Edward's Twilight

di Barbara Baumgarten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Lieto di conoscerti ***
Capitolo 3: *** Sarebbe bene ricominciare ***
Capitolo 4: *** Una bella botta in testa ***
Capitolo 5: *** Stammi lontana ***
Capitolo 6: *** E' difficile essere amici ***
Capitolo 7: *** Teorie e d'intorni ***
Capitolo 8: *** La Push ***
Capitolo 9: *** Un'altra gita imprevista ***
Capitolo 10: *** Verità ***
Capitolo 11: *** Potete essere felici per me? ***
Capitolo 12: *** La radura ***
Capitolo 13: *** Da qui tutto ebbe inizio ***
Capitolo 14: *** Bella's Lullaby ***
Capitolo 15: *** Sono il tuo ragazzo ***
Capitolo 16: *** Ti presento i miei ***
Capitolo 17: *** Carlisle ***
Capitolo 18: *** Fossi in te non frequenterei i Cullen ***
Capitolo 19: *** Ti amo, ti basta come giustificazione? ***
Capitolo 20: *** Strike! ***
Capitolo 21: *** Il segugio ***
Capitolo 22: *** La caccia ***
Capitolo 23: *** Imprevisto ***
Capitolo 24: *** Resistere o morire ***
Capitolo 25: *** Nuovo inizio ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***


Un altro, noioso, prevedibile giorno di scuola. Edward Cullen camminava lungo il parcheggio antistante l’istituto superiore di Forks, guardando in basso, senza concentrarsi su qualcosa in particolare. Non che ne avesse bisogno: i suoi sensi, bastavano per evitare un qualsiasi scontro e i suoi riflessi, gli consentivano di muoversi agilmente fra gli studenti. La stessa cosa non poteva dirsi degli altri ragazzi, perché Edward Cullen non passava, certo, inosservato. Alto, atletico, capelli arruffati al punto giusto, sguardo magnetico e volto angelico: un dio, stando a molti dei commenti che venivano sussurrati alle sue spalle. Lui sorrideva, ogni volta che i pensieri adolescenziali gli invadevano la testa: un sorriso amaro, di chi si è arreso ad un destino crudele quanto il mostro che era. Forks…poco più di tremila e seicento anime, ignare di quanto la famiglia Cullen avesse potuto rappresentare un pericolo, se solo avesse voluto. Edward, così come la sua famiglia, faceva parte della mitologia, per molti, delle paure, per tutti. Tuttavia, grazie a Carlisle, era stato capace d’integrarsi senza lasciar trapelare la sua vera natura: era un vampiro, un mostro assetato di sangue. Ma anche un mostro che era riuscito, non senza grande fatica, a mantenere uno stile di vita più salutare per tutti. Si cibava ogni due o tre settimane, nei boschi, uccidendo puma, per lo più. Quello stile di vita non era condiviso da tutti i vampiri, anzi, la famiglia Cullen rappresentava una rarità. Non era facile controllare la sete, sentire il bruciore pervadere la propria gola, lo stomaco contorcersi dal desiderio e placarne i sintomi con un ripiego animale. Tuttavia, era necessario. La sua famiglia aveva deciso di convivere con gli esseri umani, integrandosi, per lasciare spazio a quella parte umana che, secondo Carlisle, era ancora viva in loro. Ma Edward si chiedeva ogni singolo giorno, quanto fosse sepolta in lui e, soprattutto, se suo padre avesse ragione.
Quella mattina, sembrava che il mondo intero fosse in fermento. Ovunque posasse il suo pensiero, sentiva sempre le stesse due parole, condite da varie esclamazioni di meraviglia e curiosità: Isabella Swan, la figlia dello sceriffo di Forks. Non riusciva a comprendere il motivo di tanto eccitamento e, soprattutto, non riusciva a nascondere un certo divertimento nell’ascoltare i pensieri. C’era chi sosteneva di averla già vista suscitando l’incredulità degli altri, come se stessero parlando dell’abominevole uomo delle nevi; altri, soprattutto ragazze, che sembravano preoccupate dall’arrivo di una nuova gallina nel pollaio. Fondamentalmente, Forks era una piccola cittadina e la concorrenza era alta.
“Chissà come sarà?” diceva una ragazza mora, appoggiata al suo pick up. Edward riuscì a notare la differenza fra ciò che chiedeva e ciò che pensava. Sorrise all’ipocrisia.
“Come sarà chi?” chiedeva, annoiata, l’amica.
“Ma Isabella Swan! E chi, se no? Non sai che si è trasferita dalla Arizona?”
“Sicuramente” sentenziò la biondina che si guardava nello specchietto laterale dell’auto, aggiustandosi i capelli “avrà qualche menomazione. Altrimenti, non si spiega perché abbia lasciato la terra del Sole per questo angolo sperduto, umido e nuvoloso” Edward non poté non scuotere la testa, al solo sentir parlare quella ragazza. Erano tutte così tristemente prevedibili. E ipocrite. Ma non poteva lasciarle fuori dalla sua testa. 
Per quanto, infatti, Edward cercasse di vivere quella giornata come fosse un lunedì qualunque, non riuscì nel suo intento. La testa gli scoppiava. Molti avrebbero pensato, che poter leggere nei pensieri delle persone fosse una cosa positiva, ma nessuno ha mai valutato i lati negativi della questione: Edward non poteva spegnere il suo dono. Ciò significava che, ogni singolo minuto di ogni noiosa giornata, la sua mente era invasa dai pensieri altrui. Non aveva modo di silenziarli, non poteva ritagliarsi un momento di solitudine. Aveva provato varie volte, ma dopo quasi ottant’anni di esercizio, era riuscito solo ad attutirne il rumore, ovattando i pensieri che gli invadevano la testa, senza, tuttavia, eliminarli. Così, la sua vita procedeva in linea retta, sospesa fra due abissi: il mostro che era, assetato di sangue umano ma costantemente in lotta con se stesso per resistere all’istinto omicida e il lettore di pensieri, perennemente violentato nella sua mente dalle stupide idee altrui. Ma anche lui, aveva pensieri. Negli ultimi ottant’anni, cioè da quando Carlisle l’aveva trasformato, non era trascorso giorno senza un’idea fissa: la morte. Edward credeva che la sua esistenza – perché di quello si parlava, non certo di vita – fosse un dolore per sé e per gli altri. La sua famiglia, per quanto bene gli dimostrasse costantemente, non capiva l’immenso baratro di solitudine che lo trascinava in basso, verso l’inferno. Solo Alice sembrava accorgersi del suo malumore, ma, come tutti, era impotente. Una volta, anni prima, Edward stava pensando, con più risolutezza del solito, ai Volturi: gli unici capaci di porre fine alla sua esistenza. Stava pianificando ogni cosa, aveva perfino scritto una lettera per ogni componente della famiglia e fu per quello, per la sua convinzione, che Alice si fiondò nella sua camera. Non si dissero molto, non c’era bisogno. Lei si sedette di fianco a lui, sul pavimento, dove giacevano sparpagliati i diversi fogli, sui quali, Edward aveva provato e riprovato a scrivere il messaggio di addio. Quando lui la vide entrare, capì quanto si fosse spinto vicino alla morte. Alice, infatti, poteva vedere il futuro solo dopo che le decisioni venivano prese: evidentemente, aveva visto suo fratello morire, per mano dei Volturi. Poteva leggere l’orrore della propria morte, riflessa nelle iridi d’orate della sorella e capì quanto, in fondo, temeva di perderla. I vampiri non possono piangere. Ma quel giorno, Edward si abbandonò nelle braccia di Alice in un pianto silenzioso, senza lacrime, violento come un fiume in piena. Non si ricordava nemmeno cosa volesse dire, piangere. Si sentiva uno sciocco, perso e perduto. Alice aveva Jasper, Rose aveva Emmet e lo stesso valeva per Carlisle ed Esme. Lui era solo, non aveva nessuno. Era un mostro solitario, disperso nell’arida terra dei pensieri vuoti, dove rimane solo l’eco del proprio dolore.
Alice non disse nulla, ma permise al fratello di leggere nella sua mente, dove in sequenza, come in un trailer cinematografico, si susseguivano le immagine delle loro vite insieme. Rimasero così, abbracciati, tutta la notte, finché le luci dell’alba non segnarono l’inizio di un nuovo giorno. Non ne parlarono mai ed Edward non pensò più, così seriamente, alla morte. L’idea dei Volturi rimase in lui, latente, come il ricordo di un sogno che ci conforta nelle ore di veglia. La morte rimase una piacevole soluzione, consolatoria. In fondo, c’era tempo per recarsi in Italia.
C’era tutta l’eternità.

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Capitolo 2
*** Lieto di conoscerti ***


La campanella suonò, trascinando gli studenti verso la mensa. Edward si incontrò con il resto della famiglia Cullen nel giardino antistante il refettorio. Lasciavano sempre un po’ di spazio fra sé e gli studenti, in modo da non dovere stare troppo vicini. Per quanto, infatti, credessero fermamente nel principio di non bere sangue umano, non era il caso di mettere troppo alla prova l’autocontrollo. Specialmente, con Jasper. Lui era stato l’ultimo a convertirsi alla nuova dieta e ne soffriva ancora molto. Non era facile fare i conti con la sete, soprattutto, quando si veniva circondati da sangue umano in piena fase ormonale. Capitava spesso che Edward, potendo leggere i pensieri di Jasper, lo prendesse da parte per allontanarlo dalla folla e che Alice sondasse il suo immediato futuro, per sapere in anticipo se mai avesse aggredito qualcuno. Erano sempre in allerta, ma si era abituato a tutto questo.
Edward odiava se stesso per quello che era, ma al contempo, sapeva di poter essere migliore. L’autocontrollo non era mai stato un problema, almeno non per lui. Almeno non fino a quel giorno.
Prima di tirare la maniglia della grande porta a vetri che lo separava dalla mensa, Edward inspirò profondamente: se camminare per i corridoi poteva essere un’esperienza noiosa, per il continuo vociferare inutile nella sua testa, l’ora di pranzo rappresentava un vero inferno. Si scopriva ogni giorno più stupito di quanto i pensieri degli umani rasentassero l’idiozia davanti al cibo. Si chiedeva se fosse colpa di qualche sostanza o dei conservanti. Così si prendeva sempre qualche secondo per svuotare la testa e gettarsi nel miasma insano dei pensieri adolescenziali. Quel giorno non fu diverso, in questo. Inspirò e si fece forza. Nell’attimo stesso in cui la porta si aprì, ebbe l’impressione di scontrarsi contro un’onda che lo travolse, con forza. Guardò dritto davanti a sé, seguendo con lo sguardo Alice e Jasper che, elegantemente, si facevano strada verso il loro solito tavolo. Non avrebbe saputo dire perché si mise ad ascoltare quella conversazione. Jessica non era mai stata una ragazza interessante e nemmeno i suoi pensieri avevano molto appeal. Eppure… la vita, sia quella mortale che quella eterna, riesce sempre a stupirti e questo Edward lo provò sulla sua pelle.  Passò di fianco al tavolo della Stanley che, ovviamente, non si era lasciata scappare l’opportunità di accalappiarsi la nuova arrivata. Edward era convinto che Jessica avrebbe mantenuto volentieri le distanze da Isabella, ma l’attenzione che girava attorno alla nuova ragazza, rappresentava un’opportunità troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Era meglio tenersela vicina e godere di popolarità riflessa. Mentre Edward pensava all’ipocrisia di Jessica, venne colpito tentativo di lei di distogliere l’attenzione di Isabella da lui.
“Lui è Edward Cullen. È uno schianto assoluto, ovviamente, ma a quanto pare nessuna di noi gli sta bene. Sai che me ne importa figurati. Sul serio non ci perdere tempo” diceva Jessica a fil di voce, come se Edward non potesse sentirla. Il vampiro sorrise: se solo avessero capito il pericolo che lui rappresentava per loro, avrebbero evitato la sua presenza come la peste. Questa era la storia della sua vita: desiderare il sangue umano, lottare contro l’istinto di cibarsene ed essere sempre, costantemente, circondato da prede. Edward rideva di se stesso, a volte, quando si sorprendeva a fare simili pensieri. Sapeva che ogni ragazzo della sua scuola avrebbe dato qualunque cosa per essere lui, per avere anche solo un decimo del suo aspetto. Viceversa, lui avrebbe dato qualunque cosa per poter essere loro.

La pausa pranzo si rivelò, come tutti i momenti trascorsi in quella scuola, noiosa. Fingeva di mangiare, accostando piccole quantità di cibo alla bocca e parlava con i suoi fratelli. Emmett era particolarmente irrequieto, aveva sete e voleva andare a caccia. Rosalie era, come sempre, troppo nobile per mescolarsi coi comuni mortali: si aggiustava i capelli, come avrebbe fatto una qualsiasi ragazza della sua età. Alice, preoccupata di Jasper, sorrideva ma si capiva che era concentrata sul futuro del suo compagno. Tutti e cinque, si alzarono qualche istante prima che la campanella segnasse la fine del pranzo e l’inizio delle lezioni pomeridiane.
“Dove vai ora, Edward?” chiese Alice, mentre teneva a braccetto Jasper.
“Biologia” rispose laconico. Edward sorrideva raramente ed era di poca compagnia. Il suo umore, nero e fumoso, emergeva anche nei piccoli gesti quotidiani che faceva meccanicamente, senza sentirne mai un vero trasporto.
“Buona lezione!” gli augurò Alice, regalandogli una grande e sincero sorriso. L’aula si popolò, lentamente, come se fosse addormentata. Lui guardò fuori dalla finestra, cercando una qualche pace, al di fuori del vociare da pollaio che lo circondava. Sentì distrattamente la voce di Mike Newton che annunciava al professore l’arrivo della nuova compagna. Lentamente, si voltò nella direzione della porta e la vide, mentre arrossiva, camminare goffamente verso la cattedra. Edward non poteva sapere quanto la sua vita sarebbe cambiata, da quel momento, dall’istante stesso in cui Bella passò davanti al ventilatore. Fu una questione di attimi, secondi che diventarono per Edward un’eternità. Una folata di aria calda portò alle sue narici l’odore più dolce e inebriante che avesse mai sentito. Le sue pupille si dilatarono, mentre i suoi muscoli si contrassero, irrigidendosi. Fece uno scatto repentino, per aggrapparsi al banco, per fermare la bestia che ruggiva, dentro di lui. Mai, in tutta la sua esistenza da vampiro, aveva avuto una sete così violenta. Sbatté le palpebre, più volte, non perché ne avesse bisogno ma solo perché era un gesto che faceva da umano, quando si spaventava. Lei si accorse della sua reazione ed arrossì, mentre si avvicinava al banco per sedersi al fianco di Edward. Il rossore delle guance fece stringere il pugno al ragazzo: il cuore di lei batteva irregolare, accelerato, richiamando il sangue alla giugulare, facendola pulsare, invitante. Lui dovette deglutire più volte, mentre la sua mente, diventava il teatro di efferati omicidi. Per tutta la lezione, pensò a trenta modi diversi di uccidere quella ragazza: avrebbe potuto rapirla, ma avrebbe richiesto troppo tempo e lui aveva sete. Poteva aggredirla lì, in classe, e bere il suo sangue, godendo nell’atto. Ma avrebbe dovuto uccidere tutti, in quella stanza. Vagliava ogni possibilità, una meno plausibile dell’altra, mentre la gola bruciava e doleva. Il tempo non passava, non voleva trascorrere. Sembrava che l’Universo volesse la morte di quella ragazza e la dannazione per la famiglia Cullen. Fu proprio il pensiero della sua famiglia a fermarlo: attaccare Bella Swan avrebbe causato dolore a tutti loro, a Carlisle prima di tutti. Avevano faticato molto per ritagliarsi un angolo di tranquillità nella contea di Clallam e Forks si era dimostrata una cittadina perfetta per loro. Sebbene i Quileute rappresentassero dei cani da guardia piuttosto fastidiosi, erano riusciti a far valere l’accordo per molto tempo e il suo gesto, avrebbe mandato in fumo tutto questo. Tutta la loro vita sarebbe stata messa in pericolo, solo per placare la sua sete. Ma stare accanto a quel profumo, stava diventando difficile. Avrebbe voluto trattenere il respiro, ma la voglia di annegare nel suo aroma era forte. Cercò distrazione nei suoi pensieri e a qual punto si accorse del silenzio. Più cercava di focalizzarsi sui pensieri di lei, più si rendeva conto che la ragazza non pensava. Aveva conosciuto molte ragazze intellettualmente poco interessanti, ma anche la più stupida aveva dei pensieri. Sciocchi, ma li aveva. Bella Swan no. Non pensava, non produceva un minimo di idea. Edward si concentrò sul professore: riuscì a sentire la frustrazione di insegnare biologia, mentre il suo gatto era a casa malato. La lettura dei pensieri funzionava perfettamente. Tornò su Bella: nulla, il vuoto. Qualcosa non andava, non era mai accaduto prima. Quella ragazza, senza saperlo, si era appena salvata la vita perché Edward era troppo impegnato a capire cosa stesse succedendo. Il vampiro giunse, non senza una certa fatica, a due tipi di conclusioni: la prima, Bella riusciva a vivere senza fare alcun pensiero; la seconda, la sete del suo sangue aveva, temporaneamente, offuscato il suo dono. Accantonò la prima eventualità nell’istante stesso in cui cominciò a formularla nella propria testa. Rimaneva la seconda. Possibile? D'altronde non era nemmeno mai capitato che un odore gli facesse perdere così il controllo, quindi perché no? La campanella giunse come una benedizione, permettendo ad Edward di mettere la giusta distanza fra sé e la ragazza.
Devo nutrirmi pensò Devo andare a caccia.

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Capitolo 3
*** Sarebbe bene ricominciare ***


~~“Cosa ti è successo?” la voce di Carlisle era preoccupata ed Edward non riuscì a sostenere il suo sguardo. Si lasciò cadere sul divano, sconsolato e spaventato.
“Carlisle, oggi ho quasi ucciso una ragazza” disse tutto d’un fiato, come se stesse tirando fuori un peso che lo opprimeva fin nei polmoni. L’uomo si avvicinò a lui e si sedette di fianco.
“Mi vuoi raccontare?” chiese, dolcemente, mentre Esme si aggiungeva, prendendo posto sulla poltrona davanti. Edward inspirò profondamente, cercando dentro di sé le parole.
“Appena ho sentito l’odore del suo sangue, ho perso il controllo. Non mi era mai capitato. Ho temuto di saltarle addosso davanti a tutti, anzi…” sospirò “L’ho quasi fatto”. Nella stanza cadde il silenzio: Carlisle, l’uomo che fra tutti i Cullen aveva più esperienza, pensò ad una possibile spiegazione dell’accaduto. Edward era sempre stato molto controllato, non era stato complicato educarlo alla dieta animale e, soprattutto, non lo aveva mai visto in balìa della sete a tal punto. Esme, guardò Carlisle aspettando un responso, così come Edward.
“Credo che la ragazza sia la tua Cantante” ammise, infine, il dottore. Esme ed Edward lo guardarono, interrogativi.
“Si dice che per ogni vampiro esista una persona, il cui sangue abbia un richiamo forte. Per molti si tratta di pura leggenda, ma ho visto, personalmente, vampiri fare le cose più sconsiderate davanti ai Cantanti”
“Quando vivevi Volterra?” chiese Edward.
“Esatto. Ricordo di un vampiro, Marco. Era sempre attento a seguire le regole dei Volturi e in circa sessant’anni, non aveva mai infranto alcuna regola. Lo stesso Aro ne fu sconvolto, quando, in pieno giorno, Marco attaccò un ragazzo, nella piazza del mercato. Nessuno si capacitava del gesto. Nemmeno lui. Ricordo che al cospetto dei Volturi, non seppe giustificare l’aggressione. Semplicemente, disse che non era riuscito a controllarsi”. Seguì una pausa, durante la quale, vennero raggiunti anche dagli altri membri della famiglia.
“Alice” disse Esme “Hai visto Edward attaccare la ragazza?”
Alice sembrò stupita dalla domanda. “No, ma cosa è successo?”
“Edward ha incontrato la sua Cantante” rispose Carlisle.
“Ma tutto questo è assurdo!” quasi tuonò la voce di Edward, incapace di ammettere che la sua natura potesse essere così influenzata dal sangue di Bella.
“Bella Swan?” chiese Alice. Edward la guardò. “Ho visto l’espressione della ragazza mentre usciva dalla lezione di Biologia e ho provato a sondare il suo futuro. Non so perché, ma ho creduto che tu centrassi qualcosa nella faccenda”
“E… ?” incalzò Edward, irritato.
“E credo che abbia intenzione di parlarti” Alice pronunciò quelle parole guardando altrove. La paura prese possesso di Edward, che sapeva di non poter controllare la sua sete una seconda volta.
“Edward, tu puoi farcela” disse Carlisle, intuendo i pensieri del ragazzo “Devi solo nutrirti con più frequenza. Non sarà facile, ma puoi riuscirci”
“Carlisle c’è un’altra cosa, che non vi ho detto” ora gli sguardi erano tutti su di lui. “Non riesco a sentire i suoi pensieri”
“Interessante” disse il medico “Nemmeno uno?” chiese, incuriosito.
“Nulla. Silenzio completo”
Carlisle congiunse le mani sul mento, pensieroso. “Non so spiegarmi questo” ammise, con franchezza “Ma credo che dovremmo affrontare i problemi uno alla volta. Innanzitutto, devi andare a caccia, Alice e Jasper verranno con te. Poi penseremo al resto”
Nelle ore che seguirono, Edward si chiuse nella sua camera, cercando di fare chiarezza nei suoi pensieri e aspettando la notte per poter uscire a caccia. Non capiva ciò che era accaduto, non riusciva a credere che il sangue di Bella potesse scatenare in lui una tale sete. Anche in quel momento di solitudine, sentiva di non aver più sete del solito: era convinto che avrebbe potuto resistere ancora qualche giorno, prima di sentire la morsa dalla fame. Eppure, non appena pensava a Bella, la gola iniziava a bruciare. La storia della Cantante lo inquietava: se fosse stata vera, allora quella ragazza doveva mantenere le distanze da lui. Ma soprattutto, lui doveva starle lontano. Sentiva di non averne la forza e temeva che la caccia non avrebbe sortito alcun effetto.
L’aria fresca della notte, riuscì a cambiare l’umore del vampiro. Correva affiancato da Alice e Jasper per i boschi, diretto a Nord. Dovevano allontanarsi da Forks il più possibile, come da accordi con i Quileute. In poco tempo, raggiunsero il Canada: una distesa di boschi ricchi di puma. Edward adorava cacciare: sentire il suo corpo che si trasformava in predatore, l’attesa e la corsa. Lui cacciava predatori, non prede. Anche con gli animali, faceva un distinguo: non gli sembrava corretto usare la sua forza contro prede inermi, preferiva la lotta con quelli più forti. Anche Emmett era come lui, adorava i predatori, ma la sua preda preferita erano gli orsi. Non c’era da stupirsi, visto che il colosso dei Cullen somigliava più ad un orso che ad un vampiro. Quando Edward uccise il primo puma della serata, si sentì rinvigorito. Certo, il sangue animale non aveva lo stesso effetto di quello umano, ma dava la forza necessaria ad un vampiro. I suoi occhi cominciarono a riprendere la colorazione ambrata, tipica della sua dieta e i suoi pensieri trovarono pace. Non poteva negare a se stesso il fatto che, con ogni probabilità, il senso di pace fosse indotto da Jasper, tuttavia godeva del momento. A mano a mano che si nutriva, riacquistava anche più sicurezza riguardo al proprio autocontrollo. Bella Swan faceva meno paura.
Edward si prese qualche giorno in più per la caccia, mentre Alice e Jasper tornarono a Forks l’indomani. Preferiva rientrare a casa con lo stomaco ben pieno, piuttosto che rischiare. Le serate trascorse da solo gli mettevano un po’ di tristezza: lui era uno solitario, ma non amava la solitudine. Adorava la gente, la musica, la sua famiglia: ecco perché non avrebbe mai pensato di lasciare i Cullen per fare il Nomade. Molti vampiri, prima di trovare una famiglia, trascorrevano anni in completa solitudine, divenendo più simili a bestie che a uomini. Il grande pericolo, che essi rappresentavano, era sempre presente ai Cullen: capitava, a volte, di dover convincere un Nomade a passare oltre Forks, a lasciare stare quel terreno di caccia. La loro richiesta era stata, quasi sempre, ascoltata, anche perché non conveniva mai ad un solo vampiro scontrarsi con un clan. Eppure, venivano guardati in modo strano, dagli altri vampiri. Cominciò a spargersi la voce che i Cullen non bevevano sangue umano e con essa, si sparse anche quella secondo la quale fossero un clan debole. Ecco perché in alcune occasioni dovettero arrivare allo scontro: i Cullen non amavano combattere, ma se messi alla prova, sapevano lottare con forza estrema.


Il caos del parcheggio scolastico, ricordò ad Edward il motivo per cui amava il silenzio delle montagne. Scese dalla sua Volvo e si gettò nella folla, accompagnato dalla sempre attenta Alice e dai suoi fratelli. La vampira gli stava vicino, rincuorandolo con i suoi pensieri: presto avrebbe rivisto Bella e la paura cominciò ad attanagliare il suo animo fin dal suo rientro a Forks. La mattinata passò tranquilla, così come la pausa pranzo. Edward allungò lo sguardo verso il tavolo dove la compagnia di Bella era solita pranzare e la vide. Non riuscì a nascondere un moto di frustrazione, quando provando per l’ennesima volta a sondare i pensieri di lei, fallì. Lei lo guardava in modo torvo, un misto fra paura e frustrazione. Probabilmente, doveva a verla scioccata al loro primo incontro ma mai quanto lei aveva sconvolto lui. Raggiunse la classe di biologia, ben prima che la campanella suonasse, in modo da poter fare mente locale sul da farsi. Avrebbe dovuto presentarsi? E cosa le avrebbe detto? Ciao sono Edward Cullen, scusa se non mi sono presentato ma ero troppo impegnato a pensare al modo di ucciderti? Insomma, stava partendo dal presupposto che a lei interessasse qualcosa di lui, ma in fondo, Alice gli aveva detto che Bella avrebbe voluto parlargli. Mentre pensava a cosa dire, Bella entrò in classe accompagnata da Mike. Era strano: ascoltare i pensieri di Newton lo fece arrabbiare. Perché? Perché ogni cosa avesse a che fare con quella ragazza, faceva emergere la sua parte peggiore? Lei lo guardò fisso negli occhi, mentre si avvicinava al banco. Edward aveva cominciato a non respirare da quando era entrato a scuola: non voleva sentire nemmeno un piccolo assaggio del profumo della ragazza che, con ogni probabilità, impregnava anche i muri dell’edificio. Trattenere il respiro sembrò funzionare, per lo meno non faticò a mantenere il controllo quando lei gli fu accanto.
“Ciao” le disse, sfoderando il sorriso più convincente che poteva “Mi chiamo Edward Cullen”
Lei sembrò quasi sollevata dal suo saluto, anche se Edward intravvide una certa perplessità nel suo sguardo. A cosa pensa, dannazione?! “Tu devi essere Isabella Swan” continuò, in modo amichevole. Ma che stava facendo? Cercava di familiarizzare con la sua Cantante? Avrebbe dovuto mantenere le distanze, doveva starle lontano. Eppure, c’era qualcosa che lo attraeva, come un magnete.
“Bella” lo corresse e lui si diede dello stupido, perché sapeva che lei detestava essere chiamata Isabella. Edward la guardò con più attenzione: i suoi capelli erano castani e profumavano di pesca, mentre la sua pelle, candida, lasciava intravvedere il reticolo di vene che trasportavano il suo sangue. Dovette distrarsi, perché l’istinto gli disse di respirare a pieni polmoni, di lasciarsi inebriare dal suo odore. Lei arrossì e lui la maledisse per quello. Cercò di capire di più su di lei, facendo domande sulla sua vita precedente, su sua madre e sul motivo del suo trasferimento.
“Vuoi davvero sapere cosa penso?” le chiese, quando lui domandò il motivo del suo trasferimento a Forks. Era strano parlare con una persona senza sapere a cosa stesse pensando, si sentiva smarrito e stupido. Quando lei lo guardava perplessa, per una domanda, Edward sentiva crescere la frustrazione. Allora cominciò a tirare ad indovinare, ma le sue induzioni finivano, quasi sempre, per fare un buco nell’acqua. Era così assuefatto dal suo dono, da non essere più capace di capire una persona senza sondarne i pensieri e, questo, lo rendeva curioso. Mentre procedeva la lezione, Edward poté constatare che Bella non sembrava una ragazza stupida come le altre, che aveva o che sembrava avere, una buona cultura. Era sempre più affascinato da quella creatura: così debole, così impacciata eppure così interessante.
Tornò alla realtà quando lei gli chiese il motivo del cambio di colore dei suoi occhi.
“Porti le lenti a contatto?” gli chiese, quando ormai erano vicini agli armadietti. Cosa dire?
“No” si limitò a negare, pensando in fretta ad una spiegazione.
“Strano. L’altro giorno sembravano neri mentre oggi sono ambrati” disse avvicinando il suo volto, per guardare nelle ridi del vampiro. Lui si allontanò di scatto, timoroso della vicinanza.
“Sono le luci al neon” si limitò a dire e se ne andò, per evitare altre domande. Si, Bella non era stupida e lo aveva osservato fin troppo bene. Mentre si allontanava da lei, sorrise: era riuscito a non ucciderla, era un ottimo risultato.
Nel parcheggio, lo attendeva Alice. “Come è andata?” gli chiese, con un grande sorriso perché conosceva già la risposta. Edward si limitò a sorridere.
“Wow!” disse Jasper “Per essere uno che non vedeva l’ora di bere il suo sangue, sorridi un po’ troppo spesso ultimamente” lo canzonò. In effetti, Edward aveva sorriso di più. Chissà perché…

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Capitolo 4
*** Una bella botta in testa ***


Edward non riusciva a non pensare a Bella. Era convinto che ci fosse qualcosa di assolutamente strano nel fatto che i pensieri di lei gli fossero occlusi, ma più cercava di far chiarezza, più la situazione gli sembrava assurda. Anche Alice e Carlisle non riuscivano a trovare una risposta valida alla questione, e ciò non rendeva la vita facile al vampiro. Sebbene nessuno della sua famiglia fosse preoccupato, Rosalie sembrava infastidita. Non era mai corsa molta simpatia fra Edward e lei, soprattutto dopo che il vampiro si era dimostrato indifferente alla sua bellezza. Non che Rosalie fosse in alcun modo attratta da Edward, ma si era rivelata una questione di orgoglio. Il loro rapporto giunse ad un punto di stallo quando nella famiglia si aggiunse Emmett: lei se ne innamorò, perdutamente, e ciò permise ad Edward di vivere con più tranquillità la presenza di Rosalie. Tuttavia, da quando Bella Swan era giunta a Forks, la bionda sembrava irritata. Edward sapeva che sua sorella amava poco la competizione, ma non avrebbe mai creduto che un’umana potesse innervosirla a tal punto. Ma poco importava: lui aveva, decisamente, problemi più grandi, in quel momento, dei capricci di Rosalie.

