La Magia Non Risolve Sempre Tutto (IN REVISIONE)

di _apefrizzola_
(/viewuser.php?uid=830332)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. L'Improbabile Caposcuola ***
Capitolo 3: *** 2. Vecchie Abitudini ***
Capitolo 4: *** 3. Un'occasione da prendere al volo ***
Capitolo 5: *** 4. Protocollo 'Luna Piena' ***
Capitolo 6: *** 5. Carta Straccia ***
Capitolo 7: *** 6. Istinto da Prefetto ***
Capitolo 8: *** 7. Pazienza al Limite ***
Capitolo 9: *** 8. La Verità ha un Occhio Nero ***
Capitolo 10: *** 9. Vendetta 'Liquida' ***
Capitolo 11: *** 10. Il Mostro a più Occhi ***
Capitolo 12: *** 11. Mezzelune Legilimanti ***
Capitolo 13: *** 12. Lupus in Fabula ***
Capitolo 14: *** 13. Vigilanza Costante ***
Capitolo 15: *** 14. La Stessa Strada ***
Capitolo 16: *** 15. Una Squadra allo Sbaraglio ***
Capitolo 17: *** 16. Nella Buona e nella Cattiva Sorte ***
Capitolo 18: *** 17.La Zucca Vuota ***
Capitolo 19: *** 18. Leone Giallo-Nero ***
Capitolo 20: *** 19. Pluffa d'Oro ***
Capitolo 21: *** 20. Filo Rosso ***
Capitolo 22: *** 21. Valanga di Gufi ***
Capitolo 23: *** 22. La Magia non risolve Tutto ***
Capitolo 24: *** 23. Agrifoglio per Amico ***
Capitolo 25: *** 24. Servo e Padroni ***
Capitolo 26: *** 25. Il Silenzio della Fenice ***
Capitolo 27: *** 26. La Capra e il Serpente ***
Capitolo 28: *** 27. Resa dei Conti ***
Capitolo 29: *** 28. Attaccare Bottone ***
Capitolo 30: *** 29. L'ultimo nemico che sarà sconfitto ***
Capitolo 31: *** 30. Una Spia per l'Ordine ***
Capitolo 32: *** 31. Notte senza Luna ***
Capitolo 33: *** 32. Solidarietà tra Ribelli ***
Capitolo 34: *** 33. Il Custode Segreto ***
Capitolo 35: *** 34. Fiducia Tradita ***
Capitolo 36: *** 35. Notte Bianca e Cane Nero ***
Capitolo 37: *** 36. L'unica Scelta ***
Capitolo 38: *** 37. Sensi di Colpa ***
Capitolo 39: *** 38. 1978 ***
Capitolo 40: *** 39. Artigli e Pungiglione ***
Capitolo 41: *** 40. Anelli della Discordia ***
Capitolo 42: *** 41. Margherita ***
Capitolo 43: *** 42. Buon Compleanno L.E. ***
Capitolo 44: *** 43. Il Cervo in Trappola ***
Capitolo 45: *** 44. Scopa Bagnata, Scopa Fortunata ***
Capitolo 46: *** 45. Nero Inchiostro ***
Capitolo 47: *** 46. Lily e Ramoso ***
Capitolo 48: *** 47. L'Improbabile Fidanzato ***
Capitolo 49: *** Non Fine ***
Capitolo 50: *** 49. De-Caedere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il Primo Ministro fissò disperato entrambi per un attimo, poi le parole che aveva faticosamente represso tutta la sera esplosero all’improvviso: «Ma per l’amor del cielo! Voi siete maghi! Fate magie! Siete in grado di risolvere… be’… tutto!»

Scrimgeour si voltò lentamente e scambiò uno sguardo incredulo con Caramell. Questi riuscì a produrre un vero sorriso e rispose con dolcezza: «Il guaio è che anche gli altri fanno magie, Primo Ministro»”.


Harry Potter e Il Principe Mezzosangue, pag. 25


 


 


 

La Magia Non Risolve Sempre Tutto
 

 PROLOGO

 Londra, 22 Agosto 1977

 
 

 

 

 

 

“Guarda!
Sono nato in un uragano forza cinque
E ho urlato a mia madre nella pioggia battente
Ma è tutto apposto adesso, in realtà, è uno sballo!


E’ uno sballo! sballo! sballo!”

 
Jumping Jack Flash, Rolling Stones 

 


 

 


«E UN BRINDISI ANCHE A NOI!»
«A noi, noi, Ramoso?»
«A noi, noi, Pete»
«Ma chi siamo noi, in realtà?»
«Noi siamo noi, Sirius»
«A voi tre... ubriachi fradici»
«Brutto traditore di un lupo! Avevi detto che avresti bevuto!»
«Ma io l’ho visto che beveva!»
«Per finta. Ha fatto finta, Peter»
«Sono oltraggiato, Remus! Ma mi viene da ridere lo stesso».
Tre forti risate aperte e una decisamente sguaiata si levarono dal vecchio parquet del piccolo appartamento di Sirius invaso dagli scatoloni del trasloco.
L’unica lampadina appesa al soffitto senza lampadario illuminava una stanza ancora spoglia e quattro ragazzi seduti per terra con i cuscini del divano sgangherato sotto il sedere, un cartone di Fish and chips ormai vuoto, un giradischi che faceva risuonare a basso volume Jumping Jack Flash dei Rolling Stones e una bottiglia agli sgoccioli di rum babbano che passava di mano in mano, trovata su uno scaffale della vecchia cucina.
«Oh, non la passerai così liscia, Lunastorta» sogghignò Sirius in un brillo sorrisino sghembo mentre cercava di alzarsi in piedi, sulle lunghe gambe coperte da dei jeans neri stracciati alle ginocchia.
Remus, i capelli castani a nascondergli a tratti gli occhi ambrati, non riuscì a trattenere un ampio sorriso divertito guardandolo poggiarsi con difficoltà ad un più dondolante di lui James che rise ancora di più, piegato sotto il peso dell’amico. James aveva gli occhiali rotondi sulla punta del naso, i capelli neri più spettinati che mai e la scintillante spilla da Caposcuola nuova di zecca, arrogantemente appuntata sulla maglia con un enorme dito medio che gli aveva prestato Sirius.
“Ma quale disonore e disonore per un Malandrino! Sono il re di Hogwarts e i Malandrini in questione non avranno più nessuno a cui rendere conto”. Era questo che aveva detto quella stessa mattina trovando nella lettera della McGranitt quell’oggettino argentato pesante di responsabilità come un Boccino d’Oro ed insensata pazzia come l’ormai certa demenza senile di Albus Silente.
Quello che non aveva detto a voce, solo con gli occhi nocciola, era la voglia di usare quel distintivo come simbolo di speranza per tutti i "Traditori del proprio sangue" che non si piegavano a Voldemort; far capire a tutti i Nati Babbani perseguitati anche dentro Hogwarts che non erano soli e che c'erano purosangue decisi a proteggerli. Forse Silente non era poi così pazzo, si era detto James osservando quella spilla sul palmo della mano, forse era stato l'unico a vederlo per com'era davvero.
Peter, sdraiato schiena a terra, fu scosso dalle risate che gli facevano vibrare la pancia sotto la maglia a righe e Remus sperò con tutto il cuore fosse per colpa di quella battuta sui tipi di mutande fatta prima da James e non per il fatto di essere già cotto perché in quel caso quello che avrebbe dovuto reggergli la testa, sul water, sarebbe stato lui, lui e nessun'altro.
«Stiamo inaugurando il mio babbanissimo appartamento babbano ed esigo che tu, John Lupin Remus, ti ubriachi» ordinò Sirius in un patetico tentativo di sembrare spaventoso.
Remus infatti inarcò un sopracciglio trattenendo una risata scrutando in silenzio l'amico mettersi finalmente dritto puntandogli contro il lungo indice della mano attorno al collo della bottiglia che James gli rubò con un fulmineo movimento da “Grande Cacciatore di Hogwarts. 
«Buona questa roba babbana, Felpato, è diversa dal nostro rum»
«Perché ha il sapore della libertà! Sto tornando» minacciò Sirius dirigendosi elegantemente traballante in cucina. «Preparati, Prefetto John
«Attento allo stipite, piuttosto» lo avvertì Remus.
«Sì, attento allo spitite, Felpato» gli rise dietro James contagiando Peter.
«Io, a differenza di qualcunonon devo stare attento a due cose ingombrati e ridicole piantate in testa, Ramoso» ribattè Sirius di rimando abbassando l’indice per sollevare il medio, cercando di schivare il cartone del cibo che gli arrivò dritto in faccia.
Rise ancora tra sé, Sirius, entrando nella piccolissima cucina con i pensili pieni della spesa di Euphemia Potter e il frigorifero mezzo distrutto da Fleamont Potter che aveva cercato di farlo funzionare senza pensare di attaccare prima la spina alla presa della corrente.
 
 

Sono stato cresciuto da una sdentata, megera con la barba
Sono stato istruito a cinghiate sulla schiena
Ma è tutto apposto adesso, in realtà, è uno sballo!


E’ uno sballo! sballo! sballo!”



 
«É uno sballo! Sballo! Sballo. Rise, libero, non soltanto per l’alcol che gli scaldava le vene, facendolo sudare per i gradi della canicola che entrava dalla finestra aperta su una Londra notturna ancora bagnata di pioggia e luccicante per le luci della strada e delle insegne dei pub ancora aperti.
 «Come hai fatto a far volare quel mattone senza toccarlo!?».
La voce squillante di un ragazzo fuori da quella stessa finestra lo bloccò con un braccio sollevato verso lo sportello sopra il lavandino.
Senza spegnere il sorriso, Sirius si allontanò dal ripiano per affacciarsi al davanzale scoprendo che il ragazzino quattro metri sotto di lui non l’aveva mai visto, ma la ragazza con i lunghi capelli castano scuro che si fermò di scatto al centro del buio vicolo pieno di bidoni della spazzatura sì, la conosceva benissimo.
Quando, nella penombra, la vide voltarsi furtiva puntando la bacchetta verso il povero babbano che da allarmato divenne confuso, il sorriso sbieco di Sirius si allargò con lo sguardo per nulla sorpreso da quella bacchetta che aveva visto puntata contro di sè soltanto una volta: la prima che le aveva fatto uno scherzo, al primo anno. Non ci aveva più riprovato.
«Ti sei perso? La strada principale è proprio là in fondo» esordì lei.
Il ragazzino annuì, stranito. «Sì, credo di essermi perso. Grazie» rispose allontanandosi da lì, leggermente dondolante.
Sirius aspettò che il babbano fosse lontano per aprire bocca. «Ma che brava, McAdams!»
La ragazza sollevò di scatto lo sguardo verso l’edificio di mattoni rossi di fronte e lo vide, affacciato ad una finestra con la solita espressione irriverente stampata in faccia e i suoi soliti capelli neri ad incorniciargli con trascurata eleganza il viso stirato da uno scanzonato sorriso sghembo. Era dannatamente bello, come al solito.
«Black. Cosa diamine ci fai lì. Sei scappato anche da casa Potter, adesso?» lo salutò, per niente amichevole.
Sirius rise sporgendosi dal davanzale per poterla vedere meglio, i capelli neri a cascargli sugli occhi grigi socchiusi.
«Questa casa è mia, adesso, comprata con l'eredità che mi ha lasciato il mio vecchio e caro zio Alphard. Sai, tra buchi bruciati sull’arazzo genealogico di famiglia ci si capisce. Solidarietà tra ribelli» spiegò lui, soddisfatto, prima di scoppiare a ridere ancora.
Lei sollevò le sopracciglia scure con fare scettico di fronte a quello che era, senza dubbio alcuno, un Sirius Black ubriaco. 
Non che ci sia chissà quale differenza con quello sobrio, pensò scrutandolo bene.
«Tu non puoi capire» fece poi Sirius con un gesto noncurante della mano, poggiando subito dopo entrambi i gomiti sul davanzale. «Complimenti comunque» riprese in tono ironico. «Ti sei fatta sgamare da un babbano che molto probabilmente adesso sarà sotto un bus a due piani nella strada principale»
«Ho rimediato subito» si difese lei, prontamente. «E abbassa la voce, non siamo tra... "noi"» gli sibilò riferendosi alla parola "babbano" che Sirius aveva tirato fuori con naturalezza in un quartiere babbano, per quanto quel vicolo cieco potesse sembrare disabitato. «Gli ho modificato la memoria*, non l’ho Confuso» gli fece sapere in un sussurro che Sirius faticò a sentire. «E non l’ho quindi spedito a morire schiacciato sotto un bus. Non sono così stupida, Black».
Sirius si limitò a scrutarla trattenendo una risata affettuosa al sentire quel suo tono, il suo modo di rispondere sempre schietto.
«Sei maggiorenne da appena quattro giorni e già ti dai alla pazza gioia con la Tu-Sai-Cosa tra i vicoli?» la canzonò in un sorriso rilassato che si sollevò maggiormente alla vista dell' espressione colpita sul suo viso.

«Come fai a sapere il giorno del mio compleanno, scusa?» chiese lei piuttosto stranita ed indagatrice. Faceva gli anni in estate e nessuno dei suoi compagni di scuola poteva saperlo, a parte le sue migliori amiche che con Black non avevano niente a che fare.

Sirius si limitò a fare spallucce, la faccia da schiaffi in bella mostra. E per un istante l’alcool in corpo rischiò di svelare Felpato e il suo strano vizio di seguirla silenzioso per le ormai pericolose vie di Londra, compresa quella della pasticceria dove aveva comprato un cupcake alla vaniglia con annessa candelina, spenta in solitudine il diciotto agosto su una panchina davanti Tower Bridge.

«Chiamalo istinto, se vuoi, Olivia» la stuzzicò, ben consapevole di averle appena acceso un odio familiare nello stomaco.
E Olivia infatti chiuse gli occhi marroni sentendo il suo nome completo, stringendo i pugni e la bacchetta con forza con la voglia improvvisa di usarla di nuovo, questa volta non per eliminare un ricordo, ma per ben altro.
Quanto ci metterei a farti cadere da quella finestra ai bidoni della spazzatura qui sotto, Black?
Quanto ci metterei a farti crescere gli incisivi fino a quando non capirai che non mi devi chiamare in quel modo?!
Riaprì gli occhi marroni, fulminandolo. Lui sapeva benissimo quanto le desse fastidio quel nome e, infischiandosene, continuava a chiamarla così nonostante fosse il solo a farlo, da quando l’aveva sentito allo Smistamento.
«Il tre novembre dell’anno scorso, appena ti sei liberato della Traccia, immagino tu abbia chiuso la Tu-Sai-Cosa nel cassetto del comodino, eh?» lo sbeffeggiò osservandolo ridere, per poi sporgersi leggermente dal davanzale verso di lei, con fare curioso.

«E tu come fai a ricordarti il mio compleanno, scusa?»

«Forse perché è l’unico giorno dell’anno in cui la Sala Comune diventa come un pub babb... di Soho ed è difficile dimenticarsi tutto ciò che succede, compreso Potter in mutande con la torta in mano e le puntuali minacce di morte della McGranitt in vestaglia scozzese a fine serata».

Sirius rise di nuovo, la risata simile ad un latrato ad echeggiare tra i mattoni rossi.

«E comunque, Black, non siamo ancora Tu-Sai-Dove e già stai rompendo ‘i Tu-Sai-Cosa’..
«Non nominarli nemmeno, Olivia. Cosa vuoi che ne sappia tu di "calcio volante"»
«Ne so eccome. Ho intenzione di presentarmi ai provini anche quest’anno»
«Ti devo ricordare che la Tu-Sai-Cosa non è ammessa in campo?» le chiese Sirius con lo sguardo stranamente acceso perché, in fondo, era quel suo lato indipendente e ribelle a renderla ancora più interessante ai suoi occhi.
L'aveva sempre vista con la bacchetta in mano, dal primo anno, quando il suo cognome babbano e quello delle sue amiche aveva attirato persone come Lucius Malfoy.
«Ti devo ricordare che invece il cervello è ammesso al mondo?» replicò lei pungente, un sopracciglio arcuato al pensiero che Sirius non poteva proprio giudicare nessuno, tanto meno lei.
«Non credo che James ti farà entrare in squadra, violenta come sei» continuò Sirius, provocatorio.
«Io credo invece che se a Potter do l’occasione di incontrare ‘casualmente’ Lily, un pensierino lo farà» ribatté lei compiaciuta, godendosi l’espressione allibita e piuttosto divertita di Sirius.
«Questa è una cosa sleale, Olivia» 
«Ci vediamo, Black» lo salutò lei con un mezzo sorriso divertito dandogli le spalle per riprendere la sua strada raggirando le pozze di pioggia per terra.
Sirius la seguì con occhi ridenti, più intensi e brillanti. Si sporse un minimo dal davanzale per ammirare senza alcun riguardo il suo sedere fino a quando la femminile figura non sparì tra i passanti di Abbey Road.
Tornò in salotto a mani vuote, ma con un sorriso sornione stampato in faccia.
«Che paura» fece in tono sereno Remus arcuando un sopracciglio. «Era a questa tua visione che mi dovevo preparare?»
«C’era Olivia, di sotto» spiegò Sirius, lo sguardo posato sulla finestra.
«Perché non l’hai fatta salire?» chiese James sbattendogli la bottiglia sulle gambe.
«Perché sarei stato costretto a buttarvi fuori a calci, Ramoso. Certe cose hanno bisogno di privacy, non so se mi spiego»
«Ti spieghi sempre benissimo, Sirius, quando la finirai di dire questa frase ridicola?» gli fece notare Remus guardandolo dirigersi verso la porta d'ingresso ad ampie falcate, quasi con un urgenza.
«Dove stai andando? Da lei?» chiese, per niente sorpreso, James; gli occhi nocciola dietro gli occhiali non si aspettarono una risposta. E infatti Sirius non rispose abbassando la maniglia, anche perché con uno schiocco diventò Felpato, pronto a scortare in incognito Olivia fino a casa. Di quei tempi non era sicuro girare per Londra, soprattutto la notte.
James sorrise seguendo la folta coda nera sparire sul pianerottolo, Remus era arrivato alla conclusione che quei due avevano un linguaggio tutto loro e anche che la cosa fosse parecchio inquietante.
«A parte il fatto che non sarebbe mai salita, conoscendola» precisò a scoppio ritardato Peter sollevando un corto indice paffuto per aria, il singhiozzo che gli scosse la pancia subito dopo a distruggere la già precaria aria da sapiente che aveva ogni volta che era ubriaco, come se l’alcool avesse il poter di innalzarlo sopra tutti.
«Già» rise in modo ancora meno controllato James.
«Ed è per questo che…». Un gufo fermò il sicuramente lucido, educato e non volgare discorso di James; planò dalla finestra aperta per appollaiarsi sopra la spalla di Remus che slegò la lettera dalla zampa stando attento agli artigli. La aprì con calma.
«Che c’è? La McGranitt ti ordina di metterci in punizione anche qui, Remus?» chiese James, allegro, sistemandosi gl occhiali sul naso. «Povero Remus che si sente oppresso dai suoi doveri dalla tenera età di quindici anni»
«Un’infanzia rovinata!» l'appoggiò Peter in un risolino brillo.
«Guardalo, Peter, ha il trauma tatuato sulle iridi degli occhi gentili, sul cuore buono e puro. Rilassati, Lunastorta, guarda qua chi dovrà sopportare il peso di pensare a mettervi in riga d’ora in poi». James picchiettò sul distintivo da Caposcuola, Peter si rabbuiò notando il volto di Remus ancora immerso sulla pergamena.
«Remus? Chi ti ha scritto? Che è successo di così terribile?» chiese perdendo tutto il divertimento. Le lettere potevano portare brutte notizie. Da più di due anni, portavano quasi sempre brutte notizie.
«È successo che Hogwarts è arrivata alla sua fine, Peter»
«Ma cosa stai dicendo
«Ma sentilo, beviamo noi e si ubriaca lui. Lunastorta, puoi spiegarci questo innalzamento del tuo ottimismo strepitoso anche senza luna piena?»
«È successo che Lily Evans è la regina, James, e che i Malandrini avranno eccome qualcuno a cui rendere conto. E non posso dire di non essere sollevato di questo, ma nemmeno felice di assistere all’implosione di quella che tutti noi abbiamo sempre chiamato casa».





 







 









 

Scrivo qui per dirvi che i primi capitoli sono stati scritti dieci anni fa e me ne vergogno a morte. Non rispecchiano più la mia visione dei Malandrini, di James e Lily e molto altro. Per questo la sto revisionando pesantemente.
La presenza di Olivia sfumerà già dal prossimo capitolo, le ho dato spazio perché essendo un nuovo personaggio dovevo introdurla ed inserirla nell'ambiente, tra le relazioni d'amicizia originali. Ma cambierò anche questo, molto probabilmente il prologo cambierà quasi tutto.
I protagonisti saranno i Malandrini, Lily Evans, Mary Macdonald, Severus Piton, Regulus Black. Non mancheranno assolutamente gli altri Serpeverde e gli studenti di ogni Casa e anno.





Note piccoline:

Nel quinto libro Sirius dice a Harry che è scappato di casa a quasi sedici anni (estate del 1975) ma ha trovato un posto tutto suo a diciassette. L'unico momento in cui Sirius può aver cercato casa, a diciassette anni, è l'estate del 1977 (ha 17 anni e deve compierne diciotto a novembre).
Lo zio Alphard può essere morto nel 1977, lasciando tutta la sua eredità a Sirius. In questa storia, Alphard è morto all'inizio del 1977, quando Sirius era al sesto anno.

*Liv ha modificato la memoria al babbano, non ha usato Oblivion. Cancellare la memoria è un incantesimo difficilissimo e diverso, Hermione lo usa dopo il matrimonio di Fleur e Bill dicendo che non l'ha mai fatto, ma che conosce la teoria. Dato che Hermione ad ogni inizio anno arrivava a scuola avendo già letto i programmi scolastici fa fare nei mesi dopo, presumo che l'incantesimo Oblivion sia materia da settimo anno, a differenza dell'incantesimo che modifica la memoria (quello che ha usato per i genitori, senza destare stupore come se fosse un incantesimo da sesto anno). Qui Liv deve ancora cominciare il settimo, quindi non sa usare Oblivion, ma ha già frequentato il sesto anno e sa modificare la memoria (facile anche perché il ricordo che modifica è appena accaduto... Il mattone che vola davanti agli occhi del babbano).


*R.J. Lupin appare nella valigia di Remus nel terzo libro.
La J sta per John, lo dice la Rowling in un'intervista: "John. Noioso ma vero!".



*Il James Potter del settimo anno e oltre non è un bullo quindicenne, ma non sarà mai del tutto serio e perfetto. Non so se avete letto il breve racconto della Rowling con Sirius e James sulla motocicletta mentre sono nell'Ordine della Fenice o la biografia di Vernon e Petunia su Pottermore. Sia nel breve racconto con Sirius che nella biografia dei Dursley, James risultata allegro, scapestrato e ribelle.
Nella biografia, James diciottenne al ristorante con Lily e i due promessi sposi Vernon e Petunia si ritroverà a stuzzicare Vernon fino a farlo arrabbiare e andare via, facendo piangere Lily. James promette di scusarsi con Vernon e Petunia, la Rowling dice che non avrà occasione.
Sappiamo come sono i Dursley, gli dici "Cioccorana" e vanno in autocombustione. Secondo me James è stato soltanto divertente, ma poteva volare basso (Lily gli avrà sicuramente detto che tipi fossero sua sorella e il futuro marito). La Rowling dice che Vernon ha chiesto a Petunia di sposarla nel salotto della signora Evans, quando Lily frequentava al suo ultimo anno di scuola. Vedrete quindi quel momento in questa storia. L'appuntamento al ristorante per fare conoscere i due futuri cognati, invece, credo sia avvenuto dopo i M.A.G.O, mesi prima del matrimonio (a cui Lily e James partecipano anche se vengono trattati male. I Dursley invece non andranno al matrimonio dei Potter). Questa storia avrà un sequel, ci saranno di certo quei momenti canon.
Ho cercato di rendere James maturo e responsabile soprattutto in un contesto come la guerra, senza snaturare quello che la Rowling ha creato. Credo, comunque, che una personalità matura e al tempo stesso ottimista ed allegra come James fosse di fondamentale importanza in un momento di terrore come la prima guerra magica.


Buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. L'Improbabile Caposcuola ***


Capitolo 1


 

L'IMPROBABILE CAPOSCUOLA



 



Liv trascinò con poca accortezza il baule sulla moquette crema dei gradini e l’espressione contrariata sul volto segnato da qualche ruga di suo padre, fermo alla base della scala, la fece rallentare fino a posare con delicatezza il pesante bagaglio sul tappeto sotto le scarpe dell’uomo.
«Pronta» esordì afferrando al volo la giacca in pelle dall’appendiabiti prima di acciuffare con dita frettolose la tonda maniglia in ottone della porta d’ingresso. Suo padre però la bloccò immediatamente, stringendole un braccio ed indicandole con un cenno della testa la cucina accanto. Liv sollevò lo sguardo al soffitto; non sarebbe servito a niente, lo sapeva. Lo sapeva ma lo fece lo stesso.
«Ciao... mamma!» sbottò, soltanto per accontentare l’uomo che con i limpidi occhi azzurri scrutava il fondo del corridoio come se stesse pregando di fronte ad un altare di una chiesa.
Liv aveva smesso di usare quello sguardo speranzoso da parecchio tempo, ormai, e senza sorprendersi dalla cucina non arrivò nessuna risposta ma soltanto lo sbatacchiare di forchette e padelle.
Aveva provato più volte, ogni anno, a mettersi nei panni di sua madre. Lo fece anche in quel momento, mettersi nei panni di una donna che aveva scoperto di essere sposata ed aver generato una figlia con un essere innaturale ed immondo dopo il matrimonio e dopo la sua nascita. Ma ancora una volta non riusciva a provare empatia per la distanza e l'odio che le aveva gettato addosso da quando aveva capito che anche lei era un essere immondo. Esistevano tantissime persone con una madre babbana che non rinnegava la propria figlia o figlio, quella di Remus ne era un esempio tra centinaia a scuola.
Ancor meno capiva suo padre e il suo aver abbandonato la magia per quella donna che l'aveva accettato soltanto in quel modo. Suo padre l'amava davvero senza amare se stesso, lei non amava ciò che lui era davvero e per Liv era sempre stato tutto così sbagliato e triste da provare rabbia nei confronti di entrambi.
Suo padre voleva farle fare la stessa cosa, ma lei non l'avrebbe fatto mai; preferiva accettare di non essere più una figlia piuttosto che abbandonare il suo essere strega, ciò che era.
Portò lo sguardo su suo padre visibilmente frustrato e non aprì bocca, continuando a trascinare il baule. S’infilò il giubbotto in pelle ed aprì di scatto la porta inondando il piccolo atrio d'accecante luce mattutina.
«Torno presto, Margaret!» salutò Edgar portando una mano sotto alla giacca per accertarsi di avere la bacchetta, prima di affrettarsi a seguire la figlia.
Lanciando sguardi attenti ad ogni angolo della tranquilla strada residenziale alberata, Edgar scese i gradini di fretta per raggiungere il cigolante cancelletto nero che richiuse con accortezza ed un gesto furtivo della bacchetta, infilandola subito sotto la manica di tweed.
Aiutò Liv a caricare il baule nella Morris Minor parcheggiata davanti, prima di salire al posto di guida accendendo il motore senza distogliere lo sguardo attento dalle ordinate e strette villette a schiera tutte uguali.
Liv, affianco a lui, diede un'ultima occhiata alla finestra a bovindo del soggiorno di casa sua e sprofondò sul sedile senza fiatare.
La stazione di King's Cross era distante da Clifton Hill, c'era l'immenso Regent's Park da raggirare e suo padre conosceva bene il frenetico traffico di Londra.
Al primo stop, infatti, le auto e gli autobus a due piani cominciarono a scorrere dietro il vetro del finestrino bianco di sole che Liv aprì, socchiudendo gli occhi per la brezza data dalla velocità. 
Non vedeva l’ora che quell’asfalto e quei lampioni si trasformassero in distese di verde e alberi fitti; che il ritmico sferragliare del treno soffocasse quello fastidioso e vuoto delle padelle della cucina.
«Cerca di prendere meno punizioni possibili, quest’anno» esordì Edgar, incapace di trattenersi. Nella sua voce, Liv percepì la nota di rabbia mista a preoccupazione che la sera in cui aveva visto Black l'aveva fatta tuonare all'ingresso di casa ricordandole che non si poteva gironzolare per il quartiere come se niente fosse, di quei tempi.
«É l’ultimo anno. Per quanto mi stia simpatica Minerva McGrantitt, non voglio ricevere nemmeno una lettera da lei, intesi?» riprese suo padre svoltando alla destra di un incrocio particolarmente intasato.
Liv si mordicchiò le labbra pensando alla fitta corrispondeza postale che suo padre e la professoressa McGranitt avevano avuto negli anni a partire dal formale: "Sua figlia, per essere una ragazzina undicenne, ha un incredibile e nobile senso della giustizia che apprezzo. Preferirei, però, non vederla attaccare in modo sconsiderato studenti anche molto più grandi di lei senza pensare alle conseguenze che di questi tempi risultano alquanto pericolose. Credo abbia capito a cosa mi riferisco, signor McAdams. Sono consapevole che la signorina agisce per una buona causa, ma deve capire la gravità della situazione"; fino al più confidenziale: "Le tolgo punti, la metto in punizione, la minaccio con l'espulsione a due mesi dai G.U.F.O. eppure continua ad usare la bacchetta per difendere chiunque, combattendo le ingiustizie e la violenza con altra violenza. Le dia un minimo di buonsenso da ex studente Corvonero!".
«Ti sto mandando soltanto perchè è importante che tu apprenda tutto ciò che Hogwarts ha da insegnare, anche se la cosa più saggia sarebbe scappare e lo sai benissimo dato che non faccio altro che ripetertelo ogni estate e Natale, da anni».
Liv sospirò pensando che lo sapeva benissimo, sì, ma non riusciva proprio a mettere in pratica quella saggezza; non se essere saggi significava lasciare il suo mondo nel caos e le sue due amiche in mezzo ad una guerra.
Ogni volta che ci pensava, la saggezza andava a farsi benedire accecata dalla stessa rabbia che la spingeva ad usare la bacchetta davanti a persone come Avery, Mulciber, Piton.
«Nessuno di noi tre è al sicuro, qui, nemmeno tu» continuò Edgar, deciso. «Sei una Mezzosangue, Liv, ma di madre babbana e padre Sanguesporco».
«Non usare quella parola» sbottò lei scaldandosi come ogni volta che sentiva quella schifosa parola uscire dalle labbra di qualcuno.
«Ci chiamano così e voglio che tu capisca fino in fondo la gravità della situazione».
Liv sospirò pesantemente, sprofondando sul sedile. Proprio per quei motivi lei voleva combattere, ma suo padre non capiva la differenza tra scappare per salvarsi e restare rischiando di morire per difendere i diritti dei maghi e delle streghe come lui, come loro.
«Stiamo rischiando, sappilo» le mormorò suo padre schiettamente con durezza e occhi carichi di paura e tensione che dalla strada si spostarono su di lei per un breve attimo. Accostò l'auto, proprio per poter inchiodare lo sguardo su quello di Liv.
«Stiamo rischiando grosso a stare un altro anno qui. Lo faccio solo per te»
«Ho capito, papà» esalò lei con voce non del tutto rabbiosa nonostante fosse furiosa, perchè la gola le si stava stringendo in un magone. Non voleva lasciare la Gran Bretagna, non voleva lasciare le sue amiche, non voleva vedere una guerra da lontano mentre le persone morivano.
«Sono già le undici meno un quarto» gli fece sapere, infastidita più per la strana e spiacevole sensazione data dall’occhiata terrorizzata del padre che per la ramanzina del primo settembre.
C’era qualcosa in lui che negli ultimi due mesi di vacanza Liv non aveva visto. Il senso d'oppressione e pericolo imminente nei familiari occhi azzurri davanti a lei poteva quasi sentirlo avvinghiarsi ai polmoni. Aveva passato l'estate a litigare con lui per la questione ''guerra" e per le loro idee opposte a riguardo: Liv voleva restare a combattere dopo i suoi esami, lui preferiva scappare portandosi dietro l'intera famiglia contro la sua volontà.
Liv spostò lo sguardo cupo da suo padre al finestrino, scrutando attentamente la strada come se da un momento all’altro la signora anziana con le buste della spesa sul braccio potesse trasformarsi in un uomo incappucciato.
Edgar le lanciò un’ultima occhiata guardinga e ripartì.
Il silenzio invase il piccolo abitacolo dell’auto almeno fino a quando l’uomo non dovette frenare di nuovo davanti alle famose strisce pedonali che un alto ragazzo slanciato con un giubbino in pelle nera e degli stretti anfibi da motociclista ai piedi stava attraversando in tutta calma trascinando senza difficoltà un grosso baule molto simile a quello che avevano dietro, nel cofano.
Sirius Black sorrise sardonico al centro della strada sollevando pigramente una mano con sigaretta annessa, in segno di saluto. 
Liv gli rispose semplicemente alzando il dito medio fuori dal finestrino, sotto l’occhio sconcertato del padre.
«Liv!»
«Se lo merita»
«Lo conosci?»
«Sì»
«É Grifondoro?».
Edgar fece per afferrare la manovella ed abbassare il vetro quando Liv si protese verso di lui, fermandolo con entrambe le braccia.
«É il barbone sotto casa, non lo vedi? Cosa gli vuoi dire? Lascialo in pace, poveretto» gli disse sbrigativamente ma l’espressione per nulla convinta del padre la colse di sorpresa.
Edgar girò velocemente la manovella affacciandosi con tutta la testa e un braccio, richiamando con veemenza Sirius.
«No, papà!»
«RAGAZZO!»
«Se fai salire lui scendo io».
La minaccia non servì a niente. Così come non servì ignorare il largo e sghembo sorriso di Sirius nello specchietto retrovisore quando la macchina ripartì come se niente fosse.
«Abbiamo riconosciuto il baule» esordì in un sorriso Edgar continuando a guidare tranquillamente.
«É stato molto gentile, signore» rispose Sirius in un tono educato che Liv- aggrottando la fronte in un cipiglio sospettoso- giurò di non aver mai sentito uscire da quelle labbra insolenti nemmeno con il preside davanti.
Lo scrutò dallo specchietto arcuando un sopracciglio e lui, comodamente seduto al centro dei sedili posteriori, ricambiò l’attenzione con un’ammiccante occhiata divertita illuminata dal sole.
«E bella automobile, complimenti» continuò, rilassato.
«Grazie, ragazzo! La mia prima vera auto, anno 1956» fece Edgar, compiaciuto e gioviale.
«Wow!» commentò sinceramente colpito Sirius guardando con rinnovata meraviglia gli interni.
«Finalmente qualcuno che apprezza le auto d'epoca!» esclamò l'uomo alla guida «Liv mi ossessiona con quella mini di quel tizio dei Beatles, quel McCartney...»
Sirius rise capendo il riferimento a Paul McCartney. «Non male anche quella, certamente più moderna» disse posando lo sguardo piacevolmente sorpreso ed interessato su Liv, sempre più irrigidita e scioccata dalla situazione. 
«Liv dice di conoscerti» continuò in tono furbo Edgar controllando a destra e sinistra ad uno stop.
«Siamo compagni di Casa dello stesso anno» si affrettò a precisare acidamente lei, spiazzata da quell'assurdo breve dialogo tra suo padre e Sirus Black. «Lo conosco per forza»
«Non gli hai mai parlato di me, Olivia?» chiese fintamente ferito Sirius arpionando entrambe le lunghe e magre mani ai due sedili davanti per avvicinarsi a loro.
«Oh!» esclamò Edgar sinceramente sorpreso sentendo il nome intero della figlia vibrare nell’aria con così tanta naturalezza come nemmeno lui sapeva fare. «Sei davvero un Grifondoro, ragazzo»
«Sirius, signore» fece lui porgendogli sfacciatamente la mano destra che l’uomo strinse, mollando per qualche secondo il volante.
«Sirius, come la stella. Va bene. Chiamami Edgar, Sirius» rispose divertito sotto gli occhi sconcertati di Liv che, al suo fianco, lo fissò spalancandoli sempre di più.
Lui le sorrise in risposta, facendo spallucce come se non avesse appena fatto amicizia con ‘Il nemico’.
Entrando di fretta in stazione, tra schiamazzi e annunci dei treni, i tre raggiunsero la barriera tra i binari nove e dieci.
Rimasero in attesa lì davanti, cercando di camuffare come potevano il grande baule, e quando nessun babbano sembrava attento verso la loro direzione, attraversarono il muro di mattoni uno dopo l'altra ritrovandosi sull’affollato binario nove e tre quarti.
L’Hogwarts Express, con il suo scintillante rosso scarlatto, liberava denso fumo grigio invadendo l’intero marciapiede; un odore familiare che a Liv invece di dare fastidio faceva stare bene insieme al vociare di ragazzi e genitori unito ai versi striduli degli animali chiusi nelle gabbie.
Le labbra le si curvarono nel primo sorriso sincero dopo settimane di broncio, nonostante la triste ed anomala rispetto agli precedenti presenza degli Auror del Ministero ormai sempre di guardia in ogni luogo magico affollato.
Si voltò verso Sirius e suo padre, notando che anche loro avevano la stessa piega felice sul viso, nonostante l'aria tesa. 
Non osò soffermarsi su quella del Grifondoro inspiegabilmente ancora al suo fianco e rimase incantata a quella del padre a cui doveva davvero mancare davvero tanto la magia. 
Liv molto spesso dimenticava tutto quello che suo padre faceva per lei ed era in momenti come quello che si sentiva vicino a lui più di chiunque altro.
«Grazie per il passaggio, Edgar» spezzò il silenzio Sirius allungando ancora una volta la mano verso l’uomo che ricambiò la stretta calorosamente.
«É stato un piacere conoscere un amico di mia figlia, Sirius»
«Non è mio amico»
«Ci vediamo sul treno, Ollie! Ti occupo un posto! É questo che fanno gli amici, no?» infierì Sirius allontanandosi da lì a ritroso con un sadico sorriso indirizzato a Liv che si trattenne dallo schiaffeggiargli in faccia un altro dito medio.
«Stai attenta» mormorò suo padre richiamando la sua attenzione tra le voci attorno della gente in fermento per la partenza. 
Liv portò gli occhi su di lui, incrociando quelli azzurri di nuovo serissimi.
«Io sarò al sicuro a Hogwarts, papà, stai attento tu piuttosto» gli disse lasciando che la sua voce prendesse una tonalità più morbida. 
E l’uomo l’abbracciò, stringendola forte a sè come poteva fare raramente. Liv serrò gli occhi contro la sua giacca di tweed marrone, inspirando piano il buon odore su quella stoffa familiare che da bambina l'aveva sempre confortata, desiderando segretamente che suo padre cambiasse idea.
«LIV!» la voce di Lily riuscì ad arrivare alle orecchie della ragazza nonostante il chiasso attorno.
La folta chioma rosso scuro dell’amica ondeggiava tra braccia che si protendevano dai finestrini per gli ultimi saluti, gabbie in bilico sui bauli e persone che si accalcavano e abbracciavano con fare frettoloso ed eccitato.
In un attimo Liv fu sommersa da una cascata di profumati capelli vermigli, stretta da due esili ma calorose  braccia candide.
«Finalmente!» la salutò Liv ricambiando l’impetuoso abbraccio.
«Buongiorno, signor McAdams!» fece radiosa Lily, sciogliendo la presa per stringere vigorosamente la mano all’uomo che sorrise di rimando.
«Buongiorno, Lily. Pronta per l’ultimo anno?» le chiese, allegro.
«Più o meno, sì» rispose lei in un’aperta risata contagiosa facendo brillare i suoi grandi ed espressivi occhi verdi verso una Liv visibilmente più rilassata.
Il fischio acuto del treno li fece sobbalzare tutti e tre.
«Forza! Salite!» le fece smuovere Edgar consegnando il pesante baule alla figlia «E mi raccomando, siate prudenti».
 Liv gli sorrise e seguì Lily tra la marea di gente. Si rigirò verso di lui un’ultima volta, prima di salire sul treno, e una strana sensazione le bruciò lo stomaco vedendolo salutarla con la mano da lontano.
«Vieni, lo scompartimento che ho scelto è di qua» la informò Lily guidandola nello stretto ed affollato corridoio della locomotiva piena zeppa di studenti chiassosi. «Ti ho visto con tuo padre, da qui, fuori dal finestrino».
Liv la seguì con difficoltà per colpa del baule che continuava a sbattere e ad incastrarsi su persone e altri bagagli. Per poco non scaraventò a terra senza volerlo un bambino del primo anno con un baule più grosso di lui.
«Mary?» chiese a Lily dopo essersi accertata che l'undicenne fosse tutto intero e stesse bene. 
«Non l’ho ancora vista, ma sai che è sempre in ritardo» le rispose serenamente Lily facendo scorrere la porta dello scompartimento che aveva occupato.
Sistemarono il baule di Liv sulla grata e presero posto nei comodi sedili proprio quando il treno cominciò a muoversi. Oltre il vetro, genitori e parenti si sbracciavano per salutare i propri figli, fratelli e sorelle con sorrisi e occhi lucidi. Oscurando la visuale, il fumo aumentò così come la velocità del treno che ben presto si lasciò alle spalle il binario nove e tre quarti.
«Allora?» esordì Liv, spezzando il malinconico silenzio che si era venuto a creare. «Questa spilla?» chiese a Lily che rise piano davanti a lei; la vide armeggiare con la sua borsa a tracolla per poi tirare fuori da una tasca il brillante distintivo d'argento nuovo di zecca, una grande C sopra lo stemma di Hogwarts.
«È proprio vera» commentò Liv tenendo l’oggettino come se scottasse. Lily rise, divertita.
«E vale molto di più di quel che tutti pensano, Liv, almeno per me» le rivelò in tutta sincerità pensando a quella responsabilità non di poco conto, in un anno come quello. Scacciò via i pensieri sulla mole di studio che avrebbero avuto prima degli esami finali, sull'aria che si respirava a Hogwarts da due anni a quella parte, perché aveva accettato quella spilla anche per quel motivo.
L'aveva accettata per essere il bersaglio principale di quelli che se la prendevano con i Nati Babbani anche dentro il castello, l'aveva accettata per proteggere e far valere tutti quelli come lei. Per il fuori, invece, Lily non sapeva ancora come fare ma l'idea era la stessa anche senza un distintivo addosso.
«Mary ti ha scritto che sarà lei il nuovo Prefetto, al mio posto?» chiese, più per liberare la mente che per parlare dell'innocente disperazione dell'amica.
Liv annuì con la testa, restituendole il distintivo. «Lily mi ha ucciso accettando la spilla da Caposcuola! Tu mi sei testimone, sappilo!” Quella lettera dobbiamo appenderla in camera subito dopo il banchetto» annunciò in un mezzo sorriso che Lily colse al volo, riproponendo qualche passo della pergamena che il gufo di Mary le aveva portato a casa in estate.
«”Lily Evans, hai ucciso e dovresti sentirti terribilmente in colpa! Prepara il discorso da fare in chiesa e anche davanti al Wizengamot!”» esclamò imitando l'amica ancora assente. Le risate in contemporanea di Lily e Liv si mischiarono nel piccolo ed accogliente ambiente bianco di luce e fresco per il vento ancora estivo che entrava con la velocità del treno dal finestrino mezzo abbassato.
«Beata te che potrai vederla alle prese con Remus» fece Liv in tono ironico.
«Io le ho scritto di non preoccuparsi perché Remus sarà il mio, di collega» sentenziò Lily con una certa radiosa sicurezza tanto da far arcuare un sopracciglio scuro di Liv. «Che c'è? Potrebbe. Prefetto, diligente, ottimi voti... certo, avrebbe potuto scrivermelo nella risposta alla mia lettera di settimane fa, ma non voglio pensare a nessun'altro al mio fianco» disse Lily portandosi distrattamente una lunga ciocca di capelli rossi oltre una spalla.
«Tipo Piton?»
«Tipo Piton, sì»
«Be', se avremo Remus come Caposcuola, Mary avrà come collega Potter, Black o Minus» le fece notare Liv cambiando appositamente argomento per sviare la chiacchiera da quel nome ancora troppo ingombrante nonostante fosse passato più di un anno da quando aveva smesso di uscire dalle labbra di Lily.
«Mary lo preferirebbe, senza dubbio» commentò Lily arricciando il piccolo naso lentigginoso con fare pensieroso. «E sempre Mary dovrebbe rivedere il suo metro di giudizio del pericolo che le fa pensare che Potter e Black siano persone da avere al fianco prima di Remus».
La porta scorrevole si aprì di scatto, facendo comparire proprio Mary con il suo caschetto biondo spettinato e le guance rosse dallo sforzo che stava facendo per trascinarsi dietro il pesante bagaglio.
«Buongiorno» esordì lanciando sguardi infuocati verso Lily attraverso la frangia che le sfiorava gli occhi nocciola.
«Allora sei viva, che ti avevo detto?» rispose al saluto Lily mordendosi una guancia per non scoppiare a ridere. «Esigo delle scuse». Fece per alzarsi dal sedile e andare ad aiutarla, ma lei la fermò alzando una mano autoritaria.
«Liv, potresti dire a Lily che il baule non mi servirà più perché quando scenderemo da questo treno io sarò morta?»
«Ci sei mancata anche tu, Mary. Hai passato una buona estate nel tuo mare, in Cornovaglia?»
«Chiedi a Lily se ho passato una buona estate, Liv»
«Mary, per piacere, non hai nulla di cui preoccuparti...»
«Non avete sentito?»
«Cosa? La tua voce rabbiosa invece di un “Amiche mie, non vedevo l'ora di rivedervi”?»
«Che Potter è l'altro Caposcuola»
«Scusa?»
«James Potter è Caposcuola, Liv, e Remus quindi resta Prefetto»
«Non dire sciocchezze»
«Non sto scherzando, Lily»
«Certo che stai scherzando»
«No che non sto scherzando» ribadì Mary ammorbidendo il tono di voce con aria divertita nel vedere gli occhi scuri di Liv spalancarsi. A Lily invece sfuggì uno sbuffo di risata incredula.
«Ma che stai dicendo, Mary, dài»
«L'ho sentito venendo qui, nel corridoio del terzo vagone»
«Potter si sta vantando in corridoio, immagino»
«Non l'ho nemmeno visto. Lo stava dicendo Alan Morgan, il cacciatore della squadra di Quidditch, a McLaggen e Johnson».
Ma la faccia fermamente scettica di Lily e il suo rosso sopracciglio sarcasticamente sollevato non cambiarono di un millimetro.
«Io lo sapevo» sibilò Mary puntandole un dito contro. «Potter... studente brillante»
«Questo è vero» ammise Liv senza problemi. Lily le diede ragione mentalmente. Non aveva mai avuto niente da ribadire riguardo l'intelligenza di James Potter, anzi, per lei era fin troppo capace e più volte l'aveva sorpresa e messa in seria difficoltà con gli incantesimi, soprattutto di Trasfigurazione, lanciati nei corridoi addosso ad altri studenti, a Piton. «Non è un Prefetto, Mary, bisogna essere stati Prefetti per ricevere la carica»
«O avere un distintivo in generale, Lily. Potter è Capitano della squadra di Quidditch dall'anno scorso ed è forse anche il migliore di Hogwarts»
«Vengono prima i Prefetti delle altre Case...»
«Non è vero. I Capiscuola sono i migliori della scuola, a prescindere dalle spille da Prefetto»
«In teoria»
«Potter è uno dei migliori della scuola e si è anche dato una calmata dall'anno scorso, anche se non l'hai mai ammesso»
«Senti, Mary, Potter non può essere Caposcuola» stroncò la conversazione Lily facendo ridere Liv davanti a lei. «Remus, Bones di Tassorosso e quel pomposo Goldstein di Corvonero... sono loro i prescelti, chiaro?»
«Chiaro» l'assecondò ironicamente Liv mentre Mary incrociava le braccia al petto davanti a quella che era a tutti gli effetti una fase di negazione nei confronti di James Potter e, soprattutto, di Severus Piton.
«Non esiste nessun'altro Grifondoro a parte Remus Lupin»
«Nessun'altro»
«Abbiamo lavorato benissimo per due anni interi, io e Remus, la professoressa McGranitt e Silente l'avranno certamente messo in conto»
«Certamente»
«Non assecondarmi, Liv» la rimproverò Lily lasciandosi andare ad un sorriso divertito, non capendo però l'improvvisa agitazione per l'ipotesi di avere Potter come collega.
Non si scontrava con James Potter da quel maledetto pomeriggio di giugno dell'anno prima, poco lontano dalla riva del Lago Nero; lo stesso Potter che aveva passato l'anno precedente lontano da lei.
Lily aveva vissuto tutto il sesto anno senza più il suo migliore amico e senza il caos ambulante fatto a persona che le era sempre stato attorno per cinque lunghi anni, in un modo o nell'altro.
«Non è così, è ridicolo!» riprese sentendosi spiacevolmente messa alle strette da una sensazione indecifrabile ferma nello stomaco. «Hogwarts ha sempre avuto stupide voci di corridoio»
«Non siamo ancora a Hogwarts, Lily»
«Mi hai capito, Liv»
«I tuoi toni soavi fanno sempre comodo quando ti cerco, Lily» esordì Remus facendo capolino dalla porta scorrevole ancora aperta, proprio alle spalle di Mary che sussultò spostandosi di lato. «Ragazze» salutò affabile facendo un cenno a Liv e lanciando un timido sguardo a Mary semi-pietrificata sulla porta.
«Fammi vedere la spilla, Remus» gli disse Lily avvicinandosi a lui con aria curiosa. Remus sollevò entrambe le sopracciglia castane cercando di trattenere un sorriso che però riuscì lo stesso a stirare le sue pallide labbra segnate da qualche cicatrice. Ficcò una mano nella tasca del pantalone babbano tirando fuori il distintivo rosso con la grande P dorata sovrapposta al leone di Grifondoro dall'aria vissuta ed anche un po' esausta. Mary fece un mugolìo impercettibile e Lily restò impassibile.
«L'altra, Remus. Questa la darai a Potter come io ho fatto con Mary, giusto?»
«No, Lily. In effetti, ti stavo cercando anche per dirti...»
«Per quale apocalittico motivo Potter è Caposcuola?» lo bloccò lei apparentemente calma. «E sopratutto... perché accidenti non me l'hai detto nella lettera?»
«Non ho scelto io James» si giustificò pacatamente Remus grattandosi distrattamente un lato del naso per camuffare la risata trattenuta. «E non te l'ho detto per evitare che rifiutassi la spilla, te la meriti» aggiunse gentile osservandola alzare un sopracciglio, interdetta.
«Potter non ha mai avuto il potere di influenzare la mia vita e mi sembra di saperlo tenere a bada»
«Non intendevo... »
«E comunque continuo a non crederci» fece sapere lei in tono di nuovo tranquillo mettendosi comoda sul sedile imbottito. «Vi conosco, conosco i vostri scherzi» spiegò facendo spallucce, l'ombra di un sorriso divertito sulle labbra. «E conosco te, Remus, che non sai dire di no a Potter e Black»
«Stai attento a dove metti i piedi e il naso, Mocciosus». L’urlo di Sirius in corridoio fece socchiudere gli occhi di Liv, subito in allerta.
«Stai attento tu, Black! É il mio baule quello che stai scavalcando come l'animale quale sei». La voce scontrosa di Mulciber seguì subito quella del ragazzo che in un attimo fece la sua imperiosa comparsa nello scompartimento già troppo affollato.
«Ci rivediamo anche quest'anno, signore!» esordì Sirius facendo un'elegante riverenza ma con voce piuttosto alta ed ironica. «Piaciuta la bella notizia?». Lo sguardo beffardo e ridente tra i ciuffi di capelli neri che si scostò con un distratto gesto della testa passò in rassegna tutti i presenti, per poi tornare su Liv con maggiore attenzione.
«I ruoli da Capiscuola erano troppo appetitosi per non approfittarne, Black, vero?» gli chiese serenamente Lily dal suo posto. Sirius aggrottò le sopracciglia nere, confuso.
«Cosa stai dicendo, Evans? E dove sei stata in vacanza quest'estate, in Transilvania? Sei più bianca di un unicorno»
«Puoi benissimo smettere di fingere. So che è uno scherzo e non è nemmeno di quelli divertenti. Mi aspettavo di più, da voi, come inizio dell'ultimo anno»
«Fa sul serio, Lunastorta?»
Remus scosse la testa alla domanda dell'amico, come a dirgli di lasciar perdere. «Stiamo aspettando te, Lily, nella carrozza dei Prefetti» le fece sapere, paziente ma sempre più internamente divertito. «Non possiamo dare inizio alla riunione senza entrambi i Capiscuola»
«Che saremmo io e Potter»
«Sì, tu e James»
«Mh, mh»
«Lily, dico sul serio»
«Potter è già lì?»
«Certo»
«Vedremo, Lupin».
Liv seguì con occhi ridenti ed increduli l'amica alzarsi con sfida dal sedile davanti rivolgendole uno sguardo piuttosto scettico, per poi passare tra Remus e Sirius ed uscire.
«A dopo, Liv, forse» la salutò Mary prima di sparire anche lei in corridoio seguita a ruota da Remus che sorrise affabile in segno di saluto facendo scorrere la porta.
Sirius si lasciò cadere con elegante disinvoltura accanto a Liv, guardandosi le mani con noia, e lei incrociò le braccia al petto fissandolo con impazienza
«Be'?» sbottò per attirare la sua attenzione.
«Be', cosa, Olivia?» rispose lui pigramente.
«Cosa ci fai ancora qui?»
«Perchè dovrei andarmene, scusa? Sto comodo» fece Sirius portando i suoi provocatori occhi grigi su di lei, più accesi ed ardenti del solito.
«Ci sono altre centinaia di sedili comodi esattamente come questo in altri scompartimenti» gli ricordò.
«Lo so» replicò Sirius, rilassato «ma quelli non sono sotto al mio sedere adesso» spiegò con tranquillità.
Liv, un sorrisetto nervoso a stirarle le labbra, fece per ribattere ma si fermò soltanto per osservare la porta scorrevole aprirsi di nuovo facendo sbucare la faccia tonda di Peter Minus.
«Felpato, sei qui!» esordì a dir poco sconvolto dall'evidente corsa che si era sicuramente fatto lungo tutto il treno. «Ti stavo aspettando nel nostro scompartimento, ti ho cercato ovunque!»
«Accomodati, Codaliscia! Fai come se fossi a casa tua» gli diede un pomposo benvenuto Sirius, indicando i sedili di fronte con un gesto del braccio.
«Accomodati?» scattò Liv guardando Sirius con aria sempre più fastidita. Non aveva nessuna intenzione di passare il viaggio con quei due, li conosceva fin troppo bene. L'unica cosa che voleva era starsene tranquilla, possibilmente in silenzio. «Questo non è il tuo scompartimento, Black. Dovete andarvene, entrambi. Non si è mai visto un viaggio con voi due, qui» continuò puntando Peter, seminascosto dalla porta scorrevole, e poi di nuovo Sirius che però non si mosse dalla sua confortevole postazione.
«Dato che quest'anno sei sola, volevamo farti compagnia» fece lui mentre Peter gli scoccò un'occhiata spaesata con gli occhi celesti, come se non si riconoscesse in quel plurale; negli occhi grigi posati su di lei, Liv ci lesse una lampante e limpida sincerità che la fece stare in silenzio per diversi istanti.
Non era la prima volta. L'aveva vista dopo averle detto di mettere bene i paraorecchie ad Erbologia al secondo anno, per esempio, o tutte le volte che appendeva a testa in giù Piton prima che potesse farlo lei.
Si era preso diverse punizioni al posto suo, Sirius, soprattutto da quando la McGranitt aveva minacciato di farla espellere se avesse continuato ad usare la bacchetta per "portare giustizia a Hogwarts con altra violenza".
Il fatto che la professoressa non avesse minacciato anche Piton per il suo modo di far piangere Lily più volte, dal primo anno al quinto, o Mulciber per il suo usare Mary come cavia preferita, si aggiungeva alle ingiustizie.
«Perdonala, Coda. Sai com’è fatta, una bambina capricciosa ed immatura» scherzò Sirius, con finta aria di sufficienza, incoraggiando l’amico a sedersi sul sedile vuoto davanti.
«Io sarei una bambina immatura? E voi cosa siete allora quando vi chiamate a vicenda con quei nomi ridicoli?» replicò Liv poggiando la schiena sul sedile che vibrava allo sferragliare del treno ormai in aperta campagna. «Felpato, vieni qui... aspetta un attimo, Codaliscia, hai visto Ramoso!?... Io no. Tu, Lunastorta!?» scimmiottò, alterando la voce per imitare quelle dei quattro amici. Sirius si trattenne dal ridere di gusto, divertito.
«Dietro a quei nomi ci sono gesti ed intenzioni da eroi, signorina» l’ammonì Sirius con finta aria oltraggiata lanciandole un'occhiata vibrante ed accesa, le labbra sollevate in un sorriso aperto.
«Si, come no» fece lei, sarcastica. «Siete due eroi se adesso ve ne andate da qui. Mi salvereste proprio la giornata».
Ma Sirius e Peter non se ne andarono e quando arrivò mezzogiorno erano ancora lì a spezzare con le loro chiacchiere il ritmico sferragliare del treno, le voci fuori dallo scompartimento degli amici che si ritrovavano dopo due mesi di vacanza, le risate e il vuoto che Liv aveva sentito addosso appena suo padre l'aveva salutata. Sirius sembrava essersene accorto, ma Liv non vide il suo sguardo grigio che la sbirciava ogni tanto, spesso, posandosi su di lei discreto ed intenso come se si volesse assicurare che stesse bene; il suo sorriso spuntava accennato ogni volta che lei distoglieva lo sguardo pensieroso dal paesaggio oltre il finestrino per rispondere a tono alle sue provocazioni o domande.
«Oh, Black, è una stupidaggine» se ne uscì Liv ad un certo punto, lasciando perdere il campo arato che sfrecciava dietro il vetro illuminato di sole; la Gazzetta del Profeta abbandonata sulle ginocchia con in prima pagina l'ennesimo annientamento di una famiglia di Nati Babbani che l'aveva di nuovo fatta incantare a quel paesaggio con il cuore in gola e una rabbia mista ad angoscia rivolta a suo padre. Non voleva lasciare la Gran Bretagna, non voleva lasciare quel posto, quelle persone.
«Perché? James dice che prima o poi torneranno alti in classifica»
«Lo stesso James che tifa i Puddlemere»
«Vero. Ma in attesa che i Cannoni ritrovino il senno...»
«Per piacere» sbuffò Liv in un sorriso che non riuscì a controllare. Sirius sorrise di riflesso, vedendolo.
«Qualcosa dal carrello?» esordì la gentile voce della donna in corridoio dietro il vetro della porta sorrevole, illuminando il viso di Peter che subito si frugò nelle tasche dei pantaloni per afferrare un galeone e qualche zellino prima di uscire di corsa dallo scompartimento.
«Ecco, Black, lui è un eroe. Vai, diventa un eroe anche tu» esclamò ironicamente Liv. Sirius rise, sinceramente divertito.
«Vedrai che tornerà a breve» si limitò a dire, sprofondando sul sedile con aria rilassata sotto gli occhi scuri di Liv, per niente convinti.
La seconda entrata di Peter nello scompartimento la fece ricredere.
«Wow, quest’anno c’era di tutto! Quel carrello sembrava Mielandia!» squittì Peter con le braccia cariche di dolciumi colorati*.
Sirius sorrise sornione a Liv, rimasta a bocca aperta non riuscendo proprio a capire come aveva fatto a comprare tutte quelle cose in meno di tre minuti.
Seguì con lo sguardo il ragazzo mentre lasciava cadere sui sedili di fronte caramelle, Cioccorane e pacchetti di ogni forma e consistenza.
«Queste per esempio...» farfugliò Peter, voltandosi verso di loro con in bocca tre stecche di liquirizia dai colori sgargianti. «Non c’erano l’anno scorso. Ve lo posso assicurare».
Liv lo guardò allibita. «Non metterò mai più in dubbio il tuo sapere riguardo il carrello dei dolci»
«A quanto pare» provò a cambiare il discorso Sirius, portandosi le mani dietro alla nuca per mettersi ancora più comodo. «Tutti quelli del nostro anno Grifondoro sono Prefetti o Capiscuola, eccetto noi»
«E quindi?» fece Liv, già intuendo dove Sirius volesse andare a parare.
«E quindi significa che noi siamo lo ‘scarto’. Tu sei la violenta...» cominciò infatti a spiegare serenamente lui, assorbendo lo sguardo improvvisamente nervoso di Liv. La sentì borbottare qualcosa sottovoce che lo fece ridere piano.
«Come?» chiese, facendo finta di non aver sentito.
«Preferisco usare la bacchetta per zittire persone che non sanno ascoltare altro se non quella, piuttosto che avere una spilla lucente al petto» ripeté a voce un po' più alta Liv dicendo la semplice verità che non aveva mai nascosto a nessuno, nemmeno a suo padre che l'aveva sempre voluta Prefetto, invano. Liv tentò di soffocare il senso di colpa e continuò.
«Gente come Mulciber se ne frega di punti e punizioni. E non avere un distintivo non significa essere idiota, è un pregiudizio bello e buono quanto ''I Serpeverde sono tutti cattivi". Quindi sono felice di essere ''lo scarto''»..
Sirius sorrise sincero guardandola, appoggiando con tutto se stesso ogni frase.
«Qualcuno deve pur fare il lavoro sporco che alla fine fa comodo anche a chi ci critica, a quegli ipocriti che ridono sotto ai baffi quando rimettiamo al loro posto idioti che si fanno beffe dei punti tolti» convenne con lei facendo spuntare un sorriso anche sul viso di Liv dagli occhi improvvisamente più aperti e profondi immersi nei suoi.
L'adorava anche per quello, Sirius, da sempre. Liv aveva le sue stesse priorità da quel punto di vista e la mancanza di paura nei confronti di tutti i razzisti, figli di Mangiamorte compresi, quando si trattava di difendere se stessa, le sue amiche e gli altri. Per gli altri era ''violenta'' e per lui invece era schietta, genuina, leale, autentica, giusta. Forse era piena di difetti, la rabbia in primis, ma piuttosto che pararsi il culo si prendeva le sue responsabilità e le punizioni. E Sirius aveva sempre odiato chi si parava il culo*.
«Coda è il mangione...» riprese ad elencare restando però a guardarla con occhi intensi mentre Peter quasi si strozzò con la metà di una Cioccorana, al sentire il suo ruolo.
«E tu chi saresti? Sentiamo» lo incitò Liv notando il labbro superiore di Sirius che cominciava a curvarsi in un sorrisino furbo. Sfilò la bacchetta dai jeans, preparandosi; una risata divertita incastrata tra il petto e la gola.
«Io sono il genio incompreso, soltanto dopo la mia morte Silente capirà che...»
Quelle furono le ultime parole di Sirius Black prima che Liv lo Schiantasse e lo trascinasse fuori dallo scompartimento con parecchia difficoltà, chiedendo aiuto a Peter rimasto paralizzato dalla paura sul sedile carico di cibo.

 
 

 

 

 

 *



 


Lily si ricordò soltanto in quel momento, mentre camminava spedita nel corridoio del treno in corsa, di non avere la spilla da Caposcuola appuntata al petto come invece avevano Remus e Mary alle sue spalle, immersi in un imbarazzato silenzio. Non le diede molto peso, almeno fino a quando non fece scorrere la porta del vagone Prefetti trovando James con la sua, nuova di zecca ed appuntata storta su una maglia babbana che ineggiava all'anarchia, già vista più volte addosso a Black.
«Evans» esordì in tono rilassato lui senza muoversi dal sedile, una mano a sistemare gli occhiali rotondi sul naso e poi tra i neri capelli arruffati senza nemmeno rendersene conto. «Caposcuola anche tu, presumo» aggiunse gettando un'ironica occhiata volutamente provocatoria al vuoto sulla camicetta a fiorellini di Lily che restò a guardarlo senza allarmarsi: la spilla da Caposcuola scintillante sul petto di Potter come una spaventosa e assurda visione era di sicuro un sasso trasfigurato.
«Se stai cercando di farmi venire un infarto, Potter, sappi che dovrai impegnarti di più» commentò mentre scrutava con attenzione il distintivo da lontano. «Cerca degli scherzi più credibili perchè questo è a dir poco ridicolo ed è un peccato perché ti rovina la carriera proprio adesso. Insomma, questo sarà il nostro ultimo anno e, come ho già detto a Black, mi aspettavo qualcosa di più». Potter era sempre stato bravo in Trasfigurazione, il migliore della classe, e il fatto che quell'oggettino fosse perfettamente identico a quello che lei teneva in borsa era dovuto soltanto a quello, ne era certa.
«Non scherzerei mai su una cosa così importante, Evans» ribatté James tradendo il tono apparentemente serio con un largo e divertito sorriso.
«Credo di più al professor Kettleburn quando dice che le Salamandre sono innocue e carine» replicò Lily, convinta.
James rise di gusto, schiarendosi poi la voce con ostentata e finta pomposità, e Lily sentì qualcosa muoversi dalle parti dello stomaco dopo un anno intero di stasi totale.
«Controlla tu stessa allora, avanti» la incitò alzandosi dal sedile portando una grande mano sulla maglia per togliersi il distintivo e porgerglielo con un'irriverente e sfidante curva delle labbra.
Lily lo squadrò per un lungo attimo, guardinga, perché quella sicurezza non era affatto indice di sincerità quando si trattava di Potter. Potter che sapeva mentire senza un minimo d'imbarazzo, che sorrideva in modo sfacciato in qualunque situazione, anche quelle peggiori; Potter che si sarebbe trovato a suo agio anche a rubare un uovo di un drago inferocito a cavallo della sua adorata scopa.
«Come vuoi, Evans» disse James ritirando il braccio, e Lily scattò afferrandolo per prendere la spilla; ridusse gli occhi verdi a fessura quando, dopo averla picchiettata più volte con la punta della bacchetta, quella non cambiò forma. Lo sguardo di Lily saettò in direzione di Remus, sorprendendolo a guardarla a braccia conserte con un sorrisetto indecifrabile a metà tra l'esilarato e il mortificato. Mary invece, lì vicino, non aveva niente d'indecifrabile e Lily sentì tutto il suo “Te l'avevo detto” arrivarle dritto in fronte.
«Preferivi Piton?» le chiese a bruciapelo James, trafitto immediatamente dai grandi occhi verdi di Lily che non rispose limitandosi a guardarlo meditabonda. Le ci volle soltanto un istante per rendersi conto, a pelle, che non avrebbe mai preferito Piton a lui.
«Ma tanto siamo uguali, io e lui, no? L'hai detto tu, un anno fa» continuò James, un sorriso sfacciato a pungerla nell'orgoglio facendole sentire una fastidiosa sensazione di colpa.
Lily non ebbe nemmeno il tempo di ribattere perché i Prefetti del settimo anno cominciarono ad arrivare a coppie per Casa.
«James Potter? Sul serio?» chiese incredulo e leggermente alterato il Prefetto Corvonero entrando nello scompartimento insieme a Marlene McKinnon dall'aria stranita ma ridente sotto i ricci biondi legati in un alto chignon spettinato.
«Goldstein, è la stessa domanda che mi sono fatto io al quinto anno quando ti hanno dato quella spilla»
«Potter» bofonchiò Lily al suo fianco mordenosi le labbra per camuffare un sorriso divertito.
«Ma allora è vero!» esclamò invece un entusiasta Edgar Bones seguito a ruota da Elizabeth Truman, il distintivo giallo-nero di entrambi a riflettere la faccia giocosa di James intento a scarmigliare i capelli rossi del portiere dei Tassorosso. Remus e Mary si sedettero affianco ai due Corvonero come due statue di sale, e quando anche Deanne Stevens entrò da sola nell'abitacolo aggiustandosi la spilla verde e argento sul cardigan, James proferì parola per primo.
«Ci siamo tutti del primo gruppo, sì? Possiamo iniziare» sentenziò senza guardare Lily e il suo viso seminascosto dai capelli rossi, un impercettibile sorriso a stirarle le labbra al suo ignorare la mancanza di Piton.
«Qualcuno ha portato gli Scacchi?»
«Potter».

 

 

 

 

 

 

*

 

 



 


Fuori dal finestrino la selvaggia campagna scozzese scorreva ormai immersa nell’oscurità della sera, nel piccolo scompartimento illuminato dalle lampade Liv osservò Lily abbottonarsi in fretta la camicia della divisa scolastica. Non lo trovò strano, sapeva che quando Lily era nervosa, specialmente dopo un battibecco con Potter, era meglio lasciarla sfogare. Di strano trovò soltanto il fatto che non sembrava nervosa e non aveva di certo discusso con Potter o nelle orecchie avrebbe avuto la sua voce stizzita a rimbombare con insulti ogni volta diversi; Lily sembrava semplicemente meditabonda, più meditabonda dell'anno precedente.
Erano quasi arrivati a destinazione e da quando era tornata dall'ultima riunione con i Prefetti del quinto anno, a metà pomeriggio, non aveva fatto altro che stare in silenzio mangiucchiando Cioccorane, facendo cruciverba sulla Gazzetta del Profeta sdraiata sul sedile e leggendo la rivista di Alchimia Oggi prima di far partire una partita a Sparaschiocco con la ragazza di Xeno Lovegood, passata a salutarle.
«Perché hai Schiantato Black, stavolta?» esordì lanciando un’occhiata a Liv prima di far sparire il volto e la chioma rossa dentro al maglione.

Mary, chiudendo l’ultimo bottone della gonna, si scambiò con Liv un veloce sguardo divertito prima di continuare a vestirsi.
«Chi te l'ha detto?» rispose Liv sistemandosi la cravatta rossa e oro al collo.
«Jane Phillips»
«Ah, quella... »
«È davvero necessario usare sempre la bacchetta?»
«Stava facendo il cretino come sempre e quindi, sì, è necessario usarla sempre»
«La prossima volta stai più attenta a chi hai attorno, soprattutto ai Prefetti come lei» le ricordò Lily appuntandosi la spilla da Caposcuola sulla tunica nera osservando il suo stesso riflesso con aria turbata sul vetro del finestrino.
Il buio paesaggio dietro cominciò ad avere sempre più forma mentre il treno cominciava a rallentare e il chiasso e la confusione presero il sopravvento nelle carrozze.

«Non spaventarti, Mary. Credo che questo sia il momento peggiore per un Prefetto, a parte le emergenze. Ma ti giuro che una volta arrivati a scuola sarà una passeggiata. Potrai anche entrare nel bagno dei prefetti»
«Mi stai prendendo in giro, Lily?»
«No, perché? Dovrai solo stare attenta a chi infrange le regole durante il giorno e unirti agli altri Prefetti per le decorazioni di Halloween e Natale... oh, già, Remus»
«Già»
«Be', non è andata così male prima»
«Non è proprio andata».
Per la prima volta, dopo anni, la questione Prefetti e Capiscuola creò un certo fastidio a Liv che si ritrovò completamente sola mentre scendeva dal treno e si infilava nella massa di studenti sullo stretto e buio marciapiede della stazione di Hogsmeade.
«PRIMO ANNO DA QUESTA PARTE!» esclamò il vocione dell’enorme Hagrid sovrastando gli schiamazzi dei ragazzi che si accalcavano l’uno +sull’altro. «PRIMO ANNO TUTTI QUI DA ME!».
Liv lanciò una veloce occhiata a Mary che le mimò un Ci vediamo alle carrozze!’ prima di andare in soccorso ad un disorientato gruppetto di bambini del secondo anno.
Aspettò le sue due amiche davanti alla prima carrozza libera che trovò, non rendendosi conto che si trovava proprio affianco a quella di Avery, Mulciber e Piton. Sentì addosso il tagliente sguardo di Severus, riuscendo a reggerlo senza scomporsi più di tanto.
Ormai era abituata a quegli occhi neri che le lanciavano fulmini e fiamme ogni volta che se li ritrovava di fronte; si era ripromessa già da tempo che l’avrebbe semplicemente ignorato per non rendere ancora più complicata la situazione spinosa che ogni tanto gettava nello sconforto la sua migliore amica, e spostò così lo sguardo su un ragazzo dai capelli neri che si dirigeva spedito e deciso verso il gruppetto dei Serpeverde, la spilla da Prefetto ben appuntata alla divisa. Regulus Black le lanciò una sfuggente occhiata sprezzante passandole di fianco prima di congiungersi con i suoi amici. Nessuno capiva come quel ragazzo serio e rigido come un colletto inamidato potesse essere il fratello minore dell’esuberante e casinista Sirius.
«Violenta!». Proprio la voce di Sirius le arrivò alle orecchie come se fosse stata chiamata, fastidiosa come lo stridere del gessetto sulla lavagna.
Liv si voltò dalla parte del ragazzo alzando il braccio per mostragli il dito medio ma la mano scattante di Lily lo afferrò con prontezza, riabbassandoglielo prima che potesse fare qualcosa.
Sirius rise di gusto a quella scena, portando indietro la testa e inciampando su Peter che aveva alle spalle.
«‘Genio’ incompreso!» lo sbeffeggiò ironicamente Liv mentre veniva spinta con la forza da Lily dentro la carrozza che poco dopo seguì le altre, avanzando in una lunga fila nel tortuoso e buio viale sterrato.
Il maestoso e imponente castello di Hogwarts, con le sue torri che svettavano nel cielo stellato e le tremolanti luci che brillavano come piccole fiammelle nell’oscurità, diede il benvenuto a tutti dall’alto della sua scogliera affacciata sul Lago Nero.
La fioca luce azzurrina della mezzaluna alta nel cielo colorava le montagne intorno, disegnando le punte degli abeti della vicina Foresta Proibita che dondolavano leggermente sotto il tocco dell’aria fresca che sapeva di brughiera.
Le carrozze oltrepassarono l'alto cancello aperto in ferro battuto, tra i due cinghiali alati in pietra, e risalirono la strada fangosa fino ad arrivare al cortile della illuminato dalla luce delle torce che dal portone d'ingresso si riversava sui gradini esterni accogliendo la calca di studenti ridenti ed eccitati.
Il tepore del castello li avvolse scaldandoli piacevolmente appena misero piede dentro, ma un brivido corse sulla schiena degli studenti del settimo anno varcando la grande porta della Sala Grande: la consapevolezza che quello era l'inizio dell'ultimo anno pareva essersi fatta più concreta sotto la volta che rispecchiava il cielo stellato fuori dalle alte finestre ad arco acuto, sotto le stesse candele che avevano galleggiato sopra le loro teste per sei lunghi anni, vedendoli crescere.
Il Cappello Parlante stupì tutta la Sala Grande quando, appena la professoressa McGranitt posò a terra lo sgabello, iniziò a cantare dallo strappo vicino al logoro bordo sfilacciato senza fermarsi alle solite descrizioni delle qualità appartenenti alle quattro Case di Hogwarts, com'era solito fare ogni anno. Nessuno l'aveva mai sentito dare consigli alla scuola, a parte forse il Preside e qualche professore che non sembravano affatto sorpresi. Perfino Nick-Quasi-Senza-Testa, il fantasma che aleggiava a metà tavolo Grifondoro, aveva l'aria tesa ma non stranita. James e Remus gli scoccarono un'occhiata di traverso mentre trapassava metà testa di entrambi, gelandoli.
«Non è la prima volta*» gli sentirono dire apppena la filastrocca si spense, tra il borbottare degli studenti misto agli applausi. «Il Cappello Parlante si sente in dovere di dare consigli necessari ogni volta che avverte periodi di enorme pericolo per la scuola».
Peter percepì un lungo brivido percorregli la schiena, non di certo dato dal fantasma dato che non l'aveva nemmeno sfiorato, ma dalla spiecevolissima sensazione di delusione rivolta a quello che aveva sempre creduto "il posto più sicuro di tutti".
La nuova filastrocca non fu per niente allegra e i piccoli ragazzini del primo anno, raggruppati in piedi davanti ad un’austera professoressa McGranitt, erano visibilmente terrorizzati da quelle parole che mettevano in guardia e sottolineavano l’importanza della collaborazione tra Case: "Restate uniti, siate forti dall'interno!".

Quelle stesse facce spaurite divennero ancora più pallide quando la professoressa cominciò a chiamare i loro nomi in ordine alfabetico, dando così il via allo Smistamento per la ‘semi-felicità’ di Peter Minus che già da mezz’ora aveva cominciato a massaggiarsi la pancia brontolante.
«Io non ce la faccio più...» mormorò il ragazzo dopo un po', accasciandosi sul tavolo ancora vuoto mentre una ragazzina bionda veniva accolta con entusiasmo dal tavolo dei Tassorosso. 
«Ti sei mangiato praticamente l’intero carrello dei dolci in treno, Peter, come fai ad avere ancora fame? Non lo capirò mai» sbottò Sirius a bassa voce, seduto al suo fianco. 
«Guardate il nuovo professore di Difesa» sussurrò Remus portando lo sguardo verso il tavolo dei professori mentre la McGranitt chiamava un altro nome. «Sembra in gamba»
«Io punto su...» cominciò James, fermato dalla voce del Cappello che smistava la bambina mora tra i Serpeverde. Tra gli applausi e i fischi d'eccitazione al tavolo più lontano dal loro, Remus sollevò gli occhi al cielo per la tradizionale Scommessa di inizio anno. «Un bolide di Harrison dritto in testa alla prima partita del campionato che lo renderà scemo per il resto della sua vita» completò James.
«Io dico invece che la Piovra Gigante lo porterà con lui negli abissi del lago, poco prima della gelata» scommise Sirius poggiandosi al tavolo con entrambi i gomiti per poterlo vedere meglio.
«E se sarà quasi ucciso da una di quelle piante della Sprite?» ridacchiò Peter mentre Quirinus Raptor* diventava un Corvonero. Il magrolino bambino leggermente più alto degli altri raggiunse frettolosamente il tavolo blu-bronzo in festa con le guance e le orecchie in fiamme.
«Quello è quasi successo al quinto anno, Peter, dopo i G.U.F.O. Peccato, quella professoressa mi stava simpatica» farfugliò Sirius osservando l'ennesimo ragazzino minuscolo sparire sotto la falda del Cappello Parlante. «GRIFONDORO!» gridò subito quello, e la McGranitt si affrettò a liberare la testa dell'undicenne spettinato che saltò giù dallo sgabello con entusiasmo, correndo verso di loro.
«Basta» li fermò Remus tra gli applausi scorscianti del tavolo che vibrava sotto i suoi gomiti per via dei pugni energici che tutti, attorno a lui, stavano dando sul legno per festeggiare. «Ogni anno la stessa storia. Sono sicuro che siete voi a far succedere le disgrazie a tutti gli insegnanti di Difesa con queste vostre ipotesi» sentenziò guadagnandosi finte occhiate oltraggiate da parte dei sui tre migliori amici.
Lo stomaco di Peter dovette aspettare ancora un bel po', il discorso di Silente durò il doppio del solito, non solo perchè le raccomandazioni di Gazza erano aumentate, ma anche perchè anche lui, come il Cappello, si era voluto soffermare sulla questione ‘Guerra’.
Quando finalmente diede il ‘Buon Appetito’, osservando con occhi ridenti gli studenti da sopra gli occhiali a mezzaluna, tutti i quattro lunghi tavoli si riempirono di una miriade di gustose e ricche prelibatezze che fecero brillare gli occhi non soltanto a Peter ma anche a tutti gli studenti che in un attimo ci si fiondarono sopra, affamati.
«Che diamine vuole, Lumacorno?» bofonchiò Sirius scrutando con cipiglio indagatore il grosso professore che dalla tavolata degli insegnanti sollevava il suo calice verso la loro direzione.
«É per Evans» commentò James con astio prima di infilarsi in bocca tre patate arrosto. «Che uomo insulso».
In effetti, Lumacorno stava sorridendo a Lily, rossa come una Pluffa. Rispose incerta al saluto sventolando debolmente la forchetta che stava usando per mangiare l’agnello.
«Una rottura» mormorò a Liv, seduta alla sua destra intenta a versarsi del succo di zucca nel bicchiere.
«Anche quest’anno parteciperai a quelle stupide feste?» le chiese prima di berne un sorso.
«Certo, come faccio a dirgli che non mi piacciono? Non ci riesco» rispose Lily addentando un cavolino. 
«Certo che ci riesci, Lily» disse Mary, afferrò del pane al volo e le scoccò un'occhiata vivace da sopra il vassoio levitante. «Come quando gli gridi contro che non vorresti mai e poi mai essere della sua Casa quando lui te lo chiede». Le risate delle tre si mischiarono alle confuse e chiassose chiacchiere che riempivano la calda e accogliente Sala Grande.
Soltanto dopo aver finito anche l’ultimo bignè ripieno, Peter risollevò lo sguardo dal piatto con un sorriso soddisfatto. 
«Hogwarts non delude mai» commentò, dando una pacca a Sirius che annuì convinto. 
«Ben detto, Pete. Sarà dura andarsene» affermò, guardandosi attorno con già una leggera malinconia negli occhi chiari.
«Sarà dura davvero, con quello che c’è fuori» aggiunse Remus poggiando il bicchiere davanti al piatto ormai vuoto. Vide James raddrizzare la schiena sistemandosi gli occhiali rotondi sul naso con sguardo pensieroso prima di accenderlo di contagiosa allegria come faceva sempre quando gli occhi degli altri diventavano così cupi da far paura.
«Ehi, non pensiamoci adesso» cercò di alleggerire l’atmosfera nonostante sapesse benissimo che il ‘fuori’ detto da Remus stava diventando un vero inferno. 
Ne aveva parlato con Sirius dopo aver letto i titoli in prima pagina della Gazzetta del Profeta che suo padre leggeva a colazione e dopo aver visto sua madre uscire a fare la spesa con la bacchetta sotto al mantello e non in borsa come aveva sempre fatto, da quel che ricordava.
Sapeva anche che quella situazione, a parte essere infernale, era anche profondamente ingiusta e proprio per quell’ingiustizia sapeva che prima o poi a quel ‘fuori’ ci avrebbe dovuto pensare seriamente eccome. Voleva pensarci perchè se aveva scelto di seguire Erbologia nonostante le piante assassine e Pozioni con Lumacorno più bavoso delle lumache cornute tra gli ingredienti c’era un motivo; se aveva messo da parte il sogno di giocare a Quidditch e scelto di fare l’Auror era perchè esisteva un modo per fermare quell’ingiustizia e lui l’avrebbe messo in pratica.
Ma anche se i suoi occhi non avevano nessuna voglia di ridere, adesso dovevano farlo perchè vedere i suoi migliori amici sorridergli era l’unica cosa che lo teneva in piedi.
Sirius, Peter e Remus infatti sorrisero.
«Abbiamo la Mappa da migliorare...» mormorò con gli occhi rivolti a Sirius che sollevò un minimo il sorriso, nello sguardo l'ombra di un Regulus sempre più vicino a quel ''fuori''.
«Convincere quella statua ad aprirsi...» sussurrò Peter sfregandosi le piccole mani.
«Trovare l’uscita di quel passaggio al quarto piano...» aggiunse piano Sirius. 
«I M.A.G.O. da superare» fece invece Remus con voce normale, scoppiando poi a ridere davanti alle facce improvvisamente disperate dei tre.

«Che c’è!? Avevate detto già tutto, più o meno» si difese lui, continuando a ridere.
«Potter» la voce improvvisa di Lily fece sobbalzare i quattro, e anche tutti i nuovi e piccoli Grifondoro in fila dietro Mary. 
James e Remus si alzarono di scatto dalla panca, quasi facendo cadere i loro vicini.
«Ma guarda, Evans, mi stavi forse cercando?» chiese James, i capelli arruffati e l'espressione interrogativa resa per niente innocente dal solito sorriso che Potter sfoggiava sempre dopo ogni suo ''no''. Lily ne era convinta: non era offeso, semplicemente, si sentiva superiore e doveva mostrarlo, ogni volta.
«Senti, so che ce l'hai con me per quella storia di te e Piton e che forse hai aspettato un anno intero per sputarmela addosso» esordì, schietta. «Ma non ho intenzione di passare il resto dell'anno a subire i tuoi punzecchiamenti dato che dovremo lavorare insieme»
«Me e Piton?» ripeté James in una mezza risata passandosi una mano in testa senza accorgersene.
«Grifondoro primo anno, seguite me e il Prefetto Lupin» s’intromise Mary indicando Remus che sorrise imbarazzato come per chiederle scusa.
«Chiamatemi solo Remus» disse lui facendo segno di seguirlo. E la disordinata fila di ragazzini spaesati si allontanò insieme ai due Prefetti mentre Liv ne approfittò per raggiungere Lily, ancora con gli occhi verdi fissi su Potter.
«Dobbiamo organizzarci per controllare i Prefetti, Potter. Tu quelli di Grifondoro e Corvonero, io gli altri» spiegò proponendo la soluzione più pratica in base ai dormitori. Ma James sembrò non apprezzare.
«Quindi tu seguirai i Serpeverde e i Tassorosso?» chiese, arcuando un sopracciglio nero sopra la rotonda montatura.
«Se continuo a stare a discutere inutilmente qui con te, no, saranno già nei loro dormitori da un pezzo» ribattè lei, ironica.
James sorrise, ancora, e Lily si ricordò perché fino a quel pomeriggio del quinto anno aveva passato le giornate a dargli del “Tronfio” e del “Bullo arrogante e prepotente”.
«Vado io con i Serpeverde e i Tassorosso» affermò deciso, già facendo un passo avanti per dirigersi verso le Case scelte, ma Lily lo trattenne per una manica della tunica.
«Nemmeno per sogno, so già come tratteresti i Serpeverde»
«D'accordo» la sorprese James, accettando. Qualcosa sul suo viso e nei suoi occhi nocciola, però, la lasciò interdetta. James sembrava volesse dirle una marea di cose che tenne però per sé, come per tutto l'anno precedente, e qualcosa le suggerì che c'entrasse ancora Piton.
Senza dire altro, gli diede le spalle per allontanarsi a passo svelto verso i Prefetti di Tassorosso e Serpeverde.
«Evviva la tradizione» commentò Sirius, per niente entusiasta, alzandosi dalla panca seguito da Peter. James, un capello rosso di Lily sulle lenti degli occhiali, portò lo sguardo leggermente frastornato su Liv che sollevò le mani in segno di neutralità.
«Bentornato a Hogwarts, Potter» disse solamente con espressione eloquente cominciando a camminare verso l’uscita intasata della Sala Grande.
A metà scala del quinto piano la sua camminata perse tutta la decisione assomigliando a quella di un bradipo ferito; non sapeva nemmeno lei come stava riuscendo a fare i gradini, per inerzia, molto probabilmente.
Aveva superato già da un po’ l’allegra comitiva dei Corvonero del primo anno che faceva il suo giro turistico, e voltando dalla parte opposta aveva cominciato con una nuova rampa.
Maledisse Godric Grifondoro per aver scelto la torre al settimo piano come posto per la sua Sala Comune e salutò le persone dei quadri che ormai conosceva a memoria, e proprio quando stava mettendo piede sul pianerottolo del settimo piano, la scala decise di muoversi. Fu un miracolo se riuscì a non cadere di sotto.
Col cuore in gola per lo scampato pericolo, sentì un fischiettare tranquillo e spensierato arrivare alle sue spalle. Voltandosi vide Sirius e Peter in fondo al corridoio, belli rilassati e per niente stanchi, davanti al ritratto della Signora Grassa che si aprì lasciandoli entrare.

Com’era possible che quelli ogni volta sembravano sparire e ricomparire in tutt’altro luogo, freschi e riposati come dopo una bella dormita?
Liv se l’era chiesto molto spesso negli anni precedenti.
«Geranio Zannuto» scandì a chiare lettere la parola d'ordine alla Signora Grassa che le sorrise prima di farla entrare.
Nella circolare e luminosa Sala Comune rossa e oro c'era un piacevole tepore, a Liv bastò respirare una sola volta per sentirsi effettivamente a casa dopo due mesi di assenza.
Com’era prevedibile, le invitanti poltrone rosse davanti al grande camino acceso erano occupate, così si lasciò cadere con un sospiro su quella libera più vicina per mettersi comoda e aspettare le sue due amiche.
Chiuse gli occhi, sprofondando sui morbidi cuscini, ma dopo qualche secondo il fischiettare che aveva sentito prima in corridoio le arrivò all’orecchio, così forte che la fece sobbalzare.
Sirius, ancora chino su di lei con lo sguardo particolarmente penetrante che vagava per tutto il suo viso, rise apertamente contagiando anche Peter alle sue spalle.
«Vaffanculo, Black» ringhiò Liv scansandoselo di dosso con un calcio non troppo amichevole. Si alzò dalla poltrona con aria piuttosto infastidita prima di marciare dritta verso la scala dei dormitori femminili sotto l'intensa e maliziosa occhiata divertita di Sirius.


 

 

 

 

 

*

 

 

 




James mollò sul comodino il distintivo da Caposcuola quasi con stizza sotto lo sguardo analizzatore di Remus che restò a guardarlo allentarsi la cravatta rossa e oro al collo come sicuramente aveva fatto per tutta l'ora precedente, in aula professori. Era stato con Lily, cercarcando di mettersi d'accordo con lei su chi, tra loro due, avrebbe dovuto pattugliare i piani superiori per l'ora dopo lo scoccare del coprifuoco, prima di darsi il cambio con Gazza che avrebbe controllato il castello con Mrs. Purr per il resto della notte. Non sarebbe stato un anno facile per lui, si disse Remus senza distogliere lo sguardo divertito e leggermente preoccupato da lui.
«Quanto mi siete mancate» annunciò James aggrappandosi alle tende rosso scuro del suo letto a baldacchino.
«Non sono i capelli di Evans, quelli, Ramoso» lo stuzzicò Sirius, ridendo apertamente quando James si staccò dalla pesante e vellutata stoffa con espressione fintamente schifata.
«Non è un cervello quello che hai dentro la testa, Gramo» ribatté lui spintonandolo per farlo cadere sul letto.
«Perchè non le dici che ti è mancata?» rise Peter, andando a sistemare il suo spazzolino in bagno.
«Forse perchè non mi è mancata?» disse James mentre Sirius gli sfuggiva dalla presa.
«Forse perchè sa che così facendo si prenderebbe una fattura micidiale sul sedere?» ipotizzò Sirius, appendendo alla parete il nuovo calendario lunare che Remus gli aveva appena lanciato dalla parte opposta della stanza. «Questo sarà l'anno decisivo per un “sì”, Ramoso, vedrai» continuò in tono ironico.
«Perchè è l’ultimo?» chiese ridente Remus richiudendo il suo baule.
«Anche il terzo doveva essere quello decisivo!» urlò Peter dal bagno.
«E il quarto, il quinto...»

«Ammazzeremo la Piovra Gigante e non ci saranno più rivali» sentenziò Sirius lanciando un cuscino a James l'afferrò al volo con prontezza.
«Vi devo ricordare i ‘dolci’ aggettivi che ha usato per descrivermi un anno fa?»
«’Tronfio’?» suggerì Peter uscendo dal bagno e guadagnandosi il cuscino di James in piena faccia.
«’Bullo arrogante e prepotente’» infierì Sirius sollevando il mento per imitare una Lily quindicenne stizzita.
«’Sei così pieno di te che non so come faccia la tua scopa a sollevarsi da terra’» completò Remus incrociando le braccia al petto.
«Grazie» fece James guardando tutti e tre con aria ironica. «Ecco, non ci tengo proprio ad uscire con un essere umano che mi vede uguale a Mocciosus» mise in chiaro il concetto che per tutto l'anno precedente l'aveva fatto tenere a debita distanza da Lily Evans e da Piton. Sentirsi dire da Lily Evans che lui era uguale a Severus era stato come ricevere due bolidi al centro del petto tutti in una volta. Lui, uguale a Piton. No, nel modo più assoluto, no e ancora no. C'erano un'infinità di cose che lo differenziavano da lui, prima fra tutte l'odio per le Arti Oscure che Piton invece sembrava venerare.
Sapere che Lily lo riteneva identico a lui l'aveva stravolto, completamente.
«Sappiamo e sai benissimo che non lo sei» ribattè gelido Sirius sedendosi sul letto, lo sguardo perforante tipico di Sirius quando difendeva uno dei presenti in quella stanza circolare che chiamava casa.
Remus sorrise brevemente scrutando James fare altrettanto con una curva delle labbra finalmente sincera.
«C’era anche: ‘Mi dai la nausea’» ricordò Peter, illuminandosi. E in un attimo, James allungò una gamba per raggiungere il suo baule.
«Forse, però, se ti lasciassi crescere i capelli senza lavarli riusciresti finalmente a tenerli giù... non ti azzardare, Ramoso!» lo minacciò già divertito Sirius sapendo benissimo le intenzioni del suo migliore amico.
James infatti, chino sul suo baule, tirò fuori il suo Mantello dell’Invisibilità sparendoci sotto in un attimo.

«Chi sarà il primo di voi tre ad essere attaccato, stavolta?»














Note:

*Peter e i dolci. Clichè, direte voi. E io potrei anche darvi pienamente ragione. Però ho deciso di dargli i dolci come punto debole per un motivo (non perché nei libri viene descritto sovrappeso. Questo sì che sarebbe clichè).
Nel primo viaggio in treno di Harry e Ron, Crosta (Codaliscia/Peter) morde Tiger o Goyle perché stanno rubando i dolci sul sedile di Ron, con Draco davanti. L'ho preso come un ''molla quel cibo!" e non un odio per quei due perché Peter non li ha mai visti in vita sua (magari ha conosciuto i padri Mangiamorte, ma perché aggredire i figli così, dal nulla?)
Per cercare di caratterizzare Peter mi sono riletta le parti di lui come Crosta. Ore di vita perse, così. Sto provando di tutto per cercare di dare un senso a 'sto cristiano.
Non che faccia molto, da topo, a parte mordere chi ruba il cibo a Ron e dimagrire quando è sotto stress. Dorme la maggior parte del tempo, almeno fino al terzo anno. E ci credo.


*Sirius Black, nei libri, non sopporta chi si salva le chiappe a scapito degli altri o chi non prende posizione (sempre per preservare se stesso). Odia Peter anche per questo, lo ribadisce più volte. Sirius è quel tipo che preferirebbe rischiare agendo o morire piuttosto che pararsi il culo (e odia chi lo fa).


*H.P. e l'Ordine della Fenice, pag. 183: Ron e Hermione dicono a Harry che non possono cercare uno scompartimento sul treno con lui perché: “Noi... be'...io e Ron dovremmo andare nella carrozza dei Prefetti. Le lettere dicevano che dobbiamo ricevere le istruzioni dai Capiscuola e poi sorvegliare i corridoi ogni tanto”.


Al ritorno, Hermione spiega a Harry che nello scompartimento insieme a loro c'erano due Prefetti del quinto anno per Casa, fammine e maschi. Ho quindi immaginato che i Capiscuola diano le istruzioni ai Prefetti divisi anno per anno, a turni di tre (dato che ci sono Prefetti del quinto, sesto e settimo anno come Lucius Malfoy, prefetto al suo settimo anno e primo dei Malandrini nel ricordo di Piton).
Per me i Capiscuola erano due in tutta la scuola. Non avrebbe senso se ce ne fossero due di ogni Casa (a che servono i Prefetti del settimo anno, altrimenti?) e poi nel treno Hermione incontra i Capiscuola con i Prefetti delle altre Case del suo stesso anno (Malfoy, Goldstein, Abbott). Se ci fossero Capiscuola di ogni Casa credo che sarebbero loro a dare istruzioni ai propri compagni di Casa Prefetti.
Hermione avrebbe nominatio i prefetti Grifondoro di sesto e settimo anno (Malfoy, per esempio, sarebbe stato con i Capiscuola Serpeverde).

Il ruolo di Caposcuola nei libri sembra avere molto prestigio, di sicuro più di quello da Prefetto (anche perché è una gerarchia) e non avrebbe senso vedere otto Capiscuola in giro, come se fossero altri Prefetti del settimo anno.
Rileggendo i libri mi sono accorta che le ronde dei Prefetti non esitevano. Pattugliano esclusivamente i corridoi in treno durante il viaggio.
Durante il quinto e sesto anno, Ron e Hermione non fanno ronde notturne, Percy lo stesso al primo e secondo anno.
I Prefetti aiutano i bambini del primo anno a raggiungere i dormitori, controllano gli studenti durante il giorno nei corridoi e nelle Sale Comuni, togliendo punti o dando punizioni come far scrivere più volte una frase; aiutano ad addobbare il castello per le feste e quando c'è un'emergenza o un pericolo fanno la guardia agli ingressi o riportano gli studenti in Sala Comune.
I Prefetti possono fare rapporto ai Capiscuola o ai direttori della Casa della persona da segnalare (compreso un altro Prefetto dato che Hermione minaccia di fare rapporto per il comportamento ingiusto di Draco, prefetto anche lui).
I Capiscuola dirigono i Prefetti e sono a stretto contatto col preside in situazioni di emergenza, da quello che ci fa capire Percy nel terzo libro (l'unico Caposcuola che si vede in sei libri di scuola). Non so se facciano le ronde (qui sì) ma presumo possano togliere punti ai Prefetti. Da quel che ho capito, i Capiscuola hanno la responsabilità sui Prefetti e se i Prefetti possono togliere punti agli studenti normali, i Capiscuola dovrebbero poterli togliere ai prefetti (ma non possono tiglierseli a vicenda, tra Capiscuola). Dovrebbe essere una sorta di gerarchia, come nei college britannici.




*Ogni tanto rileggo l'intera saga da capo e mi accorgo di ''cose''. Ho appena finito di rileggere il settimo libro e, di nuovo, mi sono accorta di dettagli che mi erano sfuggiti. Tipo Mary che avvisa Lily della presenza di Piton fuori dalla torre dei Grifondoro la notte, dopo la lite. Lily esce in vestaglia a parlare con lui, quindi non dovrebbe essere subito dopo cena (oppure dopo la Lite non aveva troppa voglia di stare in mezzo a tutti in Sala Comune). Mi sono chiesta come avesse fatto Mary a vedere o sentire Piton fuori dal ritratto della Signora Grassa. Piton ha bussato o chiamato? Oppure Mary era in giro con il coprifuoco? Un giro da ribelle o di ritorno da una riunione con i Capiscuola?
Non so rispondere al mistero, mi ha messo parecchi dubbi alimentati dal fatto che Lily, nel peggior ricordo di Piton, non toglie punti a James e Sirius.
Se Lily è stata davvero Prefetto non credo perdesse tempo togliendo punti a James e Sirius (non ce li vedo come tipi attenti ai punti Casa o alle punizioni). Lily non era stupida e piuttosto che togliere punti a cascata, punendo più i Grifondoro in generale che James e Sirius, preferiva le parole e forse anche la bacchetta se la situazione poteva sfuggirle di mano (come vediamo nel peggior ricordo di Piton). Non so se Piton è stato un Prefetto (di certo non aveva voti bassi. Harry durante i G.U.F.O. del 1976 lo vede scrivere trenta centimetri in più rispetto ai suoi vicini di banco), ma se fossi stata attaccata in quel modo pesante non avrei nemmeno pensato a togliere punti al mio aggressore, l'avrei direttamente attaccato come fa poi Piton.
Nel peggior ricordo di Piton, Lily non toglie punti a nessuno e tira fuori la bacchetta minacciando di usarla se non la smettono. James e Sirius la guardano con ansia, come se non fosse la prima volta. O non era un Prefetto o sapeva benissimo che con loro la carica di prefetto non aveva "potere" (esattamente come per Fred e George, ricordate?).
In generale, nella saga, quasi nessuno dei Prefetti toglie punti in continuazione (forse vediamo Percy farlo, una volta al primo anno), si limitano a minacciare di farlo (a parte Malfoy che se ne approfitta, contro le altre Case).
Non ho mai immaginato Lily come Percy o Hermione (adesso che ci penso non ho mai visto Hermione togliere punti, sequestrava solo oggetti proibiti), la vedo molto più simile a Ginny anche per via della bacchetta tirata fuori.


*La descrizione del distintivo da Prefetto di Remus è la stessa che Harry fa di quello di Ron, nel quinto libro (pag. 162).


*Per essere nominati Caposcuola senza essere stati Prefetti (la signora Weasley nel terzo libro a pag. 67 al "E l'ultimo" di Fred riferito a Percy come secondo Caposcuola in famiglia, risponde: "Non ne dubito, voi due non siete diventati Prefetti, a quanto ne so") forse, oltre ad essere studenti brillanti, bisogna essere Capitani di una squadra di Quidditch (come James). Essere Capitano della squadra di Quidditch porta allo stesso livello dei Prefetti. Lo dice Hermione nel sesto libro quando Harry avrà il suo distintivo da Capitano. Lei dice chiaramente "Puoi usare il nostro bagno e tutto il resto". James, quindi, potrebbe essere stato un Capitano (e direi di sì, dato che tutti nei libri lo descrivono un fenomeno con la scopa e il Quidditch) e allo stesso livello dei Prefetti.
La Rowling mi fa dannare con tutte queste informazioni celate e disseminate nei vari libri, aiuto!

*Raptor: in questa storia nel 1977 è al suo primo anno. Non sappiamo l’anno di nascita, sappiamo solo che è nato il 26 settembre (è entrato quindi a Hogwarts un anno dopo il suo undicesimo compleanno come Hermione, Sirius, Tom Riddle). Il suo anno di nascita per me quindi risulta il 1965.
Ho deciso d'inserirlo nella storia perché alla fine del primo libro dice a Harry, a proposito di Piton: “Ci puoi giurare che ti odia. Era a Hogwarts con tuo padre, non lo sapevi? Si detestavano reciprocamente”. Ho immaginato che Raptor dovesse averli visti a scuola (al settimo anno James continua a rispondere alle maledizoni di Piton quando non aveva Lily attorno).
La Rowling ci dice che era un Corvonero, un fragile ragazzino molto timido e sensibile, preso di mira dagli altri, molto intelligente e con l’hobby della pressatura di fiori selvatici. Proprio per il suo essere vittima di bullismo, sentendosi inadeguato e desideroso di mettersi alla prova, si interessò alle Arti Oscure in modo esclusivamente teorico (in segreto, i viaggi che ha fatto dopo erano per approfondire questa branca della magia). Magari vedendo Piton che nonostante fosse vittima di James riusciva comunque a rispondere ed attaccare lui stesso, anche per primo (come dice Sirius quando parla del loro settimo anno). Piton era famoso tra gli studenti per essere un esperto di Arti Oscure.
Entrando a scuola nel 1977 prenderà i suoi M.A.G.O. nel 1984, l'anno in cui compie 19 anni. Così ha tutto il tempo di (come ci fa sapere la Rowling): diventare insegnante di Babbanologia per più di un anno (se per insegnare i presidi vogliono far passare ''qualche anno'' dai diciotto, come dice Dippet a Tom Ridlle, facendo passare due anni dal diploma Raptor potrebbe aver chiesto la cattedra di babbanologia a 21 anni).
Insegna per due anni (più di uno, come dice la Rowling) e si prende un anno di congedo per viaggiare (1990-1991) prima di ritornare dall'Albania a Hogwarts nell'estate del 1991 (con Voldemort, insospettendo Silente e Piton che lo vedono cambiare atteggiamento, come fa sapere Hagrid) per diventare professore di Difesa di Harry all’età di 26 anni.
Nel primo libro Piton sembra conoscerlo piuttosto bene, compreso il suo amore per i suoi ''abracadabra". Potrebbe benissimo conoscerlo perchè per due anni sono stati colleghi (pozioni e babbanologia) oppure perché ai tempi di scuola Piton ha notato qualcosa. Vedrete più avanti qualcosa a riguardo. Raptor da ragazzino non ha mai praticato magia oscura, il suo interesse era solo teorico.

Tutti nel 1991 descrivono Raptor come “giovanotto pallido”, nessun’altro professore è mai stato descritto come giovanotto, nemmeno Allock. Voldemort stesso dice che quando l’ha incontrato in Albania era un “giovane mago”. Era sicuramente più piccolo di Allock che in questa storia è al sesto anno e che dopo i M.A.G.O. ha passato molti più anni di Raptor in viaggio (almeno dieci, dice la Rowling).

Lei ci fa sapere soltanto che Allock è nato il 26 gennaio, per me del 1961 come Regulus perché su Pottermore c’è scritto che quando è entrato a Hogwarts si aspettava la popolarità che le aveva promesso la madre, quella che invece non ebbe e che soltanto circa due decenni dopo avrà Harry nel 1991.
Se Allock è nato nel 1961, entra a Hogwarts nel 1972 a undici anni (i Malandrini sono al loro secondo anno) e dal 1972 al 1991 sono circa vent’anni, ventuno per la precisione. Per far tornare tondo il conto a 20 anni precisi dovrebbe avere la stessa età dei Malandrini, ma non può essere, l’avremmo saputo, quindi per me aveva soltanto un anno in meno.
Non ce la vedo, poi, Molly infatuata di un ragazzo di ventisette anni nel 1992. Allock doveva essere più grande di Raptor, non di poco. Deve anche avere il tempo di pubblicare i libri delle ''sue avventure in giro per il mondo", farsi pubblicità, firmare autografi, scrivere un libro per casalinghe, ottenere premi di ogni genere.


*La maledizone della cattedra di Difesa non ha mai ucciso nessuno a parte Raptor. Raptor è l'unico morto (tra l'altro, aveva Voldemort dentro di sè ed è morto dopo che lui ha abbandonato il suo corpo).
Allock ha perso la memoria (con lo stesso incantesimo che l'ha reso famoso) e la fama.
Remus si è autolicenziato per via del suo segreto di Lupo Mannaro svelato a tutto il mondo magico.
Barty Crouch finto Moody è rimasto senza più un'anima col bacio dei Dissennatori che ad Azkaban l'avevano fatto quasi impazzire durante l'anno di detenzione. Il bacio è peggio della morte, ma non è effetivamente morto.
La Umbridge è stata rapita dagli ibridi che odiava e di cui aveva molta paura.
Piton si è ritrovato ad uccidere (costretto) l'unica persona che gli era davvero amica, che conosceva la sua vera essenza innocente, che credeva in lui; ed è scappato facendo vedere a tutti di essere dalla parte di Voldemort.
Amycus Carrow è svenuto dopo la Maledizione Cruciatus di Harry nella Sala Comune dei Corvonero, sicuramente finito ad Azkaban dopo la battaglia.
Direi che la Maledizione di Voldemort mirasse a distruggere in un anno le vite dei professori con le loro più grandi paure o ambizioni. La fine peggiore la fanno i praticanti delle Arti Oscure (Raptor, Barty, Amycus e Piton), proprio il colmo.
Ho sempre pensato che se ci fosse stata un'alta percentuale di morti alla fine di ogni anno scolastico, Silente non avrebbe mai chiamnato a scuola Remus e Moody (suo fidato amico tanto da richiamarlo come membro del secondo Ordine dandogli anche del potere nelle missioni, come se fosse suo vice).


*H.P. e L'Ordine della Fenice, Pag. 204/5/6: Il Cappello parlante stupisce Harry e tutta la Sala Grande quando inizia la sua tradizionale filastrocca di inizio anno che non si limita alla descrizione delle case. Hermione chiede se per caso è successo altre volte e il fantasma dei Grifondoro risponde di sì, più precisamente:  "Sì, sicuro. Il Cappello si sente tenuto a dare alla scuola necessari consigli tutte le volte che avverte..." "Il Cappello l'ha già fatto, sempre quando ha avvertito periodi di enorme pericolo per la scuola. E naturalmente il suo consiglio è sempre lo stesso: restate uniti, siate forti dall'interno".

Presumo che il Cappello l'abbia detto perchè nel settembre del 1995 Voldemort era tornato. Mi sono chiesta quindi se il Cappello nel 1977, periodo in cui Voldemort è quasi al culmine della sua ascesa al potere, ha sentito lo stesso pericolo.






Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. Vecchie Abitudini ***



 

Capitolo 2
 

VECCHIE ABITUDINI




 


La Sala Grande era luminosa il mattino dopo, il cielo sul soffitto aveva lo stesso piacevole azzurro che si poteva intravedere dalle alte finestre ai lati dei quattro lunghi tavoli occupati dagli studenti intenti a chiacchierare e fare la prima abbondante colazione dell'anno.
«Buon primo giorno di lezioni, miei prodi!» salutò pomposo Nick-quasi-senza-testa svolazzando fiero sul tavolo dei Grifondoro; un bambino del primo anno quasi si strozzò con il suo succo di zucca quando sentì il fantasma attraversargli il corpo.
«Prima o poi a qualcuno verrà una congestione se Nick continua a fare così» commentò Mary osservando il ragazzino che batteva i denti dal freddo.
«I gufi sono già passati» disse Lily raccogliendo una piuma grigio cenere vicino alla zuccheriera. «Peccato, avrei voluto leggere il Profeta prima delle lezioni».
Liv sapeva benissimo che a Lily interessavano le notizie su quelli che ormai tutti conoscevano come "I Mangiamorte" e le loro scorribande a Diagon Alley e tra i Babbani in ogni angolo della Gran Bretagna.
Ormai quelle notizie di rapimenti e morti si susseguivano una dopo l'altra, giorno dopo giorno, sulla Gazzetta del Profeta.
Il caos era sempre meno controllabie e il Ministero della Magia faticava a star dietro a tutto. Eugenia Jenkins, ritenuta incapace di far fronte alla situazione, due anni prima era stata dimessa dalla carica di Ministro della Magia per fare posto al più reazionario Minchum. Lily aveva letto la Gazzetta per tutta l'estate, un susseguirsi di articoli con il Ministro che prometteva sempre più Dissennatori a guardia di Azkaban, ma le notizie delle morti continuavano, dal 1975. L’intera popolazione magica doveva stare in guardia e i libretti per l’autodifesa ormai venivano pubblicati e spediti alle famiglie di maghi in grandi quantità.
Mentre spalmava la marmellata sul suo pezzo di pane tostato, nella mente di Lily comparve l’ultima foto di una famiglia di babbani uccisi, e di nuovo la brutta sensazione bruciò nel suo stomaco mentre in Sala Grande echeggiavano i soliti schiamazzi che segnavano l'arrivo di James, Sirius, Remus e Peter. Appena i Malandrini misero piede nella sala, infatti, furono richiamati da parecchi compagni di Casa.
«James! Mi devo iscrivere ai provini della squadra!» urlò un ragazzo biondo sollevandosi dalla panca per battere il cinque ad un James spavaldo.
«Vedremo che saprai fare, Michael!»
«Si stava così bene prima dell’arrivo di ‘Loro Maestà’» mormorò ironicamente Lily guardando di sottecchi le ragazze ridacchianti e leggermente rosse che seguivano con sguardo lucido la sciolta camminata di Sirius.
«'Giorno, signore» esclamò proprio Sirius passando dietro la panca dove Lily, Mary e Liv continuarono a mangiare come se niente fosse.
Non succedeva spesso di mangiare vicino ai loro coetanei di Casa, più precisamente era un anno che Lily e James non lo facevano capitare con magistrale bravura, ma nessuno dei due poteva farci niente se i posti liberi lontani della distanza di almeno due metri tra loro finivano.
«Buongiorno, ragazze» fece gentile Remus, ricevendo una risposta da tutte e tre.
«Ah, è così?» chiese James prendendo posto accanto a Peter, davanti a Mary.
«Potter, vedi di stare zitto» lo fermò subito Liv finendo di spalmare la marmellata. «Vogliamo mangiare in santa pace ed andarcene, ce la fai a non parlare per almeno cinque minuti?»
«Buongiorno anche a te, dolce Olivia» la salutò sarcasticamente Sirius seduto al suo fianco allungando un braccio per cercare di afferrare il vassoio delle uova. Subito, però, una radiosa e davvero dolce ragazza del quinto anno gli andò in soccorso, avvicinandoglielo con delicatezza. Tutte erano sempre così dolci e gentili con lui, Sirius faticava perfino a riconoscerle dato che si comportavano tutte allo stesso modo.
«Grazie, hai passato belle vacanze? Vedo che sei abbronzata» fece Sirius, ammiccando nella sua direzione, non ricordando nemmeno il nome. Si stava già annoiando.
«Io parlo quanto mi pare, McAdams, hai capito?» ribatté James puntandole contro la forchetta piena di pancetta. Liv mollò la marmellata per bere un sorso di succo dal suo calice come se niente fosse, gli occhi scuri ridotti a fessura mentre Sirius continuava a parlare distrattamente con la ragazza riempiendosi il piatto di cibo preso dai vassoi levitanti, allungando ripetutamente il braccio davanti alla sua faccia.
«Oh, lo so, il sud della Francia è magnifico. E con chi ci sei andata ?»
«Non sarai di certo tu a farmi stare zitto, McAdams» continuò James facendo assottigliare gli occhi verdi davanti a lui. Lily Sapeva benissimo che se Potter avesse continuato, Liv sarebbe esplosa.
«Piantala, Potter, siamo a colazione e vogliamo stare tutti tranquilli» fece, sottolineando l’ultima parola.
«Chi ha cominciato, Evans? La tua simpatica migliore amica» ribattè James. «Ti conviene non stuzzicarmi, McAdams, dato che vuoi entrare in squadra» aggiunse prima di addentare metà uovo sodo. A quelle parole, Lily e Mary si voltarono di scatto verso l'amica con il volto impassibile tanto da essere inquietante, cosa che fece notevolmente preoccupare Peter.
«Come, scusa?» fece Lily.
«Liv? Sul serio?» chiese Mary, sconvolta.
«Scusate, che male ci sarebbe se entrasse in squadra?» si permise di chiedere Remus, cauto.

«L’abbronzatura mette in risalto i tuoi incredibili occhi, sai?»
«Tanto non la farò entrare. Madama Bumb dovrebbe stare a fischiare falli ogni due minuti! Te l’ho detto anche l’anno scorso, McAdams»
«Oh, senti chi parla. Tu non sei violento, Potter?»
«Ti chiami Rose? Scusa... posso chiamarti... Rosie?».
Il fruscio della tunica di Liv anticipò il lampo di luce che investì James in pieno viso, e la voce severa della professoressa McGranitt echeggiò per l’intera Sala Grande.
«MCADAMS!». L’austera donna si stava dirigendo verso di loro con sotto la larga falda del cappello a punta un cipiglio che tutti, lì, conoscevano bene. «Non è possibile» mormorò furiosa marciando spedita con un grosso fascio di fogli stretto al petto, fino ad arrivare alle spalle di James che si sfiorava con incredulità il viso ricoperto di pustole.
«Quest’estate non sono stata così ingenua da pensare che quest’anno sarebbe stato diverso... ma per un attimo ci avevo sperato!» sbottò la professoressa scrutando Liv da sopra gli occhiali squadrati. Liv strinse le labbra nervosamente, riponendo la bacchetta nella tasca interna della tunica e preparandosi alla pioggia di sguardi che i suoi compagni di Casa le avrebbero buttato addosso.
«Maggiorenni per cosa!?» continuò la McGranitt. «Non mi soffermo nemmeno più con la ramanzina, McAdams. Sai benissimo cosa ti direi, con tutte le volte che l’ho fatto».
Soto di lei, James fissava con così tanta ira Liv che sembrava volesse farla esplodere. Di sicuro, se non fosse stata della sua stessa Casa le avrebbe tolto almeno venti punti all’istante.
«Cinque punti in meno a Grifondoro!» esclamò la McGranitt senza nascondere un velo di sofferenza nel dirlo. «E credo non ci sia bisogno di fare la ramanzina anche a voi quattro» fece la donna, spostando il suo sguardo duro su Sirius, James, Peter e Remus che quasi si strozzò con il sorso di latte che stava bevendo.
«Noi non abbiamo fatto niente, professoressa» si difese Sirius con finta innocenza. Bastò lo sguardo fulminante della McGranitt per farlo stare zitto.

«Non ho alcun dubbio sul fatto che farete qualcosa anche voi, Black» commentò secca, gli occhi a dardeggiare su tutti loro nonostante le lenti squadrate. «Questi sono i nuovi orari delle lezioni. Ricordatevi dei M.A.G.O» riprese consegnando i fogli che aveva sotto braccio; l' ultima frase, detta da lei, suonò alle orecchie di tutti come una spaventosa minaccia.
«Potter, appena avrò la lista completa degli iscritti per le selezioni della squadra te la farò avere» informò a James che annuì, ancora con lo sguardo fisso su Liv. «E passa in infermeria prima delle lezioni» concluse, spostandosi per consegnare gli orari anche agli altri studenti.


 


 

*

 

 

 


«Provini di Quidditch?» chiese Lily camminando al fianco di Liv dallo sguardo concentrato incollato sul foglio degli orari.
«Non ti è ancora passata, Liv?» mormorò Mary alla sua destra.
«Guardate, dopo queste due ore di Difesa abbiamo l’intervallo e un’ora buca» sviò l’argomento lei. Avrebbe preferito parlare di Aritmanzia per ore piuttosto che rispolverare quella vecchia storia ridicola.
«No, Mary, non le è passata a quanto pare» sentenziò Lily assottigliando lo sguardo.
«Smettetela con questa storia» la fermò bruscamente Liv scoccandole un’occhiata pungente. «Il Quidditch mi piace, Sirius Black continua a ripetere che l’unica cosa che potrei fare in campo è il bolide e quindi sì, io anche quest’anno farò quei dannati provini di Quidditch perché è il mio sogno da quando ho undici anni e perché zittire quel coglione con un potente schiaffo morale entrando in squadra è diventato il mio primo desiderio quando spengo le candeline sulla torta. Intese?».
Entrambe sollevarono le mani, trattenendo una risata, perfettamente consce del fatto che fosse impossibile farle cambiare idea.
«Ma sai come la penso» fece tranquilla Lily, aumentando il passo dopo aver lanciato un’occhiata al suo orologio al polso.
«Non preoccuparti, quest’anno ho scelto il ruolo che fa per me e che non nuocerà a nessun arto altrui» la rassicurò Liv sistemandosi la tracolla in spalla e superandola a passo deciso.



 

 

 

 

*


 

 



Il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, un alto trentenne dai capelli castani, si presentò con il nome di Caradoc Dearborn.
Con dei verdi attenti occhi vivaci aveva scurtato tutti liberando un sorriso accomodante sul viso regolare, lasciando trasparire una certa sicurezza e al contempo simpatia.
Aveva subito messo in chiaro che in quell'aula avrebbero usato la bacchetta più che i libri e trattato argomenti inerenti a ciò che accadeva fuori dal Castello, andando oltre le notizie della Gazzetta del Profeta. Sembrò a tutti un tipo alla mano, ma qualcuno con cui forse era meglio non scherzare.
Di certo, era davvero in gamba come aveva ipotizzato la sera prima Remus e sembrava non notare le facce ansiose e gli sguardi di compassione che gli studenti dietro ai banchi gli rivolgevano in continuazione.
«Poverino, chissà quale sarà la sua brutta fine» aveva sussurrato Sam Stebbins di Tassorosso seduto davanti al banco di James e Sirius che facevano di tutto tranne che ascoltare il “pover’uomo”.
«La pagherà. E con questo non intendo che non la farò entrare in squadra» bisbigliò James con la faccia ricoperta di crema anti pustole spalmata da una Madama Chips per niente sorpresa di trovarlo in infermeria la mattina del primo giorno di scuola.
«Le mettiamo un po’ di Pus di Bubotubero nella sciarpa?» sghignazzò Peter intento a torturare con la bacchetta i due Dissennatori che svolazzavano nell’immagine della pagina del libro aperto.
«Pus di Bubotubero? Cosa vuoi che sia, Codaliscia? Mi deludi, così» ribatté James stranito.
«Ricordati che è la migliore amica di Lily, Ramoso» lo mise in guardia Remus senza staccare gli occhi dalla sua pergamena già piena per metà da appunti e disegni molto simili a quelli che c’erano sulla lavagna.
«E quindi? Non per questo la deve passare liscia... ma hai visto bene la mia faccia!?» mormorò furioso James indicandosi il viso.
Remus trattenne una risata intingendo la sua piuma nel calamaio.
«Io un’idea ce l’avrei» sussurrò Sirius con sguardo furbo chinandosi sul banco per poter abbassare ulteriormente la voce.
«Quale?» chiese subito Peter lasciando perdere i Dissennatori.
«Che succede là dietro?» li richiamò con tono curioso e un velo severo l’insegnante, rigirandosi il gessetto tra le lunghe dita.
«Niente professore, ci scusi» rispose prontamente Remus diventando leggermente rosso al fianco di James. Lo sbuffo di Piton, seduto poco distante da Peter, arrivò benissimo alle orecchie di Sirius anche se la voce sicura dell’insegnante aveva ricominciato a riempire l’aula.
«Cosa c’è Mocciosus?» mormorò Sirius sporgendosi leggermente verso di lui. «Ti dà fastidio se interrompiamo la sacra lezione? Dovresti ringraziarci, almeno sollevi per un attimo il naso da quelle pagine su cui scarabocchi in continuazione... potresti diventare un tutt’uno con il banco, sai?».
La piuma di Severus quasi si spezzò tra le sue lunghe e pallide dita.
«E guarda che siamo a lezione di Difesa, non a Pozioni» continuò Sirius, lanciando uno sguardo perplesso al manuale di Pozioni Avanzate che Severus stava riempiendo di parole a bordo pagina.
«Tu sei già un tutt’uno con l’idiozia, Black» sibilò Piton fulminandolo con gli occhi scuri che spuntavano dalla tendina di neri capelli unti.
«Punizione anche per Mocciosus» bisbigliò Sirius voltandosi verso James. «Ovviamente in incognito».
James ghignò, annuendo senza indugi. Sirius aveva infiniti modi per dire ’Ti voglio bene’’ senza mai usare la voce.
Gliene era immensamente grato perché parlare come due ragazzine adolescenti non entusiasmava nemmeno lui.
 
 
 
 
 

 

 

 *









Sedute su una panchina del cortile di Trasfigurazione Lily, Mary e Liv si godevano i pochi minuti d’intervallo sotto il sole di settembre.insieme ad altri studenti sparsi per le panchine e il prato.

«É un circolo vizioso, Liv. Tu dai fastidio a loro perchè loro danno fastidio a te, e viceversa. Qualcuno prima o poi dovrà finirla e sai benissimo che quel qualcuno sei tu» affermò con schiettezza Lily osservando l’amica che cercava di sistemare meglio la camicia dentro la gonna.
«Sono a posto?» domandò lei dando un’ultima sistemata ai polsini della camicia ben abbottonati, perfettamente in ordine così come piaceva alla loro Capocasa. «Voglio andare dalla McGranitt per iscrivermi ai provini e devo essere più ordinata possibile» spiegò Liv, adesso con le mani tra i capelli scuri.
«Liv...»
«Senti, Lily» la bloccò lei lasciando perdere i capelli. «Se devo essere io a farla finita con quel circolo vizioso allora devo giocare a Quidditch. Mi dovrò sfogare in qualche modo»
«Spero proprio che non ucciderai nessuno» disse Mary, sinceramente preoccupata.
La campana suonò, informando tutti che le lezioni sarebbero riprese, e Lily si affrettò a recuperare borsa e libri.
«Ho Antiche Rune, ci vediamo direttamente in Sala Grande per il pranzo!» le salutò prima di correre via mentre delle risatine scoppiavano nell'angolo più appartato del prato, sotto una verdeggiante quercia dal grosso tronco annnodato.
Mary strinse i pugni alla vista di un ragazzino Corvonero del primo anno chino sul prato e preso di mira da un gruppetto misto di altri studenti. Portandosi inconsciamente due dita al distintivo appuntato sulla camicia si ricordò che poteva intervenire, anzi, doveva.
«Ehi, voi!» gridò alzandosi dalla panca in pietra, facendo sussultare Liv e due Grifondoro poco più grandi del Corvonero che si tolsero in tutta fretta le margherite dai capelli, gettandole sull'erba alle loro spalle.
«Smettetala di prenderlo in giro o vi tolgo cinque punti a testa» li rimproverò Mary arrivando davanti a loro, rendendosi conto soltanto in quel momento quanto fossero bassi rispetto a lei.
«Stai scherzando, MacDonald?»
«No, Vane, sono il nuovo Prefetto del settimo anno»
«Ma siamo della stessa Casa!»
«E quindi?»
«Allora mettici in punizione! Non toglierci punti, i Serpeverde sono già in testa ed è il primo giorno!»
Mary vide Liv trattenere una piccola risata dalla panchina e poi il pacato Corvonero guardarla dal basso, timidissimo e con le orecchie vermiglie; le piccole margherite che aveva raccolto strette con forza tra le mani.
«Bene, scrivete cento volte la frase:"Non siamo divertenti mentre prendiamo in giro qualcuno" e consegnatemi la pergamena a fine giornata di lezioni, in Sala Comune. Se vi beccherò ad importunarlo di nuovo vi toglierò punti» risolse la questione Mary sentendosi stranamente potente. I due Grifondoro corsero via e Mary si abbassò in avanti per guardare negli occhi sfuggenti il Corvonero, le mani tra le ginocchia strette.
«Stai bene?» gli chiese gentilmente vedendolo arrossire ancora di più. A Mary sembrò un piccolo scoiattolo tramortito.
Lui annuì, ringraziandola a bassa voce prima di piegare di nuovo la testa mora per aprire il suo Manuale di Incantesimi e mettere con cura tra le pagine i fiori selvatici raccolti tra i fili d'erba.
«Ti è piaciuto, Prefetto MacDonald?» le chiese Liv, in piedi con la tracolla in spalla, quando Mary tornò da lei con un sorriso brillante tanto quanto il suo distintivo rosso e oro sul petto.
«Oh, 'sta zitta!» sbottò Mary con un leggero sorriso sulle labbra prendendola a braccetto. Approfittando dell’ora buca, tornarono dentro il castello per dirigersi verso l’ufficio della McGranitt.
 
 


 
 
 


 

 *

 
 
 
 




«Se ci muoviamo possiamo prendere due Asticelli con un Onisco» fece James con lo sguardo attento sulla Mappa.
«Fa' vedere» rise Sirius alzandosi dal muretto su cui avevano passato tutto l’intervallo. Remus sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo per spostarlo su entrambi.
«Per piacere. Avevate detto che li avreste lasciati in pace»
«Giuro che questa è l’ultima volta, Lunastorta» affermò James con tono non troppo convincente, facendo squittire Peter che subito scattò in piedi per seguirli.
Prendendo le fidate scorciatoie riuscirono ad arrivare nel luogo in cui, come avevano programmato, Liv e Mary stavano salendo le scale mentre Piton scendeva.
Spostarono leggermente l’arazzo che nascondeva l’uscita del nascondiglio e proprio quando i tre si incrociarono, James puntò la bacchetta sul gradino in cui Piton aveva il piede, ignorando il sussurro di Sirius: "Non lui, dovevi puntare Olivia".
In un attimo la scarpa del ragazzo sprofondò insieme al gradino e tutti i suoi libri rotolarono giù per l’intera rampa. Sirius sperò non arrivasse un professore.
«Tu» sibilò gelido Piton portando lo sguardo su Liv che rimase basita.
«Io non ho proprio fatto niente» si difese lei.
«Smettila di fare la finta tonta e liberami subito» continuò lui cercando di sfilare il piede.
«Non ho la minima idea di come liberarti perchè non sono stata io» ripeté Liv cominciando a scaldarsi.
James e Peter, ben nascosti dall’arazzo, sghignazzarono pregustando la lite che di lì a poco sarebbe esplosa.
«Che sia davvero l’ultima volta questa» mormorò Remus notando il cipiglio preoccupato di Sirius e anche che Piton era livido, livido di rabbia e anche d’imbarazzo perchè, bloccato in quel gradino, stava rallentando il traffico degli studenti che salivano e scendevano.
«Se non mi fai uscire subito di qui io ti...»
«Mi? Non mi fanno paura i tuoi Incantesimi di Magia Oscura, lo sai» ribatté Liv facendo sussultare i gruppetti di persone attorno. Le bastava guardarlo dritto in quegli occhi neri per risentire la parola Sanguesporco” rivolta a Lily. L'avrebbe volentieri Schiantato di nuovo, lì, sui gradini davanti a tutti come quel pomeriggio sul prato dopo essere rimasto senza mutande per merito di Potter.
Piton afferrò la bacchetta dalla tasca interna del mantello, stringendo i denti per la furia che la faccia di Liv gli stava dando; quella che si credeva la migliore amica di Lily, quella che dal primo anno poteva stare con Lily quando voleva a tavola, in Sala Comune, ci dormiva addirittura vicino.
Ma una voce severa lo fermò prima ancora che potesse anche solo pensare all'incantesimo da lanciarle.
«Che cosa sta succedendo qui?». La McGranitt, in cima alla scala, scrutava con le sopracciglia corrucciate gli studenti accalcati sui gradini. Quando i suoi occhi chiari si posarono su Liv, tutti i lineamenti del viso le si sciolsero in un'espressione arresa.
«Sono davvero sbalordita» disse, sarcastica e per niente sorpresa. «E lei, signor Piton, cosa ci fa lì a terra?»
«McAdams ha fatto sprofondare il gradino e sono rimasto incastrato, professoressa» rispose prontamente lui. Liv parve prendere fuoco.
«COSA!? NON É ASSOLUTAMENTE VERO! NON HO FATTO NIENTE!» sbraitò serrando i pugni ai lati della gonna.
«Professoressa, Liv non aveva in mano nemmeno la bacchetta!» tentò di difenderla Mary. Ma era inutile, chi le avrebbe creduto? La McGranitt infatti sospirò, chiudendo gli occhi esasperata.
«McAdams, nel mio ufficio, subito» ordinò senza ammettere repliche.
Con la bocca aperta per lo shock dovuto all’ingiustizia, Liv lanciò uno sguardo a Mary prima di cominciare a salire i gradini con rabbia per raggiungere la sua capo Casa che nel frattempo aveva liberato Piton con un gesto della bacchetta.
«Andate, voi! Forza!» esclamò la donna rivolta a tutti gli altri che subito ripresero a camminare mentre, dietro all’arazzo, basse risate echeggiavano tra i muri in pietra del passaggio segreto.
«Riaggiusta quel gradino, James» fece Remus, paziente.
«Ma, no! Lasciamolo così e vediamo chi sarà il prossimo a cascarci!» ridacchiò lui spostando di poco l'antica stoffa ricamata.
«Immaginate Lumacorno!» fece Peter, ridente.
«Quello sprofonderebbe fino ai sotterranei portandosi dietro l’intera scala!» commentò Sirius riuscendo a far scoppiare in una risata anche Remus.
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 *




 
 
 

 
Con tutte le volte che era stata nell’ufficio della Professoressa McGranitt, Liv poteva benissimo definirlo una seconda casa.
Le librerie erano sempre cariche di libri, il camino era acceso come al solito e anche la scatola dei biscotti a tema scozzese era al suo posto.
«Siediti» fece secca la McGranitt, prendendo posto dietro alla pulita scrivania invasa da pergamene da correggere.
Liv si sedette sulla sedia in modo quasi automatico sotto lo sguardo infuocato della donna che dal nervoso aveva la bocca ridotta ad una linea sottile.
«Io non ho fatto niente. Stavo salendo le scale e lui è sprofondato da solo in quel gradino» esordì Liv per mettere subito in chiaro le cose, come ogni volta che si ritrovava seduta lì, a spiegare il motivo per cui aveva usato la bacchetta.
"Il Prefetto Malfoy ha detto che ho un cognome da Sanguesporco e che se mia mamma è babbana sono una Sanguesporco anch'io"; "Potter mi ha lanciato un Rictusempra"; "Mulciber ha attaccato Mary"; "Sirius Black ha infilato il coniglio di Stebbins nella mia tracolla, sono allergica"; "Rosier ha chiamato Dirk Cresswell mancato Magonò"; "Piton ha insultato Lily, l'ha chiamata schifosa Sanguesporco".
Per la prima volta in sei anni di scuola, la bacchetta non l'aveva nemmeno sfiorata eppure il sopracciglio nero della professoressa era arcuato e non diceva niente di buono.
«É il primo giorno, McAdams» iniziò infatti la McGranitt, severa « e ti ho già tolto dieci punti Casa a colazione. Ti rendi conto?». Liv poteva benissimo notare le narici fremere incontrollabili sotto quegli occhiali squadrati.
«Non ho fatto niente stavolta!» continuò a difendersi con sempre più rabbia, ma la donna la fermò con un secco cenno della mano.
«Non funziona niente con te. Ramanzine, punti tolti, punizioni... »
«Mi vuole espellere?» provò a dire Liv con un tono lievemente ansioso.
«Certo che no! Ma vorrei capissi quanto sia grave questo tuo comportamento! La punizione non la scampi di certo» sbottò, rigida, la McGranitt. «La decideremo domani sera alle cinque, qui nel mio ufficio. Puoi andare, adesso».
Liv però restò incollata alla sedia. Non aveva nessuna intenzione di rinunciare al Quidditch solo perchè il Capitano della squadra era James Potter.
«Professoressa, prima stavo venendo qui» iniziò, cauta.
«Ah, si? E per cosa?» chiese lei senza perdere l’aria severa.
«Vorrei partecipare ai provini per la squadra di Quidditch» annunciò Liv con tranquillità come se fosse la prima volta.
La McGranitt parve scomporsi un attimo mentre si sistemava gli occhiali sul naso con una fugace luce baluginatne negli occhi chiari.
«Bene» disse solamente, aprendo un cassetto della scrivania per tirare fuori una pergamena piena di firme.
«Devo ripeterti le regole, McAdams?» le chiese prima di porgerle il foglio.
«No»rispose impaziente Liv.
Dopo un’occhiata perplessa la McGranitt le diede la pergamena, indicandole il punto in cui mettere il nome e il congnome.
«Spero proprio tu non abbia intenzione di presentarti come battitore...» le disse, avvicinandole piuma e calamaio «Non vorrei trovare dei cadaveri al posto degli studenti».
A Liv scappò un sorriso mentre firmava con calligrafia affrettata.
«Non si preoccupi, professoressa... non m’interessa quel ruolo» la rassicurò riconsegnandole la lista.
La McGranitt sembrò leggermente sollevata.
«Cerca di riuscire ad entrare quest’anno... la squadra scarseggia di ragazze e questo non mi piace*» disse, ripiegando per bene la pergamena.
«Ci proverò» fece Liv allargando il sorriso prima di afferrare un biscotto dalla scatola che la professoressa le aveva appena avvicinato.


 
 
 
 
 
 

 

 *







 

L'umore di Lily crebbe subito dopo pranzo per le due ore di lezione di Pozioni che le attendevano.
Con Liv al seguito, salutò Mary che usciva dal Castello per seguire Cura delle Creature Magiche e si incamminò verso i sotterranei.
L’umido e la semi oscurità di quei corridoi faceva sempre rabbrividire, ma Lumacorno li stava già aspettando dentro l’aula carica di vapori.
«Entrate! Entrate pure!» li salutò mettendosi affianco alla porta aperta per osservarli entrare.
«Buon pomeriggio, Severus. Ho preparato una cosuccia davvero affascinante! Sono sicuro che apprezzerai» fece gioviale prima di riportare lo sguardo sulla fila che avanzava.
Con un cenno della testa salutò i quattro Corvonero, dando un pomposo benvenuto soltanto alla silenziosa Marlene McKinnon, e sorrise agli unici due Tassorosso battendo una mano sulla spalla di Edgar Bones per dargli un caloroso bentornato.
Liv urtò inavvertitamente sul suo ingombrante pancione ricoperto di velluto ma lui parve non accorgersene perchè i suoi occhi si erano già posati su Lily.
«Mia cara ragazza! Come stai?» l’accolse illuminandosi.
«Molto bene, professore, grazie. Lei?»rispose Lily stringendosi i libri al petto.
«Bene, cara» fece emozionato facendo vibrare i lunghi baffoni da tricheco che nascondevano un largo e sincero sorriso. «Ti informo che tra due settimane darò la prima festicciola dell’anno! Riceverai presto l’invito con l’orario e il giorno» disse compiaciuto per poi girarsi verso Piton, già davanti al suo calderone sul tavolo che condivideva con Mulciber. «Severus! Naturalmente anche tu sarai il benvenuto!» Piton annuì distrattamente sfilando dalla borsa il suo Pozioni Avanzate.
«A voi invece nemmeno lo chiedo più, tanto so che non verreste» sbottò divertito Lumacorno, seguendo con lo sguardo James e Sirius che entravano nell’aula con aria spavalda.
«Spiacenti, Prof, ma non ci teniamo proprio» disse schietto Sirius pensando che la faccia di suo fratello era l’ultima cosa che voleva vedere ad una festa.
James lanciò uno sguardo a Lily che si stava legando i capelli rossi in una coda alta mentre Remus riusciva ad entrare nella stanza per un pelo prima che Lumacorno chiudesse la porta.
«Svelto, signor Lupin! La pozioncina che darà il via a questo trimestre non può attendere oltre» esclamò il professore battendo le mani.
Sovrastando i tavoli con la sua ingombrante figura, si gonfiò d’eccitazione indicando il calderone sulla cattedra. «Quella che c’è lì è una pozione davvero singolare che ci prenderà un bel po' di tempo! Ma, come sapete, questo è l’anno dei M.A.G.O. e dovrete lavorare parecchio se vorrete arrivare preparati alla fine dell’anno. Bene, tirate fuori l’occorrente, aprite il vosto Pozioni Avanzate a pagina 50 e iniziamo!».
La pozione da fare si rivelò essere Pozione Polisucco e tutti si rimboccarono le maniche della camicia per svolgere il proprio lavoro al meglio sotto l’occhio attento e curioso di Lumacorno.
Liv, con i capelli scuri tenuti a bada alla bene e meglio da una piuma d'oca, cercò in tutti i modi di evitare che il suo gomito si scontrasse con quello di Sirius intento a sminuzzare svogliatamente la pelle di Girilacco con lentezza inaudita.
«Vuoi fare attenzione?» gli sibilò con durezza.
«Mh?» fece lui lanciandole una fugace occhiata maliziosa continuando a tritare come se niente fosse.
Liv lasciò stare il coltello d’argento per fulminarlo con lo sguardo chiedendosi perchè le stesse Case dovessero lavorare allo stesso tavolo. Per un momento desiderò essere una Corvonero o una Tassorosso solo per non dover condividere quello spazio con gli esseri fastidiosi della sua stessa Casata.
«Il gomito! Spostati più in là. Hai un sacco di spazio lì» mormorò rabbiosa indicando con un veloce cenno del mento la superficie accanto a lui.
«Sono un umano, Olivia, ho i gomiti. E lo spazio che vedi è per gli ingredienti miei e di Ramoso» si limitò a ribattere lui con un sorrisino fintamente innocente spingendo volutamente il gomito ancora più vicino al suo.
Liv socchiuse gli occhi marroni, taglienti. Gli ingredienti non prendevano affatto tutto quello spazio, nemmeno se ci fossero stati anche quelli di Remus.
« Forza, forza! Concentrazione!» cinguettò allegro Lumacorno avvicinandosi al tavolo dei Grifondoro. 
«Continua così, Evans» aggiunse compiaciuto soffermandosi più del dovuto davanti al calderone di Lily.
«Felpato, guarda Mocciosus»
«Come al solito, ogni tre secondi pasticcia il libro... starà facendo disegnini ‘Oscuri’? Lui che bacia Mulciber o direttamente un'orgia con l'aggiunta di Avery...»
«Troppa passione, per Merlino!»
«Scommetto che la Pozione gli verrà bene perchè l’olio dei capelli gli cola nel calderone, dev’essere l’ingrediente segreto di tutte le ricette»
«Ecco perchè a noi non vengono... siamo troppo puliti».
Lo sghignazzare che seguì quel borbottare divertito innervosì ulteriormente Liv, già scocciata per i ciuffi di capelli fastidiosamente appiccicati al viso sudato, per il gomito di Sirius sempre più invadente e per il fatto che la sua pozione non stava affatto bollendo come invece spiegava il manuale.
«Questo stupido libro» sibilò, sfogliando con forza le pagine bruciacchiate. Odiava Pozioni Avanzate, lo odiava perchè anche se seguiva tutte le istruzioni alla perfezione la pozione non veniva mai bene. Non capiva proprio perchè l’avessero preso come libro di testo se le cose al suo interno non davano mai buoni risultati.
«McAdams? McAdams... psst!»
«Che vuoi, Potter!?» sbottò lei, innervosita a livelli estremi, mescolando con vigore la pozione che non ne voleva sapere di diventare del colore indicato dall’autore ubriaco del libro.
«Hai i capelli di Hagrid in questo momento, lo sai?»
«Proprio tu parli di capelli!?» ribattè lei a denti stretti facendo ridere sottovoce Sirius. Gli avrebbe volentieri buttato addosso tutte le Sanguisughe se solo non le fossero servite per fare il brodo da mettere nel calderone.
«Questi capelli sono l'orgoglio della mia famiglia. Secondo te perchè non usiamo la pozione Lisciariccio di mio padre?» bisbigliò ridente James, passandosi fieramente una mano tra i ciuffi ribelli.
Liv lo guardò scettica sollevando un sopracciglio. Avrebbe tanto voluto rispondergli 'Perchè non funziona?' ma conosceva quella pozione e sapeva che invece funzionava alla grande.
Più volte suo padre l'aveva travasata di nascosto nel flacone del balsamo per capelli babbano di sua madre quando lei si lamentava dei suoi capelli dopo l'ennesima giornata di pioggia a Londra.
Soltanto grazie al proverbiale gomito di Remus nelle costole di James quella discussione si chiuse lì.
Come d'abitudine, alla fine della lezione le misture intermedie più ammirate e lodate furono quelle di Piton e Lily. Piton che, sotto l'occhio attento di James, la guardò per un velocissimo ed imbarazzante istante prima di riportare lo sguardo sul suo calderone perchè non trovava mai i suoi occhi verdi a ricambiarlo ma soltanto la sua esile figura così piccola eppure così algida e forte.

James se ne accorse, era un anno intero che aveva cominciato ad accorgersene.






Note:


*Liv e la McGranitt sono molto simili, anche se non sembra. Hanno storie familiari quasi identiche e un cognome scozzese babbano. Anche il quidditch le accomuna. La McGranitt non tollera il comportamento sconsiderato di Liv (infattti non si fa scrupoli a metterla in punizione e toglierle punti nonostante sia della sua Casa) ma anche nei libri riconosce un bravo giocatore e lo vuole in squadra infischiandosene delle regole (vediamo Harry entrare in sqaudra al primo anno, grazia a lei). Da Pottermore sappiamo che la Mcgranitt era una cacciatrice che al settimo anno ha avuto un grave infortunio (così grave da non farle pensare al quidditch dopo i suoi M.A.G.O.) per colpa di una partita con Serpeverde molto agguerrita e piena di falli (per questo è così accanita quando i suoi studenti giocano contro Serpeverde). Vedrete altro, in questa storia, della sua biografia scritta dalla Rowling.



*I Prefetti possono togliere punti agli studenti, ma non ad altri Prefetti (come ci fa sapere Ron nel quinto libro quando Malfoy toglie punti a lui, Harry, Hermione e Macmillan). Possono anche dare punizioni (come fa capire sempre Ron quando dice che farà scrivere a Tiger o Goyle, come punizione) e naturalmente "controllare i corridoi ogni tanto" (credo a turni).


 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. Un'occasione da prendere al volo ***



Capitolo 3
 
 
UN’OCCASIONE DA PRENDERE AL VOLO

 
 

 

 


«É solo colpa tua, Felpato! Avevo ragione io, come al solito. Tunnel stretto, stanza grande e corridoio dritto a Hogsmeade»
«Che palle, James! Tanto dovevamo tornare per controllare quella parte a destra...»
«No, invece, non dovevamo tornare! Io ce l’avevo benissimo in testa, siete voi che non vi fidate della mia memoria!»
«Scusa, Lunastorta, ma dopo aver passato cinque ore sui libri il tuo acuto cervellino non era più molto affidabile»
«Ma si può sapere chi c’è qui!? Io vorrei dormire!» sbottò la voce scocciata del mago nella cornice a destra, e il mormorìo concitato dei tre ragazzi cessò all’istante.
Remus, Sirius e James con Codaliscia aggrappato alla spalla, schiacciati l’uno sull’altro sotto il Mantello dell’Invisibilità, si fermarono in mezzo al corridoio aspettando che l’anziano signore medievale ritratto sul grande quadro si riaddormentasse.
Era la seconda volta che tornavano nel tunnel dietro allo specchio del quarto piano. La prima volta l’avevano percorso tutto fino ad Hogsmeade e ci erano tornati una seconda per essere sicuri di ricordare alla perfezione il percorso. Nella Mappa tutto doveva essere perfetto, identico alla realtà.
Quando il ronfare spezzò di nuovo il silenzio notturno, i tre ragazzi invisibili più il topo ripresero a camminare per il corridoio del quinto piano.
Il topo squittì vivace quasi rompendo un timpano a James che gli tirò per dispetto la lunga e sottile coda.
«Coda, ti ho detto un milione di volte di non farlo» sibilò con sofferenza massaggiandosi l'orecchio.
«Ci siamo stati prima nelle cucine, Pete» lo zittì Remus, capendo al volo il verso.
«Guardate chi c’è al quinto piano» mormorò con un sorrisino Sirius, osservando avidamente il cartiglio di Liv che si spostava nel corridoio sopra al loro. «La nostra ignara collega di passeggiate notturne».
James rise silenziosamente sentendosi addosso lo sguardo ammonitore di Remus al suo fianco.
«No. Non se ne parla. Io voglio dormire. Domani è sabato, unico giorno in cui possiamo avere più ore per studiare... e cose da studiare quest'anno ne abbiamo a bizzeff...»
«Ma ti senti, Remus?» lo canzonò scherzosamente Sirius. «Dai, non sei credibile dicendolo da sotto un Mantello dell’invisibilità, in mezzo ad un corridoio in piena notte».
Remus, suo malgrado, dovette correre contro la sua volontà per non restare scoperto dal Mantello. 
 
 
 



 

*

 

 



 
«MASTRO GAZZA! DISERTORE DELLE REGOLE AL SEST... !».
Pix rimase muto, con la sua grande bocca aperta in una buffa smorfia incredula.
Con aria soddisfatta, Liv rimise a posto la bacchetta incamminandosi verso la scala che l’avrebbe portata al settimo piano.
«AHAHAHAH! LA RIBELLE SCAPESTRATA SI CREDE FURBA!?».
Liv si voltò all’istante sentendo la voce fastidiosa di Pix, interdetta per l'incantesimo apparentemente eliminato.
«Silencio» riprovò, questa volta pronunciando a voce la formula per essere sicura che l’effetto durasse; magari la stanchezza aveva reso l’incantesmo non verbale più debole.
Ma Pix, dopo qualche istante di mutismo, riprese a ridacchiare tenendosi la pancia.
«Silencio!» ringhiò un pò più forte. L’ora limite del permesso che la McGranitt le aveva dato per la punizione stava scadendo e non aveva nessuna voglia di vedere Gazza.
Pix restò senza voce, rispondendole però con una sonora pernacchia.
James e Sirius, con le bacchette puntate su Pix da sotto il mantello, facevano a turno per eliminare l’Incantesimo che Liv continuava a lanciare, ma lo squittire divertito di Codaliscia fece insospettire la ragazza che spostò subito lo sguardo verso l'angolo più vicino del corridoio, trafiggendoli senza saperlo.
«Ma che sta succedendo?» borbottò, assottigliando gli occhi scuri senza riuscire a vedere alcun topo.
«MCADAMS HA LE ALLUCINAZIONI!? MCADAMS HA LE ALLUCINAZIONI!!»
«Petrificus Totalus!»
Pix si irrigidì, ma subito tornò normale galleggiando mollemente a mezz’aria con dispettosa aria beffarda.
«Silencio!» lo anticipò prima di cominciare a salire di corsa la rampa di scale: l’ora era scaduta del tutto e non poteva permettersi altre punizioni.
«MCADAMS NEL CORRIDOIO DELLA SIGNORA GRASSA!MCADAMS AL SETTIMO PIANO! GRIFONDORO NEI GUAI!».
Quell’ultimo e acutissimo urlo di Pix scatenò diverse reazioni in contemporanea.
La Signora Grassa si svegliò di scatto, spaventata, e Nick-Quasi-Senza testa comparve da un muro con la testa che gli penzolava in un modo più inquietante del solito. Fu un attimo e il tempestivo zampettare veloce di Mrs. Purr echeggiò per le scale nel perfetto silenzio del castello, seguito subito dopo dall’affanno di Gazza che sbucò dietro di lei con aria assassina.
«TU! L’orario è finito!» gracchiò vittorioso con occhi spiritati e le labbra ritratte sui denti.
James si tappò la bocca con una mano e con l’altra tenne chiuso il muso di Codaliscia mentre il lungo braccio di Remus afferrava la spalla di Sirius, proteso verso Liv come se volesse uscire allo scoperto, per tenerlo stretto ed evitare di far spuntare qualche pezzo dell’amico da sotto il trasparente mantello.
Il Prefetto, anche se in quel momento si sentiva meno Prefetto che mai, evitò di fulminare tutti con lo sguardo soltanto perchè per essere coerente avrebbe dovuto cercare uno specchio sul quale auto maledire anche il suo essersi lasciato coinvolgere ancora una volta. 
«L’orario è finito da meno di un minuto e sono davanti al ritratto» si difese Liv, fissando in modo truce i grandi occhi gialli della gatta spelacchiata che soffiava minacciosamente verso di lei.
«Suvvia, Mastro Gazza» s’intromise il fantasma dei Grifondoro sistemandosi la testa sulla gorgiera trasparente. «Dopotutto la ragazza è qui adesso, a due passi dal suo dormitorio. Madama, la lasci entrare» continuò, ammiccando verso la visibilmente scocciata ed assonnata Signora Grassa.
«Non credo proprio» mormorò Gazza stirando le sottili labbra in un ghigno maligno «Adesso lei viene con me dal Preside»
«PUNIZIONE, PUNIZIONE!!» cantilenò Pix volando via come un fulmine giù per le scale. Ma il ghigno di Gazza si trasformò in un attimo in espressione confusa e stralunata sotto gli occhi sconcertati di Liv.
James adocchiò la bacchetta di Sirius, puntata sul guardiano Confuso che ormai balbettava parole incomprensibili.
‘Ho sonno’ mimò Sirius tranquillamente, mentendo. E James fece finta di crederci, come aveva fatto in sei anni di scherzi a Liv sempre meno frequenti e sempre con lieto fine per lei.
Remus sospirò. Liv, però, era seriamente preoccupata e molto curiosa. Ci doveva per forza essere qualcuno, lì, con una bacchetta.
Scrutò intorno a sè con aria indagatrice senza però trovare nulla. Non era la prima volta che le capitava di assistere a situazioni strane nei corridoi dopo il coprifuoco.
Una volta, al quarto anno, aveva addirittura sentito qualcuno sgranocchiare cibo nelle Cucine quando era scesa di nascosto per prendere della cioccolata ad una Mary insonne e depressa. Un'altra volta, dei muffin al cioccolato avevano levitato davanti a lei prima di posarsi sul tavolo.
«Cosa aspetti!? Corri in Sala Comune!» la incoraggiò premurosamente Nick, volteggiando sopra la testa di Gazza con ormai lo sguardo perso sulla sua gatta miagolante.
 «Io avrei sonno... dobbiamo stare tutta la notte così?» sbottò la Signora Grassa mostrando tutto il suo fastidio.
«Geranio Zannuto» sussurrò Liv senza spostare lo sguardo attento dal corridoio all’apparenza deserto. Quanto avrebbe voluto stare lì per scoprire chi accidenti era quel qualcuno che si divertiva alle sue spalle da anni.
«So usare anch’io l’Incantesimo di Disillusione! Una di queste notti vedrai chi sarà il furbo, coprifuoco o no» disse mentre la cornice si spostava di lato, scoprendo l’entrata circolare della Sala Comune.
Con un’ultima occhiata perpessa Liv ci sgattaiolò dentro senza altri indugi.
«Grazie, Sir Nicholas»
«Non c’è di che, mia cara!».
James, Sirius, Remus e il topo la seguirono a ruota, rischiando di essere quasi mutilati dal quadro che si richiuse con un tonfo secco alle loro spalle.
 
 
 
 


 

*

 
 
 




Il sabato mattina, soprattutto quello della prima settimana di lezioni, era sempre molto tranquillo perché tutti potevano svegliarsi tardi e fare le proprie cose con calma.
A colazione, le quattro tavolate non venivano attaccate dalla massa di studenti frettolosi, pronti nelle loro divise rigorose, ma si riempivano poco a poco di gruppetti di ragazzi comodamente vestiti con felpe, maglioni e maglie di ogni colore, donando alla Sala Grande una piacevole aria di vacanza che ancora aleggiava nelle menti degli studenti.
I Grifondoro, però, non si potevano includere in quella categoria.
Da quando James Potter era diventato il Capitano della squadra di Quidditch, la mattina del primo sabato era riservata alle selezioni perchè: "Prima mettiamo in piedi la squadra e prima ci possiamo allenare".
La tensione e l’ansia si potevano quasi toccare con mano nella Sala Comune rossa e oro invasa già dalle sette da ragazzini del secondo anno con le loro scope strette in mano come se fossero salvagenti e da quelli più grandi e decisi che si abbuffavano di cibo per non far venir meno le forze.
«É inutile che fate quelle facce» ridacchiò Liv raccogliendosi i lunghi capelli scuri in una coda alta davanti allo specchio del bagno.
Lily e Mary, ancora in pigiama, si guardarono di sottecchi.
 «Non so più come spiegarvelo» fece Liv, raggiungendole vicino al suo letto a baldacchino per afferrare la sua Comet poggiata sopra le coperte sfatte. «Lo faccio per me, non per assaporare la dolce vendetta nei confronti di Black. O meglio, non esclusivamente, per assaporare quella dolce vendetta».
Un piccolo sorriso scappò sia a Lily che a Mary.
La cosa più soddisfacente per Liv era proprio il fatto che tutto quello che aveva appena detto era vero.
«Credo sia il quinto anno che ve lo ripeto, come fanno a chiamarvi Prefetto e Caposcuola?» continuò sempre più divertita.
«Attenta a come parli! Potrei toglierti punti!» sghignazzò Mary saltandole addosso giocosamente. La risata di Liv fu soffocata dai cuscini che Lily aveva cominciato a lanciarle con divertimento.
«Basta! Devo andare!» soffiò, liberandosi dall’attacco. «Ci vediamo giù al campo» le salutò uscendo dal dormitorio con la scopa in spalla.

«In bocca al lupo, zittisci Potter!» le gridò dietro Lily guardandola con occhi ridenti.
Liv era decisa e sicura che questa volta ci sarebbe riuscita.
In cinque anni aveva tentato tutti i ruoli eccetto quello, ed era stata una stupida perchè adesso capiva benissimo che proprio quel ruolo faceva al caso suo.
La violenza non sarebbe stata più un problema.


 


 
 

 *






«Remus, se non stacchi gli occhi da quel libro potresti rotolare giù per il pendio» lo avvisò ridente Sirius, camminandogli al fianco con fare disinvolto. Erano le sette e mezza in punto e i quattro stavano raggiungendo il campo di Quidditch insieme ad altri gruppetti di Grifondoro, curiosi di assistere alla scelta dei nuovi giocatori.
Gli occhi ambrati di Remus, però, restarono incollati alle pagine.
«Sono qui, ok? Vi ho accontentato. Sto andando a vedere questi dannati provini e quindi lasciami almeno finire questo maledetto capitolo sui Dissennatori» sbottò, nervoso.
Sirius non ribattè, si mise le mani in tasca cominciando a fischiettare pacifico.

«Quanto manca al giorno x?» chiese tranquillamente a James che scrutò Remus ancora un po' prima di rispondere.

«Poco, a quanto pare» rispose riuscendo a scucire dalla bocca di Remus un piccolo sorriso.

Mancavano soltanto due giorni alla luna piena e lo sapevano benissimo. Quella ruga tra le castane sopracciglia di Remus voleva dire soltanto una cosa 'Zitto o ti attacco al muro, sai che posso farlo'. Sapevano benissimo anche quello.
«James! Mi raccomando!» gridò un ragazzo bruno, salutando con l’intero braccio.
James sollevò il pollice della mano libera rivolgendogli un grande sorriso smagliante.
«Ma non potevi farli di pomeriggio? Io sto morendo di sonno» biascicò Peter dondolante. «E c’è freddo»
«Merlino, Codaliscia, sei un dannato anziano!» lo riprese giocosamente James dandogli una leggera spallata per poi riprendendolo poi al volo perchè il ragazzo aveva perso il suo precario equilibrio scivolando sull’erba bagnata di brina. «Fare i provini a quest'ora elimina la metà dei partecipanti, quelli troppo pigri e senza abbastanza motivazione» gli spiegò pulendogli alla bene e meglio il mantello mentre il guizzo della folta chioma rosso scuro di Lily che li aveva appena superati insieme a Mary gli catturava all’istante gli occhi nocciola dietro le lenti.
«Preparati ad avere Liv in squadra, Potter» esordì lei in tono piuttosto orgoglioso, sorprendendolo. Aveva la curva del sorriso chiuso sporca di briciole simili alla spruzzata di lentiggini sul naso e le guance piene sicuramente della metà del muffin al caramello che aveva in mano, James la giudicò imbarazzante anche se non riuscì a toglierle gli occhi dosso.
Si ritrovò infatti a ridere piano alle sue spalle, fissando la chioma rossa muoversi al ritmo della sua andatura decisa. «La tua amica ha davvero pochissime possibilità di riuscire ad entrare in squadra, Evans. Ammettilo che stai andando al campo per vedere me»

«Ho già visto mille volte te che sollevi la scopa grazie al tuo ego, Potter, non ci sarebbe niente di nuovo» rispose lei aumentando il passo per girare a destra verso gli spalti, al seguito di Mary.

James la seguì con sguardo ridente accorgendosi soltanto dopo del paio d'occhi che aveva addosso.

«Che c'è, Remus?»

«Le hai di nuovo parlato dopo una settimana di riunione pre ronda passata in silenzio con lei e Gazza, a detta tua»

«Ho semplicemente risposto»

«Hai flirtato con lei»

«Ha iniziato lei».

Sirius arcuò entrambe le sopracciglia nere, lo sguardo perplesso posato su Remus e poi su Peter dall'aria scettica.

«A dopo, messeri miei» li salutò James dandogli due pacche sulla schiena prima di prendere a passo deciso il sentiero che scendeva dritto al campo.
Gli spalti attorno all’ovale campo da Quidditch erano già gremiti, e gli alti sei anelli brillavano sotto i primi diretti raggi di sole che iniziavano a sbucare dalle vaporose nuvole grigie.
Sul verde prato bagnato, un numeroso gruppo di ragazzi e ragazze con le scope strette in mano attendeva febbricitante l’arrivo del Capitano e Cacciatore* migliore della squadra se non addirittura dell'intera scuola.
«Buongiorno!» esclamò spavaldo James, entrando in campo con scopa e baule degli attrezzi del mestiere. «Ci siamo tutti? Bene. Dunque, siamo qui riuniti...».
Liv, tra un ragazzo del sesto anno grosso il doppio di lei e una ragazzina del terzo con le trecce, sollevò gli occhi al cielo. Quando Potter partiva con i suoi teatrali ed eccentrici discorsi l’unica cosa che voleva fare era Schiantarlo.
Ma non poteva, Lily le aveva sequestrato la bacchetta prima di farla uscire dal dormitorio.
«E quindi se siete venuti per scherzare, siete pregati di riportare le vostre chiappette fuori da qui» terminò James allargando il luminoso sorriso.

 

 

 

 
*




Lo sbadiglio rumoroso di Peter fece sussultare Mary, seduta sugli spalti vicino a Lily.
«Chissà di chi saranno le ossa che Olivia romperà quest’anno» chiese Sirius a voce appositamente alta per farsi sentire da orecchie ben precise, seduto a due metri di distanza da Lily.
«Magari le tue, Black. E fatti controllare l’udito, se non avessi i pantaloni ti scambierebbero per una Banshee» gli consigliò, pungente come lui lo era stato per Liv pochi secondi prima.
Sirius sollevò entrambe le sopracciglia nascoste dai lunghi ciuffi di capelli. «La mia voce è normalissima. Sei tu, Evans, che sei più Infero che viva» si difese lui mettendosi comodo sotto lo sguardo sognante di un gruppetto di ragazzine appena sedute alle sue spalle.
Un’altra parola di Black, e Lily si ripromise di tappargli la bocca con un Incantesimo.
Non si stupì quando la sua mente appoggiò completamente Liv e la sua ‘Violenza’.

 


 


 

*

 





Il giro sulle scope per testare le capacità di volo eliminò una gran quantità di ragazzi del secondo anno.
«Sto bene! Tutto apposto!»
«Jones, ti è appena caduto un dente» lo informò con noncuranza James osservando il ragazzino sorridente che si era appena rialzato dal prato dopo una spettacolare caduta.
Seguendo con lo sguardo la lunga fila di ragazzi acciaccati che s’incamminavano mogi sugli spalti, James si sfregò le mani rivolgendosi a quelli rimasti.
«Perfetto. Voi siete i Prescelti. Dividetevi in gruppi in base al ruolo che volete avere. Inizieremo con i Cercatori» disse con aria professionale tirando fuori dalla tasca della felpa il suo personale Boccino d’Oro.
Un gran baccano accompagnò la divisione dell’unico gruppo in altri quattro più piccoli. Senza farci troppo caso, James cominciò a giocherellare con la pallina svolazzante; lasciarla andare per qualche secondo e riacchiapparla prima che si allontanasse troppo era facile e quasi ipnotizzante.
Quando il silenzio calò di nuovo sul campo, abbassò lo sguardo sui gruppetti appena formati e la presenza di Liv nel gruppo più numeroso lo lasciò sbigottito.
«McAdams? Cosa ci fai tra gli aspiranti cercatori?» chiese, trattenendo a stento una risata.
«Non lo so, Potter» cominciò lei, sarcastica «Forse perchè è quello il ruolo a cui aspiro?».
James rise di gusto, acchiappando il boccino con naturalezza.. «Non fa per te, decisamente! Ci vuole pazienza e sangue freddo» osservò, vagamente derisorio.
Liv incrociò le braccia al petto, tenendosi stretta la scopa. «Io invece credo sia adattissimo a me. Niente scontri fisici per contendersi la Pluffa, così non rompo una spalla a qualcuno come l’anno scorso. Niente mazze e bolidi con cui spezzare ossa. E fare il Portiere non mi è mai venuto bene» spiegò con calma, allargando il sorriso fin troppo affabile.
«Già, il portiere...» ripetè James con aria beffarda, trattenendo un'altra risata. «Perchè non riprovi con gli anell...?»
«Non mi farò mai mettere in ridicolo da te, Potter, dovresti saperlo ormai» lo fermò lei, dura.
James ridacchiò, osservando il boccino luccicare sopra la sua testa per poi riprenderlo senza sforzi. Il solo ricordo di Liv davanti agli anelli lo faceva sbellicare dalle risate.
«Lascia andare quel boccino» sbottò Liv sempre più rabbiosa. «Lo sappiamo che saresti fenomenale anche come Cercatore ma non puoi fare tutto».
Il sorriso sghembo di James si sollevò ancora di più mentre ricambiava lo sguardo di sfida che Liv continuava a rivolgergli.
In effetti, si ritrovò a pensare, il Cercatore non doveva aver a che fare con scontri fisici, a parte quelli con il ‘collega’ avversario.
Il fisico di Liv non troppo alto era l’ideale per la velocità e non si poteva dire che non avesse ottimi riflessi e vista acuta quando faceva scattare la bacchetta per stendere qualcuno prima ancora che quello se ne rendesse conto.
La mente di James passò in rassegna tutte le ultime selezioni di Liv e con un certo rammarico dovette ammettere che, a parte la violenza, era agile a schivare i bolidi, capacità fondamentale per un Cercatore.
«E va bene, vediamoti nei panni del Cercatore» disse lasciando che il boccino scappasse via in una scia di luce, sempre più in alto nel cielo.
In un attimo, Liv saltò a cavallo della Comet e schizzò in aria al seguito della velocissima pallina dorata.
 




 

 *




 


 
«Cercatrice!? Quella perderà la pazienza dopo tre secondi di gioco!» commentò Sirius, incredulo.
Lily e Mary lo fulminarono con lo sguardo ed un moto di rabbia e fedeltà verso la loro amica le incendiò entrambe stirando ulteriormente la curva sulle labbra di Sirius.
«VAI, LIV!» gridò incoraggiante Lily, accompagnata dal sonoro applauso di Mary che dopo un po' si mise anche a fischiare.
 

 

 

*





Dopo un quarto d'ora buono di ricerca, schivando per un pelo l'ennesimo bolide che James aveva ordinato di lanciare per rendere il tutto il più reale possibile’, Liv adocchiò lo scintillìo del boccino a pochi metri di distanza dal secondo anello in fondo al campo. Strinse con forza il manico della scopa e scattò in avanti per raggiungerlo.
 «A quest’ora» le gridò James, da terra «Ned Stevens l’avrebbe acchiappato tre volte».
Se Potter credeva di metterle ansia nominando l’abile cercatore dei Tassorosso si sbagliava di grosso.
Accelerò ulteriormente e si appiattì sul manico di scopa, l’aria fredda a sferzare il viso e stirarle la lunga coda scura. Non poteva permettersi di sbagliare, non quell'anno. Virò a sinistra del terzo anello seguendo il movimento a zig zag del boccino, e quando quello fece per schizzare verso l'alto in una scia sgfuggente, allungò il braccio destro e tese allo stremo le dita della mano verso la pallina alata che pochi secondi dopo acciuffò, trattenendo il respiro.
Lily, Mary e parecchi ragazzi sul campo e sugli spalti esultarono. Peter si svegliò di soprassalto cadendo su Remus che lasciò perdere i Dissennatori e il libro.
«Black? Non parli più, adesso?» lo sbeffeggiò Lily applaudendo con forza, l'ampio sorriso fiero seminascosto dai ciuffi di capelli rossi svolazzanti al vento.
Quello di Sirius però non si abbassò di un millimetro, gli occhi grigi posati sulla lontana figura di Liv che scendeva di quota con le ali argentate sbatacchianti del boccino ai lati del pugno chiuso sul manico della scopa, per puntare il prato con due mani.
Lily perse tutta la sua aria sfidante alla vista della curva delle labbra di Sirius che sembrava addirittura fiero.
«Non credete sia troppo presto per cantare vittoria? Ci sono almeno altri dieci ragazzi in lista» si limitò a risponderle Sirius, sardonico, distendendo le lunghe gambe per stiracchiarsi pigramente.




 

 *






«Non male» si limitò a dire James, fingendo indifferenza, mentre una raggiante Liv gli consegnava il boccino catturato. «Ma ci hai messo troppo tempo. Deciderò quando avrò visto anche tutti gli altri» continuò con aria di sufficienza.
Liv si sedette sul prato, accarezzando la sua leale scopa, senza abbandonare lo sguardo battagliero rivolto a James.
I ragazzi e le ragazze dopo di lei fecero storcere parecchie volte le labbra del Capitano che subito si affrettava a cambiare espressione notando che gli occhi scuri di Liv ancora non lo lasciavano in pace.
«Non fa niente, Tom! Torna a terra!» urlò all’ultimo candidato dolorante che si teneva il braccio appena colpito da un bolide. Il ragazzo atterrò con difficoltà e a mani vuote.
James guardò di sottecchi Liv che sorrideva come non l’aveva mai vista fare.
«Passiamo ai due battitori... Harrison, comincia tu» annunciò, chiamando il suo ormai fidato compagno di squadra. Era decisamente stanco di vedere persone che sfioravano per un pelo la morte.
Dopo parecchi lividi, denti a terra e mazze che facevano voli da una parte all’altra del campo al posto dei bolidi, James si concentrò su Cacciatori e Portiere improvvisando una partitella.
 



 

*




 
«Questa volta Liv ce la fa davvero!» fece emozionata Mary scuotendo per un braccio Lily che annuì, sinceramente felice.
«Dobbiamo festeggiare, Mary» affermò, allegra.
«Piume di Zucchero e chiacchiere in pigiama?» commentò Sirius dando una gomitatina a Remus che sollevò gli occhi dal libro con un mezzo sorrisino divertito. «Rispettando l’orario della nanna, ovviamente! Non sia mai!»
«Sei fuori strada, Black» lo zittì Mary, fulminando entrambi. Remus abbassò di nuovo lo sguardo sulle pagine, i denti a mangiucchiare l'interno di una guancia.
«Sì, in effetti è troppo trasgressivo per voi. Allora dico...» riprovò Sirius, ancora più esilarato «Una tazza di tè e la Evans che legge ad alta voce i suoi chilometrici appunti per ripassare la lezione che nemmeno abbiamo ancora fatto»
«Quello è Remus» bofonchiò nel sonno Peter facendo assottigliare in modo assassino gli occhi del citato Remus.
«Non sei fuori strada, Black, sei proprio caduto dal burrone» lo rimbeccò Lily.
 



 


 *

 




Sull'erba, James aveva preso le sue decisioni. Dopo essersi accertato che un portiere non vedesse più doppio a seguito di un ultimo colpo di Pluffa in testa, era pronto a rivelare i giocatori della nuova Squadra di Grifondoro.
Non poteva sbagliare, quello era il suo ultimo anno e la Coppa doveva per forza essere sua e della McGranitt che gliel'aveva detto senza giri di parole per tutta la settimana.
«Dunque» cominciò, più serio del solito. «I battitori: Il mio Harrison rimane».
Brian Harrison, il muscoloso e alto ragazzo dalla pelle scura del sesto anno, non sembrava affatto sorpreso e raggiunse James battendogli un cinque con un enorme e soddisfatto sorriso.
«Il secondo sarà George Carter» annunciò facendo spalancare di sorpresa gli occhi scuri del ragazzo del quarto anno magrissimo ma alto. «Se prometti di migliorare la mira, però» aggiunse James rimpiangendo il suo vecchio battitore diplomato l’anno precedente.
Michael Cooper, il ragazzo biondo che a colazione una settimana prima aveva calorosamente espresso la sua intenzione di partecipare ai provini, era diventato il nuovo Portiere.
Alan Morgan, altro fidato di James, si riconfermò Cacciatore e Daisy Smith, la ragazzina con le trecce castane del terzo anno, si era distinta in campo per i tiri precisi e la prontezza nei passaggi. James non potè fare altro che nominarla terza Cacciatrice.
Aveva lasciato per ultimo il ruolo del Cercatore. Liv sapeva benissimo perchè, ma non gliela diede vinta e continuò a fissarlo con sfida senza cedere al nervosismo.
«E per ultimo, ultimo non per importanza... » esordì James lanciando uno sguardo pungente in direzione di Liv. «Il Cercatore. Colui che deve possedere pazienza, velocità, resistenza, sangue freddo, agilità, vista acuta, coraggio, abilità nello schivare i bolidi...».
Liv sospirò forte. Da quando James Testa di Troll conosceva tutte quelle parole?
Era il secondo essere umano al mondo ad essere così fastidioso ed irritante, dopo il suo amico del cuore Black.

Più fastidiosi dei folletti della Cornovaglia, più infestanti degli gnomi in giardino e più...
«McAdams? Mi hai sentito!? Sei la nuova Cercatrice» biasicò James indicandola con un cenno svogliato del braccio.
Sentendo il suo cognome tra tutto quel ‘bla bla’ Liv parve illuminarsi. Dagli spalti, Mary e Lily saltarono in piedi urlando di gioia.
«Beh, complimenti a Liv. Finalmente ce l’ha fatta» commentò Remus pacifico, richiudendo il libro.
«Avrà di sicuro giocato la sua carta del Fammi diventare Cercatrice e io ti combino un incontro con Lily’. Quest'estate me l’ha detto chiaro e tondo» buttò lì Sirius saltando con nonchalance giù dalla panca per raggiungere James in campo.

«Liv non farebbe mai una cosa del genere» ribattè Lily in una mezza risata. Sirius non rispose, continuando ad avanzare sugli spalti prima di sparire di sotto, sulle scale in legno della tribuna. «Mi hai sentito?!» gli gridò dietro Lily, ma lui aveva già le scarpe sull'erba verde del campo.
«Complimenti, Olivia» esordì Sirius avanzando a lunghe falcate verso di lei. Gli si strinse il cuore al vedere il suo viso femminile, di solito contratto in espressioni corrucciate, in quel momento invece radioso e rilassato con il caldo marrone scuro dei grandi occhi più chiaro al sole; appariva molto più delicato e morbido, la forma a cuore libera di mostrare tutta la sua dolcezza che lui invece aveva sempre scorto, anche nei momenti in cui Liv s'imbronciava col mondo.
Durò pochissimo, perché il tono per niente sarcastico ed addirittura sinceramente compiaciuto con cui Sirius si era rivolto a lei suonò troppo sospetto alle orecchie di Liv.
«Evita di fare il falso, Black» ribatté cominciando a dirigersi verso l’uscita del campo. Sirius scosse brevemente la testa, guardandola ridente prima di raggiungere James.
Liv, appena fuori dal campo, venne travolta da due abbracci festosi che le fecero cadere a terra la scopa.

«Donne di poca fede» disse scherzosa tra un ammasso di capelli rossi e biondi.

«Non hai venduto Lily a Potter, giusto?»

«Cosa dici, Mary?»

«Black ha blaterato che questa estate gli hai detto che avresti chiesto a Potter di farti entrare in squadra in cambio di un appuntamento con me»

«Sei fuori, Lily?» rispose sconcertata Liv sciogliendo l'abbraccio di gruppo ed accorgendosi così che i volti delle sue due migliori amiche erano semplicemente divertiti.

«Sapete che non lo farei mai, stavo scherzando con Black quest’estate»

«Lo sappiamo» scoppiò a ridere Lily dandole una gomitata giocosa prima di farle recuperare la scopa da terra e cominciare a marciare su per il ripido sentiero che portava al castello.
La risalita fu piacevole per la tiepida brezza e il sole alto, almeno fino a quando una voce lugubre non le fermò.
Riconoscendo benissimo quel timbro e come suonava ogni volta che faceva vibrare il suo nome nell'aria, Lily non si girò e riprese a camminare con passo più svelto.
Piton rimase immobile sull'erba, cercando di evitare lo sguardo di Liv che si era voltata verso di lui risalendo il pendio all'indietro per guardare le spalle alle sue due amiche; lo fissò duramente fino a quando il Serpeverde non si allontanò nella direzione opposta.
 
 

 

 

*

 
 
 
 
 

«Lily»
«No, davvero. Va tutto bene, Liv».
Liv si sedette sul suo letto a baldacchino, strofinandosi i capelli appena lavati con il caldo asciugamano afferrato dalla stufa al centro del loro dormitorio.
Erano appena tornate dalla Sala Grande dopo una ricca cena che Lily quasi non aveva nemmeno toccato.
Liv sapeva benissimo il perchè di quell’umore e avrebbe volentieri raggiunto i sotterranei per andare a strozzare Piton a mani nude.
Attese in silenzio l’abituale sfogo dell’amica, continuando ad osservandola tirare fuori tutti i suoi indumenti dal baule ai piedi del letto per ripiegarli con cura dando il via al suo vizio di disfare l’armadio e rimetterlo in ordine come per rimettere a posto le idee.
«Voglio dire» riprese Lily afferrando una maglia dal mucchio di stoffa sul letto. «Fa ancora male anche se è passato un anno. Normale, no?»
«Normalissimo» rispose prontamente Liv facendosi un turbante in testa per coprire i capelli umidi.
«Ma è imperdonabile» continuò Lily gelida, ripiegando l’indumento senza vederlo realmente. «Verme» si lasciò sfuggire in tono disgustato.
Liv sapeva che Lily ci aveva già messo l'intera Stonehenge sopra, ma sapeva anche che continuava a starci male nonostante tutto. E quella roba sul letto non era altro che l'ennesima dimostrazione.
«Ragazze» esordì Mary affacciandosi dalla porta. Lily mollò la montagna di roba da piegare per guardarla con aria rassegnata.
«Potter sta gonfiando il suo ego facendo il solito stupido discorso alla Casa per presentare la nuova squadra?» chiese, già sapendo la risposta.
Mary annuì. «Manca la Cercatrice» aggiunse sorridendo radiosa a Liv che però sbuffò.
«Che stupido vizio...» sospirò, per niente desiderosa di mettersi al centro dell'attenzione. «Digli che non ho voglia di scend...»
«MCADAMS A RAPPORTO! SONO IL TUO CAPITANO! SCENDI IMMEDIATAMENTE!». La squillante e autoritaria voce di James arrivò chiara dalla Sala Comune.
Improvvisamente, Liv si rese conto con rammarico del grande 'contro' che l'essere in squadra le aveva regalato.
Appena mise piede nella rotonda e affollata Sala rossa e oro le facce stranite di tutti le ricordarono che in testa aveva ancora l’asciugamano.
«Ed ecco la Cercatrice» annunciò James con espressione perplessa. «Magari senza quel coso in testa potresti dare un’aria più incoraggiante e rassicurante, McAdams» aggiunse seguendo Liv che con tranquillità raggiungeva la squadra messa in fila dietro di lui.
«Come stavo dicendo» riprese James, riacquistando tutta la sua verve davanti al suo attento pubblico. «Quest’anno non avremo niente da temere! I Serpeverde li rimanderemo strisciando nel loro dormitorio; i Corvonero li faremo volare direttamente nella loro torre e i Tassorosso si daranno al giardinaggio dopo che noi li avremo stracciati».
Un forte ed eccitato applauso misto ad esclamazioni di approvazione esplose nella calda Sala Comune. Per poco Liv non fu colpita dalle braccia di Peter che esultava, saltellando con gli occhi chiari brillanti rivolti verso James.
«Sei pessimo, Potter» commentò divertita Lily sedendosi sulla poltrona più vicina al camino acceso per cominciare uno dei quattro temi di Trasfigurazione insieme a Mary.
«Hai finito, ‘oratore’? Dovrei asciugarmi i capelli» s’intromise Liv, scocciata.
«Vai pure, McAdams» rispose James mentre ognuno ritornava alle proprie faccende. «Se ti ammali e non guarisci per il primo allenamento di mercoledì sera ti affatturo» la minacciò, dirigendosi con Peter al seguito verso Remus e Sirius, chini su una grande pergamena aperta sopra il tavolo sotto ad una finestra.
«No, Lunastorta... lì non c’era quella curva»
«Mi lasci fare, Sirius? Non toccare. E la curva c’era eccome» ribattè Remus continuando a tracciare la precisa linea sulla Mappa.
«Guarda caso le zone del castello meglio disegnate sono le mie» mormorò lui con sorrisino sicuro, dondolando in bilico sulle due gambe posteriori della sedia in legno su cui era scompostamente seduto.
«Ancora un passo, Pete, e quelle ragazze sedute là in fondo ti Schianteranno perche stai 'oscurando la visuale'» rise James facendo sbucare il boccino d’oro dalla tasca della felpa.
Peter si guardò alle spalle, notando un gruppetto di ragazze dall’altra parte della stanza, tutte intente ad osservare Sirius.
«Se Remus non mi fa disegnare almeno l’uscita del tunnel, vado a farmi un giretto al lago con quella bionda a destra che sta sorridendo»
«Vai pure, Felpato, buon divertimento» fece Remus restando concentrato sul suo disegno ordinato.
 



 

 *

 


«É imbarazzante il silenzio che si viene a creare quando io e Remus ci incrociamo. Ieri pomeriggio siamo andati in due a confiscare un Frisbee Zannuto a Johnson, senza nemmeno accorgercene, e lui è letteralmente scappato» stava dicendo Mary con lo sguardo pensieroso sulle disordinate onde castane dei capelli che Liv, rovesciando la testa in giù, si stava asciugando con la bacchetta.
«Sembra abbia quasi paura di parlare. Spero proprio non pensi che voglia provarci di nuovo con lui. Sono passati due anni! Insomma... non posso mica forzarlo, l’ho capito» continuò, preoccupata.
Lily fece un mezzo sorriso indecifrabile, intingendo la sua piuma nell’inchiostro. «Remus è fatto così, Mary. Certo che ci pensa, e non vuole ferirti» rivelò pacatamente sollevando lo sguardo accigliato verso il boccino d’oro che aveva cominciato a svolazzare sopra le loro poltrone.
«Mi ha già ferito, Lily, anche se involontariamente, certo» sussurrò Mary riportando gli occhi sulla sua pergamena per nascondere le guance rosate. «Ma è acqua passata» si affrettò ad aggiungere scrollandosi la spettinata frangetta bionda.
Liv risollevò la testa e la cascata di capelli scuri le nascose per metà il viso rosso dal calore del fuoco, seguiti da lontano nel loro sinuoso movimento dallo sguardo grigio di Sirius così intenso da accorgersi in ritardo d'essere intercettato da quello di Mary, piuttosto accigliato e perplesso. Appena Sirius la notò, spostò subito la sua attenzione altrove.
«Eppure sembrava leggermente interessato a te, chissà perchè ha rifiutato» disse Liv, ignara di quegli sguardi, scacciando via con un gesto della mano il boccino che sfrecciava davanti a loro come una noiosissima mosca.
«Se ci pensate, non l’abbiamo mai visto uscire con una ragazza» continuò, pensierosa. «Forse gli piacciono i ragazzi e ha paura di essere giudicato» espose la sua opinione a bassa voce, pacata.
Lily sospirò piano appoggiando la punta della piuma sulla pergamena che, per colpa della pallina che continuava a sbattere le ali brillanti sempre più vicino ai loro visi, presto si macchiò d’inchiostro.
«Secondo me, la malattia che dice di avere lo mette a disag...» cominciò a riflettere Mary prima di essere interrotta dalla voce piuttosto alta ed infastidita di Lily.
«POTTER! VUOI FARCI LA CORTESIA DI FAR SPARIRE QUESTO DANNATO BOCCINO!?».
James rise in risposta, sollevando un braccio per salutarla.
«Ciao anche a te, Evans!».
La pergamena si accartocciò tra le sottili dita di Lily mentre la piccola sfera dorata girava attorno alla sua testa rossa.
«McAdams, prendila! Su! Prendila!» la incitò James divertito.
«Sono la tua Cercatrice, Potter, non il tuo stupido cane» fece lei fulminandolo con lo sguardo.
«Attenta a come parli dei cani, Olivia!» s’inserì Sirius, sbattendo a terra tutte e quattro le gambe della sedia.
Remus sospirò, cancellando il tratto tremolante di matita che Sirius, senza nemmeno accorgersene, gli aveva fatto fare mentre si era alzato dal posto con la delicatezza di un Gigante. 
Ma con Sirius che aveva raggiunto Liv e le altre, Remus adesso poteva continuare con la mappa senza essere disturbato.
La pallida luce della luna quasi piena che filtrava dalla finestra vicina però non gli stava proprio indifferente.
Sentendo un lungo e spiacevole brivido corrergli lungo la schiena, restò a fissare quella luminosa sfera quasi perfetta, immobile nel cielo stellato.
L’angoscia che cresceva sempre più si fermò soltanto quando James richiuse la pesante tenda rossa, lanciandogli un piccolo sorriso rassicurante.
«Non pensarci, Lunasorta. Fai il bravo» scherzò, prima di raggiungere Sirius alle poltrone delle ragazze.
Remus si lasciò andare ad un sorriso rilassato, tornando a concentrarsi sulla mappa con Peter mezzo sdraiato sopra al tavolo che rideva con il viso poggiato comodamente sui palmi delle mani e gli occhi celesti posati su Sirius e James, diventati i giullari del dormitorio come tutte le sere.





Note:


*“Dicono che è malato” Lily a proposito di Remus quando Piton le dice “Ha qualcosa di strano”.

H.P. e I Doni della Morte, pag. 619


 






Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. Protocollo 'Luna Piena' ***




Capitolo 4
 
PROTOCOLLO ‘LUNA PIENA’

 

 

 

 

 



Remus sapeva che nella sua ristretta cerchia di migliori amici non esistevano vere e proprie regole di gruppo, ma ogni giorno X del mese non riusciva a non notare certi comportamenti che James, Sirius e Peter mettevano in atto con così tanta naturalezza e leggerezza da riuscire a trasformare quella faticosa giornata in un giorno quasi normale, se non addirittura più divertente del solito. Quello che Remus invece non sapeva era che proprio quei comportamenti facevano parte di una semplice lista che i suoi tre amici Animagus chiamavano: Il Protocollo ‘Luna Piena’.

Comportamento n. 1 del Protocollo ‘Luna Piena’: Ricordare a Lunastorta che tra noi animali quello più umano è lui e difendere in tutti i modi il nostro e di Lunastorta segreto, anche a costo di rimetterci la faccia.


Era il martedì mattina (giorno segnato con una grande X rossa sul calendario lunare appeso nella camera dei Malandrini) quando dei loschi suoni misero in allerta l’intera torre dei Grifondoro. Tonfi, un abbaiare soffocato ed improbabili rumori molto simili a zoccoli di animali provenivano dal dormitorio maschile. Le ragazze, che scendevano a gruppetti in Sala Comune per andare a fare colazione, lanciavano sguardi perplessi e timorosi verso la scala a chiocciola dei ragazzi prima di oltrepassare con una certa fretta il ritratto della Signora Grassa.
«Che succede? Cos’è questo baccano?» esordì Lily mettendo piede nella Sala Comune insieme a Liv e Mary. Un ragazzino visibilmente turbato del primo anno, appena sceso dalle scale maschili, si affrettò a rispondere notando la spilla da Caposcuola che scintillava sulla divisa di Lily.
«Proviene dalla stanza di quelli del settimo anno» fece sapere, spaventato.
Lily serrò gli occhi verdi, per niente stupita della notizia, e per un attimo si disse che non erano affari suoi e che invece il caffè e i muffin al cioccolato in Sala Grande lo erano, eccome. Poi il bambino la guardò con aria indagatrice e, secondo la sua pesante spilla al petto, anche fastidiosamente giudicante e allora Lily si decise a marciare verso le scale del dormitorio maschile.
«Animali» commentò tranquilla Mary, lasciando cadere la gonfia borsa a tracolla su una poltrona. «Io l’ho sempre detto che sono degli animali selvaggi. Non oso immaginare in che condizioni è quella camera».
Il rumore dei passi nervosi di Lily facevano a gara con quei versi e tonfi mentre percorreva di gran carriera il corridoio maschile, affollato dai ragazzi curiosi come non mai.
Non era una novità sentire strani rumori provenire dalla camera dei Maladrini, ma quelli erano decisamente fuori dai normali standard dei Rumori possibili in un dormitorio di studenti’.
Il pensiero di non avere ancora il caffè sotto al naso per colpa di quei quattro (avrebbe messo la mano sul fuoco dicendo che erano Potter e Black) non fece altro che caricarle ulteriormente la rabbia.
Cercando di non arrossire davanti alla mise non proprio ‘coprente’ di qualche ragazzo, Lily raggiunse l’ultima porta frenando l’istinto di buttarla giù a calci.
«CHE DIAMINE STATE FACENDO!?» urlò, bussando forte.
A risponderle fu un bramito parecchio forte e possente che le fece spalancare gli occhi verdi. Aveva chiamato molto spesso ‘Zoo’ quella camera, in quel momento però la cosa era diventata spaventosamente reale.
«Lily... VA TUTTO BENE!» la voce di Remus risuonava estremamente affaticata da dietro il legno.
«Remus?! APRI SUBITO QUESTA PORTA!»
«HO TUTTO SOTTOCONTROLLO!» gridò dall’interno lui con un tono da chi non aveva affatto tutto sotto controllo.
«Non mi sembri così sicuro di quello che dici, Remus! APRI SUBITO!» La porta non si aprì ma il baccano cessò e Lily sollevò un sopracciglio rossiccio, per niente fregata.
«Togli immediatamente l’Incantesimo Imperturbabile!» ordinò, furiosa. «REMUS!» riprovò autoritaria, ma nessuna voce e nessun rumore spezzarono il pacifico silenzio che ormai era calato nella torre.
Lily sospirò sollevata dando le spalle alla porta; sapeva benissimo che era inutile stare lì ad urlare, li conosceva fin troppo bene e non erano davvero più affare suo, checchè ne dicesse lo sguardo del bambino del primo anno.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

All’inizio, mentre si lavava il viso più pallido del solito in bagno, Remus non aveva dato ascolto al vecchio e caro istinto che gli aveva suggerito di correre nella stanza accanto perchè un cane e un cervo stavano facendo a botte tra i letti. Era davvero una cosa troppo assurda per essere vera. Non l’avevano mai fatto in dormitorio, perchè iniziare proprio al settimo anno? Così aveva proseguito la sua pulizia quotidiana afferrando dentifricio e spazzolino. Ma quei rumori familiari erano aumentati sempre di più, sia di volume che di gravità. 
Fu quando il sordo colpo alla porta del bagno chiusa lo fece saltare sul posto, rischiando di fargli ingoiare lo spazzolino, che Remus si decise a dare retta alla sua saggia ragione e ad aprire la porta, restando allibito davanti allo spettacolo che gli si presentò davanti.
Per questo adesso si trovava nel bel mezzo di una rissa tra animali, per giunta di notevoli dimensioni, in un ristretto spazio ormai quasi totalmente distrutto.
Lily sembrava essere andata via e l’enorme e scodinzolante cane nero si stava lanciando addosso al cervo, ancora rintontito per colpa del duro colpo ricevuto sulla testa.
Afflosciarsi a terra per seguire tutti i nervi ormai sfasciati era una cosa troppo drammatica? Remus se lo chiese più volte prima di essere colto da un'improvvisa illuminazione: C'era almeno una cosa che poteva fare per non esplodere come una strillettera ed era urlare. Adesso poteva anche urlare visto che la porta era imperturbata. E la voglia di farlo non gli mancava di certo. «PETER! SMETTILA DI FARE IL TOPO E AIUTAMI, DANNAZIONE!» gridò, rincorrendo il cane che, sempre più esaltato, scappava dalle minacciose corna ramificate del compagno di gioco. Li avrebbe volentieri ridotti a succulenti spiedini da mangiare all’istante, crudi. Il topo però squittì, spaventato, arrancando sulla tenda mezzo strappata del baldacchino di James.

«PIANTATELA! SIRIUS! MOLLA SUBITO IL CUSCINO!»
Il cane abbaiò giocoso lasciando il cuscino che Remus cercava di strappargli via dai denti con la forza. L’effetto ‘elastico’ lo portò dritto in direzione delle maestose corna del cervo e fu per chissà quale miracolo che riuscì a non diventare lui lo spiedino.
«GIURO CHE VI AMMAZZO» ringhiò, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato e anche gli anni che aveva perso per lo spavento di essere stato quasi infilzato dalle vere armi che l’amico si ritrovava sulla testa.
Il cane sembrava divertirsi un mondo saltando allegramente sui letti, ma quando ci provò il cervo le molle del materasso schizzarono via, rimbalzando in ogni dove.
«JAMES SE NON MI AGGIUSTI IL LETTO TI DISTRUGGO QUEGLI ZOCCOLI MALEDETT!»
Forse Remus non aveva mai desiderato così tanto trasformarsi in lupo come in quel momento e l’urlo che fece lo dimostrò chiaramente. Con un profondo e rabbioso ‘SMETTETELA O VI SBRANO’riuscì a fermare quella folle e circolare corsa tra letti, bauli, tende e vestiti sparsi a terra.
Cane e cervo lo guardarono con occhi terrorizzati e tra un guaito e un raschiare di zoccoli, i due animali si ritrasformarono in umani sotto l’occhio vibrante d’ira di un Remus rosso e dal respiro pesante.
«Buongiorno, Rem» lo salutò James con un sorriso sbilenco e gli occhi strizzati per cercare di metterlo a fuoco senza gli occhiali.
«Non ti ho mai visto così colorito prima della luna piena» commentò Sirius come se niente fosse.
Un tonfo e lo strappo dell’ultima tenda rimasta intatta attirò l’attenzione di tutti.
«Ahi». Peter si era ritrasformato senza prima scendere dal suo piccolo nascondiglio, cadendo rovinosamente e portando con sè sul duro pavimento in pietra anche la stoffa.
«Siete due folli! » sbottò Remus, ancora sconvolto, guardandosi attorno.
«Volevamo vedere se ci veniva ancora bene la trasformazione... per stanotte...»spiegò James lanciando un’occhiata divertita a Sirius che annuì.
«Sì, durante l’estate si può perdere la capacità di...» cominciò a spiegare lui, per niente serio.
«Io dico che le uniche capacità che perderete saranno quelle di camminare e respirare dopo che avrete incontrato Lily!» fece Remus cominciando a riordinare tutto. «E, tra parentesi, le hai bramito appena hai sentito la sua voce che ci chiedeva, urlando, che cosa diamine ‘stavamo’ facendo» aggiunse, rivolgendosi a James. «Bramito, Ramoso, bramito! Il richiamo d’amore dei tuoi simili... non so se mi spiego».
Sirius scoppiò a ridere in faccia a James che, ancora senza occhiali, fissava stranito Remus andare e venire per la stanza alla ricerca dei pezzi di tenda da riparare.
Il viso di Remus tuttavia non riuscì a rimanere serio. Riaggiustando con la bacchetta la gamba del comodino, un sorriso gli illuminò il viso pallido. Come al solito, quei pazzi lo facevano sentire il meno ‘animale’ lì dentro, nonostante il Licantropo fosse lui.
 Dopo aver pensato di scendere a colazione con il mantello dell’invisibilità per poter mangiare tranquillamente, i quattro decisero di affrontare tutti senza paura.
Appena fecero la loro comparsa in Sala Grande i quattro lunghi tavoli si fermarono per guardarli con espressioni curiose e accigliate.  
«Ma che avete? Non si può più nemmeno scherzare?» esclamò Sirius allargando le braccia come per abbracciarli tutti.
«Stiamo preparando uno scherzo grandioso, gente! Quello che avete sentito era solo un indizio!»mentì James lanciando luminosi sorrisi a destra e a manca, compreso il tavolo dei Serpeverde da dove un ombroso Piton, infastidito a livelli estremi, li stava fissando con odio. Se avesse potuto, con la sola intensità del suo sguardo avrebbe lanciato James dritto sulle fiamme danzanti nei grandi lampadari appesi ai muri.
«Ah davvero, Potter? Non vedo l’ora di assitere a questo grandioso scherzo allora.» commentò sarcastica la professoressa McGranitt, seduta accanto alla professoressa Sprite al tavolo degli insegnanti apparecchiato per la colazione.
Le risate che si levarono in sala fecero capire che tutto era tornato alla normalità.
«Perchè non mi avete parlato di questo scherzo?» bofonchiò offeso Peter, cercando di stare al passo di James e Sirius che camminavano dispensando sorrisi e pacche tra il tavolo dei Grifondoro e quello dei Tassorosso.

«Peter... sei proprio irrecuperabile...» gli rispose James, spintonandolo leggermente.
Sedendosi davanti a Lily, Liv e Mary, che li fissavano sconcertate, Sirius non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere ripensando al bramito del suo migliore amico.
«Che razza di assurdità stavate facendo?» esordì Mary, incredibilmente curiosa.
«Stavamo imitando i versi degli animali» spiegò a testa alta James come se ci fosse da andarne fieri.
Liv si schiarì la gola, cercando di non ridere. «Stavate... imitando i versi degli animali?» ripetè incredula con le labbra ormai arricciate da un sorriso beffardo.
«Sì, Olivia. Qualcosa da dire?»fece Sirius sfacciato. Remus, aspetto un monumento al mio onore.
Liv sollevò entrambe le sopracciglia. «No, no... è una cosa normalissima da fare... a diciassette anni» disse ironica, portandosi il calice alle labbra più per nascondere il sorriso che per bere.
«Complimenti allora a chi sa fare così bene il bue» commentò sarcastica Lily, continuando a fissarli severamente. «Impressionante, davvero... dovrebbero inventare un esame apposta ai M.A.G.O. vista l’importanza della cosa».
James sbattè più volte le palpebre, incapace di credere alle proprie orecchie.
«Il bue? Il bue, Evans?!» annaspò, sinceramente sconvolto da quelle frasi a dir poco offensive.
«Il bue, sì. Ho sentito un muggito» rispose lei cercando di sottolineare l'assurdità della cosa. La faccia inspiegabilmente indignata di Potter non riuscì a spiegarsela se non con la sua completa mancanza di cervello dovuta sicuramente a quei suoi capelli che avevano preso il totale controllo dell'intera testa. 
«Un cervo, Evans! Era un Cervo! Vuoi mettere!?» scoppiò James, colpito al centro del suo orgoglio, cercando tutto l'autocontrollo del mondo per non prendere a pugni Sirius che se la rideva come se avesse Lumacorno davanti, in mutande. «Il re della foresta con uno... uno schiavo dell'uomo che pascola e bruca e fa cose insulse ed è anche brutto». La pedata sotto al tavolo da parte di Remus gli arrivò forte e chiara.
«Eri per caso tu, Potter?» fece Lily provocatoria, trattenendo una risata davvero dovertita. «Tu che imitavi un cervo? Ecco perchè Silente ti ha nominato Caposcuola... wow, Potter, questa tua qualità lascia senza parole, davvero. Un Caposcuola che imita un cervo sembrando un bue. No, c'è sempre qualcosa che non mi torna... e non solo perchè non sai nemmeno imitare un cervo, Potter»
 Il sarcasmo di Lily non lo sfiorò minimamente. «Un bue» borbottò con astio, come se l'avesse insultato con le peggiori parole.

«Scusate ma... i rumori che si sentivano fino in Sala Comune non erano di certo dei semplici versi di animali » fece Mary perplessa, mescolando il suo latte.
«Perchè stavamo anche imitando il loro comportamento, ecco il motivo per cui si sentiv...» La semplice spiegazione di Sirius fu interrotta da Liv che tossì furiosamente col succo di zucca andato di traverso in gola per via della risata che le uscì spontanea, sentendo quella rivelazione.
«Voi non siete normali» affermò attonita e leggermente divertita Lily mollando il cucchiaino per aiutarla a respirare con gentili pacche sula schiena. Spostò lo sguardo su Remus, sempre più pallido, e le labbra le si abbassarono. Anche Mary sembrò accorgersene, il pallore di Remus era così evidente che si sentì di aprire bocca, il cuore martellante nel petto.
«Remus, che succede? Stai male?» gli chiese di getto, seriamente preoccupata.
«Tranquilla, la solita debolezza che mi viene ogni tanto... passerà, come sempre» rispose in fretta lui, concentrandosi sul cibo.
«Allora, Evans» s’intromise James per togliere dall’imbarazzo l’amico. «Visto che ti piace il mio bramito perchè non esci con me domani sera?»
«Io esco solo con quelli della mia specie, Potter. Mi dispiace» rispose lei con un sorriso sinceramente divertito, alzandosi dalla panca. James sentì il cuore fare una capriola, come ogni volta che quelle labbra cercavano di trattenere il divertimento senza riuscirci sempre. Erano due anni che l'aveva notato, due anni che si era accorto di provare qualcosa di serio per lei.
«E non pensare che il comportamento di questa mattina passi inosservato... farò rapporto» aggiunse Lily, tornando seria.
«Rapporto a chi? All’altro Caposcuola che sarei io?» ribattè lui, ridente.
«Al Preside, Potter. Farò rapporto al Preside, colui che ti ha scelto e che rimpiangerà di averlo fatto liberandomi dalla piaga di averti come collega perché anche ieri sei rimasto seduto chissà dove, invece di pattugliare i piani superiori. Gazza me l'ha detto. Scordati che sarò io a fare il lavoro noioso per l'intero anno» lo rimbeccò Lily alzandosi dalla panca; si sistemò la tracolla della pesante borsa carica di manuali e pergamenre per la giornata di lezioni che li aspettava e si allontanò con Mary al fianco, gli occhi nocciola di quest'ultima, sotto la frangia bionda, posati sulla figura fragile di Remus.
«Io e Albus siamo pappa e ciccia, Evans! Fai pure!»
«Il vecchio MacDonald aveva una fattoria... ia-ia-oh» canticchiò a bassa voce Liv alzandosi per raggiungere le amiche lasciando Peter, Sirius e James con facce confuse.
«Il padre di Mary aveva una fattoria?» chiese Peter, stranito.
«É una canzone babbana per bambini» spiegò divertito Remus, lasciandosi andare ad un aperto sorriso.
Sirius ghignò. «A diciassette anni canti canzoncine per bambini!?» le urlò, alzandosi in piedi.
Liv, continuando a camminare, non si voltò.
«Una canzoncina sui versi degli animali, Felpato» specificò Remus ridente.
«TI CREDI DIVERTENTE, OLIVIA!?»
Appena la figura di Liv sparì oltre il portone della Sala Grande, Sirius cedette alla risata che si teneva dentro contagiando anche James, Peter e Remus.
L’avevano scampata un’ennesima volta, almeno per adesso.
 
 
 


 

*

 
 
 
 

Comportamento n. 2 del Protocollo ‘Luna Piena’: Tenere in forze Lunastorta e placare i suoi improvvisi scatti d’ira davanti agli altri.

(Se gli scatti d’ira sono rivolti a Mocciosus e ci sono insegnanti in giro, toccherà a noi agire di nascosto contro Mocciosus. F.&R.)

(Insegnanti e/o Evans. R.)
 
(A tenere in forze Lunastorta ci penso io. C.)

 
 

La prima lezione della mattina era Erbologia e già quel tragitto da fare per arrivare alle Serre sarebbe stato faticoso per Remus.
 Il vento prematuramente autunnale faceva dondolare le cime dei balsamici pini della vicina Foresta Proibita e in lontananza si poteva intravedere il Platano Picchiatore con già qualche foglia ingiallita.
«Bue»

«Se non la pianti, Felpato, ti pianto io vicino alla tana di quell'Acromantula gigante in mezzo alla Foresta».

Sirius non riusciva a smettere di ridere e non solo James sapeva che non ci sarebbe mai riuscito e che ormai la 'barzelletta' era scritta nella storia dei Malandrini per l'eternità.
«Stavo per sbranarvi davvero stamattina. Mi avete fatto correre per tutta la stanza» mormorò a denti stretti Remus mentre superavano lo steccato dell’orto di Hagrid, già pieno di piccole zucche arancioni.
«Prendilo come un mini allenamento, Lunastorta» scherzò James saltando un masso ricoperto di umido muschio.
«Un allenamento che mi stanca ancora prima di iniziare» bofonchiò lui arrancando sull’erba bagnata.
«A questo c’è rimedio!» esclamò Peter con occhi luminosi dovuti all’emozione di avere una soluzione. «Cioccorane? Calderotti? Se vuoi ho anche...» elencò mentre tirava fuori dalla borsa un’abbondante scorta di dolciumi.
«Una Cioccorana sarebbe l’ideale, Peter, grazie» fece riconoscente Remus, afferrando la scatolina con la rana di cioccolato che l’amico gli stava porgendo.
Il cielo striato di nuvole si rifletteva sul vetro trasparente della Serra numero Tre, dove la professoressa Sprite era già intenta a disporre sui banchi da lavoro parecchi vasi in terracotta.
 «Buongiorno a tutti!» salutò i suoi studenti sistemandosi il cappello rattoppato che copriva i suoi ricci ribelli. «Dovete fare particolarmente attenzione, oggi».
Lily sapeva benissimo il perchè. Le piante che si muovevano sinuose come serpenti sui tavoli di tutti erano Tranelli del Diavolo.
«Come vi ho già detto la settimana scorsa, in questo primo trimestre ci dedicheremo alle piante altamente pericolose ma non ancora velenose...»continuò la professoressa, distribuendo sacchetti di Letame di drago.
Un viscido tentacolo dell’infida pianta sfiorò la faccia preoccupata di Peter che subito fece un passo indietro, nascondendosi dietro James.
«Spero proprio ricorderete che vi ho già parlato di questa pianta al Primo anno... sì, signorina Evans?» fece la donna, notando la mano di Lily sollevata.
«É il Tranello del Diavolo, ci aveva accennato qualcosa quando abbiamo studiato il Frullobulbo che è molto simile a questo, ma totalmente innocuo» rispose lei osservando con attenzione i tentacoli che si avvicinavano ai capelli di Liv e Mary.
«Perfetto! Dieci punti a Grifondoro!» esclamò la professoressa. «E chi si ricorda cos’avevo detto su questa pianta pericolosissima?»
La mano di Bettie Wood, Tassorosso, fu più veloce di tutte. «Il Tranello del Diavolo teme la luce e il calore perchè...» cominciò a spiegare la ragazza mentre il basso lamento infastidito di Remus mise in allerta Sirius, al suo fianco.
«Che c’è, Lunastorta?» bisbigliò stringendogli piano un braccio per cercare di calmarlo.
«Piton» disse solamente lui fissando in modo truce Severus che, dal tavolo a destra, ricambiava lo sguardo con un sorrisino furbo.
Nella testa di Sirius, il lungo tentacolo appena sfuggito a Mulciber si trasformò in una stupenda collana attorno al collo di Piton.
«Lascialo perdere, Remus» gli intimò a denti stretti, immedesimandosi inconsapevolmente nella pianta e stringendogli così ancora più forte il braccio. 
«Mi sta provocando» mormorò Remus.
«Lo so, ma stai calmo» sussurrò di rimando Sirius cercando il sostegno di James con gli occhi. 
«Hei, Lunastorta» fece lui, aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Vedrai cosa gli capiterà appena metterà le mani dentro al sacco del letame». Le labbra contratte di Remus si sciolsero per un istante in un piccolo sorriso.
«Dieci punti anche a Tassorosso!» esclamò soddisfatta la Sprite, per poi continuare. «Bene. Queste piante vanno travasate nei vasi vuoti che vi ho messo lì affianco. Mi raccomando: massima attenzione con l'incantesimo o vi strangoleranno. E non siate schizzinosi! Con quei tentacoli ci vuole un pugno fermo! Al lavoro!»
Un coro di ‘Lumos’ si alzò nella serra e le piante di tutti parvero calmarsi.
«Remus sta più male delle altre volte» fece notare Mary sottovoce infilandosi i guanti protettivi e guardando di sottecchi il ragazzo che respirava affannosamente, tra James e Sirius.
Lily sollevò lo sguardo, continuando però a puntare la luce della bacchetta sulla pianta che Liv cercava di sradicare dal vaso.
«Credete che stia peggiorando?» chiese Liv, inquieta sia per Remus che per le sue mani immerse tra i tentacoli, alla ricerca della base della pianta e della terra umida.
«Non lo so, ma vorrei proprio sapere qual è la malattia che lo fa stare così male da anni. Possibile che non ci sia una cura?» mormorò Mary, aiutandola. Afferrò il vaso per tenerlo fermo, strizzando gli occhi nocciola per via dalla luce abbagliante della bacchetta di Lily con gli occhi verdi posati e sospettosi sulla figura di Piton; il Serpeverde sorrideva in direzione di Remus, beffardo e piuttosto soddisfatto. Conosceva quel sorriso, Lily, l'aveva visto poche volte però sapeva che spuntava sul volto di Severus ogni volta che riusciva in un suo intento. Sussultò quando sentì Mary gridare spaventata, attirando e facendo voltare di scatto tutti nella loro direzione.
«MCADAMS NON AGITARTI O SARÁ PEGGIO!» sbraitò la professoressa Sprite che correva verso il loro banco da lavoro. Liv aveva braccia e bocca strette dai viscidi tentacoli del Tranello del Diavolo che senza più la luce della bacchetta di Lily, distratta gli istanti precedenti, era tornato all’azione.
«Lumos!» esclamò Lily nel panico. Il nuovo getto di luce indebolì i tentacoli, sciogliendo la presa e liberando Liv. Con la coda dell'occhio Lily vide Sirius, pallidissimo, a metà strada tra il tavolo con gli altri Malandrini e il loro, la bacchettta stretta in mano e lo sguardo intensamente agitato.< br/> «Quando vi dico di fare attenzione non lo dico solo per dare aria alla bocca!» le sgridò la professoressa, poggiandosi al tavolo con il fiatone. «Tornate al lavoro e non distraetevi! Se vi ho fatto aspettare sette anni prima di farvi toccare questa pianta ci sarà un motivo!»
Piton si voltò verso il suo vaso, dando finalmente le spalle a Remus, e con sguardo particolarmente vivace James sfilò lentamente la bacchetta da sotto la veste per puntarla verso Piton senza farsi notare dalla classe.
Mentre Avery sfilava di malagrazia dalla terra la pianta invasa dalla luce della bacchetta di Mulciber, Piton si accinse a dedicarsi al riempimento del nuovo vaso con nuova terra. Prima che le mani di Piton si immergessero nel Letame di Drago, con un semplice gesto della bacchetta James fece levitare di scatto il sacco puzzolente verso la sua faccia.
La sonora imprecazione che uscì dalla labbra sporche di Piton fece sussultare la Professoressa Sprite, in un attimo vicina al suo banco da lavoro e più furiosa che mai.
«Dieci punti in meno a Serpeverde! Le sembra il modo di parlare, signor Piton!?» sbraitò, agitando la paletta in aria. «E voi quattro cos’avete da ridere!? Non avete nemmeno cominciato!? Dieci punti in meno anche a Grifondoro!»
Gli occhi neri di Piton si assottigliarono in direzione di James, Peter, Sirius e Remus che continuavano a ridere, infischiandosene del fatto che avevano appena fatto perdere alla Casa i punti guadagnati da Lily pochi minuti prima.
«Siamo sicuri di essere al settimo anno?» sussurrò Mary, sconsolata. Lily, un leggero sorriso ad incurvarle le labbra, osservò Remus ridere tra i suoi amici attorno a lui.
 
 

 

 

*

 
 
 


Comportamento n. 3 del Protocollo ‘Luna Piena’: Assicurarsi di avere tutto l’occorrente necessario da portare alla Stamberga.

(Ricordarsi il cambio di vestiti per Lunastorta. R.)

(Ricordarsi assolutamente qualsiasi cosa che non sia solo il mantello e che possa coprire al meglio Lunastorta appena tornerà come sua madre l’ha fatto. F.)

(Pantaloni per LunastortaPantaloni. C.)

 
 
 
Le ultime e pesanti due ore della giornata scolastica erano di Trasfigurazione. James non aveva dubbi: l’intenzione dei professori quando stilavano gli orari delle lezioni era quella di far morire gli studenti prima del tempo.
Mentre la professoressa McGranitt spiegava con voce alta e rigorosa una complicata ed articolata regola sulla Trasfigurazione Umana, un sacchetto di Gelatine Tuttigusti+1 passava tra i due banchi all’ultima fila.

«Salsiccia. Tu?»
«La finite? Vi sentirà. Non è il professor Ruf»
«La mia sembra all’erba... dovevi prenderla tu, Ramoso»
«Molto spiritoso, Peter... Felpato, tu quale hai beccato?»
Sirius non rispose, il suo viso era accartocciato in un’espressione riconducibile ad una ‘faccia pre-vomito’.
«Signor Black, si può sapere che cos’ha? La Trasfigurazione Umana le dà la nausea?» sbottò oltraggiata la McGranitt, fermando per un attimo la lezione.
«Posso... andare... in bagno?» bofonchiò con sofferenza lui, già in piedi.
Lo sguardo severo della professoressa lo squadrò con attenzione da sopra gli occhiali, cercando di capire se quella scenata fosse vera o no. Ormai aveva perso il conto di tutte le volte che, o lui o James, aveva finto di star male per poter uscire dall’aula e darsi alla pazza gioia in corridoio o in cortile.
«Per favore» mugolò Sirius, portandosi una mano alla bocca sotto lo sguardo divertito di James e Peter.
Per favore?” si disse la professoressa, impressionata, pensando che doveva essere davvero grave se Black diceva Per favore’.
«Se stai così male, vai pure» gli diede il permesso la McGranitt.
Sirius uscì a tutta velocità in corridoio senza nemmeno richiudersi la porta dell’aula alle spalle.
«Liv» mormorò Lily dando una leggera gomitata all’amica colta da una silenziosa ridarella al fianco di una Mary con occhi ridotti a fessure. «Adesso sta male anche Black?» mormorò perplessa.

«Come stavo dicendo...» riprese la professoressa con espressione accigliata. «Questo passaggio è uno dei più complessi e...»
«A me i tre Galeoni, Peter» bisbigliò James, allungando una mano verso l’amico che sbuffò, frugandosi nelle tasche.
Remus, seduto tra i due, non riuscì a continuare a prendere appunti dato che lo ‘scambio di denaro’ avvenne sopra la sua pergamena.
«Hai troppa fiducia nelle capacità di Felpato, Coda. Sirius non riesce nemmeno ad assaggiare quelle al fegato» continuò James ridente.
«Potresti prenderti questi Galeoni e lasciarmi scrivere, James!?»sibilò Remus indicando le monete luccicanti ancora sopra la sua pergamena.
«Tanto sai già come funzionano quelle regole, Rem! E devo prima controllare che non siano Galeoni falsi» fece lui, chinandosi per osservare meglio il denaro.
«Hei! Non ti fidi di me!?» bofonchiò Peter offeso.
 

 

 

 

 *

 

 



«Sapone. Sapone. Sapone...»
Sirius stava ripetendo quella parola da quando era rientrato in aula, pallido come un cencio. La gelatina al sapone doveva essere quel +1 che i creatori di quelle caramelle diaboliche si ostinavano a chiamare ‘gusto’.
Appena arrivato in dormitorio per riportare borsa e libri prima di cena, era corso in bagno a sciacquarsi la lingua per la quinta volta.
«Ti usciranno le bolle, Felpato!» gli urlò James, accovacciandosi davanti al baule di Remus che li guardava con un sorriso sempre più ampio.
La risposta incomprensibile di Sirius fu coperta dalla voce di Peter che svuotava la sua tracolla piena di dolci sul letto «Dovremmo darla a Mocciosus!»

«Buona idea questa, Codaliscia!» fece James con testa e braccia dentro al baule. «Sapresti riconoscerla tra le altre, Felpato? Ci serve».
«Andate al diavolo. Mai più. Mai più. Mai più» borbottò Sirius uscendo dal bagno con il viso gocciolante d’acqua.
«Smettila di parlare come un pappagallo e prendi questi!» lo bloccò James lanciandogli un pantalone e una maglia di Remus che adesso si era seduto sul letto, afferrando il Manuale di Difesa contro le Arti Oscure.
«Tanto lo so che avete scommesso» ringhiò Sirius, prendendo al volo gli indumenti per infilarli nel sacco di stoffa ancora vuoto poggiato sul suo letto. «E se sei stato tu a vincere, Ramoso, significa che quello schifo di gusto l’hai scelto tu».
James rise apertamente tirando fuori dal cassetto del comodino una piccola scatola di legno.
«Indumenti?» chiese, mentre la poggiava sul letto per sfilare da sotto il cuscino il suo Mantello dell’Invisibilità.
«Ci sono» rispose Sirius sollevando la sacca.
«Sicuro?» fece Peter con un leggero tono angosciato.
«Li ho appena messi dentro» disse Sirius, ricontrollando comunque per bene.
Remus sorrise, nascondendo il viso dietro al libro per non farsi notare.
«Scatola con dittamo e bende» iniziò ad elencare James lanciando la piccola cassetta in legno a Sirius che infilò nel bagaglio dove c’erano già i vestiti. «Scatola con dittamo e bende»
«Mappa e Mantello li lascio a voi per uscire dalla Sala Comune e raggiungermi mentre sto facendo la ronda» spiegò James, portandosi istintivamente una mano tra i capelli come se avesse Lily già davanti a sè.
«Cosa manca?» chiese Sirius guardandosi attorno.
«Indumenti» ripetè Peter facendo ridere in coro James e Sirius. A Remus scappò una piccolo sorriso mentre girava pagina.
«Lo specchio» ricordò James, tirando fuori dalla tasca del pantalone un piccolo specchio quadrato identico a quello che Sirius stava prendendo dalla borsa a tracolla ancora piena di libri. «Appena scatta l’ora X mi chiami e...»
Le orecchie di Remus non fecero più caso alle voci degli altri tre perché gli occhi ambrati si soffermarono sulle prime righe della nuova pagina del Manuale.
“Come già descritto precedentemente, l’unico Incantesimo in grado di allontanare un Dissennatore è l’Incanto Patronus. Per produrre un Incanto Patronus efficace è necessario concentrarsi su un ricordo o un pensiero particolarmente felice e pronunciare la formula ‘Expecto Patronum’. Maggiore sarà l’intensità del ricordo e maggiore sarà anche l’efficacia dell’Incantesimo”.

Riportando lo sguardo sui suoi tre amici che adesso si stavano prendendo giocosamente a spintoni, Remus non ebbe alcun dubbio su quale pensiero felice scegliere.
Anche se sapeva benissimo che tra qualche ora gli sarebbero dolorosamente spuntati artigli dalle dita, zanne al posto dei denti, orecchie, coda e peli in ogni dove, quella calda e familiare felicità continuava ad aumentare sempre di più.
Sì, quel ricordo sarebbe stato più che efficace contro un Dissennatore.
 
 
-Cosa vuoi che sia per noi questo tuo Piccolo Problema Peloso, Remus?
-Bè, io credevo che voi... insomma.. ma avete capito bene?
-Il Grande Problema di Sirius è spaventoso.. quello sì.
-Attento, James
-Quei calzini sono armi di distruzione di massa, Sir...
-Vogliamo parlare di quando parli con la bocca piena e mi riempi il piatto e la faccia di cibo?
-É vero, James, lo fai
-Tu zitto, Peter... il tuo russare non mi lascia dormire per più di due ore a notte...
                                                       
 
 
«Ragazzi? Remus ci sorride in modo strano» fece Peter stranito.
James e Sirus fermarono la lotta per osservare l’emozionato e sincero sorriso dell’amico seduto sul letto.
«Lunastorta? Ma sei sicuro di essere un Licantropo?» scherzò divertito James saltandogli addosso.
La forte risata di Remus, ormai sotterrato anche da Sirius, arrrivò fino in Sala Comune dove Lily, Liv e Mary, sedute sul morbido divano, erano concentrate sul tema di Pozioni.
 

 

 

*

 
 
 


Comportamento n. 4 del Protocollo ‘Luna Piena’: Andare a cena, prendere qualcosa da mangiare per Lunastorta e tornare in dormitorio per non creare sospetti.

(Questo ci viene sempre bene. F. )

(Ritiro quello che ho detto il mese scorso. Non dare a Codaliscia quello che abbiamo preso per Lunastorta. F.)

(Scusate. C.)
 
 
 

«Starà meglio?» chiese Mary lanciando un’occhiata alla scala a chiocciola che portava ai dormitori maschili.
«Be', direi di sì. Quella risata non aveva niente a che vedere con la sofferenza» rispose Liv, piacevolmente sollevata. Soffiò piano sulla sua pergamena per far asciugare bene l’inchiostro mentre Lily, seduta sulla poltrona accanto, fermò la piuma d'oca senza sollevare lo sguardo dalla pergamena; un lampo attraversò gli occhi verdi, tristi.
Mary sospirò affondando sulla poltrona, lasciando che lo sguardo si perdesse tra le fiamme vivaci del fuoco nel camino.
Quando videro il soggetto della loro conversazione scendere le scale con ancora il volto pallido e passo molto incerto, Mary e Liv restarono stranite.
«Ciao, ragazze» esordì Remus pacato, debole, prendendo la direzione del retro del ritratto. Gli occhi castani di Mary parvero spegnersi seguendo la sua camminata senza energia, fino a quando la sua figura non sparì dietro la cornice che si richiuse con un basso tonfo.
Mary avrebbe tanto voluto corrergli dietro, chiedergli se aveva bisogno d’aiuto. Ma, oltre al fatto che Remus sembrava volerle stare lontano da quando lei si era esposta con lui, temeva di turbare la sua sensibilità con quelle domande che a quanto pareva non avrebbero mai potuto ricevere una risposta.





*




Remus mancava a cena, come ogni volta quando stava male. Mary non aveva mai capito come facessero Potter, Black e Minus a mangiare tranquillamente come dei maiali nonostante il loro amico in infermeria.
«Come sta, Remus?» chiese Liv prima di addentare con garbo un pezzo di spezzatino dal piatto.
James, seduto qualche posto più in là, provò a parlare con le guance piene di cibo.
«Uhm... la sol..ita.. deboleffa... pafferà» fafugliò, sputacchiando patate in faccia a Sirius che continuò a mangiare come se niente fosse.
Liv si limitò ad annuire e l’attenzione le cadde sul tovagliolo che Sirius stava riempiendo di ali di pollo, focacce e qualche patata ripiena. Non che Sirius non l’avesse mai fatto ma le sue lunghe dita erano arrivate a rubare anche le cose dal suo piatto.
«Leva questa zampa schifosa o te la taglio di netto!» lo minacciò, schiaffeggiandogli la mano che Sirius ritrasse subito.
«Ti stavo facendo un favore, Olivia. Non vorrei che la nostra Cercatrice non riuscisse a star dietro al boccino per il troppo peso dovuto al grasso sulle cosce» scherzò, evitando di pensare alle sue cosce lì in mezzo a tutti.
Liv gli tirò subito un calcio da sotto il tavolo facendolo sia mugolare che ridere. «Io mangio quanto mi pare»
«Quella dovrebbe essere la cena per Remus?» la bloccò Lily, osservando il grosso fagotto di Sirius.
«Sì, dopo passiamo in infermeria» rispose James sorseggiando dell’acqua. «I pasti "sani" che Madama Chips fa portare lì dentro non bastano nemmeno lontanamente a sfamare la gente come si deve».
Lily non sembrò molto convinta, ma annuì brevemente e non insistette.
«Ricordati della ronda, oggi spetta a te Gazza»
«Come potrei scordarmi un appuntamento con te, Evans?»
«Ce l'hai con Gazza, stasera. E, a proposito, smettila di dire in giro che io e te usciamo insieme nei corridoi la notte»
«Perchè? Non è forse quello che facciamo?»
Erano già le otto e mezza quando tutti si alzarono dalle panche con le pance piene. Il coprifuoco sarebbe scattato alle nove e i gruppetti di studenti cominciavano ad avviarsi verso i propri dormitori.
James cominciò a sentire in corpo una certa agitazione: era la prima volta che aveva un impegno serale durante la luna piena, sarebbe stato difficile nascondere il suo sgattaiolare fuori dal castello ad ogni luna piena con Gazza e Lily Evans che si aspettavano di vederlo pattugliare i corridoi. Il segreto Animagus non era più così al sicuro.




 


 

 

*

 
 




Comportamento n. 5 del Protocollo ‘Luna Piena’: Mollare qualsiasi cosa si sta facendo per raggiungere Lunastorta prima che spunti la luna.

(Anche se quel ‘qualsiasi cosa’ fosse Evans che sta per baciarmi dopo aver scoperto che mi ama pazzamente dopo quattro anni di insulti. R.)
(Quattro anni. F.)

(Anche se quel ‘qualsiasi cosa’ fosse Evans che sta per baciarmi dopo aver scoperto che mi ama pazzamente dopo cinque anni di insulti. R.)
(Cinque anni. F.)

(Anche se quel ‘qualsiasi cosa’ fosse Evans che sta per baciarti dopo aver scoperto che ti ama pazzamente dopo sei anni di insulti. F.)
(Sei patetico. R.)
 
 
 

«Ripeto: Mappa, Mantello, Sacca, Specchio» elencò James, ripassando il nuovo programma con già un piede fuori dalla stanza.
«Anche se non siamo Prefetti o Caposcuola non siamo dei deficienti, Ramoso. Vai a bramire per il settimo anno dopo sei di insulti» ghignò Sirius disteso pigramente sul letto dove Peter cercava di infilare la cena di Remus dentro la sacca, ormai piena di cose.
La Sala Comune era affollata, quasi ogni poltrona era occupata così come i divanetti e le sedie attorno ai tavolini. Su un puf rosso accanto alla poltrona in cui sonnecchiava Mary, James adocchiò la figura di Liv intenta a scrivere su una lunga pergamena, sommersa da libri e ciuffi di capelli corvini mal raccolti.
«McAdams!» la chiamò, avvicinandosi a lei con passo deciso.
«Lily è già scesa» fece lei senza nemmeno sollevare lo sguardo su di lui che tornò subito indietro, verso il buco del ritratto.
Ma certo pensò con indignazione James, immedesimandosi in Lily - Il mio dolce e gentile Chi se ne frega di Potter! Potter scende da solo, Potter non è degno della mia attenzione! Potter non è degno, ma Mocciosus sì. Penso e piango per Mocciosus anche se mi ha chiamata lurida Sanguesporco! Ma che cervello ho? Sono una Caposcuola brillante in tutte le materie ma ragiono come un Troll quando si tratta di Mocciosus. COSA di Mocciosus, poi? L’unto dei capelli? Le Maledizioni Oscure che conosce? Pensiamoci bene, cervellino caro. Potter è decisamente molto meglio di Mocciosus... bello, affascinante, divertente, intelligente, un Cacciatore fantastico...”

«Signora Gazza, abbiamo aspettato abbastanza. Sarà meglio cominciare» La voce di Lily si sentiva già al primo piano. La piccola riunione pre-ronda col custode e la sua gatta era già finita.
«A quanto pare vi manca la buona educazione» esordì James, scendendo l’ampia scala di marmo per raggiungere il piccolo gruppo. «Non si aspetta l’altro Caposcuola?»
«Non se il Caposcuola in questione fa altrettanto il maleducato tardando di dieci minuti buoni. Buon lavoro» fece Lily, sorridendo affabile.
Gazza cominciò a salire le scale, Mrs. Purr al seguito con la folta coda ben sollevata, e James si avvicinò a Lily senza accennare a smettere di sorridere.
«Potter, tu controlli dal quarto piano in giù. Buon lavoro» ordinò Lily sbrigativa prima di darsela a gambe verso la stretta scala che dava ai sotteranei.
Ma James non aveva nessuna intenzione di seguire lo schema della settimana precedente. Facendo finta di non aver sentito le andò dietro, pimpante.
«Per raggiungere i piani alti devi fare le scale che ‘vanno di sopra’, Potter. Il tuo cervellino non ci arriva?» sbottò Lily, fermandosi in cima alle umide scale per fissarlo irritata.
«E chi ha detto che devo raggiungere i piani alti? Io sono un Caposcuola e decido quanto te, Evans».

Lily sollevò gli occhi al soffitto.
«Gazza è da solo...»
«Gazza ha Mrs. Purr e Pix. E ti assicuro che sanno gestirsi benissimo tra loro, credimi».
Le labbra di Lily divennero un’unica linea sottilissima mentre gli occhi verdi, che cercavano di uccidere James con la forza del pensiero, scintillavano sotto la luce delle fiaccole.
«Vai, Potter. Non farmelo ripetere un’altra volta» sospirò cominciando a scendere i gradini.
«Che male ci sarebbe invece se ci facessimo una bella chiacchierata nel ‘romantico’ labirinto dei Serpeverde per questa oretta?» chiese giulivo lui, seguendola.
«Ci sarebbero un’infinità di mali, Potter»
«Tipo vedere Lumacorno in vestaglia, vero... o magari scoprire che Mocciosus è sonnambulo... preferirei non scoprire però come dorme»
«No, Potter... tipo vedere la tua faccia sfracellata sul muro... incendiarti quei ridicoli capelli... tapparti la bocca con i viscidi ingredienti che troverei nell’aula di Pozioni... rinchiuderti nel magazzino di Lumacorno». Si fermò per osservare il fondo del corridoio a sinistra, e sospirò rumorosamente ricominciando a camminare con passo svelto.
«Abbiamo così tante cose in comune, Evans»
«L’aria che stiamo respirando adesso e basta. Abbiamo solo questo in comune e lo sarà ancora per poco perchè tra un istante ti farò smettere di respirare se sarai ancora qui»
«L’odio per Mocciosus, per esempio» buttò lì James come se stesse parlando del tempo. Lei doveva odiarlo, doveva per forza odiarlo uno così, non rimpiangerlo.
Lily s’irrigidì, rallentando leggermente il passo. «Questi non sono affari tuoi, Potter» gli sibilò duramente, fermandosi ad un incrocio per controllare ogni corridoio.
«Sai, dovresti ringraziarmi, Evans. Se non l’avessi appeso per le mutande magari adesso sareste ancora amici. É decisamente meglio così»
Lily s’irrigidì ulteriormente. «Ma che bella faccia tosta, Potter! Sempre con la sfacciata presunzione di avere immancabilmente ragione su tutto, anche sulle questioni che non ti riguardano affatto»
«Se foste ancora amichetti, quel Lurida Sanguesporco’ ce l’avrebbe ancora dentro, nascosto, ma presente. Così invece sai la verità, no?» continuò lui tranquillamente.
«Non vorrei disilludere il tuo animo da ‘eroe valoroso’, Potter, ma non mi serviva il tuo spettaccolino sul prato per capire il mio ex migliore amico». Bugia. Bugia Lily.
Il suo cuore lo sapeva bene: non aveva mai pensato che Severus sarebbe potuto arrivare a chiamarla in quel modo.
“James”. Il bisbiglio di Sirius lo fece sussultare e gli occhi di Lily si assottigliarono, puntando sulla tasca dei suoi pantaloni.
«Black?» chiese, perplessa.
«Devo andare, Evans»
«Dove? La ronda è appena cominciata»
«Adesso vuoi la mia compagnia?» esclamò James, gongolante. «Mi dispiace ma devo proprio lasciarti. Non ti preoccupare però, il bacio lo avrai domani». Un dolore acuto al polpaccio gli fece mancare il fiato, Sirius e Peter dovevano essere proprio lì alle sue spalle. Riconoscendo la pressione del pizzicotto sulla sua gamba, era stato quel maledetto di Sirius a causargli il dolore atroce.
Le sopracciglia rosse di Lily si avvicinarono, corrucciate, seguendolo con lo sguardo fino a quando non sparì dietro l’angolo.




*




«Visto che c’eri perchè non mi hai staccato direttamente tutta la gamba!?»
«Stavi facendo il ridicolo ed era mio dovere, come tuo miglior amico, fermarti.»
«Vedrai tra poco quale sarà il mio dovere da animale con le corna, Felpato.. vedrai»
«Per animale con le corna intendi il bue, vero?» 
Aprendo con non poca difficoltà l’enorme e pesante portone di quercia- spingere un quintale di legno con una mano perchè l'altra è occupata attorno al collo del tuo migliore amico può dare parecchie difficoltà- i due ragazzi più il topo uscirono all’aperto sotto un cielo ormai quasi del tutto scuro.
Il sole era tramontato, il fievole chiarore del Crepuscolo riusciva ancora a far intravedere le montagne, il parco e la buia Foresta con la piccolissima luce accesa nella capanna di Hagrid.
Senza togliersi di dosso il Mantello, i tre raggiunsero l’alto Platano Picchiatore che agitava furiosamente i suoi rami per aria e con un balzo, il topo saltò giù dalla spalla di Sirius per correre sull’erba e raggiungere il nodo sul tronco.
 Remus aveva bisogno di loro e loro stavano arrivando.
 
 


 

 

*

 
 




Comportamento n. 6 del Protocollo ‘Luna Piena’: Dare la cena a Lunastorta e aspettare insieme a lui.

(Evitare le barzellette sui Licantropi. C. )

 (Evitare di chiedere l’ora. C. )

(Evitare di canticchiare per più di cinque minuti. C. )

(Tappare la bocca a Codaliscia. F. )

(Evitare di fissare in continuazione il cielo, in attesa che spunti la luna tra le travi che sbarrano le finestre. C. )

(Evitare di fare avanti e indietro per la stanza. C. )

(Pietrificare Codaliscia. R. )
 
 


Quello stretto e basso tunnel sotto la terra era sempre stato un problema per Sirius che immancabilmente ci andava a sbattere con la testa, data la sua altezza.
Un problema anche per Minus che si dimenticava quanto fosse pericoloso ritrasformarsi in umano lì dentro visto che ogni volta si ritrovava dei lividi su gambe e braccia.
E adesso il problema ce l'aveva anche James, reso mezzo zoppo da Sirius.

Arrivare alla Stamberga era un sollievo per tutti, un sollievo che aumentava quando il viso pallidissimo di Remus compariva nella stanza polverosa illuminata da candele sparse qua e là.
Seduto a terra, con le braccia ad abbracciare le gambe portate al petto, il loro amico li accoglieva sempre con un debole sorriso e occhi luminosi.

«Buonasera, Lunasorta! Che bella casa, complimenti! Hai cambiato arredamento?» esordì per primo James.
Remus rise, alzandosi in piedi per andare a sedersi sul grande letto dove Sirius posò la pesante sacca con il cibo.
«Ali di pollo, focacce e patate ripiene... et voilà! La cena è servita» annunciò, slegando il nodo del tovagliolo e liberando uno stuzzicante profumo di arrosto nell’aria.
«Grazie» fece riconoscente Remus, cominciando a mangiare con gusto.
 «Quell’ala è a metà perchè era di McAdams. Erano finite nel vassoio...» informò come se niente fosse Sirius indicandola con un dito.
A Remus andò quasi di traverso il boccone.
«Ma fei scemfo!? Ti sei meffo a fubare dai piaffi degli altfri!?» bofonchiò con la bocca piena, mollando subito tutto quel ben di dio preso illegalmente.
«Ma cosa vuoi che sia, Lunastorta... Mangia, sù! Ti serviranno le forze... oggi ti faremo fare una bella passeggiatina oltre quella collina che abbiamo scoperto l’anno scorso»
«E tu, Felpato, l’hai preso il guinzaglio per te stesso?» gli chiese James già pronto per scappare dall’amico.
Sirius infatti cominciò a rincorrerlo per la stanza.
«E lei, signor Castrato? Ha mangiato il suo mangime staser...?»
La corsa s'invertì.
James, gonfio quanto i cuscini luridi e polverosi sul letto sopra al quale aveva appena saltato, si lanciò addosso a Sirius, troppo lento rispetto a lui.
«Sirius, questa storiella non deve durare secoli! Ti sto avvisando! Basta!»
 
Il lamento strozzato di Remus e il successivo squittìo di Codaliscia fermò immediatamente entrambi.
 
 
 


Comportamento n. 7 del Protocollo ‘Luna Piena’: Trasformarsi insieme a Lunastorta.
(Nel caso Codaliscia ci avesse portato all’esaurimento e a lanciargli un Petrificus Totalus: liberare Codaliscia. R. )
 


Remus, rigido come un manico di scopa, mollò la focaccia e si aggrappò alla coperta polverosa del letto sul quale era ancora seduto. 
In un attimo James e Sirius gli furono attorno.
«Remus, siamo qui» lo incoraggiò James circondandogli con un braccio le spalle che cominciavano ad incurvarsi.
«Non preoccuparti dei vestiti, sono orrendi tanto» scherzò Sirius poggiando le mani sulle ginocchia dell’amico, scosse da forti brividi.
Nella smorfia di dolore e angoscia che accartocciava il viso pallido di Remus s’intravide per un attimo un mezzo sorriso.
Il familiare ringhio non allontanò James e Sirius che non si mossero dalle loro posizioni anche quando la testa e gli arti dell’amico si allungarono a dismisura per poi ricoprirsi di peli, strappando maglia e pantaloni.
Soltanto alla vista di artigli e zanne i due si allontanarono per trasformarsi in cane e cervo.
 
 


Comportamento n. 8 del Protocollo ‘Luna Piena’: Divertirsi.
 
 
Il basso soffitto del tunnel non era più un problema. Niente era più un problema.
L’erba soffice sotto le zampe e gli zoccoli; il buio non più così pesto; i riflessi pronti ad ogni suono e movimento; l’odore balsamico della Foresta e quello dolce del lago.
Nemmeno l’argentata luce della grande luna perfettamente tonda era un problema.
Così come la mattina, il pomeriggio e la sera prima del tramonto nessuno era diverso dall’altro, nessuno era meno umano dell’altro, nessuno più pericoloso di un altro.
Zoccoli, zampette sottili e grandi zampe pelose o con artigli, non c’era nessuna differenza.
Nessun piede umano tra quelle quattro diverse ma simili impronte che si susseguivano sull’erba bagnata dalla luce perlacea della luna piena.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. Carta Straccia ***




Capitolo 5
 

CARTA STRACCIA






Quel rumore era familiare, James ne era sicuro, l’aveva già sentito. Forse non si era ancora svegliato del tutto, e la sua faccia schiacciata sul cuscino lo confermava, ma quel suono era chiarissimo. Non c’era nessun dubbio.
Il fatto che stava durando da ormai venti minuti buoni era una cosa normale.
Così come la sensazione di esagerata pesantezza alle palpebre non era strana abbinata a quel suono e al mal di gambe, piedi, collo e mani.
Era decisamente una situazione già vissuta, parecchie volte.

Lo scroscio dell’acqua della doccia che durava così tanto, la voglia di alzarsi dal letto pari a zero e i dolori da novantenne diffusi per il corpo erano il risveglio che gli ricordava sia che aveva dormito solo una misera ora, sia che prima di quell’ora le sue mani e i suoi piedi si erano strusciati allegramente su rocce, cortecce e cespugli spinosi; e soprattutto che doveva alzarsi per salvare il suo migliore amico da morte certa per annegamento.
Soltanto l’ultimo pensiero lo convinse a farlo rotolare giù dal letto e, senza nemmeno aprire gli occhi, arrancare verso il bagno.
Quante volte era capitato? Troppe. Non aveva nemmeno bisogno di controllare.
Avanzando a tentoni, sbattendo più volte sul letto dove Peter russava della grossa, sentì finalmente il caldo vapore attorno a sè.
Seguì il rumore familiare, riuscendo così ad individuare la vasca da bagno, e spostando la tenda cercò con una mano la manopola dell’acqua. La cascata si fermò all’istante.
Non aveva nessuna intenzione di aprire e sforzare anche gli occhi, così tastò l’aria fino a quando non trovò la testa bagnata che cercava. Il grugnito che fece Sirius bastò a James per sapere che era ancora vivo, come ogni volta.
Zoppicò con le braccia tese davanti a sè per non andare sbattere di nuovo sulla grassoccia gamba di Peter, e s’incamminò di nuovo verso il suo morbido ed accogliente baldacchino anche se mancavano dieci minuti alla sveglia.
Tutto solo perchè Sirius era un cane e perchè i cani hanno le pulci; solo perché Felpato prendeva le pulci e se le teneva addosso anche una volta che tornava in dormitorio da umano e il prurito non riusciva a farlo dormire per quelle due benedette ore se non si metteva sotto il getto dell’acqua calda; solo perché James non poteva lasciarlo annegare in una doccia.
 



 

*

 
 


Uno stormo di gufi e civette stava planando sui quattro lunghi tavoli della Sala Grande. Tra versi acuti, soffici piume tra le zuccheriere e lettere che cascavano dal soffitto, Lily adocchiò la sua posta.
«Grazie» fece, slegando la sua copia della Gazzetta dalla zampa di un gufo bruno prima di lasciare qualche zellino dentro il sacchetto di cuoio.
Come ogni giorno, quando non tardavano per colpa di Mary, Lily poteva leggere il Profeta tra un morso di toast e un sorso di succo di zucca.
«Mi passi la marmellata, Liv?»chiese in uno sbadiglio Mary. Liv gliela porse cercando di non farsi sotterrare dalle grandi pagine del giornale che Lily aveva cominciato a leggere con attenzione.
«C’è qualche novità?» chiese, riprendendo a mangiare tranquillamente la sua brioche. Potter, Black e Minus erano in ritardo e Remus doveva aver passato l’intera notte in infermeria, si stava così bene senza la loro rumorosa presenza.
La carta della Gazzetta si accartocciò tra le dita di Lily che non rispose alla domanda dell’amica.
«Lily?» la richiamò Mary, abbassando i fogli per poterla vedere in faccia. Gli occhi di Lily erano lucidi, fissavano le pagine con un misto di rabbia e paura.
«Hanno ucciso una famiglia di babbani, questa mattina alle quattro... non ci sono nomi» mormorò senza fiato.
Mary si agitò sulla panca, lasciando perdere la sua marmellata.
«Ci avrebbero avvisato» bofonchiò, leggermente tremante. «Nel caso... voglio dire... se fossero i nostri... ci avrebbero avvisato subito» continuò, spostando lo sguardo sul tavolo degli insegnanti dove La McGranitt, la Sprite e Vitious parlavano fitto tra loro. La grande sedia del Preside era vuota, così come lo era stata negli ultimi tre giorni.
Con un gesto veloce, Liv afferrò il giornale per accartocciarlo e farlo sparire con un colpo secco della bacchetta.
«Certo che vi avrebbero avvisato, non preoccupatevi» le tranquillizzò con sguardo deciso, cercando di sciogliere l’improvvisa rigidità che le aveva immobilizzato i muscoli e lo stomaco.
«Liv, facendo sparire il giornale non lo fai sparire anche da lì fuori» le disse Lily fissandosi le mani ormai vuote.
Liv storse il naso, riponendo la bacchetta nella tasca interna della veste.
«Non possiamo fare niente da qui, Lily. Non lo fai sparire da lì fuori nemmeno se continui a fissare un foglio lasciando che la paura ti invada».
Lily aprì la bocca, ma dovette richiuderla subito dando mentalmente ragione all’amica. Erano impotenti. Ma sua madre e sua sorella* lo erano ancora di più, impotenti nel vero senso della parola. Impotenti e totalmente indifese.
«Stasera andiamo in Guferia, voglio spedire una lettera a mia madre» riuscì solamente a dire, afferrando il suo calice.
Mary annuì al suo fianco. «Anch’io».
Il fiato fermo nella gola di Liv si liberò lentamente con tanti e piccoli sospiri, camuffati dal tintinnìo dei cucchiaini e dallo strisciare delle panche sul pavimento. Anche lei avrebbe voluto spedire una lettera a suo padre. Perchè però le veniva difficile dirlo?
«Possiamo cominciare ad andare in classe anche se qui non abbiamo finito?» mormorò a disagio Mary.
«Ti senti bene?» le chiese Lily preoccupata, afferrandole una mano tremolante.
Lo sguardo terrorizzato di Mary si era sollevato soltanto per un istante ma Liv aveva capito benissimo verso chi era stato rivolto.
Con una rabbia che cominciava a farle bollire il sangue nelle vene, i suoi occhi scuri puntarono al tavolo dei Serpeverde alla ricerca dell’unica persona che riusciva a spaventare a morte Mary.
Mulciber, con un ghigno soddisfatto e altezzoso che gli stirava le labbra, aveva  il calice con il succo di zucca sollevato verso di loro.
«Andiamo, sì. Forza» fece secca Lily sollevando la borsa dalla panca. Non poteva soppportare un minuto di più di quella scena. Non poteva sopportare di vedere Mary ridotta in quello stato e non poteva sopportare lo sguardo insistente di Severus. Per un attimo le era parso di vedere una scintilla di luce in quegli occhi neri incollati alla Gazzetta che aveva davanti al piatto.
 «Liv!» chiamò Lily notando che l’amica si era alzata dal tavolo, non per seguirle e andare via, ma solo per marciare spedita verso il tavolo dei Serpeverde. Con una piccola corsa tra i tavoli riuscì a raggiungerla prima che scoppiasse.
«Per piacere, Liv. Andiamo e basta, non valgono nemeno un nostro mezzo respiro» le sibilò stringendole un polso sotto lo sguardo lontano e accigliato della professoressa McGranitt. Non era la prima volta che la sua amica osava attaccare con la bacchetta, le parole e addirittura calci o pugni Mulciber e Avery, Malfoy o Rosier, l'aveva sempre fatto ogni volta che uno di loro aveva attaccato Mary o Lily stessa. In sette anni di scuola, Liv era passata per quella ''violenta e manesca", ma la maggior parte delle volte nessuno capiva il motivo, soprattutto quando quei Serpeverde avevano agito di nacosto proprio come in quel momento. Solo lei e Mary sapevano, e forse anche Black.
Lo sguardo infuocato di Liv non accennò a diminuire mentre fissava Avery che adesso se la rideva insieme a Mulciber, al fianco di un Piton all’apparenza indifferente.
«Stiamo cercando di fare colazione, finta Mezzosangue. Porta via la tua amichetta Sanguesporco e tornatevene in quel porcile che chiamate tavolo o ci verrà meno l’appetito» fece schifato Mulciber, sventolando il tovagliolo come per scacciare via un cattivo odore.
Liv lasciò andare la tensione in un sorriso ironico, completamente privo di allegria e colmo di scherno.

«Gli unici sporchi qui dentro siete tu e quelli che hai seduti lì, Mulciber, sarà per questo che sentite sempre la puzza attorno a voi?» lo sbeffeggiò con inquietante freddezza Liv desiderosa di continuare a smontagli ogni minima frase patetica, ma la stretta forte di Lily e la professoressa McGranitt che si alzava dalla sedia con espressione preoccupata e austera la bloccarono.
I volti alterati dei tre Serpeverde le fecero fremere lo sguardo di compiacimento prima di dargli le spalle con gli occhi neri di Piton, intrisi di veleno, a seguire la sua figura e quella d Lily fino a quando non sparirono dietro la grande porta.
 
 
 


 

*

 
 
 
 

«Potete... andare... più piano, per  favore!?»
«Peter... siamo in ritardo... di mezz’ora buona!»
«Ma siamo... sempre... in ritardo»
«Non così tanto... non possiamo fare così tardi... la mattina dopo la Luna Piena... I professori... sospetterebbero qualcosa... Silente... non è scemo.... »
«E chissà per colpa di chi... vero Felpato?! Un’ora e mezza... in doccia... anche se ci avevi praticamente dormito dentro... prima!»
«Ti vorrei proprio vedere... con le pulci, James! ...Ti mangiano lentamente la pelle... con i loro minuscoli... dentini e...»
«Ok, basta... mi sta venendo la nausea... Sirius».

Anche a Peter stava venendo la nausea ma solo per lo sforzo immane che stava facendo mentre correva a perdifiato tra arazzi, porte nascoste e armature cigolanti. Si sentiva letteralmente morire tra il peso della borsa e anche quello della sua pancia vuota per colpa della colazione saltata. Le sue corte gambe dovevano fare il doppio dello sforzo per compensare le ampie falcate di James e Sirius, e sentiva qualcosa pungere sotto il piede destro da quando si erano nascosti sotto il Mantello di James per non farsi vedere da Madama Chips che era rientrata nella Stamberga Strillante all’alba per prendere un Remus stremato.
Sgattaiolando da un passaggio segreto all’altro, James, Sirius e Peter arrivarono davanti all’aula di Incantesimi, tutti e tre senza fiato; la voce stridula del professor Vitious arrivava ovattata dall’interno.
«E non sono... ancora andate via... del tutto!» ringhiò con il fiatone Sirius, grattandosi vigorosamente sotto il mento.
Con gli occhi nocciola spalancati e le guance arrossate dalla corsa, James fissò il lungo taglio che aveva Peter sulla faccia.
«Ma ti sei visto allo specchio!? Come te lo sei fatto?!» gli chiese sbalordito.
«I rovi mi distruggono ogni volta! Voi potete saltarli, io ci devo passare per forza in mezzo! Ma tu... e Sirius... avete finito tutta l’Essenza di Dittamo!» rispose Peter stremato, tastandosi il tondo viso bordeaux con una smoria di dolore.
«Finito!? Ma se ho dovuto lasciar perdere i graffi qui sul collo per lasciartene, Codaliscia!» bisbigliò con rabbia Sirius spostandosi leggermente il colletto della camicia per fargli vedere la pelle arrossata dalle corse nella vegetazione selvaggia nel cuore della Foresta Proibita. E a volte, quando per sbaglio si avvicinavano troppo al villaggio di Hogsmeade, era difficile tenere a bada Lunastorta con l'odore di umani nell'aria.
James si mise le mani tra i capelli, disperato. «Non puoi farti vedere così, Pete! E siamo anche in ritardo pazzesco!»
«Perchè no?» chiese già nel panico lui. «Possiamo dire che è stato il gufo di qualcuno a graffiarmi, come quando a te era rimasto quel taglio sul naso!»
«Non si usano le stesse scuse due volte, Codaliscia! Dovresti averlo imparato!»lo ammonì Sirius lasciando che la sua voce prendesse il suo solito tono alto.
La porta dell’aula si aprì di scatto e la piccola figura di Vitious li osservò con cipiglio curioso dal basso.
«Questo vostro ritardo è dovuto al non saper aprire la porta, ‘signori’?» esordì il professore, osservando perplesso la faccia paurosamente rossa di Peter; la camicia fuori dai pantaloni di James e la cravatta slacciata sul collo di un Sirius con gli occhi coperti dai ciuffi di capelli.
«Alle scale piace cambiare, no? Oggi avevano particolarmente voglia di giocare» mentì tranquillamente James con un grande sorriso. Già dal secondo anno, quelle scale non erano un problema per i Malandrini.
«Ma perchè mi costringete sempre a togliervi punti?» sospirò l’omettino con aria arresa. «Cinque punti in meno a Grifondoro, a testa, per il vostro tremendo ritardo e la vostra divisa disordinata. Mi auguro che non succeda più».
«E ti pareva»mormorò ironica Liv, seguendo con lo sguardo i tre ragazzi che entravano in classe con la solita aria fiera.
«Codaliscia non toccarti la faccia o si noterà di più» mormorò a denti stretti James.
«Ci stavamo esercitando sull’Incanto Proteus» li informò il professore, trotterellando al fianco di Sirius che si lasciò cadere svogliatamente su una sedia all’ultima fila. «Ricordate qual è? Ve l’ho spiegato la volta scorsa. Se cambiate l’aspetto ad un oggetto anche gli altri dovranno farlo. Tirate fuori le bacchette e cercate di incantare tra loro i bottoni».
Con un gesto della bacchetta Vitious fece comparire quattro grandi bottoni a testa sul banco. «Per oggi potete pronunciare la formula, è un incantesimo parecchio complicato» continuò, dirigendosi con passetti affrettati verso la cattedra, più alta di lui.
«’Notte» bofonchiò sottovoce Sirius accasciandosi sul banco senza far caso ai piccoli oggetti rotondi.

Soltanto quando Vitious riuscì a salire di nuovo sulla sua pila di libri al fianco della lavagna e tutti ricominciarono ad esercitarsi, Mary si azzardò a parlare.
«Ma che cosa si è fatto Peter in faccia?»
Lily guardò di sottecchi l’ultima fila dei banchi per scrutare il viso del ragazzo. «Sarà stato attaccato da qualche gufo, come Potter quell’altra volta» commentò picchiettando gentilmente con la bacchetta i suoi bottoni da incantare.

«Non mi stupisce. Ogni tanto sembrano sopravvissuti ad una rissa tra gatti randagi, Remus compreso anche se non mi sembra proprio il tipo da riss... » soffiò Liv bloccandosi perchè un bottone proveniente dai posti dietro le sfrecciò davanti al viso per fermarsi poi di fronte a Lily, levitando dolcemente. Lily si guardò attorno per capire di chi fosse e notando il viso luminoso di James, che aveva la bacchetta puntata verso di lei, sbuffò. Afferrò di malavoglia il bottone e in un attimo, attorno ai quattro buchi, si formò una breve frase: ‘Hogsmeade insieme?’
Era incredibile. Non sapeva se essere sorpresa dal fatto che Potter era già riuscito con l’incantesimo o scocciata per quell’ennesima domanda.
Il sorriso di James però non si spense e colpendo per la seconda volta il suo bottone anche quello nella mano di Lily cambiò: ‘Stasera. Nel mio Regno.’
Lily cercò di mantenera la calma lanciando un'occhiata di sottecchi al professore in bilico sulla pila di cuscini dietro alla cattedra. Il suo Regno’ era chiaramente un riferimento a quello che le persone normali chiamavano ‘Campo da Quidditch’, si disse cercando di ignorarlo mentre si sbracciava dal suo banco. Si accorse soltanto dopo che stava indicando Liv.
James mise in mostra il bottone picchiettandolo con la bacchetta e ripuntando l’indice sull'amica.
«Liv» bisbigliò Lily allungando il bottone verso di lei.
«Mh?»
«Per te. Potter».
Liv controllò l’oggetto in mano a Lily per leggere la nuova frase: ‘Allenamenti’.
«SIGNOR POTTER! DOVREBBE ESERCITARSI CON L’INCANTESIMO, NON CERCARE DI PRENDERE LE MOSCHE!» La vocetta di Vitious echeggiò nell’aula facendo scattare in piedi Sirius, di nuovo sveglio.
«Sto facendo! Sto... l’incantesimo è fatto!» farfugliò spaesato, grattandosi dietro un orecchio.
«Lei è il signor Potter, signor Black!?»
«Sì, lo è» rispose per lui James, raggiante. Sirius gli sorrise, lanciandogli una fugace occhiata divertita. Si sentiva decisamente più ‘Signor Potter’ che ‘Signor Black’ e James lo sapeva benissimo.

 
 



 

*

 

 
 


«Alle sei al...»
«HO CAPITO, POTTER! BASTA!»
Era tutta la mattina, il pranzo e il pomeriggio che Liv sentiva quel mormorìo insistente arrivarle alle orecchie. Mormorìo perchè il Capitano non voleva di certo spifferare l’orario dei suoi sacri allenamenti ai giocatori delle altre squadre. Daisy, la povera nuova cacciatrice tredicenne, si era addirittura nascosta dietro la statua di Gregory il Viscido per scampare a James che continuava a ripetere ai suoi sei giocatori l’orario e il luogo per quella sera (come se ci fosse da sbagliarsi su quale posto raggiungere per allenarsi).
«Devo aver pestato cacca di civetta in Guferia» mugolò Mary sedendosi su una poltrona  della Sala Comune per controllarsi la suola delle scarpe.
«Porta fortuna» scherzò Lily recuperando il libro di Pozioni dalla borsa.
«AVVISO PER LA SQUADRA: ALLE SEI, CAMPO DA QUIDDITCH! AVVISO PER GLI ALTRI: NON PROVATE NEMMENO AD AVVICINARVI AGLI SPALTI, NÉ DA SOLI NÉ CON ALTRI ESTRANEI DI CASE DIVERSE DALLA NOSTRA. GRAZIE.»
Adesso che era al ‘sicuro’ in Sala Comune,  James poteva anche gridarlo.
«I Corvonero hanno un ottima visuale del Campo dalle loro finestre» gli urlò di rimando un ragazzo dai biondi capelli ricci, spaparanzato sopra al tappeto su cui era in corso un’agguerrita partita di gobbiglie.
James sollevò il mento, impettito. «Questo non è un problema, Billy» fece sereno, scambiandosi uno sguardo complice con Sirius che se la rideva dal divano, al fianco di Peter.  Il piano che avevano messo sù qualche anno prima non aveva mai fallito: le alte finestre del dormitorio dei Corvonero si appannavano e sigillavano ‘accidentalmente’ per tutta la durata degli allenamenti della squadra dei Grifondoro. Nemmeno i Tassorosso, giocatori leali, erano un problema.
Gli unici che ancora riuscivano a scoprire qualche loro tattica o formazione erano i Serpeverde. I ‘Veri Nemici’, così come li chiamava James. Ma aveva trovato una soluzione anche a quello.
Peter,  trasformato in topo, si infiltrava nella Sala Comune verde-argento o negli spogliatoi per spiare a sua volta gli schemi di gioco. James saltò giù dalla sedia che gli aveva fatto da piccolo palco per raggiungere Sirius e Peter sul divano.
«Tra cinque minuti torniamo in infermeria da Remus» informò, lanciandosi su una poltrona lì accanto.
 «Potter...  Black» li chiamò timidamente una bambina del primo anno con le guance completamente rosse. «Per voi, dal professor Lumacorno» disse, allungando la mano che stringeva due piccole pergamene arrotolate e strette da un frivolo fiocco viola.
Sirius ne afferrò una per stropicciarla e gettarla subito tra le fiamme del fuoco scoppiettante.
«Grazie» fece con nonchalance, rimettendosi comodo tra i cuscini.
La ragazzina lo guardò allibita ma si riscosse subito appena le dita di James sfiorarono le sue nel tentativo di prendersi l’invito.
«Sì, grazie» ripetè lui, sorridendole amichevolmente.
Lei annuì, diventando bordeaux, prima di correre via verso le poltrone di Lily, Liv e Mary.
«Evans?» chiese con un leggero fiatone, facendo scorrere gli occhi spalancati sui capelli di Lily che sollevò lo sguardo dal libro. Dall’espressione sconvolta su quel piccolo viso arrossato, Lily capì che molto probabilmente quella bambina non avrebbe più accettato di fare da messaggera al professore di Pozioni.
«Ciao» la salutò gentilmente per metterla a suo agio. «Mi devi consegnare qualcosa?» le chiese dolcemente posando gli occhi sul piccolo rotolo di pergamena lilla.
«Sì, grazie» bofonchiò lei porgendole l’invito di Lumacorno. Lily ridacchiò. «Grazie a te» disse prendendolo e seguendo con gli occhi l’undicenne che saliva velocemente le scale per i dormitori femminili.
«Sembravi tu, Mary» commentò Liv chiudendo il libro di Pozioni per aprire quello di Trasfigurazione. «Quando hai chiesto a Remus di uscire».
Il piccolo cuscino lanciato da Mary le arrivò in piena faccia.
 «Se tra mezz’ora schiverai i bolidi come hai ‘schiavato’ quel cuscino ti farò dannare, McAdams!» le gridò James prima di seguire Sirius e Peter oltre il buco del ritratto.
«HAI ROTTO LE... mmpf!» La mano di Mary riuscì a tapparle la bocca giusto in tempo, ma Liv se la staccò di dosso per finire la sua frase. « Palle , James Potter!»
Sirius rise e Mary sbuffò, guardandola di traverso.
«Che c’è? Non è la verità? Ha rotto» sbottò Liv recuperando libri e pergamene per spostarsi sul divano, adesso libero, prima che un gruppetto di quindicenni se ne potesse approfittare.
«Non è di certo per l’insulto a Potter, ma per le palle rotte. Jane Phillips ti stava osservando» l'informò Mary trasportando la borsa verso il divano insieme a Lily.
Liv spostò lo sguardo verso la ragazza mora che in effetti la stava fissando, truce. Jane, da quando era diventata Prefetto l’anno precedente, non le dava tregua. Era sempre pronta, sempre attenta e viglie ogni volta che ce l’aveva vicino. Sembrava non aspettasse altro che un suo passo falso.
«Vorrei capire perché ce l'ha con me» fece Liv sedendosi sul divano, tra i morbidi cuscini. «Non le ho mai fatto nulla, non abbiamo nemmeno mai parlato» continuò, grattandosi distrattamente un polso prima di riaprire il libro di Trasfigurazione.
«Se continua, ci parlerò io con lei» disse Lily sistemandosi sulla poltrona lasciata da James in modo tale da poter avere una perfetta visuale del buco del ritratto. Remus non era ancora tornato dall’infermeria. Slegò il fiocco viola dalla pergamena di Lumacorno e il suo sorriso divertito si spense subito appena cominciò a leggere.
«Oh, bene» fece, sarcastica «Ci inviterà per il dessert questo sabato, dopo la ronda».
 
 


 

*

 
 


«Hey! Come sta il nostr...?» La squillante voce di James fu bloccata dallo sguardo severo di Madama Chips.
Remus, pallido e con una nuova cicatrice sul collo, rise debolmente dal suo letto.
«Quante volte te lo devo ripetere ancora, Potter!? Siamo forse al Campo da Quidditch!?» lo sgridò la donna con le mani sui fianchi.
«No, ma ci vuole un pò di allegria qui dentro... altrimenti sembrerà un obitorio e non un’inferm...»
Di nuovo, la voce di James fu fermata da quello sguardo fulminante.
 «Come stai, Remus?» chiese solare Peter, avvicinandosi insieme a Sirius al letto dell’amico che sorrise mogiamente.
«Meglio. Se mi lasciate cinque minuti per vestirmi potrò uscire da qui con voi».
Madama Chips gli sistemò il cuscino dietro alla schiena, sospettosa come lo era stata per metà del quinto anno e per tutto quello precedente, da quando Remus aveva cominciato ad apparire ad ogni alba dopo una notte di luna piena con quasi nemmeno un graffio e decisamente molto più in forma rispetto agli anni passati. Sicuramente, la donna si stava ancora chiedendo come fosse possibile.
«Ricorda che non devi sforzarti troppo, Lupin. E prendi pure tutta la cioccolata che ti ho lasciato sul comodino» si raccomandò con tono premuroso prima di soffermarsi con lo sguardo sul graffio di Peter, ancora ben visibile in faccia.
«Santo cielo» mormorò avvicinandosi a lui che indietreggiò, spaventato. «Come ti sei fatto quel taglio, Minus?»
Peter arrossì all’istante cercando gli sguardi dei suoi amici. «Ah, be', io...» balbettò incerto.
Lo sguardo di Sirius era certamente il più insistente. ‘Non provare a tirar fuori la storia del gufo’.
«Colpa mia!» esclamò James affiancando l’amico grassottello «Colpa mia. Ad Erbologia stavamo letteralmente combattendo contro il Tranello del Diavolo e per sbaglio ho mollato un tentacolo che è finito dritto in faccia a Peter. Vero, Pete?»
«Sì, sì! É così che è andata» confermò lui con gli occhi luminosi rivolti verso James.
Madama Chips dopo un attimo di tentennamento parve convinta.
«Tranello del Diavolo» borbottò sotto shock mentre andava verso la credenza piena di bottiglie e barattoli «Pomona dovrebbe scegliere le piante con molta più accortezza! Tranello del Diavolo... un pericolo mortale bello e buono!».
 Lo sguardo colpevole di Remus che tentava di scendere dal letto fece sospirare Sirius, che lo ricacciò sul materasso mettendogli tra le mani le barrette di cioccolato.
«Quell’espressione cos’è, Lunastorta?» gli chiese facendo il finto tonto.
«Già, non la conosciamo. Credo che nemmeno esista come tipologia di espressione» aggiunse James raggiungendolo.
Le labbra di Remus si sollevarono in un piccolo sorriso.
«Non è colpa tua» gli mormorò allegro Peter anche se gli e l’avevano ripetuto un’infinità di volte.
«Essenza di Dittamo» esordì Madama Chips tornando da loro con una piccola bottiglia tra le mani. «Questa fa miracoli con i tagli e i graffi».
«Lei ne sa sempre una più del diavolo, Poppy» esclamò James, facendo ridere gli altri tre. La donna lo guardò di traverso prima di avvicinarsi a Peter per prendersi cura del suo viso.
«Potter, per quanto tu possa definirmi la tua ’balia’, viste tutte le volte che ti sei presentato qui con ogni fattispecie di malanno in questi sei anni, non ti permetto di usare tutta questa confidenza».
La risata che James fece però la fece sospirare, arresa.
Lasciando Remus e Peter in infermeria, James e Sirius uscirono dal castello diretti verso il campo di Quidditch. Il tiepido sole di settembre era velato da qualche nuvola leggera e il vento dei giorni precedenti sembrava essersi calmato.
Con compiacimento, James trovò gli spalti vuoti e gli spogliatoi occupati dai suoi promettenti giocatori.
 «Cosa ci fa Sirius?» chiese Michael infilandosi il casco da portiere in testa.
«Lui ‘può’» spiegò brevemente Alan Morgan, abituato a vedere il migliore amico del Capitano entrare ed uscire dagli spogliatoi a suo piacimento. Sirius era l’unico ad avere quel ‘privilegio’, James non ammetteva repliche.
«Io posso» rimarcò altezzoso Sirius, sorridendo apertamente a tutti.
Liv sollevò gli occhi al soffitto sistemandosi i guanti mentre Daisy le si avvicinava furtivamente, cercando di dare le spalle a Sirius che si era seduto scomposto su una delle panche in legno.
«Liv?» mormorò con sguardo preoccupato. «Si?» fece lei, sentendo un forte prurito sul collo.
La faccia della ragazzina sembrava sul punto di prendere fuoco. Liv capiva benissimo l’ansia e la paura di sbagliare proprio al primo allenamento, un pò la sentiva anche lei, ma diventare di quel colore le sembrava davvero eccessivo.
«Sono rossa?» chiese ancora più sottovoce la ragazza.
Liv spalancò gli occhi, grattandosi la pelle che ancora prudeva. Daisy le aveva chiesto se era rossa?
Cosa doveva dirle? Che, sì, era rossa come la Pluffa che James si stava mettendo sottobraccio? Rossa come le divise appese negli armadietti a destra?
Notò gli occhi chiari della ragazza spostarsi velocemente verso Sirius, adesso intento ad osservare il movimento esperto di Harrison che tentava di spiegare al suo nuovo collega battitore Carter come prendere al meglio la mira.
Altro che ansia pre-allenamento: era quell’idiota di Black, il problema, come al solito.
«No, non sei rossa» le disse tranquillamente per non farla arrossire ulteriormente. In fin dei conti quella era la verità: non era rossa, era bordeaux.
Daisy sorrise, buttando fuori un pò d’aria con un sospiro di sollievo.
«Forza! Tutti in campo con le scope!» li incitò James afferrando la sua dall’angolo più vicino alla porta.
Avevano iniziato soltanto da mezz’ora e James già non sapeva come accidenti aveva fatto a mettere sù una squadra così disordinata e confusa (a parte Harrison e Morgan, ovviamente).
Dei nuovi, soltanto Michael sembrava dimostrare le capacità che l’avevano distinto dagli altri ai provini. Aveva parato qualche tiro di Morgan, tutti quelli di Daisy e, nella sorpresa generale, uno di James.
 Harrison e Carter non erano coordinati. I bolidi di Harrison erano troppo forti e veloci (così come dovevano essere) e Carter, sempre più insicuro, faticava a centrarli con la mazza per rispedirglieli indietro.  
«Carter! Sei un Battitore!» lo richiamò ad un certo punto James «Battitore! E non perchè devi avere una faccia abbattuta ma perchè devi abbattere gli altri!»
Sirius se la rideva, sdraiato pigramente sull’erba, mettendo sempre più in crisi Daisy.
«Smith!» la chiamò James «Dove sono andati a finire quei passaggi forti e precisi che mi hai fatto vedere alle selezioni?!» le chiese dopo che la ragazza aveva passato goffamente la pluffa al loro compagno Morgan.
Liv sembrava ubriaca. La traiettoria della sua scopa era discontinua e non perchè il boccino stesse facendo chissà quali avventati movimenti, ma perchè continuava a grattarsi in ogni dove.
«MCADAMS!» gli urlò furioso James quando lei gli passò di fianco per seguire la scia dorata della pallina alata che si era avventurata tra i Cacciatori.
Liv, per l’ennesima volta, perse di vista il boccino mentre si grattava vigorosamente una gamba, rischiando anche di cadere dalla scopa.
Sentiva un prurito fortissimo invaderle ogni centimetro di pelle sotto ai vestiti, ogni due minuti era costretta a frenare bruscamente per grattarsi con insistenza sentendo di stare impazzendo sia dal fastidio che dalla rabbia.
Più passavano i minuti e più quella sensazione si espandeva. Era lo stesso prurito che aveva sentito mezz’ora prima negli spogliatoi e sempre quello che le aveva tormentato il polso quando era ancora seduta sul divano in Sala Comune.
Il divano. Il divano su cui era spaparanzato Sirius qualche istante prima che si sedesse lei. Fu come un'illuminazione.
Con una furia incontrollabile virò a sinistra senza rallentare. Puntò dritta verso il terreno in direzione di quel maledetto ragazzo che presto si sarebbe trovato sparso a pezzi su quell’erba.
 James soffiò più volte sul fischietto per cercare di fermarla, ma l’unico risultato che ottenne fu il blocco degli altri giocatori che smisero di allenarsi, accorgendosi così della folle discesa di Liv.
Sirius si era alzato di scatto vedendo che la scopa cavalcata da quella pazza gli stava arrivando addosso. Liv non aspettò nemmeno a toccare terra, saltò giù dalla scopa afferrando con rudezza Sirius per la cravatta rossa e oro per abbassarlo alla sua altezza e potergli gridare contro faccia afaccia con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
«CHE STRONZATA HAI FATTO!? EH!? POLVERE URTICANTE!? PELI DI CONIGLIO!?» lo attaccò, mollando la cravatta soltanto per dargli una spinta, incapace di trattenere la rabbia. Liv era certa che Sirius sapesse della sua allergia ai conigli visto quello scherzo che lui le aveva fatto al terzo anno.
«RISPONDI, CRETINO! TI SEI DIVERTITO? TI FA RIDERE?» continuò a gridargli addosso cercando di resistere al prurito solo per poterlo spintonare ancora, ripetutamente, con forza.
«Ma che cavolo stai dicendo?!» sbraitò lui indietreggiando per schivare i colpi che Liv si ostinava a dargli.
«CHE SCHIFEZZE HAI MESSO SUL DIVANO IN SALA COMUNE!?» urlò lei, afferrandogli il maglione, senza nemmeno accorgersi che tutti gli altri stavano atterrando sull’erba
«McAdams, piantala subito!» cercò di fermarla James, staccandole le mani dal maglione dell’amico.
«Schifezze sul divano? Tu sei fuori di testa, Olivia» affermò ridente ed incredulo Sirius, libero da quella presa nervosa, ma incatenato ad un dolce floreale profumo, inebriante e pulito, che gli era arrivato con la brezza e la vicinanza di Olivia. Un buon odore di shampoo o bagnoschiuma che gli annebbiò per un attimo i sensi tanto quanto quegli occhi marroni dalle nere pupille dilatate.
Liv si divincolò dalle braccia di James per grattarsi con urgenza un braccio e, osservandola, Sirius non potè far a meno di sollevare gli angoli delle labbra in un sorriso incredulo. Le pulci.
«Hai usato i peli del coniglio che ha graffiato Peter!? Non è vero!? AMMETTILO, RAZZA DI IDIOTA!» continuò Liv, adesso strofinandosi il collo con furia.
«Merda» mormorò divertito Sirius lanciando un’occhiata a James che sembrava aver capito.
«Sì. Merda per te, Black» ringhiò Liv afferrando la mazza da Battitore di Carter prima di rincorrere Sirius per tutto il campo.
«MCADAMS!»


 

 

 

 

 

*

 


 


«Come sono andati i primi allenamenti?» chiese serena Mary, sollevando lo sguardo dal piatto appena apparso sul tavolo insieme alla cena di tutti.
«Uno schifo» si limitò a dire Liv con voce funerea, prendendo posto vicino a lei.
Il sopracciglio di Lily, già inarcato dopo aver assistito alla comparsa dell’amica, si sollevò ulteriormente scrutando perplessa l’intera squadra che entrava in Sala Grande. 
Sembravano tutti dei cani bastonati. Tutti eccetto il Capitano e Sirius, che ridevano tra loro.
 «Rem, ci sei anche tu! Stai meglio?» esordì James sedendosi tra lui e Peter.
Remus, ancora debole, annuì cominciando a mangiare.
Lo sguardo di Liv scattò verso Sirius, lontano di tre posti ma comunque troppo vicino per i suoi gusti. Aveva ancora voglia di prenderlo a mazzate.
«Ma si può sapere cos’è successo? Siete così scarsi?» li punzecchiò Mary, ridente. 
James tossì forte, sputacchiando pezzetti di stufato. «Scarsi!? Scarsi, Macdonald!? Prima di tutto... non puoi giudicare una squadra dal primo allenamento» mise subito in chiaro, colpito nell’orgoglio.
«Quel deficiente mezzo Troll e mezzo Gnomo» lo interruppe Liv indicando Sirius che le sorrise falsamente. «Mi ha fatto venire l’allergia mettendo sul divano i peli del coniglio che ha graffiato Peter per farmi cadere dalla scopa!»
Remus cominciò a tossire subito dopo le parole: ‘Coniglio che ha graffiato Peter’.
«Coniglio? Quale coniglio?» chiese spaesato Peter.
Sirius gli diede una gomitata mentre James aiutava Remus a respirare di nuovo.
«Non sei stato graffiato da un coniglio?» sbottò Liv scrutandolo per bene.
Peter boccheggiò, in ansia. Avevano deciso che era stato il Tranello del Diavolo, no? Non era così? Adesso cosa c’entrava questo coniglio? Si chiese nel panico più totale.
«Certo che è stato graffiato dal coniglio! É stato un trauma, per lui, e non se lo ricorda perchè è ancora scosso da stamattina quindi parlate fra voi tre e lasciateci in pace» s’intromise Sirius con arroganza.
«Dovrebbero dare al coniglio un po' di Pozione Calmante visto che li graffia a turno» disse Mary, impressionata.
«A me sta simpatico proprio per questo. Vorrei stringergli la zampa a costo di riempirmi di bolle» disse Liv con un sorrisino provocatorio.
«Avevo detto di lasciarci in pace, o sbaglio?» s’inserì Sirius, altezzoso.
«Avevi detto che potevamo parlare tra noi ed è quello che stiamo facendo, o sbaglioribattè Liv, altrettanto altezzosa. Black l’avrebbe pagata cara. Non sapeva ancora come, ma non l’avrebbe passata liscia.
Era decisamente stufa degli scherzi pericolosi che quell'arrogante mente avventata organizzava ogni anno; erano l'unica cosa, di lui, che le avevano fatto storcere il naso dal primo anno.
A Liv erano sempre piaciuti i Malandrini, soprattutto quando rallegravano le giornate o rimettevano al loro posto altri bulli, Piton compreso. Spesso si era ritrovata ad usare la bacchetta come loro, ma se faticava ad essergli amica un motivo c'era ed era il fatto che non avevano fatto differenza tra bersagli innocenti e persone che meritavano una fattura.
Gli avrebbe fatto capire come ci si poteva sentire ad essere improvvisamente una vittima senza motivo, per una buona volta. Prese un sorso di succo di zucca senza distogliere lo sguardo da quello di Sirius, posato ancora su di lei, e Lily accanto a Mary restò in silenzio spostando gli occhi verde chiaro su tutti e quattro i ragazzi.
Il graffio sul volto tondo di Peter sembrava proprio una zampata di un coniglio particolarmente rabbioso, simile a quello che Remus aveva sul lato del collo sinistro. Dylan Davies, un Corvonero del loro stesso anno, come tutti era convinto che Remus avesse un coniglio ribelle in dormitorio.
Lily non sapeva come Peter si fosse fatto quel taglio, ma il coninglio non c'entrava niente con le cicatrici sulla pelle di Remus.
Lo scrutò in modo discreto, senza farsi vedere per lasciarlo tranquillo: era ancora pallido e debole.

 

 

 


 
 

*

 
 

 






Note:

*All'inizio la mia idea era di far morire i signori Evans insieme in un unico incidente stradale tra il sesto e il settimo anno. Facendo diverse ricerche mi sono accorta che non tornava qualcosa.
La Rowling dice che durante il settimo anno di Lily, Vernon chiede a Petunia di sposarlo nel ''salotto di sua madre" (signora Evans) e questo mi ha fatto pensare che nel 1977 o inizio '78 c'era solo la madre di Lily e Petunia (Petunia, tra l'altro, vive e lavora a Londra dai suoi diciotto anni).
Quindi qui Lily ha già perso il padre e ho scelto l'estate dopo il quinto anno (giugno 1976, che sarebbe più di un anno prima dal prologo di questa storia).
Dubito che Vernon abbia chiesto in sposa Petunia a breve distanza da un lutto così pesante, quindi ho evitato di far morire il signor Evans tra il sesto e settimo anno.
Più avanti troverete degli accenni del post morte del signor Evans, anche i pensieri di James a riguardo.
Purtroppo, iniziando a scrivere dal settimo anno ho perso molti momenti importanti (me ne sono pentita).
La Rowling non dice quando sono morti i nonni materni di Harry, dice solo che sono mancati per normale morte babbana. Nel 1971 sono entrambi vivi al binario nove e tre quarti. La madre di Lily dovrebbe morire tra la fine del 1978 (se muore prima del matrimonio di Lily) e il 1980. Non sappiamo se ha partecipato al matrimonio di Lily e James o se ha visto Harry (i genitori di James hanno partecipato al matrimonio ma non hanno visto harry, sono morti prima a distanza di giorni l'uno dall'altro per una malattia magica). Sappiamo per certo che Lily non accenna a sua madre nella lettera per Felpato dopo il primo compleanno di Harry mentre sono chiusi in casa (una setimana prima di morire). La lettera è relativamente allegra, senza contare la morte dei McKinnon e James frustrato per il fatto di non poter uscire di casa senza Mantello. Secondo me, la signora Evans era già morta da un anno, se non di più. Harry deve restare orfano il 31 ottobre 1981 e non credo che Lily sarebbe stata così serena nella lettera se avesse perso da poco la madre.
  Ho sempre pensato, poi, che Lily e James si sono sposati tra l'estate e l'autunno del 1979. Harry deve essere concepito a novembre di quell'anno.
Ho scelto l'incidente stradale perché oltre al fatto che è una morte molto babbana, Petunia dice a Harry che Lily e James sono morti in un incidente d'auto (giusto per non sentire domande). Ho voluto fare un parallelismo tra Lily e Harry che penserà di aver perso i genitori per un incidente. È da Petunia, che magari si vuole vendicare così. Cattivissima.
.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. Istinto da Prefetto ***


Visto che il prossimo aggiornamento sarà dopo Natale ne approfitto per farvi gli auguri e per ringraziarvi TUTTI.
Chi recensisce, chi ha messo la storia tra le tre categorie e chi legge!

Grazie di cuore e ancora Buon Natale :)  
 

 
 

 
 
 
 
 
Capitolo 6
 

ISTINTO DA PREFETTO

 
 
 


«Noia» biascicò per l’ennesima volta Sirius con la fronte poggiata al freddo vetro della finestra del dormitorio.
Era tutta la giornata che la pioggia aveva continuato a scendere, imperterrita, allagando i prati e i cortili. 
La pioggia di sabato Sirius non la sopportava. Una pioggia ‘stupida’, così come la definiva lui, perchè per lui la pioggia a Settembre era ‘stupida’.
Perfino Peter, che faceva domande su tutto, aveva lasciato perdere quell’insensato concetto.
Per tutta la settimana c’era stato un sole beffardo che li aveva derisi brillando oltre i vetri delle finestre delle aule e proprio durante la giornata libera era sparito dietro quei pesanti e grigi nuvoloni poggiati minacciosamente sulle montagne che circondavano il castello.  
 «Noia».
Remus sospirò dal suo letto, voltando pagina del libro per continuare a studiare quello che l’annoiato Sirius aveva già letto in un quarto d’ora senza...
 «Dovrebbero inventare una Pozione o un Incantesimo per eliminare la noia».
 ...senza restare più di tanto sulle pagine per memorizzare il tutto, visto che...
 «E poi... a che serve la noia!? Tutto ha uno scopo... la noia no... se non per farti deprimere».
 ... visto che le cose gli rimanevano in testa chissà come.
Remus non se lo riusciva a spiegare nemmeno adesso e anche se stava cercando con tutte le sue forze di isolare le sue orecchie dall’ambiente che lo circondava, compreso Sirius che continuava a blaterare cose sulla noia, non riusciva proprio ad andare avanti con la lettura.
Aveva letto la stessa frase già una dozzina di volte e l’unica cosa che la sua mente aveva appreso era che la ‘noia’ era un passaggio fondamentale per capire come la ‘noia’ fosse coinvolta nella Trasfigurazione Umana della ‘noia’.
Era sicurissimo che la McGranitt non aveva nemmeno lontanamente accennato alla noia a lezione...
 «E la noia fa fare cose che mai ti saresti sognato di fare. Vi ricordate quando...?».
 Remus era pronto ad urlargli di stare zitto e spiegargli che lui non era un dannatissimo genio capace di memorizzare capitoli di Trasfigurazione in un batter d’occhio, ma James uscì dal bagno con i capelli gocciolanti d’acqua e la bocca già aperta per continuare il discorso che aveva lasciato in sospeso prima di rinchiudersi in bagno.
«Quindi, come stavo dicendo prima della doccia...» esordì tranquillamente, svegliando Peter che si era momentaneamente appisolato sul tappeto vicino alla stufa.
«Tu Remus, visto che ti sei ripreso del tutto dalla Luna Piena, starai di guardia...»
«Nemmeno sotto tortura, James, te l’ho già detto» ribattè lui secco, continuando a leggere anche se non stava capendo un accidenti dei Metamorfomagus. Non aveva nessuna intenzione di uscire da quella stanza alle dieci di notte.
La stufa gli stava riscaldando piacevolmente i calzini ai piedi, i cuscini erano morbidi, aveva ancora la marea di cioccolato di Madama Chips, quel capitolo doveva essere memorizzato per martedì insieme agli altri quindici e soprattutto ‘la cosa’che i suoi adorabili amici volevano fare non era necessaria al completamento della Mappa.
Per la Mappa faceva sempre del suo meglio, anche se l’immagine della sua spilla da Prefetto non lo lasciava un attimo in pace mentre sgattaiolava tra un passaggio segreto all’altro nel buio della notte, ma quella ‘cosa’ non era assolutamente accettabile, era soltanto una vera e propria pazzia inutile a cui tutte le volte si rifiutava di partecipare.
 «Sono il tuo Caposcuola e te lo ordino!» sbottò autoritario James, andando a recuperare la sua spilla dalla divisa poggiata disordinatamente sul letto.
Il sopracciglio di Remus si sollevò così tanto da far scoppiare Peter in una risata aperta.
 «Noia» ricominciò Sirius, che aveva osservato in silenzio la scena con occhi speranzosi.
Le labbra di Remus si assottigliarono.
«Noia».
 Sapeva benissimo cosa Sirius stava facendo ma non avrebbe ceduto.
«Noia».
Remus era più forte. Anni e anni di questi ricatti e giochetti per convincerlo a fare pazzie erano pur serviti a qualcosa, no?
«Noia».
Gli avevano insegnato ad avere pazienza...
«Noia».
... Autocontrollo.
«Noia».
Remus non avrebbe ceduto, anche se le facce ghignanti di James e Peter dicevano il contrario.
«Noia, noia, noia, noia, noia...».
Non si poteva ignorare Sirius che ripeteva ‘Noia’, in quel modo noioso, a un centimetro di distanza da un orecchio. Non si poteva e basta. Era una di quelle cose che avrebbero fatto perdere le staffe anche al più paziente dei Tassorosso e Sirius ne era orgogliosamente consapevole.
«Dammi la Mappa» ringhiò arreso Remus, cercando di trattenersi dallo strozzare Sirius mentre Peter, raggiante, si trasformava in topo.
 
 
 

 
*
 
 



«Ok. Gazza è al sesto piano... e... Mrs. Purr al quinto. Peter è pronto a fare il diversivo al terzo. L'ufficio è libero ma fate veloci».
La voce sommessa di Remus aveva un che di esasperato e contrariato nella semi oscurità del corridoio dell’ufficio di Gazza.
Tra le ‘Missioni Notturne’ quella era la meno tollerabile di tutte.
Intrufolarsi nell’ufficio del guardiano pazzo per rubare le cose confiscate agli altri studenti era, per Remus, una cosa che andava al di là delle semplici scorribande avventurose: Era un suicidio.
Per di più, il suo sesto senso gli stava inviando onde negative attraverso la sua spilla da Prefetto.
Il fatto che il distintivo fosse appuntato sulla sua divisa in dormitorio gli faceva capire che il pericolo doveva essere davvero alto visto che lo sentiva da lì. Sarebbe andato storto qualcosa, ne era certo.
Come al solito il ‘Ruolo della guardia’ spettava a lui, e a dirla tutta quello era il lavoro meno pericoloso visto che doveva stare sotto al mantello con la Mappa in mano.
In caso di pericolo, Codaliscia- di nuovo sulla sua spalla dopo la ronda durante la conquista dell'ufficio- sarebbe andato ad avvisare i due veri folli che entravano nel Regno di Gazza.
 ‘A mani libere e senza il mantello addosso si fa prima’: la frase di James quando il ‘Ruolo della guardia’ era stato inventato e Remus totalmente ed inesorabilmente coinvolto.
 «Controlla bene» bisbigliò Sirius trattenendo per un braccio James che già stava sbucando fuori dal mantello.
Di sicuro nella sua testa stavano scorrendo le immagini della volta in cui Gazza li aveva beccati in flagrante per colpa di un mezzo addormentato Remus che aveva dato il via libera su due piedi.
Sirius riconobbe senza problemi lo sguardo ‘Se non vai subito ti mando io a calci’ negli occhi di Remus che non vedeva l’ora di tornare al sicuro nel dormitorio.
Per precauzione, però, (e per paura di essere di nuovo trasportato come il peggiore dei prigionieri di Azkaban da un euforico Gazza verso una McGranitt in vestaglia scozzese), Remus rigettò un occhio sulla pergamena, restando per un attimo interdetto.
Prima non aveva notato il piccolo puntino con il nome di Liv che entrava nelle Cucine e non aveva visto nemmeno il ‘sovraffollamento’ di nomi nei sotterranei. Eppure la ronda dei Prefetti era terminata da un’ora.
«Abbiamo due problemi» esordì con voce improvvisamente seria.
«Ecco» fece Sirius con sguardo da ‘Come volevasi dimostrare’ che Remus ingnorò bellamente.
James si sistemò gli occhiali sul naso, avvicinandosi di più ai suoi amici stretti sotto al Mantello per poter scrutare la Mappa.
«Dove?» chiese, facendo scorrere avidamente gli occhi sulla carta.
Il dito di Remus puntò su Liv, circondata dai buffi nomi degli elfi domestici, per poi scivolare nella zona dei Serpeverde punteggiata da svariati nomi.
«McAdams non è un problema» disse subito Sirius osservando, ridente, il puntino nelle cucine.
«Lo dici tu. Liv passerà di qui per risalire in Sala Comune» fece Remus, percorrendo con l’indice la strada che la ragazza avrebbe dovuto fare per raggiungere la torre dei Grifondoro.
«Non sono un problema nemmeno i Lumacosi » aggiunse James, riportando lo sguardo sui sotterranei dove l’ufficio di Lumacorno era affollato da puntini, compreso quello del professore.
«Almeno, quelli di Corvonero e Grifondoro... e quindi Evans» continuò, fissando con attenzione il nome di Lily che per i suoi gusti era troppo vicino a quello del sedicenne Dirk Cresswell, Corvonero.
«E c’è un altro problema» aggiunse Remus, leggermente accigliato.
Il suo dito, dall’allegra festicciola di Lumacorno, si spostò verso uno stretto corridoio poco distante, sentendo il corpo di Sirius irrigidirsi al suo fianco.
Quella manciata di nomi così ravvicinati non facevano presagire nulla di buono.
Mulciber, Avery, Piton, Black, Crouch e Malfoy.
«Malfoy? Ma sono pazzo io o siamo tornati indietro nel tempo di sei anni?» chiese sconcertato Remus.
«La Mappa non mente mai. Malfoy è qui» sussurrò freddamente Sirius quasi più a se stesso che agli altri.
«Sarà un invitato allora. Era un suo cocco quando era qui» mormorò James, disgustato. «Per via di suo padre e tutto il resto».
Il puntino di Lucius Malfoy aveva girato attorno a quello degli altri prima di rientrare nell’ufficio di Lumacorno con lentezza, ma gli occhi di Sirius erano rimasti fissi, assorti, tremendamente cupi. James non dovette nemmeno pensare su quale nome fossero incantati.
«Da quando ha preso i M.A.G.O. mio padre l'ha visto spesso entrare ed uscire dal Ministero» sussurrò pensieroso Remus, sollevando gli occhi dalla Mappa. «Dona oro un giorno sì e l'altro pure. Lumacorno è un povero ingenuo, è ovvio che la Magia Oscura che Malfoy usava a scuola non l’ha ‘appesa al chiodo’, no?»
Non fece in tempo a dire altro  che Sirius era già sgusciato fuori dal Mantello per correre ad una velocità impressionante, di certo non da lui.
«Sirius!» gli gridò dietro e sotto voce James, seguendolo senza pensarci due volte. Era ovvio cosa volesse fare. Non tutti i giorni Sirius decideva di avvicinarsi di sua spontanea volontà a Regulus, più che una cosa rara era unica. Quella fredda indifferenza che entrambi i Black avevano innalzato tra di loro non era stata mai distrutta in quei cinque anni ad Hogwarts.
Sirius non prese nemmeno le scorciatoie. James lo rincorse giù per le scale, saltando i gradini quasi al volo, ignorando i quadri che cominciavano a borbottare ed accelerando quando l’amico scese dritto verso i Sotterranei. L’ambiente umido li avvolse all’istante e la fievole luce delle torce li guidò in quell’intricato labirinto, alla ricerca del punto in cui ci sarebbe dovuto essere il piccolo gruppetto di Serpeverde. Guardandosi attorno con le orecchie pronte a captare anche il minimo rumore, James e Sirius rallentarono la corsa.
«Non hai sentito Lucius? Appena usciremo da qui anche voi che non avete già il posto promesso avrete un’opportunità per unirvi a loro!  Non importa quanto dovremo aspettare!» Il mormorio di Avery era eccitato, tremante di adrenalina. Non doveva starci nella pelle e neanche con la testa, pensò James sentendo quella voce e dirigendosi subito da quella parte.
«Grazie al cavolo! Tu, Mulciber e Severus uscirete da qui alla fine dell’anno! Regulus tra due! Io ho ancora tre anni da fare prima dei M.A.G.O.» La voce rabbiosa ed impaziente di Barty Crouch Junior fu quella che sentirono prima di svoltare l’angolo e trovarsi faccia a faccia con loro. E fu Piton quello che si accorse per primo della loro presenza, sgranando impercettibilmente i suoi occhi neri come se avesse la morte davanti.
«Questo è troppo» esordì Sirius con voce roca sia per la corsa che per la furia.
Sentendolo, Regulus si voltò di scatto e per una volta James vide una chiara e sincera espressione sorpresa in quel viso altero così simile a quello di Sirius.
«Che diavolo vuoi tu?» sibilò con disgusto Regulus dopo il breve attimo di shock. I suoi occhi scintillavano alla luce della fiaccola più vicina.
La gamba di Sirius tentennò un istante prima di allungarsi in avanti e James lo seguì di riflesso, standogli al fianco. Poteva sentire il respiro furente del suo migliore amico sferzare l’aria ghiacciata dei sotterranei e della tensione che si era appena creata tra loro e i Serpeverde.
Regulus fece un passo indietro appena Sirius gli fu vicino, sovrastandolo con la sua superiore altezza.
«Non mi interessa minimamente se credi a quelle stronzate sul sangue» iniziò Sirius, gelido «ma diventare Mangiamorte è troppo».
James sentì una sottile, ma chiarissima per lui, incrinatura in quella voce. In quel ‘troppo’ c’era effettivamente troppo. Quel ‘troppo’ racchiudeva più cose di quante ne potesse contenere ed era troppo anche quell’avvicinamento con Regulus che per Sirius, James lo sapeva, era forzare tutto se stesso. Corpo, mente e cuore compreso.
Ma era stato quel troppo a far crollare la maschera d’indifferenza che Sirius si metteva addosso ogni volta che incontrava Regulus per i corridoi o in Sala Grande.
«Sei più stupido dei tuoi genitori» riprese Sirius con puro disgusto, facendo assottigliare gli occhi di Regulus «Nessuno è mai arrivato a tanto nella tua famiglia a parte quella pazza di tua cugina Bellatrix»
«Forse perchè devo compensare un’assenza che puzza di cenere e tradimento sull’arazzo di famiglia?» sputò come veleno Regulus, stringendo forte i pugni. L’incrinatura nella voce questa volta la notarono gli amici che aveva alle spalle.
La fredda risata di Sirius rimbombò per il corridoio. «Diventerai forse un piccolo eroe in famiglia, ma quel buco bruciato non si può colmare con niente, stupido idiota!» lo schernì con un sorriso beffardo che però non riuscì ad arrivare agli occhi. «Anche se tu diventassi il migliore amico di Voldemort!»
«COME OSI PRONUNCIARE QUEL NOME?!» tuonò oltraggiato Avery. Il pugno che spedì in direzione della faccia di Sirius fu prontamente fermato dalla mano scattante di James.
«Ci diamo alla violenza?» fece ironico lui, riabbassando con la forza il braccio di Avery che ringhiò, opponendo resistenza. Avery mise più forza sul braccio e Mulciber digrignò i denti.
«E poi, se volevate fare a botte alla babbana bastava dirlo...» continuò, sereno «è solo che non pensavamo vi piacessero le cose dei Babbani».
Le facce dei cinque si infuocarono e cinque bacchette si sollevarono in aria.
James sorrise. «Così invece siete tristemente prevedibili» commentò, incrociando le braccia al petto.
«Prevedibili e patetici, James.» lo assecondò Sirius con ancora lo sguardo puntato su quello iroso di Regulus. «E anche poco gentiluomini visto che sono nettamente in maggioranza. Che duelli sarebbero? O avete intenzione di scatenare una battaglia affianco all’Ufficio del vostro Capocasa? Sarebbe da veri idioti ed è forse per questo che lo fareste...»
«Che fratello spiritoso che ho» fece Regulus in un pungente tono sarcastico.
«Tu non hai nessun fratello» lo gelò all’istante Sirius, più serio che mai. James non aveva mai sentito tanta sicurezza in quella frase che Sirius aveva ripetuto più volte, la notte, mentre dormiva nel buio del dormitorio o della camera che aveva condiviso con lui, a casa Potter, l’anno precedente.
La luce che attraversò gli occhi socchiusi di Regulus fu fulminea. «Ti piace così tanto fare l’orfano e il figlio unico?» ribattè sprezzante prima di deglutire a vuoto, aspettando che Potter intervenisse. Sapeva benissimo che era lui l’unico fratello che Sirius si vantava di avere, l’unico fratello esistente. Ma non era così. Nelle vene di Sirius scorreva il suo stesso sangue non quello di Potter e questo Sirius non l'avrebbe potuto cambiare nemmeno con uno dei suoi più estremi gesti ribelli. Neanche scappando di casa.
«Ti posso assicurare che non è nè orfano nè figlio unico» lo zittì infatti James in tono asciutto. E il sorriso di Sirius questa volta illuminò anche gli occhi, Regulus lo notò chiaramente.
«Ma certo» esordì Piton mellifluo tenendo ben salda la bacchetta puntata su James. «Potter che passa sempre per l’eroe valoroso e magnanimo...»
«Tu stai zitto, Mocciosus» sbottò lui cercando di trattenere l’impulso di prenderlo a pugni. L’odio nei suoi confronti, se possibile, era aumentato a dismisura.
Adesso non c’era solo l’ombra della Magia Oscura, gli insulti a Remus e il ‘Sanguesporco’ a Evans a rendere Piton odioso, si era aggiunta l'intenzione che il Serpeverde aveva, unirsi alla vera cerchia dei Mangiamorte. Un concentrato di cose che James non sopportava, tutte racchiuse in una sola persona.
Le labbra di Piton si strinsero tanto da scomparire dal suo viso che si tratteneva dal diventare livido di rabbia.
Quanto avrebbe voluto strappare via dalla faccia di Potter quell’arroganza sempre presente. Strappargliela via come lui gli aveva strappato via Lily quel pomeriggio in riva al lago.
Se Potter si sarebbe fatto gli affari suoi continuando a giocare con quella sua pallina infantile, adesso Lily poteva essere al suo fianco, poteva essere ancora sua amica, la sua migliore amica, la sua Lily. Invece no, Potter come suo solito doveva farsi notare, ammirare, doveva distruggere la sua unica vera amicizia in pochi minuti perchè tutto ciò che non era del ‘Perfetto Potter’ o che non lo riguardava poteva benissimo essere eliminato dalla faccia della terra, tutto quello fuori dalla sua dorata bolla di talento e popolarità non era importante, si poteva benissimo ignorare o eliminare.
«E se provi...» stava continuando a ringhiare James «Se provi anche solo ad avvicinarti a Evans con o senza il cappuccio in tesa, ti assicuro che...»
«Credi che ti basteranno le tue frasi divertenti e il tuo carattere borioso ed insolente fuori da qui, Potter?» lo interruppe Piton con un sorrisino canzonatorio a stirargli le labbra di nuovo visibili. «Credi che riuscirai a proteggere Lily con il tuo ego spropositato, con un Incantesimo di difesa o acciuffando boccini per aria e tirando palle dentro a degli anelli? Pensi di usare qualche pugno?».
Gli occhi di Piton si posarono sul pugno chiuso e tremante di James che Sirius teneva a bada al suo fianco.
L’aveva fatto apposta. James lo sapeva benissimo, Piton l’aveva fatto apposta a sottolineare il nome di Lily in quel modo. L’aveva fatto apposta per ricordargli che lui la poteva chiamare così al suo contrario.
Per Piton era Lily, per lui invece Evans e questo Piton glielo rinfacciava sempre con quel suo modo di parlare insopportabilmente pungente e furbo che usava ogni volta che voleva ferirlo.
«I pugni te li disintegrano in un istante. Gli Incantesimi di Difesa sono come dei veli insignificanti contro quello che c’è là fuori, quello che c’è là fuori che tu non conosci, Potter, e che nemmeno immagini lontanamente» sibilò Piton, trattenendo sia rabbia che trionfo repressi tra le labbra irrigidite. La vibrante luce nei suoi occhi neri brillava anche senza quella delle torce appese ai muri. In quegli occhi c’era sicurezza e superiorità.
Per una volta Piton si sentiva superiore davanti a Potter perchè lui sì, lui sapeva cosa li aspettava fuori da Hogwarts. E sapeva anche che Potter, là fuori, non aveva nessuna opportunità di sopravvivere o vincere.
«Se tu, o uno chiunque di voi, si avvicina a Evans...» riprese a denti stretti James senza lasciarsi intimorire da quelle minacce. «Vi assicuro che il vostro futuro padrone si ritroverà con dei servi in meno prima ancora di averceli».
La stretta di Sirius attorno al suo pugno cominciava a fare male ma l’unica cosa che James adesso sentiva era il cuore esplodergli di rabbia, odio, risentimento e voglia di proteggere Lily anche se Lily continuava ad urlargli che non voleva avere niente a che fare con lui. E non capiva proprio com’era possibile sentirsi così protettivi nei confronti di una persona che nemmeno voleva essere avvicinata.
«Hogwarts invece potrebbe ritrovarsi con un pettegolezzo in più in qualsiasi momento» mormorò malizioso Piton, sollevando un sopracciglio con fare allusivo.
Appena vide le bacchette di James e Sirius scattare verso di lui, il sorrisino beffardo si stirò ulteriormente: Aveva fatto centro. O meglio, l’argomento ‘Lupin’ l’aveva fatto.
Lo faceva sempre con quei due, si disse osservando con soddisfazione le vene di Sirius e James pulsare su collo e tempie. Faceva sempre effetto... e la cosa che lo compiaceva di più era che prendevano fuoco per niente visto che aveva giurato al Preside di tenere la bocca chiusa. Quei due deficienti credevano forse che avrebbe tradito la fiducia di Silente? L’ultima cosa che voleva era tornare a Spinner’s End.
 «Tu provaci e ritieniti già steso, Mocciosus» gli ringhiò infatti James, ad un passo dallo scoppiare.
 «Non avevate detto che eravamo in netta maggioranza e che non era il caso di fare battaglia?» li sbefeggiò Mulciber, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
«La vostra maggioranza non è poi così netta» esordì duramente Remus, spuntando dall’angolo del corridoio con la bacchetta sollevata insieme a un terrorizzato Peter e la sua, leggermente tremante.
Il soppraciglio di Piton si sollevò ulteriormente. «Parli del diavolo e spuntano le corna» fece derisorio, ignorando le facce confuse dei suoi compagni di Casa tutti Purosangue e completamente ignoranti riguardo i detti Babbani.
«Siamo comunque più noi» ghignò Crouch, le lentiggini attorno al naso aricciato, puntando subito la sua arma contro Peter che sussultò sforzandosi di tenere sollevato il braccio.
 «Sicuro? Sai contare, Crouch?».
 Quella voce severa sorprese tutti. Lily avanzò verso di loro con la bacchetta sguainata davanti a sè. Con occhi disperatamente spaesati Severus fissava incredulo quella bacchetta minacciosa, puntata proprio verso di lui.
E quando vide Lily schierarsi al fianco di James fu come se un Molliccio avesse preso forma davanti a lui.
«Dicevate?» spezzò il silenzio lei, fissando con decisione tutti e cinque i Serpeverde.
Non le erano di certo sfuggite le strane uscite di Piton, Crouch, Black, Mulciber e Avery dall’ufficio di Lumacorno e nemmeno l’improvviso ‘bisogno del bagno’ di Lucius Malfoy. Ma era certa che Potter&Company non erano lì per parlare di Magia Oscura o Mangiamorte... ed era per questo che non aveva esitato a schierarsi con quelli che di solito si trovavano al di là della sua bacchetta.
La bocca semi aperta di James non si era ancora chiusa. Era rimasto tanto stordito dal tutto che aveva abbassato la bacchetta verso il pavimento in pietra scrutando gli occhi verdi di Lily che sprizzavano durezza senza nessuna indecisione, nessuna ombra di paura o tentennamento, sembrando volessero pietrificare Piton.
La cosa strana era che quello sguardo combattivo non era rivolto a lui. Lei era lì ma al suo fianco proprio come Sirius, non davanti.  James si sentì improvvisamente invincibile ed era strano anche questo perchè era la stessa sensazione che provava mentre cavalcava la sua scopa con la Pluffa sottobraccio. Si sentiva invincibile. Invincibile come quando correva tra gli alberi della Foresta Proibita con un palco di corna in testa, come ogni volta che riusciva a far sorridere Sirius, Remus e Peter quando erano giù di morale.
Invincibile come quando riusciva a leggere perfettamente lo sguardo e i pensieri di Sirius con una sola occhiata e invincibile come quando era Sirius a leggere i suoi, sempre con una sola occhiata.
 «Quello che dicevamo, Sanguesporco? Niente che tu possa comprendere con il misero cervellino babbano che ti ritrovi» sputò con il viso accartocciato dal disgusto Avery. La bacchetta di James si risollevò all’istante, ma la voce di Lumacorno echeggiò nel freddo corridoio.
«Ragazzi!? Si può sapere che fine avete fatto!?». Le bacchette di tutti sparirono sotto le vesti e il grosso professore sbucò in fondo al corridoio mentre Remus borbottava frettolosamente qualcosa come ‘La noia fa fare cose che mai ti saresti sognato di fare eh, Felpato? ’.
 «Ma cosa ci fate qui? Lily... non avevi detto che eri stanca e volevi andare a dormire?» chiese l’uomo, perplesso, mentre si avvicinava a loro sempre di più. Lily staccò a fatica gli occhi da Avery e si rivolse a Lumacorno, cercando di calmarsi.
«Sì, professore... stavo andando infatti. Grazie della piacevole serata» disse, sforzandosi di sembrare allegra.
I baffi paglierini da tricheco di Lumacorno si sollevarono insieme ad un sorriso che sparì però appena i suoi occhi acquosi si incontrarono con quelli di Remus e Peter.
«E voi cosa ci fate fuori dal vostro dormitorio?» chiese indagatorio. I due spalancarono gli occhi, restando in silenzio. «Per questa volta andate... farò finta di non avervi visto» ridacchiò. «Potter, Black, perchè invece di entrare siete rimasti fuori? Se avessi saputo che sareste venuti avrei fatto portare due fette di torta in più!»
«Ci siamo fermati a chiacchierare amabilmente con queste personcine adorabili» rispose sarcastico Sirius.
L’espressione di Lumacorno divenne alquanto scettica, ma con un risolino allegro diede una piccola pacca su una spalla di Regulus.
«Immagino, immagino... be', adesso è meglio che andiate nei vostri dormitori. Avevo detto al signor Gazza che l’incontro sarebbe finito due minuti fa! Sono le dieci e nemmeno i Capiscuola dovrebbero gironzolare per il castello. Avete sprecato tempo a cianciare qui fuori! Avanti! Buonanotte!» li incoraggiò, stringendo con la mano libera la spalla del figlio del Ministro come se fosse un tesoro prezioso.
Piton però rimase immobile, incollato al pavimento. Non si mosse nemmeno quando il professore sparì insieme ai Serpeverde per accompagnarli nella loro Sala Comune.
Con occhi rivolti verso Lily e la faccia completamente immobile, cercava di parlare senza però riuscirci davanti alla rigida e fredda espressione sul viso di Lily. Lily non era raggiungibile nemmeno se la cercava con insistenza dentro quei profondi occhi verdi in cui aveva sempre scorto un minimo di calore e tristezza, un bagliore di nostalgia che adesso non c’era più. Lily era irraggiungibile, irraggiungibile e al fianco di Potter. Dopo anni, la sua paura più nera si era avverata nonostante tutti i suoi sforzi.
«Tu» riuscì finalmente a dire con una voce che nemmeno riconosceva come sua e che si affrettò a cambiare all’istante. «Tu non sarai al sicuro con loro. Potter non può proteggerti, fuori da qui lui è nulla.» James scattò ma il braccio di Lily lo fermò, spingendolo verso Sirius.
«Al sicuro con loro?»chiese stranita, assottigliando gli occhi. «Io non cerco la protezione di Potter, Piton. Qualsiasi cosa voglia dire» affermò, dura. Il suo cognome, pronunciato da lei, fu come un forte colpo allo stomaco per Severus. Le nere sopracciglia lievemente corrucciate nel tentativo di nascondere quel dolore bruciante che stava salendo al cuore lo fecero capire a Lily, che conosceva ogni minima sfumatura di quel viso pallido e, per la maggior parte delle volte, imperscrutabile agli altri.
«Non cerco la protezione di nessuno. Sono io che decido per me stessa, nessun’altro.» continuò, più fredda che mai. «E non ti dovrebbe stupire il fatto che io scelga di stare dalla parte di chi non mi vuole morta» terminò secca, prima di incamminarsi velocemente per il corridoio, verso le scale che l’avrebbero portata al piano terra.
Senza fiato Piton prese la direzione opposta, dando velocemente le spalle a James, Sirius, Remus e Peter.
Lui che si era sempre sforzato così tanto per crearsi e tenersi la sua maschera cinica, adesso non riusciva a fermare e controllare i lineamenti del viso che si stavano lentamente accartocciando in un’espressione angosciata.
Quella maschera stava crollando e per nulla al mondo l’avrebbe lasciata scivolare ai piedi di quei quattro... non l’avrebbe fatta scivolare ai piedi di nessuno.
 «I Serpeverde ci avrebbero messo K.O. in un attimo... se è come dice Piton...» annaspò Peter con ancora il viso tremendamente pallido.
«Nemmeno nei loro sogni più audaci, Codaliscia... » lo fermò James, cingendo le spalle di un ombroso e pensieroso Sirius prima di cominciare a camminare per uscire da quel posto che gli dava la nausea. 
«Lily!» la chiamò, quando raggiunsero la ragazza alla base delle strette scale.
Subito si trovò la bacchetta di Lily ad un centimetro dal naso. Quella era la normalità per James e la sensazione di invincibilità che aveva provato pochi minuti prima già gli mancava.
«Chi ti ha detto che puoi chiamarmi per nome?!»
«Avevo capito che oggi si poteva invertire il solito modo di chiamare le persone» rispose tranquillamente lui con un’alzata di spalle.
Lily lo fulminò con lo sguardo. Chiamare per cognome Severus era stata una liberazione, come chiudere una porta e gettare la chiave in un pozzo. Non aveva più niente da ascoltare da Piton.
«Sì, beh... è un privilegio solo mio, Potter»
«Potter? Dovresti chiamarmi James... e le giornate di festa si condividono con il resto della comunità, Lily» «Non costringermi a farlo, Potter»
Le sopracciglia di James si sollevarono, interrogative. «Fare cosa? Baciarmi? Non credi che sarebbe un po' imbarazzante per Sirius?» disse, fintamente preoccupato, indicando con la testa l’amico ancora stretto dal braccio.
«Quindici punti in meno a Grifondoro per essere fuori dalla torre dopo il coprifuoco» si limitò a dire Lily fissando Remus, Sirius e Peter che strabuzzarono gli occhi. Minuti prima aveva deciso di lasciar perdere le regole, ma le labbra di Potter sempre arricciate in un sorrisino provocatorio erano insopportabili. «Remus, mi meraviglio di te». Anche se non c’era tanto da meravigliarsi che Remus fosse lì, visto che appoggiava sempre i suoi amici e le loro idee. Più che altro c’era da meravigliarsi sul perchè la sua intelligenza ed educazione non avevano ancora smesso di farlo.
«Questa è bella, Evans» rise James, ironico ed incredulo.
«Questa è colpa tua» lo corresse lei desiderando soltanto di andarsene da quel posto che le dava più buone sensazioni.
Lo sguardo esasperato di Remus bastava a descrivere la ridicola situazione.
E sempre lo sguardo di Remus metteva in chiaro che Silente era un pazzo. Era appurato.
Perchè soltanto un pazzo avrebbe dato le spille da Caposcuola a due persone così testarde, orgogliose e rivali.
Con due così al comando non si andava da nessuna parte.

 


 
 
 
*
 
 





Quando diceva che accadevano cose strane nei corridoi dopo il coprifuoco, Liv si riferiva proprio alle cose come quella che l’aveva appena bloccata nella Sala d’Ingresso.
Quelle voci le conosceva bene, ma era pressocchè impossibile sentirle lì, a quell’ora della notte, insieme.
La testa rossa di Lily che sbucò dalle scale dei sotterranei seguita da quella nera e ridicola di Potter, sempre incollata a quella di Black, fecero diventare possibile l’impossibile.
Irrigidendosi, Liv restò immobile, trattenendo il fiato.
«Ti rendi conto che per una sciocchezza ci hai tolto quindici punti, Lily?»
Lily portò lo sguardo sulla clessidra abbracciata dalle zampe del leone, poi su quella avvolta dal sinuoso serpente e ci volle mezzo secondo per vederla mordersi le labbra con rimorso: i Serpeverde erano in testa e molto probabilmente grazie a quei quindici punti in meno, dato il livello quasi indentico delle pietre preziose in basso.
«Per colpa tua» rimarcò ancora una volta Lily, decisa ad ignorare di aver sbagliato. «Porti all'esasperazione, Potter.»  sbottò orgogliosamente con un ultimo sguardo fulminante prima di incamminarsi verso le ampie scale in marmo e salire ai piani superiori con non poca paura di essere scoperta da Gazza. Doveva smetterla di andare alle cene di Lumacorno, si disse con stizza.
«Ci vogliamo muovere!?» spezzò il silenzio Remus. «Non ho assolutamente voglia di vedere la McGranitt in vestaglia»
«Sì, Lunastorta. Riprendi mappa e mantello e torniamo davanti all’ufficio di Gazza» scherzò James, scrollando leggermente Sirius che rise lasciando scivolare via quell’ombra di malumore dagli occhi.
La faccia allibita di Remus riuscì a vederla anche Liv, attenta ad osservare e ascoltare tutto.

«Stavo scherzando, Prefetto Lupin»
«Se non stavi scherzando, ‘Caposcuola’ Potter, sarei salito in dormitorio da solo» bofonchiò lui, armeggiando con mantello e pergamena «Prima l’ufficio di Gazza- roba da pazzi- poi i sotterranei- un posto più ‘attira guai’ di quello non esiste- Lumacorno che per chissà quale alieno motivo non ci ha spediti da Silente o dalla McGranitt... E a proposito: gli occhi infuocati della professoressa a voi vi fulminano, a me fanno un buco in testa! Voi non avete idea, non sapete cosa vuol dire cercare di tenere in piedi questa "buona reputazione" da salvaguardare e... Giuro solennemente di non avere buone intenzioni...».
Remus picchiettò con serietà la mappa rendendosi conto che l’ultima frase aveva reso vane le precedenti.
James, Sirius e Peter infatti sembravano divertirsi un mondo, ridendo senza ritegno.
«Piantatela» scattò Remus infastidito per poi irrigidirsi con gli occhi incollati sulla pergamena.
«Che hai? La McGranitt ti ha bucato la testa a distanza, Remus?» lo canzonò Sirius, guardandolo.
Remus boccheggiò, osservando alle sue spalle di sottecchi. ‘Liv’ mimò con occhi sbarrati.
«Come?» chiese stranito James, afferrando il mantello per coprire tutti e quattro ma Remus strinse più forte le dita sulla stoffa leggerissima.
Il sopracciglio di James si sollevò perplesso.
«Remus, si può sapere... che cosa... ti prende?!» sbottò, tirando il tessuto per strapparlo dalla forte presa dell’amico.
Q
uando Remus mise la mappa davanti agli occhi di tutti, gli occhi di tutti si spalancarono: il puntino di Liv era poco distante da loro.
Sirius, piuttosto divertito dalla situazione e da lei, si schiarì la gola sollevando ed assottigliando gli occhi senza farsi notare troppo verso la zona in cui ci sarebbe dovuta essere Liv.
L’unica cosa che vide fu lo scintillìo degli smeraldi nella clessidra circondata dal serpente e non riuscì a fermare un piccolo sorriso ammirato per quella ragazza assurda.
‘Stavo per trasformarmi’ mimò angosciato Peter, i lunghi baffi sotto al naso a confermare le sue parole.
‘Fatti sparire quei cosi, Codaliscia!’
‘Non ci riesco! Sono in ansia! Lo sai che quando sono in ansia non so farlo, James!’
‘Sforzati o te li strappo!’
‘Non possiamo prendere le scorciatoie con lei che ci segue e non possiamo usare il mantello. Questa è la peggiore situazione di sempre! Io giuro che non mi lascerò convincere da voi mai più!’
‘Io non ho voglia di farmi sette piani di scale, Remus! Sette rampe che poi alla fine si rivelano trenta visto che a quelle piace fare le stronze’
‘Non è il momento nè di fare il pigro nè lo spiritoso, Sirius! Ti rendi conto!?’
‘Non sarebbe nemmeno il momento di restare qui in cerchio a comunicare senza voce, Lunastorta! Andiamo... e NIENTE scorciatoie’.
Come se nulla fosse, James cominciò a camminare tranquillamente verso la grande scalinata e Liv li seguì, accigliata.
Non erano invisibili, quindi la cosa che le andava dietro da anni non potevano essere loro, ma erano parecchio strani e ambigui. Dopo sei anni lì, ancora non avevano imparato ad orientarsi?
Avevano bisogno di una mappa per spostarsi? Sul serio?!
Quando i quattro si bloccarono di nuovo, a metà della rampa di scale che conduceva al secondo piano, si chiese se a Peter gli fosse venuto un improvviso ed urgente bisogno di andare in bagno.
Il ragazzo grassottello stava saltellando sul posto, torturandosi le mani e guardandosi attorno con occhi terrorizzati. Era letteralmente nel panico e anche gli altri tre non sembravano proprio tranquilli.
A giudicare dalla faccia di Remus stava per accadere qualcosa di davvero tremendo.
‘E adesso!?’
‘E adesso ti dai una calmata, Peter!’
‘Ok, ragioniamo’
‘Ragioniamo un corno, Remus! C’è poco da ragionare qui!’
‘Sirius, non ti ci mettere pure tu!’
‘L’unica cosa da fare è intrufolarci nella scorciatoia lì a sinistra. Punto. Non c’è altro da pensare! McAdams non è un Prefetto e sono sicuro che si farà solo una bella risata vedendo il passaggio! Dopotutto è solo uno! Non le stiamo facendo vedere l’intera rete di tunnel e scale!’
‘E Evans, Sirius!?’
‘Evans si arrangia, Ramoso! Con tutto l’unto che ci avrà lasciato Mocciosus in quel gradino, il suo piedino scivolerà via che una meraviglia!’
‘Sirius!’
‘Quel gradino l’ho incantato io! Se adesso è incastrata lì è colpa mia! Dannazione!... Remus, levati quello sguardo dagli occhi!’
‘Io l’avevo detto che bisognava aggiustarlo...’
‘E questo che contributo dà alla situazione di cacca in cui siamo ora, Remus!?’
‘Nessuno, Felpato. Ma ci spiega che le cattive azioni si ritorcono sempre contro chi le ha fat...’
‘Gazza è quasi al quinto piano ragazzi... qualche minuto e sarà davanti alla Evans... e poi scenderà da noi’
‘Peter, fermo... sto pensando’
‘Ma...’.
Liv si stava decisamente scocciando.
Possibile non sapessero che c’era un bagno per piano? Quella mappa doveva essere davvero scadente esattamente come il loro cervello.
E perchè non parlavano? La cosa invisibile gli aveva tolto la voce?
Almeno per una volta non aveva preso di mira lei.
 ‘Io non lascio Evans intrappolata lì, con Gazza che sta per scender... Oh, merda! NASCONDETEVI DI LÁ, VOI! TORNO A PRENDERVI DOPO’.
Mimò per ultimo James prima di strappare di mano il Mantello dalle mani di Remus e correre via.
«’Nascondetevi di là, voi’!? Sul serio, James?!». Il sussurro di Sirius più che arrabbiato era sconvolto ed incredulo.
Remus, scandalizzato come se gli avessero sfilato via l’asciugamano per sorprenderlo nudo fuori dalla doccia, era più simile alla statua che aveva affianco piuttosto che ad un essere umano. 
Mormorando un ‘Alleluja’, Liv seguì con lo sguardo James che scattava su per le scale.
Lo seguì anche con le gambe, andando quasi a sbattere su Peter (che si era lanciato improvvisamente dietro un’armatura) e schivando per un pelo Sirius e Remus (che quasi si scannarono a vicenda per accaparrarsi il posto dietro ad una statua).
Sempre più incuriosita da quegli strani comportamenti degni del più interessante documentario sugli animali che suo padre la costringeva a guardare, raggiunse il terzo piano dove James si stava lanciando con addosso un mantello argentato sopra una Lily sconvolta ed immobile sulle scale.
Liv dovette sbattere più volte le ciglia per accertarsi di aver visto bene quando l’amica e Potter sparirono insieme al tessuto. E appena scomparvero, Gazza sbucò in cima alla rampa.
«Dimmi che non l’ha fatto davvero, Remus» il soffio bassissimo di Sirius era più agghiacciato che mai. Tutto quel caos per non far scoprire a Liv il passaggio segreto e poi? Dispiegava il Mantello dell’Invisibilità così, come se fosse una tovaglia da picnic qualsiasi?!
Remus d’altro canto non rispose, impegnato com’era a non respirare, non battere le palpebre, non inghiottire la saliva e a maledire mentalmente James e l’intero mondo magico, vergognandosi anche di se stesso per le parolacce che gli stavano passando per la testa e che nemmeno sapeva di conoscere.
«Chi c’è qui!?» sbottò Gazza con sguardo indagatore. Liv rimase immobile 
al centro del corridoio, rigida come un manico di scopa proprio come i camaleonti dei documentari le avevano insegnato, circondata da persone ridicolmente nascoste.
Lily, che non credeva ai propri occhi, alle proprie orecchie e alla situazione in sè, aveva come unico impulso quello di affondare i denti nella mano di James che le stava stringendo un fianco per tenerla stretta a sè.
Se avesse avuto le unghie lunghe le avrebbe sicuramente conficcate nella gamba o nel braccio di quel pazzo che la teneva immobile, spalmata su quei gradini.
Il suo corpo si stava ribellando a quel contatto fisico davvero troppo ravvicinato con quell’essere che di solito faticava anche solo a guardare ma la mente sapeva benissimo che doveva stare ferma e zitta se non voleva ritrovarsi davanti alla McGranitt.
Per questo cercò con sguardo furioso gli occhi di James per fargli capire che poteva benissimo liberarla da quella presa eccessivamente possessiva, ma tutto quello che Lily poteva vedere erano i suoi capelli assurdi che le si stavano infilando anche su per il naso.
Una cosa inconcepibile.
«Tesorino mio, vieni qui!» chiamò indagatore Gazza senza fermare gli occhi avidi di trovare esseri umani da punire.
Lily sentì James irrigidirsi sopra di lei e trattenere il respiro che fino a quel momento le aveva fatto svolazzare qualche capello rosso e solleticato fastidiosamente il collo.
Meglio se Potter smetteva di respirare: l’aria cominciava a mancare sotto quel... Mantello dell’Invisibilità? Lily non riusciva nemmeno a credere che Potter ne avesse uno (anche se spiegava molte cose).
Da Caposcuola qual era gliel’avrebbe dovuto confiscare, anche se non poteva confiscare niente al suo ‘collega’. 
La rabbia crebbe anche per quello. La rabbia e l’odio per Potter, per Potter perchè nessun gradino era mai sprofondato in sei anni di scuola e guarda caso proprio quando un gradino decideva di avvinghiarsi alla sua gamba spuntava Potter, dal nulla; Potter con la bacchetta in tasca e la stupida abitudine di fare danni, scherzi, idiozie che a quanto pareva non era sparita affatto; 
Potter che, adesso le spalle e le gambe di Lily lo sapevano, era pesante e forte anche se cercava di essere il più delicato possibile.
Era in un incubo.
Placcata da Potter su una rampa di scale che le aveva inghiottito una gamba, per colpa di Potter
La presenza di Gazza era irrilevante, quella appiccicosa di Potter bastava da sola a rendere terrificante il tutto.
«Tesoro!» richiamò ancora Gazza, più astioso che mai.
Liv non poteva permettere che quella gatta schifosa si avvicinasse: gli occhi maligni di quel felino sembravano capaci di scorgere l’Incantesimo di Disillusione, più volte in passato l’avevano trafitta in pieno sentendo sicuramente il uso odore, si disse, cercando di pensare ad una soluzione nel minor tempo possibile per salvare tutti.
Prima di sentire quelle zampette malefiche, con un minimo movimento della bacchetta fece cadere un quadro alle spalle di Gazza che si voltò di scatto, risalendo le scale.
«Maledetti! Vi troverò! Oh, eccome se lo farò! Tanto siete voi quattro! Ci scommetto tutto! Mrs. Purr, di qua!» sbraitò con la voce rauca per il fiatone.
 «MA CHE MALEDUCAZIONE É MAI QUESTA!?». Il menestrello medievale nella cornice non prese tanto bene la caduta.
 Il silenzio ritornò quando i passi affrettati di Gazza sparirono oltre un arazzo, e fu spezzato dopo pochi secondi dal cigolio di un’armatura e dalla voce scocciata di Lily, ancora sotto al mantello con James.
«Potter? Credo sia ora di mettere fine a questa tortura. I tuoi ridicoli capelli sembrano i tentacoli del Tranello del Diavolo»
«Ti ho salvato, Evans... un sincero ‘Grazie’ sarebbe il minimo»
«S-t-a-c-c-a-t-i»
«Niente, ‘Grazie’? Va bene»
«Dovrei ringraziarti per avermi fatto sprofondare in un gradino? Facciamo che siamo pari, Potter, eh? Io ti ho salvato nei sotterranei e tu qui da Gazza. Questione risolta»
«Tu mi hai salvato?»
«Sbaglio o prima eravate in minoranza senza di me?»
Con un fruscio leggerissimo la setosa stoffa li scoprì entrambi. Lo sguardo di Remus diceva molto più di quello che le parole avrebbero potuto trasmettere.
«Perchè l’hai fatto?» esordì Sirius dando voce al vortice di parole bloccate nelle labbra serrate di Remus.
 James sorrise sollevandosi da terra, allungando una mano per afferrare il braccio di Lily e liberarla dalla morsa del gradino che le stringeva il piede.
«Perchè l’hai fatto?» continuò Sirius con espressione indecifrabile sotto lo sguardo furente di Lily intenta a spolverarsi velocemente la gonna e i rossi capelli disordinati almeno quanto quelli di James.
«Il Mantello, James. Il Mantello invisibile adesso non è più invisibile» continuò Sirius con innaturale calma, indicando prima la stoffa tra le dita di Remus e poi Lily.
«Non ti preoccupare, Black» disse freddamente Lily. «Il tuo amichetto è, solo Silente e Merlino sanno perchè, ‘Caposcuola’. Non posso sequestrarvelo. Non posso fare più niente di quello che vorrei visto che questo idiota può benissimo eliminare ogni mia azione».
L’espressione compiaciuta di James faceva intendere quanto fosse consapevole di tutto ciò.
 «Esatto, collega. Siamo equamente ‘potenti’» affermò «E se parlerai a qualcuno del mantello...»
«I quindici punti in meno adesso non mi fanno sentire più in colpa, Potter» lo fermò Lily, austera, prima di dargli le spalle e correre su per le scale. L’odio per Potter era più forte del pensiero che i Serpeverde andavano in testa alla classifica.
«Non vuoi un passaggio?» rise James sparendo sotto al mantello insieme ad Sirius e Remus.
«Non mi infilerei di nuovo con te lì sotto, Potter, nemmeno se... ok, forse sì» si corresse subito Lily appena vide il cappello da giullare di Pix che sbucava da una nicchia in fondo al corridoio.
 Si intrufolò sotto alla stoffa, attaccandosi al braccio di Remus (l’unica persona normale lì) e tenendosi a dovuta distanza da James che aveva davanti.
«Così non possiamo avanzar...»
«Sta zitto, Potter, c’è Pix».
Il Poltergeist svolazzò facendo qualche capriola prima di scendere in picchiata giù per le scale, ululando e sfiorando Remus per un pelo fino a scomparire ai piani di sotto.
 Le basse risate di James e Sirius per le facce pallide dei due che avevano dietro furono bloccate dalla voce oltraggiata del menestrello dipinto nel quadro ancora a terra.
«Messeri, vi sarei grato se mi riponeste al mio posto»
«Gentile signore» cominciò Sirius sfoggiando ironicamente il suo miglior tono aristocratico che i suoi 'adorati' genitori gli avevano insegnato, invano. «Credo che la persona che vi ha arrecato danno abbia la responsabilità di esaudire la vostra educata richiesta».
Liv strabuzzò gli occhi, rimanendo immobile. L’aveva vista!? Black l’aveva vista?
«Muoviamoci»
«Finchè sarai sotto questo mantello, Evans, comando io».
Le mani di Lily si strinsero convulsamente sul braccio di Remus, che trattenne a fatica un mugolio di dolore. 
L’ultima volta. Quella era l’ultima volta che Remus avrebbe scelto di fare ‘la guardia’ per non sorbirsi una serata di soli ‘noia’ di Sirius. Meglio diventare scemo con quella cantilena noiosa che prima o poi l’amico avrebbe fermato per dormire piuttosto che perdere dieci anni di vita scampando per miracolo al pericolo nei corridoi.
Vide Codaliscia trasformato in topo affacciarsi da una colonna e con un piccolo sorriso annuì.
«Evans, non serve attaccarsi a Remus e lasciare uno spazio vasto quanto un campo da Quidditch tra te e la persona che hai davanti. Vuoi per caso farci scoprire?»
«Non mi avvicinerò a Potter se è questo che intendi, Black. E non rivolgermi la parola»
«Sei ancora sotto questo ‘tetto’, Evans»
«TACI, POTTER».
Con un altro gesto della bacchetta Liv rimise a posto il quadro e il menestrello le fece un inchino riconoscente.
Si guardò attorno e seguì i mormorii di quei quattro visto che erano totalmente invisibili (a parte qualche scarpa che spuntava ogni tanto).
Tutto quello che aveva in testa era che la cosa invisibile che eliminava gli incantesimi che lei lanciava a Pix erano loro.  La cosa invisibile che le lanciava i muffin nelle cucine erano loro. 
La cosa invisibile che la spingeva sulla scala per farle perdere l’attimo quando quella cambiava direzione erano loro.
Poteva andare avanti all’infinito con quella lista di cose ma la conclusione sarebbe stata sempre e solo quella: erano loro.
Non c’era limite all’odio che provava per quei quattro. E anche per quel topolino che le aveva appena tagliato la strada, zampettando febbrilmente.






Note:

Rileggendo il Calice di Fuoco mi sono accorta il Marchio sulla pelle era segreto, famoso soltanto tra i Mangiamorte. Perché Caramell alla fine del quarto libro si mostra sorpreso mentre Piton glielo mostra e gli spiega cos’è e come funziona. Harry lo sa già perché l’ha visto sul braccio di Codaliscia al cimitero e non si scompone, così presumo faccia Silente (dato che Piton, durante l’anno, gli ha detto che il marchio si stava riattivando).
Ho dedotto quindi che gli unici a sapere del Marchio fossero i Mangiamorte (e Silente, ovviamente, durante il quarto anno). Sirius, sempre nel quarto libro a pagina 453, risponde al fatto che Harry ha visto Karkaroff far vedere una cosa sul braccio a Piton, senza vedere cos’era.

“Ha fatto vedere a Piton qualcosa che aveva sul braccio?” chiese Sirius decisamente perplesso. Si passò distrattamente le dita tra i capelli sporchi, poi alzò di nuovo le spalle. “Be’, non ho idea di cosa sia… ma se Karkaroff è davvero preoccupato e vuole sapere qualcosa da Piton…” Sirius fissò la parete della caverna, poi fece un sorriso amareggiato. “C’è ancora il fatto che silente si fida di Piton e io so che Silente si fida là dove altre persone non lo farebbero, ma non ce lo vedo a permettere che Piton faccia l’insegnante a Hogwarts se avesse mai lavorato per Voldemort”.

O Sirius non sa davvero cos’hanno i Mangiamorte sul braccio, oppure non vuole dirlo. Ma se tutti sapessero del Marchio sarebbe facile scoprire chi sono i Mangiamorte. Durante le udienze al Wizengamot che Harry vede nel Pensatoio però nessuno accenna al Marchio Nero per smascherarli, nemmeno Moody. Controllando il braccio di Lucius Malfoy e Avery, sapendo del Marchio, avrebbero potuto vedere che erano Mangiamorte e invece di liberarli sarebbero finiti dritti ad Azkaban già dalla Prima Guerra Magica. Se Silente l’avesse saputo, avrebbe informato sicuramente Moody, membro dell’Ordine e Auror al Ministero, all’epoca. Piton era stato accusato dal Wizengamot, ma scagionato grazie a Silente, intervenuto per dire che Piton era passato dalla loro parte prima della caduta di Voldemort, quindi non aveva nessun motivo per nascondere il Marchio dato che ha praticamente ammesso che Piton era stato un Mangiamorte.
Ditemi la vostra opinione perché io mi sto scervellando per questa cosa! Aiuto!


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. Pazienza al Limite ***





Capitolo 7
 
 
PAZIENZA AL LIMITE

 

 

 

 

 


«Geranio Zannuto»
«Vi odio»
«Io non ti odio, Remus»
«Sta' zitto, Sirius. Non ne posso più»
 «Geranio Zannuto!»
 «Sta sempre spettegolando con quella sua amica Violet, anche fino all’alba, e oggi si mette a russare?»
 «GERANIO ZANNUTO, la prego!»
«Cosa... chi? Evans, cosa ci fai...?»
«Ci lasci entrare, per Merlino!»
«Questa è l’ultima volta che vi permetto di svegliarmi a quest’ora! Mi avete sentito?»
 I quattro, più il topo e una Liv Disillusa, attraversarono il buco del ritratto mentre la Signora Grassa esprimeva il suo disappunto sul suo sporco lavoro da guardiana della Sala Comune di ragazzini “scavezzacollo e maleducati”.
La Sala Comune era vuota, il fuoco nel grande camino scoppiettava ancora ma le candele erano spente.
Lily  mollò il braccio ormai intorpidito di Remus e scostò con mani frettolose il mantello da sopra la sua testa; per tutto il tragitto verso la torre era rimasta così rigida che adesso le facevano male tutti i muscoli.
Prima di marciare spedita verso il dormitorio femminile fulminò James e il suo sorriso a trentadue denti.
«Sogni d’oro, Lily!» la salutò James seguendola con lo sguardo. «Riferisci a McAdams che ai prossimi allenamenti i boccini che dovrà acchiappare contemporaneamente saranno cinque e non più dieci. Dille che è per ringraziamento!» continuò, spostando lo sguardo sull’arazzo rosso scuro dove  Liv, immobile e sorpresa, si era mimetizzata.
«Ringraziamento per cosa?» sbottò Lily, voltandosi verso di lui con già una mano sulla maniglia della porta del dormitorio.
«Lei lo sa. Buonanotte, Lily» celiò serafico James in un sorrisetto angelico.
Il sopracciglio rossiccio di Lily si sollevò un attimo, scettico per quell'aura di mistero, prima di abbassarsi di nuovo dando forma ad un’occhiata furiosa.
«Smettila di chiamarmi per nome, Potter». Il tonfo della porta fece quasi sussultare Liv che rimase però pietrificata dal sorriso sghembo di Sirius, diretto proprio verso la sua direzione.
Osservò James, Sirius e Remus salire la scala a chiocciola dei ragazzi e quando sparirono di sopra si affrettò a raggiungere Lily.
«Oh, Liv! Ma quanto c’eri?» esclamò Mary dal letto. «Non hai mai... » Si bloccò subito perché quella che c’era sulla porta non era Liv, a meno che Liv non si fosse abbassata di diversi centimetri, tinta i capelli e schiarita gli occhi, gli occhi verdi che la stavano fissando indagatori.
«Liv non è qui?» chiese Lily, indagatrice.
«No, è andata nelle Cucine ma non è ancora tornata» rispose Mary poco prima di sussultare per l'improvvisa comparsa dell'amica tra i baldacchini. Lily fece un salto e tre passi indietro, scioccata.

«Un Mantello dell’Invisibilità!» esordì Liv, rabbiosa «Potter ha un Mantello dell’Invisibilità! Per colpa di quel mantello ho più volte rischiato di morire sfracellata al piano terra!»

Gli occhi castani di Mary si spalancarono mentre il volto di Lily parve accartocciarsi.

«Sei tu che hai fatto cadere quel quadro, vero?!» le domandò assottigliando lo sguardo verde. «Ecco cosa voleva dire Potter con “Dille che è per ringraziamento”. C'eri tu, disillusa»
«Ho sentito l’avviso dei cinque boccini per l’allenamento, a proposito» confermò Liv incrociando le braccia al petto con stizza.
«Perchè Potter ti ha visto e io no sbottò Lily sempre più confusa e curiosa.

Lo sguardo di Liv si fece più duro. «Me lo chiedo anch’io» ringhiò pensando a quei quattro e al fatto che non perdevano mai. Qualsiasi cosa facessero, anche se venivano messi in punizione, avevano sempre un motivo per essere soddisfatti.

«Come l’avete scoperto?» chiese Mary, allibita.

«Quel cretino mi ha bloccato nella scala al terzo piano e se non fosse per quel mantello adesso sarei dalla McGranitt o addirittura dal Preside» sibilò Lily raggiungendo il suo baule a passi decisi. «Ha un vero Mantello dell'Invisibilità che ha coperto, a lui e ai suoi amici, il culo ogni volta che sono usciti dal dormitorio dopo il coprifuoco, sotto al mio naso».

Mary sbuffò, facendo svolazzare un attimo la sua frangia bionda.
«Quando succedono cose interessanti io manco sempre» si lamentò indignata, afferranod al volo un muffin lanciato da Liv con le tasche piene di biscotti; lo morse come consolazione osservando Lily scaraventare una montagna di indumenti sul letto. Liv sciolse l’intreccio delle braccia al petto guardandola acciuffare una camicia. La camicia lanciava un chiaro messaggio: pensiero troppo grosso e troppo ingarbugliato. Lily non era brava con le camicie e forse era per questo che cercava di sistemarle per prime ogni volta che uno di quei problemi le spuntava in testa.
«Piton vuole ufficialmente diventare un Mangiamorte, l'ho beccato con Lucius Malfoy» annunciò freddamente piegando la stoffa a righe come se ne andasse della sua stessa vita.
Mary tossì con ancora il soffice dolce tra i denti e la Teoria della Camicia di Liv fu confermata per l’ennesima volta. Senza pensare, le andò vicino staccandole le mani dalla stoffa, abbracciandola forte.
«Sto bene» le rassicurò Lily aggrappandosi a lei come ad un salvagente. «Ha preso la sua decisione definitiva, no? Adesso sarà più facile mandarlo definitivamente al diavolo, ci sta praticamente andando da solo con le sue stesse gambe». Dimenticare il suo fidato amico d’infanzia, quello che le era sempre rimasto vicino e che adesso, per la prima volta, si ritrovava dall’altra parte della sua bacchetta, dalla parte in cui era stato sempre Potter. O forse no?
No, decisamente no. Potter era stato dall’altra parte della sua bacchetta, ma non in quella in cui Severus stava adesso. E Potter non ci sarebbe mai stato, , perchè la parte in cui stava Severus era quella di una guerra vera e propria fatta di Magia Oscura e morte che brillavano inspiegabilmente soltanto in quegli occhi neri.
 Un gufo spezzò il silenzio calato nella stanza, picchiettando con il becco sul vetro della finestra. Mary andò ad aprirgli e quando lo fece entrare, l’animale svolazzò sopra i letti lasciando cadere una lettera umida di pioggia.
«Tuo padre, Liv, ti ha scritto» informò alle altre, leggendo il mittente sulla pergamena.
Lily si staccò da Liv, rimasta perplessa; sorrise emozionata quando notò la piccola curva sulle labbra dell'amica che cercava di aprire la busta bagnata il più in fretta possibile.
Il gufo lasciò cadere anche un biglietto più piccolo sopra la camicia che Lily aveva lasciato tra la marea di roba.
 
 

 

Grazie, Lily.
 

Un caro saluto,

Edgar

 
 
 


 

 

*

 
 
 
 
 


«Peter, potresti velocizzare un attimo, per favore? Voglio mettere fine a questa giornata da dimenticare andando a dormire al più presto» lo pregò Remus, bussando educatamente alla porta chiusa del bagno con una mano e stringendo furiosamente il pigiama e lo spazzolino con l’altra.
Ancora non riusciva a credere di essere sano e salvo in dormitorio.
«Lunastorta, vedrai quanto ti mancheranno queste avventure una volta fuori da qui» fece James, appallottolando il maglione appena sfilato per gettarlo sul tappeto ed indossare il pigiama.
Remus non rispose nemmeno. Certo che gli sarebbero mancate ma solo se fosse arrivato intero e vivo alla fine dell’anno. Cancellò subito le ultime due parole perchè la parola ‘M.A.G.O.’ gli era apparsa in mente a caratteri enormi e minacciosi e si fiondò in bagno appena Peter aprì la porta. 
E quando furono sotto le coperte dei baldacchini, dieci minuti dopo, il sorriso sui volti di tutti e quattro valse più di mille parole.
Era stato un attimo, un secondo infinitesimale ma James l’aveva colto in pieno, come sempre.
In quel brevissimo istante in cui Remus dopo aver lanciato uno sguardo intriso di sentite scuse al suo libro di Trasfigurazione sul comodino aveva soffiato sulla fiamma della candela che si era spenta, James aveva colto lo sguardo di Sirius rivolto verso di lui dal letto accanto.
Una chiara e muta richiesta molto familiare, lanciata da quegli occhi che riusciva a leggere come se fosse un impeccabile Legilimante.
Dopo aver aspettato il ronfare di Peter e il cessare del fruscio delle lenzuola di Remus -che prima di addormentarsi si rigirava in continuazione per trovare la posizione giusta- James agì.
Facendo il meno rumore possibile, scivolò giù dal letto e con passi attenti nel buio raggiunse la porta.
Come si aspettava, appena la aprì, la calda luce dorata del corridoio illuminò la figura di Sirius al suo fianco.
Uscirono in silenzio dalla stanza, richiudendo piano la porta.
Sprofondati sul morbido divano davanti al camino acceso, rimasero in silenzio a fissare le fiamme arancioni che danzavano allegre. 
A volte bastava solo quello. Sentire l’immancabile spalla dell’altro affianco alla propria, avere quella presenza sicura e nient’altro.
Altre volte le labbra si schiudevano per far uscire torrenti di parole e frasi dette a metà che si completavano senza problemi nelle menti di entrambi.
James attese senza fretta, controllando ogni tanto con la coda dell’occhio Sirius alla sua destra.
Gli occhi dell’amico erano persi sul fuoco e dal riflesso nitido e luccicante che tremava in quei due pozzi, adesso taglienti e profondi, capì che avvicinare ulteriormente la spalla alla sua era l’unica cosa da fare anche se avrebbe voluto fare almeno altre tre cose.
Abbracciarlo così forte da fargli schizzare via tutto il dolore e la preoccupazione che si erano insinuate in lui, aprire la testa di Regulus e cambiargli il cervello, spedire Walburga e Orion Black a salutare i Dissennatori, senza bacchetta (l’ultima ormai era una costante fissa, da anni).
Peccato che tutte quelle cose erano più o meno impossibili.
Forse poteva ritentare con la numero uno, però la costola rotta l’estate di un anno prima, quando Sirius si era presentato davanti alla porta di casa sua con una faccia maledettamente smarrita, faceva ancora male al solo pensiero.
Sirius gli aveva incrinato una costola con un involontario scatto del gomito dovuto alla sorpresa di quel suo gesto affettuoso ma il dolore alla costola aveva comunque fatto meno male di quello che la vista del suo migliore amico ridotto in quello stato, appena fuggito da casa, gli aveva dato.
Anche adesso, se ci ripensava, la costola era una cosa insignificante rispetto all’espressione cupa di Sirius.
Si sarebbe volentieri preso un altro colpo sul fianco solo per fargli sentire quel calore che Sirius non era mai stato abituato a percepire attorno a sè ma che desiderava nel profondo di quegli occhi sempre alla ricerca di attenzioni anche senza saperlo. 
Si sarebbe fatto incrinare una costola solo per fargli sentire che lui c’era anche adesso come c’era stato un tempo e come ci sarebbe stato sempre, con tutto se stesso e non solo con una spalla.
Staccò la schiena dal divano per circondarlo con le braccia ma la cuscinata che gli nascose la faccia, facendogli cadere gli occhiali, fu la risposta di Sirius a quell’allontanamento delle spalle.
In un attimo, Sirius lo tenne stretto a sè in una morsa da lotta che di ‘lotta’, James lo sapeva, aveva ben poco.
Sirius non aveva ancora capito che non c’era bisogno di usare un combattimento selvaggio come scusa per poterlo abbracciare.
Ma era già tanto quel gesto da parte sua.
James si lasciò stringere, mezzo cieco e con le frange del cuscino infilate schifosamente in bocca, dando tutto il tempo a Sirius di sfogarsi come meglio credeva.
 
