Bring me to life

di bloodywimey
(/viewuser.php?uid=837405)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo/Dark ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1/Light ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2/I'm broken when i'm open ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3/Never together ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4/That bloody guy ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5/Now i'll never leave you ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6/I know, i'm a mess ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7/Nobody can tear us apart ***
Capitolo 9: *** Epilogo/Until the end ***



Capitolo 1
*** Prologo/Dark ***


Buio.
Newt si sentiva come in un vortice d'oscurità. Non vedeva niente, non provava niente, sapeva solo che nulla poteva tirarlo fuori da quella situazione.
Dolore.
Era l'unica cosa che sentiva: un dolore lancinante alla mandibola. Sembrava che gli stessero ricongiungendo le ossa solo per poi spaccargliele di nuovo.
Ma ormai si era abituato.
Era la routine di tutti i giorni: si svegliava, andava a scuola, veniva picchiato dai bulli dell'ultimo anno, e poi il suo migliore amico Minho lo salvava.
Ma questa volta Minho non c'era per lui e i bulli avrebbero continuato a picchiarlo fino a farlo morire. Perchè era questo che volevano fargli, ucciderlo, ne era sicuro.
Ora gli tiravano calci allo stomaco, ora gli saltavano sulla schiena, ora lo colpinavo nelle parti basse, ora lo colpivano per l'ennesima volta al viso. Lo stavano distruggendo, eppure lui non sentiva niente. Non voleva sentire niente perchè, se iniziava a provare emozioni, sarebbe morto.
Non osò aprire gli occhi,troppo spaventato all'idea di un pubblico di adolescenti che gli rideva in faccia.
"Frocio!" poteva sentirli urlare, forte e sempre più forte. E quella parola faceva più male di tutti i pugni che gli stavano tirando. Più delle sue ossa che venivano frantumate. Più delle sue lacrime che pizzicavano le innumerevoli ferite. Così fece come aveva sempre fatto: ascoltava gli urli, piangeva in silenzio, e continuava a farsi picchiare.
Ma all'improvviso i colpi si fermarono e sentì una voce in lontananza.
"Ora basta." disse la voce, un ragazzo anche se Newt non capì di chi si trattasse. "Guardate, l'amico del frocetto è arrivato! Vuoi essere conciato per le feste anche tu?" a parlare fu Janson, il capo dei bulli. Conosciuto per la sua "permanenza" a scuola. Nonostante avesse superato la soglia dei vent'anni, frequentava ancora il liceo a causa del suo brutto carattere. Molti genitori si erano lamentati di lui mostrando i loro figli con il viso ricoperto di lividi, eppure la nostra scuola lo ha amorevolmente bocciato ogni anno aumentando così le crisi per le vittime innocenti, e le vittorie per il grande Uomo Ratto. Chiamato così non di certo per la sua stazza, ma per la sua orrenda faccia da topo.
"Senti, perchè non te ne vai e lo lasci stare. Ti sei divertito abbastanza." continuò il suo "salvatore" ignaro del fatto che si stesse suicidando. "Senti tu, se credi di fare una cazzo di bella figura salvando questo frocio di merda qui, ti sbagli di grosso amico." Newt poteva sentire lo sguardo omicida sulla faccia di Janson mentre aveva pronunciato queste parole e già immaginava la morte del povero ragazzo.
"Frocio di merda? Davvero? Ti credi figo a insultare qualcuno con questa parola? Perchè non lo sei, sei solo un coglione." A queste parole Newt aprì gli occhi e lo vide: era un ragazzo più o meno della sua età, alto, muscoloso e con dei bellissimi capelli bruni. A parere di Newt era davvero un bel ragazzo. Si sorprese di quanto fosse sbagliato quel momento per pensare alla bellezza dello sconosciuto.
Peccato che il suo bel ragazzo finì letteralmente a terra e Janson sopra di lui che gli spiaccicava la faccia sull'asfalto. Una, due, sei volte e così via, e nessuno mosse un dito per aiutarlo.
Newt provò a urlare ma niente uscì dalle sue labbra. "Bas-" fu poco più di un sospiro. E Janson continuava e continuava, come se non aspettasse altro che vedere sangue. Il ragazzo ormai era diventato insensibile a forza dei troppi colpi ricevuti e Newt si chiese più volte perchè uno sconosciuto avrebbe sacrificato la sua faccia, e anche una bella faccia per giunta, per una nullità come lui.
Nessuno aveva mai fatto niente per lui. I suoi genitori lo avevano abbandonato quando aveva poco più di 1 anno. Nessuno all'orfanotrofio aveva mai scelto di adottarlo. Ovviamente. Era sempre stato troppo basso, troppo magro, troppo solo. Non andava mai bene. Poi a scuola, fin dalle elementari, lo avevano sempre preso in giro chiamandolo femminuccia. A nessuno poteva mai piacere un bambino gay. E mai a nessuno era piaciuto.
Eppure adesso un totale sconosciuto stava lì con la faccia sanguinante sul'asfalto, a farsi picchiare per evitare che lo facessero a lui. Se Newt ci pensava, non aveva senso, e da una parte era felice che a qualcuno importasse della sua incolumità, dall'altra voleva solo che quest'incubo avesse fine.
"BASTA." in quell'esatto momento la professoressa Paige si avvicinò alla calca di studenti e dopo aver visto quello che stava succedendo prese Janson e lo portò fuori dalla rissa. Pian piano anche tutti gli altri studenti si allontanarono, lasciando Newt e l'altro ragazzo lì per terra, come se non valessero niente.
Newt avrebbe davvero voluto alzarsi per andare dal ragazzo e ringraziarlo, abbracciarlo, non lo sapeva neanche lui.
Ma poi i suoi occhi si chiusero e cadde nuovamente nell' oscurità.





A/N: note dell'autrice
Ehilaa, fagiolini.
volevo iniziare col dire che questa è la mia primissima fanfiction quindi siate clementi (pls).
Accetto le critiche e vorrei tanto ricevere delle recensioni per sapere come migliorare.
Ringrazio prima di tutto la Ele che mi è stata vicino e mi ha aiutato tantissimo. Ringrazio poi le mie Culopesche che sono la ragione della mia ispirazione. Vi voglio bene.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno questa storia e la recensiranno. Continuerò appena mi sarà possibile.
Baci,

Dalia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1/Light ***


Si dice che quando si muore si vede una grande luce bianca, così bianca che il bianco stesso diventa effimero davanti al suo splendore.
E' una luce pura, avvolgente e agognata. Quando la si vede si è in quell'esatto momento consapevoli che nulla potrà lasciarvi scappare da quella luce.
Newt si sentiva in trappola, non riusciva a scappare. Era forse morto?

"Newt" una voce.

"Newt!" lui la conosceva, eppure rimaneva sconosciuta allo stesso tempo.

"NEWT!" Aprì gli occhi.

La prima cosa che sentì fu che non era morto. La seconda erano un paio di grandi occhi marroni che lo fissavano dall'alto.
Quegli occhi, preoccupati e circondati di lividi, erano davvero gli occhi più belli che Newt avesse mai visto. Ci si poteva annegare dentro. Come se nascondessero l'intero mare.
Quando realizzò chi fosse il possessore di quegli occhi, gli venne in mente tutto ciò che era accaduto poco o forse molto tempo prima. Tutto il sangue, tutto il dolore, Janson, il ragazzo misterioso, tutto divenne chiaro davanti a lui e per la prima volta da molto tempo, Newt ebbe paura.
Ebbe paura perchè Janson non aveva finito con lui e ebbe paura per quel ragazzo che ora era entrato nella lista nera dei bulli solo per colpa sua.
Perchè è questo che fa la gente che si avvicina troppo a lui, si fa male.
Ed è per questo che avrebbe fatto di tutto per proteggere quel ragazzo. Non avrebbe più permesso a nessuno di farsi male per colpa sua.
"Newt" era lui a parlare, si era reso conto solo adesso che era rimasto a fissarlo con un espressione spaventata in viso.
"ti senti bene?..Che domanda stupida..Ehm, come stai?" era impacciato, timido, come se avesse paura di spaventare il biondino più di quanto non lo fosse già.
Aveva molte bende attorno alla testa, la maggior parte grondanti di sangue.
I capelli, che prima avevano attirato molto l'attenzione di Newt, erano adesso schiacciati sulla faccia del ragazzo e avevano perso la loro naturale bellezza.
Si ritrovò a fissarlo, ma questa volta il ragazzo sembrava seriamente preoccupato.
"Dove mi trovo?" le parole uscirono fuori dalla sua bocca anche se non si era reso conto di averle pronunciate.
"Sei nell'infermieria della scuola, sei svenuto e hai battuto malamente la testa. Ti ricordi cos'è accaduto?" si avvicinò una donna, che sembrò essere l'infermiera.
Era vestita interamente di bianco che rendeva più visibile la sua carnagione scura. Aveva i capelli raccolti in una coda e un grande sorriso rincuorante le decorava il viso.
Newt si guardò intorno poi in alto e vide che quella che gli era sembrata la grande luce divina si rivelò essere una lampada LED. Newt ci rimase quasi male, quasi.
La sua attenzione si spostò poi sul letto di fianco a lui, era disfatto quindi capì che era stato riservato al suo misterioso amico.
"Da quanto sono qui?" questa volta fece in modo che ogni parola risultasse fredda, rude. Odiava essere lì, avrebbe dovuto essere nella solita stanzetta che Minho gli "prenotava" ogni volta che lo picchiavano. Prenotava per modo di dire, in quanto rubava le chiavi e correva da lui pieno di sacchette di ghiaccio.
E invece era sotto gli occhi di due sconosciuti che si erano presi la libertà di curarlo, questa cosa lo faceva impazzire.
"Solo una notte" la voce del ragazzo lo portò fuori dai suoi pensieri, "avevi una grande ferita quindi potresti non ricordarti bene cos'è successo..."
"Io mi ricordo. Tutto." lo fermò prima che la sua voce potesse innervosirlo di più.
Si alzò e andò dietro la tendina di fianco al letto per cambiarsi, ignorando le tante volte in cui sia l'infermiera che il ragazzo avevano cercato di fermarlo.
Poco dopo aprì la tendina, "Beh, grazie per l'interesse ma non ho chiesto il vostro aiuto. Ora me ne torno a casa."
Ogni sua parola era stata una ferita per tutti i presenti e soprattutto per l'interlocutore. Newt era davvero grato a queste persone, ma allo stesso le odiava perchè stavano rischiando la loro vita senza neanche saperlo.
Quindi si tenne il dolore in gola e uscì dalla stanza. Non si accorse di un brunetto che gli stava correndo dietro finchè non se lo trovò a tre centimetri dalla faccia.
"Ehi, sono di nuovo io! Mi sono presentato? Credo di no. Beh in ogni caso mi chiamo Thomas." Newt lo guardava perplesso, aveva parlato in modo velocissimo ma riuscì a vedere la sua mano sporgersi per una stretta, quindi la strinse e disse il suo nome.
Thomas gli restò appiccicato tutto il tempo che camminò per la scuola e non smise un secondo di parlare. Era un ragazzo simpatico dopo tutto, sembrava un bambino alla sua prima festa di compleanno che attendeva con ansia il prossimo regalo. Sembrava che la sua vita avesse sempre preso solo svolte positive, insomma quel ragazzo era l'esatto contrario di Newt.
La scuola era stranamente vuota, tranne i classici ragazzi che non seguivano le lezioni e stavano nel cortile a fumare.
Tra di loro riconobbe Gally, il migliore amico di Janson. Non erano quel tipo di amici che tutti si immaginano, che escono insieme e vanno a giocare a pallone; loro erano quel tipo di amici che passavano il pomeriggio a picchiare i ragazzini e poi si parlano a volte se si vedevano per scuola. Newt si chiese se questa si potesse chiamare amicizia.
Quando passarono davanti alla presidenza Newt non poteva credere ai suoi occhi: un irato e annoiato preside Gonzales urlava contro Janson che, a testa bassa, Newt potè notare, nascondeva le lacrime.
Il biondino si trovò a essere rilassato e spaventato allo stesso tempo. Spaventato perchè al di fuori della scuola Janson poteva comunque trovarlo e vendicarsi per quello che stava per succedere, rilassato perchè la persona che lo tormentava da più di tre anni stava per essere esplulsa. Decise di godersi quel momento di libertà e guardò Thomas con un gran sorriso.
"E' grazie a te! Lui è lì dentro grazie a te!" il suo sorriso si ingrandì come se fosse la più grande liberazione di sempre, e per Newt lo era.
Thomas era confuso ma poi capì cosa intendeva e ricambiò il sorriso che però era diverso da tutti i sorrisi che aveva fatto quella mattina, era un sorriso sincero, pieno di soddisfazione e Newt decise che questa parte di Thomas gli piaceva molto di più. Avrebbe voluto vedere quel suo sorriso innocente per tutta la giornata.
Il viaggio verso casa fu per Newt il primo momento da molto tempo in cui si sentì felice. Ed era tutto grazie a Thomas. Quel ragazzo, che aveva conosciuto solo il giorno prima, era riuscito a salvarlo già due volte, e Newt si sentì ancora più debitore nei suoi confronti quando il brunetto lo volle accompagnare a casa.
Non si rese conto di quanto questa cosa potesse essere pericolosa per lui.
Newt aveva una casa, se così si poteva chiamare. Il problema non era tanto la casa inquietante o il fatto che cadesse a pezzi, il problema era la sua "madre" adottiva.

