaventava era quel "tutto". 
Il fatto che mio fratello uscisse in piena notte per addentrarsi nella zona industriale era già di per sé negativo. Quel "tutto" che valenza avrebbe potuto avere se non ulteriormente negativa? 
<< Stanno rallentando >> mormorò David, scalando in seconda mentre l'altra macchina girava a sinistra. 
Appoggiai i piedi sul tappetino ed aguzzai la vista. I fari della vettura sospetta misero in luce una strada a senso unico confinata da distese di erba incolta e tronchi spogli. 
Feci soltanto in tempo a vedere che sul cemento aderivano quattro lettere sbiadite e pallide come volti di fantasmi prima che anche David svoltasse su quella via. 
<< Siamo contromano, c'era uno stop >> bisbigliai col cuore in gola. 
<< Lo so >> rispose calmo. Subito dopo spense i fari. 
Sbattei le palpebre frettolosamente, come a voler spostare quel manto buio dagli occhi. Mi sembrava di essere quasi diventata cieca. Riuscivo a scorgere soltanto il cruscotto, oltre ciò il buio. Il cofano della macchina pareva esser stato divorato dall'oscurità pesante e densa che ci ammantava. 
Impaurita, catapultai lo sguardo su David che continuava a spingere la macchina su quella strada invisibile. 
<< Non si vede nulla >> dissi, il tono più alto e squillante. << Devi riaccendere i fari, potremmo uscire da... >>
<< Non andremo nei fossi >> m'interruppe, la voce severa e calibrata. << Se vedessero i nostri fari s'insospettirebbero. Devono credere che non gli stiamo più incollati al sedere. >>
Sgranai gli occhi ingoiando un bolo di paura. << Quali fossi? >> 
Per una decina di secondi le mie orecchie udirono soltanto il rumore delle ruote che macinavano i sassi sul cemento. Probabilmente David si era reso conto di avermi rivelato un particolare di troppo e si stava mordendo la lingua. 
<< Quelli ai lati della strada >> asserì piano, dopo un tempo che mi parve infinito. 
Ritrassi la testa ed incollai la schiena al sedile, i denti stretti e lo sguardo immerso nell'oscurità soffocante. 
Non vedevo nulla. Il buio opprimente mi sfiorava la pelle. Mi sembrava di essere bloccata in una gabbia con poco ossigeno.
Sentii il panico scivolarmi sugli occhi, bagnarmi i palmi delle mani ed inibire le mie forze. 
Era tutto nero. Tutto scuro e privo di forma. I pericoli potevano celarsi dietro ogni angolo, anche il più impensabile. 
Mi aggrappai allo sportello. Sentii la gola chiudersi. Dischiusi le labbra per cercare di respirare regolarmente. 
Avevo tanti motivi per essere terrorizzata dal buio, ai quali, poi, nel corso del tempo, se ne erano aggiunti altri. 
Quand'ero più piccola mi piacevano gli ambienti cupi, quasi tetri, privi di luce. Credevo di essere una creatura della notte, una sorta di fatina del buio. Spesso mi alzavo dal letto ed aprivo le finestre per contemplare la serenità della notte, la curiosa immobilità delle stelle ed il silenzio. Mi sentivo facente parte di un mondo nascosto a tutti. 
Poi, una notte, era cambiato tutto. 
Ricordavo la pioggia scrosciante che sembrava voler sfondare il tettuccio della macchina, il vetro appannato dal quale non vedevamo nulla, la galleria buia, le ruote che sfrecciavano sul cemento inondato, poi le mie urla, la sensazione di essere capovolta in una gabbia oscura e... il buio. 
Nel momento in cui sentii una mano di David sfiorarmi la gamba, mi resi conto di aver trattenuto il respiro. 
Espirai lentamente e spostai gli occhi sul suo profilo. Aveva lo sguardo vigile e la fronte leggermente aggrottata, come se ci fosse qualcosa a preoccuparlo. 
<< Stavi tremando >> esordì lanciandomi una breve occhiata inquieta. 
Percepii le mie pupille dilatarsi mentre spalancavo gli occhi. Stavo tremando? Non me ne ero neanche resa conto. 
Vedendo che non trovavo le parole per rispondere, frenò bruscamente e mise in folle. Ruotò il corpo e mi scagliò addosso le sue iridi dorate. Erano pervase di stanchezza, ma c'era qualcosa che le faceva vibrare di violenta vitalità. Un qualcosa che mi fece riesumare dal turbinio di ricordi ed emozioni nel quale ero sprofondata. 
<< Ci metto meno di un minuto ad ingranare la retromarcia e a riportarti a casa. Non devi spingerti fin dove non te la senti >> dichiarò risoluto. << Adesso puoi scegliere, non è più come prima. >> I suoi occhi non lasciavano i miei. 
Avevo capito cosa intendesse con quel prima. Si stava chiaramente riferendo ai mesi precedenti, quando l'unica scelta che avevamo era la sopravvivenza. Ma se avevo imparato qualcosa da quel periodo, di sicuro non era il tirarsi indietro ad un passo dalla meta. Avevo imparato cosa fossero il sacrificio, quello vero, ed il coraggio. Quel coraggio che spinge a superare i propri demoni e le proprie paure, a lottare contro se stessi più che contro gli altri per raggiungere un obiettivo. 
Non mi sarei tirata indietro. Non avrei agito come un tempo. Non avrei permesso alla paura di offuscarmi la mente. 
<< Voglio arrivare fin in fondo a questa faccenda >> affermai decisa. Il mio sguardo sosteneva quello scrutatore di David con ferrea determinazione. 
Sentivo il cuore martellare fin sotto la pianta dei piedi e le tempie pulsare. Nello stomaco mi ardeva un fuoco che si diluiva nelle vene, trasmettendomi audacia di secondo in secondo. 
Cercai di rilassarmi contro lo schienale ed incrociai le braccia sul petto, gli occhi rivolti al buio desolante davanti a noi. << Andiamo >> ordinai con un cenno del capo. 
Con la coda dell'occhio scorsi un sorrisetto orgoglioso propagarsi sul volto del mio ragazzo. Mentre lui avviava il motore e premeva sull'acceleratore, girai la testa verso il finestrino e mi lasciai andare ad un sorriso. 
Percepii la tensione scivolarmi di dosso come un velo e sostituirsi ad una dilagante sensazione di gioia. 
David aveva capito cos'era accaduto nella mia testa. Aveva capito che avevo spinto contro le barriere nel mio cervello per darmi la forza di superare un imminente attacco di panico. Lo aveva dimostrato con quel sorriso pieno d'orgoglio. 
Mi sfregai le dita fredde per riattivare la circolazione. Con un calibrato sospiro rilassai i muscoli ancora tesi.
<< Si sono fermati. >> La sua voce mi fece ripiombare nel presente. 
Allungai lo sguardo. L'auto si era bloccata proprio in mezzo alla strada a circa una cinquantina di metri da noi. Mi chiedevo che cosa diavolo ci facessero in mezzo a quella desolazione. 
All'improvviso si aprì uno sportello, uno posteriore. 
Tutto ciò che riuscivo a vedere lo dovevo ai piccoli fari rossi che si erano azionati non appena si erano fermati. 
Qualcuno uscì dalla vettura, ma non potevo vederlo in faccia. Non sapevo neanche se fosse un uomo o una donna. 
Stirai il collo per cercare di vedere meglio. << Che sta facendo? >> 
David spense la macchina in modo da non emettere alcuna luce. << Sta camminando accanto all'auto. Sembra che voglia controllare che la strada sia libera. >> Silenzio. << Ora è scomparso. >>
<< Magari è caduto nel fosso >> buttai là con un sorriso. 
La bassa risata del mio ragazzo smorzò la tensione che quella situazione aveva creato. 
Mi voltai a guardarlo che ancora sorrideva, le iridi accese dall'adrenalina. 
Si passò una mano fra i capelli ed appoggiò la nuca contro il sedile, dopodiché entrambi ci rivoltammo verso la vettura. 
Stavano ripartendo. Ancora. 
Percorsero pochi metri prima di svoltare a destra. Intravedevo le luci dei loro fari quasi ad intermittenza, segno che la strada nella quale si stavano inoltrando era costeggiata dagli alberi.  
A quel punto ripartimmo anche noi, ma stavolta David accese i fendinebbia. Con molte probabilità non avrebbero mai visto i nostri deboli fari, eravamo troppo lontani. 
Quando ci si immise nella nuova via, mi resi conto che l'altra auto stava accostando rischiando di cadere nel fosso. Avrei tanto voluto vedere in faccia l'imbecille alla guida.
David spense di nuovo la macchina, appena prima che anche quella capitanata dai pazzi lo facesse. 
<< Guarda >> disse indicando un enorme cantiere di cemento grigio sulla sinistra. Si stagliava in mezzo all'oscurità, ma sembrava proteggersi da essa con delle imponenti finestre rettangolari da cui veniva proiettata una luce giallastra sul giardino incolto. 
Assomigliava ad una fortezza inespugnabile, lugubre e spettrale. 
Malgrado la lontananza adocchiai delle figure avvicinarsi a quel posto. Non mi ci volle molto a capire che in mezzo a quelle persone si trovasse mio fratello. 
Grazie alla tenue luce che veniva diffusa dal cantiere riuscivo a scorgere le loro ombre riflettersi sulla strada. Tenevano qualcosa in mano, ma non capivo cosa. 
<< Dobbiamo scendere >> esordii piegandomi per afferrare lo zainetto. 
David mi agguantò un braccio, così mi girai a guardarlo da sopra la spalla. I suoi occhi non tradivano alcuna emozione. Erano seri e cauti. << Posso avvicinarmi io, tu rimani qua. >>
<< Non ci penso nemmeno >> protestai rizzando la schiena, lo zainetto appoggiato sulle gambe. << Siamo una squadra, perciò affronteremo questa cosa insieme >> asserii perentoria. 
Per una quantità inesorabile di secondi i nostri sguardi non si slacciarono l'uno dall'altro. Potevo leggere la lotta che gli infuriava dentro mentre valutava in quali pericoli avrei potuto incorrere. Alla fine emise un sospiro dal naso e mi rivolse un cenno del capo tutt'altro che felice. << Ok, scendi >> acconsentì aprendo il suo sportello. 
Balzai fuori dall'auto con un sorriso soddisfatto. Superai il cofano e lo raggiunsi sistemandomi lo zainetto sulla schiena. 
La sua espressione era tesa e nervosa, i suoi occhi fissi su di me.
Sollevai le sopracciglia. << A cosa stai pensando? >> 
Mosse un piccolo passo avanti fino a giungermi ad un palmo di distanza. Le sue brillanti iridi non mollavano mai le mie, ne sembravano calamitate. << Sto pensando di prendere la corda e legarti al sedile >> ammise con un tono neutro. 
Spalancai gli occhi sorpresa, dopodiché distesi le labbra in un sorriso beffardo. << Troverei il modo di slegarmi, non funzionerebbe. >> Gli diedi una pacca sul petto e sgusciai di lato per osservare il casolare. << Abbiamo una missione, non possiamo farci scappare i sospettati. Andiamo. >> Mi piegai sulle ginocchia e cominciai ad avanzare nella semioscurità. Dentro di me sentivo di assomigliare a quelle spie che da sempre ammiravo alla televisione. La postura con la quale mi destreggiavo per la strada era quella adottata da tutti gli agenti segreti che non volevano dare nell'occhio.
<< Sembri una vecchietta col colpo della strega. >> Le parole di David mi piombarono addosso come un macigno, facendomi per un attimo perdere l'equilibrio. 
Lo riacquistai quasi subito, successivamente mi voltai per fulminarlo. Il mio orgoglio era stato appena leso. 
Il signorino era ancora fermo sul posto, con una mano calata nella tasca dei jeans ed un sorrisetto impertinente stampato in faccia. << Fossi in te mi chiuderei in macchina e lascerei fare ai professionisti >> osò dire, il tono altezzoso. 
Raddrizzai la schiena e sollevai un sopracciglio a mo' di sfida. << Allora puoi andare ad accomodarti. >> Gli indicai l'auto con un sorrisino e girai i tacchi per riprendere la missione. 
Mi abbassai ancora sulle ginocchia e corsi verso l'altro lato della strada. Avanzai quatta quatta in avanti, tenendo lo sguardo puntato sul cantiere. 
Avevo perso di vista Cam ed i suoi amici, ma ero sicura che si fossero diretti verso il lato più riparato dai cespugli e dagli alberi. 
Se avessi continuato a percorrere il margine della strada e poi mi fossi inoltrata nell'erba incolta fino ai cespugli, ero piuttosto certa che li avrei visti. Non potevano essere già entrati, altrimenti avrei sentito qualche cigolante rumore di ferraglia. 
Girai la testa e vidi un fianco di David. Gli afferrai il pantalone e lo spinsi giù con tutta la forza che avevo. << Devi metterti come me >> sibilai istericamente. << Ti potrebbero vedere. >>
Con mia somma gioia, ubbidì. Appena giunto alla mia altezza, mi lanciò uno sguardo interrogativo. << Dici che se ci posizioniamo come se stessimo in un bagno alla turca diamo meno nell'occhio, eh? >> 
Gli tirai un leggero pugno sul petto mentre sghignazzava della mia occhiata omicida. 
Era incorreggibile. 
Ripresi a camminare esaminando il giardino che si espandeva maestosamente attorno alla misteriosa fortezza. Alcuni rettangoli d'erba erano più illuminati rispetto ad altri per via dei fasci di luce che s'irradiavano dalle finestre opache. 
L'aria era densa e fredda, pregna di gocciolante umidità. Il vento aveva smesso di sferzare frustate gelide, eppure l'atmosfera pareva vibrare. Ad eccezione di quel particolare, tutto appariva immobile, privo di vita. 
Era come guardare un grosso sasso piantato in un giardino congelato. 
Superammo il fosso e ci inoltrammo tra l'erba alta e bagnata. Mi arrivava quasi alle ginocchia, ad ogni passo sentivo i pantacollant impregnarsi ed aderire alla pelle come un guanto freddo.
Sussultai nel sentire un forte rimbombo di ferraglia propagarsi nell'aria. 
Mi bloccai come una statua di granito mentre dalle mie labbra usciva una nuvoletta di vapore. 
<< Che cos'è stato? >> sussurrai, il cuore in gola. 
David mi avvolse i fianchi e mi sospinse in avanti. << Dobbiamo arrivare a quei cespugli. >> Li indicò col braccio: distavano più o meno dieci metri. << Da lì potremo vedere qualcosa. >> 
Annuii e costrinsi i piedi a muoversi. 
Cam mi avrebbe sentita. Eccome, gli avrei sfondato i timpani a forza di urlare. Stavo rischiando dieci anni della mia vita per scoprire in quale giro si fosse andato a cacciare. 
Se poi avessi scoperto che faceva soltanto murales in compagnia di quei pazzi, avrei mandato tutti a quel paese. 
Con una breve corsa divorammo gli ultimi metri, dopodiché ci acquattammo dietro le siepi. 
Alzai il capo e sbirciai aldilà di esse. 
Cinque ragazzi si ergevano sul prato, brandendo ciascuno una sorta di... Sgranai gli occhi inorridita. Erano mazze da baseball. 
Adesso capivo il perché dell'espressione tirata di David quando li aveva visti passarsi quella roba. 
Uno dei ragazzi si scagliò contro una porta massiccia e ne colpì il catenaccio che la chiudeva con la mazza. Un altro frastuono da brividi echeggiò nella notte. 
Il tentativo non andò a buon fine, perché un secondo tipo si avvicinò per sostituirlo. 
Il cuore mi schizzò nel petto. Era Cam. 
Lo avrei riconosciuto anche nel buio più assoluto. Era il più alto di tutti, e probabilmente anche il più muscoloso. 
Avanzò con passo sicuro, gli occhi fossilizzati sul catenaccio. Impugnò la mazza al contrario e la sollevò lentamente, con dei gesti misurati. 
Trattenni il respiro mentre mentalmente lo pregavo di non farlo. Il cuore mi picchiava dentro al petto come un tamburo, avevo le dita fredde e sudate, i denti stretti. 
Poi arrivò il colpo. Secco, potente, decisivo. 
Sentii il rumore della catena che sfregava contro i manici della porta e cadeva pesantemente a terra. 
Chiusi per un attimo gli occhi ed inspirai, mentre tra gli amici di Cam si levavano urla di approvazione. 
Poi improvvisamente mi ricordai del peso che avevo sulla schiena. 
Con una furia che non credevo di possedere, mi tolsi lo zainetto ed estrassi la macchina fotografica rischiando di strappare la cerniera. 
David mi prese lo zaino mentre io toglievo il tappo dall'obbiettivo e posizionavo un occhio nel quadratino. 
Fortunatamente non erano ancora tutti entrati. Cam era fermo nel giardino a guardarsi intorno insieme ad un altro ragazzo. 
Non vedevo l'ora di sbattergli in faccia quelle foto e fargli il cosiddetto sedere a strisce. Ero incavolata nera. Una iena sarebbe stata più docile.
Misi a fuoco la sua figura e premetti con forza. 
Un'esplosione di luce illuminò i cespugli e l'area circostante. Gli occhi per poco non mi uscirono dalle orbite. 
Oh cavolo. 
Sentii David imprecare e tirarmi più giù tra le siepi. Le sue iridi ambrate cercarono le mie. << Perché non hai levato il flash? >> domandò affannato. Scosse la testa e sbatté le palpebre più volte. << Mi hai quasi accecato. >> 
<< Che cos'è stato? >> chiese una voce maschile con sospetto. 
Oh Signore. Eravamo fregati. 
Il mio cervello non aveva ancora registrato cosa fosse successo. Ero andata in tilt dopo aver visto il faro di luce sparato dalla mia macchina fotografica.
<< Può essere stata una macchina che passava di qua >> rispose Cam tranquillo. 
Il mio cuore doveva essersi sdoppiato. Lo percepivo pulsare sia nella gola che nel petto. 
<< Già, potrebbe >> disse l'altro, poco convinto. 
Pregai tutti i santi che ancora non mi avevano voltato le spalle per la mia stupidità, che nessuno dei due venisse dalla nostra parte a controllare. 
Tenni lo sguardo puntato in quello di David per darmi coraggio e non scappare urlando.  Lui mi fece segno di rimanere in silenzio mettendosi un indice davanti alla bocca. 
Annuii impensierita. Se Cam mi avesse scoperta, il mio piano... Oh, ma chi volevo prendere in giro? Il mio piano era già andato a rotoli. 
<< Se vuoi dare un'occhiata, va' pure >> pronunciò mio fratello. Dei brividi mi scivolarono lungo la schiena come cubetti di ghiaccio. << Io preferisco entrare e scoprire che diavolo sta succedendo lì dentro. >> 
Corrugai la fronte, confusa da quelle parole. Anche David aveva uno sguardo assorto. 
Che significava che doveva scoprire cosa stava succedendo? Non lo sapeva già? 
<< Hai ragione. Andiamo >> proferì l'altro. 
Udimmo dei passi strascicare nell'erba, poi il silenzio. Alla fine un forte tonfo che significava che la porta era stata chiusa. 
David fu il primo ad alzarsi, con cautela scrutò in direzione del cantiere. Dopo una decina di secondi mi porse una mano per aiutarmi ad alzare. L'afferrai, mentre con l'altra tenevo saldamente la macchina fotografica, e sgattaiolammo verso la macchina. 
Poco più tardi mi lasciai cadere sul sedile insieme ad un sospiro. 
David mi porse lo zainetto e mise in moto. 
Mi sembrava di essere retrocessa dal punto di partenza. Adesso ne sapevo ancora meno di prima. 
La frase di Cam mi rimbombava nella testa come un monito. Ero talmente stanca da ripetermela in continuazione, come una di quelle musichette che non danno pace. 
Guardai l'ora: le due e cinque. L'adrenalina stava iniziando ad abbandonarmi, lo percepivo dalle palpebre pesanti e dalle gambe doloranti. 
Ruotai il capo verso il mio ragazzo. << Hai idea di cosa possa significare quel che ha detto Cam? >> 
Scosse la testa. << No, ma di sicuro stanno cercando qualcosa. Informazioni, prove, dati. Potrebbe essere di tutto. >>
Ancora quel "tutto". 
<< Sembrava che non fossero mai entrati lì dentro prima d'ora. Non era di certo un cantiere abbandonato. Il catenaccio lo faceva capire piuttosto chiaramente. >> Solo mio fratello e quegli imbecilli che si era tirato dietro non lo avevano capito. Avevano appena commesso un reato, intrufolandosi in una proprietà privata. 
<< Potrebbero aver tenuto d'occhio quel posto per settimane in attesa del momento più adatto. Non c'era nessuno che vigilasse fuori e sopra la porta le telecamere erano spente >> ricordò assottigliando lo sguardo. << Mi chiedo cosa ci sia lì dentro. Sembrava un cantiere come un altro, solo più isolato. >> 
<< Magari è davvero un cantiere come gli altri >> ipotizzai reprimendo uno sbadiglio. 
Scosse ancora la testa e cambiò marcia mentre premeva sull'acceleratore. << No, avrebbe avuto le telecamere accese. >> Pausa. D'un tratto le sue labbra si stesero in un mezzo sorriso e mi lanciò un'occhiata. << Non ti ho ancora fatto i complimenti per l'ottima riuscita del tuo piano. Col flash hai spiazzato tutti. >>
<< Non è colpa mia se quel maledetto era impostato su automatico >> mi difesi incrociando le braccia sul petto. Gli rivolsi un sorriso divertito e sollevai le sopracciglia. << Comunque ci tengo a sorprendere sempre. Se tutto fila liscio non mi diverte. >> 
<< Era tutto calcolato, quindi >> mi canzonò ilare. 
<< Più o meno. C'è stato qualche problemino tecnico, ma avevo calcolato anche quelli. >> 
<< Ovvio >> affermò con una breve risata. 
Sorrisi ed appoggiai la nuca allo schienale. La testa mi pesava come un macigno. Chiusi gli occhi mentre la macchina mi cullava dolcemente, la mente affollata di domande. Poi sentii lo stacco. Quello stacco tra il presente e l'oblio. Le voci nella mia testa si ovattarono, calò il silenzio su ogni pensiero. 
Tutto, improvvisamente, tacque. 
 









Angolo dell'autrice: 


Hola! 
Parto col dire che ci tengo a scusarmi per essere praticamente scomparsa per due settimane. Tra esami ed influenza ho quasi esalato l'ultimo respiro. 
Ma comunque, vi ringrazio per tuuuuutte le recensioni che mi avete lasciato e alle quali risponderò a partire da domani. Scusatemi se ancora non l'ho fatto. >\\< 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia tenuto compagnia. 
A breve verrano svelate mooooolte cose, ihihih. Per ora mi sto divertendo a gettare benzina sul fuoco e ad alimentare la suspance, muahahah. 
Sono curiosa di sapere cosa pensate di Cam. 
Ah, avrete intuito che nel passato di Sarah c'è un episodio piuttosto spiacevole. Anche questo verrà ripreso a breve, credo nel prossimo capitolo. 
Se faccio quel che ho intenzione di fare nel prossimo capitolo, vi anticipo che ci sarà una svolta (positiva o negativa, chissà XD). 
Bene bene, adesso che ho alimentato il vostro odio nei miei confronti mi defilo ahahah. 
Un bacione a tutte e a prestoooooooo! 
Il capitolo dovrebbe arrivare domenica, al massimo lunedì!
GRAZIE DI TUTTO! 


Federica~
































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Capitolo 17
*** La verità. Nient'altro che la verità. Parte 1 ***



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La verità. Nient'altro che la verità.



 
1ª parte 















 

Dopo aver parcheggiato nel vialetto di casa, ci eravamo recati a passo felpato fino alla mia camera. 
Ricordavo tutto in maniera molto confusa. Avevo barcollato con gli occhi a mezz'asta fin quando non avevo toccato il letto. Dopodiché mi ero addormentata. L'ultima cosa che la mia mente aveva avuto il tempo di registrare era stato un braccio di David attorno ai fianchi.
Quando mi ero svegliata avevo dato una fugace occhiata all'orologio, scoprendo di aver dormito circa otto ore. Non avendo udito rumori provenire dalla stanza di Cam avevo supposto che non fosse rientrato a casa. 
Le mie supposizioni si erano rivelate effettive quando lo aveva visto varcare la soglia di casa nel pomeriggio. Sul momento mi ero precipitata contro di lui come una furia, intenzionata a fargli sapere che avevo scoperto dove fosse stato, ma poi, di fronte ai suoi occhi stanchi, spossati e stravolti avevo desistito. Le parole mi erano morte sulla punta della lingua. 
Mi aveva dato un buffetto sulla testa e si era trascinato al piano di sopra in silenzio. 
Per tutta la sera non avevo fatto nient'altro che non fosse stato osservarlo. 
Il suo sguardo perso aveva confessato molto più di quanto avrebbe fatto a parole. Dietro quelle provate iridi celesti era confinato un mondo fatto di preoccupazioni, perplessità e rabbia. Mi ero continuamente chiesta che cos'avesse visto, che cosa avesse fatto dentro quel cantiere. Più volte ero arrivata ad un passo dal prendere la macchina fotografica e metterlo con le spalle al muro, ma... alla fine mi ero sempre tirata indietro. Non per codardia, non per paura. Lo avevo fatto per la luce spenta che gli aveva adombrato lo sguardo. 
Quella sera, dopo cena, mi ero seduta accanto a lui sul divano ed avevo appoggiato la testa sulla sua spalla. Quello era stato tutto ciò che mi ero sentita di fare per dimostrargli che gli ero vicina, qualsiasi cosa stesse succedendo o sarebbe dovuta accadere. Non lo avrei mai abbandonato, lo avrei sempre aiutato a tirarsi fuori dai guai. 
A differenza della maggior parte delle volte, non mi aveva allontanata. Era rimasto immobile per parecchio tempo prima di rilassarsi e porre la testa sulla mia.
A quel punto avevo sospirato e chiuso gli occhi. Avevo scacciato tutti i pensieri molesti e mi ero sforzata di liberare la mente. 
Ore dopo mi ero svegliata nel mio letto, con le coperte rimboccate fino al collo e la luce dell'abat-jour resa soffusa attraverso una maglietta. 
Avevo osservato il soffitto per una quantità di tempo inesorabile, giocando con le ombre mentre i miei pensieri vagavano da una questione ad un'altra senza un filo logico. Ero stata così assorbita da non aver nemmeno udito il trillo del cellulare che avvertiva dell'arrivo di un messaggio. Solo quando avevo sentito i consueti sassolini alla finestra mi ero destata da ogni riflessione ed ero schizzata fuori dal letto.  
Il resto della notte lo avevo trascorso stretta ad un petto caldo e rassicurante, il cui profumo mi riempiva le narici e m'infondeva serenità. 
Malgrado ciò, avevo aspettato parecchio prima di decidermi a prendere sonno. Il mio cervello non si era mai stancato di rimuginare sullo sguardo abbattuto di Cam. 
Il mio ultimo pensiero, prima che la stanchezza avesse la meglio, fu che avrei fatto qualsiasi cosa per riaccendere quegli occhi della loro luce vitale. Qualsiasi cosa. 





                                                                       *  *  *





Dopo aver salutato David dalla finestra, corsi in bagno per una rapida doccia. 
Quella mattina mi sentivo di buon umore. 
Sfregai la pelle con meticolosità e mi beai del getto caldo, quasi rovente, sul viso. 
Una volta finito, raggiunsi l'armadio e rimasi a fissarlo in attesa che i vestiti uscissero da soli. Purtroppo non successe.  
La mia memoria sentenziò per me cos'avrei indossato. David aveva detto che il nero mi donava, quindi... Be', non lo aveva ammesso proprio in quei termini, ma si trattava di dettagli. 
Lanciai sul letto un paio di pantaloni neri attillati, un aderente golfino grigio con uno scollo a barchetta e della biancheria a caso. Era già tanto che trovassi dei calzini uguali, figuriamoci reggiseno e mutande abbinati. 
Quel giorno non riuscii a beccare neanche due calzini identici. Ne infilai uno grigio ed uno nero nella speranza che i pantaloni non osassero sollevarsi neppure di un centimetro per mostrare a tutta la scuola quello scempio. 
Dovevo cominciare ad adottare la tecnica di Cam: legare i calzini insieme prima che venissero gettati nella lavatrice. 
Finii di vestirmi in fretta, poi raccolsi i capelli in un'alta coda di cavallo ed osservai la mia immagine riflessa nello specchio. 
Ero abbastanza soddisfatta del risultato. 
Gli unici accessori che indossavo erano i punti luci alle orecchie, il familiare anello simile ad una fede al dito medio della mano destra ed il braccialetto che mi aveva regalato David, i cui pendagli luccicavano come gocce di rugiada. 
Notai con piacere che le borse sotto agli occhi si erano drasticamente attenuate, anche se non erano del tutto scomparse. Quelle maledette mi avrebbero perseguitata fino alla fine dei miei giorni. 
Controllai che dalla coda non uscisse neanche un capello, dopodiché mi affrettai ad infilare gli stivaletti neri. 
Scesi in cucina e con passo spedito raggiunsi il frigorifero, spalancandolo con forza. 
<< Come siamo carine oggi >> asserì mia mamma, rivolgendomi un sorrisetto inquisitorio. 
Oh Signore. Quei discorsi mi mettevano sempre in imbarazzo. A quell'ora della mattina non ero mentalmente pronta per reggere quell'imboscata. 
Scrollai le spalle e mi versai il latte in una tazza. 
Le scale cigolarono pesantemente sotto il peso di Cam. Il suo passo era inconfondibile, uguale a quello di un mammut. 
Si accomodò a tavola con lo sguardo ancora assonnato, i capelli scompigliati ed il pigiama grinzoso. Alzò gli occhi su nostra madre. << Ho fame. Che c'è da mangiare? >> 
<< Finisco di fare le uova e di tostare il pane >> rispose lei, voltandosi verso i fornelli. << Stavo dicendo a Sarah com'è carina oggi. Lo è sempre, ma oggi sta proprio bene >> aggiunse indicandomi con la paletta. 
Appoggiata com'ero al bancone, intenta a sorseggiare il latte, per poco non lo sputai tutto in faccia a Cam. 
Lui spostò lentamente le iridi su di me. Mi esaminò in silenzio, poi sprofondò contro lo schienale ed allungò un braccio sul tavolo. << Comunque si metta, sarà sempre un opossum. Nessuno sfugge alla propria natura >> sentenziò con un sorriso canzonatorio. 
Gli feci la linguaccia. << Tu non vai a correre come sempre, mammut? >> 
<< No, sono sceso a mangiare perché avevo un buco nello stomaco. Poi me ne torno a letto >> spiegò spalancando le fauci in uno sbadiglio. Un ippopotamo sarebbe stato più fine. 
<< E quanto pensi di startene a dormire, signorino? >> s'intromise nostra mamma lanciandogli un'occhiata obliqua. << Devi andare a farmi la spesa, ricordatelo. >> 
Mi aprii in un sorrisetto malignamente soddisfatto mentre lui alzava gli occhi al cielo. << Sì, me l'hai già detto un sacco di volte. Ho afferrato il concetto, non sono mica scemo. >>
Sollevai le sopracciglia. << Su questo avrei qualcosa da ridire. >>
<< Stai zitta, sgorbietto >> mi appuntò tamburellando le dita sul tavolo, lo sguardo minatorio. 
Prima che ribattessi per le rime, la mamma si girò con la bocca spalancata in un'espressione indignata. << Sgorbietto a chi? Voglio sperare che tu stia scherzando, Cameron. >> I suoi occhi castani divennero taglienti mentre il tono si faceva più duro. 
Nostra madre aveva sempre odiato sentirci offendere a vicenda. A volte sorvolava, altre invece ci riprendeva con delle ramanzine. Se poi le offese, per quanto leggere potessero essere, venivano proferite col tono secco che aveva appena usato Cam, la sua reazione era inevitabile.
In quei casi non conveniva alimentare il suo nervosismo con risposte azzardate. 
<< Non mi piace questo tuo modo di rispondere >> continuò imperterrita. << Non mi piace per niente. Sgorbietto >> ripeté scuotendo la testa, la bocca piegata in una smorfia. Appoggiò il piatto con le uova sul tavolo e vincolò i suoi occhi a quelli di Cam. << Che non ti venga in mente di ridire una cosa simile a tua sorella >> disse a bassa voce, con una calma affilata quanto un rasoio. 
Mentre continuavo a sorseggiare il latte, vidi mio fratello sospirare ed annuire con noncuranza. 
Appena la mamma si voltò per raccogliere in un cesto le fette di pancarrè tostate, Cam mi lanciò un'occhiata fulminante. Gli restituii un sorrisino beffardo che per poco non gli fece andare di traverso un uovo. 
<< A proposito, Sarah. >>
Posai gli occhi sulla mamma. Le sue iridi brillavano di una luce scintillante. 
La cosa mi spaventava alquanto. 
<< Hai chiesto a David quando può venire a cena? >> 
<< Chi è questo David? >> domandò mio padre entrando in cucina. Si stava aggiustando la camicia mentre lo sguardo confuso rimbalzava tra me e la mamma. 
Oh Signore Benedetto. Oh Madre Santissima. No. Tutto, ma non quello.
Sudai freddo mentre, per qualche strano effetto contrario, le mie guance si riscaldavano violentemente. 
Mi schiarii la voce e posai la tazza sul bancone. Dovevo scappare, trovare un diversivo. 
La mamma sorrise calorosa. << David è... >>
Lanciai un urlo acuto per coprire il resto della frase, fingendo di guardare l'orologio sconvolta. << Ma è tardissimo! Devo assolutamente andare >> asserii annuendo a me stessa. << Bene, ci vediamo stasera. Ciao a tutti >> tagliai corto dirigendomi alla porta a grandi passi. 
Mentre passavo accanto a Cam che sghignazzava, gli assestai un colpo sulla nuca. 
Ben gli stava. Si era divertito fin troppo. 
Corsi in camera a recuperare il giubbotto, il cappellino di lana e la tracolla. Infine schizzai di nuovo giù per le scale e volai fuori casa. 
Mio Dio, avevo ancora caldo. Il mio stomaco si era strinto in una morsa. 
Mia mamma non sapeva che aveva rischiato di perdere una figlia per infarto. Che cosa le era preso, poi? Far scoprire a papà dell'esistenza di David mentre io ero lì. 
Se pensavo che in quel momento loro stessero parlando proprio del mio ragazzo, mi sentivo stomaco ed intestino in subbuglio. 
La magra consolazione di quella giornata era che non avrei dovuto affrontare quell'argomento con papà nelle ore successive. Sia lui che la mamma sarebbero rientrati dall'ospedale verso mezzanotte. Perciò la parte imbarazzante era fissata per il giorno seguente, quando avrebbero avuto il pomeriggio libero. 
Mi sentivo già morire. 
Per non parlare della famosa cena che sentivo gravare sulle testa come la spada di Damocle. Di sicuro quella sera sarei stata più agitata io di David. 
La nota positiva, per cui valeva la pena sprofondare nell'imbarazzo, era che dopo aver messo al corrente pure mio padre e dopo aver presentato David ai miei genitori, saremmo stati una coppia a tutti gli effetti. 
Il mio ragazzo sarebbe potuto venire a trovarmi quando voleva, non avrei più dovuto mentire dicendo che uscivo con Clar e tutto si sarebbe in un certo senso ufficializzato. 
Già immaginavo un ipotetico viaggio che avremmo potuto fare al termine della scuola, durante l'estate. Magari in una località balneare, così avrei potuto ammirare l'effetto dell'abbronzatura sul suo fisico perfetto, così asciutto e possente, così...
<< Ehi, Sarah. >> Chi cavolo osava interrompere le mie fantasie? 
Ruotai la testa con un rapido scatto da velociraptor. 
Un ragazzo dai capelli biondi, il sorriso smagliante e gli occhi azzurri, in quel momento quasi verdognoli per via di un raggio di sole che gli picchiava sulla faccia, mi stava fissando. 
Oh mamma. Pure Brad. 
E pensare che quella mattina mi ero svegliata di buon umore. Era destino che non perdurasse. 
Mi sforzai di sorridere per pura cordialità. << Ciao. >> 
Se mi fossi dimostrata il più scostante possibile magari avrebbe gettato prima la spugna. Anche se non sapevo quanto quella tecnica potesse avere effetto. 
Negli anni precedenti lo avevo sempre evitato come la peste, rispondendogli in maniera fredda quelle poche volte che si era avvicinato, eppure si era preso lo stesso una cotta per me.
Non avevo la più pallida idea di come avrei dovuto comportarmi. Forse essere semplicemente me stessa si rivelava la scelta più saggia. Alla fine avrebbe capito da solo quanto ero legata a David.
Finse di scalciare dei sassolini e calò le mani nelle tasche del giubbotto. Mi faceva quasi tenerezza. 
<< Oggi abbiamo due lezioni in comune >> pronunciò schiarendosi la voce. Era visibilmente in imbarazzo, non mi guardava neanche. 
Annuii, confusa dal senso della sua affermazione. << Sì, la prima e la seconda. >> 
<< Già. >> Per un po' tra noi calò il silenzio, poi d'un tratto issò il capo ed agganciò il mio sguardo. Sembrava aver trovato finalmente il coraggio. << Pensavo che saremmo potuti andare ad entrambe le lezioni insieme. >>  
Ah. Perfetto. 
Lo preferivo nella versione timida. 
Non sapevo cosa rispondere. Mi aveva spiazzata. 
Rifiutare sarebbe stato ridicolo, insomma avremmo soltanto dovuto camminare insieme nel corridoio, percorrere pochi metri e metterci a sedere in un'aula. Non mi aveva mica chiesto di accompagnarlo all'altare. 
Però da una parte temevo che avrebbe preso quel mio consenso come una sorta di incitamento ad avvicinarsi. Del tipo "gli dai un dito e si piglia il braccio". 
<< Ti va bene se andiamo alla seconda lezione insieme? >> proposi con un sorriso. << Di solito prima di... recarmi alla prima mi vedo con... ehm... David >> confessai attorcigliandomi le dita. 
Per un attimo avevo pensato di dire che mi vedevo con Clar, poi avevo deciso di dire la verità. Preferivo mettere le cose in chiaro fin da subito. 
Se la cosa lo infastidì, non lo diede a vedere. Sorrise ed annuì. << Certo, non ci sono problemi. >> 
Un attimo dopo scoppiò a ridere, probabilmente per la mia espressione stupita, e mi diede un buffetto scherzoso sulla guancia. << Che c'è? Mi guardi come se fossi un alieno. >>
<< Sì, infatti >> dissi senza pensare. Sgranai gli occhi subito dopo. << No, cioè, non stavo dicendo che sei un alieno. Insomma sei umano. >> Su quel punto non ero poi così sicura. << Ero solo... >> Non potevo confessare di essere stata sorpresa dalla sua reazione tranquilla. A quel punto sarebbe saltato fuori il nome di David e non avevo intenzione di avviare discorsi inutili. 
Per mia fortuna il pulmino ci raggiunse e spalancò le porte. << Oh, eccolo >> esclamai con un entusiasmo smisurato. 
Mi diressi a grandi passi ai gradini, sentendo Bradly camminare proprio dietro a me. 
Salimmo uno dopo l'altro; non appena misi piede nel corridoio, Brad mi fu accanto. La sua velocità mi lasciò per un attimo basita. Cosa cavolo aveva sotto le suole delle scarpe? Pattini? 
Mi sorrise divertito. Eravamo pressati come due sardine, sentivo un suo pettorale contro la spalla ed il mio sedere attaccato alla sua gamba. In quella circostanza l'unica cosa che avrei trovato divertente sarebbe stata stampargli una cinquina in pieno viso. 
<< Prima le signore >> sussurrò mentre gli lanciavo un'occhiata omicida. 
Sussultai nel momento in cui percepii una sua mano sulla schiena. C'era da dire che aveva preso molto sul serio l'intimidazione di David sul fatto di non toccarmi. 
Scattai in avanti per distaccarmi dal suo tocco e cozzai contro un altro corpo. Ma quanta gente c'era in quel corridoio? 
Un profumo familiare mi entrò nelle narici e causò il battito accelerato del mio cuore. 
Sentii un braccio sfiorarmi il fianco, senza però soffermarcisi. 
Alzai la testa. 
Gli occhi di David lampeggiavano come dardi infuocati mentre li teneva fissi su Brad, ancora dietro di me. Seguii la traiettoria del suo braccio e trattenni il respiro appena misi a fuoco la sua mano stretta attorno al polso di Brad. 
<< Se ci tieni a questa... >> ringhiò piano il mio ragazzo. << Ti consiglio di tenerla al suo posto. >> La calma micidiale con cui concluse la minaccia, mi fece rabbrividire. Non lo avevo mai sentito rivolgersi a nessuno con quel tono. Era così profondo, burrascoso e gelido da ricordarmi degli iceberg dalla punta acuminata che infilzavano l'aria in una notte turbolenta.  
<< Perché, se no che mi fai? >> lo provocò Brad, la bocca piegata in un sorriso sprezzante. 
<< Ti spezzo un dito dopo l'altro >> sibilò David. I suoi occhi scintillavano di ferocia come quelli di un lupo. 
Lo osservai ammutolita e al contempo ammaliata. Era la prima volta che vedevo quella luce brutale nel suo sguardo. Neanche quando eravamo nel rifugio, durante l'invasione, lo avevo visto in quella condizione. 
Bradly abbassò le sue iridi azzurre su di me. Mi sembrò che stesse studiando la mia espressione fin quando non tornò a concentrarsi sul mio ragazzo. << L'hai presa sul serio >> sputò irrisorio. E per un attimo pensai che non si stesse riferendo a me. << Sei un bravo attore >> gli bisbigliò poi vicino all'orecchio, mentre lo superava. 
Vidi lo sguardo di David congelarsi per la furia smisurata che gli cresceva dentro. 
Si mosse di scatto per afferrare Brad, ma prima che lo facesse lo strattonai verso di me per un braccio. 
Lo inchiodai ai miei occhi e scossi piano il capo. La sua mandibola era talmente serrata che pensai potesse spezzarsi i denti, per non parlare dei muscoli delle braccia, tesi come cavi elettrici. 
Avrei voluto allungare una mano ed accarezzargli la guancia, ma avevamo così tanti occhi puntati addosso da innervosirmi. 
David fece caso alle teste di tutti i presenti rivolte verso di noi e strinse le mani a pugno. << Andate all'inferno >> borbottò adirato. Dopodiché mi diede le spalle e s'incamminò come una furia verso il suo posto. 
Lo seguii subito dopo, infastidita da tutte quelle attenzioni indesiderate. 
Dopotutto non avevano nemmeno torto. La loro curiosità era più che lecita dopo la scena a cui avevano assistito. 
Sprofondai nel sedile e mi voltai a guardare Clar non appena sentii una sua mano sulla gamba. Mi sorrise mesta. << La mattina non è cominciata nella maniera più rosea, eh? >> 
<< Già. >> Sbuffai svuotandomi i polmoni. Avrei voluto fare lo stesso e svuotare anche la mente. 
<< Ehi >> esclamò impettendosi, gli occhi accesi di vivacità. << Ieri al telefono hai detto che mi avresti raccontato un po' di cose. Non tenermi sulle spine, lo sai quanto sono curiosa. Stanotte ho a malapena chiuso occhio. >> S'indicò delle accennate occhiaie, strappandomi una ristata. 
<< Ok, ok >> concedetti annuendo. La misi al corrente della storia di Cam, dei miei sospetti, della mission impossible intrapresa con David e dei miei nuovi giganti dubbi. 
Per tutto il tempo ascoltò attentamente, senza mai interrompermi. Alla fine aggrottò la fronte pensierosa. << Hai detto la zona industriale, eh? >>
Annuii. << Sai qualcosa? >>
La sua espressione restò immutata mentre osservava il mio ginocchio. << Settimane fa ho sentito dire da mio padre che alcuni cantieri contengono delle armi. >> Alzò gli occhi nei miei. << Le armi che i militari hanno usato per difenderci da quegli... alieni. >> 
Arcuai le sopracciglia confusa. << E perché delle armi dovrebbero essere rinchiuse in dei cantieri? Senza nessuno che li controlli, per giunta. >> 
Non aveva senso. Chiunque avrebbe potuto entrare ed impossessarsi di tutto ciò che vi era contenuto. Non volevo neanche immaginare che Cam si fosse intrufolato lì dentro per... No, non era possibile.
<< Un perché ci sarebbe >> pronunciò Clar. << Dopo tutto quello che ognuno di noi ha passato, l'unico modo per sopravvivere all'orrore e non sprofondare nella pazzia era ricominciare daccapo, porre un confine invalicabile tra ciò che era stato ed il presente. 
<< Il sindaco voleva questo, no? Il ritorno alla normalità, la chiusura definitiva col passato, per quanto possa essere possibile. Quelle armi rappresentano ancora quel momento delle nostre vite. Hanno avuto un ruolo nel nostro passato, ne fanno indissolubilmente parte. Il gesto di chiuderle nei cantieri è più che altro emblematico, ma in un certo senso rassicurante. È il simbolo della chiusura col passato. >> 
Sondai il suo sguardo serio e coinvolto, meditando sulle sue parole. 
Aveva ragione, ma una parte molto grande di me non voleva crederci. Cosa avrebbe dovuto farsene Cam delle armi? A che scopo?
Non potevo neanche dubitare che la notizia datami da Clar, riguardo ciò che contenevano quei casolari, fosse falsa. Suo padre lavorava nell'esercito, ed era a conoscenza delle azioni compiute dai militari. Eppure non riuscivo a rassegnarmi. 
Dopo essere scese dal pulmino, continuai a riflettere senza sosta. 
Il mio cervello sembrava essersi incagliato sul fondale di quei dubbi. 
<< Ma perché Cam avrebbe dovuto dire che entrava a controllare cosa stava succedendo? >> domandai alzando il capo dalla strada. << E come faceva a sapere che lì dentro sono custodite delle armi? Non credo che l'esercito abbia reso nota questa notizia. >> 
C'erano così tante cose cose non tornavano da ingorgarmi i pensieri.
Clar scosse la testa perplessa quanto me. << No, infatti. Solo chi fa parte delle forze armate dovrebbe esserne a conoscenza. Forse non sapeva cos'avrebbe trovato lì dentro >> ipotizzò incerta.
<< Eppure sono andati così a colpo sicuro >> riflettei al ricordo della macchina che svoltava in quella via deserta. << Sembrava che sapessero esattamente dove andare. >>
Salimmo i gradini dell'ingresso e ci fermammo in un angolo dell'atrio. La calca di ragazzi era come al solito soffocante. 
Clar mi appoggiò una mano sulla spalla e mi osservò con determinazione. << Scopriremo cosa sta combinando Cam, non temere. >> Le sue labbra si stesero in un sorriso. << E poi lo sai che mi sono sempre piaciuti i misteri da risolvere. >> Ed era vero, per Dio. Conosceva tutti i film di spionaggio e la sua libreria era stracolma di gialli e romanzi così carichi di suspance da far venire la tachicardia. Neanche a dirlo, il suo sogno nel cassetto era diventare un'investigatrice privata. 
<< Stasera cercherò di strappare qualche altra informazione a mio padre. Domani ti riferirò tutto >> aggiunse con gli occhi accesi di trepidazione. 
Annuii e le sorrisi. Avevo una nuova socia. << Ci conto. >> 
Ci salutammo con un bacio sulla guancia, dopodiché m'intrufolai nella mischia con la speranza di essere sputata davanti al mio armadietto. 
Quand'ero scesa dal pulmino avevo visto David fermarsi in uno spiazzo in compagnia di Kevin ed altri amici. Si era acceso una sigaretta ed era rimasto lì in mezzo a loro, in silenzio e con lo sguardo rivolto altrove. 
Una cosa era certa: se quell'idiota di Thomson avesse osato ritoccarmi gliene avrei dette quattro. Se prima me n'ero stata in silenzio era stato a causa dello stupore.
Mi era sembrato così timido mentre faceva la sua proposta che avevo commesso l'errore di sottovalutarlo. Quello era tutto fuorché un timido ingenuotto. 
Sbuffai stizzita ed aprii l'armadietto con un colpo secco. Scambiai dei libri e misi quelli utili nella tracolla, dopodiché diedi un'occhiata all'orario di quel giorno per rinfrescarmi la memoria. 
Improvvisamente sentii la mia schiena entrare in contatto con un petto largo, poi un respiro caldo sui capelli. 
Il cuore mi schizzò in gola mentre chiudevo l'anta di latta e ruotavo di centottanta gradi. I miei occhi furono catturati da un paio di pozze d'ambra liquida. Una tensione latente le rendeva severe e rigide come pezzi di lava congelata. 
<< Hai un minuto? >> chiese con un secco cenno del capo. 
Annuii, per poi seguirlo mentre superava chiunque si trovasse in mezzo ai piedi.
Era così furioso che non sapevo come dirgli che Brad si era offerto di accompagnarmi alla seconda lezione... e che io avevo accettato.
Ma perché lo avevo fatto? Mi sarei presa a schiaffi. 
Entrammo nel familiare sgabuzzino, chiusi la porta ed accesi la penzolante lampadina dal soffitto. 
L'aria era così pesante da gravarmi sul petto. Più guardavo David, più avvertivo quel peso duplicarsi. 
Dovevo dirglielo, non potevo tenergli nascosta la proposta di Bradly. 
Mi attorcigliai le dita in preda all'ansia ed abbassai la testa.
Prima che aprissi bocca, lui sbuffò pesantemente dal naso. << Vieni qui >> ordinò con un tono inflessibile, ma abbastanza basso da sembrare un sussurro. 
Alzai il capo e lo osservai. La sua postura era rigida e al contempo pareva smaniare. Le iridi erano ancora accese della luce brutale che avevo visto sul pulmino, la linea del collo tesa. 
Avanzai incapace di dividere i nostri sguardi, proprio come lui. E così continuammo a scrutarci anche quando giunsi a pochi millimetri dalle sue braccia conserte sul petto. 
Il silenzio nello sgabuzzino era infranto soltanto dalle voci confuse che provenivano dai corridoi vicini. L'aria sembrava immobile, in netto contrasto con il battito del mio cuore. 
Lentamente David si abbassò su di me. Appoggiò la fronte sulla mia spalla ed emise un lungo sospiro. 
Con una mano andai ad accarezzargli la nuca, poi immersi le labbra tra i suoi capelli e chiusi gli occhi. 
Potevo percepire la trazione dei suoi muscoli anche a centimetri di distanza. 
In quel momento mi sembrò così fragile che lo strinsi con più forza a me. 
Era stanco sia mentalmente che fisicamente, stressato dalla propria situazione familiare e costretto a vedere un vecchio amico intenzionato a rubargli la ragazza. E se era arrivato fino a quel punto era anche colpa mia. 
Lo avevo invaso con problemi non suoi, non pensando che ogni giorno, quando apriva la porta di casa, si trovava a fare i conti con un fratellino muto e tanti sacrifici. Sacrifici che forse non immaginavo nemmeno. 
Ed io, come un'egoista, avevo diviso i miei fardelli con lui per alleviarmi il peso sulle spalle. 
C'era stato un momento in cui ero stata io ad aiutarlo? Un momento in cui non avevo pensato soltanto a me stessa? Forse l'unica volta era stata quando avevo lottato affinché riparlasse con Kevin. Non mi sembrava di ricordare altro. 
Come avevo potuto essere tanto egoista? Tanto cieca dinanzi alle sue esigenze?
Lo strinsi ancora, mentre la sua fronte si appoggiava sul mio collo. 
Inspirai il profumo dei suoi capelli: forte, penetrante, con un leggero sentore di fumo. 
Avrei voluto dirgli che mi dispiaceva, eppure le parole non riuscivano a volare fuori dalla mia bocca. Mi sembrava che parlare sarebbe stato di troppo. 
Quando suonò la prima campanella mi resi conto che eravamo rimasti immobili, in quella posizione, per cinque minuti buoni. Eppure non ne avevo ancora abbastanza. Non ne avrei mai avuto abbastanza. 
David si ritrasse senza fretta, poi appoggiò gli occhi nei miei. Notai subito quanto fossero lucidi e più caldi, il mare burrascoso che prima faceva loro da sfondo era stato sostituito dal pelo calmo di un lago. 
Gli sorrisi e mi slanciai sulle punte per sigillare le sue labbra con un fugace bacio a stampo, immediatamente ricambiato. 
Dopodiché uscimmo dallo sgabuzzino e camminammo fianco a fianco fino alla porta ancora aperta della mia aula. La sua si trovava in fondo al corridoio. 
Lanciai un'occhiata dentro. Il professore non era ancora arrivato e Bradly non era nei paraggi. 
Mi avvicinai a David mentre un sorriso spontaneo mi distendeva le labbra. << Ci vediamo dopo >> mormorai. 
I suoi occhi non sembravano intenzionati ad abbandonarmi, mi fissava con un'intensità da mozzare il fiato. Sembrava si stesse lambiccando il cervello su qualcosa che lo tartassava come un tarlo. Poi, di scatto, si calò sulla mia bocca e mi baciò. Un bacio delicato, tenero e al contempo urgente, famelico, deciso. 
Quando si allontanò i nostri respiri erano affannati, il mio cuore batteva ad un ritmo sostenuto e le guance mi bruciavano. 
Il mio cervello si era definitivamente fuso.
<< A dopo >> sussurrò schiarendosi la voce, gli occhi ancora fissi nei miei. Alla fine ruotò il corpo e s'incamminò per il corridoio con le mani nelle tasche dei pantaloni. 
Santo cielo, mi sentivo stordita. 
Entrai in classe, traballante sui miei stessi passi, avvertendo un bel po' di sguardi addosso. 
Non ci eravamo baciati proprio davanti alla porta, ma ci eravamo andati piuttosto vicini. Quindi era matematico che qualcuno, lì dentro, ci avessi visti. 
Mi accomodai su una sedia, sistemai il piccolo scrittoio reclinabile e guardai dritta davanti a me, nascondendo un sorriso. 