 
 
 

 

***

 
 




«É lunedì,  James. Siamo tutti di cattivo umore, abbiamo un’intera giornata di lezioni da affrontare e te lo sto chiedendo per favore»
«Certo, Remus! Come se fosse colpa mia se non si trovano quei tuoi maledetti appunti!».
Remus sollevò lo sguardo al soffitto, cercando di ignorare la gamba che ciondolava da sopra il baldacchino da cinque minuti, più precisamente da quando il proprietario dell’arto in questione aveva pronunciato la frase: ‘Potresti averli lanciati là sopra nel sonno. Il tuo cervello si sta ribellando, Lunastorta. Ascoltalo e dagli una tregua’.
 «Credo di aver trovato di tutto tranne che i tuoi appunti, Remus...» bofonchiò James con voce disgustata.
Remus sospirò, stringendo con forza le braccia al petto.
Era naturale. Lui o quel deficiente di Sirius li avevano nascosti chissà dove per ‘dare riposo al suo cervello’.
«Scendi da lì e tira fuori quelle pergamene. Subito» fece, pacato.
Il tempo stava scorrendo, la lezione di Erbologia sarebbe iniziata tra dieci minuti e solo per scendere le sette rampe di scale e arrivare al portone ce ne avrebbero messo cinque.
Non sapeva nemmeno lui come gli era uscito quel tono pacato. Forse perchè era stremato, stremato già alle otto del mattino.
«Credo... credo ci siano capelli di un Silente diciassettenne qua, in mezzo a quelli di Nick-Quasi-Senza-Testa ai suoi tempi da pomposo studente in carne ed ossa. Non riuscirò più a dormire adesso».
 Peter, appena uscito dal bagno con lo spazzolino in bocca, fece marcia indietro con espressione di puro disgusto.
«James» lo richiamò con tono piatto Remus.
Rivoleva solo i suoi appunti, i suoi appunti e basta. Non era pretendere troppo, no?
L’affanno di Sirius in corridoio distrasse tutti.
«Niente, non ci sono nemmeno giù in Sala Comune. Chissà dove li hai lasciati, Remus» riuscì a dire una volta entrato in stanza con la faccia accartocciata dalla stanchezza ed appesantita da una macchia violacea sotto un occhio.
Il fatto che fosse coperto solo da dei boxer non sconvolse nè Remus nè James ma qualcuno di sotto, però, doveva essere stato impressionato visto lo zigomo pestato.
«Ti fai prendere a pugni -scendendo nudo in mezzo agli altri per cercare una cosa che sai benissimo dov’è- pur di non darmi gli appunti, Felpato?» chiese Remus sarcasticamente impressionato.
«Prendere a pugni? Che esagerazione, Remus, Olivia voleva tirami un pugno ma non c’è riuscita. Schivandola sono andato a sbattere sullo spigolo del camino ma il camino può farmi un livido, lei no» rispose lui trattenendo un mugolìo di dolore e riabbassando subito il sorriso che gli aveva stirato il piccolo livido.
James a quelle parole saltò giù dal baldacchino, portando con sè un nuvolone di polvere che fece tornare Peter dentro al bagno una seconda volta.
«Fai schifo, James! Li raccogli tu i capelli di Silente adesso!» protestò, a dir poco disgustato.
Ma James non l’ascoltò. Sistemandosi gli occhiali sporchi e passandosi una mano tra i capelli che rilasciarono altre nuvole di polvere, si avvicinò a Sirius con sguardo allarmato.
«Ti voleva dare un pugno!?»
«Una sciocchezza, sarebbe stato un pugno debole come quello di quel nanetto del primo anno quando...»
«Con quale mano ha tentato di darti un pugno!?» continuò James, già pronto a scattare.
E Sirius capì che l’amico non si stava affatto preoccupando per il suo bel viso ma per la mano di quella là, ‘La mano della Squadra’.
«Destra» rispose arreso, facendosi da parte per lasciar passare James che corse subito verso la scala sotto lo sguardo rassegnato di Remus.
 «HAI AVUTO L’INTENZIONE DI DARE UN PUGNO!? UN PUGNO!?» L’urlo del Capitano pietrificò la Sala Comune, a parte il gruppetto di ragazze con le guance rosse che ridacchiavano incontrollabili. Di sicuro avevano ancora l’immagine di Sirius mezzo nudo negli occhi.
Liv, seduta comodamente su una poltrona, si voltò verso di lui con aria tranquilla.
«Sì, Potter, un pugno. E l’intenzione c’è ancora. Tu e il tuo compare avete la stessa faccia tosta tanto, sia letteralmente che nell’altro senso. E ci ha già pensato la tua collega a togliermi punti, non preoccuparti» disse semplicemente, indicando Jane che si dirigeva verso il buco del ritratto con aria soddisfatta.
«Sei impazzita!? Vorrei sapere che cos’hai in testa!» le urlò James arrivandole quasi addosso.
«Io invece vorrei sapere con quale metro di giudizio date e togliete punti a vostro piacimento. Black era praticamente nudo qui e i punti sono stati tolti a me anche se alla fine non ho fatto nulla. Ti sembra giusto?» replicò lei cominciando a scaldarsi.
James era allibito ma non di certo dal comportamento ingiusto di Jane. Non l’aveva nemmeno ascoltata, preso com’era ad osservarle la mano.
«Hai quasi dato un pugno» ripetè, afferrando la mano destra di Liv come a volerla proteggere dalla sua vera ‘padrona’ «Cosa ti ho detto il primo giorno di allenamenti!? La tua mano destra è la mano della squadra! Non devi mai usarla in faccende altamente o ipoteticamente pericolose! Tra queste faccende, dare un pugno è al primo posto nella scala dei divieti
«Ma non farmi ridere! La mano è Mia e la uso come mi pare e piace! Mollala! Ma chi ti credi di essere!?»
«Sono il tuo Capitano. »
«Sei un matto da legare!»
 «Hei!» gridò severamente Lily scendendo le scale del dormitorio femminile con una Mary assonnata alle spalle.
«Oh, bene, Lily! Chiama la McGranitt! Potter ha bisogno di essere trasportato urgentemente al San Mungo!» sbottò Liv, riuscendo a liberare la sua mano per tirare i capelli di James già disastrati e polverosi.
James imprecò di dolore e furia per quel gesto. «Ho appena deciso che i boccini in allenamento saranno di nuovo dieci, McAdams!»
«LA VOLETE SMETTERE!?» li rimbeccò Lily, incredula di star assistendo ad una vera e propria lotta fisica.
«Non se la mia Cercatrice non giura di trattare la sua mano destra come se fosse la sua stessa vita, Evans! Poteva rompere le articolazioni delle dita della squadra con quel pugno!»
«Quale pugno?» chiese Lily, sconvolta.
«Le articolazioni SONO LE MIE!» gridò Liv di nuovo imprigionata da James.
«Il pugno che McAdams voleva dare a Sirius!»
«Tu cosa, Liv?»
«Senza la sua mano siamo perduti! Costretti a giocare all’infinito quando saremo contro i Corvonero e Allock che guarda i tifosi sugli spalti e non il boccino! Costretti a perdere con i Tassorosso dopo nemmeno cinque minuti per colpa di quel maledetto Ned Stevens che cattura boccini come se stesse raccogliendo bacche per i boschi! E costretti a staccarci le braccia a forza di lanciare più Pluffe possibili prima che Regulus Black metta in atto...»
«Tu ti stai preoccupando del Quidditch, Potter?» lo bloccò Lily infervorandosi ed alzando la voce per fermare la parlantina rabbiosa del collega. Era una delle poche a riuscire in quell'impresa: lei, la Mcgranitt e molto probabilmente la signora Potter.
«L’unico buon motivo per sgridare Liv é perché stava per aggredire uno studente! Non perché si sarebbe potuta distruggere la mano con cui cattura quella pallina schizofrenica!». Liv spalancò la bocca chiedendosi che razza di migliore amica aveva. «Sei Caposcuola, Potter - lo so, é difficile crederci ma lo sei, purtroppo per me- e l’unica cosa di cui ti preoccupi sarebbe il Quidditch? Se fosse stata un’altra ragazza non facente parte della squadra a dare un pugno a Black!? Avresti lasciato perdere!?»
James mollò la mano di Liv per avvicinarsi, impettito e ancora rosso d’ira, ad una altrettanto rossa Lily.
«Si dà il caso che lo studente citato...» s’inserì Liv con calma «fosse nudo in Sala Comune- nudo in Sala Comune- mentre frugava in ogni dove, compresa la mia tracolla».
Ma nè James nè Lily sembravano averla ascoltata, intenti com’erano a lanciarsi maledizioni con gli occhi.
«Perchè devi aggiungere altre probabilità alla semplice vicenda accaduta, Evans!? Perchè ti complichi sempre la giornata!? La ragazza in questione è la mia Cercatrice, punto, e la mia Cercatrice NON DEVE DARE PUGNI PER NON ROMPERSI UNA MANO E DAR VITA A TUTTE LE SPIACEVOLI SITUAZIONI CHE HO ELENCATO PRIMA»
«Questo, Potter, se tu fossi soltanto il Capitano come in teoria, in un giusto mondo dove Merlino mi assiste, sarebbe dovuto essere! Ma no, non sei solo uno stramaledetto Capitano di una squadra di Quidditch, sei anche uno stramaledetto Caposcuola! Fino a quando non ti entrerà in testa io dovrò fare il doppio del lavoro e sono decisamente stanca!»
I tonfi sulla scala a chiocciola, nel mentre, anticiparono l’arrivo di Remus che, carico di libri e con il fiatone, stava quasi per scivolare sull’ultimo gradino.
«Erbologia è tra cinque minuti!» informò agitato, credendo che quella frase avesse potuto fare effetto su qualcuno, ma Lily non aveva smesso di parlare nemmeno per un istante.
«Perchè anche l’altro giorno hai fatto la stessa identica cosa, Potter, standotene fermo al terzo piano senza controllare il resto mentre io sgobbo nei Sotterranei! Si può sapere come fai a pattugliare il Castello stando seduto ai piedi di un'armatura?!»
«HO I MIEI METODI, EVANS! E QUANTE VOLTE TI HO DETTO CHE CI VOGLIO ANDARE IO NEI SOTTERRANEI?! SEI ODIOSAMENTE TESTARDA!» ribatté James tenendo per sè la Mappa che apriva sulle ginocchia ogni sera per controllare i cartigli di ogni persona di Hogwarts ad ogni piano, compresa Lily Evans, senza stare a gironzolare per un'ora di assoluta solitudine e noia.
Mary chiuse gli occhi, esasperata, lasciandosi cadere sul divano insieme alla sua borsa. Un ragazzo del terzo anno scappò letteralmente fuori dalla Sala Comune.
«Merlino, vi sentite anche su» fece in tono annoiato Sirius, adesso completamente vestito, scendendo la scala con calma infinita.
«Se avranno un figlio come lo educheranno? Il futuro bambino diventerà pazzo» ridacchiò Peter, saltando con una certa difficoltà i gradini due a due per raggiungere Remus che fissava sconcertato i due litiganti.
Sirius scoppiò a ridere. «Figlio!? Evans e Ramoso con un figlio in comune!? Ma lo sai come si fanno i bambini Pete?»
«Certo che lo so» rispose lui con le guance tinte di rosso.
 
 
 

 

 

*

 
 
 



«Expecto...»
«Expecto Patronum!»
«...Patronum!»
«Non preoccupatevi se non vi riesce anche se ci provate da settimane, è normale. Molti maghi e streghe adulti non riescono. É un incantesimo molto difficile ed è proprio per questo che ve l’ho proposto il primo trimestre: per darvi tutto il tempo di esercitarvi. Voglio che proviate anche quando cominceremo con altri argomenti. Ve lo chiedo perchè anche se Hogwarts non pretende che voi riusciate ad impararlo, io credo che al giorno d’oggi sia fondamentale riuscire ad evocarlo. Anche se la Gazzetta del Profeta non lo dice, molto presto i Dissennatori potrebbero allearsi definitivamente e in massa con Voldemort».
Il solito sussulto e brusio generale invase l'aula, a quel nome. Caradoc non si scompose, come ogni volta che aveva tirato fuori quel nome, fin dalla prima lezione. James lo scrutò da dietro le lenti rotonde, vedendo i suoi occhi verdi posarsi con pacata serietà sulle facce tramortite degli studenti fino a fermarsi su quelle livide e rosse, apparentemente impassibili, di Avery e Mulciber con le bacchette puntate al pavimento. Il professore, si disse James, era davvero incredibile. Non soltanto era incredibilmente preparato nella materia e nel duello da combattimento, ma sapeva le cose così nel dettaglio tanto da stupire tutti, ogni volta. Era anche strano, forse fin troppo informato sulle vicende che accadevano fuori da Hogwarts, come se ne fosse addirittura coinvolto. Per un attimo pensò al professore dell'anno precedente, poi però si convinse che il professor Dearborn era la cosa più lontana dagli ideali di Voldemort.
«Così come il preside ci ricorda sempre:"La paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa". Sono anni che il professor Silente ricorda all'intera comunità magica di non aver paura di pronunciare il nome di Voldemort e io sono del suo stesso parere. Adesso, comunque, dovete concentrarvi esclusivamente sul pensiero più felice che avete».
Mary non aveva niente contro il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, anzi, ma ogni volta l’ansia la metteva eccome.
Spostò lo sguardo sulla bacchetta di Liv, alla sua sinistra, sentendosi meno stupida di come si era sentita qualche istante prima guardando la sua: anche da quella di Liv non stava uscendo luce argentea.
La maggior parte delle bacchette non aveva la fantomatica luce, nemmeno quelle dei Corvonero a parte qualche scintilla ogni tanto, così come accadeva da ormai settimane.
Peter sembrava più preoccupato di Mary, ripetendo con terrore e a bassa voce la parola ‘Dissennatori invece di concentrarsi come avrebbe dovuto.
Lily aveva la faccia completamente rossa dallo sforzo, ma la punta della sua bacchetta era lievemente e costantemente di un argento scintillante così come quella di Remus che sorrideva sereno.
Liv sbuffò, nervosa, agitando la bacchetta tanto per fare qualcosa. Un pensiero felice, cosa ci voleva a trovare un pensiero felice?
Molto, perchè di pensieri davvero felici ed intensi’ così come aveva spiegato il professore non credeva di averne.
Lo sguardo si posò per caso sulla bacchetta che Sirius stava facendo dondolare pigramente sul dorso della mano e per un istante incrociò quegli occhi seminascosti dai lunghi ciuffi di capelli neri.
Il grigio sguardo apparentemente annoiato si fece profondo, accendendosi di malizia prima di ammiccare nella sua direzione. Liv arricciò il naso, spostando l'attenzione da un'altra parte.
Con tutte le risate che Black si faceva ogni giorno, la sua testa doveva essere piena di pensieri felici, come minimo avrebbe dovuto accecare tutti con la sua bacchetta. 
«Signor Potter! Complimenti!» esclamò ad un certo punto il professore all'improvviso osservando la brillante luce che si disperdeva a piccole ondate dalla bacchetta di un James sinceramente emozionato, ignaro totalmente dello sguardo cupo di Piton posato su di lui con odio.
«Venti punti a Grifondoro! Questo è un tipico esempio di Patronus non-corporeo, ragazzi! Continui ad esercitarsi, signor Potter, e vedrà che riuscirà sicuramente a fargli assumere una forma» si raccomandò l'uomo annotando qualcosa sul taccuino poggiato sopra la cattedra.
L’argento sulla punta della bacchetta di Lily aumentò leggermente mentre fissava lo scudo di luce che nascondeva in parte la figura di James. Quel bagliore contagiava felicità e anche il sorriso di James, che per una volta sembrava privo di ironia, era contagioso.





 

*

 
 
 



«Scusate, potrei controllare se qui ci sono i miei appunti di Incantesimi?» chiese educatamente Remus, avvicinandosi all’ennesimo gruppetto di ragazzi in un angolo della Sala Comune.
Aveva fatto quella domanda già una ventina di volte in un ora. Le lezioni erano finite e i suoi appunti non erano ancora spuntati fuori.
Aveva messo a soqquadro la camera, i bauli e i comodini di James e Sirius ma niente. Aveva controllato anche in bagno.
Anche se stava dando le spalle ai suoi quasi ex amici mentre sollevava con cautela i cuscini della poltrona su cui era seduta Cindy Wood, una ragazza del sesto anno che quasi gli mollò uno schiaffo, Remus sapeva che i duei cretini se la stavano ridendo, compiaciuti.
 E infatti James e Sirius ridevano, comodamente spaparanzati sul divano, godendosi le passeggiate di Remus tra poltrone, pouf, tavolini e studenti che lo guardavano come se fosse pazzo.
«Scusa, potrei controllare se qui ci sono i miei appunti di Incant...»
«No, non ci sono appunti! Qui ci sono solo i miei e anche se i tuoi ci fossero non potresti vederli perchè i miei sono così tanti che ci metteresti secoli a trovarli! E adesso se non ti dispiace dovrei studiare! I G.U.F.O non sono una barzelletta! La McGranitt l’ha detto chiaro e tondo e se non finisco questo tema sono praticamente fuori! E se sarò fuori dovrò scordarmi la nuova Nimbus 1500 per Natale! E quella scopa mi serve davvero perchè quella che ho adesso è una Scopalinda Uno! Ti rendi conto?!».
Remus non rispose sbattendo lentamente le palpebre, sconvolto. Di cosa doveva rendersi conto?
Rimase ad osservare William Jhonson, ragazzo piuttosto suscettibile del quinto anno, con sguardo leggermente sotto shock per via dello stato disperato del Grifondoro.  
«ERA LA SCOPA DI MIO NONNO NEGLI ANNI VENTI!» spiegò irato Jhonson come se fosse ovvio.
Remus sorrise affabile, salutandolo con un Va bene, buona fortuna’ prima di allontanarsi velocemente da lui per non scoppiare con un discorso per niente piacevole su quanto i M.A.G.O. facessero impallidire i G.U.F.O. e su quanto poco gli interessasse sapere la differenza tra le scope da corsa.
 Sempre nella stessa Sala Comune, la piuma di Lily scorreva frettolosa sul foglio. Mentre cancellava una runa, la punta quasi bucò la carta. Quella versione si tava rivelando più faticosa del previsto. Con l’ennesimo sbuffo, raddrizzò la schiena sollevando lo sguardo stanco su Mary e Liv che invece di studiare sembravano due zombie.
«Mary?» chiamò, osservando l’amica che dormiva beatamente con la testa poggiata sulla poltrona e la sua copia di Gli Animali Fantastici: dove trovarli poggiata sul petto come un cuscino. 
«Mary!?»
«Sì... non adesso però, signor Scamander... ...» farfugliò lei, mollando il foglio di pergamena ancora vuoto tra le mani.
Lily scosse la testa. «Non sono Newt Scamander. Sono Lily, Lily Evans, la tua compagna di stanza che ti lancia i cuscini la notte quando russi, hai presente?» cercò di svegliarla Lily tra le piccole risate di Liv.
Mary mugugnò, socchiudendo gli occhi castani. 
«Non dovevi finire il tuo disegno per Cura delle Creature Magiche?» le chiese Lily.
«L’ho finito» rispose lei stiracchiando le gambe per poi recuperare da terra il foglio di pergamena completamente vuoto. «I Thestral sono invisibili, il professor Kettleburn non potrà dire niente».
Liv ridacchiò al suo fianco, chiudendo il suo libro di Erbologia sulle sue ginocchia. Con sforzo immane si chinò a prendere la tracolla per cercare piuma e pergamena, e cominciare così quel benedetto tema.
«Io credo che andrò di sopra» informò Lily passandosi stancamente una mano sugli occhi. «Qui c’è troppo chiasso e per Antiche Rune ci vuole il silenzio più total...»
«I MIEI APPUNTI!» La voce di Remus così alta di certo non era normale.
«Quelli sono i miei appunti, Liv! Dove li hai trovati!?» continuò lui, afferrando le pergamene dalla borsa di Liv.
«Trovati? Io non li ho...» la frase le morì sulle labbra, la risata sguaiata di Sirius era la risposta.
«Era così semplice, Lunastorta!» gridò divertito James dal divano.
«Ma certo!» gli gridò di rimando lui in tono ironico «Che scemo, eh? Remus Lupin è proprio uno scemo». L’avrebbe strozzato con quegli stessi fogli.
«Dài, Remus» esordì Sirius ridente «Hai riposato la mente facendo un pò di attività fisica e conoscendo nuovi compagni! Non è bello? Io più che spostare i cuscini dietro alla schiena di Cindy avrei toccato qualcos’altro, non so se mi spiego».
Con un ringhio per niente rassicurante, Remus li raggiunse a grandi falcate.
 «Liv, stai bucando la poltrona, è già malandata di suo» le fece notare Mary guardando le mani di Liv affondate nei braccioli rossi.
«Quel cretino stamattina stava infilando quegli appunti nella mia borsa e non me ne sono accorta» mormorò nervosa Liv trafiggendo con sguardo inceneritore Sirius, ammiccante nella sua direzione.
Un nervoso dovuto più che altro al motivo per cui non si era accorta di niente, che all’azione stessa di Sirius.
Sapeva benissimo perchè non era stata perfettamente attenta e vigile, e quel perchè non faceva che peggiorare la situazione.
Sirius Black si poteva definire arrogante, bastardo, troppo impulsivo e sconsiderato, altezzoso, eccessivamente sarcastico, esuberante, fastidioso, ma il suo corpo e il suo viso erano oggettivamente belli. Sirius Black era eccessivamente bello e basta, nessuno lo metteva in dubbio, nemmeno gli occhi di Liv. Black era eccessivo in tutto, eccessivo e impetuoso anche nel lato estetico. Il tossicchiare di Lily disse tutto.

«Lily, finiscila» la zittì Liv duramente senza nemmeno guardarla.
Lily sollevò innocentemente le mani e, dopo essersi spostata i capelli su una spalla, si chinò di nuovo sulla sua versione di Antiche Rune.
 
 
 
 
 

 

 

*

 
 
 




«Continua così, Evans. Complimenti. Anche oggi stai sfruttando due esseri umani come scudo. Non ti vergogni?»
«No, Potter. Stiamo solo camminando a schiera, tutto qui».
Remus e Mary, tra James e Lily, parevano molto irritati.
«A me non sembra che sollevare questo muro del silenzio tra noi due, sia portare rispetto al prossimo»
«Sei tu quello che manca di rispetto chiamando me e Mary  ‘muro del silenzio’, James» suggerì abbastanza scocciato Remus.
Sentirsi chiamare in quel modo solo perchè lui e Mary non parlavano quasi mai tra loro era davvero fastidioso; era fastidioso stare tra quei due isterici ogni volta che dovevano risalire alla torre dopo cena, condividendo quel tratto di scale e piano che avrebbe portato i Capiscuola a raggiungere l'aula professori prima del loro giro di pattuglia di un'ora. Sirius, Liv e Peter erano davanti a loro di parecchi metri, appositamente. Dalla primissima volta, quello era stato il modo in cui Lily e James avevano raggiunto Gazza in aula professori, al primo piano dalla Sala Grande.
«Quando vi deciderete a lavorare insieme senza ammazzarvi con battutine e occhiate maligne? É quasi passato un mese e siete insopportabili come il primo giorno» scattò Mary accelerando il passo e facendolo aumentare di conseguenza anche a Lily, James e Remus, trascinato a forza da Lily che rispose all’istante.
«Mai, Mary. I Capiscuola non devono stare attaccati, non c’è scritto da nessuna parte! Devono semplicemente pattugliare i corridoi per un'ora, controllare che nessun studente sia rimasto fuori dopo il coprifuoco, e non si può controllare un intero castello enorme senza dividersi! Al massimo, ci sediamo vicini davanti al Preside per i resoconti di fine mese!» Ed è per questi motivi che non sono ancora impazzita, aggiunse mentalmente.
Se l'anno precedente erano riusciti ad evitarsi come meglio potevano, adesso era proprio impossibile. Era una vera e propria guerra di resistenza in cui James sembrava non riuscire più a contenere il rancore e Lily appariva del tutto incapace di spiegarsi e controllare la situazione.
«Bel concetto di lavoro di gruppo, Evans! Bellissimo, davvero! Perfino i Serpeverde sono più socievoli di te e questo è tutto dire» fece James, sarcastico, sporgendosi oltre il ‘muro del silenzio’ che grazie a Lily si era ricreato in mezzo a loro.
«Non siamo in gruppo, Potter»
«Una coppia è già un gruppo»
«Tantomeno una coppia. Siamo due persone distinte che lavorano singolarmente. Io controllo i Prefetti di Serpeverde e i Tassorosso, tu gli altri. É stato deciso così»
«L’hai deciso TU! E le spille da Caposcuola sono DUE, Evans, non UNA. Questo significa che le persone che decidono sono DUE!».
 La leggera gomitatina che Remus diede a Mary al suo fianco fece sussultare la bionda che si girò a guardarlo con aria interrogativa.
Il viso pallido di Remus era disteso in un sorrisino furbo e con gli occhi stava indicando la scala opposta a quella che stavano per salire.
‘Al mio tre’ le mimò divertito, afferrandole un braccio e facendola arrossire.
«Sei una piaga, Potter! Non possiamo svolgere il nostro compito facendo la ronda insieme, lo vuoi capire!? Se siamo entrambi al terzo piano chi controlla i Sotterranei!? I ragni nei muri svolgono il nostro dovere!?».
La prima breve stretta di Remus sul braccio di Mary diede il via al silenzioso conto alla rovescia.
«Conosco un modo per evitare questo semplicissimo problema, Evans».
La seconda stretta tardò un attimo ad arrivare perchè a quella frase di James, Remus fu impegnato a fulminare l’amico con lo sguardo piuttosto che a contare. 
Non vorrai farle vedere anche la Mappa adesso!?’
James scosse leggermente la testa con un sorriso sornione stampato in faccia.
«Ah sì, Potter? E quale sarebbe?! Triplicarti e mandare i tuoi sosia in ogni corridoio? No, grazie, credo che tutti preferirebbero che tu rimanessi uno. La tua unicità basta e avanza!»

La terza e ultima stretta fu contemporanea allo scatto di Remus e Mary. I due corsero veloci verso la scala a sinistra che si mosse appena ci saltarono sopra.
Lily, rimasta pietrificata dalla scena, fissò Mary con due occhi grandi quanto due galeoni.
«Questa me la paghi, Mary!» le urlò rabbiosa osservandola mentre salutava con la mano, poggiata alla balaustra della scala sempre più lontana.
«Macdonald mi è sempre stata simpatica» affermò James con un enorme sorriso.
Lily si voltò verso di lui cercando di respirare il più lentamente possibile per calmarsi e per fortuna la voce della professoressa McGranitt li richiamò con tono rigoroso.
«Evans! Potter! Meno male siete qui»
«Stia tranquilla professoressa, Evans mi odia ma non arriverebbe mai ad uccidermi» rise James.
«Io non ne sarei tanto convinta, Potter» ribattè la McGranitt facendo sorridere Lily almeno fino a quando lei non si accorse dei grandi fogli di pergamena in mano alla professoressa.
«Dicevo, meno male che siete qui, mi avete fatto evitare tutte le scale che invece avrei dovuto fare per portarvi questi» riprese la donna sollevando i fogli.
«Cosa sono?» chiese James, curioso.
La McGranitt glieli porse e si sistemó la manica della tunica verde riprendendo a parlare. «Sono gli avvisi per la prima gita a Hogsmeade dell'anno, Potter, da appendere nelle bacheche di ogni Casa» spiegò in tono pratico. «Li ho appena finiti di scrivere e firmare. Dovete consegnarli ai Prefetti di ogni Casa, non importa di quale anno, l'importante è che ogni Sala Comune abbia questo foglio. Dite loro che se li rovinano non ne stilerò altri. Buon lavoro».
Lily annuì seguendo con gli occhi l'alta figura della McGranitt risalire ai piani superiori con passo deciso, rimase immobile anche quando ormai la punta del cappello nero della donna scomparve oltre le scale.
Il silenzio di James era talmente assoluto che Lily riusciva a sentirlo addosso e per un attimo sentì il vuoto dell'anno precedente insinuarsi tra loro, freddo come gli spifferi sotto le finestre.
Hogsmeade. Da un anno preciso Lily non sentiva la domanda che James le aveva rivolto dal terzo anno in poi, in modo causale durante i battibecchi nei corridoi o in riva al lago. Quando si girò verso di lui, però, si stupì nel vedere il suo sguardo dietro le lenti rotonde già posato su di sé.
«Sto aspettando, Evans» spezzò il silenzio James, tranquillo.
Lily si accigliò. Aspettando?
«Sto aspettando» ripeté lui con calma senza staccare gli occhi dai capelli rossi che nascondevano il viso perplesso di Lily.
«Il tuo cervello non ritornerà mai più da te, Potter. L’hanno buttato nella spazzatura appena sei nato. Non valeva granché. É inutile che aspetti» replicò, altrettanto calma per nascondere una certa confusione.
«Sto aspettando il tuo invito a Hogsmeade per sabato»- fece una pausa per gettare un'occhio sulla pergamena e leggere data e ora della gita - «15 Ottobre alle dieci, Evans». 
E Lily scoppiò a ridere sotto lo sguardo sempre più penetrante di James che stirò le labbra in un sorriso contagiato. 
«Guarda che piacevole atmosfera quando ridi invece di urlare» commentò con aria beffarda.
Lily si voltò verso di lui con ancora la risata sulle labbra, puntandogli l’indice contro.
«Questa risata» cominciò, infastidita da quel tono immancabilmente ironico. «É dovuta alla tua assurda richiesta, Potter. Aspetta pure quanto vuoi il mio invito».
Forse Merlino si era ricordato che esisteva anche lei a questo mondo.




Note:

*“Lo sai a chi piaceva pronunciare il nome del Signore Oscuro, Weasley? A quelli dell’Ordine della Fenice, ti dice niente?” Greyback nel settimo libro, quando il nome di Vodemort era Tabù, proprio per trovare i membri dell’Ordine.
“Non portano il giusto rispetto al Signore Oscuro. Ne sono stati trovati un po’, in questo modo”. Nella prima guerra, il nome di Voldemort non era tabù, si poteva nominare senza vedersi davanti i Mangiamorte.
Non era nominato soltanto per colpa del terrore che Voldemort scatenava. In un'intervista, la Rowling dice che non ci fu nessun evento particolare che scatenò la cosa, dice solo che fu graduale mentre "uccideva e faceva cose orribili" negli anni.
Dice anche che le persone cominciarono a non pronunciare il nome Voldemort già all'epoca del ritorno di Voldemort a Hogwarts, quando chiese la cattedra di difesa a un Albus Silente appena diventato preside (1956). Direi che hanno passato un sacco di tempo a dire ''Tu-Sai-Chi".

A metà anni '60 c'era già parecchia attività oscura nel paese con sparizioni, attacchi e avvistamenti anche se nessuno sapeva chi ci fosse dietro.
Questo spiega la chiamata al padre di Remus da parte del Ministero, per occuparsi di creature oscure dato che era un esperto di Esseri (come Mollicci).
E spiega anche il fatto che Silente abbia messo delle spie tra le creature oscure come i lupi mannari, scoprendo così che il ''figlio di Lyall Lupin'' era stato morso nel 1964).
Silente nel primo libro dice alla McGranitt che ha passato undici anni a chiamarlo con il suo nome e a convincere tutti a pronunciarlo senza paura (sarebbe dal 1970, anno in cui è stato fondato L'Ordine della Fenice).

La McGranitt e Hagrid non lo chiamano per nome. Sirius e Remus, invece, lo fanno sempre e presumo lo facessero anche James e Lily.
Caradoc, come saprete tutti, è un membro del primo Ordine della Fenice. Non morirà a fine anno scolastico, tranquilli, dovrà apparire nella foto che Moody farà vedere a Harry nel 1995. Però qualcosa gli accadrà, dato che insegna Difesa Contro le Arti Oscure.



Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. La Verità ha un Occhio Nero ***




Capitolo 8
 

 

LA VERITÁ HA UN OCCHIO NERO

 

 




James camminava al suo fianco, muto come un pesce, e Lily si chiese se stesse davvero aspettando un invito senza insistere oppure se fosse tornato nel suo mondo di rancore come tutto l'anno precedente quando quel silenzio le aveva prima fatto conoscere la pace desiderata per anni e poi un fastidioso senso di smarrimento molto simile a quello che cominciava a sentire di nuovo.
Lily continuò a camminare lanciando di tanto in tanto qualche occhiata fugace in direzione di James. Il silenzio non era da lui e tutto ciò che non era da lui andava tenuto sottocontrollo. Quel silenzio era come il maledetto Mantello dell’Invisibilità: stava nascondendo qualcosa.
Gazza, che parlottava con la sua gatta in braccio davanti alla porta dell'aula professori, non si accorse nemmeno del loro arrivo, abituato com’era a sentire i loro toni soavi quando erano nelle vicinanze.
Schiarendosi la voce e osservando Potter di sottecchi, Lily prese la parola.

«Buonasera, signor Gazza, scusi il ritardo» esclamò per attirare l’attenzione. Il custode sussultò stringendo Mrs. Purr tra le bracia, guardandoli sbigottito, forse sorpreso di non averli sentiti prima.
«Prima di cominciare la ronda, io e Potter dobbiamo consegnare nelle Sale Comuni gli avvisi per la prima uscita ad Hogsmeade» riprese Lily spostando lo sguardo accigliato su James, già intento a dividere in due risme da due i quattro grandi fogli. Gazza annuì con la scavata faccia sospettosa mentre accarezzava distrattamente il gatto, prima d'intimare bruscamente ad entrambi di sbrigarsi.
«Ci vorrà un attimo, non si preoccupi» lo rassicurò Lily venendo interrotta da James che gli porse due fogli in silenzio, dandole le spalle subito dopo prima di dirigersi a passo deciso verso le scale che portavano ai piani di sopra.
Il sopracciglio sollevato di Gazza, con ancora gli occhi arcigni fissi su di lui, si poteva benissimo paragonare a quello rosso di Lily che strinse le pergamene tra le dita e si sbrigò a raggiungere il piano terra nella speranza d'incontrare gli ultimi Tassorosso e Serpeverde di ritorno dalla cena.

 

 


 

 

 

 

*


 

 



«Che succede, James?» chiese Remus, leggermente spaesato Remus, fissando l’amico che gli era appena arrivato al fianco con due fogli enormi in mano, proprio quando lui e Mary avevano raggiunto il settimo piano per tornare alla torre insieme agli ultimi Grifondoro in ritardo per il coprifuoco.
«Tieni, Lunastorta, appendilo in bacheca in Sala Comune» rispose lui sentendo lo sguardo confuso di Remus addosso. L'amico corrugò la fronte sotto i capelli castani cercando di esprimere la sua perplessità a parole, afferrando l'avviso senza nemmeno vederlo. Perché James sembrava tranquillo, come suo solito, ma il comportamento che stava assumendo era tutt’altro che ‘solito’. Remus non lo vedeva così silenzioso dall'anno precedente ed in più sembrava avere un'aura beffarda ad aleggiargli attorno.
«Perché mi guardate così?» chiese James piantandosi tra loro con aria curiosa. «E lo chiedi pure?» s’inserì Mary sporgenodsi oltre la figura più alta di Remus e guardare James in faccia. «Lily ti ha lanciato per caso quella Maledizione che usa Mulciber?» chiese scrutandolo per bene.
«Non capisco» fece James sistemandosi gli occhiali sul naso, l'angolo della bocca irrimediabilmente sollevato ad insospettire ulteriormente Remus. «Siete strani, voi due. Cos’avete combinato da soli sulla scala, prima?» ghignò, spostando lo sguardo malizioso dall’uno all’altra.
Mary arrossì all’istante e Remus socchiuse così tanto gli occhi in un'espressione silenziosamente furiosa che a James venne da ridere apertamente.
«Questa è da dire a Sirius e Pete» sghignazzò, infilando una mano in una tasca del pantalone. Remus provò a fermarlo, invano. Lo specchietto era già pronto all’uso.
«Sirius» chiamò James portando gli occhi ridenti sul viso contratto di Remus che silenziosamente gli stava inviando minacce con lo sguardo.
«Sirius Black» ritentò James concentrandosi di nuovo sulla sua immagine allo specchio senza notare la faccia perplessa di Mary.
«Ma è impazzito o cosa?» mormorò lei in tono sconvolto.


 

 

 

 

 

*



 

 


«SIRIUS!» Quella voce improvvisa alle sue spalle la fece sobbalzare.
Liv mollò involontariamente la piuma sulla pergamena, adesso completamente invasa dall’inchiostro; il suo tema di Incantesimi poteva andare a farsi benedire.
Soltanto la voce di Potter riusciva a sovrastare il brusìo e il chiacchericcio della Sala Comune affollata. La voce di Potter però non poteva essere in Sala Comune visto che Potter era chissà dove in qualche corridoio ad aiutare i fuorilegge a non farsi beccare dai Prefetti.
Allora perchè l’aveva appena sentita vibrare nell’orecchio?
«Ti calmi, James?»
L’aveva sentita anche Black? Ovvio che sì visto che aveva appena risposto al richiamo dell’amico.
«É la quinta volta che ti chiamo! Un tempo rispondevi al volo. O stai diventando sordo o sei con una ragazza»
Potter di nuovo. Ma che accidenti stava succedendo?
Liv si sporse lentamente dalla poltrona, scoprendo che lo schienale su cui un istante prima era comodamente appoggiata si trovava proprio dietro quello della sedia di Black, intento ad osservarsi e parlarsi su uno specchio.
«Con una ragazza di nome Peter, sì. Forse la conosci, Ramoso».
Peter, seduto accanto a Sirius, rise di gusto facendo muovere anche la poltrona di Liv, rimasta incantata dal riflesso che si muoveva sul piccolo specchio.
Quella non era l’immagine di Black. C’era la faccia sorridente di Potter lì dove non avrebbe dovuto esserci.
«Qui abbiamo una vera coppietta, invece» La voce di Potter fu sovrastata da un ringhio proveniente sempre da quel vetro che adesso faceva vedere una Mary rossa come una gelatina alla fragola e un braccio di Remus che sfrecciava a destra, molto probabilmente in direzione di Potter.
«Cos'avete combinato, piccioncini?» li prese in giro Sirius con il naso attaccato allo specchio come se in quel modo potesse vedere l’intera scena.
Nessuna voce uscì dallo specchio, però. Il viso di James, di nuovo sulla visuale, si era deformato in un’espressione di pura sorpresa mista ad orrore.
Con gli occhi nocciola spalancati fissò Liv che, ormai in piedi sulla poltrona, si era chinata alle spalle di Peter e Sirius.
«Che succede, James?» chiese preoccupato Peter.
«Una specie di telefono e televisione insieme» esordì Liv facendo saltare sulla sedia sia Peter che Sirius.
In un attimo, Sirius si avventò sul tavolo per afferrare una strana pergamena ingiallita e piena di ghirigori.
«Che cosa ci facevi lì?! Da quanto c’eri!?» chiese sconvolto piegando la mappa alla bene e meglio.
Liv sollevò un sopracciglio, impressionata. Forse avrebbe dovuto prestare attenzione più a quella pergamena che allo specchio, vista la reazione esagerata di Black.
«Perchè? C’era qualcosa che non dovevo vedere?» chiese fintamente innocente. Con tutti i loschi strumenti, quei quattro erano più attrezzati delle squadre Auror. Mantello dell’Invisibilità, specchio telefono e adesso quella strana pergamena.
«McAdams sei peggio di Mocciosus!» le rispose la voce di James dallo specchio adesso in mano a Peter.
Sirius continuò a guardarla in cagnesco, tenendosi stretto la mappa e maledicendo se stesso per essersi seduto proprio lì.
Avrebbe prima di tutto dovuto ascoltare Peter e la sua voglia di sprofondare nei pouf vicino al camino e poi il suo olfatto che aveva recepito l'inebriante profumo fiorito nell'aria, lo stesso che anticipava sempre l'arrivo di Olivia.
«Quella pergamena ha l’aria di essere molto preziosa» commentò Liv incrociando le braccia al petto, divertita nel vedere la faccia di Peter diventare via via sempre più rossa.
«Hai messo in atto il misfatto, Felpato?» gli andò in soccorso la voce di James dallo specchio che quasi cadde dalle mani tremanti di Peter.
Sirius rise di rimando, ringraziando mentalmente il suo migliore amico per l’opportunità.
«Certo, Ramoso» rispose, portando con nonchalance la mappa e la bacchetta dietro alla schiena «Ho... Fatto il Misfatto, tranquillo». Allargò il sorriso, picchiettando la mappa, senza spostare lo sguardo dagli occhi di una Liv accigliata.
«Quale misfatto?» chiese subito lei tirando fuori la bacchetta, aspettandosi un attacco improvviso. Con quei pazzi non si poteva mai sapere.
«Vuoi davvero scoprire cos’è quella pergamena?» le chiese Peter gongolante.
Il viso di James sullo specchio tra quelle piccole mani non più tremanti non aveva un’aria rassicurante, proprio come quella di Sirius che le stava porgendo il foglio, adesso vuoto.
«Liv, non essere stupida! Allontanati, qualsiasi cosa sia» le consigliò saggiamente la voce di Mary. Il viso preoccupato dell’amica si sovrappose per un attimo a quello di Potter sul vetro.
«Liv, lascia perdere... non è niente di che» aggiunse con tono arreso e frustrato Remus.
Liv lanciò un occhiataccia a Sirius e alla pergamena. Quel sorriso sghembo e sfacciato era più fastidioso del solito.
Una pergamena non poteva poi essere così pericolosa. La stavano usando loro qualche istante prima, cosa mai le sarebbe potuto succedere? Pensavano forse che si sarebbe sorpresa nel vedere che tutte quelle linee erano sparite dalla carta? Sapevano che esistevano degli incantesimi capaci di rivelare i segreti nascosti negli oggetti?
Con un gesto improvviso, afferrò la mappa dalla mano di Sirius e lui gliela lasciò con piacere.
Gli lanciò una fugace occhiata diffidente e si concentrò sulla pergamena tra le mani.
Vuota, pulita senza più nessun pasticcio. Come tutte le cose di quei quattro era sfacciatamente e fintamente ingenua. Insopportabile.
«Rivela il tuo segreto» ordinò prima di picchiattare la superficie della mappa con la bacchetta.
Nessun segno coprì la carta. Non erano così tanto stupidi, allora.
«Liv McAdams, studentessa Grifondoro...» ritentò con un’altra formula.
«Posso suggerire?» la bloccò garbatamente Sirius sollevando entrambe le sopracciglia nere socchiudendo gli occhi, un mezzo sorriso sulle labbra che si bagnò brevemente trattenendo una risata.
Liv lo fulminò con lo sguardo, restando però in silenzio.
Il suggerimento per cos’era? Per velocizzare lo scherzo? O era un imbroglio anche quello?
Sembrava di stare davanti a delle sfingi ogni volta che parlava con uno di quei quattro.
«Non credo che riconosca un nomignolo, Olivia» continuò Sirius, beffardo.
  Il sospiro pesante e pieno di rabbia arrivò persino oltre lo specchio dove James rideva liberamente, scansando la mano di Remus che cercava di tappargli la bocca ricordandogli che il coprifuoco stava per scattare e che lui aveva una ronda da fare.
Liv chiuse gli occhi per trovare la calma. Black era un serpente, e non stava parlando di Regulus.
Li riaprì soltanto quando si decise ad usare il suo odioso nome di battesimo che le ricordava fastidiosamente sua madre.
«Olivia McAdams» scandì a chiare lettere, facendo un grande sorriso falso a Sirius. «Studentessa Grifondoro, ti ordina di rivelare ciò che nascondi».
Dopo aver picchiettato una seconda volta con la bacchetta, delle lettere cominciarono a formarsi sul foglio.
«Per carità» mugolò la voce di Remus come se stesse chiedendo scusa per qualcosa.
 
 
Il signor Lunastorta saluta con piacere la studentessa Olivia di Grifondoro e le intima calorosamente di staccare le sue manacce violente dalla pergamena.


Gli occhi scuri di Liv si ridussero a fessure. Era un insulto quello? Remus la stava insultando?
Fece per sollevare lo sguardo verso lo specchio dove sapeva esserci ‘Il signor Lunastorta’ ma un’altra frase si creò sotto la prima, attirando tutta la sua attenzione.


Il signor Codaliscia si unisce ai cordiali saluti del signor Lunastorta e aggiunge che quelle mani Olivia può benissimo darsele in faccia.


Questa volta Liv affondò le dita nella carta con smisurata rabbia.
Peter si allontanò da lei per nascondersi sotto ad un tavolino e scampare alle fiamme che gli stavano lanciando gli occhi di Liv.
«Tu. Le mani te le do io in quella faccia da topo che ti ritrovi!» ringhiò Liv, avanzando verso di lui e fermandosi subito appena un’altra frase spuntò sulla carta.


Il signor Ramoso non si preoccupa minimamente del fatto che la studentessa Olivia abbia la pergamena perchè tanto la studentessa Olivia non ha cervello.


La risata di James uscì dallo specchio aumentando la bruciante ira di Liv.
«Che frase è uscita? L’opzione uno o la due? Leggete a voce alta, prego!» continuò James, così vicino al vetro tanto da far vedere solo un suo enorme e ridente occhio in primo piano.
La quarta ed ultima frase fece richiudere le labbra di Liv che si stava preparando ad insultare pesantemente tutti.


Il signor Felpato concorda pienamente con il signor Ramoso e si congratura con la studentessa OLIVIA per la sua perfetta coerenza nell’essere sempre un mostriciattolo rompiscatole e per niente femminile.


Liv non ci vide più. Senza nemmeno accorgersene, mollò la mappa e strinse più forte la bacchetta avventandosi su Sirius.
«Sei morto, Black, morto» sibilò correndogli dietro, scansando persone e saltando su sedie e poltrone come se fosse ad una gara ad ostacoli.
Tutta la Sala Comune s'immobilizzò per osservare quei due inseguirsi come cane e gatto.
Un gruppetto di bambini del secondo anno corse sulle scale per non essere travolto prima da un Sirius ridente e poi da Liv, sempre più decisa a colpire quel bastardo con una fattura che l’avrebbe lasciato in infermeria almeno per una notte. Fargli sparire qualche osso magari, una guarigione lenta e dolorosa.
«PETER FAI QUALCOSA!» il grido di Remus fu sovrastato dalla risata di James e dalla voce concitata di Mary che richiamava Liv senza alcun successo.
«Fare che cosa!?» ribattè lui incerto, non sapendo se ridere o piangere.
Liv stava per raggiungere Sirius, dietro al tavolino dove pochi istanti prima era in corso una partita a Spara Schiocco, quando Sirius le puntò la bacchetta contro.
«Che vuoi fare, Olivia?» le chiese, piuttosto divertito e provocatore.
«Male, Black! Farti male!» rispose lei salendo sul piccolo tavolo che traballò insieme all’alto castello di carte magiche sul punto d'esplodere, come lei. Gli occhi di tutti si spalancarono a dismisura, terrificati.
Jane Phillips, con la sua spilla da Prefetto in bella mostra sul petto, le si parò davanti appena lei scese dal tavolino, bloccandole la strada con occhi determinati a non farla passare.
«Se non la smetti ti porto dalla McGranitt!» la minacciò Jane, allargando le braccia per proteggere Sirius alle sue spalle.
«A lui non dici niente, Phillips?!» si difese Liv lanciando un'occhiata torva a Sirius. Le passò affianco, avvicinandosi a lui.
Quel viso altero, seminascosto dai lunghi capelli neri, non faceva altro che istigarla ancora di più. Il sorriso irriverente, accentuato dallo sguardo penetrante ed altezzoso che dall’alto le stava fissando intensamente le labbra, il mento, il naso e gli occhi come se volesse toccarli era ancora più fastidioso da così vicino.
«Sto aspettando, Olivia McAdams studentessa Grifondoro» le mormorò Sirius, leggermente stordito, colpendo la bacchetta di Liv con la sua come per dare inizio ad uno scontro di spade. Olivia era tutt'altro che ''per niente femminile'', da sempre. Lei, però, sembrava non accorgersene.
Fu proprio Liv ad iniziare, indietreggiando per allontanarsi da lui e scagliargli un fascio di luce rossa che prontamente Sirius parò.
Un Ooh generale invase la rotonda Sala Comune e il ghigno di Sirius si allargò a dismisura. Quella curva strafottente delle labbra spinse Liv ad attaccare di nuovo, ma Jane si intromise una seconda volta.
«No, McAdams. Non lo farai» sbottò, combattiva, puntandole la bacchetta contro. «Dieci punti in meno a Grifondoro!» abbaiò risentita guardando Liv lanciare uno sguardo minaccioso a Sirius, per niente convinto che quel duello fosse finito lì, prima di dargli le spalle.
McAdams non era una che si tirava indietro davanti a quel genere di cose. La seguì con lo sguardo mentre si allontanava per riprendere posto sulla sua poltrona carica di libri e pergamene macchiate d’inchiostro.
Era sempre maledettamente divertente vederla andare fuori di testa.
All'improvviso, Sirius sentì un buco formarsi in testa mentre il sorriso gli si abbassava lentamente. Distogliendo lo sguardo ridente da Liv, seguì l'istinto fino a puntare il retro del ritratto della Signora Grassa incontrando la faccia arresa di Remus.
 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

AVVISO USCITA AD HOGSMEADE



A tutti gli studenti dal terzo anno in sù, provvisti di autorizzazione firmata da un genitore o tutore, sarà permesso recarsi al vicino villaggio di Hogsmeade il 15 Ottobre alle ore dieci. Si prega di tutelare la propria ed altrui sicurezza stando entro le zone sorvegliate dagli Auror.

 

 

La Vicepreside,

Minerva McGranitt

 

 

 

 

Liv odiava quando quel foglio veniva appeso in bacheca. Si creavano sempre dei gruppetti saltellanti ed euforici di persone che bloccavano il passaggio e rompevano i timpani. Quella mattina aveva rischiato di essere schiacciata da Martha Spinnet. La tredicenne che gioiva, aiutandosi con ampi movimenti delle braccia, perchè tra poche settimane avrebbe finalmente visto Hogsmeade.
Senza contare il comportamento di corteggiamento che si espandeva a macchia d’olio in Sala Comune, nei corridoi, sulle scale, in Sala Grande, in cortile e in qualsiasi altro luogo, pubblico e non.
Quella mattina Potter si era seduto al tavolo per la colazione davanti a Remus e Peter, parecchi posti più in là di Liv, con un semplice ‘Buongiorno’ e la solita aria spensierata.
Nessuno ci fece caso, abituati all'ormai guerra fredda tra Potter e Evans, ma Liv notò l'espressione rigida di Lily seduta di fronte a lei con Mary.
«Mi sono persa qualcosa?» chiese abbassando la tazza di caffè. A risponderle non furono loro, ma la voce che meno di tutte voleva sentire.
«Hai perso il cervello, Olivia. Ma non è una novità». Sirius, baldanzoso, le passò alle spalle per andare a sedersi accanto James.
«Tu non ce l’hai mai avuto, Black. Nemmeno questa è una novità» fece di rimando lei allungando il collo nella sua direzione per farsi senitre bene.
«Non ti sei persa niente, mi sto soltanto gustando la bellissima aria di libertà come l'anno scorso» esordì Lily prima di addentare la sua brioche ripensando allo scioccante senso di leggerezza che aveva sentito un anno prima, quando quel foglio in bacheca non aveva fatto scattare la domanda di Potter per la prima volta in assoluto. Masticò il boccone con un sorriso e si affrettò a dare spiegazioni, subito dopo aver notato l’occhiata interrogativa di Liv.
«Potter sta aspettando il mio invito per uscire a Hogsmeade».
«E perché?» chiese Liv mescolando lo zucchero nella tazzina del caffè senza riuscire a trovare un senso al comportamento di Potter.

«Perché cosa?» rispose distrattamente Lily leggendo il giornale con la brioche in una mano e i fogli nell'altra.

«Perché si aspetta un invito da te? Non ti parlava da un anno e l'anno scorso non ti ha chiesto di uscire nemmeno una volta. Pensavo non gli piacessi più»

«Mi chiedeva di uscire tanto per fare una battuta, Liv, non perché gli piacevo. Quando mai l'hai visto offeso dopo un mio no? Sta semplicemente scherzando soltanto per darmi il tormento per aver detto che è uguale a Piton»

Liv intercettò lo sguardo perplesso di Mary che spuntava da sopra la fetta di pane tostato con marmellata, ma stette in silenzio evitando di farle notare il tic all'occhio di Lily, segno tipico di nervosismo sotto quelle sopracciglia rossicce apparentemente rilassate.

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

«James? Non credo che questa tattica stia funzionando» si azzardò a dire Peter, osservando con la coda dell’occhio Lily ridere e affondare i denti sulla brioche ormai a metà.
James posò il calice sul tavolo con espressione contrita. «Quale tattica, Pete?» chiese riafferrando la forchetta per pungere il bacon ancora sul piatto. Sirius, Remus e lo stesso Peter si bloccarono per fissarlo con occhi attenti.
«Vuoi scherzare, fratello?» fece ridente Sirius dandogli una leggera gomitata.
Remus si pulì le mani dallo zucchero della brioche senza distogliere lo sguardo da James intento a masticare il bacon con gusto, guardando uno ad uno i suoi tre amici che continuavano a fissarlo, scettici. Lo sguardo di Sirius era così penetrante che quasi si strozzò con il cibo quando lo incrociò.
«Ma si può sapere che avete?» sbottò scocciato.
«Cos’hai tu» ribattè Sirius attendendo una risposta convincente.
«Hai chiesto a Lily di invitarti ad uscire» mise in chiaro Peter, curioso. «Vuoi di nuovo uscire con lei?»
James schiuse le labbra cercando di rispondere senza far caso allo sguardo sempre più tagliente di Sirius.

«No»
«Perchè l’hai fatto?» esordì Remus con tono paurosamente indagatore.
«Non lo so» rispose sinceramente. Era successo e basta. Aveva soltanto voluto sentire di nuovo quella sensazione di invincibilità che l’aveva invaso una settimana prima vedendo Lily al suo fianco e non davanti con la bacchetta puntata minacciosamente sulla faccia. Quella sensazione mancava ogni volta un po' di più, ogni volta che vedeva quei due occhi verdi combattivi di fronte a sè e non al fianco. Era più forte di lui, era un bisogno come quello di saltare a cavallo della scopa o quello di sollevare gli angoli delle labbra dei suoi amici quando erano tristi.

«Oh, non avevo visto le frittelle!» spezzò il silenzio Peter afferrando con una certa urgenza il vassoio delle frittelle anche se nel suo piatto ce n’erano già due.
«Buone, passamene una» gli diede corda Sirius staccando gli occhi dallo sguardo eloquente di Remus che si fiondò sul calice colmo di succo di zucca.
Ad essere strani non erano soltanto i suoi tre amici ma anche qualche ragazzo e ragazza seduti a tavola che lo stavano guardando come se avesse le corna in testa.

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 



«Sì, signor Stebbins, un compito in classe» esclamò la McGranitt alzandosi dalla sua sedia dietro alla cattedra di legno scuro. «Un compito in classe per valutare quanto avrete appreso alla fine del mese. E vi informo, signori e signore, che d’ora in avanti questi compiti ve li ritroverete il trentuno di ogni mese, fino ai vostri M.A.G.O»
«E i mesi con solo trenta giorni? Il compito salterà?» esordì Sirius dal banco all’ultima fila.
La professoressa strinse con forza le labbra fulminandolo da sopra gli occhiali squadrati. «Credo le passerà presto la voglia di fare lo spiritoso, signor Black. E stia seduto composto» ribattè rigida e minacciosa come non mai.
James ghignò al fianco di Sirius che si dondolava con la sedia come se fosse ancora seduto in Sala Comune durante l’ora buca precedente.
«Potter, la smetta di ridere, ne ho anche per lei». Lo sguardo severo della McGranitt si posò con disapprovazione sulla spilla da Caposcuola che scintillava sulla divisa di James. Lily sorrise dal suo banco, compiaciuta di non essere l’unica a vedere Potter così come era sempre stato: un irresponsabile non degno di essere chiamato Caposcuola.
Remus sentì il familiare buco in testa, lo sguardo duro della professoressa lo trapassò da parte a parte prima di vagare di nuovo tra i banchi.
«Bene, è tutto. Mi raccomando, i settanta centimentri di pergamena li voglio per venerdì. Buona giornata a tutti» terminò la lezione, afferrando la sua pesante borsa per sistemare piume e pergamene.
Tra il vociare della classe che si alzava dalle sedie e ripescava libri e tracolle da terra, il borbottìo di Peter arrivò soltanto alle orecchie di Remus.
«Un compito in classe ogni fine mese. La stessa cosa che hanno detto Vitious e la Sprite, si sono messi d’accordo? Io non ce la farò mai»
«Non ti preoccupare, Pete, studieremo insieme» lo rassicurò Remus.
«James!» la voce di Ned Stevens, che per tutta la lezione era stato attento e silenzioso nel banco di fronte, lo fece voltare.
«Ciao, Ned. Qualche problema?» fece James dandogli tutta la sua attenzione come ogni volta che si trattava di giocatori avversari di Quidditch.
«Nessun problema, almeno spero» rispose lui sorridendo con i suoi occhi blu che scintillavano da sotto qualche ciuffo di capelli biondi. «Volevo solo dirti che la prima partita sarà tra di noi. Il Frate Grasso ha sentito Madama Bumb parlare con Hagrid. Tra qualche settimana metteranno l’avviso in bacheca ma mi sembrava giusto avvisarti adesso. Di solito siete voi e Serpeverde ad aprire il torneo e so quanto è importante sapere in anticipo con quale squadra si giocherà».
James sorrise con sincera gratitudine al Capitano dei Tassorosso. «Grazie, Ned» lo ringraziò stringendogli la mano con discreta forza; era stato davvero rispettoso e gentile, come al solito, ma quella mano era pur sempre sua avversaria e non si poteva minimamente mettere a paragone con quella dei Grifondoro. Altro che dieci boccini, per McAdams ci volevano il doppio delle ore di allenamento d’ora in poi.
«Ma perchè non saranno i Serpeverde a scontrarsi con noi?» domandò, anche se immaginava già la risposta.
«I Serpeverde hanno chiesto di essere spostati al prossimo turno perché Crouch sì è ferito un braccio a Cura delle Creature Magiche» rispose Ned facendo spallucce.
«Quello stronzo» ringhiò James appena Ned sparì oltre la porta dell’aula insieme ai suoi amici Tassorosso. ‘Quello stronzo’, ovvero Regulus Black Capitano dei Serpeverde, aveva già cominciato a mettere in atto le sue strategie. Tutti sapevano dell’eccezionale bravura di Ned – giocatore già dal suo secondo anno - e tutti potevano facilmente intuire che una nuova giocatrice non avrebbe mai potuto eguagliarlo o superarlo, mai.

«McAdams non è assolutamente pronta per affrontare Stevens e quello stronzo lo sa benissimo»
«Qualcosa mi dice che lo sa benissimo anche Mocciosus» ringhiò Sirius osservando Piton che sorrideva beffardo dal banco in fondo.
«Il Capitano sleale e il suo consigliere strisciante... bella coppia, eh? Devo fare un bel discorso a McAdams» annunciò James, allungando il collo alla ricerca di Liv tra le persone che uscivano dall’aula ormai quasi vuota. «Farle mettere da parte tutto quello che le ho spiegato sullo stronzo e cominciare a istruirla su Stevens. Per non parlare di Carter. Anche i battitori giallo-neri non scherzano e Carter... lasciamo perdere che è meglio».
Se Regulus osava passargli davanti l’avrebbe steso a terra con più Schiantesimi senza nemmeno guardarlo in faccia. Quella mossa del Serpeverde era stata un vero colpo basso.
«E io che mi stavo preparando ad intrufolarmi nella Sala Comune dei Serpeverde per spiare i loro schemi di gioco» commentò deluso Peter.
James trovò Liv soltanto dopo aver adocchiato la chioma rossa di Lily, vicinissima a quella mora di John Owen, Corvonero diligente che faceva infiammare lo stomaco di James in automatico.
«Giuro che lo ammazzo» sibilò, spostando Remus di lato per riuscire a raggiungere il più in fretta possibile quelle due teste che non avrebbero dovuto stare così vicine, non più almeno.
«Perchè non glielo diciamo e basta?» mormorò dispiaciuto Peter infilandosi tra Sirius e Remus che scossero la testa, decisi.
«Secondo te se scopre di essere innamorato di Evans si sentirà bene, Pete?» fece Remus.
«Io ho già dato. Se vuoi dirglielo tu, Codaliscia, fai pure. Ma ricordati del mio occhio nero» disse Sirius, avanzando tra la fila, ricordando quella terribile notte di un anno prima.
 


L’Avvincino lo stava trascinando per un braccio. Sirius sentiva qui denti affilati affondare nel braccio e tirare, tirare fino a spostare il suo intero corpo che stranamente non sentiva dolore. Non sentiva dolore... perchè?

«Felpato!»
Eppure quei piccoli denti erano aguzzi...
«Sirius!»
Avrebbe dovuto sentire fitte lancinanti. E anche il colpo appena dato con la testa a quella roccia ricoperta di alghe avrebbe dovuto far male...
«Vuoi una gelatina al sapone?»
Sirius spalancò gli occhi, ritrovandosi il viso di James a pochissimi centimetri di distanza dal suo naso. Portando lo sguardo sul braccio vide le dita dell’amico strette lì dove prima c’erano i denti appuntiti dell’Avvincino. La roccia ricoperta di alghe adesso era il lucente lavabo in ceramica e l’immenso  lago si era trasformato nel piccolo bagno del dormitorio. 
«Il colpo al lavabo te lo sei dato da solo. Sembravi la Piovra Gigante. Mi hai fatto sudare per trascinarti fino a qui» esordì James sistemandosi gli occhiali mentre si sedeva sul bordo della vasca.

Stava sognando. Sirius, disteso pancia in sù sul pavimento, richiuse gli occhi sperando con tutto il cuore di risvegliarsi in fondo al lago, attaccato a quello stupido Avvincino, perchè essere svegliato da James al freddo del bagno era molto più spiacevole che affogare.

«Riportami subito nel mio letto» ordinò con voce ferma e gli occhi ancora chiusi «Ti do tre secondi»
«John Owen lo Scemo»
«Uno...»
«Ha baciato Evans.»
«Due...»
«Ho ancora il mal di stomaco! Non puoi immaginare che scena rivoltante. Da star male proprio!»
Il ‘Tre’ rimase tra le labbra di Sirius che si schiusero senza emettere alcun suono.
«Lily Evans esiste di nuovo?» chiese in tono ironico, sollevando le sopracciglia nere senza aprire gli occhi ancora pesanti di sonno.
«Cosa stai dicendo?»
Sirius sospirò, mugugnando qualcosa prima di portarsi un braccio sopra agli occhi con fare assonnato. «Siamo a Hogwarts da sei mesi e per te è come se non fosse mai tornata dalle vacanze estive».
James non parlò e Sirius lasciò scivolare via il braccio dalla fronte per socchiudere un occhio e guardarlo.
La luce della candela poggiata sul davanzale della finestra faceva lampeggiare le lenti di quegli occhiali tondi che nascondevano lo sguardo fermo e pensieroso di James. Seduto su quella vasca, James appariva proprio come diceva sempre di non voler essere: Ridicolo ed insicuro. Solo una cosa riusciva a renderlo così, solo quella cosa collegata ad una miriade di altre cose che lo sconvolgevano a tal punto da farlo restare zitto per almeno un minuto. Evans, Evans che si collegava a tutto. Evans che lo chiamava Pallone Gonfiato; Evans che gli diceva che non aveva sentimenti a parte quelli per se stesso; Evans che passava senza degnarlo di uno sguardo e le iniziali di Evans su un pezzo di pergamena insieme ad un boccino; Evans che lo eguagliava a Mocciosus.

James credeva forse che lui non se n’era accorto? Pensava forse di essere il solo a vedere quei disegnini e quelle L.E. ripetute più volte sulla carta e poi cancellate velocemente? Adesso, tra le altre cose, si era aggiunta “Evans e il bacio con John Owen”.
«Davanti a tutti, così, come se fossero nella loro stanza» riprese James, evitando l'argomento principale. Sirius notò il pallore e le labbra che gli si erano arricciate come quando a tavola aveva vicino il vassoio dei fagioli.
«Questa è la tua scoperta dell’acqua calda, James» lo stuzzicò aprendo anche l’altro occhio. 
James sollevò il mento, facendo lampeggiare ancora una volta gli occhiali e lasciando intravedere gli occhi luccicanti dietro le lenti. «Come, scusa?»
La breve risata di Sirius echeggiò sommessamente nel piccolo bagno. «Hai finalmente capito. Era ora.» disse sollevandosi sui gomiti per staccarsi dal pavimento e sedersi barcollante al fianco di James, sulla vasca.
«Capito cosa?» sbottò James portando lo sguardo allibito su di lui che scrollò le spalle, sollevando lo sguardo verso gli asciugamani appesi sulla parete di fronte.
«Hai visto Evans baciare John e sembra tu stia per vomitare» disse tranquillamente, seguendo con gli occhi gli Ippogrifi disegnati su l'accappatoio di James; sbattevano le grandi ali, svolazzando sul tessuto con aria fiera.
«E quindi? Certo che mi brucia lo stomaco! Dovevi vederli! Tutti quelli che erano presenti staranno vomitando nei loro bagni adesso»
«No, James, non stanno vomitando. Forse qualcuna innamorata di Owen, sì, ma gli altri no. Non lo stanno facendo perchè non sono innamorati di Evans come invece lo sei tu».

Nero. Tutto completamente nero e dolorante per Sirius, così come il suo occhio la mattina dopo.

 

 

 


«Owen! Non ti avevo ancora salutato quest’anno! Come va?»
La squillante voce di James superò tutto il chiasso attorno. John lo incenerì con lo sguardo, divincolandosi dalla stretta del braccio di James, avvolto alle sue spalle.
Lily sollevò gli occhi al cielo. Non di nuovo, pensò aumentando il passo per allontanarsi da quei due e raggiungere Liv e Mary già in corridoio.
«Continuo a non sopportarti» soffiò con odio il Corvonero, fissando il sorriso sornione di James a qualche centimetro di distanza da lui.
«É reciproco, Owen. Impressionante quanto possa durare un sentimento, vero?».
Se gli occhi avessero potuto incendiare le persone, James non avrebbe esitato a farlo.
Quella bocca insulsa si era posata sulle labbra di Lily l’anno scorso.
Quello sguardo di un celeste patetico si era immerso in quello verde di lei.
Quelle mani l’avevano toccata e accarezzata. Non c’era niente di più sbagliato al mondo. Niente di così ingiusto come John Owen e Lily Evans insieme, e James si era fatto in quattro (Sirius, Remus e Peter lo stesso, loro malgrado) per riportare la giustizia ad Hogwarts. Ci era riuscito e di certo non avrebbe lasciato che quel criminale attaccasse ancora.

 

 

 

 

 

*






Appena Liv era corsa agli allenamenti con la squadra, Lily si era fiondata in biblioteca con Mary per trovare un po' di concentrazione e concludere finalmente quella ricerca per Erbologia. 
L’atmosfera era tranquilla. Soltanto il fruscìo delle pagine dei libri e qualche mormorìo pacato spezzavano quel silenzio che piaceva tanto a Lily, ma perfino lì veniva disturbata.
Gli sguardi insistenti di John seduto ad un tavolo vicino, completamente tappezzato di pile di libri e pargamene, la stavano mettendo in imbarazzo. Anche Sam Thomas aveva gli occhi puntati su di lei, ma l’anno precedente Sam non l’aveva baciata, tenuta per mano o chiamata Tesoro’ così come invece aveva fatto John. Sam Thomas, Grifondoro quinto anno, non era il suo ex ragazzo come invece lo era John Owen.
Nascondere il viso dietro il grosso tomo Piante Pericolose: come tenerle a bada’ non serviva a niente, anzi, l’attenzione di Lily veniva catturata dall’altra distrazione del giorno: la ciocca bionda di Mary. Ormai era stata attorcigliata al dito così tante volte che sembrava volesse spezzarsi e scappare via. Si avvolgeva e svolgeva velocemente formando un boccolo che subito si disfaceva per crearne un altro.
«Mary, lascia in pace quei capelli» le bisbigliò Lily afferrandole la mano per sbrogliare i nodi attorno al dito.
Il sole del pomeriggio entrava dalle finestre ad arco,  illuminando gli alti scaffali e i minuscoli granelli di polvere nell’aria che avevano totalmente rapito gli occhi castani di Mary.

«Si può sapere che cos’hai? É da stamattina che ti torturi quella ciocca» le chiese sottovoce Lily. Madama Pince era passata già quattro volte per controllare che tutto fosse in ordine e sarebbe passata di nuovo, senza alcun dubbio.
«Niente, perchè?» chiese Mary sbattendo le ciglia come se si stesse risvegliando da qualche strano sogno.
Lily la scrutò per bene. La sua amica non sapeva mentire e tutto di lei diceva che quel niente era una bugia bella grossa.
«Dài, sputa il rospo» la incoraggiò chiudendo il libro per farle capire che aveva tutta la sua attenzione. Mary però afferrò la sua piuma e riprese con il tema di Trasfigurazione come se niente fosse.
«Mary!»
«Che c’è? Lily, i compiti non si fanno da soli»
Lily sollevò un sopracciglio, continuando ad osservare l’amica che scriveva sulla pergamena come se ne dipendesse la sua stessa vita.
«Cosa è successo con Remus ieri sera?» domandò con una punta di curiosità.
«Assolutamente niente. Abbiamo raggiunto il settimo piano dove Potter ci ha raggiunto» rispose lei mettendo un punto ad una frase prima di intingere di nuovo la punta della piuma nell’inchiostro.
Lily sospirò, guardandosi attorno con fare circospetto per assicurarsi che Madama Pince non fosse nei paraggi. «Potter... possibile non capisca ancora quando è il momento di mettersi da parte?» soffiò con infastidita disapprovazione. L’egocentrismo di Potter. Sempre e solo lui al centro dell’attenzione, empre attento alle sue emozioni e mai a quelle degli altri.
«Magari invece è stato Remus a chiederglielo» bisbigliò Mary apparentemente disinteressata. «L’ha chiesto per non rimanere da solo con me. E a pensarci bene è una buona cosa. Almeno non restiamo in silenzio».
Lily si morse un labbro, osservando le nocche bianche della mano dell’amica, stretta con forza all’esile piuma che continuava a scorrere sul foglio. Non era vero che era disinteressata, la sua intera figura glielo stava urlando.
«E quando siete scappati sulla scala ‘mobile’? Potter non c’era con voi» chiese piano Lily.
Mary si irrigidì, stringendo le labbra l’una sull’altra e fermando per un attimo la scrittura. «Siamo rimasti in silenzio, come sempre. A parte qualche risata sulle vostre facce allibite che ci guardavano dal pianerottolo».
Lily sbuffò leggermente. C’era di sicuro qualcosa che turbava Mary ma, visto che faceva la sostenuta, Lily si decise ad usare la carta dell’indifferenza.
«Va bene» sussurrò, riaprendo il suo tomo con un leggero sorriso a curvarle le labbra.
Il tempo di qualche minuto e l’amica avrebbe tirato fuori tutto. Una tattica che non funzionava con Liv ma che con Mary era perfetta.
Il sorriso di Lily si stirò ulteriormente sentendo Mary muoversi a disagio sulla sedia accanto. Qualche sospiro, uno sbuffo, una pagina sfogliata, un altro sbuffo...
«Aiutami a farmi passare La maledetta cotta, Lily».




 

 

***

 
 
 





Il cielo, sopra le alte montagne coperte di brugo attorno Hogwarts e al suo Parco, era appesantito da grandi nuvoloni neri. Erano passati precisamente ventidue giorni dal primo settembre, così come aveva annunciato Lumacorno nelle ultime due ore di lezione del venerdì.
«E se aprite per l’ultima volta il vostro Pozioni Avanzate a pagina 57, scoprirete che dopo esattamente ventidue giorni di bollitura del vostro stufato di mosche Crisopa e Sanguisughe, unito alle foglie di centinodia che avete aggiunto ore fa... sì, signor Abbott, le foglie di centinodia che lei si è scordato di mettere...»
Il ragazzo Tassorosso, rosso come un pomodoro, si strinse nelle spalle osservando con terrore il suo calderone fumante.
«Scoprirete» riprese Lumacorno passeggiando tra i tavoli « che siamo finalmente pronti per completare la nostra Pozione Polisucco!»
Lily sorrise tamburellando le dita sul suo libro già aperto. Liv, al suo fianco, sospirò impaziente lanciando un’occhiata a Piton che afferrava già il pestello del mortaio con occhi luminosi.
«Prima di cominciare, però, vorrei ricordarvi che questa pozione è di tipo Proibitivo» spiegò il professore, inchiodando i suoi occhi acquosi su James e Sirius. «Il Ministero la classifica come Preparato Illegale ed è per questo che una volta finita e valutata, la farò Evanescere».
Dei borbottii contrariati si sollevarono insieme ai vapori dei calderoni nell’aula umida.
«Tuttavia» continuò Lumacorno con un sorrisetto a sollevargli i grandi baffi biondi. «Visto che queste due ore sono le ultime della giornata, le pozioni che reputerò adatte saranno testate sui loro proprietari. Alla fine dell’ora, se la vostra Pozione sarà buona, vi lascerò scegliere la persona in cui volete trasformarvi per un’ora... sempre se lei o lui lo vorrà. Vi conviene fare del vostro meglio, quindi! Buona Fortuna e... cominciate!»
Il brusio eccitato degli studenti fu sovrastato dal rumore secco dei mortai, delle bilance che cigolavano sotto il peso degli ingredienti, dai mestoli che sbatacchiavano sui calderoni, dai coltelli che sminuzzavano frettolosamente e dal fruscìo delle pagine dei  libri che venivano sfogliati con attenzione.
«Dovranno fare una statua alla persona che staccherà e berrà un capello di Mocciosus» mormorò Sirius chinandosi leggermente verso James che si tappò la bocca come per fermare un conato di vomito.
«Nemmeno Godric in persona avrebbe il coraggio di fare una cosa simile, Felpato. E forse è meglio così... di Mocciosus ne basta e ne avanza uno»
«Togli pure il ‘forse’»
«Concentratevi, ragazzi!»
«Liv? Perchè stai ridendo?» sussurrò Lily senza staccare lo sguardo concentrato dalla sua Erba Fondente che stava frullando insieme alla pelle di Girilacco.
Liv continuò a sorridere distogliendo lo sguardo da Sirius, intento ad aumentare la fiamma sotto il calderone nella postazione dopo Remus che Liv aveva di fianco. «Sto ridendo perchè Black sta per rendersi conto di cosa voglia dire essere vittima di uno scherzo, Lily» mormorò in tono impaziente.
«Sarebbe?» chiese sottovoce lei, puntandole lo sguardo addosso.
«Se la mia pozione esce uno schifo prendo un po' della tua» sussurrò Liv, frullando con vigore l’erba e la pelle.
Gli insulti gratuiti su quella pergamena che rimaneva un mistero, lo scherzo dei peli del coniglio sul divano prima degli allenamenti, il Mantello dell’Invisibilità e tutte le cretinate che aveva subito negli anni precedenti a partire da quel ‘Olivia’ urlato dal primo anno nei corridoi davanti a tutti; perchè se proprio quei 'tutti' la ritenevano violenta era anche per tutte le volte che si era dovuta difendere con la bacchetta per non farla passare liscia a lui e a Potter, oltre i ''tu non dovresti nemmeno esistere" dei Serpeverde amanti del sangue puro che la vedevano come il frutto di un'unione di due esseri indegni di stare al mondo.
Era arrivato il momento di mettere un punto. Il momento di far vedere a Black e a quei quattro in generale che qualcun’altro sapeva giocare come giocavano loro.
Se riusciva anche a far capire agli altri ragazzi che si poteva benissimo fare uno scherzo agli ‘Intoccabili Malandrini’ sarebbe stato perfetto.

Si morse nervosamente le labbra frullando quei due ingredienti che sembrava non volessero unirsi nemmeno con la colla. Il libro diceva che era possibile, ma lo stesso libro sparava idiozie più della Signora Grassa quando era ubriaca.
«Aggiungi un po' di brodo di sanguisughe» le consigliò Lily con un mezzo sorriso, decisa a dare una mano per la giustizia e anche per puro divertimento.
Liv aggiunse un mestolo di brodo e fu davvero efficace. I pezzetti triturati di Pelle di Girilacco ed Erba Fondente si unirono insieme in un frullato omogeneo.
«Dovresti riscrivere la nuova edizione di Pozioni Avanzate, Lily. Le generazioni di studenti future ti ringrazierebbero a vita»
Lily rise piano, scuotendo la testa. «Comunque, non esagerare con lo scherzo, non passare dalla ragione al torto per colpa di Black»
«Ti pare che Black si sia mai messo problemi sul fatto di non esagerare?» mormorò Liv afferrando mortaio e Corno di Bicorno. «Non sa nemmeno cosa vuol dire ‘non esagerare’. Quindi, sì, esagererò. Varrà la pena prendere la punizione. E poi, per quello che ho in mente, farmi dare una punizione da Lumacorno è un passaggio fondamentale per la buona riuscita del piano».
Lily spalancò gli occhi con le labbra inesorabilmente curvate verso l'alto, divertite. «Non dovevo promettere a tuo padre che ti avrei controllato».
Mentre riduceva in polvere quel corno ad una velocità allarmante, Liv ricontrollò le istruzioni per vedere se tra i passaggi della ricetta ci fosse anche Pensare alla persona che più si odia al mondo per usare al meglio il pestello’. 
Non c’era scritto. Ma era normale che l’autore non l’avesse appuntato visto che tutte le cose che funzionavano non si potevano trovare in quelle pagine.












Note:


In un'intervista chiedono alla Rowling se James era l'unico ad avere interesse romantico per Lily. Lei risponde: "No. Lei era come Ginny, era una ragazza popolare a scuola".
E: "Lupin voleva molto bene a Lily, mettiamola così, ma non vorrei che nessuno pensasse che Lupin fosse in competizione con James per lei. Lei era una ragazza popolare, è questo ciò che conta. Ma credo che l'abbiate già visto. Era un ottimo partito."




*Sirius, a detta della Rowling, ha tantissimi difetti. Predica bene e razzola male ed è troppo impulsivo, arrogante, sconsiderato; si lascia trascinare quasi sempre da rabbia e odio, sfoga le emozioni negative sugli altri perché non sa gestirle. Però sa amare (dice la Rowling) e lo fa in modo totale e leale, soprattutto quando una situazione riguarda James o Harry. Morirebbe per loro. Le parole (tradotte) che usa sono:"Mi piace, anche se non credo sia assolutamente meraviglioso. Lui è coraggioso, leale, avventato e il suo lungo soggiorno ad Azkaban l'ha inasprito e sbilanciato, ma la sua capacità di redenzione è l'affetto che è capace di provare".

Nel peggior ricordo di Piton, Sirius lascia parlare James con Lily senza mettersi in mezzo tra loro; quando lei rifiuta di uscire con James, Sirius gli dice in modo 'spiccio': "Ti è andata male, Ramoso" prima di voltarsi di nuovo verso Piton come se trovasse la situazione amorosa di James noiosa o un po' fastidiosa (come tutti i normali quindicenni tra amici). Ma non si intromette o non dice a James di lasciarla perdere, nemmeno quando James continua a parlare con Lily.
L'ho sempre immaginato molto attaccato a James, ma dubito che si sia messo in mezzo tra loro per non farsi rubare il tempo col suo migliore amico. Secondo me, all'inizio ha ''sofferto'' da solo, magari isolandosi come lo vediamo fare nel quinto libro; giusto il tempo di fare i conti col malumore, per poi tornare quello di sempre.
Per questo, in questa storia, quando ha capito che James era davvero innamorato gliel’ha detto schiettamente, subito, per farlo smuovere e soprattutto per il suo bene.
Sirius è l'opposto dell'egoismo, secondo me (come il cane che lo rispecchia), sbaglia perché si lascia trascinare dalle emozioni senza pensare alle conseguenze (impulsivo a livelli osceni), ma non lo fa mai per egoismo (nemmeno con lo “scherzo” sotto al Platano).
Sirius preferisce soffrire da solo piuttosto che far del male a James e Harry; come fa quando si isola nella vecchia camera di Walburga, con Fierobecco, dopo che Harry viene scagionato da tutte le accuse.
Sirius ''aveva ostentato una più che credibile parvenza di felicità alla notizia" stringendo la mano a Harry e dispensando grandi sorrisi a tutti. Nei giorni che seguirono, però, parla sempre meno con tutti e Harry lo vede "più scontroso e corrucciato che mai". Io penso che non fosse solo per Harry, noi vediamo solo il punto di vista di Harry che con Sirius tende sempre a sentirsi in colpa per qualcosa, già dal terzo libro.
Harry non sa praticamente niente, nel dettaglio, del suo passato e di lui, dei suoi pensieri. Vediamo sempre il suo punto di vista che quasi ogni volta percepisce il contrario della realtà: un esempio è Tonks che sta male per Remus, non per Sirius come crede Harry.
Ricordiamoci che Sirius ha passato la vita ad Azkaban, ha perso persone che riteneva la sua famiglia e adesso è rinchiuso nella prigione da dove è scappato a quasi sedici anni (dopo un’infanzia passata malissimo), senza poter combattere e fare qualcosa per l’Ordine e solo per colpa di Peter che l’ha reso agli occhi di tutto il mondo un assassino.
Ogni volta che riepilogo ciò che ha passato resto scioccata perché sono davvero troppe cose e troppo pesanti da sopportare e subire (Sirius subisce, non può fare davvero nulla ed è una cosa pesantissima da vivere da sani, figuriamoci dopo dodici anni in cella, innocente, con i Dissennatori addosso e col carattere ribelle e attivo che aveva fin da bambino).
Alla festa per Ron e Hermione, giorni dopo, è di nuovo il Sirius di sempre anche con Harry. Quando esce da Grimmauld Place, come Felpato, è super felice. Non credo proprio che volesse far diventare Harry un “reietto” come lui, per egoismo (come dice Hermione, un po’ insensibile).
Io credo abbia avuto un profondo momento di sconforto (e a ben ragione) e si sia isolato per evitare proprio di far star male Harry. L'opposto dell'egoismo.
Da quel che dice Hermione (che secondo me, per una volta, non ha ragione), Sirius è egoista ed oltre ad aver sperato che Harry venisse espulso da Hogwarts, vorrebbe avere Harry con sé piuttosto che vederlo andare a Hogwarts. Lo trovo esagerato e scorretto.
Quando mai Sirius ha mostrato un desiderio del genere? Solo perché durante l’estate dimostra di essere più triste e di malumore (tra l’altro, isolandosi) al pensiero di non vedere più il suo figlioccio che non ha praticamente mai vissuto e conosciuto prima perché rinchiuso ingiustamente in prigione?
Ho trovato Hermione molto poco sensibile e giudicante, senza nemmeno essere certa di tutto quello che ha detto.
Sirius era soltanto molto depresso, frustrato non solo per il fatto di non poter vedere Harry, ma per tantissimi altri motivi primo fra tutti il fatto di essere ancora una volta richiuso ingiustamente e senza la possibilità di agire per l’Ordine. Ma egoista mai, Sirius non si è mai visto egoista nemmeno nei libri. Il cane, il suo spirito animale, è l’opposto dell’egoismo; è lealtà cieca e solida, amore incondizionato e sincero. Nei libri, ogni suo gesto dimostra incrollabile e limpida lealtà. Sirius non vacilla mai, la sua lealtà è istintiva, non pensa nemmeno al fatto di dover ‘’essere leale”, lo è di natura.
Molly esagera con la storia del ''non è James''. Penso che Sirius sapesse benissimo che Harry non era James, forse anche troppo. Quando vorrebbe dirgli certe informazioni dell'Ordine lo fa perché è Harry a volerlo.
Sirius non è idiota e non ha quindici anni; si è visto benissimo nel libro precedente quando dimostra di essere davvero molto responsabile e attento durante tutto il quarto anno, tanto che Harry lo rimprovera dicendogli che lui non poteva dirgli di ''fare il bravo'' quando da giovane era stato peggio di lui.
Sirius adulto non lo vedo come un quindicenne. La Rowling ha detto che la sua crescita si è interrotta per colpa di Azkaban, ma quando è stato rinchiuso aveva 21 anni. Non credo che non sia maturato nemmeno un po' nel lasso di tempo tra i quindici e vent'anni (a quell’età si cambia radicalmente!).
L'hanno fatto tutti e lui no? No, non ci voglio credere e nei libri infatti si vede che Sirius non è il quindicenne del peggior ricordo di Piton. Esplode con Piton, ma quello è stato un chiodo fisso anche di James che continuava a usare la bacchetta contro di lui, di nascosto, anche al settimo anno. E ricordiamoci che tutti, nel quinto libro, sapevano con certezza che Piton era stato un Mangiamorte (alla fine del quarto fa vedere il marchio nero davanti al Ministro della Magia, Molly, Sirius e gli altri). Sirius non ha mai creduto alla sua redenzione.
Da libero, non rinchiuso, è un adulto e non un quindicenne. Ho voluto togliere questo cliché dal suo personaggio perché lo sminuisce e non se lo merita.
In un'intervista, la Rowling dice: “Sirius l'avrebbe fatto(morire per James e Lily). Lui, con tutte le sue colpe e i suoi difetti, aveva questo profondo senso dell'onore, in fin dei conti, e avrebbe preferito morire con onore, per come la vedeva lui, che non vivere con il disonore e la vergogna di sapere che aveva mandato a morire quelle tre persone, quelle tre persone che amava sopra ogni altra cosa, perché come Harry anche Sirius è una persona senza radici, senza famiglia”.
Avere profondo senso d’onore è il rispettare fedelmente i propri valori morali. I suoi valori morali sono l’amicizia e la lealtà. Non ce lo vedo proprio, Sirius, a farli venir meno per egoismo.
Un po’ come farà qui, molto più avanti nei capitoli, durante una luna piena. Nonostante ‘’tutto’’, rispetterà il Protocollo Luna Piena.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. Vendetta 'Liquida' ***


Scusate per l’assenza prolungata! Il mio piccolo paesino disperso tra le montagne (lo adoro ma è isolato stile ‘nonno di Heidi’ per intenderci) è rimasto senza elettricità, linea telefonica e rete internet per più di una settimana (solo oggi ho saputo della morte di Alan Rickman e sono ancora sotto shock...). Per questo ho tardato sia a pubblicare che a rispondere alle recensioni. Mi dispiace moltissimo! Spero non capiti di nuovo.
  Grazie infinite a chi legge, recensisce e aggiunge alle tre categorie. :) Senza di voi non riuscirei a continuare la storia! I complimenti ma soprattutto le impressioni e i consigli sono la cosa che mi aiuta di più. Aspetto anche le vostre opinioni, lettrici/lettori silenziosi :) Accetto con piacere anche le critiche costruttive. :) Sono qui per imparare e migliorare dopotutto!
 
 
 
****
 
 
 


Capitolo 9
 

 

VENDETTA 'LIQUIDA’



 
 
 

 
 

«Stia attento a quella fiamma, signor Goldstein» ridacchiò Lumacorno passando accanto al tavolo dei quattro Corvonero con aria divertita.
L’aula di Pozioni ormai era invasa da vapore e strani odori. Wayne Abbott si era arreso già da dieci minuti. Era inutile continuare a mescolare se aveva dimenticato di mettere le foglie di Centinodia.
 Tra tutti quei fumi colorati si potevano benissimo intravedere gli occhi scintillanti di Piton, incollati al suo calderone. Con espressione soddisfatta, stava immergendo il lungo mestolo nella fanghiglia che bolliva precisamente come indicava il libro. Un piccolo sorriso gli incurvò le labbra sottili. Mollò il mestolo, afferrando la sua piuma e intingendola nel calamaio.  Quell’ultimo giro bisognava farlo orario, non antiorario. Orario era decisamente più efficace. Lasciò scolare le nerissime gocce d’inchiostro dalla punta della piuma prima di poggiarla con sicurezza sulla pagina di Pozioni Avanzate per cancellare la penultima frase e scriverne un’altra di fianco.
«Il tempo sta per scadere, ragazzi! Mi raccomando!»
«Che roba è? Ma siamo sicuri che deve davvero assomigliare a fango putrido?»
«Il libro dice così, Sirius... e molla quel coltello, è il mio»
«Quello che hai lì allora di chi è, Remus?»
«É di Liv...»
«Cosa è mio, scusate?»
«Il coltello d’argento. Questo è il tuo... il mio l’ha preso Siriu...»
«Se questo è il tuo, Remus, il mio dov’è allora?»
«Ce l’ho io il tuo, Felpato... quello davvero scomparso è il mio»
«E me lo dici adesso, James!? Lo stavo cercando da mezz’ora!»
«Merlino, Sirius... tieni il mio ma sta’ zitto! Non mi ricordo più a che punto della ricetta ero arrivato... »
«Ti stai distraendo da solo, Lunastorta...»
«Silenzio e concetrazione là in fondo!»
 «Lily?» mormorò Liv mescolando distrattamente la pozione con il mestolo in una mano e facendo scivolare sotto al libro il coltello appellato mezz’ora prima.  
«Mh?» rispose lei, concentratissima sul suo calderone. I ciuffi di capelli rossi, crespi per via dei fumi, le ricadevano disordinatamente su viso e collo sudati mentre mescolava la pozione contando sottovoce ogni giro.
«Tieni nascosto il coltello di Potter mentre vado un attimo di là...»
«... tre e... quattro. Il quarto giro fallo orario non antiorario. Ho provato così e va molto meglio. Era per questo che non si compattava... stavi dicendo?»
«Lascia perdere... vado a prendere altra Erba Fondente...»
«Ma non devi metterne altra, Liv...»
«Lo so, ma devo per forza andare all’armadio delle scorte per passare dietro Piton senza destare sospetti...»
 Quell’ultima frase raggelò Lily, forse perchè ad accompagnarla c’era stato il sorriso più inquientante e malvagio che avesse mai visto sul viso dell’amica.
Piton, ammaliato dalla sua pozione, non si accorse di Liv che gli passò accanto per raggiungere l’alto armadio dietro di lui e far finta di prendere qualche ingrediente.
Perchè giocare solo con Black? Potter sarebbe stato geloso e non si poteva di certo far star male il piccolo bambino viziato. Liv non se lo sarebbe mai perdonato.
 Afferrò il primo barattolo che si trovò tra le mani e si rivoltò verso Severus, ancora chino sul suo calderone. Allungò la mano libera sul cappuccio foderato di verde della sua divisa per recuperare un capello, ricacciando la nausea giù per la gola, e la ritrasse velocemente quando lo superò, tornando alla postazione accanto a Lily.
Gli occhi verdi dell’amica puntarono prima sul barattolo mezzo pieno di radici di margherita e poi sul sottile e lungo capello nero che Liv teneva tra indice e pollice. Ci vollero pochi secondi per vedere le sue sopracciglia rossicce aggrottarsi e la sua bocca schiudersi in un espressione sorpresa ed incredula.
«Non lo farai sul serio...» mormorò, trattenendo una piccola risata. Liv le sorrise di rimando, poggiando il barattolo sul tavolo per sfilare il coltello di James da sotto il libro e dirigersi verso di lui.
«Potter, ce l’avevo io il tuo coltello... stai più attento a dove metti le tue cose» gli bisbigliò porgendogli l’oggettino argentato. Approfittando della momentanea distrazione sia di James che di Sirius, Liv avvicinò la mano con il capello di Piton a quelli posati sul bordo del tavolo che Potter e Black si erano strappati a vicenda all’inizio dell’ora.
Era il destino che lo voleva. Il destino che aveva reso i capelli di Sirius e Severus entrambi lunghi e neri. Liv stava soltanto eseguendo gli ordini del Fato e soprattutto del Karma.
 «Impossibile, il mio coltello è sempre stato qui non in giro, McAdams» sbottò James, accigliato.
Liv fece spallucce, lasciando il capello di Piton al posto di quello di Sirius che afferrò al volo prima di allontanarsi e raggiungere una Lily accaldata dal vapore.
«Ci sei riuscita?» mormorò spostando lo sguardo dal calderone a Liv.
Lei annuì, stringendo tra le dita il prezioso capello di Black. 
«Il quarto giro è orario, vero?» chiese, cominciando a mescolare con vigore, trattenendo una risata sadica.
Remus, al suo fianco, si lasciò sfuggire uno sbuffo di risata. Il piano di Liv era ben costruito ma avrebbe dovuto stare più attenta ad abbassare il tono della voce. Errore da principiante, ma Remus non aveva alcuna intenzione di spifferare il tutto. Sia James che Sirius se lo meritavano. Quella giornata passata a cercare i suoi appunti per tutta la Sala Comune non l’aveva ancora digerita.
Era sicuro, però, che il bel sorso di Pozione Polisucco da parte dei suoi amici sarebbe stato un digestivo più che perfetto per lui.
«Allontanatevi dai vostri calderoni prego! Il tempo a vostra disposizione è terminato!» cinguettò Lumacorno battendo le mani.
Piton indietreggiò di poco dal suo banco, sollevando lo sguardo luccicante di compiacimento.
«Bene, bene» iniziò il professore, sfregandosi le grosse mani con eccitazione «Da chi cominciamo?!».
 Una domanda superflua ma che comunque doveva fare ogni volta. Tutti lì sapevano rispondere visto che da sei anni quel ‘chi’ era sempre la stessa persona.
«Iniziamo dal tavolo dei Grifondoro!» esclamò allegro, sorridendo esplicitamente in direzione di Lily.
Gongolante, il grosso professore raggiunse il calderone della ragazza che sorrise a sua volta. Non le doveva essere uscita male: il colore, la consistenza, l’odore e il fumo erano gli stessi che descriveva il libro a fine capitolo. Lily si armò di bicchiere e mestolo, prontissima a trasformarsi in Liv.
«Professore? Oggi potremmo iniziare da quelli che non sono inspiegabilmente dei Pozionisti già affermati?» propose James con aria di sfida.
Era sicuro di aver preparato una Polisucco eccellente. Aveva seguito ogni gesto ‘strano’ di Piton nei minimi dettagli. Quella foglia di Centinodia in più rispetto al numero indicato nelle ‘istruzioni ufficiali’... quel misurino di brodo aggiunto al frullato che aveva reso il tutto più omogeneo e l’ultimo giro di mestolo in senso orario invece che antiorario.
Non aveva ancora capito perchè Piton sapesse tutte quelle cose ma, vista la sua media di Eccezionale, era certo che funzionassero. 
Sia Lily che Lumacorno parvero turbarsi. Beh? Cos’avevano da sorprendersi così tanto?
«Perchè no, signor Potter» bofonchiò il professore, illuminandosi «Vuole cominciare lei?».
James lo guardò di traverso. Era un insulto celato quello. Quell’uomo gli stava sempre più antipatico. Prima della fine dell’anno avrebbe dovuto riservagli un addio indimenticabile.
Lumacorno si avvicinò con cautela al calderone, annusando e scrutando con attenzione ogni singolo dettaglio. Quando prese il mestolo per rimestare e controllare la consistenza, un ampio sorriso gli fece sollevare i baffoni chiari.
«Potter! Hai sempre fatto delle pozioni discrete ma questa... questa è semplicemente perfetta!» commentò con tono sorpreso e leggermente sconvolto.
Il petto di James si gonfiò talmente tanto da sembrare quello di un tacchino a Natale. Sorrise smagliante, lanciando un’occhiata tronfia a Piton. Il sopracciglio di quest’ultimo, sollevato esageratamente, si riusciva a vedere anche dal lavandino in pietra che gocciolava nel lato della stanza più distante da lui.
 «Direi che questa Pozione Polisucco è più che adatta per essere testata! Non credo ci sia bisogno di chiederti in chi vuoi trasformarti, Potter» continuò Lumacorno spostando lo sguardo su Sirius.
Liv si sforzò di tenere ferme le labbra. Le si stavano arricciando inesorabilemente mentre osservava James versare la pozione nel bicchiere. Sentì Lily ridere silenziosamente alla sua sinistra e Remus trattenere il respiro alla destra. Perchè Remus stava trattenendo il respiro?
«Stamattina non ti ho visto usare il gel per capelli, Sir» mormorò James cercando di spezzettare il lungo capello nero da aggiungere alla pozione. Gli stava stranamente scivolando tra le dita come se fosse vivo.
«Infatti non ne ho usato» rispose Sirius, scansandosi con una mano i lunghi ciuffi che gli ricadevano sul viso perplesso.
«Potter, veloce! Lo metta intero!» lo incitò Lumacorno, allungando il corto collo per riuscire a vedere la Polisucco di Lily lì vicino.
Un sensazione di pura euforia invase Liv quando il capello d Piton fu gettato nel bicchiere con la pozione che schiumò, fumò e cambiò colore. Lumacorno e Liv annuirono contemporaneamente. Lumacorno per la corretta reazione della pozione e Liv per la giustizia finalmente riscattata. Ed era soltanto l’inizio.
«Ti immaginavo più ‘appetibile’, Sirius» mugugnò James avvicinando le labbra al vetro con riluttanza per poi bere più sorsi uno dietro l’altro.
Lily si portò una mano davanti alla bocca.
Potter sarebbe svenuto, impazzito. Avrebbe vomitato di sicuro. Era come rinchiudere un cane in un corpo di un gatto, si sarebbe preso a morsi da solo per strapparsi via quell’aspetto fisico che disprezzava da anni.
Liv questa volta aveva centrato in pieno l’obiettivo. L'osservò con la coda dell’occhio e la vide ghignare verso James o meglio, verso quello strano miscuglio di James e Piton che si portò le mani sul viso, sentendolo malleabile come cera. I suoi lineamenti si stavano muovendo come sinuosi serpenti.
La pelle tirava e bruciava insieme alle ossa, ai muscoli e ad ogni cellula del suo corpo. Aspettò di sentire le gambe allungarsi ma non accadde niente. Non raggiunse l’altezza di Sirius, Sirius che lo stava guardando stranito al suo fianco.
La divisa tutto ad un tratto sembrava piuttosto vuota e larga. Quel fisico così magrolino e fragile non era quello slanciato e non ossuto del suo migliore amico.
Davanti ai suoi occhi, che adesso vedevano sfocato con gli occhiali, spuntarono dei lunghi ciuffi di capelli neri. Almeno una cosa era giusta.
Ma quell’unica cosa giusta fu dimenticata subito quando i suoi occhiali furono sollevati da un qualcosa di prominente e ingombrante che James sentì crescere tra i due occhi.
«Ja... James?» balbettò sconvolto Sirius sfilandogli gli occhiali ormai storti che, in bilico sul grande naso aquilino, stavano per cadere a terra.
James, cominciando a preoccuparsi, spostò lo sguardo da Sirius a Remus e poi a tutti gli altri che ridevano apertamente. Tutti ad eccezione di Piton, furioso e per la prima volta con un lieve rossore a colorargli le magre guance pallide.
«Signor Potter, non sapevo che... ecco... non immaginavo assolutamente... mi aspettavo di vederla nelle vesti del signor Black» farfugliò Lumacorno con un mezzo sorrisino.
James sembrò cadere dalle nuvole. Arretrò con passi incerti ed espressione indecifrabile, continuando a fissare tutti.
Il maglione gli stava largo, i pantaloni pure. Quelle mani erano troppo pallide. Non azzardò a toccarsi la ‘montagna’ che gli stava creando fastidio al centro del viso.
«Cos’hai... fatto, Sirius?» esalò con una strana voce. Qualcosa gli stava dicendo che guardare Piton era come osservarsi allo specchio. Quel qualcosa che aveva reso la sensazione reale era proprio quella voce. La sua voce che non era più la sua e nemmeno quella del suo amico. Sirius non poteva avergli fatto una cosa simile.
Il pensiero di aver bevuto un capello di Piton lo colse di sorpresa insieme ad un conato di vomito e alla consapevolezza di avere l’aspetto orribile di Mocciosus.
Non si era mai sentito coperto di vergogna come in quel momento. La nausea aumentò e così anche la voglia di vomitare all’istante fino ad uscire da quel corpo orripilante.
«Sirius, aspettati di tutto d’ora in poi!» gridò, andando a nascondersi dentro la dispensa di Lumacorno.
 Sarebbe rimasto lì, un’ora tra quei barattoli pieni di viscidume, ad occhi chiusi e sforzandosi per non pensare di avere il naso di Piton, la bocca di Piton, le braccia di Piton, i capelli di Piton e tutto il resto... sempre di Piton.
«Non sono stato io!» gridò di rimando lui, sovrastando le risate e la voce di Lumacorno che intimava a tutti di fare silenzio.
«Basta, basta! Calmatevi! Sono errori che possono capitare! La cosa importante da ricordare è che il capello da usare non deve essere un pelo di animale o gli effetti saranno disastrosi» spiegò a voce piuttosto alta, facendo evanescere la pozione di James con un colpo di bacchetta.
Lily si asciugò le lacrime agli occhi. Vedere un Piton indietreggiare tra i tavoli con espressione spaurita e ridicola l’aveva fatta ridere senza controllo. Il fatto che quel Piton fosse Potter era il particolare migliore.
 «Professore? Può valutare la mia adesso?» s’inserì Sirius, sospettoso. Se il capello usato da James era di Mocciosus, quello che lui credeva fosse di James di chi era?
Remus, al suo fianco, mormorò un ‘No, Sirius, peggiori la situazione’ prima di tossicchiare casualmente.
«Certo, certo, Black!» esclamò Lumacorno, prendendo la palla al balzo per riportare un pò di ordine in aula «Silenzio, tutti! Concentriamoci sulla pozione del signor Black!».
 Liv sorrise, euforica. Meglio di così non poteva andare. Aveva fatto benissimo ad aspettare che Black si facesse avanti, sarebbe stato tutto ancora più perfetto.
Strinse con forza il capello di Sirius mentre Lumacorno annuiva, chino sul calderone.
«Oh, beh... non è perfetta ma può andare. Forse l’effetto durerà meno di un’ora ma è...»
 Sirius non gli fece finire nemmeno la frase. Riempì il bicchiere di Polisucco, ci gettò dentro il corto capello di James e rimase ad osservare la schiuma e il fumo mentre quel color fango diventava di un brillante giallo oro.
Bevve due sorsi sotto l’occhio divertito di Remus e quello curioso dell’intera classe che si aspettava di vedere Black trasformato in chissà chi.
Quella trepidante aspettativa fu smontata subito appena Sirius si abbassò leggermente di statura, diventando la copia esatta del suo migliore amico.
«Credo che questa trasformazione sia riuscita alla grande, signori! Ben fatto, Black!» trillò Lumacorno sorridendo radioso verso Sirius che cercava a tentoni gli occhiali di James sul tavolo.
«LA PAGHERAI, FELPATO!» gridò James da dietro la porta della dispensa, ammutolendosi subito dopo per non sentire la voce di Piton uscirgli schifosamente fuori dalla gola.
Quella era la sua gola! La sua gola che ‘l’essenza’ di Piton non avrebbe mai dovuto sfiorare! Ecco perchè la Polisucco era Proibitiva: una cosa del genere non si poteva accettare! Era illegale cambiare i suoi geni con quelli di Mocciosus!
Il sospetto sul viso del James ancora in classe si tramutò in preoccupazione quando Liv alzò una mano con aria furba.
«Professore, posso essere la prossima?» chiese, impaziente.
Lumacorno ridacchiò, compiaciuto. «Questa pozioncina vi è piaciuta proprio tanto, eh? Vediamo cos’hai combinato, McAdams».
«Già... cos’hai combinato, Olivia?» sibilò Sirius sistemandosi meglio gli occhiali rotondi sul suo nuovo naso.
Ancora una volta Lumacorno s'illuminò, chinandosi sul calderone di Liv. «Ma cosa vi è successo? Quest’anno siete partiti con il piede giusto! Sono davvero soddisfatto di voi, ragazzi! L’anno dei M.A.G.O. non poteva cominciare al meglio, McAdams! Questa Polisucco è eccellente!». Lumacorno sembrava non credere alle proprie orecchie, e di sicuro non immaginava nemmeno lontanamente che il merito era tutto di Lily e dei suoi consigli mirati. «Severus, Lily... avete dei rivali!». 
Lily rise piano, scuotendo la testa ed evitando di rivolgere lo sguardo verso Piton, ancora rosso d’ira e decisamente scettico sul fatto di avere dei rivali.
«Molto bene, signorina McAdams! In chi vorresti trasformarti?» chiese il professore lanciando uno sguardo a Lily. Di nuovo, però, si sbagliò di grosso.
«Lo scoprirà subito, professore» rispose Liv riempiendo il bicchiere con la pozione. Quasi le tremavano le mani dalla voglia di berla e mettere finalmente in atto il piano vero e proprio.
«Cosa...? Dovresti chiedere alla persona interessata il suo consenso...» bofonchiò Lumacorno, sconvolto quasi quanto Sirius che sembrava aver capito dopo aver visto il lungo e nero capello cadere dentro al bicchiere.
Tra schiuma e fumo, la pozione color fango divenne sfacciatamente perlacea e luminosa, quasi a voler schernire quel ‘Black’  del proprietario del capello.
Liv si portò il bicchiere alla bocca e bevve senza indugi, incatenando lo sguardo a quello di Sirius-James, lampeggiante dietro agli occhiali.
Trattenne una smorfia, posando il bicchiere, quando un bruciore doloroso cominciò a tirarle la pelle.
Le ossa di braccia e gambe si allungarono parecchio mentre i capelli ondulati divennero corvini, diventando più lisci ed accorciandosi a vista d'occhio fino a raggiungere il collo in ciocche fluenti poco sopra le spalle; spalle larghe che strapparono le cuciture della camicia sotto al maglione, improvvisamente piatto sul davanti, fastidiosamente aderente sulle baccia e corto. Quel vuoto fu compensato da una strana sensazione di ‘riempimento’ sotto alla gonna, eccessivamente corta per quelle due nuove gambe lunghe e mascoline.
 Gli sguardi orripilati di tutti fecero sorridere Liv, un sorriso troppo femminile sul quel viso che fece scoppiare a ridere prima Lily e poi Remus, seguito da tutti gli altri.
L’espressione di puro odio per Liv, stampata sul viso del finto Piton che sbucava dalla porta della dispensa, era molto più normale da vedere rispetto a quella sinceramente divertita del vero Piton davanti al calderone.   
«Per la barba di Merlino!» esclamò Lumacorno, agitando le corte braccia come se volesse fare qualcosa senza sapere esattamente cosa.
Quel corpo maschile coperto miseramente dalla divisa femminile lo stava sconvolgendo proprio come stava sconvolgendo il vero Sirius con l’aspetto di James.
Vedere se stesso in minigonna l’aveva momentaneamente paralizzato. Riuscì a muoversi soltanto quando Liv fu costretta a chinarsi per slacciarsi le scarpe davvero troppo strette per suoi nuovi piedi di diverse taglie più grandi della sua.
«TI UCCIDO, OLIVIA.» ringhiò con la voce del suo migliore amico, avventandosi su se stesso per abbassare quella gonna striminzita.
«Ti vergogni delle tue gambe? E quando scendi nudo in sala comune allora?» ribattè Liv schivando quelle mani che cercavano a tutti i costi di afferrare la stoffa, le scarpe usate come ciabatte ma ancora troppo piccole. Scalciandole via risolse velocemente il problema, in tempo per riuscire a scappare da Sirius.
«Che cosa!?» sbottò sotto shock il professore seguendo con sguardo allibito i finti Potter e Black rincorrersi per l’aula.
«No, McAdams! Non mi vergogno delle mie gambe nude ma delle mie gambe nude e corredate da un ristretto paio di mutandine con le ciliegie, sì!» ribattè Sirius, sfilandosi la veste per coprire Liv che andò dietro Lumacorno, sempre più sconvolto.
«Black e McAdams, finitela subito!» ordinò, rosso in faccia.
«Ti stanno bene» rise piano Liv, continuando a stare attorno al professore con l’intenzione di farlo innervosire. Doveva uscire dall’aula, soltanto così si sarebbe potuta definire soddisfatta. Merita tutto quello, Black si meritava tutto.
«Piantala! Non è divertente!» abbaiò Sirius girando attorno a Lumacorno con la veste tra le mani e gli occhiali calati sulla punta del naso, pensando a come accidenti faceva James a tenerli sempre.
«Eccome se lo è!» esclamò tra le risa generali Marlene McKinnon dal tavolo dei Corvonero.
«INSOMMA! Credo proprio sia necessario che andiate subito dritti da Minerva, voi due!» scoppiò Lumacorno gonfiandosi di rabbia.
Liv non se lo fece ripetere due volte. Guardò per un attimo Lily che scosse la testa, continuando però a ridere, ed eseguì l’ordine del professore. «Subito, professore» obbedì con la voce di Sirius, scappando fuori dall’aula senza aspettare il suo compagno.
«Signor Pott... Black, si fermi! Le devo dare il biglietto per la professoressa!» tuonò l’uomo, bloccando Sirius per un braccio.
Il volto del finto James, deformato dall’ira, esprimeva tutto il disappunto del mondo. Olivia aveva i giorni contati.
Cieco di rabbia, Sirius attese fremente davanti alla cattedra sulla quale Lumacorno era chinato, scrivendo frettolosamente. Ad ogni battito nervoso del piede sul pavimento in pietra, l’immagine che si era creato in mente di se stesso in gonna che scorrazzava scalzo nei meadri del castello affollato lo faceva uscire fuori di testa. Fulminò con lo sguardo Lily che se la rideva sotto ai baffi al fianco di Remus, divertito anche lui.
Senza nemmeno pensarci si passò furiosamente una mano tra i capelli rendendo ancora più verosimile la trasformazione nel suo migliore amico. Tutto quello che adesso voleva era acciuffare quella ragazza e nasconderla da qualche parte.
Quando Lumacorno gli consegnò la piccola pergamena, scattò verso la porta facendo volare piume e pergamene poggiate sui banchi.
La prima cosa da fare era salire in Sala Comune da Peter che aveva la Mappa. Un voce, però, gli fece cambiare idea a metà scala dei sotterranei.
«Sì, Cresswell, sto bene. Perché? Non posso vestirmi come voglio, scusa?»
Non aveva bisogno della mappa per trovare Liv; quella era la sua voce. Non la voce di Liv, ma proprio la sua, quella che gli apparteneva di diritto.
Sirius si bloccò appena mise piede nella sala d’Ingresso, stupito: se stesso in gonna stava camminando tranquillamente davanti al Corvonero dall’aria sconvolta e stranita vicino alla clessidra abbracciata dal tasso.
«Sono io il vero Sirius Black!» gridò Sirius con la voce di James, correndo verso di loro a perdifiato.
«Ah! Ramoso!» esclamò Liv, raggiante, fermandosi.
Sirius faticò a guardare se stesso, davvero troppo impressionato nel vedere quelli che un tempo erano i suoi lineamenti, addolcirsi in quel modo.
«Dai, non puoi metterti a paragone con me sulla questione ‘Bellezza ed eleganza’» continuò Liv con l'intenzione di fargli pagare sei anni scuola passati a far sentire vittime gli altri.
«Ti uccido, Sirius»
«James, non puoi uccidermi. Sono il migliore, in tutto. Sono indistruttibile, lo sai...»
Non era poi così difficile stare nella parte dell’altezzoso Sirius Black, si disse Liv. Adesso che aveva ‘Ramoso’ al fianco, il ventaglio di scenette da mettere sù si era quadruplicato. 
«Che vogliamo fare, compare? Qualche stupido dispetto ai bambini innocenti del primo anno o a persone allergiche a qualcosa? Gonfiare teste, togliere le mutande a qualcuno? Baciare ragazze dietro gli alberi e poi far finta di non ricordarsi? Lavare la bocca a Mocciosus? Io consiglierei il Mocciosus nascosto...».
Sirius si sistemò gli occhiali per l’ennesima volta, sentendosi ridicolo. Tutti stavano fissando la gonna sul suo clone, straniti e divertiti additavano le suegambe. Uno sano di mente non avrebbe mai pensato che quello in divisa femminile, senza scarpe, potesse essere davvero lui. Possibile che in quella scuola fossero tutti degli scemi?!
Sirius Black in gonna camminava senza scarpe insieme a Potter, ieri!’ sarebbe stato il nuovo odioso pettegolezzo.
Il sorriso beffardo di Liv era quello che vedeva ogni mattina allo specchio, almeno quello si addiceva alla sua faccia.
Era stata incredibilmente scaltra, doveva ammetterlo. Sirius non riuscì a capacitarsene. Aveva sempre visto Olivia attaccare con la bacchetta, non fare scherzi; l'aveva completamente preso alla sprovvista.
«Cosa vogliamo fare, dici? Lo so io cosa vogliamo fare, Felpato» ringhiò, afferrandola per un braccio e trascinandola verso le scale. Liv sentì la sua presa salda, rispettosa e per niente violenta come se il braccio che Sirius aveva appena agguantato non fosse il suo clone; come se fosse il suo, di Liv.
Sirius la portò con sè fino alle scale, ma presto si accorse che non era come trascinare la Liv originale. La sua totale mancanza di collaborazione rendeva quelle gambe ancora più lunghe e quei muscoli più forti.
«Ci sono problemi, Ramoso?» chiese Liv, sfacciata.
Per un attimo Sirius pensò davvero di essere James con un vero Sirius davanti.
Continuò a trascinarla, pensando alla prima scorciatoia nei paraggi. La finta nicchia al secondo piano era la più vicina, ma il primo piano era affollato di studenti appena usciti dalle aule al suono della campana.
Doveva per forza nascondere il finto se se stesso nel bagno più vicino.
Un’ora. Un’ora in bagno ad aspettare che l’effetto di quella diabolica pozione finisse e poi a cena. Poteva andare come soluzione.
«Ehi» esclamò Liv in direzione di una bionda con i libri stretti al petto, la cravatta Tassorosso ben annodata al collo. «Mi dispiace per quella volta al quinto anno, Greta. Sono stato insensibile, non sei tu quella sbagliata». La ragazza arrossì all’istante, nei suoi occhi chiari sgranati Liv ci lesse con sollievo una lampante consapevolezza e forse anche una scintilla di autostima.
Quella ragazza la ricordava bene: Greta Catchlove*. Black era uscito con poche ragazze, "per noia", preferendo di gran lunga starsene con Potter, Remus e Peter. Il fatto che quella stessa noia innocente gli facesse trattare le ragazze con troppa leggerezza e nessuna coscienza era ciò che aveva sempre reso Liv contrariata ed ostile nei suoi confronti.
Era dal quinto anno che Greta sembrava essersi chiusa in se stessa, da quando era stata lasciata da Sirius dopo un'uscita a Hogsmeade con lui, forse illudendola con un bacio che sicuramente per lei era stato il primo.
Sirius, stranito, fermò entrambi osservando il volto di Liv, il suo volto: era serissimo, davvero dispiaciuto. Qualcosa nel suo petto punse, orgoglio o colpa; Sirius non lo seppe, ma guardando quella ragazza ricordò tutto, sentendosi uno schifo. Come faceva Olivia a ricordarlo? A saperlo?
Tirandola gentilmente a sè, riprese a trascinarla verso il bagno e Liv non fece resistenza, almeno fino a quando non furono dentro.
«Credi che se volessi non riuscirei a scappare da qui?» lo sfidò con un leggero fiatone cercando di liberarsi. Sirius non mollò la presa, perché due voci maschili si facevano sempre più vicine, da dietro la porta appena chiusa. La trascinò ancora dentro ad un gabinetto, tappandole la bocca con una mano, senza premere troppo.
Una situazione un po' ambigua che li fece rabbrividire entrambi.
Liv ringraziò il fatto che Sirius non avesse il suo aspetto normale, anche se la cosa le faceva sempre un certo effetto.
Non c’era poi da ringraziare nessuno: stare così vicina al viso di Potter le dava l’orticaria.
Sirius cercò in tutti i modi di cacciare via l’immagine di se stesso e James avvinghiati in un bagno.
«Occupato!» rispose quando qualcuno bussò sul legno, facendo sussultare Liv.
«James, va tutto bene?» La voce stranita di Harrison, il miglior battitore della squadra, arrivò chiara da dietro il legno scuro.
«Tutto alla perfezione, Harrison! Vai pure! Sirius è solo ubriaco, dillo a tutti!» ribattè Sirius minacciando con lo sguardo Liv, intenta a cercare di mordergli la mano per riuscire a parlare.
«In effetti si stava comportando davvero in modo strano» continuò Harrison. «Allora, s non avete bisogno d'aiuto... ci vediamo agli allenamenti domani sera»
«Certo, certo! Gli allenamenti! Puntuale, mi raccomando!» lo salutò Sirius, la carismatica voce di James a vibrare in tutto il bagno.
I passi del battitore si allontanarono e la porta che si aprì prima di richiudersi subito dopo fece tirare un profondo sospiro di sollievo a Sirius che però fermò l'inspirazione per via del profumo di Olivia, così intenso da inebriarlo. Risentirlo gli ricordò quanto fosse buono, quanto avesse stranamente bisogno di respirarlo.
«Mi dispiace, Ramoso» cominciò Liv divincolandosi per uscire dal piccolissimo gabinetto. «Ma qui io non ci faccio niente. Non ho nessun organo là sotto che mi permette di fare pipì... se c’è, è davvero troppo piccolo e non lo sento» continuò, mentendo con le giancie in fiamme. Uscì a fatica da lì dove un buonissimo profumo, quello addosso a Black, le aveva attanagliato i polmoni e il cervello.
«E allora perchè stai camminando in quel modo?» le fece notare lui, seguendo lei con lo sguardo e la scia delicata ma persistente della sua fragranza con l'olfatto.
Non aveva di certo una camminata disinvolta, quel Sirius Black. Quella gambe tenute larghe non avevano niente a che fare nè con lui nemmeno con il genere maschile in generale, a meno che non si parlasse di scimmioni.
Gli venne da ridere, nonostante fosse furioso, ma si controllò per evitare di farlo quando Liv si fermò, poggiandosi con finta tranquillità ad un lavandino.
«Cammino così perchè ne ho le scatole piene di questi giochetti. Diciamolo a tutti che stiamo insieme, non c'è niente di male. Siamo sempre attaccati, l'avranno già immaginato» rispose lei, adocchiando una sedia poggiata al muro vicino. Sapeva benissimo che la sua andatura non si poteva definire elegante e sciolta come quella che affascinava mezza Hogwarts femminile, ma con quel coso negli slip era praticamente impossibile camminare senza distanziare esageratamente le cosce.
Evitò di soffermarsi su quel pensiero e cambiò argomento prima ancora che Sirius potesse ribattere.
«Hai un appuntamento, Black» lo informò, andando a sedersi scompostamente.
«Come scusa?»
«Si chiama Filius Vitious. Domani alle sei nel suo ufficio. L’hai letteralmente fulminato con il tuo aspetto ‘indecente per il regolamento della scuola’. Credo sia un termine antico che equivale a ‘sei assolutamente sexy in minigonna’».
Questa volta le labbra sottili del finto Potter si stirarono in una smorfia rabbiosa, inevitabilmente divertita.
Liv aveva rischiato più volte, si era presa una punizione ed era ancora lì; di sicuro si era dimenticata che doveva andare dalla professoressa McGranitt.
Meglio così, si disse Sirius, non aveva mai avuto la reale intenzione di andare dritto dalla loro Capocasa. E sorrise anche per quello.
Più la osservava e più gli veniva da sorridere. Lo stupore e il divertimento gli vibravano in gola insieme ad una risata che quasi gli sfuggì dalla labbra; la voglia di avvicinarsi a lei per prenderle il viso tra le mani e baciarla, a fargli fremere gli arti.
Sirius tuffò apposta le mani nelle tasche dei pantaloni, per trattenersi, squadrando la figura di se stesso per bene da sopra gli occhiali rotondi e vedendoci la ragazza che percepiva ardere sotto, quella che con i grandi occhi scuri fiammeggianti l'aveva sempre stupito, dal primo anno, con il suo modo di fare spontaneo ed indignato, colmo di sfida davanti a ingiustizie, arroganza, a chiunque aveva provato a metterle i piedi in testa. Tutti la chiamavano violenta, a lui piaceva così.
La contrita espressione di Sirius, a metà tra la serietà e l'ilarità, non piacque per niente a Liv. Aveva creato quella situazione per farlo star male, non per farlo divertire.
«Essere vittima di uno scherzo ti fa ridere, Black?» sputò con rabbia crescente «O stai già pensando a come vendicarti? Beh, fai pure! Vendicati come ti pare perchè tanto ricambierò con la stessa moneta! Zucchero nel mio bacon? Sale sul tuo croissant. Pus di Bubotubero sulla mia sciarpa? Polvere pruriginosa nella tua cravatta. Caccabomba nella mia borsa? Sterco di drago nelle tasche dei tuoi pantaloni. La mia scopa sabotata? Uno spintone sul tuo petto mentre la scala si muove. Puoi pensare all’infinito Black e all’infinito io continuerò a trovare quello che meritano i tuoi scherzi».
Il sorriso sul viso di Sirius-James si sollevò ulteriormente.
Non riuscì a fermarla quando, con un gesto fulmineo, gli fu davanti per sfilargli gli occhiali rotondi.
«Smettila, Olivia! Dammeli! Hai fatto abbastanza casino oggi!» le abbaiò contro, arrancando verso la sagoma sfocata che si allontanava verso la finestra. Ma perchè James è praticamente cieco!?
«Hai detto bene: oggi. Ma tu da quanto fai casino? Sei anni? E credi che questa mezz’ora possa bastare per farti pagare sei anni, Black? Ne ho ancora un’altra, perchè sprecarla?» ribattè lei nascondendogli gli occhiali dietro ad un portasapone prima di scappare via dal bagno con la voce di Potter che gridava Olivia in quel modo così tanto da Black. Non era la stessa cosa, doveva ammetterlo.
Un tonfo accompagnò l’uscita di Liv in corridoio. I libri di una Jane Phillips sotto shock erano caduti a terra insieme a lei e a quello che lei credeva fosse Sirius. I suoi occhi azzurri sembravano due mandarini da quanto erano spalancati, come la sua bocca.
 «Liv?» esordì la voce sconvolta ed incredula di Mary, in piedi lì davanti. L’amica, di ritorno dalla lezione di Cura delle Creature Magiche, aveva riconosciuto gli slip a ciliegine sul sedere di Sirius che sbucava dalla gonna spiegazzata e sollevata per la caduta.
«Ciao, Macdonald! Dove vedi Olivia?» riuscì a dire Liv alzandosi ed aiutando Jane a rimettersi in piedi prima che il Potter-Sirius, di nuovo armato di occhiali, la placcasse a terra come un agguerrito giocatore di rugby.
Mary rimase a fissare sconcertata quella lotta tra Potter e Black... o forse doveva dire tra Potter e Liv? Ancora una volta si era persa qualcosa di esilarante. Il rimorso di aver preso Accettabile al G.U.F.O. di Pozioni arrivò in contemporanea all’urlo della McGranitt che immobilizzò per un attimo anche i quadri, facendoli assomigliare a quelli babbani.
«BLACK! POTTER! FINITELA IMMEDIATAMENTE!»
«Non sono James!»
«La smetta di scherzare, Potter! Non è di certo nella posizione più adatta per farlo! Black... ». Gli occhi della professoressa si spalancarono, sbarrati e fissi come se fossero di vetro.
Adesso che i suoi due studenti più scalmanati si erano rimessi in piedi, poteva benissimo notare in che condizioni fosse la divisa di Sirius. Non riusciva nemmeno ad aprire le labbra sottili dallo sdegno e dalla furia che saliva ad ondate nel petto.
Si limitò a stringere spasmodicamente la pila di fogli che teneva stretta in mano, cercando tutta la calma del mondo. Inutile dire che non ci riuscì.
«PURA MANCANZA DI RISPETTO PER LA SCUOLA E PER LA NOSTRA CASATA, BLACK! IO NON SONO MAI STATA PIÚ... PIÚ OLTRAGGIATA DI COSÍ!»
Tutti le diedero ragione mentalmente. Non l’avevano mai vista così rossa in faccia. Gli occhiali le erano scivolati sulla punta del naso appuntito, lasciando quegli occhi azzurri liberi di lampeggiare come fiamme.
«Sirius sono io! Questa è McAdams!» sbottò Sirius, sistemandosi gli occhiali con un gesto nervoso della mano.
La McGranitt lo fulminò, facendolo tacere all’istante. Le narici frementi erano un chiaro segno di punizione imminente. Punizione che, in teoria, lui e Liv avevano già.
Sirius infilò una mano in tasca, trovando il piccolo rotolo di pergamena di Lumacorno. Tanto valeva consegnarla. Si sarebbe chiarito tutto e la punizione l’avrebbe beccata anche quella pazza di Olivia.
Come se gli avesse letto nella mente, Liv gli afferrò il braccio per sfilargli la mano da lì.
Mary si coprì gli occhi con un libro per non vedere la situazione peggiorare con quell’altra piccola lotta silenziosa tra braccia e mani.
La McGranitt parve ribollire e sputare fumo quando lasciò cadere a terra i fogli per separare i due con una sorprendente forza.
«NEL MIO UFFICIO! SUBITO! E NIENTE STORIE! AVETE SUPERATO IL LIMITE STAVOLTA! DECISAMENTE!».
«Deve leggere questo prima, professoressa» sbottò Sirius porgendole il biglietto il più velocemente possibile. La donna lo squadrò con diffidenza e nessuna voglia di eseguire ordini da lui.
«Potter, ho detto NIENTE STORIE! Un’altra parola e verrai espulso!».
Sirius però non si lasciò spaventare. «La signorina McAdams» cominciò a leggere ad alta voce, ignorando lo sbuffo di Liv al suo fianco «ha utilizzato la Pozione Polisucco in modi tutt’altro che consoni alla mia lezione e il signor Black non ha fatto altro che peggiorare la situazione aumentando il disordine nella mia aula. Come loro Capocasa, Minerva, do a te la responsabilità di punirli nel modo che ritieni più opportuno. Horace».
Stordita. La McGranitt era letteralmente stordita e, se possibile, ancora più furiosa.
Afferrò entrambi per le spalle e li spinse a passo di marcia verso il suo ufficio.
Mary scosse la testa con un piccolo sorriso divertito ad incurvarle le labbra. Si accorse solo dopo qualche secondo dell’espressione d’odio dipinta sul viso di Jane. Era verde d’invidia.
Cosa c’era da invidiare a due poveri maghi appena trascinati di peso dalla McGranitt in persona?
«Stai bene, Jane?» le chiese, cauta. La ragazza si voltò a guardarla con occhi ridotti a fessure.
«McAdams sarà contenta di avere Black sempre attorno, vero?!» sbottò, stizzita, come se avesse del veleno in bocca.
Mary sollevò entrambe le sopracciglia. «Come, scusa?» si limitò a dire cercando di nascondere la sua perplessità. Jane arricciò il naso come se avesse appena sentito del cattivo odore, prima di chinarsi a raccogliere i suoi libri e partire spedita verso le scale che portavano al piano terra.
 
 


 
*
 
 


 
«Certo che la punizione la sconterete separati, Black! Non sono così sprovveduta da mettere in pericolo i bagni dell’intera scuola!»
La McGranitt, seduta dietro la sua scrivania in mogano, aveva la voce leggermente rauca dopo aver parlato per almeno un quarto d’ora su concetti come ‘Rispetto’, ‘Onore’ e anche ‘Maturità’ ed ‘Intelligenza’ che a quanto pareva mancavano ad entrambi i suoi studenti seduti di fronte a lei. Sirius, di nuovo con il suo vero aspetto dato dall’effetto non eccellente e meno duraturo della  sua pozione, e Liv con ancora le sembianze da ragazzo. Più volte la professoressa aveva mormorato ‘Questo è un incubo’ mentre continuava la sua ramanzina spostando lo sguardo severo da un Black all’altro. Fece durare appositamente quel discorso fino a quando i capelli di uno dei due non iniziarono a schiarirsi leggermente ed allungarsi, al contrario degli arti che si accorciarono.
«Bene» sentenziò, lanciando un’occhiata torva alla vera Liv. «Potete andare adesso. Vi ricordo che Mastro Gazza vi aspetterà nel suo ufficio alle nove e mezza, dopo la ronda. Avete il mio permesso scritto».
Il silenzio che piombò tra Liv e Sirius appena si chiusero la porta dell’ufficio alle spalle fu assordante.
Rimasero per un attimo fermi sul posto prima di guardarsi reciprocamente, scoprendo che sul viso di entrambi c’era un sorriso. Forse quello di Liv era un po' più sollevato e luminoso del solito.
«Soddisfatta, Olivia?» le chiese infatti Sirius cominciando a camminare verso le scale per raggiungere la loro torre senza distogliere la coda dell'occhio da lei.
«Ah, Black. Credi che sia così stupida da dirti se sono soddisfatta o no per lasciarti bello tranquillo?» rispose sorniona Liv al suo fianco «Non lo so se sono soddisfatta. Tu stai attento in ogni caso» continuò, lanciandogli un’occhiata arrogantemente furba e attraente che lo lasciò leggermente disorientato mentre lo superava con passo deciso e vittorioso.
Gli angoli delle labbra di Sirius s'immobilizzarono.
Sì, forse l’aveva decisamente sottovalutata, in tutti i sensi.
 
 



Soddisfatta, certo che lo era.
Il sorriso esultante doveva apparire davvero insolito sul suo viso visto che tutti gli studenti nei corridoi la stavano guardando straniti.
Pulire senza magia i bagni ad ogni piano, compresi quelli dei sotterranei ed escluso quello dei Prefetti, sarebbe stato come bere un bicchiere d’acqua con quell’euforia che scorreva nelle vene e che sarebbe stata in circolo ancora per molto.
«Geranio Zannuto!» esclamò così allegramente che la Signora Grassa dovette squadrarla a lungo e per bene, pensando fosse un’altra ragazza.
«Ti vomiterei addosso per farti capire come mi sento in questo momento. Ma mi assicurerò di fartelo provare domani pomeriggio giù al campo» l’aggredì James appena il ritratto si aprì per farla passare. Anche se più che aggredire lei aveva aggredito la poltrona lì vicino visto che, di nuovo con le sue sembianze ma senza i suoi occhiali, vedeva tutto sfocato.
«Ok» fu la semplice risposta di Liv che continuò a camminare tra divanetti e pouf, diretta verso il dormitorio femminile.
«Sirius dov’è?»le chiese Peter, anticipando un preoccupato Remus al suo fianco.
«Starà cercando la sua dignità da qualche parte» gli rispose lei, sparendo dietro alla porta. La stessa porta che ore dopo avrebbe varcato gocciolante d’acqua per colpa del compagno di punizione e di una sua trasparente e malcontenta alleata.








 Note:


*Greta Catchlove è nelle figurine delle Cioccorane ed è nata nel 1960 (lo stesso anno dei Malandrini, ma per me è nata dopo il 31 agosto quindi è finita nell'anno dopo, quello di Regulus) ed era Tassorosso.
Sul sito ufficiale della Rowling, in inglese, appare tra i personaggi "del mese". Ne vedrete altri, in questa storia! Tenete gli occhi aperti!
Greta è stata un'autrice di libri di cucina come "Incantate il vostro formaggio".


Non ho mai immaginato Sirius un dongiovanni. Nei libri è descritto con "distratta eleganza", quindi non era nemmeno vanitoso.
Sicuramente sapeva di piacere e di essere un bel ragazzo, ma evidentemente non gli importava molto. Vedrete questo suo aspetto più avanti.
Ai suoi G.U.F.O, la ragazza che sta dietro di lui lo guarda con occhi a cuoricino e lui non se ne accorge nemmeno o fa finta di niente. Credo non gli importasse tanto delle relazioni, ma non penso fosse senza esperienza.
Era un adolescente e anche piuttosto "bastardo arrogante" a detta sua (non penso avesse molta morale almeno fino a quinto anno), che sapeva di essere ammirato e desiderato. Non credo avesse più ragazze contemporaneamente, penso solo che ogni tanto ne vedesse una senza grandi aspettative da parte sua.
Vedo Sirius molto rispettoso dell'amore, dubito prendesse in giro le ragazze per puro gusto di farlo... era soltanto giovane, sconsiderato e ben lontano da quel sentimento. Per lui non era importante cercarlo, magari l'ha aspettato senza pensarci continuamente, preferendo viversi l'amicizia dei Malandrini. Questo Liv l'ha sempre visto e saputo, ed è uno dei motivi per cui è rimasta in disparte con lui, amandolo in silenzio senza nemmeno ammetterlo del tutto a se stessa.
Il punto di vista di Sirius nei suoi confronti lo vedrete più avanti, diciamo solo che forse ha sempre saputo dove fosse l'amore, tenendolo lontano con paura, ben sorvegliato senza avvicinarsi troppo. Prima o poi dovrà fare i conti con lui perché gli arriverà dritto in fronte facendogli parecchio male xD



Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. Il Mostro a più Occhi ***




Capitolo 10
 

IL MOSTRO A PIÚ OCCHI




 


«Mirtilla, piantala!»
Il piagnucolìo rimbombava nel bagno delle ragazze al secondo piano. Liv aveva appena cominciato a passare lo straccio bagnato sullo specchio e lo scarico del gabinetto si era messo subito a gorgogliare. I mugolii di Mirtilla Malcontenta la stavano seguendo ad ogni piano. Era già irritante stare a pulire bagni alle dieci di notte ma farlo con quel fantasma lagnoso lo era ancora di più. Per non parlare degli schizzi d’acqua che l‘ex ragazza Corvonero spargeva ogni volta che si tuffava in un water per risalire nelle tubature e sbucare dal lavabo. Forse non odiava Mirtilla come odiava Pix, ma ci andava davvero vicino.
 «Oh, certo! La fai facile tu!» pigolò risentita lei, volteggiando a spalle curve sui gabinetti «Tu non stai tutti i giorni qui da sola! Tu non finisci nel lago ogni volta che qualcuno tira lo sciacquone all’improvviso! Lo sai che l’altro giorno sono finita dritta sul tridente di una sirena!? Una cosa pericolosissima!!»
Liv sbuffò, strofinando più veloce sul vetro. Una cosa proprio pericolossissima per una già morta...
«Quindi no, non la pianto! E sei davvero una maleducata insensibile! Questa punizione te la sei proprio meritata!»
Strizzando lo straccio Liv non potè fare a meno d’immaginare di avere tra le dita il collo di Mirtilla anche se non sarebbe servito a granchè. 
«Perchè non ti fai un giretto nei bagni dei ragazzi? Il mio compagno sta pulendo quelli» le consigliò quando un lamento particolarmente acuto quasi non le ruppe un tipano.
«Chi è?» mugolò Mirtilla tirando sù con il naso.
«Sirius Black» le rispose Liv con tranquillità. Non fece in tempo nemmeno a girarsi verso di lei per vedere la sua reazione che la ragazza sparì dentro ad un water, bagnando metà pavimento. 
Il momento di pace durò soltanto un quarto d’ora. La risatina che sentì quando ebbe finito di lucidare piastrelle e sanitari la fece rabbrividire. 
«Sirius è molto più simpatico di te! L’ho sempre detto!»squittì Mirtilla sbucando dal gabinetto appena pulito. Liv si augurò con tutto il cuore che non si rituffasse a pesce come suo solito. Era stremata e le mancavano ancora cinque bagni. Anche solo una goccia d’acqua per terra e Mirtilla si sarebbe ritrovata giù al lago a nuotare con le sirene, gli avvincini e la piovra gigante, era una promessa. 
«E lo sai cosa mi ha detto?» continuò Mirtilla lisciandosi i suoi lunghi capelli. Fosse stata viva le si sarebbero arrossate le guance trasparenti. Liv sollevò gli occhi al cielo incrociando le braccia al petto. Black affascinava anche i fantasmi. «Non mi interessa cosa ti ha detto, Mirtilla. Lasciami lavorare, per piacere».
«Mi ha detto di non starti ad ascoltare perchè una bella ragazza come me non deve abbassarsi ai tuoi livelli»sghignazzò facendo tremare la sua figura evanescente. Liv si poggiò lo strofinaccio su una spalla per liberare le mani e fare un piccolo applauso svogliato. «Di una simpatia unica. E visto che non puoi abbassarti ai miei livelli perchè non te ne vai da lui a parlare?»
«Perchè prima devo fare una cosa»mormorò con furbizia lei sollevandosi del tutto dal gabinetto e svolazzando tra i rubinetti. Tutti, eccetto uno, furono aperti e in un attimo l’intero bagno si allagò sotto gli occhi sgranati di Liv. L’ondata d’acqua che la bagnò dalla testa ai piedi quando Mirtilla si tuffò nel water vicino fu come una doccia gelida.

«Uno a zero per te, Black... ancora per poco» sussurrò a denti stretti.

 

Una storia che da giorni Mirtilla raccontava a chiunque entrasse nei bagni. Una storia vera, ma per niente paragonabile a quella di Sirius Black in minigonna’. Gazza aveva attaccato sopra alla porta del bagno di Mirtilla un bel cartello con scritto ‘Guasto', per evitare che qualcuno entrasse e lo facesse allagare di nuovo stuzzicando il fantasma suscettibile.
Sirius invece stava aspettando la risposta che meritava il suo scherzo, suggerendo ironicamente a Liv qualche idea mentre lei sollevava qualsiasi cosa contenesse acqua. La caraffa a tavola in Sala Grande, le ampolle quando si avvicinavano al lavandino con il gargoyle nell’aula di Pozioni e l’innaffiatoio ad Erbologia.
«Olivia? Un innaffiatina ai miei capelli?»
«Signor Black, gliela darò io una bella lavata di testa se non la smette subito!»
«Scusi, professoressa Sprite, ma credo ci sia prima il signor Piton nella lista delle teste da lavare»
«Dieci punti in meno a Grifondoro!»
Liv si limitava a ridere, prolungando l’attesa di Sirius. Il fatto che avesse gli arti a pezzi dagli allenamenti (che un sadico e vendicativo James faceva durare sempre di più) era da mettere in conto; certi giorni non riusciva nemmeno a sollevare la piuma per scrivere figurarsi mettere in piedi uno scherzo. Ma soltanto quando Black avesse smesso di pensarci lei avrebbe attaccato, di certo senza usare un innocuo innaffiatoio.
Quell’ultima settimana di Settembre fu prevalentemente soleggiata, con un cielo azzurro e limpido che gli studenti del settimo anno potevano vedere soltanto attraverso le finestre per colpa dei tre compiti in classe che si sarebbero svolti tutti lo stesso giorno: il trenta. Alla faccia di Sirius e della sua battuta sul trentuno di ogni mese.
Soltanto i Corvonero sembravano perfettamentre a loro agio tra pile di pergamene e tomi grossi quanto il cuscino che il professor Vitious metteva sulla sua sedia per riuscire a mangiare a tavola. Proprio come Edgar aveva detto a Liv, sembravano particolarmente divertiti da quella sfida lanciata dai professori. John Owen aveva addirittura il tempo per inviare occhiate fugaci a Lily. Anche James, pur non essendo Corvonero, trovava il tempo per osservare Lily, nonostante fosse diventata una disperata ragazza che ogni giorno si inventava nuove strambe pettinature con matite, piume e ridicole pinze babbane per tenere a bada i suoi capelli rossi sempre più disastrati dallo stress. Se possibile, James la trovava ancora più affascinante ridotta in quello stato.
«Non proprio, Pete. Te lo ripeto» fece paziente Remus, sfogliando le pagine del grosso libro di Incantesimi poggiato sullo scalino su cui erano seduti. Due ore. Due intense ore per ripassare Incantesimi. Remus aveva già memorizzato tutto ma Peter non riusciva a farsi entrare in testa quel concetto sull’incanto Proteus. Avrebbe tanto voluto passare a Trasfigurazione ma non poteva abbandonare l’amico che quasi stava per mettersi a piangere davanti a quella montagna di appunti.
«No, no... devo arrivarci da solo. Aspetta un attimo» bofonchiò incerto Peter, torturandosi nervosamente le mani.
Remus sospirò, portando lo sguardo su James e Sirius, seduti svogliatamente sul gradino sopra il loro; Sirius con lo sguardo perso sul portone d’ingresso aperto ed illuminato dalla splendente luce del sole, e James intento a pulirsi gli occhiali con espressione concentrata come se stesse pensando a qualcosa di davvero importante. Remus non si illuse, James non stava pensando ai tre compiti in classe.
«Non vorrei fare il solito rompiscatole ma, se continuate a non aprire nemmeno un libro vi ritroverete con la testa vuota davanti ai compiti, venerdì, e anche quelli resteranno vuoti alla fine dell’ora» commentò con tranquillità, riprendendo a parlare appena vide la bocca di Sirius schiudersi. «E se pensate che resterò tutta la notte sveglio per aiutarvi a studiare all’ultimo minuto vi sbagliate di grosso».
Sirius richiuse le labbra, continuando a fissare la bellissima giornata fuori pensando a quanto avrebbe voluto starsene disteso sull’erba con quei caldi raggi sulla pelle.
James si rimise gli occhiali puliti sul naso giusto in tempo per mettere a fuoco i capelli rossi di Lily, raccolti disordinatamente da una pinza verde scuro. Il fatto che Lily stesse scendendo la grande scalinata con Owen al seguito gli fece arcuare le sopracciglia nere tanto da mettere in allerta Sirius, al suo fianco.
«Basta, John. Ti ho già detto che non abbiamo più niente da dirci. E adesso, se mi vuoi scusare, devo andare» sbottò Lily sistemandosi la tracolla sulla spalla e aumentando il passo. Stava cercando di seminare il suo ex ragazzo da quando erano usciti dall’aula di Antiche Rune, il maledetto corso di Antiche Rune che seguiva insieme a John e ad altri Corvonero tra cui Pandora, la ragazza che la salvava sempre dividendo il banco con lei.
«Stammi almeno ad ascoltare, Lils! Non è vero che non abbiamo niente da dirci» rispose John determinato a non lasciar perdere. Sussultò quando Lily gli puntò un dito contro, bloccandosi di scatto su un gradino.
«Cosa ci sarebbe da dire? Vuoi dirmi quanto erano morbide le labbra di Eveline Corner? Oppure ripetermi che non ti sai spiegare perchè non ti ricordi che l’hai baciata? Risparmia fiato e scuse, non mi interessa più».
Continuare a scendere la scala fu gratificante per Lily, almeno fino a quando non incontrò la gamba distesa di James che non accennò a ritirare l'arto per farla passare.
«Potter, non ho tempo» lo liquidò saltando la gamba e superandolo, ma la voce risentita e dura di John la fermò ancora una volta.
«E se ti dicessi che potrei essere stato sotto l’effetto di una pozione d’Amore? Ragiona, Lils».
Lily si irrigidì, voltandosi verso di lui con espressione interrogativa. Non aveva nemmeno lontanamente pensato ad una cosa del genere.
Remus sospirò pianissimo, affondando gli occhi spalancati su una pagina a caso del libro. Lo scoprirà, prima o poi. Se è un Corvonero ci sarà un motivo, no?’. Quante volte l’aveva ripetuto l’anno scorso mentre James, nascosto in bagno, inzuppava le Piume di Zucchero nel filtro d’amore “Per semplice vendetta”, aveva detto.
«Non ricordo il bacio. Quindi, o Eveline mi ha cancellato la memoria subito dopo o mi ha fatto ingerire un filtro d’Amore poco prima» spiegò con sicurezza John.
«Eveline non avrebbe mai fatto cose del genere visto che è... era... felicemente fidanzata. La conosco» lo zittì Lily, secca.
«Infatti» fece lui, calmo «Credo tu sia d’accordo con me nel ritenere che è stato qualche sconosciuto. Conosci qualcuno che frequenta il corso di Pozioni e che mi odia?»
Lo sguardo di Lily si posò automaticamente su James, sorridente sui gradini. Potter aveva usato un filtro d’amore per separarli? Possibile potesse arrivare a tanto? Ma soprattutto, perché?
«Credo tu sia d’accordo con me nel ritenere...» gli fece il verso Sirius, utilizzando appositamente il tono pomposo e altolocato del Corvonero. Peter ridacchiò ma smise subito quando Remus gli diede una leggera spallata.
«Andiamo, Evans, non posso credere che tu voglia stare di nuovo con un tizio del genere» continuò Sirius, stiracchiandosi pigramente.
«Non hai prove, Owen» lo sfidò James, sfacciato e compiaciuto. Conosceva Lily molto più di lui a quanto pareva. Le prove, la verità, nessuna parola a vanvera erano tutte cose che Lily reputava importanti, punti di riferimento contro i pregiudizi e le accuse infondate che lei tanto odiava. Ma forse John non era così ignorante a riguardo dato che il suo viso assunse un espressione cupa.
«Quelle le troverò senza problemi, Potter. Non sto insinuando niente. Le troverò e ci riuscirò prima dell’uscita ad Hogsmeade» gli rispose con tono di sfida.
«Da maggio fino ad oggi mi sembra che tu abbia avuto dei problemi allora, visto che non le hai trovate. Quindi, vedi, forse qualche insinuazione su di me c’è eccome» ribattè James cominciando a scaldarsi.
Lily assottigliò lo sguardo tagliente, spostandolo dall’uno all’altro. Erano due cretini, maleducati per giunta. Lei era ancora lì, eppure stavano parlando di uscite ad Hogsmeade e di prove come se fosse stato scontato che, una volta trovate quelle, lei sarebbe uscita con chi avesse avuto ragione.
Riprese a scendere gli scalini, decisa ad allontanarsi il più presto da lì, quando la voce sicura e decisa di James la bloccò, sorprendendola.
«E se permetti, Owen, la decisione spetta soltanto a Evans. Non deve per forza uscire con te anche se troverai le cosidette ‘prove’»
«Non la sto obbligando. Smettila di mettermi in bocca parole che non ho mai detto. Quello che insinua sei tu»
«Mi sto solo difendendo dalle stupidaggini che dici»
«Le stupidaggini sono le tue, Potter»
«Ma chi ti credi di essere!?»
«BASTA!» li fermò Lily in tono autoritario. Potter stava cominciando a ribollire e anche se John rimaneva freddo e calmo, quel suo tono pungente lo avrebbe fatto esplodere. E lo sapevano tutti che quando Potter esplodeva, anche lei lo faceva.
«Sempre con quell’aria da chi si crede di sapere tutto!
» 
«Potter»

«Sapessi davvero tutto, Owen!»
James non riuscì a fermarsi, al contrario del Corvonero che rimase a fissarlo con ironica compassione.
«Potter» lo richiamò ancora Lily, picchiettando l’indice sul distintivo da Caposcuola appuntato al maglione di James, James che per un attimo parve disorientato da quella breve e sfuggente vicinanza.

«Sto decisamente sprecando tempo a parlarti, Potter» affermò John «Ed è vero che so tutto. Il filtro d’amore... gli incantesimi alle finestre della mia torre... a proposito: Bello quel vostro schema di gioco dell’altro giorno, ma Davies ha già un brillante contrattacco pronto».
Dire che la faccia di James si sarebbe potuta mimetizzare con i rubini nella clessidra dei Grifondoro era poco. Dalla rabbia non riuscì nemmeno a parlare.
«Volevate fregarci? Con degli incantesimi semplici quanto un Wingardium Leviosa? Ci abbiamo messo un attimo a spezzarli. Oh, scusate, per voi forse erano roba difficile» completò John comincinado a risalire la grande scalinata in marmo.
«Grazie per avercelo detto, Owen! Cambieremo tattica!» gli gridò di rimando Sirius, trattenendo James per un braccio. Il Corvonero parve non sentire e in un attimo sparì al piano di sopra.
Lily non osò parlare, si limitò a lanciare a James un determinato sguardo minaccioso leggermente curioso ed indagatore prima di allontanarsi da loro a passo svelto.
«BENE!» gridò James sarcastico «COME VOLETE! QUALCUN’ALTRO VUOLE AGGIUNGERE QUALCOSA!?»
«James...» tentò di avvisarlo Remus.
«PRENDERMI A PAROLACCE?! A CALCI!? VISTO CHE CI SIETE!»
«Ramoso...»
«MOCCIOSUS MANCHI SOLO TU! DOVE SEI!? FATTI AVANTI O DOVRAI TACERE PER SEMPRE!»
Un picchietteare insistente su una spalla lo fece voltare di scatto. Gli occhiali squadrati e il cappello a punta erano una garanzia.
«Sì, certo. Anche lei professoressa McGranitt. Scusi se l’ho dimenticata»

 
 

 

 


 

***

 
 
 
 
 

«I ca-an’t get no… saati-isfa-actio-on…»

«No, vi prego… James, fai qualcosa...»
«I ca-an’t get no… sa-ati-isfa-action…»
«Sirius…»
«’Cause I tryy… and I tryy… and I tryy… and I tryyy…»
«Siamo in tre, qui, che dobbiamo ancora entrare...»
«I CAN’T GET NO!»
«Sirius, apri...»
«I CAAN’T... GET NO!»
«Se non sei soddisfatto di qualcosa esci e ne parl...»
«Oh, no, no... NO!»
«Pete, è solo una canzone babbana...»
«Heey, heey, heey!»
«Merlino, le mie orecchie...»
«Thaat’s whaat I saay!»

Il mercoledì mattina iniziò bene per Sirius, male per Peter e Remus che non si erano ancora abituati ai concerti di Rock Babbano nonostante condividessero quel dormitorio da anni. James, d’altro canto, si divertiva sempre ad ascoltare il suo migliore amico cantare; almeno era intonato. Quella specifica canzone, poi, era inutile bloccarla. Sirius ce l’aveva nelle vene e dopo aver scoperto il significato di quel testo poteva benissimo capire il perchè.
Risentire quelle note fischiettate da qualcuno in Sala Comune pochi minuti dopo fece rabbrividire Peter. Sirius invece si illuminò, guardandosi attorno alla ricerca della fantastica persona che conosceva i Rolling Stones, lì ad Hogwarts. Quando scoprì che era Liv, si mise a ridere di gusto.
«Colpa tua se adesso rimarrò tutta la giornata con questa canzone in testa, Black» si giustificò lei attraversando il buco del ritratto per raggiungere Lily e Mary, già fuori. «Fortuna che è la mia preferita» aggiunse in un bassissimo mormorìo che solo lei sentì. La Signora Grassa si richiuse, lasciando Sirius con leggero sorriso stampato in faccia.
«Dalla tua faccia mi sembra di capire che cambierai al più presto quel Mostriciattolo’ dall’insulto per Liv sulla Mappa» commentò Remus sollevando un sopracciglio.

«Olivia non è mai stata davvero un mostricciattolo, Lunastorta. Per chi mi hai preso, per un cieco?» gli rispose Sirius, sereno. Il sopracciglio di Remus si sollevò ulteriormente sotto l’occhio divertito di James.
Il pomeriggio, la piatta superficie del Lago Nero scintillava sotto i raggi di un sole totalmente libero da nuvole. La maggior parte degli studenti era uscita fuori nel parco dopo le lezioni, nessuno voleva farsi sfuggire quelle ultime e rare giornate calde che sapevano ancora un po' d’estate nonostante i colori dell’autunno cominciassero a sbucare tra le foglie degli alberi e sull’erba dei prati.

Anche i ragazzi del settimo anno avevano lasciato le fredde aule del castello per continuare a studiare come pazzi sulle panchine, tra i cespugli e in riva al lago.
Il canticchiare di Liv, distesa pancia in sù sull’erba con il libro di Incantesimi aperto e poggiato direttamente sulla faccia non distraeva Lily, concentrata sulla lista stilata da James con i punti da esporre ai Prefetti alla prima riunione generale di fine mese; il foglio di pergamena era immobile già da mezz'ora sopra i fitti appunti di Trasfigurazione ancora da decifrare, difficili da capire tanto quanto la grafia del suo collega. Niente riusciva a distrarla in quel momento, nemmeno le spensierate risate del gruppetto di ragazze del terzo anno sedute su dei massi coperti di muschio a destra o le domande strampalate di Mary e della sua lista dei Pro e dei Contro di Remus.

«La troppa gentilezza va nei contro?»
«Perchè? Io la metterei nei pro, Mary»
«É talmente gentile che si allontana da tutti per non fare chissà cosa con il problema di salute che dice di avere, nemmeno fosse Vaiolo di Drago! Tra l'altro, da escludere perché la pelle non è nè verde nè viola, neanche una macchiolina tra le dita, e quando starnutisce non sputa scintille. Quindi, la sua è decisamente una gentilezza esagerata e va nei contro»
«Ma se non fosse così gentile non ti piacerebbe. Non lo chiamiamo per cognome proprio per questo, perchè è sempre educato e rispettoso nei confronti di tutti»
«Non mi stai aiutando, Liv»
«Sto solo dicendo la verità, Mary. Perchè allora non dici chiaramente che ti servono più contro per convincerti che non ti piace più?» ribattè lei continuando a far passare le dita tra i morbidi fili d’erba che aveva attorno.
Mary sbuffò davanti alla solita schiettezza dell'amica che andava sempre dritta al punto e che in fondo le piaceva perché la rimetteva sempre con i piedi per terra e gli occhi ben aperti. Appallottolò la pergamena con la lista e gliela lanciò addosso in un muto ''grazie'', anche se riuscì a colpire soltanto il tomo che le nascondeva la faccia. La perfetta traiettoria a parabola della palla di carta aveva attraversato il campo visivo di Lily intenta a sbadigliare con il naso lentigginoso arrossato dla sole.
«Pausa?» chiese accorgendosi soltanto in quel momento che le altre due erano in pausa già da un bel po'.
Mary rise di cuore davanti alla sua espressione accigliata, Liv invece scostò il libro dalla faccia per lanciarle una manciata di ciuffi d'erba.

«”Mi dimentico chi ha già fatto la ronda ieri, Evans!”» scimmiottò la voce di James, Lily, cancellando con un tratto deciso d'inchiostro la coppia di nomi di due Prefetti che non stavano nemmeno nella stessa Casa. «Potter me la pagherà».

 

 

 

 

 

*

 

 

 



«Quello era un pezzo di corna? L’avete visto? Il mio Patronus non può che essere un cervo! Ditemi che l’avete visto, non sono pazzo! Era un pezzo di corna! Adesso non c’è, ma prima c'era! É stato un attimo!» sussurrò James, con vivace entusiasmo, alzandosi dall’erba per osservare meglio il suo Patronus non corporeo, brillante e spendente; il forte bagliore indefinito si rifletteva addirittura sulla riva del lago lì vicino, scintillando insieme al riflesso del sole.
«No, non l’ho visto, James» sbottò Remus con gli occhi talmente strizzati da sembrare chiusi. «Così come non vedo la pagina del libro, le mie stesse mani e tutto quello che mi circonda grazie a questa luce accecante!»
«In effetti... mi sta facendo male agli occhi» affermò Sirius, mezzo disteso sul prato, distogliendo lo sguardo dalla lontana figura di Liv. «Quest’estate avrei dovuto mettere i miei Ray Ban nel baule»
«Siete solo gelosi perchè io riesco e voi no» scherzò James seguendo con gli occhi l’occhiata furtiva di Sirius, di nuovo posata su Liv.
«Sì, ma nessuno dei tre compiti di dopodomani ti chiederà qualcosa sul tuo ‘faro portatile’, James» gli ricordò ironicamente Remus.
Peter riemerse da una manciata di pergamene con espressione depressa. «Ma come fai, Ramoso? Io, anche se ci provo e ci riprovo, non riesco» mugolò, afferrando gli appunti di Incantesimi e mollandoli subito dopo aver visto quelli più corposi di Trasfigurazione. «Non voglio uscire da Hogwarts. Ci sono i Dissennatori, fuori... non posso mica infilzarli con la bacchetta! Perchè nessuno li ammazza o li convince a stare dalla parte opposta di... di Voi-Sapete-Chi?» chiese, terrorizzato.
«Perchè sono creature oscure, Pete. Non si possono ammazzare o convertire come se fossero persone normali» gli rispose con calma Remus. Il piccolo sorriso colmo di amarezza era facile da interpretare.
«Non sono come persone normali o come Lupi MannariVero, Remus?» chiese in tono eloquente James. Più volte Remus aveva espresso la sua preoccupazione sulla sua condizione di ‘Creatura Oscura’ e sul ruolo che quelli come lui avevano nella guerra ed ogni volta James, Sirius e Peter cercavano di convincerlo che i Lupi Mannari non avevano niente a che vedere con i Dissennatori.
«Allora... allora come farò io là fuori?» squittì Peter mentre Remus sospirava. Gli occhi ambrati fissi su quelli di James, ancora puntati su di lui con decisione.
«Sei un Animagus, Codaliscia. Dovresti ricordarlo più spesso» mormorò Sirius riportando tutta la sua attenzione sui suoi amici. «Non è da tutti e tu non sei scemo. Credimi: Non avrai nessun problema ‘là fuori’»
«Giusto, Felpato. E in ogni caso ci saremo noi, Coda. Non sarai da solo, stai tranquillo!» lo rassicurò James accovacciandosi vicino a lui e mollando la bacchetta per circondargli le spalle con un braccio.

«Staremo insieme di continuo, così come lo siamo qui. Avrai sempre altre tre bacchette pronte ad aiutarti, qualsiasi sia il pericolo. Dissennatori, Giganti, Mangiamorte o anche... Voldemort in persona! Sarai al sicuro, vedrai» continuò, incoraggiante, scrollando piano l’amico che sorrise, leggermente rincuorato da quel gesto così amichevole e protettivo.
«Hai perfino un Lupo Mannaro dalla tua» gli mormorò in tono confidenziale Sirius facendo sorridere Remus che annuì, convinto.

«A tua disposizione, Pete» scherzò lui, allargando il sorriso divertito.
La mente impaurita di Peter, però, non riuscì a far tacere le velenose parole che Piton aveva detto a Lily settimane prima: ‘Tu non sarai al sicuro con loro. Potter non può proteggerti, fuori da qui lui è nulla’.

«HEY, BLACK! CHE NE DICI INVECE DI UN TUFFO NEL LAGO?» Quella squillante voce divertita fu così improvvisa che nessuno si accorse effettivamente cosa stesse succedendo. Sirius si sentì sollevare da terra, ritrovandosi un istante dopo sott’acqua.
Quando riemerse, totalmente fradicio e leggermente tremante, le labbra gli si curvarono in un sorriso aperto e spontaneo mentre con un gesto distratto della mano si portò all’indietro i lunghi ciuffi di capelli zuppi d’acqua per liberare gli occhi, incatenati a quelli di Liv con uno sguardo di fuoco che le arrivò dritto alle viscere; un gesto che involontariamente fece arrossire e ridacchiare tutte le ragazze nelle vicinanze, ma non Liv.
Sirius la vide armata di bacchetta lontano dalla riva e a differenza di tutte le persone nel parco non rideva; il volto a cuore dalle guance deliziosamente arrossate e gli occhi scuri addosso alla sua versione bagnata, così intensi da scuoterlo.
Come se niente fosse, le lanciò un segno d’intesa con un breve cenno della testa ed un’occhiata così penetrante che l’unica cosa che Liv si sentì di fare prima di tornare da Lily e Mary fu agitare di nuovo la bacchetta per rigettarlo in acqua; il cuore martellante e le guance più in fiamme, fiato corto e un calore a morderle la pancia.

 

 

 

 

 

 

*

 




Erano le sei del pomeriggio quando James, accompagnato da un Sirius completamente asciutto, scese di corsa il ripido pendio che dal castello portava al campo di Quidditch.
«James! Sirius!» li richiamò Hagrid dal suo piccolo orto colorato dall’arancione sgargiante delle nuove zucche ormai di grandi dimensioni.
«Non possiamo fermarci adesso, Hagrid! Ci dispiace, siamo in ritardo per l’allenamento!» lo salutò James, sinceramente dispiaciuto. Il guardiacaccia però posò l’innaffiatoio e si fece strada tra le verdure, scacciando le nere cornacchie che spiccarono il volo, gracchiando.

«É una cosa importante! Per il Quidditch, per l’appunto! Solo un minuto!» fece, pulendosi la manone sporche di terra sui pantaloni. James annuì, andandogli incontro insieme a Sirius.
«Non dovrei dirvelo» cominciò Hagrid con un sorrisetto sotto alla folta e crespa barba nera. «Ma, sapete com’è». Ridacchiò, contagiando entrambi. «So che la prima partita sarà Grifondoro contro Tassorosso» spiegò Hagrid in un sussurro eccitato. «Me l’ha detto madama Bumb. Ho pensato subito che dovevo dirtelo, James. “Meglio saperlo prima” mi sono detto “chi saranno gli avversari”!»
James gli sorrise, raggiante. I piccoli occhi neri del mezzogigante scintillavano come ogni volta che se li trovava davanti, come tutte le volte che ridevano e scherzavano insieme.
«Hai perfettamente ragione, Hagrid! Ma non dovevi preoccuparti, me l’ha detto Ned Stevens. Grazie mille lo stesso»
«Stevens! Davvero un bravo ragazzo, quello!» commentò Hagrid, compiaciuto.
Restarono a chiacchierare lì per un po', ma alla fine riuscirono a salutare Hagrid e a continuare la discesa verso il campo.
«Che cosa ci fate qui fuori?» sbottò James vedendo i suoi sei giocatori in piedi davanti alla porta degli spogliatoi chiusa.
«I Tassorosso si stanno ancora allenando. Stevens ha chiesto cinque minuti e poi il campo sarà tutto nostro» spiegò Harrison afferrando la sua scopa da terra.
La notizia non fece tanto piacere al Capitano. Cinque minuti. Cinque minuti erano tanti. In cinque minuti si poteva inventare un’efficace formazione. In cinque minuti Bones avrebbe potuto parare abbastanza pluffe tanto da farlo migliorare. In cinque minuti Ned poteva, senza alcun dubbio, catturare dieci boccini aumentando così la sua già strabiliante vista.
«Grazie per il bagno di prima, Olivia. Mi serviva una rinfrescatina» fece Sirius avvicinandosi furtivamente a Liv che scrollò le spalle, poggiata sul suo manico di scopa.
«É stato un piacere, Black». Era stato più che un piacere, sia per lo spirito che per gli occhi, inutile negarlo. Evitò di ripensarci per fermare il cuore di nuovo impazzito, ma il calore tornò insieme allo sguardo di fuoco che l'aveva c'entrata in pieno sul prato, tra le gocce d'acqua e i capelli neri, la camicia bagnata e il sorriso aperto, bello.
Evitò di guardare Sirius sentendo comunque il suo sguardo addosso, intenso quanto al Lago.
Delle risa allegre arrivarono da dietro il legno della porta, James smise di arrovellarsi pensando a quante cose i Tassorosso avrebbero potuto fare in cinque minuti per migliorarsi e Michael Cooper si alzò da terra stringendo il suo casco da portiere con la solita impazienza di cominciare.
«Possibile siano così felici anche dopo un allenamento di quattro ore?» chiese sbalordita Daisy, subito appoggiata dal suo collega cacciatore.
«Non li capirò mai. Quattro ore sono davvero tante, delle persone normali uscirebbero da qui strisciando, non ridendo».
«E invece sono molto meglio di voi, Morgan! Siete degli scansafatiche!» li rimproverò James, ignorando la mazza tremante di Carter alla sua sinistra. «Anche sabato scorso vi siete voluti fermare a fare una pausa dopo nemmeno mezz’ora. Perchè credete che Stevens sia così bravo?»
«Perchè ha talento?» ipotizzò logicamente Cooper, pentendosi subito dopo per aver aperto bocca.
«Perchè si allena senza piagnucolare!» lo attaccò James. «Tutta la squadra Tassorosso lavora come una macchina senza stancarsi mai! Quattro ore per loro sono una passeggiata, per noi nemmeno esistono senza le pause ogni quarto d’ora!».
James dovette bloccare la ramanzina quando la porta si aprì, lasciando uscire l’intera squadra giallo-nera. Tutti e sette rossi in volto, spettinati, con il fiatone ma sorridenti. Salutarono con entusiasmo, augurando un buon allenamento agli ‘avversari’ prima di continuare per la loro strada tra risa e scambi di opinioni sull’andamento soddisfacente dell’allenamento appena finito.
«Mi dispiace per i cinque minuti rubati, James. Mercoledì prossimo finiremo prima per farveli recuperare» esordì Ned poggiando amichevolmente una mano sulla spalla di James che annuì.
«Non preoccuparti» gli disse, seguendolo con lo sguardo mentre si dirigeva sorridente verso Liv.
«Si è sollevato un po' di vento e il sole disturba la vista ma il luccichìo è utile!» confidò il cercatore Tassorosso porgendole il piccolo boccino che Liv prese senza indugi, ringraziandolo. L’espressione sul volto di James le sugerì che aveva appena fatto una cavolata.
«Ci mettiamo a fare i Romeo e le Giulietta di turno qui?» spezzò il silenzio Sirius, sarcastico, osservando i sorrisi sui volti di Ned e Liv. «Alla vigilia della partita i due cercatori avversari si scambiano regalini... che romantici»
Ned rise, dando una leggera pacca sul braccio di Sirius, per poi seguire la sua squadra che lo attendeva poco più in là. Harrison e Morgan, veterani, entrarono in tutta fretta negli spogliatoi per mettersi al riparo. Carter li seguì, sbatacchiando la mazza sulla gamba nel tentativo di camuffare la tensione che il viso di James stava trasmettendo a tutti.
«Cos’hai appena fatto, McAdams?» chiese James, innaturalmente calmo. Liv spalancò gli occhi scuri, cercando di capire cosa mai avesse fatto di così terrificante. Con la coda dell’occhio notò lo sguardo fugace e criptico di Sirius.
«Perchè hai accettato quel boccino?» continuò il capitano, rigido.
«Cos’avrei dovuto fare, scusa?» domandò, perplessa.
«NON PRENDERLO!» scoppiò tutto ad un tratto James. Anche Daisy entrò negli spogliatoi, seguita a ruota da Cooper.
«Dicendo cosa? “No, Ned, ‘mio padre’ dice che non posso accettare niente dagli sconosciuti”?» fece ironica Liv cominciando ad infervorarsi anche lei.
«”No, Stevens. Il boccino me lo prendo da sola”. Ci voleva molto?» la corresse James, severo.
«Dio santo, Potter» sospirò lei passandogli di fianco per raggiungere la squadra dentro alla saletta dei giocatori. James la seguì, trascinandosi dietro anche Sirius.
«Gli hai appena dato un messaggio di debolezza, McAdams!»
Liv si raccolse i capelli alla bene e meglio in una coda camminando, con James alle calcagna, tra gli altri compagni di squadra che cominciavano a prepararsi.
«Come se tu avessi bisogno del suo aiuto per acciuffare il boccino! Come se tu potessi tenerlo in mano solo se è lui a porgertelo dopo che l’ha catturato centinaia di volte! Ti rendi conto!? Mettiti bene in testa che parti svantaggiata con lui! Quante volte te lo devo ripetere ancora!?»
«É stato gentile» spiegò Liv, afferrando i guanti che Harrison le stava porgendo e guardando accigliata in direzione di Sirius che continuava a lanciare strane occhiate sfuggenti.
«Gentile!? É IL NEMICO!» sbottò James arrivandole alle spalle. «Ed è anche il peggiore! Quello che, senza dubbio, ti ruberà la pallina da sotto il naso! Sempre se riuscirai anche solo ad adocchiarla prima di lui... cosa alquanto improbabile. Non devi vederlo ‘Gentile’. NED STEVENS É UN MOSTRO CON DOZZINE DI MANI E DI OCCHI CHE RIESCONO A VEDERE IN OGNI DIREZIONE!»
Liv sollevò entrambe le sopracciglia, tirando con i denti il guanto aderente per infilarlo per bene nella mano.
Dire che Ned era un mostro era come affermare che Lumacorno fosse magro. Ned aveva un viso quasi costantemente rilassato e piacevole, con occhi sinceri e un sorriso simpatico e accomodante. Nessuno, in quella scuola, l'aveva mai chiamato mostro.
Se Mary avesse potuto sentire i suoi pensieri avrebbe sicuramente trasformato quegli aggettivi ‘oggettivi’ in ipotetici elogi da ragazza infatuata. Liv lo sapeva perchè anni prima aveva descritto in quel modo Ned a voce alta, senza nessun interesse romantico, ma l’amica l’aveva subito punzecchiata costringendola ad ammettere il suo presunto amore; amore che non esisteva e mai sarebbe esistito perché Liv era sempre stata consapevole di avere qualcun'altro dentro .
«Che non succeda mai più» finì il discorso James andando a recuperare la cassa con la Pluffa e le altre palle.
Liv si risistemò la coda alta, sentendo di nuovo lo sguardo penetrante di Sirius addosso chiedendosi cosa volesse da lei. Aveva intenzione di vendicarsi già adesso? Più che vendetta, però, in quegli occhi sembrava esserci una telecamera.
Si sentiva come sotto esame, studiata scrupolosamente come una cavia, osservata con attenzione nel senso letterale del termine, fuori e dentro.
Per un attimo pensò che quei due occhi grigi stessero cercando di prevedere qualsiasi suo movimento o pensiero. Solo per un attimo perchè, così come si era posato, lo sguardo furtivo di Sirius volò improvvisamente da un’altra parte lasciandola contraddetta.
«Bello ma cretino... bello ma cretino... bello ma cretino... ok, posso farcela». Il mantra che Daisy ripeteva prima di allenarsi (suggerito dalla stessa Liv) la distrasse, facendola sorridere.
Il bello ma cretino Sirius affiancò James che con la frase ‘Tutti in campo! precedette la squadra con scopa, attrezzi e bacchetta in mano.
Liv rimase un attimo disorientata dalla bacchetta. A cosa accidenti gli serviva? Voleva Schiantare il primo che avrebbe sbagliato qualcosa? Dalla sua faccia sembrava proprio così.
Passò un braccio sulle spalle di Daisy, varcando la porta insieme a lei e al mantra sussurrato in un sorriso.
Quando uscirono all’aria aperta, tutti compresero il perchè James fosse entrato armato in campo. Volava a parecchi metri d’altezza, spostandosi da una parte all’altra e muovendo la bacchetta con ampi movimenti delle braccia. Sembrava di rivedere Xeno Lovegood che fino all’anno precedente camminava per i corridoi agitando ogni tanto le mani sopra alla testa spiegando a tutti che era in corso un infestazione di Nargilli.
Forse è meglio non dirlo a James. Quel pensiero passò per le menti dei ‘sei giocatori+Sirius’.
Ad ogni gesto della bacchetta, però, un tremolìo trasparente si espandeva nel cielo sopra alle loro teste, e quando James atterrò ripetendo il rituale anche da terra riuscirono a sentire la sua voce concentrata.
«Protego Totalum... Salvio Hexia... Protego Totalum...»
«Io soffro di Claustrofobia» sussurrò preoccupato Carter, stringendo con forza crescente la mazza.
Solo quando tutto il campo fu coperto da un velo trasparente di incantesimi James si ficcò la bacchetta in tasca concludendo il tutto con un liberatorio gesto dell’ombrello in direzione della torre dei Corvonero. E anche se nessun Corvonero l’avrebbe visto per merito della cupola protettiva che aveva creato, quel gesto maleducato riempì di soddisfazione lui e fece ridere di gusto Sirius, Liv e il resto della squadra che saltò sulle scope con nuova grinta.

 
 

 

 

***

 
 
 


Il giovedì sera fu come se un branco di zombie diciassettenni avesse invaso Hogwarts.
Anche Piton, Avery e Mulciber sembravano decisamente a pezzi seduti al tavolo dei Serpeverde per la cena.
I Tassorosso non c’erano (di sicuro impegnatissimi a ripassare nella loro tranquilla Sala Comune) a parte una distrutta Bettie Wood con un cucchiaio in una mano e il libro di Erbologia praticamente sopra al suo piatto colmo di purè.
I Corvonero parlavano tranquillamente tra loro, scambiandosi ogni tanto qualche sorrisino, erano di certo i più rilassati di tutti.
Remus, quando si sedette al tavolo dei Grifondoro, si premurò di fulminare William Johnson il quindicenne ‘disperato’ per i G.U.F.O. che si abbuffava insieme ai suoi amici, ridente e fresco come una rosa. Dov’era il suo stress adesso? Dov’erano i suoi compiti, i temi, gli appunti che diceva di avere? Quei pensieri dovevano aver trasfigurato il suo volto solitamente gentile visto che Peter si affrettò a dargli una piccola gomitata invitandolo a concentrsi sulle cosce di pollo e non sul loro compagno di casa.
I visi beati di James e Sirius erano l’eccezione tra quelli smunti dei Grifondoro. Non avevano ancora aperto libro, se non per sfogliare qualche pagina con noia.
Quelli di Trasfigurazione addirittura non riuscivano nemmeno a trovarli.
«Potter» esordì la McGranitt avvicinandosi al tavolo con aria austera. A James andò di traverso il mezzo panino che si era infilato poco prima in bocca.
«Professoressa, sta cercando di fare terrorismo prima del compito di domani?» chiese Sirius riempiendosi il calice di succo di zucca fino all’orlo.
La McGranitt lo linciò con un occhiata. «Molto saggio da parte sua, Black, fare il gradasso con la persona da cui verrà valutato» gli rispose ironicamente lei, rivolgendosi poi a James che nel frattempo era riuscito ad ingoiare il boccone rubando il succo di zucca di Sirius.
«Potter, il preside mi ha chiesto di riferirti che ti aspetta domani sera, alle sette nel suo ufficio insieme alla signorina Evans per i resoconti di fine mese dei Caposcuola. Questa è parola d’ordine per raggiungerlo». James prese il foglietto che la McGranitt gli porse e annuì, seguendo la professoressa avvicinarsicon passo deciso verso Lily, Mary e Liv che assomigliavano in modo pauroso a Nick-Quasi-Senza-Testa, dietro di loro.

 
 

 

 


 

*

 
 



«Vorrei poter sprofondare su quelle coperte e dormire come se non ci fosse un domani» mugolò Mary seduta sul pavimento del dormitorio, circondata da libri e pergamene.
«Io, credo che lo farò» fece Liv, mollando tutto per strisciare verso il suo baldacchino; si aggrappò alle tende rosse per sollevarsi e buttarsi sul materasso sotto lo sguardo preoccupato di Mary.

«Liv hai fatto l’errore fatale. Lo sai, vero, che adesso sarà impossibile per te metterti a sedere e leggere? Perchè l’hai fatto?»
Lily scosse la testa, guardandole di sfuggita con un sorriso stanco sulle labbra. Non ricordava di essersi mai sentita così esausta dopo giornate intere di studio.
Di solito si impegnava, certo, ma questa volta era stato diverso. Ci aveva messo tutta se stessa e non per impressionare i professori o ricevere tre Eccezionale agli angoli dei fogli, quello non le era mai interessato. Il suo pensiero era costantemente rivolto alla sua famiglia, a sua sorella. L’unica cosa che Lily poteva fare era studiare, il suo unico modo per combattere era quello. Studiare per prepararsi al meglio una volta uscita da lì, studiare per essere in grado di proteggere e difendere Petunia e sua madre, totalmente indifese davanti alla magia. Se quello era tutto ciò che poteva fare in quel momento, Lily l’avrebbe fatto nel miglior modo possibile perchè era la cosa che riusciva a farla sentire ancora utile in mezzo a due mondi opposti ed in bilico, immersa in un'atmosfera minacciosa e piena di terrore.
«”Sarà particolarmente divertente, Liv. Vedrai” Mio padre non ha mai avuto più torto di così» bofonchiò Liv abbracciando il suo cuscino.
«Anche per i G.U.F.O. ci siamo ridotte male, ma non come in questo momento, o sbaglio?» chiese Mary seguendo con gli occhi Lily, intenta a svuotare la borsa dalla valanga di appunti.
«Per i G.U.F.O. eravamo praticamente in vacanza, in confronto» rispose Liv con la voce di chi già sta per addormentarsi. Mary se ne accorse e con uno scatto che nemmeno riuscì a spiegarsi saltò sopra di lei per svegliarla senza far caso ai suoi insulti e borbottii assonnati.

«Lo faccio per te, Liv. A giugno mi ringrazierai!».
Lily rise, spegnendosi però appena notò uno strano bottone sul fondo della tracolla ormai vuota. Lo afferrò, curiosa, restando totalmente stranita quando lo riconobbe. Era il bottone incantato da Potter alla lezione di Incantesimi, attorno ai piccoli fori c’era ancora l’ultima parola che James ci aveva stampato sopra: Allenamenti’.
Lily ci passò sopra un dito, fissandolo con attenzione.
‘E se permetti, Owen, la decisione spetta soltanto a Evans. Non deve per forza uscire con te’. Quella frase le tornò alla mente come uno strano eco. Potter stava davvero aspettando un suo invito? Le stava dando libertà di scelta? Non la stava costringendo, questo era evidente.
L’ultima carezza sul bottone la bloccò all’istante: il dito era passato sulla parola ‘Allenamenti’ e quelle lettere erano sparite per far posto a due lettere: L.E.

 
 


 

 *

 

 

 

 

«Già, come se fosse una cosa normale andare a letto coperto di libri e non di coperte». James, spaparanzato sul tappeto davanti al camino della Sala Comune quasi deserta, si stava esercitando sull’Incanto Proteus, picchiettando ogni tanto con la bacchetta il bottone poggiato sul libro di Incantesimi che aveva davanti.
Sirius, seduto sul divano accanto, si riempì la bocca con un Calderotto particolarmente ripieno, staccando lo sguardo dal suo libro di Erbologia. Come aveva predetto Remus, i due si erano ridotti a studiare la notte prima dei compiti in classe. Una cosa normale e anche piuttosto semplice, per James e Sirius.
«Remus, Remus... scommetto che si sta abbuffando di cioccolato sotto quella montagna di libri... altro che ripassare con i suoi schemi...» farfugliò Sirius, lanciando il pacchetto di dolci tra i cuscini rossi e oro. James ridacchiò, toccando il bottone con la punta della bacchetta per continuare a far apparire quelle due iniziali sempre in testa. «O molto probabilmente starà strozzando Peter perchè non ha ancora smesso di chiedergli come memorizzare tutto... passami un Calderotto».
Sirius gli lanciò la busta mezza piena e lui l’afferrò al volo. Lo sguardo dietro agli occhiali si posò casualmente sui bottoni dati dal professor Vitious all’amico, buttati sopra al plaid frangiato disteso sui cuscini.
«Perchè i tuoi bottoni sono quattro e i miei invece sono tre?» chiese, sospettoso. Sirius aggrottò le sopracciglia nere guardandosi i bottoni della camicia e riportando lo sguardo stranito su di lui. «Ma cosa stai dicendo, James? Sei fuori?»
«BLACK!» L’urlo di Liv, tra il disperato e il furioso, arrivò chiaro dai dormitori femminili, distraendo sia loro due che i pochi ragazzi ancora sulle poltrone.
«Forse hai esagerato, Felpato» rise James, lasciando perdere il mistero dei bottoni.
«Nah...voglio vedere fino a che punto può arrivare» disse lui, divertito, facendo cenno ad una bambina sghignazzante del secondo anno che si avvicinò a lui con aria compiaciuta. «Brava, Kate. Farai strada da grande» le disse, consegnandole i due galeoni come d’accordo.
Anni prima Sirius aveva imparato a proprie spese che le scale del dormitorio femminile si trasformavano in uno scivolo alquanto pericoloso per i ragazzi.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11. Mezzelune Legilimanti ***


 

 

Capitolo 11
 

MEZZELUNE LEGILIMANTI

 

 

 
 
 

«Ok, Olivia, innanzi tutto stai calma».
Sirius sapeva benissimo che quella era una frase stupida da dire ad una Liv immobile sulla porta del dormitorio femminile, con i lineamenti del viso spaventosamente irrigiditi in un’espressione gelida; l’unica cosa che non la faceva assomigliare all’inquietante Dama Grigia, quando se ne stava a scrutare in silenzio gli studenti da qualche angolo nascosto del castello, era lo sguardo vivido che faceva benissimo intravedere fiamme ardenti.
Quei tizzoni scuri ma accesi non facevano altro che attirare Sirius, sempre più rapito da quella situazione e per niente intenzionato a nascondere il suo compiacimento nel vedere che tra gli ormai ex lunghi capelli castani di Liv c’era un Frisbee Zannuto impigliato.
Olivia aveva voluto la guerra e lui l’aveva accontentata.
«Sei maggiorenne. Dovresti aver imparato ad autocontrollarti»
«...»

«La nostra Sala Comune ospita entrambi i Caposcuola di Hogwarts. Uccidere è contro il regolamento. Evans te lo lascerà fare, ma James non credo»
«...»
«Tengo a precisare che il Frisbee doveva soltanto distruggere il contenuto del tuo baule, non i tuoi capelli. Posso sapere come hai fatto? Potrebbe tornarmi utile in futuro»
«...»
«In teoria, dovresti ribattere con uno scherzo in linea con il mio. Stai pensando di fare a pezzi la mia preziosa maglia dei Rolling Stones? Potrebbe essere una cosa proporzionata...»
«...»
«Convincetela a tornare sù in dormitorio» mormorò James rivolto a Mary e Lily che sollevarono un sopracciglio in contemporanea.
«Nei tuoi sogni, Potter» gli rispose Lily, seguita subito da una Mary più divertita che mai.
«Liv farà quello che meglio crede. Annientare i capelli di una ragazza è peccato mortale, Potter».
Liv aveva così tante cose (la maggior parte parolacce) da sputare in faccia a Sirius ma non riusciva a scegliere quella con cui iniziare.
Immagini e frasi scorrevano a fiumi in testa, aumentando insieme al ghigno di Sirius sempre più largo e al ringhiare famelico del Frisbee ancora avvinghiato dolorosamente ai suoi capelli. I suoi capelli che non erano più capelli.
Un gatto nel perido della muta, ecco come appariva Liv. Ciuffi lunghi si alternavano ad altri cortissimi, il groviglio che teneva ancorato il Frisbee su un lato della testa ricordava vagamente uno di quei ridicoli cappellini della famiglia reale.
Tutto quello confermava la sua tesi: Black non sapeva il vero significato di non esagerare. Questa volta ci era andato davvero pesante, però.
L’odio che cresceva andava ben oltre quello provato negli anni precedenti, più precisamente, superava ogni limite di odio provato ad ogni età.
Black superava George Anderson, il bambino babbano che le aveva colorato le trecce con la tempera all’asilo (finito steso a terra e coperto dai suoi stessi colori che Liv gli aveva scagliato contro, aiutata dalla magia involontaria); faceva impallidire Diana Connolly la figlia odiosa della vicina di casa babbana e sfiorava sua madre. L’ultima era tutto dire.
«Hai paragonato la tua maglietta dei Rolling Stones all’intero mio armadio, Black?» esordì con un gelido tono di voce calmo. «L’intero armadio, compreso il mio giubbino in pelle, e i miei capelli. Armadio ridotto in stracci e... I MIEI CAPELLI»
«Sì. Mi sembra una cosa equa» rispose lui assottigliando gli occhi. Quell’oggetto appuntito che Liv aveva in mano cos’era? Un’arma improvvisata presa al volo prima di scendere in Sala Comune? O credeva fosse la bacchetta? Una cosa molto da ‘Olivia furiosa’.
«Equa, Black? Equa» ripetè Liv con un sorrisino nevrotico che cominciava a far smuovere la sua faccia. «A me invece non sembra, sai? No, decisamente non lo è. Non lo è nemmeno lontanamente perchè per essere equa... DOVREI TAGLIARTI QUELLO CHE HAI TRA LE GAMBE! CAPISCI LA DIFFERENZA, MALEDETTO STRONZO?»
«Ma cosa state... ?» Le parole di Remus, affacciato alla scala a chiocciola, sfumarono tra le grida che riempirono la Sala Comune.
Perchè Liv aveva l’attizzatoio della stufa in mano? E un Frisbee Zannuto nei capelli. Remus evitò di soffermarsi sui dettagli anomali di Liv, così pericolosamente vicina ad un Sirius apparentemente impassibile.
«Aspettati di tutto, Black» sibilò lei fissando le nere pupille visibilmente dilatate sul grigio profondo degli occhi immersi attentamente nei suoi. «Quando dico tutto intendo proprio tutto».
Le labbra sottili sul viso di Sirius si sollevarono in una piccola curva sghemba che non accennò a spostarsi o a parlare, gli unici muscoli che riuscì a muovere furono quelli delle sopracciglia e degli occhi dalle pupille sempre più larghe che frugavano con bramosia ogni curva del viso a pochi centimetri dal suo. Quella fossetta che spuntava sulla guancia destra Sirius l’aveva sempre trovata maledettamente attraente.
 «E in questo tutto, la tua maglia dei Rolling Stones equivale ad uno solo... dei miei capelli» continuò Liv rallentando la parlantina, stranita da quello sguardo intenso che dai suoi occhi era scivolato sulle sue labbra e sul suo collo per tornare poi al punto di partenza.
Era stato così strano che Liv si chiese se fosse successo davvero o se era stato soltanto frutto della sua immaginazione. Molto probabilmente, si disse, la stava prendendo in giro.
Lo imitò, ammiccando esageratamente per prenderlo in giro a sua volta, ma l’unica cosa che riuscì a scatenare fu un aperto e sincero sorriso che mise in mostra i bianchi e dritti denti di Sirius.
Liv non riuscì a ragionare e senza pensare gli punse una gamba con l’attizzatoio prima di risalire le scale per andare a dormire.
Il grido di dolore di Sirius echeggiò per l'intera Sala Comune. «É l’ultima volta che ti permetto di usare la violenza, Olivia!» le promise lui, zoppicando fino al divano per lasciarsi cadere pesantemente sopra con un grugnito.
«Spero ti abbia fatto male, Black. Quel tuo Frisbee mi ha distrutto il calendario con le migliori specie di Drago» sibilò Mary passandogli davanti per andare dritta verso le scale appena prese dall’amica.
«Macdonald, sparisci all’istante o ti affatturo» ringhiò Sirius.
Lily esitò un attimo, portando lo sguardo sui bottoni sparsi sul plaid nel divano. «Si può sapere che cosa significa L.E, Potter?» sbottò, facendogli vedere il suo bottone incantato. «Lezione di Erbologia? Non ho intenzione di fare ripasso a quest’ora».
James spalancò la bocca, portandosi una mano tra i capelli nel tentativo di sembrare in qualche modo meno imbecille di come doveva apparire. Osservando l’espressione che assunse Lily, però, capì che quel gesto non aveva avuto l’effetto che sperava.

«Sì, volevo un aiuto con Erbologia» mentì intercettando lo sguardo sarcastico di Sirius, affacciato alla spalliera del divano dietro Lily che scosse la testa, incamminandosi verso la porta e sparendoci dietro subito dopo.

«Il bottone, Evans! Lo rivorrei indietro!»
 


 

 

***

 
 



«Il capitolo dieci? Stai scherzando, Lily? Non dovevamo arrivare fino all’otto!?» chiese sconvolto Wayne Abbott, spuntando dalla spalla di Lily che sobbalzò.

«No, Wayne, al dieci» gli assicurò lei picchiettando con l’indice sulla pagina che stava cercando di ripassare in fretta e furia. Il Tassorosso sembrò sul punto di svenire.

L’aula di Trasfigurazione era completamente invasa da un chiasso e un andirivieni frenetico tipici dei cinque minuti pre-compito.
Gruppetti di persone sparsi tra i banchi sfogliavano i libri con agitazione, facendosi domande a vicenda senza però ottenere risposte, cosa che trasformava le loro facce in visi completamente invasi dal panico.
I Corvonero, tranquillissimi e sereni, passeggiavano tra i banchi o guardavano dalle finestre come se niente fosse. Lily adocchiò John, seduto in prima fila con il libro chiuso davanti a sè e degli strani pezzi di pergamena sparsi sul banco. Bigliettini? Impossibile. Non era di certo da lui.
Mary sussultò quando Ned Stevens le passò affianco velocemente per andare a sedersi nei posti dietro.

«Non mi ricordo niente» mugolò, sgranando gli occhi castani sugli appunti e tappandosi le orecchie per non sentire Bettie Wood che leggeva ad alta voce nel banco accanto, intervallando i concetti del capitolo con uno squittire disperato.
Liv per poco non inciampò su Piton e Avery mentre entrava di corsa in classe con i suoi capelli di nuovo lunghi ed omogenei grazie all’intervento di Madama Chips.

«Vedi di stare alla larga da noi» la minacciò Avery guardandola storto.

«Stai tranquillo, è il mio primo desiderio quando mi alzo la mattina» ribattè lei superandoli senza stare a discutere.

«Remus!Peter! Siete pronti?» li salutò Pandora con i lunghi capelli.
Remus abbozzò un sorriso, fermando un attimo il veloce riassunto che stava facendo a Peter, letteralmente terrorizzato davanti a lui.

«Il mio Xeno mi aveva detto che sarebbe stato stimolante preparare più compiti contemporaneamente» continuò lei, luminosa «E aveva ragione! Voi l’avete trovato stimolante? Io ho avuto anche il tempo per sperimentare un Incantesimo tutto mio. Adesso che ci penso, potrei inserirlo come approfondimento nel compito di Incantesimi che faremo dopo! Sapete, è una specie di Incanto Proteus ma con un...»

Pandora era adorabile, davvero, Remus l’ammirava per la sua eccezionale intelligenza e i suoi fantasiosi colpi di genio ma in quel preciso momento l’unico impulso che aveva era quello di tapparle la bocca. C’era già Peter a farlo confondere, non poteva aggiungersi lei con i suoi discorsi sugli Incantesimi prima di un compito di Trasfigurazione.
Forse c’entrava la luna quasi piena o forse no, quello che era chiaro era che Remus stava perdendo tutta la sua pazienza, la sua gentilezza e il suo autocontrollo.

Spostando lo sguardo su Peter non riuscì a trattenere una piccola risata: l’amico stava ascoltando Pandora con occhi enormi e vacui, pieni d’ansia.
L’attimo di leggerezza durò davvero poco perchè Remus improvvisamente si sentì trascinare insieme alla sedia.
«Sirius, che cavolo stai facendo!?»

«Devi stare seduto affianco al mio banco, Lunastorta. Così, per precauzione» spiegò Sirius, trasportandolo rumorosamente fino ai banchi all’ultima fila.

Peter li seguì, disorientato. «No! Deve stare con me! Remus, avevi detto che ti saresti seduto vicino a me!» si lamentò, schivando un Tassorosso che si mordeva le unghie e una Serpeverde decisa a raggiungere la porta per andare a controllare se la McGranitt fosse nei paraggi.
«Dov’è finito, James!?» chiese Remus, aggrappato con forza alla sedia che arrivò a destinazione proprio quando James sbucò dalla porta con un sorriso enorme ad illuminargli il viso.
«Abbiamo ancora un po’ di tempo, ragazzi! Le ho nascosto il cappello in bagno!»
 Vide Lily sorridere sotto ai baffi, seminascosta dalla sua cascata di capelli rossi, e un fiotto di calore gli invase inspiegabilmente il petto.

 

 


 

*

 
 
 
 

Il silenzio avvolgeva l’aula di Incantesimi da un’ora, da quando il professor Vitious aveva distribuito i fogli del compito. Soltanto il grattare frenetico delle piume proveniente per la maggiorparte dai banchi in prima fila occupati dai Corvonero, e qualche colpo di tosse ogni tanto, spezzavano quell’atmosfera tesa.
Indicare la formula dell’Incanto Proteus e descriverne gli effetti.’
Sì, magari potevi chiedermelo durante Trasfigurazione, pensò con astio Peter fissando la prima riga sul foglio.
Tutti gli effetti dell’Incanto Proteus li aveva bene in testa due ore prima, quando avrebbe dovuto spiegare nello specifico le leggi della Trasfigurazione Umana Avanzata. La sua memoria si stava prendendo gioco di lui, quella era la prima domanda ed era la decima volta che la leggeva dopo aver letto anche le altre dodici.
Sollevò lo sguardo stanco dal foglio, sperando di non essere l’unico lì ad avere in mente esclusivamente i modi di potatura del Tranello del Diavolo, cosa che in quel momento non serviva a niente. Tentò d'incrociare lo sguardo di Remus, seduto al suo fianco, e quando ci riuscì vide il foglio dell’amico scivolare strategicamente sul suo banco per permettergli di copiare.
«Rem» bisbigliò James appena il professore si allontanò verso la prima fila.
«Cosa c’è?» sussurrò di rimando lui, teso. Era già troppo aver passato il compito a Peter, parlare era davvero l'ultima cosa che avrebbe voluto fare.
Che cosa voleva, poi? James non aveva assolutamente bisogno di copiare. Ancora non capiva come riusciva a rispondere alle domande avendo studiato soltanto la notte appena passata.
«Stasera, quando andrete da Mielandia, prendimi un po’ di...»

«Ti sembra questo il momento di parlarne, James!?» lo bloccò in un sussurro strozzato Remus, furioso. James sorrise pensando a quanto fosse divertente vedere Remus andare in ansia.
Una gomitatina da parte di Sirius lo distrasse, l’amico aveva appena posato la piuma sul compito indicando con gli occhi i banchi dei Serpeverde. In un primo momento non riuscì a capire cosa ci fosse di strano, ma quando Piton toccò un bottone con la bacchetta e Mulciber sorrise, osservando bene il suo prima di scrivere, capì.
Quelle serpi astute stavano usando i bottoni per suggerirsi le risposte. James sentì Sirius mormorare ‘Accio bottone di Pit...’ nello stesso istante in cui la faccia accigliata di Vitious spuntò all’improvviso all’altezza del banco, facendoli saltare nelle sedie. Era impossibile prevedere l’arrivo della piccola figura del professore quando si aggirava tra i banchi.
«Tutto bene qui, ragazzi?»
 



 

*

 
 
 



«Tempo scaduto! Lasciate le pergamene sui tavoli, passo io a ritirarli!» esclamò la professoressa Sprite con voce a rimbombare nella serra.
Un generale borbottìo si sollevò tra le piante, mentre il Corvonero Dylan Collins si aggrappava disperatamente al suo compito cercando di scrivere più velocemente possibile.
«É finita» mugugnò Mary con un sorriso stanco, allontanando il suo compito dal viso. E per è finita’ intendeva l’intera giornata orrenda appena passata.
Tutto quello che la classe voleva, era andare a cena. Il pranzo quasi non l’avevano visto, troppo presi a memorizzare più cose possibili sul Tranello del Diavolo.
La lunga ed impervia camminata che li separava dal castello, però, non era molto allettante. I Corvonero, che prima del compito erano stati gli ultimi a raggiungere la serra visto che tutti gli altri si erano messi a correre come dei pazzi per accaparrarsi i posti ‘migliori’, uscirono per primi sorridenti e soddisfatti.

«Preferirei non parlare dei compiti» cominciò Mary sollevando di peso la tracolla per seguire Lily verso l’uscita. «Almeno fino a quando non sapremo i voti» completarono per lei Lily e Liv, ridenti. Mary sbuffò, spintonando leggermente Liv fuori dalla serra.

«Sono ripetitiva, lo so»
«Dopo la riunione con Silente vi raggiungo a cena e poi avrò la dannata ronda con Potter, ma appena tornerò in dormitorio ci spazzoleremo tutti i dolci che riusciamo a racattare dai comodini» sghignazzò Lily raggirando un cespuglio spinoso. «Devo avere ancora un po' di Api Frizzole nel primo cassetto...»
«Io ho delle Cioccorane, servono sempre quell...» riuscì a dire Mary prima che Liv la zittisse con un bassissimo ‘Sssst’ indicando James, Sirius, Peter e Remus parlottare e camminare davanti a loro.

Lily sgranò gli occhi verdi fissando Liv come se fosse impazzita, ma lei si portò l’indice davanti alla bocca per invitarle ancora una volta a fare silenzio.
«Bignè ripieni a gogò! E mi raccomando le Burrobirre»
«James, ti sembra ci sia ancora bisogno di ricordarci le Burrobirre?»
«Direi di sì, Felpato. L’anno scorso le hai lasciate sopra ad una cassa...»
«Allora siamo d’accordo. Appena tu vai da Silente, noi andiamo a fare la ‘spesa’»
«Se vi mangiate tutto tu e Peter prima della fine della ronda me la segno al dito. Soprattutto se quelle a finire per prime saranno Cioccorane».

Lily aggrottò le sopracciglia. Burrobirre? Quelle di sicuro non si potevano trovare nelle Cucine, Liv lo ripeteva sempre. Le Burrobirre facevano venire in mente soltanto una cosa: Hogsmeade.

«Hanno intenzione di andare ad Hogsmeade?» mormorò infatti Mary, incredula.

«Impossibile uscire dal Castello o dal Parco. Non si può fare di giorno, figurarsi la notte» bofonchiò Lily, incredibilmente curiosa. «Avranno le scorte nascoste da qualche parte».
Liv non rispose nemmeno. La sua testa stava lavorando freneticamente.
Potter da Silente e gli altri tre ‘a fare la spesa’ chissà in quale parte del Castello significavano soltanto una cosa: Dormitorio dei Malandrini libero.
Liv, continuando a camminare a passo accorto sull'erba, non distolse l'attenzione dall'ampia schiena di Sirius.
«Colla» disse solamente. Mary e Lily l'osservarono stranite.
«Colla?» ripetè Mary col un leggero fiatone per via della salita. Liv annuì, seguendo con lo sguardo la mano di Sirius affondare nel mantello alla ricerca di chissà cosa.
«Sì, colla. E anche un’Incantesimo di Adesione Permanente... entrambi per due cose diverse».
Lily strabuzzò gli occhi verdi. «Cos’hai in quella mente sadica? L’Incantesimo di Adesione Permanente è roba seria. Qualsiasi cosa vuoi attaccare alla parete o in qualsiasi altro posto, Black non potrà sbarazzarsene se non lo farai tu». Appena finì di parlare, un’improvvisa ridarella la colpì in pieno immaginando i più svariati oggetti appesi sopra ai letti di quei quattro, impossibilitati a libersene.
«Ok, non ci avevo pensato» disse davanti al sopracciglio sollevato di Liv a simboleggiare un inquietante ''appunto”. «Peccato che Silente mi aspetta, avrei partecipato molto volentieri stavolta» rivelò Lily facendo sorridere entrambe le sue due amiche.
«Sarà il caso di comprarci una macchina fotografica» commentò Liv incontrando lo sguardo intenso e furtivo di Sirius che si era appena posato su di lei. 

 

 

 

***

 
 




«Finalmente, Potter. Sto aspettando da cinque minuti» sbottò Lily alzandosi dalla poltrona rossa della Sala Comune quando James si fece strada tra i compagni per raggiungerla. «E perchè mai saresti qui da cinque minuti, Evans? Sono solo le sette meno cinque» le rispose lui, solare.
La sensazione d'invincibilità era tornata vedendo Lily aspettarlo. Era stato così bello che si era immobilizzato sulle scale a chiocciola, osservandola per qualche minuto.
Se avesse potuto vederlo, Sirius gli avrebbe sicuramente detto che era un cretino ma James non ne aveva potuto fare a meno perchè sapeva che appena sarebbe sceso, quella bella sensazione sarebbe sparita.
«Muoviamoci» stroncò il discorso Lily incamminandosi verso il buco del ritratto così velocemente tanto da non rendersi nemmeno conto che non aveva la più pallida idea della direzione da prendere. Dove si trovava l’ufficio di Silente? Non c’era mai stata, per sua fortuna, al contrario di Potter che l’avrebbe potuto trovare anche ad occhi chiusi.  
«Evans, stai sbagliando strada» le disse infatti James, le mani in tasca e un mezzo sorriso irriverente a formagli la rughetta su una guancia che Lily si ritrovò ad osservare più del dovuto.

«Ed è inutile che aumenti il passo per non avermi al fianco perchè tanto dobbiamo arrivare insieme» continuò James affiancandola per guidarla nella direzione giusta.

Evans non poteva scappare, non poteva dirgli di andare a controllare i piani di sopra’, non poteva far finta di non vederlo, non poteva allontanarsi e cambiare strada. Erano lì, insieme, e James non aveva nessuna intenzione di sprecare quell’opportunità.
«Allora, Evans...»
«Non ho voglia di parlare. Raggiungiamo questo benedetto ufficio»
«Parlerò io, tranquilla. Questa è la prima volta che passeggiamo come si deve e di cose da dire ne ho davvero tante».

Lily sbuffò rumorosamente, ma sapeva benissimo che Potter non riusciva a cogliere il linguaggio non verbale. Per lui, lo sbuffo era un invito a proseguire.
«Allora... come ti è sembrata Hogsmeade? Come la descrivevano quelli più grandi?»
Lily aggrottò le sopracciglia spostando lo sguardo su di lui. «Che cosa stai dicendo, Potter?» chiese, sinceramente preoccupata per la sua salute mentale.
«Sto partendo dalla prima domanda che avrei voluto farti se avessimo avuto una conversazione senza urla, Evans. Non è colpa mia se è dal terzo anno che cerco di parlarti normalmente. Adesso dovrai sorbirti quattro anni e mezzo di domande e discorsi» rispose tranquillamente James.
Lily boccheggiò, sconvolta. Potter aveva decisamente dei seri problemi.
Seguì con occhi spauriti la mano tra quei capelli neri arruffati e si chiese se per caso a furia di toccarseli non avessero deciso di ribellarsi entrandogli nel cervello, danneggiandolo irreparabilmente.

«Sei incredibile, Potter, davvero. Mai visto uno più assurdo di te»

«Grazie. Aspetta, però, se passiamo già ai complimenti la cosa si fa ancora più lunga» affermò lui con sorrisino malizioso. Lily sollevò gli occhi al soffitto. «Va bene, continueremo il discorso dopo... Piperilla!» esclamò James facendola quasi spaventare; non si era accorta di essere arrivata davanti ad un imponente gargoyle in pietra.
 


 

 

*

 
 
 



Mary, seduta strategicamente sul pouf di fronte al camino e alla scala a chiocciola dei ragazzi, faceva finta di leggere la Gazzetta del Profeta.
Se solo si fosse messa a leggerla davvero avrebbe capito perchè diversi compagni di Casa le lanciavano strane occhiate ogni tanto: l’intero giornale era messo al contrario. Ma aveva ben altro a cui pensare. Lily e Potter erano usciti dalla Sala Comune già da dieci minuti, i ‘tre moschettieri’ avevano appena oltrepassato il buco del ritratto e Liv si era lanciata sù per la scala a chiocciola con la bacchetta stretta in mano. Era decisa a non fallire nel suo ruolo di guardia.

 

 

 

 

*

 

 



«Cosa ci fai, qui?»
Liv fece segno di tacere al ragazzino del secondo anno un po’ troppo impiccione, ma lui accentuò la smorfia infastidita per ribattere.

«Non puoi stare qui! Hei, ragazzi, c’è un...!»
Liv agitò la bacchetta pensando a quanto adorasse l’Incantesimo Tacitante. Gli occhi sgranati del ragazzino ormai muto la seguirono mentre avanzava a passo deciso nello stretto corridoio dei dormitori maschili.
Aumentando il passo quando veniva illuminata dalla luce delle camere che avevano le porte aperte, Liv riuscì a raggiungere la tana del nemico.
La porta era chiusa, come immaginava, ma con un semplice e veloce “Alohomorafece scattare la serratura ed entrò dentro richiudendosela alle spalle.

La scorta di Burrobirre che quei tre dovevano prendere poteva essere in qualunque luogo, lontano come la Torre di Astronomia o vicino come l’arazzo di Barnaba il Babbeo con il Troll. Era molto più probabile la Torre di Astronomia visto che quell’arazzo non poteva di certo nascondere delle bottiglie.
Ma anche se fossero stati lontani, Liv  era decisa a fare veloce, il più veloce possibile.
Voltandosi verso la stanza rimase pietrificata. C’erano più cose in terra che sui mobili. Tralasciando la parte a destra perfettamente ordinata e pulita (che ricondusse subito a Remus) sembrava di essere in un parco giochi a tema.
Le montagne russe fatte di vestiti e riviste di Quidditch in quella che doveva essere la ‘zona Potter'; la bancarella dei dolci attorno al baule con le iniziali di Peter ai piedi del baldacchino a sinistra; la casa degli orrori di Black, il letto sfatto era quasi totalmente invaso da boxer, calzini e manuali babbani per la manutenzione delle motociclette, in bella mostra in copertina.
Liv non provò nemmeno ad avvicinarsi al bagno ma doveva per forza immergersi nella Casa degli Orrori. Il pensiero della strana pergamena che insultava, del Mantello e di quello specchietto-telefono le si accese in testa per spegnersi poi in un attimo pensando a quanto fosse improbabile trovarli lì, dovevano per forza servire per ‘fare la spesa’.
Tentò comunque, appellandoli con la bacchetta ma nessuno dei tre oggetti le volò in mano. Stava perdendo tempo, si disse prima di farsi forza dirigendosi verso il baule con le iniziali S.O.B. e dare il via alla sua ennesima vendicativa risposta di ribellione.
Era come rovistare nella spazzatura, una spazzatura profumata per sua sfortuna. Camicie, pantaloni, jeans babbani, felpe e maglioni, tutto volò per terra aggiungendo caos al caos. Anche la preziosa maglia dei Rolling Stones, che le faceva la linguaccia con quelle sue immobili labbra rosse stampate sopra, fu gettata a terra.
Le sue dita strinsero con più decisione la bacchetta quando ebbe tutto l’armadio di Black ai suoi piedi.
 
 



 

*

 
 
 



La stretta scala in pietra che saliva lentamente verso l’alto in una spirale aveva incantato Lily. Silente aveva decisamente un ingresso niente male per il suo ufficio.
É per questo che mi faccio mettere in punizione, Evans. Non è magnifica?” le aveva detto James, ironicamente, appena avevano messo piede sul primo gradino. 

Eppure adesso sei qui in vesti tutt’altro da criminale, Potter. Non serve andare in punizione per godere di queste scale” gli aveva risposto Lily, schietta, facendolo ridere.
Non era lì come vittima di una punizione eppure, oltre ad essere sulla scala mobile di Silente, aveva anche Lily con quegli occhi verdi accesi e dilatati come ogni volta che rimanevano sorpresi da qualcosa.
Era ancora più bella quando veniva rapita dalle cose che la circondavano. Entrava in un mondo tutto suo, fatto di chissà quali pensieri davanti ad un calderone con i ciuffi rossi dei capelli attaccati sul viso e le guance arrossate; immersa nelle pagine di un libro davanti al camino della Sala Comune o con il riflesso del Lago Nero a muoversi in quel verde intenso dei suoi occhi; e in quel momento, con il naso all’insù spruzzato di lentiggini e gli occhi brillanti anche nella semioscurità, catturati dalla spirale ipnotica delle scale.
Una fastidiosa e strana sensazione avvolse James che senza capire come si ritrovò a desiderare di essere un calderone, un libro, un lago e una scala.

«Potter, vuoi per caso salire sul tetto?» lo richiamò sarcasticamente Lily, svegliandolo dalla strana ed inquietante trance che lo aveva offuscato per un attimo.
Con un saltello, James la raggiunse sul pianerottolo davanti allo spesso portone di quercia, afferrò il pesante batacchio in ottone e bussò senza far attendere oltre il loro Preside.
«Avanti» rispose la voce pacata di Silente.
Lily trattenne James per una manica della divisa prima di lasciargli aprire la porta. «Niente fesserie, per piacere» gli mormorò, seria. Lui per tutta risposta le sorrise apertamente entrando con passo deciso dentro l’ufficio del preside come se fosse casa sua.
«Buonasera, professore» salutò educatamente, facendo strada a Lily che spalancò gli occhi una seconda volta davanti a quella stanza circolare ricca di strambi oggetti d’argento dall’aria fragile; ronzavano e sbuffavano fumo su tavolini con delle gambe sottili.
«Buonasera a voi» rispose Silente, sorridendo da dietro la sua lucida scrivania. Lo sguardo chiaro divertito dietro le lenti a mezzaluna scrutò la figura di Lily, adesso incantata ad osservare le pareti coperte dai ritratti dei vecchi Presidi che sonnecchiavano beati dentro alle cornici.

«Accomodatevi, prego. É stato un buon primo mese di lezioni?» continuò in tono accogliente, facendola sussultare.
«Buonasera, Preside. Sì, un piacevolissimo mese, grazie» fece lei, arrossendo vistosamente. Si affrettò a seguire James per prendere posto sulle due sedie ma un delicato fruscio d’ali, unito al dolce verso di uccello, la bloccarono sul posto.
«Un mese davvero interessante, professore» confermò James lasciandosi cadere sulla sedia chiedendosi se Lily avesse mai visto una fenice. Evidentemente no, dato che appena i suoi occhi verdi incontrarono Fanny appollaiata sul suo trespolo dietro la porta, emise un sonoro Oh’ meravigliato.
«Lei è Fanny» la presentò Silente in tono amorevole. «Puoi accarezzarla se vuoi, signorina Evans».
Una fenice. Nonostante avesse sei anni di magia (con tutte le cose che ne conseguivano come per esempio gli Unicorni) alle spalle, Lily rimase sconvolta da quella visione.
Le piume rosse e oro di Fanny sembravano fiamme vive. Si avvicinò con cautela all’animale che sollevò la piccola testa allungando il collo per guardarla dolcemente con occhi curiosi quanto i suoi. Accarezzò con la punta delle dita le piume, scoprendole incredibilmente setose, e l’uccello schiuse il becco aguzzo liberando un altro melodioso suono che riempì Lily di totale e squisita pace.
«Le piaci» constatò affabile Silente, osservando Fanny accoccolare la testa sulla mano delicata di Lily, sempre più emozionata.
Con un'ultima occhiata all’elegante coda di piume d’oro che scendeva come un lungo drappo dal trespolo, Lily andò a sedersi accanto a James rimanendo perplessa dal sorriso che gli illuminava il viso. Era così sincero e per niente esagerato che non sembrava nemmeno suo.
«Dunque» fece Silente con un sorriso gentile a sollevargli la lunga e argentata barba. «Prima di tutto, vorrei esprimere le mie congraturazioni per questi vostri nuovi ruoli da Capiscuola»
«Congraturazioni a lei per la sua ottima scelta, signore» scherzò James sistemandosi gli occhiali a testa alta.
«Grazie, professore» disse invece Lily in evidente imbarazzo, fulminando il collega con uno sguardo.
Silente però rise, scrutando con aria gaia James da sopra i suoi occhiali. «Non posso negare il fatto che la maggiorparte delle volte le mie scelte siano azzeccate, signor Potter. Ti ringrazio».
James allargò il sorriso, guardando l’anziano preside nei suoi acuti e giocosi occhi azzurri. Sembravano leggergli nel pensiero ogni volta che li incrociava per più di qualche secondo.
«Questa è la tua prima visita al mio ufficio di quest’anno» riprese allegro il preside avvicinando le punte delle dita delle mani con fare pensieroso. «Eppure siamo alla fine di Settembre. Piuttosto insolito se si pensa agli anni passati». Silente spostò lo sguardo ilare su Lily che proprio in quel momento si raddrizzò sulla sedia, cercando di nascondere il suo parere riguardo James Potter come Caposcuola. Spostò lo sguardo sugli alti scaffali alle spalle del Preside, colmi di libri ed impreziositi dal rattoppato Cappello Parlante e dalla scintillante spada di Godric Grifondoro custodita in una teca cristallina.
Potter non aveva ricevuto nemmeno una punizione in un mese, era vero, ma soltanto perchè il suo diabolico Mantello dell'Invisibilità non l’aveva tradito. E dove li lasciava i tentativi di dare il via libera agli studenti di Grifondoro durante la ronda?
Smise di pensare quando si sentì addosso lo sguardo penetrante e divertito di Silente, le sopracciglia bianche del Preside erano sollevate con aria interrogativa come se la stesse invitando a parlare. Aveva sempre pensato a Silente come un Legilimante, le capacità per esserlo le aveva di certo, e spiegava il motivo per cui ogni volta che la guardava dritto in faccia si sentiva come un libro aperto per lui. Non era mai una spiacevole sensazione però, quegli occhi che spuntavano al di sopra delle mezzelune erano sempre gentili e comprensivi, mai inopportuni o invadenti, sembravano quasi chiederle il permesso.
«Perchè ha scelto Potter, professore?» si ritrovò a chiedere, senza nemmeno rendersene conto.
Quella semplice, ma azzardata domanda prese alla sprovvista James e fece ridacchiare sotto ai baffi argentati Silente.
 
 


 

*

 
 
 


«Sirius, che cavolo! Sei tu quello orbo, non la statua!»
«Ti vuoi fare sentire da tutti, Remus!?»
«Mi rimarrà il livido! Adesso oltre che sfregiato sarò anche pestato... sarà la volta buona che mi affibbieranno il Vaiolo di Drago»
«E non è un bene, Lunastorta? Almeno l’attenzione verrà sviata dai tagli alla macchia viola... verde... blu... Remus, dovresti andare in infermeria»
«É davvero così grave, Pete? I tuoi gomiti si potrebbero chiamare spigoli, Felpato»
«Sto per aprire la gobba. Cucitevi le bocche»
Dopo aver lanciato un’occhiata alla Mappa del Malandrino per assicurarsi che nesuno stesse passando nel corridoio, Sirius sgusciò fuori dalla statua della Strega Orba tenendo ben fermo il Mantello dell’Invisibilità che copriva sia lui che Peter e Remus alle sue spalle, carichi di dolci e bottiglie rubati dalla cantina di Mielandia e dal retro dei Tre Manici di Scopa.
Camminare sotto al mantello quando ancora il coprifuoco non era scattato era maggiormente difficile visto che gli studenti si aggiravano tranquillamente nei corridoi e sulle scale. Prendendo le fidate scorciatoie e controllando il traffico di studenti con la Mappa del Malandrini, però, tutto si semplificava.

 





*

 




Era tutto perfettamente in ordine. L’ordine naturale del Karma, ovviamente.

Ogni singolo indumento di Black, dalle mutande alle giacche, era attaccato sui muri e sulle finestre con l’incantesimo di Adesione Permanente. Liv non li aveva strappati come invece il Frisbee Zannuto aveva fatto con i suoi, ma era convinta che non poter indossare i propri vestiti fosse molto peggio che stare ore ed ore ad aggiustarli con un Reparo come avrebbe dovuto fare lei prima di andare a dormire.
Black sarebbe rimasto senza indumenti per il tempo che Liv aveva ritenuto opportuno: tutto il Week- end.
Il sorriso enorme che le stava stirando le labbra mentre osservava il suo ‘capolavoro’ era paragonabile a quello di James dopo aver segnato un punto con la pluffa.
La maglietta dei Rolling Stones, appesa in bella vista al centro delle tende del baldacchino, avrebbe fatto la linguaccia al suo proprietario, adesso.

Mancava però il tocco finale: la colla sul cuscino. Se Black, oltre ad andare in giro nudo, non voleva gironzolare per il Castello con un cuscino attaccato alla testa avrebbe dovuto tagliare di netto i suoi fluenti capelli neri. Madama Chips glieli avrebbe fatti crescere di nuovo così come aveva fatto con i suoi, ma Black doveva provare la sensazionale esperienza di avere una testa disastrata, almeno per una volta in tutta la sua vita.
Stava per finire di spalmare il sottile strato di pozione incollante sulla federa quando sentì la voce di Mary echeggiare dalla Sala Comune.
Tempo scaduto. Doveva muoversi.


 

 

*

 
 




«Non ora, Macdonald. E perchè stai urlando?»
«PERCHÉ FINNIGAN HA APPENA FATTO ESPLODERE QUEL BICCHIERE D’ACQUA CON UN AGUAMENTI. ERA PROPRIO VICINO AL MIO ORECCHIO. É ASSURDO, VERO!?» mentì spudoratamente non sapendo nemmeno lei come. «MA NON É QUESTO IL PUNTO, BLACK. VOGLIO COMPRARE UN PO’ DI QUEI DOLCI CHE AVETE... A PROPOSITO DOVE LI AVETE PRESI?»
Mary stava sudando freddo, le tremavano leggermente le mani, la gola era più asciutta di uno di quei biscotti di Hagrid e i suoi occhi si spostavano involontariamente verso la scala a chiocciola da dove, ormai, sarebbe dovuta spuntare Liv. Di Liv però non c’era nessuna traccia.
«Mary ma... stai bene?» le chiese Remus scrutandola con occhi preoccupati. Mary annuì con forse un po’ troppa enfasi. Non sapeva fingere, l’aveva sempre detto.
«CERTO, REMUS, GRAZIE. TU INVECE? NON SEMBRI TANTO A POSTO».
L’espressione accigliata ed impressionata di Remus la fece arrossire e sudare ulteriormente. «VOLEVO DIRE... INTENDEVO... CON QUEL LIVIDO SUL MENTO NON SEMBRI... HAI SBATTUTO DA QUALCHE PARTE?» si corresse sentendo il panico invaderla completamente.
Ma cosa accidenti stava pensando, facendo, dicendo? Se Merlino l’avesse sotterrata con qualsiasi cosa le avrebbe soltanto fatto un immenso favore.
«BLACK! DOVE VAI!? DOBBIAMO RAGGIUNGERE UN ACCORDO PER I DOLCI!» gridò quando vide Sirius allontanarsi verso il dormitorio maschile con un’espressione sospettosa dipinta in faccia.



 

 

*

 
 


Il cuscino era finalmente appiccicoso. Liv saltò giù dal letto, facendo evanescere la bottiglia ormai vuota della pozione, e con passo svelto raggiunse la porta infilandosi la bacchetta sulla vita della gonna, dietro alla schiena.
Ad aspettarla fuori in corridoio c’erano Sirius, Remus e Peter, tutti e tre con i lineamenti illuminati dalle lampade appese ai muri e contratti rispettivamente in smorfie di curiosità, frustrazione e terrore.
«Cos’hai fatto?» chiese in un sorrisino rilassato Sirius, arrivandole davanti senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri.
L’adrenalina che quella ragazza inquietante riusciva a mettergli ogni volta era travolgente, voleva proprio vedere che cosa si era inventata stavolta.
Liv sorrise, scaltra, reggendo quello sguardo per qualche secondo prima di portare il suo su Remus.
«Cercavo Remus» disse semplicemente. Il diretto interessato spalancò gli occhi stringendo con più forza le burrobirre tra le mani.
Che cosa voleva quella pazza? Non c’entrava niente con la folle guerra tra lei e Sirius. Perchè ci doveva passare di mezzo lui ogni volta? E se Liv si aspettava un aiuto per mettere in atto uno scherzo a Sirius, si sbagliava di grosso. Ne aveva abbastanza con James e Sirius, non poteva reggere anche lei.
«Vuoi andare a Hogsmeade con Mary?» chiese senza giri di parole Liv, e i giri spuntarono nel cervello di Remus. Il suo viso improvvisamente sotto shock si colorò di rosso acceso.
Boccheggiò più volte prima di rispondere, balbettando. «Cosa?... stai... come, scusa?»
Liv allargò il sorriso. Lo sapeva, Remus non era indifferente a Mary ma possibile fosse così timido anche lui?

«Allora è deciso: il quindici ottobre, alle dieci davanti al portone d’ingresso» fece Liv prima di dare le spalle a tutti e allontanarsi, decisa a non dargli il tempo di rifiutare e a scappare da quel dormitorio il più velocemente possibile.
«LIV!» la richiamò Remus con voce sconvolta sotto lo sguardo divertito di Sirius. «Io non...insomma... non poss...»
«Stai tranquillo, Remus, lo dirò io a lei! Dormi bene, Black. Io starei attenta alla vasca fossi in te» li salutò Liv camminando a passo di marcia.
Sviare l’attenzione dal cuscino le era sembrata la cosa più sensata da fare. Black oltre che nudo e con i capelli corti sarebbe rimasto anche puzzolente per la paura di farsi una doccia.
«Non posso uscire con Mary, non posso» bofonchiò sempre più sconvolto Remus, muovendosi indeciso sul posto facendo così tintinnare le bottiglie tra le mani.
Non poteva uscire con Mary, non poteva e basta. Se l’aveva rifiutata già una volta c’era un motivo. Un motivo validissimo, checchè ne dicessero James, Sirius e Peter.
«Questa è una situazione già vista, Remus. Possibile stai ancora pensando a quel motivo?» provò a convincerlo Peter nel tentativo di calmarlo. «Quante volte te l’abbiamo ripetuto? Non c’è niente di male ad uscire con una ragazza, non devi mica svelarle tutti i tuoi segreti»
«Potete ripetermelo anche un’infinità di volte, Peter. Io non cambierò mai idea» mormorò lui, incupendosi.
«Allora perchè non hai detto subito di no? Per buona educazione?»lo stuzzicò Sirius guadagnandosi un’occhiataccia da Remus che cominciava a sentire la familiare sensazione dolorosa invadergli il petto.
Forse era anche per quello, per l’educazione. Cosa ne poteva sapere Sirius? Dire di no a Mary al quarto anno era stato faticosissimo. Sapeva che continuare a parlarne o anche solo a pensarlo avrebbe peggiorato tutto e lo sapevano anche Sirius e Peter che infatti rimasero in silenzio almeno fino a quando Sirius non si voltò verso la loro porta con aria impaziente.
«Vediamo cos’ha fatto Mercoledì Addams al nostro bagno».
 
 



 

*

 
 




«MI SONO PRATICAMENTE SGOLATA PER FARTI CAPIRE CHE ERANO ARRIVATI!»
«Stai continuando anche adesso, Mary»
«Perchè sono diventata sorda per colpa della mia voce! Si può sapere perchè ci hai messo il doppio del tempo!?» sbottò Mary sollevandosi dal pouf per avvicinarsi al divano sul quale l’amica si era appena accomodata.
«Vai ad Hogsmeade con Remus, il quindici» le disse Liv sollevando lo sguardo su di lei.
Il volto di Mary rimase immobile. Liv si chiese se avesse sentito o no. A dire la verità, quell’espressione neutra sul viso dell’amica la stava spaventando.
«Mary? Hai capito? Sei davvero diventata sorda?» le chiese, scrollandola leggermente. «Ho chiesto a Remus di uscire con te».
Detto in quel modo suonava un po’ strano e forse fu quello a far reagire Mary che aprì la bocca per parlare con tono paurosamente calmo.
«Tu cosa, Liv?»
«Hai un appuntamento con Remus» provò a rigirare la frittata lei. E poi la vide, la piccola rughetta che si formava sulla fronte dell’amica prima di scoppiare. Non succedeva spesso ma quando lo faceva bisognava preoccuparsi.
«MA SEI SCEMA!?»
«La situazione doveva smuoversi in qualche modo. Volevi continuare con i Pro e i Contro? Con Remus ci vogliono le maniere forti, Mary! Ti sei già arresa?»
Le guance rossissime di Mary presero fuoco, la frangia bionda a nasconderle in parte gli occhi nocciola enormi per la rabbia.
«Se ti può tranquillizzare, è diventato rosso anche lui. Balbettava e gli tremanvano le mani» la informò Liv come se quello fosse abbastanza per farla tornare in sè. Il rosso sulle guance di Mary si espanse per tutto il viso, un po' come quando l’aveva trovata a piangere in bagno dopo lo storico rifiuto al quarto anno; un’immagine che Liv non aveva sopportato e che ancora non riusciva a mandare giù. Vedere Mary ridotta in quello stato le faceva un male cane e se Remus voleva rifiutarla un’altra volta avrebbe dovuto usare una frase molto più convincente e corposa di ‘Non posso’ o Mary sarebbe rimasta ancora legata a lui in un modo davvero malsano ed ingiusto.
Era una soluzione drastica, Liv ne era consapevole, ma di sicuro l’unica per farla guarire davvero. E, parlando chiaro, non credeva minimamente che a Remus Mary non piacesse, più volte l’aveva beccato guardarla da sopra un libro o dal calice a tavola.
«E non ha rifiutato. Mi sembra una cosa notevole, no? Essenziale, oserei dire» continuò Liv, affabile.
«Essenziale!?» ripetè Mary livida «Tra un quarto d'ora dobbiamo andare a cena e siamo nello stesso tavolo, ricordi?! E siamo Prefetti! Lo vedo ogni volta che controlliamo i bambini dei primi anni a ricreazione, quando sequestriamo oggetti di Zonko! Tra poco dovremo addobbare per Halloween!Con lui
«E quindi? Almeno avrete qualcosa di cui parlare» ribattè Liv con calma.
Lo sguardo omicida di Mary la colpì in pieno.
Forse era stata troppo dura, a volte si rendeva conto dei suoi modi un po’ troppo bruschi quando ormai il guaio era già fatto. Sperava davvero, però, di averle fatto capire che la sua unica intenzione era quella di farla stare meglio.
«Te le dovrai aggiustare da sola le magliette, Liv» sbottò furiosa Mary prima di incamminarsi spedita verso le scale del loro dormitorio.
Il sospiro di Liv fu morzato dall’improvvisa apparizione di Sirius che si era piazzato davanti a lei con un sorriso per niente innocente.
«Perchè non vai a farti una bella dormita, Black?» gli chiese non vedendo traccia del cuscino sulla sua testa.
«Perchè stavo pensando» cominciò lui lasciandosi cadere mollemente al suo fianco sul divano venendo investito dall'irresistibile e persistente profumo che ormai desiderava sentire ad ogni ora del giorno. «Pensando a come è cominciata questa guerra».
Liv corrucciò le sopracciglia senza capire. La guerra che incombeva fuori da Hogwarts? Da quando in qua Black prendeva posto sul divano per parlare con lei di problemi seri come quello?
La guerra che intendeva Black era di certo quella esplosa tra loro due e davvero non sapeva perchè era cominciata?
«Tanto per cominciare» iniziò Liv con decisione, voltandosi con l'intero busto verso di lui per poterlo guardare dritto in quegli occhi attenti, quasi ipnotici, accorgendosi di quanto fosse vicino e di come quella vicinanza avesse cominciato a far fluire una pesante tensione tra i loro corpi. Entrambi se ne accorsero, entrambi lo sentirono semplicemente respirando un'elettricità che faceva tremare le ossa. Una sensazione forte ed improvvisa che li irrigidì, facendoli allontanare di poco l'una dall'altro sui cuscini vermigli.
«Perchè è dal primo anno che mi chiami con il mio nome intero e sai benissimo che non lo sopporto» rivelò Liv, indignata, interrompendo il contatto con gli occhi di Sirius che indugiarono sempre su di lei, accesi. Olivia era cresciuta- piuttosto bene, aggiunse- ma quel suo modo di essere schietta quando non le stava bene qualcosa era sempre lo stesso di quando aveva undici anni; aveva colpito ed era piaciuto al ragazzino che era stato sei anni prima e lo faceva impazzire adesso, da quasi diciottenne.
«Non so perchè non lo sopporti, però» rispose piano Sirius, abbassando lo sguardo sulla fossetta nella guancia di Liv che divenne più profonda quando lei arricciò le labbra in una strana smorfia che lui non riuscì a decifrare. Disgusto, forse, o rabbia.
«Non lo sai perchè non sono affari tuoi, Black. Non chiamarmi così e basta. Non ti serve un motivo» ribattè lei con diffidenza.
«Io faccio tutto per dei motivi, Olivia. Se non c’è, perchè dovrei smettere?» fece Sirius, gli occhi trasparenti di nuovo stretti dalla presa ferrea di quelli intensamente marroni, socchiusi e guardinghi tra le ciglia lunghe rivolte verso di lui.
«Mia madre mi chiama così» rivelò Liv, secca. «Il mio nome intero mi ricorda la sua voce e meno la sento meglio è. Ti basta? Adesso hai un motivo e puoi tranquillamente smettere».
Perchè l’aveva detto? Sempre se l’aveva detto. 
Ma certo che sì, vista l'indecifrabile espressione che si era formata sul viso di Black.
Erano stati quegli occhi grigi dalle pupille dilatate a farla parlare, era stata quella luce che li animava a farla parlare, a farle aprire quel varco nel muro che l'aveva sempre divisa dal resto del mondo e che Sirius, da quando l'aveva conosciuto, aveva sempre provato anche solo a toccare prima con l'arroganza di un dodicenne e poi con quello sguardo che Liv riconobbe di nuovo, davanti a sè.
«Per tua madre?» disse solamente Sirius sollevando un sopracciglio nero. «Non credo sia più terribile della mia»
«Lo è, invece» sbottò Liv più seria che mai lasciandolo decisamente scettico.
Un silenzio pesantissimo rimase ad aleggiare tra i loro sguardi insistenti gli uni negli altri e la tensione si fece così invadente da percepirla anche sulla pelle fino a quando Sirius non parlò di nuovo, rigido, spostando lo sguardo con aria apparentemente indifferente verso il camino acceso.
«Be', allora per questo continuerò a chiamarti Olivia, Olivia. É il tuo nome, non può pronunciarlo esclusivamente tua madre. Olivia sei tu e solo perchè lo pronuncia lei non significa che devi dimenticarlo eliminarlo».
 ‘É il tuo nome, non può pronunciarlo esclusivamente tua madre. Olivia sei tu... e solo perchè lo pronuncia lei non significa che devi dimenticarlo o distruggerlo’.
Per quanto le costasse ammetterlo, le parole di Sirius le avevano acceso qualcosa in testa.
Olivia era il suo nome, verissimo. Non era prerogativa di sua madre usarlo, vero anche quello. Il nome era suo, non era di proprietà di sua madre e solo il fatto che ci fosse qualcun’altro a pronunciarlo rendeva la cosa più tangibile, anche se quel qualcun’altro era soltanto uno ed era Black. Black, uno stronzo intelligente. L’unica cosa che Liv fece però fu stare in silenzio, così come Sirius che si era incantato a guardare le fiamme danzanti del fuoco giusto il tempo per farle ‘digerire’ quella nuova scoperta.
Fu un bene perchè Liv non aveva assolutamente intenzione di continuare con quell’argomento. Tra l’altro, sembrava dar fastidio anche a lui tanto quanto la tensione di poco prima che continuava a scorrere nei nervi li aveva sconvolti.
L'iride grigia della coda dell'occhio di Sirius, però, non si era soffermata sul camino ma su di lei, per scrutarla tra i ciuffi di capelli neri.
Perchè non ne sapeva niente di questa sua madre ‘orribile’?
Eppure la conosceva da sei anni. L'unica cosa che la scuola sapeva era che aveva una madre babbana e un padre nato babbano. Olivia non aveva mai nemmeno accennato a fratelli, sorelle o madri orribili, non accennava mai a niente e nessuno, a dire la verità. Era sempre stata un mistero complicato.
Una ragazzina silenziosa con una treccia scura che sbucava da sotto il Cappello Parlante allo Smistamento, una ragazza diffidente e aggressiva che voleva difendersi da sola con parole e bacchetta per proteggere da chiunque il suo cognome e quello delle sue due amiche, le uniche destinatarie del suo sorriso radioso.
«Quindi» esordì, facendo finta di staccare gli occhi dal fuoco per portarli sfacciatamente su di lei. Fu lieto di riportare il discorso allo scherzo, alla normalità, nonostante i nervi ancora percorsi da scariche elettriche sempre più insistenti ad ogni movimento di Liv ed ogni ondata delicata del suo profumo esattamente come stava percependo lei nei suoi confronti.
«Solo per questo motivo io adesso ho tutti i miei vestiti in attesa di un tuo contro incantesimo? Cosa che arriverà presto perchè se non lo farai di tua spontanea volontà entro cinque secondi ti costringerò io a farlo in modi che, ti assicuro, non saranno per niente piacevoli, Olivia».
Liv trattenne una risata, stranamente rilassata al suono del suo nome, ritrovandosi così a sorridere con le labbra arricciate e una scintilla di vivacità negli occhi scuri che attirò Sirius immediatamente.
Liv aveva deciso che Black sarebbe rimasto senza indumenti per tutto il fine settimana e così sarebbe stato. Niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea.
E non si era ancora accorto del cuscino? Meglio.
«É inutile che ridi, Olivia» l'ammonì in un sorriso sbieco Sirius.
«Io rido quanto mi pare e piace invece» replicò Liv senza abbassare l'ampia curva sfacciata delle labbra facendolo sorridere del tutto, sfidante ed eccitato da quel suo modo di fare insolente.
«Allora ridi pure ma fallo alzandoti da qui per andare a liberare i miei vestiti» le sussurrò porgendole galantemente una mano.
Liv fece giusto in tempo ad osservarla, perplessa, prima che la strana tensione tra loro si affievolisse quando un'altra, decisamente imbarazzata, invase la Sala Comune: Remus e Mary, alla base della scale maschili lui e alla porta del dormitorio femminile lei, sembravano avere la faccia anadata fuoco mentre si guardavano impietriti da lontano.
 
 



 

*

                                           
 
 




«’Perchè ha scelto Potter, professore?’... ma ti sembra una domanda da fare, Evans?!»
«Era d’obbligo. Non potevo non farla. E comunque, con tutto il rispetto che ho per Silente, la risposta non è stata per niente soddisfacente».
Lily e James, camminando fianco a fianco, avevano appena lasciato la scala mobile dell’ufficio del Preside per dirigersi verso la scala che scendeva al sesto piano.
La riunione era stata tutt’altro che seriosa o troppo impegnativa perché con Silente anche le cose più noiose si coloravano di divertente umorismo, un particolare che fece piacere ad entrambi.
«’Brillante e talentuoso come lei, signorina Evans. Le mele non maturano tutte nello stesso momento, ma lo fanno prima o poi. Meglio tardi che mai, non crede?’... questa risposta, per quanto strana, non è soddisfacente?» ribattè James osservando il profilo seminascosto tra i lunghi ciuffi rossi.
«Per niente. Le mele non vanno in giro nascoste sotto ad un Mantello dell’Invisibilità, le mele non devono dirigere e controllare i Prefetti e sempre le mele non portano una spilla da Caposcuola. Tu, Potter, non sei una mela, tantomeno una matura» rispose Lily in un sorriso ironico.
«Evans, devi estendere i tuoi orizzonti mentali, andare oltre le frasi enigmatiche del caro Albus e trovare la vera essenza! Io sono proprio una mela maturata a puntino».
Quel tono appositamente pomposo trasformò il piccolo sorriso di Lily in una risata mal trattenuta da uno sbuffo che James prese come una piccola ma preziosa vittoria. 
«E, comunque, non immagini nemmeno quanti luoghi stupefacenti nascondono Hogwarts e il suo Parco, altro che la scala mobile di Silente» cambiò argomento James. Nella sua mente, la domanda ‘Vuoi venire ad Hogsmeade con me?’ si stava trasformando in una marea di varianti, tutte una più strana dell’altra.
‘Vuoi venire nella cantina di Mielandia con me, Evans?’; ‘... nella Stamberga Strillante che osservi sempre con tanta attenzione?’; ‘ Nella piccola radura coperta di fiori al centro della Foresta Proibita?’...'Vuoi venire ovunque io vada?'
Lily arricciò il naso, nascondendo la sua fervida curiosità. «Magari mi puoi dire dove si trovano e ci andrò da sola eh, Potter?»
«Nemmeno per sogno, Evans. Con me niente» rispose lui, scacciando via l’ultima inquietante domanda che gli si era formata in testa.'Vuoi venire ovunque io vada?'.
Continuarono a camminare e scendere le scale in silenzio, Lily si stupì non sentendolo più parlare chiedendosi mentalmente se avesse per caso detto qualcosa di male. Ma quando mai Potter si offendeva per delle frasi troppo dure? Gli insulti sembravano sempre rimbalzargli addosso.
Appena raggiunsero la Sala Grande affollata per la cena, sia James che Lily capirono che qualcosa non andava. I visi di Mary e Remus, quelli sì che potevano definirsi due rossissime mele mature.







 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12. Lupus in Fabula ***




Capitolo 12
 
 
LUPUS IN FABULA

 

 
 
 

«Che accidenti vi è successo?» chiese James rivolgendosi a Remus e Mary che lo ignorarono dopo essersi ignorati a vicenda per tutta la cena, cominciando a salire l’imponente scala in marmo insieme ad altri grifondoro e Corvonero diretti nelle rispettive Sale Comuni.
«Remus?» insistette, quasi offeso da quel suo far finta di non sentirlo, iniziando a seguirli. Dopotutto era un suo dovere, salire ai piani superiori.
«Potter, oggi stai giù» lo fermò Lily, trattenendolo per il cappuccio della veste. James tossicchiò distogliendo lo sguardo da Remus e Mary che sparirono al primo piano. Non sapeva dire se la saliva gli fosse andata di traverso per via del tentato strozzamento di Lily o per la frase che lei stessa aveva detto.
L’ondata di profumo che i capelli rossi rilasciarono mentre gli passarono davanti lo stordirono per un attimo, ma non gli fecero perdere del tutto la ragione. Riuscì ad afferrarle un braccio prima che potesse anche solo mettere piede sul primo gradino della scala che saliva ai piani alti.

«Dove stai andando, Evans?»
«Prendo il tuo posto, per oggi» sbottò lei liberandosi con uno strattone. James però le afferrò l’orlo della tunica, bloccandola una seconda volta.
«No, aspetta un attimo, Evans. Perchè mai dovresti prendere il mio posto?»
Lily sospirò rumorosamente, voltandosi verso di lui. «Perchè Mary e Remus hanno bisogno di stare da soli» spiegò sottovoce notando le sopracciglia di James aggrottarsi sopra la rotonda montatura degli occhiali.
«Conosco Remus come le mie tasche e sono sicuro al cento per cento che lui non vuole stare da solo»
«E io conosco Mary e le cose che ha per la testa»
«E quindi?»
«E quindi sarebbe il caso di lasciarli parlare, per una buona volta. Siccome tu non sai startene zitto e buono da una parte, starai nei sotterranei»
«Ma per chi mi hai preso? Resterei in silenzio in un angolo».
Il sopracciglio rossiccio di Lily sparì sotto al morbido ciuffo di capelli che le ricadeva sulla fronte. Quello bastò a James per capire quanto fosse scettica sul suo restare in silenzio in un angolo.
«Ok!» le gridò, seguendola con lo sguardo salire le scale di fretta. «Vai pure, Evans!»
Aspettò che la saltellante chioma rossa sparisse al piano di sopra prima di sgattaiolare nella scorciatoia più vicina.
Sarebbe arrivato prima di lei.

 
 
 

 

*

 
 
 


Non era silenzio quello che Remus sentì arrivato al quarto piano, dove l'allegro gruppetto chiassoso di tredicenni Corvonero che avevano avuto davanti per tutte le scale aveva appena svoltato per la zona ovest del castello. Non era silenzio perchè il cuore che gli martellava nel petto ogni volta che si ritrovava da solo con Mary era davvero assordante. Un silenzio rumoroso, insomma.
Non sapeva nemmeno se quello stupido battito fosse per la presenza di Mary o per l’imbarazzo dei ricordi legati a lei, come quella sera di tre anni prima; si era quasi soffocato da solo non respirando mentre aveva sputato fuori con un magone in gola quelle maledette due parole: ‘Non posso’. Sapeva che ripetergliele sarebbe stato da maleducati ed insensibili. Doveva trovare una scusa convincente e sopratutto definitiva visto che Mary stava ancora pensando... a lui. Il suo stomaco fece una capriola ma l’ultima cosa che voleva era illuderla ed uscire con lei per poi mollarla alla prima luna piena lo era, a tutti gli effetti.
Aveva usato così tante scuse con tutti che ne era rimasto senza.
Non ebbe il tempo di pensarci perchè Mary lo anticipò, liberando un’ondata di parole fittissime e tremolanti.
«Liv in questo periodo è sù di giri per quella guerra di scherzi con Black e si è lasciata prendere la mano anche con te- con voi, anzi. So che Potter è stato Piton per un ora, a Pozioni- e quindi adesso spettava a te. Era uno scherzo sciocco. Io avviserei Peter perchè credo sia in ‘pericolo’ anche lui. Comunque volevo soltanto dirti che non ti devi preoccupare per quell’appuntamento perchè è annullato- anche se non c’è mai stato visto che nessuno di noi due l’ha mai nominato- è stata Liv a tirarlo fuori io non le ho assolutamente detto niente, vorrei fosse chiaro questo. Perciò fai come se Liv non ti avesse nemmeno rivolto la parola»
«Mary...» bofonchiò lui, leggermente confuso e sconvolto da quelle frasi tirate fuori a fatica ma ad una velocità allarmante.
«No, Remus. Non ho intenzione di.. insomma so benissimo che non puoi e chi sono io per dirti che invece potresti?» lo fermò Mary accompagnata da un’amara risatina.
Remus sentì un doloroso magone stringersi in gola quando notò il leggero velo lucido sopra quegli occhi nocciola che vagavano sui quadri appesi alle pareti e sul pavimento in pietra.

 

 

 

 


 
 *

 

 



«Potter? Ma cosa...?» mormorò Lily, incredula. Aveva finito di controllare il secondo piano ed era appena arrivata al quarto , trovandoci Potter che le fece segno di tacere nascosto dietro ad un'armatura.
Non poteva essere lì, era praticamente impossibile. Non l’aveva incontrato nelle scale e in ogni caso era partita prima lei dalla Sala d’Ingresso.
Che cosa stava facendo, poi, acquattato come un ladro?
Quando lui riportò l’attenzione davanti a sè, Lily si affacciò dall’angolo in cui stava, per seguire il suo sguardo attento.
C’erano Remus e Mary, fermi in fondo al corridoio, che parlavano a bassa voce. Li stava spiando?
Senza pensarci, Lily tornò dietro l’angolo per nascondersi con aria oltraggiata. 
«Potter!» gli sussurrò con durezza. Lui per tutta risposta si sistemò gli occhiali sul naso, continuando a guardare i due Prefetti. Lily ebbe l’impulso di fargli cadere addosso l’armatura con un gesto della bacchetta, ma si trattenne.
Quel contatto con Potter si stava prolungando più del necessario, non era mai stata così vicino a lui come lo era stata in quella giornata e aveva decisamente bisogno di disintossicarsi ma non poteva lasciarlo origliare in quel modo. Era certa che sarebbe saltato fuori da quell’armatura per inserirsi nel discorso di quei due come se niente fosse.
«Ti sembra una cosa corretta da fare?»
James sussultò sentendo quel bisbiglio severo al suo fianco. Lily l’aveva raggiunto, nascondendosi insieme a lui.
Non potè fermare nè il sorriso che cominciò a stirargli le labbra e nemmeno il brivido inaspettato che gli ruzzolò giù per la schiena; assomigliava molto alla pelle d’oca che provava quando le gocce di pioggia gli si infilavano sotto al maglione mentre si allenava a Quidditch, con la differenza che adesso più che infreddolito si sentiva piacevolmente riscaldato.
Lily aveva il viso contratto dall’ira, e forse anche dalla paura di essere scoperta, ma era decisamente e fastidiosamente bella da così vicino.
Quel verde chiaro brillante degli occhi spiccava così tanto anche nel corridoio in penombra. Era la seconda volta, in poche ore, che quella domanda gli tornava in mente. James si sforzò non poco per voltarsi verso Remus e Mary.
«Non sono zitto e buono da una parte’, Evans?» mormorò con un tono ironico che fece storcere il naso di Lily.

«Li stai spiando!» sussurrò di rimando lei.
«Tanto Mcdonald ti racconterà tutto, dopo, no? Così come Remus farà con me»
«Certo, ma è diverso!»
James non ribattè. Remus non voleva stare ‘da solo’ e lui non l’avrebbe lasciato solo.
Se solo avesse avuto il Mantello gli avrebbe picchiettato una spalla per fargli capire che era lì, con lui.
«Non so nemmeno perchè non puoi quindi, come faccio a dirti che puoi?» stava continuando a dire Mary, sempre più in imbarazzo ma decisa a risolvere quel vergognoso equivoco. «Voglio dire... potrebbe essere di tutto».
Forse aveva anche smesso di pensare. L’aveva fatto da un po’ in effetti, da quando si era decisa ad aprire bocca.
Stava sparlando, come le succedeva spesso, se ne rendeva conto ma allora perchè continuava?
Perchè se si sarebbe fermata Remus avrebbe trovato un’altra scusa e lei non era pronta, non di nuovo. Ecco, forse l’unico pensiero che Mary aveva in testa era Liv da prendere a pugni appena avrebbe rimesso piede in dormitorio.
«Avrai le tue buone ragioni, no? Qualsiasi cosa come... la tua salute cagionevole? Un raffreddore ogni tanto non è così pericoloso, sai? Ma certo che lo sai».
Remus non sapeva nemmeno più come stare in piedi, come mettere le braccia o dove guardare, ascoltava Mary con occhi sgranati, sotto shock.
Il magone era diventato così grande che gli sembrava di avere l’intero collo strizzato in un nodo.
«Il qualsiasi cosa potrebbe essere davvero qualsiasi cosa... qualsiasi cosa di grave, certo, altrimenti non avrebbe senso! Vaiolo di Drago? Ci ho pensato ma non hai nessun sintomo. Oggi hai quella macchia sul mento, sì, ma è la prima volta che vedo una cosa del genere sulla tua pelle quindi dovrebbe essere un semplice livido. E quelle cicatrici...»
Remus rabbrividì, fissando con insistenza- senza però vederla davvero- la strega nel quadro vicino. Stava aggiungendo acqua al suo bellissimo vaso di fiori dipinto ma, distratta dalla folle parlantina di Mary, aveva creato una piccola cascata.
«Santo cielo, Mary» mugolò Lily, mortificata. Forse era il caso di intervenire.
«Credo proprio sia ora d'intervenire» borbottò James, e Lily  faticò a riconoscere quel viso, sempre radioso e compiaciuto, adesso oscurato da un’espressione serissima.
James fece per alzarsi, ma Lily lo trattenne riportandolo a terra. Mary si era fermata e lei conosceva quello sguardo: quando la timidezza di Mary si trasformava in rabbia non c’era niente che poteva fermarla ed era un bene, quella situazione scomoda doveva finire.
«Evans, mollami!» James non si sarebbe mai lontanamente immaginato che un giorno avrebbe detto una frase del genere e ancora meno che Lily non avrebbe allentato la presa.
«Sta’ zitto, Potter»
«No, non sto zitto! Devo assolutamente raggiungere Remus» mormorò con durezza voltandosi di nuovo per poterla guardare in faccia.
Lily sembrò turbarsi davanti a quello sguardo colmo di intensa preoccupazione. Potter era in ansia per Remus e per quel qualsiasi cosa che Mary continuava a ripetere all’infinito e che lei stessa aveva usato con Severus, riferito a ciò che un anno prima il suo ormai ex amico aveva trovato nel tunnel sotto il Platano, quel ''qualsiasi cosa'' a cui era scampato grazie proprio a Potter.
Lily conosceva la teoria di Severus su Remus da anni, al quinto lui le aveva detto che aveva cotrollato il calendario e anche lei l'aveva fatto, scoprendo la verità che l'aveva fatta tacere perfino davanti alle sue migliore amcihe e che invece aveva ossessionato Piton, al punto da portarlo a rischiare di morire.
Quella verità le consigliò di lasciare andare Potter, la verità che vide chiarmente quando spostò lo sguardo su Remus, profondamente a disagio e non semplicemente imbarazzato. Mary, però, doveva sapere la verità e soltanto Remus poteva farlo.
«O molto più semplicemente non ti piaccio» affermò Mary, sollevando lo sguardo su Remus che aprì la bocca, turbato. «In quel caso dovresti dirmelo chiaro e tondo. Non me l’hai mai detto chiaro e tondo» continuò lei. «Anzi... dovresti parlarmi in modo chiaro e tondo sempre! Non ho paura dei raffreddori mensili, cosa c’è di così pericoloso?»

Remus deglutì a vuoto. Ti potrei sbranare in un boccone solo, ecco cosa c’è di pericoloso! Ti farei vivere nello stesso mio straziante incubo visto che ad ogni luna piena mi trasformo in un mostro! SONO UN LUPO MANNARO! E DOVRESTI SCAPPARE A GAMBE LEVATE DA ME!
Quanto avrebbe voluto urlarglielo. Sarebbe stato tutto molto più semplice, sarebbe sicuramente fuggita. Un pensiero che gli procurò una fitta allo stomaco ma che comunque riusciva sempre a rassicurarlo un po’: lei sarebbe stata al sicuro.
«Non ti piaccio? Bene! Perchè non me lo vuoi dire? Non mi offenderò». La voce leggermente tremante e gli occhi lucidi non rendevano la frase credibile, Mary lo immaginava. Non sapeva nemmeno come era riuscita a parlare, non lo sapeva ma ne era contenta e si ritrovò a ringraziare Liv mentalmente. Almeno avrebbe finalmente scoperto quello che da anni cercava di capire.
Remus deglutì a vuoto un'ennesima volta, tentando di camuffare l’angoscia con un'espressione pensierosa.
Dire che non gli piaceva sarebbe stato mentire, ma anche inventare un’altra scusa era mentire. Mentire, sempre e comunque, ecco cos’era la sua vita. Mentire a tutti eccetto a tre persone.  
I sorrisi di James, Sirius e Peter gli apparvero in testa, regalandogli un piacevole calore che allentò il nodo ancora stretto in gola.
«Prefetti Lupin e Mcdonald! State trasportando i prigionieri in cella?»
Quella voce reale, squillante ed allegra, sciolse all’istante anche le spalle, lo stomaco e l’intero resto del corpo.
Remus non potè fare a meno di sorridere con riconoscenza, voltandosi verso James che si stava avvicinando a loro, baldanzoso.
«Nessun disertore della legge prima del coprifuoco?» chiese ancora James, ricambiando il sorriso da ‘Grazie infinite’ di Remus con uno ‘Sono qui per questo, amico’ .
Lily, aggrappata all'armatura, restò nascosta. Aveva lasciato che Potter s'infilasse tra i piedi di Mary e Remus. L’aveva fatto, e vedere Remus più sereno fece sentire meglio anche lei.
Restò a guardare James esibirsi come suo solito. Era quello che Lily aveva sempre visto: lo spettacolo. Fino a quel giorno aveva sempre assistito davanti al palco di Potter senza mai stare dietro le quinte. Certo, quando aveva appeso Severus per le mutande non c'era stato di sicuro un 'dietro le quinte' che non fosse 'Perchè esiste', quel giorno era stato puro e disgustoso spettacolo senza prove. In quel momento, invece, anche se sembrava stesse ricercando attenzioni come suo solito, Potter era lì per proteggere il suo amico e lo stava facendo non di certo per un paio di raffreddori al mese e nemmeno per un coniglio troppo aggressivo.
Quell’altro motivo, invece, quello sì che poteva essere qualcosa che Remus non voleva dire.

Fu quando Mary si allontanò da loro con uno Scusate’ spezzato da un singhiozzo che tutto il sentirsi meglio di Lily crollò sotto un pesante macigno doloroso.
Aspettò che l’amica sparisse oltre la scala per sollevarsi, sempre stando attenta a non farsi vedere.
Con sua sorpresa, James lanciò un’occhiata all’armatura prima di allontanarsi da lì insieme ad un Remus turbato, lasciandole la strada libera per poter seguire Mary senza problemi.
«Mary! Aspetta!» cercò di chiamarla, raggiungendola soltanto quando Mary si fermò davanti al ritratto della Signora grazza per dire la parola d'ordine tra le lacrime. «Mary» esalò Lily allungando un braccio per toccarla, ma la cornice si era spostata di lato e la Signora Grassa l'aveva fatta entrare nella Sala Comune con cipiglio curioso ed impressionato.
Mary entrò come una furia in Sala Comune facendo lo slalom tra poltrone occupate e tavolini, con Lily al seguito.
«Liv, di sopra» sbottò autoritaria quest’ultima, seguendo Mary sulle scale. Liv scattò in piedi dalla poltrona che aveva occupato per fare il lungo tema di Pozioni; due pergamene fresche d'inchiosto caddero sul tappeto, macchiandolo. Il viso rosso di Mary, anche se nascosto dal suo caschetto spettinato, l’aveva visto eccome.
Lasciò libri e piume tra i cuscini e corse verso i dormitori con la dolorosa sensazione che conosceva benissimo: senso di colpa. Arrivò nella loro camera circolare sentendo il tonfo della porta del bagno che si chiuse con Mary dall'altra parte.
«Mary!»
«Va’ via, Liv!»
Lei sospirò pesantemente senza staccarsi dalla porta, lo sguardo preoccupato di Lily la incitò a riprovare. 
«Che cosa ti ha detto? Che non gli piaci?» riprese Liv alzando il tono di voce per superare quel legno spesso sotto i suoi pugni serrati da quella sensazione sempre più opprimente. Mary stava di nuovo male, ma sperava con tutto il cuore che fosse l’ultima volta; che Remus si fosse finalmente deciso a mettere un punto e non un altro punto e virgola.
Lily scosse la testa in segno di negazione e Liv rimase allibita. Remus aveva di nuovo lasciato tutto in sospeso?
«Mary! Apri!»
«Lasciami in pace, Liv!»
Non era giusto. Non era educato. Non era da Remus.
Una rabbia improvvisa cominciò ad invaderla lentamente. Più pensava e più quel fuoco divampava. Lily parve notarlo perchè le afferrò un polso, trattenendola prima ancora che potesse allungare una gamba per uscire dalla stanza.
«Fammi andare, Lily. Non si può continuare così!»
«Lascia stare Remus, ti prego» mormorò lei, seria. Liv le lanciò un’occhiata stranita, non riuscendo a capire.
«Si sta prendendo gioco di Mary, ti rendi conto?»
«Potrebbe esserci di mezzo una cosa più grande di tutte noi messe insieme, Liv. Lascialo tranquillo e basta»
«Mary ti sembra tranquilla, Lily? No, non lo è! E se permetti, per quanto possa trovare Remus simpatico, preferirei che anche la mia amica fosse tranquilla»
«LIV!» la richiamò Lily con rabbia, vedendola uscire di fretta dal dormitorio. Non riuscì a seguirla, non riuscì nemmeno a sedersi sul letto, Lily sentiva tutti i muscoli del corpo intorpiditi e confusi, come la sua testa.
Evitò di guardare il calendario con i Draghi appeso sul muro dietro al comodino di Mary e quello sforzo bastò per darle un mossa.
«Mary, esci. Liv non c’è» sussurrò con gentilezza avvicinando il viso alla porta del bagno che si aprì subito dopo.
Il legno sotto le dita di Lily si trasformò in una chioma bionda e morbida, ritrovandosi Mary tra le braccia. La strinse a sè, accarezzandole i capelli con delicatezza, sentendosi tremendamente in colpa. Il segreto di Remus, tenuto dentro per anni, cominciava a diventare davvero pesante per Lily.
I suoi occhi verdi furono di nuovo catturati dal calendario, li lasciò vagare tra i numeri del mese di Ottobre alla ricerca del piccolo simbolo dalla forma perfettamente tonda.
Mancava meno di una settimana alla luna piena.
 

 



 

*

 
 




‘Perfetto’ si disse Liv, furiosa, vedendo Remus e James salire la scala a chiocciola del dormitorio maschile.
Attraversò la Sala Comune senza nemmeno far caso alle persone su cui stava andando a sbattere. Voleva soltanto parlare a Remus. Era da maleducati? Da arroganti? Stava sbagliando a costringerlo a parlare? Probabilmente sì, si disse mettendo piede sul primo gradino, ma non era forse da maleducati anche quello che Remus stava facendo a Mary?
«REMUS!» gridò con rabbia una volta arrivata sul pianerottolo. Il senso di colpa per Mary non era più il solo a pressarle i polmoni e lo stomaco, Liv sentì anche quello per Remus che si era voltato verso di lei fermandosi a metà corridoio con il viso smunto e più pallido del solito.
«Mi dispiace, Liv, mi dispiace davvero molto per Mary» esordì Remus sollevando un braccio davanti a James per fargli capire che non doveva intromettersi.
«Dispiace anche a me, sai? Non immagini nemmeno quanto!» sbottò lei trovando di nuovo la rabbia a sentire quelle parole.
Anche se sembrava sinceramente dispiaciuto, Liv  non riusciva a capire come potesse essere così poco coerente. Se gli dispiaceva così tanto allora perchè non si decideva a fare qualcosa di concreto? Positivo o negativo, non importava, l’unica cosa importante era eliminare quella specie di nebbia avvolta alle parole Non posso che ossessionavano Mary da anni.
«Non so se te ne sei reso conto, Remus, ma Mary soffre» continuò con durezza Liv, notando il viso di Remus contrarsi in una smorfia offesa.
Non gli aveva mai parlato con quel tono. C’erano sempre stati buonissimi rapporti con lui, non si potevano definire amici, ma quando capitava si ritrovavano a parlare tranquillamente senza nessun problema. In quel momento, invece, sembrava ci fosse un filo spinato tra loro e la cosa disturbò in modo evidente entrambi.
«McAdams, sarebbe il caso di finirla» s’intromise James con un certo tono aggressivo nonostante il braccio di Remus ancora davanti al suo petto.
«Oh, sì, Potter, lo credo anch’io. Sarebbe proprio il caso, ma purtroppo l’unico che può farlo è Remus!»
«Magari, facendoti gli affari tuoi, tutto potrebbe sistemarsi senza bisogno di sfuriate del genere...»
«Sono affari miei, questi, Potter! Così come sono affari tuoi quando un tuo amico sta male, o no?!»
«Sì, ma ti ha già detto che gli dispiace! Che cosa deve fare ancora!? Mettersi in ginocchio e farsi frustare!?»
«Potrebbe semplicemente...»
«NON POTREI FARE NIENTE INVECE, LIV! NON POSSO! NON POSSO! E ANCORA NON POSSO. UNA FRASE STUPIDA MA É L’UNICA! NON POSSO E BASTA, OK!? MI DISPIACE» gridò con astio Remus, sorprendendola. Soltanto pochissime volte l’aveva visto così arrabbiato e scontroso. Il suo viso si era decisamente trasformato e le grida avevano addirittura fatto sbucare Sirius e Peter, atterriti, sulla porta della loro camera in fondo al corridoio.
Meno di una settimana alla luna piena. ‘I Licantropi, a distanza di pochi giorni dalla luna piena, diventano particolarmente irritabili e suscettibili’.
Quel vecchio concetto studiato a Difesa il terzo anno riaffiorò nella mente di Lily quando, arrivata in cima alle scale, vide Remus esplodere in un modo più che insolito.
«Liv, basta» esordì rigorosa avvicinandosi a lei. «E tornate in camera, voi!» esclamò poi, rivolta alle teste curiose affacciate dalle porte che davano sul corridoio e sia James che Remus la guardarono perplessi.
«Non sei qui per sgridarmi anche tu, Lily!? Mary è anche tua amica, no!?» sbottò con crescente nervosismo Remus.
«No, Remus, non sono qui per sgridarti» rispose lei con un piccolo e sincero sorriso dolce-amaro a curvarle le labbra. Non gli avrebbe chiesto niente e non l’avrebbe detto a nessuno.
Era stato strano pensare a lui come un Lupo Mannaro quando Severus gli aveva esposto la sua teoria ,al quinto anno, e quando lei stessa aveva sbirciato sul calendario ad ogni malore mensile; eppure quel particolare non l'aveva sconvolta più di tanto. Non ci trovava niente di male, Lily, perché Remus sarebbe rimasto sempre Remus. Soltanto gli ignoranti avrebbero pensato a lui come ad una persona contagiosa da tenere lontano anche senza luna piena.
Sotto, però, voleva sgridarlo eccome. Per Mary, certo, ma anche per come stava trattando se stesso da anni. Come poteva sgridarlo, però, se non voleva dirgli che aveva scoperto il suo segreto?
«DOVRESTI FARLO INVECE, LILY! LO SO CHE SONO... MALEDUCATO, VA BENE!? LO SO!»
«No, grazie, Remus» gli rispose scherzosa lei sotto lo sguardo allibito di Liv che la richiamò, sconcertata. Lily però non battè ciglio. «Se Remus dice che non può significa che non può, Liv. Cosa vuoi fare, tirargli fuori le parole con la forza?» ribattè fissandola intensamente.
Con quell’occhiata Liv restò in silenzio, non capendo. Mary rimaneva comunque chiusa in bagno.
Guardando oltre il mezzo sorriso di James e lo sguardo imbarazzato di Remus- entrambi rivolti verso Lily-  Liv adocchiò Sirius poggiato con noncuranza sullo stipite della porta, uno sguardo indecifrabile ed intenso tutto su di lei.
«Black, sono disposta a liberare qualche tuo indumento in cambio di tutte le Cioccorane che avete e di tre Burrobirre».
 
 



 

*

 
 
 


«Mary» mormorò Liv entrando nella loro camera, le braccia cariche di Cioccorane che lasciò cadere sul letto sul quale Mary si era raggomitolata.
La testa bionda dell’amica si sollevò per osservare le dozzine di pacchetti che ormai invadevano le lenzuola e Liv, accovacciata lì davanti. 
«Perchè l’hai fatto?» le chiese, in tono accusatorio, guardandola con due gonfi occhi rossi che attorcigliarono lo stomaco di Liv all’istante.
«Pensavo fosse la volta buona» ammise lei, sentendosi soltanto una stupida senza un minimo di cervello. Perchè non pensava mai alla prudenza che suo padre le ricordava sempre?
Mary sospirò, mettendosi a sedere tra tutti i piccoli pacchetti blu. «Almeno io ho smesso di sperare in una volta buona’. E non ho intenzione di costringerlo mai più, chiaro?» bofonchiò, prendendone uno per aprirlo.
«Chiaro» rispose a malincuore Liv seguendo le dita di Mary che in un attimo aprirono la scatolina. La rana di cioccolato saltò fuori con un agile balzo, ma l’ormai allenata mano di Liv l’acchiappò al volo per porgerla a Mary che sorrise tristemente, accettandola.
«Quegli allenamenti folli servono a qualcosa, allora. Dovresti dirlo a Potter»
«Meglio di no. Ned l’avrebbe presa ancor prima che sbucasse dalla scatola».
La voce di Lily echeggiò in corridoio, distraendo entrambe.
«IO GIURO CHE LO AMMAZZO! AMMAZZO JAMES POTTER!»
«Che novità!» esclamò la voce ridente di una ragazza.
«Hai detto James, Lily?» la stuzzicò Liv vedendola entrare nella stanza a passo di lumaca per non far traballare troppo le tre Burrobirre senza tappo.
L’occhiata smeraldina e assassina la centrò in pieno. «Ho detto James Potter e ho anche detto che lo ammazzo! E se non mi prendi una bottiglia ammazzo anche te!»
«Che è successo?» ridacchiò Mary, regalando un immenso sollievo a Liv che si sollevò da terra per andare in soccorso all’amica.
Una volta libera dalle bottiglie Lily si impettì, pronta a cimentarsi in una perfetta imitazione di James.
«”Tranquilla, Evans, ve le apriamo noi le bottiglie! La cavalleria e qualcos’altro fan di quel luogo uno splendore, no? Quel luogo è proprio questo, voi ragazze Grifondoro siete fortunate... a questo punto preferirei fosse l’intelligenza a far di questo luogo uno splendore!»
Mary scoppiò in una sonora risata staccando senza ripensamenti una zampa alla dolce rana.
«Chi c’è nella figurina?»
 «Silente...»
«Ancora? Ma è onnipresente!»
«É già sparito»
«Certo! Con le milioni di copie che lo rappresentano deve subito scappare da un’altra parte»
«Sei gelosa di Silente, Liv?»
«Sì, perchè? Non è forse il miglior Mago che esiste?»
«In effetti, è un controsenso questo. Il miglior mago esistente dovrebbe essere su una figurina rara».
Lily le lasciò parlare, entrando in bagno camuffando il leggero velo di preoccupazione che si sentiva addosso con un sorriso incerto.
La voce eccitata ed implorante di Piton a rimbombarle in testa: ‘Sparisce ad ogni luna piena, Lily! Ho controllato*!’
Nascondere una cosa così importante alle sue due amiche era stato triste e difficile per due interi anni, in quel momento Lily si accorse che era sempre più complicato ed ingiusto soprattutto per Mary. Ma, come si era ripromessa appena l'aveva scoperto, non voleva rivelare a nessuno quel segreto che Remus aveva tenuto all’oscuro di tutti per sei lunghi anni.
Si sedette sulla tavoletta chiusa in legno del water mentre una nuvola di pensieri cominciava ad aleggiarle sopra alla testa.
Severus sapeva che Remus era un Licantropo, erano anni che la sua teoria l'aveva tormentata, gli stessi anni che lui aveva passato spiandoli di continuo. La curiosità le aveva fatto guardare il calendario, ma Lily aveva fatto di tutto per far finta di non sapere davanti a lui, per cercare di togliergli quell'ossessione dalla testa perché a maggior ragione Remus doveva stare tranquillo e non essere spiato. Ma Piton aveva ben altre idee e opinioni riguardo i Lupi Mannari, soprattutto riguardo Remus e i Malandrini in generale.
L'unica cosa che Lily non riusciva a capire era se Silente sapeva. Se Silente sapeva aveva di sicuro trovato una soluzione. Dove andava Remus? Chi lo aiutava dopo?
Quegli ultimi pensieri invasero Lily, lasciandola sconvolta. La consapevolezza che la trasformazione di un Licantropo fosse dolorosissima le riempì immediatamente gli occhi di calde e pungenti lacrime. Remus legato, da solo chissà dove a soffrire per una notte intera.
Si alzò di scatto, incapace di andare oltre con tutti quei pensieri diventati ormai un temporale spaventoso, e andò dritta al lavabo a bagnarsi il viso con un po’ d’acqua fredda.
Quelle cicatrici sul viso pallido di Remus le avevano sempre urlato sofferenza e lei era sempre stata un'osservatrice silenziosa ed impotente. Doveva cercare di fargli capire che lei sapeva e non le importava, che voleva stargli vicino e che doveva essere lui a dirglielo. Lily non riusciva più a stare con le mani in mano.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 



«Merlino, Sirius, Liv ti ha staccato una dozzina di abiti dal muro ma qui sembriamo ancora in un mercato!» sbottò Peter seminascosto da un pantalone scuro e una felpa che penzolavano dall’architrave della porta del bagno.
Sirius fece spallucce, liberandosi dalla cravatta rossa e oro che volò a terra.

«Che ci vuoi fare, Pete. Ho un armadio invidiabile, io» fece, ridente, intercettando l’occhiata di James. Seguendola, notò che Remus se ne stava seduto sul suo letto con il viso nascosto dietro ad un libro dalla copertina al contrario.
«Xeno ti ha insegnato a leggere al contrario, Lunastorta? Perchè non ce l’hai mai detto?» gli chiese ironicamente.
«Liv ha ragione» disse solamente lui, abbassando il manuale di Incantesimi. Dai suoi occhi spenti si poteva facilmente intuire quanta poca voglia di scherzare avesse.
«McAdams non ha la minima idea di cosa c’è sotto, Remus» lo tranquillizzò James sedendosi al suo fianco sul letto. «E come suo solito è stata davvero esagerata e presuntuosa! Come se tutti quelli rifiutati da qualcuno avessero il diritto di sapere il perchè». Sentendosi leggermente osservato da tutti e tre gli amici, James si sentì in dovere di continuare. «Cosa?» sbottò sulla difensiva. Nessuno dei tre fiatò e James riprese.
«Non darle peso, Lunastorta»
«Glielo do eccome, James! É vero che Mary soffre ed è vero che sono insensibile!» sbottò Remus mollando il libro sulla coperta rosso scuro.
«Non ha detto che sei insensibile» precisò con tono pacato Peter avvicinandosi alla stufa accesa per scaldarsi il pigiama.
«Era sottointeso nel suo comportamento arrabbiato» affermò sempre più preoccupato Remus.
«Comportamento che a me è sembrato più che normale per essere una che difendeva un’amica» disse Sirius spostando i suoi pantaloni appesi sulla porta come se fossero una tenda. Non ci trovava nulla di "esagerato e presuntuoso" nella reazione di Liv, anzi, a Sirius era piaciuta da morire. Come tutte le volte che l'aveva vista difendere le sue amiche o altri ragazzi da chiunque, dai Serpeverde più maligni come Avery e Mulciber compresi.
Remus non si stava comportando bene con Mary da troppi anni ed era quella situazione che stava esagerando, non Liv. Olivia era stata anche fin troppo trattenuta, per i suoi gusti.
Si mise nei suoi panni, Sirius, pensando che se una ragazza avesse tenuto Remus immerso nelle illusioni per anni in quel modo, lui di certo non se ne sarebbe stato zitto e buono. Lily era molto più corretta da quel punto di vista, con James. I suoi ''no'' erano ben chiari. Non era chiaro, invece, ciò che aveva fatto pochi minuti prima.
«Non come il comportamento di Evans. Non vi è sembrata strana?» aggiunse dal bagno, notando il silenzio calato nella stanza. «Di solito non si risparmia con gli atti coraggiosi per difendere qualcuno. Macdonald è sua amica e non ha detto niente in sua difesa, ha lasciato perdere il tutto così, senza insistere»
«Lily non ha mai insistito, Sirius» rispose prontamente Remus. «Mai. Mi faceva delle domande ogni tanto, certo, ma si fermava lì».
Quel pensiero lo fece sorridere teneramente. Lily era sempre stata molto rispettosa e comprensiva con lui, anche quando era rimasto in silenzio.
«Appunto» sottolineò Sirius.
«Dove vuoi arrivare, Felpato?» chiese James, capendo che l’amico aveva una teoria in testa.
Sirius sbucò dalla porta, affacciandosi tra le maniche della sua felpa, per parlare abbassando nettamente il tono di voce. «Io dico che sa che sei un Lupo Mannaro, Remus». Per un attimo giurò di aver visto le guance di Remus arrossarsi prima di diventare più bianche del normale.
«Lo pensi davvero?» chiese terrorizzato Peter, mollando il pigiama a terra.
James scattò in piedi, portandosi una mano tra i capelli come per trovare la calma che Remus aveva decisamente perso.
«No, aspettate un momento» disse con sicurezza scrollando un rigidissimo Remus, immobile sul letto. «Non può essere, ok? Non può. Evans è decisamente brillante, intelligente e acuta, non lo metto nemmeno lontanamente in dubbio, ma non può arrivarci senza almeno un indizio. A chi verrebbe da pensare che il prefetto Remus Lupin potrebbe essere un Lican...?»
«AbbassalavocetipregoJames» lo fermò tutto d’un fiato Remus, ritrovando un attimo il lume della ragione.
«Ad una ragazza che aveva come migliore amico Mocciosus, James, ecco a chi verrebbe in mente. Di indizi ne avrà avuti bizeffe, da almeno due anni» rispose cupo Sirius.
Quella semplice frase raggelò tutti. Peter raggiunse il suo pigiama sedendosi a terra con aria sconvolta. Remus si immobilizzò un’altra volta, affondando le mani sulla stoffa dei pantaloni della divisa. Davvero Lily sapeva? Da quando? Come? Era per quel motivo che non aveva mai insistito?
PerchèPerchè ancora non gli aveva tolto il saluto? Perchè ancora gli sorrideva e gli chiedeva come stava? Perchè non lo evitava?
«Le avrà di certo esposto i suoi sospetti da stupido ficcanaso qual era» continuò gelido Sirius avvicinandosi al suo baldacchino. «Le avrà anche detto che aveva sempre avuto ragione rivelandole cosa ha visto... alla fine del tunnel»
«Quel bastardo ha avuto tutto il tempo per rivelarle il segreto!» ringhiò James cercando di trattenere una rabbia che però non ne voleva sapere di restare imprigionata.

«Hanno smesso di parlarsi soltanto dopo mesi da quel fattaccio al Platano! Da quando lui sa tutto! Ha tradito Silente e tutti noi!»
«James»
«NO, REMUS! LUI SÍ CHE SI MERITA QUALCOSA! E DI CERTO NON UNA MISERA STRIGLIATA!»
«Lascia perdere. Da quel poco che conosco Lily, non dirà niente. Già la reazione di Liv dice qualcosa, significa che non l’ha detto nemmeno a lei. Non importa se Lily lo sa». Più Remus ci pensava e più la gratitudine nei confronti di Lily cresceva. Lily non si era allontanata, non lo guardava con paura e non aveva detto niente a nessuno, quella sua sensibile gentilezza non era solo apparente.
«Non è Evans che mi preoccupa, Remus!» scoppiò James «É quello stronzo di Mocciosus che si fa beffe di noi!»
«Aveva un accordo con Silente, però» ricordò Peter spostando continuamente lo sguardo allarmato da James a Remus.
«Sai quanto gliene importa ad uno come Mocciosus di Silente, Codaliscia? Niente. Silente si può benissimo definire nemico numero uno di Voldemort e di certo, per gente come Mocciosus, quello da rispettare non è Silente ma Voldemort» sbottò sprezzante Sirius,  ignorando i sussulti di Peter al nome di Voldemort.
Con stizza, si gettò sul letto coprendosi alla bene e meglio con le coperte scarlatte. Gente come Mocciosus... come Regulus, Mangiamorte.
«E cos’hai intenzione di fare, allora?» chiese Peter, alzandosi da terra senza staccare gli occhi da James che aveva cominciato a vagare per la stanza, pensieroso.
«Merda» imprecò con una strana voce atona Srius, immobile sul letto.
«No, le Caccabombe non sono niente in confronto a quello che ha fatto» ribattè James continuando a camminare avanti e indietro, sempre più furente.
Sirius però chiuse gli occhi, sentendo benissimo la strana sensazione fredda e appiccicosa sulla sua nuca, poggiata perfettamente sul cuscino. Olivia.
«No, James. Intendevo... merda per questo» spiegò con finta calma mettendosi a sedere sul letto. Il cuscino l’aveva seguito nella risalita, attaccato alla sua testa come una cozza su uno scoglio.
Senza sapere come o perchè, la dolce risata di Liv gli riempì la mente insieme alla piccola fossetta che aveva sempre reso quel sorriso ancora più scaltro di quanto già non fosse.









Note:

*Remus dice a Harry che James chiamava la sua licantropia "Piccolo Problema Peloso" tanto che "molti pensavano avessi un coniglio che si comportava male". Vuol dire che James non lo diceva senza farsi sentire e anche che i conigli, negli anni '70, erano ammessi a Hogwarts come animali domestici. Perché nell'era di Harry no? Verso la fine della storia troverete la risposta xD

*"Sparisce ad ogni luna piena, Lily! Ho controllato!" è una frase di Piton quindicenne, in uno dei suoi ricordi che vediamo alla fine del settimo libro.
 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13. Vigilanza Costante ***





Capitolo 13
 
 

VIGILANZA COSTANTE






Ottobre era arrivato. Il parco attorno al castello si era completamente tinto con i caldi colori dell’autunnoe il Platano Picchiatore perdeva le foglie ingiallite, spargendole sui prati insieme alla prima brezza fredda.
Le ormai grandi zucche nell’orto di Hagrid spiccavano anche da lontano, attirando l’attenzione degli studenti avvolti nei loro mantelli che passavano lì vicino per raggiungere le serre di erbologia o per andare al campo di Quidditch quasi sempre occupato- con la pioggia e con il sole- dalle squadre di Grifondoro e Tassorosso.
«Severus? Si può sapere perchè continui con quell’incantesimo inutile!?» esordì Avery basito, sollevandosi dalla radice dell’ albero su cui era seduto pochi istanti prima.
Mulciber sollevò lo sguardo dal libro osservando la punta della bacchetta di Piton che si illuminava ad intermittenza con una debole luce argentea.
Severus sembrava non aver ascoltato visto che continuò a sforzarsi tenendo gli occhi chiusi e strizzati in un espressione concentrata.
«Già, a che ti serve? I Dissennatori saranno nostri alleati» cercò di distrarlo Mulciber.
«Ci faremo delle belle passeggiatine tra i Babbani, con loro» rise Avery, spintonando leggermente Piton che aprì gli occhi neri contemporaneamente allo spegnersi della piccola luce sulla bacchetta.
«Sono solo curioso di sapere che forma assume il mio Patronus» affermò tranquillamente, richiudendo gli occhi e ripuntando la bacchetta davanti a sè.
Quel cretino di Potter ci riusciva, lui no. Era inconcepibile. Potter lo superava con il Quidditch, ma non poteva farlo anche con gli incantesimi.
«Il solito perfettino, Severus. Perchè invece non continui con quella tua Maledizione? Com’è che l’hai chiamata? Quella sì che è utile» continuò Avery spostando con un calcio un piccolo mucchio di foglie secche.
«L’ho già sistemata» bofonchiò Piton stringendo la bacchetta per trovare maggiore concentrazione. A parte Avery e Mulciber, c’erano altre presenze scomode che lo stavano distraendo, presenze che si insinuavano nei suoi ricordi più felici facendo sparire quella luce brillante dalla punta della bacchetta.
“Sev!”I lunghi capelli rossi al vento di una Lily bambina con i suoi occhi verdi che gli sorridevano appena la incontrava al parco vicino a casa... e la voce stridula di Petunia che si infilava con prepotenza e cattiveria.
 «Credete che ci metterà alla prova prima di farci il Marchio? Mio padre non mi dice mai niente». La voce di Mulciber si sovrappose a quella di Petunia nella mente di Severus che però continuò a sforzarsi per riportare a galla un altro ricordo felice.
 “Andrà tutto bene, Sev. Staremo sotto quest’albero per tutto il tempo che vorrai”. La mano delicata di Lily, stretta alla sua dopo averle raccontato l’ennesima sfuriata di suo padre, era rassicurante e calda, un’ancòra a cui aggrapparsi senza paura... e di nuovo Petunia, sempre più furiosa, che li separava con un’espressione schifata in volto.
«Certo che sì» rispose Avery facendo risprofondare i pensieri di Piton nell’oscurità. «Lucius è stato chiaro e mio padre l’ha sempre detto: quelli che hanno il Marchio sono scelti con cura, sono quelli che lui ritiene più meritevoli... i più fedeli e i più capaci. Con i nostri padri nella cerchia, comunque, io e te non dovremmo avere problemi».
 La cristallina risata di Lily, scoppiata in cortile per una sua battuta... e Potter che gli lanciava un Rictusempra senza motivo.
Odio, puro odio che di certo non serviva a far saltare fuori il suo Patronus. Tutto si spegneva con quell’odio, non solo la bacchetta ma anche la calda sensazione che gli avvolgeva il cuore ogni volta che pensava a Lily.
Potter in quel ricordo, però, a parte rovinare tutto poteva rinforzare quella luce se solo lo immaginava geloso.
Potter geloso di lui. Potter geloso perchè lei rideva con lui.

E la risata deliziosa tornò, più forte e più allegra di prima, unita al sorriso radioso e al verde profondo di quegli occhi che brillavano per lui, solo per lui. Nemmeno il pensiero di Potter, geloso o no, riusciva più a disturbarlo o ad insinuarsi in quell’immagine purissima perchè quel verde continuava a brillare soltanto per lui.
Sussurrare: Expecto Patronum” fu naturale.
 «SEVERUS, SMETTILA! NON CI VEDO!» Il grido di Mulciber gli fece aprire gli occhi di scatto. 
La luce argentea si era espansa. Non aveva forma, ma c’era e brillava come una nuvola vaporosa illuminata dalla luna, come gli occhi di Lily quando gli sorrideva.
Una fitta al cuore spense la bacchetta all’istante: erano anni che Lily non gli sorrideva più.
 
 
 

 

 

*

 
 
 
 


«No! Ma sei scemo, James!? Posa quella bacchetta!»
«E che cosa vuoi fare allora, Felpato? Andare in giro con un cuscino in testa?» 
«La frase che ti riserva ogni mattina la McGranitt sarebbe reale e non più solo una battuta...»
«Bella questa, Lunastorta»
«Non fa ridere! Peter, smettila di rider... JAMES! ALLONTANATI DA ME, PER MERLINO!»
«Quei capelli sono da tagliare, Sirius»
«LO SO! ...Va bene... NO, ASPETTA!»
«...»
«Ok... No, no, no, no... Ramoso, ti sto avvertendo: Se mi... ASPETTA UN ATTIMO!»
«Non abbiamo tutta la notte, Felpato»
«Io la uccido a quella... uccido, Oliv... NON-COSÍ-JAMES!»
«E come, allora!? Non è che si possono fare chissà quali pettinature qui, Sirius...»
«Se mi tagli il cuoio capelluto ti taglio le pall... MI FAI MALE, JAMES, DANNAZIONE!»
Quella scenetta tornava nelle menti di James, Remus e Peter in un qualsiasi momento della giornata.
Sirius con la parte posteriore della testa rapata a zero era stato uno spettacolo, così come Sirius col turbante che sfrecciava fuori dal dormitorio per raggiungere l’infermeria all’una di notte. Anche se adesso i fluenti capelli neri erano tornati normali, le risatine non avevano smesso di spuntare all’improvviso. Le più difficili da controllare erano di certo quelle che prendevano alla sprovvista durante le lezioni, a parte quelle di Difesa contro le Arti Oscure.
Tutti, compreso James, seguivano con attenzione le parole del nuovo professore come se fossero oro colato. Nessuno voleva perdersi quelle che sembravano regole di sopravvivenza da utilizzare fuori da Hogwarts.
«Bene, spero continuerete ad esercitarvi sull’Incanto Patronus anche se da oggi inizieremo con i nuovi argomenti» sentenziò il professor Dearborn da diero la cattedra. «Dai resoconti del mio predecessore ho visto che l’anno scorso avete studiato le Maledizioni senza Perdono... ottimo».
Avery borbottò qualcosa a Mulciber che trattenne a stento una bassa risata e Piton sospirò annoiato seduto sul banco con loro, dietro quello di una Lily piuttosto irritata dai loro immancabili commenti in quell'aula. Si stavano sicuro riferendo al mezzo Mangiamorte che li aveva fatto da insegnante l'anno prima, fnito poi sul giornale a fine anno come sospetto attivista della supremazia Purosanguista; quei tre l'avevano letteralmente venerato.

Si ritrovò a pensare a Potter e alla sua battuta di due anni prima: “Difesa contro Severus Piton, è così che dovrebbero chiamarla”Ormai non aveva tutti i torti.
«Direi che potremmo comunque fare un ripasso di queste Maledizioni, soprattutto sulla Maledizione Imperius. Come vi ho già detto più volte, i seguaci di Voldemort utilizzano questa Maledizione per manipolare le menti di...»
«Tanto per non mettere ansia» sussurrò Mary risvegliando Lily che si era incantata ad osservare la pergamena ancora vuota al contrario di quella di Liv, già piena per metà.
«E quindi, visto che siete al settimo anno, vorrei accertarmi che ciascuno di voi prima di uscire da qui sappia resistere almeno un minimo alla Maledizione Imperius. Per farlo non utilizzeremo di certo una Maledizione senza Perdono, ma la Legilimanzia che per essere contrastata ha bisogno di una simile forza di volontà mentale».
Liv annuì, acconsentendo silenziosamente a quelle parole. Il professor Dearborn le piaceva sempre di più, sapeva tantissime informazioni sulla guerra e il suo mettere la materia sul piano pratico, compresi i duelli, rendeva tutto molto più utile. Aveva passato sei anni di scuola a difendersi e a difendere Lily e Mary con la bacchetta, le sagome in legno e i manichini del professore erano un altro allenamento davvero molto efficace.
Scrutò di sfuggita Mulciber, che aveva ridacchiato di nuovo, guardandolo da sopra una spalla per qualche secondo, il tempo per notare la sua occhiata tagliente e restituirgliela senza indugi.
«Vorrei anche introdurre gli Inferi. La Gazzetta non ne ha ancora parlato, ma sappiate non sono da escludere come altri alleati di Voldemort... anche se il termine più corretto da usare sarebbe armi. Gli Inferi sono come delle armi che utilizza un po’ come i Dissennatori e i Lupi Mannari. Per spaventare, ricattare...»
Remus stava sudando freddo, non come quando al terzo anno avevano studiato i Lupi Mannari ma ci andava vicino.
Buttò fuori un po’ d’aria dalle labbra socchiuse, guardandosi le mani pallide agganciate l’una all’altra sotto al banco. Doveva darsi una calmata. Difficile da fare a due giorni dalla Luna Piena.
La stretta improvvisa di James attorno al suo polso e uno sguardo premuroso verde chiaro proveniente dal banco dall’altra parte dell’aula gli fecero rallentare contemporaneamente il battito cardiaco.
Per una volta, senza nemmeno accorgersene, Lily e James avevano agito insieme senza creare danni. Remus si ritrovò a sorridere, rassicurando così entrambi, ignari del vero motivo di quel sorriso.
«Non li ho trovati nel programma dell’anno scorso, se non accennati qua e là. Una lacuna come questa deve essere colmata al più presto» continuò a spiegare il professore mentre il tremore della gamba di Peter stava facendo innervosire Sirius, seduto accanto a lui.

Negli occhi acquosi dell’amico, Sirius poteva benissimo leggerci una paura smisurata. Allungando la mano con la piuma cominciò a scrivere sulla pergamena di Peter, lì dove la scritta tremolante e lasciata a metà- ‘INF...-faceva la sua bella mostra.

INFERI: si allontanano con il fuoco. Come quando hai fatto divampare per sbaglio un incendio in aula di Incantesimi, ti ricordi? Semplice, no? Stai tranquillo, Pete’.

La bassa risatina che fece Peter quando lesse quelle brevi frasi contagiò anche Sirius.
Il chiacchiericcio che si sollevava sempre a fine lezione era eccitato; anche se la paura aumentava sempre più, gli appunti nelle tracolle facevano sentire tutti leggermente più sicuri, più pronti. 

Liv infilò i suoi tra le pagine del libro osservando Remus, parecchi banchi più in là. Stava mettendo il manuale nella borsa con gesti insicuri e deboli. Era da giorni che lo teneva d’occhio, da quel piccolo scontro che avevano avuto sembrava più triste e irritabile che mai. Era anche sempre più pallido. Stava di nuovo male? L’aveva indebolito mettendolo in difficoltà con Mary?
«Dite che Remus sta così per colpa mia?» chiese con un leggero tono preoccupato a Lily e Mary che con la tracolla già in spalla si accingevano ad uscrie dall’aula.
«La colpa è anche mia, non so tenere la bocca chiusa» disse Mary, cercando di fare l’indifferente.
Lily sospirò, stringendo per un attimo le labbra. Non era per niente facile coprire Remus, era di sicuro una questione di abitudine riuscire a mentire senza problemi per nascondere quel segreto. Potter, Black e Peter eccellevano in questo.
Forse era meglio se stava zitta e basta, magari l’argomento sarebbe sfumato in qualcos’altro.
«Perchè hai quella faccia, Lily?» le chiese Liv osservandola stranita.
«Quale faccia?» rispose lei sorridendo falsamente. L’argomento era cambiato ma non in meglio, decisamente. In quel momento avrebbe pagato galeoni per saper mentire come Potter e gli altri. Se solo ripensava a tutte le volte che lei stessa li aveva riempiti di domande sulla salute di Remus quando mancava.
«Sembra che hai bisogno del bagno» spiegò Liv sempre più perplessa.
Lily rise, e tanto per fare qualcosa si sistemò il fermaglio che le teneva i capelli sollevati su un lato della testa. «Perchè è così, devo andare in bagno» affermò «Andiamo? Sapete com’è la McGranitt: non fa uscire nessuno dall’aula durante la lezione, dovreste approfittarne anche voi»
«Non in quello di Mirtilla, però» si raccomandò Mary superando entrambe le amiche che si guardavano di sottecchi.
Lily sapeva che con Liv sarebbe stato ancora più difficile nascondere la verità.
«Hai davvero bisogno del bagno o c’è dell’altro, Lily?»
«L’hai detto tu che ho una faccia ‘da bagno’, adesso cambi idea?»
«Sì, perchè la tua faccia da ‘bagno’ è la stessa di quella da ‘bugia bella grossa’».
Lily rise spingendola davanti a sè, seguendola oltre la porta dell’aula giusto in tempo per non sentire la voce di Potter che gridava dal banco vicino alla finestra in direzione del Corvonero che sistemava le sue cose in quello in prima fila. «Hey, Owen! Ancora niente prove sul mio ‘filtro d’amore’? Sei in ritardo, manca poco all’uscita a Hogsmeade».
Lo sguardo di John parlava da solo. Rabbia e astio avrebbero potuto attraversare l’aula, sferzando l’aria fino ad arrivare a James che rise di gusto.
«Dai piantala, James. Quello se si mette d’impegno sul serio potrebbe trovare qualcosa» lo bloccò Sirius. Remus lo benedì mentalmente. Sirius avrebbe dovuto zittire James più spesso, era l’unico che riusciva in quell’intento. Peccato però che il più delle volte acconsentiva alle idee malsane dell’amico.
Peter si bloccò sulla porta per far passare Piton per primo, lo sguardo glaciale di Severus lo centrò in pieno e se non ci fosse stata la mano di Remus sulla sua spalla sarebbe rabbrividito.
«Bravo, Coda: prima le signore» scherzò Sirius, ricambiando l’occhiata torva di Piton che però si era soffermato su quella tagliente di James.

«Stai attento, Mocciosus» lo minacciò lui in tono serio.
Per tutta risposta Piton sollevò un sopracciglio: era l’ennesima volta in quattro giorni che si sentiva ripetere quella frase. Doveva stare attento a cosa, di preciso? A non sbattere sull’enorme coda di pavone di Potter?

Indicando Remus con un breve cenno della testa, schiuse le labbra sottili per ribattere a tono. «Con lui attorno, tutti dobbiamo stare attenti in questo periodo».
Lo scatto che fece James fu prontamente fermato da Sirius. «Non ancora, Ramoso»
«Non ancora cosa sibilò Piton portando una mano sotto alla veste, alla ricerca della bacchetta. 
«Lo scoprirai presto, Mocciosus» ringhiò James trattenendo il suo istinto di stenderlo con un pugno. Si era trattenuto fin troppo. Sapere che aveva rivelato il segreto a qualcuno lo faceva infuriare, la cosa era troppo delicata ed importante per metterla sul piano di uno scherzo ed avrebbe tanto voluto dirgli tutto in faccia giorni prima anche se la punizione che avevano in mente sarebbe stata molto più efficace.
«Lo scoprirò fra due giorniper caso? Dove mi farete incontrare il vostro animaletto stavolta?» li sbefeggiò Piton lanciando un’occhiata provocatoria a Remus che digrignò i denti, pronto ad avventarsi su di lui. 
«Lo scoprirai appena rivedrai Silente seduto a tavola in Sala Grande» continuò James, trattenendo Remus per la spalla. Silente mancava da giorni, come succedeva spesso, ed era soltanto per quel motivo che non avevano ancora messo in atto il loro piano. Silente era fondamentale, se Piton si era permesso di rivelare il segreto di Remus loro potevano benissimo permettersi di rivelare il segreto di Piton al Preside: “Signore, Piton vuole diventare un Mangiamorte”.
Il nome del preside infatti irrigidì Severus che con un ultimo sguardo torvo si allontanò da loro senza dire niente.
«Se Silente non torna questo fine settimana, parleremo a Mocciosus senza punizioni o scherzi vari» sbottò con rabbia James varcando la porta dell’aula con passo deciso. Era stufo dei giochetti, quella era una cosa seria.
 
 

 

**

 
 
 

La Sala Grande il venerdì mattina a colazione era chiassosa. Un sole tiepido faceva capolino dalle alte finestre e dalle nuvole che galleggiavano sulla volta in legno sopra le quattro lunghe tavolate. Risate, chiacchiere ad alta voce e il tintinnio di posate accompagnavano i gufi e le civette che planavano in aria atterrando poi su zuccheriere e tazze di latte, lasciando piume sparse ovunque.
Al tavolo degli insegnanti la sedia del preside rimaneva vuota, accanto a quella della McGranitt che con aria grave sorseggiava il suo tè ascoltando quello che sembrava essere un discorso alquanto serio tra Lumacorno e la Sprite.
Vitious- seduto poco più in là- annuiva, con lo sguardo accigliato e fisso sul calice poggiato davanti al suo piatto, alle parole che ogni tanto la professoressa di Aritmanzia gli rivolgeva tra un boccone e l’altro di porridge.
«Avete visto?» esordì Lily da dietro gli enormi fogli del quotidiano babbano che sua madre le spediva ogni volta che succedeva qualcosa di ‘strano ed inspiegabile’ per la comunità non magica. Mary e Liv mollarono uova e pancetta per chinarsi sul giornale adesso dispiegato sopra i piatti.
«Esplosioni improvvise a Londra?» chiese Liv mentre la mente collegava al volo Londra a suo padre.
Per i babbani erano ennesime bombe dovute agli attentati dei ‘disordini’ del conflitto nordirlandese, non sapendo invece che, in realtà, quelle del giorno prima erano stati duelli tra attivisti anti-Nati Babbani in rivolta contro una delle ormai rarissime manifestazioni pro-Nati Babbani a Diagon Alley, sfociata poi in attacco ai Babbani nella periferia nord della città, così come diceva la Gazzetta del Profeta dispiegata sopra il calice di Dean Robinson, mezzo addormentato alla sinistra di Lily.
«Quattro morti» continuò Lily leggendo l’articolo babbano con il cuore in gola, per poi correggersi appena spostò lo sguardo sul Profeta. «Cinque, quattro babbani e un Auror». Di certo, i babbani non potevano conoscere l'Auror rimasto vittima nel vicolo della periferia di Londra, qualcuno del Mondo Magico doveva averlo portato via prima che la polizia babbana lo trovasse.
Lily passò i giornali a Mary, angosciata. Mettere in confronto gli articoli babbani con quelli magici era terribile, ma molto utile.
Un difetto di costruzione’ aveva fatto deragliare un treno pieno di babbani nel giornale con le foto immobili, mentre nella Gazzetta si faceva riferimento a maghi incappucciati e mascherati’. Così come ‘l’inverno in anticipo’ nel giornale babbano si trasformava in ‘un aumento dei Dissennatori’ nella Gazzetta del Profeta.
«Ed ecco spiegate le facce dei professori. Ma l’assenza di Silente? Manca da giorni» sbottò Liv osservando la sedia vuota al centro del lungo tavolo in fondo alla sala.

«Avrà molto da fare con il Wizengamot e il Congresso Internazionale, è a capo di tutto» le rispose Mary indicando alcune foto animate sulla carta. «Guardate, hanno arrestato altre persone e ucciso un sostenitore della rivolta anti babbani»
«Con quel Capo del Dipartimento delle Leggi Magiche Crouch è normale. È da questa estate che stanno più uccidendo che catturando» sibilò con astio Lily piegando i giornali per continuare a mangiare. Moltissime persone sembravano apprezzare quel suo radicale pugno di ferro con i seguaci di Voldemort, a lei metteva soltanto inquietudine vedere violenza su altra violenza.
«É quello che ad agosto ha dato agli Auror il permesso di usare le Maledizioni senza Perdono?» chiese Liv prima di addentare il suo toast. Lily annuì «Proprio lui».
L’immagine di Barty Crouch Junior, appartato con altri suoi compagni in un corridoio insieme a Lucius Malfoy, si formò nella sua testa. Che cosa avrebbe fatto il Ministro se avesse scoperto che suo figlio voleva diventare uno di quelli che lui stesso perseguitava con così tanto accanimento?
Barty era furbo, nessuno lo vedeva mai in compagnia di quelli che usavano Magia oscura, ancora meno di figli di Mangiamorte. L'unico che vedevano al suo fianco era Regulus Black, con la scusa di far parte della squadra di Quidditch. Nessuno, professori compresi, avrebbero detto ciò che in realtà lui era e voleva. Lily si chiese come avesse fatto a convincere quei figli di Mangiamorte ad accettare nella loro banda il figlio del ministro che perseguitava i loro padri con tanto accanimento.
«Buongiorno, ragazze» salutò James appena comparso sulle panche di fronte con Sirius e Peter al seguito, entrambi con lo sguardo perso sul tavolo degli insegnanti.
«Buongiorno» borbottarono loro seguendo con gli occhi Remus, arrivato per ultimo con passo lento ed incerto.
«Che c’è di buono oggi?» chiese James sfregandosi le mani ed allungando il collo per controllare ogni vassoio sul tavolo.
Sirius si stiracchiò pigramente, afferrando al volo una brioche.

«Attenta al succo di zucca, Olivia»
«Perchè?» sbottò lei indagatrice. 
«Così. Non si può mai sapere cosa ci può essere dentro» le rispose Sirius con un'aria per niente rassicurante.

Liv squadrò con diffidenza sia lui che il calice. Black non aveva ancora attaccato dall’ultimo scherzo, ogni giorno le lanciava minacciosi avvertimenti celati che poi risultavano essere falsi. Come la domenica sera, quando le aveva detto che in mezzo agli indumenti da staccare dal muro ci aveva nascosto dozzine di Doxy che l’avrebbero avvelenata mangiandole le mani.
Quella specie di terrorismo la stava snervando tanto quanto la tensione scatenata sul divano giorni prima. Ogni volta che si guardavano negli occhi o si avvicinavano troppo, tornava ad elettrizzare l'aria e le viscere. Resistergli, ignorarla e sfuggire alla presa dei rispettivi sguardi era sempre più difficile nonostante le ostilità caratteriali che facevano da solido muro di vero odio tra loro.
«Lily, mi passeresti le uova?» chiese Mary in uno sbadiglio mal trattenuto. Lily allungò il braccio verso il vassoio delle uova posando lo sguardo su Remus, pallido come non mai, che masticava lentamente la sua ciambella al cioccolato in perfetto silenzio. Evitò di chiedergli se stesse male: la luna sarebbe stata piena quella sera e Lily lo sapeva bene.
Lo lasciò mangiare in pace e per un attimo le sembrò che Remus l’avesse ringraziata con i suoi occhi ambrati.
«Ma non eri a dieta, Mary?» si limitò a dire, scherzosa, passando il vassoio all’amica che rise.

«Pensa alla tua pancetta, Lily, e non parlo di quella che hai sul piatto» sghignazzò lei, facendo sollevare in una curva divertita le labbra smunte di Remus. Lily rise a sua volta, più per il sorriso di Remus che per la battuta.
«L’unica che deve fare la dieta qui è McAdams» bofonchiò James con il boccone pieno.
Liv sollevò il viso dal calice che stava annusando con aria circospetta per puntare lo sguardo raggelante su di lui.
«Come scusa, Potter?»
«Hai preso peso dall’inizio dell’anno? Sulla scopa sei lenta. L’unica cosa che ti riesce bene in campo è la Presa Rovesciata del Bradipo... perchè sembri davvero un bradipo, non per altro».
Liv ridusse gli occhi a fessura stringendo con forza la forchetta chiedendosi se stesse dicendo sul serio. E perchè aveva alzato la voce così tanto?.
«Non m'interessa essere un manico di scopa vestito e il mio peso non dovrebbe riguardarti dato che non causa effetti al mio gioco» gli fece sapere venendo improvvisamente fulminata da James.
Liv strabuzzò gli occhi di rimando, non capendo. Si era forsse dimenticato dei tre boccini catturati mercoledì? Aveva rischiato più volte di per perdere un braccio e la testa per colpa dei bolidi di Harrison che l’avevano sfiorata per un pelo.
Spostò lo sguardo nella direzione di quello di James, oltre le sue spalle, rendendosi conto soltanto dopo qualche secondo che era appena passato Ned Stevens per sedersi al tavolo dei Tassorosso, lì dietro.
James si chinò sopra ai piatti, abbassando la voce per non farsi sentire dal Capitano giallo-nero.

«Così adesso penserà che sei ancora più scarsa di quanto già sei in realtà e si allenerà di meno. Questo non mi fa pensare che vinceremo ma non si sa mai... meglio prenderlo alla sprovvista».
 Liv rimase basita. Era già pronta ad infilzargli la forchetta su un braccio quando Peter sussultò, guardando con due occhi enormi il tavolo degli insegnanti. Silente si era appena seduto sulla sua grande sedia, chinandosi verso la McGranitt per parlare in modo fitto ma calmo, come suo solito.
«Oh, bene» commentò Sirius con una soddisfazione che nessuna delle tre ragazze davanti a lui capì.
«Bene’ per che cosa?» chiese indagatrice Lily rivolgendosi ad uno qualsiasi dei Malandrini. Chissà perchè quel ‘bene’ non lo riconduceva soltanto a Black ma a tutta la combriccola. Fissò James che rise, passandosi una mano tra i capelli spettinati.
«’Bene’ il nostro Preside è tornato e noi saremo tutti più al sicuro. Cosa credevi, Evans?»
«Bene, adesso possiamo mettere in atto quella stupidaggine anche se siamo dei cretini a voler fare qualche scherzo idiota con il Preside a scuola» rispose prontamente lei, ironica.
«Ci vedi davvero come dei deficienti, Evans» affermò James lucidandosi il distintivo da Caposcuola, continuando a ridere prima di voltandosi verso il tavolo dei Serpeverde dove Piton, rigido e allarmato, spostava lo sguardo dal tavolo degli insegnanti a quello dei Grifondoro.
 

 

 

 

 


 

 *

 

 

 




Quando Remus si allontanò dall’aula di Pozioni dicendo di stare poco bene, Liv non potè fare a meno di sentirsi uno schifo.
Era colpa sua se Remus stava di nuovo male, di sicuro avrebbe saltato la cena per stare in infermeria e molto probabilmente ci sarebbe rimasto tutta la notte come al solito. Aveva esagerato e Lily, che inspiegabilmente la stava guardando di sottecchi ogni tanto, aveva ragione: non poteva tirargli fuori le parole con la forza.
«Quanto manca alla fine dell’ora?» mormorò James, masticando di nascosto la metà della Cioccorana lasciata sul banco da Remus.
«Non ne ho idea, ho lasciato l’orologio in camera» sussurrò Sirius facendo finta di seguire Lumacorno e la sua lezione teorica sui veleni di chissà cosa.
«Lo specchio? Anche quello ce l’hai su?»
«Ma ti pare, Ramoso? É in tasca, come sempre»
«Che palle, anche il mio. Potevamo avvertire Peter e dirgli che Remus è da solo»
«Quanto ci scommetti che Coda sta passando l’ora buca dormendo? Anche se lo specchio fosse in camera non sentirebbe niente, quel ghiro».
James rise sotto voce, dandogli ragione. Quando sollevò lo sguardo, si sentì trafitto da quello penetrante e attento di Piton. Sembrava tranquillo ma James poteva scorgere una certa aria tesa nei suoi lineamenti seminascosti da quei capelli neri attaccati alla testa.
«Mocciosus resterà sulle spine fino a domani» mormorò piegandosi leggermente verso Sirius che corrugò la fronte. «Non andiamo stasera da Silente? Ci mettiamo un attimo e poi corriamo al Platano... che ci vuole?» sussurrò perplesso. James però scosse piano la testa.

«E se Silente ci vuole vedere anche dopo con Mocciosus, per parlare tutti insieme? Noi saremo con Remus e se non ci trova in dormitorio ci metterà un attimo a collegare la nostra assenza a Remus e alla Luna Piena»
«Io dico invece che Silente vorrà parlarne a quattr’occhi con Mocciosus. Voler divenatre Mangiamorte non è come bere un bicchiere d’acqua, Ramoso» borbottò Sirius incupendosi.
Forse era il caso di aggiungere il nome di Regulus insieme a quello di Mocciosus, magari Silente poteva farlo rinsavire almeno su quella questione.
Che continuasse pure a seguire quelle stupide regole sul sangue puro, ma doveva smetterla di desiderare il cappuccio da Mangiamorte.
“Nessuno è mai arrivato a tanto nella tua famiglia, a parte quella pazza di tua cugina Bellatrix”

Forse perchè devo compensare un’assenza che puzza di cenere e tradimento sull’arazzo di famiglia?”
Era colpa sua, quindi, se suo fratello voleva quello schifo in testa? Sirius non faceva altro che chiederselo ogni sera, quando restava solo dietro le tende rosse dle suo baldacchino.

«In effetti, Silente arriva e se ne va in un batter d'ali di Boccino. Ma dove accidenti scappa ogni volta?» mormorò James facendolo tornare alla realtà della classe dove Lumacorno continuava a parlare e a scrivere sulla grande lavagna nell’angolo.
 
 



 

*

 
 



«Liv, dove vai? Mary ci aspetta al tavolo!» la richiamò Lily.
Appena erano arrivate nella Sala d’ingresso affollata da studenti affamati che si dirigevano verso la porta della Sala Grande, Liv aveva superato tutti camminando spedita verso l’ampia scalinata in marmo.
«Vado in infermeria da Remus, voglio scusarmi con lui» si giustificò senza fermarsi.

Lily la seguì, accigliata. «No, ha bisogno di riposo».
Quel tentativo di bloccarla non servì a niente, dovette continuare a seguire l’amica fino al primo piano dove la porta dell’infermeria era ormai chiusa.
«Liv, potrai scusarti domani quando tornerà alla torre»
«Ma perchè? Visto che ci siamo, magari si sentirà un po’ meglio se gli chiedo scusa».
Bussò educatamente alla porta e subito dei passi affrettati echeggiarono oltre il legno chiaro.
«L’ora delle visite è terminata da un pezzo, McAdams» esordì madama Chips, sbucando dalla porta con aria sorpresa.
Lily si chiese se almeno lei sapesse di Remus. Un pensiero orribile le attraversò la mente: e se Remus non aveva detto niente a nessuno? Se invece che andare in infermeria, così come diceva, scappava direttamente nella Foresta? Si curava da solo? Lo curavano Potter, Black e Peter?
«Lo so che è tardi, Madama Chips, ma giuro che...» continuò Liv venendo interrotta dalla donna che con preoccupazione aprì entrambe le ante prendendo per le spalle una Lily decisamente pallida e sconvolta. 
«Evans, stai male? Siete venute qui perchè ti senti male?» chiese in tono premuroso trascinandola dentro senza ripensamenti.
Lily balbettò, incerta, incrociando lo sguardo complice di Liv non poté fare a meno di sorridere ed annuire.
«Sì, in realtà mi sento un po’ debole» mentì, scorgendo Remus seduto su un letto poco distante. Un’immensa sensazione di sollievo le ricolorò le guance.
«Siediti qui, per adesso, ti porto un po’ di cioccolato» riprese la donna facendola accomodare su una sedia prima di scomparire dentro il suo ufficio. «Hai dolore da qualche parte oltre la debolezza?» le chiese dalla piccola stanzetta.
«No» rispose Lily continuando a sorridere in direzione di Remus, sempre più a disagio sul suo letto.  

Quando Liv gli si avvicinò, il suo viso segnato dalle vecchie cicatrici sembrava dello stesso colore del lenzuolo.
«Remus, mi dispiace per l’altro giorno. Ho esagerato» cominciò, sinceramente dispiaciuta. Vederlo sorridere debolmente la rassicurò. 
«Non preoccuparti, Liv. É acqua passata».
Lily si trattenne dall’andare a stringerlo in un abbraccio e rimase ad osservarli dalla sua sedia.

Sarebbe stata una notte terribile per lui, e lei non poteva farci niente. La sensazione di impotenza era fastidiosissima. É così che si sentivano anche Potter, Black e Peter?
«E hai ragione quando dici che Mary soffre» continuò Remus, deciso. «Lo so benissimo e vorrei poter fare qualcosa per non vederla così triste. Credimi, Liv, se ci fosse una soluzione non esiterei ad usarla»
«Remus» esordì Lily che si era avvicinata al letto senza riuscire più a resistere.
Perchè era convinto che nessuna di loro tre avrebbe accettato il suo piccolo problema? Nè Liv e nemmeno Mary avevano dei pregiudizi, nessuna delle due si sarebbe spaventata o allontanata da lui. Come poteva farglielo capire senza dirglielo in modo diretto?
«Ricordati che per qualsiasi cosa noi ci siamo, Mary compresa» disse, poggiando con delicatezza una mano sulla sua, pallidissima. A quel leggero contatto Remus rabbrividì. Sorrise emozionato, ringraziando con gli occhi Lily e poi Liv, sorridente anche lei.
Lily che sapeva e Liv ignara. Era davvero strano ma piacevole, quasi surreale per Remus. Lo sguardo intenso e incoraggiante di Lily parlava da solo. Lily stava forse cercando di fargli capire che lei sapeva? Che era lì per dargli forza e comprensione?
Magari non era realmente così eppure le sensazioni che quegli occhi verdi gli stavano regalando erano proprio quelle.
«Adesso mangia questa tavoletta di... Evans! Ti avevo detto di stare seduta lì» borbottò Madama Chips portando le mani sui fianchi.
«Sto già meglio, Madama, grazie» fece lei, ridente.
«Oh, santo cielo, benedetti ragazzi. Sarà il caso allora che raggiungiate i vostri compagni a cena» le incitò la donna con fare pratico. «Il signor Lupin ha bisogno di riposare, adesso».
Lo sguardo d’intesa che si scambiarono l’infermiera e Remus non sfuggì a Lily che, con Liv al fianco, si diresse verso la porta molto più tranquilla di prima.
 




 

*

 
 




«Dobbiamo muoverci» sbottò James correndo per il corridoio del sesto piano con Peter e Sirius alle calcagna, nascosti sotto al mantello dell’invisibilità.
Il coprifuoco era appena scattato ed avendo il compito di sorvegliare i piani alti non era un problema se qualcuno l'avrebbe visto correre da quelle parti.
Dovevano andare all’Ufficio del Preside, riferirgli di Piton e correre al piano terra per raggiungere Remus alla Stamberga Strillante prima che la luna spuntasse all’orizzonte. Tutto in pochi minuti, una cosetta da niente per loro tre e pura follia per le persone normali che non conoscevano le scorciatoie e tantomeno avevano un Mantello dell’Invisibilità e la Mappa.
Arrivarono davanti al grande gargoyle che rimase immobile anche dopo che James pronunciò ad alta voce la parola d’ordine.
«Piperilla!» ritentò, invano. L’austero guardiano di pietra rimase fermo al suo posto, irremovibile. James si passò con nervoso una mano tra i capelli.
Era un dannato Caposcuola, come mai non gli avevano detto che la parola d’ordine era cambiata? E se fosse successo qualcosa di terribile, a scuola, come avrebbe fatto ad avvisare il Preside?
«L’hanno cambiata?» mormorò Peter da sotto il mantello. Sirius, contro la sua spalla, gli fece segno di tacere: la statua si stava spostando di lato, facendo comparire la stretta scala mobile che lentamente portava al piano una cupa professoressa McGranitt.
«Che cosa ci fai fermo qui, Potter? Non dovresti essere a pattugliare i corridoi?» chiese allarmata mentre il gargoyle alle sue spalle tornava alla postazione di guardia.
«Vorrei parlare con il Preside, professoressa» chiese James senza inutili giri di parole.
La Mcgranitt parve sorpresa. «Il preside adesso è molto impegnato, Potter. Puoi benissimo riferire a me quello che volevi dirgli» disse, secca.
James esitò prima di parlare. La McGranitt non avrebbe creduto ad una parola, non avrebbe nemmeno preso in considerazione le parole Piton e Mangiamorte, ne era sicuro. Silente invece avrebbe ascoltato. Il sole fuori dalle finestre stava per tramontare e la luna non avrebbe di certo aspettato i loro comodi, lo sguardo accigliato e curioso della professoressa gli mise ancora più fretta.
«Piton vuole...» cominciò ma, dei passi decisi in fondo al corridoio distrassero lui, la professoressa e anche gli invisibili Sirius e Peter.
«Minerva, eccomi, perdona il ritardo» salutò la nuova arrivata avvicinandosi a loro senza imbarazzo. James scrutò per bene quella giovane donna dall’aria risoluta, lo sguardo fermo e attento, due tagli freschi sulla pelle scura del viso squadrato e la bacchetta che spuntava da sotto lo scuro mantello lungo fino ai piedi. 
«Oh, Dorcas, da questa parte. Calderotti!» esclamò la McGranitt rivolgendosi al gargoyle che si mosse una seconda volta facendo salire le due donne sulla scala a chiocciola.

 «Potter, torna a lavoro. Qualsiasi cosa avevi da dire potrà aspettare a domattina. Buonanotte» lo congedò la professoressa sparendo dietro al muro che si richiuse, silenzioso.
James corse via ancora prima che il gargoyle tornasse al suo posto.
«E adesso?» bofonchiò Peter con il fiatone, cercando di stare al passo di Sirius per non rimanere scoperto dal mantello.
«E adesso andiamo da Mocciosus» sbottò furioso James scivolando sul pavimento per frenare all’angolo del corridoio e scendere le scale di corsa.
Per non andare a sbattere sul muro, Peter si trasformò in topo, saltando sulla spalla di Sirius che rise finalmente libero di correre ad una discreta velocità.
«Mocciosus è nel suo buco, James, e chi è che controlla i sotterranei? Evans» gli ricordò con un leggero affanno correndogli affianco tutto ingobbito per abbassarsi e non rischiare di venire scoperto; il mantello che si impigliava fastidiosamente nei piedi e le zampette di Peter conficcate sulla spalla come tanti spillini. Maledì se stesso per aver convinto James ad agire subito contro Mocciosus senza aspettare il giorno dopo.
«Ma noi non andremo nei sotterranei alla cieca, Felpato. Faremo prima uscire il serpente dalla tana» rispose prontamente James infilandosi dietro ad un quadro che si aprì come una porta al suo ‘Per favore’.
«Non ti seguo» ribattè lui, confuso. Quella frase era più da Peter che da se stesso ma in quel preciso momento la sua mente faceva molta più attenzione a non farlo inciampare sulle strette scale del passaggio segreto piuttosto che alle parole scollegate e apparentemente insensate di James.
«Convinceremo Mirtilla a farsi un giro nel Lago e a cercare Piton curiosando dalle finestre della Sala Comune dei Serpeverde. Merlino, come faranno a vivere lì sotto non lo capirò mai. Le diremo di riferire a Mocciosus che Evans vuole parlare con lui, urgentemente. E sarà fatta»
«Mocciosus non è stupido, James. Ed è in allerta, tu l’hai messo in allerta dicendogli che quando Silente sarebbe tornato...»
«Quando si tratta di Evans, quell’odioso va in tilt» sibilò con astio James sbucando tre piani più giù dal corridoio con il quadro che si era aperto poco prima. «Muoviamoci o Remus si automangerà come uno spiedino».
 




 

*

 
 




Era la seconda volta che qualcosa oltre il vetro della finestra lo distraeva. Succedeva spesso vista l’attiva popolazione dei Maridi che il Lago Nero ospitava.
Piton perciò non ci fece tanto caso e riposò lo sguardo sul suo Pozioni Avanzate, raddrizzandosi sulla poltrona in pelle della Sala Comune dalle verdi luci soffuse.
Non c’era mai troppo chiasso lì, nessuno urlava o rideva sguaiatamente. Adorava quella rilassante quiete che si sposava alla perfezione con lo scoppiettare del fuoco nel camino e il lieve rumore dell’acqua verdognola che sbatteva dolcemente sui vetri delle finestre.
Di nuovo qualcosa attirò la sua attenzione. Non era la solita coda di sirena che guizzava davanti alla finestra oscurando la visuale con le bolle, e non era neppure un tentacolo di un Avvincino o della Piovra Gigante.
Quella era Mirtilla Malcontenta che si sbracciava tra le alghe. Piton restò scandalizzato quando la ragazza trasparente oltrepassò il vetro con disinvoltura. Non era strano per un fantasma ma era strano che lei fosse lì.
«Ciao» cinguettò giuliva, tossicchiando come se fosse davvero stata in apnea. Piton non la salutò, si limitò ad osservarla con diffidenza senza muovere un muscolo.
«Lo sai che sei un maleducato? Non si saluta?» sbottò lei stizzita. Piton sollevò un sopracciglio, deciso a restare in silenzio.
Quella situazione non era nella norma e nella sua mente scattò un campanello. La voce di Potter che gli diceva di stare attento si era sovrapposta all’immagine di Silente seduto in Sala Grande. Quel fantasma l’aveva mandato Potter.

«Non mi rispondi?» squittì offesa Mirtilla. «Va bene... allora, visto che non hai voce, è inutile dirti che Lily Evans vuole urgentemente parlare con te, adesso».
Il sussulto di Piton fece ridacchiare Mirtilla. Lo guardò muoversi a disagio nella poltrona, chiudendo il manuale di Pozioni con mani incerte.
Una ruga gli si formò tra le sopraciglia nere: Piton non aveva la più pallida idea di cosa fare. Lily voleva parlare con lui? Piuttosto improbabile. Lei era stata chiara: non voleva avere più niente a che fare con lui. E lily non cambiava idea così facilmente, la conosceva benissimo. A meno che non fosse successo qualcosa.
L’acqua sempre più scura oltre il vetro della finestra gli fece pensare al tramonto e di conseguenza alla luna... Luna Piena.
Che si fosse finalmente decisa a guardare il calendario?
Un leggero sorriso gli stirò le labbra. Lily sapeva, sapeva di Lupin e sapeva che le sue teorie erano vere.

 

 

 

 

 

*

 

 

 

«Sei uno stronzo, James»
«Non è colpa mia se Mirtilla è più innamorata di te che di me».
Convincere Mirtilla a farsi scaricare nel water dicendole che così Sirius sarebbe andato a trovarla ogni tanto era stato semplice.
Con la mappa in mano e il mantello addosso, James, Sirius e Codaliscia sgattaiolarono nel labirinto dei sotterranei evitando Lily.
Se entro tre minuti Piton non fosse sbucato dalla sua Sala Comune avrebbero lasciato perdere per correre da Remus.
Il cartiglio Severus Piton’ comparve nel corridoio disegnato sulla Mappa dopo nemmeno un minuto, e con un ghigno soddisfatto i due ragazzi più il topo si affrettarono a raggiungerlo.
Peter saltò giù dalla spalla di Sirius per sviare Mrs Purr appostata lì vicino, e la via fu libera.
James e Sirius lanciarono un Incantesimo Tacitante a Severus che non ebbe nemmeno il tempo di vedere il muro della sua Sala Comune richiudersi perchè fu trascinato con la forza verso un aula piena di banchi rotti e polverosi.
Era furia incontrollabile quella che Piton si sentiva addosso, era insopportabile e non gli interessava un accidenti se il suo viso esprimeva quell’emozione in modo chiaro ed esplicito perchè l’unica cosa che voleva era ridurre in pezzi Potter e Black e forse anche se stesso. Sì, si sarebbe preso a pugni da solo perchè sapeva di essere stato uno stupido, un grosso stupido ingenuo, un credulone, un debole. Ed ecco dove l’aveva portato la sua debolezza, il suo... amore che provava per Lily, Lily che non stava affatto pensando a lui.
Debole, era solo questo. Avrebbe dovuto tenerla chiusa dentro di sè quell’ illusione dai capelli rossi e gli occhi verdi invece di seguirla come una sciocca luce che l’aveva tratto in inganno, in trappola. Si era lasciato prendere da quell’emozione sempre più forte ed ecco dov’era finito.
Debole, debole, debole, si autoinsultò nella mente offuscata dalla rabbia più cieca.
«Tranquillo Mocciosus, adesso ti libereremo dall’incantesimo. Siamo proprio curiosi di sapere le parole esatte che hai detto a Evans» esordì Sirius puntandogli la bacchetta contro. In un attimo la sua voce fu di nuovo libera al contrario delle braccia, immobilizzate con forza sia da James che da Sirius.
«Cosa c’entra Lily?» sibilò con rabbia fissando insistentemente James, immoblie e serio davanti a lui.
«Hai rivelato il segreto di Remus» sussurrò James con profondo disgusto ricambiando lo sguardo di Piton che però era cambiato all’improvviso: da rabbioso si era trasformato in sorpreso.
«Non fare il finto tonto. Non ce la beviamo questa faccia» sbottò Sirius, duramente. Soltanto stare lì con lui in quella stanza gli stava facendo saltare i nervi.
«Se hai rivelato tutto a Evans che cosa ci dice che non potrai farlo anche con i tuoi amichetti, Mocciosus? A quante persone l’hai detto? A chi vorresti dirlo? Sentiamo, siamo tutti orecchie» riprese James cominciando a perdere la pazienza davanti a quell’espressione sorpresa ed incredula di Piton.
«Io non ho detto niente a nessuno»
«Siamo noi che non abbiamo detto niente! Non abbiamo detto niente a Silente del tuo sogno nel cassetto ma lo faremo presto».

La frase di Sirius scosse Piton che cercò di divincolarsi dalla presa di entrambi senza riuscirci.

«Io e Lily non ci parliamo da più di un anno» ringhiò facendo rabbrividire James, infastidito da quelle labbra pallide che ancora pronunciavano quel nome. «Le ho solo parlato delle mie ipotesi ma non le ho mai detto che erano vere quando l’ho scoperto» concluse Piton serrando con forza la mascella.
Era inutile provare a liberarsi, stava soltando facendo la figura dello stupido come un pesce tra le mani del pescatore.
Si rilassò, sentendo le dita di James e Sirius stringere più forte come se lo sentissero sfuggire via.
«Lily non è stupida, l’ha capito da sola» affermò con un leggero sorriso e una punta di luce a far scintillare i suoi occhi neri. 
James mollò la presa all’istante. Lo sapeva benissimo anche lui che ‘Lily’ non era stupida. Quello sguardo tagliente e al contempo luminoso di Piton non lo convinceva del tutto anche se sembrava sincero.  
«E come facciamo a crederti, Mocciosus?» sbottò Sirius con ancora la mano stretta con forza al suo braccio. Se c’era una persona di cui non si fidava era proprio Mocciosus, troppo scaltro e subdolo per i suoi gusti. Piton però rimase tranquillo senza staccare gli occhi da quelli serissimi di James.
«Chiedetelo a lei» rispose semplicemente per poi attaccare con il familiare tono velenoso che a James faceva salire il sangue alla testa. «O forse non potete perchè non vi conoscete abbastanza per parlare di certe cose?»

Lo squittire di un topo vibrò nel silenzio del corridoio. Era tardi. Anche se James avrebbe volentieri steso a terra Piton con un pugno, bisognava andare.

 

Comportamento n. 5 del Protocollo ‘Luna Piena’: Mollare qualsiasi cosa si sta facendo per raggiungere Lunastorta prima che spunti la luna.

Senza perdere altro tempo, Sirius staccò le dita dal maglione di Piton e si allontanò insieme a James, sparendo oltre la porta.
Peter li raggiunse alla base delle strette scale, arrampicandosi sul pantalone di James che in un attimo coprì tutti con il mantello.
La mappa in mano a Sirius non segnalava pericoli: la ronda doveva essere finita e il nome di Lily stava risalendo le scale al secondo piano insieme a quello di Mary.
Proprio come faceva vedere la Mappa, Lily e Mary stavano tornando in dormitorio. Non servì a niente studiare Erbologia fino a mezzanotte: la testa di Lily era continuamente occupata a pensare a Remus e alla Luna Piena, quella grande e tonda sfera luminosa nel cielo stellato che stava fissando da ore dal suo letto.
La luce perlacea entrava in camera dalla finestra, illuminando le tende chiuse del baldacchino di Liv e il calendario di Mary appeso al muro; brillava come non mai oltre il vetro.
Se Madama Chips sapeva di Remus allora doveva saperlo anche Silente e se Silente sapeva andava tutto bene, aveva di sicuro trovato una soluzione.
Un ululato lontano la fece rabbrividire e il viso gentile di Remus le sorrise tra i mille pensieri.
Scostò le coperte da un lato del materasso per scendere dal letto e raggiungere la finestra. Con quella luce si potevano vedere chiaramente le montagne colorate di azzurrino e parte della Foresta Proibita.
Anche se Silente aveva trovato una soluzione, Remus era comunque solo, in balìa dell’istinto animalesco che l’avrebbe portato ad aggredire se stesso.
Come si poteva trovare una soluzione a quello? Non esistevano cure, nemmeno una botte di ferro avrebbe potuto proteggere Remus dal lupo che abitava dentro di lui.

Un altro ululato, ancora più lontano del precedente, la fece restare in silenzio, un silenzio che l’abbaiare distante di un cane spezzò per qualche secondo.
 

 

 

 

 

 

**







La mattina della gita ad Hogsmeade era ventosa e umida. Aveva da poco smesso di piovere quando gli studenti, divisi a gruppetti, cominciarono a percorrere l’ampio viale che dalle scale in pietra dell’ingresso principale del castello portavano ai cancelli.
Gazza li aveva scrutati uno ad uno con sguardo minaccioso prima di controllare i permessi dei genitori o dei tutori.
La fila nel portone d’ingresso non si bloccò come invece aveva sempre fatto ogni volta che spettava ai Malandrini fermarsi davanti al guardiano e alla sua gatta. Erano tutti maggiorenni e l’obbligo di mostrare la pergamena firmata non esiteva più.
«SARÒ QUI AL VOSTRO RITORNO!» urlò Gazza in direzione dei quattro che già se la stavano filando in cortile «NON PENSATE DI FARLA FRANCA CON QUELLE DIAVOLERIE CHE VI COMPRATE OGNI MALEDETTISSIMA VOLTA!»
«Buona giornata anche a lei, Mastro Gazza!» lo salutò di rimando Sirius, ridente, voltandosi un attimo per sventolare innocentemente una mano.
Gli occhi strizzati dalla rabbia di Gazza seguirono quelle quattro sciarpe rosse e oro che svolazzavano al vento fino a quando un altro svolazzare non gli arrivò davanti al naso. La pergamena con le firme dei genitori di una Martha Spinnet a dir poco emozionata che lo stava quasi per accecare.
«E quelli chi sono? Gli Auror accennati dalla McGranitt nell’avviso in bacheca?» chiese Mary camminando tra Lily e Liv che come lei avevano notato due persone appostate sotto le due colonne con i cinghiali alati ai lati del grande cancello aperto. Soltanto quando furono abbastanza vicine riuscirono a riconoscerne una.
«Frank!» esclamò Lily in un sorriso luminoso mezzo nascosto dalla sciarpa rossa avvolta attorno al collo. Il giovane uomo le sorrise di rimando, lanciando un timido sguardo al suo ingombrante collega sotto alla colonna di pietra al fianco di Liv, rimasta letteralmente impressionata: a quell’uomo col viso squadrato e rovinato in più punti da alcune cicatrici curate ma profonde; il grosso naso a patata era intatto ma anche quello rovinato da altre cicatrici. Bastò un'occhiata per capire che si trattava del famoso capo del Dipartimento Auror, sempre sulla Gazzetta.
«Ragazze! Che bello rivedervi dopo...»

«Paciock!» lo zittì bruscamente il grosso uomo, gli occhi neri i ridotti a fessure. Frank arrossì, sistemandosi il lungo cappotto in pelle simile a quello del collega.

«Vigilanza costante!” Lo so, Alastor, lo so» bofonchiò imbarazzato. Malocchio grugnì qualcosa mentre con una mano davanti alla bocca Frank salutò Lily, Liv e Mary che li superarono lentamente per ascoltare le ultime parole del loro vecchio compagno di Casa. 
«Alice è di guardia davanti ai Tre Manici di Scopa. Buona giornata, ragazze!»
«Sei ancora sicura di voler diventare Auror, Liv?» le chiese divertita Lily osservando l’espressione accigliata dell’amica che, nonostante avessero svoltato a sinistra per raggiungere il villaggio, aveva ancora gli occhi puntati sulla figura lontana di Alastor Moody. 
«Certo che sì» rispose lei, sicura. «Anche se potrei finire come lui» aggiunse, facendo ridere sia Lily che Mary.
I tetti spioventi delle case di Hogsmeade sbucarono oltre la curva della strada affollata per la maggior parte dagli studenti di Hogwarts, riconoscibili dalle sciarpe con i colori delle quattro case.

Vetrine sgargianti e traboccanti di oggetti dalle mille forme si alternavano ad altre completamente vuote e sbarrate con delle assi in legno. Gruppetti di ragazzi allegri e chiassosi trotterellavano davanti a serissimi e vigili Auror, sparsi in ogni angolo delle strade. Un’atmosfera leggermente tesa che però non smorzava l’emozione di essere finalmente fuori da Hogwarts, lontano da lezioni e professori.
Lily sentì Liv irrigidirsi al suo fianco mentre passavano accanto all’Emporio degli Scherzi di Zonko. 
«Che c’è?» le chiese in tono preoccupato. 
Liv non rispose, fissando con occhi ridotti a fessure l’ingresso rosso scarlatto del negozio dove un Sirius ghignante aveva prima indicato la porta e poi lei con fare mellifluo.
Lì dentro Black avrebbe potuto comprare qualsiasi cosa e quel gesto le stava chiaramente dicendo che quel qualsiasi cosa era destinato a lei.
Prevenire è meglio che curare” non era così che suo padre diceva sempre?
«Ci vediamo ai Tre Manici di Scopa, devo fare una cosa» disse Liv lasciando Mary e Lily sbigottite.
Raggiunse Zonko di corsa perché Black ci era sgattaiolato dentro, divertito, appena l’aveva vista muovere il primo passo.
«Questa guerra finirà male, me lo sento» commentò Mary sistemandosi la sciarpa rossa e oro al collo.
«Se per male intendi Liv e Black che si baciano, sono con te» buttò lì Lily riprendendo a camminare con un sorrisetto stampato sul viso coperto dai capelli rossi che il vento stava scompigliando senza alcun ritegno. Mary rise, seguendola senza far caso a Remus, James e Peter, appena usciti da Zonko con tre sorrisi enormi in faccia.
«Visto che quel deficiente non vuole mollare l’osso con McAdams, io e Pete andiamo da Mielandia mentre tu, Rem, prendi un tavolo ai Tre Manici di Scopa o non troveremo nemmeno uno sgabello libero» esclamò James soffermando lo sguardo un po’ più del dovuto su Lily in fondo alla via.
Non aveva ricevuto nessun invito, com’era prevedibile. Non era ad un appuntamento con lei, ma vederla libera da Owen e sopratutto felice e spensierata per James era una nuova e bellissima sensazione.
Quando Mary e Lily passarono davanti all’Ufficio Postale affollato da gufi e persone, una voce incerta bloccò Lily che si ritrovò Piton davanti.
«Posso parlarti?» le chiese lui sfilandosi la sciarpa verde e argento dal collo.
La mano di Mary scattò subito sotto al mantello alla ricerca della bacchetta ma Lily la fermò, osservando Piton con occhi indagatori.
«Cosa vuoi, Severus?» domandò gelida.
«Vorrei parlare con te... da soli» aggiunse spostando lo sguardo, diventato luminoso dopo aver sentito il suo nome, verso una Mary scettica e per niente desiderosa di lasciare Lily da sola con lui.
«Puoi benissimo parlare anche se c’è Mary» ribattè secca Lily.
Piton però strinse le labbra sottili, sforzandosi di restare calmo. «Quello di cui dobbiamo parlare non può essere ascoltato da nessun’altro» mormorò tra i denti. 
Lily sollevò un sopracciglio ma lui continuò, imperterrito. 
«E vorrei che rimanesse tra noi. Non è un mio segreto» aggiunse Piton con forza.
A quelle parole, Lily sembrò capire. «Mary, vai pure. Ti raggiungo ai Tre Manici di Scopa tra pochissimo» la incitò, sorridendole per farle capire che non doveva preoccuparsi.
«Sei sicura?» domandò lei, scrutando con diffidenza Piton.
«Sì. Tranquilla. Prendi una Burrobirra anche per me e Liv».
Mary si allontanò, incerta. Lanciò un’ultima occhiata a Lily e Piton prima di riprendere a camminare verso i Tre manici di Scopa.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14. La Stessa Strada ***




Capitolo 14
 

LA STESSA STRADA

 

 





Zonko era pieno zeppo di studenti e nonostante questo Sirius si muoveva tra scaffali e banconi con  sorprendente facilità, sfiorando con la punta delle dita praticamente tutti gli oggetti presenti nella lista delle ‘diavolerie’ bandite da Gazza. 
Sgusciava con non chalance tra le persone, mantenendo sguardo e sorrisetto provocatori su Liv che lo seguiva con attenzione passo dopo passo. Quelle mani che sfioravano tutto ma non prendevano mai niente la stavano facendo innervosire. 
Ogni volta che si fermavano su una scatola di Dolci Singhiozzini o sopra una maxi busta di Caccabombe, Liv tratteneva il respiro preparandosi a prenderne qualcuna anche lei ma, dopo qualche secondo, le lunghe dita di Sirius ci camminavano sopra, annoiate e altezzose.
«Bella tattica, Black, complimenti. Hai intenzione di comprare qualcosa entro oggi? Perchè altrimenti, visto che ci siamo, prendiamo direttamente i regali di Natale» esordì ironicamente Liv seguendo con gli occhi le mani di Sirius che accarezzavano con esasperante lentezza una Tazza da Tè Mordinaso.
Il beffardo sopracciglio nero si sollevò in un’espressione da la prendo o non la prendo?’ così irritante tanto da poter seriamente far saltare fuori la bacchetta di Liv da un momento all’altro. 
Prima che potesse succedere, però, Sirius aveva già spostato la sua attenzione dalla tazza ad un cesto colmo di Fuochi d’Artificio del Dottor Filibuster.
Liv non riuscì a fare a meno di sorridere sarcasticamente, incrociando le braccia al petto. Black non avrebbe mai potuto usare quei cosi, al castello.
«Sul serio, Black?» gli chiese senza riuscire ad abbassare gli angoli delle labbra. 
Lui si limitò ad allargare il ghigno, giocherellando con una scatolina dai colori fluorescenti. Le occhiate incuriosite ed allarmate delle ragazze attorno le fecero notare che quella situazione era decisamente fuori dagli schemi: non si era mai ritrovata da sola con Black, ad Hogsmeade.
Quelle lì pensavano forse che fosse ad un appuntamento con lui? Le loro facce preoccupate erano buffe da guardare ma il divertimento per le espressioni delle osservatrici sparì quando si accorse che Sirius non era più davanti a lei. 
Si era distratta un attimo ed era sparito, come un bambino al centro commerciale babbano.
«Che stronzo» mormorò a denti stretti adocchiandolo a pochi metri di distanza. La stava guardando con ancora quell’espressione maliziosa in volto mentre allungava un braccio sullo scaffale stracolmo di Boomerang Rimbalzatutto e pacchetti di Pallottole Puzzole. La mano si spostava tra le due scelte, fintamente indecisa. 
Liv serrò la mascella, cominciando a fare lo slalom tra la gente. Quando raggiunse la postazione del suo avversario lui era già sparito.
Si chiese se, da quando aveva cominciato a perderlo di vista come una cretina, lui stesse effettivamente prendendo qualcosa.
«Ti sei arresa?» le chiese Sirius sbucando alle sue spalle senza preavviso. Liv si voltò di scatto, notando con suo profondo rammarico un paio di fuochi d’artificio e un pacchetto di Pallottole Puzzole tra le mani di Black.

«Olivia? Allora?» la stuzzicò in tono canzonatorio lui, lo sguardo penetrante immerso nei suoi occhi.
Liv ricambiò con un sorriso altrettanto malizioso. Il Sapone di Uova di Rana la stava chiamando a gran voce dalla scatola in legno sul bancone davanti. S'infilò tra due persone, tenendo lo sguardo su Sirius, e senza ripensamenti afferrò la saponetta ben incartata.
«Quella non mi serve, grazie. Sarebbe più utile a Mocciosus» commentò lui sollevando entrambe le sopracciglia prima di guardarsi attorno con occhi socchiusi e rapiti da delle inquietanti girandole dall’aria sospetta.
Liv anticipò la sua mossa, afferrandone una per prima. Non sapeva nemmeno cos’era ma era meglio per lei vederla nella sua mano e non in quella di Black.
«E secondo te, Mocciosus  toccherebbe una cosa che ha la forma di una saponetta?» gli chiese.
Il sorriso di Sirius si allargò a dismisura, piacevolmente sorpreso dalla battuta. La seguì con lo sguardo mentre avanzava lentamente tra gli altri studenti. Il fatto che quegli occhi scuri fossero ancora incollati ai suoi rallentò per un istante il suo tempo di reazione. 
Liv aveva già preso due bustine di Vermi Sibilanti quando lui si spostò verso lo scaffale delle Caccabombe.
Vagarono per tutto il negozio senza perdersi di vista, gli unici ad avere giacche babbane in pelle nera, rispondendosi a vicenda con sguardi e sorrisi che da provocatori e beffardi divennero sinceramente divertiti.
Se Sirius sbatacchiava tra la folla una confezione di chissà cosa in direzione di Liv che stava dall’altra parte della stanza, lei rispondeva a dovere con un altro oggetto dall’aria simile.
Liv si distrasse soltanto una volta: quando dovette allungarsi per accaparrarsi un Frisbee Zannuto che stava su una mensola troppo in alto.
Non fu un grave errore perchè Sirius non approfittò di quel breve attimo per riempirsi le mani di buste e bustine. 
Usò quei preziosi ed interminabili secondi per osservare con attenzione le due fossette sulla parte inferiore della schiena inarcata di Liv, lasciata leggermente scoperta dal giubbino in pelle che si era sollevato insieme al maglione quando lei aveva tirato sù le braccia. 
Nemmeno quando il maglione tornò al suo posto Sirius riuscì a distogliere gli occhi grigi ma il suo sguardo fu subito casualmente posato sul gruppo di Corvonero lì vicino appena Liv sventolò con un enorme sorriso il suo Frisbee Zannuto verso di lui.
S'incontrarono in fila davanti alla cassa, entrambi ridenti e con le braccia cariche di ‘diavolerie’ che Gazza non avrebbe di certo approvato.
Lo sguardo penetrante di Sirius dai grandi occhi scuri di Liv scese a curiosare tra le cose che lei aveva in mano. 
Liv sollevò il mento, pronta ad attaccare anche se con una punta di sincero divertimento nella voce.
«Non bisogna sottovalutare gli oggetti babbani che potrebbero essere utilizzati per uno scherzo. Il mio baule ne è pieno e tu non hai la minima idea di che cosa siano. Quindi, anche se ti stai studiando a memoria questi pacchetti, sappi che ho altre armi». Liv si stupì di se stessa. Stava davvero elogiando qualcosa di 'non-magico' a discapito della magia?
«Non ci sono oggetti babbani che tengano contro questa roba» ribattè Sirius sollevando leggermente la piccola montagna tra le mani. 
Liv scosse la testa, convinta e sempre più infastidita dal fatto che Black era l'unico che riusciva a farle dire certe cose.
«Senza un comunissimo e babbanissimo frullatore non avrei mai potuto impiastrare la cucina della mia vicina di casa e il ‘delizioso’ vestitino di quella vipera di sua figlia, anni fa»
«Ah, sì? E come avrei fatto io a staccare dal muro e far volare sù per le scale tutte le teste mozzate degli elfi domestici fino alla camera di Walburga e Orion senza la magia ‘involontaria’- che tanto involontaria non era-?»
Liv si ritrovò a ridere sommessamente mentre la fila avanzava di un cliente e Sirius, così come lei, rimase per un attimo sconcertato dal fatto di star scherzosamente dialogando con lei. Era strano, stranissimo, ma sorprendentemente piacevole.
«Perchè hai sporcato il vestito di quella bambina?» le chiese Sirius, lo sguardo curioso adesso fermo sulle labbra di Liv che distolse lo sguardo da lui per concentrarsi sui capelli castani della ragazza che avevano di fronte nella fila.
«Era tutta la giornata che quell’odiosa parlava del suo abito. Ore ed ore di elogi per quel vestito che continuava a confrontare con i miei pantaloncini e la mia canottiera. Che cosa ci potevo fare se l’unico che mi comprava le cose era mio padre, in quel periodo?» rispose, schietta.
Sirius sorrise aggiungendo mentalmente un pezzo al misterioso puzzle che era Olivia.
«Ti chiederei perchè hai fatto volare quelle teste mozzate di elfi, ma l'unica domanda che mi viene da dire è... perchè diamine i tuoi genitori hanno teste mozzate di elfi in casa?» domandò Liv con faccia orripilata.
Le labbra di Sirius si abbassarono in un mezzo sorriso amareggiato. «Facevano paura a Regulus» si limitò a dire trovando anche lui interessanti i capelli castani della ragazza di fronte. «Adesso, molto probabilmente, li ha in camera al posto dei peluche».
Liv, cogliendo una sfumatura decisamente sferzante nel suo profondo tono di voce, lo scrutò con la coda dell’occhio: Sirius si era leggermente oscurato anche se cercava di fare l’indifferente socchiudendo gli occhi e sollevando leggermente gli angoli delle labbra.
Tutto in quel viso altero ed improvvisamente immobile suggeriva freddezza e Liv portò il suo, perplesso, verso la cassa ormai davanti a loro. 



 
 

 

*

 



«Alice!» gridò Mary avvistando il viso tondo e cordiale della ragazza in divisa da Auror appostata davanti alla porta dei Tre Manici di Scopa.
Si affrettò a raggiungerla e in un attimo la vecchia compagna di Casa la tirò a sè per poterla abbracciare forte.
«Mary! Come stai?»
«Sto soffocando»
Alice rise insieme all’amica che fu prontamente liberata dalla stretta soffocante.
«Adesso sto bene» fece Mary sorridente. Erano anni che Alice aveva finito gli studi ad Hogwarts, anni che non la vedeva, ed era sempre la solita allegra ragazza amica di tutti.
«Ti conviene entrare subito se non vuoi stare in piedi! In dieci minuti sono entrate dozzine di persone! Ma le altre dove le hai lasciate? Non mi dire che Lily è con James... no, non sarebbe possibile. E Liv? Si è decisa ad uscire con quel Tassorosso? Com’è che si chiamava?».
Mary scoppiò a ridere, di nuovo. Alice era rimasta indietro di sei anni. «Mi raggiugeranno tra poco. Lily continua a preferire la Piovra Gigante a Potter e Liv non ha nessuna intenzione di uscire con il suo cercatore avversario» spiegò con calma per godersi la reazione che sapeva sarebbe esplosa sul viso gentile di Alice.
Quel volto infatti si illuminò, sorpreso dall’ultima notizia. «Ce l’ha fatta!? É in squadra!?» chiese, euforica. Mary annuì, orgogliosa per la sua amica, venendo bloccata ancora prima di iniziare a parlare.
«Ciao, Alice. Mary.» salutò con un certo imbarazzo Remus, passando lì davanti prima di aprire la porta e sparire dentro al locale il più velocemente possibile.
«Ciao, Remus!» rispose sconcertata Alice rivolgendosi poi a Mary, rimasta bloccata e a disagio al suo fianco «Ma che ha? O meglio... ma che avete?» si corresse, incerta e sempre più divertita, scrutando la bionda per bene.
Mary si morse il labbro inferiore cercando di sorridere. L’unica cosa che le uscì fu un ghigno per niente bello che fece ridere Alice senza alcun ritegno.
«Vi siete baciati finalmente!»«Non dire sciocchezze, Alice. Sai, ripensandoci... credo che il tavolo lo occuperò alla Testa di Porco... lì di sicuro troverò posto»
«Non dirle tu le sciocchezze, Mary. Quel posto è sudicio e pieno di Vampiri, in senso letterale. Sbrigati a raggiungere il tuo futuro fidanzato o ti ruberà l’unico tavolo libero».
Mary spalancò gli occhi nocciola senza staccarli da Alice che si era incollata al vetro della porta del pub per controllarne l’interno.
«Sembra non si sia ancora accorto dell’unico tavolo libero nell’angolo a destra. Muoviti» la incitò l’Auror. «E offrigli da bere, non essere maleducata! Anche se è molto più probabile che sia lui ad offrirti una Burrobirra. Hai scelto un vero Gentleman, ragazza!» continuò ridacchiante, aprendole addirittura la porta.
Mary sospirò entrando dentro al pub.
L’idea di andare alla Testa di Porco non era da prendere nemmeno lontanamente in considerazione: Lily l’avrebbe presa per pazza.
La stessa cosa valeva per la Sala da tè di Madama Piediburro: Liv l’avrebbe linciata, dopo aver vomitato.
Il solito piacevole tepore che avvolgeva i clienti appena varcavano la porta per Mary si era inspiegabilmente trasformato in un caldo asfissiante che la costrinse a sfilarsi con urgenza la sciarpa dal collo.
Eppure sembravano tutti a loro agio lì dentro.
Scorgendo Remus vagare per i tavoli affollati il caldo aumentò e anche il mantello finì appeso al braccio insieme alla sciarpa rossa e oro.
Un’indaffarata e ridente giovanissima Madama Rosmerta stava al bancone, pieno come un uovo, e il tavolo indicato da Alice era effettivamente libero. Con un ultimo sguardo a Remus si decise a dirigersi verso quell’angolino in fondo ma non riuscì nemmeno a fare un passo perchè lo sguardo di Remus la centrò in pieno. Gli occhi ambrati di lui ci misero pochissimo a spostarsi sul tavolo libero a pochi metri da Mary che nello stesso suo momento scattò in avanti dando il via alla gara per accaparrarsi i posti.
Mary fu grata di essersi liberata da sciarpa e mantello ma quasi imprecò a voce alta quando un signore con un enorme cappello a punta le sbarrò la strada con la sedia che il suo amico prese per sedersi al suo fianco. Remus aveva recuperato quei pochi metri che aveva di vantaggio, malissimo.
Si scusò con il signore mentre lo scavalcava senza troppi complimenti e riprese a sgusciare tra sedie e tavoli il più velocemente possibile. Sperò con tutta se stessa che l’educazione di Remus lo bloccasse in qualche modo. Di certo lui non avrebbe mai scavalcato una persona per passare...
 Restò sorpresa quando lui passò sotto al tavolo di un gruppo di ragazze Corvonero che urlarono spaventate ritrovandoselo tra le gambe.
Non riuscì a frenare la risata che esplose spontanea alla vista di quella scena e non riuscì nemmeno a non pensare a quanto lui fosse bello quando sbucò dal tavolo per ricominciare a correre nella sua stessa direzione con una risata spensierata sulle labbra e i capelli castani spettinati.
«MIO!» fecero all’unisono poggiandosi al tavolo con il fiatone. Nessuno dei due voleva credere di essere arrivato nello stesso momento dell’altro. Rimasero poggiati al tavolo, l’uno di fianco all’altra, senza osare guardarsi.
Remus si sarebbe volentieri nascosto sotto al tavolo delle Corvonero. Era stata una follia ed era una follia anche la situazione in cui si trovava in quel preciso momento. Sentiva Mary respirare rumorosamente alla sua sinistra e vedeva le sue mani aggrappate al legno graffiato del tavolo, proprio vicino alle sue, graffiate anche loro ma dalla luna piena della settimana prima.
E adesso che diamine doveva fare?! Di nuovo silenzio no, Remus non poteva accettarlo. Era imbarazzante! Anche se tutto lo era.
Stare zitto era imbarazzante. Parlare era imbarazzante. Muoversi era imbarazzante. Ma non potevano stare così, come due statue.

«Il tavolo... è abbastanza grande... e le sedie sono giuste» esordì timidamente senza staccare gli occhi dal tavolo e dalle loro mani. Sentì Mary sospirare e muoversi. Forse era il caso di imitarla e raddrizzarsi in una postura molto più dignitosa.
Si staccarono dal tavolo, a disagio. Mary si sistemò la corta frangia bionda annuendo più a se stessa che a Remus. Anche perchè non lo stava affatto guardando in faccia.
«Sì. Ho visto» disse, riferendosi alle sette sedie che sarebbero benissimo bastate per entrambi i due gruppi. Quello che non andava bene era che i due gruppi non andavano affatto d’accordo. Mary si immaginò Lily seduta allo stesso tavolo di Potter e poi Liv con Black. Era come innescare una bomba. Ma cosa poteva dire? Niente. Anzi, doveva per forza dire qualcosa perchè il silenzio non si poteva più sopportare.
«Quindi...» cominciò incerta pensando che l’imbarazzo era uguale «Lo dividiamo?».
Remus annuì, nervoso, grattandosi la nuca. James l’avrebbe benedetto per l’ottima occasione che gli aveva regalato, lo sapeva.
Allontanò di scatto la mano dai disordinati ciuffi di capelli castani pensando a quanto stupido e sciatto dovesse apparire- Ci manca solo che pensi abbia le pulci a parte la salute cagionevole- e con un gesto cordiale del braccio la invitò a prendere una sedia. «Vado... ad ordinare. Cosa volete tu, Lily e Liv?» chiese gentilmente sollevando finalmente gli occhi su di lei.
Dire che era rossa era dire poco. Remus sperò con tutto se stesso che almeno lui non fosse dello stesso suo colore o si sarebbe davvero nascosto sotto al tavolo.
E perchè faceva così caldo? Nemmeno a dicembre c’era tutta quell’afa, lì dentro.
«Tre Burrobirre» farfugliò Mary tamburellando le dita sul tavolo per fare l’indifferente senza riuscirci. «Anzi... due Burrobirre e un'Acquaviola, grazie» si corresse subito sentendo un’altra ondata di caldo invaderle le guance. La burrobirra fumante avrebbe soltanto peggiorato il suo essere diventata una stufa ambulante.
Remus annuì con un sorriso e si allontanò velocemente da lì per andare dritto al bancone affollato, ricominciando a respirare come se fosse appena emerso dall’acqua. Era davvero preoccupante il fatto che ogni volta si riduceva in quello stato pietoso.