La signorina Katy Sangster , chiamata così anche se aveva più di 40 anni, era sempre stata una donna molto strana, ma non strana nel modo buono, strana nel fatto che vivesse in quella che era conosciuta come "la casa maledetta". Non c'era nessun tipo di presenza sovvranaturale in quella casa, portava solamente sfortuna. Un bel po' di sfortuna.
Katy aveva avuto una serie di incidenti finiti con la chiamata rapida dell'ambulanza.
Quando Katy decise di adottare un bambino, dato che si sentiva sola, non poteva che essere il ragazzo solitario e imperfetto che nessuno voleva a diventare l'erede della sua sfortuna sfacciata.
Così Newt si ritrovò a vivere in una catapecchia nel posto più remoto di Saltaire, il paese dov'era nato e cresciuto.
Katy, alla fine, non aveva mai dato tante attenzione al piccolo bambino. Era sempre fuori casa e quando era in casa era troppo preoccupata a drogarsi per notare che la vita del suo figliastro stava peggiorando di anno in anno.
Ogni volta che Newt provava a parlar con Katy lei rispondeva male e finiva per picchiarlo, quindi il loro rapporto si era limitato al "Ciao".
Non aveva mai potuto invitare nessuno a casa sua dato lo stato dell'abitazione e della persona che ci viveva dentro quindi decise che si sarebbe fermato a una casa qualsiasi dicendo a Thomas che era la sua, evitando così spiegazioni che non voleva dare.
Si fermò davanti a una villa imponente con tanto di piscina sul retro.
Imprecò contro se stesso sia per l'esagerata versione di se stesso che stava mostrando, sia per aver iniziato un'amicizia con una bugia.
"Wow! Piccola casa eh? l'amico usò il suo solito sarcasmo e squadrò Newt dalla testa ai piedi come per verificare ciò che il biondo gli stava mostrando.
"Già, i miei genitori lavorano in una azienda di grande importanza quindi... ti farei entrare ma..." per Newt era davvero troppo. Si sentiva in colpa, Thomas aveva fatto in modo che restasse in vita e lui in cambio? Gli aveva rifilato una serie di bugie.
"No,tanto devo comunque tornare a casa. Ci si vede a scuola Newt." il brunetto si allontanò dalla casa e da Newt, lasciandolo solo con le sue bugie.

Poco dopo il biondino era davanti a un insieme di tavole di legno chiamato "casa".
Entrò cauto cercando di non ferirsi in qualche strano oggetto.
Katy era seduta in salotto, più che altro su una poltrona ormai cadente. Stava fumando la sua solita canna e aveva lasciato sul pavimento davanti a lei una serie di mozziconi.
I suoi capelli rossi, raccolti come sempre in una strana acconciatura, erano illuminati da una luce che proveniva da chissà quale buco nel soffitto. Newt le passò davanti senza una parola e fece per raggiungere la sua "camera".
"Com'è andata oggi a scuola?" la voce roca di Katy ruppe il silenzio come si erano rotte le finestre di quella casa.
Il biondino non si girò, troppo spaventato a mostrarle la sua faccia disfatta dai pugni.
"Bene." disse solo questo prima di andarsene.
La porta di camera sua che si chiudeva dietro la sua schiena fu l'ultimo suono che si sentì per il resto della serata.
Newt prese il suo sacco a pelo e si posizionò nel suo solito angolino.
Si ritrovò a pensare agli avvenimenti del giorno precedente e delle tante bugie che aveva detto il giorno stesso.
Era felice come non mai, eppure stava piangendo.
Perchè?
Pianse in silenzio, come aveva sempre fatto.
Ascoltava il battito del suo cuore e i suoni inquietanti che quella casa emetteva.
Sentiva le lacrime rigargli il volto e il pavimento freddo sotto il suo corpo.
Una serie di emozioni differenti lo travolse: paura, felicità, odio, amore.
Il desiderio di scappare si fece di momento in momento sempre più forte.
Si ripromise che non sarebbe più tornato in quella casa. Avrebbe anche detto a Thomas la verità, perchè quel ragazzo la meritava.
Dopo aver fatto queste due cose sarebbe tornato alla normale vita di sempre : lui solo e gli altri con una vita felice.
Mentre le ultime lacrime scendevano dai suoi occhi, cadde in un sonno infestato dai suoi incubi più grandi.







A/N : note dell'autrice:
Salve pivelli!
ci ho messo un po' ma alla fine ecco qui il primo capitolo. Spero sia interessante e che vi faccia venir voglia di seguire la mia storia.
Ringrazio come al solito le Culopesche che mi sopportano sempre e sono pronte a darmi consigli, soprattutto Ele (tvb).
Ringrazio tutti coloro che recensiranno o seguiranno questa storia, è molto importante per me.
Con questo è tutto, aggiornerò la settimana prossima o qualche giorno dopo bc scuola.
Baci,

Dalia

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2/I'm broken when i'm open ***


-"E' inutile che piangi. Le tue lacrime non servono a niente. Tu non servi a niente. Hai capito Newt?" -


Erano passati tre giorni dall'infermeria, dall'incontro con Thomas, dall'espulsione di Janson.
La vita di Newt era migliorata in molti fronti, tra cui l'arrivare a casa senza qualche centinaia di lividi, ma era diventato solitario addirittura più del solito.
Da quel fatidico giorno, per quanto Thomas provasse a conoscerlo più a fondo, il biondino trovava sempre qualche strana scusa per andarsene e lasciava l'altro ragazzo con uno sguardo deluso e triste.
A Newt si spezzava il cuore ogni volta che lasciava il suo quasi amico con quell'espressione, ma non poteva rischiare che il bruno finisse in qualche situazione orrenda.
Come aveva previsto le sue giornate divennero più solitarie e fredde, nonostante fosse primavera inoltrata. Il suo migliore amico, Minho, era da poco ritornato a scuola dopo una lunga febbre e la sua presenza non era per niente passata inosservata. In tutta la scuola, grazie a lui, era tornata a farsi sentire la risata nei corridoi e gli urli dei professori dopo che il coreano faceva qualche stupido scherzo.
Dopo la fine di chissà quale lezione, Newt si diresse silenzioso a casa senza rivolgere una parola a nessuno.


- Era un angolo freddo. Più freddo del suo cuore, ormai troppo spezzato per continuare a battere.
Il profilo del suo piccolo corpo era adagiato in quell'angolo, spinto contro, fino a diventare un tutt'uno. Le sue gambe erano strette contro il petto come scudo. Uno scudo non da usare contro bestie antiche o demoni, ma di difesa contro se stesso. E tremava, così tanto da far tremare l'intero stanzino dove si era rifugiato.
"Devi nasconderti." continuava a ripetere a se stesso. "Hai già rovinato la vita di qualcuno, vuoi continuare a farlo?"
Le voci persistevano nella sua testa.
"Vuoi distruggere tutto come solo tu sei capace?" NO.
"Vuoi davvero permettere che qualcun'altro finisca nel buio per colpa tua?" NO.
"Allora nasconditi"
E così fece, come il suo subconscio continuava a urlargli, si nascose.
E rimase lì.
Per molto tempo, troppo tempo.-


Ogni giorno di scuola era la solita routine noiosa, ormai nemmeno gli scherzi di Minho riuscivano a far ridere Newt.
Il biondino restava nella biblioteca che era sempre stato il suo luogo preferito. Passava le giornate tra i numerosi scaffali pieni di libri e poi ne prendeva decine a caso e passava il pomeriggio a leggere gli strani romanzi: leggere era l'unica cosa che faceva sentire Newt a casa.
Amava entrare in un mondo diverso e annegare nella vita di ragazzi che magicamente diventavano eroi. Gli dava la speranza che anche lui un giorno avrebbe fatto qualcosa di veramente importante, che anche lui sarebbe diventato un eroe.
La campanella ruppe il confine tra il mondo fantastico in cui Newt stava vivendo e lo riportò alla noia del mondo reale.
Attraversò silenzioso e invisibile i corridoi della scuola fin quando non si fermò, un'espressione scolvota sulla faccia. In fondo al corridoio stava l'unica persona che Newt non si sarebbe aspettato, e non avrebbe voluto incontrare in quel momento.
Janson aveva la stessa aria di sempre, arrabbiata. Eppure qualcosa nei suoi occhi era cambiato, c'era più odio di quanto Newt avesse mai visto e questa cosa gli fece venir voglia di correre il più veloce possibile. Anche perchè il ragazzo più grande lo stava squadrando da lontano come un cacciatore punta la sua preda.
Newt si mise a correre.
"E' inutile che corri Sangster. Non puoi andare molto lontano!" sentì Janson stargli dietro un po' troppo vicino, il suo respiro si fece man mano sempre più affannato e seppe che sarebbe stato raggiunto.
Volle quasi arrendersi quando Thomas si fermò di fronte a Janson e gli piantò un pugno in faccia. Quest'ultimo perse l'equilibrio e rimase per terra con il sangue che gli fuoriusciva dal naso, una faccia che poteva far intimidire il diavolo in persona.
"Credo di averti già ripetuto che devi stargli alla larga. Dovevo essere più chiaro?" la voce di Thomas era dura, come non lo era mai stata. Newt ne fu quasi spaventato. Il ragazzino tutto sorrisi e dolcezza, sembrava ora la reincarnazione di Janson. Si chiese se questa parte dell'amico fosse sempre stata lì, sotto quella corazza di gentilezza.
Janson si alzò da terra e guardò Newt con odio.
"Continua pure a farti difendere da sto qua. Frocetto." una risata maliziosa uscì dalle sue labbra, seguita da quella di tutte le persone che stavano assistendo.
Newt se ne andò appena vide la figura del bullo sparire.
"Newt, ehi." Thomas provò a fermarlo ma il biondino gli riservò uno sguardo ferito prima di andarsene.

-"Quel ragazzo è un mostro, lo avevo sempre detto. non avremo mai dovuto permettergli di uscire di casa. E' un male per tutti." la voce di sua madre era fin troppo spezzata per non capire che stava piangendo.
Newt stava dietro la porta della cucina della casa del suo vecchio amico.
Un'aria cupa e di tristezza riempiva le pareti di quella casa, e in qualche modo il ragazzino capì che era colpa sua.
Dietro alla porta di legno sua madre e lo zio Charlie stavano litigando. Non una litigata dove ci si riempie di insulti e si finisce per non risolvere niente, una litigata triste e piena di rimorso per quello che si sarebbe e non si sarebbe dovuto fare, con lui.
"Katy non potevamo saperlo. E' soltanto un bambino. Non è nè colpa tua nè colpa sua. E' stato il fato a deciderlo." lo zio Charlie sembrava molto più calmo della madre. Loro erano sempre stati così: quando la mamma sbagliava, Charlie era pronto a farle tornare il buon senso per farla calmare. Avevano una di quelle relazioni dove ci si completa a vicenda.
Lo zio era diventato come un padre per Newt, e gli prestava molta più attenzione dell'imbranata sorella.
Ora la sua famiglia stava lì a piangere per lo sbaglio che era il bambino che avevano cresciuto. "Fato, sempre a lui dai la colpa. Quel ragazzino di sicuro non uscirà più di casa." ora Katy sembrava aver finito le lacrime, sostituite da rabbia e odio.
Newt corse via nel bosco, stanco di sentire le persone ricordargli che era un mostro.-


Dopo aver preso le sue cose dall'aula di scienze, Newt si fece strada verso l'uscita della scuola. Una serie di occhiate lo circondavano e Newt si sentì sprofondare nella vergogna e nella rabbia.
La causa di quegli sguardi si materializzò di fianco a lui e lo guardò con una faccia da "mi voglio scusare con te, ma non capisco il problema".
Newt aveva imparato a conoscere Thomas e ormai aveva capito che era un ragazzo perennemente confuso, come se ciò che succedesse intorno a lui fosse solo una coltre di nuvole.
"Guardami." Thomas lo prese per il braccio e, non appena ebbero superato le porte della scuola, lo spinse contro un muro lì di fianco.
"Perchè non vuoi parlarmi?" Thomas aveva una voce ferita e dura allo stesso tempo. Teneva Newt stretto contro il muro e nonostante il biondino provasse a liberarsi, il ragazzo era molto più forte di lui.
"Lasciami andare!" Newt continuò a dimenarsi senza successo. Thomas a quel punto lasciò la presa e guardò Newt dritto negli occhi.
"Ho fatto qualcosa di sbagliato Newt? Perchè mi sembra di averti sempre aiutato." Thomas aveva recuperato quel tono che prima aveva spaventato il biondo e ora quest'ultimo si ritrovò a sospirare e decise di mettere un punto a questa storia.
"Ascolta, non devi essere sempre pronto a salvarmi Thomas. So cavarmela da solo e per lo più non mi conosci neanche, quindi vorrei che non mi stessi più tra i piedi." Newt alzò lo sguardo dal suolo e sentì il corpo di Thomas allontanarsi sempre di più dal suo. Uno sguardo sempre più cupo e arrabbiato.
"Quello che ho fatto, l'ho fatto perchè mi interessa di te e volevo tenerti al sicuro. Come puoi dirmi queste cose dopo che ti ho salvato?"
"E' questo il punto Thomas. Non voglio essere salvato, non da te e non da nessun'altro. Quindi lasciami in pace!" Sta volta Newt aveva urlato e la piccola folla di studenti che stava intorno si girò nella sua direzione, perplessa.
Newt corse via e lasciò Thomas davanti a un muro vuoto.
Il biondino andò nell'unico posto dove sapeva che non l'avrebbero trovato.