Quella mattina, Forks era ricoperta da un sottile patina di ghiaccio. Durante la notte, le temperature erano scese ben al di sotto dello zero, permettendo al perenne strato di umidità di cristallizzarsi. Edward non ricordava nemmeno più la sensazione del freddo: sapeva che amava le basse temperature, quando ancora era umano, ma aveva completamente dimenticato la sensazione di brivido sulla pelle.
La sua Volvo correva sicura sull’asfalto gelato di Forks, mentre sguardi di evidente condanna la seguivano. Edward sorrideva: quella che per tutti era una velocità sconsiderata, per lui era normale. Gli esseri umani non potevano capire cosa significasse per un vampiro correre, vedere il mondo passare accanto a rallentatore. Ciò che tutti percepivano come veloce, per lui era lento.
Giunto nel parcheggio della scuola, fermò la macchina accanto a quella di Emmett. Gli studenti si stavano divertendo, ridendo e schiamazzando mentre scivolavano sulle lastre di ghiaccio, sparse qua e là. Edward d’istinto, cercò Bella. Si chiese perché. Era strano come fosse attratto da quella ragazza ed era convinto che non fosse dovuto all’aspetto fisco: sicuramente, era bella, ma l’interesse che lui provava nei suoi confronti era più di una semplice attrazione. Sentiva di doverla proteggere.
Gli ci volle non più di qualche secondo per capire ciò che stava per accadere, quando il pickup di Tyler entrò nel parcheggio, ad una velocità poco rassicurante. Lo stridio dei freni attirò l’attenzione dei presenti, che si voltarono per assistere ad una scena, che di certo, Forks non avrebbe dimenticato. E nemmeno Edward. Il vampiro osservò il furgone, mentre cominciava a sbandare procedendo pericolosamente in direzione di Bella. Qualche attimo, un milione di pensieri, una sola preoccupazione: Bella. I suoi muscoli scattarono automaticamente sotto gli occhi impietriti dei fratelli. Nessuno dei presenti, a parte i Cullen, si accorsero del movimento repentino di Edward. In un istante, si fiondò verso la ragazza per proteggerla con il suo corpo. Fu senza pensarci che frappose la sua mano fra Bella e il pickup, sebbene lei lo stesse guardando, sebbene con quel gesto stesse mettendo in pericolo la propria identità. Un colpo secco e il furgone arrestò la sua corsa, a pochi centimetri da loro. Un solco, un’impronta, si formò sulla carrozzeria, nel punto esatto in cui la mano di Edward fece pressione.
“Bella? Tutto a posto?” chiese, preoccupato, guardandola negli occhi.
“Sto bene” rispose, con la voce spaventata. Lui le cingeva la vita con un solo braccio, cercando di non fare più forza del necessario. Avrebbe potuta ucciderla, se avesse stretto di più. Lei cercò di divincolarsi, mettendosi a sedere e lui si accorse della zona arrossata, proprio accanto all’orecchio. Nel tentativo di salvarle la vita, l’aveva fatta sbattere contro l’asfalto.
“Attenta” le disse Edward “Mi sa che hai preso una bella botta in testa” le disse, divertito. Ma che stava facendo? Non solo aveva appena messo in pericolo tutta la sua famiglia, fiondandosi a salvare quella ragazza, ma gli veniva pure da ridere. Era… incredibile. Per lei, perdeva la testa. E non era il suo sangue. Era lei. Era Bella.
“Come hai fatto ad arrivare così in fretta?” gli chiese, stupita. Ecco. Ora cosa avrebbe detto? Come avrebbe spiegato la situazione? Pensava in fretta, cercando una plausibile spiegazione e si aggrappò alla più evidente, speranzoso.
“Ero qui accanto a te, Bella” disse, serio cercando di capire se quella scusa l’avesse convinta. Ma Edward lesse nei suoi occhi tutt’altro. L’arrivo di tutti gli studenti gli dette la scusa per allontanarsi da lei, per evitare ulteriori spiegazioni. Doveva riflettere. Guardò velocemente i suoi fratelli che, dall’altro capo del parcheggio, lo fissavano torvi. Aveva appena combinato un bel casino. Con l’arrivo dell’ambulanza, fu più facile per Edward passare inosservato e lasciarsi alle spalle Bella. Convinse i paramedici a portarla in ospedale, per la botta in testa. Dopotutto, un trauma cerebrale non doveva essere trascurato. La guardò allontanarsi, mentre cercava di ribellarsi all’idea di finire in ospedale.
“Cosa diavolo pensavi di fare?” la voce di Rosalie lo riportò alla realtà.
“Non lo so” disse, sorridendo. Perché gli veniva da ridere? Era una situazione seria, eppure la trovava comica.
“Sai cosa hai appena fatto? Sai cosa avresti potuto fare?” lo aggredì la bionda, fissandolo con occhi severi. Si, lo sapeva. Non aveva bisogno di leggere nella mente della sorella, per sapere il pericolo che aveva appena corso.
“Nessuno mi ha visto, Rose” cercò di scusarsi, ma sapeva perfettamente che non era quello a cui si stava riferendo. Edward si chiese se avrebbe resistito, se sarebbe stato sufficientemente forte, nel caso in cui Bella avesse perso, anche solo, una goccia di sangue. Fortunatamente, non era accaduto.
Fece per salire in auto, quando Rose prese il posto del passeggero.
“Cosa… ?”
“Andiamo da Carlisle. Deve sapere cosa è successo e deve convincere Bella di aver subito un trauma” disse veloce, senza guardarlo negli occhi. Lui mise in moto la Volvo.
“E prega che la ragazza ci creda” concluse.
Il tragitto fu breve e in poco tempo giunsero all’ospedale di Forks. Quando varcarono la soglia dell’edificio, si diressero da Carlisle. Il dottore, avendo avvertito la loro presenza, li attendeva nel lungo corridoio antistante la sala delle visite.
“Siate veloci, devo visitare la figlia dello sceriffo” disse telegraficamente, ad una velocità che solo un orecchio da vampiro avrebbe potuto cogliere.
“Edward ha appena rischiato la nostra sicurezza, per salvare la vita a quella ragazza” la voce di Rose era arrabbiata. Carlisle guardò negli occhi il figlioccio.
“E’ vero?” chiese. Edward, semplicemente, annuì. “Ne riparliamo dopo” concluse il dottore “Ora ho alcune visite da fare”

Edward approfittò del fatto che Carlisle e Rose si fossero allontanati, per entrare nella sala delle visite. Seguì il profumo di Bella per trovarne il lettino. Aveva gli occhi chiusi.
“Dorme?” chiese a Tyler, seduto nel lettino accanto. In quel momento, Bella aprì gli occhi. Quado i loro sguardi s’incrociarono, Edward faticò a mantenere un’espressione neutra e, ci avrebbe scommesso, anche lei era combattuta fra la paura e l’attrazione. Poco dopo entrò Carlisle che si diresse aggraziato verso di loro.
“E allora, signorina Swan, come stiamo?” chiese il dottore, gentile.
“Bene” rispose, affascinata da Carlisle. Edward ebbe uno starno moto di gelosia, che non si sapeva spiegare. Sapeva bene che il loro aspetto era stato modificato dall’eternità per attirare le prede, ma vedere Bella spiazzata dall’aspetto di Carlisle lo fece rabbuiare.
“Le radiografie sono buone. Ti fa male la testa? Edward dice che hai preso un brutto colpo” disse, mentre puntava una luce nelle iridi della ragazza.
“Sto bene” ribadì Bella, lanciando una brutta occhiata ad Edward che non passò inosservata al dottore. Cosa stai combinando? Gli chiese, mentalmente. Edward abbassò lo sguardo.
“Bene” concluse il dottore “tuo padre è in sala d’attesa, puoi farti riaccompagnare a casa. Se avessi capogiri o problemi alla vista, però, non esitare a tornare qui” disse, sorridendo.
“A quanto pare, sei davvero molto fortunata” concluse Carlisle.
“Fortunata perché Edward si trovava lì, accanto a me” disse di rimando la ragazza, guardando il vampiro. Carlisle cercò di ignorare la sua affermazione, fingendo di compilare i moduli che aveva davanti. Poi, giratosi a guardare Edward Io e te dobbiamo parlare gli disse col pensiero e il vampiro si preparò ad una meritata ramanzina.
Edward stava per seguire il padre quando lei lo fermò.
“Hai un minuto? Ho bisogno di parlarti” gli disse Bella. Edward s’irrigidì: affrontare ora la discussione con Bella poteva essere rischiosa. Non aveva pensato a cosa dirle e si mise sulla difensiva. Perché quella ragazza era così testarda? Uscirono insieme nel corridoio.
“Cosa vuoi?” chiese freddo, distaccato, forse troppo. Si rese conto del proprio tono solo quando Bella corrugò leggermente la fronte, spiazzata da quell’atteggiamento estraneo di Edward. Il vampiro sapeva che si stava per giocare il tutto per tutto, in quel momento. Avrebbe dovuto mantenere le distanze, era l’occasione perfetta.
“Mi devi una spiegazione” esordì lei.
“Ti ho salvato la vita. Non ti devo niente” disse, cercando di mantenere una certa compostezza. Perché gli costava così tanta fatica, staccarsi da lei? Lo sguardo di Bella non prometteva nulla di buono: lei non si sarebbe accontentata.
“Cosa vuoi da me?” chiese, nuovamente, frustrato.
“La verità” disse, quasi acida “Voglio sapere perché ti sto coprendo”
Maledizione! Pensò Edward.
“Secondo te, cos’è successo?” le chiese.
“Quel furgone stava per schiacciarci, invece non l’ha fatto perché tu l’hai bloccato. Ti ho visto Edward: eri lontano da me”
Pensa, in fretta!
“Credi davvero che io abbia bloccato un furgone con la mano?” chiese di rimando, cercando di sembrare divertito dall’assurdità di quella affermazione. Lei annuì, stringendo la mascella.
“Non ti crederà nessuno” aggiunse, pentendosi immediatamente per quello che aveva detto. Le aveva appena confermato che ciò che aveva visto era reale. Si sentì stupido, come aveva fatto a rispondere in modo così avventato? Perché perdeva sempre il controllo? Non era il sangue di lei, nemmeno il suo profumo, visto che erano giorni che tratteneva il respiro. Allora cosa?
“Senti” si affrettò a dire “non potresti limitarti a ringraziarmi e a dimenticare la faccenda?” era una richiesta accorata.
“Grazie” rispose, in tono di sfida. No, non avrebbe lasciato perdere. Non solo Edward aveva messo in pericolo la sua famiglia, ma l’aveva fatto per la ragazza più testarda dell’Universo. Bella Swan non avrebbe dimenticato né avrebbe perso la speranza di scoprire cosa fosse realmente accaduto. Edward dovette solo sperare nella sua discrezione. Doveva aggrapparsi alla speranza che lei non dicesse nulla, che non ne parlasse con nessuno. La gente dimentica in fretta ciò di cui non si parla per niente. A scuola nessuno si sarebbe ricordato del gesto di Edward, nessuno… tranne Bella Swan.

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Capitolo 5
*** Stammi lontana ***


~~
“Sei uno stupido!” le grida di Rosalie si sarebbero sentite fino in Canada, con vento a favore. Edward era appena rientrato a casa, dopo essersi preso un po’ di tempo in solitudine e riflettere sull’accaduto. I pensieri gli vorticavano in testa senza tregua ed era combattuto fra il rassegnarsi sul fatto che, ormai, tutti avessero intuito ciò che era successo e il fidarsi di ciò che Bella gli aveva detto. Non lo dirò a nessuno, questa era stata la risposta alla quale, infine, Edward si era aggrappato con tutta la forza che aveva, eppure… eppure aveva paura, perché non conosceva quella ragazza e non sapeva cosa pensasse.
“Edward?” la voce di Rosalie non la smetteva di perseguitare il ragazzo sia fuori che dentro la testa. “Se non la smetti di ignorarmi, continuerò ad entrare nella tua mente e ti giuro che non scherzo”
Lui sbuffò, sonoramente. Non aveva molta scelta, sebbene uscire di casa per non tornare gli sembrasse un’ottima alternativa.
“Cosa? Cos’altro senti il bisogno di dirmi, Rose?” il tono acido con il quale pronunciò il suo nome fece tendere le orecchie perfino ad Emmett che, di solito, amava tenersi fuori dalle discussioni fra loro.
“Perché? Qual è la ragione per la quale hai deciso di fare quella cazzata?”
La ragione. Beh, non c’era. O forse, si. Difficile a dirsi, in ogni caso.
“Non lo so, Rosalie, non so cosa mi sia preso. È strano, inspiegabile… è come se ogni parte di me sentisse di dover difendere quella ragazza, di proteggerla. Lo so è stupido…” disse sconsolato, mentre si sedeva sul divano sotto gli occhi inviperiti della bionda. Lei addolcì, seppur di poco, l’espressione e si sedette accanto a lui. In fondo, non aveva mai visto Edward perdere così il controllo e doveva esserci qualcosa di più importante, in ballo, di un semplice errore di valutazione.
“Ti piace?” gli domandò secca e lui la guardò interrogativo.
“La ragazza, Edward, ti piace? È per questo che sei così attratto da lei? O è solo questione di sangue?”
Quelle di Rosalie erano tutte domande sensate che lui stesso si era posto, per tutto il pomeriggio senza, tuttavia, trovare il bandolo della matassa.
“Non lo so, Rose. È la prima volta che… io non…” non trovava le parole, balbettava quasi. Era strano, per tutti, vedere Edward in quelle condizioni. Lui, che amava la letteratura e la dialettica, colto e intelligente che non riusciva a trovare una sola parola per definire il suo stato d’animo. Perfino Emmett cominciò a sorridere.
“Che c’è?” chiese Edward ad Emmett “Lo trovi divertente?”
Il ragazzone sorrise in modo ancora più evidente e si avvicinò ad Edward con fare giocherellone.
“Eh, fratellino” gli disse poi mettendogli una mano sulla spalla “Finalmente ci siamo!”
A quelle parole sia Rose che Edward lo guardarono in cagnesco: lei perché sperava, con tutta se stessa, che Emmett si stesse sbagliando; lui perché non capiva, nel modo più assoluto, cosa stesse intendendo. O almeno, fino a quando Emmett non cominciò fargli leggere i pensieri ed Edward si trovò profondamente in imbarazzo.
“Di cosa state parlando?” chiese Rose, indispettita dal fatto di essere stata esclusa da una conversazione, dai toni decisamente maschili.
Edward, si riprese dai pensieri di Emmett e gli scappò perfino da ridere.
“No, Emmett, non credo che andrà così” gli disse Edward, più che altro per interrompere quel fiume di immagini oscene.
“Non andrà così cosa?” la voce squillante di Alice danzò nella stanza.
“Niente” rispose Edward.
“Si è innamorato!” disse, trionfante Emmett, venendo fulminato da Rose ed Edward contemporaneamente.
“Ah, ho capito” disse dolcemente Alice “State ancora discutendo di Bella, giusto?”
“No” rispose seccato Edward “Non stiamo parlando più di nulla. Oggi ho sbagliato, ho commesso un errore e cercherò in ogni modo di rimediare, lo prometto. Punto e fine della discussione” si alzò per andare in camera sua, ma al terzo gradino si girò per guardare arrabbiato tutta l’allegra compagnia “E per la cronaca” concluse, appoggiandosi alla balaustra in vetro della scala “Non sono innamorato di Bella Swan!”
Gli altri lo seguirono con lo sguardo, finché non fu fuori dal loro raggio visivo.
“Si, come no?!” disse ridendo Emmett e contagiando Jasper.


I giorni e le settimane successive all’incidente, Edward cercò di mantenere la promessa, lasciando a debita distanza la ragazza. Non le rivolgeva la parola ed era contento del fatto che anche lei non parlasse. Le ore di scuola trascorrevano lente, mentre scrutava nei pensieri dei compagni di classe cercando di capire se Bella avesse detto qualcosa riguardo l’eroico salvataggio. Curiosamente, nessuno prestò più di tanta attenzione al fatto, ma Edward non smise di cercare fra i ricordi dei ragazzi la prova che Bella fosse venuta meno all’impegno.
Se durante la mattinata riusciva a rimanere, anche se di poco, sereno, il pomeriggio e la notte si rivelavano complicati. La solitudine e il silenzio lo portavano a pensare le più svariate ipotesi sull’effetto che quella ragazza aveva su di lui. Ogni tanto, fantasticava sul ricordo del suo profumo, ma più passavano i giorni, più accresceva la consapevolezza che non le avrebbe mai fatto del male. Si stava impegnando a mantenere le distanze e sembrava che stesse funzionando, tuttavia non riusciva a spiegarsi perché Bella rimanesse un pensiero costante. Che Emmett avesse ragione? Impossibile. Anche se lui non aveva mai provato l’Amore, sapeva con esattezza che non poteva certo cominciare con la volontà di uno dei due di uccidere l’altro. Di questo era certo.
Le giornate trascorrevano identiche le une alle altre, eppure erano differenti. Sentiva sempre su di sé gli occhi di Bella che lo seguivano e lo cercavano. Avrebbe voluto ricambiare, ma non poteva. Doveva interrompere il loro rapporto, ancora prima che potesse iniziare. Sembrò facile, almeno fino al giorno in cui Mike Newton non cercò di invitare Bella al ballo della scuola. Odiava i pensieri di quell’idiota e cercava sempre di non ascoltarli più dello stretto necessario, ma quel giorno fu diverso. Si perché, d’un tratto, si avvicinò a Bella e le chiese di andare con lui. Edward non riuscì a non ascoltare la loro conversazione perché avvenne esattamente a meno di mezzo metro da lui. A quanto pareva, Mike aveva declinato l’invito di Jessica, sperando nella compagnia di Bella. Ridicolo! Come poteva anche solo pensare che lei avrebbe accettato? Insomma, non era un brutto ragazzo, ma non era di certo il tipo adatto a lei. Ma perché stava pensando quelle cose? Perché si stava alterando? Cosa poteva interessargli se Bella volesse o meno uscire con Newton!
“Non ci vengo, al ballo”, disse lei, strappando un sorrisetto beffardo ad Edward. Te l’avevo detto Mike, cominciò a cantilenare fra sé
“Perché no?”, chiese Mike.
“Quel sabato vado a Seattle” rispose telegrafica. Edward non ascoltò più la conversazione, che si risolse in svariati bla bla bla senza senso. Seattle? Perché doveva andare a Seattle? La mente veloce del vampiro corse agli strani eventi che stavano colpendo la città in quel periodo. Con molta probabilità, alcuni nomadi stavano pasteggiando nel loro viaggio verso chissà dove e lasciavano, dietro di loro, una scia di cadaveri. Bella non doveva andare a Seattle.
Più Edward pensava alla ragazza da sola nella grande città, più la immaginava tra le fauci di un nomade. Doveva impedirle di andare, ma come fare? Nel frattempo, come se la richiesta di Newton non fosse stata sufficientemente ridicola, Bella fu invitata anche da Eric e Tyler. Era divertente osservare il modo impacciato con cui le si avvicinavano, ma ancora di più lo era ascoltare i loro pensieri. Si facevano coraggio, pregavano Dio… insomma, sembrava stessero andando al patibolo e non ad invitare una bella ragazza. Stava, davvero, pensando che lei fosse bella? In fondo si, lo era. Ma era anche profondamente irritante. Lo irritava il fatto che fosse assolutamente impacciata nei movimenti, che ogni volta che incontrava il suo sguardo lei arrossisse, che avesse la netta sensazione che lei tremasse quando lui le era accanto. Lei era attratta da lui, era evidente. La cosa non avrebbe dovuto turbarlo, anzi, avrebbe dovuto essergli indifferente. Ma se c’era una cosa che stava divenendo chiara, giorno dopo giorno, era che tutto, in quella ragazza, non lo lasciava per nulla indifferente.

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Capitolo 6
*** E' difficile essere amici ***


~~Era strano come ogni nuovo giorno si aprisse per Edward con una nuova sfida. Era combattuto fra lo stare lontano da Bella e aggrapparsi a lei con tutte le sue forze. Cominciava la notte pensando che l’indomani l’avrebbe evitata, ma più trascorrevano le ore buie e di solitudine, più l’idea cambiava giungendo, così, alle prime luci dell’alba col solo desiderio di vederla. Capitava sempre così. Come quella mattina. Lui la vide arrivare al parcheggio della scuola, la osservò mentre con occhi curiosi lo cercava tra la folla e sorrise nel leggere la sua delusione quando non lo vide accanto ai fratelli. Ma lui era lì, proprio vicino a lei, appoggiato al pick up. Distrattamente, le caddero le chiavi in una pozzanghera e lui si chinò per primo a raccoglierle.
“Ma come fai?” le chiese sorpresa e, decisamente, felice di vederlo.
“Come faccio cosa?” rispose, sorridendo Edward, mentre giocherellava con le chiavi.
“Ad apparire dal nulla”
“Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta” chiosò il ragazzo, tranquillo. Edward non sapeva cosa fosse l’amore e se Bella fosse una persona importante per lui, ma era certo che la sua vicinanza lo facesse stare bene, tutto sommato. Bastava non respirare e le cose prendevano una piega differente. Lei non riusciva quasi mai a sostenere il suo sguardo, così lo abbassava spesso, intimidita. Edward cominciava ad apprezzare quel suo modo di fare, perfino quando le si arrossavano le guance. Il tempo avrebbe permesso al vampiro di stare sempre più vicino a lei, lo sapeva, perché se c’era una cosa in tutto l’universo, limpida e cristalline per lui, era che non avrebbe mai fatto del male a Bella. Tuttavia, il pericolo rimaneva e per quanto lui si conoscesse, temeva che la bestia potesse svegliarsi da un momento all’altro.
“Perché l’ingorgo di ieri sera? Pensavo avessi deciso di fingere che io non esistessi” disse Bella, irritata. Era evidente che, ciò che lui aveva fatto, non fosse passato inosservato: aveva bloccato il traffico all’uscita del parcheggio con la sua Volvo e nell’attesa, Tyler aveva chiesto a Bella di andare con lui al ballo.
“L’ho fatto per Tyler, volevo che avesse una possibilità” rispose sorridendo, beffardo. “E non sto fingendo che tu non esista” concluse, puntando i suoi occhi ambrati in quelli di lei. Bella cedeva sotto il peso del suo sguardo e, in fondo, ciò lo divertiva.
“Allora hai deciso di irritarmi fino alla morte visto che il furgoncino di Tyler non ci è riuscito?”. A quelle parole Edward sentì crescere un moto di rabbia. Possibile che lei pensasse questo?
“Bella, sei totalmente assurda” riuscì a dire non senza una certa fatica. Lei lo guardò carica di rancore, uno sguardo bruciante fin nell’anima, semmai ne avesse avuta una. Sembrava una situazione senza via d’uscita: s’irritavano a vicenda e si attraevano come due calamite. Edward pensò che avrebbe perso il senno se non avesse cercato una situazione di stallo, almeno per un pò. Quando lei si girò per andarsene, capì che avrebbe dovuto fare un passo indietro e mettere insieme i cocci di quella che, di certo, era il rapporto più strano che avesse mai avuto con una persona.
“Scusa se sono stato maleducato” disse lui mentre, senza fatica, teneva il passo adirato di Bella.
“Perché non mi lasci stare?”. Era una domanda brutale. I pensieri di Edward cominciarono a correre veloci. Era la situazione perfetta, quella che aveva cercato di creare in tutte quelle settimane: fare in modo che Bella si staccasse da lui. Allora, perché quella domanda pesava come un macigno? Perché non riusciva a fermarsi, lasciando che lei continuasse il cammino da sola?
“Mi stavo chiedendo se sabato prossimo…” disse, rassegnato al fatto che, ormai, nulla di ciò che aveva pianificato si sarebbe mai concretizzato “hai presente il ballo di primavera?”
“Mi stai prendendo in giro?” lo interruppe, voltandosi di scatto.
“Per cortesia, posso finire?” era divertito. Si stava lanciando in un volo senza paracadute, libero di schiantarsi in un istante eppure inebriato da tanta libertà.
“Ti ho sentita dire che quel giorno hai in programma di andare a Seattle e volevo chiederti se accetteresti un passaggio”
“Perché?” c’erano stupore, irritazione e felicità nelle sua voce.
“Beh, avevo intenzione di fare un salto a Seattle e, onestamente, non credo che il tuo pickup possa farcela”
“Il mio pickup funziona molto bene, grazie per l’interessamento”. Altra occasione per lasciare che Bella continuasse la sua vita senza di lui. Invano.
“Il tuo pickup ce la fa anche con un solo pieno di benzina?”
“Non credo che siano affari tuoi” ribattè, convinta. E aveva ragione: non era affar suo se le fosse accaduto qualcosa, se il pickup l’avesse lasciata a piedi a metà strada, se avesse deciso di continuare la sua vita senza di lui.
“Lo spreco di energie rinnovabili è affare di tutta la comunità” disse, sorridendo.
“Seriamente Edward” lui sentì un brivido quando lei pronunciò il suo nome “non riesco a seguirti. Pensavo che non volessi essermi amico”. Ultima fermata: o scendeva in quel momento o avrebbe continuato il viaggio verso l’ignoto.
“Ho detto che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio” e così dicendo, il treno della vita cominciò la sua folle corsa senza freni. “Sarebbe più… prudente che tu non diventassi mia amica, ma sono stanco di evitarti, Bella”. Lei trattenne il fiato e lui lo sentì. Edward mise molto di sé in quelle parole, ma non se ne pentì.
“Allora” continuò lui “vieni con me a Seattle?”. Bella non riusciva a sillabare alcuna risposta, così Edward si accontentò, soddisfatto, del piccolo cenno di capo che lei gli diede come assenso.
 

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Capitolo 7
*** Teorie e d'intorni ***


Edward andò in classe, distaccando con pochi passi Bella. Ormai aveva fatto chiarezza dentro di lui, non era più combattuto, almeno non così tanto come lo era stato nelle ultime settimane.
Di tre cose era assolutamente certo: primo, Bella era un’umana e la sua vicinanza lo poneva al limite di due abissi, fra la bestia che era e il ragazzo che avrebbe voluto essere; secondo, una parte di lei che non sapeva quale e quanto grande, era attratta da lui e ciò lo rendeva felice; terzo, era disperatamente e incondizionatamente pazzo di lei.
Sentiva che, stranamente, il tempo cominciava ad assumere un certo peso. Prima che lui si rassegnasse all’idea di lasciarsi andare, di assecondare quella folle idea di frequentare Bella, il tempo non aveva alcun valore, era un concetto vuoto e privo di senso. Ma da quando aveva aperto la sua vita a Bella, il tempo aveva cominciato a scorrere ed era una sensazione nuova per lui. Tic tac. Tempo che lo separava da lei. Tic tac. Tempo che non avrebbe potuto trascorrere assieme a lei.
Quando raggiunse i suoi fratelli, Alice lo accolse con un grande sorriso. Lui sapeva che aveva visto ciò che voleva fare, perciò non perse nemmeno un secondo a spiegare il motivo per cui non si sarebbe seduto con loro, a mensa. Edward andò in un altro tavolo, separato, e aspettò Bella. Era convinto che lei sarebbe andata a sedersi lì, accanto a lui, una volta che l’avesse notato. Edward la vide entrare in mensa, seguita a ruota da Jessica che parlava a profusione del ballo. Sorrise nel guardare l’espressione di vuota rassegnazione di Bella, costretta a sentire chiacchere assolutamente inutili, mentre con gli occhi andava a cercarlo, al suo solito tavolo. Lei non lo aveva notato, ma Jessica si. Con molta probabilità, fu proprio lei a dire a Bella dove lui si trovasse, perché poco dopo, la ragazza si voltò verso di lui, seguendo la direzione indicatale dalla compagna. Edward sorrise, non appena i loro sguardi s’incrociarono e lei cominciò ad avanzare al suo tavolo. Camminava timida, eppure aveva una luce di profonda sicurezza e lui non riusciva a staccare gli occhi da lei. La guardava in ogni più piccolo dettaglio e, solo per un piccolissimo istante, inspirò l’aria inebriandosi del suo profumo.
Quando lei gli fu accanto, Edward lesse un’espressione costernata e aveva ragione: lui aveva cercato in ogni modo di starle lontano e, al contempo, faceva di tutto per starle accanto. In effetti, avrebbe fatto ammattire chiunque, quella danza tira e molla. Decise che Bella si meritava una risposta, una spiegazione sul suo cambio di umore.
“Beh…” cominciò a dire, ma subito si fermò. Era inutile continuare a girarci attorno e pensò di dover essere assolutamente sincero “Ho pensato che se proprio devo finire all’inferno, tanto vale andarci in grande stile”. Silenzio. Non era ciò che lui si aspettava, ma, in fondo, ciò che aveva appena finito di dire non aveva alcun senso per lei. Perché mai un’amicizia avrebbe dovuto condannarlo all’inferno? Lui sapeva la risposta, ma lei no.
“Sai che non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo?” disse lei, alzando le sopracciglia.
“Certo che lo so” rispose Edward, sorridendo. Seguì un momento di imbarazzo, nel quale nessuno dei due sapeva bene cosa dire.  Fu nuovamente lui a rompere il silenzio.
“Sembri preoccupata”. In realtà non era una domanda, quanto una paura. Lui non voleva che lei avesse paura di lui, che lo temesse, né che si sentisse in pericolo.
“No” disse lei “più che altro sono sorpresa… a cosa devo tutto questo?”
“Te l’ho detto, sono stanco di cercare di starti lontano, perciò ci rinuncio”. Sebbene avesse voluto sembrare più felice, non riuscì a nascondere una certa malinconia in quelle parole, soprattutto l’ultima. La sua era una rinuncia: rinuncia a tentare di capire, a cercare di risolvere, alla solitudine.
“Rinunci?” chiese lei, quasi divertita.
“Si, rinuncio a sforzarmi di fare il bravo. D’ora in poi farò solo ciò che mi va e mi prenderò quello che viene” rispose risoluto.
“Mi sono persa un’altra volta”
Maledizione! Doveva per forza parlare così, col cuore in mano?
“Quando parlo con te mi lascio sempre scappare troppe cose. Questo è uno dei problemi”. Ecco, l’aveva fatto di nuovo. Uno dei problemi, significava che c’erano dei problemi! Ma Bella parve non accorgersene.
“La traduzione di tutto questo è che ora siamo amici?” chiese lei, d’un fiato. Amici. Sarebbe davvero potuto accadere? Avrebbero potuto essere amici?
“Beh, immagino che possiamo provarci” rispose Edward “Ma ti avviso subito che non sarò un buon amico per te”
“Continui a ripeterlo” bofonchiò lei, delusa. Edward non sapeva come affrontare la questione, semmai vi fosse stata la possibilità di farlo. In quel momento, avrebbe voluto prenderla, andare nei boschi e dirle tutto. Urlarlo, perfino. Voleva che lei sapesse, desiderava che lei lo accettasse ugualmente, anche dopo aver saputo. Ma sapeva che non sarebbe stata un’ottima idea: non avrebbe dovuto mettere a rischio la sua famiglia per lei. Decise, in quel preciso momento, che se lei avesse scoperto la verità, lui le avrebbe spiegato ogni cosa; diversamente, avrebbe continuato ad essere Edward Cullen, diciasettenne di Forks.
La guardò negli occhi, cercando di sondare il suo animo.
“A cosa pensi?” le domandò. Lei alzò le spalle.
“Sto ancora cercando di capire cosa sei” disse, provocando un leggero sussulto in lui.
“E…” cercò di sembrare il più disinvolto possibile “…hai fatto qualche passo avanti?”
“Non molti” ammise, delusa.
“Hai qualche teoria?”. Ora era davvero curioso di sapere quanto quella ragazza si fosse avvicinata. Lei scosse la testa, imbarazzata.
“Dai” la incalzò “raccontami una teoria, ti prometto che non riderò” anche se, in realtà, già lo stava facendo. Lei si morse le labbra, indecisa sul da farsi. Si vedeva che le domande si stavano accalcando nella sua testa e sarebbe stato mille volte più facile, per lui, se avesse potuto leggerle.
“Ehm… sei stato punto da un ragno radioattivo?” gli domandò, senza crederci nemmeno lei.
“Poco originale” la rimproverò, scherzando.
“Niente ragni?”
“Nah, non ci siamo” disse ridendo Edward “E la kriptonite non mi fa niente” continuò, divertito.
“Alt! Avevi detto che non avresti riso!” lo rimproverò e lui cercò di ritornare serio.
“Prima o poi capirò…” concluse lei, come una promessa. Edward si rabbuiò.
“E se non fossi il supereroe?” domandò a brucia pelo “Se fossi il cattivo?”. Non sapeva perché avesse fatto quelle domande. Forse, non voleva che lei s’illudesse di avere davanti uno dei buoni perché, in fondo, lui era un mostro. Era stato divertente vedere le espressioni di Bella mentre cercava di capire quale fosse il suo super potere, tuttavia, ora, vi era seria confusione nei suoi occhi. Quella domanda l’aveva spiazzata, ma non era intimorita.
“Tu non sei cattivo” disse lei, a fil di voce. Edward la guardò negli occhi, trapassandola.
“Ti sbagli” fu tutto quello che riuscì a dire, pentendosene immediatamente. Cosa voleva ottenere? Che lei si spaventasse e si allontanasse da lui per sempre? No, anche se questa sarebbe stata la cosa migliore, per entrambi. Lui era spaventato, terrorizzato dall’idea che Bella rimanesse delusa. Perché lo avrebbe guardato con occhi diversi, perché lo avrebbe considerato un mostro. Non ci sarebbe più stata attrazione nei suoi gesti, ma paura e repulsione.  Tuttavia, una parte di sé voleva potersi aprire con lei, sinceramente. Desiderava con tutto se stesso che lei lo accettasse per quello che era. Ma poteva, davvero meritare tanto?