Il boccheggiare di Mary era tenuto d’occhio dalla strega palesemente perplessa seduta al tavolo vicino. Mary le sorrise, sventolandosi il menù davanti al viso arrossato. Quel caldo era anomalo, non poteva essere soltanto colpa di Remus e dei suoi modi gentili.
Mary si vergognava di se stessa per essere così sensibile a quel ragazzo, e perchè gli aveva detto di prendere un Acquaviola? Non le piaceva nemmeno. Le Burrobirre esistevano anche fredde, in bottiglia.

Ma forse aveva fatto bene a chiedere l’Acquaviola, bere dalla bottiglia non le riusciva tanto bene e più evitava le situazioni da brutta figura e meglio era.
Vide Remus prendere con una certa difficoltà il vassoio che Madama Rosmerta gli stava porgendo con sorriso cordiale. Cosa c’era da sorridere? E che si coprisse quel decoltè ogni tanto! Cos’aveva quella ragazza poco più grande di lei di così tanto speciale a parte quelle due cose enormi sotto alla maglietta?
Smise di fulminarla- anche se lei non si era minimanente accorta di essere stata trucidata con lo sguardo- quando vide Remus avanzare tra i tavoli con l’ansia dipinta in volto. Nel vassoio traballavano cinque bicchieri di Burrobirra, la sua Acquaviola e una bottiglia di Burrobirra, fredda. Mary si chiese se anche lui sentisse il vento del deserto in faccia o se semplicemente non gli andava di bere qualcosa di caldo. Ma forse più che pensare a cosa Remus avesse in faccia avrebbe fatto meglio a pensare a cosa aveva tra le mani e ad alzarsi per andare ad aiutarlo.
«Stai seduta, ce la faccio!»
Mary si riabbassò sulla sedia dopo essersi sollevata a metà in una posizione ridicola. Perchè non si era fatto aiutare e basta? Si sarebbe potuta alzare del tutto per fare qualcosa di normale come camminare, afferrare qualche bicchiere, invece di rimanere con le mani in mano in quel posto che cominciò a riscaldarsi di nuovo appena Remus poggiò con un sospiro sollevato il vassoio sul tavolo.
«Visto?» esclamò Remus dandosi subito dell'idiota. Visto!? Cosa doveva vedere? Remus si sarebbe sbattuto il vassoio in testa. Odiava quando la lingua si muoveva da sola senza seguire il cervello. Cosa c’era di così tanto spettacolare nel portare un vassoio ad un tavolo? Il sorriso di Mary, però, la fece sembrare una cosa eroica.
«Grazie, Remus» fece lei irrigidendosi nella sedia quando lui prese posto accanto a lei con fare impacciato.

«Ma figurati» rispose Remus passandole il bicchiere con l’Acquaviola ed afferrando la sua Burrobirra.
Sia la fredda bottiglia di Burrobirra che l’Acquaviola furono svuotate ad una velocità allarmante, impressionando non poco la strega che poco prima si era preoccuata del boccheggiare di Mary.
Soltanto quando Remus aveva imparato a memoria l’articolo sulla Gazzetta del Profeta del mago davanti, e Mary conosceva vita, morte e miracoli delle ragazzine Tassorosso al tavolo lì vicino, accadde qualcosa di totalmente inaspettato: sia lei che Remus scoppiarono a ridere senza più riuscire a fermarsi.
«Sembra di stare all'inferno!»
«Oh, allora non sono solo io che sento il vento del deserto in faccia! Pensavo di avere qualche problema. Anche una stanza piena di Salamandre e Schiopodi Sparacoda potrebbe essere paragonata a questa»
«É vero! L’aula di Divinazione è molto meno soffocante!»
«Non me la ricordare! Meno male non siamo più obbligati ad entrarci! E le serre di Erbologia a giugno?»
«Dei forni! Anche l’Ufficio di Vitious non scherza, ci sei mai stata?»
 
 
 
 

 

*

 
 
 
 
 
Gli occhi neri di Piton vagavano sospettosi sugli Auror appostati negli angoli della strada. Lily non aveva ancora ottenuto una risposta alla domanda: ‘Allora? Adesso che siamo soli parla’. Sapeva che era lì per Remus. ‘Il segreto non è il mio’ non poteva significare altro, a meno che non volesse parlare di qualche segreto di Avery, Mulciber o Black. Molto improbabile.
Perchè allora voleva parlare di Remus dal nulla, dopo anni? Lui non poteva sapere che aveva capito, come faceva a sapere che aveva scoperto di Remus?
Una strana sensazione cominciò ad insinuarsi in Lily che continuò a fissarlo con crescente confusione. Piton voleva di sicuro andare in un posto meno affollato.
«Non ci sposteremo da qui, Severus» disse decisa per attirare su di sè l’attenzione. Lui infatti riportò lo sguardo serio su di lei.
«Potrebbero sentirci» mormorò lanciando l’ennesima occhiata all’Auror davanti all’Ufficio Postale di fronte.
«Se parliamo a bassa voce non ci sentiranno» ribattè secca. Non aveva nessuna intenzione di allontanarsi dagli Auror. Era un controsenso ma, la sensazione di protezione che gli stavano dando le procurava anche dolore, dolore perchè si sentiva protetta da loro e non da Severus come invece era stato un tempo.
La paura era per lui, il suo ex amico che un tempo la faceva sentire al sicuro e che adesso invece rappresentava la fonte del pericolo.
Con un piccolo sbuffo contrariato Severus si decise a parlare, tenendo la voce più bassa possibile.

«Hai finalmente controllato il calendario? Hai finalmente capito che le mie teorie su Lupin erano vere?»
Lily rimase in silenzio, assottigliando gli occhi un po’ per il vento e un po’ per quelle domande che confermavano i suoi pensieri.
«Tu come fai a saperlo?» gli chiese cercando di restare calma.
Piton fece un mezzo sorriso abbassando lo sguardo sulla sciarpa verde stretta spasmodicamente nelle sue mani.
«Potter e Black... lo sanno, sanno che tu sai. Mi hanno attirato fuori dal dormitorio di notte la settimana scorsa... erano convinti fossi stato io a rivelarti il segreto». Aspettò che Lily parlasse di nuovo ma non accadde, si era come pietrificata.
Con gli occhi verdi spalancati e la bocca semiaperta, non pensava nemmeno più a togliersi i capelli dal viso arrossato dal freddo.
Sapevano? Potter e Black sapevano e quindi anche Peter... e Remus. Come?
«Lily» la richiamò Piton con crescente emozione «Lily, sai la verità! La sai! Lupin è un Lupo Mannaro!» 

Quel sussurro eccitato e quella luce che gli illuminava gli occhi neri scosse Lily. «Sì, e quindi?» sbottò con rabbia. Lo sguardo di Severus si spense all’istante ma, una punta di speranza restò ad illuminarne il fondo.
«E quindi?» ripetè sconvolto come se lei non avesse capito un semplicissimo concetto da primo anno. «É pericoloso. É una bestia. Devi stare alla larga da lui e da Potter! Stare alla larga da tutti loro!»

Lily lo bloccò all’istante con un’occhiata furiosa e tagliente. «Con che coraggio riprendi questo discorso, Severus?» sibilò gelida. «Dall’ultima volta che mi hai ripetuto queste parole è passato più di un anno»

«Ma adesso sai che è la verità!» mormorò lui, deciso a non mollare.
«La verità è che quello pericoloso sei tu! Tu e quegli incantesimi che ti inventi, tu e i tuoi amici che volete diventare...»
«Sssst!»
«Non mi allontanerò da Remus. Proprio perché so la verità, gli starò ancora più vicina».
La sorpresa e la crescente angoscia sul viso di Piton indurirono ulteriormente i lineamenti di Lily che sentiva le lacrime pungere dietro alle palpebre.
Non erano lacrime per il vento che si era sollevato con maggiore forza e non erano nemmeno per il sole che era sbucato da un grosso nuvolone scuro; erano per la consapevolezza che il suo ormai ex amico non sarebbe tornato mai più, quel bambino era sparito del tutto.
«Nemmeno se ti dicessi che lui era d’accordo con gli altri a farmi incontrare il loro amico lupo sotto al Platano?» si affrettò a dire Piton, come se si stesse liberando di un veleno trattenuto in bocca per troppo tempo.
«Che cosa vuoi dire?» esalò Lily, stranita. Piton parve rinascere a quella vista, come aveva sperato; rinvigorito da quello spiraglio di speranza, di probabile contatto con lei.
«Sei tu che ti sei infilato là sotto, Severus. Tu che li spiavi di continuo per capire cosa facessero ogni volta, tu e la tua teoria su Remus! Invece di lasciarlo in pace! Sei tu che ti sei messo nei guai da solo e Potter ti ha salvato!»
Piton quasi indietreggiò, orripilato e oltraggiato come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
«Io non... non è così!» sibilò, cinereo e rosso al contempo.
«Puoi inventarti quello che vuoi, ma rimani tu quello pericoloso» lo fermò Lily con voce decisa e sprezzante nonostante facesse male dire quelle parole. «E mi sembrava di essere stata chiara quando ti ho detto che ognuno di noi due ha scelto la propria strada. Nella mia strada i Lupi Mannari come Remus si sostengono, non si isolano o distruggono. Nella mia strada non si umiliano i Nati Babbani e non si usano Maledizioni Oscure. Nella mia strada tutti vanno rispettati. Vorrei tanto poter dire che la mia strada è anche la tua, ma non lo è» continuò freddamente Lily. L’espressione attonita e addolorata di Piton non la fermò. «E non lo sarà mai» concluse, sicura della propria frase.

Severus non le avrebbe mai più chiesto di parlare, glielo leggeva negli occhi neri improvvisamente opachi e velati, ed era scritto chiaro sulle labbra pallide serrate con forza; quelle labbra che come negli ultimi due addii rimasero chiuse e non aperte per smentire le sue parole, ma serrate per creare un silenzio che acconsentiva quelle convinzioni che Lily aveva sperato fossero false.
Non le apriva per dire ‘No, Lily, non userò mai più la Magia Oscura e non voglio più diventare Mangiamorte’ oppure ‘Sì, Lily, la tua strada è anche la mia’. Severus non parlava, Severus non avrebbe mai percorso la sua stessa strada.
 


 

 

*

 
 
 



«Ci verrà uno di quei mal di stomaco da paura!» esclamò Peter trotterellando al fianco di James con due bustoni di Mielandia carichi di dolciumi. Le stecche di liquirizia che fuoriuscivano come bacchette magiche gli stuzzicavano il naso con il loro invitante profumo. James rise apertamente prendendogli una busta per alleggerirgli il carico.

«Ma chi se ne frega, Pete! Andremo tutti e quattro in bagno e ci passserà!»
Le risate si prolungarono quando videro Sirius e Liv usire da Zonko con parecchie buste appese alle braccia.
«Piccioncini!» li salutò James con sguardo malizioso.
«Riprova a dire una cosa del genere e ti ritroverai la testa da Mondomago e il corpo alla stazione, James» lo stroncò Sirius in perfetta sintonia con l’occhiata assassina di Liv.
«Sono timidi, Ramoso» li sbefeggiò Peter facendo sbucare la faccia dall’enorme busta profumata di zucchero.

«Mi sa che hai proprio ragione, Codaliscia» lo assecondò James fissando con insistenza lo sguardo fintamente disinteressato di Sirius.
«É meglio se mi allontano da voi. Non vorrei mettere in pratica quello che ha detto Black» sbottò Liv infilandosi il mantello prima di incamminarsi verso i Tre Manici di Scopa con le pesanti buste in mano.
Lily e Mary di sicuro avevano già finito la loro Burrobirra.
«Le hai guardato il sedere, Felpato»
«Sì»
«Sirius... lo sai»
«É la tua Cercatrice» rispose prontamente lui pensando alla regola di James che gli proibiva categoricamente di uscire con le sue giocatrici per non distruggerle prima di una partita con il suo occasionale e canino ‘mordi e fuggi’.
«Ecco. E quindi?»
«E quindi niente, James. Hai una Cercatrice con un gran bel sedere ma non ho alcuna intenzione di ‘sconvolgerla’, tranquillo». L’intenzione c’era eccome, però, quelle due fossette sulla schiena inarcata non riusciva a togliersele dalla testa.
Quando passarono davanti al negozio di accessori per il Quidditch di fianco all’ufficio postale, ritrovarono Liv, attaccata alla vetrina che catturò in men che non si dica anche James.
«Merlino! Questa è la nuova Nimbus 1500, McAdams! In estate non era in vendita!»
«Sì, lo so! Con questa potrei sorpassare Ned Stevens in cinque secondi!»
«Prendila!»
«Ma sei pazzo, Potter? Hai visto quegli zeri? Non sono Galeoni disegnati, fanno parte del prezzo»
«Ma cosa vuoi che sia! A Natale sarà mia!»
«Cosa vuoi che sia per un riccone come te, Potter, vero?»
Peter picchiettò con un dito il braccio di Sirius che staccò gli occhi da James e Liv per seguire la direzione suggerita dall’indice dell’amico.
C’era Evans dall’altro lato della strada, in piedi davanti a Mocciosus.
«Credo ci sia una cosa ‘più importante della scopa’ di là» affermò con la certezza di riuscire ad attirare immediatamente l’attenzione di James. Lui infatti si voltò di scatto facendo spaventare Liv.

«Che c’è?!» chiese lei imitandolo.
La testa rossa di Lily vicino a quella nera di Piton fecero sparire la Nimbus1500 in un attimo.

«LILY!»

«EVANS!»
Lily diede le spalle a Severus per sorridere in direzione di Liv che con una breve corsetta le fu subito vicino, seguita da Potter. Potter che sapeva che anche lei sapeva.
Piton si allontanò, non prima di aver risposto all’occhiata torva di James.
«Che cosa ti ha fatto?» chiese con durezza Liv.

«Niente. Ha soltanto capito che parlare con me è una perdita di tempo. Penso proprio che non si avvicinerà più» rispose apparentemente tranquilla Lily, continuando a sforzarsi il più possibile per sorridere.

«Raggiungiamo Mary ai Tre Manici di Scopa» le propose Liv, piuttosto turbata dal fatto che Piton cercasse ancora di avvicinarsi alla sua amica.
«Anche noi stiamo andando lì» s’inserì James ridente, anche se tutto quello che voleva fare era andare a Schiantare Mocciosus. Evans sorrideva ma, in fondo, era terribilmente triste. «Il nostro Remus si starà chiedendo che fine abbiamo fatto».
«Andate, allora, Potter» disse Lily osservandolo con calma. James sorrise capendo benissimo perchè non si era ancora mosso. Per quello era ancora lì, per quello non aveva rincorso Mocciosus con la bacchetta sguainata: per la sensazione di invincibilità che si sentiva addosso insieme agli occhi di Lily quando non erano minacciosi.
Quell’invincibilità, però, non era più soltanto invincibilità fine a se stessa: era voglia di far sentire invincibile anche Lily.

«La strada è la stessa, penso sia inevitabile camminare vicini, no?» fece James ritrovando tutta la sua verve. 

Lily lo fissò così intensamente, colpita, tanto da farlo ammutolire. “Inevitabile camminare vicini”.

«Sì, Potter, la strada è la stessa» rispose cominciando a caminare senza fretta con Liv al fianco e James alle spalle, vicino.
La strada era la stessa e non soltanto quella per raggiungere I Tre Manici di Scopa. Anche Potter si trovava nella strada dove i Lupi Mannari come Remus si sostenevano; quella dove non si umiliavano i Nati Babbani e non si usavano le Maledizioni Oscure.
Ecco, forse Potter prendeva una via diversa da quella tutti vanno rispettati’ ma la strada principale era la stessa.
Lily non si sentiva nemmeno più in pericolo, si sarebbe tranquillamente allontanata dagli Auror con Potter. Lui non era pericoloso, proprio come Remus.

Fu davvero buffo vedere un Auror sbracciarsi verso di loro quando si avvicinarono ai Tre Manici di Scopa. Alice sorrideva così tanto mentre li richiamava sventolando le braccia che il suo sorriso si poteva vedere  lontano di parecchi metri.
«Alice!» la salutò raggiante Lily una volta davanti a lei che l’abbracciò forte per poi indicare la porta del pub.

«Guardate un po’ dentro... il tavolo nell’angolo a destra» sghignazzò trascinando tutti verso il piccolo vetro appannato.
«Non sono Remus e Mary quelli, vero? O si? Sono Remus e Mary?»
«Certo che lo sono, Liv! Ma guardali!»
«Che cosa succede!? Spostatevi, vogliamo vedere anche noi! Remus è nostro...»
«Dopo, Potter! Smettila di spingere!»
«Stanno ridendo e parlando come due persone normali, Ramoso»
«Black, levati!»
«Io sono troppo basso! Non vale!»
«Pete, non ci vedo nemmeno io. Felpato, aggiornaci visto che le donzelle qui presenti sono così pettegole tanto da non riuscire a staccarsi da lì»
«Potter, ritira subito quello che hai appena detto o ti faccio ingoiare quella bacchetta di liquirizia senza fartela masticare»
«La solita violenta... Sirius, è il mio sedere quello che stai toccando»
«Ecco perchè non era formoso e femminile. Stavo cercando quello di Olivia» mentì Sirius, aspettando la reazione che era andato a cercarsi.
«Che cosa, Black?» sbottò, infatti, Liv.
«Non possiamo raggiungerli... guardate come stanno bene da soli»
«Ma cosa dici, Evans? Io dico di entrare. Piuttosto, guarda se ci sono Burrobirre sul tavolo. Avranno ordinato anche per noi, no?»
«Cos’è questa storia del mio sedere, Black?» continuò con voce minacciosa Liv staccandosi dalla porta per spintonare Sirius sul petto e guardarlo bene in faccia.
«Oh, finalmente! Vieni Pete!» esclamò James prendendo il suo posto in prima fila.
«Quando un sedere è ben messo bisogna dirlo» fece Sirius con naturale e sfacciata disinvoltura.
Liv restò muta, incapace di credere alle parole appena sentite. Black aveva appena detto che aveva un bel sedere? La stava prendendo in giro, come al solito.
«Piantala» disse semplicemente, velenosa.
Sirius sollevò entrambe le sopracciglia, trattenendo una risata per quel suo non vedere quanto gli piacesse.
«Oh, Black, tu non sai in che guaio ti sei appena cacciato. Non aspetterò nemmeno il tuo scherzo, attaccherò e basta» lo minacciò Liv non immaginando affatto che così, invece di spaventarlo, lo aizzava ed attirava ancora di più. 
La luce negli occhi grigi avrebbe dovuto dirle qualcosa, ma era troppo occupata a maledirlo mentalmente per farci caso.
«Ci credo che non ti interessa uscire con quel Tassorosso, Liv» le mormorò Alice facendole l’occhiolino.
«Hai ragione, Evans» spezzò il silenzio James, sorprendendo tutti con quell’affermazione di certo non da lui. «É meglio lasciarli da soli».
Adesso che poteva scrutare attraverso il vetro della porta non c’erano dubbi sul da farsi: vedere Remus così rilassato e sorridente era così raro che l’ultima cosa che voleva era disturbarlo.  
«Sei Potter o il suo fratello gemello che nessuno conosce?» chiese ironica Lily guardandolo di traverso come se fosse un Avvincino fuori dall’acqua. Potter che le dava ragione era davvero un’assurdità.
«Sono James Potter che non ha mai visto Remus così sereno con una ragazza, Evans» rispose lui in un sorriso sincero.
La piacevole e sorpresa espressione che Lily assunse gli fece passare la voglia di bere Whisky Incendiario per tutta la vita: si sentiva ubriaco, stordito, ubriaco ... ubriaco l’aveva già detto?
Quel sorriso amichevole era stato rivolto nella sua direzione? Aveva visto bene? Anche se era durato pochissimo, Evans l’aveva regalato a lui? Sul serio?
Perchè continuava a vederselo davanti agli occhi anche se lei si era girata sul vetro della porta per continuare a spiare Mary e Remus? Perchè si era spento così presto?
Una destabilizzante e sconvolgente certezza gli si scaraventò addosso come un bolide; lo stesso forte bruciore che aveva sentito quando aveva visto Evans baciare Owen gli graffiò lo stomaco come un animale rabbioso: non poteva fare a meno di quel sorriso, non avrebbe potuto scambiarlo con nessun'altro.
Cercò gli occhi grigi di Sirius, trovandoli già fissi sui suoi, e si trattenne dall’afferrarlo e trascinarlo verso il posto più appartato del mondo per poter aprire la bocca.
Ma con Sirius non serviva parlare, lui aveva capito benissimo.
«L’acqua calda, Ramoso?»
Sì, quello stronzo che adesso cercava di nascondere un ghigno sadico aveva decisamente capito.
E, sì, era ufficialmente nella merda. Se stesso, non Sirius, se stesso era nella merda più totale perchè quello innamorato di Evans non era Sirius, ma lui

«Potter?! Levati quell’espressione da idiota e togli la mano dalla maniglia o rotoleremo dentro il pub come degli scemi!»





 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15. Una Squadra allo Sbaraglio ***



 
 
 

****

 
 
 
 

 

Capitolo 15
 

 

UNA SQUADRA ALLO SBARAGLIO

 
 
 




Ho tutto sotto controllo.

«James, attento c’è una pozzanghera lì»
«Sì... stavo per accorgermene, Pete, ma grazie lo stesso per avermi avvertito»
«E comunque io non avrei mollato Evans e Olivia davanti al pub, James. Siamo stati dei grandi maleducati, non trovi?»
«Piantala, Felpato»
«Infatti, perchè sei voluto andare via? E cosa facciamo adesso?»
«Non ti ci mettere pure tu, Codaliscia. Andiamo dove ci pare. I Tre Manici di Scopa non è l’unico pub, ok? Non è il solo! Hogsmeade è un posto grande! Enorme! Con tantissimi altri negozi interessanti!»

Tutto sotto controllo, caro mio, anche se i Tre Manici di Scopa è senza alcun dubbio il miglior pub del villaggio. Lì si sta comodi e al caldo, c’è un piacevole e dolce profumo di burrobirra, le persone sono cordiali e divertenti, tutto è pulito e luminoso. Nemmeno a paragone con la Testa di porco o con Madama Pièdiburro.
In realtà, non si può mettere a paragone con niente, è semplicemente il meglio. Non c’è niente di più perfetto dei Tre Manici di Scopa, James! Maledizione!

Il brutto presentimento di Sirius divenne realtà quando, mezz'ora dopo, si ritrovarono ancora a scorrazzare come dei vagabondi per le strade di Hogsmeade, gli Auror avevano addirittura cominciato a guardarli con sospetto.
Sempre meglio, comunque, che seguire Evans e Owen nei negozi per causare incidenti innocui ma imbarazzanti al Corvonero. Sempre meglio, la sua opinione rimase quella fino a quando non arrivò l’ora di pranzo e James puntò dritto verso la fine della strada per raggiungere La Testa di Porco. Ma Sirius restò in silenzio, ammutolendo anche Peter che aveva provato a ribattere. Non disse nulla nemmeno quando si sedettero ad un tavolino sudicio tra un losco signore incappucciato e una vecchia che assomigliava più ad Banshee che ad una strega normale.

Strinse le labbra quando una brodaglia fumante gli stuzzicò spiacevolmente il naso- provò un forte impulso di prenderlo a pugni, certo, ma strinse le labbra- e rimase in silenzio.
Rimase in silenzio perchè se c’era una cosa meglio di tutte le altre, anche meglio di passeggiare invece che sabotare gli appuntamenti degli altri, era far digerire l’acqua calda a James come lui meglio credeva. E se adesso James aveva bisogno di stare zitto e di mangiare un liquido verdognolo con pezzetti di chissà cosa che ci galleggiavano dentro, allora l’avrebbero fatto. Di sicuro, la scoperta di essere innamorato di Evans era molto più digeribile di quel brodo dall’odore nauseabondo.
Fu un sollievo vedere Remus raggiungerli sulla strada per Hogwarts, il primo pomeriggio.
«Ci si vede alla prossima uscita ragazzi! Ciao, James!» li salutò Frank ancora di guardia al cancello per il castello.
Ho tutto sotto controllo anche se continuo a paragonare un pub a Evans. Ma che sarà mai? Insolito, certo, ma niente di cui preoccuparsi. Un pub carino, poi, non la sto mica paragonando ad una bettola.

«James? Frank ti ha salutato»
«Davvero? Dov’è?»
«Al cancello... l’abbiamo appena superato. Ma non sarai un po’ troppo distratto, oggi?»
«Distratto? No ho tutto sotto controllo, Remus. CIAO, FRANKIE!»
Ogni cosa sotto controllo. Come con il Quidditch, James, il Quidditch. Tutto sotto il tuo controllo. La pluffa che centra in pieno l’anello, le dita attorno al boccino, che ci vuole?
Tutto in effetti assomiglia ad un boccino, un boccino quando accellera all’improvviso e sfugge dalle dita, dannazione! I gradini, le porte, il tavolo dei Tassorosso... che non è il mio... siediti, cena e piantala.

«Oh! Scusami, Daisy! Non volevo rovesciare il bicchiere»
«Fa niente, Capitano. Ma stai bene? Hai gli occhi strani»
«Certo che sto bene. Tu, piuttosto, vedi di essere in forma per mercoledì, gli allenamenti saranno intensivi! La partita è dietro l’angolo!»
Il tossicchiare eloquente di Sirius al suo fianco gli entrò da un orecchio per uscirgli dall’altro anche se rientrò come un Boomerang Rimbalzatutto subito dopo.
‘Ammettilo, James, non hai un bel nulla sotto controllo, nemmeno lo stomaco. Quel pasticcio di tacchino è delizioso! In sei anni di Hogwarts ti ho sempre visto divorarlo come un maiale... a pranzo, a cena e anche alle due di notte. E invece adesso è lì, sul piatto, a raffreddarsi come un comune purè di patate’. Era questo che quella tosse finta stava dicendo, era questo che lo sguardo intenso del suo migliore amico gli stava suggerendo da sopra il calice.
James non aveva niente sotto controllo e anche se continuava a ripetersi il contrario sapeva benissimo qual era la verità. Perchè se avesse avuto davvero tutto sotto controllo, il poster con la motocicletta appeso vicino al baldacchino di Sirius non si sarebbe trasformato nel sorriso di Evans. Non si era accorto quand’era successo, a dire il vero non si era nemmeno accorto di essere arrivato in dormitorio.
«Allora, James? Adesso o dopo?» chiese per l’ennesima volta Remus fissandolo sconcertato dal baldacchino di fronte.
«Come, scusa?» bofonchiò lui sollevando lo sguardo incantato dal muro. Peter sollevò le sopracciglia con fare perplesso. James non c’era con la testa, l’aveva lasciata a Hogsmeade.
«Adesso o dopo?» ripetè Remus con pazienza senza però riuscire a nascondere una certa aria stranita davanti al volto smarrito dell’amico. Ma a quelle parole James sembrò svegliarsi.
«Mai, Remus! Stai scherzando?» sbottò allarmato. Remus era impazzito o cosa? Non avrebbe detto assolutamente niente a Evans.

Sirius rise attraversando la stanza con tranquillità prima di sparire in bagno. Remus e Peter rimasero a guardare James passarsi più volte le mani tra i capelli non ricordando di averlo mai visto così spaesato.
«Non vuoi mangiare i Calderotti ripieni? Mai più esclamò Peter seriamente sconvolto.
«Ah, i Calderotti...» mugugnò James ricordandosi che Remus e Peter erano all’oscuro di tutto. Non stavano di certo parlando di quando lui si sarebbe dichiarato a Lily Evans, una cosa alla quale non voleva nemmeno pensarci per almeno i prossimi vent’anni.
«Sì, i Calderotti. Di cosa pensavi stessimo parlando?» chiese Remus osservandolo avanzare verso il bagno con aria ridente.

«Pensavo mi stessi chiedendo quando avevo intenzione di chiamare Lumacorno amore mio’» fece, suadente, entrando in bagno con finta calma per poi chiudere la porta velocemente.
Sirius lo stava aspettando, seduto sul bordo della vasca con un espressione tra il divertito e l’arreso. James lo ringraziò con lo sguardo per aver occupato il bagno regalandogli così una via di fuga assicurata.
«Sono innamorato di Evans, Sirius». La frase gli uscì spontaneamente dopo una giornata passata a tenerla a bada tra le labbra, e quel tono incredulo dimostrava soltanto una cosa: solo adesso si era effettivamente reso conto della cosa.
Lily era il Tre Manici di Scopa della sua Hogsmeade; era la pluffa alla partita, il boccino nei momenti di tranquillità, era tutte queste cose, le migliori, quelle che lo facevano sentire rispettivamente felice, imbattibile e sicuro di sè. E allora perchè diamine si sentiva uno schifo?
«Che hai intenzione di fare?» gli chiese Sirius facendolo ridere sarcasticamente. Che aveva intenzione di fare? Bella domanda, Felpato.
Non aveva la più pallida idea di cosa fare. Non aveva mai avuto alcun problema a centrare gli anelli con la pluffa o ad afferrare il boccino al volo, ed era un vero schifo sentirsi un perdente.
Ma forse non andava perchè Lily era il Tre Manici di Scopa... chiuso; Era la pluffa... che non arrivava all’anello perchè semplicemente non c’era nessun anello; Era il boccino da acchiappare... con una mano fratturata.
Perchè sapeva che quel sorriso non l’avrebbe più rivisto, che Lily avrebbe continuato a vederlo soltanto come un compagno di scuola e che John Owen avrebbe sicuramente trovato le prove del filtro d’amore.
Anche se in fondo sapeva anche che Lily non era niente di tutto ciò. Lei era una cosa nuova che a quanto pareva non lo faceva brillare. Non era Quidditch- non c’entravano niente il talento per il volo e  i quattro giorni di allenamento alla settimana- era una cosa, l’unica cosa, in cui lui non era per niente bravo; una cosa che lo rendeva imperfetto e James aveva appena scoperto che odiava sentirsi così.
«Una lista... una lista delle cose da fare per non rimbecillirmi o magari un incantesimo di memoria. Cancellami la memoria, Sirius»
«James»
«Non vedi come sono ridotto!? E se non si vede te lo sto dicendo io: sento che mi sto rimbecillendo, Sirius. O mi cancelli la memoria di oggi o facciamo la lista. Mi serve»
«Ti serve un altro cervello, fratello»
«Funzionerà, Felpato!»
«No che non funzionerà»
«Da dove cominciamo? Dal punto uno? Mi sembra logico»
«James, questa volta sarai tu ad avere un occhio nero se continui con queste idiozie»
«Quindi qual è il punto uno?» chiese impassibile James in un sorriso falsamente rilassato come se non avesse sentito niente di quello appena detto da Sirius.

Non aveva assolutamente niente sotto controllo e quella lista gli serviva eccome, la desiderava come si desidera un salvagente in alto mare.
«I punti sono solo tre» cominciò Sirius. «Punto uno: calmati. Punto due: ci penso io a non farti rimbecillire. Non vado da nessuna parte, Ramoso. Punto tre: non ho intenzione di passare la vita a cancellarti la memoria ogni giorno visto che non potrai fare a meno di innamorarti di Evans, James. Fattene una ragione».
James si lasciò cadere al suo fianco, sedendosi sulla vasca. Era innamorato di Evans e non ci poteva fare niente, si sentiva uno schifo e non ci poteva fare niente.

«Mi spiegate cosa ci fate chiusi in bagno?» sbottò Remus avvicinandosi alla porta del bagno.

«Io devo fare pipì da un quarto d’ora, ragazzi» aggiunse Peter dondolandosi sui talloni per cercare di trattenere il suo bisogno urgente.
«E hai una ronda da fare, James, sei già in ritardo» continuò Remus, impaziente.
«La ronda! Sì, certo» commentò ironicamente James alzandosi dalla vasca per avvicinarsi alla porta chiusa. «Un tempo ce la spassavamo nei corridoi e nel Parco! Adesso ‘ho un ronda’, pazzesco!»
«Stai bene, Ramoso?» affermò Remus stranito. «È da un mese e mezzo che pattugli i corridoi la sera e ti accorgi di questa cosa solo adesso? E cos’è questo tono? Quello arrabbiato dovrei essere io visto che stamattina ho comprato tre burrobirre per i miei ‘amici’ che ho visto soltanto nella strada di ritorno per il castello»
«Non volevamo disturbarti!» ripetè per la millesima volta Peter in tono colpevole.
«Già, sarebbe stato un peccato sciupare un appuntamento così romantico» aggiunse Sirius sapendo benissimo quanto desse fastidio a Remus. Lui infatti scoccò un’occhiata ammonitrice al legno che li separava. «Non era un appuntamento! Tanto meno romantico! Non siamo una coppia, intesi? Non voglio più ripeterlo» spiegò con decisione per poi rivolgersi di nuovo a James.

«James, esci da lì e vai a fare il Caposcuola»
«Vai pure tu al posto mio, Remus. Il distintivo da Caposcuola doveva andare a te, lo sanno tutti. Buon lavoro!»
«...»
«James, mi stai facendo preoccupare» bofonchiò Peter guardando Remus con apprensione.
James si allontanò di nuovo dalla porta, risedendosi sul bordo della vasca vicino a Sirius. «Dormi, Pete, così non ci penserai» gli disse semplicemente, sollevando il tono di voce per farsi sentire bene.

«Non posso! Devo fare pipì!» squittì lui, disperato.
Remus rimase a fissare con sopracciglia aggrottate il legno scuro. James aveva davvero intenzione di stare lì dentro?
«Sei rigido da quando siamo tornati da Hogsmeade» cominciò, facendo il resoconto della giornata per capirci qualcosa. «A cena non riuscivi nemmeno a sollevare il calice. Non hai mangiato niente a parte una polpetta. Se stai male basta andare da Madama Chips»
«Dillo, James» esordì Sirius in tono asciutto.
«Cosa deve dire?» chiese Peter curioso.
«Niente» sbottò James guardando di traverso quello che un tempo era suo fratello.
«Cos’è successo stamattina?» domandò Remus indagatore.
Un silenzio di tomba precedette il cigolio della porta del bagno che si aprì, facendo apparire un James arreso.
«Sono innamorato di Lily Evans. Sopprimetemi, per favore».

Sia Remus che Peter restarono per un attimo storditi. E contemporaneamente al sorriso smagliante di Peter, Remus aprì bocca.
«Come scusa, James?»
«Hai capito benissimo, Remus. Non c’è bisogno che lo ripeta. É abbastanza imbarazzante così»
«Sì, ma, voglio dire... è una cosa importante. Ne sei davvero sicuro?»
«Ma certo che è sicuro!» esclamò Peter saltando addosso a James che barcollò sotto il suo peso non indifferente. «Era ora! Con Rem e Sirius ci chiedevamo quando l’avresti tirato fuori!»
«Parlavate alle mie spalle di questo argomento?» sbottò con oltraggio James, scoccando occhiate torve a Remus che scosse le spalle.
«Dopo averci fatto fare i salti mortali per seguire Evans e il suo principe ‘blu-bronzo’ da Madama Pièdiburro, l’anno scorso, mi sembra il minimo» disse, scrutandolo per bene. Era evidente quanto fosse frastornato.
«La situazione stava degenerando» spiegò Sirius osservandosi distrattamente allo specchio del bagno prima di raggiungere il suo baule. «Dovevamo per forza parlarne o uno di noi avrebbe minacciato di farti cadere dalla Guferia se non avessi ammesso di essere stracotto»
«Non esageriamo con i termini, Sirius. Stracotto lo dici a Lunastorta quando guarda Macdonald» lo bloccò James, zittito a sua volta da Remus.

«Piantala»
«OK, VA BENE. Sono stracotto anch’io. Ma avreste dovuto farlo!»

«James...»
«Dovevate dirmelo!»
«Ah, pensavo stessi dicendo che dovevamo buttarti giù dalla Guferia»
«Dovevate fare anche quello, Pete! Prima dirmelo e poi buttarmi giù!»
«Io te l’ho detto. Non so se ti dice qualcosa ‘occhio nero’»
«Ecco! E l’avevo ammesso!? NO! Quindi avreste dovuto buttarmi giù come avevate detto!»
«Non credi di stare esagerando, James?»
«No, Pete».
Non stava affatto esagerando. Almeno, James la vedeva così.
Era innamorato, d’accordo. Lily Evans gli aveva fatto capire che non ci sarebbe stato niente migliore di lei, nessuna avrebbe potuto riempire il vuoto che si era appena creato appena quel sorriso si era spento, quel sorriso che avrebbe voluto vedere sempre di fronte a sè. Ma tutto questo cosa significava? Evans rimaneva sempre Evans’ e lui ‘Potter’, con la differenza che quella sensazione che prima gli aveva sempre dato solo fastidio adesso faceva estremamente male ed era quasi impossibile da camuffare con una risata.
Quell’Evans avrebbe dovuto diventare Lily e quel Potter James, ma non c’era modo per compiere un miracolo simile.
«Dovrai dirlo a Lily, prima o poi»
«Nemmeno con un litro di Veritaserum, Remus. E se vi azzarderete a farlo voi giuro che vi appenderò in Sala Grande al posto degli stendardi deiSerpeverde»
«James...»
«Remus».

Remus sbuffò, lasciando cadere le braccia sui fianchi. Quando James si metteva in testa una cosa era impossibile fargli cambiare idea.
«E che cosa farai allora?» gli chiese con infinita pazienza. Come si aspettava, James taque.
«Vi ricordate chi è che aveva le fossette sul fondo schiena?» spezzò il silenzio Sirius con tono tranquillo. «Susan Wilson o Jane Phillips?» Le occhiate torve dei tre gli fecero sollevare le mani in segno di resa. Doveva assolutamente ricordarsi chi delle due aveva quelle maledette fossette, aveva decisamente bisogno di scambiarle con quelle di Olivia che continuavano ad apparigli in testa.
Il silenzio tornò sovrano nella stanza perchè James continuò a non aprire bocca, almeno fino ad un quarto d’ora dopo quando scese al primo piano e vide Lily parlare con il professor Lumacorno e Gazza davanti all'aula degli insegnanti.
«Sono innamorato di Lily Evans» mormorò più sicuro che mai, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei.
Perchè non si poteva più negare; perchè quel sorriso adesso rivolto a Mary l’avrebbe voluto vedere di nuovo davanti a sè; perchè John Owen non doveva più permettersi di dire di essere innamorato di lei; perchè riusciva ancora a vedere una punta di tristezza in quegli occhi verdi apparentemente sorridenti; perchè sarebbe rimasto innamorato anche se Lily avesse avuto l'aspetto di Mocciosus in versione donna.
«Potter!» esordì con tono deciso Lily avvicinandosi a lui. Il professore era andato via e Gazza stava scendendo al piano di sotto, James se ne rese conto soltanto in quel momento.
James ebbe l’impulso di fare un passo indietro e contemporaneamente di darsi un pugno in pieno naso mentre Lily cominciòm a camminare nella sua direzione. Era Evans quella sempre più vicina, non Lily. Evans. Quei capelli rossi avevano sempre avuto quelle sfumature scure e morbide che facevano risaltare al meglio quegli occhi verdi e luminosi. Non c’era bisogno quindi di sentirsi così stupidamente confusi da quei colori brillanti e da quelle dolci e lentigginose linee del viso.
La lista per non rimbecillirsi serviva eccome. Sirius non poteva rimpiazzarla. A proposito, si chiese con sfida e stizza, dov’è Sirius?
“Imbecille”. Il sussurro familiare proveniente dalla tasca lo fece sorridere. Con Sirius era sempre questione di tempo, mai di assenza.
«Potter?» lo richiamò Lily, ormai davanti a lui. «Mi hai sentito?» La faccia da scemo di Potter era più evidente del solito, notò con una certa curiosità.
«NoEvans» sbottò lui, astioso. «Qualsiasi cosa tu abbia detto, la mia risposta è no». Evans non poteva decidere per lui, Evans aveva già scombussolato tutto.
Non si passò la mano tra i capelli, non sarebbe servito a niente, si sentiva già in disordine, fastidiosamente in disordine davanti a Lily che lo guardò storto.

«Ah è così, Potter?» ribattè lei. «Quindi non verrai con me nei sotterranei? Metà dei Prefetti Serpeverde ha segnalato una rissa nella loro Sala Comune e mi serviva un aiuto ma, visto che la tua risposta alle mie domande sarà sempre ’no’... va benissimo così, lavorerò di più ma almeno starò in pace».
Sirius, nello specchio al buio del mantello. James, improvvisamente pallido, seguì con i due occhi spalancati Lily camminare a passo di marcia verso le scale per i sotterranei. Era decisamente fuso.
“Cacca di Troll”. La voce di Sirius fuoriuscì dalla tasca di James, puntuale. «Scusami, Jane, non fare caso allo specchio e nemmeno alle frasi che ogni tanto dirò. Ma, tornando a noi... stavamo dicend...». Non riuscì a terminare la frase perchè la sedia della Sala Comune su cui si stava elegantemente dondolando- di fronte ad una Jane Phillips radiosa- cedette, facendolo cascare schiena a terra.
Sapeva che non era di certo colpa della sedia. Non aveva ceduto, la sedia era integra al contrario della sua schiena. 
Qualcuno aveva messo lo zampino tra le gambe di legno. 
Il mezzo sorriso sul viso di Liv glielo stava dicendo chiaro e tondo.
«É pericoloso dondolare in quel modo, Black. Non lo sapevi?» esordì lei guardandolo con soddisfazione dall’alto verso il basso. 
Sollevò gli occhi scuri dal sorriso di Sirius per portarli sul viso iroso di Jane. «Continuate pure, il mio era soltanto un...»
Anche la frase di Liv si bloccò a metà perchè l’incantesimo delle Pastoie che Sirius lanciò alle sue gambe la fece cadere a terra come un sacco di patate.
Tutt'e due con i visi alla stessa altezza dal vecchio tappeto rosso e oro si sfidarono ancora una volta con uno sguardo che ormai entrambi conoscevano benissimo e che innescava ogni volta un'intensa tensione tra i loro corpi impossibile da fermare o anche soltanto capire. Sconvolgeva, rapiva, attirava, accendeva.
 
 
 
 
 

 

***

 
18 Ottobre 
 
 
 

«Quindi dopo cena devi andare da Remus, Mary?» chiese Lily mollando la borsa sul letto prima di andare dritta in bagno ad osservare quanti capelli la Tentacula Velenosa a lezione di Erbologia le aveva lasciato integri.
«Sì» esclamò Mary, solare. «Devo restituirgli il libro e prestargli il mio, sono sicura che lo troverà interessante»
«Io sono sicura che troverà interessante la situazione, Mary» affermò ridente Liv buttando a terra la tracolla e afferrando la sua scopa dall’angolo.
Mary le fece il verso, lanciandole una cartaccia di Cioccorana. «Smettila, lui non è malizioso. Siamo solo amici» bofonchiò con la bocca piena di cioccolato.
E di sicuro per lui era così, si disse. Amici. E lei non aveva nessuna intenzione di illudersi un'altra volta anche se forse sarebbe stato meglio se avessero continuato a non parlarsi, dato che ogni volta che Remus le sorrideva a lei sembrava di cascare dalle nuvole.
«Visto che andrai in quel letamaio, potresti fare una cosa per me?» chiese Liv legandosi i capelli in una coda alta.
Mary sospirò guardandola di sottecchi. «Cosa?» chiese arresa. 
Liv sorrise afferrando un piccolo pacchetto dal comodino. «Potresti scambiare il sapone nel loro bagno con questa?» domandò tranquillamente, lanciandoglielo al volo.
«Liv» fece Lily sbucando dalla porta del bagno con un mazzetto di capelli rossi in mano.
«É un'innocua saponetta alle uova di rana!» si giustificò lei caricandosi la scopa in spalla. «Ci vediamo a cena» le salutò prima di sparire dietro la porta.
«Sempre se Potter non ti ridurrà uno straccio come sabato scorso!» le gridò dietro Mary affacciandosi in corridoio.
Per fortuna aveva smesso di piovere ed era uscito il sole. L’erba sul pendio per raggiungere il campo da Quidditch, dorata dalla luce del pomeriggio, era bagnata e scivolosa dal fango e dalle foglie secche sparse. 
Più volte Liv temette di arrivare agli spogliatoi con una lunghissima scivolata, specialmente quando Sirius le arrivò alle spalle, facendola stupidamente spaventare.
«Razza di cretino»
«Sei in ritardo oggi»
«Se per questo anche tu. Come mai non sei mano nella mano con Potter?»
«Avevo delle questioni urgenti da sbrigare».
Liv sollevò un sopracciglio nero con fare scettico. 
«Questioni urgenti da sbrigare? Nemmeno fossi un impiegato del Ministero»

«Trappole da mettere qua e là, Olivia. Ragazze da tenere a bada, le solite cose» continuò lui infilando le mani in tasca con un sorrisino furbo che Liv avrebbe volentieri preso a schiaffi.
«Ti capisco benissimo» replicò invece, sistemandosi la scopa in spalla e riprendendo a camminare con Sirius al fianco. «Anche io ho tardato per delle trappole» fece lei. Sirius la guardò di sottecchi, soffermandosi un po' troppo sul marrone caldo acceso e schiarito dal sole dei suoi occhi, la pupilla nera piuttosto ampia.
Liv allargò il sorriso. Subito dopo Erbologia era corsa nelle cucine per consegnare a Blinky due dolcetti Singhiozzini spiegandole che avrebbe dovuto offrirli a Black nel caso in cui lui sarebbe andato a cercare cibo.
Sirius rise portando lo sguardo fiero davanti a sè anche se il rosso sole delle cinque lo stava praticamente accecando. 
«Allora in giro ci sono così tante trappole che potresti benissimo cascare in una delle tue»
«Non sono così deficiente, Black»
«MCADAMS SEI UNA DEFICIENTE!»
James, rosso d’ira, la stava aspettando a braccia conserte davanti alla porta degli spogliatoi.
«Sono in ritardo di un minuto, Potter»
«IN UN MINUTO STEVENS...»
«NON FA UN BEL NIENTE! IN UN MINUTO NON FA UN BEL NIENTE!»
Liv non lo sopportava più. Ad ogni allenamento la parola che più sentiva era ‘Stevens’. Era così informata su Ned che quasi sapeva anche per quanto tempo si spazzolava i denti la mattina. James le aveva fatto memorizzare così tante informazioni su di lui da farla andare in tilt. 
Sapeva come volava, il suo modo di schivare i bolidi e di adocchiare il boccino. Ogni mossa che il Tassorosso utilizzava in campo lei la conosceva, ma quello che non faceva entusiasmare il Capitano era che Liv, nonostante tutto questo, non era pronta. Perchè un conto era conoscere le tattiche del nemico ed un altro saperle mettere in pratica. 
Quelle di Stevens erano davvero fuori dalla portata di Liv.
Regulus Black era stato davvero maledettamente subdolo anche se James era convinto al cento per cento che quella brillante idea di ritirare i Serpeverde dal primo turno fosse stata tutta di Piton.
«Sbrigati» ordinò James spingendola dentro lo spogliatoio dove gli altri giocatori aspettavano con dei leggeri sorrisi dipinti in volto. 
Liv li guardò uno ad uno cercando di capire il perchè di quell’aria rilassata ma nessuno fiatò.
Di solito l’unica cosa che si poteva respirare in quella stanzetta era semplice e pura ansia data da uno dei soliti discorsetti di Potter. In quel momento, invece, sembrava di essere ad una festicciola. 
Di sicuro a nessuno era capitato quello che qualche istante dopo, quando si infilò i guanti, le accartocciò il viso in un’espressione schifata.
«LETAME NEI GUANTI!?» gridò facendo voltare tutti quanti.
Sirius rise di cuore tra Michael, già con il casco in testa, e Morgan.
«E allora, McAdams?» sbottò James sollevando con sorprendente facilità la cassa con pluffa e bolidi. «La mano della squadra è esattamente in questa situazione... nella merda. Noi siamo così».
Liv restò basita, ignorando l’occhiolino sardonico di Sirius.
«Ma possiamo farcela anche se alla partita manca poco» continuò in un enorme sorriso. «Con il Quidditch tutto è possibile. Non siamo irrecuperabili. Esiste una soluzione: allenarci. Carter, ti ho preparato degli esercizi mirati per oggi! Tutti in campo, forza!»
Liv continuò a rimanere immobile sul posto, seguendo con gli occhi sbarrati James mentre usciva baldanzoso dagli spogliatoi.
«Ok, è strano» esordì Morgan afferrando la sua scopa da terra «ma ci va bene così, no?»
Carter annuì immediatamente, serrando le dita non più tremanti sulla mazza da battitore.

«Che nessuno gli chieda cosa gli è preso, per favore! Deve restare così almeno fino alla partita» bofonchiò prima di uscire dagli spogliatoi insieme ad un ridente Michael, più energico che mai. 
«Oggi parerò tutto, me lo sento!»
«Secondo me è una cosa passeggera» affermò Harrison, serio. «Non è mai stato così prima di una partita»
«Passeggera in che senso? Rimarrà così almeno per tutti gli allenamenti di oggi?» chiese Daisy con le guance in fiamme per via di Sirius che, al suo fianco, la fissava annuendo con decisione.
«Rimarrà così per tutti gli allenamenti di oggi, Smith, ne sono certo. Ma non credo che sarà un bene» le disse facendola arrossire ulteriormente.
La prima frase che passò per la mente di Liv fu ‘E tu che ne sai?’ che però non arrivò alle labbra perchè quello era Sirius Black, un’estensione fisica e mentale di Potter, era ovvio sapesse.
Sirius sapeva davvero quanto James avesse bisogno di sentirsi perfetto e capace, e sapeva anche che per sentirsi in quel modo si sarebbe concentrato soltanto su se stesso e non sull’intera squadra. 
James gli lanciò un’occhiata fugace prima di sollevarsi da terra e balzare in aria con una spinta.
La Pluffa sottobraccio era tangibile, reale, solida. James ce l’aveva stretta al fianco, pesava e aveva una forma precisa. Non era soltanto un pensiero che compariva su un poster di una motocicletta per poi scomparire qualche istante dopo.
Era sua anche se il vento, la velocità della scopa e le mani di Morgan e Daisy cercavano di rubargliela. Rimaneva sua fino agli anelli che attraversava senza alcun problema. 
Ne aveva abbastanza delle cose che lo facevano apparire ridicolo e sbagliato. Almeno dentro quel campo tutto doveva andare come lui voleva, o meglio, come andava sempre: alla perfezione. 
Tutto era sotto controllo, e lo era per davvero. 
Superare Daisy con il vento tra i capelli e fare un giro della morte sopra Morgan era così semplice. Era quella la sensazione giusta e James la respirò tutta insieme all’aria fredda di Ottobre.
Lui era capace, forte e sicuro, lo era e non c’erano più gli stupidi dubbi.
Le sei pluffe sfiorarono testa, braccia e gambe di Michael c’entrando gli anelli senza intoppi, errori o indecisioni. Tutto sotto controllo, come la scia dorata che schizzò vicino al suo orecchio e che fermò all’istante dopo qualche secondo. Sarebbero andati alla grande! La partita era praticamente vinta.

«Potter?»
«McAdams segui il boccino in silenzio!»
«L’hai appena preso tu»
«Ah».
Lasciò andare la piccola pallina alata e Liv sfrecciò al suo inseguimento nello stesso istante in cui lui partì in picchiata, di nuovo diretto verso i suoi anelli, senza nemmeno far caso alla squadra.
«MI VUOI MORTA, CARTER!?» stava gridando Daisy sbracciandosi dalla scopa in direzione del battitore che sventolava la mazza, scusandosi in tutte le lingue del mondo.
«Non l’ha fatto apposta, Daisy!»
«Sta’zitto Harrison! Dovresti tenerlo d’occhio! Se ci spezziamo un braccio adesso siamo fottuti!»
«Già! Io devo parare Pluffe non Bolidi! Qui ci sono più bolidi che altro!»
«Le pluffe però ti arrivano, Michael! Eppure non ne stai parando nemmeno una, o sbaglio?»
Michael avrebbe voluto ribattere a tono, sfidando il cacciatore a prendere il suo posto ma rimase zitto, cercando di concentrarsi per prendere l’ennesima pluffa di James. 
Non ci riuscì. Parare le pluffe di James era come afferrare boccini, più che palle tonde erano scie rosse quelle che ogni volta si vedeva accanto.
«Forse perchè le pluffe che mi arrivano non sono le tue, Morgan?! Quelle le prenderei tutte come niente!» gridò con rabbia e frustrazione sistemandosi il casco sulla testa mentre il Capitano, con la pluffa di nuovo in mano dopo averla rubata senza nessuno sforzo ad una Daisy allibita, tornava all’azione volando con la sua solita naturale bravura dimenticandosi che a parte lui c’erano altri cacciatori a cui passare la pluffa.
«VINCEREMO! TRANQUILLI! STATE ANDANDO ALLA GRANDE! HO TUTTO SOTTO CONTROLLO, RAGAZZI!» esultò James subito dopo aver fatto il trentesimo goal.
«ALLA GRANDE UN CORNO!» gridò Liv appesa a testa in giù sulla scopa per schivare un bolide di Carter mentre il piccolo boccino brillava ormai a metri di distanza da lei.
«MCADAMS, BASTA CON LE POLEMICHE! RIMETTITI DRITTA E PRENDI QUEL DANNATO BOCCINO!»
«POLEMICHE? L’UNICO CHE HA TUTTO SOTTO CONTROLLO SEI TU!»
James sorrise, fiero. Sì, aveva tutto sotto controllo ed era così che doveva andare, era quella la sensazione che James Potter doveva sentire, sempre.
«Rincitrullito!» lo richiamò Sirius stiracchiandosi sull’erba illuminata dal sole.
Lui l’aveva detto che il nuovo umore di Ramoso non sarebbe stato un bene per la squadra.
 
 
 
 

 

 

*

 
 
 
 



«É proprio questo che dicevo, Mary!»
«Io ce l’ho da parecchio tempo. Me l’aveva regalato mia nonna per il mio...»
«Sì, bravi e belli piccioncini... Remus, hai visto i miei calzini fortunati?»
Remus guardò allibito Sirius che si era intromesso tra lui e Mary sollevando con poca accortezza le pile di libri sparsi sul letto del prefetto.
«Di certo non sono qui, Sirius, ti pare?» gli disse cercando di fargli capire di piantarla di fare lo scemo ma Sirius continuò a frugare tra le coperte, ignorando lo sguardo perplesso di Mary.
«Mi servono, adesso. Se permetti mi devo fare una doccia prima di vedere una ragazza, Remus, ti pare?» ribattè Sirius allontanandosi dal baldacchino per inchinarsi e cercare anche sotto al comodino.
Sentendo la parola ‘doccia’, Mary si ricordò del sapone alle uova di rana di Liv.
«Posso andare un attimo in bagno?» chiese, incerta, sperando con tutta se stessa di non risultare stramba.
«Certo, vai pure»

«No»
Mary rimase bloccata mentre Remus fulminava con uno sguardo severo Sirius.
«Perchè dovrebbe entrare? Va nel suo, no? Non è così lontano»
«Vai pure, Mary, lascialo perdere. Mi dispiace per il disordine»
«Devo lavarmi io!»
«Non stavi cercando i tuoi calzini fortunati, tu?»
«Stai cercando i calzini fortunati, Felpato?» esordì James entrando nella stanza insieme a Peter proprio quando Mary sparì dentro al bagno. «Susan o Jane?» chiese con la faccia di chi la sapeva lunga.
«La prima delle due che troverò» rispose Sirius ammiccandogli. Non era colpa sua se non si ricordava chi delle due aveva quelle fossette, doveva per forza scoprirlo a tutti i costi.
«Fai schifo, Felpato» commentò Remus cominciando a sfogliare il libro di Mary.
«Chiedilo a loro se faccio schifo, Lunastorta» ghignò lui contagiando anche James.
Peter si lanciò sul suo letto, afferrando al volo una rivista di Quidditch. «Non tornare tardi, c’è da sistemare la map...»
«C’è da finire il tema di Lumacorno, Peter» lo bloccò velocemente Remus per sviare l’argomento ‘Mappa’ o Mary, in bagno, avrebbe sentito chiaramente tutto.
«Sarò qui in un batter d’occhio, farò veloce»
«Sempre più schifo» commentò sconcertato Remus.
 
 
 


 

*

 
 

«Potter è strano» fece Liv sedendosi sul baldacchino di Lily.
«E lo scopri adesso, Liv?» disse lei dal bagno sfilandosi la matita dallo spettinato chignon che si era fatta per la doccia.
«Agli allenamenti stava praticamente giocando da solo dicendo che niente sarebbe andato storto» continuò Liv.
«Mi sembra un suo normalissimo comportamento, che c’è di strano?»
«Con il Quidditch non è mai stato egoista, Lily. ‘La squadra prima di tutto’».
Lily fece spallucce, continuando a non vederci niente di strano. Potter voleva essere il migliore, tipico.
«La prossima volta mi porto la bacchetta in campo»
«Liv» la redaurgì in tono ammonitore Lily uscendo dal bagno.
«Non può continuare così! Sembriamo un branco di Knarl su delle scope e non una squadra come si deve!» obiettò lei prima di essere sovrastata dalla risata contagiosa di Mary che rimbombò prima in corridoio e poi dentro la stanza dove Liv e Lily guardarono l’amica ridere più forte, lanciandosi sul primo letto che trovò.
«Dovevate vedere Black! Dovevate vederlo! Quella saponetta è uno schifo! Era pieno! Il bagno... i capelli... quelle uova rotolavano da sotto la porta!»
Liv ghignò, orgogliosa, ripensando al letame di drago trovato nei guanti ore prima. 
«Era furioso?» chiese speranzosa. 
Mary annuì, asciugandosi gli occhi. «Una belva! Doveva farsi la doccia per vedersi con una ragazza... credo che tarderà un pochino all’appuntamento!» rispose con ancora la risata sulle labbra.
Meglio cosìsi ritrovò a pensare Liv- Meglio così, se lo merita. Si merita tutto. 
«Comunque prima mi sono dimenticata di dirvelo» fece Mary, colta da un'illuminazione. «A Cura delle Creature Magiche è successa una cosa strana»
«Il professor Kettleburn ha di nuovo perso la gamba?» chiese Lily sollevando lo sguardo dal suo libro di Incantesimi. 
Mary scosse la testa. «No, dopo l’incidente dell’anno scorso se la tiene stretta. Intendevo, una cosa strana con Stevens»
«Ned?»
«C’è solo lui che si chiama Stevens al corso di Kettleburn, Lily»
«No, c’è anche Deanne di Serpeverde»
«Oh, è vero...»
«Ok, però dicci cosa ha fatto Ned» le interruppe Liv, curiosa, e Mary sembrò spendere guardandola lucidare distrattamente la sua scopa.
«Ehi, vedo che ti interessa» ridacchiò, maliziosa.
«É il mio giocatore avversario, Mary, se uno di quei mostri che studiate gli ha mangiato la mano destra vorrei saperlo»
«Sicura non sia perchè ti piace? Perchè se così fosse lui ne sarebbe felice, credo»
«Come, come?» s’inserì Lily, divertita.
«Prima di iniziare la lezione mi ha chiesto se ti vedi con Black, Liv» rivelò Mary scrutando l’amica con attenzione. 
Liv s’irrigidì, fermando la pulizia della sua scopa.
«Che cosa?» chiese sorpresa.
 «Tutti stanno dicendo che ad Hogsmeade eri con Black» spiegò Mary, e Liv si gonfiò di indignazione.
«Ma non avevamo un appuntamento! Questa scuola è pazzesca!»
«Quindi a Ned interessava sapere la verità?» riprese Lily con un sorrisino furbo. Mary rise, confermando senza indugi.
«Vedessi com’era attento mentre gli dicevo: No, Liv non sta uscendo con Black... è liberissima e in cerca di qualcuno”»
«Merlino, Mary...» sospirò Liv mollando la scopa sul letto.

«Cosa? Non è così? O forse c’è qualcosa con Black che non ci hai ancora detto?» continuò Mary fissandola con insistenza.
«Non c’è niente con Black» mise in chiaro svuotando la tracolla per cercare il libro di Trasfigurazione che non trovò.
«Allora è vero che sei libera e quindi Ned Stevens ha sorriso in modo smagliante per una verità e non una bugia!» esclamò Mary facendo ridere di gusto Lily.
«Vado a recuperare il mio libro di Trasfigurazione giù in Sala Comune, è meglio» annunciò Liv attraversando la stanza con grandi falcate decise.
«Liv, sarebbe più opportuno aspettare che ti chieda di uscire prima di catapultarti da lui in piena notte!» le consiglio ironicamente Lily rimettendosi a studiare con un sorriso sulle labbra.
«Lily Evans è un’idiota!» gridò lei dal corridoio.
La Sala Comune era vuota, o almeno così sembrava. Liv adocchiò il suo libro sulla poltrona che aveva occupato subito dopo cena. 
Fece per andare a prenderlo quando un singhiozzare soffocato spezzò il silenzio.
Il fuoco si stava spegnendo e la semioscurità non aiutava a capire chi fosse la ragazza disperata che piangeva in chissà quale poltrona o divanetto. 
«Tutto bene? Dove sei?» chiese Liv con voce pacata, guardandosi intorno.
Jane Phillips sbucò dalla poltrona rossa vicino alla finestra e Liv fece un passo indietro, improvvisamente decisa a prendersi il suo libro e tornare in camera.
«Cosa ci fai tu?» chiese scontrosa Jane tirando rumorosamente su con il naso.
«Il coprifuoco vale per i corridoi non per la Sala Comune, mi sembra. Potrei anche dormire qui se volessi» rispose Liv, altrettanto dura.
Stranamente, Jane non ribattè. Si asciugò il viso nel tentativo di darsi un contegno e spostò lo sguardo umido verso un arazzo. Sembrava distrutta, gli occhi chiari e le guance arrossate continuavano a bagnarsi di lacrime anche se lei tentava in tutti i modi di fermarle. Non aveva idea del perché quella ragazza la odiasse, ma non riuscì ad andarsene.
Liv afferrò il suo libro e restò lì impalata, non sapendo se voltarsi di nuovo verso la porta del dormitorio femminile o chiederle se avesse bisogno di aiuto. Non era affar suo scoprire cosa le fosse capitato di così tanto devastante, non erano decisamente in buoni rapporti e non le piaceva farsi gli affari degli altri, ma sembrava in difficoltà.
«A te non interessa o non lo sai?» sbottò Jane facendola sussultare per quel suo parlare all'improvviso. «Pensavo t’importasse di Black».
La frase ricca d'astio e il congome 'Black' facero prendere a Liv la decisione di darle le spalle per tornare in dormitorio. Aveva decisamente sbagliato, era la solita Jane.
«Avevo un appuntamento con Sirius, adesso» rivelò in tutta fretta Jane con una punta di fierezza che le raddrizzò la schiena. Liv si fermò alla base della scala, il manuale di Trasfigurazione stretto al petto dove il cuore cominciò a martellare, frenetico; qualcosa le disse che Jane voleva trattenerla lì, o forse non stare sola.
«Hai sempre criticato i Prefetti che escono in giro la notte» le ricordò con voce pacata e per niente severa, soltanto divertita. «E comunque a me non interessa del tuo appuntamento» continuò, per nulla sorpresa dall'informazione. Non era strano venire a sapere che Black ogni tanto aveva appuntamenti, anche se era da un bel po' che non si sentiva più qualcosa del genere.
«É chiaro che ti piace» soffiò Jane stringendosi nelle spalle. «Con quegli scherzi gli sei sempre attorno e ad Hogsmeade non eravate insieme?»
Liv rise, una risata bassa che si mischiò al battito del cuore. «Perchè non te ne vai da lui visto che vi dovete incontrare? Buonanotte»
«Quindi non ti piace?» la fermò di nuovo, Jane. 
Liv sospirò forte. «No. Non mi piacciono gli stronzi» rispose senza mentire. Mise il piede sul primo gradino e Jane parlò di nuovo, un sussurro quasi impercettibile.
«Stronzo, già» bofonchiò sistemandosi con nervoso le ciocche di capelli scuri attorno al viso smunto. 
Liv la guardò di sottecchi: Black doveva averle dato buca.
Per un secondo provò compassione per lei, quel rossore sulle guance e negli occhi le fece tornare in mente Daisy. E Violet, Jessica, Rose... Stronzo.
«Che cosa ti ha fatto?» sbottò con rabbia, senza nemmeno accorgersene. Le era venuta spontanea quella domanda, come se la stesse facendo non al Prefetto che la tormentava da un anno, ma ad una qualsiasi di quelle ragazze ‘fregate’. 
Jane la guardò di traverso, forse ponderando bene l’idea se rispondere in modo veritiero o no.
«Phillips» cominciò Liv, ammorbidendo il tono che si fece molto più complice con la ragazza. «Quegli scherzi li metto in atto soltanto per far pagare a Black tutte le cretinate che ha fatto in sei anni».
Jane sospirò, per nascondere un singhiozzo di pianto.
«E secondo me, prendere in giro le ragazze è una cretinata che va scontata come tutte le altre... se non di più. Quindi, dimmi dov’è quel bastardo» continuò Liv tornando tra le poltrone per posare il libro di Trasfigurazione sul tavolo più vicino. 
L’ultima parola prese alla sprovvista Jane che però si lasciò andare ad un piccolo sorriso.
«Dovevamo incontrarci nella Sala dei Trofei, ma a quanto pare ha dato appuntamento anche a Susan Wilson... quella Corvonero». 
Liv non le diede nemmeno il tempo di finire. Annuì per farle capire di aver afferrato la situazione e portandosi una mano nella grande tasca della felpa per controllare se aveva l’occorrente necessario, corse verso il ritratto. 
«Se mi togli punti dico a Lily che sei uscita dopo il coprifuoco» disse prima di attraversare il buco ed uscire in corridoio mormorando Desilludo’ con la bacchetta puntata su se stessa; rabbrividì alla familiare e fredda sensazione che le ruzzolò giù dai capelli fino ai piedi.
Adesso che ci pensava meglio, nascosta dietro un’armatura per evitare l'olfatto infallibile dell’odiosa MrsPurr, non aveva ancora punito Black per la questione ragazze.
Appena la gatta zampettò su per le scale, Liv uscì allo scoperto scendendole di corsa. 
Rimaledì per l’ennesima volta Godric Grifondoro per aver costruito il dormitorio al settimo piano e sperò di arrivare al terzo senza incrociare Gazza. L’incantesimo di Disillusione funzionava perfettamente soltanto se stava immobile, quel pazzo avrebbe di sicuro visto un'ombra tremolante se Liv gli fosse passata accanto correndo in quel modo.
Al sesto piano andò quasi a sbattere su Pix, al quinto intravide Gazza borbottare qualcosa in fondo al corridoio; corse così tanto sulle scale che la portarono al quarto piano chiedendosi se per caso lui non l’avesse sentita. Quando arrivò al terzo, il suo fiatone era l’unico suono che spezzava un pesante silenzio.
La porta della Sala dei Trofei era socchiusa giusto il tanto per poter guardarci dentro. Per la giustizia. Quella frase riuscì a non farla allontanare davanti alla scena che si ritrovò davanti.
Se Black e Susan non avessero avuto le labbra incollate e i corpi avvinghiati l’uno all’altro- per fortuna totalmente coperti-  si sarebbe potuto benissimo dire che stessero facendo un ottimo lavoro di pulizia a targhe e trofei del quale Gazza ne sarebbe stato molto orgoglioso. 
Sempre se non ne facevano cadere qualcuno, cosa non così improbabile visto che ad ogni bacio o ‘palpatina’ una coppa traballava sul suo piedistallo, colpita da un gomito di quella Corvonero o da una mano di Black che ogni tanto si allontanava dal fondo schiena coperto dalla gonna.
Liv afferrò una Pallottola Puzzola dalla tasca della felpa, non facendo nemmeno caso a stare attenta a non stringerla troppo. 
Lasciò scivolare la piccola pallina dallo stretto spiraglio della porta e la seguì con gli occhi bramosi di fervente spirito di vendetta mentre rotolava silenziosa come lei, fino ad urtare la scarpa di Sirius.
«Su... Susan?»
«Mh?»
«Cosa... cos’hai fat...?»
«Smettila di parlare, Sirius...ma che ti succede?»
Liv sorrise osservando la ragazza baciare il lungo collo di Black, Black con una faccia schifata e sconcertata che si staccò delicatamente Susan di dosso.
«Che hai fatto? Non senti questa puzza?» le chiese, stranito.
La ragazza spalancò gli occhi scuri, annusando l’aria.
«Io?! Io non ho fatto niente! Sei stato tu!»
«Non dire stupidaggini. Io non ho...» Sirius si bloccò a metà frase appena notò la Pallottola Puzzola vicino al suo piede.
«Cos’è?» chiese Susan seguendo il suo sguardo «Una biglia?»
Liv si allontanò da lì, non riuscendo più a trattenersi. Aveva anche sentito e visto troppo.
Senza spiegarsi come, le sue gambe la portarono alle scale che scendevano al piano terra e non a quelle che salivano al dormitorio. Quello che le ci voleva adesso era di sicuro una forte e confortante cioccolata calda, era il suo corpo che glielo stava chiedendo con urgenza e lei non poteva certo dirgli di no.

 

 

 

 


*

 

 

 

«Non è una biglia» fece Sirius con un piccolo sorriso incredulo a stirargli le labbra. Avrebbe scommesso dieci Galeoni che quella Pallottola Puzzola era di Olivia, la ragazza che non smetteva mai di stupirlo, divertirlo, attrarlo.
«Susan, devo proprio andare. ‘Notte» la salutò infilandosi una mano dentro alla tasca dove la Mappa se ne stava ben piegata. 
«Ma... Sirius! Non mi riaccompagni alla mia torre?» chiese sconvolta la ragazza cominciando a seguirlo fuori in corridoio. 
Sirius corrucciò l'intero viso in un'espressione frustrata. Ogni volta riportava le ragazze nei propri dormitori, era vero, ma in quel momento la cosa sembrava costargli parecchio. 
«Mi dispiace, Susan, non ho proprio tempo stavolta. La strada la sai, no?» le disse soltanto, ricominciando a camminare per svoltare l’angolo e poter tirare fuori la pergamena.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni» mormorò dando voce ai suoi pensieri e picchiettando con la punta della bacchetta la carta che subito si rivelò. 
Non ci volle tanto per trovare quel nome, Olivia McAdams’ stava entrando nelle Cucine tre piani sotto di lui. La voglia di raggiungerla era pressante tanto quella di baciarla, dopo quella Pallottola Puzzola.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16. Nella Buona e nella Cattiva Sorte ***





Capitolo 16
 

 

NELLA BUONA E NELLA CATTIVA SORTE

 

 
 



Solleticando la pera del quadro, Sirius sentì un piccolo urlo da dietro il muro: la trappola della tazza Mordinaso doveva essere scattata. 
Cominciò a ridere prima ancora di entrare nella grande stanza riscaldata dall’enorme camino e quando mise piede dentro la Cucina vide Liv seduta ad uno dei lunghi tavoli in legno con una tazza aggrappata al naso e una macchia di cioccolata sulla larga felpa grigia.
«Tu!» ringhiò furiosa con voce nasale. La risata di Sirius richiamò una dozzina di piccoli elfi domestici, compresa Blinky. 
«Io cosa?» fece lui, angelico, osservandole il naso arrossato appena liberato dai piccoli denti della tazza incantata. 
Liv lo fulminò con uno sguardo assassino prima di puntare il dito contro l’elfa che pensava essere sua alleata.
«Perchè l’hai fatto, Blinky!?» le chiese massaggiandosi il naso. 
L’elfa spalancò i grandissimi occhi azzurri torturandosi con le sottili mani la veste stracciata.
«Blinky ha solo eseguito gli ordini, signorina! Il signor Black aveva detto...»
«E ti ringrazio, Blinky! Sei stata bravissima» la lodò allegramente lui lasciandosi cadere sulla panca dall'altro lato del tavolo, di fronte a Liv.
L’elfa, però, continuò ad osservare con aria colpevole la ragazza che nonostante tutto le sorrise, facendole un veloce occhiolino. Blinky sorrise a sua volta, raddrizzandosi in direzione di Sirius.
«Blinky, signore, può portare un vassoio di dolci se lei lo vuole» esclamò, già pronta ad andare a prenderlo.
«Perchè no? Va bene. Mai rifiutare i dolci» acconsentì gioviale lui tamburellando sul tavolo con le magre e lunghe dita. «E con la cioccolata ci stanno benissimo. Vero, Olivia?» aggiunse, beffardo, rivolgendosi a Liv che finse ostilità trattenendo il sorriso furbo sotto al naso rosso. Ci stanno alla perfezione, Black, specialmente quelli Singhiozzini. Ci stanno alla perfezione con Gazza, Mrs Purr e Pix nei corridoi silenziosi, la notte.
Blinky, con i due grandi occhi luccicanti, ci mise davvero pochissimo a portare un vassoio colmo di gustosi e soffici dolci.
La cioccolata era sulla felpa, eppure la piacevole sensazione che Liv si sentiva addosso era la stessa di quando quella dolce bevanda le finiva dritta nello stomaco. 
Black, con evidenti segni violacei sul collo che doveva avergli lasciato Susan come souvenir, stava spiluccando un pasticcino davanti a lei, ignaro del dolce pericolo che l'attendeva.

«Prima, Olivia, hai disturbato uno splendido momento» farfugliò Sirius con due bignè a riempirgli la bocca.
«Era quella la mia intenzione, Black» lo informò lei rigirandosi la tazza Mordinaso tra le dita.
Quanto ci metteva a scegliere i dolci Singhiozzin? Che li avesse riconosciuti?
Prima che potesse allungare una mano per afferrare un innocente muffin in modo tale da lasciare a Sirius quelli incantati, lui parlò di nuovo.
«Le ragazze con cui esco non dovrebbero essere vittime della nostra guerra di scherzi. Susan era distrutta» spiegò distrattamente spolverandosi le mani sporche di zucchero a velo.
«Anche Jane lo era, in Sala Comune» sbottò Liv portando lo sguardo sul suo viso disteso ed insolente. Sogghignavail lurido cretino. 
«Ecco perchè sei venuta a disturbare. Volevi vendicarla? Ma non è la stessa che ti tormenta da un anno?»
«Volevo vendicare tutte, Black»
«Tutte?»
«Tutte» 
«Gesto molto nobile da parte tua» commentò sarcasticamente lui afferrando finalmente un dolce Singhiozzino con grande sollievo di Liv che sorrise seguendo con sguardo avido il pasticcino infilarsi in bocca a Sirius. 
In un attimo la Cucina si riempì di sonori singhiozzi che fermavano un Sirius totalmente sconvolto e stupito ogni volta che apriva le labbra per parlare.
«Tutto bene, Black?» infierì malignamente Liv osservandolo diventare paonazzo di rabbia, i pugni serrati con forza sul tavolo.
«Sei... una...»
«Lascia stare i complimenti. Piuttosto, pensa ad un modo per tornare in dormitorio senza farti sentire da Gazza. Buonanottelo salutò divertita Liv alzandosi altezzosamente dalla panca per raggiungere il quadro ed uscire con i lunghi capelli scuri ad ondeggiarle sulla schiena sotto gli ardenti occhi grigi.
«Sei proprio... un' ingenua... Olivia!» le urlò dietro Sirius faticando a tenere a bada il fastidiosissimo singhiozzo.
Tirò fuori la Mappa, controllò che Gazza e la sua gatta non fossero nei paraggi ed attraversò il ritratto della natura morta con l’intenzione di raggiungere la prima scorciatoia al secondo piano e una voglia inaudita di baciare quella ragazza che cominciava a farlo impazzire sul serio.
 
 




 

*

 
 
 



I passi leggeri di Lily sulla scala che scendeva in Sala Comune fecero sollevare la testa di Remus, seduto sul divano davanti al camino con libri e pergamene sparsi tra le mani e sulle gambe.
«Remus, hai visto Liv?» esordì Lily fermandosi sullo stipite della porta con aria preoccupata. L’amica mancava da un’ora ed era strano perchè era uscita dalla camera soltanto per prendere un libro.
«No» rispose tranquillamente Remus. La seguì con gli occhi mentre avanzava tra le poltrone in cerca di qualcosa.
«É scesa qui un’ora fa per prendere questo» spiegò la ragazza afferrando il libro di Trasfigurazione di Liv dal piccolo tavolo vicino. L’espressione sempre più angosciata sul suo viso mise in allerta Remus che mollò la piuma tra i cuscini.

«Sarà andata nelle Cucine» provò a rassicurarla.

«Sai che Liv va in cucina?» sbottò lei spalancando gli occhi verdi. Remus si irrigidì, ripescando la piuma per rimettersi a scrivere frettolosamente.

«Be', ci vanno tutti, no?» bofonchiò dandosi dello stupido sottovoce.
Lily sbuffò, troppo presa a pensare all’amica per accorgersi del rossore sulle guance del ragazzo. «Non ci vanno tutti. Forse i Tassorosso che sono a due passi. Comunque, non aveva nessun motivo per andare lì»

«Non c’è bisogno di preoccuparsi così tanto, Lily. Vedrai che sarà qui a momenti» continuò a tranquillizzarla Remus, sussultando leggermente quando sentì il divano sprofondare al suo fianco. Lily si era seduta accanto a lui, silenziosa e pacata.

«Come mai studi qui a quest’ora?» gli chiese dopo aver scrutato il tema di Trasfigurazione sul quale Remus era concentrato.

«James e Peter stavano discutendo per una cosa stupida, in camera, mi serviva un po’ di silenzio» le rispose intingendo la piuma nel calamaio.
 

“Chiedile di uscire, Remus!”
“Sta’ zitto, Pete. Non vedi che sto studiando? Dovresti farlo anche tu. Ti sei dimenticato che anche questo fine mese avremo un compito in classe?”
“Sei un fifone, mio caro”
“Guarda da che pulpito, James. Perchè non ti dichiari in modo serio e responsbile a Lily?”
“Macdonald potrebbe farsi avanti, comunque...”
“Non cambiare discorso per salvare James, Peter” 
“L’ha rifiutata due volte, Codaliscia, ovvio che lei non si fa avanti. Spetta al nostro Lunastorta fare il primo passo, ormai”
“Ma a Remus serve una tipa che prenda l’iniziativa! Una che lo assilli senza vergogna per convincerlo e che non molli la presa!”
“Oh... sai che hai ragione, Pete?”
“Ok, state degenerando. Me ne vado in Sala Comune”
 
Sì, la cosa che aveva fatto discutere i suoi due amici era stata decisamente stupida.
Lily sorrise, capendo benissimo il bisogno di Remus. Molte volte anche lei si isolava per trovare un attimo di pace e tranquillità.
Il silenzio che calò subito dopo mise in imbarazzo entrambi, se non ci fosse stato lo scoppiettare del fuoco e il soffiare del vento tra gli spazi degli infissi in pietra delle antiche finestre medievali, nessuno dei due avrebbe faticato a sentire i piccoli sospiri dell’altro.
Lily tamburellò con le dita sul bracciolo rosso del divano, osservando la Sala Comune deserta ed illuminata dalla calda luce delle candele nelle lampade. Più volte notò Remus sistemarsi con piccoli movimenti misurati sui cuscini al suo fianco, schiudendo le labbra come per parlare per poi serrarle subito dopo. Che volesse parlare del suo piccolo problema peloso? Lily ne sarebbe stata davvero felice, ma non voleva forzarlo in alcun modo perciò rimase in silenzio, ignorando le labbra di Remus di nuovo socchiuse e indecise.
Nella mente indecisa di Remus, che non faceva più caso alle parole della McGranitt appuntate sulle pergamene, l’unica frase presente era infatti: Diglierlo o no?

Il no era sempre l’unica risposta. Le labbra si serrarono un’altra volta anche se la voglia di portare alla luce il suo segreto era tanta ed era Lily, la ragazza che l’aveva già accettato, quella seduta accanto a lui senza nessun altro attorno, tranquilla e per niente spaventata di essere lì da sola con una creatura mostruosa e pericolosa.
Lily era la ragazza spigliata e gentile che alla prima riunione da Prefetti con i Capiscuola, sul treno, aveva allungato una mano verso di lui con un sincero sorriso e gli occhi verde chiaro limpidi, presentandosi come se non si conoscessero e non si fossero mai parlati nei quattro anni precedenti.
Ciao, sono Lily. Assomigli a quel ragazzo che gira sempre con quegli idioti di Potter e Black, sai? Ma tu sembri molto più intelligente e simpatico di lui”.
Lily era la ragazza che durante le riunioni successive le era rimasta affianco facendolo ridere, parlandogli, ascoltandolo e restando perfettamente in silenzio lasciandolo in pace, quando la luna cominciava a renderlo nervoso e distante da tutti.
Lily era una ragazza fuori dal comune, con una gentilezza e una sensibilità fuori dal comune.
«Lily» la chiamò incoraggiato da quel pensiero, voltando la testa verso di lei che ricambiò lo sguardo con espressione speranzosa.
«Mh?» lo incitò in un sorriso rassicurante.
Lui sospirò, schiarendosi piano la voce prima di parlare. «So che lo sai» cominciò sentendosi immediatamente ridicolo. Non si iniziava un discorso così importante in un modo così stupido, lo sapeva benissimo, ma in quel momento il suo vocabolario mentale si era ridotto a quello di James quand’era ubriaco.
Fece un altro sospiro indugiando sul viso di Lily che continuava ad osservarlo con i suoi incoraggianti occhi verdi, ignara che di lì a qualche secondo qualcuno avrebbe sovrastato la bassa ed insicura voce di Remus.
«Io sono un...»
«Ma quanto ci mette, Sirius? Oh, Evans, anche tu qui»
«Potter».
Lily l’avrebbe potuto polverizzare con lo sguardo, la sua espressione radiosa e speranzosa si trasformò in un muso di drago infuriato e James fece un passo indietro, poggiando di nuovo un piede sul gradino della scala a chiocciola. Quel viso rosso come tutta la Sala Comune e come i capelli che lo contornavano faceva davvero paura.
«Ho disturbato un momento intimo, per caso?» sbottò ironicamente James spostando lo sguardo da quel drago che un tempo era Lily Evans a Remus, arreso e frustrato.
«Cosa vuoi, Potter? Stiamo studiando» mentì Lily.
«Ah, sì? Con un solo libro e una sola piuma?» ridacchiò lui allungando il collo per vedere oltre la spalliera del divano. Lily scattò in piedi, sollevando e sventolando per aria il libro di Trasfigurazione di Liv in direzione di James che sorrise, guardando di sottecchi Remus scuotere leggermente il capo.
Aveva sicuramente interrotto qualcosa.
«E bravi i nostri studenti modello, complimenti» commentò divertito vagando con lo sguardo su divanetti e tavolini. «Questo però non mi vieta di sedermi qui, su una poltrona a caso, per aspettare Sirius».
A quella frase, Lily raddrizzò il collo come se avesse appena messo in funzione delle antenne.
«Perché, dov’è Black?»
«Sirius è dove gli pare, Evans, e non iniziare con le solite storie del Caposcuola che non fa il suo dovere e...» cominciò James sforzandosi di non guardarla negli occhi. Essere innamorati era uno schifo, continuava ad essere uno schifo, lo era sempre di più.
«Il problema non è Black che è fuori, Potter, ma che anche Liv non è nella torre» spiegò Lily, interrompendo il suo monologo.
A drizzarsi furono le orecchie di James. Era uno scherzo? Sirius aveva inventato la bugia delle fossette di Jane e Susan per sviare tutti ed incontrarsi con McAdams senza scocciature varie?
Per un attimo la cosa gli sembrò credibile, conoscendo Sirius e ciò che si ostinava a nascondere da anni.
«Cosa c’è da ridere, Potter?» esordì Lily. James sorvolò la domanda e le rispose con un’altra.
«Perchè per te è un problema se McAdams non è in dormitorio così come Sirius, Evans? Non penserai mica che quei due si vedano di nascosto?»
Lily s'irrigidì, rendendosi conto di aver sbagliato alla grande. Se Liv era con Black era un problema, bello grosso pure, ma Potter non poteva certo sapere della cotta adolescenziale della sua migliore amica.
Lo sguardo indagatore e curioso di Remus la stava mettendo così a disagio tanto da istigarla a tirare fuori lei stessa l’argomento ‘Lupo Mannaro’ senza nessuno scrupolo.
«Un problema nel senso che entrambi sono fuori dalla Sala Comune ed entrambi sono della nostra Casa. Se verranno sgamati da Gazza, noi due saremo doppiamente colpevoli» se ne uscì con la prima scusa che riuscì a trovare.
«La responsabilità è loro non nostra, cara Evans»
«No, carissimo, la responsabilità è dei Capiscuola... e quelli siamo noi»
«La punizione la prenderanno loro, non noi»
«La punizione! Stai pensando solamente alla punizione? Vedi, Potter, è questo il tuo problema: non ti prendi mai le tue responsabilità. Mai. Se non si parla di quelle da Capitano, ovviamente»
«Oh, quindi ho soltanto un problema, Evans? Tutto il resto è ok?»
«Smettila! Sii serio per una volta! E guardami in faccia quando ti parlo! Ecco altri due problemi: la maleducazione e l’essere infantile! Potrei fare una pergamena lunga chilometri con i tuoi problemi, Potter!»
«Sono un Lupo Mannaro» sussurrò Remus con così tanta enfasi da arrivare lo stesso alle orecchie di Lily che si voltò di scatto verso di lui, gli occhi verdi spalancati.
Il silenzio che calò improvvisamente gelò l’intera Sala Comune deserta a quell'ora della notte.
Sono un Lupo Mannaro. L’aveva detto, l’aveva tirato fuori in un sussurro nervoso che però voleva farsi sentire a tutti i costi. Remus si sentiva più rigido del ceppo che scoppiettava nel camino.
Si concentrò sugli occhi nocciola sorpresi di James che lo fissavano, scintillando da dietro le lenti degli occhiali rotondi. Alla fine era stato un bene che il suo amico fosse arrivato lì, se le ginocchia non erano ancora cedute dal terrore che sentiva crescere dentro era soltanto per merito della presenza di James.
Non osò guardare Lily perchè, anche se per lei non era una novità, da quel momento in poi tutto sarebbe stato diverso e quel diverso a lui faceva davvero paura.
Riuscì a vedere il sorriso smagliante di James prima che un ammasso morbido e profumato di capelli rossi gli invase la faccia. Lily lo stava abbracciando e l’unica cosa che Remus sentiva era calore e amicizia.
«Sono così felice che tu me l’abbia detto, Remus» mormorò Lily con un radioso sorriso, sciogliendo l’abbraccio per rimettersi dritta sui cuscini accanto a lui.
«É un fifone. Noi glielo abbiamo sempre detto» s’intromise James beccandosi in pieno un’occhiata ammonitrice da parte di un Remus completamente rosso in viso.
«Non cominciare, James»
«Tiene nascosto questo suo piccolo problema anche alle persone a cui tiene, come se fosse qualcosa di abominevole anche per la gente a posto che ha vicino» continuò invece lui, avvicinandosi a loro senza prestare attenzione alla supplica del suo amico.
«James»
«Guardalo, Evans! Adesso che puoi parlare, diglielo anche tu che tutte queste sue preoccupazioni sono insensate! Noi non lo sopportiamo più!» esclamò imperterrito e scherzoso sedendosi sulla poltrona accanto al divano su cui Lily si mise a ridere, facendolo sentire improvvisamente leggero.
«Per quanto mi costi ammetterlo» cominciò lei con ancora un piccolo sorriso sulle labbra che James trovò irresistibile. «Potter ha ragione, Remus. E finalmente posso sgridarti come si deve»
«Sgridarmi?» fece lui sconvolto sotto l’occhio ridente e ancora frastornato di James.
«Oh, sì, sgridarti. Perchè sei una persona meravigliosa che tutti dovrebbero conoscere e invece ti nascondi per paura- adesso lo so- di mettere nei guai gli altri a causa del tuo piccolo problema» spiegò Lily con sicurezza e una punta di rimprovero.
«Lily... sono un Licantropo. Non è proprio un... ‘piccolo problema’, non per tutti almeno. Voi che lo chiamate così siete un’eccezione» mormorò Remus cercando di non raggiungere la gradazione di rosso successiva a quella ciliegia matura che aveva sulle guance.
«Sei una persona, Remus» lo corresse lei, amareggiata dal pensiero che le ultime parole di Remus fossero vere. Purtroppo, la maggior parte della gente non chiamava ‘problemino’ la situazione di un Lupo Mannaro, soprattutto negli ultimi anni.
«Una persona meravigliosa che ha tantissimo da offrire e che si merita tantissimo dagli altri» continuò, lanciando una veloce occhiata a James che annuiva deciso. Anche Potter era un’eccezione in quel caso, su quello Lily non aveva avuto dubbi da quando aveva scoperto cosa fosse Remus e in che modo James lo accoglieva e difendeva sempre.
Soltanto per i Malandrini, Potter sembrava abbassare al cresta, comportarsi in modo serio come quando aveva bloccato lo sproloquio di Mary e trasformare il ghigno arrogante in un sorriso normale come quello che aveva adesso. Solo per loro sembrava prendere le cose sul serio e in modo responsabile. Sorrise per quei pensieri, trattenendo le labbra come si era ritrovata a fare spesso in quasi due anni, più di quanto riusciva ad ammettere a se stessa.
Remus non poté che sentirsi totalmente accettato con quei due luminosi e profondi occhi verdi che continuavano a fissarlo con fiducia. Lily era rassicurante tanto quel rilassante verde chiaro*, ecco cos'era.
«Certo, meglio se in quella notte del mese tu non offrissi e non prendessi niente da nessuno» aggiunse lei in tono scherzoso facendo ridere di cuore James.
Lily era anche divertente e straordinaria nel significato stretto del termine, si disse proprio James stupendosi nel vedere le guance della ragazza leggermente rosse al suono della sua risata.
Lily era fuori dall’ordinario e lo sarebbe stata sempre; con i capelli perfettamente pettinati o orribilmente scarmigliati, con il piccolo naso illuminato dal sole di Maggio o nascosto da una sciarpa a Dicembre; con gli occhi socchiusi dall’ira o spalancati dalla sorpresa. Quello che rendeva Lily straordinaria non si poteva solo vedere, si sentiva dentro, precisamente lui lo sentiva scaldargli lo stomaco e il petto.
«E sgridarti anche perchè la scusa del ‘non posso’ che hai propinato a Mary per ben due volte non regge. Sono più che sicura che se la trasformassi in Non posso perchè sono un Lupo Mannaro’ tutto si sistemerebbe al meglio. Anche Mary è una persona meravigliosa, sai?» riprese Lily tutto d’un fiato senza però diventare aggressiva. Aveva notato benissimo il rossore sulle guance pallide di Remus e il suo braccio pronto a raggiungere la nuca per grattarla che fece sorridere James.
«Oh, oh, oh! Beccato in pieno, amico»
«Piantala, Potter, non siamo ancora a Natale» lo sgridò scherzosa Lily, tenendo a bada un piccolissimo sorrisino divertito, di nuovo.
Cambiò subito argomento per togliere dall’imbarazzo Remus, completamente rosso come il divano.
«Ero così preoccupata. Dove vai ad ogni luna piena?»
Remus sospirò lanciando un’occhiata a James che annuì brevemente, incoraggiante. Era la prima volta che quel segreto usciva dalle labbra di qualcuno, oltre la cerchia ristretta dei Malandrini, ma tempo prima si erano messi d'accordo sul non tirare in ballo l'altro segreto, quello decisamente più illegale.
«Nella Stamberga Strillante, un’idea di Silente» cominciò a raccontare in un sussurro emozionato Remus scrutando per bene ogni reazione sul viso attento di Lily.
«C’è un passaggio segreto che dal Platano Picchiatore arriva proprio sotto la Stamberga. Sto lì per tutta la notte, da solo... ma almeno così non rischio di far del male a qualcuno. La  gente di Hogsmeade quindi sente me, non i fantasmi. All’alba, Madama Chips viene a prendermi e... » si fermò un attimo, indeciso se continuare o meno perché il viso contratto e pensieroso di Lily cominciò a preoccuparlo.
Spostò lo sguardo su James, completamente concentrato sul viso improvvisamente oscurato della compagna.
«Tutto bene, Evans?»
Lily parve risvegliarsi dai suoi pensieri anche se lo sguardo rimase corrucciato e perso in chissà quali ragionamenti.
«Un passaggio segreto sotto al Platano?» ripeté lei, guardando James che sembrò non capire a cosa si stesse riferendo.
«Sì, percorrendo un tunnel da sotto al Platano si finisce sotto la Stamberga Strillante poco fuori Hogsmeade. Perché quella faccia?» le diede conferma James e in un attimo Remus capì: La quasi morte di Piton che aveva fatto parlare tutta la scuola per un mese intero. Nessuno aveva collegato quell’evento a lui, tutti avevano pensato che Piton si fosse spinto troppo in là con quello stupido gioco che facevano tutti sotto i rami impazziti di quell’albero maledetto, ma Lily doveva aver appena fatto due più due.
«C’eri tu alla fine del tunnel sotto al Platano, quella notte?» chiese lei, infatti, con i suoi occhi verdi più penetranti che mai puntando un Remus boccheggiante e muto tanto quanto James, lo sguardo nocciola colpito dietro le lenti rotonde degli occhiali. «Piton non ti ha detto niente, quindi» commentò James, scioccato, riuscendo a sbloccarsi grazie alla sorpresa riguardo Piton e il suo aver davvero tenuto la bocca chiusa. Lily si voltò di scatto a guardarlo, i tratti del volto increspati da diverse emozioni indecifrabili. «No, non mi ha detto niente*» confermò Lily, sconvolta. «Io pensavo che sotto a quel tunnel ci fosse uno di quegli Ammazzamaghi sfuggiti a Kettleburn! Tutta la scuola ha pensato a qualcosa del genere!»
«Lily…» tentò di mettere subito una pezza, Remus, con il cuore in gola. Lily, però, era così confusa e scioccata da non sentirlo nemmeno.
«Non pensavo che le due cose fossero collegate. Piton non mi ha detto… lui… Immagino che Piton ti abbia visto entrare là sotto, Remus, non faceva altro che spiarti per accertarsi del tuo segreto, il tuo sparire ad ogni luna piena. Aveva una teoria, sapete, era ossessionato… »
«Ti ha detto che Remus era un lupo mannaro. Quando? Dopo la ‘’disavventura’’ con me?» indagò subito James, deciso a non credere alla lealtà di Piton verso il preside.
Lily restò a scrutarlo guardinga, sul viso sottile di James c’era impressa malcelata rabbia, severa accusa.
«Mi aveva detto la sua teoria, sì, di Remus come possibile Lupo Mannaro» rispose in un mormorio quasi inaudibile nonostante la Sala Comune deserta; soppesando le parole, ma dicendo la verità. «Non dopo il platano, no. Dal terzo anno, dalla lezione sui lupi mannari».
James sembrò sgonfiarsi e negli occhi pensierosi assorti con attenzione su di lei brillava qualcosa che Lily non riuscì a collegare a nulla, ma le diede la sensazione di crescente stupore, forse anche senso di colpa.
«Tu lo sai dal terzo anno?» esalò invece Remus, pallido.
«Be’, no. Lui me l’ha detto pochi mesi prima della fine del terzo anno, credo abbia fatto passare diverse lune piene dopo la lezione di Difesa sulle “bestie notturne” per accertarsi, prima di rivelarmi la sua idea. Ma io non gli ho dato ascolto, non mi piace farmi gli affari degli altri. Solo che, all’inizio del quarto anno, ho fatto caso alla luna e al calendario...» ammise sottovoce Lily che fin da piccola era sempre stata fin troppo curiosa, a detta di Petunia.
Remus deglutì, pensando che lei gli era stata affianco per ancora più tempo, con il segreto dentro di sé.
«Lui non lo sa… voglio dire… fino all’uscita ad Hogsmeade dell’altro giorno non sapeva che avevo controllato il calendario» rivelò Lily dimostrando tutto il suo tatto. «In tutti gli anni non volevo fomentare il suo entusiasmo, non mi piaceva per niente quel suo ghigno ad ogni luna piena, al suo vederti un… ibrido. Gli dicevo sempre che qualunque cosa fossi, Remus, non era affar suo. E poi, al quinto anno...»
«Ti ha detto cos’aveva visto sotto il platano» riattaccò James, disgustato dalla parola “ibrido” sentita più volte uscire dalle labbra di Piton, Avery e Mulciber.
«No, non mi ha detto proprio nulla. Ho sentito le voci di Hogwarts, è così che ho scoperto che l’avevi salvato da qualsiasi cosa c’era là sotto» disse Lily. «Giorni dopo quel fatto, ha ritirato fuori il fatto che Remus era strano e io ho continuato a non dargli corda, nella speranza smettesse. Gli ho detto che dicevate sempre che Remus era malato e lui ha ritirato in ballo la luna piena e il fatto che avesse controllato. Era peggiorato, a metà del quinto anno, era ossessionato da voi...»
«Lo sappiamo bene» ringhiò piano James, la mascella serrata.
«Voleva capire cosa facevate, tutti e quattro, uscendo la notte. Diceva che nascondevate qualcosa e che non eravate straordinari come pensano tutti» disse Lily sollevando gli occhi verdi al soffitto come aveva sempre fatto di fronte alla gelosia del suo ex amico nei confronti dei Malandrini.
«A proposito, Potter» fece poi, abbassando lo sguardo improvvisamente allarmato ed indagatore. «Perché sei andato a salvarlo?»
«Perché, per quanto lo odio, è un essere umano» rispose James in un tono e un modo così genuini da farla arrossire. «E perché, come hai capito, c’era Remus là sotto senza la capacità d’intendere e di volere» aggiunse. Gli occhi verde chiaro di Lily sembrarono farsi così assorti e profondi su James, tanto da far sentire Remus di troppo su quel divano.
«Volevo dire... intendevo» si corresse Lily percependo il cuore accelerare. Non si chiese il perché, ma il cervello le rispose lo stesso: Hai sempre avuto ragione su di lui, è una persona buona, quella che speravi ci fosse sotto tutta quell’arroganza. Non si chiese nemmeno perché aveva sperato che sotto l’arroganza di Potter ci fosse una persona buona. Il cervello le rispose ancora una volta: Perchè lo trovavi simpatico e molto attraente.
«Come hai fatto a sapere che Piton stava andando lì?» chiese Lily forse fin troppo dura, rivolta però più al suo cervello che alla domanda per James, già con le labbra aperte per rispondere.
«L’ho visto seguire Remus e Madama Chips nel parco» mentì. Remus lo guardò di sottecchi, per niente stupito da quel suo proteggere Sirius.
«Io, Sirius e Peter lo accompagniamo fino a metà parco, lasciandolo a Madama Chips. Ho visto Piton spiarli e seguirli fino davanti al Platano, per capire come fermare i rami violenti ed entrare nel tunnel» proseguì con lo sguardo attento di Lily incollato addosso. Remus strinse i pugni sulle gambe, scacciando via il ricordo; a volte risentiva la ferita emotiva che Sirius gli aveva ‘regalato’ per stupida impulsività.
«Mi sono precipitato a salvarlo appena madama Chips è tornata al castello e lui si è infilato sotto le radici... »
«E perché Piton mi ha detto che tu non l’hai salvato, ma stavi salvando te stesso e i tuoi amici?» chiese Lily puntando James con un’aria strana a fargli brillare il verde degli occhi. Si ritrovò assetata di sapere la verità, Lily, il cuore sempre più veloce e il cervello sempre più saccente.
«Lui mente, sempre» soffiò James in tono amaro e sprezzante; il senso di colpa per lo stare mentendo a sua volta, proprio in quel momento, gli strinse lo stomaco. Aveva salvato anche i suoi amici, era vero, ma non per il motivo che credeva Piton.
James non aggiunse altro perché era stato solo Sirius a fare quel casino e non aveva intenzione di rivelarlo a nessuno, non aveva nessuna intenzione di mettere in cattiva luce suo fratello nonostante la sua grave colpa.
«Lo so che Piton mente sempre» lo stupì Lily. «Per questo non gli ho creduto, quel giorno»
«Quindi te l'ha spifferato?»
«No, ti ripeto che non mi ha mai detto nulla. Sono io che ho tirato in ballo la cosa, l’avvenimento che tutta Hogwarts sa e cioè che Potter ha salvato Piton dal mostro sotto il tunnel. Stava continuando a dire che nascondevate qualcosa e che non siete meravigliosi e allora gli ho detto che era un ingrato, che tu gli avevi salvato la vita. Lui si è infuriato, dicendo che non era vero, che hai soltanto voluto salvare te stesso e i tuoi amici come se si fosse trattato di uno scherzo fatto apposta per fargli incontrare Remus e non perchè la sua troppa curiosità l’ha cacciato nei guai. Sarebbe troppo anche per voi, uno scherzo simile».
La mascella di James si gonfiò ed un angolo delle labbra si sollevò, ma non disse una parola.
Remus notò i suoi occhi nocciola brillare, forse per quello che Lily aveva detto su di lui già al quinto anno. Era una scoperta bella e buona, quella.
Abbassò la testa castana per nascondere un sorriso, quello abbozzato ed emozionato di James invece restò sotto lo sguardo verde particolarmente colpito ed intenso.
 
 
 
 



 

*

 
 
 




Liv era arrivata al settimo piano con un sorriso sornione stampato in faccia: Black avrebbe fatto visita alla McGranitt in vestaglia e magari avrebbe anche spolverato sul serio le coppe e i trofei utilizzando uno strofinaccio e non la gonna di una ragazza.
Delle voci in fondo al corridoio attirarono la sua attenzione, davanti al quadro della Signora Grassa John Owen stava gesticolando furiosamente. Eliminò l’incantesimo di Disillusione su se stessa e restò un attimo ad ascoltare, prima d'intervenire.
«La prego, soltanto per adesso. Devo parlare con una ragazza, tutto qui»
«Giovanotto, non mi convincerai. Non vedo nessun rosso o oro nella tua divisa e non mi sai dire la parola d’ordine, perciò...»
«Le sto chiedendo un enorme favore, infatti»
«Io non faccio favori. Torna nel tuo dormitorio, non dovresti vagare per il castello a quest’ora»
«Ma è una cosa importante che posso fare solo adesso!»
«John» lo chiamò Liv avvicinandosi a loro con passo deciso. Lui parve illuminarsi voltandosi verso di lei.

«Oh, Liv! Che fortuna!» esclamò, speranzoso. «Potresti chiamare Lily?»
Liv sollevò un sopracciglio, perplessa ma curiosa. «Perchè? Non puoi parlarle domattina a lezione?» gli chiese scrutandolo con attenzione.

«É urgente. Posso soltanto adesso perche non c’è nessuno in giro» fece John, serissimo, lanciando una fugace occhiata in direzione di un angolo buio.
Per un istante, guardando in quell’ombra, Liv pensò di aver visto una figura evanescente muoversi come un velo accarezzato dal vento. Era di sicuro un fantasma.
«Sparisci, Owen» esordì la voce scocciata di Sirius prima di essere spezzata da un sonoro singhiozzo. Liv restò sbigottita vedendoselo arrivare al fianco.

«Sorpresa... Olivia?» le chiese in un sorriso, singhiozzando di nuovo.
«Non intrometterti, Black» scattò John infastidito.
«É di James... che si parla... non è vero? Delle tue ‘prove’, lo so. Quindi... non mi sto affatto intromettendo perchè... è affare mio. Quando si parla di James... è come se si stesse parlando di me... soprattutto per le offese». Nonostante il singhiozzo, Sirius risultava credibile. L’intenso sguardo duro e deciso lo era, come ogni volta che difendeva a spada tratta il suo amico, notò Liv pensando subito dopo che Lily doveva sapere.
«Dammi un minuto, John» disse per poi fare in tempo a mormorare solo mezza parola d’ordine in direzione della Signora Grassa prima di essere bloccata da Sirius.
«Non ci siamo capiti, Olivia. Owen... se ne deve andare e.... Evans non deve uscire da lì»
«Lily deve sapere la verità. Anche se da questo tuo comportamento posso benissimo intendere che Potter ha usato quel filtro»
«Il mio comportamento... non è affatto una prova, Olivia»
«Appunto, per provare quello che suggerisce il tuo comportamento, Owen deve parlare»
«Scoprirete... le prove domattina...»
Domattina, come no. Sirius non aveva nessuna intenzione di far parlare Owen, non adesso che James aveva ammesso di essere innamorato; non adesso che mancavano poche settimane alla partita. «Sempre se saranno valide» aggiunse lanciando uno sguardo di sfida al Corvonero che cominciò ad agitarsi sul posto.
«Domattina non posso» spiegò John evasivo.
«E perchè? Sei per caso un vampiro?» lo sbeffeggiò Sirius, sogghignando tra i singhiozzi che cominciavano ad infastidire tutti, compresa la Signora Grassa sempre più sconcertata e Nick-Quasi-Senza-Testa appena sbucato dal soffitto con espressione guardinga.
John sbuffò, avvicinandosi meglio a Liv per parlarle a bassa voce nell’orecchio. 
«La Dama Grigia è la mia prova ed è già troppo se ha acconsentito a parlare con qualcuno che non è un Corvonero. La mattina non le piace svolazzare per i corridoi affollati».
 Liv spalancò leggermente gli occhi scuri capendo chi c’era in quell’angolo buio.
«Sì, beh, sai quanto me ne importa?» sbottò Sirius che era riuscito a sentire tutto aguzzando l'udito. «Colpa tua... che hai un fantasma... così timido ed altezzoso».
John fece per ribattere ma con un gesto della bacchetta Sirius trasformò la sua espressione da decisa e furiosa in confusa e stralunata.
«Come mai sei qui, Owen? É tardi, c’è il coprifuoco e tu sei fuori dal tuo dormitorio» lo stuzzicò osservando quegli occhi azzurri spalancarsi in modo esagerato. 
«Merlino, cosa...? Io...» balbettò spaesato il Corvonero guardandosi attorno con crescente ansia. 
Il suo borbottare preoccupato si continuò a sentire anche una volta che sparì oltre il corridoio e Sirius non perse tempo: puntò la bacchetta verso Liv dando il via ad un veloce e silenzioso duello che la Signora Grassa e Nick osservarono allibiti.
“Obliv... Olivia doveva assolutamente dimenticare la rivelazione di Owen.
Protego!” Black dava i numeri? Era impazzito. Lo scudo ricacciò via l’incantesimo di memoria di Sirius e senza sprecare altro tempo Liv si rivolse alla Signora Grassa. «Geranio Z...»
Silenc...” Col cavolo che la lasciava entrare prima di averle modificato la memoria.
Expelliarmus” Non sarebbe stato di certo Black a fermarla.
«Insulsa bacchetta, Black» constatò Liv rigirandosi la bacchetta di Sirius tra le dita.

Lui ghignò avvicinandosi così tanto a lei da sentire il suo lieve respiro sul mento; una delicata ventata di profumo lo colse di sorpresa.

«Stanne fuori, Olivia» le mormorò con quella che Liv ipotizzò essere la profonda e seducente voce che utilizzava ‘tra i trofei’: bassa, roca e penetrante.
Gli scoppiò a ridere in faccia allontanando la bacchetta dalla mano tesa del proprietario.
«Io non ci casco, Black. Con me non funziona»
«Sì, come no» ribattè Sirius fintamente scettico ritrovandosi ad accarezzarle con occhi sinceramente assorti ogni lineamento, ogni sfumatura del marrone intenso tra le lunghe ciglia nere. 
Fintamente scettico perchè, in fondo, quella risposta al piccolo test che le aveva appena fatto gli aveva lasciato un’amara confusione addosso. 
Ad Olivia lui non faceva alcun effetto, ok, nulla di male. Andava bene così.
O forse no.
«Perchè tanto accanimento per nascondere queste prove?» cambiò repentinamente discorso Liv reggendo quello sguardo perforante anche se con qualche difficoltà per quell'invadente vicinanza che Black non mancava mai di frapporre tra loro e che ogni volta la faceva sentire tutt'altro che indifferente.
«Potter non ha niente da perdere se la verità verrà fuori. Quante volte ha fatto incavolare Lily senza che gli importasse qualcosa? Continuava a fare lo stupido come se niente fosse»
«Tu fatti gli affari tuoi, Olivia»
«Sono affari di Lily e quindi mi interessano. E sono anche affari miei visto che Potter è il mio Capitano e la squadra fa pena. Cosa gli è successo, Black?»
Per quanto quell'insistenza lo stesse innervosendo, Sirius non riuscì ad allontanarsi da lei, soggiogato dallo sguardo battagliero e caldo incatenato al suo, da quella fragranza che rendeva Olivia ancora più attraente. 
«Sei una rompiscatole» le sussurrò quasi sfiorandole il naso con il proprio. Liv, scossa ed improvvisamente senza fiato, provò ad allontanarlo spingendogli una mano sul petto senza riuscire a smuoverlo.

«Non è successo niente a James e anche se fosse non andrei di certo a dirlo a te» continuò Sirius sfilandole la bacchetta dalle dita con un gesto fulmineo prima di assecondare la spinta di quella mano affondata sul maglione che lo fece indietreggiare contro la sua volontà, bramosa di continuare a contemplare quegli occhi e di riempirsi della persistente essenza fiorita che sembrava regalare la pace dei sensi.
«Ragazzi miei» s’intromise Nick aleggiando tra i due con la testa traballante sulla gorgiera. «Credo sia arrivato il momento di andare a letto. Non vorrei che Gazza vi trovasse qui fuori»
«Ah, lasciali stare, Nicholas. Non hanno paura di beccarsi una punizione. Non imparerebbero la lezione nemmeno se li portassero ad Azkaban» fece la Signora Grassa sistemandosi l’abito rosa con gesti assonnati.
«Ok» sbottò Liv rivolta ad un Sirius piuttosto serio mentre entrambi cercavano di ignorare il senso di scombussolamento e il fremito dei loro corpi vicini. «Visto che Potter non ha niente non vedo perchè nascondere a Lily la verità. Geranio Zannuto!»
Con un sospiro di sollievo la Signora Grassa si spostò di lato lasciandola passare. Sirius la seguì a ruota, decisamente scocciato.
«Voi due!» esclamarono in coro James e Lily saltando giù dalla poltrona e dal divano. Liv si bloccò al centro della sala, confusa.

«Cosa ci fate tutti qui a fare salotto?» chiese stranita osservando il trio mal assortito. Lo sguardo smeraldino dell’amica la centrò in pieno per poi centrare in pieno anche la macchia di cioccolata sulla felpa.
«Dov’eravate, si può sapere?» esordì James, lo sguardo insinuante ed indagatore a scintillare dietro le lenti rotonde degli occhiali.
«Ci stavamo sbaciucchiando nella Torre di Astronomia, va di moda» rispose Sirius infilandosi le mani in tasca con noncuranza. Remus spalancò gli occhi quasi quanto James.
«Come scusa, Felpato?»
«Ti sembra una cosa possibile, Potter?» fece Liv prima di accorgersi del tipico ammonimento con gli occhi della sua migliore amica che insisteva a rivolgerle occhiate interrogatrive a proposito della macchia sulla felpa.
«Con Sirius tutto è possibile, Liv» fece Remus osservando l’amico ghignare al fianco della mora che incrociò le braccia al petto con fare risoluto.
«Con me invece tutto è impossibile, Remus, quindi nessun problema. E visto che stiamo parlando di cose possibili e non... Lily, devo riferirti...» Vuoto. Un vuoto mentale improvviso colse Liv di sorpresa. Sbatté più volte le palpebre, le sopracciglia scure aggrottate cominciando a guardarsi attorno chiedendosi perché fosse in Sala Comune, e non nelle cucine con i dolci singhiozzini in bocca a Sirius.
«Liv? Ti senti bene? Cosa devi riferirmi?» la richiamò Lily sconcertata dal comportamento anomalo.
«Non ne ho idea» bofonchiò lei continuando a guardanrsi attorno, spaesata.
 







 


 

 

 



Note:

In un'intervista, la Rowling ha ammesso che Remus era molto affezionato a Lily (facendo capire fosse proprio infatuato), ma per Lily c'era solo James che "non poteva essere superato".
Ci sono rimasta secca appena l'ho letto, non me l'aspettavo. Come ha fatto nella mente della Rowling (ha detto che non c'era nessuna rivalità tra i due amici, probabile che James non sapesse nulla), anche qui Remus non farà niente anche perché sappiamo tutti che carattere ha per colpa della sua condizione e soprattutto non mi sono mai piaciuti i triangoli in generale e tra i Malandrini ancora meno (penso non siano mai accaduti visti i caratteri e le personalità di ciascuno).
 

*La questione Lupo mannaro- Lily-Piton.
Ho riletto più volte l'unico ricordo di Piton che ne parla, nel settimo libro.
Nel terzo libro, Remus dice che Piton ha scoperto di Remus come Hermione, ovvero al terzo anno dopo la lezione sui lupi mannari.
Harry quella lezione la fa prima di Natale solo perché Piton ha anticipato l'argomento nel tentativo di dare indizi agli studenti (Hermione dice che le ''bestie notturne'' in realtà sono molto più avanti nel programma dell'anno).
Quindi ho immaginato che Piton avesse scoperto il segreto di Remus più avanti durante il suo terzo anno, senza "un Piton rompipalle". Dubito che non abbia detto nulla alla sua migliore amica d'infanzia Lily (anche perché Lily, nel ricordo del quinto anno, dice che conosce la sua teoria.


"Escono di nascosto, di notte. Ha qualcosa di strano quel Lupin. Dov'è che va sempre?"
"Dicono che è malato"
"Tutti i mesi con la luna piena?"
"Conosco la tua teoria. Ma perché sei così fissato con loro? Che t'importa dove vanno di notte?"
"Sto solo cercando di farti capire che non sono meravigliosi come tutti pensano"
"Ma non usano Magia oscura. E tu sei un ingrato. Ho sentito cos'è successo l'altra notte. Ti sei infilato in quel tunnel vicino al Platano Picchiatore e James Potter ti ha salvato da quello che c'è la sotto, qualunque cosa sia"
"Stava salvando se stesso e anche i suoi amici!"



Nel ricordo Lily e Piton sono al quinto anno, giorni dopo la scampata morte di Piton e prima (non sappiamo di quanto) della lite dopo i G.U.F.O. di Difesa.
Piton sa già cosa cos'è Remus con certezza perchè pochi giorni prima l'ha visto alla fine del tunnel. Eppure fa finta di essere ancora incerto davanti a Lily, cercando in tutti i modi di farle capire che è un lupo mannaro.
Lily sembra non sappia nulla, ma è strana... molto "gelida" (parola della Rowling) perché conosce la sua teoria e soprattutto è infastidita dall'ossessione di Piton perché sa che opinione ha lui dei lupi mannari.
Secondo me Lily sapeva anche perché la Lily bambina degli altri ricordi è super curiosa (legge la lettera che Silente ha inviato a Petunia, frugando nella camera della sorella con Piton). Dubito non abbia controllato con dioscrezione il calendario dopo che Piton, al terzo anno, le ha detto i suoi dubbi e la sua teoria.
Lily, però, non sembra nè impicciona e nemmeno desiderosa di assecondare Piton, sembra piuttosto decisa a non dargli corda per fargli smettere di seguire i Malandrini e Remus (proprio come se, sapendo cos'è, volesse lasciarlo in pace).
Si capisce che non ha collegato la scampata morte di Piton con il lupo mannaro, nessuno sa che Remus va' lì sotto a trasformarsi... a parte Piton che però non può dirlo, per via di Silente.
Si capisce anche che tutti sanno che vicino al Platano c'è un tunnel, dato che Lily parla di un tunnel.
Remus, sempre nel terzo libro, dice che tutti facevano un gioco stupido avvicinandosi al Platano nel tentativo di arrivare al tronco (Davey Gudgeon ha rischiato di perdere un occhio! Ricordatevi questo nome perché vedrete questo tizio fare altre cazzate... aspettate la fine dell'anno, provate a capire il perché).
Secondo me, lui o qualcun'altro è riuscito ad arrivare al tronco per dire a tutti del tunnel. Altrimenti non si spiega perché Lily sappia del tunnel (non è Piton a dirlo, Piton non accenna nemmeno allo ''scherzo'', è Lily che lo tira in ballo perchè ne parla tutta la scuola).
Altra cosa è che Piton non parla di scherzo, ma dice che James ha salvato se stesso e gli amici (facendo solo intendere uno scherzo, perdenod la pazienza davanti a Lily che gli dice che James Potter l'ha salvato ed è un eroe. Piton, innamoratissimo e pieno d'odio per James, va praticamente nel panico).
Lily non ci fa caso, dopo, sa che Piton è geloso marcio dei Malandrini e di James, come se avesse sentito quei discorsi anti-Malandrini e anti-James per anni. Sa che potrebbe inventarsi di tutto contro di loro, la Lily del settimo anno ancora di più.

Unica cosa che non ho capito è che Piton vedeva i Malandrini uscire la notte. Mi chiedo se con la luna piena o no. Erano già animagus o no? Oppure accomagnavano Remus alla Stamberga.
Sicuramente non sapeva che fossero Animagus: alla fine del quarto libro, Piton entra in infermeria e solo quando il cane nero diventa Sirius (alla fine dei discorsi) non salta di spavento, ma ha gli occhi pieni d'orrore e grida: "Tu!".




Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17.La Zucca Vuota ***


 




Capitolo 17


 LA ZUCCA VUOTA 

 

 




«Sirius».
La voce di James non era mai stata così seria, come il suo viso. Sirius s'immobilizzò tra il tronco d’albero che gli aveva fatto da letto per tutta l’ora buca e il muretto coperto di foglie secche per voltarsi lentamente verso il suo migliore amico che da giorni non faceva altro che scrutarlo in modo guardingo.
«Dove stai andando» continuò James con un tono più imperativo che interrogativo, segno che non ammetteva più repliche.
«In bagno» rispose prontamente lui notando il sopracciglio scettico di Remus sollevarsi sotto al ciuffo di capelli castani.
Peter diede voce a quella micro espressione. «Ci sei andato mezz’ora fa» fece notare.
Sirius sorrise prendendo del tempo per trovare una bugia decente ma, come se l’avesse letto nella mente, James lo anticipò.
«Non provare a spararne un’altra, Felpato. Sei ridicolo. Che problemi hai?»

Erano settimane che Sirius si comportava in modo strano, sparendo ogni tanto senza dire dove andava.
James non era abituato ad avere segreti con lui e la cosa cominciava a preoccuparlo sul serio.
Cosa diavolo stava combinando quell’imbecille? E soprattutto, perchè mai non gli aveva detto niente?
Si sentiva quasi offeso, molto offeso.
«Un giorno mi ringrazierai, fratello» rispose semplicemente Sirius mentre il suo sorriso si faceva sempre più ampio man mano che indietreggiava lontano da loro.
«Starà preparando uno scherzo a Liv» ipotizzò Remus arrotolando la sua pergamena con gli schemi dell’ormai imminente compito di Trasfigurazione di fine mese.
Peter però scosse la testa. «E perchè non parlarcene?» fece, quasi ferito.
«Spero per lui che lo scherzo lo stia facendo a McAdams e non a me. Se prima della partita me la fa cadere in depressione stravolgendola come soltanto lui sa fare... SARÒ DI NUOVO FIGLIO UNICO, PER MIA SCELTA!» sbottò James sollevando la voce per farsi sentire da Sirius, già a metà cortile grazie ad una veloce corsetta.
«SE LO INCONTRI, DAI UN’OCCHIATA A OWEN!» aggiunse poi, facendolo sorridere. 
Altro che occhiata, pensò con soddisfazione Sirius, l’ultima volta l’aveva letteralmente placcato in biblioteca, sotto l’occhio furente di Madama Pince.
Ormai sapeva a memoria più gli orari di Owen e Evans che il suo. In quel preciso momento, per esempio, la lezione di Antiche Rune che il signorino Corvonero seguiva insieme a Lily e Pandora stava per finire. Pandora, ragazza Corvonero davvero intelligente e soprattutto una che si faceva i fatti suoi senza fare domande rompipluffe.
Per adesso, lo scambio di favori non aveva avuto nessun intoppo: Sirius le procurava ingredienti e libri proibiti per i suoi esperimenti folli e lei prometteva di sedersi accanto a Lily, controllando che Owen non si avvicinasse o peggio, parlasse.
«BLACK!»
«Non adesso, professoressa! Sono molto impegnato!»
La McGranitt fu costretta a tenersi il cappello a punta per salvarlo dalla ventata d’aria scatenata da Sirius quando le sfrecciò davanti.
«Lo sarai anche questo pomeriggio alle sei! Nel mio ufficio!» gli abbaiò contro, sconvolta e furente, allungando il collo per seguirlo con lo sguardo tra gli studenti che invadevano il corridoio. 
«Lo so che non si corre nei corridoi ma questa è un’urgenza!» ribattè lui senza fermarsi.
«Come al solito... cinque punti in meno a Grifondoro! I prossimi anni avremo sicuramente più chance di vincere la Coppa delle Case senza te e Potter! Mi hai sentito?!» urlò la professoressa senza più un briciolo di pazienza.
Sirius sollevò un braccio in segno di saluto prima di sparire sulle scale, veloce come un fulmine, dietro un gruppetto di Serpeverde del terzo anno sotto lo sguardo esasperato della professoressa.
Il passaggio dietro il quadro, quello acccanto alla statua e in un attimo arrivò al piano giusto, proprio quando la porta dell’aula di Antiche Rune si aprì.
Si congraturò con se stesso mentre la testa rossa di Lily faceva la sua comparsa al fianco di quella bionda di Pandora che, come da ‘contratto’, le stava tranquillamente al fianco.
L’ombra furente sul viso di Owen, tra quelli degli studenti ancora in classe, lo fece ghignare come non mai.
«Buon pranzo, Pandora. Ci vediamo martedì» la salutò Lily sorridendole radiosa. Pandora le lasciò un bacio su una guancia allungando una mano dietro alla schiena verso un Sirius fintamente impegnato a cercare qualcuno con lo sguardo.
Un mucchietto di piccoli biglietti di carta scivolò nella mano libera del Grifondoro e delle bacche gialle caddero in quella della Corvonero. Tutto alla perfezione, se non fosse per lo sguardo perplesso di Lily.
«Black»
«Evans»
«Che cosa ci fai qui? Di nuovo»
«Qui? Qui nel Castello dici? Sono uno studente».
Il lampo di luce negli occhi verdi fece spaventare un ragazzino del secondo anno che passava innocentemente lì vicino.
A Lily, la faccia tosta e fintamente innocente di Black le dava sui nervi, molto più di quella di Potter.
«Come se fossi stupida» sbottò sarcasticamente mentre Pandora si allontanava e Owen, al contrario, si avvicinava pericolosamente.
Sirius sorrise infilandosi i biglietti di carta in tasca. «Non ho mai detto una cosa del genere. Sei acida ed altezzosa ma non stupida» specificò brevemente cominciando a fare qualche passo indietro per anticipare John, dalla faccia più rossa che mai ormai sotto lo stipite della porta dell’aula ma ancora bloccato dalla fila.
«Perchè mi stai pedinando?» domandò schietta Lily sorvolando sui due insulti appena ricevuti.
A quelle parole lui scoppiò a ridere rivolgendo di nuovo l’attenzione su di lei.
«Pedinando?! Tu sei fuori, Evans. Pure egocentrica, adesso»
«Ti trovo sempre tra i piedi, da settimane sei sempre nei paraggi anche se non ho Liv vicino. Eppure io non partecipo alla vostra estenuante guerra di scherzi».
Sirius girò ancora una volta la testa verso Owen sventolando svogliatamente una mano in direzione di Lily, ancora intenta a parlare animatamente.
Quel Corvonero pensava forse di poter parlare a Evans con lui presente? Patetico.
«E visto che stiamo parlando di Liv vorrei proprio sapere che diamine le hai fatto quella notte. Non sa nemmeno come ci è arrivata in Sala Comune dalle Cucine, sappiamo soltanto che c’eri tu, tu e la tua meschina reputazione...»
«Cosa stai insinuando, Evans? Io non ho mai incantato nessuna per stare con me»
«Sto insinuando che le hai lanciato un Incantesimo di Memoria, Black, questo è praticamente certo»
«Insinuare non è corretto... pensavo non facesse parte del tuo carattere»
«E io pensavo invece che avessi raggiunto il limite di stupidità già da tempo»
«Noiosamente sarcastica»
«Guarda da che pulpito. E sai quanto mi interessa se per te sono noiosa? Potrei anche essere la persona che sopporti di meno al mondo, per quanto mi riguarda»
«Be', lo sei» sputò Sirius con un tono sorprendentemente sincero anche per se stesso.
«Perfetto. Siamo in perfetta sintonia. Smettila di seguirmi allora!» sbottò di rimando lei allontanandosi a passo svelto.
Non la sopportava. Sirius non la sopportava, senza nemmeno sapere perchè.
Una scia nera e blu gli passò al fianco: Owen l’aveva appena sorpassato con il viso accartocciato da un’espressione furiosa e allo stesso tempo speranzosa, e Sirius si mosse istintivamente in avanti per raggiungerlo prima che potesse aprire bocca.
«Lily...!»
«Owen! Hai visto Hanna?»
«Levami le mani di dosso!»
 Lily se ne fregò altamente. Potevano anche ammazzarsi al centro del corridoio, era completamente stufa.
Ignorò bellamente la sua spilla da Caposcuola e fece un sospiro profondo cominciando a scendere i gradini che l’avrebbero portata in Sala Grande per pranzo; Liv e Mary la stavano di sicuro aspettando con magari mezzo piatto già vuoto.

Arrivando in cima alla grande scalinata in marmo al primo piano, però, vide le sue due amiche accanto alle quattro grandi clessidre della sala d’ingresso insieme ad un gruppetto alquanto strano: tre Serpeverde e Carter, il battitore della squadra di Grifondoro seriamente abbattuto.
«Chiudi quella bocca, idiota» stava dicendo Liv contro il Serpeverde più vicino al suo compagno di squadra. «O ti farà cadere tutti i denti con un colpo solo. Poi mi dirai se sa usare la mazza, o no».
Liv affianco a qualcuno così ingobbito e davanti a dei Serpeverde spavaldi non prometteva nulla di buono, pensò Lily aumentando il passo sui gradini per raggiungerli prima che potesse esplodere un duello selvaggio; qualcuno, però, la precedette di pochi secondi.
Con sua grande sorpresa vide che quel qualcuno non era altro che il suo collega Caposcuola.
«Che sta succedendo qui?» esordì James sbucando dalla Sala Grande con espressione decisa; la voce di McAdams che tirava in ballo denti a terra e mazza da battitore non gli era sfuggita.
I tre Serpeverde indietreggiarono leggermente puntando gli occhi su di lui che si avvicinò con passo tranquillo. Non era difficile capire cosa stesse succedendo: i Serpeverde, il suo Carter e la settimana prima della partita, quei cretini stavano facendo terrorismo anche se i giocatori avversari non erano loro.
La faccia di Carter glielo stava dicendo chiaramente insieme ad un orribile senso di colpa che suggeriva quanto era stato pessimo come Capitano agli allenamenti di tutto il mese.
L’orribile senso di colpa, stranamente, aveva la voce saccentemente sarcastica di Sirius. ‘Imbecille’, ‘Rincitrullito’, ‘Datti una svegliata, fratello’, ‘Hai tutto sotto controllo come Gazza quando gli abbiamo svaligiato metà ufficio’, ‘James, io ti sto avvisando: Se verrai a dirmi che non ho fatto niente ti risolverò una volte per tutte il problema dei capelli strappandoteli uno ad uno’.

Eccome se Sirius l’aveva avvisato, e lui non aveva fatto niente. Non aveva fatto niente. Perchè accidenti non aveva fatto niente? Non si ricordava nemmeno cosa aveva insegnato a Carter il mercoledì precedente.
Si passò nervosamente una mano tra i capelli e, insieme ad un moto di rabbia, si accorse che tra quei tre in cravatta verde e argento c’era anche Lo Stronzo. Regulus Black non aveva abbassato di un millimetro il ghigno divertito, assomigliando paurosamente e fastidiosamente a Sirius.
«Ci avete soltanto fatto un favore ritirandovi dalla prima partita del torneo» disse James avvicinandosi al suo battitore per passargli un braccio sulle spalle e rassicurarlo. «Perchè quelli che vogliamo distruggere in campo siete voi, non i Tassorosso. E quando vi incontreremo saremo più che pronti» continuò minaccioso, mentendo per metà. Era ovvio che voleva vincere contro Stevens ma la questione con Regulus era molto più competitiva e complicata per una marea di motivi, primo fra tutti: era un Black.
«Lo saremo anche noi, puoi starne certo» sibilò Regulus assottigliando gli occhi grigi con puro odio.
Potter era un... come l’aveva chiamato Severus? Un lurido ladro.
Aveva già tutto, il massimo che uno potesse desiderare dalla vita, ma lui continuava a rubare a tutti. Rubava tutte le cose più belle degli altri, rubava senza scrupoli la felicità degli altri per farla completamente sua.
Severus aveva più che ragione: non si poteva non odiare uno così.

Come se fosse uscito dai suoi pensieri, Piton comparve sullo stipite della porta che gruppetti di studenti stavano ancora oltrepassando per andare a mangiare.
«Reg, non sprecare tempo con questi» esordì con disprezzo posando lo sguardo prima su James e poi, con un piccolissimo sussulto sorpreso, su Lily ormai parte dello strano gruppetto.
Una dolorosa e subdola fitta al cuore gli fece stringere le labbra. Perchè quei due erano lì, insieme?
James inspirò profondamente nel tentativo di bloccare l’innocente istinto di fargli vedere di nuovo il mondo al contrario. Non aveva nessuna voglia di esplodere davanti a Lily ma, come si aspettava, l’intento di Piton era proprio farlo esplodere perchè dopo aver posato gli occhi neri prima su di lui e poi su di lei, il suo viso si era fatto improvvisamente più pallido e duro. Vederli insieme lo mandava fuori di testa, James lo sapeva e non avrebbe ceduto, non sarebbe esploso come lui voleva, non l’avrebbe fatto accadere mai più. 
Il serpentello si mangerà la sua stessa coda dal nervoso piuttosto che ghignare davanti ad una sfuriata di Evans contro di me. 
«Immagino stiate parlando della partita praticamente già vinta da Stevens» sputò come veleno Piton in un piccolo sorrisino beffardo. James invece sorrise apertamente, ignorando il petto gonfio di rabbia.
Quel furbo gli aveva fatto perdere le staffe abbastanza spesso in sei anni e ci riusciva ancora adesso- ci riuscirà sempre, pensò James stringendo i pugni mentre quegli occhi nerissimi continuavano a fissarlo con puro odio- ma l’orgoglio che gli ordinava di non cedere ormai superava tutto.
L’orgoglio, il viso abbattuto del suo giocatore e anche qualcos’altro, forse l’espressione attenta di Lily lì vicino.
«Sì, stavamo parlando proprio di quella partita già vinta da Stevens, Piton. Ce la farete a riprendervi dopo? Coraggio, avete parecchi mesi di tempo per prepararvi alla sconfitta».
Con la coda dell’occhio, James notò chiaramente il sorriso divertito sulle labbra di Carter e, sempre più ridente e sollevato, gli strinse maggiormente il braccio attorno alle spalle per guidarlo verso la Sala Grande.

«Noi intanto andiamo a pranzo» salutò, ingoiando a fatica un insulto. Meglio non rischiare troppo ed allontanarsi da lì, si disse, dopotutto aveva appena cominciato a tenere a bada il leone che gli ruggiva dentro ogni volta che si ritrovava Piton davanti.
Nemmeno Lily, tra Mary e Liv completamente sorprese, riuscì a tenere le labbra ferme. Le si arricciarono leggermente in un sorriso incredulo ed incerto perchè non dover intervenire in una lite tra quei due era quasi impossibile da credere.
Non si stupì quando l’ormai familiare furia sul viso di Piton le fece sentire addosso una bellissima e nuova soddisfazione.
Nessuna lacrima sbucò dalle lunghe ciglia e nessun nodo alla gola le morzò il fiato quando gli occhi di Piton si posarono sui suoi; così come nessuna parola uscì dalle labbra serrate e tremanti del suo ex migliore amico, forse proprio per questo la soddisfazione di Lily crebbe a vista d’occhio. Se Piton non aveva niente da dirle significava che le loro strade non erano cambiate.
La cosa che la sorprese invece fu lo sguardo di Regulus, uno sguardo che corrispondeva alla stessa tipologia d'occhiata che le rivolgeva sempre Petunia a casa.
Si accorse, però, che tutto quel disgusto negli occhi grigi di Regulus non era rivolto a lei quando vide Liv assottigliare gli occhi scuri in direzione della figura slanciata di Black, orgogliosamente diretta verso la Sala Grande dietro a quella instabile di Owen.
«Black!» lo richiamò Liv seguendolo a passo veloce.
«Olivia. Ti ho detto che non ho idea del perchè eri ferma davanti al quadro della Signora Grassa» rispose fintamente svogliato, lui, infilandosi tra il tavolo dei Corvonero e quello dei Tassorosso per accertarsi che Owen si sedesse al suo e non a quello giallo-nero.
L’incantesimo Confundus, a lungo andare, causava per caso dei danni? La domanda, così come gli era venuta, sparì in un attimo un po’ perchè non gliene fregava più di tanto e un po’ per lasciare spazio alla voce furiosa di Liv, chiarissima nonostante il chiasso della sala affollata per pranzo.
«Sì, certo “non hai idea”... nelle cucine c’eri anche tu o sbaglio? Quello lo ricordo benissimo»
«E allora? Questo non dice niente»
«Dice che solo tu sai cosa è successo nel tragitto verso la torre, cretino» lo insultò mentre superavano James, chino sulla panca dove un Carter molto più sollevato ascoltava il suo discorso con un sorriso.
«E vedrai che con gli esercizi di stasera recupererai alla grande. Mi dispiace essere stato così assente» lo incoraggiò battendogli una pacca sulla spalla, sentendosi tremendamente in colpa. «Daisy! Posso parlarti un attimo?» chiamò poi rivolgendosi alla sua terza cacciatrice che mangiava e chiacchierava lì vicino.
«Fammi tornare subito la memoria» ordinò Liv sedendosi al fianco di Sirius che si era lasciato cadere a peso morto sulla panca accanto a Remus e Peter.
«Vi prego, no. Basta. Almeno a pranzo, finitela» si lamentò Remus mollando la forchetta sul piatto ancora pieno.
Non aveva nemmeno assaggiato un boccone e quei due avevano ricominciato con il discorso rimasto aperto da giorni. La cosa stava diventando insopportabile soprattutto per colpa di Sirius che, con quella sua abitudine di fare il finto tonto, non faceva altro che istigare giustamente Liv che viveva con un buco di nulla assoluto nella memoria.
Non sarebbe piaciuto a nessuno quella sensazione in testa e Remus sapeva quanto avesse ragione, ma ancora qualche giorno e li avrebbe legati ed imbavagliati da qualche parte senza prestare attenzione nè alla sua spilla da Prefetto e nemmeno all’amicizia che lo legava a quell’idiota.
«É lei che non mi vuole lasciare in pace» cantilenò Sirius, l'espressione palesemente divertita ad illuminargli i bei tratti.
Liv gli sfilò via dalla mano il vassoio con le costolette che lui aveva appena afferrato, guardandolo dritto negli occhi con fare minaccioso.
«Stai attento ai liquidi» gli sibilò soltanto prima di alzarsi dalla panca insieme al vassoio e dirigersi parecchi posti più in là, dove si erano appena sedute Lily e Mary.
«Stai attento ai liquidi? Che significa?» domandò perplesso Peter voltandosi verso un Sirirus confuso ma ridente.
«Quella è una pazza»
«Quella è una pazza, Sirius, ma tu al posto della testa hai una zucca vuota, te lo dico io» lo rimbeccò Remus spiluccando del pane ed aspettando la sfuriata dell’amico che non tardò ad arrivare.
«Io? Zucca vuota? Remus, evita di sparare idiozie. Capisco che siamo quasi al giorno... x, giorno x» si corresse all’ultimo quando lo sguardo ammonitore di Remus lo fulminò in pieno.
«Stai attento ai liquidi vuol dire che devi stare attento a quello che bevi» spiegò brevemente Remus «Se la sua intenzione è scoprire cosa nascondi, come potrebbe fare utilizzando un bicchiere d’acqua o di succo di zucca?»
«Veritaserum» rispose prontamente Sirius spostando velocemente lo sguardo sul suo calice.
«É stata anche troppo gentile ad avvisarti» aggiunse Remus addentando una patata arrosto.
«Potremmo usarlo anche noi... per scoprire cosa combini quando sparisci, Felpato, e che che cosa le hai fatto quella notte» ridacchiò Peter dandogli una gomitatina sul braccio.
«MCADAMS!? STASERA AVRAI L’ONORE DI ESSERE ALLENATA CON QUELLI CHE IO CHIAMO ‘ESERCIZI DEL PAPÀ’!» gridò James camminando verso di loro.
Le labbra di Sirius, che fino a qualche istante prima erano pronte a liberarsi del peso del segreto di Owen, dovettero chiudersi davanti al suo migliore amico che gesticolava in direzione di una Liv decisamente scocciata parecchi posti lontano da loro.
«Esercizi del papà, James?» chiese Remus piuttosto curioso. «Oh, il nobile signor Black ci degna della sua aristocratica presenza» ironizzò in tono comicamente altezzoso James sedendosi davanti ad un Sirius sbuffante. «Comunque» riprese, illuminandosi «Sono le tattiche che insegnerò a mio figlio... da appena nato!»
Le facce dei suoi tre amici di fronte a lui non poterono essere più perplesse.
«Visto che io sono stato il Potter Cacciatore migliore di Hogwarts per sei anni, in futuro ci vorrà anche un Potter Cercatore migliore di Hogwarts per altri sei anni, no? O meglio, sette, sette anni... lo prenderanno dal suo primo anno» snocciolò James con fare professionale.
Il sopracciglio di Remus ormai era un tutt’uno con l’attaccatura dei suoi capelli. James era consapevole di cosa questo volesse dire ma come al solito si ritrovò a sorridergli in faccia come se niente fosse.
«E magari anche un portiere e un battitore migliori di Hogwarts» squittì Peter riprendendo a masticare la sua coscia di pollo.
«Si può sapere come farai? Farai spuntare le ali argentate al ciuccio, al posto del boccino?» chiese ironicamente Sirius gettando senza tanti complimenti il succo di zucca del suo calice in quello del ragazzo del quarto anno seduto al suo fianco.
«Bell’idea, Felpato!» esclamò James, radioso.
Remus non sapeva se ridergli in faccia o lanciargli in testa la mezza pagnotta che aveva in mano. Le idee ‘strabilianti’ di James a volte gli facevano pensare che presto o tardi per vedere l’amico sarebbe dovuto andare al San Mungo, nel reparto lungodegenti.
«Piangerà come nessun’altro bambino al mondo»
«Ma diventerà il migliore, Remus! Anche se, con i miei geni, non potrà che essere già bravo di suo»
«Spera che non prenda i geni dei capelli» fece Sirius ma James, troppo preso a fantasticare e a fissare con sfida la schiena di Ned Stevens seduto sul tavolo davanti, non lo ascoltò nemmeno.
«Fidatevi, lo prenderanno dal suo primo anno. Ruberà i boccini da sotto il naso di tutti, in campo, soprattutto ai Tassorosso. Altro che Stevens»
«Impossibile, James. Il regolamento dice che si può entrare in squadra soltanto al secondo anno»
«Mio figlio sarà così eccezionale da far cambiare il regolamento, Remus. Vedrai»
«Tuo figlio sarà un esaurito, Potter, proprio come te» s’inserì risoluta Lily che si era avvicinata a riportare il vassoio con le costolette rubato prima da Liv.

«Istruirò mia figlia a lanciargli incantesimi appena lo vedrà. E ricordati che stasera dobbiamo preparare gli addobbi per Halloween con tutti i Prefetti. Non m’interessa dei tuoi allenamenti, non mi farai lavorare il doppio anche stavolta».
James non ebbe il tempo di ribattere perchè Lily si allontanò da loro per tornare al suo posto con la stessa velocità con la quale era arrivata.    
 
 



 

*

 
 
 



«Non vieni?»
«No, James, lasciami riposare un attimo»
«Ma riposare da cosa?»
Riposarmi dallo stress che mi sta uccidendo mentre corro a destra e a manca per evitare che la tua vita sentimentale e il benessere di tutti noi vadano a farsi fottere. Sirius, disteso sul suo baldacchino dopo le ultime due ore di pozioni della giornata, si sentì schiacciare completamente da un peso che riconosceva come quello del suo migliore amico. Quando aprì un occhio, vide che effettivamente James si era lanciato su di lui con uno sguardo per niente pacifico.
«Parla o non scenderai mai più da questo letto, Sirius. Sai che sono serio»
«Ho una punizione con la McGranitt perchè mi ha beccato mentre correvo nei corridoi. Cosa ti cambia se per questa volta non vengo agli allenamenti, James? Non sono un giocatore»
«E come mai stavi correndo per i corridoi?»
«Ma chi sei, tua madre?»
«So essere peggio di mia madre»
«Non lo metto in dubbio. Euphemia è così dolce...»
«Lo è solo con te»
«Perchè io sono simpatico ed affascin...»
«Non cambiare argomento»
«Sei tu che hai iniziato a fare il geloso di tua madre, Ramoso»
«Ti vedi con McAdams»
«Cosa? Ma nemmeno con una bacchetta puntata alla testa. E alzati, mi stai rompendo una costola»
«Ti stai per caso agitando perchè ti ho scoperto, fratello?»
«No, mi stai facendo male allo stomaco, James»
«Conosco per filo e per segno tutti i tuoi appuntamenti, non mi scandalizzerò ascoltando quello con McAdams. Raccontami della macchia di cioccolato sulla felpa e facciamola finita, Sirius. Basta che non la cercherai più, soprattutto prima di una partita»
«Ma che cavolo stai dicendo?»
«Mi devo preoccupare, Felpato?»
«Certo che sì! Se non togli immediatamente il tuo ridicolo ginocchio nodoso* da lì mi esploderà il fegato, più preoccupante di così...»
 James si risollevò, lasciandolo libero. «Cosa sta succedendo, Sirius?» chiese scrutandolo attentamente da dietro le lenti rotonde.
Dopo una breve pausa di silenzio, nella quale James aveva continuato a fissarlo come se fosse stato un boccino o uno dei bersagli da colpire a Difesa, Sirius si decise a parlare.
«Questo è l’ultimo anno» cominciò, portandosi pigramente le braccia dietro la nuca. «E una volta fuori da qui sarà tutto diverso»
«Questo lo sappiamo tutti ma cosa c’entra adesso? Stai cambiando di nuovo argomento. Guarda che ti conosco»
«Sto solo cercando di dirti che prima di uscire da qui dobbiamo risolvere delle questioni...»
La faccia di James si fece più confusa di quella di Peter, appena entrato nel dormitorio con la Mappa del Malandrino in mano.
«Oh, siete già qui. Non avevate due ore di Pozioni?» chiese, andando a sedersi sul letto ordinato di Remus.
«É esploso il calderone di Abbott, Lumacorno ci ha ‘liberati’ prima» rispose Sirius ignorando lo sguardo spazientito di James. «Tu dov’eri con la Mappa? Non l’hai fatta vedere a nessuno spero». 
Peter scrollò le spalle. «Mi sono fatto un giretto ad Hogsmeade» rivelò, tirando fuori dalle tasche una montagna di dolci per la gioia di Sirius.
«Quali sarebbero queste questioni da risolvere prima di uscire da Hogwarts?» sbottò James, ormai nervoso. Il suo migliore amico non poteva nascondergli una cosa così importante. Non poteva nascondergli un bel niente e voleva aiutarlo, qualsiasi cosa fossero queste ‘questioni’.
«E va bene, ve lo dico!» esclamò Sirius saltando giù dal letto per raggiungere le cioccorane di Peter. «Sto organizzando la mia festa di compleanno, contenti? Adesso mi lascerete in pace o volete continuare a disturbare il mio genio artistico? Guardate che se uscirà una schifezza sarà soltanto per colpa vostra».
Peter, eccitato dalla bella notizia, svuotò anche la tasca interna del mantello per festeggiare e James si sistemò gli occhiali con fare incerto. Sirius sapeva che imbrogliare James era praticamente impossibile, soprattutto quando il suo migliore amico lo fissava in quel modo. Sembrava riuscisse a leggergli ogni espressione, ogni movimento, ogni pensiero.
«Ok, la tua festa di compleanno» fece James per niente convinto. «E non vuoi nessun tipo di aiuto»
«No» rispose Sirius scartando la prima scatolina blu elettrico e rispondendo alla domanda che James non aveva nemmeno cominciato ad esporre. «L’anno scorso era diverso... diventavo maggiorenne e mi serviva tutto l’aiuto possibile per fare una festa coi fiocchi».
Vide James sollevare le sopracciglia nere con fare scettico. Avrebbe continuato a ribattere, ne era certo, ma non era ora di andare agli allenamenti?
«Quindi... l’altra notte tu e McAdams stavate provando la ricetta della torta?» chiese James in tono ironico, sollevando ulteriormente un sopracciglio.
«Non ci crederei nemmeno se li vedessi» rise Peter con metà bocca piena di Calderotti. La rana di cioccolato saltò fuori dalla scatolina senza che Sirius se ne rendesse conto.
«Con Olivia non è successo niente. Io ero con Susan, lei è venuta a farmi uno scherzo, l’ho seguita in cucina per vedere se la Tazza Mordinaso aveva funzionato e poi...»
«Ti ha imbrogliato con il dolce Singhiozzino e l’hai trovata da sola a fissare il vuoto davanti alla Signora Grassa... sì, sì lo sappiamo» lo fermò James andando a recuperare la sua scopa seminascosta dalla trapunta rossa e oro del suo baldacchino. «Sappi però che questo mistero della festa di compleanno non mi convince neanche un po’».
E ti pareva, pensò Sirius spostando lo sguardo sulla dolce rana saltata sulla porta del bagno che si aprì, facendo comparire un Remus fresco di doccia con i capelli bagnati e le magre guance arrossate dal vapore.
Gli occhi ambrati si posarono subito su James e sulla scopa che aveva in mano.
«Per svuotare delle zucche non ti serve la scopa, James»
«Ma io le devo riempire le zucche, Remus, quelle della mia squadra che ha assolutamente bisogno di me» ribattè lui mettendosi la scopa in spalla.
«Sei un Caposcuola» gli ricordò Remus per... non sapeva nemmeno lui quante volte l’aveva fatto in quei due miseri mesi; alla fine dell’anno sarebbero state miliardi, poteva scommetterci tutto quello che voleva.
«Sono anche un Capitano, Remus, il Capitano della squadra che sabato prossimo aprirà il torneo»
«Vallo a dire a Lily»
«Evans non può ordinarmi proprio niente, abbiamo gli stessi identici poteri. Il Capitano è un mio dovere tanto quanto lo è quello da Caposcuola».
Nessuno ribattè, anche perchè lo sguardo furioso di James non invogliava di certo a discutere.
«E se vogliamo dirla proprio tutta» continuò lui sistemandosi la scopa sulla spalla. «In questo momento la responsabilità da Capitano è quella più urgente. Se non vado agli allenamenti perderemo La partita, se invece non non mi presento in Sala Grande con delle zucche da svuotare mi spiegate quale sarebbe il danno?».
Remus gli diede ragione mentalmente. Quanto avrebbe voluto lasciar perdere quegli addobbi e prepararsi al meglio per il compito di Trasfigurazione. Senza parlare poi del fatto che a quel banchetto lui non avrebbe nemmeno partecipato.
Il viso di Mary, sorridente e luminoso, prese il posto della tonda e bianca luna che gli si era formata in mente a quel pensiero.
Non era una cattiva prospettiva passare le prossime ore con lei, anche se avrebbero avuto a che fare con zucche e pipistrelli per tutto il tempo.
Anche Mary è una persona meravigliosa, sai?” la voce di Lily era così rassicurante e convincente.
«Il vero danno sarebbe se Owen avesse le prove e andasse da Evans» sbottò James facendo trapelare tutta la sua preoccupazione, la stessa che Sirius gli vedeva ogni giorno anche quando James riusciva a nasconderla dietro ad un enorme sorriso o ad una battuta divertente.
«Non preoccuparti di questo» lo rassicurò lui gettando la scatolina della cioccorana a terra con silenzioso disappunto di Remus. «So per certo che non ha ancora nessuna prova»
«Lo controlleremo noi con la Mappa, Ramoso» aggiunse Peter sventolado la pergamena con aria furba.
James annuì gonfiando il petto prima di uscire di corsa dalla stanza, sparendo alla loro vista, e Sirius non riuscì più a trattenersi.
«Owen ha le prove e sta cercando in tutti i modi di dirlo a Evans» rivelò sottovoce infilandosi una mano in tasca.
Remus vide la mano dell’amico sbucare dal pantalone con parecchie palline di pergamena accartocciata. Tutti erano più fuori di testa del solito o era lui che stava diventando scemo?
«Seguo Owen da settimane» cominciò a spiegare Sirius distribuendo i bigliettini di Pandora anche a Peter. «Ecco dove sparisco. McAdams non c’entra un bel niente»
«E la festa di compleanno?» chiese Peter dispiaciuto.
Remus, perlpesso, aprì le quattro palline e cominciò a leggere.
Lily, devo parlarti al più presto. Black mi impedisce di avvicinarmi a te perciò non ascoltarlo.
 
Lily? Perchè non mi rispondi? Per favore!

 

Ho le prove. Ho tutte le prove che vuoi! Vediamoci in un posto appartato.
 
Per posto appartato non intendevo dire... non voglio fare niente. Ma per rivelarti le prove dobbiamo essere soli.
 

«Che significa che le prove sono la Dama Grigia?» esordì Peter con ancora gli occhi fissi sul pezzetto di pergamena tra le sue mani.

 

La Dama Grigia, lei ha visto e sentito tutto. Posso assicurarti che non mente.


 
 
 

 

*




«Divertitevi!»
«DIVERTITEVI UN CORNO, POTTER!»
Lily era furiosa all’entrata della chiassosa Sala Grande piena di capaci Prefetti al lavoro, zucche levitanti e altre a terra o sui lunghi tavoli stracolmi di polpa arancione che veniva tagliata via con gesti esperti di bacchetta. C'erano grandi foglie verde scuro per terra e in ogni dove, stormi di canarini gialli si univano a sporadici pipistrelli neri evocati dai Prefetti del settimo anno, più esperti; altri sfrecciavano per la Sala illuminata in scie blu, rosse, gialle. Vedere James sfrecciare tanto quanto quei pipistrelli ma sull’ampia scalinata in marmo, per poi uscire fuori nel Parco con la scopa in mano, le aveva fatto ribollire il sangue nelle vene.
Fece per girarsi e raggiungere di nuovo i Prefetti alle prese con dei pipistrelli schiantati e storditi sul tavolo vuoto degli insegnanti, quando un vocione caloroso la richiamò dall’ingresso.
«Ehi, Lily!» Hagrid, carico di cesti colmi di foglie e zucche arancioni, le venne incontro con l’ispida barba sollevata da un enorme sorriso.
«Grazie, Hagrid!» lo accolse lei, radiosa. Marlene McKinnon, dietro di lui, a fatica si reggeva in piedi con un cesto pieno di altre zucche più piccole. Lily le andò subito in soccorso, ma Edgar Bones fu più veloce di lei e con braccia da portiere salvò l'amica prima di vederla cadere a terra.
«Edgar, per favore, poggialo vicino al camino davanti al tavolo dei Serpeverde». Il Tassorosso annuì, dirigendosi verso Jane Phillips, Robert Goldstein e altri tre che facevano levitare le zucche già pronte. Lily provò a prendere un cesto anche di Hagrid, per alleggerirgli il peso, ma lui glielo allontanò con fare premuroso.
«Non vorrai mica romperti un braccio, Lily, eh? Faccio io. Dove ce li metto?»
«Puoi lasciarli qui sopra, grazie mille» disse lei indicandogli il tavolo dove Barty e Regulus le davano le spalle e borbottavano qualcosa sull’esagerata grandezza delle zucche da intagliare. Dirk Cresswell, poco distante da loro con la bacchetta puntata alle candele sul soffitto, tentò di evocare dei pipistrelli neri facendo spuntare però dei perfetti canarini gialli un po' fuori luogo con l'atmosfera.
«Abbiamo iniziato da poco gli Incantesimi di Evocazione con la McGranitt» si scusò il sedicenne guardando Lily che gli sorrise, per niente delusa.
«Hai fatto un eccellente incantesimo, Dirk, a lezione di Trasfigurazione avresti preso dei punti bonus. Adesso, concentrarti sulla forma e il colore dei pipistrelli» lo rassicurò, incoraggiante, ignorando il sorrisetto trattenuto sul profilo altero di Regulus, adesso rivolto a loro sicuramente in una muta allusione al fatto che il suo coetaneo Corvonero fosse un Nato Babbano. «Black, lascia le zucche e facci vedere i tuoi». Lily sorrise all'ochiataccia grigia di Regulus, prima di rivolgersi di nuovo ad Hagrid che osservava la scena con un sorrisetto pieno d'affetto nascosto sotto la barba. «Hagrid, vuoi che ti mandi qualun'altro per aiutarti col resto delle zucche?»
Hagrid scosse la testa sventolando con fare bonario le sue enormi mani come se, per lui, quei cesti fossero una sciocchezza da sollevare.
«Tranquilla, non c’ho bisogno. Salendo qui ci ho incontrato Ned Stevens che tornava dal campo, ci si è offerto lui. Sarà qui in un baleno. O forse è meglio che ci vado a controllare, spero non sia rotolato fino al Lago Nero con tutte le zucche che ci ho dato».
Lily rise e chiese lo stesso a Mary di andare con Hagrid e di lasciar stare per un momento le candele che stava infilando dentro le zucche pronte insieme a Deanne, di nuovo senza il suo collega Serpeverde coetaneo.
«Vengo anch’io!» si aggiunse Remus, appena entrato in Sala Grande con il fiatone e i capelli ancora bagnati dal bagno. «Due braccia in più fanno sempre comodo. E scusa il ritardo, Lily».
Il sorriso di Mary si allargò a dismisura.
 
 

 

 
*

 
 




I tuoni in lontananza, il cielo plumbeo e il leggero venticello freddo che sollevava le foglie secche da terra e faceva dondolare gli alberi dorati della Foresta Proibita non preannunciavano un facile allenamento, ma Liv e Daisy cominciarono a scendere il ripido pendio erboso con un sorriso sulle labbra.
Non c’era niente di meglio che spiccare il volo per qualche ora, anche se sotto la pioggia gelida di fine ottobre.
A metà strada incontrarono Ned Stevens. Al loro contrario, risaliva la collina con una certa difficoltà.
«Buon allenamento!» salutò Ned con le braccia cariche di zucche e i due luminosi occhi blu puntati su Liv.
«Grazie!» ricambiò il saluto Liv senza fermarsi. Erano già in ritardo e l’ultima cosa che voleva era sentire Potter sbraitare a terra e in aria.
«Ti ha guardato» mormorò divertita Daisy saltando un masso coperto di muschio umido.
«Certo che mi ha guardato, ci stava salutando, Daisy» fece Liv aumentando il passo.
«Sì ma sta continuando a farlo» ridacchiò lei osservando furtivamente Ned da sopra una spalla.
Liv evitò di voltarsi. Nella mente la voce di Mary le stava ricordando qualcosa. ‘Sicura non sia perchè ti piace? Perchè se così fosse lui ne sarebbe felice, credo...’ ; ‘Allora è vero che sei libera e quindi Ned Stevens ha sorriso in modo smagliante per una verità’.
«Non riesce a staccarti gli occhi dosso! Ancora!» continuò sempre più divertita Daisy, almeno fino a quando Liv non la prese per un braccio trascinandola letteralmente sull’erba per aumentare così la distanza con Ned.
«Concentrazione, cacciatrice!» bofonchiò, imitando la voce autoritaria di James. «Vuoi per caso che ti attacchi un fuoco d’artificio ai pantaloni per farti andare più veloce?».
 «Ned! Dai pure a noi le zucche!» lo richiamò Remus facendolo voltare con un sussulto.
«Ma no, tranquilli! Mi sono fermato soltanto un attimo, questa salita dopo gli allenamenti è più faticosa» farfugliò lui con un sorriso imbarazzato.
Riprese a camminare così velocemente, passando tra Remus e Mary, che nemmeno Hagrid, appena arrivato tra loro, ebbe il tempo per convincerlo.
«Be'» esclamò quest’ultimo battendo le mani- il forte rumore fece scappare alcune cornacchie lì vicino- «Vuol dire che voi due, adesso, mi aspettate qui. Scendo all’orto, ci prendo il secondo carico e lo divido in due cesti non troppo grandi, eh? Faccio in fretta!» disse, prima di allontanarsi sprofondando i grandi piedi sul fango.
Sia Remus che Mary sospirarono, guardando in direzioni opposte.
L’imbarazzo di un tempo non esisteva più; si erano abituati a parlare durante il giorno o a tavola quando si ritrovavano seduti vicini, ma ogni tanto l’aria attorno a loro si faceva strana.
Lo sentiva Mary- che provava un irrefrenabile voglia di sistemarsi i corti capelli biondi senza sapere nemmeno il motivo- e lo sentiva anche Remus, sempre più convinto del fatto che, come gli aveva detto Lily, lei era una persona meravigliosa.
«Sta per piovere» esordì Remus sollevando lo sguardo verso il cielo grigio mentre un tuono rimbombava nell’aria.
«Tanto Hagrid ha sempre un ombrello con sè» fece Mary non riuscendo a fermare la mano che involontariamente andò a sistemare una ciocca dietro un orecchio dando la colpa al “vento insopportabile”.
Lo sguardo di Remus si abbassò velocemente, attirato da una fugace apparizione. «L’hai visto anche tu?» chiese, indicando il cespuglio poco lontano.
Mary scrutò con attenzione il paesaggio ma non vide niente fuori posto dal solito paesaggio.
«Cosa?» domandò allarmata. Remus si guardò attorno, interdetto. Aveva visto qualcosa, non l’aveva inventato.
C’era qualcosa dietro quel cespuglio, non sapeva di preciso cosa ma l’aveva vista. Di certo non era umana, troppo minuta e tremendamente veloce.
Hagrid tornò con due piccole- rispetto alle sue dimensioni- cassette cariche di zucche.
«Sicuri di farcela? Posso portarcele io, altrimenti»
«Ce la faremo, Hagrid. Grazie» lo rassicurò Remus prendendo la prima cassetta. Non era per niente piccola ma quella tra le braccia di Hagrid sembrava ancora più pesante, perciò diede la sua a Mary e afferrò la seconda.
L’apparenza non l’aveva ingannato: quelle più che zucche avrebbero dovuto chiamarsi massi.
Salutarono Hagrid e cominciarono a fare la salita senza riuscire a parlare.
Il fiatone impediva ad entrambi di articolare anche una sola parola. I ciuffi biondi di Mary svolazzavano liberi davanti al viso, scompigliati dal vento. Arrivarono al castello stanchi morti.
«Cosa devono sopportare i miei poveri occhi» esordì la voce sprezzante di Avery alle loro spalle.
Remus strinse con forza le labbra cominciando a salire la scalinata per oltrepassare il grande portone. Evitare inutili discorsi, ignorarli, non dargli corda, isolare le orecchie. Non era poi così difficile quando si è abituati a fare tutte queste cose ventiquattro ore su ventiquattro per riuscire a studiare con James e Sirius nei paraggi.
«Dovrebbero spezzarvi le bacchette dato che non le usate. Siete più babbani che altro» li insultò Mulciber scatenando la risata dell’amico.
Anche Mary cominciò a fare i gradini. Seguì Remus, stringendo con forza le mani sulla cassetta di legno.
«Macdonald, come sta la schiena?» aggiunse Mulciber in tono di scherno, e tutta la pazienza di Remus cadde a terra insieme alle zucche. Si voltò, furioso, e oltre a Avery, Mulciber e Piton –alla base della gradinata- vide la bacchetta di Mary puntata minacciosamente contro i tre Serpeverde; dai suoi occhi nocciola, Remus notò una lacrima sfuggire alle ciglia.
«Andatevene» sbottò proprio lui, trattenendo a stento la rabbia a quella vista. Quella rabbia non era colpa della luna quasi piena, ne era più che sicuro. Era esclusivamente dovuta al fatto che Mary era lì, con le lacrime agli occhi.
«No, lasciali dire, Remus!» obiettò lei tremante, ma decisa. «Avanti! Cosa volete fare stavolta?!» li sfidò stringendo più forte la bacchetta. Gli occhi di Mulciber riuscivano ancora a farle sentire il lungo ed orribile brivido che le aveva percorso la spina dorsale quando lui le aveva lanciato quell’incantesimo oscuro.
La sua schiena però non sarebbe mai più stata alla mercè di quel futuro Mangiamorte, poco ma sicuro.
«Mary, lasciali perdere» cercò di farla ragionare Remus.
Avery rise, guardandolo. «Non intrometterti, tu... racatta quelle zucche sporche di quell'ibrido Mezzogigante e vai a prepararci la festicciola» lo sbefeggiò come se stesse dando degli ordini al suo elfo domestico.
«Dieci punti in meno a Serpeverde, Avery» sibilò Remus, sempre meno paziente. «Per il tuo comportamento nei confronti di due Prefetti e per la parola "Ibrido", severamente vietata a Hogwarts». Lo sbuffo della piccola risata di Piton lo seguì a ruota. Piton non poteva togliere punti a lui e Mary, ma qualcosa nel suo volto gli suggerì che quello che stava per dire l'avrebbe punito in un modo molto più soddisfacente per il Serpeverde.
«Lupin non ha bisogno delle zucche per festeggiare Halloween. Lo passerà alla grande con un costume pauroso degno di questo nome. Non è forse questo il tuo più grande divertimento, Lupin? Spaventare la gente nei posti meno opportuni?» sibilò con astiosa ed eloquente furbizia fissando negli occhi furiosi Remus.
Piton non avrebbe mai dimenticato quel suo stupido scherzo sotto al Platano, e quella faccia da finta vittima non colpevole Piton non la sopportava proprio.
Mulciber rise, più forte. «E ci credo, con quel colorito e quelle cicatrici che si ritrova non può che essere la maschera più bella di tutte! Si può sapere una volta per tutte che razza di malattia hai?» lo sbefeggiò osservandolo afferrare la mano di Mary e sventolare la bacchetta per rimettere le zucche sulle cassette che cominciarono a levitare verso il portone.
Mary si lasciò trascinare, sconcertata e confusa, fin dentro il salone d’ingresso.
«Remus, va tutto bene?» gli chiese asciugandosi gli angoli degli occhi.
Lo strazio sul viso di Remus aveva fatto passare in secondo piano le sue lacrime e il brivido ancora fermo sulla schiena.
«Tutto bene» rispose lui, per niente tranquillo. «Andiamo a portare queste zucche a Lily»
«No. Non stai bene. Non stai per niente bene. Sei pallidissimo e respiri a malapena. Ti accompagno in infermeria»
«Non ce n’è bisogno. Sono soltanto.. arrabbiato. Tutto qui». Il nodo che gli stringeva la gola si fece più grande quando si ritrovò a fissare le labbra che Mary si stava mordicchiando con fare incerto.
A me non fanno paura le tue cicatrici e nemmeno la tua pelle pallida. Qualsiasi malattia tu abbia non m’interessa. Ecco cosa i denti di Mary, conficcati sulle labbra, stavano trattenendo.
Non poteva dirglielo, sarebbe stato come tornare indietro nel tempo e rovinare di nuovo tutto. Era così bello parlare con lui.
«Passare due ore nei sotterranei farebbe impallidire anche una pluffa, stai tranquillo. Non capisco come faccia Lily a sorridere sempre davanti ad un calderone» scherzò ridente, riuscendo a far sorridere anche lui. In quel sorriso però Mary non ci vide niente di allegro e le frasi che subito dopo le sfuggirono dalle labbra furono una piccola liberazione.

«A me non fai paura, Remus, Piton può dire quel che vuole. Non mi spaventeresti nemmeno se ti travestissi da Lupo Mannaro».
Gli occhi spalancati di Remus e il pallore che improvvisamente aumentò, facendolo assomigliare al fantasma appena sbucato da un muro, le fecero riaddentare con forza il labbro: forse era meglio se restava zitta, anche se non capiva cos’aveva detto di male.
Con sua sopresa però, Remus schiuse le labbra per parlare.
«Perchè... perchè proprio un costume da lupo Mannaro?» le chiese con un piccolo sorriso nervoso.
Mary fece spallucce, arriccinado il piccolo naso all’insù.
«Perchè di solito fa paura alla maggior parte della gente... avrei potuto dire anche Vampiro o...»
«A te non fa paura?»
«No! Sarebbe soltanto una maschera, Remus. Una maschera per una sola notte! E sotto ci saresti sempre tu!» rispose Mary in una risata cristallina.
Remus si sentì per un attimo stordito da quel suono allegro e dolce.
«E se non fosse soltanto una maschera di Halloween? Se incontrassi un vero Lupo Mannaro?» le chiese senza nemmeno rendersi conto di star trattenendo il respiro.
«Anche un lupo mannaro indossa una maschera per una notte, Remus. Non ti facevo così razzista» scherzò lei. «Ma se lo incontrassi senza la luna piena gli stringerei la mano e lo saluterei» continuò con semplicità, osservandolo negli occhi. Brillavano come le scintillanti pietre ambrate nella clessidra dei Tassorosso alle sue spalle.
«Tu non segui più Cura delle Creature Magiche, giusto» bofonchiò poi, pensierosa, distogliendo lo sguardo per non arrossire spudoratamente.
Le sopracciglia castane di Remus si sollevarono in un’espressione interrogativa.
«Se fossi nel corso del professor Kettleburn, lunedì scorso avresti potuto assistere ad una lezione molto interessante sui Lupi Mannari. Non so come è venuto fuori l’argomento, forse perchè stavamo parlando delle classificazioni di pericolosità del Ministero... comunque è stato bello studiarli da un punto di vista completamente diverso da quello di Difesa contro le Arti Oscure» spiegò Mary riportando lo sguardo su di lui.
«Non li abbiamo visti come delle creature oscure da cui dobbiamo difenderci. Il ministero li identifica come esseri quando sono in forma umana e animali dopo la trasformazione ma sono delle normalissime persone, Remus, che soffrono per un piccolo difetto...»
«Grande, non è proprio piccolo...» la corresse subito ma Mary scosse la testa, decisa. 
«Piccolo, dopotutto è soltanto per una notte. Per questo dopo il diploma, se questa guerra finirà, vorrei riuscire ad entrare nel dipartimento di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche al Ministero, potrei fare qualcosa anche per loro. Sarebbe bello anche inventare una pozione per far sparire questo ‘problema mensile’ ma lascio calderoni ed ingredienti a Lily, è meglio!». Rise piano, stringendosi nelle spalle e le labbra di Remus si sollevarono senza che lui potesse farci niente.
«Perchè stiamo parlando di lupi mannari?» gli chiese Mary, ridente, sistemandosi ancora una volta il ciuffo biondo di capelli dietro un’orecchio.
Lui scosse la testa con ancora il grande sorriso stampato in faccia. «Non lo so. Sarà meglio portare queste zucche in Sala Grande».

E quelle zucche, il trentuno mattina a colazione, erano perfettamente pronte.
Svuotate e trasformate in lanterne, galleggiavo pigramente sul soffitto nuvoloso della Sala Grande accerchiate da stormi di neri e svolazzanti pipistrelli incantati.

«Guardate le facce di quelli del primo anno» sghignazzò Mary spalmando la marmellata d’arance sul suo pane tostato.
Liv sollevò lo sguardo dalle uova strapazzate per portarlo sugli undicenni estasiati, tutti con il naso verso il soffitto.
«Che ci trovano di bello in questi nuvoloni? Rischiano di farsi venire il torcicollo quando potrebbero benissimo vederli dalle finestre» commentò con l’unico intento di infastidire scherzosamente Mary che, come si aspettava, le lanciò una zolletta di zucchero in faccia.

«Mangiala! Così riequilibri l’acidità!» le ordinò ridente. «I nostri addobbi valgono un torcicollo! Non è vero, Lily?».
Al suo fianco Lily annuì distrattamente, china su un piccolo biglietto arancione che una civetta assonnata le aveva appena consegnato insieme al giornale babbano e ad un sacchetto colorato pieno di dolciumi non magici.
«Brutte notizie?» le chiese Liv lasciando perdere le sue uova. Lei scosse la testa. «No, è il biglietto per Halloween da casa» rispose con un tono non proprio felice.
 
Buon Halloween, tesoro! 
Va tutto bene lì? Noi stiamo bene.

Ci manchi tanto.
 
Mamma e Tunia
 
La firma di sua sorella era falsa. Lily conosceva benissimo la grafia di Petunia e quella sul biglietto non era la sua, anche se le assomigliava tantissimo.
C’erano dei chiari tratti di quella di sua madre ed un piccolo sorriso le sollevò gli angoli delle labbra: sua mamma si era impegnata parecchio con quelle cinque lettere, soltanto per non rattristarla.
 
 

 


 

*

 
 
 


«Pete, smettila di stare tra le nuvole e aiutami con questo mostro»
«L’unico mostro qui è lei, signor Potter! Meno chiacchiere e più lavoro! La Tentacula Velenosa non perdona!»
«Me ne sono accorto, professoressa» borbottò James stroncando con un colpo secco di cesoie un tentacolo della pianta scatenata ancorato al suo braccio.
Erbologia, come al solito, era cominciata male.
La serra era piacevolmente calda rispetto al parco seminascosto dalla nebbia, ma le piante assassine rovinavano tutta la serenità.
«Smettila di pensare al compito, Pete. Remus ha già detto che ti aiuterà» mormorò James a bassa voce spronando l’amico ad afferrare il letame di drago sul tavolo.
Peter annuì, incerto, prendendo il sacchetto puzzolente. Non era il compito di Trasfigurazione che avrebbero avuto all’ora successiva a preoccuarlo- o forse sì, sicuramente anche quello- ma la prospettiva della notte che lo aspettava.
Ci sarebbe stata la luna piena, James avrebbe tardato a raggiungere la Stamberga e Sirius lo stesso, ma l’ultima notizia Peter non poteva assolutamente rivelargliela.
Un topo contro un Lupo Mannaro, non sarebbe stato per niente piacevole.
«Ecco» esordì Sirius poggiando sul banco da lavoro un innaffiatoio più bagnato all’esterno che altro. Remus arrivò subito dopo, con un altro innaffiatoio colmo d’acqua e le labbra sporche di cioccolato.
«Cioccorana» farfugliò, notando lo sguardo interrogativo di Peter «Me l’ha data Lily mentre eravamo in fila davanti al lavandino»
«Oh! Non è giusto!»
«Cinque punti in meno ai Grifondoro, signor Minus! Questo è giusto! DATEVI DA FARE!»
Due ore dopo, la scusa per la faccia preoccupata di Peter fu cambiata da Ho paura per il compito’ a ‘Ho fatto un compito da schifo’.
L’aula di Trasfigurazione era invasa da brusii e chiacchiericcio, la campana aveva appena smesso di suonare e le pergamene con i compiti volavano sopra teste e banchi in direzione della cattedra dove la McGranitt li riordinava con semplici gesti di bacchetta.
«Tutto questo stress ogni mese... ci vuole uccidere» fece Mary caricandosi la borsa in spalla prima di lasciare il suo banco e seguire Lily e Liv fuori dall’aula.
«Lily? Si può sapere a che cosa ti servono tutte queste Cioccorane?» sbottò Liv frugando con una certa difficoltà dentro la borsa dell’amica.

«Lasciale lì! Prendi i fazzoletti e ridammi la tracolla» fece lei improvvisamente allarmata agli occhi dell'amica. Quelle Cioccorane erano contate, una per ogni ora, la mattina Lily le aveva appositamente infilate in borsa per Remus e Liv non poteva prenderne nemmeno una.
Dopo quella ad Erbologia gliene aveva passata una a Incantesimi e un’altra a Difesa; due a pranzo e quella prima di Antiche Rune l'aveva rubata Black, di nuovo inspiegabilmente nei paraggi.
Alle sei del pomeriggio ne restava solamente una. Approfittò della momentanea assenza di Liv e Mary- corse in bagno dopo tre ore di lezione- e si diresse di soppiatto in infermeria.
Quando aprì la doppia porta trovò Remus seduto su un letto.
«Ehi, ciao» lo salutò, entrando. «É l’ultima, giuro!» scherzò, scuotendo la scatolina a discapito della rana che lanciò un gracido acuto dall’interno.
«Le Cioccorane sono sempre molto gradite» l’accolse Remus sistemandosi i cuscini dietro alla schiena.
«Mi dispiace» cominciò Lily avvicinandosi al letto per sedersi sulla sedia lì accanto.
Sperava che con quel Mi dispiace’ Remus capisse, le dispiaceva il fatto che avrebbe passato un’orribile nottata e non che si sarebbe perso la festa. Fece per chiarirlo a voce quando la porta dell’infermeria si aprì di botto ed il chiasso fece uscire Madama Chips dal suo ufficio.
«Potter!»
«Sì, lo so, Madama. Ci penso sempre dopo che sono entrato».
Lily si alzò dalla sedia accanto al comodino di Remus, decisa ad andarsene.
«Stai pure qui, Evans» la trattenne James con un solare sorriso avanzando insieme a Peter e Sirius, quest’ultimo decisamente meno allegro del solito.
«No, grazie, Potter» fece lei stringendosi nelle spalle. Non era il caso di rimanere lì, pensò con un leggero imbarazzo.
Remus era in buone mani.
 
 
 


 

*

 
 
 
 


«NON DIRMI DI SMETTERE DI PIANGERE, MCADAMS!»
«Ma stai esagerando adesso, Mirtilla. Ed esci fuori da questo bagno, non è il tuo, non puoi infestarli tutti».
Il piagnucolìo del fantasma era doppiamente fastidioso dopo un’intera giornata di lezioni. Mary si affrettò a lavarsi le mani nel lavandino per andare via da lì il più presto possibile.
«Non è venuto nemmeno una volta! L’aveva promesso! Aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi una volta alla settimana e invece niente!» continuò a lamentarsi Mirtilla, singhiozzando sullo scarico del water.
Liv restò in silenzio, osservandola accigliata.
«E la cosa peggiore è che l’ho visto parlare con lei! Con quella!»
«Ma visto chi!? E quella chi?» sbottò Liv ormai curiosa.
Mary sospirò alle sue spalle, asciugandosi le mani.
«Andiamo, Liv» le disse stancamente subito prima dell’esplosione di pianto della ragazza evanescente.
«Black! Sirius Black! Mi aveva promesso che se fossi andata nel Lago Nero... e invece... e poi si è messo a parlare con Helena!»
«Helena chi?» chiese Mary sconcertata.
«La Dama Grigia, è così che la chiamate! Io credevo fosse mia amica! Di sicuro l’avrà invitato alla festa di stasera!» rispose Mirtilla. Il pianto ormai aveva raggiunto livelli da record.
«Invitato? Siamo già tutti invitati al banchetto di stasera» le ricordò Liv massaggiandosi le tempie.
«Non al banchetto della scuola! Alla festa di Complemorte di Nick-quasi-senza-testa!» fece quella lasciandosi andare ad un altro ululato lacrimoso.
 


 

 

 

 

*




 

 




Alle otto in punto la Sala Grande era chiassosa e scintillante. I bagliori dorati dei piatti colmi di cibo e delle candele dentro le zucche creavano una festosa atmosfera.
Peter sollevò lo sguardo sui pipistrelli nerissimi che sfrecciavano sul soffitto scuro trapunto di zucche, nuvoloni carichi di fulmini e stelle.
L’unica cosa che lo rincuorava- a parte il cibo identico per quantità e qualità a quello del banchetto di inizio anno- era che non c’era ancora la luna.
«Sirius, io non ce la farò» mormorò appena James si voltò a parlare con un ragazzo seduto accanto a lui.
Sirius ingoiò un enorme bignè alla crema battendogli una mano su una spalla. «Certo che ce la farai. Dovrai soltanto distrarlo dentro alla Stamberga. Io arriverò subito... il tempo di pietrificare Owen» lo tranquillizzò sotto voce senza però ottenere grossi risultati.
«La torta alla melassa!» esclamò James afferrando il suo dolce preferito. «Pete, arriverò da voi appena finirò con Silente» sussurrò notando la faccia ancora preoccupata dell’amico. «Posso capire che un tenero cagnolino non ti faccia sentire del tutto al sicuro... meglio un cervo possente munito di nobili corna, lo so»
«James, fottiti» fece Sirius, secco.
Lo spettacolo dei fantasmi incantò i bambini del primo anno ed innervosì Peter, Sirius e James che tenevano gli occhi puntati sul soffitto sperando di vedere la soffusa e pallida luce della luna il più tardi possibile.
E quando Silente diede la buonanotte a tutti, i tre saltarono via dalla panca con grande spavento di quelli seduti vicino a loro.
«Sono costretto a salire con Evans» disse fintamente abbattuto James, come se la cosa gli desse fastidio.
Sirius infatti gli diede una spallata apostrofandolo con un sentito ‘Imbecille’ (per non dirgli altro di molto più volgare davanti ai bambini del primo anno che si alzavano dalle panche vicine e ai due Prefetti Tassorosso appena apparsi dal nulla), aggiungendo poi un leggermente istericoScherzi, naturalmente’ perchè dopo giornate intere di ‘Caccia al Corvo’ James non doveva nemmeno permettersi di scherzare sul fatto di non voler stare con Evans.
«Non ci sono ronde, stanotte» riprese James in tono più serio, sistemandosi gli occhiali sul naso «quindi avrete meno problemi. Io vi raggiungerò appena riaccompagnerò Evans in Sala Comune».
Appena si allontanò per raggiungere Lily, Peter scoppiò.
«Ti prego, Sirius!» piagnucolò aggrappandosi a lui «Lascia perdere Owen! Evans sarà con James! Non ci sarà alcun pericolo! E la Dama Grigia andrà alla festa di Nick!»
«No, Pete, non ci andrà. É questo il problema»
«E tu come lo sai? Non le avrai per caso parlato?»
«Ci ho provato ma è praticamente impossibile ottenere delle risposte. Lo so soltanto perchè me l’ha detto Nick. E credi davvero che Owen si faccia intimorire da James?» rispose Sirius vagamente irritato. «Farò veloce, giuro. Molto probabilmente riuscirò ad arrivare ancora prima che spunti la luna» aggiunse, osservando con rammarico la disperazione sul viso dell’amico.
 
 




 

*

 
 
 



«Insegnerai sul serio a tua figlia a lanciare incantesimi su mio figlio, Evans?»
«Certo che lo farò»
«Questo è sfruttamento di minori, usare una bambina per vendicarti di me»
«Non sarà così. Tuo figlio sarò odioso quanto te, Potter, e mia figlia lo detesterà a pelle... sarà genetico»
«Allora insegnerò a mio figlio a corrompere tua figlia»
«In che senso?»
«Tua figlia sarà corrompibile come te, Evans»
«Io non sono corrompibile, Potter»
«Nemmeno con un muffin al caramello accompagnato da una cioccolata alla cannella?»
Lily restò in silenzio, lo sguardo accigliato apparentemente impassibile per nascondere l'esplosione interna di "Come accidenti fa Potter a sapere cosa mi farebbe cedere?"
«E perchè proprio una figlia, Evans? Potrebbe essere un maschio» riprese James trattenendo un sorrisetto furbo davanti al fatto di aver appena colpito in pieno Lily Evans.
«É uguale»
«No, vedi... se fosse maschio e avessero la stessa età si ritroverebbero nello stesso dormitorio, qui ad Hogwarts, e diventerebbero sicuramente amici»
«Non per forza. La camera delle ragazze del quarto anno è mezzo distrutta proprio perche nessuna si sopporta, lì dentro»
«Donne» affermò con un’alzata di spalle James, scrutando con la coda dell’occhio il viso di Lily che camminava al suo fianco.
Per tutti i cinque piani di scale aveva risposto alle sue domande in modo per niente amichevole ma nemmeno così ostile come era solita fare. Era distratta, come se stesse pensando a qualcos’altro.
«Tranquilla, Remus starà bene» le disse pacatamente.
Lily si voltò a guardarlo, leggermente sorpresa. I suoi occhi verdi però si spalancarono sul serio quando una zucca completamente vuota rotolò davanti a loro, sbucando da dietro una colonna.
Appena entrambi furono abbastanza vicini da poter leggere bene la scritta intagliata sopra la zucca, anche gli occhi nocciola di James si spalancarono: per Lily Evans.

«Ah-ah.... molto spiritoso!» fece James, sarcastico. «Chiunque tu sia, non fai paura. Vai a letto, piuttosto!» continuò, spavaldo, rivolgendosi al nulla. Lily, però, sembrava impressionata.
«Evans? Non mi dirai che hai paura? Una strega che ha paura ad Halloween?»
«Piantala, Potter»
«É solo una stupida zucca»
«Una stupida zucca con il mio nome sopra!» scattò lei indicando con un cenno dalla mano la piccola zucca arancione abbandonata sul pavimento.
«E allora? Chiunque sia lo scemo che ha voluto fare questo scherzo idiota avrà scritto il nome adesso, come ti ha visto arrivare... per farti paura»
«Io non ho paura!» obiettò con orgoglio Lily. Non ne aveva di certo per spiriti, fantasmi o chissà che cosa, ma per quelli che disprezzavano il suo essere Nata Babbana sì.
Essere una strega Nata Babbana in un castello pieno di persone del genere le faceva paura eccome, tutti i giorni e non solo ad Halloween, anche se odiava ammetterlo perfino a se stessa. La loro specialità era terrorizzare, incutere paura e Lily non aveva nessuna intenzione di dargli quella soddisfazione.
«Non toccarla!» esclamò quando vide James allungare una mano verso la zucca. «Potrebbere essere incantata con qualche magia oscura»
«Evans, non è niente» la tranquillizzò lui afferrando l’ortaggio per controllarne l’interno e capirci qualcosa. Era davvero vuota.
Vide Lily mordersi un labbro con un sospiro e il bisogno impellente di avere la situazione sottocontrollo crebbe a vista d’occhio.
«Quei cretini non saprebbero nemmeno trasfigurarla questa zucca, figurarsi maledirla» scherzò per cercare di sdramatizzare anche se tutto quello non stava piacendo nemmeno a lui. Se c’era Mocciosus dietro allo ‘scherzo’ patetico, altro che tenere a bada il leone nel petto, gliel’avrebbe scagliato contro.
«Halloween non mi è mai piaciuto» si ritrovò ad ammettere Lily lanciando uno sguardo diffidente alla zucca tra le mani di James. «Mi mette sempre una strana sensazione addosso»
«Be', è Halloween eppure non è successo niente, nè a te e nemmeno a me» constatò James allargando le braccia. Anche perchè non lo permetterei mai, pensò distogliendo lo sguardo dall’occhiata smeraldina che Lily gli aveva lanciato di sottecchi prima di raddrizzare la schiena e parlare.
«Muoviamoci o Silente...»
«Si mangerà tutte le Piperille?» completò per lei, facendola sbuffare in una mezza risata.
«Sì, anche per quello, Potter».
Sincamminarono di nuovo verso l’ufficio del Preside lasciandosi alle spalle la colonna dalla quale era spuntata la zucca, ignari di quello che si nascondeva dietro; ignari della presenza di Liv con Owen Pietrificato al fianco e un biglietto stretto in mano, gli occhi scuri e scintillanti puntati dritti su quelli grigi ed esterrefatti di Sirius, acquattato dietro l’armatura davanti.





 

 

Note:

Nel primo libro Harry vede tutti i suoi parenti nello Specchio delle Brame e, a parte vedere altri occhi come i suoi, i capelli spettinati e gli occhiali, vede anche un vecchietto con le gambe smilze e le ginocchia nodose come le sue. Ho immaginato che anche James avesse la sua stessa corporatura dato che tutti gli dicono che è identico a suo padre eccetto per gli occhi.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18. Leone Giallo-Nero ***


 


Capitolo 18
 
 
LEONE GIALLO-NERO

 
 




Forse non era l’unico in quel castello ad avere il passo felpato perché Sirius non l’aveva vista arrivare, non l’aveva nemmeno sentita.

Olivia era apparsa dal nulla come un gatto qualche minuto prima, lui aveva soltanto fatto in tempo a pietrificare Owen in contemporanea al gesto veloce di lei che aveva strappato il biglietto in mano al Corvonero e quest’ultimo, rigido come pietra, aveva lasciato cadere la zucca a terra.
La cosa che Sirius non capiva era come mai lei fosse lì, con lo sguardo di chi aveva capito tutto.
Appena i passi di Lily e James si allontanarono, entrambi aprirono bocca per parlare sottovoce.
«Sei una fenomenale rottura di bolidi, Olivia»

«Potter è uno stramaledetto schifoso bugiardo».
Sirius provò un certo fastidio invadergli il petto: doveva aver eseguito male l’Incantesimo delle Pastoie perchè giurò di aver visto il sottile labbro di Owen sollevarsi di un millimetro alla frase di Olivia.
«Come l’hai scoperto?» le chiese in tono arreso, fissandola negli occhi in modo truce. Liv non si scompose e con un sorrisetto sadicamente compiaciuto cominciò a parlare poggiandosi a braccia conserte al Corvonero pietrificato, al suo fianco.
«”Buonasera, Dama Grigia, posso parlarle un attimo?”»
«Hai parlato con il fantasma dei Corvonero, ok... a che proposito?»
«”Non voglio disturbarla, mi servirebbe soltanto un’informazioneChe cosa le ha detto Sirius Black ore fa?”»
«Oh! Andiamo! Adesso mi segui, Olivia? Sono davvero diventato un’ossessione per te? Alquanto prevedibile»
«”Mirtilla vi ha visti, sa? E mi è sembrata davvero scocciata ed arrabbiata per questo. Ha giurato di farsi un giro nelle tubature di tutta Hogwarts per andare a dire agli altri fantasmi quanto lei è civettuola con gli studenti”. Ecco come far parlare la riservata, educata e fiera Dama Grigia, Black. E le promesse si mantengono, soprattutto se si fanno con fantasmi melodrammatici».
Sirius si accorse di avere la mascella serrata dal nervoso quando provò a ribattere. «Quindi sai benissimo che io e quel fantasma snob non ci siamo detti niente, Olivia. Come fai a dire che James è bugiardo?» chiese, seriamente curioso.
«Be'» cominciò lei sciogliendo le braccia e rimettendosi dritta per imitare il fantasma offeso. «”Io a quel buffone -che per la cronaca saresti tu- “non ho nemmeno rivolto la parola! Con quale coraggio quella ragazzetta piagnucolona va a dire in giro che io sarei una civettuola!? Il Grifondoro voleva soltanto che gli dicessi delle prove di John!”. Non è stato difficile collegare le informazioni, Black. É La Dama Grigia la prova di Owen, il fantasma dei Corvonero così riservato da non aleggiare la mattina in mezzo agli studenti. Ecco perchè mi hai cancellato la memoria, c’erano Owen e il suo fantasma davanti al ritratto quella notte, non è vero?»
Sirius non rispose, fissandola intensamente come se niente fosse anche se dentro moriva dalla voglia di ridere e baciarla contemporaneamente perché Olivia era maledettamente scaltra, intelligente e il suoi occhi scuri e quasi macabri lo facevano impazzire.
«Così» proseguì lei, il sorriso soddisfatto a farle spuntare la fossetta «per esserne certa e per sentire queste benedette prove, ho giocato sporco anch’io»
«Hai giocato sporco?» le chiese lasciandosi andare ad un divertito e lascivo sorriso. A Sirius, il caparbio sguardo che Olivia aveva in quel preciso momento piaceva da morire, gli si stavano per spezzare i denti dalla furia per la situazione, certo, ma gli piaceva da morire. 
«Proprio così» rispose Liv. «Come saprà, sono un’amica di Lily. John mi ha mandato da lei per farmi dire tutto quanto, così metteremo fine a questa storia”» spiegò la sua bugia con semplicità, ripetendo le esatte parole che aveva detto alla Dama Grigia poche ore prima.
Sirius scosse la testa, sorridendo al soffitto per darsi un tono. «Ok, complimenti» commentò riabbassando la testa per poterla guardare di nuovo. «Ma tu vuoi vincere o no la partita di sabato, Olivia?» le chiese osservandola aprire il piccolo pezzo di pergamena rubato ad Owen.
«Mi stai per caso minacciando, Black?» sbottò lei fermandosi un attimo per guardarlo dritto negli occhi con fermezza. «Perchè se hai intenzione di rompermi la mano destra sono sicura al cento per cento che per vederti steso a terra, morente, non dovrò nemmeno sollevare un dito, ci penserà Potter»
«Ti sto soltanto dicendo che se dirai tutto a Evans, la partita di sabato è persa» la bloccò lui infilandosi con noncuranza le mani in tasca.
Liv aggrottò le sopracciglia fissandolo attentamente. «Se la mia intenzione fosse stata quella di dire tutto a Lily» cominciò, decisa «non avrei di certo rubato questo foglietto a John. Avrei parato il tuo Incantesimo delle Pastoie per pietrificare te e lasciare lui libero di parlare» spiegò schietta notando gli occhi grigi di Sirius ridursi a fessure.
«Come, scusa?» fece lui, confuso. Con quella ragazza c’era sempre qualcosa che non andava, il sorriso seducente sembrava non funzionare e non riusciva a tenerlo su per più di un minuto perchè ad ogni minuto Olivia se ne usciva fuori con qualcosa di spiazzante o particolarmente divertente.
«Non voglio perdere la partita, Black» si limitò a dire Liv lanciandogli uno sguardo eloquente che forse di eloquente non aveva niente dato che l’espressione perplessa di Sirius non accennò a cambiare.
Ma l’eloquenza c'entrava ben poco, perchè l’unico motivo per cui le aveva detto che avrebbero perso la partita era perchè James era innamorato. Olivia non poteva di certo sapere che James si era innamorato... o sì?  Si chiese notando il sopracciglio di Liv sollevarsi insieme alle labbra con fare scaltro.
«Qualcuno mi ha detto che Potter è innamorato» svelò lei, ridente.
A Sirius caddero le braccia mentre imprecava sottovoce. Peter... quel vigliacco di un topo!
«Remus» lo illuminò lei, e Sirius assomigliò in modo estremamente simile a James quando ricevette in testa un bolide di Mani di Mazza in un’agguerrita partita Serpverde-Grifondoro del quinto anno. 
Impossibile, si disse, Remus non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, non avrebbe mai rivelato il ‘Piccolo Problema Amoroso’ di James. Era un’assurdità.
«Per quanto questa notizia mi abbia lasciato abbastanza scettica» ammise Liv lasciandosi andare ad una bassa risata «non vorrei rischiare di mandare a monte un’intera partita. Se Potter è davvero innamorato di Lily non potrebbe di certo dare il suo meglio in campo nel pieno di una delusione d’amore».
Sirius sospirò forte ignorando il tono derisorio di Liv e pensando al modo migliore per dire a Remus che una delle prossime notti l’avrebbe passata a fare compagnia al ragno gigante che viveva in mezzo alla Foresta Poribita, naturalmente non in versione Lupo Mannaro.
«Ma sappi, Black» continuò Liv lanciando un’occhiata alla statua-John «che sabato, dopo la partita, dirò delle prove a Lily»
«Tu dici, Olivia?» fece lui in tono di sfida lanciandole uno sguardo particolarmente penetrante.
«Io dico, Black» ribattè lei dando fuoco con un gesto della bacchetta alla piccola pergamena di Owen senza distogliere gli occhi dai suoi.
«Ma fino a sabato terrai Owen lontano da Evans?» chiese Sirius con una punta di luce negli occhi fissi sui capelli scuri di Liv, adesso intenta a pestare con una scarpa il biglietto infuocato buttato a terra.
«Potter non ha alcuna possibilità con Lily» disse soltanto lei, sollevando di nuovo il viso e trovandosi quello di Sirius vicino al suo alla stessa distanza di Mary quando, la mattina, infilava la testa sotto al suo cuscino per gridarle di alzarsi.
«Questo lo sanno tutti, anche James in persona» mormorò Sirius ammirando compiaciuto l’aria finalmente spaesata sul volto a pochi centimetri dal suo naso. «E non è vero che è innamorato, Remus delira quando sta male».
Subito dopo, però, sentì la punta della bacchetta di Liv affondare sul collo, minacciosa ed insistente.
«E tu pensi che io creda più a uno stronzo bugiardo fino al midollo o a Remus che non sembrava affatto delirante?» sibilò freddamente lei trovando- tra la confusione che le annebbiava la mente- una certa sicurezza nella voce e nei lineamenti, tutto d’un tratto rigidi e severi.
Al contrario, Sirius se la rise con uno sfacciato e soddisfatto ghigno senza però riuscire a fare a meno di far scorrere lo sguardo rapito su ogni dettaglio del suo volto, senza riuscire a fare a meno di perdersi nel suo profumo fiorito che ormai era diventato la sua droga; sfidando la fremente sensazione di elettricità che scattava quando gli stava così vicino.
«Olivia? Ti disturba la mia vicinanza per caso?» le sussurrò squadrando con interesse le labbra di Liv, ancora fieramente ferma sul posto nonostante il battito cardiaco esageratamente veloce nel petto. Perchè anche se l'attrazione che Black esercitava era la più forte che avesse mai sentito per qualcuno, non aspirava a nessuna storia seria proprio come lei e gli piaceva il suo modo di essere quando restava se stesso, non sopportava quando agiva con quella maschera che portava quasi sempre addosso come una scusa per comportarsi da vero bastardo arrogante.
«Le uniche persone a cui non disturba la tua vicinanza sono i tuoi amici schizzati quanto te e le campionesse di lancio del reggiseno. Quindi, sì» rispose facendo maggiore pressione sul collo con la bacchetta «mi disturba eccome».
Sirius fu costretto ad indietreggiare di un passo per non essere infilzato sul serio, con naturale nonchalance e le sopracciglia leggermente sollevate sopra agli occhi altezzosamente socchiusi in un’espressione attentamente scrutatrice e tagliente.
«Siamo momentaneamente alleati ma pur sempre in guerra» esordì, beffardo, puntando la bacchetta in direzione del viso di Liv che in un attimo si ritrovò con le sopracciglia a strisce gialle e nere.
I colori Tassorosso spiccavano come non mai sul rosso furia della sua faccia riflessa sul vetro della finestra vicina illuminata dalla luce argentea della luna.
Sirius trasalì notando la luminosa sfera ancora bassa nel cielo, scattò verso un arazzo senza pensare o salutare, e ci sparì dietro. Liv, allibita, si dimenticò perfino delle sopracciglia che fra due giorni avrebbero tifato per la squadra avversaria, e lentamente si avvicinò all’arazzo ancora ondeggiante dopo il passaggio fulmineo di Sirius.
«Ma che diavolo...?» mormorò sconvolta quando, spostando la vecchia stoffa colorata, le comparve davanti un lungo tunnel buio. Lanciò un’occhiata furtiva al più rosato John Owen e sparì anche lei come Sirius.
Avanzò con la luce della bacchetta aspettandosi di vedere casse di burrobirre accatastate sul pavimento o sacchi pieni di caccabombe e articoli di Zonko, ma nulla di tutto ciò si parò di fronte a lei: quel tunnel era vuoto. Ci mise davvero poco ad arrivare alla fine e  dovette spostare un’altro arazzo per poter capire che il passaggio segreto l’aveva portata tre piani più giù, vista la porta dell’aula di Storia della Magia a destra.
«Liv?! Da dove sbuchi?» la richiamò la voce di Mary, in piedi davanti a lei con gli occhi nocciola spalancati dalla sorpresa. Liv, incredula, sorrise smagliante guardandosi alle spalle.

«Una scorciatoia!» esclamò trionfante, indicando l’arazzo alle sue spalle. «Adesso ho capito come fanno quei quattro ad apparire e scomparire nei piani senza alcun fiatone!» Mary sembrò non capire, forse troppo distratta dalle sopracciglia giallo-nere dell’amica.
«Hai visto Black?» le chiese Liv.

«No, ma cosa ti è successo alle sopracciglia?»

«Lily le rimetterà a posto. La visita a Remus è stata fin troppo breve. Tutto bene?» sviò l’argomento Liv, e Mary cambiò repentinamente espressione: da confusa divenne preoccupata.

«Non c’era! Non era in infermeria» mormorò sconcertata «Quando sono arrivata non ho trovato nemmeno Madama Chips. Così gli ho lasciato il libro sul comodino. Lo troverà quando si rimetterà a letto per dormire... magari era in bagno». Fece spallucce seguendo poi lo sguardo improvvisamente allarmato di Liv, posato su tre persone che camminavano a passo svelto in fondo al corridoio.
«Chi sono?» sussurrò Mary cominciando ad agitarsi. Era forse il caso di nascondersi? Vedere tre estranei vagare per il castello di notte non era normale.
«Sono con Gazza, non credo siano pericolosi» la rassicurò Liv notando che una delle tre figure- quella più bassa e zoppicante- era il guardiano scorbutico.
«Il fatto che ci sia Gazza non è una garanzia...» bisbigliò Mary avvicinandosi maggiormente all’amica. «E se l'avessero messo sotto Maledizione Imperio? Come quell’uomo dell’articolo sul Profeta di ieri...ricordi? Ha fatto entrare due Mangiamorte in casa sua senza che se ne rendesse conto».
Liv tuffò una mano dentro la tunica, alla ricerca della bacchetta.

«O come me...» continuò Mary abbassando ulteriormente la voce diventata cupa. «Quando mi sono arrampicata sul faggio del parco per buttarmi giù sul prato».
Liv spostò lo sguardo su di lei e con la mano libera le afferrò un braccio, rassicurante.

«Dici che sono Mangiamorte travestiti da qualcun’altro?» chiese per far svanire dalla testa dell’amica Mulciber e i suoi esercizi con la Maledizione Imperio. Riportò lo sguardo davanti a sè ma il piccolo gruppetto aveva già svoltato l’angolo.

«Potrebbero. Non si sa mai, Liv» rispose Mary sospirando forte per camuffare il piccolo brivido che le invase la schiena.

«Ma Hogwarts è sicura. Abbiamo gli Incantesimi Protettivi per tutto il confine, terra e cielo; e Gazza non esce mai dalla scuola dopo le otto, non possono averlo attirato al cancello e non possono nemmeno averlo messo sotto maledizione stando fuori dai confini di Hogwarts, senza vederlo» disse lei, pensando un attimo a suo padre. Da quando aveva ricevuto la sua prima lettera, suo padre non aveva fatto altro che ripeterle quanto Hogwarts fosse magnifica e sicura, soprattutto sicura e suo padre, anche se le era difficile ammetterlo, non sbagliava quasi mai.

 

 



*

 

 



«Carissimo Gazza, non serve che ci accompagni»
«Già, sappiamo benissimo la strada da soli»
«La conosciamo come le nostre tasche!»
«Tappatevi la bocca, maledette canaglie! So chi siete, Apollyon* mi ha parlato tatno di voi prima di lasciarmi il suo posto, qui! Spero proprio di non avere mai a che fare con due pagliacci maleducati come voi due!»
«Nostra sorella aspetta due bei gemelli...»
«Vero. Saranno tra noi questa primavera...»
«Con assoluta certezza avranno i capelli rossi»
«Dici che assomiglieranno ai loro zietti anche come carattere, Gazza?»
«Mastro Gazza? Si sente bene?»
Non erano affatto dei Mangiamorte, se Liv e Mary li avessero seguiti si sarebbero trovate davanti al grande Gargoyle in pietra, a guardia dell’ufficio del Preside, dove ad affollare il corridoio c’era un’altra persona sconosciuta, la McGranitt, James, Lily ed un impettito Gilderoy Allock nella sua impeccabile divisa Corvonero.
«Ma professoressa! Non può ignorare la mia richiesta e quella di James Potter!» esclamò oltraggiato Gilderoy, scostandosi un boccolo biondo dalla fronte.
La McGranitt lo squadrò da sopra gli occhiali, inarcando un sottile sopracciglio. «E chi sareste voi due, signor Allock? I nuovi Ministri della Magia?» lo zittì, sarcastica. «Il Preside adesso è occupatissimo e non può ricevere nessuno di voi tre»

«Io e Potter abbiamo la riunione di fine mese, professoressa» esordì educatamente Lily con la coda dell’occhio rivolta alla composta sconosciuta avvolta in un elegante mantello verde foresta.
«Sì, lo so, signorina Evans. E mi scuso per non avervi avvisato prima: la riunione è stata annullata» rispose la professoressa in tono severo allungando una mano verso il braccio della misteriosa ragazza. «Emmeline... prego. Sto qua io ad aspettare Fabian e Gideon, arriveranno a momenti... sempre se non ne combinano una delle loro» disse a bassa voce, scortandola verso il gargoyle sotto lo sguardo attento di Lily e quello indagatore di James che, offeso, fece un passo avanti con spavalderia.

«Si può sapere perchè tutte queste persone possono vedere il preside e noi invece no?!» chiese, arrogantemente stufo. Lily spalancò gli occhi verdi al suo fianco e la McGranitt si voltò verso di lui come se fosse stata appena insultata. «Perchè questa è già la seconda volta che vengo qui per vedere il professor Silente e lui non può mai ricevermi! Però può benissimo vedere persone arrivate da chissà dove!»

«Giusto!» s’intromise pomposo Allock, circondando con un braccio le spalle di James che, infastidito, si divincolò istantaneamente dalla presa.
«Prima di tutto, Potter, non ti permetto di usare questo tono quando parli con me... e lo sai benissimo» cominciò la McGranitt più gelida che mai. «Seconda cosa: esistono molteplici e serissimi motivi per la quale non puoi vedere il preside e, nel modo più assoluto, nessuno di questi è affar tuo! Quindi adesso filate nelle vostre rispettive Sale Comuni, senza insistere».
Con la McGranitt nessuno osava scherzare e tutti e tre girarono i tacchi senza fiatare. Lily imbarazzatissima e James, furioso, con i pugni chiusi e lo sguardo minaccioso in direzione di Allock, baldanzoso al suo fianco.
«Voglio proprio vedere la sua faccia quando diventerò Ministro della Magia!» sbottò il Corvonero, convinto. «“Siete per caso i nuovi Ministri?”... lo sarò! Eccome se lo sarò! L’ho sempre detto!»

Lily sollevò lo sguardo al soffitto, a quelle parole. Tutti in quella scuola, professori compresi, faticavano a sopportare quel ragazzo eccezionalmente vanesio e super egocentrico che con i suoi voti alti o gesti esageratamente plateali cercava di attirare fama, ammiratori e attenzione a tutti i costi. Erano cinque anni che ci provava, senza ottenere risultati. E più si sentiva messa da parte, più esagerava.
«Sì, perfino i muri ti voterebbero, Gilderoy» disse James con sarcasmo e lui scoppiò in una risata controllata portando indietro la testa con eleganza. «Voi mi votereste?» chiese, ammiccando in direzione di Lily che sollevò un sopracciglio rosso in risposta. Assistere ad una conversazione Potter-Allock era un vero suicidio. Sembrava di stare accerchiati da due persone colpite da potenti Incantesimi di Ingozzamento. Avrebbero potuto prendere il volo senza le loro scope da corsa.
«Soltanto se durante la tua campagna elettorale verrai a tifarmi allo stadio con una gigantografia del mio viso nel cielo. Come quando hai provato a far comparire il tuo con la magia sopra al Lago Nero, due anni fa» lo prese in giro James ridendo sotto ai baffi. La cosa sconcertante era che il viso di Allock aveva quasi davvero brillato nel cielo azzurro un pomeriggio di inizio giugno, facendo rabbrividire tutti sul prato come se fosse stata un'imitazione del Marchio Nero. Per fortuna, non era riuscito nel suo intento e il suo volto aveva semplicemente sorriso, tremolante, sulla superficie dell'acqua.
Smise di ridere soltanto quando ricordò che quel fatto era successo lo stesso giorno in cui Lily aveva litigato con Piton, dopo le mutande messe al vento, dopo il: ''Siete uguali, voi due!"
Lily serrò le labbra con amarezza al ricordo di quell'orribile giornata. Raddrizzò la schiena per darsi un tono quando si accorse che James aveva notato ed osservato con serietà il suo sottile cambio d’umore.
«Non potrei tifare per te, James» scattò Allock, in tono ovvio «perchè starei cercando il boccino! Il boccino con il quale porterò alla vittoria la nostra Nazionale alla Coppa del Mondo di Quidditch!»

«Oh, giusto... l’avevo dimenticato» fece James, rimarcando il tono ironico, sempre più divertito. Allock era il Cercatore nella squadra Corvonero, nessuno sapeva come aveva fatto il Capitano dei Corvonero a prenderlo in quadra, perché non si poteva definire tutto questo granchè. Era lui ‘il Cercatore mezzo miope’, soltanto perchè l’unica cosa che poteva vedere era la sua immagine riflessa su uno specchio. Eppure, quando faceva la cronaca alle partite, Allock  si autodefiniva ‘Il cercatore migliore di Hogwarts’ anche se, come gli ricordava di continuo la McGranitt,  tutto quello che doveva fare era descrivere quelli presenti in campo e non se stesso. Se nessuno capiva come aveva fatto Davies a prenderlo in squadra, tutti sapevano che la McGranitt l'aveva accettato come cronista soltanto per placare la sua sete di attenzioni ed evitare così che andasse in giro per il Castello a cercarle con gesti plateali.
«Noi due, con la coppa in mano sarebbe una foto da prima pagina, non trovi? Ehi, Lily, non ti firmiamo l’autografo adesso soltanto perchè sarebbe da presuntuosi, ma ti converrà tenere sempre in tasca una piuma tra qualche anno!» esclamò Allock, gioviale.
«Già! Ti conviene proprio, Evans» gli fece eco James, cercando di non ridere spudoratamente.

«Non sto già nella pelle» rispose lei cogliendo l’ironia nella voce del suo collega Caposcuola. Non l’aveva mai ammesso con nessuno, ma Gilderoy era decisamente molto più megalomane e vanitoso di Potter, e questo era tutto dire. Non faceva altro che cercare di raggiungere o addirittura superare James, quello che invece aveva davvero la popolarità che Allock rincorreva sempre, senza raggiungerla mai. Odiava James, Lily l'aveva notato, e odiava Sirius perché la maggior parte delle ragazze della scuola parlava di lui.
Il sorriso di Allock le si parò davanti, oscurandole la visuale. «Vedi questo, Lily?» le chiese lui a denti stretti, indicantosi la dentatura in mostra. Lily sbattè più volte le palpebre, perplessa e abbagliata da quel candore.

«Cosa? Il brufolo sotto al naso?» domandò, incerta. Allock parve impallidire sgranando i suoi grandi occhi azzurri «Brufolo?!»

James sghignazzò senza ritegno.
«Questo! Questo sorriso vincerà il premio come il Sorriso più Seducente del Settimanale delle Streghe tra qualche anno e tu ti mangerai le mani per non aver approfittato della mia compagnia oggi!»
«Quanto hai preso l’anno scorso al tuo G.U.F.O. di Divinazione, Allock? Troll
«Questa è tutta gelosia, James! Perchè, ammettiamolo» ridacchiò. «Sei un campione a Quidditch ma non hai nemmeno un briciolo del mio charme» sentenziò, posando lo sguardo sui neri capelli ribelli di James. Lily si schiarì la gola, tanto per camuffare un attacco di riso.
«Ma non preoccuparti, tra una lezione e l’altra sto lavorando ad uno shampoo che trasformerà i capelli da disordinati e spenti in setosi e ondulati come i miei! Una pozione molto più efficace di quella di tuo padre...» disse, spostando ancora una volta lo sguardo luminoso sui capelli di James, ormai abituato a quelle battute.

«Noi non l'abbiamo usata. I nostri capelli ci piacciono così come sono» ribattè, passandosi orgogliosamente una mano tra i ciuffi disordinati. Ma Allock sembrava diventato improvvisamente sordo.

«Lo faccio per quelli più sfortunati di me, ovviamente... io non ne ho assolutamente bisogno» ridacchiò il Corvonero, mettendo in mostra i denti perfettamente dritti e bianchi in direzione di Lily. «Perchè i miei capelli sono così di natura, sapete? Mia mamma mi aveva avvertito che la mia eccezionale bellezza avrebbe attirato degli invidiosi! Sirius Black, per esempio. So benissimo che mi detesta solo perchè sono un pò più affascinante di lui».
James questa volta rise di gusto. A Sirius importava della bellezza e di essere affascinante come ai suoi capelli ribelli importava della forza di gravità.
«Sai cosa ci vorrebbe, Gilderoy? Una gara di bellezza» propose scherzosamente Lily, ridente. «Chi sarà il Mister Hogwarts 1978?»

«Evans, va bene assecondare i matti ma qui si esagera... e comunque sarebbe Sirius, senz’ombra di dubbio» le mormorò James mentre Gilderoy si illuminava, fermandosi di scatto al centro del corridoio. James sapeva benissimo che la distratta eleganza di Sirius lui non l’avrebbe mai potuta avere con il riccio perennemente spaventato che si ritrovava in testa.
«Allock non è male esteticamente, piace a qualcuna rispetto all'anno scorso» gli sussurrò Lily facendogli aggrottare entrambe le nere sopracciglia. «Anche se Black è Black, lo sanno tutte, e lo sa anche Allock» aggiunse Lily a voce ancora più bassa.
«Un’idea strabiliante, Lily!» fece invece Allock, leggermente rigido e forse intimorito. «Ma convincere Silente sarà dura visto che non mi riceve nemmeno per parlare di un piccolo notiziario della scuola!»

«Ancora con questa storia?» lo interruppe James, incredulo. «Sì. Con Xeno avevamo anche trovato il fotografo!» rispose lui, incantandosi per un istante al riflesso del suo viso su un’armatura. Si sistemò le onde bionde sulla testa e riprese a parlare e camminare. «Ma lui si è diplomato ed è andato tutto in fumo! Silente non vuole nemmeno più ascoltarmi! Come oggi!»

«Perchè a Silente, e a noi, non importa niente di vedere la tua faccia stampata su ogni singolo foglio di questo ipotetico giornale- perchè è questo che vuoi, no?- o di leggere di Nargilli e Gorgo... com’era?» sbottò James rivolgendosi a Lily che fece spallucce.
«... SprizziGorgosprizzi» provò a dire, non proprio convinta. Anche se non le era mai dispiaciuto ascoltare Xenophilius, nemmeno lei ricordava il nome esatto degli esserini di Lovegood che nessuno aveva mai visto o sentito nominare. Lily li trovava buffi e divertenti.
«Ci saresti stato anche tu sul giornale, James» fece Allock con un radioso sorriso. James strabuzzò gli occhi passandosi istintivamente una mano sui capelli. «Davvero?» chiese sinceramente colpito.

«Con me, ovviamente. Noi due sulla scopa, giù al campo» specificò Allock sollevando orgogliosamente il mento.
«James Potter, il miglior Cacciatore di Hogwarts, e me... Gilderoy Allock, il miglior Cercatore

«Il miglior cercatore ufficiale è Stevens, quello non ufficale sarei io»
«Stevens!? Ah, povero ingenuo... lo sanno tutti che bara. Con la scusa che è un leale Tassorosso nessuno si prende il disturbo di indagare, ma lui bara, te lo dico io. E comunque hai la stoffa del Cacciatore ma il Cercatore non fa proprio per te, James. Se vuoi, però, potrei insegnarti qualcosa...»
«Stai scherzando, spero. Avrai una chioma degna di un cucciolo di unicorno su quella testa ma la mia agilità sulla scopa e i miei riflessi pronti tu non li hai nemmeno nei tuoi sogni migliori!»
«Evidentemente non ricordi bene le mie partite»
«Sono sicuro quanto lo è Gazza di essere un Magonò di ricordare che invece di catturare il boccino tu gli sorridi per ammirarti i denti riflessi sopra!»
Lily roteò gli occhi riportandoli dritti davanti a sè per camminare più velocemente e seminarli, ma la discussione aveva così infervorato entrambi che sia James che Gilderoy avevano allungato il passo standole al fianco senza nemmeno rendersene conto.
Un guizzo lucente nella tasca del pantalone di James catturò l’attenzione di Lily: Il Mantello dell’Invisibilità.
«E VA BENE! SIAMO PARI, JAMES!»
«PROPRIO NO!»
«MA TU NON SEI CERTO AL MIO LIVELLO DI BELLEZZA»
«CHE ME NE FREGA DELLA BELLEZZA!? E COMUNQUE SIRIUS TI SUPERA, LO DICONO TUTTE ANCHE SE FAI FINTA DI NON SENTIRLO!»
«Come... che me ne frega’ ? É tutto!»
A Lily bastò afferrare il piccolo lembo di stoffa leggerissima che sbucava dalla tasca e stare ferma, il Mantello scivolò fuori ad ogni passo furioso di James.
Si coprì interamente prima che lui si bloccasse di scatto portandosi una mano sulla tasca, inspiegabilmente e improvvisamente vuota.
Allock lo osservò, sconcertato, e poi si guardò attorno. «Dov’è finita Lily?» chiese, spaesato.
James scosse la testa. Non voleva crederci, non voleva prorio crederci ma la cosa lo fece sorridere piacevolmente stupito da Lily.
Ritrovò il suo Mantello in Sala Comune qualche minuto dopo, ben piegato dentro la zucca vuota che aveva spaventato entrambi prima di raggiungere il gargoyle di Silente.
Nonostante il dormitorio affollato, la zucca passava inosservata sopra ad una cassapanca coperta da sciarpe rosse, mantelli e cartacce di dolciumi vari vicino all’ingresso. Nessuno avrebbe osato toccare un qualcosa con su scritto il nome di uno dei due Caposcuola, Lily oltre che corretta era stata anche furba.
James si riprese il suo oggetto prezioso e corse di nuovo via, oltre il buco del ritratto, più veloce che mai per raggiungere un cane, un topo e un lupo mannaro che avevano urgentemente bisogno di un bel palco di corna di cervo.

 

 

 

 

 


*

 

 



La mattina dopo, poco prima dell’alba, nessuno dei tre Animagus si sognò di mettersi a letto per approfittare di quelle due o tre ore prima dell’inizio delle lezioni.
Peter, intatto fisicamente ma distrutto emotivamente, si era chiuso in bagno senza dire una parola con James alle calcagna.
«Pete, non importa! Ormai è passato e Remus starà bene» lo rassicurò il Caposcuola bussando piano alla porta del bagno.
«Vado a vedere come sta Remus» borbottò Sirius con metà viso segnato da una moltitudine di ferite ancora fresche. James gli afferrò al volo un braccio, trattenendolo.

«E come spiegherai a Madama Chips quel sangue?!» Lui chiuse gli occhi, distrutto, prima di chinarsi sul suo baule alla ricerca del dittamo.

«Non mi hai ancora spiegato perchè non eri con Coda» sbottò duramente James. «Non dirmi per preparare la festa di Compleanno perchè ti appenderei al soffitto, Sirius» «Dovevo andare urgentemente in bagno» mentì Sirius afferrando la piccola boccetta di Dittamo tra i calzini puliti. «Contavo di raggiungere la Stamberga prima della luna». Questa volta non mentì. L’aveva creduto davvero e invece Olivia, come al solito, gli aveva rovinato il piano. James continuava a fissarlo con attenzione da dietro le lenti degli occhiali.
«E comunque li ho raggiunti pochi secondi dopo la trasformazione. Peter poteva benissimo distrarlo per qualche secondo»

«Un topo!?» gli sussurrò a denti stretti James come per dirgli di evitare di far sentire ancora più in colpa l’amico. Sirius assottigliò gli occhi dal dolore mentre si faceva cadere alcune gocce di essenza sulle ferite.

«Un topo può benissimo attirare l’attenzione correndo per la stanza e saltando sui mobili invece di stare nascosto sotto un baldacchino polveroso a guardare Remus divorarsi da solo» mormorò furioso tappando la piccola bottiglia con un gesto nervoso.
James sapeva benissimo che Sirius aveva ragione, ma capiva anche Peter e la sua estrema paura nel rimanere da solo davanti ad un Lupo Mannaro.
«Vado da Remus» disse secco Sirius prima di uscire dal dormitorio a grandi falcate decise nonostante il sonno e gli incredibili dolori sparsi per il corpo.
Trovò l’amico sdraiato su un letto dell’infermeria, coperto di bende e stremato ma con un libro tra le mani più graffiate del solito.
«Sto bene» disse subito lui sollevando gli occhi stanchi dalle pagine.

«Stai bene ma erano anni che non ti trovavo in queste condizioni, Lupin» sbottò Madama Chips uscendo frettolosamente dal suo ufficio con altre bende in una mano e la bacchetta nell’altra. Remus sorrise debolmente osservando Sirius avvicinarsi con sguardo cupo.
«Black, come al solito, meno lo farai parlare e meglio sarà» si raccomandò la donna avvolgendo con maestria la benda attorno ad una lunga gamba di Remus. «E cosa sono quelle tremende occhiaie? Non hai dormito?» gli chiese, premurosa, lanciandogli un’occhiata indagatrice.

«Insonnia. Nessuno di noi tre in dormitorio dorme tranquillo quando Remus soffre» mentì ancora una volta Sirius osservando la guaritrice annuire, comprensiva. Anche lei aveva delle leggere ombre scure sotto agli occhi.
«Olivia mi ha fatto tardare di qualche secondo» spiegò sottovoce appena Madama Chips sparì di nuovo nel suo ufficio.
Remus chiuse il libro di Mary, senza riuscire però a sistemarsi i cuscini sulla schiena. «Forse è il caso che smettiamo con la storia degli Animagi, Sirius» mormorò con un magone in gola spostando lo sguardo sul cielo ancora stellato oltre il vetro bagnato di rugiada della finestra.

Gli occhi grigi dell’amico lo fulminarono all’istante. «Piantala, Lunastorta»

«Se fossi uscito dalla Stamberga»

«Ma non è successo, c’ero io»

«Silente si fida di me...»

«Siamo stati io, James e Peter a decidere di fare questa cosa quindi tu non stai tradendo nessuno se non si parla di James, naturalmente».
Remus corrucciò il viso pallidissimo, perplesso. Una fitta al taglio sulla guancia però gli fece subito ridistendere i lineamenti.
«Hai detto a Olivia di James» sibilò Sirius sempre più sottovoce, e Remus assunse un’espressione seria e decisa riportando tutta la sua attenzione su di lui.
«Ho dovuto farlo. E non guardarmi con quegli occhi, Sirius. Pete è venuto in infermeria dopo il banchetto e mi ha detto di aver visto Liv parlare in un angolo con la Dama Grigia. Che cosa avrei dovuto fare?»
«Era un segreto! James non ha mai tradito il tuo, Remus! E dire che ho pensato a Peter!»
«Meglio che Lily sappia che James è innamorato e non solo un pazzo ossessionato a portarla ad Hogsmeade o che sia a conoscenza delle prove di Owen?»
Quell’ultimo sussurro mise Sirius in difficoltà. In effetti, era stata una vera fortuna che Olivia sapesse del segreto. In caso contrario avrebbe pietrificato lui e Owen sarebbe stato libero di dire tutto.
«E ti ho fatto un favore anche riguardo alle tue corse sfrenate per il castello all’inseguimento di Lily» aggiunse Remus con voce più stanca. «Non avrai più bisogno di pedinarla ventiquattro ore al giorno... ci penserà Liv»

«Soltanto fino a sabato» precisò Sirius.

«Sabato vedremo cosa fare» fece Remus poggiando con cautela il libro sul comodino per stendersi del tutto, si sentiva a pezzi come non gli succedeva da tempo.
Sirius afferrò la sedia più vicina al letto e si lasciò cadere mollemente sopra. Si mise più comodo che potè, incrociando davanti al petto le braccia piene di tagli e lividi- nascosti dal maglione-  e chiudendo gli occhi che bruciavano di sonno. La debole voce di Remus glieli fece aprire di nuovo. «Liv non ha preso troppo sul serio la notizia di James innamorato, anche se sembrava indecisa, e credo che nemmeno Lily lo farà se non sarà James a dirglielo».


 

 

*

 

 

 

 

 


Il cielo cominciava a colorarsi di rosa e oro quando James convinse Peter a scendere in infermeria.
Nella Sala Comune, di solito deserta a quell’ora, trovarono Lily in una pesante e larga vestaglia di lana che le nascondeva il pigiama a pois; con i capelli rossi legati in una disordinata coda mal fatta e gli occhi verdi rimpiccioliti dal sonno si accingeva a raggiungere il buco del ritratto.
«Evans» la chiamò sconvolto James saltando istintivamente l’ultimo gradino della scala a chiocciola; se ne pentì amaramente sentendo l’acuto dolore alle gambe stanche.
Lily si fermò, voltandosi mentre cercava di coprire uno sbadiglio con la mano.

«Ma dai, Potter» mugugnò stancamente «Credevi forse che non mi sarei svegliata per vedere in che condizioni è Remus?»

«É l’alba» fece lui avanzando tra poltrone e puf scarlatti con Peter al seguito. Si rese conto di avere  il cuore accelerato, come se avesse ancora gli zoccoli al posto dei piedi e stesse correndo tra gli alti alberi della foresta.

«Oh che stupida... credevo fosse il tramonto» disse lei sarcasticamente, rivoltandosi verso il ritratto per attraversarlo ed uscire fuori in corridoio.
Un grande sorriso distese le labbra di James quando, mentre copriva tutti con il Mantello, Lily non si scansò.

«Come volevi raggiungere il primo piano, Evans?»

«Con l’Incantesimo di Disillusione, Potter, ma questo maledetto mantello è molto più comodo» rispose lei cominciando a camminare sotto quel velo al fianco di Peter.
«Un Caposcuola non dovrebbe essere fuori dal suo dormitorio a quest’ora» la stuzzicò ancora James senza riuscire a staccare gli occhi dal viso assonnato di Lily.
«Per le emergenze può» ribattè lei abbassando la voce davanti ad una fila di quadri ronfanti. «Black dov’è?» chiese poi cominciando a scendere una rampa di scale.

«É già da Remus, si è svegliato prima di noi» mentì James. Lo sguardo di Lily si posò sulle divise sgualcite dei suoi due compagni di casa che camminavano con lei. Avevano dormito così? La mano di James che teneva sollevato il mantello davanti ai loro visi aveva un graffio parecchio arrossato. Possibile riuscisse a cacciarsi nei guai anche a quell’ora del mattino?
«Non spaventarti se lo vedrai coperto di bende» la ridestò James riferendosi a Remus. «Madama Chips lo fa stare subito bene già dalla Stamberga. Remus ce lo dice sempre per tranquillizzarci, ma tanto lo dirà anche a te».

Peter annuì con un sorriso incerto e Lily sospirò leggermente. «Se è coperto di bende è meglio che convinca Mary a non andare a fargli visita» disse fermamente «o sarà complicato poi spiegarle che ‘malattia’ lo affligge».
James non potè fare a meno di spostare un attimo lo sguardo su di lei, riconoscente. «Sarebbe perfetto. Grazie, Evans».

Lily annuì, serissima e pensierosa, alla ricerca di una scusa da propinare alla sua amica.
 Peter tossicchiò appena tra i due, sentendosi tremendamente in imbarazzo, per un istante desiderò trasformarsi in topo e scappare via.
Lanciò qualche occhiata impacciata verso James, ma gli occhi dell’amico sembravano non vederlo, troppo presi a sorridere dietro le lenti degli occhiali ancora un po' sporchi di polvere della Stamberga.
James non poteva sentirsi più a suo agio di così, era come se il sorriso di Lily davanti ai Tre Manici di Scopa si fosse prolungato.
Vuoi venire in infermeria con me, Evans?era sicuro di non averglielo chiesto fino allo sfinimento, eppure Lily era lì in infermeria, in piedi accanto al letto di Remus, con la pallida e rosata luce dell’alba ad accenderle i capelli spettinati.
Non aveva mai avuto niente da perdere, James, ma in quel momento invece era tutto diverso, tutto un pò più giusto, più possibile, più al suo posto perchè sì, il posto di Lily Evans era al suo fianco. Doveva essere così, poteva essere così.
«Idiota» borbottò sotto voce Sirius, seduto scompostmente al suo fianco, senza muoversi o aprire gli occhi.
James sorrise, staccando gli occhi da Lily per portarli verso la sua assonnata lista anti-rimbeccillimento che con una spallata quasi lo fece cadere dalla sedia e ridere in modo divertito togliendoli così l’aria da perfetto imbecille innamorato qual era.
 
 



 

*

 
 
 


«Ma da che parte stai tu?»
«Fino a sabato da quella della mia squadra, John, da sabato in quella di Lily quindi abbi un minimo di pazienza»
«E tu sei convinta che sabato riuscirai a dire tutto a Lily?»
«Al cento per cento»
«Black farà qualcosa prima, Liv»
«Black non farà un bel niente, stanne certo»
«Lo farà eccome! Tu non hai idea dei modi che usa per bloccarmi»
«Me li immagino, ma Black non dorme nel letto accanto a quello di Lily la notte... SÌ, HO LE SOPRACCIGLIA TASSOROSSO! E QUINDI?» sbottò Liv rivolgendosi al gruppetto Serpeverde che l'aveva fissata per minuti interi e che a quell'urlo minaccioso scapparono velocemente, terrorizzati. Liv spostò lo sguardo furente verso Sirius, in piedi in fondo al corridoio affollato; le sorrideva sornione, infilandosi le mani in tasca e facendo marcia indietro. Owen era tenuto sottocontrollo da Olivia, Remus era sempre così fastidiosamente nel giusto.
Liv non aveva dato molta importanza alle sue sopracciglia giallo- nere soltanto perchè era convinta che quello stupido incantesimo sarebbe sparito entro tre giorni, giusto in tempo per la partita.
«McAdams...»
«Lo so, Potter, lo so»
«Ti dico soltanto che se domattina non le farai tornare normali te le strapperò io stesso prima di farti entrare in campo».
Sirius sorrise sedendosi su una panca degli spogliatoi il venerdì pomeriggio. Erano gli ultimi allenamenti prima della fatidica partita e l’atmosfera si era fatta piuttosto tesa.
Avevano passato i giorni precedenti ad allenarsi per ore ed ore sotto una fitta pioggia ghiacciata mandando giù, su ordine di James, il miracoloso decotto Tiramisù di Madama Chips contro il raffreddore anche se nessuno aveva effettivamente i sintomi dell’influenza.
«BEL LANCIO, DAISY! E QUEL PASSAGGIO ERA PERFETTO, ALAN! RIPROVATE LA MANOVRA DI PORSKOFF! E DOPO, LO SCHEMA NUMERO DUE!» gridò James, per sovrastare il rumore della pioggia, sfreccciando dietro l’anello appena oltrepasssato dalla pluffa lanciata dalla cacciatrice che battè il cinque al suo collega Morgan. «Michael non abbatterti o sarà peggio... il prossimo lo parerai! Sei fortissimo» continuò, incoraggiante, fermandosi accanto al suo portiere impacciato negli abiti zuppi d’acqua.
La pioggia continuò a scendere, fredda e scrosciante, e la luce del sole del tardo pomeriggio si fece sempre più fioca dietro ai nuvoloni scuri.

James abbassò lo sguardo su Carter e Harrison che si lanciavano abbastanza ritmicamente i bolidi poco più sotto di loro e lo sollevò per osservare Liv che volava a tentoni sopra alle loro teste. Nemmeno lui riusciva a vedere il boccino, sperò con tutto il cuore che quel tempaccio autunnale sparisse entro la notte o tutto sarebbe stato ancora più difficile per la sua nuovissima squadra.
Diede una pacca sulla schiena di Michael e spiccò in alto, strizzando gli occhi per la fitta pioggia.
«MCADAMS!»
«CI STO PROVANDO, POTTER! D’ACCORDO!?»
«FERMATI UN ATTIMO SE NON VEDI IL BOCCINO! SALI ANCORA PIÚ IN ALTO E STAI FERMA PER GUARDARTI ATTORNO... AVRAI UNA VISUALE MAGGIORE DI TUTTO IL CAMPO!»
Liv puntò il manico di scopa verso l’alto e accelerò. Le fitte gocce di pioggia picchiavano sul suo viso che in un attimo si ritrovò rivolto di nuovo verso il basso per scrutare tutto il campo.
Da quando era entrata in squadra si era accorta di non avere problemi ad eseguire gli ordini di James agli allenamenti, anche perchè più che ordini sembravano soltanto degli ottimi consigli da esperto. Era come se il Quidditch riuscisse a farli andare d’accordo, per un certo senso, perché entrambi lo prendevano sul serio ed entrambi volevano vincere.
In campo, battute e antipatie si prendevano una pausa lasciando spazio alla collaborazione totale per raggiungere il comune obiettivo della vittoria.
«FAI FINTA CHE QUESTA PIOGGIA SIA STEVENS! VUOI BATTERLO O NO!?»
«CERTO CHE SÍ!»
«ALLORA APRI QUEGLI OCCHI RIDOTTI A FESSURE! NEMMENO STEVENS TI FAREBBE VEDERE DOVE SI TROVA IL BOCCINO!»
A fine allenamento, James sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi smaglianti per sollevare l’umore dei suoi sei fradici giocatori che nonostante la fatica e la pioggia si erano impegnati con grandi miglioramenti.
«Vinceremo. Elimineremo i Tassorosso. Abbiamo il Quidditch nel sangue! Nessuno potrà batterci!» disse con la maggior convinzione che riuscì a trovare, rivolgendo il sorriso smagliante a Carter, poco convinto. «Ricordate il decotto di Madama Chips prima di andare a letto. ‘Prima di andare a letto’ significa subito dopo cena, tanto per chiarire» riprese James togliendosi gli occhiali per asciugarli dalla pioggia.

Harrison sorrise stancamente passandosi un asciugamano sui corti capelli scuri e Morgan si lasciò cadere sulla panca accanto ad un distrutto Michael, schizzando d’acqua Sirius e la rivista babbana di motociclette che fino a quel momento l’aveva tenuto occupato nel caldo spogliatoio.

«Grazie, Alan, mi hai risparmiato la fatica di fare una doccia oggi» esordì sarcastico afferrando con lentezza la bacchetta dalla tasca dei jeans per asciugarsi.
«Sappiate che se uno di voi uscirà dal dormitorio stanotte- invece di dormire profondamente nel suo baldacchino- io lo saprò e verrò a prendervi con la forza per riportarvi dove dovete stare la notte prima di una partita» continuò, appositamente minaccioso, James facendo guaire sottovoce Sirius: di chi era il compito di stare con la Mappa aperta sul cuscino fino a tarda notte per controllare i sei nomi della squadra? Il suo. Non aveva mai visto Remus così deciso e scontroso come quando si era rifiutato di avere quel ‘nobile’ compito, e James non poteva di certo passare una notte insonne prima di giocare.
Liv lo guardò storto togliendosi i guanti gocciolanti che le avevano permesso di afferare il boccino almeno una volta.
Sirius le sorrise malignamente, leccandosi il polpastrello del pollice con fare provocante per passarlo poi sulle sopracciglia nere, esplicitamente derisorio nei confronti delle sue, ancora giallo- nere.
Liv strinse le labbra e senza rendersene conto anche i pugni sotto il viso accigliato di Daisy. Le sue sopracciglia sarebbero tornate normali. Dovevano, per forza,

 

 

 

 

 

*

 

 



«Lily fa qualcosa!»
«Ci sto provando! Calmati!»
«A quest’ora dovrebbero essere di nuovo normali!»
«Black è più bravo di quel che pensavamo in Incantesimi, Liv»
«Io lo ammazzo»
«Vanno bene se sono solo un po' più pallide?»
«Lily!»
«Va bene, va bene! Dammi un altro minuto»
«Lasciale così fino a domattina e dormiamo, vi prego, è tardi»
«Domattina non avrò tempo, Mary! Scenderò cinque minuti a colazione con Daisy e poi subito al campo»
«Sta’ ferma, Liv, o ti caverò un occhio con la bacchetta! Sono certa che questo sarebbe molto peggio, no?»
«Merlino, se lo sarebbe».
 





 

Note:
 

Ogni cosa che dice Allock è presa da Pottermore e dal secondo libro, pag. 103 (Cercatore, Corvonero, il suo colore preferito lilla, la mamma che prima di andare a Hogwarts gli diceva che molti sarebbero stati gelosi della sua bellezza, la gigantografia del suo viso in cielo sopra il Lago Nero, i professori che lo ritenevano intelligente ma troppo borioso, la sua voglia di primeggiare ed essere famoso, il voler combattere il male, diventare Ministro, creare la pozione per capelli e così via).

*Apollyon Pringle: il predecessore di Gazza, colui che usava le catene medievali come punizione e sempre quello che ha messo in punizione Arthur Weasley dopo un appuntamento notturno con Molly, a scuola da giovincelli.
Nel settimo libro, poco prima della battaglia finale, la McGranitt dice a Gazza che lui si lamenta di Pix da:"un quarto di secolo". Un quarto di secolo sono venticinque anni, in quel momento sono nel 1998 e significa che Gazza ha cominciato a lavorare a Hogwarts nel 1973 (terzo anno dei Malandrini). Nel 1977, questo momento della mia storia, è a Hogwarts da quattro anni.
Ho sempre immaginato Gideon e Fabian più piccoli di Molly ma più grandi dei Malandrini di almeno otto anni. Quindi nella mia testa non hanno mai conosciuto Gazza, ma Gazza conosce loro perchè mi sembrano due tipi che non passano inosservati tanto facilmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19. Pluffa d'Oro ***


Mi scuso in anticipo per il vero e proprio papiro qui sotto. Non era mia intenzione riscrivere il Libro dei Morti ma è venuto fuori così (dopo mille camicie sudate e crisi d’isteria acuta).
Non vedevo l’ora di pubblicarlo e, visto che ci tengo particolarmente, spero almeno non sia uscito un totale schifo.

Non finirò mai di ringraziare infinitamente chi commenta, siete la salvezza della storia.
 
 
 
 

 

****

 

 
 

Capitolo 19

PLUFFA D'ORO
 

 

 
 



Remus Lupin si era pentito.


«Ne sei sicuro, Lupin? Sei ancora molto pallido e quel taglio ha ancora bisogno di un po’ di dittamo, fammi rivedere»
«Sicurissimo, Madama Chips, sto meglio. Sono rimasto anche più del solito»

 

«MA QUESTO DISORDINE C’É SEMPRE STATO?!»

 

«Sarebbe meglio, invece, se passassi un’altra notte qui. Domani mattina potrai tranquillamente assistere alla partita come tutti gli altri, non te lo vieterò»
«Le dico che sto bene. Lei è stata magnifica, come sempre. Grazie infinite»

 
 

Pentito amaramente. Il calzino di James, illuminato dalla debole luce dell’alba che entrava dalle finestre,  gli atterrò in piena fronte. Remus, spettinato come non mai, staccò la testa dal cuscino mettendosi seduto con un leggero dondolìo instabile sul suo baldacchino.
Aveva voluto fare il coraggioso, il Grifondoro coraggioso che si sacrificava per Sirius e Peter. Non era rimasto in infermeria per non lasciarli da soli con il pazzo, perché James la mattina della partita era soltanto un pazzo anche se voleva essere chiamato Il Capitano di una squadra che tra poche ore scenderà a combattere per l’onore e la gloria della sua nobile Casata. Nessun legame di amicizia o fratellanza li escludeva dallo sorbirsi attacchi isterici, ordini improbabili e anche colpi di indumenti vari, come il calzino che gli aveva appena augurato il buongiorno.
Remus aveva fatto il coraggioso senza poi esserlo davvero perchè se la sera prima si fosse ricordato che il giorno dopo non sarebbe stato soltanto il giorno della partita ma anche quello del compleanno di Sirius, se ne sarebbe rimasto comodamente ed egoisticamente nel tranquillo letto dell’infermeria senza pensarci due volte. Al diavolo il coraggio.
«AVETE VISTO?»
Visto quanto sei fuori di testa prima di una partita, James? No, non l’abbiamo mai visto... non abbiamo mai subito questa tua qualità che peggiora di anno in anno, dal 1972. 
«CIELO GRIGIO, UN PO’ DI VENTO E QUALCHE GOCCIA DI PIOGGIA... MA VA BENE! NIENTE NEBBIA O SOLE ACCECANTE».
L’informazione metereologica quasi gridata da James che lucidava con attentissima cura la sua Nimbus Mille Uno - mentre calpestava, senza nemmeno vederle, le dozzine di scatoline attorno al letto di Sirius e sparse per l’intera camera- gli fece strizzare con sofferenza gli occhi ancora chiusi.
L’odore inconfondibile del cioccolato schiacciato si espandeva sempre di più nella stanza fredda del dormitorio Grifondoro, ancora immerso nella semioscurità del crepuscolo mattutino. Erano due situazioni molto familiari e spiacevoli che non avrebbero mai e poi mai dovuto accavallarsi l’un l’altra un’altra volta nella stessa mattina: I cioccolatini ripieni di filtro d’amore delle innumerevoli spasimanti di Felpato e le finestre spalancate da James per attivare subito il cervello con nuovo ossigeno prima della partita. Un fondamentale. Che domande sono?
«ANDRÁ BENE! DOVRÁ ANDAR BENE. NO, REM? VOGLIO DIRE, LA POSSIBILITÁ DI VITTORIA É DEL CINQUANTA PER CENTO SE CONSIDERIAMO IL FATTO CHE...»

Remus se lo chiedeva sempre: come poteva un corpo umano racchiudere così tanta energia ed entusiasmo alle cinque e mezzo del mattino? E perchè il nervosismo di James doveva essere sfogato proprio in quel modo?

Perchè la prima partita del torneo doveva svolgersi i primi di novembre? E perchè Sirius era nato i primi di novembre? Perchè mai era venuto al mondo a novembre e con un muso che attirava dozzine di ragazze disposte a fare di tutto pur di averlo, anche se questo significava intasare una camera con scatole ingombranti che sporcavano e che puzzavano di pozioni mal fatte?
Ma soprattutto: perchè diavolo lui non era rimasto in infermeria?
Stava cominciando a fare pensieri scollegati e senza senso, se ne rendeva conto, ma era l’alba e lui non sapeva nemmeno scendere dal letto, tantomeno seguire il filo illogico del discorso di James che, per quanto stava riuscendo a capire, poteva benissimo essere in Antiche Rune.
«COME GLI HO DETTO L’ALTRO GIORNO. CERTO, NON SI PUÓ DIRE CHE SIA INFALLIBILE COME LO SCHEMA NUMERO DUE... SÍ, REMUS, LO SCHEMA NUMERO DUE É INFALLIBILE, ANCHE SE FAI QUELLA FACCIA. LO É SEMPRE STATO E SEMPRE LO SARÁ. COMUNQUE...»
Remus non aveva mosso un lineamento, l’avrebbe potuto giurare su qualsiasi cosa, come poteva aver fatto quella faccia’? Anche perchè erano anni che sentiva di questo schema numero due senza avere la minima idea di cosa fosse o di quali fossero le sue effettive possibilità di riuscita o di fallimento.
«OPPURE GLI SCHEMI ANCORA SEGRETI. QUELLE MERDE DI SERPEVERDE LI AVRANNO VISTI DI CERTO, CON LA LORO SPIA DEL CAVOLO, MA TANTO... SIRIUS, RISORGI! PETER! APPENA FINISCO CON LA SCOPA VOGLIO VEDERVI PRONTI PER SCENDERE IN CUCINA!»
Remus, completamente ignaro di quello che James aveva blaterato per quelle a lui sembravano già ore, rimase seduto spostando prima lo sguardo sul cumulo di coperte che nascondeva Peter e poi su Sirius, miracolosamente (per i comuni mortali, e normalmente per lui) disteso a testa in giù; il viso spalmato sulla Mappa completamente aperta sul pavimento e il bacino con le gambe nascoste dalle coperte vermiglie sul materasso.
Per fortuna, James era troppo agitato e su di giri per accorgersi della bavetta che colava dalla bocca aperta e si depositava sulla pergamena che tanto avevano faticato a disegnare.

«SEMPRE, PERÓ, CON LA FORMAZIONE D’ATTACCO TESTADIFALCO. FELPATO, L’HAI VISTA IERI, SAI ANCHE TU QUANTO É EFFICACE NEL MOMENTO IN CUI...»

Remus si decise a scendere dal letto appena vide Sirius staccare la guancia dalla pergamena, borbottando con voce impastata qualcosa come cos’è questo odorino?”

L’esperienza insegnava sempre, era successo già troppe volte. L’esperienza insegnava e Remus era sempre stato un ragazzo che apprendeva in fretta, non si poteva negare. Sapeva benissimo, infatti, che anche uno solo di quei cioccolatini avrebbe reso Sirius un completo ed insopportabile imbecille da tenere a bada per non vederlo strisciare dietro alla fortunata ragazza che aveva impacchettato con cura la scatola.
Sempre l’esperienza gli aveva insegnato che Sirius appena sveglio non capiva nemmeno dov’era e chi era- “Un mago? Io? Na... sul serio?-, bisognava quindi agire alla svelta.

I piedi nudi però incontrarono le scatole ancora intere e piene di dolci maledetti, camminare all’alba era difficile e farlo senza calpestare cioccolatini era come non sentire sonno durante una lezione di Storia della Magia.
«O ANCHE FATTO ALL’INDIETRO, NATURALMENTE. PERCHÉ ALLA FINE É QUELLO CHE CI CONSENTE DI SEMINARE L’AVVERSARIO IN UN TEMP...» James si fermò di scatto, ammutolendo. Il repentino cambiamento non era dato dall’offesa per il  fatto che Sirius non lo stava minimamente ascoltando, no, James non ci aveva fatto nemmeno caso perchè tutta la sua attenzione era completamente rivolta al suo baldacchino in disordine sul quale aveva appena poggiato con cautela la Nimbus, perfettamente lucida.

«IL MIO KIT DI MANUTENZIONE PER I MANICI DI SCOPA. REMUS»
«Cosa?»
«ERA QUI UN MINUTO FA»
«Non ho idea di dove sia, James... e abbassa la voce» rispose stancamente lui avanzando a tentoni per raggiungere Sirius, già con il collo allungato verso una scatola integra posata vicino alla mappa imbrattata di saliva.
«TI DICO CHE ERA QUI. HO PRESO IL LUCIDO PER LA MIA NIMBUS. CHE SCHERZO É?»
«Cerca bene, non può essere sparito»
«LA SPIA DEI SERPEVERDE DEVE AVERMELO NASCOSTO!»
«Certo, se la spia dei Serpeverde è un minuscolo ed invisibile folletto della Cornovaglia muto» fece ironicamente Remus dando un calcio alla scatola di cioccolatini che Sirius stava per afferrare. Non si prese nemmeno la briga di dirgli che erano ripieni di filtro d’amore perchè tanto era come se Sirius non avesse le orecchie.
«NON É IL MOMENTO DI SCHERZARE, REMUS»
«Non sarebbe nemmeno il momento di urlare, James» ribattè tranquillamente lui sollevando di peso Sirius con non poca difficoltà e gettandolo sul baldacchino senza troppi complimenti.
Non era proprio il momento di urlare e visto che tanto James avrebbe continuato- quella non era di certo la prima mattina di una partita e l’abituale routine prevedeva i toni soavi di James- lui aveva deciso di farne a meno. La gara di urla del quinto anno aveva attirato fin lì un’adiratissima professoressa McGranitt con tanto di lunga treccia spettinata su una spalla e pantofole scozzesi in tinta con la vestaglia.
«SE NON DARÓ UNA SISTEMATA ALLE SCOPE DELLA SQUADRA SARÁ UN DISASTRO! TI RENDI CONTO? LA CODA DELLA STELLASFRECCIA DI CARTER SEMBRA LA SCOPA BABBANA DI GAZZA E LE FORBICI PER SISTEMARGLIELA SONO NEL MIO KIT!»
«Usa la bacchetta» gli consigliò con leggerezza Remus, cominciando a dirigersi con la pelle d’oca verso il suo baule per vestirsi. Tornò subito indietro però, allontanando con una manata un’altra scatola dalle zampe di Sirius che mugugnò contrariato, aggrottando le nere sopracciglia.
«LA BACCHETTA, CERTO, COME NO. HANNO MESSO UN PAIO DI FORBICI PREGIATISSIME IN QUEL KIT SOLTANTO PERCHÉ GLI ANDAVA... COSÍ... AVANZAVA SPAZIO. OH, MA GUARDA, METTIAMO UN PAIO DI FORBICI PERCHÉ CI STANNO BENE».
Remus sospirò pesantemente facendo ricascare Sirius sul letto con uno spintone prima di dirigersi verso il letto di Peter. Schivò per un pelo un ammasso di cioccolato e carta brillantinata ma un enorme fiocco blu gli fece quasi lo sgambetto.
«NON DI CERTO PERCHÉ SONO L’ATTREZZO COSTRUITO APPOSITAMENTE PER SISTEMARE I RAMOSCELLI DELLA CODA CHE DANNO EQUILIBRIO E VELOCITÁ! NO, CERTO CHE NO, PER QUELLO ESISTE LA BACCHETTA CHE CON UN “DIFFINDO” RAPA A ZERO LA SCOPA!»
«Ramoso, non so che dirti, io non ho visto nè nascosto niente. Pete, non complicare ancora di più le cose, ti prego». Peter, ancora mezzo-addormentato, strappò le coperte dalle mani di Remus e si coprì anche la testa, rabbrividendo per il freddo che entrava dalle finestre.
Alzarsi all’alba doveva essere ritenuto illegale dal regolamento della scuola. Sprofondò sul materasso pensando che anche se quella regola fosse stata presente nella lista dei divieti di Hogwarts o di tutti i dipartimenti del Ministero, James se ne sarebbe infischiato altamente così come faceva con tutte le altre già esistenti.
L’unica cosa che rincuorava Peter era il pensiero della Cucina colma di cibo, quel pensiero lo convinse a far sbucare la testa dalle coperte e in un attimo i suoi occhi celeste acquoso si spalancarono, orripilati.

Remus era in evidente difficoltà mentre faceva delle spettacolari spaccate per superare le scatole dall’aspetto familiare che tappezzavano il pavimento. L’ansia cominciò ad invadergli lo stomaco ricordando quando, un altro maledetto tre novembre, si era mangiato i cioccolatini di un’intera scatola ritrovandosi poi in punizione per aver seguito Charlotte Jones fino in bagno con un mazzo di piume trasfigurate in rose da James.
«Mh, raffinati» mormorò Sirius compiaciuto aprendo una scatola ed afferrando un cioccolatino all’arancia senza notare Remus che, passandogli vicino mentre cercava di arrivare di nuovo al suo baule, glielo sfilò dalle dita poco prima di infilarlo in bocca.

Sirius però non si diede per vinto e con nonchalance cominciò a vagare tra le scatole infiocchettate, annusando l’aria con attenzione.
«Hai provato in bagno, James? Il lucido è lì» informò Remus indicando il piccolo barattolo a terra, davanti alla porta del bagno.
James si passò una mano tra i capelli, seguendo con gli occhi l’indice di Remus. La sua espressione perplessa dietro alle lenti rotonde divenne decisamente scontrosa.
«CHE COSA CI FA LÌ?!»
«Stavi allegramente passeggiando mentre lo usavi, ti sarà caduto» rispose Remus recuperando un maglione dal baule. “Stavi allegramente passeggiando con la testa già in aria, al campo” aggiunse mentalemente bloccando con una gamba Sirius, chino su una piramide di pacchetti rosssi.
«Remus, sul serio, vedi qualche somiglianza tra me e il professor Rüf che ti fa pensare che io sia un vecchio bacucco che non ricorda le cose?»
L’abbassamento di voce di James fece esultare internamente Remus che sorrise, vittorioso. La prossima fase del James-pre-partita era quella del perfetto silenzio da super-concentrazione. Certo, se soltanto le due fasi si fossero invertite permettendogli così di dormire tranquillamente fino alle otto sarebbe stato ancora meglio, purtroppo aveva un compagno di dormitorio fatto al contrario.
«Sì, anche tu sei un po’ pallido» rispose infilandosi il maglione e portando via a mo’ di vassoio la scatola appena agguantata da Sirius.
James lo guardò in tralice. «Ma ho la memoria che va una meraviglia. Quindi no, il barattolo del lucido non mi è caduto mentre pulivo la mia Nimbus semplicemente perchè era sul letto affianco a Il Quidditch attraverso i Secoli, così come il kit che per questo non può essere in bagno» sbottò, andando a recuperare il barattolo.

Cercando di non dare troppo nell’occhio, diede una veloce occhiata dentro al bagno allungando il collo oltre lo stipite della porta, giusto per controllare, non di certo perchè Remus aveva sempre ragione e quindi la probabilità che il suo kit fosse lì dentro come aveva detto lui era possibile al novantanove per cento.
«É lì?» gli chiese la voce di Remus dalla camera. James si mise di nuovo dritto, camuffando il movimento.

«No» mentì. Il suo prezioso kit per le scope era sul lavabo, in bella vista, eppure James giurò di averlo lasciato sul suo letto. Se Sirius non fosse ancora rimbambito dal sonno avrebbe detto si trattasse di un suo scherzo idiota.
«Allora prova nel baule, l’avrai rimesso al suo posto senza accorgertene» riprovò Remus saltellando per la camera con un piede dentro una gamba dei pantaloni e una mano aggrappata alla maglia di Sirius, trattenendolo con la forza.
«Non importa, userò la bacchetta» gli rispose di rimando James dal bagno, infilando le preziose forbici in tasca e nascondendo poi il kit dentro lo scaffale degli asciugamani.
Remus, in camera, non restò completamente basito come invece una persona non abituata a dormire in quella stanza sarebbe potuta diventare.
L’umore altamente lunatico stile Sirius-nei-suoi-momenti-peggiori rientrava nei normali standard pre-partita. Il controsenso dato dalla ‘sfuriata professionale’ ricca di sarcasmo su forbici e bacchetta, unita a Non importa, userò la bacchetta’ non fece effetto a nessuno, lì dentro.
Ma Remus conosceva James e quella faccia che adesso aveva e che avevano gli altri suoi due migliori amici quando non volevano ammettere di aver sbagliato.
«James» lo richiamò semplicemente e lui abbassò le spalle, arreso.
James era sempre quello che lo ammetteva per primo, dopo Peter che nemmeno riusciva a mentire. Sirius non si poteva inserire nella classifica: era capace perfino di negare l’evidenza.
«E va bene, Remus, era in bagno! Contento?» fece James, arreso, prima di sentire il cigolìo del baldacchino di Peter che cercava di scendere dal letto senza toccare i pacchetti. Quando una scatolina dorata gli sfiorò un piede risalì goffamente ma ad una velocità allarmante.
«Pete, i cioccolatini sono pericolosi soltanto se li mangi. Toccandoli non succede niente » lo tranquillizzò Remus strattonando ancora Sirius senza rendersi conto che l’amico aveva già tre cioccolatini in mano.
«Buon compleanno, testa di Troll!» fece ridente James lanciando al festeggiato il rotolo della carta igienica preso in bagno. La bassa risata di Sirius, colpito in piena faccia, anticipò la sua voce.

«Tanti auguri a me!» esordì sollevando a mo’ di brindisi un dolcetto, ricevendo l'illuminazione ricordandosi chi era, che gorno fosse e cosa comportava.il tutto. La sua espressione pacifica e assonnata si trasformò repentinamente in sveglia e disgustata facendo sogghignare James. Riabbassò la mano non in direzione delle sue labbra, ma in quella della finestra e in un attimo il  cioccolatino al filtro d’amore volò dritto fuori dalla torre dei Grifondoro.
 «Forza, in cucina! Il sole sta per sorgere!»



 
 


 

 

*

 
 
 



Alle nove la Sala Grande, sovrastata da un cupo cielo plumbeo, cominciava a riempirsi più velocemente dei soliti sabati e con molto più baccano ed allegria.
I tavoli di Tassorosso e Grifondoro, completamente invasi da studenti agghindati con coccarde e bandierine dei colori delle rispettive Case, sprizzavano eccitazione ed euforia.
«BUONA FORTUNA A NOI!» gridò con grinta William Jhonson- la faccia metà rossa e metà oro- sollevando il calice in direzione di Harrison che sorrise, alzando un pugno in aria in segno di vittoria.
«Allora?»
«Allora cosa, Michael? Non è niente di grave. Andiamo, siamo già in ritardo»
«Niente di grave, Harrison? Devono mangiare o si schianteranno a terra svenuti durante la partita! Falli mangiare!»
«Vedrai che tra poco lo faranno».
Il portiere assunse un’espressione incredula e confusa alzandosi dalla panca davanti al battitore veterano, già in piedi con assoluta tranquillità. Ci doveva essere sotto qualcosa.
Provò a ribattere per chiedere spiegazioni sul suo ottimismo fuori luogo ma la brioche ingerita poco prima risalì dallo stomaco in subbuglio per la tensione, facendolo stare zitto.
Almeno io mi sono sforzato per il bene della squadra, si auto incoraggiò afferrando al volo la tazza per cercare di bere un altro goccio di latte.
«Dov’è James?» chiese Carter staccando gli occhi scuri dal piatto praticamente ancora pieno di uova e pancetta. Dall’ansia non riuscì nemmeno ad alzarsi, nelle orecchie aveva ancora le parole velenose e le risate maligne dei Serpeverde che appena aveva messo piede lì dentro l’avevano coperto di battute per la sua magrezza non adatta ad un battitore.
Alan finì di bere tutto il suo succo di zucca prima di rispondergli scavalcando la panca con energia.
«Ci aspetta al campo. Fai un bel respiro e non preoccuparti. SVEGLIA, DAISY!» La ragazza al suo fianco sobbalzò, facendo cadere troppo zucchero nel caffè che in realtà non aveva nemmeno intenzione di assaggiare. 

«Se non avessimo la partita tra un’ora, Alan, ti darei un pugno sul naso» ringhiò sentendo lo stomaco attorcigliarsi.
«Ma Liv dov’è?» le chiese Harrison, adesso un tantino preoccupato. Con le labbra arricciate dalla nausea, Daisy allontanò la tazzina del caffè ancora piena fino all’orlo. «Sono passata nella sua stanza prima ma... ecco... mi ha detto che mi avrebbe raggiunto qui» disse, in evidente imbarazzo.
Harrison corrugò la fronte: ormai era tardi per fare colazione, tardi per l’orario fissato da James che li voleva negli spogliatoi almeno un’ora prima.
«Sta male?» chiese, decisamente inquieto. Giocare senza Cercatore era come affrontare un duello senza bacchetta.
Daisy scosse la testa, incerta se dire la verità o meno. La risposta però arrivò dall’intera tavolata Grifondoro che cominciò a borbottare, per niente entusiasta, e da quella Serpeverde dalla quale si levarono risate di scherno e battutine per niente innocenti.
Harrison sollevò lo sguardo da Daisy per portarlo su Liv, appena comparsa in Sala Grande con il viso livido di rabbia e le sopracciglia ancora colorate proprio come le guance di Wayne Abbott seduto al tavolo dei Tassorosso.
Un’occhiata tagliente dal tavolo dei professori la fulminò in pieno. La professoressa McGranitt, il collo avvolto dalla sciarpa rossa e oro, la stava fissando con rassegnata disapprovazione.
«Anche questo ti sembra niente di grave, Harrison?» chiese ironicamente Michael al battitore seriamente teso. E adesso chi l’avrebbe sentito James?
 
 



 

*

 
 
 



«Pensavo che la marmellata di fragole tenesse...»
«Non.Toccarle.Più. Hai peggiorato la situazione, Harrison»
«La mia idea era perfetta»
«Tu dici, Alan?! Attaccatele tu due fette di bacon con l’adesione permanente... ma dove dico io però!»
«Basta, ormai rimangono così. Non si può fare niente. Stiamo aumentando l’ansia di tutti!»
«Tanto la strigliata la beccherò io. Vero, Michael?»
«Sssst, Liv! Guardate che ci sente, questa porta è come pergamena».
Daisy aveva assolutamente ragione: la porta degli spogliatoi era davvero poco spessa e James la stava fissando con cipiglio concentrato, ascoltando il mormorìo agitato dei suoi sei giocatori proveniente da dietro il sottile legno scuro. Era successo qualcosa, a parte il ritardo di due minuti, era successo qualcosa e questo non andava affatto bene.
Abbassò di scatto la maniglia e li trovò tutti raggruppati attorno a Liv, visibilmente scocciata e con le sopracciglia appiccicose e lucide.
Ok. Fare come se niente fosse, James. Come se niente fosse. Quella è la tua Cercatrice con ancora le sopracciglia sostenitrici della squadra avversaria ma tu sei assolutamente e perfettamente calmo. Non gliele strapperai con la forza, non distruggerai l’intero spogliatoio con la mazza di Harrison e non sfonderai la porta con una testata. Niente e nessuno può portarti via la tua concentrazione adesso. 
«Wow!» L’esclamazione di Michael alla vista del piccolo tavolo fatto di panche, imbandito con ogni genere di cibo, rimbombò per l’intero spogliatoio.
Sirius, seduto per terra con l’aria di chi si era appena svegliato bruscamente, si strinse nelle spalle rabbrividendo dal freddo.
«Se non vi mangerete tutto questo di vostra spontanea volontà lo frullerò e ve lo farò bere con l’imbuto. Non mi sono lasciato trasportare all’alba nelle cucine per vedere questi piatti rimanere pieni» mugugnò con risentimento, scoccando occhiatacce minacciose ad ognuno.
James afferrò per un braccio Liv mentre Harrison e Alan spingevano con la forza le nuove reclute verso il cibo.
«Ricorda, Potter, che la colpa è tutta del tuo cretino migliore amico» sibilò Liv lasciandosi trascinare verso l’armadietto che Madama Chips riempiva con pozioni di pronto soccorso la sera prima delle partite.
James non parlò, tenne la bocca chiusa con espressione furente. La fece sedere su una sedia sgangherata e aprì con nervoso la piccola anta in legno per recuperare una benda.
«Potresti benissimo chiedere a quel Vermicolo di eliminare l’incantesimo» continuò Liv stringendo i pugni. Le corte unghie le si stavano conficcando sui palmi delle mani non solo per le sopracciglia ma anche, e soprattutto, per l’adrenalina data dall’ansia per la partita.
Non aveva chiuso occhio durante la notte, il suo stomaco le si era attorcigliato e adesso lo sentiva come un enorme gomitolo di lana fermo in pancia.
«Possibile tu sia d’accordo con Black anche in questa situazione!?» ruggì ancora osservando il Capitano picchiettare con la punta della bacchetta la benda che si colorò in un attimo di rosso e oro.
Senza emettere alcun suono, James la legò attorno alla testa di Liv, facendola accuratamente poggiare sopra le nemiche sopracciglia come un’appariscente fascia per capelli. Lo sguardo assassino di Liv non riuscì ad impedirgli di farle uno storto fiocco malconcio sulla nuca, sotto l’alta coda di cavallo scura.
«Potrei benissimo eliminare da solo l’incantesimo o trasfigurarti queste sopracciglia in due secondi, McAdams, ma il fatto è che non saboterò la battaglia di scherzi di Sirius. Questa mi sembra una soluzione più che accettabile» esordì lui finalmente, sistemandosi gli occhiali sul naso. «E le fasce vanno di moda tra i babbani, no? I fiori di qualcosa... dei figli... o era al contrario?» aggiunse, facendola alzare con la forza per trascinarla dagli altri.
«Ti vomito addosso, Alan! Giuro che lo faccio»
«Solo due brioche, un tortino di zucca, tre muffin ai mirtilli e il succo, Daisy»
«Le fasce in fronte non sono più tanto di moda, Potter. I Babbani si evolvono in fretta, al tuo contrario» lo corresse Liv, infastidita dal dover fare colazione a tutti i costi.
«Adesso c’è il Punk... non è vero, Olivia? I Sex Pistols» s’intromise Sirius accogliendola con un sorriso al ‘banchetto forzato’.
Liv non potè rispondere per via del muffin che Sirius le aveva avvicinato senza preavviso alle labbra, facendole fermare il respiro. Lo prese, guardinga, dandogli un morso forse troppo grande.
«O la Disco Dance» continuò lui mettendole nell'altra mano un calice pieno di succo di zucca. Liv, così come tutti gli altri, rischiò di soffocare osservandolo accennare due o tre movimenti di ballo con disinvolto umorismo demenziale. Perfino James si lasciò andare ad un largo sorriso divertito.
Quando Liv riuscì a mandar giù lo stopposo dolce ai mirtilli Sirius riprese, sollevandole la mano con il bicchiere per farla bere senza darle nemmeno il tempo di ribellarsi.
«Il Rock rimane il meglio. Hai sentito alla radio l’ultima dei Queen? We Are the Champions... se volete ve la canto, è perfetta per quest...»

«Se accenni anche una sola nota, Gramo» lo bloccò James che ‘grazie’ alla radio appositamente truccata per ascoltare programmi babbani e non magici di Sirius aveva già sentito quella canzone attira sfortuna. «Ti renderò adatto a cantare insieme alle voci bianche nel coro di Vitious».
Lasciò il motivo all’immaginazione del suo migliore amico che per istinto mollò Liv portandosi una mano a proteggere il cavallo dei pantaloni.
 
 




 

*

 
 
 



«Non è colpa tua se Liv è una mezza Tassorosso in faccia, Lily» fece Mary sollevando l’orlo del mantello per salvarlo dall’erba fangosa sul pendio che dal Castello scendeva fino al campo da Quidditch.
Il tragitto era percorso da gruppi di studenti sempre più esaltati e carichi; i più previdenti si erano portati dietro gli ombrelli insieme a striscioni, enormi cappelli e bandiere. Corvonero e Serpeverde erano gli unici ad apparire normali, se non si faceva caso alle spille piene di insulti per i Grifondoro appuntate con malizia sulle sciarpe verdi e argento.
Risate e prove di quelli che dovevano essere i cori da usare durante la partita si disperdevano nell’aria umida che sapeva della pioggia caduta durante la notte. Tra la folla rumorosa, c’erano anche Lily e Mary con due patriottiche strisce rosso-oro sugli zigomi e le sciarpe degli stessi colori.
«Vuol giocare a nascondino quel testardo di un boccino, ma Stevens è il meglio, per Merlino! Soltanto suo sarà il bottino!»
«Black, certo, la colpa è sua ma avrei dovuto saper eliminare una sua stupida fattura» sbottò con astio Lily aumentando il passo per superare un gruppetto di ragazzi Grifondoro del terzo anno che cantavano con forse un po’ troppa rabbia in risposta al coro dei Tassorosso dietro di loro.
«Potter il nostro salvatore, contro il tasso fa furore! La pluffa al Grande Cacciatore, sulle vostre facce leggiam il terrore!»

«Non mi va giù»
«Hai trovato anche tu le uova di oggi più pesanti del solito?»
«Sempre in piedi Tassorosso! Avanti, non mollate l’osso!»
«Non la colazione, Mary! Il fatto che non sono riuscita ad eliminare l’incantesimo di Black!»
«É sempre stato bravo a fare Incantesimi, purtroppo, che ci vuoi fare»
«Con la grinta dei leoni, Grifondoro, forza campioni!»
«Con questa canzoncina si potrebbe fare un’altra rima molto più veritiera». La voce di Avery e le annesse risate di Piton, Mulciber e Regulus, qualche cespuglio più in là, fecero imbufalire i ragazzi che avevano cantato.
Lily si bloccò all’istante per capire se ci fosse bisogno o meno di un suo intervento da Caposcuola. Fortunatamente, il gruppetto Grifondoro si limitò a trucidare con gli occhi i Serpeverde, troppo più grandi di loro e famosi tra gli studenti per la fama di lanciatori di fatture ‘oscure’.
Si sentirà potente immagino, pensò con stizza Lily scorgendo una punta di compiacimento negli occhi neri di Piton puntati sui ragazzini del terzo anno che indugiavano ad attaccarlo, leggermente intimoriti.
Potente e finalmente rispettato da tutti. In che modo, però, quello non se lo chiede? Non di certo per stima, sincera ammirazione o simpatia. 
«Andiamo» sbottò secca facendo segno a Mary di riprendere a camminare quando lo sguardo di Piton si posò sui suoi occhi verdi e le labbra di Mulciber si stirarono e aprirono come quelle di un serpente.
Lily non riuscì a sentire le sue parole ma loro videro chiaramente la sua fredda maschera d’indifferenza che Regulus trovò molto familiare.
 
 

 

 

*

 
 
 


Gli aderenti pantaloni bianchi, centro assoluto della segreta attenzione degli occhi grigi di Sirius, la fecero sentire a suo agio ed era una soddisfazione enorme leggere ‘McAdams’ ricamato in oro sopra il numero sette su quella tanto desiderata stoffa rossa. 
Ma si sentiva un’incapace. La consapevolezza di essere la Cercatrice dei Grifondoro ormai era spaventosamente conscia, così come il suo stomaco-palla di lana, palla di lana zuppa d’acqua perchè non era assolutamente leggera. I pensieri non facevano altro che vorticare, instancabili, chiedendole insistentemente se fosse davvero all’altezza di quel ruolo così pieno di responsabilità.
Si infilò i guanti di pelle che lasciavano scoperte soltanto le dita, rendendosi conto che stavano tremando leggermente.
«Cagarella, Olivia?» le chiese in tono divertito Sirius, arrivandole alle spalle avvicinando pericolosamente il viso al suo collo. Liv, presa alla sprovvista, agì d’istinto mollando un guanto a terra per sfilare la bacchetta dalla tasca dei jeans sulla sedia e vendicare le sue sopracciglia colorando di verde e argento i denti nel largo sorriso di Sirius.
Harrison, che stava aiutando Carter a liberarsi dal maglione infilato nel verso sbagliato, l'ammonì indicandole con lo sguardo James, per fortuna girato di spalle mentre controllava le scope di tutti.
«’La guerra di scherzi non si può sabotare’» si giustificò a voce forse non troppo bassa lei, ripetendo le parole del Capitano.
La cosa che le diede maggior fastidio non fu l’occhiataccia indagatrice di Potter ma il sorriso ‘Serpeverde’ di Black  che non si abbassò di un millimetro.
«Perchè mi hai preso in squadra, James?» ringhiò Carter, senza fiato, appena Harrison riuscì a fargli sbucare la folta zazzera nera di capelli dalla divisa.
James, staccando lo sguardo da Liv, strappò la scopa dalle dita rigide di una Daisy rossa e già sudata poggiandola sulla panca insieme alle altre.

«Perchè anche se sei magro hai tutta la forza che serve, Carter, e perchè niente e nessuno può metterti i piedi in testa, intesi?» lo incoraggiò, riaprendo il suo Kit per Manici di Scopa e dare così il via alla veloce sistemata anche a quell’ultima scopa.
Nessuna delle precedenti, a parte quelle di Harrison e Morgan, erano in forma. James si sarebbe strappato i capelli davanti a tutti mentre pensava con rimpianto alla sua prima vera scopa- ‘mia preziosa primogenita’-  Nimbus Mille lasciata a casa dai suoi genitori; l’avrebbe volentieri prestata a Carter o a McAdams che purtroppo cavalcavano quelli che sembravano esausti manici di scopa d’antiquariato.
«Mi sudano le mani, perchè mi sudano le mani? La Pluffa scivolerà via... e sto per vomitare»
«Se vomiti te lo farò rimangiare, Daisy».

Quelle parole del capitano la vecero diventare verde. Abbassò subito lo sguardo orripilato anche per evitare di incontrare gli occhi ridenti di Sirius, divertito come sempre nel vedere i giocatori farsela addosso.
«Michael, ferma quella gamba o te la taglio» sbottò Alan trucidando con gli occhi il portiere colpito dal tic nervoso seduto al suo fianco. Michael annuì, infilandosi il casco in testa e alzandosi per cominciare a camminare e saltare sul posto con un sorriso euforico stampato in faccia come se si fosse fatto il bagno nella Felix Felicis.
Liv, finendo di infilarsi i guanti, assottigliò lo sguardo in direzione di Sirius che nemmeno con i denti verdi smetteva di sorridere.
«É stato un piacere farvi da balia» esordì lui, ironico, incamminandosi verso l’uscita e schivando per un pelo Michael, saltellante a braccia aperte. «Ed assistere ai vostri faticosi allenamenti per due mesi, disteso al sole sul prato. Sarà un vero peccato non vedervi più gareggiare per la vittoria. Perderemo, pure di tanto, è così che andrà. Non ci possiamo fare niente. Che tutti i vostri sforzi siano vani come quelli del vostro Capitano quando prova a pettinarsi i capelli. Buona Sfortuna, ragazzi». 
Di passaggio, diede volontariamente una leggera spallata ad un James ridente e consapevole del vero significato di quel loro spalla contro spalla, e sparì con disinvoltura oltre la porta.
Michael, ormai fermo sul posto, aveva la stessa faccia allibita di Liv, Daisy e Carter. Soltanto James, Harrison e Morgan ridevano sapendo benissimo che Sirius aveva appena ugurato buona fortuna a tutti senza scomodare la iella che scatenava ogni volta.
Nessuno riusciva a spiegarsi quella sfortuna a parte James che per prenderlo in giro diceva fosse data dal sue essere un Gramo in versione animale.
 


“Cosa credete che possano fare i Tassorosso? Stevens e gli ultimi battitori allenati da Bagman quattro anni fa sono gli unici in gamba in quella squadra. Buona fortuna, idioti!”

GRIFONDORO 50 – TASSOROSSO 160
Febbraio 1973  


“Sempre queste facce da unicorni rimbambiti! Sveglia! I Corvonero sono campioni di resistenza in biblioteca e basta! Li stracceremo. In bocca al ‘lupo’...”

GRIFONDORO 40 – CORVONERO 180
Giugno 1975  


“Inutile dirvelo. Ci vediamo in Sala Comune per la festa. SerpePerde. É la regola. Che il boccino sia con voi”

GRIFONDORO 60 – SERPEVERDE 210 Novembre 1976
 
 


«Ripassiamo velocemente la tattica prima che Sir Cadogan inizi a blaterare idiozie su se stesso» spezzò il silenzio James, riferendosi ad Allock. «I Tassorosso: squadra con cercatore e battitori come punti di forza. Portiere incostante e Cacciatori non particolarmente veloci. Il loro unico obbiettivo sarà quindi catturare il boccino. McAdams, il tuo compito?»
Liv sospirò. «Distrarre Stevens il più possibile»

«Sbottonati la divisa, sciogli i capelli...» le mormorò sorridente Daisy, dandole una leggera gomitatina. Liv soffiò un Taci ma James sembrò non sentire, troppo concentrato sugli schemi di gioco, e riprese a parlare come se niente fosse.
«La sua Scopalinda4 è più veloce della tua Comet180 ma potrai benissimo rallentarlo con le mosse che hai provato in allenamento»
«Stevens ha una Scopalinda4? Non aveva anche lui una Comet?
«L’ha cambiata, Alan»
«E che cavolo farà oggi, Stevens?! Esibizioni da circo in aria?»
«Non farà niente, Daisy, se McAdams lo rallenterà come le ho insegnato. Perchè è vero che loro hanno il Cercatore migliore ma qui voi avete il miglior cacciatore in assoluto
«Complimenti per la modestia» commentò sarcasticamente Liv.
«Il nostro obbiettivo è tempestare di Pluffe i loro anelli! Siamo una squadra in perfetta forma» mentì James spudoratamente perchè gli sembrò l’unica cosa da fare ormai (Daisy sembrava sull’orlo di una crisi di nervi). «E se tu, McAdams, bloccherai Stevens per darci il tempo di segnare il più possibile potremmo benissimo vincere anche senza il boccino! Tieni sempre sotto controllo il punteggio»
«Praticamente devi fare la calcolatrice e non la cercatrice, Liv»
«Morgan...»
«Perchè deve calcolare la differenz...»
«L’avevo  capita, Alan.... grazie»
«George, qual è la primissima regola nella Bibbia del Battitore di Scrimgeour che ti ho prestato?»
«Buttare fuori il Cercatore avversario, James»
«Ottimo! Quindi indirizza tutti i bolidi su Stevens. Per precauzione, visto che la tua mira non è ancora precisissima, punta su Ned soltanto se non ha vicino McAdams, intesi? Per non rischiare di darle qualche mazzata, non difenderla... quello lo farà Harrison».
Harrison fece un breve saluto militare a Liv che per un istante si sentì al sicuro.
«E Michael...»
«Non ti preoccupare, James, se riesco a parare qualche tuo tiro, quelli degli altri saranno una passeggiata».
James non riuscì a trattenersi e gli saltò addosso, afferrandogli le spalle per massaggiargliele con vigore cameratesco. 

«Così mi piaci, Cooper! Vinceremo senza boccino, una vittoria che vale il doppio!»
«La smettiamo di sottolineare questo fatto?» sbottò Liv, stizzita.
 
 




 

*

 


 

 



 Lily e Mary, con il fiatone dovuto alla fatica data dalle scale appena fatte per arrivare alla rumorosa tribuna riservata ai Grifondoro, passarono a stento in mezzo ad un gruppo di ragazzi del quarto anno che cercavano di appendere un enorme stendardo rosso-oro con un feroce leone disegnato sopra.
«Sembra più un cane spettinato che un leone» borbottò Mary seguendo Lily tra le gradinate in legno.
Il chiacchiericcio eccitato, colmo di trepidante attesa, si mischiava ai richiami tra amici, al vocione di Hagrid e ai colpi di tosse di qualche studente che non aveva voluto saperne di perdere la partita per uno stupido raffreddore.
Remus le salutò da lontano con un sorriso, indicando due posti liberi accanto a lui, Peter e Sirius che aveva appena scavalcato tre ragazzine estasiate per raggiungerli.
«Buongiorno!» salutò allegramente Mary.
Lily ricambiò  il sorriso di Remus e Peter, ancora mezzo addormentato, rispose agitando debolmente una mano guardando le due nuove arrivate sedersi a peso morto sulla panca.
Sirius, mettendosi comodo vicino a lui, mugugnò un “Grazie” agli auguri emozionati di una ragazza seduta davanti prima di fischiettare il ritornello di quella che Lily riconobbe essere una canzone dei Creedence.
«Speriamo non si metta a piovere» tentò ingenuamente di rompere il ghiaccio Remus sollevando lo sguardo sul cielo completamente coperto.
Il piccolo litigio alle loro spalle salvò tutti- a parte Sirius che se ne fregava altamente- dal leggero imbarazzo.
«Ma che fai, Lucy! Stendilo là! Qui non si vede!» esclamò la ragazza mora dispiegando un grande lenzuolo con estrema difficoltà.
«Si vedrà anche da qui! Di là non c’è spazio! Si può sapere perchè non ti va mai bene niente!?» ribattè l’amica strattonando la stoffa e facendosi sfuggire per sbaglio un lembo dell’intero striscione che cadde inesorabilmente sopra Lily.
«Se pioverà io sarò al riparo, Remus» commentò sarcasticamente lei da lì sotto, facendolo ridere.
Mentre le due ragazze cercavano di liberarla Lily riuscì ad intravedere, tra fiori e cuori disegnati con colori appariscenti,  alcune lettere in stampatello. Da quello che riuscì a dedurne, la scritta riportata sul tessuto era a dir poco ridicola e non esitò a sbracciarsi con furia per velocizzare la liberazione.
Dopo nemmeno due secondi, lo striscione “JAMES, SPOSAMI!” fu prontamente gettato a terra con profondo rancore delle due aspiranti signore Potter.
«Evans! Ci abbiamo messo ore per crearlo!»
«Allora riprenditelo, Bonnie! Se lo farete sventolare qui dietro, però, gli darò fuoco. Vi ho avvisato».
Remus si chinò leggermente nella loro direzione, mormorando dietro la schiena coperta di svolazzanti capelli rossi di Lily che si era già voltata di nuovo verso il campo. «Non vi conviene metterlo qui. James penserà che l’abbia scritto Evans e voi non volete questo, no?» Sorrise, malandrino, osservando le facce improvvisamente verdi d’invidia delle due che racattando tutto si spostarono parecchi posti più in là.
Mary lo fece arrossire vistosamente sbucando all’improvviso dall’altra parte della schiena dell’amica con un gran sorriso divertito mentre Sirius dava voce ai pensieri di Lily.
«L’Elvis Presley dei poveri sarà ancora in bagno a staccarsi i bigodini dai capelli, presumo» sentenziò senza scoprire troppo la sua dentatura. Assottigliò gli occhi in direzione della lontana postazione vuota del cronista accanto ad un’accigliata professoressa McGranitt, con le mani sui fianchi, sul punto di esplodere d’impazienza.
«Perchè stai mugugnando come il proprietario della Testa di Porco?» gli chiese Remus, osservando le labbra strette di Sirius che rispose alla domanda sorridendo apertamente.
Gli occhi di Peter si spalancarono, orripilati, mentre Remus tossiva per colpa della saliva andata di traverso a quella vista. Mary e Lily non riuscirono a trattenere una bassa risata con il pensiero rivolto a Liv, quella era sicuramente opera sua.
Il vociare degli spalti arrivava ovattato negli spogliatoi immersi in un silenzio di tomba. Tutta la squadra, ormai pronta, lo sentiva chiaro ed amplificato dalla tensione.
James seguì con lo sguardo la mano nervosa di Carter che afferrava la mazza da una panca e guardò i suoi giocatori in rosso e oro, in piedi davanti a lui.
Il sorriso di Michael si era abbassato diventando una linea dritta mentre continuava a mettere e togliere il casco da portiere dalla testa. Daisy sembrava davvero stesse per vomitare, le trecce castane tenute ferme da due elastici rossi che facevano pendant con la fascia che Liv continuava a sistemarsi malamente sulla testa. Carter si stava sforzando davvero molto per cercare di apparire sereno, la mazza da battitore dondolava al suo fianco con piccoli movimenti a scatti, tutta l’opposto di quella immobile nella mano ferma di Harrison, piazzato accanto ad un Morgan dallo sguardo concentratissimo, inchiodato sul Capitano.
 «Togliamoci dalla testa la gentilezza, la simpatia, i sorrisi cordiali e i Buon allenamento, ragazzi! dei Tassorosso» cominciò James, in tono duro. Se non fosse stato per la pura adrenalina che si respirava nell’aria, Liv sarebbe scoppiata a ridere sentendo Potter alterare la voce in modo esageratamente acuto per imitare quelle degli avversari.
«DOBBIAMO ODIARLI, LÁ FUORI. Niente sensi di colpa: i Tassorosso non sono delle vere palle di pelo bianche e nere, ingenue fatine dei boschi, indifesi unicorni appena nati, soffici cuccioli di Ippogrifi e sdolcinatezze varie. Stevens è un MOSTRO, ANZI, UNO SNASO... ECCO COS’É NED STEVENS. AFFETTUOSO E GENTILE MA UNA FURIA  QUANDO VIENE ATTIRATO DAL LUCCICANTE E PREZIOSO BOCCINO D’ORO CHE RIESCE A TROVARE IN UN SECONDO! PER OTTENERLO FAREBBE QUALSIASI COSA! ANCHE MORDERE! E vogliamo parlare dei battitori allenati da quell’indemoniato di Ludo Bagman per cinque anni di fila? Vogliamo davvero parlarne?! Ci hanno battuto l’anno scorso e quello precedente. Vi sembra giusto?! Lo trovate corretto!? É un’ingiustizia bella e buona e noi odiamo le ingiustizie, non è vero? Hanno umiliato il nostro orgoglio in campo, siamo offesi ed indignati. Tiriamo fuori gli artigli e le zanne dei leoni!»
Il feroce grido di battaglia successivo riempì d'orgoglio James che seppe di aver fatto centro del tutto guardando le mani dei suoi sei giocatori strette con forza attorno ai manici di scopa dalle code perfettamente risistemate: le nocche bianche e le ferme espressioni sui visi combattivi (compreso quello di Carter) emanavano ondate di rabbiosa determinazione.
«Perfetto» commentò il Capitano, immensamente soddisfatto. Il fastidiosissimo fischio del megafono che fece inveire la folla fuori spinse James a voltarsi ed avanzare di un passo verso la porta con tutta la squadra al seguito.
«NO, PROFESSORESSA, NON C’È BISOGNO DI FARE ALTRE SELEZIONI PER IL CRONISTA! HO AVUTO UN PICCOLISSIMO IMPREVISTO CON UN MOLLICCIO CHE... non è una bugia!»

Altri tremendi fischi echeggiarono per l’intero campo ovale e per tutta la vallata, mischiandosi all’amplificata voce affanosa ed oltraggiata di Allock con le onde bionde in testa leggermente spettinate e le guance rosse per la corsa.

«SE NON FOSSE PER IL MIO TEMPESTIVO AIUTO ADESSO LA RAGAZZA DEL PRIMO ANNO SAREBBE ANCORA DAVANTI AD UN VAMPIRO! ... Opsil megafono era acceso?»
Questa volta i fischi arrivarono dagli spettatori che fino a quel momento si erano tappati le orecchie con facce sofferenti.
«Non l’ho fatto per vantarmi, professoressa! Le giuro che non sapevo... VA BENE, COMINCIAMO SENZA LE MIE... non sono frivole presentazioni
«BENVENUTI ALLA PRIMA PARTITA DELLA STAGIONE, SIGNORE E SIGNORI!» gridò allegramente  James, decisamente stufo per l’attesa, entrando in campo con l’intera squadra Grifondoro alle spalle. «MI SIETE MANCATI! COME ANDIAMO, LASSÚ?»
Alla sua vista tutte le tribune, eccetto quelle dei Serpeverde, reagirono nel modo che Allock aveva tanto cercato di ottenere: urla eccitate e sonori applausi esplosero nell’aria; gli spalti rossi e oro divennero un unico mosso mare di bandiere, stendardi e striscioni tremolanti.
Mentre Allock al megafono ripeteva con sdegno le parole di benvenuto, James, con nelle vene l’adrenalina trasformata in pura felicità, montò sulla scopa e spiccò il volo insieme ai suoi sei giocatori.


«LA QUASI TOTALMENTE NUOVA SQUADRA DEI GRIFONDORO, CAPITANATA COME AL SOLITO DA POTTER! MOLTO EGOCENTRICA A PARER MIO... è la veritá, professoressa. Nemmeno lei puó fare favoritismi, si ricordi».
Liv tenne il manico di scopa con così tanta forza da sentire dolore. Il vento sul viso teso, la svolazzante e lunga veste scarlatta come lo stendardo con un’enorme G dorata tra il pubblico che esultava davanti a lei, era davvero come nei sogni che le rallegravano le notti da ormai anni. Tutta l’euforia, però, sembrò trattenuta da una pungente ansia che in quegli stessi sogni non aveva mai provato.
James le si affiancò, salutando i compagni di Casa con una mano e un sincero sorriso che partiva da un orecchio per finire nell’altro.

«E I TASSOROSSO CHE DOPO CINQUE LEALI ANNI CON FENWICK SI RITROVANO STEVENS COME CAPITANO... no, non mi esprimo, professoressa... mi ha preso per un villano?»
La squadra giallo-nera fece la sua comparsa con in testa Ned Stevens, in perfetta forma, e fu il turno delle tribune Tassorosso esplodere in canti e sventolii di bandiere giallo canarino.
Madama Bumb, in piedi sull’erba al centro campo, richiamò con un forte soffio sul fischietto i quattrodici giocatori che atterrarono sul prato schierandosi in fila gli uni davanti agli altri, accanto a lei.
Liv sentì Daisy mugugnare tra sè e sè un ‘Come faccio ad odiarla? mentre fissava una serena Bettie Wood, Cacciatrice avversaria, che le sorrideva davanti.
«Capitani, stringetevi la mano» ordinò Madama Bumb subito dopo. James e Ned fecero un passo avanti per stringersi vigorosamente la mano.
«Che vinca il migliore» disse James intensificando lo sguardo deciso da dietro gli occhiali. Ned sorrise, annuendo con gioia.
Entrambi sapevano che sarebbe stata una battaglia contro il tempo ed entrambi sapevano anche che acciuffare un boccino dava in un secondo i punti che si potevano ottenere soltanto con quindici goal.
Ci credo che sorridete come Asticelli in un mare di Onischi, pensò con astio James dando un’ulteriore stretta alla mano del mostro.
«Sulle scope!» fece Madama Bumb chinandosi per aprire il piccolo baule ai suoi piedi. Bolidi e Boccino d’Oro schizzarono via nel cielo sopra le loro teste e le due squadre montarono sulle scope dandosi una forte spinta per sollevarsi dal prato.
Liv fece appena in tempo ad intercettare lo sguardo d’intesa di James prima di sentire il secco fischio di Madama Bumb vibrare per l’intero campo. La Pluffa venne lanciata in aria e le divise giallo sole e rosso fuoco si mischiarono in un turbinìo colorato.
«E LA PARTITA HA INIZIO! FINALMENTE
«Finalmente dovremmo dirlo noi, Allock»
La McGranitt scoccò un’occhiata per niente rassicurante al giovane corvonero che però sorrise, smagliante, stringendo con orgoglio il megafono viola e mettendosi pomposamente comodo sulla sua postazione ben in mostra.
«POTTER NON PERDE TEMPO E CONQUISTA LA PLUFFA PER PRIMO... COME GLI HO MODESTAMENTE SUGGERITO DI FARE IO GIORNI FA... VAI, JAMES! SFRECCIA TRA WOOD E STEBBINS MA MCMILLAN GLI LANCIA UN BOLIDE CONTRO - CONTINUA AD INGIGANTIRTI, MCMILLAN, MI RACCOMANDO. COSA MANGI IN ESTATE? - ... BOLIDE PRONTAMENTE INTERCETTATO DA HARRISON. BENINO, HARRISON, PUOI SEMPRE MIGLIORARE SE NON TI ABBATTI... I CERCATORI STANNO GIÁ LITIGANDO?»
«Litigando un corno, Allock!» ringhiò sottosforzo Liv, appiattendosi sulla scopa mentre tagliava la strada ad un Ned sorpreso. Non aveva avuto nemmeno il tempo di fare un bel respiro dopo il fischio di Madama Bumb perchè Stevens era immediatamente partito in perlustrazione. Non che non se lo aspettasse- grazie a dio Potter gliel'aveva ripetuto allo sfinimento ad ogni inizio allenamento- ma era stato davvero veloce.
Come James le aveva sapientemente insegnato, però, Liv aveva subito preso la direzione opposta a quella di Ned per arrivargli di fronte e cominciare subito a rallentarlo (‘Perchè rincorrerlo non servirà a niente, non riusciresti a raggiungerlo con la tua Comet’).
Aveva funzionato, certo, ma mettere in pratica gli altri consigli adesso sembrava impossibile. ‘Marcalo stretto, stagli alle calcagna, incollata alla sua scopa. Pedinalo, tamponalo, non lasciare mai più di dieci centimetri tra te e lui, sbarragli la strada volando a zig zag’.
«VORREI FAR PRESENTE A TUTTI... non mi sto distraendo, professoressa... VORREI FAR PRESENTE CHE LE INTENZIONI DI STEVENS SONO PRESSOCHÉ OVVIE. NATURALMENTE VUOLE FAR CREDERE A TUTTI DI AVER GIÁ TROVATO IL BOCCINO... UN PÓ TROPPO PRESUNTUOSO... sì che il cronista può criticare, professoressa»

«Stevens non avrà scampo» rise Sirius osservando dagli spalti la macchia gialla e quella rossa sfrecciare nell’aria tra cacciatori e bolidi. «Se Olivia sfodera tutto il suo essere ‘pedinatrice rompipalle’, lui non avrà proprio scampo»
«Pedinatrice rompipalle?» chiese indagatrice Lily spostando lo sguardo dalla partita per portarlo su di lui chei si limitò a sorridere con i denti verde-argento prima di rivolgersi in modo tranquillo a Remus.
«Perchè ci siamo seduti qui, Lunastorta?»
Lily assottigliò gli occhi verdi diventati immediatamente taglienti, pronta a ribattere con un astio che, lo riconosceva, era fin troppo esagerato; l’incantesimo impossibile da eliminare di Black le era rimasto sullo stomaco come un fastidioso rospo.
Non riuscì a parlare perchè un boato di urla gioiose attorno a sè la rese momentaneamente sorda. La canzone Potter il nostro salvatore’ sovrastava addirittura le grida di protesta rivolte al cronista provenienti dalla vicina tribuna dei Tassorosso.
«POTTER SEGNA! DIECI A ZERO PER GRIFONDORO
James, senza sorriso per la troppa concentrazione, superò l’anello appena oltrepassato dalla sua pluffa e si avvicinò ad Harrison per battergli un composto cinque di ringraziamento. Non c’era da festeggiare, non ancora per lo meno.
«JAMES, NON TIRARTELA TROPPO PERÓ!... riferisco quel che vedo, professoressa. PLUFFA IN MANO AL GIALLO-NERO STEBBINS CHE... SALUTA UN BOLIDE DI CARTER CHE NEMMENO LO SFIORA. HO VISTO BENE, SIGNORI?... JAMES, MA ERI UBRIACO ALLE SELEZIONI? Mi scuso immediatamente, professoressa... POTTER PROVA A RIPRENDERSI LA PLUFFA MA FALLISCE, UN BOLIDE DI MACMILLAN LO COSTRINGE AD ABBASSARSI... CAPITA QUANDO NON SI É PROFESSIONISITI... STEBBINS LANCIA ALLA COMPAGNA DIGGORY...»
«Fai l’altezzoso, Black» sibilò Lily. «Continua a fare quel che ti pare ma non ti permetto di insultare Liv»
«E tutte le volte che tu hai insultato James, Evans?» ribattè Sirius senza perdere la sua calma, seguendo con gli occhi la minuscola pluffa volare da una parte all’altra del campo.
Lily parve gonfiarsi. «Ma vuoi mettere?!» scoppiò venendo interrotta di nuovo, questa volta da un ‘NO!’ abbastanza contrariato unito al lontano ed allegro coro Sempre in piedi Tassorosso’.
«DIGGORY SEGNA... 10 A 10... LA FAMA PRIMA O POI FINISCE... LO SAPPIAMO TUTTI... VERO, JAMES? MI ‘SPIACE AMICO»
«Mi dispiace! Non so cosa mi sia preso! Io... io non so...» balbettò Michael con gli occhi spalancati e letteralmente spaesati mentre scorrevano tra la folla sotto di lui senza nemmeno vedere quelli nocciola e determinati del suo Capitano a pochi centimetri di distanza dal suo naso.
«Calmati econcentrati... concentrati sulla pluffa e basta. Sei un grande portiere. Mi hai sentito? Ritrova il tuo ottimismo, non ascoltare l’allocco, non seguire le azioni di McAdams e non guardare il pubblico... mi stai ascoltando? Michael, guarda me e non di sotto». Non pensare che non possiamo permetterci di subire nemmeno un goalnemmeno un misero e squallido goal. Non pensare che ce ne mancano ancora sedici, sempre se non ne lasci passare un altro. James si morse la lingua per non parlare.
Gli sorrise incoraggiante- o almeno così pensava di far apparire il suo sorriso disperato- e si allontanò da lui per ripartire all’attacco sotto la pioggia di bolidi precisi che miravano sempre e soprattutto lui.
«PLUFFA A MORGAN CHE SUPERA DIGGORY E LANCIA A SMITH... SMITH CHE NON RIESCE A FARE NEMMENO MEZZO METRO PERCHÉ DERUBATA  DA UN’AGGUERRITA BETTIE WOOD. RAGAZZE, NIENTE SMORFIE DI RABBIA O VI VERRANNO LE RUGHE PRIMA DEL TEMPO!»
«Per l’amor del cielo, signor Allock»
«Daisy!» le gridò Alan, sconvolto, non perdendo altro tempo e seguendo James, già alle calcagna della cacciatrice giallo-nera. 
Daisy, rossa come la sua divisa, non riuscì nemmeno a rispondergli dalla furia incontrollabile che la fece chinare sul manico di scopa per partire in picchiata verso la ‘ladra’. Eccome se riusciva ad odiarla adesso, certo che poteva odiarla, quella.
«OH, SEMBRA PROPRIO CHE SMITH SI SIA ARRABBIATA... TROPPO PERMALOSI QUESTI GRIFONDORO, IO L’HO SEMPRE DETTO... PER UN PELO, MORGAN
«Allock, deve spiegare nei dettagli...»
«UN BOLIDE DEL GIGANTE RICKET LO SFIORA...  sì, stavo per dirlo professoressa... MA GUARDAVO I CERCATORI... AVANTI RAGAZZI, SIETE NOIOSI! RIESCO A VEDERLO IO IL BOCCINO DA QUI! DOV’É TUTTA QUESTA BRAVURA, STEVENS!? MI SENTITE LASSÚ?... I Cercatori sono più importanti, professoressa...»
Con la coda dell’occhio- e con un sorriso orgoglioso- Liv vide Daisy, trecce al vento, sfrecciarle accanto per raggiungere James e Alan ma non riuscì a seguire l’azione perchè Stevens sterzò improvvisamente per cambiare direzione. Strinse le ginocchia per aggrapparsi meglio alla scopa e lo seguì prima che lui potesse sgusciare via.
Il guaio fu che lui sgusciò effettivamente via. Liv si vide già in infermeria con un braccio rotto non dal bolide di Carter che l’aveva appena sfiorata- Dio mio, Carter! Dannazione!- ma da Potter in persona.
«AVETE CONTROLLATO LA SCOPA DI STEVENS PRIMA DELLA PARTITA? PERCHÉ QUEL MOVIMENTO ERA DEL TUTTO SOSPETTO»
«Allock! Non accetto insinuazioni del genere!»
«Non sono insinuazioni, professoressa... HARRISON RALLENTA LA TENTATA FUGA DI STEVENS CON UN BOLIDE...»
Dieci anni di vita persi. Dieci. James aveva il triplo del fiatone normale dato dallo sforzo appena fatto per rubare la pluffa a Bettie Wood e passarla ad una Daisy che l’afferrò con prontezza e sguardo folle; per schivare il bolide di Macmillan e per la mossa di Ned sopra alla sua testa.
Lanciò uno sguardo a Liv di nuovo attaccata a Stevens grazie ad Harrison- ‘Santissimo e benedettissimo Harrison’- e poi sfrecciò dietro Alan e Daisy, inspiegabilmente già di fronte agli anelli.
A James bastò vedere la posizione del braccio della sua compagna di squadra per riprendere i dieci anni persi prima. Era fatto.
«20 A 10 PER GRIFONDORO! SMITH SPIAZZA DISCRETAMENTE BENE IL PORTIERE TASSOROSSO...  QUASI QUANTO ME PRIMA CON IL VAMPIRO-MOLLICCIO. AVRESTE DOVUTO VEDERMI!»
Le assordanti grida esultanti dei Grifondoro coprirono la frase poco gentile di Daisy rivolta ai Tassorosso che le fischiarono contro e quella di Sirius sputata in faccia ad una Lily sconvolta.
«Come scusa, Black?»
«Mi hai sentito benissimo, Evans»
«Perchè non la smettete di punzecchiarvi e vi godete la partita?!» consigliò Mary, entusiasta per il punteggio, appaludendo con forza insieme a tutti gli spalti in subbuglio. Remus la guardò come per dirle che quei due non l’avrebbero ascoltata nemmeno se avesse avuto tra le mani il megafono di Allock.
«CON LA GRINTA DEI LEONI... !»
«Mi hai davvero chiamata pazza psicopatica
«...GRIFONDORO!»
«Sì, è proprio questo che ho detto. Non saprei come altro chiamare una che insulta James un’infinità di volte e...»
«FORZA CAMPIONI!»
«... e poi quando mi ‘permetto’ di farlo io con Olivia scoppia con un nervoso fuori dal normale»
«Forse perchè Liv non è allo stesso livello di ‘criminalità’ di Potter, vero? E quindi quegli insulti lui se li meritava tutti dal primo all’ultimo! Forse è per quello! Fatti un dettagliato esame di coscienza, Black, anche se posso capire che cercare una coscienza dentro a quella testa che ti ritrovi è davvero difficile!»
«Ragazzi, James ha di nuovo la pluffa in mano!» s’intormise Peter con occhi emozionati ed eccitati in direzione di James che con un abile volo a zig-zag riuscì a superare due cacciatori Tassorosso e un bolide prima di lanciare la pluffa all’indietro con la totale certezza di passarla ad Alan, Alan che infatti si fece trovare perfettamente ed immancabilmente in tempo alle sue spalle.
James sorrise vedendolo con la pluffa sottobraccio mentre lui teneva a bada Stebbins. Inutile dire che Sirius e Lily non videro Alan segnare subito dopo.
Non videro nemmeno una rabbiosa Daisy che per la totale gioia del suo capitano era diventata una feroce macchina da guerra, perdendo così i suoi tre goal e i successivi quattro di Alan.
Le cinque parate di Michael le notarono di sfuggita soltanto perchè la folla attorno aveva gridato e cantato così forte da farli tacere.   
«POTTER SEGNA ANCORA! A QUANTO SIAMO?»
«É la sua ultima cronaca, Allock, quanto è vero che Silente è il Preside di questa scuola!»
«MA OVVIAMENTE SCHERZAVO, PROFESSORESSA! LA PREGO DI CALMARSI.  SIAMO... 120 A...»
«140 A 10 PER GRIFONDORO!» ruggì la McGranitt sul megafono.
James sorrise sentendo una punta di trattenuta e pura euforia nel tono apparentemente neutro della professoressa.
La Coppa, Potter, la Coppa del Torneo. Quella Coppa dovrà rimanere nel mio ufficio, a giugno. Questo sarà il tuo obiettivo per quest’anno! E i tuoi M.A.G.O, certo...”
Stavano dando il massimo, lo sapeva, vedeva il sudore e lo sforzo nei visi di Daisy e Alan e lo strazio su quello di Liv. Più di una volta la sua Cercatrice gli aveva urlato ‘POTTER, MUOVETEVI, PER GODRIC O PER CHI CAVOLO VUOI!’ passandogli accanto insieme ad un Ned distrutto, ma resistente.
«CARTER!» richiamò a gran voce il suo battitore che aveva appena dato, senza nemmeno accorgersene, una mazzata sulla spalla di Macmillan mentre entrambi miravano allo stesso bolide.
James non riuscì a dire cosa gli diede più ansia tra il fischio di Madama Bumb che segnalava il fallo e le gocce di pioggia che cominciarono a picchiettare sugli occhiali.
«MACMILLANTUTTO BENE? NON PREOCCUPARTI, SE VUOI TI RIMETTO A POSTO IO LA SPALLA! CONOSCO UN INCANTESIMO...»
«NON L’HO FATTO APPOSTA!» urlò mortificato il battitore Grifondoro mentre le tribune giallo-nere si sbizzarrivano con sonori ‘BUUU’ e fischi di protesta che si spensero appena Madama Bumb soffiò un’altra volta sul fischietto per dare il via a Emily Diggory, pronta a tirare la punizione.
James chiuse gli occhi, Ned Stevens frenò bruscamente e Liv quasi ci andò a sbattere sopra.
‘Sei un grande portiere, Michael. Mi hai sentito?’ Michael l’aveva sentito eccome e il suo sguardo concentrato lo diceva chiaramente nonostante la divisa e il casco che cominciavano a bagnarsi di pioggia.
Tutto il suo ottimismo però volò via insieme ad un fruscio che gli sfiorò la schiena, distraendolo proprio mentre la pluffa di Diggory c’entrava l’anello dietro di lui.
James si sentì crollare il cielo addosso ascoltando i Tassorosso esultare.
«140 A 20 PER GRIFONDORO... E STEVENS STA CERCANDO DI FARCI CREDERE DI AVER VISTO IL BOCCINO DIETRO GLI ANELLI DEI GRIFONDORO... SÍ, SÍ... GUARDATE TUTTI STEVENS CHE CERCA DI FARCI CREDERE DI AVER VISTO IL BOCCINO VICINO A COOPER...»
‘Ricorda, McAdams: il mostro non usa mai le finte, mai. Se si butta in picchiata è perchè ha visto davvero il boccino.’
«NO, LIV, NON CASCARCI! CI FOSSI IO LÍ...»
«Stia zitto, Allock!»
Ingoia il megafono, pensò con rabbia Liv scendendo in picchiata nella stessa direzione di Stevens. 140 A 20... se Ned prendeva il boccino era la fine. I Tassorosso avrebbero vinto la partita  e lei invece un biglietto di solo andata per l’aldilà.
«Io non riesco a capire come fate a fregarvene di quello che sta succedendo in campo!» sbottò istericamente Mary saltando in piedi come la maggior parte dei tifosi. «Davvero! Lily! Non riesco proprio a capirvi!»
«Ma non puoi parlare di criminalità, Evans! Sei esagerata, punto!»
«Non cambiare argomento! Quello l’ho detto mezz’ora fa!»
«James non schiaccerebbe nemmeno un Celestino. Senti, Evans, è meglio se guardi la partita. Sul serio» sbottò Sirius portando lo sguardo su Remus che si era alzato in piedi con un Peter saltellante, aggrappato spasmodicamente al suo braccio.
«ENNESIMO BOLIDE DI HARRISON CHE SFIORA STEVENS E LO DISTRAE... PERCHÉ HAI ANCORA MOLTO DA IMPARARE, NED
«Carter, Allock, era di Carter! Benedetto ragazzo!» si lasciò sfuggire la McGranitt mettendosi di nuovo a sedere compostamente senza accorgersi di essersi sfilata la sciarpa rossa e oro dal collo per stringerla con forza.
«OTTIMO!!» gridò James, euforico, sollevando un braccio in direzione di un emozionato Carter e poi verso Harrison che con mira precisa aveva rispedito indietro il bolide di Ricket destinato a Liv.
Il fischio di Madama Bumb fece schizzare James verso la pluffa, di nuovo in aria a centro campo. I punti da raggiungere sembravano non finire mai e Stevens era carico. Non c’era tempo da perdere.
«STEBBINS AFFERRA LA PLUFFA PER PRIMO E LA LANCIA A... SMITH LA INTERCETTA E LA PASSA A MORGAN... MORGAN A POTTER... MA IO VOLEVO RIPORTARE L’ATTENZIONE SUI CERC... va bene, professoressa... POTTER... EVITA UN BOLIDE E GRAZIE AD UN COMPLICATO WOLLOOGNOGN SHAMMY SEMINA WOOD...»
«Un cosa?»
«UN WOOLLOG... GNOG... PROFESSORESSA, QUESTI SONO TERMINI DA PROFESSIONISTI»
«Quello che ha detto lei di certo non lo è, signor Allock. Lasci i termini da professionisti ai professionisti appunto»
«MA GUARDATE POTTER AGLI ANELLI
La bellissima sensazione nel vedere la scia rossa superare la gamba tesa di Bones e oltrepassare l’anello ricaricò James e insieme a lui tutti i Grifondoro.
«150 A 20 PER GRIFONDORO
Tutti i Grifondoro tranne Sirius e Lily perche l’unica cosa che li stava ricaricando in quel momento era l’antipatia provata l’uno per l’altra, ormai palese.
«L'unico criminale sono io, Evans, se proprio vogliamo dirla tutta. Quindi lascia stare James»
«A cosa ti riferisci? Quando mai non avete collaborato insieme come criminali?»
«Mi riferisco a determinati scherzi sotto determinati alberi, come sicuramente ti avrà riferito il tuo ex migliore amico che mangia bile ed invidia a colazione» fece Sirius, la mascella serrata quanto i pugni lungo i fianchi.
«Nè Piton e nemmeno Potter hanno parlato di scherzo» esalò Lily, scioccata. «Potter ha detto che ha visto Piton raggiungere il Platano, dopo aver spiato Remus e Madama Chips».
Sirius restò interdetto, anche se con un sorriso che cominciò ad affiorare sulle labbra comprendendo anche gli occhi grigi molto più intensi e luminosi come se racchiudessero un sentimento immenso. «James ti ha detto...?»
«Sì, ‘mi ha detto’. Quindi cos'è questa storia?»
«La storia è che devi smetterla di insultare James perché è tutto fuorchè criminale. James non ha e non avrebbe mai partecipato a quello scherzo, James non l’ha nemmeno lontanamente pensato, e invece di tentare di uccidere una persona, l’ha salvata. Nonostante fosse quel viscido ficcanaso» rivelò tutto, Sirius, ricambiando quella lealtà e fratellanza cieche che James non mancava mai di dargli, anche alle sue spalle.
Lily ammutolì, spalancando i verdi e grandi occhi a mandorla.
«James che non mi ha rivolto la parola per più di un mese per questo motivo. Quindi, come vedi, gli unici criminali qui siamo io e i tuoi insulti a James perchè sono completamente infondati e, appunto, da Pazza Psicopatica»
«Sirius» lo ammonì Remus per bloccare il risentimento che vedeva crescere negli occhi grigi dell’amico, per bloccare anche quell'ammissione di gravi colpe che evidentemente gli facevano ancora male dato il volto cinereo.
Lily non riuscì più a ribattere, si accorse di avere le labbra schiuse soltanto perchè il vento ci infilò dentro un ciuffo rosso di capelli che lei si affrettò a rimettere a posto sotto alla sciarpa.
Come se non fosse stato abbastanza, il coro Potter il nostro Salvatore’ echeggiò ancora una volta per l’intero campo come a farsi beffe di lei.
 «160 A 20 PER GRIFONDORO! JAMES, IO E TE NELLA NAZIONALE FAREMO FAVILLE!»
Sirius, sotto l’occhio preoccupato di Remus, si rimise seduto composto imitando Lily che portò la sua attenzione sul campo, aggrottando le sopracciglia rossicce per fingere indifferenza e nascondere tutto il suo stupore.
«Se vinceremo, le feste saranno due?» squittì Peter, zittito immediatamente dallo sguardo di Remus.
«Due?» chiese Sirius in tono indagatorio avvicinando il viso a quello a disagio di Peter.

«Hai sentito male, Felpato» bofonchiò lui strattonando la sciarpa di Remus che quasi soffocò.

«Due?» continuò con sorrisetto inquietante Sirius, punzecchiandogli la spalla con un dito insistente.
«Remus...» pigolò Peter, in agitazione.
«Ormai l’hai detto, Codaliscia» rispose al richiamo d’aiuto Remus.
«James mi ha organizzato la festa di compleanno, non è vero?» chiese Sirius completamente certo. Peter annuì lasciandosi andare ad un sorriso eccitato.
Gli avete detto voi che non stavo affatto preparando una festa?Sirius non fece quella domanda e Remus non si aspettò certo di sentirla perchè Felpato conosceva James come nessun’altro e sapeva benissimo quindi che Ramoso aveva capito da solo che non ci sarebbe stata nessuna festa e che proprio per questo si era rimboccato le maniche per organizzargliela lui, tra offesi borbottii come ‘Non mi dice dove va, quel cogl...aggiungi cinque pacchi di Calderotti alla lista, Remus, sono i suoi preferiti... che i Centauri lo portino con loro nella Foresta!’ ; La prossima Luna Piena gli staccherò la coda a cornate’; ‘Pete, servirà della Burrobirra extra per buttargliela addosso insieme alla torta’.
Lo sguardo luminoso e ridente di Sirius parlava da solo e Remus non potè far altro che scuotere leggermente la testa. Quei due erano più in simbiosi di due vecchie comari.
L'aveva stupito ancora meno il fatto che Sirius fosse andato in difesa di James, contro Lily, in quel modo così brutale e a discapito di se stesso.
«BONES PARA... MORGAN CI RIPROVA E... NIENTE, IL BOLIDE DI MACMILLAN COLPISCE ANCORA E LA PLUFFA VA A STEBBINS... DEVO AMMETTERE CHE STEVENS E MCADAMS SI STANNO RIVELANDO DELUDENTI... AH, SE POTESSI SALIRE LASSÚ... NATURALMENTE, IO AGIREI COME...»
La McGranitt non si accorse che Allock si era lanciato in un prolisso discorso di auto elogio, troppo presa a non staccare gli occhi da Liv che aveva appena dirottato la scopa di Ned in mezzo al caos dei cacciatori e dei bolidi.

Liv non era sicura che immergere Ned nella lotta tra Cacciatori fosse servito a fargli perdere di nuovo il boccino che lui aveva avvistato pochi secondi prima. Non ne era affatto sicura perchè Stevens sembrava schivare bolidi e giocatori con una meta precisa, ma almeno l’aveva rallentato, le era sembrata la cosa migliore da fare dato che il punteggio non era ancora favorevole per la sua squadra.
«MCADAMS, RESISTI! STAI FACENDO UN OTTIMO LAVORO!» La voce di Potter le arrivò chiara alle orecchie nonostante il vento e le urla degli spalti.
Resistere? Più il tempo passava e più si rendeva conto di non riuscire a stare dietro a Ned. Era al limite e se Stevens stava davvero seguendo il boccino la sconfitta era certa perchè il punteggio finale sarebbe stato 160 A 170 per Tassorosso. Le venne quasi da urlare per la rabbia e la frustazione mentre s’insinuava tra Diggory e Alan, cercando di non urtarli per non perdere velocità.
Si abbassò per non intralciare la pluffa lanciata da chissà chi e sbarrò ancora una volta la strada al cercatore avversario, notando soltanto in quell’istante l’inconfondibile sbrilluccichìo del boccino a pochi centimentri di distanza da lei e da Ned. Gli occhi scuri le si spalancarono, catturati dalla pallina dorata così vicina.
“Praticamente devi fare la calcolatrice e non la cercatrice, Liv” Ma io sono Cercatrice, si disse con rabbia ed orgoglio decidendo di allungare il braccio quando vide quello decisamente più lungo di Ned al suo fianco.
Dargli una leggera spallata fu un istinto improvviso ed entrambi barcollarono; il boccino sprizzò via, curvando oltre la coda della scopa di Wood e sparendo poi dietro la schiena di Alan che passò la pluffa a Daisy.
«SMITH LANCIA.... PLUFFA PARATA DA BONES... MA, SBAGLIO O I CERCATORI HANNO VISTO FINALMENTE QUALCOSA? CE NE AVETE MESSO DI TEMPO! SAPETE QUANTO CI HO MESSO IO AD ELIMINARE IL MOLLICCIO...?»
Scoppiò il delirio nelle tribune, tutte rivolte verso i due Cercatori, ma l’urlo rabbioso di James riuscì lo stesso a farsi sentire.
«ALAN! NON FERMATEVI!» McAdams non sarebbe riuscita a durare ancora per molto, Harrison non poteva lanciare bolidi in mezzo a quel caos e mancavano ancora due punti per accaparrarsi la vittoria senza boccino.
«É praticamente persa»
« Black, sei pregato di spargere ondate negative da un’altra parte! Grazie! E NON... GUARDARMI... COSÍ... NON STO PIANGENDO»
«Ma, Mary? Stai piangendo sul serio»
«É Liv quella, Lily! La sua prima partita... era un suo desiderio da... oh, insomma, sono due lacrime di emozione e tensione! Non guardatemi se vi dà fastidio!»
Remus sorrise, osservandola asciugarsi le guance rosse come due ravanelli.
«Conserva quelle lacrime per dopo, Macdonald, siamo sotto con i goal e Stevens ha praticamente il boccino in mano» continuò ad infierire Sirius, concentrandosi con tutto se stesso per non pensare il contrario o il ‘potere del Gramo’ avrebbe prevalso.
«Liv è distrutta» commentò con tono preoccupato Lily seguendo la piccola macchia rossa volare tra i cacciatori al fianco di quella gialla come due palline in un flipper babbano.
«E quindi la vittoria non è logicamente fattibile» completò la frase per lei Sirius.
«Evviva il pessimismo per voi due»
«Si chiama realismo, Remus» lo zittirono in contemporanea Lily e Sirius, guardandosi in cagnesco subito dopo.
«STEVENS É IL MEGLIO, PER MERLINO! SOLTANTO SUO SARÁ IL BOTTINO!»
Quei Tassorosso avevano ragione, Stevens era il meglio ed aveva un braccio più lungo del suo, adesso ne era certa.
Liv sentì la sua coda di cavallo svolazzare al vento insieme alla divisa mentre spingeva al limite la scopa per smettere di fissare i ramoscelli della Scopalinda del suo avversario. Soltanto con un braccio allungabile sarebbe riuscita ad acchiappare il boccino che continuava a cambiare repentinamente direzione tra fruscii di stoffa rossa o gialla, bolidi e pali degli anelli.
«MORGAN, SEGNA! 170 A 20 PER GRIFONDORO! ALLOCK, SE NON LA PIANTA DI PARLARE DI SE STESSO NON RIAVRÁ MAI PIÚ IL MEGAFONO! NON SONO MAI STATA PIÚ SERIA DI COSÍ!»

L’applauso scoppiò per la McGranitt e subito dopo tutti gli spalti non poterono trattenere grida infervorate: i Grifondoro per James già con la pluffa sottobraccio e i Tassorosso per Ned con la mano poco distante dal Boccino d’Oro. Non avevano più importanza la voce critica e saccente di Allock e le urla incitanti parecchi metri più giù; era la voce di Potter che le rimbombava in testa ad avere la sua totale attenzione: “Distrailo il più possibile, McAdams”.

Sbandò non poco dando un’altra spallata al Tassorosso che oscillò leggermente mancando per un soffio il boccino improvvisamente svettante verso l’alto, fuori dalla nuvola di cacciatori intenti a cercare di fermare James appiattito sulla scopa, testa china e sguardo fisso sugli anelli avversari come testardo ariete deciso a sfondare il portone del nemico.
Harrison gli aprì la strada intercettando il bolide di Macmillan e spedendolo con precisione e forza dritto verso Stevens, di nuovo dietro la scia dorata.

Liv si abbassò per non essere travolta dal Cercatore che con espressione risoluta virò velocemente verso di lei schivando il bolide con maestria.
Prima che lui potesse riallungare il braccio, Liv gli andò sotto sollevandosi poi di scatto per farlo spostare un’altra volta. Funzionò, ma con la coda dell’occhio si vide un bolide di chissà chi arrivarle dritto in faccia.
Il sordo rumore della palla in ferro sulla mazza di Harrison la fece respirare di nuovo. Il bolide sfrecciò in basso verso Stebbins, dietro James che con una capriola e uno scatto a zig zag schivò un altro bolide, Wood e la mano di Emily Diggory che tentava di appropriarsi della Pluffa, saldamente ancorata sotto al suo braccio.

Carter provò a raggiungere il bolide schivato da James ma Macmillan arrivò prima di lui ed automaticamente Harrison salì in alto, a proteggere Liv, Liv che chiamò a gran voce James con la gola ormai ridotta ad un unico nodo e il braccio allungato al fianco di quello di Ned, a pochissimi centimetri di distanza dal boccino.
Harrison allontanò il bolide, ma quando portò la sua attenzione verso il basso per vederlo colpire Diggory, il sangue gli si gelò nelle vene: James aveva appena lanciato con forza la pluffa verso gli anelli e contemporaneamente il bolide di Ricket si era scagliato contro la sua spalla.
Il fischio di Madama Bumb vibrò anche dentro al petto ansimante di Liv che fermò la scopa con il cuore in gola e gli occhi incatenati alle ali argentate del boccino, impazzite ai lati del pugno chiuso di Ned. Era finita, non ce l’aveva fatta.
«TASSOROSSO PRENDE IL BOCCINO MA GRIFONDORO VINCE 180 A 170!»
Il boato che seguì il grido di Madama Bumb fu così forte da sovrastare anche la voce amplificata di Allock.

Liv non riuscì a credere alla proprie orecchie, si ritrovò a sorridere per poi ridere apertamente con una bellissima sensazione a scaldarle lo stomaco e riempirle il petto.
Stevens fu accerchiato dai suoi giocatori giallo-neri e lei, accorgendosi soltanto adesso di avere la pioggia anche nelle mutande, fu travolta da un forte abbraccio che la fece sbilanciare e dondolare pericolosamente sulla sua Comet. «PERFETTO, MCADAMS! PERFETTO!» Sentendo la voce di Potter spalancò gli occhi, incredula. Quando James si staccò per osservarla con un largo sorriso, Liv rivide il suo vecchio peluche di Bambi davanti a sè. Gli occhi nocciola di Potter non le erano mai sembrati così grandi, luminosi e vivaci come in quel momento. Il contagioso sorriso del suo Capitano le stirò ulteriormente le labbra.
«CE L’HAI FATTA, MCADAMS! CE L’ABBIAMO FATTA! SEI STATA GRANDE!» gracchiò lui tenendosi la spalla rotta con una mano. Il luccichìo nello sguardo era di sicuro dato dalle lacrime che stava trattenendo per il dolore bruciante.
«Potter, stai continuando ad urlare» ridacchiò Liv afferrandogli il braccio sano per portarselo sulle spalle ed aiutarlo così a scendere di quota.
«NON É NIENTE! LA MIA POPPY LA RIAGGIUSTERÁ PRIMA CHE I SERPEVERDE SI RINTANERANNO NEL LORO ANTRO A RODERSI IL FEGATO PER IL RESTO DELLA LORO VITA!».
Liv non riusciva a smettere di ridere sentendo il cuore esplodere di felicità come la tribuna rossa e oro da dove i loro compagni di Casa sventolavano striscioni e gridavano nella loro direzione.
Era la prima volta che si sentiva addosso un’attenzione tutta positiva. Perfino la McGranitt le sorrideva, applaudendo con orgoglio.
«TI RIMETTO A POSTO IO LA SPALLA, JAMES! I MIEI INCANTESIMI FANNO MIRACOLI!»
«Preferirebbe gettarsi sul Platano Picchiatore, idiota di un Allocco» commentò Sirius, ridente, scansando un braccio di Peter che applaudiva con le braccia sopra la testa al suo fianco e le bandierine delle ragazze davanti pericolosamente vicine ai suoi occhi.
«Tiè, Black! A te e alla tua iella!» esclamò un’emozionatissima Mary facendogli le corna.
«Sirius, vorresti portare iella lo stuzzicò Remus perfettamente consapevole della sfiga del ‘cane nero’.

Lily scoppiò a ridere, continuando a battere le mani senza preoccuparsi di spostarsi i ciuffi di capelli rossi dal viso luminoso di allegria, il sorriso radioso le si abbassò leggermente soltanto al sentire un dito picchiettare sulla sua spalla. Voltandosi, trovò due occhi azzurri familiari a guardarla con bisognosa urgenza.
«BEN FATTO! BEN FATTO, JAMES!» esultò con il suo vocione Hagrid, dietro lo striscione ‘JAMES, SPOSAMI!’, sollevando un enorme pugno in aria quando James lo salutò con entusiasmo prima di mettere i piedi sull’erba insieme a Liv. L’intera squadra lo circondò per abbracciarlo.
«I miei tesorucci!» pigolò lui in una perfetta imitazione di Gazza con Mrs. Purr. «Siete stati decisivi, tutti e sei! Grandi!»

«James, quella spalla fa impressione devi andara in infermeria»

«Zitta e abbraccia il braccio ancora intero, Daisy! Sei stata fenomenale!»
«Ehi, Liv! Complimenti!»

Liv sciolse l’abbraccio con Harrison, si tolse la fascia fradicia dalla fronte e si voltò verso Ned che con ancora il boccino in mano si stava avvicinando a lei.
«Grazie, Ned! Ma il boccino è nella tua mano» lo salutò con un sorriso aperto. Ned sorrise a sua volta, abbassando per un attimo lo sguardo sul pugno che stringeva la preziosa pallina d’oro.

«Mi hai fatto sudare sette divise» commentò, riportando i suoi occhi blu su Liv che rise di cuore.
«Belle sopracciglia, comunque» continuò, sollevando la mano libera per indicare le sopracciglia giallo-nere di Liv che un fastidioso impulso possessivo appena nato nello stomaco di Sirius desiderò colorare di rosso e oro.
«Sirius?» lo chiamò con una voce stranamente ansiosa Peter, strattonandogli il mantello. Ma Sirius non riuscì a staccare gli occhi da Liv e da quel ‘Bamboccio travestito da ape’.
«Stasera ti potrai saziare con soli dolci, Pete, senza il brontolìo di James-modalità perdente!» s’inserì gioiosamente Remus, scrollando l’amico rotondetto sempre più preoccupato. «Cos’è quella faccia?» aggiunse poi con il sorriso che si spense all’istante davanti al viso del suo amico improvvisamente pallido.
«Remus... quella... quel...»
«Cosa?» chiese lui sempre più stranito da quel comportamento.
«Stai male, Peter?» chiese pacatamente Mary.
Remus si guardò attorno e quando i suoi occhi si posarono su Lily e John Owen che parlavano poco lontano da loro capì.

«Oh, no....»

«No, Remus, non quello! Quella cosa... cos’è quella cosa?!» squittì sempre più agitato Peter indicando il cielo verso il castello. L’unica a seguire la direzione dell’indice di Peter fu Mary che sollevando lo sguardo rabbrividì.
Evidentemente anche gli altri cominciarono ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava perchè Remus vide qualche faccia puntare lo sguardo verso l’alto o ragazzi guardarsi attorno con confusione, Lily e Owen compresi. «Remus» mormorò Mary facendolo voltare dalla parte giusta. Gli occhi ambrati di Remus si spalancarono come quelli di Jane Phillips alle sue spalle.
«Ma che succede?» borbottò Sirius staccando gli occhi da Ned per seguire una grossa capra argentata galoppare sopra le teste allarmate delle due squadre e di Madama Bumb.
Qualche risata di allegria per la partita si abbassò lentamente tra le tribune. Sirius seguì lo strano Patronus fino a quando non raggiunse Silente, improvvisamente in piedi sugli spalti. Imitando lo sguardo del Preside, gli occhi grigi di Sirius si ritrovarono a guardare il cielo sopra Hogsmeade.
Tra i nuvoloni temporaleschi si stava creando un enorme teschio color smeraldo e quando dalla bocca cominciò a fuoriuscire un serpente come una sinuosa lingua, le ultime grida felici per la vittoria si trasformarono in urla di terrore e paura.
La McGranitt si alzò in piedi, tremante ma decisa, strappando il megafono dalle mani di un pallido Allock.
«NIENTE PANICO! TORNATE TUTTI AL CASTELLO SENZA SPINGERVI! I PREFETTI E I CAPISCUOLA MANTENGANO L’ORDINE!»










Note:


Il megafono del cronista di Hogwarts per le partite, nei libri, è viola. Il viola/lilla è il colore preferito di Gilderoy Allock (lo dice nel secondo libro).
Nel mio immaginario, al settimo anno la McGranitt ha dato ad Allock il ruolo di cronista (non è canon) per placare la sua ricerca di fama e voglia di essere al centro dell'attenzione che lui sfogava mettendo in atto imprese negli anni (non ottenendo nulla). La professoressa ha preferito vederlo come cronista, sacrificandosi durante le partite (molto Grifondoro da parte sua), piuttosto che vedere la scuola subire le pazzie di Allock (a volte anche pericolose, come vedrete a San Valentino).
Ma non temete, Allock farà altre due o tre cosette che la Rowling ha messo nella sua biografia su Pottermore xD





Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 20. Filo Rosso ***






Capitolo 20

FILO ROSSO

 



Le urla spaventate si fecero sempre più alte man mano che il cielo diventava più cupo e rumoroso per i tuoni, man mano che la nebbia sembrava espandersi e farsi più fitta.
Centinaia di scarpe pestavano l’erba del pendio zuppo di fango e pioggia, schizzando dappertutto sotto ai mantelli svolazzanti per la corsa folle verso il castello.
James, stringendo i denti per non pensare al dolore lancinante alla spalla rotta, cercava di indirizzare tutti verso Lily in testa alla lunga fila di studenti completamente nel panico, sostenuti dai Prefetti di ogni Casa e anno.

Non sapeva nemmeno lui come avevano fatto a mettersi d’accordo, era successo e basta. Si erano incontrati davanti all’uscita del campo e con uno sguardo veloce avevano cominciato a dirigere i Prefetti e la caotica massa di ragazzi nonostante il cuore a mille che batteva insieme al dolore delle ossa rotte sotto il maglione della divisa da Quidditch e le labbra tremanti di Lily.
«GUARDATE DOVE METTETE I PIEDI E NON SPINGETE! STATE CALMI! GUARDATE DOVE METTETE I PIEDI!» gridava Dirk Cresswell, il prefetto Corvonero del sesto anno, arrancando al fianco di un gruppo spaventato della sua stessa Casa ed incoraggiandoli poi a camminare più velocemente. James sentì la punta del naso gelarsi in modo troppo improvviso. Vide qualcun’altro, con occhi pieni di terrore, toccarsi le guance rosse o strofinarsi le mani per scaldarsi da quel freddo che non era la normale aria ghiacciata di novembre perchè s’insinuava nelle ossa, nelle vene.
Sollevò un attimo lo sguardo verso Lily, improvvisamente bloccata con la testa piegata all’indietro per osservare il cielo, e la sensazione di gelo aumentò arrivando anche il cuore: una dozzina di Dissennatori aleggiava minacciosamente ai confini del parco. Lo stomaco e l'aria diventarono piombo. Il cervello andò in tilt per una frazione di secondo; in quella dopo si mise in funzione per evitare che tutti si accorgessero degli esseri incappucciati, come aveva fatto Lily.
«ALLA VOSTRA DESTRA POTETE AMMIRARE LA FORESTA PROIBITA!» gridò fintamente tranquillo, i polmoni dolenti per il fiato mozzo. «SAPETE?! SE OSSERVATE BENE TRA GLI ALBERI POTRETE VEDERE I CENTAURI! GIURO CHE CI SONO! LI HO VISTI CON I MIEI OCCHI».
Quello sul viso di Evans, scattato improvvisamente verso di lui, era un piccolo sorriso divertito anche se tremante di paura?
Nessuno oltre a lei sorrise, James non sentì davvero il bisogno di fare altro, andava benissimo così, perfettamente a posto così.
Ma era un Caposcuola e quelli che aveva a fianco erano studenti da portare a scuola, possibilmente non in braccio perchè svenuti dal terrore.
Era comunque impossibile ordinare a tutta la scuola di non guardare il cielo quando pochi minuti prima aveva visto ‘una merda di Marchio Nero’ tra le nuvole scure. Le urla infatti si moltiplicarono appena tutti si resero conto di cosa c’era a pochi metri da loro.
«NON POSSONO ENTRARE! HOGWARTS É SICURA!» urlò Lily con la condensa del respiro affannoso che si disperdeva davanti al suo viso angosciato e arrossato dal freddo. «CI VOGLIONO SOLTANTO SPAVENTARE!».
I lunghi capelli rossi che mulinavano al vento insieme alla sciarpa e il fiatone fermo in gola, non sapeva nemmeno lei come aveva fatto a tirar fuori tutta quella voce.
Sentiva soltanto il cuore battere all’impazzata e sapeva benissimo che non era dovuto solo al fatto che stava correndo su una salita ripida quanto la Torre di Astronomia.
Quelle creature non potevano entrare grazie alla cupola protettiva di Incantesimi rafforzata in estate, come aveva detto la Gazzetta, e che copriva anche le guglie delle torri più alte e gli anelli del Campo di Quiddicth; volevano soltanto intimorire e ci stavano riuscendo alla perfezione.
Tutto quello che riusciva a pensare era quanto la situazione fosse diversa da affrontare fuori da un’aula.
«FORZA!» gridò ancora rendendosi conto di avere la mente completamente vuota e non piena di immagini di Dissennatori o di parole scritte nero su bianco sulle pagine del manuale di Difesa.
Tutta la sua attenzione era concentrata altrove, esclusivamente nelle gambe e nel cuore, per scappare o combattere.
Aveva sempre immaginato che sarebbe stato così, ma provarlo nella realtà e non solo nei sogni la notte era sconvolgente.
«Avanti, forza! Non vi succederà nulla!» gridò Edgar Bones agitando un braccio per incitare due Serpeverde dietro di lui, il casco da portiere ancora in testa.
«Ha ragione! Coraggio! Seguite il Prefetto Bones, voi!» esclamò Lily, agitata. Si rendeva conto anche lei che la sua voce tremante non era molto rassicurante. Posò allora una mano sulla schiena di un bambino Corvonero del primo anno letteralmente sotto shock, per spingerlo e accelerare la sua corsa mentre portava lo sguardo sul lontano James che faceva la stessa cosa con una ragazza rigidissima del quarto.
Raggiungere il portone spalancato del castello con Gazza e Madama Chips ad aspettarli fu un mezzo sollievo, ma Lily si bloccò in cortile per far passare prima gli altri, dando volontariamente le spalle ai Dissennatori.
Lanciò un altra occhiata a James che sembrava aver avuto la sua stessa idea e si era appostato alla fine della comitiva per controllare se qualcuno fosse rimasto indietro, Prefetti compresi. James diede una pacca ad un sudatissimo Remus, mano nella mano con una bambina del secondo anno Tassorosso in lacrime, e quando anche Hagrid- con in braccio un ragazzino completamente sporco di fango e mugolante per il dolore alla caviglia evidentemente slogata nella corsa- varcò la soglia della scuola il suo sguardo spaventato incrociò per un attimo quello altrettanto sconvolto, ma determinato di James. In quei pochi secondi di contatto diretto lei non aprì bocca, ma nei suoi occhi verdi spalancati James ci lesse chiaramente un Grazie’ scritto a caratteri cubitali. Non sapeva perchè mai lei avrebbe dovuto ringraziarlo- che ho fatto di così eccezionale?- ma quello di cui era certo era che il naso sotto gli occhiali aveva cominciato a scaldarsi.
«TASSOROSSO E SERPEVERDE! SVELTI! NELLE SALE COMUNI! SEGUITE I VOSTRI PREFETTI!» ordinò Lily appena si catapultarono nell’affollata Sala d’Ingresso. Spalancò le braccia per accompagnare e smistare con una leggera spinta sulla schiena gli studenti ancora in evidente panico, mentre i Prefetti facevano altrettanto e James si infilava tra il caos di persone, stringendo con forza la spalla sempre più dolorante.
«AVANTI! DI SOPRA, CORVONERO E GRIFONDORO! MCKINNON! SEI DIVENTATA DALTONICA PER CASO!?» gridò notando il prefetto di Corvonero fare lo slalom nella direzione sbagliata. «I BLU DI SOPRA E I VERDI GIÙ, TU SEI BLU... PER TUA FORTUNA!»
La riccia massa di capelli biondi della ragazza colpì inavvertitamente i due Corvonero dietro di lei quando si girò verso James, guardandolo con due tondi e arrossati occhi azzurri.
«Devo vedere il preside, Potter!»
«Non è davvero il momento!»
«E invece è proprio questo il momento! Caposcuola o no, io devo vedere il preside! Tu non puoi capire, scusami!».
James non aveva mai visto quella ragazza, di solito pacifica, reagire con così tanta rabbia. Non riuscì a fermarla, le fitte alla spalla erano diventate così forti da fargli strizzare gli occhi dietro agli occhiali bagnati di pioggia.
«Bones! Dove vai?» esclamò Lily afferrando la divisa gialla e nera da Quidditch del portiere Tassorosso che si sfilò il casco liberando i disordinati capelli rossi.
«Devo parlare con il preside!»

«Non c’è! Sei un Prefetto, Edgar! Per favore, aiutami con i tuoi compagni!» ribattè Lily cercando di non far trasparire troppa supplica nel suo tono di voce.
Il prefetto, però, fissò Lily con gli occhi scuri terrorizzati e la fronte imperlata di sudore freddo.

«É importante, Lily! Importante davvero. Tu non puoi sapere ma cerca di capirmi» le disse, impressionandola non poco. C’era una paura rivolta più per qualcun’altro che per se stesso in quelle parole.
«Aiuta a radunare tutti i Tassorosso e poi ti accompagnerò dal Preside, d’accordo? Promesso!» fece lei, stringendogli un braccio con fare premuroso ma lui sollevò lo sguardo in direzione di una ragazza che correva nella loro direzione. «Marlene!» gridò, sciogliendo la stretta per andarle incontro. Lily lo rincorse, sbalordita.
«Adesso che vi siete trovati potete andare nei vostri rispettivi dormitori?» esclamò, separando i due amici che però sgusciarono via, entrambi verso la grande scala in marmo dove, tra tutto il via vai, Lily vide James digrignare i denti mentre pensava più ai Corvonero e i Grifondoro sui gradini che alla sua spalla rotta.
«Bones! Torna immediatamente indietro! Siete tutti diventati ciechi?» ringhiò James vedendo una macchia giallo canarino passargli davanti.
Non riusciva quasi più a ragionare dal dolore e le gambe gli stavano diventando molli. Per poco non maledisse anche Silente mentre, senza pensare alla spalla, provò a sollevare un dodicenne con la faccia rossa e oro appena inciampato su uno scalino. Il dolore fu penetrante quasi quanto il familiare profumo che gli riempì le narici, dolce come il  calore piacevolissimo che subito dopo gli avvolse la spalla.
Improvvisamente il sordo dolore sparì, le ossa erano perfettamente sistemate e la vista tornò normale permettendogli così di vedere Jane Phillips afferrare il bambino appena caduto, incitandolo a seguirla. Prima di voltarsi verso il delicato profumo, James fece in tempo a sentire l’amico dirgli che ci avrebbe pensato lui.
Gli occhi dietro le lenti rotonde confermarono l’informazione ricevuta dall’olfatto: Lily era dietro di lui, con la bacchetta puntata sulla sua spalla di nuovo intatta. Aprì le labbra per ringraziarla ma lei si era già rimessa al lavoro, smistando e dirigendo dalla parte giusta i ragazzi in base alle sciarpe.
«Tra dieci minuti ci incontriamo qui, Potter! McKinnon e Bones hanno bisogno d’aiuto! Non so per quale assurdo motivo, ma non possiamo lasciarli da soli!»
James seguì i suoi folti capelli rossi allontanarsi verso i sotterranei con gli ultimi Serpeverde, gli ultimi Serpeverde tra i quali Avery e Mulciber che se la ridevano come se si stessero beando di tutta quella confusione data da un Marchio Nero e dei Dissennatori.
Dietro di loro, lo sguardo pungente di Piton sembrava volesse rispezzargli la spalla appena guarita da Lily, ma tutto quello che James riuscì a pensare fu che in mezzo a quei codardi dementi che un giorno si sarebbero nascosti dietro una maschera ci doveva stare lui e non Lily Evans.
 

 


 

 *





Quando si incontrarono di nuovo, la Sala d’Ingresso era ormai silenziosa e vuota se non si consideravano il borbottare di Hagrid e del professor Vitious che sullo stipite del pesante portone in quercia controllavano il cortile.
«Grazie per la spalla, Evans» esordì James appena saltò anche l’ultimo gradino della scala in marmo, raggiungendola davanti alle clessidre. Lily però aveva già cominciato a parlare appena si era accorta di lui.
«Dobbiamo controllare chi è rimasto fuori. Essere certi di aver portato tutti nelle Sale Comuni e poi andare a recuperare Marlene e Edgar dall’uffcio del Preside. Ci dividiamo i piani... io dal...»
«Ci serve lo specchietto» la fermò James poggiandosi la scopa sul petto per frugare sotto alla larga divisa rossa alla ricerca dello specchio che teneva in tasca anche durante le partite.
«Non è ora di farsi le sopracciglia, Potter» disse ironicamente Lily più sconvolta che arrabbiata davanti a quello strano comportamento.
Lasciò cascare le braccia ai fianchi chiedendosi se Potter si rendesse conto che non avevano nemmeno un minuto da perdere e che il Castello era a dir poco enorme.
«Sirius» chiamò lui stringendo il piccolo oggetto tra le mani, specchiandosi sopra. Vorrei proprio sapere cos’hanno fatto di male i miei avi per meritarsi una simile maledizione ai capelli. Aveva un aspetto decisamente disastrato.
«Fratello!» rispose subito al richiamo Sirius con voce preoccupata.
«Potter?»
 Il tono interrogativo di Lily era una chiara richiesta di spiegazioni. Ma non c’era tempo.
«Felpato, dimmi chi non è nel proprio dormitorio a parte McKinnon e Bones dal Preside» ordinò James sapendo che con Sirius non c’era bisogno di specificare il ‘come’ avrebbe potuto fare. Il sopracciglio sollevato di Lily, infatti,  impersonificò il resto dei comuni mortali che non si chiamavano ‘Malandrini’ e che non conoscevano nessuna Mappa particolare. Black è diventato Dio sceso in terra? pensò lei finchè il silenzio calato un minuto prima non fu spezzato dalla voce di Sirius.
«Terzo piano, gruppo di Corvonero del tipo ‘topi allergici al Quidditch’ in biblioteca»
«Perfetto» disse James con un grande sorriso, cominciando a correre verso la grande scalinata.
Lily lo seguì, perplessa, perchè il tempo per perlustrare l’intera scuola da sola era praticamente nullo, perchè Potter sembrava così sicuro di quello che aveva detto Black- anche se in realtà lo era sempre quando si trattava del suo amico, anche quando quelle di Black erano semplici stronzate- e perchè se in biblioteca c’era davvero un gruppo di Corvonero la cosa avrebbe rasentato l’inquietante e lei avrebbe dovuto saperlo.
Lily varcò il portone della biblioteca, tre piani più sù, senza riuscire a credere ai propri occhi. In un tavolo tra gli altissimi scaffali carichi di libri c’erano effettivamente tre Corvonero chini su pergamente e grossi tomi, illuminati dalla tenue luce bianca che entrava dalla grande finestra alle loro spalle.
«RAGAZZI, FUORI DI QUI! DOVETE IMMEDIATAMENTE RAGGIUNGERE LA VOSTRA SALA COMUNE» esclamò James avvicinandosi a loro senza far caso alle impronte di fango che stava lasciando per terra.
Madama Pince sbucò improvvisamente dal Reparto Proibito, con passo furioso e il viso  completamente accartocciato dalla furia sembrava davvero uno scheletrico avvoltoio pronto a spiccare il volo.
«SIGNOR, POTTER! COME SI PERMETTE DI...!»
«É un emergenza, Madama Pince» intervenne Lily, aiutando i tre ragazzi a ritirare libri e piume dal tavolo «Guardi fuori dalla finestra».
La donna parve poco convinta. Assottigliò gli occhi sotto le arcigne sopracciglia nere ma si avvicinò all’alta finestra ad arco acuto soltanto perchè conosceva benissimo Lily. James la vide irrigidirsi davanti al vetro bagnato di pioggia, come pietrificata.
Accompagnarono i Corvonero alla loro torre mentre la custode della biblioteca raggiungeva Madama Chips e Gazza in aula professori.
James tirò di nuovo fuori lo specchio, cercando di stare al passo di Lily, diretta verso l’Ufficio del Preside.
«Sirius!»
«Sono tutti a casa tranne voi due, Marlene e Edgar»
«Si può sapere come fai, Black?» sbottò Lily rallentando per avere James e lo specchio al fianco. Il viso di Sirius sulla liscia superficie assunse un’espressione furba anche se l’immagine era tremolante per via della camminata veloce di Potter.
«I poteri migliori sono dati dall’intelligenza, Evans, non da una spilla luccicante appuntata al petto».
James fu costretto a bloccare lo scomodo battibecco tra la sua collega e lo specchio quando, arrivando in cima all’ennesima scalinata, notò i due ribelli davanti al grande guardiano in pietra.

«Contieni ancora un po’ le lacrime per la mia mancanza, Felpato. A dopo» stroncò il discorso, allungando le falcate e rimettendosi lo specchietto in tasca.
«Tanto non ci convincerete a farci andare via» esordì Marlene spostandosi dagli occhi con gesto nervoso un ciuffo riccio di capelli. Il Tassorosso al suo fianco incrociò le braccia al petto, determinato a non muoversi.
«State bene?» chiese Lily. I due annuirono, senza però aprire bocca. Non sembrava affatto stessero bene con quelle guance pallide, gli occhi lucidi e le spalle leggermente curve come per difendersi da qualcosa.
«Irma aveva ragione, allora! Santo cielo!» La voce seccata della McGranitt rimbombò dall’altro capo del corridoio. La professoressa fece la sua comparsa con gli altri tre direttori delle Case e Hagrid.
Lily sorrise di rimando a Lumacorno che l’aveva subito puntata con sguardo preoccupato.
«Capisco che questa è la vostra prima emergenza, ma mi sembrava di essere stata chiara quando nella lettera con quel distintivo vi ho scritto che i Caposcuola, appena portano gli studenti al sicuro, devono raggiungere l’aula professori!»
James allargò le braccia indignato, indicando Marlene e Edgar, e la donna spalancò gli occhi accorgendosi dei due ragazzi soltanto in quell’istante.
«Voi che cosa ci fate qui?»
«Stiamo aspettando il Preside» dissero loro all’unisono.
«Non è possibile in questo momento. Il Preside è fuori dalla scuola, E non sarà possibile nemmeno più tardi»
«Il professor Silente ci ha detto che possiamo andare da lui in qualsiasi momento!» ribattè Edgar sciogliendo le braccia.
La McGranitt si sistemò gli occhiali sul naso, assottigliando le labbra. Lily ebbe la netta sensazione che quella non era la prima volta che i due la assillassero in quel modo.

«Gli altri studenti sono nelle loro Sale Comuni tenuti d'occhio dai Prefetti, signorina Evans?» le chiese la professoressa prendendola completamente alla sprovvista con quel repentino cambiamento d'argomento; lo sguardo della donna, però, non smise di scrutare severamente i due Prefetti presenti facendo benissimo intendere che nelle Sale Comuni di Tassorosso e Corvonero, in quel preciso momento, mancasse la supervisione dei Prefetti del settimo anno. Edgar arrossì leggermente, Marlene soffiò con stizza dal piccolo naso arricciato con impazienza.
«Nemmeno uno fuori» rispose Lily, sicura.
«Avete controllato tutto il castello così velocemente?»
 «Sì... siamo... veloci» mentì Lily nell’imbarazzo più totale. Non aveva la minima idea di come Black avesse fatto, di quali dannati poteri si fosse appropriato per trasformarsi in un ufficio di previsioni del traffico di Hogwarts. Con la coda dell’occhio vide James sorridere, divertito.
«Molto bene» disse la McGranitt piacevolmente sorpresa. «Il Castello è protetto, ma dobbiamo controllare gli ingressi almeno fino a quando il Preside e il professor Dearborn non torneranno da Hogsmeade. Bisogna richiamere i Prefetti per metterli a guardia di... »

«Io posso fare la guardia al portone principale, professoressa» si offrì con coraggio James, anticipando la proposta di Hagrid che borbottò qualcosa sotto la barba folta, il suono della sua voce molto simile ad una bassa risatina.

«Potter, non hai nemmeno la bacchetta» lo informò Lily.
Vide James allargare gli occhi, spaesato. Si era effettivamente reso conto soltanto adesso di essere ancora in divisa da Quidditch- umida, per giunta- e che quella che stringeva in mano non era la bacchetta ma la sua Nimbus.
«Zuccotti di zucca!» esclamò Silente alle loro spalle facendoli sussultare. Il preside, avvolto in un pesante mantello viola e oro, li aveva raggiunti insieme al professore di Difesa e due sconosciuti dall’aspetto malconcio: un uomo che sembrava avere l’età di Silente con un taglio fresco sulla guancia e il mantello completamente ricoperto di fango; e una donna con il viso dalla pelle scura sporco di sangue misto a polvere, i ricci capelli neri sciupati dalla pioggia e da un incantesimo che evidentemente le aveva bruciacchiato qualche ciocca. James la riconobbe come Dorcas, la strega vista in quello stesso corridoio un mese prima .
Edgar e Marlene parvero ancora più angosciati alla vista di quei due.
«Salite, tutti» fece sbrigativo il Preside facendo strada sulla scala mobile lasciata in bella mostra dal gargoyle. James non aveva mai visto quei gradini in pietra così affollati. Con l’enorme figura di Hagrid, poi, sembrava davvero di essere in una ciotola di Metropolvere.
Rimasero tutti in silenzio mentre salivano lentamente fino in cima dove, con un gesto della bacchetta, Silente aprì la pesante porta del suo ufficio, entrandoci dentro subito dopo. Soltanto i due sconosciuti, il professor Dearborn, la McGranitt e Hagrid  lo seguirono a ruota.
«Lo sapete» mormorò la McGranitt sbarrando la porta a Edgar e Marlene, ancora decisi ad ottenere un colloquio con il preside.
«Dobbiamo parlare» scandì a chiare lettere Marlene, ormai al limite.
Lily vide chiaramente una punta di comprensione negli occhi della McGranitt, ma le labbra strette erano sempre un equivocabile ‘No’.
«Falli entrare, Minerva».
La voce di Silente fu come aria pura per i due ragazzi che sgattaiolarono dentro l’ufficio passando accanto la donna, visibilmente contrariata.
Quando sparì dietro la porta con il batacchio d’ottone, il silenzio totale calò sul piccolo pianerottolo. La Sprite sospirò pesantemente scambiandosi un preoccupato sguardo con il professor Vitious. Lumacorno si schiarì la gola mettendosi le mani sulle tasche dell’elegante panciotto in velluto che gli copriva a stento la pancia.

«Tuttto bene, Lily?» chiese sorridendole debolmente.