 -Newt aveva appena compiuto 3 anni,quando mamma Katy lo prese dall'orfanotrofio per accudirlo.
 La città era sempre la stessa, fredda e vivace allo stesso tempo.
 La casa non era di certo come Newt se l'aspettava, ma era pur sempre meglio di quella stanza bianca dove dormiva prima.
Aveva impiegato poco tempo ad intregarsi nella scuola, era un bambino vivace e simpatico dopotutto. Ebbe subito un grande gruppo d'amici. Ma il suo più grande amico era di sicuro Alby.
Il ragazzo di colore era stata la prima persona a parlare al biondino, da allora ogni giorno andavano nel bosco a giocare.
Avevano persino costruito un rifugio e si erano promessi che sarebbe stato il loro posto, per sempre.
Alby viveva in una villa nella periferia di Saltaire, molto vicino al bosco. Suo padre, infatti, era cacciatore da più di vent'anni e vantava di preziosi trofei di caccia.
Molte volte non gli era permesso girovagare nel bosco per via di qualche animale che suo padre doveva cacciare, ma Alby e Newt avevano sempre trovato un modo per stare insieme e divertirsi.
Col passare degli anni, i due bambini diventarono ragazzi, ma mantennero sempre la loro amicizia salda.
Il loro rifugio nel bosco diventò una casa sull'albero di cui entrambi andavano fieri.
"Promettimi una cosa Newt.. quando saremo grandi, facciamo in modo che la nostra amicizia continui. Voglio dimostrare alle persone che esiste un piccolo per sempre nella vita di tutti."
"Te lo prometto Alby."
Con questa promessa i due ragazzi cercarono di fare il possibile per realizzare il loro per sempre.-



La casa sull'albero si era ormai quasi del tutto distrutta ma Newt volle entrarci ugualmente.
Le pareti erano ancora come le ricordava: piene di carte di giornale e qualche spruzzata di colore qua e là. Ovviamente l'aria non era più quella di prima.
Le pareti di quella casetta non vedevano una risata da molto tempo. Mancavano gli abbracci, le promesse, la lealtà. Era ormai una casa vuota e Newt odiava vederla così.
Per lui quella casa era il simbolo di ciò che era stato della parte felice della sua vita, della parte della sua vita dove aveva vissuto.
Si sedette sul pavimento della sua casa, della loro casa. E ripensò a quanto dolore nascondevano quelle pareti. Quanto dolore nascondeva Newt.

 -Newt odiava acchiapparella. L'aveva sempre odiata. Non capiva come potesse, un gioco in cui devi toccare qualcuno, essere divertente.
Poi Newt odiava correre. Lo faceva sentire in pericolo. come se dovesse scappare per salvarsi la vita.
Come il biondino odiava questo gioco, era quello preferito di Alby e quindi andava fatto minimo una volta al giorno.
Nonostante fosse delimitato a causa del torneo di caccia, i due ragazzini stavano correndo nel bosco, che diventava sempre più fitto.
Gli alberi, che all'inizio erano pochi e spogli, si facevano ora più numerosi e le loro foglie sembravano far arrivare la notte.
Ormai Newt aveva il fiato corto, mentre Alby era ancora pieno di energie e molto vicino a raggiungere la sua preda.
Dall'inizio della foresta provenì un suono che Newt riconobbe come un corno, che i cacciatori usavano per dare il via alla caccia. Fece per fermarsi per avvisare l'amico del pericolo che potevano correre restando lì, ma poi pensò che erano troppo lontani perchè li raggiungessero.
All'improvvisò Newt sentì uno sparo, molto vicino. Si girò come a rallentatore e vide l'amico accasciarsi al suolo, un fiume di sangue che gli fuorisciva dal petto. Da lontano potè scorgere il mittente di quella pallottola, che se ne andava, deluso di non aver preso niente, almeno non un animale.
In un baleno fu di fianco ad Alby che cercava di fermare il sangue con le mani, inutilmente. Newt iniziò a tremare non sapendo cos'altro fare se non rincuorare l'amico.
"Alby, guardami." prese il viso del ragazzo fra le mani per unire i loro occhi marroni.
"Alby, non so cosa fare, cosa devo fare?" iniziò a piangere, guardando ovunque, come per trovare una miracolosa cura.
"Newt,resta con me. Non andare via. Chiama mio padre." Alby era ormai allo stremo delle forze e il sangue che fuoriusciva dalla ferita aumentava sempre di più.
"Non posso farcela. Non posso." Newt si alzò e si guardò intorno come un pazzo, poi si rivolse all'amico e gli disse quelle che sarebbero state le loro ultime parole:
Mi dispiace."
Con queste parole Newt corse via, il più lontano possibile.
Si coprì le orecchie quando sentì l'amico urlare, non per il dolore al petto, ma per quelle parole che erano valse mille pallottole.
E Newt continuava a correre.-


Avrebbe smesso di correre un giorno.
I mostri non corrono. Si nascondono.
Lui è un mostro, ed eccolo lì nel bosco a ricordare di come aveva spezzato il loro per sempre. Di come il ragazzo vivace e simpatico era ora diventato triste e solitario. Ma se lo meritava.
Ricordava ancora la frase che sua madre gli aveva detto quando lo aveva visto piangere, prima di smettere di parlargli : "E' inutile che piangi. Le tue lacrime non servono a niente. Tu non servi a niente. Hai capito Newt?"



A/N: note dell'autrice:
Salvee a tutti
Eccomi di nuovo con il capitolo 2, vi chiedo già scusa per la tristezza di questo capitolo ma era inevitabile.
Spero che vi piaccia comunque.
Ringrazio prima di tutto Chiarettta (non c'è su EFP ma tvb) che mi ha amorevolmente odiato per aver fatto del male ad Alby, sorry.
Ringrazio poi Ele che come al solito mi aiuta tantissimo, grazie moglie <3
Ovviamente anche le altre Culopesche sono importanti.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno, recensiranno o altro. Grazie.
ci si vede la settimana prossima,
Baci,

Dalia

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3/Never together ***


L'aria era densa, fitta, fredda.
Il corpo di Newt stava man mano diventando sempre più freddo: non riusciva a sentire le dita delle mani e dei piedi.
Non si era mosso di un centimetro dal pomeriggio prima e quella notte aveva fatto un freddo glaciale, la sua t-shirt di cotone non aiutava di certo a fargli tornare un colorito normale.
Potè scorgere della luce e capì che era ormai mattina, non aveva chiuso occhio e iniziava a sentirsi debole.
Sentì il rumore delle foglie che si schiacciano, dei passi. Eppure nessuno entrava nel bosco a quell'ora di mattina.
A un certo punto una figura esile, che riconobbe come sua sorella, fece capolino dalla porta della casetta e lo guardò con uno sguardo sarcastico e preoccupato allo stesso tempo.
"Non ti ho detto che non si esce da soli nel bosco?" Sonya sorrise e tese una mano verso il fratello più piccolo che la prese volentieri, sentendo finalmente ritornare la vita nel suo corpo.
Si tennero stretti per tutto il percorso fino a casa della sorella, lei era l'unica persona che avesse mai mostrato interesse e amore per il ragazzo.
Newt adorava Sonya: nonostante non fosse proprio sua sorella, i due erano sempre stati molto uniti. Anche lei era rimasta all'orfanotrofio perchè i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto, ma a differenza sua la madre di Sonya era sempre stata una donna gentile e amorevole verso la figlia.
Abitavano a due isolati di distanza e ora Sonya aveva una casa tutta sua, dove a volte Newt restava per diversi giorni. Non che alla ragazza dispiacesse, quei due erano diventati davvero fratelli. Condividevano tutto, e per Newt lei era diventata l'unica persona di cui si potesse fidare. Sonya riusciva a far tornare il ragazzo simpatico e vivace che si nascondeva in Newt, e non poteva che esserne felice.
Raggiunsero la casa della ragazza: si trattava di una piccola villetta a schiera, mattoni colorati e vasi di fiori la decoravano e sembrava che fosse sempre primavera. Newt pensò che quella casa rifletteva perfettamente il carattere della sorella, colorato, perfetto.
L'interno della casa era come l'ultima volta, ordinato e vivace come il resto. Il biondino amava ogni parte di quella casa, lo faceva sentire in uno di quei libri che lui tanto amava, perchè era tutto tremendamente a posto. Nella sua vita niente era mai stato a posto.
La ragazza si sedette sul divano verde mela e fece segno al fratello di unirsi a lei. Quando di sedette avvenne quello che Newt sperava che non avennisse: il momento delle spiegazioni.
"Newt, tu lo sai che ti voglio bene?" la voce di Sonya era dolce e intenta a ricevere risposte. Il ragazzo annuì leggermente lasciandola parlare.
"E lo sai che ci tengo a sapere come stai?" Newt annuì di nuovo e si preparò alla domanda che stava per ricevere.
"Cosa ci facevi nella casetta Newt? Dimmelo con calma." la ragazza si posizionò meglio sul divano e iniziò a mangiarsi le unghie, cosa che fa ogni volta che è nervosa. Newt si grattò il naso e tirò un grande sospiro prima di iniziare a parlare.
"Mi hanno quasi picchiato a scuola, un ragazzo che non conosco li ha fermati. Lui mi piace, ma non voglio che finisca come... come.. lo sai." la voce gli si spezzò in gola e una piccola lacrima fece per scendergli sulle guancie, ma la sorella la asciugò via.
"Newt, solo perchè sei stato coinvolto in un grave incidente questo non fa di te un assassino o un mostro. Se questo ragazzo ti piace devi stargli vicino senza aver paura di quello che gli altri ti diranno." la ragazza lo avvicinò sempre di più, pronta ad abbracciarlo.
"Non tutti la pensano come te Sonya, non mia madre, non i miei compagni. Loro mi odiano." questa volta Newt pianse e la sorella lo strinse forte come per proteggerlo da tutti il male del mondo. Questa era l'intenzione.
Rimasero così per il resto della serata, uniti contro il mondo. Erano una valanga di emozioni che venivano liberate, rimaste chiuse per troppo tempo.