                                                                     *  *  *





Quando la campanella trillò, al termine della prima ora, raccolsi le mie cose e saettai fuori dall'aula. Se non avevo detto a David della proposta di Thomson era perché non ero più intenzionata a mantenere fede alla mia parola. 
Non dopo il modo in cui si era comportato sul pulmino, non dopo aver fatto quasi partire un embolo al mio ragazzo. Che andassero al diavolo, lui e la sua cotta. 
Mentre percorrevo il corridoio di gran carriera, senza guardare nessuno in faccia, sentii il mio polso che veniva avvolto da una mano calda. Mi girai sorpresa e sgranai gli occhi nell'incrociare un paio d'interrogative iridi azzurre.
<< Ho fatto qualcosa di... sbagliato? >> domandò Brad, grattandosi la nuca. 
Quello era il colmo. Con che coraggio mi chiedeva se aveva sbagliato qualcosa? Come diavolo ragionava? E pensare che anni prima lo avevo definito il più sveglio delle tre T. 
Strattonai la mano e lo guardai torva. << Sì, e direi anche più di una cosa. >> 
<< E cioè? >> Alzò un sopracciglio, scettico. 
Non potevo credere che stesse dicendo sul serio. Mi sembrava di essere la protagonista di una candid camera. 
Annaspai scioccata e sbattei frettolosamente le palpebre. << Sono la ragazza di David e tu ti... >>
<< Quindi non puoi andare alla lezione successiva con me perché sei la sua ragazza? >> m'interruppe. 
Sentii il nervoso crescermi dentro, ribollire sotto la pelle. << Ti sei comportato in modo orribile con lui >> sputai. Scossi piano il capo e ridussi gli occhi a due fessure. << E dopo questo credi che abbia intenzione di far finta di nulla? Di camminare e parlare con te come se tu non avessi mai voltato le spalle al tuo amico? O mi credi molto stupida o credi di essere nel giusto. >> 
Distolse per un attimo lo sguardo e si lasciò andare ad una risata. << Sembra che sia io il mostro. >>
<< Non c'è nessun mostro >> ribattei secca. 
I suoi occhi inchiodarono i miei. Per un attimo fra noi non volò una mosca. 
Le persone ci camminavano accanto per recarsi alle loro lezioni, alcune lanciando delle occhiate, altre evitandoci. 
Poi Brad fece un passo in avanti. Alzai la testa per continuare a sostenere il suo intenso sguardo. 
<< Per David sei soltanto una scommessa vinta >> gettò fuori con un tono calibrato. 
Sentii i miei occhi spalancarsi ed il cuore accelerare. Scommessa.
Quella parola mi rispedì indietro con la mente, precisamente ad una frase di David.
Ma che stai dicendo? Non ho mai scommesso con nessuno... almeno non su di te.
<< Aveva scommesso con Kevin che ti saresti innamorata di lui, che ti avrebbe fatta cedere come tutte le altre >> proseguì Brad, mentre nella mia mente esplodeva il caos. << Eri la scommessa dell'ultimo anno, la più grande. Se avesse fatto crollare te ai suoi piedi, la ragazza che lo detestava più di ogni altra cosa, avrebbe centrato il suo obiettivo. 
<< Ero sicuro che non ci sarebbe riuscito, per questo non mi sono preoccupato più di tanto. Invece... >> Scosse la testa con una smorfia di disgusto. << L'ha presa molto più sul serio di quanto avrei mai immaginato. È solo questione di tempo prima che ti molli. E sì, ti ha mentito fino ad ora. >>
Mi schiarii la voce cercando di non mostrare quanto quelle rivelazioni mi avessero scossa, dopodiché saldai gli occhi nei suoi. << Non mi ha mentito >> sussurrai, nascondendo la nota incrinata nella mia voce con un leggero colpo di tosse. << Mi aveva già raccontato tutto. >> 
Le sue iridi furono attraversate da un lampo di sconcerto. 
Non ebbi né il tempo né la voglia di gioire per quella vittoria. Girai i tacchi e ripresi a camminare per la mia strada a testa bassa, svoltando in un altro corridoio per allungare il tragitto. 
Non me ne fregava nulla del passato. Sapevo che David mi amava, lo percepivo ogni giorno di più. Mi feriva essere venuta a conoscenza di quella schifosa scommessa da qualcun altro che non fosse lui. 
Perché non me ne aveva parlato? Perché continuava a nascondermi tutto? 
Non m'importava nemmeno se, quando eravamo nel rifugio, mi aveva mentito. Quello che avevamo costruito col tempo superava di gran lunga quella bugia, ma... la sincerità. Adesso. Cavolo, la sincerità di ammettere che un tempo aveva scommesso su di me. 
Il coraggio di guardarmi negli occhi e confessarmi quella cretinata. 
Era tanto assurdo quello che chiedevo? Era tanto assurdo voler sentire la verità uscire dalla sua bocca?
Adesso capivo tante cose. La smorfia di Kevin, la frase di Brad sul pulmino quando avevo creduto che non si stesse riferendo a me, la tensione costante nello sguardo di David, come se avesse avuto qualcosa da nascondere, il suo bacio affrettato prima che entrassi in aula. Probabilmente aveva tentato di comunicarmi qualcosa. 
La domanda di Clar sul perché Brad non avrebbe dovuto credere che David mi amasse, aveva finalmente una risposta. Una scommessa. Una stupida scommessa taciuta. 
Quando vidi una lacrima cadere sul pesticciato pavimento, arrestai di colpo il passo. 
Strinsi i denti per trattenermi. 
Non era giusto. Non mi meritavo di essere esclusa in quel modo. Mi sembrava di essere l'unica a mettere tutta se stessa nella nostra relazione. E per quanto cercassi di trascinare anche lui... non ottenevo altro che porte in faccia. 
Una seconda goccia di tristezza mi scivolò lungo il profilo del naso e si gettò nel vuoto. 
E adesso mi era chiara anche un'altra cosa: perché David non avesse ribattuto quando, in macchina, gli avevo detto quelle cose sul fatto di parlarmi di più. Era chiaro: lui sapeva che c'era qualcosa che avrebbe dovuto dirmi. 
Lo sapeva, eppure non aveva aperto bocca. Aveva persistito nel silenzio. 
E allora mi chiedevo: quante cose non avrei mai saputo se non fossero stati gli altri a dirmele? Quante cose ancora mi erano nascoste? 
Odiavo dover conoscere tutto dagli altri. Lo odiavo profondamente. Mi faceva sentire così... inutile. Così tremendamente sola. 
<< Anderson. >> 
Alzai di colpo la testa a quel bisbiglio cauto. 
Un paio di familiari occhi castano scuro mi stavano osservando sbigottiti, increduli. Potevo leggere le mille domande che gli affollavano la mente solo attraverso quello sguardo. 
<< No. >> Misi le mani avanti ed agitai il capo. << Lasciami stare. Io devo... devo andare >> rantolai tra le lacrime muovendo dei passi indietro. 
Kevin mi afferrò un braccio e mi bloccò sul posto. << Cos'è successo? Chi è stato? >> 
<< Nessuno. Lasciami >> insistetti cercando di liberarmi. 
Volevo stare da sola. Piangere fin quando ne avessi avuto la voglia e crogiolarmi tra i pensieri. Pensieri che, per una volta, avrebbero dovuto riguardare esclusivamente me stessa, non Cam, non David, non Brad. Nessuno. 
La sua presa si fece più salda mentre i suoi occhi si scurivano, diventando duri come il piombo. << David è entrato in classe con me, quindi... >> 
Rimasi in silenzio, imprigionata nel suo sguardo che man mano si faceva più consapevole. 
<< Brad >> sputò con una smorfia, scoprendo i denti. 
Abbassai il capo. << Ti ho detto di lasciarmi >> mugolai in un lamento, le lacrime che ancora sgorgavano prosciugandomi le forze. << Voglio andarmene a casa. Lasciami, ti prego. >> 
Avrei voluto tirargli una spinta e scappare, ma le braccia mi erano diventate molli e le gambe pesanti. Mi sentivo così... debole, vuota, spossata. 
Un milione di domande, dubbi e supposizioni mi vorticavano nella testa come un uragano, radendo al suolo le certezze. 
A quel punto la sua mano si fece più delicata attorno al mio avambraccio, fino a scivolare via con una carezza. 
I miei occhi offuscati erano fissi sul pavimento, ma percepivo i suoi sul mio viso. 
Emisi un sospiro tremulo nel tentativo di calmarmi. Detestavo mostrarmi debole davanti agli altri. Mi faceva sentire estremamente esposta. 
Ma che stai dicendo? Non ho mai scommesso con nessuno... almeno non su di te.
Non riuscii a soffocare un singhiozzo. Vibrò fuori dalla mia bocca come uno straziato singulto. 
Ero sola. Sola a lottare contro i muri eretti da David. 
Perché mi stava facendo quello? Perché non si fidava di me? Non capiva che in quel modo ci saremmo allontanati? 
O forse non gli interessava. 
Alzai gli occhi al cielo, odiandomi per quei pensieri. Poi li abbassai su Kevin, ancora fermo lì, ad osservarmi in silenzio. Ad ascoltare i miei singhiozzi, la mia debolezza. 
<< Farai... >> La mia voce era così gracchiante da dolermi alla gola. << Farai tardi a lezione. Vai. >> Un altro singulto mi scosse le spalle. 
Lui non si mosse, esattamente come il suo sguardo impenetrabile. Poi fece qualcosa d'inaspettato. Mi tirò a sé per la nuca e premette il mio viso sul suo petto, poi mi cinse le spalle con un braccio e mi trattenne stretta. 
Era l'abbraccio più strano che avessi mai ricevuto, ma forse il più confortante. 
Inspirai l'odore sulla sua maglietta, sapeva di sigaretta e sapone. Così simile a quello di David. 
Chiusi gli occhi ed artigliai quella maglia con entrambe le mani, mentre le lacrime la bagnavano ed i singhiozzi mi graffiavano la gola come carta vetrata. 
Non riuscivo a fermarmi. Nel momento in cui avevo toccato il suo petto avevo sentito di poter tirare fuori tutto quello che cercavo disperatamente di contenere. 
E allora eccomi lì: fragile, addolorata, piccola come un foglia accartocciata. Lì, ad essere confortata dall'ultima persona che avrei mai immaginato. Lì, ad essere semplicemente me stessa, senza alcuna armatura addosso. 
Sentii il mento di Kevin appoggiarsi sulla mia testa mentre un lungo sospiro gli contraeva il torace. 
Non era giusto. Non era giusto niente. Avrebbe dovuto essere David a dirmi di quella scommessa, ed avrebbe dovuto essere sempre lui a stringermi in un abbraccio. 
Sapevo quanto mi amasse, ma ciò non rappresentava una giustificazione. Una giustificazione alle verità negate, ai silenzi, alle risposte taciute. 
E se pensavo che proprio due giorni prima gli avevo fatto presente quel problema e lui... lui aveva continuato a comportarsi come se niente fosse, come se le mie parole non fossero state nulla, mi sentivo doppiamente ferita. 
Riaprii gli occhi e mi ritrassi da Kevin asciugandomi il viso bagnato. 
Volevo solo andare a casa e stare con me stessa. Nient'altro. 
<< Scusa >> sussurrai con una voce talmente roca da apparirmi irriconoscibile. Issai la testa dolorante e rimasi colpita dalla forza con cui il suo sguardo mi stava travolgendo. Era come assistere ad un violento turbinio di zolle di terra. Le sue iridi erano un uragano di emozioni difficilmente codificabili. Mi sembrò di leggerci rabbia, impotenza, fastidio, ma anche una profonda comprensione ed una latente sensibilità. 
<< Giudica i particolari. >> Il suo tono di voce assorto ed inflessibile risuonò nel corridoio deserto. << Non basarti mai solo su ciò che brilla di più. Scava e scova quel che si nasconde sotto. >> 
Le sue parole confuse mi penetrarono nella testa, insediandosi tra i pensieri più negativi per fare luce. 
I particolari. Dovevo giudicare quelli e trarre le conclusioni. Dovevo... riflettere di più, calarmi tra i dettagli. Era quello il senso del consiglio di Kevin? Avrei davvero trovato qualcosa? 
Annuii frettolosamente. Ci avrei provato. 
Lui abbozzò un sorriso e mi tirò un nocchino sulla fronte. << Sei più brutta quando piangi, Anderson. Ti conviene smettere se non vuoi spaventare chiunque ti guardi. >>
Un altro singhiozzo mi scosse le spalle. << Bello tu >> ribattei stropicciandomi un occhio. 
Le sue labbra, a quel punto, si stesero in un vero sorriso. Uno di quelli che gli avevo visto fare raramente dal momento che quelli che mi rivolgeva erano sempre beffeggiatori. << Dai, va' a casa >> disse con un cenno del capo, il tono leggermente più vellutato. 
Annuii ancora. << Grazie >> mormorai guardandolo per un'ultima volta. 
I suoi occhi mi stavano fissando con una sfumatura più calda, difficile da decifrare. In lui era tutto così imperscrutabile da apparire... bello. Quelle iridi scure possedevano una profondità che non avevo mai visto in nessuno. Erano due pozzi in cui si agitava l'infinito. 
Gli diedi le spalle e m'incamminai nel corridoio, dapprima piano, poi sempre più veloce, sempre di più, finché non mi ritrovai a correre. L'aria mi sferzava il viso, congelando le scie bagnate delle lacrime, gli armadietti sfrecciavano ai lati del mio campo visivo. Poi uscii, mi fermai sulla soglia dell'ingresso, il fiato corto per la corsa. 
Guardai il cielo. Era azzurro, limpido, il sole splendeva. 
Per un attimo mi soffermai a pensare che finché ci fosse stato quel cielo sopra le nostre teste, tutto si sarebbe potuto risolvere. Poi scesi i gradini e ricominciai a correre. 








Angolo dell'autrice:


Buon pomeriggio, popolo! 
Spero con tutto il cuore che questa prima parte vi sia piaciuta. *_*
Ho dovuto, per forza di cose, dividere il capitolo in due parti. Avrei preferito farvelo leggere tuuuutto insieme, ma è talmente importante che ci tenevo ad andare passo passo, senza affrettare nulla. Dividendolo ho la possibilità di focalizzarmi sui particolari e gestire meglio la situazione. 
La seconda parte la devo ancora scrivere, ma vi anticipo che sarà decisiva per la relazione di David e Sarah. 
Nello scrivere questo capitolo ci ho messo il cuore, correggendolo e infarcendolo tremila volte. Magari non traspare molto, ma posso dire di essere soddisfatta del risultato. Una volta tanto, ahahah.
Il prossimo sono sicura che mi prenderà il doppio, per questo non vedo l'ora di scriverlo. Muahahah *_*
Vi mando un bacione gigante e tanti abbracci!
GRAZIE MILLE! <3 

Ps: la seconda parte arriverà domenica! 


Federica~ 
                






 

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Capitolo 18
*** La verità. Nient'altro che la verità. Parte 2 ***


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La verità. Nient'altro che la verità. 



2ª Parte








Quando arrivai a casa avevo il fiato corto ed una spessa coltre di lacrime davanti agli occhi. Salii in camera, scagliai il giubbotto sul letto e mi appoggiai contro la porta. 
Il mio sguardo vagava sul soffitto come se avessi potuto trovarci delle risposte. Ed ero contenta di non doverne dare a Cam. Fortunatamente era già andato a fare la spesa, quindi niente interrogatori e niente occhiate. 
Speravo decidesse di stare fuori fino all'ora di pranzo. 
Mi lasciai scivolare a terra e mi presi la testa tra le mani. Un singhiozzo mi compresse il torace con una fitta dolorosa. 
Mi morsi un labbro per soffocarne un altro, ma la mia volontà era troppo debole in confronto a ciò che mi stava turbinando dentro. E così uscì fuori, riempiendo il silenzio. 
Kevin aveva detto di scavare e scovare. Ma cosa? Cosa diavolo dovevo ricavare dai particolari?
Dovevo partire dal principio. Forse. 
Accidenti, non ci capivo più nulla. 
Mi sentivo persa in un intricato labirinto di punti interrogativi. 
Avrei voluto dubitare delle parole di Brad, ma se ripensavo alla tensione che avevo visto sul volto di David dopo il loro primo dialogo, non c'erano poi molti dubbi. Anzi, c'erano più conferme. 
Eppure... avevo avuto l'impressione che poco prima di separarci, davanti alla mia aula, ci fosse stato qualcosa che lo tartassava. Il suo sguardo era stato così intenso da lasciarmi senza fiato. Ed ancora in macchina, quando dopo avergli fatto notare quanto poco si aprisse, i suoi occhi erano stati pervasi dalla consapevolezza. Perché lui sapeva, sapeva cos'avrebbe dovuto dirmi. 
Non riuscivo ancora a credere alla piega presa da quella giornata. Mi sentivo stordita e schiacciata da una quantità di notizie surreali.
David aveva scommesso su di me. Un tempo. Ed aveva mentito dicendomi di non averlo mai fatto. Un tempo, quando ancora non stavamo insieme. Ed aveva perseverato nella menzogna non dicendomi nulla. Adesso. 
Trassi un profondo respiro ed appoggiai la nuca alla porta, gli occhi chiusi. 
Non mi feriva il fatto che all'inizio del quarto anno avesse fatto quella scommessa, ormai faceva parte del passato, ed in quel passato io ancora non significavo nulla per lui. Mi feriva il fatto che non mi avesse detto la verità, che non si fosse aperto con me nel presente, un presente in cui io avevo assunto un valore per lui. 
Asciugai le lacrime col dorso della manica e mi svuotai i polmoni. 
Un forte botto mi fece sobbalzare. Sembrava che un enorme pezzo dell'intonaco sulla facciata della casa fosse crollato. 
Ma no, non si trattava di quello. 
Il cuore mi salì rapidamente in gola come trasportato dalla piena di un fiume di emozioni, gli occhi per poco non mi uscirono dalle orbite. 
La testa di David fece capolino dalla finestra che quella mattina avevo lasciato aperta per pura dimenticanza. 
Ma non era possibile. Doveva essere una mia allucinazione. 
Quando si tirò in piedi e i suoi occhi si abbatterono su di me, mi accorsi di due cose: aveva il fiatone e lo sguardo stravolto. Pareva che gli fosse appena crollato un grattacielo addosso e che si fosse salvato per miracolo. 
Non riuscii a dire una sola parola. Ero troppo sconvolta dalla sua presenza lì nella mia camera. Forse era davvero un'allucinazione. Mi doleva talmente forte la testa da impedirmi di ragionare. 
Il suo pomo d'Adamo si abbassò mentre le sue iridi ambrate venivano invase dall'angoscia. << Hai pianto >> constatò in un sussurro. 
Quelle parole mi risvegliarono dal mio stato comatoso. Fui travolta da un'ondata di rabbia che mi fece venire voglia di ricominciare a piangere. 
Mi alzai in piedi e rimasi attaccata alla porta. Sentivo le gambe molli, incapaci di sorreggermi. 
<< Ho pianto, sì >> gettai fuori tra i denti. << Per tutto ciò che mi hai tenuto nascosto e che non ti sei degnato di dire. >> La mia voce tremava tanto quanto la diga che tratteneva le mie lacrime.
Alzò un braccio e m'indicò con gesto stanco. << Cercavo di evitare questo >> ammise incolore.               
Con quell'affermazione vidi rosso. Era l'ultima cosa che avrebbe dovuto dire in un momento come quello. Significava che la scommessa era vera e che con molte probabilità non mi avrebbe mai detto la verità. 
<< Evitare? >> ripetei alzando la voce. << Credi di poter sempre girare intorno alle cose e nascondermi tutto? >> 
Un guizzo di rabbia simile ad una miccia bruciò il colore caldo delle sue iridi. << Era solo una stupida scommessa fatta all'inizio dell'anno. Che importanza avrebbe potuto avere adesso nella nostra relazione? >> 
<< Si tratta di dire la verità! >> gridai esasperata. << Una relazione si basa su quello, per Dio! >> Scossi il capo con un sospiro. << A volte ho la sensazione di essere l'unica ad impegnarsi fin in fondo. Sto dando tutta me stessa mentre tu... >>
<< Io cosa? >> incalzò con un cenno del mento. << Credi di essere l'unica a mettere anima e corpo in questa relazione? >> 
<< Mentire rientra nel tuo concetto di totale concessione? Perché se è così allora mi dispiace dirti che questo significa non dare neanche la metà >> sputai velenosa. 
I suoi occhi mi trafissero come lame. << E poi mi vieni a chiedere perché non ti ho confessato dell'esistenza di quella scommessa? Guarda le tue reazioni e giudica da sola. >> 
Non potevo credere che lo avesse detto veramente. Come faceva a non capire? 
<< Le mie reazioni sono dettate da ciò che non mi hai detto! >> sbottai, le lacrime sempre più pressanti dietro agli occhi. << Se fossi stato tu a dirmi di quella cretinata forse adesso non saremmo qua a discutere! >> 
<< Certo, come no >> rispose con un mesto sorrisino. 
<< Ti prenderei a schiaffi >> ringhiai furiosa. 
Le sue iridi piombarono di nuovo su di me, l'ombra del sorrisino fu spazzata via. Con rapide falcate mi raggiunse, mi si piantò davanti. Ci dividevano pochi centimetri. << E allora fallo >> mi provocò, lo sguardo infiammato. << Tirami uno schiaffo. Forza. >>
Mantenni la testa alta, gli occhi dritti nei suoi. Mi sentivo ribollire dentro, le mani mi bruciavano da quanto fremevano. Più mi sbatteva in faccia quell'aria di sfida, più ero tentata di alzare il braccio ed esaudire la sua richiesta. 
<< Perché non me l'hai detto tu? >> domandai invece, con un tono più basso.
Serrò la mascella e deviò lo sguardo. << Non avresti capito. >> 
Stava mentendo. Ancora.
Sbuffai e sgusciai dalla porta per arrivare al centro della stanza. << Lo stai facendo di nuovo >> asserii disperata. << Ti stai richiudendo a guscio. Mi stai escludendo, di nuovo. >> 
<< E tu allora?! >> sbraitò innervosito. Le sue iridi sembravano aver preso fuoco, potevo vedere il fumo levarsi su uno sfondo ambrato. << Ci hai messo quasi due mesi per dire a tua madre di me. Questo non è mentire? Nascondere la verità? Eppure tu che motivi avevi per non dire come stavano le cose? >> 
<< E tu che motivi avevi, allora?! >> 
<< Avevo paura, dannazione! >> gridò frustrato. I suoi occhi erano così vividi, esasperati e... sinceri da lasciarmi senza fiato. In quel momento mi resi conto che si era definitivamente spogliato del guscio. << Avevo paura che tu credessi che ti avevo sempre mentito e che ti allontanassi >> ammise passandosi una mano fra i capelli. 
Ed allora capii. Capii le parole di Kevin. 
Quella che avevo sempre visto nei suoi occhi era paura, camuffata dalla tensione e dalla rabbia. Una rabbia scatenata dal timore di confessarmi quel segreto e perdermi. 
E quando eravamo nello sgabuzzino, quando aveva permesso alla fragilità di essere visibile, se solo lo avessi costretto a guardarmi negli occhi avrei visto riflessa quella paura che gli impediva di parlare. Ed invece ero stata tanto cieca da non accorgermi di nessuno di quei segnali. Ero stata tanto stupida da non interrogarmi sul perché avesse scelto il silenzio come arma di difesa. 
Mossi un passo avanti, con cautela. << Hai così poca fiducia in me da credere che ti avrei considerato un mostro? Dopo tutto quello che abbiamo passato? >> 
<< Ho creduto soltanto alla paura di commettere un passo falso e distruggere tutto >> rispose neutro. Il suo sguardo era diventato granitico. 
Scossi la testa ed emisi un lungo sospiro. << È non parlando che mini la nostra relazione. Io comincerò ad avere sempre meno fiducia in te e tu in me. Alla fine ci separeremo. >> Quelle parole mi crearono un nodo nello stomaco. Era quella la verità, e faceva un male insopportabile anche solo pensarla. 
Vidi la sua mascella contrarsi, mentre la sua espressione diveniva più dura. << Che cosa dovrei fare, allora? Qualsiasi cosa faccia sembra sbagliata. >> 
<< Dovresti darmi la possibilità di conoscerti e... >>
<< Mi conosci già >> m'interruppe secco. << Cos'altro vuoi sapere? >>
Mi sembrò di ricevere uno schiaffo. 
Ero senza fiato. 
Era stato come beccarsi un portone in faccia. Il portone che più di tutti avrei voluto vedere aperto. 
Mi stava impedendo di compiere un passo verso di lui, come se non avesse voluto annettermi alla sua vita in maniera totale.
Abbassò la testa con colpevolezza e si passò una mano fra i capelli. Sembrava sul punto di strapparseli. << Io non... >> 
<< Ti sbagli >> lo anticipai scuotendo piano il capo. Avevo gli occhi sgranati, umidi di lacrime represse. << Io ti conosco solo per quello che vuoi farmi conoscere o per quello che ricavo dagli altri. >> Mi sentivo così... turbata, sconvolta, stanca e furiosa da reggermi a malapena in piedi. 
Le labbra mi tremarono pericolosamente, rischiando di farmi esplodere in un pianto dirotto. Deglutii per cacciare il groppo alla gola e guardai David dritto negli occhi. << Che senso ha dare tanto quando dall'altra parte non si riceve altrettanto? >> buttai fuori alzando la voce, seppur rotta. La rabbia m'invase per quella debolezza che non sapevo contenere. << Che senso ha stare insieme se tu mi permetti di conoscere soltanto quello che ti fa comodo?! >> gridai additandolo. << Dimmelo, David! Che senso ha per te?! >> 
I suoi occhi si spalancarono gradualmente. 
Lo avevo colpito in pieno. Ed io ero rimasta colpita almeno quanto lui. 
Mi sentivo il petto squarciato ed il cuore stretto in una morsa. Era come ritrovarsi traballanti su una corda sospesa nel vuoto. Cercavo disperatamente di non cadere, ma non c'era nulla, nessuno, che mi aiutasse a restare in equilibrio. 
Lo vidi umettarsi le labbra e distogliere lo sguardo, poi il suo pomo d'Adamo abbassarsi. Sembrava sconvolto, come se avesse realizzato qualcosa di estremamente doloroso. 
Avrei voluto sapere cosa stesse pensando, ma quella era una delle tante cose che non mi concedeva di conoscere. Lo intuii, però, nel momento in cui mi superò per raggiungere la finestra. Voleva andarsene. Lontano da me, ancora. 
Mi voltai di scatto con gli occhi sgranati e gli afferrai un braccio con disperazione. << No... ti prego >> sussurrai avvicinandomi. Mi morsi un labbro; mi faceva male la gola da quanto mi stavo trattenendo dal piangere. << Ti prego >> ripetei, la voce spezzata. Appoggiai la fronte sulla sua schiena e sospirai piano. << Io... vorrei che tu mi... >> Il cuore mi pulsava persino sotto i palmi delle mani. << Che tu mi permettessi di entrare nella tua vita. Vorrei che tu avessi fiducia in me, e che questa fiducia ti spingesse a raccontarmi quel che ti spaventa. Vorrei... >> Una lacrima saltò oltre la diga e mi scivolò lungo la guancia. << Vorrei che tu mi dessi l'opportunità di viverti a trecentosessanta gradi. Vorrei che ti sentissi libero di parlarmi di tutto ciò che vuoi anche quando credi che non sia importante. Io... >> Mi morsi più forte il labbro. << Io starei giorni interi ad ascoltarti, non mi stancherei mai, neanche se tu mi parlassi del tuo film preferito o del colore dei tuoi calzini. >> Sorrisi appena, le lacrime che si precipitavano una dopo l'altra sul parquet. << Più semplicemente vorrei che tu... >> Un sospiro tremulo mi vibrò tra le labbra. << Che tu condividessi la tua vita con me. >> Chiusi gli occhi. << Perché io non riesco a fare a meno di te. >> 
Il silenzio ci avvolse tra le sue invisibili braccia. 
Sentivo le tempie pulsare e le guance calde per ogni lacrima che le percorreva. 
Avevo aperto il cuore e glielo avevo definitivamente ceduto. Mi ero esposta completamente. E non avevo rimpianti, era quello che volevo. 
Ogni parola era venuta fuori direttamente da quel muscolo che al momento suonava una musica di sottofondo. Ogni nota corrispondeva ad un battito. E così, battito dopo battito, si orchestrava la melodia dei miei sentimenti.
Sentii il braccio di David scostarsi dalla mia mano. 
Sgranai gli occhi mentre il respiro mi si mozzava per il dolore. Poi, inaspettatamente, le sue dita mi avvolsero l'avambraccio, scesero caute come se stessero sfiorando del cristallo e si calarono fino al palmo, s'intrecciarono alle mie e strinsero con delicatezza. 
A quel punto percepii un profondo calore diffondersi nel petto. Un calore così benefico da farmi spuntare un sorriso in mezzo alle lacrime. 
Distanziai la fronte dalla sua schiena mentre si voltava. Rimasi così colpita dalla vista dei suoi occhi da sentire un balzello del cuore. Erano lucidi, e rossi. Come se avesse frenato con ogni forza l'incombere delle lacrime. 
Mi guardava con un'intensità delicata, soffice come una piuma. I tratti del suo volto erano rilassati, le labbra dischiuse per respirare. 
Mi resi conto che quella era la prima volta che gli vedevo quell'espressione, così fragile e provata, anticamera della sensibilità che il più delle volte mascherava. 
Mi passò l'altra mano sulla schiena e mi avvicinò a sé, per poi stringermi forte contro il petto e nascondere il viso sul mio collo. 
Il mio mondo si ricompattò in quel momento. Ogni certezza tornò al suo posto nella mia mente. Percepii un defluire rapido di tensione, rabbia, delusione e angoscia. Mi sembrò di sentirli evaporare fuori dal mio corpo attraverso ciascun poro. 
<< Scusa >> bisbigliò sulla mia pelle, il tono carico di patimento. << Scusa >> ripeté mentre risaliva lungo la scia di una lacrima, per poi baciarmi piano sullo zigomo. 
Gli strinsi la mano e l'attimo dopo mi gettai sulla sua bocca. 
Trasportai le dita dietro il suo collo e lo avvicinai a me con urgenza. Le sue labbra divoravano le mie trasmettendomi un uragano di emozioni. Ogni toccata tra le nostre bocche sembrava innescare scintille. 
E così, durante quel susseguirsi d'istanti, mi resi conto di quanto quel ragazzo dagli occhi dorati fosse diventato importante per me. Forse me ne resi effettivamente conto per la prima volta. 
Avevo sempre dato per scontata la sua presenza al mio fianco, ed è quando si dà troppo per scontato qualcosa che non ci si accorge fino in fondo del suo valore. Ed io lo avevo capito quando lo avevo visto avviarsi alla finestra per andarsene. In quel momento nel mio cervello era scattato qualcosa che mi aveva spinta ad abbandonare l'orgoglio e ad aprire il cuore. 
Ci distanziammo col respiro affrettato, ma non abbastanza da non percepire l'uno il fiato dell'altra sulla pelle. Il tempo parve congelarsi mentre io tenevo ancora una mano sulla sua nuca e lui mi tratteneva a sé. 
Il suo respiro era caldo e inebriante, familiare quanto il suo profumo. Un profumo che mi era mancato da impazzire. 
E poi, mentre la mia mente lo pensava, mi ritrovai ad incassare l'imboscata delle sue labbra che, di scatto, si erano riprecipitate sulle mie. 
Con un sobbalzo del cuore mi avvinghiai al suo corpo e risposi al suo bacio pregno di desiderio. Era come se mi stesse comunicando ogni singola emozione provata in quella mattinata. Percepii ansia, rabbia, impotenza, disperazione, angoscia, ma anche felicità, sorpresa, brama. 
Atterrai sul letto ancor prima di rendermi conto che mi aveva sollevata da terra. 
Uno dopo l'altro i nostri vestiti volarono sul pavimento. Ebbi soltanto il tempo di vedergli estrarre una bustina dal portafoglio. Ogni piccolo tonfo era coperto dagli schiocchi delle nostre labbra e dai sospiri che aleggiavano fino al soffitto. 
Gli passai una mano sul petto caldo mentre si abbassava sul mio collo. Gli graffiai la pelle non appena la sua bocca m'incendiò come benzina al passaggio sulla clavicola. E poi ancora, mentre si dedicava ad un seno e scendeva sulla pancia. 
A quel punto gli artigliai le spalle e reclamai le sue labbra sulle mie. Fui accontentata subito. Lo strinsi a me come se potessi rischiare di perderlo e mi abbandonai al suo bacio rovente. 
Provai una sensazione di benessere così intensa da avere la pelle d'oca. Poi esplosi in una breve risata che disciolse il nodo precedentemente creatosi alla bocca dello stomaco. 
Mi sentivo bene. Meravigliosamente bene. 
Anche le labbra di David si distesero in un sorriso, mentre i suoi occhi mi esaminavano con... amore. Poi si abbassò sul mio viso e percorse il tragitto di una lacrima con la punta del naso, dal mento fino all'occhio. Mi sembrò di sentirgli sussurrare uno "scusa" prima che mi baciasse con premura sulla palpebra. 
Il mio cuore vibrò come la corda di un violino.
Non ci fu un solo centimetro della mia pelle che la sua mano non sfiorò. Ma stavolta non furono lenti tocchi di venerazione, furono forti sinonimi di quella paura che aveva confessato di avere. Ricalcò ogni mia forma come se avesse dovuto fare un dipinto nella sua mente. Ed in ognuno di quei gesti, a partire dai suoi baci, per poi passare alle attenzioni riservatemi e per finire con la delicatezza con cui si muoveva dentro di me, ci lessi una traduzione di quel timore che avevo avuto anch'io: perdermi. 
Lo baciai sul collo mentre il sudore m'imperlava la fronte ed i suoi movimenti si facevano più rapidi. La mia mente viaggiava tra mille pensieri con lui come unico ed indiscusso protagonista. 
Si distese completamente su di me e portò il viso a pochi centimetri dal mio. Mentre i suoi liquidi occhi provati dalle emozioni m'incatenavano in uno sguardo profondo quanto gli abissi ed i nostri respiri si fondevano in uno, le sue mani scivolarono sulle mie e le trasportano sul cuscino ai lati della mia testa. Il mio cuore accelerò d'impulso. 
Intrecciò le nostre dita e le strinse forte quanto me, poi inclinò il capo e sfiorò le mie labbra con una dolcezza commovente. Sembrò quasi che si stesse scusando per il male che mi aveva fatto, che mi considerasse preziosa e delicata quanto una carezza.
In quel momento provai un miscuglio di emozioni totalmente diverse tra loro, ma tutte figlie della stessa forza motrice: la felicità. Avrei voluto piangere e sorridere contemporaneamente, urlare e tacere. Avrei quasi desiderato ringraziare Bradly per avermi fatto davvero capire quanto amassi quel ragazzo dai capelli sbarazzini e dal sorriso sfacciato. 
Sorrisi mentre insieme raggiungevamo il culmine, poi ridacchiai contro la sua spalla stringendolo a me. 
Sentivo la mente sospesa in un nugolo di spensierata gioia. 
E quella gioia si mescolò alla serenità quando mi ritrovai stretta al suo petto, a disegnare motivi concentrici sulla sua pelle accaldata, a respirare il suo profumo come se non esistesse altro ossigeno. 
<< Hai freddo? >> mi chiese mentre mi accarezzava la schiena. La sua bocca si dischiuse sulla mia fronte per lasciare la traccia di un bacio. 
<< No >> sussurrai abbracciandolo più forte. << Voglio solo stare così. >> Mentre il mio polpastrello si muoveva delicatamente su un suo pettorale, ripensai al modo in cui ci eravamo urlati contro. << E non voglio più litigare con te in quel modo >> aggiunsi piano. 
<< Neanch'io >> rispose, sospirando sui miei capelli. << Ad un certo punto ho creduto che mi stessi lasciando >> ammise, il tono più rauco. 
Di colpo capii il perché dei suoi occhi rossi e del suo sguardo sconvolto dopo che gli avevo gridato contro. 
Il mio cuore sussultò e si strinse per lo spasimo. 
Avvicinai la bocca al suo petto e lo baciai in prossimità del cuore. Avvertii il suo battito accelerare sotto le labbra. << Non ci avevo neanche pensato >> confessai alzando la testa.
I suoi occhi si legarono ai miei come calamite di cariche opposte. Finalmente li vidi rilassati, privi di preoccupazioni e segreti. Un attimo dopo furono attraversati da una luce a metà tra lo scherzoso ed il malizioso, sulle sue labbra si pennellò un sorriso sghembo. << Allora continua a non pensarlo >> asserì abbassando lo sguardo sulla mia bocca. Le mie guance si tinsero di sfumature calde per la velocità con cui il mio cuore stava pompando. << Anche perché non ti lascerei andare tanto facilmente >> aggiunse sollevandomi il mento con due dita. 
Condussi una mano fra i suoi capelli mentre i nostri occhi si scrutavano a vicenda. Poi mi baciò. Sentii le sue labbra accarezzare le mie con una flemma trasportante. Ed effettivamente mi sembrò di essere trasportata in una dimensione fatta di luce,  dolcezza, calura e morbidezza. 
I miei muscoli si sciolsero al passaggio delle sue dita sul costato, poi sul fianco, sulla pancia e sù fino al viso. Esalai un sospiro di piacere dentro la sua bocca mentre coi denti mi mordicchiava un labbro. 
Quando ci allontanammo tornai ad occupare la mia posizione preferita, con la testa sul suo petto, il suo battito nelle orecchie. 





                                                                    *  *  *




David se n'era dovuto andare verso mezzogiorno. Prima di quel momento non avevamo fatto altro che restare abbracciati sul mio letto, a sussurrarci parole e a scherzare come sempre. Ma a prescindere da tutto, avevo avuto bisogno di quel tempo trascorso con lui. Lo avevo sentito di nuovo vicino, forse più di quanto lo fosse mai stato. 
Avevamo ancora tempo per perfezionarci come coppia, ma avevo l'impressione che le basi che avevamo costruito, mattone dopo mattone, si fossero solidificate. L'importante era sempre quello: comunicare. Ed ero sicura che entrambi lo avessimo compreso nel momento in cui avevamo sperimentato la paura di perdere l'altro. 
Quando Cam era rientrato e mi aveva trovata in casa, per poco non si era preso un colpo. Gli avevo rifilato la scusa di un mal di pancia insopportabile. Non aveva fatto più domande, probabilmente credendo che "mal di pancia" fosse un messaggio in codice per dire mestruazioni. 
Avevamo pranzato insieme e poi il signorino mi aveva lasciato da pulire tutto il sudicio sui fornelli e nel lavabo. 
Mi passai il dorso della mano sulla fronte e sbuffai. << Come cavolo fai ad insudiciare così ogni volta? >> Tornai ad accanirmi su una crosta di sugo in mezzo ai fornelli come se da quello dipendesse la mia vita. 
<< Schizza, non posso farci nulla >> rispose lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. Potevo vedere i suoi movimenti con la coda dell'occhio per via della posizione obliqua che avevo assunto. 
<< Potresti stare più attento, ad esempio >> replicai. << Staresti bene solo in un porcile. >> 
<< Intanto il mio armadio non sembra una discarica >> contrattaccò con un'aria di superiorità. 
Lo fulminai con un'occhiata omicida. Il suo sorriso largamente soddisfatto, purtroppo, non sparì. Anzi, incrociò le braccia sul petto fasciato in un golf nero e sollevò un sopracciglio palesemente divertito. << Siamo tutti trepidanti di conoscere il tuo ragazzo, soprattutto papà. Quando verrà a rallegrarci con la sua presenza? >> 
Strabuzzai gli occhi mentre la saliva mi andava di traverso. << Che ha detto papà? >> domandai apprensiva. 
Avevo il batticuore. 
Cam fece spallucce. << Solo che vuole conoscerlo presto. >> 
Tirai un sospiro di sollievo e bagnai la spugnetta per pulirla dello sporco impigliatosi.
<< Ah, e che lui ha il potere di capire le persone a pelle. Quindi riuscirà ad inquadrare subito il tuo ragazzo. Se vede che ti sta solo prendendo in giro, ha detto che lo sbatterà fuori di casa a calci nel sedere. >> Mi voltai a guardarlo di scatto. Teneva una mano sotto il mento, lo sguardo assorto. << Sì, ha detto proprio così, che gli tirerà talmente tanti calci da fargli venire le emorroidi. Ovviamente solo nel caso in cui ti stesse prendendo in giro >> aggiunse con un sorrisino beffardo. 
Santo cielo. Non avevo parole. 
Mi facevano passare la voglia d'invitare David. Insomma, alla faccia della cordialità. 
<< Non succederà niente di tutto questo >> risposi lanciandogli un'occhiata severa. << David non mi sta prendendo in giro. Fine del discorso. >> 
Alzò gli occhi al cielo. << Sì, l'hai già detto. >> Ripiombò su di me, stavolta senza l'ombra di un sorriso. << Nonostante la sua reputazione lo preceda, non credo che tu sia scema. Se ti fidi tanto ci sarà un motivo, poi il resto lo giudicherò vedendovi insieme >> dichiarò sorprendendomi. 
Quello sì che era un discorso intelligente. Non come quelli che mi era toccato sentire da Bradly. La differenza stava nel fatto che Cam era mio fratello e mi amava, Brad era un cretino e mirava a far soffrire sia me che David per separarci. Il confronto neanche si poneva.
Sorrisi e ricominciai a pulire con maggiore vigore. 
<< Allora, quando viene il fanciullo? >> incalzò con un tono scherzoso. 
<< Non lo so, devo ancora chiederglielo. >> 
<< Fallo in fretta, non sto più nella pelle. >>
Stavolta fui io ad alzare gli occhi al cielo, ma ridendo. 
<< Anzi, mandagli un messaggio adesso >> propose battendo una mano sul tavolo come se avesse avuto l'idea del secolo. << Cavolo, esiste la tecnologia, sfruttiamola. >> 
Lo guardai con gli occhi che per poco non mi uscivano dalle orbite. << Cosa? No, glielo chiederò di persona. >> 
Il poveretto non poteva sapere che io e David ci saremmo visti quella notte. 
<< Dai, che ti ci vuole? Almeno mamma sarà contenta di sapere quando dovrà cominciare a vedere i tutorial delle ricette >> insistette con l'aria di chi sa di avere ragione. 
<< Che piaga che sei >> borbottai lanciando la spugnetta nel lavello. << Vado a prendere il cellulare. >> 
Salii in camera ed acciuffai il telefono sulla scrivania. Mentre stavo per uscire di camera mi ricordai dei messaggi decisamente scomodi che mi ero scambiata con David. 
E se Cam li avesse letti? Avrebbe sicuramente allungato l'occhio, e se mi fossi nascosta alla sua occhiata avrebbe intuito qualcosa. 
Sbloccai la schermata e spulciai frettolosamente i messaggi per constatare la gravità della cosa.
Sono qua sotto. Apri la finestra. 
Ecco, già si partiva male. 
Arrivato. Finestra, Anderson. 
Sorrisi. David a volte mi chiamava per cognome per stuzzicarmi. E dovevo ammettere che quando lo faceva mi divertiva. Mi ricordava i vecchi tempi, quando sputavamo il cognome dell'altro come un insulto. 
Risalii nella cronologia. 
Credo di conoscerlo abbastanza bene il tuo amichetto. Ma forse dovremmo approfondire la conoscenza.
Il mio collega concorda. Ha intenzione di approfondire la conoscenza molto presto. Avrebbe già voluto farlo ieri notte mentre ballavamo.

Oh Signore Santissimo. 
Sentivo le guance in fiamme.
Santo cielo. 
Smanettai come una pazza per cancellare, a malincuore, tutti i messaggi. Non era il caso di rischiare che mio fratello leggesse quelle cose. Per carità. 
Scesi le scale ed entrai in cucina dissimulando il mio stato interiore. 
Mi schiarii la voce e guardai Cam che... da quando era davanti a me? Intontita com'ero mi lasciai strappare il telefono di mano. 
Mi ripresi soltanto quando sentii il rumore della tastiera in uso. << Ehi! Che stai facendo? >> strillai cercando di riprendermi ciò che mi apparteneva. 
Cam alzò le braccia sopra la testa e reclinò il capo per continuare a vedere cosa stava digitando. Mi sentivo morire. Ma perché dovevo avere un fratello tanto pestifero? E fortuna che avevo cancellato i vecchi messaggi. 
<< Ridammelo subito! >> gridai saltellando come una scimmia.
<< Tra di voi vi chiamate "amore"? >> chiese voltandosi un attimo a guardarmi. 
Sgranai gli occhi ed arrossii. << No >> buttai fuori di getto. Eppure mi sarebbe piaciuto da morire sentirlo mentre mi chiamava in quel modo. Ma purtroppo non era quello il momento più indicato per pensarci. 
Gli tirai uno schiaffo sugli addominali. Non fece neanche una smorfia, sembrava avessi schiaffeggiato l'aria.  
<< Cam, dammelo! Mi sto arrabbiando! >> 
Annuì distrattamente. << Sì, stai buona un attimo. >> 
Mi stava prendendo in giro? Buona un corno. Chissà cosa stava scrivendo a David. Ero quasi spaventata di scoprirlo. 
Prima che mi attaccassi ai suoi capelli per usarli come liane, sebbene fossero corti, sul suo volto apparve un sorriso pericolosamente appagato. << Ecco fatto, tieni >> disse porgendomi il cellulare. 
Lo presi col cuore in tumulto. Stavo sudando freddo. Dentro di me pregavo che... Oh Signore Benedetto! 
I miei occhi si sgranarono di colpo. Cam uscì dalla cucina ridendo a crepapelle. 
Amoruccio mio, sei il primo raggio di sole che mi sveglia la mattina, sì esatto, quel raggio che mi fa insultare peste e corna, e l'ultima stella che vedo prima di addormentarmi ed avere gli incubi al ricordo del tuo sorriso. Ma non importa, amoruccio. Dobbiamo ufficializzare la nostra unione. Ti propongo una cena con la mia famiglia. Ho un fratello di cui vado molto fiera che vorrei farti conoscere. Dimmi tu quando sei libero, buio dei miei occhi. 
Ps: ti amoruccio.

Non riuscivo a staccare gli occhi da quel messaggio. Lo avrei ucciso. Eccome, se lo avrei fatto. 
Sbattei il telefono sul tavolo ed uscii dalla cucina come una furia. << Cam! >> urlai dal salotto. 
Il codardo si era nascosto, ma lo avrei scovato inseguendo il suono delle sue risate. Per lui era finita. 
<< Comincia a fare le ultime preghiere! >> aggiunsi mentre mi armavo della scopa. A suon di bastonate in testa avrei cercato di farlo rinsavire. Le probabilità di successo erano poche. 
Guardai a destra e a manca come se avessi avuto gli infrarossi. Il sorcio non c'era. Evidentemente aveva scelto il piano di sopra per rintanarsi. 
Salii le scale con passo deciso e tesi l'orecchio. Dopo poco captai una risata strozzata provenire dal bagno. 
Sorrisi malignamente. Era in trappola. 
Mi avvicinai silenziosamente alla porta, poi con un calcio poderoso la spalancai. Cam emise un urletto acuto da donna e si fece più piccolo nell'angolo in cui si era cacciato. 
<< Ma guarda chi si rivede >> lo salutai piantando la scopa per terra. 
<< Oddio, no >> farfugliò continuando ad imitare una voce femminile, la mia per la precisione. << Non farmi del male, ti prego. >> 
<< Taci, sorcio immondo. >> Lo indicai con un braccio, gli occhi ridotti a due fessure. << Tu ora subirai... >> 
Il trillo del mio cellulare echeggiò fino a noi. Il cuore mi schizzò in gola. Oh santo cielo. 
Cam scattò nel mio stesso istante per precipitarsi sulle scale. Gli afferrai il golf e lo strattonai all'indietro, mentre lui tirava come un toro per raggiungere il telefono e leggere la risposta di David prima di me.  
<< È il mio ragazzo, non il tuo! >> puntualizzai mentre venivo trascinata come un sacco di patate. 
<< Chi se ne frega, lasciami >> rispose prima di scivolare su un gradino. Ne approfittai per rimettermi in piedi e superarlo. Ma quella specie di mammut si rialzò subito e mi agguantò un braccio; in meno di un attimo venni spinta sui gradini e sorpassata dalla sua mole. Ringraziai il cielo che non mi avesse schiacciata con un piede. 
<< Il telefono è mio! >> gridai tirandomi sù. << Non hai il diritto di leggere i miei messaggi! >> Spiccai letteralmente il volo e gli piombai sulla schiena. 
<< Me ne sbatto doppiamente >> riuscì a dire mentre mi abbarbicavo a lui come un koala e cercavo di tappargli gli occhi. 
Per sbaglio gli ficcai un dito nel naso. Lo ritrassi profondamente schifata. 
Ogni volta che riuscivo a coprirgli la vista, lui scacciava le mie mani ed avanzava di metro in metro. In quel modo arrivammo in cucina. 
<< No, mollalo! >> strillai mentre afferrava il mio cellulare. Ma perché lo avevo lasciato sbloccato ed incustodito? 
Spostai la testa di lato per leggere la risposta di David. Se non altro dalla prima riga s'intuiva che aveva capito che non ero stata io a mandargli quel messaggio. 
Non so bene chi tu sia, ma vorrei che tu sapessi che custodirò le tue toccanti parole per sempre. Questo venerdì sera mi terrò libero soltanto per conoscerti. 
Ps: ti amoruccio anch'io.
 
Ero sconvolta da quanto mio fratello e David riuscissero ad essere cretini. Quei due si somigliavano più di quanto immaginassero. 
<< Come vedi il tuo ragazzo ti ha già tradita >> esordì Cam, agitando il telefono davanti alla mia faccia. << Mi amoruccia, non c'è altro da aggiungere. >> 
Per del tempo rimasi in silenzio, attonita. Poi scoppiai a ridere come non facevo da tempo, fino ad avere male alla pancia e le lacrime che mi scendevano sul viso. E per tutto il pomeriggio non riuscii a fare altro.  





                                                                       *  *  *





A mezzanotte, dopo aver salutato i miei genitori di rientro da lavoro, salii in camera. 
Mi fermai nel corridoio e sbadigliai guardando Cam. << Buonanotte >> biascicai. 
<< 'Notte, opossum >> rispose prima di defilarsi nella sua stanza. 
Accesi l'abat-jour e la coprii con una maglietta. La luce soffusa che abbracciò la camera non fece altro che alimentare la mia sonnolenza. Era già tanto che mi reggessi in piedi.  
Mi sentivo tremendamente stanca, la testa pesante e che lanciava fitte di dolore. 
Era stata una giornata talmente lunga e carica a livello emotivo da aver prosciugato tutte le mie riserve di energia. 
Speravo di non addormentarmi prima che arrivasse David. A tal proposito mi ricordai di chiudere la porta a chiave. 
Anche se erano già tutti a letto, era sempre meglio non rischiare. 
Prima di quanto mi aspettassi, udii Cam russare. Evidentemente la giornata era stata stancante anche per lui. 
Durante l'attesa indossai un pigiama azzurro di pile: caldo, morbido e profumato. Raccolsi i capelli in una bassa coda laterale e mi lavai i denti. 
Trascorsero circa dieci minuti prima che il mio cellulare vibrasse sul comodino. Senza neanche guardare cosa ci fosse scritto, corsi alla finestra e la spalancai. 
Col sorriso stampato in faccia osservai David salire rapidamente. Si era velocizzato tantissimo dalla prima volta che aveva scalato quell'albero, ormai sapeva dove appoggiare i piedi e dove fare leva. 
Entrò in camera e si sollevò in tutta la sua altezza, rivolgendomi fin da subito un sorriso ilare. 
Il cuore mi picchiava dentro al petto come uno scalpello. << Ciao Romeo >> lo salutai scherzosamente. 
I suoi occhi s'illuminarono di divertimento. << Giulietta >> rispose con un inchino teatrale. 
Ridacchiai e gli tirai una leggera spinta sul petto. Afferrò prontamente la mia mano e se la portò davanti alla bocca. Prima che il mio cuore scoppiasse, la baciò sul dorso, tenendomi sotto mira coi suoi occhi velati di malizia. 
<< Stavo per dimenticare il baciamano, madama >> dichiarò con un sorrisetto sfacciato. 
Oh mamma. Avevo gli occhi spalancati e le guance in fiamme. Il mio battito cardiaco era a dir poco esasperato, prossimo a collassare. 
Schiarii la voce e ritrassi la mano, per poi interrompere il nostro intenso contatto visivo con una rapida rotazione del capo. << Ehm... tu spogliati pure, io... >> Oddio, ma che stavo dicendo? Il mio cervello era ancora incagliato sul modo in cui mi aveva guardata, sembrava avesse voluto spogliarmi.
Percepivo i suoi occhi addosso. Santo cielo. Faceva un caldo assurdo. 
Guardai il letto per disperazione. << Io intanto mi metto sotto le coperte >> improvvisai, la gola riarsa. 
Mentre trottavo come un soldatino per mettere in pratica le mie parole, udii la bassa risata di David. Ovviamente si era accorto dell'effetto che il suo gesto aveva avuto su di me. Come non notarlo, ero praticamente andata in tilt. 
Rincalzai il piumone e lo lisciai senza un motivo, alla fine m'introdussi nel letto ed appoggiai la schiena alla testata. 
David si sfilò la canottiera, esasperando la mia situazione mentale. Era così bello solo in jeans. Godeva di una schiena sinuosa e muscolosa, le spalle non esageratamente larghe, ma forti, i bicipiti spiccavano come sul corpo di una statua, duri e sodi. 
Quando si levò anche i pantaloni, nel mio cervello avvenne una moria di neuroni. Non ci fu neanche un sopravvissuto. 
Osservai il suo tragitto fino all'altro lato del letto con la bava alla bocca. Appena si sedette accanto a me, cercai di ricompormi e non allungare le mani verso il suo corpo. Mi sentivo una maniaca. 
Lanciai un'occhiata ai suoi addominali. 
Santo Dio, dovevo darmi un contegno. 
Appoggiai la testa contro il suo bicipite e rilasciai un sospiro rilassato. 
Vidi il suo braccio muoversi sopra la coperta e raggiungere la mia mano, a quel punto le sue dita scivolarono sulle mie e s'intrecciarono assieme. Un fiume di emozioni si fece largo nel mio corpo. 
Con l'indice della mano libera andai a giocare con il braccialetto di cuoio che gli avevo regalato e con cui non lo avevo mai visto senza. Anch'io non toglievo mai il suo, mi piaceva poter sollevare il polso e vederlo. 
<< Non ho preso la patente perché desideravo avere una macchina da guidare >> esordì d'un tratto, sorprendendomi. Il mio cuore si agitò d'impulso. << Dopo la morte di mio padre volevo soltanto vendicarmi, scovare l'uomo che lo aveva ucciso e ripagarlo con la stessa moneta. 
<< Prima dei sedici anni non potevo far altro che cercarlo a piedi, quando era buio. Con la macchina avrei potuto allontanarmi dalla mia zona e dargli la caccia nelle bettole che ancora non avevo visto. >> Fece una pausa. << È per questo che ho preso immediatamente la patente. Poco dopo mia mamma scoprì quel che avevo intenzione di fare, così abbandonai l'idea di affittare un'auto e d'inseguire la mia vendetta. >>  
Sollevai la testa e cercai il suo sguardo. << Ad oggi sei fiero della scelta che hai fatto? >> 
Non era mai successo che lui si aprisse di sua spontanea volontà come aveva appena fatto. In quel momento capii che le mie parole di quella mattina avevano penetrato la sua corazza, incrinandola. Mi stava finalmente permettendo di entrare nella sua vita, di conoscerlo attraverso nuove sfaccettature. 
Le sue iridi s'incollarono alle mie. << Sì >> affermò sicuro. << Sono fiero di non essermi macchiato del sangue di chi si è preso quello di mio padre. >> Appoggiò la nuca alla testata e spostò gli occhi davanti a sé. << Quella feccia si merita di sopportare tutti i dolori di questa vita. Sempre che sia ancora vivo >> aggiunse con una scrollata di spalle. 
Lo osservai per un po'. Era rilassato, ma lo sguardo pareva lontano, sicuramente perso in qualche ricordo spiacevole. 
Calai la testa e guardai le nostre mani unite, poi strinsi la sua e mi umettai le labbra. << Da piccola ho avuto un incidente >> tirai fuori con non poca fatica. 
Non avevo mai parlato a nessuno di quell'esperienza orribile, neanche a Clarice. Preferivo non ricordarla e basta. 
Sentii il rapido movimento della sua testa, probabilmente volto a guardarmi. 
<< È successo quando avevo nove anni. Una mia amica m'invitò a fare campeggio con lei ed i suoi genitori, così i miei mi portarono da lei. Fu una settimana stupenda, ci divertimmo un sacco, non stavamo ferme un attimo. Poi... arrivò il momento di tornare a casa e... i suoi genitori avevano l'abitudine di guidare la notte per non trovare traffico. 
<< Ci mettemmo in viaggio che già pioveva, ma nulla di preoccupante. Dopo mezz'ora sentivamo la pioggia e la grandine picchiare contro il tettuccio, i vetri, gli sportelli. >> Rabbrividii al ricordo del freddo che mi penetrava nelle ossa. << I tergicristalli sembravano impazziti, eppure per quanto si muovessero non si vedeva nulla. Arrivammo ad una galleria, la percorremmo lentamente per riprendere fiato, ma poi... una volta usciti lo scroscio si riversò di nuovo su di noi e... c'era una curva. Lo seppi soltanto perché la madre della mia amica lo urlò prima che suo marito sterzasse bruscamente e... ed andassimo fuori dalla corsia. Ricordo che urlavamo tutti, mi sembrava di non avere più fiato nei polmoni. Poi mi sentii capovolgere, il mio finestrino andò in frantumi ed il tettuccio mi si accartocciò sopra la testa. 
<< Ero... terrorizzata. Non vedevo altro che il buio, come se fossi stata cieca. L'acqua sulla strada scorreva sotto i miei capelli, me li bagnava. E poi cominciai a provare la sensazione di essere in gabbia, di essere rinchiusa, di non avere fiato. >> 
Scossi piano il capo come se fosse servito ad allontanare il ricordo. 
<< Cos'è successo dopo? >> mi domandò cautamente David. 
<< Mi sono risvegliata in una stanza d'ospedale con la testa e le braccia fasciate. Avevo un trauma cranico, delle schegge di vetro sotto la pelle ed una contusione alla caviglia. Fortunatamente siamo sopravvissuti tutti >> aggiunsi con un piccolo sorriso. 
Mi resi conto solo in quel momento che la mia mano si trovava più vicina al suo corpo, precisamente sulle sue gambe. << È per questo che soffri di attacchi di panico? >> 
Assottigliai lo sguardo mentre lo spostavo sulla coperta. << Non lo so. La cosa sicura è che dopo l'incidente ho iniziato ad avere paura del buio. >>
Il suo pollice mi sfiorò piano il dorso. << Quando hai avuto il tuo primo attacco di panico? >> domandò. Sentii il suo respiro regolare sui capelli. 
<< Qualche mese dopo l'incidente, mentre io e la mia famiglia stavamo visitando uno zoo. Non ricordo molto, solo che mi bloccai davanti alla gabbia di una tigre. Andai praticamente in tilt >> mormorai con un sospiro mesto. 
Era sempre difficile rivangare quei momenti, mi trasmettevano una profonda sensazione d'impotenza. Impotenza per il semplice fatto che durante ogni attacco non riuscivo ad avere più controllo sul mio corpo e sulla mia mente. Era una sensazione orribile. Quando ci pensavo a mente lucida mi venivano i brividi. 
<< Potrebbe esserci una connessione >> pronunciò David. 
Sollevai la testa e lo guardai incuriosita. << In che senso? >> 
Teneva gli occhi puntati davanti a sé, una ruga di espressione in mezzo alle sopracciglia denotava quanto fosse concentrato. << Il tuo primo attacco di panico lo hai avuto alla vista di una gabbia, esattamente poco dopo aver subito un incidente in cui hai sperimentato la sensazione di essere intrappolata, di trovarti in gabbia. E quando eravamo nel rifugio, durante il tuo primo attacco, volevi per forza uscire. >> Si zittì, entrambe le nostre menti riflettevano su quei particolari. 
Le sue parole avevano un senso, il che spiegava anche per quale motivo nessuno psicologo fosse mai riuscito a trovare la causa scatenante dei miei attacchi. Semplicemente perché non avevo mai parlato a nessuno dell'incidente. 
<< Probabilmente è come dici >> affermai annuendo piano. << Avrebbe senso, tutto acquisterebbe un motivo. >> Abbassai il capo e ripresi a sfiorare il suo bracciale di cuoio. 
<< Quante pasticche prendi al giorno? >> mi chiese dopo poco.
Mi spuntò un piccolo sorriso orgoglioso. << Nelle ultime due settimane ho smesso di prenderle. Voglio provare a stare senza, vorrei... >> Mi strinsi nelle spalle. << Cercare di farcela con le mie forze. >> 
Sentii le labbra di David premere sulla mia testa e stendersi in un sorriso. << Puoi farcela, nanetta. Sei più forte di quanto credi >> sussurrò con fierezza. 
Il mio cuore battagliò per scapparmi dal petto. Era la prima volta che mi diceva una cosa come quella. Il mio cervello non era psicologicamente pronto. 
Mi sembrava la giornata delle scoperte. 
Camuffai il mio rivoluzionario stato interiore portando gli occhi nei suoi e sollevando un sopracciglio. << E tu quando intendi smettere di fumare? >>
Un sorriso sghembo gli increspò un angolo della bocca. La sua espressione assomigliava tanto a quella di un bambino pestifero. << Mai >> rispose scrollando le spalle. 
<< Povero scemo >> ribattei guardandolo con un che di sufficienza. << Prima o poi smetterai, te lo assicuro >> dichiarai risoluta.
<< Ah sì? >> domandò divertito. 
Ridussi gli occhi a due fessure. << Sì, caro. Ad esempio potresti cominciare fumando di meno. Tipo una sigaretta ogni quattro ore. >> 
<< Mm >> mugugnò contrariato. La smorfia che gli incurvava le labbra parlava da sé.
Mi tirai a sedere per bene e gli afferrai un braccio per sbatacchiarlo. << Dai, sì, facciamo così. Su, almeno provaci. Che ti costa? >> 
<< Molta fatica >> ribatté passivo. 
<< Ma no >> lo rassicurai gesticolando. << È una cosa mentale. Dai, ti prego >> lo supplicai con l'espressione più dolce del mio repertorio. Speravo di assomigliare ad un cucciolo di foca. 
Mi fissò inespressivo, o meglio, decisamente scontento. Sembrava chiedermi di rimangiarmi tutto. Vedendo che non demordevo, alla fine sospirò sconfitto. << Ci proverò >> buttò fuori con un grande sforzo. 
Battei piano le mani e saltellai sul letto, contenta e vittoriosa. << Bravissimo, hai fatto la scelta migliore. >> 
<< Non ne avevo altre >> rispose, la faccia da funerale. 
Mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia e sorrisi angelica. << Ah, e se osi sgarrare prima ti spezzo le sigarette e poi le dita. >>
Si voltò per sorridere divertito. << Peccato, stavo già pensando ad un modo per fregarti >> confessò sfacciatamente. 
Lo guardai con una smorfia di disgusto. << Non ho parole. >> 
Ridacchiò ilare mentre mi distendevo sotto le coperte e mi giravo su un fianco. Un minuto dopo avvertii il suo petto contro la schiena ed un suo braccio attorno alla vita. 
Spensi la luce e sospirai rilassata, per poi intrecciare le dita con le sue e chiudere gli occhi. 
In quel momento tutta la stanchezza della giornata mi crollò addosso. Sentii le mani diventare calde e la testa più leggera, sospesa tra il presente e l'oblio. 
Dischiusi le labbra ed emisi un lento respiro. 
<< Il mio gusto di gelato preferito è il pistacchio >> mormorò David ad un tratto, baciandomi dietro il collo. Mi spuntò un piccolo sorriso di felicità. << E la vuoi sapere un'altra cosa che non ho mai detto a nessuno? >> Il suo tono era caldo, rassicurante e leggermente rauco. Mi ricordava il fuoco in un caminetto durante una giornata fredda.  
Annuii, la mente sempre più leggera. 
Lo sentii puntellarsi su un gomito, spostarmi i capelli dal viso e piegarsi su di me. Con le labbra mi sfiorò la tempia, lo zigomo, poi l'orecchio. A quel punto mi baciò delicatamente il lobo, inspirò tra i miei capelli, mi strinse la mano. << Ti amo. >> 
















Angolo della pazzia:

Bella, cicci!! *lancia gli occhiali da sole*
Volevo dire solo due paroline XD
Innanzitutto che vi ringrazio per ogni recensione, le leggo sempre con tanto affetto, di solito anche più di una volta *_* Questa settimana avrò finalmente il tempo di rispondere a tutteeeee! 
Seconda cosuccia: spero con tutto il cuore che il capitolo vi sia piaciuto. Me lo auguro davvero */\* Ci tengo tanto *_* 
Ok, le mie cosucce l'ho dette... Bien bien. 
Vi mando un bacione extralarge e tanti abbraccioni stritolanti!!
A domenicaaaaaaaaaa! <3

Ps: vi amoruccio.