«Tutto bene, professore, grazie» rispose lei pensando di non averlo mai visto così agitato.
Certo che era strano il fatto che i direttori delle Case, a parte la McGranitt, fossero lì fuori e che invece Hagrid era stato ammesso a quella riunione che sembrava così importante vista l’espressione seria di Silente.
Lo sguardo accigliato di James, fisso sul legno scuro della porta, le suggerì che anche a lui non tornava qualcosa.
Il silenzio, dopo qualche minuto, fu riempito improvvisamente dalle voci che si erano fatte più alte dentro l’ufficio.
 «Ho già chiarito questo concetto più volte, signorina McKinnon, vorrei continuare a ritenerti una ragazza intelligente...»
«Ma abbiamo già diciasette anni, signore! Ed, addirittura, ne ha compiuti diciotto il mese scorso! Lei aveva detto che quando avremmo raggiunto la maggiore età...»
«É vero, ma avevo anche espressamente affermato che, a parte avere la maggiore età, avreste dovuto terminare i vostri M.A.G.O. qui a scuola. Soltanto una volta fuori da Hogwarts potrete ottenere ciò che mi state chiedendo. E, no, per quanto io ti ritenga una persona capace di trovare dei validi e brillanti argomenti a tuo favore, McKinnon, sono costretto a chiudere qui questo nostro discorso perchè la mia risposta sarà sempre la stessa».
 Gli occhi di Lily si erano socchiusi tanto quanto quelli di James che con nonchalance si era poggiato al muro accanto all’arco in pietra della porta per sentire meglio, dato che la professoressa Sprite, Vitious e Lumacorno avevano cominciato a parlare tra loro.
 «Oggi non c’erano là in mezzo, ma se la prossima volta...»
«Non mancherò di tenervi informati esclusivamente sui dettagli che vi riguardano personalmente. Di questo potete starne certi. E mi prendo l’impegno di farvi da gufo. Riferirò loro tutti i vostri messaggi che tramite lettera non potete esprimere».
 Il silenzio regnò di nuovo sovrano e quando la porta si aprì, Marlene uscì per prima mentre James si staccava dal muro come se niente fosse.
La Corvonero si sistemò velocemente la lunga sciarpa blu-bronzo, sussurrando un basso ‘scusate’ mentre passava tra i professori.
«Stai bene, Marlene? Passa nel mio ufficio, dopo» le disse Vitious con voce premurosa. Lei annuì raggiungendo i gradini di fronte a Edgar che si lasciò stringere una spalla dalla Sprite per poi seguire l’amica e sparire insieme a lei sulle scale.
 «Vi dispiace aspettare ancora un attimo?» chiese la McGranitt affacciandosi sulla porta con sguardo che chiedeva educatamente di avere pazienza.
«Ci mancherebbe... fate pure, Minerva» rispose subito Lumacorno, a disagio.
Fate pure, certo, tanto a noi piace imitare le armature, pensò con fastidio James. Voleva sapere, sapere cos’era successo davvero a Hogsmeade.
La McGranitt richiuse la porta e le voci dentro l’ufficio si sovrapposero, molto basse ma udibili nel silenzio del pianerottolo, frettolose e accavallate come se non aspettassero altro che venire liberate.
«Dissennatori... insieme al vecchio Rosier, ho riconosciuto la risata, e l’altro non abbiamo capito chi fosse sotto quel cappuccio! Cercavano Aberforth. Ormai ci vengono a cercare casa per casa, Albus»
«Lo so benissimo, purtroppo, Elphias...»
«Gli stessi Dissennatori che quell’incapace di Minchum vuole aumentare ancora ad Azkaban, senza nemmeno accorgersi che così non fa altro che incrementare l’esercito di Voldemort!»
Lily e James ebbero pochi secondi per ascoltare quel caos di voci diverse perchè la porta venne sapientemente imperturbata.
L’attesa che secondo la McGranitt sarebbe dovuta durare ‘un attimo’ continuava già da mezz’ora.  
James aveva cominciato a marciare per il pianerottolo con la scopa ancora stretta in mano.
Ad ogni passo si chiedeva se sarebbe riuscito a far spuntare il suo argenteo cervo- ormai quasi del tutto corporeo- anche senza il protettivo muro invisibile di Hogwarts tra lui e il là fuori che per qualche attimo si era avvicinato di un soffio, un soffio gelido.
I Dissennatori l’avevano colpito, non poteva negarlo, gli avevano messo paura, anche più del sapere che a poca distanza da lui c’erano stati due Mangiamorte.
Passò, forse per la trentesima volta, accanto a Lily, poggiata silenziosamente sul muro senza sapere più dove posare lo sguardo.
Adesso che si erano fermati, che non avevano più centinaia di studenti da portare in dormitorio, che il silenzio le riempiva le orecchie, Lily riuscì a pensare agli istanti appena trascorsi.
Si accorse di avere male alle gambe,  le scarpe e metà mantello totalmente umidi di fango  e i capelli più annodati di quando si svegliava la mattina. Le sembrò di star ingoiando un’abbondante cucchiaiata di Ossofast quando improvvisamente la sua mente la costrinse ad ammettere che era stato soltanto merito dell’incredibile gioco di squadra con Potter se tutti adesso stavano nei propri dormitori.
Far evaquare il campo era stato faticoso ma veloce, senza intoppi, naturale come i suoi gesti e quelli del suo collega, perfettamente sincronizzati.
Certo, quel Potter che l’aveva aiutata non era lo stesso Potter che conosceva da sei anni e che le aveva fatto mollare ingiustamente John per colpa di un filtro d’amore; era stato quello che aveva salvato la vita a Severus, quello che non aveva organizzato lo scherzo sotto al Platano, quello che lei credeva non potesse esistere e che invece esisteva, a quanto pareva.
Vide lo sguardo di James su di sè per qualche secondo e poi la sua scarlatta divisa da Quidditch svolazzare quando lui le diede le spalle per continuare il suo avanti e indietro nervoso sul pianerottolo. La stoffa galleggiante appena sopra al pavimento in pietra le rese più nitida in testa l’immagine dei Dissennatori e del suo Patronus inesistente.
Un senso di panico le avvolse lentamente i polmoni: non era pronta, non era pronta per difendere se stessa e nemmeno gli altri.
Il borbottìo pacato di Lumacorno, la Sprite e Vitious cessò di colpo appena il grosso grifone in ottone si mosse, cigolando insieme alla pesante porta scura che si aprì e il viso serissimo della McGranitt sbucò oltre lo stipite.
«Entrate».
Silente li accolse con un sorriso anche se le persone che circondavano la sua grande scrivania sembravano tutte ad un funerale. Il professor Dearborn cedette cavallerescamente la sua sedia alla professoressa Sprite e il Preside prese parola, rivolgendosi direttamente ai due Capiscuola.
«La mia scelta sembra essere stata azzeccata» esordì bonariamente. Il grande sorriso di James fu una risposta silenziosa che lo fece sorridere ulteriormente. «Non avevo alcun dubbio» aggiunse, guardando eloquentemente Lily da sopra gli occhiali a mezzaluna. Lei si ritrovò a sospirare, accennando un sorriso.
E va bene, Silente! Avevi ragione! Contento? Forse Potter è una mela. Il guizzo divertito negli occhi azzurri del preside la fece diventare rossa: possibile avesse capito cos’aveva pensato?
«Non c’è bisogno di radunare i Prefetti. É stato riportato l’ordine ad Hogsmeade e nessuno corre alcun pericolo. I direttori delle Case possono tranquillizzare i propri studenti: Hogwarts è sicura e, ahimè per i signori là fuori, tale rimarrà per ancora molto tempo» continuò Silente in tono pratico e tranquillo come se non fosse mai successo niente.
«Ai Grifondoro possono benissimo parlare i Capiscuola in assenza di te, Minerva. Ti chiedo la cortesia di restare ancora un momento qui, nel mio ufficio. Desidererei che tutta la scuola svolgesse le sue normali e quotidiane attività. Tra poco quindi, come ogni sabato a pranzo, avremo il delizioso pasticcio di pollo con patate» concluse in tono assolutamente calmo facendo sollevare le folte sopracciglia ad Hagrid, fino a quel momento corrucciate per la preoccupazione.
James non riuscì a trattenersi ed uscì dall’uffico del Preside per ultimo, in modo tale da poter rivolgere la parola alla McGranitt che richiudeva la porta.
«Come mai lei, professoressa...?»
«Scendete ad avvisare i vostri compagni di Casa, Potter, passerò a controllare appena finirò con il Preside».
 Il fastidioso silenzio cominciava ad urtarlo, anche se riequilibrava il chiassoso tifo della partita.
La partita. Sembrava fossero passati giorni dalla partita vinta.
I sospiri di Lily, che gli camminava affianco, non avevano niente a che vedere con quelli che James sentiva sempre, stufi e annoiati.
Lily aveva paura, glielo leggeva nel viso semi nascosto dai capelli rossi, serissimo e oscurato nonostante i colori brillanti della squadra sugli zigomi. Lily aveva paura e James non poteva darle torto perchè anche lui ne aveva.
Sapeva da tempo che la guerra era una realtà, ma vedersela catapultare addosso così, all’improvviso, era stata tutta un’altra sensazione.
Che cosa doveva essere starci davvero in mezzo senza Hogwarts, senza Silente?
La voce di Madama Bumb li richiamò giusto in tempo, prima che Lily potesse scandire la parola d’ordine davanti al ritratto della Signora Grassa.
La giovane donna consegnò a James gli effetti personali dell’intera squadra e tornò sui suoi passi con andatura veloce.
«Prima, Evans» esordì James mentre lei prendeva gli indumenti e la bacchetta di Liv, alleggerendogli il carico. «Mi hai sorriso» buttò lì l’esca, soltanto per vedere cosa avrebbe potuto prendere, e la voce di Sirius gli rimbombò in testa... un misero scarpone rattoppato, fratello, ecco cosa ti beccherai in pieno muso. In questo caso sarebbe uno sguardo taglient, uno sbuffo più annoiato di quelli che faceva a Storia della Magia, una fattura Orcovolante, quelle che conosci bene e che ti fanno piangere come una puffola pigmea... oppure un classico schiaffo, sempre di moda come i jeans... comprati i jeans, James, comprali. Non smetterò mai di dirtelo, nemmeno quando ti ritroverai a pensarlo anche quando io non ci sarò... come adesso, vero? Senti la mia voce che ti dice di comprarti i jeans anche se non c’entra un fico secco con la situazione, lo so”. 
«Sì. Fare la guida turistica è stata un’idea divertente, Potter. Non rido senza motivo, sai?» ammise lei ingoiando un altro amarissimo cucchiaio di Ossofast. Un sorriso le scappò dalle labbra, senza riuscire a trattenerlo.
Potter era riuscito ad essere divertente senza bullizzare qualcuno. Soltanto ripensandoci sentiva i muscoli del viso stirarsi di nuovo in un sorriso.
Si trattenne, questa volta riuscendoci perchè quello radioso e già in mostra di James si stava allargando a dismisura e il corridoio rischiava di intasarsi di JamesPotter montato e, davvero, Lily non voleva assolutamente aggiungere decorazioni a Hogwarts (quella che per sei lunghi anni era stata un’enorme torta fatta esclusivamente di Potter montato).
«E mi hai detto grazie con gli occhi» continuò lui, desideroso di chiarire bene quel concetto, soffocando la voce di Sirius impressa in testa. Imbecille. Basta. Non hai più esche. Idiota. Vuoi davvero suicidarti? Siamo arrivati a questo punto, James? Sei a dieta da anni. Sai quante sogliole e trote ci sono in giro? L’altro giorno ho visto addidittura un bel tonno femmina dalle parti di Babbanologia. 
«Credevi davvero che non avrei fatto il mio dovere da Caposcuola in una situazione come quella, Evans? Credi davvero che io sia uno stupido senza cervello?»

Gli occhi verdi al suo fianco si allargarono a dismisura. «Non ti ho detto niente, Potter» ribatté Lily, sconvolta.
L’aveva davvero ringraziato? Non se n’era accorta. Non se n’era assolutamente accorta.
Forse l’aveva pensato, per un millesimo di secondo però.
Potter non aveva mai capito il linguaggio non verbale nemmeno se lei ci stava ore, mesi e anni ad agitare le braccia con espliciti gesti plateali.
«I tuoi occhi lo stavano praticamente urlando» continuò James, sicurissimo di quello che aveva visto.
Lily lo scrutò, guardinga, prima di sorridere in modo furbo.
Se non avesse avuto tutta quella roba tra le mani, con in più anche la sua scopa, James si sarebbe tolto gli occhiali per pulirli ed accertarsi che quella davanti fosse davvero Evans che sorrideva in quel modo.
«Grazie per non aver fatto il cretino, almeno stavolta. Sì, forse hai ragione, ti stavo ringraziando» rispose lei. «E adesso non riesci a leggere quello che c’è scritto?» continuò, indicandosi gli occhi ridenti.
James, tra la confusione che sentiva in testa e al cuore, non seppe rispondere, di sicuro non erano sinceramente divertiti come poco prima.
«C’è scritto che la prossima volta il filtro d’amore farai meglio ad usarlo per innaffiare la Tentacula Velenosa che hai in testa» spiegò lei in tono allusivo, spostando l’indice dal suo sguardo ai capelli ribelli davanti a sè.
Fu la volta degli occhi nocciola di James spalancarsi a dismisura. Avrebbe preferito mille volte risentire il bolide di Ricket abbattersi sulla spalla piuttosto che in pieno stomaco come in quel momento.
Si portò addirittura la mano sopra, come se avesse davvero ricevuto un forte colpo dalla palla di ferro.
Qualcosa graffiò proprio lì, sotto la mano, lo stesso qualcosa che aveva graffiato e gli aveva dato la nausea vedendo Evans e Owen baciarsi la prima volta.
«La notizia non mi ha per niente sorpresa, sappilo» continuò Lily con voce gelida ma sguardo vagamente deluso; lo stesso sguardo che Owen aveva guardato con aria stranita affianco a Mirtilla Malcontenta in mezzo alle tribune rosso-oro in totale visibilio.
Così come lei non si aspettò di certo l’espressione seriamente turbata che James assunse.
Niente di disgustoso in corso, pensò James, fissandola. Nessun rivoltante ed inguardabile bacio smielato, niente vermicoli che cadevano sulle ridicole tazze di tè di Madama Pièdiburro e nemmeno quella palla al piede di Owen che mangiava per sbaglio capelli rossi, avvolto in un abbraccio. Eppure quel qualcosa che graffiava e dava la nausea James lo sentiva fargli maledettamente male.
Lily fu presa in contropiede davanti a quel viso nuovo che di Potter non aveva niente, non sembrava nemmeno stesse fingendo.
Potter era sinceramente offeso? Continuava a stare lì, con i lineamenti congelati come quelli di una maschera rabbiosa, e nessuno degli unici tre motivi che lo facevano diventare così era in chissà quale pericolo o difficoltà: Remus, Black e Peter erano tutti e tre in Sala Comune.
«Perché hai usato quel filtro? Cosa importava se stavo con John? Non ci parlavamo nemmeno, io e te, da quasi un anno» sbottò Lily in tono severo, nascondendo tutta la voglia di capire cosa Potter avesse in testa, tutta la voglia di capire perché si era arrabbiato così tanto quel pomeriggio, come non era mai accaduto. Potter, ogni volta che lei l'aveva rifiutato, era sempre apparso apparentemente menefreghista. Era sempre stata una finta? Sì sentì una quindicenne, Lily, improvvisamente col cuore veloce e la rabbia per quel ragazzo che sembrava voler fare solo l'arrogante, deludendo speranze che lei non riusciva nemmeno a capire perché esistessero. Non poteva piacerle un arrogante, non significava nulla trovarlo carino. Viveva su quell' altalena di opposti da anni, Lily, ed era stufa. James restò in silenzio, fissandola ancora, capendo soltanto in quel momento perché l'aveva fatto. L'anno precedente si era ritrovato scosso dalla nausea mentre intingeva le piume di zucchero nel filtro d'amore, pensando che quella sensazione sullo stomaco fosse soltanto vendetta per quei “Preferirei uscire con la Piovra Gigante piuttosto che con te, Potter” e “Siete uguali, tu e lui” gridato davanti a tutti sul prato.
«Le vendette per i miei no rivolti a te sono inutili, Potter. Geranio Zannuto!» concluse Lily sollevando lo sguardo sulla Signora Grassa davanti a loro, visibilmente molto interessata a quel discorso.
«Vendette, Evans?» esordì James in tono alterato.

Lily sollevò un sopracciglio scrutando per bene l’espressione furiosa di James che non disse altro, superandola appena il ritratto della Signora Grassa si spostò di lato per rivelare l'ingresso della Sala Comune.
Lentamente lo seguì, sentendo i passi di James pesanti come se volessero bucare il pavimento.
Di sicuro aveva ancora l’espressione tetra stampata in faccia perchè quando fecero la loro comparsa nell’affollata Sala Comune, colma di borbottii e bisbigli angosciati, i visi già preoccupati di tutti divennero ancora più pallidi.
«Siamo sotto attacco?» chiese la voce di un ragazzo del sesto anno parecchio agitato alla sua sinistra.
«No. Siamo al sicuro qui» lo rassicurò lei cercando di scacciare anche la sua paura con un sorriso. «Il Preside ci ha chiesto di dirvi che non c’è più nessun pericolo, nè qui a scuola e nemmeno a Hogsmeade».
Le facce di tutti però rimasero perplesse. La bambina del primo anno, affondata sulla poltrona vicino a William Johnson con i colori ormai sbiaditi sulla faccia, singhiozzò nascondendo la faccia nel cuscino rosso.
Lily si sentì incapace di continuare a parlare per il doloroso groppo in gola che le si era stretto attorno alle corde vocali.
Al suo fianco, il fruscio della divisa da Quidditch di James la fece voltare e rimanere allibita davanti alla nuova espressione del Caposcuola che con la sua voce, improvvisamente allegra e vivace, spezzò l’ennesimo silenzio pesante della giornata.
«Cosa sono questi musi lunghi, ragazzi? Avrei capito se in cielo ci fosse stata di nuovo quella brutta faccia di Allock!».
Delle risatine cominciarono a vibrare per la stanza circolare e Lily notò benissimo lo sguardo luminoso di James posato sulla bambina che si lasciò andare ad un sorriso.
«Ma abbiamo vinto! ABBIAMO VINTO CONTRO I TASSOROSSO DOPO DUE ANNI DI SCONFITTE! Senza dimenticare il compleanno del nonnino di Casa! Su, non siate così insensibili nei suoi confronti. I vecchi non si mettono da parte anche se diventano uguali agli gnomi da giardino come il nostro!».
Risate fragorose ed applausi esplosero nella calda Sala Comune che diede il via alla festa mentre un cuscino particolarmente grande prendeva James in pieno petto facendogli cadere la roba e le bacchette che la squadra andò a riprendersi.
Subito dopo, Sirius gli era già addosso. Con la coda dell’occhio- prima che il suo migliore amico e assassino gli rubasse gli occhiali- James lanciò uno sguardo a Lily.
Perchè anche se si sentiva di nuovo nauseato per la gelosia e anche se lei non voleva avere niente a che fare con lui e preferiva stare con chiunque eccetto che con lui, non poteva fare a meno di pensare che lui invece avrebbe preferito stare da solo piuttosto che con un’altra. Faceva male, ma non poteva non sentirsi ancora stupidamente innamorato di Lily Evans.
 Con sorpresa vide gli occhi verdi osservarlo a sua volta, di sottecchi tra i ciuffi rossi che svolazzarono in aria appena Lily gli diede le spalle per raggiungere Liv e Mary.
Sentendo un piacevole solletico alla mano sinistra che teneva la scopa, James si accorse di avere un lungo annodato ed incredibilmente rosso capello di Lily infilato tra le dita.
«Non hai idea di cosa mi hanno regalato i tuoi, Ramoso!»
«Se mi ridessi gli occhiali, magari...»
«Oh, ma guarda vuoi gli occhiali?! Chi è il vecchio che ha bisogno degli occhiali, eh? Eh
Al nostro adorato Sirius”. Fu quella la prima cosa che James, di nuovo con gli occhiali sul naso, vide in modo nitido: la grafia di sua madre sul biglietto d’auguri.
Il sorriso sincero di Sirius faceva intendere benissimo la piena felicità che quel pezzo di pergamena gli dava ogni volta.
Seguì con gli occhi le mani frettolose del suo amico frugare tra le diverse pergamene sparse sul divano dov’erano seduti Remus e Peter (ancora parecchio scosso dai Dissennatori).
«Voi forse non ve ne rendete conto... certo che non ve ne rendete conto!» esclamò  il festeggiato in tono eccitato «Una moto! Unamotociclettacompletamentebabbana!».
James non riuscì a trattenersi dal ridere quando l’amico cominciò a scuotere Remus per le spalle per fargli capire quanto pazzesca fosse la cosa.
«Ho capito, Sirius... » provò a dire Remus, ridente ed incredulo di fronte alla sincera commozione negli occhi grigi dell'amico. «Ed è ovvio che sia completamente babbana... i maghi non...»
«É quella del poster! É Lei, precisamente Lei. La Triumph Bonneville T120 del '59*! Sono pazzi! Dovevo comprarmela a Natale e invece... pazzi» lo interruppe Sirius mollandogli le spalle per cercare di nuovo qualcosa tra la carta.
E chissà perchè è proprio quella del poster, Felpato, eh? L'espressione compiaciuta stampata sul volto di James diceva tutto.
Andare per i negozi babbani con i suoi genitori quell’ estate era stato snervante.
Vedere Sirius così felice, però, ripagava tutto. La felicità del suo migliore amico avrebbe sempre ripagato qualsiasi cosa, anche la morte.
Di nuovo, la guerra gli tornò in mente come un fulmine a ciel sereno. Di sicuro, quei fulmini stavano illuminando anche le teste di tutti nella Sala: nonostante avessero cominciato a riempire tavoli e tavolini di cibo e bevande, ad appendere gli striscioni usati durante la partita e a muovere la testa al ritmo della canzone rock proveniente dalla radio truccata di Sirius poggiata sulla mensola del grande camino acceso, ogni tanto si oscuravano con espressioni cupe e pensierose.
L’occhiata eloquente di Remus gli fece capire che quel cagnaccio poteva aprire anche gli altri regali a tema. James rispose con un breve cenno della testa e lui si alzò dal divano per allontanarsi verso il dormitorio maschile passando tra le persone con bicchieri e piattini colmi di cibo in mano.
A Peter sfuggì la prima risata guardando Sirius afferrare come se fosse un cucciolo di unicorno la foto del suo oggetto del desiderio finalmente di sua proprietà.
La nuovissima motocicletta, completamente nera, luccicava al centro dello scatto con affianco Fleamont che salutava con la mano e un largo sorriso radioso identico a quello del figlio.
«Se non fosse stato per mio padre, mamma ti avrebbe comprato anche un pacco da dodici di mutande con stampati sopra caschi e guanti da motociclista» rivelò James ridacchiando senza ritegno.
«L’ha fatto» fece Sirius sollevando una scatola in cartone con in bella mostra i boxer appena descritti da James che spalancò gli occhi, sconvolto. «E ha anche scritto: ’Dato che non abbiamo potuto impacchettarti quell’enorme cosa pericolosa (Ti avverto, Sirius: prudenza o la farò evanescere) ho pensato di inviarti questo. Non si festeggia il compleanno senza scartare dei regali!’».
James si passò una mano tra i capelli, lasciandola scivolare con disperazione sugli occhi sotto gli occhiali. Sua madre era un caso perso.
«Le avevo detto di comprare quelle con i guinzagli e le ciotole per i croccantini» mugugnò fintamente deluso, osservando con occhio vivace l’amico pronto a tirargli un calcio sugli stinchi.
«Non ti interessa sapere dei regali che hai in camera?» lo fermò in tono ironico Remus, di nuovo davanti al divano con un sorriso stampato in faccia insieme al pezzo di scotch magico appiccicato su una guancia.
Non aveva ancora capito perchè quello che doveva impacchettare le cose era sempre lui. E poi avevano anche il coraggio di dire che erano fatti male.
Sirius ghignò, osservandoli uno ad uno con sguardo luminoso.
«Siete degli idioti» li insultò prima di correre verso il dormitorio senza dimenticarsi di dare una manata giocosa alla testa così ancora più spettinata di James.
«La figlia di Andromeda è sempre più buffa» esordì Peter sghignazzando davanti all’istantanea appena presa vicino ad una lunga lettera e un pacchetto ancora intatto sopra ai cuscini sui quali era seduto.
Una paffuta bambina di quattro anni con i capelli viola pervinca trasformava la sua faccia accartocciata in una smorfia in una simile copia di Sirius... capelli neri, occhi grigi e ghigno ammaliatore compreso.
Remus si ritrovò a ridere davanti a quella Metamorfomagus in una perfetta posa alla Felpato annoiato.
«Buffa è dire poco» commentò James sedendosi con un tonfo accanto a Peter «Dovreste vederla dal vivo... avete presente i Folletti della Cornovaglia?».
 


 

*




«Ah, Olivia?». Il piede di Sirius, appena poggiato sul primo gradino della scala a chiocciola, ritornò sul pavimento sotto.
Liv si voltò a guardarlo distrattamente prendendo un sorso di quella che sembrava burrobirra corretta con qualcos’altro di decisamente forte ma perfetto per allontanare i brividi che ancora le percorrevano le braccia. Forse avrebbe dovuto darne un po’anche a Mary che si sentiva decisamente giù.
La figura slanciata di Sirius le arrivò di fronte in un attimo così come, sempre in un attimo, si ritrovò la sua bacchetta puntata dritta in fronte.
Per difendersi, mollò il bicchiere senza però ricordare che quella che aveva addosso era ancora la divisa da Quidditch, senza la sua ‘arma’.
La voglia di tirargli un pugno la fece sospirare pesantemente.
«Così, tanto per essere chiari» commentò in un tono stranamente minaccioso Sirius sollevando suadentemente un angolo del sorriso.
E adesso che aveva fatto alle sue sopracciglia? Erano settimane che non le vedeva del loro colore naturale.
Ridusse gli occhi a fessure fulminandolo con lo sguardo mentre sfilava una bottiglia di burrobirra dalle mani di un ragazzo del quinto anno che chiacchierava amabilmente lì affianco.
Ci si specchiò sopra e le vide, le sopracciglia rosse e oro. 
Black le aveva colorato le sue sopracciglia di rosso e oro ‘Tanto per essere chiari’ . Ma chiari proprio per niente.
«Questo è essere squallidamente ovvi, Black» sbottò sollevando un sopracciglio, adesso Grifondoro.
«Sì, hai ragione, anche l’ovvietà va bene in questo caso» ribattè lui, ridente, osservandola incrociare le braccia al petto e mordersi con furia un labbro.
'Per non prenderti direttamente a sberle sul mento, Black' ringhiò tra sè e sè Liv desiderando con tutto il cuore la sua bacchetta che, come manna dal cielo, spuntò dalle sue spalle.
Lily, masticando chissà quale dolce, gliela stava riconsegnando con un sorrisino orgoglioso a stirarle le labbra sporche di zucchero. Sorrisino esteso anche a Liv mentre cominciava lentamente a girare attorno ad un divertito Sirius, agitando leggermente la bacchetta per fargli crescere una riccioluta coda di maiale sul retro dei jeans scuri.
«Tanto per essere chiari... e ovvi» disse quando, concluso il giro, gli andò di nuovo davanti.
Il sorriso insolente di Sirius si aprì completamente lasciando in mostra l’intera fila di denti verdi e Liv raccolse tutta la sua determinazione mettendosi la bacchetta tra i denti per prendere un nuovo bicchiere e riempirlo senza far caso a quella curva che anche così ridicolmente accessoriata era sempre e comunque affascinante, in ogni modo e situazione. 
«Almeno i denti, Olivia» la pregò fintamente supplicante Sirius.
«Oh, si certo. Scusa» fece innocentemente lei poggiando il bicchiere pieno sopra al tavolo imbandito davanti.
Un giro di bacchetta e i denti verdi e argento divennero rossi e oro.
Dall’espressione furba di Liv, Sirius dedusse che la sua dentatura non era normalmente bianca.
«Buon compleanno, Black» gli augurò Liv sollevando il bicchiere verso di lui con sfacciata soddisfazione prima di bere senza staccare gli occhi scuri e sfidanti dai suoi. 
L’istinto possessivo nello stomaco di Sirius si accese ancora di più, diventando ancora più feroce. L'incredibile voglia di sfilarle il bicchiere dalle labbra per poggiarci sopra le sue con trasporto gli trafisse lo stomaco.
«GUARDATE!» esclamò un bambino del primo anno, attaccandosi al vetro appannato di una finestra. 
Tutti si voltarono ad osservare il cielo come poche ore prima, con la differenza che adesso non c’era nessuno squallido teschio oscuro tra le nuvole, nessun Marchio Nero, ma soltanto un’infinità di allegri e giocosi fiocchi di neve sempre più fitti e bianchi.
 
 




 
 
 

 




 

 
 
 
 




Note: 

*
Harold Minchum era il Ministro della Magia nel 1977. Da quanto dice la Rowling ha aumentato i Dissennatori ad Azkaban ma non è stato in grado di fermare l’ascesa di Voldemort. Tornerà più avanti nella storia e verrà tutto approfondito.
*Il modello della moto di Sirius è quello della motociletta usata nel primo film della saga. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 21. Valanga di Gufi ***




Premessa per evitare spiacevoli incomprensioni.
Parole della Rowling:  ‘Peter Minus è stato un Testurbante, il Cappello era indeciso tra Grifondoro e Serpeverde’.
Dato che prendo come unico riferimento il canon (libri, Pottermore, interviste), ho cercato di mettermi nei panni sia di Peter che del Cappello tenendo bene a mente la scelta finale, le caratteristiche delle due Case e soprattutto le parole della Rowling: “Codaliscia si è allontanato moltissimo dalla persona che avrebbe potuto diventare”. 
 I Serpeverde non sono tutti cattivi, questo ormai lo sanno anche i muri. Mandare Codaliscia in quella Casa avrebbe significato assecondare alcuni suoi pregi (li ha come tutti gli altri esseri umani e quelli che ha sono anche Serpeverde o la Rowling non avrebbe nominato quella Casata come seconda opzione) per renderlo un mago coi fiocchi come del resto fanno anche tutte le altre Case con i propri studenti.
Il fatto che poi, una volta fuori da Hogwarts, ad infiocchettare la sua persona sarà il tradimento è un’altra storia.
 

 
 

 
 
 

Capitolo 21
 

VALANGA DI GUFI

 
 



I fiocchi di neve continuarono a cadere silenziosamente fuori dalle finestre per tutto il pomeriggio e la notte, incuranti degli occhi di Peter spalancati nel buio delle coperte nero come i mantelli che celavano le mani in decomposizione dei Dissennatori.
L’asciugamano bianco steso sopra il baule di Sirius e la camicia di James appallotolata su una sedia, illuminati ad intermittenza dai bagliori dorati provenienti dalla stufa lasciata socchiusa, l’avevano spaventato più di una volta.
Peter non aveva fatto altro che rigirarsi tra le coperte da quando si era messo a letto, stringendo con forza la bacchetta come se da quella punta di legno potesse finalmente uscire anche solo una piccola scintilla argentea, pronta a proteggerlo. Le dita grassocce aggrappate al legno sudavano, incerte se stringere ancora o lasciar perdere perchè sapeva che quel bastoncino davanti ad un Dissennatore sarebbe rimasto soltanto un rametto inutile.
Io sono inutile?
Un brivido lo fece voltare un’altra volta verso la finestra innevata e la voce assonnata di Remus ruppe il silenzio della stanza.
«Sirius, un altro movimento e ti pietrifico»
«La coda di maiale... sta bene anche a te, saiGirati... fai vedere...»
Remus aggrottò le sopracciglia castane mentre Sirius proseguiva, ridacchiando come le ragazzine del primo anno quando lo vedevano passare.
Sprofondò maggiormente la testa sul cuscino: quel deficiente stava sognando.
«Remus?» mormorò Peter, incerto, e la testa del licantropo questa volta si sollevò un poco.

«Pete, stai bene?» sussurrò rivolgendo lo sguardo in direzione delle arancioni linee di luce che formavano il baldacchino di Peter nell’oscurità.

«Sì, sì... bene» mentì lui, sentendosi vergognosamente stupido.
«Peter». Il tono di Remus gli era familiare quanto quello di sua madre quando da bambino l’aveva spronato a svuotare le tasche colme di dolci anche dopo averle detto che quelli sul tavolo erano ‘tutti’.
Ma questa volta Peter non si sentì di rivelare la sua enorme paura. Non si sentì di farsi vedere per come lui si percepiva davvero: inappropriato e sbagliato.
Perchè tutti in Sala Comune sembravano averla superata quell’enorme paura così simile ad un immenso pezzo di ghiaccio in pancia, tutti eccetto lui che l’avvertiva ancora nei capillari più sottili sotto la pelle d’oca.

Lui continuava ad avere paura e loro invece no... perchè? Lui non riusciva ad evocare il suo Patronus ma James, Remus e Sirius sì (le scintille che Sirius aveva liberato l’ultima volta che ci aveva provato seriamente erano già qualcosa rispetto al ‘mio nulla’)... perchè?
Perchè era così diverso, così sempre inadeguato?
‘Visto che te lo stai chiedendo: sono passati esattamente cinque minuti e trentasette secondi... certo che ti sento... Non mettermi fretta, ragazzo... non è facile, sai?’
Il Cappello Parlante era sempre stato una voce scomoda nella sua testa da quel primo settembre 1971; una voce scomoda che non aveva mai rivelato a nessuno- nemmeno a Remus- e che negli ultimi mesi aveva cominciato ad insinuarsi nei suoi pensieri con sempre più insistenza e fastidio tanto che in quel momento, sentendola, si ritrovò a corrucciare le chiare sopracciglia, deciso a ricacciarla nel passato.
La capacità di zittirla ed ignorarla però era pari a quella che aveva Gazza nel far funzionare una bacchetta.
‘Furbizia... oh sì, furbizia... non c’è che dire, sei un tipo astuto quando vuoi... e con un forte senso di autoconservazione... ammetto, di nuovo, che anche Serpeverde andrebbe bene... potrebbe farti arrivare lontano, farti diventare grande tra i grandi... ma, perdonami, non riesco ancora a vedere forte ambizione e brillante acume qui dentro... 

Serpeverde. Ancora ricordava benissimo il mal di stomaco che a quelle parole gli aveva fatto stringere con forza il legno dell’alto sgabello sul quale se la stava letteralmente facendo sotto.
Andare lontano, lontano dove? Grande tra i grandi? Altro che grande tra i grandi: i Serpeverde, così sicuri di se stessi e minacciosi, l’avrebbero mangiato vivo.
Il Peter undicenne ne era certo- gliel’aveva detto anche Lucius Malfoy quando in treno gli era andato a sbattere addosso per sbaglio- e lo era anche quello diciasettenne che ancora oggi non riusciva nemmeno a pensare al nome impronunciabile che tutti in quella scuola accostavano alla ‘Casa dei Sotterranei’.
Sentì di nuovo la vecchia paura scorrere nelle vene sorprendendosi però dalla nuova domanda che gli si formò in testa: se fossi nei Serpeverde avrei paura?
Piton sapeva cosa c’era là fuori, lo diceva con orgoglio, quasi puro trionfo. Lui non aveva paura, tanti Serpeverde non ne avevano. Peter Minus con la divisa verde e argento avrebbe avuto paura?
La cosa certa era che nel dormitorio con Mulciber, Avery e Piton non sarebbe stato così grave non riuscire ad evocare un Patronus.
Immaginare se stessso tra i Serpeverde però non era poi così tanto rassicurante. Lui, amico di Mocciosus, il ridicolo Mocciosus che odiava Remus e tutti i lupi mannari e che veniva sempre preso in giro da tutti ma soprattutto da James e Sirius. Anche lui quindi sarebbe stato umiliato da James e Sirius senza Remus, colui che l’aveva accolto in quella brillante cerchia di amici, ormai diventata una vera e propria famiglia. Voleva bene a Remus e non aveva mai avuto niente contro i lupi mannari.


‘Tanta voglia di essere accettato e di apprezzare ed accettare gli altri a tua volta, Minus... potresti stravedere per degli amici, non è vero? E non si può di certo dire che le regole siano un ostacolo per te... guarda qua cos’hai combinato a nove anni. Grifondoro potrebbe fare al caso tuo... anche lì potresti diventare grande... se solo riuscissi a scorgere dell' audacia. Siamo punto e a capo, giovanotto’.
Le corte dita si aggrapparono più forte alla bacchetta sentendo le guance arrossarsi come il giorno dello Smistamento. Non aveva coraggio, era vero, ma aveva degli amici, i migliori esistenti. Ricordava bene il viso gentile di Remus che l'aveva accolto nello scompartimento, ricordava bene sempre quel viso smistato al tavolo dei Grifondoro, prima di lui. Nell'attesa di sentire il proprio nome chiamato dalla McGranitt, Peter aveva sperato fortemente di andare dov'era finito lui.
E infatti Peter Minus in divisa rosso e oro era un conosciuto e rispettato Malandrino e lì fuori- in quell’ ambiente che non lo riconosceva come tale- in mezzo a quei mostri fluttuanti e alle maledizioni non sarebbe stato il ragazzo grassoccio che non sa evocare un Patronus e che molto probabilmente verrà prosciugato da un Dissennatore perchè aveva loro al fianco.
“Loro non potranno proteggerti là fuori, Lily!... Fuori da qui Potter è nulla!... Io so cosa c’è là fuori”.
Fece un profondo respiro sentendo uno strano calore scaldargli il petto e la mano, sempre più stretta alla bacchetta.
Mocciosus era uno schifoso bugiardo, bugiardo ed invidioso. James, Sirius e Remus sarebbero stati i migliori là fuori, loro lo erano sempre ed erano suoi amici, lui era loro amico.
Aveva ragione il Cappello: stravedeva per i suoi amici, non li avrebbe scambiati con nessun’altro al mondo. Con loro al fianco forse riusciva anche ad essere coraggioso, era tutto quello che voleva.
Una scintilla argentata guizzò fuori dalla bacchetta come un timido fuoco d’artificio e gli occhi celesti di Peter si allargarono a dismisura, increduli.
«Pete?!» lo chiamò senza più bisbigliare Remus, seguito dall’improvviso e secco fruscio delle sue coperte. «Era quello che penso io?» gli chiese con voce stranita e sorpresa.
Peter non riuscì a rispondere: quella sensazione era così piacevole e calda, il freddo sembrava essere sparito nel nulla.

Si affacciò da sopra la trapunta rossa e oro per guardare Remus, seduto sul baldacchino di fronte con un largo sorriso emozionato che gli faceva brillare gli occhi assonnati. Lo sentì bisbigliare ‘Lumos mentre scendeva giù dal letto, per illuminare meglio la camera con la luce azzurrina della bacchetta.
«Sveglia! Qui abbiamo una novità!» esclamò Remus lanciando un cuscino a James che aveva comiciato a mugugnare, infastidito non solo dal colpo appena ricevuto sulla schiena ma anche dalla risatina nel letto accanto al suo. Lanciò il cuscino di Remus con l’intenzione di zittire Sirius, colpendo però la candela spenta sul davanzale della finestra.
«Il Cacciatore migliore di Hogwarts, signore e signori» commentò sarcastico Remus avvicinandosi al baldacchino di Peter che, in ginocchio sul letto, osservava la bacchetta come se non l’avesse mai vista in vita sua.
«E dell’intera Gran Bretagna» aggiunse James con voce impastata rintanandosi sotto la pesante e calda coperta vermiglia.
«E poi... del mondo...»
«Prima di diventare campione del mondo dovresti sapere che Peter è riuscito a liberare una scintilla con l’incanto Patronus!... Sirius, piantala di ridere come uno scemo... mi sto vergognando per te...»
«Cosa?» fece allarmato James sollevando la testa spettinata come non mai «Pete! Sul serio?» continuò, cercando di aprire gli occhi senza occhiali.
Forse aveva capito male, forse non era vero che Remus lo aveva svegliato- probabilmente nel cuore della notte- con una cuscinata.
Sognando, stava semplicemente sognando. Era un bene, per Remus, perchè se non stava sognando ed era davvero sveglio alle tre della notte lui non l’avrebbe passata liscia.
«É stata soltanto una scintilla...» balbettò Peter staccando lo sguardo dalla bacchetta per portarlo su Remus che scosse la testa, sorridendogli.
A quelle parole James scattò in piedi, finendo quasi a sbattere con la faccia sul comodino.
«CI SEI RIUSCITO!» gridò entusiasta arrancando per la stanza con la vista sfocata. Remus lo salvò per un pelo dalla stufa bollente, afferrandogli un braccio e lanciandolo molto probabilmente dove lui aveva intenzione di buttarsi: su Peter.
«Partita... già stata? ... Mattina... adesso?» farfugliò Sirius, senza connettere il cervello, svegliato bruscamente dall’urlo di James e dal soffocato grido divertito di Peter ormai schiacciato dal peso dell’amico, intento a dargli pugni giocosi alle braccia.
«É soltanto l’inizio, zuccone che non sei altro! Vedrai tra un paio di giorni!» gli disse James dando un ultimo pugno sul materasso per via dell’essere praticamente cieco senza i suoi occhiali. «Quanti chili hai preso dall’estate? Sei più morbido del mese scorso... troppo morbido... sei sicuro di avere le ossa, Pete?»

«Non respiro...» rispose lui di rimando.
Per fortuna Remus gli liberò il viso rosso ma ridente dalla mano aperta di James che pensava di essere comodamente poggiata sul cuscino.
La bassa risatina di Sirius ricominciò a vibrare nella stanza e James balzò in piedi con un ringhio, scaraventandosi sopra il suo migliore amico senza però riuscire a c’entrarlo.
C’entrò invece in pieno con il ginocchio gli occhiali da motociclista regalati da Peter che Sirius si era portato a letto insieme agli altri regali: il casco da parte di Remus e il set degli strumenti per la manutenzione di James.
 Peter non potè essere più sicuro di così. Se James non gli avesse appena fatto cadere a terra la bacchetta mentre schizzava via come se non fossero state le tre di notte, un’altra scintilla avrebbe brillato in quella semi oscurità.
«A cosa hai pensato, Pete?» gli chiese Remus sedendosi sul letto con lui.
Peter allargò il sorriso. «A voi» rispose semplicemente.
‘Hai diverse potenzialità, Minus... tutte positive... ma credo di aver capito quali vuoi seguire e dove vuoi arrivare. Dato che ne sei così sicuro, sarà meglio non indugiare oltre... GRIFONDORO!’





 

*





 



 La mattina dopo, la finestra non era l’unica ad essere innevata. Le montagne, il parco, la foresta e i tetti della scuola erano interamente ricoperti dalla prima bianchissima e spessa neve della stagione.
Il Lago Nero, completamente ghiacciato, scintillava sotto la fredda luce che filtrava dalle grosse nuvole e dalle alte vetrate della Sala Grande.
Anche se non c’erano lezioni, tutti si erano alzati presto per fare colazione e aspettare La Gazzetta della Domenica per capire cosa fosse davvero successo il giorno prima.
«Buongiorno, Lily».
Lily sobbalzò sulla panca sentendo le labbra di John Owen posarsi con delicatezza su una guancia, la fetta di pane tostato cadde sul piatto sporcando le uova di marmellata.
Mary si schiarì la gola nel tentativo di camuffare una risata. Rimise il cucchiaino dello zucchero al suo posto lanciando  uno sguardo allusivo a Liv che inarcò entrambe le sopracciglia- rese perfettamente normali dal controincantesimo che Lily aveva finalmente trovato- da sopra la tazza fumante di latte.
Lily, la sera precedente dopo la festicciola, era rimasta a parlare con il Corvonero chissà dove per poi farsi rivedere a cena con una faccia confusa che nè Mary e nemmeno lei avevano capito bene.


«Stiamo di nuovo insieme?» esordì Lily afferrando con forse troppo nervoso una coscia di pollo dal vassoio. «Non lo so... forse sì» si rispose da sola riempiendosi il piatto di carote.
Mary non fece in tempo nemmeno ad aprire la bocca che Lily aveva già risposto alla sua domanda prevedibile.

«É una situazione più strana de ‘Il Sogno’? Quasi»
 Mary e Liv sgranarono gli occhi: Non esisteva una situazione che si avvicinava a quella de ‘Il Sogno‘.
Nemmeno il disastroso appuntamento di Liv al quinto anno con il Serpeverde del settimo (spedito dalla fattura di Liv in infermeria con una grave congiuntivite dopo la frase: “Ehi, posso chiamarti ‘Lumos dei miei occhi’? “) si era aggiudicato il ‘Quasi’ nella classifica.
Niente poteva sfiorare il sogno di Mary che al quarto anno l’aveva fatta cadere giù dal letto una notte. Nessuna situazione poteva essere orribile quasi o quanto Gazza e Madama Pince che si baciavano con impeto in una biblioteca grande quanto il magazzino dei detersivi. 

 «Vuoi dirci com’è andata e basta, Lily?» ribattè Liv mollando il cucchiaio nella sua zuppa bollente.
«Csimobcti» farfugliò velocemente lei in evidente imbarazzo. Quando Liv socchiuse gli occhi, perplessa, Lily mollò la coscia di pollo guardandosi alle spalle con fare circospetto prima di ripuntare lo sguardo sulle sue due amiche davanti.
«Ci siamo baciati ed è stato come baciare un manichino» sussurrò spalancando gli occhi verdi. Mary e Liv rimasero in silenzio. Baciare un manichino? 

«L’hai pietrificato per sbaglio?» chiese in un sorriso divertito Mary facendo sbuffare Liv in una risata.
Lily però sembrava molto turbata. «Smettetela! É una cosa seria» mormorò duramente dando un calcetto a tutt’e due da sotto il tavolo. «Non ho provato nulla! Niente di niente! É stato... orribile» concluse, rivolgendosi più a se stessa che alle sue interlocutrici.
Con John era sempre stato piacevole, non capiva perchè adesso si sentiva così strana. Tutto il feeling con lui sembrava rimasto in vacanza.

«Sarà fuori ‘allenamento’... dagli tempo» bofonchiò Mary facendo spallucce. Lily però scosse la testa con lo sguardo incantato sui dolci appena apparsi sul tavolo per finire in bellezza la cena. «Era un suo bacio normale, sono io che non ho sentito nulla» spiegò, cercando di capire il perchè. 
«Si chiama ‘minestra riscaldata’, Lily, minestra riscaldata e anche già raffreddata» la illuminò Liv con tono annoiato.
 


Mary cominciò a mescolare lo zucchero nel caffè e con la coda dell’occhio Liv fu catturata dalla figura di James- seduto molti posti più in là- che quando John aveva baciato Lily sulla guancia aveva raddrizzato la schiena in un modo così innaturale anche per lui tanto da farlo sembrare uno pronto a vomitare.
«Per sopravvivere a questa tortura...» iniziò a dire Lily, abbassando la voce per non farsi sentire da John, appena seduto al tavolo dei Corvonero dietro di lei. «Ci credo che è una tortura» commentò Mary dando un morso alla brioche.
«Mi riferivo a te e Liv che vi lanciate occhiatine!» sibilò Lily assottigliando lo sguardo e puntandole una fetta di pane tostato contro.
«Non possiamo stare normali davanti a...» cominciò a spiegare Liv, arricciando con fastidio il naso quando una piccola piuma grigio fumo ci atterrò sopra.
Una seconda e una terza si tuffarono nella caraffa del succo di zucca e nel vasetto della marmellata di arance, seguite improvvissamente da una un vera e propria pioggia che invase l’intera Sala Grande.
Una valanga di gufi postali mai vista prima planò su tutte e quattro le lunghe tavolate facendo urlare di spavento gli studenti quando alle piume si aggiunsero lettere e giornali arrotolati.
La pioggia di oggetti era così fitta che si faticava a vedere anche il tavolo dei professori con la sedia del preside di nuovo vuota accanto alla McGranitt, decisamente sconvolta come tutti gli altri colleghi ma l’unica in quella tavolata ad essere sommersa di lettere.
«Minerva! Che sta succedendo?!» gridò la Sprite alzandosi dalla sedia per andarle in aiuto.
La McGranitt si liberò dalle buste con un gesto secco della bacchetta, il collo rigido e gli occhi spalancati sopra gli occhiali, puntati sugli studenti.
Per un istante pensò ad un insolito e strambo attacco dei Mangiamorte, ma quando iniziò a sentire le frasi oltraggiate degli studenti che avevano cominciato a leggere le loro pergamene cambiò idea con un certo sollievo.
Afferrò qualche lettera scoprendo che i mittenti erano tutti genitori degli alunni minorenni.
«Temo, Pomona» esordì in tono grave dopo averne aperto una «che d’ora in avanti le gite a Hogsmeade saranno molto meno affollate».  
Tutti i genitori revocavano il permesso per Hogsmeade.
 «Mia madre non può farmi questo!»
«Hogwarts senza uscite!? Ma Silente ha detto che non c’è più pericolo!»
«MIO PADRE VUOLE RIPORTARMI A CASA... È DIVENTATO PAZZO?»
«Non azzardarti a mettere il naso fuori da quella scuola o ti veniamo a prendere prima che tu riesca a dire Accio!... i miei danno i numeri!»
 «E se ti azzardi ad usare il mantello di tuo padre per uscire, te lo brucio! Intesi, James?Mamma non ha ancora capito che adesso è mio e soprattutto che è anche ignifugo» esodì James leggendo la sua lettera. «Sentite mio padre!» aggiunse, poi, aprendo per bene la pergamena. «’Hai sentito tua madre? Te lo brucia. E lo farò anch’io, James! Puoi starne certo, mettici il mantello sul fuoco che lo farò!’ ... ci manca soltanto l’occhiolino d’intesa disegnato».
La risata gli si spense quando, andando avanti con la lettura, vide il seguito della frase del suo adorato padre: ‘Ricordati che hai la Nimbus Mille qui... anche quella finirà nel fuoco, figliolo’.
Sirius rise di gusto, dispiegando la sua. Ti sto custodendo la motociletta, figliolo, ma se farai qualcosa di troppo ‘Malandrino’ la lascerò alle grinfie di Phemia.... e ho detto tutto, vero?”
Forse era l’unico che sorrideva con gli occhi luminosi sulla pergamena, ma non se ne rendeva di certo conto preso com’era a rileggere più e più volte quel ‘figliolo’ che faceva sempre un certo effetto nonostante l’avesse sentito un’infinità di volte da quando era entrato a far parte dei Potter.
‘Remus, tesoro, stai bene? Sappiamo che lì sei al sicuro, per questo sarebbe meglio che tu non partecipassi alle uscite nel villaggio. Tuo padre mi dice di dirti che il Lupo Mannaro che ha ucciso il bambino citato sul giornale è quello della foto che ti abbiamo messo nella busta con la lettera.
Falla vedere ai tuoi amici e mettili in guardia, metti in guardia soprattutto te stesso, tesoro...’

«Scusa, Rem!» gracchiò nel completo imbarazzo Peter mentre la lunghissima pergamena piena zeppa di raccomandazioni della signora Minus invadeva lo spazio di Remus che non riuscì più a vedere quella dei suoi genitori.
«Pete, questo è un metro e mezzo! Se non di più» esclamò sconcertato, aiutandolo a ripiegarla alla bene e meglio.
«Mia mamma è esagerata... come al solito» fece lui in difficoltà tra carta, buste, gufi aggressivi e piume che si sollevavano dal tavolo, imbandito non più soltanto dalla colazione.
In realtà, Sirius non era l’unico che sorrideva come se fosse il giorno di Natale.
Liv aveva appena riletto per la quarta volta la lettera di suo padre per capire bene quale parola le stesse regalando un piacevole calore tra Stai bene? ’, Per fortuna io e tua madre eravamo a casa’ e ‘Se stai lontana da Hogsmeade mi fai un immenso favore’. Gli occhi scuri tornarono indietro per rileggere quella frase senza senso: per fortuna io e tua madre eravamo a casa. 
Che cosa voleva dire? Cosa c’era stato fuori da casa?
«Oh, cavol-ppffst... » soffiò Lily sputacchiando con disgusto una della tante piume che dai capelli rossi le stavano cadendo in bocca. Aprì completamente e contemporaneamente la Gazzetta della Domenica e il Times babbano senza nemmeno rendersi conto di star rovesciando la zuccheriera, sotterrando due gufi, una civetta e le ragazze del primo anno che aveva ai due lati della panca.
«Guardate qua!» chiamò senza fiato, voltando gli enormi  giornali verso Liv e Mary.
I grandi titoli stampati nero su bianco nelle due prime pagine rubavano tutto lo spazio sulla carta.

 


 La Gazzetta del Profeta

 
MARCHIO NERO SCATENA IL PANICO: 
MANGIAMORTE E DISSENNATORI A POCHI METRI DA HOGWARTS

 

 

Il Ministro della Magia Harold Minchum tranquillizza tutti:«La scuola è perfettamente protetta. La sicurezza è stata rafforzata già dallo scorso primo settembre».


«Stiamo facendo il possibile per riappropriarci dei Dissennatori. Ogni singolo Auror del Ministero è sulle tracce di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e dei suoi seguaci» ha affermato questa mattina il Ministro «Nonostante il dissenso di alcuni membri della Confederazione Internazionale dei Maghi, ho provveduto ad avvisare il Primo Ministro Babbano. Abbiamo aspettato troppo! Anni! Questi criminali sono ormai un pericolo anche per la comunità non magica!».
 
Madama Rosmerta (giovane proprietaria del pub ‘I Tre Manici di Scopa’, Hogsmeade): «Dopo aver distrutto la Testa di Porco sono scoppiati a ridere prima di sparire dicendo che non potevano non regalare un tale spettacolo anche ai Babbani» (L’intervista continua a pag. 2).
 

 



 

Il Times

 
TERRORE A OXFORD STREET. 

LONDRA ANCORA UNA VOLTA SOTTO ATTACCO: ESPLOSIONI E CROLLI ALL’ORA DI PUNTA,  30 morti e 150 i feriti tra i quali 20 in grave e anomalo stato confusionale.
 

Il Primo Ministro Challagan*: «Nessun atto terroristico irlandese. É stata una catastrofica fuga di gas, nient’altro. Vi prego di tenere presente lo stato di allerta senza però creare ulteriore panico».

 



Mary rimase con la bocca spalancata anche quando Lily rigirò i quotidiani verso di lei per leggere gli articoli interamente.
Senza rendersene conto, Liv strinse così forte il suo muffin da farlo svanire in piccole briciole tra le mani.
Lily si concentrò sull’espressione del Primo Ministro babbano nella foto immobile. L’uomo sembrava alquanto a disagio, come se stesse cercando di nascondere qualcosa senza grandi risultati.
Quanto doveva essere frustrante vedere la propria nazione in ginocchio senza poter fare niente davanti alla magia.
Sfogliò con frenesia il Times, ritrovandosi davanti agli occhi un’altro articolo politico in cui la leader dell’opposizione, Margaret Thatcher, criticava e attaccava il Primo Ministro dandogli la colpa per gli strani avvenimenti, la crisi, le esplosioni, le inspiegabili morti, gli scioperi, l’umore a terra dei connazionali e le catastrofi naturali come l’anomala gelata che aveva rovinato tutti i campi del West Country dal Somerset al Devon, fino alla Cornovaglia.


«Perchè i miei e mio fratello dicono che sono salvi?!» esclamò allarmata Mary sollevando gli occhi sgranati dalla sua lettera pensando che non succedeva mai nulla nel villaggio di Boscastle*.
«Per questo» disse Lily facendole vedere un’altra pagina.

 




STATO DI ALLERTA

VIOLENTO URAGANO IN CORNOVAGLIA: MEZZA CONTEA IN GINOCCHIO

Thatcher: “Il Governo avrebbe dovuto prevederlo. Nessuno si sente più al sicuro, ormai”.

 



Mary si portò una mano davanti alla bocca, sotto shock. Il chiasso che aveva attorno sembrò sfumare quando, spostando lo sguardo sulla Gazzetta del Profeta, lesse il reale motivo di quel disastro che vedeva muoversi nelle foto in bianco e nero.
 




DISSENNATORI E GIGANTI SCATENANO IL CAOS NEL WEST COUNTRY
L’ ufficio Regolazione e Controllo delle Creature magiche al lavoro 24h su 24: «Troveremo quei Giganti entro domani mattina»

 Ministro della Magia: «Il Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti magici è sceso in campo immediatamente! Abbiamo squadre di Obliviatori al lavoro da giorni» (cont. a pag 5)

 




E ancora, Lily lesse di persone torturate e rapite settimane prima dai Mangiamorte trovate morte, la farmacia di Diagon Alley completamente derubata e, il cuore di Lily saltò un battito, il bambino del Surrey azzannato da un Lupo Mannaro- che nel quotidiano babbano diventava ‘un Rottweiler rabbioso’- morto.
 


 

OSPEDALE SAN MUNGO AL COMPLETO

 

IL REPARTO FERITE DA CREATURE MAGICHE OSPITAVA ANCHE IL BAMBINO BABBANO MORSO DAL LUPO MANNARO
Ippocrate Smethwyck (Guaritore Responsabile): «Abbiamo fatto di tutto per salvarlo ma le ferite e i morsi erano multipli, troppo profondi» 

L’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche apre le indagini: «Data l’assenza di Luna Piena dovrebbe trattarsi di un Lupo Mannaro particolarmente aggressivo e pericoloso. Si consiglia di non vagare da soli per i boschi e i luoghi lontani dalle abitazioni in qualsiasi ora della giornata e della notte, in qualsiasi giorno del mese»

 




Più sfogliava quelle pagine e più Lily sentiva il cuore accelerare, la paura mischiarsi ad una rabbia cieca e incontrollabile.

 




RACCOMANDAZIONI DAL QUARTIER GENERALE DEGLI AUROR: «DIETRO VOSTRA NONNA POTREBBE CELARSI UNO SPIETATO MANGIAMORTE».
Alastor Moody: “Anche il più piccolo comportamento strano da parte dei vostri familiari o vicini va immediatamente segnalato alla Squadra Speciale Auror. Niente scherzi. Non improvvisatevi grandi duellanti o esperti della Maledizione Imperius se non lo siete”. 
 

 

 

 LA CONFEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEI MAGHI: É ANCORA STATO D’ALLERTA SU TUTTI I PAESI, EUROPEI E OLTRE OCEANO
VOI-SAPETE-CHI COME GRINDELWALD? PROBABILE STAFFETTA TRA MAGHI OSCURI

Albus Silente nega ma il Ministro della Magia parla chiaro: «Abbiamo già saputo fronteggiare una simile minaccia, trent’anni fa. Ormai è certo che questa volta è la nostra Gran Bretagna il centro del conflitto, ma siamo pronti, checchè ne dica Silente!»

Il pugno di ferro del Capo delle Forze dell’Ordine Magiche, Bartemius Crouch: «Niente revoca riguardo il permesso di usare le Maledizioni senza Perdono concessa agli Auror mesi fa. Nessuna pietà con i seguaci delle Arti Oscure»

 
 
 

 




L’angolo di Rita
 
ALBUS SILENTE, AGRIFOGLIO SULL’ ALLORO 
UN SIMBOLO DI SPERANZA CHE DORME SUL SUO GLORIOSO PASSATO DA EROE 

Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato non attacca Hogwarts perchè, come ormai tutti dicono, ‘Silente è l’unico di cui abbia paura’ o perchè i due hanno un accordo?



Albus Silente, ‘Il più grande mago vivente’, ’Ordine di Merlino, Prima Classe ’, ‘ Il maggiore difensore dei Babbani e dei Nati Babbani’, ‘Salvatore dell’intero Mondo Magico’ ‘Unico ad aver sconfitto il Mago Oscuro che terrorizzava i continenti’... se ne sta al sicuro nel suo castello impenetrabile e non muove un solo dito davanti alla nuova minaccia che- una ragione in più per alzarsi da quegli allori- prende esclusivamente di mira l’intera Gran Bretagna, l’intera Gran Bretagna ad eccezione della Scuola di Magia e Stergoneria di Hogwarts della quale ne è il preside (approfondimenti a pag. 16).
L’Ordine di Merlino per aver sconfitto Gellert Grindelwald decenni fa pensa forse che sia abbastanza per illuminare la sua figura?
Il vincitore del leggendario duello potrebbe benissimo fare il bis ma sembra proprio che stia  facendo il prezioso, partecipando attivamente con le parole e lasciando però nel matello la bacchetta.
Albus Silente continua a sottolineare la pericolosità di Voi-Sapete-Chi, che sia lui ad avere paura? Oppure cerca di difenderlo in segreto come d’altronde ha sempre fatto con tutti i criminali e i fuorilegge usciti dalla sua amata scuola alla quale rimane aggrappato? Basti pensare al Custode dei Luoghi e delle Chiavi di Hogwarts, Rubeus Hagrid, difeso a spada tratta nonostante fosse stato accusato di aver causato la morte di una studentessa.
Il semplice farsi desiderare, tuttavia, sarebbe di certo in linea con il suo carattere altezzoso che molto spesso sfoggia ai processi del Wizengamot e ai Congressi della Confederazione Internazionale dei Maghi.
C’è da dire, però, che anche l’ultima volta ci ha messo parecchio tempo prima di decidersi a scendere in campo. Un comportamento comunque strano ed inspiegabile per il mago più potente...

Lily storse il naso alle parole della giovanissima Skeeter e voltò pagina con forza, quasi strappandola.
Decise di ripiegare la Gazzetta quando arrivò alle ultime pagine dedicate al Quidditch e all’ultimo singolo del solista degli Hobgoblins, Boardman Stubby* che assomigliava in modo inquietante a Black.
Assottigliò lo sguardo fissando la foto del cantante che faceva un occhiolino e sorrideva sulla carta, e poi riportò l’attenzione sul mondo babbano.
Piegò anche quel quotidiano notando l’articolo sul Tour in America dei Queen e un altro sull’allegra battuta di caccia del Principe Carlo insieme alla sua spasimante Sarah Spencer e la sorella, Diana*.
Il gossip non le era mai interessato granchè e in quel momento lo trovava più insignificante del solito.
 Non sapeva se fosse stata la Skeeter con quelle cattiverie gratuite su Silente e Hagrid, ma si sentiva ingiustamente protetta dalla bolla dorata di Hogwarts mentre fuori regnava il completo caos.
I Nati Babbani come lei venivano ricattati, rapiti, uccisi... e lei invece, al sicuro tra quelle mura, era sul più alto gradino di potere che uno studente potesse avere. Rispettata e ritenuta una ragazza con delle brillanti capacità, scelta tra tutte, mentre nel mondo fuori da quei confini tranquilli valeva meno dell’immondizia.
La spilla da Caposcuola sarebbe valsa meno di un sasso.
Sollevò lo sguardo verso Liv che la guardava a sua volta con gli occhi pieni di un pizzico di paura in più e Mary, con le mani a sorreggerle la fronte e lo sguardo cupo come quello delle persone attorno, fisso sul suo piatto coperto dalla lettera dei suoi genitori e piume.
Restò interdetta notando Marlene McKinnon al tavolo dei Tassorosso, china su Edgar Bones che scuoteva la testa in dissenso a chissà quali cose lei gli stava animatamente dicendo. Di sicuro aveva a che fare con la riunione segreta di Silente.
Iniseme a Liv e Mary, Lily aveva provato a fare delle ipotesi su quello strano legame di quei due con il preside, senza però arrivare a nessuna conclusione.
«Voi-Sapete-Chi peggio di Grindelwald?» balbettò con terrore un ragazzo del quarto anno seduto accanto a Liv. Lily scosse la testa.
«Sai com’è la Gazzetta, George... non prendere per vero ogni cosa che c’è scritto lì» disse, poco convinta come gli sguardi di Liv e Mary, adesso entrambi su di sè.
 



 

*


 


L’atmosfera a Hogwarts rimase tesa e per niente spensierata anche nei giorni seguenti. Le file che si creavano  davanti all’ufficio della McGranitt nelle ore buche o alla cattedra a fine lezione stavano mettendo a dura prova la pazienza della professoressa che una sera a cena si puntò la bacchetta alla gola per amplificare la voce.
«Il prossimo che si metterà in fila davanti a me per chiedermi di riconvalidargli il permesso per Hogsmeade verrà punito! Siete ancora minorenni e gli unici che possono decidere per voi sono i vostri genitori e i vostri tutori!».
Anche il professor Dearborn era stato preso di mira dopo che James- accerchiato da metà scuola venuta a sapere che lui era l’unico a riuscire ad evocare un Patronus corporeo- aveva detto a tutti che il professore di Difesa era bravissimo ad insegnare quel particolare incantesimo.
Come aveva espressamente chiesto Remus, James non accennò nemmeno una volta al fatto che a Hogwarts non era poi l’unico a far saltare fuori un animale dalla bacchetta.
Il pacato e silenzioso lupo argentato che aveva illuminato la camera insieme al maestoso e fiero cervo di James un pomeriggio non aveva fatto piacere a Remus, nonostante i complimenti dei suoi tre amici.
Aveva sperato fino all’ultimo che quella coda arruffata- il primo dettaglio in quella massa di luce abbagliante- fosse di un cane o di una volpe. Anche se Sirius gli aveva detto che era impossibile che tutti scoprissero il suo problema da un lupo come Patronus, Remus rimaneva comunque infastidito. Non si poteva scollare quell’animale dall’anima nemmeno nei giorni in cui la luna non era piena a quanto pareva.
«Forse devo cambiare ricordo...» si ritrovò a dire una mattina mentre tornavano da una lezione di Erbologia per la ricreazione, sfidando un metro di neve.
James trattenne una risata sfregando con forza le mani coperte da spessi guanti di lana per scaldarsi. «Stai forse dicendo che hai un ricordo più felice di quello con noi tre, Lunastorta?» gli chiese con finta indignazione. Peter lo guardò con espressione preoccupata e le labbra gelate di Remus si stirarono in un sorriso spontaneo.
No, non aveva ricordi più belli di quello, era inutile. Non c’era nessun’altro che riuscisse a farlo sentire completamente felice come i suoi amici che agli altri potevano anche apparire degli idioti o dei pazzi completamente andati- e a dir la verità molte volte apparivano così anche a lui-  ma erano tutto, erano la dimostrazione che il lupo e Remus erano due cose distinte.
Sirius, al suo fianco, gli diede una pacca su una spalla per niente delicata. Il gesto d’affetto quasi lo fece cascare sul soffice tappeto di neve, calpestato improvvisamente dalle impronte di Lily e John Owen che gli avevano appena sorpassati a braccetto.
I capelli rossi di Lily spiccavano ancora di più, in contrasto con il bianco scintillante della neve, e lo sguardo luminoso di James si trasformò immediatamente in un cipiglio diabolico spostandosi da Remus alla massa vermiglia e fluente attaccata alla sciarpa blu-bronzo.
Strinse i denti, ricacciando la nausea, e incrociando le braccia al petto accelerò il passo per quanto la neve potesse permetterglielo. Sirius, Remus e Peter rimasero a guardarlo con facce perplesse mentre avanzava con evidente difficoltà tra i cumuli candidi.
«Scusate» lo sentirono sbottare mentre passava con arroganza tra i due, sconvolti. Lily lo fulminò con lo sguardo smeraldino, lucido dall’aria ghiacciata.
«Grazie» fece poi, scontroso, sorpassandoli a sua volta con passo deciso dopo averli forzatamente separati.
Continuò a marciare alzando in modo esagerato le gambe per poter camminare in quel metro di neve nel modo più veloce possibile.
Lily sbuffò con una nuvoletta di vapore osservandolo passare come se niente fosse in mezzo ad una battaglia di neve tra un gruppo di Tassorosso, investendo anche il pupazzo di neve di due  undicenni Grifondoro che gli urlarono dietro con risentimento.
«Sai cosa sta facendo vero? Di nuovo» le disse John decisamente irritato. Lily annuì distrattamente, schiacciandosi maggiormente la cuffia sulla testa.

«Vuole soltanto farmela pagare, come al solito» esordì riprendendo a camminare.
Potter voleva fargliela pagare ma no, non come suo solito in realtà. L’aveva già notato il giorno del Marchio Nero, Potter sembrava non accennare a tornare ‘normale’ e più che borioso assomigliava ogni giorno di più a Gazza nel periodo delle piogge quando i pavimenti del castello diventavano pozze di acqua e fango dalla mattina alla sera.
 Parecchi metri più giù, Mary si strinse nel suo mantello osservando la scena.
«A volte credo che Potter non ce le abbia tutte» commentò rivolta a Liv, rimasta in silenzio con gli occhi socchiusi ancora puntati su James, aggiungendo mentalmente quel comportamento alla lista delle sue stramberie degli ultimi giorni.
1. Potter sta per vomitare a colazione.
2. Potter fa la faccia schifata come se la McGranitt dietro la cattedra fosse nuda. 
3. Potter fissa la porta dell’aula di Antiche Rune, forse scambiandola per una fogna a cielo aperto.
e l’ultima: 
4. Potter crede di essere uno spala neve.
Aveva cominciato a tenere il conto quando, salutando Lily prima della lezione di Rune, si era resa conto dello sguardo folle del Capitano puntato dritto sulla sua amica. A colazione magari non gli era andata a genio la pancetta e a Trasfigurazione aveva avuto nel banco di fronte Piton, tutte cose che si potevano associare alla nausea dipinta nella sua faccia, ma davanti all’aula di Antiche Rune non c’era stato un bel niente di così rivoltante se non si faceva caso a Lily e John che si sistemavano i capelli a vicenda dopo essersi baciati.
Naturalmente, aveva dato fastidio a lei che non sopportava le smancerie e a Potter che però- da quel che ricordava di lui e una certa Wendy con la quale era stato per tre mesi al quarto anno- non era per niente avverso alla galanteria.
Nemmeno lì, nella neve, non c’era stato niente di vomitevole a parte Lily e Owen stretti a braccetto. Più Liv collezionava comportamenti anormali  e più la voce di Remus che le diceva che James era innamorato risultava convincente. Era assurdo.

«Che non le ha tutte è certo. Che è innamorato di Lily è da vedere» sussurrò sentendo Mary aspirare rumorosamente l’aria gelida- tossendo subito dopo- in risposta all’ultima frase.
«Cosa?!» chiese, sconvolta «Ma non è ‘Pottermente’ possibile, dai».
Liv rise e passando accanto a Remus e Peter afferrò la bacchetta dalla tasca interna del mantello, puntandola di nascosto su Sirius.
L’urlo sorpreso e rauco di quest’ultimo, dovuto alla palla di neve che Liv aveva fatto levitare fin dentro il suo mantello e sotto il maglione, echeggiò per l’intero parco facendo sussultare di spavento anche i compagni che risalivano la collina con loro.
 «Questo è per i miei vestiti congelati negli spogliatoi dopo l’allenamento dell’altro giorno... ma non credo ci sia bisogno di spiegarlo, vero, Black?»
 
 


 

*

 
 
 
 


«Uno verticale: Creatura che rinasce dalle proprie ceneri... »
 La voce di Sirius rimbombò dal bagno- trapassando la porta chiusa- e Remus sospirò platealmente dal suo baldacchino.
Quell’abitudine Sirius non l’avrebbe persa nemmeno andando ad abitare insieme alla regina. L’abitudine di fare il cruciverba quando andava in bagno, l’abitudine di farlo a voce alta, l’abitudine di costringere tutti a partecipare e quindi a stare in dormitorio quando lui si chiudeva in bagno a ‘concentrarsi’ in orari improbabili come in quel momento, dopo cena, prima della ronda.
Remus si rigirò tra le mani la foto del licantropo che gli aveva inviato suo padre con la lettera, memorizzando altri dettagli fisici a parte quei denti volutamente affilati che ogni volta attiravano la sua attenzione.
Era come se li avesse già visti da qualche parte senza però ricordarsi dove. James gli aveva detto che una dentatura simile non l’avrebbe potuta trovare nemmeno alla Testa di Porco ad Halloween. 
 Suo padre non gli aveva dato il nome, ma tanto a cosa sarebbe servito? La prima cosa che avrebbe fatto ritrovandoselo davanti non sarebbe stata di certo salutarlo, chiamandolo per nome.
L’unica cosa che riusciva a pensare era che quello non era di certo un lupo mannaro normale, per quanto un lupo mannaro potesse esserlo.
Come c’era scritto sulla Gazzetta, era particolarmente aggressivo e pericoloso, con la luna non c’entrava niente... più che a lei, obbediva a Voldemort. Per questo, per quanto cercasse di sforzarsi di provare pietà per lui come la provava per quello che aveva morso lui quando aveva quattro anni, Remus non riusciva a non trovarlo solamente rivoltante.
 «ALLORA? Creatura che rinasce dalle proprie ceneri. É facile»
«Sirius, fatti quel cruciverba per conto tuo così come dovresti fare con i tuoi bisogni»
«No, Remus. La risposta era: Minerva McGranitt. Lo sanno tutti che è un demone di duemila anni che vive muore e risorge tra le fiamme della sua stessa furia ogni giorno»
«Io avevo pensato alla fenice» borbottò Peter alzandosi dal tappeto invaso da pergamene con gli appunti che James gli aveva lasciato prima di andare nell’antro dei Serpeverde a fare la spia per la squadra.
«Sempre il solito*, Pete» sghignazzò James, sdraiato pancia in sù sul letto di Sirius, senza fermare le dita che cercavano di sciogliere i nodi del lungo capello rosso di Lily, conservato con cura da settimane.
Ogni volta cercava di farlo quando tutti gli altri erano impegnati con le loro cose anche se Sirius- Stronzo- l’aveva beccato più di una volta.
Sono io quello giusto che ti piaccia o no, capelloQuasi spezzandosi i denti dal nervoso e dalla forza per sciogliere un nodo, James assunse un’espressione che Remus si limitò ad osservare in silenzio, accigliato- Pensala come vuoi ma è così. Nessuno mi fa sentire imperfetto, sbagliato e  stupido per niente, deve per forza esserci sotto qualcosa di vero!
«James? Che significa che devo ‘stare attento se dicono schema numero due’?» esordì Peter avvicinando il naso appuntito alla pergamena degli appunti.
Remus sollevò entrambe le sopracciglia, contagiato da quelle di James che aveva la faccia sempre più trasformata dalla concentrazione.
«Significa...» cominciò lui con lentezza- un’unghia mangiucchiata gli graffiò il polpastrello che teneva fermo il sottile capello rosso- « ... quello che che hai letto, Pete. Cos’altro può significare? Se lo nominano siamo messi peggio di Gazza al secondo anno».
Peter annuì, afferrando una piuma per sottolineare quella raccomandazione. Essere messi peggio di uno rinchiuso in uno sgabuzzino sapientemente addobbato di Caccabombe pronte ad esplodere era grave. Prima di intingerla nell’inchiostro però si fermò, risollevando la testa verso James che adesso Remus paragonava ad una vecchia intenta ad infilare alla cieca il filo sulla cruna dell’ago.
«Ma devo andarci adesso?» chiese, per niente voglioso di trasformarsi in topo.
Se ripensava al terribile incubo vissuto giorni prima- quando James l’aveva mandato a spiare Regulus per sapere qualcosa- si sentiva di nuovo il respiro mancare.
Il pensiero di Liv che lo catturava, ignara di aver preso lui, e lo congelava per fare lo scherzo dei Topoghiacci a Sirius si era aggiudicato il primo posto nella lista dei ricordi da evitare.
«No, Pete...» fece James, ormai con gli occhiali calati sulla punta del naso «Gli allenamenti di quelle merde che ci interessano sono quelli che parlano di noi... dopo la partita Corvonero-Serpeverde... ».
Peter sembrò riprendere colore.
 «Quattro orizzontale: diventa rossa se hai dimenticato qualcosa... »
«La Ricordella!»
«No, Coda: Mamma della fidanzata quando ti dimentichi le mutande da lei»
 Il colore appena ripreso da Peter diventò lo stesso rosso delle tende dei baldacchini.
 «E tutta questa frase ci sta nelle caselle...» fece Remus, sarcastico, spostando lo sguardo scettico verso il soffitto.
«Vogliono la sigla, Lunastorta» ribattè dal bagno Sirius.
Nonostante l’idiozia nell’aria, Remus non riuscì a fermare il sorriso identico a quello di Peter e di James che rise apertamente nonostante il capello di Lily assomigliasse più ad un nido aggrovigliato che ad uno spago.
 «Trenta, Verticale: Ingrediente principale per la Bevanda della Pace»
«La tua testa se non metti quel giornale da una parte, Sirius»
«No. Mi dispiace, Remus, non ci sta nelle caselle... »
«Nemmeno con la sigla?»
 Questa volta la risata arrivò anche dal bagno.
 «Un’altra, Felpato. Vai» lo incitò James, fulminato immediatamente dallo sguardo ammonitore di Remus.
«Un attimo. Pausa concentrazione. Lo dico sempre che il cruciverba funziona»
 «Ok, quindi noi possiamo andare» fece Remus, poggiando la foto del Lupo Mannaro sul comodino prima di alzarsi, lanciando uno sguardo a James nella speranza di vederlo assumere di nuovo le sue sembianze da studente diciasettenne che non lavora a maglia o qualsiasi cosa stesse facendo l’ottantenne che invece continuava ad impossessare il suo corpo.
«James, qualsiasi cosa tu abbia lì- che tra parentesi ti sta facendo perdere i pochi gradi di vista che ti rimangono- : mollala»
«Non ho sentito lo sciacquone» rispose lui come soltanto un Malandrino- abitante di quel luogo ormai comandato da dinamiche che nessuno lì osava cercare di capire o spiegare- poteva fare.
E Remus, altrettanto Malandrino e quindi cosciente portatore del significato di quella frase, non si mosse. Restò lì, in piedi, a domandarsi quando, di preciso in quei sei anni, aveva deciso di obbedire ad uno sciacquone che stabiliva la libertà delle persone in quella stanza come la campanella alla ricreazione.
 


 

 
 *

 



«Abbiamo finito, potete tornare in Sala Comune» fece Lily osservando i Prefetti davanti a lei annuire consenzienti alla fine della riunione generale che facevano una volta al mese. Regulus Black fu quello che le diede le spalle per primo, seguito a ruota da Barty Crouch. Piton non si era presentato nemmeno quella volta.
Ripiegò la pergamena con i punti che avevano toccato quella sera e fece un bel respiro prima di avanzare verso i sotterranei sotto l’occhio attento di James, appena arrivato di corsa con Remus che si teneva un fianco con sofferenza accando ad una Mary allibita.
«Evans?» la richiamò James, andandole dietro. Lily non si fermò.
«Credo di essermi perso qualcosa»
«Qualcosa come un quarto d’ora di riunione, Potter, sì»
«Un quarto d’ora essenziale per l’intestino di Sirius».
Lily evitò appositamente di indagare o chiedergli se nel cranio avesse pungiglioni di Celestino essiccati, non solo perchè le aveva ricordato quanto fosse poco responsabile facendo tardi, ma anche perchè l’intestino di Black era paragonabile, per importanza, alla polvere sulle armature.
 James sì fermò davanti alle clessidre, guardandola scendere nei sotterranei con passo malfermo, di certo non da lei.
Senza pensarci, la seguì.



 

*




 «Deanne» chiamò Lily a metà corridoio semibuio. Il Prefetto Serpeverde donna del settimo anno si fermò, girandosi a guardarla interrogativa e gentile. Lily si morse il labbro stringendo saldamente la bacchetta che emanava una luce azzurrina, mille pensieri in testa. Scosse la testa e le fece segno di continuare a camminare verso la sua Sala Comune prima di voltarle le spalle per prendere il corridoio opposto.
Buttò fuori con difficoltà l’aria intrappolata in gola e aumentò il passo per sentire maggiormente il rumore delle scarpe sul pavimento in pietra.
Erano giorni che quando scendeva lì si sentiva i polmoni appesantirsi come se si stessero riempiendo d’acqua. Il primo giorno aveva dato la colpa all’ambiente umido ma più passava il tempo e più capiva che quella fastidiosa sensazione era soltanto ansia.
Spezzare il silenzio con il rumore dei suoi passi le dava più sicurezza. Per ottenerla, però, a spezzare il silenzio doveva essere lei, non qualcos’altro di sconosciuto alle sue spalle.
Sollevò la bacchetta, voltandosi così velocemente da frustarsi il viso con i suoi stessi capelli rossi.
«Potter!» sbottò vedendoselo davanti. James sollevò le mani in segno di pace e Lily si diede mentalmente della stupida. Sbuffò con stizza, riabbassando l’arma.
«Chi pensavi che fossi?» le chiese pacatamente James arrivandole al fianco. La vide indurire i lineamenti mettendosi le mani sui fianchi soltanto per mezzo secondo perchè, subito dopo, se le strofinò con imbarazzo sulla gonna della divisa come per asciugarle.
«Nessuno» rispose scontrosa «Dovresti essere di sopra»
«Lo so, ma mi sei sembrata parecchio instabile prima» le disse prima di correggersi immediatamente quando lei gli lanciò uno sguardo tagliente. «Instabile nel senso che camminavi sbandando... insomma, sembra che stai male» continuò sbrigativo, osservandola rimettersi le mani sui fianchi; non aveva allentato la presa sulla bacchetta, come se fosse ancora spaventata. 
«Sto benissimo, grazie» fece lei, stranita.
Adesso Potter si interessava alla sua salute fisica? Voleva distruggere anche quella a parte quella psicologica già andata a farsi benedire al terzo anno? Possibile ci volesse un Marchio Nero per rendere Potter responsabile e maturo?
Lily si bloccò.  Aveva appena inserito le parole ‘responsabile’ e ‘maturo’ in una frase con Potter, senza accompagnarle a ‘quanto la linguaccia di Petunia a quindici anni’.
Picchiettò le dita sui fianchi per creare indifferenza mentre sentiva lo sguardo di James squadrarla da capo a piedi prima di soffermarsi sui suoi occhi.
«Hai paura di qualcosa, Evans»
«Paura dei tuoi capelli, sì»
«Te lo leggo negli occhi, è inutile che menti»
«La devi smettere con questa storia della lettura dei miei occhi, va bene? A mala pena riesci a leggere una pagina intera di Pozioni».
James arcuò un sopracciglio con fare divertito e provocatore.
«Come se fosse la stessa cosa, Evans. Uguali, i tuoi occhi e quelli del pescepalla da buttare nel calderone... identici».
Lily morse di nuovo con forza il labbro inferiore, trattenendo un piccolo sorriso divertito pensando contemporaneamente che sì, aveva paura, chiunque l'avrebbe avuta dopo aver trovato delle frasi nere sui muri che presagiscono la propria morte per affogamento nel lago o per fatture mai sentite nominare.
Frasi che ogni sera si impegnava a pulire senza farsi notare dai Prefetti; frasi che la prima volta l’avevano fatta ridere ma che poi, pensando a Mary e al fatto che si erano davvero azzardati ad attaccarla, le avevano soltanto scatenato una furia incontrollabile.

Non pensavo che prima di diventare Mangiamorte fosse necessario farsi una vita ad Azkaban! Potete stare certi che, anche se fareste tutto in segreto, troverei un modo per far sapere a tutti chi mi ha ‘ammazzato’, anche a costo di scrivermelo in faccia con il mio stesso sangue mentre uso il mio ultimo respiro per mandarvi affanculo!”

Furia incontrollabile ed una strana e fastidiosa ansia, l’ansia collegata al pensiero di Piton che non si era mai presentato alle riunioni di settembre e ottobre, saltando anche l'ultima di novembre e che quindi poteva benissimo scorrazzare con Avery, Mulciber e un pezzo di carbone in mano, la sera.
Indurì lo sguardo, cercando di farlo apparire normale. Come diamine aveva fatto Potter a leggerlo un’altra volta? La prima era stata di sicuro fortuna.
«Evans»
«Senti, Potter, va tutto bene, ok? Come vedi non c’è niente fuori posto quindi grazie per la visita, puoi benissimo andare»
«Niente fuori posto? Niente?» ribattè James non riuscendo più a controllare la rabbia che si teneva dentro da settimane ogni volta che vedeva Lily scendere in quel tugurio buio. «Tu! Tu sei fuori posto qui!»
Lily spalancò la bocca, colma di indignazione. «Come, scusa?» chiese sollevando un po’ troppo la voce.  
«Sei nel covo di quelli che odiano il tuo sangue!» sbottò lui, agitando una mano per aria come a voler indicare i Serpeverde rinchiusi nella loro Sala Comune in un punto non precisato di quell’ambiente.
«Sono nella mia parte del castello, Potter!» ruggì lei «Proprio come tu hai la tua, io ho la mia! Questa! Che non è il covo di quelli che mi odiano!»

In quel momento non fu l’ansia a farle stringere la bacchetta, era la rabbia mista all’orgoglio di non voler ammettere che lui aveva ragione, in un certo senso.
Le minacce sui muri vicino alle torce ne erano la prova. Ma non l’avrebbe detto a nessuno, e soprattutto non sarebbe andata via da lì nemmeno morta. Era quello che volevano gli autori di quelle frasi orribili e lei non aveva nessuna intenzione di soddisfarli.
Che cosa avrebbe fatto allora una volta fuori da Hogwarts? Si sarebbe nascosta in un posto dove ‘quelli che odiavano il suo sangue’ non c’erano? Peccato che tutti i posti, lì fuori, erano invasi da loro ingiustamente. L’intera Gran Bretagna era anche sua, era di tutti quelli che volevano starci.
La faccia di James assomigliò in modo incredibilmente simile ad una palla di carta stropicciata, furia e autocontrollo mal trattenuto combattevano per avere la meglio sull’altro. Lei non era tranquilla, si vedeva lontano kilometri.
«Mi credi stupida, Potter?»
«Non volevo dire che sei...»
«Pensi che qui da sola io non sarei in grado di far tacere due stupidi che si credono Mangiamorte?»
James esitò. No, non pensava che Lily non fosse in grado di difendersi. Era brava con gli incantesimi, la più brava, ma...
«Allora è questo che pensi?» sbottò Lily, sentendo un certo fastidio davanti all'esitazione molto simile a quella di Severus quando non rispondeva alle sue precise domande. Anche Potter avrebbe tenuto la bocca chiusa? 
«Saresti in minoranza, Evans. Quei codardi non attaccherebbero mai da soli».
Lily restò a fissarlo con gli occhi ancora pieni di rabbia e il fiatone a sollevarle e abbassarle velocemente il petto facendo scintillare il suo distintivo.
Era quello il problema, Potter l’aveva c’entrato in pieno e continuava a c’entrare in pieno anche lei, fissandola con due attenti occhi nocciola seminascosti dalle lenti che riflettevano il fuoco della torcia più vicina.
Nel modo più assoluto, non capì quello sguardo. Non perchè non avesse mai visto uno sguardo sincero in vita sua, ma perchè non aveva mai visto uno sguardo sincero su Potter. Era davvero sincero e no, non riusciva a riconoscerlo o trovarlo normale, in quegli occhi. Forse perchè ancora non aveva metabolizzato del tutto quello serio che aveva assunto durante l’emergenza Dissennatori mentre tirava fuori il lato rosso della mela verde tanto lodata da Silente che adesso vedeva anche lei.
Ma il punto era un’altro: per quale assurdo motivo si stava preoccupando di quello che faceva o che poteva capitarle? 
«Resto io, qui, Evans. Non avranno motivi o scuse per sfoggiare tutta la loro ignoranza e malattia mentale che gli fa credere sull’esistenza di sangue sporco e pulito» propose lui, tranquillamente.
Lily però strinse con forza le dita sui fianchi, sentendo l’orgoglio pungere.
«Qui ci sto io fino alla fine dell’anno perchè sono Caposcuola e questo è il mio posto. Questione chiusa».
James assottigliò gli occhi ricambiando il suo sguardo di sfida. «Sei più testarda di uno gnomo in giardino, Evans!» sbottò «Pazzesco!»
La vide far cadere le braccia dai fianchi quando decise di lasciarla da sola anche se la situazione lo preoccupava, forse anche più di quanto riuscisse ad ammettere a se stesso.
Le diede le spalle e si allontanò velocemente, sentendo però una strana forza tirare come un elastico che voleva riportarlo da lei.
Ma Evans era stata chiarissima, come sempre d’altronde, ed incredibilmente determinata anche se aveva paura. Per questo era coraggiosa. “E tu, per questo, sempre più fottuto, fratello”.
 
 



 

*

 


 

 



 
La neve che continuò a cadere e la partita Corvonero-Serpeverde a metà del mese erano state le uniche cose che avevano rallegrato le settimane di novembre, almeno per gli amanti della neve e per i Serpeverde che avevano vinto 170 a 40. Non di certo per i Corvonero, soprattutto per Allock che era stato trasportato in infermeria dopo essere caduto da tre metri d’altezza per colpa di un bolide di Flitt e di una mazzata strategica ai ramoscelli della scopa da parte di Mulciber.
«Flitt sarà tuo, Harrison. Liv, hai visto la mossa di Mulciber?»
«Era sleale, James»
«Sleale. Infatti non ti sto dicendo di metterla in pratica, ma di tenerlo a mente quando avrai quel bastardo alle costole, a febbraio. Michael! Occhi incollati su Montague. Quella pergamena deve essere piena quando Madama Bumb fischierà la fine! Al prossimo allenamento vi interrogherò anche sul colore delle mutande dei vostri rispettivi avversari».

Prima di assistere alla partita, James aveva rifiutato di fare la cronaca al posto di Allock –dando quel compito a Ned- per circondarsi della sua squadra dopo averla trascinata nella prima fila degli spalti in modo tale da mettere in pratica la lezione teorica più importante di tutte: Osservare Il prossimo nemico’. 
Nessuno si stupiva più del fatto che Capitano e Cercatrice si chiamassero per nome e non più con il cognome.
Dopo la partita vinta, il rispetto che si davano sul campo si era esteso non solo agli allenamenti, ma anche in Sala Grande, a lezione e in Sala Comune.
La McGranitt si dichiarò immensamente grata al Quidditch che a suo dire unisce cani e gatti, sia ringraziato anche il cielo’. Lily invece ne era rimasta confusa, così come Sirius. Molto spesso, entrambi si ritrovavano la stessa espressione allibita davanti ai due loro migliori amici che parlavano senza lanciarsi incantesimi come un giorno di metà novembre, a pranzo.
 «James»
«E va bene, tieni... ma dovresti andarci piano con i dolci, Liv»
«Io sono sicuramente più in forma dei tuoi capelli»
«Molto spiritosa».
 Lily abbassò lo sguardo furtivo sui due fagiolini rimasti sul piatto quando incrociò quello di Sirius.
Affondò i denti sul plum-cake al limone, fingendo indifferenza così come fece lui con un bignè.
Sentì Mary ridere sottovoce al suo fianco, di sicuro pensando alle parole di Liv dell’ora precedente, a lezione di Incantesimi.
“Parliamo solo di Quidditch. Tranquilla, tu puoi continuare a chiamarlo idiota come io facevo con Piton”.
 «James» esordì Sirius guardando l'amico soffocare con un enorme pezzo di torta in bocca e gli occhi puntati sulla figura sempre più vicina di John Owen il Corvonero. «Non voglio spendere nemmeno uno zellino dell’eredità di mio zio per comprare i fiori ad uno morto per ingozzamento da cibo».
James non ribattè, impegnato a non risputare sul piatto l’enorme boccone di torta alla melassa perchè quella deliziosa creatura di zucchero non poteva essere sputata o vomitata nemmeno con John Owen davanti.
 «Lily, andiamo? Siamo in ritardo per Antiche Rune» esordì il Corvonero chinandosi sulla panca per lasciare un bacio a fior di labbra ad una Lily che con le guance piene di plum-cake si alzò di scatto, raccattando borsa e libri sotto lo sguardo esterrefatto di Mary.
«Sì, Lily, ci vediamo direttamente a Trasfigurazione» le rispose Liv traducendo in parole l’espressione e i gesti dell’amica che si allontanava con il suo ragazzo.
 «Limonata in biblioteca?» commentò ridente Sirius. Peter tossicchiò dentro al calice di succo d’arancia e Remus si schiarì piano la gola lanciando un’occhiata a James, rosso come i mirtilli in bilico sul naso di William Johnson lì davanti. Perchè la preparazione ai G.U.F.O. è così pressante che non ti dà nemmeno il tempo di partecipare a scommesse idiote con il cibo. Vero, Johnson? 
Lasciando da parte il sarcasmo e i rancori per ignari compagni di Casa quindicenni, Remus non potè non notare anche lo sguardo di Liv posato su James con attenzione.
«Limonata? Potrebbero farla solo se ci fosse un albero di limoni nel parco» si lasciò sfuggire Mary pensando che Lily ancora non riusciva a baciare John per più di un minuto scarso.
Liv le pizzicò una gamba da sotto il tavolo e James prese un secondo boccone di torta, forse leggermente troppo grande per le dimensioni della sua bocca. Tossì, sputacchiando briciole ovunque, e nonostante gli sguardi allarmati di tutti puntati addosso continuò a masticare con furia aggrotttando ulteriormente le soppracciglia sopra la montatura rotonda degli occhiali.
La torta non avrebbe di certo colmato i vuoti d'imperfezione che quel Corvonero riusciva a fargli sentire addosso, ma immaginare che quella dolce pasta morbida fosse il suo cervello, il suo cuore o i suoi polmoni dava una certa soddisfazione.
«Perchè potrebbero solo se ci fossero limoni al parco?» chiese incuriosito Sirius con una luce negli occhi che a Liv fece scattare un altro campanellino. Che c’è, Black? Sondi per caso il terreno nemico?
«Un altro perchè lo chiedo io a te, invece» sbottò, fissandolo concentrata per non farsi sfuggire neanche la più piccola rughetta attorno al suo mezzo sorriso beffardo.
«Perchè cosa, Olivia? Ti ho già detto che i Calderotti ripieni di letame di drago erano il minimo dopo i tuoi Topoghiacci con veri topi ghiacciati presi da chissà dove».
Peter rabbrividì visibilmente facendosi sfuggire la forchetta e l’occhio di Liv lo squadrò per qualche secondo prima di tornare su Sirius.
«Presi apposta dai sotterranei, Black, per farti ancora più schifo. Ma la questione è un’altra: perchè ti interessa sapere come si baciano Lily e John?»
Remus sorrise, affabile, afferrando la tracolla.
«Ehm... credo che il pranzo sia finito. Non vorrete sprecare un’ora buca...»
«Certo che no, Lunastorta» ringhiò James alzandosi dalla panca con un tono che la mente di Remus avvertì come l’inizio dell’Apocalisse. Lo vide marciare tra i tavoli senza nemmeno portarsi via la borsa.
 «Mary, non vieni? Cura delle Creature Magiche inizia tra due minuti» la richiamò Bettie Wood dal tavolo dei Tassorosso.
Mary storse il naso, quasi dispiaciuta per la strana situazione che stava per lasciare.
C’era una curiosa aria sopra quel tavolo, aria che preannunciava rivelazioni importanti.
 Remus la guardò per un attimo prima di grattarsi la nuca e alzarsi.
«Ok, noi andiamo... Pete... Sirius» disse, afferrando al volo la borsa di James con il desiderio che fossero i capelli di Sirius stesso.
Lui però non si mosse, al contrario di Peter che balzò via dalla panca, incurante della pioggia di briciole caduta sul pavimento.
«Bettie, ti raggiungo giù» la salutò Mary fissando con interesse gli sguardi di Sirius e Liv che avrebbero potuto fare concorrenza a quelli raggelanti e penetranti di Piton.
Non aveva nessuna intenzione di perdersi di nuovo qualcosa- non tornando viva al castello- per colpa del professor Kettleburn e dell’Occamy da addestrare. L’ultima volta, l’intera classe aveva rischiato di rimanere schiacciata da quella creatura nella capanna di Hagrid che aveva concesso al professore di usarla come aula per un’ora, a costo però di poter assistere alla lezione con il ‘cucciolino adorabile, Silvanus! Roba mica da poco!’.
 «Dobbiamo stare così ancora per molto, Olivia?»
«Dipende da te, Black»
«Dipendesse da me, a quest’ora saresti tra le candele sopra le teste di tutti»
«Le teste di tutti eccetto la tua perchè tu staresti al posto degli stendardi dei Serpeverde di conseguenza»
«Perchè non dei Corvonero o Tassorosso?»
«I Corvonero e i Tassorosso non ti userebbero come bersaglio per fatture. Ma non cambiare argomento. Sto aspettando»
«Aspettando cosa?»
«Una risposta, Black»
«A quale domanda, scusa?»
Le unghie di Liv graffiarono con nervoso represso il legno già rovinato del tavolo e come se niente fosse lui le seguì con compiacimento.
Lo sbuffo di Mary spezzò la tensione.
«Va bene, ho capito. Qui siamo alle solite. Black non parlerà. Veramente snervante... voi due siete snervanti!» sbottò alzandosi in contemporanea a Ned Stevens dal tavolo dietro che salutò Liv con un buffetto amichevole su una spalla.
Lei staccò gli occhi da Sirius per poterlo salutare con un sorriso e gli occhi grigi lasciati da parte si assottigliarono.
«Stai andando da Kettleburn?» fece Ned, rivolgendosi a Mary che annuì scavalavando la panca senza staccare gli occhi dai due litiganti. «Sì, muoviamoci o non lo ritroveremo intero. Ciao, Remus» salutò, prima di allontanarsi insieme al Tassorosso quasi di corsa, lasciando Remus con una mano a mezz’aria.
«James è davvero innamorato di Lily?» esordì a bassa voce Liv senza cedere con lo sguardo, di nuovo fisso su Sirius. L’unica cosa che lui fece fu inclinare leggermente la testa con ancora gli occhi socchiusi.
Per non continuare a creare solchi sul tavolo- facendolo assomigliare ad un campo arato- Liv irrigidì le labbra spostando lo sguardo su Remus che deglutì a vuoto accennando un sorriso incerto.
«James è davvero innamorato di Lily?» gli chiese senza però ottenere risposta nemmeno da lui. Remus era sempre stato difficile da decifrare, in quel momento lo era ancora di più.
Senza più pazienza, Liv poggiò direttamente i palmi della mani sul tavolo puntando Peter che, come si aspettava, sussultò torturandosi le piccole mani. Alzando un sopracciglio lo fece sudare freddo.
«James è davvero innamorato di Lily» affermò in un sussurrò Liv, battendo le mani sul tavolo facendo sussultare William Johnson e i suoi mirtilli che dal naso rotolarono per terra.
Sì alzò senza nemmeno badarci e, tracolla in spalla, s’ incamminò verso l’uscita della Sala Grande, sorda alle proteste di William e al richiamo di Sirius che saltò immediatamente giù dalla panca dimenticandosi della borsa. La rincorse sotto l’occhio torvo di Jane Phillips e quello di Remus, sicuro di non essere un facchino o un mulo da soma.
«Stai andando a dirlo a Evans?»
«Spostati, Black».
Con una spallata al braccio Liv si tolse Sirius da davanti per continuare a salire la grande scalinata in marmo affollata di studenti. Non aveva nessuna intenzione di andare a dirlo in giro, non era mai stata pettegola e non lo sarebbe mai diventata. La Sala Comune era il suo unico pensiero, insieme alla marea di centimetri di pergamena per il tema di Trasfigurazione da stilare.
«Dovrai passare sul mio cadavere» scherzò lui sbarrandole di nuovo la strada appena misero piede al primo piano. 
«Con molto piacere» rispose lei sfilandosi la bacchetta dalla tunica nera «anche se non sto andando da Lily» precisò in tutta onestà guardandolo ridere brevemente, rilassando le braccia sui fianchi.
Approfittò di quell’attimo per sgusciare via verso la seconda scala che cominciò a muoversi, occupata per metà da un gruppo di ragazzine Serpeverde.
«Non dirai nulla a lei? Sul serio?» La voce di Sirius al suo fianco le fece capire che era riuscito a "cambiare insieme alle scale".
«Sei credibile quanto Peter quando dice che non è stato lui a ‘mollare’, Olivia»
«Ho detto che non sto andando da Lily. Ma la notizia potrebbe sfuggirmi mentre parliamo, se uscirà l'argomento. Non ho questa fretta di rivelare lo scoop e non m'interessa nemmeno».
Sirius si morse il labbro, superandola per trattenerla prima che la scala si fermasse al pianerottolo davanti. La vide chiudere gli occhi, esasperata, determinata, bella.
«No, non hai capito» mormorò allungando le braccia verso di lei per cercare di prenderle piano i polsi e non farla muovere, riuscendoci. La pelle sotto le sue mani era morbida, calda; sentendo il battito improvvisamente accelerato di Liv pulsare nelle vene contro i suoi palmi si sentì andare a fuoco. Sirius la guardò negli occhi, storditi quanto i suoi.
«La cosa non deve ‘sfuggire’ nemmeno per sbaglio» le disse con voce instabile. La sentì sospirare quasi impercettibilmente, ma i suoi polsi circondati dolcemente dalle sue dita restarono lì, come se le stesse piacendo esattamente quanto stava piacendo a lui.
«Potter innamorato di Lily potrebbe benissimo essere paragonato ad un drago in Sala Comune, Black» ribattè Liv in un sussurro percepibile soltanto a lui, facendogli capire che non aveva davvero intenzione di spifferare la cosa a tuttti come se fosse stato un qualsiasi pettegolezzo; come facevano tutti in quella scuola. Sirius sorrise per quello e Liv, rendendosi conto di quell'intimità che la stava mandando a fuoco, allontanò con un lento gesto fluido i polsi sotto le dita di Sirius che la lasciarono libera senza opporre resistenza, bollenti.
Liv salì di un gradino, il cuore in gola forse come Sirius vista la sua giugulare pulsante sul lungo collo, mentre le due donne dell’ottocento nel quadro appeso a sinistra li guardarono come se fossero chissà quale scandalo.
«Lily crederebbe ad un drago in Sala Comune?» continuò Liv, fissandolo negli occhi grigi concentrati esclusivamente sui suoi come se non vedessero altro. «No, nessuno prenderebbe sul serio la notizia di un drago in Sala Comune quindi significa che l’unica cosa che farebbe Lily sentendola sarebbe ridere».  
Lo spostò di lato, cercando di ignorare la stranissima tensione che quella vicinanza aveva scatenato tra i loro corpi e profili, e pestando con sfida il piede sul pianerottolo riprese a camminare tra i gruppetti di studenti che parlavano tranquillamente tra loro.
«Tu però ci credi» le disse in un sussurro rauco Sirius, di nuovo al fianco, con un tono velatamente furbo che Liv colse chiaramente, insieme al suo respiro troppo vicino all'orecchio coperto subito da brividi che le invasero anche la nuca e le braccia.
«Io ci credo perchè me l’avete praticamente detto voi»
«E a Evans glielo diresti tu»
«Lily non crederebbe nemmeno a me e non capisco perchè dovrei avere l’intenzione di dirglielo o di convincerla. Sta con John, che vi piaccia o no, e continuerebbe a non voler uscire con James» concluse Liv mettendo piede al terzo piano.
Sirius, trattenendo la voglia impetuosa di toccarla di nuovo, restò interdetto vedendola voltare a sinistra verso il muro invece di puntare dritto sui gradini. Si costrinse a non imprecare ad alta voce mentre la vide sparire dietro l’arazzo con disinvoltura. Guardandosi furtivamente attorno per non farsi notare, la seguì scostando con un gesto nervoso la stoffa colorata.
«Come sai di questo posto?! Si può sapere?!» le sbraitò dietro senza rallentare l’andatura veloce che ormai avevano entrambi. Quella ragazza era l'unica capace di sorprenderlo in ogni occasione. Non riuscì a capire se la cosa lo infastidisse o, al contrario, l'eccitasse.
«Potreste metterle due o tre torce in questa topaia, comunque» commentò Liv con noncuranza prima di accendere la bacchetta. Sirius assunse un’espressione ancora più confusa e allibita.
«Cosa?» le chiese, sconcertato da quel consiglio sull’arredamento. Cominciava a sentire il fiato corto.
«Vedi di fermarti all’istante, Olivia, e soprattutto di giurare di tenere la bocca chiusa»
«Non-sto-andando-da-lei»
«Dico in generale! Parlarle in generale. Non m’interessa se si mette a ridere, se non ci crede o se ci crede e non gliene frega nulla: non lo deve sapere»
«Quanto la fate tragica»
«Lo sarebbe anche per te se io andassi da Stevens, adesso, dicendogli che ti piace».
Liv si fermò e voltò di scatto, puntando la luce della bacchetta sul viso inaspettatamente vicino di Sirius che, strizzando leggermente gli occhi infastiditi dal baglione, la guardò con lo stesso criptico sguardo perforante che l’aveva trafitta mesi prima negli spogliatoi.
L'aria in mezzo a loro si fece nuovamente calda, intrisa di qualcosa che nessuno dei due riuscì a percepire con il cervello ma soltanto con la pelle, improvvisamente recettiva alla vicinanza, al profumo e al calore dell'altra.
«Che hai detto, scusa?» esalò Liv.
Sirius le spostò di lato la bacchetta con accortezza e i suoi occhi assorti, trasparenti alla luce azzurrina, studiarono a lungo quelli grandi e marroni davanti, la tonda pupilla ben visibile e dilatata tra quel buio e la luce più fievole che puntava sul muro. «Ti piace Stevens?» le chiese Sirius facendo vagare i suoi con profondo interesse sulla fronte distesa di Liv, il suo naso, il mento, le morbide labbra socchiuse e le guance che si fecero lievemente rosse.
«Non capisco cosa c’entra adesso e soprattutto che cosa te ne frega» lo attaccò lei, sferzante; un brivido a correre dalle parti dello stomaco. La camminata era diventata un interrogatorio sospeso tra l’assurdo e il ridicolo.
Sirius non sembrò per niente intaccato dal suo tono aggressivo, anzi, intensificò lo sguardo penetrante ed attento, quasi preoccupato, accennando un mezzo sorriso indecifrabile, forse amareggiato. Liv lo guardò interdetta sentendo il viso in fiamme, lì dove si posavano le nere pupille dilatate al centro del grigio profondo. Ned Stevens non le aveva mai fatto quell'effetto, Ned Stevens poteva anche essere carino e affettuoso, ma non era Sirius. E Liv l'aveva capito fin dal primo anno.
Si voltò di scatto- spalancando i suoi, scuri e scioccati- facendo involontariamente mangiare capelli a Sirius, con un leggero sorriso appagato dal loro buon profumo familiare e da qualcos'altro che bruciava le viscere.
Spostò l’arazzo velocemente, ritrovandosi al sesto piano dove James camminava avanti e indietro davanti alla porta chiusa dell’aula di Antiche Rune sembrando un disperato.
Quella visione anormale la paralizzò per un attimo, l’attimo che Sirius impiegò per esclamare “Olivia sa” alle sue spalle.
Come se fosse appena stato colpito da una frustata, James fermò la camminata voltandosi verso di loro con due occhi grandi quanto quelli degli elfi domestici.
Liv sollevò immediatamente le mani. «Oh, no. No. Io non voglio averci niente a che fare con questa ‘cosa’» annunciò, risoluta, anche se il boccheggiare di James rischiava di farle perdere tutta la serietà dalla faccia.
Si chiese se per caso gli stesse venendo qualche colpo al cuore o una crisi al sistema nervoso dato che aveva iniziato a camminare di nuovo per il corridoio portandosi più volte entrambe le mani sui capelli e voltandosi di scatto ogni tanto nella sua direzione con espressioni sempre più sconvolte.
Il soffio di risata di Sirius alle sue spalle rischiò seriamente di farla scoppiare a ridere senza ritegno.
«Si nota così tanto?» sbottò senza preavviso James, tra il furioso e il preoccupato, avvicinandosi a loro in tutta fretta per poter abbassare il tono di voce.
Tutto quello che voleva era nascondere il problema amoroso alle persone che non erano i Malandrini; nascondere il fattaccio all’intero resto del mondo. Era forse chiedere troppo a Godric? 
«Non riesci nemmeno a negarlo? Certo che è grave» fece Liv, piuttosto impressionata. James si passò di nuovo una mano tra i capelli pensando a quanto fosse schifosamente vero.
«Si nota come un drago in Sala Comune» rispose per lei Sirius, ripetendo le sue sincere parole ed imitandone perfino la voce. Liv gli lanciò un’occhiataccia mentre James si lasciò andare ad un guaito misto a ringhio.
«Un drago in Sala Comune! Come se non fosse già imbarazzante di per sè la sola situazione! Non glielo dirai, spero» sussurrò all’improvviso, trafiggendola con uno sguardo fulmineo come se si fosse appena reso conto che stava parlando con un'amica del fulcro del problema.
Liv sollevò gli occhi al cielo. Ma chi aveva inventato la bufala che erano le donne a farsi mille problemi con le cotte?
«Perchè no, James?» lo prese in giro, giusto per confermare la sua reazione. «Nessuno pensa che tu ti possa innamorare seriamente di Lily, lei in primis» rispose, schietta, rendendosi conto di aver parlato senza pensare.
Ma chi si sarebbe aspettato che James Potter, quel James Potter,  ci potesse rimanere così male? Forse, l'unica volta che l'aveva visto apertametne deluso e arrabbiato per il ''no'' di Lily era stato quel pomeriggio in riva al Lago Nero. Tutti, lei e Mary comprese, avevano collegato la strana reazione al fatto che Lily l'aveva paragonato a Piton. Potter odiava essere paragonato a lui.
Lo vide stringere i pugni con forza, l’espressione preoccupata trasformata in una smorfia di pura indignazione.
«Perchè?» le chiese come se fosse un bambino testardo e ribelle davanti un divieto senza senso. «Perchè? Sentiamo» continuò, sempre più supponente. «Perchè Owen sì e io no?».
Liv non rispose. Aveva una sua teoria, teoria che non avrebbe rivelato a Potter perché Lily stessa non l'aveva rivelata a lei, forse nemmeno a se stessa. Lily non odiava James, per niente. Lily odiava la sua arroganza, ma Potter non poteva essere solo arroganza e Lily lo sapeva, lo sperava, dal quinto anno.
«Oh, andiamo, Liv! Non ti sei mai messa problemi ad insultarmi e a dirmi le cose in faccia! Puoi farlo benissimo anche adesso!»
Lo guardò strabuzzando gli occhi scuri, profondamente colpita. Sembrava di essere davanti ad un estraneo al quale interessava davvero sapere perchè non poteva avere Lily.
Vide gli occhi dietro le lenti spostarsi leggermente da lei alla sua destra, di sicuro su Black che ancora aveva dietro la schiena, come per tenerla in trappola.
Liv si mise a braccia conserte cercando di capire che cosa James volesse sentirsi dire. Owen sì e tu no perchè Lily non ti sopporta dalla prima volta che hai chiamato Severus ‘Mocciosus’? Perchè hai passato cinque anni di scuola a farle saltare i nervi e a farli saltare anche al suo migliore amico? 
Erano tutte cose che lui sapeva già, Lily glielo diceva sempre e se non c’era riuscita lei a ficcarglielo in testa non ci sarebbe riuscito nessuno.
«Credi che essere innamorati basti per rendere la tua ‘cotta’ perfetta e giusta?» si decise a rispondere, sentendosi piuttosto fuori luogo in quella situazione anomala. Non parlava di quel genere di cose nemmeno con Mary e Lily, era assurdo.
«Certo che sì» rispose lui, piccato. Liv restò spiazzata per qualche secondo da quella risposta così pura.
«E invece no» ribattè, tenendosi dentro il ''perdi l'arroganza, Potter, e poi ne riparliamo" . «Esistono miliardi di persone innamorate di qualcuno che credono di essere ‘quelle giuste’ ma che in realtà non lo sono».
«Riferimenti puramente casuali a Ned Stev... ?»
La piccola gomitata di Liv sullo stomaco zittì Sirius, facendolo anche ridere, sotto l’occhio incurante di James incredibilmente serio e silenzioso. perso chissà dove con i pensieri.
«Non le dirò niente, va bene?» fece Liv, pacata, scrutandolo stranita. «Se prometti di non osssessionarmi più per il resto dell’anno con questa storia, non le dirò niente» aggiunse notando gli occhi nocciola accendersi. Chissà come, sentì di aver sbagliato qualcosa.
«Che c’è?» chiese, stranita.
«Se non le dirai niente significa che stai dalla mia parte, Liv» constatò lui con un sorriso appena nato sulle labbra.
Liv aggrottò le sopracciglia.

«E questa da dove te la sei tirata fuori?» ribattè. «É per caso una legge non scritta di un universo parallelo a quello delle persone sane di mente? Io non le dirò niente e stop. Non aspettarti consigli o tattiche da me, James: non esistono con Lily e ti ho già detto che non voglio immischiarmi in questa storia. Voglio fare l’Auror, non la consulente di coppia».
Sentì Sirius ridere piano alle sue spalle e vide James allargare il sorriso divertito davanti.
«E poi mi ha detto che spariranno in una settimana ma volevo assicurarmi che non fossero come quelle che hai tu... insomma, non ti passano mai!» La voce ansiosa di Allock vibrò nel corridoio nello stesso momento in cui lui, Peter e un Remus dallo sguardo assassino fecero la loro comparsa.
Il Corvonero zoppicava- nonostante stesse cercando di tenere il suo solito portamento pomposo, sforzandosi in modo evidente- arrancando al fianco di Remus.
«Sei sicuro che le mie cicatrici sono diverse? Guardale di nuovo, per piacere, Lupin»
«Non potrebbero essere più diverse di così» rispose a denti stretti Remus. Ma se vuoi, la prossima Luna Piena, te le farò uguali identiche.
«Oh, ciao James. Come vedi, sono appena uscito dall’infermeria. Sto bene» salutò Allock, sorridendo con parecchia sofferenza. Il viso di solito luminoso era segnato qua e là da piccoli graffi ancora leggermente rossi. «Il Quidditch è un gioco per duri ma pur sempre un gioco no?! Stavo pensando...»
Remus proseguì per la sua strada, lanciando sguardi eloquenti a tutti prima di prendere le scale che salivano al settimo piano.
«Stavo pensando che sarebbe meglio dare spazio alle nuove promesse dato che io devo prepararmi ai M.A.G.O.»
Tutti assunsero espressioni perplesse. Se lui, al sesto anno, doveva prepararsi ai M.A.G.O. loro cosa avrebbero dovuto fare? Chiedere la pensione?
Liv, seguendo l’esempio di Remus, fece per andarsene ma James la trattenne sul posto, afferrandole un braccio.
«E, sapete, la carriera da Cercatore non sarebbe male ma quella da Ministro della Magia...»
«Non sarà perchè hai paura di rovinarti il bel faccino, Allock?» lo fermò Sirius, provocatorio, mentre quello ridacchiava a denti stretti.
«Ah, bella questa. Il bel faccino lo rovinerei anche andando a combattere le forze oscure... obiettivo che mi sono ripromesso di raggiungere dopo la partita dell’altro giorno. Mi son detto: Perchè rovinarmi  l’aspetto con due bolidi quando potrei salvare vite umane? Pazzesco, non trovate?»
«Quindi ti ritiri dalla squadra?» chiese Liv, anticipando la domanda di James che già vedeva la facile vittoria contro i Corvonero andare in fumo.
Allock si scostò con delicatezza un boccolo biondo dagli occhi. «Diciamo che lascio spazio ai ragazzini più giovani che devono ancora farsi le ossa... io ormai so già tutto. Ho deciso di raggiungere scopi più alti... » spiegò, gonfiando il petto con fierezza.
«Oh, bene... » mormorò sarcasticamente James, chinandosi verso Liv. «Adesso abbiamo anche il problema del nuovo cercatore dei Corvonero che rimane un'incognita».
 




 

 

*


 

 
 
 
«Me lo devi, Liv»
«Io non ti devo proprio nulla, Lily»
«Ah, sì? Elleboro allora?»
«Oddio no, non di nuovo lui»
«Non so se ti ricorda qualcosa»
«Non è colpa mia se sono allergica»
Lily si voltò alla sua sinistra per rivolgersi a John che aveva insistito ad accompagnarle al settimo piano dopo la lezione di Pozioni, l’ultima di quel pomeriggio di fine novembre.
«Ho dovuto lasciare il mio nuovissimo coniglio* preso a Diagon Alley a casa, il Natale del primo anno, per lei!» informò, ridente, mentre le lui le afferrava la mano con delicatezza.
Liv arricciò le labbra davanti a quella scena, pensando involontariamente a James.

«Vorrei ben vedere!» esclamò, scacciando via quel pensiero «Dormire e vivere in stanza con una creatura che mi gonfiava naso e occhi venitquattro ore su ventiquattro era tentato omicidio, Lily!».
Lily non riuscì a ribattere perchè il Corvonero le rubò le labbra come se niente fosse.
«Non l’hai mica ucciso poi... lo rivedi ogni volta che torni a casa...» s’inserì Liv, aumentando i volume della voce per ricordare che lì c’era anche lei.
Più li osservava con la coda dell’occhio e più Owen prendeva la forma della Piovra Gigante. É sempre stato così o cosa?
Con una risata- che Liv tradusse con Fammi respirare’-  Lily si staccò da John, fermandosi davanti al quadro della Signora Grassa. 
«Glielo devi» disse lui, ammiccante, rivolgendosi a Liv che si sforzò di sorridere guardandolo andare via.
«Ma perché ti accompagnato fin qui?» chiese in un borbottìo senza aspettare che lui fosse abbastanza lontano per non sentirla. Lily infatti le diede una gomitata, salutando il Corvonero con la mano libera prima di ricambiare lo sguardo curioso della Signora Grassa.

«Geranio Zannuto» le disse, omettendo il poco educato ‘E si faccia gli affari suoi’.
Il ritratto si spostò di lato per farle passare e Lily afferrò Liv per un braccio, trascinarla oltre il buco.
«Ti sto pregando di fare la persona normale quando c’è lui, Liv!» sibilò sentendo il piacevole calore della Sala Comune mezza piena far sparire la pelle d’oca sotto al mantello.
«Allora dicevi sul serio quando due anni fa hai affermato che avresti preferito uscire con la Piovra Gigante piuttosto che con James» la stuzzicò Liv sfilandosi la sciarpa rossa e oro dal collo.
«Certo che ero ser... ehi protestò lei- anche se con un sorrisetto divertito- cogliendo l’insulto celato a John dell’amica. «Basta con le battute su di lui, Liv. Ti ricordo che mi piace ancora» l’ammonì, passando tra due poltrone occupate da due bambine che giocavano a Gobbiglie su un tavolo.
Devo soltanto riabituarmi all’idea di essere di nuovo in coppia, abituarmi a non pensare esclusivamente al mondo reale che spazza via Nati Babbani come se fossero mosche.
Seguì Liv tra i puf e i tavolini per raggiungere il grande camino- già accerchiato da gruppetti di persone che cercavano di mandare via il gelo preso nelle aule e nei corridoi- pensando a quanto fosse più semplice abituarsi a fare qualsiasi altra cosa piuttosto che non pensare di essere una di quelle mosche.
«Mary avrà finito?» chiese Liv lasciandosi cadere sulla prima poltrona libera più vicina al fuoco. Lily fece lo stesso con quella al fianco. «Finito o no, spero che stavolta non abbia il mento fratturato per colpa di quell’Occamy che cova le uova. Ogni giorno assomiglia sempre di più al professor Kettleburn» rispose piegando con cura la sua sciarpa e afferrando quella sulle gambe di Liv, orrendamente coperte sotto la gonna dalle calze nere bucherellate da un incantesimo di Black.
Cominciò a piegare anche quella, senza rendersene effettivamente conto, con lo sguardo accigliato di Liv addosso.

«Che c’è che non va, Lily?» le chiese lei, non di certo riferendosi alla sua sciarpa.
Lily restò in silenzio, le dita sottili tra la morbida lana rossa e oro che obbediva ai suoi gesti e al suo volere al contrario dei suoi pensieri contorti e aggrovigliati in testa. Ci vorrebbe una camiciapensò portando lo sguardo sulla porta del dormitorio femminile.
«No» esordì Liv, notandolo. «Non metterai a soqquadro la camera con la tua roba anche oggi».

Lily la guardò storto. «Come se fosse chissà quale crimine fare il cambio d’armadio» ribattè, lanciandole la sciarpa perfettamente piegata prima di chinarsi sulla borsa.
«Quante stagioni conosci?» le chiese ironicamente Liv osservandola afferrare il grosso libro di Trasfigurazione insieme a piuma e pergamena. «Perchè noi terrestri sappiamo che sono solo quattro, non trecentonovantasei».

Lily aveva una ‘camicia’ che le dava problemi da un mese, ormai, e ancora non si era decisa a parlare. Non era mai successo, non per così tanto tempo. Mary aveva detto che era per colpa di John e della strana relazione che avevano rimesso malamente in piedi- Lily le aveva dato corda senza nemmeno obiettare una volta- ma Liv era convinta che fosse qualcosa di molto più grave perchè la camicia era quasi sempre collegata a Piton.
Una volta aveva anche provato a seguirla alla ronda, ma lei l’aveva ricacciata in Sala Comune scortata da- di sicuro fatto apposta- dal loro fantasma di Casa.
La risposta di Lily fu uno sguardo sarcastico mentre lisciava per bene la pergamena poggiata sul libro nelle ginocchia. Ci manchi solo tu nei sotterranei, Liv, e anche se il Lago Nero decidesse di punto in bianco di ignorare i vetri delle finestre inondando tutto, il casino maggiore lo faresti comunque tu.

 

 

 

*

 

 

 


 La sera stessa, Mary sfoggiava un enorme livido su una guancia che aveva fatto spalancare gli occhi di Remus appena l’avevano visto seduto sul divano davanti al fuoco scoppiettante della chiassosa Sala Comune alle nove e mezza.
«Niente di grave, l’Occamy protegge le sue uova come farebbe Lumacorno con il suo ananas. Ero preparata, Newt Scamander lo dice chiaro e tondo nel manuale, ma quel becco è stato fulmineo»
«Mary, dovresti andare a farti controllare invece» le consigliò lui osservando la pestatura blu abbinata al mento ‘grattuggiato’ che aveva già da diversi giorni.
«Sei pazzo? Questo mese Kettleburn ha già dovuto affrontare il trentaquattresimo periodo di prova* della sua carriera... non voglio di certo propinargli il trentacinquesimo andando in infermeria a spiegare come mi sono fatta questo taglietto» rispose lei, decisa.
A quelle a parole, Remus non potè fare a meno di pensare a James, Sirius e Peter il giorno dopo la luna piena. Si rese conto di essersi soffermato per troppi secondi sugli occhi di Mary quando vide il livido diventare più scuro per colpa delle guance in fiamme della sua collega.
Spostò lo sguardo su Sirius, poggiato sullo schienale della poltrona lì vicino mentre parlava con il suo specchio gemello, la Mappa aperta sulle ginocchia.
«L’avete macchiata di nuovo con la burrobirra»
«No. Vuoi ascoltare e basta, James?»
«Cosa c’entra la Mappa?»
«Nei sotteranei, vicino al nome di Evans ce ne sono altri due che non dovrebbero esserci» informò a bassa voce Sirius, senza accorgersi minimamente di Remus e della sua faccia perplessa. Mary sbadigliò, ignara di tutto, dicendo che avrebbe raggiunto Liv e sarebbe andata a letto come lei. E Remus non ebbe il coraggio di dirle che la sua amica, forse, era in pericolo: Mary non sapeva della Mappa.
James cinque piani più giù, ammutolì. Sentì l’elastico nel petto tirare verso il basso, verso Lily, e scattò sulle scale, .
«Dove di preciso?» chiese, appena si immerse nell’aria gelida e umida che gli bruciò i polmomi affaticati per la corsa. 
«Vai a destra e poi sempre dritto»
«Mi prendi per il culo, Sirius? C’è un muro qui davanti» sibilò con gli occhi spalancati e la condensa del respiro che dalle labbra saliva ad appannargli gli occhiali. Non se ne rese nemmeno conto, cieco di rabbia e non per la 'nebbia' nelle lenti. 
«Un muro? Non è possibile»
«Non è possibile? Ma se ce l’ho davanti!»
«Ok, ok... abbiamo sbagliato a disegnare allora»
«Sirius, dimmi dove cazzo è Evans e dove sono quei coglioni
«Torna indietro e poi gira a sinistra...»
«Non c’è ness...» Si fermò a metà corridoio notando una scritta sul muro fatta molto probabilmente con il carbone:
STAI INSUDICIANDO IL NOSTRO SOTTERRANEO, SANGUESPORCO. VATTENE.
Evans era coraggiosa, ma più di tutto era incredibilmente orgogliosa.


 


 
 

 *




 


Il bisogno di fare rumore con le suole delle scarpe era sempre più forte. Lily si era fermata al centro del corridoio, vicino alla torcia non ancora spenta. Forse stava diventando pazza, molto probabilmente lo era già, ma avrebbe giurato davanti al Ministro della Magia in persona di aver sentito sfregare sul muro pochi minuti prima, quando era passata davanti alla porta coperta di ragnatele.

Ingoiò il nulla con la gola secca e allungò il primo piede per ricominciare a spezzare il silenzio ma i passi che sentì non furono i suoi.
«Tu stai qui a fare il tuo dovere, Evans, e io ti romperò le pluffe come al solito, va bene? Non puoi mandarmi via quando faccio il rompipluffe, lo sai».
La voce di James le fece sollevare gli occhi al cielo e, involontariamente, buttare via l’aria ferma in gola con estrema facilità regalandole una piacevole sensazione di sollievo.
«Prometto di non intervenire in caso di duello con qualcuno perchè, sì, so benissimo che sai difenderti da sola... i miei occhiali, i miei capelli, le mie gambe e il mio naso ne sanno qualcosa».
Lily non riuscì a trasformare completamente in sbuffo serio il piccolo sorriso divertito che le era spuntato sulle labbra a quelle ultime parole, nemmeno quando si voltò a guardare James.
Potter era stato una cavia perfetta per i suoi esercizi di Incantesimi in tutti quegli anni. Colpa sua, naturalmente, che la costringeva ad usare le maniere forti ogni due per tre.
«Sarà per questo che me la cavo con fatture e incantesimi?» gli chiese ironicamente, osservandolo avvicinarsi sempre di più.
«Sicuro» rispose lui sistemandosi gli occhiali sul naso mentre allentava con piacere l’elastico immaginario che, per quanto lontano lui potesse andare, lo riportava sempre e soltanto da lei.

«Tutti gli Eccezionale che ti dà Vitious in realtà sono merito mio, Evans»

«Perchè sei qui, Potter?» gli chiese lei a bruciapelo. 
«Perchè non si può non visitare questo meraviglioso posto almeno una volta a settimana. Sarebbe come avere una Veela in cantina e non scendere a guardarla» cominciò James indicando il soffitto umido con un gesto plateale del braccio. «L’estasi artistica che mi provoca ogni volta che ci metto pied...»

«Potter» lo bloccò spazientita lei, sollevando un sopracciglio rosso.
James chiuse le labbra con un sorriso mentre una lampadina gli si accendeva in testa.
Lily non si sarebbe arresa,  orgogliosa, avrebbe continuato a dirgli di salire di sopra ma lui non voleva lasciarla lì, da sola con due o tre coglioni che non giocavano a fare i Mangiamorte, lo erano davvero.
«Perchè mi sono dimenticato di darti una cosa, prima» disse, sfilandosi la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni.
Lily fece un passo indietro, stringendo di nuovo la sua. Potter era l’imprevedibilità fatta a persona.
«Accio bottoni scandì lui a chiare lettere e lei non potè fare a meno di portarsi entrambe le mani sopra i bottoni della gonna e della camicia sotto al maglione con aria sconvolta.
James rise di cuore.

«Evans, ma per chi mi hai preso?» le disse osservando con sorpresa il rossore sulle guance di fronte a lui. Lily si raddrizzò, impettita, corrucciando le sopracciglia.

«Si può sapere di che bottoni parli?» sbottò, irritata, per sviare la conversazione. Nessun bottone era atterrato sul palmo della mano di James rivolto verso l’alto, in attesa dell’oggetto appellato.
«Ci vuole tempo, sai. Siamo in un luogo sperduto, dimenticato dal sole e dall’aria... e poi, c’è da mettere in conto anche Sirius che appena vede oggetti che volano in camera li rincorre come un imbecille, soprattutto quando non c’è Remus a farglielo notare. A fargli notare che è un imbecille, non fargli notare gli oggett...» Il sibilo nell’aria che anticipò l’arrivo di due piccoli bottoni evitò il commento di Lily nei confronti di Sirius.
La sua attenzione, infatti, cadde sui bottoni alquanto familiari. Ne aveva già uno uguale, quello che ancora riportava le lettere L.E. ricordandole l’assurda proposta del ripasso di Erbologia la notte prima del compito di fine settembre. Che cosa se ne faceva di un altro? La sua tracolla assomigliava già al cassetto delle cianfrusaglie anche senza quell’oggetto in più sul fondo.
«É quello che comanda tutti gli altri» spiegò James allungando la mano con il bottone più scuro verso di lei. «Sai benissimo difenderti da sola, ma se avessi bisogno d’aiuto perchè quei viscidi serpenti sono meschini di natura puoi scrivermi da qui, io ho l’altro».
Lily restò immobile, sollevando lo sguardo confuso dal bottone che James le stava offrendo a quello in mostra nell’altra mano.
«Prendilo, Evans» la incitò James avvicinandole ulteriormente la mano con il bottone, cercando di non ridere davanti al suo viso spaesato e il suo buffo sussulto. Felpato, perchè accidenti adesso non parli? Ho bisogno dei tuoi insulti. Dove sei, palla di drago!? Sempre a rompere i bolidi quando non serve e poi, nel momento del bisogno. Zittì il dialogo interiore appena gli occhi verdi di fronte lo scrutarono come se fosse un alieno.
Quel bottone esploderà, sputerà pus di Bubotubero, si trasformerà in una blatta, salterà all’ improvviso verso il mio naso, infilandosi in una narice... l’ha già fatto una volta con un una candela a Pix, cosa mi dice che non potrebbe rifarlo anche con me?
Lily si decise a prenderlo, forse proprio per quei pensieri poco rassicuranti. Voleva vedere se Potter era il solito Potter o se faceva davvero sul serio.
Allungò quindi a sua volta il braccio e raccolse il bottone dal palmo caldo della mano di James.
Nessuna esplosione, niente bolle da pus di Bubotubero, nemmeno un’antenna di blatta e il suo naso era ancora perfettamente libero; il bottone rimase l’oggettino rotondo e liscio di poco prima mentre invece lei divenne ancora più confusa.
Potter aveva perso una di quelle stupide scommesse che faceva sempre con Black ed era stato costretto a seguire un corso via gufo di educazione civica per punizione? Sarebbe di sicuro stata la penitenza più terrificante di tutte per lui.
Guardò James sorriderle, per la prima volta, davvero innocentemente.
Auror, fatevi da parte: Voi-Sapete-Chi verrà fatto fuori dall’imminente fine del mondo, insieme a tutti noi.
«Per qualsiasi cosa, Evans...» le disse infilandosi l’altro bottone in tasca prima di darle di nuovo le spalle e sparire nel buio, oltre la torcia vicina.
Dietro l'angolo, la voce di Sirius dallo specchio gli informò che Mulciber e Avery erano tornati nella loro Sala Comune e James non perlustrò i sotterranei da cima a fondo soltanto per quel motivo.
Quando raggiunse il piano terra non pensò minimamente di proseguire per il primo piano, si sedette alla base della clessidra più vicina alle strette scale umide e rimase lì, bacchetta in una mano e bottone nell'altra.






 
 
 

Note:
 

*Questo è soltanto il mio tentativo di dare un senso a Peter (faticosissimo perché lo odio e mi fa ribrezzo). Non volevo toglierlo dalla storia o cambiare il suo destino di Malandrino. C'era, esisteva e aveva anche un ruolo importante. Forse non brillava (come vediamo nel peggior ricordo di Piton e come dicono tutti nei libri: Sirius e Remus, professori come Vitious e la McGranitt, pure Madama Rosmerta) ma anche lui aveva i suoi punti forti e la fiducia di Sirius e James.
 Sappiamo che tra le caratteristiche principali dei Serpeverde ci sono scaltrezza e forte senso d'autoconservazione, cose che vedo molto in Peter (è molto furbo, forse il suo più grande pregio). Ci sono anche acume, determinazione e ambizione (che adoro), ma non le vedo per niente in Peter. Tutti, Voldemort compreso, non fanno altro che dire quanto fosse ottuso.
Ho pensato al Peter undicenne come ad un ragazzino solo, non troppo determinato o ambizioso che voleva soltanto degli amici (il fatto di aver incontrato Remus in treno durante il primo viaggio non è canon, la Rowling non l'ha mai detto).
Da grande non era ambizioso (mi chiedo quindi come potesse esserlo da bambino): ogni cosa che fa non è spinta da ambizione, la fa per pararsi il culo diciamolo pure schiettamente. Lo dicono tutti, lui compreso dice che non è mai stato coraggioso.
Non ho mai trovato logico il coraggio dato a Peter, soprattutto il ‘coraggio di tradire gli amici’. Non sono d'accordo.
Peter ha sempre scelto il meno peggio tra due scelte che gli facevano paura da morire, senza pensare a nessuno se non a se stesso. Per se stesso intendo la sua "pellaccia'' (parola di Sirius), non a suoi obiettivi o ambizioni (non ha mai detto "Adoro le Arti Oscure, voglio diventare Mangiamorte"). Questo non è per niente coraggio, è codardia.
Quando è riuscito a scappare da Sirius e Remus, Peter è andato a cercare Voldemort. Ridargli un corpo (tagliandosi la mano) voleva dire ottenere il perdono da lui e dai Mangiamorte e quindi protezione. O la mano o la vita, come per il dito. E anche quando sarà un mangiamorte non smette di essere servizievole, alla ricerca di protezione.
Se si parla poi del gesto in sè... sicuramente ci vuole fegato a tagliarsi una parte del corpo, ma non credo fosse il coraggio che intendeva Godric Grifondoro ("Coraggiosi di cuore e nobiltà d'animo"). Il coraggio di quella casata è affrontare le situazioni sapendo di rischiare per qualcun'altro (non solo per se stessi) anche a costo di rimetterci qualcosa, compresa la vita; Peter passa la vita a scappare dal peggio scegliendo il meno peggio o la protezione degli altri per salvare esclusivamente se stesso, a costo di tradire gli amici di una vita. Praticamente il contrario.
Ci sono coraggiosi anche nelle altre Case, certo, ma i Grifondoro sono la maggioranza coraggiosi ed è quella la loro caratteristica come lo sono l'intelligenza per i Corvonero, la lealtà dei Tassorosso, l'ambizione dei Serpeverde. Sono le caratteristiche che si trovano in maggioranza in quelle Case a fare la peculiarità della Casa stessa, con le eccezioni ovviamente.
Sarebbe ingiusto togliere il coraggio ai Grifondoro o sminuirlo riducendolo a: "Il coraggio di tagliarsi un dito per accusare un caro amico d'infanzia ingiustamente, facendolo portare ad Azkaban (non in una prigione semplice)" o "Il coraggio di tagliarsi una mano per far risorgere un mago oscuro che ha ucciso due tuoi migliori amici e scagliato un Anatema che Uccide a un bambino di un anno e che vuole ucciderlo di nuovo".
Non so voi, ma per me Godric Grifondoro non solo si rivolta nella tomba, va direttamente in autocombustione a sentire cose del genere.
Riprendendo le parole della Rowling: “Codaliscia si è allontanato moltissimo dalla persona che avrebbe potuto diventare”. In sostanza, quindi, cos'aveva dei Grifondoro a parte il voler raggiungere Remus al tavolo rosso-oro (in questa storia, non nel canon)?
Io penso il sangue freddo. Il sangue freddo non è l'apparire freddi e impassibili, è la forza di sbloccarsi e reagire prontamente di fronte alla paura o al pericolo.
Silente dà punti a Grifondoro alla fine del primo anno per il ''sangue freddo e l'incredibile coraggio" di Harry; la capacità di mantenere la calma, in particolare nei momenti più difficili. L'opposto è l'essere agitati, sotto pressione, senza essere in grado di gestire la situazione.< br/> Peter sembra sempre agitato, ma alla fine si salva sempre.
Il sangue freddo in sé non è coraggio, il coraggio si aggiunge se quel sangue freddo si usa per combattere. Quando invece si usa per pensare ad una via di fuga, parandosi il sederino (magari per incolpare un amico innocente), non è coraggio.
Peter ha molto sangue freddo ogni volta che trova una soluzione per scappare, in fretta. Ha avuto moltissimo sangue freddo quando si è trovato davanti un Sirius con istinto omicida, devastato dopo la morte di James e Lily. Eppure ha mantenuto la calma pensando a come fregarlo (come salvarsi). Non penso si aspettasse di essere trovato in quella strada piena di babbani ed ha pensato in pochissimo tempo a cosa fare. Ci è riuscito alla perfezione. Ha usato sangue freddo Grifondoro e la geniale astuzia Serpeverde (fosse stato un puro Serpeverde, Peter avrebbe pensato molto prima di scappare a come reagire, non di certo andando tra i babbani. Il sangue freddo dei Serpeverde è diverso, molto più astuto e calcolatore).
La capacità di Peter è tipica dei topi che sanno vedere nel dettaglio ogni cosa, rapidi, trovando la via d'uscita migliore e più veloce.
E credo che il Peter undicenne fosse fedele e leale (Grifondoro). Non ha mai detto a nessuno che Remus era un Lupo Mannaro, è diventato Animagus per lui (credo anche per James e Sirius) e non l'ha rivelato a nessuno. I Mangiamorte non sapevano che Sirius era un cane, per esempio (nel quarto libro, Piton in infermeria vede un cane affianco al letto di Harry e non sa che è Sirius almeno fino a quando Silente non dice a Sirius di prendere la sua forma umana).
Non andava in giro a dire i segreti degli altri, non faceva niente senza qualcosa in cambio (dice sempre Sirius). La Rowling ha detto che era bravissimo a nascondere i segreti. Ovviamente, quando è passato dalla parte di Voldemort i segreti da nascondere non erano più quelli dell'Ordine, ma il fatto che era lui la spia. Più avanti troverete questo saper mantenere i segreti di Peter (non farà la spia dei Serpeverde xD A scuola non sarà il traditore che conosciamo).
Era una lealtà vera all'inizio, credo. La Rowling ha detto che ''si è allontanato moltissimo da ciò che sarebbe potuto diventare". Significa che era davvero leale. Era il ragazzino che stava sempre dietro ai tre amici, li ammirava. Ora, io credo fosse un tantino esagerato e anche morboso quel comportamento, ma credo fosse davvero fedele a loro. Lo era perché li riteneva i migliori, ovviamente. La guerra ha messo in difficoltà anche James e Sirius e lì ha capito che non erano i migliori. La sua mancanza di coraggio ha fatto venir meno quella lealtà che aveva a scuola.
Avesse continuato a pensare a James, Sirius e Remus come ‘i migliori’, cercando di tirare fuori il coraggio che sentiva pensando a loro, credo non avrebbe fatto la fine che sappiamo. Un po' opportunista (Serpeverde) lo era, aggiungerei. Forse troppo.
Ma il Cappello, a detta della Rowling, "non ha mai sbagliato".
 
 

*Boscastle: un piccolo villaggio della Cornovaglia del nord. Non sappiamo da dove viene Mary quindi ho scelto a caso la località xD La Cornovaglia mi fa pensare alla Mary che ho caratterizzato, non so perchè!   
 



*James Callaghan: era davvero il Primo Ministro britannico ‘babbano’ nel 1977. Dato che il primo Ministro Britannico e quello della Magia sono in contatto (H.P. e il Principe Mezzosangue inizia con un capitolo dedicato al rapporto tra queste due figure) ho voluto aggiungere questo piccolo dettaglio alla storia.
 
*Greyback è dagli '60 che morde e uccide bambini e ragazzi, sono i suoi preferiti (ne ha ucciso due prima di mordere Remus di quattro anni). Veniva usato dai Mangiamorte per minacciare soprattutto i figli delle persone, nel 1997 uccide il fratellino di cinque anni delle sorelle Montgomery che sono a scuola con Harry. E solo perché la madre ha rifiutato di aiutare i Mangiamorte.

* Boardman Stubby: il cantante degli Hobgoblins viene nominato in un articolo del Cavillo ne L’Ordine della Fenice. Doris Purkiss sostiene che lui e Sirius siano la stessa persona.


* Le notizie di gossip del giornale babbano sono vere! Ho fatto qualche ricerca sull’autunno del 1977 e ho buttato giù questi semi-articoli idioti xD

*La questione Lily-James. Da quando ho letto il quinto libro unito al settimo la mia idea si è saldata. Come dice la Rowling (e anche Sirius e Remus a Harry, nel camino) Lily non odiava James.
Lily dice a Piton che sapeva benissimo che era un arrogante, ma che non usava Magia Oscura (già questo era un buon motivo per non odiarlo) e abbiamo tutti letto gli insulti che lei gli rivolge nel peggior ricordo di Piton, non dice mai ''ti odio''.
Credo che non sopportasse la sua arroganza, ma il resto le piacesse. Credo anche abbia cominciato a vederlo e capirlo al quinto anno, dopo che James salva Piton da ''qualsiasi cosa c'è lì sotto" ( il tunnel sotto il Platano). Magari è lì che Lily ha visto cosa c'era sotto l'arroganza, in questa storia ha iniziato a vedere James da lì (come secondo me ha fatto Silente) e più avanti con i capitoli lo vedrete bene.
 
*Come dice la sua biografia scritta dalla Rowling, Il professor Kettleburn era un Hagrid più anziano. La sua passione erano le creature pericolose e per questo nella sua carriera ha dovuto affrontare sessantadue periodi di prova. Nel periodo dei Malandrini ho dimezzato questo numero perchè sappiamo che va in pensione nel 1993 (terzo anno di Harry) e quindi ha avuto altri sedici anni per sfiorare la morte (sua e quella dei suoi studenti). 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 22. La Magia non risolve Tutto ***


 


Capitolo 22
 
 

LA MAGIA NON RISOLVE TUTTO

 

 
 



«Abbassate la voce, per favore» mormorò preoccupato Peter poggiando sul tavolo della biblioteca il libro che aveva preso a casaccio solo per far finta di avere un motivo per stare lì. Che poi quel motivo fosse ‘Pustole Pruriginose in Posti Particolarmente Privati: Erbe per eliminarli’ passava in secondo piano davanti allo sguardo arcigno posato su di loro come se avessero  le loro sembianze di Animagus di Madama Pince, dietro la sua scrivania mentre  timbrava un grosso dizionario di Rune Antiche ad un Corvonero.
Perchè James e Sirius in biblioteca- arrivati di loro spontanea volontà- erano praticamente una visione anomala al pari di quelle che potevano dare la polvere di artigli di drago scadente, due bicchieri colmi di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio o quelle strane sigarette babbane che Sirius aveva portato all’inaugurazione del suo appartamento l’estate appena passata e che avevano fatto credere a James di essere una leggiadra farfalla che volava su fiori profumati, fiori che nella realtà erano i suoi tre migliori amici seduti sul pavimento ancora pieno di scatoloni del trasloco.
Questo lo sapeva anche Peter e lo diceva sempre Remus. Era quindi un miracolo bello e buono che spiegava quanto James, in pochi giorni, era diventato assurdamente ed inspiegabilmente ossessionato da Edgar e Marlene.
 

«Sei più pettegolo della buon’anima di Bertha Jorkins*, Ramoso»
«Ma come ti permetti, canide perfettamente riuscito»
«Bertha Jorkins è morta!?»
«No, Peter... era per dire... visto che non è più a scuola...»
«Bertha... Io! Non farmi dire a chi assomigli tu, Felpato»
«Cosa te ne frega cosa si dicono Bones e McKinnon, James? Magari stanno insieme e stanno parlando delle loro nottate sfrenate...»
«In biblioteca?»
«La biblioteca è la preferita dei Corvonero...»
«Se solo ci fossi stato quel giorno davanti alla porta di Silente, adesso come minimo staresti origliando dietro quello scaffale come il segugio idiota quale sei!»
«O molto più furbescamente mi sarei avvicinato a uno dei due in versione cane per farmi beatamente grattare dietro le orecchie mentre loro, ignari, continuavano a parlare...»
«Un cane dentro Hogwarts non è normale...»
«Dettagli, Codaliscia...»

Peter strabuzzò gli occhi chiari, perplesso. Sfogliò distrattamente la pagina del libro spostando  furtivamente lo sguardo da Sirius alle due figure del Tassorosso e della Corvonero che parlottavano a bassa voce due scaffali più in là.

«Vi dico che nascondono qualcosa... non sono nottate sfrenate» sibilò James fulminando Sirius con lo sguardo. «Non stavo per dire quello... » ribattè lui sollevando un sopracciglio nero ricambiando l’occhiata scettica dell’amico «volevo dire che mi sta venendo l’orticaria a stare qui senza nemmeno Remus a costringerci. Ti rendi conto di quanto sei malato, James? Sappiamo come diventi quando hai due linee di febbre...»«Non serve a niente stare a guardarli se non puoi sentire cosa si dicono, Ramoso. Ci penso io... » mormorò Peter facendo per scivolare sotto al tavolo con l’intento di trasformarsi in topo ma ci ripensò all’istante vedendo Marlene alzarsi dalla sedia con due piccoli libri stretti in mano.
Edgar rimase seduto lì, le braccia incrociate al petto e lo sguardo rabbioso fisso sul pavimento. James restò ad osservarlo, accigliato perchè quei due non litigavano quasi mai.
Quando vide la chioma rosso scuro di Lily spuntare dal reparto di Pozioni raddrizzò la schiena senza nemmenno accorgersene.
Lo sguardo verde acceso si posò fugacemente su di lui, Sirius e Peter prima di sparire nella penombra di un altro scaffale polveroso.

«Visto!?» sussurrò con sorpresa James alzandosi con impeto dalla sua sedia senza però strisciarla a terra per non causare la Seconda Guerra Magica. «Non sono solo io che voglio sapere!».
Sirius mugugnò, teatralmente addolorato, accasciandosi sul tavolo senza prestare minimamente attenzione a Peter e al suo libro, per poi guaire con sincero dramma quando sentì il dolore acuto ad un braccio che lo tormentava da tutta la notte.
«Lily va sempre in quel reparto, Ramoso» esordì Peter sfilando con forza il libro da sotto il peso del bradipo che aveva per amico e che imprecava a bassa voce nei confronti di quella lotta improvvisata con quello stupido cane sconosciuto che dai dintorni di Hogsmeade l’aveva rincorso fin dentro la foresta per giocare, senza rendersi minimamente conto di Lunastorta in vena di fare shopping di umani al villaggio.
«Quando vengo qui con Remus, mentre voi siete al campo, la vediamo sempre. Certe volte si unisce a noi... è simpatica» continuò a spiegare Peter- tra gli sbuffi increduli di Sirius- affrettandosi a lisciare la pagina stropicciata e occupata da un disgustoso brufolo prima che Madama Pince si potesse accorgere ‘dell’atto criminale’.
«Oh, no... no» lo bloccò James con un mormorio che a Sirius suonò alquanto da psicopatico «Quello non era uno sguardo da ‘sto studiando intrugli e schifezze’, Pete... quello era un chiaro ‘sto spiando due loschi ragazzi che hanno un segreto con Silente’».
Gli occhi perplessi di Peter non gli tolsero quella certezza e, con un’ incontrollabile curiosità... «James»... ed ignorando il richiamo infastidito di Sirius, si allontanò da loro per cercare Lily tra gli altissimi scaffali in legno scuro illuminati da polverosi fasci di luce provenienti dalle grandi vetrate ad arco acuto.
La trovò seduta proprio sul davanzale di una finestra, chiusa e innevata, con due libri sulla gonna a pieghe della divisa e uno aperto tra le mani, molto vicino al suo piccolo naso come se volesse letteralmente entrarci dentro. In controluce, James riuscì a notare chiaramente ogni morbida linea dei capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle e le ciglia nere, lunghe e folte, che si muovevano impercettibilmente sul suo delicato profilo in contrasto con il vetro bianco.
Non ricordava più perchè era andato a cercarla.
 
«Che vuoi, Potter?» esordì lei in un sussurro senza sollevare lo sguardo dalle pagine. James si passò distrattamente una mano tra i capelli per poi sistemarsi gli occhiali con uno strano imbarazzo a tenergli le labbra chiuse.
Un pacato colpo di tosse e una pagina sfogliata chissà dove spezzarono il silenzio prima che si decidesse a farlo lui.

«Studi?» le chiese sottovoce mettendosi la mano in tasca e trovandoci dentro il bottone ormai sempre insieme al suo specchio gemello.
Osservò la borsa a tracolla poggiata a terra di Lily- che nel frattempo aveva sbuffato sollevando gli occhi verdi per posarli su di lui- e si chiese se anche lei tenesse quell’oggettino da qualche parte. Era servito a qualcosa o si era soltanto reso ridicolo due giorni prima in quel tugurio? Lily non gli aveva detto niente eppure, per quanto James sperava di sentirsi dire un sincero ‘Grazie, Potter’, a lui bastava sapere di aver fatto tutto il possibile per averle dato una via di fuga dalla paura, un salvagente se mai avesse avuto bisogno d’aiuto. Era come se si sentisse più sicuro anche lui.
 
«Chi è il pazzo che studia dopo tre ore di Trasfigurazione, Potter?»
«Remus»

Le labbra di Lily si curvarono verso l’alto, involontariamente, mentre scuoteva piano la testa. «Come sta? Non sono ancora riuscita a passare in infermeria, avevo Mary e Liv alle costole fino a dieci minuti fa. Ho gli appunti delle lezioni di oggi per lui, nella borsa» disse, indicando con il mento la tracolla sotto di lei.
James sorrise a sua volta. Quando Evans parlava di Remus sembrava un’altra persona. Ed era così facile avere tutta la sua attenzione senza sentirsi urlare addosso frasi sull’essere un presuntuoso arrogante o un pallone gonfiato privo di sentimenti eccetto quelli per se stesso.
«Sta bene. Quando avrà quegli appunti starà ancora meglio» le rispose pensando all’amico costretto, dopo ogni luna piena, a decifrare gli appunti suoi, di Sirius e Peter che oltre essere scritti con la calligrafia “Di un Troll, James. Un Troll. Ma come fai a capirti quando ripassi?” erano anche tutti pieni di “Lacune e controsensi. Tipo qui... Sirius, tu scrivi: ‘Quella pianta va innaffiata ogni fine mese, esclusivamente la notte per non... Castrato, vuoi fare Tris o Impiccato? # Inizio io, Gramo’. E Peter: ‘La Tentacula Velenosa va innaffiata ogni fine mese alla luce del sole’...praticamente il contrario di Felpato. James, questa sarebbe la Sprite con i tentacoli che le escono dal cappello?”.

Un lampo gli illuminò la mente pensando a Remus e al suo problema con gli appunti dovuto allo saltare le lezioni per il ‘Segreto con Silente’. Edgar e Marlene. 

«Quindi non stai studiando Pozioni come invece diceva Peter...»

Lily inarcò entrambe le sopracciglia vermiglie, sorpresa negativamente da quella rivelazione assurda.
Era la prima volta che Potter faceva intendere di averla spiata, non era la prima volta invece che lo beccava a farlo. L’ultima era stata da Madama Pièdiburro: Si era ritrovata con una montagna di vermicoli striscianti in ogni dove e la faccia di Potter, insieme a quella di Black, che sbucava da sotto un tavolo tutto pizzi e merletti occupato da un’ignara coppietta, che forse tanto ignara non era vista la ginocchiata non così accidentale di Gary Thompson sullo zigomo di Black.

«Avevo ragione io. Stavi spiando Bones e McKinnon, Evans»
«COSA!?» esclamò lei con forse un tono di voce un po’ troppo alto per le regole della biblioteca. Spalancò gli occhi e si tappò la bocca con una mano sentendo l’eco del suo ‘COSA?!’ rimbombare  per tutta l’immensa biblioteca.
I passi affrettati di Madama Pince echeggiarono insieme agli ultimi  ‘...OSA-OSA-OSA?!’ e Lily saltò giù dal davanzale con un balzo per nascondersi velocemente sotto al tavolo, tra le gambe delle sedie, mentre James rideva senza ritegno poggiandosi strategicamente davanti per nasconderla meglio.

«Signor, Potter!»
«Ho aperto un libro e mi ha urlato contro»
«La cosa non mi stupisce»

Un basso ridacchiare proveniente da sotto l’intarsiato tavolo in legno fece sorridere radiosamente James e l’espressione arcigna della magra bibliotecaria si indurì ulteriormente.

«Quel genere di libri si sfoglia fuori da qui, Potter. Me lo dia così lo segno sul registro»
«Ma, guardi, ho praticamente perso tutta la voglia di leggerlo dopo quell’urlo» cosa assolutamente falsa, James. Il libro che ti ha urlato contro lo fa da diciasette anni e credo proprio che la tua voglia di leggerlo non finirà mai. 
Mentre la bibliotecaria gli lanciava un’occhiataccia diffindente prima di spostarsi da lì con il secco rumore dei tacchi delle scarpe che battevano sul pavimento in pietra, James si chiese come mai la voce di Remus avesse preso il posto di quella di Sirius. Fratello, fallo stare zitto o il mio lavoro qui non servirà a un tubo. 
 
«Ecco perchè non prendi mai punizioni, Evans» bisbigliò divertito, chinandosi sotto al tavolo per guardare Lily ridere in silenzio mentre raccoglieva i libri che erano caduti a terra con lei. «Non sono stupida come ‘voi’, Potter. E... grazie».
James notò che nessuno dei tomi sul pavimento era scolastico e che solo uno era del mondo magico-‘Alchimia Divertente per Menti Divertenti: Metti alla prova il tuo calderone e la tua casa’ - mentre gli altri due erano di sicuro babbani.

I Viaggi di Gulliver e Alice nel... Grazie? Si accorse soltanto in quel momento della gratidudine di Lily.
La guardò, strabuzzando lo sguardo sorpreso, dritto negli occhi verdi incredibilmente brillanti anche sotto la penombra di un tavolo come quelli di un gatto o, ancora meglio, delle cerve che lo osservavano ogni luna piena tra i cespugli della Foresta Proibita.
Grandi, leggermente a mandorla, con delle lunghe ciglia curve e stranamente profondi, non erano strizzati in una smorfia infastidita ma una palpebra tremava leggermente in modo davvero inquietante e familiare. Sembrava quella di sua madre quando perdeva la pazienza o era costretta ad ammettere qualcosa contro la sua volontà.
 


-Hai pulito davvero tu la tua camera, James?
-Certo, mamma, e chi sennò? Gli gnomi in giardino? Adesso posso invitare Sirius, vero?
- Senza mettere la polvere sotto al tappeto e... Merlino, guarda qua... senza nascondere i vestiti appallottolati sotto al letto! L’hai davvero fatto tu?
-Giuro sulla mia Nimbus. Sei ancora convinta di avere un Knarl* per figlio?
-Beh... sei stato bravissimo, tesoro, incredibilmente bravo. 
-Vado a spedire un gufo a Sirius allora! Ma... Mamma? Che hai all’occhio?
 



A parte questo, i bellissimi occhi verdi di Evans sembravano sinceramente imbarazzati nonostante la loro splendente determinazione che lo faceva impazzire ogni volta.
«Ma figurati, Evans» le rispose sentendo il petto gonfiarsi esponenzialmente «Sono abituato a trovare scuse credibili in meno di mezzo secondo»«Anche se» cominciò a dire lei raccogliendo la piccola margherita secca che usava come segnalibro «in teoria è stata colpa tua se mi è scappata la voce in quel modo, Potter. Come tutte le altre volte, d’altronde».
Sentì il tic all’occhio diminuire dopo aver pronunciato quella frase più ‘normale’, ben sapendo però che non era del tutto vera.
Ringraziare Potter non era stato di certo facile ma naturale. Sì, stranamente naturale. Per una volta, la prima, Lily si era sentita in dovere di ringraziare Potter. Per una sciocchezza, certo, ma l’aveva sentito consciamente e questo era di per sè spaventoso e non indifferente, doveva ammetterlo.
La colpa era stata maggiormente sua per aver urlato in quel modo. Avrebbe potuto dirgli un ‘Cosa?’ sussurrato rabbiosamente come tutte le volte che James le aveva chiesto di uscire con lui a Hogsmeade, appositamente lì in biblioteca per non sentirsi rispondere con un ‘No!’ gridato come invece avrebbe potuto ricevere in cortile o in corridoio.
 «Colpa mia?» sbottò James in un sussurro oltraggiato e Lily percepì di nuovo il tic all’occhio. La situazione non era stata di certo come quella notte quando si era ritrovata incastrata in un gradino per colpa esclusivamente di Potter e senza una punizione per merito di Potter. In quell’occasione, il grazie l’avrebbe meritato tanto quanto se lo meritava Petunia tutte le volte che la chiamava mostro, perchè la colpa aveva superato di gran lunga il merito.
Rimase con le labbra serrate e gli occhi fissi sullo sguardo nocciola di James, attento ed indurito da una ruga tra le sopracciglia.Lily immaginava stesse aspettando una risposta, una risposta che lei aveva sulla punta della lingua ma che non non ne voleva sapere di uscire.
D’accordo, Potter: No, stavolta non è esclusivamente colpa tua. Perchè era così difficile dirglielo a voce?
Le immagini di PotterGalloCedrone che si stavano accavallando a briglia sciolta come se la mente le stesse ricordando che genere di persona fosse quel ragazzo c’entravano forse qualcosa?
«Beh, essere accusata di star spiando quando invece non è affatto vero ti spinge ad urlare se non sei una stupida che si lascia mettere i piedi in testa, Potter» gli sibilò, lanciandogli un’occhiataccia. Anche questo è vero, no? 
«Non si può dire la verità adesso?» ribattè James tenendo a bada la voce nonostante gli tremasse dal nervoso. «Io li stavo spiando e anche tu. Te l’ho lett...» la frase gli morì sulle labbra: La mano di Lily gli aveva sfilato gli occhiali rotondi dal naso in un soffio.
«Riesci ancora a ‘leggermi’ gli occhi adesso?!» sbottò Lily cercando di tenere la voce più bassa possibile per quanto la furia glielo permettesse.
Nuovo record: Litigare sottovoce e sotto un tavolo con Potter. Da non rifare. Oltre il fatto che litigare con Potter significa parlargli e guardarlo... le ginocchia fanno malissimo, riesco a malapena a vedere, potrei sbattere la testa da un momento all’altro e la vicinanza con lui è troppa. Troppa! Ma non c’era bisogno di specificarlo, Lily carissima.
«Dilla tu la verità, Potter! Sei qui per riportare il libro sulla Legilimanzia che usi contro di me!». Era decisamente Legilimanzia quella. Adesso era palese. Non si poteva più trattare della fortuna sfacciata che aveva sempre avuto Potter.
Potter che, di sicuro, il primo bagnetto da neonato l’aveva fatto nella Felix Felicis.
Le coincidenze che quella fortuna aveva creato erano diventate troppe, era praticamente impossibile che fosse opera del caso. Prima di uscire da lì avrebbe dovuto cercare qualcosa per bloccarlo. Il professor Dearborn aveva parlato di Occlumanzia a lezione.
Sì, avrebbe cercato prima nel Manuale di Difesa. Ma se fosse stato necessario avrebbe frugato ovunque, anche nel Reparto Proibito della biblioteca.

James vide soltanto la sagoma sfocata di Lily alzarsi di scatto e la macchia rosso scuro- che dovevano essere i suoi capelli- sbattere con forza e con un altro eco rumoroso sul tavolo sopra le loro teste.

«Porc...»
«D’accordo puoi tenere gli occhiali, Evans, ho sentito che servono anche a te. Aspetta un attimo... HAI AMMESSO CHE SPIAVI!?»
«Signor Potter?! É di nuovo lei!?»

James, vedendo la macchia rossa sgusciare via di soppiatto, si frugò velocemente nelle tasche alla ricerca del Mantello di suo padre, sparendoci sotto appena lo fece sbucare fuori.
Raccolse a tentoni i suoi occhiali da terra e quando se li rimise sul naso mise a fuoco la piccola margherita che giaceva dove un istante prima c’era stata Evans. La raccolse e si alzò da lì facendo meno rumore possibile.
Gli venne da ridere passando accanto alla sconcertata Madama Pince che scrutava con cipiglio stranito la finestra, le sedie e l’assenza di persone.

Quel fiore doveva essere qualcosa di importante per Lily dato che lo conservava anche se era secco. Senza togliersi il Mantello, continuò a camminare per cercarla di nuovo.
Magari ne avrebbe approfittato anche per chiederle se per caso avesse perso il bottone o se invece... Se invece niente, pensò dopo essersi affacciato cautamente da dietro il reparto di Astronomia dove Lily, come al rallentatore, afferrava dolcemente il viso di John per avvicinarsi alle sue labbra con un sorriso.
La fitta al petto non impedì a James di far cadere un libro da uno scaffale, facendo saltare entrambi sul posto.
Eppure, anche se il libro, cadendo, aveva allontanato i due profili evitando il bacio, James aveva sentito chiaramente qualcosa dentro di lui scattare, qualcosa che fino a quel momento aveva fatto finta di non capire.
Forse era davvero tutto inutile, forse  aveva ragione Liv quando diceva che non bastava essere innamorati per essere nel ‘giusto’.
 
 

-James, stai rompendo l’accordo. Avevamo detto che non avremmo parlato di Lily.
-Ma dai, Liv.
- Meno ti intrometti e meglio è. Vado a farmi una doccia bollente. Non so se ti sei reso conto, ci hai tenuto cinque ore al campo... sotto la neve... 
- Liv...
- Fidati, non sono la persona giusta per aiutarti!
-Perchè? Stevens non ci sta?
-Ma che cosa...? Non volevo dire questo! Io Black lo uccido... e questo vostro vizio di dirvi praticamente tutto è insopportabile!
-Allora se Stevens ci sta, non hai problemi con chi ti piace. Puoi dirmi benissimo quindi...
-Non mi sento più le dita! James! Aiuto! 
-Cretina.
-Guarda! Sono da amputare! Se non vado subito a scaldarle sono perse! Siamo persi!
-Sei una cretina.
-Detto con una risata non rende, Capitano.
 


Gli occhi nocciola di James, velati dagli occhiali e dalla stoffa leggerissima del Mantello che gli toglieva l’aria che già mancava, seguirono le mani di Owen posarsi sui fianchi di Lily e quelle di Lily di nuovo sul viso di Owen.
Non c’era nessuna differenza tra l’astio e un amichevole sorriso inaspettato fintanto che Evans preferiva le labbra di Owen alle sue. Evans poteva anche sorridergli ma se dopo posava quel sorriso su quello di Owen era tutto vano, inutile.
La magia adesso non poteva fare niente e nemmeno il secco rumore di un tomo pesante quanto Peter. Il suono della J che usciva dolcemente dalle labbra di Evans sarebbe stato sempre seguito soltanto dalla ridicola O di ‘John’ e mai da una A... per quanto stupida potesse essere, la cosa faceva male.

Silenzioso ed invisibile, così come Evans lo voleva, se andò da lì dimenticandosi della margherita  che, senza rendersene conto, infilò in tasca.
Quando tornò da Sirius e Peter con un mezzo sorriso- giudicato chiaramente falso da Sirius- tutti e tre andarono a recuperare l’amico in infermeria con le teorie e le ipotesi su Marlene e Edgar ancora nell’aria.

«James» disse solamente Remus alzandosi con fatica dal letto «stai diventando più insistente di quando, al quinto anno, mi hai fatto una testa così chiedendomi in continuazione le parole d’ordine per entrare nel bagno dei Prefetti. Potrei non rispondere delle mie azioni come quel giorno. Non so se rendo l’idea. La devi finire».
James fece un mezzo sorriso sghembo contemporaneamente a Sirius, il traditore.
Certo che rendeva l’idea. Come aveva benissimo reso l’idea ricevere una secchiata d’acqua e sapone in testa quando, dopo aver scandito due volte la parola d’ordine ‘Pettini Preziosi’ (che gli era sembrata abbastanza falsa e decisamente derisoria nei suoi confronti ancora prima di provarla), aveva aperto quella che Remus gli aveva detto essere la porta del bagno dei Prefetti al quarto piano.
Non gli aveva di certo detto che invece era quella di un’aula abbandonata, abbandonata da tutto il resto del mondo eccetto Sirius e il secchio, e Peter e le saponette che aveva posizionato in terra a mò di campo minato.
Rendeva l’idea ma pazienza. L’unica cosa che faceva era, appunto, rendere l’idea... e basta.

«Un segreto. Con Silente.» riprese quindi, enfatizzando il tono intriso di suspance per renderlo un minimo più intrigante agli occhi dei suoi addormentati amici.
Che prendeva a quei tre? Non si tiravano mai indietro davanti a queste cose. Remus forse sì, la maggior parte delle volte, ma Peter no, lui ne era sempre entusiasta.
E Sirius... Dannazione, Felpato! Continua a guardarmi in quel modo e ti farò diventare davvero il vecchio che credi di essere! Pozione Invecchiante per la barba e una bella lotta con pugni mirati alle articolazioni per farti provare l’ebbrezza dei dolori legati all’età che avanza, così potrai fare a gara con mio padre e mia madre a chi ha le rotule più cigolanti e i gomiti più incriccati invece di fare follie con me! 

«Credi che uno dei due sia un lupo mannaro, James?» fece ironicamente Remus «Ieri notte abbiamo forse incontrato una Marlene pelosa e zannuta vagare per il parco e non mi avete detto niente?»«Un segreto con Silente non significa solo essere Licantropi» borbottò lui, guardandolo posare il pigiama sul comodino.
«Per questo dobbiamo scoprirlo. Un segreto con Silente è qualcosa di grosso... lo è sempre! Noi lo sappiamo bene. E rischiare è il pepe della vita, no?!». Finì la frase sentendosi addosso il tipico sguardo di Sirius ‘Fatti controllare meglio, alieno che ha rapito James’.
«Cosa potranno avere in comune allora?» chiese Peter sedendosi con un cigolio sul letto mentre Remus cominciava ad infilarsi il maglione della divisa sopra la camicia. «Un traffico illegale di dolci ed alcolici» esordì ironicamente Sirius, osservando le sopracciglia di James avvicinarsi tra loro. Forse riusciva ancora a recuperarlo quel deficiente che aveva per migliore amico.
Il rischio è il pepe della vita, James, ma si può sapere da quando hai abbassato la soglia del rischio da ‘Sirius... e se quest’anno ci facessimo il viaggio King’s Cross-Hogwarts con la mia scopa nuova?’ a ‘Spiamo un Tassorosso e una Corvonero che parlano di un segreto con Silente che di sicuro ha a che fare con la paura della guerra’...?

«Silente avrebbe chiesto a noi... non a quei due, ti pare?» sbottò James, sistemandosi gli occhiali con stizza.
«Adesso riesci a notare l’assurdità della cosa, James?» gli chiese prontamente Sirius mentre la faccia divertita di Remus fu coperta per metà dalla sciarpa rosso-oro. Dopo aver salutato e ringraziato come sempre Madama Chips- affacciandosi un attimo nel suo ufficio- Remus trascinò tutti e quattro fuori dall’infermeria.
 
«Ma Silente che problemi avrebbe a comprarsi dolci e alcolici, scusate?» chiese Peter stranito. Il preside poteva senza alcun dubbio mangiarsi anche tutta Mielandia e bere l’intera Testa di Porco da quel che ne sapeva. Se soltanto avesse voluto, Silente avrebbe potuto addirittura diventare Ministro della Magia.
Remus sollevò gli occhi al cielo e Sirius rise, circondando con un braccio le spalle di James per stringerlo e scompigliargli i capelli con forza.
«Appunto, Pete. Ramoso ha detto addio anche al suo ultimo neurone» o molto più probabilmente sta cercando di distrarsi da Evans e Owen che ridono giulivi e stanno insieme sempre più spesso. Non è così, fratello? E tu non ci puoi fare niente perchè nemmeno i coriandoli trasfigurati in vermicoli, l’Incantesimo Confundus, pietrificare Owen prima di un loro appuntamento, scambiare il vischio sopra le loro teste con l’agrifoglio e un litro di Amortentia possono risolvere tutto.
La magia non può risolvere niente adesso e lo sai, sai che quell’odiosa non l’avrai mai! Nessun Incantesimo e nessuna Pozione potranno risolvere la situazione. Quante volte te lo dovrò ancora ripetere? Dannazione.


 «Ridete quanto vi pare» sbottò James cercando di divincolarsi dalla stretta presa di Sirius, approfittando del fatto che si erano fermati per stare al passo lento e stanco di Remus.
«Quando scoprirò il segreto, col cavolo che vi dirò cos’è»
«Che peccato non sapere che intimo porta Marlene o quale posizione preferisce Bones... mi hai convinto»
«Sì, certo... non usare il sarcasmo con me, Sirius»
«Mai stato più serio di così, James. Quando andiamo a spiarli di nuovo? Ho la mappa in tasca»

L’espressione cupa di James si distese in un piccolo sorriso.
Ci sei arrivato, finalmente. Razza di idiota. Come lista anti-rimbecillimento sei un po’ scarsa, fratello.
Le ultime due frasi di Sirius non avevano niente a che vedere con il sarcasmo e nemmeno con i reggiseni di McKinnon e le fantasie sessuali di Bones.
Sì, con assoluta certezza quel portatore di sventura canino lo stava assecondando come si faceva con i pazzi, ma lo stava facendo velatamente con la sola intenzione di accompagnarlo a distrarsi. 
Ed era questo che James aveva velatamente chiesto. Sirius riusciva sempre a sbirciare dietro i veli sopra le sue parole ed era anche incredibilmente bravo a lasciarli lì dov’erano mentre agiva di conseguenza.
Se tu non fossi così stronzo da sogghignare nel frattempo, Gramo, te lo direi ad alta voce. 

«Non mi avete ancora detto come è andata stanotte» s’intromise Remus con una voce improvvisamente allarmata dopo aver notato due figure in divisa Serpeverde in fondo al corridoio che non avrebbero di certo contribuito a lasciare nell’aria quella tranquillità.
Non l’avrebbero fatto normalmente, figurarsi due giorni dopo che James e Sirius ne avevano ‘catturato’ di nascosto uno per sporcarlo interamente di carbone nel bagno al secondo piano.
Rallentò ulteriormente il passo sperando che in quel modo nessuno degli altri tre malandrini si accorgesse di quelle due presenze scomode.

«Mah, la solita cosa di questo periodo, Lunastorta» rispose Sirius con nonchalance «A Ramoso sono cascate le corna».
James borbottò parole incomprensibili con la faccia schiacciata sul maglione dell’amico che lo teneva ancora prigioniero con il braccio.
«Ma la prossima primavera saranno ancora più grandi e più belle, vero Rammy?» continuò a prenderlo in giro Sirius, sapendo quanto fosse umiliante per James vedere il suo palco di corna, del quale ne era così orgoglioso e fiero, staccarsi dalla testa facendolo apparire come una docile e leggiadra cerva femmina.
La prima volta che era successo si era ritrasformato in umano ad una velocità impressionante e con un’espressione completamente traumatizzata in volto non di certo per Lunastorta e la sua fame che James aveva bellamente lasciato in secondo piano di fronte al suo prezioso ego ramificato, rotolato sull’erba.
Se non ci fosse stato lui in versione Felpato, a quell’ora Ramoso sarebbe stato bello tranquillo sotto terra con il suo adorato palco a fargli da lapide.

«Sì...» riuscì a ringhiare poco dopo James «E dove vogliamo lasciare le corsette tra gli alberi che Felpato si è felicemente premurato di tracciare come suo territorio alzando ‘elegantemente’ la zampetta?».

Vedendo Piton bloccarsi di scatto come un cane che punta la preda, Remus pensò di fermarsi direttamente.
Lo fece appena vide Mulciber fare altrettanto. Nessuno aveva scampo ormai.
Ma con tutto lo spazio che aveva quella dannatissima scuola- soprattutto quando erano in ritardo per una lezione che guarda caso si svolgeva sempre nell’aula più lontana da dove si trovavano- perchè diamine adesso dovevano per forza passare tutti per il Primo Piano?

«Sì, beh... poi abbiamo incontrato i Centauri...» non di certo Madama Rosmerta che portava fuori la spazzatura «Ma, niente di che. Il solito, quello gentile con i capelli lunghi biondi, ti ha allontanato senza infilzarti con le frecce» provò a mentire anche Peter, in evidente imbarazzo.
 Remus, guardandosi alle spalle nel tentativo di cercare un’eventuale scorciatoia per far sfuggire  tutti dal destino che evidentemente adorava vederlo dilaniato tra l’essere contemporaneamente un Malandrino e un Prefetto con una spilla improvvisamente pesante, si accorse dell’espressione da bugiardo dell’amico.
Che cosa diamine è successo stanotte? 
Portò l’attenzione completamente su di lui, fermo sul posto insieme a quell’ammasso di corpi in lotta che erano Sirius e James.
Un brutto presentimento gli invase la mente, un presentimento che nasceva dall’esperienza, da quella faccia spaventata che un tempo avevano avuto anche James, Sirius e se stesso la mattina dopo la notte che avevano rischiato di diventare assassini a Hogsmeade. O per essere più precisi: dopo che lui aveva rischiato di diventare un assassino quasi azzannando un uomo.
Le stesse facce sconvolte ed incredule per essere riuscite a tenere a bada una situazione potenzialmente catastrofica spazzate via con ridicole battute e resoconti esaltati dell’accaduto come potevano fare soltanto dei ragazzi giovani e spensierati che dopo la meraviglia di essere diventati Animagus credevano di essere capaci di fare qualsiasi cosa... o come diceva sempre James: “Dopo aver passato un intero mese con in bocca una palla fatta di foglia di Mandragola* e saliva... tra dentifricio, pezzi di pollo, torte di melassa, latte e insalata... non mi spaventa più niente!’’.

Ma per quanto Remus sentisse la preoccupazione salirgli in gola dallo stomaco- Se ore fa ho ucciso qualcuno me l’avrebbero già detto... una notizia più importante delle fasi fisiologiche di un cervo e di quella sul bisogno di affermazione di un cane- la gamba di Mulciber si era allungata verso di loro, di certo non con l’intento di trasportare fin lì quel corpo fatto di pura malvagità e idiozia per salutarli  educatamente.
Il distintivo da Prefetto prese un chilo in più sul maglione e Remus sentì il bisogno di fare qualcosa al più presto. 

 «Oh! Ma guardate... Il Sudicio Purosangue»

No. Quando aveva James vicino, ‘al più presto’ non bastava mai. ‘Al più presto’ diventava ‘un’eternità’ perchè James scattava più velocemente di un boccino d’oro. E a questo Remus non aveva ancora trovato rimedio. Non sarebbe riuscito a bloccare James nemmeno se non fosse stato il pomeriggio dopo la luna piena, giorno nel quale aveva la capacità di scattare pari a quella di Peter a digiuno da due ore.
Riprese a camminare lentamente insieme a James, Sirius e Peter sperando che la sua spilla si degnasse di suggerirgli qualche efficace via di fuga alla velocità di James Potter.
«Dov’è l’altro? Sta ancora cercando di grattare via il carbone dalle chiappone?» chiese Sirius, salutando i Serpeverde nonostante i diversi metri di distanza che continuavano a separarli ma che diminuivano lentamente man mano che entrambi i gruppi si venivano incontro a passo minaccioso.
Il sorriso di James non si abbassò quando Remus gli sussurrò di lasciarli perdere.
Non poteva lasciare perdere, non quella questione. Così come non lasciava mai perdere quella del Piccolo Problema Peloso.
Perchè se Mulciber aveva ancora da ridire o da vendicarsi significava che non aveva ancora capito e James, così come due giorni prima, era lì per farglielo entrare nel cervellino da Fata che si ritrovava.
Sapeva che con quelle teste vuote come Mulciber e Avery non bastava togliere dieci punti Casa o fargli pulire i vasi da notte dell’infermeria, per questo aveva deciso di vederli completamente sporchi di carbone come i muri dei sotterranei che loro stessi avevano imbrattato.
Anche se rimanevano della loro stupida opinione, era stata la soluzione giusta. Ne era valsa la pena. Era valsa la pena sentirsi addosso parole come ‘Babbanofili’ o ‘Traditori del vostro sangue!’che per lui e Sirius non erano altro che i migliori complimenti.
Così come ne era valsa la pena sorbirsi una delle rare prediche particolarmente pesanti da parte di RemusLupoMannaroIstericoPrimaDellaLunaPiena che gli aveva chiesto se l’avevano fatto per dimostrare di aver inventato una pozione che li aveva fatti regredire di due anni.
A nulla era valso rispondere con ‘L’abbiamo fatto per mettere in evidenza la loro sudicia mente, mammina ’ perchè James e Sirius davanti alla successiva domanda dell’amico  che chiedeva spiegazioni a quella giustificazione erano rimasti zitti, rispettando ed appoggiando Lily e la sua tacita scelta orgogliosa di non denunciare il fatto.

«Chi erano quelli sporchi l’altro giorno?» continuò ad infierire James, con lo stesso odio che vedeva brillare negli occhi neri di Piton «Sporchi sul serioperò». Piton che non aveva scritto sui muri ma che aveva sputato fuori quelle parole a voce, in riva al lago.
E non importava quanto tempo era passato, se quel viscido si era pentito oppure no, perchè quelle parole erano scritte in nero nell’aria, sull’erba, sopra il tronco del faggio, sui cespugli, sulla superficie del lago, su tutti i presenti quel giorno e sul viso di Evans... e se ancora spiccava sul viso di Evans rimaneva dappertutto, anche e soprattutto su James.
Mocciosus si sarebbe meritato tutto il suo odio anche dopo quarant’anni di tempo se sugli occhi di Lily continuava a nascondersi e riflettersi quell’insulto.

Mulciber e Piton, astutamente, non reagirono. Continuarono a camminare, in perfetto silenzio come se non sapessero niente di scritte e muri, con delle facce che se i Dissennatori avessero avuto un volto sarebbe stato di sicuro così. Peter non aveva alcun dubbio mentre, vedendo i due Serpeverde avvicinarsi con i loro mantelli galleggiare sopra il pavimento, aumentò il passo per stare al sicuro dietro James.

«Che c’è, Mulcy? Hai perso anche la lingua oltre alla tua ‘purezza’?» lo stuzzicò Sirius alle sue spalle, mettendosi tranquillamente le mani in tasca senza modificare il suo passo rilassato.
Sorrise mellifluo osservando con soddisfazione le labbra serrate di Piton diventare sempre più sottili e bianche.
Per Remus ormai era come avere Lumacorno con tutti i suoi centoventi chili- barattoli di ananas candito compresi- appuntato sul petto.
Vide la mano di Piton affondata dentro il mantello e quella di James in tasca, esattamente come quelle di Sirius e Mulciber. Se erano davvero regrediti agli anni precedenti, ancora un metro e si sarebbero incrociati scatenando un duello nel bel mezzo del corridoio. Magari con anche mutandoni della nonna in mostra e battutine sui capelli sputate a vicenda da entrambi i leader delle fazioni nemiche anche se, chi per colpa di mancato amore per il sapone e chi per questioni puramente genetiche, non potevano di certo permetterselo.
Lumacorno aggrappato al maglione (alias distintivo da Prefetto) gli ricordò con saggezza che nessuno aveva ancora inventato una Pozione per far andare indietro il tempo (nemmeno James e Sirius) e che non aveva una Giratempo per poter tornare in infermeria e proporre di andare nelle Cucine giusto il tempo per non incontrare Piton.
L’unica cosa da fare era quindi solo una.
 

«Ringraziate il fatto che abbiamo usato il carbone... » sganciò la bomba Sirius quando i due gruppetti furono l’uno di fianco all’altro come al rallentatore «perchè per rispecchiare la vostra essenza avremmo dovuto utilizzare ben altro... non so se mi spiego».
Le bacchette si sollevarono in aria ma un muro semi-trasparente li separò in contemporanea sorprendendo tutti eccetto Remus che, con sguardo determinato, mantenne intatto il suo Sortilegio Scudo anche mentre trascinava via da lì James e Sirius prima ancora che potessero anche solo aprire bocca.
 
 




 

*




 
 
 
 
PREFETTI SETTIMO ANNO: 
Tassorosso-Edgar Bones e Elizabeth Truman: ghirlande d'agrifoglio, scale primo piano.
Grifondoro-Remus Lupin e Mary Macdonald: fate e Ghiaccioli Sempiterni sull'albero di natale, lato destro Sala Grande
Corvonero-Marlene McKinnon e Robert Goldstein: lamè sui camini, Sala Grande
Serpeverde. Deanne Stevens e Seve...
 

La punta nera d’inchiostro della piuma si staccò lentamente dalla pergamena, al contrario degli occhi verdi di Lily che rimasero incollati su quel nome scritto a metà.
Era inutlie inserirlo nelle mansioni per le decorazioni natalizie, tanto non si sarebbe presentato. Lily ormai non faceva altro che immaginarlo scivolare nella penombra della sera nei sotterranei, silenzioso, con le mani sporche di carbone e un viso che non gli apperteneva più, un viso con già una maschera a nasconderlo.
Una goccia nerissima e lucente d’inchiostro colò placidamente sulla carta macchiando un angolo del foglio come un occhio scuro, quello di Severus.
In un attimo quel piccolo cerchio si espanse, cambiando forma e ramificandosi sulla trama giallastra della pergamena.
Tutto cambiava così velocemente, spariva chissà dove, si trasformava. Tutto tranne lei che restava sempre lì a tentare di capire il perchè fino a sentirsi secca come la margherita tra le pagine dei suoi libri.
Anche Petunia, che non aveva voluto un incantesimo per rendere sempre fresco quel fiore nel vasetto sul suo comodino, era cambiata.
Lily scacciò via quel pensiero per non rendere ancora più difficile evocare il suo pensiero felice da utilizzare con l’Incanto Patronus. A proposito, doveva esercitarsi. 
Mollò la piuma a terra, sporcando anche il tappeto sul quale era seduta, e raddrizzando la schiena si allungò per afferrare la bacchetta dal letto che le faceva da spalliera. Lo sguardo, però, le cadde sul bottone di James sopra il comodino, tra le forcine per capelli come una qualsiasi cianfrusaglia.
Troppo spesso, nei giorni precedenti prima della ronda, si era ritrovata a guardarlo di sfuggita proprio come in quel momento, con una sorta di fastidio e tentazione di prenderlo che le solleticava lo stomaco insieme all’orgoglio.
Non riusciva a capire come quell’oggetto che non si portava mai dietro potesse sembrare tanto assurdo- a volte credeva che nemmeno potesse esistere- quanto reale e spiacevolmente lontano quando metteva piede nei sotterranei.
«Finalmente!» la salutò non proprio allegramente Liv entrando rumorosamente in camera con la scopa in mano e gli stivali coperti di fango e neve.
Lily scattò in piedi, non tanto per lo spavento dato dalla voce improvvisa o dalle condizioni a dir poco disastrose dell’amica, ma perchè farsi vedere da Liv incantata a quell’oggetto era l’ultima cosa che voleva. Liv avrebbe chiesto spiegazioni e lei di spiegazioni non ne aveva.
Si voltò nella sua direzione restando a guardarla senza stupirsi più di tanto. Le guance e il naso, rossi come due ciliegie, si intonavano perfettamente al maglione umido della squadra che aveva addosso e i capelli che sfuggivano alla coda ormai distrutta erano praticamente più della metà.
La sua migliore amica si riduceva sempre in quello stato dopo ogni allenamento, più o meno. La scritta sul maglione Cieca-trice’ era un’eccezione, certamente opera di Black.
«Dov’eri?» sbottò Liv allargando le braccia senza muoversi dalla porta «Io e Mary non ti vediamo dall’ultima ora con la McGranitt! Sei sparita!»
«In biblioteca. Ho visto Marlene e Edgar entrarci, ma non sono riuscita a sentire niente perchè c’erano Potter, Black e Peter» rispose Lily afferrando piuma e pergamena macchiata da terra prima di sedersi a gambe incrociate sul letto.
«In biblioteca?» ribattè per niente convinta Liv avanzando verso il suo baldacchino a passo svelto.

«Sì, quei tre erano in biblioteca» rispose tranquillamente lei. «Capisco se non ci credi, quando li ho visti ho pensato di essermi trasfigurata gli occhi a lezione, invece del naso»

«No, Lily, io non credo che tu eri in biblioteca visto che Daisy ti ha visto entrare in infermeria poco prima di raggiungermi al campo!» scattò Liv, fissandola sconcertata.
«Mi spiate?» chiese ironicamente Lily sporgendosi verso il tappeto per recuperare anche la boccetta d’inchiostro. Liv poggiò la scopa sul muro.

«Ho passato tutti gli allenamenti a pensare a te!» esclamò con tono risentito raggiungendo la stufa per sfilarsi il maglione e stenderlo lì davanti.
Il pensiero di Lily in infermeria le aveva martellato la testa per tutte le quattro ore di allenamento. Tutte le ipotesi che aveva fatto con Mary per spiegare il fatto di Lily che continuava ad essere sempre tesa e in ansia per qualcosa si erano fatte spaventosamente reali e, a parte l’intero corpo, aveva avuto anche la mente tra le nuvole. «A pensare cosa poteva esserti successo! Se stavi male e quanto! Non ho preso nemmeno una volta il boccino e James mi ha fatto restare un’ora in più, là fuori al gelo, fin quando non l’ho acchiappato!»

«Potter è un’idiota» sentenziò Lily intingendo la piuma d’aquila nell’inchiostro senza un reale motivo.
«Tu sei un idiota, Lily!» la insultò Liv, battendo un piede a terra con nervoso. «Perchè non mi dici la verità!»

«Ti ho detto la verità! Sono andata in infermeria per trovare Remus. Sta meglio. Era influenza, l'infermeria è piena di gente che starnutisce e tossice, non vi conviene andare» bofonchiò lei continuando a bagnare la penna anche se ormai non ce n’era più bisogno.
«Beh, potevi dirmelo! Invece di sparire così!»
«Oh, certo. Quando sparisci tu perchè sei con Potter però va bene, eh?»
«Io non sparisco!»
«Anche l’altro giorno sei rimasta giù in Sala Comune a parlare con lui fino a mezzanotte!»
«Stavamo ripassando gli schemi d’attacco e le strategie con tutta la squadra! E se l’avessi fatto con Remus o... che ne so, Martha Spinnet sarebbe stato diverso? Solo perchè era James? Solo perchè non ti va a genio?»
«Sì, non mi va a genio, è proprio per questo. Non mi va a genio Potter. Non capisco come fai a parlarci tranquillamente dopo anni di prese in giro!»
«Non ti andavo a genio nemmeno io la prima notte dopo lo Smistamento: “Come vuoi, allora farò finta che tu non esisti. Ci troveremo bene in due, qui dentro, Mary”»
«”Ciao, io sono Lily!”e in risposta da parte tua un'occhiata diffidente e piuttosto inquietante tanto da affibbiarti il soprannoe Mercoledì Addams... forse per questo? E comunque non ti conoscevo!»
«Non conosci nemmeno James! É tutta un’altra cosa in campo!»
«Lui lo conosco anche troppo, Liv! Fuori dal campo! Esattamente come dicevi tu per Severus. E avevi ragione!»
«Ehi, sono viva anche oggi » salutò Mary entrando nella stanza mezzo ingobbita dalla tracolla piena di libri su una spalla. Il mantello, con nuovi buchi uguali identici a quelli dell’ultima volta che aveva avuto una lezione di Cura delle Creature Magiche, era completamente bianco di neve.
«Abbiamo fatto tardi perchè sembrava che le uova dell’Occamy si stessero per schiudere e invece niente. Ma voi non immaginerete mai cosa ci ha detto Kettleburn mentre aspettavamo! Ci porterà nella foresta, con Hagrid, a vedere un Acromantula! Una vera! Ma vi rendete conto?!»
«Io mi rendo conto che è un Noto Ammazzamaghi, Mary... l’Acromantula e anche il professore» le rispose Lily approfittando di quell’interruzione per stroncare il discorso spinoso con Liv.
«Ma che dici, Lily! Cioè sì, è vero, l’Acromantula è un Noto Ammazzamaghi» rispose Mary gettando a terra borsa, mantello e un chilo di neve. «Ma sono queste le creature che si studiano al settimo anno! Non si dovrebbe fare pratica con loro, hai ragione, ma... Oh! Naturalmente è un segreto. Nessuno deve sapere che abbiamo un Acromantula in giardino, intese?»
«Due Noti Ammazzamaghi come lo sarà Piton se si unirà ai Mangiamorte» s’inserì Liv, oltraggiata perchè la discussione era stata chiusa in quel modo così leggero. «Una cosa che non si può paragonare a James»
«Non è meraviglioso?» continuò Mary avvicinandosi alla stufa e a Liv con le braccia tese verso il fuoco per scaldarle il prima possibile. «E osserveremo anche i Centauri, che sono Pericolosi e non Ammazzamaghi quindi dovrebbe essere tutto ok con il Ministero anche se a Silente non gli è mai importato molto del Ministero, no? E le Sirene! Però quelle a maggio, solo se avremo imparato l’incantesimo Testabolla con Vitious. Se Silente ce la presterà, ci occuperemo anche della Fenice. Non vedo l’ora! Adoro il settimo anno!»
L’entusiasmo di Mary le fece sorridere entrambe, nonostante tutto.
Lily, che era rimasta a fissare Liv con sguardo incerto, sospirò piano. «D’accordo. D’accordo, Liv, hai ragione» balbettò smettendo di mescolare con furia l’inchiostro con la piuma ormai nera per metà.
Sì, era vero, verissimo che Potter non si poteva paragonare a Severus da quel punto di vista.
Non erano affatto uguali, l’aveva già detto e se n’era accorta anni prima. Era questo che Severus non aveva mai capito di Potter. Potter, l’arrogante e il superficiale Potter che però sapeva distinguere il bene dal male, scegliere di restare dalla parte dei Babbani, delle creature Mezzosangue come i Licantropi, i mezzo-giganti e i Nati Babbani, dalla sua parte e quella di Hagrid, di Remus.
Intercettò l’occhiata incuriosita di Mary, ferma sullo stipite della porta del bagno, prima di portare gli occhi verdi sulla carta ricominciando a scrivere con una calligrafia molto più affilata, quasi stizzita, tanto che la pergamena e le dita le si riempirono di macchie scure come quando i primi mesi di scuola aveva dovuto imparare a scrivere come se fosse nel medioevo.
Deanne Stevens e Severus Piton: candele e armature, primo piano.
Perchè quelle scritte apparivano sempre e soltanto dopo la riunione generale con tutti i Prefetti, due volte al mese, e se lui c’entrava con quelle scritte lei doveva saperlo.
Non sarebbe cambiato niente tra loro- perchè se non aveva niente di male contro di lei non avrebbe dovuto averne neanche con gli altri che lui stesso chiamava Sanguesporco- ma doveva saperlo, la Lily di dieci anni voleva saperlo.
Tenerlo occupato con le riunioni per quelle due volte al mese le avrebbe permesso di capire se passava quell’ora a strofinare il carbone sulla pietra, oppure no.
Piton doveva immediatamente presentarsi alle riunioni e ogni volta che i Prefetti si riunivano, come avrebbero fatto per Natale. Lily aveva lasciato perdere quella sua irresponsabilità, per mesi, soltanto perchè non vederlo faceva comodo anche a lei, ma adesso era diverso. Adesso preferiva guardarlo in faccia con disprezzo piuttosto che vederlo nelle minacce scritte nel buio.
Era arrivato il momento di fare qualcosa di concreto, ma per farlo servivano le firme di entrambi i Capiscuola e questo significava convincere Potter.
Sarebbe più facile travestire la McGranitt da Babbo Natale senza prima sedarla.

Sventolò la pergamena per farla asciugare più in fretta e la poggiò sul comodino disordinato. Di nuovo, l’occhio le cadde sul dannato bottone.
Ma perchè accidenti Potter gliel’aveva dato? Lui e i suoi soliti pregiudizi sui Serpeverde... “quei viscidi serpenti sono meschini di natura, Evans”.
Pregiudizi che si erano rivelati corretti in realtà ma lui, come al solito, aveva pensato male di loro senza prima accertarsi.
Non aveva di certo visto quelle scritte, no, gliel’avrebbe detto.
Il Potter che le aveva regalato quel bottone era lo stesso Potter che, fuori dal campo, sparava sentenze sui Serpeverde senza conoscerli.
Ma c’era qualcosa di sconosciuto in lui che la spingeva a dirgli ‘Grazie’, esattamente come il Grazie che le era uscito un’ora prima in biblioteca e quello che le era rimasto intrappolato inconsciamente negli occhi insieme al riflesso dei Dissennatori e che lui aveva letto chiaramente.
«Lily? Che ha di interessante il bottone di Vitious?»
«Fatti la doccia così scendiamo a cena, Liv. Ho una fame esagerata! Tu no, Mary?».
 
 



 

 

*

 
 
 




Qualche fiocco di neve cadeva placidamente sulle nere montagne e sugli abeti della Foresta Proibita, brillando sotto la tenue luce della mezzaluna calante.
Il silenzio su tutta la buia valle innevata attorno a Hogwarts fu spezzato dai solenni rintocchi della campana nella Torre dell’Orologio che segnava le ventuno. Il cupo suono metallico arrivò ovattato nei freddi corridoi deserti del castello, anche nell’aula professori al primo piano- chiesta in prestito agli insegnanti- riscaldata da un braciere che i Prefetti benedivano ogni volta che si riunivano lì, prima delle riunioni serali invernali.
Quella riunione non era ancora iniziata e un tranquillo parlottare stava riempiendo la stanza mentre Lily dava l’ennesima occhiata alla pergamena che aveva tra le mani. Sollevò un attimo lo sguardo in direzione di James, impegnato a ridere insieme a Remus poco lontano da un armadio in legno, e poi lo spostò verso la porta aperta dove Gazza, in evidente stato di impazienza, accarezzava tra le braccia una miagolante Mrs. Purr.
Dei tre Prefetti Serpeverde c'erano soltanto Regulus Black del sesto anno e Barthemius Crouch del quinto, di Severus nemmeno l’ombra.
«Potter?» lo chiamò con un tono così stranamente normale da impressionare perfino se stessa.
Cominciare con calma una discussione con lui non garantiva una conversazione pacata ed intelligente, ma il bottone rotondo nella sua mente le stava suggerendo che forse poteva almeno provarci.
Vide James voltare lentamente la testa verso di lei con espressione incuriosita, per poi osservarlo avvicinarsi dopo aver dato una pacca amichevole a Remus e salutava Edgar Bones, arrivato di corsa e senza fiato insieme a Marlene e Lisa Truman.
«Qualcosa non va, Evans?» le chiese James in un sorriso incredulo.
Lily annuì posando il foglio di carta sul banco al quale era poggiata.
«Penso sia arrivato il momento» annunciò risollevando la testa verso James che strabuzzò gli occhi, confuso.
«Quale momento?»
«Non credo non te ne sia reso conto. Non ci crederei nemmeno»
«Vedi di essere chiara, Evans, perchè mi stai servendo delle battute su un piatto d’argento. Tipo: il momento in cui mi chiedi di uscire a Hogsm...?»
«Piton» lo bloccò lei prima di sentire di nuovo quel maledetto nome di villaggio.
Non che preferisse il cognome del Serpeverde, sia chiaro, ma tra le due parole quella che indicava la persona che le aveva rovinato l’adolescenza per sempre era meglio dell’altra che, a parte rovinargli l’adolescenza, le aveva disintegrato i timpani e l’autocontrollo ormai perso chissà dove nei meandri di Hogwarts da tempi immemori. 
«Piton non ha partecipato alla riunione nel vagone dei Prefetti in treno, non ha lavorato alle decorazioni per Halloween e non si è mai fatto vedere alle riunioni di inizio e fine mese» continuò, senza più nessuno scrupolo.
James sollevò le sopracciglia nere sopra la montatura degli occhiali che si sistemò sul naso con fare pensieroso. «Oh, davvero?» fece poi, fintamente colpito. «Non me ne ero proprio reso conto».
Il mezzo sorriso stampato in faccia puzzava di bugia. L’espressione sarcastica di Lily infatti parlava da sola e James sentì di dover specificare l’ovvio.
«E chi si accorge di Mocciosus!?» esclamò, sedendosi sul tavolo con una gamba a penzoloni. Chi si accorge di lui quando non impreca con la carta igienica attaccata alla scarpa, quando non ha le mutande alla luce del sole, quando non sogghigna con malizia ad ogni Luna Piena, quando non blatera stronzate sul ‘Sangue marcio’, quando non usa Magia oscura, quando non chiama Sirius ‘Feccia’ e quando non sputa sulla mia scopa.

«Stiamo tutti meglio senza di lui». Tu soprattutto, Evans... o perlomeno dovresti, santissimo Merlino.
 Lily si schiarì la voce, riabbassando lo sguardo sulla pergamena schiacciata dal didietro di Potter.
Lo fece scendere dal banco con una leggera spinta sul braccio, riprendendosi il foglio stropicciato.

«Ha saltato tre mesi di doveri e responsabilità. Non può continuare così» sbottò, lisciando la carta con cura prima di porgergliela insiema ad una piuma. «Questo è il rapporto che ho scritto sulla sua continua assenza, dobbiamo firmarlo qui sotto prima di consegnarlo al direttore della Casa del Prefetto da segnalare... nel nostro caso è Serpeverde, quindi Lumacorno. Ci parlerò io con lui, tu devi solo firmare qui» spiegò con calma indicandogli il punto in cui mettere il suo nome, ma James non prese la piuma che lei gli mise davanti al naso, quasi dentro una narice.
«Per me è ok» fece, tranquillo. Lily sollevò un sopracciglio, restando a guardarlo in silenzio.
«Bene» disse poi, perplessa. «Allora che stai aspettando?» gli chiese sforzandosi di apparire calma.
Così come non era normale vedere Potter diversamente allegro e molto somigliante a Gazza la maggior parte delle volte che se lo ritrovava davanti, non era normale vederlo con il corpo scollegato dal cervello. Il cervello scollegato alla bocca era ovvio, quello era sempre stato così, ma non il corpo.
La coordinazione neuroni- arti che in Potter era facilmente osservabile nel suo lanciare pluffe e catturare boccini come se niente fosse era l’unica costante del suo collega, se non si parlava anche di idiozia senza limiti e Black sempre al fianco.
Quindi perchè, dato che gli andava bene la proposta di segnalare Piton, non allungava quella dannata mano per afferrare la penna d’oca e firmare invece di passarsela come al solito tra i capelli!?
James sorrise, infilandosi le mani in tasca come per sottolineare la sua posizione.
«Per me è ok nel senso che per me Mocciosus può continuare così» disse tranquillamente. L’occhiataccia verde chiaro che lo trafisse subito dopo lo fece sorridere sotto ai baffi.
Era assurdo che proprio adesso tutti dovessero sorbirsi la presenza viscida di quel razzista.
Non bastava il pensiero di Owen che se la trascinava ovunque per baciarla e ridere con lei, adesso si aggiungeva anche il pensiero del possibile avvicinamento del pipistrello pentito.
E non gli importava se Lily lo stava guardando come si guarda un bambino capriccioso invece di sorridergli amichevolmente come faceva sempre la notte dal poster con la motocicletta di Sirius o nei sogni sempre più frequenti.
Muso lungo o sorriso, quelle labbra volevano Owen Lo Scemo. Non aveva nessuna intenzione di cambiare opinione su Mocciosus per lei anche se, più la guardava e più sentiva il bisogno di avvicinarsi non soltanto a quelle labbra proibite, ma avvicinarsi a lei come una persona stanca di essere messa da parte e desiderosa di conoscerla sul serio.
L’elastico invisibile sembrava fregarsene altamente del Corvonero. L’elastico invisibile avrebbe volentieri schiacciato John come una mosca.
Se però per essere preso in considerazione da lei doveva accettare senza battere ciglio qualsiasi cosa lei dicesse... be', no. Nel modo più assoluto, non ci stava. Quello che voleva da lei era un interesse sincero.
Cambiare se stesso e le sue opinioni, accontentarla per qualsiasi cosa e fare il falso soltanto per apparire diverso ai suoi occhi non era accettabile, non sarebbe stato duraturo, soprattutto non era ciò che James voleva
«Secondo me non viene perchè... »
«Preferirei non sentire le tue ipotesi, Potter. Me le immagino...»
«Chiediamo alla sua collega che fine ha fatto allora...»
Lily lo vide impettirsi come un gallo all’alba prima di sentirlo gridare. L’istinto fu quello di tappargli la bocca o ammutolirlo con un incantesimo- anche una botta in testa non sarebbe male- ma per entrambi i gesti ci sarebbe voluta la velocità della luce per anticipare la voce squillante di James che rimbombò per la stanza, zittendo tutti.
«CHI È IL PREFETTO DONNA SERPEVERDE DEL SETTIMO ANNO?!»
Coprirsi gli occhi con una mano fu l’unico impulso che Lily riuscì a fare. Che razza di Caposcuola era se non sapeva le coppie dei Prefetti di ogni anno e Casa?
«Sono io» rispose all’appello Deanne Stevens, la Serpeverde del settimo anno con i lunghi capelli biondi dello stesso colore di Ned, seduta su una sedia vicino alla porta appena oltrepassata da Dirk Cresswell, prefetto Corvonero sel sesto anno in evidente ritardo.
«Il tuo collega non sa più usare i suoi ultrasuoni da pipistrello per uscire la notte, Stevens?»
«Potter»
«Non parlo con Severus» rispose pacatamente lei tra il borbottio che usciva dalle labbra mezzo sollevate in un sorriso di Lily e le risate vere e proprie dei Prefetti. «Anzi, è lui che non parla mai con me. E a dirla tutta, la sera dopo queste riunioni preferisco tornare da sola in Sala Comune da sola piuttosto che con lui» continuò Deanne facendo spallucce, desiderosa di mettere una certa distanza tra lei e il Serpeverde famoso in tutta la scuola per le sue maledizioni oscure.
James sorrise, compiaciuto di aver ascoltato quello che si aspettava di sentire: chi voleva stare accanto ad uno famoso tra gli studenti per le sue fatture di magia oscura? Soltanto gli altri altrettanto famosi per la stessa cosa. Non tutti i Serpeverde erano così, come Mulciber e Avery. Perfino James ne era convinto, ormai, e Deanne Stevens insieme alla maggioranza dei Serpeverde ne erano la prova, soprattutto in un periodo come quello.
«Visto, Evans?» fece James a bassa voce soltanto dopo che la stanzetta si riempì di nuovo delle chiacchiere tranquille dei Prefetti. Regulus, poggiato al muro dall'altra parte della porta con Barty tutto intento a rigirarsi tra le dita qualcosa, sembrò trucidarlo con gli occhi grigi. James lo ignorò. «Questa situazione sta bene a tutti, Evans, Serpeverde compresi. Perchè a te no?»
Lily indurì le labbra, spalancando leggermente gli occhi. «Perchè...» provò a dire mordendosi l’interno di una guancia senza sapere che diavolo inventarsi.
«Perchè Piton ha il dovere di congelarsi il posteriore ogni notte come tutti noi. Non è il figlio della gallina bianca» gli sibilò alla fine, spiccia. James sembrò non capire.
«Il figlio della gallina...?»
«Lascia perdere e firma»
«No».
Le sottili dita di Lily che tenevano il foglio strinsero la pergamena con nervoso. Ehi, Potter? Potter, i Dissennatori! Guarda, ci sono i Dissennatori! Che ne dici di reinstallarti il cervello per un attimo?
L’ipotetico corso di educazione civica di Potter era stato un mezzo fallimento a quanto pareva. Oppure le nozioni gli comparivano in testa ad intermittenza come le luci di natale babbane.
Questo era decisamente il momento in cui sotto a quei capelli assurdi c’era il vuoto totale, sicuro.
Ecco, il buonsenso era una delle cose altanelanti di Potter, non di certo una costante.
Ammettere che Potter avesse un buonsenso, anche se altalenante, le provocò il suo tic all’occhio destro che James osservò con non poca preoccupazione.
Lily lo fissò con l’intenzione di fargli capire quanto sarebbe stato spiacevole ritrovarsi la punta di una piuma conficcata in un orecchio.
Leggimi lo sguardo adesso, Potter, avanti.
«Evans» cominciò sommessamente divertito James, sorridendo agli occhi verdi di Lily che brillavano con una luce a dir poco diabolica nonostante quella palpebra tremolante che, di nuovo, la faceva apparire davvero ridicola. «Se non mi dai un buon motivo per sopportare la presenza di Mocciosus per due volte al mese e tutte le volte che questo castello dovrà essere abbellito, non firmerò mai»

«Io sono mesi che sopporto la tua presenza eppure non ho nessun buon motivo!» sbottò lei sull’orlo della pazienza. «Così come io sono costretta a sopportarti, tu sopporterai un Prefetto Serpeverde che la sera alle nove, per due volte al mese, deve essere qui e non... » si bloccò, mordendosi la lingua, ma non seppe come si rese conto che James aveva completato la sua frase senza parlare.
Le parole mancanti non a scarabocchiare stronzate sui muri con il carbone’ stavano scorrendo negli occhi nocciola improvvisamente attenti dietro agli occhiali.
Muoversi sul posto con incertezza fu spontaneo, fastidiosamente spontaneo.

Si portò una ciocca rossa di capelli dietro l’orecchio lasciando vagare gli occhi verdi per la stanza, evitando appositamente lo sguardo velato di JamesAncora Legilimanzia, Potter? Era meglio quando ti limitavi a fare il bue.
Vide Mary guardarla stranita dalla zona braciere insieme a Jane Phillips e il Prefetto quindicenne Tassorosso, annuendo distrattamente a Remus che le parlava infilandosi i guanti in lana rossa. L’amica le mimò un ‘Che succede?’ e Lily scosse la testa riportando lo sguardo su James, inspiegabilmente chino sul banco a firmare la pergamena.
«Ecco» fece lui con un pizzico di amarezza nel tono della voce. «James Fleamont Potter è d’accordo e curioso di vedere l’olio nei capelli di Mocciosus congelarsi dopo le nove di sera sperando sia la volta buona che il ghiaccio risolva il problema una volta per tutte».
La piccola smorfia di disappunto era perfettamente percettibile e stonava particolarmente sulla curva del suo sorriso giocoso che aveva fieramente tenuto sù fino a quel momento.
Ma se per stare meglio Evans aveva bisogno di sapere che Mocciosus non c’entrava niente con quelle scritte, avrebbe sopportato quella presenza.
Avrebbe anche potuto dirglielo direttamente, dirle che aveva visto i muri fuligginosi, che sapeva delle minacce e che, sulla Mappa, il nome di Piton non usciva mai insieme a Avery e Mulciber. L’ombra di vergogna che le vedeva negli occhi e sulle guance, però, lo bloccò. Non aveva nessuna intenzione di metterla a disagio.
Qualcosa di molto somigliante alla gelosia, dalle parti dello stomaco, tirò un sospiro di sollievo senza che lui potesse farci niente. Dire a Evans che Mocciosus non c’entrava niente gli avrebbe mangiato intestino, fegato e polmoni in un solo colpo.
«Questo cambiamento di idee da cosa è dovuto, Potter? Si può sapere?» chiese Lily sconcertata e totalmente in imbarazzo come se le pareti della stanza che li circondava riportassero le frasi scritte a caratteri cubitali con il carbone, in bella mostra davanti a Potter che inspiegabilmente sembrava riuscire a vederle e leggerle tutte, esattamente come i pensieri nei suoi occhi.
«Mi hai dato un buon motivo, Evans» si limitò a rispondere semplicemente lui lasciando la piuma sul tavolo prima di allontanarsi da lì senza aggiungere altro, nemmeno quando Lily, sconvolta, gli chiese se stesse scherzando o meno.
 
 
 



 

*

 
 




“Mi hai dato un buon motivo, Evans.” Sarebbe, Potter? Il buon motivo di vedere Severus morto assiderato? Perchè, in effetti, è da stanotte che anch’io penso possa funzionare per sopportare te.

«Lily? Mi stai ascoltando?» la richiamò in un sussurro John, sventolando una mano davanti al viso assorto della ragazza. La sua espressione non semplicemente pensierosa ma proprio infastidita e persa poteva avere a che fare con i contorti disegni arricchiti di formule illeggibili appena fatte comparire sulla lavagna dalla McGranitt.
Lily non aveva dei brillanti Eccezionale ad ogni verifica, ma quella faccia era troppo anche per lei.
«Lily» la chiamò di nuovo a bassa voce stringendole una mano da sotto il banco mentre la professoressa cominciava la sua lezione.
“Un buon motivo, Evans”... ma che razza di spiegazione è, Potter? Tu non hai mai buoni motivi.“Perchè mi annoiavo” non è mai stato un buon motivo. “Perchè so farlo” figuriamoci. “É Vitious che ha detto di esercitarci con l’Incantesimo di Rabbocco, Evans” neanche. ‘’Perchè esiste’’ ancora meno.

Liv, seduta sul banco dietro di loro insieme a Mary, si voltò automaticamente verso James che per fortuna stava sogghignando con Black mentre pasticciavano il banco sotto i loro libri chiusi.
Gli occhi grigi la colsero di sorpresa, sollevandosi per posarsi con sfacciataggine su di lei.
Forse, il fatto che James fosse distratto e non concentrato sulle mani intrecciate di Lily e John non era proprio ‘fortuna’. 
Liv si rigirò verso la lavagna con una smorfia stampata in faccia.
 «Signorina Evans?»
Sentendo quel tono appositamente creato per ‘Potter e Black!, Remus diede una gomitata di riflesso condizionato a James prima di strabuzzare gli occhi rendendosi conto che, a parte il ‘signorina’, il cognome era di Lily.
«Sì, professoressa?» fece lei raddrizzandosi sulla sedia come se fosse stata punta da uno Schiopodo Sparacoda.
«Si sente bene?» le chiese la McGranitt, stranita. Vedere Evans distratta, a parte qualche sbadiglio dietro una mano ogni tanto, non era nella norma. Lei l'aveva detto ad Albus che affiancare Potter a quella povera ragazza sarebbe stato come ucciderla.
«Benissimo, sì» fece Lily aprendo velocemente il libro e sfilando la piuma d’aquila dalle mani di un interdetto John.
«Sarebbe meglio lasciare i pensieri che non riguardano la Trasfigurazione Umana fuori dall’aula, Evans. Ai M.A.G.O, molto probabilmente, le chiederanno di farsi spuntare.. che sò... un naso di cerva al posto del suo, non di raccontare cosa le passa per la testa» continuò la donna senza distogliere lo sguardo accigliato e scrutatore da lei proprio come James che al sentir nominare ‘cerva’ era rimasto un attimo spiazzato al fianco di un Sirius che sembrava per scoppiare, trattenendo una risata.
«Sì, certo, professoressa» annuì Lily con le guance leggermente rosse e la mano con la piuma, pronta a prendere appunti, sopra la pergamena pulita.
Potter, ti farò a pezzi con le mie stesse mani.
«Guarda che carine che siete tu e Evans, Ramosa»
«Fai schifo a disegnare, Sirius»
«No, siete voi così».

Remus gettò un’occhiata al banco di quei due che osavano fare gli idioti con la McGranitt davanti e per poco non fu lui l’idiota che osava ridere apertamente ad una lezione della loro Caposcasa.
Sirius aveva scarabocchiato a matita- piuttosto approssimativamente- due teste di cervo senza corna dentro ad un cuore che occupava metà banco e metà mano di James che si era trovata nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Remus sentì l’ennesimo sospiro teso di Peter, seduto rigidamente al suo fianco, e si voltò a guardarlo. Il viso paffuto era pallido come l’argento sulla cravatta di Avery, nel banco attaccato al loro.
Cercando di muovere meno muscoli possibili e scrutando con un occhio diffidente il Serpeverde a pochi centimetri di distanza dalla sua sedia, Peter scrisse velocemente sull’angolo del libro prima di avvicinarlo al braccio di Remus che prendeva appunti. Remus abbassò lo sguardo, incuriosito.
Lo sa. Avery lo sa. Altrimenti perchè si è seduto vicino a me, eh? Vuole farmi qualcosa, Remus! Aiutami.
Remus arricciò le labbra, trattenendo un’altro sorriso divertito.
Avery non poteva sapere che Codaliscia, appena finita la lezione, avrebbe zampettato nel dormitorio Serpeverde per fare la spia. Era assurdo.
Peter era sorprendentemente bravo a trasformarsi in topo e ad origliare senza farsi scoprire, ma ogni volta si mangiava le mani dall’ansia. Spostò la mano con la piuma dalla sua pergamena al libro di Peter.
Avery non sa nemmeno dov’è seduto in questo momento. Non vedi che sta dormendo? Stai tranquillo, Peter.
Vide il volto dell’amico rilassarsi, ma non fu certo di avergli alleviato tutta la paura. Sapeva, comunque, che Peter non avrebbe esistato ad agire una volta giunto il momento.
Ne ebbe la conferma quando, a fine lezione, James gli chiese per l’ennesima volta se se la sentiva di farlo, ripetendogli che non era obbligato.
‘Certo che me la sento, Ramoso!’ aveva risposto lui, e James l’aveva salutato con una pacca sulla schiena dicendogli che rimaneva sempre il più coraggioso tra loro. Peter aveva sorriso, rosso d’orgoglio ed emozione, prima di sgattaiolare nel suo solito bagno per trasformarsi.
Per compiacere a James, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Ma proprio perchè non era bravo in qualsiasi cosa’, era costretto ad usare il suo unico e utilissimo talento. Peter ne era felice, ma Remus rimase in pensiero per lui anche in aula di Pozioni per la lezione con Lumacorno.
«Tutto ok, Remus?» gli mormorò serenamente Liv, arrivandogli alle spalle, vedendolo indugiare davanti all’armadio delle scorte tra un sacchetto di zanne di serpente e un barattolo in vetro con i fiori di Aconito.
«Tutto bene, Liv» le sussurrò lui di rimando. «Questi fiori non mi piacciono molto». Non mentì. Anche se erano chiusi là dentro, il loro profumo intenso gli stava dando alla testa e sapeva benissimo perchè. Sperò con tutto il cuore che Liv invece non capisse.
«Sono velenosi, vero?» fece lei, tranquillamente. Remus la vide allungarsi per spostare i pungiglioni di Celestino e i corni di Unicorno, alla ricerca di qualcosa.
Lui era andato lì perchè aveva finito il sangue di Salamandra da mettere nel calderone mezzo pieno di quello che tra pochi giorni sarebbe dovuto diventare limpido Veritaserum, ma quei maledetti fiori bluastri l’avevano bloccato.
Il vetro sottile non attutiva per niente quel brutto effetto che sembrava appannargli la vista e stringergli lo stomaco e la gola. Come poteva chiedere a Liv di spostargli il barattolo senza un motivo decente?
«Che cerchi?» gli chiese Liv alzando con cautela un rametto di ortica secca. Remus si grattò la nuca con imbarazzo. «Sangue di Salamandra. Riesci a vederlo?» fece, sperando fosse dalle sue parti. Liv però scosse la testa, sbuffando.
«C’è un casino qui dentro» mormorò, frugando rumorosamente tra barattoli con Muco di Vermicoli, Grinzafichi e Milze di Pipistrello, due Bezoar rotolarono da una parte all’altra dello scaffale come due gobbiglie bitorzolute. «Vedi l’Artemisia, lì?»
 Remus sentì il sudore freddo cascargli di botto dalla testa al collo. Si schiarì la voce per dirle qualcosa, magari un vago ‘No, non c’è’ anche se poteva benissimo essere dietro quella pianta che lo respingeva come il Doxycida per i Doxy.
Ma invece di parlare serrò le labbra, restando in apnea come per evitare che almeno quel profumo nauseabondo smettesse di entrargli nel cervello.
Allungò velocemente una mano, spostando il barattolo con l’Aconito per poter osservare meglio i vasetti dietro, e un capogiro lo colse di sorpresa. Se non fosse stato per Liv, che lo acchiappò tempestivamente, tutta la classe si sarebbe accorta del suo malore o lui sarebbe addirittura cascato a terra come una pera.
«Remus» gli sussurrò preoccupata Liv, sorreggendolo con una mano sulla schiena e l’altra a stringergli gentilmente un braccio.
«Grazie» fece lui mollando il barattolo in vetro.
Liv si accertò che il suo equilibrio fosse di nuovo normale prima di lasciare la presa.
«Hai detto Artemisia?» le chiese Remus soffocando lo sconforto per quella maledizione che non lo lasciava mai in pace.
«Sì» fece lei, non insistendo anche se la reazione le era sembrata abbastanza strana. Quella pianta velenosa era mortale, ma il barattolo era sigillato.
Prese comunque i fiori di Aconito e li spostò il più lontano possibile da Remus per facilitargli la ricerca del sangue di Salamandra. Magari non si era ancora ripreso dall’influenza dei giorni precedenti.
Remus apprezzò il gesto e con un sorriso individuò le piccole foglie dell’Artemisia in fondo alla mensola.  
«Trovata» fece, allungando il braccio per recuperare il mazzetto nello stesso momento in cui Liv si chinò per prendere la piccola ampolla piena di liquido rosso come il fuoco.

«Trovato» gli disse di rimando, smuovendo allegramente il sangue di Salamandra verso di lui.
«Ragazzi, mi raccomando» esclamò il professor Lumacorno, passeggiando tra i banchi. «La lezione teorica di ripasso sui veleni che abbiamo fatto settimane fa serviva per evitare che qualcuno di voi ci rimanga secco oggi».
Piton per poco non non si tagliò un dito insieme all’Asfodelo quando il professore gli diede una vigorosa pacca su una spalla, in segno d'incitamento.
Sollevando lo sguardo per fulminargli la schiena con un occhiata a dir poco infastidita, vide Lily tra i vapori del tavolo dei Grifondoro. I suoi occhi verdi non erano concentrati sulla pozione come al solito. Brillavano, inspiegabilmente in direzione di... Potter?
«Un ingrediente che avete sui vostri banchi da lavoro è velenosissimo. Chi si ricorda la lista dei veleni? Lily?» chiese il professore dondolandosi, gongolante, sui talloni. Si mise le mani dietro la schiena con un sorriso così grande da alzargli di parecchi centimetri i grandi baffoni biondi. Lily però sembrò non sentirlo.
Il sordo rumore del mortaio di Mulciber, al suo fianco, era niente in confronto al veloce e travolgente battito del cuore che Severus sentiva pulsare non solo dentro al petto ma anche in testa e nelle orecchie. Lily aveva gli occhi fissi su Potter, come se Potter fosse più importante di una pozione. Da quando Potter era più importante di una Pozione?
«Lily?» ripetè Lumacorno in sconcertata attesa, incapace di credere che Lily non sapesse qual era la risposta corretta.
«L’Elleboro, professore» esordì Piton in un secco sibilo non troppo alto, appositamente studiato per assecondare la prepotente voglia di vedere se la sua voce, per lei, era ancora più importante di Potter.
Gli occhi verdi che lo trafissero immediatamente, limpidi e scintillanti nonostante i fumi, invece che far diminuire i battiti del cuore dovuti ad un’angoscia non più sconosciuta da mesi, li aumentarono a dismisura.
«Come? Chi?» chiese Lumacorno voltandosi spaesato verso i Corvonero mentre James sollevava la testa spettinata dal libro per osservare stranito Lily, o meglio, il vapore che gli aveva appannato gli occhiali.
Piton schiuse le labbra sottili, aspirando un po’ d’aria resa pesante dall’aroma intenso dell’Asfodelo. Evidentemente il professore non aveva capito chi avesse parlato, come tutti gli altri, tutti gli altri eccetto Lily
Ci mise qualche secondo per rispondere, per ignorare il sangue scorrere frettoloso nelle tempie e sul collo, per trattenersi dal lasciarsi andare al fiotto di sollievo mentre pensava che per un attimo, solo per quell’attimo, gli sembrava di stare di nuovo nel dolce passato dorato in cui lui era invisibile a tutti tranne che a lei.
«Lo sciroppo di Elleboro è l’ingrediente velenoso che abbiamo sul tavolo, signore» disse, questa volta con voce sorprendentemente chiara e alta.
Lumacorno si girò verso di lui con una mezza piroetta goffa e, con un aperto sorriso per niente sorpreso, battè le mani davanti alla sua grossa pancia.
«Oh, ma certo! Non potevi che essere tu, Severus!» esclamò, orgoglioso. «Perfetto! Perfetto! Dieci punti in più a Serpeverde! Quindi fate la massima attenzione con le dosi di questo sciroppo. Ha sentito, signor Abbott?»
Piton sorrise soltanto quando Mulciber, sogghignando, gli diede una gomitatina per congratularsi con lui. Lily aveva abbassato lo sguardo sul suo calderone, le sopracciglia sollevate e le labbra chiuse in un’unica linea dura.
Non era invidia per i punti o per il fatto che avesse risposto lui al suo posto. Anche se Piton avrebbe preferito di gran lunga quella, non lo era. Un tempo era stata lei a dargli gomitatine di apprezzamento, prive di gelosia.
«Lily, ti senti bene? Ti vedo un po’ assente» le chiese sottovoce Lumacorno, improvvisamente davanti al suo banco.

«Sì, certo, professore» rispose lei asciugandosi la fronte con un braccio prima di mettersi le mani sui fianchi con fare pensieroso e concentrato. «Sono soltanto stordita dai fumi dell’Asfodelo, sono soporiferi. Credo di aver esagerato con le dosi. Ma troverò un rimedio per riequilibrare il tutto» disse, chiudendo Pozioni Avanzate con un tonfo.
Lumacorno parve gonfiarsi, gli occhi chiarissimi luminosi d’ammirazione.
«Sicuro, cara, sicuro! Non ho alcun dubbio sul fatto che un istinto brillante e creativo come il tuo riesca ad escogitare qualcosa di efficace!» cinguettò sguazzando nel suo brodo di giuggiole. «E dieci  punti anche a Grifondoro! Per aver capito subito il problema della tua mistura e perchè so già che risolverai la piccola distrazione in un battibaleno!»
Mentre il professore si allontanava, quasi saltellante nonostante la stazza, Liv guardò di sottecchi Lily con un sopracciglio sollevato che lasciava poco all’interpretazione.
«Per piacere» le mormorò Lily che ormai non aveva bisogno di osservarla per accorgersi della faccia dell’amica. Liv rise a bassa voce.

«Cosa? Sei sempre la sua cocca. Punti a Grifondoro come se piovesse».
Lily sorrise, dandole una spintarella con un fianco mentre tuffava la mano nel sacchetto mezzo vuoto di radici di Mandragola.
C’era davvero troppo Asfodelo, eppure si era premurata di metterne due grammi in meno rispetto a quelli che indicava il manuale.
Era distratta, distratta per colpa di Potter.
Sollevò lo sguardo verso di lui. Non stava facendo niente delle sue solite cose, ancora. Non guardava Severus, non sparlava di lui con Black, non sembrava stesse per mettere in pratica quel ‘Buon Motivo’ per cui aveva firmato la pergamena. Evidentemente non era uno scherzo che includeva mutande all’aria o sapone nei capelli e in bocca.
«Comunque» riprese Liv mescolando nel calderone l’intruglio intermedio che nemmeno con una tinta sarebbe potuto diventare giallo grano come diceva il libro. «Avrei saputo rispondere anch’io alla domanda che hai ignorato. Bastava pensare al tuo coniglio... velenoso quanto la sua omonima pianta»

«Ah-ah, molto simpatica» la scimmiottò Lily allargando il sorriso. Posò una manciata di radici sulla bilancia d’ottone e si chinò per vedere se fosse la dose la giusta. Dopo aver controllato due volte per non sbagliarsi, le posò sul tagliere afferrando il coltello d’argento.
Non aveva ignorato la domanda del professore per evitare di essere al centro dell’attenzione ancora una volta, Lily non l’aveva davvero sentita. Sempre per colpa di Potter.
Un buon motivo, Evans. 
Quella frase non voleva uscirle dalla testa. Che motivo gli aveva dato?
Lily cominciò a tagliuzzare le radici senza nemmeno vederle, provando a ricordare le parole esatte che lei stessa aveva usato prima di vedere Potter firmare.
 Vide il braccio di Liv scattare dal mortaio verso il suo calderone fumante, proprio sotto la mano di Black che stava lasciando cadere pigramente una zanna di serpente.
«Abbiamo detto di non sabotare compiti, Pozioni, Incantesimi e tutto quello che ci viene giudicato, Black. Nessuno dei due vuole ripetere l’anno» sibilò Liv lanciandogli la zanna sul petto.

Sirius sollevò un angolo delle labbra, canzonatorio. «Non che tu abbia bisogno del mio aiuto per prendere una sfilza di D a Pozioni che ti farà diventare la Gazza delle generazioni future, Olivia»

«Non mi preoccupo, quel posto sarà sicuramente tuo» ribattè lei osservando la rughetta attorno al sorriso beffardo di Sirius allungarsi sull’attraente guancia lievemente barbuta.
«Ottima vista, Liv» mormorò James pulendosi gli occhiali sul maglione del migliore amico. «Quell’esercizio comincia a dare i suoi frutti» le disse in tono complice allungando una mano verso di lei.
Liv, ridente, lo accontentò battendogli un sonoro cinque che fece girare quasi tutti, compreso Lumacorno.
«Sto già organizzando la festicciola natalizia del Lumaclub» annunciò giulivo il professore dopo essersi accertato che nessun calderone fosse esploso. «Quest’anno siamo a corto di ospiti» continuò con quello che Lily percepì come immenso disagio ed imbarazzo.
«Silente ritiene opportuno scegliere con molta cautela gli invitati per non minare la sicurezza della scuola. Di questi tempi, non ci si può fidare di nessuno».

Si avvicinò al tavolo dei Tassorosso per spiare dentro il mortaio di un indaffarato Edgar Bones che ignorava volutamente le occhiate furtive di Marlene dal tavolo dei Corvonero.
«Ma non disperate! Non disperate» cinguettò come rinvigorito, spostandosi al tavolo dei Serpeverde dove Piton aveva l’aria di chiunque fuorchè uno disperato per la mancanza di ospiti. «Ho già qualche nome in testa che potrà benissimo rimpiazzare i grandi personaggi che avevo in lista» ridacchiò sfregandosi le mani, compiaciuto di se stesso.
«Come suo padre, per esempio, signor Potter! Un ottimo pozionist...». La voce esaltata del professore fu sovrastata da un forte boato. Questa volta non ebbe bisogno di accertarsi: era chiaramente esploso un calderone.
«Per fortuna, il Veritaserum non è ancora pronto o qua tutti avremmo dovuto lanciarci a vicenda un incantesimo Tacitante per non rivelare i nostri segreti più nascosti! Sempre se il signor Potter l’aveva preparata correttamente».
James, nero di fumo e con della melma giallastra che gli ricopriva tutti i capelli e metà faccia, si limitò a fissarlo in cagnesco soltanto con un occhio, quello dietro la lente degli occhiali ancora intatta.
La bottiglia del Sangue di Salamandra, ancora in mano sopra il calderone avvolto da un vapore molto simile ai nuvoloni rossi di un tramonto, non aveva più nemmeno una goccia al suo interno dopo averla svuotata involontariamente mentre era saltato sul posto alla notizia di suo padre a Hogwarts, alla festa di Natale.
Neanche i bambini del primo anno vorrebbero il proprio padre ad una festa, per quanto eccezionale sia il mio.
Ci mise tutto il rimanente quarto d’ora di lezione per ripulire se stesso, il tavolo e Sirius che continuava a ridere sotto i baffi indicandogli lo sporco senza alzare un dito per aiutarlo.
E, come se non bastasse, ai già pesanti compiti standard si aggiunse un tema di ottanta centimetri sul Sangue di Salamandra e sul Veritaserum per recuperare il Non Classificato.
«Severus? Avresti un minuto?» esordì con calma Lumacorno, bloccando Piton prima che uscisse dall’aula. Lily e James si scambiano un’occhiata complice varcando la porta insieme lasciandosi alle spalle lo stranito Serpeverde che a passi incerti si avviò alla cattedra del suo Capocasa.
«Potter?» lo richiamò Lily con grande sorpresa di Liv che si fermò insieme a lei in mezzo al corridoio umido mentre la classe le superava a gruppetti, compreso quello dei tre Malandrini.
«Potter?»
James continuò ad ignorarla. Perchè se c’era una cosa da ignorare era Evans quando usava il suo cognome come se fosse un insulto, quando continuava a non cogliere il significato del suo bottone e quando riusciva a vedere il bello in tutte le persone- perfino in Mocciosus- eccetto lui.
Continuò a camminare, tra Sirius e Remus che si voltò a guardare Lily con sguardo confuso.
Che James avesse qualcosa era palese; che Sirius lo sapesse, anche: sorrideva, incredulo ma assolutamente  fiero, allungando il passo insieme a James.
Remus vide Lily indurire lo sguardo determinato e comiciare a marciare di gran carriera verso di loro.
«Potter!»
James non seppe dire cosa fu a bloccarlo, l’elastico invisibile che tirava verso di lei sul petto o la presa di Evans che gli agguantò con forza il cappuccio della tunica.
«Possiamo parlare?»
Sollevò un sopracciglio nero a quella richiesta assurda. Si girò a guardarla, l’espressione che le irrigidiva i delicati lineamenti era la più determinata che le avesse mai visto. Non era imbarazzata, ma la solita palpebra le tremava eccome sotto un lungo ciuffo di capelli vermigli.
Liv si accinse a raggiungerli, sempre più stranita. Lily era impazzita? Altro che soporifero, l’Asfodelo doveva avere delle proprietà ancora sconosciute che davano alla testa.
«Ramoso, andiamo. É da stamattina che voglio spedire a Walburga il mio Eccezionale del compito di Babbanologia» s’inserì Sirius mentre Liv si fermò al fianco di Remus spostando lo sguardo da Lily a Black, come interessata da quella sua ultima frase.

I suoi compiti di Incantesimi, Erbologia e Difesa Contro le Arti Oscure erano già tutti dentro tre buste da lettera con il nome di sua madre come destinatario, giusto per farla impazzire davanti a tre gufi.
Gli occhi verdi di Lily invece sembravano non vedere altro che James e lui, accorgendosene, non riuscì a decidere di spezzare quel legame, per quanto strano potesse essere.
«Ci vediamo in Guferia, Felpato. Ti raggiungo subito» disse dandogli una pacca rassicurante su un braccio prima di avvicinarsi a Lily.
 L'espressione orgogliosa di Sirius divenne incredibilmente seria e distaccata.

«Va bene» fece freddamente sollevando sarcasticamente le mani giusto per fargli capire che lui non ci stava, non appoggiava la scelta di dare possibilità a quella che a lui, in sei anni, non gliene aveva data nemmeno mezza.
Diede le spalle a tutti e con ampie falcate decise si allontanò da lì.
«SIRIUS!» lo chiamò James ma lui si limitò ad alzare un braccio salendo i gradini fino a sparire al piano terra.
Remus sospirò. Seguirlo non sarebbe servito a niente. Quando Sirius diventava così scontroso, intrattabile e se ne andava per conto suo l’unica cosa era lasciarlo da solo.
Certo, questo non valeva per James che lo seguiva sempre e a qualunque costo, anche quando Sirius gli lanciava addosso quello che gli capitava tra la mani.

Ma in quel momento James aveva chiaramente gli occhi e le orecchie ipnotizzati da Lily come non era mai successo, esattamente come non era mai successo che Lily rincorresse James.
Non osò immaginare come stesse la noce di cocco dell’amico: l’espressione da finto Ho tutto sottocontrollo’ o da ‘Peter, muoviti a fare quello che stai facendo. Il bagno serve anche a me’ gli suggeriva anche troppo.
«Vieni, Liv?» fece, incitandola a lasciare soli quei due. Liv, che sembrò capire e che come lui sapeva di James,  annuì senza però staccare lo sguardo da Lily- o da quella che aveva solo l’aspetto della sua migliore amica- e poi seguì Remus sù per le strette scale ormai libere da studenti.
Per poco non inciampò in un gradino mentre avanzava all’indietro, cercando di decifrare lo sguardo di Lily fino alla fine.
James era innamorato, ma Lily no. Che diamine stava facendo?
Quando anche i passi di Liv e Remus si allontanarono fino a sparire il silenzio calò di colpo, spezzato soltanto dal ticchettio ritmico di qualche goccia d’acqua che cadeva dal soffitto, da qualche parte.
Lily dovette sbattere pià volte le palpebre per accertarsi che quello davanti a lei fosse davvero Potter: non aveva fatto nessuna battuta allusiva come ‘Vuoi parlare di Hogsmeade, Evans?’ e sembrava pronto all’ascolto senza smorfie o sorrisini beffardi.
«Perchè hai cambiato idea su Piton?» esordì schiettamente e James sentì l’improvviso bisogno di correre da Sirius per scusarsi con lui, per non aver seguito quello che chiaramente era stato un consiglio ‘anti-rimbeccillimento’.
Strinse le labbra sottili, sentendosi appunto un imbecille, e corrucciando le sopracciglia superò Lily riprendendo a camminare, più furioso di prima.
‘Piton’ sempre e soltanto ‘Piton’. E Owen, certo. Non sapeva più fingere e non aveva più voglia di impegnarsi a tenere sù il sorriso o a passarsi le mani tra i capelli. Essere escluso dalle sue attenzioni faceva male, più di quanto aveva sempre fatto.
Lily restò interdetta. Le gambe di James si muovevano senza la solita energia mentre si alllontanava con le mani in tasca e le spalle rigide.
Si chiese se vedere quei capelli impossibili afflosciarsi, come se stesse abbassando la sua cara cresta, fosse una sua impressione o un fatto reale.
Non si diede per vinta. Si sistemò la borsa sulla spalla e lo seguì, pestando i piedi ad ogni gradino per fargli capire che non se ne sarebbe andata senza una risposta seria.
Alle gocce d’acqua si aggiunsero i loro passi sulle scale di pietra, seguite poi dalla dura ma sommessa voce di Lily.
«Voglio la verità»
«Vuoi la verità, Evans?»
«Certo»
«Su cosa? Su quale scherzo voglio fare a Mocciosus dopo le nove di sera mentre sto ai piani superiori quando lui vagabonda per i Sotterranei? O pensi seriamente che voglio fargli congelare la testa perchè voglio vederlo morto quando già una volta gli ho salvato le chiappe cadaveriche? So che Sirius te l’ha detto, lui mi dice tutto».


Lily schiuse le labbra senza però sapere che dire. Parlare con quel Potter la spingeva a ragionare e ad articolare frasi di senso compiuto che non erano insulti o semplici ‘No, lasciami in pace’.
In linea di massima erano quelle le cose che aveva ipotizzato, sì, ma il tono di Potter era così sarcastico ed ironico che sembrava smentirle tutte. Come se non volesse davvero distruggere ancora una volta Piton, come se avesse davvero un buon motivo per volerlo alle ronde, come se sapesse quanto fosse importante per lei averlo lì davanti a lei, mentre il muro dietro l’angolo si sporcava di nero.
Fidarsi di lui, però, era praticamente impossibile anche se sul suo viso non c’era traccia di finzione o di bugie.
Conoscendolo, il suo ‘Buon motivo’  non poteva essere così buono come diceva.
Ma quello che stava rincorrendo sulle scale- mandando al diavolo un polmone e l'orgoglio che le aveva rovinato tutta la mattinata di lezioni compresa la digestione del pranzo- non era Potter, non il Potter che conosceva lei almeno.
Quello era il Potter sconosciuto non colpevole dello scherzo sotto il Platano che Black le aveva sbattuto in faccia sugli spalti alla partita. Lo stesso che la faceva sentire in debito con lui per lo stupido bottone e riconoscente per non aver fatto il cretino con i Dissennatori.
Lo stesso che l’aveva convinta ad avvicinarsi a lui in quel momento perchè accettare di volere Piton nei sotterranei durante le ronde non era da Potter, non il solito Potter.

Era un James Potter che si era appena accorta di non conoscere affatto e quando non conosceva, Lily non osava giudicare ma soltanto cercare di capire.
Quello non era Potter, era «James».
James si bloccò con un piede a mezz’aria sopra lo scalino. Evans non gli aveva afferrato parti del corpo o della divisa ma l’effetto era stato identico, se non più forte. Le dita di Evans sembravano avergli artigliato lo stomaco.
Aspettò un attimo prima di voltarsi, pregustando con amarezza la luce accecante del sole delle sette del mattino che filtrava sempre tra le tende del baldacchino, una cuscinata di Sirius in piena faccia, il russare di Peter o la voce di Remus che diceva che era tardi.
«Se non sono questi i motivi, James, allora quali sono?» gli chiese Lily con una punta d'inquietudine nella voce, rendendosi conto di non stare scavalcando il muro di pregiudizi che lei stessa aveva costruito davanti a Potter, semplicemente perchè quelli su di lui non erano mai stati pregiudizi dato che lui si era realmente comportato come lei l’aveva sempre giudicato.
L’unico muro esistente era quello di arroganza e ego spropositato di Potter che aveva iniziato a sgretolarsi pian piano già dall’anno precedente, mattone dopo mattone, sotto l’occhio attento di Silente.

Quello caduto in mano a Lily adesso, di mattone, era soltanto l’ennesimo. E con un nodo alla gola, Lily ricordò la se stessa bambina che a volte avevasperatodi vedere James non comportarsi da idiota.
Il silenzio sempre più pesante amplificò maggiormente la sua stessa voce che ripeteva il nome ‘James’, rimbombando nelle orecchie.
Per quanto fosse strano come vedere Petunia sorriderle e le facesse tremare a livelli mai visti l’occhio, non poteva fare a meno di pensare che chiamarlo per nome era stata la cosa giusta da fare, non solo per riuscire a fermarlo ma anche perchè quello era il modo giusto per chiamare Potter che continuava ad essere James.
Dando le spalle alla clessidra dei Corvonero luccicante di zaffiri che faceva capolino dalla porta che dava sulla Sala d’Ingresso, James si voltò verso di lei. Lo stomaco, aggrovigliato in un insieme di nodi che avevano formato il suo nome ogni volta che era uscito dalle labbra di Lily, sembrava saltargli dentro come quando si lasciava cadere in picchiata con la scopa.
Anche se la gelosia e la stizza nei confronti di Piton che non aveva scritto sui muri stavano trasformando il suo nome saltellante sullo stomaco in fauci aguzze pronte a morderlo, decise di risponderle con la verità.

Schiuse le sue, di labbra, quando le voci di Edgar e Marlene lo zittirono ancora prima di prendere fiato.
 «Non abbiamo finito di parlare, Edgar!»
Gli occhi di Lily si allargarono leggermente, in allerta, saettando dietro di lui per poi riposarsi sui suoi e come al solito James non ebbe alcun problema a leggere nel verde smeraldo.
“Quello, Pete, era un chiaro ‘Sto spiando due loschi ragazzi che hanno un segreto con Silente”
Lo sguardo d’intesa fu più esaustivo di mille parole. Ad Evans non importava più nascondere la sua curiosità.
Con un unico e fluido gesto, James tirò fuori il Mantello nello stesso istante in cui Lily salì sullo stesso suo gradino, sparendo insieme a lui in un battito di ciglia, quelle di Severus che li osservava nell’ombra, accartocciando tra le dita sottili la copia della pergamena con le firme dei due Capiscuola.
Quei nomi scarabbocchiati così vicini, come lo erano nella realtà. Invisibili a tutti eccetto a loro stessi che si potevano vedere a vicenda sotto quel Mantello trasparente e prezioso come il Veritaserum.

 

 

 

*

 

 

 

«Io lo faccio, Marl. Ho deciso. Se tu non vuoi seguirmi non importa, sei libera di fare quello che vuoi» mormorò Edgar uscendo in cortile con i capelli rossi spettinati dal vento gelido. Marlene lo seguì fuori, coprendosi con il lungo mantello nero.
«Giurami che non lo farai, Ed»
«Sono in ritardo. Ho promesso a Ned che gli avrei prestato il casco da portiere per ripararsi la testa a lezione di Cura delle Creature Magiche. Le uova dell’Occamy che stanno studiando devono schiudersi oggi e si è dimenticato di prenderlo dopo la lezione con la McGranitt»
La neve sotto alle scarpe scricchiolava, Marlene continuò a seguirlo fino alla fine del cortile dove un pupazzo di neve mezzo distrutto affiancava la stradina creata dagli scarponi di Hagrid e dagli studenti che erano scesi a lezione o al campo.
«Promettimelo»
«Non posso»
«SÌ CHE PUOI!» gli urlò Marlene senza più trattenere la voce. Edgar si fermò, passandosi il casco in pelle da una mano all’altra come per decidere se restare o meno. Lei ne approfittò per avvicinarsi, liberandosi il viso dai ricci biondi. Si guardò attorno per controllare che fossero soli e continuò il suo discorso in un sussurro.
«Ci serve sapere tutto, Edgar. Per noi è solo questione di tempo, a fine anno saremo membri come le nostre famiglie. Caradoc... lui ci sta addestrando!»
«Possiamo benissimo farlo da soli. Abbiamo i libri...»
«No che non possiamo! E sai benissimo cosa ci vuole, oltre finire la scuola. Sai benissimo com'è difficile e pericoloso, là fuori, quanto bisogna essere bravi con ni duelli e tutto il resto. Lo sappiamo entrambi fin troppo bene! Eddy, per favore... vorrei anche io fare qualcosa subito, adesso stesso, ma Silente ha ragione. Dobbiamo essere preparati»
«Tu lo sei già... non dovresti metterti questo problema, Marl»
«Non è vero!»
«Oh, per favore! Sai duellare più che bene e sai ogni minima cosa a memoria dei libri, anche quelli che non fanno parte del programma scolastico!»
«Anche tu, se per questo. Sei un ottimo mago nella pratica, un grande mago...»
«E quindi possiamo benissimo cavarcela da soli»
«Ok. Non torneremo dalle vacanze di Natale. Così va bene?»
«Smettila di far finta di non sapere, Marl! I tuoi genitori e le tue sorelle saranno in missione e Silente lo sa, non puoi tornare a casa a Natale! Tu puoi soltanto adesso e quindi anche io, non ti lascio da sola. Dobbiamo farlo alla prossima uscita a Hogsmeade. Siamo maggiorenni, possiamo andarci»
«Saremo gli unici! Sospetterebbero subito! E ci saranno Auror ovunque!»
«Ned, Wayne e Sam vogliono andarci. E ieri, in Sala Comune, ho senitito Bettie e Emily parlare di regali di Natale da comprare a Mielandia. E pensi che i Malandrini restino al castello? E qualcuno della tua Casa?»
«Ok... ma anche se riuscissi a convicere Pandora e qualche altro Corvonero ad andarci? Saremo comunque quattro gatti per degli Auror esperti! Sarà difficile non dare nell’occhio... soprattutto se ci sarà Alastor!»
 «E quando vuoi farlo, Marlene!? È rischioso, ma metti da parte la ragione per una volta! É l’unica opportunità che abbiamo per non aspettare chissà quanto! Io devo raggiungere la mia famiglia e so che lo vuoi anche tu! Voglio aiutare i miei parenti adesso! Mio fratello e la moglie mi hanno scritto l’altro giorno per dirmi che mio padre quando torna da qualche missione non può più nascondersi da loro e nemmeno da Amelia, per non mettere in pericolo anche lei! E poi...»
«Tracy»
«Sì, voglio proteggerla. Le sue lettere sono sempre più piene di paura e non sopporto pensare che sia là fuori senza di me!»
Marlene corrucciò le sopracciglia bionde e arricciò le labbra secche dal freddo spostando gli occhi chiari e lucidi sul paesaggio innevato, ma non ruscì a fare altro se non annuire muovendo nervosamente sul posto le gambe, come se non riuscisse ad arrendersi a quel qualcosa che però aveva sempre saputo l’avrebbe portata a fino a lì, di fronte alla scelta di rinunciare ai M.A.G.O. per raggiungere i suoi genitori e le sue sorelle che potevano morire da un momento all’altro, nell'Ordine, tutta la sua famiglia che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Va bene» mormorò dopo qualche secondo, sollevando il mento. «Va bene, facciamolo. Facciamolo alla prossima uscita a Hogsmeade, Ed».
Lily e James rimasero a fissare sconcertati Edgar abbracciare di slancio Marlene che ricambiò la stretta amichevole e riconoscente mentre dei piccoli fiocchi di neve cominciavano a cadere silenziosamente.
Quando il Tassorosso cominciò a scendere di corsa la stradina di neve e fango, e Marlene fece dietrofront per tornare al Castello, i duei Grifondoro invisibili si guardarono a vicenda senza proferire parola.
La luce negli occhi di Lily faceva intendere pura e semplice soddisfazione.
Se c’era una cosa che aveva capito di voler fare, da quando la guerra aveva cominciato a diventare una carneficina di Babbani e Nati Babbani, era partecipare. Fare qualcosa per difendere se stessa, la sua famiglia e gli altri, tutti quelli che non avevano la libertà di essere loro stessi.
Per questo non aveva fatto altro che tentare di spiarli e di scoprire qualcosa in più su quella riunione segretissima che con Liv e Mary aveva ipotizzato fosse qualcosa che aveva a che fare con una sorta di gruppo di Resistenza ai Mangiamorte. Chi altri se non Albus Silente avrebbe potuto farlo?
Adesso ne aveva una mezza conferma che avrebbe potuto convincere perfino Liv.
«Dobbiamo andare a Hogsmeade, James, non possiamo lasciarli scappare»
«Lo credo anch’io, Lily. Siamo due Capiscuola che sanno fare il loro mestiere senza nessun aiuto, no?»
La risposta seria di un James incredibilmente pensieroso di fronte a quella importante scoperta e che non aveva minimamente approfittato della battuta su Hogsmeade servita su un piatto d’argento, fu come un altro mattone cascato ai suoi piedi.
E non servì precisare che con quel Senza nessun aiuto’ James si riferisse al fatto che per scoprire qualcosa di più era meglio evitare di avvisare Silente o che avrebbero dovuto dire tutto ai rispettivi migliori amici.
Con un sorriso, Lily sgusciò fuori dal Mantello senza aggiungere altro, non ce n’era bisogno.
James la seguì con lo sguardo fino a quando non sparì oltre il grande portone di quercia.

Quello che respirava sotto il Mantello che gli ondeggiava leggero davanti al naso non era solo il delicato  profumo di fiori di Lily, c’era qualcosa nell’aria dentro quel piccolo spazio che sapeva di magia.
La magia non risolveva tutto, certo, soprattutto i problemi d’amore. Allora l’amore doveva essere per forza magia e doveva anche essere la più potente di tutte perchè l’aveva soltanto lasciata trapelare in quel discorso con Evans eppure era riuscita comunque a compiere il miracolo che aveva trasformato Potter in James e Evans in Lily.













 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note:
 
 
*
Bertha Jorkins: Nel quarto libro, Sirius dice a Harry che era qualche classe avanti a di lui e James, che era una gran pettegola e anche un po’ ottusa.
 

*I 
Knarl sono animali molto simili a dei ricci che devastano i giardini e le case. Sono presenti nel quinto libro, a lezione con Hagrid e all’esame di Cura delle Creature Magiche dei G.U.F.O.
 

*Il procedimento per diventare Animagus (descritto nei minimi particolari dalla Rowling) dice chiaramente che si deve tenere in bocca per un mese intero una foglia di mandragola senza mai sputarla o si deve ripetere tutto da capo.
Per chi volesse approfondire questo aspetto, sto scrivendo una breve storia di cinque capitoli riguardo proprio questa esperienza dei Malandrini con le foglie di Mandragora :)

 
 






 

*** 

 



Salve a tutti! In ritardo pazzesco. Mi dispiace moltissimo (quasi quattro mesi! Mio dio, non era mai successo).

Credo sia giusto dirvi che l’ispirazione era scomparsa... risucchiata da un buco nero o, molto più probabile, colpa del mio essere testarda come un mulo.
 Mentre scrivevo mi sono accorta che qualcosa stonava ma continuavo a provare. Cancellavo e riscrivevo anche se non cambiava niente.
Purtroppo, mi sono accorta (o decisa ad ammettere) solo dopo mesi che quel qualcosa era una parte della storia che mi ero prefissata di inserire nel capitolo e che però lo rendeva poco credibile.
I personaggi non sono ancora pronti per quel passo. Preferisco non correre e lasciare spazio alle relazioni che non devono trasformarsi all’improvviso per essere il più possibile vicine alla realtà.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 23. Agrifoglio per Amico ***


 

Capitolo 23

 AGRIFOGLIO PER AMICO

 

 

 
 
 
«É oggi il giorno, vero?»
Liv annuì alla domanda di Remus, sporgendosi meglio sul davanzale della finestra della Sala Comune per cercare di vedere meglio la casetta di Hagrid che appariva come un puntino scuro in mezzo alla neve.
Non c’era bisogno di specificare cosa significasse ‘Il giorno’ dato che Mary non faceva altro che parlarne dalla mattina alla sera anche con lui.
«Non sarei sorpresa nel vedere uno di quei cosi appena nati su in camera, come nuovo animale domestico».
Remus rise dal divano sul quale si era seduto, circondandosi di libri e pergamene che tirava fuori dalla tracolla come un ‘mago’ babbano con il suo cappello.
Mary stravedeva per gli Occamy, quasi quanto per i draghi. Sorrise leggermente anche se le trenta pagine di appunti di Trasfigurazione Avanzata che aveva appena preso averebbero dovuto farlo piangere.
Mary in realtà stravedeva per tutti, Lupi Mannari compresi. Sorrise ancora, tra sé e sé, ripensando alle parole dell’amica all’ultima ronda.
“I Licantropi, Remus! E chi sennò? Possibile che ogni volta che esce fuori il discorso tu debba essere sempre così razzista nei loro confronti? Perché li odi, si può sapere?”
Uno strano solletico allo stomaco gli fece perdere la presa e il libro di Incantesimi scivolò giù sul tappeto portando con sé anche le trenta pergamene fruscianti.
«Remus?» lo chiamò con tono pensieroso Liv assottigliando gli occhi per cercare di vedere meglio le piccolissime figure che uscivano, barcollanti in fila indiana, dalla porta del Guardiacaccia.
«Mh?» fece lui raccogliendo con calma le cose da terra.
Liv chiuse la finestra- Se Mary non torna viva per parlare di Lily-la Pazza la ripescherò dall’aldilà sotto forma di fantasma- e con tre passi davanti al camino scoppiettante si lasciò cadere sul divano per sedersi al suo fianco.
Remus raddrizzò la schiena, con il libro e un fascio di fogli tra le braccia, guardandola sconcertato. Il naso della compagna di Casa era arricciato in un’espressione indecisa e curiosa.
E adesso di cosa voleva parlargli? Di Mary? O dell’influenza di pochi giorni prima?
Sorprendentemente, si ritrovò a sperare che l’argomento da affrontare fosse il Piccolo Problema Peloso. Vide il naso di Liv ritornare normale e di colpo cambiò idea, forse era meglio parlare di Mary. O magari non voleva parlare di niente. Un aiuto con i compiti sarebbe stato l’ideale, avrebbe adorato farle ripetizioni anche se fosse stata impossibile da aiutare come James e Sirius quando diventavano dei completi idioti con la ridarella incontrollata e la voglia di fare i bambini di tre anni invece di buttare giù un disegno degli Asticelli o una cartina astronomica. Tutto fuorché Mary o la Licantropia.
Liv sorrise, decisa, anche se sapeva che avrebbe fatto meglio ad accertarsi della verità prima di agire, come le diceva sempre Lily.
Si ritrovò ad aprire le labbra per parlare a bassissima voce con una semplicità disarmante, come se gli stesse chiedendo di passargli il sale a tavola.
«Tu sei un Lupo Mannaro?»
«No».
La veloce risposta in automatico di Remus apparve alquanto innaturale e, qualche secondo dopo, sconnessa con il suo pallido viso che cominciò a deformarsi in un’impercettibile espressione sconvolta, come se si fosse accorto solo in quel momento della domanda appena ricevuta.
«Sì» replicò Liv in un sorriso aperto osservando gli occhi ambrati davanti a lei guardarla terrorizzati.
Finalmente aveva capito, finalmente vedeva il vero Remus che era molto più normale e coerente del Remus che lui faceva vedere a tutti.
«No» continuò a negare Remus che si era reso effettivamente conto di cosa era appena successo.
Un ronzio alle orecchie cominciò ad estraniarlo dal resto della Sala Comune. Quello che sapeva negare di avere due orecchie e una bocca era Sirius, Sirius che non si lasciava prendere dal panico subito dopo averlo fatto.
«Ti dico di sì, Remus»
«Ti dico di no, Liv»
«Se continui a mentire lo dirò ad alta voce qui, adesso, davanti a tutti gettandoti addosso petali di Aconito, anche detto... Luparia o Strozzalupo.  Sono scarsa a far bollire Pozioni, ma almeno questo lo so».
Libri, pergamene, piume e Remus stesso- che aveva saltato come una molla per afferrarle un polso, inciampando però sui suoi stessi piedi- cascarono dal divano contemporaneamente.
«Lo prendo per un sì» ridacchiò Liv osservando la faccia traumatizzata di Remus affacciata dal cuscino del divano, resa ancora più buffa dai capelli castano chiaro completamente arruffati.
Scivolò giù dal divano anche lei, per sedersi al suo fianco sul tappeto e Remus non si capacitò di quel sorriso disteso e sereno, di quella vicinanza amichevole.
«Mary aveva ragione, allora» riprese, sempre a voce molto bassa. «Scusa?!» esalò Remus col cuore in gola e la testa ad esplodere. «Ha eliminato l'ipotesi del Vaiolo di Drago. Potrebbe fare la Guaritrice, sei d'accordo? Però non ha mai tirato in ballo una possibile licantropia»
Remus parve sgonfiarsi all'ultima informazione, ogni muscolo si sciolse per irrigidirsi subito dopo perché Liv invece sapeva ed era assurdo quel suo sorvolare così, come se niente fosse, il problema che Remus sentiva invece pesare in un modo molto simile ad un macigno sui polmoni.
«Sai, Remus?»
«Sì, so che è orribile, che non dovrei stare nemmeno qua, che Silente è un pazzo, che potrei uccidere l’intera scuola, professori ed inservienti compresi, che sono spaventoso e... e orribile!»
«Orribile l’hai già detto quindi detto due volte si annulla. E io ripeto spaventoso così si annulla anche quello. Tu sei, e basta».
Era quello che le diceva sempre suo padre, da piccola, quando sua madre le dava dello ‘scherzo della natura’.
Era un gioco stupido, ma sapeva quanto riuscisse a risollevare il morale, a farla sentire speciale e unica, a cancellare gli insulti.
Certo, forse detto dal proprio genitore era un’altra cosa, forse detto da lei non avrebbe fatto effetto.
Un po’ le dispiacque, ma quando gli occhi ambrati di Remus, spalancati, divennero ridenti come le sue labbra sottili, capì che quelle parole potevano dare lo stesso sollievo dette anche da... un'amica? Erano amici?
Forse no, si disse Liv osservando Remus senza smettere di sorridergli; ma adesso che sapeva il vero perchè di quel silenzio immancabile, adesso che i suoi comportamenti insensati e che le erano sempre sembrati da egoista erano perfettamente comprensibili, voleva essere un'amica per lui. 
«Sai davvero una cosa, Remus?» ripetè Liv rimarcando il davvero in un sussurro gentile.
Remus sorrise ancora, scuotendo piano la testa davanti a quella strana Liv che restava la solita ragazza schietta che andava dritta al punto dele questioni ma per nulla aggressiva.
«Mary ti adorerebbe il doppio» rivelò, dicendo semplicemente la verità.
Rise notando il rosso delle guance di Remus diventare di un bordeaux molto simile a quello che Peter Minus, arrivato come un bolide e con un fiatone degno di Gazza, aveva sulla faccia stravolta e sudata.
Peter si accasciò sulla poltona accanto a loro e agitò le corte braccia verso Remus, tentando di parlare con un filo di voce rauca.
«Siamo messi-peggio di Gazza- al secondo anno!»
Remus conosceva Peter e- per quanto schifo potesse fargli- tutti i suoi tipi di sudore. Quello che adesso gli faceva luccicare la paffuta faccia rossa non era lo stesso che spuntava insieme ad un lieve color violetto a seguito di un’abbuffata di dolci con annessa nottata passata in bagno ad espiare il suo peccato di gola. Non era nemmeno quello che lo faceva assomigliare alla sua cravatta dopo una corsa.
Quindi no, quella faccia non era dovuta alla zampettata che si era fatto per arrivare in Sala Comune dal ‘Centro della Terra’, più comunemente chiamato ‘Buco’ da James, ‘Inferno’ da Sirius e ‘Dormitorio Serpeverde’ da uno qualsiasi dei professori. 
«Siamo messi-peggio di Gazza- al secondo anno- e di Sirius- al quinto!»
Ecco, appunto. C’era dell’altro.
Remus si alzò da terra con tutte le sue cose e gli occhi fissi su quelli di Liv che gli sorrise facendo il gesto esaustivo di cucirsi la bocca. Si ritrovò a sorriderle a sua volta, riconoscente.
«Peter, hai ancora i baffi dalla lezione con la McGranitt» gli fece notare Liv indicando i due lunghi fili bianchi sotto al naso appuntito del ragazzo che spalancò gli occhi celesti lasciandosi trasportare velocemente da Remus verso la stretta scala a chiocciola dei ragazzi.
 
 



 



*




 

 
 
James non andò in Guferia per raggiungere Sirius, lì non l’avrebbe trovato. Lo sapeva non perchè gliel’aveva detto la Mappa ma perchè c’era soltanto un posto dove Felpato andava in casi come quello.
Per questo, invece di rientrare al Castello avanzò tra la neve verso la Foresta Proibita, nonostante il gelo.
Senza togliersi il Mantello dell’Invisibilità di dosso, scese sul pendio innevato mischiando le sue impronte con quelle della classe di Erbologia appena uscita dalla Serra Numero Tre e quando superò il Platano Picchiatore spoglio e ghiacciato cominciò a correre fino ad arrivare alla foresta.
«Fanculo» imprecò quando, inoltrandosi tra i rami bianchi degli abeti, gli cascò addosso mezzo chilo di neve. Le impronte fresche di cane sotto le sue scarpe però lo fecero sorridere.
Avanzò cercando di fare il meno rumore possibile anche se non sarebbe servito a niente con quel Gramo che sentiva suoni e odori quasi più di Remus.
Quando girò attorno ad uno degli infiniti tronchi d’albero coperti per metà dal muschio si accorse del grande cane nero, seduto e fermo poco distante da lui, che gli dava la schiena. Le orecchie pelose spostate all’indietro, nella sua direzione, come ogni volta che faceva finta di non essersi accorto che lui era lì, che era andato a cercarlo ancora una volta. La folta coda scodinzolante lo tradiva bellamente e James non riuscì a non ridere in silenzio sotto al Mantello.
Fece un passo per avvicinarsi a lui ma Felpato fu più veloce e voltandosi con una mezza piroetta gli saltò precisamente addosso nonostante l’invisibilità.
Ogni volta che Sirius non riusciva a sopportare le troppe emozioni negative che lo assalivano un giorno sì e uno no, si trasformava in Felpato e tutto si faceva più semplice. James l’aveva imparato da anni e aveva imparato anche a lasciarsi schiacciare, sbavare, leccare e mordere; a grattargli dietro le orecchie in un punto preciso, a trasformarsi in Ramoso quando Felpato aveva bisogno di correre per sfogarsi e anche a rimanere il solito James per poter parlare. Quella era la volta di trasformarsi in Ramoso perchè, senza smettere di scodinzolare, Felpato aveva saltato in mezzo alla neve abbaiandogli contro, giocoso.
James non aveva idea di queli pensieri stessero disturbando quel sacco di pulci ma con uno schiocco e l’intenzione di riservagli tutto il tempo che gli aveva tolto decidendo di ascoltare Lily, si ritrovò a quattro zampe come lui.
 
 
 

 

*



 

 
 
«Quando arriva?»
«Calmati, Peter. Sarà andato a cercare Sirius, lo sai come sono quei due»
«Perchè, che è successo a Sirius?»
«Si è offes...»
«No, anzi, non raccontarmi niente adesso. Potrei dimenticare tutto quello che hanno detto i Serpeverde»
«Scrivilo su un foglio o dillo a me, stai tranquillo».
 Remus, in piedi a braccia conserte davanti ad un Peter a dir poco agitato che vagava per la camera dei Malandrini come un’anima in pena, non riusciva a spiegarsi il ‘Peggio di Sirius al quinto’.
Qualcosa di peggio di Sirius quando si era rinchiuso nella Torre di Astronomia per una lunghissima notte dopo lo scherzo al Platano era davvero grave. Provò, davvero, a pensare a qualcosa di così tanto drammatico da accostare al Quidditch ma a parte un’ipotetica bomba negli spogliatoi ai prossimi allenamenti non trovò molto altro. Ingigantire i problemi della squadra era roba da ossessionati e fanatici, roba da James. Non era raro vedere Peter con gli occhi fuori dalle orbite per qualcosa ma in quel momento metteva un certo disagio.
«Dov’è la Mappa? Andiamo a cercarli, Remus!» squittì Peter camminando più velocemente per cercare la Mappa del Malandrino nei vari letti.
Remus sospirò. «Davvero non puoi aspettare, Pete?» gli chiese, sentendo la preoccupazione aumentare. «Ma è qualcosa che riguarda il Quidditch o altro?» Altro come ‘Caccia ai Nati Babbani di questa scuola’.
Lo vide bloccarsi, senza fermare le piccole mani che si torturavano l’una con l’altra, il sudore sulla faccia aumentò e Remus non ebbe bisogno di risposte. Sciolse l’intreccio delle braccia dal petto e lo aiutò a cercare la Mappa che, dopo essersi quasi rotto l’osso del collo inciampando sulla scopa di James, Peter trovò dentro il baule di Sirius.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni» disse Remus osservando l’intero Castello circondato dal Parco apparire sulla pergamena sotto la punta della sua bacchetta di cipresso.

Peter la aprì frettolosamente facendo scorrere lo sguardo in ogni angolo, scala, aula, Sala e cortile.
«Niente!» commentò, contrariato.

«Non credo siano a Hogsmeade» esordì Remus osservando con attenzione il passaggio sotto la Strega Orba.

Peter riprese a camminare nervosamente per la stanza. «La Foresta allora» mugugnò «Avremmo dovuto disegnare anche tutta quella! Hai visto che serviva?»

«O la Stanza delle Necessità» lo interruppe Remus fissando la parte vuota al settimo piano, tra ghirigori e linee precise. «Non siamo ancora riusciti a disegnarla, potrebbero essere anche lì. Il punto è che se ci sono già loro noi non possiamo entrare, quindi...»

«Io provo nella Stanza delle Necessità!» si offrì Peter per niente voglioso di uscire nella neve e a quell’ora.
Remus scosse la testa e riposando gli occhi sulla Mappa vide i nomi di James e Sirius muoversi sulla carta, appena fuori dalla Foresta.
«Li avrei trovati io, a quanto pare» ridacchiò indicando all’amico i due cartigli diretti verso il castello.


 
 

 

*

 
 


 
«Ehi». Lily si lasciò cadere, stravolta, sul divano dove Liv aveva cominciato i difficilissimi compiti di Trasfigurazione  anche se la difficoltà principale del momento era cercare il gusto fragola tra le centinaia di gelatine allo schifo.
«Mh» la salutò con i denti incollati dalla caramella che di fragola aveva solo il colore. Avrebbe volentieri voluto vomitare mentre il sapore di rapa le invadeva la lingua, ma anche chiedere alla sua migliore amica dove aveva perso il cervello prima di Pozioni.
Lily sembrò decifrare il suo sguardo interrogativo e sbuffò sistemandosi sui cuscini, gettando alle spalle con un gesto nervoso i lunghi e annodati capelli rossi. Quando il fiatone si placò, prese parola.
«Avevamo ragione» bisbigliò, serissima, fissando negli occhi Liv che rimase però impassibile mentre cercava di staccarsi la gelatina dai denti con la lingua.
«Avevamo ragione?» riuscì a dire lei, gettando quel dolce malefico al fuoco.

«Quindi tu sei una pazza?»
«Liv»
«Perchè rincorrere James e stare con lui a parlare per...» lasciò la frase in sospeso afferrando il polso di Lily con l’orologio per guardare l’ora. «... un’ora, ti sembra una cosa da Lily sana di mente?»
Lily liberò il braccio, spazientita. «Mi serviva chiedergli una cosa da Caposcuola a Caposcuola»
«Oh, sì, certo» commentò Liv sarcasticamente.«Basta bugie, Lily» la rimbeccò severamente.
«Gli ho chiesto il Mantello in prestito»
«Cosa?!»
«Non fare quella faccia stranita. Mi serviva per spiare Edgar e Marlene»
«E lui te l’ha dato?»
«Li abbiamo spiati insieme».
Se prima Liv aveva assunto una faccia stranita, adesso Lily temeva stesse per rimanere senza occhi da quanto li aveva spalancati.
«E sei ancora viva» constatò incredula Liv squadrandola da capo a piedi prima di spalancare ancora di più gli occhi scuri. «Lui è ancora vivo?» chiese, e Lily le diede un pugno su una coscia che la fece ridere almeno fino a quando Mary non sbucò dal ritratto con un fazzolettino sporco di sangue poggiato sul labbro. La videro fare lo slalom tra poltrone occupate e vuote, e quando arrivò da loro notarono i suoi occhi nocciola brillanti come non mai.

«Sono nati!» esclamò entusiasta poggiando la mano libera sulla spalla di Liv per scuoterla. «Sono nati e sono belliss... ahi!» Si pigiò il fazzoletto sulla faccia e Lily le fece segno di avvicinarsi per farsi curare, come ogni volta.
«Oh, dovete vederli! Sono così piccoli... e delicati! Con Kettleburn abbiamo subito nascosto i pezzi d'uova d'argento, Lumacorno non ci metterà molto a scoprire che sono nati*...»
«Mary, se parli come faccio a fermarti questa fontana di sangue?»
«Sì, ok, sto zitta. Però sbrigati perchè devo raccont...»
Liv rise vedendo Lily tapparle la bocca con il fazzoletto prima di avvicinare la bacchetta al labbro spaccato. Non capiva perchè mai non aveva pensato di zittirla senza violenza, magari con una domanda semplice ma d’effetto come «Sai che la nostra Lily è stata, di sua spontanea volontà, sotto il Mantello dell’Invisibilità con James?»
Come immaginava, Mary non aprì bocca e Lily sollevò gli occhi verdi al cielo.
«E soltanto dopo averlo rincorso per metà corridoio dei sotterranei... dall’aula di Pozioni fino alle scale».
Mary continuò il suo mutismo, strizzando gli occhi nocciola non dal dolore per la ferita, ormai quasi rimarginata.
«Ok, Liv, basta» sbottò Lily accertandosi che il taglio fosse completamente chiuso. «Non vi interessa più sapere cosa nascondono Edgar e Marlene?»
Fu la volta di Liv di stare zitta, almeno per qualche istante.
«Avete scoperto qualcosa?» chiese, improvvisamente seria. Lily annuì con la testa.
«Sul serio?» domandò Mary allargando gli occhi. Lily annuì di nuovo mentre con la coda dell’occhio vide James e Sirius entrare in Sala Comune. Anche James le lanciò un’occhiata prima di attraversare la sala e seguire Sirius sulle scale a chiocciola.

«Che voleva, Evans?» chiese Sirius osservando il leggero sorriso da imbecille di James. L’aria da idiota c’era tutta, forse anche più del suo solito, ma qualcosa sembrava illuminargli gli occhi in un modo nuovo.
Le curva delle labbra di James si aprì scoprendo i denti, e la luce da svitato negli occhi nocciola si intensificò. Bene, è questo che succede quando si ignora Sirius Black.
«Che cosa cavolo è successo, demente?» gli domandò ancora una volta.
Aveva forse fallito? La lista anti-rimbeccillimento aveva fallito? Quel Troll che aveva davanti aveva sgarrato.
Quasi gli dispiacque vedere James ridotto in quello stato, almeno fino a quando non misero entrambi nello stesso momento un piede sul pianerottolo per dirigersi verso la loro stanza e James gli fece la grazia di aprire bocca.
«Avevi detto che non ti interessava sapere dei reggiseni di McKinnon e delle preferenze sessuali di Bones, Sirius, quindi... che vuoi?» rispose James in uno dei suoi ghigni da stropicciare senza pietà  con una mano aperta davanti a quel muso di erbivoro che aveva come faccia. Cosa che Sirius fece.
«Cretino, mollami!»
«Che c’entrano quei due con Evans?»
James rise, piegato in due da un gomito di Sirius a metà schiena. Ingobbiti, passarono davanti alla porta aperta dei ragazzi del sesto anno da dove Harrison lanciò loro una palla di pergamena. Raggiunsero la loro camera con la voce in lontananza di Alan Morgan che li apostrofava scherzosamente come ‘Figli della Strega Orba!’.
«Io e Lily abbiamo scoperto qualcosa sul segreto con Silente. Io e Lily che mi chiama James» rise James aggrappandosi alla maniglia della loro porta. Sirius cercò di trattenere una risata ottenendo come risultato un ridicolo soffio che spruzzò di saliva le lenti degli occhiali dell’amico.
«Certo, James. Il segreto con Silente, Evans che ti chiama James, tu che chiami lei Lily senza ritrovarti a pezzi e questa estate alla Coppa del Mondo di Quidditch* ci andremo come giocatori della Nazionale e non come spettatori».
Il gomito pigiò di più sulla schiena e James abbassò completamente la maniglia, aprendo la porta.
«SIAMO MESSI PEGGIO DI GAZZA  AL SECONDO ANNO E DI SIRIUS AL QUINTO!»
Forse aveva sbagliato porta. Tutto, si sarebbe aspettato di tutto fuorchè quell’urlo che l’aveva pietricato sull’uscio all’istante.
Magari, la testa di Remus che sbucava da una montagna di libri, approfittando del silenzio per farsi mandare in pappa il cervello; Peter mezzo nudo dopo la doccia o steso a terra a cercare di fare addominali sopra un tappeto di cartacce di Gomme Bolle Bollenti.
Ma non la faccia enorme e rossa a pochi centimetri di distanza dal suo mento, l’urlo disumano e Remus che si mangiava le unghie seduto sul suo letto libero da compiti, temi e appunti.

«Allora» esordì Sirius spingendo da un lato James per entrare in stanza. «Iniziamo con le Caccabombe pronte ad esplodere o con un presunto suicida sommerso dai sensi di colpa?»
«Presunto suicida»
«Non dire scemenze, James. Caccabombe»
«Caccabombe anche secondo me, Remus»
«Oh, dai, Felpato! Prima il peggio! No?»
«No, James, se prima senti il peggio non sarai concentrato per il meno peggio dopo»
Ed ecco che Remus ha sempre ragione come se fosse un saggio di centoventi anni.

«Vai con le Caccabombe, Pete».



La camera di Regulus Black e dei suoi coetanei maschi Serpeverde era perfettamente in ordine, pulita e senza neanche un pezzetto di cibo sotto ai letti.
I poster sgargianti delle squadre di Quidditch o di qualche gruppo musicale magico facevano a pugni con l’atmosfera lievemente cupa data dei pesanti drappeggi color smeraldo sui baldacchini e dalla luce verdastra che entrava dalle finestre accarezzate sinuosamente dalle alghe.
Soltanto la parete di Regulus, tappezzata da uno stendardo dei Black disegnato da lui appariva fredda come l’ambiente. La squadra verde e argento, seduta sparsa sui i letti, rideva dopo una battuta di chissà chi. 
«Spintoni e gomitate, ovvio» ghignò Butler dando una leggera spallata a Montague che annuì, ridente. 
«Non servono con Potter» esordì Barty Crouch che Regulus appoggiò, sovrastando le voci degli altri cinque giocatori.
«Infatti. Per questo dobbiamo puntare a colpire Smith, la nuova Cacciatrice, e Morgan. Indebolire la catena che fa avanzare Potter. Inizieremo quindi con lo schema numero cinque esattamente quando loro metteranno in pratica il due e cioè a metà partita, come ci ha detto la nostra spia»
«Lo schema numero cinque, Reg? Quello dell’anno scorso che li ha praticamente spiazzati per dieci minuti di fila?» chiese in tono derisorio Parkinson, seguito a ruota da altre risate divertite.


«Sì, sì ho capito quale... non c’è bisogno che rigiri il coltello nella piaga, Pete. Poi?»


«Appena Mulciber tornerà da Pozioni gli dirò di continuare ad allenarsi per migliorare quel rovescio con la mazza. Se riesce a farlo alla partita, Harrison in confronto sarà come un Babbano in mezzo ad un duello di bacchette»
«Reg! Io, Barty e Butler allo schema numero cinque possiamo aggiungere l’attacco a due per bloccare Smith prima che faccia quel suo nuovo passaggio che gli idioti credono sia segreto?»

 

«COSA!?»
«Non ho idea di come facciano a saperlo, James»
«MA HO PARLATO DI QUEL PASSAGGIO A DAISY SOLTANTO IERI E QUI, IN QUESTA STANZA! COME CAZZO HA FATTO LA SPIA AD ENTRARE QUI!? É PER CASO UN ANIMAGUS ANCHE LEI!?»
«Non parlano mai della loro spia e non si vede nemmeno. Ma credo sia Regulus quello che la incontra perchè Montague gli ha detto...»

 

«Per il loro prossimo allenamento ordinagli anche di far cadere qualcuno dalla scopa o di incantare un bolide contro Potter»
«E McAdams, Reg? Se l’è cavata con Stevens. Farà la stessa cosa con te»
«A quella ci penso io. Basterà stuzzicarla quanto basta per farla esplodere... sarà un attimo e Madama Bumb la espellerà dal campo»

 

«VAFFANCULO! VAFFANCULO! VAFFANCULO!»
Peter si irrigidì  davanti a James che gli aveva urlato contro come se Regulus fosse lui.
«James» lo riprese infatti Remus, entrambe le sopracciglia castane inarcate. James scosse la testa passandosi entrambe le mani sui capelli scompigliati.
«Scusa» sospirò, cercando di calmarsi «L’importante è sapere queste cose in tempo. Ottimo lavoro, Pete! Posso sempre contare su di te» lo elogiò con sincera gratitudine.
Peter si gonfiò d’orgoglio lasciandosi abbracciare e dare una pacca sulla schiena che però James fece durare poco. Aveva chiaramente notato lo sguardo di Sirius che si era oscurato.
«Che c’è, Felpato?» gli chiese vedendolo stringere la mascella con le labbra chiuse.
«’Ordinagli’» mormorò pensieroso lui. «Sei sicuro che Montague ha detto così, Peter?»

Peter annuì con vigore.
«Potremmo usare la Mappa per scoprire chi è» esordì Remus facendo calare il silenzio nella stanza. A volte James si faceva prendere dalla rabbia o dall’entusiasmo eccessivi che lo rendevano praticamente cieco davanti ai problemi, anche con quegli occhiali enormi al loro posto sul naso.
«Quanto siamo stupidi?!» commentò infatti il Capitano, atterrito.
Peter cominciò a mangiarsi le pellicine delle unghie cercando di non lasciarsi distrarre dalla situazione. Aveva ancora negli occhi le facce illuminate da una luce diabolica di Avery e Mulciber che, visti dal basso in versione topo, apparivano dei giganti ancora più minacciosi del solito.
«Voi. Io ve lo propongo da metà del quinto anno, da quando abbiamo i nomi di tutti che calpestano ad ogni ora la Mappa» fece Remus, ridendo davanti alla faccia allibita di James.
«Ma ormai non ci serviva più, la partita era a Novembre» spiegò, allargando le braccia per sottolineare l’ovvietà. «Al prossimo allenamento, Remus, starai sugli spalti con la Mappa e tu, Codaliscia, nella Sala Comune di quei serpenti. Il nome di questo bastardo verrà fuori, in ogni angolo del campo o del cielo che sceglierà per nascondersi!».
«‘Ordinagli’...» sibilò impercettibilmente Sirius, con ancora lo sguardo pensieroso fisso sul pavimento.  James parve sentirlo ma il balbettare di Peter lo preoccupò non poco.
«Posso... posso dire adesso l’altra cosa?» chiese Peter, desideroso di liberarsi da quel peso enorme. James e Remus annuirono.


 

 

«Avanti! C’è bisogno di bussare così forte? E questa è una riunione della squadra» sbottò Regulus osservando Avery fare capolino dalla porta.
«Avete finito?» chiese, e Regulus fece per negare; quando vide l’amico più grande tirare fuori dalla tasca del pantalone della divisa un pezzetto di lettera dall’aria importante, cambiò subito idea. 
«Sì, abbiamo finito. Ci vediamo venerdì alla stessa ora per gli allenamenti, ragazzi»
Cinque paia di enormi scarpe calpestarono il tappeto verde ricamato d’argento, per uscire in corridoio. Soltanto tre andarono 
verso la porta dei ragazzi del settimo anno.

«La ceralacca dei Malfoy?» chiese Regulus mentre Avery entrava velocemente in stanza frugandosi le tasche, Barty Crouch alle calcagna.
«Esatto. Lucius» disse sottovoce, tirando fuori la busta da lettera dall’aria sofisticata. Tutt'e tre restarono a guardarla senza dire una parola. Avery controllò l’orologio d’oro che aveva al polso e poi i due baldacchini di Severus e Mulciber, vuoti.
«Potrebbe essere l’invito alla festa di fidanzamento con mia cugina. A me è arrivata quella di Narcissa stamattina» ipotizzò Regulus, deciso a non farsi illudere.

 

«Puzzasottoalnaso si è fidanzata ufficialmente con quello?» commentò Sirius, schifato. Non aveva ricevuto nessun invito, nessuna lettera. Invece di sentirsi offeso, un senso di libertà che lo dissociava totalmente da quella famiglia lo fece sorridere quasi quanto Ramosa prima.
«Merlino li fa e poi li accoppia» aggiunse James , leggendogli nel pensiero.

 

«Oppure è la lettera che aspettavamo da mesi» disse Avery; le mani quasi gli tremavano mentre cercava di trattenersi dall’aprire la busta. «Mio padre e il signor Mulciber non possono inviare lettere. Mio padre dice che sono controllati e che spedirci un gufo qui sarebbe come mandare una richiesta di soggiorno per Azkaban. In questa lettera c'è sicuramente anche qualcosa solo per me e Mulciber»
«Aspettiamo tutti gli altri, Avery, tutti» 
«Non la sto aprendo, tranquillo»
«Aspetta... hai sentito?»
«Cosa?»
«Uno squittio di topo»
«Cosa saresti insinuando, Regulus? Che questa camera è sporca?»
«Non intendevo questo. Ho soltanto sentito un...»

«Sono in ritardo per la riunione con la squadr... ah, Reg, sei qui?» esordì Mulciber entrando in dormitorio con la tracolla in spalla.
Avery sventolò la lettera come se fosse stata una bandiera e gli occhi dell'ultimo arrivato s'illuminarono all’istante.
«Severus?» chiese Regulus allungando il collo verso la porta, aspettando di vedere anche l’altro Serpeverde. Mulciber scosse la testa.
«Lumacorno l’ha fermato a fine lezione. Credo sia finita la pacchia per il nostro Prefetto disubbidiente» cantilenò, mellifluo.

 

«C’entri qualcosa James?» chiese Remus con una punta di perplessità nella voce. James si portò l’indice davanti al naso facendo segno di lasciar continuare Peter. Remus non potè fare a meno di pensare che c’entrasse eccome.

 

Aspettarono un bel po’- sentendo ogni tanto degli strani rumori sotto ai letti o dietro ai bauli- prima di vedere Piton entrare come una furia, gettando borsa e libri sul comodino che per poco non mandò a fuoco quando dalla bacchetta uscirono delle scintille rosse non di poco conto. Gli occhi spalancati di tutti gli misero ancora più fastidio e senza dire una parola si chiuse in bagno sbattendo al porta.
«Severus, finiscila di fare il disperato e vieni qui. Abbiamo La lettera» lo richiamò Mulciber.
Avery aveva già rotto il sigillo con lo stemma dei Malfoy quando Piton riaprì lentamente la porta cigolante.
Un breve zampettare sul pavimento si percepì chiaramente nel totale silenzio colmo d’attesa e agitazione ma nessuno sembrò accorgersene. Avery aveva un sorriso che si allargava ogni secondo di più di lettura.
«Allora?» chiese Barty, fremente. 

«Durante le vacanze di Natale a Diagon Alley, per Piton e Regulus. Regulus, tua cugina ha già fissato un incontro» disse semplicemente Avery, tutti sembrarono rabbrividire.



Peter scoccò un'occhiata furtiva a Sirius, sentendosi addosso il suo sguardo profondamente attento e cupo da far paura. Sapeva che quella parte del discorso l'avrebbe colpito: gli tremavano i pugni ai lati delle gambe. James gli fece segno di continuare a parlare, e Peter continuò.



«É troppo presto» esordì freddamente Piton senza scomporsi più di tanto, ma gli altri non sembravano pensarla come lui.
«Non ci stiamo mica infilando il cappuccio in testa, Severus» disse Regulus. «Vuole soltanto conoscerti, non sei figlio o nipote di Mangiamorte. Il Signore Oscuro ammette poche eccezioni alla sua regola di reclutare, per la sua cerchia ristretta, qualcuno già facente parte di una famiglia del giro. Deve conoscerti prima di farti entrare tra le persone più vicine a lui anche se hai Avery, Mulciber e Lucius come garanti. Non si fida, non è sprovveduto». 




«Bellatrix ha fatto un lavoro eccellente con lui, a quanto vedo» commentò Sirius, gelido. «Anni e anni di tè delle cinque a casa nostra per arrivare a... questo». Peter, inchiodato dal suo sguardo inquietante come se fosse stato lui Bellatrix Lestrange, guardò James sistemarsi gli occhiali sul naso col volto ombroso. Remus si schiarì la voce, distogliendo gli occhi preoccupati da Sirius sempre meno controllato.
«Vai avanti, Peter» disse, pacato.



«Non è questo il punto, Regulus»
«No, il punto è questo, Severus: tu non vuoi, loro sì. Quindi pensa per te senza bloccare loro» lo liquidò bruscamente Avery che stringeva tra le dita un'altra pergamena come se fosse la sua stessa vita, evidentemente la lettera nascosta di suo padre. Dalla busta con la ceralacca dei Malfoy ne prese un'altra, infatti, consegnandola a Mulciber.
Piton indurì le labbra.
«Perchè non sei sicuro, Severus?» gli chiese Regulus, un sopracciglio nero arcuato. 
«Mi serve ancora del tempo per pensare...»

«Ma a cosa devi pensare?» lo attaccò di nuovo Avery, incredulo. «Con lui, fuori da qui sarai un privilegiato! Non immagini il potere che avrai tra le mani! E ci si diverte un mondo! Mio padre, ogni volta che torna da una missione, me ne racconta di ogni! I babbani sono proprio degli spassosi imbecilli!»
«E non ti dovrai preoccupare di Dissennatori, Giganti, Lupi Mannari... li stanno convincendo! A fine anno scolastico saranno completamente nostri alleati!» aggiunse Mulciber distogliendo lo sguardo divertito ed acceso dalla sua pergamena personale. «Mio padre quest'estate aveva un Lupo Mannaro che gli faceva da spalla, stile animaletto domestico».

 

Peter fermò un attimo il discorso, sentendo lo sguardo attento di Remus farsi più intenso su di lui.

 

«Ho detto che voglio ancora pensarci» 
«Pensi troppo, Severus, per Merlino!» lo rimproverò Mulciber. «Se non ti sbrighi, Lui potrebbe non accettarti più»
«Sul serio?!» si inserì, angosciato, Barty. «Io voglio farne parte! Voglio fare qualcosa anch’io!»
«Lucius ha esplicitamente detto che il Signore Oscuro continuerà ad arruolare seguaci senza dare nessun limite di tempo» ricordò Piton.
«Giusto. Più si è meglio è, no? Arriverà anche il tuo momento, Barty» lo tranquillizzò Avery con frose un po' troppa leggerezza dato che il quindicenne lo fulminò con uno sguardo cupo segretamente sfidante.
«Ma adesso è il tuo, Severus» riprese Avery in un sussurro concitato Fatti conoscere dal Signore Oscuro e sono certo che apprezzerà il tuo innato talento con la Magia Oscura e...»
«Gli anni in cui starò qui a scuola mi serviranno come prova» lo interruppe Barty con un certo tono arrogante. «E so già cosa fare».

 

«Sentiamo, cos'avrebbe intenzione di fare la promettente mascherina?» sbottò James sentendo di averne già abbastanza di tutti quei discorsi su Arti Oscure e il voler essere Mangiamorte.

 

«La Camera dei Segreti»
«La cosa?»
«La Camera dei Segreti, Mulciber. Non avete letto Storia di Hogwarts?»

 

«Pure le leggende adesso» commentò ridente Sirius «Mancano le Profezie e siamo a posto. Il circolo dei fuori di testa è ufficialmente aperto, signori. Tutti i martedì sera, dopo quello di Sparaschiocco».
James e Remus risero apertamente, Peter però rimase più serio che mai.

 

«Non esiste, è una leggenda» fece Piton, sicuro.


«Da quando Mocciosus ha un neurone?» rise James, prolungando le risate nella stanza dei Malandrini.

 

«Non proprio, Severus. Mio padre, anni fa, mi ha detto che esiste» s'intromise Avery osservando Barty con la sua solita aria superiore e sospettosa nei suoi confronti, ma forse divertito e incuriosito da quella sua uscita. «Mi ha raccontato che è già stata aperta una volta, quando lui era qui a scuola* e che in quell’occasione è morta una Sanguesporco. Non mi ha voluto dire altro, ma esiste» mormorò Avery sollevando con orgoglio un angolo del sorriso.

«Mio padre non mi dice mai niente» sbottò invece Mulciber con un certo fastidio ad incrinargli la voce. «L'unica cosa che fa è farmi esercitare con la Maledizione Imperio fino allo sfinimento».
«E che cosa vorresti fare, Barty?» chiese Piton in tono per niente convinto. «Cercarla? Ho letto Storia di Hogwarts, prima di te, e anche se la trovassi non potresti entrarci... o credi di essere davvero l’erede di Salazar Serpeverde?»

 

Peter notò quanto il sopracciglio di Remus fosse identico a quello di Piton un’ora prima. James e Sirius invece si sbellicarono dalle risate, piegati l’uno sull’altro.

 

«Perchè no, Severus? Tu non potresti esserlo di certo, ma io sì. Io faccio parte delle Sacre Ventotto»
«Ancora meglio, io o lui» tenne a precisare a tono Avery, indicando col pollice Mulciber, sorridente al suo fianco. «Magari è stato proprio uno dei nostri padri a farlo, l'ultima volta. Quindi potremmo esserlo benissimo. E se Barty crede di poterla trovare, non sarò di certo io a fermarlo»concluse, forse mettendolo alla prova.
Il sopracciglio di Piton si arcuò ulteriormente mentre Barty sorrideva, così rosso in viso da nascondere le sue lentiggini.
«Possiamo provarci, ma dopo? Non sappiamo cosa c’è là dentro. Oro? Pozioni miracolose?»
«Un mostro, Mulciber» rispose Barty, nella voce c’era rinnovata baldanza per gli occhi ridenti di Avery ancora su di sé. «Di certo, trovare ed aprire la Camera dei Segreti mi toglierebbe del tutto l'ombra di mio padre di dosso».
Regulus sospirò prima di aprire bocca. «Ti ho detto che ci sto pensando io a te, Barty, parlo sempre di te a Bella»
«Ma non l'hai ancora convinta» ribatté il quindicenne «Così come non ho convinto del tutto voi, soprattutto da quando mio padre ha dato agli Auror il permesso di uccidere! Lo vedo nelle vostre facce, non sono stupido. E sappiate che lui non si fermerà, è sempre più pazzo. Svegliati, Regulus, sono quello messo peggio tra voi! Tua cugina non si fiderà mai come non si sono mai fidati Rosier e Wilkies fino all'anno scorso! Nessuno si fiderà mai di me se direte soltanto che farò la spia per loro da dentro il Ministero! Sono il figlio del fottuto Capo delle Forze dell'Ordine Magiche, nemmeno io mi fiderei! Devono, dovete, potermi credere davvero e liberare un mostro che obbedisce soltanto all’Erede e che ha lo scopo di liberare la scuola da tutti coloro che non sono degni di studiare la magia credo che possa convincerli abbastanza».
Gli occhi di Mulciber si accesero, emozionati come se avesse avuto davanti il suo piatto preferito dopo settimane di digiuno.

«Sarebbe perfetto per la causa, non solo per Barty» sussurrò guardando Avery fissare il più piccolo, come se stesse soppesando la sua idea.
«Questa scuola è praticamente sigillata e isolata dal resto del mondo» riprese Barty, eccitato. «Con quel rimbambito di Silente e le sue protezioni, il Signore Oscuro non può neanche avvicinarsi. Ma noi ci siamo dentro, possiamo fare il Suo volere anche qui! Ripulire anche questa scuola come sta facendo Lui, là fuori».


 


 


«Pete» esordì James con le lacrime agli occhi, cercando di restare serio mentre le risate di Sirius e Remus continuavano a contagiarlo. «Questo secondo te è come Sirius al quinto anno?».
Peter boccheggiò, aggrappandosi alle sue stesse mani. «Be’... be’, non è una cosa pericolosa?»
«Non è una cosa possibile, Peter! Non lo è» gli rispose Remus tra una risata e l’altra.
Peter aggrottò le sopracciglia biondicce, per niente d’accordo con loro. In quella stanza, i Serpeverde  erano sembrati tutti così sicuri di riuscire nell’impresa. A parte Piton che era rimasto in silenzio per tutto il resto del tempo.
Sirius gli andò vicino per poggiargli una mano su una spalla.

«Grazie, Pete, per questo quarto d’ora di male alla pancia» fece, in un sorriso divertito e soprattutto sincero, raro da vedergli quando si parlava di Regulus.
«Ma, veramente...» provò a dire lui sentendo un’altra mano sulla spalla libera. Era quella di Remus che non rideva più di cuore ma aveva ancora il sorriso sulle labbra pallide.
«Peter, stai tranquillo. Anche se sotto ai nostri piedi ci dovesse essere uno scantinato con un mostro affamato di Nati Babbani e ‘Ibridi vari’ dentro, quelli lì non riuscirebbero ad aprirla neanche se prendessero tutti i poteri di Silente. Altrimenti Silente stesso avrebbe fatto qualcosa a riguardo»
«Ma Silente non è l’Erede di Serpeverde. Avery e Mulciber invece potrebbero» farfugliò Peter facendo scoppiare a ridere di nuovo gli altri tre.
«Ma dove vorranno andare» fece Sirius gettandosi sul suo baldacchino a peso morto «se nemmeno tutti insieme valgono una manciata di moscerini in mezzo all’esercito di Mangiamorte già ‘fedeli’ a quel pazzo, da anni!»
Il tono canzonatorio faceva a cazzotti con il suo sguardo puntato sugli occhi nocciola di James che percepì chiaramente tutta la speranza che Sirius stava riponendo nelle sue stesse parole. L’ombra di Bellatrix aleggiava in quello sguardo palesemente angosciato.
«Parliamo di cose possibili invece» esclamò James servendo a Sirius la battuta liberatoria.
«Possibili quanto Evans che ti chiama James?» abboccò all’amo, infatti, lui e questa volta scoppiò a ridere anche Peter facendo il giro del suo letto per recuperare dal comodino di Remus una delle venti Cioccorane che, come sempre, James gli aveva regalato per riprendersi dalla Luna Piena.
«E non è finita qui!» continuò Sirius portandosi le mani dietro la testa comodamente poggiata sul cuscino «James ha scoperto il ‘Segreto con Silente’ e la sua boccuccia innamorata può finalmente pronunciare il nome Lily senza spaccarsi sotto ad un pugno».
«James, dai». Remus scosse la testa, totalmente scettico. James era il senso dell’umorismo fatto a persona ma adesso stavano rasentando il ridicolo.
«Ce l’ho io una cosa possibile» affermò  allentandosi la cravatta rossa e oro. «Liv sa che sono un Lupo Mannaro».
Altre risate riempirono la stanza che cominciava a diventare buia per via del tramonto.

«Ma vi siete tutti ubriacati a mia insaputa?» chiese Sirius, teatralmente offeso.
«Guardate che è la verità» ripetè Remus diventando serio. Il suo suo viso rilassato contagiò gli altri.
«Non stavi scherzando, Lunastorta?»
«No, James, non stavo scherzando. É successo prima in Sala Comune»
«Come?»
«Mi ha semplicemente chiesto se sono un Lupo Mannaro. Io le ho detto di no e lei ha minacciato che l’avrebbe detto a tutti lanciandomi petali di Aconito addosso se avessi continuato a mentire» spiegò Remus sentendosi leggero con incredibile semplicità, la stessa che aveva usato Liv.
Sapeva che lei non avrebbe mai gridato in Sala Comune la notizia, tantomeno avrebbe lanciato Aconito perché era stata lei ad allontanarglielo in aula di Pozioni. Quel suo modo di fare l'aveva divertito a dispetto della pesantezza del suo segreto svelato e solo in quel momento Remus si accorse che forse era stato proprio quello l'intento di Liv.
A Sirius scappò un sorriso divertito, negli occhi grigi intensi qualcosa baluginò e Remus non ci lesse sorpresa, ma con sorpresa da parte sua percepì un chiaro affetto muoversi in quelle iridi come se fossero posate su Liv. Peter, invece, non riuscì a chiudere la bocca dalla sorpresa.
«E ti ha per caso detto di non avvicinarti più a lei o di darti fuoco?» chiese sarcasticamente James, la labbra sollevate in una mezza risata. «Mi pare di no, sei tutto intero e stati sorridendo. Quindi perchè non lo dici anche a Macdonald?»
L’ultima domanda gli costò una Cioccorana in piena fronte.
«Magari l’hai fatto rinsavire, Lunastorta» si augurò Sirius guardando James sfregarsi la fronte con sguardo orripilato.
«Se mi lascia la cicatrice» minacciò la vittima occhialuta «ti unisco quelle che hai tu come quel gioco dei puntini sui cruciverba di Sirius, Remus! E lo farò in modo tale da formare la parola “Sono un Imbecille”!».
Remus per risposta rise apertamente lanciando un’altra Cioccorana a Peter che gradì come non mai.
 «E passiamo alle cose serie» aggiunse James facendo sorridere gli altri.

«Il Segreto con Silente»
«Santissimo Merlino»
«Tappati la bocca, Sirius»
«James, davvero, si può sapere perchè continui ad attaccarti a questa storia?»
«Devo davvero chiamare Lily, Remus? O farvi i disegnini? Pete, aiutami a rubare una lavagna perchè un foglio con voi non basta».
Remus perse il sorriso, lasciando posto ad un espressione sconcertata. ‘Devo davvero chiamare Lily?’ l’aveva detto con una tale naturalezza da sembrare reale.
«Che cosa ti voleva dire Lily prima?» chiese, cauto. Lo guardò mettersi le mani in tasca, facendo spallucce, con gli angoli delle labbra che cercavano di sollevarsi a tutti i costi. Aveva fatto di sicuro qualcosa ma qualcosa di decisamente diverso dal solito.
«Sei ridicolo» appurò in tono canzonatorio Sirius rivolgendosi a James che, con sua sopresa, gli fece il dito medio indietreggiando verso la porta senza staccargli di dosso lo sguardo colmo di sfida. Quando lo vide sparire in corridoio, tutti e tre si alzarono di scatto dai loro posti per seguirlo di corsa.




 


 


 


 

*


 


 


«Un gruppo segreto?»
Lily annuì a Liv per l’ennesima volta, incitandola ad abbassare ancora di più la voce anche se la Sala Comune cominciava a svuotarsi per la cena.
Sovrappensiero, Liv raccolse le uniche gelatine con un sapore decente che aveva messo da parte su un fazzoletto per non mischiarle di nuovo allo schifo che c’era nel pacchetto e se le mise in bocca.
Era indecisa. Credere a quella notizia significava spianare la strada tortuosa e buia che in estate aveva deciso di prendere dopo Hogwarts.
Suo padre le aveva detto più volte che combattere da sola non sarebbe servito a niente se non a farsi ammazzare nel giro di due giorni. Ma così, se davvero esisteva questo ‘esercito nascosto’, era fatta. Suo padre magari avrebbe cambiato idea, avrebbe perfino smesso di alzarsi alle due di notte per leggere scartoffie su scartoffie che parlavano della sicurezza magica in America, Australia o Francia per capire quale delle tre fosse la migliore.
Dal volto di Mary era sparita qualsiasi traccia di entusiasmo per i cuccioli di Occamy.
«Hai detto: un gruppo per combattere Tu-Sai-Chi con a capo Silente?»
«Da quel che ho capito sì, Mary, ma per saperlo con certezza dobbiamo fermare Marlene e Edgar a Hogsmeade...»
Lily esitò un attimo ma dopo qualche istante si decise a specificare anche con ‘chi’ l’avrebbero fatto.
«Fermare Marlene e Edgar insieme a Potter, Black, Pete e Remus, ovviamente».

Almeno, le era sembrato che James avesse intenzione di farlo, di scoprire qualcosa in più sulla possibilità di partecipare attivamente alla guerra.
La cosa l’aveva da subito colpita e, ripensandoci, le aveva fatto dimenticare anche Piton e il ‘Buon motivo’.

James aveva davvero intenzione di difendere, rischiando la sua vita, una categoria di persone di cui lui non faceva minimamente parte quando avrebbe potuto benissimo starsene a casa sua protetto dal suo potente status di Purosangue?
Cosa non conosceva ancora di lui?
«LILY?» La voce di James aleggiò per la Sala Comune facendo ridacchiare parecchie persone che si voltarono verso Lily, in attesa di una sfuriata o di una battuta particolarmente divertente, ma quando lei si voltò per guardare James con calma assoluta le risate si trasformarono in mormorii allarmati e sorpresi.
Liv cominciò a tossire spasmodicamente, diventando rossa come la cravatta che con mani frenetiche cercò di slacciarsi dal collo.
«Anapneo». La bacchetta di Sirius le puntò la gola, una gelatina viola volò dalla bocca verso il fuoco.
Le facce allibite di tutti la fissarono con terrore ma lei, mezzo tramortita e ancora stordita, si limitò a schiarirsi la voce con il mento per aria, ignorando volutamente Sirius.
«Che sta succedendo qui?» esordì Mary confusa ed indecisa tra l’essere più stranita da Lily che non aveva incendiato James con lo sguardo per averla chiamata per nome o da Black  che aveva praticamente appena salvato la vita a Liv.
«Lily mi vuole morta, Mary, è questo che sta succedendo» sentenziò con voce roca Liv continuando a schiarirsi la gola irritata sotto l’occhio preoccupato di Lily, osservata a sua volta da Remus, Peter e Sirius che spostò poi l’attenzione su di un James così sereno e compiaciuto tanto da assomigliare a Silente dopo il banchetto sostanzioso di Natale. Era uno scherzo?
I gruppetti di ragazzi e ragazze uscirono dalla Sala Comune come dei piccoli stormi di insetti ronzanti, pronti a spargere il nuovissimo pettegolezzo come polline.
«Lily, potresti spiegare a questi idioti dei miei migliori amici che abbiamo scoperto qualcosa su...»- James abbassò la voce- «Marlene e Edgar?»
«Remus» mormorò Peter sconvolto «L’ha fatto di nuovo».
Remus annuì, sinceramente spaesato. Lily sembrava in sè e James non aveva una bacchetta puntata contro di lei ma questo non significava poi molto perchè minacciare Lily non serviva mai a niente. Lei faceva sempre come voleva, bacchetta o armi varie puntate addosso, soprattutto se a minacciarla era James.
Lily sollevò gli occhi al cielo. «Credetegli, è vero» concesse, in un mezzo sorriso che Remus non riuscì davvero a spiegarsi.
«Beh, in questo momento non sei di certo nella posizione giusta per fare la bocca della verità, Evans» contestò, pungente, Sirius fissandola con sguardo diffidente. «Portatela in infermeria. Madama Chips saprà di sicuro curare un’intossicazione da Asfodelo»

«Certamente, peccato non sappia curare altrettanto bene i problemi al cervello come il tuo, Black» precisò a tono Lily.
Liv sollevò un sopracciglio, anche se cominciava a pensarla di nuovo come Black. Si fidava ciecamente di Lily, al trecento per cento, ma della Lily che chiamava James ‘Potter palla di ego’ non di questa Lily che aveva evidentemente mentito sulla storia della chiacchierata dopo Pozioni.
«Lily? Non avevi detto che dovevano aiutarci?»
«Così pensavo, Mary»
«Ed è così!» sbottò James, oltraggiato «Ma se questi non vogliono credermi...»
«Vedi un po’ tu» lo imitò ironicamente Sirius, spalancando le braccia.
Remus si schiarì educatamente la voce prima di parlare. «Aiutarvi a fare che cosa, di preciso?» chiese, affabile.
Se soltanto ‘qualcuno’ avesse spiegato il perchè delle cose assurde- come per esempio ‘Perchè le orecchie di Lily sentono la voce di James che la chiama per nome e non sanguinano’- magari adesso non saremmo in questa situazione alquanto imbarazzante.

«Potter? Non gli hai davvero detto niente?» sbottò Lily e Sirius capì di essere di nuovo tra i comuni esseri umani.
James boccheggiò, corrugando le sopracciglia come se stesse riformulando mentalmente tutta la domanda, compreso il ‘Potter’ iniziale, e Peter ridacchiò.

«Era davvero una bugia la storia del ‘James’»
«No che non lo era! Lily!» protestò con rabbia James.

Lei sollevò entrambe le sopracciglia rosse e con stupore James vide le sue labbra arricciarsi per fermare un sorrisetto beffardo.
Lo stava prendendo in giro, così, come se niente fosse.
Sirius si mise a braccia conserte, portandosi una mano davanti alla bocca per grattarsi sotto al naso nel tentativo di camuffare la curva che gli stava stirando le labbra ma quando Lily cominciò a raccontare il fantomatico Segreto con Silente, si sentì di nuovo la terra mancare sotto ai piedi.

«Non dobbiamo quindi farli scappare se vogliamo scoprire qualcosa di più su questa... resistenza, se così si può chiamare» concluse il discorso James con il tono più serio che Lily gli avesse mai sentito usare.
Le facce di Remus e Sirius erano identiche a quelle di Liv e Mary di qualche minuto prima mentre Peter sembrava per farsela addosso.
«Ma... perchè?» chiese, sperando di aver capito male. «Perchè volete scoprire di più?»

«Per partecipare, Pete!» gli rispose James come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lily si portò il labbro inferiore tra i denti, osservando con attenzione James continuare a spiegare a Peter l’importanza di ‘fare qualcosa’, di ‘combattere perchè nessuno ha il diritto di uccidere una persona in generale e ancor meno per via del suo sangue ritenuto sporco e cazzate simili’.
«Ne riparleremo con la pancia piena, eh, Peter?» propose Remus vedendo l’amico andare nel panico. Lui annuì e, senza volerlo, Mary sorrise davanti a quel gesto gentile così tipico di Remus.
«Ma ci state almeno per fermare Marlene e Edgar?» domandò Liv a nessuno in particolare. A risponderle fu Sirius, anche lui più serio e deciso che mai.

«Certo che ci stiamo. Per quei due e, io come James, anche per tutto il resto».
Lily si alzò dal divano, lasciando che i folti capelli rossi le coprissero il viso per nascondere il guizzo di luce che sentiva di avere negli occhi, esattamente come quello che vedeva nello sguardo di Liv stranamente morbido, ancora posato su Sirius.
Quando scesero in Sala Grande per cena, il chiasso dei quattro lunghi tavoli si affievolì mentre centinaia di facce si voltarono a guardarli da sopra le spalle, i calici e i vassoi colmi di costolette fumanti.
«Complimenti, Potter. Come riesci ad attirare l’attenzione tu non ci riesce nessuno» gli mormorò con un piccolo sorriso divertito Lily prima di superarlo a passo svelto per sedersi in fondo alla tavolata con Mary e Liv sotto le occhiate curiose e il brusio di tutta la Sala Grande che però in un attimo tornò chiassosa come prima nel vedere in due Capiscuola sedersi lontani come sempre.
«Coglione, coglione, coglione, coglione...»
«Felpato»
«Sto cercando di renderti meno coglione, coglione. La puoi chiamare per nome ma non per chiederle di che colore vuole i confetti al vostro matrimonio, coglione»
James rise facendo sedere a forza Sirius sulla panca, vicino ad una ragazza del quarto anno che arrossì violentemente bloccando la mano con il pezzo di pane davanti alla bocca spalancata.
«Se permetti, James» fece Remus sedendosi davanti a Sirius e James con Peter al fianco. «Mi spieghi cosa cavolo hai fatto per rendere Lily una conoscente senza istinti omicidi nei tuoi confronti?»
James fece spallucce, tuffando le mani sui vassoi colmi di cibo.

«Niente» rispose con semplicità. «Ho soltanto firmato quel documento per segnalare l’assenza alle riunioni di Mocciosus. Lily lo voleva a portata di sguardo».
Remus strabuzzò gli occhi. Cos’aveva fatto? Diceva sul serio? Guardò Sirius che con la bocca già piena gli annuì brevemente prima di riempirsi il calice di succo di zucca.
«E perchè lo vuole a ‘portata di sguardo’?» domandò Remus, sempre più confuso.
Da quello che appariva, l’unica cosa che Lily voleva era stare alla larga da Piton e non avercelo tra i piedi.
La risposta di James arrivò sul suo tovagliolo che, quando Remus ebbe finito di leggere, si premurò di far sparire con un colpo di bacchetta.
Adesso forse la cosa cominciava ad avere senso anche per lui.
James aveva perso le sue arroganti ed ingombranti corna esattamente come Ramoso, preferendo vedere Piton nella stessa stanza di Lily piuttosto che Lily stare male.
Si affacciò oltre Peter, impegnato a rosicchiare un osso di pollo, cercando Lily. Ricevere minacce di morte per il fatto di essere ‘diversa’ ed ‘inferiore’ non era una passeggiata e lui lo sapeva bene. Lei era così brava a nascondere tutto che non si era accorto di niente.
 
 

*



 


 




«Allora? Sto aspettando»
«Se continui a farlo, quel purè verrà sù tutto insieme al piatto quando proverai a mangiarlo, Liv»
«Rispondi, Lily».
Lily si portò il boccone di carne alla bocca, masticando tranquillamente davanti al viso in attesa di Liv che dal nervoso faticava ad ignorare Adam Montgomery mangiare rumorosamente alla sua destra e la risata divertita di una Tassorosso alle sue spalle.
Lily stava diventando sempre più riservata e lei non riusciva proprio a capirlo, tanto meno ad accettarlo. 
«Non conosco Potter come invece pensavo» se ne uscì all’improvviso Lily punzecchiando l’uovo sodo con la forchetta prima di spezzarlo a metà. «Non posso usare la tua stessa motivazione?»
Liv, basita, non seppe che fare se non sorridere alla ‘Te l’avevo detto’, scansando i pezzi oleosi di insalata che Lily cominciò a lanciarle.
«In effetti, nemmeno io avrei mai immaginato che avesse intenzione di partecipare attivamente al caos che c’è fuori da qui» confessò sottovoce Mary intercettando l’occhiata lontana di Remus.
Lily annuì con la metà dell’uovo in bocca evitando di pensare al bottone e alla firma di James, la firma che le avrebbe dato l’opportunità di vedere Piton, subito dopo cena, insieme agli altri prefetti in aula professori per l’ultima riunione di dicembre.
Liv si decise a mangiare il suo purè ormai freddo che, come predetto da Lily, rimase incollato al piatto.
 
-Lasciarla perdere, Liv? Come si fa a lasciar perdere una spina su un dito o un sassolino dentro la scarpa?
-Forse togliendoli, James?
-Sì, certo... allora mettiamo in conto che suddetta spina sia infilata nella carne con un Incantesimo di Adesione Permanente fatto da Evans. Adesso che mi dici?
-Dico che se non mi lasci finire questo dannatissimo tema di Pozioni per recuperare la misera A dell’ultimo compito, non posso venire agli allenamenti di stasera.


 
Lasciò stare il cemento giallo che aveva attaccato al cucchiaio e spostò lo sguardo a metà tavolo, su James che evidentemente aveva trovato il modo per togliersi la spina.
«Ho voglia di baciare Remus» mormorò senza preavviso Mary facendo spalancare gli occhi alle altre due.
 
 
 




 

*

 





 
«E non c’è nient’altro che volete dirmi?»
«Nient’altro, signore. Questo mese è stato a dir poco noioso a parte la nostra vittoria a Quidditch».

Silente ridacchiò, restando per un attimo a fissarli in silenzio da sopra i suoi occhiali a mezzaluna.
Lily era certa che se avesse continuato a farlo per un secondo in più, quello sguardo penetrante sarebbe riuscito a farle spifferare tutto quello che stava cercando di nascondere con parecchio sforzo.
Provò invidia guardando con la coda dell’occhio James sorridere come un ebete, rilassato sulla sedia accanto.
«Molto bene» sentenziò Silente in un piccolo sorriso che gli faceva brillare la lunga barba argentata. «Allora potete andare. Buonanotte».

Appena i due Capiscuola uscirono dall'ufficio del Preside, James si voltò verso Lily con la faccia accortocciata da un'espressione accusatrice e divertita insieme prima di saltare su un gradino della scala a chiocciola che li portò lentamente al secondo piano.
«Lily, sei più scarsa di Peter!»
«Sta’ zitto! Silente è un Legilimante! Sai almeno cosa significa?»
«Certo, per questo quando gli devo mentire invece di guardarlo dritto negli occhi guardo sempre il naso, la fronte o i riflessi dorati della montatura degli occhiali».
Lily sollevò entrambe le sopracciglia, sorpresa.

«Sei un esperto, quindi, di Legilimanzia» indagò in tono prematuramente accusatorio.
James sorrise, rallentando il passo appena misero piede in corridoio per ritardare il più possibile l’incontro con i Prefetti prima della ronda.
«Remus è dal quarto anno che minaccia di studiare Legilimanzia per poter scoprire cosa facciamo e pensiamo io e Sirius prima di uno scherzo. Sono soltanto previdente» spiegò notando l’espressione accigliata di Lily stendersi leggermente in un breve sorriso incerto. Sì, certo, e tu pensi di farmela bere in questo modo?
«Cosa sto pensando in questo momento, Potter?» gli chiese, fissandolo spavaldamente negli occhi che James allargò a dismisura davanti a quella domanda inaspettata.
«Forse al fatto che non riesci ad abituarti a chiamarmi James» rispose con un sottile tono di rimprovero tra le righe.
Lily lo squadrò di sbieco, inquisitoria. O sta facendo finta di non essere Legilimante o non lo è davvero.
Tentare di conoscere James poteva benissimo essere paragonato a cercare di capire una Sfinge. La cosa le dava un certo fastidio anche se non le dispiaceva del tutto.

-Non mi va di parlarne, Lily. Sono solo problemi, non barzellette divertenti come le tue...
-Guarda che a me piacciono i problemi, Sev. Sai che noia parlare con qualcuno con la mente piatta e vuota come quel Thomas che prima ti ha fatto lo sgambetto... ridi pure! Qui non ti vede nessuno, solo io.


«Stai pensando al mio Buon Motivo che tra pochi minuti non mi farà richiudere Piton nello sgabuzzino, allora» ritentò James notando il velo di tristezza che sbiadiva il verde chiaro degli occhi di Lily ogni volta che pensava a quel deficiente.

Lo sguardo in tralice di Lily si sciolse, diventando incredibilmente aperto e attento. Piton?
«No, ma l’argomento mi interessa, Potter» gli rispose, cristallina. Peccato che, senza neanche accorgersene, erano arrivati alla Sala d’Ingresso dove Piton, pallido come un fantasma e con il distintivo da Prefetto che brillava sul petto come gli smeraldi nella clessidra alle sue spalle, si era bloccato a metà stanza assomigliando ad una statua.
Nel silenzio, Lily si schiarì la gola prima di riprendere a camminare con passi più lunghi e veloci, diretta verso l’Aula Professori in fondo al corridoio.
«Dopo di te» fece James rivolgendo al Serpeverde un cavalleresco gesto del braccio, per invitarlo a proseguire, che Piton osservò con così tanto disgusto da sembrare gli stesse per sputare in faccia.
Con uno svolazzo del mantello seguì a ruota Lily. James gli andò dietro, una mano in tasca e l’altra a fargli il dito medio come se niente fosse.

 
 
 



 

**

 
 

 


 
 
«Lumos
Ci mancava soltanto questo adesso. I maghi dovrebbero tenere presente che l’elettricità a volte può fare la differenza! Un po’ di modernità non ha mai fatto male a nessuno, anzi!
«Liv! Hai spento tu le candele!? Te le sei mangiate?»
Oh, avanti! Possibile non ce ne sia più nemmeno una di scorta nei cassetti!? Mary ha liberato sul serio tutti gli elfi domestici di Hogwarts?
«Mary!? Qualcuna vuole farmi la cortesia di rispondere!? Grazie!»
Impossibile che si siano già addormentate... sono le dieci... non andrebbero  a letto alle dieci nemmeno dopo una giornata di lavori forzati in punizione con Hagrid o nelle Serre a spalare letame di drago insieme alla Sprite.
«Liv, che cosa vi è pres...?»
Ok... trovare i letti vuoti a quest’ora è nella norma. Ma il dormitorio totalmente al buio, con la porta del bagno... e anche quella per uscire in corridoio... bloccate! No, non è nella norma, dannazione!
«CHE SCHERZO SAREBBE QUESTO!? BLACK! HAI SBAGLIATO VITTIMA!»

Se tutto questo è opera di quel demente giuro che stavolta mi farò espellere pur di vederlo strisciare sotto le mie migliori fatture! Giuro, Black! Ti faccio nero sul serio!
«LIV! MARY! APRITE! DOVE ACCIDENTI SIETE!!?»
«Evans, non possono sentirti... perchè sei tu che le tieni fuori da qui... »
Black!? Black in camera? Black seduto sul letto dove dovrebbe esserci Liv?! É proprio lui. Posa da gatto annoiato, occhi diabolici, ghigno da idiota..
«Abbassa quel bottone e allontanalo dalla mia faccia, Evans... mi stai accecando, per Merlino»
Zuppa di verdure... spezzatino... il pane a cena era un po’ strano, ecco cosa. Magari qualche sostanza allucinogena... ha detto ‘bottone’? 
Il bottone luminoso al posto della bacchetta che avevo in mano tre secondi fa non va di certo in favore dell’innocenza del pane. Non che trovare Black qui, seduto comodamente su un letto, non me l’abbia già fatto pensare.

«Lily? L’agrifoglio lo metto qui sopra o lasciamo lo spazio per il vischio?»
Remus?
«Perchè è tardi, sai? E l’agrifoglio non si appende in ghirlande da solo...»
«Remus, come...?»
«Evans?»
«Sta’ zitto, Black! Diamine! E che cosa ci fai qui!? Che cosa ci fate, tutt’e due!»
«Mi hai chiamato tu... te ne sei dimenticata come ti sei dimenticata di vestirti?»
«Cos...?»

Sono nuda. 
É una constatazione. Non una probabilità, un ipotesi o una bugia. Sono Nuda. Completamente nuda. Lo sono. Davanti a Black e alla schiena di Remus che tira fuori l’agrifoglio dalle tasche come se avesse un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile nei pantaloni.
Nuda.
Forse... forse dovrei
correre a coprirmi con il piumone del baldacchino più vicino invece di cercare di capire il perchè Remus sta appendendo decorazioni natalizie in camera o del perchè Black sia seduto lì.
Sì, dovrei proprio... in realtà è un bisogno primario impossibile da ignorare come la brezza fredda che mi arriva dove non dovrebbe... e anche come le frasi che qualcuno di invisibile sta scrivendo con il carbone sui muri intorno ai letti.

Bene, pane, hai il diritto di restare in silenzio, qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale. 
«Lily, allora? Si fa sempre più tardi.... aspettiamo tutti te».
Qual è la priorità, Lily? Il tuo corpo nudo copribile- anche se a mala pena- con i capelli e le mani o quelle frasi che si moltiplicano come conigli, che ti fanno sentire comunque nuda come un verme e che Black sta leggendo come se fossero la cosa più interessante di questo mondo? 
Il muro. Coprire il muro, mi sembra ovvio. Sì, sarebbe meglio. Potrei farlo, certo... coprire i muri con il piumone... il mio, quello di Mary e di Liv... se solo potessi muovermi... se solo non avessi i piedi letteralmente incollati al pavimento.

«Wingardium Leviosa
Oh, ma certo. Ma certo che non funziona, Lily cara. 
Vorresti recuperare i piumoni così, Lily? Cosa ti ha detto Olivander sette anni fa? Che dice Olivander a chiunque entri nel suo negozio per cercare lo strumento fondamentale per far levitare una coperta? 
Non dice di certo che sono i BOTTONI a scegliere la strega, Lily! Vero? Vero!?
Fanculo ai bottoni! Anche e soprattutto a quelli luminosi!

«Basta chiamare James, Evans...»
Fanculo anche a te, Black! VAFFANCULO! Va bene!? Se tu hai constantemente bisogno di Potter non è un problema mio! Io so benissimo cavarmela da sola! Io e la mia bacchetta! Voglio la mia bacchetta! Non questo bottone!
«Accettare un aiuto non significa essere dipendente da qualcuno, Evans»
«Oh, e invece qui sembra proprio voglia dire questo, Black! DOV’É LA MIA BACCHETTA!?»
«Hagrid avrà già portato gli alberi in Sala Grande...»
Non m’interessa, Remus! Non m’interessa! Fosse per me, in questo momento inaugurerei una nuova tradizione natalizia! Piumoni rossi e oro sui muri e sulle balaustre delle scale! Bello, eh!? Che ne diresti di cominciare da questa stanza ormai completamente nera di carbone!?
E se me ne lanciassi uno mi faresti un enorme piacere! Non avrò il ‘balcone’ di Madama Rosmerta qui davanti, però...

«Siamo in ritardo, Lily»
E vorrei che adesso Liv buttasse giù a calci questa maledetta porta, Remus, perchè è così che lei fa quando non ha la bacchetta e perchè se non avessi i piedi piantati a terra l’avrei fatto io mezz’ora fa!

«Lily? Apri!»
Liv? Sei davvero tu?

«LIV!»
«LILY!»
«NON POSSO! NON POSSO MUOVERMI! FALLA ESPLODERE! FAI ESPLODERE LA PORTA! FAI QUALCOSA PER FARMI USCIRE DA QUI!»
«LILY, PER LA MISERIA! DEVO USARE LA SECCHIATA D’ACQUA PER SVEGLIARTI?»
«LIV!»
«SONO QUI! CALMATI!»

Sbattere le ciglia per la troppa luce che inondava la stanza, e che per fortuna non arrivava da bottoni fosforescenti o da bacchette, fu fisicamente doloroso per Lily. Si vide Liv, nel suo pigiama a quadri e con i capelli arruffati, praticamente addosso.
«Cavolo, Lily... ma sei impazzita?» esalò Mary, spaventata, uscendo dal bagno con lo spazzolino in bocca «Che incubo era?».
Gli occhi verdi spalancati di Lily puntarono su di lei prima di vagare per la stanza con aria sconvolta.
Nessuna traccia di scritte sui muri: la locandina del suo primo concerto dei Queen, appesa tra il disegno di un Ricciocorno Schiattoso che le aveva dato Xeno Lovegood anni prima e il ritaglio di giornale con il suo articolo preferito di Jill Tweedie*, era di nuovo pulito così come il Grugnocorto Svedese di dicembre sul calendario di Mary accanto ad un primo piano seducente di Robert Redford.
Era libero dal carbone e dall’agrifoglio anche il mega poster delle Holyhead Harpies di Liv che copriva quasi interamente il depliant di orientamento del dipartimento Auror e la foto- strappata dalla Gazzetta- di Stubby Boardman che ammiccava con l’attizzatoio della stufa conficcato in un occhio.
Ma soprattutto, le uniche due persone lì con lei erano le sue amiche e non Black e Remus.
«Ci hai fatto prendere un colpo» esordì Liv sollevandosi dal letto, guardandola aggrapparsi al piumone vermiglio che la copriva fin sotto il mento.
«Appena ti ho detto di svegliarti perchè siamo in ritardo per scendere ad addobbare hai cominciato a parlare e poi ad urlare cose senza senso... » farfugliò Mary con la bocca piena di dentifricio.
Lily scattò a sedere senza mollare la sua coperta. Gli occhi, ancora spalancati e seminascosti dai rossi capelli spettinati, si posarono sul comodino dove il bottone di James stava ancora a prendere polvere.
Senza soffermarsi a pensare al sogno appena fatto, saltò giù dal letto portandosi dietro il piumone come se fosse ancora completamente nuda, sotto lo sguardo accigliato di Liv e quello perplesso di Mary.
«Vi devo dire una cosa» annunciò pensando che, se proprio doveva sognare il bottone di Potter, a vederla nuda dovevano essere Liv e Mary, non Black e Remus.
Era il caso di aprire la porta del dormitorio alle sue due migliori amiche.
«Quando scendo nei sotterranei per la ronda, soprattutto dopo le due riunioni generali del mese con i Prefetti» cominciò, notando lo sguardo di Liv assottigliarsi insieme alle labbra che divennero un’unica linea dura.

«Trovo delle scritte sui muri che... mettiamola così, sarebbero un perfetto slogan per Voldemort e i suoi amichetti».
Mary rabbrividì, non di certo per il dentifricio che gli colò sul mento, ma Liv continuò a fissarla con i suoi occhi scuri colmi di risentimento. Lily sapeva che non erano dovuti soltanto a quella notizia.
«E ce lo dici solo adesso, Lily?»
Ecco, appunto. Era sinceramente ferita e stava cercando di nasconderlo con quel tono rabbioso.
«Liv, mi dispiace. Volevo evitare che...»

«Evitare cosa? Evitare un aiuto da quelle che chiami le tue migliori amiche?» la fermò lei mettendosi a braccia conserte. «Spiegami il significato di amicizia, Lily, perchè il mio e quello di Mary sono completamente diversi dal tuo a quanto pare»

«Smettila» sbottò Lily, serissima ed oltraggiata.
Come poteva mettere in dubbio la loro amicizia? Sapeva che avrebbe dato il cuore e i polmoni per ognuna di loro,
l’aveva anche dimostrato più volte come quando era finita in infermeria, al terzo anno, con un braccio rotto dopo essersi parata di fronte a lei durante un duello improvvisato con nemmeno ricordava chi.
«Evitare fatture contro i Serpeverde in generale, Liv! Ecco cosa! Evitare che tu perda la testa, come al solito!»
«Col cavolo! Ti sembra una cosa da lasciar perdere questa!? Serpeverde o no!»

«Vedi?! Vedi che ho ragione!?» sbottò Lily, frustrata. A quella frase, Liv ammutolì.
«Non sto lasciando perdere!» riprese, i capelli rossi sparati in tutte le direzioni sul volto pallido. «Prima voglio capire con certezza chi è! Non posso punire persone a caso!»
Le espressioni delle sue due amiche davanti non avevano bisogno di parole, così come potevano essere quelle di qualsiasi studente di Hogwarts davanti a quel discorso sui possibili colpevoli.
Lily se ne rese conto, sapeva di essere come Petunia quando un’estate, davanti ai vicini babbani, era stata costretta a dire che non sapeva davvero chi aveva trasformato le genziane viola dell’aiuola in enormi girasoli gialli.
«Potrebbe essere chiunque. Non per forza Mulciber, Avery, Crouch o Regulus Black che...»

«O Piton» sputò con disprezzo e gli occhi colmi di rabbia Liv.
Lily si strinse nel piumone. «Piton ieri si è presentato alla ronda e le scritte sul muro c’erano lo stesso anche se...» non riuscì a finire la frase perché Liv la bloccò di nuovo.
«Anche se? Erano di meno? Chissà perché. Di certo non sarà perché si è messo a cancellarne qualcuna mentre tornava nella sua Sala Comune con gli altri Perfetti maschi Serpeverde, Regulus e Crouch… si sarebbe rovinato la reputazione da idiota razzista» disse in tono scarcastico.
Lily non poté negare. Non aveva prove e quella versione dei fatti non era poi così infondata.
«Non voglio andarmene da lì, ok?» sbottò ancora più risentita. «E non voglio che si sappia in giro»

«Ma potresti… dirlo alla McGranitt... o a Silente» farfugliò Mary sputacchiando dentifricio ovunque.
Lily sembrò prendere fuoco e non solo perchè, avvolta nel piumone vermiglio che le lasciava scoperto solo il viso con i capelli rossi sparati in testa, sembrava una torcia umana.
«No! Mai! Sarebbe come piegarmi a loro!» sbottò, infuriata, indurendo i lineamenti. «Piegarmi davanti a quelle frasi che dicono che fuori da qui non avrò Silente a tenermi in vita!».
Avanzò fieramente verso il bagno nonostante le movenze da pinguino e si chiuse dentro senza far caso a Mary che con occhi spalancati e una mano davanti alla bocca non riusciva più a trattenere la troppa schiuma alla menta che le sfuggiva dalle labbra.
Un’ora dopo, anche se era sabato mattina, i corridoi brulicavano di persone.
Tutti i Prefetti, mezzi addormentati, si destreggiavano con agrifoglio e vischio sulle scale e nelle aule vuote, eccetto quella al primo piano dove il coro del professor Vitious- come ogni primo Dicembre- aveva cominciato a provare le carole.
«Non basta il fatto che ci siamo dovuti alzare presto il sabato. Siamo pure costretti a rovinarci le orecchie con questi... stonati è dire poco!»
«Zitto e lavora, Bulstrode. Piton, quella candela è al contrario».
La voce di James fu come un morso velenoso di serpente per Severus che si voltò lentamente a guardarlo con gli occhi neri ridotti a fessura.
L’aveva chiamato senza quell’odioso nomignolo, non aveva sentito male. Fissò con insistenza lo sguardo nocciola dell’idiota: era così luminoso e tronfio tanto da non sembrare velato da delle lenti di occhiali.
Ecco perchè aveva evitato per mesi di presentarsi lì, a cospetto di quello che si credeva il padrone del mondo e che adesso lo era davvero, almeno di quella scuola, anche se per poco.
Poteva dargli ordini, dirgli cosa doveva e non doveva fare dall’alto dall’ennesimo nuovo gradino in più che li separava ma, soprattutto, era il corrispettivo maschile di Lily.
Era una cosa che gli faceva perdere la ragione. Vederli collaborare, sentire lui chiamarla per nome senza beccarsi una fattura Pungente o anche solo stare l’uno di fianco all’altro mentre parlavano con la schiera di Prefetti dove era costretto a stare.
Quel ‘Voi’ Prefetti separato dal loro ‘Noi’. Quelle due firme su quella pergamena che segnavano ufficialmente che quei due andavano d’accordo per qualcosa, un qualcosa che era lui.
Il solo pensiero gli fece conficcare le unghie sulla cera candida e senza smettere di fissare James, infilò con sfida la candela ancora nel verso sbagliato dentro la lucente armatura. Quella, come se fosse stata appena colpita, si accasciò a terra prima di prendere vita intonando le carole del professor Vitious con qualche correzione maleducata ad ogni strofa.
«Pix» esordì Remus in tono arreso. Mollò a terra il mazzetto di vischio e si avvicinò in tutta fretta alla fonte del caos con la bacchetta sguainata.
«Lascialo cantare, Remus» lo fermò sornione James. «É Natale... l’atmosfera deve essere nell’aria... e “noi abbiamo il compito di crearla”... oggi... alle nove di mattina... di sabato... in allegra compagnia... “perchè è stato deciso così secoli fa”».
Remus sollevò un sopracciglio. Per trasportare James lì ci aveva rimesso un’ora di tempo, due Cioccorane extra fondenti e anche il primo turno della doccia- che tutti sapevano essere quello con l’acqua più calda- per almeno una settimana eppure James stava ancora protestando usando le frasi che lui stesso aveva utilizzato per rispondere alle domande uscite dall’ammasso di coperte che era James ore prima (‘Ma non se ne occupano i professori!? Si può sapere che diavolo fanno i professori in questa scuola!?’ o ‘E perchè di sabato all’alba?! Le nove di sabato è alba!’). Frasi abbinate a tutto il sarcasmo che aveva in corpo unito a quello di Sirius, assorbito per osmosi in sette anni di ‘convivenza fraterna’. 
Ma tutte quelle proteste erano finte, Remus l’aveva capito subito quando James aveva alzato la testa dal cuscino con gli occhi troppo svegli e accesi per essere quelli di uno assonnato e per niente desideroso di scendere dalla torre per passare una mattinata insieme a Lily in tutta pace.
Per questo l’unica cosa che Remus fece fu ignorarlo e rimboccarsi le maniche del largo maglione fatto da sua madre per prepararsi a far uscire Pix da lì.
«Ma si può sapere chi è che, anche quest’anno, si diverte ad incantare le armature al mio posto con rime che farebbero impallidire anche i peggiori frequentatori di Notturn Alley?!» sbottò irato il professo Vitious sbucando dalla porta dell’aula di fronte.
«Signor Potter!»
«Giuro che non sono io, professore»
«Lupin?» squittì incredulo l’omettino strabuzzando gli occhi in direzione della bacchetta di Remus che subito indietreggiò, abbassandola.

James rise, sfoderando la sua per far sputare l’armatura e Pix, con la candela in bocca, rotolò fuori dall’elmo insieme alle ultime parolacce.
Vitious sembrò gonfiarsi e diventare più alto di alcuni centimetri.
«James, Remus?» li chiamò Jane Phillips affacciandosi dalle scale in marmo «Abbiamo bisogno d’aiuto in Sala Grande».
Senza farselo ripetere due volte, i due lasciarono i Prefetti al primo piano, Pix e il professor Vitious che minacciava di chiamare immediatamente il Barone Sanguinario, e seguirono Jane giù per le scale intasate da altri Prefetti con lunghe trecce di agrifoglio sparse sui gradini e sulla balaustra.
Un enorme abete verde scuro coperto di neve stava facendo il suo ingresso dal grande portone di quercia.
«Hei!» li salutò allegramente Hagrid sbucando dalle fronde come un enorme marmotta spettinata prima di ricominciare a trascinarlo verso la rumorosa Sala Grande come se non pesasse quintali. «Questo è l’ultimo! Ci stavo per rimettere la pellaccia per prendercelo!».
 Tra rami, neve e peli del gonfio cappotto in pelliccia del guardiacaccia, James e Remus si ritrovarono le orecchie avvolte da un allegro ed indaffarato chiacchiericcio e il naso intriso di un intenso odore di abete e muschio umido.
La Sala Grande era nel completo caos, invasa da una marea di candele, minuscole fate luminose, luccicanti puntali dorati a forma di stella, vischio e agrifoglio che levitavano a mezz’aria diretti sul soffitto, sui due grandi camini e soprattutto sui dodici e altissimi alberi che svettavano ai lati della stanza e dietro il lungo tavolo dei professori.

«Beh, dai» esordì James guardandosi attorno sotto l’occhio divertito di Remus «Non è poi così male stare qui... ». Senza Corvonero privi di distintivi tra le palle.
La chioma rossa di Lily, vicina all’albero che Hagrid stava mettendo in piedi come se fosse un normale ombrellone da spiaggia, era tenuta a bada da un cerchietto giallo a pois blu. Come se non bastasse (a farla apparire stramba), le folte ciocche vermiglie erano punteggiate da fiocchi di neve e pezzetti di festoni d’oro sfuggiti all’ incantesimo di levitazione di qualcuno.
Era normale sentire di voler far sparire tutti per restare da solo con lei?
«Rammy era un cerrrbiattto... con la coda buffa assaaaiii... staava lì, piccola e a ciuffo... eee non si abbassava maaaii».

James e Remus si guardarono a vicenda facendo finta di non aver sentito la voce di Sirius uscire dalla tasca dei pantaloni di James perchè- a parte la faccia del prefetto Tassorosso che passando li aveva appena osservati stranito - era così che si faceva quando Sirius rivisitava canzoni natalizie.
«Luui con gli aaltri ceervii... non pooteeva maai gioocaar... era buurlato sempre... peer lo straan...» 
«Ancora una parola e diventerai la mia lista anti-rimbecillimento in pergamena e inchiostro. Scordati la carne e le ossa, Sirius»
«... Peer il dolce scuuleettaar...»
La risata canina echeggiò in Sala Grande. Sirius, poggiato tranquillamente sullo stipite della porta e con lo specchietto in mano, alzò la mano libera per sollevare un pollice in segno di ironico incoraggiamento a James prima di avanzare tra i tavoli pieni di ‘roba sbrillucicante’ e rametti di agrifoglio che si affrettò a rubare appena vide Liv, seduta al tavolo dei Grifondoro, stranamente china su un libro ed apparentemente ignara di tutta la confusione che aveva attorno.
Avvicinandosi a lei a passo lento, si accorse che stava leggendo attentamente il capitolo sul Veritaserum di Pozioni Avanzate, battendo distrattamente sul tavolo una matita mangiucchiata. Sirius si prese un istante per osservarla, trovandola adorabile.
«Veerde e roosso è l’aagriifoogliooo
Liv si sollevò di scatto dal banco con un principio di infarto e una pioggia di palline rosse e foglie pungenti a coprirle mani, libri e capelli.
«Falalala la la-la la laa»
«Ma che...?» farfugliò sconvolta, voltando la testa alla sua sinistra quando si vide al fianco Sirius che scavalcava con una lunga gamba la panca per sedersi come se fosse su una moto; disinvolto come se fosse la cosa più normale del mondo almeno fino a quando, poggiando un braccio sul tavolo, beccò una foglia appuntita di agrifoglio.
«Qua..aah!.. nte spiine in uun geermoglioo... Fanculo lolo lo-lo lo-loo»
 «Sul serio?» gli chiese Liv senza riuscire a tenere ferma la curva del sorriso divertito non solo per il fatto che si fosse punto, ma anche e soprattutto per la canzone inventata. Una risata cominciò a ribollirle nel petto, le spalle le si mossero e Sirius lo notò, diventando sorpreso.
«Questo sarebbe uno scherzo, Black?» tentò di darsi un contegno, lei, con voce rallegrata, mordendosi contemporaneamente le labbra ancora sollevate. «Il pesce rosso della mia vicina di casa babbana, in confronto, è un genio del male» continuò Liv sollevando un sopracciglio e facendo rotolare via le bacche rosse dalle pagine macchiate di chissà quale vecchio ingrediente o pozione.
«No. Infatti volevo solo cantare, Olivia» si decise a parlare non più in strofe Sirius, guardandola piacevolmente colpito da quella sua aria rilassata e divertita. Si chiese se le piacesse il Natale, dato che ogni anno da quando Lily era diventata Prefetto, l'aveva vista stare in mezzo ai preparativi.
Alla sua rivelazione, il sopracciglio di Liv si alzò ulteriormente. Black e le sue uscite improbabili che servivano solo a distrarre la vittima.
«Ti sei fumato l’abete?» gli chiese, sinceramente convinta. Di sicuro era molto più probabile dell’affermazione sul voler solo cantare.
Sirius allargò il sorriso scanzonato.
«Potrei chiederti la stessa cosa. Che cosa ci fai qui?» fece, alzandosi per mettere i piedi sulla panca e sedersi tranquillamente sul tavolo.
Liv lo squadrò, spostandogli con una gomitata giocosa il ginocchio troppo vicino al suo braccio.
«Studiare in Sala Grande adesso è diventato un comportamento da drogati?» chiese poggiando comodamente i gomiti sul tavolo e le mani sul manuale di Pozioni, tra le palline rosse.
«Beh... in effetti, hai ragione» iniziò Sirius guardandosi attorno. «Studiare qui è l’ideale. Come quando voglio lavarmi e mi butto in una pozza di fango». Il suo sguardo grigio, caldo ed acceso d'ironia, tornò sul volto ridente di Liv.
«Il chiasso mi fa concentrare» disse lei facendo spallucce e tenendo per sè il fatto che era lì per quell'aria natalizia, ma soprattutto per incontrare casualmente Piton e portarlo in luogo appartato in modo tale da potergli fare un interrogatorio che avrebbe faticato a dimenticare anche a centovent’anni. Se mai ci arriverà, dipende tutto da quello che ha o non ha fatto.
«Davvero? Allora posso continuare a cantare...»
«Provaci, Black. Provaci e il gargoyle laggiù, avrà una parrucca in testa fatta con tutti i tuoi capelli»
«Lascia fare a me, Crouch! Ci penso io al vischio! É delicato» esclamò Pandora mollando sul tavolo, precisamente addosso a Liv, un ammasso di nastro argentato prima di correre in direzione di Barty Chrouch, Prefetto Serpeverde del quinto anno, che forse credeva di essere alle prese con pietre indistruttibili e non con i sottili rami colmi di bacche bianche e morbide foglie.
«Per caso Lovegood ti ha detto come trattare i Nargilli?» la prese in giro, sferzante. Pandora lo fulminò con lo sguardo ceruleo, sfilandosi la bacchetta da dietro un orecchio con fare risoluto.
«No» rispose mentre con un gesto delicato della bachetta faceva levitare il vischio lontano da lui. «Ma sarebbe molto felice di sapere che ti ricordi dove si possono annidare quegli esserini».
«Anche la stoffa sopra la testa ti fa concentrare, Olivia, immagino» la stuzzicò Sirius, sarcastico, vedendola districarsi tra quel lamè argentato con gesti per niente bruschi.Decisamente, le piace il Natale. Sorrise, sentendola ridere.
Quando Liv riuscì a rimergere grazie a una mano di Sirius, si limitò a trucidarlo con gli occhi senza riuscire ad abbassare la curva di un sorriso che Sirius aveva già sul volto.
Lo squadrò di sottecchi e poco dopo lo vide recuperare la bacchetta dai pantaloni, sentendolo mormorare con furbizia un "Diffindo" come se non fosse dentro una stanza invasa da praticamente tutti quelli che avevano il diritto di togliere punti e dare punizioni, in quella scuola.
«Sei uno stronzo» commentò, osservando la lunga treccia di agrifoglio che Elizabeth Truman di Tassorosso e Jane Phillips stavano appendendo sul camino, spezzarsi a metà.
«Quanto vuoi che ci metta Pix ad arrivare qui e a distruggere tutto in meno di un secondo?» ribattè Sirius, divertito.
«Sei uno stronzo lo stesso» fece lei posando il lamè sulla panca prima di tirare fuori la sua bacchetta. «Se proprio devi anticipare le mosse di Pix fallo con chi se lo merita» continuò, puntandola verso Barty Chrouch. «Depulso» mormorò. In un attimo, Crouch fu scagliato con forza addosso all’enorme albero davanti a lui, affondando nelle fronde innevate e mezzo decorate da Lily che saltò sul posto, spaventata.
«Ma che stai facendo, Crouch!?» sbottò, mettendosi le mani sui capelli rossi; si rese conto soltanto in quel momento di averli pieni di fili d’oro e foglie. «Questo non è fare la Caposcuola, ma la baby-sitter a bambini di tre anni! Immagino che il vischio da dividere in mazzi sia andato a fuoco o qualcosa del genere, vero?» sbraitò afferrando una gamba di Barty per cercare di tirarlo fuori dall’albero.
Remus le si avvicinò con sguardo perplesso. «Lily?» le chiese poggiando cautamente su una panca la gabbia piena di luminose e ridacchianti fate. «Hai bisogno di una mano?»

«Remus, spiegami perchè» esordì lei con il fiatone, continuando a strattonare il quindicenne che si lamentò dalle fronde. «Spiegami perchè non ho... pensato prima... a cambiare la tradizione natalizia di questa scuola  medievale... che ci costringe... ad addobbare alle nove di sabato!»
Remus rise, pensando a quanto Lily parlasse sul serio.
Molto spesso, negli anni precedenti, Lily gli aveva confessato che a volte quella scuola le sembrava fin troppo retrograda e bisognosa di un po’ di ‘aria fresca’; che Silente aveva fatto parecchio per modernizzarla, ma che mancava ancora qualcosa. Lily non avrebbe esitato a rompere la tradizione inventando nuove regole, checchè ne dicesse Sirius quando la chiamava ‘Minerva Seconda’. 
«Guarda la lista sul tavolo, Remus» ringhiò Lily sbuffando rumorosamente e facendo svolazzare i ciuffi di capelli rossi che le erano caduti davanti al viso.
«Quale lista?» chiese lui, spaesato. Sul tavolo non c’era niente a parte un cesto rovesciato e una marea di aghi di pino.
Lily voltò di scatto la testa scarmigliata verso di lui, mollando la gamba del Prefetto Serpeverde che ricadde a terra tra i rami con un tonfo e un’imprecazione poco innocente.
«Quella che... » iniziò a dire lei, bloccandosi subito perchè della lista non c’era traccia, non dove l’aveva l’asciata. Fece saettare gli occhi su tutti nei dintorni, trovandola tra le mani di James.
«Potter»
«Lily, questo non è uno schema di gioco vincente» proclamò  lui con lo sguardo attentamente concentrato sul foglio, ignorando gli occhi verdi socchiusi con stizza e la parola ‘Schema di gioco’ ripetuta più volte e con sconcerto.
«Per prima cosa» continuò, sollevando lo sguardo verso il grande portone aperto sulla Sala d’Ingresso. «Non vedo il Barone Sanguinario a difesa degli anelli per non far passare Pix».
 Lily si mise furentemente le mani sui fianchi anche se, pensandoci bene, quell’idea rubata al Quidditch non era poi così male.
Remus ne approfittò per svignarsela riafferrando la gabbia con le fate da appendere all’albero il più lontano possibile da lì che, guarda caso, era quello davanti a Mary.
«No, loro no, Black» ringhiò a bassa voce Liv abbassando velocemente il braccio di Sirius con la bacchetta. «Lasciali stare».
Purtroppo, però, l’ incantesimo aveva già fatto apparire un rigoglioso ramo di vischio sopra la testa di Mary che Remus stava per raggiungere a passo improvvisamente incerto.
«Perchè loro no?»
«Perchè è...»
«Se dici ‘Perchè è così’ ti incollo quel puntale sul naso per farti sembrare la sorella gemella di Mocciosus» la bloccò Sirius sentendo l’eco della voce di sua madre tornare alle orecchie come da un pozzo abbandonato. «É una risposta che non ha senso e mi dà sui nervi».
 
 

-Perchè non posso, mamma? Cos’ha che non va?
-Il sangue, Sirius, ha il sangue diverso dal nostro. É inferiore. Quante volte devo ripetertelo ancora? Regulus, raddrizza la schiena e non camminare fuori dal marciapiede, ti sporchi le scarpe.
- Non è vero! Ho visto il suo sangue! Si è sbucciato un ginocchio ed era rosso! E cosa cambia se è rosso o blu o verde?!
- Abbassa-la-voce, Sirius. Il colore non è importante, lo sai, te l’ho spiegato anche ieri. Mi fai dubitare della tua intelligenza. Prendi esempio da Regulus e smettila di fare sempre le stesse domande.
- Perchè non ha la magia dentro, me lo ricordo, non sono scemo. Ma perchè è inferiore al nostro solo perchè non ha la magia dentro?
-Perchè è così e basta. Se me lo richiederai un’altra volta, soprattutto davanti a tuo fratello, salterai la cena e dormirai nel ripostiglio con Kreacher. E poi vedremo se dirai ancora che vuoi diventare amico di quell’insulso bambino babbano.


 


 


«Non avevo nessuna intenzione di dire ‘Perchè è così’» rispose stranita Liv guardando di sottecchi lo sguardo improvvisamente serio e meno brillante di Sirius.
«Loro no perchè è un dato di fatto che quei due sanno complicarsi le cose da soli, ci manchi solo tu: il Creatore di Illusioni di ultima generazione» sussurrò, dura.
Sirius sollevò un sopracciglio, poggiando i gomiti sui jeans babbani per chinarsi e poterla osservare meglio. «Creatore di illusioni?» le chiese, piuttosto interessato.
«Appendere vischio sopra Remus e Mary significa creare illusioni, Black, tanto quanto dare un appuntamento ad una ragazza e poi dimenticarsene, come hai fatto con Jane mesi fa» rispose prontamente lei scivolando un minimo sulla panca per allontanarsi da quel bel viso troppo vicino.
«Cosa?» fece lui in una risata incredula, raddrizzando la schiena mentre Liv storceva il naso mordendosi metà labbro inferiore.
Stupido idiota.