*********************************************************************************************************
(Thomas POV)


Odiava vedere Newt correre via.
Voleva inseguirlo, prenderlo, abbracciarlo, salvarlo.
Quel ragazzo era come un enigma che nessuno riesce a risolvere, ma Thomas desiderava risolverlo più che mai.
L'aveva salvato già molte volte eppure il ragazzo non faceva che allontanarsi da lui. Questo ragazzo non faceva che incuriosire Thomas e ogni volta che lui si allontanava per lui era un motivo in più per avvicinarsi.
Quando il biondino era corso via chissà dove giusto poco tempo prima, il moro era rimasto con un senso di vuoto e il cuore a pezzi. Ma non avrebbe permesso a un'attimo di indecisione di separarlo da Newt.
Decise, quindi, di raggiungerlo a casa sua per vedere come stava il ragazzo e per chiedergli scusa di averlo spiazzato in quel modo. Sperava che così sarebbero potuti diventare amici, almeno per ora.
Raggiunse l'enorme villa bianca e suonò diverse volte prima che usa signora sulla trentina gli aprisse la porta. Dei lunghi capelli neri le ricadevano sulle spalle, era minuta e in generale una bella donna.
"Posso aiutarti" chiese la donna educatamente.
"Si, sto cercando Newt. E' in casa?" La donna fece una faccia alquanto sorpresa e confusa.
"Newt? Perchè dovrebbe essere qui? Non credo che sia mai venito a casa mia in effetti." Thomas spalancò la bocca e rimase fermo per vari secondi, prima di scappare, lascando la donna ancora più confusa di prima.
Prese il telefono di corsa dalla tasca, quasi facendolo cadere e premette sul numero di Newt.Non sentì nulla dall'altro capo della linea a parte la segreteria che indicava che il ragazzo aveva il cellulare spento. Imprecò contro il cellulare e decise di chiamare l'unica persona conosciuta che sapeva dove poteva trovarsi Newt: Minho.
Dopo solo due squilli il coreano rispose, il suo solito buon umore si poteva sentire attraverso il cellulare.
"Yo Thomas, dimmi tutto amico." Thomas lo volle picchiare ma cerco di rispondere il più amichevolmente possibile.
"Minho, mi serve il tuo aiuto. Sai dov'è Newt?"
"Newt? Dovrebbe essere a casa."
"Si, puoi dirmi dove abita?'" Silenzio. Minho non rispose per diversi minuti. Poi sospirò e si decise a parlare.
"Non dovrei dirtelo. Dalla casa che ti ha mostrato devi andare avanti di tre isolati e poi giri a destra. La prima casa distrutta che vedi e la sua."
Distrutta? Thomas rimase colpito da quelle parole e decise di finire lì quella conversazione e preoccuparsi del biondo.
"Grazie,Minho." chiuse di corsa la chiamata e si precipitò tra le strade seguendo le indicazioni.
Arrivò davanti a una casa distrutta, più che altro un rudere.
Thomas rimase a bocca aperta, ora capiva perchè Newt gli aveva mostrato la villa perfetta con la famiglia perfetta. Perchè lui non aveva entrambe le cose. Si sentì terribilmente in colpa verso il ragazzo e il desiderio di trovarlo si fece sempre più forte.
Si avvicinò alla porta storta di quella casa e bussò piano, spaventato dal distruggerla.
Una donna aprì la porta, il moro non potè credere ai suoi occhi quando vide con chi viveva Newt. Il senso di colpa cresceva.
"Scusi, c'è Newt in casa? Sono un suo amico."
"Newt non ha amici." lo bloccò subito la donna, "non deve averli, non dovresti essere qui. Vattene ragazzo." fece per chiudergli la porta in faccia, quando Thomas la fermò.
"La prego, mi dica solo dov'è." cercò, tramite la sua espressione preoccupata, di spingere la donna a rispordergli.
"Nel bosco, è lì che va quando ha dei problemi. Lui scappa. Lo fa sempre, è meglio che tu lo sappia, dato che sei suo amico." detto questo la "madre" di Newt chiuse la porta e tornò nell'oscurità di quella casa inquietante.
Thomas rimase davanti a quella casa per vari minuti pensando alla vita di Newt, a come aveva fatto a sopravvivere a tutto quello. Poi corse verso il bosco, senza sapere dove andare.
Corse e corse.
Un miglio, due, e così via. Il cuore gli si stringeva in petto.
"Newt" questo pensiero gli dava forza.
Perchè se Newt era sopravvissuto a tutto quello, Thomas sarebbe dovuto sopravvivere per salvarlo, per farlo tornare a una vita normale, con una casa normale e delle persone che lo amano.
Corse come se la sua vita dipendesse da quello.
Il bosco diventata sempre più fitto, un po' troppo.
A un certo punto smise di correre, e si guardò intorno e vide il nulla.
Alberi, foglie, nient'altro lo circondava.
Il rumore del vento, l'aria fredda che iniziava a sentirsi, ogni minuto diventò un'ora.
Iniziò a girarsi intorno capendo che non sarebbe più riuscito a uscire da lì.
L'ultimo suo pensiero fu :"Newt,ti prego."
Poi buio.




A/N: note dell'autrice.
Ehilàà
Eccomi di nuovo qui con un giorno d'anticipi :3
Questo capitolo mi ha messo molta difficoltà e spero che sia bello e che attiri interesse.
Come al solito ringrazio le mie culopesche e chiara che leggerà questo capitolo per forza (penso sempre a te eheh)
Ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia.
Baci e newtmas per tutti.

Dalia

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4/That bloody guy ***


- Goccie, pioggia, lampi, tuoni.
  Lacrime, pianti, tremiti, urla.
  Thomas era una tempesta: arriva lentamente ma poi distrugge il territorio su cui passa.
  Non importava che avesse tutto, non importava che la sua vita sembrasse la migliore di tutte.
  Sembrava,infatti. Perchè era l'esatto contrario.
  *
  Crepe sui muri della sua stanza. Quante volte aveva passato le sere a tirargli pugni, in qualche modo la violenza lo aiutava.
  Quando colpiva quel muro immaginava suo padre, sua madre. Chiunque gli stesse rovinando la vita.
  "Se la vita è fatta per vivere, Thomas, perchè alla fine si muore?" era stata sua sorella a fargli quella domanda e ancora lui non trovava risposta.
  Un pugno, suo padre e il suo fantastico modo di nascondere le armi.
  Un secondo pugno, sua madre e la sua incessante voglia di spendere soldi in qualche nuovo gioco.
  Un terzo, perchè si muore?
  Rispondi Thomas.
  "Perchè non si vive mai realmente." -   


Tutte le storie che si sentono sui boschi sono vere.
Il buio, la sensazione di essere seguiti, il vento che soffia come se parlasse, gli alberi tutti dannatamente uguali.
A Thomas sembrò di girare intorno da più di tre ore. In effetti era così.
Aveva visto lo stesso albero più o meno dieci volte. Ma non volle arrendersi.
Doveva tornare indietro. Doveva tornare da Newt.
Continuò a pensare a lui, ai suoi occhi neri e profondi, ai suoi capelli così luminosi da far invidia al sole.
Ogni suo passo diventava un passo in più verso di lui.
Doveva farcela.
*
Una sirena.
Nonostante fosse lontanissima Thomas potè sentire quel suono fastidioso e piacevole, in quel momento.
Si fermò.
Il suono vicino, sempre più vicino.
Le sue gambe si mossero da sole e in un attimo stava correndo verso quel suono.
Voleva soltanto andarsene da lì.
Una figura, che riconobbe come lo sceriffo si avvicinò a lui e lo fece riprendere fiato.
"Ehi, ragazzo. Calmati. Ora ti portiamo in centrale e chiamiamo tua mamma, va bene?"
"No,no. Mia madre no. Io devo andare da Newt." Thomas respirava appena, la gola stretta, il cuore che batteva all'impazzata, un espressione a dar paura sul volto.
"Mi dispiace, ma vieni in centrale con noi." lo sceriffo lo prese per un braccio e lo indirizzò verso la macchina, per poi farlo salire.
*
La centrale era il solito caos degli altri giorni: migliaia di persone correvano da una parte all'altra delle stanze cercando di risolvere chissà quale caso.
Thomas rimase colpito dalla quantità di incidenti che avvenivano in quella città che per lui era sempre risultata la meno pericolosa della Terra.
Lo sceriffo continuava a spingerlo per il braccio cercando di passare in mezzo a quella tormenta di persone.
Arrivarono al rispettivo ufficio dell'uomo e quest'ultimo fece accomodare Thomas su una poltrona, dopodichè si sedette esattamente davanti a lui, pronto per iniziare l'interrogatorio.
"Allora, prima di tutto puoi dirmi il tuo nome?" lo sceriffo, Mr. Robson secondo la targetta sulla scrivania, si sedette comodo e appoggiò i piedi su una pila di fogli. "Thomas"
"Bene Thomas, vuoi dirmi cosa ci facevi nel bosco alle sei di mattina?"
Thomas restò in silenzio per qualche minuto. Cosa poteva rispondere?
Ero nel bosco a cercare un mio amico che si nasconde lì.
No, non poteva rivelare il posto segreto di Newt.
Optò quindi per una sensata bugia.
"Volevo cacciare."
Il signor Robson non sembrò crederci, e in effetti Thomas poteva capirlo, era una bugia orrenda.
L'uomo arricciò le sopracciglia e sospirò.
"Thomas, lo capisco quando qualcuno dice una bugia. Diciamo che per questa volta lascio correre e lascerò a tua madre il compito di rimproverarti. Sta giusto arrivando."
Thomas strinse i pugni e trattenne le lacrime.
Quanto avrebbe voluto che Newt fosse lì in quel momento.

"Thomas! Lascetemelo vedere. THOMAS!!"

Il brunetto si girò e lo vide.
Newt stava spintonando diversi agenti che non volevano farlo entrare.
Urlava il suo nome ripetutamente e non si arrese neanche un momento.
"THOMAS!" per quanto il biondino si divincolasse gli agenti non lo lascavano passare.
I loro occhi si incontrarono per un istante e Thomas fece intendere che era felice che fosse lì per lui.
Era la prima volta che qualcuno cercava Thomas.

***********************************************************************************************************

(Newt POV)
"Esci"
"No!"
Era quasi un'ora che Sonya e il suo stupido fratello andavano avanti a urli attraverso a una porta.
Newt si era chiuso in camera e non sembrava aver alcuna intenzione di uscirne.
L'aria all'interno della stanza era pesante e piena di tristezza.
Il biondino era rannicchiato in posizione fetale tra le coperte. Serrande chiuse e l'oscurità che riempiva la stanza.
La sorella stava quasi per rinunciare a riportare il ragazzo alla vita, ma gli voleva troppo bene, quindi adottò l'unica tecnica a cui Newt non poteva restistere.
"Newtie" la sua voce si fece più bassa e dolce. "Se esci ti preparo i pancake che ti piacciono tanto."
Newt aprì un'occhio risvegliato dall'idea di mangiare i perfetti pancake della sorella. Decise di farla finita di deprimersi e di godersi una colazione decente.
Aprì la porta e subito la ragazza gli saltò addosso, abbracciandolo forte.
"Sapevo che sarei riuscita a farti uscire, brutto scemo." gli stampò un bacio sulla guancia e poi scese a preparare la colazione.
Newt accennò un sorriso sulle labbra e la raggiunse.
Mangiarono colazione come fanno le coppie a San Valentino, con la differenza che non erano una coppia e che non festeggiavano niente, a parte la loro felicità.
"Perchè non esci e vai da quel tuo Thomas?" Sonya fece il suo solito sorriso malizioso e Newt volle picchiarla.
"Prima di tutto, lui non è mio. Seconda cosa, non ne ho voglia."
Sonya ne aveva abbastanza del fratello depresso, gli tirò una maglia pulita e lo spinse fuori dalla porta di casa gridando un ultimo "Divertiti!"
*
Newt camminava per la lunga via di casa, cercando un posto tranquillo dove stare.
Avrebbe voluto chiamare Thomas, ma qualcosa nella sua testa gli diceva che non era la cosa giusta da fare.
Aveva più volte accesso e spento il telefono nel tentativo di farlo, e ogni volta finiva con una vocina nella testa che gli diceva "No."
Camminava a passo lento, in direzione del bosco. L'unico luogo veramente suo.
Ad un certo punto sentì l'auto dello sceriffo nei paraggi e seguì l'orrendo suono che la sirena emetteva.
Vide solo due cose: Thomas che usciva, in un pessimo stato, dal bosco; e lo sceriffo che lo portava alla macchina, portandolo via.
Era accaduto tutto così velocemente che Newt non aveva avuto il tempo di reagire.
All'ultimo momento gli venne l'idea di seguire la macchina per vedere cosa stava succedendo.
Sperò che non fosse nulla di grave. Thomas doveva star bene.
"Thomas, ti prego"
*
Era la prima volta che Newt faceva questo genere di cose per qualcuno.
Ormai aveva deciso di restare calmo su una sedia aspettando che rilasciassero Thomas. Sarebbe stato comunque impossibile incontrarlo prima.
La gente attorno a lui lo fissava sconvolta.
Poco prima infatti il biondino aveva preso a pugni un paio d'agenti che lo avevano bloccato dal suo cammino verso Thomas. Non se ne pentiva.
Se ne stava seduto con la testa bassa e un sorrisetto sulla faccia.
Era riuscito a scambiare un'unico sguardo con Thomas, ma era valso più di mille parole. Lui stava bene, grazie a Dio.
A un certo punto una donna sulla trentina, capelli corti e neri, viso duro e quasi mascolino, entrò nella stanza e l'accompagnarono verso la stanza di Thomas.
Newt capì che si trattava della madre.
La donna entrò nella stanza e da lontano Newt potè vedere la tensione nei muscoli di Thomas e la durezza nei lineamenti della madre.
Non sembravano avere un buon rapporto.
Avrebbe voluto esserci lui con Thomas, a dargli forza.
Dopotutto, il brunetto era andato nel bosco per colpa sua.
Newt restò a guardare il dibattito fra i due grattandosi il naso, impaziente di vedere uscire Thomas.
*
L'attesa si faceva ogni secondo più lunga.
La stanza ora era quasi vuota e nessuno era più lì a fissarlo.
Guardò, stanco, il grande orologio che sembrava scandire lentamente ogni secondo.
Tic, Toc.
Tic, Toc.
Il suo rumore riempiva la stanza e andava in sincronia con i battiti del cuore di Newt.
Tic,Toc.
Una porta di una stanza si aprì, la sua stanza.
Newt saltò in piedi e guardò il brunetto uscire dalla stanza.
Due grosse occhiaie gli incorniciavano gli occhi, sembrava distrutto.
Appena arrivò vicino a Newt, quest'ultimo gli corse in contro e lo abbracciò.
Thomas rispose subito all'abbracciò, era allo stesso modo felice di vederlo. Restarono così per vari minuti e poi si guardarono sorridendosi.
"Sei stato qui tutto il tempo?" Thomas sembrò non crederci, dopo l'ultimo loro incontro.
"Si, dovevo in qualche modo farmi perdonare per il mio pessimo carattere"
Risero. Ed era il suono più bello che aveva sentito in quella strana giornata.
A spezzare quel momento perfetto fu la madre di Thomas.
"Ora andiamo a casa." disse prendendo il moro per il braccio, nonostante lo sguardo d'odio che il ragazzo le stava lanciando.
Thomas guardò un'ultima volta Newt e gli sorrise, sparendo poi dalla sua vista.
Newt sentì improvvisamente una sensazione di solitudine.
Mai in vita sua aveva desiderato la presenza di qualcuno vicino a lui.
Thomas lo stava cambiando. In meglio.