Federica~






































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Capitolo 19
*** Meno Uno ***


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Meno Uno













Mi svegliai percependo una piacevole sensazione di calore sul petto. Quando aprii gli occhi, capii perché. Ero mezza distesa su David. 
Inizialmente mi chiesi se fosse ancora vivo dato che lo avevo schiacciato sotto il mio peso, poi avvertii il suo torace abbassarsi e alzarsi lentamente. 
Sollevai la testa e soffermai lo sguardo sul suo volto. Alcuni ciuffi chiari gli ricadevano sulla fronte in maniera scomposta, le palpebre erano rilassate, le labbra socchiuse e rosee, la mascella dolce e al contempo squadrata. Seguii quella linea e scesi ad osservare il suo mento, il profilo slanciato del collo, la clavicola, il petto largo e muscoloso sul quale ero appoggiata, poi la mia visione fu interrotta dalla coperta. 
Stupido piumone. 
Prima che lo sollevassi per continuare ad ammirare il suo fisico, sentii una mano accarezzarmi il fianco con la punta delle dita. 
Rabbrividii mentre il cuore m'impazziva nel petto. Voltai il capo con uno scatto repentino e vidi David sbadigliare, dopodiché si passò una mano fra i capelli e posizionò il braccio dietro la nuca. Alla fine i nostri occhi s'incontrarono. 
In quel momento pensai che ogni mattina, nella mia vita, mi sarei voluta svegliare in quel modo, con la possibilità d'incrociare fin da subito le sue pozze ambrate. 
<< Fammi indovinare che ore sono >> esordì con un sorrisetto spavaldo. << Le cinque e un quarto. >> 
Sorrisi divertita e lanciai un'occhiata alla sveglia sul comodino. << Sbagliato, sono le cinque. >> Tornai a guardarlo mentre faceva una smorfia e si lasciava andare ad un nuovo sbadiglio. 
<< Quando sei a casa tua a che ora ti alzi? >> chiesi curiosa. 
Sorrise sghembo mentre mi osservava. << All'ultimo minuto. Non voglio sprecare neanche un secondo di sonno. >> 
Abbassai lo sguardo sulla mia mano adagiata sulla sua spalla. Fui colta da un'ondata di senso di colpa per tutte le ore di sonno che gli facevo perdere ogni notte. 
Se si considerava che ci mettevamo a letto dopo la mezzanotte e che la sveglia era impostata per le cinque e mezza... lui quasi non dormiva. Come faceva a resistere per un'intera giornata? E come aveva fatto a non lamentarsi mai di quanto poco riposasse? 
<< So a cosa stai pensando >> pronunciò serio. 
Alzai cautamente gli occhi, osservandolo di sottecchi. I suoi erano ancorati a me, una sfumatura di rimprovero gli accendeva le iridi.
<< Perché non ti lamenti mai? >> sussurrai. << È colpa mia se... >>
<< Non ho nulla di cui lamentarmi >> m'interruppe. Quella fu la prima volta che essere interrotta non mi fece andare su tutte le furie. 
Il suo sguardo vagò per il mio viso, poi fui spinta delicatamente di schiena sul materasso, il suo corpo sopra di me. Posizionò gli avambracci sul letto e le mani chiuse a pugno ai lati della mia testa, i suoi occhi erano indissolubilmente incollati ai miei. 
Il mio cuore vibrò insieme al suo respiro. << Non faccio mai nulla contro la mia volontà. Perciò ieri notte non mi sono aperto con te perché mi sentivo costretto, ed ogni notte non salgo fin quassù perché mi piace arrampicarmi su un albero. Tutto quel che faccio con te, lo voglio >> concluse con fermezza. Una fermezza che m'inchiodò il cuore sul posto e mi fece sfarfallare lo stomaco. 
Le mie labbra si stesero in un sorriso timido, imbarazzato e stramaledettamente felice. 
Era sempre un'emozione sentirgli dire che quel che faceva per me non era un peso, ma una sua volontà. Mi faceva capire quanto per lui fossi importante, quanto il più delle volte, se non sempre, mi mettesse al primo posto. 
Di colpo sgranai gli occhi, il cuore mi schizzò quasi fuori dal petto. Un turbinio di pensieri e ricordi mi fece venire la pelle d'oca tant'erano intensi. << Ieri notte... >> Mi umettai le labbra, avevo la bocca improvvisamente asciutta. << P... prima che io mi addormentassi ho... >> Deglutii mentre osservavo il sorriso che si stava facendo largo sul suo viso. << Non ho sognato, vero? >> Non sapevo neanche io quello che stavo dicendo. Ero troppo agitata. Sentivo le guance calde ed il cuore pulsare ad un ritmo incessante. 
I suoi occhi erano screziati di divertimento. Avrei voluto scuoterlo e fargli confessare quel che già sapevo. << Può darsi di no >> rispose alla fine, enigmatico. 
Bastarono quelle parole per far svolazzare i condor nel mio stomaco ed arrestare il mio battito cardiaco. Probabilmente perché le disse con un sorriso che parlava da sé, che ammetteva più di quanto avesse fatto verbalmente. 
Mi facevano male le guance da quanto stavo sorridendo. Mi sentivo il ritratto della felicità. << Pensavo che non lo avresti detto una seconda volta >> dichiarai ridacchiando. Gli allacciai le braccia dietro al collo e lo accarezzai sulla schiena. 
<< A volte faccio qualche strappo >> asserì allungandosi per baciarmi sul mento. 
<< E lo sai che non c'è due senza tre? >> lo stuzzicai ritraendomi per guardarlo. 
Speravo tanto che me lo ridicesse guardandomi negli occhi, magari proprio in quel momento. Sarebbe stato perfetto. Il tiepido sole accarezzava la stanza e riscaldava l'aria fredda della notte. I nostri volti si trovavano a pochi centimetri di distanza e i nostri sguardi erano incatenati come calamite. 
Gli angoli della sua bocca s'incresparono in un sorrisetto malizioso. << La terza volta potrebbe arrivare quando meno te lo aspetti. >> 
Il mio cuore ebbe un sobbalzo. Innanzitutto perché aveva lasciato intendere che avrei risentito quelle paroline magiche ancora una volta, in secondo luogo perché quel momento sarebbe potuto essere anche quel preciso istante. 
Mi stava venendo la tachicardia. << Tipo? >> chiesi con un filo di voce. 
Il suo sorriso si allargò. << Mai. >> 
Il mio si spense di colpo. Aveva ucciso il momento, come sempre. 
Voltai la testa di lato, stizzita, mentre il demente si rovesciava sul letto per ridere. 
<< La tua faccia >> disse in mezzo alla risate. << Oddio, impagabile. >> 
Oltre al danno anche la beffa. Non ero disposta a sopportare altro. 
Il mio braccio partì come animato di vita propria per conficcarsi nel suo stomaco. Accusò il colpo strozzandosi tra le risate e piegandosi su un fianco con un lamento. Eppure il babbuino non smetteva di ridere. 
Mi girai a guardarlo puntellandomi su un gomito. Teneva il viso appoggiato sul cuscino, di tanto in tanto ci sprofondava completamente per attutire le risate più forti, a momenti si fermava, poi ricominciava. 
Mentre lo osservavo, mi spuntò un sorriso destinato ad estendersi. 
Gli tirai un leggero schiaffo sul bicipite. << Ma possibile che mi prendi sempre in giro? Chissà quante risate mi farò io quando verrai a cena questo venerdì >> buttai là con un sorriso malvagio. Anche se temevo che in quella circostanza l'unica a non ridere sarei stata proprio io.
Si voltò a guardarmi con un sorriso brillante. << Invece credo che mi divertirò anche lì >> affermò sicuro di sé. 
<< Ti faranno molte domande, e ti fisseranno >> cercai di spaventarlo. << Ti fisseranno in continuazione >> aggiunsi rincarando la dose. Sapevo quanto odiasse essere fissato con insistenza. 
Sollevò le sopracciglia. << La mia bellezza non è un segreto. Ormai convivo col fatto di essere ammirato da chiunque incontri. >> 
Rimasi immobile ad osservarlo. << Non posso credere che tu l'abbia detto veramente. >> 
Si appoggiò anche lui su un gomito ed avvicinò il viso al mio. Mentre il respiro mi si mozzava, vidi le sue labbra stendersi in un sorrisetto divertito. 
I suoi occhi m'imprigionarono come un moscerino in una ragnatela, poi li abbassò sulla mia bocca ed inclinò la testa con lentezza. 
Il mio battito cardiaco ebbe un'impennata vertiginosa.  
<< Hai sempre detto che il mio secondo nome è modesto >> ricordò con una corta risata gutturale. Il suo fiato caldo s'infranse contro il mio collo. 
Socchiusi gli occhi e sorrisi. << Lo ribadisco. >> 
Appoggiai la mano sul suo petto nudo mentre con la punta del naso seguiva la linea del mio collo. Salì fino al lobo, poi mi sfiorò la mascella con le labbra in un tocco sfuggente e delicato. << E vuoi sapere qual è il tuo secondo nome? >> bisbigliò prendendomi il mento in una mano per voltarmi la testa di lato. 
Si avvicinò ulteriormente, il mio cuore impazzì. 
Poi sentii le sue labbra avventarsi sul mio collo e la sua lingua premere contro la pelle. 
Chiusi gli occhi ed emisi un tremulo sospiro di piacere. 
La mia schiena fu attraversata da tante piccole scariche elettriche non appena la sua bocca iniziò a salire famelica. Ad ogni tocco, dei brividi mi facevano fremere fino alla punta dei piedi. 
Chiusi le dita su un suo pettorale, probabilmente graffiandolo. Mi sembrava di essere sul punto di liquefarmi, i miei muscoli diventavano mano a mano più molli. 
Trattenni il respiro quando mi morsicò il padiglione dell'orecchio, per poi ripassare quel punto con la punta della lingua. << Mia >> pronunciò con fermezza. 
Il mio cuore perse svariati battiti. 
<< Il prossimo che si metterà nel mezzo rimpiangerà di averti guardata >> aggiunse passandomi un braccio intorno alla vita. Con un rapido scatto mi avvicinò a sé e subito dopo mi spinse distesa sul materasso. 
I suoi occhi fiammeggiavano di sincerità. Mi sembrava di vederci riflessa tutta la grinta con cui avrebbe impedito a chiunque di frapporsi fra noi, ma anche tutta la sua convinzione nel voler far funzionare le cose. 
Ed in quel momento mi resi effettivamente conto di quanto tutto ciò che era avvenuto il giorno precedente avesse dato una scossa alla nostra relazione. Entrambi adesso possedevamo la consapevolezza di ciò che avremmo voluto. 
Liberai i polmoni da tutta l'aria e gli passai le braccia dietro al collo per stringerlo in un abbraccio. Il suo petto premette contro il mio, le sue labbra mi baciarono piano sul collo prima di rilasciare un breve sospiro. 
Appoggiai la fronte sulla sua spalla e chiusi gli occhi. << Cosa facciamo oggi con Brad? >> 
<< Prima di tutto gli romperò la mascella, così eviterà di parlarti >> rispose immediatamente, senza alcuna traccia d'ironia. 
Malgrado ciò mi scappò una risata. Distanziai la testa e cercai il suo sguardo. << Io stavo per proporre di comportarci come sempre. Non deve capire che abbiamo discusso, ne sarebbe solo compiaciuto. >> 
La sua bocca si storse in una smorfia, dopodiché si lasciò ricadere sul letto. Si passò un braccio dietro la nuca mentre fissava il soffitto. << E se si avvicina ancora a te? >> Voltò il viso e mi guardò, la linea del collo tesa. << Non me ne starò a guardare come se nulla fosse. Ci sta mettendo un po' troppo a capire di girarti al largo, probabilmente ha bisogno di un aiuto. >> 
Mi appoggiai su un gomito e lo rimproverai con lo sguardo. << No, niente scazzottate. Se ti farai avanti con lui, capirà che ieri ho mentito e sarò contento di sapere che è riuscito a colpirti nel tuo tallone d'Achille. >> 
Aggrottò le sopracciglia e mi osservò incuriosito. << Mentito su cosa? >> 
<< Quando mi ha rivelato della scommessa gli ho detto che sapevo già tutto. Insomma, che tu mi avevi già raccontato di quella cosa >> ammisi. << Non volevo dargli la soddisfazione di essersi messo fra noi. >> 
I suoi occhi mi tennero intrappolata per una quantità di tempo inesorabile. Inizialmente ci lessi sorpresa, poi una consapevolezza mista al senso di colpa. Alla fine tornò a concentrarsi sul soffitto mentre deglutiva. << Ok, faremo come dici tu. >> 
Gli accarezzai la spalla. << Che cos'hai? >> domandai piano. 
Era cambiato qualcosa nel suo sguardo non appena avevo confessato della bugia che avevo raccontato a Brad. 
Chiuse lentamente gli occhi, per poi riaprirli con un lungo sospiro. << Tu hai fatto in modo che non avesse la possibilità di mettersi tra noi, io quella possibilità gliel'ho data. >> 
<< Credo che sia stato un bene >> esordii abbassando lo sguardo sulla mia mano. 
La sua testa ruotò per guardarmi. 
Un silenzio di riflessione si distese nella stanza. Sentivo le sue pozze ambrate scandagliare ogni tratto del mio volto, il che mi fece spuntare un sorriso. << Dai, mi metti in imbarazzo >> gettai fuori con una piccola risata, alzando gli occhi sui suoi. 
Le sue labbra si stesero in un sorriso beffardo. << Come siamo timidi, Anderson. >>
Sollevai un sopracciglio cercando di apparire stizzita. << Per quanto ancora hai intenzione di prendermi in giro, Trent? >> 
Si sollevò di slancio e catturò le mie labbra in un bacio. Il mio cuore sobbalzò sorpreso, aumentando la corsa non appena si distanziò di pochissimo per sorridere sghembo. << Per tutta la vita. >>





                                                                      *  *  *





Dopo che David se n'era andato e dopo essermi lavata e vestita, scesi in cucina. 
Avevo un sorriso da orecchio a orecchio che non riuscivo a controllare. 
Tutto dovuto al fatto che di lì a poco avrei rivisto il mio ragazzo. Nel mio stomaco si agitavano una marea di farfalle. Non mi capacitavo nemmeno io della reazione del mio corpo, dopotutto David lo vedevo tutti i giorni. Eppure sentivo che molte cose erano cambiate dal giorno precedente. 
Ero eccitata come il primo giorno di scuola al termine dell'inferno. 
Ero estremamente curiosa di sapere come David si sarebbe comportato con me ora che tutto si era risolto. Avevo già avuto un accenno quando eravamo stati a mensa e mi si era seduto accanto. Mi chiedevo se di quei momenti ce ne sarebbero stati altri. Al solo pensiero mi veniva da sorridere. 
Sentii dei passi frettolosi nel salotto. Dalla porta della cucina vidi sfrecciare mia madre verso la porta d'ingresso. << Ci vediamo nel pomeriggio >> salutò quasi correndo. << Sarah stai attenta quando attraversi la strada, mi raccomando. Cam è ancora a letto, ha detto... Dove sono le chiavi? Ah, eccole. Ha detto che si alzerà alle dieci, non gli va di andare a correre. Rupert muoviti, siamo in ritardo! >> urlò a mio padre. 
Mentre mi versavo il latte nella tazza, udii i passi più pesanti di mio padre. 
<< Non siamo in ritardo, ma quasi >> precisò affacciandosi in cucina. << Buongiorno signorina >> mi salutò mentre si sistemava il colletto della camicia. 
<< Ciao papà >> risposi sorridendo. 
<< Rupert! >> incalzò mia madre. 
Lui si girò a guardarla esasperato. << E dammi un attimo, per Dio! >> Tornò su di me con uno sbuffo. << Volevo chiederti: quando viene questo David a cena? >> 
Oh cavolo. Per poco il latte non mi uscì di bocca. Non avevo previsto quell'imboscata mattutina. 
Ingoiai evitando di strozzarmi e mi appoggiai al bancone della cucina. << Ah, ehm... >> Feci un rapido conto dei giorni. Oh Santo Dio. << Domani sera >> fui in grado di dire dopo un po'. Non mi ero neanche resa conto di quanto i giorni fossero trascorsi in fretta. Ne mancava solo uno. Santo cielo. 
La testa di mia mamma spuntò come una marmotta. Un sorriso si fece spazio sul suo viso. << Oh, che bello. Non vedo l'ora di vederlo e conoscerlo. >> 
Mio padre annuì distrattamente, poi mi lanciò un'occhiata diretta. << È un bravo ragazzo? >> sparò di getto. 
Il mio cuore cominciò a battere ad un ritmo sostenuto. Mi chiedevo come avrei potuto reggere durante la famosa cena, probabilmente sarei collassata ancor prima di mangiare la prima portata. 
Annuii imbarazzata mentre mia mamma gli tirava una spinta sul braccio. << Ma che domande fai? Lo conoscerai presto, quindi falle fare colazione in santa pace >> lo rimbeccò. 
Mio padre si strinse nelle spalle. << Era solo per sapere. >> Subito dopo le lanciò un'occhiataccia. << Non posso chiedere nulla a mia figlia? Allora starò zitto, parla te. >> 
Lei alzò gli occhi al cielo e sparì dalla mia vista per andare verso la porta d'ingresso. << Fai domande stupide, devo fartelo notare >> disse camminando. 
Papà aprì la bocca sconcertato e la seguì. << D'ora in poi fammi una lista delle cose che posso chiedere, non vorrei urtare la tua sensibilità. >> 
Sentii i passi di mia mamma che scendevano i gradini della veranda. << Te la scrivo oggi pomeriggio, così eviterai di farmi fare brutte figure domani sera. Ciao, Sarah. Mangia qualcosina prima di uscire di casa. >> 
<< Tu falla pure >> ribatté mio padre. << Così mi divertirò a chiedere il contrario di tutto quel che hai scritto. Ciao, Sarah. Se non ti va di mangiare non sforzarti, meglio se ti porti qualche barretta ai cereali dietro. >> 
<< Ma lo fai apposta? Deve mangiare, non può uscire a stomaco vuoto >> fu l'ultima cosa che udii dire da mia madre prima che la porta si chiudesse. 
Sorrisi divertita e tirai un sospiro di sollievo. Mi auguravo di non ricevere altre domande nel pomeriggio, l'importante era stare vicina a mia mamma, così papà sarebbe stato zittito. 
Guardai l'orologio ed il mio cuore ricominciò a battere in fretta. Innanzitutto ero in ritardo sulla tabella di marcia, in secondo luogo il tempo che mi divideva dal rivedere David si stava ristringendo. 
Finii di bere il latte ed arraffai una barretta ai cereali per metterla nella tracolla. 
Mia mamma si sarebbe molto arrabbiata se avesse saputo che avevo seguito il consiglio di papà e non il suo. 
Risalii di corsa in camera e mi guardai allo specchio. Avevo lasciato i capelli sciolti, i ciuffi davanti li avevo fermati dietro la testa con una molletta, così non mi avrebbero dato fastidio mentre scrivevo. Per il resto ero vestita normalmente: jeans chiari, golf blu aderente e con uno scollo a V non troppo marcato ed infine un paio di scarpe da ginnastica bianche. 
L'unica novità nel mio look era costituita dal fatto che avevo messo un po' di mascara sulle ciglia per renderle più scure e lunghe. 
Dopo un'ultima occhiata per controllare che nulla fosse fuori posto, infilai il giubbotto e calai il berretto di lana nero sulla testa. 
Appoggiai la tracolla su una spalla ed uscii di casa, venendo travolta dall'aria fredda e pungente di quella mattina. 
Trassi un profondo respiro e scesi i gradini senza nascondere il sorriso che mi si stava pennellando sul viso. Un raggio di sole mi colpì sugli occhi, così alzai la testa ed osservai il cielo azzurro. Era talmente limpido da assomigliare ad una distesa d'acqua. 
I tuoi occhi. Sono... sembrano pezzi di cielo.
Le parole di David mi penetrarono nella mente come un sussurro. Quello era stato forse il primo vero complimento che mi aveva fatto. 
Le guance mi divennero più calde. 
Santo cielo, stavo andando in fibrillazione al suo solo pensiero. Dovevo darmi una calmata se non volevo svenirgli davanti. 
E poi dovevo guardarmi bene intorno: Thomson sarebbe potuto spuntare fuori da un momento all'altro. Più mi avvicinavo alla fermata e più probabilità avevo di vederlo. 
In ogni caso, purtroppo, lo avrei incontrato comunque. E a quel punto mi sarei dovuta trattenere dal rifilargli uno schiaffo. 
Malgrado David mi avesse tenuto nascosta la scommessa, lui non avrebbe mai dovuto mettersi nel mezzo in quel modo. Eppure lo aveva fatto pur sapendo di colpire il suo amico nell'unico punto debole che aveva. Quanto poteva essere stato meschino? 
Se ripensavo alla premura con cui David aveva tenuta celata la nostra relazione per far in modo che Brad non lo venisse a sapere in maniera brusca, mi saliva un nervoso accecante. 
Quel verme puzzolente non si era fatto minimamente scrupolo a pugnalare il mio ragazzo alle spalle. Alla faccia dell'amicizia. 
Per mia sfortuna adocchiai il suddetto verme alla fermata. Liberai uno sbuffo scocciato ed alzai gli occhi al cielo un attimo prima che lui si girasse a guardarmi. 
Alzò un braccio e mi salutò con un sorriso.
Mossi la mano a mo' di saluto e lo raggiunsi, mio malgrado. Ma perché dovevamo abitare nello stesso quartiere? 
<< Ieri non sei venuta a lezione >> disse, una luce sospettosa pervadeva le sue iridi azzurre. 
<< Mi sono sentita male mentre ero in bagno, così sono tornata a casa >> inventai sul momento, cercando di apparire sicura delle mie parole.  
Insistette a fissarmi, ma stavolta aggrottando le sopracciglia. << Sicura? Non vorrei averti scossa con il discorso di ieri. >> 
Si riferiva chiaramente alla scommessa. E voleva farmi credere che il suo intento non fosse stato proprio quello di scioccarmi? Era evidente, mi credeva una demente. 
Mi stampai un sorriso tirato. << Come ti ho già detto, sapevo di quella storia. Tra me e David non ci sono segreti, vige la politica della sincerità. >> 
Speravo potesse bastare come risposta, altrimenti sarei passata agli insulti. 
Deviò lo sguardo ed immise le mani nelle tasche del giubbotto. << È bello >> disse soltanto, incolore. 
Esaminai il suo profilo. Oltre che infastidito sembrava quasi rassegnato, come se in quel momento stesse realizzando quel che mi auguravo da tempo. 
<< Credi ancora che David mi stia prendendo in giro? >> chiesi con un tono più basso. 
Rimase in silenzio, continuando a guardare davanti a sé. << Avevi detto che non mi avresti più parlato per il modo in cui ieri mi sono comportato con lui >> esordì inclinando il capo per osservarmi. << Perché adesso stai facendo il contrario? >> 
Per un attimo rimasi sorpresa dalle sue parole e dalla sua domanda. Non mi ero aspettata una simile uscita. Non capivo dove volesse arrivare. 
<< Penso ancora che tu ti sia comportato in maniera incivile con David >> precisai fissandolo negli occhi. << Se continuo a parlarti è solo perché non ho intenzione di seguire il tuo esempio d'inciviltà. >> 
La sua bocca si stirò in un sorrisetto, dopodiché tornò a puntare davanti a sé. 
Il suo atteggiamento mi stava irritando, e molto anche. Con quella domanda voleva arrivare da qualche parte, probabilmente per costruirsi castelli inesistenti. 
<< Non farti strane idee, Thomson >> lo avvisai con un tono severo. << Se credi che continui a parlarti perché non riesco a fare a meno di te, sei totalmente fuori strada. Fossi in te guarderei in faccia la realtà e me ne farei una ragione. >>
Giunta a quel punto non me ne fregava nulla di poter apparire dura e insensibile. Quel cretino mi aveva condotta allo stremo. 
Ruotò il corpo e mosse un paio di passi avanti per accorciare le distanze tra noi. I suoi occhi quasi verdognoli erano conficcati nei miei, eppure un angolo delle sue labbra era piegato all'insù. 
Rimasi ferma sul posto, sentendo il palmo di una mano prudere insopportabilmente. 
Non capivo se stesse cercando di sfidarmi o se mi stesse prendendo in giro. In ambedue i casi m'indisponeva. 
<< Dimmi cosa vuoi che faccia >> pronunciò. 
Aggrottai la fronte perplessa. Dov'era la candid camera? Quel figliolo era un folle enigma. Più gli parlavo e meno capivo cosa diceva. 
<< Mi sembra chiaro. Che tu la smetta di metterti tra me e David. >> 
Il sorriso che fino a quel momento aveva trattenuto uscì allo scoperto. In quel momento mi accorsi del leggero accenno di barba sulla sua mandibola. << O sei tu che mi tiri nel mezzo? >> domandò a mo' di sfida. << Basterebbe che tu mi evitassi come David. >> 
Le sue parole mi colpirono più del dovuto. Voleva farmi credere che il problema non fosse lui, ma insito in me stessa. Per un attimo valutai l'ipotesi che avesse ragione, subito dopo mi diedi della stupida per essere caduta nel suo giochetto. 
Era estremamente subdolo ed abile. 
<< Ti ringrazio per il consiglio, lo metterò subito in pratica >> risposi con un sorrisino di scherno.  
Vidi il pulmino avvicinarsi, così superai il verme e mi apprestai a raggiungere il punto in cui avrebbe aperto le porte. 
Salii rapidamente e m'incamminai a passo spedito fino al mio sedile, rimanendo sorpresa di non trovarci Clarice. Al suo posto si trovava un ragazzo dai capelli sbarazzini e la posa disinvolta. Ed in quel momento mi stava fissando con le sopracciglia sollevate ed un sorrisetto divertito. 
Mentre il mio cuore batteva come un tamburo, mi sedetti ed appoggiai la tracolla a terra. 
<< Che ci fai qui? >> Guardai David con un sorriso da parte a parte. 
Il nervoso che avevo accumulato con Bradly scemò in fretta per sostituirsi alla gioia. 
Piegò una gamba e trasportò il piede sul sedile, dopodiché adagiò il braccio sul ginocchio e virò il viso verso di me. << Evito di far partire una scazzottata, come da tua richiesta >> rispose con un sorriso angelico. 
<< E Clar dove l'hai spedita? >> 
<< Nel mio posto d'onore, accanto a Kevin. >> 
Risi e mi misi più comoda per avere il corpo rivolto verso di lui. A quel punto i nostri sguardi si allacciarono e rimasero vincolati l'uno all'altro. 
Il suo profumo mi penetrò nel naso. C'era un sentore più forte di fumo, segno che aveva già consumato la sua prima sigaretta. 
Osservai come alcuni ciuffi ribelli gli ricadessero sulla fronte, poi mi soffermai sulle sue ciglia scure, cornici di due caldi laghi d'ambra. 
<< Sono contenta che tu sia qui >> mormorai appoggiando la testa al sedile. << Anche se mi sento troppo osservata >> aggiunsi con una smorfia. 
La ragazza davanti a noi ci stava spiando dal riflesso del finestrino. Peggio di un agente segreto, io in confronto ero una dilettante. 
Inoltre sentivo un po' di occhi sulla schiena, probabilmente quelli delle due ragazze vicine. 
Sulla bocca di David si pennellò un mezzo sorriso. << Io ormai ci sono abituato >> ribadì con una scrollata di spalle. 
Aprì di nuovo la bocca, ma lo anticipai. << Di' che sei abituato soprattutto alle occhiate delle ragazze e ti faccio fare il restante viaggio con la testa fuori dal finestrino >> minacciai perentoria. 
Il suo sorriso si estese mentre i suoi occhi si accendevano di divertimento misto a sorpresa. << Stavo per dire proprio quello >> confessò impressionato. 
<< Ottimo, metti la testa fuori. >> 
Scoppiò a ridere, trascinando anche me nella risata. Gli diedi un debole pugno sulla spalla e scossi il capo con finta esasperazione. 
Tornò a guardarmi con uno splendido sorriso sulle labbra. Poi piegò il braccio e lo spedì verso il mio viso, non rendendosi conto dell'effetto che stava avendo sul mio cuore. Rischiai il collasso non appena il suo indice mi accarezzò la guancia con lenti movimenti dal basso verso l'alto. 
Il mio battito cardiaco divenne incontrollato. 
<< Ti ha detto qualcosa mentre aspettavate il pulmino? >> chiese lasciando ricadere la mano, l'espressione seria. 
Sospirai piano ed abbassai lo sguardo sul bracciolo che ci divideva. << Mi ha chiesto che cosa volevo che facesse. Gli ho detto di non mettersi fra noi, allora lui ha risposto che probabilmente sono io a tirarlo in ballo. Sinceramente non so cosa voglia ottenere in questo modo. >> 
<< Vuole farti credere di avere un interesse per lui >> quasi ringhiò David. Sbuffò pesantemente dal naso e strinse la mano a pugno. 
Alzai la testa con decisione e gli toccai il braccio. << Evitiamolo entrambi, ok? Io ti parlerò di lui soltanto quando si avvicinerà, per il resto cerchiamo di tenerlo fuori da ogni discorso. La sua presenza sta diventando costante >> aggiunsi con una smorfia. 
Più sentivo pronunciare quel nome, più m'innervosivo. Da quando era tornato a scuola non avevamo fatto altro che parlare di lui. 
David buttò il capo contro il sedile e mantenne lo sguardo dritto davanti a sé. << Ok >> acconsentì allentando la tensione dei muscoli. 
Mi rilassai anch'io e mi sforzai di fare un sorriso. << I miei genitori non vedono l'ora di conoscerti, specialmente mia mamma. Mio padre invece credo che ti farà un bel po' di domande >> buttai là per cambiare argomento. 
Vidi l'espressione sul suo volto distendersi, al che tirai un sospiro di sollievo. Girò la testa e mi rivolse un sorrisetto spavaldo. << Sarò preparato. A fine serata mi vorranno adottare. >> 
Risi ed annuii. << Mia mamma molto probabilmente sì. >> 
Continuammo a parlare e a scherzare fino a che le ruote del pulmino non si fermarono davanti a scuola. A quel punto raccolsi la tracolla e mi apprestai a scendere, seguita a ruota da David. 
Quando appoggiai i piedi sull'asfalto mi spostai di lato per aspettarlo. Mi raggiunse quasi subito, una mano nella tasca dei jeans ed una a tenere la cartella sulla spalla.
<< Ci vediamo dentro, mi fermo un po' qui fuori con gli altri >> mi avvertì indicando i suoi amici con un cenno del capo. 
Annuii e sorrisi. << Certo, io aspetto Clar. >> 
Mi guardò dritto negli occhi, per poi sorridere sghembo e defilarsi. 
Il mio povero cuore subì le conseguenze del suo atteggiamento con un'accelerazione improvvisa. 
Un giorno mi avrebbe fatta secca, ci mettevo la mano sul fuoco. 
Clarice saltò giù dal pulmino con un balzo, poi si girò verso il suo ragazzo e lo salutò con un bacio a stampo. Kevin le sorrise calorosamente, poi alzò lo sguardo oltre la sua testa e mi vide. 
Mi sentivo piuttosto in imbarazzo a ripensare al modo in cui avevo pianto appoggiata al suo petto. Forse avrei dovuto scusarmi per avergli inzuppato il golf.
Disse qualcosa alla mia amica, un attimo dopo stavano venendo dalla mia parte. Clar stava praticamente correndo. << Sarah! >> urlò prima di piombarmi addosso in un abbraccio. 
Risi e la strinsi a me. 
<< Accidenti a te >> sbottò staccandosi. << Ti ho chiamato un sacco di volte ieri sera, non hai risposto neanche una volta. Ero in pensiero come una mamma gatto, Kevin mi aveva raccontato tutto. >> 
Spostai lo sguardo sul sopracitato per fulminarlo, lui scrollò le spalle con innocenza. << Non mi guardare così, Anderson. >> 
Clar sorrise e si avvicinò al mio orecchio. << Non lo vuole ammettere, ma in realtà era preoccupato anche lui. Ogni dieci minuti mi diceva di chiamarti per sapere com'era andata con David. Non so chi fosse più in pensiero tra me e lui ieri sera. Avresti dovuto vederci >> concluse ridacchiando. 
Il mio cuore si riscaldò, facendo sorgere un sorriso sulla mia bocca. 
<< È andato tutto bene alla fine >> affermai annuendo con vigore. Alzai gli occhi in quelli scuri di Kevin. << Quindi sei stato tu ad avvertire David. >> 
Un angolo delle sue labbra s'increspò in un mezzo sorriso. << E lui è corso subito da te. >> 
Annuii ancora, sorridendo. 
<< Che bello >> commentò Clar. << Kev corre da me soltanto quando faccio la sua torta. >> Sospirò mesta scuotendo la testa. 
<< Ah, a proposito >> intervenne lui, pungolandola con un dito sulla spalla. << Nel pomeriggio la fai? Vado a comprarti gli ingredienti. >> 
<< Lo vedi? >> mi domandò la mia amica con un'espressione disperata. 
Mentre ridevo si voltò verso il suo ragazzo. << Va bene >> acconsentì stremata. 
<< Ok, grazie >> rispose lui, piegandosi per darle un fugace bacio. << Passerò dopo gli allenamenti. >> Mi salutò con un cenno del mento ed andò a raggiungere David insieme agli altri ragazzi. 
Io e Clar c'incamminammo per uno dei numerosi sentieri lastricati che conducevano all'ingresso della scuola. 
<< Quando stamani ho visto che David aveva preso il mio posto ho creduto che non aveste ancora fatto pace >> iniziò a dire lei. << Poi quando sei salita ed ho visto il modo in cui gli hai sorriso ho capito che avevate già risolto. >> 
<< Credo che aver discusso su quell'argomento ci abbia uniti ancora di più >> confessai con un sorriso. << Ci siamo aperti l'uno con l'altra. >> 
<< Alla facciaccia di Brad >> disse con impeto. << Non mi è mai piaciuto, mi ha sempre dato l'impressione di essere subdolo. >> 
Annuii concorde. << Già. Ah, e lo sai che domani sera David conoscerà la mia famiglia? >> 
<< Oddio, davvero? >> esclamò sgranando gli occhi. << Ti prego fai un filmino, lo voglio vedere. Non posso perdermi quel momento. >> 
<< Ma lo sai che non hai avuto una brutta idea? >> Mi passai due dita sul mento e meditai sulle sue parole. << Potrei piazzare una videocamera da qualche parte e puntarla su David. >> 
Così avrei avuto qualcosa con cui prenderlo in giro... oltre che per ammirarlo. 
<< Devi farlo assolutamente. Secondo me ci sarà da ridere >> affermò sfregandosi le mani. 
Sorrisi diabolica e guardai oltre la mia spalla, in direzione della vittima del mio filmino. Il sorriso mi morì sul colpo, il nervoso prese il sopravvento.
<< Scusa un attimo, Clar >> dissi prima di fare retromarcia ed incamminarmi come una furia verso il babbuino. Evidentemente non teneva alle sue dita. 
Eppure avevo creduto di essere stata abbastanza chiara la notte prima. 
Malgrado le mie gambe corte, marciavo ad alta velocità. Divoravo metri su metri come fossero stati nulla. 
La rabbia alimentava le fiamme sotto le suole delle mie scarpe. Non mi sarei meravigliata di aver generato una striscia di fuoco dietro di me. 
Quando fui abbastanza vicina, vidi con la coda dell'occhio alcuni ragazzi girarsi a guardarmi, tra cui Kevin. 
<< Anderson incavolata ore tre >> mi prese in giro con un risolino. 
David si voltò di scatto a guardarmi. Approfittai della sua sorpresa per piazzarmi davanti a lui. << Che numero è? >> domandai indicando la sua sigaretta. 
Immediatamente i suoi occhi vennero pervasi dalla consapevolezza di ciò a cui mi stavo riferendo. Peccato per lui, era troppo tardi. 
Resse il mio sguardo con sicurezza. << La prima. >>
<< Sbagliato >> dichiarai puntellando le mani sui fianchi. << È la seconda, e non sono ancora passate quattro ore. >> 
<< Cosa sei, un cane da tartufo, Anderson? >> mi canzonò Kevin. Alcuni ragazzi risero della sua battuta. 
Ruotai la testa a rallentatore e lo infilzai con uno sguardo truce. Il troglodita non aveva ancora imparato a tenere la bocca chiusa. << Peggio >> sibilai intimidatoria. 
<< Molto peggio >> rincarò il mio ragazzo. 
Un nano secondo più tardi i miei occhi erano di nuovo su di lui. << Buttala. >> 
Appena le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto divertito, fui tentata di strappargliela di mano e spezzarla davanti alla sua faccia. Dopodiché avrei acciuffato il suo intero pacchetto e ci sarei saltata sopra come una scimmia.
Sollevai un sopracciglio. << Non ho tutto il giorno, o la butti tu o lo faccio io. >> 
<< Fammela finire ormai >> osò controbattere riportandosela tra le labbra. 
<< Ho forse la faccia di una che ti farebbe questa concessione? >> M'indicai il viso e poi tornai a guardarlo torva. << Ho detto buttala. Subito. >> 
Il babbuino alzò gli occhi al cielo e se la tolse di bocca. Un attimo dopo la stava pestando sul marciapiede. 
In quel momento mi sentii onnipotente. Sentivo di poter piegare il mondo al mio volere. 
Un largo sorriso di vittoria si propagò sul mio viso mentre guardavo l'espressione seccata di David. 
<< Saresti tanto gentile da darmi il tuo pacchetto di sigarette? >> domandai tendendo una mano. 
<< Non ci penso nemmeno >> ribatté di getto. 
Mantenni un sorriso angelico, nonostante sentissi un sopracciglio ballare per il nervoso. << Hai sgarrato, perciò adesso prenderò il tuo pacchetto come ostaggio e quando sarà la tua ora di fumare ti darò una sigaretta. Forza, dammelo >> incalzai spazientita. 
I suoi occhi mi tennero sotto tiro con aria di sfida. << No. >> 
<< Diventerò il tuo peggior incubo se non me lo dai. >> 
Sentii Kevin sghignazzare. << Peggio di così, Anderson? >> 
Ridussi gli occhi a due fessure e lo fulminai. << Sai, potrei chiedere a Clar di uscire questo pomeriggio. >> A buon intenditore poche parole. 
Ed evidentemente lui aveva inteso, perché mise le mani avanti e alla fine mi fece segno di ok col pollice. Ottimo, uno in meno. 
<< Forza, separati dal tuo pacchetto >> ordinai riportando lo sguardo sul mio ragazzo. Mi sembrava di parlare a Gollum. Le sigarette erano il suo anello del potere. 
Con uno sbuffo lo estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni e scosse piano il capo. Dalla lentezza dei suoi movimenti era palpabile la fatica che stava facendo. Sembrava mi stesse per consegnare un arto. 
Con la mano ancora tesa verso di lui, gli feci segno di sbrigarsi. 
Mosse qualche passo in avanti, gli occhi fissi nei miei. << So quante sigarette ci sono dentro, niente scherzi >> asserì perentorio. 
Allungai le dita per prenderglielo, ma lui lo ritrasse con uno scatto. << E non ti ci sedere sopra, tienilo nell'armadietto. >>
<< Non ci penso nemmeno, sai il mio codice >> ribattei facendo un altro tentativo per acciuffarglielo. Ancora una volta fu più veloce di me. 
La sua bocca si storse in un sorrisetto sghembo. << Speravo ci cascassi, peccato. >> 
Alla fine abbassò il braccio ed emise un sospiro rassegnato. << Trattalo bene >> si assicurò consegnandomelo, finalmente. 
Sorrisi soddisfatta e lo strinsi nella mano. << Non preoccuparti, starà benissimo. Ti salutiamo >> dissi aprendo e chiudendo il cappuccio del pacchetto a mo' di saluto. 
Prima di correre da Clar, decisi di prendere un'ultima precauzione. Con uno come David, più furbo di una volpe, non erano mai troppe. 
Raggiunsi il centro del suo gruppo di amici. La maggior parte li conoscevo, seppur di vista: erano i ragazzi che giocavano con lui a football. Li squadrai uno dopo l'altro con delle occhiate truci. << Chiunque di voi osi dargli una sigaretta, farà i conti con me. Sì, perché lo verrò a sapere. >> Sorrisi angelica. << Buona giornata. >>
Un attimo dopo stavo trottando dalla mia amica. Speravo di aver seminato il terrore dietro di me, così nessuno avrebbe sgarrato alla mia minaccia. In caso contrario sarebbero stati cavoli amari per lo sprovveduto. 
Quando arrivai da Clar ci guardammo per un paio di secondi, poi scoppiammo a ridere. Lei mi passò un braccio sulle spalle ed insieme riprendemmo a camminare, arrancando come delle ubriache per le risate. 
Improvvisamente non vedevo l'ora che arrivasse il giorno dopo, in particolare la cena. 
Forse quel pensiero era dettato dalla spensieratezza del momento, forse dall'euforia, fatta stava che prevedevo un mucchio di risate. E non stavo più nella pelle. 








Angolo dell'autrice:


Ciauuuuuu! 
Scusatemi per il ritardo >\\< ho avuto un po' da fare in queste settimane. 
Ma bando alle ciance! Spero di avervi tenuto compagnia con questo capitolo di passaggio ^_^ Dopo i due capitoli precedenti mi sembrava necessario un piccolo stacco, una sorta di ritorno alla normalità, seppur con delle piccole differenze nel rapporto tra David e Sarah. Sono più vicini adesso. *_* Io non vedo l'ora di scrivere il prossimo *_* infatti credo proprio che inizierò da stasera ihihih. 
Quindi il capitolo successivo lo potrete leggere domenica! \(^.^)/ 
Poi ci tengo a ringraziarvi di cuore per i complimenti e per l'immensa pazienza che avete nel seguire ciò che scrivo. GRAZIE MILLE. 
Detto ciò, vi mando un bacione e ci "rivediamo" domenicaaaaaaaaa! 
Parte il countdown per la famosa cena ahahah. 
Vi amorucciooooooo <3




Federica~


















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Capitolo 20
*** La Cena ***


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La Cena 













Il giorno prima avevo pensato che mi sarei divertita durante la cena? Ero drogata. 
Non c'era proprio nulla di divertente, soprattutto nel doversi scervellare su cosa indossare. 
Lanciai un'occhiata frettolosa alla sveglia. Le 6 di sera. Di già. 
E pensare che avevo aperto l'armadio alle cinque e mezza. Santo cielo, il tempo mi stava sfuggendo di mano. 
Mi morsicai le nocche di una mano continuando a contemplare i vestiti. 
Non volevo vestirmi in maniera troppo elegante, mi avrebbe messo ancora più pressione, ma nemmeno come se avessi dovuto portare fuori la spazzatura. Il problema era capire cosa rientrasse in quella linea di confine. 
Dal piano di sotto sentivo rumori di padelle che sbattevano tra loro o sui fornelli. Mia mamma era addirittura uscita prima da lavoro per preparare la cena ed avere il tempo di darsi una sistemata. 
Mio padre invece sarebbe rientrato alle sette e mezza, giusto mezz'ora prima che arrivasse David. 
Cam era in camera sua a giocare alla Play Station. Ogni tanto urlava insulti contro qualcuno all'interno del videogioco. Avrei voluto possedere la sua tranquillità, io ero un fascio di nervi. E quell'armadio ce l'aveva con me. 
Scalpitai istericamente e mi precipitai ad acciuffare il cellulare. Pigiai sul nome CLAR ed avviai la chiamata. 
<< Sapevo che mi avresti chiamata >> rispose ridacchiando. << Scommetto che non sai come vestirti. >>
<< No, santo cielo >> ammisi sconsolata. << Aiutami, è da mezz'ora che cerco. >>
Mi passai una mano sulla fronte per scacciare il sudore. Stavo addirittura sudando, per le otto avrei puzzato come un maiale. 
<< Non demordere, usciremo vittoriose da questa guerra >> mi rassicurò con un tono deciso. << Avevi qualche idea? >> 
Ci pensai un attimo. << No. >> Sospirai esasperata. << Ma perché proprio una cena? Non potevamo fare un pigiama party? Avrei scelto un pigiama carino e fine della storia. >> 
Rise. << Sarah, cosa ti ho detto? >> 
<< Non demordere >> ripetei atona. Le forze mi stavano abbandonando. 
<< Ecco, allora cominciamo. Che ne dici di un vestito? >> 
Strabuzzai gli occhi. << Ma un vestito è troppo formale. >> 
<< Ma io intendo uno di quelli fatti a golf. Hai presente? Di lana, aderente, ma non eccessivo. Lo metti con le calze nere e... >>
<< Sembrerò Morticia >> ribattei osservando l'abito a cui si stava riferendo, per l'appunto nero. << Se anche i miei genitori e Cam si vestiranno di questo colore, faremo la famiglia Addams. David scapperà urlando, a meno che non si sia vestito di nero pure lui. In quel caso potrebbe unirsi come... non so, zio Fester? >> 
<< Ok, bocciato. Sarebbe troppo inquietante >> giudicò. << Fammi riflettere un attimo, tu intanto rovista nell'armadio. >> 
<< Va bene. >> Allungai un braccio e scrutai quel che si trovava appeso alle grucce. Scartai un vestito dopo l'altro, tutti troppo impegnativi. 
<< Una gonna! >> strillò di punto in bianco, perforandomi un timpano. Distanziai il telefono dall'orecchio per riprendermi dallo shock. 
Santo cielo, neanche un'aquila avrebbe fatto un simile verso. 
Di colpo recepii le sue parole e mi riappiccicai al cellulare. << Ne ho una di velluto nera, con la vita abbastanza alta. È senza cerniere. >> Accidenti, l'avevo appena vista da qualche parte. 
Ricominciai a passare in rassegna le grucce, animata dalla speranza. 
<< Sai come sarebbe perfetta? >> mi chiese. << Con una camicetta messa dentro. Ne hai una bianca o rosa? >> 
<< Dovrei... >> Saltai per afferrare la gruccia con la gonna. << Accidenti, è troppo alta. >>
<< Cosa? La vita? >> 
<< No, la gruccia. >> Mi diedi un altro inutile slancio. << Ok, basta, tirerò la gonna. Alla fine si staccherà. >>
Afferrai un lembo del tessuto e diedi un poderoso strattone. Un attimo dopo avevo raggiunto con successo il mio obiettivo. 
La appoggiai sul letto e la esaminai. 
<< Hai fatto? >> domandò Clarice. << Ho sentito un gran trambusto. >> 
Lisciai il velluto. << Si si, e dovrei avere anche una camicetta bian... Oh, cavolo Clar! >>   No, non potevo crederci. Quella era una tragedia. 
<< Che cos'è successo? >> incalzò allarmata.
Con gli occhi fuori dalle orbite sfiorai lo squarcio sul lato sinistro della gonna. << Oh mamma, l'ho rotta mentre la tiravo giù. Uccidimi. >> 
<< Sarah! Ma perché non sei salita su una sedia? >> Emise un lungo sospiro. << Ok, calma. Dove si è rotta? Forse si può ancora rimediare. >> 
Mi veniva da piangere, la sfortuna mi aveva scelta come eterna compagna. 
<< Sulla vita, dal lato sinistro. È sfrangiata per almeno quattro centimetri. Dici che con ago e filo posso ricucire i lembi? >> Tastai lo spessore del tessuto. Non era molto alto, forse c'era ancora una speranza. 
<< Sì dai, provaci. Scegli un filo grosso, quelli sottili si romperebbero subito. >> 
Annuii per darmi coraggio. Erano le sei e un quarto, dovevo ancora prepararmi ed in più mi toccava ricucire la gonna. Ottimo. 
Mi voltai a guardare l'armadio: il mio incubo. << Ok, poi metto le calze nere e la camicetta bianca dentro la gonna. Che ne pensi? >> 
<< Informale, ma elegante. Direi perfetto >> accordò ilare. << Ah, e ricordati le ballerine, quelle nere lucide che ti aveva regalato tua nonna. >> 
Liberai un sospiro di sollievo. << Grazie, Clar. Non so cos'avrei indossato senza il tuo aiuto. >> 
Rise. << Figurati. Poi appena sei pronta mandami una foto, voglio vederti. >> 
<< Va bene >> acconsentì sorridendo. << A dopo. >> 
Chiusi la telefonata e mi rimboccai le maniche. Prima di tutto: ago e filo. 