L’ora del pranzo trascorse veloce, tanto che senza accorgersene, era già ora di tornare in classe. Quel giorno, però, Edward non avrebbe partecipato alla lezione di biologia. Sapeva che avrebbero fatto l’esercizio sul gruppo sanguigno e lui, di certo, non avrebbe voluto ritrovarsi a pochi centimetri dal sangue di lei. Rimase nei paraggi, ascoltando i pensieri dei compagni di classe, per sapere se accadeva qualcosa a Bella. Ormai, ne era certo, non solo le sarebbe stato al fianco, ma avrebbe vegliato su di lei. Per sempre.
Così, nel momento in cui Bella venne portata in infermeria, Edward accorse, immediatamente. Era svenuta alla vista del sangue. Gli venne da ridere all’idea, ma cercò di rimanere serio. Quando la raggiunse era bianca, visibilmente sconvolta e gli fu davvero difficile non ridere.

“Bella, il sangue non ha odore” gli disse lui, mentre Bella cercava di giustificare il suo malessere.
“Si che ce l’ha!” ribatté lei, irritata “Sa di ruggine e… sale”. Lui rimase perplesso. In effetti, aveva esattamente quell’odore. Ma a lui non era mai venuto da vomitare per quello. La sua mente, per un breve attimo, immaginò l’odore del sangue di Bella e la mascella si serrò, automaticamente. Scacciare quel pensiero non fu difficile, almeno non come la prima volta.
In quel momento, Mike Newton comparve davanti a loro. Era evidentemente scocciato dal vederli assieme ed Edward abbassò lo sguardo per non far vedere al ragazzo il rimprovero che meritavano i suoi pensieri.
“Allora vieni questo fine settimana?” chiese a Bella, ignorando Edward,
“Certo, ho già detto che ci sarò” confermò la ragazza. Il vampiro lesse nella mente di Mike: La Push. L’antica riserva indiana dei Quileute, zona decisamente off limit per i Cullen. Quando Mike si allontanò, Edward chiese a Bella maggiori dettagli riguardo alla gita. Lui non avrebbe potuto seguirla, ma desiderava con tutto se stesso poter sapere che non correva alcun rischio.
“Allora sei in partenza? Per sabato intendo” chiese cercando di sembrare indifferente “Dove andate di preciso?”
“Giù a La Push, a First Beach. Perché non vieni anche tu?” gli chiese.
“Non mi sembra di essere stato invitato” rispose Edward, mentre cercava una risposta più adeguata.
“Ti sto invitando io, ora”
“Per questa settimana è meglio che non esageriamo io e te, con il povero Mike. Meglio non fargli saltare troppo i nervi”. Era strana la sensazione che quelle parole, io e te, gli avevano infuso. Io e te… suonava bene.

Edward decise di accompagnarla a casa, non voleva che il malessere recente la facesse uscire di strada col pickup. Fu un tragitto breve, ma intenso. Il vampiro scoprì piacevolmente che Bella conosceva una delle sue musiche preferite, Claire de Lune.
“Divertiti alla spiaggia” concluse, infine, Edward giunti davanti alla casa di Bella.
“Domani non ci vediamo?” chiese lei, delusa.
“No. Io ed Emmett anticipiamo il weekend. Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Rocks, a sud del monte Rainier”. In effetti, era vero. Alice aveva previsto sole per il giorno seguente e, quando c’era bel tempo, lui e la sua famiglia andavano a caccia. Non era il caso che la gente vedesse l’effetto che il sole aveva sulla loro pelle, anche se sarebbe stato divertente.
“Faresti una cosa per me, durante il weekend?” chiese Edward e lei si girò a guardarlo, dritto negli occhi, facendo sì con la testa.
“Non offenderti, ma tu sembri il tipo di persona che attira gli incidenti come una calamita. Perciò… cerca di non cadere nell’oceano, di non farti investire, o chissà cos’altro, okay?”. Era serio, davvero preoccupato. L’idea che potesse accaderle qualcosa e che lui non potesse essere al suo fianco, lo faceva ammattire.
“Ci proverò” chiosò Bella, mordendosi il labbro e scendendo dalla Volvo. Edward partì ancora prima che Bella raggiungesse il portico di casa. Era estasiato dalla giornata, si sentiva leggero e pesante, tristemente felice, ordinatamente caotico… era riuscito a vivere quelle ore con Bella esattamente nel modo in cui non aveva pianificato ed erano state meravigliose. Si promise di smettere di cercare ordine nel caos che loro due, insieme, generavano. Si era aperto a lei, non del tutto, ma aveva fatto grandi pasi avanti. Lei avrebbe scoperto cos’era lui, in realtà? Forse. L’unica domanda che si poneva, mentre la pioggia sottile bagnava il vetro della sua Volvo, era se lui sarebbe stato sufficientemente forte da sopportare la verità, se cioè sarebbe sopravvissuto alla voce di lei che gli diceva addio, dopo aver scoperto che lui era un vampiro. Mentre parcheggiava l’auto, sotto casa Cullen, gli vennero in mente alcuni versi di Yeats. Li recitò, serio, mentre camminava lento verso casa.

Se avessi il drappo ricamato del
cielo,
intessuto dell’oro e dell’argento
e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri
del giorno e della notte
dai mezzi colori dell’alba e
del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho
soltanto sogni;
e i miei sogni ho steso sotto
i tuoi piedi;
cammina leggera perché
cammini sopra i miei sogni

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Capitolo 8
*** La Push ***


~~L’indomani il sole splendeva su Forks. Una giornata perfetta per la caccia. Edward ed Emmett correvano veloci fra gli alberi della foresta, allontanandosi dalla civiltà e dagli esseri umani. Raggiunta la zona di caccia, i due rallentarono il passo fino a fermarsi. Rimasero immobili, ascoltando i rumori della foresta e cercando una preda. Nel vociare di infinita vita, Edward cominciò a sentire il ritmico suono di un cuore che batte. Tu tum, tu tum, tu tum… seguì il rumore fino a vedere, fra le fronde, un grande orso. In poco più di un fremito di ciglia, Edward ed Emmett si avventarono sull’animale, che cadde esamine con un tonfo sordo.

“Come va, fratellino?” gli chiese Emmett, mentre si ripuliva dal pasto. Edward sapeva dove volesse arrivare, ma ignorò.
“Tutto bene” rispose laconico.
“Dai! Lo sai cosa voglio sapere!” lo rimproverò Emmett, più curioso di una portinaia. Edward sorrise.
“Ho deciso che non le starò alla larga. In realtà, non ci riuscirei nemmeno se volessi. Non ho ancora capito bene il motivo, ma sembra che io e lei ci attiriamo come calamite”. Nel sentire quelle parole che uscivano dalla propria bocca, Edward ebbe la sensazione che provenissero dal profondo.
“Sa cosa siamo?” chiese preoccupato Emmett ed Edward scosse la testa.
“Però sta indagando” disse ridendo “Mi ha chiesto se sono stato punto da un ragno radioattivo!”
I due scoppiarono a ridere di gusto.
“Beh, almeno ha capito che sei strano” disse Emmett, mentre cercava di riprendere fiato.
“Già” fece eco Edward, che sembrava aver perso il suo buonumore.
“Che c’è?”
“Non so… ho paura che se scoprisse la verità, si allontanerebbe da me” c’era tutto il timore più profondo in quelle parole, pronunciate a fatica. Dire le cose ad alta voce le rende vere. Emmett si avvicinò al ragazzo e gli mise un braccio sulle spalle.
“Ascolta, non sono la persona più adatta in queste circostanze, ma farò del mio meglio. Edward” disse, guardandolo negli occhi “in tutta la mia vita, quella immortale e non, non ho mai incontrato una persona come te. Tu le piaci e l’unica cosa che potrà scoprire su di te è che sei un bravo vampiro”. C’era affetto in quelle parole dette da Emmett ed Edward gli fu riconoscente.
“Ma” aggiunse Emmett, prima che Edward potesse replicare “Saprà anche che sei una schiappa nella caccia! Per cui, andiamo. T’insegno qualcosina” e così detto, cominciò a correre. Edward rimase a sorridere fra sé per qualche istante, prima di inseguire il fratello tra le fronde.

Il venerdì trascorse all’insegna del cibo, del quale Edward si sentì fin da subito sazio. Per quanto si stesse divertendo, infatti, aveva un unico pensiero in testa: Bella. Sapeva che il giorno seguente sarebbe andata a La Push e, sapeva, che non avrebbe potuto seguirla. Ma il pensiero di lei così lontana e irraggiungibile lo struggeva. Doveva seguirla, almeno fin dove sarebbe riuscito.
“Emmett” chiamò Edward, nella notte silenziosa del bosco. Il ragazzone si voltò verso di lui.
“Io torno a casa” annunciò. Emmett lo guardò con rimprovero.
“Non fare cazzate, Ed. Sai che non possiamo mettere piede nella riserva”. Si, lo sapeva. Bene. Ma era più forte di lui, non riusciva a controllarsi.
“Non mi vedranno, promesso” cercò di rassicurare, senza crederci nemmeno lui stesso.
“Edward” lo chiamò Emmett.
“Dimmi”
“Stai attento, okay? Non mi fido di quei cagnacci”
“Si, papà!” lo schernì e sparì nel buio della foresta, alla volta di Forks.


*****************

Mentre correva verso casa - e verso Bella – cercava di non pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se qualcuno lo avesse visto nelle vicinanze della riserva. Non sarebbe stato di certo un bell’incontro e lui lo sapeva. Avevano faticato a trovare un accordo con i Quileute e rischiava di mandare tutto all’aria. Come tutto, ultimamente. Era strana, quella sensazione che saliva dallo stomaco e gli pervadeva il corpo, simile alla libertà, eppure anche dolorosa. Pareva che il suo corpo fosse reduce da ore di crampi, come se tutti i muscoli, i nervi e le ossa fossero indolenziti e leggeri. Correva e rideva. Era felice, come non gli capitava da molto tempo. Da un’eternità.
Alle prime luci dell’alba, Forks era straordinariamente bella. Edward passò a casa Swan e salì in camera di Bella, come ormai faceva da qualche settimana. Adorava ammirare la ragazza che dormiva nel suo letto, inebriarsi del suo profumo. Inizialmente, aveva cominciato a spiarla nel sonno per capire se poteva fidarsi di lei. Ma, quando scoprì che chiaccherava parecchio mentre sognava, regalandogli stralci dei suoi pensieri, cominciò ad osservarla, meravigliato. Mentre la guardava, si ricordò della prima volta che lei pronunciò il suo nome e di come, preso dalla paura, si fiondò fuori dalla finestra, per timore che lo avesse visto. Ma stava sognando. Sognava lui. Così divenne ben presto un’abitudine, trascorrere la notte accanto a lei, respirare il suo odore fino a starne male. Avrebbe voluto toccare la sua pelle, ma non lo fece mai. Non voleva correre il rischio di svegliarla e farsi, così, scoprire.
Rimase pochi minuti, giusto il tempo per osservarla mentre il suo corpo usciva, lentamente, dal sonno pesante. Poi, uscì dalla finestra e si diresse nel bosco, dietro casa di Bella, attendendo il momento più opportuno per seguirla.
Le ore trascorsero in fretta. Edward vide Bella uscire di casa e mettere in moto il suo pick up. Seguirla era facile, rimanerle lontano un po’ meno. Soprattutto quando c’era nelle vicinanze Newton. Edward sapeva che Bella non era interessata a lui, ma non c’era nulla da fare: era geloso, come mai nella sua vita. Il vampiro scopriva, giorno dopo giorno, tratti di sé che ignorava. Come la gelosia: non avrebbe mai pensato di poter essere così possessivo nei confronti di una persona.
Mentre la compagnia si recava a La Push, Edward camminava nei boschi nella stessa direzione. Era arrivato il momento che temeva: intrufolarsi nella riserva, sperando di non incontrare un Quileute. Giunse in prossimità del limite invalicabile e tese l’orecchio per sentire se vi fosse qualcuno. Solo i battiti di cuori delle bestiole. Inspirò profondamente e s’inoltrò nel terreno proibito.
Gli schiamazzi dei ragazzi erano udibili a centinaia di metri di distanza e per Edward non fu difficile trovarli. Aveva trovato un buon punto d’osservazione, dal quale poteva vedere perfettamente Bella. La guardava scherzare con gli altri, ridere. L’avrebbe fatta ridere così anche lui, un giorno? Assorto com’era nei suoi pensieri, venne sorpreso da alcuni passi, dietro di lui.
“Cullen” disse una voce profonda, maschile. Edward non dovette nemmeno girarsi per sapere a chi appartenesse.
“Buon giorno signor Clearwater” salutò cordialmente. L’uomo emerse dalla boscaglia, mostrandosi al vampiro. Edward notò come il tempo fosse trascorso impertinente sul volto e sul corpo di quello che, molti anni prima, era un uomo forte e virile. Harry Clearwater, anziano della tribù, si fermò a qualche metro dal vampiro, osservandolo con occhi attenti.
“Che ci fai qui?” domandò senza mezzi toni.
“Posso spiegare…” rispose Edward alzandosi. Non appena il vampiro si mosse, il vecchio indietreggiò mettendosi sulla difensiva. Edward sorrise.
“Non abbiate paura, non voglio creare problemi” cercò di rassicurarlo.
“Non so se fidarmi, visto che hai appena violato l’accordo” rispose secco, Harry.
“Lo so, ma se avessi voluto farvi del male sapete bene che non avreste avuto nemmeno il tempo per rendervene conto”. L’uomo non poté non concordare.
“Ti ripeto la domanda: cosa ci fai qui?”
“Sono solo di passaggio, sono venuto a controllare una persona. Lo so che ho appena violato l’accordo, ma vi giuro che non ho alcuna intenzione di fare del male né a voi né a nessun altro”
Harry Clearwater pensò per qualche istante a quelle parole. In fondo non era mai accaduto che i Cullen venissero meno al patto, tuttavia non si fidava dei vampiri.
“Da quando siete tornati, i nostri ragazzi hanno ricominciato a trasformarsi. Sei stato fortunato ad aver incontrato me, piuttosto che Sam. Ora va, non voglio che nessuno ti veda qui, né che senta il tuo odore”
Edward rivolse un ultimo sguardo alla spiaggia, in tempo per vedere Bella che passeggiava accanto ad un Quileute. Rimase qualche secondo, fermo come un sasso a guardarla ridere assieme a lui, mentre un profondo ringhio gli risaliva torvo dalla gola.
“Vattene. Ora!” urlò Clearwater, spaventato dalla reazione di Edward. Il vampiro si ricompose e corse via, verso casa.

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Capitolo 9
*** Un'altra gita imprevista ***


~~In pochi minuti Edward uscì dalla riserva. Correva velocemente mentre il mondo gli passava accanto, rallentato. Ripensava alle parole del vecchio Clearwater… Da quando siete tornati, i nostri ragazzi hanno ricominciato a trasformarsi. Sei stato fortunato ad aver incontrato me, piuttosto che Sam… era vero? O lo aveva detto solo per spaventarlo? In effetti, non aveva mai avuto chiaro il meccanismo con il quale i Quileute si trasformavano in lupo; sapeva che non erano licantropi, cioè non erano stati maledetti, ma era una cosa piuttosto bizzarra. Ad ogni modo, ne avrebbe di certo parlato con Carlisle.
Ecco perché, non appena mise piede nell’abitazione, cercò il suo patrigno. Era in camera sua, che leggeva alcuni grandi volumi di medicina. Edward si presentò davanti alla porta che sfiorò, bussando lievemente.
“Ciao, Edward. Credevo fossi con Emmett” disse l’uomo, guardandolo con affetto e calma.
“Si, beh… fino a ieri sera ero con lui” Edward cercava di calibrare le parole, mentre pensava al modo più innocente per dire a Carlisle che aveva infranto il patto.
“Bene, allora. C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?”
“In effetti, si. Ma non so ancora bene come dirtelo”
Il dottore rimase leggermente spiazzato dal comportamento del ragazzo. Edward era sempre stato uno piuttosto sincero e senza troppi grilli per la testa, quindi era veramente insolito vederlo imbarazzato per qualcosa che aveva fatto.
“Edward, sai che puoi dirmi tutto. Ha a che fare con la figlia del Capo Swan?”
“Si”
“Suvvia, cosa è successo di così terribile?” il tono del dottore era divertito.
“Carlisle, io… ho infranto il patto con i Quileute”
A quelle parole, il volto di Carlisle s’irrigidì.
“Cosa intendi?” chiese, preoccupato, mentre nella mente vagliava diverse possibilità di risposte.
“Niente di così grave, Carlisle” si affrettò a precisare il vampiro, avendo letto i pensieri preoccupati del dottore. Carlisle fece un sospiro di sollievo.
“Sono entrato nella riserva, per seguire Bella e mi hanno visto”
“Hai seguito Bella?” l’uomo era incredulo “E perché mai?”
“Volevo solo vederla… sapere che stava bene” era tutto ciò che riuscì a dire, fra l’affranto e l’imbarazzato.
“Ascolta, Edward. Non mi sono mai intromesso nella tua vita privata, ma questa volta faccio davvero fatica a rimanere al mio posto. Capisco l’attrazione che provi per lei, davvero, ma stai percorrendo una strada in salita che rischia di farti del male”. Le sue parole erano colme di preoccupazione ed Edward sapeva che non erano dette con rimprovero.
“Lo so, ma non riesco a starle lontano! Non capisco! Ci ho provato Carlisle, lo giuro, ma ho fallito miseramente”
I due rimasero in silenzio per qualche istante, riflettendo sul da farsi. Edward, voleva che qualcuno riuscisse a spiegargli perché si sentiva così strano; Carlisle voleva poter aiutare il suo figlioccio a superare quel momento.
“Credo che tu sappia la risposta alle tue domande, Edward. Nessuno può dirti come gestire la cosa, ma posso darti un consiglio. In tutti questi anni, Esme ed io eravamo preoccupati che tu non riuscissi a trovare una compagna. Abbiamo provato con Rosalie, lo sai, ma abbiamo capito fin da subito che il nostro era un errore: una compagna non si trova attraverso terzi, ma arriva a noi inaspettatamente. So che Bella è un’umana e che questo ti distrugge, ma se c’è una cosa che ho imparato, anche a mie spese, è che al cuor non si comanda. L’unica cosa che ti chiedo, Edward, è di prestare sempre molta attenzione. Non per me, né per la famiglia, ma per lei. So che sei capace di controllarti, ma l’amore tende a tirare brutti scherzi, a volte. Perciò, visto che non riesci a stare lontano da lei, vivitela”
Edward rimase in silenzio, ad ascoltare quelle parole e se avesse potuto avrebbe pianto. Carlisle riusciva sempre a comprenderlo, a spiegargli la vita e lui ne era grato.
“Ora, posso sapere cosa è successo alla riserva?”
“Ho parlato con il vecchio Clearwater e mi ha detto una cosa… a proposito dei ragazzi della riserva”
Il dottore si era fatto serio, aspettando di capire avesse detto l’anziano Quileute. “Mi ha detto che hanno ricominciato a trasformarsi. È possibile?”
“Si, Edward, è possibile. La loro natura da lupo è capace di rimanere sopita per anni, per poi risvegliarsi non appena i freddi, così come ci chiamano, tornano ad abitare Forks. Quando siamo tornati, abbiamo risvegliato l’antica magia. In effetti, non avevo pensato a questo, quando decisi di tornare qui”
“Quindi ci saranno lupi nei boschi?” Edward era preoccupato e, come al solito, non per se stesso.
“Si, Edward, credo proprio che il vecchio Clearwater ti abbia detto il vero. Sarà il caso di dirlo anche agli altri, così da non creare situazioni rischiose”

Il giovane uscì dallo studio del dottore, pensieroso. Se davvero i Quileute di erano risvegliati, i boschi di Forks non erano sicuri. Certo, si chiedeva come avrebbero tenuto nascosto dei grandi lupi alla popolazione e, soprattutto, ai numerosi cacciatori. Ma il suo problema era, come sempre, Bella.
Edward uscì sul grande terrazzo che confinava col bosco e annusò l’aria, in cerca di lupo. Nulla. L’aria era fresca e pulita. Decise che avrebbe fatto la sua solita visita notturna a Bella, per sapere se lui abitasse ancora i suoi sogni.
Alle prime luci dell’alba, Edward lasciò la stanza della ragazza che ancora dormiva. Non aveva parlato durante la notte e ciò lo infastidiva. Decise di inoltrarsi nel bosco sul retro della casa e di sedersi sul solito albero, dal quale poteva vedere Bella. Fu sorpreso di vederla uscire di casa e procedere nella sua direzione, preoccupata. La osservò mentre, nervosa, camminava a passo spedito nella piccola stradina sterrata e s’inoltrava nella folta vegetazione. Era spaventata e nervosa. Perché? Ah, cosa avrebbe dato per poter sentire i suoi pensieri, sapere cosa la stesse turbando, piuttosto che rimanere inerme ad osservare. La sua camminata durò poco: la vide prendere a calci qualche ramo e inspirare profondamente l’aria verdeggiante di Forks. Rimase con lei per tutto il giorno, ascoltando le sue conversazioni con Charly, sentendo i pensieri del padre, vegliando come un angelo custode. Così, sentì anche la conversazione che riguardava un’altra uscita di Bella da Forks. Sarebbe andata a Port Angeles assieme a Jessica, per comprare i vestiti per il ballo.
Un'altra serata all’insegna del voyeurismo pensò fra sé, mentre correva verso casa a prendere la sua Volvo. Sarebbe andato a Port Angeles, avrebbe vegliato su di lei da lontano e l’avrebbe guardata rientrare a casa. Attese qualche ora prima di partire alla volta della città. Non voleva che Bella si accorgesse della sua presenza e per ritrovarla avrebbe cercato di focalizzare i pensieri di Jessica. Tuttavia, quando arrivò a destinazione, si rese conto che il suo piano aveva diversi buchi. Uno fra tutti: ma quanta gente vive a Port Angeles? Cercò di ascoltare fra i pensieri della gente se vi era traccia di tre ragazze in cerca di un bell’abito per il ballo, ma il tentativo non diede frutti. Vagava con la macchina a passo d’uomo osservando ogni angolo, ogni negozio alla ricerca di Bella. Nulla. In effetti, cominciava a preoccuparsi ma cercò di calmarsi per ragionare meglio. Poi, d’un tratto, ecco Jessica. La vide camminare sul marciapiede assieme ad una altra ragazza della quale ignorava il nome, ma di Bella non vi era traccia. Ascoltò la loro conversazione.
“Sono proprio felice del vestito! Sarò una favola!” diceva la ragazza sconosciuta rivolta ad una Jessica troppo presa a fantasticare sul suo abito.
“Già! Anche il mio è stupendo! Hai visto come mi mette in risalto le tette?”, scoppiarono a ridere entrambe. Edward cominciava ad innervosirsi: avrebbe voluto scendere dalla macchina, pararsi davanti a quelle due galline e chiedere dove fosse Bella.
“Mi spiace che Bella si sia annoiata”
“Già… speriamo che almeno trovi il libro che stava cercando”
Una libreria… Bella era andata da sola in giro per Port Angeles e cominciava a fare buio. Edward sgommò, facendo inversione con la macchina e cominciò ad ascoltare i pensieri della gente cercando una traccia di Bella.
Dove sei? Guardava freneticamente in giro, prestando pochissima attenzione alla strada. Ed ecco, qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcuno, un ragazzo, stava pensando cose decisamente oscene sul conto di una ragazza che camminava da sola a pochi metri da lui. Lei era sola, lui con altri tre amici. Edward cercò di mettere a fuoco il volto della ragazza fra i pensieri rivoltanti di quel tizio. Un ringhio, cupo e profondo, cominciò ad uscire dalla sua gola ancora prima che l’auto facesse nuovamente inversione di marcia per raggiungere i ragazzi. Correva come mai aveva fatto in tutta la sua esistenza e pregava che quella feccia non toccasse Bella. Perché se l’avessero fatto, li avrebbe uccisi. Lo sapeva. Ancora due curve e sarebbe arrivato. Con i fari della sua Volvo illuminò i quattro ragazzi che circondavano Bella.
“Stammi lontano!” pregava Bella.
“Non fare così, bellezza” rispondeva uno dei porci. Era troppo: con un ultima derapata, Edward si accostò alla ragazza spalancando la portiera e fermandosi a pochi centimetri dalle gambe di uno di loro.
“Sali” le ordinò, con una voce che, davvero, non sembrava appartenergli. Appena Bella chiuse la portiera, Edward ripartì per allontanarsi il più possibile da quei quattro. Faticava a trattenersi dal tornare indietro e staccare le loro teste, una dopo l’altra. Stringeva forte il volante, cercando di non romperlo.
“Stai bene?” fu la sola cosa che riuscì a chiedere, mentre lottava contro se stesso. Lei annuì, spaventata.
“Per favore fai qualcosa” la implorò. Doveva distrarlo, fargli pensare ad altro o sarebbe tornato indietro in meno di un minuto.
“Che cosa?” Bella era evidentemente confusa, ma lui continuava ad avere in mente le immagine sudicie di quel verme.
“Chiacchera, dì qualcosa di poco importante finchè non mi calmo” un leggero crack gli segnalò di allentare la presa sul volante.
“Forse domani prima che inizino le lezioni investirò Tyler Crowley” disse lei tutto d’un fiato, sperando che funzionasse.
“Perché?”
“Va in giro dicendo che mi porterà al ballo di fine anno…” Edward aveva smesso di ascoltare. Si concentrò sulla voce di lei, per calmarsi. Stava funzionando. O forse no.
“Va meglio?” gli chiese Bella.
“Non proprio” ammise, deluso. Sperava di poter riacquistare il controllo con più facilità, ma sembrava difficile.
“Cosa c’è che non va?”
“Ogni tanto ho dei problemi d’impulsività, Bella. Ma non sarebbe affatto una buona cosa fare marcia indietro e assalire quei…” la rabbia rimontava, violenta, in lui. Dovette mettere a fuoco la strada davanti a sé per calmarsi. “Perlomeno, è ciò di cui sto tentando di convincermi”
Bella guardò l’orologio. “Jessica e Angela saranno preoccupate. Mi stavano aspettando”
Era strano come quella ragazza avesse un pessimo intuito per le situazioni pericolose. Aveva appena rischiato di essere violentata da quattro bastardi mezzi ubriachi e di vedere lui che ne tranciava di netto la testa, e si preoccupava del fatto che le use amiche la stessero aspettando. Edward sorrise, perplesso. Ma almeno aveva smesso di pensare di uccidere quei quattro.
Portò Bella proprio davanti al ristorante dove le sue amiche l’attendevano. Fermò la macchina e scese, andando ad aprirle la portiera.
“Cosa fai” gli chiese, smarrita. Lui la guardò intensamente, sentendosi sciogliere nel cioccolato dei suoi occhi.
“Ti porto fuori a cena”
Ancora una volta, nulla era andato come lui aveva previsto.

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Capitolo 10
*** Verità ***


HTML Editor - Full Version

I have nothing left to lose
You took your time to choose
Then we told each other
With no trace of fear that...

 

Muse, Neutron Star Collision

 

 

Entrarono nel ristorante, notando come fosse poco affollato. Sebbene venne loro offerto un tavolo nella sala principale, Edward chiese alla maître di avere un posto più appartato. Aveva la sensazione che il rapporto fra loro fosse vicino ad una svolta: dopotutto, non avrebbe potuto glissare le domande della ragazza ancora per molto. Così, Edward si stava preparando, psicologicamente, a rispondere delle sue azioni. Voleva essere sincero, non per una questione etica ma per se stesso: mentire era diventata una seconda natura, per lui come per la sua famiglia, che lo portava sul limite del crollo. Non era facile recitare, essere qualcuno di diverso da ciò che era e sperava di poter calare la maschera, almeno con Bella.

“Come stai?” le chiese, preoccupato.

“Bene” rispose Bella, quasi sorpresa dalla domanda.

“Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita?”. Ovviamente, Edward cercava di tirare ad indovinare lo stato d’animo della ragazza, procedendo più per logica che per esperienza personale.

“Dovrei?” chiese candidamente, tanto da far sorridere Edward. Per quanto lui provasse a prevedere i pensieri di lei, la verità lo divertiva ogni volta.

“In realtà, sto ancora aspettando che tu cada in uno stato di shock” sembrò dire più a se stesso.

“Davvero, non sono turbata” cercò di consolarlo “Quando sono con te mi sento… al sicuro”

Quelle parole lo lasciarono senza fiato. Lei era seduta in un ristorante, lontana da casa, in compagnia di un vampiro e si sentiva al sicuro? In quel momento, Edward realizzò una cosa molto importante: non solo lui non era stato in grado di mantenere le distanze, ma la situazione era decisamente fuori controllo. Non si trattava più di essere o meno sinceri. Si trattava del legame che li univa. Velocemente, ripercorse gli attimi che lo avevano portato in quel ristorante, a quel momento. Lui non avrebbe potuto rimanere distante da Bella, nemmeno se lo avesse voluto, perché le cose si fanno in due e lei provava le stesse sensazioni che sentiva lui. Bella lesse l’espressione di Edward e cercò di fare ciò che lui faceva sempre: leggere nella mente.

“Di solito quando hai gli occhi chiari sei di buon’umore” disse, quasi delusa dalla sua reazione.

“Cosa?”, Edward non riusciva a capire dove volesse arrivare.

“Quando sono scuri sei intrattabile, almeno così mi sembra. Ho una teoria” disse velocemente, guardando il piatto di ravioli fumante che le era stato appena portato. Un’altra teoria… Edward sapeva che erano arrivati al punto che più temeva.

“Ti sei ispirata ancora ai fumetti?” la schernì dolcemente.

“Beh, no ma non è nemmeno un’invenzione mia”

Male, molto male. Bella doveva aver parlato con qualcuno, ma chi? E soprattutto quando? Poi, d’un tratto gli venne in mente l’unico momento nel quale non era stato sufficientemente vicino a lei per sapere di cosa parlasse e con chi: La Push. Che avesse parlato con i Quileute?

“E…?” incalzarla senza sbilanciarsi fu l’unica cosa che gli venne da fare,

“Ti dirò tutto in macchina, se…” parve pensare a qualche merce di scambio “… se risponderai ad alcune mie domande”.

Improvvisamente, Edward provò paura. Aveva desiderato quel momento da giorni, eppure trovarsi lì, davanti a lei, lo metteva in agitazione. Decise di far leva sul suo autocontrollo, portando avanti la conversazione in modo distaccato.