*

 

 

 

 

 

«Se potessi decidere io...»
«Per piacere, Gilderoy, tu non dovresti essere nemmeno qui. Il prefetto del tuo anno Corvonero è Cresswell» lo fermò all’istante Mary allungando la bacchetta verso un ramo particolarmente alto per far comparire un scintillante ed elegante Ghiacciolo Sempiterno.
«Dirk è a letto con l'influenza, mi sembrava carino venire al posto suo per non farvi mancare due braccia e un cervello pieno di idee in più, Macdonald». Mary sollevò gli occhi al soffitto pensando a quanto dovevano aver brillato gli occhi di Allock vedendo il suo compagno di dormitorio sotto le coperte, malato. L'ennesima opportunità per mettersi in mostra.
«Con le statue di ghiaccio sarebbe tutto molto più grandioso, ci pensi!?» continuò lui saltellandole pomposamente attorno senza rendersi conto che, ad ogni giro, il nastro dorato che aveva tra le mani stava avvolgendo le caviglie della collega come un infido Tranello del Diavolo.
«Mary, avanti! Vedrai che ci faranno i complimenti! A chi non piacciono le sculture di ghiaccio!?»
«A me» s’inserì Deanne Stevens, Prefetto Serpeverde, che faceva levitare una candela ornata di vischio verso il soffitto.
Allock fece finta di non sentirla.
«Vi servono delle luci?» esordì Remus avvicinandosi a Mary e al suo sorriso radioso tanto quanto la fata che sbatteva le ali tra le sbarre, in cerca di libertà.
«Giusto in tempo, Remus» rispose allegramente Mary voltandosi per andargli incontro ma il festone di Allock ormai stretto alle gambe la fece rovinosamente cadere addosso a lui e alla gabbia con le fate che guizzarono fuori in giocose scie di luce bianca.
«Chiederò a James per le sculture! I complimenti li faranno solo a me!» fece Allock prima di andarsene lasciando lì a terra Mary, rossa come le bacche di agrifoglio sparse ovunque a terra, e stordita, così stordita da non vedere le fate vibrare leggiadre nell’aria attorno, non sentire Deanne Stevens ridacchiare dalla panca e non riuscire a staccare gli occhi dal naso sfocato di Remus che sentiva sfiorarle il suo.
Tutto questo molto probabilmente perchè Remus era così... profumato... un profumo di sapone, di pulito, di buono... e caldo, era anche caldo sotto di lei... e zitto... Remus era incredibilmente zitto. Non gli sentiva nemmeno il respiro. Gli occhi ambrati e sfocati ai lati di quello che ormai era un tutt’uno con il suo naso erano davvero spalancati, forse troppo, e Mary si alzò di scatto sperando di non averlo ucciso.
«Mi dispiace, Remus» esalò, mortificata, allungando una mano per aiutarlo a rialzarsi anche se tutto quello che avrebbe voluto fare era stare lì a terra con lui per far sfiorare anche le loro labbra e non solo i nasi. Il solo pensiero le fece sentire il calore sulle guance sprigionarsi come se si fosse trasfigutata in un asciugacapelli babbano impostato al massimo della sua potenza.
«Non preoccuparti... non è stata colpa tua» rispose con pochissimo fiato lui sperando con tutto il cuore che nè James e nemmeno Sirius avessero assistito a quella scena ridicola.
Afferrò la sua mano giusto il tempo per mettersi in ginocchio e cominciare così a liberarle i piedi dal lamè dorato sentendo il cervello non proprio lucido come quando era arrivato lì.
«Dove... dove passerai le vacanze quest’anno?» le chiese infatti senza guardarla e tantomeno ragionare.
Mary non osò chinarsi per aiutarlo. «Con Lily pensavamo di tornare a casa. Sai, di questi tempi... » balbettò, sperando che il cuore non avesse intenzione di bucare i polmoni e saltare fuori dal petto. «Ma Liv vuole stare qui... non so se lo sai, ma non va molto d’accordo con i suoi» continuò nervosamente, finalmente libera e con Remus di nuovo in piedi davanti a sè. Gli sorrise incerta prima di spostarsi verso il cesto pieno zeppo di sfere di cristallo poggiato sul tavolo.
«Mi dispiace» rispose lui seguendola. L’imbarazzo sembrava si fosse attaccato a lui con l’incantesimo di Adesione Permanente.
Improvvisamente, qualcosa gli solleticò i capelli castani e Remus sollevò lo sguardo al soffitto notando un mazzo abbastanza esagerato di vischio che pochi istanti prima non aveva notato. Si chiese come avesse fatto a non vederlo dato che era praticamente impossibile ignorare quell’ammasso ingombrante fermo a mezz’aria...
«Già... quindi molto probabilmente staremo qui a farle compagnia» disse sbrigativa Mary che sembrava non essersi accorta di niente «Sarà il nostro ultimo Natale insieme... ad Hogwarts voglio dire... almeno spero...». Afferrò due palline e ritornò all’albero.
Remus annuì, prendendone una anche lui. 
L’ultimo Natale a Hogwarts... l’ultimo sicuro, certo e senza problemi perchè una volta fuori da quella scuola per quelli come lui e come Mary tutto sarebbe diventato imprevedibile. Di certo e sicuro non ci sarebbe stato niente, neanche il buongiorno, figurarsi le feste annuali.
L’imbarazzo per aver avuto Mary addosso impallidì in confronto al pensiero che quel mese la luna piena sarebbe stata proprio il giorno di Natale*.
Forse non era poi così tanto vero che quello sarebbe stato un Natale sicuro e senza senza problemi... come del resto tutta la sua vita, dentro o fuori da quel Castello.


 


 


 


*

 
 
«Piantala, Black»
«Che male c’è a dare una mano con le decorazioni anche se non si ha una spilla al petto? La generosità non viene più apprezzata, al giorno d’oggi...»
«Stai tappezzando di vischio solo quella parte di soffitto» gli fece notare Liv, sempre meno seria; una risata le stava pian piano risalendo alla gola.
«E quindi?» fece Sirius, ridente, accorgendosene.
«Se non si sono baciati prima che erano praticamente come pane e marmellata, figuriamoci adesso»
«Questo lo dici tu...»
«Remus ha troppa paura di svelare il suo segreto e Mary non osa più fare passi azzardati. Stai soltanto rendendo le cose ancora pi...»
«Vai da Allock a dirgli se può rifare quella cosa con il nastro...»
«Tu sei scemo». Liv rimase ad osservarlo, basita.
Remus e Mary si allontanarono dall’abete addobbato e Sirius fece comparire sopra le loro teste un nuovo mazzo di vischio ancora più grande con lo sbuffo esausto di Liv in sottofondo. Sbuffo che si trasformò in risata vera e propria quando lo stesso mazzo di vischio cominciò a sbattere ripetutamente sulla testa di Remus che si coprì con le braccia, guardandosi attorno oltraggiato.
«Sei un idiota» lo insultò Liv senza riuscire a smettere di ridere di gusto, le lacrime agli occhi socchiusi, il busto piegato sul tavolo, il manuale, l'agrifoglio, la matita che caddde a terra. La risata spontanea ed incontrollata così come l'intera figura di Liv, stupì Sirius che dopo un istante di sorpresa sorrise guardandola incredulo e divertito; sorrise vedendola così spontanea, rilassata, allegra, per niente controllata,vera. L'aveva vista in quelle condizioni soltanto con Lily e Mary, mai con lui. E l'umore parve salire a dismisura, qualcosa cominciò a scaldarlo dalla testa ai piedi.
Sirius rise insieme a lei e non riuscì a trattenersi quando Liv si risollevò dal tavolo dove si era piegata tenendosi la pancia con i lunghi capelli corvini spettinati sul viso arrossato, le labbra aperte nella risata ormai muta, gli occhi scuri scintillanti; era irresistibilmente naturale e genuina, senza controllo. Con la punta della bacchetta le sfiorò d'istinto la fossetta sulla guancia rossa, senza pensare che quel gesto agli occhi di lei non sarebbe per niente apparso innocente fatto con un'arma. Sospirando piano, si disse che forse non sarebbe apparso innocente, anche se in un altro modo, nemmeno con un dito o una nocca che gli stavano fremendo dal desiderio di toccarla.
In un attimo, infatti, l’arma di Liv fu davanti a lui insieme allo sguardo perplesso, ancora bagnato di lacrime per la ridarella. L’unica fossetta sulla guancia, in quel momento, fu quella che le stava creando lui con la bacchetta ancora sulla sua pelle.
«Va bene» le mormorò Sirius ridente ed incredibilmente restio ad allontanarsi da lei. Quella risata gli aveva accelerato il cuore, gli aveva messo allegria e leggerezza in un modo del tutto inatteso e decisamente piacevole. Sirius sentì il forte desiderio di risentirla. Spaventato da quella sensazione, abbassò la bacchetta dalla guancia verso le mani di Liv che si ricoprirono di squame verde melma come due code di sirena.
«Tregua finita, Olivia»
«BLACK!» gridò lei tra il chiasso della Sala Grande. Sirius si limitò a saltare giù dal tavolo, salutandola con un sorriso scanzonato per poi allontanarsi verso l’uscita dove un’emozionata e strategicamente appostata Jane Phillips appendeva il vischio.
Liv s'irrigidì sulla panca vedendolo passare accanto al Prefetto senza fermarsi a darle il bacio come da tradizione, prima di sparire oltre lo stipite.
Jane, visibilmente delusa, si girò verso il muro e Liv buttò piano fuori l'aria dalle labbra socchiuse, il cuore accelerato. Riportò lo sguardo sulle sue mani squamose, aggrappate spasmodicamente al libro di Pozioni macchiato dalle bacche rosse accidentalmente schaicciate durante la ridarella, e la voce lontana di Sirius le riempì ancora una volta le orecchie facendola sorridere ancora.
«Tuuu sceendi daalle scaaleee... oooh reee deel ceeessooo».
Si girò di nuovo verso la porta aperta, vedendo Piton scendere l’ultimo gradino della scala di marmo e attraversare la sala d’ingresso come un ragno frettoloso. Raccattò libro e pergamene sgusciando via dalla panca, decisa a seguirlo in cortile.
 

 


 


 

 *

 

 

 


 

Il divieto di accostare l’argento al verde degli alberi per ‘Evitiamo di inneggiare ai serpenti, Lily’ era stata la cosa più stupida che Lily avesse mai sentito- e di stupidaggini da Potter ne aveva sentite a bizzeffe- ma, da dieci minuti, non riusciva a credere di star annuendo in modo sincero e convinto a Potter che, per di più, parlava di Quidditch.
Perchè sì, paragonare la Tassorosso Louisa Lufkin che rincorreva una fata capricciosa ad un Cercatore piuttosto lento e tutti quelli che appendevano decorazioni sull’albero senza centrare i rami giusti a Cacciatori ubriachi, era parlare di Quidditch. E, come dimostrava sempre in campo e come aveva cominciato a dire Liv da quando era entrata in squadra, le soluzioni di Potter stavano miracolosamente equilibrando il caos della Sala Grande.
Lily non poteva negarlo così come non aveva mai negato che Potter, come Capitano di Quidditch, era perfettamente organizzato e responsabile.

«Black!» chiamò James, autoritario. Regulus distolse lo sguardo gelido dal lamé dorato che stava Evocando con eleganti gesti della bacchetta, per guardare James con un’aria di interrogativa piuttosto altera.

«Aiuta Lufkin con le fate, recupera quelle fuori dalle gabbie» ordinò James alludendo al suo essere un ottimo Cercatore.

Regulus non fece nemmeno un cenno d’assenso, ma il lamè dorato smise di scivolare dolcemente a spirale dalla punta della sua bacchetta. Lily vide il Serpeverde dirigersi verso la Tassorosso in difficoltà, senza fare una piega ma con i pugni stretti sicuramente dal fastidio, la rabbia o il disgusto di essere comandato così da un Traditore del suo sangue, dal fratello di Sirius.
«E lui, Lily» riprese James come se niente fosse voltandosi dall’altra parte per indicare un altro Prefetto. «Lui è troppo magro per riuscire a trasportare da una parte all’altra della stanza quei cesti...»
Con un gesto della bacchetta, James salvò un povero quindicenne Grifondoro sul punto di cascare a terra. «Jordan! Sei bravo con gli Incantesimi di Levitazione? Bene, sei perfetto per le candele!»
Lily si trovò spiazzata davanti al sorriso di Jordan e a quello di Potter che aveva appena dimostrato di saper riconoscere le abilità e i punti di forza di ognuno così come i difetti. L’aveva sempre fatto, certo, trovare le abilità migliori da portare in squadra e i difetti peggiori. La cosa nuova, però, era che lo faceva senza usare quelle loro mancanze per prenderli in giro.
«Bell! Prendi tu i cesti! Hai delle buone braccia, hai mai pensato di presentarti ai provini per fare il Cacciatore?»
«James! James!» lo chiamò allegramente Allock mentre si dirigeva nella loro direzione.
«Bolide in arrivo, Lily... afferra quel ramo e colpiscilo. Tu hai un'ottima mira» le mormorò giocosamente. «A proposito, cosa ci fa qui?»
Lily si ritrovò a sorridere. «Dirk Cresswell è malato» rispose senza riuscire a smettere di sorridere; non per il povero Corvonero malato, ma perché aveva sempre trovato il Quidditch sorprendentemente affascinante da vedere- niente a che vedere con il noiosissimo gioco del calcio babbano- e adesso che in un certo senso Potter l’aveva ‘portata in mezzo al campo’ sembrava ancora più divertente.

«Che ne dici di aggiungere delle sculture di ghiaccio, James?!» esclamò Allock, radioso, arrivandogli quasi addosso. James rimase impassibile e quella totale assenza di entusiasmo offese non poco il falso Prefetto Corvonero, senza però perdere le speranze.
«All’ingresso, magari ai lati dei tavoli. Ho fatto delle ricerche sulle decorazioni natalizie e ho scoperto che a Beauxbatons usano delle splendide sculture di ghiaccio da togliere il fiato, Lily!»
«Se ti ho bocciato l’idea degli elfi domestici travesiti da quelli di Babbo Natale che prendono ‘le nostre letterine’, come pensi che possiamo accettare le sculture di ghiaccio, Gilderoy?» esclamò Lily incrociando le braccia al petto. Era la seconda volta che ridimensionava l’entusiasmo eccessivo da Wedding Planner di Allock. Soltanto Gazza quando parlava delle vecchie punizioni-torture lo superava.
«Poco originali, ecco cosa siete voi due»
«La sculture di ghiaccio sono poco originali, Gilderoy, visto che le usano già da un’altra parte» rispose con più gentilezza Lily. «Però possiamo pensare a qualcos’altro. Hai altre idee?»

«Tanto me le negate tutte! Questo posto è di una noia mortale!» sbottò il Corvonero, allargando teatralmente la braccia per indicare la sala che proprio in quel momento fu invasa da un forte scoppio.
Del fumo rosa e oro si levò vicino al portone dove Pandora, la Corvonero del settimo anno che come Allock non era un Prefetto ma si offriva volontaria ogni Natale, stava a terra con le mani davanti al viso. Lily corse immediatamente a soccorrerla.
«Pandora! Stai bene? Ti fa male da qualche parte?» esclamò, spaventata, inginocchiandosi davanti a lei per aiutarla a mettersi seduta.

«Sto bene, Lily, grazie» mugolò Pandora, tossicchiando. «Qualcosa... è andato storto... ma non so cosa!» Nel suo tono di voce più che sofferenza c’era rabbia per non essere riuscita nel suo intento.
James le raggiunse, insieme ad una piccola folla di Prefetti. «Che cosa stavi combinando stavolta?» le chiese allibito.
Qualcuno dietro di lui borbottò- «Se non sta più attenta, un giorno di questi ci lascerà le penne con uno dei suoi esperimenti»- e delle risatine lo seguirono a ruota.
«Volevo fare la neve che cade dal soffitto, ma invece del solito bianco la volevo d’oro. In Sala Comune ci sono riuscita...» rispose lei in un sussurro concentrato sollevando lo sguardo pensieroso verso l’altissima volta coperta da nuvoloni grigi sopra le loro teste.
Qualche Corvonero annuì alla sua affermazione e la sua amica di dormitorio Marlene McKinnon, arriva di corsa con la spilla da Prefetto appuntata al maglione lanoso, confermò le sue parole aggiungendo anche che era uno spettacolo più bello delle fate.

Lily scosse la testa posandole una mano sulla schiena. «Dora, spetta al professor Vitious incantare il soffitto, così come le armature»

«Lo so» rispose lei alzandosi mentre tutti gli altri ritornavano ai loro compiti. «Ma è così bella in Sala Comune! Lily, dovresti farmi riprovare!»
Lily schiuse le labbra rivolgendo uno sguardo a James che fece spallucce. Non fece in tempo a dare il consenso a Pandora perchè, dalla sala d’ingresso, John Owen le afferrò delicatamente un braccio per farla arrivare sotto alla porta completamente decorata di... vischio.
Lo sguardo orripilato di James notò, con lo stesso piacere che provava ogni volta che trovava i capelli di Sirius nello scarico della doccia, che i Prefetti avevano lasciato lo zampino natalizio anche lì. Per un attimo desiderò che tutti quei rami e quelle bacche se li infilassero nel...
«Ciao» salutò con un sorriso il suo ragazzo Lily, vedendolo indicarle il mazzetto sopra le loro teste che la bacchetta di James, nascosta dietro la schiena, trasfigurò immediatamente in Agrifoglio.
Lo sguardo del Corvonero si assottigliò, fissando con incredulità le bacche rosse che prima aveva chiaramente visto bianche.
«Da quando l’agrifoglio ordina a tutti di baciarsi? Evans, se non ci muoviamo l’unico pranzo che vedremo sarà quello di domani» s’inserì James in tono sorprendentemente severo.
«Che rottura» mormorò tra i denti Lily ad un John particolarmente infastidito. «Ma ha ragione, per una volta».
Si allontanò da lui dandogli una lieve carezza sul braccio e poi superò James senza accorgersi di Violet, l’amica pettegola della Signora Grassa, che ridacchiava da un quadro vicino facendo starnazzare il gruppo di anatre della padrona della cornice, una bambina ridente in vestaglia.
«Le tradizioni si rispettano, Owen» fece James con un sorriso sornione stampato in faccia davanti all’espressione guardinga di John. «Se non è vischio, niente bacio... o la sfortuna vi perseguiterà per tutta la vita» fece, sollevando lo sguardo sull’agrifoglio dalle bacche rosso acceso che sembravano fargli un occhiolino complice. Non aveva la più pallida idea delle ‘conseguenze’ di un bacio dato sotto l’agrifoglio ma se non sarebbe stata la sfortuna a perseguitarli di certo l’avrebbe fatto lui e il suo fidato Gramo personale.
Strabuzzò gli occhi quando vide il Corvonero entrare in Sala grande al loro seguito.
«Ci stai seguendo, Owen?» domandò, pungente, James.
«Non direi, Potter. Studiare qui, oltre che un mio bisogno, è un mio diritto».
James imitò il suo sorriso gentile, piegando un minimo la testa di lato.
Farti fare una rotolata fino ad arrivare alle clessidre è il mio bisogno e diritto invece. Come la mettiamo? Alza pure quel sopracciglio... magari ti cascasse insieme all’occhio. Puoi anche fissarmi con questo sguardo da babbuino che crede di essere un leone, Owen... mi fai lo stesso effetto di un Basilisco cieco. 
 
 














Note:
 
 
 
*Nel 1978 la Coppa del Mondo di Quidditch è stata annullata per via della guerra. Qui ancora non lo sanno. Nel 1974 è stata vinta dalla Siria.
 

*Le uova degli Occamy sono fatte d'argento puro e per il Ministero sono materiale commerciabile di classe B: hanno un alto valore e il loro commercio è permesso, ma strettamente regolamentato.
Lumacorno, nei libri, si è sempre dimostrato interessato per i materiali preziosi, cari, difficili da reperire (i peli di unicorno dentro la capanna di Hagrid e il veleno di Acromantula). In un modo o nell'altro riesce a prenderli. Immagino che per le uova d'argento degli Occamy farebbe lo stesso, Mary e il professor Kettlebrun lo sanno.
Anche qualcun'altro sarà interessato alle uova degli Occamy xD State attenti!

*Ho voluto descrivere Piton insicuro sul fatto dei Mangiamorte perchè nel quarto libro Sirius dice ad Harry che non ha mai saputo con assoluta certezza se Piton aveva o no il Marchio Nero.
Da Kreacher sappiamo che Regulus si è unito a Voldemort a sedici anni, quindi in questo periodo della mia storia.

*Il padre di Avery era nella cerchia di amici stretti di Tom Riddle ad Hogwarts, quindi quando è morta Mirtilla lui c’era. Molto probabilmente anche quello di Mulciber (che accompagna Voldemort quando chiede la cattedra di Difesa a Silente). Nel sesto libro, Silente in una lezione privata con Harry, li descrive come i primi futuri Mangiamorte insieme a Nott (padre di Theodore, come veniamo a sapere nel sesto libro, e non il nonno) e il padre dei fratelli Lestrange che a scuola, guidati da Tom, compivano malefatte senza farsi mai scoprire come l’apertura della Camera dei Segreti. Soltanto nel 1992 si scoprirà che non è stato Hagrid ad uccidere Mirtilla per colpa di Aragog (come aveva detto Tom Ridlle). Prima, nessuno sapeva che Voldemort era l'Erede di Serpeverde e nessuno doveva saperlo. Lucius lo sa perchè era un Mangiamorte e aveva il diario (Dobby dice a Harry che la Camera era già stata aperta, ma non dice chi l'aveva aperta perché non può dirlo, essendo l'elfo di Malfoy. Draco non lo sa, ma dato che nessuno deve sapere, Lucius non lo dice nemmeno al figlio). Non credo che i genitori Mangiamorte potessero dire i segreti di Voldemort ai figli.
I genitori di Avery e Mulciber devono per forza sapere che Voldemort è l’Erede dei Serpeverde e che la Camera esiste, ma non lo dicono ai figli.
Silente dice che molto probabilmente, Tom Ridlle ha scoperto che Salazar Serpeverde era un rettilofono come lui già la sera in cui venne smistato a Serpeverde. Non era un segreto che Salazar fosse un rettilofono, però Tom Riddle era praticamente come un Nato Babbano e non conosceva nulla del Mondo Magico.

Tom Riddle, aprendo la Camera dei Segreti, se ne frega di uccidere anche bambini... sa che il basilisco ucciderà solo Nati Babbani e a lui sta bene così. Quindi nessun ''sangue magico sprecato'', come dirà poi durante l'ultima battaglia nel 1998. Anche se poi per tutta la vita ha ucciso anche purosangue come l'erede di Tosca Tassorosso, Smith. E non si fa scrupoli ad ordinare di uccidere, se necessario, bambini come il fratello di cinque anni di due compagne di scuola di Harry, nel sesto libro, solo perché la madre non ha voluto aiutare i Mangiamorte.

*I Prefetti a Natale. Nel quinto libro Harry dice che Ron e Hermione a dicembre sono ancora più impegnati con i doveri di Prefetto (questo fa pensare che anche per il resto dell'anno fanno qualcosa, come le ronde serali a turni dato che spesso stanno con Harry dopo cena).
A pagina 429 vengono descritti chiaramente questi doveri: "Furono incaricati di sovrintendere alla decorazione del castello, sorvegliare gli allievi di primo e secondo anno nei corridoi, pattugliare i corridoi con Gazza". Ron dice chiaramente che è davvero difficile appendere le ghirlande con Pix attorno.

*Jill Tweedie (nella foto sul muro di Lily): esponente del femminismo inglese, scrittrice e giornalista di The Guardian .
 
*Barty Chrouch Prefetto e giocatore di Quidditch: 
  "Erano anni che non uscivo di casa. Avevo amato il Quidditch". Barty Crouch jr. sotto effetto del Veritaserum mentre Silente lo interroga, alla fine del quarto libro.
Non so se sia mai stato un prefetto, ma il padre (quando Harry lo incontra nella Foresta al quarto anno, un po' mezzo fuori di testa) mentre delira dice espressamente che Barty aveva preso 12 G.U.F.O. (Una cosa strana perché Hermione non è riuscita a farlo, nemmeno con la Giratempo per via delle lezioni che si accavallavano). Credo che anche Bill e Percy Weasley ne abbiano presi 12, magari il vecchio calendario delle lezioni in passato era meglio organizzato. La Rowling in un'interivsta ha detto che la Giratempo le ha sempre dato problemi (per questo nel quinto libro le fa distruggere tutte nell'Ufficio Misteri). Dice anche che quella data ad Hermione è stata l'unica entrata a Hogwarts. In altre interviste dice che non le è mai piaciuta la matematica e che se torviamo errori con i numeri è perché si è sbagliata. Semplicemente, la Rowling voleva far vedere quanto fosse intelligente Barty Crouch. In effetti, lo vediamo fare una miriade di cose per riuscire nel suo intento di portare Harry a Voldemort: cattura il vero Malocchio costantemente in allerta in casa sua, lo mette sotto Maledizione Imperius (Arti Oscure, Difesa e duello), prepara la Pozione Polisucco rubando gli ingredienti a Piton (Pozioni), Confonde un oggetto antichissimo e carico di magia potente, tra l'altro protetto da Silente (Incantesimi e Antiche Rune), consiglia l'Algabranchia in modo indiretto a Dobby (Erbologia), trasfigura il corpo di suo padre in un osso (Trasfigurazione). 
 
*La luna piena nel dicembre 1977 era davvero il giorno di Natale.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 24. Servo e Padroni ***


Siamo arrivati ad un punto della storia che pensavo di non riuscire a raggiungere.
Ammetto che scrivere senza sapere se la storia vi sta piacendo oppure no (soprattutto dopo questi due ultimi capitoli pieni di azzardi xD) è parecchio difficile e demoralizzante.

 Ringrazio chi continua ancora a seguirmi :)
 
 
 

 
***


 
 
Capitolo 24



SERVO E PADRONI
 
 
 



 
«Stupida, come hai osato?!»
Un fiotto di luce rossa mi sfiora, per un pelo, e mi ritrovo a ringraziare mentalmente James che agli allenamenti quasi mi fa uccidere da Harrison e Carter con i bolidi. 
«Sono venuta a cercarti per parlarti, Piton. Come potevo sapere che stavi piangendo?
»
Un getto di luce vermiglia più potente del precedente mi arriva addosso, questa volta riesco a pararlo con un tempestivo Sortilegio Scudo.
Rimaniamo a fissarci, in silenzio, entrambi con un leggero fiatone dovuto- oltre allo sforzo- alla furia. E non c’è niente di anormale in questo perchè è poi quello che abbiamo sempre fatto, io e lui, da quando Lily ha cominciato ad entrare in dormitorio con la faccia rossa e gli occhi pieni di lacrime di rabbia dopo aver detto che andava a studiare o a parlare con ‘Sev’.
Piton mi guarda, con il viso contorto in un misto di disgusto e vergogna per se stesso. Non so neanche perchè era poggiato al muro, ingobbito e singhiozzante, quando l’ho trovato dopo averlo cercato per mezzo parco. Non lo so e sinceramente non mi interessa ma questo lui non lo vuole capire perchè ha sempre avuto lo stupido vizio di fare la vittima in ogni occasione- “Non voglio lei con noi, Lily. Mi odia” “Ci vediamo davanti ai Tre Manici di Scopa, Lily. Da soli, tanto a lei fa schifo avermi seduto vicino”- quando il primo ad odiare l’altra è stato lui subito dopo che sono stata smistata a Grifondoro e ho potuto quindi sedermi allo stesso tavolo di Lily, salire nella stessa Sala Comune di Lily e dormirci affianco. 

Naturalmente, la tregua non dura più di qualche secondo. Piton riattacca con una fattura che mi rimbalza davanti, sul mio nuovo scudo, staccando la testa ad una delle statue in pietra del cortile. Vedo chiaramente una punta di delusione nei suoi occhietti neri: La testa che voleva staccare era la mia non quella della donna in vesti medievali.
Una sfilza di Schiantesimi comincia ad abbattersi con incredibile forza sul velo trasparente che mi copre. Meglio evitare di pensare a quanto è stronzo, potrei perdere la concentrazione e non riuscire a resistere. 

La sua intenzione è distruggere il mio incantesimo di difesa o semplicemente sfogarsi come ha sempre fatto, come se la colpa della sua idiozia, del suo essere accecato dalle Arti Oscure sia la mia?
Si sta di sicuro sfogando perchè in quegli occhi rossi di pianto c’è dolore e disperazione che non riesco a spiegarmi e che sembrano fargli scoppiare le iridi inchiostro.
«Ti ho detto che non sono venuta per spiarti!» gli urlo per sovrastare gli incantesimi e per la voglia di attaccarlo a mia volta.
Non lo faccio da due anni, non lo copro di fatture come invece vorrei da due fottuti anni soltanto per Lily. Ma lui sta diventando sempre più bravo a farsi odiare oltre ogni limite. «O per prenderti in giro, Piton! Piantala di comportarti sempre da cretino!».

Dovevo immaginarlo che l’insulto l’avrebbe caricato ma non so dirmi se chiamarlo cretino sia stato un lapsus involontario o il mio corpo che non ha più voglia di stare a subire senza reagire.
Agli Schiantesimi si aggiungono fatture Pungenti, un incantesimo di Disarmo e quelle sue stupide Maledizioni sconosciute che, invece di distruggere il mio Scudo, annientano la pazienza già precaria che di certo non ho preso da mio padre. 

Il getto di luce rossa parte dalla mia bacchetta, infatti, e a pararlo stavolta è lui, ormai senza fiato.
Scintille e lampi di luce sferzano l’aria ghiacciata del cortile, un botta e risposta di puro odio represso da anni che non vedevo l’ora di gettargli addosso!
E non m’importa se ci sono persone che seguono questo nostro duello silenzioso da dietro i vetri delle finestre, non m’importa se Silente o la McGranitt adesso arrivano e ci espellono entrambi!

«Invece di preoccuparti per il fatto che ti ho visto piangere» ringhio cercando di puntargli la bacchetta contro perchè  il deficiente mi ha appeso a mezz’aria, a testa in giù, come ormai tutti fanno in questa scuola da quando questo assurdo incantesimo è spuntato fuori da chissà dove. «dovresti pensare che se non rispondi alla domanda che ti ho fatto prima, le conseguenze saranno ben peggiori di un prossimo pettegolezzo sul tuo essere lagnoso!»
Lo noto, è un attimo. Anche se vedo Piton al contrario e dondolante, noto il suo braccio muoversi per attaccarmi ancora e- sempre ringraziando James e i suoi ‘Esercizi del Papà’ che mi ordinano di appendermi sulla scopa a testa in giù per afferrare il boccino- miro con la bacchetta alla mano che Piton è costretto ad abbassare perchè la mia fattura pungente ha fatto centro.
La pelle coperta di piccole bruciature gli fa perdere la concentrazione e mi ritrovo a terra tra la neve, con il sedere che quel bastardo di Black prende in giro incredibilmente dolorante ma con la bacchetta già pronta. «Expelliarmus!» grido, quella di Piton vola dall'altra parte del cortile e prima che possa recuperarla mi affretto ad appellarla. «Accio bacchetta!» scandisco veloce. Mi finisce dritta in mano sotto gli occhi strizzati d'odio di Piton. 
«Rispondimi» lo incito puntandogli contro entrambe.
Piton sembra abbia ingoiato un enorme rospo vivo facendomi capire che anche i rospi, a quanto pare, possono essere cannibali. Ha le labbra premute con forza l’una sull’altra e le unghie conficcate nella mano ferita per sentire meno il dolore pungente delle ustioni, se non lo conoscessi direi che si sta per rimettere a piangere come un bambino. 

«Se non vuoi rispondere a me rispondi a Lily allora» continuo con durezza perchè sono venuta qui per ottenere una risposta non per bisticciare come i due undicenni che eravamo. «É lei che vuole sapere se le scritte sui muri sono diminuite solo perchè tu eri occupato con la riunione dei prefetti di dicembre o perchè invece ti sei messo a fare le pulizie prima di tornare in Sala Comune».
Piton schiude le labbra con le guance magre leggermente più rosate. Non è una grande novità nemmeno questa. Lo fa sempre quando ha Lily davanti o in testa come, di sicuro, in questo momento.
Sì, proprio così, Piton, Lily vuole sapere di te. Perchè Lily soffre, per te, come sempre! Anche se sei un caso perso, anche se ti ha già mandato al diavolo mille volte e altre mille volte lo farà! Lei ci soffre. 

«Non faccio io quelle scritte» risponde lui senza staccarmi gli occhi dosso come se gli avessi detto tutte quelle frasi a voce, come facevo un tempo.
Adesso non serve più sputargliele in faccia. Lo sa benissimo che Lily soffre eppure continua a fare quello che fa! E non posso di certo fermare il mio sopracciglio scettico davanti a questa sua ennesima bugia che Lily in anni e anni d'amicizia ha sempre fatto finta di non vedere. Ma io sì, io vedevo benissimo tutte le sue bugie e i suoi comportamenti ipocriti.

«Ti ho chiesto una cosa precisa, Piton. Ti ho chiesto il motivo per cui quelle scritte sono diminuite»
«Non ne ho idea» risponde, lo stronzo, con gli occhi neri che mi istigano a pigiargli le bacchette al petto. 
«Deanne Stevens e le altre due colleghe Serpeverde ne hanno idea? Oppure stai mentendo come al solito?»
«Prima o poi farai una fine degna dei tuoi peggiori incubi, McAdams».
Giuro, potrei trapassargli il petto che sembra fatto di carta velina con le bacchette, in meno di due secondi e senza magia. Chissà se sarebbe questa la fine degna dei suoi peggiori incubi.
Per quanto vorrei ottenere una risposta a questa domanda tramite esperimento pratico mi ripeto che sono qui soltanto per Lily.

«Rispondi-alla-domanda» scandisco ogni parola trattenendo tutto l'odio che provo nei suoi confronti. Stringe la mascella e non mi rendo subito conto che mentre parlavamo ha sollevato letamente la mano al suo petto dove ancora gli premo contro le bacchette.
Prima che io riesca a stringerle più forte in mano lui si è già ripreso la sua.

«Ti conviene starne fuori, McAdams»
 «É quello che vorresti tu, Mocciosus, ma non quello che vogliamo io e Liv». La voce di James è così inattesa che fa trasalire anche me.
Non faccio in tempo neanche a voltarmi verso di lui perchè James- con un ridicolo festone dorato attorno al collo e bacche di agrifoglio incastrate tra i capelli ancora più ridicoli del festone- mi è già al fianco insieme alla sua bacchetta che con un colpo secco allontana quella di Piton da me.
Non so perchè ma la sensazione che sento crescere dentro mi fa pensare di avere accanto un fratello maggiore. 

«Credi che non ti tenga d’occhio quando passeggi per i corridoi dei sotterranei, la sera?» continua James e Piton comincia a sollevare un sopracciglio che si ferma soltanto quando la mia bacchetta lo punta con decisione. Se lo solleva un’altra volta glielo trasfiguro in una lumaca. 
La bacchetta di James invece è rivolta al petto, per coprire il vuoto che ha creato la mia spostandosi sul viso infastidito di Piton. 
«Dopo la riunione per l'organizzazione degli addobbi di oggi, ti sei allontanato da Deanne Stevens e gli altri Prefetti donne. Tu, Regulus Black e Crouch avete preso una via diversa per raggiungere la vostra fottuta Sala Comune» sibila James e Piton lo incenerisce con un'occhiata anche se sembra indeciso su chi colpire per primo tra me e lui.
«Per fare cosa, Mocciosus?»
«Di certo non ti riguarda, Potter»
«Mi riguarda eccome, Prefetto Piton. Mi riguarda perchè sono il tuo Caposcuola». La luce negli occhi di Piton mi mette in allarme, perchè brilla ogni volta che sta per attaccare. Stringo le dita sul legno della bacchetta ma lui non si muove. Sorride, come un serpente soddisfatto, e soltanto adesso mi accorgo che le sue pupille sono rivolte verso qualcosa dietro me e James che sento irrigidirsi nello stesso momento in cui sono costretta a farlo io. 
Ci hanno pietrificati. Mulciber e Avery ci hanno pietrificati... alle spalle. Non posso vedere lo sguardo di James- ormai una statua come me al mio fianco- ma so che non dev’essere affatto sorpreso, esattamente come il mio. 
 

 
«Liv? Ti sei addormentata?» La voce divertita di Lily la riscosse dai suoi pensieri. Liv aprì gli occhi e l’aula vuota che avevano occupato per passare l’ora buca riapparve attorno a lei, la bacchetta che stava puntando al muro non aveva tracce di Incanto Patronus.
«Cambia ricordo, è chiaro che quello che hai scelto dev’essere di una noia mortale» ridacchiò Lily seduta su un banco con la bacchetta in mano e l’abbagliante luce perlacea che da un mese a quella parte faceva intravedere delle slanciate e sottili zampe munite di zoccoli. Mary era convinta fossero quelle di una cerva*, anche se Lily immaginava più una capra o uno stambecco.
Avevano deciso di esercitarsi senza sosta con quell’incantesimo nel tentativo di riuscire ad evocare un Patronus, se non proprio corporeo, quantomeno efficace prima dell’uscita a Hogsmeade.
Ci sarebbero state decine di Auror il giorno, certo, ma tutte e tre erano d’accordo nel pensare che sapersi difendere da sole le avrebbe fatte sentire ancora più al sicuro. Era più di una settimana che provavano e, a parte qualche ondata di bagliore accecante in più, non avevano ottenuto altro.
«Veramente, mi sono persa tra i ricordi e non ero per niente concentrata» rispose Liv, sbuffando.
«Ma com’è possibile che esista un solo Incantesimo per allontanare quei cosi?!» sbottò Mary fissando la bacchetta che per un istante desiderò spezzare a metà dalla frustrazione.
«Non deve per forza essere un fatto accaduto realmente» ricordò Lily chiudendo di nuovo gli occhi «Provate a pensare a qualcosa di veramente felice anche se impossibile». A quelle sue parole la luce della sua bacchetta si espanse leggermente e le sottili zampe del suo Patronus si definirono, allungandosi.

-Lily! Ci vediamo dopo? Devo farti leggere una cosa!
-Va bene, Tunia. In Biblioteca o in Sala Grande?
-Biblioteca! Scusa, devo correre! Sono in ritardo per Aritmanzia! 
-A dopo, Tuney!
-A dopo, Ly! 

Liv non riuscì a staccare gli occhi dalle sinuose linee argentate del Patronus di Lily che si muovevano flessuose come onde testarde, creando e distruggendo da capo il resto del corpo dell’animale ancora ignoto.
 
-Mostro!
-Tunia! Non è colpa mia! Io vorrei tanto portarti con me! Non sai quanto vorrei che tu fossi...
-Non dirlo! Io non voglio essere come te! Non voglio essere un mostro!
-Vorrei tanto averti a Hogwarts! 
-Io no! Quel posto è per i pazzi! 

L’espressione contrita e determinata sul viso di Lily contrastava con la lacrima solitaria sfuggita alle ciglia strizzate contro lo zigomo lentigginoso. 
«Beh, è difficile cambiare la realtà» esordì Lily aprendo controvoglia gli occhi verdi umidi «Ma con un Dissennatore davanti che ci fa rivivere i momenti più brutti deve esserlo ancora di più. Quindi, questo che stiamo facendo è un allenamento più che efficace».
Mary annuì, provando a concentrarsi di nuovo, e Liv chiuse a sua volta le palpebre stringendo maggiormente la bacchetta. Inspirò profondamente, rigettando l’aria lentamente. Una cosa felice anche se impossibile. Una cosa felice anche se impossibile. Una cosa felice...
 
-Papà, un uccello mi ha dato questa lettera. Non sto dicendo una bugia, lo giuro!
-Lo so che non stai dicendo una bugia, Liv. Lo so.
Il sorriso di suo padre era aperto, solare, scoppiava di felicità tanto da farla sorridere a sua volta. Il suo abbraccio era forte e caldo, protettivo. 
-Che succede, papà?
-Succede che sei stata ammessa a Hogwarts, tesoro
-Come te?
-Come me.

Anche se impossibile...

-Margareth! Maggie! La nostra Olivia ha ricevuto la sua lettera!
Sua madre, spettinata per la corsa fatta dalle scale in soggiorno alla cucina, arrivò davanti a loro con lo stesso sorriso emozionato di suo padre e gli occhi scuri brillanti di gioia. 
-Liv!
-Mamma, guarda! La apro adesso?
-Certo! Vieni qui, tesoro!

Spalancò gli occhi e li strizzò subito dopo per via della luce candida proveniente dalla sua bacchetta che illuminava il volto sorpreso di Lily, adesso in piedi davanti al banco.
C’era qualcosa di folto e scodinzolante tra i bagliori argentati.
«Una coda?» sussurrò Lily per non disturbare Mary. «E delle orecchie» mormorò Liv vedendo la lunga coda sparire mentre un paio di orecchie a punta si formavano dall’altra parte.
Serrò di nuovo gli occhi per non far vincere il bruciore tra le ciglia che si stava trasformando in tristezza in un punto imprecisato del petto.

-Sei una strega, tesoro! Come il tuo papà! Sei contenta!?
-Sì, mamma!
-Sei contenta di essere un essere immondo!?

Le orecchie a punta- che a Lily fecero pensare subito ad un gatto o una volpe*- scomparvero senza preavviso insieme a tutta la luce e alle scintille di Mary che smisero di sfiorare la lavagna.
«Un viaggio in America, o dove volete!» ruggì Mary aprendo con rabbia gli occhi nocciola «Io ci aggiungo anche un bel Gallese Verde che ci trasporterà in volo senza vomitare come invece succede con la Materializzazione!».
Liv e Lily, dopo un attimo di sorpresa per quel tono così duro, scoppiarono a ridere.
«Che c’è da ridere? Guardate che sono seria!» continuò Mary. Alle risate delle due amiche si aggiunse anche la sua e la campanella che segnava l’inizio della lezione di Difesa contro le Arti Oscure.
 




 
 
 
 
 
*
 



 
 
 
 
«Si svegli, signor Potter»
La voce forte e chiara del professor Dearborn fece sussultare James che fino a quel momento aveva letteralmente dormito in piedi sul muro dell’aula tra Sirius- abbioccato anche lui- e Peter.
«Sono sveglissimo, professore» fece James passandosi vigorosamente una mano sulla faccia mentre dava una piccola gomitata a Sirius che grugnì, guardandosi attorno spaesato, sbadigliando apertamente senza il minimo ritegno.
«Allora faccia lei adesso» lo invitò il professore in un sorrisino divertito prima di voltarsi verso Remus.
«Signor Lupin, lei si merita un pieno Eccezionale. É stato veramente bravissimo» sentenziò con compiacimento scarabocchiando qualcosa sulla pergamena sopra la cattedra.
Remus sorrise, soddisfatto, ricambiando l'occhiata radiosa di Lily e lasciando il centro della classe- appositamente sgomberata da banchi e sedie per la verifica pratica a sorpresa del mese- per raggiungere la finestra vicino a tutti gli altri compagni già valutati tra i quali Piton. Con la bocca inasprita dal fatto che Remus avesse preso un Eccezionale come lui, Piton gli lanciò un’occhiata tagliente dall’angolo in cui si era isolato insieme ad Avery e Mulciber.
Sirius, tra un ciuffo e l’altro di capelli neri che gli ricadevano sugli occhi, notò Liv parlottare insieme a Ned dall’altra parte della stanza, in mezzo ad altri Tassorosso con Evans, Macdonald, Owen e Marlene.
Il fracasso del bersaglio in legno polverizzato dal Reducto di James fu contemporaneo allo sguardo penetrante di Sirius puntato dritto sul Tassorosso ridente accanto a Olivia; Olivia che aveva detto chissà cosa di così divertente, come se non avesse le mani ricoperte di squame da giorni.
Sirius si era aspettato un suo contrattacco come fargli sputare fuoco per farlo assomigliare ad un drago... ma niente, Olivia non aveva fatto ancora niente.
Spocchiosa, ecco cos’era. Improvvisamente si sentiva superiore a quella loro guerra che, tra l’altro, aveva cominciato lei?
E strana, era anche strana. Sorvolare su uno scherzo non era da Olivia McAdams perchè oltre ad essere spocchiosa, era anche crudelmente vendicativa e orgogliosa, stupidamente orgogliosa. E testarda. Testarda tanto da apparire ridicola la maggior parte delle volte.
Sirius sorrise quando dalla bacchetta di James schizzarono fuori delle funi che avvolsero l’ultimo bersaglio comparso all’improvviso da dietro la lavagna.
La nostra telepatia colpisce ancora, Fratello... stavo giusto pensando a quanto starebbero bene su Stevens... non che la cosa mi interessi più di tanto... è semplice ed innocente curiosità la mia. Se si lega una fune attorno al collo di una persona che ride sottovoce e di gusto... questa persona smette di fare quello che sta facendo? Se sì, lo farebbe all’istante o ci metterebbe del tempo? E quanto sarebbe questo ipotetico tempo? Solo questo. Un esperimento interessante, senza alcun dubbio.
«Molto, molto bene, Potter!» commentò il professore scrivendo qualcosa sulla carta anche per lui. «Eccezionale!».
James sorrise smagliante tornando al suo posto accompagnato dal trillo allegro della campanella.
«La prossima volta continueremo le verifiche» informò Caradoc mentre qualcuno cominciava a recuperare la propria borsa. «E ci dedicheremo alla tecnica per contrastare la Legilimanzia che, come vi ho già detto la settimana scorsa, è l’arma personale di Voldemort. Con questo non voglio di certo augurarvi di trovarvi davanti a lui un giorno, sia chiaro, è una precauzione»
«Certo» mormorò sarcasticamente Lily, assottigliando lo sguardo in direzione del professore che continuò il suo discorso sollevando le sopracciglia come se l’avesse sentita. Il professore, secondo Bones, li stava ''addestrando''; così aveva detto a Marlene. Era sicuramente un alleato di Silente, uno che faceva parte della Resistenza. Già dalla prima lezione dell'anno aveva impressionato tutti coi suoi modi di fare esperti e il fatto che sapesse troppe cose sulla guerra, nel dettaglio, comprese informazioni riguardo Voldemort. Voldemort, appunto. Caradoc Dearborn lo chiamava col suo nome esattamente come faceva Silente quando parlava alla scuola e nei giornali, dicendo a tutti di non avere paura di usare quel nome. Caradoc lo faceva vibrare nell'aria con naturalezza nonostante le facce livide di Avery e Mucliber che molto probabilmente si trattenevano ogni volta dal'affatturarlo. Anche in quel momento, Lily li vide con la coda dell'occhio, i volti dei due Serpeverde erano a chiazze rosse.
«L’Occlumanzia può essere usata anche contro la Maledizione Imperius, ormai utilizzata da qualsiasi Mangiamorte là fuori. Ma ne parleremo la prossima volta. Buona giornata, ragazzi».
La classe si riempì del tipico chiasso da fine lezione e Mary non riuscì più a controllarsi.
«Buona giornata, ragazzi?! Buona giornata? Dopo aver detto queste cose crede che passeremo una buona giornata?» proruppe, sconvolta, facendo ridere Lily e John.
«Allora a dopo!» esclamò Ned salutando Liv mentre si accingeva a raggiungere la porta decorata di vischio con Edgar, Sam Stebbins e Wayne Abbott.
«Sì, ma non fare il furbo, Ned! Deve essere il migliore che hai!» ribattè lei chiudendo la tracolla con un sorriso aperto che Lily osservò con tanto d’occhi.
Mary le si affiancò mentre lasciavano il banco per mettersi dietro il gruppo di compagni che uscivano in corridoio. «’A dopo’, Liv?» le chiese in un sorrisetto. Liv annuì. «Ci dobbiamo incontrare in Sala Grande» spiegò tranquillamente rifacendosi la coda in testa «Mi deve prestare un libro sui Cercatori che gli ha dato Lumacorno».
Le facce di Lily e Mary- molto simili a quella della McGranitt quando James rispondeva correttamente alle sue domande nonostante fosse distratto un minuto sì e l’altro pure- le interpretò come espressioni perplesse sul fatto che Lumacorno avesse libri sul Quidditch, senza minimamente pensare che invece erano rimaste allibite davanti a quella richiesta di appuntamento accettata così, al volo.
«Strano, vero?» continuò Liv «Ned dice che Lumacorno gli regala libri del genere da quando è entrato a far parte del Lumaclub. Lo faceva anche con Bagman. Ieri invece gli ha detto che alla festa di Natale, a lui e James, presenterà il Capitano dei Puddlemere United. Il Capitano dei Puddlemere United!» esclamò oltrepassando lo stipite della porta.
«Pappamolle» l’apostrofò Sirius alle sue spalle.
«Come scusa?» fece lei voltandosi e fermandosi davanti a lui e James.  
«Presumo che tu ti sia arresa, Olivia. Quindi, la guerra è finita. Ho vinto»
«Io non mi sono arresa»
«Ah, no? Quelle mani sono così da giorni... »
Liv portò un attimo lo sguardo duro sulla sua mano squamosa aggrappata alla fascia della borsa appesa sulla spalla. Maledizione.
«E io invece sono il solito figurino...»
«Ho risposto al tuo scherzo» rispose scontrosa, sapendo benissimo invece che Black aveva ragione. Risollevò gli occhi su di lui che sorrise, beffardo. Chissà se un pugno squamoso fa più male di uno normale.
«Che io sappia... no» fece lui «E se hai risposto e non me ne sono nemmeno reso conto significa che era davvero pateti...»

Un lampo di luce gialla e Sirius ottenne ciò che era andato a cercarsi. Forse non proprio come l’aveva immaginato però.
Invece di sputare fuoco si ritrovò con il sedere per terra e una squamosa coda di sirena al posto delle scarpe.
«Contento?» lo prese in giro Liv rimettendo la bacchetta dentro la tunica sotto lo sguardo attonito dell’avversario e quello sconvolto ma divertito di James e degli altri studenti che passavano in corridoio.
«O preferivi un drago? Sarebbe stato troppo virile per te, Black, mi ‘spiace»
«Certo, perfetto per te invece...»
«Naturalmente. Grazie»

Sentendo il motivo per cui aveva fatto finta di dimenticarsi di attaccare Black pungere in pieno petto, Liv se ne andò senza aggiungere altro insieme a Mary- colpita da una ridarella contagiosa- John e Lily che si automangiò le labbra per non scoppiare a ridere di gusto anche se la tentazione era davvero forte.
Salutò il suo collega Caposcuola con un cenno della testa e James ricambiò con un mezzo sorriso tirato vedendo la sua mano intrecciata a quella del Corvonero.
“La puoi chiamare per nome ma non per chiederle di che colore vuole i confetti al vostro matrimonio, Coglione”.
Abbassò lo sguardo sul proprietario della voce che gli rimbombava in testa.
«Che bel sirenetto sei, Felpato... o devo dire, Squamoso
«Ammazzati, Castrato»

 
 
 
 
*
 
 



 
«Da come lo dici sembra che tu ne sia convinta al cento per cento, Liv» disse Mary stiracchiandosi sulla sedia della Sala Comune con una certa invidia nei confronti delle persone comodamente sedute sulle poltrone, soprattutto di Trevor Robins stravaccato sul divano davanti al camino con i suoi amici.
«Certo, perchè è così» rispose Liv tranquillamente. Mary la vide fare spallucce dalla sedia di fronte dove, seduta a gambe incrociate, sfogliava con interesse il libro che Ned le aveva dato mezz’ora prima.

«Sai, Liv? Convivere insieme per quasi sette anni qui dentro ha avuto delle conseguenze...»
«Tipo sapere quando è il caso di stare in silenzio perchè la tua ‘coinquilina’ sta leggendo e non vuole essere disturbata, Mary?»

Il sopracciglio biondo di Mary sparì sotto alla frangia. «No, tipo conoscere qualsiasi tua abitudine ed espressione in qualsiasi ora del giorno e della notte. Sapere quando menti e quando invece dici la verità. Riconoscere un silenzio normale da uno ‘Lasciatemi in pace perchè in questo momento perfino lo straccio per lavare i pavimenti sta meglio di me’».
Liv spostò di pochissimi centimetri lo sguardo dalle pagine, per poi riprendere a far scorrere gli occhi sulle righe.

«Non ti sei dimenticata di attaccare Black, Liv» esordì Lily dalla sedia a capotavola, sfogliando con cipiglio contrariato- e per l’ennesima volta in quella giornata- Il Buio Oltre la Siepe* alla ricerca della sua margherita segnalibro che sembrava praticamente scomparsa. «Tu l’hai fatto apposta» continuò decisa, sentendo addosso il familiare sguardo duro di Liv, la porta di quel labirinto che era la mente della sua migliore amica.
Un labirinto però che lei aveva percorso ed esplorato per anni. Lo conosceva a memoria ormai. Sapeva dove andare, quali vicoli ciechi evitare e che tipo di mostri aggressivi Liv metteva a guardia della verità.
«Non ci credi nemmeno tu che lo dici» fece Liv riabbassando gli occhi sulle pagine. Sentì il leggero profumo fiorito di Lily nell’aria quando l’amica trascinò la sedia accanto a lei con un sorrisino ironico ad incurvarle le labbra.
«Oh, no, io ci credo eccome» disse con amarezza lei «Ne sono proprio sicura, purtroppo».
Liv chiuse il libro con un tonfo prima di sbuffare. «Perchè tu puoi dimenticarti di tutto e se lo faccio io invece è strano, Lily!? Perchè io non posso essermi dimenticata di ricambiare uno scherzo e tu invece puoi benissimo dimenticare il rubinetto della vasca aperto ed allagare il bagno ogni mese?!» sbottò con arroganza facendo per alzarsi ma Lily la trattenne per un braccio facendola ricascare sulla sedia. 
Muro di bugie con cane da guardia, Liv. Vecchio trucco. Vorrei tanto che ad avere ragione sia tu ma questo dimostra che non è così.
 «Perchè io non ho cominciato con accanimento una guerra di vendette nei confronti dei tubi del bagno ed è normalissimo dimenticarmi di qualcosa che non mi assilla da mesi, ogni giorno, mattina e sera» rispose semplicemente Lily avvicinando maggiormente la sedia a Liv, sempre più scocciata.
Mary trattenne un piccolo sorriso poggiando il mento sul palmo di una mano. Lily riusciva sempre ad essere schietta e determinata anche quando Liv si rintanava nella sua corazza come una tartaruga.
«Muffliato» mormorò Lily puntando la bacchetta verso l’intera Sala Comune. Mary le scoccò un’occhiataccia come tutte le volte che usava quell’incantesimo in prestito ‘uscito da quella mente insana di Piton! Potrebbe avere degli effetti strani se usato spesso, Lily’.
«Il fatto che ti sei dimenticata di attaccare Black con uno scherzo...» riprese Lily ma Liv la fermò subito.
«Non dire ‘dimenticata’ con quel tono sarcastico come se non fosse vero» sbottò, infastidita.
Lily sollevò entrambe le sopracciglia vermiglie. «Ah, no? Non è così?» chiese fintamente sorpresa.
Afferrò una mano squamosa di Liv e ci poggiò la bacchetta sopra.
Lei sospirò pesantemente, lasciandola però fare. Due tocchi della bacchetta di salice e quella cominciò lentamente a tornare normale.
«Non lo è. Stavo pensando a come ribattere e tra il compito di Trasfigurazione, quello di Erbologia e gli allenamenti con la squadra mi è sfuggito di mente» mise in chiaro Liv seguendo la bacchetta di Lily, adesso poggiata sull’altra mano.
«Strano»
«Non è strano»
«Strano che ti sia sfuggito con sotto gli occhi ventiquattro ore su ventiquattro questi due appariscenti e squamosi promemoria»
«Tu credi davvero che io non abbia voluto attaccare Black di proposito, Lily?!»
Il tono aggressivo, gli occhi scuri socchiusi e perfino i denti leggermente digrignati erano un chiaro segno di dolore trattenuto che Lily aveva sempre sperato di non vederle più addosso.
Anche Mary se ne accorse. Si sollevò dalla sedia per poggiare entrambi i gomiti sul tavolo e sentire meglio le sue due amiche invece della voce di quell’oca di Patricia Brown che rideva insieme alle amiche nel puf lì vicino.
«Questa guerra l’ho cominciata io, sì, è vero» riprese a dire Liv percependo una strana sensazione invaderle il petto. «E per questo motivo sarei una stupida a far vincere a tavolino Black» terminò la frase costringendosi a rimandarla giù come aveva imparato a fare da giorni.
«Stupida o attratta da lui» precisò Lily vedendo le squame verdine sparire dalla mano di Liv che con un balzo nervoso si allontanò di qualche centimetro da Lily strisciando rumorosamente la sedia per terra con così tanta rabbia da far cadere sul tappeto il libro di Ned.
«Va bene, l'ho fatto apposta» sibilò con la faccia ormai accartocciata in una smorfia.
Fissò con astio Lily e Mary come se al loro posto ci fosse uno specchio che rifletteva l’immagine di se stessa, lì con le sue due migliori amiche che la guardavano interrogative.
Cosa doveva dire? Che era soltanto la stupida attrazione per quell'altrettanto stupida bellezza insolente che Black sfoggiava senza neanche accorgersene e che lei percepiva sulla pelle da anni? Che Black le era piaciuto, inspiegabilmente come se si conoscessero già, dalla prima volta che l'aveva visto allo Smistamento? Che l'aveva sempre allontanato per quel suo vizio di fare scherzi davvero troppo pesanti a tutti?
«Ho fatto apposta a non trasformare subito Black in una sirena, ad evitarlo, a stargli lontano perchè sono attratta da lui. Ok?» si liberò riavvicinando la sedia a quella di Lily.
«Di nuovo, o sbaglio?» la punzecchiò Lily.
«Non sbagli»
«E allora?»
«Allora niente».
Non seppe dire chi tra il paio di occhi nocciola e quello di occhi verdi fosse il più assottigliato. Non era una pazza, anche se dall’espressione di Mary si poteva intuire esattamente quello. Era dallo Smistamento che sentiva qualcosa per lui, a partire da quella strana sensazione del primo sguardo fino a quelle più intense di quando era diventata un'adolescente più consapevole. Quando si avvicinavano come due persone normali, parlando, sembrava aumentare a dismisura ed era incontrollabile. Liv aveva fatto di tutto per levarsi di torno il Sirius bambino arrogante e fautore di scherzi davvero troppo pesanti rivolti a tutti, anche se per merito di quegli scherzi lei non si era più dovuta difendere dalle persone che avevano avuto da ridire sul suo cognome babbano, come Lucius Malfoy al primo anno o Evan Rosier fino all'ano precedente.
Sirius le aveva girato attorno dal giorno dello Smistamento, avevano legato a cena ed era bastato quel ''Olivia'' a far cadere tutto. Da quando Sirius le aveva fatto capire che il suo nome non era di sua madre, si era accorta che quel gesto arrogante non era stato poi così cattivo. Ma la bambina undicenne, intrisa del veleno fresco di sua madre, gliel'aveva fatto odiare. Sirus stava diventando pericoloso, adesso, sempre meno bastardo arrogante e sempre più come quel bambino di undici anni fiero di finire a Grifondoro, fiero di mostrare sempre se stesso che a lei era sempre piaciuto.
«E, se permettete, ve lo dimostrerò». E con quell’ultima frase, si riprese il libro di Ned per poi andare in camera a recuperare scopa e borsa con il necessario per gli allenamenti.
Scese al campo insieme a Michael e Daisy, con la fioca luce bianca delle nubi di Dicembre, lottando contro la neve che ormai copriva tutto.
Attraversando il campo erboso, il suo sguardo fu catturato da una fiammella azzurra tremolante sugli spalti, vicino ad una figura indistinguibile seduta tra le ultime file, incappucciata e ben coperta.
«C’è un freddo cane» balbettò battendo i denti Daisy, entrando dentro gli spogliatoi già occupati dal resto della squadra.
Harrison si scaldava braccia e gambe sfregandoci con forza le mani sopra e Morgan faceva lo stesso, parlottando con Carter che sembrava si stesse infilando tre paia di maglie della salute tutte insieme. James, chino sul baule delle palle, fischiettava tranquillamente.
«James?» lo chiamò Liv, perplessa «C’è una presenza abbastanza inquietante fuori, sugli spalti»
«Sì, sì» fece lui lanciando la Pluffa a Michael «É Remus, la nostra sentinella di oggi contro la spia dei Serpeverde».
Liv strabuzzò gli occhi.
«Ma si congelerà da fermo!»
«Ha quattro paia di mantelli invernali addosso, Liv. Il suo, il mio, quello di Sirius e di Peter»
Liv continuò a restare allibita e lo divenne ancora di più accorgendosi di Sirius, appena sbucato da sotto una panca con i lunghi capelli neri, sporchi di polvere, a coprirgli il viso corrucciato.
«Maledetto. Tanto sei tu». Lo sentì ringhiare a denti stretti mentre attraversava la stanzetta ad ampie falcate insieme a James che con la bacchetta in mano cominciò a frugare negli armadietti senza un reale motivo apparente, scandendo a chiare lettere la formula ‘Homenum Revelio’ ogni volta che apriva un’anta.
Liv si voltò per seguire con lo sguardo Sirius chinarsi sotto le sedie, spostare con gesti nervosi le divise rosse appese al muro ed infilare il naso nel minuscolo sgabuzzino con le scope della scuola.
Di certo, Black stava cercando uno spillo visto gli spazi stretti che continuava a controllare.
«Sirius? Lì dentro non ci starebbe nemmeno Vitious appallottolato su se stesso...» commentò James aprendo l’ultimo armadietto in legno ed affacciandosi dietro alla lavagna sporca di gesso.
«Ma qualcun’altro ci starebbe che una meraviglia... si sentirebbe proprio a casa...» rispose con astio Sirius spostando i manici di scopa che naturalmente caddero a terra per il poco spazio.
«Cosa diamine state cercando?» sbottò Liv.
«Io la spia dei Serpeverde, Sirius un granello di polvere... » le rispose ironicamente James fermando la caccia al tesoro.
«Ok» fece poi, battendo una volta le mani come per far muovere tutti «Cominciamo ad allenarci. Al resto ci penserà Remus».
Sirius seguì la squadra in campo, stando però sull’erba con lo sguardo guardingo.
Lanciò un’occhiata a Remus, sugli spalti, senza ottenere segnali. O si era completamente assiderato o la Mappa non aveva evidenziato nomi ‘estranei’.
James soffiò sul fischietto e i sette giocatori si sollevarono in aria insieme alla Pluffa, ai bolidi, al Boccino e a Sirius che sentendo il vuoto sotto ai piedi sbiancò di colpo come neanche James gli aveva mai visto fare. 
«Mettimi immediatamente giù, Olivia» esalò con un filo di voce attonita dopo aver piegato la testa all’indietro, verso il manico della Comet di Liv che dall’alto gli sorrise, sadica. «Ti arrendi tu, Black?».
«SPERO PER TE CHE SIA UN INCANTESIMO DI ADESIONE PERMANENTE QUELLO CHE MI TIENE LONTANO DALLA MORTE CERTA PER SFRACELLAMENTO AL SUOLO, MALEDETTA STRONZETTA!» le gridò contro sentendo il cappotto tirare con forza, attaccato al legno o alla mano dell’esaurita, e vedendo i fili d’erba sotto di lui diventare sempre più indistinguibili e lontani.
«Assolutamente no» mentì lei volando appositamente a zig zag per sballottarlo e farlo mugolare come un cagnolino spaventato. «E devo dire che il mio braccio comincia a risentire del tuo peso... potrebbe cedere in qualsiasi momento».
Sentì Sirius rabbrividire e ringhiare allo stesso tempo sotto le risa di James che però non toglieva gli occhi di dosso all’amico, stringendo la bacchetta in mano per tenersi pronto in caso di emergenza.
«Allora? Ti arrendi, ‘maledetto stronzetto’
«Io ti giuro...»
«Che strana voce. Sei sicuro di essere un maschio?»
«Vuoi per caso controllare?»
Nonostante la voce leggermente tremante, neanche a nove metri di altezza Black perdeva il suo malizioso sarcasmo e il vizio di fare battute ambigue. Si era per caso accorto che aveva davvero usato l’incantesimo di Adesione Permanente?
Senza stare a pensarci più di tanto, Liv puntò verso gli anelli liberi e dopo averci girato attorno un paio di volte con le imprecazioni sempre più volgari provenienti da sotto il suo manico di scopa, lasciò Black appeso a quello più alto, usando ancora l'Adesione Permanente al sentire un vuoto caldo al centro del petto soltanto pensando di vederlo cadere.
Lo vide diventare rosso e muto, con gli occhi grigi sgranati e le braccia arpionate al metallo rotondo come un koala o l’idiota che era.
Quando fece per allontanarsi, Sirius cercò di fermarla stendendo una lunga gamba che sfiorò la coda della Comet senza successo.
«Allena quelle braccia, Black, e poi ne riparliamo» gli disse con noncuranza Liv restandogli davanti a debita distanza, giusto per fargli capire che, se mai fosse scivolato, lei ci avrebbe messo qualche secondo in più per raggiungerlo prima di prenderlo al volo, magari a mezzo metro dal prato per fargli provare l’ebrezza del vuoto che dovevano sentire ogni giorno i suoi tre neuroni dentro al cranio.
«Sei... una pazza»
«Come, scusa? Non ti sento... alza la voce»
«VAFFANCULO! TU NON HAI ANCORA CAPITO CON CHI HAI A CHE FARE, OLIVIA! E COL CAVOLO CHE MI ARRENDO!»
«Nemmeno io, Black»
«JAMES, CHE CAZZO RIDI?!»
James, piegato sulla sua Nimbus, continuò a ridere insieme a tutta la squadra. Sirius però notò chiaramente la sua bacchetta ancora puntata verso di lui e a quella vista rilassò i muscoli dolenti delle braccia.
Come immaginava, si accorse di essere ‘incollato’ magicamente all’anello.
Quell’idiota di un cervo senza corna rideva soltanto perchè l’aveva personalmente messo al sicuro.
Spostanto lo sguardo su Liv, un fiotto caldo al centro del petto lo colse di sorpresa notando che anche la punta della sua bacchetta, seminascosta sotto le braccia conserte, lo puntava benevola.
 


 
Remus provò a scuotere la testa davanti a quella scena animata da degli evidenti psicopatici ma si rese conto di avere collo e testa insensibili.
Avere quattro paia di mantelli non serviva a un tubo. O forse ne avrebbe dovuto contare solo due dato che il suo era consumato e quello di Peter era buono solo a nascondere dozzine di dolci con le tasche extra che Peter stesso ci aveva cucito dentro.
Si coprì meglio la testa con i cappucci e afferrò il barattolo in vetro con la fiammella azzurra per scaldarsi almeno le mani.
La risata di Liv e le bestemmie di Sirius, che James cercava di far scendere dall’anello, si sentivano di sicuro fino al castello.
Sorrise facendo uscire un po’ di vapore che si disperse nell’aria ghiacciata e riabbassando lo sguardo sulla Mappa del Malandrino aperta sopra le ginocchia fece scorrere lo sguardo su tutto il campo disegnato nei minimi dettagli.
Il cartiglio di Sirius si muoveva di nuovo sull’erba, a scatti nervosi, esattamente come Remus lo vedeva fare dal ‘vivo’. Stava per controllare negli spogliatoi quando nella tribuna dei Tassorosso era appena spuntato dal nulla un nome, come se si fosse materializzato.
Remus sbattè più volte le palpebre per accertarsi di vedere bene e di non avere le visioni come conseguenza al cervello congelato ma il nome rimaneva lì.
Sollevò lo sguardo sulle vere tribune dei Tassorosso, dall’altra parte del campo, ma ovviamente non vide niente perchè troppo lontane.
Si concentrò ancora sulla pergamena e il nome, piuttosto strano non solo perchè privo di cognome, era ancora lì.
Puntò quindi la bacchetta verso il barattolo ancora tra le mani- «Engorgio»- e la fiamma blu aumentò. James si accorse del segnale e Remus si alzò in piedi per prepararsi a scendere in campo ma con sua sorpresa Sirius gridò lo stesso nome ancora presente sulla Mappa con una rabbia cieca e spaventosa, completamente senza controllo.

 
«KREACHER!»
 

Un piagnucolante elfo domestico, piegato in un profondo inchino, si materializzò immediatamente davanti a Sirius che, furibondo, lo prese per lo straccio  sudicio che lo copriva.
«Tu!» ringhiò con sguardo folle, sollevandolo da terra con la forza. «SCOMMETTO CHE É QUESTO IL NOME SULLA MAPPA, REMUS! VERO!?» esclamò a pieni polmoni in una risata fredda.
James calò velocemente di quota e appena mise i piedi a terra scese dalla scopa scaraventandosi addosso all’amico per staccargli le mani dal collo di Kreacher. «Sirius! Sappiamo che è un bastardo ma adesso basta! Gli fai male sul serio!»«É QUELLO CHE VOGLIO! ED É QUELLO CHE SI FAREBBE DA SOLO TANTO!» urlò Sirius vedendo l’elfo sgusciare via dalle sue e di James mani per correre verso la Nimbus lasciata a terra.
James, intuendo la sua mossa, lo rincorse e lo afferrò al volo prima che l’elfo riuscisse a darsi un forte colpo di bastone in testa.
«LASCIALO FARE, JAMES!» gridò con voce roca e gli occhi fuori dalle orbite Sirius mentre l’intera squadra atterrava sull’erba alle sue spalle; Liv, letteralmente sconcertata, per ultima.
«PUNISCITI QUANTO TI PARE, KREACHER! SPACCATI LA TESTA!» continuò ad inveire Sirius osservando l’elfo piangere e cercare di divincolarsi dalla salda presa di James.

 «NON DOVEVI FARTI SCOPRIRE, NON É VERO?! É QUESTO CHE TI HA ORDINATO QUEL DEFICIENTE!?»
«PADRON REGULUS NON È UN DEFICIENTE! PADRON REGULUS HA L’INTELLIGENZA E LA DIGNITÁ DI UN VERO BLACK!»
«COME NO!»
«KREACHER SA CHI INVECE LO É DAVVERO! KREACHER SA CHE É PADRON SIRIUS A ESSERE DEFICIENTE! LA LURIDA CANAGLIA INGRATA CHE HA SPEZZATO IL CUORE ALLA MIA POVERA PADRONA!»
«TACI!»
Liv spalancò gli occhi scuri, quasi tanto quelli di Sirius che sembrava stesse per uccidere qualcuno.
James dovette trattenere l’elfo con entrambe le mani mentre Sirius cominciava a sparare ordini uno dietro l’altro.
«PADRON REGULUS HA ORDINATO A KREACHER DI NON ESEGUIRE GLI ORDINI DI PADRON SIRIUS E KREACHER OBBEDISCE SOLTANTO ALL’UNICO VERO BLACK! KREACHER NON PRENDE ORDINI DA UNO SCHIFOSO TRADITORE DEL SUO SANGUE!»
«PECCATO, PERÓ, CHE GRAZIE ALLO ZIO ALPHARD SEI COSTRETTO E VINCOLATO AD ESEGUIRE ANCHE I MIEI DI ORDINI, KREACHER! E LO SAI PERCHÉ ALTRIMENTI ADESSO NON TI CALPESTERESTI I PIEDI DA SOLO COME INVECE STAI FACENDO!»
«Lo farai impazzire, Sirius!» esordì sconvolto e con il fiatone Remus, appena arrivato tra loro di corsa.
Sirius non staccò gli occhi illuminati da odio puro dall’elfo mugolante, diventando più gelido che mai.
«TI ORDINO DI NON METTERE MAI PIÚ PIEDI, MANI, OCCHI, ORECCHIE O QUALSIASI ALTRA PARTE DEL TUO CORPO QUI DENTRO, NEGLI SPOGLIATOI E NEI DINTORNI!»
Kreacher pianse più forte, strattonando James e puntando con i grandi occhi grigi e acquosi la mazza di Carter. James, accorgendosene, strinse maggiormente le dita sulla pelle rugosa e sporca dell’elfo.
 «E NEMMENO NELLA MIA SALA COMUNE, NELLA MIA CAMERA DEL MIO DORMITORIO O IN QUALUNQUE ALTRO POSTO IN CUI CI SONO IO, JAMES POTTER E TUTTA LA SQUADRA DI QUIDDITCH GRIFONDORO! TI ORDINO ANCHE DI NON DISUBBIDIRE A QUESTE MIE PAROLE, KREACHER, QUANDO REGULUS TI ORDINERÁ DI FARLO!»
James non mollò la stretta neanche quando Kreacher gli morse un braccio per tentare di mordere poi se stesso.  
«TORNA PURE DAL TUO ‘PADRONCINO’ O DALLA DOLCISSIMA WALBURGA! VAI! E PORTA I MIEI PIÚ SENTITI SALUTI!» gridò per finire Sirius sollevando entrambe le mani con due lunghe dita medie in bella mostra. Un secco rumore di smaterializzazione e Kreacher sparì.
Sirius, indiavolato, si diresse a passo di marcia verso gli spogliatoi e James lo seguì con una piccola corsetta. «Sirius!».
«Sapevo che i Black sono per certi versi  ‘Aristocratici’» esordì spaesato Michael con il casco da portiere sottobraccio. «Ma avere l’elfo domestico a scuola non sarà troppo?».
«Kreacher non vive qui... arriva da Londra» informò Remus con uno sguardo maledettamente serio rivolto ai suoi due migliori amici ormai oltre la metà del campo. «Regulus lo può chiamare quando vuole. Gli elfi domestici possono materializzarsi e smaterializzarsi dove vogliono, anche qui a Hogwarts».
La tensione incredibilmente negativa creata da Sirius aleggiava ancora nell’aria. Fu Harrison a spezzarla, prendendo in mano la situazione. «Forza, dobbiamo allenarci! Questo è soltanto un motivo in più per distruggere i Serpeverde, a gennaio!».
Liv, profondamente colpita, rimontò sulla scopa senza però riuscire a staccare lo sguardo dagli spogliatoi dove James e Sirius erano appena entrati. Spiccò in volo per ultima, sotto l'occhiata fugace di Remus che si strinse nei mantelli prendendo la direzione opposta a quella degli altri due Malandrini.
Dovevano stare da soli, quei due, e lui aveva decisamente bisogno di una doccia bollente o del fuoco del camino in Sala Comune.
 
 





 
 
«Sirius» soffiò James riaprendo la porta degli spogliatoi che Sirius aveva appena sbattuto con forza e che adesso respirava affannosamente al centro della stanzetta, dandogli le spalle. James le vedeva alzarsi ed abbassarsi velocemente, sfiorando i fluenti capelli neri.
C’era molto di più della rabbia per Kreacher in quel movimento ritmico intriso di emozioni tenute a bada da troppo tempo. 
«Rompi quello che vuoi, Sirius» esordì, osservando i pugni dell’amico chiusi spasmodicamente ai fianchi. Lui però non si mosse, il respiro affannoso era aumentato, ma non si mosse.
«Avanti, Felpato» lo incitò James con una punta di rabbia per riuscire a stuzzicarlo «Quello che vuoi».
Il forte sospiro rumoroso gli fece capire che stava per esplodere ed era un bene, perchè se Sirius continuava a tenersi dentro quella questione sarebbe esploso in un altro modo, di sicuro al San Mungo.
«FALLO!» gli gridò James dandogli una forte spinta sulla schiena. Sirius ringhiò, voltandosi con il lineamenti del volto completamente deformati da un’espressione addolorata e rabbiosa.
«NON SERVE, JAMES!» urlò spingendolo brutalmente a sua volta e facendolo finire schiena al muro.
James si rimise dritto, fissando con durezza gli occhi lucidi del suo migliore amico sempre più al limite. Il pomo d’adamo che saliva e scendeva sul lungo collo, velocemente come le spalle, e il naso dritto arricciato sopra le labbra affondate tra i denti per cercare di trattenere tutto ancora, ma non c’era più alcun ‘ancora’. 
Non seppe dire chi dei due fece il primo passo ma si ritrovarono abbracciati stretti, aggrappati l’uno all’altro con disperazione; James per sorreggerlo e Sirius perchè quello che aveva tra le braccia era l’unica persona che lo teneva a galla, la sua unica vera famiglia.
I respiri di Sirius si fecero più rumorosi ma ancora trattenuti e James lo strinse più forte.
«Quello stupido idiota ci é giá fottutamente dentro fino al collo» ringhiò Sirius con voce roca e vacillante.
James chiuse gli occhi, tenendolo sempre più stretto a sè.
«Lo so» mormorò e il respiro di Sirius da ritmico divenne singhiozzante e spasmodico.
«E IO NON POSSO FARCI NIENTE! DI NUOVO!» gridò in un lamento straziante e rabbioso, lasciandosi andare finalmente ad un pianto liberatorio sulla spalla di James.
 
 
 


 
*
 
 


 
Un forte suono di materializzazione ruppe il silenzio della camera di Regulus che sollevò gli occhi dai fogli della Gazzetta del Profeta con l’artcolo sull’ultimo attacco dei Mangiamorte che stava ritagliando con cura. 
Kreacher piangeva a dirotto, chino sul tappeto, colpendosi la testa sul baule con le sue iniziali.
«Kreacher!» lo chiamò allarmato il Serpeverde mollando fogli e bacchetta sul letto per lanciarsi verso di lui.
Kreacher ululò di disperazione aggrappandosi alla colonna del baldacchino mentre Regulus cercava di allontanarlo da qualsiasi cosa per evitare che si facesse male.
«KREACHER NON HA OBBEDITO! KREACHER HA SBAGLIATO, PADRON REGULUS! KREACHER È UN CATTIVO ELFO!»
«Smettila subito! Ti ordino di non farti del male!!»
Kreacher si fermò, singhiozzando con gli enormi occhi pieni di lacrime che gli bagnavano il viso rugoso.
«Tranquillo» gli fece con calma Regulus posandolo delicatamente sul materasso. «Spiegami cos'è successo, Kreacher». Si sedette al suo fianco, accarezzandogli la schiena nuda e tremante.
«Kreacher è un cattivo elfo, padron Regulus! Kreacher si è fatto scoprire!»
«Non è vero. Sei il più bravo elfo domestico che esiste, Kreacher. Respira e raccontami tutto».
Codaliscia, nascosto sotto al letto vuoto di qualcuno, rimase ad ascoltare quei due osservando Regulus asciugare le lacrime all’elfo come se fosse stato una creatura indifesa e da proteggere, non da usare come schiavo.
 
 
 

 
*
 




 
 
Cara Lily,
 
Come va lì a scuola? Spero tutto bene. 
No, non ti scrivo per dirti che finalmente Frank mi ha chiesto di sposarlo. Sembra proprio che nemmeno ci pensi! (Non è ridicolo? Insomma, io è dal quinto a Hogwarts che ci penso e lui... niente).
Comunque, il vero motivo per cui ti scrivo è per sapere se tu e le altre avete intenzione di andare a Hogsmeade questo sabato. Volevo saperlo perchè così chiedo il turno di guardia per il villaggio a Malocchio per vedervi! 

 
Fammi sapere al più presto! 
 
Un bacio a tutte e tre, 

Alice
 
 



A Lily, e anche a Mary seduta sulla sempre più scomoda sedia della Sala Comune, sembrò parecchio strano. Insomma, ricevere lettere da Alice prima di Natale non era nella norma. Si spedivano gli auguri di compleanno, certo, e le cartoline natalizie ogni dicembre ma a parte questo non avevano mai avuto una corrispondenza fitta.
Erano diventate amiche a Hogwarts ma non si erano mai definite amiche ‘per la pelle’. Alice era più grande e oltre alla differenza d’età avevano avuto poco tempo per frequentarsi.
La lettera che il gufo tutto arruffato le aveva appena portato quindi risultava per certi versi strana, esattamente come doveva esserlo quella che Remus- appena entrato in Sala Comune con una forma decisamente più rotondeggiante del solito data da quelli che sembravano quattro mantelli- stava leggendo con una faccia spaesata.
«Remus!» lo chiamò, sventolando una mano nella sua direzione quando lui sollevò lo sguardo sentendo il suo nome.
Mary sospirò piano vedendolo avvicinarsi a loro con ancora l’espressione perplessa stampata in faccia.
«Ciao, ragazze» salutò lui ripiegando la pergamena che Lily notò essere uguale identica a quella di Alice.
«Quella è per caso una lettera di Frank?» chiese piuttosto sicura.















 
 
 
 
 
 
 
 

 
*Per il Patronus di Lily ho avuto carta bianca, purtroppo (come per il milione di cose che la Rowling ha lasciato all’oscuro).
Ho provato quindi a ragionarci sù e ho deciso di non collegarlo al cervo di James semplicemente perchè se Lily l’avesse evocato quando era già innamorata, invece della cerva sarebbe venuto fuori il cervo di James (come Piton che ha la cerva identica a quella di Lily e non un cervo; oppure Tonks che non ha una lupa ma il lupo di Remus).
Il Patronus di Lily non è ancora completo (sarà corporeo anche grazie a James, più avanti) ma è già una cerva anche se Lily non è innamorata o infatuata di James (Volevo chiarirlo perchè prima che Lily si innamori in questa storia dovrà passare ancora un bel po’ d’acqua sotto i ponti).
Naturalmente, prima di fare questa scelta, ho cercato la simbologia celtica della cerva (perchè sappiamo tutti che la Rowling ha inserito geniali  simbolismi vari, sparsi in tutta la saga) e ho scoperto che rispecchia al cento per cento quello che dovrebbe essere il carattere e la personalità di Lily: gentilezza, generosità, purezza, coraggio,  guida e protezione, incarnazione della Dea Madre, spiccato intuito, amore puro.
Lily quindi ha in sè l’essenza della cerva e James del cervo (ho cercato anche quello ed è praticamente James). Non li ho collegati ma sono della stessa specie animale. Questo mi ha fatto pensare che Lily e James- pur restando indipendentemente loro stessi-  hanno anime affini, compatibili.
 



*Il Patronus di Liv. Lily ha azzeccato uno dei due animali? Sicuramente non è Felpato.
.

*La Smaterializzazione degli elfi domestici l'ho sempre ritenuta un problema perché potendo farlo ovunque eliminia la tanto osannata sicurezza di Hogwarts.
Nel secondo libro, Dobby si materializza in infermeria mentre a Harry stanno ricrescendo le ossa per colpa del ''bolide fellone'' incantato da Dobby stesso durante la partita. Dobby è arrivato lì (alla partita e poi in infermeria) da Villa Malfoy, fuori Hogwarts. Non era ancora nelle Cucine, quello accadrà quando Harry lo libererà a fine libro. Quindi Kreacher arriva da Londra, in questo capitolo, esattamente come Dobby nella Camera dei Segreti.

*“Lo sai a chi piaceva pronunciare il nome del Signore Oscuro, Weasley? A quelli dell’Ordine della Fenice, ti dice niente?” Greyback nel settimo libro, quando il nome di Vodemort era Tabù, proprio per trovare i membri dell’Ordine. “Non portano il giusto rispetto al Signore Oscuro. Ne sono stati trovati un po’, in questo modo”. Nella prima guerra, il nome di Voldemort non era nominato per il terrore che scatenava, ma si poteva pronunciare perché Silente nel primo libro dice alla McGranitt che ha passato undici anni a chiamarlo con il suo nome e a convincere tutti a chiamarlo senza paura. La McGranitt non lo chiama per nome, nel primo libro. Sirius e Remus, invece, lo fanno sempre.


*Il Buio Oltre la Siepe: Romanzo del 1960, di Harper Lee. Libro bellissimo con tematiche molto importanti, sopratutto di questi tempi, e che consiglio a tutti di leggere.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 25. Il Silenzio della Fenice ***



Nel testo ho inserito una citazione da ‘Il Buio Oltre la Siepe’ che non è di mia proprietà o creazione.
 
 



 
 
 
 
 
Capitolo 25
 

 IL SILENZIO DELLA FENICE

 
 

 

 
 
Caro Remus,
Sei ancora tutto intero dopo questo primo quadrimestre? Spero di sì anche se, conoscendoti, immagino tu abbia la testa tra i mille appunti del settimo anno e le braccia dietro a quei due pazzi di James e Sirius.
Spero di rivedervi tutti e quattro a Hogsmeade sabato prossimo! Ci sarete, vero?
A presto, Frank’
»
 
Remus sollevò lo sguardo su Peter, James e Sirius che erano rimasti in silenzio davanti al suo baldacchino mentre leggeva a voce alta la lettera. Non erano straniti come Lily poco prima. Peter stava di sicuro pensando ancora al suo racconto su Regulus che rassicurava Kreacher dicendogli di non preoccuparsi perchè non avrebbe più dovuto fare la spia e Sirius aveva la stessa faccia stravolta che aveva cercato  di camuffare da quando era tornato dagli allenamenti e per tutta la cena.
James era l’unico che sembrava ragionare sulle parole di Frank, ma dalla sua espressione Remus intuiva che non le trovava strane.  «E allora, Remus?» disse, infatti. «Frank vuole soltanto vederci e a me non può che fare piacere»
«Fa piacere anche a me, James» rispose lui, allibito «Ma non ti sembra fuori luogo? Nemmeno un po’? Frank che ci scrive per chiederci se dobbiamo andare al villaggio? Non è mai successo».
James fece spallucce. Con Frank avevano sempre avuto buoni rapporti nonostante i sei anni di differenza d'età. Frank Paciock era stato un grandissimo tifoso della squadra anche se soltanto per un anno, con lui aveva fatto delle piacevoli chiacchierate a tavola e in Sala Comune il primo anno, il settimo di Frank. Una volta, Frank aveva addirittura partecipato ad una Missione Notturna dei Malandrini per recuperare gli oggetti confiscati da Mastro Pringle*, tra i quali anche la pianta carnivora di Alice che il vecchio custode aveva trovato in bagno con la coda di Mr. Purr, il vecchio compagno di Mrs. Purr, tra i denti. Quella lettera quindi era soltanto un modo simpatico di Frank per dire a tutti che voleva vederli, magari per una Burrobirra come ai vecchi tempi.
«Alice ha scritto a Lily. E anche Lily dice che è strano» informò Remus osservando le labbra di Sirius schiudersi per dire con voce distante e scocciata che ‘tutto quello’ non aveva senso. Tipico di Felpato quando era lui ad avere la luna storta.
«Già» gli fece eco James anche se il suo viso si fece più perplesso. «Cosa pensa che ci sia dietro?» mormorò socchiudendo gli occhi dietro le lenti.
Un bussare educato alla porta chiusa sembrò la risposta alla sua domanda. Remus sorrise, indicandola con il pollice, e le sopracciglia nere di James si inarcarono, interrogative.
«Dev’essere Lily» spiegò Remus «Le ho detto che possiamo usare la nostra camera come ‘Quartier Generale’ per parlare senza essere disturbati». Fece per alzarsi ma James lo spinse di nuovo sul letto con gli occhi grandi quanto due Frisbee Zannuti e i boxer con gli stessi Ippogrifi del suo accappatoio in bagno come unico capo a coprirgli le gambe.
«Ma sei scemo, Remus!?» gracchiò sottovoce, scattando verso il baule mentre i colpi alla porta fecero pensare a tutti che con Lily ci doveva essere anche Liv. «Tu inviti Lily Evans qui... e non mi avvisi!?».
Remus restò a guardarlo arrancare tra il baule e ogni angolo della camera, come se fosse indeciso tra l’infilarsi un paio di pantaloni e riordinare tutto. Non seppe dirsi cosa gli fece più ridere tra l'indumento che cercava di mettersi sulle gambe o il fatto che era cotto a puntino, più di quanto era riuscito ad ammettere con fatica mesi prima.
«Un tempo questo caos era motivo di orgoglio, James»
«Chiudi la bocca e aiutami, Sirius!»
«E il non avere pantaloni sarebbe stata un’ottima occasione per fare qualche battuta volgare»
«Risparmiacela, Potter»
La voce ovattata di Lily, dietro al legno, gelò il sangue nelle vene di James che si infilò velocemente i pantaloni nascondendo contemporaneamente un miscuglio di libri e roba sotto al comodino.
«Alza il culo da lì e rifatti il letto, Felpato» sibilò imperativo. «Peter, raccogli le Piperille e quella rivista oscena! Remus... tu, beh... tu, aiuta noi, dannazione! Solo perchè la tua parte è pulita e hai il letto liscio come il sedere di un bambino non vuol dire che devi abbandonarci a noi stessi!».
Remus sorrise, alzandosi non per aiutare lui e Peter- Sirius era rimasto seduto a braccia conserte sul suo letto sfatto- ma per andare ad aprire la porta.
«Benvenute» salutò affabilmente facendo entrare Mary, Liv e Lily che si bloccò a metà stanza osservando con un sopracciglio sollevato le nodose e pelose gambe nude di James che sbucavano dalle maniche corte di una maglietta.
Con assoluta certezza, non aveva mai visto niente di più ridicolo in vita sua. Potter conciato in quel modo superava addirittura il fidanzato di Petunia quando aveva provato ad infilarsi l’aderente muta da sub, in vacanza al mare.
Scoppiò quindi a ridere di cuore, piuttosto rumorosamente, con gran sorpresa di tutti.
«Iniziamo bene» commentò in un sorriso incredulo Liv con gli occhi spalancati in direzione di Lily che continuava a ridere senza controllo contagiando Peter, Mary, Remus e Sirius, ghignante davanti alla faccia completamente rossa di James.
«Oh, Ramoso... questa sarà la prima nella lista delle cose da inserire nel mio discorso da testimone al tuo matrimonio con Bertha Jorkins» lo stuzzicò in tono malizioso.
James lo fulminò con lo sguardo senza però riuscire a fermare le labbra che si stavano inesorabilmente curvando verso l’alto.
Sentire Lily ridere in quel modo e vedere Sirius di nuovo in sè erano due cose che superavano qualsiasi imbarazzo per essersi infilato una maglietta al posto dei pantaloni o istinto omicida verso quello che era il suo migliore amico, il fratello che avrebbe dovuto difenderlo dalle figure di merda colossali come quella.
Remus chiuse la porta e Liv completò l’opera imperturbandola e chiudendola con due gesti consecutivi della bacchetta.
«Colloportus»
«Olivia? Non sei a ‘casa’ tua»
Liv rispose a Sirius lanciandogli un Incantesimo Tacitante e Lily, ripresasi dalla risata, tirò fuori la lettera di Alice cercando di ridarsi un tono.
«Dobbiamo organizzarci» sentenziò con gli occhi verdi luminosi e il sorriso ancora sulla labbra, accendendo in James la familiare sensazione di invincibilità che da tempo ormai non sentiva più.
Anche se quel ‘Dobbiamo organizzarci’ non aveva niente di divertente sotto, Lily sorrideva e il verde dei suoi occhi era acceso, non velato da paura o tristezza.
James sapeva che era sbagliato, che non aveva speranza, che lei stava con Owen, che l’ultimo nodo del capello rosso dentro il cassetto del suo comodino non si sarebbe mai sciolto... ma esisteva ancora una parte di lui che se avesse avuto una possibilità, anche infinitesimale, di rendere felice ed invincibile Lily come sembrava essere adesso, l’avrebbe fatto ad ogni costo e in ogni modo.
«Dobbiamo organizzarci perchè sembra proprio che gli Auror abbiano intenzione di farlo contro di noi» riprese Lily diventando davvero seria. «Alice e Frank sono i più forti che Alastor Moody ha, lo dice anche la Gazzetta»
«Non ti seguo, Evans» s’intromise Sirius scoccando un’occhiataccia a Liv che ricambiò senza scrupoli tenendogli la bacchetta puntata contro. Lily sospirò. «Ok» sbuffò, come se stesse cercando di convincere o forzare se stessa.
«Silente deve aver capito che c’è qualcosa che non va» ammise, osservando James schiudere la bocca. «No, Lily»
«Sì, Potter» sbottò sulla difensiva, andando velocemente avanti con il discorso imbarazzante. «Non sono brava a nascondere le bugie e non ho pensato di guardargli la barba o la cuffia a stelline che aveva in testa mentre parlava, ok?! Silente deve aver capito che abbiamo mentito quando gli hai detto che questo mese non è successo niente. Quindi, credo ci voglia tenere d’occhio a Hogsmeade. Per questo deve aver ordinato a Moody di chiedere a qualcuno di spedirci quelle lettere per sapere se saremo al villaggio».
Remus si grattò pensieroso la nuca. «Ma cosa pensa che vogliate fare, Lily? I Capiscuola non possono mica scappare o fare chissà cosa» obiettò, sentendosi addosso gli occhi di tutti.
«E se invece è riuscito a scoprire di più?» domandò liberando i pensieri.
«Di Marlene e Edgar che vogliono darsi alla macchia?» intuì Liv. Remus annuì.
«Per una cosa del genere avrebbe come minimo revocato l’uscita al villaggio» sentenziò James con Lily che gli fece da eco.
Per un attimo rimasero tutti in un silenzio imbarazzato con Peter che voltava la testa da una parte all’altra del gruppo per osservare ognuno di loro, alla ricerca di qualche espressione incerta come quella che sentiva di avere lui stampata in faccia.
Con grande sollievo si accorse che tutti, più o meno, sembravano avere tracce di paura negli occhi.
«E se Silente vuole proprio questo?» riprese Remus, pensieroso «Farci credere che non ha capito». Peter ridacchiò nervosamente.
«Sarebbe una cosa da lui» commentò cercando l’appoggio di James che gli sorrise a sua volta.
«Già» continuò Remus «Lui non annulla l’uscita per far vedere che non sospetta di noi o di Marlene e Edgar. Anche perchè, se sospendesse la gita le nostre ipotesi sull’esistenza di questo gruppo segreto verrebbero confermate e sono sicuro che lui non vuole questo. Lui vuole tenere tutto all’oscuro».
Il suo discorso logico e perfettamente sensato parve convincere quasi tutti.
«Non sono sicura che sappia di Marlene e Edgar, Remus» esordì Lily anche se le sue sopracciglia si erano avvicinate in un’espressione accigliata. In realtà non aveva la più pallida idea di quanto Silente poteva aver capito, visto, letto o qualsiasi verbo fosse adatto ad uno che riusciva a vedere le bugie negli occhi degli altri.
«Non ti sei neanche resa conto di cosa Silente ti ha letto in testa, Evans» sbottò Sirius in tono accusatorio.
«Avrei voluto vedere te, Black!» scattò aspramente lei con le guance rosse quanto i ciuffi dei capelli che le scivolarono davanti al viso. «Ti avrei proprio voluto vedere!»
«Non siamo qui per litigare» li fermò James, severo «Ma per restare uniti contro il nemico. Ricordate la filastrocca dle Cappello?».
A Liv sembrò di essere negli spogliatoi. Il tono imperioso ma incredibilmente rassicurante era tipico di James quando vedeva la squadra scontrarsi per la tensione o la stanchezza.
Notò Remus lasciarsi andare ad un piccolo sorriso. Forse anche lui pensava che James cominciava a vedere quel gruppo improvvisato- e sempre animato da ostilità- come una squadra.
«Qualsiasi cosa pensi Silente, a noi non importa» proseguì James con sguardo deciso «A noi interessa soltanto fermare gli unici che possono dirci qualcosa su questa organizzazione segreta. E anche se ci saranno il doppio degli Auror dell’altra volta- cosa molto probabile a questo punto, sopratutto se Silente sa di Marlene e Edgar come dice Remus- dobbiamo organizzarci per riuscire a fermarli, costi quel che costi, prima che lo facciano gli Auror. Anche se abbiamo la probabilità di riuscita pari a zero! Abbiamo soltanto un’unica occasione, impossibile da vincere ma ce l’abbiamo, non possiamo sprecarla!».
Volevo che tu vedessi che cos’è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo con il fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare ugualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.” 

Lily sbattè più volte le palpebre, per un attimo spaesata. Era come se Potter si fosse improvvisamente trasfigurato nella sua margherita segnalibro scomparsa nel nulla, perchè le sue parole l’avevano appena catapultata su quella pagina precisa del libro ‘Il Buio Oltre la Siepe’ che stava leggendo da settimane.
«E se andassimo da Silente dicendogli che sappiamo di questo suo segreto?» propose Peter grattandosi nervosamente le mani «Ci potrebbe dire lui tutte le informazioni...»
«Non ci direbbe mai niente, Peter» lo smontò Lily senza lasciare gli occhi nocciola di James, determinati quanto i suoi. «Silente ha la bocca cucita anche con Marlene e Edgar, figurati se ne parlerebbe con noi».
James sorrise, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel verde che senza le sfumature riflesse dell’azzuro di Owen sembrava ancora più bello.
«State infrangendo il regolamento dei Capiscuola» continuò Peter, agitandosi. Sirius gli mise una mano sulla spalla.
«Già, Evans, Pete ha ragione» sentenziò, con un sorrisetto «Non t’importa di farci disubbidire al Preside? Non t’importa di star mentendo a Silente non dicendogli cosa è successo questo mese?»
«Abbiamo fatto di peggio o sbaglio, Felpato?» sottolineò il nome di Animagus James, per fargli capire di darci un taglio con i punzecchiamenti inutili.
«Hai detto bene, James. ‘Abbiamo’. NoiMalandrini» riprese Sirius. L’eloquente schiarimento di voce di Remus rinforzò il concetto di James ma fu Lily a prendere parola, in tono asciutto, sollevando leggermente il mento e portando sfacciatamente gli occhi socchiusi dritti su quelli di Sirius.
«So cosa pensi di me, Black. Mi vedi stampato in fronte il regolamento scolastico come se il Cappello Parlante me l’avesse appiccicato addosso allo Smistamento. E puoi continuare a pensarla così. Ma adesso, se non vuoi far parte di questo gruppo che come hai sottolineato con infinita tristezza non è esclusivamente composto da ‘Malandrini’, dovresti farci lavorare seriamente per qualcosa di molto più importante del protocollo di Hogwarts».
Mary sorrise sotto ai baffi. Black si era appena beccato in pieno muso una ramanzina di Lily. E sembrava avesse anche fatto effetto. Gli occhi grigi si erano accesi al contrario del sorriso che si era spento come un candela al vento.
Quasi meglio dell’Incantesimo Tacitante, constatò Liv incrociando le braccia davanti al petto. Quasi, perchè la luce negli occhi grigi era chiaramente di sfida e le labbra si erano risollevate, riaprendosi.
«Quindi» lo fermò volontariamente in tempo Remus. Guardò Mary in una muta richiesta d’aiuto che lei sembrò capire al volo.
«Quindi lasceremo che Marlene e Edgar si nascondano in qualche vicolo lontano dagli Auror e se si divideranno, lo faremo anche noi» propose lei con gli occhi ridenti. «Chi sa evocare un Patronus efficace?»
«Perchè?» squittì Peter, improvvisamente allarmato.
«Perchè saremo scoperti, fuori dalle protezioni di Hogwarts» gli rispose schiettamente Liv «e se per caso i Dissennatori verranno a farci visita dovremo essere in grado di allontanarli prima ancora che un Auror si accorga che siamo in pericolo... magari troppo tardi».
Peter rabbrividì e Lily gli posò una mano su un braccio. «Se stiamo in coppie, in cui uno dei due sa evocare un Patronus, non ci saranno problemi, Peter» lo tranquillizzò prima ancora che potesse farlo James.
Sirius storse il naso a quella vista, infastidito. Evans si stava impicciando troppo per i suoi gusti. Vedersela in camera a dare ordini, zittendolo come se fosse stato un bambino di undici anni, e per di più osando mettere da parte i ‘Malandrini’ in quel modo... era troppo. E il fatto che stesse trasgredendo in modo serio le regole da Caposcuola gli metteva addosso una strana sensazione che non era del tutto sicuro gli piacesse come invece piaceva in modo evidente a quel rimbambito di James che si lasciava imbambolare.
«E poi non è detto che ci saranno i Dissennatori» aggiunse in tono pratico Remus, sorridendogli. «Questa è soltanto una precauzione».
Peter annuì, per niente convinto, avvicinandosi a lui. «Allora io starò con te» annunciò vedendo James e Sirius guardarsi a vicenda, scegliendosi con quel loro modo di parlare senza voce.
«Tu sai evocare un Patronus corporeo?» esclamò ammirata Mary. Remus arrossì, imbarazzato. «Be', sì» ammise. «Che animale è!?» chiese lei, curiosa, vedendolo aggrottare le sopracciglia castano chiaro.
«Un cane» intervenne James, ridente, e Remus sciolse i lineamenti in un sospiro impercettibile di sollievo mentre Liv e Lily assunsero due espressioni interdette.
«Un bellissimo e grandissimo cane» continuò James prima di riprendere a parlare. «Allora, Sirius con me...»
«Black, non sai evocare un Patronus?» lo interruppe Liv, accigliata.
Sirius sollevò un sopracciglio, senza minimamente pensare di dare sfogo a tutta la sua rabbia cresciuta ogni minuto di più nei confronti di Lily, anche se Olivia lo stava istigando parecchio.
Prima di tutto perchè aveva lo sguardo ammonitore di Remus inchiodato addosso come una freccia e poi perchè l’unico trattamento che si sentiva di riservare a Evans era pura e semplice freddezza.
«Sì, Olivia, non so evocare un Patronus. Ti crea qualche problema?» ribattè pungente seguendo con lo sguardo le sopracciglia castane arcuarsi leggermente.
«Non me ne importa niente» rispose lei scacciando dalla mente la sfuriata con l’elfo al campo.
«Io starò con Liv» si affrettò a dire Mary per stroncare un’altra lite «La sua volpe o gatto ha solo coda e orecchie ma dovrebbe essere efficace. Vero, Liv?».
Remus le sorrise ma fu costretto a riportare lo sguardo su Sirius che si era gonfiato come ogni volta che si preparava a dirne una delle sue. Anche James se ne accorse.
«Felp...»
«Una volpe, Olivia?»
«Sì, Black, potrebbe essere una volpe.Ti crea qualche problema
«Perchè mai dovrebbe darmi problemi una cosa perfettamente sensata? La troppa furbizia e l'essere egoista come una Serpeverde ti rispecchiano benissimo».
James riuscì a sfilare la bacchetta dalla mano di Liv prima che potesse scoppiare un putiferio.
«Sai una cosa, Black?» fece lei cercando di riprendersi la bacchetta con una piccola lotta contro il suo Capitano. «La volpe si mangia le galline. Quindi, dammi ancora qualche mese e preparati a conoscere la solitudine più nera stando senza spasimanti e momenti focosi in Sala Trofei».
Delle risate vibrarono nella stanza, alleggerendo la tensione. Perfino Sirius stesso si ritrovò a sorridere. Fu James a smettere per primo, rivolgendosi a Lily con una certa curiosità. Se Lily poteva stare da sola significava che anche lei sapeva evocare un Patronus, magari corporeo.
«Lily, tu?» chiese, vedendola portarsi una ciocca rossa dietro un orecchio con un certo disagio.
«Non sono ancora riuscita a convincere John» rispose lei, sbrigativa.
A quel nome, James serrò la mascella giusto il tempo per ingoiare un insulto pesante nei confronti del Corvonero.
«Hai parlato a quel... coso di questo piano?!» sbottò, improvvisamente astioso. Lily indurì le labbra. «Naturalmente, non gli ho detto niente. Nè del possibile gruppo segreto di Silente e nè del piano. I suoi amici rimangono al castello sabato ma lui vuole accompagnarmi al villaggio. Quindi, molto probabilmente, io starò con lui» precisò, altrettanto velenosa.
«E... John... sa evocare un Patronus?» domandò James con sfida, ignorando il breve cenno di diniego di Remus che, in parole povere, cercava di fargli capire che fare il geloso sarebbe stato utile quanto rompersi le braccia prima di una partita.
Lily infatti scattò.
«» fece, assottigliando gli occhi verdi per renderli taglienti esattamente come quelli nocciola che aveva davanti. «Non ha forma ma ha abbastanza forza. E comunque non mi serve qualcuno che mi difenda. So benissimo farlo da sola, Potter, con la mia mezza capra».
Tre dei quattro Malandrini strabuzzarono gli occhi. Peter, James e Remus, più di tutti.
Lily... una capra? Con tutto il rispetto per le capre ma quell’animale non aveva nemmeno un unico pelo che poteva richiamare Lily e il suo carattere.
A meno che John non avesse proprio quell’animale. Aveva letto sul manuale di Difesa che il Patronus poteva assumere la stessa forma della persona del quale si era innamorati. Lily era innamorata di John dopotutto, o no?
Forse, questo piccolo dettaglio avrebbe fatto meglio a non sottolinearlo davanti a James.
«Una capra?»
«Sì, Potter»
«Beh, in teoria non lo sai, Lily. A me più che una capra fa sempre pensare a una...»
«É una capra, Mary. E, scusate, che importanza ha l’aspetto? La cosa fondamentale è che faccia il suo dovere»
«Io non ci trovo niente di strano infatti. Perfetta anche questa, come la volpe»
«Sono sicura, Black, che dalla tua bacchetta prima o poi verrà fuori il serpente che saresti dovuto essere!»
«Stai esagerando, Lily»
Il tono di James suonò così serio e rabbioso che perfino Lily, incredibilmente sorpresa per quella reazione nei suoi confronti, ebbe la sensazione di aver esagerato.
Il viso di Sirius si era deformato in un’espressione talmente astiosa da sembrare stesse per aggredirla fisicamente.
Sapeva benissimo che Black era l’unico della sua famiglia a non essere un Serpeverde- lo sapeva tutta la scuola dal giorno dello Smistamento- ma non aveva invece la più pallida idea del perchè.
Certo, Black non vedeva i Babbani e i Nati Babbani come i vermi del genere umano e questo di per sè bastava a renderlo diverso da loro. Gli occhi grigi che la stavano crocifiggendo in quel momento però suggerivano dell’altro.
Ma per quanto Black potesse avere tutte le sue buoni ragioni per non essere un Serpeverde, Lily ogni volta che se lo ritrovava davanti non faceva altro che pensare allo scherzo sotto al Platano, al fatto che lui aveva pensato e tentato di uccidere Severus.
«Sei proprio sicura che sia una capra, Lily?» s’intromise Remus, appositamente per cambiare argomento.
«Potrebbe benissimo esserlo, sì» fece lei, improvvisamente senza più sensi di colpa ma soltanto odio cieco.
«Una capra» ripetè James.
«Sì, sì e SÌ!» ringhiò ancora Lily, decisamente infastidita «E questo tono schifato mi urta parecchio, Potter! Perchè non pensi al tuo di Patronus che, visti i tuoi precedenti*, è di sicuro un bue?».
Remus intervenne all’istante bloccando James, con occhi e bocca spalancati come l’ultima volta che Lily l’aveva paragonato a quell’animale.
«C’è un’altra cosa...» iniziò, andando a recuperare qualcosa dal suo comodino. Sirius capì, osservando l’amico frugare dentro ad un cassetto per poi tirare fuori la fotografia che fissava quasi ogni notte prima di dormire, facendosi luce con la bacchetta dietro le tende del baldacchino.
«Guardatelo bene» continuò Remus allungando la foto a Mary che la prese con incertezza, notando gli occhi ambrati davanti a sè farsi inspiegabilmente sfuggenti.
Lily e Liv si misero ai suoi due fianchi, per poter vedere bene.
A tutte e tre, quello scatto leggermente sbiadito ed animato ricordò qualcosa. Se fosse stato immobile sarebbe potuto benissimo essere scambiato con una di quelle foto con i carcerati dei film polizieschi babbani.
Il viso in primo piano, alquanto inquietante, prendeva tutto lo spazio dello scatto. L’uomo, se così si poteva definire, sembrava un barbone; Guardava l’obiettivo inclinando leggermente la testa scoprendo qualche dente affilato.
Una dentatura simile non era di certo normale, pensò Mary senza riuscire a capire perchè Remus avesse una foto del genere.

«É il... Lupo Mannaro che ha ucciso quel bambino settimane fa» informò con voce malferma Remus. Le testa castana di Liv e quella rossa di Lily si sollevarono all’istante, in contemporanea, verso di lui per poi spostarsi l'una verso l'altra, confuse.
«Come fai a saperlo? E ad averla? Ad avere questa foto...» gli chiese Mary sconcertata.
Remus arrossì davanti a quell’espressione spaventata. «Me l’ha spedita mio padre» le rispose ingoiando un grosso groppo in gola. Sirius, James e Peter tentarono di intervenire ma anche Mary alzò la testa per poterlo guardare.
«Tuo padre?» gli chiese perplessa «Non mi avevi raccontato che si occupa di Esseri indefiniti come i Poltergeist, i Mollicci e cose così?*»«No. Cioè, sì» si impappinò lui non riuscendo neanche a sollevare un braccio per portarsi come d’abitudine una mano alla nuca.
«Si occupa di queste cose ma da quando ero bambino- da quando Voldemort ha cominciato a reclutare ogni genere di creatura oscura-  il Dipartimento di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche gli ha chiesto di collaborare con il Ministero per riconoscere e fermare anche quelle meno pericolose, quelle in cui è specializzato mio padre».
Mary annuì con la testa, riportando lo sguardo sulla foto e Remus non potè fare a meno di immedesimarsi in quel Licantropo che Mary osservava con evidente terrore.
«Quindi collabora con il Ministero da anni? Lì ne vedrà di tutti i colori, anche Lupi Mannari...» ipotizzò Mary.
«Infatti, questa foto è vecchia» fece Remus sentendosi uno stupido che si era illuso di fronte all’entusiasmo di Mary per i Lupi Mannari.
«Quando hanno portato al Ministero quest’uomo, mio padre ha subito detto che era un Licantropo ma non gli hanno creduto. Così è rimasto libero. E adesso... quel bambino del Surrey... mio padre dice che è questo il colpevole. Anche l’altra volta si indagava per dei bambini babbani...*». La frase gli morì sulle labbra. Non aveva neanche più il coraggio di guardarla, di guardare Lily che lo stava fissando con insistenza o Liv, così seria da fare paura.
Si vedeva chiaramente quanto gli occhi nocciola di Mary fossero orripilati.

«Crediamo che il signor Lupin» intervenne James, con il suo solito e perfetto tempismo che salvava sempre tutti prima che affogassero «si sia dimenticato di scrivere il nome sulla lettera. Ma a noi non serve. L’importante è saperlo, riconoscere questa faccia in strada ed agire di conseguenza».
 «Appunto» fece Remus stringendo i pugni nascosti dentro le tasche dei pantaloni «Uno Schiantesimo non basta, per esempio. Sarebbe più utile legarlo con un Incant...»«Abbiamo capito, Remus» lo interruppe Lily con sguardo determinato e un pizzico di severità ad indurirle il verde degli occhi come se gli stesse dicendo che poteva anche smettere di farsi del male da solo, che lui non era come come quel Lupo Mannaro, nel modo più assoluto.
Ma Remus non lo sapeva, non sapeva cosa sarebbe diventato là fuori in mezzo a quella guerra che sterminava tutto e tutti.
E se fosse rimasto da solo? Senza James, Sirius e Peter? Cosa ne sarebbe stato di lui? Delle sue impronte da lupo non più accompagnate da quelle del cervo, del cane e del topo? Cosa ne sarebbe stato di lui e del suo lato umano?
Non osava nemmeno pensarci. Non era concepibile per il suo cervello pensarci.

«Grazie per avercelo fatto vedere, Remus» esordì Liv «Questo non è un Lupo Mannaro normale. La Gazzetta dice che morde in qualsiasi giorno del mese». Il suo tono di voce più deciso alla parola Normale era di certo voluto e anche abbastanza evidente perchè Lily aggrottò le sopracciglia portando lo sguardo su di lei.
Nonostante lo sconforto, Remus sentì gli angoli delle labbra sollevarsi di poco davanti alla dimostrazione del fatto che neanche Liv aveva detto del segreto alla sua migliore amica.

«Già» disse anche Mary puntandogli gli occhi addosso «Riconoscerlo potrebbe salvarci la vita se mai ce lo dovessimo trovare davanti un giorno».
 

Tu hai me davanti ogni giorno, Mary. Come posso salvarti la vita da me stesso?
 

«Allora siamo pronti per sabato?» incalzò James dopo aver notato Remus rabbuiarsi. Lily gli diede subito corda, con gran fastidio di Sirius.
«Credo di sì, Potter. Non abbiamo più nient’altro che possiamo controllare o decid...»«Ne siamo proprio sicuri?» la fermò Peter, facendosi piccolo al fianco di Remus. «Non sei costretto» gli rispose lei in un bellissimo sorriso rassicurante che Peter osservò con infinita gratitudine.
Vedendo Sirius scuotere piano la testa, però, sembrò cambiare idea.
«N-no, no. Va bene! Facciamolo» balbettò lanciando uno sguardo al proprietario degli occhi grigi che si accesero mentre le labbra cominciavano a sollevarsi e aprirsi nel suo solito modo sarcastico.
«Tranquillo, Pete» sibilò infatti Sirius «Non vorrai mettere in dubbio l’efficacia di una coda di volpe e quattro zampe di capra?»«BUONANOTTE!»«No, Mary, aspetta!» protestò con forza Lily piantando bene i talloni a terra per frenare l’amica che aveva cominciato a spingere verso la porta lei e una Liv pronta ad attaccare.

«Remus, rispondiamo a Frank e Alice con una bugia» sentenziò risoluta Lily, rimettendosi dritta «Gli diremo che non siamo sicuri, anzi, che non andremo a Hogsmeade neanche per sogno. Così loro non si prepareranno e magari neanche verranno. L’effetto sorpresa è la prima regola da utilizzare contro il nemico». Voltò la testa rossa verso James. «Non è così che dici sempre, Potter?».
James sgranò gli occhi, preso alla sprovvista di fronte alla domanda improvvisa e a quella rivelazione.
Lily lo ascoltava quando parlava? Anche quando faceva ironicamente finta di sbadigliare apertamente durante i discorsi di inizio anno in Sala Comune, per la presentazione della squadra prima del campionato?

«Esattamente così» approvò in un mezzo sorriso che Sirius si premurò di nascondere lanciandogli addosso il suo copriletto vermiglio.
 
 
 


 
**
 
 
 
 
 

La mattina della gita, una fredda luce accecante entrava dalle alte vetrate della Sala Grande tradizionalmente decorata.
I dodici altissimi alberi scintillavano insieme alle ghirlande di agrifoglio e vischio sulle pareti e sui camini, alle fate e ai Ghiaccioli Sempiterni tra i rami, alle candele sospese a mezz’aria e alla neve dorata che scendeva dolcemente dal soffitto nuvoloso (una novità che aveva sorpreso tutti ma soprattutto il professor Vitious e Silente che aveva dato trenta punti a Corvonero, come premio per una soddisfattissima Pandora).
Seduti alle quattro lunghe tavolate si potevano notare la metà dei ragazzi minorenni dai tredici anni in sù, intenti a spiluccare svogliatamente la loro colazione con l’invidia- rivolta a tutti i diciasettenni che avevano deciso di andare a Hogsmeade- ad irrigidire le loro labbra e ad inacidire i loro croissant.
Il resto di loro, invece, non sembrava volesse darsi per vinto e, come se davanti al portone di quercia dell’ingresso ci fosse il gruppo delle Sorelle Stravagarie al completo, se ne stavano tutti accalcati attorno ad un’isterico Gazza, sventolando pergamene con delle dubbie firme.

«Le giuro, signor Gazza, che i miei genitori me l’hanno spedito ieri sera! É il loro permesso! Sono le loro firme queste!»
«False, Jhonson! Tutto quello che dite sono falsità quanto affermare che appendere per i pollici studenti come voi sia diseducativo!»
 
Lily sorrise sulla sciarpa rossa e oro che le avvolgeva il collo, passando accanto all’ingombrante  fila di ragazzi e ragazze insieme a John, Mary e Liv, ben imbaccuccati come lei con sciarpa, mantello, cuffia e guanti.
Si erano alzati dai rispettivi tavoli della colazione appena Liv aveva visto Marlene, Pandora e la loro compagna di dormitorio- una graziosa ragazza indiana dai lunghi e setosi capelli neri- uscire dalla Sala Grande.
Varcarono tutti e quattro il grande portone riccamente decorato e il freddo li fece rabbrividire all’istante.
Per fortuna il vento non era molto forte e non stava nevicando anche se il cielo completamente nuvoloso e plumbeo, esattamente uguale a quello sulle volte della Sala Grande, prometteva bufera.
Mary cominciò a scendere i gradini innervati del cortile portando lo sguardo dalle nuvole al terzetto con le sciarpe blu-bronzo davanti a loro, chiedendosi poi se l’uomo alto e slanciato con il mantello verde scuro che camminava pochi metri avanti alle Corvonero fosse il professore di Difesa contro le Arti Oscure come sembrava.

«É il professor Dearborn quello?» chiese infatti Liv con i grandi occhi scuri ben aperti, in allerta. «Credo proprio di sì» le rispose John da sotto la sciarpa blu.
Lily si strinse nel mantello, guardandosi attorno per cercare altre strane presenze in un’uscita a Hogsmeade.
I professori di solito non partecipavano alle gite. A parte Lumacorno, ma Lumacorno era un caso a parte, si disse sentendo una leggera pressione sulla schiena dove John le aveva appena posato premurosamente una mano.
«Chi cerchi?» le domandò incuriosito. «Ah, ehm...» farfugliò lei, evasiva, riportando lo sguardo davanti a sè «Pensavo al portone. Avremmo dovuto chiuderlo ma ci penserà Gazza».
 Il cortile e la strada sterrata completamente bianca di neve e segnata soltanto da poche impronte erano liberi, a parte loro.
Quella situazione di certo non le faceva pensare alle solite uscite al villaggio prima di Natale.
Non c’era nessuna atmosfera di festa, niente allegria, chiacchiere eccitate, gruppetti saltellanti di studenti di ogni età. Lily per un istante sentì come se l’imminente tormenta si stesse preparando a cadere tutta sopra alla sua testa.
Si rese conto che era così che ci si doveva sentire nel mondo reale, nel mondo dove non c’era più spazio per ghirlande di agrifoglio e passeggiate spensierate per tutti, tredicenni compresi, dove l’unico problema ad appesantire la mente era che regalo fare ai parenti.

La risatina allegra di Pandora le fece spostare lo sguardo dagli abeti candidi che dondolavano al vento ai lati della strada e si accorse che al grande cancello in ferro battutto c’era Frank che parlava con James e gli altri Malandrini sotto l’occhio attento di Alastor Moody, in compagnia di altri due Auror.
Più avanti, oltre i pilasti con i due cinghiali alati, Lily riuscì a vedere quattro lunghe sciarpe Tassorosso svolazzare al vento.
Osservò James salutare frettolosamente Frank con la mano prima di spingere Peter fuori dal cancello quasi con la forza, dietro Sirius e Remus.
Quando anche Marlene e le sue amiche li seguirono a ruota, Lily si trovò faccia a faccia con un Frank a dir poco basito.
«Anche voi avete cambiato idea?» chiese, rosso non solo sulle guance ma anche su collo e orecchie. Lily annuì con un debole sorriso. «Sì» rispose sentendosi leggermente in colpa. «É stata una settimana più faticosa del previsto, Frank. Ci serviva staccare»«Certo, certo. Posso assolutamente capirvi. Ma Alice avrebbe voluto vedervi. Beh, allora... buon divertim...»«Paciock! Basta parlare!» lo redaurgì Malocchio facendo sussultare John al fianco di Mary.

Lily si scambiò una veloce occhiata con Liv- che si portò una mano sopra al mantello, all’altezza della tasca interna con la bacchetta- e vedendo Mary fare un profondo respiro salutò Frank prima di uscire dai confini di Hogwarts.
Anche Liv rimase un attimo immobile dopo aver oltrepassato le due colonne in pietra, come se anche lei avesse sentito la sua stessa impressione.
Quel cancello, quel muro trasparente di incantesimi protettivi, quella linea invisibile che separava il castello dal resto del mondo erano sempre esistiti eppure adesso erano diventati così importanti e fondamentali tanto da sembrare di poterli toccare.
Un lontano paio di occhi nocciola la puntarono per un istante fugace, prima di lasciarla a fissare la nuca nera scarmigliata mentre lo strato di neve schiacciata riprendeva a scricchiolare sotto alle scarpe.
Appena svoltarono la curva del bivio con i due cartelli che indicavano le direzioni opposte di Hogwarts e Hogsmeade, raggiunsero il villaggio con i suoi tetti spioventi ed abbondantemente innevati.
Di sicuro era meno addobbato degli anni precedenti.
Soltanto qualche casa aveva una ghirlanda di agrifoglio e pigne appesa alla porta, il vischio alle finestre e un albero decorato con candele incantate. Le vetrine sbarrate erano aumentate così come gli Auror che sbucavano da tutte le parti come Doxy.
C’era però un allegro chiacchiericcio e un bel po’ di gente che entrava ed usciva dai negozi aperti con buste e pacchetti colorati.
Era strano non vedere altri studenti in mezzo a quelle famiglie con bambini e vecchietti che non indugiavano mai troppo tempo in strada per paura di qualche attacco. Lily glielo leggeva negli occhi attenti e leggermente spalancati che seattavano in tutte le direzioni.
Era strano non vedere le sciarpe colorate delle quattro Case, sì, strano e soprattutto ingiusto. Ecco perchè Silente non aveva cancellato la gita, perchè era quello che avrebbero voluto i Mangiamorte.
Il terrore, la paura, lo stare rinchiusi in casa o al Castello, il cambiare il proprio stile di vita soltanto perchè c’erano dei mostri ad uccidere chiunque non la pensasse come loro.
Ecco perchè Silente non aveva cancellato la gita ed ecco perchè dovevano restare lì, a combattere o semplicemente a vivere normalmente senza lasciarsi bloccare da quelli che cercavano sempre più potere.
Quelli da bloccare erano i Mangiamorte, non le persone che avevano il sacrosanto diritto di farsi un giro a Londra o a Hogsmeade quando e come volevano.

«Da dove iniziamo, John?» gli chiese prendendogli una mano guantata, con forse un po' troppa forza, seguendo con lo sguardo Marlene che entrò dentro Mielandia facendo tintinnare lo scacciapensieri della porta verde menta. «Dagli Scarafaggi a Grappolo per il tuo fratellino?».
John tentò di acconsentire ma non ne ebbe il tempo. Fu trascinato letteralmente da Lily dentro al negozio mentre Liv e Mary si appostarono davanti alla vetrina, nel caso Marlene fosse uscita di sottecchi mischiandosi con la folla.

«Non è giusto però»
«Mary»
«Voglio dire... potevano stare loro due qui fuori. Glieli avrei presi io gli Scarafaggi per il fratello»

Liv sorrise, guardandosi attorno. Gli Auror erano il doppio dell’ultima volta, non c’erano dubbi, e molti avevano gli occhi puntati su lei e Mary.

Che vuoi da noi, Silente? Si può sapere?


«McAdams, non state fuori. Fa freddo ed è pericoloso».

La voce improvvisa del professor Dearborn fu come un fulmine a ciel sereno. L’uomo si tolse il cappuccio dalla testa, fermandosi davanti a loro.
«Stiamo aspettando una nostra amica e il suo ragazzo» rispose Liv indicando Mielandia alle sue spalle.
Il professore sollevò un sopracciglio. «E voi? Non entrate?» indagò in tono pacato.
«Sono allergica al caramello, professore» mentì Mary diventando più rossa dei bastoncini di liquirizia nella vetrina spruzzata di neve. «Anche solo l’odore mi fa male. Olivia mi fa compagnia».

Liv le scoccò un’occhiataccia sentendo il suo nome intero prima di puntare il professore che annuì, entrando velocemente dentro Mielandia senza dire altro.

«Cavolo, non so neanche come ho fatto a spararla così grossa davanti a lui!» boccheggiò sottovoce Mary sventolandosi le mani coperte dai guanti davanti al viso bordeaux.
«Mary» mormorò Liv, in allerta. Strinse un braccio all’amica avvicinandosi cautamente alla porta per seguire con lo sguardo il professore, attraverso il vetro.
«Questo non è un buon segno» sussurrò ancora, sentendo l’agitazione invaderla.
Il professore era già sparito tra la gente che indicava gli scaffali colmi di dolci e assaggiava lecca lecca a forma di albero di Natale ma Marlene era appena apparsa vicino al banco dei Calderotti, trafelata e sola. Sembrava si stesse nascondendo, con gli attenti occhi azzurri grandi quanto le palline di zucchero filato sospese nel soffitto.
«Cosa non è un buon segno?» fece Mary, spalancando gli occhi nocciola su Liv.
«Marlene si nasconde dal professore e il professore è entrato di corsa dopo che ha visto noi due qui, appostate» spiegò lei vedendo Marlene infilarsi tra due signore nello stesso istante in cui il professore di Difesa raggiungeva il bancone.
«E quindi?» chiese Mary senza fiato. Si affacciò anche lei al vetro della porta di Mielandia che però si aprì di scatto lasciandole quasi naso contro naso con Marlene.
«Scusate» fece la Corvonero richiudendo con un botto la porta del negozio e passando senza troppi complimenti tra Mary e Liv che non esitò a fare l’unica cosa che le suggerì la mente: Chiuse con un gesto della bacchetta la serratura di Mielandia e trascinò con sè l’amica senza farsi notare troppo dagli Auror.

Mary boccheggiò, incredula. «Liv, ma ti rendi conto di cosa hai app...?»«Ci serve per prendere tempo, Mary» si giustificò senza giri di parole lei. «Il professore o Lily si renderanno conto che ci vuole un Alohomora ma intanto noi saremo già da qualche altra parte con Marlene... se ti sbrighi a camminare... senza dare nell’occhio. Gli Auror ci fissano».

I piani che avevano fatto giorni prima erano praticamente inutili. La questione non era più ‘Fermiamo Marlene e Edgar prima degli Auror’ ma ‘Fermiamo Marlene e Edgar prima degli Auror e del professor Dearborn’, il professore che da quanto raccontato da Lily aveva partecipato alla riunione nell’ufficio del Preside dopo l’attacco dei Dissennatori. Era quindi uno di quelli che faceva parte dell’associazione segreta. Questo, a parte complicare parecchio le cose, rivelava che Silente sapeva dei due ‘fuggiaschi’.
Almeno non ci sono Dissennatori... anche se farebbero comodo per distrare gli Auror.
 
 
 
 

*
 
 
 
 
«Già fatto, già fatto, Stevens! É la prima cosa che mi ha detto di comprare! Alla festicciola non ci può certo mancare!» ridacchiò Hagrid nel suo lungo cappotto di castoro. «Horace non se l’è sentita di ficcare il naso fuori dalla scuola».
Edgar, al fianco di Ned, sorrise rigidamente davanti ai sacchetti di ananas candito che il grosso Hagrid gli stava dondolando davanti al viso.
Una carrozza tintinnante, per via delle campanelle appese al lungo collo del cavallo scuro che la trascinava, si parcheggiò davanti al gruppetto dei Tassorosso e i Malandrini sgusciarono via dalla grande botte fuori da una casa per intrufolarsi dietro l’albero di Natale dei Tre Manici di Scopa.
«James?»
«Non ora, Remus»
«Ma se non sai neanche cosa sto per dire»
«Vuoi rapirlo adesso»
«No, vedi? A parte il fatto che non dobbiamo ‘rapirlo’...»
«Gli Auror ci stanno guardando male»
«Esatto, Pete. Era quello che volevo dire»
James spostò la sua attenzione verso gli uomini in divisa fermi davanti ad ogni porta e bivio, rendendosi conto che la metà di loro li stava effettivamente guardando male. Ma un uomo e una donna- vestiti normalmente ed appostati davanti al negozio di piume Scrivenshaft- fissavano senza farsi notare e ad intervalli regolari  i Tassorosso, più precisamente Edgar.
Con stupore, James riconobbe la ragazza. Ricci capelli neri, lineamenti duri e sguardo fermo: era la strega dalla pelle scura che spuntava ogni tanto al castello; era Dorcas e doveva per forza far parte della Resistenza segreta dato che la mattina dell’attacco alla Testa di Porco lei aveva fatto parte della riunione infinita nell’ufficio del Preside.
James spostò lo sguardo sul suo compagno ma non riuscì a capire chi fosse. Non era lo stesso vecchietto dell’altra volta, era molto più giovane e alto. L'aveva già visto, però, forse i primi anni di scuola quando i ragazzi oltre il quarto non Grifondoro non erano nemmeno nei suoi pensieri*.
«Avevi ragione, Remus. Come sempre» borbottò aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Silente sa che vogliono scappare e ha mandato la scorta a recuperarli».
Remus annuì. Al Preside non ne sfuggiva una. O no, forse una sì. La storia degli Animagus, per esempio.
«Dovremmo smetterla di fare i loschi» suggerì poi, facendo finta di legarsi una scarpa.
«Sì, ma non solo per gli Auror» puntualizzò in fretta James. «Anche per quei due davanti al negozio di piume. Fanno parte del gruppo segreto di Silente, come Hagrid».
Peter squittì. «Stai dicendo che siamo circondati, Ramoso?! Ma allora ci siamo preparati per difenderci dai Dissennatori per nulla?! Invece di pensare a fare qualcosa per sviare tutta questa gente».
Sirius lo tenne fermo, stringendogli un braccio. «Guardate chi arriva» avvisò, indicando con un cenno del mento la strada.
La bionda capigliatura lunga e riccia di Marlene si muoveva al vento insieme ai radi fiocchi di neve che avevano cominciato a cadere. Più indietro, Mary e Liv camminavano tranquillamente fianco a fianco, fermandosi ogni tanto davanti a qualche vetrina.
Gli occhi scuri di Liv adocchiarono quasi subito quelli grigi di Sirius- tra i rami dell’albero decorato- mentre seguiva la Corvonero, ormai davanti a Ned e Edgar.
«Oh,  Mary!» la salutò allegramente Hagrid sollevando un’enorme mano che stringeva almeno cinque sacchetti pieni di dolci. «Non ci immagini mai di cosa ha combinato il tuo Newt stanotte! Per poco non rimanevo secco!».
Edgar, Ned e Marlene ne approfittarono per sgattaiolare dentro i Tre Manici di Scopa e Liv fu costretta a fermarsi accanto a Mary. Lanciò un’occhiata a Sirius e lui sbucò fuori dal nascondiglio insieme a James che, passandole affianco, le chiese sotto voce dove fosse finita Lily.
«Mielandia. Professor Dearborn» gli sussurrò velocemente lei mentre Mary rideva di cuore per le ‘mirabolanti capovolte nel secchio degli scarabei’ del cucciolo ribelle di Occamy che le era stato dato in custodia per tutto l’anno e che fuori dalle lezioni stava da Hagrid, insieme ai suoi simili.
James annuì, anche se spaesato, seguendo Sirius dentro il pub infilandosi una mano in tasca, ad afferrare il bottone. Sperò con tutto se stesso che Lily avesse il suo.
Il piacevole calore al dolce profumo di Idromele li avvolse appena aprirono la porta in un vortice di aria gelida e neve.
Tra il fumo, le decorazioni natalizie e la gente chiassosa, videro i due Tassorosso e la Corvonero sedersi al tavolo dove Sam Stebbins e Wayne Abbott sorseggiavano già le loro burrobirre fumanti.
«Buongiorno, teppisti! Servo questi e sono da voi» li salutò in un aperto sorriso Madama Rosmerta camminando velocemente sui suoi tacchi viola, facendo levitare davanti a lei tre vassoi con sopra traballanti bicchieri di ogni forma e colore.
«Non puoi far aspettare due bei ragazzi come noi, Ros!» le urlò dietro Sirius in una risata.
Lo sghignazzare di James, spintonato giocosamente da Sirius, si affievolì quando vide Regulus Black fissarlo con sguardo cupo dall’angolo che aveva scelto per bere una Burrobirra con un’altro Serpeverde.
Ci avrebbe pensato un altro giorno a lui, a quell’idiota senza cervello e senza sentimenti neanche verso il suo unico fratello. Si spense del tutto, invece, notando la testa bionda di Marlene sgusciare tra i tavoli insieme a quella rossa di Edgar.
«Sirius» bisbigliò afferrando il cappuccio del nero mantello di Sirius per richiamare la sua attenzione che si era momentaneamente persa verso il vetro punteggiato di neve della porta, dove la figura di Liv si sfregava le mani per il freddo nell'attesa che Mary finisse di parlare con Hagrid.
«Che c’è?» fece lui, voltandosi per non farsi strozzare.
Per un attimo non vide altro che Ned Stevens intento a scrivere qualcosa su un foglietto di carta mentre Abbott e Stebbins parlavano come se gli stessero chiedendo qualcos’altro da mangiare o bere. Soltanto dopo si accorse delle due assenze al tavolo.

«Allora?» esordì allegramente la bella proprietaria del pub, arrivando accanto a loro con i tre vassoi vuoti stretti al petto. «Non vi siete lasciati intimorire dai Dissennatori, eh? Ci avrei giurato!».
Il bello e giovane viso di Rosmerta però cambiò decisamente espressione di fronte alle facce preoccupate dei due studenti che mai e poi mai avrebbe detto di poter vedere così seri. 
«Ragazzi?» li chiamò spaesata perchè, di norma, quei due insieme non facevano altro che farla morire dalle risate. «State bene? Non sarete per caso sotto Maledizione Imperio?»«Oh, si certo che stiamo bene, Ros! Con te io sto sempre bene. Sei tu che mi hai lanciato qualche incantesimo amoroso...dillo!» si riprese Sirius amiccando scherzosamente nella sua direzione e facendola scoppiare a ridere.
James sussultò a quel suono squillante e cristallino ma non perse di vista Marlene e Edgar che sembravano diretti ai bagni. E adesso chi avrebbe seguito la Corvonero senza destare sospetti?
Caro Felpato, abbiamo finalmente trovato uno scopo per il tuo delizioso aspetto femminile. Magari due treccine... e sarai perfetto...
«Per l’amor del cielo, Sirius. Non cominciare» fece ridente lei, superandoli per raggiungere il retro del lungo bancone in legno. «E non provate neanche a chiedermi del Whisky... non adesso, per lo meno» aggiunse con sguardo complice, riponendo i vassoi al suo posto.
La porta alle loro spalle si aprì, facendo rabbrividire le persone ai tavoli vicini.
Liv e Mary, infreddolite e spruzzate di neve, fecero il loro ingresso insieme ad un arcigno goblin che chiuse di nuovo l’uscio bofonchiando qualcosa sulla Scozia a dicembre e sulle ossa doloranti.
Con pochi passi le due furono accanto a James, Sirius e Ned Stevens, appena arrivato al bancone allungando gentilmente il foglietto con la lista delle cose da comprare a Madama Rosmerta che subito si affaccendò per riempirgli un vassoio.
«Hey» salutò in un sorriso amichevole il Tassorosso, appoggiandosi comodamente al legno «Per fortuna non c’è Lumacorno a ricordarci dell’ ‘Imminente festicciola’». Tutti risero, dandogli ragione. «E della ‘fortuna sfacciata che avete per merito mio’» aggiunse James- in una perfetta caricatura del professore di Pozioni- continuando a seguire con gli occhi Marlene e Edgar, diretti proprio in bagno.
«É vero che avete una fortuna sfacciata» obbiettò Liv «Conoscere il Capitano dei Puddlemere United è avere fortuna sfacciata». James e Ned le risposero nello stesso istante. «A proposito di questo»- ma a continuare la frase fu solo James- «Vieni con me alla festa e la fortuna sfacciata l’avrai anche tu».
Liv s’illuminò. «Sul serio?» fece, con un sorriso così aperto e smagliante tanto da accenderle ed ingrandirle gli occhi scuri come Sirius non le aveva mai visto fare. James rise. «Certo!» le disse dandole un leggero pugno sul braccio e Mary notò chiaramente Ned sgonfiarsi come un palloncino mentre prendeva il vassoio carico di bicchieri e salutava tutti allontanandosi a passo incerto.
«Vado in bagno» annunciò improvvisamente James. «E tu vieni con me» precisò, trascinando via Liv- che non ebbe il tempo per chiedere spiegazioni- sotto l’occhio sconcertato di Madama Rosmerta.
«James non me la racconta giusta» convenne la donna, assottigliando gli occhi chiari. «Cosa gli è successo?» chiese a Sirius che fece spallucce senza togliere di dosso lo sguardo attento dall’amico, con l’intenzione di restare di guardia al bancone.
«Ragazze, Ros. Non sa cosa significa galanteria. Invitare ad una festa una ragazza e portarla subito in bagno dopo nemmeno mezzo minuto... bah. Non è di certo come me» rispose in un mezzo sorriso sghembo che fece ridere di nuovo Rosmerta e sollevare un sopracciglio biondo a Mary.
Il vivace tintinnio dello scacciapensieri alla porta accompagnò una folata d’aria e fiocchi di neve. Madama Rosmerta annuì, scuotendo la testa in quella direzione. «Capisco» mormorò in un sorrisino prima di allungarsi a prendere due boccali vuoti che due clienti avevano appena poggiato sul bancone.
Seguendo il suo sguardo, Sirius si girò notando Lily e John entrare nel pub mano nella mano. Gli occhi verdi puntarono subito Mary senza spostarsi di un millimetro mentre il Corvonero si accingeva a chiudere la porta.
A dare una risposta alla muta domanda, però, fu Sirius che si ritrovò a sussurrarle “In bagno” quando Lily gli passò accanto, stando appositamente dietro John che cercava un tavolo. Lei annuì, liberando i lunghi capelli rossi dalla cuffia e portandosi dietro Mary.
«Povero James» borbottò in un sorriso Rosmerta asciugando con uno strofinaccio un bicchiere pulito per Sirius che seguì con lo sguardo l'alta coda di cavallo corvina di Olivia sparire nel bagno delle ragazze.




 
*





«É occupato?» esclamò Liv bussando debolmente ad una porta. Il chiasso della sala principale arrivava ovattato, lì, in quel piccolo bagno semibuio con i lavandini lucidi e gli specchi schizzati d’acqua.
Si guardò attorno mentre aspettava una risposta che però non arrivò. Le altre due porte erano aperte, Marlene non poteva essere di certo seduta su un water in bella vista.
Abbassò la maniglia della porta chiusa ritrovandosi davanti ad un altro wc libero e alla piccola finestra ad un’anta, aperta.
«Dannazione» sibilò tra i denti.
Uscì di corsa dal bagno delle ragazze per entrare in quello dei ragazzi, vedendo le gambe di James sbucare dalla finestra, identica a quella che doveva aver usato Marlene per scappare dall’altro bagno.

«James!»
«Liv! Aiutami! Buttami fuori! Non abbiamo tempo per fare tutto il giro della strada!»

Aveva perfettamente ragione e Liv non se lo fece ripetere due volte. Salì sopra al water, quasi scivolando sulla ceramica, e prendendogli  le gambe lo spinse dall’altra parte.
Sentendo il tonfo sulla neve e poi la sua voce assicurarle che stava bene, si issò anche lei con sforzo sul davanzale e grazie ad un piccolo salto riuscì ad affacciarsi fuori.
James le afferrò le braccia per tirarla a sè e farla arrivare a terra, al suo fianco.
«Ok» annaspò poi, osservando il piccolo vicolo innevato che dava sul retro di diverse case e negozi. «Se soltanto...» ringhiò con rabbia frugandosi nelle tasche.
«Cosa?» gli chiese Liv.
James mosse la testa come per scacciare via un pensiero scomodo e,  lasciando perdere il bottone, tirò fuori dal mantello lo specchietto quadrato.
«Sirius» lo chiamò con urgenza mentre gli occhi scuri di Liv si allargavano a dismisura riconoscendo l’oggetto.
«James. Dove siete?». La voce di Sirius si confondeva con le chiacchiere del pub e la vista dal basso del suo viso serio, che ogni tanto spariva dietro il buio della stoffa, fece capire a James che non potevano parlare liberamente.
«Uscite da lì e cercateli in strada» ordinò. Lo vide annuire prima di sparire dallo specchio, lasciando posto al suo e di Liv riflesso.
«Genialata» commentò lei, facendolo scoppiare a ridere.
«Modestamente»
«Non l’ho detto per farti montare la testa, Capitano»
I sorrisi divertiti stonavano parecchio con la situazione tesa e con l’improvvisa consapevolezza che strinse lo stomaco di Liv quando pensò che erano a Hogsmeade. Hogsmeade, fuori dai confini di Hogwarts.
«Non c’è bisogno di fare questa faccia, Liv. Siamo all’aperto, anche se mi gonfio quanto una torta nuzial...»
«Si sono Smaterializzati!» lo fermò lei, sconvolta. «Sono usciti dal pub e si sono smaterializzati lontano da tutti! Li abbiamo persi, James!» quasi urlò portandosi le mani alla testa mentre i lineamenti di James si afflosciarono come le sue spalle.
Non era possibile. No. Come avevano fatto a non pensare a quel dettaglio?! Avevano pensato ai Dissennatori, agli Auror e non alla cosa piò ovvia ed importante di tutte: La Smaterializzazione.
Ma non aveva importanza, non più ormai. Erano andati. Magari erano già a Londra o chissà dove.
Il vuoto che sentiva dentro e nelle mani, come se si fosse lasciato sfuggire il boccino per un soffio, parlava chiaro: Non c’era più niente da fare. La possibilità di fermarli era sfumata via insieme all’opportunità di partecipare a quella guerra, subito, in modo tale da avere già un posto in quel mondo così precario e oscuro che voleva la maggioranza dei maghi e delle streghe morti; Che voleva Lily morta.
Un posto che dava speranza e prometteva giustizia. Un posto che faceva paura, una paura però che valeva la pena di provare se serviva a distruggere l’altra... quella che seminavano i Mangiamorte e Voldemort stesso.
Sentendosi insopportabilmente impotente, incrociò lo sguardo di Liv scoprendolo stranamente lucido e disperato.
«Liv?» mormorò, sorpreso per quella reazione. Allungò una mano verso di lei ma Liv gliela allontanò bruscamente con anche le labbra trasfigurate da quell’espressione così triste e rabbiosa al contempo.
«No, James» gracchiò lei inghiottendo un singhiozzo che la stava spingendo a farlo, a scoppiare in lacrime per scaricare tutta la paura che sentiva crescere dentro ogni giorno di più.
«Non capisci? Era l’unica occasione... io devo sapere! Io ci devo entrare in quel gruppo! O perderò mio padre per sempre! Non voglio perdere mio padre, James. Tu... non lo sai. Non voglio che lui resti qui un giorno di più solo perchè non mi vuole lasciare da sola a combattere! Non voglio litigare con lui, non voglio che lui stia a Londra! Non voglio perderlo anche se è già successo! L’ho già perso perchè ho perso quei due!». Il singhiozzo ingoiato prima riuscì a sfuggirle dalla gola e in un attimo si trovò un braccio di James a circondarle le spalle.
Non pianse, anche se il calore del profondo sguardo nocciola che sembrava avvolgerla tutta le aveva stretto le corde vocali e il cuore in una morsa.
Non pianse perchè nella neve c’erano due paia di impronte che andavano solo in una direzione e che si allontanavano dal piccolo cumulo schiacciato in cui erano loro.
«James» lo chiamò in un lamento incredulo.
«Ehy, Liv» fece lui stringendola a sè in modo incoraggiante «Possiamo trovare altri modi. Ok? Li troveremo»
«Lascia stare» bofonchiò lei senza staccare gli occhi lucidi dai segni freschi delle scarpe sul bianco tappeto soffice.
«Guarda lì». Gli diede una piccola pacca sulla schiena e James si voltò a guardare a terra. «Non si sono Smaterializzati» spiegò Liv avanzando sulla neve insieme a lui e ad una nuova punta di speranza ad accenderle lo sguardo.
Seguirono le impronte con nelle orecchie soltanto lo scricchiolio della neve sotto le loro scarpe, fino a quando non venne coperto da dei sussurri agitati dietro una pila di cassette vuote di Mielandia.
«Non possiamo, Ed. É finita. Come abbiamo potuto anche solo pensare di fregare Silente, eh!? Silente, Edgar! Non il primo scemo trovato in strada!»
«Ssssh! Non potevamo sapere... come ha fatto, poi, a scoprire che vogliamo scappare?»
«Beh, l’ha fatto! Come fa sempre tutto! E non poteva di certo non mettere un Incantesimo Anti-Smaterializzazione al villaggio! Siamo dei cretini! É finita»
«No, non è vero, non è finita. Basterà superare la linea degli Auror- Schiantarne uno, magari- e potremmo Smaterializzarci»
«Quanto ci scommetti che dietro gli Auror ci sono Dorcas, Hagrid, Caradoc, Benjy, Alastor, Frank? Eh? Silente non ci fa mancare niente! Che premuroso!»
«Sono sette, Marl, sette. Credo di aver visto anche un’altro dell’Ordine. Ma il villaggio è troppo grande per essere completamente controllato da sette persone. Dobbiamo soltanto trovare un ‘buco’... una falla in questo muro di guardie»
«Volete una mano?» esordì James sbucando da dietro una cassetta che Marlene gli fece cadere addosso per lo spavento.
Edgar tirò fuori la bacchetta contemporaneamente a Liv.
«Che cosa volete?» sbottò il Tassorosso in un tono così scontroso da impressionare James che si liberò dal legno.
«Quello che volete voi» gli rispose aggiustandosi gli occhiali sul naso e passandosi una mano tra i capelli impolverati ed innevati.
I tondi occhi azzurri di Marlene si spalancarono leggermente.
«Vogliamo sapere della Resistenza segreta, farne parte» precisò Liv.
«Non so di cosa parli» fece tranquillamente Edgar abbassando la bacchetta. Liv sollevò un sopracciglio di fronte a quel gesto.
«E invece abbiamo sentito quanto basta per ipotizzare che voi sapete di un gruppo segreto con a capo Silente» rivelò duramente James.
«Non esiste nessuna Resistenza» scattò Marlene, secca.
«Bugiarda» ribattè duramente Liv, e il viso di Marlene si accartocciò, furioso.
«Attenta a come parli» sibilò tirando fuori la bacchetta.
«Ok, no!» intervenne subito James allungando le mani e mettendosi tra le due ragazze. «Abbiamo iniziato con il piede sbagliato, va bene?»
«Non siamo contro di voi. Noi vogliamo soltanto partecipare... unirci a Silente»
«Non esistono gruppi segreti di Silente, James. Dobbiamo raggiungere le nostre famiglie a casa e basta» smentì ancora una volta Edgar.
James si morse le labbra. «Capisco che dobbiate negare a qualsiasi costo l’esistenza di questa... cosa... ‘Ordine’?» chiese, incerto, sperando di aver sentito bene il modo in cui avevano chiamato quel gruppo misterioso. «Ma noi lo sappiamo già. É inutile che dite che non esiste perchè...»
«Un Caposcuola non può farci scappare, vero?» lo bloccò Marlene che non perse tempo ad attaccare, subito dopo. «Obliv... !»
«Protego!» La forza dei Sortilegi Scudo di James e Liv spinse la Corvonero contro il muro, facendo cascare la neve accumulata sul tetto e sulle grondaie addosso agli stessi Liv e James mentre Edgar aiutava l’amica ad alzarsi e a scappare.
«Sirius» esalò James allo specchio, tirando con altra mano Liv fuori dalla motagnola di neve.
Sirius comparve subito sul vetro mentre, con una rabbia che li faceva avanzare velocemente, James e Liv si rimisero sulle tracce di Marlene e Edgar.
«Sono davanti alla Testa di Porco, James, ma è sbarrato da due Auror ed è chiuso. Evans e Macdonald sono fuori dall’uffio Postale, Remus e Peter da Madama Pièdiburro»
«No. Andate nei vicoli».
Liv lo fermò con un braccio, schiacciandolo contro il muro proprio quando una figura incappucciata fece la sua comparsa in fondo alla stretta stradina parallela.
Ci ha visti, fu l’unico pensiero che le attraversò la mente annebbiata dalla tensione.
«Tutto bene, ragazzi?» esordì una profonda e lontana voce di giovane donna. A James non servì guardarla per capire che era Dorcas.
Afferrò il viso di Liv e la baciò di slancio.
Quando Dorcas arrivò davanti a loro, James lasciò le labbra di Liv- decisamente sotto shock- e sfoggiò tutta la sua naturale bravura nel mentire.
«Adesso non si può nemmeno limonare con la propria ragazza?» sbraitò, lanciando di sottecchi uno sguardo complice a Liv che trasformò il suo boccheggiare per il bacio improvviso ad uno sconvolgimento da prima donna.
«Pazzesco, a che punto sta arrivando questo mondo! Non ho parole» lo appoggiò incorciando le braccia al petto con stizza.
«Sono sicura che potete baciarvi anche nella strada principale, piccioncini» sentenziò la ragazza dai ricci capelli neri punteggiati di neve.
«Con tutta quella marea di Auror? Per chi ci ha preso?» sbottò Liv fingendosi oltraggiata.
«E che cosa vuole da noi? Chi è lei? Un Auror in borghese?» aggiunse James anche se sapeva benissimo chi fosse.
Dorcas sorrise e i suoi lineamenti squadrati si addolcirono un istante, il bianco dei denti dritti a spiccare sulla bella pelle scura. «Sono una che non accetta sbaciucchiamenti sotto casa propria. Quindi tornate a scuola, lì troverete di sicuro un posticino più appartato di questo vicolo. Forza» ordinò spingendoli gentilmente verso la strada principale.
«Sei un cretino» bisbigliò ridente Liv allungando il passo per distanziarsi da quella giovane donna che continuava a fissarli dalla sua postazione e che, in un certo senso, emanava un'aura d'autorità e forza quasi simile a quella di Silente.
«Non hai provato niente, vero?» le chiese James per accertarsi. Liv fece una smorfia.
«Certo che no! A proposito, cerchiamo subito una fontana che mi devo lavare la bocca» lo prese in giro facendolo ridere.
«Quello che se la deve lavare sono io. Che cavolo hai mangiato ai Tre Manici di Scopa? Burro e ciliegie?»
«È il balsamo labbra, idiota».
Svoltarono l’angolo e rimisero piede su Hight Street dove stranamente non c’erano più persone, neanche Auror davanti alle porte e alle vetrine dei negozi.
Fu come ricevere una secchiata d’acqua ghiacciata che rallentò i loro movimenti successivi.
Entrambi si portarono automaticamente le mani nel mantello, alla ricerca della bacchetta, e avanzarono di corsa per la via con la mente vuota e il cuore in gola; il cuore che batteva come se volesse aumentare le falcate per raggiungere il più in fretta possibile l’unica meta in quel momento più importante: I loro amici.
Ma i fiocchi di neve si erano fatti più fitti e distinguere le cose adesso era molto più difficile. Per esempio, quello in fondo alla strada- di fronte alla Testa di Porco- poteva benissimo essere un ammasso di persone che litigavano per i saldi natalizi o un duello tra Mangiamorte e Auror.
«TORNATE AL CASTELLO!» L’urlo di Dorcas- che li superò ad una velocità allarmante tenendosi il cappuccio del mantello verde sulla testa come se non volesse farsi riconoscere- sembrò riportare il tempo al giusto ritmo.
Improvvisamente sentirono il fracasso degli incantesimi, e le grida delle persone dentro ai negozi chiusi.
La mano di James strinse con forza il bottone dentro alla tasca e una rabbia cieca lo avvolse completamente.
«Sirius!» chiamò con urgenza dopo aver preso il suo specchio per l’ennesima volta. Ma Sirius non rispose.
«SIRIUS!» ringhiò sentendo il cuore, che fino a quel momento gli era scoppiato nel petto, fermarsi come se non ci fosse più nessuna meta da raggiungere.
Una cosa inaccettabile perchè se Sirius era la meta allora era sicuramente da raggiungere, sempre, e il cuore così come le gambe non potevano fermarsi, non potevano e non dovevano.
«Entrate qui, svelti!» li richiamò una pallidissima Madama Pièdiburro alla porta della sua sala da tè. Liv e James voltarono la testa nella sua direzione.
«Lily Evans, Mary Macdonald, Remus Lupin, Sirius Black e Peter Minus sono per caso lì con voi?» chiese Liv in un filo di voce, notando le facce spaventate delle persone con il naso schiacciato sul vetro della vetrina impreziosita di pizzo e palline dorate.
La donna, in un fremito, negò con la testa.
«E allora no, grazie» rispose senza fiato James scattando insieme a Liv senza bisogno di mettersi d’accordo con lei a voce.
Si lanciarono verso la battaglia, sotto gli occhi terrorizzati dalla proprietaria del piccolo negozio, lasciandosi alle spalle ogni certezza e ogni sicurezza.
Non c’erano Dissennatori ma le sempre più vicine maschere bianche che sfrecciavano tra i fiocchi di neve, i fasci di luce verde e le divise degli Auror risucchiavano lo stesso tutta la felicità nell’aria.
 «JAMES!» esclamò Sirius sbucando come un fulmine da un vicolo, tagliando la strada ad entrambi.
Liv restò ad annaspare con la bocca aperta per il fiatone e a guardarli stringersi a vicenda in un abbraccio stritolante prima di staccarsi.
«Di qua!» li guidò Sirius trascinandoli nella stradina da dove era appena uscito e dove Peter li aspettava, tremante.
«Evans, Evans è riuscita a bloccarli ma c’è il professor Dearborn che sta facendo impazzire Remus e Macdonald che tentano di allontanarlo» informò Sirius spingendoli verso una stretta traversa piena di bidoni della spazzatura.
«Allora cerco io il professore, voi andate da Lily» si offrì Liv, fermandosi.
James scosse la testa. «Nemmeno per sogno, non ti lascio da sola. Ci sono i Mangiamorte di l໫Di là, appunto. Ma noi siamo di qua e se non fermiamo il professore sarà tutto inutile» cercò di convincerlo lei ignorando lo sguardo indecifrabile di Sirius.
Voltò le spalle ai tre ragazzi e corse nella direzione opposta stringendo la bacchetta in mano.
James la lasciò andare. Aveva capito quanto fosse importante per lei avere la certezza, il prima possibile, dell’esistenza di un gruppo che combatteva contro Voldemort. Avere la certezza di poterne fare parte. Una certezza da dare a suo padre, per salvare suo padre. Avrebbe fatto lo stesso anche lui se fosse stato nella sua stessa situazione.
«Pete, vai con lei» esordì all'improvviso Sirius, lo sguardo profondamente attento ed assorto su Liv come se non la volesse lasciare andare «Io controllo dietro Mondomago».
Peter indugiò ma dopo una sua pacca sulla spalla corse a perdifiato verso Liv, come se durante quella breve distanza che lo separava da lei si aspettasse di vedere un Dissennatore apparire da un’insegna in ferro battuto o un balcone.
«Non sai evocare un Patronus, Sirius. Se non volevo lasciare Liv credi che lascerei te?» proruppe James afferrandogli un braccio.
«Non ci sono Dissennatori, Ramoso» rispose lui con una gamba già oltre il vicolo «Vai da Evans. É da sola con quei due e Edgar sta decisamente perdendo la pazienza».
James corrucciò le sopracciglia. Non voleva allontanarsi da lì, da suo fratello, nel modo più assoluto. Si erano appena ritrovati e separarsi di nuovo gli sembrava pura follia. Ma Sirius gli era già scivolato dalle dita, per correre via.
Mugugnando su quanto fosse testardo e sulla possibilità che i Dissennatori sarebbero potuti arrivare in qualsiasi momento, arrancò tra i bidoni pieni di neve prima di girare a sinistra in un vicolo cieco dove Lily, disarmata, stava davanti al Tassorosso e alla Corvonero che le puntavano le bacchette contro.
Per un attimo fu indeciso se urlare contro Lily o attaccare subito Marlene e Edgar.
Non fu la testa che l’aveva messo di fronte a quel bivio a decidere ma il cuore che aveva ricominciato a strizzarsi e ad allargarsi, frenetico.
«Expelliarmus!» gridò, e tre bacchette gli volarono nell’altra mano.
Lily gli sorrise, riconoscente, ma lui non lo fece. Non c’era niente da sorridere.
«Il bottone, Evans! Il bottone! Per cosa te l’ho dato!?» l’aggredì facendole spalancare gli occhi verdi. Lily non ebbe il tempo di fare altro perchè Marlene le si scaraventò addosso, immobilizzandole le mani mentre Edgar andava incontro ad uno sconvolto James.
«Ridammi le bacchette» lo pregò il Tassorosso, cercando di apparire calmo.
«Neanche per idea, Bones» replicò lui «Non se non ci dite tutta la verit໫Non esiste nessuna verità diversa da quella che vi abbiamo già detto!» rettificò Marlene lottando contro i tentativi aggressivi di Lily che cercava di liberarsi.
«Ok! Volete andare a casa. Per fare cosa?» ringhiò quest’ultima con la cascata di capelli rossi a coprirle metà viso «Non potete difendere nessuno! Non senza saper usare tutti gli Incantesimi esistenti! E poi i vostri genitori sanno badare a loro stessi. Voi dite che non fanno parte di una Resistenza... va bene. Ma sono sempre maghi, maghi e streghe diplomati e adulti! Sanno cavarsela da soli!». Finì il discorso forzando le braccia contro quelle della Corvonero che digrignò i denti per non farsela sfuggire.
«Non costringermi a Schiantarti, McKinnon! Lasciala stare!» la minacciò James puntandole una delle tre bacchette contro.
«Ridacci le bacchette e la lascerò libera» fece lei, rabbiosa.
«Non siamo qui come vostri nemici!» specificò James cominciando a percepire il nervoso infiammargli la testa «Se ci direte tutto vi lasceremo scappare!».
Sia Lily che Marlene si bloccarono, spalancando gli occhi.
«Potter?» lo riprese Lily mentre Edgar e Marlene si scambiarono uno sguardo complice.
 
 
 


 
*
 
 
 



 
 «FERMI, TUTTI E DUE!» esordì la voce rabbiosa di Caradoc facendo la sua comparsa da dietro un muro con la bacchetta sollevata per aria.
 Peter alzò immediatamente le mani, buttando la sua a terra.
«Peter?!» esclamò contrariata  Liv senza abbassare l'arma puntata in direzione del professore che avevano davanti.
«LIV! CHE STATE FACENDO!?» gridò Frank arrivando di corsa con un suo collega Auror e la faccia completamente rossa per lo sforzo e per i rivoli di sangue che gli colavano da un taglio che aveva sulla fronte sporca di fango e neve.
Liv strabuzzò gli occhi a quella vista, cercando di riprendersi per poter ribattere a sua volta.
«E VOI? CHE STATE FACENDO VOI, FRANK?! CI FISSATE DA TUTTA LA MATTINA. E LEI, PROFESSORE, CHE SEGUE BONES E MCKINNON COME SE FOSSE UN SEGUGIO?» protestò, furiosa, sperando di riuscire a trattenerli lì il più possibile.
L’assenza di risposta da parte di Frank le fece assottigliare lo sguardo che si fece più profondo. Perchè quell’esitazione? 

«Abbassa la bacchetta, McAdams, o dovrò prendere dei seri provvedimenti» ordinò il professore di Difesa avanzando di un passo.
«Faccia pure, signore!» lo sfidò Liv alzando maggiormente la bacchetta «Ma da qui non passerà nessuno». Peter squittì al suo fianco.
«McAdams, non farmelo ripetere un’altra volta. Seguite Frank Paciock e il suo collega dentro i Tre Manici di Scopa dove dovreste essere già da diversi minuti insieme a tutta l’altra gente!» continuò l’uomo con lo sguardo di chi non ammetteva repliche.
«Liv, andiamo. Avanti, Peter» li incitò Frank, piuttosto serio e determinato. Frank che- Liv si morse nervosamente una guancia- era stato nominato da Marlene nell'elenco delle persone che facevano parte del... come l'aveva chiamato Edgar da dietro le casse di Mielandia? L'Ordine?
«Frank, tu c’entri qualcosa con tutto questo?!» chiese Liv bruscamente. Con quella domanda non stava soltanto cercando altro tempo da dare a Lily e James ma anche per confermare la nuovissima scoperta dell'avere un amico che faceva parte di quel gruppo. Prima, con James, non ci aveva minimamente pensato. Frank faceva parte dell'Ordine! L'Ordine di Silente! Pensandoci bene, era proprio una cosa da lui.
«Tutto questo cosa, ragazzina?» esordì in tono indagatore l’Auror. Liv serrò le labbra. Le espressioni del professore e di Frank erano ben diverse da quella dell’uomo sconosciuto. 
Sentì proprio Frank dirle che gli dispiaceva prima sprofondare nel buio e nel gelo più totale dopo essere stata accecata da una luce rossa.
La pelle d’oca sul corpo svenuto di Liv però era identica a quella di Peter che boccheggiò, arrancando all’indietro verso il muro, e a quella di tutti gli altri come se al posto della neve fosse appena calato su di loro un velo ben più freddo.
«Dissennatori» mormorò Caradoc sollevando lo sguardo al cielo che si fece più scuro.
L’Auror prese in braccio l’inerme Liv e Frank allungò una mano verso Peter mentre il professore corse in avanti con la bacchetta sguainata.
Gli occhi celesti di Peter, sgranati esageratamente, sembravano ancora più acquosi del normale.
«Forza, Peter. Al pub starai al sicuro» lo incoraggiò Frank raccogliendoli la bacchetta dalla neve e porgendogliela.
Peter annuì, tremante, seguendo il vecchio amico che però non era James, non era Sirius e neanche Remus... le tre bacchette che avevano promesso di esserci, dietro di lui,  “Contro Giganti, Dissennatori, Mangiamorte e anche... Voldemort stesso”.
A quanto pareva le promesse non valevano nel mondo reale, fuori da Hogwarts.
O per lo meno- si disse correndo con i polmoni trasformati in due ghiaccioli al fianco di Frank e dell’Auror che teneva Liv- non si possono mantenere quando ci sono eventi e situazioni incontrollabili, più forti di te e contro di te. 
E tutto lì era più forte di James, Sirius e...

«PETER!» gridò Remus correndogli incontro con i capelli castani spettinati e le nuvolette del respiro a nascondergli la faccia.
Mary, al suo fianco, impallidì molto più di lui.
«LIV!» ruggì tra il terrore nel vederla priva di sensi e la determinazione che l’aveva portata lì fuori, in mezzo al pericolo, e che le induriva gli occhi nocciola di solito allegri.
L’Auror parve prendere fuoco. «VI AVEVO DETTO DI RESTARE AI TRE MANICI DI SCOPA!». Mary gli andò incontro di corsa. «PENSAVA FORSE CHE CE NE SAREMO RIMASTI LÀ DENTRO SAPENDO CHE LORO ERANO QUI FUORI?!» gridò, rabbiosa, tastando convulsamente il viso immobile dell’amica per controllare che stesse bene. «COSA LE É SUCCESSO!?».

Nonostante le ossa appesantite dal freddo innaturale dei Dissennatori, Peter si sentì incredibilmente leggero e, quando le braccia di Remus lo avvolsero con forza, riscaldato.
 
 



 
*
 
 
 



«Potter vi ha ridato le bacchette, McKinnon. Ci fidiamo di voi, dovreste farlo anche voi con n...»
«EXPELLIARMUS!»

La voce del professor Dearborn echeggiò per il piccolo vicolo cieco e le quattro bacchette volarono nella sua direzione.
Marlene e Edgar parvero bloccarsi, sotto shock. Lily invece impallidì.
Nessuno riuscì ad aprire bocca, nemmeno James. Era finita sul serio.
Fu sorpreso dall’enorme senso di vuoto che gli allargò fastidiosamente lo stomaco, lo stesso che evidentemente aveva invaso anche Lily e i suoi occhi verdi incredibilmente rabbiosi.

«Dovete immediatamente seguirmi dentro i Tre Manici di Scopa dove stanno i vostri compagn...». La frase del professore di Difesa rimase a mezz’aria, esattamente come la grande e maestosa Fenice argentata che sorvolò, in perfetto silenzio, il cielo improvvisamente scuro sopra le loro teste e i tetti spioventi delle case attorno.
Il velo di ghiaccio calò inesorabilmente sui loro visi che impallidirono ulteriormente dietro il vapore dei respiri.

«Sirius» esalò in un sussurro ghiacciato e stordito James. La testa volò via insieme alla fenice e le gambe si mossero da sole, veloci ed incuranti della neve alle caviglie.
«POTTER! GLI AUROR HANNO IL COMPITO DI CERCARE IL SIGNOR BLACK!» gridò il professore, vedendoselo sfrecciare accanto.
Lily approfittò della distrazione e lanciandosi sull’uomo gli sfilò con forza dalla mano le due bacchette che voleva, prima di seguire James quasi alla stessa velocità.

James, tra i bidoni, non prese lo specchio. Il gesto l’avrebbe sicuramente rallentato e quella parola non esisteva dentro l’unico organo che scoppiava nel petto e che in quel momento era l'unico a dargli ordini; che muoveva le sue gambe nel viottolo con i sacchi delle foglie di tè di Madama Pièdiburro; che gli faceva spingere via le casse vuote di Mielandia, far rotolare i barili di Vino Elfico dei Tre Manici di Scopa, saltare le buche, arrancare tra i muri; che scacciava via quel freddo dalle viscere e la nebbia dagli occhi nonostante lo stesse spingendo proprio da quelle due cose perchè era lì che doveva andare.
Frenò bruscamente, solcando lo strato di neve sotto le scarpe ed appoggiando entrambe le mani sul muro in mattoni rossi del retro di Mondomago.
Davanti a lui, un’altissima e nera figura umanoide aleggiava mellifluamente su Sirius, Sirius in ginocchio al centro della strada.
Cercò la bacchetta frettolosamente, invano, e per un attimo ebbe l’impulso di afferrare con le sue stesse braccia quella creatura oscura che si chinava sempre di più sull’unica persona che lo capiva al volo in qualsiasi situazione, l’unica presenza nella sua mente che era in grado di far spuntare il cervo che avrebbe potuto far finire tutto.
«EHY!» gridò con furia cieca, combattendo contro la nausea e i brividi «SONO QUI! MI SENTI!? PRENDI ME, SCHIFOSO ESSERE PUTREFATTO!».
Ma il Dissennatore era troppo preso da Sirius, troppo impegnato a gustarsi il banchetto prelibato che aveva appena trovato.
Si decise sul serio a buttarsi addosso alla figura nera quando una piccola mano gelida come l’aria che gli tagliava i polmoni ad ogni respiro gli ficcò tra le dita la bacchetta che stava cercando.
«Mi dispiace, Tunia... mi dispiace tantissimo... ti prego».
La voce paurosamente tremante di Lily gli procurò un’ondata di brividi che si aggiunse a quella cristallizzata tra i muscoli sempre più deboli.
Lily era dietro di lui, con i capelli svolazzanti sul viso tormentato, ma con lo sguardo determinato e la bacchetta sguainata davanti a sè con già una piccola aura argentata che brillava come la luna.
«Expecto...». James sbattè più volte le palpebre per mettere a fuoco Sirius tra quella nebbia che oscurava i contorni della sua visuale. «Expecto... Patronum...». Era difficile ignorare il gelo così simile a quello di quella notte del quinto anno... passata dietro la porta della torre di Astronomia...

"SIRIUS, APRI! APRI O LA SFONDO!"....

"RISPONDIMI ALMENO! SEI ANCORA LÍ, VERO!? NON FARE STRONZATE!"

"DEVI ESSERE ANCORA LÍ! PER FORZA!"

 

Certo che era ancora lì e doveva esserlo anche adesso. 

«Expecto Patronum!».

Sirius doveva restare. Restare al suo fianco, restare a casa non solo per una vacanza ma per sempre.*
Come si era ripromesso all’una della notte di due anni prima, sotto ad una scrosciante pioggia estiva, con i piedi nudi immersi nel fango del giardino di casa, davanti al cancello e a Sirius... baule in mano, capelli neri attaccati al viso stravolto e lo sguardo grigio così spaesato da togliere la terra sotto ai piedi anche a lui.
 

-Che brutta cera, Felpato.
-Sì, beh, giornata ‘nera’... Uno gnomo mi ha mangiato i compiti... e poi, questa pioggia non fa certo bene all’umore... le solite cose...
-Oh, brutte, sì. Davvero le solite brutte cose... Ma il primo cassetto a destra rimane il mio, sia chiaro.
-Non sai che... è maleducazione non far scegliere all’ospite... dove può mettere la propria roba, Ramoso?
-Ma da adesso non sei più un ospite, fratello.
 

«EXPECTO PATRONUM!» L’abbagliante luce bianca si espanse dalla bacchetta, riflettendosi nelle lenti dei suoi occhiali e nei grandi e spalancati occhi verdi di Lily con le lunghe ciglia bagnate.
Il cervo luminoso superò la nuvola argentata di Lily da dove sbucavano quattro sottili e lunghe zampe molto simili alle sue. Erano così simili da farle pensare per un breve attimo che quello che cercava di spuntare dalla sua bacchetta si trattasse dello stesso animale, al femminile.
Il suo Patronus era una cerva e non una capra? Lo trovò subito assurdo. Trovò assurdo il fatto di poter avere un legame del genere con James Potter, di avere l'anima affine alla sua, di essere uguale a lui. Per Lily, il livello massimo dell'andare d'accordo l'avevano già raggiunto, non poteva salire più della tacca "Ok, coalizziamoci per far vedere a Silente che sappiamo cavarcela e addio".
Il cervo raggiunse Sirius con un possente balzo, scaraventando il Dissennatore oltre una casa con le sue imponenti corna.
Sirius cadde a terra, inerme, e Lily corse verso di lui con James al seguito.
Un forte scoppio e delle urla esplosero nella strada principale, facendo sussultare entrambi.
«Andiamocene da qui» ansimò Lily afferrando per una spalla Sirius mentre James prendeva l’altra.
Riuscirono a metterlo in piedi ma un fascio di luce verde tagliò loro la strada, sfiorandoli di un pelo. Il ringhio di Lily  fu così forte da rimbombare tra i muri attorno.
  «STUPEFICIUM!» gridò, lasciando Sirius per voltarsi verso la fonte di quella Maledizione.
La bacchetta puntò dritta su un Mangiamorte alla loro destra che parò l’incantesimo, ridacchiando in un modo troppo femminile per essere un uomo, prima di riattaccare.
James, con il panico a premere il petto, non perse tempo e coprì tempestivamente Lily con un Sortilegio Scudo.
«POTTER, NO!» strillò lei, disperata. La fattura non verbale infatti non stava sferzando l’aria nella sua direzione, ma in quella di Sirius che James coprì all’ultimo momento con il suo stesso corpo.
Vedendolo irrigidirsi e gridare di dolore Lily non riuscì più a respirare. Era una Maledizione Senza Perdono.
«INCENDIO!» sibilò senza fiato, e il cappuccio del Mangiamorte prese fuoco.
Non ebbe tempo per approfittare di quei secondi in cui l’uomo o la donna avrebbe potuto impiegare per spegnere le fiamme perchè il Mangiamorte si limitò a sfilarsi dalla testa la stoffa nera liberando una sofisticata acconciatura decisamente femminile esattamente come il suo volto, austero ma bello. Mento sporgente, grandi occhi scuri dalle palpebre pesanti, naso dritto, zigomi alti, pelle bianchissima; Lily la riconobbe subito nonostante fossero passati sei anni dall'ultima volta che l'aveva vista, a scuola. Era Bellatrix Black, ormai Lestrange.
«Non metterti in mezzo, sciocca!» ordinò imperiosamente la giovane donna con i grandi occhi scuri ridotti a fessura. Lily vide l'urgenza nei suoi gesti apparentemente misurati, eleganti. Sicuramente non vedeva l'ora di liberarsi di suo cugino e svignarsela, molto probabilmente per via degli Auror.
«Non prendo ordini da nessuno!» ribatté Lily con il fiato mozzo, parandosi davanti ad un agonizzante James che ancora proteggeva il corpo inerme di Sirius. «Tanto meno da una Mangiamorte!».
La donna rise, sguaiatamente, e Lily riuscì chiaramente a sentire quel suono acuto percorrerle tutta la colonna vertebrale.
Scacciò i brividi- che in confronto a quelli che le aveva fatto provare il Dissennatore erano niente- stringendo spasmodicamente la bacchetta.
«PETRIFICUS TOT...!» tentò, ma con un gesto fulmineo della bacchetta della strega si ritrovò per aria, a sbattere con violenza su un muro come se fosse stata un insetto.
«LILY!» gridò con voce roca James senza riuscire a muovere neanche un muscolo.
«Spostati, Potter! Il caro cugino è affare mio. Sono venuta qui anche per questo» ordinò la Mangiamorte dondolandosi sui bassi tacchi delle lussuose scarpe coperte dalla neve e dal lungo mantello nero. «Il mio regalo di Matrimonio per la mia dolce sorellina» ridacchiò sollevando il mento ed allungando il collo verso il corpo nascosto sotto James che serrò i pugni, issandosi sulle braccia con uno sforzo sovraumano che sembrava lacerargli ogni singola fibra e legamento del corpo.
«Allora credo proprio che dovrai ricontrollare la lista nozze e scegliere  un’altra cosa, lurida stronza» ringhiò ringraziando l’odio che provava per Bellatrix Black, di sicuro più forte dell’eco di dolore della Maledizione Cruciatus. «STUPEF...»«CRUCIO!» strillò lei facendolo inarcare di nuovo, sopra Sirius. Serrò la mascella per non darle la soddisfazione di sentirlo urlare ancora, anche se ogni singola cellula dentro di lui non faceva altro che quello.
«Stupido illuso! Credi davvero di avere qualche possibilità contro di me!?» continuò in tono acuto Bellatrix, stirando il sorriso in una curva orgogliosa osservando con insano compiacimento il corpo di James contorcersi e ripiegarsi su se stesso e su Sirius, convulsamente.
Un fascio di luce rossa partì dalla zona in cui era caduta Lily ma la donna riuscì a schivarlo per un pelo.
Libero dal dolore che ancora però gli stirava i nervi, James sollevò gli occhi lucidi e sofferenti vedendo con sollievo la vermiglia e spettinata chioma di Lily.
Lily che nonostante stesse traballando appoggiata al muro era in piedi, con lo sguardo più battagliero che  le avesse mai visto.
Il cuore già frenetico aumentò di pulsazioni, battendo dolorosamente sulle costole brucianti e sulle tempie coperte di sudore freddo.
Era tutto ciò che voleva, lei era tutto ciò che voleva. Era quella ragazza coraggiosa e splendente di determinazione e orgoglio che lo teneva ancora sveglio, che non faceva spezzare i muscoli, le ossa, le viscere e ogni organo in fiamme che sentiva scoppiargli dentro.
«SCAPPA, LILY! TI PREGO!» provò ad urlarle battendo i denti mentre Bellatrix le lanciava uno Schiantesimo che lei parò all’ultimo secondo.
Era troppo stordita e confusa per via del volo e del successivo schianto sui mattoni e la forza dell’incantesimo offensivo di Bellatrix fu tale da farle vibrare la bacchetta e l’intero braccio per diversi istanti.
«Ti do tre secondi per decidere, stupido!» sibilò la Mangiamorte rivolgendosi a James che fu travolto da un’altra ondata di dolore insopportabile. «Togliti da lì o la uccid...!»«UCCIDIMI PURE!» sbraitò Lily articolando con sforzo le parole per colpa del fiato mancante e del cuore intrappolato in gola. «NON RICORDI?! SONO UNA SANGUESPORCO!».
La frase diede l’effetto sperato: Bellatrix inclinò di lato la testa nella sua direzione, piacevolmente sorpresa come se l'avesse riconosciuta soltanto in quel momento, lasciando stare James che annaspò, angosciato, con il battito del cuore a rimbombargli perfino nelle orecchie davanti a quel gesto così folle e coraggioso, così da Lily, dalla ragazza che amava e che l’aveva appena liberato dall’inferno per prendere il suo posto. Non l’avrebbe mai permesso.
«NO! NON LO É! RICORDI MALE!» gracchiò con un nodo a strozzargli la gola e pungergli le ciglia. «E ANCHE SE LO FOSSE NON AVRESTI DIRITTO, SCUSE O MOTIVI PER TOCCARLA!» ruggì con la voce rotta dalle lacrime che avevano cominciato a scorrere sulle guance che sentiva a malapena, come tutto il resto del corpo.
Si aggrappò disperatamente a Sirius per non perdere del tutto coscienza e, con orrore, vide Lily lanciare diverse fatture non verbali a Bellatrix che le parò senza alcuna difficoltà.
La risata squillante della venticinquenne echeggiò di nuovo e Lily sperò con tutto il cuore che qualche Auror la sentisse anche se il frastuono della battaglia nella strada principale doveva sovrastare qualsiasi cosa.
Schivò un fascio di luce verde ma non riuscì ad evitare le funi che le avvolsero la gola, i polsi e le caviglie.
James, il viso stravolto a quella vista, si costrinse ad ignorare i crampi ai muscoli stirati e la vista offuscata per riprendersi la bacchetta finita chissà dove.
Se c’è una persona che deve morire qui- si disse stringendo la mascella battente e tuffando una mano tremante nella neve- non è di certo Lily.
Tutto quello che riuscì a fare, però, fu gridare ancora per il dolore lancinante che tornò, più forte di prima, a strappargli ogni parte del corpo e a rigargli di altre lacrime il viso deformato in una smorfia di assoluta sofferenza fisica.
Lily boccheggiò il suo nome per colpa delle funi che le strizzavano il collo e le corde vocali, non facendola respirare bene.
La vista cominciava a sdoppiarsi, a mancare e tornare ad ogni grido disumano di James che le trafiggeva la testa e il petto come lame.

Sta morendo... sto morendo... 

Annaspò, facendo forza sulle corde strette ai polsi ottenendo come unico risultato brucianti abrasioni sulla pelle e meno ossigeno nei polmoni.

«L’avete voluto voi!» canticchiò giuliva Bellatrix godendo della tortura che stava sconquassando e dimenando James, artigliato spasmodicamente a Sirius. «Sono stata anche troppo buona. Vi ho lasciato scegliere».
Lily, con il petto scosso dai profondi singhiozzi dati dall’apnea, sbatté più volte le palpebre senza lasciare la figura di James che soltanto un mese prima aveva sollevato con una spalla rotta da un bolide un bambino, incurante del dolore; lo stesso James che invece adesso preferiva di sicuro morire piuttosto che sentire quel male spezzargli le ossa, lacerargli le corde vocali... perchè non urlava più. James non gridava, non si lamentava più. O era lei che non sentiva?
Lily si chiese se non fosse già morta o se stesse per andarsene: quel silenzio sembrava farla galleggiare in un mondo sinistramente surreale.
Fece un ultimo sforzo per muovere gli occhi e lo vide, James, immobile esattamente come Sirius, ancora sotto di lui.
NO! No, non sei morto, James Potter! Non lo sei! Mi senti!? Possibile che devo sempre dirti tutto, idiota!? NON SEI MORTO. Devo venire lì a fartelo capire? 
Bellatrix abbassò la bacchetta, deliziata, e cominciò ad avanzare elegantemente verso i due corpi stesi a terra. Lily strizzò gli occhi.
Non aspettò che l’ennesimo singhiozzo le togliesse un altro briciolo di forza e mordendosi il labbro a sangue contorse la mano con la bacchetta per puntarla verso le corde che la tenevano stretta.
Sentì il polso rompersi ma era fatta. Diffindo! Diffindo! DIFFINDO! Si ripeté mentalmente con tutta la coscienza che le era rimasta e che ancora non era stata risucchiata dalle fitte lancinanti alle ossa rotte e dal poco ossigeno nel cervello.
Le funi si spezzarono tutte insieme, scivolando dalla pelle arrossata e sanguinante, allargandole i polmoni che si riempirono d’aria troppo velocemente.
Tossì furiosamente, piegandosi in due, e la Mangiamorte si bloccò immediatamente, gli occhi spalancati diretti nella sua direzione.
Lily fu costretta a rimettersi dritta e ad afferrare la bacchetta con la mano integra per proteggersi con uno scudo da una strana fattura sconosciuta che per fortuna rimbalzò sul velo trasparente.
EVERTE STATIM! gridarono i suoi neuroni dentro al cranio dolorante, e Bellatrix fece un fulmineo volo di parecchi metri che la scaraventò lontano da James e Sirius come Lily aveva previsto.
Arrancò verso di loro, parandosi davanti e puntando la bacchetta di nuovo sulla Mangiamorte che si stava rialzando con il viso stravolto dalla furia e dalla sorpresa.
Un fitta più acuta al polso le annebbiò per un attimo la vista ma con furiosa testardaggine ad indurirle gli occhi lanciò lo stesso un Incantesimo di Disarmo che però non andò in porto perchè la Mangiamorte lo fece rimbalzare davanti a sè.
Lily digrignò i denti lasciandosi sfuggire con rabbia un sospiro frustrato e disperato mentre l’affascinante donna in nero le rise di nuovo in faccia.
Proprio una povera e piccina Sanguesporco!»
Lily chiuse gli occhi per un attimo: l’aria gelida che le entrava profondamente e con forza nei polmoni sembrava farle esplodere anche il cervello.
Esplodere...
«Sai la fine che fanno quelli come te, sporca ragazzina? Sai la fine che farai tu
Gli occhi verdi si riaprirono di scatto, saettarono sulle case attorno e si fermarono su un rudere abbandonato. Fu un attimo.
«La stessa che farai tu! CONFRINGO!» urlò con tutto il fiato che le rimaneva puntando la bacchetta verso la casa abbandonata, e un boato improvviso le tolse ognuno dei cinque sensi.
Detriti e vetro furono sparati in ogni direzione. La polvere invase il piccolo vicolo come fitta e densa nebbia.
Lily tossì violentemente, non capendo se fosse ancora in piedi o per terra, con un fischio acutissimo ad assordarle le orecchie.
Assaporò qualcosa di metallico sulla lingua e passandosi una mano sulle labbra sbattè le palpebre brucianti per guardarsi le dita. Sangue.
Tossì ancora mettendo a fuoco James e Sirius, sotto di lei.
Non controllò se l’esplosione aveva sotterrato la Mangiamorte. Chiamò a sè tutta la forza di volontà e si rimise faticosamente in piedi, sentendo la testa girare dolorosamente.
Stringendo la bacchetta nella mano sinistra fece levitare goffamente i corpi dei suoi compagni verso la prima porta aperta che trovò.
Se la richiuse velocemente alle spalle- «Colloportus!»- e la penombra li avvolse dentro quello che sembrava un piccolo magazzino pieno di calderoni arrugginiti e scatoloni. Posò James e Sirius a terra e poi si lasciò andare anche lei, distrutta come la casa che aveva appena fatto saltare in aria.
Si guardò attorno senza sapere neanche di chi fosse quel posto. Era comunque un buon nascondoglio per stare ad aspettare che gli Auror, di certo più esperti di tutti, facessero il loro lavoro.
Sperò con tutta se stessa che quella Mangiamorte se ne fosse andata, o meglio, fosse morta. Il pensiero la turbò non poco ma i lontani suoni della battaglia, le urla e gli ordini di Malocchio riuscivano lo stesso a vibrare dentro la cassa toracica come se fosse là in mezzo, schierata dalla parte opposta di quella donna che sì, voleva vedere morta così come lei voleva vedere morti i Nati Babbani, così come voleva vedere morti James e Sirius.
Rimase in silenzio per diversi minuti, metabolizzando lo shock che l’aveva mandata in pezzi. Le strisce di luce bianca che filtravano dalle persiane di una piccola finestra vicino alla porta sulla quale era poggiata le illuminavano l'occhio verde e arrossato libero dai capelli rossi che le nascondevano metà viso impolverato e e sanguinante; illuminavano la pelle mortalmente bianca di James e Sirius.

Mortalmente bianchi...

Con un ulteriore sforzo si avvicinò a loro per controllare se fossero ancora vivi.

Per favore.
Quante volte vi ho detto che ad uccidervi sarei stata io, un giorno?
Non potete schiattare per colpa di una donna sconosciuta che non si merita questo onore come invece lo merito io!
Intesi!?

Se mi fate una cosa del genere...

Poggiò la mano sana ma ancora tremante sulla giugulare di James, e con un sollievo che le alleggerì il respiro sentì il battito del cuore pulsare sotto le sue dita.
Fece la stessa cosa con Sirius e anche sotto la sua pelle c’era un chiaro e regolare movimento di vita.
Si accasciò a terra, senza però riuscire a sorridere: E se erano arrivati troppo tardi per salvare Black dal Dissennatore? Se la Maledizone Cruciatus che aveva dilaniato Potter non l’aveva ucciso ma l’aveva fatto impazzire?
Il pensiero le fece saltare il cuore in gola.
Non aveva la più pallida idea di come e cosa fare. Senza Hogwarts tutto sembrava diventare di fumo, incontrollabile ed imprendibile. I piani che prima di mettere piede al villaggio sembravano efficaci e geniali si erano rivelati inutili perchè quello che c’era là fuori era imprevedibile, incredibilmente imprevedibile.
Adesso capiva Silente e il suo voler tenere fuori da tutto quel gran casino Edgar e Marlene.
Provò ad immaginarsi come un membro del gruppo che sfidava i Mangiamorte ogni giorno e l’unica cosa che riuscì a pensare fu che molto probabilmente in quel momento non sarebbe stata lì in quello sgabuzzino.
Sarebbe stata uccisa o rapita appena quella Mangiamorte li aveva visti.
Per quanto la cosa avrebbe dovuto metterle paura o farle cambiare idea, Lily si ritrovò ancora più decisa e convinta della sua scelta.
Che se la prendano pure con me invece di perseguitare altri Nati babbani!
«Il bue ti avrebbe donato di più del cervo, Potter» esordì in un sussurro che voleva essere canzonatorio ma che suonò soltanto come un sospiro esausto.
Guardò gli occhi chiusi di James desiderando che si aprissero per guardarla con quella loro scintilla di sfida e vivacità che sembrava persa chissà dove.
Avevano rischiato di morire. Era bastato un attimo, tutto sarebbe potuto sparire per sempre.
E poteva ancora succcedere, se la porta si fosse aperta di nuovo insieme a quella risata sadica. Si alzò di scatto, sentendo una gamba cedere e la testa girare, senza togliere di dosso gli occhi dai due ragazzi a terra.
Doveva portarli in infermeria o dal professor Dearborn. Dov’era finito il professor Dearborn!? Marlene e Edgar erano riusciti a metterlo fuori gioco?Li aveva rincorsi fino a chissà dove? Era riuscito a bloccarli?
«Evans?»
«Black!» esclamò lei mettendosi in ginocchio al suo fianco, lanciando un piccolo urlo sofferente per aver poggiato il polso rotto su di lui.
La polvere che ricopriva entrambi li rendeva ancora più pallidi e gli occhi grigi di Sirius spiccavano in quella sporcizia mista a neve come due pozzi vuoti e confusi.
«Ti senti bene?» gli chiese fissandolo con preoccupazione mentre lui aggrottava le sopracciglia nere come se non sapesse chi fosse o dove fosse.
Le strisce di luce bianca che lo illuminavano si tinsero improvvisamente di verde smeraldo e Lily voltò di scatto la testa in un vortice di capelli rossi e polvere. Nel cielo doveva esserci un’altro Marchio Nero.
Dietro la finestra c’erano di sicuro un paio di occhi neri come la pece.













 
 
 
 
 
 
 
 
*Mastro Pringle è il predecessore di Gazza, è andato in pensione nel 1973. Gazza ha iniziato a lavorare a Hogwarts al terzo anno dei Malandrini. 
 
*I precedenti da bue di James.
Molti mesi fa ho revisionato e corretto i primi capitoli, aggiungendo anche una parte con ‘il bue’ al capitolo quattro (Protocollo Luna Piena). Chi mi segue dall’inizio, quindi, credo si sia perso questo dettaglio. Scusatemi!!

*Nella biografia di Remus su Pottermore c’è chiaramente scritto che Lyall Lupin era famoso in tutto il mondo per il suo lavoro di ricerca sulle Apparizioni di Spiriti non Umani (come Pix e i Mollicci, per esempio). Girava per le foreste della Gran Bretagna ed è così che ha conosciuto la moglie di Cardiff, in un bosco del Galles, salvandola da un Molliccio. Nel 1964 Lyall lavorava al Ministero.
Su Pottermore la Rowling dice che Lyall Lupin ha nascosto per lungo tempo l’identità di Greyback a Remus, per evitare che il figlio si potesse vendicare. Ho deciso di far scoprire a Remus l’identità del suo aggressore più avanti in questa storia.  In questo capitolo, quindi, Remus non sa chi sia il Licantropo nella foto. Non conosce il nome e non sa nemmeno che è lui quello che l’ha morso. Ma conosce la storia di quando il padre l’ha conosciuto al Ministero, senza i dettagli naturalmente.

*Il ricordo felice di James ho voluto collegarlo a quello di Harry quando prova a scacciare i cento Dissennatori in riva al lago, ovvero il voler vivere per sempre insieme a Sirius... è come se James salvasse il suo migliore amico, di nuovo, tramite Harry.






  

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 26. La Capra e il Serpente ***


Capitolo 26
 
 

LA CAPRA E IL SERPENTE
 
 
 

 
 
Da oltre trenta minuti, la corta ciocca bionda si arrotolava e srotolava velocemente attorno al dito di Mary che, davanti alla porta chiusa dell’infermeria, non riusciva a fare altro se non guardare Liv che si fissava le unghie, poggiata sullo stipite.
Non lo faceva mai, fissarsi le unghie, specialmente in quel modo così attento ed interessato.
L’importanza che l’amica dava alle unghie era meno di quella che riservava alla polvere in Biblioteca. Una volta aveva provato a metterle un delicato smalto albicocca, Liv se l’era scrostato subito dopo aver visto che era asciugato.
Ma Mary adesso non lo trovò strano, o forse neanche lo vide, in realtà. In quel momento, l’unica cosa che riusciva a pensare era a Lily, Lily che mezz’ora prima era sparita dietro quella porta, in braccio a Piton. Lily svenuta, completamente sporca di polvere, con un polso in una posizione di certo non naturale e con abrasioni e sangue sparsi ovunque.
Certo che non vedeva Liv guardarsi le unghie. Nessuno vedeva le corte unghie di Liv, neanche Liv stessa che prima di diventare così silenziosa aveva passato minuti interi ad urlare contro chiunque le aveva detto di aspettare e di restare lì fuori, in attesa.

«Liv, Mary!» esalò trafelato John Owen, appena arrivato con una mezza corsa trattenuta dall’Auror che l’aveva bloccato ai Tre Manici di Scopa, quando aveva tentato di uscire dal pub per cercare Lily.
Nè Liv e nemmeno Mary sembrarono sentirlo o vederlo.

«Non me ne andrò da qui, può anche lasciarmi adesso!» sbottò il Corvonero lanciando un’occhiata infastidita all’uomo in divisa che lo lasciò andare sentendo la voce del suo collega arrivare dal piano terra.

 

«Basta, Remus, per favore. Dovete restare qui, per il vostro bene. Puoi credermi: Stiamo facendo l’impossibile per trovarli ma ci vuole tempo. So che puoi capire»
«NO CHE NON POSSO CAPIRE, FRANK! PERCHÉ SE NON LI AVETE ANCORA TROVATI SIGNIFICA CHE NON È VERO CHE LO STATE FACENDO! IO E PETER
INVECE LO FAREMMO, L’IMPOSSIBILE, PER CERCARE JAMES E SIRIUS! LASCIATECI ANDARE!» La voce così stranamente alta ed arrogante di Remus riuscì a svegliare Liv e Mary dalla trance nella quale erano momentaneamente piombate.
Liv sollevò lo sguardo dalle unghie, infastidita dalla voce di quello che l’aveva Schiantata a freddo. Era una cosa che l’aveva mandata in bestia.
Si allontanò dallo stipite della porta, pronta a marciare spedita verso Frank Paciok, nello stesso istante in cui un anta si aprì facendo uscire Piton.
Frank passò immediatamente in secondo piano.
«Ci lasci entrare, Madama!» protestò John scostando Piton di lato per poter spingere la porta che si richiuse con la voce abbastanza alta di Madama Chips dietro. «Non tutti insieme!».
John riuscì a sgusciare dentro per primo soltanto perchè Mary e Liv erano rimaste a fissare Piton, schivo e anche abbastanza provato.
«Dove l’hai trovata?» sbottò Liv, per niente accomodante nonostante si stesse rivolgendo a quello che aveva portato in salvo la sua migliore amica.
Lo trafisse con lo sguardo ma lui si limitò ad indurire leggermente le labbra sottili.
«PARLA!» ordinò istericamente Mary senza riuscire più a sopportare tutta quella tensione che le stava irrigidendo i muscoli da mezz’ora.
L’urlo acuto fece sussultare Piton. «Era in un posto dove non doveva stare e tu» esordì, rivolgendosi a Liv senza nascondere tutto il disprezzo nei suoi confronti «Credi davvero di essere la sua migliore amica accompagnandola fuori da qui come se niente fosse?».
Mary scattò istintivamente, allungando una mano verso quella dell’amica che infatti stava già in aria, con la bacchetta puntata contro il Serpeverde.
«Non osare, Piton» sibilò Liv in un sussurro basso, pieno di rabbia e veleno. «Non osare parlare di amicizia riferita a Lily perchè tu non ne hai proprio il diritto, non più. O pensi forse di essere il perfetto migliore amico appoggiando quelli che la chiamano ‘Feccia della società’!?».
«Ragazzi» intervenne l’Auror, avvicinandosi. «Via le bacchette».
Senza lasciare l’uno lo sguardo dell’altra, Liv e Piton abbassarono le armi mentre un rumore di passi veloci echeggiò nel corridoio.
Sam Stebbins, Wayne Abbott e Ned Stevens arrivarono di corsa con le sciarpe gialle a penzoloni sul collo insieme a Pandora e alla sua amica Corvonero, in lacrime.
«Avete visto Ed e Marlene?» chiese in agitazione Ned, fermando gli occhi blu su Liv che era appena diventata dello stesso colore della neve fuori dalle finestre.
Tutti scossero la testa mentre l’Auror controllava che stessero bene.
«Severus?» L’improvvisa voce di Regulus rispecchiava la sua espressione spaesata e lievemente spaventata con gli occhi grigi che sembravano aver appena cercato qualcuno senza riuscire però a trovarlo.
Piton passò accanto a Liv, dandole una volontaria spallata, raggiungendo il suo amico per trascinarlo via da lì. Peter, sbucando dalle scale appena prese dai due Serpeverde, li guardò con evidente sopresa. Erano vivi e senza neanche un graffio.
«Oh, no, Remus... so cosa volete fare» esordì Frank  facendo la sua comparsa subito dopo. Remus lo seguì a ruota.
«Vogliamo salire nella nostra Sala Comune e aspettare lì, ok?» fece, sfilandosi con nervoso la sciapra rossa e oro dal collo.
Frank però lo fermò, bloccandogli un braccio.
«Volete prendere le scorciatoie. Vi conosco» gli disse, abbassando la voce.
Peter scosse la testa ma Remus non riuscì a negare, o meglio, non lo stava neanche ascoltando. In testa aveva soltanto James e Sirius dispersi in posti sconosciuti, uno più orribile dell’altro, che la mente gli stava malignamente creando senza controllo.
Potevano averli rapiti, portati in qualche losco nascondiglio o al cospetto di Voldemort in persona, per torturarli o fare chissà cosa.
Volevano convincere due Purosangue ad unirsi al loro esercito di pazzi?
A cosa potevano servire due studenti a dei Mangiamorte?!
Potevano essere degli ostaggi per chiedere qualcosa a Silente?

«Remus?» lo chiamò apprensivo Frank, poggiandolgi entrambe le mani sulle spalle per riavere la sua totale attenzione.
Remus scosse leggermente la testa e riposò lo sguardo ambrato su di lui che riprese a parlare.
«Per favore. Se mi promettete che starete qui io potrò andare a cercarli. Sapete che non tornerei senza di loro, a costo di passare tutta la notte là fuori, a scavare nelle macerie della battaglia».
Peter trasalì, facendo sparire le labbra tra i denti per evitare di lasciarsi andare alle lacrime che avevano cominciato a pungere dietro le ciglia.
James e Sirius non potevano aver fallito. James e Sirius non fallivano mai, soprattutto quando stavano insieme.
Remus non rispose. Ma sapeva che Frank stava dicendo la verità. Sapeva che Frank l’avrebbe fatto sul serio. Lo conosceva, era testardo quanto un mulo e soprattutto un uomo di parola, fedele e coraggioso oltre ogni limite. Non era cambiato dalla scuola, anzi, sembrava ancora più combattivo. Lo vedeva nei suoi occhi scuri e lucidi, segnati da qualcosa di così oscuro e rabbioso che li rendeva incredibilmente determinati.
Davanti a quello sguardo, si trovò ad annuire con Peter al fianco che si portò le mani tra i capelli biondicci.
Frank gli diede due pacche sulle spalle che aveva stretto con forza, prima di correre giù per le scale.
«James e Sirius, Remus»
«Vedrai che saranno qui a fare gli scemi tra neanche dicei minuti, Pete, vedrai»
«Sono indistruttibili»
«Già, proprio così»
Per niente. Remus cercò di ingoiare il groppo in gola che continuava a ripetergli quanto James e Sirius fossero più che mai distruttibili, esattamente come lo erano state tutte le cose che l’avevano circondato poco più di mezz’ora prima. Tutte le cose, compreso se stesso.
Immaginare anche solo per un millesimo di secondo di non vederli mai più lo faceva sentire così spaesato e perso da ritrovarsi avvinghiato al lupo che ad ogni luna piena gli graffiava e mangiava l’anima.
 
 


 
 
 
*
 
 



 
 
«Lily?»
«Signor Owen, la lasci riposare»
Da quando il freddo magazzino è diventato caldo e soffice? 
Lily provò ad aprire le palpebre ma erano pesanti, troppo pesanti. E c’era troppa luce. Luce bianca, non verde smeraldo come continuava a vedere tenendole chiuse.
«Lily? Ti prego, apri gli occhi»
Occhi. In mezzo a tutto quel verde c’erano due occhi neri molto familiari. Si aprivano tra una persiana e l’altra, come due piccoli semi scuri.
«Lils... per favore»
Era la voce di John, quella. Ma John non aveva gli occhi neri.
Forzò le palpebre e dopo aver sbattuto più volte le ciglia riuscì a vedere il volto angosciato del suo ragazzo con l’azzurro cielo degli occhi, brillante di sollievo e felicità.
«Lily!» esclamò il Corvonero prendendole dolcemente il viso tra le mani per baciarle la fronte ancora impolverata. Lily sorrise debolmente.
«Scusa, ti avevo detto che stavo andando a comprarti il regalo-sorpresa...» riuscì a dire sentendo le corde vocali bruciare incredibilmente insieme ad un sordo dolore sparso per il corpo. «Ma non l’ho potuto comprare».
John sorrise a sua volta, accarezzandole lievemente le guance con i pollici.
«Ah, no? Cos’è successo?» scherzò, facendola ridacchiare stancamente.
«Niente di che» fece lei posando le mani sulle sue che ancora le accarezzavano il viso. «I negozi erano stranamente chiusi...».
John rise, chinandosi per baciarla delicatamente sulle labbra.
«Il tuo regalo me l’hai fatto eccome» le soffiò scostandosi da lei di pochi millimetri «Sei viva».
Lily sospirò in un sorriso,  riavvicinando le loro labbra in silenzio, troppo silenzio.
Quando Potter era in una stanza quel silenzio non poteva esistere.
Anche malato o ferito, Potter parlava, sempre. Parlava o si lamentava, e con lui Black.
Quante volte la voce di Madama Chips aveva echeggiato contro di lui nel corridoio dall’ infermeria perchè: ‘Questo non è il campo da Quidditch, Potter! Faccia silenzio e si riposi! Ha avuto un trauma cranico, per l’amor di Merlino!”.
Lily lasciò le gentili labbra di John e voltò la testa senza riuscire però a sollevarla dai morbidi cuscini coperti dai suoi polverosi capelli rossi.
Il letto davanti era vuoto, tutti i letti erano vuoti.
Improvvisamente, il calore e la comodità dell’infermeria si trasformarono in una fastidiosa sensazione scomoda, sbagliata.
«Potter? Black?» chiese, senza fiato.
Come c’era finita lì senza trasportarsi dietro anche loro due? Non li avrebbe mai lasciati in quel magazzino! Mai! Non avrebbe lasciato nessuno lì!
John strabuzzò gli occhi. «Cosa?» chiese spaesato, contagiato dall’espressione di Lily che scattò a sedere sul materasso. «Lily non puoi alzarti. Non ancora» l’ammonì sorreggendole la schiena dondolante. Ma Lily continuò a guardarsi intorno con crescente confusione.
«POTTER E BLACK! DOVE SONO POTTER E BLACK?!» ripetè, alzando la voce, facendolo boccheggiare. Da quando in qua Lily si preoccupava in quel modo per quei due?
«Li stanno cercando» le rispose sconcertato. La vide socchiudere gli occhi verdi ed indurire le labbra pallide prima che si trascinasse giù dal letto.
«No! Non puoi camminare!» la sgridò andandole dietro mentre Lily, scalza e in una vestaglia pulita, marciava non proprio spedita verso la porta.
I toni alti fecero uscire Madama Chips dal suo ufficio. «Evans! Non sei nelle condizioni adatte per farti un giro al castello!» sbraitò la donna sollevandosi la lunga gonna per correrle dietro insieme al Corvonero anche se Lily era già uscita in corridoio facendo sgranare gli occhi di tutti.
«Lily!» esclamò Mary portandosi una mano al cuore. Lily però non si fermò. Superò Liv, Remus, Peter e quando arrivò di fianco ai Tassorosso si fermò bruscamente vedendo l’uomo in divisa da Auror.
«Potter e Black sono dentro un magazzino con una porta e una piccola finestra... verdi, credo, o gialle... dietro Mondomago» informò con voce roca senza perdere il tono duro, anche per nascondere il terribile bruciore che aveva sentito dopo aver parlato.
Lanciò un’occhiata rassicurante a Remus e Peter, sorpresi e pallidi allo stesso tempo, per poi rivolgersi di nuovo all’uomo dallo sguardo attento. Liv, dietro di loro, perse un battito del cuore.
«C’è stata un’esplosione ed è crollata una casa» continuò portandosi una mano alla testa che percepì per un attimo vuota e attraversata da un fitta lancinante.
Camuffò il gesto di sofferenza mettendosi una ciocca di capelli dietro un orecchio quando Madama Chips le arrivò alle spalle, insieme a John.
«Troverete delle macerie ma loro sono dentro il magazzino» riprese sentendo la gola bruciare di più.
L’Auror annuì e fece per filare dritto verso la scale ma Lily lo fermò. «C’era un Mangiamorte... donna... una Mangiamorte donna che potrebbe essere sotto i mattoni... non ricordo chi...» aggiunse frettolosamente facendo sussultare tutti, Liv compresa che le si avvicinò per sorreggerla mentre l’Auror cominciava a correre così velocemente da far svolazzare la sciarpa di Pandora quando ci passò davanti.
La soffice stoffa blu e bronzo rimase in aria anche quando Remus e Peter seguirono l’uomo senza ripensamenti.
«Non devi assolutamente parlare, Evans!» la redaurgì bruscamente Madama Chips. «Le tue corde vocali hanno bisogno di totale riposo! Totale! E così il collo e la testa!» Allungò una mano per scortarla di nuovo in infermeria ma Lily riprese a camminare velocemente verso le scale.
«Sto bene» mentì, ignorando il dolore acuto alla gola, il freddo del pavimento in pietra che le gelava i pieid nudi risalendo per tutto il corpo in un unico brivido, la testa che sembrava aprirsi a metà, il collo incapace di sostenerla e l’indolenzimento delle ossa in ogni parte del corpo.
Ignorando tutto quello che non era l’immagine di quegli occhi neri ancora stampati nelle iridi verdi, determinate a trovarli.
Si appoggiò alla balaustra fittamente decorata di agrifoglio e scese i gradini stringendo i denti con John e Liv al seguito.
Il polso non faceva più male, Madama Chips doveva averlo aggiustato per primo.
«Lily, non fare l’incosciente. Torna in infermeria con noi» la incitò John cercando di afferrarle un braccio. Liv lo guardò storto rendendosi conto che entrambi l’avevano seguita per due motivi diversi.
Se Lily era in piedi nonostante il suo stato significava che c’era un motivo valido e l’unica cosa da fare era appoggiarla, qualsiasi cosa fosse.
Allontanò la mano del Corvonero dall’amica e lo bloccò sugli ultimi scalini della grande scala in marmo lasciando che Lily mettesse piede nella Sala d’Ingresso, gridando il nome di Piton.
«SEVERUS!» Le corde vocali sembrarono cedere, stirarsi così tanto da sfilarsi in mille straccetti. Molto probabilmente, pensò Lily, non sarebbe più riuscita a parlare.
Ma il suo ex migliore amico si era fermato davanti alla clessidra dei Corvonero, quasi sul primo gradino che scendeva per i sotterranei, e sapeva che con lui non servivano le parole.
Avrebbe capito, Severus avrebbe capito guardandola negli occhi. Avrebbe capito quanto schifo le facesse, quanto disprezzo provava per l’essere disumano che era diventato.
Gli occhi neri che apparivano ogni volta che abbassava le palpebre adesso li aveva davanti, spalancati ed increduli.
«Se vuoi salvare me, Piton» iniziò a sibilare con un filo di voce gelida «Devi fare la stessa cosa  anche con tutti quelli come me o che sono con me. Altrimenti non prenderti nemmeno la briga di muovere un dito».
Sembrava che a separarli non ci fossero i metri della Sala d’Ingresso ma un intero universo vuoto e scuro che nessuno dei due riusciva più ad attraversare, neanche Piton che rimase lì senza riuscire a muoversi o a respirare.
«Fate passare, presto!» esclamò trafelata e piena di neve la McGranitt, entrando di fretta dal portone. «Evans! Cosa ci fai qui?»
Lily aprì le labbra ma non ne uscì fuori alcun suono. Forse per le corde vocali irritate o per il vuoto che dalle scale dei sotterranei si era espanso anche dentro di lei.
La McGranitt, comunque, non aspettò una sua risposta. «Svelto, Paciock!» Si affaccendò subito ad aprire del tutto il portone di quercia per far entrare Frank, che trasportava un inerme James in braccio, e poi Remus e Peter con Sirius apparentemente sveglio ma stranamente assente e confuso, svuotato. Liv trattenne il fiato a quella vista, un lungo brivido le percorse l'intero corpo e il cuore cominciò a battere così velocemente da farle male; la voglia di toccarlo la colse di sorpesa.
I tagli sanguinanti sul viso di Sirius, bianco come la cera, catturarono tutta l’attenzione di Lily. Dentro al magazzino, Black non aveva tagli sul viso.
«Li abbiamo trovati che varcavano il cancello. O meglio» annaspò Frank cominciando a salire l’ampia scala bianca. «Sirius varcava il cancello trascinandosi dietro James. Si è lasciato andare soltanto dopo aver varcato i confini del parco. Non so come abbia fatto, non si regge in piedi» spiegò passando tra John e Liv che seguì con gli occhi spalancati James, per poi inchiodarsi su Sirius preso alle spalle dai suoi due amici. Lo sguardo grigio era così vuoto e spento da non sembrare più il suo, la gola le si chiuse; la voglia di vedere il solito Sirius di sempre la invase inaspettatamente.
Gli occhiali di James scivolarono dal naso sporco di polvere, finendo su un gradino. La mano di Lily li raccolse immediatamente.
«Forza, Lupin» incoraggiò la professoressa posando una mano sulla schiena di Remus che si sistemò meglio il braccio di Sirius sulle spalle mentre Peter faceva la stessa cosa. «Evans, anche tu! In infermeria! Subito! Aiutatela!».
Liv e John presero sotto braccio Lily che si lasciò sorreggere stringendo maggiormente tra le mani gli occhiali rotti di James.
«Frank!» provò a forzare la voce per chiamare l’amico, già in cima alle scale con gli altri dietro. «Dì a Madama Chips... Potter... più Maledizioni Cruciatus. Black... un Dissennatore».
Lui annuì, sparendo al primo piano.
Piton restò silenziosamente lì, a seguire con gli occhi la chioma vermiglia spettinata della ragazza che aveva salvato e che però stringeva quegli occhiali come se non volesse perderli.
Proprio come stavano facendo gli occhi grigi di Regulus, dalla penombra dei primi gradini del sotterraneo, aggrappati alla figura di Sirius fino a quando non sparì anche quella al piano di sopra.
Era tutto così sbagliato. Tutto.
“Devi fare la stessa cosa  anche con tutti quelli come me o che sono con me”
Quelle parole ancora nell’aria affondavano crudelmente nel petto come coltelli affilati.
Era stato lui a salvarla, non Potter! Potter e Black non avevano bisogno di essere salvati e di certo non lo meritavano.
Chi desiderava la sua morte e chi aveva addirittura provato a renderla reale non meritava di essere salvato. Avrebbero fatto meglio a marcire in quel magazzino! Dimenticati da tutto e da tutti! Da chi li adorava, ammirava, venerava!
Era quella la loro sorte lontano dal loro ‘Regno’: la morte. Come loro pensavano che fosse la sua lì, dentro quel castello che comandavano a suon di risate e strafottenza.
“Altrimenti non prenderti nemmeno la briga di muovere un dito”
Eccome se l’avrebbe fatto, invece. L’avrebbe fatto, sempre.
Per lei avrebbe mosso il mondo intero andando contro chiunque.
Ma soltanto perchè era Lily
Andava oltre il concetto di Sanguesporco e Nata Babbana, lei con loro non c’entrava nulla.
Non riusciva a spiegarselo neanche lui, ma Lily era diversa da qualsiasi persona esistente, non si poteva etichettare o ricollegare a qualcosa come uno stato di sangue o una Casa di Hogwarts. Gli altri sì, lei no.
Lily non era una Nata Babbana, Lily non era una Grifondoro, Lily non era una Caposcuola. 
Lily era quella bambina solare, divertente e bellissima, che non sapeva ancora il significato di Sanguesporco, che non apparteneva ancora a nessuna Casa. 
Lily era semplicemente ed unicamente Lily
Due voci arrivarono ovattate dalla bufera di neve che aveva cominciato a scatenarsi fuori dal portone ancora spalancato.
«Eravamo in troppi, Moody, troppi! Sette, tutti insieme nello stesso posto... quando capita? Mai! Un’occasione troppo preziosa per quei bastardi! E adesso abbiamo perso anche Mand! Un’altro...»
«Zitto, Fenwick! Non qui».
 
 
 


 
*
 
 



 
La Sala Grande a cena aveva gli occhi puntati sul tavolo dei Tassorosso e dei Corvonero, più precisamente su Ned e Pandora, i migliori amici dei due studenti misteriosamente scomparsi dopo la gita a Hogsmeade.
Ned non era neanche riuscito a finire di mangiare la sua zuppa e poco prima che comparissero i secondi era uscito dalla sala a passo di marcia sotto lo sguardo attento di tutti.
Qualcuno diceva che Edgar Bones e Marlene Mckinnon fossero morti, uccisi. Altri erano convinti si trattasse di rapimento da parte dei Mangiamorte o di un terribile bacio dei Dissennatori.
I più fantasiosi, invece, mettevano in mezzo anche i Caposcuola e Sirius Black, finiti in infermeria perchè avevano tentato di difenderli dai Giganti, senza successo.
Nessuno però osò chiedere qualcosa agli adulti.
Il posto del Preside era vuoto, e i professori non avevano detto una parola. La Sprite e Vitious erano così addolorati tanto da far sembrare vere le ipotesi delle morti. Soltanto un pazzo avrebbe potuto avvicinarsi alla McGranitt, paurosamente scura in volto e dallo sguardo così duro e severo da far allontanare di qualche posto sulle panche i bambini del primo anno seduti in fondo alle tavolate- davanti ai professori- facendo scivolare a terra quelli dall’altro capo del tavolo, accanto alla porta.
E se la McGranitt faceva paura, il professor Dearborn era a dir poco inquietante.
I suoi occhi verdi ridotti a fessure tra i ciuffi di capelli castani erano piantati con furia sul piatto, come se volesse affettare il roast beef fumante soltanto con quelli.
Liv, al tavolo dei Grifondoro con Mary al fianco e Peter e Remus davanti, gli assomigliava parecchio.
Non sollevò lo sguardo altrettanto rabbioso dal suo calice neanche quando una ragazzina del quarto anno le chiese di passarle l’acqua. Ad un certo punto non riuscì a capire neanche cosa stava mangiando. Ma il sapore delle cose sembrava sparito.
Non solo per Lily, James e Black in infermeria- anche se Madama Chips aveva assicurato che nessuno dei tre era in pericolo di vita- ma anche e soprattutto per Marlene e Edgar che erano riusciti a scappare, insieme all’occasione di scoprire tutta la verità.
Gli sguardi di Mary e Remus si incrociarono più volte, preoccupati. Ma mai quanto quello celeste di Peter che, per la prima volta in sette anni di cene a Hogwarts, aveva lasciato metà patata ripiena sul piatto.
Vedere James e Sirius ridotti in quelle condizioni gli era sembrato irreale, uno dei loro soliti scherzi pesanti.
E invece era tutto vero, più vero che mai.
James sapeva allontanare un Dissennatore ma non riusciva a resistere ad una Maledizione Cruciatus. Nessuno poteva. Era la cosa più forte che esisteva dopo l'Avada Kedavra.
E perchè Sirius non si reggeva in piedi e aveva lo sguardo perso anche se James l’aveva salvato?
Non c’era davvero un modo per uscirne fuori incolumi? Mai?
Se fosse stato al loro posto sarebbe sicuramente morto, morto stecchito.
Posò la forchetta sul tavolo, anche soltanto l’odore del cibo gli dava la nausea. Lo sguardo angosciato cadde inevitabilmente al tavolo dei Serpeverde, alla ricerca di quelli che per metà erano rimasti al sicuro al castello invece di andare a Hogsmeade e l’altra metà era tornata completamente intatta.
Si stupì non vedendone neanche uno. Avery, Mulciber, Regulus e Piton non erano tra i loro compagni.
Quando tutti e quattro salirono in Sala Comune, insieme ad altri gruppetti di Grifondoro, si rintanarono nella camera dei Malandrini senza che nemmeno ci fosse bisogno di chiederlo o proporlo.
Mary chiuse la porta vedendo Remus attraversare la camera velocemente, liberando i pensieri per primo.
«Non ne abbiamo le prove concrete» esordì, frugando dentro il cassetto del comodino per tirare fuori un foglio di pergamena e una piuma. «Ma un gruppo segreto che combatte...»
«L’Ordine... è così che l’ha chiamato Edgar» informò Liv sedendosi sul letto di James mentre Peter si apprestava ad attizzare i carboni ardenti dentro la piccola stufa.
«Bene» approvò Remus «L’Ordine. L’Ordine contro Voldemort esiste, anche senza prove certe»«Remus» pigolò Peter, pallido. «Va bene... Tu-Sai-Chi» si corresse lui per non agitare l’amico.
Mary lo guardò lisciare la carta con cura prima di aprire la boccetta d’inchiostro e sedersi sul suo letto afferrando il grosso libro di Trasfigurazione per cominciare a scrivere con calligrafia ordinata. Prese posto al suo fianco, cercando di capire cosa volesse fare.


L’ORDINE ... (di Silente? Anti-Mangiamorte? Pro-Nati Babbani?)
 
Albus Silente
Minerva McGranitt
Caradoc Dearborn
Dorcas (?)
Rubeus Hagrid
Elphias (?)
 

«Lily vi ha detto i nomi delle persone che hanno fatto parte di quella riunione segreta dopo la partita contro i Tassorosso?» chiese Remus sollevando lo sguardo su Mary che annuì senza staccare il suo dal foglio.  
«Li hai scritti tutti» lo rassicurò rileggendo la breve lista luccicante di inchiostro fresco.
«Frank» esordì bruscamente Liv, in piedi alle loro spalle.
Remus, Mary e Peter spalancarono gli occhi.
«Sì, proprio Frank Paciok. E poi il Capo Auror Alastor Moody e un certo Benjy» aggiunse, ricordando i nomi che aveva sentito da Marlene quando l’aveva spiata con James dietro le casse di Mielandia.
Remus esitò prima di affrettrarsi a scrivere i nomi.
«Frank?» ripetè Peter, sconvolto, sedendosi sul letto di Sirius. Liv annuì.
«Quindi anche Alice?» chiese Mary, forse a se stessa, nello stesso istante in cui Remus aggiunse il nome della ragazza. Frank non faceva mai niente senza Alice e Alice senza Frank.
«Allora anche tutti gli altri Auror?» domandò Peter, portando le gambe sopra al letto sfatto. Remus scosse la testa. «Se è un gruppo segreto, il Ministero non sa che esiste. Gli Auror appartengono al Ministero, Pete» gli rispose lasciando la piuma nel calamaio.
«Ma Moody, Frank e Alice sono Auror, i migliori del Ministero» insistette lui, incerto.
«Moody è più vicino a Silente che al Ministero, sono amici, lo sanno tutti» intervenne Mary. «E nelle interviste sulla Gazzetta non sembra molto felice quando parla con i giornalisti, no?» 
«Quindi è ovvio che si schieri con Silente» completò la frase per lei Remus «che di sicuro agisce in un modo molto più sicuro rispetto al Ministero che è immerso nel completo caos. E tutti qui conosciamo abbastanza bene Alice e Frank per dire che anche loro ascoltano più Silente del Ministro della Magia».
Tutti, infatti, annuirono.
«Quando ho tirato fuori in modo velato l’argomento» esordì Liv incorciando le braccia al petto «l’Auror che stava con Frank sembrava non capisse un accidenti mentre Frank e il professor Dearborn sì, eccome. Evidentemente, gli unici Auror che stanno con Silente sono loro tre».
«É quello che penso anch’io» fece Remus «Anche perchè, se tutti gli Auror facessero parte dell’Ordine, il Ministero lo verrebbe sicuramente a sapere».
Anche Peter sembrò ormai totalmente convinto. Mary riportò lo sguardo sulla lista. «Aspettate» mormorò in tono pensieroso, prendendola come se avesse visto qualcosa che prima le era sfuggita. «Dorcas è quella che Lily e Potter vedono spesso nei corridoi la sera?» chiese.
«Sì» le rispose Liv. Remus restò un attimo in silenzio prima di parlare.
«Quindi, tutti gli estranei che hanno visto di notte mentre raggiungevano il Preside potrebbero far parte del gruppo» diede voce ai pensieri di Mary che si era illuminata così tanto da farlo sorridere.
«Quei due ragazzi identici con i capelli rossi, Liv!» esclamò Mary sventolando la pergamena nella sua direzione. «Ti ricordi!?»«Quelli con Gazza!» fece lei sciogliendo le braccia. Come avevano fatto a non pensarci prima?
«Non sapete come si chiamano?» chiese Peter scendendo dal letto per la tensione.
Mary scosse desolatamente la testa bionda. «No. Erano gemelli... con i capelli di un rosso veramente acceso e una marea di lentiggini. Hanno detto di avere una sorella che aspettava altri due gemelli come loro» informò posando il foglio di carta sulle gambe di Remus che sussultò leggermente.
«Non conosco nessuno del genere...» disse lui, grattandosi il naso per nascondere il leggero rossore che sentiva incendiargli le guance.
«Ma James  e Sirius potrebbero conoscerli! Vero, Rem?!» squittì Peter con occhi luminosi. «Loro conoscono tutte le famiglie magiche! Purosangue e non!» spiegò entusiasta, rivolgendosi alle due ragazze.
«Ottimo!» cinguettò Mary «E dobbiamo chiedere a Lily e James se ne hanno visto altri...».
Peter scattò verso il suo comodino dove, in bella vista, c’era una pergamena apparentemente vuota. «Dobbiamo anche usare... » 
«Meglio scriverli a matita questi due» lo fermò di colpo Remus, sorridendogli eloquentemente. «Mi presti la tua, Pete? La mia ha la punta spezzata».
Non potevano di certo far vedere la Mappa a Liv e Mary, ma era assolutamente un’idea furbescamente brillante quella di controllare i nomi dentro l’ufficio del preside con la loro fedele creazione di inchiostro e pergamena.
Peter, rosso come un pomodoro, si abbassò a terra davanti al comodino per prendere la tracolla ancora piena di libri dal giorno precedente.

Frank 
Alice
Alastor Moody
Benjy (?)

Gemelli dai capelli rossi (??) 

 
Liv si chinò per leggere da sopra la sua spalla, facendo scorrere lo sguardo attento e pensieroso su ogni nome.
La lista era più lunga di quello che si era aspettata. Vedere tutti quei nomi scritti nero su bianco la fecero sentire più sicura: Tutte quelle persone non erano finte, inventate. Erano così tante e non erano neanche tutte lì.
Significava che l’ipotesi del gruppo segreto... l’Ordine... non poteva essere falso o così impossibile.
«Remus, hai una pergamena in più?» chiese.
«Certo, dentro al cassetto» rispose lui indicandole il comodino. «Prendi pure la mia piuma».
Liv afferrò la penna d’aquila e il calamaio che Remus le aveva porso, e dopo aver trovato una pergamena pulita si sedette sul letto di James usando la dura scatola in legno del Kit di Manutenione per la Scopa come banco, per cominciare a scrivere.
 

Papà,
 
Si fermò un istante, staccando la punta nera d’inchiostro dalla carta. Era più forte di lei, quella sensazione che le respingeva la mano dalla pergamena era più forte di lei ma non del cuore che, se ne era appena resa conto, stava battendo così veloce da far paura.
Con la coda dell’occhio vide Mary osservarla premurosamente in silenzio, e l’inchiostro riprese a colorare il foglio.
 

Papà,

Prepara le valigie, ho trovato un modo per non combattere da sola. 
Non posso scrivertelo qui. Tornerò a casa per le vacanze di Natale e ti dirò tutto a voce.
 
A presto, 

Liv
 





 
 
 
 
*
 
 
 
 


 
Verde... come i prati in primavera... il vestito preferito di mamma... come aveva gli occhi papà... la tazza da tè con le rose che usava Tunia quando giocavamo con le bambole... il campo da Quidditch all’ultima partita dell’anno... gli smeraldi scintillanti dentro la clessidra avvolta dal serpente... le cravatte dei Serpeverde nei sotterranei. 
Verde come il libro di Difesa descrive l’Anatema che Uccide... una luce improvvisa, fulminea, fatale... che non lascia scampo, tempo per capire di star andando via per sempre...

Tutto continua ad essere così verde tranne quegli occhi neri dietro le persiane, profondi come due freddi tunnel... uccidono esattamente come la luce verde che hanno attorno...

 Lily aprì di scatto gli occhi, scoprendo di essere di nuovo sotto le calde coperte del letto dell’infermeria.
Dalle finestre ad arco acuto si riusciva a vedere il cielo stellato, la fievole luce perlacea che attraversava i vetri per illuminare soltanto qualche dettaglio dei letti, delle tende e del pavimento.
Quanto aveva dormito da quando Silente era passato per sapere come stavano e come erano andate le cose?
Era entrato in infermeria con sguardo bonario e leggermente preoccupato, senza minimamente chiedere dettagli sul perchè si erano trovati da soli dietro Mondomago e senza accennare a punizioni o spille da Caposcuola da togliere per aver trasgredito la regola numero uno del rapporto Caposcuola-Preside: Fare rapporto su ogni cosa che accade a scuola, mese dopo mese.
Lily spostò la testa alla sua sinistra e vide Sirius, addormentato nel letto accanto. Il viso senza più tagli, di nuovo normalmente roseo, con i regolari lineamenti rilassati in un’espressione serena.
Sul suo comodino c’era una montagna di cioccolato, la sua bacchetta che qualcuno aveva evidentemente recuperato da Hogsemade e una bottiglia di Pozione Sonno Senza Sogni vuota per metà.
Voltò la testa dall’altra parte, a destra, trovando James nell’altro letto vicino. Era ancora pallidissimo, di sicuro non solo per la luce della mezza luna che gli disegnava il volto senza occhiali; le palpebre libere dalle lenti, chiuse e sfiorate dei neri capelli scarmigliati.
Sembrava dormisse anche lui ma non aveva niente di sereno, neanche nelle braccia stese lungo i fianchi sopra il lenzuolo... così  troppo composte per essere quelle di Potter, il casinista e disordinato Potter.
“Dubito, Albus, che il signor Potter non si risveglierà. Come ha detto la signorina Evans, è stato torturato per non più di cinque minuti. In questi casi c’è sempre una possibilità che perda la memoria, certo, ma i danni non saranno irreversibili”
Potter sarebbe sicuramente tornato il Potter di sempre anche se qualcosa le suggeriva che in realtà non sarebbe stato proprio così.
Non riusciva più a vederlo come il Potter di sempre. Più lo guardava e più le veniva da chiamarlo James.
James che aveva protetto Black fino alla fine, fino a quando aveva perso i sensi assorbendo quel dolore atroce al posto suo.
James che le aveva detto di scappare, nonostante fosse completamente sottomesso a quella donna.
Lui, James, avrebbe portato in infermeria tutti, anche Piton se ci fosse stato. Perchè l’aveva già salvato una volta e perchè James era la persona meno egoista che Lily si era appena accorta di conoscere.
Sprofondò meglio sui cuscini, riportando lo sguardo sul soffitto in penombra.
Si ritrovò a sorridere, incredula ma soddisfatta: Erano fuori pericolo ormai, tutti e tre, così come aveva detto Madama Chips alla professoressa McGranitt dopo averli visitati tutti.
Tutti e tre... in mezzo c’era anche lei. In mezzo all’orrore che avevano vissuto e superato, insieme.
Osservò di nuovo le strisce di luce perlacea che disegnavano le figure di Sirius e James nella semi oscurità, rendendosi conto che nessuno di loro si sarebbe mai dimenticato di quell’esperienza e della strana sensazione che, immersi nel pericolo, sembrava aver creato uno strano legame tra loro.
A quella constatazione, si portò una mano all’occhio che soffriva sempre più spesso del tic nervoso, stupendosi di non trovarlo ‘vibrante’.
Chiuse gli occhi rivolti verso James, e la soffusa luce argentata dell’infermeria divenne immediatamente verde.
Gli occhi neri riapparvero, puntuali e taglienti.
Lily strizzò le palpebre con nervoso, come se così facendo tutto sarebbe diventato buio come avrebbe dovuto essere.
Ma non serviva, stringere le ciglia fino a sentire gli zigomi non serviva.
Per quanto ancora quell’immagine l’avrebbe perseguitata senza farla riposare!? Per quanto ancora Piton l’avrebbe tormentata, seguita come un’ombra anche quando non c’era fisicamente?!
La voce sommessa di Sirius ruppe l’avvolgente silenzio notturno e lei riaprì gli occhi.
«Mi dispiace, Reg...»
Lily portò subito lo sguardo sorpreso su di lui, sentendo la stoffa del cuscino nasconderle metà viso.
Le palpebre di Black erano ancora chiuse ma i lineamenti che prima riposavano serenamente erano irrigiditi da qualcosa che rendevano quel viso addormentato incredibilmente triste.
La Pozione Sonno Senza Sogni doveva aver finito il suo effetto e i pensieri scomodi- molto probabilmente rafforzati dal Dissennatore- stavano di sicuro tornando a galla.
«Mi dispiace...»
Non era il tono angosciato a colpirla di più, ma le parole. Le trovava così familiari da stringerle le corde vocali ancora indolenzite.
Reg’ era Regulus, non era così? Suo fratello che evitava sempre nei corridoi e in Sala Grande. Suo fratello che lo guardava come Petunia guardava lei.
«Black» sussurrò con un nodo stretto in gola Lily, vedendolo respirare più pesantemente come se stesse per lasciarsi andare ad un pianto disperato.
Sapeva perfettamente che incubo era, sapeva perfettamente quanto era pesante la morsa al petto che adesso lo stava soffocando.
Conosceva perfettamente l’amarezza che inacidiva la lingua e chiudeva il cuore, rimpicciolendolo sempre di più fino a sentire la paura folle di esserne privi.
«Black» provò a svegliarlo ancora, sollevandosi dai cuscini per allungare un braccio verso di lui.
Non riuscì a sfiorarlo ma l’aria che aveva mosso, agitando la mano, gli fece svolazzare i capelli neri sulla fronte e sul collo. Gli occhi grigi si spalancarono, brillando come argento sotto la luce delle stelle.

Lily si rimise composta sul letto mentre lui, sconvolto, scattò a sedere. «Nessuno dovrebbe fare sogni del genere, Black, nemmeno tu» gli mormorò guardandolo aggrottare le sorpacciglia sopra a quegli occhi che, ancora nell’incubo, dicevano tanto ma non tutto.
Lily non sapeva fino a che punto Black si sentisse in colpa nei confronti di suo fratello e perchè; Se anche lui pensava a Regulus ogni volta che gli capitava una cosa bella o brutta, nascondendo poi il forte desiderio di scrivergli o parlargli per raccontargliela, ma era un dolore che non si poteva definire ‘piccolo’, in ogni caso.
Quel dolore era qualcosa di così profondo che non aveva mezze misure. O lo si provava tutto o non c’era. In Black c’era, a quanto pareva, e non aveva nessuna differenza con quello che sentiva lei ogni giorno.
«E tu che ne sai, Evans, cosa stavo sognando?» sbottò lui sdraiandosi di nuovo sul letto con il viso smunto e ancora provato, ma orgogliosamente indurito nello sguardo e sulle labbra.
Lily aprì le sue, rimanendo però in silenzio. Un silenzio che stranamente non la fece sentire a disagio.
L’aria rarefatta e quasi sacra tra il suo letto e quello di Black non era vuota in modo imbarazzante, era come se invece fosse piena di parole, sensazioni ed emozioni che sembravano le sue.
«Mi dispiace, Tunia» si decise a rispondere notando nell’ombra il grigio luccicante fremere come i puntini luminosi nel cielo scuro dietro le finestre.
«So quanto fa male quel dispiacere» continuò in un sussurro per non svegliare James anche se, più che addormentato, sembrava ancora svenuto.
Deglutì piano, con la paura di fare rumore in più, perdendosi di nuovo ad osservare le volte sopra ai letti rischiarate dalla luce del cielo notturno.
«É così forte da far crollare tutta l’indifferenza che hai faticosamente tirato fuori da chissà dove. Arriva all’improvviso, appena smetti di tenere duro... appena ti dici che sei stanco e che meriti un po’ di pace anche tu. E non capisci più niente, non sai cosa fare o cosa dire. Sai perchè ti odia... perchè sei diverso, perchè non sei più come prima, senza capire invece che sei esattamente come sei sempre voluto essere... sei te stesso. Ma non lo capisce e non lo accetta perchè il tuo essere te stesso lo ha allontanato da lui, da quello che eravate. E non ci può fare niente, tu non ci puoi fare niente... non puoi nemmeno odiarlo per il suo comportamento egoista... non ci riesci... e allora non rimane altro che vuoto e senso di colpa, e solitudine... una solitudine che gli amici, per quanto eccezionali, non possono colmare del tutto».
Assottigliò lo sguardo e con sforzo riprese a sussurrare non solo perchè era notte, perchè Potter avrebbe potuto svegliarsi e perchè le faceva male la gola, ma soprattutto perchè quello che stava per dire faticava a sentirlo anche dentro se stessa.
«Un legame di sangue è sempre troppo resistente anche se gli insulti affilati che lo trapassano ogni giorno cercano in tutti i modi di tagliarlo, di staccarlo da te. C’è sempre un qualcosa... un lembo indistruttibile in mezzo a tutti gli altri ormai sfilacciati e rotti... che ci rimane aggrappato addosso... dentro. Credo non si spezzerà mai».
Sirius non osò annuire anche se era tutto ciò che avrebbe voluto fare. Perchè sì, dannazione, era proprio così che andava. Esattamente così.
Evans non sapeva niente di lui- nemmeno a grandi linee, figurarsi i dettagli- eppure aveva descritto perfettamente bene ogni cosa nei minimi particolari, anche quelli che credeva fossero soltanto suoi, come neanche James che sapeva invece tutto aveva mai saputo fare.
Tutti in quella scuola sapevano che lui e Regulus non si parlavano, ma quello che Evans aveva appena confessato in un modo così intimo, forse dovuto alla calma della notte che sembrava abbassare le difese perfino in lui, era qualcosa che sapeva soltanto lui, forse neanche Regulus.
Era qualcosa che non si poteva vedere in superficie, una cosa che soltanto una persona che lo provava sulla pelle, che lo sentiva bruciare nello stomaco e graffiare in gola poteva saperlo.

Tunia’. Evans doveva avere una sorella che la guardava come se fosse stata un ragno da schiacciare, da buttare fuori di casa, da non vedere mai più soltanto perchè era se stessa... perchè non era più come prima... prima di andare a Hogwarts... prima di sapere che era una strega?
A Sirius sembrò impossibile riuscire a capirla, ad azzeccare qualcosa di così personale senza sapere niente di lei. Era assurdo. Ma lei l’aveva appena fatto con lui.
L’unico occhio verde che vedeva sul profilo delicato rivolto verso il soffitto, con le ciglia che sfioravano il piccolo naso simpaticamente all’insù, era così luminoso e verde nonostante il buio attorno.
Possibile avessero tutte quelle sensazioni dentro così identiche? Possibile fossero così simili?
L’aveva sempre sentita distante anni luce da lui. Adesso invece non gli poteva sembrare più vicina di così. E non perchè a separli c’era soltanto un comodino.
«É vero, Evans?»
«Che cosa, Black?» gli rispose in un sussurro Lily, girandosi a guardarlo di nuovo. Lo vide voltare la testa verso il soffitto come lei un istante prima.
«Quello che hai raccontato al preside ore fa» specificò lui «Se così fosse... ci hai praticamente salvato la vita».
Lily non si mosse, rimase a guardarlo fissare un punto indefinito tra le tende e la finestra, senza riuscire a parlare.
Non gli aveva salvato la vita. Non sapeva neanche lei come e cosa aveva fatto, a dire la verità. Non aveva ragionato, non aveva avuto niente in testa se non la paura di morire e le urla di Potter nelle orecchie. Non aveva usato le tecniche che aveva studiato e che la facevano sentire ‘Pronta’ dopo una lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Non si era sentita pronta davanti a quella Mangiamorte.
«Non vi ho salvato la vita» mormorò abbassando ulteriormente la voce come se fossero in un’antica chiesa vuota. «Era semplicemente così che doveva andare. Fortuna, credo».
Sentì il fruscio delle coperte di Sirius che aveva negato con la testa.
«Quando c’è di mezzo mia...» iniziò, fermandosi come se si fosse pentito immediatamente dell’ultima parola. Sua cugina. completò la frase per lui, mentalmente, Lily.
«Quando c’è di mezzo quella donna che mi ha adorabilmente sguinzagliato dietro un Dissennatore» riprese Sirius, calibrando il tono di voce ed assottigliando lo sguardo ancora sul soffitto «niente va come deve andare, Evans. Decide lei. Quindi, direi proprio che sei stata tu a... fare tutto».
Le labbra di Lily si sollevarono appena. ‘Fare tutto’. Non era riuscito ad ammettere per la seconda volta di essere stato salvato, per di più dall’Odiosa Evans?
Meglio così, neanche lei si trovava bene ad ammettere di aver fatto qualcosa per non vedere lo Stronzo Black morto.
Era successo tutto così velocemente, non sapeva come aveva fatto ad affrontare quella donna che lo voleva anche a costo di uccidere due studenti.
L’aveva già notato a Hogsmeade, e al loro primo anno, ma adesso che aveva a pochissima distanza il profilo aristocratico di Black era ancora più evidente quanto si assomigliassero.
Il naso dritto perfettamente proporzionato alla curva armoniosa delle labbra e del mento, gli zigomi ben delineati e il taglio degli occhi leggermente allungato. Una sua parente stretta. Una sua parente, Mangiamorte.
Tra i pensieri confusi del breve duello prese forma un viso sottile meno regolare e piacente di quello di Sirius, incorniciato però dagli stessi fluenti capelli neri e occhi grigi. Regulus Black le apparve nitido in testa, al fianco di Piton e Lucius Malfoy.
Avevano anche quello in comune: un futuro Mangiamorte impossibile da riportare sulla giusta strada. Un Severus come fratello o Petunia strega, desiderosa di unirsi ai Mangiamorte.
Lily non riuscì a distinguere le due cose, o anche solo ad immaginarne una. Tutto quello che riusciva a pensare era che faceva male, male il doppio.
Regulus, per Black, era come una fusione completa di Petunia e Severus. E, a questo, si aggiungevano altri parenti. 
 «Il serpente ferito non trascina anche a costo di morire il suo migliore amico fino a casa, fino a quando non sa con certezza che sarà al sicuro» sussurrò sentendosi immediatamente il cupo sguardo grigio addosso. «Dalla tua bacchetta non uscirà mai un serpente, Felpato, ne sono certa».
Sirius strabuzzò gli occhi, sconvolto dal suo soprannome uscito dalle labbra di Evans. Lei però sembrava totalmente a suo agio mentre continuava a guardarlo con i suoi, stranamente profondi ed eloquenti, di un verde brillante.
Quello di Evans era un modo per chiedergli scusa senza articolare la parola che nemmeno lui riusciva a far saltare fuori con semplicità?
Di certo, chiamarlo con il suo soprannome aveva rinforzato il concetto della frase: L’aveva distinto dai Black e l’aveva chiamato con il nome della sua vera famiglia, i Malandrini.
Sentì un angolo delle labbra sollevarsi con incredibile naturalezza, proprio come era sorprendente naturale parlare e capire quella strana Evans notturna.
«Le capre non capiscono una cippa» esordì «Quelle zampe non sono di capra, Evans».
Lily sbuffò, lasciandosi andare ad un bassa risatina.
Girò la testa verso James, coprendosi fino al collo con il lenzuolo, ed abbassò le palpebre scoprendo con sollievo di vederci dietro soltanto un rassicurante e rilassante cielo stellato.
Quando li riaprì, la mattina dopo, la fievole luce delle stelle aveva fatto posto a quella accecante del sole che illuminava ogni cosa.
Sopra il suo comodino c’erano due ingombranti ma bellissimi mazzi di fiori bianchi- da parte di John e del professor Lumacorno, così come indicavano i biglietti di pronta guarigione- e un profumato croissant alla crema vicino alla sua bacchetta e ad un pezzetto di pergamena di Mary e Liv:
 
 “Passiamo a trovarti subito dopo pranzo! Vedi di essere sveglia o ti sveglieremo noi come l’esperenza ti insegna.

P.S.: Vederti dormire a mezzogiorno ha traumatizzato Mary.

P.P.S.: Non è vero, non ascoltarla! A dopo, Ly”
 

 Lily sorrise immaginando le espressioni delle sue due migliori amiche.
Spostò lo sguardo sul letto di Sirius trovandolo vuoto semplicemente perchè Black dormiva- pulito, vestito di tutto punto e con un grissino mangiucchiato in mano- seduto su una sedia attaccata al letto di Potter, Potter che invece era rimasto immobile come la sera precedente.
Gli occhiali non erano più rotti ma nella stessa posizione in cui lei glieli aveva lasciati lei sul comodino, adesso pieno di pacchetti ancora integri di dolci. Sotto una Cioccorana c’era un foglietto.
 
Oculus Reparo. Oculus Reparo, James. Credo di averlo ripetuto come minimo diecimila volte da quando ti conosco”

Era la scrittura lineare di Remus, Lily aveva imparato a riconoscerla nei minimi dettagli dopo i pomeriggi di studio in biblioteca con lui.
C'erano altre due differenze in quell’ambiente ormai chiaro ed assolato: le due sedie tra il suo letto e quello di Potter.
In una di esse, Lily notò la prima pagina dell’edizione serale della Gazzetta del Profeta che qualcuno doveva aver lasciato lì durante la notte.
Nell’altra, invece, i vestiti di James piegati con cura come soltanto una mamma premurosa avrebbe potuto e saputo fare. Il bottone sopra la pila di indumenti insieme alla bacchetta, non poteva essersi staccato dai pantaloni e neanche dal mantello. Era il bottone gemello di quello che lei aveva in camera, sei piani più sù.
Lily rimase a fissarlo per un bel po’ di tempo, non riuscendo a credere all’idea che Potter se lo portasse dietro ovunque e non soltanto alle ronde. 
“Il bottone, Evans! Il bottone! Per cosa te l’ho dato?!” Già. Per cosa me l’hai dato, James?
«Lily» La voce impastata di James la fece quasi scattare a sedere.
Spostò lo sguardo dal bottone agli occhi nocciola che la stavano guardavano ridenti e anche un po’ annebbiati per la  mancanza delle lenti.
Senza occhiali erano ancora più da idiota, ma c’erano ancora, più nocciola del solito, o forse era lei che li vedeva così dopo aver desiderato vederli aperti per degli istanti orribili che sembravano essere durati secoli. Il nocciola incredibilmente nocciola era anche così luminoso tanto da illluminargli l’intero viso bianco latte.
Sembrava che Potter volesse saltare sul materasso o catapultarsi da lei. Non lo fece: O era talmente debole da non riuscire ad alzarsi, oppure non aveva perso la sua poca sanità mentale che gli evitava il suicidio.
«Non sono Lily» rispose tappandosi il naso per camuffare la voce che già di per sè, con quelle corde vocali malandate, non sembrava la sua.
«Sì, certo» sbuffò sarcasticamente lui «Questa macchia rosso pluffa che mi sta rendendo più cieco di quanto già sono non può essere altro che i tuoi capelli, Lily. Chi hai affianco, il Frate Grasso?».
Lily guardò di sottecchi i vaporosi vasi di fiori candidi illuminati dal sole, lasciandosi andare ad un sorrisino.
Come aveva detto Madama Chips, James non aveva perso la memoria e non sembrava più fuori di sè del solito, a parte quel sorriso emozionato che non sembrava il suo e le dita dei piedi che si muovevano sotto al lenzuolo come se non riuscisse a contenere la felicità o il nervosismo.
Lo vide sbattere le ciglia e cercare gli occhiali a tentoni sul comodino, facendo cadere tre scatole di Api Frizzole e due di CioccoCalderoni. Era ancora incredibilmente debole, non riusciva neanche ad issarsi su un gomito.
«Acqua, Potter» gli disse, giocando a quello stupido gioco che Petunia le faceva sempre fare quando era piccola, soltanto per farla innervosire. Odiava non trovare le cose e odiava ancora di più quando qualcuno sapeva dove fossero senza dirglielo.
James strizzò gli occhi, aggrottando le sopracciglia nere. «Madama Chips non te l’ha portata?» fece, confuso.
«Fuochino» rispose lei in un mezzo sorriso quando la mano di James sfiorò gli occhiali. «Fuoco!». Ma James invece di afferrare la sua montatura rotonda ritirò la mano di scatto cascando sui cuscini.
«Stai scherzando, Lily!?» annaspò, agitato «Chiama qualcuno! POPPY!? L’INFERMERIA VA A FUOCO!!».
La risata rauca di Lily lo fece sentire un perfetto cretino mentre un dolce tuffo al cuore gli scaldò ogni osso indolenzito del corpo, facendolo sorridere di sollievo.
Lily era lì, al suo fianco, ridente e viva. Lui era vivo, Sirius- che aveva appena saltato sulla sedia facendo volare il grissino per aria- era vivo.
«Sei un coglione, James!» sbottò rabbiosamente il suo migliore amico abbracciandolo, però, con forza. James non riuscì a ricambiare la stretta, ma Sirius avrebbe sentito lo stesso l’enorme sorriso schiacciato sul suo maglione grigio scuro.
Esattamente come tutti in quella stanza sentirono il gorgogliare dello stomaco di Sirius che evidentemente non era andato a pranzo per restare di guardia lì.
«Vai a mangiare, cretino» lo canzonò James mentre lui gli metteva gli occhiali sul naso prima di piazzargli davanti agli occhi le due grandi ed affusolate mani aperte. «Prima dimmi... Quante sono queste, Rammy?».
James rise. «Dieci. Più dei tuoi neuroni, sicuro»«Ok, è chiaro che stai bene. Sei il solito bastardo e anche il solito Troll perchè sono due! Due mani!» fece Sirius passandogli con forza le mani tra i capelli già arruffati e sfilandogli poi gli occhiali, ignorando le lamentele del proprietario.
«Non scannatevi, senza di me. Sto tornando» li salutò incamminandosi verso la porta, lanciando uno sguardo a Lily che ricambiò con un mezzo sorriso e un cenno della testa vedendolo sparire dietro lo stipite.
«Maledetto stronzo» imprecò James tastando il letto alla ricerca dei suoi occhiali.
Il sorriso di Lily si stirò completamente. Era incredibile come riuscissero ad insultarsi continuamente dopo essersi salvati la vita a vicenda.
Si era sentita leggermente in imbarazzo davanti a quello scambio di insulti che in realtà significavano ben altro.
L’aveva visto nelle braccia di Black, avvolte con forza ma anche premura attorno a Potter, e sul grande sorriso di James tuffato sulla stoffa del maglione di Sirius.
«Non ridere, Lily!» sbottò James allungando un braccio sotto al cuscino con una certa difficoltà, rendendosi subito conto che tutto ciò che voleva invece era sentirla ridere, sentirla viva.
«Non sto ridendo» mentì lei e James fece sbattere ancora le ciglia nella sua direzione per metterla a fuoco, invano.
Quella macchia di luce che doveva essere il suo sorriso aperto, circondato dai capelli rossi ed impreziosito dai due scintillanti punti verdi, bastava. Sentire di nuovo il suo delicato profumo bastava. Sapere che era viva bastava, era tutto.
Lily aveva salvato se stessa, aveva salvato lui e aveva salvato Sirius.
La minuscola speranza che aveva visto brillare in mezzo a tutto l’orrore, davanti all’immagine di Lily legata e con il fiato della morte letteralmente sul collo, l’aveva creata lei.
Gli era sembrato impossibile, in quel momento, immaginare di tornare al castello tutti insieme, sani e salvi. Ma lei l’aveva fatto. Lei non era mai andata via.
Non era scappata neanche davanti all’invito di Bellatrix che le prometteva la salvezza, non l’aveva fatto scegliere tra lei e Sirius, non aveva minimamente pensato di farsi salvare e aveva salvato tutti.
Gli occhi di Lily, determinati e testardi come tutte le volte che difendeva qualcuno a scuola con la bacchetta sguainata nonostante la spilla da Prefetto, erano stati la speranza in mezzo al dolore e al frastuono di morte e distruzione, impossibili da controllare.
Lily era stata invincibileda sola, ma anche ad un passo dalla morte, sempre da sola.
«Lily» sbottò, deciso a parlarle di nuovo dell’importanza del bottone e del fatto che, anche se dopo aver vinto un duello con Bellatrix Black  Avery e Mulciber le sarebbero apparsi come due pulcini, non bisognava mai abbassare la guardia.
L’aveva capito trovandosi davanti un Dissennatore- dopo aver sentito Sirius dire: “Non ci sono Dissennatori, James”- e dopo aver beccato in pieno diverse Maledizioni Cruciatus, così, dal nulla.
Niente di quello che avevano vissuto era stato programmato o anche soltanto minimamente pensato. L’invincibilità andava a braccetto con la morte.
Trovò gli occhiali vicino ad una gamba e se li mise velocemente sul naso. I contorni sfocati si fecero subito nitidi e vivaci.
Lily stava poggiando i candidi piedi nudi sul freddo pavimento in pietra, per chinarsi su una delle due sedie tra i loro letti, con i lunghi capelli rossi scivolati a nasconderle il viso.
Quando si raddrizzò, James vide la Gazzetta del Profeta tra le sue piccole mani.
 


 
SECONDO MARCHIO NERO A HOGSMEADE. UN MANGIAMORTE UCCISO.
Dispersi due studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, quattro i morti:

Il Capo delle Forze dell’Ordine Barty Crouch: «Due dei nostri Auror (Frederick MacAvoy e Gwendoline Sullivan), un civile (Armand Vance*) ma, grazie all’ordinamento concesso agli Auror sulle Maledizoni Senza Perdono, ha perso la vita anche un Mangiamorte (Julius Avery)».  Approfondimenti e foto a pag. 2
 
 
Lily sollevò il viso sconvolto verso James.
«Avery
















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note:
 
 
*Armand è un nome scelto a caso (tra quelli  importati in Inghilterra dai Normanni come ‘Emmeline’). Gli ho dato il cognome di Emmeline, appunto, immaginandolo un suo presunto fratello o parente (naturalmente inventato da me). Benji Fenwick lo chiama con il diminutivo ‘Mand’ mentre parla con Malocchio fuori dalla porta.
Un membro dell’Ordine doveva morire ma non potevo usare i nomi che conosciamo perchè quelli che sappiamo sono tutti delle persone presenti nella foto che Malocchio fa vedere a Harry.
Quella foto, in questo periodo della storia, non è stata ancora scattata perchè i Malandrini e Lily non fanno ancora parte dell’Ordine e sono ancora a scuola.
Non potevo quindi far morire una persona che un anno o qualche mese dopo sarà nella foto.
 
*Bellatrix al settimo anno nel 1971. All'inizio non pensavo, poi ho riletto il quarto libro.
Rosier, Wilkies, Avery e Lestrange (marito e moglie, niente Rabastan) sono i nomi che Sirius elenca a Harry quando dice che Piton frequentava una banda di studenti, a Hogwarts, che poi si sono rivelati Mangiamorte:
“Piton è sempre stato attratto dalle Arti Oscure, a scuola era celebre per questo. Faceva parte di una banda di Serpeverde che sono diventati quasi tutti Mangiamorte. Rosier e Wilkes, i Lestrange marito e moglie, Avery”.
Dato che Sirius dice che Piton era nella banda dei Lestrange marito e moglie, a Hogwarts, presumo che Bellatrix fosse più grande di Lucius (nell’autunno 1996 Lucius ha 41 anni, quindi è del 1954) solo di un anno, ma nata dopo il 31 agosto del 1953 e quindi entrata a Hogwarts un anno dopo come Hermione.
Dubito avesse la stessa età di Lucius perché è molto più probabile fosse la sorella minore Andromeda che deve necessariamente uscire da Hogwarts nel 1972 con Lucius (nel 1973 nasce Tonks). Andromeda doveva essere al settimo annno quando Sirius era al primo (come ci fa vedere Piton nei suoi ricordi, Malfoy al primo anno dei Malandrini era al settimo anno). Bellatrix lo stesso, anche se un anno più grande di Andromeda (per il motivo del compleanno dopo agosto).
Nell'albero geneaologico dei Black, l'anno di nascita di Bellatrix è il 1951 quindi la Rowling o ha sbagliato con l'albero (disegnato per beneficienza anni dopo la fine della saga) o facendo dire quelle parole a Sirius (più volte nelle interviste dice di non andare d'accordo con i numeri e dubito che Sirius avesse nei ricordi sua cugina a scuola se non fosse vero, non è una persona facile da dimenticare, soprattutto per lui).
Nel caso avesse sbagliato con Sirius, l'unica cosa certa è che Rabastan non era a Hogwarts negli anni dei Malandrini ed era quindi il fratello maggiore di Rodolphus perché, se fosse stato più piccolo, Sirius l'avrebbe sicuramente nominato... e invece non lo nomina nemmeno per errore (significa che lui era di certo più grande di Rodolphus).
Se Bellatrix è nata dopo il 31 agosto del 1953 (anche il primo settembre), Andromeda potrebbe essere nata ad agosto dell'anno dopo. Immagino Cygnus e Druella sbrigarsi a fare un altro figlio, alla ricerda del maschio. Seguendo le date dell'albero genealogico, Cygnus doveva avere tredici anni quando ha avuto Bellatrix, anche per questo io non mi fido tanto di quell'albero. Cooomunque...
Rabastan risulterebbe quindi il fratello maggiore di Rodolphus, altrimenti Sirius non avrebbe specificato “marito e moglie”.
I Malandrini non dovrebbero aver mai visto Rabastan a Hogwarts, a meno che non fossero gemelli (ma non è stato mai detto da nessuno e dalla descrizione che Harry fa quando li vede nel pensatoio al quarto anno non sembrano per niente gemelli).
Essendo il maggiore, Rabastan avrebbe dovuto sposare Bellatrix (per le dinamiche assurde di quelle famiglie purosangue), ma magari era già sposato, non lo sappiamo.
Non tutti i Mangiamorte hanno mogli Mangiamorte, Narcissa ne è un esempio. La moglie di Rabastan poteva benissimo esistere a nostra insaputa, come tutte quelle degli altri.
Il padre dei Lestrange, poi, era a Hogwarts con Tom Ridlle ed è molto probabile avesse un figlio nato prima del 1953/54 (data in cui dovrebbe essere nato Rodolphus, stando ai racconti di Sirius).


*Ho fatto dire a Lily “Felpato” non solo per il motivo che intuisce Sirius ma anche perchè nella lettera di Lily per lui- che Harry trova nella stanza a Grimmauld Place nel settimo libro- Lily lo chiama Felpato.
So benissimo che potrebbe aver iniziato a chiamarlo così dopo essersi messa insieme a James o comunque dopo essere diventata sua amica, ma mi piaceva l’idea che il soprannome ‘Felpato’ avesse un altro significato, unicamente loro. Un modo per ricordare a Sirius di essere perfettamente capito.
Credo che lui e Lily dopo la scuola fossero legatissimi, come fratello e sorella.
 
 
 

*Non ho idea se Marlene e Edgar abbiano preso o no i loro M.A.G.O. (non so neanche in che anno sono nati. Nella mente della Rowling potrebbero avere quarant’anni)  e quindi mi sono presa delle libertà.
Non penso comunque fossero amici con i Malandrini prima di entrare nell’Ordine.
Ho scelto Bones e McKinnon perché, oltre ai Prewett, sono le grandi famiglie magiche potenti che hanno combattuto contro Voldemort ''la prima volta'' (dice Hagrid nel primo libro, a Harry).
Mi servivano due figli di queste famiglie da smistare in due Case diverse, per renderli amici d'infanzia e non all'oscuro dell'Ordine (dato che hanno i familiari come membri).
I Prewett non potevano essere, Fabian e Gideon essendo fratelli di Molly li immagino più grandi dei Malandrini.
Moody nel quinto libro nomina Edgar e Marlene uccisi con le loro famiglie, ma in quella foto sposta continuamente "altra gente" per cercare i volti che evidentemente hanno combattuto meglio. Se Hagrid dice che i Bones e i Mckinnon erano le famiglie magiche che hanno combattutto nella prima guerra, mi viene da pensare che nell'Ordine c'erano anche familiari e altra gente che non conosciamo.

Di Edgar sappiamo che era zio di Susan (quindi fratello del padre). Nel quinto libro, Susan dice che nella prima guerra ha perso i suoi zii e cugini.
Amelia era sorella del padre di Susan e quindi anche di Edgar, non credo avesse figli, la Gazzetta nel sesto libro la descrive come una donna di mezza età, sola. O non si è mai sposata oppure il marito e i figli (zio e cugini di Susan) sono morti nella prima guerra. Non sappiamo se esistessero altri Bones, zii e cugini di Susan. Per togliere ogni dubbio, comunque, nei capitoli finali troverete novità riguardo Edgar.
Di Marlene sappiamo soltanto che Lily ha pianto tutto il pomeriggio dopo la morte "dei McKinnon", senza specificare il nome il Marlene a Sirius. Se ci fosse stata un’amicizia davvero forte, tra loro, penso avrebbe come minimo detto "Marlene e la sua famiglia". Invece ''i McKinnon" la sento una cosa un po' più distaccata. Il pianto è normale, essendo membri dell'Ordine si conoscevano e hanno passato insieme momenti intensi, per anni. E il resto della lettera è allegro (la descrizione del primo compleanno di Harry, anche se sono chiusi in casa per via della profezia). Non riesco ad immaginare Lily sorvolare così sulla morte di una cara amica.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 27. Resa dei Conti ***


Mi dispiace tantissimo avervi fatto aspettare quasi due mesi.
Ho avuto un grave problema in famiglia e tutta la situazione mi ha praticamente rubato tempo, energie e cervello.
Ma sono ancora qui, con un capitolo di passaggio più corto dei precedenti che spero possa piacere lo stesso (comprendeva anche la festa di Lumacorno che ho tagliato perchè altrimenti sarebbe venuto fuori davvero troppo lungo e dispersivo).

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 27
 
 
RESA DEI CONTI




 
 
Amaro.  Il sapore che James  sentiva in bocca era così amaro che lo sciroppo che Madama Chips gli aveva fatto bere a forza, prima, poteva benissimo essere veleno. Ma erano passati quarantasette minuti esatti da quando James aveva ingurgitato quello schifo, come poteva essere ancora il sapore della medicina?
No, non poteva essere quel sapore, non dopo aver mangiato sei Cioccorane di Remus, poi.
Sei Cioccorane, quarantasette minuti e una dozzina di baci tra Owen e Lily che gli erano sembrati più lunghi di quegli stessi quarantasette minuti.
«Sirius».
Sapeva benissimo che adesso il suo migliore amico era a lezione con Lumacorno, ma “Un migliore amico che si rispetti dovrebbe come minimo mettere da parte budella di pesci, peli di pipistrello e unghie ingiallite di Megere per rispondermi, anche a costo di bruciarsi con il calderone!”.
 Sirius, però, non rispose. Forse era stata la risata cristallina di Lily a sovrastare la sua voce.
 «No! Piantala, John! Guarda che ci metto poco a stenderti»
«Non puoi usare la voce, Lils! Ricorda!»
«Esistono gli Incantesimi non Verbali!»
«Ok, sono spacciato... o potrei farti sparire la bacchetta nei capelli come quel finto mago babbano ti ha fatto sparire la monetina dietro l’orecchio».
AH... AH... AH... che ridere... sei uno spasso, Owen, davvero. Dovresti fare il giullare alla festa di Lumacorno, in linea con il mortorio che ci sarà lì.
«Evidentemente, caro mio, non mi hai ascoltato quando te l’ho raccontato perchè la monetina che quell’uomo mi ha messo tra i capelli l’ho fatta sparire io, per davvero. Quindi sono io che faccio sparire te!»
«Ma quell’uomo non era un vero mago, Lils... ».
«Sirius». Il richiamo gli uscì così rabbioso e basso da sembrare un ringhio.
Questa volta nessuna voce lo disturbò perchè in infermeria era calato un altro silenzio dovuto all’ennesimo bacio.
James rimase a fissare le labbra di John sfiorare quelle sorridenti di Lily, seminascosta da un altro vaso di fiori colorati che il Corvonero le aveva posato sul comodino dopo pranzo. Liv li aveva guardati con ribrezzo senza commentare a voce, anche se James aveva capito benissimo cosa lei avrebbe voluto dire-“Questi cosi puzzano”- e con lui Silente che si era messo a ridacchiare sotto ai baffi prima di dire a Lily che sua madre e sua sorella non erano state messe al corrente dell’incidente come lei aveva espressamente chiesto.
Sorrise un attimo, ripensando a Liv e alla sua faccia schifata, ma il dolore che aveva cominciato a pulsare nel petto era impossibile da ignorare.
Ne era certo, non era lo stesso che Madama Chips gli doveva curare tre volte al giorno con diverse medicine, ma era molto simile.
«Dimmi, scornuto».
La voce sussurrata di Sirius fece trasalire lui e anche Lily ma non John, evidentemente totalmente rimbecillito dalla sensazione che si doveva provare baciando Lily Evans.
Un’altra fitta al petto, una morsa sullo stomaco, un graffio profondo ai polmoni gli attraversò ogni fibra del corpo ricordandogli la Maledizione Cruciatus ed anche una belva feroce dentro il torace.
James si passò velocemente una mano tra i capelli, distogliendo immediatamente lo sguardo dalla coppietta.

 «Insulti ridicoli...»
«Dargli del cornuto sarebbe un complimento, Olivia. Tu non lo sai, ma il suo orgoglio sono le corna. Non è vero, scornuto?»
«La vuoi smettere, Sirius? Lumacorno sta venendo qua...»
«Rilassati, Remus... cosa vuoi che veda con tutto questo fumo viola che esce dal tuo calderone...»


 Sotto l’occhio di Lily con ancora le labbra su quelle di John, James rise sottovoce osservando la faccia di Sirius, il gomito di Liv con la manica del maglione sollevata alla bell’e meglio e mezzo braccio di Remus che sfrecciava davanti allo specchietto annebbiato dal fumo.
 
«Lupin! Non ti smentisci mai, eh?*»                                                         
«Sì, beh, professore... io... sì, farò un tema per recuperare
»
 «Peter è arrivato?» chiese Sirius in un mormorio e James negò con la testa notando l’espressione divertita del suo migliore amico spegnersi.
«Prima di venire a lezione ci ha detto che andava da te»
«Ha lui la...?» James si bloccò in tempo, desiderando sempre di più il paravento che Madama Chips aveva più volte proposto di mettere tra il suo letto e quello di Lily e che lui, sempre più volte, non aveva voluto.
«Ha lui la pergamena in più che ti ho dato la settimana scorsa? Mi serve, devo scrivere ai miei. Anche se mi hanno visto ieri notte, sai come sono...» s'inventò all'ultimo, fingendosi scocciato.
Con la coda dell’occhio vide quello verde di Lily chiudersi per approfondire il bacio con John prima di staccarsi lentamente da lui e ricomiciare a parlare, questa volta a bassa voce.
«No, ce l’ha Peter» informò Sirius.
James sbuffò.
«Bene» commentò, sarcastico «Adesso non possiamo nemmeno cercarlo».
Il volto di Sirius si stirò in un altro ghigno.
«Cosa lo cerchi a fare? Si sarà di sicuro dimenticato, addormentandosi su una poltrona» sghignazzò e il suo viso sullo specchio tremò appena.
James diede la colpa ad una gomitata ben assestata sulle costole da parte di Remus. Infatti...

«Remus, vedi di dosare la tua forza quando ho questo specchio in mano... »
«Pappamolle, Black...»
«Rompicogl... Olivia
».

Il tremolio dell’immagine tra una parola a l’altra fu ancora più forte, per poi tornare nitido con il volto in primo piano di Remus, abbastanza stravolto e sudato come ad ogni lezione di Pozioni.
«James, cosa ti costa aspettare mezz’ora per parlare con questo idiota!? Mezz’ora! Non ti chiedo un giorno, una settimana, un mese ma mezz’ora! Stai per caso male? Se così fosse, ok, hai fatto bene a chiamare, ma non mi sembra tu stia male quindi chiudi qui questa conversazione assurda perchè se questo idiota continua a parlare saranno i miei M.A.G.O. ad andare in fumo... viola o nero che sia»
James provò a rispondere ma lo specchietto fu di nuovo in balia delle mani di tutti.

«Ma saranno affari miei se vuole parlare con me?»
«Certo, Felpato, ma quando ti fai gli affari tuoi distraendo gli altri diventano affari anche degli altri»
«Giusto, Remus»
«Sta’ zitta, tu! A te ho dato per caso fastidio?»
«Tu mi dai sempre fastidio, Black. E comunque, sì, hai fatto cadere i miei scarabei a terra e ne hai appena schiacciato uno con il piede...».

 
James sollevò entrambe le sopracciglia spostando lo sguardo ridente verso John e Lily che lo stavano fissando, allibiti.
Quando non si poteva negare l’evidenza- le voci dello specchio erano sussurri ma si stavano alzando sempre più- era buona cosa ignorare il tutto.
«Beh?» sbottò «Baciatevi, visto che non sapete fare o dire altro».
Il paio di occhi verdi lo fulminò all’istante. Vide Lily raddrizzarsi meglio sui cuscini, spostando con un secco gesto della mano i fiori che la nascondevano. Il piccolo naso lentigginoso arricciato lo fece sorridere. Puzzano, vero, Lily!? Puzzano come il tuo ‘fidanzato’. Anche se non è vero che puzza, per me puzza. Puzza di noia, di ladro, di sbagliato.

«E tu che sai fare invece, Potter? Sentiamo»
«Ridere e far ridere, per esempio...»
«Oh, ecco perchè ti stai fissando allo specchio...»
In un’altra occasione, forse, James avrebbe percepito qualcosa rompersi, nel petto o nei dintorni; il tono di Lily stridere nelle orecchie perchè troppo acido e distante da quello che, in realtà, voleva sentire lui.
Ma questa volta no, c’era qualcosa di strano nella voce di Lily, nel suo sopracciglio sollevato, nelle sue guance leggermente gonfie per quell’espressione divertita.
James non riuscì a capire bene, ma Lily non sembrava affatto scocciata o stizzita.
«Che specchio è?» chiese affascinato John, avvicinandosi a James che nascose il prezioso oggetto sotto il lenzuolo.
«Quello che ti fa il dito medio se ti ci specchi sopra, Owen» rispose, secco, immaginando Sirius perfettamente in grado di dare allo specchio quell'optional.
«Vuoi provare?» gli propose allungandoglielo con un un sorriso malandrino abbozzato sulle labbra.
Lily lo guardò storto. Adesso sì che sembrava scocciata.
«Eccomi!» esalò Peter, entrando in infermeria con il fiatone e un paio di baffi da topo che Lily e John gli fissarono con due occhi così straniti da metterlo subito in soggezione.
«Ce ne hai messo di tempo, Pete!» spezzò la tensione James che non aveva idea del perchè Peter si fosse trasformato in Codaliscia. Ma non era quello il momento per discuterne.
«Non ti starai esercitando troppo con i compiti che ci dà la McGranitt?» cercò di rimediare al danno osservando Peter boccheggiare improvvisamente, avanzando goffamente verso il suo letto per sedersi sulla sedia vuota lì vicino.
«Beh, sì... ma non si scherza con quella! Un’altra D e finisco in punizione per il resto dell’anno» rispose in una risatina nervosa che fece sorridere Lily.
«Hai visto Avery, Pete?» chiese James.
Era dalla mattina che pensava a Avery e al padre morto. Avery era violento di suo, violento e vendicativo. James non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che, trovandosi di fronte a Lily durante le ronde, quel mezzo Mangiamorte adesso sarebbe potuto scoppiare, magari mettendo davvero in atto le frasi che aveva scritto sui muri.
Doveva avercela ancora più a morte con chiunque non fosse dalla parte di Voldemort, Nati Babbani in primis. Lily in primis, la Nata Babbana più popolare della scuola. Lily, quella che secondo lui non meritava di stare sul gradino più alto per uno studente di Hogwarts.
Peter negò con la testa, diventando inspiegabilmente rosso. Le sopracciglia nere di James si aggrottarono di fronte a quella strana reazione.
«Sicuro?» insistette.
Peter lanciò uno sguardo fugace a Liv e John prima di rispondere, come se non si sentisse libero di parlare.
«Mulciber e Piton, in corridoio, stavano dicendo che è a casa per il funerale di suo padre e che non tornerà a Hogwarts prima di gennaio» rivelò sottovoce.
James annuì, leggermente rincuorato.
Ma Peter sapeva qualcos’altro, glielo leggeva in faccia. Non approfondì la questione per colpa della presenza di John che andò via per andare a studiare in biblioteca con i suoi amici soltanto mezz’ora dopo, quando Remus, Sirius, Mary e Liv fecero la loro comparsain infermeria.
Alla vista del Corvonero che dava l’ultimo bacio di saluto a Lily, proprio affianco ad un rigidissimo James, Liv ebbe l’impulso di usare John come cavia per gli scherzi contro Sirius.
Si limitò, comunque, a ricambiare il saluto del Corvonero e a seguirlo con lo sguardo mentre usciva  dalla porta.
«Altri fiori da parte di Lumacorno. Ha detto che passerà a salutarti appena finirà di correggere dei temi» esordì poi, atona, facendo Evanescere senza troppi complimenti  i fiori puzzolenti di John per sostituirli con il mazzetto di Elleboro* e agrifoglio del professore che Lily guardò con aria esterrefatta.
«Liv! Che cavolo gli dico quando tornerà qui?!»
«Che puzzavano, Lily. La verità».
Tutti risero e Mary scosse la testa sedendosi sul letto dell’amica mentre Remus tirava fuori dalla borsa un mattone di pergamene che faceva pensare ai suoi soliti appunti.
«Oh, no, Remus» si lamentò James scivolando sui cuscini ma Remus sollevò le sopracciglia castane avanzando tranquillamente verso Lily che già gli sorrideva, riconoscente.
«Non sono per te, tranquillo» lo rassicurò Remus porgendo le dozzine di fogli all’amica.
«Trasfigurazione, Incantesimi e Pozioni. Aritmanzia non ti serve, giusto?» spiegò, facendo vedere a Lily l’ordine che aveva usato per impilarli.
«Per Pozioni, visto che non c’eravate e che la vostra mistura ormai è da buttare, Lumacorno ha detto che dovrete fare un tema di recupero. Possiamo farlo insieme, Lily, se vuoi, perchè tanto devo farlo anche io...». L’ultima frase fu accompagnata da uno sguardo di fuoco in direzione di Sirius con uno sfacciato sorriso anche troppo innocente.
«Grazie, Remus» lo ringraziò Lily lasciandogli un’inaspettato bacio sulla guancia che divenne immediatamente rossa. «Ti ho mai detto che saresti un professore eccellente? Guarda qua che organizzazione!» continuò, sfogliando attentamente le pergamene.
Remus balbettò e il rossore si estese a tutto il viso facendo brillare gli occhi castani di Mary.
«Noi glielo abbiamo detto dal primo anno» s’intromise Sirius e Remus sbuffò.
«”Professor Lupin, lei è il miglior insegnante che abbiamo mai avuto!*”... vedi come suona bene?» aggiunse James tra le risa che improvvisamente avevano cominciato a scaldare l’infermeria.
Peter annuì, convinto.
«Difesa contro le Arti Oscure, Remus! Prendi sempre Eccezionale! Le tue lezioni le capirebbero tutti, posso assicurarlo io!» esclamò, radioso.
«Oggi siete tutti fuori di testa...» stroncò il discorso Remus senza però riuscire ad abbassare il sorriso emozionato ed imbarazzato che gli stirava le labbra sottili.
Liv gli andò affianco, aggiungendo motivi validi per cui lui avrebbe dovuto fare l’insegnante, ma Mary vedeva chiaramente qualcosa di strano negli occhi ambrati che sfuggivano al suo sguardo.
C’era emozione, sì, ma soprattutto tristezza. Come se, per Remus, fare il professore fosse un sogno irrealizzabile.
Perchè? Perchè era irrealizzabile se, come stava continuando a dire Lily con uno strano sguardo infuocato, lui era perfetto per quel mestiere?
«Ah, giusto!» esclamò Liv, accorgendosi dell’espressione indagatrice di Mary «Ci siamo dimenticati di chiedervi una cosa prima».
Si rivolse a James e Lily che la guardarono, incuriositi. 
Remus recuperò un’altra pergamena dalla tracolla e, a quella vista, James chiuse immediatamente gli occhi restando immobile sul letto.
«Non c’è bisogno di fingerti addormentato, James» fece Remus «Non sono altri appunti».
Lily allungò il collo per cercare di capire cosa fosse.
«Avete visto degli ‘estranei’ a scuola, la sera, nell’Ufficio di Silente o dintorni?» chiese spiccia Liv.
Sia Lily che James strabuzzarono gli occhi prima di guardarsi a vicenda.
Le riunioni con il Preside erano state poche, a dirla tutta, e ogni volta avevano trovato vuoto l’Ufficio del Preside, senza contare la presenza di Silente.
Certo, quando le riunioni non saltavano per colpa di sconosciuti che... Le voci di entrambi si accavallarono, mischiandosi e creando soltanto un intreccio di frasi incomprensibili.
«Uno per volta!» li fermò Remus aggiudicandosi un ironico e cantilenante ‘Va bene, professor Lupin’, da parte di tutti.
«Basta con questa storia» sbottò lui, di nuovo con le guance in fiamme.
Lily ridacchiò prima di rispondere alla domanda di Liv.
«Una ragazza...»
«Una snob...»
«Non saresti Potter se non giudicassi dall’apparenza, Potter» commentò, pungente, per poi riprendere il suo discorso.
«Lunghi capelli scuri, grandi occhi chiari. Era una ragazza molto elegante e dall’aria... ricca. Sembrava molto educata, ben vestita e con una certa postura...»
«Il nome?» chiese impaziente Peter mentre Remus stappava il calamaio sotto l’occhio stranito di Lily che fece spallucce.
«Non si è presentata... non ricordo» rispose, guardando James che socchiuse gli occhi, pensieroso.
«Lynn... Emma...» bofonchiò, confuso, ricordando la Mcgranitt che l’aveva chiamata con il suo nome per farle strada verso l’Ufficio di Silente.
«Emmeline!» esclamò Lily , illuminata. Era proprio quello il nome che aveva usato la McGranitt. Ma cosa c’entrava?
 Remus annuì tra lo squittìo di Peter e il grattare frettoloso della piuma sulla carta.
«Cosa scrivi?» gli chiese James sistemandosi gli occhiali sul naso.
Remus soffiò sulla pergamena per far asciugare più in fretta l’inchiostro e poi avanzò verso di lui per appostarsi tra i letti dei due Capiscuola in modo tale che potessero vedere, insieme, senza dover spiegare a voce con il rischio che Madama Chips o qualcun’altro potesse sentire.
 

 
L’ORDINE ... (di Silente? Anti-Mangiamorte? Pro-Nati Babbani?)
 


Albus Silente
Minerva McGranitt
Caradoc Dearborn
Dorcas (?)
Rubeus Hagrid
Elphias (?)
Frank 
Alice
Alastor Moody
Benjamin (?)
Gemelli dai capelli rossi (??)
Emmeline (?)
 


Lily e James ammutolirono. Rimasero a fissare il foglio per qualche minuto, in totale silenzio.
Il primo sorriso ad affiorare sulle labbra fu quello di Lily che sollevò lo sguardo acceso verso Liv e Mary che sorrisero a loro volta.
La curva di Liv, però, non la convinse del tutto. C’era qualcosa che non andava, qualcosa che la stava preoccupando. Si ripromise di chiederle quale fosse il problema appena sarebbe riuscita a stare da sola con lei.
Riportò gli occhi verdi sul foglio e i nomi di Alice e Frank l’attirarono come calamita. Li indicò con un dito e Remus annuì, come per dirle che era proprio come aveva ipotizzato lei. Frank e Alice avevano davvero a che fare con... l’Ordine.
Aveva un nome, quel gruppo segreto aveva un nome concreto che rendeva tangibile anche la voglia di combattere che Lily sentì improvvisamente scaldarle il viso.
L’Ordine contro la paura, L’Ordine contro l’ingiustizia, l’Ordine contro le bacchette che potevano uccidere sua madre, suo padre... e Petunia.
L’Ordine, Lily stessa, che avrebbe puntato la sua contro quelle e contro tutte le altre che osavano credersi superiori, indistruttibili, giuste.
James spostò gli occhi nocciola dalla pergamena a Liv che ricambiò l’occhiata incrociando orgogliosamente le braccia al petto. L’elenco dei nuovi nomi come “Frank” e “Benjamin” l’avevano origliato insieme.
Quello era un esercito. Un vero e proprio esercito. Un degno nemico di quello composto dai Mangiamorte e lui ne doveva fare parte, voleva farne parte con tutto se stesso.
Anche solo pensare a Lily al posto del padre di Avery, il cuore gli si incendiava di rabbia prima di spezzarsi.
Se la sua bacchetta poteva mettersi sfacciatamente di fronte a quella di un Mangiamorte non c’erano altre scelte da fare, paure da evitare.
Era quella l’unica scelta che avrebbe mai potuto tenere in considerazione.
«Dite che dovremmo aggiungere anche Edgar e Marlene?» chiese sottovoce Mary.
Nessuno riuscì a rispondere, nessuno sapeva o immaginava come l’Ordine avesse reagito.
Il professor Dearborn non sembrava essersi addolcito, tantomeno la McGranitt. Non c’era modo di scoprire cos’era successo la sera precedente, quando Edgar e Marlene se n’erano andati.
Silente era sembrato soltanto un po’ stanco ma con quella sua solita aria rilassata da chi ha sempre tutto sottocontrollo.
«Gemelli dai capelli rossi?» mormorò Lily, stranita.
«Un rosso più acceso del tuo» sussurrò Mary «Alti, abbastanza robusti e pieni di lentiggini. Erano con Gazza...»
«Gemelli? Sicura? Allora non possono essere Weasley...» ipotizzò James voltandosi verso Sirius che annuì, d'accordo con lui.
«Sono per forza i Prewett» annunciò sottovoce con l’assenso di James.
«Fabian e Gideon, per la precisione» commentò quest’ultimo con sicurezza per poi lasciarsi andare ad una piccola risata. «Wow, non voglio immaginare come l’ha presa la sorella. Credo sia la persona più premurosa ed ansiosa che conosca, dopo mamma» commentò divertito.
Peter ridacchiò con gli occhi celesti scintillanti in direzione di Mary e Liv.
«Cosa vi avevo detto?» mormorò, eccitato. James conosceva le famiglie “Traditrici del loro sangue” perchè era in una di quelle e Sirius perchè era stato abituato a sentire i suoi parenti insultarle, lo diceva sempre.
«Cos’è successo? Siete per caso tutti morti?» esordì Madama Chips facendo la sua comparsa con un vassoio carico di bottiglie, garze, pastiglie e bicchieri mezzo pieni di pozioni fumanti. «Questo silenzio non saprei spiegarmelo altrimenti».
Una risata generale riempì l'infermeria mentre Remus si infilava velocemente il foglio in tasca.
«No, di nuovo quella roba no» si lamentò James, seriamente terrorizzato alla vista della donna ferma accanto al suo letto. 
«Oh, non faccia il bambino, Potter! Apra la bocca e stia zitto! Ha preso di peggio in tutti questi anni. Devo ricordarle l’Ossofast?» lo redaurgì Madama Chips, esasperata e severa.
 Lily sollevò lo sguardo al soffitto tra i grugniti di James, schiacciato sui cuscini per allontanarsi dal cucchiaio stracolmo di liquido rossastro come il sangue.
«Potter, vuoi uscire con me?» chiese a bruciapelo e, come per magia, la bocca di James si spalancò per lo stupore.
Madama Chips fu libera di ficcargli la medicina giù per la gola.
«Scornuto» infierì Sirius inchiodando gli eloquenti occhi grigi su quelli storditi e schifati di James. 
Prova a fare il cretino e ti rovino, Ex-Ramoso. Mi hai capito? Oltre che senza corna sarai anche senza palle. Che poi è la stessa cosa.
«Mi dispiace, Lily, ma sono impegnato con una deliziosa Sirena del Lago Nero. Possiamo organizzare una cenetta a quattro, se vuoi» rispose James distogliendo lo sguardo da quello divertito di Sirius. «Io e la Sirena, tu e la Piovra Gigante. Come saprai sicuramente, tra le alghe ci sono dei ristorantini molto suggestivi».
Liv si morse il labbro per non ridere apertamente come invece stava facendo Peter. Ma si accorse che non c’era bisogno di trattenersi perchè anche Lily si lasciò andare ad una risata bassa e spontanea.
La situazione fu così strana che per un attimo si sentì un’altra persona in un altro gruppo di amici come di sicuro James, incredulo ma sorridente.
Forse, lui, qualche prossibilità ce l’aveva eccome: gli occhi verdi di Lily non erano così ridenti e brillanti da troppo tempo.
«Devo andare in Guferia» esordì, laconica, sentendosi addosso lo sguardo attento di Sirius. «Faccio veloce. Ci vediamo prima di cena».
«Liv!» la richiamò Lily cercando di alzarsi dal letto «Aspetta! Lasciami vestire e andiamo tutte insieme»
«Nemmeno per sogno, Evans!» sbottò Madama Chips facendola ricascare sul materasso mettendole tra le mani un bicchiere mezzo pieno di liquido giallo. «Stanotte starai qui e non si discute!».
Lily spalancò occhi e bocca, sconvolta.
«Cosa?!» esclamò, contrariata «Ma io sto bene!»
«Non direi» la contestò la donna spostandole i capelli rossi dal collo per passare con delicatezza una garza intrisa di unguento sopra i segni violacei ancora evidenti sulla pelle candida.
«Lily, cosa ti costa dormire qui un’altra notte?» cercò di farla ragionare Mary ma lei scosse la testa con profondo disappunto di Madama Chips che fu costretta a chiedere a Remus di tenerle ferma la testa.
«Non ti azzardare, Remus» lo minacciò Lily quando il ragazzo si avvicinò, non proprio convinto.
«Lily, vuoi uscire di qui con me?» chiese in una risata James e lei strinse i pugni cercando di fare forza contro le mani gentili ma ferme di Remus.
«Ecco cosa mi costa stare un’altra notte qui, Mary! Non sei sempre divertente, Potter!» sbaritò Lily mentre Liv se la svignava in corridoio dove le voci squillanti di Lily e James arrivavano ovattate ma sempre forti.
 «Quindi ammetti che sono divertente, a volte»
«Prova a ridirmi cosa mi costa, Mary! Avanti!».
Liv attraversò tutto il primo piano con falcate decise e poi, prendendo le scale, cominciò a correre.
«Come sta Lily?» le chiese una Tassorosso al quarto piano.
«Bene» si limitò a rispondere lei guardando di sfuggita fuori da una finestra: Niente gufi.
Suo padre non aveva ancora risposto alla lettera ed era passato un giorno. Non era da lui, non era da suo padre. Le lettere che si scambiavano erano sempre state poche ma puntuali.
Era dalla mattina che Liv aveva un brutto presentimento, una sensazione per niente rassicurante. Mary le aveva detto che forse il gufo si era perso per colpa della bufera di neve. Per questo aveva deciso di inviargliene un’altra anche se i gufi postali erano abituati a viaggiare in condizioni avverse.
Arrivò in guferia con il fiato mozzo e le orecchie piene dalle domande dei compagni di scuola incrociati nei corridoi che le avevano chiesto dello stato di salute di Lily e James.
Appena mise piede sopra il pavimento ricoperto da guano e scheletri di topi, notò Ned Stevens affacciato all’apertura sul muro dalla quale era appena volata via un civetta.
Il vento, lassù, ululava più forte rispetto agli spifferi che si sentivano dalle finestre durante le lezioni.
Una folata d’aria gelida mista a fiocchi di neve le scompigliò i capelli e Liv si strinse nella tunica nera prima di avanzare, cercando di non fare rumore. Non aveva voglia di parlare, voglia di ignorare ancora quello strano malessere che sentiva da tutta la giornata.
Per fortuna, anche Ned sembrava volesse stare da solo, perso nel paesaggio innevato che si stagliava di fronte a lui come lo era ormai da giorni, da quando Bones era scappato.
Senza stare a perdere tempo scegliendo tra gufi e civette, Liv svegliò il primo uccello che trovò vicino, appollaiato e gonfio dal freddo in una nicchia.
Il rapace bruno non fu felice del brusco risveglio che Liv gli riservò tirandogli una zampa. Il verso che l’animale lanciò, infatti, fu così forte da far frusciare le ali di alcune civette e saltare sul posto Ned che si voltò di scatto verso una Liv rigidamente sorridente.

«Ciao, Ned» lo salutò leggermente in imbarazzo prima di insultare il gufo pigro. Lo afferrò con la forza ma quello rimase aggrappato con gli artigli al suo trespolo. Ned rise, allontanandosi dal muretto per raggiungerla.
«Non devi trattarlo male» le consigliò in tono pratico, cominciando ad accarezzare delicatamente la testa piumata del gufo che chiuse gli occhi e si lasciò prendere dal Tassorosso senza particolari sforzi. Liv corrucciò le sopracciglia, fulminando l’uccello con lo sguardo.
«Sono esseri viventi come noi, che lavorano tantissimo al freddo e di giorno... sai che i rapaci di giorno dovrebbero dormire?» continuò Ned picchiettando giocosamente il becco uncinato del gufo.
Liv si strinse maggiormente nella sua divisa, sospirando in una nuvoletta di vapore. «Ma non posso mica venire qui la notte per spedire la mia lettera» ribattè sfilando dalla borsa una busta di pergamena con il nome di suo padre scritto sopra.
Ned scosse la testa porgendole il gufo. «Certo che no, ma dimostragli un po’ più di riconoscenza» disse in un sorriso divertito che Liv notò essere rovinato da un taglio fresco molto simile a quello che aveva Mary sul mento. Gli Occamy erano davvero dei piccoli diavoli.
«D’accordo» fece, arresa, avvicinando la sua lettera al becco dell’uccello «Scusa. Potresti portare questa a mio padre? Edgar McAdams».
Subito dopo aver detto il nome di suo padre, Liv si accorse del viso tirato di Ned che lasciò andare il gufo quando quello strinse con forza la busta nel becco e spiegò le ali per volare fuori dalla guferia in un turbine di neve e vento.

«Mi dispiace, Ned»
«Non è colpa tua se tuo padre si chiama come il mio migliore amico che poi così migliore non si è rivelato»

Liv sollevò entrambe le sopracciglia castane. Bones non gli aveva detto proprio niente?

«Mi ha scritto stamattina dicendo che è scappato di sua spontanea volontà, che non è stato rapito e che è a casa» riprese Ned facendo spallucce «Mi ha anche detto di non scrivergli più, per il momento». La smorfia di delusione e tristezza che Liv gli lesse in viso era chiarissima.
 «Almeno sai che è vivo e che sta bene» provò a rassicurarlo anche se non era certa di riuscirci visto l’umore a terra del Tassorosso «Se ha fatto quel che ha fatto ci sarà un motivo valido che prima o poi ti dirà». Magari quando uscirai da Hogwarts o se lo vedrai a Natale si disse, pensando a suo padre e al fatto di non poter scrivere niente dell’Ordine per lettera. Anche Edgar aveva di sicuro lo stesso suo problema con Ned.
Ned annuì, sorridendo appena ma in modo molto più sincero e rilassato. I suoi occhi blu erano così luminosi e riconoscenti che Liv si sentì un attimo in soggezione.
«Torniamo dentro?» propose il Tassorosso e lei acconsentì senza farselo ripetere due volte.
«Sì, si gela qui. Dovrebbero chiamarlo frigorifero non guferia»
«Friche
«Frigorifero. Roba babbana...»

Raggiunsero la porta decorata di vischio- cercando di schiacciare meno sterco possibile- trovando Sirius dietro il legno rovinato dalle intemperie.
«Ned» salutò ironicamente cordiale lui, facendolo passare senza distogliere lo sguardo assottigliato fisso su Liv.
«Sirius» rispose stranito Ned guardando la ragazza che venne fermata dal Grifondoro con una mano davanti al viso, sfiorandole il naso che Liv sentì formicolare a quella dleicata vicinanza.
«Cosa vuoi, Black?» chiese, immobile non soltanto dalla rabbia.
«Posso rubartela cinque minuti, Stevens?» chiese con apparente noncuranza Sirius come se non l'avesse nemmeno sentita.
Ned strabuzzò gli occhi, spaesato, mentre Liv sollevava un sopracciglio sotto le lunghe dita affusolate di Sirius che le sfiorarono la fronte coperta di brividi prima di allontanarsidal vuso viso; sapevano di sigaretta e del suo dannato profumo maschile capace di offuscarle il cervello.
«Siamo negli anni settanta del Novecento, Black, non dell’Ottocento» gli fece notare in tono ironico.
«Ah, davvero? Guardandoti direi che invece siamo nella preistoria, ma tu pensa...» fece quello, amabilmente.
Vedendo Liv tirare fuori la bacchetta, Ned sollevò le mani per separarli. «Ok, no, io non voglio immischiarmi nella vostra guerra» chiarì «Liv, ci vediamo in giro e... grazie».
A quelle parole, il viso corrucciato di Liv si rilassò. Spostò lo sguardo su Ned che le sorrise prima di allontanarsi, sparendo sulle scale a chiocciola che scendevano al piano di sotto sotto lo sguardo gelido e sospettoso di Sirius.
«Che vuoi da me, Black?» sbottò mentre lui le dava una spallata per entrare in guferia con occhi indagatori e passo felpato. Sembrava improvvisamente di umore nero.
Lo seguì, incerta, e senza preavviso si ritrovò appesa per aria, a testa in giù, come la più stupida delle prede.
«Ti stacco la testa, letteralmente» gli ringhiò contro vedendolo percorrere ogni centimetro di pavimento lurido mentre scrutava con attenzione ogni nicchia sul muro. Che accidenti stava facendo!?
L’improvvisa voglia di Schiantarlo e la tunica che le stava scivolando verso il petto insieme alla gonna misero in secondo piano quella domanda.
Staccargli la testa... a morsi.
«Avrei dovuto pensarci» borbottò Sirius sollevando di peso un gufo che gli morse un dito facendolo gridare di dolore. «In questa scuola nessuno si fa mai gli affari suoi» sibilò succhiando via il sangue.
Lasciò perdere il dito ferito, sollevando la testa con i ciuffi di capelli neri che svolazzarono insieme al vento e ad un inatteso fascio di luce rossa che gli passò proprio accanto.
«Fammi scendere da qui, Black, o ti farò volare fuori da questa torre prima ancora che tu possa sollevare di un millimetro il sorriso di merda che stai per fare»
Un angolo delle labbra di Sirius infatti si curvò verso l’alto mentre Liv finiva di parlare e, con sorpresa, Sirius stesso si ritrovò la bacchetta puntata contro. Si chinò giusto in tempo per evitare una fattura azzurro cielo.
«Fai sul serio?» sghignazzò, rimettendosi dritto. Il mezzo sorriso strafottente si aprì davanti a Liv che cercava di tenersi la gonna a pieghe il più vicina possibile alle ginocchia coperte dalle calze scure.
«Certo che faccio sul serio!» sbraitò lei, dondolando per colpa della lotta con la sua divisa. «E, tanto per informarti, quello che ha paura dell’altezza sei tu non io, Black. Questo scherzo idiota non mi sta facendo nè caldo nè freddo!»
«Non direi» obiettò Sirius inclinando leggermente di lato la testa per seguire con gli occhi i lunghi capelli scuri oscillare nell’aria.
Quando spostò lo sguardo sulla gonna ormai spiegazzata, la bacchetta di Liv puntò al suo naso.
«In giro per il castello c’è una persona che si è coperta di bolle al posto tuo, Olivia» sentenziò, avvicinandosi lentamente a lei «Soltanto perchè ha aperto la busta che avevo lasciato qui, con il tuo nome scritto sopra, invece di tenere le mani nelle tasche. É colpa sua se stanotte dormirai quassù» disse, mentendo con l'ultima frase.
Avanzò di qualche altro passo con l’intenzione di raggiungere la porta, ma la porta si chiuse di scatto e così forte da far cadere una pioggia di bacche di vischio a terra e far volare via due gufi per lo spavento.
Lo sguardo furioso di Liv e la bacchetta puntata all’uscio chiuso fecero benissimo intendere il parere della sua compagna di Casa.
Gli occhi scuri che aveva inchiodati addosso, proprio affianco a lui, riuscivano ad essere incredibilmente determinati e magnetici anche al contrario.
C’era qualcosa in quell’intenso e tormentato marrone caldo che gli incendiava lo stomaco da mesi. C’era qualcosa di vivo, rabbioso, selvaggio, ribelle... qualcosa di familiare. Ogni volta, lasciarsi consumare dalle fiamme di quegli occhi era come risentire la boccata d’aria pura che aveva respirato dopo essere appena scappato di casa; assaporare la libertà proibita e sentirla scorrerecalda e avvolgente come il Whisky Incendiario, in ogni parte del corpo.

«Mi ‘spiace, Olivia. Buonanotte» le mormorò in un lieve sorriso provocatorio facendo per allontanarsi di nuovo verso la porta, ma Liv gli afferrò al volo la cravatta costringendolo a fermarsi.
«Mettimi giù, Black» ordinò a denti stretti senza mollare la presa sulla stoffa rossa e oro. «Mettimi giù e combattiamo ad armi pari per decidere una volta per tutte chi vince questa guerra».
Sirius agitò la bacchetta senza lasciar passare neanche un istante dalla richiesta e con prontezza attutì la caduta di Liv prendendola per la vita con mani salde e gentili, ritrovandosi le sue sulle spalle e il naso a sfiorare il proprio in un improvviso pesante silenzio carico di un'intensa elettricità che entrambi si ritrovarono a respirare con urgenza senza capire il perchè. 
Posandola piano a terra, Sirius non riuscì a non seguire il suo profilo immobile chinando il viso su di lei per quei venti centimetri che separavano le loro diverse altezze. 
Gli occhi scuri spalancati così vicini e profondi non erano l’unica cosa che lo attirarono: la linea morbida delle labbra socchiuse sembrava chiamare la sua mentre i respiri pesanti si scaldavano a vicenda.
Fu Liv ad allontanarsi per prima; lasciò scivolare via le mani dalle larghe spalle di Sirius per spingerle sul petto ed allontanarlo da sè, scossa e con tutta la forza che le era rimasta nelle braccia ancora intorpidite dalla forte sensazione che aveva ammorbidito anche lui.
«Spostati!» ringhiò, continuando ad inspirare con impellenza quell'aria e quel profumo maschile intenso esattamente come Sirius davanti, rapito dla suo buon odore intenso e dolce.
«Ehi!»
«Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere, Black!»
«Preferivi romperti una gamba cadendo sulla pietra, forse?»
«Sì, lo preferivo!»
«Che cosa!?»
«Hai sentito bene!»
«Preferivi cadere qui, sulla cacca e sui topi morti!?»
«Tutti devono avere per caso preferenze identiche alle tue, Black!? No! Non sei nessuno per decidere per gli altri!»
«C’è bisogno di prendersela così tanto?!»
«Certo che c’è bisogno! C’è bisogno eccome
«Sei una masochista! Ecco cosa sei, Olivia!»
«Sono proprio l’opposto!»
«Preferire lo sfracellamento a terra all’appoggiare soltanto i piedi sarebbe l’opposto del masochismo!?»
Con un ringhio rabbioso, Liv gli lanciò la prima fattura che gli passò per la mente e Sirius indietreggiò ulteriormente senza però riuscire a parare l’incantesimo.
In un attimo, la pelle del suo viso si coprì di piccole bolle rossastre. Le toccò leggermente con la punta delle dita, sorridendo sardonico.
«Questo non vale, tu non hai beccato le bolle»
«Che aspetti allora!?»
Il tono e lo sguardo di sfida gli fecero venire un’irrefrenabile voglia di riavvicinarsi a lei, a quegli ondulati capelli neri che profumavano eccitandolo e rilassandolo al contempo; avvicinarsi a quel naso piccolo e liscio, alla curva delle spalle e della schiena, alle labbra serrate che però continuavano a chiamarlo.
Strinse la mascella nel tentativo di resistere, e lanciò la fattura che Liv parò prontamente.
«Non abbiamo stabilito le regole di questo duello da resa dei conti, Olivia»
«Quando mai abbiamo avuto regole, Black!?»
Quella frase lo fece sorridere, elettrizzato, studiando con ferma intensità gli incantevoli occhi scuri davanti a lui. Mai, in effetti. Niente regole, niente limiti, niente mezze misure, niente costrizioni.
In guferia non rimasero più gufi e civette, non perchè il sole stava tramontando sul lago nero ed era ora di andare a caccia di roditori.
Le piume dei rapaci scappati di fronte a quell’infervorato duello scoppiato all’improvviso danzavano ancora nell’aria insieme ai fasci di luce colorata, Caccabombe e Pallottole Puzzole tirate fuori dalle tasche. I capelli di Liv divennero di tre colori diversi prima di accorciarsi poco sopra le spalle.
Quelli di Sirius, subito dopo, si allungarono in sinuosi boccoli biondi. Per renderli ancora più femminili, con l’Incantesimo di Adesione Permanente Liv ci attaccò sopra un mucchietto di quelle piume grigio fumo, a mò di fermaglio retrò.
Sirius ribattè facendo levitare qualche scheletro di topo e lucertola per poi attaccarglieli alla gonna come tetri amuleti scaccia malocchio.
Il guano di civetta che gli volò addosso riuscì a schivarlo per un pelo, ma quello dopo lo beccò in pieno petto.
Sul viso di Liv non c’era l’ombra di un sorriso, nemmeno soddisfatto. Era furiosa, furiosa e rigida come una manico di scopa, esattamente come Sirius sentiva i suoi muscoli delle braccia e del ventre ad ogni scatto che in realtà avrebbe voluto fare verso di lei.
Senza preavviso, le lanciò una Fattura Rallegrante che la fece scoppiare forzatamente a ridere, scivolando a terra.
«Volevi stare lì, Olivia? Eccoti accontentata»
«Tu... invece, Black... faresti meglio... a lavarti». La bacchetta di Liv, tremante per le risate, puntò su di lui e un forte getto d’acqua fredda lo bagnò completamente dalla testa ai piedi.
La risata si placò all’istante con un auto-controincantesimo che le fece perdere tempo prezioso.
Si ritrovò infatti a strisciare velocemente, come attirata, verso Black che evidentemente aveva Appellato qualcosa che lei aveva addosso.
«Everte Statim!» gridò Liv per allontanarselo da davanti; Sirius volò all’indietro, verso l’apertura della torre.
Fu un istante, un attimo che Liv percepì al rallentatore. Fu come acchiappare il Boccino d’Oro.
Appellò le piume di gufo attaccate magicamente ai capelli di Sirius e lui le arrivò addosso, lontano dal baratro che avevano di sotto.
Non colpì la schiena al muro grazie alle mani che Sirius sollevò per prenderle vita e testa attutendole volontariamente lo schianto, ma il peso del corpo umido di Sirius completamente su di sè lo sentì tutto, insieme al suo naso di nuovo poggiato al suo, il respiro rumoroso; gli occhi grigi spalancati come i suoi.
«Ho vinto io» esalò Liv togliendoselo di dosso per andare via da lì il più in fretta possibile. «Saresti morto e il duello sarebbe finito così».

Spalancò la porta e dopo averla varcata se la sbattè dietro, poggiandosi subito con la schiena senza avere la minima forza per camminare oltre. Le gambe le tremavano dalla paura dello scampato volo e da qualcos'altro che le stava facendo bruciare l'intero corpo.
Respirò a fondo più volte, ad occhi chiusi, e si decise ad allontanarsi da lì soltanto quando sentì i passi di Sirius dietro il legno.
Ma Sirius non si era mosso verso la porta.
Aveva barcollato verso il davanzale colmo di neve fresca per raccoglierla con entrambe le mani e passasserla con vigore sulla faccia nonostante il gelo pungente di dicembre. Sentiva le viscere andare a fuoco, sentiva Liv sulle mani, sulla faccia, su tutto il corpo e forse anche dentro.
 






 
*
 
 




Remus non riusciva più a fare finta di niente.
Ci aveva provato, all’inizio, quando tutta la Sala Grande riunita per cena si era girata verso Liv- meglio detta: Santone indiano, con quelle ossa tintinnanti sulla gonna-  che aveva fatto la sua comparsa avanzando tra i tavoli affollati senza prestare attenzione alle facce orripilate puntate sugli scheletri dondolanti e sul suo caschetto mosso color arcobaleno.
Aveva sollevato di peso un’impietrita Mary dalla panca, per trascinarla lontano da lui e Peter,  e si era seduta affianco a Jane Phillips, sconcertata come non mai.
La situazione era diventata più  inquietante quando, un quarto d’ora dopo, era comparso Sirius- lui più che Santone indiano faceva pensare ad un Santone Hippie di ritorno da Woodstock- con la sua solita andatura sciolta nonostante i lunghi boccoli biondi ‘addobbati’ con piume, la faccia interamente coperta di bolle, lo sterco sul maglione che ricordava quello di gufo ma anche tipiche macchie di Caccabombe, gli abiti zuppi d’acqua.
Tutti, compreso Peter e gli insegnanti, l’avevano guardato (e continuavano a farlo) come se fosse stato un Troll che sedeva al tavolo dei Grifondoro.
Remus era abituato a tutto ormai, tutto.
Sirius in mutande e un calzino, Sirius con una coperta come accappatoio, Sirius con l’accappatoio come coperta, Sirius travestito da Xeno Lovegood, Sirius con due coperchi di pentole per nascondere i suoi lati A e  B di ritorno da un’uscita con una ragazza babbana finita male.
Ma questo, doveva ammetterlo, era parecchio strano.
Il brusio che si era creato subito dopo era stato così forte che la McGranitt si era dovuta alzare in piedi per intimare a tutti di smetterla e di continuare a mangiare (soltanto dopo aver tolto dieci punti a Grifondoro per “L’originale abbigliamento” dei suoi due studenti “maggiorenni”).

E adesso Sirius era lì, ad aspirare come se niente fosse la zuppa dal cucchiaio con gli occhi di quelli seduti vicino sgranati come galeoni.

«Uhm... Sirius?» cominciò Remus «Si può sapere cos'è successo?».

Sirius sollevò un sopracciglio senza smettere di sorseggiare il suo brodo.
Remus si autocostrinse a non guardargli i capelli biondo grano come invece stava facendo Peter, sul punto di scoppiare a ridere.
«Non qui, Remus» si limitò a dire Sirius, incredibilmente rilassato per essere uno ridotto in quello stato, prendendo un’altra cucchiaiata dal piatto.
Le sopracciglia castane di Remus si arcuarono entrambe, perplesse. Intercettò lo sguardo sconvolto di Mary che riportò gli occhi nocciola sulla sua migliore amica intenta a sorseggiare del succo di zucca.

«C’è qualcosa che devi dirmi, Liv?»

Liv continuò a bere, fulminando con lo sguardo Jane che aveva cominciato a spostare il suo da lei a Sirius con crescente ‘assottigliamento occhi’.
Poggiò il calice davanti al piatto e si decise a rispondere.
«Ho vinto io» annunciò tranquillamente.
Mary sollevò un sopracciglio biondo, in attesa di ricevere maggiori informazioni.
Aveva vinto cosa? Il set di calderoni sulla rivista di Pozioni di Lily? Il primo premio del gioco sul giornale con il cruciverba?
O, guardandola meglio, la lotta con gli indigeni che si diceva abitassero nella Foresta Proibita?

«La guerra con Black» precisò Liv, secca «É finita e ho vinto io».

L’ultima frase non le uscì con la dovuta convinzione. Aveva vinto lei, sul serio?
Non sentiva di aver vinto, nel modo più assoluto. Non lo sentiva perchè aveva gli occhi lontani di Black puntati addosso e l’unica cosa che sentiva erano le sue labbra che la chiamavano, ancora. I muscoli tesi delle spalle di Black sotto le mani, e quelle di Black attorno alla sua vita. La liscia carezza sul naso...
 
«Scusa?» la chiamò per davvero Bertram Aubrey*, un ragazzo Corvonero del quinto anno, che le passò un foglietto di pergamena.
Liv non fece in tempo a chiedergli cos’era che quello si era già riseduto al suo tavolo accanto ad una ragazzina con il viso rosso coperto di bolle.

Guardò Mary che con i suoi occhi spalancati dallo scorcerto e dalla curiosità la incoraggiò ad aprire il biglietto.
 


‘So che vendichi le vittime di Black e Potter. Beh, quei due anni fa mi hanno gonfiato la testa fino a raddoppiarla. 
Grazie in anticipo!’
 


«Che cosa?» esordì incredula Mary.
Liv sbattè più volte le palpebre, interdetta.
Riportò lo sguardo sulla ragazzina con le bolle che le sorrise, mimandole un grazie ed indicando il viso pustoloso di Sirius.

La signorina aveva capito male. Decisamente male.



















 
 
 
 
 
 
 

 
 
Note:
 

*Remus stesso dice a Harry che non è mai stato bravo a distillare Pozioni (H.P. e il Prigioniero di Azkaban,  pag. 148).

*L’Elleboro fiorisce a Dicembre, per questo è anche chiamato Rosa di Natale. In Inghilterra è il fiore di Natale per eccellenza: si appende nelle case, si regala ed è di buon auspicio (“Liberazione dalle pene”).  I fiori bianchi sono anche molto belli.

*“Lei è il miglior insegnante che abbiamo mai avuto!”. L a frase di James  è la stessa che Harry dice a Remus (Sempre nel terzo libro, pag. 379). 

*Bertram Aubrey è stato davvero uno studente degli anni settanta ed è davvero stato preso di mira da Sirius e James che gli hanno gonfiato la testa. Harry, in punizione prima del bacio con Ginny, lo scopre da Piton che gli legge ad alta voce le punizioni da un vecchio registro di Gazza che Harry deve riordinare (H.P e il Principe Mezzosangue, pag  484).

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 28. Attaccare Bottone ***


Altro capitolo ‘corto’ semplicemente perchè è la metà mancante del precedente (scusate la confusione di quest’ultimo periodo xD).
Ho preferito inserire queste vicende in un capitolo a parte perchè il prossimo (che è quasi finito) è davvero molto denso.
Mi dispiace per chi aspettava la festa di Lumacorno. Arriverà presto :)
 
 
 
***
 
 
 

 
Imagine, Jhon Lennon (1971)
 
 
 
Capitolo 28
 

 

ATTACCARE BOTTONE

 
 
 
 
 
 
«Vado io nei sotterranei, Mary, sappiamo entrambi il perchè»
«Se Lily ci va posso andarci anch’io, Remus»
«Nemmeno Lily dovrebbe più. James ha ragione. Dopo la morte del padre di Avery non sappiamo come potrebbero reagire Mulciber e gli altri. Vado io lì sotto, non hanno motivi per prendermi di mira*»
 
«Avete deciso? O devo farlo io?» esordì la professoressa McGranitt rompendo il silenzio dell’aula professori e il dialogo sussurrato tra Remus e Mary che, l’uno di fronte all’altra ad una distanza ravvicinata per non farsi sentire dagli altri Prefetti, erano stati designati sostituti dei Capiscuola per la ronda della sera.
Mary sbuffò, facendo muovere brevemente la frangia bionda sopra al naso. Non ribattè e non lasciò lo sguardo determinato di Remus inchiodato ai suoi occhi nocciola. Remus non era un Nato Babbano, era un Mezzosangue e perciò non poteva essere un bersaglio per quegli esauriti.
Remus era ritenuto un mago degno di vivere, degno di far parte del mondo. Lei no, lei e tutti i Sanguesporco. Era per questo che Lily stava nei sotterranei, per questo che sfidava quelle ‘nuove leggi’ da Purosangue fuori di testa.
E lei era più che d’accordo, ma la situazione stava diventando davvero pericolosa e da feriti non si poteva sfidare nessuno.
Lei lo sapeva bene che sotto una Maledizione Imperio non si pensava a niente. “Amici”, “nemici”, “parenti”, “guerra”, “pericolo”, “sicurezza”, “bene”, “male”... sotto Maledizione Imperius niente di quelle cose aveva importanza, non si distinguevano, non si riconoscevano.
Lei lo sapeva bene che con le braccia fratturate e un trauma cranico capace di far svenire* non si poteva impugnare una bacchetta e combattere.

«No. Abbiamo deciso, professoressa» esordì in un mezzo sorriso rivolto al suo collega. «Io starò ai piani superiori».
La McGranitt annuì. «Molto bene» approvò sistemandosi meglio gli occhiali squadrati sul naso prima di voltarsi verso i Prefetti radunati in via eccezionale per la mancanza dei Capiscuola ufficiali. «Ricordate, mi rivolgo ai prefetti del settimo anno di ciascuna Casa, di consegnare al signor Lupin e alla signorina Macdonald i fogli delle firme di chi deve rimanere a Hogwarts durante le vacanze, entro e non oltre domattina».
Qualcuno annuì e la professoressa uscì dalla stanza a passo svelto passando accanto a Gazza che attizzava i carboni ardenti nel braciere.
Mary si chinò sul tavolo per ricontrollare la pergamena con le direttive da dare prima delle vacanze natalizie, scritta da Lily, e i Prefetti ripresero a parlare a voce alta tra loro con profondo disagio di Remus che non seppe minimamente come fare per farsi sentire.
Aveva avuto sei anni interi per riuscire a zittire (almeno la metà delle volte) James e Sirius quando non lo facevano studiare nemmeno in biblioteca, ma zero per controllare una mandria di Prefetti in visibilio per l’ultima ronda del primo trimestre e per le vacanze di Natale.
Per un attimo invidiò Lily e il suo deciso caratterino capace di far tacere tutti con un solo ‘Zitti!’ gridato al momento giusto.
La strana sensazione di essere osservato gli fece spostare lo sguardo da una silenziosa Pandora sostituta di Marlene come Prefetto Corvonero, circondata da chiacchiere all’angolo con il grande armadio in legno dove Piton, appoggiato al muro con una spalla ossuta accanto a Regulus ed un annoiato Barty, lo stava fissando in un modo così ironicamente derisorio tanto da fargli serrare la mascella con forza.
Gli occhi neri e lucenti si posarono con evidente e familiare provocazione sul calendario appeso accanto alla porta e la voce di Remus echeggiò nella stanza facendo trasalire tutti, Mary compresa.
«SILENZIO!».
Le chiacchiere emozionate si spensero come i sorrisi sulle facce di tutti, eccetto in quella stirata in un ghigno di Piton e la completamente spaesata di Ned Stevens, appena arrivato con la spilla da Prefetto del suo migliore amico disperso appuntata storta al petto.
«Remus?» mormorò Mary guardandolo stranita al suo fianco. Gli occhi nocciola leggermente spalancati scrutarono attentamente la pelle di Remus, di solito pallida come le gelatine al latte, così rossa da non sembrare nemmeno la sua.
Lo vide distogliere lo sguardo da Piton per poi osservarla con i grandi occhi ambrati imbarazzati come non mai. Mary si chiese che cosa accidenti si era persa dato che non aveva visto Severus parlare o fare qualcosa di offensivo nei suoi confronti.
Remus era così nervoso che poggiargli una mano su un braccio fu più un bisogno che un semplice gesto rassicurante.
«Stai bene?» gli chiese sottovoce stringendo la presa senza rendersi conto che così facendo i battiti nel petto di Remus acceleravano invece di diminuire.
«Sì» rispose lui a denti stretti prima di dire a voce ben alta tutto ciò che Lily aveva lasciato scritto, ricordare i fogli con le firme e poi che potevano ritornare nelle loro Sale Comuni . Prima che Piton muoia per davvero, stavolta, strozzato da queste mani. 
Seguì con lo sguardo il fulcro degli istinti omicidi del lupo che cominciava a risvegliarsi per la luna piena vicina, fino a quando non lo vide sgusciare per ultimo fuori dall’aula con il mantello nero a svolazzargli dietro.
«Remus».
La voce di Mary era preoccupata, così preoccupata da fargli sentire una stretta al cuore per niente dolorosa ma soltanto piacevole e calda che quasi non gli sembrò reale. Così come continuò a non sembrargli reale il fatto che quella ragazza tenesse così tanto a lui come faceva sempre intendere.
«Cos’è successo, Remus?».
Piton continua a non farsi gli affari suoi, Mary, è questo che è successo. 
Piton vuole vedermi esplodere, vuole far capire agli altri cosa sono, è questo che succede ogni mese. E prima o poi ci riuscirà, me lo sento. Non so come o quando, ma ci riuscirà*.
«Ho mal di testa e quelle voci mi stavano facendo impazzire» si limitò a rispondere fissando l’armadio in legno con insistenza.
Non voleva dirglielo. Il ‘Non posso’ si era trasformato in ‘Non voglio’ senza nemmeno sapere quando.
Non voleva che Mary sapesse perchè lei l’avrebbe accettato senza riserve; La sua licantropia, per lei, non era un buon motivo per lasciarlo stare e Mary doveva per forza lasciarlo stare perchè stare con un Lupo Mannaro che non accettava di far parte dell’esercito di Voldemort significava essere torturati, rapiti, presi come ostaggi e poi uccisi.
Mary rischiava già tutto quello per il suo stato di sangue, ma era nascosta in un mare di Nati Babbani. Stare insieme ad un Lupo Mannaro significava spiccare tra la gente agli occhi dei Mangiamorte. Mary, al suo fianco, sarebbe stata come illuminata da un faro, non più nascosta e mai al sicuro.
Mary non doveva sapere, Mary doveva continuare a credere che tra loro ci fosse un valido ed enorme ostacolo indistruttibile.
«Stai di nuovo male?»
«No, è solo mal di testa, davvero»
«Remus, per favore».
Il tono ancora più preoccupato lo fece voltare per guardarla, incrociando i suoi espressivi occhi castani che stavano chiaramente cercando di dirgli qualcosa da sotto la folta frangia bionda. Remus avrebbe tanto voluto scostarle quei morbidi ciuffi per osservarli meglio, quegli occhi capaci di passare oltre le cicatrici.
Scosse piano la testa, frenando la mano che anche senza artigli le avrebbe soltanto fatto male.
«Mal di testa, Mary, solo quest...»
«Sono tua amica, non la ragazza che ti ha chiesto di uscire anni fa, Remus» lo fermò duramente Mary con le guance che pian piano si colorarono di un rosso acceso alla luce delle candele «Sono tua amica e se c’è qualcosa che ti fa stare male puoi dirmelo, devi dirmelo»
«Non c’è niente che mi fa stare male a parte il mal di testa adesso»
«Il mal di testa e qualcosa che ti fa credere di non riuscire a diventare il ‘professore migliore che abbiamo mai avuto’».
Remus sospirò, sentendo il petto farsi pesante.
«Perchè, Remus? Perchè quando ti chiedo cosa vorrai fare una volta presi i M.A.G.O., una volta finita questa guerra, tu non mi rispondi mai anche se si vede lontano un miglio cosa vorresti diventare?»
«Perchè invece non lo so ancora» le sibilò sforzandosi di trattenere tutta la rabbia che non gli apparteneva, la rabbia che il lupo riusciva sempre a far nascere quando si dimenava aggrappato alle costole come se fossero state le sbarre di una prigione. «Perchè fuori da Hogwarts non c’è più niente di certo e perchè nessuno mi vorrebbe come dipendente»
«Nessuno ti vorrebbe come dipendente?» ripetè con sconcerto Mary «Perchè? Per le cicatrici sul viso? Non saremo a scuola, non ci saranno stupidi bulletti che ti prenderanno in giro per il tuo aspetto fisico».
Il cuore nel petto di Remus riprese a battere, forte e veloce, come se avesse ancora lo sguardo sardonico di Piton addosso, come se si stesse per trasformare nel lupo che scalpitava dentro la sua gabbia toracica, desideroso di uscire e di distruggere tutto, Mary compresa.
L’ottimismo di Mary, il suo vivere il presente immaginando un futuro migliore, faceva a cazzotti con quel mostro oscuro, peloso e zannuto che risucchiava speranze e felicità, luna piena dopo luna piena.
«Perchè... perchè» balbettò, cercando di trattenersi dall’urlare di frustrazione «anche se i giornali non lo dicono, i posti di lavoro sono riservati a quelli che i Mangiamorte non vedono come mostri e rifiuti della società. Mio padre ha visto dipendenti Nati Babbani cacciati dal Ministero senza una ragione. Voldemort e le sue idee si stanno infiltrando ovunque!»
Vide la labbra di Mary arricciarsi, con stizza, capendo immediatamente il perchè: non per il nome che tutti avevano paura di pronunciare, perchè anche Mary lo chiamava così senza farsi problemi, ma per aver detto qualcosa di decisamente stupido.
«Tra quei posti ci sei anche tu, Remus. O sbaglio?» contestò Mary, seccamente «Non sei un Nato Babbano o un mostro, qualsiasi cosa voglia dire ‘Mostro’. Solo per quelle cicatrici saresti un mostro?»
«Io non volevo dir...»
«I  Mezzosangue come te non sono visti come rifiuto della società. Io cosa dovrei fare allora? Immaginare la mia vita da barbona o buttarmi direttamente giù da un ponte prima che lo faccia Voldemort o uno dei suoi?»
Mary fece per allontanarsi il più in fretta possibile, mollando il braccio di Remus che però le afferrò la mano, bloccandola sul posto.
«Mary, non volev...»
«Stai attento lo stesso nei sotterranei» gli disse soltanto lei, senza guardarlo in faccia. Remus  annuì, non trovando le parole per rispondere a voce, e quando lasciò la presa Mary fu libera di andare.
Si divisero davanti alle quattro alte clessidre, scambiandosi uno sguardo in lontananza prima di sparire dalla visuale di entrambi, Mary al primo piano e Remus sulle scale umide e buie dei sotterranei.
 
 


 
*
 



 
 
La fiamma della candela era alta, gli occhi scuri di Liv la seguivano muoversi lentamente da un’ora, da quando si era stufata di osservare il cielo nero dietro nella speranza di vedere un gufo o una civetta arrivare in volo, per lei.
Era seduta al tavolo sotto alla finestra della Sala Comune di Grifondoro da dopo cena.
Non era andata in infermeria per farsi rimettere a posto il caschetto arcobaleno che aveva ancora in testa. Le voci dei suoi compagni di Casa, lo screpitio del fuoco e la fiamma danzante della candela non riuscivano tuttavia a distrarla.
Sapeva che il gufo inviato a suo padre prima di cena non poteva essere già arrivato a Londra, ma la lettera spedita il giorno prima non poteva essere sparita nel nulla. Magari suo padre le aveva risposto a pranzo e la civetta stava per arrivare.
Sollevò gli occhi dalla candela per portarli di nuovo oltre il vetro innevato ma niente, il cielo illuminato da qualche fulmine fu tutto ciò che vide a parte il riflesso della Sala Comune dove, tra le rosse poltrone sfocate e le persone che girovagavano tranquillamente per la stanza, vide Sirius e Peter chini su un altro tavolo pieno di pergamene e libri dall’altra parte della sala.
Sirius aveva di nuovo il suo aspetto normale, senza contare le piume di gufo attaccate ai capelli, di nuovo neri.
Non gliele avrebbe staccate per nulla al mondo. Non si sarebbe riavvicinata a lui, anche se aveva ancora scheletri appesi alla gonna che solo lui avrebbe potuto togliere visto l’Incantesimo di Adesione Permanente.
La prospettiva di andare in giro per il castello con il sinistro tintinnio delle piccole ossa ad ogni passo era decisamente più allettante di quella che la vedeva davanti a lui di nuovo, a parlargli e guardarlo, a sentirne il profumo e la pelle.
Lo vide e sentì ridere con quella sua solita risata simile ad un latrato che faceva sempre voltare qualche ragazza, proprio come in quel momento.
Osservandolo grattarsi uno zigomo con una piuma d’aquila, la sensazione di quel naso accanto al suo le fece spostare con fastidio lo sguardo sul suo riflesso sfocato, trovandosi immancabilmente ridicola non soltanto per la nuova acconciatura degna di Gilderoy Allock a Pasqua.
Liv deglutì a vuoto, riposando gli occhi sulla candela mezza consumata e sui suoi appunti di Trasfigurazione per il compito dell’indomani, proprio quando Sirius portò lo sguardo su di lei.
“Ho vinto io. Saresti morto e il duello sarebbe finito così”.
Quelle parole gli rimbombavano ancora nelle orecchie insieme al fischiare del vento e alla voce raggelante della morte che l’aveva richiamato dal vuoto sotto la torre in cui, se non fosse stato l'Incantesimo di Appello di Olivia, stava per cadere.
Stava per. Perchè no, non era morto. E dire che il duello era finito aveva la stessa valenza della frase: ‘Walburga Black è solita preparare gustose merende quando invita a casa i figli dei vicini babbani, amici del suo adorato primogenito Sirius’. 
Lui era proprio lì, in piedi nella stessa Sala Comune di Olivia, in carne, ossa e voglia di arrivarle alle spalle per posarle le mani sui fianchi che sentiva ancora sotto i palmi delle mani; voglia di riavvicinarsia lei, di guardarla negli occhi, di parlarle. Sapeva che quando si isolava in quel modo non voleva essere disturbata, lo stupido Sirius dodicenne l'aveva capito a proprie spese.
Aveva imparato a guardarla da lontano, a rispettare quel suo bisogno e poi a riavvicinarsi. In sei anni, era stato l'unico che non le aveva dato retta, l'unico che le si era avvicinato dopo averla vista difendersi da sola da chiunque, come voleva lei. E non avrebbe mai smesso di tornare da lei.
«Felpato» lo chiamò Peter con il viso ad un centimetro dalla Mappa del Malandrino aperta.
Sirius lasciò la figura solitaria di Liv, il cuore a battere più veloce in un modo ormai molto familiare, ed osservò il corto e grassoccio dito dell’amico poggiato sulla pergamena, più precisamente sull’ufficio di Silente occupato dal preside, dal professor Dearborn e da un altro nome sconosciuto.
«Sturgis Podmore?» lesse sottovoce, lo stupore ad ingrandirgli lievemente gli occhi grigi posati sul cartiglio col nome del Tassorosso diplomato tre anni prima.
«É apparso dal nulla! Credi che sia quello che conosciamo noi?» mormorò sconvolto Peter. «Tre secondi fa non c’era! Come se si fosse materializzato direttamente nell’ufficio del preside».
Sirius assottigliò lo sguardo luminoso. Fregare il preside era sempre stato difficile, ma mai impossibile e sempre incredibilmente divertente. Il segreto degli Animagus ne era un esempio.
«Silente crede di poterci fregare, Pete» ghignò «Accoglie i suoi ‘ospiti’ con una Passaporta o tramite Metropolvere, ma non sa che noi sappiamo anche quante volte va in bagno».
Il sorriso che gli curvò le labbra, in contemporanea a quello complice e divertito di Peter, fece ridacchiare alcune ragazze estasiate sedute sulle poltrone vicine senza che lui se ne accorgesse.
«Dobbiamo scriverlo nella lista di Remus, Felpato» mormorò Peter fissando il nuovo nome come se avesse paura che potesse sparire da un momento all’altro così com’era apparso.
Sirius annuì. «Sì, andiamo» concordò alzandosi dalla sedia con lo sguardo di nuovo posato sul caschetto mosso multicolor.
Aspettò che Peter raccogliesse la Mappa, il suo astuccio delle matite, e il materiale per ripassare Trasfigurazione che dall’ansia per il compito non aveva minimamente toccato, ed entrambi attraversarono la chiassosa e piena come un uovo Sala Comune.
«Sirius?» fece Peter salendo sul primo gradino della scala a chiocciola che portava ai dormitori maschili.
«Mh?» rispose lui distogliendo lo sguardo dalla schiena di Liv per seguirlo sugli scalini.
«Prima, quando eravate a Pozioni» cominciò Peter, incerto «Sono andato a spiare i Serpeverde nel loro buco»
«Ah, ecco dov’eri finito!» esclamò Sirius dandogli una pacca sulla schiena «Cosa ci facevi? Gli allenamenti non erano ieri?»
Peter divenne rosso. Non voleva dire che era andato ad ascoltare Piton, Mulciber e Regulus perchè aveva ancora in testa quel loro piano sulla Camera dei Segreti che non lo faceva dormire la notte.
Sirius, James e Remus non credevano fosse un problema pericoloso, ma lui sì: I Serpeverde non facevano mai niente per caso.
«Hanno parlato di nuovo della Camera dei Segreti» sussurrò terrorizzato sentendo immediatamente la risata di Sirius echeggiare nella tromba delle scale.
Ecco, non avrei dovuto dirlo.
«Peter, sono degli idioti. Gli idioti non fanno un bel niente»
«Non sono idioti».
Sirius si bloccò su un gradino, fissando l’amico con gli occhi grigi improvvisamente seri.
«Come, Codaliscia?» chiese, incredulo.
Che quei Mangiamorte dei poveri fossero degli idioti era ormai appurato. Sirius aveva sempre pensato che la cosa fosse chiara anche a Peter dato che quando James li imitava con la coperta in testa e lo spazzolone del water in mano anche lui rideva, rideva fino a farsi uscire le lacrime.
Peter balbettò, con gli occhi celesti incapaci di fermarsi su quelli di Sirius, prima di liberare tutta l’ansia che sentiva crescere dentro ogni giorno di più e che più volte, specialmente la notte, gli faceva pensare che lui in un gruppo segreto che combatteva i Mangiamorte sarebbe apparso solamente come un bambino del primo anno di fronte al Cappello Parlante.
«Certo, certo che sono degli idioti per quello che pensano sui Nati Babbani e sui Lupi Mannari, ma non lo sono per altre cose... sanno quello che fanno, Felpato, hanno organizzato tutto! Hanno trovato un libro su Salazar Serpeverde nella libreria della loro Sala Comune. Tuo frat... Regulus» si corresse di colpo con l’occhiata raggelante di Sirius. «Regulus e Mocciosus hanno il compito di trovare informazioni in quelle pagine. Mulciber e Barty Chrouch stanno ispezionando ogni angolo dei Sotterranei e Avery...»
«Avery?» lo interruppe sarcasticamente Sirius, passandogli un rassicurante braccio sulle spalle. «Si è comprato una corona di serpenti per dirigere ‘i lavori’?».
A Peter scappò un sorriso anche se quella battuta non era poi così lontana dalla verità, da quanto aveva capito.
«Avery ha spedito una lettera dicendo che aveva delle grosse novità che l’avrebbero reso il loro punto di riferimento se volevano ancora avere a che fare con... con...»
«Con il cesso?»
«Sirius...»
«Non riesco a collegarlo ad altre cose, Pete, perdonami»
«Con Tu-Sai-Chi»
Il sorriso divertito di Sirius si allargò a dismisura. «Stai dicendo che Avery è già un Mangiamorte?» domandò, scettico.
Peter negò. «Non lo so, non l’hanno detto, ma sembra sia così, vero?» chiese puntandolo con i chiari occhi tremanti.
Sirius lo scrutò per qualche secondo, in silenzio. Peter era così impaurito che gli tremavano le labbra e le mani gli si torcevano spasmodicamente l’una con l’altra.
Peter era l’unico che non parlava quando, prima di spegnere le candele e dormire, si parlava dell’Ordine di Silente, soprattutto dopo la vicenda di Hogsmeade.
Remus aveva più volte detto che Codaliscia era convinto di non riuscire nemmeno a sollevare la bacchetta di fronte al nemico, qualsiasi esso fosse.
«Credi che Voldemort...?» iniziò, venendo subito bloccato da Peter come avrebbe dovuto aspettarsi.
«Per favore, Felpato...»
«Credi che Tu-Sai-Chi voglia un diciasettenne, figlio di un suo ‘collega’ morto, tra i suoi seguaci? Senza neanche sapere se sia una schiappa oppure no? Avery è tornato a casa... quando? Ieri notte?»
Peter non seppe ribattere. In effetti, sembrava irrealistico sentito dalle labbra di qualcun’altro.
Ma se Avery l’aveva detto significava che un fondo di verità c’era. Magari non era ancora un mangiamorte ma lo stava per diventare, magari aveva predo il posto del padre di diritto.
Magari aveva incontrato Voldemort e gli aveva dato un compito da eseguire per testare la sua bravura e la sua fedeltà. Avery credeva forse di riuscirci senza problemi, come per la Camera dei Segreti.
«Pete» lo richiamò in tono confidenziale Sirius prendendogli entrambe le spalle «L’unica “Camera dei Segreti” che possono trovare è la Stanza delle Necessità, ma non vedranno nemmeno quella... sono troppo codardi per salire qui al settimo piano e stupidamente orgogliosi per anche solo pensare che il loro ‘Nobile fondatore’ abbia costruito quella cavolo di tana di serpente vicino ai Grifondoro». Gli fece un occhiolino e lo scrollò leggermente.
Peter sorrise, non troppo convinto agli occhi di Sirius che si sentì costretto a tentare il piano B che James usava in situazioni come quella.
«Chi sono i migliori, Coda?» gli chiese Sirius, chinandosi per guardarlo dritto negli occhi luminosi nella penombra delle scale.
Non era mai stato bravo a mentire soltanto per incoraggiare gli altri come faceva sempre James, ma cercò lo stesso di imitare il suo migliore amico per togliere quell’angoscia dagli occhi celesti di Peter.
Perchè sì, dire che i Malandrini erano i migliori non sembrava più così tanto vero.
O meglio, Sirius era convinto che fossero i migliori... i migliori a sostenersi a vicenda, ad ascoltarsi e parlarsi senza paura di essere giudicati in alcun modo, a correre dal primo che si trovava in difficoltà, ad essere una famiglia scelta e voluta, senza riserve. Ma non bastava, Sirius aveva capito che non bastava.
James era corso da lui, l’aveva salvato due volte (dal gelido e straziante dolore mentale dei ricordi più brutti della sua vita che lui conosceva benissimo e poi dall’altro dolore atroce, quello fisico). Ma senza Lily Evans sarebbe morto. James, morto. E se la morte di James era anche soltanto una delle mille possibilità in quel tumulto di orrore, distruzione e morte allora significava che tutto quello non bastava, nel modo più assoluto. Sarebbe stato da stupidi negarlo, non si poteva negare o ignorare la quasi morte di James.
Peter avvicinò le sopracciglia biondicce, esitante. Lo sguardo apparentemente duro di Sirius, seminascosto da lunghi ciuffi di capelli neri, lo incitò a parlare.
«Noi» rispose, ingoiando a fatica l’enorme punto interrogativo che gli riempiva la testa da giorni.
«Esatto» fece amaramente Sirius sforzandosi di sorridergli nonostante l’immagine del Dissennatore che gli era apparsa improvvisamente in mente insieme a quella di James, svenuto ed inerte, mentre lo trascinava con fatica e strazio fino al cancello di Hogwarts.
Peter lo guardò scostarsi i capelli dal viso e salire la scala in un modo troppo veloce e rigido rispetto alla sua solita andatura sciolta e rilassata.
Dopo poco, lo seguì.
James e Lily, però, sono ancora in infermeria. Piton e gli altri Serpeverde non ci sono nemmeno stati.



 
 
*
 
 




La soffusa luce della lampada ad olio rischiarava l’infermeria dal comodino tra i letti dei due Capiscuola creando caldi riflessi fiammanti sui rossi capelli di Lily che, poggiata comodamente su due cuscini, leggeva il Manuale di Trasfigurazione corredato dai dettagliati appunti di Remus.
Quelli dorati sulle lenti rotonde di James, invece, erano immobili. Gli occhi nocciola seguivano silenziosamente l’onda dei capelli sciolti di Lily, piegata morbidamente sulla spalla coperta dalla vestaglia bianca.
Il cuore di James batteva così forte nel petto che più di una volta tossì anche senza averne bisogno come se, così facendo, nessuno avrebbe potuto accorgersi di quella rumorosa creatura che aveva cominciato a saltare di felicità tra i polmoni.
Mescolò distrattamente quello che un tempo era stato budino al caramello dentro alla ciotola che aveva in mano.
Vedere Lily lì, nel letto accanto al suo, lo faceva sentire in pace, completo. L’elastico invisibile non tirava, il bottone in tasca non chiamava, lo stomaco non bruciava.
Riusciva ad immaginarsi nel futuro, così, com’era in quel preciso momento, con l’infermeria che lentamente si trasformava in un’accogliente camera da letto di una piccola ma deliziosa villetta, il comodino dividersi in due e i letti fondersi in uno solo.
Il profumo fiorito dei capelli di Lily più intenso ma il suo delicato profilo sempre rivolto al libro, affascinato ed affascinante come soltanto quello di Lily sapeva essere.
Tossì per l’ennesima volta, mollando il cucchiaino per portarsi una mano davanti alla bocca, e Lily voltò la testa verso di lui posandogli gli occhi addosso.
«Stai male, Potter?»
Se sto male? Non mi sono mai sentito meglio di così, Lily.
«No, soltanto un po’ di saliva di traverso»
Gli occhi verdi si rilassarono prima di tornare a scorrere tranquillamente sulle pagine del libro.
James sospirò impercettibilmente, guardandosi il petto come a voler sgridare la belva sempre più entusiasta per quel bellissimo momento che gli stava scivolando dentro come un dolce e piccolo ricordo di pura e semplice felicità da non toccare.
Era così che voleva sentirsi dopo una giornata stancante, dopo una partita di Quidditch persa, dopo una litigata, dopo una brutta notizia, dopo una battaglia: felice, non invincibile e nemmeno perfetto ma felice. 
Una piccola ed accogliente  stanza, un letto, due comodini e Lily. Era quella la sua felicità e in quella felicità non c’era spazio per vasi di fiori bianchi o puzzolenti perchè i comodini erano due ma erano già occupati da tutti i mazzi di fiori che lui, James, aveva appena deciso di comprare o raccogliere da un prato.
E dalle foto, una miriade di foto con i Malandrini, Liv e Mary e magari con qualcuno o qualcuna con i capelli ribelli come i suoi e gli occhi espressivi di Lily, o anche il contrario.
«Lily»
Lily si girò nuovamente verso di lui, le sopracciglia rosse alzate in un’espressione interrogativa e il ‘No, Potter, ripetilo un’altra volta e ti faccio ingoiare il cucchiaino insieme a quel budino’ già pronto sulla punta della lingua dall’ultima volta che gliel’aveva gridato, un’ora prima, quando Potter si era offerto almeno dieci volte di farle da tutor mentre mangiavano in religioso silenzio (da parte di Lily, almeno) con i vassoi della cena sulle ginocchia portati da Madama Chips e un elfo domestico.
James deglutì senza fare rumore, anche se il cuore ormai impazzito lo sentiva anche nelle orecchie.
«No, niente»
«Sicuro di stare bene, Potter?»
Lui annuì, con quella che a Lily sembrò la faccia di un bambino beccato a fare o pensare qualcosa di pauroso o di più grande di lui.
Restò ad osservarlo, incerta, prima di ridare tutta la sua attenzione al libro.
Di sfuggita vide la sagoma sfocata di James scompigliarsi i capelli arruffati con mano nervosa, in un gesto completamente diverso dal suo solito, costantemente preoccupato ad apparire un Cacciatore di Quiddicth anche a terra.
Lily aggrottò le sopracciglia, picchiettando l’indice che aveva lasciato fermo a metà pagina per tenere il segno.
‘... per la sua trasformazione parziale (Tp) indirettamente proporzionale alla variabile (z) com’è possibile vedere nella formula matematica riportata nella figura 3b’ ... come accidenti fa Potter a capire e ricordare queste cose stando tutto il tempo con il naso per aria, a guardare il soffitto come un ebete?! 
Lo guardò con la coda dell’occhio, vedendolo portarsi alla bocca la poltiglia al caramello. 
«Cosa volevi dirmi a parte offrirmi fino all’esaurimento nervoso ripetizioni di Trasfigurazione che non mi servono?» gli chiese, mentendo schiettamente sul fatto delle ripetizioni inutili, notando la bocca piena di James schiudersi appena, sorpresa.
Lily si portò una mano davanti al naso, sperando con tutto il cuore di non assistere alla nascita di una nuova cascata del Niagara gialla.
«Beh» cominciò lui, ingoiando ed ordinando ai neuroni esperti in bugie di lavorare velocemente «Volevo soltanto dirti... grazie per aver salvato la mia vita e quella di Sirius, più volte».
Lily non rispose se non un minuto dopo, per rifargli la stessa domanda.
«Sicuro di stare bene?»
James rise apertamente e le labbra di Lily si sollevarono appena, contagiate.
«Sì» fece James, rendendosi conto soltanto in quel momento di non averglielo ancora detto a voce, di averlo soltanto pensato, continuamente.
Lily gli aveva ridato il suo unico fratello, gli aveva ridato la vita due volte. «Grazie, sul serio».
«Non ringraziarmi, Potter» lo fermò lei nascondendosi dietro un pesante e lungo ciuffo di capelli  che le ricadde al lato del viso quando voltò la testa per riportare lo sguardo sul libro. «Chiunque al mio posto l’avrebbe fatto».
James non si sentì di contestarla. Forse era davvero così, forse qualsiasi persona avrebbe fatto lo stesso trovandosi di fronte ad una Mangiamorte crudele come nessuno, capace di uccidere senza pensarci due volte.
Il fatto era che ad essere lì, quel giorno, era stata Lily. Lily Evans e non qualcun’altro.
La mangiamorte crudele capace di uccidere senza pensarci due volte aveva posato i suoi odiosi occhi su di lei, aveva guardato in faccia Lily Evans, nessun’altro.
«Non perdere il bottone» le mormorò all’improvviso, fissando con urgenza la folta cascata di capelli rossi che ondeggiò in un bellissimo gioco di riflessi ramati prima che i meravigliosi occhi verdi di Lily lo guardarono, seri.
Il silenzio fu così assordante da far tacere anche il cuore impazzito e la voce di Sirius che gli gridava quanto assomigliasse in modo inquietante a quel rimbambito del professor Rüf quando ripeteva le cose allo sfinimento o si fissava sulla guerra tra giganti e folletti per mesi interi.
«Se serve a ribadire i tuoi pregiudizi sui Serpeverde, Potter, non lo voglio» iniziò Lily socchiudendo lo sguardo che da aperto divenne pungente.
«Ribadire i miei...?» James arcuò entrambe le sopracciglia, incapace di tacere, incapace di soffocare ancora tutta quella strana sensazione che gli scoppiava nel petto ogni volta che vedeva o pensava a Lily in mezzo ai Serpeverde.
Incapace di sopportare di starsene con le mani in mano, impotente, mentre Lily rischiava ogni sera.
«Te l’ho dato perchè le frasi sui muri non sono soltanto minacce innocenti! Adesso ancora meno!» spiegò con fervore senza rendersi conto di aver appena confessato il suo segreto.
L’unica cosa a cui aveva pensato era ad Avery e al padre morto, al serio pericolo che Lily avrebbe potuto correre nei Sotterranei. Alla guerra, a quel vortice di maledizioni mortali che era diventato il mondo fuori da lì, fuori dal castello impenetrabile e sicuro che lui avrebbe voluto vedere attorno a Lily fino a quando tutto quell’orrore non fosse finito.
Fu proprio la faccia di Lily, attonita e rossa come i suoi capelli, a fargli capire cos’aveva appena fatto.
«Tu... tu cosa?» balbettò lei, sconvolta. «Tu sai delle scritte sui muri?» chiese in tono incredulo e, per la prima volta, così imbarazzato da non riuscire a camuffarlo.
«Sì» rispose semplicemente James. «Avevo la certezza che c’era almeno un Serpeverde che ti stava minacciando. E sempre con certezza, la stessa di Sirius quando ci ha detto degli studenti Corvonero in Biblioteca dopo la partita del mese scorso, ti posso dire che Piton non c’entra niente, anche se lo sai già. Sono Mulciber e Avery. Avery, Lily».
 
Le iridi verdi tremarono negli occhi spalancati, spostandosi impercettibilmente in punti diversi del viso serissimo di James, seduto lì, nel letto dell’infermeria, con la coperta a nascondergli metà corpo e la lampada a disegnargli con l’oro della luce lineamenti nuovi, non tesi da sorrisi sghembi o espressioni arroganti.
I capelli neri che gli sfioravano disordinatamente la fronte sapevano delle scritte.
Le labbra sottili, ferme in un’unica linea rilassata, sapevano delle scritte.
Gli occhi nocciola, forse troppo profondi e sinceri nonostante le lenti degli occhiali rotondi, sapevano delle scirtte.
Potter sapeva delle scritte.
Era passato tantissimo tempo da quando le aveva regalato quel bottone “non per i pregiudizi legati ai Serpeverde” ma perchè sapeva delle scritte.Sapeva delle scritte. 
Lily sentì le guance scaldarsi in un modo a dir poco vergognoso e i vestiti sparire, esattamente come in quello stupido sogno con Black e Remus in camera sua.
Non davanti a Potter, Lily. 
«Perchè non mi hai detto di Piton?». La domanda le uscì con un tono meno duro e scontroso di quanto aveva sperato perchè, anche se l’ultima cosa che voleva al mondo era farsi vedere così debole di fronte a lui, c’era un fatto impossibile da ignorare: Potter aveva preferito vedere la persona che odiava di più in quella scuola piuttosto che dirglielo a voce. Cosa cavolo aveva nel cervello a parte il famoso criceto?!
«Difendere Piton non è di certo la cosa che preferisco fare» disse James sentendo lo stomaco attrocigliarsi dolorosamente per lo sforzo di non dire dell’altro, non dire che non aveva mai avuto l’intenzione di metterla a disagio avvisandola che sapeva di quei muri sporchi che tanto facevano stare male lei e di conseguenza lui, perchè vederla con anche un semplice mal di testa il suo cuore pregava affinchè arrivasse a lui e liberasse lei.
«Non te l’ho detto a voce» aggiunse senza riuscire più a trattenersi immerso in quel bellissimo e profondo mare di verde smeraldo «ma ho comunque trovato un modo per cercare di farti capire che Piton non c’entrava con quelle scritte».
Lily corrugò la fronte, non capendo affatto.
«Il mio buon motivo» specificò lui.
«Il tuo...?». La domanda le morì sulle labbra.
Il tuo buon motivo per obbligare Piton a presentarsi alla riuinone era quello di farmi capire che il mio ex amico non c’entra niente con le frasi sui muri?
Lily sentì chiaramente i suoi occhi spalancarsi più del normale, la testa annebbiarsi non per colpa del piccolo trauma cranico subito a Hogsmeade, lo stesso che forse stava causando l’allucinazione che aveva davanti.
Da quando aveva incontrato Potter, quell’anno, aveva cominciato a soffrire di ‘allucinazioni’ un po’ troppo spesso per i suoi gusti. Dalla scintillante spilla da Caposcuola sventolata in faccia sul treno fino a quel momento in infermeria passando per silenzi misteriosi, sorrisi sinceri, comportamenti ambigui e rivelazioni soncertanti da parte di Black.
Provò a parlare ma dalle labbra non uscì mezzo suono. Rimase quindi in silenzio, l’immagine fissa in mente di Potter che firmava il documento per richiamare al dovere Piton, per portarlo alle ronde, per portarlo davanti a lei, per farle vedere la verità, per tranquillizzarla... nonostante fosse Piton, nonostante fosse il suo peggior nemico.
Potter. Potter la maggior parte del tempo, era superficiale quanto Patricia Brown quando non usciva all’aria aperta per non stropicciare il foulard che si metteva nei capelli, ma ogni tanto faceva delle cose così... serie, e buone, buone nel senso più puro del termine. Una bontà d’animo che cozzava con il suo comportamento da infantile sbruffone, da stronzo patentato.
Potter, in certi momenti che Merlino solo sapeva come potessero esistere, superava l’odio, la paura e i pregiudizi.
Lily non ci aveva mai fatto caso- o forse non si era mai presa la briga di fermarsi per ragionare e perdere tempo dietro ad un bullo ridicolo- ma di quella bontà d’animo Remus, il malaticcio bambino di undici anni guardato male da tutti ma non da James, ne sapeva qualcosa.
E lo sapeva Sirius, un membro dei ‘Macabri Black’ che per tutti era finito tra i Grifondoro per sbaglio, tranne che per James.
Lo sapeva anche Peter, il timido e noioso ragazzino da prendere in giro per i suoi ‘muscoli di grasso’ che James abbracciava invece di puntare con il dito.
Era un’abitudine vedere il gruppo unito dei Malandrini come se fossero nati tutti e quattro insieme, come se si conoscessero da sempre.
Ma non era così. Era stato Potter, il ragazzino sicuro di sè oltre ogni limite e sempre sfacciatamente felice, a raccoglierli e fonderli, accumunarli ed avvicinarli, a legarli.
Era stato James ad imparentarli, al contrario dei Black e di tutta la scuola.
Piton, anche Piton sapeva bene di essere stato salvato dalla ‘fibra morale’ *di Potter che aveva scavalcato l’odio per lui, senza paura. James Potter aveva salvato il suo peggior nemico e Piton lo sapeva, anche se non voleva ammetterlo.
E se stessa, Lily pensò anche a se stessa incastrata nel gradino per colpa di Potter che subito dopo, però, le aveva gettato addosso il suo dannato Mantello dell’Invisibilità per nasconderla da Gazza, rischiando con lei.
James, il ragazzo incredibilmente serio davanti a lei adesso, era un insieme di estremi, una montagna russa che scendeva negli abissi dell’infantilità per poi risalire inaspettatamente in alto, dove soltanto una persona matura e responsabile poteva arrivare.
Quelle risalite stavano diventando sempre più frequenti e ravvicinate, e in quell’ultima Lily ci scorse qualcosa in più forse perchè dietro quella firma e quell’ossessionante bottone c’era una velata e sincera gentilezza.
Da quando James Potter è gentile? James Potter che di gentile non ha mai avuto nemmeno un capello.
La voce sicura di James interruppe bruscamente i suoi pensieri.
«Voglio soltanto aiutarti, Lily, sono il tuo unico colleg...»
«Sei strano, Potter» gli parlò sopra lei abbassando lentamente il libro sul lenzuolo, lo sguardo indeciso ma particolarmente attento.
Le labbra di James si stirarono in un sorriso. 
«Strano in senso buono?» le chiese, seguendo l’ onda dei capelli vermigli scivolare lentamente sul braccio di Lily che arricciò il naso lentigginoso, meditabonda.
«Non l’ho ancora capito»
«Ma, adesso» esordì lui sperando con tutto il cuore in una risposta positiva perchè l’unico motivo per il quale si era rivelato in quel modo era unicamente la sicurezza di Lily «Adesso userai il bottone che non simboleggia il mio odio verso i Serpeverde?».
Lily non rispose, si limitò a sporgersi dal letto per afferrare la bacchetta di salice dal comodino.
«Accio bottone» sussurrò in un sorriso, facendo strabuzzare gli occhi di James.
Forse era una follia, forse se ne sarebbe pentita la mattina successiva, forse la Lily di settembre e di tutti gli anni precedenti l’avrebbe volentieri presa per le spalle, scrollandola ed urlandole contro quanto fosse impazzita ma la Lily sopravvissuta alla morte insieme a quello che un tempo aveva odiato dal profondo dell’anima, la Lily con un bottone incantato per soccorrerla ed aiutarla in caso di vero pericolo, trovava il tutto perfettamente normale.
Il piccolo bottone passò con non poca difficoltà sotto la porta chiusa a chiave dell’infermeria per poi atterrare dolcemente sul palmo della piccola mano aperta di Lily.
Il bottone che no, non simboleggiava l’odio di Potter verso i serpeverde ma la fiducia, quella che lei aveva appena deciso di dare a James.
Lo poggiò sul comodino, insieme alla bacchetta e al libro prima di spegnere la lampada, lasciando che il buio avvolgesse entrambi.
 
«Buonanotte, James».














 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Note:
 
*Remus sceglie di pattugliare i sotterranei per la questione delle scritte sui muri e per il padre di Avery morto.
In questa storia, Mary è una Nata Babbana (altrimenti Mulciber non si sarebbe mai permesso di scagliarle addosso una fattura oscura al quinto anno, come ci fa sapere Lily nei libri).
Remus dice a Mary che lui non può essere preso di mira dai Serpeverde (è un Mezzosangue, non un Sanguesporco) anche se sa benissimo che invece può, eccome, da Piton che sa della licantropia (gli ibridi sono considerati alla stregua dei Sanguesporco tra i Mangiamorte).
Ho sempre pensato che l’enorme coraggio di Remus fosse riservato e non plateale, proprio come il suo carattere.
Non per questo lo è di meno, anzi!
Il coraggio di Mary invece è il suo ottimismo non ingenuo, il suo mettere da parte la paura del presente per prepararsi al futuro che vuole, nonostante tutto.