                                                                    *  *  * 





Erano già le sette e mezzo. 
Più guardavo la mia maledetta sveglia più mi convincevo che le lancette si muovessero ogni volta che mi giravo. Non c'era altra spiegazione altrimenti. 
Il macigno d'ansia che covavo nello stomaco si era quantomeno raddoppiato. Lo percepivo attraverso il batticuore sempre più fastidioso, le mani fredde e sudate, il movimento sospetto dell'intestino e la bocca asciutta. 
Finii di asciugarmi i capelli e li pettinai con la spazzola per conferirgli un'aria più ordinata. Mentre li osservavo scendere sulla schiena dritti come fusi, decisi di prendere due sottili ciocche frontali ed unirle dietro la testa con una forcina. 
Mi avvicinai allo specchio ed esaminai che non ci fossero ciuffi schizofrenici sparati da una parte all'altra. 
A quel punto passai al trucco. Stesi un velo di fondotinta, fissandolo poi con una spolverata di cipria trasparente. Dopodiché impugnai l'eyeliner a penna che avevo comprato durante le vacanze natalizie. 
Sapevo a malapena disegnare una linea dritta su un foglio, figurarsi su un occhio. Ma per tutto il pomeriggio non avevo fatto altro che guardare tutorial su come metterlo, ed inoltre ero più che intenzionata a fare un lavoro certosino. 
Non dovevo farmi scoraggiare dall'eventualità che potessi generare una linea sinusoidale sulla palpebra. 
Raccogliendo l'ultimo barlume di calma rimastomi, partii all'attacco. Dopo cinque minuti buoni fui in grado di ritenermi soddisfatta dello schifo che avevo creato. 
Non solo la linea non era una linea, ma come se non bastasse era troppo spessa. Sembrava appesantirmi lo sguardo piuttosto che assottigliarlo. 
Corsi in bagno e bagnai un cotton fioc per ripulire quell'orrore senza rovinare il resto del trucco. 
Dentro la mia testa sentivo marciare la lancetta dei secondi, il che aggravava il mio stato di agitazione. In più stavo iniziando ad innervosirmi, e parecchio anche. 
Un pomeriggio a guardare tutorial per nulla. Un sacco di tempo buttato nel gabinetto. 
Gettai il cotton fioc e trottai frettolosamente in camera, davanti allo specchio che toccava terra. Quella sarebbe stata la volta buona, me lo sentivo. Ormai avevo imparato dai miei errori. 
Trascorsi altri cinque minuti ero di nuovo in bagno a scartavetrarmi un occhio con la carta igienica. Il nervoso mi stava divorando il fegato con voracità. 
Mancavano venti minuti all'arrivo di David ed io dovevo ancora vestirmi e finire di truccarmi. E se poi, nell'infilare la gonna che avevo ricucito, avessi riaperto lo squarcio? Non volevo neanche pensarci. 
<< Mi fai venire, opossum? >> 
Voltai la testa e guardai Cam sulla soglia del bagno. Indossava dei jeans chiari, con qualche leggero strappo dalla coscia al ginocchio, una maglietta a mezze maniche nera e gli anfibi di pelle del medesimo colore. 
<< Che devi fare? >> domandai guardinga. 
Alzò le sopracciglia con aria di sfida. << Quel che mi pare. Esci. >> 
<< Se ti serve il gel puoi mettertelo qua. >> 
<< Non devo mettere il gel >> rispose incrociando le braccia sul petto. << Sparisci, opossum >> aggiunse con un cenno del capo. 
Mi appoggiai al lavandino e lo guardai con maggiore sospetto. << Devi fare pipì? >> 
<< No >> tagliò corto. 
Le mie supposizioni presero corpo mentre sgranavo gli occhi. << Non penserai mica di fare "la grande" adesso? >> 
Sollevò un sopracciglio. << Ne ho parlato con me stesso, abbiamo deciso che ci va bene fare così. >> 
<< No, scordatelo >> mi piccai scuotendo la testa. << Tra venti minuti David sarà qui e se dovesse venire in bagno sentirebbe un puzzo nauseabondo. >> 
<< Lui la fa profumata? >> Si sfregò il mento con fare pensoso. << Fammi indovinare, di pino silvestre? >> ipotizzò indicandomi. 
Lo fulminai con un'occhiata omicida. << Tu non la farai. Dovrai passare sul mio cadavere per raggiungere il water >> sibilai minacciosa. 
Alzò gli occhi al cielo. << Dai, ti prometto che aprirò la finestra e spruzzerò il deodorante. >> 
<< Vai in giardino. >> 
<< Mandaci il tuo ragazzo. >> 
Calò il silenzio mentre tra i nostri sguardi sfrecciavano saette. 
Non ero minimamente disposta a demordere. Non era ammissibile che infettasse il bagno proprio in quel momento. Mi sarei vergognata come una ladra se David fosse dovuto andarci ed avesse odorato quel gas corrosivo. 
D'un tratto Cam sorrise subdolo. << Vuoi farti trovare in tuta? Sai, mancano solo... >> Guardò l'orologio al polso. << Dodici minuti >> scandì con quell'antipatico sorrisino. 
Per poco non mi prese un colpo nel sentire l'ora. 
Trassi un profondo respiro e m'incamminai alla porta puntandogli un dito contro. << Spalanca la finestra e cerca di far sparire il puzzo prima che lui arrivi. Verrò a controllare, sappilo >> conclusi con un'occhiata intimidatoria. Subito dopo corsi in camera e riafferrai l'eyeliner. 
Non avevo più tentativi, o quello o niente. 
Mi avvicinai il più possibile allo specchio e mossi la mano con delicatezza. Calibrai la forza e seguii la linea della palpebra, prestando un'attenzione maniacale a non commettere errori. 
Alla fine ci riuscii, sebbene le linee dei due occhi non fossero esattamente identiche. Poco me ne fregava, dopo due tentativi e tanto tempo perso non potevo che essere soddisfatta di quel risultato. 
Indossai in fretta e furia l'attillata camicetta bianca di cotone che avevo trovato, le calze ed infine, con molta accuratezza, la gonna. 
Diedi una rapida occhiata allo specchio prima di fiondarmi all'armadio e prendere le ballerine dalla scatola. Me le calzai saltellando sul posto, successivamente riposi le ciabatte in un angolo vicino alla porta. 
Liberai un sospiro stremato e mi piazzai davanti allo specchio per il controllo finale. 
Dovevo ammettere che Clar aveva avuto ragione. Ero elegante, ma non formale. 
I capelli mi scendevano morbidamente lungo la schiena, ed i ciuffi che avevo congiunto dietro la testa mi scoprivano il viso in maniera dolce. Le linee di eyeliner che incorniciavano i miei grandi occhi celesti erano sottili e fortunatamente dritte. Alle orecchie avevo lasciato i punti luce che anni prima mi aveva regalato mia mamma, al polso invece vigeva il braccialetto di David. 
I primi due bottoni della camicetta con le maniche a tre quarti che indossavo, li avevo lasciati aperti. Ero sicura che alla vista del mio collo scoperto, mia mamma mi avrebbe detto di mettere una collana. Me lo diceva sempre, ormai riuscivo ad anticiparla. 
Guardai la sveglia per l'ultima volta. Santo cielo, erano le otto. 
Il mio stomaco si stava contorcendo dall'ansia. Mi sentivo come se avessi bevuto una trentina di caffè: schizzata e con la tachicardia. 
Mi scattai una fotografia dal riflesso dello specchio e la inviai a Clar, sperando che fosse fiera del mio lavoro.
Uscii nel corridoio e guardai la porta del bagno chiusa. Non potevo credere che quello scemo di mio fratello fosse ancora lì dentro. 
Mi ci diressi come una belva e tirai un colpo sul legno, facendomi formicolare la mano. << Che stai facendo, Cam? Datti una mossa! >> 
Sentii il rumore di qualcosa che veniva spruzzato. << Sto areando. Vai a rompere le scatole a mamma e papà >> rispose prima di lasciarsi andare ad un colpo di tosse e borbottare qualcosa contro i deodoranti. 
Sbuffai e mi diressi alla camera dei miei genitori per controllare a che punto fossero. Già da dietro la porta li sentii bisticciare. 
<< Ma non vedi che insieme stanno male? >> diceva mia madre con un tono incredulo. 
Mio padre sbuffò. << È la terza camicia che mi fai cambiare, non te ne piace una. E pensare che me le hai comprate tutte tu. Questo la dice lunga. >> 
Introdussi la testa nella stanza e mi guardai intorno. 
Mia mamma era già pronta. Aveva raccolto i capelli in uno chignon in modo da risaltare i luminosi pendenti che aveva alle orecchie. Le donavano lucentezza al viso leggermente pallido, esaltando il castano delle sue iridi. E a dare una sferzata di armonia ed eleganza al tutto, era l'abito blu cobalto che le arrivava sopra il ginocchio. 
Oltre agli orecchini e alla fede nuziale non indossava altri accessori, il che non rendeva esageratamente formale il suo abbigliamento. 
Si voltò a guardarmi e la sua espressione si addolcì con un sorriso. << Fatti un po' vedere, vieni qui. >> 
Appena misi piede nella camera, il suo sorriso si estese ed iniziò ad annuire. << Stai proprio bene. Bella >> disse con profondo orgoglio. I suoi occhi luccicavano di felicità. 
Le mie labbra si distesero in un sorriso radioso, poi guardai papà e corrugai la fronte. << Ma tu devi ancora vestirti >> notai perplessa. 
Lui sospirò istericamente e prese una camicia con un motivo a scacchi rossi e bianchi dal letto. << Dillo a tua madre. È mezz'ora che non mi dà pace. Secondo lei mi sta tutto male. >> 
<< Ma non vedi che anche quella è oscena? >> lo riprese esasperata. << Vuoi sembrare un boscaiolo? Fai prima a farti trovare in giardino, allora. >> Sbatté le braccia lungo i fianchi e mi lanciò un'occhiata. << Sarah, diglielo tu per favore. >> 
<< Be', papà >> iniziai a dire sfregandomi le dita. << È bruttina. Non ne hai una blu? Coi jeans ci starebbe meglio. >> 
<< Sono tutte camicie che mi ha comprato lei, ci tengo a precisarlo >> asserì indicando la mamma. Sollevò le sopracciglia. << È chiaro che non sono io quello senza gusto. >> 
<< Appese sono belle. Che ci posso fare se addosso a te stanno male? >> rincarò la dose lei. << Il problema dev'essere quella pancetta che hai messo su. >> 
<< Non c'è nessuna pancetta >> la corresse scandendo parola per parola. << Sono addominali rilassati. >> 
In quel momento udii il campanello di casa suonare. 
Il mio cuore schizzò in aria insieme al mio intero corpo. La bocca mi si prosciugò di colpo e gli occhi per poco non mi uscirono dalle orbite. 
Mi sembrava di sentire delle gocce di sudore freddo lungo la schiena, ma probabilmente era una conseguenza del mio cervello andato in tilt. 
Mi schiarii la voce cercando di mascherare l'agitazione, come se fosse stato possibile. << V... vado io. >> Ottimo, balbettavo pure. 
Corsi nel corridoio e scesi rapidamente le scale, poi camminai a passo spedito fino al portone e mi fermai. Sistemai i capelli ributtandoli sulla schiena, lisciai la camicetta ed il velluto della gonna, feci due profondi respiri ed infine appoggiai una mano sulla maniglia. 
Ero pronta. 
Il mio cuore stava impazzendo. 
Abbassai timidamente il pomello ed aprii la porta con cautela. 
Le prime cose che vidi furono due pozze di terra liquida immerse nella penombra di quella fredda sera. Le sbieche luci che provenivano dai lampioni creavano un gioco di gradazioni più o meno calde all'interno delle sue iridi. Era come ammirare il colore della terra brulla di un deserto e al contempo quello di un terreno umido su cui si specchiava il sole. Ogni contrasto creava armonia. 
Sorrisi incantata mentre quegli intensi occhi si avvicinavano. Gli angoli delle sue labbra erano increspati in un sorriso luminoso. << Ciao >> espirò facendo un ulteriore passo avanti. 
Dovetti alzare la testa per continuare a crogiolarmi nel calore rassicurante del suo sguardo. << Ciao >> sussurrai divertita. 
Liberò una bassa risata e si piegò su di me. Chiusi gli occhi ancor prima che la sua bocca sfiorasse la mia con un tocco soffice quanto una piuma. 
Il mio cuore palpitò come le ali di una farfalla, lo stomaco mi lanciò delle leggere e piacevoli fitte di dolore. 
Si distanziò presto, ma i nostri sguardi rimasero incatenati l'uno all'altro. 
Sorrisi mentre le sue iridi ambrate passavano in rassegna ogni centimetro del mio metro e sessantacinque. 
<< Vuoi toglierti il giubbotto? >> chiesi tendendo le mani. 
Risalì fino ai miei occhi, un sorrisetto compiaciuto gli incurvava le labbra. << E tu cosa ti togli? >> mormorò con un tono dannatamente basso e sensuale. 
Il mio battito cardiaco impennò vertiginosamente, le mie guance si accesero come stufe, gli occhi mi si spalancarono come fanali. Boccheggiai per un attimo sotto il suo sguardo colmo di malizia e divertimento, poi gli tirai uno schiaffo sul braccio e voltai la testa per celare l'imbarazzo. << Scemo >> borbottai toccandomi i capelli. 
Rise ed allungò un braccio per pungolarmi nella pancia. Saltai all'indietro e lo guardai sorridendo. << Ma la smetti? >> 
Sollevò un sopracciglio e schioccò la lingua al palato. << Mi diverto troppo. >> Alzò un braccio e mostrò un folto mazzo di rose bianche a cui fino a quel momento avevo fatto a malapena caso. << Sono per tua mamma. >> 
<< Grazie! >> trillò la voce della nominata, comparendo accanto a me come un fantasma. 
David sghignazzò per il mio sussulto spaventato, dopodiché le porse il mazzo. << Spero le piacciano >> disse educatamente. 
Mia mamma se lo strinse al petto e sorrise allegramente. << Sono bellissime, io adoro il bianco. E sono molto contenta di conoscerti >> rivelò sporgendosi per dare due baci sulle guance del mio ragazzo. << Dammi pure il giubbotto, te lo metto da una parte. >> 
David si abbassò la cerniera guardandosi intorno con un sorriso che conoscevo quanto le mie tasche. << Complimenti per la casa. È molto bella. >> Stava chiaramente fingendo di non averla mai vista. 
Mi scappò un sorriso complice non appena i suoi occhi atterrarono su di me. 
Mia mamma sembrò sciogliersi a quel complimento. La casa era il suo punto debole dal momento che riteneva di avere un gran bel gusto per l'arredamento. Quando qualcuno glielo faceva notare, la sua convinzione non faceva che accrescere. << Ti ringrazio, David. >> Prese il giubbotto, gli occhi illuminati di orgoglio. << Fa' come se fossi a casa tua, torno subito. >> 
Lui annuì con un sorriso. << Grazie. >> 
Santo cielo, quant'era bello. Indossava un paio di pantaloni neri ed una camicia bianca con le maniche risvoltate fin sotto al gomito, il bracciale di cuoio che gli avevo regalato spiccava sulla sua pelle dorata. Aveva sapientemente lasciato i primi due bottoni della camicia aperti, così da lasciar intravedere un piccolo pezzo di pelle dai lembi ripiegati all'infuori. I capelli erano stati ritoccati con una punta di gel in modo da donar loro un'aria più ordinata, malgrado non seguissero tutti la stessa direzione. Erano ordinatamente scompigliati. 
Quel che più mi mandava in estasi erano le sfumature di castano più chiaro e più scuro che giocavano e si snodavano tra i suoi ciuffi. Avrei voluto passare una mano tra quei capelli e constatarne la morbidezza.  
<< Hai fatto colpo su mia mamma >> dissi ridacchiando. << Non solo hai azzeccato il suo colore preferito, ma ti sei pure complimentato sulla casa. >> 
Calò le mani nelle tasche dei pantaloni e mi rivolse un sorrisino sfrontato, il suo sguardo trasudava sicurezza. << Le donne le colpisco sempre alla prima occhiata >> si vantò con un'alzata di spalle. 
Mesi prima lo avrei scaraventato da un grattacielo per quell'atteggiamento arrogante, adesso invece mi divertiva.
Sollevai un sopracciglio, per poi incrociare le braccia sul petto. << Tutte? >> 
Si guardò la punta delle scarpe mentre un sorriso diverso si faceva largo sul suo viso. << Con una ho dovuto faticare parecchio >> confessò prima di alzare gli occhi nei miei. 
Il mio cuore scalpitò frenetico, generando un largo sorriso sulla mia bocca. 
D'un tratto sentii un intenso profumo di pesca, talmente dolce da essere stomachevole. A quello furono accompagnati dei pesanti passi da mammut. 
<< E quindi tu sei il famoso David Trent >> udii pronunciare alle mie spalle con un tono di sfida. 
M'irrigidii sul posto. Santo cielo, si partiva già male. Ed il mio stomaco si stava rivoltando a quel profumo sempre più forte. 
Cam apparve accanto a me e tese una mano. Con quel gesto un'ondata stucchevole mi penetrò nel naso.
David la strinse con un sorriso da schiaffi, tanto spavaldo quanto beffardo. << In persona. Tu sei? >> 
Sapeva benissimo chi fosse, era evidente da lontano un miglio che lo stesse chiedendo per irritarlo. 
Mio fratello ritirò il braccio, la sua mandibola ebbe un guizzo. << Suo fratello >> rispose indicandomi con un cenno del capo. 
Più gli stavo vicina più rischiavo di soffocare per l'odore di pesca che emanava. Sembrava un odora ambiente gigante. Mi chiedevo che cosa diavolo avesse combinato per profumare come una vecchietta che, per accalappiare uomini, si era rovesciata un flacone di profumo addosso.
<< Cam, posso parlarti un attimo? >> 
Il suo sguardo piombò su di me. Probabilmente si stava chiedendo che cos'avesse sbagliato. << Ok >> acconsentì restio. 
<< David tu siediti pure sul divano >> dissi prima di spingere mio fratello in cucina. 
Chiusi la porta e mi voltai a guardarlo con gli occhi spalancati. << Ma cosa ti sei messo, Cam? Sai di pesca >> gli feci notare sconvolta. 
La sua fronte si ricoprì di rughe. << Ma che dici? Non ho messo nulla. >> 
<< Fidati >> esclamai gesticolando. << Si sente da lontano, il profumo ti precede >> dissi ridendo. Mio Dio, che situazione inverosimile. << Non è che per sbaglio ti sei spruzzato quello di mamma? >>
<< E secondo te mi mettevo del profumo per incontrare il tuo ragazzo? >> domandò sollevando le sopracciglia. << Quando suc... >> Sgranò gli occhi. << Il deodorante! Ho spruzzato quasi tutto il flacone per coprire il puzzo. >> 
<< Oh mio Dio, ed è agibile adesso? >> 
<< Ma cosa me ne frega del bagno! >> sbottò con un gesto del braccio. Sbuffò. << Io profumo come una gigantesca pesca e tu pensi a quello? Anzi, è colpa tua se sono ridotto così >> mi accusò indicandomi. 
<< No, la colpa è tua che l'hai voluta fare a tutti i costi >> ribattei con un'occhiataccia. 
<< Certo >> sputò sarcastico. << La prossima volta darò al mio intestino degli orari più consoni alle tue esigenze. >> Sbuffò ancora. << Come faccio a smettere di puzzare? >> 
Davanti alla sua espressione schifata mi scappò da ridere, ma cercai di contenermi per non fomentare la sua ira. << Vai un attimo nel giardino, magari un po' d'aria aiuterà a farlo dissolvere. >> 
Mi guardò per una serie di secondi, alla fine sospirò sconfitto. << Non credo di avere altra scelta. >> 
<< Ma stacci poco, fa freddo e sei a mezze maniche >> mi premurai con uno sguardo preoccupato. Ci mancava soltanto che si beccasse una polmonite. 
Mentre mi superava, appoggiò una mano sulla mia testa. << Tranquilla >> mi rassicurò prima di uscire. 
Ottimo, quella cena di presentazione era iniziata nel migliore dei modi. Potevo solo sperare che le cose non peggiorassero. 
Quando rientrai nel salotto, vidi che David stava aiutando mia mamma a sistemare le rose al centro della tavola già apparecchiata.  
Le sorrise e lei gli fece una carezza materna sulla schiena. << Grazie mille. Tra poco comincio a servire la cena, scegli pure dove vuoi sederti. >> 
Mentre si voltava a guardarmi, fece un'espressione di totale approvazione mimando un "gran bel ragazzo" con le labbra. 
Sorrisi ed annuii divertita. Mia mamma venne verso di me e mi diede qualche pacca sulla spalla. << Comincio a riscaldare la cena, fallo accomodare sul divano >> bisbigliò vicino al mio orecchio. 
<< Ricevuto. >> Partii in missione e raggiunsi il mio ragazzo. 
Lui mi lanciò un'occhiata e poi tornò a concentrarsi sulla tavola rettangolare che mia mamma aveva allestito con una tovaglia bianca ed i piatti di ceramica del medesimo colore. << Tu dove ti siedi? >> mi chiese guardando ogni sedia. 
Seguii la traiettoria del suo sguardo e valutai la sistemazione. << Lì >> decisi indicando il mio posto. 
<< Ok >> accordò sorridendo. << Allora io starò lì. >> Puntò la sedia accanto alla mia e subito dopo si girò a guardarmi. 
I suoi occhi erano brillanti come diamanti, un sorrisetto divertito era impresso sfrontatamente sul suo viso. D'improvviso quelle stesse gemme ambrate si sollevarono oltre la mia testa, in direzione dei passi che stavano facendo cigolare il parquet. 
Ruotai il capo, il cuore che si agitava di nuovo. Mi ritrovai a sgranare gli occhi quasi inorridita alla vista di una camicia a scacchi bianchi e rossi. 
Mi sembrava la fiera dello scherzo. 
Non potevo credere che mio padre fosse davvero sceso conciato in quel modo. 
Non capivo se lo stesse facendo per irritare mia mamma o perché convinto che gli stesse bene. 
David si spostò verso di lui e tese una mano. << Piacere, sono il ragazzo di Sarah. David Trent >> si presentò con un sorriso reverente. 
Le mie guance si tinsero di sfumature calde nel sentirgli pronunciare quelle parole. Era la prima volta che lo sentivo dire a qualcuno di essere il mio ragazzo. 
I battiti del mio cuore erano subito accelerati. 
Mio padre restituì il sorriso con una stretta vigorosa. << Finalmente ti conosco. Sei il benvenuto in casa mia. >> 
Tirai un lieve sospiro di sollievo.
<< La ringrazio. Bella camicia, comunque >> aggiunse quell'idiota, facendomi gelare il sangue nelle vene. Il suo tono era stato sincero e al tempo stesso divertito, il sorrisetto che aveva stampato in faccia ne era la conferma. Mi auguravo che mio padre prendesse quella specie di complimento per il verso giusto. 
Quest'ultimo si lisciò la camicia con ambedue le mani. << Oh, be'... >> iniziò a dire. Dei brividi mi attraversarono la schiena non appena la sua bocca si stirò in un sorriso finto. << I bei gusti di mia moglie >> disse infine, annuendo. << Tutto merito suo. >> 
Grazie al cielo, l'aveva persa bene. Anzi, molto più che bene. 
Rilassai le spalle e spostai gli occhi su Cam che stava rientrando. Mi fece segno di raggiungerlo ed ubbidii. 
<< Puzzo ancora? >> domandò a bassa voce, guardandosi attorno. 
Allungai il collo e lo annusai da più vicino. Mi sembrava di essere un cane da tartufo. << Poco, non si sente quasi più. >> Sollevai la testa. << Come hai fatto? >> 
Storse la bocca in una smorfia. << Mi è toccato correre come un deficiente. >> 
Scoppiai a ridere ad immaginarlo correre in cerchio nel giardino. Peccato che non avevamo delle telecamere piazzate sull'esterno, altrimenti avrei cercato quel filmato. 
<< Si mangia, ragazzi! >> esclamò mia madre, uscendo dalla cucina con una pentola tra le mani. 
Dopo averla appoggiata con cautela al centro della tavola, si voltò verso ognuno di noi con un largo sorriso. Quel sorriso morì non appena i suoi occhi si posarono su papà. 
Lo studiò da capo a piedi con un'espressione di disgusto mal celato, mentre lui le rivolgeva un sorriso sornione che aveva tutta l'aria di essere una presa in giro. 
Ormai non c'erano più dubbi: si era messo quella camicia per farle un dispetto. 
<< Sedetevi pure >> disse lei, allontanando lo sguardo da mio padre con uno scotimento del capo. 
Mi mossi verso il mio posto in contemporanea a David, così finimmo per scontrarci come due macchinine all'autoscontro. Vidi di sfuggita le sue labbra piegarsi in un sorriso compiaciuto, poi le sue mani si appoggiarono delicatamente sui miei fianchi per farmi passare per prima. 
Sentii le guance prendere fuoco ed il cuore cospargere le mie vene di benzina. Se mi avesse toccata un'altra volta, ero sicura che mi sarei folgorata da sola. Probabilmente di me sarebbe rimasto soltanto un mucchietto informe di cenere. 
Passai velocemente oltre e raggiunsi la mia sedia. 
Santo Dio, mi sembrava di emanare calore dalla faccia. Se qualcuno avesse avuto freddo alle mani avrebbe potuto avvicinarle al mio viso, in poco meno di un secondo gliele avrei riscaldate. 
Evidentemente tutto il sangue del mio corpo aveva deciso di fare un giretto nelle zone alte. 
Mentre tutti si sedevano, presi un grosso respiro nella speranza di raffreddarmi, dopodiché feci slittare la sedia. Le mie gambe mi stavano supplicando di sedermi. Ero stata tutto il tempo in piedi, non ne potevo più, così mi accomodai pesantemente insieme ad un sospiro stanco. 
Il rumore di uno strappo mi fece sgranare gli occhi. 
Oh Signore Benedetto. Per tutti i cavoli lessi. Non potevo crederci. No, non poteva essere successo a me. 
Allungai una mano verso il fianco sinistro, il sudore mi stava imperlando la fronte. Con le dita tastai il tessuto della gonna, e poi lo sentii. Lo squarcio. Quel maledettissimo squarcio che avevo ricucito e che aveva deciso di far esplodere il filo proprio in quel momento. 
<< Spero che ti piaccia, David >> stava dicendo mia madre mentre restituiva il piatto pieno al mio ragazzo. 
Era una tragedia. Per nulla al mondo mi sarei alzata per andare a cambiarmi. La vergogna mi avrebbe uccisa. 
Adocchiai la tovaglia e, cercando di non dare nell'occhio, inizia a tirarla dalla mia parte. In un modo o nell'altro dovevo coprire quello scempio prima che qualcuno se ne accorgesse e lo facesse notare ad alta voce. 
Cam, seduto davanti a me, consegnò il piatto e si voltò a guardarmi con sospetto. Mi bloccai e gli feci un sorriso plastico. 
Abbassò lo sguardo sul suo bicchiere, che misteriosamente si era avvicinato a me, e poi ritornò a scrutarmi. 
<< Cam, il piatto >> lo richiamò nostra mamma. 
Nel momento in cui si girò, ne approfittai per accelerare la mia azione e riuscire nell'intento di nascondere lo squarcio. 
Sospirai di sollievo e passai il piatto di mio padre, seduto a capotavola accanto a me, a mia madre. 
<< Allora, David >> iniziò a dire lui, appoggiando i gomiti sulla tavola. Il cuore prese a battermi velocemente, l'interrogatorio stava per avere inizio. << Come va la scuola? >> 
Spostai gli occhi sull'interpellato alla mia destra. Teneva gli avambracci contro il bordo del tavolo, la schiena piegata in avanti. Un sorriso tranquillo arricciava gli angoli delle sue labbra. << Finora bene. >> 
Riconsegnai il piatto a mio padre e cedetti il mio per farlo riempire. 
Cam si lasciò andare contro lo schienale e distese un braccio. << Immagino tu faccia ancora parte della squadra di football >> esordì con un tono di sufficienza. 
David mantenne il sorriso ed annuì. << Abbiamo giocato una partita alcune settimane fa. >> 
<< Che ruolo hai? >> intervenne mio padre. A giudicare dalla sua espressione sembrava seriamente interessato all'argomento. Dopotutto bastava parlare di sport. 
<< Quarterback >> rispose il mio ragazzo, passandomi il piatto. 
Gli occhi di mio padre si accesero d'ammirazione, il che mi fece spuntare un sorriso divertito. Batté una mano sul tavolo, facendo tintinnare le posate, ed indicò David. << Puoi scommettere che alla prossima partita verrò a vedere te e la tua squadra >> dichiarò con fermezza. << Sono anni che non vedo un match di football dal vivo. >> 
David si stampò un sorrisetto sghembo. << La aspetto, allora. >> 
<< Sai >> pronunciò mia mamma, accomodandosi all'altro capo del tavolo, accanto al mio ragazzo. << Di solito andiamo a vedere le partite di Cameron. Lui gioca a basket. >> Poi i suoi occhi si posarono su di me. Cominciai a sudare freddo. Speravo che non... << Sarah, invece, quand'era più piccola faceva ginnastica artistica. >> Ecco, appunto. 
Ma perché aveva dovuto tirare fuori quella vecchia storia? Era andato tutto bene fino ad un attimo prima, da quel momento in poi prevedevo un declino imbarazzante. 
David si voltò a guardarmi, il suo sorrisino era velato di divertimento. Ovvio, al signorino piaceva quando l'argomento si spostava su di me. << Non me lo avevi detto. >> E chissà perché, avrei voluto aggiungere. 
<< Perché hai smesso? >> mi chiese, mandando in frantumi la speranza che sorvolasse su quel fatto. 
Mi schiarii la voce e cercai di fulminarlo con lo sguardo. << Non ero portata >> risposi con un sorriso falso quanto una banconota da tre dollari. 
<< Certo >> s'intromise mio fratello. Lo avrei ucciso. << Aveva paura a fare una semplice capriola. Al suo primo saggio mandò tutto all'aria con pianti e crisi isteriche. >> Si sporse in avanti. << Per una capriola, ribadisco. >> 
Se non avessi avuto uno squarcio alla gonna, mi sarei alzata per strozzarlo. 
<< Avevo cinque anni >> precisai con un'occhiataccia. 
<< È vero, era piccola >> mi difese papà. Grazie al cielo, qualcuno dalla mia parte. 
Mia mamma corrugò la fronte. << No, ma non fu per quello che abbandonò la ginnastica artistica. >> 
<< Ah no? >> Le iridi di David riflettevano quanto si stesse divertendo. Io ero l'unica ad avere l'espressione di un'assassina. 
<< Dovremmo mangiare >> scandii minacciosamente. 
Non fui calcolata di striscio. Non ebbi nemmeno la considerazione che si dà ad un moscerino spiaccicato sul parabrezza. 
<< Io assistevo a tutte le sue lezioni, non mi piaceva lasciarla lì da sola, anche se c'erano gli istruttori e gli altri bambini >> ammise mia mamma. Un largo sorriso si fece spazio sul suo viso. << E ricordo che in una di queste dovevano salire uno dopo l'altro sulla sbarra. Ovviamente l'istruttore li teneva per mano. Insomma, alla fine toccò a Sarah. >> Scoppiò a ridere. << Non so come fece, ma mentre metteva un piede dopo l'altro, d'un tratto scivolò, le si aprirono le gambe e piombò sulla sbarra. >> La sua risata stava diventando incontrollata. David era praticamente piegato in due. << Mi ricordo la sua faccia, santo cielo. Aveva gli occhi di fuori dallo shock. Per quasi tre giorni camminò a gambe divaricate, ed ovviamente non volle più mettere piede in quella palestra. >> Si asciugò una lacrima. << Oddio, ogni volta che ci ripenso mi viene da ridere. >> 
<< Ringrazia di non essere nata maschio >> mi prese in giro Cam. << Dopo una botta simile ti sarebbe venuta un'acutissima voce da donna. >> 
Mio padre si coprì la bocca per mascherare invano la risata che gli scuoteva le spalle. Anche lui era passato dalla parte del male, mi aveva abbandonata. 
<< Non so praticamente nulla di Sarah da piccola >> dichiarò David. 
Sgranai gli occhi e mi voltai di scatto per guardarlo. I suoi, lucidi ed ilari, erano già fissi su di me, la bocca era incurvata in un sorriso che mi fece battere il cuore. Perché non era uno di quelli beffardi, uno di quelli che mi rivolgeva quando stava per prendermi in giro. Si trattava di un sorriso generato da un interesse vivo e reale, sembrava quasi... pervaso di tenerezza. 
Mi sciolsi come un cubetto di ghiaccio accanto al fuoco di un camino. 
<< Sarah era una piccola peste >> attaccò mia madre con una risatina. 
David portò lo sguardo su di lei. Il mio cuore ancora non si decideva a rallentare la corsa. 
<< Tutto quello che vedeva fare a Cam, lo faceva anche lei. Lo seguiva ovunque >> ricordò mentre tagliava la sua fetta di tacchino ripieno agli spinaci. 
<< Sentito, sorellina? >> mi canzonò Cam, sollevando un sopracciglio. << Eri il mio cagnolino. >> 
Lo guardai male. << Scemo >> borbottai a bocca piena. 
<< Brucia, eh? >> mi sfotté divertito. 
Ingoiai e gli feci la linguaccia. 
Mio padre sembrò ridestarsi in quel momento. Appoggiò un gomito sul tavolo e puntò la forchetta verso mia mamma. << Ricordi quella volta che tirò i noccioli delle ciliegie su quella donna che prendeva il sole, al mare? >> 
Lei fece una smorfia inorridita e scosse il capo. << Una figura penosa. Mi toccò persino litigare con quella scema. >> I suoi occhi arrivarono fino a me. << Quante me ne hai combinate. >> 
David sghignazzò e continuò a mangiare. 
Mi chiedevo quanti altri episodi sulla mia infanzia avrebbero tirato fuori i miei genitori. La situazione era già abbastanza imbarazzante da sola. 
<< Comunque è sempre stata una combattiva >> aggiunse mia mamma. Alzò la testa dal piatto. << Ma nel vero senso della parola. Un anno, quando eravamo al mare, si accapigliò con un bambino perché le aveva tirato la sabbia in faccia. >> 
David scoppiò a ridere, rischiando di strozzarsi con la carne. Stampandomi un sorriso angelico, andai in suo soccorso tirandogli delle forti pacche sulla schiena per fargli scendere il boccone. 
Appena si riprese, lasciai cadere il braccio e lanciai un'occhiata fulminante a mia mamma. Lei sorrise, non comprendendo la portata minacciosa del mio sguardo. 
<< Ah, me lo ricordo! >> esclamò Cam. << Era un bambino del mio gruppo di amici. Li divisi io, Sarah stava avendo la meglio. >> 
<< E giustamente tu andasti a salvare quel moccioso, non me >> ricordai con astio. 
Lui scrollò le spalle. << Era lui la vittima. Ti lanciasti addosso a quel disgraziato come una scimmia indemoniata. >> 
<< Avevo la sabbia persino negli occhi! >> mi difesi sconvolta. A quei tempi avevo persino pensato di diventare cieca. << E poi lo aveva fatto apposta >> aggiunsi, come se servisse a scagionarmi del tutto. 
<< Hai fatto proprio bene a dargliene >> asserì mio padre, annuendo risoluto. 
<< Grazie papà. >> Era tornato dalla mia parte. Che fosse lodato il cielo. 
<< Rupert! >> lo riprese la mamma. << La violenza non è mai giustificata. >> 
Lui alzò gli occhi al cielo e si limitò ad emettere un sospiro. 
Sentii David ridacchiare, così mi girai a guardarlo. Stava masticando il boccone con un sorriso divertito, gli occhi guizzavano da mio padre a mia madre con curiosità. Ogni tratto del suo volto era rilassato; sembrava il ritratto della spensieratezza. 
Cam si schiarì la voce. << Dove abiti, David? >> 
Sudai freddo. Il soggetto di ogni successivo discorso sarebbe stato di nuovo lui. E sapevo quanto poco volentieri parlasse del posto in cui viveva. 
David ingoiò, il sorriso sparì per lasciar posto ad un'espressione più seria. << Nel Bronx >> rispose soltanto. 
Vidi il viso di mio padre scurirsi, la fronte aggrottarsi. << Brutta zona >> sentenziò pensieroso. Fissò il mio ragazzo dritto negli occhi. << Potremmo riaccompagnarti noi a casa, sarebbe più sicuro. >> 
Sorrisi più serena, mentre le iridi di David tradivano sorpresa per quella proposta. Era chiaro che si sarebbe aspettato qualsiasi altro commento, tranne quello.
<< Non si preoccupi, ormai conosco bene la mia zona >> rispose con un piccolo sorriso. 
<< D'accordo. In caso tu ci ripensassi, noi siamo qui >> concluse mio padre. 
David annuì grato. << Lo terrò presente. >> 
Riprendemmo a mangiare in un semi silenzio, c'era sempre il sottofondo della televisione accesa a farci compagnia. 
Ad un certo punto mia mamma posò il tovagliolo sulla tavola e cercò la bottiglia dell'acqua con lo sguardo, finendo per incrociare il mio. << Sarah, me la passi? >> 
Lo sapevo, avrei dovuto tenere la testa bassa. Come facevo a muovermi se ad ogni movimento lo squarcio della mia gonna non faceva che aumentare? 
Santo cielo, sarebbe stata la fine. 
Sollevai il sedere dalla sedia e mi sporsi per prendere l'acqua con una lentezza sfinente. Alla fine l'afferrai con decisione, mentre con l'altra mano tenevo la tovaglia a coprirmi la spaccatura. 
Stavo sudando sette camicie. Il minimo passo falso e si sarebbe sentito un orribile "crack". 
Distesi il braccio ed inclinai l'intero corpo per compiere l'ultimo immane sforzo: passarla. 
Quando ormai mancavano pochi centimetri, mi sfuggii la tovaglia dalle dita. Per una fortunata coincidenza, Cam alzò lo sguardo proprio in quel momento. Sentii i suoi occhi incagliarsi sul mio squarcio segreto. 
<< Sarah, lo sai che hai... >> Passai la bottiglia in fretta, mi lasciai cadere sulla sedia e tirai un forte calcio alla gamba di quell'impiccione di mio fratello. 
Non sapeva proprio starci con la bocca chiusa. 
Fece una smorfia di dolore e mi guardò male. Peccato che il suo sguardo fosse nulla in confronto al mio, a dir poco omicida. 
Ci fissammo in cagnesco fino a che mia mamma non riprese la parola. 
<< Hai qualche progetto per quando sarà finita la scuola, David? >> pronunciò sorridendo. 
Quella domanda attirò la mia attenzione su di lui. Non ne avevamo ancora mai parlato, ma il quarto anno era ormai agli sgoccioli. Dopodiché avremmo dovuto prendere una direzione, non necessariamente la stessa. 
Il solo pensiero era già doloroso. 
Sembrò rifletterci per qualche istante. << Non so ancora di preciso. Mi piacerebbe continuare col football >> confessò. 
<< A che livello? >> intervenne papà. Appena sentiva parlare di sport gli si rizzavano le antenne. 
David sorrise, gli occhi che brillavano. << Professionale sarebbe il top. Quando finirà la scuola farò dei provini in qualche squadra qui vicina. >> 
Mio padre annuì con un gran sorriso. << Ottima idea. È bene farsi notare subito >> sentenziò convinto. 
Io mi ero già tranquillizzata a sentire la parola "vicina". 
Stavo prendendo sempre più in considerazione l'idea di frequentare il college nell'edificio adiacente alla mia attuale scuola. In quel modo saremmo stati vicini ed avrei avuto una buona preparazione. Dopotutto non mi erano mai interessate le grandi università come Yale, Stanford o Harvard. Ed i miei genitori non mi avevano mai fatto pressioni a riguardo, come non ne avevano fatte quando Cam aveva deciso di non frequentare il college. 
Continuai ad osservare David mentre parlava con mia madre. 
Era strano vederlo seduto accanto a me in presenza della mia famiglia, però quel quadretto mi piaceva. Riassumeva ogni pilastro fondamentale della mia vita. 
Sorrisi alla vista delle sue labbra che ricambiavano il sorriso di mia mamma, poi abbassai la testa e continuai a mangiare. 





                                                                       *  *  *





Non avevo la più pallida idea di come avrei fatto ad alzarmi da tavola. 
Avevamo finito di cenare da quindici minuti, quando mia mamma aveva proposto a me, Cam e David di spostarci sul divano mentre loro trasportavano le portate in cucina. 
I miei genitori e Cam si erano già alzati, David stava facendo slittare la sedia. 
Io non sapevo se rimanere lì per sempre o se scappare verso le scale. In ambedue i casi avrei dato troppo nell'occhio.
Sospirai amaramente e mi appoggiai una mano sullo squarcio, sperando di riuscire a coprirlo tutto. Quando mi alzai, sentii la gonna lente intorno alla vita. Praticamente rischiava di scivolarmi giù se non l'avessi sorretta. 
Di bene in meglio. 
Intercettai lo sguardo di David e sorrisi come se non stessi rischiando di rimanere in mutande davanti a tutti. 
<< Dov'è il bagno? >> mi chiese avvicinandosi. 
Non avrebbe potuto farmi una domanda più azzeccata. In quel modo sarei potuta sfuggire al piano di sopra per mettermi dei pantaloni. 
<< Vieni, ti accompagno. >> Partii come un fulmine e raggiunsi le scale, la mano sempre sul fianco come se avessi avuto una spada. Mi sembrava di essere Lady Oscar che scortava un civile al gabinetto. 
Salii gradino dopo gradino alla velocità della luce e mi fermai una volta giunta davanti alla porta del bagno. A quel punto dirottai gli occhi su David che stava salendo gli ultimi due scalini. 
Sollevò un sopracciglio mentre un sorrisetto malizioso gli esaltava le iridi. << Non vedevi l'ora di stare sola con me, eh? >> soffiò vicino al mio viso. 
Per un attimo guardai le sue labbra, il cuore mi palpitava persino nelle orecchie, alla fine risollevai lo sguardo con risoluzione. << Sì, per prenderti a mazzate per ogni risata che ti sei fatto delle mie passate disgrazie. >> 
Il suo sorriso si estese mentre mi passava una mano sulla schiena per attirarmi a sé. Inclinò la testa, e ancora una volta i miei occhi furono calamitati dalla sua bocca. Il suo alito fresco mi solleticò le labbra, costringendomi a dischiuderle. 
<< Carino quel taglio nella gonna >> bisbigliò divertito. 
Mi si fermò il cuore per lo shock. Lui sarebbe dovuto essere l'ultimo a venirlo a sapere. 
Mi ritrassi di scatto e lo guardai sconvolta. << Come hai fatto a vederlo? >> 
Che figura di cacca colossale. Non era possibile che la sfortuna mi perseguitasse in quel modo. Che cos'avevo fatto di male? 
<< Ho sentito uno strappo quando ti sei seduta, così mi sono girato e l'ho visto >> spiegò con un'alzata di spalle. Il suo sorriso esprimeva quanto se la stesse spassando, io al contrario mi sarei voluta sotterrare. 
<< Ok, tu non hai visto niente in realtà >> sentenziai con un'occhiataccia. << O comunque te lo sei già scordato, chiaro? >> 
Ridacchiò e si fece di lato per aprire la porta del bagno. << Non credo proprio >> mi stuzzicò con uno sguardo di sfida, prima di scomparire. 
Lo sapevo. Era ovvio che avrebbe continuato a prendermi in giro. Era il suo hobby preferito. 
Rimasi a guardare trucemente la porta per qualche istante, poi mi decisi a sgusciare in camera per cercare un paio di pantaloni neri. 
Neanche a dirlo, non riuscivo a trovarli. Quella sera la sfortuna si era decisamente accanita contro di me, non mi dava respiro. 
Buttai all'aria praticamente tutto l'armadio, mandando a quel paese l'ordine. Alla fine li vidi. Mi sembrò di scorgere un alone di luce intorno a quei benedetti pantaloni e di sentir risuonare un coro di alleluia. 
Mi tolsi in fretta e furia la gonna della disgrazia ed indossai il paio che avevo riportato alla luce come un reperto archeologico. 
Ci ficcai dentro la camicia, rimborsandola un po' sui fianchi, e mi guardai allo specchio. 
Poteva andare. 
Uscii dalla stanza e scesi le scale per recarmi in salotto. 
David era seduto sul divano, il braccio sinistro disteso sulla testata, mentre Cam era accomodato distante da lui, con i gomiti appoggiati sulle gambe e la testa rivolta verso il mio ragazzo. Stavano parlando di sport. Che novità. 
I miei genitori intanto facevano su e giù tra il tavolo e la cucina per sparecchiare. 
Ritornai a guardare il divano e cominciai a muovere dei passi in quella direzione. Passai davanti a David e subito dopo mi sedetti accanto a lui, sentendo il suo braccio contro la nuca. 
<< Dov'eri finita? >> mi chiese Cam, poi notò i miei pantaloni. Le sue labbra si distesero in un sorriso subdolo. << Già, la gonna ti si era rotta. >> 
Maledetto. Doveva solo ringraziare il fatto che David già lo sapesse, altrimenti mi sarei scagliata addosso a lui per fargli rimpiangere quelle parole. 
Lo perforai con uno sguardo assassino. << Grazie per averlo ricordato >> sibilai. 
Lui fece spallucce come per discolparsi di tutto, poi i suoi occhi esaminatori atterrarono su David. Lo osservò a lungo, in silenzio. 
Più di una volta mi chiesi che cosa stesse guardando, che cos'avesse attirato tanto la sua attenzione. Così decisi di scoprirlo. 
Ruotai la testa ed alzai lo sguardo, ritrovandomi due paia di occhi ambrati fissi sul viso. 
Il cuore iniziò a picchiarmi nel petto con un ritmo incessante. 
David mi stava fissando, probabilmente da quando mi ero seduta. E lo stava facendo con un piccolo sorriso dipinto sulle labbra. 
Deglutii, le guance che acquistavano colore, il battito impazzito, le farfalle nello stomaco. 
Vidi i suoi occhi seguire la curva del mio zigomo, poi scendere sulla guancia, il mento, e da ultimo risalire sulle mie labbra dischiuse. A quel punto il tempo sembrò rallentare. Il suo sorriso si spense lentamente, il mio sguardo approdò sulla sua bocca. 
Ci dividevano pochi centimetri, ed il mio stomaco si contorceva come se stessimo per scambiarci il primo bacio. 
Poi lo vidi umettarsi le labbra e deglutire, mosse piano il viso, conducendolo più vicino al mio. D'un tratto si bloccò, quasi in lotta con se stesso. Un attimo dopo aveva distolto lo sguardo come scottato. 
Il tempo ricominciò a scorrere, e così feci caso al sottofondo della televisione. Sbattei le palpebre in rapida successione e ripresi a respirare regolarmente. Mi sembrava di non incanalare ossigeno da interi minuti. 
<< Che ore sono? >> domandò a mio fratello. 
Oh Signore, Cam era lì. Ed aveva assistito a tutto. Come avevo fatto a non pensarci prima? 
Sentii le mie guance andare a fuoco. 
<< Le dieci >> gli rispose tranquillo. << Devi andare? >>
<< Tra poco >> affermò David, rilassandosi con un sospiro. 
Appoggiai la testa sul suo braccio ed immisi le mani tra le gambe, spostando gli occhi sulla televisione. Mi sentivo stanca morta. Tutta l'ansia e l'adrenalina per quella cena erano scemate lasciandomi sfinita ed assonnata. 
Non vedevo l'ora di far entrare David dalla finestra ed addormentarmi tra le sue braccia. 
<< Sarah ha detto che hai fatto molto per lei durante l'invasione >> iniziò a dire Cam, il tono basso. Mi voltai a guardarlo, sorpresa dalle sue parole. I suoi occhi erano fossilizzati sul mio ragazzo. << Volevo ringraziarti. >> 
Percepii un tenue calore propagarsi nel petto mentre un piccolo sorriso mi spuntava sulle labbra.
Non sentii David rispondere, ma in compenso gli sentii muovere la testa, al che mio fratello rispose con un altro cenno. In un modo tutto loro, si erano capiti. 
Sbadigliai e lasciai andare la testa sulla spalla del mio ragazzo. Le palpebre mi stavano diventando sempre più pesanti, se solo le avessi chiuse mi sarei addormentata. 
<< L'opossum sta per stramazzare >> mi prese in giro Cam. << Ha già gli occhi a mezz'asta. >> 
<< Non è vero >> biascicai stancamente. 
David rise, dopodiché avvertii le sue labbra sui capelli. Malgrado la sonnolenza, il cuore prese a battermi furiosamente. << Sonno? >> sussurrò piano. 
Annuii con un secondo sbadiglio. 
<< Allora vado. Cerca di andare a letto per le undici, così salgo prima >> bisbigliò ad un tono quasi impercettibile. 
<< Va bene >> accordai sorridendo come una scema. Non avevo neanche più il controllo delle mie espressioni facciali. 
Sollevai la testa ciondolante per fargli ritirare il braccio, dopodiché mi alzai assieme a lui. 
<< Te ne vai? >> esclamò la voce di mia mamma con un nota dispiaciuta. 
David le sorrise. << Sì, è meglio se comincio ad incamminarmi. >> 
Lei arcuò le sopracciglia in un'espressione rammaricata. << Oh, mi dispiace tanto. Rupert vieni qui! >> gridò in direzione della cucina. Poi spalancò le braccia e si avvicinò a David con un largo sorriso. << Sono davvero contenta di averti conosciuto. Vieni a trovarci quando vuoi >> disse abbracciandolo, per poi stampargli due baci sulle guance. 
<< Grazie mille dell'invito >> rispose il mio ragazzo, elargendo un sorriso riconoscente. 
Mio padre uscì dalla cucina e gli andò incontro con la mano tesa. << È stato un piacere, ragazzo >> asserì annuendo. << Conto di vederti giocare nella prossima partita. >> 
<< Le farò sapere quando si terrà tramite Sarah. >> Gli strinse la mano e da ultimo spostò lo sguardo su mio fratello. 
Per più di cinque secondi si fissarono senza muovere un dito. Nessuno dei due sembrava intenzionato a fare il primo passo verso l'altro. 
Sentii crescere l'ansia attimo dopo attimo, finché, come un raggio di sole che penetra le nuvole, non vidi affacciarsi un sorriso sulla bocca di Cam. Piegò il gomito ed alzò la mano. << Credo che verrò anch'io alla tua partita >> dichiarò mentre David gli restituiva quella specie di saluto maschile stringendogli la mano. 
Sorrisi entusiasta nel sentire quelle parole e nel vedere che si scambiavano quel gesto amichevole.
<< Ci conto >> rispose il mio ragazzo, rivolgendogli un sorriso luminoso. 
Cam annuì complice e gli diede una pacca sulla schiena non appena lui si voltò per raggiungere la porta d'ingresso. 
Mia mamma gli consegnò il giubbotto, subito dopo mi lanciò un'occhiata di sprono. Mi riscossi dal mio intorpidimento ed avanzai verso David. << Ti accompagno fuori >> decisi, gli occhi ancora mezzi chiusi mentre il freddo della sera entrava dalla porta aperta. 
Sentii di sfuggita gli ultimi saluti, poi seguii David nel cortile. 
I fili d'erba erano quasi congelati, intirizziti come i peli sulle mie braccia. Espirai una nuvoletta di vapore ed alzai lo sguardo sulla schiena del mio ragazzo.
D'istinto mi circondai le braccia e le sfregai alla ricerca di calore. 
<< Aspetta >> udii dire da David. Venne verso di me e calò la zip del giubbotto, dopodiché se lo sfilò e me lo appoggiò sulle spalle. 
I suoi occhi mi fissavano intensamente mentre me lo sistemava addosso, provocando i battiti accelerati del mio cuore. 
<< Sono stata bene stasera >> mormorai muovendo un passo avanti. 
Il suo sguardo venne catturato dalla mia bocca. << Anch'io. >> 
Ancora una volta mi sembrò che il tempo si stesse dilatando per permetterci di cogliere ogni millesimo di quel momento.  
Vidi le sue gemme ambrate farsi più vicine, mentre le mie orecchie si riempivano del palpito del mio cuore e dei suoni ovattati della notte. 
Con una piacevole calma, la sua bocca sfiorò la mia, per poi ritrarsi e ritornare ad accarezzarla da un'altra angolazione. 
Le farfalle nel mio stomaco si librarono in volo con un lieve battito d'ali. 
Appoggiai una mano sul suo petto nel momento in cui mi baciò un angolo della bocca, poi il mento e da ultimo di nuovo sulle labbra. 
Furono una serie di baci e carezze tanto delicati quanto lenti, in netto contrasto con la velocità con cui il mio cuore pulsava. 
Quando ci allontanammo, sentii la mente leggera e le guance calde. David sorrise e m'indicò la veranda con un cenno del capo. << Vai, fa freddo. >> 
<< Che farai tu nel frattempo? >> Di sicuro non sarebbe tornato a casa, era troppo lontana. 
Scrollò le spalle. << Un giretto per la strada. Alle undici salirò da te. >> 
Annuii e gli restituii il giubbotto. << Andrò subito a letto >> affermai con un sorriso. 
<< Brava nanetta >> mi prese in giro annuendo. Ridacchiò non appena lo colpì piano nella pancia. 
<< A tra poco. >> Mi allungai sulle punte e gli scoccai un bacio a stampo sulla bocca. 
Si piegò su di me e sorrise sulle mie labbra. Dopodiché mi ritrassi e sgattaiolai verso il portone. Mi voltai un'ultima volta per salutarlo, sentendo i palpiti del mio cuore aumentare sotto l'intensità del suo sguardo. 
Appena mi diede le spalle con un sorrisino pennellato sulla bocca, rientrai in casa. 
Il calore dell'ingresso mi avvolse fin da subito. 
Mia mamma spuntò dalla cucina con gli occhi accesi di entusiasmo ed un sorriso raggiante. << Siete davvero carini insieme. Ti ha anche prestato il giubbotto. >>
Oh Signore. 
<< Mamma, ci hai spiati >> la accusai attonita. Avrei dovuto immaginarlo, curiosa com'era. 
Fece una smorfia, come se avessi appena sparato una cavolata colossale. << Ma che dici? Per pura casualità stavo guardando il tempo dalla finestra. >> 
<< Certo >> tagliai corto alzando gli occhi al cielo. 
<< Rupert, a te che te ne pare? >> chiese lanciando un'occhiata oltre la sua spalla. 
<< Un bravo ragazzo, mi piace. A pelle mi ha comunicato sincerità >> rispose dalla cucina. << Mi sembra adatto a Sarah. >> 
Sorrisi felice, mentre mia mamma annuiva con convinzione a quelle parole. Per mio padre la prima impressione era fondamentale, quella che lui chiamava "sensazione a pelle". Se qualcuno non gli piaceva a primo impatto, difficilmente cambiava idea in seguito. 
<< Vado a letto >> pronunciai con una sensazione di leggerezza alla bocca dello stomaco. 
<< Buonanotte >> esclamarono all'unisono i miei. 
Salii le scale e m'imbattei con lo sguardo su Cam che stava uscendo dalla sua stanza. 
<< 'Notte >> biascicai con un sorriso. Abbassai la maniglia della mia camera ed immisi un piede dentro.
<< Credo che lui sia cambiato >> buttò fuori all'improvviso. 
Mi fermai sul posto, il cuore di nuovo in agitazione. Girai il capo per guardarlo, i suoi occhi trasudavano serietà. 
<< Sta facendo sul serio. Basta vedere come ti guarda per capirlo >> aggiunse con un piccolo sorriso. << Non so che cosa tu gli abbia fatto, ma l'hai cambiato. >> 
<< Sono un opossum con poteri magici >> ribattei con fare altezzoso. 
Rise e mi scompigliò i capelli. << Ecco, vai a dormire, opossum. Hai gli occhi mezzi chiusi, ormai assomigli ad una talpa. >>
<< Vado >> affermai facendo il saluto militare. 
Quando mi chiusi la porta alle spalle, ci appoggiai la testa contro e guardai il soffitto. 
Era stata una serata lunga, ma molto più bella di come me l'ero immaginata, malgrado gli inconvenienti. Passai in rassegna ogni secondo trascorso, poi mi soffermai sulle impressioni espresse da Cam. Aveva detto che David era cambiato. Che io lo avevo cambiato. 
D'istinto, sorrisi. 



