“Ovviamente” esordì con un elegante aplomb inglese e lei sembrò soddisfatta.

“Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?”

Pensava, velocemente. Cosa poteva dire? Risposta numero uno: ho pensato di fare un salto in questa ridente cittadina. Poco credibile e lo sapeva. Risposta numero due: sapevo che saresti venuta e ho deciso di farti una sorpresa. Sicuramente più vicina alla verità e, tuttavia, avrebbe aperto un’altra valanga di domande. Come avrebbe spiegato il fatto che fosse a conoscenza dei progetti di lei? Ovunque cercasse di andare, trovava solo risposte insensate o pericolose.

“Prossima domanda” disse, freddamente, come se fosse un ordine.

“Ma questa era la più facile” replicò lei. Non c’era nulla di facile, quella sera. Tanto valeva capire fin dove Bella avesse voluto spingersi.

“Come hai fatto a trovarmi?”. In effetti, la domanda precedente era più facile. Bella lesse la difficoltà nella sua espressione e si affrettò a sciogliere la tensione.

“Mettiamo che qualcuno riesca… per così dire a leggere nella mente delle persone… con qualche eccezione”

Edward apprezzò molto quell’aiuto. Mettere tutta la storia sotto l’ottica del “mettiamo che”, rendeva più facile la discussione.

“Una sola eccezione” precisò e lei sorrise.

“Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?”

“Solo per ipotesi, giusto?”

“Certamente”

Be', se... quel qualcuno...”.

“Chiamiamolo Joe”, suggerì Bella e strappando un altro sorriso al vampiro.

“Vada per Joe… Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi. Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai” continuò fra il divertito e il rimprovero “eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità”.

Bella sembrò punta dalle sue dichiarazioni. Edward adorava quel lampo che le illuminava lo sguardo quando era irritata e, provocarlo, diventava una piacevole tentazione.

“Stavamo parlando di una situazione ipotetica” lo corresse lei e lui rise, sonoramente. Era incredibile come

Bella riuscisse, sempre, a togliere il malumore dal suo animo.

“Come facevi a saperlo?”. La domanda era lecita ed Edward lo sapeva. Un tormento interiore, grande quanto una montagna da scalare, oscurò il suo sguardo. Non poteva scappare, lo sapeva, e non aveva scelta alcuna: avrebbe dovuto, finalmente aprirsi. Ma dischiudersi dal bozzolo che lo aveva sempre contenuto non era così facile come aveva pensato. Doveva fidarsi di Bella, doveva credere che i suoi sentimenti fossero reali: in quel preciso istante, Edward si giocava tutto.

“Ti ho seguita fino a Port Angeles», confessò, parlando in fretta. «Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tante catastrofi”. Il peso che lo tormentava si allegerì nell’istante stesso in cui cominciò a parlare sinceramente con lei.

“Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino?”

“Quella non era la prima volta. La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta”. Fare quell’affermazione gli costò molta fatica. In effetti, essere se stesso implicava ammettere il pericolo che lui rappresentava per lei e, sebbene avesse cercato in tutti quei giorni di tenerla lontana dicendole che lui non era la persona giusta da frequentare, in quel momento le stava dicendo anche il motivo. Una ragione della quale non avrebbe mai smesso di vergognarsi.

“Giravo senza una meta precisa, alla ricerca di te. Poi ho sentito quello che pensavano… ho visto il tuo volto nelle loro menti”. Era un fiume in piena: la sincerità aveva rotto gli argini e ora non c’era più nulla a trattenere la verità.

“È stato molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita. Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli”.

Cercò di scrutare lo sguardo di lei: aveva paura? Aveva compreso le sue parole? Stranamente, o forse no, non vide terrore né insicurezza. Bella lo guardava con affetto e curiosità. Qualcosa si ruppe, in lui, quella sera: la convinzione di essere un mostro degno di commiserazione, lasciò il posto al ragazzo che poteva essere amato. Sarebbe stato sempre grato a Dio per l’occasione che gli era stata offerta, indipendentemente da come sarebbe andata a finire. Edward sapeva che stava per arrivare il momento della confessione estrema: dichiarar a Bella la sua vera natura. Aveva paura, certo, ma era anche convinto che lei lo avrebbe capito e non rifiutato. Dopotutto, Bella aveva avuto più di un’occasione per stargli lontano e non lo aveva fatto e, ormai, Edward era convinto che nulla lo avrebbe separato da lei.

Uscirono dal ristorante e si diressero verso la Volvo. Edward le aprì la portiera -uno di quei gesti che lo piazzavano in un altro secolo- e, una volta salito, accese il riscaldamento dell’auto al massimo, per permettere a Bella di scaldarsi.

Come sempre, fu lei a rompere il silenzio. “Come fai a leggere nel pensiero? È una dote solo tua o anche i tuoi fratelli…”

“Una domanda per volta, no?” disse sorridendo e li abbassò lo sguardo. Era curiosa e desiderava conoscere ogni cosa, ma Edward aveva bisogno di tempo per rispondere.

“Non so come funzioni, Bella, ci riesco e basta. Però devo essere vicino alla persona che cerco di leggere a meno che la sua voce non mi sia famigliare, ma comunque non più di un paio di chilometri. Per la seconda domanda, la risposta è no: io sono il solo ad avere questa capacità”

“Secondo te perché non riesci a sentirmi?”

“Non lo so. Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso dalla e altre. È come se tu trasmettessi in AM e io potessi ricevere solo in FM” disse, divertito dalla metafora. In effetti, quell’idea gli era venuta da qualche giorno, mentre s’interrogava per l’ennesima volta su Bella. Non gli era mai capitato di fallire nel dono e, quindi, la soluzione più ovvia, era che lei avesse un meccanismo diverso.

“La mia mente non funziona come dovrebbe? Quindi sono una specie di mostro?” chiese, allarmata. Edward trovò la cosa davvero esilarante: lei pensava di essere un mostro!

“Io leggo nei pensieri e tu credi di essere un mostro?” non riusciva a trattenere le risa. “Comunque, stai tranquilla, è solo una mia teoria… il che ci riporta a te”

Lei si morse un labbro, evidentemente imbarazzata.

“Non riderò, promesso”

“In realtà non ho paura che tu riderai ma che ti arrabbierai con me”

“E’ così brutta?”

“Non so da dove cominciare…”

“Comincia dall’inizio” la incoraggiò, dolcemente “Hai detto che questa teoria non è farina del tuo sacco… a cosa ti sei ispirata? Un film, un libro…”

“No… è stato sabato alla spiaggia. Ho incontrato un vecchio amico, Jacob Black. Suo padre è un anziano Quileute. Abbiamo fatto una passeggiata e lui mi ha raccontato alcune storie sulla sua tribu…” si bloccò, timorosa.

“Continua…” ormai non c’era più nulla da temere, per Edward, anche se l’idea che un Quileute le avesse rivelato della sua famiglia lo irritava.

“… e ha parlato dei vampiri, facendo riferimento alla tua famiglia. Così ho fatto qualche ricerca su internet”

“Hai risolto i tuoi dubbi?”

“No, per lo più si trattava di sciocchezze e ho deciso che non mi interessa”. Questo lo sconcertava.

“Come non ti interessa?” chiese, sbalordito “Non ti interessa sapere se sono un mostro?”

“No, ma sono curiosa” disse candidamente.

“Cosa vuoi sapere?”

“Quanti anni hai?” la domanda più banale del mondo, eppure la più diretta.

“Diciassette” rispose, sorridendo.

“E da quanto tempo hai diciassette anni?”

Lui guardò fuori dal finestrino. “Da un po’”

“non ridere se te lo chiedo ma… come fate ad uscire di casa quando è giorno? Non vi sciogliete?”. Edward rise a quell’affermazione. Era incredibile la quantità di bugie che circolavano sui vampiri. Quella che, tuttavia, l’aveva sempre divertito era la convinzione che l’aglio li tenesse lontani.

“Leggende” disse, scuotendo leggermente la testa “Ma non mi hai ancora fatto la domanda più importante: di cosa ci nutriamo?”

Lei ebbe un impercettibile fremito, a quella domanda. Dopotutto, lui stava davvero diventando un vampiro a suoi occhi.

“Beh Jacob mi ha detto che voi non uccidete gli esseri umani… che andate a caccia. È vero?”

“Si, in un certo senso è così. Vedi, Bella, non è facile stare lontani dal sangue umano, ma noi cerchiamo di farcela. Scherzando fra noi, ci definiamo vegetariani: il sangue animale è un po’ come il tofu, ti mantiene in forze ma non è mai pienamente soddisfacente”

“Adesso, però hai fame” gli disse, convinta.

“Cosa te lo fa pensare?” era curioso di sapere cosa pensasse di lui, considerando che Bella aveva sempre la capacità di sorprenderlo.

“I tuoi occhi…ho notato che le persone tendono a diventare indisponenti, quando hanno fame”

“Ottima osservatrice” puntualizzò.

“Lo scorso week end sei andato a caccia con Emmett?”

“Si” ammise “perché dovevo, non perché volevo. Starti lontano mi provoca… ansia” confessò, senza guardarla negli occhi. Era difficile parlare dei propri sentimenti, soprattutto quando non sapeva nemmeno lui dicosa stesse parlando.

“Anche a me viene l’ansia” disse, sottovoce Bella. Questa era un’affermazione decisamente scomoda per Edward, nonostante il solo sentirla l’aveva reso il ragazzo più felice della Terra.

“Ho detto qualcosa che non va?” chiese lei preoccupata dall’espressione di Edwrad.

“Non capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che anche tu sia coinvolta è un altro paio di maniche. Bella… è pericoloso. Io sono pericoloso… ti prego, renditene conto”

“No” rispose Bella alla sua preghiera, con una fermezza che lo fece sorprendere. “Ti ho detto che non mi importa quello che sei. Ed è troppo tardi”

Edward era combattuto, fra il gioire per le parole di lei o dannarsi per il resto dell’esistenza. Ma le cose si fanno in due: avevano rotto gli schemi e si erano immischiati in qualcosa di molto più grande di loro. Eppure, per quanto il vampiro fosse dispiaciuto del fatto che Bella fosse, ormai, persa in una storia complicata, penso che fosse ora di lanciarsi in quel volo senza paracadute. Vivitela gli aveva detto Carlisle. E lui voleva farlo.

“Promettimi che domani ci sarai” gli disse Bella, non appena si rese conto che erano arrivati a casa.

“Te lo prometto” rispose di rimando, mentre la ragazza scendeva dall’auto.

“Ah, Bella?” la chiamò “Non andare nel bosco da sola, non sono l’unica cosa pericolosa in giro”

“Come vuoi”

 

Edward guidava veloce verso casa, pensando a quanto la sua vita fosse diversa. Credeva che non avrebbe mai conosciuto il significato della parola felicità, ma ora lo sapeva. Felicità. Bella.

 

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Capitolo 11
*** Potete essere felici per me? ***


Dopo quella sera le cose presero una piega decisamente diversa. Edward si sentiva finalmente libero di poter essere se stesso, di fare addirittura dell’umorismo sulla sua natura. Dal canto suo Bella, lo assecondava con una naturalezza che lo sorprendeva, rendendo il tempo trascorso assieme leggero e magnifico.

La scuola diventò presto un terreno di sfida, per entrambi. I compagni di classe non riuscivano a credere alla loro relazione e riempivano la ragazza di domande, spesso, imbarazzanti. Edward era sempre molto attento a sentire le risposte di Bella attraverso i pensieri degli altri, ma la ragazza sembrava scaltra: non lasciava mai trapelare qualcosa di più di ciò che voleva fargli sapere. E lui si divertiva.

Sebbene tutto stesse procedendo bene, o almeno meglio di quanto Edward non avesse previsto, le cose erano decisamente più complicate a casa. Nessuno della sua famiglia sembrava vivere la sua relazione con Bella in modo positivo, tranne Alice. Perfino Carlisle, che lo aveva invitato a viversi la ragazza, iniziava ad essere preoccupato. Probabilmente, in cuor suo, Carlisle sperava che non mettendo paletti fra i due ragazzi, la storia sarebbe scemata da sola, ma si sbagliava…

Emmett più di una volta dovette intervenire nelle aspre discussioni che si accendevano fra Edward e Rosalie, la più risentita dalla situazione, per cercare di calmare l’animo della sua compagna ed evitare che le cose peggiorassero. Edward comprendeva bene le preoccupazioni della sua famiglia, tuttavia non capiva perché sprecare così tante energie per smorzare una relazione che, in tutta franchezza, non poteva essere placata. Lui era sempre più attratto da Bella e per lei valevo lo stesso. Erano diventati inseparabili. Perfino durante la notte, quando Bella credeva di essere sola, lui era lì, accanto a lei a vegliare come un angelo custode. Adorava osservarla, sentire il suo profumo e le lunghe chiaccherate oniriche che lei faceva. Per Edward erano momenti impagabili, durante i quali poteva conoscere più a fondo la ragazza, senza il filtro dell’imbarazzo. Cominciava ad amare tutto in lei. Si, l’amava.

Rosalie non riusciva a comprendere come ciò fosse possibile, non si capacitava di come suo fratello avesse completamente azzerato se stesso per lei. Era questo il problema: Edward si era messo in secondo piano, preferendo la felicità di Bella. Ma non era forse questo, il significato di amore?

“No, Edward! Amare non vuol dire annullarsi, questo è subordinazione. Tu devi rimanere te stesso, non puoi diventare qualcosa che non sei!”. Rosalie era arrabbiata, come sempre.

“E se io fossi questo? Ci hai mai pensato, Rose? Forse ho vissuto ottant’anni senza emergere, schiacciato dalla maledizione di essere un vampiro! Forse solo ora riesco ad essere quel ragazzo di diciassette anni che ho perduto!”. Le parole uscirono dalla sua bocca senza controllo, dirompenti e arrabbiate. Non riusciva a capire perché Rose facesse così tanta fatica ad essere felice per lui.

“Non ti capisco Rose. Cosa ti infastidisce così tanto?” la domanda fece sussultare la sorella.

“Mi dà i nervi il fatto che ogni giorno rischi di mettere in piazza la nostra natura, che giochi col fuoco. Non ti riconosco più, Edward!”

“Eppure, è la prima volta che ti arrabbi così”

“E’ la prima volta che esci con un’umana. Anzi, per la precisione, è la prima volta che esci con una donna!”.

In tutti i suoi anni da vampiro, Edward non aveva mai avuto una relazione. Non per scelta, semplicemente, non aveva mai trovato qualcuno d’importante. Lui era uno alla “vecchia maniera”, educato a mesi di corteggiamento, nella speranza di riuscire a strappare un bacio, forse. Per quanto riguardava il sesso, poi, era assolutamente fuori discussione, almeno non prima del matrimonio.

“A maggior ragione, dovresti essere contenta. Finalmente, dimostro di avere interesse per qualcuno che non sia me stesso”

Era una discussione senza via d’uscita. Edward non avrebbe ami convinto la sorella ad accettare Bella, ormai l’aveva capito.

Diverso era l’atteggiamento di Alice. A volte, Edward aveva l’impressione che lei sapesse cose che a lui sfuggivano. In fondo, poteva leggere nel futuro e, sicuramente, aveva avuto visioni da parte di Bella. Ma per quanto Edward cercasse delle risposte, Alice era diventata fin troppo brava a occludere i propri pensieri dalla sua abilità. Così, l’unica alleata della famiglia, diventò presto anche l’unica a cui chiedere consigli.

“Hai mai pensato di baciarla?” gli chiese, curiosa. Lui corrugò la fronte, imbarazzato.

“Non lo so… forse” non amava scendere così tanto nei dettagli: era riservato per natura.

“Ma tu hai mai baciato, Edward?” chiese Alice.

“Alice, sono proprio necessarie queste domande? Non potresti semplicemente consigliarmi quando chiedo consiglio e stare in silenzio quando sono in silenzio?” c’erano imbarazzo e fastidio nelle sue parole. Alice sembrò offesa ed Edward cercò di recuperare.

“Si” disse infine guardando per terra “Ho già baciato una donna, ma non ne vado fiero”. Alice capì di aver aperto una porta nei ricordi di Edward che, forse, era troppo privata.

“Sono trascorsi circa…quarant’anni, credo. Risale ad un periodo decisamente buio, per me. Sai, Alice, non sono sempre stato al fianco di Carlisle… c’è stato un momento, un periodo, nel quale ho creduto fosse meglio per me seguire la mia nuova natura”. La voce del vampiro era rotta dalla commozione che la memoria gli provocava. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno, nemmeno Carlisle gli fece mai domande dirette, preferendo che il tempo facesse il suo corso. Alice non lo guardava con rimprovero ma con affetto e ciò lo spinse ad aprirsi ancora di più.

“Ho fatto cose di cui mi vergogna anche il solo ricordarle, Alice. Ho ucciso, diverse volte. Mi consolavo nell’idea che non fossero vittime ma carnefici: assassini, stupratori… bestie quanto me. Ma non poteva essere una consolazione reale”

“Abbiamo vissuto tutti momenti di cui è difficile parlare. Sappiamo entrambi cosa significhi fare i conti con quello che siamo e, soprattutto, riuscire ad avere l’autocontrollo non è mai una cosa immediata”. Alice cercava di rincuorarlo, temendo che Edward si colpevolizzasse fin troppo per qualcosa che non avrebbe potuto controllare.

“Una notte, camminavo da solo per alcune strade di periferia di New York. Avevo fame e cercavo di convincermi che Carlisle avesse ragione, che potevo resistere. D’un tratto una donna, probabilmente una prostituta, si avvicinò a me. Non aveva un odore particolarmente allettante, ma la gola bruciava, tanto. Lei mi abbracciò in cerca di un cliente e di una paga, diventando esplicita in pochi istanti… mi baciò. Sentire le sue labbra, calde accese il mostro che ero. Pensai di ucciderla, lì sul posto e di bere il suo sangue ma qualcosa mi fermò. Era innocente. Era una vittima. Non potevo cadere così in basso, non sarei sopravvissuto a me stesso se lo avessi fatto. Così scappai”. Edward raccontò tutto d’un fiato quell’esperienza, sentendo il rimorso e la vergogna affiorare, parola dopo parola.

“Riuscisti a controllare la sete, Edward. È una cosa di cui andare fiero” disse Alice, sorridendo benevola. In effetti, da quel momento il vampiro capì che poteva farcela, che avrebbe potuto controllare il mostro con la forza di volontà.

“Dopo quella sera, tornai da Carlisle e diventai vegetariano” disse sorridendo. Erano anni che non ripensava più a quel fatto, a come era riuscito a far leva sulla sua forza interiore per non uccidere, e parlarne con Alice lo aveva aiutato a vedersi in modo diverso.

“Beh” disse, allegra la sorella “direi che la risposta alla mia domanda iniziale sia no: tu non hai mai baciato Edward, non con le labbra dell’amore”

Lui sembrò perplesso.

“Vedrai, Edward, quando bacerai la persona che ami, tutto il mondo sembrerà fermarsi, in un solo istante. Sarà magnifico!”

Il vampiro guardò sua sorella lasciare la stanza e rimase da solo a ripensare alle sue ultime parole. Avrebbe avuto il coraggio di baciare Bella? Avrebbe avuto la forza di resistere alla sua natura? Erano tutte domande che lo tormentavano e che gli facevano paura. Si mise al pianoforte, così come amava fare nei suoi momenti di riflessione e compose. Lentamente, sfiorando i tasti, creò una canzone che fosse solo di Bella. La suonò pensando a lei, sentendosi pervadere dal suo profumo. La scrisse perché non dimenticasse mai le sensazioni che quella ragazza gli donava, giorno dopo giorno, perché avrebbe dovuto, prima o poi separarsi da lei. La mortalità di Bella, oltre ad essere la fonte di tutte le sue preoccupazioni, rappresentava anche l’unico ostacolo alla loro eternità. Mentre suonava, cominciò a chiedersi come sarebbe stata la sua vita senza Bella e, decisamente, non riusciva a trovarne un senso.

NdA: Okay, credo che ormai sia ufficiale! Non ho la minima idea di come trattare l'Editor html... forse l'ho offeso... Perdonatemi per lo stile di impaginazone, ma sto seriamente pensando di sfidare a singolar tenzone l'editor. Mi è stato chiesto di aumentare il carattere per facilitare la lettura, tuttavia sembra sia un'impresa difficilissima. Spero che la lettura sia ugualmente piacevole.

Barbara.

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Capitolo 12
*** La radura ***


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Quella mattina Bella si svegliò prima del solito, costringendo Edward ad una rapida ritirata. Rideva, il vampiro, mentre correva nei boschi alla volta di casa. Era felice e si sentiva leggero: avrebbe potuto conquistare il mondo e non c’era nulla che lo spaventava. Forse proprio nulla no. Aveva deciso di condividere con Bella una parte della sua vita da vampiro, voleva mostrarsi alla luce del sole nel senso letterale del termine. Era convinto fosse giusto, che fosse doveroso eppure… eppure, come ogni volta, la paura che lo sguardo di lei tramutasse in disprezzo era sempre presente. Sebbene la vicinanza della ragazza lo facesse star bene, non poteva nulla contro l’insicurezza costante che Edward provava nei confronti di se stesso. Ma valeva la pena rischiare.

Quando Edward salì sul pickup, facendo prendere un colpo a Bella, si era convinto a lasciare da parte le proprie paure a e godersi la giornata che avrebbe trascorso assieme a lei. Ma non aveva fatto i conti con la guida di Bella: nel momento stesso in cui realizzò che la ragazza avrebbe guidato, un senso di panico lo pervase.

“Allacciati la cintura, sono già nervoso”, le disse come un ordine. Lei sbuffò ma fece ciò che le aveva chiesto.

“Dove?” chiese Bella guardando il vampiro nei caldi occhi ambrati.

“Prendi la centouno verso nord”.

La ragazza mise in moto il pickup e, dopo aver premuto un paio di volte la frizione, riuscì ad inserire la prima marcia mettendo in movimento l’auto. Edward la guardava guidare, pregando che non capitasse nulla di male e questo, ne era sicuro, la metteva in imbarazzo. Trascorsi pochi minuti, il vampiro riuscì a tranquillizzarsi, seppur di poco, data la velocità di marcia della ragazza: era lenta, terribilmente lenta. Per uno abituato alla velocità, sembrava di guardare il mondo in slow motion.

“Credi di riuscire ad arrivare prima di sera?” le chiese, schernendola.

“Guarda che questo pickup potrebbe essere il nonno della tua auto, perciò porta un po’ di rispetto”, gli rispose leggermente inacidita dall’appunto. Edward sorrise sghembo, tornando a fissare il panorama di Forks che, a rallentatore, passava addormentato fuori dal finestrino.

“Cosa hai raccontato a Charly?” le chiese, così, giusto per intavolare una discussione e tentare di far passare il tempo.

“Che sarei uscita con Jessica”

“Bene… le hai detto che sei con me?”

“In effetti, no. Le ho detto che all’ultimo hai annullato la gita… così nessuno sa che sono con te”. A quelle parole, Edward strinse visibilmente la mascella.

“Forks è così deprimente che cerchi di suicidarti?” le domandò acido. Bella lo guardò stranita dal cambio di tono.

“Torna a guardare dritto, per favore. Okay che andiamo piano ma è meglio se tieni gli occhi sulla strada”.

“Sei stato tu a dirmi che fosse meglio non farci vedere assieme troppo spesso…”, cercò di giustificare Bella.

“Nessuno sa che siamo insieme, Bella. Ti rendi conto?”. Edward cercava di mantenere il tono della voce calmo, ma il risultato fu davvero pessimo.

“Ho pensato fosse meglio per te”

“Così tu ti preoccupi dei guai che potrei passare io… se tu non torni a casa?”. Era assurdo. Lui era un vampiro! Perché non riusciva a capire il pericolo che lui poteva rappresentare per lei? Cosa avrebbe dovuto fare per convincerla a non abbassare mai la guardia? Una prova di forza? Di velocità? Edward era sconvolto e profondamente irritato dalla poca attenzione che Bella riservava alla sua natura: come poteva vivere accanto ad un vampiro e non provare paura?

“Bella, credo che tu non capisca…”, cercò di dire, ma la ragazza sbuffò.

“Io capisco benissimo, invece. Tu hai paura di farmi del male e io so che non me ne farai. Perché non puoi avere in te la stessa fiducia che ho io?”

Fiducia… ma cosa…? Parlare con Bella sembrava parlare ad un muro. Non capiva e, a quanto pare, non avrebbe capito il problema finchè non si sarebbe trovata in una situazione pericolosa? Ma non era già di per sé pericoloso il fatto di essere da sola con un vampiro? Davvero Edward non capiva.

Rimasero in silenzio per gran parte del viaggio, solo ogni tanto Edward parlava per dare indicazioni.

“Prosegui fino a trovare uno sterrato” le disse telegrafico.

“E dopo lo sterrato?”

“C’è un sentiero”

Di nuovo silenzio. Edward fingeva di guardare dritto davanti a sé, mentre in realtà non guardava nulla. Era come accecato dalla rabbia. Rabbia verso se stesso, che non si era reso conto di quanto Bella fosse attratta da lui, a tal punto da non vederlo per quello che era. Rabbia per Bella, che non prestava attenzione alla sua stessa vita. Lui era convinto che non avrebbe fatto del male alla ragazza, ma non aveva mai messo così duramente alla prova se stesso. Cosa sarebbe accaduto se avesse visto il suo sangue? Sarebbe stato in grado di resistere?

I suoi pensieri vennero interrotti da Bella che, dopo aver fermato il pickup all’ingresso del sentiero, era scesa dall’auto. Faceva caldo, era una giornata perfetta per la gita che avevano programmato. Edward scese a sua volta e si mise a fissare il bosco, dall’altra parte del sentiero. Ora avrebbero camminato fra radici, sassi e rami… sarebbe riuscita a non farsi male?

“Di qua” le disse, indicando la folta vegetazione.

“E il sentiero?”

“Ho detto che avremmo trovato un sentiero, non che lo avremmo percorso”. A quelle parole, la ragazza i rabbuiò. Che avesse, finalmente e per sfortuna, paura? Forse l’idea di camminare per un bosco in compagnia di un vampiro non sembrava più una situazione allettante.

“Vuoi tornare a casa?”, le chiese tormentato.

“No”, rispose decisa, mentre cominciava a incamminarsi nella vegetazione. Lui sorrise: era incredibilmente testarda. La affiancò in un battito di ciglia e all’orecchio le sussurrò una promessa solenne. “Ti riporterò a casa”.

 

La camminata per il bosco prese l’intera mattina. Bella se la stava cavando abbastanza bene, era riuscita a mantenersi in equilibrio gran parte delle volte e solo ogni tanto Edward era dovuto intervenire per evitare la caduta. Ogni volta che lui la toccava, Bella aveva un fremito e la pelle diventava d’oca. Sapeva che il suo tocco era gelido, ma si consolava nell’idea che fosse lui e non la sua pelle fredda a darle quelle sensazioni. Percezioni che per lui erano decisamente opposte. La pelle calda di Bella era vita per lui e ogni volta che la sfiorava sentiva una strana chiusura in mezzo al torace, simile ai morsi della fame o al vuoto di stomaco quando si cade da un’altezza considerevole. Erano anni che non provava quelle sensazioni e per lui era come viverle per la prima volta.

D’un tratto, la luce del sole si fece più forte, oltre la fitta boscaglia che li separava dalla meta.

“Siamo arrivati” le disse, sorridendo. La radura che rimaneva nascosta dalle ultime felci, era il posto preferito da Edward nelle giornate di sole come quella. Ecco perché aveva voluto mostrarglielo: perché se lei voleva davvero far parte della sua vita, allora doveva condividere con lei anche le più piccole cose.

Quando Bella raggiunse la radura, gli occhi le si illuminarono. Era un posto fatato, dove l’erba, accarezzata dal sole, cresceva morbida e qua e là vi erano fiori dai colori pastello. Era un luogo magico per Edward, ed ora lo sarebbe stato per entrambi. Senza pensarci due volte, Bella cominciò a camminare verso il centro di quel paradiso terrestre, incurante di essere rimasta sola. Edward era ancora nell’ombra, timoroso di ciò che stava per fare. A breve, si sarebbe mostrato per quello che era e temeva la reazione di Bella. Era un passo decisivo, intimo, per il quale il vampiro si prese qualche secondo di riflessione. Era pronto? Lei lo avrebbe accettato per ciò che era? Bella gli sorrise, cercando di infondergli il coraggio necessario a muovere il primo passo verso il sole. Edward fece ciò che da vivo faceva sempre, nelle situazioni complicate: prese un bel respiro. Poi, lentamente, cominciò la sua marcia verso Bella, mentre il sole, caldo e vivo, bagnava il suo corpo. La guardava negli occhi, perché voleva carpire ogni minimo segno di inquietudine. Ma non vi era inquietudine, vi era ammirazione. Un grande sorriso comparve sul volto di lei.

“Sei bellissimo”, fu la prima cosa che gli disse.

 

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Capitolo 13
*** Da qui tutto ebbe inizio ***


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Il sole rifletteva sulla miriade di cristalli che componevano la pelle di Edward dando l’impressione che luccicasse. L’effetto, così noto al vampiro, sembrava avere su Bella un risultato inaspettato: lei lo guardava estasiata e lui si sentiva imbarazzato. Era abituato ad essere guardato con desiderio, ma leggere negli occhi di Bella quelle emozioni lo faceva tremare. Si vergognava di quell’attenzione quasi ossessiva eppure si sentiva onorato di riceverla. Per quanto si fosse immaginato quel momento, nulla nelle sue fantasie si era mai neanche avvicinato alle sensazioni che provava in quel momento, e si diede dello stupido per aver temuto il peggio, per aver pensato che lei lo rifiutasse.

Insieme si sdraiarono sull’erba, godendo della luce calda del sole. Ma Bella aveva occhi solo per lui. Sebbene Edward tenesse gli occhi chiusi, poteva sentire lo sguardo di lei scivolare sulla propria pelle, fin nei più piccoli dettagli. Se da una parte voleva aprire gli occhi per incrociare quelli di lei, dall’altra avrebbe voluto rimanere così per sempre, fermando quell’attimo di pace e benessere che tanto aveva sognato nelle lunghe notti degli ultimi ottant’anni. Delicatamente, sentì Bella che gli accarezzava il dorso della mano: un tocco caldo e morbido che gli ricordava quanto tutto quello fosse reale. Lui era davvero con Bella, nella radura.

“Non ti faccio paura?”, le chiese mentre i loro occhi s’incontravano per la prima volta dopo minuti di silenzio.

“Non più del solito”.

Quelle parole, pronunciate così, per gioco, lo fecero sorridere. I suoi occhi erano attirati da quelli di lei: così caldi, così vivi e così dolci. Alla luce del sole, Edward ne vide sfumature che non aveva mai colto, tonalità gentili che si mescolavano fra loro regalandogli un mare nel quale perdersi, per sempre. Bella continuò ad accarezzarlo, spostando delicatamente la punta delle sue dita lungo il profilo dell’avambraccio. Tremava. Edward sapeva che la forza gravitazionale che li teneva uniti stava vivendo un momento di grande novità e non voleva che tutto ciò finisse. Era la prima volta che si studiavano così da vicino, che le loro pelli si accarezzavano, scambiandosi emozioni.

“Ti do fastidio?”, chiese Bella, timidamente. Fastidio? Come avrebbe potuto spiegarle la beatitudine che provava in quel momento? Quali parole poteva usare per descriverle ciò che sentiva?

“No, non hai idea di come io mi senta”, le rispose senza aprire gli occhi. Avrebbe voluto urlare, gridare al mondo Io-sono-.felice! Per la prima volta lo era davvero; per la prima volta sentiva ciò che per lunghi anni aveva solo sentito raccontare; per la prima volta, le dolci parole dei letterati che tanto amava acquistavano un senso. Con un gesto rapido, Edward porse il palmo della sua mano a Bella, ma lei si spaventò del movimento fulmineo.