A/N: note dell'autrice:
Ciaaao pivelli,
come state?
nonostante la pila di cose che ho dovuto fare, ecco qua il capitolo. Spero cha vada bene perchè non ho avuto consigli da nessuno
quindi se ci sono errori non abbiate paura a farli notare.
Spero che piaccia la continuazione della storia, ringrazio tutti coloro che seguono, recensiscono e aggiungono ai preferiti questa storia.
Ringrazio as always le culopesche del mio cuore.
Baci a tutti,

Dalia

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5/Now i'll never leave you ***


Quando penso alla felicità mi viene in mente il Natale.
E' risaputo che a Natale si è tutti più buoni: le persone con dei conti in sospeso li dimenticano, tutti i litigi, le parole orrende che si dicono giorno per giorno; ogni lato brutto della vita sparisce, rimpiazzato da un caloroso sorriso sul viso di tutti quanti.
No, non era Natale. Ma per Newt era come se lo fosse.
Di solito il Natale di Newt si limitava a una serata di film con Sonya, ma anche se può sembrare poco, per lui rimaneva la festa migliore.
Negli ultimi giorni il biondino si era sentito stranamente felice. Sorrideva a chiunque e il suo lato freddo e distaccato sembrava essere sparito.
Tutto questo era ovviamente dovuto alla presenza di Thomas.
Ormai passavano quasi ogni giorno insieme. Uscivano, ridevano, erano diventati migliori amici.
Avevano scoperto di avere molte cose in comune e molte di più da aggiungere.
In qualche modo Newt poteva essere se stesso quando era con Thomas, aveva iniziato a fidarsi di lui, e finalmente aveva un amico su cui contare.
Aveva scoperto che Thomas viveva in una grande villa a nord di Saltaire, in pratica dalla parte opposta della casa di Newt.
Comunque per loro non era stato un problema questa distanza, in quanto Sonya si era offerta volontaria ad accompagnarli ovunque.
"Devo sostenere questa vostra relazione, dopo tutto io ne ho dato l' origine" queste erano state le sue parole e Thomas aveva potuto notare il rossore sulle guancie del biondo.
A scuola ormai nessuno aveva più importunato i due ragazzi, e di Janson non si erano avute più notizie.
Newt non entrava nel bosco da un paio di settimane e la necessità di correre via era sparita. D'altronde non voleva rischiare di perdersi e , di conseguenza, far perdere Thomas.
Il biondino aveva anche smesso di vedere la psicologa, e le giornate passate chiuso in camera stavano diventando rare, quasi inesistenti.
Insomma, quelli che erano soltanto giorni qualunque, per Newt erano sempre Natale.

-"Sta migliorando. Thomas è come una medicina per lui. Sono orgogliosa di vederlo così felice, sembra come rinato." lo studio verde acqua della dottoressa Sanders era sempre stato troppo luminoso, come se il colore spingesse le persone a raccontare la propria vita a una sconosciuta.
Sonya non era lì per parlare della sua vita, ma di quella di Newt.
Anche se il ragazzo aveva deciso di smetterla con le sedute, la sorella voleva essere sicura della salute del più piccolo. Proprio adesso che andava tutto così bene, non avrebbe permesso una ricaduta.
"Me ne occuperò io di lui. Non vedrà mai più la madre."
"Sonya, quello che vuoi fare è molto nobile. Ma tu sei come una sconosciuta per lui."
"Legalmente intendo" aggiunse, quando vide la ragazza alterarsi.
"Tu non la conosci, quella donna lo ucciderà. Ne ha già passate troppe. Non le permetterò di rovinarlo ancora."
Perchè non capisce?
Non vede che è una pazza?
Se ne accorgerebbe chiunque.

Sonya si mise a piangere. Odiava non poter salvare il fratello.
"Lo terrò con me. Ad ogni costo."
Sbattè la porta dietro si sè e la dottoressa potè sentire un'ombra di tristezza, nonostante la stanza fosse luminosa come sempre.-

***************************************************************************************************************************************************************************************
UN MESE DOPO

Bellezza.
E' normale pensare che il proprio migliore amico sia bello? Non credo.
Eppure guardatelo. I capelli tutti spettinati, il viso ricoperto da piccoli nei, il naso all'insù. Tommy è semplicemente perfetto.
Per non parlare del suo fisico. Ok Newt, basta.


La campanella risuonò nella testa di Newt e lo riportò nel mondo dei vivi, dove la sua bocca aperta e lo sguardo fisso su Thomas erano stati, non poco, notati.
Si rimise subito in una posizione normale, sperando di non ricevere ochhiate da nessuno, specialmente da Thomas.
Uscirono da scuola insieme e , come al solito, Thomas accompagnò Newt a casa.
Parlarono delle solite stupidaggini e Newt si ritrovò più volte a fissare le labbra dell'amico.
Calmati Newt.
"Newt!" Thomas gli passò una mano davanti agli occhi. "Ehi! Mi stavi ascoltando?"
"Si Tommy." Newt potè notare lo sguardo ferito che si era formato sul volto del brunetto dopo che aveva detto questa bugia.
"In realtà no, scusa sono molto stanco. Vado da solo a casa, okay?Ci sentiamo per telefono." si scambiarono uno dei loro soliti abbracci e poi il biondino camminò di corsa verso casa.
Non salutò nemmeno Sonya e si chiuse in camera, stordito.
*
Non può piacerti così tanto, Newt.
Fai attenzione, ti stai innamorando.


Newt si sentiva strano. Quella che prima era una bella sensazione di fianco a Thomas, ora era un continuo imbarazzo e sguardi in posti dove non dovevano andare.
Il suo cuore perdeva un battito anche solo al suono della voce dell'amico, e tutto ciò stava diventanto strano. Sbagliato, forse.
Sbloccò il cellulare e vide innumerevli chiamate e messaggi da parte di Thomas.
"Newt, tutto okay?"
"Perchè non mi rispondi?"
"Newt, mi sto preoccupando."
"Okay, sono da te in un minuto."

Non fece neanche in tempo a leggere l'ultimo messaggio che la porta si aprì e il brunetto, presente nei pensieri di Newt, entrò nella stanza.
"Newt" gli corse quasi contro. "Non farlo mai più, okay?"
Erano vicini, troppo vicini. Newt poteva sentire il profumo al muschio che emanava l'amico. Adorava quell'odore.
"Non puoi andartene via tutto strano e poi non rispondermi." Thomas continuava a parlargli, gli occhi fissi su quelli del biondo.
"S-Scusami, Tommy." furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, gli occhi che cercavano di guardare ovunque tranne Thomas.
Il brunetto sospirò e si allontanò, dando a Newt la possibilità di respirare.
"A proposito, cosa c'è che non va?" Thomas prese posto su una sedia lì vicino, pronto a comportarsi da papà della situazione.
"Niente Tommy, solo stanchezza."
"Non è solo stanchezza, lo capirei se tu fossi stanco."
Newt alzò lo sguardò e vide Thomas, preoccupato e bello come sempre.
Cosa poteva dirgli?
"Credo di amarti?" No, impossibile.
Thomas lo stava ancora guardano, impaziente, e tutto questo contatto visivo stava per far impazzire Newt.
"T-Tommy, ascolta. Mi sentivo a disagio in quel momento." potè sentire il calore ricoprirgli le guancie e spostò lo sguardo, capendo che quelle parole erano state abbastanza strane e sbagliate.
"A disagio? Con me? Ma se siamo migliori amici?"
Newt non resisteva più e decise di dire ogni cosa, anche a rischio di rovinare la loro fantastica amicizia.
Ma si fermò.
"Scusa, non è niente." non aveva altre parole, ma sapeva che quel discorso non poteva finire così. Lo sguardo di Thomas urlava "spiegazioni" che lui non poteva dare, non ancora almeno.
Non poteva rischiare di rovinare l'amicizia che si era costruita fra di loro. Non poteva svegliarsi la mattina sapendo che Thomas non gli avrebbe parlato a causa della sua stupida cotta. Non poteva perdere l'unica persona che stava diventando così importante per lui.
Non poteva.
Thomas fece l'ultima cosa che il biondo si aspettava facesse, rise.
Rise così tanto che si poteva sentire la tristezza che nascondeva quella risata.
"Ok Newt, penso che oggi ne hai dette di cazzate. E non ti degni neanche di darmi spiegazioni." si alzò e si diresse vero la porta.
"Chiamami quando torni in te."
Newt rimase solo.
In quel momento, sarebbe corso via volentieri.
*
Quattro giorni, 2 ore, 20 minuti e 40 secondi da quando aveva parlato con Thomas l'ultima volta.
L'inverno iniziava a farsi sentire e non solo nella natura ma anche nel cuore di Newt.
Il suo carattere era tornato freddo, confuso, caotico.
Vedeva Thomas per i corridoi, la maggior parte delle volte solo, a rimuginare del loro passato, alcune volte in compagnia di persone, che però lui non sembrava ascoltare.
Si mancavano. Si lanciavano sguardi pieni di voglia di corrersi incontro.
Il tempo che li aveva separati era troppo.
Newt decise che quel pomeriggio sarebbe andato da Thomas, dal suo Tommy. Preferiva raccontare la verità e mettersi in imbarazzo, piuttosto che non averlo al suo fianco.
Appena uscito da scuola corse in direzione di Thomas e lo fermò, spostandolo in un posto più appartato. Gli avrebbe detto tutto.
"Tommy, dobbiamo parlare" si trovavano non tanto distanti dall'ingresso della scuola, ma non c'erano persone vicino a loro. Almeno la figura dello scemo la faceva solo davanti all'indirizzato.
Thomas sembrò inizialmente confuso, ma poi sollevato di poter parlare con Newt.
"Senti, mi dispiace per l'altro giorno. Non intendevo dire che mi sento a disagio quando sono con te. E' che mi sentivo, mi sento, strano. Ogni volta che tu mi sei accanto il mio cuore impazzisce e improvvisamente mi viene voglia di abbracciarti, baciarti. Questo genere di cose non si dovrebbero provare per il proprio migliore amico. Ma io credo veramente di essermi innamorato di te. E' questo mi spaventa, non voglio-"
Quel caos di parole furono fermate dalle morbide e calde labbra di Thomas. Si stavano baciando.
Newt rispose subito al bacio, aveva aspettato questo momento da troppo tempo.
Si baciarono come se non si vedessero da anni, e in effetti per loro era stato così. Si tennero stretti come se potessero sparire da un momento all'altro. Non si lasciavano, per nessun motivo.
Era decisamente il miglior momento della vita di Newt.
Thomas fu il primo a rompere il bacio e fissò il biondo negli occhi, perdendosi in essi.
"Ti amo." quelle parole fecero fermare il cuore di Newt e quest'ultimo pensò che sarebbe morto se non le avesse sentite di nuovo.
"Ti amo." lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo e non aggiunse "anch'io" perchè era come un'obbligazione, spinta dall'urgenza rispondere e non dalla voglia di dire quelle parole veramente.
Restarono lì per molto, contro il muretto della scuola a perdersi nelle loro braccia e nei loro baci.
Erano valsi tutti i quattro giorni della loro attesa.
*
Si diressero verso casa di Newt, che era vuota. Sonya era fuori per lavoro e non avrebbe fatto ritorno fino al giorno seguente.
Camminarono di corsa verso la stanza del biondino, quasi cadendo per le scale data la frenesia del momento.
Newt pensò che, visti dall'esterno, dovevano sembrare una coppia di pazzi innamorati, e in effetti lo erano.
Raggiunsero il letto e ci si buttarono sopra, i loro corpi intrecciati da braccia e gambe.
Continuavano a baciarsi, prima sulle labbra, poi su tutto il viso, poi sul collo.
La situazione si faceva di volta in volta più intima. Entrambi si cercavano da troppo tempo per resistere alla tentazione.
Thomas guardò a lungo Newt per poi togliergli la maglia e dire due parole che Newt non si era mai sentito dire: "Sei bellissimo."
Il biondino diventò di un colorito così rosso che sembrava poter esplodere.
Non fece neanche in tempo a rispondere che la mano di Thomas si fece strada verso i pantaloni. E finalmente arrivò dove Newt stava aspettando.
Tutto l'amore che avevano nascosto l'uno all'altro, venne incanalato in quell'istante. E fu una continua sensazione di piacere.
*
Fidanzato. E' strano sentire questa parola di fianco al nome di Thomas.
Mano nella mano. Poteva abituarsi a quella sensazione.
Ormai non gli importava più degli sguardi dei compagni di classe quando lui e Tommy si baciavano, di vedere sua madre, di pensare a cosa passasse per la testa degli altri.
Ormai pensava solo a lui e Tommy e alla loro fantastica relazione.
Stavano insieme da soltanto una settimana ma era stata decisamente la settimana più bella della sua vita.
Quando vedeva le altre coppie non le vedeva così felici come lo erano loro, e si ritenne fortunato.
Potrebbero anche essere definiti sbagliati, ma cosa c'è di sbagliato nell'amare qualcuno? Nel svegliarsi la mattina col pensiero di vedere la persona che ami? Nel voler difenderla con tutto te stesso?
Quando le persone insultano i cosidetti gay, Newt iniziava a pensare a quanto sbagliato fosse il mondo. Le persone difendono la normalità ma non sanno cosa significhi essere normali. Difendono l'amore ma sono indefferenti al dolore degli altri.
Gli venne quasi voglia di gridare al mondo che era felice con Tommy, nonostante alle loro preoccupazioni verso a quanto facessero "schifo".
*