*Immaginando il famoso ‘scherzo’ di Mulciber a Mary ho sempre pensato che Mulciber abbia usato la Maledizione Imperius (è la sua specialità da adulto, dice la Rowling. Sua o del padre) per farla arrampicare su un albero per poi tentare di farla cadere (Lily, mentre fa notare la cosa a Piton dice che Mulciber ha ''cercato di fare'' qualcosa, quindi non è riuscito nel suo intento ma si capiva benissimo. E anche che era “Magia Oscura”).
A Hogwarts le maledizioni e gli incantesimi non vengono segnalati al Ministero anche se è pieno di minorenni (altrimenti sarebbe un vero caos dato che in una scuola di magia si usa la bacchetta praticamente sempre). Quindi Mulciber avrebbe potuto usare una Maledizione Senza Perdono senza avere conseguenze.
A proposito delle conseguenze: Niente violenze, nessun taglio o livido, niente prove (Mary non ha potuto nemmeno denunciare). In questo modo nessun professore o il preside avrebbero potuto vedere e ricondurre il fatto a qualcuno. Tutti hanno visto Mary arrampicarsi su un albero e tentare di buttarsi giù, senza litigi con Serpeverde vari. Credo sia la cosa più ‘furba’ che Mulciber avrebbe potuto fare. Non ce lo vedo proprio Silente a lasciar passare come se niente fosse una violenza plateale o qualcos’altro di così grave.
Il fatto che Lily riconduca la cosa a Mulciber credo sia per la presenza di Mulciber al momento del fatto e la sensazione che Mary le avrà sicuramente raccontato. Ogni volta che nei libri Harry viene messo sotto Maledizone Imperio (il finto Moody e Voldemort nel cimitero) si rende conto che è sotto la maledizione, sa che sta agendo per ordine di qualcun'altro.

*Il sesto senso di Remus- che gli fa pensare che Piton prima o poi riuscirà a far capire a tutti cos’è in realtà- non sbaglia. Sarà Piton, infatti, a svelare il suo segreto alla fine del terzo anno di Harry.
Per non parlare della strategica lezione sui Lupi Mannari (sempre di Piton) che ‘illumina’ Hermione riguardo il mistero del Professor Lupin.
 

*’La fibra morale’ di James è la stessa che Silente vede in Harry quando salva sia Ron che Gabrielle Delacour sotto al Lago Nero nella seconda prova del Torneo Tre Maghi.
Harry dimostra di averla anche quando impedisce a Remus e Sirus di uccidere Peter alla Stamberga e quando salva Draco Malfoy dall’Ardemonio (anche lui salva il suo peggior nemico, nonostante tutto).




 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 29. L'ultimo nemico che sarà sconfitto ***


Ok, ci siamo. Questo è un capitolo che avevo impresso in mente fin dall’inizio.
Al contrario dei precedenti è davvero lungo, per questo ho dovuto dividerlo in due parti che pensavo di pubblicare insieme oggi (perchè sì, anche i muri sanno perchè il 31 ottobre si pubblica. Il titolo del capitolo si sposa con il giorno in cui Lily e James hanno affrontato e ‘sconfitto’ l’ultimo nemico. Spiegazioni nelle note in fondo) ma per una serie di cose non sono riuscita a completare la seconda parte.
Il che significa che la tanto agognata festa di Lumacorno non ci sarà nemmeno stavolta (PERDONO! xD).
Ho preferito pubblicare almeno la parte completa e revisionata oggi, invece del nulla.
Spero vi faccia piacere.

.

 
 
 

 
***
 
 
 
Capitolo 29
 
 
L’ULTIMO NEMICO CHE SARÁ SCONFITTO
 
 


 
Remus si rigirò un’altra volta tra le lenzuola senza riuscire a capire bene cosa gli stesse dando fastidio.
Non la luce perchè quella che vedeva rischiarare l’oscurità del dormitorio era fievole e rosea, piacevole.
Neanche particolari suoni fastidiosi come urla di James pre-partita, urla di James attaccato alla porta del bagno per dire a Peter di ‘liberarsi in fretta’, urla di James che ordina a Sirius di “rispondere ai pugni per iniziare la giornata come un degno Grifondoro” e sempre urla di James quando era Sirius a svegliarlo con quelli che, quando li metteva in atto lui si chiamavano scherzi e in tutti gli altri casi erano seri attentati alla vita.
Remus si voltò un’altra volta nel piacevole calore delle coperte. Molto probabilmente c’era silenzio perchè James era in infermeria. Molto probabilmente.
La nota di fastidio, comunque, restava.
Un odore, ecco cos’era. Un odore pungente, forte, persistente che gli bruciava le narici sensibili per l’imminente luna piena.
Avesse avuto le forze per farlo, avrebbe sollevato la testa scarmigliata dal cuscino per controllare il bagno o guardare Peter (non era la prima volta che liberava cattivi odori nel sonno), ma notando che non era quel tipo di puzza Remus capì: fumo, c’era odore di fumo.
Scattò a sedere sul letto, puntando lo sguardo non più assonnato sulla stufa.
L’unica cosa che attirò i suoi occhi, però, fu la sagoma nera di Sirius- affacciato alla finestra- stagliarsi sul rosa del cielo dell’alba con un azzurrino filo di fumo che saliva silenzioso al suo fianco.
«Sirius!» sibilò sottovoce vedendo l’amico saltare leggermente sul posto voltandosi verso di lui con una sigaretta babbana a penzoloni tra le labbra strette con forza.
«Stai scherzando?!» riprese Remus abbassando ancora di più la voce dopo aver sentito dei movimenti dal letto di Peter «Sigarette babbane, qui, a Hogwarts?»
«Non c’è scritto da nessuna parte che non si possono mettere nel baule...» ribattè tranquillamente Sirius portandosi due dita davanti alla bocca nonostante lo sguardo ‘Buco in testa a distanza’ che la McGranitt doveva aver contagiato a Remus. Il tizzone ardente della sigaretta brillò sfacciatamente di arancio acceso nella penombra della stanza e Remus scostò con rabbia le coperte.
«Non si possono portare oggetti babbani, comprese quelle»
«Non si possono portare oggetti elettronici babbani, Remus. Le sigarette non sono elettroniche e non le nomina nessuno, quindi posso fumarmele liberamente» precisò Sirius riaffacciandosi al davanzale per soffiare lentamente il fumo dalle labbra sollevate in un leggero sorriso.

Remus, invece, serrò la mascella scendendo dal letto con improvvisa forza, marciando spedito verso l’amico e maledicendo mentalmente tutti gli Eccezionale di Sirius in Babbanologia.
«No che non puoi» ringhiò sottovoce afferrandogli la mano per sfilargli via la sigaretta che buttò di sotto con l’imprecazione sussurrata di Sirius al suo fianco.
«Non puoi nemmeno a casa tua, Felpato. Queste cose ti uccideranno prima che lo faccia un Dissennatore o una Maledizione senza Perdono»Gli occhi grigi di Sirius, spalancati per la sorpresa, lo fissarono come se fosse pazzo.
«Tanto vale fumare allora»
«Da un Dissennatore o una Maledizione puoi difenderti, da quella no. Stai baciando un Dissennatore che non ha paura di un Patronus  e ti stai trasformando in un bersaglio per la famosa luce, hai presente? Quella verde morte»
«Remus, tu non hai presente il prezzo delle sigarette, mi sa»
«Non dovresti nemmeno tu»
«Con un appartamento, le bollette, la mia nuovissima moto, la spesa... adesso sono costretto a realizzare il mio sogno di uccidere tutta la mia famiglia per intascarmi l’intera eredità Black e diventare schifosamente ricco».

Remus sorrise, capendo l’ironia, e smise subito quando Sirius allungò di soppiatto una mano sul davanzale per afferrare il pacchetto intero con un ghigno stampato sul viso stranamente stanco, tipico dell’insonnia.
«Cretino» mormorò Remus, severo, provando a sfilargli dalle dita anche quello. Sirius fece resistenza, non riuscendo a non ridacchiare per quel silenzioso tiro alla fune che finì con la caduta delle sigarette di nuovo giù dalla torre.
Entrambi le videro sparire nel buio della notte che avvolgeva ancora la maggior parte del castello.

«Perchè ti servono, Felpato?» esordì Remus riportando lo sguardo sull’altro per primo.
Le sigarette, le occhiaie, gli occhi spenti, Sirius aveva un problema, era evidente, e senza James al fianco, pronto ad ascoltarlo e sopportarlo lontano da orecchie altrui, era perso.
Lo vide sollevare il profilo verso la luce rosata che colorava di delicate sfumature violette non solo i suoi occhi grigi ma anche la pelle pallidissima di Remus e i suoi disordinati ciuffi castano chiaro che gli sfioravano la fronte aggrottata per quello strano comportamento dell’amico.
«Cosa vuol dire... “Perchè ti servono”, Remus?» borbottò Sirius socchiudendo gli occhi in direzione dell’unica e grande stella del mattino che ancora brillava, solitaria, nel cielo lilla. «Mi servono per fumarle»
«Hai capito cosa volevo dire» ribattè lui, serio. Se c’era una cosa che non sapeva proprio fare era far parlare Sirius, liberarlo dai suoi pensieri scomodi, al contrario di James che invece era un maestro in quello, l’unico*.  
Sirius infatti rimase in silenzio. Le labbra piene, indurite da quello che doveva averlo tormentato per tutta la notte, e gli occhi chiari fissi sul primo scorcio di sole che cominciava a sbucare dalle alte montagne blu davanti a loro.
«Cos’è successo con Liv, a parte la fine della ‘guerra’?» azzardò Remus dopo un po’.
Sirius non rispose ma sbuffò, facendo uscire una nuvoletta di vapore dalle labbra come se stesse ancora fumando. Le lunghe dita delle mani cominciarono a tamburellare sul davanzale innevato, nervose. Remus le guardò con attenzione.
Non era bravo a farlo parlare ma era un ottimo osservatore.
La sera precedente, gli occhi di Sirius non avevano potuto fare a meno di posarsi su Liv ogni volta che lei si era mossa anche solo per bere dal calice, allungare un braccio verso il cesto del pane, addentare una forchettata di stufato e fare il dito medio ad un Serpeverde che l’aveva indicata da lontano con un ghigno.
Sirius poteva non dirlo a voce ma i suoi gesti parlavano per lui e Remus, dei gesti suoi e di James, purtroppo se ne intendeva parecchio ormai.
«Ok» fece Remus, facendo finta di non capire che tra quei due era successo qualcosa di diverso da un Fresbee Zannuto tra i capelli e un tuffo nel Lago Nero
«Allora ti disturba il fatto che James e Lily sono stati in infermeria anche stanotte, insieme».
Un altro sbuffo di vapore- Vorresti fosse fumo, eh, Felpato?- questa volta, però, uscito da un sorriso sardonico ancora rivolto alla stella.
«Cosa stai cercando di dire, Lunastorta?»
«Che sei geloso»
«Non mi piacciono i maschi e non mi piace Evans»
«Alla riunione, prima di Hogsmeade, non hai perso occasione per attaccarla senza darle pace»
«Lei ha fatto lo stesso»
«Ti dà fastidio che si sia inserita tra noi e ti dà fastidio il fatto che sta cominciando a vedere James per quello che è perchè sai che James, il vero James che tu conosci a memoria, le potrebbe piacere sul serio»
Il sorriso di Sirius si spense gradualmente. Remus ci avrebbe messo la mano sul fuoco: il tempo di una battuta sarcastica e Sirius si sarebbe chiuso in bagno o dietro alle tende del suo baldacchino. Remus non sapeva farlo parlare, ma sapeva farlo sentire in colpa.
«Bene. Fammi lo sconto, Remus. Per questa luna piena hai scelto me come vittima da analizzare ma ti ricordo che siamo a Dicembre, il che significa... Natale»
«Tu invece ricordati che Lily non ha colpe, Felpato» lo ammonì in sussurro Remus guardandolo camminare fino al suo baldacchino.
Lily non ha colpe si ripetè mentalmente e per niente convinto Sirius infilandosi velocemente sotto le coperte vermiglie.
Non ha colpe per cosa? Per essere così maledettamente in testa a James? 
Per essere sempre stata quella che mi ricorda che James, prima o poi, metterà in primo piano qualcuno che non sono io? 
O per essere così ‘giusta’ e sorprendentemente perfetta per James? 
Perchè, sì, la Lily Evans notturna doveva essere la vera Lily Evans e quella Lily Evans, James, l’avrebbe trovata ‘Forte, più forte di tutti quelli che conosco, Felpato. Tu sei così, perchè non ti arrendi mai anche se soffri come un cane. Per questo dimostri di essere infinitamente migliore di lui: Tu combatti per essere te stesso. Non c’è niente meglio di questo al mondo”.
Lily Evans ha la colpa di essere identica a me, in questo aspetto.
Lily Evans ha la colpa di essere una perfetta mia sostituta... e anche di più (ecco, non potrebbe soltano essere quel ‘di più’, e basta? Di certo io non aspiro ad essere ‘quel’ di più. Il ‘ James minuscolo che si nasconde nelle mutande’ è tutto suo).
Lily Evans avrà la colpa di essere la causa del mio stare solo come un cane, un cane senza il suo migliore amico costantemente al fianco. 

Lily Evans era sempre stata irrilevante e per niente pericolosa, anche se James scriveva- come soltanto uno che crede ai Ricciocorni- le sue inziali sui fogli e la seguiva di nascosto quando parlava con i ragazzi, perchè irrilevante era stato James ai suoi occhi.
Ma adesso che James in quegli occhi verdi stava trovando una certa comprensione, Lily Evans sembrava ingigantirsi, occupare spazi prima riservati che Sirius aveva sempre creduto sarebbero rimasti suoi, per sempre, perchè Lily Evans era sempre stata impossibile, inavvicinabile, intoccabile, insopportabile, estranea e tutti, anche chi credeva nei Ricciocorni, pensavano sarebbe stato così,  per sempre.
Seguì con lo sguardo Remus dargli le spalle per allontanarsi e grattò distrattamente il pollice sugli altri polpastrelli, alla ricerca della sigaretta mancante.
Il vuoto tra le dita si trasformò languidamente nell’ irresistibile sensazione dei morbidi fianchi presi al volo di Olivia, della sua vita sottile sotto la divisa, delle sue mani aggrappate alle spalle.
Consumare quella pelle di strette, graffi, baci e morsi era quello che voleva fare, ma non poteva. Ed era di nuovo al punto di partenza.
Lasciò cadere le braccia sul materasso, tamburellando nervosamente con le dita affusolate sul lenzuolo.
Consumare la sigaretta riusciva a fregare per qualche attimo il cervello.
Adorabile, Remus, questo tuo volermi vedere agonizzante.
Sbuffò rumorosamente, facendo voltare nel sonno Peter che cominciò a russare.
«Dove stai andando?» chiese poi, vedendo Remus infilarsi vestaglia e pantofole invece di rimettersi a letto.
«Devo staccare dalla bacheca i fogli con le firme di quelli che devono restare a Hogwarts per le vacanze. Oggi è l’ultimo giorno di lezioni e il tempo è scaduto» rispose lui legandosi con cura la cintura alla vita.
«E lo fai all’alba?»
«Sono già le sette, Sirius»
Remus restò a guardarlo fare una smorfia contrariata borbottando qualcosa molto somigliante a “Ma se mi sono appena messo a letto. La notte dura meno di James con una ragazza” e poi aprì la porta del dormitorio per uscire in corridoio.
Lo attraversò silenziosamente, quasi in punta di piedi per non svegliare gli altri, passando davanti alle porte chiuse.
Quando fu accanto a quella dei ragazzi del sesto anno si ritrovò improvvisamente illuminato dalla luce della stanza che tagliò di netto l’oscurità dell’ambiente proiettando la sua ombra per terra e sul muro di fronte.
Remus, beccato in flagrante ed immobilizzato in una posa alquanto ridicola con un piede a mezz’aria, spalancò gli occhi ambrati come un cervo davanti ai fanali di un’auto.
Ma ad avere gli occhi più spaventati erano Alan Morgan- il secondo cacciatore della squadra- e quella che doveva essere la sua ragazza (o così Remus sperò), aggrappata alla maniglia della porta appena spalancata.
«Remus» iniziò con evidente imbarazzo il giocatore di Quidditch caro a James ancora per poco dato che- Remus se ne accorse soltanto in quel momento- la Grifondoro che lo stava fissando terrorizzata era Karen Vane, la “da poco” (così come dicevano le ben informate Civette di Hogwarts-alias pettegolefondate anni prima da Bertha Jorkins) ex ragazza di  Thomas Flitt, battitore Serpeverde anche detto “Mani di Mazza” di certo non per cantare le lodi di un giocatore dallo spiccato spirito sportivo  e di una persona pacifica e diplomatica.

«So che sei un Prefetto e so anche che non possiamo portare le ragazze in camera, ma ti prego...»
«Non lo dirò a James» lo tranquillizzò pacatamente Remus, purtroppo esperto- tra tutte le altre cose imparate tramite temeraria esperienza diretta con James - in Priorità dei Giocatori di Quidditch.
Alan infatti sorrise, smagliante, pronto a ricevere mille ore di punizioni medievali con Gazza o essere la causa di uno svuotamento istantaneo e totale della clessidra dei Grifondoro... ma salvo dalla furia del suo Capitano.
 «Io non ho visto e sentito niente...» aggiunse Remus, smorzando la tensione con un gesto rilassato della mano, tanto per mettere in chiaro che si era appena alzato e  l’unica cosa che voleva era mangiare e non fare il Prefetto in pantofole.
«Io e Sean abbiamo sentito tutto, invece» grugnì rabbiosamente un Harrison scarmigliato, spuntando alle spalle della coppietta ribelle «Perchè qualcuno non sa imperturbare nemmeno le tende di un baldacchino...».
Remus sorrise affabile- allontanando dalla mente tutte le volte che Sirius aveva provato a fare la stessa cosa e lui era stato costretto a riaccompagnare la fanciulla di sotto prima che potessero anche soltanto baciarsi- lasciandoli discutere sottovoce.
Prese le scale a chiocciola per scendere in Sala Comune e quando mise piede nella stanza illuminata dai primi raggi di sole e dal fuoco che i mattinieri elfi domestici dovevano aver appena acceso nel grande camino decorato con ghirlande e candele, avanzò tra le poltrone vuote con l’ombra di una risata ormai spenta sulle labbra e la voce di James che gli rimbombava in testa con rammarico.

“Sarà un Natale speciale! Le nostre prime feste nell’appartamento di Felpato! Ci pensate!?”

Raggiunse la bacheca occasionalmente impreziosita di agrifoglio e lamè dorato, piena di avvisi sul club di Gobbiglie che chiudeva per le vacanze e quello di Scacchi che invece iniziava.
Staccò con accortezza il foglio pieno di nomi e cognomi dei suoi compagni di Casa e lasciò scorrere lo sguardo tra le poche firme non vedendo quelle di Liv, Lily e Mary.

“Sarà un Natale speciale! Le nostre prime feste nell’appartamento di Felpato! Ci pensate!?”

La luna piena ad occupargli la testa, come se dentro la scatola cranica si fosse annidato un Molliccio, tracciò con la sua fredda luce argentata la sua firma alla fine della lista, proprio sotto a quella di William Russell Johnson, l’ultimo ragazzo che a quanto pareva aveva intenzione di stare a scuola per le vacanze.
Remus John Lupin avrebbe passato un Natale speciale, ma speciale nel senso di strano, anormale.
Remus John Lupin avrebbe passato il Natale a scartare una poltrona polverosa e già mezza distrutta o la corteccia muschiosa di un albero invece dei regali; a mordere la sua stessa pelle o quella dei suoi amici invece di un soffice e gustoso pudding tradizionale.
James, Sirius e Peter- come avevano allegramente organizzato da oltre un mese- avrebbero passato un Natale Speciale lontano dai loro genitori, a quattro zampe, rinchiusi dentro lo scantinato di casa sua.
Sua madre e suo padre l’avrebbero passato seduti da soli attorno al tavolo, sentendo le catene fare a gara con i suoi versi, i suoi ringhi e con i loro cuori pulsanti ma spezzati dal dolore, dall’angoscia di avere un figlio che ulula invece di augurare Buon Natale, che scava con gli artigli sul muro invece di abbracciarli con amore.

Remus John Lupin, il venticinque dicembre*, avrebbe fatto meglio a restare lì, nella Stamberga Strillante. Non al sicuro da se stesso ma mettendo al sicuro tutti gli altri.

Sollevò la testa verso i tavolini alla ricerca di un calamaio e una piuma che trovò sopra il tappeto davanti al camino.

“Sarà un Natale speciale!”

Si inginocchiò sul tappeto rosso e oro, posando la pergamena a terra ed afferrando la piuma.
L’immaginaria firma argentata scintillò, ammiccante, impaziente di diventare nera come l’inchiostro nel quale Remus intinse la punta della penna d’aquila;  impaziente di diventare visibile non soltanto ai suoi occhi ma anche a quelli della McGranitt. 
La luna piena in testa lo faceva sempre inginocchiare di fronte all’inarrestabile maledizione del lupo, ricadere risucchiato nella sua stessa solitudine nel cielo tra le stelle. La luna, l’unica sfera rotonda tra centinaia di puntini luminosi, e lui, Remus John Lupin, l’unico Licantropo in mezzo a centinaia di umani.

Sgocciolò l’inchiostro in eccesso e si preparò a seguire la scia luminosa che formava le lettere del suo nome ma qualcosa lo bloccò, qualcosa a cui non poteva fare a meno, qualcosa che- al contrario della luna- amava come si ama l’aria dopo aver trattenuto il respiro: L’occhio nocciola di James appena apparso al posto della R di Remus, seguito da quello grigio di Sirius a trasformare la J di John e quello celeste di Peter, spalancato davanti alla L di Lupin.

Remus allontanò immediatamente la mano dalla pergamena con la voce di James di nuovo nelle orecchie, non più felice e da diciasettenne in vena di fare festa ma rabbiosa e da sedicenne neo Ramoso.
Una furia che Remus conosceva, una furia che invece di disintegrare e distruggere univa indissolubilmente.

“Il calendario lunare non è  più soltanto ‘Roba tua’ è ‘Roba nostra’ adesso e tu, ora, lo riappendi al muro, ti siedi qui e mi ascolti, Remus, a costo di legarti stretto a quella sedia, di nuovo. Apri bene le orecchie perchè non voglio più ripetertelo. 
Tu sei un Lupo Mannaro e a noi sta bene così
A Peter gli si rimpicciolisce il corpo e gli si ingrandiscono esageratamente i denti, Sirius sbava e scodinzola come un idiota, io mi ritrovo un grandissimo cornuto... e a noi sta bene così
Passiamo una notte al mese a correre liberi nella Foresta Proibita con il nostro migliore amico, una notte al mese a zampettare, saltare e rotolarci sul bollente pavimento del tuo scantinato per distrarti dalle catene*... e a noi sta bene così
Ti vediamo libero, con gli artigli conficcati sulla terra e non sul tuo petto, e legato, con gli occhi del lupo su di noi e non sulle tue braccia incatenate da Lyall... e a noi sta bene così. 
Prima di ridire che ci stai rovinando la vita, osserva meglio le nostre facce sporche di fango ed erba domani all’alba”.

Remus gettò la piuma sul tappeto, macchiandolo di nero senza farci caso.

I grandi occhi a mandorla di Ramoso brillavano ogni volta in un battito di ciglia che li riportava ad essere quelli ridenti di James quando la pupilla del lupo tornava quella di Remus John Lupin; la bavosa lingua rosa di Felpato penzolava fuori dal peloso sorriso canino fino a sparire in quello umano di Sirius quando le zanne curve del lupo si accorciavano diventando i dritti denti di Remus John Lupin; i lunghi baffi di Codaliscia vibravano sul piccolo muso appuntito, sollevandosi sotto al naso di un Peter felice quando i peli del lupo sparivano dal viso pallido di Remus John Lupin.

Remus John Lupin non era una luna in mezzo a centinaia di stelle, non era l’unico diverso in mezzo ad un mare di normali.
Remus John Lupin correva nella Foresta insieme ad altre zampe, altri artigli, altre code, altre pellicce brillanti sotto la luce perlacea che filtrava tra i rami.
Quando la luna appariva alta e solitaria nel cielo, il lupo tra gli alberi non era solo. I Malandrini erano sempre lì, pronti a ricordargli la loro preziosa, insostituibile e testarda presenza anche a Natale.

La luna piena in testa era diventata ridicola*, anche stavoltainsignificante come un palloncino bianco bucato che si sgonfiava alla velocità della luce, alla velocità di James Potter*... e a lui andava bene così.
 

 
 
*
 
 
 


Un gruppetto Tassorosso del primo anno varcò allegramente il grande portone della Sala Grande illuminata dalla fioca luce del sole di dicembre e dal fuoco scoppiettante dei grandi lampadari alle pareti che faceva scintillare gli altissimi alberi di natale addobbati e la neve tra le candele sul soffitto.
La chiassosa felicità per l’ultimo giorno di lezioni si sollevava da tutt’e quattro le tavolate imbandite dalla colazione ed animate dagli studenti in fermento.
 

«Liv»

Nessuna risposta da dietro la Gazzetta del Profeta completamente aperta che nascondeva Liv, la sua colazione e i due Grifondoro affianco, loro malgrado.

«Liv?»

Dai fogli sbucò soltanto una mano con la zuccheriera, come se Mary le avesse chiesto quella e non “Vuoi colmare l’assenza di Lily con quel giornale?”.

 «Buongiorno» salutò con un sorriso Remus sedendosi accanto a Mary «Ho preso io il foglio firme. A pranzo raccogliamo gli altri tre e li portiamo dalla McGranitt».
Lei annuì, togliendo la tracolla dalla panca per fargli più spazio nonostante sentisse ancora una certa tensione tra loro per quella breve discussione avuta in sala professori. Incrociò il suo caldo sguardo colpevole, non riuscendo a non sorridergli debolmente.
«Sempre se James e Evans non riescono ad uscire dall’infermeria» precisò Peter, prendendo posto vicino a Remus.
«Sarebbe anche ora» commentò Sirius portando gli occhi grigi sulla prima pagina della Gazzetta che si ritrovò davanti quando si sedette all’altro lato di Mary.
Remus schiarì la voce servendosi delle uova senza togliere di dosso lo sguardo eloquente da quello di Sirius che sollevò un sopracciglio di rimando, agguantando casualmente un muffin al cioccolato.
«Liv» ricominciò Mary, perchè quel suo nascondersi dietro al giornale non era collegato soltanto al fatto che all’essere circondata dai Malandrini avrebbe preferito leggere un’intervista a Celestina Warbeck, ma soprattutto a suo padre che non aveva ancora risposto alla lettera, nemmeno quella mattina.
Appena arrivate al tavolo, Liv aveva rubato il giornale ad un Tassorosso che aveva alle spalle per controllare gli articoli e vedere se ‘Edgar McAdams’spuntava da qualche parte, tra i nomi degli scomparsi o rapiti.
Fino a quel momento, il nome di suo padre non era apparso, con sollievo da una parte ed angoscia dall’altra.
Mary aveva cercato di rassicurarla dicendole che, se mai fosse successo qualcosa, lei sarebbe stata la prima a saperlo da Silente in persona.
Ma inutile dire che Liv ormai non ce la faceva più ad essere ottimista. La signora McAdams non avrebbe mai e poi mai spedito un gufo a Silente per avvisare Liv, Mary lo sapeva, quella donna odiava i gufi e la cosa cominciava a mettere in ansia anche lei.
«Niente» esordì Liv appallottolando l’intera Gazzetta sotto gli occhi sconcertati di Remus, forse per il trattamento riservato al giornale o per i capelli ancora corti anche se non più arcobaleno. Mary notò benissimo l’espressione dell’amica farsi improvvisamente rigida quando si accorse chi si era unito a loro per colazione.
«Niente cosa?» chiese Peter prima di infilarsi in bocca un uovo intero.
«Niente morti, oggi» gli rispose Liv prendendo il cucchiaino della marmellata e fingendo noncuranza nonostante lo sguardo penetrante di Sirius addosso che- guardandolo meglio per un attimo- aveva ancora le piume di gufo attaccate ai capelli. Si chiese che cosa voleva dimostrare con quello, di preciso, se la guerra era ormai soltanto un ricordo. Forse la sua totale mancanza d’igiene nonostatne le continue  cirtiche a Piton?
Gli lanciò una lunga occhiata diffidente prima di ricominciare a parlare. «Quattro rapiti, due che dicono di essere stati sotto Maledizione Imperius e uno minacciato con un Dissennatore». Si costrinse a concentrarsi esclusivamente sul pane tostato e proprio quando stava per addentare la sua fetta coperta di confettura alle more si ritrovò l’ennesimo foglietto di pergamena passato sottobanco da quando si era seduta lì. Qualcosa le disse che Bertram di Corvonero aveva fatto passaparola per l’intero castello.
Poggiò con cautela il pane sul piatto e scelse uno tra i sei foglietti piegati e appallottolati che aveva ancora sulla gonna di riserva (l’unica che le era rimasta per colpa di Black e del suo senso dell’umorismo macabro che le aveva rovinato l’altra per sempre).
 

Non provare a torcere anche un solo capello ai Malandrini! Senza di loro questa scuola sarebbe una noia mortale! 

A, R e H. (Due Grifondoro e un Corvonero anonimi che ti ricordano quante giuste vendette James e Sirius hanno messo in atto contro i Serpeverde, Piton, Mulciber e Avery compresi).

Liv sollevò la testa per cercare i mittenti ma non vide nessuno di sospetto a parte facce sparse che la stavano fissando di sottecchi come se la colazione fosse lei e non quella che avevano sul piatto.  Ci mancavano soltanto gli scudieri difensori degli eroi.  Altri due foglietti le arrivarono con il vassoio della pancetta e le sopracciglia le si corrucciarono di conseguenza: se pensava a tutti gli scherzi fatti dai Malandrini in sei anni di scuola la sua borsa sarebbe diventata ancora più piena e disordinata di quanto già non fosse, esplodendo in mezzo ad un corridoio o a lezione.
La speranza era quella che accadesse nelle vicinanze di Black.

L’improvviso ridacchiare giulivo che invase l’aria dietro Peter la spaventò non poco ma dopo aver adocchiato l’incontrollabile rossore, gli occhi persi e i sorrisi di cui un giorno si sarebbero amaramente pentite, capì che non era rivolto a lei per altri bigliettini.
La gioia innocente (ma forse non poi così tanto) proveniva da un ristretto gruppetto di ragazze Grifondoro che si avvicinò di soppiatto alle spalle di un ignaro Sirius, tra spintarelle e risolini acuti.

«Black?» lo chiamò timidamente la vittima sacrificale trascinata con la forza dalle altre.
Sirius grugnì in risposta, per via della bocca piena di muffin, girandosi pigramente verso di loro.Tutte arrossirono all’istante.
Liv si schiarì la voce, sollevando entrambe le sopracciglia prima di comiciare a leggere mentalmente anche gli altri pezzetti di pergamenta che volevano la ‘quasi morte di Black il prima possibile’, cosa che in quel momento sentiva di desiderare anche lei per via di quelle povere ragazze completamente rovinate per lui.
«Stasera c’è la festa di Natale di Lumacorno?» osò chiedere, più morta che viva, la ragazzina dai capelli d’inchiostro e la faccia di pluffa.
Remus si grattò la nuca, con crescente imbarazzo per lei, e Mary non riuscì a fare a meno di guardarla con i due occhi nocciola spalancati d’incredulità. Peter ridacchiò sottovoce da dietro la schiena di Remus ma Sirius annuì con nonchalance alla sua compagna di Casa che gli sorrise smagliante.
«Ti chiederei di venirci con me...» fece, fermandosi perchè non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo nome. La ragazza parve capirlo.
«Nora»
«Nora, sì. Ti chiederei di venirci con me ma, purtroppo, ieri ho chiesto a qualcun’altra che ha già accettato»
A quella frase, metà tavolo Grifondoro e le panche vicine di Tassorosso e Covonero, ai due lati, ammutolirono.
Le persone che camminavano per sedersi a mangiare o per raggiungere le aule si fermarono, Nick-quasi-senza-testa e il Frate Grasso compresi.
I nasi e gli occhi di tutti puntarono Sirius, anche quelli di Liv.
Black non aveva invitato mai nessuno alle feste formali, nessuno, proprio per evitare di diventare ‘il ragazzo ufficiale’ di qualcuna. Black andava alle feste formali con James, sempre, a volte facendo finta di starci addirittura insieme per far tacere Lumacorno quando chiedeva come mai ‘’Due bei ragazzi come voi non hanno una fanciulla sottobraccio?’’. 
Per un attimo le venne da ridere: aveva rubato il ragazzo a Black? Trattenne il sorriso per via dell’occhiata fulminante di Jane Phillips che la centrò in pieno dai posti in fondo.
«CHI É?!» gridò una sconvolta voce femmile da un punto imprecisato della Sala Grande che il professor Vitious cominciò a scrutare con cipiglio stranito da sopra la sua tazzina di caffè.
Remus si poggiò furtivamente una mano in fronte per nascondersi gli occhi spalancati, preparandosi all’imminente Apocalisse.
Sirius, naturalmente, non poteva starsene tranquillo a mangiare, a masticare biscotti, a fare quello che una persona normale fa quando non vuole scatenare l’inferno. Perchè se c’era qualcuno che poteva, e soprattutto voleva, scatenare l’inferno in terra quello era Sirius Black.
Remus non aveva bisogno di guardarlo per sapere che le sue labbra si stavano stirando in un sorriso, quel sorriso. Il sorriso che creava pericolosasuspance buttandola così, con leggera semplicità, come allegri coriandoli a Carnevale o Vermicoli sulle teste dei Serpeverde in un qualsiasi giorno dell’anno.
«La vedrete stasera, che fretta c’è? Sappiate soltanto che la conoscete molto bene» rispose in un sorriso divertito Sirius notando i visi delle ragazze dietro la troppo rossa Nora farsi molto simili a quelli di una Sirena in preda alla furia che da lui si rivolsero a Liv, improvvisamente rigida ed allarmata.
 
 


 
*
 
 
 


 
«Ho detto di no, Evans. Stai a letto e non forzare la voce»
«Senta, riesco anche a cantare... Ob-La-Di, ob-La-Da! Life goes o-oon, whoa! Laa, la how their life goes on!»
«Signorina Evans! Ma insomma!»
«Ah, giusto, siamo a scuola… Hogwarts, Hogwarts, Hoggy, Warty, Hogwarts! Teach us something, ple-eease!*»
 

James, affacciato al paravento con le mani ad armeggiare distrattamente il nodo della cravatta rossa e oro al collo scoppiò a ridere di gusto vedendo Lily, in ginocchio sul materasso con ancora la camicia da notte, cantare l’inno della scuola con così tanta enfasi da sembrare pure compiaciuta di fronte a Madama Chips, rimasta a guardarla sbigottita con in mano l’unguento per i lividi che le spalmava rigorosamente tre volte al giorno su collo e polsi ormai giallognoli, in via di guarigione.
Si era svegliato con quella voce, la voce non proprio dolce e decisamente alta di Lily che gli aveva trapassato il cervello dicendogli di svegliarsi soltanto per far vedere a Madama Chips che lei poteva parlare e anche  gridare, come James stesso (ormai senza un timpano) aveva appurato.
Il risveglio più bello della mia vita, o forse no.
Quello dove ho entrambi i timpani integri, i morbidi capelli rossi a sfiorarmi dolcemente il naso e non a tapparmelo come un cuscino premuto da un pazzo assassino che desidera la mia morte per soffocamento e le dita gentili e delicate che mi accarezzano amorevolmente il viso invece di essere conficcate sulle guance per scuotermi con incredibile forza facendo muovere anche il materasso sotto rimane imbattuto, e anche fottutamente frutto della mia immaginazione... ma questo è un altro discorso che Madama Chips stronca sul nascere con la sua voce oltraggiata che mi arriva ovattata e lontana per via dell’orecchio ormai distrutto dalla non troppo adorabile Lily Evans.

 
«Santo cielo, Potter!» esclamò l’infermiera della scuola portandosi le mani sui fianchi con stizza.
James strabuzzò gli occhi senza però riuscire a spegnere il sorriso.
«Che colpa ho io adesso!?» si difese sempre più divertito nel vedere Lily così... Lily e basta. Lily senza distintivi al petto, Lily così come si presentava alle sue amiche, ai suoi amici.
«Che colpa hai?!» ripetè Madama Chips con sconcerto «Avevo ragione quando ho detto che tu faresti impazzire anche i muri! Guarda come si è ridotta Evans in soli due giorni di tua compagnia forzata!».
James rise più forte mentre Lily fermò subito la sua dimostrazione di perfetta salute anche se in realtà la gola bruciava ancora, ogni tanto, proprio come Madama Chips le aveva rinfacciato quando le aveva esposto la sua richiesta di uscire dall’infermeria “Come Potter!”.
Non sopportava più quel letto, l’odore del disinfettante, i capelli svolazzanti di James che volavano fino al suo letto ad ogni sua ‘dannata passata di mano’ e la faccia di Piton che ogni tanto spuntava dalla finestra come quella di uno stalker psicopatico.
«Adesso mi dà anche della pazza?» sbottò, spalancando gli occhi verdi circondati dai suoi capelli rossi che, lo ammise a se stessa vedendosi riflessa sopra la caraffa dell’acqua sul comodino, non facevano pensare ad una sana di mente.
Come il fatto di vedere la faccia del mio ex migliore amico tra le tende, se proprio vogliamo essere sinceri del tutto.
«Evans, la mia esperienza di Guaritrice ti giudica ancora inferma! La tua gola non può reggere un’impegnativa giornata di lezioni! Per non parlare del tuo ruolo di Caposcuola!»
«Parliamone, invece, Madama Chips...»
James ridacchiò tornando dietro al paravento per infilarsi il maglione sopra la camicia bianca. Adoro questa ragazza. si disse con una strana adrenalina addosso.
«Vuole davvero lasciare Hogwarts in balìa di James Potter?» chiese la voce di Lily.
James strabuzzò gli occhi, riaffacciandosi oltre la stoffa immacolata. Il dito di Lily puntato contro e la faccia terrorizzata di Madama Chips avrebbero dovuto offenderlo?
«Certo che non voglio!» rispose subito madama Chips.
Sì, era un tono chiaramente offensivo quello, pensò James aggiustandosi con stizza il maglione.
«Ma è l’ultimo giorno di lezioni, Evans, le vacanze ormai sono alle porte e nessuno vuole bruciarsele commettendo sciocchezze! Nè Potter e nemmeno gli altri!»
Come se fossero state le ultime parole famose, la doppia porta dell’infermeria si aprì di scatto per far entrare in modo confusionario e veloce Sirius, Liv, Mary, Remus e per ultimo, sfinito, Peter che chiuse le ante con l’aiuto di Remus. Mary girò più volte la chiave nella serratura, accompagnata da un assordante coro di ragazze urlanti dietro il legno.
A quella vista, Lily cercò di abbassare gli angoli del sorriso sollevando un sopracciglio verso un’interdetta e sotto shock Madama Chips.
«Diglielo!» esordì furiosa Liv, con il fiatone e le guance rosse, indicando la porta dove Peter si era appena accasciato sopra. «Dì a quelle lì che non sono io la sfortunata di stasera
«Perchè!?» rispose in un sorriso ansimante Sirius, poggiandosi con una mano sulla ringhiera bianca di un letto vuoto «A me questa situazione fa ridere».
Liv parve prendere fuoco. «Perchè se adesso non vai a dirglielo ho ben nove motivi diversi per lanciarti nove incantesimi abbinati addosso, qui, seduta stante!»
«Sarebbero?»
«Li conosci benissimo tutti! Se magari ti degnassi di farti un esame di coscienza ripensando a tutta la tua carriera scolastica, dal tuo primo giorno fino all’anno scorso!»
Sirius si risollevò, stranito. Il viso, stremato con la bocca aperta in una smorfia di fatica, immediatamente più attento.
«Vai, ora. Allontanale da me!»
«Mi hai incuriosito, Olivia»
«Fallo o soddisferò la tua curiosità!»
«Ma io voglio soddisfare la mia curiosità...»
Liv lanciò uno sguardo a James- sorpreso ma incredibilmente divertito- e a Lily- compiaciuta per chissà cosa- ma soprattutto a Madama Chips che la guardava con un’aria minacciosa che voleva significare soltanto una cosa: “Prova anche solo a sfiorare la bacchetta e io tirerò fuori una siringa da affondarti nella prima chiappa che mi capiterà a tiro”.
«Non ti conviene, Black»
«Lo decido io se mi conviene o no»
Liv strinse i pugni. Stava di nuovo parlando con lui. Stava di nuovo guardando la sua figura, il suoi zigomi alti, il suo naso, il suo pomo d’adamo evidente sul collo lungo, i suoi occhi che continuavano a fissarla in modo strano.
 Se gli avesse gonfiato la testa come la sua vittima Bertram, tutti gli altri otto avrebbero preteso le proprie vendette. E Black? Non sarebbe rimasto di certo a guardarsi la testa-melone davanti allo specchio senza muovere un dito.
Ma la guerra era appena finita, si era appena liberata di quella scomoda, odiosamente alta, solida... profumata presenza.
L’ultimo pensiero le fece trafiggere con lo sguardo Sirius che rispose di rimando con un provocatorio sorriso sghembo.
Mary le fece segno di ‘No’ con la testa, come se avesse capito che quei ‘Nove motivi’ erano i nove foglietti appallottolati dentro la tracolla. Liv non era del tutto sicura di darle retta: Se non lo faceva- gonfiare la testa di Black fino a farla sembrare la pancia di Lumacorno- sarebbe rimasta bloccata in infermeria,  seguita ovunque per chissà quanto tempo.
Oppure, da “vera Grifondoro”, sarebbe uscita allo scoperto per farsi ammazzare a mani nude da quelle belve.
Morire o vivere da fuggitiva per Sirius Black non è nemmeno da mettere in conto.
Gli occhi grigi di Sirius, puntati sui suoi con sfida, le bloccarono però la mano pronta per afferrare la bacchetta dalla tasca interna della divisa.
La stava forse istigando? Quello sguardo era chiaramente una trappola, come se Black volesse continuare la guerra ormai finita, ormai vinta da lei.
Prese la bacchetta ma non con l’intenzione di riprendere la Guerra Vinta da Lei, tantomeno di ricominciarne una nuova.
«I Caposcuola facciano qualcosa!» sbottò oltraggiata Madama Chips.
«Io non sono in grado di badare a Hogwarts» disse di rimando James con un largo sorriso ironico mentre Lily si indicò la gola, cucendosi simbolicamente le labbra con un gesto della mano.
Lo sguardo arreso della donna la fece gioire internamente.
«E va bene, Evans, sei libera di lasciare l’infermeria se giuri di usare l’unguento sui lividi e di prendere le pastiglie viola ogni sera».
Lily sorrise, smagliante, scendendo dal letto con un balzo per andare a posare un bacio sulla guancia lievemente rossa di un’addolcita Madama Chips che, osservandola sparire dietro il paravento per vestirsi, la richiamò in tono perplesso.
«Evans? Prima sarebbe il caso di mettere fine a questa lite tra studenti, le sembra?»
«Sì, certo!» esclamò Lily facendo spuntare la vestaglia da dietro il separè con grande attenzione da parte di James «Voi due, piantatela o vi toglierò dieci punti a testa».
Madama Chips restò interdetta sentendo le risate di Mary, Remus, Peter e James che sapevano perfettamente quanto quell’ultima minaccia fosse praticamente innocua. Era raro vedere Lily togliere punti se non si trattava di fatti gravi o ingiusti. Sarebbe stata più credibile se avesse tirato in ballo una delle sue inimitabili fatture Orcovolanti.
«Stia tranquilla, Madama Chips» esordì Liv rivolgendole un sorriso fin troppo angelico mentre conficcava la bacchetta sulla schiena di Sirius per spingerlo con la forza verso la porta sotto lo sguardo improvvisamente sgranato di Peter. 
«Dì la verità a quelle» sibilò Liv a denti stretti mentre Sirius se la rideva silenziosamente lasciandosi guidare passivamente con l'intenso suo profumo finalmente nelle narici al posto del fumo della sigaretta. «O ti faccio evanescere la cosetta che hai tra le gambe».
«Sei proprio sicura che sia una cosetta e non una cosa
«La Polisucco non mente, Black»
«Ma tu sì, Olivia, e lo sappiamo entrambi»
«Ti sopravvaluti, ‘stallone’»
Liv sentì Sirius ridere sottovoce e, maledicendo Mary per tutti i giri di chiave nella serratura che le fecero perdere tempo, aprì la porta.
Le ragazzine ammutolirono. Nora, di sicuro chiusa nel bagno della torre più alta per la vergogna, non c’era.
A quel pensiero Liv fece affondare più forte la bacchetta sulla schiena di Sirius che sospirò di dolore, decidendosi a parlare.
«Non è Olivia la ragazza che porterò alla festa stasera. Che Merlino mi faccia evanescere la cosa che ho tra le gambe se non è la verità» annunciò lui in un mezzo sorriso guardando con la coda dell’occhio Liv sorridere per un brevissimo attimo al suo fianco, diviso tra la voglia di darle della stronza per essere riuscita a tenergli testa e quella di baciarla, per lo stesso motivo.
Prenderle quel mento provocante, portarlo davanti al suo per rubarle quelle labbra insolenti e baciarle senza lasciarsi prendere alla sprovvista com’era successo la sera prima in guferia, Sirius l’avrebbe fatto all’istante se non ci fossero stati i loro migliori amici alle spalle e quelle ragazze di fronte.
L’avrebbe fatto se quella affianco a lui non fosse stata Olivia, la ragazzina silenziosa con la treccia nera che sbucava da sotto il Cappello Parlante e che passava sempre inosservata, la violenta che usava la bacchetta dal primo anno per difendere il suo cognome babbano e quello delle sue due amiche, la vittima perfetta per lo scherzo con i peli del coniglio, la Cercatrice di James, la sua rivale, la sua ‘possibile amica’ per colpa di Evans che si era messa in testa di unire i loro gruppi.
Ma se quella davanti a lui non fosse stata Olivia, la forte sensazione che gli bruciava il sangue nelle vene quando inspirava quell’odore che faceva venire voglia di toccarla non ci sarebbe stata. Non ci sarebbe stato lo scuro sguardo che si ribellava a lui facendogli ricordare se stesso, non ci sarebbe stata la fossetta sulla guancia per via delle labbra serrate duramente e non dolcemente ridenti nel tentativo di attirare la sua attenzione o di cercare di capirlo.
Lui non voleva farsi capire e ad Olivia non interessava capirlo, riempirlo di noiose prediche pacate e ragionevoli che lui sopportava a fatica, soprattutto se fatte da estranei, conoscenti o amici che non si chiamavano James Fleamont Potter e Remus John Lupin.
«E guarda caso, proprio ieri sera a cena eravate tutt’e due conciati uguali. Una coincidenza?» sbottò Megan Jordan, la graziosa ragazza del sesto anno dalla pelle scura e una vaporosa chioma di capelli neri riccissimi.
«Siamo qui perchè pensavamo che quella guerra tra voi fosse un modo per fargliela pagare, McAdams, non per accalappiarlo!» esordì un’altra ragazza puntando un dito accusatore contro Liv che sollevò un sopracciglio castano senza notare l’espressione divertita di Sirius alla parola ‘accalappiare’.
«Ed era così. Ieri sera gliele ho date di santa ragione, ma non nel senso che pensate voi» spiegò semplicemente Liv. «E, per la cronaca delle Civette di Hogwarts, ho vinto io». Enfatizzò l’ultima frase con tono fermo e deciso portando lo sguardo su quello di Sirius, tanto per farglielo capire una volta per tutte.
«Specifichamo» aggiunse in fretta «Non ho vinto un giro con questo stronzo».
Le ragazze non ebbero da ribattere. Liv sentì la schiena di Sirius ammorbidirsi e rilassarsi sotto la punta della sua bacchetta.
Allentò la pressione e fece un passo indietro quando vide Megan tirare fuori un foglio di pergamena dalla tracolla per strapparlo in un pezzo della stessa misura dei biglietti che le arrivavano a tavola.
Poteva immaginare le parole che la ragazza aveva appena iniziato a scrivere sulla carta con una delle quattro matite che le si erano parate davanti al viso, come se le sue amiche le avessero letto il pensiero. «Grazie» fece poi Megan porgendole il biglietto ben piegato. Liv lo prese prima che potesse farlo Sirius.
«Cos’è questa storia?» esordì Lily, raccogliendosi i lunghi capelli rossi in una coda alta, sbucando tra i due mentre le ragazze si allontanavano in gruppo.
Liv sospirò di sollievo. Incrociò il silenzioso sguardo indagatore di Sirius e si decise a rispondere a Lily, ferma al suo posto in un silenzio interrogativo.
«A colazione» cominciò «tutta la Sala Grande pensava che io dovessi andare alla festa di Natale con l’Idiota che non ha fatto niente per smentire la farsa» spiegò indicando con un gesto del braccio Sirius, ridente.
«Povera quella che ci andrà davvero» commentò poi, sinceramente dispiaciuta per la ragazza condannata ad incassare il malocchio da parte di mezza Hogwarts e a passare una serata con le stronzate di Black, come se l’ananas candito e le chiacchiere di Lumacorno non fossero abbastanza.
«Ah, pensavo mi avessi già sostituito perchè ero ancora in infermeria, Liv» fece James, fingendosi offeso mentre si legava una scarpa «Sono un tipo geloso, ricordalo. E odio chi mi dà buca»
«Non potrei mai, Jim» lo rassicurò lei portandosi teatralmente una mano al cuore e l’altra sulle labbra, per inviargli uno smielato bacio volante che soltanto loro due ricollegarono a quello scambiato nel vicolo di Hogsemade con Dorcas alle spalle.
James rise di gusto e Lily, sconcertata, si voltò verso di lui che ricambiò l’occhiata con un sorriso largo quanto tutto il viso. Lily gli puntò un dito contro, per poi portarlo su Liv e di nuovo su di lui.
Stava forse sognando? Non si era ancora svegliata e stava sognando. Ma certo, Madama Chips non le avrebbe mai permesso di tornare libera prima di sera.
O, semplicemente, aveva delle pessime migliori amiche: Una che non la informava sui fatti quotidiani più importanti e l’altra che le rendeva la vita a dir poco infernale.
Si era appena fatta andare bene James come un ipotetico amico- d’accordo, è un amico-  e come poteva Liv farle questo?
Potter ragazzo della sua migliore amica significava chiedere troppo, decisamente. Il ragazzo della migliore amica andava oltre il semplice amico e andare oltre la semplice amicizia con James non era assolutamente accettabile, non ancora.
Le avrebbero dovuto dare come minimo almeno tutto il resto dell’anno scolastico per abituarsi a trattare James Potter come un fratello acquisito.
«Perchè nessuno mi ha detto che la mia migliore amica deve andare alla festa con James Potter?» chiese guardando in cagnesco Mary che la superò passando in mezzo a tutti.
«Questioni di Quidditch nazionale, Lily» la rassicurò lei uscendo in corridoio a passo spedito. Remus la raggiunse con una breve corsetta affaticata mentre anche gli altri si decisero a varcare la porta che Madama Chips cominciò a controllare nei minimi dettagli con il naso a sfiorare il legno graffiato ed ammaccato dopo l’assalto delle ragazze.
 
«Mi dispiace per quello che ho detto ieri alla ronda, Mary» mormorò Remus affiancandola.
Dietro di loro di qualche metro, tra le risate di Peter, Sirius fu spinto così forte da Liv che quasi andò a sbattere sull’armatura che intonava elegantemente il testo di We Wish You a Merry Christmas.
«Hai ragione tu» continuò Remus sistemandosi la borsa sulla spalla cercando di apparire più calmo possibile «Io non avrò problemi fuori da Hogwarts. Sono stato uno stupido».
Mary si portò dietro un orecchio la corta ciocca bionda che le oscurava la figura dell’amico.
Sembrava davvero pentito ma abbastanza imbarazzato, un imbarazzo che lei ormai sapeva riconoscere dopo anni di ‘Non posso’ abbinati a quella particolare espressione, quelle folte sopracciglia castano chiaro aggrottate in quel preciso modo, quella piega della bocca e quella luce dentro gli occhi ambrati più spaventati che dispiaciuti.
Remus stava mentendo, ancora.  
«Non preoccuparti» gli disse Mary con una familiare sensazione a stringerle la gola «Acqua passata». Gli sorrise brevemente prima di riportare lo sguardo deluso davanti a loro.
«Non sono affari tuoi» dichiarò Liv, tra Sirius e un Peter con la ridarella, infilando il biglietto di Megan in borsa.
«Non sono affari miei?» ribattè Sirius. «Quella ragazza avrebbe potuto farmi esplodere con lo sguardo mentre ti dava quel pezzo di pergamena losco quanto Madama Pince che si intrufola nell’ufficio di Gazza a mezzanotte e non sarebbero affari miei?».
James seguì Lily, fianco a fianco e in perfetto silenzio.
Con la coda dell’occhio vide il pulito profilo della sua collega lasciato interamente scoperto dalla coda, lo sguardo duro puntato dritto davanti a sè.
Non aveva bisogno di cercare di capire il perchè Lily non stesse sorridendo nonostante fossero in piedi sulle loro gambe di nuovo forti, nelle loro divise e con i distintivi appuntati al petto; Nonostante ce l’avessero fatta, a capovolgere il volere di Bellatrix Black e ad essere tutti lì, con l’eco del terrore nel petto e i lividi sulla pelle ma tutti lì, sani e salvi.
Gli occhi determinati di Lily non vedevano quello strano momento, sospeso tra la sensazione di essere sopravvissuti per miracolo e il ritorno alla normalità, come la fine di un incubo.

«É  soltanto l’inizio, non è così?» le chiese sottovoce.

Lily non staccò lo sguardo dal gruppo dei loro migliori amici ormai unico.
Forse Liv, Peter e Sirius non si sarebbero seduti sul divano a sorseggiare tranquillamente del tè e a parlare del più e del meno la notte, durante le ronde; Mary avrebbe continuato a guardare Remus come il suo unico rimpianto; lei e James non si sarebbero di certo confidati come due migliori amici, ma sapeva che ognuno di loro avrebbe fatto di tutto per salvare gli altri.
Mary e Remus sarebbero potuti andare perfino contro un Auror per cercare Liv e Peter, fuori dalla protezione dei Tre Manici di Scopa.
Sirius si sarebbe lanciato anche in mezzo alla battaglia, in mezzo a Mangiamorte e Maledizioni Senza Perdono, per trovare James e Liv.
Peter e Liv, uniti da Black, avrebbero corso il rischio di beccarsi l’espulsione da Hogwarts per fermare un professore dando a lei e James il tempo di agire.
Lei e James che non avrebbero pensato due volte a correre da Sirius, da un Dissennatore e da una Mangiamorte, salvandosi la vita a vicenda.

Avrebbero potuto fare tutto questo, ne era certa perchè l’avevano già fatto.
L’avevano fatto, si erano trovati in quell’assurda situazione per quello strano contratto non scritto ma chiaramente palpabile nell’aria ogni volta che si ritrovavano insieme, che li aveva uniti da quando lei e James erano finiti sotto al Mantello di loro spontanea volontà, la volontà di combattere, di proteggere l’unica dimensione che la faceva sentire veramente a casa, normale e non una pazza, un mostro come invece pensava Petunia, di capire meglio il mondo là fuori, di cambiarlo per tutti i Nati Babbani come lei e i Babbani come la sua famiglia, incapaci di difendersi.
Silente non nascondeva l’orrore di quel mondo ma li rendeva semplici spettatori, le mura protettrici del castello lo facevano per lui, ma niente e nessuno- Nè Silente nè la morte che mi ha alitato sul collo e che avrebbe potuto sfiorare qualcun’altro al mio posto- sarebbe riuscito a spegnere quella volontà consolidata sotto un Mantello dell’Invisibilità*, la volontà che era riuscita ad avvicinare due gruppi così diversi, a farle vedere un’altro James Potter. 
 
«Sì, James, è soltanto l’inizio» rispose portando lo sguardo deciso su di lui che annuì brevemente, con gli occhi nocciola incredibilmente profondi dietro le lenti dei suoi occhiali rotondi.
James che annuì, accettando insieme a lei quella sfida contro Silente dentro al castello, contro i Mangiamorte oltre le alte colonne con i cinghiali alati e contro chiunque avesse provato a fermarli anche se fosse stata di nuovo la morte, l’ultimo nemico da sconfiggere*.

É soltanto l’inizio e io sono con te, Lily. Lo sarò sempre, in qualunque posto e in qualsiasi momento. 
 
Attraversarono i corridoi pieni di studenti che prima di entrare nelle aule si fermarono a fissare con occhi spalancati i due Caposcuola di nuovo in piedi, fianco a fianco, nelle loro divise rosse e oro.
Il chiasso per l’entusiasmo di riavere il Grande Cacciatore in forma richiamò Mrs. Purr e di conseguenza Gazza, costretto a far smuovere tutti agitando la scopa babbana per aria.
«Lily!» esclamò John Owen arrivandole incontro con un sorriso piacevolmente sorpreso. James s’irrigidì vedendolo abbracciare Lily con slancio, sollevandola di peso per stringerla a sè ancora più forte.

«Credevo restassi in infermeria almeno per tutta la giornata!»
«Sono riuscita a convincere Madama Chips»

Il sorriso di James, esploso per la calorosa accoglienza che gli avevano riservato i compagni ed il suo eccitato portiere Michael Cooper, si abbassò lievemente mentre si allontanava silenziosamente da lì- tra pacche sulla schienae saluti emozionati- serrando la mascella nel tentativo di ignorare la bacchetta di mogano nella tasca dei pantaloni che non vedeva l’ora di trasfigurare la testa di Owen in quella a patata di uno gnomo. Sarebbe stato un gioco da ragazzi, la somiglianza era già incredibilmente visibile.
Un braccio familiare gli avvolse le spalle, trascinandolo con sè verso l’aula di Trasfigurazione per la prima lezione della giornata.
«A parte l’ennesima punizione, potresti prendere anche l’ennesima E, Scornuto. Io ci farei un pensierino, fossi in te»
Felpato e il suo sapergli leggere nella mente sempre e comunque. Felpato ed il suo prenderlo al volo prima che potesse cadere a terra, nel baratro che nessuno dei due aveva mai nominato ma che avevano percepito più volte tendendo la mano all’altro quando, a turno, si ritrovavano proprio sull’orlo.
Quello che avevano sotto la punta delle scarpe in quel preciso momento era molto simile alla bella camera da letto con le foto e i mazzi di fiori, con i due comodini e un letto, con Lily che leggeva un libro e il profumo fiorito nell’aria, soltanto più buia, vuota e completamente distrutta da quell’insulso abbraccio degno dei più ridicoli racconti rosa sul Settimanale delle Streghe.
Completamente distrutta dal fatto che io non sono John Owen ed lui che Lily Evans vuole, nella realtà.
Completamente eliminata dal fatto che io non sono John Owen e meno male. 
Io sono James Potter che si è innamorato di una Lily Evans immaginaria che farebbe meglio a non esistere più.
Il braccio di James passò attorno alla vita di Sirius mentre varcarono lo stipite della porta dell’aula di Trasfigurazione riempita da un quieto chiacchiericcio. Non c’erano ancora tutti e la cattedra della McGranitt era vuota.
«Dov’è Lily?» chiese Liv avvicinandosi a loro con aria stranita per l’assenza dell’amica.
«John Owen lo Scemo» rispose semplicemente James prendendo posto sul banco affianco a quello di Remus e Peter. Vide Liv sollevare gli occhi al soffitto, sbuffando senza ritegno.
«Che rottura» commentò lei tornando al banco dietro quello di Pandora e della sua amica indiana che Mary aveva già occupato.
James rise, lasciandosi cadere sulla sedia.
Perchè quella frase riferita a Owen non poteva uscire dalla labbra di Lily?!
Come poteva Lily divertirsi con un tipo del genere? Anche soltanto sorridere davanti ad uno come lui doveva essere qualcosa di miracoloso e praticamente impossibile per una persona portatrice di sano umorismo e sottile ironia, cosa che Lily aveva, entrambi, da sempre.
Per non parlare del sarcasmo.
Forse le sue risate e il suo stare insieme a quello erano soltanto sarcasmo. Lily Evans non poteva fare la seria almeno per un attimo allora?
Remus gli lanciò un’occhiata furtiva da sopra il libro, per poi osservare Sirius intento a dondolare sulle gambe posteriori della sedia al suo fianco. C’era qualcosa di diverso, stavolta.
Remus non si era mai preoccupato per l’umore a terra di James-checchè ne dicesse Ramoso quando negava l’evidenza- dopo uno scontro diretto con Lily o con la gelosia per John, perchè c’era Sirius con lui.
Sirius trasformava il sorrisetto falsamente menefreghista in un sorriso vero; Sirius gli riaccendeva la luce negli occhi nocciola. In quel momento, invece, qualcosa gli suggerì che nessuno avrebbe potuto cambiare la leggera e sincera curva amareggiata sulle labbra di James. Nessuno, eccetto Lily.

«Remus» salutò con un filo di voce uno stravolto Ned Stevens, spuntandogli improvvisamente davanti facendogli così volare via il libro dalle mani per lo spavento in contemporanea a Peter che staccò gli occhi dal banco di Piton e Mulciber indietreggiando con la sedia ed assordando mezza classe.
«Ned, ciao» esalò Remus con occhi sgranati «stai male?!» gli chiese guardandolo annaspare con una mano al petto, come se stesse per avere un infarto.
Il Tassorosso  tentò di parlare ma quando si accorse della presenza di James sollevò la mano stretta ad un rotolo di pergamena gialla. Remus fu tentato di chiamare Madama Chips o direttamente il San Mungo.
«A chi lo devo dare allora?» esordì Ned con il fiato mozzo e gli occhi blu sconvolti. «Io non mi abituerò mai al ruolo del Prefetto. Liz* ha l’influenza, mi aveva avvertito ieri sera ma io mi sono completamente dimenticato di questo foglio firme, stamattina, e sono andato a fare colazione senza minimamente pensarci. Me ne sono ricordato tre minuti fa, qui fuori, vedendo Pandora. Ho dovuto rifare tutte le maledette scale finendo per tre volte al piano sbagliato, tornare in Sala Comune e risalire di corsa, di nuovo in balìa delle scale che volevano farmi andare sulla torre di Divinazione!».
Poggiò il rotolo sul banco di James che ridacchiò, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Non sono fatto per queste cose» aggiunse Ned toccandosi con nervoso il distintivo giallo e nero sulla divisa «Se almeno potessimo usare la scopa al posto di quelle rampe che hanno vita propria!».
Remus seguì le magre dita del Tassorosso muoversi incerte sul metallo smaltato con la grande ed austera P di Prefetto. Una visione particolarmente assurda se si pensava che proprio quelle mani erano le stesse che acchiappavano boccini come se niente fosse, le stesse che James aveva pensato più volte di trasfigurare in pinne durante una partita.
Edgar Bones, il proprietario di quel distintivo, aveva di sicuro un certo peso sul petto di Ned.  
«Certo che sei fatto per queste cose, Stevens» lo contraddì James facendo sparire il pollice sotto alla manica del maglione per lucidarsi la spilla da Caposcuola «Se lo sono io, lo sei per forza anche tu».
Ned rise, mollando il distintivo per dargli un pugno giocoso ad un braccio.
 
 

«Stai bene, Pandora?» chiese Mary, a dir poco allibita, continuando a guardare l’espressione tranquilla del nuovo Prefetto blu-bronzo che le consegnava il rotolo di pergamena con le firme dei Corvonero.
«Oh, sì, grazie. Sto bene, perchè?» fece lei, scostandosi dal viso un lunghissimo ciuffo biondo sfuggito alla sua disordinata acconciatura tenuta a bada dalla bacchetta. Mary prese la lista con un sorriso stranito, opposto a quello luminoso di Pandora, assolutamente in contrasto anche con il viso triste della sua compagna di Casa.
«No, niente» rispose Mary, indecisa se crederle o meno. «Meglio così». La tua migliore amica è sparita, dopo una battaglia con tanto di Marchio Nero a Hogsmeade, e tu sembri appena tornata da un Week-end alle terme. Poi Pandora si passò una mano sul viso, quasi nascondendola, e Mary capì.
«Scusa, John?» esordì Liv facendo voltare Mary che la vide allontanarsi da lei per chinarsi in modo affabile sul banco di fronte, appena scelto dal Corvonero e Lily.
 «Ho bisogno di stare con la mia migliore amica che non vedevo in piedi sulle sue gambette e senza ‘gente attorno’ da abbastanza tempo» informò Liv osservando con la coda dell’occhio James guardare nella loro direzione «Stasera starà tutto il tempo con te alla festa. Giuro».
John acconsentì, lasciando il suo posto a Liv sotto lo sguardo indagatore di Lily e quello oltraggiato di Mary.
Mi dispiace” mimò Liv all’amica tradita che mostrò forzatamente tutta la fila di denti a John vedendoselo seduto accanto. Mi dispiace ma non posso non stare dalla parte di James, dalla parte di un povero cristo costretto a stare di fronte alla ragazza che desidera appiccicata al suo fidanzato fino a farsi sanguinare gli occhi e sfrigolare il fegato.
Si sedette affianco a Lily portando una mano dietro alla schiena, in modo tale che James potesse vedere il gesto in codice della squadra creato appositamente per comunicarsi, durante le partite, di avere l’avversario sotto controllo.
James rise, una risata così ampia da attirare l’attenzione della professoressa McGranitt che, spedita, entrò in aula con la sua grande borsa stretta in mano e tre grossi plichi di carta a sbatterle su un fianco ad ogni falcata decisa sotto la lunga gonna verde scuro.
«É esattamente questo lo spirito giusto per iniziare un compito di Trasfigurazione, Potter. Vedo che la degenza in infermeria ti ha fatto bene»
«Ma io sono sempre stato entusiasta di iniziare i suoi meravigliosi compiti di fine mese, professoressa. Farei verifiche con lei tutti i giorni a tutte le ore»
«Merlino ce ne scampi e liberi, Potter. Fate tutti silenzio adesso! Signor Goldstein, distribuisca questi ai suoi compagni»
Il prefetto Corvonero si alzò dalla sedia per prendere i compiti e Lily ne aproffittò per parlare sottovoce a Liv mentre le chiacchiere di tutti divennero sussurri.
«Ti sono mancata così tanto?» scherzò pungendole un braccio con la punta della piuma. Liv mormorò un’imprecazione massaggiandosi con sofferenza il punto colpito.
«Questo non mi mancava di certo» rispose, trucidandola con lo sguardo. L'osservò ridere senza far rumore, nel tentativo di non farsi vedere dalla professoressa.
Sì, le era mancata eccome. Le era mancata quella che lei sentiva essere una di famiglia, una parente, una sorella capace di smuoverla, anche con le cattive maniere, dalle paure e dalle sue convinzioni, la maggior parte delle volte sbagliate. Con la strana assenza di suo padre, la mancanza di Lily l’aveva fatta sentire ancora più spaesata.
«Ti ho soltanto ridato un minimo di libertà» dichiarò Liv sollevando un sopracciglio castano.
Lo sguardo di Lily saettò dietro le loro spalle, in allerta, e Liv capì di aver codificato bene l’atteggiamento dell’amica tra le braccia del suo ragazzo.
«Di John, o meglio, di quello che mi bacia di continuo per fa vedere a Potter che sono sua, parliamo quando non ce l’abbiamo dietro la schiena, magari» sibilò sarcasticamente Lily portando i gomiti sul banco e togliendoli subito dopo perchè Robert Goldstein ci aveva appena poggiato sopra il compito di Trasfigurazione.
«Grazie, Rob» fece Lily ignorando volutamente il sorrisino di Liv prima di piegarsi leggermente verso di lei con la lunga coda vermiglia che le ricadde morbidamente dalla spalla.
«Tuo padre? Ancora niente?» chiese, puntando i grandi occhi verdi nei suoi.
Liv scosse la testa.
«Se gli fosse successo qualcosa non saresti qui, Liv» mormorò Lily «Silente l’avrebbe saputo e te l’avrebbe detto immediatamente»
«L’ha detto anche Mary»
«E Mary ha ragione. Non pensare al peggio»
Liv sospirò pesantemente muovendosi con nervosismo sulla sedia, facendo vagare lo sguardo preoccupato sulla classe senza vederla davvero prima di riportarlo sul banco.
«Il gufo non può essere morto per un po’ di neve, Lily» sussurrò giocherellando con  l’angolo del foglio del suo test «Non è possibile che il gufo e la civetta siano entrambi finiti a terra a metà strada tra Hogwarts e Londra, lo capisci?».
Gli occhi di Lily rimasero a fissarla, seri.
«É successo qualcosa e mia madre non si è disturbata di avvisare Silente per dirmelo» continuò Liv tra i denti. «Oppure sono morti tutti e due» aggiunse, stringendo con rabbia- e forse anche paura – la pergamena almeno fino a quando la mano di Lily le fermò le dita con le sue.
«I giornali, sia babbani che magici, ne avrebbero parlato così come fanno ogni settimana per tutte quelle famiglie uccise» le disse con cipiglio determinato.

Liv deglutì con la gola secca, aggrappandosi ai due occhi verdi che sembravano volerla inglobare al loro interno in un pozzo di speranza capace di ridarle la ragione per non perdere la testa; una speranza capace di sorreggerla, di mantenerla con i piedi ben piantati a terra e la testa alta sulle spalle.  

«Abbiamo ancora tutta la giornata per aspettare una risposta» riprese Lily «Hai inviato la civetta soltanto ieri, prima di cena. E in ogni caso, domani sera sarai a casa»
«E se fosse troppo tardi, Lily?»

Lily sbattè più volte le palpebre, presa in contropiede da quell’agghiacciante possibilità. Aprì le labbra ma l’improvvisa stretta allo stomaco e la voce della McGranitt non le permisero di parlare.
 
«Avete due ore precise per rispondere a queste trenta domande» annunciò La McGranitt prendendo posto dietro la cattedra scura «Non voglio sentire una mosca volare! Signor Black, è avvisato. Buon lavoro a tutti».
 



Quando due ore precise dopo la campanella suonò, una ventina di fogli cominciarono a levitare verso la cattedra tra il brusio esausto degli studenti.

«La McGranitt deve avere già capito che ho fatto un compito da schifo» esordì Peter notando lo sguardo cupo della professoressa posato su di lui.
«Lo sai anche tu che non è possibile, Peter» fece Remus alzandosi dalla sedia per rimettere in borsa piuma e calamaio. «Se così fosse, significa che si è evoluta e ha superato il livello “Ti vedo, anche se ti sto dando le spalle mentre scrivo sulla lavagna”».
Ma Peter, interdetto, continuò a scrutare la McGranitt spostare lo sguardo accigliato da un’altra parte. «Da come sta guardando James» riprese «nemmeno lui ha risposto bene alle domande. Strano».
Strano. James- la McGranitt non riusciva ancora a capacitarsene- non sbagliava mai le domande di Trasfigurazione, orali o scritte che fossero, tantomeno la pratica con  con la bacchetta in classe e quella segreta che gli aveva fatto spuntare un palco di corna in testa prima della nera coda folta sul sedere di Sirius.
A quelle parole, infatti, Remus alzò la testa per osservare la donna che, effettivamente, aveva una certa espressione indagatrice ad oscurarle il viso sotto alla larga falda del cappello nero a punta.
«James» lo chiamò, dandogli una breve gomitata. James smise di recuperare gelatine dall’aria scaduta pescate dalla tracolla facendo fuoriuscire una mano con un confetto di un grigio per niente invitante.

«Ne vuoi una, Lunastorta? Non capisco se questa è sempre stata alla muffa o se lo è diventata dopo... perchè, senti, se la odori ricorda vagamente anche il tacchino...»
«Non mangerei il cibo uscito dalla tua borsa nemmeno se fosse l’ultimo rimasto sulla terra»

James aggrottò la fronte, offeso.

«La McGranitt ce l’ha con noi...» 
«Che novità, Remus»
«Non nel solito modo, Sirius. Guardala»

Sia Sirius che James sollevarono lo sguardo sulla professoressa, intenta però a lanciare sguardi fugaci in direzione di Liv, Mary e Lily.
«Dicevi, Rem?» rise James notando le sopracciglia castane di Remus avvicinarsi tra loro, interdette.
«Prima stava guardando così noi» mormorò Peter avvicinandosi maggiormente a loro «Davvero».
Sirius socchiuse gli occhi, senza lasciare la lontana figura della professoressa.
Quello non era il solito sguardo intimidatorio ed ammonitore tipico del “demone di duemila anni che vive, muore e risorge tra le fiamme della sua stessa furia ogni cinquanta”, lo sguardo di Minerva McGranitt.
Più che incutere paura, bucare a distanza la testa di Remus, farla fare addosso a Peter, zittire James e se stesso, era la professoressa a far intravedere un certo timore da sopra gli occhiali squadrati.
«Di certo» iniziò lentamente seguendo con gli occhi la donna riordinare la cattedra con gesti studiati appositamente per continuare a scrutare le ragazze «il nostro aver seguito Marlene e Edgar a Hogsmeade non è piaciuto a lei e neanche a tutto l’Ordine».
Remus annuì. «É quello che stavo pensando anch’io» rivelò, inquisitorio.
«Che continui a guardarci così allora» sbottò James chiudendo la sua borsa, vittima non soltanto delle gelatine ammuffite ma anche delle matite di Sirius che dal primo anno avevano pasticciato la stoffa con scritte e disegnini al limite dell’oscenità. «Avranno capito che noi vogliamo fare sul serio».

«Caposcuola!» chiamò all’improvviso la McGranitt impilando con cura i compiti sulla cattedra. Sia Lily che James sussultarono dalle loro postazioni, portando i loro sguardi su di lei prima di scambiarsi un’occhiata a vicenda.
James agguantò le pergamene di Tassorosso e Grifondoro vedendo Lily prendere da Mary quella blu dei Corvonero. Sbagliava o ne mancava una? Proprio una, proprio quella.
 

«Mary, la lista dei Serpeverde?» chiese Lily.
Mary aprì bocca facendo spallucce, zittita nello stesso istante dal lento avvicinarsi di Piton sotto l’occhio attento di James.
Alla vista del Serpeverde, Lily raddrizzò di conseguenza la schiena e sollevò leggermente il mento, pronta ad affrontarlo, a risentire quella voce, a sostenere quegli occhi neri che vedeva ovunque; pronta ad allungare una mano nel burrone scuro che ormai li separava definitivamente per prendere quel rotolo di pergamena.
 

«E ti pareva» commentò James in un borbottìo che soltanto i Malandrini sentirono «Poteva benissimo venire da me».
Gli occhi di Remus si spalancarono leggermente a quella frase, senza guardare il padrone della voce oltraggiata.
Piton avrebbe potuto benissimo andare da lui? Certo, per farsi fare la manicure con strappo diretto delle unghie.
 

Ma Piton, arrivando di fronte a Lily, non fiatò. Le porse con rigidità la lista che Lily afferrò velocemente e poi gettò sul banco davanti a Liv un piccolo biglietto come se stesse dando da mangiare ad un animale per niente benvoluto, scatenando in lei una reazione nervosa dovuta più al biglietto in sè che al gesto tipico di Piton.

No, anche lui, no.

Piton che tra tutte le vittime di James e Black era di certo quella con la più vasta gamma di scherzi da scegliere.
Dall’innaffiatoio incantato e pieno d’acqua che gli aveva bagnato la testa per una giornata intera, all’ortica nell’insalata; dalle mutande alla luce del sole (non stese come il bucato), alle saponette attaccate sulla suola delle scarpe; dal ‘Gratta e Netta’ in bocca, all’olio versato sul pavimento mentre passava.
La penultima cosa che voleva era vedere le mutande di Black, soltanto perchè l’ultima era vendicare un Mangiamorte.

Lily gli lanciò un’occhiata furtiva con tanto di sopracciglio vermiglio perplessamente arcuato mentre si allontanava dal banco seguendo James verso la cattedra, approfittando della sue spalle larghe per nascondersi dietro di lui in modo tale da poter dare un’occhiata ai nomi dei Serpeverde che sarebbero rimasti al Castello per Natale.
Gli occhi nerissimi di Piton, invece, continuarono a fulminare Liv fino a quando lei,  inorridita dall’inquietante comportamento degno del Barone Sanguinario, non prese il foglietto e se lo mise in borsa, insieme agli altri.
Soltanto a quel punto, Piton si decise ad andare via raggiungendo Mulciber fuori dall’aula.

Sia Mary che John la guardarono allibiti.
«Crede davvero che tu lo vendicherai?» mormorò incredulo John indicando la porta da dove era appena sparito Piton.
«Lui crede davvero che tu possa essere dalla sua parte anche solo per un istante?» aggiunse Mary con sconcerto, e in quel ‘Lui’  Liv ci rivide ogni singola volta in cui Lily aveva discusso con lui per ore, pianto di rabbia per lui altrettante ore; la volta che aveva chiamato ‘Sporco’ il sangue di Lily e ‘scherzo’  la Maledizione Oscura di Mulciber che aveva quasi ucciso Mary.
Uno così, lui, con che faccia pretendeva protezione e vendetta da lei?!

«Beh» esordì Liv caricandosi la tracolla in spalla «Qualcosa mi dice che il suo foglietto lo aprirò per ultimo. Ma per sbaglio, sia chiaro, non di certo per mia intenzione».

Mary sorrise sotto ai baffi.

«A proposito di foglietti. Un mio amico...» bofonchiò John frugando tra le pagine del grosso manuale di Trasfigurazione.
«Oh, no, basta» lo fermò Liv chiudendo senza pensarci la rigida e pesante copertina sopra le dita del Corvonero che mugolò di dolore.
Mary si portò una mano davanti alla bocca, più per ridere che per altro, e Liv si affrettò a liberare la mano del ragazzo dell’amica.
«Scusa!» fece, afferrando le dita doloranti di John per controllare che le ossa fossero tutte intere. Guardando Mary le venne da ridere ma si contenne quando Lily tornò da loro con quattro foglietti stretti in mano.
Gli occhi scuri ma ridenti le si sgranarono inevitabilmente: Anche la McGranitt voleva vendetta!?
«Devo cambiare le parole d’ordine dei dormitori per le vacanze» esordì Lily, allegra come ad una lezione di Storia della Magia «quindi, quest’ora buca la dovrò passare a camminare da un angolo all’altro del castello...»
«Con me» cinguettò James sbucando da dietro John che dopo aver saltato sul posto, assottigliò gli occhi azzurri con fastidio.

«Andiamo, Lily»
«Un attimo, Potter»

Il tono gelido del Corvonero fece indurire le labbra di Lily che in un secondo furono coperte da quelle di John.
Il silenziò calò, pesante.
Liv incrociò le braccia al petto ricambiando l’occhiata di Mary e poi guardò James, con il sorriso di poco prima cristallizzato sul viso in una perfetta imitazione del ritratto di Uric Testamatta* appeso al sesto piano.

«Signor Owen» lo riprese la professoressa McGranitt passando accanto a loro con la borsa di nuovo in mano.

Lily si allontanò da John con le guance in fiamme e il sorriso di James si sciolse in uno più largo, decisamente molto più sincero e meno da svitato.

«Mi fa piacere che la sua vita sentimentale sia alquanto soddisfacente. Lo farebbe ancora di più se la sua gioia restasse privata almeno fino al quattordici febbraio».

​Dietro di lei, il resto dei Malandrini tra i quali Sirius che le imitava i gesti e la postura. 

«Black, lo faccia un’altra volta e la necessità dell’Hogwarts Express per tornare a Londra per lei sarà soltanto un vago ricordo mentre attraverserà la Gran Bretagna in volo, senza scopa» continuò in tono asciutto marciando verso la porta con la forte risata di Sirius ad aleggiare nell’aula.

«Professoressa!?» le gridò dietro James «Le ho mai detto che lei è la mia preferita!?».

Remus non ci giurò, ma gli parve di aver visto un accenno di sorriso sulle labbra sottili della McGranitt prima di sparire dietro lo stipite.
 
 


 
*
 
 




«Per i Serpeverde sarebbe molto adatta ‘Sterco di Vermicolo’... no?»
«...»
«Oppure... ‘Puridementi’»
«’Vaiolo di Hogwarts’...» esordì Lily facendo spalancare gli occhi nocciola di James dietro le lenti illuminate dalle torce appese ai muri dei Sotterranei anche di giorno.
«Wow, Lily! Ho sempre pensato che sei geniale ma fino a questo punto e con questa giusta cattiveri...»
«‘Vaiolo di Hogwarts’ è quella per entrare nella tua stanza, Potter» aggiunse con noncuranza Lily in un sorriso svoltando a sinistra e continuando a leggere il biglietto di pergamena che la McGranitt le aveva dato pochi minuti prima.
Era la prima volta che dovevano cambiare la parola d’ordine agli ingressi dei dormitori e dato che non avrebbero incontrato Dissennatori o Marchi Neri che avrebbero potuto mettere la testa sulle spalle a Potter, Lily aveva acconsentito di fare quel giro del castello insieme a lui per stroncare sul nascere le sue potenziali idiozie come, appunto, ‘Puridementi’.
Così come non tutti i Grifondoro erano esseri dotati di un ego grande quanto l’universo che non si meritavano quindi di avere una parola d’ordine come ‘Tacchini Boriosi’, così non tutti i Serpeverde meritavano ‘Puridementi’ e chissà quali altri insulti aveva Potter sotto quella Puffola Pigmea nera che aveva in testa, per quanto veritiera potesse essere riguardo certi elementi verdi-argento.

«Geniale e anche molto divertente... » commentò James decisamente meno allegro tuffando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Non siamo noi che dobbiamo decidere le parole da usare, James. Si vede quanto sei stato ad ascoltare la professoressa prima...» riprese lei, sarcastica.
James sbuffò, anche se con lo stesso sorriso che nasceva ogni volta che sentiva il suo nome pronunciato dalla sua voce, quella reale.
«Che boccino benedetto da Godric facciamo noi allora!? I baby sitter ai Prefetti che a loro volta lo fanno agli altri?»
«Qualcosa del genere, sì» rispose lei in un sorriso ironico «Pensa un po’ a me che oltre a farla ai Prefetti devo farla anche a te. Non poteva andarmi peggio»
«Sempre più simpatica, Evans»
«La parola la scelgono i Capocasa e quella dei Serpeverde è stata già decisa da Lumacorno» riprese Lily passandogli il foglietto della McGranitt e pentendosi subito dopo perchè dare le parole d’ordine di tutti i dormitori a Potter era come ‘porgere l’altra guancia’; era raggiungere Voldemort a braccia aperte dandogli spontaneamente la bacchetta per farsi uccidere; era consegnare centinaia di vite umane al diavolo; era, più precisamente, risolvere  un problema ai Malandirni... il problema ‘Raggiungere le vittime per gli scherzi migliori, quelli di gruppo ma non in Sala Grande davanti ai professori’.
Ma Potter era Caposcuola e aveva il diritto di sapere come entrare nel dormitorio Serpeverde per imbottire i cuscini delle poltrone con delle Caccabombe.
Sempre Potter, però, erano secoli che non faceva più cose del genere.
Lo guardò con la coda dell’occhio, indecisa se sorridere o aspettare di vederlo partire spedito verso la Sala Comune dei Serpeverde tirando fuori dalle tasche Vermi Sibilanti “Perfetti per Parkinson”e Pallottole Puzzole “Su Mocciosus sono la morte loro... e di tutti quelli che gli stanno attorno”.

«Ananas Candito... » lesse con noia James «Ridicola... e quindi assolutamente perfetta per i Serpeverde. Niente da dire».

Quando si trovarono di fronte al muro che entrambi conoscevano bene- chi perchè era la porta di casa del proprio ex migliore amico e chi perchè era la porta che aveva visto in assoluto più Caccabombe dell’intero castello – incantarono la pietra prima di passare un quarto d’ora intero a decidere chi dei due sarebbe dovuto entrare per appendere alla bacheca verde e argento il foglio con la parola d’ordine.
Il problema fu risolto da Lumacorno che, sciogliendosi di felicità nel vedere la sua allieva preferita di nuovo perfettamente in forma, prese il foglietto ed entrò nella Sala Comune salutando James e ricordandogli per l’ennesima volta che suo padre aveva accettato con entusiasmo di essere presente alla festa di Natale.

«Come mai tuo padre è un genio in Pozioni e tu invece sei capace di carbonizzare anche l’aria agitando il mestolo davanti alla faccia?» chiese Lily facendo il percorso inverso seguendo gruppetti di Serpeverde per tornare al piano terra.
«Perchè evidentemente, Lily, ho preso da mia madre e dal suo saper mandare in fumo anche il latte la mattina quando non c’è mio padre che di nascosto le abbassa la fiamma dei fornelli con un gesto della bacchetta» le rispose vedendola cedere ad un piccolo sorriso. «Sempre se papà non è in vena di fare scherzi perchè altrimenti invece di abbassargliela la mette al massimo» aggiunse, facendone uno anche lui decisamente più ampio ed incredulo per starle realmente raccontando qualcosa della sua famiglia, di se stesso.
Fu con una calda sensazione di pace che la guardò salire con decisione e tranquillità, senza tensioni o ansia, i gradini delle scale che portavano alle clessidre.




 
*
 
 


 
«No, Sirius»
«Dai»
«No»
«Dai»
«No»
«Dai»
«No»
«Dai»

Un angolo del quaderno di Incantesimi sotto le dita di Liv si accartocciò lentamente e con aria per niente rassicurante sotto l’occhio sconcertato di Peter, seduto sulla sedia al fianco di Remus che assunse un’aria fintamente pensierosa prima di rispondere con un altro secco «No» ad un Sirius letteralmente spalmato su un tavolo dell’aula vuota che avevano scelto per passare l’ora buca.

«Dai»

Liv lo fulminò con lo sguardo, decisa però a non proferire parola per evitare di parlargli ancora e di arrivare al punto di attorcigliargli al collo la cravatta rossa che gli penzolava dal banco come le braccia e le gambe.

«Dai»

Mary, intenta a buttar giù la relazione del primo mese di vita del suo Occamy per la lezione di Cura delle Creature Magiche del pomeriggio, staccò la piuma dalla pergamena intingendola nella boccetta d’inchiostro in contemporanea a Remus.
Lo scontro di mani fece arrossire entrambi ed accasciare sui libri Liv, sfinita per il “Dai” e per quei due che ancora non si erano accorti di colare miele da tutte le parti.

«Dai»
«Ma come fai a sopportarlo?» chiese Mary allontanando la mano per prima e rimettendosi a scrivere con una grafia decisamente più veloce e meno ordinata.
Remus fece spallucce.
Come faceva a sopportare Sirius, soprattutto quando non c’era James come in quel momento?
Anni di corazze di silenzio artificiale ed assolutamente immaginario, creato in situazioni disperate, si erano avvolte a lui,  sulle orecchie e attorno ai nervi, come protettivi tentacoli di piovra.

«Perchè, tu senti qualcosa? Io non sento niente» scherzò pacatamente facendola sorridere nonostante tutto.
«Che bastardo! » gli imprecò contro Sirius scattando a sedere sul banco con il viso completamente coperto dai lunghi capelli neri.
Remus gli rispose con un fugace sguardo divertito, furbo, da sopra la piuma che scorreva di nuovo sul foglio.
«James non avrebbe mai detto di no ad un giro nella Foresta Proibita innevata»
«Io non sono James e neanche un suicida»
«Dai, Lunastorta, non fare lo stronzo».
Peter ridacchiò, mangiucchiando distrattamente la fine di una matita mentre Liv si coprì la testa castana con gli appunti di Erbologia, cercando di resistere dall’afferrare la bacchetta e Schiantare Sirius.
«E se andassimo nelle cucine?» propose Peter, speranzoso «Stamattina ho lasciato metà della pancetta sul piatto per colpa di quelle ragazze pazze»
«No, Coda» gli smontò l’idea Sirius scostandosi i ciuffi neri e le piume di gufo dal viso con un gesto della testa. «O la Foresta o niente»
«O le Cucine, o fai silenzio o la Biblioteca, scegli tu» intervenne furbescamente Remus.
Sirius infatti lo guardò in tralice, come se con l’ultima opzione gli avesse proposto di tornare a Grimmauld Place.
Si sdraiò di nuovo sul tavolo, questa volta a pancia in sù, incrociando le braccia al petto per sottolineare la sua testarda posizione.
Lo stomaco di Peter brondolò rumorosamente, attirando gli sguardi di tutti. «Io ci vado» avvisò con un sorrisino imbarazzato prima di alzarsi dallla sedia.
 
 


 
*



 
 
 
«Abbiamo detto la Signora Grassa, James» fece Lily bloccandosi sul pianerotttolo del terzo piano, dietro un gruppetto di ragazze Tassorosso che sostavano sotto un mazzo di vischio appeso al soffitto con sguardo speranzoso rivolto verso il popolare Grifondoro.
Ma James continuò a camminare nella direzione opposta.
Lily raccolse ogni briciolo di pazienza che riuscì a trovare: nessuno.
L’unica cosa che trovò fu il “Te l’avevo detto” di se stessa.
Sorrise, sarcastica, seguendolo con sguardo omicida salire la scalinata ricca di agrifoglio.
 
«É arrivato il momento di fare il funerale al tuo unico neurone, Potter? Da quella parte si va alla torre dei Crovonero»
«Niente funerale, Lily» rispose lui passando in mezzo a due Serpeverde impegnati a scambiarsi gli appunti seduti sui gradini «Anzi, i miei miliardi di neuroni fanno festa. Ho avuto come un’illuminazione, prima, vedendo... quello che si fa chiamare il tuo ragazzo. Una marea di filastrocche e indovinelli in rima che vogliono appostarsi sul batacchio della porta dei Corvonero. Non possiamo di certo aspettare».

Lily strinse i pugni raggiungendo la scala con passi pesanti e la coda di capelli fiammanti a dondolarle furiosamente dietro la testa.

Te l’avevo detto.

Lo sapevo, io lo sapevo.

E non ci voleva un genio per sapere che James Potter in infermeria aveva curato i disturbi dati dalla Maledizione Cruciatus ma non quelli dovuti alla caduta dal seggiolone da piccolo.  

«A parte il fatto che John è il mio ragazzo» ringhiò, stando attenta a non poggiarsi al passamano addobbato dalle ghirlande «e che non ho assolutamente voglia di rieducare il neurone inspiegabimente ancora vivo che hai lì dentro ricordandogli che il sistema di protezione dei dormitori lo scelgono i Capocasa, non i Caposcuola... che saremmo noi due». Riuscì a raggiungerlo, salendo sul gradino sopra il suo per bloccargli la strada.
«Noi non dobbiamo nemmeno avvicinarci a quella torre, Potter» sbottò, inchiodandolo sul posto con i determinati occhi verdi scintillanti sul viso libero dai capelli «Quelle ‘filastrocche’ cambiano da sole in continuazione durante tutto il giorno, per tutto l’anno scolastico, e non hanno decisamente bisogno della tua fervida fantasia» lo informò in un sorrisino molto simile a quelli che usava per spiegare il regolamento scolastico ai bambini del primo anno.
Qualcosa, però, fece pensare a James che la dolcezza sincera e la pazienza cordiale del sorriso di Lily rivolto ai bambini del primo anno, in quel momento non erano compresi nella curva che le labbra di Lily facevano davanti a lui.
Più che sorriso per i bambini, quello era un sorriso per assecondare i pazzi.
«I Corvonero si devono sempre distinguere, ovviamente» commentò James, guardandosi attorno con stizza ed evidente fastidio rivolto ai Corvonero o ad uno in particolare.
Violet*, l’amica della Signora Grassa, lo guardò con occhi divertiti dal quadro con i monaci borbottanti prima di scappare tra un gruppo di donne in crinolina, nella cornice sopra.
«Muoviamoci, non abbiamo tutta la mattina» ordinò Lily riscendendo di fretta la scala.
James la seguì, lanciando uno sguardo meditabondo a Violet che attraversò tutti gli altri quadri facendo spaventare un bambino, rotolare due mele dal cesto della natura morta e far volare il cappello ad un mago che le inveì dietro sventolando un lungo bastone.
 
 

 
*



 
 
«Palla di lardo oggi rotola per la scuola senza le sue guardie del corpo?»

Peter sussultò sentendo la voce di Mulciber alle sue spalle.
Un brivido rallentò i suoi già goffi movimenti prima che la paura lo immobilizzasse su un gradino della scala d’ingresso ordinandogli contemporaneamente di scappare, correre a gambe levate. Inutile dire che non ci riuscì, non riuscì nemmeno a muovere un muscolo.
Paralizzato sullo scalino, sentì la schiena schifosamente nuda e fragile non nascosta dal Mantello dell’Invisibilità di James, non protetta dalle bacchette di Remus e Sirius.
«Palla di lardo, sto parlando con te»
Peter strizzò gli occhi e l’intera faccia rotonda, stringendo le mani a pugno e sperando con tutto se stesso di poter sparire.
La bacchetta dimenticata nella tasca dei pantaloni come se non esistesse, come se non fosse nient’altro che un pezzo di legno senz’anima, senza potere come sentiva le sue braccia flaccide, la sua testa completamente vuota dal panico, il suo intero ed ingombrante corpo già con il fiatone.
«Lascialo perdere, non abbiamo tempo per queste cose adesso»
Qualcosa nel tono di voce di Regulus Black gli fece capire di essere salvo.
Riaprì gli occhi celesti, fissando senza vederle le clessidre davanti, aspettando di esserlo davvero.
Un altro brivido gli percorse metà corpo, quello che percepì lo spostamento d’aria dato dai mantelli dei due Serpeverde. Abbassò lo sguardo quando Regulus e Mulciber- con un sorrisino tagliente rivolto nella sua direzione-  gli passarono accanto, superandolo.
Peter, però, li seguì furtivamente con lo sguardo fino a quando non sparirono giù dalle scale dei sotterranei.
Il quadro con la frutta che nascondeva le Cucine gli apparve molto meno appettibile del muro umido e scintillante tra le torce nei sotterranei.

“Sono degli idioti” 


                                         “Non è una cosa possibile, Peter! Non lo è”
 

“Gli idioti non fanno un bel niente”
                                        

                                         “Chi sono i migliori, Coda?”
 
Codaliscia non aveva bisogno di nascondersi dietro al mantello dell’Invisibilità di James come Peter, Codaliscia era piccolo e passava inosservato.
Codaliscia non aveva bisogno di bacchette per difendersi come Peter perchè Codalsicia era velocissimo, agile ed abile ad arrampicarsi dove gli altri non riuscivano, intelligente a trovare la soluzione più furba in ogni occasione, con dei denti che mordevano forte e delle unghie che graffiavano in profondità.
Codaliscia era potente, anche da solo.
 


 
 
*
 



 
 
«Pene d’amore»
«Come, scusi?» fece Lily, perplessa.
La Signora Grassa nel grande quadro davanti a lei sorrise, sistemandosi la collana di perle appesa al grosso collo mentre spostava lo sguardo malandrino verso la cornice dorata da dove sbucava metà viso divertito di Violet.
«La parola d’ordine per il periodo natalizio, mia cara, sarà: Pene d’amore» ripetè con solennità la guardiana della torre dei Grifondoro e James aggrottò le sopracciglia.
«Non mi piace questa storia» affermò guardandola storto.
Lily restò a fissarla, stranita, cercando di capire se la Signora Grassa fosse di nuovo brilla oppure no. Si schiarì la voce, ricontrollando i foglietti della McGranitt.
Quello per la parola d’ordine dei Grifondoro era chiaro:
Grifondoro: Libera scelta della Signora Grassa* (riferirmela subito).
«Ehm... qualcosa di più natalizio?» chiese riportando lo sguardo sulla signora che rise, mollando le perle per lisciarsi con cura il vestito rosa antico.
«Più natalizio di questo, cara?»
«Sì, tipo: Fetta di Pudding... Ghiaccioli Sempiterni... Barili di Idromele ...»
«Santo cielo, ragazza! Bisogna essere al passo con i tempi ma in modo originale. Non è vero, Vì?»
Violet ridacchiò, affiancando l’amica sotto l’occhio ridotto a fessura di James.
«Pene d’Amore mi sembra molto azzeccato al contesto...» continuò la Signora Grassa, decisa, scrutando con bonaria ilarità lo sguardo nocciola affilato sotto i neri capelli arruffati.
«Io dico che decidiamo noi la parola d’ordine» s’inserì brusco James «che sarà... Dieta Drastica... riferimenti per niente casuali».
Lily gli scoccò un’occhiataccia camuffando però un sorriso divertito.
«Sì, certo... » sbottò la donna, ironica «Sono secoli- secoli sul serio, Potter- che la parola d’ordine che apre questo passaggio la decido io e non sarai di certo tu a cambiare la tradizione!»
«E va bene!» bloccò la discussione Lily. James trasalì.
«Lily!» la riprese, sconvolto come se Lily avesse appena ordinato di far esplodere il Campo da Quidditch.
«Ti lasci far comandare da un quadro?!»
«Non è ‘un quadro’, Potter, è IL quadro. Il nostro, per di più. La McGranitt ha scritto che spetta alla Signora Grassa decidere. E Pene d’Amore sia».
La Signora Grassa sorrise soddisfatta gonfiando la scollatura tutta merletti sorridendo a James, visibilmente infastidito e con ancora lo sguardo su di lei mentre Lily entrava in Sala Comue per appuntare in bacheca un avviso con la nuova parola d’ordine.
James, rimasto fuori per continuare a guardare in cagnesco la donna in rosa, incrociò le braccia al petto con sfida.
Gliele avrebbe fatte vedere lui le pene... non d’amore di certo.
Prima di tutto le avrebbe dipinto quel vestito rosa-unghie di Sirius al quarto anno di rosso, sì, rosso vermiglio come un degno guardiano dei Grifondoro sarebbe dovuto essere invece di assomigliare ad Allock ogni San Valentino.
Poi, la cornice. Oh sì, la cornice dorata l’avrebbe ridotta in briciole.
La Signora sarebbe stata ancora più grassa in quella tela nuda così come diceva sempre di non voler apparire. E se avesse continuato a fare sarcasmo sulla sua misera situazione sentimental...
Il sangue di James gelò nelle vene, bloccandolo anche se non come quando Liv gli aveva fatto bere un capello unto di Mocciosus (solo a ripensarci gli veniva il vomito). 
Il sangue gli si gelò nelle vene perchè aveva appena realizzato che se la Signora Grassa sapeva, allora anche tutti i muri, le statue, i busti, gli arazzi, le torce, la polvere e i fantasmi sapevano.
Spostò lo sguardo allarmato sui quadri vicini. Il gruppo di maghi seduti a giocare a briscola in quello di fronte* lo fissò con sguardi spaventosamente eloquenti, pieni di compassione e pietà, accompagnati da sorrisetti ironici dietro ai ventagli di carte stretti tra le mani.
Quando notò il signore con l’appariscente gorgiera fargli vedere il due di picche, il viso di James si deformò così tanto da attirare l’attenzione di Lily.
«Che c’è?» gli chiese sbucando da dietro il ritratto.
James, troppo sconvolto, parve non sentirla. «Non fai ridere» sbottò con astio senza staccare gli occhi dal mago che sventolava il due di picche facendo ridere gli altri. Lily, stranita, fece per seguire il suo sguardo e James le prese un braccio portandola davanti a sè per spingerla gentilmente e farla camminare velocemente, percorrendo con orrore di James il corridoio del settimo piano sotto tutti gli occhi delle persone nelle cornici.
«Lily. Non fai ridere, Lily» aggiunse, guardandola inarcare un sopracciglio quando lei voltò la testa con espressione perplessa verso il suo viso.
Rendendosi conto dell’eccessiva vicinanza del naso appesantito dagli occhiali e di quella del paio di occhi che la guardarono con un’intensa sfumatura di caldo nocciola, Lily riportò immediatametne lo sguardo davanti a loro.
«L’unico che riesce a far ridere stando zitto sei tu, Potter» ribattè, piccata, cercando di fare resistenza contro le braccia che la tenevano stretta mentre cominciavano a scendere le scale.
James sorrise tra i profumati capelli rossi di Lily legati nella folta coda che aveva praticamente in faccia.
Inspirò profondamente il delicato odore di fiori prima di lasciare la presa chiudendo le palpebre dietro le lenti per aggrapparsi all’immagine bellissima del naso lentigginoso e dei grandi occhi verdi con le lunghe ciglia curve a pochissima distanza da lui.
Perchè deve essere così stramaledettamente bello? 
Perchè deve essere di John Owen?

 
 
*


 
 
 
Lo vedeva, l’occhio grigio socchiuso di Sirius lasciato libero dal braccio pigramente poggiato sulla fronte.
Liv lo vedeva puntarle il viso con intensità per poi scendere lentamente sulle sue gambe con una strana scintilla di malizia a farlo brillare quando risaliva a guardarla di nuovo negli occhi.
Si coprì la visuale con il libro di Incantesimi, sprofondando maggiormente sulla sedia cercando di leggere qualcosa che non fosse la stessa riga che stava fissando ormai da dieci minuti.

Tanto non riuscirai a farmi esplodere.
A costo di implodere e disperdermi per il Castello e il parco in un’infinità di pezzetti dingitosi, tutti con la mia faccia soddifsatta e il mio dito medio che ti faranno rodere il culo per l’eternità, Black.

 
Sirius sorrise facendo scivolare il braccio dal viso mettendosi seduto sul banco dal quale saltò giù rumorosamente.
Remus staccò lo sguardo dagli appunti per osservarlo attraversare la stanza con l’ondulato caschetto castano di Liv intrapppolato negli occhi grigi ridenti.
Poteva dire addio al ripasso di Incantesimi, alla sua voce, al pranzo, alla sua stessa vita e quella di tutti in quella stanza.
Avrebbe fatto meglio a lucidare la spilla da Prefetto,  l’unica cosa che sarebbe rimasta di lui da donare ai suoi genitori insieme a delle sentite condoglianze.
«Vattene. La guerra è finita» lo accolse Liv fulminandolo con lo sguardo da sopra il libro ma Sirius si sedette senza scrupoli sul banco, sopra gli appunti di Erbologia e il disegno dell’Occamy che Mary gli sfilò da sotto il sedere in tempo.
«La guerra è finita, sì, l’hai specificato ieri... prima di uccidermi, quasi»
«Quasi, appunto. Sei qui per ringraziarmi? Sappi che non ti ho lasciato cadere giù dalla guferia soltanto perchè Azkaban non è il mio luogo ideale per vivere»
«Azkaban non dovrebbe essere male invece, sai? Una casa al mare è sempre stato il mio sogno»
«Bene, quando sarò Auror farò del mio meglio per esaudire questo tuo desiderio, Black»
 Sirius sorrise sghembo, facendo scorrere avidamente gli occhi su ogni angolo e curva del viso scontroso ma invitante di Liv che aggiunse dell’altro.
«E perchè ti dovevo il favore da quando mi hai salvato dalla gelatina in gola»
«Stai ammettendo che ti ho salvato la vita?»
«Sto semplicemente dicendo che adesso siamo pari, Black, e che possiamo anche smetterla di rivolgerci la parola»
Sirius si soffermò sugli occhi scuri davanti a lui che assorbivano la livida luce del cielo plumbeo dietro il vetro delle finestre, come se per lei non ci fosse alcuna differenza tra la tempesta di neve che stava per scatenarsi fuori e quella che aveva dentro.
«A proposito... da quale gelatina ti ho salvato?» le chiese, facendo finta di non aver sentito l’ultima frase che gli parve più ridicola che mai.
Sarebbe stato impossibile smettere di parlarle adesso che entrambi i loro gruppi di amici si stavano unendo tra loro per collaborare alla stessa causa. Esattamente com’era impossibile soddisfare quell’irresistibile attrazione appena nata, per lo stesso motivo.
Assecondare le sensazioni stimolanti che aveva sentito afferrandola prima che cadesse sulla cacca di gufo, assecondare gli istinti animaleschi che sentiva muoversi in pancia era la cosa che più voleva se non pensava alle conseguenze.
Baciare una sconosciuta non aveva conseguenze- O forse sì? Gli mise la pulce nell’orecchio una vocina molto simile a quella di Remus. In ogni caso, non erano rilevanti- ma baciare una ‘probabile’ amica era diverso.
Che cosa avrebbe fatto, dopo, quando si sarebbero ritrovati a fare colazione insieme come poche ore prima, a studiare come in quel momento e stare in Sala Comune seduti su poltrone vicine a chiacchierare sull’Ordine tutti insieme?
Di certo non sarebbe potuto sparire. E forse non voleva nemmeno.
«Sei qui per farti togliere le piume dalla testa allora» ribattè lei, decisa a non cambiare argomento. «O perchè non ti sta bene abbia vinto io. Lo capisco ma è così che è andata, Black,  fattene una ragione»
«Sono qui proprio per l’ultima cosa che hai detto, in realtà» informò Sirius osservando il sopraccciglio castano di Liv arcuarsi.
Le teste di Mary e Remus, alle sue spalle, si sollevarono verso di lui con sguardi allarmati.
«Cosa!? Metti in dubbio la mia vittoria!?» indagò Liv lanciandogli un’occhiata torva.
«Sono morto?» chiese in tono canzonatorio Sirius chinandosi verso di lei che si scostò, appiattendosi sulla spalliera in legno della sedia. «Non sono morto» constatò lui rimettendosi dritto ed allargando le braccia come per far vedere tutta la sua presenza in carne e ossa.
A Liv scappò un sorriso incredulo sbattendo il libro di Incantesimi sul tavolo.
«Ti ho già detto che non voglio finire ad Azkaban» puntualizzò tamburellando le dita sul tavolo. «La mia vita viene prima di te, Black» ribadì ancora prima di vedere la sua bacchetta volare via dalla tasca interna della tunica per finire nella mano libera di Sirius.
«Un duello finisce con la morte o con il disarmo, Olivia. Sono io che ho appena vinto» annunciò lui in un ghigno beffardo osservando l’arma che una furiosa Liv, alzandosi velocemente in piedi strisciando rumorosamente la sedia per terra, tentò di riprendersi senza successo.
Mary lasciò perdere la relazione per Cura delle Creature Magiche nello stesso istante in cui Remus mollò la piuma nel calamaio.
«Che legno è?» chiese Sirius, mettendo la sua bacchetta in tasca e scrutando con cura quella scura che Liv provò a riprendersi con la forza, allungando una mano verso di lui.
«Perchè?! Avresti da ridire anche su quello?!» lo sfidò mentre Sirius sollevava più in alto il bottino rubato.
«No, sono soltanto curioso» rispose lui, ridente. «E dentro che c’è? Capello di Megera
«Drago» sputò acidamente Liv senza più riuscire a contenersi «Se non stai attento ti esplode in mano»
«Dubito, Olivia. Sono abituato con la mia. Abbiamo una cosa in comune a quanto pare»
«Soltanto quella! Perchè, per me, vincere da Serpeverde come hai appena fatto ha la stessa valenza di un permesso per Hogsmeade non firmato dai genitori»
«Sirius, basta» s’intromise Remus alzandosi in piedi, ben consapevole che quell’ordine sarebbe stato efficace quanto un bicchiere d’acqua per curare il Vaiolo di Drago.
Liv cessò di lottare quando le lunghe dita di Sirius le sfiorarono per sbaglio il collo e i capelli castani facendole riprovare le stesse intense sensazioni che le avevano scaldato in un brivido la pelle sotto la divisa, in guferia.
Si allontanò da lui di un passo, con riluttanza e contro la sua volontà non solo perchè il piacevole tocco delle mani di Black l’attirava come un Incantesimo di Appello, ma perchè quella che Black aveva tra le dita era la sua amata bacchetta, la sua fidata compagna sempre in tasca, sempre dalla sua parte nel bene e nel male da più di sei anni.
«La sento già mia» replicò provocatorio Sirius senza mentire, puntandole contro la bacchetta che sentiva particolarmente comoda anche se un po' più corta della sua.
Il sorriso isterico di Liv sarebbe apparso inquietante anche senza il cupo tuono fuori dalla finestra che fece vibrare i vetri.
Si stava per tradire, Liv stava per tradire la promessa fatta a se stessa sul non avvicinarsi di nuovo a Black neanche per farsi staccare gli scheletri di topo dalla gonna ormai buttata nel cestino.
Quella era la sua bacchetta e la stupida frase “Sono io che ho appena vinto” trasformava l’attrazione che emanava Black in cieco istinto omicida.
«Liv» la riprese Mary facendo il giro del tavolo per raggiungerla con una certa urgenza accorgendosi del familiare sguardo che aveva appena animato gli occhi scuri dell’amica.
«Ti senti vincitore dopo un imbroglio. Non mi sorprende» ribattè Liv senza abbassare lo sguardo dalla faccia tosta di Sirius che in quei casi rafforzava sollevando con insolenza un solo angolo delle labbra.
«Dovrai disarmarmi per vincere sul serio, Olivia»
«Ma io ho già vinto sul serio, Black»
«Vincere senza disarmo, secondo te, non è imbrogliare?»
Davanti a quel dato di fatto Liv sollevò un sopracciglio vedendo quello di Sirius fare lo stesso in risposta.
«Siete davanti a due Prefetti!» tentò di fermarli Mary cercando di usare il tono più severo e convincente possibile per fermare l’amica da un’altra guerra che non avrebbe distrutto soltanto l’aula ma anche se stessa, di nuovo.
Remus le lanciò uno sguardo per niente convinto. Alle orecchie di Sirius quella frase stava sicuramente suonando come “Siete davanti a due Asticelli!”. Era uno dei motivi per cui Lily Evans, dal quinto anno, aveva rinunciato a togliere punti a James e Sirius.
Praticamente insignificante.
E lo stesso doveva essere anche per Liv che- James ne sarebbe fiero- sfilò prontamente la bacchetta di Sirius dalla tasca del pantalone della divisa.
Remus rimase a fissarli, perplesso. Erano uguali, inquietantemente uguali.
«Cinque punti in meno a Grifondoro!» sbottò Mary, decisa a salvare l’amica, ma Liv e Sirius la ignorarono, puntandosi le rispettive bacchette contro.
«Non ti obbedirà mai, Olivia» le sibilò Sirius, come se stesse parlando di se stesso, tra i denti dritti e bianchi scoperti per metà dal sorriso scanzonato.
«Io dico di » lo contraddì lei dando voce alla strana sensazione che, impugnando meglio il lungo legno scuro, stranamente le fece riconoscere quella nuova bacchetta non del tutto estranea.

Agitandola con l’intento di lanciare un Incantesimo di disarmo, quella sorpendentemente funzionò senza problemi e lo scudo che tempestivamente coprì del tutto Sirius davanti a lei fu altrettanto sconvolgente per tutti.
Remus aggrottò le sopracciglia castane in un cipiglio perplesso. Com’è che quei due andavano più d’accordo con le bacchette che tra di loro?
«Si può sapere che legno è, Olivia? É anche questo ebano* per caso?»
«No, è prugnolo*» rispose altrettanto stranita Liv quando un timido beccare sul vetro di una delle finestre gotiche della classe le fece saltare il cuore in gola. Il suono che ormai sognava anche la notte le fece vibrare i timpani e il respiro.
Spostò in modo brusco Sirius per riuscire ad andare ad aprire un’anta al gufo.
Una volta dentro, il rapace sorvolò silenziosamente le teste di tutt’e quattro prima di far  cadere una lettera sul pavimento.
Liv si chinò a capofitto sulla busta umida di neve mentre Mary la raggiunse con un sorriso luminoso stampato sul volto.
Con le mani tremanti e la lunga bacchetta di Sirius in mano, Liv ci mise più del dovuto a strappare la ceralacca che la sigillava.
Ma finalmente suo padre si era fatto vivo, finalmente avrebbe saputo che diamine era successo, e anche se ci avrebbe messo un'ora per aprirla era certa di averla tra le mani, in pergamena ed inchiostro.
Finalmente.
 
 
 
 
*
 
 



 
Tassorosso: Due colpi alla prima botte a destra, tre su quella al centro e uno in basso a sinistra.


Lily sollevò di pochissimo il verdissimo sguardo vivace dal piccolo biglietto con la grafia rontondeggiante della professoressa Sprite per posarlo su James che,  rimboccandosi con convinzione le maniche del maglione della divisa, si era fiondato davanti alle rotonde botti di legno a guardia della Sala Comune dei Tassorosso.
 
«Ok, facciamo questa cosa» esordì il Caposcuola passandosi con decisione una mano tra i capelli ribelli.
«Sicuro?» fece Lily mordendosi un labbro per non ridere spudoratamente.

«Che c’è di così divertente?»
«Nulla. Tu sei davvero pronto?»
«Certo! Mica ci vuole chissà quale particolare abilità per battere su questi cosi...»
«Ok. Due colpi sulla prima botte a destra...»
 
 
 
Lily si allontanò furtivamente di qualche passo e James si sfregò le mani prima di sistemarsi gli occhiali sul naso e battere due volte le nocche nodose sulla botte indicata. Immediatamente una fontana di liquido dall’odore pungente e penetrante lo centrò in piena faccia.
James boccheggiò, sconvolto, sentendo Lily ridere di gusto alle sue spalle. Una risata allegra e aperta, incontrollata, che James non aveva ma sentito da così vicino.
Si ritrovò a ridere anche lui, in mezzo alla pozza di aceto, con i capelli neri gocciolanti sulla fronte, le lenti degli occhiali schizzate di goccioline gialle e la puzza ad invadergli fastidiosamente il naso.
Si ritrovò a ridere anche lui, insieme a Lily.
Era la cosa più bella e liberatoria che avesse mai fatto e provato.
 

«Non abbiamo cancellato la sequenza musicale che c’era già!»
«”Non abbiamo”, James!?»

Lui spalancò la bocca in un sorriso ancora più grande.

«Tu ci avevi pensato?!»
«Certo che sì. Tu non hai cancellato la sequenza precedente! Non “noi”. Tu e il tuo essere sempre ciecamente sicuro di te stesso!»

Non era un insulto. Lily rideva e la luce che aveva negli occhi non era dovuta a pensieri maligni o colmi d’odio, James lo sentiva in un punto imprecisato nel petto.
Era semplicemente divertita, divertita e vicina oltre che splendidamente bella mentre si teneva la pancia con una mano, con la coda di capelli rossi che si muoveva insieme alle sue piccole e tonde spalle scosse dalla risata, l’arricciato naso punteggiato di lentiggini e i grandi occhi verdi socchiusi e lucidi tra le ciglia.
 

Io non sono John Owen, io sono James Potter e sono innamorato di questa Lily che mi sembra per niente irreale. 
 
 


 
*


 
 
 
«Riprova»
«Riprovo cosa, Regulus? Se non si è aperta prima non lo farà nemmeno adesso»
«Cosa ti costa dire di nuovo... Polvere Volante?»
 
La grande scarpa nera di Mulciber, ferma vicino al pilastro, fu un ottimo trampolino per le sottili zampe di Codaliscia che con un salto si aggrappò alla fodera verde smeraldo all’interno del lungo mantello.
 
«Devono averla cambiata, Reg»
«E non ci avvisano? Begli idioti!»
«Ancora non riesco a pensare che a comandarci siano due Grifondoro... per giunta una Nata Babbana e un Traditore del suo sangue... »
«C’è poco da pensare con Albus Silente. Questo posto schifoso è caduto così in basso che non mi stupirei se domattina tutto il castello si dovesse risvegliare sotto al Lago Nero»
«E quindi cosa diamine facciamo, Regulus!? Stiamo qui come dei cretini?!»
«Esatto, come i Caposcuola che ci ritroviamo quest’anno»
«Prima o poi qualcuno dovrà uscire dalla Sala Comune...»
«Stiamo così, come Potter e Evans che evidentemente hanno intenzione di trasformare la scuola e tutti gli studenti a loro immagine e somiglianza»
«Sì, poi vedremo fuori di qui cosa faranno...»
 
Il mantello ondeggiò e le zampette del topo si aggrapparono maggiormente alla stoffa.
 
«Che situazione di merda»
«Barty che fine ha fatto?»
«É a lezione, lui non ha ancora ore buche»
«Ma ci pensi, Reg? Non vorrei mai tornare indietro al quinto anno, con i G.U.F.O. e ancora due anni da passare qui dentro, circondato da lurida gentaglia... »
Il sordo rumore della pietra che scorreva per rivelare un gruppetto di Serpeverde e la Sala Comune illuminata dalla luce del lago fece muovere ancora una volta il mantello e di conseguenza anche Codaliscia.
Regulus e Mulciber entrarono nel loro dormitorio mentre i loro compagni di Casa uscivano e il muro si richiuse alle loro spalle, ricompattandosi con la solida pietra.
Il topo, dondolando insieme alla fodera, annusò l’aria umida riscaldata dal fuoco che le grandi orecchie pelose sentivano scoppiettare da qualche parte, ed abbassando il muso appuntito verso il basso osservò gli eleganti tappeti persiani verdi e argento passare sotto di lui e sotto le scarpe di Mulciber.
Quando i tappeti divennero pietra e alla voce di Regulus si aggiunse quella a dir poco schifata di Piton, Codaliscia scivolò di proposito vicino all’orlo della tenda in velluto verde scuro del baldacchino sul quale Mulciber si sedette con poca grazia.
«La parola d’ordine è... Ananas Candito»
«Sei ubriaco, Severus?»
«Io no, Regulus, ma Lumacorno lo è di certo»
«Merlino, ma cos’abbiamo fatto di male per meritarci un Capocasa come Lumacorno? Si può sapere?»
«Quel bastardo di Potter ne sarà stato di sicuro felice»
«A proposito di Potter. Quale scherzo hai scritto sul foglietto a McAdams, Severus?»

Peter infilò il muso tra le pesanti pieghe del velluto per sbirciare il trio seduto sparso tra i letti. Piton guardò Mulciber senza dire niente prima di sforzarsi ad aprire le labbra sottili in una smorfia.

«Lo sai»
«Veramente no. Quel patetico Traditore del suo Sangue te ne ha fatti così tant...»
«Lo vedrete quando quella lì lo metterà in pratica» lo fermò seccamente Piton con il viso più giallognolo del solito sotto la luce verdastra proveniente dall’alta finestra. I suoi lineamenti irregolari seminascosti dai lunghi e piatti capelli neri parvero irrigidirsi mentre dava le spalle a tutti girandosi verso il suo baldacchino e la sua borsa da riempire con i libri delle materie per le lezioni successive.
«Mettiamoci al lavoro, piuttosto» sbottò Regulus chinandosi su un comodino pieno di scartoffie per recupare un grosso libro dalle pagine consunte ma dalla copertina argentata e lucida. Rimettendosi dritto, si bloccò a metà movimento voltandosi con aria contrariata verso Mulciber.
«Hai ancora le lettere?!»
«Certo che sì. Chi vuoi che entri qui, Regulus?»
«Devi bruciarle! Ci ha detto di bruciarle, distruggerle! Se qualcuno dovesse trovarle?! Hai idea dell’importanza e della segretezza delle cose che ci scrive?!»
«Dammi qua...»
Sentendo il letto muoversi, Peter s’intrufolò di nuovo nel pesante velluto smeraldino nascondendosi nell’ombra sotto al baldacchino.
Nello spazio di luce tra il pavimento e il cassettone con le doghe in legno scuro riuscì a vedere le pulitissime scarpe di Regulus avvicinarsi ed un secco rumore di pergamena strapparsi prima di cadere a pioggia sul tappeto.
I lunghi baffi di Peter fremettero a quella vista.
Zampettò più vicino ai pezzi stracciati delle lettere, quasi fino alla linea netta di luce. L’unica frase spezzata che riuscì a leggere fu “Domani o il giorno di Natale...”. 
Non osò uscire allo scoperto, non con quattro paia di scarpe grandi quanto due volte il suo corpo peloso a due centimetri di distanza dal suo piccolo naso rosa.
«Bruciarle, devi bruciarle»
«É uguale»
«Non è uguale»
«Sei troppo pignolo, Black»
«Sono soltanto intelligente, Mulciber»
Peter grattò freneticamente le unghie sul pavimento, le zampe scosse da brividi di nervosismo ed indecisione.
Quando vide la prima fiamma accendere e disintegrare per sempre un pezzo di carta con i suoi segreti gli venne da affondare i suoi lunghi incisivi nell’alluce sotto la pelle nera delle scarpe di Mulciber.
Non lo fece, perchè mentre i resti della lettera prendevano fuoco uno dopo l’altro, come tanti falò riflessi sui vispi occhietti acquosi di Codaliscia, le voci ripresero a riempire la stanza in un tono molto più basso e raccolto.

«Dite che ci riuscirà? Battere uno di Silente non dev’essere facile...»
«Certo che ce la farà, sono anni che aspetta questo momento. Anche se non si aspettava di prendere il posto del padre, purtroppo»
«Non credo sia così facile da fare anche se è anni che lo desidera, Regulus»
«Sapeva che prima o poi sarebbe successo, Severus. Lui e Mulciber sopratttutto»
«Stai dicendo che uccideresti qualcuno anche adesso?»
«Se me lo chiedesse Lui, sì.* Vogliamo far parte dei Mangiamorte per questo motivo, no? Ripulire questo mondo dai Nati babbani significa uccidere, far esplodere edifici pieni di gente, non di certo vuoti»
Piton sollevò un sopracciglio nero e Peter sussultò vedendo il materasso piegarsi sopra di lui quando Mulciber si risedette con tutto il suo peso spezzando il silenzio fatto di sguardi tra gli altri due Serpeverde.
«Noi abbiamo la Camera dei Segreti: Tante vittime in un colpo solo, tutti i Sanguesporco eliminati dalla scuola in un solo colpo. Dite che il mostro rinchiuso lì dentro li sbrana? Immaginate un drago! Un soffio e via, pronti per il barbecue»
I movimenti di Piton si fecero più meccanici mentre infilava con uno scatto nervoso il libro di Erbologia nella tracolla. La pelle candida di Lily sbranata, squarciata e sporcata dal suo stesso sangue. Lily carbonizzata, senza più i delicati e dolci lineamenti, senza più la folta e morbida chioma di capelli rossi... in un solo colpo.
«Se la trovassimo prima della fine dell’anno sarebbe più utile...»
«Se ancora non l’abbiamo trovata è per colpa tua e di Severus che non sapete cercare una misera informazione in quel libro...»
«Salazar Serpeverde non era così stupido da scrivere l’indirizzo con tanto di numero civico in un libro accessibile a chiunque, volendo»
«Io e Barty abbiamo rivoltato i sotterranei da cima a fondo, due volte, Regulus. Due volte! Se non ci date almeno un indizio più preciso non la troveremo mai sul serio! Potrebbe aprirsi come la nostra Sala Comune e allora ogni centimetro di muro in infiniti chilometri di pietra potrebbe essere quello giusto!»
«“Soltanto l’Erede di Serpeverde potrà aprirla” vorrà pur dire qualcosa. É l’unico indizio che abbiamo per cercare l’entrata, non ne esistono altri»
«E allora dobbiamo trovare un altro libro! Uno dei nostri, mi sono spiegato? Non possiamo nemmeno più chiedere al signor Avery come è stata aperta anni fa e mio padre è un gargoyle muto quando gli chiedo qualcosa»
«Non esistono altri libri sulla Camera dei Segreti. Severus, diglielo tu»

Piton non parlò. Si limitò a guardarli senza riuscire a rilassare le labbra e le braccia magre che sollevarono di peso la borsa piena.
Mulciber e Regulus restarono in silenzio, straniti.
«Non dirmi che stai pensando a quella Sanguesporco. Pensavo fosse finita davvero quando l'hai insultata davanti a tutti!» sputò con disprezzo Mulciber guardandolo allibito.
Piton sollevò un sorpacciglio. «Certo che no» mentì, lasciando che Mulciber si lanciasse con foga in un discorso volgare sui Sanguesporco e su tutti “Gli idioti ed evidentemente pazzi” che rischiavano la vita per difenderli.
Regulus si avvicinò a Piton, facendo finta di rimettere a posto il libro argentato.
«A noi puoi mentire, Severus» mormorò pacato «ma al Signore Oscuro no».
 
 
 
 
*
 
 


 
Caro Sirius
 

Gli occhi di Liv s’incantarono a quelle prime semplici parole.
Gli occhi scuri ed increduli di Liv, a quelle prime semplici parole ordinate, si socchiusero insieme al cuore stretto ed immobile in quello che era stato l’ultimo battito frenetico dopo aver aperto la pergamena accuratamente piegata.
 

Caro Sirius
 

Ci mise parecchio tempo per rendersi effettivamente conto che quella lettera non era per lei, che quella bella grafia estremamente elegante non era di suo padre, che Edgar McAdams forse non aveva più le mani per usare una piuma, gli occhi per guardare e i polmoni per respirare, proprio come lei in quel preciso momento.
«É tua, scusa» borbottò, senza riuscire a cambiare del tutto la voce tremula che le uscì dalla gola chiusa, premendo sul petto di Sirius la lettera che lui afferrò, stranito.
«Aspettavi forse un gufo?» le chiese improvvisamente preoccupato per il viso sinceramente deluso e ferito di Liv che, senza sentire il richiamo ansioso di Mary al fianco di un Remus particolarmente colpito, raggiunse a passo sostenuto il tavolo invaso dai loro libri.
Racattò le sue cose e, tracolla in spalla, uscì dall’aula sbattendo la porta.
In corridoio si fermò giusto un attimo per evitare che gli appunti di Erbologia le crollassero a terra e una volta sistemati alla bene e meglio su un braccio riprese a camminare senza avere una meta precisa da raggiungere.
Il cortile di Trasfigurazione, la Sala Grande, un bagno qualunque, la torre di Astronomia o il suo letto, come poteva sapere dove andare se non sapeva neanche dove fosse suo padre?
Il solo pensiero le fece aumentare il passo così velocemente che quasi travolse due ragazze Serpeverde e il piccolo professor Vitious di ritorno da una lezione particolarmente disastrosa visti i suoi capelli bianchi arruffati e la pesante tunica viola spiegazzata.
«McAdams, stai più attenta quando cammini per i corridoi»
«Sì, professore»
«Ma... stai bene? É successo qualcosa?»
«Sì... cioè, sì sto bene e no, non è successo niente»
Liv si allontanò il più in fretta possibile dal professore di Incantesimi con il viso sinceramente preoccupato puntato si di lei.
Fece la scala per il quinto piano, di corsa. Sentendo il peso della borsa sulla spalla e quello schiacciante sul cuore, si sedette su una panca di legno accanto alla statua di Gregory il Viscido per evitare di morire per apnea.
Immediatamente il respiro si fece più veloce e pesante, lasciando finalmente libera l’aria accumulata nei polmoni che sembravano essersi improvvisamente rimpiccioliti. Liv indurì gli occhi, brucianti da qualcosa che pungeva e spingeva dietro alle ciglia, quando un ragazzo Corvonero le passò davanti scrutandola con apprensione come se si trovasse davanti ad un quasi-cadavere.
Tuffò una mano nella borsa poggiata sulla panca ed acciuffò un pugno di bigliettini che cominciò ad aprire con nervoso, uno ad uno, dando un apparente senso alla sua figura solitaria e mezzo morta seduta lì; dandole un motivo per poter abbassare lo sguardo velato di lacrime e nasconderlo dietro i corti ciuffi di capelli.
 

Niente olio nel pavimento ed ortica nell’insalata. 
Voglio soltanto una cosa: rigirali e lasciali ciondolare a testa in giù con le mutande all’aria.

S. P.
 

Liv sbattè più volte le palpebre sotto le castane sopracciglia aggrottate. Poteva essere soltanto Piton e non solo per la minuscola grafia contratta* e per le iniziali del suo nome alla fine.
 
Bene, proprio il biglietto che avrei dovuto aprire per ultimo! La fortuna mi ama!

Fece per appallottolare la pergamena quando un fulmineo riflesso luminoso attirò la sua attenzione. Fermò la mano che stringeva il foglietto per osservare l’inchiostro nero di alcune lettere scintillare come se fosse ancora fresco.
 

Niente olio nel pavimento ed ortica nell’insalata. 
Voglio soltanto una cosa: rigirali lasciali ciondolare a testa in giù con le mutande all’ aria.
 
S. P.
 
Leggendole mentalmente una dietro l’altra- liberando una lacrima salata passandosi distrattamente una mano sugli occhi- si accorse con orrore che formavano una breve frase nascosta: Non tornare a casa.
«Ehi, sei qui» esordì in tono leggermente ansioso Sirius, sbucando con l'affanno da un arazzo dietro di lei. Liv sussultò alla sua presenza improvvisa; si passò velocemente una mano sugli occhi, indurendo i lineamenti del viso dietro i capelli. Ma sussultò ancora quando si vide Sirius davanti, piegato sulle ginocchia proprio davanti alle sue gambe; il volto serissimo e il grigio sguardo che dal basso la guardava in viso senza nessuna barriera, profondamente preoccupato. Il cuore di Liv perse un battito, facendole quasi male.
«Stai bene?» le chiese Sirius, una nota calda nel tono di voce bassa. Le mani sulle gambe piegate gli fremettero per la voglia di posarsi sulle ginocchia strette di Liv, col desiderio di toccarla per darle conforto perché in quegli occhi c'era la tempesta di poco prima ormai libera di cadere come pioggia.
«Perché sei qui? Perchè mi hai seguito?» esalò lei, sentendosi abbracciata anche se Sirius non la stava sfiorando nemmeno con un dito.
Lui non rispose subito, nei suoi occhi grigi sembrava battere il suo cuore come suo solito, coraggiosamente in mostra, ma con qualcosa di diverso e tutto riservato a lei. In quel preciso momento, Liv si acorse che non era la prima volta che l'aveva visto e percepito addosso, dentro.
«Cos'è successo?» si limitò a chiederle Sirius, scutandola attentamente. Liv sentì il suo sguardo premuroso posarsi su ogni parte di lei, sul suo viso e le mani che le tremavano mentre si rimetteva la tracolla in spalla e si alzava dalla panca tentando di fare finta di stare bene.
«Niente» rispose. Non riuscì ad essere brusca, il calore della mano gentile di Sirius che le prese un braccio senza stringere troppo sembrò scaldarle la gola, il cuore.
Non era la prima volta che Sirius, in sei anni di scuola, era stato così con lei. Tutte le volte in cui era stata male, a dire il vero. L'aveva sempre allontanato, come stava per fare. Quel preciso momento, però, le dimostrò che lui non smetteva mai di tornare.
«Vuoi stare da sola» disse Sirius, soltanto, senza alcuna rabbia nella voce forse solo un po' roca.
Liv annuì e la mano di Sirius esitò un po' prima di lasciarla andare, morbida.






 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Note (chilometriche):

*Il rapporto Remus-Sirius l’ho sempre visto molto stretto e profondo ma non quanto quello Sirius-James.
Nel quinto libro originale Sirius si comporta in modo irrazionale, in balia delle emozioni e degli stati d’animo, proprio come un adolescente: si arrabbia facilmente e per motivi stupidi (come per il fatto che Harry deve tornare a scuola) e in tutto questo si isola dagli altri, non parla con nessuno, sta da Fierobecco e tiene sempre il broncio (come ci fa notare Harry).
Credo che Remus riuscisse sempre a farlo ragionare, azzeccando i suoi problemi, ma non a farglieli ammettere a voce (a quello ci pensava James che, purtroppo, in H.P. e l’Ordine della Fenice non c’è).

*Quando James dice che passano una notte al mese a rotolarsi sul bollente pavimento dello scantinato si riferisce ai mesi estivi. Ho sempre pensato che James, Sirius e Peter durante le vacanze estive andassero da Remus per la Luna Piena, si nascondessero dentro il luogo dove il padre di Remus legava suo figlio per poi trasformarsi in Animagus quando anche Remus prendeva le sembianze del lupo.
 
* La luna piena in testa diventa ridicola, insignificante come un palloncino bianco. Faccio riferimento all’incantesimo contro il Molliccio (la formula è “Riddikulus”) che proprio Remus insegnerà a Harry.
Il Molliccio di Remus, nei libri e nei film, è la luna piena che lui trasforma in un palloncino.

*Vedo molto del rapporto Remus-Harry in quello tra Remus e James. Harry riesce a far ragionare Remus sulla questione Piccolo Problema Peloso (quando litigano per Tonks incinta a Grimmauld Place nel settimo libro, Harry lo aggredisce in modo brusco dicendogli le cose in faccia per farlo reagire) e così ho sempre immaginato anche James. Questo aspetto della loro amicizia spunterà di nuovo, più avanti, per motivi ‘amorosi’.
 
*L’inno di Hogwarts non l’ho inventato io. Harry e tutta la Sala Grande lo intonano in una scena tagliata del film  H.P. e il Calice di Fuoco, dopo l’arrivo dei rappresentanti di Beauxbatons e Durmstrang.
 
*Lily non lo sa ma quel Mantello dell’invisibilità non è un mantello dell’invisbilità qualunque. La “volontà di combattere”di cui parla in questo capitolo si è consolidata sotto IL Mantello dell’Invisibilità, il terzo dono della morte, quello che veglierà su Harry nascondendolo al pericolo per anni, quello che renderà suo figlio il Padrone della Morte. Harry avrà sempre con sè la volontà di combattere di Lily e James, si aggiungerà alla loro sfida contro i loro stessi nemici, portandola a termine con la vittoria assoluta.
 
*”L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte” è la frase incisa sulla lapide di Lily e James. In questo capitolo, il concetto è soltanto nei loro pensieri e segna l’inizio della lotta che James e Lily faranno, insieme, per tutta la loro vita fino alla morte, appunto, ma anche oltre (“Sarà sconfitto”) perchè con il loro sacrificio salvano Harry, sangue del loro sangue.  Affrontano prima Silente per entrare nell’Ordine, poi i Mangiamorte, Voldemort (per tre volte) ed infine la morte. Questo capitolo segna l’inizio di tutto ciò.
 
*Liz (Elizabeth Truman), la ragazza raffreddata che nomina Ned, è il prefetto donna Tassorosso del settimo anno, quindi adesso sua collega. Nel capitolo La magia non risolve tutto la vediamo accanto a Edgar Bones nella lista della ronda scritta da Lily.
 
* L’avevo già fatto notare ma sono passati un sacco di mesi e non so se tutti lo ricordate: La luna piena nel dicembre 1977 era esattamente la notte di Natale.

*Uric Testamatta. Non so se a Hogwarts esiste una suo ritratto ma lui è esistito nel mondo della Rowling (lo conferma il prefetto dei Corvonero su Pottermore). É il mago medievale che usava le meduse come cappello.

*Violet ha spiato James, Owen e Lily anche durante gli addobbi della Sala Grande nel capitolo “Agrifoglio per Amico”.

*La parola d’ordine dei Grifondoro. In ogni libro, ma soprattutto nel sesto, la parola d’ordine dei Grifondoro sembra sempre essere in linea con l’umore della Signora Grassa. Al sesto anno, per esempio, al ritorno dalle vacanze la Signora Grassa appare pallida e smunta mentre chiede a Ron di abbassare la voce (la Rowling fa capire che durante le feste abbia bevuto un po’ troppo). La parola d’ordine è infatti cambiata in  “Astinenza”. Hermione (H.P. e il Prinicipe Mezzosangue, pag. 323) spiega che la Signora Grassa e Violet, durante le feste, hanno finito tutto il vino del quadro con i monaci ubriachi al terzo piano, lo stesso dove James in questo capitolo vede Violet che lo spia.

*Ho spostato il quadro dei maghi che giocano a carte (esiste davvero a Hogwarts) dalla Sala d’Ingresso al settimo piano per questioni di trama. Magari tra il 1978 e il  1991 Silente ha voluto cambiare arredamento xD

*Non sappiamo di che legno è fatta la bacchetta di Sirius. Per lui ho scelto l’ebano perchè (a detta di Olivander): “L'ebano dà il suo meglio nelle mani di chi ha il coraggio di essere se stesso. Spesso anticonformisti, diversi o inclini a essere fuori dagli schemi, si trovano proprietari di bacchette di ebano sia tra le fila dell'Ordine della Fenice che tra i Mangiamorte. Secondo la mia esperienza, il padrone ideale di una bacchetta di ebano è colui che, a dispetto delle pressioni esterne, resta aggrappato alle proprie convinzioni e non si lascia distogliere facilmente dai suoi propositi”. 
É Sirius, no? :)
 
*”Il prugnolo” - dice Olivander su Pottemore- “ha fama, secondo me ben meritata, di essere perfetto per un guerriero. Si trovano bacchette di prugnolo sia tra gli Auror che tra i detenuti di Azkaban. Caratteristica singolare dei cespugli di prugnolo, dotati di perfide spine, è quella di produrre le bacche più dolci dopo le gelate più rigide: sembra che le bacchette ottenute da questo legno, prima di creare un vero e proprio legame con i loro padroni, debbano attraversare al loro fianco pericoli e avversità”.
Il prugnolo (un arbusto selvatico, che gli inglesi chiamano Blackthorn, con lunghe spine scure e fiori bianchi simili al mandorlo) per i celti simboleggia la lotta nelle avversità, il dolore e la sofferenza delle esperienze da attraversare che segna e ferisce ma allo stesso tempo fortifica, portando con sè fiori profumati e dolci frutti soltanto dopo le battaglie più destabilizzanti.
É anche una pianta “guardiana” per i suoi intricati rami spinosi che formano una barriera invalicabile e un sicuro rifugio per chi riesce a penetrarli.
L’ho trovato adatto a Liv per la sua storia passata ma soprattutto quella futura.

Il dettaglio dello scambio e dell’affinità delle bacchette che Liv e Sirius scoprono di avere ha un significato simbolico che spunterà nella seconda parte del capitolo. Entrambe le descrizioni dei legni, infatti, possono andar bene sia per Liv che per Sirius.
Quando Harry chiede a Olivander se si può usare una bacchetta da cui non si è stati scelti lui risponde: ”Oh, sì. [...] I migliori risultati, tuttavia, si ottengono sempre dove esiste la più forte affinità tra mago e bacchetta” (H.P. e i Doni della Morte, pag. 455).
 
 
*Nel settimo libro Kreacher descrive a Harry un Regulus sedicenne molto fiero ed orgoglioso di servire Voldemort, per questo in questo capitolo è molto sicuro di sè. Sappiamo anche (sempre dall’elfo) che ritagliava gli articoli di giornale che parlavano delle uccisioni da parte dei Mangiamorte, sapeva quindi a cosa andava incontro. Si fermerà e cambierà idea soltanto davanti alla folle idea degli Horcrux di Voldemort, ma una volta fuori dalla scuola.
Anche Piton freme all’idea di avere un certo potere tra le mani ma il pensiero di Lily si insinua sempre in lui, per il momento.

*Harry, leggendo le istruzioni di Piton scarabocchiate su Pozioni Avanzate, descrive la grafia di Severus “minuscola e rattrappita” (H.P. e il Principe Mezzosangue, pag. 182).
 






 
 
 






 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 30. Una Spia per l'Ordine ***


Grazie a chi mi ha fatto notare la poca attenzione riservata a Mary. In questo periodo faccio fatica a gestire tutti i personaggi. Questo capitolo ne è la prova perchè non mi convince affatto.
Se qualcuno ha altre cose da farmi notare o da chiedere, io sono qui con le orecchie ben aperte! Mi farebbe molto piacere e mi aiuterebbe tantissimo.

Piccola annotazione per chi vorrebbe John Owen morto affogato nel Lago Nero seduta stante (vi capisco sig :'() : 
Al destino di James non piace vincere facile.
 
 
 
 
 
 
Capitolo 30
 

UNA SPIA PER L’ORDINE
 
 
 




«Non tornare a casa»
«Liv, continuo a non vedere la frase che dici. Non sto scherzando»
«Come fai a non vederla se le lettere brillano, Mary!?»
«Brillano?»
«Sì, Lily! L’inchiostro è come se fosse fresco!»
«Ma si può sapere perchè ti ha scritto questo biglietto?»
«Tutta la scuola le sta scrivendo dei biglietti in cui le chiedono di vendicare gli scherzi di Black e Potter...»
«Volete guardare bene quelle dannate lettere che brillano invece di perdervi in spiegazioni che si potranno benissimo fare dopo?!»
«Non ci sono dannate lettere che brillano, qui, Liv!»
 
Liv, con sguardo vagante sul paesagio innevato del parco alla ricerca di Piton, spalancò gli occhi sconcertata.
Frenò bruscamente sul vialetto fangoso tra la spessa neve spalata di prima mattina da Hagrid e sbarrò la strada alle due amiche riprendendosi il biglietto per controllare.
 

Niente olio nel pavimento ed ortica nell’insalata. 
Voglio soltanto una cosa: rigirali e lasciali ciondolare a testa in giù con le mutande all’aria.
S. P.
 

Interdetta, rilesse più volte le frasi soffermandosi sulle lettere che soltanto dieci minuti prima avevano catturato la sua attenzione come lo scintillìo di un Boccino d’Oro. Ma l’inchiostro che formava le frasi era omogeneo in ogni singola parola, nero opaco in ogni singola lettera stretta ed affilata assorbita nella trama giallastra della pergamena.
Provò ad inclinare il foglietto verso la fievole luce del sole coperto dalle nubi ma niente, nessun luccichìo.
«Io sono certa di aver visto l’inchiostro nero brillare in determinate lettere, Lily» spiegò di nuovo tra i denti mentre Bettie Wood ed Emily Diggory, in uno sventolio di sciarpe gialle e saluti tremanti per il freddo, le superarono dirigendosi alle serre per la stessa loro lezione di Erbologia.
«Stavi piangendo?» le chiese Lily in sussurro sulla lana rossa e oro che le avvolgeva il collo lasciato scoperto dalla rossa coda di cavallo. Non si aspettò una risposta sincera, non da Liv che piuttosto che ammettere di aver pianto o anche solo lasciato scivolare giù una lacrima avrebbe fatto compiti extra per tutto il fine settimana.
«No» rispose infatti lei, colpita in pieno dagli occhi verdi dell’amica che non si fece problemi a rigirare la domanda scomoda.
«Avevi gli occhi lucidi?»
«No»
«Oh, per favore, Liv! Siamo tra noi!» l’ammonì Mary con gli occhi nocciola risentiti sotto la frangia bionda. «Ed è chiaro che la lettera di Black che credevi fosse per te ti ha distrutto. Ha distrutto me!» aggiunse ingoiando il groppo in gola che non l’aveva lasciata un istante.
Liv si mordicchiò l’interno di una guancia spostando volutamente lo sguardo cupo verso un chiassoso gruppetto di Grifondoro che giocava a palle di neve e poi sullo spoglio e solitario Platano Picchiatore pensando che, effettivamente, quella stupida lettera senza il suo nome le aveva affondato un coltello immaginario nello stomaco, schiacciato il cuore e i polmoni, tolto ogni forza.
E, sì, mentre aveva letto il biglietto di Piton i suoi occhi erano stati tutto fuorchè asciutti. Il pensiero di Sirius, arrivato all'improvviso, le fece di nuovo far saltare il cuore.
«Magari le lacrime ti hanno fatto vedere dei riflessi sull’inchiostro che in realtà non esistevano» osò dire Lily riacciuffando il biglietto dalle dita inerti di Liv per riosservare con attenzione la grafia fastidiosamente familiare scacciando con decisione dalla mente le lettere via gufo che Severus, a dieci anni, le aveva inviato per assicurarle cheI gufi sanno dove trovarti, Lily, anche se ti sei nascosta tra i cespugli del boschetto o sotto il ponte giù al fiume. Ti è arrivata, non è vero? Torna qui all’altalena, ho vinto io la scommessa!”; i commenti ironici sui professori scarabocchiati sul bordo delle pergamene per gli appunti durante le lezioni:Guarda che occhiaie che ha oggi Rüf, non si sentirà bene? ; Gli infiniti centimetri di tema scritti insieme al lume di candela o sotto la penombra di un albero, le ricerche in biblioteca, le faticose lettere a sua madre, i suoi personali e geniali incantesimi sul libro di Pozioni dal quale non si separava mai. Il “Levicorpus (n- vbl.)” e il suo controincantesimo “Liberacorpus” , la fattura creata da se stesso che, a quanto pareva da quella richiesta di vendetta, si era ritorto contro di lui dando vita al peggiore scherzo subito.

«Mettiamo che la frase che hai letto, Liv, non è dovuta alle lacrime ma è un messaggio nascosto che Piton ha scritto coscientemente» spezzò il silenzio Mary scostandosi una corta ciocca bionda dal viso.
«É chiaro che lui sa qualcosa, qualcosa che deve succedere» si premurò di non usare il verbo al passato costringendosi ad essere ottimista «Qualcosa che deve succedere a Londra dato che tuo padre è l’unico dei nostri genitori che sta lì. Sappiamo tutte e tre che razza di cosa può essere un pericolo di questi tempi e soprattutto da chi lui può averlo saputo».
Lily indurì le labbra screpolate dal freddo. «Malfoy gli ha detto che durante le vacanze ci sarà un attacco dei Mangiamorte a Londra?»
«Può essere, è l’unica cosa che mi viene in mente» rispose Mary «Il signor McAdams è un Nato Babbano come noi, Lily, come tanti. Non fa parte dell’Ordine, non combatte in prima linea...»
«Già» borbottò Liv socchiudendo lo sguardo scuro fisso sui rami scheletrici e bianchi di neve del Platano.
«Quindi non può essere un attacco diretto a casa tua, Liv» continuò Mary cercando di pensare alle lettere spedite e mai ricambiate come conseguenza ai gufi in difficoltà nella bufera di neve.
«Allora le lettere si sono perse nel tragitto» disse Lily intuendo il suo pensiero «Il pericolo di cui parla Piton è una cosa che deve ancora succedere».
Poteva andare, l’ipotesi di Mary poteva andare ma non il pensiero di Piton che desiderava salvare Liv. No, quello era davvero troppo assurdo per poter essere vero. Lui che l’aveva sempre guardata con astio, che l’aveva sempre allontanata.
«E da quando Piton mi vuole viva e non morta?» chiese infatti Liv con espressione cinicamente ironica in una nuvoletta di vapore.
 Gli occhi verdi di Lily si fecero più profondi da sopra la sciarpa nella quale aveva appena nascosto il naso rosso e metà viso.
Sì, di sicuro Piton aveva anche preferito Liv morta, in certe occasioni.
La sola parola ‘Morta’ accanto al nome di Liv le bucò il cuore e qualcosa come la sottile sensazione di essere ancora qualcuno per lui, qualcuno da portare via in braccio durante una battaglia tra Mangiamorte e Auror, le fece egoisticamente pensare che con quell’avvertimento Piton voleva salvare Liv perchè era una sua migliore amica. Piton sapeva perfettamente quanto Liv fosse importante per lei, sapeva perfettamente che senza di lei non sarebbe più stata la stessa, che avrebbe sofferto da morire, che si sarebbe sentita completamente persa, di nuovo.
Lily si ritrovò a stringersi nel pesante mantello nero con le punte dei capelli legati a frustare l’aria accanto al suo viso contratto, chiedendosi per quale stupido motivo Piton continuava a sentirsi legato a lei e contemporaneamente ad odiare gli altri Nati Babbani nel modo più estremo possibile. Era uno schifoso controsenso che le faceva attorcigliare lo stomaco dalla rabbia.
«Ecco perchè l’ipotesi della vista offuscata dalle lacrime è l’unica ragionevole» spiegò Mary.
«In ogni caso, io torno a casa» fece Liv «Se Piton è stato ‘illuminato’ da Merlino o dalla ‘bontà divina’ in cielo decidendo di diventare un frate buono e quell’avvertimento è voluto, io non lascio mio padre da solo. Per chi mi ha preso?!».
Lily non obiettò, annuì convinta. Avrebbe fatto la stessa cosa per i suoi genitori e Petunia senza pensarci due volte.
Quanto avrebbe voluto parlare a Piton, chiedergli senza problemi che razza di informazioni Malfoy gli aveva dato. Ma Piton non era dalla sua parte. Piton non era una spia infiltrata tra i Mangiamorte, era uno di loro. Piton non passava informazioni su attentati e piani di Voldemort a lei, l’altra parte di quella guerra più grande di un litigio, di una fine di un’amicizia, di una rivalità tra Case. Una guerra più grande di loro.
«Guardando meglio» esordì Mary e gli occhi di Liv tornarono immediatamente su di lei «alcune lettere sono leggermente più spesse delle altre, come se le avesse ripassate due volte o non avesse scolato bene l’inchiostro. Ma la frase che formano è “Mi lavo solo a Natale”».
La risata cristallina di Lily si perse nella folata di vento gelido dicembrino che raffreddava i nasi e le gambe coperte dalle calze sotto i lunghi mantelli neri con l’orlo umido di fango.
«Non ridere! É tutto vero! Guardate!» le incitò Mary indicando le lettere accusate con un sorriso e lo sguardo brillante rivolto alle sue due amiche che faticavano a sorridere ogni giorno di più. Liv con il costante e sempre più pressante pensiero di suo padre finito chissà dove e Lily che, anche se lo nascondeva bene, non faceva altro che rimuginare su quello successo a Hogsmeade, sul fatto di essersi trovata ad un passo dalla morte con una Mangiamorte davanti, sull’aver nascosto ai suoi genitori la degenza in infermeria, sul fallimento della missione del quale nessuno aveva ancora parlato.
C’era qualcosa che bloccava tutti, qualcosa rimasto incastrato dentro ognuno di loro, silenzioso, raggelante e corrosivo come il freddo dei Dissennatori. E con la parola tutti, ormai, Mary faceva riferimento anche ai Malandrini. Adesso che Lily e Potter erano usciti dall’infermeria, non c’erano più scuse per continuare quel silenzio.
Se qualcuno non tirerà fuori l’argomento al primo momento giusto, lo farò io. 
«Ed unendo quelle più sottili invece invece esce “Non mi lavo mai”. Che roba. Messaggi subliminali» continuò facendo scorrere un dito guantato di rosso sulla pergamena in mano a Lily che rise ancora. Liv sorrise, suo malgrado, prima di lasciarsi andare ad una bassa risata non del tutto convinta fermando i corti capelli castani dietro un orecchio.
“Non tornare a casa”.
Era difficile da non prendere sul serio con l’assenza via gufo di suo padre. Quella frase era troppo sospetta per essere una semplice coincidenza anche se i messaggi che si potevano creare con le lettere che Piton aveva messo a dispozione erano veramente tante così come continuò a far notare Mary prendendola a braccetto per proseguire sullo stretto viale innevato che scendeva alle Serre.
 

 
«É inutile che fate queste facce, ve lo siete meritati» sbottò con durezza la professoressa Sprite passando tra i banchi incredibilmente immacolati come mai si vedevano durante le sue ore di lezione.
Nessuno infatti si era ancora sporcato le mani con terra, letame o- frequente da vedere dentro quelle serre- sangue. La lezione era noiosa perfino per i Tassorosso che si limitavano a sorridere di tanto in tanto mentre scaldavano con un delicato getto d’aria calda della bacchetta le minuscole calzette e le morbide sciarpette da mettere alle Mandragole addormentate nei vasi*.
Gli sbadigli dei Corvonero furono una visione a dir poco surreale e i commenti inteneriti per la misura ristretta degli indumenti di lana da parte di qualche ragazza che si immaginava di star accudendo dolci e tranquilli bambini di tre mesi rendevano ancora più spaventosi i volti scuri dei Serpeverde, increduli e raggelati con le calzette da neonato sulla punta delle dita come se fossero oggetti contaminati dal Vaiolo di Drago.
Lo sguardo di Liv vagò sui banchi occupati da quelle divise con le cravatte verdi e argento. Mulciber era l’unico maschio, di Piton nemmeno l’ombra.
«Liv, ma che razza di bacchetta hai? Dov’è la tua?» le chiese Lily osservando con tanto d’occhi la lunga bacchetta nera posata vicino al vaso dell’amica che sembrò non sentirla.
Mary sospirò, prendendole di mano un piccolo guanto di lana giallo pastello.
 «La guerra con Black non è finita, almeno fino a quando Liv avrà quella bacchetta» spiegò, ormai arresa alla situazione.
Tentare di fermare Liv con Black non era mai servito a niente e adesso ancora meno. Quei due ormai sembravano darsi fuoco a vicenda senza più contenersi, accendere la miccia nello stesso momento per esplodere con odio, incantesimi, fatture, battute pungenti sputate addosso all’altro senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze, sia quelle che causavano intorno a loro che tra di loro come quell’assurdo scambio di bacchette.
«Stai dicendo che è di Black?» fece Lily spalancando i verdi occhi terrorizzati. «Stai dicendo che invece di scaldare potrebbe mandare a fuoco tutto, noi comprese, e fare altre cose fuori controllo come se Liv non lo fosse già di suo?!»
«Da quel che ho visto prima non c’è quel pericolo, Lily. Funziona alla grande» rivelò Mary infilandosi meccanicamente i guanti protettivi. «E non ho ancora deciso se la cosa mi rassicura o mi inquieta, come ha espressamente annunciato Remus. E se inquieta Remus dovrebbe inquietare l’intera popolazione mondiale che avrà a che fare con Black e Liv nelle prossime ore».
«Cosa?» s’inserì distrattamente Liv, staccando gli occhi meditabondi da quelli di Mulciber che, sentendosi osservato, l’aveva fulminata con sguardo omicida da sopra un minuscolo guanto rosa confetto tenuto sulla punta della bacchetta. Lo sguardo di Sirius, invece, sembrava tenerla al sicuro da lontano.
«Quella» disse Lily indicando con un cenno della testa il tavolo mettendosi un paio di paraorecchi viola sulla testa senza far caso al pugno nell’occhio che i due colori davano a chiunque posasse lo sguardo su di lei.
Liv seguì la direzione incontrando la bacchetta di Sirius tra sciarpe e guanti in miniatura.
«Ah, sì» bofonchiò afferrandola e rigirandosela tra le dita senza capire perchè quel pezzo di legno nero lucido gli andasse così a genio al contrairo del suo padrone che, se soltanto fosse stato al posto della bacchetta, avrebbe spezzato a metà senza pensarci due volte. «Ma prima di stasera riavrò la mia».
La agitò debolmente e un caldo getto d’aria mosse lievemente la lana puntata con circospezione dall’occhio di Lily, spalancato sotto l’arco sollevato del sopracciglio fulvo.
«Avremmo dovuto chiudere il trimestre con la fioritura dell’Elleboro ed iniziare con il rinvaso della Belladonna» riprese la professoressa Sprite vagando tra i tavoli da lavoro. «Ma non siete riusciti a tenere a bada la Tentacula Velenosa la settimana scorsa, anche se l'abbiamo trattata alla fine dell'anno scorso, pertanto riprenderemo le piante pericolose ma non velenose. La Mandragola è sia pericolosa che velenosa, ma in questo periodo è poco entusiasmante»
«Se questa è pericolosa, professoressa, io sono un Ippogrifo» esordì tra le risa generali Sirius osservando con marcato scetticismo le grandi e rigogliose foglie verdi immobili che sbucavano dal vaso davanti a lui.
La donna, impettita, si sistemò il grande cappello rattoppato sui riccioli grigi marciando spedita verso il banco dei Malandrini con fare minaccioso.
«Dice che non è pericolosa, signor Black?»             
«É praticamente in coma, professoressa, la guardi»
«Queste Mandragole sono state rinvasate dagli studenti del secondo anno, a settembre» cominciò bruscamente la Sprite sbucando all’improvviso vicino a Remus che sussultò vedendosela spuntare davanti come un fungo insieme al traumatico ricordo del ramo di Pugnatio dell’anno precedente che l’aveva buttato a terra spuntando dal soffitto senza essere annunciato o chiamato.
«Si ricorda del suo secondo anno, Black?» chiese la professoressa picchiettando un piccolo rastrello sul palmo di una mano guantata assomigliando in uno strano e divertente modo ai poliziotti babbani con i loro manganelli.
Sirius fece per farglielo notare ma poco prima di aprire bocca strabuzzò gli occhi per un attimo.
Certo che si ricordava del suo secondo anno lì, per chi l’aveva preso?
Eccome se si ricordava l’anno in cui lui e James avevano fatto il viaggio da King’s Cross a Hogwarts con la scopa, organizzato nei minimi dettagli un pomeriggio afoso di metà agosto nel giardino di casa Potter. Sghignazzò senza volerlo, vedendo James fare altrettanto al suo fianco.
 
 
-Questo treno lo vedo un po’ malconcio quest’anno... 
-Sai che me ne sono subito accorto anch’io, Sirius? Sarà pericoloso viaggiare in queste condizioni?
-É praticamente uguale all’anno scorso, James. Salite se non volete saltare il vostro secondo anno di scuola. Peter ci aspetta nel primo vagone.
-No, no, Remus, dovresti farti controllare la vista perchè è davvero sgangherato... ridotto in condizioni pietose. Guarda i finestrini... potrebbero cascare da un momento all’altro.
-Già, Sirius, un catorcio pericolosissimo... non di certo come questa sicurissima ed affidabilissima Nimbus Mille capace di arrivare a 100 miglia orarie e di curvare a mezz’aria a 360 gradi in un punto prestabilito come i pittoreschi tetti di Londra, i verdi pascoli delle Midlands  o la selvaggia brughiera della Scozia, per esempio.
 
 
«Serve a qualcosa ricordarvi che non siete al vostro secondo anno!?» spezzò bruscamente i dolci ricordi di gloria la professoressa Sprite rivolgendosi all’intera classe battendo una grossa mano sul tavolo da lavoro dei Malandrini.
Le foglie nel vaso vibrarono leggermente, infastidite, e Remus rabbrividì infilandosi con forza i paraorecchi in testa.
«E che queste Mandragole non sono come quelle che hanno fatto svenire il signor Minus a dodici anni!?» continuò la professoressa lanciando un’occhiata fugace a Peter, rosso come la paletta in ferro battuto che aveva in mano.
«Siete all’ultimo anno e di conseguenza le piante che troverete a lezione sono letali! Tutte, dalla prima all’ultima! Anche queste Mandragole non ancora adolescenti ma nemmeno più piantine da semenzaio. E adesso, al lavoro! E chi non sa ancora eseguire un efficace Incantesimo Tacitante- il professor Vitious mi ha avvertito- è pregato di dirmelo o ci spedirà tutti all’altro mondo nonostante i paraorecchie!».
 
Peter spalancò occhi e bocca guardandosi attorno con puro terrore, pigiandosi le pelose protezioni rosa sulle orecchie.
Sirius sfilò dalla tasca dei pantaloni la scura bacchetta di Liv e Remus sentì il gelo cascare a pioggia dalla testa ai piedi, immobilizzandolo. Il battito del cuore come unico suono a rimbombare nell’aria e un’orribile visione alquanto realistica riguardante l’intera classe degna dei presagi più nefasti sentiti nella Foresta Proibita dopo che a James era venuta la brillante idea di “Spiamo quei Centauri che stanno dando fuoco alle foglie?” in un apparentemente innocuo pomeriggio d’autunno del primo anno.

«Felpato» fece, allungando lentamente un braccio nella sua direzione con una certa apprensione negli occhi.
Perchè era vero che prima aveva evocato un perfetto Sortilegio Scudo con quella bacchetta, ma in quel momento si trattava di una questione di vita o di morte. Non era proprio il caso.
Così come non era il caso che la sua mente gli facesse partire nel cervello la stessa musica ansiogena del quiz alla tv che sua madre guardava sempre, la sera. Ma la sua mente, per quanto la spilla da prefetto avesse una certa influenza su di lei, era stata troppo a lungo in contatto con quelle di James e Sirius.
«Felpato, sei il più bravo di noi in Incantesimi*, sì, ma con la tua bacchetta» disse, cercando di essere il più controllato possibile, non come Peter al suo fianco che squittì ingobbendosi per schiacciare con più forza i paraorecchi facendo scattare e saettare lo sguardo orripilato da un banco da lavoro all’altro come se si aspettasse di morire da un momento all’altro. Il tavolo delle ragazze Serpeverde con Deanne Stevens, Octavia Fawley e Thalia Greengrass non aveva nulla di rassicurante.
«Ce la faccio» rispose Sirius stringendo in mano il legno intarsiato all’altezza dell’impugnatura in una morbida spirale che ricordava gli ondulati capelli della proprietaria. James lo osservò, assottigliando lo sguardo dietro agli occhiali.
Seguì con gli occhi nocciola le magre dita di Sirius passare con decisione sulle sinuose linee del manico della bacchetta di Liv prima di stringerle con forza.
Qualsiasi cosa avesse in mente, lui era davvero sicuro di farcela. James glielo leggeva negli occhi.
«Lascia fare a me. L’incantesimo Tacitante è roba da G.U.F.O.» si propose Remus evitando scatti nervosi mentre recuperava la sua bacchetta come se si trovasse davanti ad una bomba da disinnescare.  
«Quella non è la tua e non...»
«Ma lo sembra, Lunastorta»
«Io tra qualche secondo vorrei poter dire di star vivendo, non di sembrare di star vivendo»
«Esatto. Peter ha colto il punto. Stiamo mettendo la vita di tutti, compagni e professoressa compresi, nelle tue mani che stanno per usare unabacchetta non tua»
«Ma anche gli altri, Remus, anche gli altri potrebbero sbagliare!»
Sirius ignorò entrambi, come al solito.
«Vai, Ramoso, tira fuori quella cosa immonda»
Remus spalancò gli occhi vedendo James- che non aveva smesso per un attimo di scrutare la mano e il viso sicuro di Sirius- afferrare le rigogliose foglie verdi della Mandragola senza proferire parola, guardando negli occhi e fidandosi completamente di quello che aveva davanti come se quello che aveva davanti non avesse mai fatto una cazzata in vita sua; come se al quinto anno con un ‘Vai, Ramoso’ non fosse esplosa la lavagna nell’aula di Storia della Magia facendo perdere di vista a tutti l’evanescente professor Rüf mimetizzato tra la polvere del gesso; Come se con un ‘Vai, Ramoso’  gli stendardi dei Serpeverde in Sala Grande non si fossero mai trasfigurati in enormi rotoli di carta igienica una mattina del quarto anno.
E a quella vista, Remus non sentì più voci o suoni a parte l’odiosa musica nel suo cervello farsi più tesa. Il tempo parve fermarsi e con il cuore a battere nelle orecchie e la vista a fargli vedere ogni movimento rallentato allungò le braccia per bloccare i due pazzi mentre Peter si chinava sotto al tavolo in un mugolìo acuto maledicendo sottovoce la professoressa e la scuola che voleva gli studenti morti, non diplomati.
La velocità di James Potter, però, era pur sempre la velocità di James Potter e dopo che Sirius gli fece segno di agire, James sradicò la pianta dalla terra nel vaso nello stesso momento in cui lui agitò la bacchetta in un’espressione seriamente concentrata.
“Risposta sbagliata, signori! Che peccato! Siete tutti morti e, prego, da questa parte vi aspetta Caronte per portarvi dritti all’inferno per aver ucciso una quindicina di persone più la professoressa di Erbologia”
La radice nuda e sporca di terra finì in braccio a James, dimenandosi come un bambino di sei mesi, con la differenza che dalla grottesca bocca spalancata non usciva alcun suono.
«Visto?»
«Visto cosa, Sirius?! Visto l’immensa fortuna che abbiamo avuto!?»
«Sei geloso, Lunastorta?»
«Geloso!? Ma ti rendi conto di cos’hai appena fatto!?»
«Quello che hai in fronte è davvero sudore freddo? Merlino, Remus!»
«Muovetevi con quelle calze invece di litigare, coppietta di divorziati!»

James, in balìa del ‘bambino’ con la ‘schiena’ bitorzoluta poggiata al suo petto e le ‘gambe’ e le ‘braccia’ a frustare l’aria tra le sue mani che a stento riuscivano a non farlo cadere a terra, indicò con gli occhi spalancati sotto le arcuate sopracciglia nere gli indumenti riscaldati prima da Remus.
Sirius prese al volo una mini calza azzurro cielo provando ad infilarla con difficoltà all’estremità di una delle due radici che dovevano essere le gambette.
Si controrse insieme a James, seguendolo nei suoi movimenti per non farsi sgusciare via la Mandragola dalle braccia che con le sue foglie gli nascondeva mezza faccia, occhiali scivolati sul naso compresi.
Remus restò a guardarli con un sopracciglio castano sollevato mentre Peter sbucava dal tavolo controllando che tutti gli altri compagni fossero risuciti nell’impresa folle. A giudicare dalla faccia stravolta della Sprite, poggiata come se stesse per svenire sul banco di Ned Stevens e dei suoi amici, avevano appena rischiato la morte tutti.

«Sbrigati!» piagnucolò James da dietro le foglie, inarcando la schiena all’indietro per non farsi scappare la pianta.
Sirius invece si chinò in avanti evitando un piccolo braccio biforcuto ed allargando la calza per centrare meglio una gamba.
«Non è colpa mia se tuo figlio è un indemoniato!»
«Non ti permetto di parlare in questo modo di mio figlio, Felpato!»

Remus sollevò gli occhi al soffitto appannato della serra e Peter rise piegandosi sul tavolo.

«Tienilo fermo, per Godric, James!»
«Ha preso dalla mamma, è certo!»
«Ma se è identico a te! Guardalo! La somiglianza è palese. Brutti come la morte entrambi»
«Vorrei proprio vedere il tuo che è in quel vaso di là! E comunque parlavo dell’essere schizzato!»
«Schizzato quanto te vuoi dire? E perchè puzzi di aceto, per Merlino?!»

Remus evitò di intervenire mettendosi le mani sui fianchi con la testa ancora rivolta al soffitto in vetro seminascosto da piante rampicanti di certo più adulte di James e Sirius.

«Che razza di padre sei!?» esplose Sirius fintamente scandalizzato in una risata aperta guardando James prendere con poca delicatezza la Mandragola per ‘i capelli’.
 «E tu che padrino sei!?» fece James altrettanto falsamente disperato indicando le mani di Sirius che per infilare la calza quasi troncarono una gamba alla pianta.
«Padrino?»
«Sei un padrino degenere, me lo stai storpiando! Te la dovrai vedere con mia moglie schizzata! Avrei dovuto scegliere Remus o Peter...»

Remus riportò lo sguardo in basso vedendo gli occhi grigi di Sirius illuminarsi come se quella radice orribile fosse veramente un bambino, un figlio di James, il suo figlioccio.
Inerme di fronte ad una tale scena priva di qualsivoglia contatto con la realtà ma perfettamente in linea con Felpato, Remus restò a guardarli scompisciarsi dalle risate almeno fino a quando Sirius non liberò un urlo di dolore costretto a star piegato su James per via della ciocca consistente di capelli con le piume attorcigliata ad una mostruosa mano biforcuta del suo adorato figlioccio.

«MI HA PRESO I CAPELLI! MALEDETTO!»
«Bravo, piccolo Rammy, è così che si fa con zio Felpato»
«STACCAMELO!»
«Il Campione di papà! Prima i capelli dello zio Sirius e poi i Boccini!»
«CAMPIONE DI...!»
«SIGNOR BLACK!»



 
 
*
 
 
 


«Fare il bambinaio alle Mandragole... questa mi mancava...» borbottò con astio Mulciber scrollandosi la neve dal mantello appena mise piede dentro il castello. «Pazzesco... non vedo l’ora di uscire da qui».
Regulus, che gli era andato incontro dopo averlo aspettato davanti alla Sala Grande, rimase in silenzio con lo sguardo rivolto fuori dal portone, posato freddamente su un divertito Sirius intento a parare un incantesimo di Disarmo che la finta mezzosangue filobabbana gli aveva lanciato sui gradini innevati del cortile.
I suoi lineamenti attraenti, meno regolari di quelli distesi in un ampio sorriso seminascosto dai lunghi ciuffi di capelli neri al vento, si irrigidirono quando gli occhi grigi incontrarono quelli lontani di James. Sempre presenti, sempre lì, al loro posto. Il posto che si erano accapparrati, il posto che Sirius aveva scelto di dargli.
Dare le spalle alla scena ridicola e seguire Mulciber per andare a pranzo fu tutto quello che Regulus fece. Perchè i suoi, di occhi, non avevano posto anche se sapevano perfettamente dove avrebbero voluto essere.
«Severus? Ancora in biblioteca?»
«Sì. Ha detto di non aspettarlo per mangiare e nemmeno per Pozioni»
«Cosa?! Vuole saltare Pozioni? Ma sei sicuro di aver parlato con lui, Reg?»
«Sicuro quanto la nausea che ho adesso dopo aver visto un Purosangue continuare a farsela con una Finta Mezzosangue Filobabbana»
 



 
 
 
 «Basta, Black!» esclamò Mary dividendo i due duellanti varcando il portone d’ingresso decorato di agrifoglio «Il pranzo è sacro!». Peter le diede subito ragione trotterellandole al fianco.
«Sto morendo di fame!»
«Ma se sei andato nelle cucine un’ora fa» fece Remus affiancando Lily davanti alle clessidre con addosso gli sguardi allibiti degli studenti diretti in Sala Grande. Passando accanto a due ragazzi Grifondoro, Lily riuscì a captare una frase dal tono incredulo: “Ma li vedi anche tu i Malandrini con le ragazze o sono soltanto frutto del buco nero che ho nello stomaco?”.
«Sei andato nelle cucine, Peter, vero?» chiese James con uno sguardo allusivo che Peter tradusse con “Non sei sgattaiolato di nuovo dai Serpeverde per quella storia assurda, vero?”.
«Certo che sì!» rispose in una risatina lui con l’intenzione di mentire non soltanto alle ragazze ma anche a James.
Perchè dire che invece era di nuovo andato a spiare i Serpeverde perchè, sì, aveva paura di quel loro piano sulla Camera dei Segreti li avrebbe fatti scoppiare a ridere di nuovo.
Già se lo vedeva, Sirius, piegarsi in due dalle risate addosso a James.
E Remus che con sguardo lucido e un sorriso incredulo sulle labbra gli ripeteva di non preoccuparsi.
O magari si sarebbero addirittura arrabbiati per il fatto che lui continuava a non vedere Mocciosus e gli altri come degli ‘idioti/deficienti’. 
 
«Macdonald, vuoi o non vuoi che il duello finisca?»
«Adesso voglio soltanto mangiare, Black»
«Se ci fai finire potrai mangiare in pace per sempre»
«Come se non sapessi che prima che il duello finisca passeranno i mesi, le stagioni, gli anni... ».
 
«Ehi» salutò John Owen raggiungendoli proprio sotto l’alta porta della Sala Grande ‘Schifosamente invasa dal vischio’. James lo fulminò di sottecchi desiderando di sotterrarlo con quelle palline lattiginose che per sbaglio potevano anche cadergli in bocca, avvelenandolo, come non faceva altro che ripetere Lumacorno a lezione e ogni volta che si trovava sotto quei mazzetti appesi ovunque, rovinando l’atmosfera romantica delle coppiette fedeli alla tradizione del bacio natalizio.

«Com’è andata la lezione di Erbologia?» chiese il Corvonero intrecciando le dita con quelle di Lily che ricambiò la stretta prima di rispondere.
«Abbiamo vestito le Mandragol...». La frase, come ormai succedeva troppo spesso, le morì sulle labbra coperte da quelle di John, e un fastidio bruciante nato sulla bocca dello stomaco che con la fame non aveva niente e con la sensazione di star affogando avvolta dalla Piovra Gigante sul fondale del Lago Nero aveva tutto la fece allontanare di un passo dal suo ragazzo.
Perchè era vero che aveva detto a James Potter di preferire la Piovra Gigante a lui- e così era ancora- ma lo stesso James Potter aveva smesso di proporsi come opzione e la scelta tra i due mostri non aveva più ragione d’esistere.

«Devo parlarti, John»

La tipica frase pre-guai non raggelò soltanto John ma tutti.
Liv e Mary portarono di scatto due identici sguardi allucinati su Lily, Peter una mano davanti alla bocca e Sirius si lasciò sfuggire un profetico “Ed ecco perchè resterò single a vita” con il gomito di Remus a cozzare tra le costole.
Remus che si schiarì la voce prima di intervenire cautamente spingendo oltre la porta un James pietrificato ma con un largo sorriso sornione stampato in faccia e gli occhi di uno con già la marcia nuziale a risuonare, solenne, nelle orecchie.
«Vi lasciamo da soli, Lily»
Lily gli rivolse uno sguardo riconoscente vedendo poi Liv e Mary lanciarle occhiate incompresibili raggiungendo a ritroso il tavolo dei Grifondoro sotto la guida di Remus, improvvisatosi cane pastore con il suo piccolo gregge di pecore da portare all’ovile.
 
 
 




Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego... Ma devi vederlo tu, Merlino, io ti sto soltanto dando un consiglio spassionato senza nessuna intenzione di metterti pressioni e/o influenzare il destino in alcun modo. Sia mai!
Anche perchè, se controlli bene tra le pergamene che avete lì tu e chiunque ci sia con te che ha il potere di far volare John Owen in Burundi con un soffio, dovrebbe esserci una riga con scritto il mio nome- James Fleamont Potter. Non potete sbagliare, esisto solo io al mondo con un secondo nome così- subito prima o dopo quello di Lily Evans.
Ci deve essere per forza perchè è così che deve essere; perchè altrimenti non sarei qui a parlarti e a ‘consigliarti’ di rendere libera una tizia che preferirebbe baciare una Piovra Gigante piuttosto che me; perchè ho provato a tenere tutto sottocontrollo, a lasciar perdere, ad ignorare questa belva nel petto peggio di Sirius davanti ai Calderotti fatti in casa ma Lily Evans rimane, anche se è sbagliato, anche se non dovrebbe, anche se dovrei mandarla al diavolo perchè è ridicolo provare qualcosa per chi non ne proverebbe per te nemmeno sotto tortura, anche se il rapporto più amichevole ed intimo che ha con me si avvicina a quello che ha con una sua ciabatta; perchè mi sorride, a volte, e mi chiama per nome e questo vorrà pur dire qualcosa, forse tutto.
Se sono qui a pregarti in ginocchio-no, beh, seduto sulla borsa  di Sirius e credo anche sulla sua merenda per il pomeriggio- è perchè Lily Evans mi sorride, a volte, e non è un granchè di buon motivo ma... lo è.

Ma sei tu che decidi , alla fine.
Sappiamo entrambi che sperare con tutto il cuore che una coppia così bella ed innamorata si spezzi in un fiume di lacrime, per sempre, è una cosa spregevole ed assolutamente poco nobile- Godric, tappati le orecchie- ma, vedi, tutti dicono che sei stato un Serpeverde a suo tempo quindi,  ecco, a te non dovrebbe importare un accidenti della dubbia moralità di questo gesto. Il fine giustifica i mezzi, non è così che voi dite?

Sai, potrei raccontarti di quella volta che Sirius Black imprecò sulla tua mini vestaglia in pizzo e io lo corressi con “Pigiamone a cuori”... un indumento molto meno ridicolo ed umiliante, non credi? 

«James, ti sta colando addosso il succo di zucca»

L’informazione data tranquillamente da Remus fece spostare gli occhi incantati di James dal portone della Sala Grande al metallo sfocato che doveva essere il calice attaccato al suo naso ed inclinato non sulle labbra schiuse dove normalmente il liquido da bere dovrebbe andare, ma verso la cravatta rossa e oro totalmente zuppa di succo arancione.
Remus rispose all’occhiata schifata di James sollevando un sopracciglio senza smettere di masticare lo stufato.
Non credo ci sia bisogno di commentare a parole il fatto che si commenta da solo- James che si trasforma in fontana fissando come un imbecille il punto in cui dovrebbe esserci Lily che parla con Owen -perchè James è  chiaramente ad un punto di non ritorno, come i suoi capelli. C’è invece bisogno di fermare Sirius che con un ghigno si è accorto del ‘fatto che si commenta da solo’ e che secondo lui è invece necessariamente da commentare. 

«Sirius, mi passi il sale?»
«Soltanto se prima James mi passa una fetta della sua dignità morta»

James bofonchiò qualcosa asciugandosi la cravatta con la bacchetta, qualcosa che Remus era certo non avesse nulla a che vedere con la formula dell’Incantesimo di pulizia, a meno che ‘Fottiti’ e ‘Maledetto stronzo’ non fossero nella nuova edizione del Manuale di Vitious.
 
«Mi dai uno di quei panini, Olivia?»
«Prenditelo da solo»
«Non ci arrivo»
«Sei un mago, usa un Incantesimo»
«Ok. Expellia...»
«Protego!»

La forza dello scudo di Liv creò un effetto domino che spostò calici, piatti, vassoi, il tovagliolo di Peter, gli occhiali di James, dieci anni di vita di Remus e la coscia di pollo in mano a Carter di almeno mezzo metro sul tavolo facendo gridare di sorpesa e spavento i vicini di panca insieme ad una marea di facce curiose non soltanto del tavolo rosso-oro ma anche dei restanti quattro, compreso quello dei professori con l’alta figura del professor Dearborn che si stagliò davanti al più grande albero di Natale scintillante della Sala Grande.
«CHE SUCCEDE LÁ IN FONDO?»
«NIENTE, PROFESSORE!» gridò in risposta Mary con gli occhi nocciola spalancati sulle mani di Liv e Sirius che si puntavano le bacchette sopra le macerie di quello che pochi secondi prima era stato il pranzo di un quarto dei Grifondoro.

«Chi è che mangia con le bacchette in mano al posto di forchette e coltelli, a parte voi due pazzi fuori di testa?!» sibilò sconcertata.
«I giapponesi?» le rispose in un sorriso ironico Peter.

Mary spostò lentamente lo sguardo su di lui.
Le facce inquietanti dei Tassorosso seduti dietro Remus e Black che ho davanti sono molto simili a quelle dei Corvonero che ho dietro e forse anche a quelle dei gufi dorati appesi sugli abeti.
Ora, ci sono soltanto due spiegazioni per tutto ciò: o sono espressioni di delusione cocente per il fatto che Liv invece di gonfiare la testa stile Bertram a Black si sia difesa distruggendo mezzo tavolo o, molto più probabilmente, si sono ibernati per la freddura di Peter come credo di aver appena fatto io.

 
 
 
 





«Che succede, Lily?»
«Succede che sembra davvero che io stia con la Piovra Gigante, John»

Gli occhi azzurri del ragazzo si spalancarono così tanto da sembrare di star per ruzzolare giù dalle orbite come i cinque zaffiri che cascarono sulla parte bassa della Clessidra dei Corvonero in un dolce tinitinnìo sovrastato dai rumori delle posate e delle chiacchiarere della Sala Grande oltre la grande porta accanto a loro.

«Si può sapere perchè pensi questo?» le chiese scrutando con attenzione i puliti ed orgogliosi lineamenti di Lily lasciati in mostra dai capelli rossi legati nella lunga e folta coda.
«Da quando stiamo di nuovo insieme non riesco più a finire una frase di senso compiuto perchè ho le tue labbra incollate alle mie»

John boccheggiò.

«E questo non solo quando abbiamo il vischio sopra alla testa»

Il boccheggiare di John ha preso una piega piuttosto allarmante assomigliando a quello di un pesce (o di una Piovra) fuori dall’acqua, alla ricerca di ossigeno (come me poco prima).
E mi rendo conto soltanto adesso che forse avrei potuto dirglielo in un modo meno brutale, più delicato, meno diretto. Ma mentre si sta affogando con otto tentacoli avvolti proprio sulle uniche armi che il corpo umano ha alle sue estremità per evitare di morire in acqua non c’è molta scelta sul lessico da usare e sul modo in cui dire di non voler schiattare.
E John dovrebbe capirlo adesso che l’ho tirato fuori dal Lago Nero e quello a non respirare più è lui. 


«Non eri... così, John» -o ti avrei evitato come la peste- «Mi ascoltavi, mi facevi parlare, ci divertivamo insieme... insieme, non appiccicati anche per raggiungere il ritratto della Signora Grassa ad ogni fine giornata come se non fossi in grado di tornare nel mio dormitorio da sola»
«Lo so» rispose il Corvonero guardando con astio verso la Sala Grande. Lily seguì il suo sguardo spostando gli occhi verdi da lui al tavolo lontano dei Grifondoro normalmente in subbuglio.
«Lo stai facendo per far capire una volta per tutte a Potter che siamo di nuovo una coppia?» chiese Lily immaginando la risposta.

«Non lo sopporto» si liberò John in un sussurro infastidito inchiodandola al pavimento con uno sguardo omicida che avrebbe fatto impallidire i prigionieri di Azkaban e che Lily, in quanto dovuto a James Potter, poteva capire alla perfezione.

«Ti sta sempre addosso. Adesso ha pure la scusa del fatto che è il Caposcuola! In infermeria ci siete finiti insieme, a tavola ci mangi davanti! É riuscito a separarci una volta e lo rifarà di sicuro!»
«John, sappi che se ci separeremo un’altra volta sarà soltanto perchè tu continui a fare la Piovra Gigante. E lo so, avevo detto che avrei preferito scegliere quella piuttosto che James Potter ma, davvero, non c’è bisogno di mettere letteralmente in pratica le mie parole per stare con me»

Il viso contratto di John si scioglie in un sorriso divertito prima di avvicinarsi al mio per baciarmi lentamente sulle labbra senza tentacoli, senza James Potter da fulminare, da minacciare, da far ingelosire. Senza fretta, senza paura. Un bacio che riconosco subito. Del tutto piacevole.

John entrò in Sala Grande, mano nella mano con Lily, separandosi da lei con un veloce bacio prima di sedersi tra Robert Goldstein e Paul Corner lasciando che Lily camminasse ben oltre, da sola, verso quello dei Grifondoro, verso le sue amiche, verso James Potter con la cravatta che puzzava di zucca e gli occhi nocciola pieni di risentimento per Merlino, com’era giusto che fosse quando parlava con un Serpeverde.
 


«Per la tua mini vestaglia in pizzo, Merlino...»
 




 
 
*




 
 
 
«E allora mi hanno spedito questa! Che me ne faccio di una macchina fotografica!? Io volevo la Nimbus 1500! Me l’avevano promesso!»
«Ma non dovevi prendere almeno una in Trasfigurazione per la scopa?»

Il retro del ritratto della Signora Grassa si era aperto facendo sgattaiolare dentro la Sala Comune il disperato per i G.U.F.O. William Johnson e il suo amico.
Peter alzò la testa oltre la spalliera rossa del divano davanti al camino acceso, osservandoli camminare tra le poltrone e i tavolini quasi tutti vuoti per via dell’orario di lezione.

«Mia mamma non ha mai parlato di O ma di A! Cosa che sono riuscito a prendere nonostante la McGranitt»
«Io ricordo la O nella lettera dei tuoi...»
«Il fatto è che adesso ho questa... cosa che di certo non mi farà volare a 107 miglia all’ora!»
 
Passare due ore completamente da solo in Sala Comune mentre gli altri avevano Pozioni non gli era mai dispiaciuto del tutto.
Peter poteva scegliere qualsiasi puf, poltrona, divano, tappeto per dormire, mangiare, dormire, tare a fissare il fuoco nel camino godendo del suo tepore col rilassante crepitìo dei ceppi avvolti dalle fiamme, dormire con il grattare della piuma sulla pergamena di qualcuno che finiva i compiti all’ultimo minuto o ascoltare la musica a basso volume della radio sulla mensola, in quel momento invasa da festoni dorati e agrifoglio.
Quando pioveva era perfetto... per dormire.

«Voglio proprio vedere se avrai il coraggio di dire la stessa cosa a James stasera agli allenamenti, Alan»
«Non glielo dirò di certo. E nemmeno tu»
«Stai scherzando? Pensi che potrà prenderla meglio quando lo verrà a sapere direttamente dal tuo cadavere squarciato da Mani di Mazza

Peter poteva fare un sacco di cose nella Sala Comune semi deserta, certo, quando non c’era William Johnson a lamentarsi del deludente regalo dei suoi genitori o quando Harrison e Morgan non spuntavano dalle scale a chiocciola discutendo per qualcosa che aveva a che fare con Thomas Flitt, ma soprattutto quando non aveva il pensiero fisso della morte preannunciata di ‘Uno di silente’ che gli scavava il cervello come un Knarl in giardino.
Le fiamme del fuoco arsero di nuovo nel riflesso sugli occhi celesti di Peter, come i pezzi delle lettere incendiati da Mulciber nel dormitorio dei Serpeverde.
La persona che doveva uccidere Avery era ‘Uno di Silente’.
Avrebbe dovuto dirlo al Preside?
Dirgli che ‘Uno dei suoi’ stava per morire, che una persona stava per morire.
‘Uno di Silente’ poteva avere una famiglia, dei figli o essere lui stesso un figlio. Poteva essere Marlene o Edgar?
Poteva essere chiunque avesse scelto di combattere contro Voldemort, chiunque avesse scelto di diventare il bersaglio di quelli come Avery.
‘Uno di Silente’ poteva essere lui, dopo i M.A.G.O., se James, Sirius e Remus non avessero cambiato idea.

Lo scoppiettìo del fuoco, reso più vivace in un vortice di scintille aranciate da una palla di pergamena lanciata da un ragazzo che evidentemente non era riuscito nel suo intento di scrivere  il suo tema, lo fece sprofondare maggiormente tra i cuscini del divano.

Una sola cosa era certa: Soltanto lui poteva salvarlo, chiunque esso fosse.
Certo che avrebbe dovuto avvisare Silente.

Se soltanto Silente non facesse finta di non sapere niente sull’esistenza del gruppo segreto che dirige.
Se soltanto Silente non fosse un Legilimante capace di poter vedere come ho fatto, in realtà, a sapere quest’informazione.
 
«Vuoi davvero tenerlo nascosto a James?»
«Cosa? Il fatto che Alan sta con l’ex di Mani di Mazza
«Daisy!? Che cosa ci fai qui? Non dovreste essere a lezione voi del terzo anno?»
«Marcus Higgs ha aperto la finestra dell’aula e il professor Rüf è volato via trasportato dalla corrente mentre spiegava la Caccia alle Streghe nel Medioevo. Lo stanno cercando»
«Scusa?»
«Comunque Harrison ha ragione, Alan: Devi dirglielo tu prima che lo scopra Mani di Mazza che poi lo dirà a James portandogli quello che rimarrà del tuo corpo»
 
Peter, ormai sdraiato sul divano, spalancò gli occhi.
Ma perfino con una notizia così il suo primo bisogno impellente era quello di avvertire il Preside.
Rotolò da un lato per sporgersi verso il tappeto e prendere la Mappa dalla borsa poggiata in terra.

«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni»
Albus Silente era nel suo ufficio.
 



*
 
 
 
«Avanti».
Peter aprì timidamente la porta dell’ufficio della McGranitt ed entrò nella stanza riscaldata dal fuoco dove la professoressa lo scrutò con cipiglio sorpreso da sopra i suoi occhiali squadrati mente correggeva dei compiti sulla cattedra.
«Sì? Cosa c’è, Minus? Il professor Rüf è stato trovato?»
«Non lo so, professoressa. Veramente, sono qui per...»
Peter si bloccò, improvvisamente raggelato dallo sguardo criptico della professoressa, lo stesso di quella mattina quando Sirius aveva detto fosse dovuto al fatto che tutti insieme avevano tentato di fermare Marlene e Edgar a Hogsmeade.
Forse stava sbagliando, forse avrebbe fatto meglio a tacere invece di dare la certezza al Preside che loro- I Malandrini e le ragazze- avevano scoperto il suo segreto. Silente avrebbe di certo fatto finta di non capire il significato di quel ‘Uno di Silente’, naturalmente, ma se gli avesse chiesto spiegazioni?
Che cosa avrebbe dovuto dirgli?
Che, sì, James e Lily avevano spiato il Tassorosso e la Corvonero da sotto il Mantello dell’Invisibilità? Il preside non era a conoscenza di quel Mantello e tradire James era l’ultima cosa che voleva.
Se soltanto James potesse sapere! Lui sarebbe perfetto per mentire al preside, per trovare una soluzione geniale, per non farsi leggere la mente, per non far vedere la fodera verde del mantello di Mulciber tramite gli occhi di Codaliscia.
«Minus?»
Ma Silente non può chiedermi spiegazioni perchè sa che io risponderei con la verità e la verità è che abbiamo sentito abbastanza dettagli su questo “Ordine” e davanti a questi, Silente, non può negare o mentire. Silente che- Remus lo dice sempre- non è stupido, non si darebbe mai la zappa sui piedi. 
Quindi, se adesso vado da lui a dirgli che uno dei suoi sta per essere attaccato magari mi guarderà come se niente fosse ma con quel suo sguardo penetrante che sembra trapassarti da parte a parte e... e vedrà il mio sapermi trasformare in topo. E poi vedrà Ramoso, e Felpato...
«Signor Minus, la sua eterna indecisione farebbe perdere la pazienza a Tosca Tassorosso».
Dopotutto, ‘Uno di Silente’ se è ‘Uno di Silente’ dovrebbe riuscire a cavarsela contro Avery, no?
No. 
Io, come ‘Uno di Silente’, non sarei capace nemmeno di lanciargli un Rictusempra. Che ne so come se la caverà quel tizio?! 
Io, come ‘Uno di Silente’, avrò bisogno dell’aiuto di chiunque. 
«Volevo parlare con... lei, professoressa»
Lei che è spaventosa, forse più di Silente, ma non è legilimante. Lei che fa lo stesso parte dell’Ordine e che può avvisare tutti “Quelli di Silente”.
Lo sguardo in un primo momento allarmato della professoressa McGranitt si fece sospettoso sotto il sottile sopracciglio arcuato.
«A proposito di cosa, Minus?»
Peter prese un bel respiro, ottenendo soltanto maggiore agitazione. Si prese le mani non riuscendo a non torcersele spasmodicamente.
«É una cosa... una... »
Gli occhi azzurri della professoressa lo incoraggiarono a parlare, severi come sempre ma con una punta di luce decisamente sinistra ed indagatrice.
Peter sapeva di star andando incontro ad un dialogo in cui lui sarebbe apparso pazzo o bugiardo. Ed era completamente solo ad affrontare la McGranitt, “Il demone di duemila anni” di Sirius.
Ma lo era stato anche mentre ascoltava quella conversazione tra i Serpeverde che l’aveva reso l’unica persona capace di poter fare qualcosa.
«SocAvrydveuccdre”UndiSilte”domani, oggi o a Natale» farfugliò liberando tutta l’aria presa pochi istanti prima.
 La McGranitt sollevò maggiormente le sopracciglia scure e Peter si sentì crollare. Le gambe parvero cedere e le mani presero ad intrecciarsi tra loro con crescente nervosismo.
«Cosa, signor Minus, ha a che fare con “Domani, oggi o Natale”
 

-Dite che ci riuscirà? Battere uno di Silente non dev’essere facile...
-Sono anni che aspetta questo momento, certo che ci riuscirà se vuole davvero entrare nella cerchia, soprattutto adesso che suo padre è morto e non ha più il suo lasciapassare
 

«So che Avery ha avuto il compito di uccidere “Uno di Silente” domani, oggi o a Natale»
Il cuore gli si fermò come le palpebre della McGranitt che dopo un attimo di malcelato smarrimento indurì le labbra in una tirata linea retta con gli occhi serissimi dietro le lenti poggiate sull’appuntito naso sottile dalle narici improvisamente frementi.
Peter non osò muoversi come avrebbe invece voluto. Non osò indietreggiare verso la porta per andare via e basta, senza ulteriori spiegazioni.
La professoressa sapeva benissimo che Avery non era un bravo e docile ragazzo e dopo la battaglia a Hogsmeade, grazie all’articolo sul Profeta, tutto il Mondo Magico sapeva che il padre era stato un Mangiamorte. Non c’era quindi bisogno di spiegare ‘chi’ gli aveva odinato di uccidere.
Peter aveva fatto il suo dovere, non aveva nessuna intenzione di indagare sull’Ordine o ribattere quello che, di sicuro, la professoressa si stava preparando a dire mentre si sistemava gli occhiali con un gesto esageratamente lento, studiato.
«Posso sapere, per prima cosa, cosa intendi per “Uno di Silente”, Minus?»
Peter avvicinò entrambe le sopracciglia biondicce, arricciando le labbra in una smorfia.
Lo sguardo lampeggiante ed inquisitorio della professoressa sembrò fargli evanescere le corde vocali, ma non era di certo come quello di Silente.
«Beh» cominciò grazie al pensiero di poter almeno provare a mentire. «Ho pensato ai professori, a Gazza, Madama Chips, Madama Pince, Hagrid... insomma... “Uno di Silente”... uno della scuola...»
La McGranitt restò ad osservarlo in silenzio senza che Peter riuscisse a decifrare la sua faccia. Era così rigida ed immobile da sembrare essersi trasfigurata in una statua.
Il cuore a mille e il rossore che sentiva crescere sulle guance gli fecero grattare una guancia paffuta nel tentativo di camuffare quegli evidenti segni di bugia che lei doveva per forza aver visto e capito perchè sapeva che lui sapeva.
Quel discorso era, in realtà, animato da due bugiardi che si mentivano a vicenda e la professoressa McGranitt doveva esserne consapevole.
«La tua accusa è molto grave, Minus» osservò la McGranitt con voce ferma «Avrai di certo qualche prova per poterlo dire...».
Peter scosse la testa in segno di negazione.
«No»
«No?» ripetè la professoressa con tono velatamente curioso. «Allora come puoi dire una cosa del genere?»
«Ho sentito Mulciber, Piton e Regulus Black parlarne... in un bagno» si premurò di specificare il nome del Black in questione, Peter. «Avery spedisce loro delle lettere. Potrebbe controllare la loro posta via gufo per delle prove»
«Queste lettere, adesso, dove si trovano?»
«Le hanno bruciate» pigolò Peter grattando con le unghie il palmo di una mano, nervoso.
La McGranitt parve confusa e sorpresa.
«Mi stai dicendo che questi tre studenti hanno parlato di una cosa così seria in un semplice bagno, Minus?»
Il rossore sulle guance di Peter si espanse a tutto il viso. Aveva avvisato l’Ordine, aveva fatto quello che la sua morale da Grifondoro gli aveva suggerito in Sala Comune. Alla McGranitt sarebbe dovuto bastare, no?
Perchè perdeva tempo in quel modo? Perchè non correva da Silente ad avvertirlo!?
I lineamenti rotondi di Peter non riuscirono più a restare al loro posto.
«Non... non era un semplice bagno. Era il bagno del secondo piano, professoressa, quello con Mirtilla Malcontenta. Nessuno va lì. Io ci sono andato perchè ho avuto un... un bisogno urgente e... quei tre sono entrati dopo di me pensando non ci fosse nessuno, come sempre».
Fu l’unico momento in cui Peter fu certo di aver sinceramente convinto la professoressa, rendendosi conto che con davanti Silente e il suo sguardo penetrante sopra gli occhiali a mezzaluna non ci sarebbe mai riuscito.
«Non possiamo accusare il signor Avery senza delle prove certe, ma terrò in considerazione la tua preziosa testimonianza» commentò la McGranitt sporgendosi sopra la cattedra invasa da pergamene per allungare verso Peter la scatola in latta con motivi scozzesi. «Grazie per avermelo detto, Minus. Puoi andare».
Peter annuì debolmente prendendo due biscotti allo zenzero prima di salutare e girare i tacchi camminando verso la porta con lo sguardo della professoressa a brucargli la nuca.
Dopo essersi chiuso la porta alle spalle sgattaiolò nella prima scorciatoia dietro un arazzo, tirando fuori la Mappa del Malandrino dalla tasca e la bacchetta per farsi luce e controllare il cartiglio di Minerva McGranitt.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni»
Sgranocchiando il biscotto natalizio si ritrovò a sorridere vedendo i piccoli passi della professoressa uscire velocemente dal suo ufficio.




 
 
 
*
 




 
É successo qualcosa a Lily e Black la notte scorsa in infermeria.
Non so bene cosa, ma c’è qualcosa di diverso in loro quando ogni tanto incrociano gli sguardi, quando- se proprio sono costretti a parlarsi- Black la chiama per cognome senza farlo sembrare un insulto e Lily lo indica o trova stranamente un modo per non usare più il suo.
C’è qualcosa di diverso nel silenzio indifferente che aleggia la maggior parte del tempo tra loro, al posto delle battute pungenti. Qualcosa di diverso quando stanno l’uno di fianco all’altra sfiorandosi le spalle senza accorgersene, come adesso.

Mary, di ritorno dalla lezione di Cura delle Creature Magiche, si tolse il mantello strappato dall’Occamy poggiandolo sullo schienale della poltrona della Sala Comune dov’era seduto Peter, intento a mangiare non quello che sembrava un biscotto allo zenzero a metà ma le sue unghie.
Lily, dal divano che condivideva con un Sirius tutto preso da una rivista di moto, alzò lo sguardo dal pacchetto regalo che stava incartando con cura per portarlo su di lui.
«Tutto bene, Peter?» gli chiese osservandolo con gli occhi verdi che lo fecero sprofondare tra i cuscini. Forse, in quasi sette annni di scuola, non aveva mai visto Peter Minus ignorare un biscotto allo zenzero.
«Sì, sì. Sono soltanto stanco» rispose lui lasciando stare le unghie per passarsi una mano sul viso smunto «E il compito di Trasfigurazione di stamattina è stato un disastro».
 «Non pensarci più a quello» ridacchiò Lily sventolando con leggerezza una piccola mano per aria «Siamo ufficialmente in vacanza!». Frugando tra i dolciumi che era riuscita a comprare per i suoi genitori a Mielandia prima del putiferio, gli lanciò una lunga bacchetta rossa di liquirizia che Peter prese per un soffio lasciandosi andare ad un aperto sorriso sotto l’unico occhio grigio di Sirius che spuntava dalla rivista.
Peter annuì, convinto. Aveva avvertito l’Ordine, aveva salvato una persona. Certo, aveva anche mentito ai suoi migliori amici ma la bugia non aveva di certo cattive intenzioni. E Lily Evans e i suoi verdissimi e ridenti occhi gentili avevano ragione: erano in vacanza.
«É una riunione?» chiese Mary avvicinandosi al camino davanti al divano per scaldarsi gli arti congelati. Sperò le dicessero di sì, in modo tale da liberare il discorso su Hogsemade che si era preparata a lezione prima di ricevere una fortissima beccata sul ginocchio da parte del suo Occamy.
Lily mollò il nastro argentato sul pacchetto riservato alla madre per sporgersi verso la borsa di Sirius ai loro piedi con la vermiglia coda che le scivolò sul collo libero dalla cravatta rossa e oro allentata.
«Ti stavamo aspettando, Mar. Abbiamo un nome in più...» spiegò in un sussurro sfilando dalla tracolla il foglio con l’ordinata grafia di Remus, porgerdoglielo subito dopo. Mary lo prese facendo scorrere lo sguardo sull’ultimo nome scritto sulla pergamena di certo non da Remus.
 Sturgis Podmore
«Ma è quel Sturgis Podmore che conosciamo*?!» chiese piuttosto sorpresa «Capelli di paglia, mascella squadrata, tre anni avanti a noi? Era Tassorosso, se non ricordo male»
«Esattamente, lui» confermò Lily. «Come avete fatto a scoprirlo? L'avete visto qui, a scuola?» chiese Mary sbalordita.
«No, non l'abbiamo visto» le rispose Sirius da dietro la luccicante motocicletta in copertina del giornale «I Malandirni non rivelano mai i loro segreti, Macdonald».
Mary vide Lily sollevare gli occhi al soffitto voltando la testa verso di lui.
«Anche se dovrebbero condividerli con chi collabora insieme a loro»
«Ho detto mai, Evans».
Lily fece per ribattere quando Sirius mollò la rivista babbana a terra sguainando la bacchetta di Liv contro un’atterita Martha Spinnet appena passata dietro il divano.
«Ah, Spinnet, sei tu» fece Sirius rilassandosi di nuovo sui cuscini come se niente fosse. La ragazzina del terzo anno si allontanò da lui con gli occhi spalancati tanto quanto quelli di Lily.
«Questo duello infinito vi fa male al cervello» commentò Mary, allibita.
Ne fu ancora più convinta quando Liv, in tenuta da Quidditch, fece la sua comparsa insieme a Daisy dalla porta del dormitorio femminile e sia lei che Sirius evocarono in contemporanea due scudi trasparenti facendo volare via alfieri, torri, re e regine dalla scacchiera magica dei due ragazzi del primo anno seduti tranquillamente sotto una finestra.
«Niente bacchette in campo!» esordì James arrivando tra loro con la sua Nimbus in mano e la divisa scarlatta ad ondeggiargli attorno.
«Datele a me»
«Stai scherzando, James?»
«Ho mai scherzato agli allenamenti, Liv?»
«Preferirei la tenesse Lily o Mary, qui, in Sala Comune non negli spogliatoi che rimarranno vuoti mentre io sarò a trenta metri d’altezza e lui invece a pascolare sull’erba...»
«Me le metto in tasca. Così va bene?»
«Ah, beh, certo. E questa allora va a Peter, non a trenta metri d’altezza come lei»
«No, io non voglio avere niente a che fare con questa battaglia»
«Allora a Remus»
«Remus è in biblioteca, Black»
«Vado in biblioteca»
«Veramente, non sono più in biblioteca»

Tutti si girarono verso la poltrona vuota accanto al divano, posando lo sguardo su un Remus leggermente stravolto con le guance arrossate, i ciuffi castani sparsi sulla fronte aggrottata e la tracolla che doveva avergli come minimo bucato il maglione della divisa sulla spalla che sopportava il suo peso.
«Perfetto! Date le bacchette a loro e andiamo» sospirò James passandosi con esasperazione una mano tra i capelli disperatamente spettinati ed allontanandosela all’istante con espressione disgustata.
A quella vista, Lily rise sotto i baffi arricciando con insolenza il piccolo naso lentigginoso.
«La doccia di aceto è servita a qualcosa, Potter, vedo» scherzò guardandolo dritto negli occhi da sopra la spalliera rossa e l’occhiata che un James ridente le lanciò in risposta, Mary non riuscì a definirla se non con l’aggettivo ‘Amichevole’. 

Se in infermeria tra Lily e Black forse è successo qualcosa, tra Potter e Lily è certo
 


Il silenzio calò tra il divano e le poltrone davanti al camino dopo che i giocatori di Quidditch+Sirius se ne furono andati. Un silenzio chiassoso.
Gli sguardi di Lily, Remus, Peter e Mary gridavano tutti la stessa cosa: “Scambiamoci le bacchette e facciamola finita noi”.
Più volte puntarono la bacchetta di Liv in mano a Remus e quella di Sirius tra le dita di Lily ma nessuno osò mettere la cosa in pratica, come se le bacchette avessero occhi minacciosi e una bocca capace di urlare quanto una Strillettera fino a farsi sentire giù al campo.
 
«Lily?» esordì Remus scostando la rivista di Sirius tra i cuscini per prendere posto accanto a lei mentre Mary si voltava verso il fuoco allungando le mani gelate, richiamate dal piacevole tepore.
«Dimmi, Rem» fece lei rimettendo mano al nastro argentato.
«Hai preso per caso qualche libro sull’Occlumanzia?»
«No. Perchè?»
Remus aggrottò le sopracciglia castane.
«Sono andato nel reparto apposito perchè volevo approfondire la ricerca per il tema delle vacanze di Dearborn ma non ne ho trovato neanche uno. Possibile?»
Lily sollevò la testa con la stessa sua espressione scettica nei delicati lineamenti.
«Beh, è strano» sentenziò piegando il viso di lato, guardandolo stranita «Non dovrebbe essere nel Reparto Proibito. Sei sicuro di aver cercato bene? Se vuoi ti aiuto io. Ti accompagno e lo cerchiamo insieme».
«Ma no» si affrettò a dire Remus agitandosi tra i cuscini «non preoccuparti».
«Non mi disturbi!» rise Lily notando gli occhi ambrati di Remus posati sui dolci ancora da impacchettare. Poggiò la scatola argentata sul divano e si alzò in un  fruscio della gonna e della coda rossa.
«Venite anche voi?» chiese, osservando la schiena di Mary che scosse piano la testa bionda senza voltarsi.
«Ho ancora il cinquanta per cento del corpo ibernato, compreso il livido che Newt mi ha fatto prima» rispose lei «Io vi aspetto qui».
«Le faccio compagnia» si ritrovò a dire Peter che di lasciare il caldo della Sala Comune per trascinarsi tra i freddi scaffali della biblioteca non ne aveva proprio intenzione.
Lily annuì assottigliando lo sguardo indagatore su Mary e facendo segno a Remus di andare. Remus che, improvvisamente cupo, la seguì salutando Peter senza lasciare la figura di spalle davanti al camino.

 
«Grazie, Peter» fece Mary quando restarono da soli insieme altri Grifondoro nella Sala. Peter fece spallucce finendo la sua stecca di liquirizia.
«Stai bene?» le chiese vedendola incantata alle fiamme danzanti davanti a lei che le incendiavano i capelli biondi e il profilo non particolarmente tranquillo.
«Sì» mentì lei.

 Sì, se fossi la Mary che ad inizio anno mi ero ripromessa di diventare. La Mary che si accontenta delle bugie, che se ne frega delle bugie. Quella Mary a cui non importa di Remus.
Se fossi quella, Peter, in questo momento starei bene. Se fossi quella sarei con lui tra gli scaffali a cercare un libro invece di fissare il fuoco senza riuscire a smettere di pensare di essere di nuovo stata presa in giro con una bugia anche da semplice amica.


 «E tu?» gli chiese Mary spostando la sguardo dal fuoco a Peter che strabuzzò gli occhi celesti fermando la mandibola. Non si era aspettato di certo quella domanda, non a lui e non da parte di una ragazza.
«Bene, sì» rispose, non riuscendo a guardarla dritto negli occhi.

Sono pessimo a mentire, pessimo. 

«Dico sul serio, Peter» continuò Mary andando a sedersi sull’altra poltrona all’altro lato del camino «Hai pensato al fallimento di Hogsmeade?».
Gli occhi di Peter si dilatarono ancora di più.
«Nessuno ne ha parlato ma io ci penso spesso» confidò Mary cristallina come i suoi occhi nocciola di nuovo persi tra le fiamme.
Il viso tondo di Peter parve illuminarsi non soltanto dei bagliori dorati del fuoco che coloravano anche il viso di Mary.
«Anch’io. Non riesco a togliermi dalla testa i Dissennatori» ammise in un sussuro quasi senza fiato.
Lo sguardo di Mary scattò verso di lui che, stretto nelle spalle, apparve ancora più basso ed indifeso di quanto già non fosse.
«Non devi vergognartene» lo tranquillizzò guardandogli le guance piene diventare rosso pomodoro «Fanno paura anche a me e, sono sicura, anche agli altri solo che non lo vogliono dire».
La coda della liquirizia rossa tra i denti serrati di Peter cadde sulle sue gambe e Mary, per un attimo spiazzata di fronte a quella reazione, ri ritorvò a sorridere scuotendo piano la testa bionda.

«Non sei l’unico ad avere paura, Peter»
 
 



 
*



 
 
 
La biblioteca era immersa nella penombra rischiarata dalle candele per il cielo cupo fuori dalle finestre e nel silenzio spezzato ogni tanto dal fruscio delle pagine dei libri, da qualche colpo di tosse e dai passi di Remus e Lily che avevano misurato il pavimento del reparto dedicato alla branca della magia meno studiata senza trovare un solo libro riguardante l’Occlumanzia.
«Sì, certo che ho scritto sul registro chi li ha presi in prestito. Dubita per caso della mia professionalità, Lupin?»
«Certo che no, Madama Pince, io volevo soltant...»
«Ecco, qui» lo interruppe bruscamente la bibliotecaria con il naso adunco rivolto alle pagine del grosso registro «Il signor Piton. Li ha presi praticamente tutti».
Il serio cipiglio di Lily, Remus lo notò chiaramente.
«Oh, ehm... beh... non importa» si affrettò a dire cominciando a fare un passo indietro ma Lily restò ferma al suo posto.
«Tutti?» chiese, piccata, con l’amaro in bocca.
«Tutti, Evans» confermò la donna facendo scorrere l’ossuto indice sulla pergamena firmata.
«Non è una cosa che va contro il regolamento della biblioteca? Dare tutti i volumi su un singolo argomento ad un solo studente?»
«Lily, davvero» intervenne ancora Remus pacatamente «Non mi serviva urgentemente...»
Lily lo fermò con un secco gesto della mano senza distogliere lo sguardo determinato sulla bibliotecaria dietro la scrivania addobbata di oro e vischio.
«Se lo studente in questione si attiene alla regola della riconsegna in tempo no» spiegò Madama Pince allungando il collo magro «Con il signor Piton non c’è mai stato un ritardo. Mi posso fidare ciecamente di lui come di te, Evans».
Lily per un attimo parve incredibilmente offesa. La schiena fieramente raddrizzata, le labbra irrigidite, gli occhi verdissimi scintillanti come ogni volta che si preparava a rispondere a tono. Remus, accorgendosene, le afferrò con delicatezza un polso.
«Quindi, grazie» s’intromise, affabile «Arrivederci e buone vacanze, Madama Pince».
 
«Remus!»
«No, non ti lascio andare fino a quando non abbiamo tre piani di distanza tra noi e la biblioteca»
«Si può sapere perchè non mi hai fatto finire?!»
«Perchè non c’era nient’altro da dire, Lily»
«Eccome se c’era!»
«Qualcosa di gentile?»
«Qualcosa come “La mia fiducia non è di certo paragonabile a quella di un maledetto ipocrita”! Fidati, questa frase è gentile»
Remus non ribattè e Lily non sembrò avere voglia di continuare a parlare.
Si fermarono al centro del corridoio del quarto piano, animato soltanto dalle armature che cantavano Jingle Bells e da un lontano gruppetto chiassoso di ragazze che sparì sulle scale.
Remus le lasciò il polso osservando il suo volto teso, gli occhi verdissimi fissi sui suoi con durezza, il mento leggermente sollevato in una posizione così orgogliosa che faticava a credere fosse del tutto vera, priva di altre emozioni.
Conosceva la sua storia e quella di Piton, non a grandi linee come la conosceva tutta la scuola e nemmeno nei minimi dettagli come Liv e Mary.
Remus conosceva Lily amica di Piton ma arrabbiata con lui durante le riunioni serali al quinto anno.
 
-Quando capita di venerdì sera è la peggiore, lo penso anch’io...
-Sono soltanto... furiosa. Ecco cosa, Remus. Furiosa.
-Se ti riferisci a James e alla sedia di Piton trasfigurata in un gabinetto...
-Come si fa a stare anche per una sola ora con Mulciber e Avery, Remus?
-Beh... non ne ho la più pallida idea, Lily. Forse ignorando di avere un cervello...
-Severus lo sa, a quanto pare! Sa passare addirittura serate intere con loro!
 
Remus, l’anno precedente, aveva conosciuto Lily completamente silenziosa, fredda, incredibilmente triste e priva della sua solita energia che le faceva brillare gli agguerriti occhi verdi ed accendere i lunghi capelli rossi come fiamme.
 
-Vuoi un po’ di cioccolato, Lily?
-Mh?
-Cioccolato. Mangialo, fa stare meglio...
-Com’è che hai sempre del cioccolato in tasca, Remus Lupin?
-Un’abitudine che mi ha messo James.
-Ah. Allora non lo voglio, grazie.
-Questo non è di James.
-Allora lo voglio, grazie.
 
Remus si frugò nelle tasche interne della tunica dalla fodera rossa, trovandoci dentro quello che cercava.

«Vuoi un po’ di cioccolato, Lily?» le chiese porgendole metà tavoletta incartata.

Notando i rigidi lineamenti spruzzati di lentiggini addolcirsi, Remus sorrise brevemente. 

«Com’è che hai sempre del cioccolato in tasca, Remus Lupin?» rispose Lily in un bellissimo sorriso complice che allargò il suo.

Lily allunga la mano senza aspettare la risposta, stacca due quadretti di cioccolato e so che anche se le dicessi che questo me l’ha regalato James lei lo mangerebbe lo stesso, adesso.
 




 
 
*
 
 




 
Uno dei tre Boccini d’Oro liberati da James due ore fa mi passa a tre centimetri di distanza dal naso. Per poco non mi cava un occhio con un’ala.
Soltanto così mi ricordo che sono a trenta metri da terra, con il vento gelido che mi irrigidisce anche i capelli e che invece di fissare la lontanissima torre della Guferia devo appiattirmi sulla scopa e seguire la pallina che ha attentato alla mia vista, “la vista della squadra”.
Ma un puntino nero l’ha appena raggiunta, la Guferia. Una civetta, probabilmente. UNA  non LA perchè se fosse LA civetta non sarebbe di certo un puntino che a malapena riesco a vedere ma un animale capace di accecarmi con un’ala come il Boccino prima o con LA lettera che dovrebbe avere sul becco.
«COSA?! COSA!?!»
James urla come un disperato parecchi metri sotto di me. Tutto nella norma, almeno fino a quando non sento Carter che grida di rimando e questo sì che è strano.
«CAPITANO, COSÍ LO UCCIDI! USA LA MAZZA DI HARRISON NON LA MIA! IO NON VOGLIO ESSERE PORTATO AL WIZENGAMOT!»
É strano anche il fatto che Carter inciti all’assassinio qualcuno consigliando l’arma da usare, lui che non farebbe del male nemmeno ad un giocatore avversario...
Liv lanciò un’ultima occhiata alla Guferia prima di scendere lentamente di quota con  i corti capelli castani svolazzanti attorno al viso sempre più stranito man mano che si avvicinava alla squadra riunita in un cerchio in movimento a mezz’aria.
«COSA!?!»
«Non possiamo parlarne... come due persone civili, James?»
«COSA!?»
«Come due vecchi compagni di Casa e di squadra»
«COSA!?»
«Se mi colpisci spezzi una delle tre paia di braccia della squadra
«TU HAI OSATO PORTARE IL CORPO DELLA SQUADRA A LETTO CON L’EX DI MANI DI MAZZA!?»
«Così la fai sembrare una cosa oscena...»
«SARÁ LUI A SPEZZARE UNA DELLE TRE PAIA DI BRACCIA DELLA SQUADRA! LO FACCIO DIRETTAMENTE IO, ADESSO, INVECE DI ASPETTARE LUI IL GIORNO DELLA PARTITA!»
«Io non sono andata a letto con Flitt, James! Nemmeno lo bacerei con i denti che si ritrova!»
«E INVECE CI SEI ANDATA, DAISY! TUTTI NOI CI SIAMO ANDATI GRAZIE A MORGAN! TUTTI NOI SIAMO ANDATI A LETTO CON L’EX DI MANI DI MAZZA E TUTTI NOI NE SUBIREMO LE CONSEGUENZE A GENNAIO!»
«Non mi piace più questa metafora delle nostre parti del corpo che formano la squadr...»
«ZITTO, MICHAEL! QUESTO PER FARVI CAPIRE CHE CON IL VOSTRO CORPO, IL CORPO DELLA SQUADRA, NON SI SCHERZA!»

Atterrarono sul prato dove Sirius li stava aspettando con un sorriso sornione sul volto arrossato per il freddo. Alan, terrorizzato, toccò terra proprio davanti a lui, trascinato poi per un gomito da James.
«Comunque, ti capisco» gli mormorò in tono confidenziale Sirius camminando tranquillamente mentre il povero cacciatore quasi strisciava sull’erba fangosa con la rossa divisa stretta tra le dita nervose di James. «Karen non è niente male»
«Karen non è niente male a rovinare le squadre, vero» commentò acidamente Daisy ad alta voce sorpassandoli con Carter e Michael. «La squadra della sua Casa, per di più. Bella, ma cretina. Questo non lo dici, Black?».
Sirius sollevò entrambe le sopracciglia nere di fronte a quell’attacco inaspettato.
«Ma il più cretino sei tu, Alan» aggiunse Liv dietro tutti con Harrison.
 


 
 
«Dunque».
Negli spogliatoi la voce di James tornò calma, troppo calma, inquietante se si faceva caso ad Alan Morgan appeso a testa in giù, in mutande, dietro di lui.
«James. Ho freddo»
«Per riportare il tuo cervello in testa servono altri dieci minuti, Morgan»
«Ti posso assicurare che è di nuovo al suo posto, Capitano»
«O potrei sostituirti con Bell che solleva cesti colmi di decorazioni natalizie come niente e ha un cervello che non casca nelle parti basse quando vede l’ex di Mani di Mazza»
Alan Morgan tacque all’istante, dondolando a mezz’aria nel silenzio e sotto gli occhi della squadra+Sirius che nelle mani aveva ancora i suoi abiti.
«I Serpeverde non saranno aggressivi, violenti, sleali, bastardi assassini assetati di sangue e vendetta... » cominciò James «di più». Lo schiarimento di voce di Carter, per camuffare un’imprecazione incontenibile, e il sorriso malandrino di Sirius ancora rivolto a Morgan furono gli unici suoni e movimenti nella stanza.
«Perchè siamo andati a letto con l’ex di uno di loro, più precisamente un battitore» continuò James ignorando la faccia shifata di Daisy «Non il portiere che se ne sta incollato agli anelli per conto suo e l’unica cosa che può fare è sperare di centrarci in testa con uno sputo. No, un battitore... ancora più precisamente... Mani di Mazza».

Harrison, al fianco di Liv, sospirò pesantemente stringendo con furia la sua arma come se avesse il Serpeverde già di fronte.

«Perchè una parte del nostro corpo che di certo non è il cervello è andata a letto con...»
«Ho afferrato, Capitano»
«No, non hai afferrato, Morgan»
«Chiedo umilmente perdono»
«Mani di Mazza non chiederà umilmente perdono dopo averci sterminato»
Alan Morgan tacque un’altra volta.
«Perchè» riprese il discorso James «abbiamo battuto i Tassorosso che loro ci avevano messo contro apposta, ad apertura del torneo, quando eravamo una ‘Squadra fatta da novellini’» «Non lo siamo più, non dopo aver battuto Ned Stevens senza boccino» sibilò Liv.
«E perchè siamo Grifondoro, a prescindere» concluse James.
«L’ultimo punto è reciproco» ringhiò con astio Michael Cooper ancora con il casco da portiere in testa. «Loro sono Serpeverde, a prescindere».
James gli sorrise, copiaciuto. Era così che, da secoli, funzionava la ruota Grifondoro-Serpeverde: ad odio reciproco, a prescindere.
«Non azzardatevi a spappolarvi dita, arti e vista con i fuochi d’artificio a capodanno. Non provate nemmeno ad ammalarvi perchè vi siete buttati nudi nella neve, ubriachi»
«Cosa?!»
«Può succedere, Carter, fidati che può succedere» s’inserì Sirius con un tutta l’aria di chi aveva sperimentato- o assistito, dato che gli occhi grigi incontrarono immediatamente quelli nocciola- l’esperienza di un tuffo nella neve da nudi.
«Al rientro vi voglio in perfetta forma, carichi, pronti ad affrontare allenamenti di quattro ore filate, con l’odio che abbiamo di natura contro i Serpeverde quadruplicato»
«Quello non manca mai» fece Harrison con le nocche della mano stretta alla mazza di un bianco pauroso.
«Pronti a schivare maledizioni nei corridoi, riconoscere ed evitare sedie sabotate, pozioni lassative nei calici, battute di scherno in Sala Grande, agguati, trappole»
Carter era ormai in coma.
«Pronti ad affrontare Mani di Mazza»
Gli altri- dicendo addio all’alcool e ai fuochi d'artificio del trentuno- annuirono.
«Michael» fece James poggiando una mano sulla spalla del suo portiere «Sei un portiere eccezionale. Ottimista, energico, scattante, concentrato e con un utilissimo istinto... quando non hai migliaia di persone a guardarti. L’abbiamo appurato contro i Tassorosso, no?».
Il sorriso di Michael, che ad ogni aggettivo si era sollevato di un centimetro, si spense del tutto.
«Il fatto è che alla partita non saremo quattro gatti. Allenati a stare di fronte ad un pubblico. Che so... al pranzo di Natale sali su una sedia e racconta una filastrocca su babbo natale davanti ai parenti».
Sirius trattenne il sorriso, pronto a trasformarsi in risata.
«Carter. La tua mira è migliorata moltissimo, e siamo tutti soddisfatti. Sapevo che ci saresti riuscito. Adesso ti manca soltanto la grinta.Ti dico soltanto questo: Loro sono Serpeverde e tu Grifondoro».
Gli occhi azzurri di Carter da due Galeoni divennero due fessure luccicanti con profondo orgoglio di James.
«Daisy. Tra una partita di scacchi e l’altra penserò ad una nuova mossa tutta per te che quei bastardi e la loro lurida spia non sanno»
La tredicenne annuì, radiosa.
«Liv»
Liv non sciolse l’intreccio di braccia al petto. Non mosse di un millimetro l’espressione dura del suo viso serio con i determinati occhi scuri puntati su di lui. Per un istante, James ebbe la sensazione che in lei ci fosse qualcosa che non andava.
«Hai tenuto a bada Ned Stevens.Ti sei fatta valere, hai sostenuto tutti noi, ti sei sacrificata per i goal. Stavolta, punto a farti acchiappare il Boccino». L’improvviso sorriso sincero della sua cercatrice lo contagiò.
«Ma a parte le mie lezioni pratiche e teoriche sulla tecnica dello Stronzo avrai bisogno anche di qualche altra informazione che Sirius ti saprà dare. Con gli astuti si gioca d’astuzia»
Anche il sorriso di Liv, come quello di Michael poco prima, si spense davanti a quelle parole e all’occhiolino divertito di Sirius.
Liv ricambiò l’ammiccamento scanzonato con un’occhiata torva.
«Si può sapere perchè deve proprio essere Black a farlo, James?»
«É ovvio»
«É ovvio il perchè lui conosca lo Stronzo come le sue tasche, sì, ma non è ovvio il fatto che sia lui ad istruirmi. Può benissimo dire le cose a te che poi le dici a me...»
«E intanto passa il tempo, Liv, e lo stronzo vince...»
Liv boccheggiò, incapace di credere alla stupidità della cosa.
«Harrison». James non aggiunse altro al nome. Diede una vigorosa pacca sulla possente schiena del suo battitore e poi, con assoluta calma, si avvicinò al cacciatore appeso a testa in giù, ormai di un colore molto simile alla divisa che stava di sicuro agognando.

«Morgan...»

Nel silenzio, Morgan mugolò.

«Mani di Mazza. Mani di Mazza, Morgan. Hai dimostrato di essere un vero Grifondoro andando con la sua ex e per questo ti rispetto. Ma fatti anche soltanto sfiorare e giuro che ti finisco io».

La smorfia sulla faccia quasi violacea di Alan fu un misto di divertimento, riconoscenza e principio di vomito e congelamento.

«Siete stati grandi in questo primo trimestre» si sciolse James allargando le braccia per accoglierli tutti in un’unico caloroso abbraccio con in mezzo Morgan, mugolante a testa in giù.

«Buon Natale, ragazzi»
«E ragazze»
«E ragazze. Sì, Liv. Le mie ragazze, i miei assi nella manica!»
«Così va meglio, Capitano»
Quando risalirono il pendio innevato e quasi del tutto buio nell’oscurità del crepuscolo invernale, Liv non riuscì a fare a meno di portare lo sguardo al nero castello illuminato nelle sue piccole finestre e torri, la torre della Guferia.

Non tornare a casa. 

Piton era sempre stato stronzo, vendicativo, subdolo, invidioso, scorbutico, orgoglioso, velenosamente sarcastico ma mai stupido. Sì, certo, gliel’aveva detto più volte, che era stupido, ma mai pensandolo davvero perchè non lo era.
E uno non stupido non chiede vendetta ad una sua nemica, ad una che lo odia.
Non appenderei mai a testa in giù James e Black per vendicarlo e il motivo lo sa benissimo anche lui, lo sa tutta la scuola.

Con che coraggio ha osato darmi il biglietto se l’unica cosa che abbiamo sempre fatto è stato lanciarci addosso fatture che staccano la testa alle statue e potano di netto i cespugli? 
Piton non era stupido e quel biglietto gliel’aveva per forza dato per farle leggere la  frase nascosta, la frase che le stringeva il cuore ogni minuto di più dietro le costole doloranti dal gelo perchè in mano non solo non aveva i tre Boccini ma nemmeno LA lettera.
Adesso, lì con tra le dita soltanto sulla sua scopa, ne era più che certa.
Mary poteva dire che il pericolo a cui Piton l’aveva messa in guradia era un attacco dei Mangiamorte in un punto imprecisato di Londra ma se suo padre stava davvero bene avrebbe dovuto scriverle anche soltanto per chiederle se ci sarebbe stata al binario nove e tre quarti il ventidue di dicembre.
Agguantò meglio la sua Comet schiacciando con più forza la neve con gli stivali di Quidditch in uno scricchiolio che si confondeva con quelli di tutta la squadra, in cammino davanti a lei.
Morgan di nuovo di un colore normale, con Michael a dirgli chissà cosa, vestito ed avvolto dal mantello e da un braccio di Harrison sulle spalle.
Daisy che rideva insieme a Carter.
«Che c’è che non va?»
James, al suo fianco.
«Lily e la Piovra Gigante hanno discusso per le ventose e i tentacoli, e potrebbero ricominciare a litigare all’infinito da un momento all’altro ma per adesso sembrano andare di nuovo d’accordo» snocciolò Liv guardandolo scuotere piano la testa e il suo vaporoso cespuglio nero ribelle.
«Che c’è che non va in te, Liv» specificò lui puntandole lo sguardo dritto negli occhi.
«Preferirei non parlarne» si ritrovò a rispondergli lei senza pensare. La faccia improvvisamente offesa di James assomigliò a quella di un bambino troppo cresciuto.
«Tra compagni di squadra si dice tutto»
«Non riguarda il Quidditch»
La faccia ancora più offesa di James assunse una leggera sfumatura più adulta. Gli occhi nocciola dietro la montatura rotonda si fecero più profondi.
«Tra amici si dice tutto»
Liv non riuscì a non sorridere. Un sincero sorriso che gli occhi grigi di Sirius- in disparte dietro di loro- videro sul profilo della sua rivale rivolto verso quello del suo migliore amico.
Si era fatto da parte, come aveva voluto lei. Eppure Sirius non riusciva a tgliersi dalla testa il volto e gli occhi di Liv sulla panca al quinto piano.
In quel momento, non aveva seguito James mentre la raggiungeva per chiederle che cosa la preoccupasse tanto perchè no, lui e Olivia sapevano lanciarsi addosso incantesimi e fatture, fulminarsi con lo sguardo, zittirsi l’un l’altra, distruggersi a vicenda ma non parlarsi come stava facendo James, non ascoltarsi, non rimettersi in sesto.
Eppure gli interessava sapere cos’avesse Olivia. Senza capire il perchè, era da lei che sentiva di dover andare in quel preciso momento, come ogni volta che qualcosa non andava in lei. 
«Sirius» lo chiamò James con uno sguardo serio che lo mise subito in allerta. «Andiamo da Silente».
 



 
 
*
 



 
 
Il grande portone di quercia dell’ingresso si aprì e Harrison, Alan e Michael fecero la loro comparsa seguiti da altre divise scarlatte.
Lily si staccò dall’alto piedistallo della clessidra con il leone e i rubini da dove Mary scattò immediatamente in piedi.
I due sguardi speranzosi puntarono subito Liv che varcò l’uscio prima di James e Sirius. E Liv, con il cuore frenetico nel petto da quando James le aveva proposto di andare da Silente, scosse la testa.
«Niente lettera» rispose alla muta domanda racchiusa nelle preoccupate iridi verdi e nocciola.
«Andiamo dal preside» sbottò Mary, risoluta come se non avesse fatto altro che ripetersi mentalmente quella frase da ore, dirigendosi verso la grande scala in marmo che i restanti cinque giocatori avevano già preso. Il livido dolorante sulla gamba- dopo la beccata del suo Newt a lezione con il professor Kettleburn- non faceva più male, non come il peso che le due parole di Liv le avevano appena buttato sul petto.
«E subito» sibilò Lily seguendola a ruota a passo di marcia.
Per tutto il pomeriggio passato in Sala Comune con Remus, Peter e Mary non aveva fatto altro che distruggere con le unghie le etichette delle quattro Burrobirre che si erano bevuti davanti al caminetto con in testa il pensiero fisso dell’assenza di Piton a Pozioni.
Non era normale, non era concepibile. Piton viveva per il suo calderone, per i suoi ingredienti, per i fumi colorati, per l’immenso orgoglio nel vedere le misture obbedire ai suoi gesti, alle sue idee.
Se si stava nascondendo da Liv non era di certo per l’assurda vendetta contro James e Sirius ma per quel messaggio segreto che aveva nascosto nel biglietto, nascosto da Mulciber e gli altri suoi amici.
E Edgar McAdams non aveva mai lasciato passare l’inizio delle vacanze senza nemmeno una lettera.
 
«Pallini Acidi
 
Le due voci in contemporanea di Lily e James fecero scorrere di lato il grande Gargoyle in pietra e la scala a chiocciola sempre in movimento apparve.
Nella penombra di quei gradini nessuno osò fiatare.
Liv, troppo presa a fissare la pietra del muro che scivolava davanti a lei, non vide niente e nessuno.
Aveva dato per scontata la presenza di suo padre. C’era sempre stato a casa, nelle lettere che arrivavano ogni mese a Hogwarts, senza saltare mai un appuntamento. L’eterno litigio per la questione “Partenza” in quel momento sembrava la cosa più ridicola del mondo.
Gli aveva gridato contro, tolto la voce, sbuffato in faccia in macchina e scivolata via troppo in fretta dalle sua braccia al binario nove e tre quarti a settembre.
La consapevolezza di essere in ritardo la colse di sorpresa; Il pensiero di non aver ascoltato quell’assurdo avvertimento di Piton, la colse di sorpresa.
Assurdo perchè Piton che si preoccupava per lei non esisteva, non era mai esistito.
forse- Liv lo sperò con tutto il cuore sempre più impazzito- era ancora una cosa impossibile, forse quella di Piton era soltanto una coincidenza e il gufo e la civetta erano davvero morti nella bufera di neve.
Strinse i pugni attorno al manico di scopa, dandosi della stupida. Per tutto il tempo aveva ritenuto ridicole quelle spiegazioni e adesso, per illudersi, sperava fossero vere. Ma illudersi non serviva a niente, mai.

La salita a spirale della scala cominciava a farle girare la testa o, molto probabilmente, era colpa della tachicardia ormai insopportabile.
James mise subito prima di lei un piede sul pianerottolo. Bussò due volte alla spessa porta scura ma la solita voce di Silente arrivò soltanto un minuto dopo.

«Avanti»

Lily abbassò la pesante maniglia in ottone e l’ufficio di Silente illuminato dalle candele fu davanti ai loro occhi subito catturati dalla presenza del preside, della McGranitt, del professor Dearborn, di Hagrid, dell’Auror Alastor Moody e delle alte fiamme verde smeraldo nel camino. Qualcuno doveva essersene appena andato.
E anche di fretta constatò Sirius posando gli occhi socchiusi sulla Polvere Volante sparsa sul pavimento e poi sullo sguardo nocciola di Mary che sembrava volergli far notare la stessa cosa.
«Buonasera» li salutò Silente in tono sorpreso ma con il chiaro sguardo bonario sopra gli occhiali a mezzaluna posati a metà del naso adunco. Uno sguardo tranquillo e vivacemente curioso che cozzava con quelli allarmati e sconcertati dei professori e di Hagrid, e quello guardingo e sospettoso del grosso Auror.
«Buonasera, signore» rispose James spostando l’attenzione dal camino- adesso con un normalissimo scoppiettante fuoco dorato- al preside, seduto sulla vecchia sedia con alle spalle il cielo scuro dietro le alte finestre chiuse. I magri gomiti, coperti da una vellutata veste viola, poggiati comodamente sulla sua scrivania e le punte delle lunghe ed affusolate dita unite tra loro, in attesa.
«A cosa devo questo inaspettato piacere, James?» chiese pacatamente Silente scrutando con gli attenti occhi azzurri non solo i due Caposcuola ma anche gli altri tre studenti dietro di loro.
«Liv pensa che sia successo qualcosa a suo padre, preside» rispose lui passandosi con impazienza una mano tra gli spettinati capelli neri umidi di neve.
«É un Nato Babbano e vive a Londra » s’intromise Lily senza troppi giri di parole con i verdi occhi a mandorla colmi di frasi che spiegavano il significato di quell’informazione che tutti lì potevano benissimo immaginare. «Non risponde alle sue lettere da due giorni».

Silente sollevò entrambe le sopracciglia argentate, fermando lo sguardo acuto su Liv. Rimase per un lungo istante in silenzio prima di parlare.
«Se fosse successo qualcosa a tuo padre, signorina McAdams, saresti stata la prima a saperlo» esordì Silente usando il suo calmo tono rassicurante che però a Liv non fece alcun effetto, soprattutto intriso in quelle parole sentite più volte.

«Mia madre è babbana, professore. Non sopporta i gufi e me» spiegò schiettamente facendo un passo avanti tra James e Lily, verso la grande scrivania, con il cuore ormai fuori dal petto e con addosso il colpito sguardo sconcertato della McGranitt e di Hagrid.
«Se fosse successo qualcosa a mio padre non si sarebbe presa la briga di scriverle o di scrivermi» riprese, indurendo il tono di voce che divenne accidentalmente più brusco di quello che avrebbe voluto far risuonare in quell’ufficio. Non voleva compassione o pietà, non per una madre che odiava tanto quanto era odiata da lei.
«E Severus Piton mi ha dato un biglietto con un messaggio nascosto che dice  chiaramente di non tornare a casa» aggiunse fregandosene delle ipotesi, delle prove mancanti, delle coincidenze, delle lacrime che potevano averle distorto la vista, dell’occhiata stranissima della McGranitt.
I piccoli occhi neri* sul volto rozzo e scavato dalle profonde cicatrici di Alastor Moody parvero improvvisamente più interessati.

Silente continuò a scrutarla in silenzio con i penetranti occhi azzurri e la loro familiare capacità di metterla in soggezione ed imbarazzo, la capacità di farla sentire totalmente attraversata ed analizzata in ogni sua parte.
Ma quello sguardo intenso da sopra i dorati occhiali scintillanti per la luce delle candele e del fuoco, in quel momento, le regalarono soltanto qualcos’altro che non riuscì a decifrare.
«Capisco» disse piano Silente dopo un po’ «Capisco. Il camino di casa vostra è collegato alla Metropolvere?».
Liv, dopo un attimo di smarrimento per quel sorvolare su Piton come se non l’avesse nemmeno nominato, annuì.
Suo padre aveva collegato il camino di casa loro alla fitta rete di camini, di nascosto da sua madre, per avere una via di fuga in caso di emergenza. Nessuno sarebbe comparso in salotto, nessun mago conosceva il loro indirizzo, suo padre mancava dal mondo magico da anni. Sperava soltanto non l'avesse chiuso, come per tutta l'estate.
Suo padre e la prudenza che secondo lui non era mai troppa.
Quel pensiero le si tuffò nel cuore portando agli occhi amare lacrime che prontamente ricacciò indietro con decisione.
«Bene» fece Silente alzandosi dalla sedia con l’alto schienale, facendo il giro della scrivania e segno a Liv di seguirlo di fronte al camino.
Mary, Sirius, James e Lily li fecero passare, più silenziosi e seri che mai.
I profondi occhi grigi fissi su Liv che allungò un braccio tuffando le dita nella ciotola mezzo piena di Polvere Volante sulla magra mano del preside, al suo fianco nella lunga tunica viola e oro. 

«Controlla se a casa va tutto bene, McAdams. L’hai già fatto prima?» le chiese Silente.

Liv annuì ancora una volta- come dimenticarsi la chiacchierata estiva via camino con Mary cercando di vedere, parlare e respirare con gli occhi, il naso e la bocca colmi di cenere?-e provò ad accennare un sorriso di ringraziamento al preside ma il cuore in gola non riuscì a farle stirare le labbra irrigidite dalla tensione.
Sentì il sospiro di Lily dietro di sè e senza perdere altro tempo gettò la Polvere nel fuoco che esplose in alte fiamme di un verde intenso. S’inginocchiò sul pavimento, immergendo dentro il camino tutta la testa scandendo a chiare lettere l’indirizzo di casa sua.
Sentì le ginocchia ancorarsi alla pietra e la testa vorticare nel tepore smeraldino. Chiuse occhi, naso e bocca ringraziando l’esperienza e quando la testa e i suoi capelli finalmente smisero di girare, ancora prima di aprire gli occhi, sentì la voce di suo padre risuonarle nelle orecchie.

«Torno prima di cena, Margareth. A dopo!»

Sconvolta e talmente confusa da non riuscire nemmeno a scaricare l’immensa felicità che aveva repentinamente preso il posto dell’angosciante ansia sul petto, Liv si chiese se per caso non fosse il suo pressante bisogno di sapere che suo padre fosse vivo ad averle fatto sentire la sua voce.

«PAPÀ!» gridò in un largo sorriso aprendo gli occhi e vedendo le gambe curve del divano e della poltrona in tartan blu del salotto di casa sua che nascondevano per metà la porta aperta che dava all’ingresso. Sull’appendiabiti in legno c’era soltanto il cappotto marrone della madre e un ombrello nero.
Il salotto era vuoto e un’ondata di panico travolse lo stomaco già sottosopra, ma non c’erano segni di lotta o distruzione, da quel poco che riusciva a vedere.

«PAPÁ?». Riprovò a chiamarlo stando ad ascoltare la sua voce echeggiare nella stanza.

Il silenzio che continuò a seguire il suo richiamo le spense del tutto il sorriso stirandole nuovamente i nervi che soltanto qualche secondo prima le si erano sciolti con solllievo.

«PAPÀ!?»

 Il rumore secco dei lontani e bassi tacchi scuri che Liv vide apparire nel suo ristretto campo visivo furono ovattati quando passarono velocemente sopra il grande tappeto al centro della stanza.
Si stupì della felicità che quelle scarpe familiari le fecero scoppiare nel cuore.

“Non tornare a casa”

Quell’avvertimento le aveva creato in mente mille e più versioni della sua casa: Vuota e buia, invasa dalle fiamme, ridotta ad un cumulo di macerie, messa a soqquadro. Quelle scarpe che aveva sempre odiato significavano invece che in casa andava relativamente bene.

Gli occhi sgranati e la borsa in mano, guardandosi attorno sconcertata, sua madre fece la sua comparsa in salotto nel suo tailleur grigio di tweed e con i biondi capelli raccolti morbidamente sulla nuca e coperti dal solito cappellino che la faceva apparire ancora come una sobria donna degli anni cinquanta.
L’urlo sorpreso che lanciò voltandosi verso il camino fece vibrare fastidiosamente i timpani di Liv.

«Dov’è papà!?» chiese immediatamente socchiudendo gli occhi scuri uguali a quelli di Margareth che, sconvolta, non rispose.
«Santo cielo. Diavolerie...»
«Dov’è
«É appena uscito per andare al bowling» scattò la donna bruscamente, poggiando una mano guantata di nero sullo schienale della poltrona per reggersi in piedi.

Le labbra di Liv si sciolsero in un piccolo sorriso. Allora aveva davvero sentito la sua voce. Lo sguardo sempre più orripilato di Margareth, fisso sulle fiamme verdine del fuoco, le fece indurire nuovamente i lineamenti.

«Sei stata tu a nascondergli le lettere che gli ho inviato?» le chiese senza premurarsi di velare un aggressivo tono accusatorio.
«Quali lettere?» sputò acidamente sua madre di rimando.

Liv aggrottò le sopracciglia, stranita davanti a quella reazione sinceramente sorpresa ed ignara. Il gufo e la civetta si erano davvero persi nella bufera allora.

«Gli ho inviato due lettere»
«Non ne è arrivata nemmeno mezza qui dentro o vedresti i cadaveri di quei maledetti uccelli della malora in mezzo ai ceppi dove tu stai innaturalmente parlando!»
«Digli che gli ho scritto e che domani tornerò a casa»

Liv fece in tempo a vedere le labbra della madre arricciarsi con disappunto prima di ritrarre la testa dal camino di casa sua.
Dopo un’altra ondata di vertigini e cenere, voci da altri caminetti e luci di altre stanze sconosciute, si ritrovò dolorosamente inginocchiata sul pavimento davanti al fuoco scoppiettante del Preside che, aiutato da Lily, la tirò sù per un braccio rimettendola delicatamente in piedi.
Gli sguardi di tutti la stavano puntando con una certa tensione, perfino quelli del professor Dearborn e di Moody. Ma furono quelli lucidi di Lily e Mary a farla parlare in un ampio sorriso sollevato.

«Mio padre sta bene»

Mio padre sta bene.

«La ringrazio, signore»

Silente annuì in un piccolo inchino della testa argentata, i chiari occhi azzurri scintillanti sopra gli occhiali a mezzaluna.
 

Fuori dall’ufficio del preside, con la porta dal batacchio in ottone chiusa alle spalle, Liv si ritrovò tre teste e sei braccia a stringerla in un’unico e contemporaneo  soffocante abbraccio.

«Ahi! Potter!»
«Hai la testa dura, Evans. Per Merlino»
«Le avete entrambi dure! Ma che male ho fatto per trovarmi in mezzo a voi due?»
«Scusa, Mary»
 
E un paio di penetranti occhi grigi a fissarla intensamente, in silenzio.  



 
 
 
*
 
 
 



«Smo-oooke on the waaateeer! A fire in the sky»
 
Remus non sapeva cosa fosse peggio tra la voce rauca di Sirius- chiuso in bagno e in doccia da un’ora e mezza- che tentava di imitare quella non proprio tranquilla del cantante dei Deep Purple proveniente della radio poggiata su baule S.O.B. oppure i ridicoli movimenti del balletto improvvisato di James in boxer, camicia bianca, calzini e più arruffati che mai capelli bagnati che aveva cercato di pettinare dalla stessa ora e mezza di Sirius.
Xeno Loovegood, al suo confronto, si sarebbe potuto definire un ragazzo elegantemente sobrio ed equilibrato.

Peter ride senza controllo dalla stufa dove sta scaldando il suo accappatoio che temo non userà prima di domani mattina. Lui, forse, ne è completamente ignaro.
 
«Smo-oooke on the waateer! Pa-pa-paa... pa-pa papaa... pa-pa-paa papaaa»
 
James ha appena preso la sua preziosa ed adorata Nimbus- la stessa che fa levitare mentre la lucida per non graffiarla per sbaglio- e la usa come chitarra con il pettine che gli fa da scomodo plettro. 

«Pa-pa-paa... pa-pa papaa... pa-pa-paa papaaa!»

La sta usando come chitarra, con il pettine che gli fa da plettro. 
Dev’essere già ubriaco.

 Sirius uscì dal bagno in una scia di profumo maschile fischiettando l’assolo della chitarra elettrica immaginaria di James, quella che la radio stava ancora emettendo spaccando i timpani a Remus e quella che Sirius stesso aveva ‘artisticamente’ riprodotto con dei convinti “Pa-Pa-” pochi secondi prima.
Sirius uscì dal bagno sfoggiando un paio di jeans strappati, anfibi neri stretti alle caviglie, la maglia dei Rolling Stones con la linguaccia rosso fuoco seminascosta dal giubbotto in pelle nera e Remus capì immediatamente con chi avrebbe passato la serata.

«Ecco chi è la ragazza sfortunata di stasera» commentò dal suo baldacchino infilando un maglione ben piegato nel baule per la partenza dell’indomani mattina  «Quella drogata stesa sul marciapiede sotto casa tua quest’estate».
Cordialmente, Sirius gli fece il dito medio mentre l’ennesimo “Pa-pa” si affievoliva, James si accorgeva di aver toccato la sua scopa fuori dal campo di Quiddich e lo speaker babbano alla radio truccata annunciava la canzone successiva che con profondo orrore di Remus non fu un rilassante pezzo jazz ma i Led Zeppelin.
Peter corse in bagno, James liberò un “NO!”degno delle migliori tragedie greche abbracciando con amore il suo manico di scopa e lo sguardo di Sirius, improvvisamente acceso da una sinistra punta di malizia, fece partire il mentale conto alla rovescia di Remus che si preparò ad ovattare le orecchie per evitare che la voce adesso stridula dei ‘due’ cantanti lo portasse a distruggere il suo bagaglio a testate.
«Yoou need coolin’… baby I’m not foolin’!»
Il ballo di Sirius non è ridicolo come quello di James prima. Il ballo di Sirius è imbarazzante (per me), molto probabilmente sexy (per tutte le ragazze del castello) e da imitare (per James). 
 
«I’m gonna sey...go back to schoolin’!»


Ma, chissà come, i movimenti che fanno apparire Sirius uno spogliarellista affermato in James fanno invece pensare ad uno del San Mungo senza pozioni curative, un ubriaco travestito da donna, una nonnetta che crede di avere ancora vent’anni...
 
«A-way down inside, a-honey you need it!»


Sono consapevole del fatto che spetta a me fermare James che ammicca in quel modo esagerato da sopra gli occhiali passandosi addosso le mani con foga.
Spetta a me fermarlo ma non quando imita Sirius per prenderlo in giro, come adesso.
 
«I’m gonna give you my lo-oove! I’m gonna give you my lo-oove!»
 
Mi spetta anche fermare Sirius. Questo sempre. Anche perchè le voci da gatto strozzato cominciano a crearmi tic abbastanza evidenti.
 
«Wanna whole lotta love!»
«Direi che stasera, Sirius…»
«Wanna whole lotta love!»
«Meno berrai e meglio sarà. O ti ritroverai padre tra nove mesi...»
«Wanna whole lotta love!»
«Del figlio della drogata. Poi voglio vedere se canterai ancora...»
«Wanna whole lotta love!» «”Vuoi tutto quanto il mio amore?”»
 
Con una lenta camminata ballata- che qualsiasi ragazza non soltanto di Hogwarts troverebbe “sensuale”- Sirius raggiunse il suo comodino per afferrare la bacchetta di Liv e asciugarsi i capelli a testa in giù senza dar pace alle sue corde vocali e ai timpani degli altri, anche quelli delle stanze vicine.
James, dietro di lui, si avvicinò a passo di gallina alla radio. L’unica cosa che Remus riuscì a fare fu scoccargli un’occhiata riconoscente.
E James, accovacciandosi lì davanti con il pettine pieno di capelli annodati in una mano e la bacchetta nell’altra, cominciò ad armeggiare con le manopole.
Il fastidioso fluscio del cambio d’onda annunciò il pericolo tangibile nelle iridi ambrate di Remus che corsero sulla figura di Sirius.
 
«... E questi erano gli Hobgoblins, qui, su RSN*!»

Sirius, scandalizzato e a dir poco schifato, si liberò dei capelli sul viso girandosi verso la radio così velocemente da farsi male al collo.

«Ma L’Ora della Magia non può definirsi completa senza un classico natalizio! Alzate il volume, care signore, per l’adorata Celestina Warbeck!»

Fu la prima nota acuta a trasformare l’occhiata riconoscente di Remus in minacciosa, assassina e lievemente isterica.
Fu sempre quella prima nota acuta a far rimbombare qualcosa in bagno, di sicuro Peter scivolato in doccia dallo spavento.
James fu l’unico a sorridere malvagiamente sollevando ed abbassando le spalle al ritmo della canzone, tirandosi la camicia bianca sulle pelose gambe nude come se avesse a che fare con un carinissimo mini abito bianco ghiaccio.

«Vieni, mescola il mio calderone!» 
«Remus?» fece Sirius innaturalmente calmo davanti a quello che era il suo migliore amico in quel momento tutto preso ad ammiccare e strofinarsi la sua cravatta nera sulla schiena come un boa piumato delle vecchie dive.

«E, se con passione ti riuscirà, il mio forte amor bollente questa notte ti scalderà

«A questa non dici niente? È peggio dei Led Zeppelin»
«Sì, in effetti non avevo mai fatto caso ai doppi sensi...» rispose pacatamente Remus con gli occhi socchiusi per il dolore che la voce di James gli stava facendo provare e per lo sconcerto nel vederlo aggrapparsi lascivamente ad una colonna in legno del baldacchino di Peter.

«Non ce la faccio» sentenziò Sirius allontanandosi da lì per aprire stoicamente la porta del bango e rinchiudersi dentro con un Peter urlante.


«Vieni, mescola il mio calderone!»
«Preferisce Peter nudo a te, James. Renditi conto»
 
 



 
*



 
 
 
 
 
«Dai, Liv, almeno quello viola!»
«No!»
 
Mary sbuffò lanciando la boccetta di smalto pervinca dentro il baule aperto sul letto sfatto.
«Sei sempre la solita!» gli gridò di rimando rivolgendosi alla porta del bagno chiusa dove una scalza Lily sostava a braccia conserte, in attesa in un semplice vestito blu notte aderente in vita e sulle maniche lunghe ma dalla morbida gonna a ruota che le sfiorava il ginocchio.
«Liv, mi serve lo specchio»
«Usa quello sul letto di Mary, Lily»
«No, mi serve quello del bagno»
Lily attaccò la maniglia, abbassandola e sollevandola ripetutamente.
«Ma cosa devi fare di così impegnativo!? Devi andarci con Potter non con il tuo ragazzo!»
«Ci vado con James per incontrare il capitano dei Puddlemere United!»
 
«Finitela o mi farete crepare di gelosia. Questa agitazione da preparativi crea una certa invidia, sapete?» si lamentò Mary, ancora in divisa scolastica, buttandosi di traverso sul letto di Liv per sfogliare distrattamente Il Settimanale delle Streghe che aveva preso dalla Sala Comune con l’intenzione di ricreare su Lily la pettinatura della modella in copertina.
Inutile dire che Lily si era categoricamente rifiutata di farsi incantare i capelli a forma di stella cometa con tanto di fate ad illuminarli.
«Quindi, i baci di John?» riprese il discorso iniziato dopo pranzo ed interrotto dalla lezione di Pozioni «Non ti piacevano più perchè aveva smesso di lavarsi i denti da quando l’avevi lasciato l’anno scorso?»
«Che schifo» commentò Liv uscendo dal bagno con la bacchetta di Sirius ad asciugarle i corti capelli castani come se niente fosse.
Sia Lily- rimasta a braccia conserte sullo stipite della porta finalmente aperta- che Mary- immobile nel gesto di voltare pagina- la seguirono con occhi sconcertati.

«E questo sarebbe il look che ti ha rubato un’ora di tempo, Liv?» chiese Mary indicando la maglia delle Holyhead Arpies sotto il giubbino in pelle, i jeans e il paio di bassi stivaletti neri.
«Sì, perchè?» fece lei in una risatina avanzando per la camera a testa in giù rischiando di sbattere sui bauli ai piedi dei baldacchini rossi.

Mary si limitò a sollevare entrambe le sopracciglia bionde, senza parole ma con un piccolo sorriso ad incurvarle le labbra.
Era quella la Liv che voleva vedere.
Quella che nell’ufficio di Silente aveva sorriso con il naso sporco di cenere, gli occhi scuri pieni di luce, il cuore al suo posto e non in gola a farle uscire parole strozzate.

«Ma il capitano che dovete incontrare non è dei Puddlemere United?» domandò Lily entrando in bagno con lo stesso sorriso di Mary, indicando la maglia verde scuro con il famoso artiglio d’oro della squadra inglese tutta al femminile che Liv, rimettendosi dritta con i capelli a svolazzare all’aria, si lisciò con una mano.

«L’ho messa giusto per rimarcare chi vincerà il campionato quest’anno» rispose Liv allegramente infilandosi la bacchetta di Sirius in tasca. «Andiamo?»
«Oh, no! Ti prego, fammelo fare!» trillò Mary mollando la rivista e saltando giù dal letto per correre a prendere la bacchetta sul suo comodino.
«Fare cosa?» fece Liv stranita quanto Lily, affacciata allo stipite della porta del bagno con le mani sul fermaglio dietro la testa che le teneva morbidamente i capelli rossi semiraccolti.
Vedendo Mary coprirsi anche la testa con il suo accappatoio azzurrro, brandendo la bacchetta e puntandola su Liv, l’unica cosa che Lily sentì di dover fare fu mollare il fermaglio per correre a bloccare Liv con già la bacchetta in mano e gli occhi sgranati d’incredulità ed incapacità di capire il perchè Mary avesse improvvisamente istinti omicidi verso di lei.
«Non puoi andare al ballo in questo stato» ghignò Mary e l’unica cosa che Lily fece, in realtà, fu scoppiare in una risata senza controllo poggiata al muro davanti a Mary, improvvisamente trasformata nella fata madrina di Cenerentola.

«Salagaduula, Megicabuula, Bibbidi Bobbidi Bu!»

I corti capelli di Liv si allungarono con un elegante movimento della bacchetta, sollevandosi in un’acconciatura vittoriana senza che lei potesse farci niente.

«Fa la magia tutto quel che vuoi tu, Bibbidi Bobbidi Bu!»

«MARY!» ruggì Liv, risvegliata dallo schock iniziale, stringendo i pugni vedendo il suo nero giubbino in pelle trasfigurarsi in una ridicola mantella viola con fiocco.


«Con Salagaduula puoi»
«BASTA!». Il ringhio di Liv non fermò i suoi bassi stivali che si sollevarono sopra dei tacchi lilla.

«Far tutto quel che vuoi!»


I jeans le si allargarono diventando un’ampia gonna a fiori tutta balze.
 
«Ma la frase pero' che tutto puo’e' Bibbidi Bobbidi Bu!»
 
Lily, con le risate a scintillare anche nei lucidi occhi verdi ridotti a fessura, si appiattì sul muro per lasciar passare Liv che, scappando da Mary, cambiava continuamente colore e forma.
«MARY!»
«Oh, dai! È da quando ho comprato la bacchetta che aspettavo l’occasione giusta! Non vedevo l’ora di farlo!»
«FINISCILA!»
«Anzi, da quando mamma mi ha letto la storia e ho cominciato a desiderare di avere poteri magici! Vuoi distruggere il sogno di una bambina di cinque anni Liv?!»
Le corte unghie delle mani di Liv, aggrappate alla tenda del baldacchino di Lily sul quale era saltata con Mary alle calcagna, si tinsero di viola pervinca.
La risata di Lily si placò quando Mary notò tra le coperte il suo orologio da polso segnare le otto e la sua attenzione si rivolse anche a lei.
 
«Santo cielo! È tardi, sapete!? Perdete il ballo se non andate!»
 
«Scappa, Lily!» gridò Liv saltandò giù dal letto ed afferrando per un braccio l’amica che riuscì a prendere al volo le sue ballerine blu da sopra il baule prima di essere trascinata fuori dal dormitorio.
 
«In carrozza! Montate, leste!»
 
«È pazza! É pazza, Lily!»
«Sì, una di noi tre è già andata! Ci eravamo ripromesse di non farlo prima dei centodieci anni!»
 
Mary, radiosa nel suo accappatoio turchese, le salutò soavemente con la bacchetta dalla porta.
 
«E divertitevi alla festa
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
*In H.P. e la Camera dei Segreti (pag. 193) a dicembre la Sprite mette sciarpe e calze alle mandragole. Un’operazione molto delicata che soltanto lei e (presumo) gli studenti del settimo anno possono fare.
 
*In un'intervista, in risposta al fatto che Sirius si è messo a ridere quando Peter l'ha "fregato" dopo aver finto la sua morte la Rowling ha detto: "Peter Minus si era rivelato un mago migliore di quanto credessero. Si era scoperto che era molto bravo a nascondere i segreti".  
 
*Tra le abilità di Sirius (riportare dalla Rowling sulla scheda di Pottermore del personaggio) ci sono Incantesimi e magia non verbale.

*Sturgis Podmore: i Malandrini e le ragazze lo conoscono perchè ha solo tre anni in più di loro. Lo sappiamo grazie ad un articolo della Gazzetta del Profeta nel quinto libro, pag. 279, nel quale accanto al suo nome mettono la sua età (38 anni). Era il 1995 quindi facendo un semplice calcolo risulta che Sturgis è nato nel 1957. Ha due anni in più di Sirius.

*Alastor Moody nel ’77 aveva entrambi i suoi occhi. Lo sappiamo perchè quando Harry ‘casca’ nel Pensatoio (H.P. e il Calice di Fuoco, Cap. “Il Pensatoio”) e finisce nell’aula dei processi del Wizengamot con Karkaroff in catene, Harry descrive l’Auror con gli occhi neri, intatti così come il suo naso. Il ricordo di Silente in questione  è un ricordo che appartiene al periodo subito dopo la morte di Lily e James, il periodo dei processi ai Mangiamorte catturati. Mi sono accorta di questo soltanto adesso, ho quindi corretto la descrizione di Alastor nel capitolo “Vigilanza Costante” (la prima uscita a Hogsmeade in questa storia).
 
*RSN (Radio Strega Network). Sempre invenzione della Rowling, non mia.
Questa https://www.youtube.com/watch?v=GLl4gYiTZy8 è la traccia audio postata su Pottermore della canzone di Celestina Warbeck “Un calderone pieno di forte amor bollente” che Harry sente alla Tana alla cena della vigilia di Natale in H.P. e il Principe Mezzosangue, pag. 304.
 
 
Le ultime parole in corsivo di Mary sono le stesse (messe al plurale) che usa la fata di Cenerentola nel film di animazione Disney (è del 1950, quindi siamo giusti con i tempi).
Non preoccupatevi, anche Mary avrà il suo bel daffare durante la festa. Come Remus.

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** 31. Notte senza Luna ***


Il mio buon proposito di pubblicare lo stesso giorno in cui si svolge questo capitolo (21 dicembre) per farvi gli auguri di Natale è andato beatamente a farsi... 
...un giro con la slitta guidata dalla mia autostima, Babbo Natale, la Befana e  mancava poco salissero anche Arlecchino e Pulcinella con tanto di coriandoli.

Di questo capitolo avevo uno scheletro pronto da mesi, forse un anno, che inspiegabilmente si è cancellato facendomi perdere dialoghi, scene abbozzate, introspezioni, la sanità mentale rimasta dopo questi mesi non proprio allegri.
Sono di nuovo qui grazie a voi che continuate a leggere questa ‘cosa’ a più capitoli da anni (mio dio sono davvero anni... uno dei quali perennemente immerso nel Natale, dettaglio vergognoso), ormai. Ma soprattutto grazie alle vostre recensioni e ai messaggi privati (GRAZIE, non smetterò mai di dirvelo) che tengono in piedi la storia e che ogni volta mi lasciano senza fiato e con tantissima energia (anche dopo le crisi di Alzheimer del pc) senza la quale non potrei buttar giù nemmeno una riga soddisfacente.

Grazie.
 

Questo è un capitolo stra lungo.

Quindi... pronti? 
Vi ho dato parecchio tempo per prepararvi. Quanto sono premurosa! (A parte gli scherzi: Scusatemi).

Ultima sistemata ai capelli, alle gonne e ai papillon (ci siete anche voi, maschi) e andiamo alla festa di Lumacorno con James e Liv.
 
 



 
 


 

Capitolo 31
 

NOTTE SENZA LUNA

 
 




 
 
«Susan Wilson»
«Nah... non li vedo insieme da ottobre»
«Che c’entra? Mica tu sei con loro la sera, fuori da qui. Quella è Corvonero...»
«Non sarai per caso tu, Jane? Sei l’ultima che ha baciato o sbaglio?»
«Se fossi io non sarei qui con voi in divisa, Megan, ti pare?»
Appena James mise piede sull’ultimo gradino della scala a chiocciola della Sala Comune fu come se il peso di tutte le domande dell’universo gli si scaraventasse addosso senza pietà.
Poteva chiaramente sentirlo attraverso gli sguardi di fuoco di Patrik O’Brien e del gruppetto di ragazze sedute sulle poltrone vicino al camino che l’avevano centrato in pieno con circospezione fin da subito.
“Con chi va alla festa Sirius?”
“Tu lo sai”
 “Dove l’hai lasciato?”
“Chi è la maledetta ragazza di Black?”
“Diccelo”
“Perchè quando un toast ti cade dalle mani atterra sempre dalla fottuta parte della marmellata?” 
E no, James non aveva idea del perchè i toast facevano ogni volta i bastardi come quello di Patrik O’Brien spiaccicato sul tappeto ma sì, sapeva con chi Sirius sarebbe andato alla festa e si limitò a sfoggiare un largo sorriso sfacciatamente malandrino sistemandosi il papillon al collo- miracolosamente ‘creato’ da Remus- mentre avanzava tra le poltrone con altre due paia di occhi posati su di sè che avevano adocchiato con aria emozionata il suo elegante abito da mago.
Secondo Remus, distorcere le sorprese di Sirius per farle diventare soprese a Sirius è  “Prolungare la vostra idiozia, James”. Proprio una cosa da fare quindi, naturale come passarsi una mano tra i capelli specchiandosi su una pallina lucida appesa all’albero vicino al retro del ritratto della Signora Grassa. 
«Mirtilla Malcontenta» esordì osservando sulla liscia sfera non se stesso ma il gruppetto di ragazze fintamente disinteressato sul divano riflesso insieme alle lontane fiamme del fuoco, alle luci della Sala e quello dei festoni colorati appesi tra i fitti rami verde scuro.
Rimettendosi dritto, il sorriso gli si allargò compiaciuto guardando le ragazze improvvisamente borbottanti.
«Sirius ha una tresca con lei da... praticamente sempre... e stasera la porterà alla festa. Problemi?» continuò sistemandosi pigramente una larga manica nera. «Ah, quando si dice che l’amore vero va oltre l’età, le regole, i limiti, un corpo solido...» 
«Fatti fare almeno la treccia!» La voce squillante e ridente di Lily fu quella che spostò l’attenzione da James alla porta dei dormitori femminili.
«Saresti stata più adatta tu in divisa» mormorò tra i denti una ragazza con due lunghi codini neri a piovergli davanti alle spalle mentre si chinava leggermente verso Jane che non riuscì a non ridere sottovoce schiacciandosi un cuscino davanti alla bocca osservando l’ampia gonna a fiori di Liv, intenta a riportare in vita il suo giubbino in pelle mentre Lily cercava d’intrecciare armoniosamente i suoi di nuovo lunghi capelli castani.
Da dietro le lenti rotonde gli occhi nocciola di James faticavano a stare fermi, attirati dal troppo ridicolo e dall’assolutamente ipnotizzante. La lunga gonna floreale che a prima vista gli sembrò la tenda damascata di casa sua- quella appartenuta a mia bisnonna di centocinquant’anni, tanto per essere chiari e dare l’idea dell’aspetto antiquato che la mia accompagnatrice sfoggia come se niente fosse- lo catturò per assurdità tanto quanto il blu notte svolazzante sopra le lisce ginocchia bianco latte lo richiamava per fascino, attrazione o qualsiasi cosa fosse il bisogno incontrollabile di fissarlo che l’aveva appena pervaso.
E la mantella lilla con tanto di fiocco, degna degli abbinamenti più azzardati della mummia/professoressa di Divinazione nei giorni con “Urano contro”,riacciuffò la sua vista prima di essere di nuovo rapita dai folti e fluenti capelli rossi che si muovevano sinuosamente in ramati riflessi lucenti sulla stoffa blu scuro che avvolgeva le piccole spalle e le magre braccia di Lily facendoli risaltare come non mai. Le morbide ciocche vermiglie sembravano accendersi come fiamme in quel blu notte così simile al cielo fuori dalle finestre.
Lo sguardo decisamente confuso e quasi stizzito di James rimbalzò da un dettaglio all’altro fino a fermarsi con fastidio sul lentigginoso viso radioso di Lily ormai davanti a lui con le ciglia più lunghe e nere del solito ad ingrandirle ulteriormente gli occhi verdissimi e luminosi di divertimento. Belli. Belli esattamente tanto quanto la voglia di staccare la testa a Owen.
 E anche se in quel preciso momento fosse passato uno Snaso in bicicletta, la McGranitt con un bikini fatto con il tappeto damascato della prozia o Lumacorno con un ananas intero in testa al posto della sua solita cuffia, James non aveva alcun dubbio sul fatto che la sua attenzione sarebbe schifosamente rimasta sui verdi occhi a mandorla che brillavano davanti a lui, sulla morbida curva piena delle labbra naturali che lo salutarono stando miracolosamente sollevate verso l’alto come il papillon piegato da Remus.
«Sembrate venire da due mondi diversi» esordì Lily osservando Liv toccarsi con sollievo i jeans di nuovo aderenti alle gambe e poi James nel suo elegantissimo abito sicuramente su misura vista la perfezione con cui la stoffa nera gli scivolava addosso.
Mentre lo smalto alle dita di Liv diventava di un intenso nero inchiostro, Lily si ritrovò a soffermarsi spudoratamente sulla nera testa arruffata: Con quei capelli Potter sarebbe riuscito a sdrammatizzare qualsiasi smoking.
«Così va decisamente meglio. Potrei abituarmici» commentò Liv in un grande sorriso rivolto alle sue unghie e poi a James che tentò di parlare, salutare almeno, passandosi orgogliosamente una mano tra i capelli a dispetto dell’occhiata perplessa di Lily ferma proprio lì da un tempo esageratamente lungo per essere quella di una persona con pensieri positivi a riguardo.
Bloccò le labbra in tempo, chiudendole di scatto, perchè nessuna delle frasi che aveva sulla punta della lingua sarebbe stata approvata dalla lista anti-rimbeccillimento e dalla vocetta saccente.
“Se fossi nudo mi guarderesti in mezzo alle gambe o ancora i capelli, Evans?” veniva automaticamente sovrastata dalle imprecazioni di Remus.
“Sei bellissima, Lily” era invece una di quelle frasi che Sirius aveva segnato con un’enorme X rossa così come “Felpato, mi presti i tuoi calzini fortunati?” anche se con il rimbeccillimento non c’entrava un emerito bolide.
«Trattamela bene, Potter, o te la dovrai vedere con me» lo minacciò Lily facendo la voce grossa puntandogli l’indice contro. «E a casa per mezzanotte!» aggiunse prima di dare le spalle ad entrambi e dirigersi verso il retro del ritratto dove sparì subito dopo con i lunghi capelli rossi ad ondeggiarle sulla schiena evidenziata dall’abito aderente in vita.
Liv sollevò un sopracciglio castano scrutando in silenzio James che con la coda dell’occhio e le braccia conserte aveva seguito Lily con lo sguardo cercando di fare l’indifferente.
Gli si parò davanti avvicinando il viso a quello di lui con il naso arricciato e la fossetta in evidenza al lato delle labbra.
«Credi che Lily Evans sia meglio della tua accompagnatrice?» gli chiese affilando lo sguardo fintamente offeso.
«Quando?» se ne uscì James sbattendo gli occhi guardandola sfacciatamente rilassato come se non fosse invece stordito dal dannato profumo fiorito di Lily che gli aleggiava ancora sotto al naso, infilandosi a forza nelle narici e scavandoci dentro per farsi strada verso il cervello contro la sua volontà.
Senza pudore, Liv gli rise in faccia.
«Idiota» la insultò giocosamente James rituffando la mano tra i capelli.
«Io?!» chiese incredula lei.
«Tu» fece lui porgendole il braccio.
«Non sono vestita in modo adatto per tutta questa cavalleria, Capitano» fece notare Liv in un mezzo sorriso divertito.
Quello di James si allargò a dismisura. Le passò con molta più agiatezza un braccio attorno alle spalle, lasciandolo ciondolare come la lunga treccia spettinata, mentre Liv rideva di gusto varcando con lui il buco del ritratto.
«É come uscire con Sirius...»
«Cosa?»
«Niente»
 
 




 

*

 

 
 

 





 
Remus rimase per un attimo fermo sotto l’alto stipite inghirlandato della grande porta della Sala Grande profumata di abete e cibo delizioso, sotto l’enorme mazzo di vischio che aveva fatto nascere parecchie coppie in una sola settimana, coppie che molto probabilmente si sarebbero seccate insieme a lui a gennaio.
Gli occhi ambrati avevano vagato tra i tavoli e gli scintillanti alberi di Natale per poi posarsi sulla lontana testa bionda tra i Grifondoro.
Mary stava mangiando senza sollevare lo sguardo dal piatto, accerchiata da vassoi di roast beaf fumante e patate al burro che passavano di mano in mano sopra caraffe di succo di zucca e cestini del pane.
Vedere che sulla panca dov’era seduta i posti erano occupati così come quelli davanti, aveva prolungato il suo starsene fermo in mezzo al passaggio intralciando una ragazzina Serpeverde che gli si era quasi scagliata addosso con una tracolla carica di pergamene, carta regalo, coccarde glitterate e “Una fame da lupo!”.
Fu proprio quell’ultima informazione a farlo smuovere.
Raggiunse a passo svelto il primo spazio libero al suo tavolo, trovandosi costretto a sedersi accanto a delle bambine civettuole del primo anno che appena lo videro ridacchiarono facendo subito posto al Prefetto e membro dei Malandrini, il piccolo gruppo famoso che avevano imparato ad ammirare come la maggior parte dei loro compagni.
Remus non se ne rese conto, non con lo sguardo ancora rivolto ai corti e lontani capelli biondi di Mary scivolati a nasconderle il delicato profilo e la forchettata di carne che si era appena portata alla bocca.
Remus non aveva lo sfacciato menefreghismo di Sirius e i prosciutti sugli occhi di James.
Remus si era accorto dello strano comportamento di Mary, dell’ombra scura sui suoi lineamenti non più sinceri e luminosi ogni volta che ce l’aveva davanti come un’ora prima vicino al camino.
Era chiaro come il sole che lo stava evitando.
Mary si era finalmente allontanata da lui. Quello che aveva sempre desiderato per anni si era avverato e in un certo senso ne era sollevato.
Per una strana ragione, però, la cosa gli creava non solo parecchio disagio ma anche un fastidioso senso di vuoto al centro del petto. Un vuoto che Mary in pochi mesi aveva riempito con le sue logorroiche chiacchierate, i suoi aperti sorrisi smaglianti, le sue divertite risate vibranti, i suoi discorsi appassionati sulle creature magiche e sul suo Occamy ribelle, i suoi sguardi premurosi e complici.
Un vuoto riempito da un’amica che adesso mancava.
Allontanare una presunta fidanzata era frustrante, certo, ed aumentava la rabbia cieca che provava nei confronti del lupo che ululava tra le sue costole ogni volta che la guardava, ma allontanare un’amica era praticamente impossibile ed incredibilmente doloroso. Il Remus bambino, quello chiuso in casa che fissava gli altri coetanei giocare in strada, gridava forse più del lupo.
Avere degli amici era sempre stata un’impresa, un bisogno tremendamente difficile da soddisfare, un evento più unico che raro e perderne uno era come sprecare un miracolo.
Avrebbe voluto parlarle. Non sapeva nemmeno cosa dire, ma avrebbe voluto davvero farlo, in tranquillità, magari tra una forchettata di patate e un sorso di succo di zucca.

«Allora? Ne vuoi un po’?»
«Mh?». Remus staccò lo sguardo da Mary riportando l’attenzione davanti a sè vedendo la ragazzina con la frangia scura e due lunghe trecce porgergli il vassoio dei bignè al cioccolato. Strabuzzò gli occhi abbassandoli sul suo piatto ancora vuoto e sui dolci che avevano preso il posto della cena.

Oh, bene. Sono quasi peggio di James. 

«Prendine dieci. Sei pallido come il mese scorso quando sei finito in infermeria» gli consigliò Trevor Robins con la bocca piena di torta alla melassa mentre la ragazzina gli dava ragione cominciando a riempirgli il piatto di bignè senza che Remus potesse fare o dire niente.
Restò muto, spaesato di fronte alla montagna di pasticcini, alle amiche della bambina che ripetevano quanto fosse pallido e a Mary che si era alzata dal suo posto e che, senza degnarlo di un saluto, era appena passata dietro di lui a passo di marcia e con ciuffi di capelli svolazzanti da quanto andava veloce.
«Mary?» la chiamò con una certa apprensione scavalcando frettolosamente la panca dando l’impressione di star letteralmente scappando dai suoi compagni di Casa.
Proprio per quel motivo, Remus tornò subito indietro acciuffando tre bignè a caso.
«Siete molto gentili» ringraziò con un sincero sorriso affabile prima di correre di nuovo via seguendo la figura di Mary, già oltre il portone.
 
 


«MARY!?»

Mary poggiò con decisione un piede sul gradino di fronte, velocizzando la salita verso il secondo piano.

«MARY!»

«Quel baldo giovane ti sta chiamando, signorina!» l’avvisò da una cornice il piccolo cavaliere dall’armatura scintillante e una spada grande quanto lui.
«Non m’importa, Sir Cadogan» rispose con leggerezza lei passandogli accanto.
«Se continui ad ignorarlo gli verrà un infarto» la informò la giovane strega con un peloso cane in braccio nel quadro affianco «Non sembra deciso a mollare ma a morire sì...».

Mary sospirò pesantemente fermandosi a metà scala. I quadri dovevano per forza parlare?! Quella loro abilità era davvero necessaria per la vita quotidiana della scuola?!
Chiuse gli occhi prima di voltarsi, riaprendoli per osservare Remus arrivarle incontro di corsa, pallido, spettinato e stravolto come non mai.
Quando la raggiunse, bloccandosi un gradino sotto di lei, si poggiò sfinito sulla fitta ghirlanda di agrifoglio che decorava l’intera balaustra cercando di riprendere fiato e darsi un contegno.
«Finalmente» ansimò con un filo di voce sentendo le forze venir meno e ogni muscolo del corpo stirarsi.
Mary sollevò un sopracciglio biondo guardandolo dall’alto verso il basso mordendosi la lingua per non chiedergli perchè fosse così pallido invece di assomigliare ad una pluffa come chiunque dopo una rampa e mezza di scale fatta letteralmente a gambe in spalla.
Non aveva bisogno di altre bugie, ne aveva fin sopra i capelli.
«Ciao, Remus» lo salutò usando un tono così neutro che non fece sentire uno schifo soltanto lei ma anche lui, immobile lì davanti con gli occhi ambrati così addolorati da impressionare anche i quadri.
«Possiamo parlare?» le chiese Remus allentandosi con sofferenza la cravatta rossa e oro al collo scrutando con la coda dell’occhio il sorrisino della strega e Sir Cadogan cercare di togliersi goffamente l’elmo luccicante dalla testa.
L’espressione sorpresa di Mary fu la prima reazione sincera e spontanea che le vide fare dopo quelli che erano sembrati giorni e non ore.
«Certo» fece Mary cercando di ignorare il cuore battere con furia e fastidio come se si stesse ribellando allo stare lì, ancora ad ascoltare quel bugiardo cronico. «Peter dov’è?» gli chiese soffocando una punta di acidità nel tono della voce, non di certo nei confronti di Peter. 
Remus corrucciò le sopracciglia, spiazzato di fronte a tanta ingenuità. Per un istatne pensò che Mary lo stesse prendendo in giro.
«Parlare in un altro senso» specificò lo stesso vedendola allargare gli occhi nocciola come se le avesse parlato nella lingua dei Maridi e non in inglese. Possibile non stesse facendo finta di non capire?
«Quale senso?» sbottò lei lasciando l’acidità libera di raggiungere le orecchie di Remus che, sempre più a disagio, si arrese ad essere diretto.
«Parlare...»
Rendendosi però conto che nemmeno lui sapeva bene cosa dire.
«Discutere».
Mary arcuò le sopracciglia bionde.
«Perchè dovremmo discutere, scusa?»
«Perchè mi stai evitando. Lo sanno anche i muri» rispose immediatamente Remus allargando le braccia per indicare Sir Cadogan ancora alle prese con l’armatura e l’aristocratica strega vittoriana dal sorrisino malizioso.

«Non c’è niente di cui discutere, Remus»
«Se mi stai evitando, sì, evidentemente c’è»
«Non è quello che volevi?»

Il silenzio che piombò subito dopo fu spezzato soltanto dal sordo tonfo dell’elmo di Sir Cadogan cascato sul prato fiorito dipinto nella cornice. Remus non riuscì a ribattere contro quella verità e Mary gli diede le spalle.

«Ci rivediamo a gennaio, Remus. Passa un buon Natale e buone vac...»

 La scala si mosse all’improvviso facendo vibrare i gradini e cascare all’indietro Mary che Remus, con ancora una mano ben aggrappata alla balaustra addobbata, riuscì a ad acciuffare con il braccio libero tenendo in piedi entrambi.
Come due caricature mal riuscite di James e Lily mesi prima, quando erano rimasti a guardarli dal pianerottolo, la strega nel quadro ormai lontano mollò il cane sul grembo per battere brevemente le mani con fare emozionato e Sir Cadogan tentò di sollevare la lunga spada per aria, sbraitando frasi sulla vera cavalleria che nè Remus e nè Mary sentirono.
Mary, poggiata con la schiena sul petto coperto dal soffice maglione di Remus, restò a guardare con diffidenza dal basso verso l’alto gli occhi ambrati a poca distanza dai suoi. Sembrava impossibile fossero davvero così decisi e sinceri come apparivano.
«Sappi che se vuoi parlare con me devi evitare le bugie» mise in chiaro la premessa vedendo Remus aggrottare le sopracciglia castane attraversate da diverse cicatrici scintillanti sotto la calda luce delle lampade di quel grande e luminoso ambiente addobbato non soltanto dalle decorazioni natalizie ma anche da un’infinità di altri quadri pettegoli.
 Da così vicino poteva notarle tutte, quelle vecchie cicatrici, segnare la troppo candida pelle anche vicino al naso, alle labbra, sulle guance, sulla fronte aggrottata e coperta da chiari ciuffi castani, sotto un’occhio così profondo e serio da far tacere la rabbia che sentiva ribollirle dentro.
Da così vicino ce n’erano più di quante ne avesse mai visto in sei anni di scuola e per un attimo, un attimo solo, per Mary fu come avere Animali Fantastici e dove trovarli aperto davanti a sè alla pagina dei Lupi Mannari, quella con la foto della persona dietro il lupo e non del lupo che mascherava la persona come nel Manuale di Difesa.
Che Remus potesse essere un Animale Fantastico trovato in classe sembrava così assurdo e ridicolo.
Non che fosse così impossibile viste quelle infinite cicatrici, il pallore e il fatto che chiunque, anche il pacato e gentile Remus Lupin, poteva trasformarsi in una belva feroce se morso al momento ‘giusto’,  ma avevano parlato spesso dei Lupi Mannari, come se niente fosse, e lui addirittura non ne conosceva le caratteristiche. Li odiava, quasi!
Per non parlare del fatto che se quello era davvero il suo grave problema il suo ‘Non posso’ sarebbe valso soltanto le notti di Luna Piena e non trecentosessantacinque giorni all’anno. Fosse stato un Licantropo avrebbe sicuramente usato frasi come: ‘Non posso, Mary, stanotte ho da studiare ma domani sera sì, sono libero’... 
‘Giovedì? Giovedì non posso, ho da fare... ma sabato a Hogsmeade sarebbe perfetto’.

No, non poteva essere un Lupo Mannaro.
 
«É per questo che mi eviti?» domandò Remus perplesso per lo strano sguardo di Mary puntato insistentemente addosso «Perchè credi che stia mentendo a voler chiacchierare con te? Se sono qui è perchè non voglio perderti»
Il rossore sul viso ad un palmo dal suo naso lo mise improvvisamente in agitazione, spingendolo a correggere il più in fretta possibile la frase.
«Perderti come amica... non voglio perdere un’amica»
«Appunto» scattò Mary allontanandosi dal suo petto per rimettersi dritta su un gradino sopra di lui.
Le braccia di Remus ebbero l’impulso di serrarsi attorno a lei per non farla scappare, per trattenerla ancora su di sè con quella che gli era appena sembrata la sensazione più bella che avesse mai provato.
Farle ricadere con arrendevolezza sui fianchi invece fu quello che si ordinò di fare. Almeno Mary doveva essere libera dalla morsa maledetta delle zampe e dagli artigli del lupo. Almeno Mary non aveva nessuna colpa e nessun motivo per circondarsi di un tale fardello.

«Ad una ragazza potevi anche mentire ma agli amici non si mente, Remus» sbottò, secca, ingoiando un groppo amaro ed abbassandosi con gesto nervoso  il maglione sopra la gonna della divisa prima di incrociare le braccia al petto come per proteggere se stessa dalla fredda ondata di delusione che sentiva sferzarle l’intero corpo come il fortissimo vento pungente che soffiava sulle scogliere di casa sua, in Cornovaglia.
«Hai appena detto che sono un’amica».
Remus si costrinse ad annuire evitando di lasciare che i suoi lineamenti prendessero l’espressione della traboccante angoscia che sentiva fuoriuscire dal petto prima occupato da quella ragazza così carina da zittire perfino il lupo.
«Quindi a me non dovresti mentire. Ma lo fai, sempre, e io sono stufa di essere trattata come se non fossi nessuno. Non sono una ragazza, non sono un’amica... perchè non dovrei evitarti?» concluse Mary notando con piacere e sollievo che la scala si era appena fermata in chissà quale piano.
 
 




 

*

 
 




L’allegra ed antiquata musica anni venti, le risate e il vociare che ad ogni passo nei meandri dei sotterranei si facevano più alti le fecero rimettere in discussione l’aver accettato l’invito di James, quello che gli camminava al fianco con evidente impazienza di sicuro per poter far finta di non imbambolarsi davanti a Lily e al suo vestito blu.
Liv c’era già stata ad una festa di Natale di Lumacorno una volta al quarto anno, quando Lily aveva discusso con Piton proprio prima delle vacanze natalizie e allora era stata costretta ad andarci insieme a lei al posto del Serpeverde che per tutta la serata non aveva perso occasione per augurarle l’ennesima fine con morte violenta servendosi di sole occhiate assassine.
Ricordava ancora la vittoria schiacciante di Mary a Sasso Carta Forbici per decidere chi delle due sarebbe dovuta andare. Non ricordava invece l’ufficio di Lumacorno conciato in quel modo.

«Da quando a Lumacorno piace il circo?» chiese a James che sogghignò sotto ai baffi.
«Da quando si è accorto che somiglia ad un leone marino» rispose attraversando con tutti i sensi in allerta la porta dell’ufficio di Lumacorno impreziosita dal vischio ed immergendosi nella folla di persone in ghingheri sotto l’enorme tendone creato con larghi veli di lamè rossi e argento che coprivano la stanza sicuramente allargata con la magia.
Sui tavolini riccamente imbanditi di cibo svettavano eleganti lampade di vetro colorato con dentro piccole e guizzanti fate che illuminavano di luce soffusa l’ambiente caldo ed affollato non solo da maghi e streghe di tutte le età ma anche da elfi domestici con in mano vassoi d’argento carichi di calici pieni fino all’orlo scintillante. In un angolo, un piccolo gruppo di musicisti accompagnava la voce di un’elegante signora ricoperta di gioielli.
«Stammi praticamente attaccata se non lo vuoi beccare già da adesso e, fidati, non lo vuoi beccare già da adesso» si raccomandò James afferrandole una mano per trascinarla tra le gonne di due ragazze tutte prese a parlare fitto tra loro proprio quando Lumacorno, in una lussuosa giacca da camera di velluto color ametista, fece la sua comparsa con un bicchierino ambrato in una mano e una tartina nell’altra mentre spingeva con eccitate gomitatine un panciuto ragazzo a dir poco imbarazzato verso un distinto signore con la barba intento a scrutare con attenzione i canapè sui tavolini.

«Barnabas*!» tuonò allegramente Lumacorno e quello si girò verso di lui con espressione accigliata.
«Lui, mio caro» esclamò il professore portando davanti a sè il ragazzo «É Barnabas Cuffe! Ha lanciato persone come la giovanissima Rita Skeeter! E tutto grazie ad una mia festicciola come questa! La mia spumeggiante ex studentessa era così felice di incontrarti, Barnabas, ricordi? E adesso guarda dov’è arrivata!»
«Sai, Horace, spero che questo ragazzo somigli a lei e non a Xenophilius Lovegood... il ragazzo che mi hai presentato l’anno scorso, non so se ricordi...»
«Certo che lo ricordo. Corvonero strambo, devo ammetterlo, ma straordinariamente originale!»
«Sì, ecco, mi ha gentilmente mandato a quel paese quando gli ho offerto un posto di lavoro al Profeta per la rubrica ‘Barzellette dal Mondo’»
«Oh, beh, è sempre stato molto eccentrico, Barnabas, non prenderla a male. Credo voglia fondare un proprio giornale e non solo una rubrica per te. Questo signorino qui invece si è candidato come fotografo ufficiale della festa ma non è di certo come farlo per il quotidiano nazionale! Hai portato le tue foto e la tua macchina, Bozo?»
«Certo, signore». Il ragazzo annuì vigorosamente, rosso come le guance e il naso di Lumacorno che gli diede una calorosa pacca sulla spalla.
«Molto bene. Dagli un’occhiata, Barnabas, è fenomenal...». La voce gli si sfumò appena quando, illuminandosi come un bambino di fronte ad un albero di Natale con pacchetti, adocchiò la chioma vermiglia di Lily spiccare come un prezioso rubino tra un parlottante gruppetto di anziani signori seminascosti dal fumo delle loro pipe e la decrepita professoressa di Divinazione* che con l’aiuto di Ambrosius Flume sceglieva con infinita calma i pasticcini nel vassoio rubato di mano ad un elfo domestico.

Lasciò l’allievo Serpeverde al direttore della Gazzetta e, gongolante, si fece spazio tra gli ospiti dirigendosi verso la sua preferita.

«Lily!» vociò arrivandole alle spalle facendola sussultare ed imprecare a bassissima voce mentre più di qualche goccia della sua Burrobirra si suicidava sull’elegantissima camicia bianca di John.
«Buonasera, professore!» salutò frettolosamente con gli occhi verdi mortificati cercando di riparare al danno. Mollò il suo bicchiere a John per afferrare un tovagliolo dal tavolino più vicino e strofinarlo sulla camicia del suo ragazzo con forse un po’ troppa enfasi.
«Signor Owen! Ci si rivede, eh?» constatò Lumacorno in un largo sorriso sotto i grossi baffi biondicci. John annuì, ancora preso alla sprovvista dall’improvviso slancio di affetto della Burrobirra di Lily che si era affettuosamente lanciata sul suo petto.
«Ritieniti fortunato ad essere di nuovo il cavaliere di questa deliziosa fanciulla, Owen!» esclamò Lumacorno battendogli forte su una spalla. La Burrobirra di entrambi i bicchieri- evidentemente innamorati stile Romeo e Giulietta- cascò contemporaneamente sul pavimento in pietra e forse anche sul tulle rosa confetto della tossicchiante accompagnatrice di Dirk Cresswell, immerso con lei nel fumo del sigaro di un signore con un ingombrante cappello nel tentativo di passare inosservato agli occhi del professore.
Lily sospirò, sorridendo per mantenere la calma come aveva sempre fatto quando Lumacorno si dimenticava di non alzare troppo spesso il gomito almeno la prima mezz’ora di festa.
Lo sguardo che lanciò a John fu più eloquente di mille parole. Il Corvonero infatti trattenne una risata vedendola lasciar perdere il fazzoletto e sfilarsi la bacchetta di salice dalla stretta manica dell’abito per ripulire velocemente tutto.

«Professore, questo è per lei» fece poi recuperando dalla piccola borsa a tracolla verde pavone un morbido pacchetto regalo. A quella vista, Lumacorno si gonfiò così tanto portandosi le corte braccia sulla pancia che quasi mollò tartina e bicchiere per terra.
«Mia cara ragazza» pigolò con i chiari occhi colmi di lacrime di sincera commozione «Sei sempre così gentile».
«Non è niente» sdrammatizzò Lily acciuffando di nuovo il suo bicchiere per tuffarcisi dentro e camuffare un sorrisetto nel veder spuntare dalla carta regalo strappata goffamente dalle mani già occupate del professore l’elegante cappellino in uno scuro velluto* appositamente scarlatto che aveva scelto a Diagon Alley, da Madama McClan, in estate.
«É splendido! Splendido!» ridacchiò gioviale Lumacorno posandoselo in testa nonostante facesse a pugni con il viola brillante della sua giacca.
«Le sta bene, professore» commentò Lily in un aperto sorriso divertito piegando leggermente la testa di lato «É per ricordarle che sono una convinta Grifondoro anche quest’anno e per tutti quelli a venire».
L’alta risata di Lumacorno face voltare dei signori anziani con il viso seminascosto dal fumo e la professoressa di Divinazione con un bignè attaccato al naso nel tentativo di capire se fosse al cioccolato o alla crema.
«Vieni con me, cara, devo presentarti due personcine niente male!» squittì poi, entusiasta, posando una mano sulla spalla di Lily che annuì prendendo teatralmente  un sorso forse troppo sostanzioso di Burrobirra come se fosse stato Whisky Incendiario. John trattenne una risata.
«Posso rubartela per qualche minuto, Owen?»
«Faccia pure, signore»

Lily lo trucidò scherzosamente con lo sguardo mentre veniva trascinata via in mezzo alle persone scansando per un pelo un elfo domestico che aveva praticamente già visto sotto la suola delle sue ballerine blu, lo strascico di un abito argentato tutto paillettes luccicanti e il povero professor Vitious scambiato per un tavolino da uno stregone così anziano che faticava a vedere oltre il suo lungo naso.
«Severus, smettila di nasconderti» sbottò bonariamente Lumacorno afferrando per un braccio Piton, costretto a voltarsi e a lasciare Mulciber, Regulus, Barty e uno strano alto mago con gli occhi scuri seminascosti da lunghi ciuffi di capelli neri che diede immediatamente le spalle ai nuovi arrivati come se non volesse farsi riconoscere.
Piton si ritrovò così al fianco del grosso professore e di Lily, bellissima nel suo vestito in raso blu ma gelida come una statua di ghiaccio.
«Seguitemi» intimò eccitato Lumacorno «ho una sorpresa per voi. I migliori devono incontrare i migliori, non è così?!».
Lily e Piton non risposero, troppo presi ad ignorarsi alle sue spalle mentre lui, allargando le braccia come a voler contenere il mondo intero, salutò a gran voce un basso ometto dallo sguardo vivace.
 
«Damocles!»
«Horace!»
 
«Perchè Liv non deve tornare a casa?» sibilò in un sussurro glaciale Lily senza distogliere lo sguardo da Lumacorno e il mago anziano che si abbracciavano calorosamente.
Dal suo fianco non arrivò nessuna risposta.
Per un istante ebbe l’impulso di prendere Piton per le spalle ossute e scuoterlo fino a far uscire le parole e la verità da quelle labbra ogni volta più serrate.
«Liv ha intenzione di tornare a casa» riprovò a mormorare tra i denti stretti come se stesse parando ad uno sconosciuto.

Con la coda dell’occhio vide il volto giallastro di Piton inclinarsi lievemente verso di lei.

«Lily, Severus... vi presento il mio caro amico Damocles Belby*, un pozionista ricercatore!» s’inserì bruscamente il professore, ignaro del breve dialogo tra i due studenti. «Damocles, questi sono i miei due gioielli che ti dicevo...».

Piton irrigidì i muscoli del viso abbassando lo sguardo sui suoi piedi mentre Lily guardò di sottecchi Lumacorno con aria rassegnata.
Essere spudoratamente lodata davanti a degli sconosciuti rasentava il limite dell’imbarazzo e anche del ridicolo, a dirla tutta. Ecco cosa odiava di quelle feste: Non Lumacorno in sè ma Lumacorno versione banditore d’asta che si sbracciava e zampettava da una parte all’altra della sua tela di ragno tessuta con lungimirante sapienza e furbizia.
Qualcosa negli occhi azzurri dell’ennesimo uomo sconosciuto, però, la trattennero lì sul posto accanto ad un Piton esplicitamente scocciato. Quel piccolo signore ben vestito e dallo sguardo gentile aveva tutta l’aria di essere una persona particolarmente intelligente ed interessante.
 
Il sorriso pacifico di Damocles Belby comprendeva anche i suoi acuti occhi azzurri incuriositi.
«Mi stai forse dicendo, Horace, che sono davanti ai due ragazzi che ti hanno preparato un Veritaserum e un Antidoto ai Veleni Comuni in modo eccelso?»
«Esattamente! Non scorderò mai i Bezoar che mi hanno ficcato in mano quel giorno!» rise Lumacorno circondando con enfasi le spalle di Piton. «Severus ha istinto, precisione, lo spirito inventivo che un Pozionista deve avere, come ben sai!».
Belby annuì pacatamente, fissando con i suoi occhietti svegli Piton che Lily notò essere lievemente più rosato del normale mentre veniva scosso affettuosamente dal professore.
«Proprio come Lily. Fenomenale davanti al calderone, Damocles! Lily ha talento, assoluta padronanza intuitiva della materia e pure un bel coraggio sfrontato per lasciar perdere le istruzioni del manuale e sperimentare in modo originale ed intelligente quando serve!».
Lily sorrise, rassegnata.
«Sempre troppo gentile, professore» commentò con un certo imbarazzo portandosi una lunga ciocca rossa di capelli dietro un’orecchio.
«Sei troppo modesta, mia cara» ribattè amorevolmente Lumacorno.
«Un talento come il vostro non può certo essere sprecato, Horace ha ragione» confidò Belby scrutandoli con interesse «Avete già deciso cosa farete dopo i M.A.G.O.?».
Il mutismo che seguì la domanda preoccupò non soltanto Damocles Belby ma anche Lumacorno che con gli occhi fuori dalle orbite e un sorriso incerto tentò di spronare i suoi due pupilli a parlare.
Lily si schiarì brevemente la voce evitando di guardare, anche solo con la coda dell’occhio, Piton.

Cosa vuole fare Severus Piton dopo i M.A.G.O.? Il Mangiamorte, signor Belby. Non trova anche lei che sia adorabile?
E io quella che gli punterà la bacchetta contro come membro dell’Ordine di Silente. 
Le nostre passioni credo proprio passeranno in secondo piano com’è passata in secondo piano la nostra amicizia. 
Ma adesso devo per forza stare qui, di fianco a lui, a fantasticare su cose che molto probabilmente non realizzerò mai.

«Sarò impegnata ad evitare Maledizioni Senza Perdono, signor Belby» rispose schiettamente facendo oscurare il volto di Piton e strabuzzare ulteriormente gli occhi a Lumacorno.
«A Lily piace scherzare, Damocles» ridacchiò divertito «Ha sempre avuto un bel caratterino vivace!».
Damocles Belby invece non si era scomposto più di tanto. Continuò a scrutare Lily con attenzione da sopra i suoi occhialetti squadrati.
«Un talento come il tuo nasce sempre da una grande passione» esordì bonariamente ed evidentemente ben consapevole dell’inestimabile sensazione che Lily provava ogni volta che si trovava davanti al calderone e agli ingredienti. «Vuoi davvero mettere da parte calderone ed ingredienti per dedicarti, presumo, alla carriera Auror?».

Auror, Pozionista, Guaritrice, impiegata del Ministero, addetta alle pulizie dei bagni... lì fuori non c’era un posto di lavoro per lei. Lì fuori l’unica cosa che poteva e voleva fare era combattere per averli e restituirli a tutti quelli come lei.
 Ma Lily abozzò un sorriso, facendo nascere una scintilla di luce complice negli occhi azzurri del pozionista che sembrava capire quanto un calderone fumante e delle radici di asfodelo potessero far sentire bene, capaci, completi, giusti anche a metà tra due mondi che la chiamavano “Mostro” “Sanguesporco”.
Damocles Belby le piaceva, senz’ombra di dubbio.

«Diventare una pozionista è quello che vorrei» ammise stringendo il bicchiere vuoto di Burrobirra tra le mani. Quello che vorrei e che non so se riuscirò a fare mentre combatterò in segreto per far capire che questo mondo è anche mio e dei futuri Guaritori, Auror, direttori dei dipartimenti del Ministero, impiegati della Gringott e, perchè no, anche Ministri della Magia Nati Babbani. «Ma al San Mungo. Lavorare come Guaritrice* e nel frattempo cercare una pozione efficace per le situazioni dolorose che non hanno ancora una cura come la Licantropiaper esempio».
Aveva appositamente alzato il tono di voce verso la fine della frase per rendere ben chiaro il concetto a Piton che perseverò nel suo mutismo.
Con i verdissimi occhi determinati Lily lo vide tentare la fuga, prontamente bloccato dalla mano di Lumacorno.
Belby sembrava a dir poco impressionato ed ammirato. Il sorriso gli si era allagrato sul viso illuminato dalla luce dorata delle lampade.
 «Dovremmo tenerci in contatto noi due, Lily Evans» le disse allungando una mano verso Lily che prontamente gliela strinse gentilmente.
«Ne sarei onorata» rispose sincera ed incredula di star sentendo quelle parole uscire dalla sua bocca in un contesto come la festa di Natale di Lumacorno.
«Scusatemi, vado subito a chiamare Bozo! Qui ci vuole una bella foto per immortalare il momento!» cinguettò compiaciuto il professore, gonfio di felicità accanto ad un Piton lugubre quanto un vampiro, sovrastato dalla voce allegra e squillante di un magro signore anziano con dei candidi capelli spettinati che avrebbero fatto concorrenza soltanto a quelli di James Potter.
«Horace, hai per caso visto i miei figli? Non li trovo da nessuna parte, come al solito»
Lumacorno si voltò entusiasta verso di lui, circondandolo con le grosse braccia coperte di velluto e facendolo quasi sparire del tutto alla vista di Lily.
«Questo è Fleamont Potter, ragazzi. Inventore della Pozione Lisciariccio! Fleamont, ti presento i due pozionisti migliori del settimo anno e dell’intera scuola! Pieni d’inventiva come te... BOZO!?».
Il grosso e rosso di soddisfazione professore lasciò il piccolo gruppetto di appassionati di pozioni per trotterellare agitando le braccia in mezzo agli ospiti.
La musica e le chiacchiere attorno furono l’unico rumore che cominciò a riempire le orecchie di Lily, ferma sul posto con i vivaci occhi celesti del signor Potter che da dietro le lenti dei piccoli occhiali rotondi si spostavano frenetici da lei a Piton con una luce parecchio simile, se non identica, a quella di Potter quando si preparava a parlare a briglia sciolta come una macchinetta logorroica e snervante.
Era impressionante quanto lui e suo figlio si somigliassero nonostante le rughe e i capelli più bianchi che neri del signor Potter*.
Lily si ritrovò a pregare che almeno il suo carattere fosse l’opposto, almeno fino a quando sul viso segnato dal tempo dell’uomo non esplose un largo sorriso scanzonato. 
Appena Fleamont Potter fece per parlare, Piton in perfetto silenzio diede le spalle a tutti per andarsene come se niente fosse.

Resterei ad ascoltarlo soltanto se avessi bisogno di consigli su come mettere al mondo un completo insulto all’intelligenza umana.
 
Lily gli scoccò un’occhiata tagliente e il signor Potter si chinò verso di lei per parlarle in tono confidenziale con un sorrisino stampato in faccia.
«Credo di aver capito chi è quel ragazzo, sai? E so quindi per certo che preferirebbe vedermi al posto del tacchino ripieno sul tavolo del buffet»
Lily si ritrovò a sorridere riportando lo sguardo sul mago che le porse una magra e nodosa mano, anche quella simile alla zampa molesta di James Potter.
«Piacere, Fleamont Henry* Potter»
«Lily Evans»
«Lily Evans?»
«Sì»
«Oh. Credo di capire anche chi sei tu, allora»
Lily socchiuse gli occhi verdi. 
«Potter le ha parlato di me?»
«Potter mi ha parlato di te».
Lily lo guardò curvare le labbra in un largo sorriso da bambino che gli ringiovaniva di almeno vent’anni il viso anziano e la risposta alla domanda “Ma tu, Potternon crescerai mai?!” fu finalmente chiara, ce l’aveva proprio davanti come se si fosse premurata di usare una Giratempo per raggiungere un futuro lontano: James Potter, esattamente come suo padre, sarebbe apparso bambino per sempre.
«Oh, Godric... e tu mi vorresti vedere allo spiedo come il rognone nel caminetto» aggiunse con improvvisa perspicacia il signor Potter aggiustandosi gli occhialetti sul naso «Questa è da dire ad Euphemia che mi dice sempre che non è vero che sono i guai a trovare me ma il contrario!».
Lily arcuò entrambe le sopracciglia rossicce, quasi offesa. «Io non sono come il ragazzo di prima, signor Potter» rispose piccata «Già per il fatto che lei non mi ha chiesto di uscire per tre volte di fila negli ultimi due minuti, che la sua mano non è stata risucchiata dai suoi capelli e che non vede le pozioni come “Intrugli puzzolenti che cospirano contro di me”non provo istinti omicidi nei suoi confronti. É un ottimo risultato, mi creda».
Fleamont Potter ridacchiò in modo del tutto sincero e piacevolmente colpito. Lily restò a scrutarlo, guardinga e stranita per tutta quella silenziosa ma sprizzante felicità. Lo sguardo furbetto alla James Potter che dopo qualche istante accese gli occhi chiari di Fleamont la mise in allerta, come se nei sei anni di scuola passati non avesse fatto altro che iniettarsi un vaccino per il Virus Potter che adesso il suo preparato sistema immunitario riconosceva perfettamente e che reagì tempestivamente, in contemporanea alla voce del padre di James.
«No»
«Vuoi uscire a Hogsmeade con mio figlio a gennaio?»
Lily sbuffò in un aperto sorriso spazientito aggrottando le rosse sopracciglia che rispecchiavano perfettamente l’enorme punto interrogativo che le si era creato in testa con tanto di lucine al neon intermittenti: “Il dannato linguaggio non verbale di James Potter è davvero riuscito ad insinuarsi nelle mie retine specificamente create per ignorarlo?!”.
 
 
 


 

*


 

 
 
 
«Oh, Godric»
«Sì, fanno schifo. Credo abbiano code di Salamandra nel ripieno... bruciano da far paura»
«On ento iù iente...»
Liv rise osservando la lingua rossa di James penzolare dalla bocca aperta come quella di un cane assetato. Gli allungò un bicchiere di fresco succo di zucca che lui trangugiò tutto d’un fiato senza nemmeno chiedere prima cosa fosse.
«Avrei potuto darti Whisky Incendiario. Lo sai, sì?»
«Mi fido di te. Non ammazzeresti mai il tuo Capitano, non prima della partita contro i Serpeverde»
«Non esserne così sicuro. Harrison aspira a quel ruolo. Mi ha promesso tre Galeoni se ti faccio fuori» ribattè Liv nascondendo il sorriso scherzoso nel calice di idromele guardando con occhi ridenti l’espressione sconcertata di James «Mi serve giusto un nuovo manico di scopa prima della partita contro i Serpeverde...».
Bevve un sorso della dolce bevanda speziata alla cannella mentre lo sguardo divertito sopra il vetro si spostava da un borbottante James ad una mezza figura alle sue spalle.
Nella marea di eleganti smoking, vesti da mago ricamate e gonne svolazzanti, la testa di Sirius con i capelli neri a sfiorargli le spalle semiraccolti da una piccola crocchia mal fatta, stava avanzando tra la gente. Il collo di Black, allungato alla ricerca di qualcuno o qualcosa, si ergeva sopra le teste e i cappelli addobbati delle signore.  
Vedendolo farsi strada tra il sedicenne Corvonero Cresswell e la sua accompagnatrice che scappavano mano nella mano da Lumacorno, Liv posò il calice sopra il vassoio ancora pieno delle tartine infuocate per cercare frettolosamente la bacchetta nella tasca dei pantaloni ma quando lui sbucò dal groviglio di abiti sfarzosi Liv non riuscì a fare altro che fissare i suoi stretti anfibi, gli strappati jeans neri e la famosa maglia dei Rolling Stones visibile tra la giacca in pelle che stonavano con ogni cosa lì dentro, esattamente come lei.
I lontani occhi grigi di Sirius guardarono tranquillamente tutt’attorno prima di fermarsi sui suoi bassi stivaletti, allargandosi leggermente con stupore per squadrarla con interesse dai piedi fino al viso schiudendo le labbra e sollevando sempre più le sopracciglia nere.
Quando incontrarono i suoi, Liv vide l’intenso sguardo del suo silenzioso esaminatore farsi divertito e stregato come le labbra immediatamente sollevate in una curva attraente.
Strinse con più forza le dita smaltate di nero attorno alla bacchetta d’ebano sentendola ancora stranamente familiare come quella pomposa stanza adesso che Black ci era entrato con il giubbotto in pelle.
Il sentire Sirius Black familiare quanto la bacchetta che aveva tra le dita passò in secondo piano con il brusio della gente in movimento dietro di lui e con la bassa figura femminile che ne uscì ridacchiante sistemandosi la gonfia gonna in un velluto molto simile a quello delle tende rosse dei baldacchini Grifondoro.
Molto simile? Quella è la tenda di un baldacchino Grifondoro.
Il sorriso incredulo che aprì le labbra di Liv contagiò quello lontano di Sirius che divenne sinceramente divertito.
Il vestito dell’accompagnatrice di Sirius Black era la tenda di un baldacchino Grifondoro e non poteva essere una vera ragazza, nessuna ragazza si sarebbe messa una tenda addosso come vestito.
Liv riacciuffò il suo calice di idromele cercando di capire cos'avesse fatto Sirius, ma prima di appoggiare le labbra sul cristallo si fermò notando diversi particolari sulla strana figura in rosso Godric.
Il metro e sessanta scarso, le generose rotondità di pancia e viso, i chiari occhi celesti, le piccole ma piene labbra colorate di rosso fuoco e i boccolosi capelli biondo cenere erano tutte caratteristiche e colori molto simili a quelli di Peter Minus.
Quello è Peter Minus. 
Peter Minus trasfigurato in alcune sue parti come le ciglia allungate in modo eccessivo, ma sempre Peter Minus. 
Liv si lasciò andare ad una risata rumorosa incontrollata, allontanando il bicchiere dal viso nello stesso momento in cui la risata a latrato di Sirius echeggiò tra il chiasso e la musica.
«Merlino» mugolò James senza più tartina di Salamandra in mano, sbucando con un agile movimento del busto da sotto il tavolo. «Mi hai fatto spaventare, Liv» esalò guardandola con sconcerto piangere o ridere, fare netrambe le cose forse.
James la vide piegarsi tenendosi la pancia in una ridarella contagiosa che si univa alla lontana risata altrettanto rumorosa e spontanea tipica dell'amico, creando un suono genuino e per nulla controllato, ma decisamente in armonia.
«Cos'avete da ridere così?» chiese James in una mezza risata contagiata da loro, gli occhi nocciola spalancati dietro gli occhiali e le labbra aperte in un sorriso stupito. Si bloccò, intravedendo in lontananza suo padre gesticolare e sorridere davanti ad una Lily ridente che gli stringeva una mano non per troncargli le dita, non per dislocargli la spalla, non per usare la mossa di rastling che più volte lei gli aveva detto di saper fare per sbatterlo a terra. Ma per salutarlo.
«Mio padre ci sa fare più di me» constatò in tono sciocccato mollando il bicchiere vuoto tra le mani già occupate di Liv, ormai schiava della ridarella.
«Mio padre, anziano con capelli bianchi e ossa scricchiolanti, ci sa fare più di me!».
Sentendo un chiaro spostamento d’aria al suo fianco, Liv con le lacrime agli occhi e un mal di pancia non indifferente riportò l’attenzione su di lui vedendolo correre in avanti senza preoccuparsi di aver appena sbarrato la strada a Dirk Cresswell* che Lumacorno raggiunse con il fiatone, le guance accese come due ciliegie e gli occhi animati da una luce sadica e minacciosa (o forse erano le povere vittime ‘Lumacose’ come Dirk e gli studenti che lo stavano a guardare come Liv a vedere in lui quello sguardo avido e malvagio che lo facevano assomigliare ad un esperto mercante di schiavi).
«Dirk! Finalmente! Devo presentarti una persona così importante che faticherai a credere di avere davanti! Vieni!»
Lo sguardo omicida che Dirk Cresswell lanciò a James Potter mentre veniva trascinato di peso dal professore di Pozioni non aveva precedenti.
Liv poggiò i bicchieri sul tavolo cercando di far scemare la ridarella con addosso gli occhi intensi e luminosi di Sirius che si stava avvicinando a lei con la sua sciolta camminata e la risata diventata un sorriso scanzonato ad illuminargli il viso disteso.
La ‘dama’ al suo fianco invece trotterellò allegramente sbattendo involontariamente l’ingombrate gonna rossa sulle persone oltraggiate, chi per essere state travolte dall’eccessiva stoffa e chi per il solo fatto che Sirius Black avesse portato con sè una ragazza.
«Dirk, ti presento Augustus Rookwood*!» fece Lumacorno alle spalle di Liv. «Niente popodimeno che un Indicibile!».
A quell’ultima parola sentita tra il chiasso festoso della stanza, la coda dell’occhio scuro di Liv non potè fare a meno di guardare il professore, Dirk e l’alto uomo dal viso ombroso e butterato, con gli occhi seminascosti da ciuffi di capelli neri e una rada barbetta a contornargli le labbra irrigidite.
«Wow!» esclamò il sedicenne Corvonero che subito allungò la mano verso il mago rimasto immobile.
«Proprio così, mio caro! Il professor Vitious mi ha detto che aspiri a lavorare all’Ufficio Misteri...»
«Sì, professore!»
Dirk Cresswell sembrava aver cambiato idea sull’essere stato rapito, molto probabilmente avrebbe baciato James.
«Augustus, questo ragazzo è un Corvonero doc! Prefetto, mente sveglia e lungimirante! Sono certo che in dipartimento svolgerebbe un brillante lavoro di ricerca!»
Il silenzio che seguì il discorso infervorato del professore fece capire a Liv quanto quell’uomo fosse felice ed interessato alla cosa.
«Dirk, il caro Augustus è qui per rispondere alle tue domande! Senza andare ‘oltre’, mi raccomando, o non si chiamerebbe Indicibile!»
La risatina di Lumacorno sfumò quando si allontanò da loro, fermando Sirius a metà strada con evidente stupore.
«Black!? Per la barba di Merlino! Non posso crederci!»
Liv non lasciò lo sguardo di Sirius, ma restò concentrata con le orecchie su quello che succedeva alle sue spalle per non perdere la conversazione tra Dirk e l’uomo misterioso che a quanto pareva aveva deciso di parlare in un sussurro appena udibile.
«Cresswell? Non conosco questo cognome. Sei Mezzosangue, spero... »
Quel commento per niente positivo e che Liv aveva sentito fin troppo spesso dal suo primo anno, rivolto al suo ''cognome sconosciuto", le fece assottigliare lo sguardo con durezza e il lontano sguardo grigio sempre puntato su di lei di Sirius, sommerso dalle chiacchiere di Lumacorno, sembrò chiederle cosa non andasse.
Liv scosse impercettibilmente la testa per fargli capire che era tutto ok e si girò vedendo Dirk- che dalla faccia pareva aver appena smesso di desiderare l’Ufficio Misteri*- indietreggiare fino a sbatterle contro, chiedendole scusa prima di scappare trascinando con sè la sua ragazza.
Augustus Rookwood le posò addosso gli occhi scuri, ma scintillanti nella penombra creata dai capelli sulla fronte. Liv affilò lo sguardo guandingo, studiandolo in silenzio. Gli Indicibili avevano fama di essere persone sfuggenti, misteriose e schive, ma quell’uomo aveva decisamente qualcos’altro di segreto da nascondere.
L'aperto commento razzista sul cognome di un Nato Babbano, in quegli anni, rimandava soltanto a un genere di persona.
Lo scintillìo divertito e sadico che gli animava ancora gli occhi neri proprio da quando aveva esposto la sua opinione sul cognome di Dirk non le piacque per niente e la cicatrice che aveva sulla magra guancia barbuta era sospetta, non di certo dovuta all'acne come il resto del volto.
Decise comunque di lasciar perdere- da quanto ne sapeva, nell’Ufficio Misteri poteva esserci di tutto, anche un mostro munito di tentacoli aguzzi o piante come le figlie della Sprite- proprio quando Rookwood si allontanò da lei in silenzio per avvicinarsi ad un raggiante Ludo Bagman, invitato anche lui.
«Ludovic, ragazzo, prendiamo da bere? Come sta tuo padre?*»
Liv continuò a scrutarlo fino a quando la voce di Peter non le arrivò alle orecchie, più vicina.
«Lumacorno mi ha guardato le tette, Felpato»
«Tu non hai le tette, Peter»
«Certo che le ho! James mi ha stretto troppo la tenda, qui in alto, e sembra che le ho! Guarda, strabordano»
Liv si girò verso le due voci ritrovandosi la strana nuova coppia davanti, quasi ricadde nella ridarella. Sirius se ne accorse e anche le sue labbra si arricciarono in una risata mal trattenuta.
Adorava vederla perdere il controllo in quel modo, adorava quella sua risata scomposta che si connetteva ed abbinava a quella che caratterizzava lui. Era così facile ridere con lei, così liberatorio.
«Toccarsi le tette in pubblico non è educato, Petronelle» fece notare osservando Peter scoppiare a ridere come non l’aveva mai visto fare con lei.
«Gelosa, Olivia?» esordì provocatorio Sirius sfilandosi una mano dalla tasca dei jeans scuri per scostarsi i ciuffi di capelli neri dagli occhi.
«Di cosa?» chiese lei tranquillamente. «Si può essere gelosi soltanto delle cose che non si hanno, Black».
La risatina di Peter perfettamente in linea con il suo aspetto vibrò allegramente tra loro e il ridente sguardo accattivante di Sirius scivolò inevitabilmente sulla maglietta verde di Liv per niente vuota, anzi, sotto l’aggressivo artiglio dorato.
L’aveva già vista vestita in quel modo i sabati a Hogsmeade, sul treno e in strada a Londra, ma mai ad una festa dove ci si aspettava qualcosa di elegante.
Olivia sembrava pronta per scappare da lì, per salire sulla moto con lui senza gonne, tacchi o capelli agghindati a cui prestare attenzione; senza facce scandalizzate o terrorizzate, mugolii esasperati, minacce, paure, divieti, intoppi.
Olivia sembrava potesse funzionare come la bacchetta di prugnolo che aveva in tasca. Funzionare per andare in moto, ovviamente. Funzionare per unire l’inventiva degli scherzi. Funzionare per ridere insieme.
Guardandole la bocca fermò la domanda che quasi gli sfuggì dalle labbra schiuse senza riuscire a trattenerla nello sguardo che Liv sentì bruciargli la bocca, facendole fermare il cuore.




 
 

 

*

 
 
 




«Sei identico a tuo padre, Potter» annunciò Lily incontrando a metà strada tra gli ospiti James che si affannava a raggiungere suo padre con una certa urgenza.
«A parte gli occhi» aggiunse senza fermarsi per continuare la sua camminata verso John che l’aspettava con ancora i bicchieri di Burrobirra in mano.
«Ho gli occhi di mia madre, lo so!» le rispose di rimando James incastrato tra lo stravagante abito argentato di una ragazza e l’accecante veste lilla di qualcun'altro. «Grazie per il complimento, Lily! Ma io non ho le rughe! E vuoi mettere le mie braccia possenti con i suoi due stecchini raggrinziti!?».
Ma Lily ormai era arrivata a destinazione con un ampio sorriso radioso rivolto a John e i boccoli rossi che le ondeggiavano ad ogni minimo movimento insieme alla gonna blu del suo vestito mentre cominciava a parlare al Corvonero senza che James potesse riuscire a sentirla tra le risate, il tintinnìo dei bicchieri, le voci sovrapposte e la musica, quell’odiosa musica tutta uguale che gli stava entrando nel cervello mettendo radici.
Perse il suo, di sorriso, percependo l’orribile sensazione dell’intero corpo che si sgonfiava lentamente come Mrs Purr in infermeria dopo la volta che l’aveva gonfiata per mollare Codaliscia, finito tra le sue zampe; il che non era poi così male dato che si ritrovava incagliato tra un volant simil carta stagnola della ragazza e i due metri di pieghe del mantello di Allock che si era autoinvitato alla festa, come ogni anno.
Scivolò tra i due con il viso oscurato, i capelli più arruffati che mai, le labbra contratte in un’unica linea e le sopracciglia nere aggrottate dietro la montatura degli occhiali.
Faceva male. Faceva male più del solito. Quante volte se l’era detto nell’ultimo periodo?
Il fatto poi che ‘il solito’ non esistesse più, dato che ogni volta sembrava sempre peggio della precedente, era un piccolissimo e fottutissimo dettaglio al quale faceva sempre più caso.
Era come piazzarsi con la metà delle ossa rotte davanti ad un battitore sempre più bravo dopo ogni colpo di bolide preso in pieno.
James sgusciò in mezzo ad un gruppetto di ragazzi rubando un bicchiere di Whisky Incendiario, svuotandolo alla velocità della luce con espressione dignitosamente furiosa e seria nonostante il fuoco che avvampò nella sua lingua ancora indolenzita delle code di Salamandra macinate nella tartina infernale.
Ma l’insieme di tutti i roghi della Caccia alle Streghe del dannato Medioevo di Rüf che gli stava cuocendo la bocca a fiamma vivace era niente in confronto alla consapevolezza di essere un completo imbecille che invece di schivare i bolidi come sapeva perfettamente fare restava immobile a beccarseli tutti, uno dietro l’altro.
«Figliolo!»
«’Apà»
«Mi piace! Lily Evans mi piace da matti!»
«...»
«Quella ragazza è così... così...»
«...»
«Così signora Potter
«...»
«Non c’è altro termine, davvero, per descriverla. Divertente, sveglia, con un disarmante dolce sorriso, la battuta pronta e parecchia sfacciataggine!»
«...»
«Portale subito da bere, James!»
«’Ovrei aere tre ani, papà»
Fleamont strabuzzò gli occhi azzurri dietro le lenti rotonde, scrutando James con sconcerto.
«Dovresti avere tre ani, figliolo?»
«M...ani...Ma-aah!-ni
«Beve così tanto? Beh, anche tua madre da giovane andava matta per la Burrobirra corretta. Ci siamo conosciuti così, te l’avrò già detto centinaia di volte...»
«’Igliaia. Le ‘entinaia ono di ‘Irius...»
«Sì, beh... io ero quello che aggiungeva goccine di Whisky nei bicchieri alle feste e lei si era lamentata perchè gliene avevo messo solo due, ci pensi? É stata quella la volta che ci siamo parlati sul serio senza le sue grida rabbiose e sprezzanti verso il mio “Stupido vizio di far parlare la bacchetta invece della bocca*!”...»
«’Omunque, ‘apà, non beve ‘osì tanto... credo... esiste un’altra bocca a ‘arte la sua, da assetare...»
«Chi? Quello?»
«’Oprio quello...»
«Ah, non le stai soltanto antipatico ma è pure impegnata?»
«’On infierire...»
«Quello fa Potter di cognome, figliolo?»
«No! Ti pare, ‘apà?! ‘Uardalo! Sembra un ‘anico di scopa ‘estito! E quei ‘apelli insulsi leccati da un Crup ‘tarebbero così anche a cavallo di un ‘Ppogrifo
«Allora non hai nulla di cui preoccuparti, James. Lily è una signora Potter, senza alcun dubbio»
James si sciolse in un mezza smorfia smorta mentre gli occhiali rotondi gli scivolarono storti sul naso per colpa della piccola spallata complice di suo padre che con la stessa sua altezza e gli stessi suoi capelli disastrati gli sorrideva al fianco.
Abbassò gli occhi sul fondo ambrato del bicchiere mezzo pieno di Whisky rubato, trattenendosi dal mandarlo in frantumi come se fosse stato la testa di Owen, per poi riportarli su suo padre che continuava a sorridergli, euforico.
«Ma ‘ome hai ‘atto a non ‘arti ammazzare da lei?»
«Un giorno lo capirai, figliolo»
«Un giorno!? ‘Erchè non oggi
«Perchè quel giorno non è oggi, mio caro ragazzo. Sarà quel giorno quando dovrà essere...»
«Lo stai ‘acendo di nuovo, papà...»
«Lo so! Quanto mi piace imitare Albus Silente! Non ci posso fare niente...»
«Papà»
«Se vuoi la signora Potter tu per primo devi essere il signor Potter, James»
«Stai ‘ncora imitando ‘Ilente...»
«Non credo proprio...»
«Sì ‘nvece»
«No, te lo giuro»
«’Apà»
«Sembravo davvero Silente?»
«Sì»
«Oh, Godric. Questo significa che sono arrivato a quell’età dove si dicono cose sagge senza accorgersene?!»
«’Mpossibile‘Leamont»
Fleamont si girò di scatto verso la fonte della voce scherzosa.
«Oh, eccolo l’altro mio ragazzaccio!» esclamò abbracciando di slancio Sirius che rise lasciandosi stringere senza indugi.
Liv, al fianco dell’ingombrante gonna di Peter, sorrise furbescamente in direzione dell’occhiata d’intesa di James (“Hai dato del Whisky Incendiario a Sirius dopo avergli offerto le Salamandre, non è vero?”).
«Per Godric, Sirius! Questa dev’essere la tua ragazza! Molto piacere, Fleamont Pot...»
«Non sono la sua ragazza» lo bloccò subito Liv sollevando le mani per aria senza la minima traccia dell’espressione divertita di pochi secondi prima. Fleamont assottigliò gli occhi chiari, osservandola interdetto da capo a piedi.
«Sei sicura?»
«Certa, signor Potter»
«Mh...»
Il viso del signor Potter continuò ad essere inspiegabilmente confuso agli occhi di Liv che per sicurezza si avvicinò di un passo a Peter- immergendo le gambe nel velluto rosso- restando a debita distanza da un divertito Sirius.
«’Apà, lei è Liv... la mia ‘idata Cercatrice» la presentò James.
Liv questa volta allungò la mano destra verso Fleamont che si illuminò in un ampio sorriso stringendogliela con delicatezza.
«La mano della squadra va trattata con cautela ma sappi che sono davvero entusiasta di conoscerti, Liv! Te la stritolerei!» esclamò facendola ridere.
«È lei a ‘ia ‘agazza» annunciò Sirius circondando lascivamente le rotonde spalle scoperte di Peter.
«Ma a chi vorresti darla a bere! Questa è Peter»
«Felice di rivederla, signor Potter»
«Vieni qua, timidone che non sei altro!»
Peter divenne rosso come il suo rossetto tra le braccia del signor Potter che lo lasciò poi a James e Liv soltanto per avvicinarsi a Sirius, trascinandolo da parte con fare circospetto.
«Figliolo»
«Uhm?»
«Prendi, prima che mi dimentichi» gli mormorò mettendogli in mano due chiavi, una arruginita dall’aria stra-usata e l’altra, piccola, nuova di zecca.
«Euphemia è convinta che ti farà un bel discorsetto prima di dartele, la mattina di Natale. Ho pensato che sarebbe stato un vero peccato vedere la porta antica di generazioni del capanno  sul retro dove ho messo la motociletta completamente sfondata o scassinata domani stesso».

Il complice sorriso malandrino del signor Potter esplose insieme a quello smagliante di Sirius che partiva da un’orecchio per finire nell’altro.
Gli occhi grigi erano così brillanti da sembrare ci fossero entrate dentro tutte le fate delle lampade sui tavoli.
Sirius restò a fissare le chiavi della sua moto sul palmo della mano come se non avesse mai visto niente di più bello.
Quelle non erano semplici chiavi e Fleamont Potter lo sapeva bene, per questo continuava a guardarlo con il sorriso che da malandrino si era trasformato in qualcosa di più. Esattamente come quello di James che li osservava di sottecchi da sopra una spalla.
 Erano le chiavi di una parte di se stesso, la parte che aveva sempre difeso e protetto con le unghie e con i denti a Grimmauld Place; quella che, quando Walburga riusciva a romperla, si era sempre preso la briga di riaggiustare durante le notti senza cena perchè “Tu sei migliore di loro, Felpato, anche se pensi di non farcela più”; Quella che i suoi genitori biologici non avevano mai accettato, che suo fratello biologico non aveva mai capito; La parte che l’aveva reso orfano, che l’aveva dirottato controcorrente e portato a Grifondoro, a James, alla libertà di essere se stesso; La parte di se stesso che i signori Potter avevano riconosciuto, accolto ed amato fin da subito e che non avevano mai schiacciato, criticato, rotto ma soltanto sostenuto a spada tratta insieme a lui fino a farla diventare una realtà giusta.
Abbracciare Fleamont Potter fu semplice.
Abbracciare quello che gli aveva dato una Casa intera e non soltanto le chiavi del capanno sul retro fu semplice, più semplice di respirare.
«E smettetela di scommettere su quanti Pallini Acidi ci stanno in bocca o vi ritroverete la lingua come un colino. A proposito... Siete ancora 30 a 35 per James?»
«Ma ‘on tiamo gioando, Fleamont»
«No?»
Fleamont si girò verso suo figlio con espressione seriamente preoccupata proprio quando Lumacorno, più brillo di due o tre bicchieri dall’ultima volta che l’avevano visto, fece di nuovo la sua ingombrante comparsa.

«A me il giocatore di Quidditch! Signorina McAdams, lei...?»
«É ‘on me» esordì prontamente James prendendo a braccetto Liv che accennò un ironico breve inchino aristocratico.
Lumacorno si gonfiò di sorpresa mettendosi in mezzo a loro per circondarli entrambi con le corte braccia, usandoli per farsi strada tra gli ospiti.
«Finalmente, Potter! Che notizia! Due cuori e un campo di Quidditch, eh?!»
«Sì, ‘erò ove sono i giocatori?»
«James?!» rimarcò il nome Liv con occhi sgranati per non usare direttamente “Che cacchio dici?! «Ha capito male, professore...»
«Da questa parte, i giocatori non aspettano altro! Stevens!? Seguici! Ho invitato Ludo Bagman! Nessuno di voi l'ha mai visto prima, vero?! Si è diplomato otto anni fa, ma vedrete, vedrete!»
Ned Stevens, lì accanto nel suo elegantissimo smoking da mago, bloccò l’animata conversazione con la sua Cacciatrice Bettie Wood e, prendendola gentilmente per mano, si unì al piccolo corteo salutando tutti.
«Ciao, Ned» ricambiò Liv da sopra la spalla di Lumacorno. Ned le sorrise, smagliante, sotto l’occhio ridente di Bettie che finse di sistemarsi il vestito.
«Ho ‘ognato questo ‘omento da secoli» confidò a Liv James, più furioso che entusiasta mentre Lumacorno acciuffava al volo una coscia di tacchino da un vassoio errante «Ma ‘utte le volte non ‘embravo un Troll ‘Onfuso come aesso».
«Tu sembri sempre un Troll confuso, James» lo informò lei guadagnandosi un’occhiataccia risentita che durò fino a quando lo sguardo di James si perse sulla figura slanciata del Capitano dei Puddlemere United- La luce divina che lo illumina dal soffitto la vedo solo io?!- vicina ad un’emozionatissima Emily Diggory accompagnata da Stebbins e a Harrison con Alan Morgan nascosto dal velo argentato della tenda alle sue spalle come se nessuno, più precisamente Mani di Mazza, impegnato ad ignorare un eccitato Ludo Bagman battitore delle Vespe di Wimbourne, potesse vederlo.
«Molto bene!» cinguettò Lumacorno facendo per sfregarsi le mani e rinunciando subito dopo perchè la coscia di tacchino glielo impediva. «Greg, Ludo... vi ho portato altri due sportivi!»
Liv notò chiaramente gli occhi scuri del famoso Capitano dei Puddlemere soffermarsi sulla sua maglia verde bosco con l’artiglio dorato delle Harpies che prontamente si stirò orgogliosamente con una mano.
«Ned Stevens, capitano dei Tassorosso e Cercatore veloce quanto un Boccino d’Oro!» esclamò indicando Ned liberarsi con la faccia rossa e i capelli biondi spettinati dalle possenti braccia di Bagman che l’aveva abbracciato con vigore cameratesco appena l’aveva visto, anche se era la prima vlta che lo vedeva.
«Avrei voluto questo Snaso in squadra, otto anni fa! Accidenti, il destino non ci ha fatto inocntrare! Horace mi parla spesso di te» rise Ludo Bagman riprendendoselo sotto braccio.
«E il Capitano dei Grifondoro, James Potter» continuò Lumacorno «Il Grande Cacciatore! É così che Hogwarts lo chiama. Regala alla sua squadra unminimo di 100 punti a partita, ogni volta!».
James, al contrario di Ned, non sembrò affatto imbarazzato, anzi.
Il Capitano dei Puddlemere lasciò la mano del Tassorosso per puntare James con evidente interesse cominciando a parlare con quello che di James Potter era soltanto il corpo vuoto perchè l’anima, pensò Liv a giudicare dallo sguardo del suo Capitano, doveva essere a milioni di chilometri d’altezza oltre l’atmosfera terrestre.
Solo una decina di metri sopra il suo habitat naturale quotidiano quindi.
«Stevens, vieni come me» mormorò Lumacorno eccitato più che mai al fianco di Liv «Ho promesso a Roderick che gli avrei presentato il miglior Cercatore della scuola...»
«Roderick?» ripetè stralunato Ned «Plumpton*?».
Dire che Lumacorno fosse in un brodo di giuggiole era poco. Annuì con i baffoni biondi così sollevati da nascondergli il grosso naso rossiccio per l’alcool ingerito.
«Beh... dato che Albus mi ha negato la maggior parte delle stelle del Mondo Magico, ho dovuto invitarne poche ma buone...» spiegò condendo il tutto con un occhiolino.
Liv, sconcertata, spalancò gli occhi scuri. Lì, in quella stanza ridicola piena di fumo di pipa, musica che a Lumacorno doveva far ricordare le sue prime pomiciate, metà degli ospiti brilli e ananas candito anche in mezzo ai salatini, c’era il vecchio Cercatore dei Tornados? Il Cercatore migliore in assoluto?! Quello che aveva preso il boccino in soli tre secondi e mezzo?!
Prima ancora di rendersene conto, le dita di Ned le circondarono delicatamente un polso per portarla con sè al seguito di Lumacorno.
E cosa le poteva interessare se il professore aveva chiamato anche Regulus Black che appena si era unito a loro l’aveva fulminata con lo sguardo come fulminava sempre i Nati Babbani?
 Cosa le importava di quello quando si trovava a dieci metri da Roderick Plumpton che si stava facendo versare da bere da Glynnis Griffiths*, Cercatrice e Capitano della squadra sulla sua maglietta e sul suo mega poster appeso sette piani più sù?
Cose da fare nelle prossime ore: Baciare Ned Stevens, con o senza vischio.


 
 

 

*

 
 
 
 


«Stralunato, Stralupato Lupin*!»
«Mary»
«No, Remus»
«Stralunato, Stralupato Lupin ha la ragazza!»
«Per favore»
«Stralunato, Stralupato Lupin ha una stralunata, stralupata ragazza!»
«TACI, PIX!»
«Mary...»
«”Non posso”, Remus»
«Non puoi ascoltarmi?»
«Stralunato, Stralupato Lupin forse non ha una stralunata, stralupata ragazza!»
«No, non posso»
«Stralunato, Stralupato Lupin non ha una stralunata, stralupata ragazza!»
«OK! PARLIAMO!»

Remus, alquanto confuso, fu costretto a frenare con i talloni per non sbattere addosso a Mary che si era fermata bruscamente al centro del corridoio, proprio sotto ad un mazzo di vischio al quale Pix si era appeso a testa in giù con un largo sorriso grottesco a deformargli la bocca rossa.
«Ho bisogno di sapere perchè ti ammali ogni mese!» ringhiò Mary puntandogli un imperioso indice contro prima di cominciare a camminare avanti ed indietro con furia crescente. «Perchè non è vero che hai un gatto o un coniglio ribelle che nessuno ha mai visto, l’influenza a giugno, un calo di zuccheri dopo il banchetto di inizio anno!»
Remus aprì la bocca, lanciando un’occhiata preoccupata a Pix che aveva cominciato a far dondolare pericolosamente il vischio, per poi richiuderla immediatamente. Restò a guardare Mary misurare il pavimento del corridoio con ampie falcate rabbiose facendo muovere la gonna a pieghe della divisa come se fosse fuori, al vento.
«Ho bisogno di sapere dove sparisci ogni mese! Una volta sono andata a portarti un libro in infermeria, dopo cena, e non c’eri! Neanche in bagno e nell’ufficio di Madama Chips... vuoto, tra l’altro!».
Remus provò a ribattere ma lei fu più veloce, sia a parlare che a scaraventarsi su di lui per schiacciargli il dito sul petto con forza fino a farlo affondare per metà nella lana grigia del maglione dagli orli rossi e oro.
«Ho bisogno di sapere cosa ti fa stare così male perchè io voglio aiutarti! Lo capisci o no?! Aiutarti come lo vorrebbe una stupida amica che tiene a te da anni!».
Remus indietreggiò fino a sbattere su un arazzo. Lanciandogli velocemente un’occhiata intravide con orrore un familiare tutù fatto di fili argentati. Fu come se un masso di una tonnellata gli si tuffasse sullo stomaco a peso morto. 
Spalancò così tanto gli occhi da assomigliare a Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll ricamato alle sue spalle.
Portò immediatamente lo sguardo spiritato su Mary per poi spostarlo con terrore sul muro spoglio di fronte.
Serrò con forza gli occhi mentre le linee dorate cominciarono a disegnarsi sulla pietra.
Mary sbattè più volte le ciglia osservando il viso accartocciato di Remus farsi rosso pomodoro a dispetto del pallore.
Aveva usato un tono decisamente duro, ok era vero, ma non se n’era pentita.
Nonostante questo, però, si allontanò da lui con una punta di preoccupazione nello sguardo severo.
Girò i tacchi e quello che si ritrovò di fronte la bloccò ancora prima di fare un passo.
Sul muro prima spoglio c’era una grande porta dorata.
«Mary»
Non posso essere rimbambita a diciasette anni. L'ho anche promesso a Lily e Liv.
«Mary, andiamo in Sala Comune»
 




 

*

 
 



 
Lily rise di gusto alla battuta di John prendendo una patatina fritta dal piatto che lui teneva in mano.
Si complimentò per la milionesima volta con se stessa per averlo metaforicamente tirato fuori dal Lago Nero prima di pranzo.
Perchè sì, cavolo, il suo ragazzo era di nuovo il suo ragazzo.
Non che prima della pesca alla Piovra non lo fosse stato, esteticamente parlando, a parte quella riga da un lato che gli separava alla perfezione i capelli scuri come Mosè davanti al Mar Rosso e che la musica anni venti che ormai aveva come parte integrante delle orecchie non faceva altro che farle notare come se John fosse appena uscito da un film in bianco e nero con tanto di garofano all’occhiello.
Ma Lily continuò a ridere con divertimento per John che continuava ad essere il suo ragazzo continuando ad avere quei capelli che continuavano ad attirare la sua attenzione come se non fossero stati lì da prima, da quando l’aveva incontrato davanti alla Signora Grassa.
«Sai cosa?» iniziò fermandosi un attimo per masticare la patatina. Ma la pausa durò anche dopo averla ingoiata, non del tutto masticata per via della ragazza dal viso paffuto e il vestito bianco a pois rossi che vagava con cipiglio nervoso lì davanti.
«Alice?!» la chiamò, incredula. La figura femminile dai corti capelli cioccolato si fermò, puntandola con i suoi due grandi e tondi occhi scuri.
«Oh, Lily! Hai visto Frank?»
Lily, ancora sorpresa per la presenza dell’amica, negò con la testa facendo muovere la cascata di capelli rossi.
«Lumacorno l’ha trascinato da qualcuno “Nato per fare l’Auror!” e non lo vedo da allora»
«Parli come se tutto questo fosse successo anni fa, Alice...»
«Perchè sembra davvero successo anni fa!»
Lily fece per sbuffare in un sorriso consapevole della tendenza all’esagerazione di Alice quando la musica anni venti del quartetto di musicisti nell’angolo improvvisamente si mischiò alla riconoscibilissima e babbanissima Rebel Rebel di David Bowie.
Il chiasso della stanza si scompose con borbottii straniti e il vociare di Lumacorno in evidente difficoltà tra gli ospiti.
«Scusate un attimo» fece Lily assottigliando lo sguardo smeraldino prima di allontanarsi dai due a passo svelto.
«Ahm... Lily?» provò a trattenerla John che dell’occhiata indagatrice di Alice puntata addosso non si fidava poi tanto.
«Tu non sei James Potter» sentenziò infatti lei, scrutandolo intensamente.
«Direi proprio di no» rispose cautamente il Corvonero senza muovere un muscolo a parte quelli della mano con il piatto per offrirle da mangiare. «Patatine?»
Alice non perse la sua espressione concentrata fissa di lui, accettando naturalmente il cibo.
«Tu non sei James Potter e Frank mi deve due Galeoni»
«Come?»
«Scusa ma»- s’infilò la patatina in bocca prendendone altre tre- «a maggior ragione devo trovare il mio fidanzato. Grazie, chiunque tu sia!»
«Di niente...?»
John, rimasto stranito dalla breve conversazione e dall’abbraccio affettuoso con l’estranea, rimase lì in piedi insieme al piattino di patatine allungando il collo alla ricerca di Lily.
Lily che nel mare di maghi e streghe cercava una precisa persona allungando a sua volta il collo con difficoltà.
C’erano soltanto due persone in quella stanza che avrebbero potuto sabotare la festa: Gli unici Malandrini presenti, gli stessi che al quarto anno avevano indebolito tutte le sedie mandando la maggior parte degli ospiti a terra e un anziano in infermeria; Gli stessi, sempre quelli, che al quinto avevano distratto con avances dal dubbio gusto una strega con la sigaretta mandando a fuoco il cappello piumato del signore davanti e dando così vita ad un falò che aveva incendiato metà tenda e il grande mazzo di vischio al centro del soffitto.
Ma solo uno, uno soltanto, poteva aver scelto David Bowie come disturbatore della serata.
Incastrata in mezzo ad un gruppo di ‘ballerini’ improvvisati, Lily tentò di avanzare facendo un solo passo avanti ogni tre all’indietro, sballottata da una parte all’altra tra gonne, tacchi e mantelli in movimento.
Soltanto assecondando un arzillo mago con il monocolo in bilico su uno zigomo che la prese per i fianchi facendole ballare un walzer accelerato riuscì ad uscire da quella trappola infernale.
L’anans candito doveva essere intriso di Elisir dell’Euforia o di Felix Felicis, non si spiegava altrimenti lo sprezzo del pericolo (di una molto probabile rottura del femore) dei coetanei di Silente che si muovevano a ritmi diversi per via delle due diverse canzoni nell’aria.
Con i capelli rossi elettrizzati e la gonna blu ancora ondeggiante attorno ai fianchi, Lily avanzò di gran carriera verso il buffet, superandolo per scostare con stizza il velo rosso della tenda che nascondeva il grammofono di Lumacorno, una bassa e robusta ragazza bionda che non si aspettava di trovare e lui, quello che invece era andata a stanare. Si bloccò prima di dire Black, correggendosi mentalmente.
«Tu»
«’Sera, Evans. Ci si vede qui, come da tradizion...»
«Alza il volume».
Sirius sbattè ripetutamente le palpebre, rimanendo immobile con la bacchetta di Liv puntata su un mini disco che si era appena tirato fuori dalla tasca del jeans per riportarlo a grandezza naturale.
«Come, scusa?» chiese in un mezzo sorriso incredulo.
«Alza il volume, amplificalo con la bacchetta!» ripetè Lily con un gesto spiccio della mano non aggrappata alla stoffa che si mimetizzava tra i suoi capelli scomposti sulle spalle «E dopo questa, se li hai, metti i Queen o i Beatles, scegli tu». Indietreggiò di un passo e il velo le scivolò davanti, nascondendola, ma subito dopo fece di nuovo capolino con cipiglio minaccioso.
«Non farti beccare».
Uscì dalla tenda con un sorriso soddisfatto sentendo la voce di David Bowie sovrastare il contrabbasso dal vivo ma non la risata isterica di James Potter.
Lily lo cercò con lo sguardo, trovandolo subito grazie alla scompigliata chioma corvina che spiccava tra quella chiara di Emily Diggory e la cortissima di Harrison, davanti al capitano dei Puddlemere.
«No, certo che sì! Certo che mi piacerebbe giocare in una squadra nazionale, scherzi?!» stava dicendo passandosi la solita mano tra i ciuffi liberi e ribelli come la canzone di Bowie «Intendevo dire che se prima non cerco di fare qualcosa per rendere tutti uguali, là fuori, non posso dedicarmi al mio sogno con la pluffa, capisci? Essere Auror ha la precedenza in questo momento, ecco, ma non vuole assolutamente dire che io non passi le mie notti a sognare la Coppa del Mondo tra le mie mani mentre l’intero stadio mi acclama...».
Le iridi verdi di Lily restarono per un lungo istante fisse su quei capelli impazziti prima che le palpebre le nascondessero per ben tre volte in mezzo secondo.
Cos’ha detto? 
“...A sognare la Coppa del Mondo tra le mie mani mentre l’intero stadio mi acclama”
... no, no questo mi pare assolutamente nella norma del suo ‘Egometro’. No. Prima... 
Essere Auror ha la precedenza in questo momento”.
Lily ritornò sui suoi passi senza riuscire a capire di averlo sentito sul serio o no. Perchè era chiara l’intenzione di Potter di fare la sua parte nella lotta contro Voldemort ma che addirittura aspirasse a metterci anima e corpo lasciando da parte il Quidditch era roba nuova.
Da dietro la tenda rossa che si lasciò alle spalle, sbucò Sirius con un rilassato ghigno compiaciuto in faccia e le mani nelle tasche dei jeans. Un anfibio nero che batteva a terra, al ritmo della canzone, mentre Peter al suo fianco- e soprattutto a quello del tavolo del buffet- si riempiva di soppiatto l’enorme decoltè di canapè .

 


“Tua madre ha una gran confusione in testa:
Non sa se sei un ragazzo o una ragazza.
Ehy tesoro, i tuoi capelli sono a posto!
Ehy tesoro, usciamo insieme stasera!
Io ti piaccio e a me piace tutto questo”

 
La lontana e spettinata treccia castana che aveva cominciato ad osservare con insistenza da diversi secondi si mosse per aria il tempo che Liv ci mise per voltarsi verso di lui con espressione indecifrabile.
Vedendola sporgersi oltre la schiena di Ned Stevens, intento a parlare ad un vecchio, Sirius non riuscì a fermare uno sfrontato sorriso di rimando.

 

Ribelle, ribelle, hai il vestito strappato!
Ribelle, ribelle, la tua faccia è un casino!
 Ribelle, ribelle, ma che ne sanno gli altri?
Sgualdrina, mi piaci così!”

 
 
Riusciva a vedere il sopracciglio castano arcuarsi sopra il deciso occhio scuro anche se a diversi metri di distanza. La maledettamente attraente fossetta sulla guancia e la bacchetta, la sua, seminascosta dal giubbino in pelle che sfiorava l’elegante veste nera di Stevens.
 

 

E adoro il tuo vestito!
Dove vorresti andare?
Cosa posso fare per te? 
Sembra che anche tu fossi là,
Perché hai il vestito strappato
Ma che ne possono sapere gli altri?

Eh, eh!? Che ne sanno?!”

 
 
«Felpato!» James gli arrivò addosso con la delicatezza di un Erumpent in calore.
«Sono promettente!»
«E questa tua frase più familiare di un tuo buongiorno perchè dovrebbe sorprendermi?»
«Non me lo sono detto da solo, tanto per cominciare»
«Wow...»
«Cos’è questo tono da Rüf, uhm? Forse gelosia?»
«Te l’ha detto lo specchio del bagno che sei promettente?»
 Lo sguardo di sufficienza di James diede un’inquietante piega estremamente gongolante al sorriso di Sirius.
«Il tuo gentile migliore amico invece ti dice che non riesci proprio a non farti fregare le ragazze»
«Non mi serve la lista antirimbecillimento in questo momento, quindi taci. E potevi anche aspettarmi, comunque, per mettere il disco»
«La lista antirimbeccillimento ti serve ogni secondo di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno della tua miserabile vita, Ramoso»
«Ricordami perchè non ti ho spaccato la faccia tempo fa»
«E tu dimmi se Olivia è più una tipa da “Tassettino del mio cuore, oggi è il nostro milionesimo anniversario. Cosa mi hai comprato?” o da “Ci si vede tra una settimana, Stevens. Casa mia?”»
James si sentì afferrare senza troppi complimenti per le spalle, abbandonandosi senza opporre resistenza.
Strizzò gli occhi nocciola quando Sirius decise che quello che aveva davanti era ciò che voleva fargli vedere, ovvero Liv ridente davanti a Ned Stevens come se Ned Stevens l’avesse invitata, aspettata un quarto d’ora in Sala Comune e poi accompagnata alla festa dove stava spudoratamente facendo mostra del suo ormai evidente grave problema.
«Stevens ha un problema»
«Più grave di uno dei tuoi?»
«Stevens e la Cleptomania hanno un problema serio che non va più ignorato e se in questo momento le mie mani non sono attorno al collo di Liv è soltanto perchè l’abbiamo già incontrato e battuto in campo»
«Voglio restare donna per sempre» mormorò Peter infilandosi canapè e bignè di tutti i gusti dentro il decolletè con grande soddisfazione.
Sia Sirius che James fecero finta di non sentire il sussurro euforico di Peter alle loro spalle.