“Scusa” le disse in tono gentile “E’ troppo facile essere me stesso, accanto a te”.

Bella sollevò la sua mano, rigirandosela davanti agli occhi. Era in momenti come quelli che lui avrebbe dato qualsiasi cosa per leggerle i pensieri.

“Dimmi a cosa pensi” implorò in un sussurro, mentre i loro sguardi s’incrociavano timidi.

“Desideravo che tu fossi vero, e mi auguravo di non aver paura”

“Io non voglio che tu abbia paura”. C’era sincerità nella sua voce, c’era cuore. Lui avrebbe dato tutto per far si che lei fosse sempre felice, che si sentisse protetta. D’istinto, Edward si mise seduto finendo a pochi centimetri dal viso di Bella. Poi, d’un tratto, lei si avvicinò. Un movimento lento, prevedibile eppure lo spaventò. No, non era pronto per quello. Ogni parte di lui si malediceva per essere scappato, per aver evitato quel contatto che così tante volte aveva sognato. Ma la paura lo colse all’improvviso. Così, si allontanò da lei di qualche decina di metri, prima ancora che Bella avesse la possibilità di realizzare l’accaduto.

“Mi… spiace…Edward”. Lo disse sussurrando, ma Edward sentì ugualmente bene. Lei si sentiva in colpa per ciò che aveva fatto, ma non aveva idea di quanto si sentisse allo stesso modo lui. Edward non voleva farle credere che la sua vicinanza gli fosse fastidiosa, ma aveva temuto quel contatto a tal punto da deluderla. Edward tornò a sedersi accanto a lei, cercando un modo per potersi spiegare.

“Mi dispiace tanto. Capiresti se ti dicessi che la carne è debole?”. Lei annuì, ma lui sapeva che Bella non aveva la minima idea di cosa lui stesse dicendo. Lei non aveva mai capito fino in fondo quanto lui lottasse contro se stesso per starle accanto, quanto autocontrollo aveva dovuto sviluppare, anche in quel momento. Velocemente, tornò con i pensieri alla discussione che avevano avuto in macchina. Doveva darle una prova di forza, farle capire che cosa fosse un vampiro. Solo così, si augurava, Bella avrebbe potuto capire il suo gesto di scappare e non lo avrebbe confuso con nessun altro sentimento se non quello dell’amore.

“Sono il miglior predatore al mondo, Bella. Tutto in me ti attrae: la voce, il viso, persino l’odore. Come se ce ne fosse bisogno!”, e così dicendo, corse sul limitare della radura, nascondendosi fra gli alberi. Riuscì a compiere due giri completi prima di fermarsi nello stesso punto in cui si era ritirato poco prima, per fuggire dal contatto con lei. Lei lo guardava meravigliata. Non bastava la velocità…

“Come se tu potessi sfuggirmi” disse, maligno, mentre con un unico movimento afferrava un ramo e lo strappava dal tronco.

“Come se potessi combattere ad armi pari” le disse, avvicinandosi a lei, nuovamente. In quel momento, Bella, aveva visto davvero Edward e lui ne era soddisfatto. Era felice di vedere per la prima volta la consapevolezza negli occhi di lei. Era riuscito a farle capire cosa fosse un vampiro. Eppure… odiava vedere la paura negli occhi di Bella e si pentì della dimostrazione di forza.

“Non avere paura” le disse, dolcemente, mentre si sedeva proprio accanto a lei. “Perdonami, per favore. Sono capace di controllarmi. Mi hai preso in contropiede. Ma adesso sarò impeccabile”. Era una convinzione nella quale aveva bisogno di credere lui stesso. Lui doveva controllarsi. Era solo questione di abitudine: piccoli passi, brevi momenti… giusto quel che serviva per abituarsi, pian piano, alla miriade di sensazioni che il contatto con Bella gli procurava.

“Perché sei scappato, prima?”, la domanda era timida.

“E’ stata la sorpresa, non mi aspettavo una vicinanza così…”. Come spiegare?

“Scusa”, disse Bella abbassando gli occhi. Edward le mise un dito sotto il mento per alzarle il volto. Poi, lentamente, avvicinò una mano al suo collo.

“Vedi? Nessun problema” cercò di scherzare, ma dentro di sé aveva un uragano di sensazioni. Voleva appoggiare le sue labbra sul collo, sentirne il calore e il profumo. Ma non lo fece, non poteva farlo. E se avesse perso il controllo?

Lei era inerme, davanti a lui, persa nel suo tocco. E lui lo era altrettanto, mentre valutava cosa fare. Decise che avrebbe fatto di tutto per abituarsi alle sensazioni che Bella gli dava, sfidando se stesso. Sarebbe stato rischioso, ma era pronto a scattare lontano da lei non appena avesse la sensazione di perdere il controllo. Così, lentamente, misurando ogni singolo gesto, avvicinò il viso al suo collo. Il calore era fortissimo e dava vita alla bestia che aveva dentro. La sentiva ruggire, mentre digrignava i denti per la sete. Edward si concentrò sul battito del cuore di Bella, cercando ti tenere il ritmo, tentando di distrarsi. La bestia non smetteva di latrare nella sua testa, spingeva contro le pareti di quella gabbia che lui, faticosamente, aveva costruito in quegli anni. Sapeva che la gabbia avrebbe retto fino a che lui avesse voluto così, quindi si convinse che poteva farcela. Lui poteva vincere. Sapeva che era necessaria un’ultima prova, la più difficile. La bestia non aspettava altro e lui lo sapeva: quello sarebbe stato il terreno di scontro fra Edward e il mostro. E Edward voleva vincere. Lentamente, con cautela, inspirò il suo odore. Il dolore che provò fu immenso: la gola bruciò come mai nella sua vita, mentre i muscoli si tendevano nell’agguato. Stava fallendo, stava per far crollare la gabbia e liberare la bestia. Con un ultimo, estremo sforzo, Edward spinse in fondo alla propria coscienza il vampiro assetato di sangue. La voce del mostro si faceva sempre più flebile, sempre più lontana. Poi, silenzio. Edward inspirò una seconda volta. Solo un’eco lontana, un ruggito debole. Aprì gli occhi e sorrise.

Seguirono altre prove di forza, alcune più facili altre meno. Ma la cosa davvero difficile era spiegare a Bella cosa stesse accadendo. La sua non era solo la sete di una bestia malvagia… c’era dell’altro. Era attrazione? Edward sentiva come il bisogno di stringere a sé la ragazza, come se volesse accarezzarne ogni parte. Era simile alla sete, eppure diverso.

“Vorrei… vorrei sentissi la complessità… la confusione che provo. Da una parte ho fame di te, da creatura deplorevole quale sono. Ma”, trovare le parole giuste era quasi un’impresa impossibile “ci sono anche altri tipi di fame che non riesco ad interpretare, che mi sono del tutto estranei”.

“Forse posso capire questo molto più di quanto ti aspetti”, rispose lei, imbarazzata. Davvero? Anche lei provava quella stessa… fame?

“Non sono abituato a sentirmi tanto umano. Funziona sempre così?”

“Per me?” chiese, incredula Bella, “No, mai… mai prima di oggi”. Che cosa stupefacente, l’amore. Edward non aveva termini per spiegare la gran parte delle cose che erano successe quel giorno. Poi, una domanda prese corpo dentro di lui. A cosa li avrebbe portati, quella fame? Se anche Bella provava la stessa cosa, allora avrebbero dovuto stare vicini, spesso? Lui voleva la vicinanza di Bella, ma sapeva che era pericolosa.

“Non so come fare a starti accanto in questo modo. Non sono sicuro di esserne capace”. Erano le parole più dure che avesse mai pronunciato e leggere la delusione negli occhi di Bella lo fece pentire, immediatamente, di averle pronunciate.

“Sei molto più bravo di quanto tu voglia credere”.

La luce stava calando, allungando le ombre sulla radura e dovevano tornare a casa. Bella fece per avvicinarsi al bosco quando lui la fermò

“Posso farti vedere una cosa?”

“Cosa?”

“Il modo in cui io mi sposto”. Lei lo guardò un po’ sospetta.

“Ti trasformi in un pipistrello?” gli disse Bella alzando un sopracciglio. Lui rise di gusto.

“Dai, monta in spalla!” disse Edward mentre allungava una mano verso di lei. Bella, titubante, afferrò la sua mano e in un secondo era sulle sue spalle. Lui già rideva all’idea della faccia che Bella avrebbe fatto una volta che lui le avesse mostrato il modo in cui si spostava di solito.

“Pronta?” le chiese sorridendo e, senza attendere risposta, cominciò a correre veloce fra gli alberi.

Edward correva, felice e leggero con la sua Bella in spalla. Quella giornata, nata sotto i peggiori timori, si era rivelata la migliore della sua vita. Aveva imparato a tenere in gabbia la bestia, aveva imparato ad annusare Bella e, in fin dei conti, aveva imparato anche a fare i conti con la propria parte umana. O forse no…

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Capitolo 14
*** Bella's Lullaby ***


Non appena la folle corsa fra i boschi terminò, Edward si voltò sorridendo verso Bella che, a differenza sua, aveva ben poco digerito l’esperienza.

“Bella tutto bene?”, domandò preoccupato dal pallido colorito della sua pelle.

“Forse devo sdraiarmi”, rispose la ragazza faticando a rimanere in piedi. Edward non aveva pensato al fatto che la velocità di un vampiro potesse creare problemi ad un umano e si sentì in colpa. L’aiutò a mettersi seduta e lui si affiancò a lei.

“Metti la testa fra le ginocchia”, cercò di consigliarla, visibilmente dispiaciuto. Quella corsa voleva essere una cosa divertente e si era trasformata in un dramma. Lei era così… fragile e lui così preso dalle nuove sensazioni che se ne dimenticava. Lentamente, Bella riacquistò l’equilibrio e lui se ne accorse dalla regolarità del suo respiro, così si avvicinò al volto di lei.

“Apri gli occhi, Bella”, le disse sussurrando. I loro sguardi si incrociarono a pochi centimetri di distanza ed Edward si sentì cadere nel vuoto. Era inspiegabile l’emozione che lei gli procurava ogniqualvolta lo guardava e lui sentiva di non poter farne a meno, mai più.

“Mentre correvo, pensavo…”

“A schivare gli alberi, spero”, lo interruppe ridendo.

“Sciocca” sghignazzò “Correre per me è un gesto automatico, non è qualcosa a cui devo stare attento”. Cercare di spiegare il modo in cui i sensi di un vampiro fossero più evoluti di quelli umani era molto difficile, tuttavia Edward non ci provò nemmeno. Ciò che voleva fare in quel momento era decisamente più importante.

“Dicevo… Pensavo ad una cosa che vorrei provare” e così dicendo, le prese il viso fra le mani. Lo scatto fulmineo non lasciò alcuna possibilità a Bella di reagire. Edward aveva pensato a lungo a quella possibilità: provare a baciarla. Gli vennero in mente le parole di Alice, a proposito del primo bacio, e sperava che sua sorella avesse ragione. Dopotutto, se la sola vicinanza di Bella lo faceva star bene, il contatto delle loro labbra avrebbe avuto un impatto magnifico. Esitò qualche istante prima di concedersi quel tocco delicato, cercando di tenere ben saldo il controllo sulla bestia. Quando capì di potercela fare, si avvicinò. Appoggiò dolcemente le proprie labbra fredde su quelle morbide e calde di le: un brivido gli percorse la schiena mentre la sensazione di vuoto allo stomaco diventava irresistibilmente forte. Si sentiva cadere, annegare perfino, nel profumo di Bella, nella sua pelle, nel suo respiro… Poi lei fece qualcosa che lui non si aspettava. Mentre Edward si perdeva nell’attimo, Bella gli strinse le mani dietro la nuca, con ardore, e dischiuse le sue labbra. In un attimo, quella fame che aveva già provato alla radura e che, inspiegabilmente, non era compatibile con la sete del mostro, prese il sopravvento. Gli ci volle uno sforzo immane per prendere delicatamente le mani di lei e liberarsi dalla presa. Sarebbe voluto rimanere lì, per sempre… aprire a sua volta la bocca e lasciare che i loro respiri danzassero assieme. Ma non poteva, non ancora.

“Ops” disse lei, capendo che il gesto che aveva appena fatto aveva messo Edward in difficoltà.

“Ops non è abbastanza”. Edward sapeva che il desiderio gli ardeva negli occhi, visibile e palpabile come quello di lei. Quando Bella fece per allontanarsi da lui, la bloccò: voleva imparare a controllarsi. Doveva imparare a starle vicino, così da poter vivere quelle emozioni senza preoccuparsi della bestia… o della fame. Per qualche istante rimase immobile, a pochi centimetri da lei, fino a quando anche il proprio sguardo non mostrò, nuovamente, il controllo.

“Ecco”, disse quasi trionfante “Sono più forte di quanto pensassi. È una buona notizia”. E lo era per davvero. Lui esultava come se avesse appena vinto una battaglia decisiva nella guerra fra sé e sé.

Ripreso il controllo, i sui pensieri andarono alla reazione di Bella. Era stata… passionale, come nei vecchi film degli anni Cinquanta che tanto apprezzava. Quella voglia di stare con lui, quel desiderio che le leggeva nelle iridi erano un balsamo per il suo corpo e un tonico per la sua mente. Bella lo voleva, almeno quanto lui la desiderava.

Sorridendo, s’incamminarono verso il pickup e Edward si mise alla guida. Correva sulla strada, non quanto avrebbe fatto con la sua Volvo, ma tanto da irrigidire Bella. La ragazza stringeva la mano a pugno, visibilmente infastidita dalla velocità, così Edward alzò il piede dall’acceleratore.

“Così va meglio?”, le chiese.

“Si, grazie. Non credo che né i miei nervi né il mio pickup possano farcela a sostenere la tua andatura”. Lui sorrise.

“Edward?”, lo chiamò delicatamente.

“Dimmi”

“Riuscirò mai a sapere quanti anni hai?”. Edward sorrise, beffardo. Tutta quella giornata era stata all’insegna del “ti faccio vedere cos’è un vampiro”, per cui tanto valeva concluderla con tutta la storia.

“Sono nato a Chicago nel 1901. Carlisle mi trovò in un ospedale nel 1918: avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola…”

 

La morte. Era qualcosa alla quale un vampiro non faceva più attenzione, così come il tempo. Edward non amava ricordare la sensazione di caducità e impotenza che lo attanagliavano mentre giaceva su un letto di ospedale. La spagnola stava dilagando a macchia d’olio, colpendo indistintamente uomini, donne e bambini. Aveva da poco ucciso anche i suoi genitori: Edward era rimasto solo. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti, la debolezza del corpo stava sovrastando anche la mente così che quando vide Carlisle avvicinarsi al suo letto, non riusciva nemmeno a parlare. Ricordava perfettamente le parole che il dottore gli disse, sussurrate nell’orecchio. Spero tu riesca a perdonarmi… poi dolore. Un dolore indescrivibile si sparse dal punto dove Carlisle l’aveva morso a tutto il corpo. Ricordava di essere stato portato via e adagiato su di un vero letto, con coperte e lenzuola profumate. Il dolore scomparve dopo qualche giorno e fu la pace. Il primo ricordo da vampiro fu la polvere: piccoli fiocchi che danzavano disordinati nella stanza…

Non avrebbe raccontato a Bella del dolore, né della propria sofferenza. Così decise di mentirle, sebbene la cosa gli desse fastidio.

“Ho ricordi vaghi… è stato tanto tempo fa e la memoria umana tende a svanire”

“Bisogna essere sul punto di morte per essere… salvati?”. La domanda di Bella era lecita, eppure Edward avvertì una strana sensazione quando lei pronunciò quella frase… come se ne fosse rimasta delusa.

“No Bella, questa è una scelta di Carlisle. Basta un solo morso per trasformare in vampiro, ma non è una cosa semplice. Pochissimi hanno la forza di fermarsi”. Quelle parole rimasero in sospeso nell’auto per qualche secondo.

“Fermarsi?”

“Vedi, quando assaggiamo il sangue umano veniamo colti da una specie di frenesia. È difficile, anzi direi quasi impossibile, decidere di smettere. Carlisle è uno dei pochi che riesce a farlo”. Vi erano affetto e profondo rispetto nelle parole di Edward per quella figura paterna che lo aveva salvato dalla spagnola. Edward non solo aveva perdonato Carlisle, ma aveva imparato ad amarlo come un padre.

 

 

Giunti a casa di Bella, Edward, senza pensarci, prese la chiave da sotto lo zerbino e aprì la porta. Lei lo guardò, indagatrice. Ops…

“Mi hai spiata?”, disse con un tono decisamente alterato.

“Ero… curioso di te. E poi non c’è molto altro da fare di notte”

“Quante volte sei venuto qui?”. Edward si prese qualche istante prima di rispondere.

“Ogni notte”. Gli occhi di Bella si spalancarono per lo stupore e gli strapparono una risatina. Stava per rispondere quando entrambi, sentirono l’auto dello sceriffo che imboccava il vialetto di casa, interrompendo così la discussione.

“E’ il caso che tuo padre sappia che sono qui?”, chiese Edward, conoscendo perfettamente la risposta: se c’era una cosa che aveva imparato dall’ascoltare i pensieri di Charly era la sua assoluta gelosia nei confronti della figlia.

“Non saprei…” rispose Bella, evidentemente ignara di quante poche remore si sarebbe fatto suo padre a puntare la pistola d’ordinanza contro Edward se lo avesse trovato lì, da solo, con sua figlia.

“Sarà un’altra volta”, disse il vampiro e, in secondo, sparì dalla vista di Bella.

 

Era così facile nascondersi agli occhi degli umani che Edward lo cominciava a trovare divertente. Bella non si era nemmeno resa conto che lui non era uscito di casa ma aveva semplicemente salito le scale. La stava aspettando in camera da letto, sdraiato e con la testa appoggiata sul suo cuscino. Adorava quella stanza, così piccola e intima, nonché carica di Bella. Ogni angolo, ogni segno, parlavano di lei. Sarebbe dovuto rincasare e lasciarla sola, eppure non ci riusciva. Se fino al giorno prima poteva pensare di lasciarle qualche momento di solitudine, dopo ciò che avevano vissuto nella radura, non avrebbe nemmeno più potuto pensare ad una eventualità del genere. Non poteva… anzi, non voleva. Punto.

La sentì salire le scale, ridendo per l’evidente falsa cadenza dei suoi passi. Appena Bella aprì la porta della camera, senza nemmeno accendere la luce, lo chiamò.

“Si?”, le rispose a bassa voce e sentendo il suo cuore iniziare a martellare emozionato. Adorava la reazione così fisica di Bella alla sua presenza.

Lei si accoccolò a fianco a lui, nel letto. Edward ci prese subito gusto a starle così vicino, tanto da godersi finalmente tutte le belle emozioni che lo sballottolavano. La sensazione di caduta libera, il vuoto allo stomaco… la fame… avrebbe mai dato sfogo a quella? E come si saziava? Tutte domande alle quali, Edward non poteva dare risposta. Eppure, le stava accanto sentendo uno strano calore pervaderlo ogni volta che le sfiorava la pelle con le labbra. Avrebbe voluto seguire le linee del suo collo, scendendo sullo sterno… voleva toccarla, baciarla… ma non sapeva se fosse giusto. Era giusto? Era normale?

Parlarono. Di tutto, di ogni cosa. Della sua famiglia, del passato, persino delle vecchie storie d’amore, scoprendosi entrambi… senza esperienza.

Lentamente, la voce di Bella si faceva sempre più flebile, mentre il sonno prendeva terreno togliendolo ad Edward.

“E’ meglio che tu dorma”, le disse, dolcemente. “Vuoi che me ne vada?”

“No!”, rispose quasi urlando. Edward rise. Poi, accostò la sua bocca all’orecchio di Bella e cominciò a cantilenare la ninna nanna che aveva composto per lei al pianoforte.

Bella si addormentò rapidamente fra le sue braccia. Edward le baciò la fronte.

“Ti amo” le sussurrò sapendo che lei non lo avrebbe sentito.

 

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Capitolo 15
*** Sono il tuo ragazzo ***


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La notte: una nera coperta che disvela le paure e mostra le fantasie, creando un ponte invisibile fra i desideri e la realtà. Ma non per un vampiro. La mancanza del sonno, sebbene positiva nella sua praticità, eliminava ogni possibilità di sognare… e per Edward era un’assenza incolmabile. Eppure, guardare Bella dormire gli consentiva di vivere le sue speranze di riflesso, come se stesse guardando il sole attraverso la superficie placida di un lago. Non era molto, ma era qualcosa. Gli occhi della ragazza si muovevano rapidi sotto le morbide palpebre, guidati dalle immagini che la sua mente le mostrava ed Edward sapeva che stava sognando la radura. Più volte, Bella pronunciò il suo nome, quella notte, ed ogni volta fu come se il proprio cuore tornasse a battere, anche se solo per un istante. Sebbene bramasse sapere cosa stesse vedendo dietro il velo del sonno, si sarebbe accontentato di sentire solo il proprio nome, detto dolcemente, in un sussurro. Ecco perché il suo cuore – se davvero esisteva ancora nel petto- vibrò quando lei disse che lo amava. Edward ebbe la chiara sensazione di un battito… sapeva che non era possibile, che il suo cuore era morto in quel lontano 1918, eppure la sensazione che provò nel momento in cui sentì Bella dire “ti amo” fu quanto di più vicino alla vita avesse mai provato. Le accarezzò la testa, sfiorandole i capelli con la punta delle dita, prendendole una ciocca e passandola sul proprio volto. Era quello l’Amore di cui aveva letto e per il quale tanti letterati hanno regalato all’umanità le loro parole? Edward era certo che un amore così capitasse una volta nella vita e non lo avrebbe perso, per nulla al mondo.

Fu con fatica che lasciò la camera di Bella per tornare a casa: doveva cambiarsi. Cosa avrebbero pensato i vicini se lo avessero visto uscire da casa Swan con gli stessi abiti della sera precedente? Era strano come, pur passando gli anni, Edward rimanesse quel ragazzo ben educato nato a Chicago nei primi del Novecento. I suoi modi, le sue attenzioni e le sue preoccupazioni, rispecchiavano quell’educazione di un tempo, di un’altra epoca. Eppure lui si sentiva diverso. Non era più quel ragazzo o, almeno, non lo era più stato per molti anni… anni che lo avevano separato da Bella. Lei era la sua metà, ne era certo, colei che lo avrebbe completato, che lo avrebbe reso un uomo finchè sarebbe stata con lui. L’idea di perderla, un giorno, gli faceva male. Un dolore inspiegabile, che partiva dal petto e s’irradiava in tutto il corpo: un dolore con il quale avrebbe dovuto convivere per il resto dell’eternità.

Giunto a casa, trovò Alice e Jasper che parlavano sul grande patio. Sapeva che non avrebbe potuto evitare le loro domande, eppure l’idea di lasciare Bella da sola lo infastidiva.

“Ciao Ed!”, disse Alice con l’entusiasmo tipico della sua persona.

“Ciao Alice. Jasper…”. Laconico, sperò di poter andare in camera sua e cambiarsi, anche se la possibilità di confrontarsi con la famiglia delle sue sensazioni era una prospettiva invitante. Così, si sedette accanto alla coppia con fare pensieroso, cercando le parole più adatte per dar voce ai suoi dubbi.

“Posso chiedervi una cosa? Forse anche più di una?”

“Certamente, Edward”, rispose Jasper con l’autorevolezza di un soldato.

“Oggi ho… provato strane sensazioni mentre stavo con Bella. È difficile spiegare ma era come se avessi fame di lei”

I due si guardarono interrogativi.

“Avevi sete?” chiese Alice, pensando che il fratello si fosse confuso con i termini.

“No, no. Non era la sete, quella sensazione la conosco bene era più… profonda, viscerale. Come se volessi stringerla a me, accarezzarla… come se volessi il contatto fisico…”. Edward era frustrato all’idea di non riuscire a spiegarsi, ignorando del tutto il fatto che i due avessero ben compreso ciò di cui stava parlando.

Alice e Jasper si scambiarono uno sguardo d’intesa seguito da un sorrisino. Poi, Alice, si alzò e tornò in casa.

“Dove vai?” chiese Edward, incuriosito dalla reazione. La vampira si girò verso di lui, sfoderando un sorriso dolce.

“Credo sia meglio che ne parliate voi due. Fra uomini d’epoca vi capirete meglio” e sparì nella semioscurità del salotto.

Edward non capì subito le sue affermazioni e fu Jasper a rompere il silenzio.

“Edward, ciò di cui parli ha molto senso e non devi trovare altre parole per farmi capire. Vedi, ciò che hai provato e che provi per Bella è il dono più bello che la vita possa darti: l’amore”

“Questo lo so Jasper, ma…”

“Lasciami finire, te ne prego” lo interruppe Jasper ed Edward si zittì. “L’amore non è fatto solo di carezze e attenzioni caste, Edward, ma anche di passione e fisicità. L’amore casto, quello che hai letto sui libri, è l’amore di chi non si è mai innamorato davvero. L’amore non è calmo, ma impetuoso nel suo nascere: è un onda che ti travolge, che ti confonde e che ti inebria in ogni attimo. È desiderio…”

Edward cominciava a capire ciò che Jasper gli stava dicendo e se ne vergognò. Aveva sempre creduto che l’amore fosse qualcosa di puro e sublime, mentre quel giorno aveva assaporato l’altra faccia del sentimento… e gli era piaciuta.

“Quindi, è normale ciò che provo?”

“Normale? Edward, il fatto che tu non l’avessi mai provato non era normale!”. I due risero, divertiti.

“Ti ringrazio, Jasper”, disse Edward mentre si alzava dal gradino per entrare in casa. Ma Jasper lo fermò.

“Edward, non… non lasciare che la tua voglia di lei ti porti ad accontentare la vostra fame. È pericoloso, per un vampiro perdere il controllo”. Edward lo guardò negli occhi, sperando di non aver compreso il senso della sua frase. Potresti ucciderla gli disse mentalmente Jasper, dando così concretezza ai suoi timori.

 

 

Rientrò silenziosamente in camera di Bella, ben prima che lei riaprisse gli occhi e si sedette sulla sedia, accanto al letto. Sentì Charly che ricollegava la batteria del pickup: evidentemente, lo sceriffo credeva di poter impedire a sua figlia una fuga notturna, mettendo ko il veicolo. Sorrise fra sé per l’idea.

Attese qualche ora prima di incrociare nuovamente i caldi occhi di lei. Quando si svegliò, Bella lo vide seduto e gli corse incontro, gettandosi letteralmente fra le sue braccia. Lui ricambiò, cingendola delicatamente e inspirando il suo profumo. Per un istante, ripensò alle parole di Jasper… potresti ucciderla… ricacciò il pensiero indietro, non voleva rovinarsi il buon umore.

“Mi concedi qualche minuto da essere umano?” gli chiese Bella, interrompendo lo stato di beatitudine.

“Ti aspetto qui”, ribattè Edward, sorridendo. Adorava quando Bella gli ricordava l’umanità e si trovò a fare pensieri davvero ridicoli su se stesso. Quand’è stata l’ultima volta che era stato in bagno? Non ricordava nemmeno più cosa fosse lo stimolo di fare pipì. Non che la cosa gli mancasse, ma la vicinanza di Bella gli ricordava cose che aveva sepolto da anni.

La ragazza fu più veloce del previsto e, quando rientrò in camera, Edward la stava aspettando a braccia aperte.

“Hai fame?”, le chiese sentendo le rumorose lamentele del suo stomaco.

“Si”

“Dai scendiamo così fai colazione”.

Insieme fecero le scale ed entrarono in cucina.

“Cosa ti piacerebbe mangiare?”, le domandò e Bella sorrise.

“Faccio da sola”, ribattè la ragazza, aprendo l’anta del mobile. “Ti faccio vedere come caccio”, disse poi, prendendo dei cereali ed una tazza. Edward sorrise, divertito.

“Allora, programma di oggi?”

“Ti porto a conoscere la mia famiglia”. Edward aveva avuto diverse ore per pensarci ed era giunto alla conclusione che sarebbe stata un’ottima idea. Ma non si aspettava che lo sguardo di Bella si oscurasse alla proposta.

“Hai paura?”, le domandò.

“Si, un po’” ammise la ragazza, abbassando lo sguardo.

“Non ti preoccupare, ti proteggerò io”, cercò di tranquillizzarla Edward.

“Non ho paura della tua famiglia… e se non gli piaccio?”

Ecco perché amava quella ragazza: riusciva sempre a sorprenderlo.

“Stai per andare nella casa di una famiglia di vampiri e ti preoccupi di non… piacere?”. Era divertito.

L’espressione di Bella era indecifrabile: sembrava quasi non comprendere l’ironia della situazione. Ad ogni modo, i Cullen già sapevano dell’arrivo di Bella e non solo… Alice l’aveva vista assieme a lui per molto tempo. Edward non avrebbe saputo dire se fosse o meno contento della visione della sorella: se da un lato, infatti, la cosa lo rendeva felice, dall’altro lo riempiva di preoccupazioni. Come avrebbero vissuto assieme? Come avrebbero potuto godersi il tempo a loro concesso dalla vita? Sarebbe stato meraviglioso se Bella avesse potuto convivere con lui per l’eternità, ma ciò non sarebbe mai accaduto. Lui non avrebbe mai permesso che Bella vivesse nel suo incubo personale. Mai.

“E’ buono quello che mangi?”, chiese tornando a guardare nel piatto di Bella.

“Be’, di certo non è un grizzly permaloso…”.

“Comunque”, riprese Edward “poi toccherà a te presentarmi tuo padre”.

“Ma ti conosce già”, disse Bella un po’ sorpresa.

“In quanto tuo ragazzo, intendo”. Non gli piacque l’espressione sul volto di Bella, sembrava infastidita dalla richiesta.

“Non si usa?”, provò ad incalzare, per comprendere se la sua sensazione fosse reale.

“Non è necessario… insomma, non mi aspetto che tu… Cioè non sei costretto a mentire per me”, rispose, imbarazzata. Edward non capiva dove fosse il problema. Nell’epoca dalla quale proveniva, era normale presentarsi ufficialmente alle famiglie, anzi, il non farlo era visto come una vergogna. Di certo i tempi erano cambiati, ma davvero non si spiegava le remore di Bella.

“Non sto fingendo” disse, serio. Bella continuò a sparecchiare la tavola.

“Dirai o no a Charlie che sono il tuo ragazzo?”. Finalmente, Bella incrociò il suo sguardo.

“Lo sei?”. Edward continuava a non capire… forse, la parola “ragazzo” la metteva in soggezione. Forse stava correndo troppo per lei, così decise di rallentare.

“In effetti la parola “ragazzo” è qui intesa in senso lato”. Non appena ebbe terminato la frase, cercò nello sguardo di Bella conferme sul proprio presentimento.

“Avevo l’impressione che fossi qualcosa di più, a dir la verità”, confessò Bella, gettando Edward nello sconforto. Non aveva capito nulla ed era decisamente più confuso che mai.

“Ti vedrò spesso?”, chiese Bella, destandolo dai suoi pensieri.

“Per tutto il tempo che vuoi”. E capì, dandosi dello sciocco da solo! Non era questione di parole, né di definizioni. Bella aveva paura: paura di perderlo, paura che lui se ne andasse, paura che lui si sentisse oppresso da lei. Bella temeva che se si fossero “impegnati”, lui l’avrebbe vista come un dovere o, peggio, come un peso. Sorrise da solo a quei pensieri perché, se solo lei avesse potuto leggergli nella mente, avrebbe visto come Edward avesse già destinato la propria eternità a lei.

“Attento”, disse lei, con gli occhi che le brillavano “perché ti vorrò sempre. Per sempre”. Edward si avvicinò a lei, sfiorandole una guancia con la punta delle dita.