-Era la prima volta che entrava nella sua stanza. Era diversa da come le l'aspettava.
Nera, buia, ma con qualche macchia di colore qua e là.
Solo dopo si accorse del muro in fondo alla stanza e ai segni che lo ricoprivano.
Buchi, crepe e segni riempivano l'intera parete.
Potè scorgere due parole fra i segni: "Mamma" e "Papà", una serie di crepe attorno e sorpra di esse.
Si avvicinò al letto e vide una foto.
Potè riconoscere Thomas e un altro ragazzo. Biondo, alto, della stessa età del figlio. Si ricordò di averlo visto all'ufficio dello sceriffo.
Si ricordò di averli visti abbracciarsi e in questa foto si tenevano stretti l'uno all'altro.
Aveva pensato tutto di suo figlio, ma non che fosse gay.
Si sentì disgustata e in qualche modo tradita.
Decise che avrebbe messo fine alla loro relazione malata.-

Thomas e Newt erano sul divano a cercare di guardare un film, cosa impossibile quando Thomas inizia a farti il solletico ovunque.
Fortunatamente Sonya era da poco ritornata da lavoro e insieme avevano deciso di andare per negozi tutto il pomeriggio.
"Vi compro qualcosa di bello così potrete finalmente avere un appuntamento degno di essere chiamato tale." Sonya partì decisa e parlò per tutto il viaggio di quanto era importante avere un appuntamento e di avere un vestito adatto.
Arrivati al centro commerciale Sonya si lanciò da un negozio all'altro lanciando vestiti alla coppia e obbligandoli a provarli tutti.
Nel bel mezzo di una camminata disperata verso quello che era il decimo negozio in solo due ore, notarono Minho,da lontano ,con una ragazza al suo fianco.
Aspetta.
Una ragazza?!

Newt corse verso l'amico e quasi cadde alla vista della ragazza che lo accompagnava.
Aveva dei capelli corti e neri, era minuta ma formosa. Era bellissima, ma dall'aria alquanto mascolina.
"Newt! Anche tu a fare compere? Vedo che sei in compagnia!" disse il coreano lanciando un'occhiata a Thomas che li raggiunse imbarazzato.
"Si, Sonya ci ha accompagnato a comprare varie cose. Tu cosa ci fai qui?" chiese cautamente il biondino soffermando lo sguardo sulla ragazza.
"Ah, giusto! Lei è Brenda, la mia ragazza. Stavamo comprando un dolce per una cena di stasera." la ragazza sorride ai sue ragazzi e gli porse la mano.
"Resteremo volentieri con voi, ma siamo già in ritardo. Ci si vede." si salutarono tutti un'ultima volta e poi sparirono in lontananza.
Newt e Thomas si misero a ridere, increduli che il loro amico Minho avesse davvero una ragazza.
La giornata giunse alla fine e i due si ritrovarono con centinaia di borse, senza neanche sapere cosa Sonya avesse comprato.
*
A casa di Newt sembrava essere Natale.
Gli innumerevoli vestiti che avevano comprato erano sparsi per il salotto in un tentativo di provarli nuovamente.
Sonya stava preparando cena, mentre Newt e Thomas cercavano di dare alla casa un aspetto decente.
Tutto era perfetto.
Poco dopo venne l'ora di cena e i tre si misero a tavola contenti di godersi un sano riposo dopo i chilometri che avevano fatto di negozio in negozio.
Ad un certo punto qualcuno suonò alla porta. Chi poteva essere a quell'ora?
Thomas andò ad aprire e Newt potè solo vedere la sua espressione cambiare da felice a spaventata.
Lo raggiunse e vide la madre del brunetto fuori dalla porta, arrabbiata come se avesse scoperto la cosa peggiore del mondo.
Entrò in casa senza neanche averne avuto il permesso e guardò Sonya con tutto l'odio possibile.
"Voglio delle spiegazioni. Lei può spiegarmi da quanto stanno insieme? Sono spesso a casa sua quindi, posso chiederle perchè lascia che tutto questo accada?" alzò la voce, quasi urlò e puntò un dito verso la coppia con aria disgustata.
"Cosa intende con lascio? Non c'è nulla da fermare. Loro stanno insieme punto." Sonya a questo punto si era alzata dalla sedia, Newt sapeva quanto le dava fastidio quando si toccava quell'argomento. Diventata difensiva.
"E le sembra normale che loro, due ragazzi, stiano insieme? Non voglio che mio figlio sia sbagliato."
"Sbagliato? Ma davvero? Sa cos'è sbagliato? Che lei venga qui in casa mia a dirmi che cosa fare. "
"Sonya, basta." Newt stava per mettersi a piangere e già non ne poteva più di sentire quella discussione.
"Si, basta. Thomas tu vieni con me. Non vedrai mai più questo ragazzo, hai capito?" la madre prese Thomas per il braccio e si fece strada verso la porta senza fare caso ai tentativi di Thomas di scappare.
"NO!" Newt gli prese la mano un'ultima volta, non importava quanto lui e Sonya provassero a fermare la donna, lei ormai era fuori alla porta che si chiuse davanti a Newt, in segno di fine.
*
Newt era solo in camera sua a paingere, urlare, tremare.
Sapeva che Sonya era fuori dalla porta, ma non intendeva uscire o farla entrare.
Stava succedendo di nuovo.
Era di nuovo colpa sua.

Mostro.
Sbaglio.


Il suo cervello riusciva solo a pensare a parole del genere. A quanto fosse un pericolo stare con lui.
Non voleva vedere nessuno, nè sua sorella, nè i compagni di scuola, nè se stesso allo specchio.
Thomas. Lui voleva Thomas.

Perchè ci hai provato se sapevi di essere un pericolo?
Perchè lo hai messo in pericolo?


Gli vennero in mente tutti i momenti in cui avrebbe potuto salvare Thomas da se stesso e aveva fallito.

Sei stato egoista.

Si lo era stato. Aveva pensato solo a se stesso e non al bene di Thomas, la persona che dovrebbe amare.
Continuò a piangere, forte, sempre più forte.
Il suo subconscio continuava a formulare frasi che lo spezzavano sempre di più. Ma da una in particolare decise di prenderne insegnamento:
"Puoi amare, ma non rischiare di essere amato. E' meglio far del male a se stessi che non agli altri."





A/N: note dell'autrice:
Salve pivelli,
eccomi di nuoco qui, finalmente con un po' fluff. Mi scuso già da subito per il ritardo nel postare
questo capitolo, ma la scuola non mi lascia molto tempo libero.
Credo che d'ora in avanti aggiornerò ogni due settimane e mi dispiace.
Come al solito ringrazio tutti coloro che aggiungono alle seguite,preferite questa storia e per tutti 
coloro che recensiscono.
Un grazie va ovviamente alle Culopesche a cui voglio molto pene.
Mi scuso anche per il finale angst.
Baci e Newtmas.

Dalia.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6/I know, i'm a mess ***


Sapevi che era destinato ad andare male.
Perchè continui a pensare che tutto andrà bene?
Devi smetterla, Newt.
Non puoi dimenticare lo sai. Cerchi di lasciarti il passato alle spalle ma sai che non funziona così.
Tu lo hai ucciso, hai ucciso Alby. E adesso stai uccidendo Thomas.
E' così che funziona.
Forse dovresti solo sparire. Così nessuno potrà cadere nella tua trappola di disgrazie.
Se te ne andassi importerebbe a qualcuno?
Se domani Sonya si svegliasse e tu non ci fossi, sarebbe triste? Forse sì.
Ma starebbe meglio? Sì.


Newt era chiuso in camera nella stessa posizione da quasi tre giorni.
Ormai non aveva più lacrime da versare, o voce con cui urlare. Ormai era arrivato al punto dove decise di arrendersi e di sparire.
Ma non poteva lasciare il suo Tommy senza dirgli niente.
Si diresse verso la scrivania e prese il primo foglio bianco che gli capitò a tiro.
Quella lettera sarebbe stata il suo cimelio, quando sarebbe sparito.

-Tommy.
Mi dispiace così tanto.
Come al solito ho rovinato ogni cosa.
Sapevo che ero un pericolo per te ma ho lasciato correre perchè pensavo alla mia felicità.
Dio, ti amo così tanto.
Ogni volta che ti penso mi vengono in mente i tuoi occhi, e i tuoi capelli arruffati. Sapevi che erano stati la prima cosa che mi aveva colpito di te? Non credo.
Ripenso ogni secondo al nostro primo incontro. Tu mi salvasti la vita, ma io ero troppo stupido per rendermene conto.
Ricordo poi di quando ti hanno trovato nel bosco. Eri lì per me? Spero di no, altrimenti devo aggiungere anche questa alle cose pessime che ho fatto.
Non so se ti ho mai raccontato di Alby. Era un mio caro amico quando ero piccolo. Era stato ferito gravemente una volta che stavamo giocando nel bosco, ma io come al solito ho fatto la cosa che mi viene meglio: correre via.
Lui è morto a causa mia.
Per tutta la mia vita ho corso lontano dai problemi, pensando di poter farli andare via. Ma questa volta no.
Questa volta credo che sparirò per te.
Starai meglio senza di me.
Tua madre non dovrà più farti del male.
Mia madre starà finalmente sola, come ha sempre voluto.
Sonya potrà invitare qui il suo ragazzo, perchè è da lui che va quando dice di essere a lavoro.
Adesso che ci penso tutti saranno felici se io sparisco.
Ho scritto questa lettera solo per te, quindi ci tengo che sarai l'unico a leggerla.
Se Sonya non mi trova, gli dirai tu cosa ho fatto. Confido in te, in nessun'altro.
Ti prego di non piangere, odio vederti piangere. I tuoi occhi perfetti non stanno bene con le lacrime.
Starai bene, Tommy.
Ricorda che ti ho amato, ti amo e ti amerò.
Newt.-


Il foglio era leggermente bagnato per le numerose lacrime che stavano scendendo dagli occhi di Newt. Ma le asciugò, era giusto quello che stava facendo.
Prese la lettera e la mise in un posto dove solo Tommy avrebbe potuto trovarla: dietro la cornice della foto del loro primo appuntamento insieme.
Newt si ricordava perfettamente quel giorno, gli era sembrato tutto così perfetto. Se ci ripensava ora, non capiva cosa potesse essere andato storto.
Tutto, a causa sua.
Trattenne le lacrime.
Preparò una borsa con vestiti a caso e uscì dalla finestra per evitare di essere visto da Sonya.
Decise di andare nel posto dove tutto era cominciato, dopotutto la casetta non distava molto.
***************************************************************************************************************************************
(Thomas POV)

- "Non si vive mai realmente. Questa è la tua risposta Thomas?"
"Si. Io non ho mai vissuto."