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Capitolo 21
*** Piccoli spiragli e grandi giochi ***


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Piccoli Spiragli e Grandi Giochi




















Sabato mattina mi svegliai felice. Mentre mi stiracchiavo come un gatto, non riuscivo a togliermi il sorriso dalla faccia.  
Mi sentivo leggera come una piuma al pensiero della sera precedente, quando David aveva conosciuto la mia famiglia. 
Sentendo armeggiare con le pentole al piano di sotto, allungai un'occhiata alla sveglia. Erano le dieci e cinque, il che mi infuse un'ulteriore dose di contentezza per il fatto che David, finalmente, avesse potuto riposare. 
Ruotai la testa e successivamente mi voltai su un fianco per osservarlo dormire. 
La sera prima, dopo che ci eravamo messi a letto, mi ero addormentata di schianto. Mi era bastato sentire il calore del suo petto contro la schiena per collassare. 
Sorrisi nel vederlo con la bocca dischiusa. Sembrava così indifeso... Immediatamente la mia mente formulò un pensiero malvagio. O meglio, un piano malvagio. 
Insomma, dopotutto la sera prima il signorino si era ampiamente divertito alle mie spalle, perché non mi sarei potuta divertire un po' anch'io? Non ci vedevo assolutamente nulla di male. 
Mi alzai delicatamente dal letto, scivolando come una biscia dalle sue braccia calde per dirigermi alla porta. Prima di aprirla lanciai un'occhiata all'ignaro pollo steso nel mio letto. La mia faccia si trasformò in una maschera di diabolica goduria per ciò che avrei messo in atto di lì a poco. 
Santo cielo, come facevo ad essere tanto geniale? Insomma, madre natura aveva propio esagerato con me. 
Uscii dalla camera tenendo sott'occhio la mia vittima come se potesse scappare da un momento all'altro. 
<< Spostati opossum. >> 
Sgranai gli occhi e sbattei la porta alle mie spalle con la rapidità di una schizzata. 
Cam aggrottò la fronte mentre mi guardava confuso per quello scatto. << Ma che fai? >> domandò guardingo. 
<< Che? Io? >> fu tutto ciò che riuscii a pronunciare. Non mi ero aspettata di beccare mio fratello proprio in quel momento. E se fosse voluto entrare nella mia stanza? Non volevo essere pessimista, ma nella più rosea delle prospettive prevedevo la mia fine. 
Cam studiò il mio volto con gli occhi leggermente socchiusi. Dopodiché inclinò la testa ed incrociò le braccia sul petto. << Mi fai entrare? >> 
Spalancai gli occhi. Cosa diamine avevo sentito? << Dove? >> ribattei cercando di celare il terrore dietro quella domanda stupida. 
Non poteva dire sul serio. Non quando David stava dormendo nel mio letto e quando la sottoscritta aveva macchinato un piano geniale. 
Con un cenno del capo indicò la mia camera. Mi si gelò il sangue nelle vene. << Devo prendere il Mac. >> 
<< E che te ne fai, scusa? >> cercai di dissuaderlo con un'alzata di spalle. << Devi fare colazione e... uscire a correre. Non ti serve il computer. >> Sorrisi bonariamente e gli lasciai qualche pacca sul braccio. 
<< Ho già fatto colazione >> precisò, lo sguardo sempre più attento. << Che cos'hai combinato lì dentro? >> 
Uh madre santissima. << Nulla, è solo... >> Mi attorcigliai le dita per il nervoso. Che cosa accidenti potevo inventarmi? << Solo in disordine >> mentii con un sospiro teatrale, come se avessi appena rivelato il peso che mi gravava sullo stomaco.
Sondai di sottecchi l'espressione di mio fratello. Dal modo in cui mi guardava sembrava che stesse cercando di scavare nella mia mente per ricavare la verità. Perché ovviamente sapeva che avevo appena mentito. 
Pure un procione lo avrebbe capito. E lui, di fatto, era un procione. 
<< Fammi entrare o ti sposto con la forza. >> Ma che procione aggressivo. 
Alzai il capo di scatto e lo trafissi con gli occhi. << No, è camera mia. Non pensare di darmi ordini o minacciarmi, altrimenti chiamo papà. >> Sollevai un sopracciglio e mi stampai un sorrisetto di sfida. Sapevamo entrambi che papà avrebbe dato ragione a me. Avevo la vittoria in pugno. 
Alzò gli occhi al cielo e si passò una mano sotto alla maglietta bianca del pigiama per grattarsi l'addome. << Allora portamelo tu il Mac. >> Mi esortò con lo sguardo. << E muoviti, opossum. >> 
Corrugai le sopracciglia e scossi leggermente la testa. << Non vai a correre? Prima ci andavi sempre. >> 
Mi chiedevo perché avesse cominciato ad allenarsi sempre meno. Un tempo il basket era la sua priorità, ogni partita la viveva come se fosse la prima, ed era bello vedere quella luce guizzante e viva nei suoi occhi, quella dirompente voglia di fare. Invece adesso trascurava quella passione come se non volesse più averci a che fare. 
<< Non mi va >> rispose soltanto, distogliendo lo sguardo. 
Povero scemo. Lui ci sarebbe andato eccome. 
<< Pensavo di venire con te >> dissi per spronarlo. 
I suoi occhi schizzarono su di me come molle. << Tu. >> Il suo scetticismo era tanto palese quanto offensivo. 
Assunsi un'espressione fiera, sollevando entrambe le sopracciglia. << Sì, io. Problemi? >> 
<< Non resisteresti un minuto. Mi toccherebbe portarti sulla schiena. >> La sua smorfia infastidita era doppiamente offensiva alla mie prorompenti capacità fisiche. 
<< Meglio, così ti allenerai di più >> sentenziai dandogli una pacca. << A che ora facciamo? Tra un quarto d'ora in salotto? >> 
Pur non sembrando molto convinto, annuì. Poi mi rivolse un sorriso ironico. << Vediamo quanto resisti prima di stramazzare al suolo. >> 
<< Ti stupirò, caro >> affermai prima di sgattaiolare in camera e richiudere la porta a chiave. 
Trassi un profondo respiro e rivolsi l'attenzione a David che si stava stropicciando gli occhi. Quella mattina non avrei potuto trascorrerla con lui, ma ero comunque felice della mia scelta di passarla con Cam. 
Avevo bisogno di stare un po' da sola con mio fratello. Volevo capire fin in fondo cosa gli stava succedendo. 
Due perle ambrate s'incatenarono ai miei occhi sorridenti. Il mio cuore reagì nell'immediato agitandosi come un passerotto nel nido. 
<< Ti sei svegliato >> mormorai pianissimo, avanzando fino al letto. 
Aveva i capelli scompigliati dal cuscino e lo sguardo ancora assonnato. << Ho sentito sbattere la porta, poi quando ho aperto gli occhi sono stato accecato dalla luce. Dovremmo chiudere di più le persiane >> asserì stendendosi prono, per poi allungare una mano ed afferrarmi un polso. << Vieni un po' qui >> ordinò tirandomi a sé. 
Sorrisi. << Per poco però >> dissi mentre mi distendevo accanto a lui, nella sua stessa posizione. << Devo prepararmi per andare a correre con Cam. >> 
Chiuse gli occhi e mi circondò la schiena con un braccio. << Sì, ho sentito >> sussurrò avvicinando la bocca alla mia testa. Percepii le sue labbra a contatto con la mia fronte ed il suo respiro calmo e caldo sulla pelle. << Dopo pranzo vieni da me? Mia mamma deve andare a lavoro e mi lascia Dwight >> biascicò con flemma. Qualcosa mi stava dicendo che era lì lì per riaddormentarsi. 
Spalancai gli occhi contenta e mi tirai sui gomiti. << Davvero? Perché non lo portiamo in un giardino e giochiamo con lui? Si potrebbe divertire >> proposi su di giri. 
<< Nel Bronx non ci sono giardini molto raccomandabili >> mi fece presente con uno sbadiglio. 
Mi passai un dito sul mento. << Giusto, non ci avevo pensato. >> 
Aprì gli occhi mentre un sorrisino malizioso si faceva largo sul suo viso. << Io direi di metterlo a dormire in camera sua, così da avere il resto della casa libera e il tempo per fare tante cose. >> 
Sollevai un sopracciglio. << Le tante cose, nella tua mente, consisterebbero in una soltanto >> puntualizzai con le guance che si surriscaldavano. 
Il suo sorriso divenne più accattivante. << Sì, ma in tanti modi diversi. >> 
Santo cielo. Adesso sì che la mia faccia aveva preso fuoco. 
Gli tirai uno schiaffetto sulla spalla e sviai dal suo sguardo per evitare di morire di autocombustione. << Scordatelo >> tagliai corto. << Penserò io a qualcosa di intelligente. >> 
Strizzai gli occhi e cercai di concentrarmi malgrado la sua risata attutita dal cuscino. 
Come al solito il babbuino si divertiva a mettermi in imbarazzo. 
Prima o poi avrei messo in atto lo scherzo che avevo ideato e mi sarei fatta una gran scorpacciata di risate. Avrei soltanto dovuto aspettare l'occasione giusta per colpire. 
Come un flash, un'idea mi trapassò la mente. 
<< Oddio, ma sono un genio! >> esclamai battendo una mano sul cuscino. 
<< Parliamone >> ribatté ironico il babbuino. 
Feci il gesto di scacciar via una mosca. << Zitto, scemo. >> I miei occhi si illuminarono. << Come ho fatto a non pensarci prima? Dwight si divertirà da matti! >> 
Scoppiai a ridere come una pazza per l'eccitazione di quella geniale e brillante idea. 
<< Credo che lui non sarà l'unico dato che qualcuno sembra persino più contento di quanto potrebbe esserlo lui >> notò David, che si era puntellato su un gomito per osservarmi. << Che idea hai avuto che ti rende tanto felice? >> 
Lo guardai con un sorriso da orecchio a orecchio. << I gonfiabili. Hanno aperto un parco giochi non troppo grande di soli gonfiabili qui vicino. >> 
Le sue labbra si stirarono in un sorriso divertito. << E scommetto che tu lo seguirai dentro i gonfiabili, ma non perché ti piacciono e muori dalla voglia di giocarci >> insinuò con un sopracciglio alzato. 
<< Certo che no, lo seguirò per assicurarmi che non si faccia del male. Ed ovviamente tu verrai con me >> comandai con un sorriso angelico che conteneva una minaccia. << Obiezioni? >> 
<< Posso davvero rifiutarmi? >> 
<< Ovviamente no. >> 
<< Come immaginavo. >> Si strinse nelle spalle con un sorriso ed affondò la faccia nel cuscino. 
Risi e gli misi le mani sulle spalle, per poi saltare sulla sua schiena e distendermi. << Ci divertiremo un sacco. Non vedo l'ora. Ci sono un sacco di gonfiabili morbidi su cui rimbalzare e tanti percorsi da seguire. Oddio, sarà bellissimo. >> Sospirai sognante ed appoggiai la testa sulla sua. 
<< Ammettilo che stai sfruttando mio fratello per entrare lì dentro >> mi canzonò con tono gioviale. << Chissà da quanto fantastichi su quel parco giochi. >> 
<< Ma dai >> lo rimbeccai ridacchiando. << Hai idea di quanto ci divertiremo tutti e tre insieme? Sarà... magico >> assicurai con un altro sospiro. 
Il mio cervello era ormai partito. Non riuscivo a pensare ad altro che non fossero i gonfiabili. Mi sarei amata a vita per aver avuto quell'idea stupenda. 
David sollevò il capo e lo ruotò per cercarmi con la coda dell'occhio. << Non è che poi dovrò stare più attento a te che a Dwight? >> 
Gli tirai un scappellotto ed alzai gli occhi al cielo. << Ma per favore, per chi mi hai presa? So gestirmi alla grande. >> 
Insomma, noi eravamo due ragazzi che accompagnavano un bambino. Amavo i gonfiabili, certo, ma non mi sarei mica trasformata in una bambina. Avevo pur sempre i miei quasi diciotto anni. 
Non comprendevo il perché della domanda di David. Proprio non lo capivo. 





                                                                      *  *  *





<< Incredibile >> dichiarò Cam mentre correvamo lungo il marciapiede. << Sono passati undici minuti e non hai ancora la lingua di fuori. Mi stupisci, opossum. >>
Certo. Non boccheggiavo come un pesce soltanto per orgoglio, ma ero vicinissima a sputare un polmone. 
Stavo morendo dentro. Il mio corpo urlava pietà, mi pregava di accasciarmi da qualche parte e continuare a vivere. Ma io no, persistevo a correre per dare sfoggio delle mie strabilianti doti motorie, incurante della vita che mi stava abbandonando. 
Una sferzata di aria più gelida delle altre mi congelò il sudore sulla faccia. Mi sentii refrigerare persino il cervello. 
<< Però stranamente non parli >> notò osservandomi. 
Mi sembrava naturale che non parlassi. Perdinci, io non avevo fiato nemmeno per riempire i polmoni, figuriamoci se mi mettevo a sprecarlo. 
<< Tutto alla grande >> mi sforzai di pronunciare, il pollice alzato ed un sorriso sornione come se quella fosse una passeggiata da ragazzi. 
<< Aumentiamo la velocità allora. Su, muovi quei piedi >> mi spronò quella specie di Action Man, superandomi di due metri. 
Era chiaro che volesse vedermi morta. 
Annuii e mantenni il sorriso come scusa per respirare tra i denti. La prossima volta mi sarei dovuta ricordare di portarmi una bombola dell'ossigeno o un defribillatore. 
Lo raggiunsi e provai a mantenere la sua andatura per più di un secondo. Era del tutto inutile, rimanevo comunque indietro. 
Forse se avessi finto di cadere ci saremmo fermati. Era un'opzione che avrei dovuto tenere in considerazione. 
Alzai la testa per controllare dove stesse guardando Cam. Ottimo, non mi stava tenendo d'occhio. 
Spalancai la bocca per cercare d'incamerare più ossigeno possibile e tirai fuori la lingua per la fatica. Mio Dio, stavo morendo. 
Il mio passo si stava man mano trasformando in quello di uno zombie. 
Appena vidi che Cam si stava per girare, chiusi la bocca e mi stampai un sorriso felice simile a quelli che si vedono nelle pubblicità. 
<< Sei stanca? >> mi chiese. << Là ci sono delle panchine, potremmo fare una sosta. >>
Aveva detto "sosta"? Che parola meravigliosa, che suono melodioso. 
<< D'accordo >> acconsentii senza fiato. 
Con delle ultime veloci falcate raggiungemmo una panchina di legno posta sul limitare di un giardino che costeggiava la strada. 
Quando mi sedetti, percepii il mio corpo cantare vittoria. Mi tolsi lo zainetto dalle spalle ed estrassi l'acqua. 
Bevvi con avidità fino a che la bottiglietta non mi si contorse tra le dita priva di contenuto.  
<< Se non ti avessi detto di fermarci a quest'ora saresti stecchita sul marciapiede >> mi canzonò Cam con un sorriso sardonico. 
Feci spallucce e mi lasciai andare contro lo schienale. << Ti sbagli, avrei potuto continuare per un altro chilometro senza alcuna fatica. >> Scostai una ciocca di capelli sfuggita alla coda con un colpo secco. << Ho accettato di fermarmi soltanto perché ti vedevo un po' provato. Non vorrei averti sulla coscienza. >> 
Lui mi fissò con un'espressione palesemente dubbiosa. << Come no, farò finta di crederci >> asserì bevendo qualche sorso dalla sua bottiglietta. 
Deviai lo sguardo sulla strada semi deserta. 
Mentre correvamo lo avevo osservato attentamente. Non mi erano sfuggiti il barlume di luce che si era acceso in fondo alle sue iridi ed il sorriso che aveva tenuto per quasi tutto il tempo. In dei momenti lo avevo visto rabbuiarsi, come se stesse ricordando qualcosa di doloroso, ma subito dopo si era sempre voltato a punzecchiarmi ed aveva riacquistato il sorriso. 
Abbassai la testa per studiare distrattamente la punta delle mie scarpe. Ero sicura che ci fosse un motivo dietro quel suo comportamento. Dopotutto lo aveva detto lui stesso che qualcosa era cambiato. << Perché hai smesso di allenarti? >> La mia bocca si mosse da sola emettendo quella cauta domanda. 
Speravo soltanto che Cam non si chiudesse a riccio come faceva ogni volta che cercavo di capirlo. Sarebbe stata l'ennesima porta sbattuta in faccia. 
Lo sentii trarre un profondo respiro mentre con la coda dell'occhio lo vidi appoggiare gli avambracci sulle ginocchia. 
<< Ho bisogno di tempo >> rispose con tono pacato. 
Spostai gli occhi sul suo viso, in quel momento concentrato sulla bottiglietta che si rigirava tra le mani. << Tempo per cosa? >> 
Notai solo in quel momento che sul palmo destro aveva un taglio piuttosto lungo in via di cicatrizzazione. Quella vista mi fece sobbalzare il cuore. Ero quasi sicura che quella ferita avesse un legame con le sue sospette uscite notturne. 
L'ansia cominciò a montarmi dentro come un vortice. In un recente messaggio, Clar mi aveva comunicato che non era riuscita a spillare una parola a suo padre, ma che avrebbe ritentato. Perciò ero ancora all'oscuro di una parte della vita di mio fratello. 
Mi sentivo come se fossi ingolfata nelle sabbie mobili. 
Emise un sospiro e scosse lentamente la testa. << Per rimettere insieme un po' di pezzi. >> 
Quella risposta mi colpì in pieno petto, facendomi dimenticare il resto. Era di una tristezza talmente intima e radicata da annebbiarmi la vista con un velo di lacrime. 
Gli appoggiai una mano sulla spalla ed inclinai il capo per cercare il suo sguardo impassibile. << Cam, non sei solo. Ci sono anch'io con te. Tu non devi... >>
<< No, Sarah >> m'interruppe intercettando i miei occhi. << Non sei nella mia testa. Non puoi farti carico di un dolore che non puoi condividere. Non lo capiresti >> dichiarò con lo stesso tono piatto di poco prima. 
Mi morsi un labbro e vagai con lo sguardo per qualche istante. Non potevo accettare un'altra porta in faccia, non in quel momento. 
Riportai gli occhi nei suoi, duri e decisi. << Aiutami a capire >> bisbigliai supplichevole. << Per favore. >>
Per più di un minuto il suo sguardo non si staccò dal mio. Sembrava che stesse lottando con se stesso per rivelarmi o meno il motivo per il quale aveva smesso di inseguire la sua passione. 
Infine sbuffò dal naso e ricalò gli occhi sulla bottiglia. Per un po' non disse nulla, poi si schiarì la voce. << Mi allenavo sempre con Roger >> iniziò a dire, prima di soffermarsi in una pausa. << Ci trovavamo a metà strada ed andavamo a correre insieme. Su questa panchina abbiamo fatto un sacco di flessioni >> ricordò tirandoci un leggero pugno contro. Il piccolo sorriso che gli aveva incurvato gli angoli delle labbra sparì inghiottito da un'espressione marmorea. << Abbiamo giocato delle partite stupende insieme. >> 
Me lo ricordavo benissimo. Lui ed il ragazzo dalla carnagione color cioccolato, Roger, erano sempre stati l'uno la spalla dell'altro. Li avevo visti giocare insieme ogni santa partita. E non c'era mai stata una sola volta in cui non fossero stati complici e vicini. 
Alzò lo sguardo davanti a sé. E in quello sguardo lessi una tristezza così forte da apparire disarmante. << Adesso correre da solo o giocare in campo non fa altro che rammentarmi il fratello che ho perso. >> Il suo tono si smorzò sulla parola "fratello". Subito dopo colsi un leggero tremito del suo mento. << È un dolore ancora troppo vivo da superare. >> Il suo sguardo si fece assente, lontano miglia dal presente. 
Il silenzio ritornò a gravare su di noi come una coperta di piombo. 
Poi piegò un angolo della bocca all'insù in un mesto sorriso. << Durante l'ultima partita, dopo aver ricevuto la palla mi sono voltato a cercarlo. Credo sia stata la forza dell'abitudine. >> Sulla sua espressione calò il buio. << E invece di incontrare i suoi occhi che mi incitavano a passargli la palla, ho trovato la sua maglietta appesa alla parete. >> Lasciò ricadere il capo e chiuse gli occhi. << È stato così... devastante che non ho potuto far altro che infuriarmi col mondo intero. Avrei voluto rompere tutto quello che c'era in quel maledetto campo >> confessò stringendo forte la bottiglia. 
Rimasi in silenzio. 
Ogni sua parola era approdata nella mia testa con una pesantezza dolorosa. Non esistevano aggettivi, sostantivi o verbi per descrivere quanto stesse soffrendo. E sicuramente, per quanto lo capissi, neanche io potevo immaginare le sfaccettature del suo dolore. 
Ancora una volta mi sentii impotente. 
<< Io... >> Il suono tremulo della mia voce riempì il silenzio, interrotto soltanto dal vento e dal fruscio delle fronde degli alberi. << Cam >> lo chiamai aumentando la stretta sulla sua spalla. 
I suoi occhi percorsero lentamente lo spazio che ci divideva fino ad approdare nei miei. 
Erano abbattuti, vulnerabili e al contempo duri.
Deglutii e presi coraggio. << Io... non pretendo di conoscere veramente quello che stai affrontando. Ogni dolore è così personale da non poter essere compreso dagli altri. Almeno non fino in fondo. Perciò non sarò così presuntuosa da dirti "ti capisco", perché non potrebbe essere vero. Ma... >> Mi umettai le labbra. << Posso dirti che comprendo la tua scelta di prendere tempo, ma non quella di lasciarti andare. Perché tu, Cam, non stai soltanto prendendo tempo. Tu stai lasciando che ti scivoli tutto di mano. >> Mi sistemai meglio a sedere e lo implorai con lo sguardo di ascoltarmi. << Ti ho visto >> affermai in un moto di disperazione. << Correre ti fa stare bene, i tuoi occhi brillavano come quelli di un bambino. E lo stesso vale per quando giochi a basket. Diventi un'altra persona, sembri... libero da qualsiasi pensiero. >> Gli strinsi il braccio con entrambe le mani per richiamare i suoi occhi che stavano cercando di scappare. << Cam tu stai lasciando che tutto ciò che ti fa stare bene si impregni di dolore. Il tuo prendere tempo non sta facendo altro che incollare ricordi strazianti alle tue passioni. Alla fine sai cosa succederà? Non riuscirai più ad andare a correre o a giocare le partite. Abbandonerai tutto quello su cui hai riversato il dolore e non sarai più in grado di sradicare quei ricordi da lì. >> Scossi la testa e mi avvicinai ancora di più. << Cam puoi prenderti del tempo pur continuando a fare quello che ti piace. Un giorno correre potrebbe trasformarsi nel tuo personale modo di riflettere. Ed in quei momenti, invece di pensare a Roger come qualcuno che hai perso, potrai ancora pensarlo come il tuo compagno di allenamento. Perché saprai sempre chi sta correndo al tuo fianco. >> Lo strattonai con forza, gli occhi pieni di lacrime. << Cam, lui sarà lì >> conclusi tirando su col naso, la voce rotta.
I suoi erano spalancati e lucidi, come se avesse appena incassato un colpo dritto al cuore. 
Mi passò velocemente una mano dietro la testa e mi attirò a sé per contenermi in un forte abbraccio. Uno di quelli che ti comunicano così tanto da lasciarti senza fiato per l'impatto. 
Ed io mi sentivo esattamente in quel modo. Senza fiato, ma straripante di emozioni condivise con lui. 
Strinsi la sua maglietta con determinazione e chiusi gli occhi, immergendo il viso nel suo petto che si abbassava e rialzava ritmicamente. 
Riuscivo a percepire la disperazione e al tempo stesso il coraggio che stavano turbinando dentro di lui. Mi arrivarono dritti al cuore come se il suo dolore fosse passato attraverso la mia pelle, come se le nostre menti si fossero fuse in una. 
Fu una sensazione talmente travolgente da farmi girare la testa e creare un nodo alla gola. Perché mai come in quel momento mi sentii vicina a mio fratello. Così vicina da poter toccare con mano i suoi sentimenti e viverli su di me. 
Mi accarezzò i capelli e mosse il capo per avvicinarsi ancora di più. << Per un po'... ti va di venire a correre con me? >> La sua voce era talmente spezzata e implorante da stringermi il cuore. Affondò la testa nel mio collo e rilasciò un lungo sospiro. << Ho bisogno di te, Sarah. >> 
Il nodo che avevo in gola si sciolse in una cascata di lacrime. Racchiusi il suo collo tra le braccia e mi ritrassi per dargli un bacio sulla tempia. << Certo, Cam. Verrò fino a quando vorrai. >> Guardai dritta davanti a me, le lacrime che mi rigavano le guance seguendo traiettorie diverse. 
Nella mia mente si agitavano così tanti pensieri e così tante emozioni dirompenti da lasciarmi stordita. Non sarei mai stata in grado di descriverli o spiegarli per quanto erano complessi. 
Restammo abbracciati ancora per qualche minuto, prendendoci tutto il tempo di cui avevamo bisogno. Poi Cam slacciò la mano dai miei capelli e si ritrasse per appoggiarsi di nuovo coi gomiti sulle ginocchia, la testa rivolta verso il basso. 
Il silenzio ci avvolse come a voler sancire la fine di quel momento, come a volerci lasciare il tempo per riflettere. 
D'un tratto lui sorrise e ruotò il capo per guardarmi. << Andiamo, opossum? Abbiamo ancora un chilometro da percorrere. >> 
I miei occhi si irradiarono di felicità. Annuii e balzai in piedi come un soldatino pronto alla marcia. << A chi arriva prima? >> lo sfidai sgranchendomi le gambe. 
Il suo sorriso mi sfrecciò dritto al cuore come dardo. Annuì e si caricò il mio zainetto sulle spalle. << A chi arriva prima. >> 





                                                                     *  *  * 





<< Santo cielo! >> gridò nostra madre vedendoci entrare in casa. Si diresse come una furia verso di noi, gli occhi furenti. << Dove vi siete andati a cacciare, voi due? Sapete che ore sono? >> 
Io e Cam ci guardammo. 
<< Ma bravi! >> sbraitò lei, puntellandosi le mani sui fianchi. << Non sapete neanche che ore sono! Ed io intanto sto a qui a preoccuparmi per voi, ma chi si preoccupa se a me viene un infarto a non vedervi rientrare?! >> 
<< Forza, Beth, non farl... >> 
<< Stai zitto, tu! >> sbraitò contro nostro padre, prima di ritornare su di noi. << Nessuno dei due che abbia risposto al telefono! Vi sembra il modo di comportarvi? Sono le due e un quarto, per tutti i cavoli! >> concluse con un crescendo di acuti. 
Dei capelli le schizzarono via dalla pinza, mentre altri, quelli più corti, le si fossilizzarono verticalmente.
<< Scusa mamma, stavamo correndo ed il telefono l'avevo lasciato silenzioso >> mi giustificai con un piccolo sorriso. << Non ti arrabbiare, dai >> provai a rabbonirla. 
Lei rise mandando il capo leggermente all'indietro. << Hai ragione, non mi devo arrabbiare. Certo che no. Io vi stacco direttamente le orecchie, razza di sprovveduti! >> sbottò stendendo le braccia lungo il corpo. 
Sentii un braccio di Cam circondarmi il collo. << Non succederà più, promesso mamma. La prossima volta controlleremo l'orario >> accordò lui, strizzandole l'occhio. 
<< I cellulari >> sibilò con gli occhi ridotti a due minuscole fessure. << Li dovete avere sempre accesi e con la suoneria al massimo volume. Sono stata chiara? >> Alzò un sopracciglio e guardò prima me e poi Cam. 
Annuii con energia. << Come vuoi, mamma. >> 
<< Sarà fatto >> aggiunse lui, insieme ad un saluto militare. 
Nostra madre sospirò stancamente e si passò una mano sul viso. << Mi farete morire, lo so >> borbottò prima di incamminarsi in cucina. << Forza, venite a mangiare. >>  
<< Per quanto avete corso? >> ci domandò papà, seduto sul divano con un giornale fra le mani. 
Cam alzò gli occhi sul soffitto mentre calcolava i chilometri. << Fra andata e ritorno tre chilometri >> annunciò spostando lo sguardo su di me con un sorriso beffardo. << L'opossum è stata brava, pensavo peggio. >>
Strinsi le braccia sul petto e mi stampai un'espressione vittoriosa. << Te l'avevo detto che ti avrei stupito. Con chi pensi di avere a che fare? >> Gli tirai una scherzosa gomitata nel fianco e ridacchiai nel momento in cui si piegò su se stesso. 
<< Cosa state facendo voi due?! >> urlò nostra madre dalla cucina. << Ve la prendete pure comoda?! >> 
Papà sospirò pesantemente. << Sarà meglio che vi sbrighiate prima che le parta un embolo >> consigliò mentre in sottofondo la sentivamo che continuava a borbottare. Poi scosse il capo. << Mamma mia, non la smette più. >>
<< Ti ho sentito, Rupert! >> strillò lei inferocita. << Dopo facciamo i conti, vedrai! >> 
Papà alzò gli occhi al cielo, esasperato. << Santo Dio. >>
<< Ho sentito anche questo! >> gridò la mamma. 
Lui si raddrizzò e ruotò la testa in direzione della cucina. << Non si può neanche invocare Dio adesso?! >> 
La testa della mamma spuntò dalla porta. << No, non puoi! >> Subito dopo ricominciò a trottare tra i fornelli.  
Diedi uno schiaffetto sulla pancia di Cam e indicai la cucina con un cenno del capo. << Dai, muoviti >> lo spronai sorridendo. 
Si rizzò per bene in piedi e saldò il braccio intorno al mio collo con un sorriso divertito. 
Un attimo prima di varcare la soglia della cucina mi attirò inavvertitamente a sé ed appoggiò la bocca sulla mia testa. Avvertii le sue labbra premere sui miei capelli in un bacio affettuoso, un gesto che aveva fatto pochissime volte. 
Poi, con la stessa velocità, mi lasciò andare e si recò alla sua sedia per reclamare cibo. 
Rimasi sulla soglia a guardarlo, le labbra stirate in un sorriso intenerito. 
Malgrado le tante cose che ancora mi nascondeva, in quel momento sentii una sensazione piacevole riscaldarmi il cuore. 
Il mio fratellone stava finalmente tornando.





                                                                    *  *  *





POV David





Me ne stavo con le mani nelle tasche dei jeans ad osservare i gonfiabili dall'altro lato della recinzione. 
A giudicare dall'espressione elettrizzata di Sarah, che stava tenendo per mano Dwight, ero sicuro che si sarebbe scatenata più di qualsiasi bambino. Più la coda alla biglietteria scorreva e più vedevo i suoi occhioni accendersi di entusiasmo. 
Nel vederla sporgersi oltre le teste della gente, sorrisi divertito. 
<< Probabilmente ti faranno entrare gratis >> la stuzzicai attirando il suo sguardo confuso su di me. 
<< Perché? >> chiese corrugando la fronte. 
<< Be'. >> Scivolai con gli occhi su tutto il suo corpo, infine schioccai la lingua al palato e la guardai di sottecchi. << Ci sta che tu rientri nel limite di altezza dei bambini. >> 
Aprì la bocca indignata e ritrasse il capo portandosi una mano sul petto. Scoppiai a ridere per la sua buffa espressione sbigottita, poi mi arrivò il consueto pugno vendicativo contro il braccio. 
Le agguantai il polso prima che potesse ritrarlo ed avvicinai il viso al suo. I suoi occhi si posarono sulla mia bocca, per poi spalancarsi e tornare a concentrarsi sui miei. Ogni volta che i nostri sguardi si incontravano sentivo lo stomaco agitarsi e spedire scariche elettriche in tutto il corpo.
Osservai il celeste chiaro ed intenso di quelle iridi che assomigliavano a frammenti di cielo, poi incurvai le labbra in un sorriso. << Non me lo dai un bacio? >> la canzonai, sapendo di prenderla alla sprovvista. 
Adoravo quando le sue guance si tingevano di rosso ed i suoi occhi cercavano di sviare per l'imbarazzo. Di colpo perdeva tutta la sua grinta e diventava una sorta di tenero cerbiatto. 
Anche in quel caso vidi un bagliore di sorpresa attraversarle le iridi, dopodiché le sue guance presero colore. 
Il suo sguardo, invece, divenne più affilato. << No, ti meriti solo una testata tra i denti >> rispose spostando l'attenzione davanti a sé con aria stizzita. 
Sorrisi divertito e le afferrai la mandibola tra le dita, subito dopo le girai il viso e mi presi il bacio che desideravo. 
Si oppose solo per un momento, poi avvertii una sua mano appoggiarsi sul mio petto. Le accarezzai le labbra con tocchi morbidi, assaporando il loro sapore con sempre maggiore avidità. 
Una scarica di eccitazione mi percorse dalla testa ai piedi. Le avvolsi i fianchi con un braccio mentre nello stesso istante mi protendevo su di lei per stuzzicarle il labbro superiore con la lingua. 
Mi dovetti staccare subito dopo, o avrei perso il controllo sulla ragione. Il che non mi sarebbe affatto dispiaciuto se solo non fossimo stati in coda, circondati da genitori e bambini urlanti, in attesa di entrare ai gonfiabili. 
Scorsi un sorriso spuntarle sulla bocca prima che abbassasse il viso per nascondere il rossore delle gote.  
Continuai a fissarla mentre si calava all'altezza di Dwight per assicurargli che saremmo entrati a breve. Mio fratello gongolò felice e le si accostò maggiormente, come faceva sempre con la mamma. 
Quando Sarah gli diede un bacio sulla testa, il mio cuore pulsò più in fretta. 
Mi piaceva vederla insieme a Dwight, era una sensazione strana e contemporaneamente bella. Non sapevo spiegarlo nemmeno a me stesso. 
Qualche minuto più tardi raggiungemmo il bigliettaio, un uomo sulla quarantina con la voglia di vivere sotto i piedi. << Un biglietto? >> chiese dando una fugace occhiata a Dwight. 
<< Tre >> lo corressi estraendo il portafoglio regalatomi da Sarah. 
Lo zombie annuì. << Il bambino paga due dollari, voi... >> Il suo sguardo si soffermò su Sarah. << Vuoi provare a misurarti al tronco? Potresti pagare anche tu due dollari invece di sei >> le consigliò indicando un albero di cartone su cui era stampato il metro di altezza. 
Mi misi una mano davanti alla bocca per camuffare una risata con dei colpi di tosse. 
Potevo immaginare la faccia di Sarah in ogni singolo dettaglio. Quando mi voltai a guardarla per poco non rischiai di esplodere a ridere. 
Il suo sopracciglio sinistro era sollevato con aria minacciosa, mentre la mandibola era stretta in una morsa d'acciaio. Gli occhi... be' quelli sputavano fiamme. Non mi sarei meravigliato di vedere del fumo uscirle dalle narici. 
La mia ragazza stava attuando una trasformazione in drago. 
<< La ringrazio >> sputò in un sibilo. << Dwight tappati un attimo le orecchie >> ordinò senza staccare gli occhi dal bigliettaio. Mio fratello obbedì subito premendo con forza sui timpani. Appena la bocca di Sarah si stirò in un sorrisino apparentemente innocente, seppi che stava per passare al contrattacco. << Le hanno mai detto che è una grandissima... ma cosa dico? Colossale testa di ca... >> 
<< Paghiamo sei dollari >> m'intromisi, prima che la situazione degenerasse con una rissa. Estrassi diciotto dollari e li buttai sul banco, poi allungai il braccio per farmi timbrare sulla mano come un manzo da macello. 
Sarah mantenne lo sguardo conficcato sull'uomo per tutto il tempo. Ero sicuro che stesse cercando di appiccare un fuoco sulla sua testa. 
La tirai a me divertito, beccandomi un'occhiataccia. << Avresti dovuto farmi finire >> si lamentò innervosita. Poi si sgranchì le dita di una mano contro la mascella. << Una zuffa era proprio quello che gli ci voleva >> dichiarò con convinzione. 
La baciai sotto l'orecchio, sentendo i suoi muscoli sciogliersi in riflesso. Poi le misi una mano sul fondo della schiena e la sospinsi verso l'entrata del recinto. << Vai a giocare, nanetta >> la presi in giro. 
La sua occhiata fulminante durò qualche secondo, poi non riuscì a trattenere un sorriso giocoso. << Scemo. >> 
Strinse la mano di Dwight ed abbassò la testa per guardarlo. << Andiamo a toglierci le scarpe, piccolo. >> 
Mentre li seguivo ad una distesa di sedie e scarpe fetide, corrugai la fronte. << Cos'è? Un modo per morire di puzzo e attirare topi? >> 
Sarah rise e si accovacciò su una sedia traballante. << Devi avere fiducia nell'igiene della gente. >>  
<< Non ne ho. >> Sollevai Dwight e me lo misi a sedere sulle gambe per slacciargli le scarpe. Lui si appoggiò con la schiena al mio petto ed adagiò le manine sui miei avambracci. 
Come facevo ogni volta che lo tenevo in collo, inspirai l'odore sulla sua nuca. Era lo stesso profumo che aveva quando era nato. Stranamente non era sparito, e speravo che non se ne andasse mai. Era un profumo a cui avevo legato tanti ricordi belli, a partire dalla sua nascita fino a nostro padre. 
Erano due i profumi che mi facevano stare bene e sentire in pace con tutto il resto: quello di mio fratello e quello di Sarah. 
Spostai lo sguardo su di lei e la trovai che mi stava osservando con un sorriso. 
<< Che c'è? >> chiesi aggrottando le sopracciglia. 
Scosse la testa. << Nulla, sei molto carino. >> 
<< Carino? >> Rimisi Dwight in piedi e mi alzai, indicandomi per intero con le braccia. << Chiamiamo le cose col proprio nome. Questa si chiama bellezza >> affermai compiaciuto. 
Mentre lei rideva, mi tolsi le scarpe e le misi accanto a quelle piccole di mio fratello. 
Poi fui colto di sorpresa dalle labbra di Sarah che si erano rapidamente appoggiate sulle mie. La guardai con crescente desiderio mentre la sua bocca si illuminava di un sorriso raggiante. << Pronto a divertirti come un matto? >> mi chiese entusiasta. 
Sentii le mie labbra allargarsi di propria volontà in un sorriso. << Lo sai. Sono nato pronto. >> 
Dwight ci prese per mano e ci indicò con la testa i gonfiabili. Dalla frenesia con cui ci tirava, era chiaro che non vedesse l'ora di scatenarsi. 
Ed ero sicuro che non fosse l'unico. 
Neanche un attimo dopo Sarah era partita a tutta randa ridendo come una bambina e trascinandosi dietro Dwight. 
Immisi le mani in tasca e mi apprestai a seguirli scuotendo il capo con un sorriso. 
 












Angolo dell'autrice:

Holaaaaaa! Sono così contenta di essere tornata a pubblicare! \(^.^)/ 
Non vedevo veramente l'ora! 
Durante le vacanze ho preferito staccare per vari motivi, il che ha decisamente giovato alla mia voglia di scrivere e all'ispirazione. 
Insomma, per adesso voglio scrivere, scrivere e scrivere. E mangiare. E dormire. Ma soprattutto scrivereeeeeee! XD
Mi sento un uragano di idee *_* 
Ottimo, detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto. Anche se ho paura che non sia come ve lo immaginavate... Non so, ho questo sentore che mi fa stare in ansia. Incrocerò le dita >\\< 
Ah! Ho introdotto un POV David dopo millenni ahahah. 
In questo capitolo mi è venuto spontaneo metterlo, mi sembrava giusto così. E sappiate che continuerà anche nel prossimo ihihih. 
Devo ammettere che quando scrissi i POV David in "Keep Your Eyes Open" feci una fatica immane. Cioè, proprio una sudata ahahah. Forse non ero pronta a calarmi nella testa di David. Per questo motivo non avevo più scritto dei suoi POV. Avevo paura di non riuscire a stendere su carta i suoi pensieri e di snaturarlo con la mia inesperienza. 
Ma stavolta ho voluto provarci, e sono stata mooooolto contenta di notare che entrare nella testa di David mi veniva naturale. Cioè, non ho fatto fatica a scriverlo. 
È stato... bello. Davvero. Forse perché adesso ho più consapevolezza dei miei "personaggi" (lo metto tra virgolette perché non mi piace chiamarli così XD). 
Insomma, tutta 'sta pappardella per dirvi che spero di cuore che il capitolo vi sia piaciuto. 
Vi mando un bacione enorme!! <3
Spero stiate tutte bene <3
E, come sempre, GRAZIE! 



Federica~




















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Capitolo 22
*** Imprevisti ***


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Imprevisti 

















POV David 





C'erano bambini ovunque. Mi sembrava un inferno. 
Quei piccoli mostri non sapevano far altro che urlare, spintonare e correre. Sarah si era trasformata in una di loro, se non in peggio. 
Aveva già travolto due bambini che, sfortunatamente per loro, si erano trovati sul suo cammino. Il primo lo aveva schiacciato sotto di sé quando era caduta, l'altro ero sicuro che non si fosse neanche accorta di averlo colpito in faccia mentre saltava. 
Insomma, stava compiendo uno sterminio. Il che non mi dispiaceva affatto se il risultato era quello di spazzare via un po' di quelle petulanti pulci. 
Sbuffai seccamente appena sbucai dall'ennesimo claustrofobico tunnel di gonfiabili. Sarah stava già rimbalzando insieme a Dwight nell'arena nella quale eravamo approdati. 
Non sembrava minimamente stanca, anzi mi stavo sempre più convincendo del fatto che il suo corpo fosse indistruttibile. Se non altro notai che stava sudando, il che mi fece tranquillizzare sulla sua natura umana. Pur essendo iperattiva, era ancora una di noi. Nessun alieno si era impossessato di lei. 
Sentii una forte pacca sul sedere che mi fece voltare di scatto. Un bambino sui nove anni mi stava guardando accigliato. << Blocchi il passaggio, spostati >> disse con tono infastidito. 
Sollevai un sopracciglio al suo ordine. Il moccioso non aveva ben chiaro con chi stava parlando, forse non aveva presente che se avessi voluto avrei potuto schiacciarlo sotto un piede. 
Mi piazzai ancora meglio davanti all'uscita del tunnel per impedirgli di passare ed incrociai le braccia sul petto. << Chiedi per favore, marmocchio >> ribattei, calcando sull'ultima parola. 
Scorsi una scintilla di odio mischiarsi al colore pece delle sue iridi. I suoi lineamenti si indurirono in un'espressione rabbiosa. 
Stavo forse assistendo alla trasformazione in Hulk di un poppante? 
<< Per favore >> ringhiò lanciandomi un'occhiataccia. 
Gli rivolsi un sorrisino vittorioso e lo lasciai passare. Avevo ristabilito la supremazia. 
Tornai a guardare Sarah che nel frattempo aveva ingaggiato una gara di corsa contro mio fratello. Vedere Dwight ridere come un bambino della sua età mi fece crescere una sensazione di sollievo nello stomaco. 
Era da tempo che non lo vedevo così spensierato e gioioso. 
Mi avvicinai a loro ed incrociai lo sguardo luminoso di Sarah. Percepii il cuore aumentare i battiti. 
Le sorrisi ed indicai le spalle di Dwight per farle capire il mio intento di acchiapparlo da dietro. Lei annuì ridendo e distrasse mio fratello attirandolo verso di sé. 
Appena lui ricominciò a correre, lo acciuffai per la vita e lo sollevai in aria. 
Scoppiò a ridere mentre lo facevo volare in mezzo alle mie gambe e poi di nuovo su, come un'altalena. 
Sarah intanto stava davanti a noi, aprendo le braccia e facendo una faccia buffa ogni volta che Dwight arrivava alla sua altezza. 
Quando lo rimisi giù, iniziò a correre verso lo spazio che si estendeva subito dopo un arco. 
Lo guardai mentre saltellava con energia da una parte all'altra, i piccoli pugni ben stretti per darsi lo slancio. 
<< Si sta divertendo, visto? >> pronunciò la mia ragazza, indicandolo con un sorriso ilare. 
La osservai per un po', senza rendermi quasi conto che man mano le mie labbra si stendevano in un sorriso. Poi i suoi grandi occhi chiari si posarono su di me. 
In quelle iridi di ghiaccio vidi riflesso lo stesso sobbalzo che aveva compiuto il mio cuore. 
Calai lo sguardo sulla sua bocca dischiusa. Avrei tanto voluto baciarla e succhiarla con la lentezza con cui si gusta un frutto prelibato.  
Deglutii per controllare l'impellente desiderio che si stava impadronendo di me, senza neanche rendermi conto che avevo già approssimato le distanze tra i nostri volti. 
Le accarezzai una guancia con la punta delle dita e rialzai gli occhi sui suoi. Erano talmente lucidi e docili da darmi l'impressione di poterci affondare dentro. Assomigliavano ad una distesa di ghiaccio in fase di scioglimento. Poi inclinai lentamente la testa e premetti le labbra sulle sue, socchiudendo le palpebre. 
<< Che schifo >> udii esclamare proprio accanto a noi. 
Mi distanziai da Sarah per fulminare lo sgorbio che ci aveva interrotto. Il mio sguardo s'inchiodò sul moccioso di prima. 
Mi fece una pernacchia e scappò via a gambe levate. Piccolo demonio... Mi voltai per inseguirlo ed insegnargli cosa fosse l'educazione, ma venni trattenuto da una mano di Sarah. 
<< Mica avrai intenzione di azzuffarti con un bambino? >> mi chiese divertita. 
Mantenni gli occhi sulla peste che saltava poco più là. << Potrebbe essere un'esperienza >> meditai riflessivo. 
<< Certo, essere sbattuti in carcere lo è decisamente >> replicò sarcastica. 
Sospirai per rilassare i muscoli contratti delle spalle e tornai a guardarla. Sorrise scuotendo piano il capo, poi si sollevò sulle punte per darmi un fugace bacio a stampo. 
Bastò quel contatto per riaccendere in me tutto il desiderio che avevo di lei. 
Se solo non fossimo stati circondati da dei bambini guardoni, non ci avrei pensato due volte a schiacciarla contro una di quelle pareti e a baciarla finché non fossi rimasto senza fiato. 
Cercai di spazzare via quei pensieri e la seguii mentre correva da Dwight. 
Era meglio che smettessi di fantasticare su Sarah in quel momento, oppure avrei cominciato a sentire i pantaloni tutt'a un tratto più stretti. Ad esempio, guardarle il sedere come stavo facendo non era decisamente appropriato. 
Mi schiarii la gola e dirottai l'attenzione sul soffitto pulito e fresco d'intonaco. 
<< Ci spostiamo di qua, David! >> la sentii urlare prima che si posizionasse carponi per entrare in un nuovo tunnel. 
Guardarle il fondoschiena, in quel caso, fu inevitabile. Mi godetti lo spettacolo fin quando non scomparve dall'altra parte, poi mi apprestai a raggiungerli, sbuffando pesantemente per quell'ennesimo maledetto tunnel da oltrepassare. 
Iniziai ad attraversarlo con la stessa gioia con cui il bigliettaio all'entrata faceva il suo lavoro. Neanche un secondo più tardi, il mio didietro venne colpito da una mano. 
<< Muoviti, vecchio >> strepitò una voce fastidiosamente familiare. 
Mi fermai e ruotai la testa per fulminare il solito moccioso pestifero. << Hai il vizio di toccare i sederi della gente, bambino? >> 
I suoi occhietti vispi si assottigliarono. << Dirò a mia mamma che mi hai trattato male >> minacciò aprendosi in un sorrisino sfrontato. 
Ricambiai con uno derisorio. << E magari ti farai anche pulire il latte dalla bocca. >> Gli diedi le spalle e proseguii a percorrere il passaggio. 
Sbucai sul ciglio di un grosso scivolo di gonfiabile che sfociava su uno spazioso perimetro quadrato dove stavano correndo Sarah e Dwight. 
Vidi distintamente la mia ragazza colpire per sbaglio la faccia di un malcapitato bambino. La terza vittima della giornata. Lui cadde a terra, poi si rialzò e scappò lontano da lei con un'espressione atterrita. 
Risi di quella scena, per perdere subito dopo il sorriso alla comparsa del marmocchio accanto a me. 
Mi guardò in cagnesco, probabilmente pensando di intimidirmi. Povero moscerino. << Io lo so fare anche a testa in giù >> si vantò indicando lo scivolo. 
<< Non sei un po' grande per i gonfiabili? >> lo schernì. 
Alzò un sopracciglio, facendosi più vicino. << E tu, vecchiaccio? >> 
Lo aveva voluto lui. 
Mi piegai e gli passai un braccio sulle spalle come se stessi per fargli una confidenza tra amici. << Lo sai che io so fare lo scivolo ruotando su me stesso? >> Insieme muovemmo un passo in avanti. << Vuoi che ti insegni? >> 
La peste abboccò annuendo con vigore. Che pollo inesperto. 
Sorrisi mellifluo e gli diedi una leggera pacca sulla spalla. << Eccoti accontentato. >> Gli feci lo sgambetto da dietro e lo spinsi in avanti. Il bimbo urlò per lo stupore mentre volteggiava a gran velocità sullo scivolo. 
Gli ultimi due metri li fece rotolando come un salame; le mie risate, intanto, ovattavano i suoi strepiti da femminuccia. 
Era così divertente che iniziai a lacrimare, subito dopo mi accasciai per terra battendo le mani per la bellezza di quella scena. 
<< Scendi se hai il coraggio! >> udii gridare dal marmocchio. Il che mi fece esplodere in un altro attacco di risa. 
Appena mi ripresi, mi misi seduto e scivolai giù. Il bambino mi aspettava al varco, le braccia incrociate per apparire più temibile. 
Prima che fossi in grado di alzarmi, quello sgorbio mi saltò addosso attaccandosi alla mia maglietta. Lo afferrai per una gamba nel tentativo di scollarmelo, mentre quella specie di Tarzan si arrampicava sulla schiena. 
<< Sono il più forte della mia classe >> esclamò allacciando le sue esili braccia attorno al mio collo. << Posso metterti KO con un colpo solo. >> 
Mi sollevai in piedi. << Oh, che paura >> lo sbeffeggiai strattonando la sua caviglia. 
<< Ti faccio vedere io. >> Arpionò una mano sul mio petto e tirò la maglietta come per strapparmela. A quel punto gli acchiappai l'altro polpaccio e lo trainai davanti a me, precisamente a penzoloni con la testa in giù. 
Ghignai maligno mentre quello si dimenava come un'anguilla. << Vediamo quanto hai ancora voglia di fare lo spaccone, marmocchio. >> 
Per fortuna Sarah era già passata nello spazio di gioco successivo insieme a mio fratello, altrimenti sarebbe intervenuta a difesa della pustola che stavo dondolando. 
Quest'ultimo, contro ogni mia aspettativa, mi rifilò un cazzotto sui gioielli di famiglia. 
Spalancai la bocca per il dolore e lo lasciai cadere per terra, prima di accasciarmi su un fianco con le mani tra le gambe. 
Che piccolo pezzo di cacca. Di fronte a sé aveva una carriera in ascesa per trasformarsi, un giorno, in un gigantesco pezzo di cacca. 
Vidi i suoi calzini neri di Batman vicini al viso. << Con un colpo solo >> ribadì fiero. 
Spinto da un moto di intolleranza, agguantai la sua caviglia e lo feci cadere sul sedere. 
Riuscii a rialzarmi con mille dolori che mi mitragliavano in mezzo alle gambe. << A cuccia, moccioso >> sputai scoccandogli un'occhiata intimidatoria. 
Ne avevo fin sopra i capelli di lui. 
Un momento prima che gli dessi le spalle per incamminarmi, scorsi un baluginio differente attraversargli le iridi, poi abbassò in fretta la testa per nascondersi tra i capelli. 
Piantai gli occhi sulla sua massa scura di riccioli e lo osservai mentre se ne rimaneva per terra. << Che c'è? >> chiesi con tono brusco. 
<< Te ne vai? >> chiese flebilmente, una nota di tristezza a incrinargli la voce. 
Non risposi, mi limitai a fissarlo. 
Ora che ci facevo caso, mi aveva inseguito per tutto il tempo, e quando aveva visto che non gli davo spago mi aveva stuzzicato per richiamare la mia attenzione. 
Mi piegai sui talloni ed appoggiai gli avambracci sulle ginocchia per guardarlo in viso. << Vuoi che me ne vada? >> domandai piano. 
I suoi occhietti si appoggiarono su di me con timidezza, poi scosse il capo facendo ondeggiare i boccoli che gli ricadevano sulla fronte. 
Sorrisi e mi girai per dargli la schiena. << Forza, sali Tarzan >> lo incitai invitandolo ad avvicinarsi. 
Si alzò lentamente, mosse qualche passo cauto ed infine adagiò le mani sulle mie spalle. Quando me lo caricai in groppa e mi drizzai in piedi, vidi spuntare un sorriso  felice sulla sua bocca. 
<< Mi fai conoscere il bambino con cui giocavi prima? >> chiese animandosi. 
<< Solo se ti comporti bene. >>
Stese le gambe come un soldatino. << Promesso. >> 
Sorrisi e gli feci fare un saltello sulla mia schiena. << Allora, destinazione Dwight. >>





                                                                    *  *  *





POV Sarah





Lunedì mattina arrivò in un baleno, purtroppo. Il fine settimana durava sempre troppo poco. Dovevo avviare una petizione per rendere il weekend più lungo. Ero sicura che avrei raccolto molte firme. 
Dopo essermi vestita con un attillato golf bordeaux sopra ad un paio di pantaloni neri, scesi in cucina per fare colazione. I miei genitori erano già usciti di casa, perciò bevvi soltanto una tazza di latte. In compenso presi una barretta ai cereali e la lanciai nella borsa a tracolla per mangiarla tra una lezione e l'altra. 
Cam era ancora nella sua camera a russare come un trombone. Beato lui. 
Per quanto fossi mattiniera, la levataccia delle cinque e mezza dopo un fine settimana di dormite si faceva sentire. E tanto, per giunta. 
Mi sentivo tutta intontita, come se avessi preso un palo in faccia. 
Uscii di casa facendo il minor rumore possibile per non svegliare mio fratello, salutando mentalmente il mio amato letto. 
Quel giorno tirava un vento micidiale: gelido e perfido. Quel tipo di vento che ti fa volare i capelli da tutte le parti e ti impedisce di vedere dove vai. 
Mentre procedevo imbacuccata nel giubbotto come un eschimese, una folata meschina mi schiaffò tutta la chioma sul viso. Aprii la bocca per contenere il dolore della frustata, ritrovandomi invasa dai capelli persino lì dentro. 
Cominciai a sputacchiarli come un gatto che rigetta palle di pelo, agitando il capo per liberarmi la faccia. In poche parole stavo lottando contro me stessa. 
La scena ad un occhio esterno poteva apparire molto spassosa. Dopotutto in quanti potevano dire di aver visto una disgraziata contorcersi su se stessa e smanettare per liberarsi dai propri capelli? 
D'un tratto la mia fronte picchiò contro una superficie talmente dura da stordirmi. 
Mi parve di sentire un rimbombo propagarsi di neurone in neurone. Poi udii dei passi affrettati. O forse era la mia immaginazione. 
<< Perché tiri testate al palo? >> No. Non era immaginazione. Era un incubo. 
La venatura divertita nella voce di Thomson mi si conficcò nelle orecchie. 
<< Non tiro... >> Sputacchiai altri capelli e sbuffai istericamente. Perché non avevo fatto una comoda coda di cavallo? Era stata chiaramente la sfortuna a suggerirmi di lasciarli sciolti.
Sobbalzai di stupore quando lo sentii ridere e mettermi le mani sul viso per liberarmi dai capelli. Con delle carezze delicate mi aprì il volto, così potei scorgere l'ampio sorriso che gli increspava gli angoli della bocca. 
Mi ritrassi di scatto ed abbassai il capo, ma non prima di aver stretto la mia chioma tra le mani. Con le dita la raggomitolai su un lato e la tenni imprigionata. 
<< Uhm... Grazie >> borbottai lanciandogli un'occhiata circospetta con la coda dell'occhio. 
Le sue iridi quel giorno erano di un azzurro intenso, con striature grigie intorno alla pupilla. Avevo notato molto tempo prima come i suoi occhi cangiassero colore in base al clima. Mi ero sempre chiesta se anche i miei godessero di quella particolarità. 
<< Ma questo non cambia niente >> ci tenni a precisare ricominciando a camminare. 
Fece spallucce insieme ad un sorriso divertito, ai limiti del sardonico. << Certo che no. >> 
Quella sue risposte erano sufficienti a farmi ribollire il sangue. Mi stava chiaramente prendendo in giro, come se sapesse che le cose in realtà sarebbero cambiate.
Procedetti di qualche altro passo lambiccandomi il cervello e torturandomi le mani per il nervoso. Infine piantai i piedi per terra e mi voltai a fronteggiarlo, lo sguardo in fiamme. << Chi ti credi di essere, si può sapere? Sono davvero stufa delle tue insinuazioni. Mettiti in quella testa che tra noi non ci sarà mai nulla >> sbottai colpendolo con l'indice sul petto. 
Il suo conseguente sorriso mi mandò in bestia. Se solo avessi conosciuto qualche mossa di judo, a quell'ora lo avrei già steso a terra e gli avrei camminato sopra. 
Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni ed avanzò di un passo, gli occhi incastonati nei miei, la testa leggermente inclinata da un lato. << Cosa ti fa essere tanto sicura? >> 
Indurii la mascella e strinsi i pugni. << I miei sentimenti per David >> replicai stampandomi un'espressione di sfida. << Fattene una ragione, Thomson. >>
Non perse il sorriso. Al contrario, sembrava molto compiaciuto dalla situazione. 
Mosse un altro passo. Adesso riuscivo a scorgere ogni venatura all'interno delle sue iridi, come anche il leggero accenno di barba che gli ricopriva la mascella dura e squadrata. 
Voleva forse intimidirmi? Be', ci voleva ben altro per impressionarmi. 
<< È questo il problema >> disse piano, il tono misurato e leggermente rauco. Speravo gli venisse un mal di gola tale da zittirlo per il resto dell'anno. << Sei troppo concentrata su di te >> proseguì incurvando un angolo delle labbra in un sorrisino sghembo. I suoi occhi mi tenevano inchiodata. << Non consideri gli imprevisti. >> 
Sollevai un sopracciglio. Povero cretino, che andava farneticando? 
Il vento doveva avergli congelato l'ultimo neurone che aveva. 
<< Non ci saranno, ecco tutto >> ribattei alzando il mento. << Perciò ti conviene smett... Che stai... >> Le sue labbra si scontrarono con le mie con irruenza. 
Sbarrai gli occhi per lo stupore mentre il cuore iniziava a martellare freneticamente. 
Ero nel panico. Che diavolo stava succedendo?
Serrai la bocca, cercando di scappare dalla sua mano che si era incastonata tra i miei capelli. Aprii le mani sul suo petto ed iniziai a spingerlo con forza, ottenendo soltanto una maggiore pressione delle sue dita sulla nuca. 
Oltretutto stavo morendo per assenza di ossigeno dato che tenevo le labbra sigillate ed avevo sprecato energie nel tentativo di allontanarlo. 
Ruotai il viso e riuscii a sfuggire alla sua bocca, così aprii la mia per riprendere fiato. In un attimo, le sue dita si chiusero piano sul mio mento e mi voltarono la testa di scatto. 
Stavolta le sue labbra entrarono per davvero in contatto con le mie. Nel mio cervello risuonò la sirena di allarme. Ero sconvolta, letteralmente. Stava succedendo tutto così in fretta da impedirmi di capire e reagire come avrei voluto. 
Mentre mi agitavo tra le sue braccia in un moto di disperazione, avvertii la sua bocca chiudersi sul mio labbro inferiore, lo morse piano ed infine lo avvolse con la lingua. 
Un'ondata di repulsione mi risalì lo stomaco e lo incendiò. 
Mi strinse a sé e lasciò la mia bocca per calarsi verso il collo. Quando percepii le sue labbra schiudersi con prepotenza poco sotto la mandibola, iniziai anche a colpirlo con dei pugni sulle spalle. 
A quel punto mollò la presa e retrocesse di un passo per guardarmi. 
Non so cosa vide in me in quel momento, sapevo soltanto come mi sentivo io: scossa, infuriata e sporca. 
Caricai il braccio con tutta la forza che mi era rimasta e gli stampai uno schiaffo sulla guancia. La sua testa si rovesciò di lato, ma i suoi occhi tornarono immediatamente a fissarmi. 
<< Non ti avvicinare mai più a me >> ringhiai con la voce spezzata. La vista mi si appannò per via delle lacrime che stavano avanzando come un esercito. << Mai più >> ribadii alzando la voce. Alzai gli occhi al cielo nel tentativo di calmarmi e non scoppiare a piangere. La rabbia stava trascinando dietro di sé una spaventosa onda di sensazioni spiacevoli che sapevo mi sarebbero piombate addosso da un momento all'altro. 
Scossi lentamente la testa e mi morsi un labbro. Il mio sguardo addolorato si schiantò su di lui. << Hai mai pensato a qualcuno all'infuori di te stesso? >> domandai con la voce ridotta ad un sussurro smorzato. << Anche gli altri hanno dei sentimenti, lo sai? Sentimenti che hanno il diritto di essere rispettati tanto quanto i tuoi. >>
Vidi i suoi occhi dilatarsi, dopodiché si inumidì le labbra in difficoltà ed abbassò il capo. 
Non disse nulla, e fu meglio così. Aveva già fatto abbastanza. 
Feci dietrofront e m'incamminai spedita verso casa. 
Non guardai nessuno. Accelerai man mano il passo fino a ritrovarmi a correre. Lasciai che il vento strappasse via le lacrime dal mio viso, sperando che riuscisse a congelare anche i miei pensieri. 
E invece no. Quelli vorticavano come uno sciame di api producendo un rumore assordante. Avrei voluto tapparmi le orecchie e gridare per sovrastare quel chiasso.
Molto presto sentii le tempie pulsare al ritmo del cuore. 
Mi fermai davanti al portone di casa ed estrassi le chiavi con mani tremanti, gli occhi appannati. 
Salii le scale di corsa e mi chiusi in camera, rimanendo immobile al centro. 
Ero sconvolta. Il mio cervello faceva fatica a ripercorre quel che era successo tant'era stato inaspettato. 
Mi sembrava impossibile, eppure non era così. 
Calde lacrime mi percorsero il viso. Mi sentivo... violata. Trattata alla stregua di un oggetto da conquistare, e non come una persona da rispettare. 
Nel profondo ero sicura che Bradly non avesse agito per farmi del male. Mi aveva baciata in attesa di una reazione positiva, forse sperando di confondere i miei sentimenti per David. Si era accorto troppo tardi che, invece, mi aveva soltanto ferita. 
Tirai su col naso ed aprii la borsa a tracolla. Estrassi il cellulare e digitai velocemente un messaggio. 
Lo schermo si riempì delle mie lacrime. 
Non mi meritavo di essere trattata in quel modo. Non lo meritavo. Non ero un oggetto, ero un essere pensante capace di provare sentimenti. 
L'onda di sensazioni spiacevoli si abbatté su di me con la potenza di un uragano. Mi sentivo persino macchiata dal senso di colpa per aver "baciato" qualcun altro che non fosse David. Mi sembrava di percepire ancora la bocca di Brad sulla mia, le sue mani che mi tenevano ferma... Scossi il capo strizzando gli occhi per scacciare quelle immagini. 
La sensazione di essere costretta e forzata mi era rimasta sulla pelle come un marchio. 
Udii il telefono trillare. 
Sto scendendo dal pullman. Mi sto preoccupando, Sarah. Sarò velocissima.
E così fu. 
Cinque minuti più tardi Clarice stava bussando con forza al mio portone di casa. Quando aprii, notai che aveva il fiatone per aver corso. I capelli neri come il manto di un corvo le si erano spettinati a causa del forte vento. 
Sgranò i vividi occhi scuri ed immise cautamente piede nell'ingresso. << Cos'è successo? >> mormorò studiandomi tutto il volto con aria accorata. 
Mi asciugai una lacrima e la presi per mano per portarla in camera mia. 
Si sedette sul letto accanto a me ed aspettò che mi passassero i singhiozzi, mentre con le dita mi accarezzava dolcemente i capelli. 
<< Brad mi ha baciato >> gettai fuori, come se fosse stato un bolo di fuoco incapace di andarmi giù. 
Un lampo di turbata sorpresa le saettò nelle iridi. Nello sguardo che ci scambiammo riuscii a leggere tutto lo sconcerto che l'aveva assalita, poi il tutto fu sostituto dalla collera. I suoi occhi si indurirono insieme alla sua espressione. 
<< Spero che David gli spacchi la faccia >> sibilò tra i denti. 
Quell'uscita mi colpì per quanto fu aggressiva. Da che conoscevo Clarice, non l'avevo mai sentita pronunciare una frase simile. Fra noi era sempre stata lei la più diplomatica, la più misurata e la più pacata. Non le avevo mai sentito far riferimento alla violenza. Neanche una volta. Era una cosa che non sopportava, che la spaventava per la sua irruenza e per la sua furia incontrollabile. 
<< Io... >> La gola mi raschiava in maniera dolorosa, rendendomi ancora più difficile parlare. << Io non sapevo che fare, ero... lui mi teneva ferma ed io ho cercato... >> Sbuffai per il nervoso mentre nuove lacrime mi solcavano il volto. 
Mi sentivo fragile come un uccellino caduto dal nido. 
Clar mi fissò con un'espressione abbattuta, le sopracciglia incurvate per il dolore. Poi si avvicinò e mi avvolse in un abbraccio caloroso, come se cercasse d'infondermi coraggio. 
Appoggiai la testa sul suo petto e mi lasciai cullare dalla sua mano che mi sfiorava i capelli. 
<< Si sistemerà tutto. Non pensarci più, per favore >> mi rassicurò con la voce incrinata. << Quando David e Kevin lo verranno a sapere, sapranno loro cosa fare. >>
<< Che sta succedendo qua? >> 
Girai la testa ed agganciai lo sguardo confuso di Cam, fermo sulla soglia della mia camera con il pigiama addosso. 
Il mio labbro tremò per lo sforzo di non riscoppiare a piangere. 
A quella vista, la sua fronte si aggrottò allarmata ed i suoi occhi vennero invasi dalla preoccupazione. Avanzò fino a me e si piegò sui talloni per guardarmi dritta in faccia. << Ehi, che hai? >> chiese in tono dolce, sfiorandomi un ginocchio. 
Ressi la sua occhiata sempre più inquieta fino a quando non scossi il capo e chiusi gli occhi, le parole incastrate nella gola. 
<< Un ragazzo che ha una smisurata cotta per lei, oggi l'ha baciata >> rispose la mia amica col tono indurito dalla rabbia. << Da quel che ho capito l'ha bloccata per non darle la possibilità di ribellarsi. >>  
Per un minuto buono non sentii nulla, soltanto il mio respiro pesante contro il giubbotto di Clar. 
<< Come si chiama? >> La voce di Cam mi fece rabbrividire per quanto fu ferrea e glaciale. La ferocia misurata che si annidava sotto a quelle parole la percepii come se potesse vibrare. 
<< Bradly Thomson >> lo accontentò Clar. 
Cam sputò un insulto tra i denti, poi mi accarezzò il ginocchio e batté qualche colpetto per richiamare la mia attenzione. << Ehi, opossum, guardami >> disse scherzosamente, cercando di tirarmi su di morale. 
Spostai gli occhi su di lui e mi passai una mano su una guancia per asciugare le lacrime. 
Gli angoli della sua bocca s'incresparono in un sorriso, poi spalancò le braccia. 
Mi ci fiondai di getto. Le sue braccia si saldarono attorno al mio corpo con delicatezza e al tempo stesso forza. Si alzò in piedi tenendomi ancora stretta, appoggiando la testa contro la mia in un gesto affettuoso. E poi i miei piedi smisero di toccare terra: mi sollevò completamente. 
Chiusi le gambe intorno ai suoi fianchi e mi avvinghiai a lui con energia, restia ad allontanarmi. 
Clar mi accarezzò la schiena mentre Cam ridacchiava scherzosamente. << È una bambina >> disse in tono spiritoso, accompagnato da un sospiro teatrale. Poi i suoi avambracci si ancorarono con fare protettivo. Le sue successive parole, poco dopo, furono soltanto un sussurro, ma di una tale carica emotiva da farmi sciogliere il groppo in gola: << La mia bambina. >> 
E allora piansi. Ancora.
Piansi per essermi sentita fragile. 
Piansi per essere stata impotente. 
Piansi per il senso di colpa che non mi apparteneva. 
Piansi per il trattamento immeritato. 
Piansi per ogni singola emozione sgradita che mi attanagliava lo stomaco.
Semplicemente, piansi. 