“Quest’idea di mette tristezza?”, domandò Bella, evidentemente turbata dalla sua reazione. Edward non aveva parole per rispondere. Era possibile dare voce ai mille tormenti che quella frase gli aveva procurato? Il “per sempre” aveva un valore, per Edward, un significato inequivocabile: ora era lui ad aver paura. Si stava donando a quella ragazza come mai avrebbe pensato di poter fare, si era aperto, confidato e si era reso… vulnerabile. Ecco perché quella frase gli faceva paura: dopo averla pronunciata, Bella, gli aveva concesso la speranza di poterla amare per tutta la sua vita. Cosa sarebbe accaduto se lei, un giorno, si fosse innamorata di un altro?

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Capitolo 16
*** Ti presento i miei ***


“Vestiti, ti aspetto qui”, disse Edward sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi e guardando Bella che saliva velocemente le scale. Stava per portare la ragazza che amava a casa sua… l’emozione non era spiegabile. Se fosse stato ancora umano, avrebbe sentito le proprie mani inumidirsi per l’agitazione. Sapeva che la sua famiglia avrebbe apprezzato Bella ma restava un’incognita: Rosalie. Non voleva che la sorella facesse sentire Bella indesiderata, né che facesse una delle sue infelici uscite sui rapporti con gli umani. Edward desiderava solo che la loro storia fosse, finalmente, accettata e che non vi fossero segreti fra loro.

Bella ci mise poco a prepararsi e quando Edward la vide, rimase affascinato. Indossava una gonna color cachi e una camicetta blu… anzi, la camicetta blu, quella stessa camicetta che lui adorava.

“Sono presentabile?”, gli chiese preoccupata. Era la creatura più bella che lui avesse mai visto.

“Sei assolutamente impresentabile” le disse sussurrando alle orecchie “Nessuno dovrebbe essere così attraente: è una tentazione, non è giusto”. Edward faceva ormai fatica a controllarsi ma, soprattutto, non aveva alcuna intenzione di doverlo fare se non lo stretto necessario. Perché proibirsi la vicinanza della sua pelle? Aveva imparato a controllare la bestia, perciò nulla l’avrebbe tenuto distante da lei.

“Attraente come? Posso cambiarmi…”. Edward rise, capendo che Bella aveva frainteso la sua frase.

“Mi concedi di spiegarti come mi stai inducendo in tentazione?” e, così dicendo, fece scorrere la punta delle sue dita sulla stoffa morbida della camicetta. Poteva sentire il cuore di lei accelerare in modo esponenziale alla vicinanza del proprio respiro, così si avvicinò al suo viso. Il contatto fu naturale e inebriante: le sue labbra sfiorarono delicatamente quelle di lei, dischiudendosi appena. Voleva spingersi sempre più in là, imparando i limiti che la sua fame imponeva. Ma non aveva fatto i conti con i limiti di Bella: la ragazza si afflosciò, improvvisamente, fra le sue braccia, come se stesse svenendo. Edward la sorresse, delicatamente, finchè i loro occhi non s’incontrarono.

“Mi… hai… fatta… svenire”, balbettò Bella ed Edward alzò gli occhi al cielo.

“Ma cosa devo fare con te? La prima volta che ti bacio mi assali; la seconda svieni fra le mie braccia”. Era divertente vedere le strane reazioni della ragazza al suo tocco: sapeva che i vampiri avevano fascino e che sotto molti punti di vista sapevano essere invitanti… ma quello era diverso. Bella era sensibile alla sua presenza quanto lui lo era della sua, in un modo che mai aveva visto prima di allora. Erano attratti come due calamite e il contatto sprigionava un’energia incontrollabile. Almeno per il momento avrebbero dovuto imparare a gestire la vicinanza reciproca.

 

Mentre la Volvo sfrecciava fra le strade di Forks, Edward cercava di non pensare al contatto con Bella. Avrebbe fermato la macchina e l’avrebbe portata fra i boschi, per sdraiarsi insieme sull’erba e trascorrere abbracciati l’intera giornata, ma non poteva. Doveva portare a termine gli impegni che si era programmato, altrimenti cosa avrebbe pensato Bella? Non voleva darle l’impressione di essere ossessionato da lei, non sarebbe stato giusto. Così, cercò - non senza una notevole fatica - di mantenersi ad una distanza di sicurezza…

Quando giunsero a casa Cullen, sentì il cuore della ragazza battere forte: era emozionata o aveva paura? Galantemente le aprì la portiera e l’aiutò ad uscire dalla macchina. Le tenne la mano per infondersi sicurezza, disegnando piccoli cerchi sulla sue pelle morbida. Probabilmente, Bella avrebbe pensato che cercava di dare coraggio a lei ma in realtà era spaventato quanto la ragazza. Se prima di uscire da casa Swan la sua preoccupazione era Rosalie, ora era diventata Jasper… un cuore impazzito e sangue fresco in casa? Si diede dello stupido per aver portato Bella ed era pronto a tornare indietro… poi, però, guardò gli occhi di lei: era nervosa eppure felice di incontrare la sua famiglia. Alice avrebbe tenuto a freno Jasper e, semmai avesse fallito, ci avrebbe pensato lui. Così, decise di non preoccuparsi più del necessario.

 

Non appena aprirono la porta, Edward si rese conto che Esme e Carlisle li stavano già aspettando accanto al pianoforte a coda. Erano… nervosi? Edward ascoltò i pensieri di entrambi per qualche istante: di solito non l’avrebbe fatto perché non amava invadere la privacy della sua famiglia, ma quella era un’occasione speciale. Così, ascoltò Esme… era estasiata dalla visita e… dal suo profumo. Era emozionata, lo avrebbe capito anche solo guardandola: era in piedi con le mani congiunte e un grande sorriso. Carlisle, invece, era più tranquillo. Probabilmente l’abitudine alla vicinanza del sangue umano non aveva effetti su di lui, così aveva i soliti pensieri di un padre preoccupato. Edward sorrise scoprendo Carlisle intento a chiedersi se Bella avrebbe fatto soffrire il suo figlioccio… era protettivo e Edward lo apprezzò molto.

“Carlisle, Esme, lei è Bella”, disse Edward rompendo il silenzio. Carlisle fece alcuni passi verso Bella e le porse la mano, subito imitato da Esme.

“E’ davvero un piacere fare la tua conoscenza” disse Esme mentre stringeva la mano a Bella. Era strano vedere i suoi genitori così controllati: misuravano i movimenti e la vicinanza con la ragazza.

“Dove sono Alice e Jasper?”, chiese Edward, notandone l’assenza. Carlisle stava per rispondere, quando la voce di Alice giunse allegra e melodiosa, alle loro spalle.

“Ciao Edward!”, disse la vampira, seguita da Jasper. Velocemente, Alice si mosse verso Bella e le baciò la guancia. Edward s’irrigidì a quel gesto, spiazzato almeno quanto il resto della famiglia.

Non ti preoccupare, Edward! Diventeremo grandi amiche! Gli disse col pensiero Alice, avendo notato la reazione preoccupata del fratello. Edward stava per fulminarla con lo sguardo, ma d’un tratto tutte le emozioni svanirono lasciando il posto alla tranquillità. Evidentemente, Jasper aveva voluto allentare la tensione.

A differenza di tutti gli altri, Jasper rimase in disparte, senza respirare e senza offrire alcun contatto a Bella. Edward sapeva la sofferenza che lui stava provando in quel momento e apprezzò molto la sua correttezza nell’evitare qualunque situazione pericolosa.

“Sono felice di conoscervi… la vostra casa è bellissima”, disse Bella, cordialmente.

“Grazie” rispose Esme “Siamo davvero contenti che tu sia venuta”.

Edward era più rilassato: vedere la tranquillità della sua famiglia e la felicità di Bella, lo stavano ripagando della tensione provata qualche istante prima di aprire la porta. Guardava la ragazza con un’espressione estasiata quando Carlisle lo chiamò col pensiero.

Edward… a quelle richiesta, il vampiro posò lo sguardo sul padre, facendo un lieve cenno di assenso.

Emmett ha portato fuori Rose, per evitare complicazioni. Edward annuì, con un piccolo sorriso. È molto carina, Edward, davvero. Non pensavo che mi avreste fatto questa impressione… Sono… contento per te. Quelle parole erano pensate con un tale affetto che Edward si sentì commosso. Capì che tutte le preoccupazioni che la sua famiglia aveva avanzato nelle settimane precedenti erano dettate dal fatto che non l’avevano mai visto in compagnia di Bella. Non avevano mai visto nemmeno il controllo che Edward riusciva a mantenere con lei: uno sforzo estremo e necessario. Bella era la sua cantante e lui sembrava cavarsela molto bene. C’è un problema, Edward. Sembra che alcuni nomadi siano un po’ troppo nelle vicinanze. Alice li ha visti arrivare. A quelle parole, Edward strinse leggermente la mascella: nomadi. Erano pericolosi per la gente di Forks ma, soprattutto erano pericolosi per Bella.

“Suoni?”. La voce calda di Esme interruppe il suo flusso di pensieri. Bella era accanto al pianoforte a coda e lo guardava con fascino.

“No, per niente. Ma è bellissimo. È tuo?”, rispose Bella. Esme sorrise.

“No. Edward non ti ha detto che è musicista?”. A quella domanda, la ragazza si voltò verso di lui, guardandolo con una nota di rimprovero.

“Edward è capace di fare tutto, vero?”. I presenti risero, soprattutto Jasper. Edward era il più giovane della famiglia ed era, sicuramente, quello che aveva coltivato negli anni più interessi. Tuttavia, ogni cosa sapesse fare non era propriamente frutto di una dote naturale, ma di un’eternità di tempo libero. Dal punto di vista della sua famiglia, Edward era… ossessivo. Se provava interesse per qualcosa, dedicava ogni secondo della sua esistenza a farla: il piano, la lettura, la scrittura… finché non era sufficientemente bravo da padroneggiarne l’arte. Ossessivo e compulsivo. Questo era Edward.

“Spero che tu non ti sia vantato troppo, Edward, non è educato”. Il rimprovero di Esme era evidente e Edward abbassò lo sguardo. Tutti sapevano quanto poteva essere un pavone quando voleva e, spesso, era insopportabile. Ecco, forse presentare la propria famiglia alla ragazza che si ama ha questo tipo di rischio: far conoscere lati del carattere che sarebbe meglio tenere nascosti per un po’.

Edward si mise seduto davanti ai tasti del pianoforte e, lentamente, cominciò a muovere le sue dita affusolate e bianche. La sala venne avvolta da una sinfonia piena e rigogliosa, tanto che gli occhi di Bella sembravano chiedersi se potesse essere frutto di sole due mani. Il pavone Edward stava facendo la ruota… amava essere al centro dell’attenzione quando faceva qualcosa che nessuno nella sua famiglia faceva.

Tenendo lo sguardo su Bella, Edward cambiò sinfonia. Rallentò il ritmo e quel suono pieno divenne dolce e morbido. La ragazza riconobbe immediatamente la sua ninna nanna…

“Questa l’hai ispirata tu”, disse Edward, dolcemente. “Piaci a tutti, lo sai? Soprattutto a Esme”. Bella abbassò lo sguardo, imbarazzata. Poi, guardandosi attorno, notò che erano rimasti soli.

“Dove sono andati?”, chiese curiosa.

“Immagino che, con molto buon senso, ci abbiano concesso un po’ di privacy”

 

Edward portò Bella a fare un giro della casa: la ragazza si stupì della luminosità dell’abitazione che non rispecchiava per nulla l’iconografia del vampiro. Niente bare, niente teschi… solo bei mobili e grandi finestre. Era meraviglioso osservare Bella che si muoveva nella sua casa, lasciando il suo odore nelle stanze. Edward era sempre più grato a Dio del regalo che gli era stato offerto: amare ed essere amato. Solo l’ombra dei nomadi cominciava ad aleggiare sull’orizzonte, ma Edward sapeva che nessuno sarebbe mai riuscito a fare del male a Bella. Lui non lo avrebbe permesso e nemmeno la sua famiglia. Aggredire Bella sarebbe stato come aggredire i Cullen, ovvero una mossa estremamente azzardata.

                          

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Capitolo 17
*** Carlisle ***


Lentamente Edward fece vedere a Bella la casa, portandola in una specie di giro turistico. Quando giunsero nel lungo corridoio sul quale si affacciavano le diverse stanze, Bella venne attirata da una decorazione appesa al muro: una croce. Edward sorrise all’espressione incredula della ragazza che, con molta probabilità, era convinta che la leggenda sulle croci e i vampiri fosse vera.

“Deve essere antichissima” disse lei, notandone la fattura datata.

“Anni Trenta del diciassettesimo secolo, credo. Apparteneva al padre di Carlisle”, rispose Edward ben sapendo che quella informazione ne avrebbe subito richieste delle altre. L’espressione di Bella era un misto fra incredulità e ammirazione: in effetti, era davanti ad un cimelio di famiglia decisamente antico.

“Quanti anni ha Carlisle?”. La domanda, lecita, diede qualche secondo da pensare ad Edward.

“Dunque… ha da poco compiuto il suo trecentosessantaduesimo compleanno. È quasi certo di essere nato a Londra negli anni Quaranta del diciassettesimo secolo”. L’espressione di Bella si fece carica di domande.

“Quasi certo?”, chiese.

“All’epoca i registri delle nascite non erano molto curati, soprattutto per le persone comuni. Suo padre era un pastore anglicano, attivamente impegnato nella persecuzione dei cattolici, mentre la madre morì di parto. Quando Carlisle prese l’eredità del padre si dimostrò fin da subito meno incline alle condanne e, tuttavia, molto più sveglio ed intelligente. Suo padre credeva nell’incarnazione del male: caccia alle streghe, ai vampiri e ai licantropi. Un giorno, Carlisle scoprì un covo di vampiri ed organizzò una battuta: si trattava di una famiglia che viveva nelle fogne della città, uscendo di notte per nutrirsi. Quando la folla, guidata da Carlisle si avvicinò al covo, uno dei vampiri tentò di scappare. Ma era debilitato dalla fame e perciò decise di attaccare. Aggredì Carlisle, mordendolo, prima di scappare con un uomo fra le mani”. Edward fece una pausa. Ogni volta che ripensava alla storia di Carlisle sentiva il peso della propria maledizione: un vampiro è l’incarnazione del male e per quanto si adoperi nel cancellare l’onta dell’omicidio, si ciba di sangue. Ciò lo rende un essere senza perdono e questo, Edward, lo teneva sempre a mente. Carlisle fu portato al vampirismo dalla pazzia del padre che credeva di poter sconfiggere le maledizioni nel nome di Dio.

“Carlisle sapeva bene cosa avrebbe fatto suo padre se avesse notato il morso: avrebbe bruciato il proprio figlio come fosse una bestia vomitata dall’Inferno. Così scappò. Si trascinò fino ad una vecchia cantina dove rimase nascosto per tre giorni, sotto i sacchi di patate andati a male. Nessuno sa come fece a non emettere nemmeno un lamento…”. Edward interruppe la storia, notando l’espressione atterrita di Bella. Ascoltare quella storia non era facile per un vampiro e, di certo, non lo era per un essere umano. Alcune cose rimangono affascinanti fin tanto che sono relegate alla mitologia, ma sapere che le storie sono reali spaventa.

“Tutto bene?”, le chiese, sperando di non aver esagerato nel raccontare. A volte Edward dimenticava l’effetto che la verità ha sulle persone e si trovò a chiedersi se Bella non ci avesse ripensato a proposito della loro relazione. La ragazza aveva accettato fin troppo velocemente il fatto che lui fosse un vampiro, ma ora la minaccia del mostro diventava sempre più reale.

“Bene”, rispose la ragazza.

“Immagino che tu abbia qualche altra domanda…”

“Qualcuna”, gli sorrise. Edward si sentì più rilassato alla vista del sorriso, ma se davvero voleva continuare la storia di Carlisle allora avrebbe lasciato che, a raccontarla, fosse il protagonista.

“Vieni, ti faccio vedere”. Il vampiro guidò Bella fino allo studio del dottore, in modo che potesse apprendere dalle sue parole il resto della storia.

 

Carlisle li accolse benevolo come sempre, con un ampio sorriso e i modi garbati.

“Volevo mostrare a Bella un po’ della nostra storia”, disse Edward motivando la loro presenza.

“Mi farebbe davvero piacere, ma purtroppo devo andare all’ospedale. Il dottor Snow è rimasto a casa in malattia e devo sostituirlo”, disse Carlisle e poi aggiunse “Ma tu conosci al storia bene quanto me”. Edward sorrise e i due vennero lasciati soli davanti ai numerosi quadri appesi alle pareti dello studio.

“Cosa accadde dopo che scoprì di essere diventato un vampiro?” chiese Bella, rompendo il silenzio.

“Tentò di autodistruggersi. Provò a buttarsi giù dalle montagne, ad annegarsi nell’oceano… invano. Un vampiro appena nato ha una forza incredibile e non è facile ucciderlo. Ma la cosa davvero notevole è il fatto che riuscì a non nutrirsi, decidendo così di morire di fame”.

“Ed è possibile?”, domandò Bella, curiosa.

“No. Esistono pochissimi modi per uccidere un vampiro”. Edward disse la frase a bassa voce, quasi avendone paura. Sapeva che la curiosità di Bella l’avrebbe portata a domandargli i “modi”, perciò decise di proseguire togliendole il tempo di formulare la domanda.

“Era molto debole e cercava luoghi solitari. Poi, un giorno, trovò un branco di cervi e la sete ebbe il sopravvento. Da quel momento Carlisle scoprì che esisteva un’alternativa. Poteva essere diverso dai vampiri, poteva non essere un mostro. Così raggiunse la Francia a nuoto…”

“A nuoto?”, chiese sbalordita Bella.

“Si, i vampiri non hanno bisogno di respirare”. Edward cominciò a chiedersi se Bella potesse davvero reggere la situazione.

“Cosa c’è?”, domandò la ragazza.

“Continuo a credere che prima o poi accada”. C’erano tristezza e paura in quelle parole. Edward temeva con tutto se stesso che Bella arrivasse alla logica conclusione di evitarlo. In fondo era già stato un miracolo poter condividere con lei quei giorni e non avrebbe potuto biasimarla se avesse deciso di lasciarlo. Ma per quanto quell’idea fosse sensata e ben motivata, la sola possibilità che accadesse lo faceva tremare. Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto, anche solo un’ora in più, sapendo che l’amore della sua vita aveva paura di lui?

“Accada cosa?”. Edward prese qualche secondo e diede voce alle sue paure.

“So che prima o poi qualcosa di ciò che ti dirò, o che vedrai, sarà troppo. E allora fuggirai da me strillando”. Sorrise o, almeno, cercò di abbozzare un sorriso. “Non ti fermerò. Voglio che questo accada, perché solo così saresti finalmente al sicuro. Io voglio che tu sia al sicuro”. Quanto male facevano quelle parole. Anche solo il pronunciarle gli aprivano un vortice di nulla proprio lì, dove una volta, anni prima, vi era il cuore.

“Eppure” continuò “voglio anche stare con te. Conciliare i due desideri è impossibile…”. Lasciò cadere la frase a metà. La paura che lei prendesse in considerazione di assecondarlo era… insopportabile. Ma sapeva che solo così Bella avrebbe potuto vivere felice. Edward si sentiva sul ciglio del burrone, fra la dannazione senza perdono per aver costretto la ragazza a correre dei rischi pur di assecondare il proprio egoismo di averla accanto, e la dannazione di averla persa per sempre.

Lei lo guardò negli occhi e lui potè scorgere tutta la determinazione della ragazza.

“Non scapperò, te lo prometto”. Sebbene la felicità fosse dietro l’angolo, quelle parole non riuscirono ad addolcire del tutto l’amaro della sua anima. Sarebbe andato all’Inferno… dannato per il proprio egoismo.

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Capitolo 18
*** Fossi in te non frequenterei i Cullen ***


Più Edward conosceva Bella, più sapeva di non poterne fare a meno. Non avrebbe più saputo vedere la propria esistenza senza di lei, nemmeno immaginarsi un giorno senza i suoi sguardi. Era piccola e fragile… tuttavia aveva una forza, dentro, che lo lasciava sempre senza fiato. Sapeva essere forte e lui cominciava ad intravvedere una quercia dietro quella piccola donna che arrossiva ai suoi sguardi e sveniva ai suoi baci.

Pensare di farla entrare nella propria vita era stata un’idea azzardata eppure si era rivelata la scelta migliore. Finalmente, poteva avere un rapporto sincero con una persone che non fosse un vampiro e ciò non aveva eguali. Si stupì della tranquillità di Bella davanti alle verità e, soprattutto, rimase meravigliato del benessere che gli donava: era stato un lupo solitario fino al suo primo incontro con Bella. Da allora era diventato quel ragazzo che mai avrebbe creduto di poter rivedere.

L’entusiasmo di Edward doveva aver contagiato anche gran parte della sua famiglia, perché fu con sincero interesse che Alice invitò la ragazza alla partita di baseball.

“Alice dice che stasera ci sarà un temporale con i fiocchi ed Emmett vuole organizzare una partita. Sei dei nostri?”, disse Jasper dopo che lui ed Alice erano entrati nella stanza dove Edward e Bella si trovavano in perfetta solitudine.

“Ovviamente, porta anche Bella”, cinguettò la vampira sorridendo.

“A cosa giochiamo?”, domandò Bella, felice.

“Tu resti a guardare. Noi giochiamo a baseball”. Erano rare le volte che il tempo permetteva alla famiglia Cullen di giocare allo sport più amato degli Stati Uniti. I tuoni servivano a nascondere i suoni dei colpi che, come Bella avrebbe presto avuto occasione di scoprire, erano decisamente cupi e forti. Ogniqualvolta si presentava l’occasione, i Cullen amavano giocare in uno spiazzo fra le montagne e quella sera Bella avrebbe assistito. Edward era entusiasta: avrebbe giocato e, soprattutto, avrebbe concesso a Bella un’altra sbirciatina nella propria vita da vampiro.

 

Quando giunsero vicino a casa Swan, per permettere a Bella non solo di cambiarsi ma anche di parlare con suo padre a proposito dei programmi della serata, Edward avvertì l’odore di cane bagnato ed emise un cupo ringhio. Bella lo guardò allarmata, senza immaginare il motivo di tanta agitazione. Poi, non appena i suoi occhi umani misero a fuoco le due figure vicine alla porta di casa sua, comprese.

“Stavolta hanno passato il segno!”, disse Edward, furioso. Sapere che quei cani avessero avuto l’idea di avvisare Charlie era insopportabile.

“E’ venuto per parlare con Charlie?”, domandò Bella, pur sospettando la risposta. Edward annuì: non aveva la forza necessaria per mantenere il controllo. Billy e Jacob erano davanti all’abitazione e aspettavano di poter parlare con Charlie usando come scusa la frittura di Clearwater. Il vampiro poteva sentire l’odore di pesce frammisto a quello di cane e se avesse ancora avuto la possibilità fisica di farlo, avrebbe vomitato. Edward sapeva bene il motivo per cui i Quileute erano andati in visita da capo Swan: Clearwater aveva riferito al branco del loro incontro e avevano cominciato a tenerli d’occhio. Edward si diede dello stupido per non aver fatto attenzione.

“Lascia fare a me”, gli disse Bella, capendo che il vampiro non avrebbe saputo mantenere il suo solito e cordiale atteggiamento.

“Probabilmente è la cosa migliore”, rispose Edward a mezza voce “Però fai attenzione: il bambino non sa nulla”. Il vampiro aveva trascorso gli ultimi secondi a leggere i pensieri dei due: mentre nella mente del vecchio Bill vi erano quattro modi diversi per dire al suo migliore amico che la figlia si frequentava con un mostro, in quella del ragazzo vi erano noia e incomprensione. Jacob, ignaro di tutto, non capiva perché il padre ci tenesse così tanto a vedere Charlie e, soprattutto, non trovava una spiegazione allo sguardo torvo del vecchio. Stupido cucciolo…. Pensò Edward in un moto di nervosismo.

“Falli entrare, così potrò andarmene. Tornerò al tramonto”, disse infine, telegrafico. Non voleva lasciare Bella da sola con loro, ma non poteva rimanere lì. Sapeva che la sua presenza avrebbe avuto come unico risultato una fin troppo sonora discussione. E poi, nulla vietava che in giro vi fossero i cani, pronti a saltargli addosso. Sì, era decisamente meglio che lui se ne andasse. Edward seguì con lo sguardo Bella che, correndo sotto la pioggia, raggiungeva Billy prima di abbandonare anche lui il pick up e dirigersi fra i boschi. Doveva essere cauto: evitò di rimanere per terra, preferendo muoversi fra le fronde degli alberi. Si fermò sul grande pino vicino alla casa, in modo da poter ascoltare la conversazione fra Bella e il vecchio Quileute, quando il suo sguardo venne attirato da un rapido movimento nella boscaglia. Una figura si muoveva agile fra i rami, saltando da un albero all’altro.

Alice…

La vampira atterrò delicata proprio al fianco di Edward e, stranamente, non sorrise.

“Mi stavi seguendo?”, chiese con una nota di rimprovero il vampiro. Alice fece una leggera smorfia.

“In effetti… no, cioè si… o meglio: no, non ti stavo seguendo, ma si ti stavo controllando. È da un po’ che sbircio nel tuo futuro, più o meno da quando esci con frequenza con Bella. Sai…”. Non c’era bisogno che spiegasse le motivazioni: la sua famiglia era preoccupata per Bella e aveva ragione. Eppure, l’idea di essere stato spiato lo infastidiva un po’.

“E perché sei piombata qui?”, chiese.

“Perché sei sparito…”. Edward assunse un’espressione decisamente basita. Cosa voleva dire? In che senso: sparito?

“Mi capita solo con i lupi. Quando ci sono loro nelle vicinanze o vengono coinvolti, le mie visioni si offuscano fino a scomparire. Così, quando ho provato a “vederti” e mi sono resa conto che non riuscivo, sono corsa a cercarti”. Edward annuì, capendo cosa fosse accaduto. Con molta probabilità, il fatto che in casa di Bella ci fossero Billy e Jacob aveva fatto sì che il suo immediato futuro sparisse. Eppure, Edward non riuscì a fare a meno di chiedersi se l’arrivo di Alice non avesse interrotto qualcosa…

Così ascoltò il discorso fra Bella e il Quileute. Sentì il vecchio lupo dire alla ragazza che non avrebbe dovuto continuare a vedere i Cullen… un ringhio profondo salì dalla sua gola.

“Edward?”, lo chiamò allarmata Alice. “Credo che sia proprio per questo motivo che ti ho visto sparire…”. Il vampiro cercò di recuperare il controllo: sua sorella aveva appena evitato che lui perdesse le staffe causando più danni che utile. Alice lasciò che Edward trovasse nuovamente la calma.

“Andiamo?”, gli chiese con serenità ed Edward annuì. Non era calmo, per niente. Ma sapeva che se fosse rimasto lì, avrebbe semplicemente peggiorato la situazione. Non era semplice ascoltare uno degli anziani Quileute dire a Bella di non frequentarlo, soprattutto dal momento che non mostrava le stesse preoccupazioni all’idea che lei frequentasse Jacob. Dopo tutto, quel ragazzo sarebbe diventato presto un licantropo ed Edward lo sapeva. Sentiva l’odore che il giovane emanava: il tanfo di cane.

Nonostante il suo istinto gli dicesse di tornare indietro, la sua ragione assecondò Alice e la seguì fino a casa, con un unico pensiero in testa: di lì a breve avrebbe rivisto Bella.

E sarebbe stato magnifico.

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Capitolo 19
*** Ti amo, ti basta come giustificazione? ***


Attendere il tramonto fu più difficile del previsto per Edward, che trascorse le ore rimuginando sul fatto che i vecchi Quileute avessero spiato la sua vita. Se da una parte il vampiro poteva trovare una giustificazione al loro comportamento, dall’altro s’innervosiva all’idea che la tribù ancora non si fidasse della sua famiglia. Tuttavia, decise di rimanere tranquillo: non valeva la pena farsi vedere da Bella così agitato.

Quando parcheggiò l’auto sul vialetto di casa Swan, attese qualche secondo prima di scendere dal veicolo, gustandosi un po’ dei discorsi padre e figlia. Sentiva Charlie abbastanza nervoso all’idea che Bella trascorresse la sera con lui, ma non c’era più gelosia di quanta Edward già conoscesse. Suonò il campanello e sentì i passi pesanti dell’uomo, seguiti a breve distanza da quelli leggeri di lei.

“Entra, Edward” disse Charlie con autorevolezza. Il vampiro sorrise e varcò la porta.

“Grazie, ispettore” disse Edward, rispettoso. Sapeva che Charlie amava i rapporti vecchio stile, nei quali il giovane porta un ossequioso rispetto al padre della ragazza. In questo campo, il vampiro si riteneva sufficientemente sicuro di non sbagliare: in fondo, proveniva da un’epoca dove il linguaggio era estremamente importante.

“Chiamami tranquillamente Charlie. Dammi il giaccone”. Il tono dell’uomo era volutamente perentorio ed Edward lo sapeva: capo Swan era burbero ma non cattivo e sotto quell’aspetto duro ed autorevole, vi era semplicemente un padre agitato.

Si sedettero in salotto: Edward fu molto attento a permettere che Bella si sedesse accanto al padre sul sofà, in modo da non intromettersi fra i due. Sapeva quanto fossero fondamentali quegli atteggiamenti per fare bella figura e diede la massima attenzione. Così, si sedette sull’unica sedia, davanti al divano.

“E allora ho sentito che porti mia figlia a vedere una partita di baseball”. Il modo in cui capo Swan disse mia figlia, strappò un sorriso cordiale ad Edward.

“Si, signore, quello è il programma”. Edward rimase colpito dalla capacità di Bella di rimanere il più possibile aderente alla verità raccontando a suo padre tutto, ovvero che avrebbe assistito ad una partita, tralasciando l’unico particolare rilevante: sarebbe stata l’unica umana in un gruppo di vampiri. Seguirono alcune frasi di circostanza alle quali Edward non diede più di tanto peso: non vedeva l’ora di uscire da lì per poter tenere la mano di Bella.

“Tratta bene mia figlia, intesi?”. Edward sorrise fra sé: era da diversi minuti che Charlie si chiedeva se dire o meno quella frase e, alla fine, aveva scelto di farlo. Il capo Swan non voleva sembrare scortese, eppure le sue preoccupazioni erano vivide, perciò aveva deciso di fare quella velata minaccia. In quella frase vi era tutta la determinazione di un poliziotto, e di un padre, di assicurarsi giustizia nel caso in cui Edward avesse trattato male la figlia.

“Le prometto che con me sarà al sicuro, signore”. Edward aveva scelto con cura quelle parole e fece centro. Charlie si tranquillizzò e sorrise benevolo a quella promessa.

 

Giunti al bosco, Edward fermò la jeep. Sarebbero dovuti andare a piedi fino alla radura che i Cullen usavano per giocare. Ovviamente, a Bella l’idea di rivivere la folle corsa non piacque per nulla e tentò di fare resistenza.

“Sai una cosa? Ti aspetto qui”, disse lei convinta e strappandogli un sorriso.

“Dov’è finito il tuo coraggio? Sei stata così brava stamattina…”.

“Non ho ancora dimenticato l’ultima volta”, ribattè sicura. In effetti, era trascorso solo un giorno… un singolo ed interminabile giorno. Eppure, per Edward, era passata una vita.

Doveva tranquillizzarla… ma come? Decise che avrebbe spostato l’attenzione di Bella su altre… cose. Così si avvicinò a lei e lentamente le parlò all’orecchio.

“Dimmi di cos’hai paura”, le chiese sussurrando.