*
La vita di Thomas non cambiava di anno in anno come succede normalmente.
Di solito le persone cambiano, crescono, migliorano.
Thomas era sempre rimasto lo stesso da tre anni.
Erano esattamente tre anni e tre mesi da quando si era trasferito a Saltaire, quella città di merda come diceva lui.
Non aveva mai visto persone felici in quella città. Tutti con le loro faccie depresse e le case cupe.
Non c'era da stupirsi quando anche il suo umore calava a picco.
Però il problema di Thomas non era la città, la casa, o la scuola, ma la famiglia.
I genitori di Thomas erano i classici ricchi taccagni che chiunque odierebbe.
Suo padre era un ricco imprenditore, aveva dato vita alla più grande azienda tecnologica della regione e ne aveva guadagnato qualche centinaia di terreni e ville.
Sua madre era una famosa stilista e vantava di una collezzione personale molto richiesta.
Detto così sembra una coppia del tutto nella norma, ma solo Thomas conosceva i loro segreti più oscuri.
Suo padre, viso fiero e vestiti firmati, era un ricettatore d'armi che nascondeva con molta cura all'interno di una grande stanza nel seminterrato.
Sua madre, trucco pesante e capelli perfetti, passava i fine settimana al casinò, spendendo quasi tutti i suoi risparmi nel gioco d'azzardo, a insaputa del marito.
Ormai della coppia giovane che si era sposata anni fa non era rimasto nulla se non le foto impolverate.
A Thomas, nel suo egoismo, non gliene poteva importare di meno se i suoi genitori si amavano o si odiavano.
Per lui l'importante era che lui e sua sorella Teresa, stessero in salute.
Se pensiate che sia poco come scusa della sua costante depressione, non sapete come si comportavano i genitori con i loro amati figli.
Per i signori O'Brien la cosa più importante era il successo e, se i loro figli non lo raggiungevano, ci sarebbero state delle conseguenze.
No, non conseguenze come una punizione. Conseguenze che si nascondevano nell'armadio del padre.
A quanto pareva la sua collezione di armi comprendeva anche le cinture.
Li picchiava, così tanto da farli sanguinare, e poi la moglie devota truccava le loro ferite che sembravano sparire, anche se il dolore che provocavano rimaneva.
Thomas era sempre stato il preferito del padre, in quanto ogni suo "successo" non era mai abbastanza.
Aveva più crepe del muro nella sua stanza.

*
La scuola, buia più dell'intera città, era piena di adolescenti che sembravano usciti da qualche film di zombie.
Thomas odiava non vedere neanche un raggio di sole che lo potesse salvare da quella tristezza.
Decise che si sarebbe rinchiuso in biblioteca ad apprezzare l'odore dei libri.
Anche lì, non trovò altro che morti viventi.
Rinchiuse la mente all'interno di un romanzo allontanandosi da quel cimitero, ma si fermò, vedendo il primo raggio di sole della giornata.
Un ragazzo biondo, che sembrava avere la sua età, se ne stava seduto su una poltrona di fianco ai romanzi d'avventura e sembrava così coinvolto dal libro che a Thomas sembrò di vederlo confondersi con esso.
Aveva un corpo esile ed elegante e i capelli scompligliati gli davano un'aria quasi ribelle.
Lo trovava bellissimo.
Era strano che Thomas facesse questo tipo di pensiero su uno sconosciuto, soprattutto su un ragazzo.
Ovviamente il bruno aveva avuto delle relazioni, che però non era durate più di tre mesi.
Non si era mai chiesto il perchè del fatto che ogni suo appuntamento finisse male.
Pensava fosse sfiga.
Ma forse si sbagliava, forse usciva con le ragazze sbagliate.
In effetti non aveva mai pensato che una ragazza fosse bella, mentre quel ragazzo per lui era dannatamente perfetto.

*
Era tornato varie volte in biblioteca da quel giorno, sperando di poterci trovare il misterioso bellissimo ragazzo.
Il suo desiderio veniva ogni volta esaudito, infatti il biondino era sempre seduta alla stessa poltrona con gli stessi capelli perfetti.
Ormai Thomas non leggeva neanche più un libro, andava lì solo per lui. Per guardarlo, per sognare di tenergli la mano, per sognare di baciarlo.
Pensò che probabimente doveva averlo notato, dato che erano due settimane che lo fissava.
Ad un certo punto un ragazzo, che sembrava cinese o qualcosa del genere, si avvicinò al biondo urlando quello che doveva essere il suo nome.
"NEWT!"
Li vide da lontano salutarsi con un abbraccio e Thomas giurò di aver immaginato la morte del cinese diverse volte.
Quindi il suo nome era Newt. Strano ma bellissimo.
Gli si addiceva proprio.

*
Passavano i giorni e Thomas andava sempre più spesso in biblioteca.
Pensò che, quella che era iniziata come attrazzione sessuale, stava diventando qualcosa di più.
Non riusciva a capire come aveva potuto innamorarsi di uno sconosciuto.
Eppure ogni volta che lo vedeva voleva baciarlo, abbracciarlo.
Si ripromise che lo avrebbe protetto a qualsiasi costo da ogni male che provava ad avvicinarsi a lui.
E così fece.
Thomas aveva finalmente iniziato a vivere.-


Le lacrime che scendevano dai suoi occhi si confondevano con le lacrime di Dio.
Pioveva, così tanto da crepare il suolo ad ogni goccia.
La strada verso casa non era mai stata così lunga, e la presa stretta della madre non aiutava la situazione.
Il suo cuore voleva smettere di battere, ma ad ogni stretta batteva sempre più forte, e faceva male.
Finalmente la porta della villa bianca si materializzò davanti a loro e Thomas fu quasi tentato di scappare, ma non lo fece.
L'interno della casa era sempre lo stesso: regale e perfetto. Il contrario delle persone che la abitavano.
Si sedettero su due poltrone faccia a faccia.
La madre aveva lo stesso sguardo schifato che poco prima aveva riservato per Sonya e Newt, ma ora si poteva vedere tutto l'odio che provava per il figlio.
"Mamma.." provò ad iniziare un discorso ma la madre si alzò e lo zittì con una sberla.
"Non parlare Thomas. Non voglio più sentire la tua voce!" si allontanò lentamente per poi fargli strada verso l'Inferno.
Non ebbe neanche bisogno di un "Seguimi" per far alzare il ragazzo, ormai abituato a questa routine.
L'Inferno si avvicinava e con lui anche i suoi demoni.

*
Il seminterrato era freddo, buio, spaventoso.
Ma Thomas non aveva paura del buio, ma di quello che ci si nascondeva dentro.
Ogni secondo erano più vicini a quella stanza, ogni secondo il suo cuore era più vicino a esplodere per il dolore.
La porta, che si confondeva con il nero delll'oscurità, venne aperta e si sentì lo strano cigolio che copiano nei film horror. Solo che questa volta era tutto reale.
Suo padre stava seduto su una sedia in fondo alla stanza, una piccola luce gli illuminava il viso, mentre tutto il resto cadeva nel buio.
Stava preparando l'occorente per soddisfare i suoi desideri malati. Thomas era il centro di questi.
"Coricati." la madre lo portò a una brandina vicino al padre e lo legò a quest'ultima.
Prima di andarsene nell'angolo degli spettatori, la madre chiuse la bocca di Thomas con del nastro adesivo, in modo da non sentire i suoi lamenti.
Il padre si avvicinò con la luce al viso del figlio, che era pieno di lacrime.
Lo squadrò per bene e gli disse le ultime parole prima di iniziarlo a picchiare.
"Sei un piccolo frocio di merda"
Thomas chiuse gli occhi e incassò ogni colpo che gli veniva inflitto.
Anche in quel momento, in cui la sua vita era in pericolo, continuò a pensare a Newt.
"Picchiarmi non cambierà il fatto che lo amo." volle quasi urlarlo, ma continuò a farsi picchiare.
Finchè non cadde nell'oscurità.

*
Thomas non era quel tipo d persona che si alzava quando vedeva sorgere il sole, anche perchè nella sua stanza buia il sole non si vedeva.
Stava preparando varie borse, se ne stava andando.
Aveva preso un bel po' di soldi dalla cassaforte di suo padre, non se ne sarebbe accorto data la quantità che ne possedeva.
Non avrebbe lasciato i suoi genitori decidere chi doveva amare, cosa doveva fare nella vita.
Le ferite che gli ricoprivano il corpo bruciavano ancora, ma il bruno non voleva sentirle.
Prese le sue borse, aprì per la prima volta da tanto tempo le persiane e la luce quasi spaccò le pareti di quella stanza.
Guardò un'ultima volta la parete piena di crepe e sospirò un "Vaffanculo."
Poi si diresse verso il bosco, senza pensare ad altro se non a Newt.




A/N: note dell'autrice:
Salveee pivelli, 
ecco il capitolo più angst della storia, scusatemi.
Con tanta pazienza alla fine sono riuscita a partorire questo capitolo, ancora due
e la storia finirà (purtroppo?)
Voglio ringraziare le culopesche per sopportarmi ogni giorno.
Un grazie speciale va a Volk che ha letto per prima questo capitolo<3
Grazie a tutti coloro che leggono questa storia.
Un bacio,

Dalia

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7/Nobody can tear us apart ***


Silenzio.
Il più pauroso modo di esprimersi. Può nascondersi di tutto dietro al silenzio: verità, bugia. un'intera persona.
Thomas era in una landa desolata, silenziosa; ma anche il suo telefono con la chiamata verso Newt era silenzioso e, questo lo preoccupava tantissimo.
Si sentiva come quando chiami l'ambulanza in giorno festivo e nessuno ti risponde anche se è questione di vita o di morte.
Erano solo due giorni che non vedeva Newt, ma già si sentiva come se avesse venduto l'anima.
Newt era parte di lui, una parte che gli era stata tolta.
Nonostante fosse nel bosco, dove il biondino si rifugiava sempre, lui non c'era. E Thomas aveva paura.
Provò a chiamare altre volte il ragazzo, ma la cornetta rimaneva sempre vuota, silenziosa.
Perchè non risponde' Non gli importa niente di me?

"Credi che a qualcuno possa piacere una merda come te? Guardati! Non sei niente, niente di niente."
"A scuola vieni sospeso, negli sport fai schifo e adesso sei pure frocio."
"Prendi ciò che meriti."


Suo padre aveva ragione.
Thomas prende ciò che merita.
Ovvero niente.
Finalmente la voce di Newt si sentì dall'altra parte della cornetta e , nonostante le lacrime che Thomas aveva versato, stava sorridendo come un ebete.

*****************************************************************************************************************************************************************
(Newt POV)

-"Chi sono i veri mostri?"
"Non so chi siano i veri mostri, ma so che chi è consapevole di esserlo, non lo è mai veramente."-


"Tutti saranno felici se io sparisco."
Newt si pentiva delle sue parole, sembravano così vuote. Avrebbe voluto dire molte più cose alla persona che ama.
Ma il biondo non era mai stato un ragazzo da molte parole.
Come diceva sua madre, Newt usava le parole solo per cercare di sembrare gentile con le persone, il resto delle volte stava zitto.
Il primo ad aver avuto il piacere di sentire delle parole di Newt era stato Alby. E non era finita bene.
Perfino con Minho non parlava molto, in effetti era sempre il coreano a parlare, ma al biondo andava bene così.
Con Thomas era stato tutto diverso. C'era stata subito una connessione.
Se il biondo ci pensava, con lui aveva usato più parole che in tutta la sua vita.
Quanto gli mancava. Faceva più male delle sue nocche congelate.
Un suono forte spezzò il fantastico silenzio che si era formato attorno a Newt e quest'ultimo quasi sbattè la testa contro il tetto di quella catapecchia, per lo spavento. Quando vide che il mittente di quella chiamata era Thomas si sentì sprofondare in un mare di sensi di colpa.
Gli aveva promesso di sparire, non poteva rispondere.
Non poteva non mantenere la promessa che aveva fatto a Thomas e a se stesso.
Non rispose.
La chiamata fu susseguita da altre chiamate e ognuna faceva cadere altre lacrime dagli occhi neri del biondo.
Iniziò a pensare che Thomas doveva essere preoccupato di questo suo silenzio e che pensasse di non essere amato. Questo non poteva lasciarlo accadere.
Alla sesta o settima chiamata decise di rispondere.
Dall'altra parte della cornetta potè sentire Thomas respirare affannosamente e con la voce spaccata lo sentì parlare per la prima volta da due giorni.
"Newt."
Dio, gli era mancato troppo sentire la sua voce.
"Tommy" iniziò a piangere più forte e sentì che anche Thomas stava piangendo.
"Dove sei Newt? Ti prego dimmi dove sei, vengo subito da te."
A quelle parole il sorriso di Newt sparì dalle sue labbra e rimpianse subito di aver iniziato quella conversazione.
"Thomas, non posso. Non possiamo più vederci. Io ti farò star male. Starai meglio senza di me"
"Newt, cosa stai dicendo?" il tono del bruno si fece più spaventato. "non pensarlo neanche. Dimmi dove sei, ti prego."
"No, Tommy. Io non posso farlo. Stai lontano da me. "
"Ti prego, Newt. Metteremo le cose a posto. Ho già trovato un modo."
"E come? Finchè starai con me sarai sempre in pericolo. Io sono un mostro."
"No, non lo sei. Tua madre è un mostro, mia madre e mio padre lo sono. Tu no."
Newt rimase in silenzio.
"Okay, Tommy. Se sei all'inizio del bosco devi andare verso sud. Poi vedi una casetta di legno sulla sinistra. Io sono qui."
"Arrivo subito, Newt."
Il biondo chiuse la chiamata e strinse le ginocchia al petto, come quando era piccolo.
Odiava quella posizione, lo faceva sentire debole e sentirsi in quel modo era l'ultima cosa che gli serviva in quel momento.
Il freddo iniziava a farsi sentire sempre di più.
Newt tremava e non sentiva varie parti del corpo.
Iniziò a credere che Thomas non l'avrebbe mai trovato, ma proprio in quel momento sentì dei passi. Vicini, molto vicini.
"Newt! Oh mio dio!" Thomas fece capolino dalla parete destra della casetta e strinse Newt in un caloroso abbraccio.
Restarono per un po' di minuti così, stretti l'uno all'altro in una perfetta combinazione, due corpi che separati erano una devastazione ma uniti erano invincibili.
Tutta la tristezza, l'insicurezza, tutte le ferite che avevano, sparirono; soffiate via dal vento insieme alle foglie degli alberi.
Thomas si allontanò, ma non troppo, in modo da poter continuare l'abbraccio.
"Scusa il ritardo." Thomas rise, anche se aveva le lacrime agli occhi e Newt ricambiò la risata che divenne l'unico suono nella spaventosa foresta.
"Newt, non me ne frega niente di cosa pensa mia madre, di quante botte potrà darmi mio padre. Io ti amo, questo non cambierà mai. L'ho sempre fatto da quando ti ho visto e non basterà così poco per farmi smettere. Anche se tu credi che starò meglio senza di te, ti sbagli. Io morirei senza di te, hai capito? Non pensare mai più una cosa del genere."
Thomas lo aveva guardato dritto negli occhi quando aveva detto quelle parole e il biondo aveva potuto sentire tutto l'amore, la preoccupazione che il suo ragazzo provava per lui.
Quasi non ci credeva, era davvero la prima persona che lo aveva amato così tanto, dopo Sonya.
"S-scusami." Newt scoppiò a piangere e lo strinse molto più forte di prima.
Dopo altre lacrime e altro dolore, finalmente si guardarono e con tutto l'amore che provavano l'uno per l'altro, si baciarono.
Era un bacio dolce, pieno di sentimenti.
Si separarono lentamente, godendosi il sapore delle oro labbra unite.
"Newt, potremo andarcene, io e te. Lontani dai nostri genitori e da questa città."
"Dove, Tommy? Non siamo ancora maggiorenni. Non abbiamo un posto dove andare."
Thomas mise la mano nella tasca della sua felpa e tirò fuori un gruzzolo di soldi. Tanti soldi.
"Ho preso questi soldi dalla cassaforte di mio padre, potremo comprare una villa fuori città. Potremo andare lì a vivere."
"Tommy.. e se ci trovassero? Cosa dirò a Sonya?"
"Le dirai la verità, merita di sapere. Potrebbe anche aiutarci dato che è maggiorenne. Pensaci Newt. Potrai dire addio a questo posto di merda dove siamo bloccati." Thomas aveva lo sguardo fisso su Newt, aspettava solo un sì.
"Va bene, Tommy. Ma chiediamo aiuto a Sonya, non voglio fare cazzate."
Lasciarono la casetta e mano nella mano uscirono da quella foresta, per sempre.