 
 

 

*

 
 




«Quindi…»
«Quindi...» ripetè Liv prendendo un’oliva dalla ciotola per buttarsela al volo in bocca con lo sguardo divertito di Ned addosso «anche a te Plumpton è parso come la tappa immediatamente precedente a quella del professor Rüf?».
Ned rise apertamente.
«Sì, diciamo che è più di là che di qua».
E Liv ne fu contagiata, prendendo un’altra oliva.
«Ma volevo dire un’altra cosa» riprese in tono fintamente casuale Ned grattandosi distrattamente la nuca bionda.
«Che l’autografo sulla mia maglietta è splendido come il tuo sul papillon?»
«Mia madre mi ucciderà. Non potrò più lavarlo! Comunque, sì, la tua maglietta è ancora più bella adesso... anche se io tifo per i Cannoni di Chudley...»
«Oh, sempre dalla parte dei più deboli voi Tassorosso, mh?»
«Hey!»
«Scherzavo!»
«Ma c’era un’altra cosa che volevo dirti...»
«Spara» ridacchiò Liv lanciandosi in bocca l’oliva.
«Ti va ti uscire con me al ritorno dalle vacanze?»
La forte tosse che improvvisamente prese posto del breve ridacchiare si mischiò alla serena voce di Sirius.
«Anapneo»
E fu il turno del desiderio di morte per soffocamento da oliva a prendere il posto della speranza di continuare a vivere.
«E due, Olivia»
«Sparisci, Black»
«Ti ho salvata- l’ho salvata, Stevens, un’altra volta» fece Sirius chinandosi pigramente verso Ned, incredibilmente pallido «Perchè è già successo, nella nostra Sala Comune... »
«Black, sparisci» ringhiò con voce roca Liv e gli occhi ridotti a fessure incredibilmente fulminanti nonostante le lacrime per lo sforzo.
«... Con una gelatina- Olivia, ti ho salvato per la seconda volta e mi dici di sparire?! Ma ti sembrano i modi questi? Stevens, ti sembra il modo?» continuò Sirius rivolgendosi di nuovo al Tassorosso.
Ned, decisamente confuso e ancora spaventato dalla visita momentanea della ‘Signora con la falce’ che aveva visto ad un passo da Liv, si prese qualche secondo prima di rispondere.
«Beh, in effetti...» esalò «ringraziarlo sarebbe più che doveroso, Liv».
Le labbra di Liv crearono una sconcertata O maiuscola in contemporanea all’ulteriore assottigliamento indignato degli occhi infuocati come le tartine di Salamandra che si era appena accorta di voler offrire anche a lui.
«Ecco. Bravo, Stevens» commentò Sirius con un tono un po’ troppo compiaciuto «Quindi, Olivia, adesso ricorda che spetta a te salvarmi la prossima volta»
«L’unica prossima volta in cui io sentirò il bisogno di salvarti, Black, sarà quando ti tirerò fuori dal pericolo mortale per buttarti io stessa tra le fauci di un drago, cucinarti allo spiedo, ficcarti sott’acqua quella testa di Troll che chiami ‘Genio incompreso’...» gli sibilò di rimando venendo interrotta da Ned.
«Ok, però io e Liv stavamo parlando, Sirius» s’intromise prontamente il Tassorosso con tono sorprendentemente deciso «Anzi, Liv doveva rispondermi».
Lo sguardo sarcasticamente interrogativo di un Sirius ridente e quello invece carico d’apprensione di Ned le diedero l’impressione di avere davanti due tizi in pressante attesa.
Incrociare le braccia al petto con forza fu quello che Liv riuscì a fare quando riformulò mentalmente la domanda di Ned, momentaneamente svanita nel nulla dopo l’oliva incastrata in gola.
Uscire con Ned.
Uscire in che senso?
Andare a bersi una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa e parlare di Quidditch?
Perchè no?
Lo sguardo seriamente attento e leggermente in ansia di Ned, però, le fecero capire che il Quidditch era l’ultima cosa che gli era passata per la mente quando le aveva chiesto di ‘Uscire’.
Allora forse pensava di camminare per le vie di Hogsmeade e poi fermarsi davanti allo steccato poco distante alla Stamberga Strillante, quello ribattezzato dagli studenti “Il Trespolo”. Forse Ned voleva baciarla, fare i piccioni su ‘Il Trespolo’, pomiciare fino a consumarle  le labbra screpolate dal freddo e magari chiederle di ‘uscire’ di nuovo dietro l’arazzo al terzo piano, in un’aula abbandonata, nel magazzino dei detersivi di Gazza.
Perchè no? Le labbra di Ned sembrano così morbide ed invitanti e il magazzino di Gazza aggiungerebbe adrenalina in più.
Ma qualcosa la frenava, come tutte le volte che aveva avuto a che fare con altri ragazzi.
Ci aveva provato con Anderson e Wood, ma c'era stato sempre qualcosa che non la prendeva, fin dall'inizio.
Il folto sopracciglio nero ancora inarcato sulla fronte, le mani tranquillamente infilate nelle tasche di un Black dallo sguardo penetrante ed attento sembravano chiamarla, darle la risposta a quel dilemma che non era un vero dilemma perché Liv aveva saputo fin dall'inizio perché non le interessavano gli altri ragazzi. Ma Black non era mai stato da mettere in conto per la mancanza d'interesse che aveva per il genere femminile se non quando voleva lui e per un breve lasso di tempo; per quel suo avvicinarsi a lei senza però non fare mai sul serio.
Un lieve mal di stomaco cominciò ad appesantire la pancia di Liv che con la mente si ritrovò a camminare nel parco tenendo per mano Ned senza rompergli le falangi nemiche, a parlare di ‘non solo Quidditch’ per non far espandere il silenzio imbarazzante formato buco nero come quello che sentiva risucchiare l’aria attorno in quel momento.
Si ritrovò a baciarsi con lui come con William Anderson, il Serpeverde che al quarto anno aveva spedito in infermeria con una congiuntivite subito dopo essersi sentita dire “Posso chiamarti Lumos dei miei occhi?”.
Gli occhi blu di Ned erano belli, sarebbe stato un peccato distruggerli con la stessa fattura.
Davvero, gli occhi di Ned non se lo meritavano.
Si morse l'interno di una guancia, Liv, ben consapevole di star cercando semplici scuse.
«Cosa le hai chiesto, Stevens? Quanto fa due più due?» spezzò il silenzio tra loro Sirius in tono ironico e confidenziale diretto al Tassorosso che sembrò non essere in grado di sentire nessuno a parte Liv.
A quelle moleste parole, il disagio totale fatto a peso sullo stomaco di Liv si trasformò con sollievo in familiare e sano Ardemonio che le fece tirare fuori la bacchetta dalla tasca per puntarla contro il petto del suo proprietario.
«Che vuoi, Black?!» ringhiò quasi felice, felice di sentirsi di nuovo se stessa.
Il sorriso insolente di Sirius mise in mostra tutti i denti bianchi mentre Ned sollevava un perplesso sopracciglio biondo spostando lo sguardo confuso dall’una all’altro.
«Voglio la mia bacchetta, Olivia»
«Prenditela allora»
La luce nei grandi occhi scuri di Olivia continuava a fargli lo stesso effetto della volta nei bagni al secondo piano quando ad avere i capelli neri e gli occhi grigi era lei.
Non era ammirazione, non era insensato odio e fastidio misto a pallossissima saccenza da maestrina che lo trovava “Arrogante, stronzo, pallone gonfiato”, tipico della piccola ma esistente parte femminile di Hogwarts che non lo adorava. Come Evans, per esempio, o Sandra Barker che comunque aveva smesso di insultarlo e trovarlo ‘Arrogante, stronzo, pallone gonfiato’ dopo una chiacchierata, qualche frase sussurrata all’orecchio e uno sguardo particolarmente insistente.
Quella che vedeva sempre ardere come fiamme tra le lunghe ciglia dei caldi occhi marroni di fronte era irresistibile sfida e spietata ribellione.
Era antipatia e odio vero per qualcosa, per tutti gli scherzi subiti negli anni che Olivia si stava premurando di restituirgli con gli interessi.
Era la sfacciataggine con cui lei sfoderava la bacchetta invece di limitarsi come tutti gli altri a dirgli che era stronzo.
Era il suo essere stronza a sua volta, in pratica e non soltanto a parole.
Lasciandosi invadere dall’offuscante sensazione di avere il Whisky Incendiario nelle vene, Sirius tirò fuori la bacchetta di prugnolo che Liv puntò subito con sguardo possessivo facendogli spuntare un mezzo sorriso sghembo.
«Sul serio?» esordì Ned più irritato che sbalordito «Sul serio volete duellare quiAdesso?».
«Certo che no, Stevens» rispose Sirius, mentendo spudoratamente, avanzando di qualche passo verso la sua rivale per farla indietreggiare tra le tende ma lei non si mosse dalla sua postazione nemmeno quando le rispettive bacchette pigiarono contro la maglia delle Harpies e quella dei Rolling Stones.
Il profondo sguardo fiero e determinato, la morbida treccia castana perfettamente immobile sulle spalle dritte, il naso leggermente arricciato nella smorfia che le faceva nascere la fossetta: Olivia era testarda e profumata e Sirius ebbe l’impellente necessità di morderle con forza le labbra come se non si fosse mai spostato da lei dalla sera precedente nella Guferia invasa da una strana scarica elettrica scoppiata come una scintilla sempre più grande e pericolosa ogni volta che si ritrovava Liv davanti.
«Non hai il coraggio?» lo provocò lei sollevando proprio quella curva magnetica che lo sguardo penetrante dalle pupille dilatate di Sirius lasciò per trafiggerla negli occhi.
Liv sostenne lo sguardo mordendosi inconsciamente le labbra sentendo quelle di Black chiamarle urgentemente come nella maledetta Guferia.
«Ti sei dimenticata con chi hai a che fare» le rispose Sirius girandole lentamente attorno in modo tale da dare lui le spalle ai veli rossi e argento che Liv, seguendolo nel movimento per non perderlo di mira, osservò guardinga.
«Quello sei tu» replicò sollevando un sopracciglio castano «Che credi di potermi attirare lì dietro adesso».
Il sincero sorriso divertito e strafottente di Sirius, in un altro momento, l’avrebbe istigata ad usare la bacchetta. Ma non in quello.
Non quando il cappello a punta della McGranitt svettava come il tetto spiovente di una torre tra gli ospiti alla sua destra.
La McGranitt che da alcuni anni a quella parte era diventata una specie di ‘Angelo della morte’ che non portava mai buone notizie se vista in situazioni non abituali per lei.
E vederla lì non era di certo la normalità. La professoressa preferiva stare di guardia tutta la notte ad una punizione con James e Black piuttosto che andare alle feste di Lumacorno.
 
 Ancora meno se il suo viso invece che essere furioso o severo per Lumaconro praticamente ubriaco è paurosamente sommesso.
O se accanto a lei c’è una ragazza con una faccia pallida e preoccupata come quella di Lily in questo momento.
 
Sirius vide Liv allontanarsi senza dire una parola, la bacchetta puntata al pavimento, il viso così serio da ingrandirle gli occhi non più ridotti a fessura.
Una strana voglia di seguirla come quella sentita dopo la lettera di Andromeda finita nelle sue mani per sbaglio e poi sul pendio per tornare al castello dopo gli allenamenti lo spinse a fare un passo avanti verso di lei, ormai distante, per poi ritornare al fianco di Ned dalle bionde sopracciglia aggrottate.
 
 




 

*




 
 
Un’ampia stanza quasi totalmente buia, illuminata dalla fievole luce notturna proveniente dalle alte finestre a sinistra e da uno scoppiettante fuoco nel camino davanti a due morbide poltrone con tanto di cuscini, plaid e tavolette di cioccolato fu tutto ciò che Mary trovò dietro la grande porta dorata apparsa all’improvviso.
Perchè no, non era un’allucinazione o l’ingresso di una vecchia aula sempre stata lì come le aveva detto Remus che aveva praticamente smesso di respirare alle sue spalle.
Spinta dalla curiosità Mary ci entrò di soppiatto, come se non volesse distrubare, ma dopo essersi guardata attorno più volte mentre raggiungeva lentamente la fonte di luce maggiore, capì che a parte loro due non c’era nessun’altro.
«Che razza di aula è questa?» chiese sottovoce.
Remus, dietro di lei, non rispose, troppo preso a scrutare ogni dettaglio, ogni oggetto, ogni angolino della Stanza delle Necessità per scovare il lupo. Niente, però, lì dentro gli ricordava il suo segreto.
Dietro le alte finestre che rischiaravano l’oscurità come un soffuso tappeto argentato che portava al camino si poteva intravedere il cielo stellato come quello reale fuori dal castello, ma senza luna.
Si avvicinò al davanzale più vicino scrutando con maggiore attenzione ogni centimetro di buio punteggiato di stelle tremolanti ma della luna non c’era traccia nonostante mancassero quattro giorni al plenilunio.
A quella vista, un traboccante senso di pace sembrò alleggerirgli le labbra che si sollevarono da sole.

«Che cosa hai pensato prima?» chiese a Mary vedendola studiare con attenzione una poltrona come per accertarsi che fosse vera.

«Prima quando?»
«Quando urlavi quelle cose... facendo avanti e indietro sotto Pix e il mazzo di vischio»

Le guance sfiorate dai capelli biondi si colorarono di rosso.

«Stavo pensando a quello che stavo dicendo» rispose troppo velocemente Mary, arrossendo ulteriormente «Perchè io a differenza di qualcuno non nascondo nulla».

Remus abbassò la testa castana spettinata portandosi una mano sulla nuca con nervosismo prima di risollevare lo sguardo ambrato su di lei.

Siamo dentro la Stanza delle Necessità, Mary. Una stanza che si apre soltanto a chi ha davvero bisogno di qualcosa. E tu hai detto che avevi bisogno di sapere dove vado ogni mese e perchè sto male... ma qui non c’è la risposta che cercavi. 

«Stavi per forza pensando più intensamente ad altro, non è vero?» le disse avvicinando tra loro le sopracciglia castane in una pacata espressione interrogativa.

Mary restò a guardarlo, sbigottita, e le chiazze rosse sulle guance raggiunsero  orecchie e collo. Per la prima volta in vita sua provò l’istinto di dare un pugno al viso dolce di Remus Lupin. Perchè lui poteva benissimo nascondere ogni cosa dietro quella pelle pallida e gentile e lei, invece, no.
Cos’era quello sguardo saccente?
Cos’erano quelle sopracciglia certe di sapere?!
Sapere che sì, aveva pensato più intensamente a qualcos’altro!
Aveva semplicemente pensato al bisogno di farlo stare bene, farlo sentire al sicuro, qualsiasi fosse il suo problema!

«Cos’è questa stanza? Hai l’aria di saperlo e ti ricordo che le bugie non sono ammesse» sbottò in tono particolarmente infastidito guardandosi attorno, minacciosa.
Remus schiuse le labbra.
«Non lo so ma» mentì automaticamente aggiungendo un senso di colpa in più alla marea che portava sulle spalle «se è spuntata fuori singifica che quello che hai pensato è davvero importante...»
«Non è importante! Ok?!» stroncò il discorso Mary con un rigido gesto della mano mentre si voltava verso il camino per nascondere il volto furioso ed imbarazzato.

Tutto quello che invece Remus sentì stando in quell’ovattato ambiente confortevole e sereno era tutt’altro che poco importante. Era come aver trovato un nascondiglio dalla luna dove il lupo non l’avrebbe mai trovato, anche se illusorio.

«É importante invece il fatto che non hai ancora risposto alle mie domande» continuò la minuta figura di spalle che si stagliava davanti alla luce dorata del fuoco.
«No, non lo è» smentì Remus.
«Perchè no? Hai smesso miracolosamente di avere un problema? Di stare male, per caso?» gli chiese stizzita Mary sfiorando con le dita lo schienale della poltrona blu.
«Esattamente» rispose Remus sinceramente.

Mary voltò la testa bionda il tanto che bastò per guardarlo con un solo occhio nocciola. La luce infuocata del camino le disegnò il delicato profilo e i chiarissimi e sottili capelli attorno al suo corto caschetto in controluce.
«Era questo che volevo più intensamente» si lasciò sfuggire pensando di non poter essere sentita.
Un sussurro sospeso nel fiato tra le sue labbra che in quell’ampia stanza colma di denso silenzio come sul fondo di un’oceano echeggiò dolcemente simile ad un’onda che avvolse Remus prendendolo in pieno petto.

«Ma se non conosco il vero problema, fuori da qui io non posso aiutarti»
«Stai già facendo tanto, Mary. Stai facendo tutto il possibile»
«Voglio fare l’impossibile»
«Non puoi»
«Sì che posso. Sei tu che dici sempre che non puoi, Remus, ma io posso»
«Non puoi nemmeno tu. Nesssuno può fare l’impossibile per questo problema ma tu stai facendo il possibile ed è tutto ciò di cui ho bisogno».

Fu Mary, questa volta, a sentirsi accarezzata dalla placida onda delicata.




 
 

 

*

 
 
 
 


Come si possono sentire i suoni senz’aria? 
Perchè non credo ce ne sia più, d’aria. 
 
«...In strada...»
 
Il mio naso inspira, forte, eppure è come se davanti a me ci fosse un cuscino premuto da un assassino esperto.
E la voce di Silente continua a rimbombare nel suo ufficio come se avesse la bacchetta puntata in gola. Come se Petunia gli avesse prestato la sua tonalità di voce capace di oltrepassare i muri quando mi vede.

 
«Degli Auror l’hanno trovato fuori da casa...»
 
E come si può sentire la dura sedia sotto al sedere senza avere un sedere, una schiena, due gambe?
Fa così male che mi viene da correre via, anche se non sento nemmeno i piedi.
 
«La vicina ha assicurato di averla vista uscire per andare al supermarket dietro l’angolo. Questione di minuti e sarà avvisata anche tua madre...»
 
Come si possono avere i brividi senza un corpo?
E gli occhi? Perchè vedo quelli azzurri e serissimi di Silente sopra le mezzelune senza avere gli occhi?
Occhi che cominciano a bruciare senza che io possa rendermene effettivamente conto perchè non ho occhi. Non li ho.
Così come non ho una mano, quella che Liv fino a qualche istante fa mi stringeva come se fosse stata il Boccino D’Oro alla partita Serpeverde-Grifondoro e che adesso invece è come se non ci fosse.
La mia mano che Liv ha smesso di stritolare appena Silente ha detto ‘Morto’, la parola che continua ad aleggiare sempre più intensamente al ritmo delle lacrime che sento pungere e spingere dietro le palpebre; la parola che sta rimbombando nel cervello di Liv in questo momento, facendole vedere Silente come una marionetta muta.
 Lo so perchè è così che comincio a vederlo io, almeno fino a quando la sua veste viola non diventa una chiazza sfocata e la barba un’argentea scia tremolante.
Silente è una macchia di colori che muove la bocca senza far uscire alcun suono solo che ad essere morto è il padre di Liv, non il mio, ma posso immaginare cosa lei stia sentendo adesso perché anche io ho sentito il nome di mio padre seguito da quella parola, tre anni fa. Mio padre è stato portato via da un incidente stradale e non c'era stato nessuno a cui dare la colpa; il padre di Liv invece è stato spazzato via da qualcuno che vive, respira ed ha una colpa, e non posso minimamente sapere cosa lei adesso possa sentire e vedere mentre si alza di scatto dalla sedia che ha trascinato rumorosamente indietro mollando la mia mano.

«Liv» la chiamò Lily sentendo la sua stessa voce spezzarsi in un singhiozzo nato dal cuore, dal ricordo del signor McAdams che le stingeva la stessa mano al binario nove e tre quarti chiedendole se era pronta per iniziare il settimo anno soltanto quattro mesi prima.
Il signor McAdams che in tutti quegli anni non aveva potuto invitarla a casa sua per via di sua moglie ma che le aveva spiegato che sì, essere un Nato Babbano come loro due aveva delle conseguenze nei due mondi ingiusti che li circondavano ma che non cambiava quello che erano dentro. Non cambiava “La bellissima anima che hai, Lily”.

Ma Liv- in piedi con la schiena anche forse troppo dritta, come in trance- si limitò a fissare freddamente un punto imprecisato dietro le spalle del Preside e della McGranitt che le si era avvicinata per posarle una mano su un braccio.
Lily conosceva quello sguardo, quegli occhi. Nel marrone scurissimo che l’amica aveva sotto le sopracciglia immobili bruciava qualcosa di più del dolore cieco, incontenibile. In quegli occhi non c’era più niente da perdere.
Dando le spalle a tutti a testa alta, Liv si mosse rigidamente verso la porta che aprì in un gesto così lento da sembrare al rallentatore.
Senza riuscire a muoversi, invece, Lily rimase a guardarla marciare fuori, verso la scala a chiocciola, innaturalmente tranquilla ma incredibilmente decisa.
«Liv!» La chiamò ancora, spaventata, con un nodo in gola a stracciarle le corde vocali non del tutto guarite e una calda lacrima seguita da una pioggia di gocce salate che le invasero gli zigomi e le guance.
Se Liv non aveva più niente da perdere non aveva davvero più regole, prudenza, valori, limiti, vergogna e paura.
Doveva seguirla prima che potesse fare qualche scemenza, certo, ma non prima di aver fatto una cosa lei.
Con il viso stravolto e le lacrime copiose anche sul collo, si voltò verso Silente.

«È sicuro di non sapere com’è successo, signore?!»
«Lily...» Il tono di Silente era così pacato, come il suo sguardo cristallino, che Lily fu costretta a stringere con forza i pugni per non urlare, gridare e buttar fuori tutto il dolore che sentiva esplodere dentro.
«Proprio sicuro, Preside?! Perchè se non è colpa di una di quelle tragedie ‘di gruppo’ che ammazzano Babbani e Nati Babbani spuntando poi nei giornali in prima pagina allora cos’è!? Un infarto?! E voi che ne sapete!? Non lo sapeva nemmeno la signora McAdams! Avete degli Auror appostati davanti casa di Liv o dietro suo padre ventiquattr’ore su ventiquattro!? Cosa ci facevano quegli Auror lì!? In un quartiere Babbano! E ha detto che c’è stato un duello... come fa a saperlo se gli Auror l’hanno trovato dopo?!»
«Evans» intervenne sconcertata la McGranitt con uno sguardo tra l’ammonitore e lo stupito che Lily non vide nemmeno con la coda dell’occhio verde arrossato, puntato con determinazione su Silente.
«NON CREDE CHE LIV ABBIA IL DIRITTO DI SAPERE COME’È MORTO SUO PADRE, SIGNORE!? » gridò Lily con rabbia viscerale e una smorfia di sofferenza data dalla pressante ed insostenibile sensazione che non faceva altro che aumentare secondo dopo secondo.
«ANCHE SE QUESTO DOVESSE SIGNIFICARE RIVELARE UN SEGRETO, PER QUANTO IMPORTANTE ESSO SIA
 
Continuò a sostenere il criptico sguardo vivido di Silente che da sopra le lenti degli occhiali non sembrava più chiederle scusa ma scrutarle con attenzione gli occhi verdissimi e colmi di lacrime.
Quelli della McGranitt, invece, erano spalancati come gli sguardi dei Presidi nelle cornici appese tutt’intorno.

«NON LA FACEVO COSÍ EGOISTA!». L’urlo finale di Lily, esploso insieme al dolore nei linemanenti bagnati e rossi per lo sforzo, mandò in mille pezzi scintillanti tre delicati oggetti di cristallo che fino a qualche istante prima avevano sbuffato fili di fumo ticchettando riticamente sui tavolini.
Fanny aprì le grandi ali rosse in un nervoso fruscio di piume fiammanti come i lunghi capelli svolazzanti di Lily che corse via, fuori dall’ufficio adesso pieno di borbottii oltraggiati dei ritratti.
 
«EVANS! COME  TI PERMETTI!?»
«Lasciala andare, Minerva»
 
 




 

*

 
 




Da una decina di minuti, l’intenso sguardo grigio sopra il bordo del bicchiere scrutava attentamente gli ospiti nella stanza alla ricerca di un giubbino in pelle, di una treccia castana, di un paio di grandi occhi scuri.
Sirius stava sorseggiando le ultime gocce del suo drink osservando per l’ennesima volta la folla alla ricerca di Liv che sembrava essere sparita nel nulla.
Lo spaventoso bisogno di cercarla l’aveva indotto a versarsi con urgenza del Whisky Incendiario per buttarlo giù e levarselo di dosso. Era già finito, il Whisky, non quell’istinto scomodo.
Si voltò verso il tavolino per versarsi di nuovo da bere. Il Whisky scivolò come ambra liquida nel vetro decorato tra le sue mani mentre lo sguardo tra qualche ciuffo nero sfuggito al piccolo nodo dietro la testa ritornava di tanto in tanto a studiare di sottecchi ogni persona senza riuscire a farne a meno.
A sinistra, Ned Stevens era tornato da Bettie Wood senza perdere la sua aria stranita.
Tra il gruppo di ballo e Bozo che scattava foto a Dirk Cresswell, James era bloccato in una conversazione con Lumacorno e un uomo gobbo.
Al buffett, delle tette di Peter nemmeno l’ombra ma solo Alice che imboccava ridicolmente con un pasticcino quel santo di Frank Paciock.
Owen si era seduto con aria spaesata su una delle sedie vicino ai musicisti e a quella di un Fleamont Potter nella sua versione migliore da Malandrino in libera uscita. Nessuna familiare treccia scura profumata, nessun’altro giubbotto in pelle fuori luogo come il suo, nessuno sguardo ribelle.
Quando il bicchiere fu pieno se lo portò velocemente alle labbra allontanandoselo ancora prima di sfiorarlo, come se scottasse. Gli occhi grigi ridotti a fessura sotto le folte sopracciglia nere restarono immobili su quel liquido caldo che scendeva per la gola infiammando anche i polmoni ma non l’inspiegabile ed inquietante sensazione più forte, più bruciante che continuava a gridargli di andare a cercare Olivia, l’Olivia con lo sguardo non combattivo come poco prima di sparire dietro la porta dell’aula vuota quella stessa mattina; L’Olivia sul pendio del parco di ritorno dagli allenamenti, sul treno di ritorno ogni fine Giugno, sulla solita panchina di fronte al Tower Bridge certe notti d’estate.
L’Olivia con la treccia castana che sbucava da sotto il Cappello Parlante, prima che lui la chiamasse con il suo nome intero facendo diventare i profondi occhi spaesati ed incerti due decisi tizzoni ardenti.
 
 



 

*

 



 
 
 
Il silenzio del corridoio otto dei Sotterranei fu spezzato dal rumore ritmico di passi.
Barty Crouch Junior, appostato davanti alla porta del bagno come una sentinella, raddrizzò la schiena facendo scattare la testa prima a sinistra e poi a destra, vedendo con i bruni occhi allarmati la figura di Liv sbucare dal buio in fondo al corridoio.
I suoi passi decisi echeggiavano tra i muri di pietra umida illuminati dalle rosse lingue di fuoco delle torce. Quella camminata troppo sicura anche per lei e il volto trasfigurato in una maschera senza emozioni ed espressioni lo bloccarono sul posto.
Barty non riuscì a muoversi, tantomeno a parlare mentre la osservava avvicinarsi costante come in un’inarrestabile marcia di guerra, con una lunga bacchetta nera stretta nella mano inerte al suo fianco e la spettinata treccia castana che si muoveva ad ogni passo sulla sua spalla ben dritta.
Gli occhi scuri, incredibilmente determinati ma fissi nel vuoto, non erano i suoi. Liv sembrava potesse andare contro i muri e distruggerli al suo passaggio per raggiungere la meta che si era decisa di raggiungere.
Liv  non sembrava più Liv ma una statua di marmo trasfigurata per avanzare in quel modo così poco umano, distante dalla realtà che la circondava.
Liv sembrava pronta a tutto, anche a morire.
Barty ci mise mezzo secondo per capire e sfilare dalla veste la bacchetta.
«Protego!» riuscì a dire con notevole prontezza e precisione. Lo scudo che evocò fu subito colpito da un fascio di luce rossa così luminoso da fargli tremare l’intero braccio e cascare come pioggia il velo trasparente nel suo terrore più totale.
Il secondo lampo di luce fu l’ultima cosa che vide prima di cadere a terra, svenuto.
Silenziosa com’era arrivata, senza arrestare il suo passo di guerra, Liv entrò in bagno e fu Piton quello che volò all’indietro fino a sbattere con forza sulla porta in legno di uno dei gabinetti che un’alta figura maschile si era appena chiuso alle spalle.
Il Serpeverde scivolò rovinosamente a terra sotto gli occhi spalancati dei suoi amici che sfoderarono le bacchette in contemporanea.
 


 

 

*

 
 



«Cos’è successo?!»
La voce della Signora Grassa rimbombò per tutto il settimo piano insieme al veloce suono delle suole delle ballerine blu di Lily che arrestò la folle corsa sotto gli occhi sconcertati ed impauriti della donna nella grande cornice dorata.
«Pene d’Amore» singhiozzò Lily cercando asciugarsi le lacrime sulle guance che però non volevano smettere di scendere.
La Signora Grassa abbassò la mano che si era portata all’ingioiellato e prosperoso petto e le sorrise amaramente lasciando scivolare via l’ombra di apprensione dal volto dipinto.
«Oh, capisco. Vedi quanto è corretta la parola d’ordine, mia cara?».
Lily riuscì vagamente ad intravedere tra il velo di lacrime il suo sguardo sinceramente dispiaciuto mentre si spostava di lato per lasciarla passare.
«Passerà, Evans. Passerà».
Lily ingoiò un singhiozzo buttandosi a capofitto oltre il buco sul muro, coprendosi il viso arrossato con i capelli per nascondere la faccia ai compagni di Casa ancora nelle poltrone.
 
 



 

*



 
 
 
Sirius posò il bicchiere pieno su un vassoio che un elfo domestico stava portando sulla testa e si immerse tra le persone ancora in vena di ridere e chiacchierare; tra Allock che tentò di fermarlo per parlare, un’anziana strega che gli afferrò il giubbotto per ballare e una ragazza che lo salutò con una carezza su un braccio.
Si districò dalla massa di gente e lasciò la festa varcando la porta addobbata dell’ufficio di Lumancorno.
Doveva trovarla.
Non sapeva ascoltarla, non sapeva parlarle, non sapeva ammansirla, domarla; non sapeva rimetterla in sesto ma doveva trovarla per fare l’unica cosa che gli riusciva meglio: pronunciare insolentemente il suo nome.
 
 



 

*

 
 
 


Lo scudo che si propagò dalla punta della bacchetta nera di Sirius in mano a Liv fu così ampio da proteggerla per intero e parare tutt’e due gli incantesimi offensivi che Mulciber e Regulus le lanciarono nello stesso momento.
Fu Liv a spezzarlo per scagliare una Fattura Pungente a Regulus che mugolò dal dolore prima di attaccare ancora insieme a Mulciber.
Le maledizioni rimbalzarono di nuovo sul suo nuovo scudo con profondo sconcerto visibile negli spalancati e storditi occhi neri di Piton, ancora con le chiappe sul pavimento.
Ti conviene andartene, McAdams, sei impazzita?!
«SEVERUS!» ruggì Regulus chiamandolo in aiuto da sotto un lavandino che esplose subito dopo, colpito da una saetta viola, andando in frantumi con un l’assordante fragore della ceramica spezzata e della fontana d’acqua che ne scaturì.
Ma il viso scioccato di Piton rimase a fissare Liv, o meglio, quella che aveva soltanto le sembianze di Liv mentre faceva esplodere metà bagno senza mimimamente intaccare il suo alterato stato mentale allucinato; mentre scagliava incantesimi e fatture senza respirare con i lineamenti contratti da una malsana ferocia e gli occhi così gelidi e spaventosi da sembrare diabolici, perversi, senz’anima.
Liv sembrava intoccabile come un incendio alimentato dal vento, distruttiva come un’inarrestabile uragano.
Piton cercò la bacchetta nella tasca dei pantaloni neri non per colpirla con una maledizione ma per cercare di lanciarle un Incantesimo Tacitante perchè era ovvio che Avery fosse riuscito nel suo intento, ovvio che avesse portato a termine il suo compito.
Una notizia che stava visceralmente alimentando il vulcano ruggente che era diventata Liv. Una notizia pericolosa, lì, davanti a Mulciber, Regulus eRookwood, nascosto dietro la porta in legno sul quale ancora premeva le schiena.
Ma osservando le labbra serrate di Liv e la gola che le si muoveva spasmodicamente come se stesse ingoiando saliva inesistente mentre puntava la bacchetta su Mulciber schivando la maledizione di Regulus, Piton capì che non c’era bisogno di renderla muta: le parole che aveva incastrate nelle corde vocali e negli occhi infernali che avevano puntato i suoi appena aveva messo piede in bagno non le sarebbero mai uscite.
Stupida. Dovevi startene buona da una parte, McAdams! 
“Salvare anche tutti quelli che stanno con me”, Lily, non significa salvarti ma rischiare la vita perchè ‘tutti quelli che stanno con te’ sono degli emeriti idioti!*
Tu sei l’unica da salvare! Per salvare te devo salvare te e basta, nessun’altro! Nessun’altro che poi viene a combattere davanti a tutti senza un minimo di cervello!
Anche Mulciber volò per aria, finendo contro uno specchio che si ruppe in mille pezzi affilati cadendo insieme a lui con un forte frastuono sovrastato dal grido di dolore di Regulus che la fattura di Liv aveva appena c’entrato in pieno, rompendogli un braccio.
«Vatt...» tentò di sibilare a denti stretti Piton, trafiggendo Liv con sguardo pungente ma la fattura di lei sferzava già l’aria nella sua direzione.
Piton fu costretto ad evocare in fretta e furia un Incantesimo di Protezione mentre si alzava da terra come Mulciber, sanguinante sulla faccia accartocciata dalla rabbia e dall’odio.
«Crucio!» ringhiò Mulciber.
Liv ebbe il tempo di chinarsi per evitare come se fosse stato un bolide la Maledizione Senza Perdono che le sfiorò la treccia in aria.
«Incarceramus!»
Voltarsi a destra per tagliare di netto le funi lanciate da Regulus.
«Exulcero»
Ma non abbastanza per evitare la fattura di Piton che le provocò delle brucianti ustioni sulle mani. Un lieve pizzicore cominciò a risalire da un lontano punto imprecisato del profondo buio in cui Liv sentiva di star galleggiando da non sapeva nemmeno quanto tempo. Da lieve divenne così forte da farla vacillare, e lo scudo che tempestivamente evocò sembrò cedere sotto tre fasci di luce rossa.
 
 




 

*



 

 
 
Non c’era.
Liv non era in camera. E neanche Mary.
Lily sentì le ginocchia cedere e il petto stretto nel vestito gonfiarsi sollevandosi ed abbassandosi sempre più velocemente.
Un ringhio frustrato misto a pianto represso esplose nella circolare camera del dormitorio illuminata solamente dalle braci della piccola stufa al centro. Le mani bianco latte di Lily si artigliarono ai folti capelli rossi sulla testa, disperate, e il verde smeraldo sotto il mare di acqua salata negli occhi stretti a fessura scintillò alla luce della luna quasi piena che si affacciava dietro la finestra.
Lily lasciò le ciocche vermiglie per stringere a pugno le mani immerse nelle morbide onde della gonna blu notte lungo i fianchi.
Non poteva cedere, non poteva andare in pezzi. Non senza Liv tra le braccia.
Inspirando profondamente fece dietrofront, bloccandosi ancora prima di uscire dalla porta del dormitorio rendendosi conto di essere soltanto un minuscolo punto in un enorme castello.
Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio e trovarlo dopo ore, magari troppo tardi. Troppo tardi perchè il suo cervello non aveva nient’altro da suggerirle a parte farle vedere la sua migliore amica lasciarsi cadere nel vuoto o dilaniata dalle Maledizioni di Piton che poteva benissimo essere andata a cercare.
Gli occhi verdi appesantiti dall’alone nero del mascara scivolato insieme alle lacrime dalle lunghe ciglia bagnate saettarono spalancati nella penombra della stanza vuota, incapaci di fermarsi come i luoghi che avevano cominciato ad affollare la mente che Lily cercava a tutti i costi di mantenere lucida.
La Torre di Astronomia, la Guferia, la Cucina, una finestra qualsiasi di qualsiasi piano, un bagno qualsiasi di qualsiasi piano. 
Dando per certo che i piani sono sette, che le torri sono come minimo il quadruplo e che come bonus esistono anche le scale mobili e un Sotterraneo-Labirinto... 
Lily sentì l’angoscia risalirle in gola ma anche la leggera pressione sul polso che le aveva fatto il solletico per tutta la serata.
Sollevò il braccio destro infilando due dita tremanti della mano sinistra nella stretta manica del vestito per sfilare il piccolo e tondo bottone di James che non era fosforescente ma sembrava illuminarle il viso come nel sogno fatto settimane prima con Black sul letto di Liv e Remus ad appendere agrifoglio sulla porta del bagno.
“Accettare un aiuto non significa essere dipendente da qualcuno, Evans” 

 






*

 
 
 



«Hai visto Sirius e Peter?»
«No».
 James annuì, un tantino più preoccupato di quando si era avvicinato alla ragazza con il drink in mano e chiamato il suo migliore amico allo specchio per ben sei volte. 
«Hey, avete visto Sirius e Peter?»
«Mai mi sarei sognato di sentire questa domanda da te, Capitano! Se non lo sai tu chi deve saperlo?!» Alan Morgan rise, contagiando anche Harrison che aggiunse dell’altro.
«Sirius non lo so ma se Peter è quello con il vestito e il seno enorme allora credo sia stato rapito da quel ragazzo là. A quanto pare ha fatto colpo».
Alan rise ancora ma non James che con il viso improvvisamente pallido e rigido si portò frettolosamente una mano nella tasca dei pantaloni.
«C’è qualcosa che non va, James?» gli chiese Harrison diventando incredibilmente serio.
Agghiacciato, James negò con la testa allontanandosi velocemente da loro per sfilarsi il caldo bottone ed osservarlo con i grandi occhi nocciola dilatati dietro le lenti rotonde degli occhiali: “Clessidre”
 E come se non si fosse mai alzato dalla base della clessidra vicina alle scale dei sotterranei la notte che aveva dato a Lily quel bottone, James sentì i tendini della gambe stirarsi e fremere, pronti a scattare.
Il cuore non fece in tempo nemmeno a pompare il primo battito più accelerato nel petto improvvisamente dolorante che James aveva già attraversato la sala della festa, sbattendo addosso a tutti con la feroce belva ruggente dentro al petto già pronta ad attaccare con artigli e zanne la faccia di Piton che, chissà come, James aveva improvvisamente impressa sulle retine degli occhi nocciola così seri da impaurire Mani di Mazza che si fece da parte lasciandolo passare.
Corse fuori con il battito perfino nei capelli spettinati e dentro la mente completamente vuota.
Risalì le strette scale dei sotterranei saltando i gradini tre a tre, aiutandosi con le mani sui muri umidi per non cadere.
Intravedendo le clessidre, spalancò gli occhi alla ricerca di un altro rosso a parte quello dei rubini Grifondoro.
Ma arrivato proprio davanti, nella luminosa Sala d’Ingresso, di Lily non c’era traccia. Senza fiato, si piegò in due dalla stanchezza.
«Che significa?» esalò con voce tremante facendo scattare lo sguardo allucinato in ogni direzione.
Rimettendosi dritto si portò entrambe le mani tra i capelli con incontrollabile nervosismo.
«Non è possibile» sussurrò a se stesso cominciando a fare avanti e indietro dando le spalle all’ alta porta della Sala Grande ormai chiusa. «Avrà scritto sul bottone venti secondi fa, non di più».
Convincersi che Lily stesse bene e che forse quello che le aveva scritto era soltanto un appuntamento per chissà cosa di innocuo fu come credere di nuovo all’esistenza di una Profezia orribile che lo riguardava, uscita fuori al terzo anno dalle foglie di tè di uno scompisciato Sirius dopo aver fatto finta di essere la disperazione fatta a persona e che Remus era riuscito a togliergli dalla testa soltanto dopo mezzo anno scolastico.
Eppure l’elastico invisibile che lo riportava sempre da Lily era allentato. Era lì che lui doveva stare, era lì che Lily stava andando. Doveva essere così.
Tirò i capelli con rabbia- come se avesse già Mulciber e Piton tra le mani- prima di mollarli per allentarsi il sempre più stretto papilllon al collo quando il suo sguardo lasciò le clessidre per posarsi sul portone di quercia che li separava dal parco.
E se Lily aveva lanciato l’allarme lì, davanti alle clessidre? Se era stata attaccata proprio lì, con l’uscita a due passi?
James ci si scraventò lo sopra, avventandosi sul grande e pesante batacchio per controllare che fosse ancora integro e il suo nome echeggiò per la Sala alle sue spalle.
Girandosi di scatto vide Lily scendere di corsa i gradini della bianca ed ampia scala in marmo con le ballerine blu come piccole macchie di colore che si susseguivano ininterrottamente ad ogni gradino, i capelli danzanti come fuoco e la gonna ondeggiante attorno alla sua minuta  figura.
Notando qualcosa che non andava sul viso sempre più vicino di Lily, si mosse verso di lei raggiungendola alla base delle scale con una breve corsetta.
«Liv» esordì Lily in una smorfia che James non riuscì a distinguere tra dolore, stanchezza, rabbia, orgoglio. L’unica cosa che riuscì a capire fu che aveva una voglia irrefrenabile di prenderle il volto tra le mani in quel tumulto che l’aveva pervaso vedendo il viso di Lily rosso, stravolto e bagnato in qualche punto molto probabilmente dalle lacrime che si era asciugata di fretta- forse proprio per nascondergliele- e che le erano cascate dai verdissimi occhi accesi ma stranamente  irritati.
«Le è successo qualcosa?» si limitò a chiederle con voce inaspettatamente ansiosa forzando le braccia a stare ferme lungo i fianchi.
Lily annuì, schiarendosi con stizza la gola mentre una sfacciata e solitaria lacrima le rigava uno zigomo a dispetto di tutta la dignità e il contegno che stava cercando di far trasparire con il naso lentigginoso orgogliosamente per aria e le rossicce sopracciglia aggrottate. Se l’asciugò velocemente con una mano portandosi subito dopo una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 James la vide provare a respirare più lentamente anche se il suo petto sembrava su un’altalena impazzita.
«Lily. Tranquilla» le disse cercando di mantenere la calma nonostante il pesante pensiero rivolto a Liv «Non sei sola adesso. Sono qui». Non riuscendo più a trattenere le braccia, lasciò che si sollevassero ai lati del viso di Lily senza però nemmeno sfiorarle i capelli rossi racchiusi in un’invisibile cupola di vetro intoccabile, lontani da lui come lo erano sempre stati.
«Come» iniziò con l’affanno lei, scuotendo la testa e sfiorando con i capelli ondeggianti le dita di James che sgarnò impercettibilmente gli occhi dietro le lenti come sorpreso dalla mancanza del vetro. «Come ha fatto Black a sapere... a sapere che c’erano dei Corvonero in biblioteca senza vederli?!».
James rimase un attimo spiazzato di fronte a quella domanda assurda ma lo sguardo che traboccava urgenza di Lily e la sempre più angosciante preoccupazione per Liv lo riportarono prontamente con la testa sulle spalle.



 

 

*

 
 




 
La risata sadica e sopresa al tempo stesso, immortalata sul viso pietrificato di Mulciber, sembrava ancora rimbombare dentro le orecchie di Piton che con il fiatone e il sapore del sangue sulla lingua sfiorò con uno Schiantesimo una stremata ma sempre più agguerrita Liv con dei rivoli di sangue a rigarle una tempia mentre parava una fattura di Regulus, ricoperto dalla polvere del pezzo di soffitto crollato con l’esplosione di qualche minuto prima.
Erano tutti stremati, zuppi d’acqua e feriti, ma l’unica che sembrava non voler arrendersi era Liv, la pazza che Piton si era pentito di aver avvertito.
Appiattendosi al muro, dietro l’unico lavandino rimasto integro, Piton liberò Mulciber dall’incantesimo delle Pastoie mentre Regulus si copriva con uno scudo preso di mira da un consistente vortice di fuoco.
«CRUCIO!» gridò Mulciber, livido. Il grido di dolore profondo di Liv squarciò l'aria. Mulciber la guardò controcersi sul pavimento allagato, completamente distrutto come tutto l’ambiente che le stava attorno e che aveva mandato in frantumi praticamente da sola. Sorrise vedendola gridare con gli occhi serrati e il volto contratto inondato di lacrime. Quando abbassò la bacchetta, il suo ghigno si allargò restando ad osservarla annaspare tremante, pallida e bagnata, finalmente schiaccata a terra come il moscerino che era.
«Andiamocene» esalò Regulus tenendosi con sofferenza il braccio fratturato; gli occhi grigi fissi sulla lunga bacchetta nera ancora stretta tra le dita di Liv irrigidite dal dolore, bagnate d'acqua mischiata al sangue.
«Hai paura, Regulus?» lo sbeffeggiò Mulciber.
«No. Ma non vedo perchè rischiare per una come lei, siamo ancora sotto lo stesso tetto di Silente» rispose lui mentre Piton usciva allo scoperto senza lasciare con lo sguardo attonito la figura ansante di Liv che sembrava finalmente arresa. Oltre al dolore che aveva provato con la Maledizione, aveva ferite sparse per tutto il corpo; il ginocchio rotto, le ulcere alle mani e le bruciature sul collo che Mulciber le aveva procurato incendiandole il colletto del giubbino in pelle. Eppure la bacchetta di Black era ancora in mano e, con sconcerto, Piton la vide tentare di rimettersi dignitosamente in piedi come se non sentisse dolore, come se fosse impossibile da fermare, abbattere.
Il ferino sguardo colmo d’odio di Liv, che si sollevò lentamente per trafiggerlo tra i lunghi e bagnati ciuffi sfuggiti alla treccia quasi completamente sciolta, gli fecero stringere con più forza la bacchetta. La risata di Mulciber esplose ancora una volta tra le poche piastrelle bianche rimaste alle pareti.
«Sai cosa me ne importa, Regulus. Non ricordi cosa ti diceva Lucius, McAdams?! Credevi di essere salva, non è vero?» continuò Mulciber rivolgendosi a Liv, sardonico. «”Sono una Mezzosangue e non mi faranno niente!”. Per questo hai osato sfidarci?! Tu non dovresti esistere! Hai capito!? Sei una Sanguesporco quanto tuo padre! Non dovrebbe esistere nemmeno lui, dovrebbe essere morto come i vostri simili!».
Un feroce ringhio animalesco uscì dalle labbra di Liv che come una rabbiosa belva selvatica si scaraventò addosso a lui sbattendolo al muro per poi circondargli il collo con entrambe le mani.
Spaventati, Regulus e Piton sollevarono immediatamente le bacchette nella loro direzione e l’urlo di dolore di Liv si mischiò a quello sorpreso di Regulus che si sentì sollevare in aria da una forza inaudita proveniente dalle sue spalle dove Sirius, ansante sulla porta con la bacchetta di Liv sguainata davanti a sè, aveva gli occhi grigi così socchiusi da sembrare due affilate lame d’argento.
Regulus cascò improvvisamente a terra con altrettanta forza, schizzando d’acqua tutti e nonostante le bacchette di un inviperito Piton e un violaceo Mulciber puntate addosso, Sirius avanzò dentro al bagno a lunghe falcate decise per raggiungere lo strano sguardo vuoto di Liv che si premeva un braccio con una mano ed arretrava verso il muro scivolandoci sopra prima di accasciarsi a terra.
«Tanto per non cadere ancora più in basso ed imbrattare ancora di più i nostri sotterranei» commentò sarcasticamente Mulciber con voce roca tastandosi il collo arrossato e segnato dalle dita di Liv.
«Credevo che questo posto fosse lurido di suo» esordì di rimando la voce di James.
Gli sguardi allarmati dei Serpeverde scattarono ancora una volta alla porta dove entrambi i Caposcuola fecero la loro comparsa con bacchetta alla mano.
Subito affiancata da James, Lily esplose dando il via ad un selvaggio duello con lo sguardo folle e colmo di lacrime inchiodato su Piton, quello che aveva avvisato Liv omettendo la parte più fondamentale del pericolo; quello che aveva salvato la sua migliore amica sapendo che il padre sarebbe morto.
 




 

*






«Olivia»
 C’è un dolore che sta invadendo tutto.
Un dolore profondo, sordo che ha squarciato senza preavviso il buio ovattato che mi è cascato addosso insieme al calore incandescente sul collo... sembra mi stia mangiando la carne da dentro, una fitta lancinante al fianco, un gonfiore al ginocchio che pulsa e percorre i nervi  fino al cervello, una moltitudine di spilli che affondano in quasi ogni parte delle pelle, le mie corte unghie conficcate sull’avambraccio incredibilmente pesante e visicido, credo per il sangue che sento scorrere fuori dal corpo anche se non so bene quale sia il dentro. 

C’è il battito del cuore che mi scoppia nelle orecchie senza farmi sentire nient’altro.
Ci sono luci accecanti che pizzicano gli occhi e rallentano la vista.
C’è l’aria diventata cemento.
 «Olivia»
 C’è mio padre... che non può essere...
 Morto
“Tuo padre dovrebbe essere morto a quest’ora!”
“...Morto, McAdams”
“... dovrebbe essere Morto!”
“Tuo padre è morto, McAdams” 
Non può essere perchè mio padre continuerà ad esserci, sempre.
Dietro il buio che l’ha nascosto dall’ufficio di Silente fino a qui c’è mio padre che non è...
 “... Morto”.
Non lo è. 
 “Morto, McAdams”
No.
 «Olivia, mi senti?!»
 C’è la voce di Black, lontana.
Ci sono le sue labbra che si muovono al rallentatore.
 «Olivia, guardami»
 Ci sono anche i suoi occhi grigi, vicini come in Guferia.
C’è il suo profumo, intenso come in Guferia.
Ci sono i brividi che le sue dita mi scaricano come corrente elettrica sulle braccia... come in Guferia.
E c’è l’aria, facile da respirare, che mi riempie di nuovo i polmoni con urgenza... come in Guferia.
Posso respirare... e parlare...
«È colpa mia» esalò in una profonda inspirazione contemporanea a quella di Sirius, come se nemmeno lui volesse perdersi neanche una molecola dell’ossigeno di quell’aria tra i loro profili che ne era piena.
«Cosa?» soffiò infatti lui aspirando altra aria, il cuore impazzito nel petto, stringendole maggiormente le braccia e lasciandosi attraversare dalle scariche elettriche che in Guferia l’avevano allontanato e lì, invece, sembravano l’unica cosa che lo manteneva in contatto con lei, l’unica cosa che l’aveva risvegliata da quel pesante stato catatonico in cui l’aveva trovata.
L’unica cosa che le parlava, l’ascoltava, che sembrava rimetterla in sesto.
«Colpa mia» ripetè Liv con le pallide labbra tremanti e i denti battenti mentre i lampi di luce dei duelli accanto a loro si rispecchiavano nell’acqua sotto di loro e nei suoi sbarrati occhi fissi su Sirius.
Le iridi grigie si mossero frenetiche studiando con spavento ogni taglio sul viso smunto, quel castano scuro spiritato, vuoto, perso, non il solito combattente. Vederlo in quei grandi occhi sempre stati decisi era spiazzante, era sentire di volerle gridare il suo nome intero per ricordarle chi era, come in tutti i sei anni che la conosceva.
Ma il liquido caldo e viscoso che sentì bagnargli il jeans sopra il ginocchio poggiato a terra, vicino alla gamba di Liv, gli fece abbassare lo sguardo che si spalancò, orripilato: una chiazza rossa si espandeva a vista d’occhio sulla pietra, sull’acqua fredda  e sui jeans di entrambi.
Sangue, era sangue che sgorgava tra le dita di Liv pigiate sul braccio.

Lily,nel turbine del suo vestito blu e dei capelli rossi, Schiantò Mulciber chinandosi velocemente per schivare la fattura di Regulus e restituirgliene due.
«Expelliarmus Il raggio di luce di James sferzò rumorosamente l’aria per disperdersi in una pioggia di scintille sullo scudo di Piton. Il Serpeverde,  il secondo dopo, attaccò con l’odio puro ad animargli gli occhi neri. 
James schivò lo Schiantesimo lanciando di rimando un Impedimenta al suo nemico di sempre che volò verso il muro nello stesso momento in cui lui si ritrovò con l’orlo di una larga manica della veste tagliata di netto.
La totale ripugnanza che sentì risalire per quell’essere che portava il ‘là fuori’ lì dentro si estese senza filtri nei suoi occhi nocciola ridotti a fessura.
Non aveva idea di cosa fosse successo, del perchè Liv fosse andata lì con loro ma la sua frase detta qualche ora prima nell’Ufficio del Preside- “E Severus Piton mi ha dato un biglietto con un messaggio nascosto che dice chiaramente di non tornare a casa”gli era rimasta impressa addosso.Vedendolo mugugnare qualcosa con ancora lo sguardo di un assassino su di sè, James si preparò ad attaccare.
La sua veste gocciolante, ondeggiante per il movimento repentino che fece per parare un incantesimo, sfiorò i capelli di Liv mentre Sirius col cuore in gola provava a toglierle le dita dalla ferita; il sangue schizzò con maggiore pressione sulla maglia dei Rolling Stones, giusto il tempo che Sirius ci mise a ricoprirle il taglio con entrambe le mani tremanti, più forte. Gli occhi grigi sgranati tornarono spaventati su quelli di Liv, socchiusi.
«Epismendo» mormorò frettolosamente puntando la bacchetta di Liv sul braccio della sua stessa padrona. Il sangue parve rallentare ma non arrestarsi, esattamente come il taglio sulla guancia di James inferto da Mocciosus quel pomeriggio al lago dopo i G.U.F.O.* che aveva smesso di sanguinare soltanto a cena e si era rimarginato dopo un mese.
«É colpa mia» sussurrò in un fremito Liv, serrando del tutto gli occhi.
«No, no, no, no, no... Olivia!» la chiamò disperato Sirius, il cuore ormai anche in testa, afferrandole il viso ferito ciondolante tra le mani sempre meno stabili, per poi lasciarglielo subito dopo alzandosi di scatto col cuore galoppante, impetuoso.
«Sect...» La formula sibilata tra le strette labbra di Piton che si rialzava a fatica da terra per riattaccare James fu bloccata a metà dalla bacchetta di Liv, pigiata con forza sulla sua gola.
«CHE RAZZA DI MALEDIZIONE OSCURA HAI USATO?!» ruggì Sirius senza fiato, gli occhi folli. Il grido disumano, colmo non soltanto di rabbia ma anche di paura, fermò Lily e Regulus che spostarono lo sguardo su di lui con sconcerto e poi sul punto che il suo lungo dito tremante indicava. «FERMALA SUBITO!» gridò ancora Sirius senza riuscire a contenersi, gli arti gli tremavano tanto quanto il cuore. Prese Piton per il colletto dell’abito e lo trascinò verso Liv, senza smettere di premergli la punta della bacchetta sulla gola.
Lily si scostò velocemente la massa di capelli vermigli dalla faccia sconvolta, fissando con due dilatati occhi verdi arrossati la pozza di sangue sotto la sua migliore amica che anche James si apprestava a raggiungere di corsa.
«Non vedo perché dovrei dirtelo» ribatté Piton con le ginocchia a bagnarsi del sangue di Liv, senza staccare gli occhi smaniosi di rendere James un agognante pezzo di carne viva, molto peggio di lei. «Si è impicciata in cose che non la riguardano, la “ficcanaso”».
Sentì le dita di Sirius stringere con forza inaudita la veste attorno al collo, la bacchetta affondare nella carne facendolo tossire. Tentò di liberarsi, arrancando all’indietro, senza riuscirci; la presa di Black era più ferrea che mai.
«TI UCCIDO!» gridò Sirius, il volto trasfigurato dall’odio e da qualcos’altro che nessuno gli aveva mai visto baluginare negli occhi grigi. Avrebbe voluto sotterralo di fatture, distruggerlo a pugni, ma tutto quello che riusciva a pensare era il sangue di Liv sotto alle sue scarpe. C'era solo lei e il suo cuore impazzito che lo tennero lí, a costringere Piton. Con la coda dell’occhio vide Regulus puntargli la bacchetta contro, irrigidendosi all’istante dopo essere stato colpito da un Petrificus Totalus di James.
«FERMA SUBITO QUESTO SANGUE!» ordinò Sirius, di nuovo, in un grido imperativo carico di devastante rabbia e paura incontrollabile. «SE NON TI HO ANCORA DISTRUTTO LA FACCIA A PUGNI È PERCHÈ SOLO TU PUOI FERMARLO!»
Piton vide Lily, china su Liv con le mani completamente insanguinate, gli occhi verdi puntati su di lui pieni di lacrime e delle stesse parole gridate di Sirius.

Perchè lei sapeva cos’era quel sottile taglio bluastro che versava sangue rosso acceso senza avere mai fine.
Così come adesso sapeva che Piton, invece di ascoltare il suo consiglio di togliersela dalla testa, aveva perfezionato quell’idea malsana rendendola un vero incantesimo creato esclusivamente per uccidere, perchè dissanguare a morte significava puntare la bacchetta su un essere vivente, animale o umano che fosse, non su una mela.
Significava voler vedere morta la sua migliore amica, piuttosto che ammettere di aver tradito Mulciber e Regulus, i suoi compagni di ‘Scherzi’ per i quali era stato costretto ad inserire di nascosto l’informazione nel biglietto.
Significava, ancora una volta, che Severus Piton preferiva le Arti Oscure a lei.
Ma Piton rimase inginocchiato a terra, lì dove Sirius lo teneva piantato con la bacchetta alla gola, con uno sguardo carico d’odio puntato sulla tagliuzzata veste elegante di James che soltanto poco prima aveva sfiorato la bagnata gonna blu notte di Lily mentre combattevano fianco a fianco.
Salvare o no Liv, Mary, Potter e Black... non aveva più importanza. Quella gonna e quella veste sarebbero rimaste vicine, sempre di più.
Lo vedeva con incredulità negli occhi incerti di Lily, alle ronde, come se avesse anche soltanto un misero dubbio sulla figura un tempo irrevocabilmente idiota di Potter.
Lo vedeva nei posti che sceglievano per sedersi a tavola, nei luoghi in cui lui li trovava insieme sempre più spesso.
L’aveva visto nei capelli rossi che sfioravano quelli ridicoli e neri prima di sparire sotto lo stupido Mantello dell’Invisibilità, insieme.
L’aveva visto negli occhiali rotondi artigliati dalle sottili dita che un tempo avevano stretto giocosamente un rametto come se fosse una bacchetta, afferrato delicatamente l’enorme giacca di suo padre per togliergliela e non farlo morire dal caldo, stretto la sua mano per scappare insieme dalla pioggia battente fuori dalle Serre, circondato le sue attorno alla piuma immobile sopra la pergamena che subito dopo si era riempita di parole da spedire a sua madre.
L’aveva visto in infermeria, nei loro letti separati da un comodino ed uniti in linea d’aria dai loro sorrisi quasi amichevoli.
«L’hai sentito?! Muoviti!» inveì James, furente e terrorizzato dal sangue di Liv sempre più sparso.
La smorfia grottesca sul viso insanguinato di Piton fu soltanto la preparazione allo sputo che gli lanciò in risposta sulle eleganti scarpe nere, e la bacchetta di prugnolo in mano a Sirius scattò pigiando forte sul collo.
«Non è questo il modo migliore per ripagare il debito che hai con lui, Piton!» ansimò Lily in tono disperato e gelido al contempo, stringendo con più forza le mani attorno al braccio insanguinato di Liv. «Ferma questo sangue!»
Piton assottigliò gli occhi neri, collerici, nonostante la voce della sua ex migliore amica fosse spezzata dalla paura e dalla rabbia.
«Non ho... Io... Con lui!» Il disgusto e il profondo disprezzo gli uscivano con forza dalle labbra arricciate in una smorfia sempre più oltraggiata. «Tutti continuano a credere a un bugiardo! Tu continui a credere... è un falso eroe! Mi voleva uccidere! Tutti loro quattro...  mi volevano...»
«Ferma. Questo. Sangue.» scandì tassativamente Lily incapace di pensare ad altro che non fossero le sue mani viscide del sangue della sua migliore amica.
Piton, rosso di risentimento, parve scoppiare di un odio che nemmeno James aveva mai visto prima. La smorfia sul suo viso giallastro parve cedere quando, spostando con fervore gli occhi, incontrò la figura di Mulciber, appena liberato dallo Schiantesimo dalla punta della bacchetta di Rockwood che Piton intravide tra lo stipite e la porta socchiusa del gabinetto intatto davanti a loro.
«É lì che deve stare il sangue come il suo» s’intromise Mulciber poggiandosi al muro con un breve capogiro.
«E il tuo, Evans...» aggiunse Regulus, di nuovo del suo colore naturale e capace di muoversi, sostenendo lo sguardo improvvisamente glaciale di Sirius che non gli puntò la bacchetta contro soltanto per non lasciare la morsa che teneva Piton inginocchiato a forza davanti a Liv.
Prima che la bacchetta di James si sollevasse, quella di salice scattò su Mulciber e poi su Regulus, entrambi con la lingua inaspettatamente incollata al palato. Lo sguardo di Piton si aprì, facendosi più intenso sulla figura imperiosa di Lily, riconoscendo la sua fattura.
«Ed è così che devono stare le lingue come la vostra» ribattè in tono asciutto lei spostando la bacchetta dai due Serpeverde a Severus «Ferma questo sangue o non esiterò ad usare ilSectumsempra contro di te»
«SUBITO!» aggiunse subito dopo Sirius, incapace di aspettare ancora, incapace di vedere il sangue di Liv a terra. Gli stava espodendo il cuore, il cervello, l'anima, l'intero corpo.
La luce negli occhi di Lily, fissi su Piton, non era mai stata così tagliente.

Se soltanto potessi vedere la voglia di uccidere che mi assale quando penso ai cappucci e alle maschere che un giorno ti copriranno la faccia, cambieresti sicuramente quello stupido sguardo incredulo che hai.
Forse, per quei pensieri che le infuocarono gli occhi, lentamente Piton puntò la bacchetta sul braccio di Liv senza che Sirius allentasse la presa o la pressione della sua ancora affondata sul suo collo.
L’inquietante litania sussurrata che riempì il bagno poco dopo fece spalancare gli occhi turbati di James. Non quelli di Lily, freddamente fissi sul vicino viso contratto di Piton e sul sangue che risaliva dal pavimento sulla pelle liscia del braccio di Liv, lungo le sue dita bianche dallo sforzo che stava facendo per contenere il più possibile l’emorragia dell’amica e dentro il sottile taglio oscuro.
Quando il silenzio tornò sovrano e le gambe di Liv stese sull’acqua rosata si mossero appena, Sirius mollò la presa e Piton fece per alzarsi, ma il pugno che Liv gli sferzò sul naso lo fece barcollare e cadere con un tonfo che sollevò una miriade di schizzi.
Sirius, sbalordito, non riuscì a muovere un muscolo così come tutti gli altri mentre Liv, esangue in volto e con occhi annebbiati ma rabbiosi, bloccava a terra Piton salendogli sopra a fatica con un ringhio misto a mugolio di dolore per assestargli un altro pugno sulla mascella, molto più debole. L’ansimare rabbioso, folle, fu spezzato dalla voce di Sirius che la sollevò di peso per le spalle e dal riecheggiare dei lampi di luce delle maledizioni di Regulus e Mulciber infranti sullo scudo che Liv, liberandosi da Sirius, evocò con la bacchetta d’ebano scavalcando zoppicante il corpo svenuto e sanguinante di Piton prima di lanciare una fitta pioggia di fatture davanti a sé.
Sirius si appiattì contro la porta in legno del gabinetto mentre Mulciber cadeva a terra, Schiantato, e Regulus s’immobilizzava, pietrificato per la seconda volta.
James tirò per un braccio un’attonita Lily trascinandola con sè al riparo sotto al lavandino ma lei si liberò dalla presa con uno strattone per correre incontro a Liv, alla fonte dell’esplosione colorata di Incantesimi che ancora rimbalzavano in ogni direzione; per schivare le fatture e arrivarle alle spalle abbracciandola con forza, stringendola a sè seguendola a terra.
L’urlo disumano che Liv liberò lasciandosi cadere e avvolgere dalle braccia di Lily implose come un’onda d’urto dentro l’intero bagno che subito si riempì di un angosciato pianto disperato.
Completamente scossa dai singhiozzi, bagnata dalle sue stesse calde lacrime e da quelle silenziose di Lily, Liv aprì le dita della mano destra lasciando la bacchetta nera che cadde rimbalzando lentamente sull’acqua.
La magia risolveva sempre tutto. Non la morte.
La magia non risolveva niente adesso perché tutto ciò che sentiva e vedeva era il freddo che nessun Incendio poteva scaldare, era l’assenza di suo padre che nessuna Materializzazione poteva colmare, era il buio di una notte senza luna e senza stelle che nessun Lumos poteva illuminare.

 











 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note (che non volevo mettere dopo questo finale):

* Barnabas Cuffe: Direttore de ‘La Gazzetta profeta’. Da studente faceva parte del Lumaclub ed è rimasto quindi in contatto con Lumacorno (H.P e Il Principe Mezzosangue, pag. 71).
Il ragazzino panciuto che Lumacorno gli presenta è Bozo, il fotografo e collaboratore di Rita Skeeter in H.P. e Il Calice di Fuoco durante il Torneo Tre Maghi.

*Ho creato la professoressa di Divinazione appositamente decrepita in modo tale da farla andare in pensione nel 1980 (fra tre anni), anno in cui Silente cercherà una sua sostituta (che sappiamo essere la professoressa Cooman con annessa maledetta profezia che Piton ascolterà di nascosto alla Testa di Porco).

*Il cappellino in velluto che Lily regala a Lumacorno è lo stesso che lui mette alla festa di Natale quando c’è Harry. Ho sempre pensato a Lily che porta alla feste un regalo per Lumacorno e lui che rimane affezionato ed attaccato a quei regali anche dopo parecchi anni.

*Damocles Belby: Inventore della Pozione Antilupo negli anni ’80, zio di Marcus Belby che per questo motivo farà parte del Lumaclub insieme a Harry.
In questo periodo la pozione non è stata ancora inventata. Lily e Severus lo incontrano perchè, oltre ad essere i migliori studenti di Hogwarts in Pozioni, Lily (in questa storia, non so nella testa dell Rowling) sarà interessata e farà la sua parte nelle ricerce sulla pozione antilupo. Piton, invece,  in H.P. e il Priogioniero di Azkaban la prepara a Remus avendo la ricetta (rara da trovare se non sei un Guaritore del San Mungo, proprio perchè per censire e tenere sottocontrollo i Lupi Mannari del Paese è illegale da preparare senza premesso del Ministero e registrazione all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche). Ho pensato che magari essendo stato in contatto con l’inventore non abbia avuto problemi ad averla.

*Ho sempre immaginato Lily Guaritrice non soltanto per il suo spiccato carattere altruista ed empatico (non ho mai immaginato una Lily troppo dura, fredda, menefreghista ed individualista. Non può essere senza cuore o dal cuore di pietra incapace d'amare. Lily è l’emblema assoluto dell’Amore nella saga. L’emblema della persona che sa amare) ma anche perchè la sua bacchetta è di salice: “Legno con poteri curativi. Ho notato che spesso il proprietario ideale di una tale bacchetta ha alcune insicurezze (di solito ingiustificate), per quanto bene cerchi di nasconderlo” a detta di Olivander.

*Dirk Cresswell è un Nato Babbano, un mago molto dotato. Lumacorno spiega a Harry che aveva un anno in meno di Lily e faceva parte del Lumaclub (H.P. e Il Principe Mezzosangue, pag 71). Da adulto diventa Direttore dell’Ufficio delle Relazioni con i Folletti dando a Lumacorno informazioni su quello che succede alla Gringott. In questo capitolo lui è interessato all’Ufficio Misteri, cambia idea (per ovvi motivi) quando incontra Roockwood. Naturalmente questa è una mia ‘licenza poetica’ xD

*Augustus Rookwood: Negli anni della prima guerra magica lavorava al Dipartimento Misteri. Era un Mangiamorte che passava informazioni a Voldemort da dentro il Ministero. Lo sappiamo grazie alla testimonianza di Igor Karkaroff in H.P. e il Calice di Fuoco (Cap. Il Pensatoio), tramite un ricordo di Silente. In questo periodo della storia nessuno sa ancora del suo doppiogioco, la rivelazione di Karkaroff avverrà subito dopo la morte di Lily e James.

*Ludo Bagman in questo periodo ha appena iniziato la sua carriera da giocatore di Quidditch come battitore delle Vespe di Wimbourne. Sirius nel quarto libro dice che non lo conosce quindi l'ho fatto diplomare l'anno prima in cui i Malandrini entrano a Hogwarts (l'ho messo tra i Tassorosso ma non so se lo è stato).
Nel 1981 va sotto processo perchè accusato di aver passato informazioni del Ministero all'Indicibile e Mangiamorte Rookwood, vecchio amico di suo padre. Rookwood gli aveva promesso un posto al ministero, quando avrebbe lasciato sua carriera con l'avanzare dell'età. Tutto questo lo vediamo nel quarto libro, nel pensatoio con Harry e i ricordi di Silente che riguardano i processi al Wizengamot dopo la morte di Lily e James (Calice di Fuoco, pag. 504).



*Come secondo nome ho dato a Fleamont “Henry” perchè (come ci fa sapere la Rowling nell’albero genealogico dei Potter su Pottermore) Henry Potter è suo padre, nonno di James e bisnonno di Harry.
I genitori di James erano anziani. Hanno avuto James in tarda età. Da quello che ha scritto la Rowling su Pottermore, hanno fatto in tempo a partecipare al matrimonio di Lily e James ma non a vedere il loro nipotino Harry. Sono morti quindi prima del 31 luglio 1980 per il Vaiolo di Drago (specifica la Rowling) a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro e non per cause legate alla guerra esattamente come i genitori di Lily che non sono stati uccisi. La Rowlig dice soltanto "normalissima morte babbana". Insomma, voleva toglierli di mezzo. Di loro non sappiamo proprio nulla se non che il primo settembre 1971 erano entrambi vivi. Non sappiamo se hanno visto la figlia sposarsi e avere Harry. Io ho fatto morire il padre di Lily alla fine del suo quarto anno, giugno 1975. Ho scelto una morte tristemente babbana come l'incidente stradale (senza Mangiamorte o ''altro'' dietro, come dice la Rowling). Petunia racconta (mentendo) a Harry che Lily e James sono morti d'incidente stradale, giusto per non sentire più domande a riguardo. Un po' come ha fatto la Rowling con i nonni di Harry quanod le chiedevano sempre che fine avevano fatto, ho voluto fare un parallelismo.
Ho fatto morire il padre presto perché mentre Lily frequenta il suo settimo anno ('77/'78) Vernon chiede in sposa Petunia nel ''salotto di sua madre" (lo vedrete prestissimo, a proposito). Quindi la madre doveva essere viva nel 1977, dato che Petunia viveva a Londra per lavoro e Lily era a Hogwarts la maggior parte dell'anno. Nel primo libro, Petunia dice che Lily è "fuggita di casa con quel Potter, dopo la scuola". A casa Evans doveva esserci qualcuno.


*Fleamont studente a Hogwarts (dice la Rowling su Pottermore) veniva preso in giro per il suo nome un po’ strano e lui, per difendersi, li sfidava a duello.
Al settimo anno era diventato un ottimo duellante.
Ho immaginato Euphemia una specie di Lily.
 
*Roderick Plumpton (1889-1987) è stato il cercatore dei Tornados. Ha conquistato  il record della più rapida cattura del Boccino d'Oro, avendolo catturato in soli tre secondi e mezzo.
Nel 1977 ha 98 anni. Muore dieci anni dopo questo capitolo.

*Da Il Quidditch Attraverso i Secoli sappiamo che Glynnis Griffiths era la cercatrice delle Holyead Harpies nel 1953 (quando il capitano era Gwendolin Morgan che nella mia mente è la zia di Alan Morgan... per questo Alan fa parte del Lumaclub). In questo periodo ho pensato che il capitano potesse essere lei (Glynnis. La immagino più giovane di Gwendolin).  
Gwenog Jones non può assolutamente essere perchè è nata nel 1968. In questo periodo della storia (1977) ha dieci anni, deve ancora frequentare Hogwarts.

“Stralunato, stralupato, Lupin”  H.P. e il Prigioniero di Azkaban, pag. 126.
Pix canticchia queste parole davanti a Remus che sta accompagnando la classe di Harry nell’aula insegnanti per la lezione con il Molliccio.
Harry sottolinea il fatto che Pix, di solito, rispetta gli insegnanti. Ho pensato quindi che cantasse questo motivetto per prendere in giro Remus già all’epoca dei Malandrini. Anche perchè i Malandirni e Pix li vedo un po’ come ‘compari’ e complici di scherzi in un modo molto simile a quello con Fred e George.
Remus adulto, infatti, sorride con gran sorpresa di Harry e dell’intera classe.

*La Rowling ci dice che Petunia ha ricevuto la proposta di matrimonio da Vernon "nel salotto di sua madre", al settimo anni di Lily. Ho presupposto che il padre di Lily e Petunia fosse già morto in quel periodo (e quindi in questo momento della mia storia). Su Pottermore c'è anche scritto che i genitori di Lily sono entrambi morti per cause naturali (niente Mangiamorte e guerra magica o incidenti stradali) e che al matrimonio di Lily e James non c'erano perché morti.

*Piton ha voluto avvertire Liv con il biglietto nel tentativo di salvarla da Avery (anche se Avery ha agito prima di Natale) proprio perchè Lily (capitolo 26: “La Capra e il Serpente’) gli dice chiaramente: “Se vuoi salvare mePiton, devi fare la stessa cosa anche con tutti quelli che sono con me”. 
Ovviamente, dopo questo gesto avventato di Liv non si prenderà più la briga di salvare nessuno eccetto Lily, almeno fino a quando non giurerà a Silente di fare la spia per lui in cambio di protezione non solo per Lily ma anche per Harry e James (che all’inizio non aveva nemmeno messo in conto. É Silente che gli fa notare che esistono anche loro due con Lily). E, naturalmente, quando prenderà Harry sotto la sua ala, fino alla fine.
*Nel peggior ricordo di Piton (Ordine della Fenice, pag 605) Piton scaglia una fattura sul viso di James. La Rowling descrive la ferita come “un taglio sulla guancia che gli schizzò la veste di sangue”esattamente come è stato per Draco Malfoy dopo essere stato colpito da Harry con il Sectumsempra (anche se lì Malfoy cade a terra con molto più sangue).
Molto probabilmente la maledizione era ancora da perfezionare (essendo al quinto anno) ma esisteva già. Sirius la riconosce per questo motivo.

*I ricordi di Piton (H.P. E i Doni della Morte, pag. 613) mi hanno ispirata per le scene delle dita di Lily bambina che giocano con un rametto e, leggendo
di Piton senza la giacca enorme del padre, sempre le dita di Lily che gliela tolgono per il caldo senza prenderlo in giro per la camicia della madre sotto.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** 32. Solidarietà tra Ribelli ***


Capitolo 32
 

SOLIDARIETÁ TRA RIBELLI
 
 
 
 



«Non una parola». La profonda voce di Sirius echeggiò nel bagno di nuovo tirato a lucido, ferma ma impercettibilmente scossa dall’ormai lontano ed incomprensibile pianto disperato di Olivia che gli rimbombava ancora dentro al petto come qualcosa di totalmente nuovo e sbagliato.
«Vale anche per voi» fece di rimando Regulus con un’apparente spavalderia negli occhi incapaci di lasciare i suoi, così simili da fargli pesnare di essere davanti ad uno specchio.
Sirius annuì, brusco, senza trovare la forza necessaria per allontanarsi da lì.  «Ovviamente» replicò freddamente.
Lo scambio di parole tra Grifondoro e Serpeverde sarebbe dovuto finire lì, l’accordo stipulato pochi minuti prima che aveva fatto giurare ai leoni di non rivelare a nessuno l’Oscura Fattura di uno dei Serpenti che avevano promesso in cambio di non denunciare il folle attacco di Liv nei loro confronti sarebbe dovuto finire lì.
Perchè Evans, stringendo l’amica tra le braccia e piangendo con lei, aveva deciso così.
Perchè James, sollevando da terra entrambe ed aiutandole a camminare per raggiungere l’infermeria, aveva deciso così.
Perchè qualcosa nello sguardo di Piton aveva deciso così.
Ma non Sirius, lui non aveva deciso un bel niente anche se di quel “Non una parola” ne era sempre stato il maestro.
Erano così bravi a dirselo, lui e Regulus. Non avevano fatto altro che sputarselo addosso con gli stessi identici occhi grigi da anni, ormai.
Non una parola davanti alla divisa rossa e oro portata come un trofeo a Grimmauld Place.
Non una parola l’anno dopo, con nelle orecchie il fatale grido del Cappello Parlante che faceva esplodere in un applauso di benvenuto il tavolo verde-argento.
Non una parola in Sala Grande, in corridoio, nei Sotterranei, in Guferia, davanti alle Serre, al campo di Quidditch.
Non una parola, lì, schierati su due parti opposte come lo erano sempre stati ancora prima di avere due cravatte di diverso colore appese in camera e al collo. Regulus e i degni Black da una parte, Sirius e nessuno dall’altra. Regulus e gli abbracci materni, le strette sulla spalla paterne;  Sirius e il buio della sua camera chiusa a chiave. Regulus e i suoi occhi spaventati; Sirius e i brucianti segni degli schiaffi sulla pelle.
Non una parola e tutto quello che Sirius adesso avrebbe voluto fare era sferrargli un pugno per non sapeva nemmeno lui cosa. Per aver contribuito a ridurre Olivia in quello stato o per il fatto che di parole ce n’erano eccome a scorrere come fiumi in piena nelle vene e negli occhi, a premere dietro le labbra serrate come quelle che aveva davanti.
Rimase a squadrare quel viso tanto simile al suo nei lineamenti irrigiditi dal disprezzo, dalla rabbia che cresceva, incontrollabile, senza sapere il perchè.
Lo sguardo cupo di Regulus ricambiò l’attenzione, scrutandolo avidamente. Non era facile parlare con Sirius e ancora meno facile non parlare, stargli davanti nascondendo certe sensazioni dietro un sorriso menefreghista o un’espressione impassibile come invece lui era bravissimo a fare, di solito.
Di solito, già, ma non in quel momento. In quel momento Regulus notò chiaramente qualcosa che non era il solito ghiaccio, il solito nulla. Dietro il freddo muro d’acciaio c’era pura rabbia che ribolliva nel profondo ed inesorabilmente le sue labbra si piegarono in una smorfia amareggiata.
«Perchè t’importa così tanto?» esordì, teso, facendo spostare lo sguardo sulla lunga bacchetta nera abbandonata sul pavimento. L’espressione improvvisamente spaesata di Sirius seguì la sua direzione indurendosi in un cipiglio scontroso.
«M’importa cosa?» sbottò con veemenza.
 «Lei» rispose semplicemente Regulus e lo sguardo spiazzato e colpito dell’altro gli fecero capire di essere riuscito a non creare fraintendimenti.
«Non... non m’importa... lei!» sbottò Sirius, sconcertato e spiazzato; il cuore accelerò, come impazzito, al solo pensiero ormai consapevole di tenere a Liv.
«M’importa che non ci siano morti così come dovrebbe importare ad uno sano di mente, cosa che non si può più dire di te, Regulus, che avrai sicuramente imparato a sgozzare elfi domestici e ad appenderli sul muro delle scale!».
Regulus restò a fissarlo, paurosamente serio.
Un angolo delle labbra di Sirius si sollevò in un sorrisetto sarcastico.
«Dì un po’, hai imparato in fretta come con la pappardella sulle Regole del Sangue Puro con cui ci hai gentilmente deliziato prima?» chiese, pungente.
Le mani di Regulus si serrarono a pugno immerse nella lussuosa veste nera.
«Potrei imparare, sì. Ti sembra così strano? Non sono più il bambino che conosci tu» scattò lasciando trapelare una certa arroganza nel tono di voce.
Sirius scosse leggermente il capo. «Me ne sono accorto» confermò, amareggiato.
«Non è vero» sussurrò Regulus assottigliando gli occhi accesi di risentimento «Non ti sei mai accorto di nulla».
La fredda risata di Sirius gli vibrò dentro al petto come una pioggia di coltelli affilati portando in superficie non soltanto sangue ma anche furia e dolore che faticò a ricacciare giù.
«Di che cosa non mi sarei accorto, Regulus? Sentiamo» lo incitò lui con ironico setticismo allargando le braccia per poi lasciarle cadere con arrendevolezza sui fianchi stretti coperti da quell’indumento in pelle babbana che a casa gli era costato non poche notti senza cena.
«Del fatto che anch’io sapevo e so ragionare con la mia testa a differenza di come pensi tu, Sirius» sibilò con fervore, incapace di trattenere il rancore che fino a quel momento gli aveva reso di un bianco latte le nocche delle mani serrate a pugno.
L’ironico sorriso tetro fermo sulle labbra di Sirius rimase immobile per tutto il lungo istante in cui i suoi occhi grigi percorsero più volte e con crescente intensità quelli del fratello, come a voler verificare la veridicità delle sue parole.
«Mi stai forse dicendo che per fare l’idiota stai usando il tuo cervello?» gli chiese dopo un po’ inarcando le sopracciglia, caustico.
Le labbra dell’altro si assottigliarono così tanto da sparire. Sirius stava facendo di nuovo il superiore, il perfetto, l’intelligente, quello che pensava di essere il migliore soltanto per aver avuto il coraggio di ribellarsi, quello che pensava di essere nel giusto a differenza di lui, lo stupido e codardo fratello che si era fatto abbindolare dai suoi genitori.
«Oh, ma allora non c’e nulla di cui preoccuparsi» continuò Sirius sprizzando sarcasmo da tutti i pori mentre s’infilava con apparente menefreghismo le mani nervose nelle tasche dei jeans scuri.
Rise, ancora, senza sentirne la benchè minima voglia; Rise pensando soltanto all’istinto di prenderlo per le spalle e farlo tornare quel bambino terrorrizzato davanti alla scala; Rise, combattendo contro il dolore che quel dannato discorso chiuso dentro di lui dall’ultima volta che ne aveva parlato con i Malandrini al primo anno riportava immancabilmente alla luce quando riaffiorava in mente prima di essere soffocato, ributtato giù nel baratro con tutte le forze.
Spense la risata lasciando le labbra curvate in un sorrisino canzonatorio mentre inclinava il viso di lato per soffermare lo sguardo affilato sul soffitto, come se fosse la cosa più interessante del mondo.
«Quindi, fammi capire bene» riprese, fintamente pensieroso «Tu non stai eseguendo gli ordini dei tuoi genitori, lo stai facendo con il tuo cervello. Mh...».
Regulus lo vide annuire ironicamente a se stesso riabbassando i graffianti occhi grigi di nuovo su di lui.
 «Se permetti, Regulus, questo ti rende ancora più stupido» sentenziò Sirius, nel suo tono di voce trapelò a brevi scatti incontrollabili la bruciante delusione che cominciò a contorcergli le viscere «Anzi, questo va oltre la stupidità, questo è ben più grave e voglio ben sperare che sia una bugia»
«Stupido a credere a delle cose che ritengo giuste?!» scattò lui, infervorandosi «Quindi anche tu sei stupido mentre credi a Silente o stando con gente indegna che...!»
«Cose che ritieni giuste?» lo fermò Sirius, tagliente, cominciando a scaldarsi sul serio «Che tu ritieni giuste, Regulus, o che mammina e papino ritengono giuste?!»
«Ti ho detto che ho un cervello, Sirius, e lo sai anche tu!» gridò l’altro, aggressivo. Le sopracciglia aggrottate e le narici frementi, il respiro affannoso che sibilava tra le labbra irrigidite.
Sirius restò a guardarlo con i profondi occhi grigi inquietantemente seri prima di allargare il gelido sorriso sferzante.
«Adesso non stai dimostrando di averlo» ribattè di rimando sollevando le sopracciglia con fare casuale.
Regulus si sentì avvampare. Trattenne la rabbia cieca e il risentimento a stento tra i denti mentre si ostinava a sorridere con altrettanta sfrontatezza ed arroganza rendendolo più simile a lui di quanto pensasse o volesse.
 «Vuoi che te lo dimostri, fratello?» chiese beffardo in un ghigno nervoso «Ma prima devo sapere una cosa: McAdams o un’altro non fa davvero differenza?».
Sirius esplose. Regulus sentì la sua furia liberarsi, scavalcare il muro per abbattersi tutta su di sè come Sirius stesso che con due ampie falcate rabbiose fu ad un passo da lui, sovrastandolo come sempre con la sua altezza.
«Prova anche solo a puntarle la bacchetta contro un’altra volta e giuro che te ne pentirai» gli sussurrò in un sibilo così feroce e minaccioso da farlo arretrare con il volto intimorito ma con ancora un lampo di baldanza negli occhi.
«É lei» s’intromise un insanguinato Piton dallo sguardo avvelenato, in piedi vicino alla porta con l’aiuto di un frastornato e non del tutto lucido Mulciber. «É lei che ci è venuta a cercare senza nessun motivo e come abbiamo già detto la questione si chiude qui» continuò con la voce strascicata dalle fitte di dolore al rotto naso adunco e resa udibile solamente dall’odio che gli animava i piccoli occhi neri.
«Sta’ zitto» lo gelò in un soffio affannoso Sirius sollevando lo sguardo iroso su di lui sentendo la furia pulsargli anche in testa «Gli assassininon dovrebbero nemmeno fiatare»
«Allora il primo che dovrebbe tenere la bocca chiusa qui sei tu, Black» sputò con astio Piton prima di scansarsi dalla presa incerta di Mulciber per cercare di sfuggire a Sirius che gli si era avventato contro afferrandolo brutalmente per la camicia scura con sguardo folle.
«Guarda caso sei sempre tu quello che mi istiga ad uccidere, Mocciosus. Fatti due domande» ringhiò accecato dalla rabbia. L’annaspare di Piton, soffocato dal lungo braccio di Sirius pigiato con prepotenza sul suo petto, si fece più forte. «Prima o poi me lo farai diventare davvero, unassassino come te che hai intenzionalmente cercato di ammazzare prima James e adesso Olivia. Queste due cose sì che hanno bisogno di parole. Parole che di certo non mi terrò per me come tu, tempo fa, non ti sei tenuto per te» continuò in un mormorio tremante d’odio ad un palmo dal lungo naso insanguinato di Piton.
«Sirius» lo chiamò James oltre lo stipite, in corridoio.
Lui voltò di scatto la testa nella sua direzione. Lo sguardo nocciola dietro le lenti degli occhiali rotondi diceva chiaramente di lasciar perdere. Tutto in James diceva di lasciare perdere e di essere tornato lì a prenderlo proprio per evitare simili guai.
Sirius, il fiato corto e gli occhi infuocati e folli di nuovo fissi su quelli spauriti e collerici di Piton, strinse i denti con furia schiacciando il Serpeverde sul legno della porta per sbattercelo sopra con violenza prima di lasciarlo con sdegno e il cuore a mille.
Tornò al centro del bagno con passo deciso, si chinò a raccogliere la bacchetta di ebano e, rialzandosi, scostò i ciuffi di capelli dal volto livido trafiggendo Regulus con un ultimo sguardo d’avvertimento.
Uscendo dal bagno scavalcò senza troppi complimenti Barty Crouch ancora a terra ed affiancò James in una silenziosa e spedita camminata per i freddi corridoi dei sotterranei. Le loro ampie falcate sembravano mangiarsi voracemente il pavimento in pietra, il suono dei loro passi rimbombava tra gli alti muri umidi accompagnati dal respiro affannoso di Sirius con il petto che si alzava ed abbassava rapidamente.
James lo controllò con la coda dell’occhio senza rallentare l’andatura sostenuta di entrambi. Era fuori di sè, Sirius era letteralmente fuori di sè e lui lo conosceva bene anche così.
Lo vide stringere le labbra soffiando con stizza l’aria dal dritto naso di profilo seminascosto dai ciuffi di capelli neri.
«Come sta?» chiese riaprendo la bocca tra un respiro e l’altro.
James avvicinò con perplessità le sopracciglia. «Madama Chips l’ha sedata per curare con calma tutte le ferite» rispose pacatamente, studiandolo insistentemente.
Sirius annuì bruscamente senza perdere il serio cipiglio cupo che James non smise di scrutare parlando ancora una volta.
«Lily ha ragione, Felpato» esordì quando la lontana musica e le voci della festa raggiunsero le loro orecchie «Se dicessimo tutto al preside butterebbero Liv fuori dalla scuola»
«Avrà avuto di sicuro un buon motivo per attaccarli in quel modo, James, ne sono certo» sbottò  lui, lo sguardo luccicante d’ira puntato con ostinazione davanti a loro.
Non aveva alcun dubbio. Gli occhi vuoti di Olivia, l’intenso castano scuro privo della sua accattivante luce, quel “É colpa mia” che non si era di certo riferito ad un pentimento per aver distrutto un bagno o quasi ammazzato tre ragazzi, non se quella breve ammissione di colpe veniva seguita da dei violenti pugni che avrebbero potuto uccidere ancora una volta Mocciosus e da una distruttiva pioggia di fatture menefreghista dell’ultimo lavandino rimasto intatto o dello specchio ancora miracolosamente intero sul muro
Sirius non aveva nessun dubbio a parte quello riguardo la folle rabbia che continuava a fargli mancare il fiato insieme all’inspiegabile e sconvolgente paura di perdere Olivia che continuava a pulsare nelle vene.
James aprì la bocca per poi richiuderla velocemente. Ne era certo? Certo di sapere cos’era passato nella testa di Liv?
Aggrottò la fronte, perforando con gli occhi l’amico.
«Nessun motivo è buono per attaccare a sangue freddo tre tizi cercando di ucciderli» ribattè allargando le braccia «Mulciber ha detto che Liv lo stava strozzando. E ha picchiato a sangue Mocciosus davanti ai nostri occhi...»
«Io stavo per farlo sbranare due anni fa» borbottò Sirius stringendo con forza la mascella «eppure sono qui. Silente ha capito».
James distolse lo sguardo da lui sospirando pesantemente con una mano tra i capelli arruffati.
«Era diverso» sentenziò prendendo il corridoio a destra in contemporanea a Sirius che accentuò la smorfia amara sulle labbra.
 «No che non lo era» lo contestò lui, spiccio.
«Liv li ha cercati ed attaccati di proposito, più volte» puntualizzò con veemena James riportando gli occhi su di lui «Ha distrutto un bagno, stava per ammazzare due persone con le sue stesse mani, intenzionalmente voleva arrivare fino in fondo...».
Sirius rimase in silenzio, le labbra serrate, gli occhi grigi leggermente socchiusi, baluginanti tra i ciuffi di capelli neri.
«Vuoi farla espellere per vendicarti di Mocciosus e denunciare le intenzioni da Mangiamorte di Regulus? Non abbiamo nemmeno le prove per l’ultima cosa!» riprese con irruenza James aumentando il passo per non stare indietro. «Sirius, ascolta, non perdere di nuovo il controllo per quei due, non ne vale la pena. Distruggeresti soltanto te stesso».
Per un brevissimo ma intenso attimo Sirius incontrò gli occhi di James, fissi su di lui come se non volessero fare altro che inglobarlo interamente dentro di loro.
«Non voglio farla espellere, James» bisbigliò lui tra i denti mettendo a tacere la bruciante ed involontaria sensazione riguardo Regulus che continuava ad infiammargli lo stomaco «Silente prende in considerazione ogni motivo e spiegazione, se validi... io lo so, più di chiunque altro».
James annuì velocemente,  più volte, comprensivo ma bisognoso di mettere in chiaro con urgenza dell’altro.
«Ma se stavolta non lo facesse? Eh?» lo provocò subito dopo con foga «Se Liv si fosse fatta prendere la mano dopo una delle loro solite provocazioni? La conosciamo abbastanza bene per dire che ha la “bacchetta facile”»                                                                
«Deve avere un buon motivo, James. É così e basta» stroncò il discorso Sirius in un fervido ringhio.
James boccheggiò, sconcertato e sorpreso, lasciandolo passare per primo sulla scala che portava al piano terra.
 
 
 


 
*
 
 
 
 


 
«Questo taglio»
 
Gli occhi verdi di Lily, stanchi ed incapaci di versare altre lacrime, si sollevarono verso Madama Chips china su Liv distesa su un letto con lei. Prima ancora di chiedere cosa fosse successo, l’infermiera della scuola svegliata nel bel mezzo della notte era riuscita a sedare con una Pozione Soporifera quella che adesso dormiva profondamente tra le braccia di Lily che non aveva avuto la forza di allontanarsi da lei nemmeno quando le lunghe ciglia bagnate della sua migliore amica si erano poggiate con arrendevolezza sugli zigomi arrossati e i singhiozzi si erano placati lasciando un totale e destabilizzante silenzio.
«Sei pregata di dirmi la verità su questo taglio, Evans, perchè di abituale non ha proprio niente» riprese Madama Chips, tesa, sollevando con delicatezza il braccio inerme di Liv.
«Gliel’ho detto, Madama Chips» rispose Lily con le labbra tra i castani capelli spettinati dell’amica «L’abbiamo trovata così. Quel taglio era più profondo degli altri, ha versato parecchio sangue, Black e io l’abbiamo rallentato e bloccato con un incantesimo».
Madama Chips non sembrava affatto convinta. Di certo sapeva perfettamente che il leggero colorito bluastro ai margini della pelle ferita e adesso pulita dal disinfettante voleva significare soltanto una cosa e soprattutto che dei semplici incantesimi per fermare l'emorraggia non potevano rimarginare un taglio come quello.
Lily chiuse gli occhi brucianti scacciando via dalla mente l’immagine di Piton con quel suo sguardo ansioso e supplicante tra i lunghi ciuffi di capelli gocciolanti dal suo stesso sangue.
Era stato un attimo quello in cui la sua coscienza le aveva ordinato di trascinarlo da Silente  per rivelare tutto anche se non aveva le prove, per usare il preside e farlo parlare, per fargli sputare fuori il perchè sapesse del pericolo a casa di Liv. Era stato solo un attimo ma c’era stato, spietato, intriso di rabbia ed odio per quel ragazzo che faceva l’assassino ancora prima di avere una maschera.
Liv, però, aveva creato un casino troppo grande e lei non poteva permettere che la buttassero fuori da Hogwarts, dall’unico posto in cui era protetta e soprattutto amata adesso che suo padre non c’era più.
Madama Chips si premurò di far cadere sopra al lungo e sottile taglio qualche goccia di essenza di dittamo sotto il suo sguardo attento.
«Rimarrà la cicatrice?» chiese alla donna che scosse brevemente la testa.
«Non lo possiamo sapere, Evans, ma questo dovrebbe prevenirla. Siete stati fortunati ad essere riusciti a fermare il sangue» rispose lei facendo comparire con la bacchetta delle bende che si avvolsero morbidamente al braccio di Liv.
Lily afferrò piano una mano dell’amica, accarezzando con accortezza le nocche sbucciate. Non aveva idea di come sarebbe stata una volta sveglia, di come ne sarebbe uscita; anche se Lily era già annegata nell'incubo del vuoto che lascia un padre quando se ne va così presto, sapeva che non era la stessa cosa accettare un incidente stradale e un omicidio. L’unica cosa che Lily sapeva era che lì, nel buio completamente vuoto che conosceva bene, c’era anche lei e non aveva nessuna intenzione di risalire alla luce senza di Liv.
Il cigolìo della doppia porta dell’infermeria echeggiò nella grande stanza in penombra facendo voltare sia lei che Madama Chips.
Sirius e James fecero la loro comparsa raggiungendo il letto in breve tempo. Lo sguardo nocciola di James, in piedi vicino all’unica lampada accesa nel comodino pieno di bottiglie, incontrò quello di Lily sul viso smunto posato sopra la testa di Liv.
Con un sospiro, Madama Chips si passò le mani sul grembiule macchiato di rosso che gli copriva la lunga gonna bordeaux prima di cominciare a ritirare le bottiglie sul comodino messo alla rinfusa per l’emergenza.
«McAdams quindi si è autoinflitta una fattura di dubbie origini che nemmeno io riconosco?» chiese lanciando uno sguardo indagatore a tutti.
Nessuno rispose. Madama Chips non faceva mai troppe domande eccetto quando il malessere e le ferite sui suoi pazienti risultavano troppo sospetti o gravi.
Aveva sorvolato sul ginocchio rotto, sull’estesa bruciatura al collo, sui taglietti al viso, le ulcere alle mani, il pianto praticamente disperato ma non su quel taglio ‘oscuro’.
James guardò Sirius arricciare le labbra in una smorfia che sapeva tanto di bomba pronta ad esplodere. Di sottecchi gli lanciò un’occhiata ammonitrice e lui si limitò a restituirgliela arpionando con fermezza il ferro battuto bianco ai piedi del letto dove rimase a fissare intensamente Liv, profondamente addormentata.
La maglia autografata delle Holyead Harpies bagnata e sporca di sangue si sollevava ed abbassava dolcemente insieme alla castana treccia spettinata, un ritmo rilassato che non aveva nulla a che fare con quello frenetico che muoveva quella altrettanto insanguinata dei Rolling Stones sopra il suo petto ancora impazzito anche lì, con Olivia al sicuro, per la scioccante voglia di proteggerla e salvarla che aveva sentito dentro, all’improvviso, e che non riguardava più una gelatina o un’oliva in gola.
Gli fremevano ancora le mani e le gambe, percorsi da quella spaventosa voglia che pulsava al centro del petto con una forza disumana. Sirius cercò di cacciarla, invano; cercò d'gnorarla, sempre invano. Più osservava Liv e più quella divampava con ondate di fuoco e dolcezza che lo sconvolsero.
Proteggerla, salvarla, vederla al sicuro ad ogni costo: non riusciva a pensare ad altro, Sirius, ricacciando giù nel petto una sensazione che lo terrorizzò a morte facendolo sentire al cospetto di una verità sconosciuta.
«In questo caso, credo ci sia bisogno di avvisare la vostra Capocasa, data la situazione» proseguì Madama Chips sollevando il vassoio con le pozioni e i batuffoli di cotone sporchi di sangue «Questa ragazza era in evidente e grave stato di shock e se non è stato un duello a farle tutto questo non oso immaginare perchè mai avrebbe dovut...»
«Suo padre è morto». La voce di Lily arrivò come da un punto lontano alle orecchie di tutti.
Madama Chips parve pietrificarsi, almeno fino a quando non si portò con infinita lentezza una mano al petto facendo tintinnare le ampolle sul vassoio che rimase in bilico sull’altra mano.
Gli occhi di James s’ingrandirono quasi quanto i tappi dei vasetti di pomata che Madama Chips aveva aperto per curare le bruciature sul collo di Liv e lo sguardo incredibilmente profondo di Sirius sembrava avesse il potere di risucchiare l’intera infermeria e tutto il castello.
«É stato ucciso a Londra, poche ore fa» specificò Lily in un soffio d’aria stringendo più forte a sè la sua amica come se potesse sentirla.
«Santo cielo» esalò Madama Chips portandosi la mano davanti alla bocca con lo sguardo tramortito su Liv.
James guardò Lily sconcertato ed incredulo e lei annuì, rispondendo alla sua muta domanda. Era vero, il padre di Liv era davvero morto.
 «Sì» esordì Madama Chips come per cercare di darsi un contegno e prendere in mano la situazione spezzando il silenzio in cui James e Sirius stavano praticamente nuotando con una certa difficoltà «Sì, è meglio dire alla professoressa McGranitt che è qui. Voi tre, andate a dormire...»
«Io non me ne vado, Madama Chips» rispose Lily con sguardo determinato lasciando cadere le piccole ballerine blu a terra per sistemarsi meglio sul letto  posando i piedi nudi sul lenzuolo accanto alle gambe di Liv. «Se si dovesse svegliare... io» proseguì fissando con apprensione la stoffa della sua gonna umida coprirle le ginocchia candide «Non voglio che sia sola».
James le sorrise tristemente osservandola nascondere metà viso tra i capelli della sua migliore amica mentre Madama Chips pareva soppesare con preoccupazione la questione. Scrutò Lily con indugio prima di annuire, arresa e addolorata.
«Ma voi dovete andare» ordinò sottovoce a James e Sirius che annuirono.
«Lily» mormorò James avvicinandosi titubante al letto. Gli occhi verdi si sollevarono su di lui, appesantiti dall’alone nero sotto le ciglia sfiorate dai capelli di Liv. «Se c’è qualcosa che io e Sirius possiamo fare... insomma... qualsiasi cosa... »
«Grazie, James» fece semplicemente lei intensificando quell’immenso verde meraviglioso così lucido da riflettere la luce dorata della lampada che li illuminava tutti.
James riconobbe quel “Grazie”. Era uno di quelli che non arrivavano alle labbra e forse nemmeno alla coscienza di Lily- come quello il giorno della partita e dei Dissennatori-,  un “Grazie” in cui c’era racchiuso molto di più.
C’era il bottone, c’era se stesso alla base della scalinata davanti alle Clessidre, c’era la Mappa del Malandrino, c’era la folle corsa nei Sotterranei, c’era il suo scudo che l’aveva protetta da una fattura di Mulciber, c’era il suo bersagliare di incantesimi Piton al suo posto, c’era il suo esserle al fianco, il suo sostegno per l’accordo con i Serpeverde e quello per farle raggiungere l’infermeria con Liv tra le braccia. I bellissimi occhi di Lily erano così carichi di cose che James si sentì avvolgere, sovrastare, annegare senza più fiato. Il piccolo sorriso che stirò le sue labbra contagiò per un brevissimo attimo anche quelle nascoste di Lily.
Sirius si limitò a percorrere con gli occhi gli attraenti lineamenti rilassati di Liv prima di raggiungere il comodino lasciandoci sopra la sua lunga bacchetta d’ebano sotto lo sguardo stupito di Lily.
 
«Buonanotte, Evans»
«Buonanotte, Felpato»
 
Quando James si chiuse la porta dell’infermeria alle spalle cercò subito lo sguardo di Sirius che però, le mani rosse del sangue di Liv lasciate mollemente lungo i fianchi, gli dava la schiena. Non aveva nessuna voglia di parlare di qualcosa che non fosse la morte del padre di Liv ma quel “Felpato” uscito dalle labbra di Lily era stato surreale.
Come leggendogli nella mente anche senza il contatto visivo, Sirius fece spallucce.
«Quando non mi comporto da Black, presumo, sono Felpato anche per lei» spiegò con noncuranza.
James sollevò entrambe le sopracciglia, sbigottito. Ma evidentemente nemmeno Sirius era dell’umore giusto per chiedergli di quel “James” perchè subito dopo riprese parola,  apparentemente impassibile.
«Vado a dormire. Tu vuoi stare qui, immagino»
James lo fermò agguantandogli un braccio, stringendo con presa sicura la pelle nera del suo giubbotto. «Sirius» lo richiamò, ammonitore «Ho la Mappa. Sappi che ti controllo».
Sirius sospirò pesantemente. «Non voglio andare da Silente, Ramoso» lo tranquillizzò voltandosi per guardarlo in faccia «anche se la morte di un padre mi sembra un motivo più che giusto per voler pestare fino a far parlare un tizio che la mattina prima della tragedia mi dice di non tornare a casa mia».
Il tono fintamente calmo e lo sguardo decisamente tagliente di Sirius diedero a James la certezza di aver capito le vere intenzioni dell’amico.
«Ecco» sentenziò scrutando con attenzione il grigio intenso negli occhi davanti a lui «Non mi riferivo a Silente ma a Mocciosus. Sapevo che volevi andare da lui»
«Anche se fosse, James?» ribattè lui liberandosi dalla sua presa con uno strattone.
«Lo sai, Sirius» rispose l’altro sostenendo lo sguardo di sfida «Non abbiamo bisogno di altri guai e abbiamo fatto un accordo». Rimarcò l’ultima parola fissandolo con assoluta serietà mentre quello sollevava lo sguardo al soffitto.
«Stupido, un’accordo stupido» sibilò socchiudendo gli occhi grigi.
James si avvicinò ulteriormente a lui, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Parleremo di questa vicenda domani, con tutti. É ovvio che Mocciosus centri qualcosa ma picchiarlo adesso non servirà a un bel niente, ok?» fece cercando di ingoiare la voglia di correre lui stesso fino al Buco dei Serpeverde. Sollevò un sopracciglio con fare interrogativo e Sirius, con suo sollievo, annuì anche se controvoglia.
James annuì a sua volta, orgoglioso di lui, battendogli con riconoscenza una mano sul braccio.
«E poi, ammettilo» continuò lasciando che le labbra si piegassero in un mesto sorrisino mentre gli dava una leggera spallata «Liv gliel’ha già fatta pagare mettendolo K.O. in modo magistrale».
Nel fulmineo istante successivo anche le labbra contratte di Sirius si stirarono in una piccola curva inevitabilmente divertita, stupidamentefiero di lei, di quell’incredibile ragazza capace ogni volta di stupirlo in modi tutt’altro che prevedibili; quell’incredibile ragazza che si difendeva sempre da sola contro tutto e tutti, e che- l’aveva visto per la prima volta con i suoi occhi- era altrettanto incredibilmente fragile.
 
 



 
**
 
 
 



 
Il cigolio della porta dell’infermeria fece aggrottare le sopracciglia sopra gli occhi chiusi di James che si schiusero per serrarsi con forza immediatamente dopo, accecati dalla luce del sole proveniente dall’alta finestra ad arco acuto in fondo al corridoio del primo piano.
«Sei rimasto qui tutta la notte?» esordì incredula Lily con le spalle alla porta chiusa, i capelli rossi a piovergli disordinatamente sul viso pallido e lo sguardo smeraldino corrucciato puntato su James che si guardò attorno confuso, seduto scompostamente sul pavimento in pietra.
«Sì» biascicò lui raddrizzando con sofferenza la schiena dolorante poggiata al muro da sette ore.
Lily sollevò le sopracciglia vermiglie, disorientata dalla risposta sincera avvalorata dalle condizioni in cui si trovava Potter mezzo steso lì a terra. Colpita, era così che Lily si sentì in quel momento. Colpita e sorpresa da quel ragazzo con la veste stropicciata e rovinata dal furioso duello della notte precedente, gli occhiali storti sulla punta del naso e l’aria persa di chi si è appena svegliato.
Colpita e stranamente irrigidita.
«Black?» chiese osservandolo passarsi stancamente una mano prima sui capelli neri sparati in tutte le direzioni e poi sugli occhi sotto la montatura rotonda che si sistemò pigiandosela con l’indice sulla fronte aggrottata.
«É salito in dormitorio poco fa» rispose James sollevando finalmente lo sguardo su di lei. Era così bella nonostante le occhiaie scure, il vestito sgualcito, i capelli spettinati, le labbra screpolate, l’aria così fragile e distrutta da fare male.
Una spinta molto simile a quella di una molla gli ordinò di alzarsi dal pavimento per correre ad abbracciarla come se fosse un delicato fiore sgualcito, stringerle piano le tonde spalle lievemente curve ed abbattute.
«Ha detto che aveva bisogno di stare da solo» proseguì, invece, limitandosi a mettersi in piedi guardandola sentitamente. Notando l’espressione scettica sul suo viso, James si affrettò a frugarsi nelle tasche della veste per recuperare la Mappa del Malandrino.
«L’ho controllato qui» riferì dispiegando la pergamena ed avvicinandosi a lei che si sporse  leggermente verso di lui per far scorrere gli occhi verdi sulla carta scoperta la sera precedente.
«È davvero in Sala Comune» riprese James posando l’indice sul punto in cui Lily fermò lo sguardo attento, annuendo vedendo il nome di Sirius nello sopra quello che doveva essere il divano davanti al camino nella torre dei Grifondoro. James poteva scommetterci tutto quello che aveva: Sirius si stava fissando le mani ancora insanguinate proprio come aveva fatto per tutta la notte quando aveva pensato che lui stesse dormendo.
«Dimmi che questo oggetto è opera di Remus e non tua, di Black o Peter» fece lei stupendolo per quel piccolo sorriso che le stava addolcendo le labbra rosate.
«Perchè?» chiese James tra la curiosità e l’offesa.
«Perchè altrimenti sarei costretta ad ammettere senza sarcasmo che sei un genio, James Potter» spiegò lei arricciando il piccolo naso lentigginoso in una smorfia infastidita che ingrandì il largo sorriso sincero esploso sul volto improvvisamente luminoso davanti «Un genio con evidenti problemi mentali per il suo essere un inquietante stalker- quest’ultima cosa, tra l’altro, ti descrive alla perfezione- ma comunque un genio».
James rise sottovoce e la sua mano finì irrimediabilmente tra i capelli.
«Allora lo prendo come un complimento bellissimo, grazie» disse spettinandoseli senza ritegno «Siamo quattro geni che non stalkerano e basta ma si guardano anche le spalle. L’abbiamo disegnata e pensata insieme ma non ti dirò chi è stato ad incantarla con i nomi di tutte le persone del castello».
Suo malgrado, Lily sorrise brevemente senza sciogliere la sua smorfia accartocciata, scuotendo con esasperazione la testa scarlatta. «Prima o poi vorrò saperne di più su questa Mappa “geniale” che potrebbe farmi stare nelle cucine a mangiare muffin e cioccolata durante le ronde invece di gironzolare nei sotterranei al freddo e al gelo, ma adesso saliamo anche noi. Il treno parte tra un’ora» lo incalzò spostando lo sguardo un filo più vivo verso le scale in fondo al corridoio.
«Era un invito per le prossime ronde, Evans, quello?»
«Scordatelo, Potter, prima te la ruberei e dopo andrei in cucina da sola»
Sentì James sorridere vedendoselo arrivare al fianco per camminare insieme a lei.
«Liv?» domandò lui lasciando che la sua voce prendesse una piega colma dell’inquietudine che l’aveva attanagliato per tutta la notte passata in silenzio con Sirius seduto accanto.
Lily sospirò. «Sta bene... fisicamente. Si è svegliata poco fa. Non parla e non ha mangiato la colazione che le ha portato Madama Chips. Credo sia normale, ora come ora» rispose facendo spallucce senza però riuscire a nascondere una certa preoccupazione dietro quelle parole. «Torna a casa tramite Metropolvere, con Silente deciso a parlare con sua madre».
James pensò che non ci fosse cosa più giusta di quella ma lo stesso James non aveva la minima idea di come fosse la madre di Liv e della reazione di certo non positiva che avrebbe scatenato trovandosi di fronte ad un uomo con barba e capelli più lunghi dei suoi e un’abbigliamento stravagante anche per i normali standard dei maghi.
Lily rimase in silenzio cominciando a salire i gradini per il secondo piano chiedendosi se quella del preside fosse stata o no una buona idea. Immaginava la signora McAdams, distrutta di per sè, dare di matto vedendo Silente in salotto. La sua presenza non avrebbe fatto altro che aumentare la tensione, il dolore, l’angoscia di Liv in quella casa che da anni odiava e che adesso non aveva più niente che la tratteneva lì.
Lily ebbe la brutta sensazione che la sua migliore amica, senza più niente da perdere, potesse agire impulsivamente esattamente come aveva fatto la notte prima.
Lei non ci sarebbe stata a fermarla, a cercare di farla ragionare, non prima del giorno del funerale, almeno, e la cosa le diede parecchia ansia.
Sarebbe arrivata a King’s Cross soltanto la sera tardi, per poi tornare a Cokworth con i suoi genitori. Durante quelle altre lunghe ore di macchina Liv che avrebbe fatto, da sola con sua madre che di madre non aveva niente?
 
«E tu?» esordì James, all’improvviso.
Lily sussultò, tornando in sè, rendendosi conto di essere già arrivata alla scala addobbata di agrifoglio del settimo piano.
«Io cosa?» chiese, disorientata, infilandosi una rossa ciocca scarmigliata dietro un orecchio.
«Tu come stai?» fece lui con, nella testa, il ricordo di una Lily quindicenne il primo giorno di scuola di tre anni prima, dopo un'estate intera passata ad elaborare la morte di suo padre. James l'aveva scoperto soltanto quel primo settembre, quando Liv l'aveva portato da parte nel corridoio affollato dell'Hogwarts Express per dirgli in privato di non fare il cretino almeno in quel momento perché: "Lily ha perso suo padre in un incidente stradale babbano". Ricordava il dolore che dopo quelle parole gli aveva stretto il cuore, James, ricordava che nessuno l'aveva saputo perché la Gazzetta del Profeta non parlava di babbani e perché tutti erano tempestati da altre morti, morti dopo sparizioni o sotto Marchi Neri; un incidente con la macchina babbana era passato inosservato a tutti, a scuola. E ricordava bene i mesi successivi passati ad evitare di infastidirla, a guardarla da lontano in Sala Comune e ovunque. Vedeva la stessa Lily, lì davanti a lui, e James risentì la sensazione dolce e calda che l'aveva accompagnato per tutto il quinto anno, anche mentre Lily gli aveva gridato ogni insulto alla fine di quell'anno orribile; era sempre stata amore.
Lily portò il viso verso James per incontrare il suo sguardo nocciola, scoprendolo incredibilmente serio e preoccupato come diverse volte l’aveva visto puntato in quel modo ‘così suo’ su di lei. Sentì il viso scaldarsi leggermente sulle guance non riuscendo a trovare un aggettivo per descrivere quegli occhi così fissi su di lei, così presi ed attenti, concentrati come se non vedessero altro. La stessa sensazione che
Potter aveva sempre avuto quel modo ‘così suo’ di guardarla anche se con ridicola ironia, odiosa strafottenza, stupida ridarella o immensa vanità. Che fosse pomposamente infantile o incredibilmente serio come in quel momento- e forse più volte di quanto lei riuscisse ad ammettere- Potter usava quel suo modo di guardarla, sempre.
Incredibilmente destabilizzante, se faceva la persona seria e sincera.
Lily corrucciò le rossicce sopracciglia distogliendo velocemente lo sguardo da lui, le labbra sollevate lievemente in un sorriso come si era sempre ritrovata a fare davanti a quel particolare sguardo. «Io... starò bene» rispose, sicura, puntando gli occhi verdi verso il corridoio deserto davanti a loro «Per Liv».
James si morse l’interno di una guancia, trattenendo un piccolo sorriso. «Capisco» disse, capendola davvero.
Stare bene per Sirius, Remus e Peter era l’unica cosa che avrebbe fatto anche quando tutto, là fuori, sarebbe andato a rotoli.
Vedendo Lily immobilizzarsi e spalancare l’unico grande occhio verde che riusciva a vederle sul delicato profilo, si bloccò anche lui girando velocemente la testa nella stessa sua direzione.
«Godric, che cosa...?». Non riuscì a finire la frase davanti a Remus e Mary, immobili  all’altro capo del corridoio con i vestiti sgualciti e i capelli spettinati, che li stavano fissando sconvolti ed inquisitori come molto probabilmente anche lui e Lily stavano facendo con loro.
Un risolino proveniente dal grande ritratto della Signora Grassa, perfettamente a metà strada tra le due coppie disastrate che cominciarono ad andarsi incontro, si levò in aria echeggiando tra gli alti muri in pietra illuminati a sprazzi dalla fievole luce del sole delle sette.
«State tornando dalla festa... oraInsieme?» sovrastò quel suono Mary, indecisa se essere completamente imbarazzata per se stessa o allibita per Lily con Potter in quelle condizioni.
Certo, non era di certo nella posizione migliore per fare la predica a qualcuno dato che lei stessa era rimasta a dormire fuori con Remus per tutta la notte, ma il trucco sbavato di Lily, le labbra screpolate, la spallina del vestito slabbrata suggerivano ben altro che un semplice ed innocente dormire spalla contro spalla.
Lily, fermandosi davanti a lei e al ritratto insieme a Remus e James, aprì bocca per richiuderla immediatamente dopo lasciando crollare le spalle, esausta e alla ricerca di un modo il meno traumatizzante possibile per dare a Mary la vera brutta notizia.
«James, che succede?» chiese Remus, incredibilmente serio, aggrottando le sopracciglia castane osservando i tipici segni di preoccupazione sul viso e sulla postura dell’amico che sospirò, aggrappandosi alla propria nuca con una mano.
«Andiamo dentro... c’è una cosa che dobbiamo dirvi» disse solamente lui.
Mary spalancò gli occhi nocciola, facendo scattare lo sguardo allarmato e confuso su Lily.
 «Lily?» la riprese in un tono intriso d’angoscia, bisognoso di risposte immediate. Lily le prese una mano, stringendogliela forte.
«Pene d’Amore» scandì la parola d’ordine rivolta al ritratto della Signora Grassa tutta presa a sorridere maliziosamente giocherellando con la collana di perle al collo.
«Non sembra proprio, mia cara» scherzò quella, ignara, scivolando di lato sul muro per lasciarli passare.
 
 



 
 
*
 
 
 
 



 
L’Hogwarts Express sfrecciava veloce sui binari ghiacciati, spiccando con il suo scintillante rosso scarlatto tra la candida neve del paesaggio attorno.
La selvaggia, spoglia ed innevata campagna scozzesse scorreva fuori dal finestrino appannato e sugli occhi celesti e spalancati di Peter, seduto sul comodo sedile dello scompartimento che i Malandrini, Lily, Mary e John Owen avevano scelto per il viaggio, per tornare a casa. Il silenzio e lo sferragliare del treno avevano avvolto tutti lì dentro, sin dalla stazione di Hogsmeade, e Peter ne era stato più che sollevato perchè sentire altre voci insieme a quelle che aveva già nella testa sarebbe stato troppo, l’avrebbe fatto scoppiare, ne era certo e spaventato al contempo.

“Uno di Silente”

“Domani o il giorno di Natale...”
 “Dite che ci riuscirà? Battere uno di Silente non dev’essere facile...”


“Sono anni che aspetta questo momento, certo che ci riuscirà se vuole davvero entrare nella cerchia ristretta, soprattutto adesso che il padre è morto e non ha più il suo lasciapassare”

Poteva essere una coincidenza, no? Avery doveva uccidere “Uno di Silente” e il signor McAdams era morto.
Una coincidenza perchè il padre di Liv non era “Uno di Silente” o Liv non avrebbe avuto motivo di indagare sull’Ordine, no? No.
Certo che non era lui. Regulus, Mulciber e Mocciosus non avevano fatto nomi nel dormitorio, non avevevano neanche nominato Liv.
Era una terribile coincidenza e Avery non aveva ucciso, non era un Mangiamorte fatto e finito.
«Hey». La voce di James seduto alla sua sinistra e la sua mano poggiata sul suo tondo ginocchio lo fecero sussultare. «Tutto bene?» gli chiese chinandosi verso di lui che si voltò a guardarlo, annuendo vigorosamente.
«Sì, sì. Tutto bene, Ramoso» rispose con un piccolo sorriso. Lui ricambiò stringendogli incoraggiante la gamba prima di lasciargliela per riappoggiarsi sul sedile come Sirius, aria assente e sguardo cupo, mezzo sdraiato scompostamente lì affianco con le braccia conserte e le lunghe gambe distese ed incrociate con nonchalance verso i sedili di fronte dove Remus, i gomiti poggiati sulle cosce e la testa tra le mani, si massaggiava da una decina di minuti buoni le meningi sotto la cuffia in lana che scendeva a coprirgli anche le orecchie. Al suo fianco, John Owen cercava di evitare le occhiate di James che aveva proprio davanti mentre con il pollice accarezzava distrattamente il dorso della mano di Lily intrecciata alla sua ed appoggiata sulle gambe della ragazza che fissava il pavimento con Mary addormentata su una sua spalla, crollata per lo sforzo dovuto al pianto che la dozzina di fazzolettini umidi sul suo grembo insieme alla sciarpa rossa e oro aveva tentato di arginare.
«Puoi smetterla?» sbottò ad un certo punto John fulminando la scarpa di James che aveva cominciato a battere sul pavimento con nervosismo.
James sollevò un sopracciglio nero senza smettere di fissarlo con espressione fintamente impassibile.
«Di fare cosa?» replicò in tono di sfida.
John indurì lo sguardo seccato. «Creare tensione. Ce n’è fin troppa» rispose puntando con gli occhi azzurri il suo piede sempre più veloce.
«Se non ti senti a tuo agio qui dentro, la porta è quella» ribattè James indicando con un gesto del braccio la porta scorrevole accanto ad un realmente impassibile Sirius.
Restò a guardare il Corvonero irrigidire le labbra prima di schiuderle per parlare in un tono più pacato di quanto richiedesse la situazione.
«Il mio posto è qui con Lily in questo momento, se non ti dispiace» fece stringendo la mano di Lily che sospirò sollevando lo sguardo spento su James, immediatamente indeciso se ribattere o meno.
Il viso smunto di Lily, incorniciato dai capelli rossi accesi dal sole e tenuti fermi dal basco in panno verde foresta che le nascondeva metà testa, spense ogni cosa. La terribile voglia di parlare dell’accaduto, di liberare quella tristezza e anche la rabbia che gli stavano scoppiando dentro, però, rimaneva. E con John Owen seduto lì non si poteva di certo parlare dell’Ordine o di Piton.
«Ti sembra il momento di fare il geloso, Potter?» esordì John guardandosi attorno, allusivo.
«John, ti prego» mormorò Lily fulminandolo con lo sguardo.
Ma il viso di James si era già accartocciato in un ammasso di lineamenti offesi.
«Non sto “facendo il geloso”» sputò con un’eccessiva sicurezza che Sirius e Remus, con il naso rosso dal freddo di nuovo rivolto agli altri, riconobbero come incredibilmente falsa «Dico solo che in un momento come questo vorremmo stare tra amici, sai com’è...».
Lily inarcò un sopracciglio, le labbra strette e lo sguardo deciso, offesa ma altrettanto tagliente.
«Se è così che stanno le cose allora io e John ci allontaniamo un attimo perchè ho bisogno anche del mio ragazzo» informò sentendosi immediatamente addosso lo sguardo gelido da cane da guardia in modalità “Non toccatemi il padrone” di Sirius mentre James, agghiacciato al suo fianco, si passava una mano tra i capelli poggiandosi con finta noncuranza allo schienale.
Lily lo vide socchiudere gli occhi nocciola dietro gli occhiali per la luce del sole che gli inondò il viso insinuandosi tra quei capelli indomabili quando si voltò verso il finestrino stirarando le labbra in un sorrisino strafottente come non faceva ormai da un po’ di tempo.
Un bussare educato al vetro della porta attirò la loro attenzione.
Ned Stevens fece scorrere l’anta affacciandosi per salutarli e il cipiglio sul volto di Sirius s’indurì all’istante.
«Dov’è Liv?» chiese Ned con i grandi occhi blu improvvisamente preoccupati.
Lily, sollevando delicatamente la testa di Mary dalla spalla per poggiarla poi su quella di John, si alzò con calma assoluta dal sedile per scavalcare le arroganti gambe allungate di Sirius e raggiungere il Tassorosso, uscendo con lui in corridoio richiudendosi la porta alle spalle.
Sirius sostò con lo sguardo irritato al di là del vetro dove i rossi capelli di Lily si muovevano ad ogni suo gesto mentre parlava senza che loro, lì dentro, potessero sentire nulla.
L’espressione sul viso di Ned dopo qualche secondo si fece repentinamente scioccata e sconvolta, e quando Lily fece scorrere di nuovo la porta, di Ned non c’era più traccia.
«John» chiamò lei senza rientrare «Andiamo?».
James la guardò di sottecchi, risentito e ferito forse quanto uno ‘quasi’ tradito e soltanto scalfito da un infimo senso di colpa ben notato dagli occhi di Remus che, appena John sparì mano nella mano con Lily, prese immediatamente parola.
«Sei uno stupido» proclamò staccando i gomiti dalle magre gambe coperte dai chiari pantaloni illuminati dalla bianca luce del sole invernale.
James fece spallucce. «Beh, adesso possiamo parlare»
«Senza Lily?» lo sollecitò a ragionare Remus notando chiaramente la vena sul suo collo pulsare velocemente.
«Ha più bisogno del suo ragazzo, non hai sentito?» scattò infatti lui.
«Oh, James, piantala» sbottò Sirius reclinando il capo all’indietro per poggiare la nuca sul sedile ed osservare con uno strano cipiglio rabbioso misto a tristezza la grata e tutti i loro bauli. «Owen ha ragione: Ti sembra davvero il momento di fare il geloso?».
James, sotto shock, fissò con attonita incredulità Sirius chiudere gli occhi sotto le aggrottate sopracciglia nere, come se non avesse appena espressamente detto di essere dalla parte diJohn Owen.
Remus cercò subito di stemperare la tensione aggiunta allo sconforto per Liv racchiuso in ognuno di loro.
«Potevi farglielo capire in un altro modo, senza mettere in mezzo la gelosia per John» provò ad intervenire con invidiabile calma intrecciando le mani tra le gambe.
«Non potevo fare altrimenti, non hai visto com’era?» sbottò rabbiosamente James muovendosi con agitazione sul sedile «Una cozza su uno scoglio!»
«Ragazzi, piano o sveglierete Mary» s’intromise flebilmente Peter puntando gli occhi sulla ragazza che si era mossa accoccolandosi meglio sulla tendina del finestrino sulla quale John l’aveva poggiata prima di andare via.
Remus sospirò guardandola furtivamente prima di tornare su un James sempre più irrequieto.
«Ok» mormorò riappoggiando i gomiti sulle cosce per sporgersi ed avvicinarsi a lui senza alzarsi dal suo posto «ma cos’hai risolto adesso?»
«Parliamo di Piton» rispose immediatamente James in un sussurro furioso.
«Senza Lily» puntualizzò ancora Remus in un piccolo gesto della testa castana che voleva sottolineare la stupidità della cosa. James parve gonfiarsi d’indignazione.
«Ancora, Remus? Non le interessa! É stata chiara!» sibilò drizzandosi a sedere per imitare la sua posizione e avercelo ancora più vicino in modo tale da non svegliare Mary. Gli occhi ambrati di Remus che si vide di fronte si dilatarono al punto da sfiorare con le ciglia i ciuffi castani che coprivano a sprazzi la fronte, schiacciati dalla cuffia beige.
«Smettila» soffiò Remus, sconcertato «Secondo te non le interessa di Liv? Sai anche tu della grande assurdità che hai appena detto». Seguì con sguardo interdetto James grugnire qualcosa, nervoso, tornando a sedersi composto senza riuscire a fermare il piede, di nuovo animato dal tic impaziente. Sembrava davvero aver perso il senno.
«Siamo appena partiti» continuò Remus abbassando i toni nel tentativo di farlo tornare in sè «potevi darle il tempo di stare con il suo ragazzo, il suo supporto morale, almeno fino a pranzo. Abbiamo praticamente tutta la giornata per parlare su questo treno».
James spostò la sua attenzione e la furia verso il finestrino, cercando d'ignorare quell’ingombrante miscuglio di sensi di colpa e voglia di spezzare le ossa della mano di John intrecciata a quella di Lily che aveva cominciato ad appesantirgli il petto.
«É distrutta, ma non l’hai vista?» riprese Remus.
«Certo che l’ho vista» proruppe James, piccato «e non soltanto adesso ma anche ieri notte e stamattina». Vide Remus farsi di colpo più serio ed attento sentendo i suoi profondi occhi ambrati scrutarlo con quel suo modo così simile a quello di Silente. Ma non aveva tempo per lasciarsi analizzare.
«E... “il suo supporto morale”, Remus?» replicò, graffiante «Chi c’era ieri e stamattina per farle da supporto morale? John Owen? Non mi sembra proprio».
Remus corrugò la fronte, schiudendo appena le labbra. James credeva forse di essere l’unico supporto per Lily?
Incontrò l’occhiata di Sirius e lasciò perdere mentre Peter, schiarendosi la voce, si mosse esitante sul sedile.
«Ma perchè dobbiamo parlare di Piton?» chiese in un sussurro spostando lo sguardo confuso su tutti.
James lo puntò, sorpreso, per poi illuminarsi indicando con fare risoluto Remus.
«Oh, ecco perchè parli così, Remus!» esclamò non sentendo il sibilo di Peter per suggerirgli di abbassare la voce «non lo sa Peter e non lo sai nemmeno tu!».
Remus boccheggiò, le guance fortemente pallide per l’imminente luna piena si tinsero di rosso acceso mentre si rimetteva forse un po’ troppo dritto sulla spalliera imbottita dove poggiò rigidamente la schiena.
«Mi ha parlato Mary del biglietto» rivelò in un leggero broncio teso che gli arricciò le labbra trapelando nel suo tono di voce per niente fermo e tranquillo.
«Io continuo a non capire però» bisbigliò Peter «Quale biglietto?».
James sospirò. «Voi non c’eravate ieri pomeriggio dal preside, Pete, ma a quanto pare Mocciosus ha scritto a Liv dicendole di non tornare a casa per le vacanze di Natale. Abbiamo pensato fosse perchè sapesse che a casa di Liv ‘doveva verificarsi qualcosa di pericoloso’... per dirla in un modo meno accusatorio possibile... » spiegò intercettando l’occhiata moralista di Remus per poi vedere Peter sbiancare di colpo.
«Oh» mugolò lui spalancando gli occhi celesti verso un punto imprecisato del piccolo abitacolo iluminato ad intermittenza per via dei fitti alberi bianchi di neve che scorrevano velocemente dietro al vetro del finestrino, di nuovo centro della sua totale attenzione.  
«Già, proprio così» convenne James circondandogli le robuste spalle curve con un braccio. «É raggelante e mi fa salire il sangue al cervello! Non capisco come fate, tutti voi, a non voler cercare di capirne qualcosa in più, subito!»
«Sai come vorrei agire ma mi hai fermato già una volta quindi non guardare me, fratello» sentenziò Sirius, lanciandogli un’occhiata come a volerlo sfidare a dire il contrario.
«Se il tuo agire è quello che penso io, Felpato» intervenne Remus incrociando le braccia al petto come lui «Merlino, tutti i Fondatori, i santi babbani e il mondo intero ti ringraziano, James».
Sirius si lasciò andare ad un verso scocciato e colmo di disappunto ritornando ad fissare i bauli sopra la sua testa mentre James si chiese da quando Remus lo ringraziava in quel modo così soddisfatto ed anche piuttosto orgoglioso. Quasi gli fece paura.
Lo sferragliare del treno animò di nuovo il silenzio che si venne a creare ma Peter, con la testa maggiormente invasa dalle voci, non se ne curò minimamente.
Quel dettaglio su Piton aveva completamente distrutto la possibilità della semplice coincidenza. Se Piton aveva avvisato Liv sapeva, sapeva qualcosa riguardo suo padre e l’unica cosa che Piton sapeva era che Avery doveva uccidere qualcuno, “Uno di Silente”.
Nella lettera finita in fiamme sul tappeto verde e argento tra le scarpe di Regulus e Mulciber ci doveva essere per forza il nome di questo “Uomo di Silente”, del padre di Liv. Ma com’era possibile che il padre di Liv fosse uno di Silente? E perchè era morto lo stesso anche se lui aveva avvisato l’Ordine?
Gli venne da vomitare. A Peter venne da vomitare per l’improvvisa consapevolezza di aver avuto per tutto il tempo la risposta che James e gli altri stavano cercando.
Se solo avesse saputo del biglietto in tempo...
“Professoressa, Avery ha intenzione di uccidere “Uno di Silente”, il padre di Liv per la precisione. Proteggetelo”.
Ecco, era così che sarebbe dovuta andare. E invece no, e invece non era stato in grado di salvarlo per uno stupido biglietto di cui ne era rimasto all’oscuro.
Silente non aveva avvisato tutti, forse, o il padre di Liv non faceva parte dell’Ordine. C’era qualcosa che non quadrava, qualcosa che gli sfuggiva. James, Sirius e Remus avrebbero sicuramente trovato l’errore, la falla. E sempre James, Sirius e Remus si erano fidati di lui quando li aveva rassicurati di essere andato nelle Cucine e non a spiare i Serpeverde nel loro dormitorio.
Peter li guardò di sottecchi, così spaventato di vederli scagliarsi contro di lui o feriti per quella bugia. L’ultima cosa che voleva era deluderli.
Riportò lo sguardo sul vetro appannato vedendoci riflesso il viso di Liv per qualche secondo. Sussultò sul sedile facendo spaventare James che gli chiese se fosse tutto ok. 
«Sì, sono soltanto dispiaciuto» bofonchiò lui evitando il finestrino come la peste.
Come  poteva dire a Liv di quel piccolo dettaglio su suo padre? Come poteva dirle che se soltanto avesse saputo del biglietto, forse in quello stesso momento lei sarebbbe stata seduta lì davanti, insieme a tutti loro?
Come minimo gli avrebbe staccato la testa a mani nude dopo quello che aveva fatto in quel bagno con i tre Serpeverde. James era sempre stato bravo a raccontare in modo avvincente, e a volte anche romanzato, le cose che gli capitavano ma quella vicenda di Liv con la bacchetta di Sirius in mano, il bagno distrutto e Mulciber, Regulus e Mocciosus stesi a terra sembrava tutta roba vera.
Non seppe nemmeno lui quanto tempo rimase rigido su quel sedile. Aveva i muscoli dolenti quando, come predetto da Remus, la porta scorrevole dello scompartimento si aprì  verso l’ora di pranzo.
Mary era stata svegliata dal profumo dei dolci che Remus le aveva messo sotto al naso e Lily e la sua massa di capelli vermigli liberi dal basco avevano fatto la loro comparsa con la bacchetta puntata sulla porta dello scompartimento che richiuse con un gesto secco.
«Muffliato» disse prima di voltarsi trovando quattro paia d’occhi a guardarla con una certa curiosità. Si rimise la bacchetta nella tasca dei pantaloni, preparandosi a dare spiegazioni a tutti tranne che a Mary che per la prima volta in vita sua non si lamentò per l’incantesimo ‘Di quel maniaco di Piton’.
«Ci permette di non essere sentiti. Non usatelo in giro o potrebbe ritorcersi contro di voi» si raccomandò lanciando uno sguardo di fuoco a James, perplesso sul sedile. Scavalcando ancora una volta le gambe di Sirius, Lily riprese il suo posto tra Remus e Mary, tuffando una mano nel sacchetto sopra le gambe dell’amica invase dai fazzoletti.
«Adesso siamo tutti ‘amici’, possiamo parlare» annunciò, pungente, stringendo la manciata di noccioline nel pugno chiuso.
James aggrottò le sopracciglia osservandola mangiarle e contemporaneamente fissarlo con aria contrariata.
«Senti, Evans» cominciò facendole arcuare entrambe le sopracciglia con quella scelta di usare il cognome «Se è davvero così importante per te perchè non gli dici tutto?».
Lily smise di botto di masticare noccioline, Remus di respirare e Mary lo guardò stranita con ancora gli occhi bagnati di lacrime.
«Tutto cosa, Potter?» fece Lily, secca.
«Dell’Ordine» disse lui allargando brevemente le braccia con una smorfia «Così potremmo parlare in pace anche con lui visto che ne hai bisogno». Le ultime parole gli uscirono senza fermare il veleno che sentiva scorrergli a litri nelle vene al posto del sangue, e dall’espressione che il viso di Lily assunse capì di aver fatto centro.
«Stai scherzando, Potter?»
«Affatto»
«Io non parlo a John dell’Ordine»
«Perchè, se è così importante?»
«Perchè non sono affari tuoi» ribattè lei indurendo ogni lineamento del viso intriso di rabbia «E perchè la soluzione a questo “problema’’ sarebbe che tu usassi un minimo di buona educazione anche verso chi non ti è amico».
James non replicò, non con quegli occhi verdi a trafiggerlo come non facevano da tempo.
Fu Remus a schiarirsi la voce per mettere fine a quel battibecco che sapeva tanto di vero e proprio serio litigio come non era mai successo tra Lily e James.
Peter serrò gli occhi, sprofondando sull’imbottitura del sedile, preparandosi all’inizio della ‘riunione’.
«Mocciosus sapeva della morte preannunciata di Edgar e non ha fatto un emerito caz...»
«Sirius»
Lo sguardo di Remus, furibondo per essersi schiarito la voce soltanto per bloccare la parolaccia, non fu nulla in confronto a quelli esterrefatti di Lily e Mary ai quali Sirius rispose con uno sbrigativo sventolìo della mano.
«É una lunga storia, signore» mentì bruscamente liquidando la questione sul perchè avesse chiamato il padre di Olivia con il suo nome.
Non era una lunga storia quella, non particolarmente almeno. I fulminei flashback del signor McAdams che lo richiamava dall’auto per dargli un passaggio alla stazione di King’s Cross il primo settembre, il suo sorriso luminoso con la fossetta come quello di Olivia, la sua vigorosa ma cortese stretta di mano, lo sguardo amichevole ed ammirato su di lui per il fatto di aver chiamato sua figlia con il suo nome intero l’avevano resa una storia ancora più breve nella sua testa per tutta la notte, intervallata dagli occhi scuri e vuoti di Liv che lo fissavano come non avevano mai fatto.
«Una storia che ruberebbe tempo prezioso al pestaggio di Mocciosus» continuò Sirius, una ruga profonda tra le sopracciglia a scavargli la pelle tanto quanto la voglia di raggiungere Liv gli stava scavando il cuore che non smetteva di battere veloce.
James gli diede una leggera spinta su un gomito, facendolo dondolare prendendo parola.
«Piton sapeva e non ha detto nulla, ok» cominciò scivolando un minimo sul sedile come per poter avvicinarsi a tutti, anche Lily e Mary che lo guardarono con attenzione. «Ma la cosa che ci interessa è che Piton sapeva. Stop».
Gli occhi verdi restarono per un lungo attimo sui suoi, penetranti e pensierosi.
«Ecco perchè serve il pestaggio» riprese Sirius, imperterrito «Per farlo parlare, per fargli rivelare chi diamine gli ha detto che il padre di Olivia sarebbe morto».
Peter rabbrividì, attaccandosi al finestrino schizzato esternamente dal nevischio.
«Prima di usare le maniere da torturatore russo, Sirius, possiamo provare a cavarcela con il cervello, non credi?» propose Remus, ostentatamente afffabile e pacato, rivolgendo verso l’alto i palmi delle mani abbandonate sulle gambe.
Sirius sbuffò in una piccola risata scettica. «Ci fosse Olivia, a quest’ora non sarei qua a fare la bella statuina ma con lei nello scompartimento di Mocciosus con tutte le risposte»
«Sì, e il cadavere torturato di Piton nel portabagagli gocciolante sangue mentre noi cinque poveri cristi rimarremmo con due amici- tu e lei- rinchiusi ad Azkaban» aggiunse ragionevolmente Remus sollevando tutt’e due le sopracciglia.
«Ad Azkaban insieme all’assassino del signor McAdams» gli fece notare Sirius. Remus portò gli occhi al soffitto, senza speranza.
«Potrebbe essere Malfoy?» iniziò a dire Mary per evitare che l’argomento prendesse una piega ancora più dolorosa di quanto già non fosse; evitare di pensare al padre di Liv perchè non era sicura di riuscire a smettere di piangere ancora una volta; evitare che il vuoto tra le braccia diventasse di nuovo insopportabile perchè l’unica cosa che non aveva ancora fatto e che avrebbe voluto fare in quel momento era stringere Liv con tutta la forza che aveva in corpo, anche se in ritardo.
James si sporse nella sua direzione. «Sospettato numero uno, Mary» approvò «L’abbiamo visto parlare con gli idioti di recente»
«Sì, perfetto» disse Sirius. James avvertì il sarcasmo colare a litri dalle sue parole.
«Sospettato numero uno di cento o chissà quanti sono i Mangiamorte che potrebbero essere venuti in contatto con Mocciosus»
«Felpato, la sfiga del Gramo vale solo per le partite. Evita di sforzarti di fare il cane del malaugurio»
«Sto soltanto riportando alla realtà le vostre ipotesi, Ramoso»
James gli scoccò un’occhiata in tralice.
«Ha ragione» esordì Lily zittendo e stupendo tutti, Sirius compreso «Ma le cento persone  possono restringersi a due o tre se pensiamo alle conoscenze di Piton che ieri notte potevano trovarsi a Londra o che comunque sapevano del piano contro il signor McAdams».
Mary riconobbe la sfumatura apparentemente sicura nel duro tono di voce dell’amica e l’espressione fintamente impassibile che le lasciava il viso innaturalmente disteso come se non stesse parlando del suo ex migliore amico.
«Dipende da cosa vogliamo trovare» continuò Lily, lo sguardo così determinato da rapire anche quello sfuggente di Peter «La persona che ha raccontato tutto a Piton o l’assassino». Rimarcò l’ultima parola con enfasi, gli occhi verdi lampeggianti riflessi sulle lenti degli occhiali che James si sistemò sul naso.
«Potrebbero essere la stessa persona» osservò quest’ultimo vedendo Lily fargli un cenno d’assenso.
Remus aggrottò le sopracciglia notando lo sguardo di Peter saettare verso il finestrino, le piccole mani aggrappate con nervosismo l’una all’altra.
«Ma perchè dire a Piton una cosa così importante?» fece Mary mentre la luce del sole sul suo viso svaniva come quella del cielo oltre il vetro al suo fianco, oscurato da nuvoloni grigio piombo. «A quale scopo? Se sto progettando un... un»
«Un omicidio» completò la frase per lei Lily, risoluta. Mary la guardò, accigliata, prima di annuire e proseguire.
«Sì. Insomma, non vado a dirlo al primo che incontro o ad un aspirante Mangiamorte che non è ancora a tutti gli effetti affidabile...»
«Vai a capire il cervello da Troll dei Mangiamorte, Macdonald» rispose Sirius scostandosi ciuffi di capelli neri dagli occhi con un gesto della testa «Impossibile senza fargli sputare le cose con un pugno dritto sulla mascella».
Remus, incantato al vetro picchiettato dalle gocce di pioggia, parve illuminarsi senza perdere l’aria pensierosa che aleggiava attorno al suo volto assorto.
«Questo è un ottimo dettaglio per capirci qualcosa, Mary» proclamò, ignorando volutamente l’ossessione di Sirius «La persona che ha contattato Piton deve essergli piuttosto amica»
«E torniamo al suo padroncino Lucius Malfoy» disse Sirius, pungente.
Peter socchiuse gli occhi costringendosi a contare le gocce che scivolavano alla velocità del treno sul vetro ad un centimetro dal suo naso appuntito.
O Avery che magari si voleva vantare di avere la possibilità di ricevere il Marchio Nero uccidendo il padre di Liv. 
Avrebbe voluto dirlo, davvero, ma come aveva fatto a scoprirlo no, quello no. Serrò le labbra sottili quando James, al suo fianco, aprì le sue.
«Malfoy è di certo il punto di riferimento per quegli idioti» affermò, sicuro di sè «Gli stava sempre addosso al primo anno, mesi fa si sono incontrati durante una festa di Lumacorno»- Lily annuì, ricordando la ‘lieta’ serata- «E...» James si bloccò, come colpito da un bolide improvviso o un severo ictus, come suppose con una certa preoccupazione Remus vedendolo spalancare gli occhi nocciola e la bocca in una smorfia scioccata prima di parlare, esaltato come suo solito.
«Ha spedito una lettera a Avery, per tutti loro, dicendo che durante le vacanze di Natale si sarebbero incontrati a Notturn Alley!» annunciò gesticolando furiosamente, sbalordito dalle sue stesse parole uscite mentre ricordava quel particolare rivelato da Peter un mese prima.
Il suo sguardo incontrò quelli altrettanto sbarrati di Sirius, Remus e Peter che James si trattenne dall’abbracciare per il suo essere un topo.
Lily, scambiandosi un’occhiata perplessa con Mary, raddrizzò la schiena guardandoli stranita.
«Cosa? Come fate a sapere queste cose?» chiese, forse troppo duramente per via dell’impazienza di ricevere risposta.
«Abbiamo le nostre fonti» se ne uscì tipicamente criptico Sirius sciogliendo l’intreccio delle lunghe gambe per stiracchiarle e piegare le ginocchia evitando che il grigio sguardo acceso tra i ciuffi di capelli neri si posasse su Peter.
«Questo incontro casca a fagiolo» commentò Remus in un mezzo sorriso speranzoso ed incoraggiante rivolto a Mary, ancora particolarmente disorientata.
«Volete passare le vacanze a Notturn Alley?» pigolò Peter per niente concorde di mettere piede in quel posto, soprattutto in tempi come quelli «Che ne sappiamo dell’ora e del giorno dell’appuntamento?!».
Sirius drizzò a sedere. «Come puoi dimenticarti di Tom, Coda?» fece, seriamente scandalizzato.
«Tom?» ripeté Lily, la fronte aggrottata.
Remus scosse la testa. «Il barista del Paiolo Magico. Sirius ha dei buonissimi rapporti con lui...» spiegò, sollevando lo sguardo al soffitto accompagnato da un rassegnato gesto delle mani.
«Buonissimi come il suo Odgen stravecchio che più di una volta mi ha fatto piacevolmente dimenticare di essere a Londra» specificò Sirius.
James rise mestamente. «Basta chiedere a lui, a Tom» rivelò, gli occhi accesi da una luce speranzosa, puntando Lily «Appena vede quegli idioti entrare al pub per raggiungere Diagon Alley ci invia un gufo ed è fatta».
Lily e Mary parvero assistere alla scoperta del secolo. Far parte di un piano con i Malandrini in persona faceva un certo effetto, dovevano ammetterlo. Così come ammisero a loro stesse che quei quattro avevano una certa bravura a crearsi un’intricata rete di utili conoscenze e ad impossessarsi di misteriose ‘armi’ senza nome che ogni volta trapelavano dalle labbra sibilline di Black.
«Ok» s’intromise ai festeggiamenti Mary, incerta «quindi iniziamo con l’indiziato Malfoy?»
«Sicuro. È l’unico ragionevole» assicurò Sirius di nuovo abbandonato sul sedile con aria meditabonda.
«D’accordo» acconsentì Lily giocherellando senza accorgersene con le noccioline ancora in mano. «Ma non lasciamo da parte l’Ordine. Sono convinta del fatto che c’entrino qualcosa anche loro o Silente nel suo ufficio non avrebbe parlato di duello facendo il vago in quel modo».
Remus voltò la testa verso di lei, al suo fianco. «Dici che qualcuno dell’Ordine era presente mentre è successo?»
«Sì, dico proprio questo, Remus» sostenne, le sopracciglia rossicce così ravvicinate da sfiorarsi. «Dico che il preside, dopo aver sentito Liv parlare di suo padre che non rispondeva alle lettere e del biglietto di Piton, abbia fatto qualcosa... magari ha inviato qualcuno per controllare di persona dato che il signor McAdams non era in casa quando Liv ha usato il camino per parlare con sua madre. E...» aggiunse facendo una pausa per afferrare la Gazzetta del Profeta poggiata sul sedile tra lei e Mary «Nell’articolo non si parla di duello». Dispiegò il giornale e Remus si sporse verso di lei per poter leggere la prima pagina.
 

 
LONDRA: NATO BABBANO TORTURATO ED UCCISO SULLA PORTA DI CASA
Il capo delle Forze dell’Ordine Magiche conferma il coinvolgimento dei seguaci di Voi-Sapete-Chi


Ieri sera, in un quartiere della Londra Babbana, è stato rinvenuto il corpo senza vita del Nato Babbano Edgar McAdams, 53 anni.
Il cadavere, trovato dal signor Dedalus Lux (Mago, 54 anni) è stato immediatamente analizzato dalla squadra Auror che il signor Lux ha chiamato grazie al numero speciale per le emergenze che vi riporteremo a fine pagina e che trovate nella Guida all’Autodifesa che il Ministero della Magia ha fornito a tutte le famiglie magiche della Nazione. 

«Il corpo non presenta ferite esterne, dettaglio che alle Forze dell’Ordine Babbane intervenute dopo di noi ha fatto subito pensare a morte dovuta ad infarto» ha dichiarato l’Auror Frank Paciock, arrivato tempestivamente sul luogo del delitto insieme ai suoi colleghi «Il Guaritore Responsabile del Reparto Ferite da Incantesimo del San Mungo, però, ha accertato che alla vittima è stata inflitta la Maledizione Cruciatus prima di essere stata colpita dall’Anatema che Uccide, causa della morte».
La tragica vicenda non ha ancora un colpevole ma le rassicurazioni del Ministero non sono tardate ad arrivare.
«Le indagini sono aperte» fa sapere il capo delle Forze dell’ordine Magiche Bartemius Crouch «Non abbiamo alcun dubbio sul fatto che i colpevoli siano da ricercare tra i seguaci delle Arti Oscure che con le loro illegali Maledizioni Senza Perdono ci lasciano la firma. Il Dipartimento Auror ha quindi una pista da seguire e la certezza di arrivare all’assassino che verrà fermato al più presto e portato immediatamente ad Azkaban, come per tutte le altre sparizioni degli ultimi mesi».
Fortunatamente, la moglie della vittima (Margaret McAdams, Babbana, 48 anni) non trovandosi a casa e nelle vicinanze al momento della tragedia è riuscita a salvarsi così come l’unica figlia, la diciassettenne Olivia McAdams, al sicuro a Hogwarts.
Il Ministero della Magia continua a raccomandare prudenza ed assoluta allerta.
 


 Il silenzio attonito che aveva seguito la lettura a voce alta di Lily, appassionata ed impregnata di fervore arrivato perfino ad accenderle il verde smeraldo degli occhi, fu spezzato da James, pensieroso accanto al fascio di nervi che era Peter.
«Il Ministero vuole far capire di avere in mano la situazione quando è ovvio che invece non è così» borbottò scompigliando distrattamente i capelli «Chi sarà il prossimo innocente che verrà arrestato e spedito ad Azkaban senza prove o processo, giusto per dire che hanno “catturato qualcuno e che la pace sta arrivando”?»
«E La Gazzetta non può che assecondarli, come sempre» concordò Sirius in una smorfia disgustata. Scivolò di poco sul sedile infilandosi bruscamente le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Non hanno in mano la situazione perchè sono scaltri» intervenne Mary con sguardo vacuo. «I Mangiamorte dico, sono scaltri e sono infiltrati ovunque o tutte queste morti, le sparizioni, i rapimenti verrebbero risolti a distanza di mesi. Gli Auror e il Ministero sono in difficoltà perchèqualcuno da dentro li sta mettendo in difficoltà».
James annuì, accigliato. «Malfoy ne è un esempio» constatò. «Dev’essere per questo che esiste l’Ordine» continuò, pensieroso. «Un gruppo segreto di combattenti dove nessuno può sabotare le azioni degli altri, un gruppo di persone fidate che lottano contro il male senza avere infiltrati che distruggono prove, rallentano le operazioni»
«Non ci stanno riuscendo, però» esordì con una punta di sprezzante rimprovero Peter attirando gli sguardi di tutti. Il rossore sulle sue guance venne preso per timidezza e non rabbia che invece Peter aveva sentito scaldargli improvvisamente il viso. L’Ordine non c’era riuscito, non aveva salvato “uno di loro”.
Si chiese cosa ne sarebbe stato di lui in quel gruppo, in quell’aggregazione di maghi e streghe talentuosi  e di certo non propensi a lasciarsi rallentare da un incapace come lui.
«Devono essere in netta minoranza, Codaliscia» fece Sirius accarezzando distrattamente col pollice la bacchetta di Liv che aveva tirato fuori dalle tasche.
«Certo, nessuno li conosce!» sbottò James, stizzito «Noi l’abbiamo scoperto per puro caso e non siamo ancora riusciti a farcelo dire chiaro e tondo!»
«O sono davvero in pochi ad essere disposti a rischiare la vita, la propria e quella della famiglia» disse Lily seguendo con gli occhi verdi le lunghe e magre dita di Sirius percorrere distrattamente gli intarsi del familiare legno. «Quando si combatte in prima linea sei il primo bersaglio del nemico, ti interponi tra lui e tutte le altre persone che l’avversario potrà raggiungere soltanto dopo aver scavalcato il tuo cadavere. In pochi sono disposti a farlo».
James schiuse le labbra, colpito. Il viso serissimo di Lily sembrava velatamente triste ma i suoi grandi occhi leggermente a mandorla, adesso puntati sui suoi, erano così determinati da brillare anche nella semi oscurità dovuta al temporale che si stava scatenando fuori dal finestrino.
«É stato Frank ad arrivare per primo sul posto...» fece notare Remus con ancora lo sguardo assorto ed attento posato sul foglio del quotidiano.
L’interruzione netta del discorso che non sembrava affatto concluso e che di sicuro sarebbe uscito fuori in un’altra occasione, confuse gli altri.
«Già» fece Lily lasciando gli occhi di James «Coincidenza?» mise la pulce nell’orecchio, un sopracciglio vermiglio arcuato con vivo scetticismo. L’occhiata che le lanciò Remus fu colma di pensieri frenetici, così come i volti seri di tutti.
«E quel Dedalus Lux “Mago”?» domandò Sirius in tono lievemente insinuante «In un quartiere interamente babbano»
«Potrebbe essere un amico del signor McAdams, sono quasi coetanei» ipotizzò James  scrollando le spalle.
«No, è impossibile» negò Mary facendo saettare lo sguardo attento su Lily  prima di riportarlo su di lui «Il signor McAdams aveva tagliato i ponti con tutto il mondo magico per sua moglie» rivelò vedendolo assottigliare gli occhi nocciola dietro le lenti degli occhiali.
Remus sfilò gentilmente dalle mani di Lily la Gazzetta per rileggere l’articolo e cercare dettagli in più.
«Pensate possa essere uno dell’Ordine?» chiese facendo scorrere il cipiglio pensieroso sulle righe dell’articolo.
«Potrebbe» fece Lily intrecciando le mani sul grembo.
 «Non dimentichiamoci però che Silente è più intelligente e astuto di tutti noi messi insieme» ricordò Sirius giocherellando con la bacchetta di prugnolo senza lasciarla cadere nemmeno per un istante. «Le incongruenze sospette nel resoconto della tragedia non sono da lui. Ogni cosa che dice, che fa, che pensa è calcolata minuziosamente»
«Infatti» concordò Lily in un piccolo sorriso che James non riuscì a decifrare.
Remus sospirò, ripiegando con cura il giornale.
«In questo caso, allora, Silente ha volontariamente lasciato a Lily degli indizi» si premurò di tradurre per lei, guardando di sottecchi la ragazza che annuì per niente stupita di essere stata capita da lui.
Sirius bloccò la bacchetta tra le dita. «Che vuoi dire?» chiese, stranito «Che Silente ci sta forse mettendo alla prova?»
«Può darsi. I suoi occhi azzurri scintillavano in modo strano in quell’ufficio» fece Lily stringendosi nelle spalle. La fluente massa di capelli rossi si sollevò in riflessi di luce insieme a quelle piccole forme rotonde, catturando lo sguardo di James.
«Per entrare nell’Ordine non penso bastino soltanto i M.A.G.O. e la maggiore età, bisogna dimostrare di essere capaci e pronti. Non stiamo andando a giocare» riprese Lily «Dire di voler partecipare in prima linea in questa guerra non credo sia la stessa cosa che farlo sul serio»
«Occhi puntati anche sull’Ordine, allora» sentenziò prontamente James fissandola per la seconda volta in un giorno con quel suo modo cosìsuo, sorridendole appena.
Lily si affrettò a fargli un cenno d’assenso in un fruscio del cappotto mentre si spostava un po’ all’indietro poggiando la schiena sul morbido sedile.
Peter abbassò lo sguardo, accettando le Cioccorane che James gli ficcò tra le mani con silenziosa riconoscenza per il suo ottimo lavoro di spia. Cioccorane che lo stomaco di Peter, per il grande senso di colpa che non lasciava spazio a nient’altro, non riuscì a digerire per tutto il resto del viaggio.
 
 


 
 
**
 
 




 
Cara Liv,

Lily mi ha detto di tuo padre e mi dispiace tantissimo. Non posso nemmeno immaginare come tu adesso possa sentirti.
Spero soltanto di riuscire ad aiutarti in qualche modo come tu hai fatto con me quando ne avevo più bisogno, in Guferia.
Per qualsiasi cosa, se vuoi, scrivimi.
 
Con affetto, 

Ned
 

La pergamena tra le dita inerti di Liv non si leggeva più, immersa nel buio insieme a lei.
Era quello che Liv stava fissando da tempo indefinito: il buio totale.
Distesa pancia in sù sul letto della sua camera babbana, in realtà non riusciva a capire se fosse in piedi o sdraiata, se quell’oscurità fosse reale o soltanto la sensazione di essere sospesa nel vuoto fatta realtà.
Sentiva le voci al piano di sotto, quelle delle persone che andavano a far visita a suo padre, l’uomo che aveva visto di sfuggita dentro ad una bara entrando in salotto con Silente, quello che di suo padre non aveva più il sorriso, il chiaro sguardo intelligente, le braccia pronte a stringerla anche quando lei non aveva voluto e che in quel momento, invece, non faceva altro che desiderare. Sentiva sua madre piangere, i passi di tutti quelli che camminavano dove un tempo aveva camminato lui, che si sedevano dove un tempo si era seduto lui.
E adesso lui non c’era, non sul serio. Sul serio lui non ci sarebbe stato mai più. Sembrava pazzesco, impossibile, uno scherzo... e invece era così, l’aveva visto con i suoi occhi quando Silente l’aveva trattenuta lì sul posto come se sapesse che così facendo la morte di suo padre sarebbe potuta diventare reale, conscia.
Ed era stato così, quella vista le aveva fatto scattare qualcosa dentro, la consapevolezza di essere davvero sola, abbandonata, di essere spezzata dal dolore, irrimediabilmente.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare invece di lasciarsi cadere in quel buio fatto di suoni ovattati era rompere tutto, distruggere ogni cosa di suo padre. A che serviva adesso la sua grande libreria in soggiorno? La sua poltrona preferita davanti al camino, il suo spazzolino blu in bagno, le sue adorate ed eleganti piume nascoste nel secondo cassetto della scrivania nello studio, la sua roba, la sua sciarpa blu-bronzo ben piegata sotto il materasso come un dolce ricordo, la sua proibita bacchetta di faggio conservata con cura chissà dove.
Voleva davvero distruggere ogni cosa ma per ogni oggetto c’era già un vuoto, un vuoto intriso di dolore che andava colmato con qualcosa che Liv non riusciva disperatamente a trovare nonostante fosse totalmente sopraffatta dalle emozioni più violente che avesse mai provato. La rabbia, l’odio, il risentimento, la paura, la tristezza profonda, il terribile senso di colpa sempre più presente, pressante, non facevano altro che dilatare quello spazio impossibile da riempire
Ma era il senso di colpa insonne come lei a scavarle dentro senza pietà non lasciandola mai, mangiandole incessantemente il cuore, lo stomaco, i polmoni, il cervello, tutto con la fame di un’insaziabile bestia feroce.
 
E poi scapperemo, via dall’Inghilterra, via dalla magia. C’è una guerra lì fuori, Maggie, e noi siamo dei bersagli che di certo non passeranno inosservati se staremo ancora qui”
 
 “Io non me ne vado. Dopo Hogwarts resterò qui a combattere, l’ho già deciso. Voi andate pure, anche adesso se volete. Buon viaggio”
 
“Liv, stiamo rischiando, sappilo. Stiamo rischiando grosso a stare un altro anno qui. Lo faccio solo per te”

Nulla aveva più importanza a parte quel buco, quel vuoto impossibile da colmare, quel dolore impossibile da alleviare, quell’angoscia impossibile da consolare.
Aveva detto Buon viaggio a suo padre e adesso suo padre non l’avrebbe più vista davvero, lei non l’avrebbe più visto davvero. Tutto quello che d’ora in poi avrebbe fatto, sentito, pensato e vissuto lui non l’avrebbe saputo o visto, com’era sempre stato quando lei stava a Hogwarts e non gli spediva le lettere.
Non ci sarebbe stato nel momento in cui lei avrebbe avuto bisogno, come quando si rinchiudeva in camera zittendo la sua voce paziente richiamarla da dietro il legno della porta.
Non ci sarebbe più stato quando si sentiva stanca, confusa, in disordine, sbagliata come tutte le estati passate a gridargli contro di tutto, eccetto quelle sensazioni.
Non ci sarebbe stato e basta, come non era mai successo, e adesso sentiva un impellente bisogno di scrivergli, di ascoltare la sua voce, di aprirgli la porta e confidargli ogni singola emozione, ogni singola sensazione che sentiva scoppiare dentro.
Non gli aveva detto di essere entrata in squadra come Cercatrice, di aver vinto la prima partita con la sua fidata e vecchia Comet che lui stesso le aveva comprato a Diagon Alley subito dopo la bacchetta, di essere stanca per tutti compiti e i programmi da studiare per i M.A.G.O., di essersi fatta miracolosamente nuovi amici, di essere felice del nuovo professore di Difesa, di aver preso un pieno Eccezionale anche all’ultimo compito pratico, di avere molto probabilmente una volpe come Patronus.
Non gli aveva detto dell’Ordine di Silente, del fatto che sarebbe potuto partire subito.
Non gli aveva detto che l’unica cosa che voleva era saperlo al sicuro, era combattere per lui e per la magia che gli apparteneva di diritto.
Non gli aveva detto che gli voleva bene.
E tutto questo, tutto questo solo e soltanto per colpa sua che l’aveva trattenuto lì, a morire.

Non sapeva da quante ore era arrivata in quella casa che non sentiva più sua, da quante ore Silente aveva schivato gli oggetti-tra i quali anche un rosario e un crocifisso- lanciati da sua madre mentre lui cercava di spiegarle che avrebbe fatto meglio ad andare via da lì perchè era in pericolo, perchè la stavano cercando; da quante ore il preside se n’era andato lasciandole addosso uno dei suoi sguardi indecifrabili, la raccomandazione di usare prudenza, la rassicurazione di aver chiuso il camino e ripristinato lui stesso gli incantesimi protettivi che suo padre aveva saggiamente messo sulla casa; lasciandole addosso la totale assenza di magia a parte quella che aveva in se stessa. Era la prima volta che si ritrovava l’unica strega lì dentro, la prima volta senza suo padre ed era come scivolare in caduta libera in un abisso di solitudine buia, quella che la circondava e che stava respirando con sempre più fatica.
Non seppe dirsi quando il cuscino avesse cominciato ad appiccicarsi sulla sua nuca, bagnato come tutto il viso e il collo; quando i rumori al piano di sotto furono sovrastati dal suo pianto, dai suoi singulti che le spezzavano il respiro facendole impazzire il petto.
Non seppe dire, di preciso, quando la voce di Lily le arrivò alle orecchie dando un senso a quella totale oscurità. Sapeva solo che Lily le aveva ricordato di essere in un posto solido, dentro a quattro mura, e che alla sua destra, da dove era arrivata la sua voce preoccupata, c’era la porta chiusa della camera in cui stava.
Liv sbattè più volte le lunghe ciglia umide, abbassando gli occhi pulsanti di dolore e stanchezza sulla lama di luce nel pavimento che faceva intravedere l’ombra delle scarpe della sua amica.
Era ancora mattina? O pomeriggio? Di quale giorno?
 
«Liv?»
La ridestò ancora Lily come se la stesse cercando in una profonda caverna, richiamando dall’alto di un pozzo.
«So che sei lì dentro»
Liv non rispose, le gambe distese come le braccia lungo i fianchi e la treccia spettinata abbandonata su un lato del cuscino. Lo sguardo fisso di nuovo sul soffitto scuro davanti a sè.
«La signora Connolly ha detto che non sei uscita nemmeno una volta per mangiare»
Si limitò a sbattere ancora una volta le pesanti e gonfie palpebre senza muoversi dalla sua postazione.
«Sei lì dentro da un giorno e mezzo»
Un giorno e mezzo. Cos’era un giorno e mezzo senza suo padre?
«Per favore, Liv»
Una lacrima scivolò sul suo viso mischiandosi all’umido strato salato sulle guance, senza che lei potesse sentirla.

«Liv» Lily, dall’altra parte della porta chiusa, poggiò delicatamente la fronte sul legno «È l’ultima occasione che hai per salutarlo».
Il silenzio che seguì ancora le sue parole fecero inspirare ansiosamente Mary, lì accanto, stretta nelle sue stesse braccia coperte dal maglioncino rigorosamente nero che metteva in risalto i suoi corti capelli biondi e gli occhi nocciola così spalancati e lucidi da sembrare di vetro.
«So cosa stai pensando» riprese Lily poggiando anche le mani sulla porta che le separava dalla loro migliore amica «Non l’ho salutato quando potevo, quando dovevo. Non l’ho salutato quando si poteva parlare di saluto vero. Adesso non può sentirmi, vedermi» fece una pausa, sospirando profondamente, l'eco del dolore profondissimo per suo padre a stringere gola e petto come se fosse tornata indietro di tre anni. «Ma non è così, Liv. Questa è davvero l’unica e ultima occasione e non ti permetterò di sprecarla, mi hai sentito? Non ti permetterò di vivere con quel rimorso. Non lo permetterò a costo di usare un Incantesimo Esplosivo per sfondare la porta facendo saltare in aria anche la copertura di tue ex amiche delle elementari che io e Mary abbiamo usato per entrare in questa casa».
Inaspettatamente, il legno sotto le dita e la fronte di Lily si allontanò dalla pelle leggermente sudata per la tensione facendo comparire Liv, incerta sulle sue gambe con il buio della camera alle spalle e la luce del sole proveniente dalle scale ad illuminarle la treccia quasi completamente disfatta e i castani ciuffi spettinati di capelli che le ricadevano smunti sul viso pallidissimo accartocciato in un’espressione di pura sofferenza, una sofferenza che aveva lasciato libera di sgorgare con calde lacrime dagli occhi scuri strizzati e lucenti tra le lunghe ciglia bagnate.
«Fatelo smettere» singhiozzò in un disperato sospiro inframmezzato da un singulto, una mano posata dalle parti dello stomaco sopra la maglia ancora sporca di sangue delle Holyead Harpies; Lily rivide se stessa quattordicenne, davanti a lei. «Fa malissimo e non so farlo smettere» gemette ancora, Liv, in una smorfia scossa dal respiro affannato dovuto al pianto incontrollabile.
Mary, sconvolta di fronte alla visione della sua amica completamente distrutta, l’abbracciò di slancio così forte da fermare le spalle tremanti di Liv che ricambiò la stretta come se si stesse aggrappando ad un’ancora, affondando tra i capelli biondi metà viso deformato dal pianto silenzioso ma viscerale come il dolore che stava torturando ogni cellula del suo corpo.
 
 
 



 
*
 
 




 
Pioveva, come la maggior parte delle giornate a Londra.
Pioveva e la piccola marea di ombrelli neri non faceva altro che rendere il cimitero ancora più lugubre.
Il ticchettìo insistente ma leggero delle gocce di pioggia sulla nera stoffa impermeabile dell’ombrello sopra la sua testa era la cosa sulla quale Liv, tra Lily e Mary strette a lei, stava cercando di concentrarsi per non perdersi nel nulla che aveva preso il posto del vortice di angoscia e senso di colpa sempre più affamato di lei.
Liv era lì, senza sapere nemmeno come, senza sentire il freddo che arrossava i nasi di tutti, il vento che faceva smuovere i capelli, i cappotti, gli alberi attorno. Stringeva il manico dell’ombrello senza sentirlo davvero, lo stringeva per merito della mano di Lily avvolta con forza sopra la sua.
I muscoli, i nervi, le gambe, la testa pulsavano di sordo dolore ed erano lì con lei come se una forza invisibile li avesse trasportati per lei perchè di forza, lei, non ne aveva nemmeno per sussurrare o pensare. Erano lì, ed erano ancora collegati tra loro soltanto perchè il braccio di Mary le circondava la vita, protettivo ed accogliente.
Gli abiti neri degli uomini, le scarpe con il tacco conficcato nel prato verde zuppo d’acqua delle donne, il logorroico officiante con la lunga veste ondeggiante, i fiori bianchi sulla bara che aveva davanti già dentro alla rettangolare fossa fangosa che sentiva attirarla come una calamita, niente di tutto ciò esisteva se non sfocato attorno a lei.
I suoi occhi scuri, alleggeriti dalle violacee occhiaie con del trucco di chissà chi, erano testardamente fissi sul bordo dell’ombrello davanti a lei. Le gocce di pioggia sostavano sull’orlo rigido della stoffa per poi scivolare e lasciarsi cadere nell’istante in cui Liv aveva ogni volta la destabilizzante sensazione di star per cedere anche lei, di provare il brivido e la vertigine di cadere con loro a terra. Si susseguivano, ritmiche, come l’ingiusto battito del cuore dentro al suo petto sotto al semplice vestito nero prestato da Mary e al cappotto a doppio petto altrettanto nero. E le seguiva, imperterrita, perchè era lì che lei meritava di stare: a terra, possibilmente dentro quella bara lucida di pioggia al posto di suo padre.
Suo padre che era morto per colpa sua, suo padre che aveva pensato a quell’eventuale possibilità di trovarsi in una fossa a diversi metri sotto terra, senz’aria, luce, calore, amore e che lei aveva invece ignorato perchè, andiamo, di solito queste cose non capitano mai se non agli estranei, no? Com’era possibile che fosse successo a lei? Com’era possibile che dentro quella cassa di legno scuro ci fosse suo padre senza vita?
Non era minimamente possibile anche se la risposta era lì, dentro di lei, a mangiarle il cuore: Colpa sua. Se suo padre era chiuso lì dentro, immobile, vuoto, senza il battito del cuore a rimbombargli nel petto come invece aveva lei, ingiustamente, era soltanto colpa sua e aggrapparsi a quelle gocce era giusto, lasciarsi andare nell’oblio più buio era giusto come tutto quel nero attorno e addosso a lei che l’opprimeva, togliendogli il fiato, perchè era stato indossato per suo padre, l’uomo che aveva ucciso.
Il nero la circondava perchè era colpa sua, perchè non era stata una buona figlia.
Il nero le avrebbe dato il tormento per sempre, per colpa sua.
Il nero, come la parte sfocata dietro la linea netta dell’ombrello imperlato dalla pioggia.
Nero, come Black e il suo viso candido che nel momento in cui gli occhi di Liv seguirono l’ennesima  goccia abbandonarsi al vuoto con lei si mise a fuoco, afferrandola al volo con lo sguardo grigio incollato al suo.
La vertigine cessò, il senso di vuoto svanì. Gli occhi di Sirius, vividi, la stavano tenendo saldamente ferma sulle loro braccia perchè sì, gli occhi penetranti ed intensamente assorti sui suoi sembravano avere le braccia che l’avevano presa prima che si schiantasse sull’erba insieme alle gocce di pioggia, le stesse che non l’avevano fatta cadere sulla cacca di civetta in Guferia.
Liv non osò sbattere la palpebre per non rischiare di offuscarlo e cadere, non rischiare di tornare a vedere soltanto il bordo dell’ombrello adesso sfocato al posto suo perchè seguire quelle gocce, cadendo ripetutamente con loro, le stava facendo girare la testa già dolente e soffocando il respiro, la stava risucchiando in una tempesta di spietata sofferenza dove il cuore sfacciatamente pulsante le gridava contro la sua colpa condannandola alla pazzia e al dolore eterni che forse meritava, sì, ma di cui ne era ansiosamente terrorizzata.
Anche quando l’instintivo riflesso fisiologico del corpo le fece sbattere le ciglia velocemente, però, Sirius rimase ancora lì, bello e più nitido che mai, piazzato tra Remus e James in un elegante cappotto nero come la macchia scura di gente che aveva dietro. Il portamento distinto, signorile, le braccia rispettosamente davanti al cappotto con le mani l’una sull’altra, i ciuffi di capelli neri a ricadergli compostamente sul volto serio, i profondi occhi grigi particolarmente attenti sempre fissi sui suoi, perforanti.
Liv rimase accanitamente aggrappata a quell’inaspettato posto sicuro dove il suo corpo sfinito sembrava abbandonarsi e levitare, riempirsi dolcemente d’aria, annullarsi zittendo le accuse spinose del cervello e le urla rabbiose del cuore.
Un primo mucchio di terra venne depositato sui fiori e sulla bara e quegli occhi grigi si fecero più intensi per cercare di trattenere i suoi, agghiacciati e subito colmi di lacrime, attirati inesorabilmente dal rumore metallico di quella vanga perchè non era così che sarebbe dovuto andare, non era lì che suo padre doveva essere.
Come avrebbe fatto lui a respirare con tutta quella terra sopra? A leggere i suoi adorati libri, bere il suo tè davanti al camino, a farla sorridere nonostante tutto, a tenerla sulla giusta strada dandole ogni volta i giusti consigli e i giusti mezzi.
Come avrebbe fatto, lì sotto, a parlarle, a raggiungerla ed abbracciarla ancora?
Il pianto di sua madre alla sinistra di Lily, che fin da subito si era volontariamente frapposta tra loro come un muro di pace, si fece più alto e addolorato sulla spalla della signora Connolly e quegli occhi grigi restarono sui suoi, senza permetterle di guardare altrove mentre le sue labbra pallide e aride dal gelo di dicembre si serravano con forza per contenere il grido sottopressione nella sua gola che pretendeva di salutare suo padre, dirgli addio come non aveva fatto l’ultima volta che l’aveva visto, l’ultima volta che l’aveva soltanto sentito con la testa tra le fiamme verdi del camino in salotto.
Le gocce continuarono a picchiettare sull’ombrello mosso dal suo corpo incapace di stare fermo tra le braccia delle sue amiche, di reggersi in piedi, e quegli occhi grigi restarono sui suoi, irremovibili.
E quando il mucchio di terriccio ebbe coperto tutto, i suoi socchiusi e liquidi occhi marroni erano ancora connessi a quegli grigi perchè nella sensazione così spaventosamente viva di star soffocando sotto terra con suo padre, trovare un angolo di realtà dove non potesse sentire tutte le cose che avrebbe voluto dire a suo padre echeggiare in testa, il cuore spezzarsi, i polmoni chiudersi era un impellente bisogno fisico.
Immergersi disperatamente negli occhi di Black che la stavano chiaramente chiamando con il suo nome intero sembrava funzionare, sembrava strapparla dalle grinfie della pazzia, sradicarla dalla terra facendola respirare ricordandole per l’ennesima volta che era Olivia, la sopravvissutasulle labbra arroganti di Black nonostante la voce distruttiva di sua madre.

«Liv, andiamo via da qui, forza» la richiamò apprensiva ed incoraggiante Lily nello stesso momento in cui Remus si rivolse a James, dall’altra parte.
«No, non adesso, James» mormorò trattenendolo per un braccio «Lasciala un attimo da sola con Lily e Mary».
James, forse per il tono pacato e rassicurante di Remus o perchè in gola non aveva altro che saliva incapace di scivolare giù per quanto stesse deglutendo ripetutamente, annuì remissivo stando fermo sul posto.
Fece vagare lo sguardo afflitto di nuovo davanti a loro, alla ricerca di Liv che annegava nella sua più grande paura fatta realtà, quella che lui aveva intravisto il giorno dell’ultima gita a Hogsmeade, sul retro innevato dei Tre Manici di Scopa. Liv, spaventata e quasi in lacrime davanti alla convinzione di aver perso per sempre Marlene e Edgar Bones, di aver perso per sempre l’occasione di salvare suo padre.
 
“Non capisci? Era l’unica occasione... io devo sapere! Io ci devo entrare in quel gruppo! O perderò mio padre per sempre! Non voglio perdere mio padre, James. Tu... non lo sai... É un Nato Babbano. Non voglio che lui resti qui un giorno di più solo perchè non mi vuole lasciare da sola a combattere! Non voglio litigare con lui, non voglio che lui stia a Londra! Non voglio perderlo anche se è già successo! L’ho già perso perchè ho perso quei due!”

James deglutì invano ancora una volta ma quello che i suoi occhi nocciola trovarono dietro le lenti schizzate dalla pioggia che sembrava aver smesso di scendere fu qualcun’altro.
«Felpato» chiamò a bassa voce dando una leggera gomitata al fianco dell’amico «Quello non è il marito di tua cugina?».
Sirius lasciò lo sguardo di Liv soltanto quando Liv stessa fu costretta a voltarsi per ascoltare Evans che le aveva preso il viso rigato di lacrime tra le piccole mani.
«Cosa? Chi?» fece scrutando confuso James, rendendosi conto di avere l’affanno. Lo vide guardare insieme a Remus due uomini poco distanti da loro: un omettino con un cappello a cilindro decisamente da mago e il biondo marito di Andromeda: Ted Tonks.
«Che cosa ci fa qui?» sussurrò corrugando le sopracciglia nere.
«Non è un... Nato Babbano?» chiese in un sussurro Remus guardandosi attorno con circospezione per accertarsi di non essere stato sentito dalle persone che avevano cominciato ad andare via o ad avvicinarsi all’affranta madre di Liv «Magari conosceva il signor McAdams»
«Il padre di Olivia era molto più grande di lui, dubito» borbottò Sirius tuffando le mani nelle tasche del sobrio cappotto che lo faceva apparire come tutto ciò che Walburga Black aveva sempre desiderato.
«Ora come ora non si guarda l’età per farsi degli amici, Sirius» commentò James asciugandosi gli occhiali con un lembo del suo mantello trasfigurato ore prima in un babbanissimo giaccone in panno scuro «Lo stato di sangue tanto caro ai Mangiamorte è diventato un forte collante per unire persone diverse ma destinate alla stessa sorte. Anche se è strano» fece, pensieroso, infilando una mano tra i neri ciuffi ribelli umidi «Mary ha detto che il signor McAdams aveva tagliato i ponti con la magia...»
«Sssh!» l’ammonì in un sibilo Remus con gli occhi ambrati di nuovo a saettare a destra e sinistra «Siamo tra Babbani che ignorano l’esistenza di calderoni fumanti e rane di cioccolato saltellanti, James, e che devono continuare a farlo» gli ricordò abbassando ulteriormente il tono di voce.
James si rimise gli occhiali asciutti sul naso sollevando poi le mani in segno di scuse.
«Quel tipo è decisamente un... “Voi-sapete-cosa”» osservò Sirius scrutando il basso ometto con l’eccentrico cappello a cilindro- l’unico in quel prato pieno di lapidi ad essere colorato come un perfetto Purosangue fuori contesto babbano- scosso dai singhiozzi tra le braccia di Ted Tonks.
Remus e James si chinarono leggermente nella stessa direzione in cui sostava lo sguardo vigile di Sirius.
«E anche decisamente sconvolto, aggiungerei» constatò James.
Remus aggrottò le sopracciglia, schiudendo lentamente le labbra. «Il padre di Liv nascondeva qualcosa. Lo penso solo io?» bisbigliò, perplesso.
«No.Venite» fece sbrigativo Sirius allungando una gamba per cominciare a dirigersi con la sua disinvolta ed elegante camminata verso il marito di sua cugina.
James, allarmato, girò velocemente la testa verso Remus che ricambiò l’occhiata inquieta, decisamente preoccupato per le intenzioni del loro amico. Diede un leggero colpetto alla schiena di James per incitarlo a muoversi prima che Sirius potesse fare qualcosa di poco consono alla situazione.
«Sirius?» lo salutò incredulo Ted Tonks vedendoselo davanti. Sirius abbozzò un sorriso sfilandosi una mano dalla tasca del cappotto per fargli un cenno di saluto.
L’uomo sciolse l’abbraccio con il mago dal cappello appariscente che si asciugò velocemente gli occhi chiari sotto lo sguardo incerto di James, appena arrivato al suo fianco.
«Come mai sei qui? Non ti vedo da secoli» continuò Ted stringendo a sè Sirius.
«Sono...» iniziò a dire lui senza riuscire a proseguire con il mento poggiato sulla spalla del cugino acquisito, i ciuffi di capelli a scivolargli inesorabilmente sui grigi occhi socchiusi. Cos’era lui per Olivia?
«Siamo amici di Liv» intervenne pacatamente Remus con un timido sorriso illuminato dalla fievole luce del sole sbucato momentaneamente dai grossi nuvoloni scuri.
Ted lasciò Sirius sorridendo amaramente a sua volta ed allargando il piccolo cerchio di persone per far spazio anche a lui.
«Povera ragazza» disse poggiando una mano su una sua spalla coperta dal trench nero di Remus che sussultò lievemente a quel contatto così amichevole.
«Amici di Liv?» ripetè indagatore il basso signore con gli occhi arrossati ancora al fianco di James.
«Sì, perchè?» chiese quest’ultimo sistemandosi gli occhiali sul naso per scrutare meglio l’uomo che fece spallucce frugandosi frettolosamente nelle ricamate tasche della verde giacca damascata per poi portarle a tentoni sul panciotto, come se stesse cercando urgentemente qualcosa senza trovarla.
«Oh, nulla , ragazzo. Nulla» borbottò con voce rotta «Solo... avete fatto bene a venire. Edgar sarebbe felice di vedere che sua figlia non è sola in un momento come questo». Un singhiozzo di pianto gli spezzò il fiato.
«Conosceva Edgar?» chiese Sirius, subito fulminato dall’occhiataccia di Remus per la sua sfacciata indelicatezza alla quale rispose strabuzzando innocentemente gli occhi.
«Oh, sì. Sì, noi... grazie, Ted» balbettò lui afferrando il fazzoletto dalla mano dell’amico, quello che evidentemente aveva cercato con urgenza poco prima «Io e Edgar siamo stati compagni di Casa, a Hogwarts, anni e anni fa» pigolò facendo una pausa per soffiarsi rumorosamente il naso «e di dormitorio. E, beh, dallo Smistamento al nostro settimo anno siamo diventati grandi amici... sapete come vanno queste cose... immagino».
James, Sirius e Remus si scambiarono di sottecchi uno sguardo complice senza riuscire a fermare un mezzo sorriso.
«Lei è...?» domandò James facendo sollevare gli occhi di Remus al cielo.
Ma il piccolo ometto non parve offeso nei confronti di quello che gli aveva appena bloccato il pianto sommesso con quella domanda indiscreta.
«Dedalus Lux, piacere» rispose prontamente allungando la mano destra verso James «mi dispiace presentarmi così, in queste condizioni...» borbottò, agitato, cercando di asciugarsi il viso con la manica del braccio libero.
«Non si preoccupi, signor Lux» lo tranquillizzò Remus in un velato tono di scuse per la stupidità dei suoi due migliori amici, entrambi apparentemente impassibili ma, Remus lo sapeva, internamente in completa ebollizione per l’identità di quell’uomo che poteva essere un membro dell’Ordine di Silente.
«Di solito sono molto più divertente e allegro di così...» ridacchiò Dedalus in una risatina acquosa e tremolante. Tutti sorrisero mestamente a quelle parole e, inaspettatamente, James gli circondò con fare incoraggiante le spalle facendogli spalancare di sorpresa e ringraziamento gli occhi lucidi.
«Dedalus Lux?» ribadì Sirius fintamente disinteressato.
«Sirius» lo richiamò sotto voce Remus, lo sguardo profondamente ammonitore.
«Abbiamo letto il suo nome nell’articolo sul Profeta» proseguì Sirius, come se non avesse sentito il basso avvertimento.
«Sì, ecco... sì» farfugliò Dedalus Lux soffiandosi un’altra volta il naso «Sono stato io a trovare...» il silenzio che gli uscì dalle labbra e gli occhi vacui intensificarono lo sguardo colmo di disappunto di Remus, ancora puntato su Sirius.
Ma Dedalus parve riscuotersi dal suo dolore. «A trovarlo» riprese schiarendosi la voce flebile «Sono stato io a trovarlo. Lo stavo raggiungendo a casa sua... per la cena. Mi aveva invitato a cena e io... insomma... inutile dire che...»
«Lo sappiamo, Ded, lo sappiamo» lo fermò premurosamente Ted porgendogli un altro fazzoletto.
«Conoscevi anche tu il signor McAdams, Ted?» domandò Sirius intercettando l’occhiata interdetta di James per le ultime parole di Dedalus.
Ted annuì tristemente. «Non quanto Dedalus, ma sì. Tra Nati Babbani ci conosciamo quasi tutti, di questi tempi. Cerchiamo soluzioni per sopravvivere, nasconderci o anche solo sostegno» spiegò prima che uno strillo acuto fece trasalire tutti così come la maggior parte della gentè lì attorno.
«Spicciati!»
Dedalus Lux, rosso come i suoi pantaloni, sobbalzò sul posto schiacciandosi immediatamente una mano sopra al panciotto da dove sbucava una lucente catenella dorata molto simile a quella dei vecchi orologi da taschino come quello che tirò fuori, più grande di quanto Remus, James e Sirius si aspettassero.
«Per la barba di Merlino» borbottò in imbarazzo controllando di sottecchi l’orologio parlante «Dite che l’hanno sentito?»
«Ti stanno guardando quasi tutti, Dedalus» lo informò Ted in un piccolo sorrisino divertito.
L’uomo fece una smorfia. «Un Incantesimo della Memoria di gruppo sarebbe troppo, non  è vero?» chiese sottovoce e dalla sua faccia s’intravedeva già la risposta ben stampata anche sulle sopracciglia inarcate degli altri e sui piccoli ghigni allibiti di Sirius e James.
«Oh, beh... Facciamo finta di niente» sospirò ancora asciugandosi gli occhi velati dalle lacrime «A Edgar avrebbe fatto ridere ed è questo che conta» bofonchiò tremolante ripondendo l’oggetto nel taschino e lanciando un ultimo sguardo affranto verso il mucchio di terra smossa prima di salutare tutti con un garbato svolazzo del cappello allontanandosi da lì a passo affrettato come se avesse urgentemente qualcosa da sbrigare.
 
 



 
*
 
 
 
 
 



«È colpa mia, Lily»
«Non dire così, non è vero. Siediti qui, vieni»
Liv si lasciò trascinare verso un muretto di pietra e muschio al limitare del cimitero, tra un tronco di cipresso e una quercia, lontano dalle lapidi, dalla marea di croci, lontano dalle urla di sua madre. Assecondò le mani di Lily strette attorno alle sue braccia e si sedette sulla pietra bagnata sentendo ogni muscolo del corpo rigido come un bastone.
«Tutto questo» provò a dire prendendo un profondo respiro spezzato da leggeri e veloci singulti «quelle persone, il nero... i fiori, la bara» calde lacrime sgorgarono copiosamente dagli occhi arrossati senza nemmeno prendersi la briga di asciugarle «tutto questo dolore... è colpa mia»
«Liv, smettila» la fermò Mary prendendo posto accanto a lei posando le mani sopra le sue, freddissime e tremanti, abbandonate sul cappotto che le nascondeva le gambe velate dalle calze scure.
«No, Mary... È colpa mia» ripetè lei accorgendosi di avere la voce così roca ed incrinata, rotta,  da spaventarla.
Mary si lasciò andare ad un basso ringhio frustrato.
«È colpa dei Mangiamorte, Liv, colpa loro» sibilò dura ma incredibilmente premurosa mentre le stringeva le mani per scaldarle «Colpa di Voldemort, non tua. Mettitelo bene in testa e ricordalo».
Ma Liv scosse furiosamente la testa in segno di diniego, arricciando ancora una volta le labbra senza riuscire a fermare i lineamenti, le lacrime e il nodo dolente stretto in gola.
«Liv, guardami. Guardami e credimi» le ordinò Lily prendendole ancora una volta il viso fradicio tra le mani piantandole i due grandi e lucenti occhi verdi nei suoi. «Non è colpa tua».
«Sì invece» rispose prontamente lei, scossa dai singhiozzi.
«No» ribattè Lily, serissima e decisa.
«Lui voleva andare via!» proseguì Liv con l’affanno, facendo saettare disperatamente gli occhi da una parte all’altra dell’ambiente attorno a loro come se cercasse una via di fuga per scampare ad un pericolo mortale. «Adesso dovrebbe essere nel posto più sicuro al mondo! Lui... lui l’aveva trovato... ne sono sicura! Lui trovava tutto! Dovrebbe essere lì e invece è là sotto perchè io non l’ho fatto partire!»
Le dita delicate di Lily le accarezzarono lievemente le guance, bagnandosi di altre pesanti lacrime. Le sopracciglia rossicce si avvicinarono tra loro mentre continuava a fissarla, attenta ed apprensiva, desiderosa di assorbire tutto il suo dolore e soffrire al posto suo a costo di stare male com'era stata male anni prima.
 «Non posso tornare a casa senza di lui, Lily. Non voglio!» annaspò Liv strizzando gli occhi e lasciando andare un’altra ondata di lacrime che coprirono le mani di Lily, pronta a richiamarla di nuovo obbligandola e tenere fermamente il viso rivolto verso il suo e non sul lontano cumulo di terra che sembrava attirare Liv con una malsana forza invisibile che lei aveva conosciuto bene.
«Liv»
«Non voglio lasciarlo qui! ! E se non fosse davvero morto, Lily? E se si dovesse risvegliare lì dentro? Impazzirebbe e soffocherebbe!»
«Liv. Guarda me e Mary. Guarda noi, Liv. Va tutto bene»
«Non è vero!»
«Sì. Fidati di me. Va tutto bene e andrà tutto bene»
«Non sei sola, Liv»
«Lui sì, Mary! Lui è solo, lì sotto!»
«Ti fidi di me?»
Le ultime parole di Lily la fecero ammutolire e prendere dei corti e ravvicinati respiri come se il corpo avesse colto al volo l’occasione vitale di incamerare ossigeno nonostante la volontà di smettere di esistere che aveva sommerso la sua padrona.
Liv, le sopracciglia ravvicinate e le labbra ritratte nei denti in una smorfia di pianto, fermò gli occhi scuri colmi di lacrime su quelli verdi che sembravano supplicarla di ascoltarli, ascoltarli gridare che lei era lì, Lily era lì e che se non sarebbe andata via.
Non rispose perchè sì, si fidava di lei da sempre e Lily lo sapeva.
«Tuo padre non è lì sotto» riprese infatti Lily addolcendo il suo tono di voce «Tuo padre è accanto a te e lo sarà per sempre»
«Smettila, Lily» pigolò Liv senza però riuscire a distogliere lo sguardo dal suo perchè in quel verde ci aveva sempre trovato conforto e sicurezza, totale comprensione ed affetto smisurato.
«No che non la smetto» ribadì Lily asciugandole amorevolmente il viso con i pollici delle mani. «Sono sicura che è così, per me è stato così. Ce l’hai affianco e verrà con te a casa». Accennò un sorriso e quando sentì il respiro di Liv farsi più lento l’abbracciò stringendola forte a sè, accarezzandole i capelli castani raccolti in una treccia ordinata simile a quella che Lily le aveva visto la prima volta che si erano incontrate allo Smistamento, la treccia che Edgar le aveva fatto il primo settembre 1971 prima di accompagnarla con indescrivibile emozione e un baule quasi più grande di lei al binario nove e tre quarti.
Liv si abbandonò sul petto dell’amica che aveva già passato tutto quell'inferno, accoccolandosi sfinita su di lei e lasciandosi avvolgere e lenire come con un denso balsamo dal calore fiorito di Lily e da quello delle mani di Mary ancora sopra le sue, non più tanto fredde.
Quando il rumore di passi sull’erba bagnata arrivò alle loro orecchie, le tre amiche sciolsero l’abbraccio e gli occhi di Liv incontrarono di nuovo quelli grigi e soltanto apparentemente silenziosi di Sirius prima di accorgersi degli ambrati e pacatamente incoraggianti di Remus e i preoccupati e nocciola di James che si vide ad un centimetro dal naso poco prima di essere avvolta da un abbraccio totalmente diverso da quello di Lily.
Le braccia forti di James la circondarono di getto, vigorose e salde come una protettiva morsa carica di sincera ed esplosiva affettuosità che la fecero sentire come in un’indistruttibile botte di ferro.
«Mi dispiace così tanto» le sussurrò James all’orecchio.
«Grazie per essere qui» rispose semplicemente lei lasciando libera la prima frase che le era uscita dal cuore appena quelle braccia l’avevano stretta.
Anche Remus si chinò per abbracciarla assicurandole con voce sommessa che lui ci sarebbe stato se ne avesse avuto il bisogno e quando Liv ricambiò con trasporto la stretta, aggrappandosi con le mani al suo trench sulla schiena, lui trasalì preso alla sprovvista. Fu soltanto un attimo perchè dopo l’instante d’incredulità di fronte a quella spontanea e fervida fiducia in quello che lei sapeva essere un Lupo Mannaro, anche lui intensificò la presa.
Sirius, invece, rimase con i piedi piantati sul terreno come se vi avesse messo radici. Il suo sguardo non lasciò la figura di Liv tutta presa ad ascoltare James riportarle le condoglianze di Peter che non si era sentito bene e non era riuscito a raggiungerli, annuendo al suo Capitano senza riuscire a fare a meno d’incrociare ad intermittenza il suo sguardo come attirato involontariamente da qualcosa di più forte di lei, lo stesso qualcosa che a Sirius impediva di staccarle gli occhi di dosso.
Uno strano contatto che nessuno dei due riusciva a spiegarsi e dal quale, entrambi, ne erano completamente spaventati. Quel posto in comune che con scorcerto avevano scoperto di avere era curiosamente nuovo, immerso in un silenzio carico di insensata attesa. Prometteva tanto, quel posto, ma non faceva vedere niente di concreto.
Nè Liv nè Sirius riuscivano ad andare oltre alla pura ed intensa sensazione di essere cascati in uno spazio, piccolo soltanto all’apparenza, senza bacchetta in mano perchè lei non credeva più nella magia e lui l’aveva lasciata cadere a terra per prendere tra le braccia Liv. Liv che cercò di concentrarsi su James, intento a parlare di chissà cosa, mentre Sirius continuò a scrutarla, assorto, come per accertarsi che fosse lì e non sotto terra con suo padre come aveva percepito un quarto d’ora prima.
 
 
 
 
 

 
**



 
 
 
 
 
Quattro giorni. Erano passati quattro giorni dalla morte di suo padre e niente sembrava andare meglio, rimettersi a posto.
Quella sera, poi, faceva ancora più male.
Era la vigilia di Natale e la sua camera, quella che le aveva fatto da casa per tutto quel lasso di tempo, sembrava un campo di battaglia. Fette di pane e burro infilate con forza sotto la porta dalla signora Connolly, la vicina di casa babbana che ogni ora le pregava di mangiare e di aprire la porta per permetterle di portarle un pasto decente, sostavano ammucchiate sul pavimento.
Tutti gli oggetti che un tempo avevano riempito la scrivania e le mensole erano a terra insieme a un vecchio calderone, libri, vestiti, la montagna di lettere di Mary, Lily, Alice, James e Remus a cui non aveva dato risposta, l’inutile bacchetta di Black che aveva lanciato contro il muro in uno scatto di rabbia dovuto all’impotenza della magia, sorda al suo disperato richiamo d’aiuto.
Era la vigilia di Natale e lei era ancora vestita di nero.
Era la vigilia di Natale e l’unico regalo che aveva ricevuto era la totale assenza di sua madre che non le aveva rivolto nemmeno una volta la parola così come aveva fatto lei.
Era la Vigilia di Natale e al posto dell’albero pieno di luci c’era il vuoto immenso e buio lasciato da suo padre.
Era la vigilia di Natale e un sonoro e chiaro ‘Pop’ da Materializzazione fuori dalla finestra la fece drizzare a sedere sul letto, gli occhi scuri improvvisamente in allerta e la treccia non più ordinata come il giorno del funerale scompostamente piegata su una spalla.
Liv scese velocemente dal materasso con una forza che credeva di aver perso. Scavalcò il calderone ed arrancò verso la tenda semitrasparente che nascondeva il vetro rischiarato dai lampioni e dai luminosi addobbi natalizi sulle case di fronte.
Scrutò con sguardo vigile ogni centimetro del piccolo cortile e poi del marciapiede davanti al basso cancello in ferro battuto e la vide, un’alta figura nera incappucciata. Il cuore le saltò in gola, le mani si artigliarono alla tenda e gli occhi si spalancarono, inorriditi. Lo shock iniziale si trasformò presto in puro panico che le contorse lo stomaco, ghiacciandola sul posto.
Sconvolta, provò a fare un passo indietro per recuperare la bacchetta di Sirius a terra, vicino all’armadio dall’altra parte della stanza, senza però riuscire a farlo e a staccare lo sguardo stordito dal Mangiamorte, in piedi davanti casa sua.
Fu come se, improvvisamente, il velo protettivo che fino a quel momento aveva sentito addosso fosse scivolato ai suoi piedi dandole il benvenuto all’inferno, al mondo di macerie che tutti chiamavano guerra.
Si sentiva visibile, visibile a quella maschera bianca che si era sollevata lentamente verso la sua finestra togliendole il fiato ma non la furia e il risentimento ciechi che montarono come lava dentro al petto perchè era finalmente di fronte a uno di quelli che le avevano fatto scegliere di restare a combattere, era di fronte alla causa delle litigate con suo padre, di fronte alla causa della sua morte.
Non fece in tempo ad allontanarsi dalla tenda per correre ad armarsi che un altro ‘Pop’ era arrivato alle sue orecchie e un basso signore si Materializzò poco lontano dal Mangiamorte, subito in guardia con la bacchetta sguainata davanti a sè.
Lampi di luce rossa e verde che non avevano niente a che vedere con le luci ad intermittenza natalizie, si riflessero sugli occhi dilatati e sconcertati di Liv. Fuori da casa sua si stava consumando un duello tra maghi vero e proprio, baluginante nell’oscurità della sera invernale, creando ombre indistinte e fugaci sull’asfalto e i muri delle case.
La figura più bassa, non incappucciata, sembrava essere venuta in suo soccorso. Parata di fronte al cancello come un rabbioso cane da guardia lanciava incantesimi offensivi e di difesa ad una velocità impressionante e il Mangiamorte fu costretto a Smaterializzarsi prima che i fari di un’auto lo illuminassero in pieno.
Liv scostò frettolosamente la tenda per riuscire a vedere meglio l’altro mago che si stava chinando a raccogliere qualcosa da terra vicino al muretto in mattoni. Quando si rimise dritto, lo vide infilarsi con forza un grande cappello a cilindro sulla testa scarmigliata. Il viso acceso dagli abbaglianti della macchina che poco dopo gli passò alle spalle si sollevò nella sua direzione dando a Liv una sensazione totalmente diversa da quella che le aveva dato il Mangiamorte minuti prima. Di nuovo immerso nella penombra della strada vuota, anche lui si Smaterializzò con un altro sonoro ‘pop’ e Liv, incapace di muoversi, rimase davanti alla finestra un po’ inebetita.
Le parole di Silente di alcuni giorni prima sembrarono echeggiare nella camera.

“Devi convincere tua madre a trasferirsi con te da un’altra parte. Qui non siete al sicuro”

Ma di andarsene Liv non ne aveva proprio intenzione.
Era rimasta lì per combattere, suo padre non era partito per quel motivo e non farlo avrebbe reso la sua morte ancora più vana. Il fatto che in quella casa-bersaglio per Mangiamorte ci fosse anche sua madre non la turbò più di tanto.
Accecata dall’odio e dal dolore, in quei quattro giorni Liv aveva pensato più volte a sua madre al posto di suo padre in quella bara che la tormentava ogni volta che chiudeva gli occhi.
La voce di Silente sfumò mentre quelle di sua madre e della signora Connolly si fecero più alte dal piano di sotto.
 
«Potete passare la notte da noi, se volete»
«No, Grace, grazie. Ed è la vigilia di Natale, dovete stare con i vostri parenti»
«Dico sul serio, Maggie, non stai bene»
«Non me ne andrò da questa casa, l’unica cosa che mi resta di Edgar»
«Allora vorrà dire che per qualche giorno io e Diana staremo qui con te e Liv. Vero, tesoro?»
«Certo, mamma. Vogliamo aiutarti, Margaret»
 
Liv sospirò pesantemente, spossata e rabbiosa al contempo per la presenza di quelle due babbane che non potevano di certo restare lì.
Si allontanò dalla finestra attraversando la camera sottosopra pestando i piedi terra ad ogni passo come per annunciare il suo arrivo furioso.
Aprì di scatto la porta lasciando che sbattesse sul muro per poi scendere le scale stringendo i pugni ai lati del cappotto nero. Quando arrivò alla base delle scale vide Diana, la figlia odiosa della vicina spaventata da Liv dai tempi in cui il frullatore di casa sua le aveva macchiato‘accidentalmente’ il suo bel vestitino rosa, uscire dalla cucina con un bicchiere d’acqua tra le mani. La ragazza si bloccò nel piccolo corridoio, spalancando i suoi occhi chiari come se avesse appena visto un fantasma.
«Mamma?!» chiamò, agitata «Vieni!».
Liv sollevò un sopracciglio sentendosi il ragno in attesa di essere schiacciato dall’eroe di turno della casa.
«Che succede, tesoro?» fece la signora Connolly arrivando in soccorso della figlia. Lo sguardo preoccupato si posò sulla ragazza rimbalzando però su Liv, ancora ferma accanto alla balaustra bianca della scala.
«Liv» esalò la donna, visibilmente sgomenta, portandosi una mano sul petto coperto da un maglioncino a fiori «Sei uscita da lì, finalmente»
«Dovete andarvene da qui» stroncò in tono imperativo i convenevoli e le dimostrazioni d’affetto Liv.
Lo scricchiolìo di una poltrona in salotto le fece stringere ancora più forte i pugni. I tacchi di sua madre avevano cominciato ad avanzare sul tappeto, sempre più veloci e secchi, e il suo cuore con loro.
«Non osare, Olivia» esordì Margaret facendo capolino dalla porta del salotto, le labbra irrigidite e pallide, gli occhi scuri identici ai suoi rossi di pianto ma incredibilmente duri.
Liv non si era resa conto di quanto sua madre fosse diversa dal solito. Era spettinata, i lisci capelli biondi le ricadevano come alghe morte dallo chignon sfatto come la sua treccia, il viso sembrava svuotato e tutto il suo corpo sfibrato, sfiancato.
Sua madre non aveva più niente dell’impeccabile donna sempre elegante e fiera che era sempre stata ma lo sguardo, quello sguardo era come al solito colmo d’odio, un odio che però superava il limite mai raggiunto prima: sua madre sembrava volesse distruggerla con un battito di ciglia.
 «Non osare dire agli altri quello che devono fare!» sibilò Margaret reggendosi con mano malferma allo stipite in legno bianco «Guarda cos’è successo a tuo padre solo perchè è rimasto ad ascoltarti! É TUTTA COLPA TUA!».
Liv incassò il colpo serrando gli occhi con forza. É tutta colpa tua.
«Margaret!» esclamò sconvolta la signora Connolly.
«COLPA TUA, OLIVIA! MALEDETTA!» continuò sua madre in un grido incrinato.
«Meg!» la richiamò ancora una volta la vicina di casa, sempre più frastornata.
Liv riaprì gli occhi altrettanto colmi d’odio, duri come la pietra e come il magone incastrato in gola dalle taglienti parole di sua madre, ormai esplosa e libera di sputarle addosso come veleno tutto quello che da giorni si era tenuta dentro.
«DOVEVAMO LASCIARTI QUI E SCAPPARE! DOVEVO LASCIARTI PER STRADA! HAI ROVINATO TUTTO! TU E QUEL TUO ESSERE...DIVERSA. SEI NATA SBAGLIATA, OLIVIA, IMMONDA! ANZI,  NON SARESTI NEMMENO DOVUTA NASCERE!»
La signora Connolly, sotto shock come la figlia, si avvicinò titubante all’amica allungando un braccio per cercare di accarezzarle la schiena scossa dai singhiozzi.
«Santo cielo, Margaret! Cosa dici?!» fece, sinceramente preoccupata per la sua salute mentale «Liv non c’entra niente con l’infarto di Edgar!».
La breve risata sarcastica di Margaret scoppiò nel corridoio, vuota. «L’infarto! Oh, certo! L’infarto!» rise freddamente sotto il minaccioso sguardo di Liv.
«Certo, Maggie, è stato l’infarto ad uccidere Edgar» cercò pacatamente di farla ragionare Grace senza riuscire a celare il terrore di essere di fronte alla sua vicina di casa diventata completamente pazza.
Margharet, la faccia rossa dal trattenere il segreto della magia, si staccò dallo stipite della porta. «Allora mettiamola così» soffiò, fuori di sè «se avessi abbandonato Olivia qui, mesi fa, l’infarto non ci sarebbe mai stato e Edgar sarebbe ancora vivo!».
A quelle parole, conficcate dritte al cuore, Liv non resistette più.
Grace si portò una mano al cuore, sconvolta. «Ma cosa...?» balbettò, stordita, seguendo Liv sfrecciare sulle scale.
«Liv! Aspetta!» le gridò dietro facendo cenno alla figlia di seguirla. Diana, per nulla contenta, poggiò il bicchiere sul tavolino con il telefono all’ingresso e seguì Liv sui gradini.
«Non dice sul serio... » annaspò cercando di raggiungerla «tua madre è soltanto sconvolta per quello che è successo».
Liv non l’ascoltò nemmeno. Raggiunse il piano di sopra con il petto che si sollevava ed abbassava ad una velocità impossibile per i polmoni, incapaci di incamerare abbastanza aria. Entrò in camera, sbattendo la porta in faccia ad un’offesa Diana.
«Posso entrare?» la sua voce ovattata dietro il legno e i suoi tentativi di aprirla facendo muovere ripetutamente la maniglia in ottone non arrivavano alle orecchie di Liv, inginocchiata per terra a raccattare tutte le sue cose con l’affanno, il cuore sullo stomaco e la spaventosa consapevolezza di non avere più niente che la tenesse legata a quella casa.
Agguantò il baule con le sue iniziali, buttandoci dentro tutto quello che gli capitò a tiro. Lo chiuse bruscamente ed afferrò la Comet dall’angolo vicino alla finestra prima di riaprire la porta premurandosi di richiuderla a chiave e scendere di fretta e con fracasso le scale trovando Diana sull’ultimo gradino, braccia conserte ed occhiata storta puntata sul baule.
«Cosa sta succedendo?!» sbottò la signora Connolly affacciandosi dalla porta del salotto.
«È un... baule antico, quello?» chiese sinceramente stranita Diana mentre Liv la superava come se niente fosse, quasi pestandogli un piede con il suo pesante bagaglio che lasciò davanti alla porta d’ingresso prima di riprendere a camminare, inarrestabile.
«Liv, stammi a sentire...» tentò di fermarla la signora Connolly andandole incontro ma Liv superò anche lei.
«Mamma, è impazzita del tutto...» bisbigliò Diana senza riuscire a staccare gli occhi dalla scopa di Liv come se si aspettasse di vederla spazzare il pavimento seduta stante. Grace si portò con angoscia le mani tra i vaporosi capelli neri, seguendo Liv in salotto dove Margaret piangeva sul divano in tartan blu.
«Liv! Ragiona! Tua madre è sotto shock ! Non ha nemmeno senso quello che dice!»
Liv continuò a non parlare. Il senso ce l’ha eccome. Andò dritta alla grande libreria di suo padre per prendere il vaso azzurro decorato di bianco seguita dallo sguardo ancora più interdetto di Diana. Liv le era sempre apparsa strana ma mai quanto in quel momento.
 «Non vedi che è traumatizzata!?» continuò Grace, agitata «Ha bisogno di te! Ha bisogno d’aiuto! E anche tu, anche tu hai bisogno di lei!».
Liv, apparentemente impassibile, avanzò accanto al camino per uscire dalla stanza ma Margaret, furiosa, si sporse dal divano afferrando al volo la scopa che gettò al fuoco scoppiettante.
«É quello il posto delle vostre cose! È sempre stato quello, da secoli! Questo non te l’hanno insegnato di là, non è vero!?» sbraitò in faccia a Liv così sotto shock da essere rimasta pietrificata sul posto, lo sguardo completamente sconvolto e smarrito sulla sua scopa avvolta dalle fiamme, la prima cosa che suo padre le aveva comprato a Diagon Alley, sei anni prima.
Incapace di muoversi, di respirare, di staccare gli occhi spalancati dal fuoco, Liv rischiò di cedere al pianto con forza disumana come disumano era stato il colpo allo stomaco ricevuto, lo sconforto che le aveva appena avvolto il cuore nelle stesse fiamme attorno alla sua Comet.
Non lo fece, non pianse, e non agguantò la bacchetta di Black infilata nella tasca del cappotto per far provare a sua madre lo stesso dolore al petto che le aveva causato lei buttandole al fuoco il ricordo più speciale che avesse di suo padre. Perchè c’erano due babbane ignare, ovvio, ma anche perchè per farglielo provare sul serio non serviva la magia.
Trovando la forza in un odio mai provato prima, Liv prese la foto di famiglia dalla mensola del camino per sfilarla dalla cornice d’argento e strapparla con un gesto secco separando sua madre da lei e suo padre. Senza tentennamenti, la buttò al fuoco insieme al tizzone ardente che era la sua scopa.
Ignorò i singulti della madre tornando all’ingresso a passo di marcia sentendosi addosso lo sguardo sconvolto di Diana e quello affranto ed atterrito di Grace. Agguantò il baule ed aprì la porta di casa.
«BRAVA! VATTENE!» le gridò gracchiante sua madre dal salotto «VATTENE VIA! MALEDETTA! UN PASSO FUORI DA QUELLA PORTA E NON SARAI PIÚ MIA FIGLIA!».
Liv non ci pensò due volte. Allungò una gamba ed uscì fuori, richiudendo il portone con un forte botto alle spalle. La terra sotto ai piedi sembrò cedere, il fiato mozzo in gola liberarsi in un accenno di pianto e tutto il peso delle emozioni trattenute abbattersi sulle sue spalle.
«Wow, che amore di mamma. Sono commosso». La profonda voce sarcastica ma pacata la fece sussultare, costringendola a darsi una calmata.
Sollevò lo sguardo spaesato davanti a sè vedendo Sirius, elegantemente poggiato sulla fiancata di una decisamente enorme e lucida motocicletta che faceva bella mostra di sè con la stessa disinvoltura di Black, con il cavalletto ben piantato sull’asfalto della strada.
«Tu che ci fai qui?» esalò, inspiegabilmente terrorizzata dalla sua presenza. «Hai sentito tutto?».
Sirius annuì, le braccia incrociate davanti al petto coperto dal giubbino in pelle e sul volto un sorpreso cipiglio divertito per la reazione della ragazza alla vista del suo Grande Amore su due ruote.
Si prese qualche attimo per studiare Liv da capo a piedi, controllare che non avesse graffi, lividi o altre cose fuori posto.
I ciuffi castani sfuggiti alla treccia scarmigliata si muovevano lievemente alla brezza fredda, sfiorandole il bel viso impressionato e così pallido da sembrare fosforescente nella penombra di quel pianerottolo.
Nonostante fosse incredibilmente fuori luogo, Sirius percepì l’incontrollabile attrazione fisica trascinare il suo sguardo rapito sull’invitante curva dello zigomo di Liv seminascosto da un lungo scuro ciuffo di capelli che desiderò scostarle con le dita, sulla linea regolare delle scure sopracciglia aggrottate e la dolce curva del naso per poi farlo sprofondare sulle allettanti labbra dall’aria morbida, immediatamente trafitte dai bianchi incisivi.
«Ho sentito tutto, Olivia» confermò sostando ancora un po’ su quel punto irresistibile «E come me anche quel venditore di castagne arrosto di là, il Babbo Natale all’angolo e quel gatto che è scappato dallo spavento» aggiunse osservando attentamente Liv spostare con piccoli scatti lo sguardo turbato nei punti che lui le aveva indicato.
Piazzata rigidamente davanti al portone con un vaso sottobraccio, una foto strappata tra le mani e il baule al suo fianco appariva completamente disorientata. Lui sapeva che lo era davvero.
Proprio per quella certezza, ma senza rendersene conto, parlò di nuovo.
«Quella donna potrebbe gareggiare con Walburga, per la cronaca, un’altra donna che si spacciava per madre, la mia» disse cercando di attirare di nuovo la sua attenzione, riuscendoci.
Gli occhi scuri, spiazzati, tornarono sui suoi e lui deglutì, il pomo d’adamo in evidenza sul lungo collo si mosse lentamente come un’ombra scura sulla pelle candida. Si era appena reso conto di averle parlato di sua madre e anche di star sorridendo impercettibilmente perchè lei, ferma su quel gradino con alle spalle una porta che non avrebbe aperto mai più, capiva. Ed era come vedere qualcosa dietro Olivia La Violenta,Olivia la scontrosa, la diffidente come nessuno, la ragazza misteriosa che non parlava mai di se stessa, un po’ come lui.
Schiuse di qualche millimento le labbra, visibilmente sorpreso da lei, senza riuscire a proferire parola mentre la scrutava con rinnovata profondità in ogni sua più piccola parte sconosciuta, da scoprire.
«Anche se per il motivo opposto» continuò faticando a ritrovare il suo solito piglio «Sarebbe un bel dibattito interessante sui Pro e i Contro dei Purosangue e dei Babbani» commentò in un leggero ghigno sarcastico.  
«Allora si scannerebbero, molto probabilmente» sentenziò inaspettatamente Liv senza capacitarsi di star parlando con il poco fiato fermo nei polmoni e soprattutto con Black che aveva appena ammesso di avere qualcosa dentro senza menzionare le mutande, qualcosa dietro quell’attraente viso perfetto ed arrogante, dietro i suoi gesti immancabilmente disinvolti e rilassati, dietro il suo essere perennemente scanzonato come uno senza pensieri per la testa quando, invece, avere una donna che si spaccia per tua madre significava portarsi dietro un groviglio intero di pensieri.
Ed improvvisamente la sentì, Liv sentì la familiare forza sconosciuta portarla in quel posto solo loro che ritrovò appena gli occhi grigi di Sirius s’immersero ancora una volta nei suoi.
E lo vide, vide qualcosa rispetto all’ultima volta che c’era stata. Vide uno scorcio di Black, nuovo e ancora sfuggente. Vide qualcosa di indefinito da scoprire di Black.
Sentì il suo sguardo penetrante indugiare sul suo e contemporaneamente scavarle dentro l’iride castana, come se volesse ardentemente cercare qualcosa con lo stesso desiderio che sentiva lei nonostante la sinistra vertigine di paura che aleggiava dalle parti dello stomaco di entrambi.
«... Si mangerebbero vive... » riprese Liv, gli occhi scuri profodamente indagatori come quelli sui suoi e le labbra socchiuse in un’impercettibile espressione stupita.
«Ottimo» disse Sirius in un suadente sussurro, riprendendosi. Sciolse l’intreccio delle braccia che aprì con fare sinceramente entusiasta. «Quando le facciamo incontrare?».
Liv rise. Un piccolo, breve accenno di risata che le liberò involontariamente il respiro togliendole l’opprimente pressione ai polmoni e in gola. Sirius, di sottecchi, sorrise sentendosi stranamente appagato.
«Anche subito» rispose Liv guardandolo staccarsi con disinvoltura da quella che doveva essere la sua moto.
«Andiamo» le propose battendo una mano sulla lunga sella in pelle nera della moto.
Lei strabuzzò gli occhi. «Vuoi farlo davvero? Vuoi organizzare una lotta clandestina tra una strega e una babbana?» chiese, incredula.
Sirius rise di gusto infilando le mani nelle tasche dei jeans neri. «Non immagini quanto vorrei vedere Walburga fatta a pezzi da una babbana ma intendevo...» fece una pausa spostando lo sguardo divertito alla sua destra per poi riportarlo verso di lei con entrambe le  sopracciglia aggrottate e sollevate in un’espressione inconsapevolmente irresistibile «Andiamo da me?» chiese, sorpendendosi della sua stessa voce priva di malizia.
Liv lo guardò storto, a metà tra l’incredulità e lo sbigottimento. «Come, scusa?» fece, allibita.
«Oh, avanti, Olivia. Non ti lascerei mai buttata qui in strada» biascicò lui portando con improvvisa noia la testa all’indietro, il lungo collo in mostra e l’attraente profilo verso il cielo stellato, senza liberare le mani affondate nelle tasche.
Un’altra breve risata, stavolta attonita, mista al respiro condensato nella gelida aria natalizia sfuggì alle labbra di Liv che si guardò attorno, esterrefatta.
Forse stava parlando con il nulla. Forse era così, sì. In realtà era ferma sull’uscio di quella che non era più casa sua, a parlare da sola. Possibilissimo. Oppure il Mangiamorte di poco prima aveva bevuto della Polisucco con un capello di Black senza però riuscire ad imitarlo nei suoi comportamenti perchè, bisognava dirlo, Black che la invitava a stare da lui rasentava il ridicolo, l’assurdo. A meno che...
«So dove vuoi arrivare, Black» replicò, così sicura di sè da far riabbassare di scatto il viso di Sirius, le sopracciglia sollevate, piacevolmente incuriosito.
«Ah, sì?» fece mal trattenendo nel sorrisetto scettico il divertimento e l’adorazione per quel tono di nuovo colmo di sfida e competizione così tipico dell’Olivia che lo faceva impazzire ogni volta un po’ di più «Dubito ma sentiamo, dove voglio arrivare?»
«Al punto in cui tu mi rinfacci di avermi salvato la vita per una terza volt...» Liv si bloccò, improvvisamente interdetta e sconvolta. Sirius ghignò spudoratamente.
«Sì, tesoro, sarebbe proprio la quarta, in teoria: Gelatina, oliva, dissanguamento accelerato, letto sotto i ponti» le lesse nella mente sollevando una ad una le lunghe dita di una mano scandendo il breve elenco con aria tracotante. «In teoria e anche in pratica» tenne a precisare sollevando gli occhi grigi al cielo e piegando leggermente la testa da un lato in un’espressione fintamente modesta.
Liv, furiosa e stizzita per quell’irritante realtà e per quel “Tesoro” uscito da chissà dove, si sentì avvampare.
«Ecco» esclamò, sprezzante «come volevasi dimostrare».
Sirius rise silenziosamente, inspiegabilmente felice. Felice di rivedere quei bellissimi occhi castani vivi, pieni, ardenti.
Senza nemmeno accorgersene, attirato da quei due magneti luminosi,  raggiunse con due ampie e distinte falcate il piccolo cancelletto. Liv, un sopracciglio inarcato, lo guardò sfilarsi le mani dalle tasche per poggiarle garbatamente sul ferro battuto.
«Giusto per informare vostra signoria- che saresti tu, Olivia» cominciò, scaricando sulle braccia tutto il peso del busto lievemente chinato con nonchalance verso il minuscolo cortile, verso di lei «Io volevo arrivare al punto in cui tu, seduta proprio lì» fece una pausa per girare di poco il viso indicando con un cenno del mento la motocicletta alle sue spalle «dietro di me, ti saresti aggrappata stretta al mio bacino con il vento tra i capelli e il sorriso più sornione ed appagato della tua vita».
Davanti alla sfacciata superbia tipicamente Black, il sopracciglio di Liv raggiunse un’altezza invidiabile perfino per la McGranitt.
Restò a fissarlo, guardinga, trafitta a sua volta dagli occhi tra i ciuffi di capelli che ricadevano ai lati del viso di Black con le labbra irrimediabilmente seducenti appena socchiuse.
«Questo» proseguì lui come se lo pensasse seriamente «Prima di salvarti dai ponti  portandoti nel mio appartamento e, ammettiamolo, cadere in tentazione usufruendo  insieme del mio nuovo mobilio in modi per nulla innocenti e del tutto piacevoli» spiegò arrogantemente allusivo.
«Ma sta’ zitto» mormorò lei tra i denti «Stai delirando, Black. Sei di nuovo ubriaco? Londra ti fa ogni volta questo effetto?»
«Veramente sei tu che me lo fai ogni volta» rispose con sincerità lui, un angolo del sorriso sollevato con disarmante rilassatezza. «Questo effetto» sottolineò scandagliando intensamente il viso di Liv, rimasta di stucco.
«Quindi?» la incalzò allontanandosi lentamente a ritroso dal cancello per raggiungere di nuovo la sua motocicletta scintillante sotto le luci ad intermittenza sul cornicione dei vicini «Andiamo?».
Liv aprì più volte le labbra, sconvolta di fronte alla totale convinzione con cui Black continuava a guardarla, come se fosse seriamente in attesa di una risposta.
«Sei serio?» riuscì a dire, indecisa se ridergli in faccia o lasciarsi pietrificare dallo shock.
 Sirius sollevò a sua volta un sopracciglio. «In carne e ossa» fece, ironico.
Lei sbuffò, per niente divertita dalla squallida battuta.
«Sto aspettando, Olivia» canticchiò Sirius incrociando le braccia davanti al petto  piazzandosi con le lunghe gambe leggermente divaricate accanto alla moto.
«Aspettando cosa?» sbottò lei, spazientita.
Lui rispose picchiettando ripetutamente sulla sella in pelle in un’esplicita richiesta di raggiungerlo.
Liv, però, non si mosse.
«Perchè lo fai, Black?» gli chiese come se stesse parlando ad un pazzo, l’unica tipologia di persona più vicina al modo di fare del ragazzo che aveva di fronte.
Sirius sospirò, esasperato. «Te l’ho detto» rispose apparentemente stanco.
Liv l’osservò per una moltitudine di secondi, impassibile, prima di esibire con fervore tutto il suo sconcerto.
«Tu vuoi davvero “usufruire del mobilio” con me?»
«Certo» rispose prontamente lui, sincero «Perchè non dovrei, scusa? Sei maledettamente attraente. E bellissima. Ti ho già detto che hai un gran bel sedere? Se mi permetti, aggiorno la lista: hai dei fianchi mozzafiato».
Liv aggrottò bruscamente le sopracciglia, scrutandolo indecifrabile.
Era sfacciatamente serio, Black era sfacciatamente serio ed incredibilmente a suo agio.
Liv inclinò lievemente il capo su una spalla per studiarlo meglio. Lui la imitò, un sorriso sghembo ad incurvargli le labbra.
«E questi... “complimenti”» cominciò lei scuotendo stizzita la testa con cipiglio disgustato come se quello che aveva davanti valesse meno di zero «dovrebbero farmi una qualche sorta di effetto?».
«Volevano allietarti, annunciare la verità e rispondere alla tua domanda, Olivia» disse semplicemente lui riavvicinandosi al cancello con la solita andatura casualmente elegante.
Il sopracciglio di Liv si arcuò lentamente.
«La verità?» ripetè, tagliente «Sbaglio o il “Signor Felpato” una volta mi ha dato del, testuali parole, “Mostriciattolo rompiscatole e per niente femminile”?».
Sirius rise facendo cigolare involontariamente il ferro battuto di nuovo sotto le sue mani scosse dalla risata canina.
«Sbaglio...?» continuò imperterrita Liv, infervorandosi ed accendendosi come non faceva da esattamente quattro giorni di assoluta assenza dei sensi «o il Signor Felpato è proprio il cretino che ho davanti a me adesso?»
«Quelle parole, splendore» replicò Sirius sporgendosi ancora un poco verso di lei come a voler scavalcare quella piccola barriera ed assecondare la bruciante voglia di raggiungerla «credo siano l’unica eccezione che conferma la regola di quel ‘pezzo di carta’ che non mente mai».
Liv, involontariamente, assunse un’espressione profondamente colpita che si affrettò a camuffare con una smorfia furiosa e leggermente tinta di rosso. «Ok, riformulo la domanda» replicò, secca. Sirius sorrise.
«Tu sei davvero convinto che dicendomi di voler “usufruire del mobilio” insieme a me, “allietandomi” con “complimenti” che valgono quanto i tuoi baci distribuiti a destra e a manca come coriandoli in omaggio, io possa essere tentata a seguirti?»
Gli occhi grigi si socchiusero appena, furbi. «Non è così, Olivia?» chiese a sua volta Sirius, una luce insinuante in quelle iridi sfrontate e maliziose.
Liv si lasciò andare ad una mezza risata scioccata. «No. Non è così, Black» sbottò, sbalordita e piuttosto indignata per l’arrogante presunzione che le si era appena insinuata nelle orecchie.
Black era davvero convinto di essere l’oggetto del suo desiderio? Convinto che lei l’avrebbe acciuffato, così, al volo come un Boccino? Convinto che ci sarebbe stata?
«Quindi mi odi sul serio?» infierì subito lui, le sopracciglia sollevate entrambe.
«Oh, non sai quanto, Black» rispose immediatamente e sinceramente Liv.
Sirius ghignò. «Mi odi anche per la solidarietà tra ribelli che ti sto offrendo insieme al mobilio?» disse riportando con la mente Liv ad Agosto, quando ad essere in strada era stata lei.
 
Questa casa è mia, adesso, comprata con l'eredità che mi ha lasciato il mio vecchio e caro zio Alphard... sai, tra buchi bruciati sull’arazzo genealogico di famiglia‘ ci si capisce. Solidarietà tra ribelli
 
«Perchè so esattamente come ti senti in questo preciso momento» la riscosse lui.
Liv sbattè ripetutamente le ciglia, guardandolo confusa. Nemmeno lei sapeva come si sentiva in quel preciso momento.
Da quando aveva messo piede lì fuori era come se fosse appena scesa da una montagna russa particolarmente ripida ed arzigogolata. C’erano così tante sensazioni che le bombardavano ogni centimetro di pelle e ogni organo interno del corpo che improvvisamente si era accorta di avere.
Spaesata, terrorizzata, sola al mondo. Ecco, questi forse erano i macigni sul fondo del mare in tempesta che la stava sballottando senza darle tregua.
«Non sai nemmeno quale gamba mettere per prima davanti all’altra per poter cominciare a cammminare» cominciò Sirius, le sopracciglia sollevate facendo un cenno con la testa verso la sua distrutta ma attraente figura immobile.
Liv guardò se stessa, il suo cappotto nero, rendendosi conto di essere rigida e ferma nello stesso identico posto da quando si era chiusa la porta alle spalle.
Le gambe perfettamente in linea, i muscoli pronti a scattare ma confusi, senza una meta da raggiungere. La mano spasmodicamente stretta alla maniglia del baule.
«A mala pena riesci a ricordare la zona di Londra in cui ti trovi e il mondo sembra improvvisamente abitato soltanto da te» riprese Sirius accogliendo ancora una volta gli occhi castani e scioccati di Liv nei suoi, ogni volta sempre più spaventati di averli dentro ma irrimediabilmente masochisti ed attratti da quella sconosciuta vertigine dall’aria pericolosa aggiunta all’eccitazione e la curiosità che la costante sfida stuzzicante con Olivia gli aveva sempre dato.
«Ma sei libera» concluse, inspirando l’aria a pieni polmoni come se stesse riassaporando quella forte sensazione di due anni prima.
Sirius sorrise, bellissimo, e Liv schiuse le labbra assottigliando con diffidenza gli occhi. Era vero, tutto vero. Perfino il disarmante sorriso di Black sembrava vero.
Una strana forza sconosciuta che non si premurò di cercare di capire le fece sollevare di rimando e con la stessa sincerità gli angoli della bocca. Tra tutta quella paura di essere senza nessuno e il non sapere minimamente cosa fare e dove andare c’era la sconvolgente sensazione di esserelibera che si allargava sempre di più e gli occhi grigi lì davanti sembravano provarla insieme a lei.
«Oh, giusto» mormorò Sirius, vagamente stordito staccando le mani dal cancello per metterle in tasca, disinvolto «adesso potrebbe esserti venuta in mente Evans» fece inclinando lievemente la testa a sinistra come in una muta domanda alla quale Liv rispose con qualche secondo di ritardo, impressionata dopo essere stata derubata del nome della sua migliore amica che aveva sulla punta della lingua.
«Lily, sì» disse distogliendo lo sguardo accigliato e sorpreso da lui «É meglio che vada».
Sirius annuì, pensieroso. «Comprensibile» sentenziò arretrando verso la sua moto in un sorrisino che la sapeva lunga ed attirando di nuovo la sua attenzione perchè Black, in meno di dieci minuti, era stato fin troppo comprensibile con e per lei.
Ed era assurdo, da matti, ma anche sorprendente e in un certo senso affascinante, Black e la sua imprevedibilità che non riguardava il suo aspetto esteriore notoriamente intrigante.
 Con un abile e sciolto gesto Sirius saltò a cavalcioni della motocicletta rivolgendo il busto nella sua direzione con aria scanzonata mentre allungava il braccio sulla strada come se stesse facendo autostop.
«Non sai cosa ti sei persa, Olivia» la stuzzicò agguantando con sicurezza il manubrio e mettendo in moto nello stesso istante in cui un alto bus viola intenso sbucò dal nulla parcheggiandosi dietro di lui con un’acuto stridìo di freni.
Liv, il sopracciglio di nuovo inarcato, fece una smorfia perplessa. Cosa si era persa? Non ne aveva idea, non ne aveva idea di cosa Black avesse da offrirle a parte ‘’il mobilio’’, fermamente convinta di non voler nemmeno sfiorare. Eppure, nello spazio dove si incontravano i loro occhi c’era qualcosa di indistinto che le stava dando la fastidiosa sensazione di aver davvero perso qualcosa.
«Casa mia, comunque, è sempre aperta ai ribelli» annunciò Sirius facendole un eloquente  occhiolino scintillante sotto la luce dei fari del Nottetempo prima di sollevare il cavalletto con un colpo di tallone dell’anfibio e partire facendo rombare il motore anche dentro alla sua cassa toracica.
Liv lo guardò allontanarsi ad una velocità di certo oltre i limiti delle regole della strada. Socchiuse gli occhi scuri in preda ad una lotta interna di pensieri assurdamente fuori luogo ed insensati che una voce esausta e strascicata bloccò all’istante.
«Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà. Io sono Shelley Picchetto e sto aspettando che qualcuno benedetto da Merlino si offra per prendere il mio posto, il che significa che mi romperò il femore schiantandomi su Ernie ad ogni fermata per ancora un numero di anni che non voglio nemmeno immaginare. Ah, sono anche la tua bigliettaia per questa notte. Dov’è che vai, signorina?»
Liv distolse a fatica lo sguardo contrito dalla via ancora annebbiata dal fumo di scarico della motocicletta di Black, portandolo sulla magra signora anziana affacciata alla portiera aperta del grande bus a tre piani.
«Sì, io... » bofonchiò sistemandosi meglio il vaso sottobraccio. Sollevando da terra il baule constatò con un certo sollievo di riuscire a muovere le gambe e di avere altri due abitanti sulla terra lì con lei: Lily Evans e Sirius Black.
 «Io vado a Cokeworth» rispose sicura trascinando il bagaglio fino al basso cancelletto in ferro battuto dove l’aria era vagamente impregnata del profumo di Black.
















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
*La neve a Londra per Natale è rara. C’è stata soltanto qualche anno ma non nel 1977 (cercare informazioni metereologiche sugli anni ‘70 mi ha turbato psicologicamente. Sto esagerando, non è vero? Fermatemi).

*Ho sempre pensato a Dedalus Lux come ad un Corvonero. Primo perché alla Rowling piace giocare con nomi (e anche a me).
Deadalus dal greco: "ingegnoso, geniale" ma anche "intrico, labirinto". Dedalo era un famoso inventore della mitologia greca, ha progettato il Labirinto del Minotauro a Creta e ha creato le ali di piume e cera per se stesso e il figlio Icaro ("seguace") per scappare dal labirinto dove erano rinchiusi (Icaro si è avvicinato troppo al sole ed è caduto, morendo). Nei libri, Dedalus Lux (Diggle, nell'originale) ha un cappello a cilindro appariscente e un originale orologio enorme da taschino che strilla quando è in ritardo (non vi ricorda altro??) e un carattere aperto, eccitabile, fuori dalle righe (la “Bizzarra pioggia di stelle cadenti nel Kent” che crea per festeggiare la prima “sconfitta” di Voldemort mettendo in allerta i Babbani è roba sua)... sono tutte cose che mi ricordano la deliziosa Luna Lovegood.

Incontra Harry al Paiolo Magico, nel primo libro.
Il suo adorare Harry mi è sempre piaciuto molto perchè essendo un membro dell’Ordine non è un semplice ‘’fan’’. Ogni volta che lo incontra gli stringe la mano ed è sempre in prima linea per scortarlo e proteggerlo come in H.P. e L’Ordine della Fenice. Nell’ultimo libro si prende cura dei Dursley insieme a Hestia Jones. Fargli conoscere James in questo modo così affettuoso mi è sembrato carino.
 
*Cokeworth, città nelle Midlands, residenza degli Evans e dei Piton (Spinner’s End è sotlanto la via in cui abita Severus) e prossima fermata del Nottetempo nel prossimo capitolo. É la vigilia di Natale, un impeccabile Vernon è invitato a cena e Petunia- tra due “Mostri” da nascondere al suo ragazzo- è doppiamente isterica. Inutile dire che in quella casa Liv non troverà la pace che cerca e di cui ha tremendamente bisogno.
Indizio puramente casuale?
 
 
 

Ogni volta che ho un po’ di tempo extra revisiono i primi capitoli (non mi piacciono per niente) ecco perchè i flashback di Sirius e del signor McAdams in auto possono confondere.
Quell’aggiunta alla storia la trovate nel capitolo uno: “L’improbabile Caposcuola”.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** 33. Il Custode Segreto ***


 
Sento davvero il bisogno di dedicare il capitolo a qualcuno,
a chi mi fa (e mi ha fatto) sapere cosa pensa dei capitoli anche con poche righe che per me valgono un infinità di parole e soprattutto di emozioni perchè senza quelle splendide 186 recensioni questo capitolo non esisterebbe.
 A chi mi fa sentire tutta la sua passione per ciò che scrivo, ricaricando la mia che senza di voi si scoraggia.
A chi mi fa capire che tutto il grande impegno messo in questa  storia a cui tengo tantissimo non è sprecato.
Alla meravigliosa Bianchina07 che aspettava “la svolta” da troppo, troppo tempo e che è comunque rimasta con me senza lasciarmi mai.
A Silvia&Sara, le due adorabili lettrici speciali.
A E Niente, compagna di sventure e fonte inesauribile di sane risate e pura energia, e il carissimo Plimpo che hanno segnalato la storia all’amministrazione per chiedere d’inserirla tra le scelte facendomi quasi venire un infarto dalla felicità.
Alla mia Juliee, costante preziosa presenza anche in privato.
Ad Argenpenna che mi fa spuntare sempre un sorriso e arrossire spudoratamente.
Ad Anna in Black e Nives16 che pensavo di aver perso e che invece mi hanno fatto la sorpresa più bella di tutte.
A Milandra, Mallveollos e Inzaghina, le nuove arrivate che stanno recensendo la storia dall’inizio lasciandomi senza parole.
Ai 66 lettori che hanno messo la storia tra le preferite, i 20 nelle ricordate, gli 89 nelle seguite (ancora non ci credo).
Alle 13 persone che hanno messo me tra gli autori preferiti (ne sono immensamente lusingata ed onorata).
 
 
 
 
 
Capitolo 33
 

IL  CUSTODE SEGRETO
 
 


 
 
«Cokeworth» esalò Shelley Picchetto stesa sofferente ai piedi di Ernie, l’uomo alla guida con un paio di grandi occhiali spessi che pareva non essersi accorto dei lamenti della sua collega e dei brontolii dei passeggeri a terra insieme ad oggetti vari come il dente da latte del bambino che se la rideva tra le braccia premurose della mamma e le buste della spesa con il loro contenuto sparpagliato sotto i letti, tutti rivolti in avanti dopo l’ultima frenata brusca.
«Cokeworth... o l’inferno. Sono morta?» pigolò ancora la bigliettaia cercando di rimettersi in piedi mentre il signore caduto dal letto in fondo recuperava il suo giornale praticamente volato parecchi metri lontano da lui, sopra una signora che vomitava dentro al suo cappello a punta.
Aggrappata al suo vaso che aveva protetto più volte da rottura certa, Liv trascinò il baule a grandi falcate per evitare di schiacciare degli occhi di rana rotolati per tutto il bus.
Arrivò fino alle porte aperte e con una pedata lo fece ruzzolare giù dalle scalette fino alla strada. «Grazie» salutò premurandosi di non usare un “Arrivederci”. Scese dal Nottetempo sbandando, la pelle del viso più pallida di quando c’era salita e la nausea a strizzarle lo stomaco.
Quando sentì l’autobus ripartire con un forte rombo alle sue spalle e sparire nel nulla facendo piegare di lato un lampione come se fosse stato di gomma, tirò un sospiro di sollievo guardandosi attorno. La condensa del respiro che si disperdeva nell’aria gelida davanti al naso le offuscava a tratti la via deserta e semibuia che la circondava.
In fondo alla strada si poteva intravedere un alto albero di Natale così luminoso da creare un suggestivo bagliore dorato sulla piazza bianca di nevischio. Ancora più indietro, tra i tetti delle case annebbiati dal fumo dei comignoli, l’alta e lontana ciminiera si innalzava nel cielo scuro come un gigante.
Era davvero a Cokeworth. Era a due passi da Lily.
Reclinò la testa verso il cielo stellato giusto per prendere un altro respiro anti nausea, subito smorzato da una cascata di improvvisi brividi di freddo che cercò di scacciare via strofinandosi con forza le mani sulle braccia coperte dal cappotto nero.
Le stelle sembravano brillare più delle luci colorate attorno alle finestre delle case, sembravano guardarla silenziosamente dall’alto, ammiccare con il loro scintillante tremolìo benevolo, lontane anni luce da lei. Non potè fare a meno di pensare a suo padre.
La stava vedendo, distante come quelle stelle? Sapeva cos’aveva fatto? Pensava fosse giusto?
Ho fatto la cosa giusta, papà?
Restò a fissare le stelle in una stupida ed insensata attesa. Lui non le avrebbe mai riposto e lei quella domanda non gliel’aveva mai fatta. Non si era mai preoccupata di chiedersi cosa suo padre pensava fosse giusto. Adesso invece era tutto quello che voleva, tutto quello che agognava perchè si era resa conto di essere persa senza più la sua silenziosa bussola che le indicava la via anche se lei non lo chiedeva mai, non lo voleva mai.
Liv si sforzò di ricordare l’ultima volta in cui gli aveva detto quanto fosse un padre meraviglioso.
Non trovò la risposta, forse perchè non gliel’aveva mai detto.
Fu costretta a sbattere più volte le ciglia per via dei piccoli fiocchi di neve che cominciarono a cadere lievemente sul suo viso e attorno a lei. Abbassò di scatto la testa, lo sguardo lucido posato sulle punte dei suoi stivaletti spruzzati di bianco. Il pizzicore bruciante dietro le ciglia era insopportabile e impossibile da fermare. Una lacrima le rigò una guancia ma con un gesto rabbioso tirò sù il baule buttato a terra per incamminarsi verso casa degli Evans passando accanto alle vetrine illuminate dei negozi, ai muretti di mattoni al limitare dei marciapiedi bagnati, alle finestre delle villette con la luce accesa. La sua figura scura accelerò di fronte al quadrato di calda luce ambrata che racchiudeva una felice famiglia intenta ad imbandire la tavola accanto ad un grosso albero di Natale facendole sprofondare il cuore come se il suo corpo non avesse un limite.
Superò di gran carriera un parco giochi deserto e ghiacciato dove un’altalena dondolava, mossa dalla brezza dicembrina. C’era quasi.
La neve sotto le scarpe cominciò a scricchiolare e a farle sentire la fatica ma Liv andò testardamente avanti, lo sguardo velato di lacrime ma incredibilmente duro e determinato.  
Lily. Era Lily che poteva raggiungere, non suo padre. Lily che l’aveva salvata da se stessa e dal mondo intero più di una volta, ogni volta che ne aveva avuto bisogno.
Svoltò a sinistra e la casa degli Evans era lì che l’aspettava in quel vicolo ingioiellato da fili di luminose lucine. Trascinò con furia ed urgenza il baule fino al vialetto di ghiaia stando ben attenta a non schiacciare le foglie senza fiori dei cespugli di agapanto tanto cari alla signora Evans.
Quando arrivò davanti al massiccio portone con una bellissima rotonda ghirlanda di agrifoglio, bussò con le nocche della mano libera cercando di darsi un contegno. Inspirò profondamente per poi buttare fuori l’aria dalle labbra socchiuse, tremanti dal freddo e dall’inspiegabile impazienza di entrare come se lì fuori la terra potesse squarciarsi e divorarla da un momento all’altro.
Dei passi frettolosi si susseguirono dietro l’uscio e una voce stizzita echeggiò ovattata.
«Questo coniglio mostruoso lo ammazzo! Nascondilo o lo ammazzo! Ho passato l’intera giornata a pulire e questo mostro continua a perdere peli ovunque!».
Un tossicchiare educato vibrò nell’aria, come se la persona dietro il legno si stesse ricomponendo, e con il cigolìo della porta Petunia Evans apparve, radiosa nel suo bell’abito rosa. Il sorriso smagliante le si spense all’istante. Liv vide i suoi occhi scuri spalancarsi orripilati, incantati su di lei, e fu come avere davanti una statua.
Nella longilinea figura di Petunia non si muovevano nemmeno le lisce ciocche di capelli biondi ai lati del magro volto cavallino sfuggite all’elegante acconciatura che le lasciava scoperto il lunghissimo collo. L’apparente Pietrificazione si spezzò quando la statua in questione le sbattè la porta in faccia senza dire una parola.
Liv sospirò, abituata a quel trattamento. Si strinse al petto il vaso ritrovandosi a fissare la ghirlanda rossa e verde ascoltando la voce della sua migliore amica attutita dal portone.
«Vernon dov’è? Non era lui?»
«No. Erano quei bambini rompiscatole che cantano le carole»
«E gli hai sbattuto la porta in faccia?!»
«Ho da fare, Lily, non ho tempo per star dietro a quelle canzoncine! Vernon sarà qui a momenti, rinchiudi quel coniglio svitato come te in gabbia e se ti azzarderai a farti scappare... uno di quei... quella cosa che sai, sappi che...».
Dei passi piuttosto pesanti sulla ghiaia alle sue spalle distrassero Liv dal piccolo litigio tra sorelle. Si girò per vedere chi fosse e l’immensa figura di Vernon Dursley catturò senza problemi tutto il suo campo visivo.
Il ragazzo si era improvvisamente fermato a qualche metro di distanza da lei, guardingo. Il suo lungo cappotto scuro così largo da sembrare un’enorme campana che lo circondava tutto faticava a chiudersi sul davanti, lì dove stringeva tra le grasse mani le chiavi dell’auto, quattro lucenti pacchetti colorati e una bottiglia di vino perfettamente infiocchettata.
Allungando lentamente una piccola-rispetto alla sua stazza-scarpa tirata a lucido, Vernon si avvicinò con circospezione a lei scrutandola per bene come se fosse stata un pericoloso animale selvatico o un curioso fenomeno da baraccone. Liv seguì i suoi diffidenti occhietti chiari esaminare con perplessità il baule, il cappotto spiegazzato dal viaggio sul Nottetempo, la treccia quasi distrutta, il vaso azzurro  sottobraccio e le unghie smaltate di nero.
«Liv?» esordì lui titubante, come se non la conoscesse.
«Vernon» gli rispose lei senza scomporsi.
«Sei tu?» chiese ancora Vernon sospettoso, le tonde guance rosse per il freddo e l’accenno di baffi scuri sopra le stupite labbra socchiuse.
«Certo che sono io»- idiota -«Chi credevi che fossi?». Il tono interrogativo di Liv tradiva una certa punta di scherno.
Lui abbassò con sconcerto le folte sopracciglia more in un cipiglio contrariato.
«Perchè vai in giro conciata così?» sbottò, gonfio più di quanto già non fosse «Sei sempre stata un po’ strana ma... di norma i regali si impacchettano»- lo sguardo attonito gli cadde sul vaso in braccio a Liv «E sempre di norma i capelli si pettinano e i vestiti si stirano. E quel coso in legno cos’è? Non ti sarai mica ammattita?!».
Liv trattenne un sorriso divertito vedendolo arretrare lontano da lei e fermarsi giusto in tempo per non inciampare nell’aiuola innevata.
«Di norma si saluta, Vernon» replicò, un sopracciglio scuro sollevato ed improvvisamente illuminato da una luce dorata. Qualcuno aveva aperto la porta d’ingresso davanti a loro.
«Scusate, bambin... » Lily, sull’uscio, tacque all’istante  prima di esclamare con profonda incredulità il nome della sua amica abbracciandola di slancio con forza.
Si staccò da lei quasi subito per poterla guardare interamente in un modo totalmente diverso da quello di Vernon e poi dritta negli occhi. Liv non ebbe bisogno di spiegare, quel verde smeraldo aveva capito già tutto. E quando Lily annuì in un aperto sorriso affettuoso fu lei ad abbracciarla, lasciando il vaso sopra al baule per stringerla così forte da far sparire l’intera faccia tra i familiari profumati capelli rossi.
La terra sotto alle scarpe parve richiudersi. Era al sicuro.
Ne fu davvero certa quando mise piede in casa Evans, calda di caminetto acceso e profumata di biscotti allo zenzero; quando Rose, la bella signora Evans con i rossi capelli sciolti sulle spalle e i gentili occhi scuri sorpresi, allungò le magre braccia verso di lei per tenerla sul suo petto coperto da un grembiule con le renne lasciandole un materno bacio sulla testa; la scrutò con apprensione chiedendole se stesse bene e stringendole premurosamente una mano la fece accomodare sul divano accanto al fuoco prima di chiedere a Vernon di aiutarla a portare dentro anche il suo bagaglio.
Approfittando della presenza di Vernon che salutava con calore sua suocera, Lily si affrettò a far rialzare Liv dai cuscini giallo senape per salire di fretta le scale con lei.
I passi frettolosi che sentirono seguirle sui gradini, però, fecero sbuffare Lily che non riuscì a chiudere in tempo la porta della sua camera, fermata dalla lunga ed affusolata mano di Petunia con un colpo secco.
«Non può!» strillò sottovoce la ragazza, gli occhi scuri spiritati e le labbra ritratte sui denti dalla collera «Non può rimanere!»
«Smettila, Tunia» sibilò Lily trucidandola con uno sguardo colmo di fervido rimprovero. Si era ormai arresa riguardo l'odio di sua sorella per la magia, ma si stuì non poco della sua mancanza d'empatia nei confronti di quella che aveva apena perso suo padre; Petunia si era forse dimenticata quel dolore tremendo che aveva distrutto entrambe solo tre anni prima?
«Tu vivi e lavori a Londra, che t’importa chi viene a stare qui?» le chiese, evitando di tirare in ballo loro padre per non far sentire peggio Liv e anche perchè sapeva benissimo che per quel dolore Petunia soffriva ancora, come lei.
Petunia arricciò la bocca sottile in una smorfia oltraggiata.
«Vernon è al piano di sotto!» sussurrò furiosamente con ovvietà stringendo i pugni irrigiditi ai lati della gonna salmone.
Lily fece spallucce incrociando le braccia al petto.
«Ce ne siamo accorti tutti, non è uno che sfugge alla vista» replicò, allusiva. 
Gli occhi assassini di Petunia la fulminarono, incastonati nel volto incredibilmente rosso di rancore mal trattenuto.
«Vernon è qui e lei è qui»
«Lui e Liv si conoscono già, mi sembra»
«Solo per puro caso» sputò tra i denti Petunia con profondo disprezzo. «Si conoscono per puro caso com’è successo con te quella maledetta estate in cui sei tornata con un giorno d’anticipo dalla vacanza al mare in Cornovaglia da quell’altra... quell’altra anormale come voi!»
I lineamenti di Lily s’indurirono, spazientiti. Per quante volte doveva sentirselo rinfacciare ancora?! Per quante volte ancora doveva sentire Petunia ripetere che era stata costretta a presentarle il suo ragazzo soltanto per un “maledetto errore”’?!
L’aveva capito, aveva capito che se quell’estate di due anni prima fosse rimasta il tempo prestabilito a casa di Mary, lei non avrebbe mai visto Vernon Dursley, quello che nemmeno conosceva bene perchè l’unica frase che Petunia aveva permesso tra loro era stata: “Piacere, io sono Lily”.
L’aveva capito che Petunia non aveva mai avuto l’intenzione di presentarglielo, di far sapere al suo ragazzo che aveva una sorella, una sorella “Svitata” e “Anormale”, una di cui vergognarsi o che avrebbe potuto farlo esplodere con solo “un’occhiata magica”.
«Non la voglio a cena stasera» continuò Petunia, sferzante «Non bastavi tu?! No! Doveva arrivare di nuovo anche l’altra spostata
Lily avvampò come i suoi capelli fiammanti, gli occhi verdi socchiusi simili a lame affilate e la schiena fieramente dritta. Liv non ebbe nemmeno l’impulso di prendere la bacchetta di Black per Schiantare Petunia, non solo perchè quando Lily faceva così l’avversario era già praticamente steso- e Petunia lo sapeva bene perchè fece un passo indietro verso la porta con sguardo allarmato- ma soprattutto perchè erano tre giorni che Liv non sentiva il suo naturale e caratteristico istinto di usare la bacchetta.
«Non useremo la magia se questo che ti spaventa» soffiò Lily «Vernon non scoprirà niente nemmeno stavolta. Sai che non uso la bacchetta qui a casa, nemmeno adesso che sono maggiorenne».
Petunia, che aveva sussultato alla parola “magia”, parve riacquistare tutto il suo piglio sdegnato all'ultima affermazione della sorella.
«Tu non sei ancora maggiorenne» disse, tagliente. «Soltanto in quel mondo di matti potete pensare di esserlo a diciasette anni».
Lily fece finta di non aver sentito. Erano tre giorni che faceva finta di non sentire sia i commenti e le occhiatacce pungenti di Petunia che le sensazioni che queste le davano. Tre giorni passati a soffocare la rabbia e la delusione cocente, la tristezza che, subdola, la coglieva anche mentre ribatteva a tono contro la sorella. Petunia nemmeno l’ascoltava più, Petunia sembrava più cieca e sorda che mai di fronte ai suoi tentativi di riallacciare anche un solo misero filo stracciato tra di loro.
Lily le aveva chiesto di parlarle del suo lavoro da dattilografa ottenendo come risposta un sonoro sbuffo scocciato; Le aveva passato il puntale per l’albero che come da tradizione mettevano soltanto quando la famiglia era tutta riunita, con l’allegro risultato della sfiorata morte del coniglio quasi trafitto dall’addobbo dorato.
Si era accorta che sotto l’albero mancava un regalo, quello per lei da parte di Petunia. Ripensare ai Natali in cui sua sorella aveva passato mattinate intere con matite e brillantini per disegnarle con cura il biglietto d’auguri l’aveva fatta piangere sul cuscino giusto la sera prima.
Lily era arrivata al punto di voler passare le giornate chiusa in camera sua evitando in tutti i modi di pensare di essere una sorella invisibile, odiata ogni ora di più per il semplice fatto di essere una strega, quella che non poteva fare a meno di essere.
Ma nonostante la costante pressione soffocante che l’avvolgeva ogni volta che tornava in quella casa, Lily ritrovava sempre la forza di rimettersi in piedi, sciacquarsi il viso accaldato e scendere di sotto da sua madre che, come suo padre quando ancora era in vita, non mancava mai di mostrarle il suo affetto sincero e il totale orgoglio nei confronti del suo essere speciale.
Non avrebbe mai e poi mai abbandonato sua madre che l’amava per com’era e, anche se faticava ad ammetterlo, non avrebbe mai abbandonato nemmeno Petunia, quella che pensava di essere stata esclusa dalla magia e dalla sua vita. Lily ci avrebbe sempre provato e sperato, decisa a farle vedere l’enorme spazio che invece c’era ancora, tutto per lei, soprattutto da quando loro padre era morto lasciando un vuoto ancora più grande in quella casa.
«Nemmeno Liv userà la bacchetta» continuò Lily rivolgendo lo sguardo all’amica che si limitò ad annuire, un po' assente come non era mai stata davanti a quella che aveva sempre fatto impazzire per vendicare l'amica. Petunia, infatti, strinse di conseguenza le labbra rosate davanti a quel comportamento docile, interdetta anche se ancora furiosa.
«Quel... quel pezzo di legno» balbettò minacciosa e lievemente intimorita da quella sospetta innocenza che per lei nascondeva per forza subdoli intenti malvagi. «Te lo spezzerò in due se farai qualcosa di strano»
«Rompere la bacchetta e minacciare una strega, me e Lily comprese ovviamente, comporta delle gravi conseguenze. Dovrai vedertela con il Ministero della Magia- loro vengono a sapere tutto- con Azkaban e quindi con i Dissennatori» spiegò pacatamente Liv sedendosi sul morbido copriletto bianco di Lily che la richiamò, ammonitrice, per le bugie appena dette. Liv, però, proseguì sentendo una punta di vecchia stizza trapassare l'apatia per il mondo che l'aveva avvolta da quando Silente aveva detto la parola morto".
«Avrai così tanto freddo, paura, angoscia e tristezza che perderai la coscienza se non addirittura l’anima. Un corpo vuoto che si nutre di ricordi felici altrui, ecco cosa sarai. Rimarrai rintontita per il resto della vita... non che ti cambi qualcosa, ripensandoci» completò la spiegazione contemplando l’espressione tra l’incredulità e il terrore di Petunia. La cattiveria gratuita della sorella di Lily meritava altra cattiveria gratuita, l'aveva sempre pensato.
«Sciacquati la bocca prima di parlare in questa casa! Stai farneticando!» mentì anche lei, inviperita, aggrappandosi allo stipite della porta. Sapeva che era vero, che quelle creature mostruose esistevano.
Piton, il mostro di Spinner’s End, l’aveva sentito da lui molti anni prima.
«No, è tutto vero» confermò Liv, imperterrita.
«BASTA!» sbottò Petunia non più capace di tenere il tono di voce basso. «Non osare aprire quella bocca da adesso fino a quando Vernon se ne sarà andato». Lanciò uno sguardo di puro disprezzo a Lily prima di girare i tacchi e scappare impettita fuori dalla camera.
Il flebile e sofferente verso del coniglio rinchiuso nella gabbia sopra la scrivania fu l’unico suono che spezzò il successivo silenzio tra quelle quattro mura color lavanda. Lily osservò l’amica sdraiarsi esausta sul suo letto, il volto rivolto al soffitto e le mani abbandonate sullo stomaco.
«Stai bene?» esordì Liv senza nemmeno guardarla.
Lily strabuzzò gli occhi verdi. «Stai sul serio pensando a me, Liv?» le chiese, sconvolta. «Io sto bene. Tu, invece, sei appena scappata di casa».
Liv fece spallucce, come se quel particolare non valesse niente. Ed era così, non valeva niente in confronto al vuoto che sentiva dentro, a suo padre svanito nel nulla.
«Non mentire a me, Lily. Sono io quella che sta bene tra noi due, in questo momento» rispose chiudendo stancamente gli occhi, il volto così pallido da sembrare morta.
Lily sospirò, sciogliendo le braccia dal petto.
«No, tu non mentire a me» ripetè, raggiungendola. Con un gesto sbrigativo della mano le picchiettò un braccio ordinandole di farle spazio, Liv ubbidì. Si girò su un fianco ritrovandosi a fissare il muro con la carta da parati lilla tappezzata di locandine dei Queen, post-it pieni zeppi di cose da fare già spuntate e una sfilza di fotografie nelle quali lei e Mary non mancavano mai. Il materasso cigolò quando Lily le si sedette accanto, le gambe scoperte dal vestito verde scuro ben distese e la schiena poggiata alla testata del letto.
«Se vuoi possiamo mangiare da sole, qui» propose, incoraggiante. «Per tavolo possiamo usare i bauli come quella volta che...»
«Lily, ti prego» farfugliò l’altra soffermando gli occhi sull’istantanea magica con i primi piani di loro due e Mary che ridevano come matte, in testa una coroncina di margherite raccolte dal prato del parco di Hogwarts sul quale si erano sedute quel soleggiato pomeriggio di giugno del terzo anno; il sole accecante illuminava i tratti distesi di ognuna, accendendo di mille riflessi i capelli biondi, rossi e castani che si muovevano insieme ai loro sorrisi sinceramente felici.
Liv e Mary avevano le gemelle di quella foto, era la prima cosa che Liv aveva buttato dentro al baule qualche ora prima. Quella pura e spensierata felicità sembrava ormai un ricordo lontanissimo, impossibile da rivivere.
Sentì Lily agitarsi alle sue spalle, facendo muovere anche lei.
«Mia madre capirà se non vuoi festeggiare, sa di tuo padre. Noi ci siamo già passate anni fa, Liv, ti capiamo benissimo» le disse, consapevole di quanto Liv fosse a conoscenza del dolore che sua madre aveva passato negli ultimi tre anni. La vide infatti annuire, un sospiro profondo a spezzare il breve silenzio della camera. «E Petunia sarà sicuramente felice di non averci a tavola»
«Appunto» fece Liv voltandosi per guardarla negli occhi con sguardo serio e duro. «Ne sarà felice e a noi non sta bene».
Il piccolo sorriso che Lily si lasciò sfuggire di rimando la spinse a sollevarsi fino a sedersi spalla contro spalla con lei.
Non aveva forze per alzarsi da lì e tantomeno voglia di cenare, l’unica cosa che Liv voleva era stare da sola su un letto, possibilmente al buio, lontano da tutto e tutti. Ma non aveva intenzione di rovinare ulteriormente la cena della vigilia di Natale della sua migliore amica che, anche se non lo dava a vedere, era distrutta per la convivenza forzata con sua sorella.
«A TAVOLA! LILY TESORO, SCENDETE!»
«ARRIVIAMO, MAMMA!»
Lily riportò il profilo verso quello dell’amica al suo fianco, come sempre. Restò a studiarla intensamente con i profondi occhi verdi per qualche secondo.
«Dopo, però, parliamo» sentenziò risoluta dandole una sonora pacca sulla coscia prima di saltare giù dal letto. Le labbra di Liv si arricciarono in un piccolo sorriso amareggiato, scivolando controvoglia dal materasso.
Aiutò l'amica a portare fuori da sotto il cassettone bianco una brandina che misero accanto al letto di Lily e restò a guardare la padrona della stanza aprire le ante del suo armadio alla ricerca di lenzuola pulite che posò sul materasso con cura prima di invitarla a scendere di sotto, a cena.
Lo stomaco le si chiuse al solo pensiero del cibo. 


 
 
*
 
 



 
A cena, soltanto il centrotavola fatto di pigne, vischio e candele pareva ricordare a tutti di essere nel periodo natalizio.
La signora Evans, scambiandosi di tanto in tanto occhiate profondamente rammaricate con Lily, faticava a trovare un argomento che non scatenasse lo scontro tra le due sorelle, non pesasse sulla tragica situazione di Liv e non portasse allo svelamento del segreto sulla magia. Fu perciò costretta a concentrarsi esclusivamente su Vernon Dursely che a fine pasto sembrava ormai per scoppiare sotterrato di pietanze e domande mentre cercava di fare colpo su sua suocera raccontando raggelanti battute che facevano ridere solamente Petunia. L’ultima, quella su un golfista giapponese, aveva fatto sorridere a denti stretti tutti gli altri eccetto una decisa a non fingere Liv (con profondo disappunto di Petunia) prima di far calare su di loro e sugli avanzi della cena un attonito e confuso silenzio.
«E come va il lavoro alla Grunnings, Vernon?» ruppe il ghiaccio Rose sorseggiando il vino portato da suo genero, adesso tutto intento a ripulirsi i baffetti scuri con un tovagliolo.
Petunia, impettita sulla sedia accanto a lui, spostò lo sguardo luminoso d’orgoglio sul suo ragazzo. Per tutta la cena non aveva fatto altro che sorridergli e riempirgli premurosamente il piatto quando non era impegnata a lanciare sguardi sprezzanti e minacciosi a Lily e Liv, quest'ultima adocchiata anche dalla signora Evans che con la preoccupazione negli occhi l’aveva più volte incitata a mandar giù qualche boccone. L’unica cosa che Liv era riuscita ad ingoiare era stata un pezzetto minuscolo di tacchino ripieno e mezza patata arrosto sentendo lo stomaco urlare e bruciare, chiuso e stretto come non l’aveva mai sentito.
«Il lavoro va alla perfezione, signora Evans» rispose Vernon ostentando un certo compiacimento. «Anche se potrebbe andare meglio se non avessi un collega così pigro da...»
Lily, tagliando con esasperazione l’ultimo pezzo del tacchino sul suo piatto, sollevò impercettibilmente gli occhi verdi al soffitto. Quel ragazzo non faceva altro che vantarsi pomposamente senza pudore, disprezzare ogni minima cosa fuori posto o “stramba” come “Gli orecchini al naso di certi tizi fuori di testa che girano per strada come delinquenti” e lamentarsi di tutto, naturalmente per le cose che riguardavano gli altri e non se stesso perchè, a giudicare dagli autoelogi e dal viso radioso di Petunia quando lo guardava pendendo letteralmente dalle sue labbra, sembrava non potesse esistere al mondo un essere umano più perfetto di lui.
Da tempo Lily aveva rinunciato a capire cosa, di preciso, sua sorella trovasse in Vernon Dursley. Non si poteva nemmeno dire “La bellezza” perchè, oggettivamente, era attraente quanto il portaombrelli all’ingresso.
Il brevissimo gesto scocciato degli occhi al soffitto non passò di certo inosservato a Petunia che quando si trattava del suo adorato ragazzo il suo occhio di falco diventava praticamente un superpotere.
Più impettita di quanto già non fosse, Petunia la fulminò con lo sguardo tenendo le labbra così strette da farle sparire e Lily, apparentemente impassibile, continuò a masticare il tacchino.
«Ed è stato questo, alla fine, la cosa che ha convinto il mio capo» stava continuando a cianciare Vernon mentre Liv fissava la tovaglia con sguardo assente e vuoto facendo stringere le dita nervose ed ossute di Petunia attorno al tovagliolo sopra il tavolo.
«Adesso posso dirlo» fece Vernon in un ampolloso sorrisino. Forse per creare solenne suspense, porse lentamente il piatto ormai vuoto a Rose che si accingeva a sparecchiare la tavola e poi riprese a parlare, l’indice spocchioso alzato per aria. «Giusto l’altro giorno sono stato promosso».
 Il risolino emozionato di Petunia fu sovrastato dal sorpreso “Oh!” della madre.
«Ma che bella notizia, caro! Petunia, prendi i calici!» esclamò Rose lasciando sulla tavola la pila di piatti sporchi. «Spostiamoci in soggiorno per il dolce, vi va?» propose posando una mano incoraggiante sulla spalla di Liv che, risvegliata da quel tocco premuroso, staccò il mento poggiato sul palmo di una mano da una buona mezz’ora.
Lo strisciare delle sedie sul parquet fu la risposta alla domanda della signora Evans. Petunia raggiunse quasi saltellando la credenza per recuperare i bicchieri di cristallo mentre tutti si apprestavano ad oltrepassare l’arcata che portava tra i divani.
Lily fu costretta a bloccarsi di scatto davanti a Petunia, consapevole di averle tagliato la strada sotto lo sguardo afflitto di Rose che si affrettò a richiamare la sua secondogenita.
«Tesoro, mi aiuti in cucina?»
Lily annuì, il volto smunto e irritato al contempo ancora puntato su Petunia che lasciò a Liv il compito di prendere i bicchieri per occupare il posto nel divano affianco a quello dove si era appena seduto Vernon. Prima di sparire oltre lo stipite della porta della cucina, gli occhi verdi di Lily promisero ad un’insofferente Liv che l'avrebbero raggiunta al più presto.
Liv trovò il paio d’occhi identico per colore e profondità a quello che l’aveva appena lasciata nella foto dentro la cornice in vimini sulla credenza. Henry, il padre di Lily, sembrava scrutarla attentamente dicendole "Se non te la senti di festeggiare e vuoi andare a dormire puoi salire in camera di Lily, ti preparo subito il secondo letto".
Sorpresa dalla coincidenza di quella foto proprio davanti a lei, scosse la testa afferrando il secondo calice dalla mensola della credenza.
Sto bene, grazie si disse come a rispondergli, provando a sorridere in modo sincero. Dopo qualche tentativo fu praticamente certa di avere sulle labbra soltanto una sorta di smorfia o ghigno storti e per nulla convincenti. Aveva conosciuto il signor Evans e lo ricordava esattamente con lo stesso carattere divertente e affettuoso della sua migliore amica, con quello sguardo limpido e comprensivo che accoglieva sempre tutti.
Agguantò un altro calice sottile sentendo lo stomaco sprofondare a quel ricordo che, unito a quello di suo padre, sembrava diventare un'enorme voragine orribile.
Il rassicurante e paterno sorriso di Henry stampato sulla foto le strinse così forte il cuore da farle mancare il fiato; non c’era un’unità di misura per quantificare la voglia di vedere quello di suo padre.
Henry, si disse Liv prendendo l'ultimo bicchiere, forse per quegli occhi verdi che aveva donato a Lily, era sempre riuscito a leggerle dentro e l'avrebbe sicuramente fatto anche in quel momento.
Questa volta, Liv riuscì a far spuntare un piccolo sincero sorriso riconoscente in direzione di quelli vivaci ed apparentemente incoraggianti di Henry, ma le mani che sistemavano i cinque calici sul vassoio erano tremanti e la mente involontariamente rivolta a quello stronzo di Sirius Black, quello che invece di farla sentire così debole come quelle mani le aveva riacceso il fuoco dentro, la rabbia, l’odio, un qualcosa che non era il senso d’impotenza, il vuoto, la pietà che leggeva invece negli occhi di tutti quelli che sapevano della sua tragedia.
Quello stronzo di Sirius Black l’aveva fatta tornare se stessa per mezz’ora, il tempo in cui ce l’aveva avuto davanti.
 
 


 
 
*
 
 



 
 
Quando Lily entrò nell’accogliente e pulita cucina dai pensili bianchi e le tendine in pizzo alla finestra davanti al lavello non ebbe il tempo di aprire del tutto il cassetto delle posate perchè sua madre le arrivò accanto posandole una mano tra i vermigli capelli identici ai suoi.
«Cerca di resistere, Lily» le mormorò lisciandole le lunghe ciocche con amorevolezza.
Lily sospirò. Provò a sorridere per alleggerire quel peso a sua madre, per non dare a vedere tutta la tristezza avvolta al suo cuore, ma non ci riuscì. L’essere stata praticamente ignorata da Petunia anche quando le aveva chiesto di passarle il sale e fulminata con lo sguardo quando aveva provato a fare conversazione con Vernon non erano novità ma riuscivano a spezzarla sempre un po’ di più.
«Lo sto facendo, mamma, sto resistendo da anni» rispose Lily giocherellando distrattamente con le dita sottili sul piccolo pomello in ottone del cassetto.
«Lo so» le sussurrò Rose sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Lo so e mi dispiace perchè stare in famiglia, stare con tua sorella, non dovrebbe richiedere tutto questo sforzo».
Gli occhi verdi di Lily indugiarono sulle posate ordinate dentro al cassetto mezzo aperto tra lei e il mobile. Le parole di sua madre erano maledettamente vere. Essere se stessa non doveva richiedere tutto quello sforzo, perlomeno non anche a casa dove le persone lì dentro avrebbero dovuto amarla per quello che era e non odiarla come facevano quelli  fuori.
L’espressione sul bel volto dispiaciuto di Rose si fece più intensa mentre scrutava il viso pensieroso di sua figlia .
«Petunia vuole che tutto sia perfetto oggi e la magia la spaventa da morire» le disse portandole i capelli dietro la spalla.
«Ma sa benissimo che non la uso!» replicò con durezza Lily sollevando lo sguardo ferito sulla madre «Petunia odia me, mamma. Io sono la magia! Mi odia e non solo oggi!»
«Petunia non ti odia, tesoro» le disse lei, sconvolta «É soltanto... è spaventata. Non capisce quanto sia meraviglioso quello che sai fare perchè è ancora spaventata. Ma non ti odia, questo no»
«Sì che lo fa!» ribattè Lily sbattendo il cassetto per chiuderlo senza accortezza.
In soggiorno, i silenziosi minuti scanditi dall’orologio appeso sopra al camino parvero passare al ritmo delle ore. Liv, sprofondata su una poltrona, si guardava attorno apparentemente tranquilla. Apparentemente, perchè in realtà l’impulso di salire di sopra e  stare completamente sola aumentava ad ogni “Tic” e “Tac” delle lancette, inspiegabilmente sempre più chiassose.
Vagò con lo sguardo sulle mensole cariche di libri e oggettini vari, sull’albero di Natale che brillava ad intermittenza nell’angolo accanto alla finestra con le tende a fiori, sulle fotografie di famiglia dove le piccole Lily e Petunia stavano incredibilmente abbracciate con le rosse guance paffute appiccicate l’una sull’altra.
Vagò fino a soffermarsi come una maniaca sugli intricati dettagli del tappeto persiano sotto i suoi piedi, sulla linea curva delle gambe del tavolino con la lampada che cominciò a scannerizzare giusto per ignorare Petunia che dal divano di fronte la stava fissando in cagnesco senza accorgersi di Vernon, in evidente difficoltà mentre continuava ad aggiustarsi la cravatta stretta all’inesistente collo come se stesse per soffocare.
«C’è caldo, non trovate?» borbottò lui in un sorrisino tra l’imbarazzato e lo scocciato.
Liv staccò lo sguardo dalle ombre delle- precisamente quarantasette- piccole pieghe del paralume plissettato.
«Si sta bene invece» obiettò portando gli occhi scuri su di lui. Petunia assottigliò i suoi come se andare contro il suo ragazzo per quell’argomento fosse chissà quale oscena offesa alla sua persona.
«Hai ragione, Vernon» sbottò aspramente a labbra strette sventolandosi un’ossuta mano davanti al viso per nulla accaldato «Mamma ha messo troppa legna sul fuoco».
Liv sollevò freddamente un sopracciglio e lei fece altrettanto, almeno fino a quando la freddezza sul volto di Liv non diventò sfida.
«Ci penso io, tranquilli» intervenne facendo per alzarsi dalla poltrona e sfilare la bacchetta di Sirius dalla nera manica lunga dell’abito.
«NO!» gridò Petunia come un’invasata scattando stile molla verso di lei. Liv sorrise e Vernon, rimasto di stucco sul divano, boccheggiò occhieggiando la sua fidanzata con sconcerto.
«Petunia, amore, stai bene?» esalò con gli acquosi occhi celesti fuori dalle orbite puntati sulla ragazza livida di terrore, gli occhi neri molto più spalancati di quelli di lui. Liv riusciva a sentire il suo fiatone infrangersi ad intervalli irregolari sul viso insieme ai lunghi ciuffi biondi dei capelli. Non riuscì però a dire se la sorella di Lily fosse più spaventata o furiosa.
«Certo che sto bene. Sto benissimo, Vernon, non ti preoccupare» rispose piccata Petunia rimettendosi rigidamente dritta come un manico di scopa, il collo così allungato da sembrare quello di una giraffa.
«Non avevi troppo caldo?» si premurò di ricordarle Liv piegando lievemente il capo di lato ed intrecciando innocentemente le mani sopra la corta gonna del vestito nero prestato da Mary.
L’occhiata furibonda e risentita di Petunia dardeggiò da lei alla porta che dava sulla cucina come se stesse trattenendo un odio incontenibile per quella stanza.
Il silenzio e le lancette ripresero ad invadere le orecchie di tutti e tre. Petunia, in piedi tra la poltrona e il divano, sembrava completamente assorbita da una difficilissima lotta interiore che le stava sicuramente dando il tormento. Il suo sguardo follemente astioso continuava a saettare da Liv alla cucina con sempre maggiore impazienza, forse indecisa su quale oggetto della sua attenzione fosse quello che odiava di più. Fu quando schiuse le labbra sottili per fare un indispettito sospiro pesante che si decise ad agire.
Marciò spedita verso la cucina, appoggiandosi poi allo stipite della porta in modo tale da tenere sott’occhio Liv e contemporaneamente rivolgersi a sua madre.
«Di là vi stiamo aspettando, è quasi mezzanotte» disse seccata senza distogliere lo sguardo minaccioso da Liv. Non aveva bisogno di vedere cosa stesse facendo sua madre perchè lo sapeva.
“La povera Lily è triste” e allora tutti, compreso suo padre quando era ancora tra loro, dovevano essere attorno a lei. La meravigliosa Lily di cui andare fieri, la figlia speciale, l’orgoglio della famiglia.
Se Vernon viene promosso chi se ne frega! Se è quasi Natale chi se ne frega! Non sono  notizie stupefacenti come quella del massimo dei voti in una materia che prevede un calderone da befana o quell’altra “Divertente” delle tasche piene di uova di rana. Uova. Di. Rana.
Adesso Lily rubava la scena perfino a Gesù Cristo. Pazzesco! Perchè, certo, chi era Lui in confronto a Lily?! In quella casa le attenzioni dovevano andare a Lily. Lily, sempre e solo lei.
«Stiamo arrivando, tesoro, scusaci» le rispose con sincero dispiacere sua madre. «Perchè non cominci a riempire i bicchieri per il brindisi?»
Petunia parve aver ingoiato il succo di un limone intero, strinse le labbra e si allontanò con il naso adunco per aria raggiungendo il tavolino da caffè con i calici vuoti.
Liv provò a seguire con gli occhi i movimenti a scatti che stava facendo mentre cercava di aprire la bottiglia dello spumante ma quelli agitati di un Vernon Dursley improvvisamente oltre il limite del disagio la catturarono molto di più.
Il ragazzo sembrava avesse delle puntine sotto al grosso sedere. Aveva saltato sul posto tastandosi le tasche della giacca blu scuro quando Petunia era tornata in salotto e da quel momento non aveva smesso di muoversi come se non trovasse una posizione comoda tra i cuscini.
«Stai male, Vernon?» gli chiese Liv e subito lo sguardo allarmato di Petunia si sollevò dal calice mezzo pieno di bollicine per fulminarla con un'occhiata minacciosa.
«Ah, no, no» bofonchiò lui asciugandosi la fronte con il fazzoletto preso dal taschino. Il sudore freddo che gli imperlava la fronte seminascosta dai capelli scuri si moltiplicò quando la signora Evans e Lily tornarono da loro.
«Come hai detto tu, Petunia cara, è quasi mezzanotte e possiamo cominciare a tagliare il pudding» esordì Rose facendo il suo ingresso con il tradizionale dolce natalizio dal profumo delizioso per tutti eccetto Liv che ebbe l’istinto di correre in bagno a rimettere il pezzetto di tacchino mangiato a forza un’ora prima.
Per farle sentire la sua presenza, Lily le strinse un braccio sedendosi sul bracciolo della sua stessa poltrona.
«Prima però... volevo dire una cosa, signora Evans. Se mi permette» balbettò Vernon, il tondo faccione rosso come i festoni luccicanti sull’albero di Natale alle sue spalle.
«Dicci tutto, Vernon» lo incitò Rose, colpita da tutta quella formalità, prima di fissarlo in spiazzata attesa come fecero tutti gli altri. Petunia, stranita, sollevò ancora una volta lo sguardo dai calici fermando la cascata di spumante della bottiglia ancora in mano e Vernon si schiarì la voce, impettendosi e ritrovando un po’ della sua caratteristica boria quando si trattava di parlare di se stesso.
«Non vorrà per caso esplodere?» mormorò sinceramente preoccupata Lily chinandosi con circospezione su Liv che si lasciò sfuggire una risata silenziosa. Ma poi Vernon cominciò a frugarsi in una tasca della giacca, alzandosi in piedi, ed entrambe tornarono serie e decisamente perplesse come la signora Evans e Petunia che si portò una mano davanti alla bocca quando il suo ragazzo s’inginocchiò goffamente davanti a lei aprendo una piccola scatoletta di velluto blu.
«Petunia Evans, amore mio, nulla con te sembra andare fuori posto. Sei la cosa più perfetta che ho e che vorrò per sempre avere nella mia vita. Se tua madre acconsente, vorresti sposarmi?» le chiese mostrandole un tradizionalissimo delicato anello con diamante.
La signora Evans drizzò la schiena, allibita, e quasi lasciò cadere il pudding a terra nello stesso momento in cui la bottiglia di spumante in mano a Petunia s’infrase sul tappeto. Il resto fu uno stridulo cinguettare di emozionati “Si!”, di baci, abbracci, pianti di felicità.
Liv, l’unica rimasta impassibile di fronte a tutto ciò, se ne rimase nella poltrona con Lily non più seduta sul bracciolo ma in piedi lì affianco, i luminosi occhi verdi spalancati dalla sorpresa e rivolti a sua sorella in lacrime tra le braccia di sua madre. Fece un passo in avanti, verso di loro, bloccandosi un attimo dopo: la gioia che sentiva esplodere dentro per sua sorella non l’avrebbe mai potuta condividere e la cosa faceva incredibilmente male come non aveva mai fatto.
Avrebbe voluto lanciarsi su di lei, stringerla forte a sè dicendole quanto fosse felice per lei.
Avrebbe voluto essere di nuovo una sorella, per una volta, per quella volta così speciale.
E invece era come se fosse morta, un fantasma che guardava senza poter essere partecipe di uno dei momenti più importanti della vita di sua sorella.
C’era, era lì, ma era come se non ci fosse. Petunia le dava le spalle, Petunia non si era ancora girata a guardarla, a farle vedere l’anello che le brillava all’anulare
«Tesoro, è meraviglioso!» esclamò Rose con gli stessi occhi scuri e lucidi di Petunia, stretta a lei. «Sei felice?» le chiese con profonda emozione prendendole amorevolmente il volto rigato di lacrime. Petunia annuì ripetutamente in un sorriso radioso prima di abbracciarla di nuovo lasciandosi accarezzare la testa bionda.
«Lily, vieni!» chiamò con entusiasmo Rose e in un attimo Petunia, rigida come un bastone, sciolse l’abbraccio lasciando un bacio affettuoso sulla guancia della madre prima di avvicinarsi frettolosamente a Vernon per congiungere le loro labbra nonostante lui stesse parlando con entusiasmo ad una Liv del tutto impassibile.
Rose, mortificata, restò a guardare con profondo rammarico Lily che, letteralmente raggelata, venne presa per un polso e trascinata via da Liv.
La porta della camera color lavanda al piano di sopra si chiuse senza intoppi lasciando le due migliori amiche completamente sole, illuminate dal bagliore delle lucine colorate che circondavano la finestra all’esterno.
In un’altra situazione avrebbero volentieri imitato la pomposa scenetta dell’anello con Vernon più gonfio del tacchino sulle pance di tutti e Petunia più starnazzante di una gallina ma Lily e Liv se ne stettero in perfetto silenzio, l’una di fronte all’altra, in piedi al centro della stanza. Nessuna delle due osò fiatare.
Liv scrutò con serietà Lily che abbassò immediatamente gli occhi verdi sapendo benissimo che la sua amica era pronta ad ascoltarla senza riserva, a capirla come aveva sempre fatto in ogni momento difficile passato rigorosamente insieme, compresa la morte di suo padre. Ma non sapeva nemmeno lei da dove iniziare, sentendosi letteralmente svuotata di ogni cosa. Liv parve capirlo, naturalmente.
«Chi sta più male adesso, mh?» esordì in un affettuoso tono duro che la sfidava a dire “tu”.
Lily si lasciò andare ad una breve risata sommessa mentre due lacrime le scivolarono sulle guance rosse dal tumulto di sensazioni orribili tenute con forza dentro.
«Sempre tu, Liv» la rimbeccò in un sorriso amaro indicandola con un arreso gesto del braccio che ricascò esausto al suo fianco. «Tuo padre è morto, io so cosa significa. E sei scappata di casa...»
«Sto bene» tagliò corto Liv distogliendo lo sguardo dal suo. Il coniglio nella gabbia le soffiò contro grattando con furia il vimini che lo circondava.
Lily sospirò pesantemente. «Non è vero, non stai bene» disse sicura guardandola attentamente. «Negare non ti aiuterà ad andare avanti, ad affrontare la realtà. Fidati di me anche su questo, per favore». La vide voltarsi di scatto verso di lei, tesa per quelli che sembrarono un'infinità di secondi, prima di sentirla parlare con un tono di voce così carico di rabbia e sarcasmo da metterle i brividi.
«Ok, splendido! La smetto di negare, la smetto di nascondere tutto ed affronto la realtà!» esclamò con forza, gli occhi scuri furiosi. «Bene! Perfetto! Ecco cosa c’è nella realtà, Lily: Niente! Non c’è niente nella realtà! E lo sia anche tu, ci sei passata anche tu! Me lo dicevi sempre, per tuo padre! Lui non c’è e tutto quello che ha lasciato non lo voglio, non mi serve perchè a lui non serve più! É morto! Morto! Quindi perchè dovrei... come posso... affrontare una cosa vuota?! Non c’è nulla che mi trattenga nella realtà come non c’era più nulla che mi tratteneva nella casa che ho lasciato ore fa! E io... cosa dovrei... perchè mai...?!».
Lily, allibita, restò a guardarla balbettare frasi spezzate a metà con lo sguardo lucido e il volto trasfigurato dalla furia e dall’angoscia. Quando provò a farsi più vicina a lei, Liv sollevò davanti a sè entrambe le mani, minacciosa.
«Parliamo della tua realtà» sbottò indicandola con l’indice, tentando di camuffare la voce tremula con uno schiarimento della gola. Lo sguardo colmo di rimprovero di Lily tentò in ogni modo di dissuaderla ma lei proseguì.
«Tua sorella» iniziò annuendo come se fosse soddisfatta di aver trovato un valido argomento «tua sorella  è così egoista da trattarti come un’anonima passante anche nel giorno in cui si fidanza» disse schiettamente come soltanto lei sapeva fare. «Nessun motivo o scusa può giustificare questo suo modo di trattarti, di escluderti, di odiarti. Perchè è questo che fa, no? Ti odia e lo sappiamo tutti anche se qualcuno non è disposto ad ammetterlo come tua madre, per esempio».
Lily, totalmente assorbita da quel discorso e conscia del fatto di non poter convincere l’amica a parlare di se stessa, annuì senza distogliere gli occhi verdi meditabondi da quelli seri e sempre furiosi di Liv.
Era questo che amava di lei, questo che l’aveva resa la sua migliore amica capace di capirla nel profondo ogni volta, capace di non farla sentire mai sola di fronte ai problemi: Liv prima di farla ragionare, di spronarla a fare qualcosa, di farle vedere un punto di vista diverso con tutta la schiettezza che la contraddistingueva, si premurava sempre di sottolineare lo stare dalla sua parte quando era d’accordo con lei.
Liv si schierava al suo fianco, s’immergeva con lei nella situazione e sguainava la spada usandola per abbattere insieme a lei il nemico di turno. L’aveva fatto quando la professoressa di Astronomia le aveva messo un’enorme T dicendole di aver copiato il disegno della luna da Valery Bennett, l’aveva fatto ogni volta che aveva litigato con Severus fino al punto di rottura quel pomeriggio dopo i G.U.F.O. in riva al lago, l’aveva fatto quando James la faceva impazzire dalla mattina alla sera, quando era tornata a casa dopo la vacanza a casa di Mary trovando sul vialetto di ghiaia un ancora sconosciuto solo a lei Vernon Dursley e quando le aveva parlato delle scritte col carbone sui muri dei Sotterranei.
Liv aveva la capacità di non farla sentire una pazza quando gridava contro qualcuno per sfogare tutta la sua rabbia perchè invece di guardarla storto o di sminuire la sua furia, Liv gridava e s’infuriava con lei.
«Mi odia con tutto il cuore» sibilò Lily lasciando finalmente libere le lacrime che per tutta la serata aveva trattenuto con dolore.
Liv si avvicinò di un passo a lei senza sfiorarla, senza parlare. La guardò profondamente attenta ed in silenzio perchè dopo aver urlato con lei per sbloccarla, la seconda cosa che faceva sempre era ascoltarla per farla sfogare come non riusciva mai a fare con le altre persone che, soltanto per rincuorarla, la sotterravano di frasi false, illusorie.
“Petunia non ti odia, tesoro”
«Mi odia da così tanto tempo che ormai le viene naturale camuffarlo davanti a mamma e Vernon! Non hai visto come se l’è cavata, com’è elegantemente ed innocentemente fuggita da me prima?!» ringhiò con voce roca strizzando gli occhi pieni di lacrime.
Liv, intensamente assorta su quelle iridi smeraldo, annuì e Lily riprese, più amareggiata di prima.
 «Ho passato gli ultimi sei anni, compresi i tre giorni appena passati, a cercare di tenere in piedi questa... questa farsa! A nascondere il male che mi faceva per non rendere il tutto ancora più pesante ai nostri genitori e perchè ci credevo, credevo che Petunia avrebbe capito, prima o poi, che non sono cambiata affatto solo perchè uso una bacchetta e gli occhi di rana in un calderone!» esplose mettendosi ripetutamente una rossa ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Quel peso non è finito su di loro, ok, ma l’ha fatto tutto su di te» intervenne Liv fermandole la mano per tranquillizzarla.
Lily annuì facendo ondeggiare i lunghi capelli rosso scuro. «Sono stata una stupida» singhiozzò con rabbia facendo scivolare via la mano da quella dell’amica per asciugarsi con rabbia le lacrime sugli occhi e poi ricercare con urgenza quelle dita che sempre l’afferravano e stringevano con più forza di quando toccavano il Boccino d’Oro.
«Non sei stata stupida» replicò con fermezza Liv intensificando la stretta «Sei stata la solita Lily, quella che non lascia mai perdere nessuno perchè vede del buono in tutti, anche se è un minuscolo puntino di luce quasi spento». Sorrise teneramente come nessuno la vedeva mai fare e Lily ricambiò, guardandola dritta negli occhi. Entrambe ripensarono alla nascita della loro amicizia dovuta principalmente a quel pregio-difetto di Lily.
“Lasciami in pace, non mi conosci nemmeno”
“Non ti conosco, è vero, ma soltanto perchè tu non vuoi farti conoscere. E sappi- questa è una promessa- che non ti lascerò mai in pace, Liv, perchè non mi sembri una che sta in pace. Sbaglio? Pensi che fare la scorbutica e menefreghista ti possa proteggere da ciò che ti fa paura, qualunque cosa sia, ma io lo so che non sei così perché l’ho visto ieri, quando hai difeso Mary da quei Serpeverde”.
E a tutte le volte che Lily aveva difeso Piton.
“Io e Mary non capiamo come fai ad essergli amica!”
“Non è come sembra, Liv. Voglio dire... Sev è una brava persona.”
“Nel profondo? Un profondo stile centro della terra?!”
“É soltanto diffidente con gli altri! Non fa vedere a nessuno la sua gentilezza, a volte nemmeno a se stesso”
“Piton... gentile?”
“Sì, Liv, Severus è gentile”
La curva sulle labbra di Lily si arricciò in una smorfia delusa.
«Anche il puntino di luce in Petunia si è spento come quello di Severus» disse lasciando ancora una volta la mano che la sorreggeva per premere con impellente bisogno i palmi delle mani sugli occhi chiusi ed arrossati.
Liv l’osservò riportare le braccia sui fianchi con arrendevolezza, le lacrime per niente arginate.
«Non ci vedo davvero più niente di buono in lei, Liv» riprese Lily con la voce incrinata, incontrando di nuovo lo sguardo della sua amica «Ed è assurdo perchè fino a qualche minuto prima ero decisa a resistere, ancora, perchè... perchè è mia sorella! Mi ha sempre protetto, fatto sorridere e curato quando mi facevo male, insegnato tutto ciò che sapevo prima di andare a Hogwarts! Ma per lei questo sembra non contare più!».
Liv scosse la testa afferrandole di nuovo le mani rimaste per aria, attonite come lei. «É sempre stato così, Lily. Anche un anno fa ti sembrava che per Petunia non contasse nulla la parola “sorella”, eppure vedevi qualcosa in lei. Perchè? Perchè adesso no?» le chiese con forza senza distogliere lo sguardo deciso sul suo.
Lily, sorpresa da quella domanda, fissò gli occhi scuri dell’amica guardarla, seri.
«Perchè...» cominciò sbattendo le palpebre confusa, una lacrima intrappolata tra le lunghe ciglia cadde inesorabilmente su uno zigomo «Perchè escludermi in un momento così importante come quello di poco fa ha dimostrato tutto! Perchè mi ha sempre ignorato con le labbra strette e gli occhi socchiusi puntati su di me ma... ma prima lei...» si fermò un attimo, senza parole e senza fiato. «Lei sorrideva. Petunia sorrideva e piangeva di felicità e a me non ha pensato minimamente. Capisci? Anche quando la magia non c’entra io sono nulla per lei».
Ingoiò il groppo in gola con la consapevolezza di aver avuto, in quel preciso momento in salotto, un breve ma intenso attimo in cui aveva pensato di mollare il filo, di spezzare il lembo indistruttibile che la teneva legata a Petunia.
C’è sempre un qualcosa, un lembo indistruttibile in mezzo a tutti gli altri ormai sfilacciati e rotti che ci rimane aggrappato addosso, dentro. Credo non si spezzerà mai”. L’aveva detto a Black nel buio dell’infermeria e se l’era detto sul tappeto persiano bagnato di spumante rimangiandosi tutto insieme alla profonda delusione.
L’aveva desiderato, per un breve attimo l’aveva fatto: Spezzare quel filo, spezzare la dolorosa impotenza di fronte all’odio di Petunia e al suo stringere le labbra ogni volta che si azzardava a farle una domanda. Così sarebbe stato tutto più semplice, più sopportabile.
«Perchè me l’hai chiesto?» le domandò studiandola con gli occhi verdi velati di lacrime.
«Perchè voglio che tu sia certa di non vedere più nessuna luce in lei, Lily» le rispose Liv prontamente e con forza, lo sguardo profondo inchiodato sul suo. «So come sei fatta, so che se scopriresti anche una punta di rimorso da parte sua non ti perdoneresti mai di averla abbandonata, so che ti daresti la colpa fino alla morte con il pensiero di non aver fatto abbastanza, di non aver fatto tutto il possibile. So che l’unica cosa che ti tiene ancora legata a lei è la lettera che sette anni fa ha inviato a Silente per chiedergli di accettarla a Hogwarts. So che l’odio di Petunia nella tua testa si trasformerà sempre e comunque in invidia nei tuoi confronti e poi in tuoi sensi di colpa. So che è quella la luce che vedrai sempre in lei: Petunia ti odia, sì, ma non perchè odia quello che sei, ti odia soltanto perchè voleva essere come te. E a te non importa se questo suo modo d’agire ti fa stare male, se è sbagliato, da egoisti e da cattivi perchè sai che lei in realtà non ti odia, ti invidia» continuò a fissarla attentamente facendo una pausa per farle metabolizzare il tutto come ogni volta che quell’ingiusta e atroce sofferenza la spezzava, facendoglielo dimenticare «Quindi, dimmi la verità, sei davvero sicura di quello che dici, Lily? Perchè sai che non ti lascerei mai sbagliare. Ho promesso di ricordartelo sempre e sempre lo farò».
Lily, stordita ed incantata a Liv, non riuscì ad annuire.
Succedeva sempre con lei, quel momento in cui dopo averla fatta esplodere Liv la rimetteva insieme come un puzzle che conosceva a memoria facendola tornare alla realtà, una nuda e cruda realtà che la sua migliore amica si premurava di farle vedere senza mezzi termini. Era come se Liv riuscisse a salvarla dalla se stessa futura, quella che le faceva mangiare le mani per le cose che la se stessa presente credeva di voler fare. Perchè sì, tutto quello che Liv aveva detto era ciò che di più vero esisteva.
La lettera a Silente era la luce che vedeva in Petunia, una luce che non si sarebbe mai spenta come i suoi sensi di colpa per essere tutto ciò che la sorella voleva ma non poteva avere.
Forse aveva deciso di smettere di tentare di parlare con Petunia ma di aspettarla no, non avrebbe mai smesso. Non avrebbe mai mollato quel filo.
L’unica cosa che Lily fece fu lanciarsi su Liv, abbracciandola così forte da togliere il fiato ad entrambe.
«Grazie per essere qui, come sempre» le mormorò tra i ciuffi della spettinata treccia castana che in quella penombra appariva così scura da sembrare nera. Sentì Liv sorridere silenziosamente sui suoi capelli rossi, stringendola a sè come la vera sorella che era. La dolce sensazione di non essere sola a tenere in mano quel filo sempre più pesante l’avvolse come quell’abbraccio.
Non si dissero a parole di volersi bene, non ce n’era mai stato il bisogno, almeno fino a quando non lo fece Liv.
«Ti voglio bene» sussurrò facendo spalancare gli occhi verdi di Lily che si staccò da lei per guardarla, stupita. Liv non era mai stata una ragazza da dichiarazioni, una che esprimeva le emozioni a parole, a mala pena riusciva a parlare di se stessa.
Lily inclinò lievemente il capo per scrutarla accuratamente sul volto serio. I grandi occhi scuri sembravano mangiarsi l’aria attorno come se non volessero perdersi niente di quel momento, di quell’istante di vita che stavano vivendo insieme. E Lily capì, capì che Liv dopo aver perso suo padre all’improvviso non voleva più dare niente per scontato, non lasciare nulla di sottointeso per non imprigionarlo per sempre, fermo in gola, senza la possibilità di poterlo liberare.
Lily le sorrise, affettuosa, aggrappandosi di nuovo a lei.
«Ti voglio bene anch’io» le disse circondandole il collo con le braccia e stringendo più forte che poté. Liv, le labbra curvate in un sorriso, la strinse a sua volta in vita chiudendo gli occhi ed inspirando il rilassante profumo fiorito dei capelli rossi sui quali aveva immerso di nuovo il naso.
Finalmente non aveva nessuno attorno a parte la sua migliora amica, finalmente poteva stendersi sul letto e restare a fissare il soffitto senza che nessuno potesse vederla o dirle di parlare, camminare, bere, mangiare- Mangiare, per Merlino. Il solo pensiero di scendere a fare colazione la mattina successiva le fece venire la nausea.
Avrebbe passato la notte ad escogitare qualcosa per evitarla. Dormire fino a pranzo, per esempio. Già, il pranzo. Forse era ancora peggio della colazione e la signora Evans sarebbe rimasta a bussare a quella porta per delle ore se non si fosse unita a loro a tavola.
Per un attimo si sentì in gabbia, di nuovo. Certo, una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia che con il ruggente rombo della motocicletta di Sirius Black non aveva niente a che vedere.
«Da quand’è che non mangi?» le chiese improvvisamente allarmata Lily tastandole la schiena magra con mani premurose. Liv sussultò, sciogliendo immediatamente l’abbraccio.
«Da prima. A proposito, quel tacchino era squisito. Tua madre si supera ogni volta» rispose sinceramente andando a recuperare le lenzuola ben piegate sulla branda.
Lily sollevò un sopracciglio vermiglio. «Vuoi dire il pezzetto che hai assaggiato e che occupava meno della metà della tua forchetta?» replicò.
Liv non rispose. Dandole le spalle fece svolazzare in aria il lenzuolo fresco di bucato per cominciare a farsi il letto.
«Devi mangiare, Liv» asserì Lily con forza, gli occhi verdi tremanti dalla preoccupazione.
«Non ho fame» disse semplicemente lei afferrando un cuscino.
Lily sospirò pesantemente prima di marciare spedita verso il suo comodino con i capelli rossi a rimbalzarle oltre le spalle. Accese la lampada rischiarando di calda luce la penombra della stanza e aprì di scatto il primo cassetto tirando fuori una manciata sostanziosa di lettere che fu costretta a prendere con entrambe le mani per riuscire ad afferrarle tutte e portarle da Liv, buttandogliele sulle lenzuola che stava sistemando.
«Queste» esordì prendendone una e porgendogliela nonostante l’espressione di Liv oltraggiata per averle bloccato il lavoro «Sono precisamente venti lettere. Venti. Tutte di James Potter, tuo amico e Capitano ci tengo a precisare» sollevò le sopracciglia rossicce portandosi con stizza le mani sui fianchi «Venti lettere che mi ha inviato in soli tre giorni cambiando pure gufo. Non voglio nemmeno sapere il perchè, povero animale».
Liv, stranita, guardò Lily che con lo sguardo la incitò a decifrare la grafia di James, disordinata come i suoi capelli.
 

Cara Lily,
Sirius dice che, arrivato a questo punto, sono diventato palloso (É il solito esagerato melodrammatico. Che numero sarà mai questa? La ventesima? Lui insiste a blaterare che è la centesima. Non sa contare, in tutta la sua vita l’ha fatto soltanto per sfidarmi con i suoi neuroni e quindi oltre il numero due non sa cosa ci sia, poverino, compatiamolo).
Ma sai quanto me ne importa se sono palloso? L’unica cosa che m’interessa è avere notizie di Liv, cosa che nessuno mi ha ancora spauto dare. Non ha risposto a me e Remus  ma pensavo lo facesse almeno con te o Mary, e invece niente.
Questo non mi piace, non riesco ad accettarlo e anche se tu e Remus continuate a dirmi che ha bisogno dei suoi spazi e di stare da sola io non ci credo. Non può stare da sola. Chi la controlla? Chi le dice tutte le cose che si devono dire in momenti come questo?
Mi hai capito, no? Insomma, immagino sarai più brava di me in queste cose.

Quindi, ecco, sappi che se non si farà viva entro domani andremo tutti a trovarla a costo di arrampicarci sulla grondaia per entrare dalla finestra di camera sua (non ha le sbarre alla finestra, vero? Te lo chiedo solo per prepararmi ad un bell’Incantesimo Esplosivo non perchè lo trovo impossibile vista l’orribile descrizione che mi hai fatto della signora McAdams che, a quanto pare, potrebbe benissimo essere la creatrice di Azkaban anche se è Babbana).
Se ti scrive o se arriva da te come pensi che farà avvisami subito, ok?

Spero tu stia bene,

James
 


P.S. Sta mangiando?Ecco un’altra cosa che nessuno ha saputo dirmi! Non la conosco quanto te e non ho la più pallida idea di come potrebbe reagire.

P.P.S. E con chi parla?! Come si sta sfogando? Non penso proprio che possa mettersi sul divano a bere tè e mangiare biscotti con la creatrice di Azkaban. E con qualcuno dovrà pur sfogarsi! Non è da umani trattenere tutto quel dolore.

P.P.P.S. Se trovi la busta rotta è perchè ho dovuto riaprirla per colpa di Sirius: mi ha fatto sentire un mostro dicendo che sto maltrattando il gufo. Le briciole che troverai nella busta sono per lui, appena arriva da te dagli da mangiare e fallo riposare, ok? É viziato, mangia soltanto i resti della torta di melassa di mamma (l’unica cosa che sa cucinare perchè è la mia preferita).

P.P.P.P.S. Adesso che ci ho pensato, mi è venuto il dubbio: Mia madre sa cucinare solo la torta di melassa perchè è la mia preferita o la torta di melassa è la mia preferita perchè mia madre sa cucinare solo quella?!

P.P.P.P.P.S Come non detto. Cambio gufo, ormai questo non si muove più (non è morto, giuro. Solo stanco). Le briciole ormai restano qui, non so come toglierle. Assaggiale! Non sono le migliori biriciole che tu abbia mai mangiato?! É l’unico complimento sincero sul cibo che potrai mai fare a mia madre.

P.P.P.P.P.P.S. Mi sono appena ricordato che domani è Natale. Se Liv non dovesse farsi sentire ci incontriamo a Londra di pomeriggio, dopo il pranzo natalizio o mamma potrebbe pensare che io e Sirius stiamo scappando dal tradizionale tacchino ripieno mezzo bruciato (e anche perchè mio padre potrebbe cogliere al volo l’occasione per scappare con noi, a costo di mangiare rifiuti dai bidoni della spazzatura).

P.P.P.P.P.P.P.S. Voglio che tu sappia che James è un P.S. vivente, lui parla in P.S. infiniti. Quindi, Evans, ringraziami per averlo Schiantato mettendo fine a questa dannata lettera (Sono Felpato e sono serio quando dico che l’ho Schiantato).
 


«Ora dimmi» esordì Lily «A parte farti notare il lato incredibilmente materno stile mamma orsa iper-protettiva e pazzoide di James Potter»-la bassa risata dell’amica la fermò un attimo- «cosa ti ha fatto pensare questa lettera? Vuoi vedere la tua migliore amica soffocata dalle lettere di questo pazzo che viene a sapere del tuo digiuno oppure darti da fare con la mascella?».
Nonostante il tono imperativo Lily sorrideva perchè, a parte la divertente pazzia di Potter, Liv stava sorridendo a sua volta con lo sguardo fisso sulla pergamena, e lo stava facendo in un modo così pieno d’affetto che non potè non esserne contagiata.
«James è un cretino» proclamò Liv.
«Concordo» convenne prontamente Lily.
«Un cretino adorabile» aggiunse l’altra.
«Non esageriamo, eh?» fece Lily allargando il sorriso sotto l’occhio malizioso di Liv.
«Il tuo viso dice tutt’altro, Lily» le disse lei in tutta franchezza.
Lei sollevò gli occhi verdi al soffitto. «Questo suo tenere così tanto a te è davvero... bello» ammise stringendosi nelle spalle «Ma da qui ad essere adorabile ce ne passa».
Liv rise spalmandole la lettera sul viso e Lily rise ancora di più cercando di levarsela. Quandi ci riuscì, Liv riprese la parola guardandola con ancora il sorriso sulle labbra.
«Eri sicura che sarei venuta qui da te»
«Chiamala presunzione, se vuoi...» fece Lily assottigliando ironicamente gli occhi in un’espressione fintamente altezzosa.
Non aveva nemmeno il bisogno di chiederle cosa fosse successo di così grave in casa da farla scappare, lo immaginava. Lily aveva passato i tre giorni successivi al funerale ad immaginare ogni possibile situazione in cui Liv si sarebbe potuta trovare in quella casa con sua madre.
Non glielo chiese, rispettosa del suo silenzio e pronta ad ascoltarla quando Liv stessa si sarebe sentita pronta a condividerlo con lei.
«La chiamo sorellanza e telepatia con la s e la t maiuscole» annunciò convinta Liv incrociando le braccia al petto.
I ridenti occhi verdi di Lily si accesero. «Mi sta bene» acconsentì, radiosa.
Sorrisero entrambe, complici e con ancora gli occhi lucidi dalle loro rispettive realtà per l’ennesima volta messe allo scoperto davanti soltanto a loro due.
Il coniglio rinchiuso nella gabbia sulla scrivania approfittò del silenzio per farsi sentire dalla sua padrona con un lungo mugolio bisognoso d’aiuto. Lily si voltò di scatto verso di lui facendo ondeggiare i capelli rossi.
«Mi dispiace, Elleboro, sai che non puoi ancora uscire o Petunia ti ucciderà» gli rispose avvicinandosi alla scrivania.
«E anche io» gli ricordò Liv stando a debita distanza dal suo folto pelo bianco.
Lily le scoccò un’occhiataccia divertita infilando l’indice tra le sottili sbarre della gabbietta in vimini. In un soffio offeso, però, l’animale le graffiò la pelle con una zampata.
«AHI!» esclamò oltraggiata Lily ritraendo di scatto il dito sanguinante ed ignorando il ridacchaire di Liv.
«Adorabile» commentò sarcasticamente lei dando di nuovo le spalle all’amica per finire di farsi il letto senza vedere così Lily bloccarsi con lo sguardo perso sul vaso azzurro poggiato accanto alla gabbia di Elleboro.
«É quello che penso io?» chiese portando lo sguardo penetrante su di lei.
«Cosa?» fece Liv cercando di infilare il cuscino dentro la federa senza perdere le dita. 
Lily afferrò il vaso e il rumore della ceramica strisciata per un breve attimo sul legno della scrivania fece immediatamente voltare Liv.
«Oh, quello» bofonchiò mollando le lenzuola. Sospirò, per niente desiderosa di parlarne. «Sì, è quello che pensi tu» rispose comunque davanti al rosso sopracciglio arcuato.
«Perchè non lo riporti alla sua forma naturale?» domandò pacatamente Lily ben sapendo la risposta.
Liv sospirò un’altra volta. «Perchè... » iniziò spostando da un’altra parte lo sguardo improvvisamente vacuo. «Perchè te l’ho detto, i ricordi delle persone morte non servono»
«Ma lo hai preso dalla libreria» osservò Lily con la tipica faccia di chi la sa lunga.
Liv fece spallucce, le sopracciglia aggrottate in evidente nervosismo.
«Ok. Quello è diverso» le concesse la pura e semplice verità.
Lily annuì lentamente scandagliando accuratamente i suoi occhi scuri farsi più duri come a compensare la fragilità che la sua figura intera suggeriva.
«Beh, se questo non è semplicemente un ricordo dovresti fare qualcosa a riguardo» esordì dirigendosi sul letto.
Liv la vide sedersi all’indiana picchiettando con una mano la trapunta bianca tinta d’oro dalla luce della lampada sul comodino. Lily restò in attesa di essere raggiunta, cosa che Liv fece perchè era vero, quel vaso non era semplicemente un ricordo.
Si sedette a gambe incrociate sul letto, proprio di fronte a lei. I capelli rossi attorno al viso serio dell'amica sembravano accendersi di fuoco sotto quella luce e gli occhi fissi sui suoi parlavano più quanto avesse potuto fare la sua voce che presto spezzò ancora il silenzio.
«So che non posso costringerti a mangiare perché non ho il potere di far sparire tutto il male che senti e il vuoto che ti soffoca» esordì poggiando il vaso sulla coperta nel piccolo spazio tra le loro gambe, negli occhi verdi il dolore per il suo, di padre, che Liv aveva tentato in tutti i modi di arginare e curare fino a poco tempo prima. «Ma sappi che sono qui, qualsiasi cosa succeda, ovunque ti perderai... proprio come tu hai fatto con me» disse ancora Lily con l’assoluta sincerità e la determinazione che Liv vedeva animarle i grandi e belli occhi verdi.
«Io sarò con te, non andrò mai da nessuna parte». Le porse il vaso e Liv, inaspettatamente, lo prese come se quelle parole le avessero dato la certezza di non affogare.
Sfilò la bacchetta di Sirius dalla manica del vestito e stringendola con forza la puntò sulla ceramica azzurra. Tre tocchi, una formula sussurrata tra i denti e il vaso lentamente parve sciogliersi prima di ricompattarsi in un’altra forma diventando quello che era stato in origine: Le Fiabe di Beda il Bardo, il libro che aveva tenuto lei, suo padre e sua madre molto uniti nei suoi anni dell’infanzia.
Per Liv, andare a letto con una di quelle fiabe era sempre stato un momento speciale, almeno fino a quando Margareth non aveva scoperto che non era una semplice raccolta di fiabe appartenuta da secoli alla famiglia scozzese di suo marito ma un vero e proprio libro scritto da un mago.
Edgar l’aveva salvato dalle fiamme del camino giusto in tempo, promettendo alla moglie di buttarlo nel cassonetto della spazzatura. Inutile dire che invece lo Trasfigurò nel vaso azzurro che regalò a Margareth per il suo compleanno scambiandosi uno sguardo complice con Liv. Quel vaso era diventato il preferito di sua madre, ignara di tutto, e sempre quel vaso era diventato anche il custode segreto suo e di suo padre. Liv l’aveva portato con sè per quel motivo, perchè se suo padre era riuscito a lasciarle qualcosa l’avrebbe sicuramente messo lì.
Se era riuscito, ovviamente. Liv non sapeva neanche come fosse morto. All’improvviso? Senza nessun preavviso? Come poteva averle lasciato qualcosa se non si aspettava di dover morire?
«Liv» la richiamò dolcemente Lily prendendole le mani e poggiandogliele sulla rigida copertina azzurra ornata di delicati e floreali rampicanti disegnati. Le dita di Liv si allontanarono di qualche centimetro come se avessero toccato una superficie bollente per poi riavvicinarsi, sfiorandola leggermente.
Non sfogliava quel libro da anni, troppi. Indugiò ancora un po’ e quando si decise ad afferrarlo saldamente sentì la consistenza leggermente diversa dal solito basso spessore.
Sollevò velocemente lo sguardo sorpreso su quello spalancato di Lily che la incoraggiò ad aprirlo. E Liv lo fece, lo aprì sentendo il cuore battere più veloce, lo aprì con le braccia irrigite, una stretta allo stomaco vuoto e le viscere pronte a contorcersi perchè , suo padre le aveva lasciato qualcosa.
Il qualcosa conservato tra le pagine funse da segnalibro e la mano di Liv si ritrovò sopra ad una rigonfia busta gialla da lettera, precisamente alla pagina della sua  fiaba preferita: La Fonte della Buona Sorte. Il cuore, da semplicemente veloce, si fece pesante ed impazzito nel petto. Liv provò a muovere la mano per afferrare la busta ma quella, irrigidita, non si mosse.
Voleva prenderla, con tutte le sue forze, ma sempre con tutte le sue forze aveva anche paura di leggere la lettera che doveva esserci dentro. Combattuta, come il cuore che pulsava freneticamente fermato però dalle costole, restò immobile per un minuto intero.
Lily fu sul punto di aprire bocca per incitarla a fare qualcosa quando vide gli occhi dell'amica farsi determinati come poco prima, quando era esplosa in quel rabbioso monologo sulla "realtà vuota" e sui ricordi inutili.
Seguì le dita di Liv afferrare la busta, aprendola con la stessa voracità con cui i bambini scartano i regali di Natale.
Il contenuto lasciò entrambe smarrite ed interdette: dentro la busta da lettera non c’era nessuna lettera ma soltanto denaro, Sterline babbane e Galeoni magici.
Le mani di Liv frugarono come forsennate tra le monete e le banconote alla ricerca di una lettera inesistente e Lily, mortificata, provò a fermarla.
«Liv» la richiamò con voce incrinata ma lei non si fermò.
«Ci deve essere» ringhiò svuotando la busta sul letto «Papà non può non avermi scritto. Non può».
Lily restò a guardarla spostare frettolosamente ogni singola banconota e moneta, le palpebre immobili per non perdere di vista la lettera che Liv aspettava da ancora prima della tragedia, da prima della festa di Lumacorno, quella lettera che non era altro che un continuo contatto mancato con suo padre.
«Ti ha lasciato dei soldi» tentò di farla ragionare Lily, incapace di starla a guardare mentre soffriva in quel modo «Significa che aveva in mente qualcosa»
«Scappare» rispose bruscamente lei senza fermare la sua ricerca.
«Non senza di te» replicò Lily fermamente convinta.
«Ecco perchè è morto» concluse freddamente Liv agguantando la busta gialla per controllarne l’interno ancora una volta.
Lily scosse la testa posandole le mani sulle ginocchia velate dalle calze scure.
«Ascoltami, Liv» le disse duramente cercando il suo sguardo cupo «Tuo padre è morto perchè voleva farti avere il diploma e questo non è di certo colpa tua»
«Dal mio punto di vista lo è eccome» scattò lei, furiosa «Se io non fossi nata non avrebbe avuto nessuna figlia da far diplomare!».
Lily boccheggiò, incapace di credere alle proprie orecchie.
«Da quando ascolti quello che molto probabilmente ha detto tua madre?!» le chiese venendo immediatamente fulminata.
«Da quando ha ragione, Lily» rispose Liv gettando con stizza la busta. Gli occhi verdi di Lily, frastornati, la seguirono cadere sul pavimento prima di tornare sulla sua migliore amica che respirava a fatica mentre osservava con disprezzo la pagina aperta con il titolo della sua fiaba preferita.
«Che cosa voleva dirmi mettendo quei soldi lì?! Che sono ancora una bambina?! Che devo scegliere tra le fiabe e la realtà?! Che non crescerò mai perchè non so scegliere saggiamente come soltanto lui sapeva fare?!»
«Liv, basta»
«No, Lily!» ruggì lei, le labbra strette e gli occhi marroni ridotti a due fessure «Lasciami ipotizzare! É questo che voleva, no?! Dirmi le cose usando indovinelli, indizi che non hanno nè capo nè coda, silenzi che io devo decifrare! Quindi, esaudiamo la sua ultima volontà che non è parlarmi per l’ultima volta ma giocare!».
Lily si avvicinò a lei, acchiappandole le mani nel tentativo di calmarla.
«Potrebbe non aver avuto il tempo di scriverti» osservò guardandola dritta negli occhi con fermezza «potrebbe essere stato praticamente ignaro del fatto che stava per morire e che bisogno avrebbe avuto di scriverti? Magari ha conservato i risparmi qui dentro per sicurezza...»
«Impossibile» l’interruppe Liv abbassando il tono di voce senza perdere la punta di veleno intrisa in ogni parola «Il “vaso” non era la nostra cassaforte, per i risparmi abbiamo un altro posto sicuro. Se li ha messi qui c’è di sicuro un motivo»
«Ok» acconsentì Lily pacatamente, gli occhi assorti sempre sui suoi «Allora perchè mai il significato di quella fiaba dovrebbe cambiare? Cosa ti voleva dire tuo padre ogni volta che te la leggeva?».
Di fronte a quella semplice domanda, Liv restò a corto di parole e di rabbia. Sgonfiandosi dell’ardore con cui aveva parlato poco prima, posò gli occhi improvvisamente vacui sulla pagina aperta del libro.
Fu come tornare indietro nel tempo, immergersi in un passato in cui nulla sembrava fare paura.
«Per superare le sfide e le difficoltà, per ottenere ciò che vuoi ed essere felice non serve la magia» ripetè in un sussurro le stesse identiche parole di suo padre, la morale che aveva smesso di seguire quando sua madre aveva cominciato ad odiare la magia che le scorreva nelle vene. «Hai bisogno di amici sinceri, della forza e del coraggio che tu hai già e che non dovrai perdere mai, sia per te stessa che per gli altri» aggiunse ricordando il bacio della buonanotte sulla fronte che seguiva sempre quelle parole.
Lily le sorrise, annuendo emozionata. Prese con delicatezza il libro sottile e cominciò a leggere la fiaba.
Pagina dopo pagina, gli occhi assorti di Liv rimasero fissi su di lei senza vederla realmente. La voce tranquilla della sua migliore amica sfumò in quella profonda di suo padre e i familiari quattro protagonisti della storia apparvero davanti a lei, uniti e complici nell’aiutarsi a vicenda per raggiungere la Fontana della Buona Sorte.
Lily non aveva ancora finito quando, girando una pagina, si bloccò bruscamente spalancando gli occhi verdissimi.
Il silenzio risvegliò Liv dalla piccola trance.
«Che c’è?» le chiese sbattendo le palpebre. Il viso stravolto di Lily la mise subito in allerta. L’osservò staccare con accortezza un post-it dalla pagina per porgerglielo subito dopo.
Liv lo scrutò, guardinga. Il cuore le saltò in gola notando che la grafia di suo padre non era ordinata com’era solita essere, ma piuttosto frettolosa e tremante. Lo sfilò lentamente dalle dita di Lily e lesse.
 

Dimenticavo, ho protetto la casa ma non so fino a quanto possa essere al sicuro con quei Mangiamorte attorno.
Se mi succede qualcosa e se sono riuscito a salvare almeno la mamma, promettimi che continuerai a farlo tu. Lei non può difendersi, potrebbero ritornare a cercarla.


Abbi cura di te e di lei, ne sei in grado, più di quanto pensi.
Ho sempre avuto fiducia in te.

Papà
 

Liv rilesse quelle righe più e più volte, le sopracciglia sempre più corrucciate e il respiro ogni volta più pesante e veloce. La decima volta che posò gli occhi sulla frase “Ho sempre avuto fiducia in te” girò di scatto il foglietto alla ricerca di altre parole che fossero rivolte a lei e non a sua madre, ma sul retro la carta era sfacciatamente bianca.
«Liv?» la richiamò Lily. Il sorriso per nulla sincero e del tutto amareggiato sul volto di Liv non le piacque per niente.
«Mi sono sbagliata, Lily» fece lei, ironica, alzandosi di scatto dal letto «L’ultima volontà di mio padre non era giocare ma dirmi di proteggere mia madre» annunciò sarcasticamente entusiasta porgendole il biglietto.
Lily lo lesse immediatamente, gli occhi verdi in un primo momento sconcertati si assottigliarono, pensierosi.
Liv si lasciò andare ad una risata ironica sedendosi di nuovo sulla trapunta, facendo ondeggiare debolmente anche Lily.
«Ci pensi?» fece passandosi stancamente le mani tra i capelli castani allentando la morbida treccia già spettinata «Le ultime parole di mio padre non sono “Ti voglio bene” ma “Proteggi tua madre”... post scrictum: quella che ti odia e che tu odi a tua volta, ops». Rise ancora, il cuore in gola e gli occhi lucidi, sovrastando il mormorìo di Lily con ancora due lame smeraldine come occhi.
«Cosa?» le chiese Liv guardandola.
«Tuo padre sapeva di avere dei Mangiamorte attorno» osservò completamente rapita dal biglietto «Questo spiega il fatto di Piton che sapeva di un piano contro di lui. Non è stato casuale».
Liv deglutì a vuoto, incapace di parlare. Al solo sentire nominare Piton le si informicolavano le mani.
«E su questo foglietto ha iniziato a scrivere con la parola “Dimenticavo”» proseguì Lily «Questo significa che ha scritto dell’altro prima».
Liv, un sopracciglio sollevato, parve totalmente disinteressata. Seguì con lo sguardo Lily ripescare il libro per sfogliarlo con cura, scuoterlo, capovolgerlo e sfogliarlo ancora senza però ottenere altri foglietti. Fu felice di aver resistito alla tentazione di cedere ad un’altra illusione destinata a sfaldarsi.
Lily, invece, sembrò determinata a non arrendersi. Si alzò in piedi capovolgendo il libro all’ingiù.
«Ci deve essere dell’altro, lo so. Questo libro lo terrò io fino a quando non scoprirò cosa nasconde» borbottò indispettita ricominciando a girare una per volta e più lentamente le pagine. Se il signor McAdams sapeva di avere dei Mangiamorte alle calcagna la faccenda si faceva ancora più complicata.
Liv distolse lo sguardo ritrovandosi a fissare la branda di fronte, ancora senza le sembianze di un letto.
Sapeva di doversi alzare per andare ad infilare quel cuscino nella federa ma chissà come non ci riusciva. Avrebbe voluto trasformare il dolore che provava in accettazione, in forza, ma era praticamente impossibile farlo con il senso di colpa aggrappato a lei e il mistero di quella morte ancora ben lontano dall’essere risolto.
Come poteva accettare la morte di suo padre senza sapere com’era morto?  
L’idea di avere un letto vero e stabile lì aveva perso la poca attrattiva che già il pensiero della colazione e del pranzo del giorno dopo le avevano sottratto.
Essere in quella casa era un miracolo, essere accettata dai signori Evans un onore, abitare sotto lo stesso tetto di Lily un sogno, ma la sensazione di oppressione cresceva ogni secondo di più in contrasto a quella di travolgente libertà ancora carica dell’adrenalina rimastale addosso insieme alla faccia di Black e alla sua motocicletta. Se soltanto non fosse stato lui con il suo sorriso sfacciato stampato sul bel volto altero, Liv non avrebbe aspettato oltre a scegliere la seconda.
Non sopportava essere compatita, accompagnata ovunque, trattata con cautela. Aveva bisogno di quella libertà, aveva bisogno di stare da sola per sprofondare in quel dolore, assorbirlo, accettarlo, lasciare che le spezzasse le ossa per ricostruirle più forti.
Sapeva che soltanto da sola avrebbe potuto farlo.
Sentendo il materasso sprofondare leggermente al suo fianco si accorse di Lily che con ancora il libro in mano le si era seduta accanto osservandola attentamente.
«Che intenzioni hai con tua madre?» esordì pacatamente portandosi una ciocca di capelli rossi dietro un orecchio.
Liv, spaesata, vagò con gli occhi su di lei.
Che intenzioni aveva? La prima risposta che le venne in mente fu “Non è più un problema mio”, ma la grafia spaventata e nervosa di suo padre sembrava le si fosse tatuata sul cuore: “Ho sempre avuto fiducia in te”.
Lui si fidava di lei, era certo che lei avrebbe protetto sua madre. Per quanto la cosa l’avesse enormemente delusa e le facesse rivoltare lo stomaco, quelle parole furono più forti di qualsiasi cosa ed improvvisamente le persone sulla terra insieme a lei si ridussero ad una.
«Devo tornare a Londra, da Black» rispose facendo strabuzzare gli occhi di Lily.
«Come, scusa?» fece quella, stranita e sconvolta. La prima spiegazione che il cervello di Lily si diede per cercare un senso logico a quella frase fu che “Black” fosse un hotel di Londra. Chissà quanti ne esistevano, di hotel, che lei non conosceva nemmeno.
«Prima mi ha beccata fuori dalla porta di casa» la riportò alla realtà Liv. «Mi ha chiesto di andare da lui, nel suo appartamento. É a pochi isolati da casa mia, stando lì potrei controllare mia madre ventiquattro ore su ventiquattro, almeno per tutte le vacanze».
Lily non ribattè, troppo stordita per farlo. La ruga tra le aggrottate sopracciglia rossicce si approfondì sempre di più fino a sparire repentinamente quando rilassò la fronte per inarcare un solo sopracciglio.
Un hotel non poteva “beccare” qualcuno fuori dalla porta di una casa, un hotel non poteva “chiedere di andare da lui” a meno che non si trattasse di una qualche forma avanzata di pubblicità.
«Black, Sirius Black l’essere che se non lo conoscessi chiamerei “umano”, ti ha chiesto di andare ad abitare da lui?» le chiese, incredula. Quando Liv annuì, stranamente pensierosa, l’incredulità sul suo viso trasfigurò ogni regolare lineamento. Liv però non le diede nemmeno il tempo di ripetersi la notizia in testa perchè, dando un senso alla sua espressione pensierosa di poco prima, si alzò di scatto dal letto come se un’idea fulminea le avesse attraversato la mente solo in quel momento.
«Devo andarmene da qui» annunciò dirigendosi velocemente verso la finestra con bruttissimo senso di dejà-vu addosso. «E di fretta» aggiunse scostando la tenda color panna per scrutare meglio l’esterno della casa. La strada e il giardino, per fortuna, erano deserti.
Si voltò verso la camera incontrando lo sguardo contrito e silenziosamente interrogativo di Lily. Lasciando perdere la tenda, si affrettò a spiegarle tutto.
«Prima di scappare da casa c’era un Mangiamorte sul marciapiede, fissava la finestra della mia camera»- ignorò gli occhi verdi di Lily rotolare fuori dalle orbite in stile “E me lo dici solo adesso!?” e proseguì con una certa urgenza -«Sarà sicuramente uno dei Mangiamorte da cui scappava papà, quello da cui mi ha messo in guardia, lo stesso che cerca me e mia madre. Un tizio strano con il cappello l’ha allontanato dopo un duello praticamente al centro della strada ma...»
«Woh! Aspetta, aspetta, aspetta» l’interruppe Lily sollevando le mani con la voce più acuta del normale, le sopracciglia così sollevate da sparire sotto al ciuffo rosso e gli occhi spalancati come quando la McGranitt spiegava contemporaneamente più cose complicate come se stesse leggendo la lista della spesa.
«Mi stai forse dicendo che sei praticamente una ricercata?! Che c’è un Mangiamorte che ti spia e che ti vuole uccidere?!»
«Non so fino a che punto, non lo so» rispose Liv, percependo di nuovo l’orribile sensazione di essere scoperta e completamente visibile in un mondo fatto di Mangiamorte. Premurandosi di tenere dentro il crescente panico, osservò Lily farsi scioccata.
«E io ti dovrei lasciare andare?!» pigolò lei tra la furia e l’orrore alzandosi dal letto. L’occhiata infuocata faceva ben intendere la sua opinione.
«Se non vuoi morire e non vedere morire anche tua madre e Petunia sì, devi lasciarmi andare» replicò Liv.
«E se non volessi vedere morta nemmeno la mia migliore amica?» sbottò Lily, le mani sui fianchi e i capelli scivolati sul viso per la foga con cui aveva gesticolato nella sua direzione.
Liv incrociò le braccia al petto. «Meglio un morto di tre».
Lo sconvolgimento sul volto di Lily arrivò allo stremo. «Ma ti senti quando parli?!»
«Vuoi farmi sentire colpevole anche per la tua morte, quella di Rose e Petunia?!» quasi gridò Liv mettendola a tacere solo per qualche secondo perchè Lily, le labbra strette e gli occhi verdi incredibilmente determinati, parlò ancora.
«Io vengo con te da tua madre» proclamò senza ammettere repliche.
Liv scosse la testa, più testarda di lei. «Tu devi stare qui con tua madre e tua sorella, sono indifese esattamente quanto mia madre fuori dalle protezioni che Silente ha messo sulla casa» le sibilò con durezza.
«Ma non sono ricercate, a differenza tua!» scattò Lily, il viso stravolto dal totale disappunto.
«Sono le Babbane che mi hanno ospitato stanotte, Lily, e se per nostra sfortuna quel Mangiamorte mi avesse seguita fino a qui?!» fece Liv con fervore e il tono di voce intriso di preoccupazione, zittendola del tutto.
Lily, improvvisamente immobile, boccheggiò posando gli occhi verdi sul pavimento come se così facendo potesse vedere sua madre, Petunia e Vernon nel salotto di sotto. L’ultima cosa che voleva era trasformare la sua famiglia in un bersaglio, cosa che lesse anche negli occhi di Liv quando risollevò lo sguardo su di lei.
«Cos’ha fatto tuo padre per essere preso di mira in questo modo?» mormorò, smarrita.
Liv non aprì nemmeno le labbra. Non ne aveva la più pallida idea di come un uomo deciso a non combattere, a stare in disparte potesse essersi distinto dalla massa di Nati Babbani fino ad essere perseguitato ed ucciso.
Più ci pensava e più la cosa risultava assurda. Trovare un senso era praticamente impossibile e la rabbia cresceva sempre un po’ di più.
«Andremo al Railview Hotel qui in centro, allora» esordì Lily, risoluta «Tu non sarai sola e la mia famiglia sarà al sicuro»
«E io come faccio a controllare mia madre da qui?» domandò allibita lei, sciogliendo l’intreccio della braccia sotto al seno.
Lily, frustrata, si portò una mano sulla fronte ordinando al suo cervello di trovare una soluzione decente che potesse accontentare tutti, ma Liv era già china sul letto a raccattare tutte le Sterline e i Galeoni con crescente fretta.
Rimase a guardarla rimetterli alla rinfusa dentro la busta gialla che gettò poi nel baule.
«É l’unico modo questo, Liv? Andare da Black?» le chiese, incapace di arrendersi.
Liv, piegata sulle ginocchia, chiuse il pesante bagaglio. «Io non ci torno da lei» mise in chiaro riferendosi a sua madre.
Si rimise dritta in piedi, lo sguardo scuro traboccante d’orgoglio di nuovo sull’amica che annuì, non del tutto convinta. Black aveva dimostrato di essere affidabile, certo, l’aveva dimostrato dentro quel bagno distrutto ma chissà come il suo invito suonava troppo strano alle orecchie di Lily che di Black non era ancora riuscita a capire granché, a capire con esattezza come facessero a convivere dentro di lui Felpato e il quasi assassino di Piton.
«Ti fidi di lui?» le chiese seguendola con lo sguardo andare a recuperare il cappotto nero appeso sull’ attaccapanni vicino alla porta chiusa.
Liv, stringendo tra le mani la pesante stoffa nera, non rispose subito. A quella domanda era impossibile rispondere positivamente.
Chi si fidava di Sirius Black, a parte James Potter? Chi si fidava di una maschera d’indifferenza e strafottenza?
Nessuno con un cervello sano e un livello di dignità accettabile. Eppure, prima, qualcosa in quegli occhi grigi e nelle sue parole le aveva suggerito di poterlo fare.
«Mi fido di me stessa, Lily» decise di rispondere, sicura, facendo sollevare un vermiglio sopracciglio. Il suo silenzio e la sua espressione, però, cambiarono lentamente, facendosi un minimo più sicure.
E lo sguardo guardingo di Lily si sciolse senza lasciare il viso dell’amica. Annuì bruscamente ma senza riuscire a sollevare le labbra in un sorriso.
 «Verrò a trovarti quasi ogni giorno, per guardarti le spalle mentre controlli tua madre, a costo di venire perseguitata a mia volta» informò «... e su questo non ammetto repliche» si affrettò a mettere in chiaro con forza nel preciso momento in cui le labbra dell’amica fecero per accennare qualcosa. «Verrò per assicurarmi che Black sia vivo. Non voglio la mia migliore amica ad Azkaban» annunciò ancora, serissima.
Liv le sorrise andandole incontro per abbracciarla.
«Grazie, Lily» mormorò aggrappandosi a lei in una stretta che non racchiudeva soltanto quell’ultimo argomento ma l’intera serata, da quando le aveva aperto la porta di casa. Lily annuì tra i suoi capelli, serrando gli occhi e stringendola ancora più forte.
«Troveremo una soluzione a tutto, Liv, sistemeremo ogni cosa».
 
 
 

 
*
 
 


 
 
«Fate piano o vi farete male! Per l’amor di Merlino, Fleamont, ricorda che hai le ossa più delicate delle Piume di Zucchero!»
L'autoritaria voce di Euphemia Potter cercò di sovrastare le sonore risate sguaiate scoppiate nell’accogliente soggiorno della villetta dei Potter a Godric’s Hollow dove James era stato bellamente preso in giro da Sirius e Fleamont che, invitandolo a tirare il suo Christmas Crackers appositamente incantato per non scoppiare, era caduto rovinosamente a terra quando Sirius aveva mollato la presa.
Nessuno dei tre “bambini” sembrò sentirla, intenti com’erano a ridere e placcarsi a vicenda sul tappeto davanti all’albero di Natale luminoso di fate e al grande camino acceso.
Con i ridenti occhi nocciola, Euphemia restò a guardarli in un'intenerita espressione esasperata prima di riprovare a fermarli facendo affidamento ad una frase dall’efficacia sicura.
«Chi vuole la torta di melassa mi segua in cucina!»
«Oh, Godric! Finalmente si mangia!» esclamò Fleamont rimettendosi faticosamente in piedi con gli occhiali storti sul naso esattamente come James, incredibilmente spettinato ed immediatamente libero dal peso di Sirius, già al fianco di Euphemia come se si fosse Smaterializzato.
«Cosa staresti insinuando, Fleamont?!» sbottò la donna, le mani sui fianchi coperti dal grembiule a fiori e i ciuffi di capelli bianchi, sfuggiti all’elegante chignon, ad incorniciarle il volto non più giovane, ma ancora grazioso. «La mia cena della vigilia non è forse stata di tuo gradimento?» chiese, minacciosa, vedendo il marito arrivarle vicino.
«Certo che è stata di mio gradimento, tesoro mio adorato» mentì lui baciandole dolcemente la punta del naso con un sorrisino sinceramente estasiato prima di dirigersi velocemente in cucina.
Euphemia scosse la testa allungando una mano verso Sirius per portagli affettuosamente indietro le ciocche di capelli neri davanti al viso divertito prima che lui riuscisse a scapparle dalle dita raggiungendo l’uomo, fischiandogli dietro con finta ammirazione.
«Che romantico, Fleamont!»
«Un giorno lo farai anche tu, figliolo. Te lo auguro di cuore»
Lo scoppio di risata scettica del ragazzo vibrò dalla cucina.
«Dovresti fare i pranzi e le cene esclusivamente con questa torta, mamma. Antipasto, primo, secondo, contorno e frutta» fece James lasciandosi aggiustare gli occhiali dalla bacchetta della madre.
«Prova a dire ancora una cosa del genere e ti lascio a pane e acqua, tesoro» gli rispose lei passando amorevolmente anche a lui una mano tra i capelli scarmigliati in un tentativo per niente speranzoso di metterli in ordine.
«Non lo faresti mai, mammina cara» cinguettò lui in un largo sorriso smagliante circondandole affettuosamente le spalle con un braccio per stringerla a sè. La donna, suo malgrado, cedette lasciandogli un pizzicotto sul mento, forse un po’ troppo forte.
«Mamma!»
«Non vi meritate nemmeno le briciole di quella torta, screanzati irriconoscenti che non siete altro!»
«Quello di James era un complimento, Euphemia» li accolse in cucina Sirius, un radioso sorriso angelico stampato in faccia e il piattino per il dolce già tra le mani così come Fleamont, intento a cercare con quella libera le forchette nei cassetti.
«Voleva dire che la tua torta alla melassa è la cosa più buona di tutte non l’unica cosa buona tra tutte. Non è così, Ramoso?» continuò alzando la voce per non far sentire a tutti il brontolare dello stomaco traditore.
«Naturalmente, fratello!» prese la palla al balzo James senza riuscire a dire altro per colpa della tirata d’orecchi della madre.
«Tu, delinquente!» sbuffò subito dopo la donna puntando un dito contro Sirius «Da quando vai in giro con l’Ippogrifo a due ruote non m’incanti più, neanche con quel bel visino imbronciato!».
Sirius sghignazzò avvicinandosi di soppiatto a lei per scoccarle un caloroso bacio sulla guancia e Euphemia sospirò, esausta, sollevando i vivaci occhi nocciola al soffitto sotto lo sguardo oltraggiato di James. Con un gesto della bacchetta tre generose fette dell’invitante torta di melassa sul tavolo ancora apparecchiato dagli avanzi levitarono nei piattini in mano agli uomini di casa.
«Sono tre giorni che Sirius ti ruba la moglie, papà» farfugliò James con le guance piene «Io non me ne starei così, con le mani in mano».
Sirius, metà fetta in bocca, ammiccò nella sua direzione con il suo fare intrigante che non perse fascino nemmeno quando James gli passò dalla fronte al naso, in una strisciata appiccicosa, la melassa colata nel piattino.
«Fintanto che non mi ruba questa fetta per me va bene, figliolo» rispose Fleamont  ficcandosi la forchetta colma di torta in bocca prima di sorridere ampiamente in direzione della moglie dagli occhi nocciola spalancati, seriamente sconvolta tra le risate di James e Sirius.
«Preparati a dormire sul divano stanotte, Potter!»
«Scherzavo, mio tesoro adorato!»
«Oh, non penserai davvero di cavartela ancora con questa vecchia scusa?!»
«Vecchia scusa?! É la verità! Scherzavo!»
Le smorfie di disgusto dipinte sui volti di James e Sirius appena Fleamont lasciò con urgenza la torta per accogliere tra le braccia una combattiva Euphemia, baciandola giocosamente su tutto il viso, furono soltanto l’inizio delle proteste, non soltanto dei ragazzi ma anche della moglie.
«Fleamont! Ma ti sembra il momento?!» lo rimbeccò dandogli dei ribelli pugni sul petto, le guance rosse come il maglione dell’uomo che cominciò a farle il solletico per farle sciogliere il cipiglio scandalizzato ed imbarazzato sul volto.
«Siete una vergogna» commentò James dando le spalle ai suoi ridenti genitori senza però smettere d’infilarsi voracemente in bocca forchettate traboccanti di torta.
«Uno scandalo» l’appoggiò Sirius posando lo sguardo intensamente affamato sulla torta lasciata incustodita al centro della tavola.
«E fuffo fuesto fempre fer folfa fua, Felfato»
«Mia?! Sei tu che come al solito hai fatto il geloso»
La forchetta di James tintinnò sul piattino ormai vuoto e lo sguardo complice che si scambiò con Sirius non ebbe bisogno di parole.
«Credo proprio che per me e Sirius»- e la torta- «sia arrivata l’ora di andare a dormire» annunciò James mentre Sirius, ostentando la sua solita insolente nonchalance, allungava con lenta e studiata circospezione le dita verso la torta. La mano di Euphemia, libera dall’agguato amoroso del marito grazie ad una sonora pappina sulla nuca scarmigliata,  schiaffeggiò con ammonizione il braccio che Siris fu costretto a ritirare immediatamente.
Tra tutto quel baccano, il gufo che da un buon quarto d’ora cercava di farsi sentire beccando con sempre più insistenza al vetro della finestra fu finalmente preso in considerazione.
«Oh, un primo regalo in anticipo?!» esclamò entusiasta Fleamont lasciando un ultimo bacio sulla guancia della moglie prima di fare il giro del tavolo per andare ad aprire al rapace che, stizzito, entrò scrollando le ali umide di neve.
«Il secondo vorrai dire, Fleamont» lo corresse in tono intimidatorio Euphemia mentre il gufo lasciava cadere una lettera in testa a James «il primo sono state le chiavi della motoclicletta babbana che tu hai consegnato a Sirius quattro giorni fa!».
L’occhiata raggelante della donna spense il raggiante sorriso di Fleamont e lui, mortificato, si strinse nelle magre spalle alzando le mani in segno di resa.
«Uh-uuh!» fece Sirius ammicante da dietro la spalla del suo migliore amico «Un’altra lettera d’amore non ricambiato». La spallata che ricevette sotto al mento subito dopo gli fece chiudere gli occhi di dolore e far scattare un gamba per dare un calcio sul polpaccio di fronte dando il via ad una serie di botta e risposta nel senso prettamente fisico del termine.
«Cosa, cosa?!» pigolò di nuovo tutto pimpante Fleamont sistemandosi gli occhiali sul naso «Non sarà per la caso la bellissima seconda signora Potter, di nuovo?!».
Euphemia incrociò le braccia sotto al seno, sconcertata. «Quella povera ragazza» sospirò in un profondo moto di compassione per Lily assistendo ad un’altra scena di lotta tra i suoi due figli che James, mettendo la lettera al sicuro nella tasca del pantalone, fermò sgusciando dalla presa di Sirius per fiondarsi fuori dalla cucina con l’amico alle calcagna.
«Buonanotte!» gridarono all’unisono.
«Non correte sulle scale, non restate svegli fino a tardi e non assillare Lily, James!» si raccomandò Euphemia urlandogli dietro a sua volta con l’accompagnamento musicale di Fleamont, improvvisatosi l’organo della chiesa adibito alla marcia nuziale.
I tonfi sulla scala in legno che seguirono misero ancora una volta in chiaro lo sprezzo delle regole dei loro due figli.
James spalancò la porta della sua camera, fiondandosi dentro ed accendendo con un gesto della bacchetta le candele sparse.
Sirius invece rallentò la corsa fino a bloccarla per lanciare un lungo sguardo alla porta davanti, quella che un tempo era stata la sua stanza e che lo sarebbe stata anche in quel momento se l’estate appena passata avesse ceduto alle insistenze di Euphemia e Fleamont, desiderosi di averlo in casa.
Sapeva che se avesse messo di nuovo piede lì dentro avrebbe trovato gli stendardi Grifondoro, i poster e le foto ancora tutti appesi con orgoglio ai muri, così come al numero dodici di Grimmauld Place. La differenza era che lì, nella camera a due passi da lui, le sue cose stavano in bella mostra senza Incantesimo di Adesione Permanente.
Si avvicinò silenziosamente alla porta, spinse con delicatezza il legno chiaro e il fascio di luce calda delle lampade nel corridoio illuminò il letto in fondo alla camera buia.
Il cuscino con la federa stirata, il copriletto rosso fuoco e, addirittura, una coperta ben piegata da usare in caso di freddo improvviso: quel letto era pronto per accoglierlo come lo erano sempre i Potter, il suo migliore amico compreso.
«SIRIUS!»
Il richiamo da disperato di James lo fece sussultare. Due falcate decise verso l’altra parte del corridoio ed entrò nella caotica ed incredibilmente rossa camera tappezzata di stendardi con leoni rampanti dorati, striscioni che inneggiavano al Grande Cacciatore racattati ad ogni partita, poster dei Puddlemere United, fotografie dei Malandrini di ogni dimensione, una pietosa Pluffa logora autografata da “James Fleamont Potter” a sei anni e il boccino sgraffignato al quinto anno in bella vista sull’unica mensola tirata a lucido, quella riservata al Quidditch con anche le copie illegali- create con l’Incantesimo di Duplicazione- delle coppe vinte da Grifondoro al Campionato di Quidditch di Hogwarts.
«Se hai urlato da isterico soltanto perchè Evans ti ha scritto “Ciao”, stavolta ritieniti già steso con la faccia blu dai pugni che ti darò» esordì Sirius buttandosi sul letto sfatto ed invaso da cartacce di dolci vari.
Con una smorfia di fastidio si portò una mano tra la schiena inarcata e il materasso tirando fuori una scarpa che lanciò a terra senza troppi complimenti.
«Allora? Che dice sua maestà Lily Evans oggi?» chiese rimettendosi mollemente comodo. Le mani dietro la nuca e un mezzo sorriso rivolto al soffitto, Sirius aspettò per qualche secondo una risposta che non arrivò. Spostò allora lo sguardo perplesso su James seduto sulla sedia della scrivania nascosta da una montagna di roba, un gomito poggiato sul tavolo con la mano tuffata tra i capelli ribelli per tenersi la testa e l’altra aggrappata alla lettera, tutto intento a leggerla per la decima volta, come minimo.
Erano giorni che Sirius lo vedeva fare così, fare il cretino, giorni di lavoro straordinario per la lista anti-rimbeccillimento.
Gli insulti erano praticamente esauriti- Idiota, deficiente, smidollato, decerebrato, patetico, ridicolo, cretino, coglione, senza corna, ameba, Serpeverde- e così anche quelli composti- Petetico idiota, coglione decerebrato, Serpeverde smidollato, ameba senza corna, ridicolo cretino- e la violenza fisica- mollette per bucato, Schiantesimi, morsi, cecità forzata senza occhiali, pettine tra i capelli, la Nimbus Mille a mezzo metro dal camino.
 Erano rimasti i primitivi pugni sul naso o occhio (a preferenza, secondo le emozioni del momento) e la violenza psicologica.
Per quanto un pugno in faccia avrebbe sicuramente dato frutti immediati e parecchia soddisfazione, Sirius optò per la seconda opzione premurandosi d’indossare la toga di Messer Felpato rendendo volutamente l’accusa più ufficiale.
«Giuro solennemente di non aver mai visto uno più ridicolo di te in tutta la mia vita in cui, tra l’altro, l’abbondanza di persone ridicole non ha mai fatto carestia» esordì, flemmatico.
Ancora nessun segno di vita dal Cretino. Prevedibile, non stava nemmeno ascoltando. Meglio entrare nel dettaglio.
«C’è questa tizia, la mia vicina d’appartamento, che ogni mattina, pomeriggio e sera spazzola lo zerbino davanti alla porta d’ingresso ogni volta che ci passa sopra con le scarpe. Tiene quella dannata spazzola in borsa, capisci? Sono sicuro che va in giro per strada pulendosi la suola dopo ogni passo. Eppure tu, in una scala di ridicolaggine che va da me- lo zero- a quella tizia, sei cento tacche oltre lei».
Il Cretino continuò a non fiatare. Accettabile. Colpa sua, lo ammise, era stato poco professionale: Il dettaglio doveva prevedere un metro di paragone capace di toccare le corde del cuore, dell’anima, del fegato, dello stomaco e delle corna. E Sirius ce l’aveva.
«C’ è questo tizio Serpeverde che nonostante l’essere un Serpeverde ha il coraggio di girare per la scuola con un naso per faccia e una fontana d’olio per capelli. Nella scala del coraggio ridicolo- positivo, perchè nella ridicolaggine si ha almeno la forza di agire- lui è il dieci, tu lo zero».
Il silenzio continuò a regnare sovrano come il casino in quella stanza. Inaccettabile. Ignorare Mocciosus era assoluta blasfemia.
«C’è quest’altro tizio, a dir poco patetico, che ogni fottuta volta s’incanta come un ebete davanti alle lettere di una ragazza che lo considera a mala pena suo amico perchè il suddetto tizio deficiente preferisce fare l’imbarazzante geloso nei treni. Devi vederlo, Ramoso,  fa una pena! Credimi. Se vuoi te lo presento, ce l’hai in tasca».
L’irriverente guardo sardonico di Sirius restò su James, in attesa che quest’ultimo tuffasse una mano nella tasca dei pantaloni per prendere lo specchietto e conoscere il tizio, ovvero se stesso. Ma James non lo fece. Grave, gravissimo.
«Oh, andiamo!» cercò di svegliarlo lanciandogli la prima cosa che trovò sul comodino lì affianco: una molletta per bucato, quella che lui stesso gli aveva appeso ad un orecchio il giorno prima facendolo urlare dal dolore mentre raccoglievano i panni stesi su ordine di una Euphemia intenta a cercare di recuperare la zuppa mezza bruciata della cena.
I maledetti e per nulla collaborativi riflessi da Cacciatore di James agirono d’istinto, salvando dalla molletta il loro padrone che come se nulla fosse si scostò in tempo.
Sirius grugnì, contrariato e pronto ad alzarsi con un colpo di reni per catapultarsi sul tizio penoso e ammazzarlo di botte- al naso, mi va il naso-ma il tizio penoso staccò la testa dalla mano portando lo sguardo su di lui.
«Cos’hai fatto?» se ne uscì, scrutandolo attentamente da dietro le lenti degli occhiali.
Sirius, la testa sollevata dal cuscino e un ciuffo di capelli davanti agli occhi, inarcò un sopracciglio nero in uno sguardo di vuota riflessione per via della totale assenza di pensieri a disposizione riguardo la domanda fatta con il tipico preciso tono che stava a metà tra “Sono calmo perchè tanto me lo dirai” e “I torturatori russi hanno imparato da me”.
«Tu cos’hai fumato?» domandò a sua volta, totalmente spiazzato perchè, che diamine, cos’aveva fatto di così oltraggioso a parte pensare di spiattellargli in testa l’intera fetta di torta dopo che lui gli aveva schifosamente strisciato come una lumaca le dita viscide di melassa sul profilo.
James doveva ringraziare il fatto che quella fetta era stata come una fonte d’acqua nel deserto e che sprecarla per rendere ridicoli i suoi capelli già ridicoli era  un’assurdità.
«Prima mi hai detto che hai incontrato Liv mentre scappava di casa per andare da Lily» fece James con la sua ridicola faccia sospettosa e corrucciata come se fosse lui quello seriamente turbato per la sua salute mentale ormai andata.
Un silenzio dubbioso aleggiò tra loro. Lo sguardo perplesso di Sirius parve riflettere quello dell’amico.
«É scappata di casa ed è andata da Evans, sì» si decise a confermare scostandosi con uno scatto della testa i capelli dal viso. «Quindi? Non è arrivata a destinazione?» chiese, gli angoli delle labbra leggermente più bassi e gli occhi grigi imperccettibilmente più profondi e seri. Impercettibilmente per tutti ma non per James che si portò una mano agli occhiali per sistemarseli meglio sul naso ad assicurarsi di aver visto bene.
Il volto di nuovo impassibile ed ostentatamente rilassato di Sirius- che aveva codificato il suo gesto del miope- gli diede la risposta: Aveva visto bene esattamente come un’ora prima di cena, quando un apparentemente impassibile Sirius era arrivato in casa informandolo della fuga di “Olivia” con una luce di malcelata meraviglia e stupore negli occhi.
Perchè se c’era una cosa di Sirius che James conosceva come le sue tasche quella era l’apparente fino a diventare ridicola faccia da schiaffi circondata da quei capelli neri sempre davanti, il che significava conoscere ogni più piccola differenza tra quella e la sincera faccia da schiaffi.
Sotto il suo grigio sguardo improvvisamente scandalizzato ed incredulo, James accartocciò la lettera per farne una palla possibile da lanciare e non un tappeto volante che avrebbe raggiunto qualsiasi cosa in quella stanza eccetto Sirius.
Come previsto dai suoi piani, la mini pluffa di pergamena finì tra le mani del suo migliore amico che si mise a sedere sul letto potandola di nuovo al suo aspetto di lettera.