“Beh, ecco di sbattere contro un albero… e di morire. E poi di avere la nausea”. Edward soffocò una risata a quelle parole, sia perché suonavano abbastanza ridicole sia perché il tono che Bella usò per dirle era decisamente poco convinto. Il vampiro avvicinò, lentamente, le sue labbra all’incavo caldo del collo, sentendo il battito del cuore di Bella aumentare.

“Adesso hai ancora paura?”, le domandò malizioso. Era… inebriante la sensazione che stava provando: un fuoco che si liberava dallo stomaco fin nella sua testa, portandolo alla pazzia. Sentiva ogni parte di sé ricercare la pelle di lei e gli occhi si chiusero da soli, in quell’attimo di perdizione.

“Si”, rispose quasi ansimando Bella. Anche lei faticava a rimanere concentrata. Era un gioco quasi perverso: Edward metteva alla prova se stesso mentre portava al limite anche Bella. Il vampiro continuò a seguire la linea del mento con le labbra, sfiorando appena la pelle calda e morbida di lei. Ad ogni bacio, entrambi sentivano una scossa partire dal punto di contatto e pervadere tutto il corpo. Edward controllava sia i movimenti sia la velocità: faticava a rimanere concentrato ma non voleva dar libero sfogo alla voglia di lei. Un po’ per volta… un passo dopo l’altro… si diceva mentre poggiava le sue labbra sempre più vicino a quelle di lei.

“Vedi?”, disse Edward rimanendo a pochi millimetri dalle sue labbra, “Non c’è nulla di cui avere paura”.

“No”, fece eco Bella più per istinto che per coerenza. Era giunto il momento che aveva desiderato dall’inizio di quella discussione: Edward prese con foga la testa di Bella fra le proprie mani e la baciò. Non fu un contatto tenero, ma passionale. Il vampiro muoveva con decisione le proprie labbra su quelle di Bella, inspirando il fiato di lei. Era un vortice di emozioni per Edward, tutte nuove eppure ataviche, naturali che venivano dal profondo di una natura, quella umana, che pensava sepolta dagli anni di maledizione. Bella strinse i suoi capelli, avvinghiandosi al suo petto e dischiudendo la propria bocca alla ricerca della sua. Fu un attimo, solo un istante nel quale Edward perse il controllo. La vista sembrò annebbiarsi, perduta in un fiume in piena. Ma riprese coscienza, prima del previsto. Si staccò da lei con occhi famelici, desiderosi.

“Accidenti Bella! Tu mi vuoi morto!”, disse quasi urlando e facendo perdere l’equilibrio alla ragazza.

“Tu sei indistruttibile”, sussurrò delusa Bella. Indistruttibile? Forse. Capace di controllarsi? Decisamente no, almeno non senza una fatica immane.

“Lo credevo anch’io, prima di conoscerti. Adesso andiamocene da qui prima che io combini qualche grossa stupidaggine”, ringhiò più a se stesso che a lei. Non voleva allontanarsi, né voleva interrompere quel momento. Eppure era necessario: non era ancora sufficientemente forte da trattenersi. Doveva ancora imparare molto su di sé, prima di potersi concedere il lusso di godersi Bella.

 

Edward corse a perdifiato su per la montagna leggero e felice, sebbene ancora turbato dall’emozioni provate poco prima. Quando giunsero a destinazione, Bella cadde nel fango mentre cercava di scendere dalle sue spalle, facendo ridere di gusto il vampiro. L’espressione della ragazza, però, era sentitamente arrabbiata.

“Non essere arrabbiata con me. Avresti dovuto vedere la tua faccia…”, cercò di giustificarsi Edward, trattenendo le risa.

“Ah, l’unico a cui è concesso di arrabbiarsi sei tu?”. Edward colse la nota acida e tornò serio.

“Non ero arrabbiato con te”

“Bella tu mi vuoi morto!” gli fece il verso. In effetti era arrabbiato ma non con lei. “Eri arrabbiato”, concluse.

“Sì”, rispose convinto Edward e l’espressione di Bella cambiò.

“Ma sei hai appena detto che…”

“Non ero arrabbiato con te! Non capisci, Bella?”. C’erano frustrazione e delusione nelle sue parole. Edward non riusciva più a spiegarle quanto lui fosse arrabbiato con se stesso, col fatto che fosse un vampiro. Era così difficile da capire? Se lui non fosse stato un mostro, non avrebbero avuto tutti quei problemi, lui non avrebbe dovuto faticare a strale lontano e lei non avrebbe rischiato la propria vita in continuazione. Edward accarezzò la sua guancia, dolcemente.

“Non sono mai arrabbiato con te e come potrei? Ciò che mi fa infuriare è l’impossibilità di proteggerti… la mia stessa esistenza è un rischio per te”, Edward abbassò lo sguardo, vergognandosi per le proprie parole.

“A volte mi odio dal profondo. Dovrei essere più forte, capace di…”, ma Bella gli mise dolcemente una mano sulla bocca, interrompendo quello sfogo.

“No”, disse con semplicità. In quel piccolo monosillabo, vi erano l’amore e la fiducia di chi parla con il cuore in mano. Un cuore che non appartiene più al proprio corpo ma alla persona che si ha davanti. Edward sorrise.

“Ti amo. È una giustificazione banale per quanto faccio, ma sincera”. Era la prima volta che le dichiarava così il proprio amore e, soprattutto, era la prima volta che lo diceva senza paura. Aveva donato se stesso alla persona migliore che potesse incontrare e ciò bastava.

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Capitolo 20
*** Strike! ***


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Edward la prese per mano e la condusse al campo, anche se questo termine, con molta probabilità, era riduttivo. La zona di gioco era il doppio più grande di un diamante regolare e le basi distavano tra loro centinaia di metri. Di sottecchi Edward guardò lo sguardo meravigliato di Bella che non si capacitava delle dimensioni e sorrise. Gli altri della famiglia erano già lì, pronti per la partita e quando li videro arrivare corsero nelle rispettive basi. Bella rimase al fianco di Esme, mentre Edward correva per prendere posizione.

Alice, al centro di quell’enorme diamante, guardava il cielo plumbeo in attesa del primo tuono. Edward era felice: aveva i muscoli tesi nella posizione, pronto a scattare non appena il gioco fosse iniziato. Era la prima volta che giocava per fare “bella figura” o, meglio, che giocava per impressionare una persona che non fosse una Cullen. Come tutti i maschi amava la sfida e la vittoria, e giocare somigliava sempre più ad una battaglia che ad un divertimento.

“E’ il momento”, annunciò Alice. Dopo pochi istanti, un tuono rimbombò fra le montagne, cupo e profondo. Bella guardò il cielo, intimorita. Tutti i Cullen si misero in posizione, pronti per l’inizio del game ed Esme diede il via.

“D’accordo”, disse la donna con voce squillante, “Prima battuta!”

Alice fece roteare il braccio e lanciò la prima palla. L’azione fu talmente veloce che Edward sorrise nel vedere Bella completamente scioccata. La mazza di Emmett sibilò fendendo l’aria senza colpire la palla.

“Strike uno!”, disse Esme e un sorriso beffardo accese il volto di Alice. Emmett strinse la mazza in alluminio, nervoso. Seconda palla. Come la prima volta, Alice fece roteare il braccio e la palla venne lanciata ad una velocità impressionante. Emmett mosse la mazza e colpì: un tuono venne sprigionato da quel contatto, talmente forte che Bella ebbe un sussulto. La palla si innalzò come una meteora sul campo e si disperse nel giro di pochi istanti nel bosco. Edward si era già messo in movimento: correva tenendo gli occhi fissi sulla palla e schivando i grandi tronchi secolari. Balzava fra i rami e usava i tronchi come basi d’appoggio per i suoi balzi. Sapeva che avrebbe preso la palla prima che Emmett giungesse in casa base: se il fratellone era il battitore migliore della famiglia, nessuno era veloce come Edward. Oltretutto, il vampiro aveva bisogno di far belle figura perciò ci mise ancora più grinta. La palla era vicina e con un ultimo salto Edward l’afferrò nella mano.

“Out!”, sentì la voce di Esme che eliminava Emmett e sorrise.

L’inning proseguì ad un ritmo che Bella non poteva comprendere: i Cullen si muovevano rapidi, tanto che la ragazza non riusciva a vedere praticamente nulla. Quando giunse il momento della battuta di Edward, il vampiro corse verso Bella sorridendo.

“Ti stai divertendo?”, le chiese. Era elettrizzato: stava giocando e lo stava facendo sotto l’occhio della sua amata. Era strano come Bella riuscisse a farlo sentire normale. In effetti, Edward non ricordava l’ultima volta in cui aveva provato quel senso di tranquillità che in quel momento lo faceva sorridere come un ebete. Era felice e tutto sembrava andare per il verso giusto.

Alla battuta c’era Carlisle che stringeva la palla, pronto ad avere il via da Esme, mentre Edward faceva roteare la mazza. Erano pronti quando Alice, di colpo si fermò con sguardo assente. Tutta la famiglia puntò i propri occhi sulla vampira, in attesa di conoscere un responso che, evidentemente, speravano di non avere.

“Alice?” chiese Esme nervosa ed Edward strinse visibilmente la mascella.

“Si spostano molto più velocemente. Ci hanno sentiti giocare e hanno fatto una deviazione”. A quelle parole, gli occhi dei Cullen si tinsero di preoccupazione. Edward ebbe un sussulto e la paura cominciò a salire. Alice aveva tenuto sotto controllo il piccolo gruppo di nomadi che stava lasciando una scia di sangue alle proprie spalle. Li aveva visti lasciare la contea e per questo motivo aveva dato il via libera per la partita. Ma non avevano fatto i conti con i rumori del gioco: quelli che per un orecchio umano erano tuoni, per un vampiro era una partita di baseball. Edward cominciò a darsi dello stupido per aver portato Bella lì e velocemente cercò di pianificare la fuga della ragazza. Doveva riportarla a casa immediatamente, prima che i nomadi la vedessero, altrimenti la promessa che aveva fatto a Charlie sarebbe andata in fumo e con essa sarebbe crollata anche la vita di Edward.

Così, il vampiro cominciò a cercare di sentire i pensieri dei nomadi per conoscere la posizione e le intenzioni. Il suo sguardo divenne una maschera di paura quando si rese conto che non avevano tempo.

“Far quanto?”, chiese allarmato Carlisle notando lo sguardo cupo di Edward.

“Meno di cinque minuti. Stanno correndo… vogliono giocare”. Il suo cervello cercava di trovare una soluzione ma per la prima volta nella sua vita faceva fatica a ragionare. Il timore di non riuscire a difendere Bella gli annebbiava la mente, rallentando i ragionamenti. Carlisle intuì la difficoltà di Edward e lo guardò fiducioso.

“Puoi farcela?”, gli domandò Carlisle. Edward poté leggere nei pensieri del padre l’idea che aveva in mente: mettersi sulle spalle Bella e correre a perdifiato via da lì. Ma non avrebbe funzionato perché nella corsa Edward avrebbe lasciato una scia inconfondibile dando la possibilità ai nomadi di scattare nella caccia. L’odore di Bella era forte… no, scappare in quel momento non sarebbe servito.

“Quanti sono?”, domandò Emmett ad Alice.

“Tre”.

“Allora lasciamo che arrivino!”, disse l’orso diventando un fascio di muscoli tesi e gonfi. Edward lesse nella mente di Emmett: scontro. Era un’eventualità che dovevano cominciare a metter in conto e il vampiro vagliò le varie possibilità, cercando conforto nelle statistiche. La famiglia Cullen non era una clan guerriero e non amava scontarsi. Le battaglie portavano sempre vittime e loro preferivano rimanere vivi piuttosto che rischiare di perdere qualche membro per una cosa che poteva essere evitata. Tuttavia, in quella situazione, sembrava che lo scontro non potesse essere rimandato. I tre nomadi erano selvaggi e senza scrupoli ed Edward poté leggere nella mente della sua famiglia un unico pensiero fisso: salvare Bella. I Cullen avrebbero potuto contare sul numero e sulla motivazione, ma Edward era spaventato. Lottare e tenere sotto controllo Bella sembravano due cose difficili da fare, eppure il vampiro doveva riuscire. Lo doveva a Bella e lo doveva a se stesso. Aveva trascorso anni di solitudine aspettando la ragazza e ora che l’aveva trovata non voleva perderla.

“Sciogliti i capelli”, disse Edward a Bella, “Rimani immobile, stai zitta e non allontanarti da me, per favore”. Il vampiro sperava di poter coprire l’odore di Bella facendo in modo che i nomadi nemmeno la notassero. I capelli avrebbero coperto il rossore delle guance e se fosse rimasta ferma e in silenzio, sarebbe passata per la vampira che non era.

“Non servirà”, disse a mezza voce Alice, “Il suo odore si sente fin dall’altro capo del campo”. Edward strinse la mascella, preoccupato. Con lo sguardo cercò Bella che, terrorizzata, si era messa dietro di lui. Non doveva perderla. Sentì una rabbia montare dentro di sé, talmente forte, che sapeva di non poter controllare: se i nomadi avessero voluto lo scontro, lui li avrebbe decapitati. Punto.

La partita continuò falsamente, mentre tutti tendevano le orecchie verso il bosco. Edward fissava un punto indefinito agli occhi di Bella, ma sapeva essere il punto dal quale i visitatori sarebbero arrivati.

“Mi dispiace, Bella”, le disse mortificato, “E’ stato stupido, irresponsabile esporti a questo rischio. Mi dispiace tanto”. Vi erano paura e rimorso in quelle parole appena sussurrate. Edward non si sarebbe mai perdonato per quell’errore.

Mentre scrutava nel nulla, smise di respirare e le sue pupille si dilatarono per la tensione. Contemporaneamente, tutti i componenti della famiglia si fermarono. Bella non sapeva nemmeno dove guardare ed Edward poteva sentire il cuore di lei battere all’impazzata. Non ce l’avrebbero fatta. Non sarebbero riusciti a nascondere Bella. La consapevolezza del fallimento gli fece male, si sentiva un idiota e privo di perdono per quello che avrebbe fatto e che sarebbe accaduto.

Dal confine della foresta, sbucarono tre vampiri che si schierarono ad una dozzina di metri l’uno dall’altro. Due maschi e una femmina. Assetati.

Edward si maledisse per l’ennesima volta mentre si preparava allo scontro. Bella doveva rimanere viva.

 

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Capitolo 21
*** Il segugio ***


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I tre avanzavano guardinghi e selvaggi in direzione dei Cullen. Edward era fermo, statuario nella sua immobilità mentre con febbrile agitazione sondava i pensieri dei nuovi arrivati. Il capo doveva essere quello con i capelli neri: lo si poteva intuire guardando la formazione che lo poneva al centro e qualche passo più avanti degli altri due. L’altro uomo, biondo, aveva uno sguardo famelico mentre la donna sembrava avere un certo attaccamento a lui. Con molta probabilità erano una coppia.

Quando furono abbastanza vicini, Carlisle - affiancato da Emmett - andò incontro ai tre con fare sicuro e perentorio. I clan di vampiri non differivano gran che da un qualsiasi altro branco animale: vi era sempre il maschio Alfa, colui che reggeva le redini del gruppo, affiancato dai secondi in linea gerarchica. Inutile dire perché fosse Emmett il secondo: la sua prestanza fisica lo rendeva un vampiro temibile.

“C’è posto per qualche altro giocatore?”, chiese il capo dei nomadi. Carlisle non distolse mai lo sguardo da lui e, cordialmente, diede ai tre le risposte che cercavano.

“A dir la verità stavamo proprio finendo ma la prossima volta potremmo averne bisogno. Avete in programma di trattenervi a lungo da queste parti?”. Il tono di voce di Carlisle era serio e formale. Edward ammirava sempre il modo pacato eppure fermo del patrigno e sapeva, per esperienza, che nessuno avrebbe mai messo in discussione la sua autorità, nemmeno tre nomadi come quelli. La conversazione durò più a lungo del previsto: Carlisle cercava di guadagnare tempo per dare l’opportunità ad Edward e Bella di lasciare il campo, così da scampare il pericolo. Ma le cose degenerarono nella frazione di un secondo. Nel momento stesso in cui Carlisle diede ad Edward il segnale di lasciare il luogo, mentre mentalmente gli dava istruzione di prestare molta attenzione, un leggero rifolo di vento si alzò alle spalle di Bella. La brezza portava sventura: l’odore della ragazza. Nello stesso istante in cui i capelli di Bella si mossero, Edward s’irrigidì: non poteva credere che l’Universo fosse così contro di loro. Stava andando tutto bene… e poi la disgrazia. Quel leggero rifolo avrebbe trasportato l’odore della ragazza alle narici dei tre nomadi e non si sarebbero accontentati di annusare. La rabbia montò ancora prima di rendersene conto.

Il biondo, avvertendo l’odore si acquattò in posizione di attacco con le narici spalancate e gli occhi rossi fissi su Bella. Nello stesso istante, Edward assunse la medesima posizione emettendo un ringhio profondo e cupo che fece gelare il sangue nelle vene di Bella. Era pronto a scattare, Edward, pronto a lottare contro quel vampiro per difendere la ragazza. Gli occhi dei due si scontrarono e in pochi secondi Edward ebbe chiare due cose: la prima, quel James era un segugio; la seconda, il modo in cui lui aveva reagito in difesa di Bella lo aveva fatto eccitare. Non c’era più nulla che potesse fare, nulla che potesse evitare lo scontro. Anche se fossero riusciti ad evitarlo in quel momento, sarebbe stato solo un semplice rinvio: James non avrebbe mai lasciato correre. Edward valutò concretamente l’idea di attaccare. Ormai era tutto perduto. La possibilità di tenere in vita Bella era legata all’attacco: se loro avessero attaccato per primi, avrebbero avuto più possibilità di uccidere quei tre selvaggi in meno di due minuti.

Edward! Era la voce di Carlisle. Suo padre aveva intuito i suoi pensieri e aveva letto la chiara intenzione di attaccare. Non ora, Edward. Non possiamo rischiare di fare uno scontro nel quale potremmo perdere Bella di vista. Una sola distrazione e la ragazza muore, lo sai. Edward spostò il suo sguardo da James a Victoria e poi arrivò a Carlisle. Forse aveva ragione. Il maschio e la femmina erano belli in forze avendo cenato da poco, mentre loro no.

“Vi siete portati lo spuntino?”, chiese malizioso James, pur avendo capito che c’era un legame ben più saldo fra i Cullen e la ragazza. Comprensione che si fece ancora più chiara dopo che Edward ringhiò più forte per quell’affermazione.

“Lei è con noi”, disse perentorio Carlisle, stupendo i tre nomadi.

“Ma è umana!”, replicò il capo, Laurent, evidentemente scioccato del legame esistente.

“Sì”. A parlare era stato Emmet e con quel suo assenso aveva messo ben chiare le carte in tavola: i Cullen avrebbero difeso quella ragazza fino alla morte. Edward lesse nella mente di Laurent la non volontà di uno scontro aperto con loro e questo lo rincuorò, anche se furono i pensieri di James a preoccuparlo. Infatti, sebbene i loro capo stesse dando evidenti segnali di resa, il biondo si era avvicinato a Victoria e l’aveva guardata. Ciò che agli occhi poteva sfuggire, fu cristallino nella mente di Edward.

Quell’umana è mia. La caccia sarà divertente. Berrò il suo sangue alla vostra salute, famiglia dagli occhi gialli. James non poteva sapere che Edward avesse la capacità di leggere nel pensiero e, per una volta nella sua lunga vita, il vampiro ringraziò del proprio potere: senza di esso, non avrebbe mai saputo i piani di James.

“Andiamo Bella”, disse Edward dopo che Carlisle gli ebbe dato il permesso di andarsene. Edward teneva il braccio di Bella faticando nel cercare di mantenere un’andatura umana. Nel frattempo pensava… James non si sarebbe arreso, anzi, la sua reazione l’aveva istigato ancora di più. Doveva portare via Bella, lontana miglia e miglia da quel segugio, ma come? Non potevano spostarsi di giorno a meno di usare l’auto di Carlisle con i vetri oscurati. Vagliò anche la possibilità di andare via a piedi, ma la scartò quasi subito: avrebbe comunque lasciato la scia. No, avrebbero dovuto percorre la strada in macchina, meglio ancora su un aereo, e mettere più distanza possibile fra sé e James. Arrivati alla jeep, Edward sembrava un ossesso: gli occhi guizzavano veloci tutt’attorno, mentre le mani si muovevano rapide per aprire la vettura e cominciare la guida.

“Allacciale la cintura”, ordinò ad Emmett che, prontamente, mise la sicura attorno al corpo di Bella.

“Dove mi stai portando?”, chiese allarmata Bella. Edward nemmeno si accorse della sua voce, impegnato com’era a pianificare una fuga. Valutava e rivalutava le stesse opzioni maledicendo se stesso per la sua incapacità di pensare lucidamente.

“Accidenti, Edward! Dove diavolo mi stai portando?”, la voce della ragazza si fece più acuta ed attirò l’attenzione del vampiro.

“Dobbiamo portarti lontano da qui – molto lontano- e subito”. Non ammetteva repliche, o almeno così sperava Edward.

“No Edward, non puoi farlo! E Charlie? Chiamerà l’FBI, metterà nei casini la tua famiglia! Non posso permettermi che questo accada per colpa mia”. Bella cercava a modo di farlo ragionare ma non c’era possibilità alcuna. Edward teneva gli occhi fissi sulla strada mentre il contachilometri segnava i centottanta.

“Edward”, questa volta fu Alice a parlare. “Edward, accosta e pensiamo”. Il vampiro scosse lievemente la testa in segno di dissenso. Pensare? A cosa? E nel frattempo dare la possibilità a James di avvicinarsi? Nemmeno per idea: lui avrebbe guidato più lontano possibile da Forks e lo avrebbe fatto per tutta la notte.

“Accosta, Edward!”, ora anche Alice sembrava spaventata dalla reazione del fratello.

“Ascolta, Alice: James è un segugio, non te ne sei accorta? Seguire la scia è la sua ossessione. E vuole lei… lei, Alice, capisci ora?”. Quelle parole echeggiarono nella vettura, lasciando senza parole Emmett e anche Alice parve accusarne il colpo. Nessuno di loro sapeva leggere nella mente, tranne lui. E lui sapeva che Bella non sarebbe mai stata al sicuro se nelle vicinanze ci fosse stato James.

“Ascolta”, disse nuovamente Bella.

“No”, ribatté Edward ancora prima di sapere cosa avesse da dire.

“Tu mi riporti a casa. Dirò a Charlie che voglio tornare Phoenix. Faccio le valigie. Aspettiamo che il segugio si sia appostato e che senta quello che dico. Poi scappiamo. Così seguirà noi e lascerà stare Charlie”. Le parole vennero quasi urlate da Bella. Edward ci rifletté sopra, mentre Emmett sembrava sbalordito dall’ottimo piano della ragazza. Non pareva essere una brutta idea, ma sapere che a separare James da Bella c’erano solo qualche decina di metri lo agitava. Avrebbe dovuto correre il rischio?

“E’ troppo pericoloso: non lo voglio nemmeno a cento chilometri da te”. Si, non era sicuro il piano di Bella.

“Non lo vedo attaccare, Edward”, rassicurò Alice.

Perché sembrava l’unico a vedere il pericolo? Perché nessuno capiva quanto la sua decisione di andarsene fosse determinante per salvare la vita a Bella? Si sentiva smarrito, Edward. Perso nel suo delirio personale, nel tormento di poter perdere Bella. Emmett… Alice… loro avevano trovato la loro metà ed era vampira. Lui no. Lui aveva dovuto aspettare anni, quasi un secolo, prima di trovare Bella e ora che rischiava di perderla loro non capivano. Non potevano capire e questo lo faceva imbestialire. Poteva accettare che Bella non comprendesse il pericolo, ma che anche la sua stessa famiglia non lo vedesse… era insopportabile. Il moto di rabbia gli fece schioccare la mascella.

Però, Bella aveva ragione su una cosa: Charlie rischiava la vita. Dovevano fare in modo che James non potesse usare capo Swan come ricatto per Bella… forse l’idea di lei non era così assurda…

“Te ne andrai stasera. Che il segugio ti veda o no. Vai a casa e dici a Charlie che non intendi restare a Forks un minuto di più, raccontagli la scusa che preferisci. Poi prepari una valigia con le prime cose che ti capitano e sali sul pickup. Non mi interessa come reagisce tuo padre. Hai quindici minuti. Capito?”. Tutti nella jeep rimasero scioccati dalla perentorietà di Edward: un vero maschio alfa. Emmett si trovò a guardare il fratellino con una stima nuova, perché in quel momento vide il grande uomo che era. Anche Alice sorrise alla fermezza di Edward. Solo Bella parve sconvolta dal suo tono di voce: non lo aveva mai visto così arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. Tutti in quella macchina acquisirono una nuova consapevolezza nei confronti di Edward: Emmett lo ammirò per la grandezza; Alice per il grande amore che provava nei confronti della ragazza; Bella capì quanto lui ci tenesse a lei. Edward, dal canto suo capì che avrebbero potuto provare a portargli via Bella, ma che sarebbe stato solo un vacuo tentativo: nessuno le avrebbe fatto del male, a meno di non perdere l’uso di entrambi gli arti e della testa. Avrebbe ucciso, Edward, e l’avrebbe fatto con la determinazione di un leone.

 

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Capitolo 22
*** La caccia ***


Giunti davanti a casa di Bella, Edward si mise ad osservare l’oscurità in cerca di James. Nulla.

“Non è qui”, disse nervoso. “Andiamo”.

Rapidamente, Alice ed Emmett uscirono dalla jeep e corsero nel buio per tenere sotto controllo il perimetro dell’abitazione e, in caso di pericolo, avvisare tempestivamente Edward.

Il vampiro prese per mano Bella e la accompagnò all’ingresso. Le luci della casa erano accese e Charlie era in attesa della sua bambina. Edward si sentì una morsa allo stomaco pensando al poliziotto: era in pena per sua figlia e ciò che stava per accadere lo avrebbe distrutto. Ma era necessario ed Edward lo sapeva.

“Quindici minuti”, le ricordò il vampiro quando furono proprio davanti alla porta.

“Ce la posso fare”, disse fra i singhiozzi Bella. Edward si sentiva struggere nel profondo vedendo la ragazza in quelle condizioni. Non avrebbe mai voluto che succedesse tutto quello, non avrebbe mai pensato di distruggere la vita di Bella.

Lei gli prese il volto fra le mani, con fare fermo e coraggioso.

“Ti amo e ti amerò per sempre. Succeda quel che succeda”, gli sussurrò guardandolo dritto negli occhi. Edward amava quella determinazione: la sua piccola e coraggiosa Bella.

“Non ti succederà niente”. Edward pronunciò quelle parole come una promessa. Sembrava che stesse parlando più a se stesso, per rincuorarsi e infondersi sicurezza.

“Un ultima cosa”, gli disse Bella. “Non ascoltare nemmeno una parola di quello che sto per dire”. Lui sorrise. Non poteva leggerle nel pensiero ma sapeva ciò che sarebbe accaduto: Bella doveva convincere suo padre di essere talmente arrabbiata da andarsene da Forks la sera stessa.

Edward attese fuori dall’abitazione che la ragazza uscisse con la valigia. Ciò che sentì erano delle parole che ferirono Charlie come mai era accaduto. Il vampiro si sentì ancora più in colpa: ascoltando la mente dell’uomo, Edward vedeva una tristezza immensa e un senso di dolore al petto. Charlie aveva dovuto superare l’abbandono da parte di sua moglie molti anni prima, assistendo inerme alla fuga della donna con in braccio su figlia. Edward si chiese se sarebbe stato sufficientemente forte da superare anche quello. Le parole di Bella lo colpivano come pugnalate nel cuore e ad ogni affondo, Edward si sentiva male per lui. La ragazza usò le stesse parole di sua madre “Lasciami andare, Charlie, per favore”. Edward sentì l’anima di Charlie cadere, sprofondare nel buio del dolore, annaspare per prendere ossigeno. In tutto quel mare di disperazione, una sola domanda veniva ripetuta da Charlie, mentalmente. Perché? Non poteva sapere quanto sua figlia stesse soffrendo con lui nel pronunciare quelle parole e tutto ciò a cui riusciva a pensare era dove avesse fallito. Non era stato un buon padre? Non aveva fatto capire a Bella quanto l’amasse? Perché le donne della sua vita, le persone più care al mondo, lo abbandonavano? Era burbero, lo sapeva, ma non meritava quello…

L’ascolto di Edward venne interrotto da Bella che sbatteva la porta e si fiondava sul pickup. La ragazza mise in moto, piangendo e spinse sull’acceleratore. Lui le mise una mano sulla sua.

“Accosta”, le disse gentilmente.

“So guidare!”, urlò in risposta Bella. Il vampiro la sollevò di peso e ne prese il posto di guida. Lei non protestò.

“Il segugio?”, chiese Bella, preoccupata.

“Ha assistito alla discussione. Ora è dietro di noi”. Dire quelle cose gli pesò: ammettere che James fosse così vicino lo fece ringhiare. Avrebbe voluto fermare il pickup, scendere ed affrontarlo.

“Possiamo seminarlo?”, chiese la ragazza.

“No.”

Eppure, Edward spinse sull’acceleratore, sebbene sapesse quanto fosse inutile quella mossa.  La sua mente ripercorreva lo scontro con i nomadi… cosa avrebbe potuto fare diversamente da ciò che aveva fatto? Se fosse rimasto impassibile alla reazione di James, il nomade l’avrebbe attaccata seduta stante. La cosa che lo preoccupava maggiormente, però, era il fatto che per come si erano messe le cose avrebbe dovuto uccidere James e la sua compagna. E Carlisle non sarebbe stato contento.

 

Arrivarono a casa Cullen. Quando entrarono nel salotto si resero conto che Laurent era là ed Emmett ringhiò cupo.

“E’ sulle nostre tracce”, disse velocemente Edward inchiodando il vampiro con gli occhi.

“Era quello che temevo”, rispose sinceramente dispiaciuto. Edward avrebbe voluto staccare la testa a Laurent, ma si trattenne.

“Cosa farà?”, chiese Carlisle talmente cupo e furioso da mettere i brividi a Laurent. Il nomade lo guardò negli occhi vedendone tutta la determinazione di un capo.

“Quando James si mette all’opera, niente può fermarlo”. Ciò che Laurent aveva detto era la verità ed Edward lo sapeva fin troppo bene avendone letto la mente.

“Lo fermeremo noi”, ringhiò Emmett.

“Non ci riuscirete. In trecento anni non ho mai visto nessuno come lui. È assolutamente letale. Per questo mi sono unito alla sua cricca”.

Edward ebbe un’illuminazione. Ma certo! Quello che avevano visto al campo da baseball era solo una messa in scena: James era il capo. Ed era scaltro. Aveva mandato avanti Laurent per poter squadrare bene la sua famiglia, sicuro che loro avrebbero prestato attenzione al capo piuttosto che ai gregari. Edward si diede dell’idiota.

Laurent puntò gli occhi su Bella. “Siete sicuri che ne valga la pena?”. Il ringhio profondo e cupo che Edward emise, bastò come risposta. Il nomade uscì dalla casa, facendo capire che non avrebbe mai combattuto contro James.

 

 

“Quanto è vicino?” chiese Carlisle.

“Cinque chilometri. Sta girando attorno alla casa aspettando la compagna”. La voce di Edward sembrava appartenere ad un demonio: era profonda, gutturale perfino e veniva da una rabbia che a stento avrebbe tenuto a freno.

“Qual’è il piano?”.

Edward parlò rapido. “Noi lo portiamo fuori strada mentre Jaspere ed Alice portano Bella verso sud. Quando saremo certi che Bella è al sicuro, gli daremo la caccia”. Quel piano non rendeva felice Carlisle che preferiva sempre il dialogo allo scontro. Eppure, dopo ciò che Laurent aveva detto, si era messo l’animo in pace: Edward avrebbe difeso Bella e per farlo avrebbe ucciso James. Lui e il resto della famiglia avrebbero combattuto al fianco di Edward.