-"Chi sono i veri mostri?"
"Tutti coloro che non pensano di esserlo."-


*
"Una casa? Wow! Siete passati dal bacino sulla guancia alla convivenza! Il mio fratellino ha fatto colpo!"
Newt non aveva ancora capito se Sonya fosse stupida o se non avesse capito cosa stavano per fare. ù
"Sonya, si tratta di una grande svolta lo sai? Sia il biondino che Thomas stavano fissando la ragazza a bocca aperta mentre lei si complimentava con loro, abbracciandoli.
"Certo che lo so. Newt, era ora che ti decidessi ad andartene da questa città. Qua non troverai mai la felicità. Ora hai trovato Thomas, approfittane e trova la felicità con lui. Non vi preoccupate per i documenti e per la casa , a quelli ci pensa l'adulta!"
I due ragazzi si guardarono stupiti e divertiti, ma soprattutto felici che tutto quello stesse succedendo.
Iniziarono a preparare borsoni di tutti i tipi, portando ogni cosa che gli sembrava utile. Thomas prendeva gli oggetti da bagno e da cucina, mentre Newt si preoccupava dei vestiti da portare.
Sonya nel frattempo iniziava a chiamare tutte le agenzie possibili per trovare una casa il più lontano possibile da Saltaire, ma non troppo in modo che Sonya potesse venirli a trovare ogni volta che volesse.
A fine giornata la casa era un completo disastro e borse e scatoloni riempivano l'entrata.
I tre ragazzi erano seduti sul pavimento a mangiare, il tavolo erano pieno di pentole e impossibile da usare.
Sembravano stravolti ma contenti del lavoro fatto.
Andarono a dormire presto, in quanto il giorno dopo gli sarebbe toccato il giro per le varie case a loro disposizione.
Thomas e Newt erano coricati sul letto a fissare il soffitto.
"Newt, come vorresti che fosse casa nostra?"
"Sempice ma perfetta. Come noi due."
"Come sei romantico."
Entrambi risero e Newt si sentì davvero felice, dopo tanto tempo.
Entrambi si girarono in modo da potersi guardare.
"Sai una cosa Tommy? Newt fissò a lungo il bruno come se non volesse mai lasciare quei bellissimi occhi marroni, "tu mi hai riportato in vita." Thomas sorrise e lo avvicinò a sè in un bacio e, in quel momento, Newt non poteva essere più felice di essere "diverso".

*
La luce del sole non era mai stata così luminosa e Newt quasi pensò che il tempo atmosferico andasse in pari al suo umore.
Erano le 10:00 di mattina e a casa di Sonya sembrava che fosse scoppiata una tempesta.
Tutti correvano da una parte all'altra delle stanze, preparandosi e cercando di mangiare qualcosa per colazione.
Ovviamente erano in ritardo e cinque minuti dopo erano in macchina: faccie assonnate, pancia vuota e poca voglia di ascoltare qualsiasi venditore.
Newt, stranamente, era l'unico con un grande sorriso stampato in faccia, era la prima volta che faceva qualcosa per sè nella vita. Thomas sorrideva di rimando, felice di vedere il suo ragazzo così eccitato della loro futura vita insieme.
Erano più o meno le tre di pomeriggio quando videro l'ultima casa: si trattava di una villetta a schiera, color panna, moderna ma allo stesso tempo antica.
Thomas capì dallo sguardo del biondino che quella era la prescelta e in effetti era la più bella fra tutte quelle che avevano visto.
L'interno era enorme e le pareti erano vivaci. Era una casa molto accogliente.
Era semplice ma perfetta, come loro.
"E' questa, Tommy. E' perfetta."
"Si lo è."
Si guardarono felici e girarono per vari minuti in quella che sarebbe stata casa loro.
Sonya nel frattempo firmava i vari documenti per l'acquisto della casa.

VENDUTA.

*
Erano passate due settimane e finalmente la casa era completa.
I soldi che Thomas aveva preso dal padre erano avanzati e li avevano tenuti da parte per le varie spese.
Entrambi i ragazzi stavano cercando un lavoro, anche solo a tempo determinato.
Thomas aveva trovato un posto da barista nel pomeriggio e, per ora, bastava ad andare avanti.
Sonya aiutava molto i due ragazzi nelle spese, dato il suo alto stipendio.
La casa era rimasta perfetta. Anche il quartiere era bellissimo, tutti i vicini erano stati molto gentili e una signora si era persino offerta di fargli i lavori di casa nel weekend.
Era una domenica mattina e Newt e Thomas erano ancora nel letto, nonostante fosse l'una passata.
"Newt." Thomas aveva iniziato ad accarezzargli la schiena e a fare versi che volevano dire "alzati".
"Mmh. Lasciami dormire."
"Newt, è pomeriggio. Non vedi com'è alto il sole?" i movimenti della mano di Thomas continuavano e Newt era quasi pronto ad arrendersi.
"Lascia stare il sole e dormi." il biondino fece per allontanarsi ma Thomas lo strinse dalla vita e lo avvicinò a sè.
"Tommy, lasciami!"
"No, non ti lascerò mai!"
Newt provò a staccarsi dal ragazzo, senza riuscirci, non che avesse usato molta forza.
Si girò verso il bruno e lo fissò, gli occhi dell'altro chiusi in beatitudine.
"Ti piace cosa vedi?" il bruno rise di gusto alla vista del rossore sulle guancie di Newt, prima di baciarlo.
"Sono così felice della nostra nuova vita."
"Anche io"
Rimasero così per tutta la giornata, consapevoli che d'ora in avanti nessuno avrebbe potuto separarli.







A/N: note dell'autrice:
Saalve,
mi scuso subito per questa schifezza che dovrebbe essere l'ultimo capitolo.
Ci ho provato, spero vi piaccia. In ogni caso, questa è la fine. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo.
Ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, messa tra i preferiti, recensita.
So che non è un granchè, quindi grazie.
Un saluto a tutte le Culopesche senza le quali questa storia non esisterebbe.
Baci,

Dalia

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo/Until the end ***


TRE ANNI DOPO

E' strano come la vita può cambiare in pochi istanti.
E' strano come il dolore, la tristezza e l'insicurezza che si prova di giorno in giorno, possa cambiarci in meglio, facendoci diventare più forti.
E' strano come due persone che non potevano mostrare il loro amore solo perchè qualcuno diceva che fossero malati, siano ora l'uno di fianco all'altro in un abbraccio.
La vita è strana.
Erano passati tre anni, talmente in fretta che Newt e Thomas si sentivano come al loro primo giorno di scuola.
A differenza di molte coppie, che dopo un po' di stancano del loro compagno, Newt non si era mai stancato di Thomas e viceversa.
Ogni volta che si guardavano negli occhi al mattino era come la prima volta, ogni volta che le loro mani si stringevano non avrebbero voluto mai lasciarsi e ogni volta che facevano l'amore era come un esplosione di sentimenti.
Newt credeva di essere l'uomo più fortunato della terra, aveva solo vent'anni e la sua vita non poteva essere più perfetta.
Sia lui che Thomas avevano trovato un lavoro stabile: il biondino lavorava in una grande libreria nel centro-città e finalmente poteva passare le sue giornate facendo qualcosa che amava; il brunetto lavorava presso una galleria d'arte dove il suo spirito nascosto d'artista poteva venire apprezzato.
Ogni sera si ritrovavano nella loro bellissima villa color panna e passavano la serata a parlare di com'era andata a lavoro e sui gossip che la loro vicina continuava a ripetergli.
Il sabato era il giorno dedicato a Sonya, che veniva con John, il suo ragazzo, portando una favolosa torta di mele e riorganizzava gli armadi dei due ragazzi. Era rimasta sempre la solita, anche dopo tre anni.
La domenica era il giorno dedicato a Minho che passava con loro l'intero pomeriggio, giocando a qualcosa di stupido come l'xbox, a cui lui, però, ci teneva parecchio.
A Newt non erano mai piaciute le routine, ma doveva ammettere che quella vita era la migliore che si potesse desiderare.
Quella mattina Thomas si era svegliato troppo presto, come sempre, e il suo ragazzo se ne era lamentato, come sempre.
Litigavano quasi ogni mattina perchè il brunetto era troppo mattiniero, mentre Newt si svegliava troppo tardi e finiva per dover fare tutto di fretta.
Non erano veri e propri litigi ma solo un continuo lancio di cuscini fra di loro come "punizione".
Erano entrambi pronti per andare a lavorare quando si accorsero di un dettaglio non poco importante: oggi era sabato.
Entrambi restarono a fissare il calendario e la porta di casa a bocca aperta,  poi si rivolsero l'uno all'altro e scoppiarono a ridere come dei bambini.
Si tolsero i cappotti e si coricarono abbracciati sul divano a guardare la televisione.
Newt trovò molto più interessante guardare il suo bellissimo ragazzo che quegli stupidi programmi e rimase a contemplarlo per diversi minuti.
"Non riesci a togliermi gli occhi di dosso?" Thomas si girò verso di lui e il biondino riuscì solamente a scuotere la testa prima di baciarlo dolcemente.
Lo amava, davvero tanto.
Ormai il pavimento freddo della sua stanza e le pareti distrutte della sua casa erano solo un brutto ricordo, presente solo nei suoi rari incubi.
Perfino la casetta nel bosco, a cui teneva in maniera oltremodo normale, era stata distrutta dal tempo e dal freddo e Newt non si era soffermato neanche un secondo a pensarci.
Newt era una persona diversa, una persona migliore.
Thomas lo aveva salvato dal buio, dall'odio che provava verso se stesso. 
Questo era uno dei tanti motivi per cui lo amava, ma soprattutto lo amava perchè a differenza di tutti gli altri lo aveva trattato come si tratta un oggetto fragile, con cura.
Ed ora, che erano seduti su quel divano a baciarsi con amore, il biondino capì che Thomas gli starebbe stato sempre vicino.
Non gli era importato di quanto Newt fosse rotto, perchè lui sarebbe stato pronto ad aggiustarlo.
Da quei loro tre anni insieme, all'ultimo respiro che le loro labbra avrebbero emesso.

                                                                  FINE

                                                 


A/N:note dell'autrice:
Ed eccoci alla fine delkla mia prima storia.
Mi sciuso per la qualità bassa, ma è la prima volta che scrivo quindi abbiate pietà.
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qua e quelli che ci arriveranno in futuro.
Ci vedremo nelle prossime storie che ho in mente, spero.
Grazie ancora, baci a tutti,

Dalia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3258712