Angolo autrice:


Ehm ehm... Innanzitutto, buongiornooooo! XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia tenuto un po' di compagnia! 
Ah, importantissimo! 
Adesso comincerò a rispondere a tutte le vostre recensioni. Non l'ho fatto prima perché, dato che Efp aveva dei problemi, avevo paura ad aggiungere qualche contenuto, indi per cui ho preferito aspettare. Mi manca tanto rispondere alle vostre recensioni *_* anche perché è il mio unico mezzo per ringraziarvi. 
Coooomunque, passando al capitolo... In realtà non so che dire ahahah. Mi rendo conto che sia un'altalena di emozioni opposte, soprattutto se si considera la prima e la seconda parte. Perciò preferisco lasciare a voi ogni commento e responso. ; )
Ah, ci tengo però a farvi sapere una cosa (per chi fosse interessato). Nella seconda parte, dopo la questione (la chiamo così perché so che molte leggono prima gli angoli autrice del capitolo, così non spoilero nulla ahahah) tra Sarah e Brad, dalla frase: "A quel punto mollò la presa e retrocesse di un passo per guardarmi" ho ascoltato Wings di Macklemore & Ryan Lewis. Se a qualcuna piacesse leggere con la musica (sappiate che io scrivo sempre ascoltandola) e volesse calarsi ancor più in quelle righe, può ascoltare quella canzone fino alla fine del capitolo. ; ) 
Per ultima cosa dirò soltanto che il prossimo capitolo ho già iniziato a scriverlo e che quindi arriverà puntuale, forse (ribadisco il forse) in anticipo, in modo da non lasciarvi troppo sulle spine. 
Detto ciò, vi mando un bacione gigante e vi auguro una buona domenica! 
GRAZIE A CIASCUNO DI VOI! <3
A prestooooooooo! 



Federica~

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Capitolo 23
*** Infiniti secondi ***


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Infiniti Secondi 


















Ero seduta sul letto. Mio fratello e Clar si trovavano di fronte a me quando arrivò. 
Il cellulare emise un breve singulto per poi ricadere nel silenzio. 
Mi sporsi sul comodino e lo afferrai. 
Che sta succedendo? Perché Clarice è scesa di fretta dal pullman e tu non sei mai salita? 
Era David. 
Il cuore cominciò a tamburellarmi nel petto, lo stomaco si accartocciò come una pallina di carta stagnola. 
Per un lungo lasso di tempo tenni gli occhi piantati sullo schermo, le dita sospese sulla tastiera. 
Dovevo dirglielo. Sapevo che sarebbe andato su tutte le furie solo con Brad, ma io... mi sentivo in colpa. Ero stupida, perché non avevo fatto nulla se non ribellarmi, ma... non lo sapevo nemmeno io. 
Sospirai afflitta. 
È che quando si ama una persona con tutto se stessi ci si sente responsabili anche per quello a cui non si prende parte volontariamente. Perché sapevo che David ne sarebbe rimasto ferito. Ed era proprio l'ultima cosa che avrei voluto fare, ferirlo. Ma era chiaro che sarei stata io a confessargli quel che era accaduto con Brad e di conseguenza a colpirlo con la verità. 
Probabilmente era questo a farmi sentire in colpa: sapere che lo avrei fatto soffrire. 
<< Andrà tutto bene >> bisbigliò Clar, il tono materno e morbido. 
Annuii piano, sperando che avesse ragione, poi presi coraggio e scrissi un messaggio. 
Dobbiamo parlare. 
La risposta fu fulminea, come se l'avesse già scritta. 
Sto arrivando. 
Alzai la testa, l'ansia che mi divorava internamente. << David sta venendo qua >> li avvisai guardando prima Clar e subito dopo Cam. 
Lui sollevò un sopracciglio. << È un modo carino per dirci che dobbiamo smammare? >> La sua bocca s'incurvò in un sorriso assieme a quella della mia amica. 
Sorrisi timidamente e mi strinsi nelle spalle. << Più o meno. >> 
Clar rise e si alzò per abbracciarmi stretta. << Stai tranquilla >> disse accarezzandomi i capelli. << Per qualsiasi cosa chiamami ed arriverò subito. >> Si ritrasse e mi sorrise in modo rincuorante. 
<< Grazie >> sussurrai prendendole una mano. Era bello sapere che lei sarebbe sempre stata al mio fianco, che ci sarebbe stata in ogni caso, qualsiasi cosa fosse accaduta. Esattamente come una sorella. 
Cam mi scompigliò i capelli e si diresse spedito alla porta. << Mi vestirò ed andrò a fare la spesa. >> 
<< Mi compri... >>
<< La cioccolata >> mi anticipò guardandomi da sopra la spalla con un sorriso. << La fondente, lo so. >> 
Sollevai il pollice e stesi le labbra in un sorriso riconoscente. 
Dieci minuti più tardi mi trovavo in casa da sola, appoggiata al bancone della cucina a bere acqua. La sorseggiavo lentamente, lo sguardo incastonato sul muro davanti. 
Quando udii il campanello strimpellare, saltai sul posto insieme al sobbalzo del mio cuore. 
Appoggiai il bicchiere ed accorsi ad aprire il portone. 
David entrò sparato, guardandomi attentamente in faccia. << Stai male? >> chiese con una nota d'ansia nella voce, passandomi un palmo sulla fronte per controllare se avessi la febbre. 
Mi scostai bruscamente dal suo tocco. 
Il senso di colpa non mi dava pace. Mi sembrava di prenderlo in giro a lasciarmi toccare prima che sapesse la verità. 
Strinse gli occhi disorientato mentre si chiudeva la porta alle spalle. 
Il rumore della serratura spezzò il silenzio, facendo tremolare le finestre. 
<< Di cosa volevi parlarmi? >> domandò cauto. 
Fuggii al suo sguardo attento, facendolo vagare sul pavimento. << Andiamo di sopra. >> Gli diedi le spalle e mossi dei passi affrettati verso le scale. 
Per tutto il tragitto non feci altro che contorcermi le dita e riflettere sulla reazione che avrebbe avuto una volta saputo. 
Aspettai che entrasse in camera dopo di me, dopodiché chiusi la porta. 
Mi voltai a guardarlo con un misto di timore e angoscia. Era giunto il momento di rivelare ciò che era accaduto, eppure mi sembrava di aver perso tutto il coraggio. Non sapevo dove attingere per trovare la forza di parlare. 
Lui se ne stava al centro della stanza con gli occhi seri incastrati su di me. Neanche quando lanciò lo zaino semivuoto da una parte o quando si tolse il giubbotto, smise di scrutarmi intensamente. 
Abbassai lo sguardo sulle mie mani intrecciate e strinsi le labbra in una linea sottile.
Aprii la bocca, per poi richiuderla subito.
Ero una codarda, una grandissima codarda. Avrei volentieri sbattuto la testa al muro se solo mi fosse stato d'aiuto, ma l'ultima volta che l'avevo picchiata contro un palo non era andata a finire bene. Non osavo sfidare la sorte. 
Passarono circa una decina di secondi prima che mi schiarissi la voce e ritentassi. << Ero uscita di casa come tutte le mattine per andare alla fermata >> esordii. << Ho... battuto la testa contro un palo per colpa del vento e subito dopo ho udito... la voce di Brad >> buttai fuori in un sospiro. Issai di poco il capo per osservare David di sottecchi. Nel suo sguardo adesso era presente una screziatura di fastidio che gli induriva i lineamenti. 
<< Mi ha aiutato a togliere i capelli dal viso, ma ho subito messo in chiaro che quel gesto non significava nulla e che le cose tra noi non sarebbero mai cambiate >> proseguii riabbassando il viso. Aggrottai la fronte. << E lui ha risposto che ero troppo sicura di me, che non tenevo conto degli imprevisti >> elencai veloce, muovendo frettolosamente gli occhi per terra. << Al che io gli ho detto che non ci sarebbero mai stati, ma... >> Il nodo che avevo in gola si strinse talmente tanto da strozzarmi le parole. << Lui ha cominciato ad avvicinarsi... >> Alzai la testa frustrata e lo guardai con le lacrime agli occhi. << David io non ho potuto fare nulla, te lo giuro. Lui era più forte e... mi teneva ferma ed io ho lottato fino alla fine, ma non è stato sufficiente. Io... >> 
David si mosse rapido fino a posare le mani sulle mie braccia. << Che cosa ti ha fatto? >> L'urgenza presente nel suo tono, aggiunta al modo profondo con cui mi fissava, mi fecero sentire ancora peggio. 
<< Non mi toccare >> mormorai distrutta, ritraendomi. 
 S'inumidì le labbra, combattuto e agitato, poi lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi. << Cosa ti ha fatto? >> 
A quel punto affondai nel suo sguardo. << Mi ha baciato. >> 
Tirò indietro la testa mentre i suoi frammenti di terra fusa si dilatavano sempre più. Lo shock gli trapassò le iridi, appiccando fuoco ad ogni pagliuzza ambrata. 
La sua mascella si irrigidì come se stesse cercando di spezzare un sasso coi denti. Lo sguardo gli divenne affilato come una lama e bestiale come quello di una fiera. 
Si passò una mano fra i capelli in un gesto rabbioso e cominciò a camminare avanti e indietro davanti ai miei occhi. Era talmente teso che i suoi muscoli sarebbero potuti scattare per il minimo rumore. 
Per un po' non disse nulla, si limitò a camminare frettolosamente in su e in giù. Poi, d'un tratto, i suoi occhi inferociti si abbatterono su di me. 
Mi ritrovai a rabbrividire per la cruenta intensità di quello sguardo. 
<< Sai cos'è che mi manda più in bestia? >> ringhiò. Si bloccò e m'indicò col braccio. << Che tu sia stata costretta a subire >> esplose contro ogni mia aspettativa. Le sue iridi, se possibile, s'infiammarono ulteriormente. << E che di conseguenza tu adesso soffra per quel che ti ha fatto provare, sentendoti in colpa persino a farti toccare da me >> sbottò con il dolore dipinto negli occhi e la furia vibrante nella voce. 
Il mio cuore martellò con maggiore veemenza.
Il suo dito indicò il punto in cui era. << Adesso vieni qui >> ordinò lentamente, il tono ancora duro. << Subito, Sarah. >> 
Mossi un debole passo in avanti, sentendomi traballante e incerta. Le sue pozze di roccia terrosa mi tenevano inchiodata. 
Avanzai ulteriormente, un po' più sicura. E poi ancora, ancora, fino a giungergli davanti. 
Sollevò un braccio con la flemma di un gesto delicato, mentre i nostri sguardi restavano saldati come magneti. Percepii i suoi polpastrelli sfiorarmi la tempia, poi scostarmi dei capelli dalla fronte, scendere lungo lo zigomo e ricalcare il profilo della mandibola. 
Il battito cardiaco mi scosse per la sua potenza, facendomi surriscaldare le guance. Ed impennò quando le sue dita risalirono dal mento sino alla bocca. Mi accarezzarono il labbro inferiore come se fosse stato un delicatissimo fiore di cristallo, con una gentilezza che compensava la mia fragilità. 
Una luce più dolce si impadronì delle sue iridi mentre il senso di colpa mi scivolava via.
Le sue dita scalarono in altezza, accarezzandomi il naso con solo la punta dei polpastrelli. Un leggero brivido mi guizzò a fior di pelle. 
Poi portò anche l'altra mano sul mio viso e in un soave gesto depose i pollici sulle mie palpebre. << Chiudi gli occhi >> bisbigliò, il tono soffice e deciso. 
Ubbidii subito, calando lentamente le palpebre come se mi apprestassi a continuare un bel sogno. 
I suoi pollici sdrucciolarono flemmatici verso i lati del mio volto, mentre le mani si incastonavano tra i capelli. Con una lieve pressione mi reclinò la testa all'indietro. 
Il mio battito cardiaco divenne esasperato, lo stomaco intanto si era trasformato in una voliera di farfalle. Con gli occhi chiusi facevo affidamento solo sugli altri sensi, era come vivere tutto amplificato all'ennesima potenza nell'attesa di qualcosa di piacevolmente imprevisto. L'adrenalina mi scorreva nelle vene come carburante. 
Percepii il suo respiro caldo sul viso, poco dopo un lungo e tenue bacio sulla fronte. Poi più giù, sul tratto in mezzo agli occhi. Risalì sulla tempia, discese sulla guancia e subito dopo sulla mandibola mentre coi pollici mi coccolava con leggere carezze. 
Alla fine colsi il suo alito sulla bocca. 
Avrei voluto allungare una mano e sfiorarlo, ma rimasi immobile per godermi nitidamente ogni suo gesto. Immaginai il bagliore che in quel momento sfolgorava nelle sue iridi ambrate, e soprattutto provai ad immaginarmi come mi stesse guardando. 
Il cuore, di riflesso, mi bombardò di battiti affrettati. 
Trascorsero infiniti secondi prima che le sue labbra planassero morbide sulle mie. Ognuno di quegli attimi era trascorso portandosi il carico delle poderose emozioni che provavo. 
Per quanto ogni secondo sia rapido ed impossibile da afferrare, fui certa di averli vissuti dal primo millesimo in cui erano scoccati fino all'ultimo, quando vennero sostituti da altri diversi. E fui anche certa che li avrei ricordati per il resto della vita come gli infiniti secondi più vivi, più ricchi e più preziosi che avessi mai avuto l'onore di vivere. 
Chiusi le labbra su quelle di David, sentendole finalmente al loro posto. Le nostre bocche si fusero amorevolmente come se fossero state fatte per incastrarsi, tali e quali a pezzetti di un gigantesco puzzle. E in quel momento mi resi conto di una cosa. Ogni minuscolo pezzo del puzzle possiede soltanto una combinazione che gli permette di trovare il suo posto nell'enorme quadro che si creerà di passo in passo. 
Io, durante gli infiniti secondi che si susseguirono, sentii di aver trovato la mia combinazione. 
Il nostro bacio fu il contatto di due cuori e due anime che si aggregavano in una. 
Quando ci allontanammo e riaprii gli occhi, i suoi erano docili come una terra baciata dal sole in estate. Non vi era più rabbia né ferocia, solo me stessa riflessa nella liquida ambra delle sue iridi. 
Sorrisi e ridussi le distanze per abbracciarlo stretto. Deposi l'orecchio contro il suo petto ed avvertii il suo incalzante battito cardiaco suonare la mia melodia preferita. 
Le sue braccia mi avvolsero protettive, la sua bocca mi depositò svariati baci sui capelli. 
<< Non mi allontanare più, qualsiasi cosa accada >> mormorò delicato. << Anche perché non ci riusciresti >> aggiunse mentre sentivo le sue labbra incurvarsi in un sorriso. 
Ridacchiai ed issai la testa per cercare il suo sguardo. Le sue perle dorate approdarono subito nei miei occhi, con le dita mi scostò alcuni capelli dal viso. 
Sorrisi ancora, percependo un confortante calore che fluiva dal cuore. << Ti amo tanto, David >> confessai. Mi sembrava trascorso un secolo dall'ultima volta che glielo avevo detto.
Il suo sorriso divenne più ampio, sebbene una luce divertita gli avvolgesse le iridi. << Anch'io... mi amo tanto. >> 
<< Ma dai. >> Lo respinsi ridendo e gli diedi un leggero colpo sul petto mentre lui scoppiava a ridere. 
E ridemmo ancora, fino ad avere le lacrime agli occhi, fino ad avere i crampi alla pancia, fino a sentirci bene, leggeri e lontani dal resto del mondo.  





                                                                       *  *  *





La mattina seguente arrivò in un soffio. 
La sera del giorno prima, quando David era salito in camera mia, aveva portato con sé lo zaino. Avevo sbirciato dentro e ci avevo trovato un cambio di vestiti. Quando gli avevo chiesto a cosa gli servisse, aveva risposto che avrebbe fatto il tragitto fino al pullman scolastico con me. 
Non lo aveva confessato, ma sapevo che il motivo di quella decisione era evitare che Brad mi si avvicinasse. 
Perciò quella mattina mi sentivo decisamente più tranquilla e sollevata. 
Dopo aver compiuto vari furti in cucina senza che mia madre se ne accorgesse, sgattaiolai in camera. 
Mi richiusi la porta alle spalle ed alzai gli occhi su David che si stava infilando un paio di  pantaloni neri. Vederlo a petto nudo per poco non mi fece perdere la presa sulla tazza che tenevo in mano. 
<< Ti ho procacciato cibo >> annunciai raggiungendo la scrivania per depositare una scatola di cereali, il latte, un cucchiaio e la tazza. 
David sollevò un sopracciglio. << Come hai fatto a fregare tutta questa roba senza farti beccare? >> 
Lanciai una ciocca di capelli dietro la spalla con un sorriso spavaldo. << Non te l'ho mai detto, ma da piccola ero una ladra. >> 
Avanzò con una maliziosa espressione divertita, mandando in cortocircuito i miei neuroni alla vista del suo petto solido e dei suoi addominali marmorei. 
Santo cielo, faceva un certo caldo nella mia stanza. Mi sembrava di indossare una maglietta termica. 
<< Questa mi mancava >> affermò inclinando il capo. << E poi cos'è successo? >> 
Mi strinsi nelle spalle, mantenendo l'aria da donna vissuta. << Non mi hanno mai scoperta, ma poi sai com'è, il senso di colpa ha bussato alla porta della coscienza ed ho deciso di abbandonare una carriera promettente >> conclusi con un sospiro ironicamente mesto. 
<< Immagino sia stata dura >> mi prese in giro con un'espressione sofferente. 
Sospirai ancora. << Molto, non puoi immaginare quanto. >> Dirottai lo sguardo sulla sua colazione. << Ma come vedi oggi ho ripreso le vecchie abitudini per evitarti una morte lenta e dolorosa. >>
<< Infatti ti meriti una ricompensa >> dichiarò prendendomi il mento tra le dita per ruotarmi il viso. 
Sorrisi e mi sollevai sulle punte mentre lui, al contrario, si calava su di me. 
Il bacio che ne scaturì fu fin da subito acceso. Le sue labbra si muovevano voracemente sulle mie, come se ne fossero affamate. Ed io non ero da meno. 
Gli avvolsi il collo con le braccia e lo spinsi più vicino a me, sentendo nello stesso istante una sua mano insinuarsi sotto il golf. 
Il suo palmo si aprì sulla mia schiena per pressarmi contro il suo corpo. 
Subito dopo, mentre la frenesia si univa all'avidità del contatto, allungò le mani fino al mio sedere. Le sentii intensificare la presa fino a che non mi diedi lo slancio per salirgli in braccio. A quel punto mi protesi su di lui e scivolai con la bocca verso il suo orecchio. Ne morsi il lobo, udendo il suo gemito gutturale sulla pelle, così mi spinsi più giù, in direzione del collo. 
Lì dischiusi le labbra per baciarlo appassionatamente; il calore della sua pelle a contatto con la lingua mi mandava in panne il cervello, rendendomi più audace. 
Le sue bramose mani intanto mi scoprivano sempre di più la schiena, surriscaldandola con carezze accentrate e cariche di desiderio. 
Il suo fiato spezzato si scontrò con la mia clavicola, la mia bocca risalì per gustare un lembo di pelle del suo collo. Lo succhiai e baciai con avidità crescente fino a sentirlo bollente contro la lingua. A quel punto mi ritrassi per riprendere fiato ed osservare il marchio rosso che gli avevo lasciato. 
I nostri occhi saettarono l'uno all'altra nello stesso istante. Ero sicura che la cupidigia che vedevo nelle sue iridi lucide fosse la stessa che permeava le mie. 
Abbassai la testa per baciarlo un'ultima volta, stavolta contenendo il desiderio impellente che mi faceva quasi dolere lo stomaco. 
Quando tornai a poggiare i piedi per terra, notai che David non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso. Vidi più volte il suo pomo d'Adamo abbassarsi ritmicamente, come se stesse compiendo uno sforzo immane a calmarsi. 
Lanciai un'occhiata alla sua colazione, imbarazzata dall'intensità con cui mi stava fissando. << Uhm... Sarà meglio che tu mangi qualcosa >> dissi annuendo delle mie parole. 
<< Mangiare è l'ultima cosa a cui riesco a pensare >> ammise col tono arrochito dall'eccitazione. 
Quella frase fu sufficiente ad appiccare fuoco alle mie guance. << Oh... >> Pausa. Mi sentivo quasi la febbre, santo cielo. << Ehm, al bagno... me deve... andare da >> blaterai intontita, poi ragionai su ciò che avevo detto e scossi la testa inorridita. << Cioè, io devo andare in bagno. >> 
Udii David ridere ed alzai il capo per fulminarlo. 
<< Non sghignazzare, è colpa tua >> affermai fingendomi accigliata. 
<< Sai cosa farò ora io? >> domandò stampandosi un sorriso beffardo. 
<< Cosa? >> 
<< Colazione col mangerò cucchiaio la. >> Batté le mani ed esplose a ridere a crepapelle come se avesse appena sentito la battuta più divertente del mondo. 
<< Ah ah ah >> gli feci il verso con una conseguente linguaccia. << Idiota >> lo appuntai aprendomi in un sorriso. 
Mentre gli passavo accanto per superarlo, mi arrivò una scherzosa pacca sul sedere. Risi e mi girai per schiaffeggiargli il braccio, indifferente ai suoi lamenti strozzati dalle risate. 
<< Così impari >> pronunciai infine soddisfatta, lasciandolo andare. 
Mi agguantò fulmineo un polso e con uno strattone mi fece cozzare contro di sé. Spalancai gli occhi per la sorpresa, il cuore impazzì. 
Piegò la testa da un lato mentre il suo sorriso assumeva una piega maliziosa. << Hai presente la tua ricerca di scienze? >> 
Annuii. << Sì, e mi hai ricordato che devo darmi una mossa a finirla. >> 
<< Potremmo lavorarci insieme questo pomeriggio >> propose mentre le sue mani scivolavano lente sulle mie. 
Valutai la sua offerta assottigliando lo sguardo. Il suo sorrisino da bambino cattivo mi rassicurava ben poco. << Cos'hai in mente? >> domandai sospettosa. 
Scrollò le spalle innocentemente. << Di offrirmi volontario per darti una mano. >> In quell'istante le sue iridi si accesero di divertimento. << Magari anche più di una mano >> aggiunse allusivo, il tono più basso e sensuale. 
Tirai indietro la testa boccheggiando. Le mie guance si infiammarono. 
<< Io... sono senza parole >> confessai guardandolo come se fosse un essere a tre teste. 
Una sua mano navigò su per il mio fianco, ancorandosi alla schiena. Mi strinse a sé per poi piegare la testa sul mio collo. << Tranquilla, tanto non dovrai parlare >> mormorò accattivante. Stava sorridendo, lo sentivo contro la pelle. << Ascoltare i tuoi gemiti sarà ugualmente eccitante >> aggiunse in un alito, facendomi rabbrividire. 
Santo cielo benedetto. Ero in coma. Non riuscivo a muovere un muscolo. 
Le mie orecchie dovevano aver preso fuoco perché le sentivo incandescenti. 
<< L'hai detto sul serio? >> domandai sconvolta. Forse lo avevo soltanto immaginato. 
Lo sentii sghignazzare contro la guancia, poi si ritrasse. I suoi occhi ridenti sprofondarono nei miei. << Preferisci passare subito alla pratica? >> 
Oh, mamma santissima. Avevo sentito fin troppo. La mia faccia stava per diventare paonazza. 
<< Non... tu... io... >> Ma che stavo dicendo? << Insomma mangia quella cavolo di colazione e fammi andare in bagno >> sbottai ai limiti dell'esasperazione. 
Mentre mi dirigevo come una macchina da guerra alla porta, udii la sua risata sommessa. 
Alzai gli occhi al cielo senza riuscire a trattenere un sorriso. 
Un giorno o l'altro quel babbuino mi avrebbe fatta impazzire... Anche se ero più che certa che ci fosse già riuscito. 





                                                                    *  *  * 





Uscii di casa e m'incamminai a passo spedito lungo il marciapiede. 
Quel giorno il grigiore del cielo era cavalcato da minacciose nuvole che presagivano pioggia. Non a caso mia mamma mi aveva infilato un ombrello nella borsa a tracolla. Oltre a tre barrette ai cereali, una al cioccolato, una bottiglietta d'acqua e due schiacciatine all'olio. Il tutto cercando di non farsi vedere da me, come se poi non mi accorgessi delle proporzioni smisurate della mia borsa. 
Dopo circa tre metri adocchiai David. Era appoggiato con la schiena ad un albero, e mi stava fissando con un sorrisino attraente capace di intirizzirmi i peli sulle braccia. 
<< Da quanto tempo >> esordì ironico, muovendo un passo avanti. 
<< Vero? >> stetti al gioco. << Ti vedo cambiato >> aggiunsi con un sorriso, toccandogli i capelli sulla fronte.  
 << Due minuti ti cambiano profondamente >> disse mettendosi una mano sul cuore, l'espressione vissuta. 
Risi, per poi alzarmi sulle punte e scoccargli un rapido bacio a stampo. << Ora andiamo o faremo tardi >> raccomandai. 
Adagiò mollemente un braccio sulle mie spalle e mi guardò scherzoso. << Non sia mai. >> 
Capii molto poco delle sue parole. Il mio cuore ed il mio cervello si erano fermati nel momento in cui aveva abbandonato il braccio intorno al mio collo per poi cominciare a camminare come se nulla fosse. 
Mammina santa, il mio battito cardiaco era da ricovero. Non sapevo neanche come tenere le spalle. Rilassate? Rigide? Un po' su? O un po' gobbe? 
Stavo decisamente andando in paranoia. Urgevo di una camomilla. 
Dopotutto quello era un evento più unico che raro. Non sapevo neanche più quante volte lo avevo sognato. 
Più percorrevamo metri, più mi attorcigliavo le dita per l'emozione. Un giorno me le sarei rotte. 
Il mio stomaco mandava spasmi di piacevole dolore ad intermittenza. Ed oltretutto non riuscivo a smettere di sorridere come una scema. Insomma, ero partita del tutto. 
Mi sentivo una bambina felice. 
Dopo un po' planai con lo sguardo sul profilo di David. Immediatamente notai che qualcosa era cambiato. I suoi occhi erano seri, i lineamenti duri come il granito, la mascella serrata ed il respiro fin troppo calmo. Ogni suo poro sembrava emanare pericolosità. 
Poi sollevò il mento ed inclinò la testa di lato, mentre le sue ardenti pozze ambrate si conficcavano su qualcosa.
Girai la testa per confermare i miei timori su chi avesse visto. Ed infatti eccolo lì: Bradly. 
Nel momento in cui emisi un lamento strozzato, i suoi occhi cerulei saettarono a noi. 
Quando li posò su di me vidi il dispiacere attraversarli, ma fu una questione di secondi perché subito dopo passò a concentrarsi su David. 
La bolla di felicità si spezzò. L'ansia cominciò a divorarmi. Soprattutto quando il mio ragazzo fece scivolare via il braccio dalle mie spalle. 
Spostai ritmicamente lo sguardo da David a Brad, agitandomi nel momento in cui vidi il primo avvicinarsi lentamente all'altro. 
Avanzò con un passo a dir poco intimidatorio, le mani nelle tasche dei pantaloni, gli occhi incastrati in maniera minatoria in quelli di Thomson. 
Appena gli giunse a circa cinque centimetri dal viso, si fermò. 
Deglutii un mattone di saliva, le dita sudate e fredde. 
Speravo che non si prendessero a botte, ma sapevo che David era molto propenso a dargliene. 
La notte prima, dopo che ci eravamo messi a letto, gli avevo chiesto di non picchiare Thomson quando lo avesse visto. A quella richiesta, però, non aveva risposto. 
Più passavano i secondi e più guardavo quei due, immobili l'uno davanti all'altro, e più mi veniva da strapparmi i capelli per la disperazione. 
E poi tutto avvenne alla velocità della luce. David scattò talmente in fretta da farmi sobbalzare per lo spavento. Afferrò il giubbotto di Bradly tra le mani e lo strinse con una tale forza da issarlo sulle punte. 
Mi portai una mano davanti alla bocca per mordicchiarmi le dita nervosamente. Che cosa dovevo fare? 
Thomson gli agguantò i polsi, ma non riuscì a liberarsi da quella morsa. 
Gli occhi di David divennero letali come quelli di un lupo che si appresta a sbranare la preda. Non sembravano neanche più gli stessi occhi che mi avevano guardata poco prima. 
<< Azzardati ad allungare le mani ancora una volta e giuro che ti farò patire le pene dell'inferno >> ringhiò in un sibilo, digrignando i denti. Poi lo scosse con violenza. << Come cacchio ti sei permesso di forzarla? >> inveì ad un tono più alto. 
<< Lasciami, David >> controbatté rabbioso Brad. 
Lui, al contrario, lo avvicinò ulteriormente. << Decido io quando lasciarti, feccia >> sputò minaccioso. << E ora rispondi. >> Il suo tono divenne basso e feroce. << Che cosa si prova ad avere delle mani indesiderate addosso? >> 
Thomson rimase in silenzio, le labbra rigide. 
A quel punto David passò a stringere una mano sotto la sua gola e lo sollevò di un altro po'. << Dimmi, che sensazione si prova a non potersi ribellare? >> chiese mostrando i denti. << Ti piace sentirti debole e inferiore? >> Le sue iridi parvero cambiare colore da quanto divennero spietate. << Com'è sentirsi una vittima? >> cacciò fuori con rabbia. Lo smosse con maggiore violenza, aumentando la stretta sul suo giubbotto. << Allora, ti piace, feccia? >> 
Brad contrasse la mascella. << Ho esagerato. Mi dispiace. >> 
David lo mollò di scatto con uno spintone. << Chiedile scusa >> ordinò, la voce autoritaria. 
Gli occhi di Brad approdarono su di me, perdendo la rabbia che li permeava. Mosse qualche passo nella mia direzione, ma il braccio di David gli impedì il passaggio. Con una spinta sul petto, lo rispinse indietro. << Puoi dirlo anche da qui. Ad alta voce, e possibilmente in ginocchio >> sibilò brutale. 
<< David... >> sussurrai con uno sguardo supplichevole. 
Thomson gli scoccò un'occhiata furente mentre il mio ragazzo si voltava per un secondo a guardarmi, poi spostò l'attenzione su di me. I suoi occhi si piegarono in un'espressione rammaricata. << Scusa, Sarah. Mi dispiace tanto, non volevo... >> 
<< Evita le cretinate >> lo interruppe David, secco. << Mi fai venire ancora più voglia di spaccarti la faccia >> ammise con un'occhiata da gelare il sangue nelle vene. 
<< Va bene così >> intervenni, nel tentativo di sedare gli animi. Peccato che non venni calcolata. Le mie parole si persero nell'aria tesa. 
Brad gli si piazzò davanti con aria di sfrontata sfida. << Provaci, se hai il fegato. O hai paura di farti male? >> 
Prima che potessi frappormi tra loro, David lo afferrò per il giubbotto e lo strattonò rabbiosamente contro di sé. Trattenni il fiato mentre le sue ardenti iridi infilzavano quelle gelide di Thomson. 
<< Se non ti pesto è soltanto perché io rispetto la sua volontà >> soffiò tra i denti, indicandomi con un cenno. 
Malgrado la sgradevole situazione, il mio cuore si dimenò per quelle parole. 
Bradly indurì i lineamenti, subito dopo David allontanò le mani da lui come se ne fosse stato schifato. 
In quel momento mi accorsi del pullman che ci scivolava accanto. Guardai le porte che si aprivano e mi avvicinai al mio ragazzo per accarezzargli un braccio. << Andiamo >> mormorai agitata, mentre il suo sguardo continuava a trafiggere l'altro. 
Sembrava che stesse ponderando l'idea di colpirlo. 
<< David >> lo esortai tirandogli la manica. 
Sospirò pesantemente dal naso e mi appoggiò una mano sulla schiena per sospingermi in avanti. << Ok, andiamo >> accordò mantenendo l'attenzione viva su Brad. Lo stava guardando in una maniera così tagliente da apparire più intimidatorio di una minaccia.
Salii ogni gradino lanciandogli occhiate per assicurarmi che mi seguisse. 
Quando immisi piede nel corridoio, scorsi la testa di Clar fare capolino dai sedili per guardarci. Con un cenno mi fece capire che si sarebbe spostata in fondo, da Kevin, per far sedere me e David accanto.
Le sorrisi riconoscente, poi agguantai David per un polso e lo trainai dietro di me. 
Feci finta di non notare le decine di occhi che ci fissavano incuriosite. Procedetti a testa alta finché non raggiunsi il sedile e mi lasciai cadere pesantemente. 
Il mio ragazzo mi si accomodò accanto un secondo più tardi. 
La tensione che emanava il suo corpo si percepiva con una tale nitidezza da rendermi agitata. 
Quando gli sfiorai il braccio, pur attraverso il giubbotto, sentii i suoi bicipiti duri come un pezzo di marmo. 
<< Ehi >> mormorai cercando il suo sguardo. 
Bradly attraversò il corridoio proprio in quel momento, così alzai gli occhi per guardarlo. Le sue iridi si spostarono simultaneamente su di me. 
Il secondo dopo mi ritrovai con la mascella chiusa nella mano di David e le sue labbra che mi baciavano con foga. Il mio cuore perse, come minimo, dieci battiti consecutivi. 
Si allungò sul mio sedile e mi spinse contro lo schienale, la sua bocca che divorava voracemente la mia. 
La sua lingua rincorreva la mia senza sosta, quasi impedendomi di ricambiare. Poi iniziò a succhiarla con una lentezza passionale, uccidendo l'ultimo mio neurone sopravvissuto all'imboscata. Gli passai una mano dietro il collo e lo tenni incollato a me. 
Più mi baciava in quel modo, più percepivo delle fitte nel basso ventre. La ragione stava divenendo sempre più sfocata davanti ai miei occhi. Il desiderio di lui, invece, si faceva di secondo in secondo più insistente e urgente. 
Mi leccò un angolo della bocca con la punta della lingua, dopodiché si distanziò quel tanto che bastava a permetterci di respirare. 
<< Devi guardare solo me >> fiatò col tono basso e profondo. La nota roca presente nella sua voce mi fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. 
Quando aprii gli occhi, i suoi mi stavano divorando famelici. Erano lucidi ed appannati da una voglia sfrenata. Mi sembrò quasi di poter leggere i suoi pensieri, il che mi fece surriscaldare le guance. 
Deglutii per riprendere il controllo. << Lo sai che guardo solo te >> risposi reggendo il suo sguardo. 
Le sue labbra s'incresparono in un sorrisino soddisfatto, poi si mise composto sul sedile, le gambe divaricate e le mani abbandonate sui pantaloni. 
Lo osservai per svariati secondi, chiedendomi a cosa stesse pensando. La sua bocca non aveva ancora abbandonato quel sorrisino, il che incrementava la mia curiosità. 
Oltretutto mi sentivo ancora intontita dal focoso bacio che mi aveva dato. 
Assottigliai lo sguardo ed aggrottai la fronte. << A che pensi? >> domandai inclinando il capo. 
La sua testa ruotò con esagerata lentezza. Quando i nostri occhi s'incontrarono, si morse il labbro inferiore con un sorrisetto sghembo. << Lo scoprirai >> disse soltanto, mentre un bagliore malizioso gli accendeva lo sguardo. 
Altri brividi mi attraversarono a fior di pelle. 
D'un tratto non vedevo l'ora che arrivasse il pomeriggio. 















Angolo dell'autrice:


Buonasera! \(^.^)/ 
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia tenuto compagnia! 
E mi auguro anche che non abbiate trovato errori >\\< con quelli è una lotta continua. Mi sfiniscono -.- 
Coooomunque, a breve risponderò a tutte le recensioni! È che, essendomi concentrata sul capitolo, ho tralasciato tutto il resto >\\< 
Per quanto riguarda il prossimo penso che arriverà settimana prossima ;) tipo verso mercoledì, come oggi. 
Ah, ed intanto vi auguro un buon inizio dell'anno scolastico! 
GRAZIE A TUTTE!! Un bacioneeeeeeeee <3



Federica~









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Capitolo 24
*** Colpi di testa ***



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Colpi Di Testa 

















POV David 










Il fuoco della rabbia non si era ancora estinto nel mio stomaco. 
Non sapevo nemmeno io a quale forza stessi attingendo per trattenermi dall'andare a rompere il muso a quel residuo umano che se ne stava in fondo al pulmino. 
Il solo pensiero di averlo a pochi metri, mi mandava il sangue al cervello. 
Arcuai la schiena per poi risprofondare nel sedile con un sospiro rabbioso. Sarah, accanto a me, alzò gli occhi per fissarmi. 
Quanto diavolo ci metteva quel cretino di un conducente ad arrivare all'ultima fermata? 
Volevo scendere di lì e respirare aria fresca o umida che fosse, oltre che mettere più distanza possibile tra Sarah e Bradly. Non sopportavo di vederli vicini, non in quel momento. 
Il solo notare che poco prima i loro sguardi si erano incrociati mi aveva fatto imbestialire. 
Non dubitavo di Sarah, ma di lui sì. Per tre anni e mezzo l'aveva osservata da lontano, e subito dopo aver scoperto che lei era la mia ragazza aveva deciso, d'un tratto, di darsi una svegliata. Quando si dice il tempismo. Ma l'avrei fatto tornare in letargo, al suo posto, a cuccia. 
L'autista inchiodò bruscamente, alimentando il mio nervoso. Regalavano patenti come i biscottini ai cani. 
Sarah raccattò la borsa e mi lanciò una lunga occhiata prima d'immettersi nel trenino umano. Le fui subito dietro, non fosse mai che quello sputo di Brad avesse deciso di superare la fila per raggiungerla. 
Gettai la cartella semi vuota su una spalla ed allungai un braccio verso il fianco della mia ragazza per spingerla contro di me. 
La sentii sussultare per la sorpresa, poi farsi più vicina ed abbandonare la testa sul mio petto. 
Osservai la sua espressione seria, le sue lunghe ciglia che incorniciavano uno sguardo fisso sulla coda, il profilo del suo viso delicato. 
Espirai sulla sua tempia, smuovendo alcuni capelli. 
Ogni tanto ricordavo i vecchi tempi in cui i nostri incontri si districavano tra insulti, dispetti, scherzi e battute al vetriolo. Inizialmente avevo creduto di odiarla, ma in fondo sapevo che non era vero. Era sempre stata l'unica ragazza capace di stimolarmi sul serio, soprattutto da un punto di vista mentale. 
Le giornate a scuola acquistavano quasi un senso quando c'era lei da stuzzicare e da guardare. 
Ricordavo ancora quella settimana, durante il secondo anno, in cui era stata assente per l'influenza. Per me erano stati i sette giorni scolastici più noiosi che avessi mai dovuto sopportare. Senza lei da prendere in giro, senza lei a riempirmi la giornata con le sue facce buffe e le sue risposte secche, non era lo stesso. 
Coi miei amici mi divertivo, ma ronzarle attorno ed esaminarla in ogni dettaglio era molto più allettante. 
Rilassai i muscoli contratti non appena avvertii le dita di Sarah chiudersi sulla mia mano. Mi calai leggermente e le sfiorai la tempia con la punta del naso, approfittandone per riempire i polmoni del suo profumo. Poi i miei occhi furono calamitati dal suo collo nudo, da quella pelle morbida e calda che conoscevo bene. 
Sentii il desiderio scivolarmi nelle vene e galoppare fino ai pensieri. 
La volevo. Subito. Il pomeriggio mi sembrava troppo lontano per essere reale. Sapevo già che avrei vissuto ogni attimo di quell'attesa come una tortura. 
Un calore pervasivo mi serrò lo stomaco, risalendo come una nube fino agli occhi. 
Non sapevo cos'avrei dato per baciare quella pelle soffice e liscia, e più la guardavo più la mia mente formulava ogni sorta di pensiero a luci rosse. 
Uscire dal pulmino e mettere una certa distanza tra i nostri corpi fu, in piccola parte, d'aiuto... Ma anche no. Non servì ad una benamata mazza. Morivo dalla voglia di saltarle addosso, vedere i suoi occhioni farsi avidi e respirare i suoi gemiti. 
Mi sorrise, per poi alzare un braccio e scostarmi dei ciuffi dalla fronte. << Aspetto Clar, tu non fumare, mi raccomando. >>
In quel momento non era la sigaretta la mia priorità. 
<< Vieni con me >> pronunciai con una nota roca nella voce ferrea. << Adesso. >> 
L'intensità con cui la stavo guardando sarebbe stata sufficiente a spogliarla se solo avessi posseduto quel potere. 
Probabilmente scambiò quelle mie parole per una richiesta di confronto verbale, così annuì silenziosa e prese a camminare al mio fianco. 
Procedetti veloce, in modo da non sprecare neanche un minuto del tempo che avrei trascorso con lei. Il sangue mi ribolliva come olio bollente per l'eccitazione. Faticavo a ragionare lucidamente, i muscoli già tesi come cavi dell'alta tensione. Sarebbe bastato un solo suo tocco per far esplodere il mio corpo in miliardi di scariche elettriche. 
Voltai la testa per cercarla con lo sguardo, dietro di me. Camminava a testa bassa, scagliando di tanto in tanto qualche occhiata omicida a chi la colpiva per sbaglio. Poi i suoi occhi agganciarono i miei, un brivido caldo mi scosse le spalle. 
Facendo appello all'ultimo barlume di autocontrollo a mia disposizione, la agguantai per un polso e la trascinai più vicina. Svoltai nel corridoio laterale e poi imboccai quello deserto su cui affacciava la presidenza. 
L'eccitazione mi vibrava sottopelle, trasmettendo un calore piacevole a tutto il corpo, soprattutto sotto la patta dei pantaloni. 
Spalancai la porta del ripostiglio e spinsi Sarah dentro, accertandomi che nessuno fosse nei paraggi. 
Chiusi la porta con più mandate, grato a quel deficiente di un bidello per aver lasciato le chiavi appese alla toppa, come sempre. In quattro anni non avevo mai trovato quel ripostiglio chiuso, in compenso una volta il caro George aveva serrato la porta del bagno maschile. Poi aveva perso le chiavi, costringendoci a usare il bagno delle ragazze o il giardino. 
Un uomo dall'acume invidiabile. 
Evitai di accendere la luce per destare meno sospetti possibili all'esterno, dopodiché mi voltai verso Sarah. 
Vederla con la sua espressione dubbiosa ed interrogativa, il sopracciglio sollevato e le braccia strette sul petto, mi trasmise una nuova violenta ondata di calore.  
<< Mi stai per rivelare qualcosa di... >> Non la lasciai finire. Le afferrai il viso e spinsi la mia bocca sulla sua. 
Se dapprima la sentii irrigidirsi, un attimo dopo avvertii il suo corpo sciogliersi come burro. 
Navigai con le mani fino alla cerniera del suo giubbotto e glielo sfilai in tutta fretta. Serrai i palmi sulla sua schiena e la schiacciai contro di me, intanto che la mia lingua vezzeggiava sfrenata la sua. 
Nel mio stomaco si stava espandendo un incendio che slittava man mano verso il basso. Mi sembrava di percepire la sua colata rovente scivolare sotto la pelle ed infiammare ogni centimetro. 
Scagliai anche il mio giubbotto da una parte e la spinsi contro la parete, probabilmente facendole battere la testa. Le sue labbra scesero a lambirmi il collo, mandandomi in estasi nel momento in cui insinuò anche le mani sotto il mio maglione. 
Percepii i muscoli tendersi e la pelle diventare calda come una stufa. 
Scivolai con le dita sul suo sedere, per poi fare presa e sollevarla, in modo da mettere i nostri bacini a contatto. La leccai sotto l'orecchio, ripassai quello stesso punto con i denti e con le labbra, fino a sentirlo incandescente. 
Pur se flebile, il suo gemito mi riempì le orecchie, si incuneò nella mia testa annebbiata per trasformarsi in un petardo. 
Le tirai il golf sopra la testa con un'urgenza famelica, ammirandola mentre scuoteva il capo e disseminava i capelli sulle spalle e sul petto. La vista del suo reggiseno verde petrolio, in pizzo, fece affluire tutto il mio sangue in mezzo alle gambe. 
Il cuore pompava in maniera esagerata, rischiando di uscirmi dal torace. 
Le accarezzai delicatamente un braccio, e mi parve di sentire un formicolio caldo sotto il palmo, come se tra i nostri corpi si fosse instaurato uno scambio di elettricità. 
Poi issai gli occhi nei suoi. I miei battiti impennarono di riflesso. 
Mi umettai le labbra e deglutii in assenza di saliva. 
Ero convinto che i suoi fossero gli occhi del cielo, sia per il celeste intenso che li rendeva magnetici che per la profondità sconfinata. Sembravano racchiudere di tutto. Ed ogni volta che mi perdevo nei loro meandri limpidi mi pareva di volteggiare veramente nel cielo, sospeso tra il sole e la terra, in quel posto dove non esistono preoccupazioni né pensieri. 
Avvicinai il viso al suo, inspirai il suo respiro affannato, poi le alzai la testa con una pressione delle labbra, chiusi il suo mento tra i denti e la baciai in quel punto. 
Le sue mani sulla mia nuca operarono una pressione per sospingermi più vicino. 
Altri brividi mi schizzarono a fior di pelle. 
Planai con la bocca sul suo collo, bramoso di risentire la sua pelle sotto la lingua. La assaggiai, succhiai e stuzzicai con avidità, scivolando man mano più giù, verso la clavicola. 
<< David... >> alitò leggera. << Siamo a scuola, non... >> Percepii il suo respiro mozzarsi nell'esatto istante in cui introdussi una mano sotto il reggiseno. 
Presi una spallina tra i denti e la scostai dalla spalla per sostituirla con le mie labbra. La sua pelle era bollente, morbida e sensuale. La accarezzai con la punta della lingua, mentre con la mano palpavo disinibitamente il suo seno. 
Porca miseria, era mio. Tutto di lei apparteneva a me. La consapevolezza di quel fatto mi faceva salire un'irrefrenabile voglia di spogliarla e toccarla ovunque. 
I suoi sospiri eccitati mandarono in un cortocircuito definitivo il mio cervello. Riuscivo a pensare soltanto a lei, a quanto la desiderassi, a quanto i suoi tocchi mi facessero sentire vivo. 
Chiuse le dita su un mio pettorale, graffiandomi la pelle con le unghie. 
Rabbrividii per la scarica di elettricità che si irradiò nel mio corpo da quel preciso punto. 
Ripiombai sulla sua bocca, mentre le nostre braccia si intrecciavano contemporaneamente per sbottonarci a vicenda i pantaloni. Per poco i suoi non li strappai, tant'era la foga con cui mi muovevo. 
Avevo una disperata fame di lei, e il modo in cui la stavo baciando sottolineava il concetto. Non c'era delicatezza, ma impeto, fermezza, brama, passione. Spinsi più forte la mia bocca contro la sua, intrecciando le nostre lingue con desiderio. 
Sfilai il portafoglio dalla tasca posteriore e cercai freneticamente al suo interno, fino a sentire quella dannata bustina sotto le dita. 
Non seppi neanche come feci a farmi spazio dentro di lei data la posizione scomoda in cui ci trovavamo. Ero talmente preso dal momento e dall'eccitazione da non fare caso a niente. 
La schiacciai con risolutezza contro il muro ed iniziai a spingermi in lei, emettendo gemiti contro la sua spalla e carpendo i suoi ad ogni movimento. Nel frattempo le disseminavo la pelle di baci e tremavo per ogni sua carezza. 
Era tutto così intenso da bloccarmi il respiro. Il mio corpo fremeva come una foglia e la mia mente era invasa da un unico pensiero, o per meglio dire un nome: Sarah. Sempre e soltanto lei. 
Sentire i nostri sospiri di piacere intrecciarsi era l'equivalente dei nostri corpi uniti. Potente come un'esplosione. 
E poi l'esplosione, l'apice dell'incendio, arrivò in tutta la sua irruenza, come uno tsunami. La sentii risucchiarmi le energie in un vortice dinamico, per poi rilasciarle in una deflagrazione di emozioni, sentimenti, ricordi e pensieri.
Abbandonai la testa sulla sua spalla, in attesa di recuperare fiato e riprendermi dalla forza di ciò che era appena successo. 
Mentre mi stringeva a sé, avvertii le sue gambe, chiuse intorno ai miei fianchi, tremare piano, reduci del travolgente amplesso. 
La accarezzai delicatamente sui fianchi, poi mi allungai per baciarla sulla mascella. 
Mi spuntò un sorriso senza che me ne accorgessi, subito dopo la baciai anche sulla guancia.
Era strano pensarlo, ma inevitabile. Non sapevo che cos'avrei fatto senza di lei, era la mia dipendenza più bella, quella senza controindicazioni o effetti collaterali. Non riuscivo a sopportare neanche il pensiero di poterla perdere. 
Restammo per un po' senza muoverci, avvinghiati come rami, in ascolto dei reciproci respiri. Il suo si imbatteva delicato contro la mia spalla, ne sentivo il calore pur attraverso la maglia. 
Fui io il primo a distanziarmi quel poco che serviva a farla tornare coi piedi per terra. Lasciai scivolare le mani sulla sua schiena lentamente, incapace di staccarmi del tutto da lei. E nel frattempo ispezionavo i suoi occhi ridenti fissi per terra. 
Ci sistemammo i vestiti mentre io continuavo a lanciarle occhiate indagatrici. 
Scorgere un sorriso sognante espandersi sulle sue labbra, mi fece palpitare il cuore. 
Scosse la testa in un gesto tenero. << Non posso credere di aver fatto l'amore a scuola, proprio qui, in questo sgabuzzino >> esordì guardandomi felice. Mi piaceva sentirle dire quelle parole: "fare l'amore", perché definivano perfettamente ciò che mi aveva insegnato a fare. 
I suoi occhi si accesero d'incredulità. << All'inizio dell'anno mi avevi chiusa qua dentro per dispetto, e ora... >> Rise e si passò una mano fra i capelli. << Oddio, non riesco a crederci. >> 
Sfoderai un sorriso accattivante. << Forse un secondo round potrebbe aiutarti a convincerti. >> 
Rise ancora e si sollevò sulle punte, mentre con una mano mi accarezzava il petto. << Ti ricordo che abbiamo lezione, ma un bacio potrebbe essere sufficiente a spazzare via ogni incertezza. >> 
Mi piegai su di lei. << In caso non bastasse, voglio saperlo. Sono sempre disponibile per il bis >> sussurrai proprio sulla sua bocca. Ad ogni parola sentivo le nostre labbra sfiorarsi. 
Sorrise e mi attirò a sé, dapprima per mordermi un labbro, poi le afferrai saldamente la testa e la baciai con decisione. 
La lezione era un ricordo sbiadito di cui non m'importava affatto; fosse stato per me avremmo potuto prendere un bus e trasferirci a casa mia. 
Sorrise sulla mia bocca, come se fosse stata capace di leggermi nella mente, e si distanziò per specchiare la sua ilarità nei miei occhi. << A te non sembra incredibile che mesi fa me ne stessi rinchiusa qua dentro ad odiarti e che adesso, proprio qui, io e te... >> Un leggero velo di imbarazzo le imporporò le guance. << Insomma, ci si sia amati >> disse stringendosi nelle spalle nel tentativo di camuffare il rossore. 
Mi piaceva vederla arrossire per l'imbarazzo. Si trasformava in una nanetta innocente, i suoi occhi assumevano la stessa ingenua dolcezza di un cerbiatto. 
La strinsi a me, gli angoli della bocca piegati in un sorriso malizioso. << Se me lo avessi permesso, ti avrei attaccata a quel muro esattamente come oggi >> fiatai vicino al suo orecchio. 
Udii il suo respiro fermarsi in gola. << Davvero? >> 
<< Vero. >> 
<< Ma non provavi ancora nulla per me, giusto? >> 
Le solleticai la guancia con la punta del naso. << Attrazione, tanta attrazione. Interesse, desiderio, ma niente di tutto ciò è paragonabile ad adesso. >> 
<< E perché? >> domandò astuta. 
Sorrisi divertito per poi ritrarmi e frugare nelle sue iridi vivide. Mi stava sfidando a dirle ciò che desiderava sentire. Non si sarebbe mai data per vinta. << Il giochetto non funziona >> le feci presente sollevando le sopracciglia. 
Sbuffò scherzosa e si protese a prendere la tracolla ed il giubbotto. 
Uscimmo dallo sgabuzzino con un netto ritardo per la prima lezione. Non che la cosa mi tangesse, ma sapevo quanto Sarah tenesse alla puntualità. Quando controllò l'orologio, infatti, per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite. 
<< A questo punto ci conviene entrare alla seconda >> sentenziò annuendo a se stessa. << Mancano venti minuti, proposte? >> Sollevò lo sguardo, trovando il mio che parlava da solo. 
Sgranò gli occhi turbata. << No, non se ne parla. >> 
Scoppiai a ridere della sua espressione e dello sgomento che aveva pervaso le sue iridi. Abbandonai un braccio sopra le sue spalle e l'attirai contro il mio fianco, in modo da sospingerla a camminare accanto a me. 
<< Dove stiamo andando? >> chiese sospettosa. 
Inclinai la testa e la guardai con un sorriso furbo. << In giardino, così posso fumare. >> 
Il colpo che mi rifilò nello stomaco fu a dir poco veloce e preciso, capace di farmi strozzare tra le risate. 
<< Scordatelo. Il giardino va bene, ma le sigarette te le dimentichi >> asserì risoluta. 
<< Non ho ancora fumato da stamani. >>
<< Perché insozzare l'aria proprio adesso? >> Si stampò un sorriso angelico e sospirò come una principessa dei cartoni. << Pensa alla natura, ai poveri uccellini con i polmoni neri. Non senti di dover fare qualcosa per loro? >> 
Finsi di pensarci. << No. >> 
<< Che mostro >> borbottò, i lati della bocca piegati all'ingiù. 
Scendemmo i gradini dell'ingresso proprio mentre Jessica Wright li saliva a testa alta, con fare da regina. 
La vidi scoccare un'occhiata d'astio a Sarah, per poi dirigere uno sguardo languido al sottoscritto. Non la calcolai, né risposi al suo saluto che sarebbe dovuto sembrare seducente. 
Non volevo avere più niente a che fare con lei. Per ben due volte aveva messo le mani sulla mia ragazza, oltre ad averle vomitato addosso vecchie e ridicole storie per farle sorgere dubbi su di me. Avevo le scatole piene di tutti gli impiastri che si concedevano il lusso di frapporsi nella nostra relazione. 
Scivolai a sedere su una panchina fredda marmata, successivamente dirottai l'attenzione su Sarah, che aveva tirato su le gambe e mi stava fissando, il corpo rivolto verso di me. 
La sua faccia seria mi fece dedurre che l'incontro con Jessica le aveva fatto risalire a galla ricordi e sensazioni spiacevoli. 
<< Con quante ragazze sei stato? >> sparò d'un tratto, prendendomi in contropiede. Non mi ero certo aspettato una domanda simile. 
<< Te l'ho detto, si trattava soltanto di storie da una botta e via. Niente che valga la pena ricordare. >> Scrollai le spalle e mi allungai per appoggiare i gomiti sulle ginocchia. 
Non sembrò soddisfatta della risposta. << Ma con lei era diverso, no? >> precisò con una nota stizzosa. << Non è stata una botta e via. >> 
Sbuffai e la inchiodai con un'occhiata salda. << Non era diverso. Mi dici cosa vuoi sentirti dire? Perché sembra che tu stia cercando di farti convincere su una questione irreale. >> 
Girò la testa innervosita, espandendo lo sguardo in direzione della scuola. 
Non le scollai gli occhi di dosso neanche per un istante, così dopo poco la vidi rilassare le spalle insieme ad un lungo sospiro. << Scusa, è che quando la vedo mi salta automaticamente il nervoso >> mormorò tornando su di me. << Penso di essere gelosa. >> 
<< Figurati, non lo avrei mai detto >> la canzonai, beccandomi immediatamente un debole calcio.  
Le afferrai la caviglia e la strattonai verso di me mentre un sorriso le si pennellava sulle labbra. Abbandonò le gambe sulle mie ed abbassò gli occhi sulle mie mani che si adagiavano sopra le sue ginocchia. 
<< E tu? >> mi uscì d'impulso, pur sapendo di tirarmi la zappa sui piedi. << Sei uscita con qualcuno prima di me? >> 
Anche se tempo addietro ne avevamo parlato, non avevamo mai toccato l'argomento più in profondità. Il dubbio che le fosse piaciuto qualche altro ragazzo mi infastidiva come un nugolo di vespe sotto al letto. 
<< Be', Timothy non era proprio uno con cui uscivo. Si trattava di un amico >> rispose stringendosi nelle spalle. 
Timothy. Quel nome lo odiavo. 
La incalzai con lo sguardo. << Però? >> 
Abbassò la testa per osservarsi le mani intrecciate. Il fatto che si stesse contorcendo le dita non mi faceva sperare bene, significava che era nervosa. << Per me era solo un amico, davvero, ma lui probabilmente aveva frainteso perché una sera, ad una festa, mi ha baciata. Me lo sono ritrovato addosso ancor prima di capire cosa stesse succedendo. >>
Ottimo, un'altra ventosa che faceva concorrenza a Thomson. 
<< E poi? >> aggiunsi cupo. 
<< Nulla, dopo lui è partito per il Canada. Si è trasferito là e non l'ho più sentito. >> 
Finalmente una bella notizia. Uno che si fosse tolto dai piedi. 
La scrutai di sottecchi, quasi timoroso di sapere altro. << C'è stato qualcun altro? >> 
Sorrise e si fissò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. << No, ero troppo occupata a tenerti testa. Mi prosciugavi le energie >> confessò con una luce brillante dietro gli occhi. 
Adagiai un braccio alla testata della panchina e mi stampai un sorriso arrogante. << Quindi mi pensavi continuamente. L'ho sempre saputo. >> Feci spallucce spavaldo, poi aggrottai la fronte. << Com'era quella frase di Shakespeare? >> 
<< Quale? >> 
Meditai per una decina di secondi, gli occhi stretti in fessure, finché non arrivò l'illuminazione. << Amami o odiami, entrambi sono a mio favore >> recitai distendendo le labbra in un mezzo sorriso, lo sguardo lontano. << Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore. >> Ruotai la testa per guardarla. << Se mi odi, sarò sempre nella tua mente. >> 
Le sue iridi glaciali si illuminarono di un tepore dolce, come quello emanato da un caminetto in una notte fredda. Divennero gradualmente più lucide mentre un ampio sorriso le increspava gli angoli della bocca. << Decantate in questo modo sembrano parole tue, scritte di tuo pugno quando ci siamo conosciuti >> constatò posando la guancia sul mio braccio. 
Spedii lo sguardo verso il familiare edificio della scuola, lasciando che i ricordi prendessero campo tra i pensieri. La maggior parte di quelli che mi venivano subito in mente riguardavano i momenti trascorsi a battibeccare con lei, le sensazioni che provavo quando la vedevo, la voglia sfrenata di darle sempre modo di notarmi. << Potrei averle fatte mie tanto tempo fa >> bisbigliai con un sorriso distante. 
Sentii le labbra di Sarah premere contro il dorso della mano, così ripiombai con gli occhi su di lei. I nostri sguardi s'intrecciarono, si legarono con una potenza nuova. 
Mi parve di ascoltare più parole in quel momento di quante ne avessi mai udite in tutta la mia vita. Possedevano un suono delicato, ma non sdolcinato, come quello delle confessioni spirate a fior di labbra, delle promesse sussurrate sottovoce. 
<< Sarah! >> Quell'urlo irruppe prepotentemente nella mia testa, irritandomi. 
Il fato avverso m'impediva di godere di un momento tranquillo con la mia ragazza. Prima Thomson, poi Jessica e ora... mi voltai a guardare pigramente chi cavolo mi rompesse le scatole. Clarice, seguita da Kevin. 
<< Perché non siete in aula? >> chiese Sarah appena si furono avvicinati. 
Clarice sbuffò ed agitò le mani verso Kevin, indicandolo. << Ci ha fatti sbattere fuori >> brontolò fulminandolo. << Il signorino ha cercato di strapparmi di mano una penna mentre il professore era rivolto alla lavagna. Ho cercato di non dargliela vinta, finché quella maledetta penna non mi è schizzata via dalle mani e per poco non ha infilzato il prof sulla schiena. >> 
<< Non hai una presa salda >> commentò Kev, scrollando le spalle. 
La sua ragazza lo trafisse con un'occhiata assassina. << Guarda, ti conviene stare zitto. >> 
<< Muto, capito? >> lo sbeffeggiai colpendolo con la scarpa. 
Lui rispose con un cenno del capo ed un sorriso astuto. << E voi perché non eravate dentro? >> 
Mi spuntò subito un sorrisetto malizioso al ricordo di cosa fosse successo poco prima. Kevin lo carpì immediatamente, rivolgendomi un'occhiata allusiva che la diceva lunga. 
<< Non sono affari tuoi >> intervenne Sarah, mostrandogli un sorriso finto. 
<< Come se non fosse abbastanza palese >> la schernì lui. 
<< Tanto quanto il fatto che tu abbia un pallino fisso >> rimbeccò lei, trucidandolo con lo sguardo. 
<< Ok, tu zitto >> comandò Clarice, bloccando sul nascere la risposta di Kevin. << E Sarah, ti devo parlare, ho novità. >>
La mia ragazza smontò frettolosamente dalla panchina per seguire l'amica più lontano, in modo da poter avere una conversazione privata. 
La accompagnai con lo sguardo fino a quando non si fermarono in prossimità di un albero. 
Kevin, intanto, aveva occupato il suo posto e stava sospirando. << Ho saputo di Brad >> annunciò con il capo reclinato all'indietro. << È stato un idiota, non ha pensato minimamente a lei >> aggiunse indicando Sarah col mento. 
<< Già >> dissi soltanto, contraendo la mascella. Ritornare sull'argomento mi innervosiva, soprattutto al ricordo degli occhi erroneamente colpevoli di Sarah e delle sue lacrime. 
Kevin fu abbastanza sveglio da capirlo e cambiare discorso. << Quindi ci avete dato dentro, eh? >> buttò là, gli occhi scuri pervasi da una luce provocatoria. 
Schioccai la lingua al palato, rilassando i muscoli, e sorrisi. << Se ti raccontassi i particolari, Sarah poi mi ucciderebbe. E prima dovrei uccidere te. >> 
Era uno stupido gioco che avevamo sempre fatto. Quando uno dei due andava a letto con una tipa, doveva dare un voto alla prestazione e, più in generale, alla ragazza. Nell'eventualità di un voto alto, chi dei due non era andato a letto con quella ragazza, doveva provarci e dare un giudizio a sua volta. A quel punto ci scambiavamo commenti e battutine canzonatorie. 
<< Afferrato. >> Mise le mani avanti e sghignazzò, poi gettò i gomiti sulla testata della panchina e si strinse nelle spalle. << Be', almeno tu avresti da raccontare qualcosa. Io i particolari non potrei che inventarli >> ammise con un'alzata di spalle. 
In un batter d'occhio aveva catturato tutta la mia attenzione. << Non lo avete ancora fatto? >> chiesi con gli occhi dilatati dallo stupore. 
Mi veniva da ridere, specialmente se consideravo la sua faccia da cane bastonato. 
<< Ci credi? >> Alzò un sopracciglio. << Non so chi mi stia dando la forza di non impazzire. >> Corrugò la fronte pensieroso. << Dev'essere per questo che mi sono buttato sui dolci, prima li odiavo. >>
<< Ma che diavolo fate quando siete soli in casa? >> 
Mi fissò inespressivo. << Io mangio. >> 
Esplosi a ridere saltando sul posto come se avessi avuto un petardo nel sedere. Quella era la storia più divertente che avessi mai ascoltato. 
<< Ogni volta spero che mi chieda di salire in camera sua, e invece mi ritrovo a sedere sul divano con un piatto di torta al limone in mano >> proseguì con un sospiro. << Alla fine diventerò grasso come un lottatore di sumo e non mi vorrà più. Quanto scommetti che finirà così? >> 
<< Cristo Santo >> annaspai tra le risate. Mi doleva la pancia e le lacrime mi stavano colando sul viso. 
<< Sì, forse dovrei pregare di più e chiedere con maggiore insistenza che Clar decida di concedersi. Mi sembra d'impazzire. Ormai mi basta pensare a lei per sentire i pantaloni stretti. >> 
Stavo per collassare dal ridere. Kevin era sempre stato attivo nella sua vita sessuale, dopotutto nel nostro gruppo le ragazze non erano mai mancate. Quando ne avevamo voglia, lo facevamo. Immaginarlo nella castità più assoluta era spassoso. 
<< Tu ridi, ma hai idea di come io mi svegli la mattina? >> proseguì sollevando le sopracciglia. << Sudato, con l'asta sul chi va là, la mente appannata ed un cuscino tra le gambe. Ecco, questi sono gli unici particolari che posso raccontare. >> Sbatté le mani sulle ginocchia e liberò un profondo sospiro. << Aiutami, sto impazzendo. >> 
<< Non sei il mio tipo. >> 
Mi scoccò un'occhiataccia. << Cretino, non intendevo quello. Devi assolutamente pregare insieme a me, magari se lo facciamo in due funziona. >> 
<< Certo, passerò ad accendere un cero >> lo presi in giro. << Da quanti mesi è che non...? >> 
<< Non me lo ricordare, ti prego. È già doloroso così >> affermò mettendo una mano avanti. << La desidero talmente tanto da sognarmi quel momento ogni notte. Quando alla fine succederà, sverrò dall'emozione e manderò tutto a farsi benedire. >> Mi guardò con una luce di sfida. << Sono aperte le scommesse anche su questa ipotesi. >> 
Gli diedi una pacca incoraggiante sulla spalla e lo fissai dritto negli occhi, cercando di rimanere serio. << Ricorda, l'attesa del piacere è essa stessa il piace... >> Proruppi in una nuova risata sull'ultima parola. Non ce la facevo, la voglia di prenderlo in giro era troppa. Era impossibile non ridere. 
Mi rifilò una spinta bonaria, unendosi alla mia risata. << Ma va' a quel paese. >>