Esme portò Bella al piano superiore per scambiarsi i vestiti: avrebbero creato una falsa scia sperando che James cascasse nel tranello. Quando lo scambio fu completato, le due raggiunsero il resto della famiglia alle auto.

“Esme e Rosalie prenderanno il tuo pick up”, disse Edward cercando di spiegare il piano a Bella.

“Alice, Jasper: prendete la Mercedes”, i due annuirono.

“Noi prendiamo la jeep”, disse infine rivolto a Carlisle.

Edward e Carlisle si diressero verso l’auto. Ma prima, il vampiro doveva salutare Bella. La strinse, forte e la baciò. Avrebbe voluto prometterle che sarebbe andata bene, che si sarebbero rivisti presto. Ma quella sicurezza non l’aveva: James era un vampiro molto più vecchio e scaltro di chiunque avessero mai incontrato. Edward aveva solo l’amore dalla sua parte. Per la prima volta avvertì la paura: temeva di poter perdere Bella e di poter perdere la propria vita senza sapere la sorte della ragazza. Avrebbe combattuto, certo, ma non lo aveva mai fatto con quella rabbia.

Rapidamente, Edward e Carlisle uscirono dalla rimessa delle auto. Prese il cellulare e diede il via a Rosalie ed Esme. Sperava con tutto se stesso che James o Victoria abboccassero e si mise ad ascoltare i pensieri dei due nomadi. Dopo qualche istante, Edward si rese conto che la donna era sulle tracce di Esme e Rosalie. Diede allora il via Alice e Jasper.

In quell’istante, Edward pregò chiunque ci fosse in ascolto di proteggere Bella. Non aveva mai chiesto nulla per sé, non aveva mai pregato. Eppure, ne sentiva il bisogno. Doveva sperare che Dio salvasse la ragazza. Edward era pronto anche a morire se solo avesse saputo che la sua morte avrebbe garantito a Bella di sopravvivere.

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Capitolo 23
*** Imprevisto ***


Edward guardava il bosco sfrecciare ai lati dell’auto. Era preoccupato, soprattutto perché Bella non era con lui. Carlisle guidava in silenzio, concentrato. A volte l’assenza delle parole rende l’aria pesante: ecco quello che provava Edward. I silenzi pesano più di certe affermazioni e sentire che nemmeno Carlisle aveva di che parlare lo rendeva nervoso. Di solito il suo patrigno aveva sempre parole di conforto, ma in quella situazione sembrava che nemmeno il dottore riuscisse a trovare il modo di dar voce all’ansia. Erano momenti cruciali: cercavano di attirare James fino a Vancouver. Se il piano avesse avuto successo, avrebbero invertito la marcia e teso un’imboscata. Eppure Edward avvertiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Non poteva chiamare Alice per chiedere le condizioni di Bella perché il segugio era troppo vicino e avrebbe potuto ascoltare la loro conversazione. Non sapere era la cosa che più Edward temeva. Tuttavia, sapeva che finchè il telefono non avesse squillato, tutto stava andando come previsto.

Come ti senti? La voce di Carlisle entrò nella sua mente, delicato.

“Bene”, rispose laconico.

Edward, so che sei preoccupato, ma vedrai che tutto si risolverà. Alice e Jasper non permetteranno che accada nulla di male a Bella. Il vampiro apprezzava il tentativo di conforto, eppure Carlisle non riusciva a nascondere la paura. Edward poteva avvertire l’inclinazione ansiosa dei suoi pensieri. In effetti, alcune volte i toni dei pensieri erano più sinceri delle parole.

“Andrà bene. Riusciremo portare Bella in salvo”. Edward pronunciò quelle parole sperando che James le ascoltasse: finchè il nomade avesse creduto che Bella era con loro avrebbe seguito l'auto.

I minuti trascorrevano diventando ore. Carlisle comunicava con Edward attraverso i pensieri e il vampiro rispondeva monosillabo, in modo da non dare indizi a James. Eppure…

Il telefono di Edward squillò ed entrambi s’irrigidirono.

“Rose?”, rispose il vampiro, preoccupato.

“Edward la femmina è tornata indietro. Stiamo andando a Forks per controllare Charlie”.

Merda!

“Okay”, disse e riagganciò.

Carlisle aveva ascoltato la conversazione e strinse visibilmente la mascella.

È durato meno del previsto pensò Carlisle. Se la femmina ha capito che Bella non era in quella macchina è possibile che torni a Forks per cercare una scia. Bisogna che Charlie sia al sicuro.

“Lo so!”. Dannazione! Edward era furioso. Voleva tornare indietro anche lui, andare a proteggere Charlie. L’istinto gli diceva che qualcosa stava per andare storto. Cercò i pensieri di James… Dove sei, maledetto? Ascoltava, sondava e cercava. Poi, d’un tratto eccolo: un aereo.

“Sta prendendo un aereo. Torna indietro!”. Edward disse quelle parole alla velocità di un lampo così come Carlisle fece inversione in un battito di ciglia. Dovevano tornare indietro perché i nomadi avevano intuito la trappola.

Velocemente, Edward compose il numero di Alice.

“Edward”, la voce acuta della sorella rispose al primo squillo.

“L’abbiamo perso. Stiamo tornando a Forks”

“Lo so, l’ho visto” e mentre diceva quelle parole, Alice si concentrò sulle immagini che una visione le aveva regalato. Edward vide una stanza spaziosa con molti specchi. Il pavimento era in legno. Non aveva mai visto quella stanza e cominciò seriamente a preoccuparsi: qualunque mezzo avesse preso James lo avrebbe portato in quella stanza. Edward cominciò a sentirsi impotente. Sembrava che tutto stesse andando storto e che l’Universo avesse architettato quella tortura con una precisione maniacale. Temeva che Alice e Jasper commettessero un errore, che perdessero di vista Bella e che il nomade riuscisse a prenderla. Non sapeva cosa fare. Poteva solo aspettare che le cose si evolvessero in modo da apparire più chiare, ma l’attesa lo snervava. Avrebbe preferito correre piuttosto che rimanere seduto sull’auto, ma non avrebbe avuto senso e lo sapeva.

 

Stavano tornando indietro quando il telefono squillò nuovamente.

“Alice”, rispose Edward, agitato.

“James sta andando a casa della madre di Bella”, disse rapidamente la vampira.

“Vengo a prendere Bella. Vediamoci all’aeroporto”.

Carlisle appesantì il piede sull’acceleratore: avrebbero preso il primo volo e raggiunto Bella a Phoenix. Quel James si stava rivelando un vero osso duro così come Laurent aveva detto. Era furbo, fin troppo. Visto che non poteva trovare Bella, avrebbe usato i suoi genitori come esca. Intelligente, scaltro e soprattutto molto controllato. Era forse questo l’aspetto che più preoccupava Edward: James non perdeva la testa, rimanendo freddo e calcolatore.

Le ore passavano svelte. Edward stava guardando fuori dal finestrino dell’aereo, che gli rimandava la città di Phoenix. Carlisle pagò in fretta i biglietti, riuscendo ad avere gli ultimi due posti. La cosa più difficile fu correre per tutto l’aeroporto mantenendo un’andatura umana. Giunti al gate non dovettero fare nemmeno la fila: erano gli ultimi due passeggeri a dover essere imbarcati. D’un tratto, Edward ebbe l’impressione che l’aereo fosse diventato un mezzo di trasporto lento… lentissimo. Continuava a guardare il panorama in attesa d’intravvedere Pohenix e quando la vide si sentì più leggero. Stava per riabbracciare Bella e per portarla al sicuro. Finalmente avrebbe potuto essere al suo fianco invece che a chilometri di distanza.

 

Poi, un senso di vuoto allo stomaco lo colse. Qualcosa non andava…

 

Alice e Jasper avevano perso Bella.

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Capitolo 24
*** Resistere o morire ***


Scese dall’aereo correndo, facendosi largo fra la folla seguito da Carlisle. Non si erano detti nulla, ma il dottore aveva intuito che qualcosa fosse andato storto. In pochi secondi erano tutti insieme.

“Cosa è successo?”, domandò Edward spaventato.

“Io… scusa non l’ho vista andarsene”. Alice era mortificata così come Jasper. Avevano faticato molto per tenere Bella al sicuro eppure era riuscita a scappare da loro senza che se ne rendessero conto. Edward strinse la mascella mentre Carlisle gli metteva una mano sulla spalla.

“La troveremo, Edward. Dobbiamo solo capire dove sia andata.”

Uscirono dall’aeroporto che il sole era da poco tramontato. Nel buio della città, i vampiri si accostarono per una strada isolata vicino al grosso parcheggio.

“Edward cerca di sentire i pensieri di Bella. Dicci dove si trova”. Fu Jasper a parlare. Il vampiro sembrava un orso pronto ad attaccare: aveva i muscoli tesi e la voce uscì come un ringhio. Edward si concentrò: chiuse gli occhi e con la mente cercò di sentire i pensieri di Bella. Aveva sentito il suo odore all’uscita dalle grandi porte scorrevoli dell’aeroporto, ma ne aveva perso la scia. Probabilmente aveva preso un taxi e si era allontanata. La paura lo faceva pensare lentamente, senza riuscire a concentrarsi.

“Non ci riesco!”. Era frustrato. Jasper lo calmò, infondendogli quella tranquillità che non riusciva a trovare. Erano tutti in silenzio aspettando che Edward trovasse Bella. Aspettavano, timorosi. Solo Carlisle si allontanò di poco dal gruppo, prendendo in mano il telefono e chiamando Esme. Al primo squillo, sua moglie rispose.

“Abbiamo perso Bella”, disse telegrafico, “Edward sta cercando di sentire i suoi pensieri.”

“La femmina è qui, a Forks. Charlie è al sicuro.”. Almeno qualche buona notizia c’era.

“Ti chiamo appena abbiamo risolto. Ti amo”, disse Carlisle, passandosi una mano fra i capelli. Aveva paura, almeno quanta ne avevano tutti gli altri membri della famiglia. Se avessero perso Bella… se le fosse accaduto l’irreparabile… Non voleva nemmeno pensarci. Non poteva accettare che Edward provasse un dolore così grande.

“Carlisle?”, sua moglie lo richiamò alla realtà.

“Troverete Bella e andrà tutto bene”. Avrebbe voluto avere un minimo di quell’ottimismo. Quando riagganciò, Edward era ancora concentrato.

“Ha preso un taxi… è andata da quella parte”, disse Edward indicando una direzione. I quattro cominciarono a correre, seguendo Edward fra le strade di Phoenix. Nessuno avrebbe potuto vederli: erano talmente veloci che le persone avvertivano solo un rifolo di vento freddo al loro passaggio. Edward correva davanti a tutti, svoltando agli incroci e seguendo i pensieri di Bella. Pregava di arrivare in tempo, di essere veloce abbastanza da salvarla. Il pensiero che James fosse con lei lo faceva impazzire.

Edward, non così veloce. Ti stiamo perdendo. I pensieri di Carlisle s’insinuarono nella sua mente. Non poteva rallentare: ogni secondo perso era un secondo che metteva in pericolo Bella. Invece di rallentare, accelerò. Era quasi arrivato, poteva sentire Bella che urlava dal dolore. Ringhiò, cupo e furente come un animale.

Sapeva che stava per scontarsi contro James e che si sarebbe risolto solo con la morte di uno dei due. E lui non avrebbe fallito.

Svoltò l’ultima volta, trovandosi davanti ad un edificio in mattoni: la scuola di danza. Avvertì l’urlo straziato di Bella che gridava il suo nome. Con un salto, raggiunse la grande finestra della scuola e la vide sdraiata per terra mentre James le premeva sulla gamba, rompendole l’osso. Una rabbia che mai aveva provato lo pervase come un fiume in piena. Non poteva aspettare gli altri.

Frantumò i vetri della finestra atterrando alle spalle di James. Lo afferrò e lo scaraventò lontano da Bella. Con lo sguardo cercò la ragazza e le sorrise mentre si avvicinava fulmineo per portarla in salvo. Voleva allontanarla il più possibile da James e così la prese in braccio e con un balzo si diresse verso la balconata. Ma una mano gli afferrò la gamba nell’istante stesso in cui di librava nell’aria, facendogli perdere lo slancio. Rovinò a terra, perdendo la presa su Bella. La ragazza scivolò lontana qualche metro cadendo sui frantumi di specchi. In un secondo, Edward realizzò che Bella perdeva sangue. La paura lo travolse: James non avrebbe controllato la sete sentendone il profumo. Mentre Edward si rialzava, ebbe il tempo per vedere ciò che non avrebbe voluto mai vedere: James piantava i suoi luridi denti nella pelle del polso di Bella. La rabbia montò rapida e furente: si lanciò sopra James e lo staccò da lei. Lottava come mai aveva fatto, cercando di immobilizzare il vampiro per potergli staccare la testa.

James resisteva alla sua violenza, ma perdeva colpi. Edward poteva sentire la pura che montava dentro il suo avversario: il coraggio e la spavalderia stavano abbandonando il nomade, mentre il pensiero di perdere la vita si insinuava, strisciando.

Con un ultimo gesto, Edward immobilizzò James su una delle colonne che circondavano la sala degli specchi. Con forza gli staccò un lembo di pelle dal collo, mentre dalla propria bocca emergeva solo il ringhio di una fiera brutale. Voleva ucciderlo. Desiderava la sua morte come non aveva mai desiderato tanto.

Una mano, dolce e ferma, si appoggiò sulla sua spalla. Carlisle lo guardava carico di amore e comprensione.

“Sei meglio di così”, gli disse, cercando di calmarlo. Era vero? Era davvero diverso? Bramava staccare la testa di James, vederlo morire fra le fiamme. Ma il tocco di Carlisle gli fece tornare un briciolo di lucidità.

“Ci pensiamo noi”, gli disse il dottore, mentre Edward allentava la presa su James. In un secondo, Alice, Jasper e Carlisle presero il nomade e lo immobilizzarono. Mentre Carlisle e Jasper gli tenevano le braccia, Alice con un balzo gli salì sul collo e gli staccò la testa.

Edward corse verso il corpo di Bella che si contorceva dal dolore. Il veleno del vampiro la stava uccidendo così come la profonda ferita alla gamba.

“Bella, ti prego ascoltami. Bella! Oh no, no!”. La guardava agonizzare senza sapere cosa fare. Le sue mani erano ricoperte di sangue.

“Carlisle!”. Il dottore si precipitò accanto ad Edward e cercò di guardare la situazione.

“Ha la gamba rotta e anche qualche costola, credo”. Cercava di rimanere lucido, sebbene la visione di suo figlio disperato e l’idea che Bella stesse morendo lo tormentassero.

“L’ha morsa!”, gridò Edward. Carlisle guardò il polso di Bella e notò il sinistro segno dei denti del vampiro.

“Prova a succhiarle via il veleno, Edward.”

Edward si sentì perso. Doveva davvero assaggiare il sangue di Bella? Sarebbe stato in grado di fermarsi?

“Carlisle io… non so se ce la posso fare.” Stava pregando che Carlisle decidesse di fare da solo. In fondo, il dottore aveva autocontrollo mentre Edward non lo sapeva. E se l’avesse uccisa?

“Devi farlo tu, Edward. Puoi farcela.”

Il vampiro guardava Bella agonizzante, indeciso sul da farsi. Avrebbe dovuto portarle via il veleno, ma per farlo doveva bere il suo sangue. Aveva paura. Tanta. L’idea di poter causare la sua morte lo uccideva, eppure, sapeva che in entrambi i casi Bella sarebbe morta. Ma era davvero pronto per vederla trasformata? Voleva davvero porre fine alla sua vita da mortale?

Se da un alto l’idea di Bella vampira lo confortava, dall’altra sapeva che non si sarebbe mai perdonato per aver lasciato che il veleno di James la trasformasse. Lui era dannato. Per lei c’era ancora speranza.

L’unica possibilità era quella di affrontare la peggiore delle prove: bere il suo sangue e resistere. Solo così le avrebbe donato la vita, invece di portargliela via.

Con decisione le afferrò il polso e appoggiò le sue labbra sulla ferita. Chiuse gli occhi, sentendo la bestia che ruggiva dentro di sé. Finalmente, stava per accontentare il demone con il sangue della sua Cantante. Cominciò assaggiando una piccola quantità di quel fluido caldo e dolce. Non appena il suo sapore raggiunse i recettori del gusto, le pupille si dilatarono e la bestia prese possesso del suo corpo. Non era più Edward e lei non era più Bella. Erano un predatore e la sua preda, un assassino e la sua vittima. Il tempo sembrò fermarsi, mentre una piccola parte di lui cominciava a gridare. Fermati! Si diceva. Fermati o la ucciderai! La parte umana cominciò a prendere terreno sulla bestia, spingendo l’istinto omicida indietro. Provava dolore ad ogni tentativo di staccarsi da lei.

Con un ultimo, estremo, atto di forza riuscì ad allontanare la propria bocca dal polso di Bella.

Avrebbe pianto, Edward, per il dolore e per la felicità. Era riuscito a fare una cosa che per molti vampiri era solo una chimera. Aveva bevuto il sangue di Bella e l’aveva salvata.

Gli occhi della ragazza lo guardarono, dolci, e lui si sentì sciogliere in quel mare di amore. Lui amava Bella come nessuno al mondo avrebbe mai amato. Lei era la sua vita. Lei era la sua salvezza. Lei era la sua Bella.

La prese in braccio, delicatamente: l’avrebbero portata in un ospedale per le cure necessarie. Era orgoglioso, Edward, mentre la teneva in braccio.

“Adesso dormi, Bella”, le sussurrò con tutto l’amore che sentiva in corpo.

Aveva vinto.

L’aveva salvata.

E aveva salvato se stesso.

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Capitolo 25
*** Nuovo inizio ***


Alla luce bianca e asettica dell’ospedale, Bella sembrava un cadavere. Edward vegliò su di lei come era solito fare, ma una morsa fredda gli stringeva lo stomaco. L’aveva salvata, vero, ma era stato per colpa sua che James l’aveva trovata. Il loro rapporto non poteva portare a nulla di buono e questo lo addolorava.

Avrebbe dovuto lasciarla andare? Permetterle di mandare avanti la sua vita senza interferire? Non si sarebbe mai separato da lei, almeno non lo avrebbe mai fatto volontariamente, eppure sentiva che ciò che avevano vissuto sarebbe stata solo la punta di un iceberg. Il mondo dei vampiri non era adatto ad una mortale e ne avevano avuto la prova.

Quando lei aprì gli occhi, Edward ebbe un fremito di gioia. Era viva e stava bene.

“Cos’è successo?”, gli chiese in un sussurro.

“Era quasi troppo tardi. Stavo per arrivare troppo tardi”. Le parole di Edward erano la più amara delle confessioni. Sarebbero bastati pochi minuti e Bella sarebbe morta.

“Devo chiamare Charlie e la mamma.”

“Li ha chiamati Alice. Renèe è qui… beh in ospedale. È andata proprio ora a mangiare qualcosa.”

“Ma cosa le avete detto?”

“Che sei caduta da una rampa delle scale e hai sfondato una finestra.” Avevano pensato a lungo alla storia da raccontare: non potevano certo dire la verità, così optarono per una versione più vicina possibile all’accaduto. In fondo Bella era impacciata e il tutto risultò credibile, soprattutto tenuto conto dell’incredibile messa in scena che Alice fece.

Bella volle sapere di James, di come l’avevano ucciso ed Edward l’accontentò. Le raccontò dello scontro e del fatto che James venne fatto a pezzi. Ma era anche un altro il discorso che dovevano affrontare.

“Come hai fatto?” Sebbene la domanda fosse generica, Edward capì immediatamente a cosa si stesse riferendo. Ricordò la sensazione del suo sangue in gola e strinse la mano a pugno.

“Non lo so nemmeno io”, disse quasi affranto. Davvero non si capacitava della propria forza, nemmeno dopo la grande prova che aveva superato?

“Era impossibile… trattenersi. Ma ce l’ho fatta.” Edward alzò lo sguardo incontrando quello di lei.

“E’ evidente che ti amo.” disse vittorioso. Ed era vero: lui, anzi, loro avevano combattuto un grande battaglia e avevano vinto. Lentamente, si avvicinò a lei e la baciò. Nello stesso istante il macchinario che segnava le pulsazioni di Bella smise di emettere il consueto bip. Un secondo di terrore fece allontanare di scatto il vampiro.

“Io non avevo finito di baciarti”, protestò la ragazza. “Non costringermi ad alzarmi”. Lui sorrise: evidentemente avrebbe dovuto prestare molta attenzione ai loro contatti visto l’effetto che avevano sul corpo mortale di Bella.

 

*******

Tornarono tutti insieme a Forks. Bella doveva chiarire con suo padre ed era agitata. Edward le disse che Charlie l’avrebbe perdonata, ma non riuscì ugualmente a sciogliere il senso di colpa che le opprimeva il petto. Anche Edward aveva la stessa sensazione nei suoi confronti. Sebbene tutto si fosse risolto per il meglio, il vampiro non poteva fare a meno di pensare che fosse tutta colpa sua. Se lui non avesse incoraggiato il loro rapporto, Bella non avrebbe mai sperimentato l’aggressione di un vampiro e sarebbe rimasta la stupenda ragazza che era. Era stato egoista? Molto. Pur di averla per sé l’aveva messa in pericolo di vita. Non si sarebbe mai perdonato di quello, ma giurò a se stesso che se mai fosse accaduta un’altra situazione del genere sarebbe sparito per sempre da Forks. Se lui o qualcun altro avesse messo in pericolo Bella, l’avrebbe lasciata. Fare quel tipo di pensieri non fu facile: solo l’idea di separarsi da lei gli faceva male, ma causarne la morte l’avrebbe dilaniato per l’eternità. Così, in macchina, mentre rientravano a Forks, giurò a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per tenerla al sicuro, anche se quel tutto avesse compreso lasciarla.

Mentre guidava, gli tornò in mente la discussione che avevano avuto all’ospedale, quando Bella gli aveva posto una delle domande più difficili: perché non aveva lasciato che il veleno di James la trasformasse? Lui si era infuriato. Lei non aveva la minima idea di ciò che gli stava chiedendo. Essere un vampiro non si fermava all’immortalità… essere un vampiro significava perdere la propria anima e lui non avrebbe mai permesso che Bella perdesse la sua. La trasformazione di Bella avrebbe certamente portato i suoi vantaggi: Edward non avrebbe più dovuto preoccuparsi per lei, ma avrebbe reso l’amore della sua vita una bestia vomitata dall’Inferno stesso. Bella era la persona più importante della sua vita e non avrebbe mai lasciato che corrompesse se stessa.

Ripensò a quando Alice gli aveva detto che Bella sarebbe diventata una di loro… lei lo aveva visto, perché la convinzione di Bella era forte. Eppure, lui avrebbe lottato fino alla fine per impedirlo. Non gli importava rendere la loro storia più facile. Lui l’avrebbe amata per l’eternità, regalandole una lunga vita mortale insieme.

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


Edward guidava con un sorriso beffardo. Bella non aveva ancora capito dove stessero andando, eppure sembrava così ovvio. Era bellissima. Alice le aveva fatto indossare un abito stupendo che le donava una femminilità da mozzare il fiato. Con così tanta bellezza, anche la gamba ingessata passava inosservata.

“Posso sapere quando ti prenderai la briga di dirmi cosa sta succedendo?”. Era agitata, lui poteva sentirlo.

“E’ assurdo che tu non abbia ancora capito”. Rise nel dire quelle parole.

Bella stava per dare libero sfogo ai propri pensieri quando il cellulare di Edward squillò.

“Pronto, Charlie?”. Non si aspettava davvero una telefonata dal padre di Bella, nonostante dal rientro a Forks il rapporto fra loro fosse un incrinato.

“Senti, Edward. C’è qui Tyler. Sostiene che doveva portare Bella al ballo della scuola”. Edward non poteva credere alle sue orecchie: possibile che quel mezzo uomo non avesse compreso che Bella fosse impegnata?

“Stai scherzando!”, disse sull’orlo di una crisi di nervi. Lo infastidiva che qualcuno all’infuori di lui potesse fare certi pensieri su Bella. Tyler… Tyler… a fatica trattenne un ringhio.

“Edward, ti sembro il tipo che scherza su queste cose?”. Il tono di Charlie era serio. Forse un po’ troppo.

“Posso parlargli io?”. Dall’altro capo del telefono Edward udì un passaggio della cornetta.

“Pronto?”. Era la voce di Tyler.

“Ciao Tyler sono Edward Cullen. Mi dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Bella è occupata, sta sera. Anzi”, continuò cambiando il tono da ironico a minaccioso, “per la verità, è occupata tutte le sere per chiunque escluso il sottoscritto. Senza offesa. Spiacente che la tua serata non andrà come speravi”. Interruppe la conversazione e si rimise il cellulare in tasca, mentre Bella lo guardava perplessa. Poi, l’illuminazione.

“Mi stai portando al ballo!”, strillò. “Perché mi stai facendo questo?”

“Sinceramente, Bella, dove credevi ti stessi portando?”. Il viso della ragazza si fece rosso dalla vergogna. Probabilmente aveva intuito che sarebbe stata una serata speciale ma non immaginava il ballo. Edward era divertito.

“Assecondami, per piacere”, la pregò. Per lui il ballo rappresentava una tappa fondamentale nella vita di Bella e non voleva che si perdesse nulla di ciò. Se Alice avesse avuto ragione, se un giorno Bella fosse diventata un vampiro, quelle piccole esperienze umane sarebbero stati importanti.

 

Il ballo della scuola si teneva nella palestra dell’istituto. Il parcheggio era pieno di auto e molti studenti si avviavano lungo la strada agghindati e ben vestiti. Edward aiutò Bella a scendere dalla Volvo.

“Sembra l’inizio di un film dell’orrore”, disse sarcasticamente la ragazza.

“Beh”, le fece eco sorridendo, “I vampiri non mancano”.

Quando entrarono si resero conto che la pista da ballo era occupata da sole due coppie di ballerini, mentre gli studenti si erano accalcati attorno per ammirare la grazia e la leggerezza dei danzanti. Alice e Jasper, volteggiavano con eleganza a ritmo di valzer, seguiti da Emmett e Rosalie. Tutti li guardavano affascinati e rapiti. Edward prese Bella e la portò in direzione della pista.

“Edward! Non so ballare!”. Bella cercò di resistere alla sua presa, inutilmente.

“Sciocca, non preoccuparti. Io sì”, disse e con gesto fulmineo le mise i piedi sopra i propri. Cominciarono a volteggiare con la stessa grazia degli altri quattro. Edward si sentiva bene, era felice. Soprattutto quando vide un sorriso illuminare il volto di Bella: finalmente, si stava divertendo anche lei.

“Okay, non è così male, lo ammetto”, disse la ragazza, incapace di togliersi il sorriso dalle labbra. Sembrava essere una serata perfetta, quando dalla porta dell’ingresso giunse un odore fin troppo famigliare. Lo sguardo di Edward cambiò, mentre incrociava gli occhi di Jacob. Cos’era venuto a fare? Cosa voleva quel cagnaccio?

“Che c’è?”, chiese Bella notando lo sguardo arrabbiato di Edward. Il vampiro non riuscì a controllare il suo istinto e un cupo ringhio gli salì dalla gola. Bella seguì il suo sguardo fino a raggiungere il ragazzo dalla pelle ambrata, vestito con una camicia bianca e la cravatta.

“Vuole fare due chiacchere con te”, le sibilò Edward all’orecchio. Davvero non poteva sopportare la presenza di quel cane, anche se al momento, Jacob, ignorava la propria natura. Presto si sarebbe trasformato, Edward lo sapeva. Era stato il vecchio Clearwater a dirgli che i ragazzi avevano ripreso a diventare lupi. Era solo questione di tempo. La corporatura del giovane Quileute si era fatta più grande ed era cresciuto notevolmente in altezza. Per non parlare dell’odore… Sì, Jacob sarebbe diventato presto un cagnaccio rognoso.

“Mi concedi un ballo?”, chiese con leggera strafottenza Jacob, guardando Edward con sfida. Il vampiro cercò di rimanere impassibile: non voleva dare a Jacob la soddisfazione di averlo infastidito. Fece scendere Bella dai suoi piedi e la consegnò nelle mani del Quileute. Si distaccò di diversi metri, ma non fu difficile per lui ascoltare la loro conversazione. Jacob si era intrufolato al ballo della scuola per mettere in guardia Bella. Ah, niente di più ridicolo! Quel Bill proprio non riusciva a mettere da parte i dissidi fra i Quileute e i Cullen e mandava suo figlio a fare da intermediario. Era chiaro come il Sole che Jacob fosse attratto da Bella e questo lo irritava parecchio. Si sforzò di non leggergli i pensieri: non voleva avere una brutta reazione. Attese, perciò, che la comunicazione di servizio fosse terminata e si riavvicinò a Bella.

Decise che non era più il momento di ballare e la portò sulla panchina, nel prato antistante la scuola. Lì potevano rimanere soli, come piaceva a lui.

La luna era sorta, portando con sé la malinconia che tanto oscurava i pensieri di Edward.

“Di nuovo un crepuscolo”, mormorò guardando l’astro, “Un’altra fine. Ogni giorno deve finire, anche quello perfetto”. C’è chi ama il sorgere del sole perché segna un nuovo inizio. E c’è chi teme la luna perché segna una nuova fine. Edward aveva imparato a tenere il conto del tempo attraverso le lune che aveva visto nascere… ogni luna era una tacca in più nella sua lunga ed inesorabile esistenza. Eppure, era arrivata Bella. Si era meritato davvero tanta felicità? E che prezzo avrebbe dovuto pagare?

“Mi dici una cosa?”, le chiese dolcemente e guardandola negli occhi.

“Non ti dico sempre tutto?”, ribattè Bella, sorridendo.

“Mi sei sembrata sorpresa quando hai capito che ti stavo portando al ballo. Eppure, ho l’impressione che ti aspettassi qualcos’altro. Dimmi, dove credevi che ti avrei portata?”. Lei era imbarazzata.

“Beh… mi chiedevo se non avessi cambiato idea… e speravo ti fosse deciso a trasformarmi”. A quelle parole, Edward fu investito da un arcobaleno di emozioni. Era arrabbiato, tormentato, divertito e deluso.

“Ci terresti davvero?”. Sapeva che lei gli avrebbe risposto sì, ma Edward era convinto che non avesse ben compreso cosa potesse significare una vita da vampiro. Avvicinò il proprio volto a quello di lei.

“Saresti disposta a accettare la fine? Ad accogliere un crepuscolo sulla tua vita appena iniziata? Rinunceresti a tutto?”.

“Non sarebbe la fine”, disse lei, “E’ l’inizio. È la luce dell’alba”.

“Non ne sono degno”. Quelle parole, forse, per Bella acquisirono un significato diverso. Lui non si sentiva degno di averla trovata. Non era degno di una tale grazia. Non era degno di lei.

“Davvero questo sarebbe il tuo sogno, Bella? Diventare un mostro?”. La domanda era sincera: Edward non capiva come potesse voler gettare tutto per stare con lui.

“Sogno di restare con te per sempre”. Gli occhi di Edward si addolcirono e la voce s’incrinò, leggermente. L’amava, avrebbe dato la sua stessa vita per lei. Ma non l’avrebbe mai condannata ad essere un vampiro.

“Starò sempre con te, non ti basta?”. Lei sorrise, delusa.

“Per ora”, fu tutto quello che Edward riuscì ad ottenere da lei.

Lui non sapeva cosa dire. Come avrebbe potuto farle cambiare idea? Davvero non lo sapeva. Ma su una cosa non aveva dubbi.

“Ti amo, Bella. Più di qualsiasi persona la mondo, senza eccezioni. Non ti basta?”.

“Mi basta, per sempre”.

 

 

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