                                                                    *  *  *





POV Sarah










Alla fine delle lezioni m'incontrai con David nel laboratorio di biologia nel seminterrato. 
Era un luogo schifosamente umido, con gore d'acqua sul soffitto e spifferi gelati da ogni imposta. Però era tranquillo, nessuno si sarebbe sognato di andare lì sotto. 
Dovevo assolutamente rivelargli ciò che mi aveva riferito Clar, o sarei impazzita. 
Da una parte il mio cervello non faceva che rivangare l'episodio nello sgabuzzino, generando una voliera di farfalle nel mio stomaco, dall'altra ero presa dalle notizie su Cam. 
Durante la pausa pranzo non gli avevo detto nulla, non me l'ero sentita di appesantire l'atmosfera. Per tutto il tempo aveva riso, o meglio, era scoppiato a ridere ogni qual volta aveva posato gli occhi su Kevin. Il motivo mi era ancora oscuro. 
Dal suo canto, Kevin gli aveva rifilato vari calci sotto al tavolo, beccando pure me. Se il mio umore fosse stato diverso, non ci avrei pensato due volte a scatenare una rissa con quei due babbuini.
<< Dunque... >> iniziai a dire, intrecciando le dita. << Clar mi ha detto di aver sentito suo padre parlare al telefono la scorsa notte. Lo hanno chiamato verso l'una, dopodiché si è vestito ed è uscito di volata. >> 
David incrociò le braccia sul petto, attento alla conversazione. << Che cos'ha sentito? E chi lo ha chiamato? >>
<< Ha afferrato soltanto dei bisbigli, ma le parole erano piuttosto chiare. Ha chiesto in che modo era stata scassinata la porta, poi se tutto era al suo posto e se lui aveva riportato danni. Non sappiamo chi sia questo lui, potrebbe essere chiunque. >> 
<< Non proprio chiunque >> considerò serio. << Dev'essere qualcuno d'importante, o forse qualcuno utile a qualche scopo. >> 
<< Ma non è tutto >> rincarai. << Quando ha domandato della porta, ha detto che era la seconda volta che si ripeteva quella scena. E poi ha sibilato qualcosa riguardo ad un gruppo di ragazzacci. >> Mi umettai le labbra, tesa come una corda. << Ha chiesto se avevano preso qualcuno, dopo poco ha esultato, perciò abbiamo dedotto che almeno uno di quei ragazzi sia stato arrestato. >> 
L'espressione di David si fece granitica per quanto era seria. << Cameron è uscito la scorsa notte? >> 
Scossi il capo. << Per fortuna no. >> 
<< Chi erano quelli che hanno chiamato il padre di Clarice? >> 
Strinsi le dita fino a sentire male. << Le forze dell'ordine. I caschi neri. >> 
I caschi neri era il modo in cui, dalle nostre parti, chiamavamo i manganellatori, i quali intervenivano soltanto in casi di rivolta gravosa o grossi disordini. 
A quel punto David si passò una mano fra i capelli e fece cadere lo sguardo per terra. Stava riflettendo, lo capivo dalla concentrazione con cui aveva assorbito ogni informazione. 
Mi appoggiai ad un banco e chiusi il ponte del naso fra le dita per meditare. << Stando a quanto ha detto il padre di Clar, era la seconda volta che avevano a che fare con quel gruppo di ragazzi. Quindi è altamente probabile che la prima volta, in mezzo a loro, ci fosse anche Cam e che si sia ritrovato faccia a faccia con un casco ne... >> Un flash mi trapassò la mente. Sgranai gli occhi e lasciai ricadere la mano lungo il fianco. << Il braccio >> mormorai persa nel ricordo. 
<< Quale braccio? >> 
Alzai la testa con un colpo secco. << Cam aveva un livido enorme su tutto l'avambraccio poco tempo fa. Era violaceo, sembrava di vedere le vene da quant'era gonfio, e quando me ne sono accorta abbiamo litigato. Non mi voleva dire dove e come se l'era procurato. >> Deglutii inquieta. << Tu credi... >> 
<< Che sia stato un manganello? >> continuò lui per me. << Sì, piuttosto sicuro. Anche se fosse caduto dalle scale o avesse sbattuto ad uno spigolo non avrebbe mai potuto ridursi l'avambraccio in quelle condizioni. Deve per forza aver ricevuto un colpo violento. >> Si scompigliò i capelli e sbuffò sonoramente. << In che diavolo di situazione si è cacciato? >> 
Mi faceva venire i brividi pensare che Cam fosse stato picchiato con un manganello. Mi sentivo avvampare di rabbia nei confronti dell'essere che si era permesso di fargli del male. 
Chiusi gli occhi, svuotai i polmoni e mi appoggiai due dita fredde sulle tempie. Mi pareva di avere uno sciame d'api nella testa. << Grazie al cielo l'altra notte era a casa, sarebbe potuta finire ancora peggio. >> E a me sarebbe potuto venire un infarto. 
Sentii una mano di David infilarsi tra i miei capelli sulla nuca, poi attirarmi a sé. Lasciai andare la fronte sul suo petto e gli circondai mollemente i fianchi. 
<< È probabile che si sia distaccato dal gruppo, altrimenti sarebbe stato con loro >> ipotizzò ad un tono basso. 
<< Spero sia così >> espirai in un soffio. << Comunque, al momento giusto, ho intenzione di fargli sputare definitivamente la verità >> dichiarai decisa, sollevando gli occhi nei suoi caldi. << Sono stufa di non sapere cosa combina mio fratello. Adesso ne ho fin sopra i capelli. >> 
Sorrise. << È una dichiarazione di guerra? >>
Ci pensai su. Stavolta non avrei gettato la spugna neanche se Cam mi avesse urlato contro o lanciato le scarpe dietro. La questione aveva assunto delle pieghe troppo pericolose perché lasciassi stare. 
Annuii risoluta. << Ha tutta l'aria di esserlo. >> 






                                                                   *  *  * 





Percorremmo il corridoio quasi vuoto fianco a fianco. Alcuni studenti si era intrattenuti come noi per chiacchierare vicino agli armadietti, altri stavano effettuando l'inventario dei libri da portare a casa. 
Mi guardai attorno, permettendo che il flusso dei pensieri si dirigesse per la millesima volta allo sgabuzzino nell'altro corridoio. Le guance mi si riscaldarono subito. 
Quello che era successo tra me e David era stato forte, istintivo ed ingestibile. Mi era passato per la testa solo per un momento il fatto che fossimo entro le mura scolastiche. Poi non avevo avuto tempo per concentrarmi su altro che non fosse il mio ragazzo. 
<< Ma quello non è tuo fratello? >> 
Alzai di scatto gli occhi su David. Probabilmente avevo sentito male. << Che cosa? >>
Lui corrugò la fronte mentre scendevamo gli scalini sull'esterno e si focalizzò su un punto preciso. << È tuo fratello >> ripeté più sicuro, indicandolo con un cenno. 
Seguii quel gesto e mi ritrovai con gli occhi piantati su Cam, che se ne stava piazzato nel giardino ad osservare attentamente chiunque passasse. 
<< Ma che sta facendo? >> domandai perplessa. Non riuscivo ad immaginare un solo motivo per il quale si trovasse lì. Che fosse venuto a prendermi? A quale scopo? Ormai lui e David si conoscevano. 
Ci avvicinammo dubbiosi, nella mia testa si agitavano mille astruse ipotesi contemporaneamente. Quando ci vide ci rivolse soltanto un misera occhiata, come se non gli interessassimo. In un primo momento pensai che fosse impazzito, poi capii. 
I suoi occhi di falco catturarono la figura di un ragazzo alto, dai capelli biondi e le spalle larghe che camminava lungo il sentiero vicino. 
Appena lo vidi dirigersi a passo sicuro verso Thomson, per poco non mi strozzai con la saliva. << David, dobbiamo fermarlo >> rantolai agitata, guardando prima lui poi Cam. 
Quel babbuino del mio ragazzo incrociò le braccia sul petto e si stampò un sorrisetto sghembo. << Non ci penso nemmeno, voglio godermi la scena. >> 
<< Ma sei impazzito? >> sbottai con gli occhi di fuori. << E se... >>
<< Sei tu Bradly Thomson, giusto? >> Le mie parole morirono nell'istante in cui sentii quelle di Cam. 
Mi apprestai a raggiungerlo subito con lo sguardo. Bradly aveva appena corrugato la fronte con sospetto. << Sì, e tu saresti? >> 
Mio fratello sorrise falsamente bonario. Notai che lo superava di una spanna in altezza e che le sue spalle erano più ampie. << Allora ricordavo bene. >> Batté le mani come per complimentarsi con se stesso ed infine scosse la testa con finto dispiacere. << Vedi, io sono un fratello con poca pazienza. Molta poca >> affermò iniziando a rimboccarsi le maniche con nonchalance. 
Oh santo Signore benedetto. Perché nessuno interveniva? 
Afferrai David per un braccio e lo strattonai. << Fa' qualcosa, perdinci >> sibilai istericamente. 
<< La sto già facendo. Guardo >> rispose divertito. 
<< Fratello? >> chiese ancora più confuso Thomson. 
Cam annuì con un sospiro teatrale, poi gli scoccò un'occhiata micidiale. << Ti dice niente il cognome Anderson? >> 
Gli occhi di Bradly si spalancarono consapevoli. << Oh. >> 
<< Già, molto poco astuto da parte tua importunare mia sorella. E come ti ho già detto, io ho poca pazienza con i tipi come te. >> Un attimo dopo il viso di Thomson si rovesciò di lato. Cam lo aveva colpito sullo zigomo. 
Mi tappai la bocca con una mano e sussultai. 
Bradly indurì la mascella e si ricompose in fretta, tornando a conficcare lo sguardo su mio fratello. Adesso entrambi si stavano osservando in cagnesco. 
<< Consideralo un avvertimento >> ringhiò Cam, il tono ferreo. 
<< Ho già detto che mi dispiace. >>
<< Non l'hai detto a voce abbastanza alta, da casa non ti ho sentito >> lo sfotté con un sorriso impertinente. Gli diede una pacca sulla spalla e lo guardò dritto negli occhi. << La prossima volta pensaci due volte prima di trasformarti in Mister Labbra Di Fuoco, non vorrei rovinare questo bel visino >> concluse rifilandogli un leggero schiaffo sulla guancia. 
Sentii David accanto a me sghignazzare, lo fulminai per poi alzare gli occhi al cielo. Cam si era appena conquistato un ammiratore. 
Successivamente tornai a puntare mio fratello, il quale procedeva tranquillo verso di noi. Sembrava che fosse appena stato a fare due chiacchiere in amicizia. 
<< Ma sei ammattito? >> lo sgridai gesticolando. << Se mamma sapesse che hai tirato un cazzotto a qualcuno, te ne canterebbe talmente tante da farti cadere le orecchie. >> 
<< Ci stai già pensando te >> notò fin troppo spensierato. 
<< Uso il cervello che tu non hai >> brontolai additandolo. << Ti senti meglio adesso, bulletto? Che cos... >> 
<< In tutta sincerità, sì >> ammise stringendosi nelle spalle. << Molto più leggero. >>
<< Una nuvola >> intervenne David, divertito. 
Cam lo guardò con gli occhi dilatati per lo stupore. << Esatto, proprio una nuvola. Hai azzeccato il termine. >> 
Fissai male prima uno e poi l'altro, incrementando sempre di più la velocità. << Basta, siete due scemi. Addio. >> M'impettii come un pavone e, a testa alta, li superai. Mi avrebbero condotta alla follia, era come parlare con dei muri. 
Sentendo quei due mononeuronali ridere, però, mi scappò un sorriso. Fu più forte di me. Così rallentai l'andatura e ruotai la testa per guardarli. 
Il cuore cominciò a battermi forte nel notare che David mi stava già osservando, il mio stesso sorriso sulle labbra. E poi Cam, gli occhi illuminati dal divertimento e gli angoli della bocca increspati furbescamente. << Non ci imboschiamo a pomiciare da nessuna parte, opossum. Vai tranquilla >> mi rassicurò alzando il pollice. 
Scoppiai a ridere e proseguii a camminare, sapendo che li avrei sempre avuti dietro. Per tutto il tragitto. 



















Angolo dell'autrice:

Holaaaaa! Scusate per l'immenso ritardo con cui vi ho pubblicato questo capitolo >\\<  
Me ne vergogno profondamente. 
In compenso spero che vi abbia tenuto compagnia e vi abbia strappato un sorriso. :) 
Solo dopo aver messo il punto all'ultima frase mi sono resa conto che in questo capitolo sono presenti proprio tutti ahahah. 
Ah, e mi auguro che il POV David vi sia piaciuto! Non avevo programmato di scriverlo, ma poi è scivolato fuori dalle mie dita e non ho potuto trattenerlo. 
Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, o forse prima, tipo mercoledì ;) 
Vi mando un bacione gigante e tanti abbracci! <3
GRAZIE DELLA PAZIENZA! <3




Federica~




 

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Capitolo 25
*** Vittoria ***



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Vittoria 

















Era giunto il sabato. Finalmente. 
Nei giorni precedenti avevo avuto modo di parlare con David e Clar della "questione Cam". Ero arrivata ad un'unica ovvia conclusione: forzarlo a sputare il rospo. 
Si stava rivelando inutile indagare ed osservarlo come una cavia da laboratorio. 
Anche se nell'ultimo periodo mi era apparso più tranquillo, sapevo, dalla luce inquieta che ogni tanto gli offuscava lo sguardo, che qualcosa continuava a turbarlo. 
Da un lato avrei voluto sbattergli in faccia la foto che gli avevo fatto al casolare e obbligarlo a cacciare fuori la verità, ma la parte più preponderante in me desiderava spronarlo a parlare con dolcezza. Non volevo rivedere la sua espressione da animale in gabbia. 
Per quanto riguardava il fronte Bradly, non c'erano stati più contatti. 
Spesso lo avevo beccato a guardarmi, in quei momenti s'impettiva e la sua espressione mutava in una speranzosa, come se stesse cercando di richiamare la mia attenzione per parlarmi. Ma non appena entrava David in scena, lui stringeva la mascella e deviava lo sguardo con fastidio. 
Non mi piaceva per niente quella situazione, ma soprattutto non mi andava giù il fatto che lui avesse per giunta ricevuto un pugno da mio fratello. 
Nei giorni precedenti avevo detestato Thomson, lo avrei preso a calci, ma un conto era pensarlo in una fantasia dettata dalla rabbia momentanea, un conto era vedere il suo viso ruotare per la violenza di un pugno. 
Dopo quel giorno, Bradly era rimasto solo. 
Kevin gli rivolgeva la parola di rado perché, da quel che ero riuscita ad evincere, Brad gli aveva chiesto di scegliere tra lui e David. Al che Kevin gli aveva risposto che non avrebbe mai fatto quel tipo di scelta, e così lui lo aveva cortesemente invitato a levarsi dalle scatole. 
Era una situazione stressante, soprattutto considerata la causa scatenante: io. 
Lunedì avrei parlato con Bradly ed avrei cercato di chiarire quell'immane faccenda senza senso. Dubitavo che le cose sarebbero tornate al loro posto, ma almeno si sarebbe attenuata quella costante e pesante tensione. 
<< Sarah, alzati >> sentii gridare dal corridoio. Poi dei pugni contro la porta. << E sbrigati, dobbiamo andare a correre. Hai dieci minuti per lavarti, cinque per fare colazione e due per vestirti a partire da... ora. >> Ancora assonnata, udii il bip di un cronometro che veniva avviato. 
Tirai su la testa dal cuscino, gli occhi mezzi chiusi ed i capelli in faccia. << Mi stai cronometrando? >> 
<< Sì, ed ogni minuto in più equivarrà a dieci metri in più di corsa. Fossi in te mi darei una mossa. Be', sempre che tu ci tenga a non camminare con un deambulatore domani. Ah, dimenticavo, buongiorno sorellina >> terminò Cam beffardo. 
Ero talmente intontita da quell'improvviso carico di notizie da non capirci niente. 
Rimasi immobile ad osservare la porta come se da un momento all'altro potesse spuntare un lillipuziano che mi avrebbe degnato di una spiegazione. E poi connettei il cervello. 
Stavo perdendo tempo, e non volevo certo rischiare di non muovere un passo il giorno seguente. Saltai giù dal letto facendo rovesciare il cuscino per terra. 
Lo raccattai e lo gettai di volata sul materasso, udendo subito dopo un mugolio di protesta. 
Mi resi conto con un secondo di ritardo che avevo lanciato il cuscino in faccia a David. 
Sorrisi nel vederlo passarsi una mano fra i capelli scomposti e sbadigliare sonoramente. Poi i suoi occhi offuscati dal sonno raggiunsero i miei. Mi squadrò da capo a piedi, sollevandosi addirittura sui gomiti, per poi sfoderare un sorrisetto poco rassicurante. 
<< Però, Anderson >> iniziò a dire con tono roco e divertito. << Scegli solo pigiami sexy. >> 
Spalancai gli occhi, sentendo le guance prendere colore, ed esaminai la maglia felpata che indossavo. Delle graziose paperelle che facevano il bagnetto nello stagno ricambiarono il mio sguardo. Dai pantaloni, invece, mi osservavano una fitta sequenza di ranocchie verdi con tanto di sorriso e fiocco rosa in testa. 
Mi schiarii la voce e richiamai all'appello tutto il mio coraggio per guardare David negli occhi. << Le coppie normali la mattina si danno il buongiorno >> gli feci presente, mostrandomi stizzita. << E comunque questo pigiama lo avevo anche ieri sera quando sei salito. >> 
Il suo sorrisetto non si scalfì. << Meno male che era quasi buio e non ci ho fatto caso. >> 
Ancorai le mani sui fianchi e lo fulminai con un'occhiata di sfida. << Oh, e sentiamo, che avresti fatto altrimenti? >> 
<< Te lo avrei tolto >> gettò fuori con sicurezza, mandando in ebollizione il mio sangue. 
Ressi il suo sguardo divertito e accattivante per circa cinque secondi, poi lo distolsi con le guance in fiamme. << Idiota >> borbottai raggiungendo l'armadio. 
Lo sentii rigettarsi sul letto e sghignazzare sommessamente. Al che afferrai un paio di calzettoni di lana e glieli lanciai con l'intento di colpirlo in faccia. Ovviamente, grazie alla mia infallibile mira, beccai solo la coperta. 
Se non altro si accorse che gli avevo tirato qualcosa. Afferrò i calzettoni e li esaminò in ogni particolare. << Uhm >> mugugnò inarcando le sopracciglia con un sorriso a stento trattenuto. << Qui si va sulla lingerie eccitante. >> 
La mascella per poco non mi cadde a terra. Acciuffai un altro paio di calzettoni dall'armadio e glieli scagliai contro mentre mi rimboccavo le maniche per picchiarlo. 
Una volta tanto la mia mira fasulla si rivelò utile. Lo presi sulla faccia pur volendo colpire il petto. 
Se li tolse dal viso e li sventolò divertito. << Wow, altri calzettoni sexy. Non vorrai farmi eccitare troppo? >> 
Mi lanciai su di lui come una paracadutista. Udii il suo fiato spezzarsi e riprendere subito dopo a sghignazzare. 
Gli mollai uno schiaffetto sui capelli e sorrisi mentre bloccavo le ginocchia accanto ai suoi fianchi. Poi mi sporsi per recuperare i miei pesanti calzini dalle sue mani. << Ridammeli >> mi lamentai ridendo, mentre lui li allontanava. 
<< No. >> 
Abbassai la testa per incrociare il suo sguardo. Il mio cuore vibrò d'emozione alla vista del sorriso che gli accendeva le iridi dorate. Sembrava che stesse vivendo uno dei momenti più belli e felici della sua vita. 
<< Ogni ostaggio ha bisogno di un riscatto per essere liberato >> dichiarò tirandomi a sé per la maglia. 
Osservai la sua bocca più vicina e mi morsi un labbro. << Che genere di riscatto? >> 
Sollevò il mento ed inclinò il capo di lato. Il suo tiepido respiro mi accarezzò uno zigomo, per poi essere sostituito con la punta del naso. 
Socchiusi gli occhi e mi lasciai avvolgere dalle piacevoli sensazioni scaturite da quei gesti delicati. 
Mi baciò piano un angolo della bocca, regalandomi una scia di fremiti. E poi le sue labbra si appoggiarono sulle mie, il mio cuore sussultò come se fosse stato attaccato alla corrente. 
Mentre sentivo il cervello scollegarsi e spiccare il volo, scivolai con le mani sino alle sue braccia. Ne levigai la pelle con carezze piene ed altre solo abbozzate con le unghie. Risalii ancora, fino ad una guancia, per poi abbandonare le dita tra i suoi capelli e stringerli senza tirare. Ed intanto che le nostre mani si cercavano come calamite, avvertii la sua lingua stuzzicarmi il labbro inferiore ed insinuarsi nella mia bocca. 
Allungai le gambe e lasciai che il mio corpo si plasmasse sul suo mentre introduceva una mano al di sotto del pigiama e cominciava a vezzeggiare la mia pelle sulla schiena. 
Improvvisamente sentii picchiare un pugno contro la porta. Scattai per lo spavento e mi distanziai da David, incastrando gli occhi sulla porta. 
<< Non ti sarai mica riaddormentata? >> vociò mio fratello. << Sveglia, opossum, non è il momento di cadere in letargo. >> 
In quel momento il letargo era l'ultima cosa che il mio corpo sentiva. Ero ancora accaldata per il bacio del mio ragazzo, i neuroni in coma. 
<< No. >> Mi schiarii la voce per risultare convincente. Intanto la mano di David si muoveva piano lungo la mia schiena, percepivo il suo sguardo divertito puntato addosso. << Sono sveglia, cinque minuti e arrivo. >> 
<< Te ne restano solo tre prima che scatti la penalità. >> 
Alzai gli occhi al cielo. << D'accordo, tre siano. >> 
<< Non ce la farai mai, perciò preparati a correre come una dannata >> asserì lui compiaciuto. 
Un attimo dopo captai i suoi passi allontanarsi e scendere le scale. 
I miei occhi saettarono a quelli illuminati di puro spasso di David. << È colpa tua se sono in ritardo >> lo accusai rotolando fuori dal letto. << Cam mi farà a pezzi >> mugolai preoccupata mentre rovistavo nell'armadio. 
<< Non è colpa mia >> si difese tranquillo. << Ma del tuo pigiama che ha attirato la mia attenzione. >> 
Gli scoccai un'occhiata omicida. << Che cos'hai contro i miei pigiami? Sono morbidi, caldi e comodi. Semplicemente perfetti. >> 
Incastrò le braccia dietro la testa e mi rivolse il suo familiare sorriso provocatorio. << Penso che dovresti dormire con meno roba addosso, ti terrei io al caldo. >> 
Le guance mi presero fuoco al solo pensiero di come avrebbe mantenuto fede a quelle parole. Cercai di concentrarmi sul contenuto dell'armadio e di nascondere il mio rossore. 
<< Puoi rimanere qui quanto vuoi >> dissi, lanciando sul letto un paio di pantaloni grigi da ginnastica. << I miei sono a lavoro fino al pomeriggio, quindi fai pure colazione mentre Cam sarà là fuori ad uccidermi. >>
Estrassi anche una maglietta a mezze maniche nera ed una felpa verde fango da mettere sopra. 
Cominciai a svestirmi con gli occhi di David incollati addosso. 
Lo vidi mettersi comodo ed osservarmi con un sorriso compiaciuto mentre sfilavo i pantaloni del pigiama. 
Ridacchiai e glieli lanciai contro. << Ma la smetti di fissarmi? >> 
<< Proprio ora? No, grazie. >> Schioccò la lingua al palato ed esaminò ogni centimetro delle mie gambe. 
Alzai gli occhi al cielo e sospirai divertita. << Che facciamo oggi? >> chiesi togliendo la maglia. 
Allacciai il reggiseno sopra la canottiera e poi lo feci scivolare sotto. Gettai da un lato anche la canottiera e mi apprestai ad indossare i pantaloni della tuta. 
Notando che il mio ragazzo non mi aveva ancora risposto, mi voltai a guardarlo. << David? >> 
I suoi occhi erano persi su di me, come se stessero ammirando qualcosa di estremamente bello e non riuscissero a staccarsi. Il fatto che avesse persino perduto il suo contraddistintivo sorriso era un indizio aggiunto di quanto fosse concentrato. 
Notare tutto ciò mi fece battere più forte il cuore. 
<< David? >> lo richiamai piano. 
Prima sollevò le sopracciglia, poi lo sguardo. << Mm? >> 
Sorrisi. << Che facciamo nel pomeriggio? >> 
Si passò una mano tra i capelli e li scompigliò con fare riflessivo. << Mia mamma lavora, quindi dovremo tenere Dwight. Ti va bene? >> chiese osservandomi tra i ciuffi ricaduti sulla fronte. 
Calai la maglietta sui fianchi ed annuii con vigore. << Certo che mi va bene. Mi piace passare del tempo con Dwight. >> Ed era assolutamente vero. Adoravo quel piccolo David in miniatura. Era il bambino più bello e dolce che avessi mai conosciuto. Avrei soltanto voluto sentirlo parlare, mi sarei accontentata anche di una parola. 
Quando eravamo ai gonfiabili avevo avuto la fortuna di ascoltare la sua risata gioviale e allegra, ma fino all'ultimo avevo sperato di sentirgli pronunciare qualcosa. Anche se quella giornata non era stata coronata con quella ciliegina sulla torta, ero stata ricompensata dall'enorme sorriso che aveva avuto per tutto il tempo. 
Scorsi spuntare un sorriso sulla bocca di David mentre mi guardava. << Idee? >> 
Ci pensai per qualche istante, lo sguardo incastrato sul pavimento. << Potremmo... andare in un giardino. >> Alzai il capo con gli occhi accesi di entusiasmo. << Anzi, potremmo ritornare alla pista di pattinaggio e poi fare un giro tra le bancarelle intorno. Sarà pieno di lucine e di cose carine da vedere. A Dwight piacerà da morire. >> Battei le mani eccitata. Immaginavo già un pomeriggio all'insegna del divertimento e della serenità, non mi sarei fatta scoraggiare dalla smorfia di David. 
<< Non m'interessa se non vuoi pattinare >> asserii risoluta. 
<< Quindi posso evitarlo? >> 
<< Ovvio che no. Tu pattinerai con me e Dwight, fine della storia. >> Gli rivolsi un sorriso angelico e lo raggiunsi per stampargli un bacio sulla bocca. << Ci vediamo alle tre e mezza davanti alla scuola? >> 
Annuì mesto e m'indicò l'armadio con un cenno del capo. << Prenditi un cappello, fa freddo fuori. >> 
Sorrisi ed ubbidii, poi corsi alla porta e lo salutai con la mano prima di chiuderla. 





                                                                    *  *  * 





A Cam andava riconosciuto un pregio. Era di parola, quando prometteva qualcosa non se la rimangiava mai. 
In quel momento stavo odiando con tutta me stessa quel suo pregio. 
Mi stava uccidendo, metro dopo metro, per ogni minuto che avevo ritardato. 
Nonostante avessimo già corso due chilometri, il suo sadico istinto non si era placato. Non avevo neanche più fiato per offenderlo, mi sentivo i polmoni gelati dall'aria invernale. 
Ero sempre più convinta che stesse cercando di sbarazzarsi di me. Probabilmente si era reso conto che preferiva la compagnia di un cane rispetto a quella di una sorella. E quindi eccomi lì, insieme ai miei ultimi respiri. 
<< Non è che... una pausa >> rantolai senza forze. 
Ero arrivata al punto in cui le gambe non rispondevano più agli impulsi del cervello. Muoverle era una tortura, pari a trascinarsi dietro dei macigni. 
Cam mi rivolse un sorrisetto sfrontato. << Sei messa così male? >> 
<< Sto morendo >> buttai fuori, mentre la mia andatura acquistava le sembianze di quella di un gorilla. << Fermiamoci. >> 
La mia ultima volontà fu rispettata. Arrancai fino ad una panchina e mi gettai a sedere, sentendo dolore persino a piegare le ginocchia. 
Cam mi porse una bottiglietta d'acqua che scolai avidamente malgrado fosse ghiaccia. 
Non sapevo come sarei riuscita a tornare a casa. Probabilmente mi sarei accampata lì. 
<< Sembra che tu abbia scalato una montagna. Che esagerata che sei >> mi pungolò facendo scontrare il suo ginocchio col mio. 
Lo linciai con un'occhiata. << Non sono abituata a correre senza sosta. Non siamo tutti bestioni da combattimento. >> 
<< Perciò io sarei un bestione da combattimento? >> chiese stranito. Mi stava guardando come se fossi stata un caso perso da prendere in giro. 
Allontanai il discorso con un gesto della mano ed una smorfia. Non avevo riacquistato abbastanza fiato da poter rispondere a tutte le sue frecciatine canzonatorie. Per quelle urgevo di due bombole dell'ossigeno.
<< Che fai nel pomeriggio? >> mi domandò dopo poco. Si stravaccò sulla panchina e rivolse l'attenzione su di me. 
<< Esco con David e il suo fratellino. Faremo un giro alla pista di pattinaggio >> spiegai stringendomi nelle spalle con un piccolo sorriso. 
I suoi occhi si spostarono per terra. << Mm, carino. >> 
<< E tu? >> 
Nella mia mente si erano accese varie lucine ad intermittenza che mi esortavano a continuare su quella strada coi piedi di piombo. Ero intenzionata ad indirizzare la nostra conversazione sul terreno più impervio di tutti. Ma se volevo ottenere una qualche risposta dovevo procedere con calma e con toni leggeri. 
Mi sembrava di stare in bilico su un cavo da equilibrista, un passo falso e non ci avrei cavato le gambe. 
<< Uscita tra amici, niente di che >> dichiarò scalciando del terriccio. 
Mi presi qualche secondo per riflettere sulla successiva domanda. << Quali amici? >> 
Alzò rapidamente la testa e mi osservò guardingo. << I soliti, no? >> 
Dissimulai facendo spallucce. << Che ne so? Potresti aver fatto nuove amicizie. Non ci sarebbe nulla di male, no? >> buttai là con disinvoltura, sebbene il mio sguardo lo tenesse sotto tiro come una preda. 
Non mi volevo lasciar sfuggire neppure un particolare. 
<< No, infatti >> disse cauto, continuando a scrutarmi. << Non dovrebbe esserci nulla di male. >> 
Quella scelta verbale, forse inconscia, mi fece rizzare le orecchie come un cane da caccia. << Perché dici "non dovrebbe"? >> Strinsi gli occhi. << Sembra che tu stia dicendo che, di norma, fare nuove amicizie non è un male, ma che in alcuni casi, invece, si rivela esserlo. >> 
<< Ragioni troppo >> mi beffeggiò con un sorrisino tirato. 
<< È quello che hai implicitamente detto. >> 
<< Può darsi, ma è un dato di fatto >> asserì incrociando le braccia sul petto. << A volte si fanno amicizie sbagliate. Capita a tutti. >> 
<< E a te? È capitato? >> incalzai sondando il suo sguardo improvvisamente più attento. 
Sbuffò e fece roteare gli occhi. << Sarah >> disse con un tono stanco ed un'occhiata di monito. << Dove vuoi arrivare? Non sono un cretino, mi accorgo se qualcuno mi sta facendo il quarto grado. >> 
Era proprio quello il problema. Era troppo sveglio ed io ero troppo scarsa come investigatrice. 
Appena percepiva un cambiamento nel mio tono o nel mio modo di rivolgermi, alzava subito la guardia. Cacciargli fuori un'informazione era come trovare la giusta combinazione di numeri per vincere cinquecento milioni di dollari. 
Di sicuro, giunti a quel punto, non avrei lasciato cadere il discorso. 
M'impettii e lo guardai dritto negli occhi. << Senti, so c... >> 
<< Cameron! >> sentii urlare poco distante da noi. 
Schizzai sul posto per lo spavento. 
Mi voltai a trucidare con lo sguardo il cretino che mi aveva interrotta. Era un ragazzo parecchio alto e magro, un gigante dal mio basso punto di vista, coi capelli marroni e due piccoli occhi vivaci che si muovevano da me a mio fratello come una pallina. Al suo fianco camminava un ragazzo più basso, i capelli scuri, gli occhi schermati da un paio di occhiali da vista e la postura rigida come se stesse morendo di freddo. 
Cam si alzò di slancio e li accolse con varie strette di mano e scontri di pugno che faticavo a seguire. 
<< Ti sei trovato la ragazza, eh? >> lo canzonò il gigante, tirandogli una gomitata. 
Evitai di alzare gli occhi al cielo. Come faceva a non notare la somiglianza tra noi? Già il fatto che avessimo gli stessi occhi e lo stesso colore di capelli avrebbe dovuto fornirgli un indizio. 
Cam rise. << Che cavolo dici? È mia sorella, l'opossum. >> Tipica presentazione a cui ero costretta da anni. 
Il gigante spalancò gli occhi e mi rivolse un'occhiata, per poi tornare su mio fratello. << Quindi è lei l'opossum di cui a volte parlavi. >> 
Corrugai la fronte confusa. Probabilmente mi ero persa un passaggio. Già il fatto che il tizio mi conoscesse come opossum mi faceva venir voglia di strangolare brutalmente Cam per aver sparso tra i suoi amici quel nomignolo invece che il mio nome. 
Notando il mio spaesamento misto a furia omicida, il ragazzo più basso mi rivolse un sorriso cordiale. << Tuo fratello qualche volta ti ha nominata negli spogliatoi. >> 
<< Ah >> fu tutto ciò che dissi, annuendo. 
C'era qualcosa che ancora non mi quadrava. Cam non era solito parlare di me ad altri, a meno che non venissi tirata in ballo.  
<< La fai sembrare una cosa troppo affettuosa >> si lamentò infatti, con un ampio sorriso. << Di' come stanno veramente le cose. >> 
Il gigante rise e ruotò la testa dalla mia parte, gli occhietti vivaci che guizzavano su tutto il mio viso. << In squadra abbiamo uno sciupafemmine, lo chiamiamo martello. Be', non importa che ti spieghi perché. >> 
<< No infatti, non importa >> affermai sbattendo frettolosamente le palpebre, già turbata dall'andazzo del discorso. 
Il gigante sorrise, interessato dalla mia reazione. << Insomma, negli spogliatoi ci raccontava sempre della nuova avventura. Sosteneva di aver sedotto quasi tutte le ragazze del quartiere, e così ci chiedeva di presentargliene qualcuna nuova. A quel punto chiedevamo a tuo fratello: "ehi, Cam, ma tu non hai una sorella?" >> Si mise a ridere di gusto e rivolse un'occhiata a Cam. << Diceva sempre di non avere una sorella, ma un opossum brutto quanto la fame e fastidioso come un calcio nel didietro. >> 
Dirottai lentamente la testa verso il sopracitato con un sopracciglio sollevato e la bocca stretta. Dunque era questo quello che andava a dire in giro. Opossum brutto quanto la fame e fastidioso come un calcio nel sedere. 
Esigevo spiegazioni da quel procione che al momento si stava grattando la nuca ed evitava di guardarmi. Chissà perché. 
<< Adesso ho capito perché dicevi così >> dichiarò il gigante, rifilandogli un'altra gomitata. 
Incurvai entrambe le sopracciglia, guardando il tizio con fare intimidatorio. << Come, scusa? >> Mi aveva appena dato di opossum brutto e fastidioso? 
La mia mente stava sciorinando immagini di un'imminente rissa. 
Il più basso si risollevò gli occhiali per nascondere un sorriso dietro la mano, il gigante invece mi squadrò con un'espressione di esplicita analisi. Quando ritornò con gli occhietti scuri sul mio viso, gli angoli della sua bocca si incresparono in un sorriso sfrontato. << Non ti preoccupare, direi che sei tutto l'opposto di un opossum brutto quanto la fame. >> Mi scoccò un occhiolino che per poco non mi fece schiantare la mascella a terra. 
Ma da dove era uscito quel tizio? 
<< Ci stai provando con mia sorella? >> Il tono di Cam, seppur scherzoso, conteneva una forte inflessione d'avvertimento. La sua espressione canzonatoria e scettica era ancor più esplicita della voce. 
Il gigante fece spallucce. << Perché no? >> 
Provavo pietà per il suo unico neurone che si sforzava di dire cose intelligenti con risultati sconfortanti. 
Cam tirò fuori un sorrisino quasi minaccioso, poi gli appoggiò una mano sulla spalla e strinse con fare amichevole. << Molla l'osso, è già occupata. >> 
<< Ahia >> enfatizzò il più basso, ridacchiando. 
Il gigante si picchiò una mano sul petto e mi rivolse uno sguardo teatralmente triste con tanto di labbro piegato. << Hai spezzato il mio cuoricino. >> 
Non potei fare a meno di scoppiare a ridere. Era un tipo divertente, malgrado alcune uscite sconcertanti. 
<< In caso vi molliate sai da chi venire per farti consolare >> aggiunse strizzando l'occhio. << Fratello geloso permettendo, ovvio. >> Rise all'indirizzo di Cam e gli diede qualche pacca bonaria. 
Mio fratello fece una smorfia divertita e scosse la testa insieme all'altro ragazzo. 
Ci intrattenemmo con loro per un altro po', in seguito io e Cam ci rimettemmo a correre verso casa. 
<< Sono simpatici >> dissi guardandolo. 
Annuì. << Sono bravi ragazzi. Eddy, quello più alto, lo conosco dalle medie. Non eravamo nella stessa classe, ma frequentavamo lo stesso giro di amici. Abbiamo iniziato basket praticamente insieme, lui un mese dopo di me. Nicholas invece l'ho conosciuto agli allenamenti. Faceva basket già da un anno. >> 
<< E... Martello? >> domandai aggrottando la fronte. << Siete amici? >> 
Sorrise divertito. << Tylor è il nostro menestrello. Ci divertiamo a prenderlo in giro e ad ascoltare le sue brevi avventure. Ad ogni partita si porta una ragazza diversa, a volte anche più d'una per presentarcele e andare a fare un giro tutti insieme. Diciamo che gli piace cambiare, è un nomade in territorio femminile. >> 
<< Ti ha fatto conoscere qualche ragazza interessante? >> lo stuzzicai, mollandogli un colpetto sul braccio.   
<< Che ficcanaso che sei >> mi rimbeccò con un sorriso, alzando gli occhi al cielo. 
<< Non vuoi dirmelo? >> 
<< Nessuna che mi interessasse davvero. >> 
Umettai le labbra e mi presi qualche istante di silenzio. << Non starai ancora pensando a Melanie, vero? >> buttai fuori alla fine, osservandolo di sottecchi. << Insomma, quella è una cretina con la c maiuscola. >> 
Melanie Harrison era stata la ragazza di Cam ai tempi del liceo. Erano stati insieme per ben due anni, dal secondo al quarto anno. Poco prima del diploma, Cam l'aveva lasciata. Aveva scoperto che lo tradiva con un professore, in seguito esonerato dal suo incarico per essere stato beccato con la suddetta cretina in qualche pertugio scolastico. 
Era piombato uno scandalo sul nostro istituto, finito persino sul giornale. 
Durante il primo anno della loro relazione, Melanie sembrava l'ombra di Cam. Lo seguiva ovunque con sguardo adorante, come se fosse riuscita a coronare un sogno. Si vociferava, infatti, che fosse stata persa di mio fratello fin dal primo anno. 
Vere o false che fossero quelle voci, lei mi era sempre apparsa innamoratissima, oltre che fastidiosamente appiccicosa. Quelle poche volte in cui Cam le aveva fatto mettere piede in casa nostra, quella cozza non gli si era quasi staccata di dosso. Se lui faceva un passo, lei ne faceva due per arrivargli addosso. E poi cercava sempre di avvolgersi intorno al suo braccio come una piovra. Ogni volta, per la mia gioia, Cam sfilava il braccio e metteva un minimo di distanza tra loro. 
Negli ultimi quattro mesi, prima che si lasciassero, Melanie aveva cominciato ad essere più distante e falsa. Ogni suo sorriso sembrava spargere menzogne ed i suoi gesti nei riguardi di mio fratello apparivano studiati da un copione teatrale. 
Cam si era subito reso conto di quel cambiamento, e così le liti in quei mesi erano state all'ordine del giorno. E poi si era scoperto il perché. Lo aveva confessato lei stessa durante l'ultimo dei loro litigi: stava portando avanti una relazione segreta con il professore di trigonometria da almeno cinque mesi. 
Dovevo ammettere che Cam non mi era mai sembrato veramente coinvolto in quella relazione. Melanie gli piaceva, sì, ma ero sicura che non lo avesse mai preso a livello mentale. Infatti, dopo aver scoperto del tradimento, era rimasto sì scosso, ma non aveva reagito come un ragazzo innamorato. 
Lo avevo visto arrabbiato e deluso, per quanto avesse cercato di camuffare ogni sentimento, ma già dopo due settimane aveva mandato Melanie a quel paese ed aveva riacquistato la serenità che quella cretina gli aveva fatto perdere nei mesi prima. 
Cam aggrottò la fronte e mi lanciò un'occhiata di sbieco. << Non penso a lei da quando è finita. È un capitolo chiuso. >> 
Sentirglielo dire mi tranquillizzò. 
Rallentai un po' l'andatura della corsa e guardai il marciapiede sconnesso. << Sei mai stato innamorato di lei? >> 
<< No. >> La rapidità con cui rispose non fece che conferire verità a quel secco monosillabo. 
Alzai il capo per guardarlo. << E allora perché starci per ben due anni? >> 
Si strinse nelle spalle con una smorfia d'indifferenza. << Non è che mi facessi molte domande a quindici anni, e nemmeno a diciassette. C'erano momenti in cui stavamo bene insieme, altri in cui non mi andava di vederla per pigrizia, altri in cui litigavamo. A me andava bene così, non m'interessava trovare l'amore della mia vita. >> 
<< E adesso? >> 
<< Ho una consapevolezza diversa. So cosa voglio da chi mi sta intorno e da me stesso. >> 
Sorrisi per la sua risposta. Ammiravo il suo modo di pensare, più maturo e deciso. 
Avrebbe sicuramente commesso degli errori, ma almeno sapeva cosa e chi evitare fin da subito per stare bene con se stesso. 
<< Be'... >> Gli scoccai un sorriso scherzoso. << Cerca di non trovarti un'altra piovra. >> 
Rise e mi circondò il retro del collo con due dita, stringendo piano a mo' di pizzicotto. << Tranquilla, ho chiuso con quelle. Quando stavo con Melanie ho imparato ad apprezzare le distanze. >> 
Lo guardai sbattendo rapidamente le ciglia, l'espressione teatrale. << Solo io posso starti appiccicata, vero? >> 
Un angolo della sua bocca si piegò in un sorriso divertito. << Non mi pronuncio. >> 
<< In che senso, scusa? >> domandai, il tono di colpo truce. << Sono tua sorella, posso starti appiccicata quanto voglio. >> 
Per un attimo sollevò le sopracciglia. << Non esageriamo. Ci sono pur sempre dei confini da rispettare. >> 
Strizzai la bocca risentita. << Ah sì? >> 
Rallentai la corsa e mi appostai dietro di lui. Non esisteva che io dovessi rispettare gli stessi spazi delle ragazze con cui usciva. Ecchecavolo, lui era mio fratello. 
<< Che stai f... >> La sua domanda fu interrotta bruscamente dal mio salto sulla sua schiena. Gli allacciai le gambe intorno ai fianchi e le braccia attorno al collo per sorreggermi. 
Sentii subito le sue mani avvolgermi sotto le ginocchia per tenermi salda. 
Scoppiai a ridere piuttosto malvagiamente, per poi allungare la testa e guardare il profilo del suo volto. << Non mi scollerò da te fino a casa, rassegnati. >> 
Mi rivolse un'occhiata obliqua, mentre un sorriso si propagava sul suo viso. << Hai appena superato il confine del mio spazio vitale. >> 
<< Ma io posso. >> 
<< Solo perché sei un opossum, altrimenti a quest'ora ti avrei scaricata per terra >> dichiarò cominciando a camminare. 
Sorrisi felice ed appoggiai la testa contro la sua, per poi chiudere gli occhi e lasciarmi dondolare dalla sua andatura rassicurante. 





                                                                     *  *  * 





Le lucine delle bancarelle erano stupende. 
Sembrava di essere ancora a Natale, il che m'infondeva una sensazione di serenità. 
Malgrado gli insistenti tentativi di David di sabotare l'idea del pattinaggio, eravamo giunti alla pista. 
Dwight si era insinuato tra me e suo fratello per tenerci entrambi per mano. Per un attimo il mio povero cervello ci aveva immaginato come una vera e propria famiglia. Nel momento in cui ero arrossita ed il mio cuore aveva iniziato a galoppare come un cavallo impazzito, avevo allontanato quel pensiero. 
Era un sogno che speravo avrei coronato in futuro. Ma cosa dicevo? Io dovevo coronarlo, senza se e senza forse. 
<< Ripeto: è necessario pattinare? >> ci riprovò David per la millesima volta, guardandomi storto. 
<< Ripeto: sì. >> Gli rivolsi un sorriso angelico e lo spronai ad avanzare nella fila per i biglietti. 
Sbuffò seccato e mosse un passo avanti. 
Io e Dwight lo stavamo aspettando fuori dal trenino umano, avevamo mandato lui in coda come sorta di sacrificio umano. A noi faceva fatica. 
Mi abbassai all'altezza di Dwight e gli aggiustai il berretto sulla testa, poi sorrisi intenerita dai suoi innocenti occhi verdi che ammiravano le tante luci tutt'attorno. << A te va di pattinare, vero? >> gli chiesi dolcemente, mentre gli chiudevo per bene il giubbetto. << È divertente, soprattutto quando David rischia di cadere. >> 
Quando aprì la bocca per ridacchiare, notai che gli era cascato un dente inferiore. 
<< Oh >> esclamai enfatizzando la mia sorpresa. << Hai perso un dente! Il topolino ti ha portato un soldino? >> 
Dwight abbassò gli occhi e scosse piano la testa, poi li rialzò osservandomi con timidezza. Il suo sguardo mi fece sciogliere di tenerezza. 
<< Sai perché non te l'ha portato? >> gli domandai a bassa voce, come se stessi rivelando un segreto. << Perché mi ha incaricata di consegnartelo di persona. Io sono la sua aiutante. >> Estrassi dalla tasca del giubbotto una moneta da un dollaro che avevo lasciato lì da giorni e gliela porsi, vedendo i suoi occhioni dilatarsi per lo stupore. 
La afferrò con le piccole dita e se la rigirò in mano con un sorriso estasiato. Poi mi guardò per alcuni secondi, alla fine annullò le distanze per abbracciarmi. 
Il mio cuore si scaldò come una stufa. Sentire quelle delicate braccia stringersi intorno al mio collo non aveva prezzo, era come immergersi in un mare di dolcezza. 
<< Possibile che David si sia rimpicciolito e la Anderson lo stia abbracciando? Vedi anche tu quello che vedo io? >> La voce scherzosamente stranita di Kevin e la risata di Clar mi fecero spalancare gli occhi di sorpresa. 
Mi distanziai da Dwight e ruotai il capo per guardare alla mie spalle. 
<< Clar! >> esclamai contenta, alzandomi in piedi. Presi Dwight per mano e lo accompagnai fino a loro. << Che ci fate qui? >> domandai guardando prima uno e poi l'altra. 
<< Stavamo facendo un giro >> spiegò Clar. << Poi Kev ti ha vista e siamo accorsi qua. >> Abbassò lo sguardo su Dwight e sorrise. << Santo cielo, è uguale a David proprio come mi avevi detto, a parte per gli occhi. >> 
<< Ehi, bello, non mi riconosci? >> lo punzecchiò Kevin, colpendolo piano nella pancia. 
Dwight rise e si ritrasse dalla sua mano che cercava di fargli il solletico. 
E poi, guardandoli, ebbi l'illuminazione. << Perché non rimanete con noi? >> proposi, galvanizzata al solo pensiero. << Sarebbe divertente. >> 
Clar si animò subito ed annuì con enfasi. << Per me va bene, tanto non avevamo niente da fare. >> 
Spostai rapidamente l'attenzione sull'altro imminente sacrificio umano. << Kevin, forza, raggiungi subito David >> lo esortai spingendolo con una mano. 
<< E dov'è? >> 
Indicai la coda alla nostra sinistra. << Là. Vai, veloce, così fate i biglietti insieme. A Clar prendi un trentotto. Muoviti! >> 
<< Ok ok, vado. >> 
<< Eccellente >> commentai fiera, mentre lui si dirigeva dal mio ragazzo. 
A quel punto mi voltai verso Clar, sorridendole timidamente. Dovevo ammettere di sentirmi quasi in colpa nei suoi confronti. Eravamo sempre state molto vicine, sapevamo di poter contare l'una sull'altra a prescindere da tutto. Avevamo quel genere di rapporto in cui anche se non trascorrevamo molto tempo insieme, la nostra amicizia rimaneva invariata. Non si scheggiava o indeboliva. 
Avevamo litigato varie volte in passato, per stupidaggini o incomprensioni. Ma ogni lite ci aveva unite e fatte conoscere meglio. Lei conosceva i miei infiniti difetti, li accettava, sebbene a volte non le andassero a genio, ed io facevo altrettanto nei suoi riguardi. 
Quando sbagliavo me lo faceva notare, non cercava di darmi sempre ragione. Ed era questo, più di tutto il resto, che apprezzo di lei: la sincerità. 
Per quanto il mio orgoglio venisse leso in quei casi, invece che reagire con rabbia la ascoltavo e mi correggevo. Lei sapeva usare i toni giusti per rispettarmi, sapeva prendermi come una sorella. 
Perciò ero consapevole del fatto che il nostro legame fosse ancora forte, ma sentivo di averla lasciata in un angolo, di non essermi comportata da sorella. 
Mi schiarii la voce. << Clar... volevo dirti che... Insomma, mi dispiace molto >> esordii mesta. << So di averti trascurata, di averti sciorinato i miei problemi senza mai chiederti come stessi tu. >> Abbassai la testa. << Sono stata egoista, concentrata solo su me stessa e su ciò che mi succedeva. Non ho... minimamente pensato a te. Anzi, ti ho chiesto e basta, ma in cambio non ti ho dato nulla. >> Sospirai. << Mi dispiace veramente tanto. >> 
Per un po' tra noi governò il silenzio. Così decisi di sollevare gli occhi per leggere il suo volto. 
Stava sorridendo, di un sorriso piccolo e sincero.
<< Hai ragione >> iniziò a dire. Il mio stomaco si contrasse per il senso di colpa. << Non mi hai mai chiesto come stessi, cosa succedesse nella mia vita, come mi sentissi dentro. Abbiamo abbandonato la nostra abitudine di trascorrere insieme tutta la domenica. Mi sono sentita trascurata, sola, anche se con me c'era Kevin. Ma non mi bastava. Avevo bisogno della mia migliore amica, della persona con cui riesco a parlare meglio che con chiunque altro, con cui posso condividere i miei dubbi e le mie paure senza sentirmi in imbarazzo o giudicata. >> Mentre distoglievo lo sguardo permeo di lacrime, le vidi muovere un passo verso di me. << Ma se non ti ho detto nulla, è stato perché in quel momento eri tu ad avere più bisogno di me. >> 
In uno scatto dirottai gli occhi sul suo viso. 
Appoggiò una mano sul mio braccio ed inclinò la testa con un sorriso. << Non era necessario che ti gettassi addosso le mie sensazioni ed i miei arrovellamenti mentali, in quel momento eri tu quella che aveva più bisogno di essere ascoltata, consigliata e supportata. Mi sono fatta da parte sapendo di fare la cosa più giusta. E anche se ti avrei voluto mettere al corrente di tutto ciò che mi succedeva, ti assicuro che mi comporterei come ho fatto per altre mille volte. Non me ne pento. >> Dalle sue scure iridi traboccava sincerità. Talmente tanta da stringermi lo stomaco in una morsa di sollievo e al contempo pentimento. 
A volte non mi sentivo degna della sua amicizia. Mi chiedevo se anch'io avrei fatto lo stesso per lei se la situazione fosse stata ribaltata. Avrei sicuramente cercato di alleviarla dal peso dei suoi problemi, ma probabilmente avrei commesso degli errori a causa della mia impulsività. 
Un tempo ero sicura di essere una persona riflessiva, ma soprattutto razionale. Be', mi sbagliavo. Commettevo più errori a causa della mia avventatezza che per altro. 
Non ragionavo, partivo in quarta con l'andatura di un bulldozer. Solo in seguito, a errore compiuto, mi rendevo conto di aver esagerato. 
Le presi una mano ed abbassai lo sguardo sulle nostre dita. << Non voglio che tu pensi che i tuoi problemi siano meno importanti dei miei. Se qualcosa ti fa star male o ti mette a disagio significa che non è una stupidaggine. Non devi trattenenti dal dirmela, in qualsiasi circostanza, anche quando credi di poter aspettare. >> Osservai i suoi occhi pieni di gratitudine e dolcezza e sorrisi. << Che ne dici domani di venire a casa mia? Dovremmo riappropriarci della nostra domenica di chiacchiere, studio, maschere per la faccia e tè fumante. >> 
A quel punto il suo sorriso divenne luminoso tanto quanto il mio. << Direi che una maschera di bellezza è proprio quello che mi ci vuole >> asserì dandosi qualche colpetto sulla guancia. 
Scoppiammo a ridere, per poi stringerci in un abbraccio saldatore. E mi sembrò che avvenisse proprio quello, un rinsaldo della nostra amicizia. Ci eravamo aperte e capite come non avveniva da tempo. 
Durante quell'abbraccio mi resi conto di quanto effettivamente mi fosse mancata. 
<< Domani mi dirai tutto? >> le chiesi una volta separateci. 
Annuì convinta. << Tutto. >> Sorrise. << Non vedo l'ora. >> 
Non potevo essere più d'accordo.





                                                                   *  *  * 





David aveva l'espressione di un condannato a morte. Kevin non sapeva neanche come si infilassero i pattini. Clar ed io, invece, li stavamo allacciando a Dwight, seduto sulle mie ginocchia. 
Una volta finito, ci sollevammo in piedi e guardammo i nostri ragazzi. 
<< Pronti? >> chiese Clar, battendo le mani contenta. Condividevamo lo stesso entusiasmo all'idea di trascorrere quel tempo tutti insieme. 
<< Mm >> mugugnò David, la voglia di vivere sotto i piedi. 
Alzai gli occhi al cielo e lo raggiunsi insieme a Dwight. Lui mi guardò attraverso i ciuffi di capelli fuori dal berretto, poi li scostò e si raddrizzò sui pattini. 
Gli scoccai un'occhiata ammonitrice a cui rispose con una smorfia. 
Sospirai e mi concentrai su Kevin che si era appena messo in piedi. << Ottimo, possiamo entrare in pista >> decretai con un sorriso. 
<< Chi è tra noi che sa pattinare? >> chiese Torn mentre procedevamo verso l'ingresso. 
<< Nessuno >> risposi scuotendo il capo. << Anzi, David la prima volta se l'è cavata bene. Direi che è quello messo meglio. >> Tirai una pacca scherzosa sulla schiena del mio ragazzo per cercare di risollevargli il morale. 
Lui mi guardò da sopra la spalla con un piccolo sorriso, subito dopo fece qualcosa che mandò in fibrillazione ogni mio singolo neurone e in sovraccarico il mio cuore. Tese un braccio all'indietro, verso di me, perché gli prendessi la mano. 
Quello non era un semplice gesto compiuto da un ragazzo qualunque. Quello era un gesto denso di significato partito da David, colui che odiava le effusioni in pubblico e che mi aveva espressamente avvertita di non essere il tipo che prende per mano la propria ragazza. Ed infatti, fino a quel momento, non mi aveva mai fatto intendere di voler cambiare il suo modo di essere. 
Per un attimo mi chiesi se stessi sognando. Ma no. Quella mano era lì per me. Solo per me.
Con un sorriso che lasciava ben poco spazio ad immaginare a cosa stessi pensando, stesi la mano e chiusi le dita intorno alle sue calde. 
Il mio battito cardiaco subì una rapida impennata che fece fluire calore sino alle mie guance. Ero sicura che nella mia testa avrei sempre rivissuto quel momento al rallentatore, e che ogni volta mi avrebbe scatenato le stesse intense emozioni. 
Percepii la mano di David saldarsi bene con la mia. 
Mi sentii bene. Talmente bene da avvertire dolere alle gote per quanto stavo sorridendo. 
Anche quando mettemmo piede in pista, David mantenne le nostre dita allacciate, malgrado l'instabilità iniziale. 
Mi avvicinò a sé, ancorato al corrimano, ed insieme aiutammo Dwight ad entrare. Appena il piccolo si rese conto di quanto il ghiaccio fosse scivoloso, scoppiò a ridere. 
<< Ti piace? >> gli chiesi divertita. 
Annuì con enfasi e protese un braccio verso suo fratello per farsi trascinare alla ringhiera. 
<< Vai, Kev, facci vedere di cosa sei capace >> sghignazzò David, dietro di me. << Abbiamo occhi solo per te. >> 
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere alla vista di Torn che osservava il ghiaccio come un nemico. Si sgranchì le mani e buttò fuori un fiotto d'aria dalla bocca. 
Clar, alle sue spalle, alzò gli occhi al cielo. << Ma ti vuoi muovere? >> disse rifilandogli una spinta. 
La scena successiva fu epica. 
Kevin accusò il colpo schizzando in avanti come un missile. Cadde di faccia sul ghiaccio mentre Clar si portava le mani davanti alla bocca ed urlava un "oddio" strozzato. 
Udii la fronte di David appoggiarsi alla mia spalla mentre veniva scosso dai singulti delle risate. 
Kevin rialzò il viso, la fronte paonazza per l'impatto, e scagliò un'occhiata di fuoco alla mia amica. << Stai cercando di uccidermi? >> Poi si tirò a sedere e guardò la staccionata d'appoggio a lui lontana. << E ora come faccio ad alzarmi? >> 
<< Aspetta ti aiuto io >> si premurò Clar, entrando in pista con cautela. 
Con una mano si arpionò alla ringhiera, l'altro braccio lo stese verso il suo ragazzo. << Attaccati a me. >> 
La risata di David s'intensificò. Si stava praticamente scompisciando. 
Io non potevo che sorridere divertita dalla scena. 
Poi non sentii più la pressione della sua fronte. << Oh, Kevin, prendi la mia mano >> recitò con voce teatralmente drammatica. << Non so per quanto resisterò ancora. Sbrigati, ti pr... >> Non riuscì a terminare la frase che riscoppiò a ridere. 
A quel punto non potei più trattenermi e mi unii alla sua risata. Intanto Kevin ci stava lanciando contro improperi di varia sorta con l'aggiunta di frasi come "mi vendicherò" o "ve la farò pagare". 
Mi voltai verso David per appoggiare la testa sul suo petto nel tentativo di mascherare le risate. Clar, nel frattempo, stava emettendo delle specie di grugniti per lo sforzo di risollevare Kevin che non faceva che riscivolare sullo stesso punto. 
Anche Dwight se la stava ridendo allegramente, tanto che si era seduto per terra ed ogni tanto si lanciava su un fianco reggendosi la pancia. 
Alla fine ce la fecero. Kevin si incollò al corrimano come se da quello dipendesse la sua vita.
<< La prossima volta che uno di voi due mi proporrà di passare il pomeriggio insieme, sapete che farò? >> chiese furioso, indicandoci. << Scapperò a gambe levate, ecco che farò. >> Poi osservò il ghiaccio con disgusto. << Sempre che riesca ad uscire da qui sulle mie gambe. >> 
<< Dai, non è poi così male. Sono sicura che ti divertirai >> lo incoraggiai ridendo ad intervalli. 
Mi fulminò. << Anderson, con te facciamo i conti dopo. >> 
Alzai gli occhi al cielo divertita. 
<< Forza, David, vieni qui >> ordinò poi al mio ragazzo. 
<< Perché dovrei? >> 
Il suo sguardo divenne marmoreo. << Perché tu sei l'unico che sa andare su questi cosi. Mi devi insegnare, e soprattutto non devi farmi cadere. >> 
<< Resta attaccato lì allora >> gli rispose ghignando. 
<< No, ho pagato. >> 
Sollevai un sopracciglio. << Tirchio, eh? >> lo presi in giro. 
<< Ho cambiato idea >> annunciò con un improvviso sorriso mellifluo. << Il primo giro lo voglio fare con te, Anderson. >> 
<< Sarà anche il tuo ultimo >> commentò David tra dei finti colpi di tosse. Gli rifilai un pugno nello stomaco e mi staccai da lui per raggiungere Torn, scavalcando Clar appiccicata alla ringhiera. 
<< Cercate di non uccidervi >> si rassicurò sorridendomi. 
<< Non ti assicuro nulla sulla sua morte >> scherzai, e subito dopo la sentii tirarmi una scherzosa pacca di rimprovero sulla schiena.
Una volta giunta accanto a Kevin gli porsi la mano. Lui la guardò stranito. 
<< Mi stai chiedendo la mano? >> domandò sollevando gli occhi nei miei. << Non sono pronto al matrimonio, men che meno con te. >> 
<< Scemo, serve per bilanciarsi meglio >> spiegai ridendo. << Dai, non farmi fare il doppio della fatica. >> 
<< Oh, poverina >> mi canzonò stringendomi la mano. << Forza, mostrami le tue doti da pattinatrice. >> 
Udii David ridere per quelle parole, così gli lanciai un'occhiataccia. Notai che si era spostato insieme a Dwight accanto a Clar. 
Appena si accorse che lo stavo fulminando, mi rivolse un sorrisetto beffardo. 
<< Concentrati, Anderson >> mi richiamò Kevin, strattonandomi. << C'è la mia vita in gioco. >> 
<< Eh, esagerato >> lo riprese Clar. 
Malgrado mi venisse da ridere, cercai di restare seria. 
<< Ok, staccati dalla ringhiera e scivola sul ghiaccio prima con un piede e poi con l'altro. Imita gli altri >> consigliai indicando con un cenno le altre persone. 
Quando entrambi restammo in equilibrio solo sui pattini, sentii Kevin stritolarmi la mano nel tentativo di non cadere. 
<< Forza, muovi i piedi. Anzi, trascinali come fai di solito >> mi corressi sogghignando. 
<< Fosse facile >> si lamentò con uno sbuffo già esasperato. 
Lo tirai verso di me che avevo mosso un passo avanti. Lui piegò la schiena, seguendomi con la testa, ma non con il sedere. 
<< Bella posa, Kev >> lo prese in giro David. 
<< Ma che cavolo mi stai facendo fare? >> sibilò Torn contro di me. << Che è questa posizione da tacchino col sedere spennato? Mi stai rendendo ridicolo agli occhi della mia ragazza. >> 
<< Muovi quei piedi! >> lo sgridai mentre cercavo di contenere le risa. 
<< Ma perché ho scelto te per il primo giro? >> borbottò scocciato, intanto che seguiva le mie indicazioni. << Sono forse masochista? >> 
<< Ce l'hai fatta, visto? >> gli feci notare sorridendo. << Ora scivola sul ghiaccio, non rimanerci attaccato. >> 
Con uno sbuffò s'impegnò a fare come gli avevo detto. Il problema era che io sapevo pattinare quanto lui. Probabilmente ero pure peggio considerato il mio scarso equilibrio. Insieme eravamo un pericolo sia per gli altri che per noi stessi. 
Dopo aver arrancato per un metro, tirai la mano di Kevin verso di me a causa di un momento di squilibrio. 
<< Oh, ma che fai? >> bofonchiò mentre tentava di raddrizzarsi. 
<< Kevin tienimi, cavolo! >> strillai agitando l'altro braccio per provare a fermarmi. I miei pattini stavano slittando come dotati di vita propria, ed io non riuscivo a controllarli se non tramite dei rapidi passetti che mi scoordinavano. 
Esteriormente sentivo di assomigliare ad un'anguilla pazza.
<< Mi stai facendo cadere! >> gridò in risposta quel cinghiale egoista. << Fermati! >> 
Cercai di trucidarlo con un'occhiata. << Ti sembra che riesca a fermarmi? >> 
In un battibaleno mi piombò addosso e mi avvolse le braccia intorno al corpo. 
<< Ma che stai combinando?! >> urlai, ancora più in difficoltà a mantenere l'equilibrio. Per un soffio non capitombolai in avanti. Mi salvai in corner con non poco dispendio di sudore. 
Gli sentii fare un verso tipo il piagnucolio di una ragazzina frustrata. Una parte di me lo avrebbe voluto additare e prendere in giro per il resto dei suoi giorni, l'altra avrebbe voluto strozzarlo.
Alzai gli occhi al cielo con uno sbuffo poderoso. << Sii uomo! Non è il momento di lasciarsi andare a certi isterismi. >> 
<< Senti chi parla >> mi rimbeccò seccato. << Se tu non mi avessi tirato, non mi sarei dovuto aggrappare a te in questo modo grottesco. >> 
<< Lasciami o cadremo! >> 
<< No, ho paura, Jack. >> Nonostante la situazione disperata trovava pure il coraggio di scherzare sul Titanic. 
<< Ti ho detto di lasciarmi! >> 
<< Apri le braccia, Rose. >> 
Lo stavo per uccidere. << Se non mi molli sub... >> Un secondo dopo eravamo spiaccicati a terra. Nella caduta mi era pure arrivata una testata di Kevin sulla nuca. 
Mi sentivo distrutta, annientata, ridotta a poltiglia. 
Mi rimisi a sedere con non pochi dolori, soprattutto al mento e alle ginocchia. Quel cretino mi aveva fatta cadere di petto, l'impatto era stato da mozzare il fiato. Fortuna che non mi era caduto sopra, altrimenti a quell'ora sarei stata inglobata al ghiaccio. 
Saettai con lo sguardo sul cinghiale che si era tirato a sedere con una smorfia di dolore. 
<< Fai schifo a pattinare >> osò dire mentre si grattava la testa. 
<< Io non so pattinare! >> gli feci presente infervorata. 
<< E si vede. >> 
Basta, lo avrei fatto fuori una volta per tutte. 
Prima che mi lanciassi sulla sua giugulare, scorsi tre paia di pattini soffermarsi accanto a noi. Alzai gli occhi ed incontrai il sorrisino divertito di David, accanto a lui, che si reggeva al suo braccio, Clar stava ridacchiando, mentre dall'altro lato Dwight fissava Kevin imbronciato. 
<< Non vorrei infierire >> esordì David. << Ma noi abbiamo già fatto un giro, voi a malapena tre metri. >> 
<< La colpa è di questo scemo! >> sbottai puntando l'attenzione su Torn. << Mi è venuto addosso rischiando di uccidermi. >> 
<< Sei tu che mi hai strattonato >> puntualizzò fissandomi in cagnesco. << Impara ad avere equilibrio, Anderson. >> 
Mi prudevano le mani, e tanto. Se mi stavo trattenendo dallo sbatacchiarlo sul ghiaccio era solo per rispetto a Clar. 
Poi vidi Dwight avanzare a piccoli passi verso Kevin e cominciare a tirargli dei leggeri pugni contro. 
Sorrisi fiera. Qualcuno stava vendicando il mio nome. 
<< Ehi, bello, che vuoi? >> si difese lui, alzando le braccia a mo' di protezione. 
<< Bravo, Dwight >> lo incoraggiò Clar ridendo. << Tiragliene tanti. >> 
<< Ma tu da che parte stai? >> borbottò il suo ragazzo, rivolgendole un'occhiata prima di ritornare sul mio piccolo difensore. << Vuoi farti sotto? Su, parla. Che vuoi, mostriciattolo? >> A quel punto prese a punzecchiarlo con le dita nella pancia. Dwight rispose buttandoglisi addosso e rincarando la velocità dei pugni. 
<< Vuoi fare sul serio? >> lo beffeggiò Kevin, ridendo. << Sputa il rospo, nanetto. >> 
<< Dai, Dwight, massacr... >> 
<< Cattivo. >> Quella semplice parola fece irrigidire ogni muscolo del mio corpo. Mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Il mio cuore perse qualche battito. 
Ruotai lentamente il capo e gettai lo sguardo su David. Aveva gli occhi sgranati d'incredulità, la bocca ancora aperta per la frase lasciata incompiuta. Tra le sue iridi ambrate serpeggiavano pensieri ed emozioni come schegge impazzite. 
Si umettò le labbra e deglutì pesantemente, poi si passò una mano sul viso e rimase fermo, il palmo premuto sugli occhi chiusi. 
Dwight aveva parlato. Dopo mesi aveva detto una parola che continuava a ripetere contro Kevin. 
Mi alzai in piedi, gli occhi lucidi di gioia, e mi aggrappai a David con tutta la forza. 
Mi cinse con un braccio e calò la testa vicino alla mia, la fronte premuta contro la mia tempia. Potevo solo lontanamente immaginare cosa stesse provando in quel preciso istante. 
Aveva visto suo fratello di sei anni con la paura negli occhi, una paura che non avrebbe potuto scacciare dai suoi ricordi neanche con tutto l'impegno del mondo. E poi si era dovuto rassegnare a non sentire più la sua soffice voce da bambino spensierato. A non sentirlo mentre chiamava il suo nome, a non sentirlo mentre gli confessava di volergli bene, a non sentirlo più per nessuna banale ragione. 
Ed io avevo assistito alla preoccupazione mascherata di David ogni giorno, lo avevo visto impegnarsi per renderlo felice e scacciare i suoi incubi. 
Amava quel bambino, ed ero certa che se avesse potuto avrebbe ceduto tutto se stesso pur di strappargli dalla memoria quegli orridi ricordi. Perché una parte di lui era affondata insieme alla perdita di quella delicata voce vibrante di vita. Una parte che avevo visto ritornare a galla nel momento in cui Dwight aveva parlato. 
Lo strinsi più forte come se riuscissi a fondermi con lui.
Il suo respiro tremulo mi accarezzò la guancia. << Non ci credo >> bisbigliò, il tono spezzato dall'emozione. << Ha parlato. Lui ha parlato >> ripeté incredulo. << Ha parlato >> mormorò piano, come se avesse realizzato. Subito dopo lo sentii tirare su col naso. 
Gli accarezzai i capelli sulla nuca mentre mi allontanavo per guardarlo negli occhi con un sorriso. << Ha parlato >> constatai annuendo. Le sue iridi ambrate erano lucide e spaesate dall'emozione. Sembrava non riuscire ancora a capacitarsi di quell'evento. 
Si ripassò una mano sulla faccia e sospirò. Un sospiro che ben presto si trasformò in una risata capace di accendergli lo sguardo e scuotergli le spalle. 
Risi anch'io, gonfia di felicità, e saltellai per abbracciarlo di nuovo. Mi sembrava che il cuore fosse sul punto di esplodermi. 
Mi strinse a sé talmente forte che per qualche istante i miei pattini si staccarono dal ghiaccio e dondolarono per aria. Dopodiché mi baciò sulla tempia e si distanziò per piegarsi sui talloni ed attirare l'attenzione del fratello. 
Dwight stava ancora picchiando Kevin, Clar lo incitava alla lotta feroce ed insieme ridevano. 
<< Dwight >> lo chiamò David con un tono vellutato. Il piccolo si fermò e volse i grandi occhi verdi su di lui. 
<< Ti va di pattinare con me? >> gli chiese tendendo una mano. 
Sorrisi intenerita da quella scena. Clar intercettò il mio sguardo e mi si accostò per prendermi sotto braccio. Le strinsi una mano ed appoggiai la testa sulla sua spalla. 
Dwight annuì.
David scosse il capo. << No, dimmelo a voce. Vuoi pattinare con me? >> 
Suo fratello mise la lingua tra i denti ed abbozzò un timido sorriso. << Sì >> disse infine, prendendogli la mano. 
Ci mancò poco che non mi mettessi a piangere. In compenso mi si era formato un doloroso magone in gola. 
Osservai David e Dwight che si allontanavano piano, mano nella mano. 
In fretta e furia estrassi il telefono dalla tasca del giubbotto e cominciai a far loro una miriade di foto. Volevo immortalare quello stupendo momento tra fratelli. 
Dwight quando pattinava cambiava espressione con una rapidità incredibile: da spaventato passava a felice, per poi diventare incredulo e deliziato. David non faceva che tenergli gli occhi incollati al viso. Ogni tanto gli rivolgeva qualche domanda a cui lui, grazie al cielo, rispondeva. Ed ero certa che in ognuno di quei momenti il cuore del mio ragazzo fosse sul punto di scoppiare dalla felicità.
Kevin rovinò il mio set fotografico piazzandosi davanti all'obbiettivo con la sua faccia. Gli scattai una foto mentre incrociava gli occhi e faceva la linguaccia. L'avrei usata a tempo debito per ricattarlo. 
<< Fai qualche foto anche a me, Anderson >> disse mentre avvolgeva un braccio intorno al collo di Clar. 
<< Se fossi bello te le farei >> risposi con un sorrisino irriverente. 
Sollevò un sopracciglio e scostò un ciuffo di capelli con un colpo di testa teatrale. Subito dopo mi rivolse un'espressione ammiccante. << Sicura? >> 
Notai che la mia amica era rimasta ammaliata da quel gesto, i suoi occhi erano adoranti. 
Guardandola mi chiesi se anche io assumevo quello sguardo quando guardavo David. 
Mi scappò un sorriso. << Dai, vi faccio una foto. Fermi così. >> 
<< Sapevo che ci avresti ripensato >> si vantò Kevin, poi abbassò gli occhi sulla sua ragazza e le sorrise tenero. 
Appena Clar ricambiò il suo sorriso e gli adagiò una mano sul petto, scattai la foto. In realtà più d'una. Per quanto Torn a volte fosse insopportabile, insieme erano belli. 
Feci finta di abbassare il telefono per vedere che cos'avrebbero fatto senza obbiettivo addosso. 
Per un po' continuarono a fissarsi con dolcezza, poi Kevin accorciò le distanze e la baciò. Mi riarmai del cellulare e scattai altre foto senza farmi notare. 
Dentro di me gongolavo come un paparazzo. 
Senza che se ne accorgessero mi piazzai davanti a loro e conclusi con un autoscatto mentre esibivo un enorme sorriso ed il segno di vittoria con le dita. 
Perché quel pomeriggio era stato quello. Una vittoria sotto ogni punto di vista. 
















Angolo dell'autrice:

Rieccomiiiiii! 
Prima di tutto comincio con lo scusarmi con voi per questo colossale ritardo. >\\< 
Ho avuto un po' da fare e vari problemini, ora risolti. 
Non posso che sperare che il capitolo vi sia piaciuto *_* e che vi abbia, in minima parte, ricompensato dell'attesa. 
Il prossimo, vi anticipo fin da subito, arriverà lunedì prossimo \(^.^)/ 
Ah! Ed inoltre volevo dire che da domani comincerò a rispondere a tuuuuutte le vostre recensioni *^* 
Ora la smetto di rubarvi altro tempo e vi auguro una buona serata! 
A prestoooooooooooo!! 
GRAZIE DAVVERO DI CUORE DELL'INFINITA PAZIENZA! <3 
Un bacione!!! <3




Federica~ 







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Capitolo 26
*** Il posto giusto ***




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Il posto giusto 

























La notte passata David non aveva dormito con me. Per la prima volta dopo oltre un mese. 
Ero stata io a deciderlo. Dopo avermi riaccompagnata a casa, al termine del bellissimo pomeriggio con Dwight, Kevin e Clar, gli avevo detto di non tornare da me. Perché quella serata doveva essere solo ed esclusivamente di Dwight. Avrebbero dovuto festeggiare quell'evento e stare tutti insieme, come ero sicura avrebbe voluto il piccolo addormentato tra le sue braccia. 
E così, per quanto mi fosse mancato non sentire il tepore del suo corpo accanto al mio, avevo trascorso la notte da sola. Senza incubi, senza immagini devastanti e senza urla. 
Mi ero svegliata riposata, malgrado nel corso della notte mi fossi svegliata più volte per cercare David col braccio. 
E subito dopo averlo pensato, quella mattina, mi era arrivata una sua telefonata. Per poco non avevo avuto un arresto cardiaco alla vista del suo nome sul display. 
Con un sorriso ebete avevo risposto alla sua domanda su come avessi trascorso la notte. Mi aveva fatto palpitare il cuore il fatto che appena sveglio, lo avevo intuito dal suo tono rauco di voce, avesse pensato a me. 
Per circa un'ora non avevo fatto altro che sorridere, tanto che Cam si era subito prodigato a prendermi in giro sulla mia apparente paralisi facciale. 
Per ogni beffa indirizzata alla sottoscritta, mia mamma lo aveva sgridato, per poi passare a rincorrerlo con la scopa. 
Dopo che i miei genitori, verso le undici e mezza, erano usciti di casa per recarsi in ospedale, Clar aveva suonato il campanello. 
Ero corsa ad accoglierla con un rimescolio di gioia ed eccitazione nello stomaco. Perché anche a me erano mancate le nostre domeniche all'insegna di chiacchiere, pettegolezzi e risate. Avevamo preso quell'abitudine alla fine del primo anno, nel momento in cui la nostra amicizia era diventata qualcosa di più di una semplice conoscenza per via della vicinanza dei banchi. 
Avevamo cominciato a confidarci, a chiederci consigli, a chiamarci quando l'una aveva bisogno dell'altra. Lei c'era sempre stata per me. Sempre. Non mi aveva mai lasciata sola. Si prodigava ad aiutarmi come se i miei problemi fossero anche suoi. 
Non mi ci era voluto molto a comprendere di aver ricevuto la fortuna di trovare un'amica con la lettera maiuscola. 
Quella mattina la trascorremmo a scambiarci opinioni e a ridere sul pomeriggio precedente, infine, dopo pranzo, ci spostammo in camera mia con una tazza di cioccolata bollente tra le mani. 
Ci gettammo a sedere sul letto e presi anche la sua tazza per appoggiarla sul comodino. Al momento era troppo fumante per essere bevuta, come minimo ci saremmo ustionate. 
<< Voglio che mi racconti tutto >> esordii munendomi di un cuscino sulla pancia. << A partire da ciò che mi sono persa fino a ciò che ti turba. Insomma, tutto. >> 
Mi sorrise ed incrociò le gambe, per poi scostarsi i lunghi capelli corvini dalla faccia e sistemare meglio le forcine. << Sono un po' tesa. >> 
Lo sapevo. Quando attaccava ad aggiustarsi l'acconciatura significava che era nervosa. Le avevo visto compiere quel gesto quasi tutte le volte che, in passato, aveva incrociato lo sguardo di Kevin. A quei tempi avevo creduto che reagisse a quel modo perché non lo sopportava, ed invece il motivo era ben lungi dalle mie ottuse congetture. 
<< Ok, facciamo un grosso respiro, fino a riempire i polmoni >> suggerii mostrandole come fare. << E poi rilasciamo lentamente. Esatto, così. >> Sorrisi e le lanciai il cuscino  in grembo. << Ho un'idea: dobbiamo confidarci una cosa a testa. Qualsiasi, anche la più sciocca. E prima di farlo è necessario passarci il cuscino. Servirà per scandire i turni, come una sorta di scettro o una palla, ok? >> 
Ridacchiò ed annuì. << Quindi dovrei iniziare io dato che me l'hai passato a tradimento. >> 
Gongolai fiera. << Esatto. >> 
<< D'accordo >> asserì assumendo un'espressione pensierosa. << Fammici pensare un attimo. >> Ridusse le labbra ad una linea sottile e fissò con forte intensità le coperte per una decina d'istanti, alla fine scattò con lo sguardo su di me. << Mi piace pattinare >> affermò con un ampio sorriso. << È bello scivolare sul ghiaccio, senza ostacoli né percorsi da seguire. Mi fa sentire bene. >> Fece spallucce. << Libera. >> 
<< Perché non ti iscrivi a qualche corso? >> la incoraggiai. 
Annuì. << Ci ho pensato, mi piacerebbe. Credo che farò qualche ricerca su internet e poi andrò ad informarmi di persona. >> 
<< Magari dopo possiamo cominciare a cercare qualcosa sul computer. >> 
Il suo sorriso divenne luminoso quanto le sue iridi. << Sì, così mi consigli. Ottima idea. Ed ora... >> Mi restituì il cuscino scoccandomi un'occhiata maliziosa. << Tocca a te. >> 
In apparenza poteva sembrare un gioco semplice, ma in realtà era esattamente l'opposto. 
Incredibilmente mi si era svuotato il cervello, non sapevo che raccontare. Eppure sapevo di avere un sacco di cose da dire. Anche alle elementari mi era capitato il medesimo fattaccio. Una bambina mi aveva chiesto di elencare tre aggettivi che mi descrivessero, ero andata nel panico e non ero riuscita a spiccicare neanche una parola. Da quel giorno, quell'adorabile bimba, mi aveva battezzata "zucca vuota". 
Era evidente che il mio povero cervello vivesse quei giochi come dei test psicologici di elevata difficoltà. 
Cercai di concentrarmi su qualcosa da confidare. Sentivo i neuroni schiattare uno dopo l'altro. 
<< Mm... Be', io... >> Di quel passo ci sarei stata un anno prima di dire qualcosa di senso compiuto. Poi mi venne in mente la lista di cose che mi ero prefissata di fare. << Ok, domani voglio parlare con Brad >> dichiarai risoluta. 
Clar mi guardò dapprima sorpresa, poi dubbiosa. << Non capisco il motivo. David gli ha già intimato di non avvicinarsi più a te. >> Corrugò la fronte con sospetto. << Non ti avrà mica ridato fastidio, vero? >>
Scossi il capo. << Non è per questo. Vorrei solo cercare di calmare un po' le acque. Credo che se, giunti a questo punto, Bradly sentisse dire da me che la partita è chiusa, forse si metterebbe l'anima in pace. Ma così, per il momento, c'è troppa rabbia e tensione. >> 
<< Forse hai ragione. Troppa tensione potrebbe sfociare in una nuova guerra, e non credo sia il caso. La diplomazia prima di tutto, è ciò che dice sempre mio padre >> asserì solennemente, l'indice ed il mento sollevati.
Ridacchiammo insieme e le tirai il cuscino. << È il suo turno, signorina. >> 
<< Ok, ok. >> Se lo rigirò tra le mani, soppesandolo come una palla. << Mm... Oh, non sai cos'ho scoperto! >> si animò, per poi scoppiare a ridere. 
La studiai con circospezione. << L'ultima volta che hai dette queste parole ed hai reagito così è stato quando mi hai rivelato che la mamma di David era seduta dietro di me durante la partita. Non so se iniziare a preoccuparmi. >> 
<< No, tranquilla, non si tratta di te, ma di una nostra carissima amica: Jessica Wright >> annunciò sollevando un sopracciglio con fare provocatorio. 
Un po' di pettegolezzi ci volevano sempre. Mi sfregai le mani. << Spara. Che ha fatto la luce dei nostri occhi? >> 
<< Si è accapigliata in palestra con una certa Tiffany Stanford. Ho sentito dire che tutto è nato quando questa tale, Tiffany, è entrata a far parte del gruppo delle cheerleader. Jessica non ha visto di buon occhio la cosa, timorosa che la nuova arrivata potesse intaccare la sua supremazia nel gruppo. E proprio durante le ultime prove della coreografia, questa settimana, Jessica è passata all'artiglieria pesante dal momento che Tiffany ha osato rubarle la scena impadronendosi della posizione centrale. >> Scoppiò a ridere battendo le mani. << Jessica era stata relegata a stare nella fila dietro, ovviamente inaccettabile per lei, e così quando, secondo la coreografia, Tiffany si è lanciata indietro per farsi prendere da lei, la nostra ragazza l'ha lasciata schiantarsi a terra. Da lì è scoppiata la rissa. >> 
Stavo ridendo come una matta, quando ebbi la folgorazione. << Ma questa Tiffany la conosco! >> esclamai. << Una mattina ci ha provato con David rifilandogli una scusa patetica sugli armadietti. >> 
Clar mi guardò con gli occhi dilatati. << Oh. >> 
<< Già. >> Il solo ricordo mi innervosiva. 
<< Be', finalmente Jessica ha fatto qualcosa che, in parte, approviamo >> asserì facendo spallucce, per poi rivolgermi un sorriso sornione. 
Scoppiai a ridere della sua buffa espressione e delle sue parole, subito dopo parai il cuscino che mi aveva lanciato. 
<< Bene bene, tocca di nuovo a me >> notai muovendo gli occhi da una parte all'altra, alla ricerca d'ispirazione. Ma poi nella mente, improvvisamente, mi si riversarono una serie di immagini proprio su quel letto su cui ero seduta. Mi sembrò di risentire sulla pelle il calore del corpo di David, il suo braccio intorno ai fianchi, la sua bocca tra i capelli, il suo respiro sul collo. 
Le parole mi uscirono di bocca insieme ad un sorriso spontaneo. << David ha dormito tutte le notti con me >> mormorai alzando lo sguardo per appoggiarlo sulla finestra. << La prima volta che l'ho visto arrampicarsi sull'albero in giardino mi è quasi venuto un colpo >> ricordai ridacchiando. << Mi sembrava di essere una Giulietta moderna. >>
Clar intercettò il mio sguardo, poi lo rispedì su di me con una velocità incredibile. << David si arrampica tutte le notti sull'albero ed entra dalla finestra? >> 
Le sorrisi annuendo. << Proprio così. >> 
Sgranò gli occhi stupita. << Wow, cioè è... pazzesco. E quindi, raccontami un po', che fate? >> Sembrò riprendersi tutt'a un tratto. << Cioè, no, non importa che tu mi dica che fate. Insomma, sono cose vostre, io non... >> 
Risi e le tirai un calcio col piede. << Scema, non facciamo niente se non dormire. >> 
<< Oh >> sentenziò calmandosi. 
<< Sembra che tu abbia visto un fantasma >> la presi in giro ridacchiando. 
<< È come se lo avessi visto. >> 
Continuai a ridere. << Perché? >> 
<< No, è solo che se penso a come David sia cambiato... >> Fece un sorriso tenero. << Che poi, in realtà, non è cambiato nel modo di relazionarsi agli altri o di comportarsi. È sempre lo stesso, ma con l'unica differenza che adesso è estremamente innamorato. >> A sentire quelle parole il mio cuore saltellò emozionato. << Perciò fa cose come questa: dormire con te tutte le notti, guardarti come se non esistesse nessun'altra o prenderti per mano alla pista di pattinaggio. E se ripenso a come vi scannavate, a come non vi potevate soffrire... È incredibile. Siete cambiati, ma al tempo stesso siete sempre gli stessi. È mutato solo ciò che provate l'uno per l'altra. >> Si strinse nelle spalle. << È bello. Sono contenta per voi, davvero. >> 
Lanciai di getto il cuscino da una parte. << Qui ci vuole un abbraccio, basta >> decretai ridendo. 
La strinsi a me con forza, dondolandola in maniera scherzosa e scotolandola con energia di tanto in tanto. << Anch'io sono contenta per te e Kevin >> ammisi distanziandomi per guardarla negli occhi. << Anche se inizialmente non ero affatto convinta della tua scelta, poi mi sono ricreduta. Adesso non riuscirei a vederti con nessun altro. >> 
Le si colorarono le guance ed abbassò lo sguardo. << Grazie. >> Si mise una mano fra i capelli per controllare la forcina e lisciare le ciocche. 
Corrugai la fronte di fronte a quel gesto nervoso. << Che c'è? Qualcosa non va fra voi? >> Eppure mi sembrava strano anche solo chiederlo. Il giorno prima non avevo visto niente che non andasse tra loro. Anzi, mi erano parsi molto uniti e affiatati. 
<< No, in realtà no >> pronunciò schiarendosi la voce, subito dopo incastrò gli occhi nei miei. << Va tutto bene, solo che... >> Si tolse la forcina in un moto di stizza e sbuffò piano. << È imbarazzante dirlo. >> 
<< Se non te la senti non devi dirmelo per forza >> la rassicurai con una carezza sulla gamba. 
<< No, io voglio dirtelo, davvero. >> Alzò gli occhi al cielo. << È solo che la cosa mi imbarazza. Non so neanche da dove iniziare, mi sento ridicola >> terminò con un mesto sospiro. 
Le diedi una pacca sullo stesso punto. << Non sei ridicola, smettila di pensarlo. >> 
Fece un grosso respiro e rialzò lo sguardo su di me. << Ok, la questione è che io e Kevin non abbiamo mai... fatto l'amore >> confessò, affrettandosi sulle ultime parole. << Ecco, l'ho detto. Adesso mi sento molto più imbarazzata di prima >> aggiunse con un piccolo sorriso. 
Ricambiai il suo sorriso con uno dolce. Aveva le guance rosse e le iridi lucide come frammenti di ossidiana. 
Non sapevo bene perché, ma avevo già immaginato che tra loro non fosse avvenuto qual passo. Probabilmente era stato il mio sesto senso a farmelo credere, unito al fatto che conoscessi quanto Clar fosse riflessiva. 
Per distrarla le porsi la sua tazza di cioccolata calda. << E la cosa come ti fa sentire? Per te rappresenta un problema? >> chiesi sondando la sua espressione. 
Storse la bocca in una smorfia poco accennata. << Un po' sì. Io amo Kevin, e... lo desidero da quel punto di vista >> ammise frustrata. << Voglio dire, quando lo bacio vorrei dargli ed avere di più, però poi subentra la paura e... mi blocco. >> 
<< Paura di cosa? >> 
Allargò le braccia. << Di tutto. Dell'atto in sé per sé, di non essere pronta, di... di sbagliare qualcosa oppure di non essere come Kevin mi vorrebbe, di perderlo >> concluse in un soffio stanco. Scosse la testa. << Però al tempo stesso ho paura che in questo modo finisca per allontanarsi da me e che si cerchi qualcuna con una testa meno incasinata della mia. >> 
<< Kevin ti ha mai fatto pesare la cosa? >> le chiesi con tono soffice. Se lo avesse fatto, sarei corsa ad ucciderlo. 
Mi guardò con uno sguardo da cucciola. << No, mai. E non so se la cosa mi faccia sentire meglio o peggio. >> Liberò un breve sbuffo. << Quando gli dico di rallentare non si lamenta mai, rispetta la mia volontà e mi dice di non preoccuparmi. >> Emise un mugolio frustrato. << E in quei momenti mi sento una schifezza perché vorrei dargli di più, vorrei fargli sentire tutto quello che provo quando sono con lui, ma le mie fisime mentali mi bloccano. Tutte le volte che ci penso mi passa persino la fame, non a caso ho perso due chili nell'ultimo mese >> confessò con una smorfia. 
<< Ok, non puoi andare avanti così >> sentenziai perentoria. << Devi metterti in quella testa che Kevin ti ha scelta così per come sei. Se hai bisogno di prenderti altro tempo prima di compiere quel passo, allora fallo. Qui si sta parlando di te, Clar, non di lui. Devi esserne sicura, non devi farlo soltanto perché temi di perderlo. Se ti ama, ed è proprio quello che penso, saprà aspettarti come ha fatto finora. Ma il giorno in cui deciderai di scavalcare il gradino, voglio che pensi solo a te stessa. È la tua prima volta, non appartiene a nessun altro, devi esserne convinta. Solo in questo modo poterai viverla serenamente, con delle piccole paure, certo, ma che si sgretoleranno una dopo l'altra se sarai con la persona giusta. E Kevin è quella persona >> conclusi con un sorriso. << E vuoi sapere un'altra cosa? Secondo me lui sa esattamente cosa ti frulla per la testa, perché, per quanto mi costi ammetterlo, è estremamente acuto e intelligente. >> 
Rise della mia affermazione, rischiando quasi di rovesciare la cioccolata sul letto, successivamente mi guardò dritta negli occhi. << Non l'avevo mai pensata da questo punto di vista, intendo da me stessa. Non ho fatto altro che impilare insicurezze su insicurezze fino a perdere di vista la cosa più importante. >> Si aprì in un sorriso più sereno. << Cercherò di seguire ciò che voglio e ciò che sento. Quando sto con Kevin so di essere nel posto giusto, è una delle poche cose su cui non ho dubbi. >> Abbassò la testa, le gote rosse. << Spero che anche per lui sia così. >> 
Sorrisi e sollevai le sopracciglia. << Vuoi vedere con i tuoi occhi qual è il posto giusto di Kevin? >> 
Clar mi fissò imbambolata, probabilmente chiedendosi se fossi impazzita. 
Allungai un braccio sul comodino ed acciuffai il telefono, poi scartabellai le foto e pigiai su quella che avevo scattato il giorno prima. Mi scappò un sorriso gongolante nel vederli l'uno accanto all'altra che si fissavano intensamente poco prima del bacio. 
In quella foto Kevin aveva un sorriso leggero sulle labbra, gli occhi dolci rivolti a Clar ed un braccio attorno alla sua vita. La stava guardando come un fiore prezioso, come se avesse tra le braccia la sua isola felice, come se si trovasse nel suo posto giusto
<< È questo >> affermai rivolgendole il telefono. Un enorme sorriso le si propagò sul volto, subito dopo alzò gli occhi lucidi di gioia su di me.
Annuii alla sua muta domanda. << Accanto a te. >>





                                                                   *  *  * 





Quella sera avevo scelto un pigiama più decoroso. Niente mucche, niente rane né maialini. Mi ci era voluta un'ora ed una crisi isterica per trovare nei meandri della roba da stirare, quel sobrio pigiama rosa confetto. 
In verità non era bello nemmeno lui, ma poteva andare. Perlomeno non sarei stata presa in giro come di consueto. 
Corsi in bagno a lavarmi i denti e a darmi una sistemata ai capelli, optando per una bassa coda laterale. Poi mi pizzicai le guance per dar loro colore e controllai di non avere niente fuori posto. 
Saettai di nuovo in camera, dopo aver urlato la buonanotte a tutti, e chiusi la porta a chiave cercando di non far rumore. 
Controllai la sveglia: erano solo le undici. David sarebbe arrivato almeno un'ora dopo, perciò tanto valeva infilarsi sotto le coperte ed aspettarlo con un libro in mano. 
La settimana prima avevo iniziato a leggerne uno tanto bello quanto triste, malgrado fosse alleggerito da qualche stoccata d'ironia. La nostra professoressa di letteratura ci aveva consegnato una lista di titoli tra cui scegliere per scrivere un'accurata recensione finale. 
L'occhio, fin da subito, mi era caduto su un libro di nome Oh, boy!, così avevo ritenuto che fosse quello che faceva al caso mio. Tutt'ora credevo di non essermi sbagliata, lo stavo amando. Ci ero entrata totalmente dentro, soffrendo e gioendo con i protagonisti. 
Cominciai a leggerlo con i fazzoletti a portata di mano.
Quando avevo fatto sapere la mia scelta alla professoressa, quest'ultima mi aveva consigliato di comprarmi un pacco di Kleenex per il finale. 
Ero piuttosto sicura che, invece, non avrei versato una lacrima. Insomma, non avevo mai pianto per un libro, emozionata sì, sempre, ma pianto mai. Perciò quel libro lo vedevo come una sfida. 
Pagina dopo pagina percepii un molesto magone gonfiarsi nella gola. Ma avrei retto. 
Non era il caso di allarmarsi. 
Come un castello di sabbia spazzato via dalla furia del mare, anche la mia convinzione venne distrutta, annientata, ridotta in polvere. 
Giunta al finale non ero affatto triste, ero semplicemente disperata. Stavo piangendo come una fontana, con tanto di singhiozzi ritmici e naso gocciolante. 
Con un fazzoletto dopo l'altro stavo costruendo una sorta di fortezza intorno alla mia persona. Ero commossa da tutto, talmente altalenante nell'umore da piangere anche alla vista della lampada. 
David mi trovò così. Avvolta nelle coperte con il moccico al naso, le lacrime sul viso e un esercito di fazzoletti sparsi ovunque. 
Ed io che avevo persino cambiato pigiama per non farmi prendere in giro. 
Inizialmente mi guardò allarmato, poi scorse il libro che tenevo in grembo e sghignazzò. << Stai piangendo per quello? >> chiese indicandolo. 
Me lo strinsi al petto come un figlio. << Perché, non si può? >> mi lamentai tirando su col naso. << Tu non capisci, è stupendo. >> 
<< Dalla tua reazione deduco che finisca male >> ipotizzò mentre si svestiva. 
Il mio dolore fu alleviato dalla vista del suo petto coperto solo dall'esile canottiera. 
Scossi il capo. << No, c'è il lieto fine. Devi leggerlo. >> 
Un sorrisetto divertito gli increspò gli angoli della bocca. << Chissà a quest'ora com'eri ridotta se finiva male. Probabilmente ti staresti rotolando nel letto insieme ad un chilo di cioccolata e qualche litro di lacrime. Domani avresti avuto gli occhi gonfi come quelli dei pugili quando beccano un cazzotto. >> 
Mi soffiai il naso e lo fulminai con un'occhiata. << Molto divertente. >> 
Ridacchiò e mi raggiunse con rapide falcate, s'intrufolò sotto le coperte e, ancor prima che si stendesse, m'incollai a lui. Lo baciai sul mento e gli avvolsi il torace con un braccio. << Mi sei mancato ieri notte. Era strano non averti accanto >> ammisi sollevando il viso per guardarlo. 
Ruotò il capo ed abbassò gli occhi ambrati sui miei. << È stato strano anche per me non avere qualcuno che mi riempie di pugni e calci mentre dorme >> disse con un sorrisetto beffardo. Dopodiché si girò su un fianco e mi avvicinò a sé, mi scostò i capelli dalla faccia e sollevò la testa per arrivare con le labbra ad un soffio dalle mie. 
Il mio cuore incrementò la frequenza dei battiti. Sentii le guance prendere calore ed il corpo accendersi come una miccia. 
 << C'è una cosa che bramo di fare da tutto il giorno >> mormorò prima di solleticarmi un labbro con la punta della lingua. 
Sollevai il mento e gli avvolsi il collo. << Allora falla >> buttai fuori con un filo di voce. 
In quel momento ero sicura di avere la tachicardia. I battiti mi rimbombavano persino sotto le piante dei piedi. 
Immediatamente la sua bocca planò sulla mia. Ne sentii tutta la morbidezza mentre mi baciava con lentezza e passione, vezzeggiando le mie labbra con tocchi sensuali. 
Il mio cervello divenne pappa, le gambe molli e il corpo lava bollente. 
Quando si distanziò ebbi l'impressione di aver fatto un giro in paradiso. 
La sua bocca si distese in un sorrisetto soddisfatto prima di ribaciarmi rapido. << Adesso va meglio >> sentenziò sistemandosi al mio fianco. 
Spensi la luce nella speranza di nascondere il rossore diffuso su tutta la mia faccia e mi accoccolai contro il suo corpo. Una sua mano corse ad accarezzarmi i capelli, il che mi fece chiudere istantaneamente gli occhi. 
<< E comunque io non tiro calci e pugni >> borbottai. 
<< Certo che no >> mi prese in giro, il tono rauco. 
<< Che hai fatto oggi? >> chiesi insieme ad uno sbadiglio.
<< Sono uscito coi ragazzi. >> Fece una pausa. << E poi ho atteso di salire fin qua >> aggiunse ad un tono molto più basso, immergendo la bocca tra i miei capelli. 
Quelle parole appena sussurrate fecero svolazzare il mio già provato cuore. 
<< Tu sei stata con Clarice? >> mi domandò. 
Annuii. << Siamo state bene, abbiamo chiacchierato tanto. >> 
<< Di cosa? >> buttò là con finto disinteresse. La curiosità nel suo tono era lampante. 
Sorrisi. << Segreti, non te lo dirò mai. >> 
<< Tanto so che avete parlato anche di me >> asserì divertito.
<< Chissà. >> 
Percepii la sua bocca stendersi in un sorriso. << Buonanotte, nanetta. >> 
<< Buonanotte, carciofetto >> lo presi in giro ridacchiando. 
Gli stampai un bacio sul petto mentre lui mi pizzicava un fianco. Poi inspirai il suo profumo familiare e mi lasciai avvolgere dal calore di quel posto. Il mio posto giusto.




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