 
 
James (scordati ancora il “caro”:Venti lettere sono abbastanza per convincermi della tua insanità mentale ma non sono nulla per portare questo nostro pseudo legame amichevole a quel punto così intimo),

Liv è arrivata qui da me come previsto ma sta già per andarsene. Dì pure allo Schiantatore che tra un’ora avrà la coinquilina richiesta e che se si azzarderà a sfiorarla sarà lui quello Schiantato. È chiaro il concetto?
Quindi cambio di programma per domani, più o meno: Londra ma non casa di Liv.
Io e Mary passeremo a trovarla domani pomeriggio.
Liv mi ha dato l’indirizzo dell’appartamento.

 
Mai tua,
Lily
 

P.S. La mezzanotte è passata da un pezzo quindi, ok: Buon Natale, James.

P.P.S. Cosa ti fa pensare che io possa assaggiare delle briciole di torta spiaccicate su una pergamena, per giunta riservate ad un gufo?

P.P.P.S Dimmi la verità: É morto, non è così?

P.P.P.P.S. Ok. La torta è squisita.

P.P.P.P.P.S Se come Liv stai stupidamente pensando che io e te siamo simili, hai il cervello fuso come lei. I miei P.S. non hanno l’aria da pazzi psicopatici, è evidente.

P.P.P.P.P.P.S. Sono anche di meno!


 
«Wow! Ti ha detto “Buon Natale”, un passo avanti rispetto al “Ciao”» esordì Sirius, un ampio sorriso e i ridenti occhi grigi spalancati sotto le sopracciglia arcuate in un’espressione sorpresa di certo non dal “Buon Natale” di Lily di cui gli importava tanto quanto a James importava dei suoi tizi ridicoli che affollano la sua vita.
«Quindi non hai dimenticato di dirmi altro, Felpato?»
«Tipo?»
«Tipo un dettaglio importante»
«Pensavo di averti già detto che Olivia ha un gran bel sedere»
«Più importante»
«Cosa c’è di più importante di un bel sedere?»
«Forse l’invitare il bel sedere a casa propria?»
Sirius sfoderò il suo sorriso più malizioso buttando giù dal letto le lunghe gambe e mettendosi lentamente in piedi con disinvolta eleganza, una mano affondata nella tasca dei jeans neri alla ricerca delle chiavi della moto.
«Meglio che vada allora. Non si fa aspettare un bel sedere. Prima regola del gentiluomo» annunciò, serafico, facendo sollevare un sopracciglio a James che si chiese quanto, in teoria, un gentiluomo fosse effettivamente gentiluomo se pensava esclusivamente al sedere di una ragazza invece di che ne so, gli occhi? Le sopracciglia? La punta del naso? Il minuscolo neo sulla fronte? Tutto ciò che sta sopra la linea rossa proibita che va da sotto il mento a, appunto, il sedere?
Ma il fatto importante ed urgente non era quello, il fatto importante ed urgente era che Sirius- sorriso sghembo, mani in tasca, finta postura mollemente rilassata da “Sono così stanco che correre è l’ultimo dei miei pensieri”- stava per scattare verso la porta, di corsa.
E lo sapeva James, e lo sapeva Sirius, che tra il pensare e il fare di Sirius c’era una distanza di un metro e mezzo che equivaleva a quella tra Sirius stesso e la sedia in cui James era seduto in una finta postura mollemente rilassata da “Non mi alzerò mai da qui”.
E lo sapeva James, e lo sapeva Sirius, che tra quei due punti apparentemente tranquilli aleggiava come Nick-Quasi-Senza-Testa la silenziosa domanda: “Perchè diamine hai invitato Liv a casa tua?!” alla quale Sirius non sapeva rispondere e James invece sì.
E lo sapeva James, e lo sapeva Sirius, che Liv era inclusa nel contratto “Protezione Giocatrici Appetibili”.
E lo seppe, James, quando fu il momento di scattare dalla sua postazione. Precisamente quando lo fece Sirius, verso la porta.
 

«Vi ho detto di non correre sulle scale!»
«A domani, Euphemia! Buonanotte, Fleamont!»
«Dove stai andando, figliolo?»
«Papà, bloccalo a costo di buttarti a terra!»
«Ma ti sembrano consigli da dare a tuo padre!?»
«Maledetto il tappeto d’ingresso!»
«Santo cielo, James! Quando ti grido di non correre lo faccio per evitare questo non perchè sono pazza!»
«Ma cosa...?! Non vorrai guidare a quest’ora, figliolo?!»
«GIURO SOLENNEMENTE DI BUCARTI LE RUOTE, FELPATO! SMATERIALIZZATI CON QUELLA MOTO E IO DOMANI TI BUCO LE RUOTE!»
«TORNA IMMEDIATAMENTE QUI, SIRIUS! IL CASCO! TE LE BUCO IO LE RUOTE, QUANT’É VERO CHE MI CHIAMO EUPHEMIA!»
 
 
 
 
*
 
 


 
 
«BLACK, SIRIUS- FACCIA-DI-CULO-BLACK

La mano destra di Sirius, salda attorno al manubrio, allentò la presa e con una certa difficoltà- data dalla velocità della motocicletta sfrecciante sull’asfalto appena fuori Londra- s’intrufolò nella tasca interna del giubbotto in pelle afferrando lo specchietto.
«MI VUOI FAR AMMAZZARE, JAMES-CULETTO-DI-ERBIVORO-POTTER!?» gridò per sovrastare il rombo del motore, i trasparenti occhi grigi attenti sulla strada illuminata dal faro e lo specchio ad un soffio dalle labbra screpolate per l’aria gelata che gli sferzava il viso e i lunghi capelli neri.
«C’È QUESTO TIZIO, RIDICOLO OLTRE OGNI DIRE, CHE SFUGGENDO ALLE DOMANDE SILENZIOSE DEL SUO MIGLIORE AMICO É SALTATO SU UNA MOTOCICLETTA COME UN PATETICO CAGNOLINO DOPO UN FISCHIO DI RICHIAMO SOLTANTO PER RAGGIUNGERE UNA RAGAZZA CHE GLI TIENE TESTA CON UNO SGUARDO E CHE NON GLI SFIORERÁ NEMMENO UN GINOCCHIO! NELLA SCALA DEL RINCOGLIONIMENTO DOVE CREDI CHE STIA?!»
«FOTTITI!»
Un bianco sorriso smagliante stirò il volto seminascosto dai capelli di Sirius.
Lo specchietto tornò in tasca, la mano sul manubrio per accelerare di botto facendo ruggire più forte il motore e scattare in avanti la motociletta con un sussulto.
 
 

 
 
*
 
 
 


 
Era una follia, un’assurdità eppure gli stivaletti neri sull’asfalto si susseguivano sicuri, decisi, come attirati da una forza molto simile a quella di gravità che invece di trascinarla in basso la richiamava in avanti, in quella stretta traversa di Abbey Road semibuia, con i bidoni della spazzatura e il palazzo di mattoni rossi tipicamente inglese.
Era una follia, un’assurdità eppure sul suo viso faceva bella mostra di sè una sincera espressione risoluta.
Aveva fatto il giro largo, Liv, era scesa dal Nottetempo in una zona di Londra distante diversi kilometri da casa sua e dall’appartamento di Black per non trascinarsi dietro eventuali idioti incappucciati.
Con la bacchetta di Sirius stretta in una mano sotto il cappotto aveva camminato così tanto che più di una volta il cervello aveva avuto il tempo di gridarle che cosa diamine stava facendo. Le gambe l’avevano messo a tacere e lei non gli aveva risposto, anche perchè a quella domanda non si poteva rispondere se non facendo appello all’inspiegabile forza magnetica che l’aveva portata lì, lo sguardo rivolto alla finestra con la luce accesa, quella da dove Black cinque mesi prima le aveva parlato, brillo.
Si chinò verso terra, la lunga treccia castana ciondolò ad un lato del collo mentre raccoglieva un piccolo sassolino che lanciò su quello stesso vetro dorato subito dopo.
Un leggero ticchettìo e l’alta figura di Sirius Black apparve quasi immediatamente.
Lui aprì entrambe le ante per affacciarsi con rilassatezza poggiando i gomiti sul davanzale, le sopracciglia sollevate in un’insopportabile aria di sfida, un sorriso appena accennato decisamente pericoloso e gli impenetrabili occhi grigi a guardarla intensamente tra i nerissimi e lucidi ciuffi di capelli.
Semplicemente odioso. E il fuoco parve divampare un’altra volta, vivo.
«Hai ancora un po’ di solidarietà per una ribelle?» esordì duramente Liv. I suoi grandi occhi scuri ardenti di determinazione e per niente imbarazzati lo fecero impazzire come mai prima d’ora. Non potè fare altro che fissarla, perforante, incapace di nascondere il profondo compiacimento nell’averla lì.
Come risposta alla sua domanda il sorriso appena accennato gli si fece più pronunciato, aprendosi con disarmante luminosità. 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
Senza farlo apposta ho pubblicato il giorno del mio terzo anniversario qui su Efp, del compleanno di Fred e George, del decimo “complimese” del mio cane (chi se ne frega, direte voi), di Pasqua (pubblicare il capitolo di Natale a Pasqua è sconcertante) e della caduta del satellite che ci finirà in testa... wow, che giornata quella di oggi.

Riguardo la storia, invece, volevo soltanto dire che la guerra, Peter, i vari misteri e i Serpeverde hanno rubato fin troppo spazio alle dinamiche delle relazioni tra i personaggi, soprattutto quelle tra Liv e Sirius a cui ho dato davvero poco spazio per approfondirsi. Potessi, cancellerei tutto e riscriverei da capo le loro scene. Pazzia e insoddisfazione a parte, dal prossimo capitolo in poi “l’amore”- semplice, litigarello o apparentemente impossibile che sia- avrà maggiore spazio così come la vena ironica (?) che manca da un po’.
Era ora, vero?
Ho notato che gli spoiler vi piacciono parecchio (questa cosa la adoro perchè non avete idea di quanto mi faccia piacere, accenda la mia fantasia e la voglia di scrivere ancora) quindi ve ne lascio due qui:

Prima della rimpatriata di gruppo ci sarà un lungo momento solo Liv e Sirius.
La motocicletta non vola, non ancora.
 

Passando alle note vere e proprie:
Su Pottermore, la Rowling racconta di Petunia e Vernorn da giovani.
Petunia va via di casa a diciott’anni per andare a vivere a Londra (dettaglio importante che tornerà nei prossimi capitoli) per lavorare come dattilografa nella ditta dove incontra Vernon.
Vernon ha scoperto l’esistenza della magia soltanto dopo aver chiesto in sposa Petunia, cosa che è avvenuta molto formalmente nel salotto di casa Evans quando Lily era ancora al settimo anno. Ho pensato che il Natale 1977 fosse l’occasione giusta.

L’incontro in ristorante (informazione della Rowling) tra Vernon, Petunia, Lily e James arriverà quando gli ultimi due staranno insieme, ovviamente. Molto probabilmente lo inserirò in questa storia che terminerà a fine anno scolastico, M.A.G.O. compresi.
 
Non ho voluto raccontare l’intera fiaba di Beda il Bardo per non annoiarvi più di quanto non abbia già fatto questo capitolo un po’ di passaggio. Se non l’avete mai letta vi lascio un riassunto qui: http://www.giratempoweb.net/gw11/jkr/le-fiabe-di-beda-il-bardo/la-fonte-della-buona-sorte/
 
*Il Railview Hotel è l’hotel di Cokeworth in cui zio Vernorn porta Petunia, Dudley e Harry quando stanno cercando di seminare le lettere di Hogwarts in H.P. e la Pietra Filosofale (pag. 44).

* Il Christmas Crackers fa parte della tradizione natalizia inglese che anche la Rowling ha inserito nella saga. É una specie di petardo a forma di caramella che, venendo tirato agli estremi da due persone, scoppia liberando le ‘’soprese’’ al suo interno.
 
 


Vi auguro una bellissima Pasqua, anche se ormai è quasi finita quindi diciamo pure una bellissima Pasquetta, per domani.

















 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** 34. Fiducia Tradita ***


Anche stavolta sento di dover dedicare un capitolo intero a qualcuno,
a Starlight1205, Haley James Scott, Iva27, StefyMagic96, Brid,
il_bosco_di _Lothlorien, Thalassa_, Writer96, LadySissi, Gracialuoros,
Sjlmrefa, lella minerva, Margaret24, Lightonyourface,
 Vin94,  AmicaLuna4, gohan supremo il migliore, vittoriaM20
che non sento da un po’ ma che mi sono rimasti nel cuore con le bellissime parole che mi hanno lasciato.
E a tutti i lettori silenziosi che non conosco e che spero di non deludere.
 
 
 
 
 
Capitolo 34
 
FIDUCIA TRADITA
 
 
 
 
 
«Cos’è quel sorrisetto?»
«Quale sorrisetto, Olivia?»
«Lo sai benissimo»
«Illuminami, ti prego»
«Quello da “Inchinati a me, ho vinto io”»
Liv, costretta ad osservagli la schiena e le spalle mentre salivano le scale, lo sentì ridere sottovoce.
Pochi istanti prima, dal davanzale, Sirius l’aveva invitata a salire al secondo piano e lei l’aveva fatto, o meglio, ci aveva provato perchè appena aperto il portone d’ingresso del palazzo se l’era ritrovato davanti, pronto a prenderle di mano il baule per trascinarselo dietro senza sforzo e senza che lei potesse fare o dire niente di fronte a quel gesto che l’aveva lasciata con uno scettico sopracciglio sollevato, ancora incapace di abbassarsi.
«Nemmeno mi vedi in faccia, Olivia»
«Lo immagino»
 Sirius le lanciò un’incuriosita occhiata sfuggente da sopra una spalla, quel furbo sorrisetto sbieco come conferma della sua ipotesi.
«Sei venuta tu qui, di tua spontanea volontà, quindi in un certo senso...» buttò lì lui con insolente eloquenza guardando nuovamente davanti a sè senza riuscire ad abbassare la curva delle labbra.
«In un certo senso niente» replicò lei, brusca «Ho accettato il tuo invito, non mi sono arresa a te»
«Tu dici?» la provocò in tono sfrontato Sirius appositamente per farla impazzire.
Liv infatti boccheggiò di sconcerto.
«Mettiamo subito in chiaro le cose, Black» iniziò arrivando al pianerottolo subito dopo di lui che con il sorriso sghembo restò a scrutarla, divertito, lasciando il baule a terra per poggiarsi con aria rilassata alla porta chiusa del suo appartamento.
«Primo, sono qui perchè non ho altro posto dove andare e se ci sono è soltanto perchè tu me l’hai offerto. Secondo, la tua bacchetta ce l’ho ancora ioTerzo, anch’io ti ho salvato la vita. Quarto, qualsiasi mobilio nominerai con intenti maliziosi io gli darò fuoco» concluse Liv provando un totale rifiuto verso l’aura per nulla collaborativa dello stronzo che annuiva, fintamente interessato, davanti a lei.
«Hai finito?» le chiese infatti Sirius facendola ribollire ulteriormente. Lui sorrise di fronte a quell’inspiegabilmente adorabile broncio furibondo per poi darle le spalle aprendo la porta di casa con un giro di chiave. Non sentendo dei passi dietro di sè, fu costretto ad aggiungere dell’altro.
«Ti devo pregare di nuovo, Olivia?» l’invitò ad entrare trascinando dentro il baule.
Liv tentennò, gli occhi scuri guardinghi. «Aspetta» rispose stando ferma sull’uscio come se, oltrepassando quello stipite, l’aspettasse l’inferno o qualcosa di molto simile.
Sirius, bloccato dal suo tono imperativo, si voltò verso di lei con espressione interrogativa. Vedendola abbassare per un breve attimo lo sguardo vagante sul pavimento, come se parlare le costasse un’immensa fatica, inclinò lievemente la testa di lato socchiudendo gli occhi grigi improvvisamente attenti per quello strano, anche se piccolissimo, comportamento di certo nuovo su di lei.
«Quanto ti devo dare?» si decise a parlare Liv apparentemente impassibile quando invece ogni nervo, muscolo, cellula del suo corpo fremeva d’orgoglio al cospetto dell’insopportabile fugace sorriso che increspò le labbra di Sirius.
«Come scusa, Olivia?»
«L’affitto» specificò Liv con un gesto scocciato della mano «Quanto vuoi di affitto?»
«Niente» fece lui, scrollando le spalle.
Il sopracciglio castano si arcuò ulteriormente, perplesso. «Sì, certo» commentò lei sarcastica. «Dai, dimmelo» ordinò subito dopo incrociando le braccia al petto.
«Ti ho detto niente» ripetè tranquillamente Sirius facendole assottigliare gli occhi scuri. «L’ho comprato, Olivia, ho comprato questo appartamento. Non abbiamo padroni, qui» spiegò guardandosi ironicamente intorno alla ricerca di qualcuno in quella stanza che lei si ostinò ad ignorare.
«Sei tu il padrone, Black, io sono soltanto una coinquilina che paga l’affitto» informò in tono ovvio.
Sirius sbuffò posando il baule a terra. «Sei una coinquilina e basta, non devi darmi niente» la corresse tuffando le mani nelle tasche.
Liv fece per ribattere ma serrò subito dopo le labbra, spiazzata. Lo fissò, incapace di riconoscere quello che non sembrava più un nemico da combattere, da zittire.
«Vieni» disse con noncuranza lui dandole le spalle ancora una volta.
«Non ci sto» obiettò prontamente Liv sporgendosi un minimo oltre la porta  per farsi sentire meglio e fermarlo, riuscendoci.
Sirius arrestò il suo incedere rilassato portando il volto ridente al soffitto come se non avesse aspettato altro.
«Non ci sto qui senza pagare. Per chi mi hai preso?» proseguì con forza lei «Non sono... non ho bisogno della tua pietà».
A quell’ultima parola, Sirius abbassò immediatamente la testa girandosi verso di lei, accigliato. Lo sguardo improvvisamente pensieroso la studiò intensamente per qualche secondo, ascoltandola parlare ancora piantata sul pianerottolo come se un incantesimo non le permettesse di entrare.
«L’invito a stare qui, il prendermi il baule sulle scale e adesso... questo!» continuò Liv sentendo un certo fastidio scorrere nelle vene, sentendo di essere stata in qualche modo fregata da quegli occhi grigi, fregata da quell’assurda promessa di libertà che l’aveva fatta arrivare fin lì e che ancora brillava in quelle iridi come un assurdo controsenso.
E proseguì, Liv proseguì con l’intenzione di parlare chiaro, di essere schietta fino in fondo proprio come lo sguardo trasparente che poche ore prima l’aveva inchiodata con le spalle alla porta di quella che non era più casa sua e contemporaneamente era riuscito a smuoverla, a farle fare un passo verso i gradini.
Lo fece perchè era sempre stato il suo modo di agire con tutti, per andare a fondo in quello sguardo che non sapeva d’inganno, di menzogna.
Onestà contro onestà come erano abituati a fare anche con gli insulti più pesanti, ma mai riguardo ciò che batteva e scaldava al centro del petto. Entrambi percepirono, guardandosi a vicenda con l’intenzione di vedersi davvero, che tutto d’un tratto si erano fatti intensamente seri.
«Questa non è solidarietà» sibilò in una smorfia Liv «è pietà e io non voglio la tua pietà, Black»
«Non mi fai pena» annunciò altrettanto schietto Sirius, profondamente toccato dall’insinuazione ridicola e dalla fervida convinzione con la quale Olivia aveva tirato fuori quella frase.
Liv, le sopracciglia aggrottate a sua volta per il tono decisamente duro che Sirius aveva usato, l’osservò storcendo il naso più confusa e sorpresa di poco prima.
«Non lo faccio per pena. Nessuna delle cose che ho fatto le ho fatte perchè mi fai pena» proseguì lui. Sembrava addirittura offeso con i lineamenti sconvolti, seriamente oltraggiati.
Lo sguardo grigio così intenso, così attento, profondo, assorto su di lei, continuò a non dargli la spiacevole e odiosa sensazione di essere compatita o di essere trattata diversamente dal solito, ma soltanto capitarispettata.
Lo sguardo così diverso da quello dei signori Evans, di Lily,  Mary, Silente, James, Remus, Madama Chips, la professoressa McGranitt, la signora Connolly, Diana e tutti quelli che le avevano fatto le condoglianze al funerale.
Lo sguardo che la faceva sentire intera e forte come quattro giorni prima e non rotta in mille pezzi senza senso.
Lo sguardo che continuava a suggerirle di potersi fidare e che cominciava a convicerla davvero a dispetto delle sue radicate convinzioni.
«E perchè ti sorprendi tanto? Non è la prima volta che trasporto questo baule» fece Sirius sciogliendo il serio cipiglio per frugare con occhi attenti il viso di Liv, improvvisamente contratto come quell’ultimo giorno del primo anno di scuola quando l’aveva trovata in difficoltà con quello stesso baule sulle scalette dell’Hogwarts Express, pronto per portarli di nuovo a Londra.
«Quando mai ti ho trattata davvero male, Olivia? Sentiamo» l’incitò, ridente «Forse quando, al terzo anno, ti ho messo la sedia della Sala Comune sotto al didietro prima che tu potessi sederti nel vuoto e finire sul pavimento? Quando al secondo anno ti ho detto di sistemarti meglio i paraorecchi alla prima lezione con le Mandragole, perchè li avevi poggiati male? Quando ti ho allontanato dal tuo calderone prima che tutta la  bollente Pozione Restringente schizzasse ovunque rendendo metà aula di Lumacorno una casa delle bambole in miniatura? Oppure quando ti ho mandato Peter alle calcagna per non restare da sola a Hogsmeade, settimane fa? Perchè mi pare di capire che trattarti gentilmente significhi farti uno sgarbo, come quando ti ho preso al volo per non farti tuffare sulla cacca di civetta in Guferia».
Con un sorriso appena accennato osservò Liv, labbra serrate e sguardo spiritato, fissarlo per un fugace attimo prima di ridere, incredula, arricciando l’intera faccia in un’espressione sconcertata.
«Black» iniziò facendogli sollevare le sopracciglia nerissime.
«Dimmi» rispose lui ostentantamente affabile.
«”Trattarmi gentilmente” dici?» chiese Liv sul punto di esplodere in un’altra risata esterrefatta.
Sirius annuì, un’espressione sfrontata sul viso. «Ti ho appena fatto un minuzioso elenco...»
«Un minuzioso elenco che non comprende la miriade di azioni da piccolo bastardo arrogante rivolte non soltanto a me ma all’intera Hogwarts, mi pare» precisò prontamente lei, sussultando poi per la tipica chiassosa risata-latrato scoppiata nell’appartamento.
«Tipo?» fece lui tra le risa che gli si spegnevano sulle labbra incapaci di abbassarsi. Adorava quel suo modo di essere schietta, con tutti, dal primo anno. Adorava il modo in cui si era sempre difesa da sola- allontanandolo quando aveva provato ad intervenire- con la bacchetta o le parole, anche contro quelli più grandi di lei compreso Malfoy che l'aveva tormentata per il suo cognome dal primo anno. Ad Olivia non interessava prendere punizioni, perdere punti o rischiare di inimicarsi figli di Mangiamorte per difendere se stessa.
«Tipo lanciarmi i muffin da sotto il Mantello dell’Invisibilità di James nelle Cucine» cominciò lei «Tipo insultarmi su quella pergamena tirando in ballo il mio cervello e chiamandomi mostriciattolo».
Sirius rise ancora, piano. «Ti ho già detto che quella è l’eccezione alla regola della “pergamena che non mente mai”» le mormorò socchiudendo lo sguardo allusivo seminascosto dai capelli neri «e il fatto che ho provato a baciarti al quarto anno- ricevendo in cambio uno schiaffo che mi ha lasciato la mascella lussata per una settimana, piccola bastarda arrogante- dovrebbe convincerti della cosa»
«Hai provato a baciarmi per una miserabile vendetta!» proruppe Liv, il viso completamente stravolto dallo sgomento per l’incredibilmente irritante bravura di Black nel rigirare le frittate a suo piacimento. «Per farla pagare a Paul che aveva risposto alle domande ossessive di Jane Phillips dicendole che ti aveva visto accettare l’invito ad uscire di Vicky Hopkins subito dopo il suo! Tra l’altro è colpa tua, vero piccolo bastardo arrogante, se dopo quel giorno io e lui non ci siamo più visti».
Sirius storse il naso in una smorfia divertita, ma dall’aria per nulla d’accordo con quella versione della storia, limitandosi però a piegare brevemente la testa come a sciogliere della tensione sul collo.
Quello schiaffo gli risuonava ancora sulla guancia, nel petto, nella testa insieme a tutto l’orgoglio ferito, tutto lo stupore, la sorpresa, tutta l’irrefrenabile voglia di sfida che quel giorno si era accesa in lui nei confronti di Olivia, l’interessante ragazzina che esteticamente parlando gli era piaciuta fin dallo Smistamento, la ragazzina impossibile da non far arrabbiare perchè troppo divertente da vedere in balìa della rabbia.
«Be'» fece, sfoggiando la sua migliore faccia di bronzo «Ti è andata bene, no? Dare il primo bacio a Paul Whitmore sarebbe stato elettrizzante quanto baciare un manichino. Ho salvato la tua vita sentimentale, Olivia».
Liv sollevò causticamente un sopracciglio in risposta. «E così il mio primo bacio l’ho ricevuto un anno dopo da un Serpeverde con la mania di affibbiare a tradimento nomignoli dal dubbio gusto» raccontò sarcasticamente entusiasta. «Meraviglioso, mi è andata alla grande. Grazie, Black, te ne sarò immensamente grata per tutta la vita. A proposito, se la volpe si mangia le galline è anche per questo motivo: mi hai ucciso il gallo cambiando il destino che mi ha poi fatto incontrare un pollo».
Sirius rise, rise di cuore. «Non è colpa mia se ti sei fidata di un Serpeverde e soprattutto se hai rifiutato il mio. Pensa cosa ti sei persa: il tuo primo bacio ricevuto da Sirius Black in persona! Il vero gallo!» esclamò portandosi le mani ai lati della testa, scherzosamente in visibilio. «Wow! Una di quelle cose che si raccontano ai nipoti!».
Lo sguardo impassibile e severo di Liv, fisso sul suo, gli smontò tutto l’impeto.
«Non essere triste, Olivia» la rassicurò in un’attraente broncio divertito «Non sono stato il tuo primo bacio ma sarò l’ultimo, promesso».
Il cinico sopracciglio già arcuato di Liv si sollevò ulteriormente portandolo alla resa definitiva.
«Ok. Non posso negarlo. Sono un piccolo bastardo arrogante, sì» ammise senza problemi piantandole con più insistenza gli occhi grigi addosso.
Liv stirò le labbra in un sorrisetto completamente concorde. «E... ?» lo invitò ad aggiungere dell’altro in una tacita intesa che trovò subito risposta.
«E quello schiaffo me lo sono meritato» l’accontentò Sirius, disinvolto, facendola annuire soddisfatta. Per un attimo, entrambi i sorrisi sui loro visi parvero farsi sinceramente divertiti, contagiandosi a vicenda.
«Ma non puoi cancellare quell’elenco minuzioso, Olivia, non puoi» la stuzzicò Sirius allungando con fare insolente il collo nella sua direzione. Il sopracciglio di Liv raggiunse vette mai sfiorate prima, al contrario del sorriso che si spense come una candela al vento.
«E non puoi quindi sorprenderti in quel modo davanti ai miei gesti» riprese  suadentemente Sirius allargando le lunghe braccia ai fianchi.
«E cosa dovrei fare allora, mh? Fidarmi?» sbottò sarcasticamente Liv come se anche soltanto il pensiero di quella possibilità fosse una cosa folle senza le sue condizioni riguardo l’affitto.
Lui scrollò velocemente le spalle, le sopracciglia e il labbro inferiore sollevati verso l’alto in un muto “Vedi un po’ tu”. Il viso per nulla convinto di Liv lo fece sospirare silenziosamente in un sorriso vagamente frustrato.
«Non ti conosco da ieri, Black, ma da anni. Sei e mezzo, per la precisione» specificò lei, decisa «Se mi fiderò verrò accoltellata alle spalle come hai sempre fatto dopo uno di quei gesti dell’elenco. La fiducia non ti casca in testa così, devi meritarla o concedermi di pagare l’affitto».
Sirius sollevò gli occhi al soffitto, apparentemente annoiato. «Sai una cosa, Olivia? Tu ti sei meritata tutte quelle azioni da piccolo bastardo arrogante invece» rivelò squadrandola attentamente schiudere le labbra, disorientata e decisamente sbigottita.
«Seriamente, Black?»
«Ho perso due Galeoni ogni inizio anno, dal terzo fino a quello scorso»
«E io cosa c’entro con il tuo essere un idiota, esattamente?»
«Ho sempre scommesso sulla tua entrata in squadra, ecco cosa c’entri tu»
Liv, visibilmente scossa, tacque all’istante spalancando visibilmente gli occhi scuri. Sirius ne approfittò per proseguire, l’aria indifferente come se non avesse appena ammesso di aver creduto in lei fin dal terzo anno.
«Fortuna che sei praticamente una testarda pazza furiosa» commentò compiaciuto.
Lei faticò non poco ad aprire la bocca, totalmente sconvolta ed incapace di crederci.
«Perchè diamine avresti scommesso su di me quando ogni secondo sabato di settembre mi dicevi che l’unica cosa che avrei potuto fare in campo era il bolide?» chiese posando sullo stipite una mano che Sirius osservò con sguardo baluginante, velatamente supplicante, prima di risponderle riportando tutta l’attenzione di nuovo sul suo viso, nei profondi occhi marroni così intensi da attirarlo fisicamente.
Ma non si mosse, rimase fermo al suo posto trattenendo a fatica il desiderio bruciante di avvicinarsi, di dar retta al suo corpo sempre così ricettivo al suo. Doveva essere lei ad entrare.
«Il primo provino al secondo anno non ti era andato male a parte il labbro spaccato di Matt Parker che aveva “osato” spingerti per rubarti la Pluffa» spiegò noncurante «Insomma, eri brava perchè non scommettere?».
La verità, la semplice e pura verità. Aveva sempre saputo che Liv sarebbe riuscita ad entrare in squadra nonostante per anni lui avesse sempre ostentato il contrario in una continua e voluta sfida che Liv aveva sempre inconsapevolmente accettato, non arrendendosi mai fino a far vincere entrambi.
«Mi stai dicendo che ti sei vendicato per una cosa del quale io non sapevo nulla?!» sbottò Liv, gli occhi socchiusi così cupi e diffidenti da sembrare neri tra le lunghe ciglia.
«Sono un piccolo bastardo arrogante, Olivia, ricordi?» si giustificò lui, due lame per occhi e il solito sorrisetto indifferente stampato in faccia al quale Liv non credeva più da quel lontano primo sabato di ottobre a Hogsmeade passato a sfidarlo tra gli scaffali di Zonko e a parlare con lui in fila alla cassa del vestito nuovo di Diana Connolly e delle teste mozzate degli elfi che facevano paura a Regulus Black.
«Un piccolo bastardo arrogante, non dimenticarlo» ripetè Sirius senza abbassare il sorriso.
Era così che lui si sentiva davvero, era così che gli altri dovevano vederlo perchè non riusciva ad essere altro (non la maggior parte delle volte almeno), perchè non aveva nessuna intenzione di illudere e deludere altre persone quando immancabilmente sbagliava qualcosa rovinando tutto senza sapere nemmeno come, non aveva voglia di sentirsi addosso altri sguardi feriti, oltraggiati, amareggiati come quelli di James, Remus e Peter dopo la tragedia sotto al Platano al quinto anno o come quello di Regulus la notte in cui era scappato di casa.
Se le aveva rivelato quel piccolo particolare non così da bastardo arrogante era soltanto perchè inspiegabilmente tutto quello che voleva era che lei si fidasse, che entrasse in casa.
Con sua sorpresa Liv sorrise, un sorriso sprezzante ma sinceramente divertito al contempo che Sirius, restando ad ammirarlo lievemente intontito, trovò assolutamente attraente.
«Già, lo sei un piccolo bastardo arrogante» lo sbeffeggiò lei, ridente e non del tutto sicura per il semplice fatto di avere un tetto sopra la testa per merito di quel piccolo bastardo arrogante «Non potrai mai trovare qualcuno più d’accordo di me su questo dato di fatto e, stanne certo, non lo dimenticherò mai».
Sirius sollevò di poco il mento, il sorriso stirato ulteriormente. «Ottimo. Però adesso i miei due Galeoni della vittoria di quest’anno li ho, Cercatrice» sottolineò abbassando suadentemente la testa per guardarla di sottecchi con una certa malizia «Sto ancora pensando a come spenderli»
«Stai dicendo che la vendetta nei miei confronti è finita?» chiese Liv, scettica «Black, siamo a dicembre ed è da settembre che mi tormenti, eppure i Galeoni li avevi»
«Sicura?»
«Certo che sono sicura»
«No perchè ho ricominciato con gli scherzi soltanto dopo essere stato praticamente attaccato da te, dalla tua vendetta»
«I peli del coniglio sul divano della Sala Comune prima dell’allenamento dove li lasci?»
Sirius, interdetto, schiuse le labbra girando di poco la testa da un lato, fissandola sbieco. Si morse la punta della lingua per evitare di rivelare che quello scherzo in realtà non era stato altro che pura casualità dovuta alle pulci di Felpato.
«E tutto il primo e secondo anno?» continuò Liv, incalzante.
«Quali primo e secondo anno, scusa?» negò fino allo stremo Sirius trattenendo una risata davanti all’aria di sufficenza di Liv che riprese, sistemandosi dietro un orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla treccia semidistrutta.
«Tornando alle cose serie e vere. Se non mi fai pagare l’affitto allora divideremo le bollette» propose con risolutezza facendolo sorridere al cospetto di quella sua irresistibile abitudine a non lasciarsi abbindolare da nessuno «O così o niente, Black»
«Andata» concesse lui sorprendendola ancora una volta per la velocità con la quale aveva risposto. «Lo capisco» le disse scrutando profondamente i suoi occhi marroni guardarlo perplessi, una ruga tra le sopracciglia castane.
La capiva e capiva l’orribile e degradante sensazione nell’avere addosso uno sguardo colmo di pietà com’era stato quello di tutti quando era scappato di casa, quando era rimasto senza una famiglia, quando usciva fuori il nome di Regulus. Una sensazione che faceva sentire deboli, diversi da come si era stati prima della tragedia, da come si voleva essere ancora. La capiva e capiva l’odio che Olivia provava per la parola “pietà” perchè era anche il suo.
La capiva, ancora una volta, e ne era affascinato e spaventato al contempo.
La vide allungare lentamente una gamba e il suo viso si rilassò, i trasparenti occhi grigi sempre fissi su di lei si fecero più intensi sotto i ciuffi di capelli neri che gli sfioravano i magri zigomi alti.
Liv mise finalmente piede nell’appartamento, colpita in pieno da quel “Lo capisco”, fervente  quanto lo sguardo cristallino che aveva ancora addosso, travolgente quanto la sensazione di libertà provata ore prima insieme a Black, vera come nessuna delle cose che aveva mai provato prima.
Si chiuse con cautela la porta alle spalle guardandosi furtivamente attorno sotto l’occhio vigile di Sirius.
La stanza non era grande, ma molto accogliente. Davanti, una finestra senza tende faceva intravedere i tetti e le luci di Londra dietro al vetro. Sulla destra c’era la porta aperta di un’ancora più intima cucina, alla sinistra un piccolo arco dava su uno stretto e breve corridoio con altre porte.
L’arredamento era decisamente improvvisato e mal assortito, lo stretto necessario ma piuttosto al passo con l’ultima moda babbana: un grande divano rosso pieno di cuscini dall’aria comoda e una bassa poltrona in velluto multicolore stavano davanti ad una piccola televisione.
Sui muri tinti di bianco (forse per nascondere l’orribile carta da parati psichedelica che Liv intravide in un punto dimenticato appena sopra il battiscopa) soltanto delle locandine di concerti di varie rock band, diverse foto dei Malandrini accuratamente  incorniciate  e uno strano pezzo di stoffa rosso scuro che mostrava fieramente quello che sembrava uno stilizzato albero genealogico dorato dipinto a mano con una luna piena come unico capostipite e quattro animali per ramo, capeggiati da una frase scritta nella scanzonata grafia di James: “La Nobilmente Grifondoro e Nuovissimamente ignifuga Casata dei Malandrini. Toujours malfattor”.
Liv, stranita, cercò spiegazioni nello sguardo di Sirius trovandolo già posato su di lei, vivace ma criptico.
Come si aspettava, lui non parlò e lei lasciò perdere vagando con gli occhi altrove.
Tutto lì dentro era colorato, colorato come Liv non si era immaginata di trovare. Colorato, luminoso e sfacciatamente babbano: nessuna candela, soltanto lampade di colori e forme diverse orgogliosamente attaccate alla presa della corrente; il telefono scarlatto si divideva lo spazio con un posacenere sopra un nero e lucido sgabello a tre piedi; il giradischi in bella mostra su una bassa mensola, circondato da parecchi album che Liv riconobbe subito: Beatles, Rolling Stones, Queen, Doors, Ac/Dc, Guns N’ Roses e altri, tutti ben impilati con un’ordine quasi maniacale contenuto solamente in quella zona della stanza.
Tutto lì era sfacciatamente babbano- anche se messo alla rinfusa come un babbano non avrebbe mai fatto- e, sempre sfacciatamente, da Black.
«Che accidenti ci fa una motocicletta in salotto?» chiese incredula quando, voltandosi alla sua sinistra credendo di trovare un normale appendiabiti da ingresso, posò lo sguardo allibito sull’enorme motocicletta nera che occupava un quarto della stanza.
«Hai davvero tutti Eccezionale in Babbanologia? Sul serio? Scambiare il garage con il salotto è roba da Desolante, Black» commentò facendolo ridere.
«Non ho il garage e la strada non è di certo il posto per la mia bambina» spiegò infilandosi pigramente le mani nelle tasche posteriori dei jeans scuri senza smettere di guardarla.
Liv gli lanciò una fugace occhiata vagamente divertita prima di riportare il viso verso la moto.
«In effetti» convenne pensando con un tuffo al cuore alla sua scopa ormai cenere che mai e poi mai aveva pensato di lasciare “parcheggiata” sul marciapiede.
Allungò una mano per toccare il manubrio scintillante venendo però istantaneamente fermata dalla voce di Sirius che non le aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante studiando ogni sua mossa, ogni sua espressione.
 «Sfiorala e sei morta» l’informò sorridente.
Liv rise sollevando entrambe le sopracciglia, una risata contagiosa ed irresistibile che scosse profondamente Sirius lasciandolo piacevolmente stranito.
«Quindi se prima ci fossi salita sarei rimasta secca?» chiese lei piegando il viso di lato, il collo lasciato libero dalla treccia scivolata oltre la spalla seguita dallo sguardo concentrato di Sirius che, ridandosi un tono, sorrise a sua volta cogliendo la sua pungente provocazione colma, però, di scherzoso scherno.
«Certo che no» rispose come se fosse praticamente impossibile morire su una moto guidata da lui «ma ormai quella è off limits per te, Olivia» spiegò stringendosi nelle spalle, fintamente dispiaciuto.
«É una cosa che non m’interessa, Black» gli fece sapere in un altro sorriso, Liv, allontanandosi da lì con falsa aria menefreghista accentuando la curva sulle labbra di Sirius che rimase a scrutarla in silenzio, sfilando le mani dalle tasche per appoggiarsi con un fianco al retro della spalliera del divano chiedendosi come diavolo si erano ritrovati a dirsi schiettamente le cose in faccia, a parlarsi onestamente e ridere in quel modo, con sorprendente semplicità, immersi in quella familiare e stuzzicante aria di sfida tutta loro che si era fatta quasi giocosa senza perdere la scintilla, l’adrenalina travolgente che l’aveva sempre acceso.
Vedendola fermarsi davanti al giradischi si staccò silenziosamente dal divano per raggiungerla senza farsi sentire, le mani di nuovo nelle tasche posteriori e un sorriso appena accennato sul viso.
Le arrivò vicino, alle spalle, osservando le sue dita sottili sfiorare gli album. Quando fu a meno di un passo da lei riuscì a sentire distintamente il suo leggero profumo intrigante, l’irresistibile attrazione che il suo corpo emanava ogni volta, richiamando il suo, farsi più pressante, incontrollabile.
Si limitò a perlustrare con sguardo assorto la curva del collo libera dalla treccia castana ciondolante sulla schiena, si costrinse a non posarle le mani sui fianchi, a non avvicinare la punta del naso su quella pelle candida e all'apparenza morbida, a non chiederle perchè mai non fosse rimasta da Evans, a non domandarle come si sentisse e perchè avesse le occhiaie e gli stessi vestiti del funerale. Non era il momento, proprio per quei vestiti e per quelle occhiaie.
Si chinò, per eliminare i quindici centimetri che lo separavano dal suo metro e sessantacinque, e schiuse piano le labbra.
«Vuoi per caso ballare, Olivia?» le sussurrò all’orecchio, sorridendo.
Lei trasalì mentre un brivido le percorreva l'intera spina dorsale e Sirius ghignò osservandola mollare il disco dei Beatles girandosi di scatto verso di lui con i grandi occhi scuri spalancati, la bocca socchiusa e le sopracciglia che subito si avvicinarono a formare il suo grazioso cipiglio battagliero.
«Fammi vedere dove posso dormire, piuttosto» ordinò Liv spintonandolo leggermente con un gomito per levarselo dai piedi «Se è il divano credo proprio sia il caso di mettere in chiaro anche le regole per la privacy»
«Di qua» rise lui facendole un cenno con la testa per seguirlo nel piccolo andito.
Liv, ancora scossa internamente dal respiro sull’orecchio, gli andò dietro tenendosi a debita distanza.  
«Prego» fece Sirius in un sorrisino sbieco, palesemente pericoloso, accendendo la luce e poggiandosi con la spalla allo stipite della porta aperta lì davanti.
Scoccandogli un’occhiata sospettosa, Liv gli arrivò al fianco guardando poi la camera che le si stagliò di fronte.
Un ordinato letto ad una piazza e mezzo regnava sovrano insieme ad un armadio in legno chiaro, una scrivania piena di roba e un baule sotto ad una finestra, il baule con le iniziali S. B. sulle quali Liv si soffermò per una manciata di secondi in più, spaesata.
«Vuoi spiegarmi?» esordì dopo un istante di silenzio attonito.
«La camera da letto» esaudì la richiesta lui indicando la stanza con un gesto elegante del braccio senza distogliere lo sguardo da lei che ricambiò l’attenzione, palesemente molto più perplessa della sua.
«Ho capito che è una camera da letto» fece Liv in un sorrisino affettato «ma è la tua» gli fece notare accentuando il sorrisetto ironico.
«L’unica e sola» canticchiò Sirius allegramente e il volto di Liv divenne immediatamente sepolcrale.
«Stai scherzando?» chiese fissandolo impassibile.
«Certo che no. É un letto davvero spazioso, te l’assicuro, non ci saranno problemi» rispose soavemente lui. Liv parve non ascoltarlo minimamente.
«Mi stai dicendo che tu mi hai invitato qui sapendo che c’era un solo letto?» evidenziò l’assurdità della cosa corrugando la fronte.
Lui approfondì l’occhiata furba. «Sì, Olivia, un solo letto. Oh, Merlino» rispose fingendosi sconvolto.
Liv lo scrutò a lungo, serissima, prima di ribattere. «Questa è la tipica coltellata di cui parlavo prima, Black» sentenziò velenosa e la risata sommessa, profonda, spontaneamente divertita di Sirius le fece venire un brivido lungo la schiena che non riuscì a decifrare perchè a metà strada tra la sorpresa di sentirlo così vicino, amichevole, vero e l’odio per la meschinità del gesto che le aveva riservato.
«Perfetto! Ridiamoci su!» escalmò, sarcastica. «Addio» lo salutò, nemmeno lontanamente delusa, facendo per andarsene a passo di marcia.
«Dove vai?» la fermò Sirius, il largo sorriso ancora sul volto. «Torna qui» rise prendendola delicatamente per un polso sottile facendola pericolosamente indietreggiare verso di sè, troppo vicino come non si era aspettato nemmeno lui.
«Quello era soltanto uno scherzo innocente» le sussurrò sfiorandole il naso con il suo provocando in entrambi i familiari ma sempre sorprendentemente nuovi e travolgenti brividi sotto pelle. Il sorriso completamente sparito gli lasciò le labbra rilassate e dischiuse come quelle di Liv, separate dalle sue soltanto da un denso respiro sospeso, carico di bruciante bramosia che sembrava consumarle entrambe. Sirius le fissò con insistenza, completamente assorbito, offuscato, combattendo contro l’impellente voglia di toccarle, di premerci sopra le sue, divorandole.
Per non lasciarsi trascinare da quel richiamo viscerale e per non perdere l’ultima briciola di controllo sempre eccezionalmente precario quando il suo corpo percepiva quello di Liv ancora prima della sua mente, lottando con il cervello per rincorrerlo, si costrinse a sollevare lo sguardo, sprofondando nei vicini grandi occhi scuri scoprendoli fervidi, tremanti, dilatati, capaci di devastare i sensi ma sempre più lontani perchè Liv provò a divincolarsi dalla sua presa e lui la lasciò andare quasi all’istante aprendo le dita avvolte attorno al suo polso che si era portato al petto senza neanche accorgersene.
La lasciò andare perchè quello era il volere di Liv e perchè si era appena accorto dei suoi occhi appesantiti dalle occhiaie dell’ insonnia e delle sue labbra screpolate martoriate in più punti, come se fossero state torturate ripetutamente e per più giorni dalla morsa dei denti.
La lasciò andare lottando con tutto se stesso contro la pressante tentazione di baciarla con trasporto, con foga, liberando la trepidante frenesia che sentiva fremere e scalpitare in impaziente attesa tra i loro profili.
La lasciò andare senza riuscire a smettere di scrutarle avidamente il volto, le labbra, ispezionarle gli occhi con i suoi attenti, perplessi, preoccupati.
La lasciò andare perchè le occhiaie e le screpolature erano soltanto la misera punta dell’iceberg di dolore che Sirius vedeva muoversi ingombrante e corrosivo nei due pozzi marroni che sembravano affogare in quel mare buio con un grido muto.
La lasciò perchè Olivia era violacea e spaccata anche dentro e non gli aveva permesso di entrare.
«Questa cos’è?» chiese con voce roca lei, apparentemente impassibile, ostentando fin troppa curiosità mentre si allontanava verso la porta chiusa davanti al bagno in modo tale da riprendere il fiato che le labbra di Sirius sembravano averle tolto nonostante non l’avessero neanche sfiorata. «La stanza delle torture? La stanza di Barbablù?» chiese ancora, irata per l’incapacità del suo cervello di controllare la reazione del suo corpo a quello di lui, a quei dannati occhi sfacciatamente invadenti ed eccessivamente chiari, liquidi, che sembravano prendersi tutto senza chiedere il permesso.
Sirius esitò un momento prima di rispondere, profondamente stordito dal senso di vuoto che improvvisamente aveva sulla bocca e sul petto, profondamente stordito da lei.
«Chi?»
«Lascia stare. Mi sistemo sul divano» sbottò lei ritornando nella stanza principale.
«Quella è la tua stanza, Olivia»
Liv si fermò, immobile, raggelata, il percepibilissimo sguardo perforante di Sirius sulla schiena e una stranissima confusione addosso. Sentì la porta cigolare alle sue spalle e lo scatto dell’interruttore della luce che Black doveva aver acceso.
Si voltò lentamente vedendolo scutarla, serissimo. Per un istante Liv provò l’impellente necesssità di scavarsi una fossa sul pavimento e buttarcisi dentro, ma si ostinò a non darlo a vedere.
Indurì lo sguardo sostenendo quegli occhi impenetrabili ed avanzò a passi decisi fino ad arrivare al suo fianco, allo stipite della camera che osservò ignorando l’occhiata penetrante alla sua sinistra.
Era una stanza pulita, con un sobrio armadio in legno chiaro, un comodino e un letto: cuscino, lenzuola e coperte già sistemate, il fresco profumo di bucato le arrivava fin sotto al naso.
Un letto solo per lei, pronto ad ospitarla, ad accoglierla.
E allora Liv pensò davvero di voler sprofondare e di prenderlo a pugni, di prendere a pugni quel piccolo bastardo arrogante perchè sì, perchè l’aveva messa nella condizione di voler sprofondare per la prima volta in vita sua e perchè l’aveva sorpresa, ancora una volta, mettendo in discussione tutto ciò in cui aveva sempre creduto.
Strinse la mascella e le braccia inerti ai lati del cappotto prendendo un silenzioso respiro per raccimolare tutto il coraggio che sembrava essersi volatilizzato, zittito dall’immenso schiaffo morale appena ricevuto.
Si voltò verso Sirius ma di lui non c’era più nemmeno l’ombra. Interdetta, si guardò attorno senza trovarlo ma sentendo la sua voce insieme allo scrosciare dell’acqua provenire da dietro la porta socchiusa del bagno.
«Non ho sapone da donna, ti va bene lo stesso?»
Girandosi del tutto, le sopracciglia aggrottate in un cipiglio perplesso, cominciò ad avvicinarsi con cautela a quella porta, spingendola con un tocco della mano per aprirla.
«Che stai facendo?» esordì, stranita, vedendo Sirius sollevarsi di poco i jeans scuri sulle ginocchia per chinarsi davanti alla vasca.
«Ti preparo il bagno» rispose tranquillamente lui mettendo sotto l’acqua corrente del rubinetto due dita per controllare che la temperatura fosse giusta.
Liv sbattè più volte le palpebre, sconcertata. «No, grazie» declinò immediatamente l’offerta.
«Sì, prego» obiettò placidamente Sirius.
«Buonanotte» stroncò la discussione lei affrettandosi ad uscire dal bagno ma la voce di Sirius la richiamò ancora una volta, cantilenante.
«Olivia? É già piena per metà. Se non ti fai il bagno sarà tutta acqua sprecata e ricordati che da adesso in poi la paghi anche tu».
Liv serrò con forza gli occhi prima di sollevarli al soffitto senza riuscire a trattenere un sorriso che si autogiudicò isterico ma che in realtà faceva trapelare semplice divertimento.
«Che gran bastardo...» sibilò sottovoce. Si voltò incontrando lo sguardo eloquente di Sirius, stranamente sorrideva anche lui rimettendosi dritto.
Liv sbuffò rientrando nel piccolo bagno per prenderlo ad un braccio e scortarlo fuori dalla porta, richiudendola di botto.
La stessa porta si aprì quasi subito.
«Ho il mio sapone, Black» annunciò superandolo con aria apparentemente disinvolta che gli occhi grigi seguirono con divertito interesse.
Oltrepassò l’arco per raggiungere il suo baule che aprì, tirando fuori tre flaconi di sapone, un tubetto di crema per il corpo, dell’intimo e un pigiama. Ritornò sui suoi passi passando accanto a Sirius che non l'aveva lasciata mollata un attimo con lo sguardo, comodamente poggiato a braccia conserte sullo stipite della porta del bagno che Liv richiuse per poi aprire ancora una volta, come se si fosse accorta di aver scordato qualcosa.
«Gli asciugamani sono nel mobile sotto il lavabo» informò con sorrisetto noncurante Sirius prendendola in contropiede.
Lei rimase basita per un attimo poi richiuse l’uscio.
Lui non si mosse, restando in attesa, e come previsto dopo qualche istante Liv fece di nuovo capolino, il volto accartocciato in un’espressione oltraggiata.
Sirius trattenne una risata sfoggiando tutta la sua nonchalance.
«No, non ti ho detto di farti il bagno perchè puzzi» spiegò come se niente fosse di fronte allo sbigottimento che Liv tentò di camuffare prima di nasconderlo direttamente dietro il legno della porta.
Rimase a fissare il legno scuro senza riuscire a muoversi, a capire, a trovare il momento preciso in cui aveva cominciato a smettere di sentire di doversi difendere da Black.
Si girò verso il piccolo bagno pulito ed illuminato da una luce soffusa, la vasca del tutto piena.
Il pensare di doversi spogliare lì, dentro quella casa, non la mise a disagio come invece si era aspettata. Lo specchio appannato del bagno, il cesto della biancheria, il tappeto, la lavatrice- Dio, Black sa usare la lavatrice?!-, le mattonelle in ceramica azzurra e lo spazzolino sul lavabo non avevano gli occhi grigi che Liv non sentiva più trapassare la porta.
Ripeto: da quand’è che non sento più il bisogno di difendermi da Black?!
Scosse la testa, dandosi della pazza, cominciando a sbottonarsi il cappotto e scalciare via gli stivaletti scuri.
Sfilandosi il vestito nero di Mary, l’improvvisa consapevolezza di non essersi fatta una vera doccia da quattro giorni di fila la colse di sorpresa come una secchiata d’acqua fredda, come una fastidiosa sveglia la mattina presto.
Ed era così che, stupidamente, si sentiva: come se si fosse svegliata soltanto in quel momento, come se per quattro giorni fosse rimasta intrappolata nel tempo fino a quel momento.
Scossa da quella constatazione, afferrò con decisione il suo bagnoschiuma versandolo abbondantemente nella vasca. Si liberò frettolosamente dell’intimo e s’immerse nella schiumosa acqua calda profumata; una piacevolissima sensazione di conforto l’avvolse facendola involontariamente sorridere.
Chiuse gli occhi con un sospiro sommesso affondando ancora un po’, la schiuma bianca a solleticarle il mento e la nuca. Per qualche minuto si lasciò completamente andare al tepore, alla dolce e gentile essenza di mimosa nell’aria, a quell’assoluto relax che le aveva appena ricordato di avere un corpo esausto, dei muscoli rattrappiti, della pelle desiderosa di cure.
Avrebbe potuto tentare di sbrogliare il turbinio di pensieri confusi che le appesantivano la mente, tentare di scorgere un nesso logico in mezzo alle ingarbugliate sensazioni che Black le aveva dato ma l’unica cosa che Liv fece fu sciogliersi i capelli, prendere il suo shampoo per inondarli e facendo un bel respiro immergersi completamente sott’acqua lavando via tutto, lavando via le lacrime salate che le avevano 
improvvisamente cominciato a solcarle il viso sopraffatta dal vuoto che aveva gli occhi azzurri di suo padre, sopraffatta da quella mancanza che sarebbe rimasta per sempre e che si ritrovò ad assorbire, senza più avere la forza di negarla.
 




*





Quando Sirius, mezz’ora dopo, percepì il suo penetrante buon odore dolce e seducente nel naso, nei polmoni e nel cervello che andò completamente in tilt, uscì lentamente dalla cucina con una tazza fumante in mano.
E la vide, i lunghi capelli umidi che sembravano neri e lisci, il viso più disteso con la sua dolce forma a cuore libera di mostrarsi, labbra più rosate e gli occhi scuri decisamente più limpidi, la maglia attillata del pigiama che le aderiva sul seno pieno, la vita stretta, sui fianchi sporgenti, le spalle tonde.
Era bella, bella da fare male. Più bella di quanto i palmi delle mani gli avevano fatto immaginare in Guferia.
Avvertendo lo sguardo insistente ma garbato di Sirius addosso, Liv si portò davanti al seno l’asciugamano e il tubetto di crema per il corpo all'iris che aveva tra le mani.
«Io vado a letto» esordì leggermente spiazzata dal sincero apprezzamento mostrato dalle iridi grigie che non la lasciarono un istante nemmeno quando Sirius scosse impercettibilmente la testa, avvicinandosi a lei.
«Prima bevi» le disse porgendole la tazza ed accennando un criptico sorriso per celare il desiderio trattenuto nello sguardo. «Tisana alla verbena, gentile concessione della vicina paranoica. Pensa che io abbia seri problemi d’insonnia soltanto perchè ascolto i Pink Floyd  alle due di notte».
Liv si lasciò sfuggire un breve e bassa risata divertita prima di scuotere piano la testa. «No, grazie» rifiutò ancora una volta l’offerta respingendo delicatamente la tazza con una mano. Il successivo nero sopracciglio arcuato di Sirius fu fin troppo allusivo e gli occhi marroni puntarono al soffitto in un’espressione scocciata.
«Adesso spetta al gas che hai usato per far bollire l’acqua, giusto?» intuì Liv, apparentemente annoiata.
Lui, serafico, sollevò anche l’altro sopracciglio come risposta affermativa e naturalmente ovvia.
«É una provocazione bella e buona questa, Black» sentenziò lei stringendo gli occhi e Sirius alzò un angolo della bocca in un furbo sorrisino accennato.
«Ma non una coltellata, Olivia» le mormorò con aria angelica. L’espressione esasperata sul viso di lei lo fece ridere, soddisfatto.
«Non vorrai ricattarmi in questo modo per tutto il tempo, Black?» ringhiò Liv, intimidatoria.
Sirius non parve minimamente toccato dalla velata minaccia. «Non vedo perchè smettere di provocarti anche se non ho più il coltello» rispose con nonchalance allargando il braccio libero dalla tazza per poi lasciarlo ricascare al suo fianco.
Liv lo guardò, nascondendo una certa sorpresa per quelle ultime parole. Lui non aveva più il coltello. Lei la bacchetta. Ed era così facile parlare con lui, adesso. Forse fin troppo.
«Prendi e siediti sul divano. Non ti libererai di me fino a quando non berrai questa, Olivia, e stai pur certa che sono un asso nel rompere le palle in ogni modo, chiedi a Remus» la punzecchiò facendole annusare il vapore che saliva in sinuosi vortici dalla tazza in ceramica. Liv arricciò il naso, scansandola via.
«Non dovresti vantarti di essere un rompipalle da Guinnes dei primati» gli consigliò in un ironico sussurro, facendolo ridere. «E hai fatto tu la tisana quindi bevila tu, Black. Non vorrai per caso sprecare il gas?» lo provocò in un sorriso arrogante che Sirius trovò tremendamente sexy restandone per un attimo spiazzato e rapito.
Inarcò entrambe le sopracciglia, riprendendosi, dando un’occhiata all’orologio d'oro che aveva al polso, il segreto regalo dello zio Alphard per i suoi diciasette anni.
«Sono le due. Senti la voce di David Gilmour, forse?» domandò tendendo il collo e l’orecchio, in attesa. Il sospiro frustrato di Liv spezzò il breve silenzio intriso d’ironia. «No, vero? Ma, woh, ce n’è un’altra che sta chiamando...» sussurrò Sirius, fintamente sorpreso, indicando con il pollice alle sue spalle. «Quella del lavandino che ha sete» rivelò, teatrale, facendo per indietreggiare lentamente verso la cucina.
Liv sbuffò tra le labbra increspate da una risata mal trattenuta. Afferrò rudemente la tazza dalle sue mani e si diresse alla volta del divano sotto lo sguardo divertito di Sirius che la raggiunse, ridendo insieme a lei, lasciandosi mollemente cadere sulla poltrona senza distoglierle lo sguardo di dosso mentre prendeva posto tra i morbidi cuscini rossi, una gamba piegata e l’altra pigramente ciondolante, coperte dai larghi e comodi pantaloni blu notte del pigiama che lasciavano scoperta soltanto una caviglia.
«Siamo due tirchi, Black» commentò Liv posando l’asciugamano sulla spalliera e cominciando a sorseggiare la tisana fumante.
Gli attenti occhi di Sirius, stravaccato sulla poltrona, si persero un attimo sulla sinuosa curva del suo fianco, del seno coperto dal tessuto lilla.
«Siamo due rinnegati senza lavoro e famiglia, Olivia, abbiamo tutto il diritto di esserlo» la rassicurò in tono sorpendentemente dolce, sentendola sorridere sulla ceramica bollente mentre soffiava per sfreddare la bevanda.
Sirius mantenne lo sguardo su di lei studiando ogni minimo impercettibile movimento del suo viso non più nascosto dalla tazza, le labbra strette mentre ingoiava la tisana, le sopracciglia ravvicinate e le palpebre semichiuse sugli improvvisamente cupi e tormentati occhi incantati su un punto imprecisato dei cuscini gialli.
Liv prese un altro sorso rendendosi conto di avere più sete di quanto si aspettasse, rendendosi conto di avere uno stomaco immensamente riconoscente per essere stato riempito con qualcosa di caldo.
Per diversi minuti piombò il silenzio tra loro, un silenzio colmo di comprensione reciproca che nessuno dei due osò tirare fuori ma che percepivano chiaramente.
Sirius non smise di osservarla scoprendo di non averne mai abbastanza di quei lineamenti dolci, di quei capelli, di quella femminile figura sempre più raggomitolata sulla spalliera del divano, di lei.
Poggiò prontamente i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi verso di lei quando la vide coprirsi con la mano la bocca aperta in un incontrollabile sbadiglio.
Liv sollevò lo sguardo stranamente pesante su di lui, incontrando gli occhi grigi che la stavano intensamente scrutando come soltanto loro sapevano fare, con quell’attenzione silenziosa così perforante da farle sentire dove si stessero posando anche senza vederli.
«Grazie» esordì Liv con sincera gratitudine e il cuore martellante nel vedere finalmente l’imperturbabile tranquillità di Sirius svanire dal volto facendo spazio allo smarrimento, gli occhi assorbiti dai suoi e le labbra dischiuse, incapaci di dire qualcosa.
Alla fine sorrise, bello; un fugace sorriso genuino mentre le annuiva brevemente in risposta e Liv sbatteva piano le palpebre fino a chiuderle con arrendevolezza.
Sirius, pronto, scattò in avanti afferrando con prontezza la tazza che le dita inermi di Liv, crollata in un sonno profondo come previsto, mollarono senza accorgersene. La poggiò senza fare rumore sopra il tavolino al lato del divano e alzandosi lentamente dalla poltrona sfilò dalla tasca posteriore dei pantaloni la bacchetta di prugnolo per puntarla su Liv e asciugarle premurosamente i capelli bagnati.
Sorrise distrattamente vedendo i lunghi ciuffi scuri svolazzare da ogni parte e rimase un attimo interdetto quando, una volta asciutta del tutto, la folta chioma castana apparve ai suoi occhi meno voluminosa del solito. Era morbidamente ondulata, come se le onde più marcate e fitte che Liv sfoggiava sempre si fossero aperte e rilassate insieme a lei, sul divano.
Non aveva mai pensato che la chioma selvaggia di Liv fosse frutto di una “messa in piega”. Non era da lei, a meno che non ci fosse sotto qualcosa.
Il pensiero di volerlo sapere, di voler andare a fondo e conoscere, capire anche quel suo aspetto nascosto di lei lo assalì come un qualcosa di totalmente nuovo, spaventoso quanto allettante. Allettante come lo era stato vederla parlare con sincerità, scherzare e ridere, totalmente libera da ogni forma di rigidità, falsità, difesa.
E anche quell’Olivia gli piaceva, gli piaceva e gli metteva paura proprio perchè gli piaceva in modo lampante, senza lasciare dubbi, indecisioni; gli metteva paura perchè quel suo piacergli sempre, in ogni situazioneera una cosa mai provata prima, mai sentita sulla pelle come in quel momento.
Scosso, Sirius ricacciò la bacchetta in tasca e passandole un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro la schiena la sollevò dai cuscini rimettendosi dritto, tutto il peso sopra di sè compresa la testa cascata sul petto.
Si accinse a raggiungere la camera da letto non riuscendo a fare a meno di premere il naso e le labbra su quei misteriosi lucidi capelli pesanti e setosi, di sentirne la morbidezza, inspirarne l’intenso ed inebriante profumo di fiori d'arancio che l’investì interamente facendogli chiudere gli occhi credendo di star per impazzire, non riuscendo a fare a meno di stringerla delicatamente per portarla più vicina al suo corpo soffermandosi a percepire il calore emanato da quello di Liv, la consistenza morbida e vellutata della sua pelle che esaminò accarezzandole inconsciamente con il pollice il braccio agguantato dalle dita, il suo respiro infrangersi lievemente sulla pelle sopra lo sterno che Sirius sentì contrarsi, pervasa da brividi che gli rizzarono i peli sulla nuca.
Varcò la porta della stanza quasi a rallentatore, stordito da ogni cosa ed incapace anche solo di pensare di doversene privare.
Ma arrivato davanti al letto si constrinse ad adagiarla sopra con prudenza, facendole sprofondare lentamente la testa sul morbido cuscino e coprendola poi con la trapunta.
E di nuovo, senza riuscire a trattenersi e a capire perchè lo stesse facendo, allungò un braccio per scostarle gentilmente dal viso addormentato i capelli che in quel preciso momento cominciò ad adorare.
Scrutandola con occhi totalmente presi le sfiorò con il dorso delle dita una tempia, la guancia e il mento delicato beandosi di ogni centimetro di pelle liscia che scorreva sotto le falangi, di ogni più piccolo particolare che gli occhi assorti coprivano della loro assoluta attenzione.
Il viso disteso di Liv, privo di qualsiasi espressione che durante il giorno lo mascherava, era molto più dolce del solito in ogni suo dettaglio; nelle lunghe ciglia scure posate sugli zigomi, nella curva sbarazzina del naso, in quella morbida della labbra, nel piccolissimo neo vicino al sopracciglio sinistro, nei dettagli che Sirius non aveva mai trovato così ipnotici sulle altre come se tutto nel guardarla, sentirla, toccarla fosse amplificato e arrivasse a stuzzicargli qualcosa, dentro, che scombussolava mente e corpo.
La scrutò senza mettersi nessun limite di tempo, immaginando quanto potesse essere bello prenderle il viso tra le mani per sfiorarle con i pollici la pelle bluastra sotto le ciglia, passarli sopra le labbra aride che avrebbero potuto ammorbidirsi, trovare sollievo sotto le sue; la scrutò almeno fino a quando una sottile agitazione cominciò ad insinuarsi in lui come una tenue lingua di fuoco che si aggiungeva alla frenesia e alla bramosia.
Era qualcosa di delicato, paradossalmente tenero, ma altrettanto profondo, intenso e travolgente, mai provato prima. Era meraviglioso ed inquietante allo stesso tempo, qualcosa che lo trascinò in un vortice di ricordi e sensazioni taciute perchè troppo surreali, appartenenti ad un passato abitato non da altre ragazze ma esclusivamente da Liv; dal sentirsi fiero di lei quando aveva preso finalmente in mano i due Galeoni della scommessa e quando Grifondoro aveva vinto contro Tassorosso; dalla totale ammirazione per il suo vendicativo scherzo della Polisucco e per il modo in cui aveva gestito il Piccolo Problema Peloso di Remus; dalla fortissima attrazione mentale che era riuscita a provocargli con quella provocante sfida continua durata mesi, dalla consapevolezza di non riuscire più a fare a meno della sua pelle, del suo sguardo, delle sue labbra, del suo profumo arrivata come un fulmine a ciel sereno quella sera in Guferia; dal fastidio provato vedendola parlare e ridere con Ned Stevens e dalla paura di perderla nella pozza di sangue nel bagno dei sotterranei; dallo stranissimo desiderio di protezione che l’aveva preso alla sprovvista subito dopo e che aveva continuato testardamente a pulsare ogni minuto di ogni giorno fino a fargliela portare lì su quel letto; dalla sconvolgente scoperta di riuscire a tenerla in piedi con lo sguardo e di sentirla vicina e capirla profondamente con una porta alle spalle e un baule in mano; dalla voglia e paura viscerali di conoscere tutto di lei, di vedere fino a che punto potesse essere piacevole, divertente, affascinante, interessante, eccitante, spiritosa, complicata... fino a che punto potesse piacergli.
Sirius ritrasse di scatto la mano, le sopracciglia aggrottate da un’estraniante confusione, un enorme punto di domanda senza risposta, un’intensa insofferenza per quel dolce, stupefacente e devastante sentimento sconosciuto che pareva spogliarlo di ogni cosa, ogni difesa, ogni maschera.
Si allontanò dal letto a grandi falcate-quasi scappando- per raggiungere velocemente la porta con una mano sull’interruttore per spegnere la luce e l’altra in tasca, a giocherellare con la boccetta della Pozione Sonnifera che assicurava un sonno profondo senza sogni versata nella tisana alla verbena minuti prima.
Sarebbe servita anche a lui, senza alcun dubbio, ma non la usò perchè sentiva di esserci dentro, in mezzo, invischiato in quella sommossa di ricordi, frasi, voci, sensazioni, pensieri nuovi e indistinti; interamente coinvolto in quell’emozione senza nome mai provata prima che Olivia gli aveva dato senza nemmeno toccarlo e dal quale lui sembrava esserne avvinto senza riuscire ad averne il benchè minimo controllo scatenando in lui un’altra spaesata ondata di paura.
Rimase steso sul letto, gli occhi grigi al soffitto, ferventi nel buio, incapaci di chiudersi.
Restò sveglio, stremato, esasuto, spaventato, strano ma pieno.
 
 


 
*
 
 



 
L’indomani mattina si mise svogliatamente seduto sul letto con l’intero corpo dolorante e una sfilza di imprecazioni non solo rivolte al pensiero della luna piena che l’avrebbe atteso la sera stessa ma soprattutto nei confronti della squillante voce di James che dallo specchietto poggiato sul comodino gli aveva fatto da sveglia.
«Sirius Black, alza immediatamente le nobili chiappe dal materasso occupato da te e te soltanto. Hai tutti i regali qui»
Sirius si spalmò pigramente una mano sulla faccia senza prendersi la briga di rispondere.
Era la mattina di Natale e se n’era completamente dimenticato.
«Esigo che tu adesso mi faccia vedere l’intera panoramica di quel dannato letto senza figure femminili sdraiate sopra, Felpato. Lo esigo»
Sirius, un impertinente sorriso accennato a vivacizzare il volto assonnato, si alzò fiaccamente dal letto sfilandosi appositamente la maglia per poi chinarsi sullo specchio a torso nudo osservando maliziosamente James tra i lunghi ciuffi di capelli neri ricaduti disordinatamente sul viso dopo lo spogliarello.
«No» fece subito allarmato James, i capelli così arruffati da occupare tutta la parte superiore dello specchio e gli occhi nocciola spalancati a fatica dietro gli occhiali storti sul naso. Doveva essersi appena svegliato, Sirius lo capì dal tono di voce rauco e non di certo da quell’aspetto che il suo migliore amico sfoggiava ad ogni ora del giorno.
«Tu... no» sibilò ancora James coprendo la visuale del suo volto con il polpastrello di un dito accusatore puntato prima verso il basso per indicare il petto senza indumenti e poi i capelli arruffati che su Sirius volevavo dire soltanto una cosa.
Un angolo delle labbra di Sirius si sollevò ulteriormente, sfacciatamente allusivo come quei dettagli fisici messi in mostra di proposito.
«Stai scherzando, non è vero?! Stai scherzando. Ah. Ah. Ah. Che ridere. Tu e i tuoi scherzi penosi, Felpato... Vero che stai scherzando?!»
Sirius, un’espressione ostentatamente beata e intenzionalmente di difficile intrepretazione sul viso, si allontanò languidamente dal comodino accompagnato dai richiami, le minacce, la lista delle armi che avrebbe usato contro di lui sempre più alti di James.
Disinvolto, uscì dalla sua camera gettando immediatamente un’occhiata alla porta accanto, quella che soltanto un giorno prima era stata vuota e che adesso invece era di Olivia.
Era ancora chiusa, evidentemente lei dormiva ancora. Non si preoccupò, dopotutto era stato quello il suo intento mentre aveva fatto cadere alcune gocce della Pozione nella tisana: Farla dormire profondamente, farle sparire le occhiaie, farla riposare.
Sorridendo senza nemmeno accorgersene, entrò in bagno per farsi una doccia e l’essenza ipnotica del sapone e dello shampoo di Liv ancora nell’aria gli avvolse irresistibilmente i polmoni e il cervello zittendo all’istante la confusione nella testa, rilassandolo completamente con una meravigliosa sensazione di beatitudine. Era sensuale, quell'essenza, ma anche delicata e dolce come se riuscisse a purificarlo mettendo a tacere ogni nervosismo, ogni tormento.
La porta della stanza di Liv restò chiusa anche una volta finita la doccia e poco prima di pranzo, quando Sirius afferrò distrattamente il giubbotto in pelle dalla divano scrutandola con cipiglio assorto mentre apriva quella d’ingresso ed usciva sul pianerottolo per smaterializzarsi a casa Potter.
 
 


 
*
 
 



 
«Basta, Sirius, sono serio»
«Uh-uh! JAMES POTTER È SERIO, GENTE, ATTENZIONE! CHE PAUURA!»
«No, io non lo conosco, signora... mi aiuti, è un pazzo che ha cominciato a seguirmi da quel negozio là in fondo... la prego! Mi avrà sulla coscienza, signora!»
Sirius rise apertamente prendendogli la testa sottobraccio per trascinarselo dietro sotto l’occhio sconcertato della donna ormai alle loro spalle, immobilizzata sul marciapiede.
«Mi commuove sempre questo tuo bisogno di mostrare al mondo la tua demenza» ridacchiò James arrancando sotto la presa ferrea dell’amico che rise ancora svoltando nel vicolo a destra, puntando verso il suo palazzo in mattoni rossi. Aprì il portone ficcandoci dentro James con una manata giocosa tra i capelli scompigliati per poi seguirlo, richiudendosi l’uscio alle spalle.
«Sei così carino quando sei te stesso, Felpato» chiocciò James cominciando a salire la scala a ritroso in modo tale da poter continuare a sfotterlo gardandolo in faccia.
«Non immagini quanto lo sei tu quando sei nel bel mezzo di una figura di merda» rispose lui impassibile. «Attento al gradino» l’avvisò afferrandogli le spalle per spintonarlo e farlo inciampare.
«Bastardo»
«Ti amo anch’io, Ramoso»
«Prima di sposarti però devo sapere la verità su una cosa»
«Tutto quello che vuoi, amore»
«Cos’è successo stanotte con Liv?»
«Sai che non hai motivo di essere geloso, sciocchino»
«É solo che non vorrei farti sentire insoddisfatto a letto solo perchè a me mancano delle cose che Liv invece ha...»
«Stiamo andando troppo oltre...»
«Non fare il santarellino con me, Bomba Sexy»
«Merlino»
«Se mi rispondi come un essere dotato di cervello base- cioè avente almeno i pulsanti “Sì” e “No”- non ti chiederò perchè diamine l’hai invitata a casa tua»
«Gli ho dato una pozione sonnifera ed è crollata come una pera sul divano. A gennaio riavrai la tua solita Cercatrice pronta a distruggere il serpente»
«Mh»
«Cosa?»
«Nulla»
«”Mh” non è “Nulla”»
«”Mh” è “Mh”, Felpato»
«”Mh” è “Sto pensando a qualcos’altro che non ti dirò ma che è talmente grosso e impossibile da trattenere da portarmi a fare mh”»
«Ehi, calma i bollenti spiriti, siamo in luogo pubblico.Vedi che ho ragione quando dico che non puoi fare il santarellino?»
Sirius, il volto accartocciato dal disgusto, sollevò la testa verso la fine della seconda rampa di scale sentendo delle voci familiari parlare animatamente. James, zittendosi, ricambiò lo sguardo perplesso prima di velocizzare la salita saltando dei gradini.
Sul pianerottolo del secondo piano trovarono Liv intenta ad aprire la porta dell’appartamento con Lily, Mary e Remus che le parlavano piuttosto sconvolti attorno.
«Liv!» la salutò James facendo cigolare la porta al suo passaggio per poi abbracciare la ragazza di slancio.
«Ciao, James» esalò lei, stralunata per essere stata praticamente placcata ancora prima di riuscire ad appoggiare il cappotto sulla poltrona.
«Come stai? Hai dormito? Mangiato? Ti ho scritto, ti sono arrivati i gufi?» chiese frettolosamente lui stringendola più forte senza aspettare le risposte per poter liberare tutta la sua preoccupazione con un discorso che Liv non riuscì ad interrompere, il volto a disagio schiacciato sulla spalla dell’amico e lo sguardo attento di Sirius che non l’aveva lasciata da quando si era posato su di lei.
«Perchè non le chiedi quanto è pazza da uno a dieci, Potter?» sbottò Lily incrociando le braccia al petto con l’aria a dir poco furiosa, tutta concentrata verso la sua migliore amica che sbuffò insofferente liberandosi dall’abbraccio di un James allibito.
«Chiudiamo qui l’argomento, ok?» ringhiò con una certa rabbia da imbarazzo incontrando gli occhi intensi di Sirius e restandone arpionata, catturata dal silenzioso “Ci penso io” vivido nel grigio deciso, trasudante sicurezza e rassicurazione.
«Sedetevi nella mia umile casa, signori. Chi vuole della Burrobirra?» esordì Sirius, le mani infilate con disinvoltura in tasca e un sorrisino sottile tipicamente ironico, capace di sdrammatizzare ogni tensione eccetto quella che vibrava tra i loro sguardi.
Libertà, la semplice presenza di Black non faceva che emanare libertà, in continuazione, rendendo il suo aspetto, i suoi modi e quegli strani espliciti giochi di sguardi ancora più odiosamente irresistibili, pericolosi perchè fin troppo complici.
«Un accidenti!» sbottò Mary, la frangia bionda spettinata sulla fronte «Primo, Liv, devi promettere di non farlo mai più. Secondo, devi mangiare» insistì sfilandosi sbrigativamente il cappotto e gettandolo poco gentilmente sul petto di Remus che, stranito, se lo ritrovò tra le braccia.
Sirius, spaesato da quel “promettere di non farlo mai più”, sollevò un sopracciglio nero prima di assottigliare gli occhi, nell'iride grigia si poteva benissimo intravedere l'improvviso macchinare del cervello.
«Ah, hai fame, Macdonald? Potevi dirlo subito» disse notando con la coda dell’occhio il mezzo sorriso di Liv. «La cucina è di là» informò sfilandosi una mano dalla tasca per indicarle elegantemente la porta a destra.
Mary, dopo un attimo di imbronciato smarrimento, si avviò verso la piccola stanza illuminata a sprazzi dalla fugace luce del sole.
«Ma cos’è che è successo?» se ne uscì James spalancando esterrefatto le braccia.
Liv sospirò pesantemente affrettandosi ad andarsene in camera sotto lo sguardo di Sirius.
James vagò con occhi interrogativi su tutti i presenti, fermandosi su quelli verdi di Lily che sciogliendo l’intreccio della braccia cominciò a raccontare per filo e per segno la vicenda del Mangiamorte davanti casa McAdams la sera prima, del post-it lasciato da Edgar, della scelta di Liv di proteggere la madre e della ‘’ronda’’ che la loro amica in comune aveva fatto nel suo vecchio quartiere dalle otto del mattino fino a pochi minuti prima, completamente da sola.
A fine discorso, gli occhi nocciola di James erano così sbarrati da sembrare le due scodelle che Mary sventolò per aria affacciandosi un momento alla porta della cucina.
«Come fai a cucinare senza padelle, Black?!» sbraitò fuori di sè, palesemente preoccupata per Liv e non per le pentole mancanti «Assurdo!».
Ma Sirius, pensieroso, non la sentì. James adocchiò immediatamente il suo sguardo intensamente pensoso, sorpreso e ammirato ancora fermo in direzione della porta della stanza di Liv. Poche volte Sirius rimaneva così colpito da qualcosa come in quel momento. E mentre tutti ricominciavano a discutere su quanto Liv fosse stata fortunata e stupida, su quanto la situazione fosse grave e pericolosa, proprio Sirius non seppe spiegare la sensazione che improvvisamente e stupidamente gli aveva serrato il petto. Tra la completa stima per Liv che aveva deciso di onorare suo padre in quel modo, c'era un fastidio allo sterno, un fastidio tanto simile alla delusione per quella reciproca fiducia sottintesa della notte prima, tradita.
Perchè Olivia non gli aveva nemmeno accennato quella storia?
Senza sapere come si ritrovò ad attraversare la stanza ad ampie falcate facendo lo slalom tra James, Lily e Remus che, troppo presi a parlare, non lo notarono minimamente.
Raggiunse Liv, in piedi davanti alla finestra della sua camera si legava in una coda alta i capelli di nuovo vaporosi.
Poggiandosi allo stipite, Sirius la studiò in silenzio, senza fiatare. Ogni suo gesto pareva carico di rabbia, tensione e stizza, le stesse che lui sentiva ribollire dentro insieme alla voglia di prenderla per i fianchi e sentirla su di sè, al sicuro.
Quando Liv si voltò per raggiungere il letto si bloccò ancora prima di fare un passo, gli occhi scuri subito assottigliati e catturati da quelli grigi, assorti su di lei.
«Cosa c’è, Black? Anche tu vuoi dirmi che prima di andare avrei dovuto chiamare tutti, Scotland Yard e Dipartimento Auror compresi?» scattò subito, piuttosto dura.
«Io?» esordì lui apparentemente indifferente «Io non voglio dirti niente come tu non mi hai detto niente del Mangiamorte segugio addestrato a stanarti come un tartufo».
Liv socchiuse lo sguardo, colpita in pieno dal tono pungente di Sirius.
«Perchè avrei dovuto?» replicò, stranita ed incapace di afferrare quello che baluginava nelle iridi trasparenti lì davanti, incapace di capire cosa lui volesse, cosa si aspettasse da lei e soprattutto perchè.
Sirius rimase a fissarla per qualche attimo, ripetendosi mentalmente la domanda senza trovare risposta: di risposte non ce n’erano per spiegare l’inspiegabile.
Perchè lei avrebbe dovuto parlargli, confessarsi? Non lo sapeva. Non erano amici, non erano confidenti, non erano niente se non due semplici coinquilini, adesso, che a quanto pareva non riuscivano a smettere di litigare, di scontrarsi come avevano sempre fatto.
Non lo sapeva ma il fatto di essere stato all’oscuro di tutto lo faceva arrabbiare così tanto, così insensatamente
«Perchè ieri notte hai varcato la porta d’ingresso, Olivia, non per essere guardata con pietà» rispose con forza poco dopo, completamente preso e non più indifferente, squadrando fugacemente le labbra di Liv serrarsi, irrigidite «L’hai fatto accettando la mia solidarietà che- ma pensa-significa condividere necessità, collaborare insieme e sostenersi a vicenda».
Il volto di Liv dapprima scettico si oscurò in una malcelata espressione tramortita. Che cosa stava dicendo, Black? Era davvero serio e rabbiosamente ferito così come appariva?
Sconvolta da quella visione a dir poco surreale, provò a ribattere senza però riuscirci. La domanda che aveva sulla punta della lingua nuovamente biforcuta aveva già la risposta che Liv sapeva essere la stessa che le avrebbe dato lui.
Perchè caspita mi hai dato la tua solidarietà se sapevi significasse tutto questo?
Perchè la capiva, nel profondo, gliel’aveva detto con il suo solito enigmatico fare impassibile la sera prima.
Perchè anche lui era scappato di casa, perchè anche lui aveva scelto quell’appartamento, perchè sapeva cosa voleva dire sentirsi perennemente fuori posto, soli al mondo, incapaci di muoversi con il portone di una casa alle spalle.
E le loro espressioni corrucciate, i loro occhi limpidi ed incastrati con durezza gli uni negli altri mettevano ben in chiaro quanto entrambi fossero turbati da quell’impalpabile ma esistente filo che li legava nonostante il loro essere niente insieme, nonostante il non sapere nient’altro l’uno dell’altra, nonostante il continuo confrontarsi e scontrarsi.
«E solidarietà significa anche che sì, posso dirti che quello che hai fatto oggi è stata la più grossa cazzata dell’anno e che hai sbagliato, Olivia, come fai sempre quando credi di poter fare le cose da sola come attaccare tre Serpeverde nei sotterranei o sfidare Mocciosus per farlo parlare, ritrovandoti poi mezza morta!» continuò con sempre più veemenza Sirius allontandosi dallo stipite per avvicinarsi velocemente a lei, rimasta di stucco per la schietta critica e per quelle agili falcate dirette verso di lei.
Quando le arrivò a mezzo metro di distanza Liv si riprese immediatamente, i lineamenti arricciati in un smorfia oltraggiata. L’essere giudicata da lui era un’indicibile blasfemia, un’affronto che la fece infiammare come benzina sul fuoco.
Senza riuscire a trattenersi fece per colpirlo sul viso, assolutamente incurante del dolore che gli avrebbe provocato, ma Sirius le fermò con sorprendentemente facilità il pugno chiuso prima che potesse infrangersi sul naso.
Il perforante e severo sguardo grigio piantato con assoluta freddezza sul suo la turbò a tal punto da farle pensare di essere in serio pericolo.
Sirius però non fece niente a parte continuare ad inchiodarla sul posto stringendole con forza le nocche della mano che Liv riuscì a liberare soltanto quando lui decise di lasciarla andare dopo un’impercettibile carezza del pollice che lei avvertì chiaramente per l’ondata di calore sprigionata lungo il braccio.
«Non puoi permettertelo, Black» sibilò, a dir poco furiosa e sottilmente frastornata «Non puoi permetterti di criticarmi, di dirmi che sbaglio, dirmi cosa devo o non devo fare perchè tu sei il primo che fa le più grosse cazzate dell’anno, che sbaglia, che non ascolta nessuno, che fa tutto quello che gli pare e piace senza minimamente pensare agli altri, a come possono sentirsi, a cosa possono pensare!».
L’espressione profondamente colpita di Sirius trapelò soltanto per un fugace attimo dagli occhi improvvisamente fiammeggianti.
«Sì, è vero!» sbottò alzando il tono di voce per sovrastarla. «Infatti non sto criticando le tue intenzioni, mi piace il tuo senso di lealtà nei confronti di tuo padre e mi piace anche la tua indipendenza!» se ne uscì senza potersi controllare. Vide gli occhi di Liv, ingrandirsi, accendersi. «Ma il tuo non voler chiedere aiuto, il tuo vizio di non dire mai niente a nessuno di te, di quello che fai, il tuo non fidarti, dopo ieri notte, mi fa andare in bestia!»
«La tua espansività emotiva e il tuo raccontarti al mondo sono invece leggenda» lo interruppe sarcasticamente Liv, sferzante, il cuore a battere frenetico per quel "mi piace la tua indipendenza".
Sirius, il volto terribilmente serio, serrò le labbra incassando silenziosamente un altro inaspettato colpo basso. Il pugno che aveva parato pochi istanti prima era arrivato ugualmente, immaginario ma con più forza di quanto avrebbe potuto fare quello fisico.
«Parlami del perchè sei scappato di casa, del perchè hai una madre che “Non può essere peggio della tua”, avanti!» lo incitò con risentimento Liv «Parlami del perchè staccavi dal muro le teste mozzate degli elfi per Regulus e adesso invece saresti ben disposto ad attaccargliele addosso!».
Sirius inspirò a fondo, cercando di trattenere la crescente e folle collera, di trattenere l’intero corpo desideroso di andarsene, allontanarsi da lì, da quelle domande.
Quel passato non c’entrava niente con la loro solidarietà. Lui e Liv avevano vissuto simili esperienze, sì, ma non c’era bisogno di rivelarle per aiutarsi a vicenda nel presente. Parlare di Regulus e chiedere aiuto per fare una “ronda” erano due cose completamente diverse.
«Con che faccia mi vieni a dire quelle cose?! Con che faccia critichi il mio volermi tenere le cose per me?!» scattò lei con durezza, leggermente intimidita dal lampo di luce che attraversò sinistramente gli occhi grigi sempre fissi suoi suoi.
«Con quella di uno che ieri notte ti ha dato la sua fiducia. O credi che parlare delle motivazioni dei miei passati gesti nei tuoi confronti sia stato un modo per dare aria alla bocca, Olivia?!» esplose Sirius, irato con la misteriosa parte di se stesso mai conosciuta  prima che, inspiegabilmente, si era lasciata andare soltanto per vederla entrare nell’appartamento. «Non posso dire ‘e viceversa’ perchè tu, a quanto pare, non hai fatto altrettanto» la canzonò irritato, il penetrante sguardo trasparente a studiarla profondamente.
Liv, arrossita non soltanto dalla furia ma anche dalla vergogna per quell’accusa velata che l’aveva turbata non poco, arricciò il naso e le labbra in un’espressione confusamente sconcertata davanti a quel Sirius Black che pretendeva sentitamente qualcosa da lei.
«Sappi che non mi farai sentire in colpa, Black» mise in chiaro sollevando fieramente il mento, stupita dal fatto di star mentendo perchè sì, quel volto altero ad un soffio dal suo, gli alterati occhi letteralmente di ghiaccio e il tono brusco di Sirius la stavano facendo sentire in colpa. Ed era assurdo, tutto quello era semplicemente assurdo. «E non mi farai nemmeno ammettere di aver sbagliato perchè io non ho sbagliato» proseguì, irremovibile e questa volta del tutto sincera «Se voglio andare a controllare mia madre da sola per evitare di vedere morto uno di voi lo faccio e tu non puoi impedirmelo».
Sirius sollevò le sopracciglia nere. «Io non te lo impedisco ma se voglio uscire da qui e coprirti le spalle lo faccio e tu non puoi impedirmelo» le mormorò, granitico, guardandola  con gelida insolenza dall’alto.
«Beh, quando le cose che vuoi tu cozzano con quelle che voglio io non si parla più di libertà e solidarietà, Black» replicò lei senza abbassare il volto sfacciatamente proteso con sfida verso il suo nonostante l’essere rimasta parecchio colpita dal suo volere senza riuscire a crederci davvero.
«E che cosa sarebbe allora?!» la provocò Sirius, infiammandosi a sua volta «Ognuno ha la libertà di fare ciò che vuole. La tua è onorare tuo padre, la mia è di aiutarti. Se io accetto la tua, tu devi accettare la mia».
L’espressione altezzosa sul viso di Liv parve cedere impercettibilmente di fronte al modo in cui Black aveva tradotto perfettamente il vero significato di “controllare mia madre”, catapultandola in quello spazio carico d’intesa ancora esistente, sospeso tra i suoi occhi e quelli di Black.
Erano di nuovo lì, entrambi sconvolti, persi, spaesati, vinti da quel luogo ancora estraneo capace di scombussolare tutto ogni volta.
«La mia è di onorare mio padre da sola, Black» ringhiò Liv sentendo l’irritazione montare di nuovo mista all’ennesima sensazione di confusione.
«Non puoi controllarmi, Olivia. Io posso andare dove voglio» sbottò di rimando Sirius, lo sguardo fervido, bruciante.
«Puoi andare dove vuoi ma aiutando me non accetti il mio volere!» proruppe Liv andando in escandescenza «Tu chi sei per decidere e cambiare le scelte della mia vita?!»
«E tu chi sei per decidere e cambiare quelle della mia?!» inveì lui, gli occhi chiarissimi spalancati dallo sbigottimento.
 Il silenzio che calò subito dopo mise in risalto i leggeri fiatoni che s’infrangevano tra i profli di entrambi, esausti, sfiancati, consumati da quell’ennesima lite in cui si erano spinti a vicenda ancora un po’ più in là.
Non erano nessuno per decidere delle reciproche vite eppure lo facevano in continuazione con quel loro sfidarsi, affrontarsi, distruggersi per poi ricostruirsi inesorabilmente in modo diverso da prima dello scontro, costretti a rivedere i loro punti di vista, le loro credenze, le loro scelte.
Succedeva da sempre, da più tempo di quanto tutt’e due erano disposti ad ammettere, ed era successo anche in quel momento- in un nuovo modo ancora più eclatante e d’impatto -con Sirius che non riusciva a spiegarsi il perchè si fosse fidato di lei in quel modo, il perchè aveva scostato per un attimo la maschera, desideroso di cambiare il parere che Liv aveva di lui. Per farla entrare in casa, sì, ma perchè era stato così semplice, naturale, quasi un istinto aprirsi a lei? Forse per il modo in cui lei l’aveva guardato fuori da casa sua, appena scappata di casa?
Per un attimo, lì fuori, Sirius aveva avuto la sensazione di essere davvero visto da lei.
E Liv, spaesata di fronte alla vergogna e al senso di colpa provati nei confronti dell’accusa di Sirius per il semplice fatto che lui si era fidato di lei e lei invece no, spaesata di fronte a quel modo che aveva lui di sorprenderla, di trasformare in un inconcludente punto debole quello che lei invece aveva sempre fermamente creduto un suo punto forte: il non fidarsi di nessuno, soprattutto di lui, il voler tenere gli altri sottocontrollo, il più lontano possibile da lei.
Entrambi si erano lasciati rapire, incuriositi ed attratti dagli spiragli di luce che avevano intravisto l’uno e nell’altra la sera prima e senza accorgersene avevano preteso a vicenda qualcosa dall’altro restandone folgorati, scottati, consumati.
Se quel poco aveva scatenato quel travolgente effetto, il solo pensiero di quello che avrebbe potuto fare il conoscere tutto il resto era terrificante e destabilizzante.
«Liv!» sbaritò in un grido pieno d’urgenza Mary, catapultandosi nella stanza con la forza di un uragano. Liv e Sirius si allontanarono immediatamente, tesi, facendo un passo indietro.
«Mangia questo nell’attesa di qualcosa di più nutriente» sbottò la bionda, i capelli più spettinati del solito e uno strofinaccio appeso su una spalla, ficcandole alla sprovvista in bocca un tramezzino «E tu, Black, fammi capire se quella cucina è davvero vuota come sembra o se nascondi le cose in qualche luogo oscuro che solo tu sai. Dopo aver visto una motocicletta in salotto mi aspetto di trovare l’olio e il sale nel portasapone in bagno!».
Prima di seguirla, gli occhi vibranti di Sirius restarono qualche altro istante incatenati a quelli frementi di Liv prima di interrompere il contatto per voltarle le spalle ed uscire dalla camera passando tra James e Lily che invece varcavano la porta con Remus al seguito.





*






La piccolissima cucina dai pensili gialli quasi tutti aperti era un disastro, completamente sottosopra.
Sirius si bloccò sullo stipite, letteralmente sconvolto.
«Non hai nemmeno un uovo! Un uovo, Black!» lo aggredì Mary da dietro lo sportello del frigo davanti al quale era chinata, alla ricerca di viveri «Guarda qua! E l’aceto non va in frigo! L’aceto poi! Non hai le uova ma l’aceto sì! Mi spieghi cosa ci fai con l’aceto se non hai dove metterlo?»
«Macdonald... » provò a bloccarla Sirius vedendola poggiare con uno schianto la bottiglia di vetro sul ristretto tavolo quadrato accostato al muro e letteralmente invaso da tutto ciò che Mary La Pazza aveva sottratto ai mobili.
«‘Sta zitto!» strillò lei chiudendo di botto il frigo «E le padelle?! Dimmi dove devo friggere l’uovo che dovrò andare a comprare! Dimmelo! O sarò costretta a Trasfigurare la tua moto in una meravigliosa piastra antiaderente!».
Sirius arcuò un sopracciglio e Mary, sguardo assassino e mani sui fianchi stile Euphemia Potter, parve illuminarsi notando uno sportello ancora chiuso accanto a quelli sopra il lavandino.
«Lì che c’è?» chiese gettandosi a capofitto.
Sirius fece per avvicinarsi ricevendo dritto in faccia lo sportello che Mary aprì di scatto.
«Cazz...!»
«Cereali, Black? Sul serio?! Non hai il latte, come li mangi questi cereali?!»
«Per Merlino, Macdonald, non solo mi stai distruggendo la casa ma anche la faccia!» tuonò Sirius sfiorandosi la fronte arrossata dal colpo. Scocciato, si chinò ad aprire il forno rivelando una pila di pentole pulite che Mary osservò, a dir poco indignata.
«E non potevi dirmelo subito che erano lì?!» sbraitò facendogli spalancare gli occhi grigi con sconcerto. «Questa andrà bene per una frittata. Ma anche dei pancakes non sarebbero male, Liv li adora...» continuò lei sovrastata dal chiassoso sferragliare del suo stesso rovistare tra il pentolame. Quando si bloccò, rimettendosi dritta come un manico di scopa, Sirius ebbe l’impellente voglia di chiamare Remus.
«Dimmi che hai almeno la farina, Black» sibilò Mary, gli occhi nocciola assottigliati da una tacita minaccia, come se non avere la farina fosse chissà quale peccato mortale.
Sirius, ateo riguardo la religione culinaria, non si scompose.
«Ho del bacon in frigo. Possibile tu non l’abbia visto, Knarl umano?» disse facendola avvampare e gonfiare d’oltraggio. Marciò spedita verso il frigo per tirare fuori il bacon, tornando poi ai fornelli sotto lo sguardo di Sirius che presto si ritrovò a salvarle più volte la pelle allontanando il tovagliolo che lei aveva lasciato vicino alla fiamma, afferrando al volo la bottiglia dell’olio che aveva poggiato distrattamente nel vuoto, porgendole la presina prima che potesse ustionarsi la mano afferrando il manico bollente della padella.
«Adesso capisco perchè non hai scelto di continuare Pozioni, Macdonald, e ti ringrazio»
«Passami il pepe»
«Non c’è il pepe»
«Ma certo! Stupida, io, a chiedere la presenza del principe della cucina!»
«Soltanto i cuochi hanno il pepe in cucina, ma andiamo
«Senti, Black, sono reduce da un pranzo di Natale che farebbe impallidire la regina e, davvero, non puoi di certo saperne più di me e di mia nonna dei condimenti e delle spezie che più si addicono al bacon e ai tacchini che sembrano per esplodere»
«Buon per te»
«C’è qualche negozio aperto anche se è festa?»
«Ci sono i vicini»
«Non andrò a fare l’elemosina porta a porta soltanto perchè la tua cucina è più simile a quella di una casa abbandonata...»
«Il mini market alla fine del vicolo dovrebbe essere aperto, è di un indiano che non sa nemmeno chi è Gesù Cristo»
«Bene. Latte, uova, farina, burro, zucchero, lievito... Sai fare la pastella dei pancakes?»
La faccia di Sirius fu più eloquente di una qualsiasi frase che avrebbe potuto usare per dire “Me lo stai chiedendo veramente?!”.
«Ok. Limitati a non far bruciare questo bacon senza pepe» tagliò corto Mary mettendogli in mano la spatola gocciolante olio ed appendendogli lo strofinaccio su una spalla larga.
Lasciandolo lì, con il bacon a sfrigolare, uscì dalla cucina di gran carriera.
«Sto tornando!» gridò per farsi sentire dagli altri. Remus, stranito, sbucò dal corridoio. «Faccio rivivere la cucina e anche te, vampiro dei miei stivali. Ti compro del cioccolato, sei bianco quanto il muro» informò afferrando al volo il cappotto che Remus stesso le aveva posato sul divano con accortezza.
«Preferirei del sangue, se non ti dispiace. Meglio se fresco, grazie» le rispose lui, picchiettandosi con l’indice un canino.
Sorrise sentendola ridere da dietro la porta d’ingresso che chiuse con un tonfo.
Vampiro. Era una novità. Nessuno gli aveva mai dato del vampiro. Sarebbe stato peggio essere un vampiro, si disse pensando a quanto dovesse essere impegnativo avere a che fare con una fame da lupo ventiquattr’ore su ventiquattro per trecentosessantacinque giorni all’anno, soltanto per sopravvivere.
Rise sottovoce, tra se e sè. Mary aveva la capacità di farlo sentire fortunato nei modi più impensabili, senza neanche accorgersene. Ignorando il divano che lo chiamava a gran voce per riposare le gambe nervose e la testa dolente da Lupo Mannaro, Remus si constrinse a tornare in camera di Liv dove un James a dir poco frustrato tentava di lodare le qualità di un tramezzino al formaggio come nemmeno Peter avrebbe potuto fare.
«... Più visti, Liv. Sai quanto è difficile ottenere questo preciso livello di... di...»
«Formaggiosità» gli andò in aiuto una Lily con tutta l’aria di chi cerca di risultare dignitosamente credibile chiamando a sè la forza di tutti gli elementi della natura.
Remus strinse gli occhi, guardandola, e lei, intercettando il suo stupito sguardo perplesso, alzò le spalle inclinando da un lato la testa per far scivolare la massa vermiglia di capelli sulla faccia nascondendo gli spalancati occhi verdi che gli piantò addosso.
«Se serve la pazzia di Potter per farla mangiare allora assecondiamo tutti la pazzia di Potter, Remus» sillabò mimando ogni singola parola in un sussurro che solo lui percepì mentre James, felicemente sorpreso, la osservò come illuminato.
«Esatto, Lily!» esclamò in un largo sorriso divertito «Esatto! La formaggiosità di questo formaggio è... è... »
«Formaggiosa» fece Lily.
«Parola di topo» aggiunse Remus.
Sia James che Lily si voltarono verso di lui, i lineamenti arricciati in due espressioni sconvolte, a dir poco sconcertate, incredule di aver appena sentito quello che avevano sentito.
Remus, interdetto, corrugò le sopracciglia castane, confuso. Esisteva davvero la possibilità di dire una frase sbagliata in quel “dialogo” praticamente non sense?
Liv, volutamente e disperatamente estraniata da tutto ciò, non li vide nemmeno.
Restò immobile seduta sul davanzale della finestra, una gamba al petto e un gomito sul ginocchio per reggersi la testa, a scrutare fuori con una concentrazione tale da far pensare a Remus che non stesse di certo semplicemente godendo del panorama.
«Il fatto è che noi vogliamo la tua parola, Liv, oltre a quella dei topi» disse Lily mentre la forte voce noncurante di Sirius riempiva la stanza.
«Avanti, Olivia, alza quelle belle chiappe da lì e datti una svegliata» esordì mettendo senza spiegazioni e complimenti un piatto con il bacon carbonizzato in mano a Remus, facendolo tossire per il fumo nero che saliva a spirale intasando l’aria.
«Felpato» l’ammonì James scoccandogli un’occhiata da dietro le lenti rotonde.
«Che c’è?» fece lui, ostentando innocenza «Non è forse vero che Olivia ha delle belle chiappe?».
Remus, pietrificato, sbattè allibito le palpebre accanto ad un’ombrosa Lily dal cipiglio meditabondo fisso su Sirius che allargò platealmente le braccia rivolgendosi di nuovo alla ragazza rimasta impassibile nella sua posizione.
«Vuoi per caso appiattirle stando incollata su quel davanzale, Olivia
«Sirius, io davvero...» riuscì ad esalare Remus, esterrefatto per quella totale mancanza di tatto.
«Scommetto che te ne starai lì per sempre, Olivia» insistette lui, il tono intriso di sfida e un mezzo sorriso provocatorio che divenne ghigno alla vista degli occhi scuri di Liv posati finalmente sui suoi.
«Non è così, Olivia?» infierì avvicinandosi a lei come un esperto domatore di leoni perfettamente a suo agio, per nulla intimidito dalla sua aria ferina. Con le nocche di una mano le stuzzicò addirittura un braccio che Liv fece aggressivamente scattare per fermare il contatto ed allontanarlo. Ma Sirius sorrise, perfido.
«Olivia senza bacchetta e senza palle» la schernì, pungente quasi quanto lo sguardo assassino di Lily, circondata da un’inquietante aura contrariata opposta a quella speranzosa di James che aveva capito le intenzioni di Sirius.
«Chi l’avrebbe mai detto, Olivia...» le mormorò ancora, sollevandole lascivamente con il dorso della stessa mano la folta coda di capelli, sfiorandole la nuca e percependo il suo buon odore di crema per il corpo e shampoo che gli fece aumentare i palpiti del cuore; Liv, rabbrividendo al tocco sulla nuca, si girò di scatto torcendogli la mano con la sua ed alzandosi dal davanzale per andare a recuperare la bacchetta d’ebano conservata dentro il cassetto del comodino.
Sirius sollevò un sopracciglio nero, ridente, osservando intensamente la sua bacchetta stretta nella mano e gli occhi marroni finalmente accesi, svegli.
Ed improvvisamente si rese conto che la frase che stava per dire l’avrebbe usata tutte le volte che ce ne fosse stato bisogno, anche se per dirla ci avrebbe messo anni di tentativi e sforzi per riportare a galla quella ragazza.
«Bentornata, Olivia»
Lei lo Schiantò a freddo, le labbra leggermente sollevate verso l’alto esattamente come quelle di Sirius, svenuto a terra.
«Se per caso dovesse spuntare il Marchio Nero o altre anomalie sopra casa di mia madre, devo essere la prima a vederlo» esordì come se niente fosse lei scavalcando con una falcata decisa il corpo inerme di Sirius per riappostarsi davanti alla finestra.
«Sei ferma lì per questo» dedusse piano Remus.
«Sì» affermò Liv allungando il collo fino a sfiorare con la guancia il vetro freddo «Da qui posso vedere almeno il tetto».
Lily aprì le labbra per parlare ma James, gli occhi nocciola tremendamente pensosi, la fermò con un pacato gesto della mano prima di passarsi distrattamente tra i capelli.
Remus aggrottò le sopracciglia chiare riconoscendo quello sguardo, lo sguardo delle idee serie, quello che precedeva la risoluzione della maggior parte dei problemi di Peter, Sirius e anche di se stesso.
Era lo sguardo che aveva accompagnato il nomignolo “Piccolo Problema Peloso”, lo stesso che sicuramente aveva anticipato l’opzione “Animagus” al secondo anno.
E quando James uscì frettolosamente dalla stanza facendogli gesto di attendere, Remus non ebbe alcun dubbio sul fatto che non sarebbe tornato a mani vuote.
E così fu. James fece di nuovo la sua comparsa con un foglio di pergamena e una matita.
«Senti, Liv» esordì, avvicinandosi a lei per porgerglieli «disegnami qui la pianta di casa tua, secondo piano compreso, come se fosse una mappa precisa».
Liv, lasciando la finestra, lo sguardò storto. Era impazzito?
L’ampio sorriso di Remus catturò la sua attenzione e lo stesso fecero gli occhi verdi di Lily, luminosi e spalancati come se avesse davanti un’apparizione.
«Fallo, Liv» l’incitò quest’ultima.
La sicurezza del suo tono di voce e il viso radioso spinsero Liv a non indugiare oltre. Prese foglio e matita, e usando il muro come banco cominciò a tracciare linee e angoli alla bene e meglio.
Il bellissimo sorriso che Lily rivolse a James fu sfuggente come il suo cristallino sguardo smeraldino, ma incredibilmente sincero.
James, spiazzato, rimase bloccato sul posto ignorando volutamente Remus, di cui sentiva lo sguardo puntato insistentemente addosso.
«Ecco» fece Liv, dopo qualche minuto di assoluto silenzio, restituendogli non troppo convinta la pergamena «A cosa ti serve?»
«Lo vedrai» rispose vivacemente James afferrandola al volo prima che lei potesse cambiare idea, come la sua faccia gli stava suggerendo. Trascinando per una gamba Sirius, uscì insieme a Remus in corridoio, raggiunti immediatamente da Lily che si era chiusa la porta di Liv alle spalle.
«Ci penso io a Black» fece, autoritaria, staccando la mano di James dalla caviglia del ‘’cadavere’’ «Devo dirgli un paio di cose, giuro che ve lo restituisco intero... forse».
Remus ridacchiò fiaccamente, bisognoso di sedersi il prima possibile sul letto della “Merce di scambio”. James, invece, parve combattuto. Studiò Lily, guardingo, prima di sorridere furbescamente.
«Tieniti pure il sacco di pulci, Lily, non pensare di potermi comprare prendendolo in ostaggio. Ti farò vedere come si crea la Mappa soltanto se useremo insieme l’originale nelle Cucine durante le ronde».
Lily sollevò gli occhi verdi al cielo in un mezzo sbuffo ridente facendogli cenno di andare.
«Vacci piano con lui» decise di aggiungere James lanciando uno sguardo a Sirius prima di sparire con Remus dietro la porta della camera di Black.
Lily si sedette gambe incrociate sul pavimento, all’altezza del volto di Sirius.
«Innerva» mormorò agitando brevemente la bacchetta di salice. Lo vide strizzare gli occhi e l’intero viso prima di guardarla, confuso come aveva fatto dentro il piccolo magazzino sul retro di Mondomago dopo quel terribile scontro con la Mangiamorte o in infermeria dopo l’incubo su suo fratello.
Lui parve pensare la stessa cosa.
«Sta succedendo un po’ troppe volte, Evans» biascicò mettendosi svogliatamente seduto massaggiandosi con sofferenza la base della schiena «Non mi sta bene»
«A me non sta bene come tratti Liv» andò dritta al sodo Lily in un sussurro severo facendogli segno di abbassare la voce.
«Che?» fece lui girando lentamente la testa verso di lei, i lineamenti del viso stravolti.
«L’hai rimessa in piedi, è vero, l’hai fatta tornare la solita Liv ma Liv è cambiata, Black, che lo voglia ammettere o no» soffiò Lily piantando con forza gli occhi verdi nei suoi.
Sirius si limitò a strizzare maggiormente sguardo e labbra, spiazzato ed incapace di credere di star assistendo ad una ramanzina in piena regola. Che cavolo voleva Evans da lui? Si poteva sapere?
«Liv senza suo padre non è la stessa» continuò lei, per nulla frenata dalla sua espressione  «e prima lo capirà meglio sarà»
«So benissimo che è cambiata, Evans» sibilò Sirius, allibito «ma perchè trattarla diversamente?»
«Perchè non può fare finta di niente e comportarsi come ha sempre fatto. Tu, non puoi istigarla a comportarsi come ha sempre fatto» rispose lei in tono accusatore «Non affronterà mai la morte di suo padre in questo modo»
«E com’è che dovrebbe comportarsi allora?» sbottò sottovoce lui, infiammandosi all’improvviso «Da vegetale? Restando a letto tutto il giorno? Non mangiando? Non ascoltando nessuno però giustamente pensando alla morte di suo padre, crocifissa dal dolore?! Perchè è questo che si fa, che tutti fanno, che la morale, il decoro o quello che è impone!» mormorò rabbiosamente sprizzando sarcasmo da ogni poro, gli occhi grigi spalancati.
«Non ho detto questo!» ringhiò Lily, interdetta «Deve soltanto capire che quello che sente è normale, che non può negarlo, zittirlo con la rabbia»
«Se la rabbia è il suo modo per restare viva sì, Evans, deve usarla» affermò più serio che mai Sirius.
Lily scosse la testa, sconcertata, facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi attorno alle spalle. «Tu non puoi allontanarla da quel dolore appena lei prova ad ascoltarlo, Black, soltanto perchè questa nuova Liv non ti piace, non è quella che ti diverte con gli scherzi» replicò aspramente osservando gli occhi davanti a lei farsi sottili, affilati.
 «Io non la allontano da quel dolore, Evans»
«É proprio questo che fai invece»
«E non sono di certo io quello a cui non piace questa nuova Olivia. Siete voi»
«Che cosa?!» sussurrò furiosamente Lily spalancando occhi e bocca, offesa.
«Che la guardate con quell’odiosissima pietà, che la trattate diversamente cercando di rimetterla in sesto in ogni modo, assillandola. Siete voi che rivolete la vecchia Olivia, Evans, non io» proruppe Sirius in un mormorio furibondo.
Lily boccheggiò per qualche secondo, incapace di proferire parola. Che Black non si facesse scrupoli a dire la sua era cosa nota ma aveva decisamente esagerato e toppato alla grande. E, per la cronaca, anche lei sapeva di riuscire ad essere altrettanto franca. L’ira che sentì montarle dentro, infatti, le arrivò alla lingua senza che lei potesse fermarla.
«Tu vuoi farla diventare come te che saresti capace di strapparti il cuore dal petto piuttosto che provare una qualsiasi emozione!» esplose tenendo il tono di voce bassissimo «Capace di uccidere piuttosto che ammettere a voce alta la mancanza di tuo fratello».
Il volto di Sirius perse completamente espressione. Il suo sguardo, sempre fermamente puntato su di lei, divenne maledettamente gelido.
«Io cerco soltanto di ricordarle chi è, Evans, perchè in mezzo a quel dolore e al non avere più una casa ci si perde» sibilò, sferzante.
Gli occhi verdi di Lily rimasti socchiusi dalla rabbia si fecero repentinamente profondi, colpiti, interessati.
«E non osare mai più straparlare di me» concluse Sirius, impassibile, sollevandosi da terra con noncuranza per lasciarla lì e raggiungere la porta della sua camera, sparendoci dietro subito dopo.





 
*






«... della vicenda delle lettere, James?»
«Una storia che ti ha raccontato Sirius, immagino»
«Che vuoi
Il brusco e decisamente ostile tono di voce di Sirius fece voltare con un sussulto Remus ma non James che non ebbe bisogno di guardarlo in faccia per capire.
Per ridurre Sirius in quello stato esisteva un solo tasto e il fatto che fosse stata Lily a schiacciarlo lo lasciò decisamente stupito, confuso, attonito.
«Ci è andata davvero così pesante?» gli chiese sistemandosi gli occhiali sul naso, osservandolo raccogliere da terra un paio di jeans e un anfibio restando in un perfetto silenzio apparentemente imperturbabile.
L’aria pericolosa attorno a Sirius, però, era chiaramente percebile ai suoi due amici. Remus, gli occhi ambrati leggermente spalancati, lanciò di sottecchi una cauta occhiata a James che senza smettere di fissare la schiena di Sirius, adesso intento a gettare indumenti vari nell’armadio, riprese a parlare come se niente fosse.
«Remus mi chiedeva della storia che gli hai raccontato per lettera a mia insaputa. Quella delle lettere per Lily»
«Storia nel senso storico e quindi veritiero della parola non “fandonia”, “storiella”, “fiaba” “leggenda”... »
E Remus, conoscendo a memoria il meccanismo di quei due, con la stessa impassibilità di James s’inserì in quel discorso appositamente creato per far sfogare Sirius.
«Quindi hai davvero inviato venti lettere a Lily, James? Venti
«Venti lettere a Lily per sapere di Liv, non per fare “il cretino” davanti alle risposte come ti avrà detto lui...»
«L’ultima volta ti sei incantato per ben dieci minuti, cretino...»
«Ma perchè però? Perchè la frase “avrai la coinquilina richiesta” è stata aprecchio disturbante»
«Mi stai dicendo che il Buon Natale di Evans non ti ha fatto effetto?»
«Non di certo come la scoperta che tu- tu, Felpato- hai invitato Liv a stare qui»
«Avrei dovuto lasciarla in strada forse?!»
«Ah! Ma lo sai, Remus, che è corso da lei appena l’ha saputo?»
«Cos...?»
«C’era da pulire, da fare il letto...»
Calò il silenzio, attonito come le facce di James e Remus che si portò una mano alla testa sedendosi con instabilità sul letto.
«Ehy, tutto bene?»
«Un capogiro, James»
«La luna. Sono già le quattro, sarebbe meglio se cominciassi ad andare a casa. Noi due ti raggiungiamo appena inizia a fare buio. Pete è ancora malato...»
«No, altro che luna» mentì Remus, lo sguardo ambrato stanco ma acceso da una punta di malizia «è stata la dichiarazione da casalingo di Sirius».
Due risate scoppiarono nella stanza, la sua e quella di James. Sirius rimase a guardarli immobile sul posto, l’impassibile aria di sufficienza a distendergli il volto.
«Sono stato inconscente a venire qui» borbottò subito dopo Remus passandosi torpidamente una mano dietro il collo.
James gli si sedette accanto passandogli un braccio attorno alle spalle.
«Grifondoro, mio caro, si dice Grifondoro. É coraggio non incoscienza» lo corresse con un largo sorriso.
Il mezzo sbuffo divertito che uscì dalla pallide labbra di Remus fu coperto dalla voce quasi annoiata di Sirius.
«Sei stato gentile, come al solito. A Olivia ha fatto bene vedervi, sentirvi un po’ meno»
«Come se Liv avesse bisogno di qualcuno che non sia tu»
«Come scusa, Scornuto?»
«Lascia perdere, James, sono troppo debole per intavolare un discorso così serio con lui»
Appena Remus finì di pronunciare la frase e Sirius iniziò ad accartocciare la sua faccia in un’espressione confusa il grido orripilato e colmo d’angoscia di Lily echeggiò dietro la porta chiusa.
«OH MIO DIO, MARY! CHE TI È SUCCESSO?!»
Fu un attimo. Remus drizzò a sedere e un secondo dopo lui, James e Sirius arracarono nel corridoio insieme a Liv, raggiungendo senza fiato il salotto dove sulla porta d’ingresso Mary, stravolta e scossa da profondi singhiozzi di pianto, aveva il collo e parte dei capelli biondi a sfiorarlo ricoperti di sangue rosso vivo.
Nessuno riuscì a muoversi, nessuno riuscì a parlare anche perchè Mary, respirando a fatica, marciò spedita verso un Remus a dir poco scioccato come tutti gli altri, lo sguardo agghiacciato ed incollato a quel rosso scintillante sul collo di Mary, a due passi da lui.
«Mi hai detto...» esalò lei con voce roca e sofferente, gli occhi nocciola strizzati dal dolore e dalle copiose lacrime. «Mesi fa mi hai chiesto che cosa avrei fatto se avessi incontrato un lupo mannaro senza la luna piena».
Remus boccheggiò, spaesato, incapace di proferire parola, incapace anche solo di pensare ad altro che non fosse l’Ospedale San Mungo.
«Mary»
«NON PARLARE!» ruggì lei, senza fiato ma facendo sentire benissimo tutta la sua grinta. «Quando stavamo portando le zucche in Sala Grande per Halloween mi hai chiesto che cosa avrei fatto se per caso ne avessi incontrato uno... e io ti ho detto che gli avrei stretto la mano» annaspò prendendogli una mano pallida e stringendola come se lo stesse conoscendo per la prima volta.
Remus, pietrificato, non riuscì neanche a divincolarsi dalla sua presa salda. Affogò in quelle due pozze nocciola traboccanti d’ansia e luce data non soltanto dalle lacrime copiose ma anche dalla verità, dalla sconvolgente verità che sbaragliava qualsiasi cosa, qualsiasi ostacolo, bugia, scuse.
«Ma non mi hai chiesto che cosa avrei potuto fare dopo, se quel lupo mannaro mi fosse piaciuto...»
«Mary...»
«Beh, ecco cosa gli farei»
Si sollevò velocemente sulle punte dei piedi prendendogli il viso tra le mani, baciandolo.
Lo baciò di slancio per non farsi fermare dalle promesse fatte a se stessa.
Lo baciò per sentire, conoscere ed accettare ogni cicatrice sulle sue labbra, ogni sua paura, ogni sua crepa, per zittire ogni suo “Non posso”.
Lo baciò senza fretta perchè di fretta, con Remus, ne aveva sempre avuta troppa.
Lo baciò perchè a lei non importava se era un Lupo Mannaro.
Lo baciò aggrappandosi al suo viso pallido perchè la vertigine che l’aveva scossa al contatto con quella bocca più umana e gentile di qualsiasi altra continuava a farle girare la testa, a sballottarle il cervello, il cuore impazzito, lo stomaco facendole perdere l’equilibrio interno esattamente come succedeva a Remus che 
appena aveva sentito quelle morbide labbra premere e muoversi con incredibile dolcezza sulle sue era stato travolto dallo stordimento esploso insieme al cuore, dalla pace dei sensi e della mente, dall'avvolgente e totale felicità che aveva eliminato qualsiasi altra cosa, anche il trauma di sentirsi completamente nudo, privo dei vestiti, della pelle, dei muscoli di fronte a quelle labbra che vedevano il lupo aggrappato alle sue ossa scricchiolanti. 
Fu quella constatazione ad accendere di nuovo tutto, a ricollegare i pensieri che Mary aveva mandato in tilt, a fargli fare un passo indietro.

Si allontanò rapidamente da lei, tenendo gli occhi chiusi e sprofondando nell’angoscia al sentire quelle piccole mani scivolargli a fatica dal volto.

















 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Note non proprio note:
 


In questo capitolo ho dato moltissimo spazio a Liv e Sirius (forse troppo), me ne rendo conto e mi rendo anche conto che molto probabilmente vi ho annoiato a morte!
Era necessario, però, perchè entrambi hanno fatto un passo da gigante nei capitoli precedenti. Dovevano parlarsi chiaro prima di “fidarsi”, aprirsi un minimo.
E finalmente è emerso anche il punto di vista di Sirius (ho passato anni a cucirmi la bocca per colpa sua!).
Il tentativo di baciarla, per Liv, era soltanto una presa in giro, al suo contrario. Per questo lei non ha mai fatto riferimento a quei fatti nei capitoli precedenti.

 
Mary finalmente ha scoperto il segreto di Remus (il come verrà svelato nel prossimo capitolo che spero di riuscire a scrivere insieme alla notte passata nelle Stanza delle Necessità) e ha trovato un modo tutto suo per dirglielo.


Non mi dimenticherò degli altri e della guerra. Questa storia avrà sempre come punti di riferimento i Malandrini, Lily e James, Hogwarts e L’Ordine della Fenice. Per forza di cose, però, devo dare spazio anche agli altri personaggi perchè altrimenti sarebbe impossibile farli crescere.

Ultima cosa: James non si comporta da zerbino. Sirius distorce la realtà che non vuole vedere. Ci tenevo a specificarlo: l’orgoglio e la dignità di James non spariranno mai.
















                                                                  

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** 35. Notte Bianca e Cane Nero ***


Capitolo 35
 
NOTTE BIANCA E CANE NERO
 

 



 
 
 
Era andato via. Remus, sgusciando dalle mani di Mary, era andato via. Il tonfo della porta d’ingresso dell’appartamento di Sirius echeggiava ancora nell’aria cristallizzata, densa di silenzio e tensione attonita come i visi di tutti.
L’unica cosa che James, Sirius, Liv e Lily muovevano erano gli occhi per lanciarsi a vicenda sguardi atterriti.
Nessuno riusciva davvero a credere a ciò che era appena successo, Mary più di tutti, rimasta a fissare con occhi vitrei il punto ormai vuoto dove pochi istanti prima c’era stato il ragazzo che aveva baciato.
Scambiandosi una contemporanea occhiata d’intesa, James e Sirius spezzarono il silenzio incamminandosi a passo svelto verso la porta per uscire e raggiungere Remus, lasciando le ragazze libere di parlare tra loro ma nessuna delle tre aprì bocca.
Il silenzio continuò per svariati minuti in cui Lily e Liv, in evidente difficoltà, evitarono di guardarsi a vicenda. Entrambe sapevano da diverso tempo del segreto di Remus e sempre entrambe pensavano di essere le uniche colpevoli per non averlo riferito all’altra e a Mary che, ancora immobile al suo posto, continuava a non battere ciglio.
I vibranti ed ansiosi occhi verdi di Lily, però, quasi gridavano in direzione del sangue fresco sul collo dell’amica.
Tra lo scorcerto dato dal bacio non ricambiato e il bacio stesso, quel sangue restava il dettaglio più importante di tutti nella trattenuta agitazione della stanza. Una preoccupazione incontrollabile e forte, quella che attanagliava Lily, che presto sgusciò fuori dalle labbra.
«Cosa ti è successo? Posso vedere?» esordì pacata avvicinandosi cautamente a lei.
Mary non si mosse nemmeno quando le delicate ed attente dita dell’amica le scostarono le punte dei corti capelli biondi a metà collo, fermandosi subito dopo perchè sotto il sangue, sulla pelle scivolosa e sporca di rosso vivo, c’era chiaramente l’ampio segno di una dentatura che Lily non riuscì a collegare a nessun animale ma soltanto a qualche foto dei manuali di Guarigione della biblioteca di Hogwarts che al quinto anno, dopo il colloquio di orientamento con la McGranitt e prima di decidere di sacrificare il suo sogno di lavorare al San Mungo per combattere, aveva cominciato a cercare e leggere.
L’espressione immediatamente contratta sul suo viso paurosamente serio mise in allarme Liv, non più indecisa riguardo la scelta che per diversi minuti aveva cercato di fare tra cercare Remus e parlargli a quattr’occhi o trasportare di peso Mary al San Mungo.
Con quattro ampie falcate raggiunse le amiche stringendo con mano ferma il polso della bionda.
«Chi ti ha morso, Mary?» chiese Lily in un soffio di voce tremula, gli occhi verdi spalancati alla ricerca insistente di quelli nocciola. Sapeva la risposta e nonostante questo non riuscì a non sussultare quando la sentì, pochi istanti dopo.
«Un lupo mannaro» rispose Mary a denti stretti mentre ancora le tremavano le labbra e le mani dall’adrenalina, dal terrore ancora impazzito dentro di lei e dal fatto di aver baciato un fantasma.
Liv trattenne il fiato stringendole maggiormente il polso.
«L’ho riconosciuto, era quello della foto» continuò glaciale Mary evitando di nominare Remus «Stava spiando e seguendo Diana- la tua ex vicina di casa, Liv. L’ho fermato prima che potesse farle qualcosa e il morso l’ho beccato io anche se sono riuscita a pietrificarlo mentre tentava di affondare quei suoi denti affilati. Lei, senza magia, sarebbe sicuramente morta».
Il cuore di Lily perse un battito prima di pulsare furiosamente, incontenibile. Liv, sotto shock, sentì il petto gonfiarsi insieme alla sua idea di tenere tutti fuori dalla questione “Ronda”.
«Mi ha ordinato di dirgli come facessi a sapere di lui» proseguì con durezza Mary cominciando a sentire effettivamente il dolore acuto e bruciante adesso che si stava liberando di tutta la tensione «Gli ho risposto che l’avevo visto in una foto e che qualcuno mi aveva detto cosa fosse. Lui mi ha squadrato, ha ipotizzato la mia età e fatto il nome di Remus chiedendomi in uno schifoso sorriso viscido se si fosse già limato i denti per stasera. C’è voluto poco per capire il perchè».
Il gelo che improvvisamente calò su tutt’e tre fu così pesante da ovattare le orecchie. 
Liv, stringendo ancora il polso di Mary, riuscì a sentire il suo battito cardiaco accelerato, esattamente come il suo. Gli occhi nocciola la trafissero in pieno, socchiusi e sospettosi come se la stesse accusando di non aver reagito in modo adeguato alla scoperta di Remus-lupo mannaro.
Liv non riuscì a fare altro che spalancare i suoi in una finta espressione sorpresa decisamente poco credibile, identica a quella di Lily. Fu proprio la rossa a spezzare quell’aria per niente leggera.
«Andiamo subito al San Mungo» propose risoluta afferrando Mary per un braccio.
«No, mi ha ferito soltanto superficialmente» ringhiò lei scrollandosi con rabbia dalla presa delicata dell’amica alla sua sinistra e da quella rude alla sua destra.
«Mary, ti ha morso un lupo mannaro» insistette Lily con forza «Hai bisogno di cure particolari che io conosco solo in teoria e che adesso non saprei darti!» cercò di farla ragionare.
«Non diventerò un licantropo, Lily, la luna non è ancora sorta» tagliò corto lei.
«Ma devi lo stesso farti vedere da un Guaritore, Lily ha ragione» intervenne Liv guardando fugacemente la finestra come per decidersi a lasciar perdere sua madre per un momento.
 
«E ti ci porto io, di peso»
«Cosa?! Liv, mettimi immediatamente giù!».
 
 


 
*
 
 
 


 
«Esiste un reale motivo che non sia la solita scusa, Lunastorta?»
«Vi conviene nascondervi sotto il Mantello prima che mio padre torni e vi veda»
«Felpato ti ha fatto una domanda, Remus, e ti faccio sapere che non è l’unico interessato alla risposta»
«Nascondetevi, James»
Un fruscìo delicato e Sirius e James sparirono sotto la leggera stoffa scivolosa, scintillante per la luce dorata dell’unica lampadina appesa al basso soffitto del seminterrato di casa Lupin alle sette e mezza di sera.
James, nonostante l’invisibilità, riuscì comunque a riempire e sovrastare l’intero ambiente polveroso con la sola voce intrisa della sua solita carismatica presenza.
«Fatto. Adesso vuoi rispondere?»
«No»
«Ok. Ok, bene, allora ti ripeto cos’hai fatto, Lunastorta, perchè forse non te lo ricordi»
La lunga e solenne pausa volutamente di suspense che seguì non scalfì minimamente la decisione di Remus come invece avrebbe dovuto fare secondo le intenzioni di James, testardamente pronto a riprendere il suo discorso.
«Tu sei praticamente scappato dopo essere stato baciato. Capisci? Tu hai praticamente mollato lì una ragazza senza dire o fare nulla. Tu, tu, sei praticamente stato quello che si dice uno stronzo»
La temperatura già gelida dello scantinato si abbassò ulteriormente e la battuta di Sirius -«Felpato, qui, rivendica il suo ruolo» - non servì a ristabilire i gradi precedenti.
Remus, immobile sul posto e più pallido della luna non ancora sorta, rimase a guardare il punto in cui James e Sirius se ne stavano sotto al Mantello dell’Invisibilità. E come se parlare al nulla fosse la cosa più normale del mondo aprì le labbra per farlo con la massima naturalezza.
«Io sono praticamente stupito dal nuovo livello di sprezzo del pericolo che hai raggiunto, Ramoso. Segnatelo: Dare dello stronzo ad un Lupo Mannaro a pochi minuti dalla trasformazione, per di più dopo una giornata che si può definire di merda... »
Un dolce fruscio di stoffa spezzò ancora una volta il silenzio facendo riapparire esclusivamente la testa di James, i capelli neri più arruffati che mai e gli occhiali rotondi, storti sulla punta del naso.
«Ma mi hai ascoltato o no, Remus?» soffiò James apparentemente calmo.
«Tanto prima o poi avrei dovuto lasciarla, no? A che serve stare insieme?» sbottò lui distogliendo lo sguardo ambrato da James, gonfio d’incredulità e sconcerto mentre anche la testa di Sirius sbucava fuori dal nulla, il volto seminascosto dai lunghi ciuffi scuri decisamente perplesso.
«Io dico che non è vero che ti piace» sentenziò sollevando un sopracciglio «perchè altrimenti vorresti stare con lei anche se avresti soltanto un giorno di vita, Remus».
«Forse è davvero così, Sirius, forse non mi piace abbastanza» mentì lui freddamente. Tutto quello che voleva era stase da solo, lui e il suo problema che non avrebbe fatto del male ad altri, non avrebbe messo nei guai nessuno, men che meno Mary.
«Come puoi dire “A che serve”?» sbottò James che, come Sirius, non aveva creduto ad una sola parola.
«Non voglio sentire nessuna predica» liquidò sbrigativamente la questione Remus dando  le spalle ad entrambi con evidente irritazione. La rabbia e la fame incontenibili del lupo pronto ad uscire gli ribollivano dentro, come ad ogni giorno X, ma sembravano essersi triplicate mischiate alla cascata di sensazioni scaturite dal bacio di Mary che riverberava ancora in ogni sua vena, ogni osso, ogni strato di pelle interna.
Era una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere, a liberare la belva scalpitante per la luna ed impazzita dopo il contatto con quelle labbra morbide tatuate sulle sue. Il diavolo e l’acqua santa, Remus dentro aveva entrambi e nessuna possibilità di controllarli, di controllare se stesso.
Per un attimo pensò a come sarebbe stato essere baciato in un giorno qualsiasi, innocuo, a cosa avrebbe sentito con il lupo addormentato dietro le costole.
«E invece la sentirai eccome» lo contraddì James, duro «Perchè questo non è un comportamento da persona responsabile».
Il forte pallore sul viso di Remus, arricciato in una vaga espressione offesa, si tinse leggermente di rosso vergogna.
James che parlava di responsabilità. James? 
Strinse i pugni lungo i fianchi contenendo la voglia di scagliarli sul muro di mattoni ammuffiti.
«Proprio per responsabilità ho chiuso questa storia prima ancora che potesse cominciare»
«Che responsabilità sarebbe mollare senza una parola una ragazza dopo averla baciata, Remus?»- lo sguardo dorato di Remus si spalancò verso un punto indefinito dello scantinato- «Lo so, hai risposto al bacio anche se per un millesimo di secondo. Quindi spiegami di che responsabilità parli perchè io proprio non lo capisco».
La voce di James era calma, piatta, fredda; Nessuna sfumatura a colorare la tonalità come invece faceva di solito, nessuna traccia della sua tipica vibrazione che accompagnava il timbro come se avesse costantemente una risata incastrata in gola.
Quella era la voce delusa di James Potter e Remus la riconosceva anche senza osservare gli occhi nocciola dietro le lenti rotonde.
«Immaginala fuori da qui» rispose senza voltarsi «Immagina me e lei fuori da qui. Mary rischia già la vita essendo una Nata Babbana»
«Per Lily sarà lo stesso, che credi? Ma l’idea di lasciarla perdere, di mettere da parte la voglia di averla con me non mi sfiora nemmeno. Non l’abbandonerò mai, qualsiasi cosa succederà»
«Perchè tu non sei un Lupo Mannaro»
«Sono un ‘Traditore del mio sangue’ che per quei bastardi significa essere ugualmente ‘sporchi’. Vorrebbero uccidere anche me, senza pensarci due volte. Bellatrix Black ci ha già provato. Siamo nella stessa barca, Remus, come la mettiamo?»
Fu quell’ultima frase a far scattare e girare Remus, le nocche ormai bianche come il suo viso stravolto da una ferocia incapace di spaventare James e Sirius, abituati a vedere il vero muso del lupo impossessarsi del volto umano del loro migliore amico.
«Non la mettiamo in nessun modo, James! Perchè disprezzare le regole dei Purosangue non è di certo come essere un Ibrido! Come trasformarsi in un mostro ogni mese!» quasi gridò avvicinandosi repentinamente verso di lui che non si mosse di un millimetro «Lily non rischierebbe di venire azzannata ad ogni luna piena!»
«Nemmeno Mary se per questo» fece James apparentemente impassibile «Ci saremo noi con te ad ogni luna piena, come sempre, come stanotte, qui, anche fuori da Hogwarts. Lei sarà al sicuro».
La furia di Remus parve divampare.
Diede un calcio ad una cassa di legno vuota mandandola a sbattere contro il muro, il ringhio ferino ancora echeggiante nell’ambiente umido e polveroso.
«Al sicuro?! Al sicuro, James?! Se tutti venissero a sapere che sta con un Lupo Mannaro dovrebbe rinchiudersi in casa per l’eternità! Spostarsi di paese in paese ogni mese come hanno fatto i miei! E fare due lavori perch io di certo che lavoro potrei fare!? E non voglio! Non voglio nemmeno che soffra... come mia madre! E mio padre! Costretti a cambiare casa dopo un mese per non far scoprire agli altri cosa sono! Immersi nella costante preoccupazione, nell’ansia! E quelli come me, se non accettano di passare dalla parte di Voldemort, li uccidono e uccidono tutti quelli che gli stanno attorno o peggio: li trasformano in loro simili».
Un silenzio di tomba avvolse tutti: James e i torvi occhi nocciola socchiusi dietro le lenti, Sirius e i suoi, grigi, assorti attentamente su un Remus con le spalle scosse dal fiatone e l’ombra del lupo nello sguardo ambrato.                                                                                                    
«Nata Babbana e ragazza di un ibrido!» continuò a ringhiare a denti stretti Remus allontanandosi velocemente da James con passo nervoso «Ha praticamente un piede nella fossa! É morta!»- calciò un’altra scatola e si portò le mani ai capelli, disperato «E la gente? I suoi genitori?! Sarà allontanata da tutti!»
«Se a lei non importa essere esclusa dalla società ridicola e piena di pregiudizi non dovrebbe importare nemmeno a te» sentenziò James «E se invece le importa, beh, in quel caso non è quella giusta per te, Remus. Tu meriti una ragazza che voglia e sappia stare con te nonostante la gente ipocrita, nonostante il pericolo che potrebbe procurarle averti al fianco, nonostante i mille ostacoli che tu e gli altri le mettete davanti ogni giorno. Tu meriti il meglio anche se pensi di essere il peggio».
Remus non riuscì a controbattere, ad obiettare, non con quello sguardo di James addosso.
«A lei non le importa della gente...»
«E allora qual’è il problema? Continui a cercare mille scuse ma non vedi che nessuna regge? Mary mi sembra a posto, anzi, è perfetta. Una che vuole combattere quelle leggi insensate a prescindere dall’essere o meno la ragazza di un lupo mannaro non si trova così facilmente e lo sai. Non puoi rinunciare a lei solo perchè non hai il coraggio»
«James... » tentò di bloccarlo Sirius cogliendo la prima sfumatura rabbiosa nel tono di voce dell’amico. Ma James, tremante di rabbia, proseguì sentendosi in dovere di difendere a spada tratta la felicità che il lupo dentro Remus tentatava costantemente di inghiottire; sentendosi in dovere di andare in soccorso a quella parte umana proprio come avrebbe fatto per tutta la notte che li aspettava.
«Sei un codardo, Lunastorta» sibilò con l’intenzione di smuoverlo, colpirlo «Se la lasci andare, se la lasci da sola e lasci da solo te solo per questo motivo sei un codardo e io assolutamente deluso».
Remus, mortalmente pallido, sembrava aver appena ricevuto un pugno sullo stomaco, gli occhi ambrati lucidi, fervidi, e il viso deformato dallo strazio.
Con l’impazzito battito del cuore nelle orecchie e una furia cieca, si portò ferocemente una mano alla tasca dei jeans, alla ricerca della bacchetta di cipresso.
James e Sirius lo imitarono ma al fischio acuto degli spifferi sotto l’unica e piccola finestra si mischiarono dei passi frettolosi che fecero scricchiolare rumorosamente la scala in legno.
Remus ricacciò la bacchetta in tasca e gli altri due sparirono sotto al Mantello.
«Tesoro, siamo qua» esordì premurosamente Hope Lupin mettendo piede sull’ultimo gradino con suo marito alle spalle, i lunghi capelli castano chiaro raccolti in un disordinato chignon, un grembiule sporco di farina e cioccolato ad ondeggiarle davanti alle gambe ad ogni passo lasciando nell’aria il profumo che le aveva regalato quella stessa mattina.
Remus, stordito dalla discussione con James, si sforzò di sorriderle quando la donna allungò le braccia snelle verso di lui per abbracciarlo con dolcezza mentre Lyall si chinava mestamente a raccogliere le pesanti catene sul pavimento.
Il freddo suono metallico fece rabbrividire Remus, immediatamente stretto in modo ancora più amorevole da sua madre, una stretta che fin da bambino aveva desiderato avere al posto di quegli anelli di ferro gelido.
«Ho appena infornato i biscotti per la colazione» gli fece sapere Hope sciogliendo l’abbraccio per prendergli amorevolmente il volto tra le mani e guardarlo con i grandi e lucidi occhi azzurri.
Remus annuì, questa volta il sorriso gli venne spontaneo al pensiero dei quintali di biscotti che sua madre preparava fino all’alba. La donna gli baciò morbidamente una guancia bianca come l’intonaco del soffitto, gli sistemò i ciuffi di capelli  sulla fronte e con un’ultima carezza gli sorrise dolcemente di rimando.
Con un tuffo al cuore, Remus incontrò lo sguardo ambrato di suo padre, identico al suo non soltanto per il colore e la forma ma anche per profondità e ciò che racchiudevano dentro. Ogni volta ci trovava apprensione, senso di colpa ed angoscia come se quelle catene che era costretto ad avvolgergli attorno ai polsi e alle caviglie fossero una sua unica responsabilità. Non aveva mai capito perchè.
Bastò quello sguardo visto centinaia di volte a farlo indietreggiare con arrendevolezza verso il muro con i ganci, lì dove sarebbe stato legato come l’animale che diventava per tutte le ore successive.
Sua madre continuò ad accarezzargli la testa castana mentre percepiva il freddo metallo avvolgergli la pelle sotto le mani aperte e poi attorno ai calzini.
Passare la luna piena a casa era come rituffarsi in un passato troppo doloroso, buio, abitato dalla solitudine e dal sangue che quelle catene gli facevano sgorgare senza pietà; un passato prima di Hogwarts, prima della Stamberga Strillante, della Foresta Proibita dove le uniche catene che lo tenevano a bada erano un paio di corna e un nero muso appuntito mai troppo brutali.
«Sarò proprio dietro la porta imperturbata e rafforzata, figlio mio» esordì Lyall rimettendosi dritto davanti a lui, la bacchetta in mano e un debole sorriso sulle labbra «É tutto pronto».
Pensando agli incantesimi in quel “É tutto pronto”, Remus annuì, incapace di far funzionare le corde vocali, prima di abbassare il capo, irrequieto per quella pressante forza che lo teneva prigioniero dentro e fuori. La voce sembrava essere sparita ormai. L’unica cosa che sentiva era il battito del cuore, il respiro corto, i nervi tesi, il familiare ed indesiderato istinto selvaggio che ribolliva nelle vene, in attesa. Riportò lo sguardo su suo padre mentre Hope lo circondò di nuovo tra le braccia, goffamente per colpa delle catene che lo tenevano quasi attaccato al muro.
Quando entrambi i suoi genitori sparirono al piano di sopra, richiudendosi la pesante porta alle spalle facendo scattare le diverse serrature con chiavi e magia, James e Sirius sbucarono interamente fuori dal Mantello.
Non ci fu bisogno di parole. Anche tra la confusione in testa, la tensione nel corpo, il suo amato controllo che lasciava lentamente il posto alla perdizione Remus sapeva che le catene non gli avrebbero lacerato la pelle come un tempo, che non avrebbe ululato al nulla. 
L’impulso di scagliarsi contro James gli fece strattonare i polsi in un chiassoso e  metallico tintinnìo di catene; il bacio di Mary, un’enorme farfalla viva nello stomaco già ingarbugliato, lo riportò sul muro in un frustrato mugolio agonizzante.
 I primi freddi raggi di luna, pallidi come lui, filtrarono inesorabilmente attraverso il vetro sporco della piccola finestrella dall’altro lato della stanza battendo dolcemente sulle ritte e grandi orecchie del cervo senza corna e sul folto pelo nero del cane prima di raggiungere lui e i suoi occhi che da ambrati divennero immediatamente più cupi.

Ed è così che va ogni volta, anche qui dentro. Il cervo e il cane sembrano assorbire un po’ di quella luce maledetta.
 
 


 
 
*
 
 
 


 
«Scusi? È possibile che per farsi visitare da un Guaritore ci voglia metà del tempo della propria vita già precaria visto che siamo ad un pronto soccorso non di certo perchè volevamo fare shopping?»
«Liv» pigolò Lily portandosi una mano davanti agli occhi verdi spalancati, mortificata.
La sala d’attesa del San Mungo era in un totale caos. A nulla servivano la moltitudine di ghirlande di agrifoglio e vischio, gli altissimi abeti bianchi di neve magica addobbati con grandi stelle dorate, scintillanti ghiaccioli sempiterni e vere fate luminose, guizzanti tra i folti rami verde scuro: la serenità e festosità del pulitissimo ed ampio ambiente veniva letteralmente inghiottita dalla marea di persone sedute sulle alte sedie in legno nel lungo perimetro della stanza e quelle in piedi nelle chilometriche file davanti al bancone dell’accettazione occupato da un’anziana signora dall’aria svampita che ogni minuto si voltava a chiedere consigli al grande ritratto appeso alle sue spalle, quello di una certa Dilys Derwent, distinta strega dai lunghi boccoli argentei.
Chiassose, piagnucolanti, saltellanti, levitanti, tremolanti, sputacchianti bolle di sapone, con un calderone al posto della testa, ali di drago sulla schiena, un Avvincino appeso ad un braccio con i denti, orecchie fumanti, facce gonfie e altre piene di squame: uomini, donne e bambini, quasi tutte le persone in quella sala apparivano anormali, compresa Mary che con il suo collo dolorante ed insanguinato attirava parecchi sguardi incuriositi ed orripilati.
Lily, al suo fianco nella fila, tentò di fermare Liv acchiappandole il cappotto con una mano ma l’amica, decisamente insofferente per il tempo trascorso lì in piedi, afferrò a sua volta la svolazzante tunica verde acido di un Guaritore allampanato con il naso appuntito quasi spiaccicato sopra la cartelletta sulla quale faceva scorrere furiosamente una lunga penna d’oca.
«Mi dispiace, signorina, oggi è Natale e non è di certo colpa mia se nei giorni di festa tutti sono incredibilmente molto meno prudenti come può benissimo vedere da sola»
«Molto meno prudenti?!»
«Liv»
«É il suo lavoro! E noi siamo qui da ore!»
«Aspettate il vostro turno!»
Sconvolta, Liv tornò con arrendevolezza al fianco di Lily grazie ad uno strattone di quest’ultima, beccandosi in pieno una ginocchiata alla coscia dal signore dietro di loro, evidentemente colpito da una Tarantallegra particolarmente pesante visto il suo non saper tenere a bada le gambe.
Trattenendo un’imprecazione e la voglia di scappare da quella trappola fatta di umani pericolosi, si avvicinò maggiormente alle amiche che avevano cominciato a parlare tra loro.
«Mary?»
«Mh?»
«Perchè hai baciato Remus?»
Lo sguardo vagante di Mary- momentaneamente posato su un bambino con una coccarda regalo attaccata al naso con quello che sembrava essere un Incantesimo di Adesione Permanente involontario - saettò su Lily.
«Che domanda è? Mi piace, mi piace da anni» rispose seccamente scostandosi dal viso i corti capelli biondi mossi dal vento provocato dalle ali di drago sulla schiena della signora davanti.
«Questo lo so» fece Lily facendo lo stesso con i suoi capelli rossi «Ma, insomma, avevi detto che non avresti tentato mai più con lui».
I delicati lineamenti di Mary s’irrigidirono così tanto da sembrare la conseguenza del dolore provocato dal morso del lupo mannaro.
«Perchè pensavo di non piacergli e invece quel “Non posso” non significava “Mi fai schifo” ma “Sono un Lupo Mannaro”» disse, le labbra strette e gli occhi nocciola di nuovo persi tra la moltitudine di casi umani che le circondavano.
Lily tacque e Liv, alquanto perplessa dietro di loro, restò altrettanto muta. Il chiasso della gente e dei Guaritori indaffarati fu di nuovo l’unico rumore nelle orecchie e in testa, almeno fino a quando Mary non riprese parola cercando di sovrastare il gracidare acuto di una bambina con la pelle verde melma, saltellante al seguito della madre.
«Ma se n’è andato e questo non può significare altro se non “Mi fai schifo”» l’amarezza nel suo tono di voce si sentì tutto nonostante la bambina-rana.
«Non è detto» intervenne provvidenzialmente Lily fermando volontariamente la nuda e cruda realtà che Liv, con la bocca già aperta, stava per tirar schiettamente fuori come suo solito. Perchè sì, il comportamento di Remus non era più ambiguo, vago: non gli piaceva Mary. Era stato più che chiaro e perfino Mary stessa sembrava pronta ad accettarlo, con grande sorpresa di Lily ed orgoglio di Liv.
«Lo è eccome» stroncò sul nascere l’ormai debolissima speranza proprio la bionda «”Non posso baciarti perchè sono un lupo mannaro”. Uno così o è ignorante e non sa che un bacio non è un morso oppure gli faccio schifo. E direi proprio che Remus sia tutto tranne che ignorante».
Di nuovo, mentre in testa alla fila il signore anziano ricoperto di pustole veniva mandato al reparto Avvelenamento da Pozioni e Pianteblaterando qualcosa contro il tacchino ripieno della moglie, la bambina-rana fu il suono più forte tra il rumoroso brusio indistinto.
Lily sospirò impercettibilmente scrutando Mary con lo sguardo di nuovo perso tra la folla e Liv si chinò in tempo per sfuggire ad una fiammata incandescente sputata dal ragazzo accaldato appena arrivato.
«Non mi hai ancora risposto comunque. Perchè l’hai baciato?» riprese Lily, chinandosi leggermente verso Mary «Per trovare il coraggio di baciare qualcuno non basta il fatto che ti piaccia...»
«L’ho baciato per fargli capire che non me ne frega un ca...»- la bambina rana gracidò perfettamente in tempo- «se è un Lupo Mannaro. E per fargli vedere che può e che il “Non posso” è un’assurdità» concluse Mary piccata.
«Ma quando l’hai fatto eri sicura che il suo unico problema fosse quello, il fatto di essere un Licantropo, non quello di non volerti» insistette Lily socchiudendo gli occhi verdi indagatori.
«Dove vuoi arrivare, Lily?» s’intromise Liv spuntando di nuovo tra le loro teste con la fronte ricoperta di sudore freddo e la coda dell’occhio torvo puntata sul ragazzo salamandra che adesso si sventolava forsennatamente con Il Settimanale delle Streghe rubato dalla borsa di “mamma rana”.
«Al punto in cui Mary ci racconta cosa è successo nella Stanza delle Necessità con Remus, Liv» rispose candidamente Lily.
Gli occhi scuri dell’amica alle sue spalle si allargarono a dismisura.
«Come, quando?» chiese Liv, allibita, voltando l’intero viso verso quello di Mary, rosso come i globi di cristallo luminosi sopra le loro teste.
Lily sorrise, furba. «Lo sapevo» sentenziò arricciando il piccolo naso lentigginoso «Lui ti ha fatto capire che gli piaci. Non l’avresti baciato altrimenti»
«Lily» sibilò Mary tra i denti «ti odio quando fai così»
«Racconta, dai, prima che assecondi la mia voglia di fuggire da qui» la incitò Liv buttando cupe occhiate in ogni direzione. Mary però non aprì bocca. Restò a fissare le due amiche con così tanta intensità da inchiodarle sul posto.
«Voi lo sapevate» se ne uscì dopo un po’, più caustica che mai.
«Cosa?» fece Lily, la fronte corrugata in un’espressione perplessa.
Le sopracciglia bionde di Mary si avvicinarono sopra i due occhi nocciola sempre più feriti. «Non sembrate soprese dal fatto che Remus sia un lupo mannaro» spiegò lasciandole sbigottite.
«Oh, beh» bofonchiò Lily portandosi nervosamente una ciocca rossa dietro un orecchio mentre con la coda dell’occhio verdissimo puntava Liv, altrettanto e stranamente a disagio. Lo sguardo smeraldino da spaventato come quello di un cervo in mezzo ad una strada si assottigliò, profondamente indagatore, e quello scuro di Liv altrettanto.
«Non mi avete fatto una sola domanda su di lui» continuò Mary osservando le due scrutarsi, guardinghe «sul fatto che sia un licantropo, come se fosse la cosa più normale del mond...»
«Tu lo sapevi?!» si chiesero a vicenda Liv e Lily avvicinandosi con veemenza l’una all’altra, i profili sconcertati a pochi centimetri di distanza. E Mary, gonfia d’indignazione, si frappose tra loro come un arbitro di rastling.
«Sul serio?» sibilò rabbiosamente per non gridare in mezzo al San Mungo. «Sul serio sapevate di questo e nessuno me l’ha detto!?» insistette con forza cercando di attirare l’attenzione. Liv e Lily non smisero di puntarsi gli occhi addosso.
«Che razza di...? Cosa...?» fargugliò Liv, le sopracciglia scure aggrottate come la fronte « Lo sapevi sul serio?»
«Da quando?» chiese invece Lily, troppo scioccata dalla scoperta per risponderle.
«No, da quando tu!» sbottò Liv.
«Non me l’hai detto!» ripetè stupita l’altra, gli occhi verdi sempre più spalancati.
«E perchè tu sì?!»
«Non me l’avete detto!» s’intromise ancora una volta Mary separandole fisicamente sotto gli occhi straniti delle persone attorno a loro. Sorrise forzatamente per poi stringersi alle amiche abbassando notevolmente il tono di voce.
«Mi avete visto diventare pazza per sta cosa del “non posso”! E l’elenco dei pro e dei contro!? Il Vaiolo di drago! Tu mi hai detto che poteva essere Vaiolo di drago!»
«Non lo sapevo in quel momento!»
«Oh, ma per favore, Liv!»
«Te lo giuro sulla mia scopa! Ok, no, è cenere»
«Non hai più la scopa?!»
«Giuro sul mio posto in squadra, ok?»
«Ma perchè non mi dici mai niente!? Dov’è finito quel giuramento di sangue fatto al primo anno?»
«Lily?! La discussione si sta allontanando dal fulcro, dall’argomento principale, dall’ombelico del mondo, dal nocciolo del problema perchè sì, è un problema il fatto che le mie migliori amiche non mi abbiano rivelato la natura pelosa e zannuta del ragazzo che mi piace»
Sia Lily che Liv non ebbero il coraggio di dire altro. Mary aveva ragione, certo, ma... c’era un ma.
«Senti, Mary» iniziò Lily facendosi seria umettandosi velocemente le labbra «non te l’abbiamo detto per lo stesso motivo per cui noi due non ce lo siamo dette a vicenda... » spiegò indicando ripetutamente se stessa e Liv che convenne con lei.
«É un segreto di Remus, doveva essere lui a dirlo» sentenziò sollevando subito dopo un sopracciglio davanti alla reazione di Mary, ghiacciata sul posto.
«A voi l’ha detto?» esalò stupefatta, la bocca semiaperta e gli occhi nocciola vigili, gli stessi che mezzo secondo dopo strizzò portandosi entrambe le mani tra i corti capelli biondi. «Fatemi capire» ridacchiò, incredula «Non l’avete scoperto da sole?»
Lily, le sopracciglia rossicce arcuate, si morse un labbro prima di rispondere. «Sì, beh...» ammise titubante e lo sguardo di Mary parve accendersi come un fuoco.
«Io l’ho costretto a dirmelo» annunciò Liv facendo spallucce. Le fiamme nocciola si spensero.
«Come?» chiese Mary guardandola come se fosse una dea scesa in terra capace di tirare fuori con le pinze le parole dalla gola di Remus «Come l’hai costretto a dirtelo?»
«L’ho minacciato in Sala Comune con la cosa che in aula di Pozioni mi ha fatto capire il suo ‘’problema’’: l’Aconito» rivelò semplicemente Liv. Lily girò lentamente la testa verso di lei, un’espressione esterrefatta ed oltraggiata al contempo ad accartocciarle i delicati lineamenti.
«Lily?» la richiamò Mary che al suo contrario sembrava ammirare le gesta miracolose di Liv.
«A me l’ha detto di sua spontanea volontà» tenne a precisare Lily lanciando un’occhiata eloquente all’amica ricattatrice.
«Perfetto» esclamò sarcasticamente Mary dando le spalle ad entrambe. Il tono ferito non sfugg a Lily che con la mano le afferrò subito una spalla facendola voltare di nuovo verso di loro.
«Ma aspetta» rettificò con più forza «Dev’essere successo qualcosa con Piton, credo me l’abbia detto per questo»
«Sì, certo. Perfetto» perseverò nel suo sarcasmo Mary, le labbra sottili stirate in un sorrisino appena abbozzato «Per Remus sono l’unica cretina».
Il silenzio imbarazzato che si venne a creare nell’intimo cerchio di amiche fu invaso dagli schiamazzi della lite scaturita dal signore con il volto violetto che aveva vomitato dentro un calderone alias la testa trasfigurata di un omettino basso come uno sgabello da pub.
«Sapete che c’è?» esordì Liv disgustata «Sappiamo già che problema hai, Mary, non sarà di certo quella megera rimbambita di 134 anni a farci capire a che piano salire». Allungò il collo per vedere oltre le ali di drago, dei viscidi capelli-serpenti, un levitante bambino pallone, bolle di sapone e i rossi capelli svolazzanti della saltellante bambina rana.
«Ferite da Creature Magiche, primo piano» lesse sul cartellone appeso al muro in fondo, dietro il banco informazioni in testa alla fila. «Andiamo» le incitò prendendole entrambe a braccetto ma non fecero in tempo ad allontanarsi dalla fila che la situazione cominciò a peggiorare.
Dal tumulto di gente improvvisamente chiassosa e spaventata all’ingresso cominciarono a spuntare fuori due barelle levitanti circondate da Auror. La folla si aprì per lasciarli passare rivelando le due persone stese ed apparentemente svenute.
Il Guaritore con il naso sulla cartelletta fermato pochi minuti prima da Liv lasciò perdere la donna drago per spedire nel reparto Lesioni da Incantesimo l’uomo sotto Maledizione Imperio e visitare poi la bambina dalle condizioni molto simili a quelle di Mary o decisamente peggiori dato che la luna piena doveva essere sorta da un pezzo.
«Primo piano!» gridò infatti il Guaritore seguendo con una corsetta concitata la barella insaguintata verso una doppiaporta.
Mary, Liv e Lily, raggelate come la maggior parte delle persone, restarono per un lungo istante completamente immobili.
L’attesa durò ore, ore in cui altre emergenze sorpassarono la fila. Un’altro paio di vittime da lupo mannaro- “Di questi tempi è routine in una notte di luna piena” a detta della megera all’accettazione- e un ragazzo reduce da un incontro ravvicinato con un Dissennatore arrivarono al primo piano insieme ad altri Auror, Mary e la tizia con l’Avvincino ancorato al braccio, prolungando ulteriormente l’attesa.
 
 


 
 
*
 
 




 
La porta dell’appartamento si aprì lasciando che la luce dorata del pianerottolo si mischiasse a quella soffusa e rosata dell’alba proveniente dalla finestra senza tende.
Con un rumoroso sospiro sfinito, Sirius si chiuse il portone alle spalle buttando sul divano la giacca di pelle. Il silenzio era totale lì dentro a parte il lontano rumore delle prime macchine e bus della giornata sulle strade di una Londra ancora assonnata dietro il vetro.
La penombra e la mancanza di suoni forti quasi lo fecero addormentare lì, in piedi. Come per darsi una svegliata, si passò stancamente una mano davanti alla faccia raggirando fiaccamente la poltrona per dirigersi verso il bagno.
Non si era ancora guardato allo specchio, l’unica cosa che riusciva a pensare era il suo letto, ma il bruciore acuto su viso, braccio e schiena gli suggerivano dei bei graffi freschi e qualche livido. Fare in modo che Remus non si mangiasse le braccia incatenato e rinchiuso in cantina era molto più complicato rispetto alle corse selvagge nella Foresta Proibita. Senza contare la mancanza delle corna di James, la cerva. 
Sirius attraversò il piccolo arco gettando con incuranza un’occhiata alla porta di Liv, stranamente socchiusa. Bastò una leggera spinta con due dita per far sì che si aprisse.
Si affacciò cautamente oltre lo stipite, il mento lievemente sollevato e gli occhi grigi socchiusi e sospettosi tra i lunghi ciuffi di capelli neri, notando il letto perfettamente in ordine.
Era palese: Olivia non aveva dormito lì. E un'intensa preoccupazione gli attanagliò il petto, il cuore si fece più veloce.
Con una mano si portò indietro i capelli entrando del tutto nella stanza e senza troppe cerimonie raggiunse il comodino a grandi falcate. Un dubbio aveva cominciato ad impossessarsi di lui, nel punto colmo d’orgoglio che il giorno prima gli aveva fatto bruciare lo stomaco come se fosse stato invaso dal Whisky Incendiario.
Aprì bruscamente il primo cassetto per controllare la presenza della bacchetta d’ebano, la sua, e come si aspettava non la trovò. Il sospiro che gli uscì dalle labbra schiuse fu più rumoroso e frustrato di quello nato dalla totale stanchezza fisica post luna piena.
Olivia non aveva dormito lì e sempre Olivia doveva essere davanti casa di sua madre, da sola. Nonostante lo sconcerto, la rabbia, il sonno, i dolori per la nottata passata da Felpato il cuore sembrava esplodere di energia per raggiungerla, per proteggerla, metterla al sicuro.
Fece dietrofront ed uscì di corsa dalla camera, acciuffò il giubbino nero dal divano e riaprì la porta d’ingresso per andare di nuovo via; il cuore a pulsare impetuoso, la gola chiusa.
La strada era deserta, ghiacciata. La fievole luce dell’aurora colorava di azzurrino e rosa come il cielo l’asfalto, i lampioni, il marciapiede e i mattoni delle case con le natalizie lucine colorate spente.
Liv, appostata dietro l’auto nera lucida di suo padre parcheggiata davanti casa, si guardava costantemente in giro tenendo ben stretta la bacchetta, le mani l’una sull’altra portate alla bocca nel tentativo di scaldarle con il fiato.
Alle sue spalle, la finestra della sua ex cucina appariva come un quadrato di luce gialla che illuminava parte della ringhiera. Sua madre era sempre stata mattiniera, stava sicuramente preparando la colazione. Ed infatti la vide e seguì con lo sguardo mentre appariva e scompariva come un’ombra nera dietro le bianche tendine di pizzo.
Per un solo attimo si chiese se stesse pensando a suo marito, l’uomo che aveva rinnegato la sua parte magica per lei, quello che Liv continuava a far vivere dentro di lei anche in quel momento, proteggendola come lui avrebbe fatto, come le aveva chiesto. Per questo se ne stava lì, al freddo, rannicchiata dietro la Morris Minor del '56 tanto amata da suo padre.
L’idea di salirci su e partire anche senza patente la tentò più di una volta, specialmente quando sentì sua madre parlare al telefono con la signora Connolly assicurandole che non sarebbe uscita di casa per almeno altri dieci anni.
Ma non saltò nel sedile del guidatore perchè, a parte non avere le chiavi, un chiaro rumore di Smaterializzazione poco lontano dal primo vicolo buio la fece trasalire, immobilizzandola sul posto con tutti i sensi doppiamente in allerta.
Lasciò perdere le mani doloranti dai geloni e trattenne il respiro per non farsi tradire dalle nuvolette di condensa che si disperdevano nell’aria tagliente davanti al viso. Le venne da vomitare sentendo il cuore accelerare e rimbalzare dentro al petto come se volesse bucare la pelle quasi quanto la bacchetta di Black, praticamente fusa con le dita.
Si alzò, tesa ma improvvisamente carica, sguainandola davanti a sè ma non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare la situazione, il fatto che ad un passo da lei poteva esserci un Mangiamorte, che un ringhio profondo di animale e un grido di dolore umano squarciarono il silenzio mattuttino.
Liv spalancò ulteriormente gli occhi scuri senza riuscire a liberare il respiro ancora intrappolato in gola. Nascose la bacchetta nel cappotto nero e si allontanò con passo felpato dalla macchina, lo sguardo perfettamente vigile posato in ogni direzione.
Il silenzio fu ancora più denso, pesante; i primi rumori della strada dati dai bus rossi a due piani e da alcuni camion della raccolta rifiuti sembravano arrivare ovattati alle orecchie invase dal battito martellante del cuore.
Liv ispezionò con occhi guardinghi ogni singolo angolo di strada senza vedere nessuno, almeno fino a quando un altro paio d’occhi non si accesero nell’ombra più scura tra il cancelletto degli Anderson e quello della signora Lanchester.
Per riflesso indietreggiò, agguantando di nuovo la bacchetta proprio mentre il padrone di quei due piccoli fari luminosi avanzò rivelandosi alla luce cerulea delle cinque del mattino.
Un grande cane nero apparve in tutta la sua spaventosa stazza. In un primo momento Liv ne rimase completamente spiazzata ed intimorita. L’adrenalina nelle vene l’aveva preparata ad affrontare sì qualcosa di scuro come un uomo incappucciato e mascherato ma non un animale, un cane che a dirla tutta metteva comunque una certa inquietudine.
Il muso affusolato, la coda folta come tutto il pelo lucido e nerissimo, le lunghe e possenti zampe, le orecchie perfettamente ritte, la postura stranamente elegante e gli occhi, due profondi occhi chiari che la colpirono all’istante per la loro bellezza e l’anormale umanità: tutto sembrava puntare lei.
Bello, era il cane più bello che avesse mai visto. E misterioso, misterioso e magnetico tanto quanto terrificante per la grandezza e la sola altera presenza. Quel cane non sembrava nemmeno vero.
Liv non si mosse, così come da piccola le aveva insegnato suo padre, ma la paura si faceva sempre più lontana perchè lo sguardo di quell’animale, per quanto insistente e perforante, era tranquillo, rassicurante, familiare.
«Santo cielo...» esalò qualcuno alle sue spalle facendola sussultare e spezzando quella strana tensione rarefatta e frizzante al contempo che si era creata tra lei e il cane sconosciuto.
«”Buongiorno”, signor Hopkins» lo salutò ironicamente Liv voltandosi interamente verso l’anziano omettino basso e magro che da sopra i suoi occhialetti squadrati la fissava sotto shock, i capelli bianco nuvola sparati ai lati della testa e la sciarpa in lana scura ben avvolta attorno al collo sotto al pesante cappotto.
«L’hai guardato negli occhi?» sussurrò lui in un filo di voce terrificata.
Liv, non capendo, alzò lentamente un sopracciglio perplesso.
«Va’ via» soffiò l’omettino strabuzzando ancora di più i suoi occhi celesti incollati testardamente ai suoi come se guardare un altro punto dell’ambiente fosse l’ultima cosa che volesse fare.
«Perchè?» chiese ingenuamente Liv che di quell’uomo si fidava fin da quando era piccola.
«Quello è il Cane Nero, Liv» rivelò il signor Hopkins con occhi e voce tremula. «Non guardarlo, va’ via! Andiamo via!» la incitò sottovoce afferrandole il  polso con una mano grinzosa.
«Chi?» fece Liv, la faccia completamente contratta dall’espressione perplessa ed attonita  mentre l’uomo cominciava a trascinarla come se fosse al guinzaglio.
«Il cane nero dei cimiteri! È presagio di morte, malaugurio, santo cielo! Sei troppo giovane per ascoltare i vecchi, non è vero?» farfugliò in tono accusatore l’anziano strizzando gli occhi dietro le piccole lenti. «Lo sapevo, sapevo che esisteva, altro che leggenda*».
Liv riportò lo sguardo allarmato verso le due case di fronte per accertarsi che il cane fosse ancora lì, e così fu. Era ancora lì, un po’ più vicino, seduto con il dorso fieramente dritto.
La  maggiore vicinanza le fece notare un particolare in più: era ferito.
Senza pensarci due volte, piantò i talloni sull’asfalto per frenare il signor Hopkins che borbottò con sconcerto vedendola osservare attentamente il grosso animale nero dopo tutto quello che le aveva detto.
«Liv? Non mi hai ascoltato, non è vero?!»
«É ferito»
«Cosa?!»
«Il cane. É ferito, non lo vede?»
«Ti avevo detto che non si deve guardare!»
«É soltanto una leggenda...»
«Non sai quel che dici, benedetta ragazza»
«A me sembra un normalissimo cane e non un mostro dalla fama oscura»
Il signor Hopkins, sbigottito, non seppe obiettare e Liv seguì l’istinto, quello di camminare cautamente verso all’animale che di malvagio non aveva niente. Il fatto che quello avesse cominciato a scodinzolare la fece sorridere.
Si studiarono entrambi con circospezione, in assoluto silenzio, la strana tensione che Liv sentì crescere man mano che si avvicinava aveva qualcosa di già sentito, respirato e al contempo nuovo.
Leggermente intimidita dalla sua effettiva grandezza, allungò un braccio quando fu a poca distanza da lui, le dita della mano ben tese con le corte unghie dello stesso colore del muso peloso che restò immobile anche quando affondarono tra il folto pelo nero soprendentemente soffice e pulito della testa, tra le orecchie che il cane aveva portato leggermente indietro a quel tocco.
«Ehi» lo salutò pacatamente Liv accovacciandosi davanti per poterlo osservare meglio dritto nello sguardo che notò essere di un limpido grigio. L’espressività di quegli occhi così penetranti e fonti di familiari sensazioni le fece dilatare lievemente i suoi.
Profilo umano contro quello animale, Liv e il cane restarono ad osservarsi a poca distanza dai loro nasi- rosa e curvato all’insù di lei e nerissimo, umido e vibrante di lui- almeno fino a quando Liv stessa non cominciò a sogghignare facendo inclinare di lato la testa al cane, fin troppo perplesso per essere un animale.
Paragonare questo cane a Black sarebbe un insulto al cane.
«Ti sei perso? Dov’è il tuo collare?» gli chiese portando entrambe le mani attorno al peloso collo lungo alla ricerca di una targhetta con un numero di telefono o un indirizzo di casa. Quel cane era troppo in ordine per essere un randagio.
Per tutta risposta l’animale soffiò forte con il naso, un piccolo ringhio come se si fosse offeso. E Liv, allibita, trattenne una risata.
«Non hai padroni?» domandò grattandogli energicamente il collo. La lunga lingua rosa del cane penzolò fuori, da un lato del muso sul quale faceva brutta mostra di sè la ferita notata prima.
Dando le spalle al signor Hopkins, esterrefatto lì dove l’aveva lasciato, Liv tirò fuori la bacchetta di Sirius e con dei semplici movimenti fermò il sangue tra i peli vicino alla bocca prima di far passare con amorevolezza le dita sulla pelliccia sopra le spalle per arrivare alla zampa malandata.
Cominciò a prendersi delicatamente cura anche di quella senza accorgersi del deciso ed intenso sguardo del cane, fisso sul suo viso con vivida attenzione come se ogni suo gesto e sua parola fossero irreali.
A medicazione conclusa, l’animale socchiuse pigramente gli occhi, beato, mentre le dita di Liv presero a scorrere dolcemente tra il fluente pelo nero.
«Va meglio?» gli sussurrò, un aperto sorriso con fossetta inclusa ad illuminarle anche gli occhi scuri ridenti e brillanti tra le ciglia nere dai quali il cane non distolse nemmeno per un attimo lo sguardo sempre più fervido; la coda nera si muoveva così veloce tanto da far ridere di nuovo Liv.
«Non dirlo a nessuno, Tartufo» si raccomandò picchiettandogli giocosamente con un polpastrello la punta del tondo naso nero. Accarezzare quel cane era rilassante ed incredibilmente piacevole, dall’espressione del diretto interessato capì che non era l’unica a pensarla in quel modo.
«Va bene, mi sono sbagliato!» esclamò rammaricato il signor Hopkins alle sue spalle.
Liv arricciò le labbra, una bassa risata sfuggì dalla curva del sorriso complice riservato al cane che stranamente non la prese esattamente come lei.
Il grande animale, infatti, dopo aver lasciato un buffetto amichevole sul mento di Liv con il muso, si allontanò da lei per dirigersi con andatura elegante, fiera e silenziosissima verso l’omettino visibilmente irrigidito.
Passandogli accanto alzò con assoluta noncuranza la zampa posteriore facendo gridare di ribrezzo e rabbia l’anziano che per poco non lo prese a bastonate mentre cercava di allontanarsi dalla gamba il pantalone bagnato di pipì.
Liv rise, incredula, seguendo con occhi spalancati il cane andare via, superbo ed insolente, scodinzolando ancora quando si girò per un'ultima volta verso di lei..
Tornò nell’appartamento con ancora un lieve sorriso sulle labbra e la voce oltraggiata del signor Hopkins che per un buon quarto d’ora l’aveva trattenuta sul marciapiede per lamentarsi dell’accaduto.
Aprì la porta d’ingresso liberandosi dal cappotto che buttò sulla poltrona senza accorgersi di aver sotterrato quello in pelle di Sirius. Sbadigliò quasi controvoglia come se dormire fosse un’attività che non le apparteneva più ma la dolce sonnolenza che si era impossessata dei suoi occhi e di ogni arto, pensandoci bene, aveva ragione di esistere: sua madre non sarebbe uscita di casa, esaudire il volere di suo padre la faceva sentire così vicina a lui da percepirlo quasi al fianco e Mary era ancora totalmente umana. Per la prima volta dopo quasi un settimana Liv sentì di poter dormire.
Sciogliendosi la coda di cavallo si diresse verso la sua camera venendo però illuminata dalla luce gialla proveniente dalla porta del bagno mezza aperta dalla quale si poteva intravedere il torso nudo di Black mentre frugava nel mobiletto del bagno alla ricerca di qualcosa. Nonostante cercasse di lottare con tutte le forze, Liv non riuscì a staccare gli occhi da lui. Rimase qualche secondo più del dovuto con la mano a mezz’aria a pochi centimetri dalla maniglia della sua porta, gli occhi scuri posati sui muscoli guizzanti ad ogni movimento di Black. Alla vista degli addominali forse anche troppo in mostra molto sopra la cintura in pelle nei jeans neri, si auto ordinò di ignorarlo ma quando nello spiraglio di luce al posto del lungo braccio tonico comparve una porzione della schiena, lo sconcerto prese il sopravvento.
«Cosa diamine ti è successo?» esordì sbalordita aprendo del tutto la porta per osservare Sirius cercare di tamponarsi con una garza zuppa di quello che dall’odore sembrava Essenza di Dittamo un lungo graffio insanguinato sulla schiena nuda; le spalle larghe piene di lividi.
«Che ci fai ancora sveglia?» fu l’unica risposta noncurante del ragazzo che con il viso letteralmente sopra la spalla faceva il contorsionista per riuscire a vedersi nello specchio sul muro dietro il lavabo. Liv si costrinse a non guardargli il petto ampio e i fianchi stretti, concentrandosi esclusivamente sul volto contratto in un’altrettanto attraente espressione concentrata. Su quel corpo era difficile trovare qualcosa di non seducente.
«Ero al San Mungo» celiò, evasiva e decisa, complimentandosi mentalmente per essersi ripresa nonostante le invitanti labbra schiuse e i seri occhi grigi, assottigliati per lo sforzo. Era più irresistibile che mai e un calore ardente cominciò ad invaderla, ammaliante.
«Al San Mungo?» ripeté ironicamente lui senza fermare il suo impossibile tentativo di automedicazione. «Fino adesso?» la stuzzicò gettandole una fugace occhiata penetrante ed ironica tra i nerissimi ciuffi di capelli scivolati davanti all’altero profilo.
Anche Sirius restò sulla sua figura più del dovuto, attratto dal lato del collo scoperto libero dalle sinuose onde nere sciolte disordinatamente su metà del volto a cuore di Liv che aveva cominciato a guardarlo storto, una punta di luce indagatrice nella profonda iride marrone perchè il tono fintamente sorpreso di Black era, appunto, finto.
«Che ci fai tu ancora sveglio e reduce da rissa tra primitivi codardi visto che ti hanno pugnalato alla schiena?» gli domandò, pungente.
Sirius sorrise brevemente ai loro riflessi nello specchio, contorcendosi ancora un po’ di più ed istigando così Liv ad abbassare di nuovo lo sguardo su quei muscoli tesi.
«Sono inciampato sul cesto dell’uncinetto e caduto sopra le mie zeppe argentate» replicò palesemente sarcastico. Lei portò gli occhi al soffitto senza però riusciure a non sorridere.
«Mentire è un’arte, Olivia, bisogna saperlo fare» sentenziò Sirius, un sopracciglio inarcato sopra gli occhi di nuovo puntati su di lei con un’intensità tale da farle male. «Perchè dovrei dirti come ho fatto a ridurmi così se tu non mi dici dov’eri realmente?»
«Prima dimmi perchè la notte che sono arrivata qui mi sono addormentata nel divano e risvegliata nel letto con i capelli asciutti» ribattè lei zittendolo per una buona decina di secondi.
«Non ne ho idea» se ne uscì Sirius riportando con elegante disinvoltura lo sguardo allo specchio «Sei crollata sul divano e io me ne sono andato a letto. Ti sarai alzata da sola, che ne so. Sei sonnambula per caso?».
Liv accartocciò il viso, interdetta.
 «Vorrei saperlo» aggiunse lui stirando le labbra in uno dei suoi mezzo sorrisi insolenti ma dannatamente affascinanti
«Nel caso potrei lasciare la porta della mia camera aperta per facilitarti il compito di arrivare da me, dove ti porta l’inconscio».
Per tutta risposta Liv gli afferrò la garza dalla mano ancora vagante sulla schiena e gliela schiaffeggiò sul punto giusto, il taglio ancora fresco, facendolo ululare di dolore. Se ne andò via dal bagno lasciandolo annaspare chino sul lavabo, un braccio pesantemente poggiato sulla ceramica e il volto girato nella sua direzione, ridente e divertito come lo sguardo incollato alla chioma ondeggiante che sparì dietro la porta davanti.
Come poteva essere tanto violenta quanto dolce?
 


 
 
*
 
 


 
Era mezzoggiorno e mezza quando Liv aprì con fastidio gli occhi, la coperta fin sotto il mento e i lunghi capelli castani sparsi disordinatamente sul cuscino e sulla faccia: dei rumori molesti nell’appartamento stavano fungendo da odiosa sveglia.
Si alzò furiosamente dal materasso, si vestì con il primo maglione lungo e largo che trovò nel baule ancora pieno, un paio di calzini in lana puliti ed uscì dalla camera a passo di marcia prima e incerto poi, per via della puzza di fumo poco incoraggiante proveniente dalla cucina. Attraversò la saletta d’ingresso inondata di luce accecante e si affacciò allo stipite della stanza incriminata.
Ciò che trovò dentro le fece sollevare vertiginosamente un sopracciglio: Sirius, per fortuna vestito con jeans e maglia dei Pink Floyd, sembrava rilassatissimo poggiato con un fianco sul davanzale della finestra socchiusa accanto al lavello traboccante di schiuma, il lago d’acqua e sapone per terra, il fracasso delle padelle, piatti e posate che stava facendo levitare insieme a spugne varie.
I capelli neri raccolti alla bell’e meglio sulla nuca a scoprire l'elegante collo, la sigaretta tra le labbra, una mano attorno alla bacchetta di prugnolo, l’altra infilata in tasca e i suoi sottili occhi grigi che la puntarono immediatamente, allacciandosi ai suoi per accoglierla con uno sguardo particolarmente attento tanto che qualche piatto e una padella caddero sul lavello, schizzando ovunque.
«Sei un cretino» commentò impassibile Liv, il sopracciglio ancora inarcato.
«Non sapevo potessi girare nudo come se fossi ancora da solo» si limitò invece a dire lui a labbra strette per non far cadere la sigaretta. «Buono a sapersi» annotò suadente intensificando lo sguardo posato sulle sue gambe scoperte.
«Se questa la chiami nudità...» replicò ironicamente e perfettamente suo agio lei indicandosi l’orlo del maglione a metà cosce.
«Quasi» specificò Sirius strizzandole appena l’occhio.
Quelli scuri e non più assonnati di Liv si ridussero a fessure. «Ricordati che sono la volpe o il gatto, Black, non la gallina» gli fece arrogantemente notare con un piglio che Sirius trovò per l’ennesima volta irresistibile.
«Impossibile da dimenticare» dichiarò infatti in un divertito sorriso sghembo, la rughetta al lato delle labbra e una punta di luce nello sguardo interessato.
«Sono venuta qui soltanto per dirti di smetterla di fare le prove dell’orchestra. La mia intenzione era quella di riportare il silenzio e tornare a letto il più velocemente possibile» proseguì duramente Liv «Vedi di mettere da parte i tuoi tipici comportamenti da gallo quando hai me davanti».
Lui fece spallucce portandosi con assoluto menefreghismo due dita alla bocca dando un tiro alla sigaretta, le sopracciglia nere alzate mentre la osservava abboccare all’esca.
«Cosa sarebbero quelli?» esordì bruscamente Liv puntando con espressione improvvisamente accigliata il piccolo tavolo quadrato.
Un fugace sorriso irrefrenabile sollevò per un breve attimo gli angoli delle labbra di Sirius che per via della sigaretta non riuscì a parlare. Indicò quindi con un interrogativo cenno della testa i piatti pieni di cose fumanti e dall’aria per nulla invitante.
 «Sì, quelli» confermò Liv, non più sicura di voler sapere. Lui soffiò via il fumo verso la finestra, sfilandosi la sigaretta dalle labbra insolentemente curvate verso l’alto.
«Quello è la Pranzolazione» rispose come se nulla fosse.
Il sopracciglio scuro di Liv raggiunse il picco massimo d’altezza.
«Quando ti svegli dopo mezzogiorno non puoi fare colazione, pranzi, ma in realtà stai facendo colazione» spiegò semplicemente Sirius scrutando il volto di Liv farsi paurosamente e comicamente serio.
«Ok, farò finta di non aver sentito» sentenziò la ragazza dandogli le spalle per andare via.
«Dove vai? Guarda che un piatto è tuo»
«Non ho fame»
«Nemmeno se ti dico che sono pancakes al miele
La gamba nuda di Liv si bloccò a mezz’aria sopra il parquet vicino al divano. Voltò di scatto il viso in direzione della cucina, le labbra strette e lo sguardo cupamente sospettoso. Tornando velocemente sui suoi passi, fece di nuovo capolino dalla porta.
«E questo perchè dovrebbe interessarmi o convincermi a mangiare?» esordì indagatrice   poggiandosi con un fianco allo stipite ed incrociando le braccia sotto al seno.
«Non sono i tuoi preferiti?» chiese Sirius, un sorrisetto scaltro a tradire un’aria fintamente noncurante.
Lei si fece ancora più guardinga. «No» mentì seccamente.
«Sarà» sospirò lui facendo spallucce e staccando il fianco dal davanzale per gettare la cicca della sigaretta fuori dalla finestra e dirigersi a passo lento verso di lei «La cosa certa è che se torno qui e su quel piatto ci sono ancora i pancake te li infilo nel naso».
Liv, guardandolo con diffidenza e sufficienza, si chinò leggermente all’indietro per allontanare il viso da quello disteso in una rilassata espressione strafottente di Sirius che si era fatto arrogantemente vicino passandole accanto per uscire dalla porta.
Sola nella piccolissima cucina, Liv rimase a fissare i presunti pancakes che di pancakes non avevano nemmeno la forma, avevano anche una cascata esagerata di miele sopra. E così lui la ritrovò dieci minuti dopo, ancora accigliata e a braccia conserte.
«Mettiamo bene in chiaro che io non sono Remus Lupin, mh?» iniziò arrivandole alle spalle per poi poggiarsi sullo stipite libero. «E che non smetterò di parlare per “lasciarti il tuo spazio” perchè di spazio lì dentro ne hai anche troppo. Sbaglio?»
Gli occhi marroni di Liv, ben aperti ed attenti, si immersero nei suoi così intensamente da lasciarlo un attimo stordito. Quel caldo e profondo marrone colpito dalla luce del sole sembrava il miele che stava sui pancakes, e la pupilla nera dilatata gli diede l’impressione di aver fatto centro. Olivia non aveva bisogno di spazio, aveva bisogno di qualcosa con cui riempirlo. Per Sirius era una sensazione fin troppo conosciuta.
«Non sono nemmeno James Potter che ti abbraccia a costo di rompersi un braccio. Non sono un idiota»
Il minimo e velocissimo sollevamento delle labbra di Liv lo fece sorridere a sua volta.
«Non sono Mary MacDonald che ti mette in bocca con la forza un toast al formaggio. Devi farlo tu, devi volerlo tu» affermò, gli occhi grigi penetranti, intensamente concentrati esclusivamente su di lei, dentro lei.
Liv non rispose, non con le parole almeno. Lo fece con lo sguardo, le sopracciglia e le labbra, tutti inaspettatamente colpiti da quel Sirius Black tremendamente vicino non soltanto fisicamente.
«Non vuoi diventare un manico di scopa per essere trasportata via dal vento giocando contro Serpeverde, giusto?» sdrammatizzò avvicinandosi al tavolo mentre Liv alle sue spalle trattenne un sorriso mordendosi le labbra.
«Giusto» si rispose da solo lui, afferrando un pancake dal piatto più vicino. «E non sono Lily Evans» concluse tornando da lei con scioltezza, un accenno di furbizia a curvargli le labbra.
Quando le fu vicino, sprofondò sfacciatamente gli occhi nei suoi. «Perchè questo lei non sa farlo» proclamò, altezzoso, piegandosi sulle ginocchia all’improvviso per prenderla alla sprovvista e tra le braccia, sollevandola da terra con naturalezza. I pesanti insulti di Liv, diventata un’anguilla ribelle, non servirono a fermarlo.
«Io sono Sirius Black che, se non mangi questo maledetto pancake, ti butta direttamente dalla finestra»
«Vaffanculo! Mettimi giù o ti ammazzo, Black! Come hai osato!?»
«Oh, che bello, siamo tornati in noi»
«Non hai detto che non sei Mary Macdonald?! Questo si chiama forzare le persone!»
«Ho detto che ad infilarti il cibo in bocca devi essere tu, con le tue docili manine che costringerò a prendere il pancake»
«Smettila di fare il cretino! Ti sei azzardato a... !»
«Mangia il pancake con queste tue mani malefiche, Olivia».
Sirius, apparentemente tranquillo, desiderò ardentemente che le dita artigliate spasmodicamente al suo collo si ammorbidissero di nuovo come all’alba, delicate su Felpato, per scorrere tra i suoi capelli di umano.
Il solo pensiero intensificò i piccoli brividi che la pelle liscia della gambe di Liv e il suo inebriante profumo gli stavano regalando facendogli mancare il respiro come la sua stessa presa salda e l’odore maschile del dopobarba stavano facendo a Liv.
Quando la frenesia di lei parve spegnersi a quel contatto, tutt'e due parvero chiedersi a vicenda con gli occhi se sentivano entrambi quella magnetica attrazione fisica impossibile da ignorare, controllare, sempre più difficile da fermare.
«Mangio te se non togli il tuo braccio da sotto le mie ginocchia» tentò di ribattere Liv con voce affannata.
«Fai pure, non aspetto altro» acconsentì maliziosamente lui con la sua, roca, porgendole il lungo collo libero dai capelli neri.
Liv, momentaneamente rapita dal pronunciato pomo d’adamo, mollò la presa dalla pelle ruvida per l’accenno di barba e lottando contro la forza che l’attirava a lui scelse il pancake tra le lunghe dita di Sirius colanti miele, afferrandolo e mordendolo con sguardo risoluto sotto l’ardente occhio vigile di lui.
Non passarono nemmeno cinque secondi che, schifata, lo risputò nella stessa mano mano di Sirius.
«Salazar maledetto, Olivia!»
«Ma che roba è?! Che schifo!»
«Lo schifo è sulla mia mano, guarda!» sbraitò lui facendola scendere a terra. Liv, tossendo disgustata, si lanciò sul lavandino sputando il resto del dolce pastoso dal sapore indecifrabile.
«Ma dove diavolo li hai comprati?! Sono salati!» pigolò facendo rimbombare la voce dentro la vaschetta d’acciaio accanto a quella ancora piena di acqua e detersivo.
Sirius non rispose, ripulendosi la mano colma di melma beige con uno strofinaccio preso da sopra i fornelli non riuscì a non sorridere divertito anche se quegli insulti culinari li aveva cucinati lui.
 «La pasticceria all’angolo» mentì con sguardo imperscrutabile e un accenno di sorriso mentre Liv riemergeva dal lavandino, l’intera faccia corrucciata.
«Non ci sono pasticcerie all'angolo! Vivo in questo quartiere da prima di te!»
«Dev'essere nuova allora...»
«Segnala con una x rossa perchè non è degna del nome» mugolò Liv aprendo il rubinetto per sciacquare via tutto.
«Stai esagerando, Olivia, come tuo solito»
«Assaggiali se hai il coraggio».
Il tono di sfida non passò di certo inosservato a Sirius che la puntò con superbia, il mento leggermente sollevato come l’angolo destro delle labbra. Mollò lo strofinaccio sul ripiano e si piegò verso il tavolo accanto per acciuffare un pancake.
Liv attese, le braccia di nuovo conserte, allontanandosi eloquentemente dal lavandino.
«Pf» la sbeffeggiò lui, la solita naturale sicurezza nella postura e nei gesti. Morse il soffice dolce senza distogliere lo sguardo provocatore da lei e il sopracciglio nero di Liv cominciò a sollevarsi sempre più in alto man mano che la smorfia mal trattenuta di Sirius prendeva possesso dei suoi bei lineamenti.
Fu quando lo vide tentare d’ingoiare con impressionante stoicismo e gli occhi grigi sottili e lucidi dal ribrezzo che ebbe la certezza di quanto Black fosse incredibilmente orgoglioso e sorprendentemente veloce a guizzare via verso di lei, verso il lavandino.
«Deficiente» lo canzonò Liv in una risata spontanea poggiando la schiena alla finestra per fargli spazio; notando un piccolo neo dietro l'orecchio scoperto dai capelli legati di Sirius si trattenne dalla voglia incredibilmente forte di sfiorarlo con le dita.
Era anche sorprendentemente genuino, si disse quando la risata sguaiata simile ad un latrato esplose spontanea sulle labbra lucide del miele che adorava davvero.
 










 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
*“Mio padre è morto per cercare di proteggere mia madre e me, e tu pensi che ti direbbe di abbandonare tuo figlio per venire all’avventura con noi?” H. P. e L’Ordine della Fenice, pag. 200.

Il litigio James- Remus è chiaramente ispirato a quello tra Harry e Remus nel settimo libro quando Remus chiede di potersi unire al trio lasciando Tonks a casa, incinta. Harry lo chiama codardo per lo stesso motivo di James in questo capitolo.
Ogni tanto mi piace far trasparire il carattere di Harry sia in James che in Lily.

 Remus, a volte, fa cadere la mascella. Dalla ragione passa al torto, molte volte.

*Il Black Dog è davvero diffuso nel folclore di tutta la Gran Bretagna. La Rowling l’ha esteso anche ai maghi chiamandolo “Gramo”. Il signor Hopkins- il vicino di Liv- è babbano e completamente ignaro dell’esistenza del mondo magico per questo non lo chiama Gramo ma “Cane Nero”.
 
*Il morso di Mary è come il graffio di Bill Weasley nel sesto libro: assenza di luna piena, Greyback non trasformato, nessun contagio a parte la voglia di bistecche al sangue e cicatrici che non si rimarginano. L'unica differenza è che Bill è stato attaccato un giorno qualsiasi del mese, Mary il giorno di luna piena anche se non ancora sorta.
Davanti al letto di Bill, in infermeria a Hogwarts, Remus si dimostra molto inquieto e pensieroso e poi dice che non sa che conseguenze Bill potrà avere una volta sveglio perché "non era mai successo prima". Per questo ho deciso di differenziare i giorni tra Mary e Bill.
Ricordo che in questa storia Remus finirà con Tonks, nello stesso momento in cui succede nel canon. Se mai farò un seguito di questa storia vedrete Tonks (che io amo molto, soprattutto con Remus).


Voglio prima di tutto ringraziare per l’infinita pazienza i lettori che non hanno  abbandonato la storia (vi ho fatto aspettare un bel po’ stavolta). Grazie di cuore! 
Ho dovuto cancellare l’avviso e di conseguenza si sono cancellate anche le vostre recensioni, mi è dispiaciuto tantissimo ma purtroppo dovevo farlo.
Sappiate che ogni vostra parola mi è rimasta nel cuore e il vostro sostegno mi ha aiutato tantissimo in queste infinite settimane. 


Vi lascio i prestavolto dei personaggi (la maggior parte sono gli stessi condivisi dalla maggioranza del fandom, ormai non riesco ad immaginarli diversamente).


James: Aaron Taylor Johnson


Sirius: Ben Barnes



Remus: Andrew Garfield


Peter: Jeremy Dozier




Lily: Karen Gillan


Mary: Carey Mulligan



Liv: Maia Mitchell

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** 36. L'unica Scelta ***


Capitolo 36
 
L’UNICA SCELTA
 
 







 
 
 
I pancakes rimasero nella spazzatura in cucina al contrario di Liv e Sirius che evitarono accuratamente di stare lì, vicini, per il resto del pomeriggio.
Ogni centimetro di pelle venuta in contatto con quella dell’altro sembrava non volersi liberare dei brividi, del calore bruciante; nei polmoni perduravano ipnotizzanti i profumi ormai familiari ed irresistibili, gli occhi erano incapaci di staccarsi da ogni parte del corpo e del viso dell’altro che attiravano irrimediabilmente come magneti ad ogni minima espressione, ogni gesto, movenza, postura.
Stare nella stessa stanza senza provare una certa fremente agitazione, senza sentire l’impulso di toccarsi, respirarsi, baciarsi era diventato impossibile almeno fino a quando non furono costretti ad uscire dalle rispettive camere per andare ad aprire la porta d’ingresso due volte, la prima per l’arrivo di Lily e la seconda per James.
«Come “Cos’è”?! É una mappa, Liv»
«Lo vedo che è una mappa, James, l’ho fatta io ieri»
«E allora?»
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, perchè?»
Liv, in piedi davanti al mal trattenuto ghigno di James, sollevò scetticamente un sopracciglio.
Lily, dal divano, rise sottovoce senza smettere di sfogliare con cura ogni pagina delle Fiabe di Beda il Bardo che da un’ora precisa non ne voleva sapere di sputare fuori qualche indizio, frase o biglietto del signor McAdams.
«C’è il nome di mia madre che passeggia tranquillamente in cucina e io non sono pazza» informò Liv in un sorriso tirato così ironico da far sciogliere James in una risata prendendole di mano la pergamena.
«Quando tua madre è in casa il suo nome appare esattamente nella stanza in cui si trova» cominciò a spiegarle mettendosi al suo fianco per guardare insieme la mappa improvvisata. «Come adesso, vedi? Dalla cucina si è spostata sulle scale».
Liv sciolse l’intreccio della braccia al petto, gli occhi scuri guardinghi ed increduli.
«Come fa a saperlo?» chiese accigliata. «L’hai incantata tu?» domandò a James che scosse brevemente la testa, sorridente.
«Noi» la corresse indicando Sirius, apparentemente impassibile e chino davanti ad una fiancata della grande motocicletta mentre controllava attentamente chissà cosa con mani esperte.
Il profondo sguardo acceso di Liv trovò il suo già posato su di lei; tra i ciuffi di capelli neri gli occhi grigi erano incredibilmente luminosi.
Anche senza parlare, Black omai aveva la capacità di sorprenderla per la sincerità e l'intensità con cui la guardava, per il potere con cui riusciva ad arrivarle dentro, sconvolgendo tutto, incendiando tutto.
Sentendo la vertiginosa sensazione che quello sguardo allacciato al suo scaturiva ogni volta, si costrinse a riportare l’attenzione sulla mappa con le guance calde.
«Adesso sono ancora meno propensa a crederle» scherzò riacciuffando la pergamena con un sorriso fintamente scettico ad arricciarle le labbra percependo comunque quegli occh attenti sulle palpebre abbassate, il naso, le labbra, il collo, i capelli costringendola a sospirare impercettibilmente per la dannata ed esageratamente forte frustrazione che l’assaliva quando si auto ordinava di ignorarlo.
Nessuno se ne accorse ma anche Sirius lo fece, sospirare, frenando la bramosa voglia di lasciarsi irretire, rapire che lo faceva sentire esattamente come Liv: totalmente attratto.
 James, fintamente oltraggiato per quella altrettanto finta mancanza di fiducia dell’amica, aprì la bocca per ribattere venendo però colto alla sprovvista da un veloce ed affettuoso bacio di Liv sulla guancia.
Lily, da sopra la spalliera, seguì con occhi ridenti l’amica dirigersi con sicurezza in camera sua.
«L’ha fatto davvero?» chiese spaesato James voltandosi verso Sirius, quest’ultimo con un sopracciglio arcuato e le mani immobilizzate sul nero metallo lucido della motocicletta.
«È il suo modo di ringraziarti, Potter» tradusse l’anomalo comportamento dell’amica Lily riportando lo sguardo sul libro con una tranquillità strana agli occhi degli altri due ma non a quelli di se stessa perchè ringraziare Potter per quel gesto non soltanto geniale ma anche buono era perfettamente normale.
L’espressione spiazzata di James si sciolse in un largo sorriso radioso.
«Ho fatto germogliare il cuore di pietra, signori» si pavoneggiò scherzosamente dirigendosi verso il divano a braccia aperte. Lo straccio sporco di grasso usato da Sirius gli arrivò in pieno petto e una certa sorpresa gli si dipinse in faccia.
«Non fare il geloso, Felpato».
Sospettosi, gli occhi smeraldini di Lily si sollevarono di soppiatto dalle pagine del libro scrutando fugacemente Sirius rimettersi in piedi col volto così imperscrutabile da lasciarla di stucco.
«Quando imparerai a ringraziarmi per il mio proverbiale non farti apparire ridicolo in ogni fottuta situazione, Scornuto?» si limitò a rispondergli Sirius buttandolo sul divano con una spinta apparentemente annoiata mentre gli passava affianco. «Mi faccio una doccia. Non ci sono per nessuno»
«Affogati» replicò ridente James. Mettendosi comodo sui cuscini in pelle nera mosse di conseguenza anche Lily, seduta al suo fianco e di nuovo attenta al ibro. Il fruscio delle pagine che sfogliava sempre più velocemente era l’unico rumore nel silenzio improvvisamente creatosi nella stanza.
James piegò la testa all’indietro, poggiando pigramente il collo allo schienale, gli occhi nocciola ridotti a due fessure a dispetto della finta posa rilassata che ostentava.
Guardare il soffitto non era quello che in realtà avrebbe voluto fare lì, su quel divano, in quel preciso momento. A parte il fatto che guardare la Gomma Bolla Bollente masticata per sfida da Peter ed ancora vittoriosamente attacata all’intonaco dall’estate faceva vomitare, la questione era un’altra: il profumo fiorito non era dato dal polo nord fuori dalla finestra, tantomeno da composizioni floreali sparse per l’appartamento del suo migliore amico.
C’era Lily seduta sul divano di Sirius, lo stesso che avevano comprato mesi prima e sul quale mai e poi mai avrebbe immaginato di vederla.
Non riusciva ancora a capacitarsi della cosa, James, eppure era così.
Con uno scatto di reni, a parte far venire un infarto a Lily,  si piegò verso il tavolino davanti a loro per prendere il telecomando.
«Com’è che si faceva?» bofonchiò tra sè e sè pigiando tutti i tasti alla rinfusa e portando ad intermittenza il volto verso lo schermo della piccola tv nella speranza di vederlo accendersi.
Lily, immobile al suo fianco, l’osservò con la coda dell’occhio tra i ciuffi rossi che le nascondevano il profilo.
«Dannazione...» continuò ad imprecare sottovoce James battendo con testardaggine l’oggetto su una coscia.
«Dammi qua» si decise ad intervenire Lily mollando il libro per strappargli di mano il telecomando. Pigiò il tasto rosso puntandolo verso la tv che miracolosamente si accese, trasmettendo una pubblicità di uno sciroppo per la tosse.
James, atterrito, prese al volo l’oggetto infernale lanciato da Lily, di nuovo tutta presa con la sua ricerca.
«Deciditi, Potter: o sei stupido oppure geniale, non puoi essere tutt’e due» commentò distrattamente senza guardarlo, e dal suo tono di voce James capì che stava sorridendo dietro quella folta tenda di capelli rosso scuro.
«Sono geniale?» le chiese assottigliando lo sguardo, incapace di trattenere un sorriso furbo.
«E stupido, scegli» precisò lei girando l’ennesima pagina.
James schioccò la lingua passandosi distrattamente una mano tra i capelli sparati in ogni direzione.
«Finalmente te ne sei accorta»
«Ho sempre pensato fossi stupido»
«Mi riferivo alla genialità, Evans, finalmente ti sei accorta della mia genialità»
«Era un po’ difficile farlo mentre gonfiavi la testa di Bertram Aubrey, trasfiguravi gli stendardi dei Serpeverde in rotoli di carta igienica, sfidavi Black in Sala Comune con una gara a chi tratteneva più Pallini Acidi sulla lingua o chi beccava più gelatine commestibili al volo...»
La bassa risata divertita di James, perso nei ricordi dei suoi anni di gloria, sovrastò per un attimo la voce di Lily che proseguì, imperterrita come se ne avesse per sempre.
«Sfrecciavi per i corridoi con la scopa trascinandoti dietro Gazza, ti poggiavi sulle palpebre gli occhi di pesce palla per far finta di essere sveglio a Pozioni, appendevi la gente a testa in giù...»
Il silenzio improvviso al suo fianco la costrinse a voltare la testa trovando lo sguardo serio di James. Gli occhi verdi di Lily lasciarono trapelare una certa sorpresa a quella vista.
«Che c’è?» chiese lui apparentemente impassibile, e il sopracciglio vermiglio di Lily si arcuò, sconcertato.
«Lo chiedi a me? Sei tu che ti sei improvvisamente trasfigurato in una statua, Potter» ribattè incredula.
James scrollò con noncuranza le spalle portando il profilo verso la tv, lo sguardo concentrato con forza come se il bambino che si abbuffava di caramelle natalizie nello schermo fosse la cosa più interessante del mondo.
Lily, interdetta di fronte a tanta ostentata indifferenza, non riuscì a non pensare al fatto che Potter si fosse rabbuiato quando il nome di Piton aveva cominciato ad aleggiare, ingombrante, tra loro.
«Stai di nuovo apparendo come uno stupido senza niente di buono dentro, Potter» gli fece sapere schiettamente.
Lo sguardo di James la puntò in un lampo, intenso come forse non lo era mai stato ed incupito da chiare emozioni che turbinavano dentro così vividamente da farle capire che sì, anche in quel momento James stava di nuovo tacendo qualcosa.
Lily si sorprese della convinzione con cui la sua mente e il suo cuore le assicuravano che in lui c’era qualcosa. Non erano nei sotterranei con in mano un bottone colmo di pregiudizi riguardo i Serpeverde e non erano neanche in Sala Comune a parlare di scherzi sotto al Platano che lo coinvolgevano insieme a quell’amico che era disposto a difendere ad ogni costo, anche pur di passare per stronzo quando non lo era.
Lily, lì sul divano di Black come se fosse in una dimensione parallela a quella reale, sapeva che Potter poteva nascondere qualcosa di buono,qualcosa di bello. Lo sapeva proprio grazie a quell’amico che era più un fratello anche per quel motivo.
«Perchè hai smesso di dare il tormento a Piton?» lo incitò a tirare fuori la parte di se stesso  che avrebbe dovuto mostrare e di cui poteva anche vantarsi con la sua odiosa mano tra i capelli e il contagioso largo sorriso stampato in faccia.
James non capì il perchè di quella domanda ma non ebbe alcuna difficoltà a trovare una risposta.
Decise di dirla quando le iridi verdi- in quel preciso momento straordinariamente verdi- parvero allargarsi come se si stessero preparando peraccoglierlo.
Era davvero così che ci si sentiva ad essere capiti, visti per davvero da Lily Evans?
Remus non aveva mai parlato di fiato mozzo, cuore impazzito, stomaco rivoltato.
«Perchè non sono come lui» rispose di getto aggrottando le sopracciglia nere per la determinazione nel pronunciare quella frase tenuta dentro per un anno e mezzo «Quel pomeriggio al lago, dopo i G.U.F.O. di Difesa, mi hai detto che io e lui siamo uguali* ma non è vero. Io non sono come lui».
E per James fu come sentirlo d nuovo, quel bolide dritto nel petto. Il giorno aveva fatto finta di niente, aveva ostentato il solito menefreghismo chiudendo l’opera in bellezza con le mutande ingiallite di Mocciosus sotto le ossute ginocchia, ma quelle parole che avevano sferzato come lame la brezza calda di giugno e quegli insulti, gridati davanti a tutto il parco, l’avevano sconvolto nel profondo e in posti che nemmeno aveva creduto potessero esistere davvero.
Per quegli insulti aveva rinunciato ad appendere Piton per le mutande, a lanciare fatture e a chiamarlo Mocciosus se non quando era lui, Piton, ad iniziare. Per quegli insulti aveva firmato il documento per averlo alle riunioni ogni mese.
Perchè era lei che voleva, non i capelli “Di uno che è appena sceso dalla scopa!”.
Voleva lei e non esibirsi “Con quello stupido Boccino e camminare tronfio per i corridoi lanciando incantesimi su chiunque ti infastidisca perchè sei capace!”.
L’unica cosa di cui voleva essere pieno era di lei e non di “Te! Non so come faccia la tua scopa a staccarsi da terra!”.
E adesso capiva perfettamente perchè aveva fatto così male, perchè quelle parole non erano volate via con il vento, con le risate dei compagni: non c’era niente di più importante di Lily Evans, di quella ragazza che portava fieramente le cicatrici del suo coraggio addosso, la gentilezza e l’empatia nel sorriso, la determinazione e la sincerità negli occhi. Non c’erano dubbi o altre possibilità, non c’erano altre strade da prendere o scelte da fare: Lily Evans era l’unica scelta per lui. E James capì che era proprio al quinto anno si era innamorato di Lily Evans, che erano stati quei suoi sguardi pieni di rimprovero che l'avevano reso la versione migliore di se stesso.
«Non sono uguale a lui» ripetè con maggiore forza come se tutto quel ragionamento l’avesse convinto ulteriormente.
«Lo so» fece Lily in un piccolo sorriso inequivocabilmente benevolo come la luce negli occhi verdi così sicuri e diretti da pervaderlo di brividi dalla testa ai piedi anche quando lasciarono i suoi per puntare lo schermo della tv dove lo spot di un detersivo per bucato si faceva sentire per la ridicola musichetta e la voce acuta di una donna intenta a guardare dalla finestra la vicina stendere il bucato al sole.
«Rivelami il tuo segreto per quelle lenzuola bianche!»
Lily si raddrizzò sul divano, le spalle abbassate e il collo allungato, lo sguardo incredibilmente attento come se fosse stata illuminata da chissà chi.
Dopo un momento che parve infinito, James la vide sfilare dalla tasca dei pantaloni la bacchetta ed agguantare meglio il libro sfogliando velocemente le pagine per arrivare all’inizio, a quella completamente bianca dopo la copertina.
Le piccole mani le tremavano, impazienti, ma la bacchetta di salice rimase ben salda tra le dita.
«Aparecium» scandì a chiare lettere, come un ordine.
Il signor McAdams era stato un Corvonero, troppo acuto e previdente per pensare a dei semplici biglietti visibili a chiunque avesse capito che il vaso era soltanto una forma apparente del libro.
Si diede della stupida, anche se sorridendo emozionata, osservando l’inchiostro nero apparire e delinearsi in tante piccole lettere sulla pergamena prima vuota.
 

Liv,

Sono sicuro che questa lettera ti sembrerà ridicola e piena di regole (troppo organizzata,  come mi dici sempre per tutte le cose che faccio) ma è necessaria. Ci sono delle cose che ti devo dire, cose che devi sapere. 
 

«LIV!» chiamò Lily alzandosi di scatto dal divano insieme a James.
L’urgenza con la quale aveva gridato fece arrivare immediatamente e rumorosamente l’amica e anche Sirius con i lunghi capelli neri bagnati davanti al viso paurosamente serio.
«Sì?» esordì Liv, allarmata, avvicinandosi a passo deciso al divano.
Gli occhi vibranti di Lily parlavano da soli e quando lei le allungò il libro, Liv non riuscì a staccare lo sguardo dalla grafia di suo padre, così dolcemente familiare ma stranamente disordinata, frettolosa.
Lily la incitò a leggere avvicinandole maggiormente il libro che Liv prese soltanto dopo averla abbracciata di slancio, forte, strizzando gli occhi per non lasciar sfuggire le lacrime pungenti dietro le palpebre.
Il battito irregolare del cuore impazzito nel petto premuto su quello dell’amica bastò per farle capire quanta riconoscenza avesse nei suoi confronti, nella sua pazienza, testardaggine, intelligenza, nel suo amore che dimostrava continuamente.
Nessuno la fermò quando tornò sui suoi passi per chiudersi in camera.
Lily incrociò lo sguardo di Sirius, intenzionalmente espressivo e del tutto privo di sarcasmo, perfettamente d’accordo con il suo.
Erano arrivati, o meglio, Liv era arrivata al punto in cui poteva finalmente venire a patti con quel dolore inimmaginabile.
E per la terza volta in meno di quarantotto ore, Lily pensò seriamente che l’interesse di Black per Liv fosse tutt’altro che noncurante come voleva apparire.
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Liv,

Sono sicuro che questa lettera ti sembrerà ridicola e piena di regole (troppo organizzata, come mi dici sempre per tutte le cose che faccio) ma è necessaria. Ci sono delle cose che ti devo dire, cose che devi sapere. 
Ti lascio tutto qui perchè non posso mettere per iscritto quello che sto per dirti in una lettera. Non so se verrai per Natale (perchè non hai risposto ai miei gufo?) e non posso aspettare l’estate, presto capirai il perchè.
Ricordi quando dicevo di andare al bowling il sabato sera? Mentivo. Incontravo al Paiolo Magico Dedalus Lux, un mio caro amico d’infanzia che non sono riuscito a lasciare neanche per tua madre.
Voglio parlarti di Dedalus perchè è stato lui a darmi una speranza.
Non me ne ha parlato direttamente e dandomi i dettagli, ma mi ha fatto capire che Albus Silente è a capo di un’organizzazione segreta e che lui ne fa parte.
L’ho incontrato poco fa, come ogni sabato, con la differenza che stavolta credo di essere stato seguito fino a casa dal Paiolo Magico e non di certo da persone perbene visto il cappuccio del mantello sulla testa.

Ecco perchè non potevo aspettare, questa potrebbe essere l’ultima cosa che farò e che voglio fare perchè tu devi sapere.
So che la tua voglia di combattere, di restare qui per difendere le tue amiche e tutti quelli come loro, come me, sarà sempre più viva e so anche che niente e nessuno potrà impedirti  di seguire il tuo istinto impulsivo per questo ti chiedo di agire insieme a qualcun’altro, preparato, che ti possa aiutare e dare protezione. Unisciti a loro dopo i tuoi  M.A.G.O., non fare di testa tua, non puoi fare tutto da sola. 
Convinci la mamma a partire, in ogni modo.
Nel terzo cassetto della mia scrivania troverai tutto quello che le servirà, compresi i biglietti per andare via da qui. 

A te invece lascio la busta con tutti i risparmi, metà in Sterline e metà  in Galeoni, so che li troverai. Li ho conservati e nascosti apposta perchè soltanto tu puoi decidere in che mondo vivere, se in entrambi o soltanto uno.
Se deciderai di stare esclusivamente in uno dovrai cambiare le monete ma la Gringott non è più un posto sicuro e portare dei soldi babbani sarebbe rischioso anche per un Purosangue. Come ti ho detto più volte, la verità e il giusto stanno nel mezzo. Sono sicuro che saprai decidere di conseguenza.

Sappi che sono fiero di te, così come sei. Sei te stessa e io ne sono orgoglioso, era quello che mi ero ripromesso di insegnarti da quando sei nata.
Confido nel tuo carattere forte, nella tua voglia di combattere ma spero con tutto il cuore che non lascerai Hogwarts. Sarai al sicuro ancora per un po’, lì dentro, e tutto quello che i libri hanno da offrire ti servirà in un futuro non molto lontano.
Sei intelligente oltre che forte, non dimenticarlo. 


Ma voglio essere ottimista: Domani sarò al binario, spero davvero di vederti scendere dal treno.
 

Ti voglio bene, te ne vorrò sempre.
       


Papà
 
 




La lesse una decina di volte con le lacrime a bagnarle l’intero viso e il collo, i singhiozzi a spezzarle il respiro, le mani aggrappate alla pergamena e il dolore che aveva zittito per una settimana completamente libero di sfogarsi, tutto addosso a lei, certo, ma fuori dalla presa ormai esausta dei polmoni, dello stomaco, del cuore.
Le lettere dovevano essere state intercettate dal Mangiamorte, le sue e quelle di suo padre mai arrivate a Hogwarts. Il suo “Papà, ho trovato un modo per non combattere da sola” era stato probabilmente letto insieme a “Liv, ho trovato un modo per non farti combattere da sola”.
Non era stata colpa sua. Suo padre era stato sorvegliato, spiato, intercettato e poi ucciso perchè visto con un membro dell’Organizzazione di Silente. Suo padre era morto perchè creduto il nemico attivo che non era.
Questo non la faceva stare meglio e non fermava la morsa che la sua mancanza le provocava senza darle tregua, ma era l’unica cosa che non la faceva soffocare insieme alla spietata voglia di vendetta ormai incastonata e saldata dentro al cuore.
Sapeva che non si sarebbe mai spenta, almeno fino a quando non l’avesse ottenuta. Combattere in quella guerra era ormai il suo destino, l’avrebbe fatto anche a costo di morire.
Uscì da quella camera soltanto quando fuori dalla finestra si fece buio e le luci di Londra cominciarono ad illuminare i palazzi.
Lo fece con il viso stravolto, il naso rosso, le lunghe ciglia nere ancora bagnate, ma a testa alta e nelle iridi scure la consapevolezza, l’accettazione che Lily notò all’istante.
Liv era totalmente distrutta, segnata in modo permanente, ma conscia; diversa ma in un modo maturo che a Lily trasmetteva soltanto buone e promettenti sensazioni.
«Va tutto bene?» le andò in contro per stringerla tra le braccia.
Liv annuì poggiando il mento su una sua spalla coperta dai capelli rossi.
«Leggete» disse porgendo il libro a James che lo prese, sistemendosi gli occhiali sul naso mentre Sirius gli si metteva al fianco con il viso già chino per leggere ma lo sguardo posato con ardente intensità su di lei, come per studiarla attentamente ed assicurarsi che stesse davvero bene.
Quando anche Lily lesse le parole di Edgar, James e Sirius raccontarono per filo e per segno l’incontro con Dedalus Lux il giorno del funerale e Liv del duello tra l’amico di suo padre e il Mangiamorte davanti casa prima di scappare da Lily.
«Mi sembra di capire che l’unica cosa da fare sia andare al Paiolo Magico a parlare di nuovo con questo Lux» sentenziò James trovando il consenso nei volti di tutti.
«Magari quando Tom vedrà Mocciosus e gli altri andare a Nocturn Alley?» propose Sirius, il capo inclinato da un lato e lo sguardo tagliente come il mezzo sorriso furbo sulle labbra.
«Sì, due gufi con un topo» l’appoggiò immediatmente James ricambiando l’occhiata colma d’intesa. «Potemmo indagare su due persone contemporaneamente» esplicò le intenzioni dell’amico che confermò il piano già nella testa.
«Dovremmo prima cambiare il nostro aspetto per non farci riconoscere dai Serpeverde» intervenne Lily riportando tutti con i piedi per terra «Basterà qualche incantesimo di Trasfigurazione sul viso e il cappuccio del mantello in testa».
Altri consensi si levarono dal piccolo cerchio formato senza che nessuno dei quattro se ne fosse effettivamente reso conto. Gli occhi di James rimasero un secondo di troppo su Lily, vispi, anche quando Liv prese parola.
«Ma devo risolvere subito questo problema con mia madre».
Lily sollevò entrambe le sopracciglia rosse come se non credesse alle proprie orecchie.
«Come? Vuoi andare a parlarci per convincerla?» le chiese, incredula.
Lo sguardo vigile di Sirius si spostò su Liv, sul bel volto un’espressione scettica che trovava riscontro in quella assolutamente contrariata della ragazza.
«Nemmeno per sogno» disse infatti con forza Liv. «Se non c’è riuscito Silente nessuno può. E ho giurato a me stessa che non le avrei mai più rivolto la parola in vita mia» aggiunse in un sibilo.
A quella frase James non potè fare a meno di osservare di sottecchi Sirius, quello che dopo essere scappato di casa due estati prima aveva detto le stesse identiche parole.
Lo vide completamente assorto su Liv con un’attenzione e un’intensità perforanti come poche volte gli aveva visto negli occhi, sempre troppo imperscrutabili e adesso invece limpidi, privi di qualsiasi velo, palesemente colpiti.
«Qual è il piano?» tagliò corto proprio Sirius senza smettere di fissarla, nelle iridi vivide si potevano facilmente intravedere i ragionamenti che il suo cervello aveva cominciato a mettere freneticamente in moto.
Liv voltò la testa verso di lui, gli occhi scuri leggermente spalancati al suono di quella voce decisa come se sentire quella domanda da lui fosse stata la cosa che meno si aspettava.
«Modificarle la memoria» rispose riprendendo il controllo, determinata «farle credere di essere un’altra persona che con la Gran Bretagna e me non ha niente a che vedere»
«Vuoi farlo adesso?» continuò con sicurezza Sirius, nel tono di voce James non ci trovò nessuna nota di rimprovero, sbigottimento o sconcerto.
Lo conosceva meglio di se stesso: Sirius era pronto, pronto ad andare, ad appoggiare Liv, accompagnarla da sua madre in quello stesso momento.
Il rispetto e l’ammirazione che provava per lei, James glielo leggeva con una certa sorpresa non soltanto negli occhi ma su tutto il viso serissimo. Quasi gli scappò da sorridere, felice per il suo amico e per quell'affetto che provava per Liv e che l'avrebbe reso felice. James lo vedeva già, l'aveva visto per anni.
«Domani mattina, se uscirà di casa» disse Liv senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello grigio, ipnotico come ormai lo era sempre quando incontrava il suo. «Devo capire dove mio padre aveva scelto di portarla, frugare nella sua scrivania, trovare i biglietti. Sulla lettera non me l’ha scritto».
L’intesa e qualcos’altro così intenso da essere inspiegabile tra loro sembravano vibrare nell’aria trapassata dai loro sguardi connessi, percepibili non soltanto a loro due ma anche a James e Lily, l’unica ad avere le sopracciglia aggrottate in un cipiglio preoccupato.
Liv e Black erano estremi, due folli con gli stessi problemi, le stesse idee, lo stesso piglio battagliero e distruttivo, la stessa voglia di libertà. Insieme erano pericolosi proprio perché si davano libertà a vicenda, insieme avrebbero potuto fare qualsiasi cosa senza essere fermati da nessuno, senza fermarsi a vicenda.
«Non puoi eliminarti dalla memoria di tua madre, Liv» protestò ricevendo tutta l’attenzione dell’amica.
«Sì che posso, le faccio soltanto un favore» replicò duramente lei sinceramente risoluta come non la vedeva da tempo.
Lily, però, non si lasciò intimorire. Trattare con il carattere tosto dell’amica era normale routine per lei.
«È tua madre» continuò a ricordarle piantando i grandi occhi verdi nei suoi.
Lo sguardo assottigliato di Sirius si affilò come una lama d’argento, la mascella serrata con forza fece capire a James quanto si stesse trattenendo dall’intervenire.
«Non lo è, Lily» obiettò con testardaggine Liv.
«Lo è» perseverò lapidaria lei, ugualmente cocciuta, fulminando Sirius quasi con sfida.
Era decisa ad essere quel freno che teneva Liv con la testa sulle spalle, ad essere quello che era Liv per lei riguardo la questione Petunia. Liv sembrò afferrarlo ma la sua idea rimase la stessa: sua madre non si poteva paragonare a Petunia, sua madre non aveva mai inviato una lettera a Silente, sua madre non le aveva mai chiesto come faceva a far aprire a chiudere i petali di una margherita, sua madre aveva buttato il manico di scopa al fuoco, sua madre non aveva il minimo rimorso, la minima invidia nei suoi confronti, non l’aveva mai fatto trapelare, nemmeno una volta.
La bramosa voglia di liberarsi di lei senza alcun rimpianto era un pressante e scalpitante bisogno fisico e Lily questo non riusciva a capirlo, non poteva capirlo.
Non come Black che sembrava essere riuscito ad arpionarsi a quel bisogno e a sradicarlo dalle viscere con il solo sguardo nello stesso modo con cui  l’accendeva ogni volta che quel grigio intenso la inchiodava sul posto.
Provò a far ragionare Lily usando quello che un tempo- una settimana prima- avrebbe sicuramente fatto e che lei avrebbe di certo criticato: utilizzare la bacchetta a sproposito, sfogarsi con la magia senza pensare alle conseguenze.
Adesso, distruggere la casa di suo padre, le sue cose, non era neanche lontanamente da prendere in considerazione. Non aveva senso, non serviva a nulla, lui non sarebbe tornato e la sua mancanza sarebbe rimasta comunque. Le sue cose sarebbero sparite come lui e lei si sarebbe ritrovata senza un posto in cui stare, di punto in bianco proprio come si era ritrovata senza suo padre.
Non poteva più agire senza pensare al dopo perchè in quel dopo c’era lei, sola e alle prese con una vita da portare avanti nonostante tutto, nonostante quell’assenza che si sarebbe fatta sentire per sempre.
Non poteva più agire senza pensare perchè tutto poteva sparire all’improvviso.
«L’alternativa sarebbe distruggere la casa per farla andare via, ma in quel caso io rimarrei sotto i ponti».
Come previsto Lily parve sussultare a quell’opzione, pronta a ribattere, ma Sirius prese parola, stupendola di nuovo.
«Pensi che ti lascerei andare via da qui, Olivia?» la gelò non soltanto con la voce ma soprattutto con gli occhi, immersi nei suoi con fervore come se le volesse inculcare una volta per tutte quel concetto in testa con la sola forza dello sguardo. «A farti spiare dai Mangiamorte ventiquattro ore su ventiquattro?»
«Sono io che me ne andrei, Black, non tu che mi manderesti via o no» ribattè lei, forte e risoluta, sostenendo quell’insistente sguardo perforante.
Sirius si prese qualche secondo per scrutarla, un sopraccciglio nero arcuato, superbo. «In questo caso, vado a distruggere casa tua» sentenziò con assoluta ed elegante noncuranza facendo per lasciarli.
«Fermo» lo bloccò James afferrandogli un polso e scoccandogli un’occhaitaccia eloquente. «Sirius ha ragione, Liv» si rivolse all’amica che sospirò senza sciogliere l’espressione severa ad infuocarle le iridi scure ancora saldamente puntate su Sirius.
Perchè era così difficile arrendersi a Black? Perchè era così difficile ammettere che quel “Bello ma cretino” non valeva più?
«Non puoi tornare in quella casa sorvegliata, nemmeno se riusciamo a tenerla integra» continuò James infrapponendosi con l’intero viso in quella tensione che attraversava il piccolo cerchio di amici, pronta a sprizzare scintille.
«In ogni caso, James, non voglio distruggere le cose di mio padre» mise in chiaro Liv guardando duramente Lily, in attesa della sua opinione.
Lily restò in assoluto silenzio, il cipiglio ancora a regnare sui suoi lineamenti rispecchiava la lotta interiore che la stava scavando dentro. Ma a quelle condizioni non c’era poi tanto da ragionare.
«Ok, modifica la memoria a tua madre» si arrese anche se di arrendevole nel suo tono e nel suo sguardo non c’era nulla. E quando aggiunse dell’altro, Liv capì il perchè.
 «Ma passerò il resto della mia vita a cercare di convincerti per farla tornare in sè quando tutto questo sarà finito. Sì, Liv, è una minaccia e anche una promessa che manterrò sempre e comunque».
James e Sirius non capirono minimamente il significato di quelle parole ma Liv sì, eccome. La promessa che le aveva appena fatto Lily era la stessa che le aveva fatto lei riguardo Petunia.
«Bene, siamo d’accordo allora. Domani mattina saremo di nuovo qui » spezzò quel dialogo silenzioso tra ragazze James «Inutile chiamare Remus, si deve ancora riprendere. La luna nello scantinato di casa sua non è mai semplice»
«E Peter ha ancora l’influenza, mi ha scritto ieri» fece sapere Sirius di nuovo ben piazzato tra loro, le mani infilate  nelle tasche dei jeans neri.
Lily annuì. «Anche Mary deve ristabilirsi...» informò venendo immediatamente interrotta da un James allarmato. 
«Il sangue sul collo di ieri era qualcosa di grave?»
«L’ha morsa un lupo mannaro, lo stesso della foto di Remus» gli rispose Liv incrociando le braccia al petto mentre i due ragazzi strabuzzavano in contemporanea gli occhi.
«Ma sta bene» si affrettò ad aggiungere Lily «Non si trasformerà ad ogni luna piena, questo è certo, assicurato all’alba dal Guaritore Responsabile del primo piano al San Mungo».
Alle parole ‘alba’ e ‘San Mungo’,  l’altezzoso sguardo da “Che ti avevo detto?” di Liv cercò quello di Sirius che rispose subito al richiamo senza scomporsi più di tanto a parte il sopracciglio inarcato: “Continui a prendermi in giro?”. Un abbozzato sorriso divertito a curvare verso l'alto le labbra di entrambi.
«E grazie alla polvere d’argento con il dittamo non dovrebbero rimanerle evidenti cicatrici. Speriamo soltanto non ci siano strani effetti collaterali sconosciuti. Soltanto Belby, in tutto il Mondo Magico, si preoccupa di studiare a fondo la Licantropia...» stava continuando a dire Lily con una certa stizza mentre James, sconvolto, si passava una mano tra i capelli cercando le parole per esprimere la consapevolezza che gli si era fermata sulla bocca dello stomaco.
«State dicendo che il lupo mannaro che azzanna anche senza luna piena è qui fuori?»
«Sì, sicuramente fa da spalla al Mangiamorte incaricato di uccidere Margareth. Come i Dissennatori a Hogsmeade, ricordate?» gli rispose Lily rivivendo quel terribile momento nel nocciola degli occhi dietro le lenti degli occhiali rotondi.
«Quei codardi non girano mai senza le loro creaturine oscure da compagnia» sibilò Sirius, il ghiaccio del Mangiamorte scagliato da sua cugina Bellatrix ancora nelle ossa. James, cogliendo quella fugace ombra sbiadire il limpido grigio, pensò bene di cambiare argomento.
«Credo sia meglio Smaterializzarci sul pianerottolo qui fuori» propose rivolgendosi a Lily che annuì senza tentennamenti come le voci apparentemente tranquille di Liv e Sirius che si accavallarono nello stesso momento.
«Restate per cena?».
Entrambi portarono di scatto i volti l’uno verso l’altra scoccandosi due occhiate torve che volevano in realtà nascondere il totale sbigottimento.
Tutt’e due erano stati spinti a porre quella domanda dalla stessa identica cosa: l’attrazione, l’alchimia, la chimica o qualunque cosa fosse quella forza inarrestabile che li portava ad avvicinarsi all’altro senza tener conto di niente e di nessuno, che sembrava fregarsene altamente della situazione tragica di Olivia, del fatto che Sirius non sapesse come comportarsi con lei, con quell’altra per lui nuova sensazione che richiamava la sua attenzione al suo stato emotivo e non soltanto a quello fisico; sembrava fregarsene dell’orgoglio di Liv, del fatto che Sirius fosse per lei l’ultima persona di cui si sarebbe potuta fidare.
Il sospetto che fosse percepita anche dall’altro colse entrambi di sorpresa.
«Se ce lo chiedete con questo tono da neo sposini...» li prese in giro James ammiccando malizioso.
L’occhiata raggelante di Liv non tardò ad arrivargli come uno schiaffo in piena fronte e l’imperturbabilità di Sirius fu fin troppo sospetta per i suoi gusti.
Si trattenne dal ridere, limitandosi ad assottigliare gli occhi studiando ancora un po’ il suo migliore amico prima di rispondere alla domanda che l’altra diretta interessata sembrava star ancora metabolizzando.
«Beh, che facciamo, Lily?» cinguettò dandole una leggera gomitatina.
A quell’altra domanda Lily parve riscuotersi.
«Che facciamo?» chiese guardando James come se fosse pazzo «Tu decidi per te, io per me. Noi non siamo neo sposini»
«Nemmeno noi se per questo» sbottò Liv, altera, sotto l’occhio clinico di Lily di nuovo in indagatore e concentrato silenzio.
«Comunque» celiò James sorvolando sulla strana atmosfera nell’aria con un sorrisetto ironico ad increspargli le labbra trucidate dagli occhi grigi apparentemente indecifrabili. «Ovvio che rimango, fratello» esclamò dando una vigorosa pacca sulla schiena di Sirius che con ancora le mani in tasca oscillò leggermente sul posto mantenendo il suo impeccabile aplomb. Sirius aveva paura di stare da solo con Liv, Sirius aveva tremendamente paura di lei e di quel sentimento nuovo e più grande di lui. James rise internamente, per lui.
«Anch’io» fece Lily intensificando lo sguardo su Liv, trasformandolo in un’occhiata d’intesa ma che pretendeva spiegazioni «Però devo prima tornare a casa per avvisare mia madre, si starà chiedendo che fine abbia fatto»
«Usa il telefono, no?» le propose Sirius indicando con un pigro cenno della testa il grosso oggetto babbano scarlatto in bella mostra sull’alto tavolino a tre piedi.
Il volto di Lily prese le sembianze di quello di una persona a cui è stato appena chiesto di guidare la slitta di Babbo Natale. «Quel telefono funziona?» domandò visibilmente scettica.
«No, non funziona, è soltanto esposto» le rispose Sirius, il sarcasmo a trasudare da ogni  poro «Sei in un museo, Evans, non in un casa. Che ti aspettavi?».
Lily gli fece una smorfia piuttosto pungente prima di avvicinarsi al telefono ed alzare con sfida la cornetta.
Sirius si lasciò andare ad un insolente e beffardo sorriso dirigendosi in cucina senza smettere di osservare Lily schiudere le labbra, seriamente impressionata dai segni di vita che dalla cornetta le arrivavano all’orecchio appositamente scoperto dai capelli rossi.
«Fai veloce, Lily, ho una certa fame» si raccomandò James seguendo Sirius e sfilandosi gli occhiali dal naso per spalmarsi stancamente una mano sulla faccia. «Felpato, hai ancora il numero del fish and chips scoperto da Peter l’anno scorso?» chiese mentre Liv lo afferrava al volo prima che potesse schiantarsi sullo stipite della porta.
«Così ti voglio, mia fidata Cercatrice! I riflessi sempre pronti! Era un test per... »
«Sì, come no, mio premuroso Capitano...»
 
 
 
 
 
*
 
 
 


 
 

La cucina invasa da quattro persone appariva ancora più piccola, stretta, con il tavolo quadrato poggiato al muro per il poco spazio e due sole sedie per lo stesso motivo.
Ma Lily la trovò decisamente accogliente, intima e calda nonostante il gelo sul vetro della finestra appannata.
Tirando di nuovo scherzosamente in ballo la cavalleria Grifondoro, James aveva lasciato le due sedie alle ragazze che stringendosi un po’ si erano sedute allo stesso lato del tavolo.
Il lampadario sul soffitto illuminava di luce dorata i resti del cibo ancora in tavola e sui piatti in mano a James, schiena al frigo, e Sirius, poggiato con disinvoltura al lavandino con il didietro adocchiato più volte da Liv che con grande sollievo di tutti aveva cominciato a mangiare in santa pace soltanto grazie alle occhiate minacciose che Sirius aveva scoccato a James e Lily, improvvisamente trasformati in nonni apprensivi ed euforici.
«Hai la patente per la moto in soggiorno?» stava dicendo Lily sorseggiando con tranquillità la sua Coca Cola a metà.
«La che?» fece Sirius, come se non avesse mai sentito nominare quella parola, fermando le lunghe dita che frugavano distrattamente tra le patatine nel piatto e distogliendo lo sguardo furtivo dalla schiena e le gambe di Liv, ancora scoperte dal largo maglione nero.
Lily mollò la cannuccia tra le labbra voltandosi verso di lui con un sopracciglio  severamente alzato.
«Vuoi guidare senza patente?» chiese, incredula.
«Ho già guidato» disse lui infilandosi una patatina fritta nella curva arrogante delle labbra. «Va alla grande anche senza questa patente» le assicurò in tono insolente facendo spallucce.
James rise di gusto smettendo di masticare, una mano chiusa a pugno davanti alla bocca per non sputare e gli occhi nocciola puntati con complicità sull’amico dal volto sempre più impertinente ma incredibilmente divertito.
Lily, sconcertata, guardò l’uno e poi l’altro mentre Liv al suo fianco masticava con le guance piene e l’aria apparentemente disinteressata appallotolando il suo fazzoletto sporco d’olio.
«La patente non è un pezzo della moto» informò Lily ricordando di star parlando con un Purosangue anche se amante del mondo babbano visto tutto quello che la circondava in quell’appartamento non così male.
Alla risata di James si aggiunse quella esplosiva di Sirius, incapace di trattenerla oltre.
«Lo so, Evans, so cos’è la patente» gracchiò lui schiarendosi la gola salata dalle patatine.
«Lo sai e continui a guidare senza?» lo rimbeccò Lily, piccata, malcelando però un principio di risata per il malinteso della patente sapientemente creato dal livello esagerato di sarcasmo di Black.
Così come Liv, combattuta tra lo scoppiare a ridere e il bere senza distogliere lo sguardo dal muro davanti a sè.
«Se i polizziotti ti ferm...»
«Ho infranto la legge in modi ben peggiori, Evans, quella magica e non»
«La cosa non mi stupisce. Ma mi spieghi come fai a saper guidare senza aver...?»
«Provo le moto da quando ho quattordici anni» confessò Sirius, di nuovo serio ma sereno, torcendo un minimo il busto per lasciar cadere il piatto vuoto nel lavandino «Il meccanico nell’officina a Finchley road è un mago non solo con chiavi e bulloni ma proprio un mago, Nato Babbano ed ex Grifondoro come te che non dovresti porti così tanti problemi nel non rispettare l’età e le leggi per guidare una moto».
Per tutta risposta, Lily gli lanciò la pallina di carta fatta da Liv, adesso totalmente rapita non soltanto dal volto di Sirius disteso in un arrogantissimo seducente sorriso, ma anche da quel suo breve racconto.
Incontrando lo sguardo del ragazzo, particolarmente attento su di lei nonostante stesse continuando a discutere sarcasticamente con Lily sui modi in cui un mago potrebbe presentarsi a scuola guida, Liv si finse impassibile voltandosi di nuovo verso il tavolo per poggiarci comodamente i gomiti e James, intento a finire la sua birra lì accanto, lasciò perdere il dibattito degli altri due cominciando a parlarle della sua nuova Nimbus 1500 regalata dai genitori per Natale.
Liv, a quell’argomento, sbiancò ricordandosi improvvisamente una cosa.
«James» esalò cautamente senza nemmeno muoversi, gli occhi scuri spalancati verso di lui.
«Mh?» fece quello portandosi tranquillamente la bottiglia alle labbra.
«Non ho più la scopa».

James tossì così forte, soffocandosi, da far alzare tutti per andare in suo soccorso.
 
 
 
 

 
*
 
 
 
 
 



 
Le Smaterializzazioni di Lily e James, ore dopo, parvero risucchiare l’aria non soltanto ai diretti interessati ma anche a Liv e Sirius che rimasero affacciati al portone d’ingresso a fissare il pianerottolo vuoto per qualche secondo in più del necessario.
Il silenzio e la presenza dell’altro, più vivida che mai, erano di nuovo liberi di fluire senza più ostacoli.
Liv fu la prima ad allontanarsi, piuttosto tesa, ma man mano che avanzava le falcate divennero sempre più insicure fino ad arrestarsi, dietro al divano. Sirius, richiudendo lentamente il portone, la scrutò interessato ed incuriosito.
«Sai per caso di chi è il cane nero che gironzola per il quartiere?» chiese lei senza preavviso facendogli assottigliare gli occhi grigi brillanti.
«Cane nero?» chiese ostentando confusione e perfetta ignoranza.
Liv si voltò verso di lui, l’espressione seria ad addolcirle i lineamenti sempre troppo contratti.
«Sì, un cane nero troppo pulito e ben curato per essere un randagio» spiegò poggiandosi alla spalliera del divano con una mano attentamente seguita dallo sguardo di Sirius, incapace di spiegarsi la fitta allo stomaco provata immediatamente dopo quel gesto che faceva intendere tempo in più per stare con lei, tempo vietato da leggi non scritte ma ardentemente desiderato.
«Ci sono tanti cani neri in giro per il quartiere, Olivia, cerca di essere più specifica»
«Grande, alto, folto pelo nerissimo, bello... »
«Bello?» ripetè Sirius con un sorriso sghembo e gli occhi furbi.
«Sì, Black, bello! Sembra tu non abbia mai sentito la lingua inglese oggi» sbottò Liv guardandolo sconcertata come se avesse a che fare con uno straniero. «Bello: di aspetto piacevole, gradevole. Aggettivo singolare maschile. Vuoi anche la divisione in sillabe e gli accenti?».
«E gli esempi, se non ti dispiace» la provocò, insolente.
«Ma per favore, Black, se non sai di chi è dimmelo e basta» sbottò lei, soccciata.
Lui rise apertamente infilandosi le mani in tasca. Bagnando brevemente le labbra con la lingua sollevò le sopracciglia, pronto a parlare.
«Perchè ti interessa tanto quel cane?» le chiese pacatamente, lo sguardo fin troppo intenso e perforante per la scanzonata curva della bocca maliziosa.
Liv, scaldata in modo vergognoso da quella voce così bassa, distolse con freddezza gli occhi da quell’irresistibile richiamo delle labbra.
Non sapeva nemmeno lei perchè le era improvvisamente venuta voglia di vedere quel cane.
Dirigendosi verso camera sua aveva percepito la morsa che per tutto il dopocena le aveva attanagliato lo stomaco farsi più forte, stringere anche l’esofago e la gola. La prospettiva di stare al buio in quella stanza l’aveva agitata come nemmeno la prima notte passata lì era successo.
La verità era che essere consapevoli di essere soli, di non avere più un padre, per sempre, faceva terribilmente male, faceva paura anche con una bacchetta in mano.
Toccare quel cane, accarezzarlo, bearsi del pelo folto e morbido sotto le dita l’aveva fatta sentire bene nonostante la pericolosa penombra della strada all’alba, nonostante tutto.
«Mi piacciono i cani. Quello era particolarmente... sensibile, ecco» si decise a rispondere, evasiva, sentendo gli occhi di Sirius studiarla a fondo, enigmatici.
Non era una novità, quegli occhi non facevano altro da sempre, eppure ancora non riusciva a fermare il suo corpo e qualcosa dentro di lei chereagivano immancabilmente a quel contatto invisibile a volte andando totalmente a fuoco, altre assaporando una dolce serenità che forse non avevano mai conosciuto prima.
Staccò la mano dal divano, pronta ad andarsene, e lui parlò con malcelata urgenza come se quel suo piccolo movimento l’avesse spinto ad agire per non far scadere quel tempo proibito che entrambi stavano prolungando senza riuscire a non farlo.
Dopotutto, quando mai aveva dato retta ad un divieto?
Quando mai non si era immerso nel pericolo fino al collo ed oltre?
Farlo con Liv, però, non gli dava nessuna delle sensazioni già provate prima. Oltre all’adrenalina c’era qualcosa che lo frenava, qualcosa che invece di fargli aprire le mani per assaporare l’ebbrezza gliele faceva chiudere per aggrapparsi a lei, come se quella ragazza indomabile potesse sfuggirgli via ad ogni minimo passo falso.
Paura, Sirius sentiva una paura folle, la stessa paura che l'aveva fatto gravitare attorno a lei per anni, senza provarci mai davvero. Ma si stava rivelando sempre più difficile starle lontano, più la conosceva e più il desiderio di averla diventava troppo forte per essere fermato perchè più la conosceva e più sentiva di essere libero, con lei.
Era certo che se fosse stato costretto a vivere di nuovo a Grimmauld Place, con Liv non sarebbe stata una prigione.
Liv era stata l'unica, negli anni, a non avergli detto come agire o come comportarsi con noiosissime ramanzine*; l'unica che non l'aveva guardato con disprezzo dopo ogni sbaglio; l'unica che l'aveva semplicemente guardato da lontano mentre aveva fatto il coglione con tutte e il codardo con lei; l'unica che non sembrava volerlo cambiare, ma soltanto fargliela pagare a suon di "occhio per occhio" anche gridati, per poi ridere con lui facendogli davvero capire di essere stato un coglione con tutti, con tutte.
Liv aveva la più unica che rara capacità di farlo sentire libero e quello, be' quello Sirius lo amava; era tutto ciò che aveva sempre cercato.
«Non sai della maledizione del Gramo, Olivia?»
«Sarebbe?»
«Il cane nero dei cimiteri, la leggenda non è soltanto babbana».
Il mezzo sbuffo di risata di Liv gli scaldò il petto senza sapere il perchè. Il cervello gli diede la risposta subito dopo, tramite il ricordo della dolce voce della stessa di Liv quella mattina all’alba con il signor Hopkins: “A me sembra un normalissimo cane e non un mostro dalla fama oscura”.
«Non ti facevo così superstizioso e grande ascoltatore della gente, Black» ammise candidamente lei assottigliando gli occhi nello stesso momento in cui lo fece Sirius.
«E come mi facevi allora?» le chiese inclinando la testa, seriamente curioso.
«Talmente bastardo e menefreghista da mangiartelo quel cane nero» rispose schiettamente Liv osservando il sensuale sorriso davanti a lei aprirsi, divertito.
«É evidente che non mi conosci abbastanza» buttò lì Sirius sollevando un sopracciglio provocatorio.
Liv non replicò perchè era l’assoluta verità. Conoscevano soltanto qualcosa l’uno dell’altra e in modo assolutamente superficiale: due madri non madri, un fratello non fratello, due fughe da casa. Ne erano venuti al corrente per puro caso, per un susseguirsi di eventi che li aveva portati a conoscersi indirettamente attraverso gesti casuali, la guerra di scherzi, lo stare in un posto giusto al momento giusto, i discorsi con James, le rivelazioni di Lily, le voci di Hogwarts negli anni.
Quegli scorci di loro stessi non avevano fatto altro che sorprenderli, colpirli ed incuriosirli senza però avere la possibilità di farlo sapere all’altro.
Non erano bravi a parlarsi utilizzando la voce, ma con gli occhi e i gesti sì, in un modo che nessuno dei due aveva mai sperimentato prima con il sesso opposto.
Non erano bravi ad esporsi verbalmente, ma si erano appena accorti di volerlo diventare. Per conoscere di più, per scoprire anche quei lati che non li univano esclusivamente per delle disgrazie familiari.
Capire di avere qualcos’altro in comune come la stessa canzone preferita dei Rolling Stones era stato bello.
Ridere insieme era bello, l’avevano provato per un fugace attimo giorni prima, perchè non riprovarci?
«Quel cane può essere pericoloso in un altro modo, Olivia. Potrebbe essere pieno di pulci, malato, con un caratteraccio insopportabile e la predisposizione a distruggere tutto ciò che gli sta attorno... divani, tappeti, braccia, gambe...»
«Mai più di te, Black»
La frase le uscì prontamente e in un sorriso che molto probabilmente, senza quella tensione nell’aria, si sarebbe trasformato in risata. Lo vedeva negli occhi scaltri e socchiusi  di Sirius che la osservavano con ilarità e lo vedeva sulla bocca, la stessa sua curva trattenuta ma inesorabilmente rivolta verso l’alto, insolente, che per un attimo Liv desiderò rimettere al suo posto infrangendoci contro le sue labbra.
Doveva andarsene, per forza.
Doveva allontanarsi da lui, allontanarsi dalla voglia di restare con lui, di lasciarsi fissare, leggere, capire e sostenere da quegli occhi grigi.
E lo fece, non lei ma Sirius, non andarsene ma capirla, cogliere la voglia di stare lì che era anche sua.
«Sono le due» esordì gettando una breve occhiata all’orologio al polso prima di riportare lo sguardo profondo ed eloquente su di lei. Liv, stupita, capì al volo l’allusione.
«Non hai sonno?» chiese scrutandolo esitante ma con la stessa sua luce negli occhi sempre più fervidi come se entrambi stessero odiando la bruciante bramosia di stare vicini e contemporaneamente sperando di poterla soddisfare.
«Per niente» rispose lui senza smettere di fissarla, quasi incantato, non facendosi più nessuna domanda.
Non aveva mai mosso un dito per un appuntamento, gli arrivavano senza che lui facesse qualcosa. Sì, no, forse: lui decideva al momento con chi gli si parava davanti. Lui rispondeva agli inviti e ai baci, lui non corteggiava, non ne aveva bisogno.
Ma adesso cos’era quella voglia di stare con lei, di sfiorarle la pelle, i capelli, le labbra con le sue?
Era nata senza nessuna richiesta da parte di Olivia, era nata ed era impossibile da soddisfare. Perchè?
Non gli importava più, non si potevano avere risposte riguardo cose sconosciute come quella che l’attanagliò vedendo Liv avvicinarsi al giradischi per scegliere il vinile dei Pink Floyd.
Il fatto che lei conoscesse e ricordasse una sua abitudine così intima gli scatenò qualcosa dentro di indescrivibile, spaventosa ma naturale al tempo stesso perchè Olivia sapeva più cose intime su di lui rispetto a chiunque altro. Sapeva cos’aveva provato mentre aveva giurato di non voler più parlare con sua madre in vita sua, sapeva come ci si sentiva a stare bloccati sull’uscio di quella che non era più casa, sapeva cos’era la voglia di libertà e cosa significasse ottenerla, cosa significasse cercarla ovunque per non sentirsi in gabbia di nuovo.
E lo sapeva nel modo più viscerale possibile, lo stesso in cui gli era entrata prima nello stomaco e poi nella mente.
Si avvicinò a lei osservandola posare delicatamente la puntina sul disco che cominciò a girare rilasciando i primi dolci accordi della chitarra diWhis you were here. 
Quante volte era rimasto ad ascoltarla nella completa solitudine, sdraiato sul divano o con la sigaretta in bocca, appoggiato alla stessa finestra in cui Liv si era appena spostata per guardare fuori con sguardo spaventosamente assorto.
 
 “Come vorrei, 
come vorrei che tu fossi qui”
 


Forse non era la canzone più adatta per lei, per quello che i suoi occhi stanchi e cupi rispecchiavano nonostante volessero apparire duri e sicuri.
Sirius si trattenne dall’andarle vicino per sfiorarle una spalla, facendolo però con gli occhi. La lasciò con il suo dolore- assecondando il volere di Lily- senza smettere di stare lì, assecondando il suo volere.
E Liv lo sentì, sentì il suo sguardo toccarla come sempre. Black c’era, c’era e basta senza grandi scene, in rispettoso silenzio, lasciandola libera come aveva sempre fatto, dandole sicurezza e benessere soltanto con la sua presenza.
Era tutto ciò di cui aveva realmente bisogno, dato da qualcuno che non sapeva più definire.
Black non era più un nemico anche se aveva ancora la sua bacchetta in tasca. Non era nemmeno un amico: James non la guardava in quelmodo capace di accendere ogni più piccola parte di lei, non le faceva provare la vertigine che la lasciava senza fiato e completamente in fiamme; James non la faceva sentire femminile, lei che anni prima aveva deciso di non esserlo mai. Ma Sirius la faceva sentire così e come se non bastasse lo faceva in ogni momento anche con un largo maglione addosso, la divisa scolastica e quella di Quidditch, un paio di jeans e un giubbino in pelle.
Le labbra di James non richiamavano sensualmente le sue, gli occhi di James non guardavano la sua bocca come facevano quelli di Sirius.
Portandosi distrattamente le dita smaltate di nero a torturarsi quelle stesse labbra, si accorse che al semplice bisogno di libertà se n’era appena aggiunto un altro, spaventoso ma terribilmente allettante.
E come se avesse notato quel piccolo ed intimo cambiamento, la musica si fermò di colpo. Liv si voltò di scatto, interdetta, vedendo Sirius togliere il vinile dal giradischi e rimetterlo nella sua custodia con mani accorte, le stesse che con sicurezza passarono in rassegna gli altri album fino a fermarsi su uno in particolare.
Si ritrovò a seguire ogni piccolo ed esperto movimento di quelle lunghe dita fino a quando non sparirono dentro la tasca dei jeans scuri, nell’aria la cover di Stand by me cantata da John Lennon.

“Quando arriverà la notte
e la terra sarà buia 
e l'unica luce che vedremo sarà la luna 
no, non avrò paura, 
no, non avrò paura 
finché tu sarai con me, sarai con me”
 

Liv non riuscì a fare a meno di sbattere le palpebre in un’espressione totalmente spaesata ed attonita fissando Sirius che con un mezzo sorriso e uno sguardo profondamente intenso non ne voleva sapere di lasciarla, fisicamente e mentalmente.
Forse stava sbagliando, forse avrebbe portato entrambi a cadere rovinosamente a terra dopo quel lancio nel vuoto che stava per far fare non soltanto a se stesso ma anche a lei.
Egoista, era anche egoista. Un cane dall’anima oscura e maledetta come quella del Gramo e pure egoista, ecco cos’era. Ma Olivia era lì con la sua stessa identica voglia di rischiare, glielo leggeva negli occhi, sulle labbra.
                                                           
“E tesoro, tesoro stai con me, 
adesso, adesso stai con me 
stai con me, stai con me”

 

L’aria impregnata da quelle parole sembrava parlare per loro, per gli sguardi non più incerti, non più intenti a sfiorarsi ma impetuosamente a contatto, avvinghiati dal bruciante desiderio che li aveva portati a gridare quel “Stai con me” prima ancora della voce di Lennon.

“Se il cielo che noi guardiamo 
dovesse crollare e cadere 
e le montagne dovessero sbriciolarsi nel mare 
non piangerò, non piangerò, 
no, non verserò una lacrima 
finché tu sarai con me, con me”
 

Quando Sirius protese una lunga gamba per dirigersi lentamente verso di lei, Liv non si allontanò. Poggiò un fianco al davanzale della finestra, gli occhi sempre allacciati a quelli seminascosti dai ciuffi di capelli neri.
L’uno accanto all’altra, inebriati dai rispettivi profumi e dalla vicinanza dei loro corpi, Liv capì perchè era così difficile dire che Black fosse semplicemente “Bello senza cretino”: Ammetterlo la portava irrimediabilmente verso di lui senza nessun controllo, nessun freno.
E così era anche per Sirius che si lasciò completamente andare alla vertigine nello stomaco, la stessa di cui aveva tremendamente paura appeso ad una scopa, aggrappato agli anelli del campo da Quidditch o a mezz’aria oltre l’apertura della Guferia.
Si lasciò andare sfiorandole quasi a rallentatore una mano con la propria, restando piacevolmente sorpreso dal brivido che percorse la liscia pelle sotto le nocche; osservando stregato il caldo marrone dei bellissimi occhi davanti a lui dimenarsi come un mare in tempesta, attraversato dalle stesse sensazioni che accendevano i suoi.


 
“Ogni qualvolta sarai in difficoltà, 
starai con me? ”


Liv rispose a quella domanda intrisa nella delicata ma costante carezza che le stava lasciando scie infuocate sul dorso della mano; la domanda vorticante nell’intenso e liquido grigio sprofondato in lei.
Rispose a quella domanda espressa a voce da John Lennon.
Lo fece con il cuore impazzito nel petto e le parole di Sirius di qualche giorno prima a rimbombarle in testa: “Non sto criticando le tue intenzioni ma il tuo non voler chiedere aiuto, il tuo vizio di non dire mai niente a nessuno di te e di quello che fai, il tuo non fidarti”. L’aveva fatto, poche ore prima si era fidata di lui spiegandogli il piano per far partire sua madre e la fiducia riposta aveva istantaneamente trovato il completo appoggio.
Rispose voltando lentamente la mano per porgere il palmo alle dita di Sirius che ci scivolarono sopra, vigorose come per non lasciarsi sfuggire nemmeno un millimetro di pelle fino ad incastrarsi in quelle di lei in un tocco che fece fremere i cuori e gli occhi di entrambi, scatenare la pelle d’oca appena i palmi entrarono completamente in contatto.

“Oh adesso, adesso stai con me 
stai con me, stai con me, stai con me”


Mai come in quel momento Sirius desiderò afferrarle delicatamente il collo per avvicinare il viso al suo, assaporare il suo respiro sulle labbra.
Mai come in quel momentò odiò il forte e furioso bussare sul muro in cucina.
Liv sussultò, frastornata, sciogliendo l’intreccio delle mani e spezzando la tensione arrivata alle stelle.
«Chi è? Hai murato vivo qualcuno?» domandò con un filo di voce distogliendo lo sguardo da lui, visibilmente frustrato e scosso dal benessere provato soltanto tenendole la mano.
«La vicina isterica della tisana alla verbena» mugugnò piuttosto scocciato buttando via l’aria rimasta intrappolata nei polmoni. «È da quando mi sono trasferito qui che rompe le pluffe per qualsisi rumore. Una volta è venuta a bussare alla porta per dirmi che la polvere del mio zerbino arrivava sul suo» raccontò accingendosi a raggiungere con passo pesante il giradischi. L’ultimo colpo al muro si spense insieme alla musica.
«Ah, bene» commentò sarcastica Liv accorgendosi soltanto in quel momento di quanto fosse vuota quella stanza, di quanto lei fosse sconvolta da quello che poco prima aveva riempito ogni centimetro quadrato, ogni particella d’aria. La mano stretta da Black era calda come non lo era mai, soprattutto in inverno.
La sua presa dolce ma sicura e passionale al contempo era stata quanto di più surreale potesse esistere eppure continuava a sentirla come se avesse quella mano ancora unita alla sua.
«Ci mancava soltanto la nonnetta maniaco compulsiva in questo appartamento» esalò incrociando le braccia sotto al seno, sfregando le dita sulla lana scura del maglione per cercare di togliersi di dosso quella sensazione che le mandava in fibrillazione il cuore e in confusione il cervello.
«Nonnetta?» fece Sirius ancora di spalle mentre infilava il disco nella custodia con gesti non più troppo decisi. «Avrà solamente qualche anno in più di noi» informò voltandosi di nuovo nella sua direzione, la mano con impressa quella di Liv ben infilata in una tasca dei jeans neri come se non volesse perderla.
La studiò attentamente lasciando che lo sguardo scivolasse, affascinato, sulle sue gambe scoperte.
«Quindi non solo pensi che io possa mangiarmi un cane ma addirittura murare vive le persone» constatò fintamente oltraggiato, un sorriso arrogante a farlo capire, avanzando lentamente verso di lei.
«Potrebbe benissimo essere una cosa da te, sì» rispose lei scacciando via l’assurdo pensiero del bacio che gli occhi e le labbra di Sirius le avevano suggerito mentre l’aveva tenuta per mano, scacciando via il pensiero di cosa avrebbe potuto provare ricambiando. «Che preferivi prenderti costantemente un non classificato in Astronomia perchè non trovavi niente di interessante in una manciata di puntini luminosi tutti uguali buttati nel buio».
Sirius l’osservò arrivandole al fianco, interdetto da quelle ultime parole, le sopracciglia aggrottate ma gli occhi grigi dilatati a tradire una profonda sorpresa.
Come faceva a ricordarsi quella sua lite con la professoressa di Astronomia dopo l’ennesimo Non Classificato a lezione?
«Quei “ puntini luminosi buttati nel buio” non sono tutti uguali» continuò Liv portando il profilo verso la finestra, lo sguardo perso nel cielo scuro sopra i tetti illuminati dalle luci della città. «Tu non trovi mai niente di bello nelle cose che non ti appartengono, Black».
Eccome se lo trovava invece. Lei ne era un esempio lampante. E lì, con i lineamenti del volto distesi e liberi di mostrare la loro dolcezza, le labbra piene lievemente curvate verso l’alto, le lunghe ciglia nere a nascondere parzialmente quel profondissimo castano caldo luminoso lo era da impazzire.
Era bella come non mai, bella da togliere il fiato, e non gli apparteneva o quelle labbra irresistibili sarebbero state sulle sue in quel preciso momento.
«Non scherzavo quando ti ho detto che sei bella, Olivia».
Liv si voltò a guardarlo, incapace di assumere un’espressione scettica davanti allo sguardo serio e sicuro di Sirius che si spostava sul suo viso come se ne stesse studiando intensamente ogni dettaglio.
Vedendolo sollevare lentamente una mano per avvicinarla ai suoi capelli, si allontanò d’istinto facendo un passo indietro.
Lei non gli apparteneva, non era sua proprio come aveva fatto intendere lui e i suoi occhi grigi, consapevoli e per nulla sconvolti da quel rifiuto.
Il solo pensiero di poterlo essere dopo quella confessione inaspettata le aveva fatto contorcere le budella.
«Allora perchè non ti piace il cielo stellato?» chiese stringendosi nelle spalle e portando di nuovo lo sguardo orgoglioso verso la finestra. Soltanto adesso capiva quanto potere la vicinanza di Sirius aveva su di lei perchè per un breve ma intenso istante di sguardi avvinti e dita intrecciate si erano appartenuti eccome, senza tentennamenti e con una naturalezza disarmante.
Black non era mai stato più pericoloso di così.
«Soltanto le persone capaci di murarne vive altre odiano il cielo stellato, Black» scherzò senza la minima traccia di allegria nel volto.
«O quelle che nel cielo stellato ci vedono una stupida foto di famiglia o un ancora più stupido albero genealogico dove non si può bruciare nessuno» sentenziò amaramente Sirius.
Liv, ghiacciata sul posto, fu costretta a girare nuovamente la testa per fissarlo sciogliendo il collo incassato.
Non parlò, non si mosse oltre, quasi non respirò. Si limitò ad ascoltarlo come non aveva mai fatto.
«Preferisco mille volte essere accecato dal sole piuttosto che guardarmi brillare insieme ai “Black” da ogni angolo del mondo. Orion, Regulus, Bellatrix e tutti gli altri. Io sono lì, sempre, in mezzo a loro. Non posso bruciare come su quell’arazzo». Lo sguardo incredibilmente tagliente si sollevò verso la finestra, disgustato, e Liv schiuse le labbra senza riuscire a parlare, stordita da quelle rivelazioni. Inclinò leggermente la testa di lato, il cipiglio concentrato esclusivamente su di lui.
«Tua madre ha davvero bruciato il tuo nome sull’arazzo di famiglia». Non era una domanda la sua ma una constatazione, una conferma dei pettegolezzi, delle voci di Hogwarts, quella sprezzante di Regulus Black.
Il suo sussurro fu così pacato da scuotere Sirius internamente come nemmeno le sue grida più forti avevano mai fatto; la sua voce gli fece prendere coscienza di essersi appena rivelato a lei.
Come risposta abbozzò un sorrisetto privo di gioia senza distogliere lo sguardo da Londra, la voglia di continuare a parlarle sorprendentemente più viva e per nulla fuori luogo.
Olivia non era fuori luogo, lei era quella che ci stava meglio dentro di lui, in mezzo a quei ricordi che non l’avrebbero sconvolta perchè già ferita, già rovinata da quelle coltellate invisibili che lui stesso aveva sentito aspettandola fuori di casa la sera della fuga.

Tu e quel tuo essere... diversa”, “Immonda”, “Non saresti nemmeno dovuta nascere”.

«Credo sia stata la prima cosa che ha fatto per continuare a sfogarsi quando la voce per gridare Traditore del tuo sangue’, 'Abominio' e'Vergogna della mia carne' era finita» disse in una bassa e caustica risata atona.
Liv non fece fatica a credere agli insulti, qualcun’altro forse li avrebbe trovati impossibili abbinati alla bocca di una madre ma non lei che aveva quelli della sua cicatrizzati sul cuore, sui timpani.
«Regulus non è stato preciso a riguardo, no?» continuò Sirius, pungente, allargando il sorriso spaventosamente glaciale «Strano, la perfezioneè la sua più elogiata peculiarità».
Il tono affilato per la prima volta tradì una velata sofferenza che s’insinuò in Liv come un fulmine tra le nubispiazzandola e mettendola di fronte all’incredibile fatto che anche Sirius Black provava dei sentimenti diversi dalla rabbia, dall’odio e dalla stronzaggine.
Continuò a tacere, lasciandolo libero di sfogarsi, assorbita da quelle parole, da lui, dalla sua anima che aveva sempre paragonato ad una pozzanghera e che invece si stava rivelando un pozzo profondissimo nel quale lei sapeva  più o meno restare a galla.
Nuotarci dentro insieme ad un altra persona, però, era diverso.
«Quindi sì, Olivia, sono un mostro che odia il cielo stellato» sibilò Sirius senza abbassare gli angoli della labbra. «Se lo guardo mi sento di nuovo impazzire come se fossi ancora segregato in quella prigione piena di pazzi, tutti, dal primo all’ultimo»- fece una pausa per l’essersi improvvisamente sentito messo totalmente a nudo usando la prima persona.
Il silenzio assoluto di Liv, percepita al suo fianco grazie al suo confortante profumo e allo sguardo talmente attento e partecipe da sentirlo sulla pelle, lo portò a gettare definitivamente la maschera come non faceva da tempo, dall’ultima volta che si era sfogato con James sette anni prima- «Vorrei scappare da lì come sono scappato di casa. In mezzo a loro ero un costante fallimento, uno sbaglio, uno stupido incapace di capire ed accettare le loro schifose regole folli, la vergogna della famiglia, l’errore non messo in conto prima di mettere al mondo il vero capolavoroquando gli unici errori, lì dentro, erano e continuano ad essere loro, Regulus compreso».
Il sorriso gli si spense così come lo sguardo, duramente puntato sulla strada mentre gli occhi di Liv lo guardavano come non l’avevano mai guardato, lo vedevano come non l’avevano mai visto.
Lì accanto a lei non c’era il solito Sirius Black, lo stesso che ostentava menefreghismo e noncuranza in ogni occasione, sicurezza, fierezza di essere se stesso ed amor proprio ad ogni movimento, espressione, falcata; il Sirius come l'aveva scorto dallo Smistamento: se stesso, quello che le era piaciuto fin dal primo anno.
Davanti a lei in quel momenot invece c’era qualcuno cresciuto sentendosi sbagliato, un errore, e che ci aveva messo parecchio tempo per imparare a credere di non esserlo. E Liv sapeva cosa comportava impararlo. Significava chiudere il cuore, ignorare il suo bisogno d’amore lasciandolo pompare odio, rabbia e risentimento che pian piano corazzavano tutto con la falsa convinzione di stare bene così, di stare a posto anche senza quel calore ingiustamente negato.
L’improvvisa morte di suo padre, il suo “Ti voglio bene, te ne vorrò sempre” scritto frettolosamente su un’anonima pagina di pergamena le aveva fatto capire invece che non si poteva vivere senza, che faceva male da impazzire sapere di non poterlo ricevere e dare mai più.
«Black» lo chiamò, la voce più sicura di quanto lei stessa si era aspettata. Vide il pomo d’adamo salire e scendere una sola volta sul lungo collo e l’altero profilo restare fermamente puntato verso la finestra, gli occhi così assottigliati da sembrare chiusi.
«Se proprio devo guardarlo, il cielo stellato, punto quella lì» si riprese a stento Sirius, la voce roca e bassa «È l’unica che rimane da sola mentre il sole sorge e tramonta».
Liv, spiazzata, seguì la direzione del suo indice affusolato.
«Quella non è una stella, è un pianeta. É Venere» lo informò ricordando alla perfezione e con una fitta al cuore le sere passate sui gradini dell’ingresso di casa con suo padre a correggere i compiti di Astronomia delle vacanze guardando direttamente il cielo.
I ciuffi di capelli neri scivolati davanti al viso di Sirius non le permisero di osservare la sua reazione.
«Guardami» disse fermamente allungando una mano per stringergli con sicurezza un braccio. E quando a quel tocco lui la guardò, stupito, Liv non ebbe più alcun dubbio: Black era rotto, come lei.
Il grigio che aveva davanti non era lo stesso grigio che la fulminava, la infastidiva, rapiva, stordiva, accendeva. In quel grigio Black aveva il vuoto che lei aveva sempre cercato di riempire con altro vuoto.
Non era vero che Black se ne fregava altamente della sua situazione familiare, che stava così bene come mostrava alla perfezione in ogni corridoio e aula di Hogwarts.
In quegli occhi nuovi Black aveva il vuoto e tutto quello che l’aveva creato. Sofferenza, rabbia, solitudine, odio, disgusto, orgoglio e anche qualcos’altro che la colpì più di quanto riuscì ad ammettere: emozioni positive.
Black aveva un mare di emozioni positive come l’amore, amore da dare e da ricevere, forte e sconvolgente perchè represso e tenuto nascosto fino a quel momento.
Ma perchè era ancora lì? Per chi l’aveva conservato, da chi lo voleva ricevere?
Chi era per Black quello che per lei era stato suo padre?
L’unico che le venne in mente fu Regulus.
Black mentre parlava della sua famiglia aveva mantenuto un sorriso amaro e colmo di vergogna stampato in faccia, lo stesso che nasceva in lei davanti a sua madre.
Liv provava soltanto vergogna di essere la figlia di Margareth McAdams, non aveva amore per lei e non se lo aspettava in cambio. Così doveva essere per Sirius, eccetto quando nominava suo fratello.
Anche Sirius se ne fregava di sua madre, suo padre, del loro modo di pensare che non rispecchiava il suo ma di Regulus no, di Regulus gli importava proprio come a lei le era importato di suo padre.
«Ne vale la pena?» gli chiese pacatamente sostenendo il suo sguardo perforante.
«Cosa?» sussurrò lui senza smettere di guardarla.
Liv tacque un istante, destabilizzata dalla piacevole sensazione provata semplicemente parlando in quel modo così intimo e calmo con lui.
«Regulus» rispose notando come conferma alla sua ipotesi un bagliore fugace attraversare gli occhi girigi incollati ai suoi. «Ne vale la pena? Se la risposta è sì dovresti cercare di parlargli seriamente»
«Non lo so se ne vale ancora la pena» fece Sirius per niente disposto a domandarsi il perchè di tutta quella sincerità uscita dalle sue labbra, troppo preso da lei e dal senso di pace che gli dava parlarle senza finzioni e maschere addosso.
Liv sospirò impercettibilmente serrando le labbra, lo sguardo improvvisamente freddo che lui notò all’istante.
«Mio padre ne valeva la pena, ma è morto. L’ho capito soltanto dopo» confessò con la voce lievemente ed involontariamente incrinata. Sirius, per la prima volta in vita sua, sentì l’istinto di abbracciare qualcuno senza il bisogno di scatenare una rissa selvaggia come diversivo o scusa. Ma non lo fece.
«Mia madre no, non varrà mai la pena, ed è viva» sibilò Liv facendo scintillare i grandi occhi lucidi. La rabbia e il rimpianto Sirius poteva percepirli dentro, iniettati da quelle iridi quasi nere ma calde che lo attiravano ogni volta di più.
«Perchè pensavi che tuo padre non ne valesse la pena?» le chiese facendosi un minimo più vicino a lei stando attento a non sfuggire alla sua presa ancora attorno al braccio.
«Perchè voleva scappare, non voleva combattere come me » rispose amaramente Liv spostando lo sguardo verso un punto imprecisato della stanza. «Sono stata una stupida egoista» mormorò piano facendo assottigliare gli occhi grigi che cercarono i suoi con insistenza, trovandoli quasi subito.
A quello sguardo profondo e carico di qualcosa che non riuscì a decifrare, Liv fece per far scivolare via le dita dal suo braccio ma lui non glielo permise afferrandole a sua volta il suo, saldamente.
Sirius vide lo stupore allargarle gli occhi scuri, schiuderle le labbra ma tenerla lì, con le dita di nuovo aggrappate a lui nello stesso punto scelto da lei.
La semplice voglia di baciarlo da dodicenne non aveva nulla a che vedere con quella stordente sensazione che in quel momento le stava capovolgendo lo stomaco spingendola verso quel Sirius Black che valeva la pena conoscere.
«Nemmeno Regulus vuole combattere con me» rivelò lui non scendendo nel dettaglio per non far scoppiare tutto quello che lo stava agitando dentro, tutto quello che Olivia aveva liberato senza sapere nemmeno come.
«Ma pensi che forse potrebbe valerne ancora la pena» fece Liv facendosi più sicura «Cerca di capire il perchè prima che sia troppo tardi» gli mormorò decidendo di non andare oltre, di non forzarlo come lui non aveva mai fatto con lei. Qualcosa in quegli occhi fissi suoi suoi le suggerì che prima o poi gliene avrebbe parlato.
Black era la persona più complessa che avesse mai incontrato ma al contempo la più semplice da capire adesso che si era rivelato a lei per quello che era.
Inoltrarsi nel mondo di Black era trovare familiare un posto sconosciuto, era stupirsi continuamente per la profondità che lei non aveva neanche scorto in sei anni di totale cecità, di odio ed antipatia per quella facciata che l’aveva sempre magistralmente nascosto.
E Black era il più bravo a nasconderlo ma nuotava nel pozzo insieme a lei, stremato, con le unghie rotte per lo sforzo di tenersi a galla aggrappandosi al muro.
D’impulso, Liv rafforzò la presa sul suo braccio e lui la lasciò fare sempre più colpito da lei, dal potere che le sue parole e i suoi gesti avevano sui suoi pensieri, le sue decisioni, le sue emozioni.
Sempre più colpito dal suo modo di capirlo accettandolo così com'era, con anche i suoi difetti, e lasciandolo libero di essere se stesso come aveva sempre fatto in sei anni di scuola. Sirius si sentì libero, nonostante il completo ed immancabile caos che aveva attorno.
«E se ti piace pensare che Venere sia una stella pensalo pure» gli mormorò Liv continuando a guardarlo negli occhi «ma la vera stella brilla diluce propria, di notte, in mezzo alle altre»- allentò la presa sul braccio facendola diventare quasi una carezza senza neanche accorgersene, al contrario di Sirius che la percepì e riconobbe immediatamente  come un dolcissimo eco delle attenzioni che quelle stesse dita sorprendentemente delicate avevano riservato a Felpato- «E non è vero che non puoi bruciare anche lì. Tu lo fai, bruci più di tutte le altre.Guardati».
Letteralmente spaesato dallo sguardo determinato di Liv, Sirius assecondò il gesto del viso di Liv che lo incitò a sollevare di nuovo lo sguardo verso il cielo.
E la vide, la sua omonima stella, luminosa e grande, fremere e bruciare con forza nel nero a dispetto dei deboli puntini attorno.
Era un buco brillante che bruciava in eterno in quell’albero genealogico naturale; era diversa, lui era diverso esattamente come era diverso il tessuto annerito dell’arazzo a Grimmauld Place.
Diverso, un aggettivo che un tempo l’aveva fatto sentire sbagliato per poi renderlo orgogliosamente libero, se stesso, consapevolmente giustograzie a James che gliel’aveva fatto notare.
Olivia gli stava ricordando quanto era giusto, lo stava facendo guardandolo con quel meraviglioso sguardo duro e luminoso.
Olivia glielo stava tatuando sulla pelle facendo bruciare l’ultimo albero genealogico, quello che sembrava impossibile da incendiare. Ed era finalmente bello, il cielo stellato.
«Sei Sirius non Venere» riprese Liv riottenendo immediatamente tutta la sua attenzione. Il suo nome pronunciato da lei suonava maledettamente bene. «Sei stato il primo e l’unico a dirmi che non devo odiare il mio nome soltanto perchè lo usa mia madre».
Sirius continuò a fissarla in assoluto silenzio, fissarla ed osservarla come non aveva mai fatto non soltanto con lei ma con nessuna, nessuno. Lo sguardo limpido così attento e concentrato, meravigliato, era intenso da togliere il fiato.
Forse non era poi così vero che non riuscivano a non ascoltarsi, non parlarsi, non rimettersi in sesto.
Il fatto era che non ci provavano mai perchè entrambi sapevano che non bastava, che le parole non erano in grado di arrivare .
Loro due, invece, avevano appena scoperto di riuscire a farlo perchè quelle di entrambi venivano da quello stesso vuoto. Loro due erano , da soli, senza nemmeno il resto del mondo a fare da sfondo.
Come se non riuscisse a credere a quello che aveva davanti, Sirius mollò la stretta portando entrambe le mani ai lati del viso di Liv che invece non lasciò il suo braccio, aggrappandosi anche all’altro. La forza per levarseli di dosso, però, sparì quando Sirius le accarezzò gli zigomi con i pollici facendo fremere la pelle sotto.
Qualcosa di mai sentito prima, incredibilmente piacevole e travolgente, stava cambiando in quegli occhi grigi, in quel vuoto. E lo stesso stava capitando a Liv, al suo vuoto.
Troppo spaesati per capire cosa stesse succedendo, entrambi lasciarono la presa.
«Buonanotte» esalò Liv allontanandosi da lì a passo veloce con la stessa consapevolezza che aveva impressionato ed immobilizzato Sirius: quel vuoto, forse, poteva essere colmato.
 
 



 
*
 



 
 
La mattina dopo, la Nimbus 1500 nuova di zecca di James faceva bella mostra di sè sopra il divano in pelle nera.
A nulla era servito sbattergliela ripetutamente in testa, minacciare di darle fuoco o trattarla come una scopa babbana se non l’avesse riportata a casa sua, perchè  James aveva ripetuto la stessa identica frase: “É tua, Liv”. 
E Liv l’aveva lasciata lì, sui cuscini, incapace di crederci davvero.
James l'avevam convinta a prenderla in mano soltanto dopo averle fatto un lavaggio del cervello degno dei migliori allenamenti pre partita tirando in ballo statistiche di velocità tra scope, reddito annuo e patrimonio dei genitori dei membri della squadra Serpeverde e successive ipotesi riguardo il regalo di Natale di Regulus Black che avevano riportato il discorso alla Nimbus 1500.
“Per star dietro a questo gioiellino ce ne vuole un’altro, identico. Vuoi o no prendere il boccino?”.
L’abbraccio che aveva seguito quelle parole, nato da Liv, non aveva nulla a che vedere con il boccino e James, stringendola forte a sè, le fece capire che nemmeno lui le aveva regalato la scopa esclusivamente per quel motivo.
Tennero d’occhio la mappa per tutta la mattina, Liv e Sirius senza rivolgersi la parola ma scambiandosi frequenti sguardi fugaci, e quando Margaret sparì dalla pergamena, James e Sirius la seguirono fino al cimitero mentre Lily e Liv sgattaiolavano in casa McAdams, gli specchietti gemelli come walkie-talkie magici.
«Lily, hai tra le mani una delle cose più preziose che possiedo»
«Potter, non l’avevo capito. Dimmelo un’altra volta»
«Hai tra le mani...»
«Scherzavo! Se non ci lasci in pace non finiremo mai!»
«Sssh! Ok, ok. Vi teniamo aggiornate per eventuali spostamenti»
Sulla liscia superficie dello specchio, il volto di Lily annuì consenziente prima si sparire in un turbine di capelli rossi lasciando spazio al riflesso di quello di James, ridente, e di Sirius, puntato con cipiglio pensieroso verso l’alto, sulla signora McAdams tre file di lapidi più in là.
Scrutandola nella totale sicurezza del Mantello dell’invisibilità, Sirius si accorse di quanto fosse bella e femminile, e di quanto Liv le assomigliasse quando perdeva il controllo di se stessa, come la sera prima, o pensava di non essere osservata.
A cominciare dai capelli, a parte il colore, rilassate onde fluenti che lui aveva scoperto asciugandoglieli la prima notte passata insieme nell’appartamento.
E i lineamenti, certi gesti, la postura avevano la stessa dolcezza ed eleganza che Olivia sembrava sempre camuffare, nascondere come se ne fosse a conoscenza e volesse differenziarsi da sua madre ad ogni costo.
Olivia sembrava essere distante anni luce da lei quando invece le assomigliava più di quanto potesse immaginare.
Sirius non potè fare a meno di pensare a Liv con quell'intensa femminilità repressa libera di esprimersi spontaneamente.
Una strana morsa allo stomaco gli suggerì che l’avrebbe trovata maledettamente attraente, bellissima, come sempre.
«L’ho morso, James» mormorò di punto in bianco socchiudendo maggiormente gli occhi come per scacciare con forza altre fantasie più ardite che era meglio tenere a bada.
«Chi?» sussurrò stranito James, i capelli neri più arruffati che mai sotto il leggero peso del Mantello.
«Il Mangiamorte davanti casa di Olivia, ieri mattina all’alba» spiegò Sirius come se niente fosse.
James spalancò gli occhi, indeciso se ridergli in faccia dandogli del cannibale o sorprendersi per il significato nascosto di quella notizia. Notando il grigio delle iridi davanti a sè farsi sempre più assorto e turbinoso, decise di assecondare la seconda opzione.
«Felpato l’ha seguita per proteggerla?» chiese in un soffio incredulo ed un filino punzecchiante.
«Ho cercato di torglierli la maschera ma si è Smaterializzato prima che potessi anche solo saltargli addosso» fece Sirius ignorando volutamente la domanda con nonchalance.
James capì al volo l’aria che tirava, era meglio cambiare argomento.
«Gli rimarrà comunque la cicatrice, potremmo riconoscerlo da quella...»
«Non se usa il dittamo, Ramoso»
«Merlino, è vero. Che Godric lo Schianti»
«E poi gli unici ‘’Mangiamorte’’ che vediamo sono i Serpeverde...»
«I Serpeverde e Malfoy, il bastardo che devono incontrare a Nocturn Alley»
A quel sussurro carico di furbizia di James, Sirius parve ridestarsi.
«Così dice Peter» disse sollevando un angolo della labbra in un sorrisetto soddisfatto.
«Così dice Codaliscia» lo corresse James facendo intendere che Peter-topo non sbagliava mai un colpo come spia.
 
 



 
*
 


 
 
 
«La Francia l’ha scartata, guarda» la voce sommessa di Lily, china sulla scrivania di Edgar, cercò di sovrastare il fruscio dei fogli e il baccano che Liv stava facendo mentre frugava nel cassetto indicato da suo padre nella lettera.
«Fa vedere» fece lei sollevandosi per poter leggere il taccuino. Tutta la pagina riportava diverse note, appunti, informazioni sulla sicurezza magica francese come soltanto suo padre avrebbe potuto fare. L’enorme X rossa che cancellava tutto non lasciava spazio all’immaginazione.
L’organizzazione maniacale di suo padre le aveva sempre fatto saltare via i nervi. Adesso, però, le mancava come l’aria perchè aveva sempre messo in ordine anche lei, in un certo senso. Senza era un caos, una totale confusione. Non sapeva da che parte cominciare per rimettersi in ordine.
«Stai bene?» le chiese Lily scrutandola frugare di nuovo nel cassetto con più frenesia.
«Sì» mentì lei per non farla preoccupare e per non aprire un’altra discussione che l’avrebbe soltanto sfinita.
Lily sospirò silenziosamente osservandola acciuffare fogli volanti per poi sfogliarli facendo scorrere attentamente gli occhi scuri sulla carta.
«Anche Germania, Spagna, Bulgaria sono da scartare...» elencò Liv, atona «L’Europa è off limits. Come l’America...»
«Da quanto tempo faceva ricerche?» chiese Lily, allibita di fronte a quella marea di dati.
«Mesi, forse un anno» rispose distrattamente Liv, il suo sguardo cupo ed accigliato fisso sull’ultimo foglio divenne improvvisamente acceso.
«Australia» annunciò. La voce leggermente vittoriosa, fece fare velocemente il giro della grossa scrivania in legno a Lily per andarle affianco e poter vedere il foglio tra le sue mani. L’unico colore rosso era un grande cerchio positivo attorno ai pro del lontanissimo continente.
L’Australia, quindi, era il posto più sicuro. E adesso Liv di suo padre si fidava ciecamente.
Scambiò un’occhiata con Lily che le sorrise incoraggiante facendole notare tre biglietti e diversi post-it attaccati sul retro del foglio con dello scotch.
La data di partenza era fissata per luglio, ma sua madre poteva benissimo anticipare il volo.
Ingoiando un grosso magone ignorò il terzo biglietto, quello avvolto da una striscia di pergamena segnata dall’ordinata grafia di suo padre:“Per Liv, se dovesse cambiare idea”.
Sui post-it, invece, Liv non si stupì di trovare tutti i dettagli della nuova città, del nuovo lavoro per sua madre e della casa che suo padre aveva deciso di prendere in affitto.
C’era addirittura una foto. Una bellissima casetta ad un piano, soleggiata ed immersa nel verde. Sembrava perfetta, così lontana dalla guerra.
Per un attimo provò ad immaginarsi lì e ad immaginare suo padre lì, ridente e in piedi, libero di vivere, libero di abbracciarla.
La mano di Lily, posata sulla sua, la fece ritornare in sè.
Senza perdere più tempo, Liv racattò tutto quello che sarebbe servito a sua madre, prelevò tutti i risparmi e sotto l’occhio stranito di Lily si diresse a passo spedito nella camera dei suoi genitori.
Il profumo in quella camera era sempre lo stesso, un misto tra la sofisticata rosa di sua madre e l'Acqua di Colonia di suo padre.
Un tempo era stato semplicemente confortante, quando Hogwarts e Magia non erano sulla bocca di nessuno, quando anche lei profumava di rosa.
Poi erano arrivati calderoni, libri di Incantesimi e rane di cioccolato saltellanti e all’aggettivo confortante si era aggiunto doloroso per quella vellutata nota floreale che non aveva più voluto sulla pelle.
E in quel momento, Liv scoprì che quel familiare mix di essenze era cambiato ancora diventando completamente doloroso.
Lily, alle sue spalle, l’osservò tirare fuori la bacchetta di Black dai jeans scuri per ordinare prima a degli scatoloni di posarsi sul grande letto matrimoniale e poi ad ogni indumento di suo padre di uscire dall’armadio.
Quando anche l’ultima camicia maschile fu ben piegata e conservata, Liv sollevò il materasso per recuperare una lunga sciarpa blu-bronzo. Il solo toccarla le fece sprofondare il cuore. L’idea di usare la bacchetta per non sfiorare nemmeno un calzino di suo padre era stata perfetta.
«Dovevo sistemare le sue cose» rispose alla muta domanda stampata sul volto commosso di Lily «Non potevo lasciare tutto... così». Strinse entrambe le mani sulla morbida stoffa consunta ed uscì dalla camera, soffocando il dolore pulsante alla bocca dello stomaco.
Attraversarono il corridoio in assoluto silenzio.
Lily incredibilmente atterrita e Liv con lo sguardo catturato da ogni stanza che si ritrovava davanti.
Il bagno dove suo padre le aveva fatto la treccia la mattina del primo settembre di sette anni prima dicendole di essere semplicemente se stessa quando avrebbe avuto il Cappello Parlante a spettinargliela.
Lo studio con la piccola, ma fornita biblioteca da ex studente Corvonero.
La scala sulla quale suo padre l’aveva medicata dopo una brutta caduta.
La sua camera, il suo rifugio sicuro, l’unica parte che la rispecchiava, l’unica che la faceva sentire davvero a casa in un ambiente che di casa non aveva nulla.
La voglia di entrarci arrivò spontanea. La porta era ancora chiusa come l’aveva lasciata prima di scappare.
«Che vuoi fare?» mormorò Lily seguendola nel caos della stanza.
«Mi riprendo la mia vita, Lily, e lei deve vederlo» sibilò Liv aprendo di scatto un cassetto dell’armadio per recuperare un vestito invernale dalla gonna corta. Non un vestito qualunque, ma quello regalato da suo padre che lei non aveva mai messo per non apparire uguale a lei.
Si tolse i jeans, il maglione e lo indossò, rimettendosi frettolosamente gli stivali neri e il giubbino in pelle sollevando le maniche ai gomiti per avere più libertà di movimento raccattando la roba gettata a terra che infilò nella tracolla di Lily proprio quando percepirono la voce di James uscire ovattata da lì.
«Lily Evans»
Entrambe scattarono in allerta.
«Che succede? Sta tornando qui?» rispose al richiamo Lily sgranando gli occhi verdi verso l’immagine di James sullo specchietto tra le mani.
«Sì» rispose lui in un sussurro, gli occhiali storti sul naso e i capelli neri a nascondergli la fronte schiacciati dal Mantello dell’Invisibilità che sembrava ondeggiare al vento o per la camminata spedita.
«Io e Sirius non siamo gli unici a spiarla e non parlo di Mangiamorte» bisbigliò in tono ancora più basso.
«Chi?» chiese interdetta Liv da sopra la spalla di Lily.
«Crediamo sia qualcuno di Silente» fece James. «Tua madre ha la scorta, Liv».
Lei non faticò a crederci. Quel Dedalus Lux doveva sentirsi terribilmente in colpa.
«In ogni caso, muovetevi» le incitò James con l’affanno. Lily annuì mettendo l’oggetto in tasca per correre dietro Liv in corridoio e poi sulla scala.
Aspettarono davanti la porta d’ingresso, Lily poggiata al muro accanto al telefono e Liv ben piazzata poco lontano dall’appendi abiti, la lunga bacchetta nera di Sirius stretta in mano con forza.

“Ogni qualvolta sarai in difficoltà, 
starai con me? ”

 Lily non osò spezzare quel silenzio surreale e tombale anche se quella bacchetta le metteva una certa apprensione.
L’incantesimo per modificare la memoria non era dei più semplici, anzi, e l’avevano imparato solo nella teoria e da pochissimo tempo, Liv era in evidente tensione e quell’arma non era sua. La probabilità che l’incantesimo non funzionasse a dovere era più che realistica.
In quel caso sarebbe intervenuta lei. Quel pensiero arrivò alla coscienza dopo le sue dita, già infilate in tasca attorno alla bacchetta di salice.
Fu quando la pesante porta di legno scuro si aprì, cigolando, che Lily capì quanto Liv fosse determinata ad uscire dalla vita di sua madre per se stessa e per esaudire il desiderio di suo padre; quanta forza d’animo avesse con il profilo fieramente rivolto all’uscio e lo sguardo dritto davanti a sè dopo quel tour della casa che ancora una volta l’aveva riempita di dolore, spezzandola in altri infiniti pezzi.
Margaret, letteralmente pietrificata sullo stipite non da una fattura ma dalla sola presenza di sua figlia, per giunta in gonna, non ebbe neanche il tempo di aprire bocca. La bacchetta di Sirius la puntò senza pietà e i terrorizzati occhi scuri si spalancarono ulteriormente, vacui.
Come aveva giurato a se stessa, Liv non le rivolse la parola usando tutte le proprie forze per eseguire l’incantesimo non verbalmente, per cambiare i ricordi di sua madre senza usare la voce.
Non era difficile, aveva passato anni ad immaginare la sua vita senza di lei e gli incantesimi non verbali le venivano sempre bene, forse per quel suo naturale modo di tenersi sempre tutto dentro, di gridarsi frasi nella mente.
Lily restò immobile fissando con apprensione la bacchetta fino a quando non si abbassò, così come lo sguardo di Margaret prima di rivolgerlo a loro, sconvolto.
«Voi due chi siete?» esordì, spaventata, brandendo minacciosamente l’ombrello.
Risoluta, Liv afferrò la mano di Lily e la trascinò fuori sotto l’occhio spaesato di sua madre che si appiattì sulla porta per lasciarle passare.
 
 
 
 
*
 
 


 
 
 


 



Rimasero tutti e quattro seduti su una panchina ad aspettare che Margareth uscisse di casa con i bagagli, pronti ad intervenire nel caso la signora Connolly e sua figlia si fossero fatte vedere.
Lo sguardo vigile di James controllava ogni angolo della strada per la sottile ma pressante sensazione di essere osservato, esattamente come Lily.
E quello di Sirius, intenso e velatamente premuroso, non poteva fare a meno di posarsi a brevi intervalli regolari sulle gambe e il braccio di Liv invasi dalla pelle d’oca per il freddo.
Liv non aveva fiatato, era rimasta stoicamente seduta lì senza distogliere un momento gli occhi da casa sua.
Non aveva voluto il suo giubbotto in pelle, il mantello di James e il cappotto di Lily di sicuro nella speranza che il gelo le pungesse la pelle sopraffando il dolore.
Vederla scendere con sicurezza gli stessi scalini sui quali una settimana prima l’aveva vista bloccata aveva riacceso in Sirius quel sentimento d’orgoglio ed affetto che troppo spesso ormai lo sorprendeva quando si soffermava ad osservarla.
L’aveva aspettata su quella panchina apparentemente tranquillo, nascondendo la trepidazione, e vedendola arrivare nella sua direzione con quel suo sguardo duro ma splendente puntato su di lui, l’istinto di abbracciarla al volo, protettivo e fiero di lei, gli aveva per un attimo fatto fremere gli arti.
«Che ci guardino pure» sussurrò James, gli occhi ridotti a fessura verso una donna appostata lì vicino in finta attesa del bus. «Devono capire che noi ci siamo, che non abbiamo paura di combattere e che se la signora McAdams sta per andarsene da qui non è di certo per merito loro».
Lily, al suo fianco, non potè che essere d’accordo con lui, dimostrandolo alzandosi in piedi per mettersi ben in mostra nello stesso suo preciso momento.
Lo sbigottimento di James valse più di mille parole: Erano più simili di quanto aveva mai sperato.
Scoccando l’ennesima occhiata a Liv seduta accanto a lui, Sirius staccò la schiena dal muro in mattoni rossi e sciolse l’intreccio delle mani mollemente abbandonate sulle cosce.
«Forse non arriva perchè ci sono io che potrei mangiarlo, gli animali queste cose le sentono» le bisbigliò in tono ironico e sorrisetto furbo chinandosi leggermente dalla sua parte.
Addolcì il sorriso vedendo le labbra screpolate di Liv sollevarsi in una curva complice e divertita: aveva capito a chi si stava riferendo e lui sapeva che in quel momento lei aveva bisogno di quel cane, di Tartufo.
Fece per alzarsi, deciso ad allontanarsi per prendere le sembianze di Felpato, ma Liv lo fermò facendo passare lentamente le dita della mano sul palmo della sua che in un istante di puro stupore le lasciò scivolare per poi stringerle d’istinto.
Liv non voleva il cane, voleva lui.
 
 
“Ogni qualvolta sarai in difficoltà, 
starai con me? ”
 
 
 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
Note
 
*”Siete uguali, voi due!” H. P. e l’Ordine della Fenice, pag. 606.
Lily accusa James di essere uguale a Piton e James si offende a morte anche se cerca di non darlo a vedere.
 

 
*Sirius e le ramanzine. In tutti i libri si nota chiaramente quanto Sirius è insofferente alle ramanzine sia rivolte a lui che agli altri con discorsi moralisti di ogni genere (come ogni cosa che dice Molly a Ron, Hermione e Harry anche mentre sono a Hogwarts).
Chiunque gli dica cosa sarebbe meglio fare, come dovrebbe comportarsi o cosa non dovrebbe dire lo fanno innervosire parecchio, visibilmente. E non è una reazione da ''ok, lo so, non farmi sentire in colpa"... è proprio un ''Non rompermi i coglioni" prima d'ignorare la persona che gli sta facendo il discorsetto o lo sta facendo ad altri.
Più di chiunque altro, Sirius sembra non sopportare a pelle proprio Molly e Hermione (le regine delle ramanzine). Si percepiscono il suo profondo fastidi, la sua noia, trasparire dalle pagine.
Nel quinto libro, addirittura, ignora completamente Hermione e le parla sopra cambiando argomento come se niente fosse mentre lei cerca con pacatezza di fargli un discorso su Kreacher, nemmeno una ramanzina (tanto che Hermione si offende).
Sirius era insofferente a queste cose anche se pacate e anche se no riguardavano la sua famiglia o l'elfo; non gli fanno effetto, lo annoiano a morte e credo lo facessero sentire legato e ingabbiato più di quanto già non fosse.
Secondo me, è sempre stato così anche da ragazzo, è proprio il suo modo d'essere che non si può cambiare e non voglio cambiare. A me piace Sirius anche per questo.
Ho creato Liv l'opposto di personaggi come Molly e Hermione anche per questo motivo e dubito che Sirius fosse interessato e attratto da persone come Molly, figurarsi avere una ragazza del genere.
Questo non vuol dire che Liv non gli abbia mai fatto notare quanto fosse coglione in certe occasioni (infatti si è visto come l'ha trattato per sei anni e nei capitoli precedenti).
Liv ha un altro modo di farlo ragionare che a quanto pare a Sirius piace parecchio ed è molto più funzionale per una personalità come la sua.
Il dirgli sempre in faccia le cose come stanno senza aggiungere la morale, per esempio, è molto più in linea con Sirius perché cattura la sua attenzione, apre le orecchie, il cervello (non lo annoia). Le grida intrise di verità e non di frasi moraliste sono molto più efficaci con lui. Nessuno, nei libri, lo fa. Tutti gli parlano con calma e si irrita di più, reprimendo la sua rabbia e il suo essere.
Sirius infatti si trova ad isolarsi ogni volta che sente le emozioni invaderlo (oppure esplode e fa cazzate). Ho sempre visto Sirius molto solo, nonostante fosse in mezzo a tutti.
Nei libri si nota molto che con lui non funzionano i discorsetti pacati, Sirius ha bisogno di sfogarsi (lo farà notare in un capitolo più avanti) e con Liv può.
Un ''vaffanculo" e la totale mancanza di interesse per la persona che ci dice ''calmati" mentre siamo nel turbine della furia sono assicurati. Sirius s'incazza di più ogni volta che gli si dice con calma di smetterla, tra l'altro senza provare a mettersi nei suoi panni. Liv, invece, si mette sempre nei suoi panni cercando di capirlo (riuscendoci). La stessa cosa fa Sirius con lei.
Nemmeno Liv sopporta le ramanzine e il moralismo, ma lei ascolta di più adesso che ha perso il padre.

Ho scritto tutto ciò perché molti di voi mi hanno fatto notare questa cosa di Liv e il fatto che siano felici di vedere Sirius essere se stesso con una ragazza.
Ecco, sappiate che mi ha fatto veramente piacere sentirlo♥
Come mi ha scritto uno di voi in privato: "Non tutte le coppie funzionano con una ragazza che fa da maestrina pacata, siamo tutti esseri umani diversi al mondo". Sono assolutamente d'accordo. E aggiungo anche un bel ''e meno male''.


Dal prossimo capitolo la storia andrà avanti un po’ più velocemente, Liv non sarà più la “protagonista” con questo suo problema madre/padre che ha rubato fin troppo la scena, Lily e James saranno definitivamente amici (da qui non si torna indietro, lei ormai sa chi è lui- dopo 36 capitoli e diversi anni vorrei ben vedere- anche se James ha ancora due assi nella manica per stupirla ulteriormente), Liv e Sirius scopriranno com’è divertirsi insieme e parlare di qualsiasi cosa (la tensione fisica non mancherà di certo, anzi), Remus e Mary avranno la loro svolta importante, Peter tornerà e il Natale finalmente finirà con il Capodanno. 
Hogwarts è di nuovo dietro l’angolo.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** 37. Sensi di Colpa ***







Capitolo 37
 
SENSI DI COLPA
 
 
 
 

 




«SEAN, ABBASSA IL VOLUME DELLA RADIO!»
«SEI TU CHE NON MI HAI VOLUTO IMPERTURBARE LA PORTA! SCOMMETTO CHE QUELLA BACCHETTA NON PUÓ SCARICARSI DA UN MOMENTO ALL’ALTRO, TIRCHIA!»
Mary, sconcertata per la totale noncuranza di suo fratello minore- urlante e ridente dalla camera di fronte-, spalancò occhi e bocca seduta sul suo letto con Lily e Liv.
«GRIDALO PIÚ FORTE SE PUOI, CRETINO!»
«POTRESTI CANCELLARE LA MEMORIA DI TUTTA LA CORNOVAGLIA SE NON FOSSI COSÍ TIRCHIA! AVREI DOVUTO PRENDERLO IO IL GENE “SPECIALE”! CON TE É ANDATO SPRECATO!»
«LA FINISCI!?!»
«Cosa ti costa imperturbagli la porta? Fai un piacere anche a te stessa... e a noi» commentò Liv- la schiena contro la carta da parati gialla e le gambe distese di traverso lungo il letto. Rivolse uno sguardo esasperato verso Lily che chiuse gli occhi verdi in una chiara espressione da “Parole sante”.
«Se gli concedo un “desiderio” poi ne pretende a non finire, non si limita di certo a tre. Ha sempre odiato il genio della lampada» spiegò torva Mary. «É da quando posso usare la bacchetta anche a casa che mi rompe in continuazione».
Lanciò un cuscino verso la porta di suo fratello che lui chiuse prontamente. I Bee Gees, comunque, continuarono a regnare nella piccola e caratteristica casetta dei Macdonald a Boscastle, in quel momento sotto un violento temporale che faceva agitare il mare oltre la scogliera impregnando l’aria di salsedine.
Lily, seduta all’indiana insieme alle altre due, si tappò le orecchie con i lunghi capelli rossi, sofferente non tanto per il volume altissimo ma per la scelta musicale di Sean.
«Se non lo fai tu lo faccio io, Mary» minacciò facendo per alzarsi dal letto e bloccandosi subito dopo perchè Liv l’aveva preceduta di parecchi secondi.
«Ecco» sospirò Mary lasciandosi cadere sul materasso, frustrata «Adesso la cotta che ha per lei crescerà esponenzialmente e mi dovrò sorbire le sue cretinate».
Lily rise di cuore rimettendosi comoda mentre Liv, in corridoio, richiudeva la porta imperturbata del quindicenne che gli gridò dietro un “seducente”:«LIV, SEI SEMPRE LA MIGLIORE! NON SOLTANTO PER QUESTO!» con voce marcatamente più profonda.
Tornando in camera di Mary, beandosi del perfetto silenzio, Liv trovò le sue amiche a sorseggiare il tè caldo con qualche goccia di latte portato cinque minuti prima dalla solare signora Macdonald.
«Non mi avete aspettato» le accusò sdraiandosi sul letto a pancia in giù accanto a Lily e sopra le gambe di Mary che mugolò di dolore.
Non trascorrevano del tempo tra amiche in serenità ed intimità da troppo tempo ormai, colpa delle vicende che fuori da Hogwarts sembravano travolgerle senza pietà una dopo l’altra come se senza il velo protettitvo di Silente nessun filtro e nessuna barriera potesse farle rimbalzare lontano.
La colorata camera di Mary, accogliente anche con la pioggia scrosciante e il forte vento marino fuori dalla finestra, era perfetta come ritrovo senza sorelle e madri arpie. Lo era sempre stata, soprattutto in estate quando il mare era azzurro come il cielo e al posto del tè bollente si poteva gustare la ghiacciata cedrata del pub.
E Lily e Liv erano andate lì, a raccontare tutto a Mary subito dopo aver visto Margareth salire su un taxi con due valigie e tre borse capienti appese alle braccia.
Stare lontane da tutto e da tutti era ciò che Lily aveva intravisto negli occhi di Liv dopo quello spettacolo per niente allegro.
Stare lontane da tutto e da Black che stranamente era apparso rigido come un bastone e come la sua amica quando, con James, Lily si era voltata di nuovo verso la panchina.
I Macdonald le avevano calorosamente invitate a pranzo- per la gioia di Sean- e le avevano trattenute lì anche per quel tè delle cinque.
«Tu continui a dare false speranze a mio fratello, soprattutto con questo vestito addosso» rispose in una risata Mary passandole la sua tazza fumante e ritirando i piedi coperti dai calzini per farle di nuovo posto.
Liv aggrottò le sopracciglia, avvicinando la ceramica alle labbra.
«Io non do false speranze a nessuno, i Bee Gees creano danni irreversibili alle orecchie» si giustificò dicendo la pura e semplice verità prima di soffiare e prendere un sorso.
«Mh!» fece Lily emergendo dalla sua tazza con il piccolo naso lentigginoso arrossato dal vapore «Su questo sono perfettamente d’accordo. Ma a proposito di false speranze...».
La frase rimase in sospeso, tenuta vivida dallo smeraldino sguardo più che eloquente puntato su una Mary fintamente stranita, strategicamente nascosta dietro il tazzone blu.
«Mary?»
«Mh?»
«Cos’è successo nella Stanza delle Necessità?»
Nessuna risposta. Il sorseggiare volutamente rumosoro della bionda fu l’unico suono nella stanza prima che Liv puntellasse i gomiti sul copriletto patchwork per mettersi seduta, la tazza in una mano e un sopracciglio arcuato.
«Io vorrei prima sapere cos’è questa Stanza delle Necessità» annunciò curiosa «É un modo carino di chiamare il bagno? Tu e Remus siete stati in bagno da soli?».
Mary colse la palla al balzo tornando sulla visuale delle due migliori amiche, lanciandosi in un lungo e prolisso discorso sulla Sanza delle Necessità e dando sfogo a tutta la sua caratteristica logorroicità.
Lily, gli occhi verdi al soffitto e il ciuffo di capelli rossi a svolazzarle sulla fronte ad ogni sbuffo impaziente, cominciò a dare segni di cedimento quando dal racconto di Remus su come lui e i Malandrini l’avevano scoperta* Mary passò alla descrizione in ogni minimo dettaglio della stanza inconsapevolmente evocata da lei, chiudendo gli occhi nocciola per fare mente locale e contare addirittura il numero delle colonne sui muri.
«Sì, ma alla fine cos’avete fatto di concreto? Bacio? Palpatina?» stroncò il discorso come se niente fosse Liv rituffando le labbra nel tè senza distogliere lo sguardo da lei.
Mary chiuse la bocca ed aprì di scatto gli occhi, bloccata, un bagliore severo nello sguardo oltraggiato sotto la frangia bionda.
«Parlato, abbiamo semplicemente parlato» sbottò piccata osservando con una certa perplessità Liv fare tranquillamente spallucce stringendo la tazza con entrambe le mani.
«Mary, se non mi dici chiaramente cos’è successo non ho nessuna prova per poter accusare Remus di averti dato “false speranze”» sentenziò con noncuranza facendo strabuzzare gli occhi dell’amica davanti a lei.
«Tu non parlerai a Remus!» scattò rabbiosamente la bionda mettendosi in ginocchio sul letto, il suo tè e quello delle altre pericolosamente fuori dall’orlo delle tazze per quel brusco movimento propagato all’intero materasso.
«Sarò diplomatica, Remus è anche mio amico» promise Liv. La cosa sconvolgente per Lily e Mary fu che sembrava davvero credibile e propensa alla diplomazia.
«Tu non parlerai a Remus, io non parlerò a Remus, nessuna parlerà a Remus»
«Ora non esagerare, Mary...»
«”Non esagerare” dici, Lily?!»
«Siamo un gruppo unico ormai, non possiamo evitare di parlare con uno di loro come se niente fosse e non voglio che tu o lui ve ne stiate isolati soltanto per non incontrarvi come di sicuro avevi intenzione di fare tu»
Mary boccheggiò al cospetto di Lily, beccata in pieno. Essere capita nel profondo dalle proprie migliori amiche era bello, certo, quando non ti facevano morire dall’imbarazzo sbattendoti in faccia la nuda e cruda realtà.
«Quindi? Com’è andata esattamente?» l’interrogò Liv facendo ondeggiare nella tazza i rimasugli del tè.
Mary sospirò, arresa, preparandosi a raccontare la serata passata in compagnia di un Remus particolarmente sorridente e rilassato in quella stanza misteriosa rischiarata dalle stelle e dal camino, la stanza che dopo un’ora di chiacchiere tranquille a mezza voce Remus stesso le aveva chiesto di trasformare in tutto ciò che desiderava.
Mentre parlava non si accorse del lieve e dolce sorriso che le affiorò sulle labbra e che Liv e Lily invece notarono all’istante.
Ricordava ancora la sorpresa e la meraviglia che l’avevano colta in pieno quando quelle quattro mura si erano allargate a dismisura, il pavimento si era ricoperto di soffice erba verde brillante diventando un’alta scogliera sotto il soffitto di un azzurro cielo abbagliante mentre il fuoco nel camino aveva lasciato il posto ad una distesa di turchese intenso, l’oceano che bagnava la sua amata Cornovaglia, lo stesso più scuro ed in balìa delle onde fuori dalla finestra in quel preciso momento.
 
«Boscastle è un piccolo villaggio di pescatori, con un fiume- quello laggiù, tantissimo verde e questo mare. Lì in fondo c’è il porticciolo, lo vedi?»aveva elencato allungando un braccio per poter indicare un punto lontano alla loro destra «Quasi tutte le estati Lily e Liv sono venute qui per almeno una settimana. Tuffi, pic-nick nel bosco e feste notturne in spiaggia... ci siamo sempre divertite un mondo».
Remus aveva sorriso, bello nella sua timidezza stranamente un po’ meno impacciata. In quella stanza le era davvero sembrato un ragazzo senza pensieri, senza quel suo misterioso peso costantemente sulle spalle sempre leggermente curve.
«É un posto splendido, Mary» aveva semplicemente dettodistogliendo lo sguardo incantato dal pittoresco paesaggio per posarlo su di lei. C’era stato addirittura il vento, fresco e profumato di salsedine, proprio come Mary se lo ricordava. In quel momento, però, quello stesso vento familiare era stato ancora più piacevole mentre spostava disordinatamente i ciuffi di capelli castani sulla fronte distesa di Remus, proprio davanti ai suoi occhi più ambrati e vibranti che mai.
 
«Gli hai detto del Museo delle Streghe*?» domandò Lily interrompendola.
«E di tutte le cose che hai perso in sei anni e che sono finite lì» aggiunse Liv.
«Volete sentire il racconto oppure parliamo di quanto quel museo debba pagarmi fior fior di sterline per tutto il turismo che i miei ex oggetti di Hogwarts gli procurano ogni mese?» scoppiò sottovoce Mary sistemando con poco garbo il cuscino sulla spalliera del letto per poggiare la schiena con stizza. 
«Guarda che là in mezzo c’è anche un mio bezoar» tenne a precisare Liv «Facciamo la percentuale»
«Non scaldatevi tanto» intervenne Lily in una mezza risata «Vivere ad Azkaban è gratis» fece sapere alludendo al fatto che se avessero ignorato lo Statuto Internazionale per la Segretezza Magica chiedendo dei soldi al signor Williamson  per degli oggetti realmente magici, il Ministero della Magia le avrebbe spedite direttamente in cella.
«Mary, continua» aggiunse allungandosi verso il comodino per lasciare la tazza vicino al vassoio dei biscotti e afferrarle poi amorevolmente i piedi poggiandoseli sulle gambe incrociate. E Mary continuò, decidendo di andare dritta al sodo.
 
«Qual’è invece la tua stanza preferita?» gli aveva chiesto Mary lasciandosi cullare dalla brezza tiepida, dal suono del mare e dalla morbidezza dell’erba verdissima sulla quale si erano seduti.
«Fino a qualche ora fa, il dormitorio che condivido con i Malandrini» aveva immediatamente risposto Remus stendendo le labbra in un sorriso colmo di affetto, l’ambrato sguardo profondo rivolto alla distesa azzurra davanti a loro. «La tua stanza con il cielo stellato alle finestre, il camino e le poltrone piene di cioccolato le ha rubato il posto» le aveva mormorato spostando gli occhi su di lei.
Mary riusciva ancora a  sentire addosso la dolcezza che quello sguardo le aveva trasmesso, una dolcezza che adesso si mischiava all’amarezza e ad una dolorosa fitta al cuore.
Lo sguardo fermo ed incoraggiante  di Liv e la premurosa stretta delle mani di Lily sulle sue gambe la spronarono  a continuare.
«Quella stanza non ha nulla di speciale, a parte il cioccolato» aveva scherzato lei e la risata di Remus era esplosa spontanea ed aperta, felice come ormai aveva imparato a riconoscere durante le ore passate a chiacchierare in tutta tranquillità in Sala Comune, a tavola in Sala Grande oppure durante le ronde quando Remus, meravigliosamente, sembrava dimenticarsi delle cicatrici che gli segnavano il viso e non nascondeva le labbra pallide e rovinate dietro una mano.
«In quella stanza c’è qualcosa di molto più speciale del cioccolato. C’è un desiderio che ho sempre sognato di vivere e che fuori da quelle quattro mura è praticamente impossibile esaudire» le aveva risposto facendosi impercettibilmente più vicino con il viso. Il suo leggero profumo di pulito, di sapone, le era arrivato alle narici e ai polmoni con la forza del vento.
A quelle parole di Remus il cielo si era fatto nero ma punteggiato da un’infinità di stelle luminosissime, esattamente come quello dietro le finestre della prima stanza.
Soltanto adesso Mary capiva cosa ci fosse di tanto speciale, il perchè di quel cielo stellato, qual’era il desiderio impossibile da esaudire nella realtà: la mancanza della luna.
In quella penombra senza luna il mare, il prato e loro stessi erano diventati di parecchi toni più scuri della normalità eccetto gli occhi di Remus che l’avevano guardata come forse non avevano mai fatto.
 «Tu mi fai stare bene e sentire normale anche quando penso sia impossibile esserlo, Mary. Non dire mai più che per me non sei niente».
E a lei era bastato questo per sentirlo di nuovo vicino, di nuovo sincero perchè la sincerità era tutto ciò che Mary aveva letto in quegli occhi brillanti nel buio.
Non aveva più pensato al segreto e al problema che lo attanagliava perchè a quanto pareva lei era capace di farglielo sparire ogni volta che gli stava vicina. Poggiare la testa sulla sua spalla facendogli sentire che lei c’era e che non se ne sarebbe andata era stato naturale e piacevole quanto addormentarsi su di lui, abbassando ogni difesa sotto la guancia di Remus che si era posata con incertezza ma incredibile affetto sopra i suoi capelli biondi.
 
 
«Più false speranze di queste ci sono soltanto quelle di Sirius Black» commentò a caldo  Lily scoccando un’occhiata furtiva a Liv.
Sondare il terreno in quel modo indiretto era l’unica cosa da fare per poter capire cosa stesse passando nell’ermetica testa della sua migliore amica da sempre allergica all’aprirsi agli altri, soprattutto quando si trattava di questioni così intime e personali che mettevano a nudo le sue fragilità, quelle che si ostinava a nascondere con testardaggine ed orgoglio.
E Lily, esperta nel decifrare il suo altrettanto riservato linguaggio non verbale, notò chiaramente il suo essersi fatta impercettibilmente rigida a quella frase.
Mary sospirò pesantemente sprofondando sul cuscino.
«Quindi non sono un’idiota per averlo baciato?» esalò tamburellando le dita sulla ceramica blu tra le mani.
«No che non lo sei» la rassicurò con forza Liv, i lineamenti contratti da chissà quali pensieri. «Nel modo più assoluto, non lo sei. E non permettere a nessuno di farti sentire così» rimarcò piantandole gli occhi scuri nei suoi.
Mary restò piacevomente folgorata da quelle parole e da quello sguardo incredibilmente duro, come suo solito, ma anche dolce come non lo era mai stato.
Lily annuì, concorde con Liv.
«Ti ha palesemente fatto capire che gli piaci, Mary» asserì sfregando le mani sui pantaloni dell’amica per darle conforto «Il bacio ci stava eccome. É lui che deve aver cambiato idea per paura di fare sul serio. Remus è la persona più premurosa che conosco, starà pensando al fatto che la sua condizione possa in qualche modo metterti in pericolo».
Gli occhi di Mary si abbassarono per un istante, il tempo di fare un altro sospiro a pieni polmoni per tentare di fermare le lacrime che si affacciarono lo stesso nelle iridi nocciola di nuovo puntate verso le amiche.
Era stanca, stanca di tutto, stanca di combattere da sola per quel sentimento che aveva custodito ed alimentato per anni interi.
Stanca e ancora scombussolata e spaventata dal morso. Si portò distrattamente una mano al collo, sulla garza che ancora le nascondeva il segno dei denti, e Lily, intenerita ad affranta a quella vista, le sorrise mestamente sporgendosi verso di lei per abbracciarla.
«Devi parlarci, cercare di convincerlo» esordì Liv così seria ma assolutamente calma da far staccare le altre due che la guardarono stranite.
Dov’era finita la Liv combattiva e furiosa che si era sempre scagliata contro Remus in occasioni come quella?
«Ha ragione, Lily. Lui ha soltanto paura che possa capitarti qualcosa per colpa sua» continuò decisa Liv con una pacatezza fuori dal normale su di lei e una disarmente comprensione per il licantropo incastonata negli occhi che Lily e Mary ricondussero alla morte del padre.
 «Se tieni a Remus fagli capire in tutti i modi che sei già in pericolo anche senza di lui, che quel lupo Mannaro ti ha morso e che hai rischiato di morire o essere trasformata anche senza di lui» proseguì facendo dilatare gli occhi di Mary, profondamente colpita da quel discorso chiaro e diretto, così incredibilmente vero e dall’aria promettente. 
«Non lasciartelo sfuggire. Siete praticamente una coppia da mesi, vi manca la parte più divertente» concluse Liv in un piccolo sorriso lievemente malizioso.
Mary sbattè più volte le palpebre, stordita da quelle rivelazioni e dal crescente calore speranzoso che l’amica era riuscita a fargli nascere nel petto. Lily invece fissò così intensamente Liv da non muovere un muscolo.
La sua migliore amica sembrava aggrapparsi ad ogni più piccola cosa buona del mondo come se fosse più unica che rara in una realtà che si era improvvisamente fatta crudelmente effimera, imprevedibile e distruttiva attorno a lei.
Liv sembrava più conscia ed attenta a quello che la circondava, sensibile alle sfumature e non più categoricamente fedele alla sua vecchia e rigida visione del mondo in bianco e nero.
Liv non entrava più in contatto con la realtà usando la violenza, non affermava più le sue opinioni con distruttiva aggressività, Liv era risoluta ma assertiva.
Sicura di se stessa, sembrava non aver paura di guardarsi dentro perchè la morte del padre l’aveva costretta a farlo.
Riconosceva i propri bisogni, i propri diritti e quelli degli altri, rispettandoli ed affermando ugualmente se stessa; si assumeva la responsabilità del proprio agire come non aveva mai fatto e Lily non riuscì a trattenere un piccolo sorriso orgoglioso, fiero di lei.
Liv era forte, incredibilmente forte, e in quel momento lo stava dimostrando più che mai, più di quanto avesse mai fatto sguainando la bacchetta.
E se da un lato questo suo aspetto ancora più tosto di una settimana prima la rendeva più aperta al dialogo e meno all’impulsività, dall’altro la faceva ancora più pericolosa perchè più fredda e calcolatrice, spietata in un modo più ricercato e sottile, quasi educato.
Lily sapeva che d’ora in poi tutto questo avrebbe influenzato il suo comportamento da nemica, da amica, da qualsiasi cosa fosse con Black e addirittura da futuro Auror o qualunque cosa avesse fatto da adulta perchè quello che l’aveva segnata nel profondo era assolutamente indelebile.
«Vieni qui» le mormorò stringendola a sè nello stesso momento in cui lo fece Mary.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 




 
Remus, 

rispondi alle chiamate di James, per Merlino, non fare l’idiota. 
 
Sirius
 
 
«Tesoro» esordì Hope Lupin entrando nella camera del figlio «C’è il tuo amico al telefono».
Remus, poggiato sui cuscini alla spalliera del letto e una benda attorno ad una spalla, sollevò lo sguardo stanco dalla lettera di Sirius per guardare sua madre alla porta.
«Chi dei tre?» chiese già sapendo la risposta dato che quella era la quinta chiamata della giornata.
«Sirius» fece lei e Remus, sorpreso nel non sentire il nome di James, scosse comunque la testa a costo di sentire ancora il cervello scoppiargli dentro il cranio.
«Perchè no?» domandò lei, lo sguardo chiaro stranito ma dolce.
«Perchè non voglio parlare nemmeno con lui, per ora. Puoi dirglielo? Grazie, mamma»
«Sembra anche lui così preoccupato... cos’è successo tra voi?»
«Niente di che»
«Non pensi che voglia sapere come stai, dopo... dopo l’altra notte?»
Remus sospirò. A volte dimenticava che i suoi genitori erano completamente all’oscuro del “Segreto Animagus”.
Non avevano la minima idea che lui ogni luna piena la passava con i suoi amici e che loro erano i primi a vedere i danni, a prevenirli la maggior parte delle volte.
«Tesoro» iniziò la donna avvicinandosi al letto con decisione. «Sono i tuoi amici» gli mormorò posandogli una mano delicata sui chiari capelli castani spettinati.
Non servirono altre parole per spiegare il significato sottointeso di quella frase.
Erano i suoi amici, gli unici che aveva e che avrebbe mai potuto avere.
Erano i suoi amici desiderati per anni, quelli che mai aveva pensato di poter avere al fianco per davvero e che invece, miracolosamente, aveva.
E sua madre tutto questo lo sapeva, così come sapeva il bene immenso che lui voleva loro.
«Ok» si arrese Remus in un piccolo sorriso che contagiò quello più aperto e sollevato di Hope.
Dopotutto avrebbe parlato con Sirius non James, quello che gli aveva sbattuto in faccia la verità dandogli del codardo, quello che adesso pretendeva di sentirsi dire che aveva ragione, che voleva rimuginasse sulle sue parole.
Ma erano due giorni che Remus cercava di non pensarci, di zittire quella voce non soltanto rifiutando di sentirla al telefono.
Hope gli lasciò un bacio affettuoso sulla testa e lo aiutò ad alzarsi dal letto per raggiungere la cucina dove la cornetta del telefono se ne stava poggiata sul ripiano insieme al lungo filo riccioluto.
Immaginava la faccia di Sirius, scocciata ed annoiata come non mai per quell’attesa.
«Pronto?» rispose svogliatamente mentre sua madre gli avvicinava una sedia per farlo accomodare.
«NON PENSAVAMO CI SARESTI CASCATO MA UN TENTATIVO DOVEVAMO FARLO!» gli rispose inaspettatamente la voce squillante e forte di James.
Remus chiuse gli occhi, dandosi dello stupido per non aver messo in conto gli imbrogli dei due compari mentre la voce più lontana di Sirius chiedeva con incredulità se ci fosse davvero cascato per poi farsi più vicina soltanto per informarlo che:”Stai perdendo colpi, amico”.
«MEGLIO PER NOI!»
«Non gridare, James, non c’è bisogno di gridare al telefono» gli ricordò per l’ennesima volta Remus. «Comunque sto bene, grazie per aver chiamato» stroncò la chiamata  sotto l’occhio ridente di sua madre.
Allontanò la cornetta dall’orecchio senza però abbassarla perchè la voce di James lo bloccò con una semplice frase.
«MARY È STATA MORSA DAL TU-SAI-COSA DELLA TUA FOTO. NON POSSO DIRLO MENTRE GRIDO IN QUESTO APPARTAMENTO!»
«Ma puoi dirlo sottovoce, Scornuto. Ti sente meglio di me che sono qui...»
Il cuore di Remus parve fermarsi prima di pulsare furiosamente, incontenibile.
«Cosa?» esalò sotto shock, così piano e lontano dalla cornetta da non riuscire a farsi sentire.
Sapeva benissimo cos’era il Tu-Sai-Cosa della foto e il verbo mordere non lasciava spazio a dubbi.
«REMUS?» fece infatti James, confuso, dall’altro capo del telefono. «REMUS? CI SEI ANCORA? Felpato, ‘sto coso non funziona...».
La signora Lupin, improvvisamente allarmata alla vista del figlio, poggiò con apprensione una mano sulla spalla di Remus che sussultò, svegliandosi dallo stato catatonico in cui era caduto.
«Ci sono... James?!» sbottò, improvvisamente tremante, attaccandosi con entrambe le mani alla cornetta sulla guancia. Le dita erano strette con così tanta forza da apparire più bianche del suo pallore post-luna piena.
«Molla, Sirius, c’è di nuovo.... REMUS?! MARY STARÀ BENE, È SUCCESSO PRIMA DELLA “LUNA DI MIELE”» spiegò la voce James. 
Un’altra pausa dolorosa aveva bloccato il cuore di Remus per poi farlo esplodere ancora con forza inaudita pompando in testa più sangue di quanto ce ne fosse bisogno.
Si lasciò andare sulla sedia rendendosi conto soltanto in quel momento di essersi irrigidito negli istanti precedenti.
Ed era stremato, molto più di prima. Quegli sbalzi di paura e sollievo l’avevano stremato molto di più di una notte passata a farsi massacrare dal lupo.
Sua madre si affaccendò con prontezza a riempirgli un bicchiere d’acqua mentre James riprendeva a parlare.
«La cosa strana è che quell’uomo le ha chiesto di te, Lunastorta. Ce l’hanno detto le ragazze stamattina. Quel lupo ti conosce e sa cosa sei... Sirius, fammi ritornare la voce normale».
Remus, completamente stravolto dalla notizia, non ebbe la forza nemmeno per respirare e James lo immaginò.
«Se vuoi veniamo da te per parlarne, Rem» gli propose con il filo di voce donato gentilmente dall’incantesimo di Sirius.
Il suo cervello cominciò a mettersi in moto con così tanta velocità da estraniarlo dal resto del mondo.
«Remus? É sparito di nuov...»
«É con mio padre che devo parlarne, James. Vi chiamo dopo»
Abbassò la cornetta sul telefono a rallentatore, lo sguardo ambrato spalancato si spostò dal ripiano della cucina a sua madre, spaesata accanto al tavolo sul quale aveva poggiato il bicchiere d’acqua.
Aspettò suo padre per tutta la sera senza muoversi dal divano, le mani spasmodicamente intrecciate davanti alla bocca e l’assorto sguardo duro e spaventato al contempo fisso al pavimento come il puro riflesso dei frenetici meccanismi della sua mente ormai in fumo.
Riuscì a parlare soltanto a cena, quando Lyall tornò a casa dal Ministero.
Con la foto del licantropo misterioso posata al centro della tavola imbandita, Remus si scoprì più furioso che mai dopo le ore passate a rimuginare su tutto.
Su Mary e il suo collo insanguinato, sui denti affilati che osservava ogni notte prima di addormentarsi pensando di averli già visti dal vivo, sull’informazione al telefono di James, sul fatto di aver passato l’intera infanzia e l’adolescenza a giustificare e provare empatia per il lupo mannaro che per sua natura e sfortuna l’aveva morso quando invece non era altro che un assassino seriale che godeva nell’uccidere, nel trasformare la gente, ibambini; non era altro che un seguace di Voldemort.
«Remus, tesoro, adesso stai calmo e siediti»
«No, mamma, voglio sapere perchè! Perchè non me l’ha detto!?» ringhiò Remus scostando gentilmente la mano di sua madre che aveva cercato di stringergli un braccio.
Suo padre, seduto a tavola, era così mortificato da sembrare di pietra.
«Remus, ho evitato di dirtelo proprio per questo» spiegò pacatamente.
«Per cosa?!» sbottò lui incapace di contenersi. «Ti ho sempre chiesto se sapevi chi era stato a ridurmi così e tu mi hai sempre detto di no! Mi hai mentito, questa foto ne è la prova! É lui, non è così?! Ha quasi ucciso una mia amica, chiedendo di me!» ruggì afferrando l’instantanea magica vicino al cestino del pane mentre sua madre si portava una mano davanti alle labbra, impressionata da tutta quella rabbia insolita su suo figlio e dall’ultima rivelazione che colpì anche il marito.
«Perchè hai evitato di dirmelo?» continuò Remus, tremante «Volevi evitare di vedermi con gli occhi aperti?».
Il silenzio che si sollevò in cucina fu più assordante delle grida di Remus.
Lyall prese più tempo possibile cercando una risposta alternativa a quella veritiera. Lo sguardo perso e rabbioso di suo figlio, però, fu un colpo al cuore.
«Evitare di raccontarti tutta la storia, evitare di dirti che sono stato io a ridurti così» confessò amaramente poggiando i gomiti sul tavolo per sorreggersi la testa brizzolata.
La furia di Remus si zittì all’istante a quelle parole, a quella vista. Con gli occhi lucidi spalancati restò a fissarlo, confuso.
«Lyall»lo chiamò sua moglie in un sussurro addolorato. Ma l’uomo sollevò una mano facendole capire che andava tutto bene.
«Papà?» fece Remus, improvvisamente pacato. Suo padre non fece parlare nemmeno lui per lanciarsi nella seconda parte del racconto riguardante la fotografia del Licantropo, quella che non gli aveva mai detto.
E Remus lo ascoltò, immobile e sempre più tramortito, scoprendo che suo padre aveva riconosciuto come Licantropo quell’uomo spaventoso che al Dipartimento avevano scambiato per un barbone babbano; che suo padre aveva perso la ragione con i suoi colleghi che volevano lasciare a piede libero un lupo mannaro pericoloso, colpevole della morte dei due bambini babbani; che suo padre, in preda alla furia, aveva cominciato ad insultare l’uomo dai denti affilati, ad insultare tutti i licantropi  descrivendoli come “Senz’anima, cattivi, non meritano altro che la morte*”.
Scoprendo che per vendicarsi di tutti quegli insulti, quel Lupo Mannaro lasciato libero si era scagliato contro di lui, Remus, quella notte maledetta di tredici anni prima.
A fine discorso, però, l’unica cosa che Remus fece fu il giro del tavolo per andare da suo padre ed abbracciarlo sotto lo sguardo commosso di sua madre.
«Come hai potuto pensare che avrei potuto odiarti per questo, papà?» gli domandò, allibito, sentendolo piangere in silenzio tra le sue braccia come non era mai successo.
«Ti ho condannato a vivere una maledizione» fece lui, disperato, le mani tra i capelli «per tutta la tua vita, da quando avevi soltanto quattro anni».
Remus non ribattè ma lo strinse più forte.
Lo capiva, lo capiva nel senso più profondo del termine. Forse perchè avevano lo stesso carattere e perchè il senso di colpa e la paura di suo padre erano gli stessi che attanagliavano lui, costantemente.
Non voleva che per un suo errore o soltanto per il fatto di essere un Lupo Mannaro potesse passarci qualcun’altro, uno vicino a lui, una delle persone più importanti della sua vita: James, Sirius e Peter. Mary.
Non poteva dare dei bersagli a tutti quelli che lo odiavano o che l’avrebbero odiato una volta schierato con Silente, dal lato opposto del suo ‘’creatore’’ che avrebbe di sicuro cercato di convincerlo a passare dalla sua parte.
Cosa avrebbe fatto quel Licantropo quando lui gli avrebbe detto di no?
Se la sarebbe presa con le persone più vicine a lui come aveva fatto con suo padre.
Era questa la verità che nessuno sembrava prendere in considerazione.
«Non ti ho detto la verità anche perchè volevo evitare che andassi a cercarlo per vendicarti, figlio mio» riprese Lyall cercando di darsi un contegno abbracciandolo a sua volta «E non ti dirò quel nome, non te lo dirò. Che razza di padre sarei se ti dessi le infomrazioni per trovarlo, per affrontarlo di nuovo? Ho sbagliato una volta e di certo non succederà più».
E Remus capì che era arrivato il momento di informare i suoi genitori della sua scelta.
Sciolse la stretta e rimettendosi dritto lanciò uno sguardo titubante a sua madre, in lacrime ma sorridente, prima di riportarlo su suo padre.
«Io voglio combattere in questa guerra, l’ho deciso mesi fa» annunciò quasi in apnea ma risoluto come forse non lo era mai stato.
Sentì sua madre pigolare qualcosa, trattenendo il respiro ed abbassando gli angoli delle labbra improvvisamente pallide.
Vide suo padre irrigidirsi voltandosi lentamente verso di lui, trafiggendolo dal basso della sedia con i due sbarrati occhi ambrati.
La cena avrebbe atteso ancora un po’.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 


 
«Dovremmo fare la spesa, Black»
«Dici?»
«Chiedi al frigo quanto si sente vuoto e solo»
«Giusto... me l’ha detto prima, mentre gentilmente ci ordinava di andare a comprare la cena»
Liv sorrise guardandolo sbieco da sopra la fetta di pizza alla quale diede un altro morso sotto l’occhio ridente di Sirius, seduto sul divano insieme a lei per mangiare. Non avevano invitato nessuno questa volta.
Erano passate otto ore dalla partenza di Margareth e da quella stretta di mani alla luce del sole che aveva lasciato disorientati entrambi, Liv in primis. Ma non si era pentita di quel gesto dettato da un impulso, dalla scelta consapevole di accettare Sirius Black come alleato, come suo complice perfettocapace di starle accanto combattendo con lei senza rinchiuderla nella torre più alta per salvarla o proteggerla come la spaurita principessa che non era e mai aveva desiderato diventare.
Non si erano parlati da quel momento in poi, colpa della Materializzazione a Boscastel con Lily, e soltanto in quel momento, sul divano, avevano avuto la possibilità di farlo anche se nessuno dei due capiva cos’era quel legame stranissimo che si era ormai palesato con forza tra loro.
Ci avevano messo anni per capire di essere bravi ad ascoltarsi, parlarsi, sostentersi più di chiunque altro.
Anni di aggressività e veleno graffiati e sputati addosso soltanto per difendersi dalla presenza dell’altro sempre più invasiva e capace di attirarli senza un reale apparente motivo; anni di odio, incomprensioni, fraintendimenti, diffidenza, vendette e delusioni, orgoglio, infide trappole e costanti prove per studiarsi a vicenda senza esporsi minimamente.
Anni di ostacoli posti senza pietà dai loro caratteri complicati e così simili, ostacoli superati negli ultimi mesi non senza un’estenuante fatica arrivando l’uno di fronte all’altra consumati e leggermente cambiati forse in meglio perchè parlare, adesso, non era più difficile ma la cosa più naturale del mondo come il sedersi e lasciarsi medicare dopo una sfiancante lotta fisica e mentale.
Una guerra che li aveva distrutti e rimessi insieme più volte, resi vinti e vincitori a turno soltanto per arrivare a parlarsi, ad aprirsi un minimo.
Una fatica immane per una cosa così semplice per il resto dell’umanità, una fatica immane che nessuno dei due si sarebbe scordato tanto facilmente.
Ne erano usciti riconoscendosi come forze alla pari, sullo stesso piano, uniti da un rapporto di intensa complicità e stima reciproca che nemmeno loro capivano appieno ma che li rendeva ancora più ammaliati l’uno dall’altra.
«Se continui a guardarla così me la rovinerai» esordì Sirius dopo qualche minuto di silenzio da parte di entrambi dovuto all’assaporare la pizza con gusto.
Liv sbuffò in una mezza risata incredula sporgendosi verso il tavolino per prendere un’altra fetta dal cartone.
«Ma per favore, sei geloso di una moto?»
«Te la stai mangiando con gli occhi. Non avevi detto che non t’interessava?» la canzonò lui, lo sguardo affilato ed insolente.
«Beh, mentivo» ammise Liv spostando lo sguardo dall’elegante motocicletta nera per scoccargli un’occhiataccia, in risposta a quell’ilare aria sorniona che emanava.
«Mi sono sempre chiesta come dev’essere salirci. É simile alla scopa?» chiese prima di addentare la pizza.
Sirius sorrise senza schiudere le labbra, masticando ed ingoiando la sua con garbo.
«Devi chiedere a James perchè la mia risposta sarebbe di parte» le disse senza smettere di guardarla con un certo entusiasmo per quella sua curiosità.
«Oh, giusto, tu sei un fifone che soffre di vertigini» lo prese scherzosamente in giro Liv osservandolo con sguardo ironico e pungente da sopra il collo della bottiglia di birra che Sirius, ridente, gli strappò dalle mani.
«E con questo ti sei giocata la possibilità di farci un giro» annunciò, vendicativo, brindando sfacciatamente verso di lei e prendendo a stento un lungo sorso dalla bottiglia perchè Liv gliela portò via, costringendolo a staccare le labbra dal vetro scuro.
«Non avevi già detto che per me era off limits?» lo sbefeggiò, insolente proprio come lui pochi attimi prima.
Sirius sollevò ironicamente il labbro inferiore in un muto “Touchè”, sinceramente compiaciuto dalla spavalderia e piacevolmente rapito da quell’espressione malandrina che le stava così maledettamente bene rendendola ancora più irresistibile.
«Avevo cambiato idea ma ho appena deciso di ritornare sui miei passi» celiò serafico, un supponente sorrisetto appena abbozzato e gli occhi grigi socchiusi altezzosamente sotto le sopracciglia arcuate.
Lei rise piano contro il vetro scuro della bottiglia, le labbra a sfiorare inconsapevolmente lo stesso punto in cui si erano poggiate le sue scatenandogli nello stomaco una lunghissima vertigine che si ordinò di ignorare senza però riuscirci.
Poggiò gli avambracci sulle cosce, intrecciando con finta noncuranza le lunghe dita per evitare di portarle su di lei.
«Quindi menti spesso, Olivia?» la provocò fissandola attraverso i ciuffi di capelli neri scivolati davanti al viso come sempre.
«Mento quando ce n’è bisogno» fu la spregiudicata risposta di Liv che lo spiazzò non poco. «Tu ne saprai sicuramente qualcosa...» continuò, allusiva.
Le sopracciglia di Sirius si sollevarono di qualche millimentro.
«Non so di che parli» mentì, mormorandolo con la sua più seducente faccia da schiaffi.
«Ecco, appunto» fece Liv in un aperto sorriso senza riuscire a staccargli gli occhi dosso «Me la sono cercata».
Sirius rise con lei, ritrovando la stessa sintonia di qualche giorno prima, quella che aveva sorpreso entrambi e che adesso percepivano addirittura più profonda.
«Su cos’altro hai mentito quando ce n’era bisogno, oltre alla moto?» le chiese accorgendosi di quanto il suo sorriso fosse contagioso. C’era qualcosa di estremamente attraente in quella curva, in quella luce.
 Liv capì che con quella domanda- e soprattutto quel tono di voce basso e curioso- Sirius voleva scoprire qualcosa in più su di lei.
Non voleva più mentire, era stanca di farlo, stanca di rischiare di perdere qualcosa che la faceva stare bene. Aveva già perso troppo, tutto, e quella perdita bruciava ancora come il primo giorno.
Non voleva più mentire, non con se stessa e non con lui, quel Sirius Black.
«Sulla tua maglietta dei Rolling Stones» confessò disinvolta osservando un sopracciglio di Sirius arcuarsi più dell’altro.
«Ah, sì?» fece lui in un mezzo sorriso sempre più interessato, affamato delle verità nascoste in lei.
«Non è vero che vale un solo mio capello» rivelò Liv per nulla imbarazzata «Ce l’ho anch’io, bianca, che vale almeno un quarto della testa più un polmone insieme a quella dei Doors e dei Pink Floyd».
La sincera sorpresa sul volto di Sirius fu così immediata ed incontenibile da illuminargli il volto.
Quell’espressione profondamente ammirata si intensificò quando Liv si alzò dal divano per tornare un minuto dopo, la maglia chiara con la familiare linguaccia rossa- indossata sopra il maglioncino viola che aveva messo per cena- a renderla splendente di fascino, quel fascino femminile ed aggressivo che a lui piaceva da impazzire e che in quell’appartamento- la sua parte di mondo che lo rispecchiava al meglio- ci stava alla perfezione. Olivia era molto femminile in jeans e maglietta, si chiese come sarebbe stata con un vestito.
«Il Quidditch non è la mia unica passione, fossi in te metterei sottochiave i tuoi vinili perchè me ne manca qualcuno...» gli fece sapere Liv lanciandogli addosso le altre due, appallottolate e nere, che Sirius afferrò al petto per poi dispiegarle senza distogliere i grigi occhi attenti da Liv, meravigliato non soltanto dalle stampe sulla stoffa ma anche da lei.
Sembrava impossibile stancarsi di Olivia, sul piano fisico e anche mentale.
«Quale non hai?»
«Rock’n and Roll di Lennon e i Creedence. A proposito, non ti facevo tipo da Creedence»
«É per caso un male?» la stuzzicò in tono di sfida.
Liv sorrise scuotendo piano la testa, metà dei lunghi capelli scuri liberi sulla spalla e gli altri dentro la maglia dei Rolling Stones infilata di fretta.
«Fosse un male te l’avrei sicuramente affibbiato» rispose facendolo scoppiare a ridere di gusto.
La potenza di quella sincera risata spontanea le arrivò dentro senza filtri, alleggerendola di ogni peso come quell’atmosfera distesa e rilassata che si respirava tra loro.
«Questa ce l‘avevo anche io, identica» la informò Sirius con ancora un largo sorriso sulle labbra prendendo a due mani la maglietta dei Doors.
«E dov’è finita?» domandò Liv salendo con naturalezza sul divano, accanto a lui.
Sirius le lanciò un intenso sguardo trattenendosi dall’afferrarle le gambe fasciate dai jeans neri per trascinarla sopra di lui, averla così vicina da liberarle i capelli sotto alla stoffa sentendoli scivolare fluenti e profumati tra le dita.
Sorrise, trattenendosi a fatica. Si lasciò mollemente cadere all’indietro sulla spalliera, divertito per il ricordo che Liv gli aveva portato alla mente con la sua domanda.
«Quella maglietta è stata letteralmente fatta Evanescere con lo sguardo da mia madre durante una cena importante alla quale avrei dovuto presentarmi con la camicia bianca sotto lo smoking da mago» raccontò facendola scoppiare a ridere apertamente, diventando ancora più bella ai suoi occhi.
«Il papillon nero aveva un suo perchè sopra questa fiamma.  Avresti dovuto vederlo» continuò passando le dita sulla stampa della maglietta che richiamava la canzone Light my fire.
Il commento prolungò quella risata che si fece sempre più contagiosa, vibrante, piacevole come niente al mondo.
Non sentiva Olivia ridere così da più di una settimana, da prima della sua tragedia.
«Si è sacrificata per una giusta causa allora» commentò in un largo sorriso Liv allungando la bottiglia di birra verso di lui in una chiara proposta di brindisi alla maglietta-eroina che Sirius recepì al volo raddrizzandosi per afferrare la sua dal tavolino.
«Le rendo onore tutt’ora, infatti, ogni giorno» convenne con lei facendole tintinnare solennemente, segretamente felice per quell’altra conferma di perfetta intesa su quel suo ribelle gesto del passato.
Non era più soltanto lui contro il mondo, erano lui e Olivia contro il mondo, erano lui e la ribellione in quei due grandi, ammalianti e meravigliosi occhi che scopriva ogni volta più belli.
E la cosa faceva un certo effetto.
Bevvero senza distogliere lo sguardo complice e carico di stima l’uno dall’altra.
Bevvero e parlarono ancora, di tutto.
Parlarono scoprendo di non avere limiti con gli argomenti, di avere molte più cose in comune di quanto pensassero, non soltanto materiali ma anche astratte come il modo di pensare, i gusti e lo stesso senso dell’umorismo piuttosto tagliente.
Scoprendo che la risata dell’altro li estraniava dal mondo e dai problemi passati, presenti e futuri; scoprendo che i progetti che nascevano spontanei come la promessa di andare ad un concerto insieme o di fare quel tanto atteso giro in moto avevano la capacità di elettrizzare il presente ed addolcire il futuro.
Parlarono scoprendo che anche l’alchimia tra i loro corpi non accennava a diminuire, che più si lasciavano andare e più l’attrazione diventava accecante mentre li metteva costantemente alla prova, spingendoli a ritrovarsi sempre più vicini con l’assoluta novità che ogni movimento e gesto per accorciare le distanze era ben studiato, calcolato, voluto.
«”Belva selvaggia“? Sul serio? Chi è che ti chiamava così?» le chiese in una mezza risata bassa Sirius sollevando le sopracciglia e la curva delle labbra.
Era ormai tarda notte e il fatto che in quel preciso momento fossero spalla contro spalla sembrava andare bene ad entrambi.
«Il serpente cieco quando ha capito che “lumos dei suoi occhi” non mi descriveva al meglio» rispose semplicemente lei sorridendo debolmente verso la bottiglia di birra ormai vuota e grattata distrattamente dalle sue dita.
Anche Sirius sorrise, assorto, senza smettere di contemplarle il bel profilo del viso. Si trattenen ancora, nonostante la voglia di sfiorarle il piccolo neo che aveva dietro l'orecchio, sul collo lasciato libero dai capelli.
Era bella anche così, umana, stanca ed arresa di fronte alle cose che non dipendevano da lei, di fronte al mondo che non poteva più controllare con una bacchetta perchè c’era qualcosa di più grande e potente.
Olivia era diversa, proprio come aveva detto Evans. Così riflessiva sembrava l’opposto di quella che era sempre stata.
Ed era nuova quell’opportunità di vederla, un’opportunità preziosa e sorprendente proprio com’era stato sorprendente aprirsi un minimo a lei.
Olivia aveva dimostrato totale rispetto per lui, accettazione, delicatezza e al tempo stesso impetuosità e fermezza nel ricordargli chi era. Era stata una presenza per niente scomoda dentro di lui, una presenza luminosa che non aveva fatto immergere del tutto nella sua oscurità perchè troppo bella da poter toccare senza rovinare e dalla quale lasciarsi far toccare senza esserne spaventosamente marchiati.
«”Belva selvaggia”, comunque, non ha mai superato il tuo “Olivia”» gli fece sapere Liv guardandolo e sorprendendolo a studiarla com’era suo solito fare.
Lo sguardo rapito e perforante di Sirius le fece rabbrividire la schiena e lei invece di reprimere l’istinto di immergersi in quel grigio profondo lo assecondò. Affondò gli occhi nei suoi beandosi della straordinaria sensazione che le regalavano ogni volta che ci scivolava irrimediabilmente dentro.
Buttarsi dentro Black era adrenalinico, pericoloso, quasi brutale.
Era come essere travolti da una tempesta turbinosa o dal sole più caldo e piacevole.
Era lasciarsi trascinare da un calore impetuoso, inoltrarsi nei meandri di una mente acuta, complessa e tortuosa.
Era sentire come sentiva lui: ricercando la massima intensità in ogni attimo, senza farsi sfuggire niente.
Ed era infatti la cosa più vera ed intensa che avesse mai provato con qualcuno, insieme al dolore per la morte di suo padre.
Le cose vere si sentivano addosso, si respiravano a pieni polmoni, facevano male tanto erano percepibili. Erano rare ed erano le uniche cose che la facevano sentire viva, concreta, presente. E quella con Black lo era, vera.
Era sbagliato lasciarsi avvolgere e stravolgere da quelle sensazioni forti, estreme e totalizzanti che promettevano una passione sfrenata, profonda, e alimentavano il suo innato fuoco come nessuno era mai riuscito a fare?
Non ne aveva più la totale convinzione perchè dopo aver visto cosa bruciava negli occhi grigi non le sembrava più di fare un salto nel vuoto.
Sirius Black era tutto fuorché vuoto e superficiale.
Sirius Black era calore ed era fiero di esserlo, in quegli occhi e nei lineamenti apparentemente alteri mostrava emozioni pronte a prendere il sopravvento all’improvviso così com’erano improvvisi ed imprevedibili i suoi movimenti, le sue parole.
Ma c'era uno stretto spiraglio più buio che le aveva aperto, colpendola per quella sua faticosa scelta di mostrarsi; era soltanto uno scorcio del mondo complicatissimo ed intricato che ancora difendeva con le unghie e con i denti: Regulus era un mistero, quello che pensava di lei era ben nascosto chissà dove.
Sirius Black era riservato, difficile, tormentato, lo era diventato dopo essere scappato di casa e dopo quel lontano periodo del quinto anno, passato lontano dagli altri Malandrini. Quel Sirius Black non era più lo stesso ragazzino e lei se n'era accorta, già al tempo. Ne valeva la pena come suo padre?
«”Non ha mai superato il mio “Olivia”?» ripeté Sirius affilando lo sguardo intriso di curiosità, divertimento. «Stai forse dicendo che sono quello che ti fa arrabbiare di più?». La stava analizzando, ancora. La stava mettendo alla prova, di nuovo.
Liv sollevò un angolo delle labbra.
«Credi di avere tutto questo potere su di me, Black?» gli tenne testa sviando il suo intuito in allerta e notando una magnetica luce accendersi in quelle iridi attente su di lei come se non esistesse altro, come se ci stesse mettendo tutto se stesso.
E per la prima volta Liv vide l’effetto che riusciva a fargli. Almeno fino a quando Sirius non si sporse verso di lei, quasi sfiorandole il naso con il proprio ed impregnando l’aria con il suo intenso e deciso profumo maschile che istigava a morderlo.
«A me non fanno paura i tuoi artigli, Olivia» le disse col respiro mozzato scostandole piano una lunga ciocca scura dalla fronte accarezzando contemporaneamente la pelle sotto, sulla tempia e fin dietro l’orecchio dove accarezzò quel neo con delicatezza e bruciante voglia di baciarlo sentendosi invaso di un calore estremo; Liv sussultò al semplice tocco su quel punto preciso, il cuore impazzito e la voglia di baciarlo a stringerle la gola. Sirius, stordito, sorrise senza fiato e si trattenne a stento dal posarle le labbra su quella pelle, prima di lasciare lì i capelli e seguire con polpastrelli ed occhi assorti la lunga linea del collo col cuore galoppante nel petto e il corpo in fiamme.
Olivia era davvero bella, una bellezza lampante tanto da inquietarlo.
E aveva un odore così buono da sentire il bisogno impellente di respirarlo a pieni polmoni direttamente dalla pelle nuda, dai capelli; lo mandava in tilt e lo rassenerava al contempo.
Liv lo lasciò fare, perdendosi ed assorbendo ogni più piccolo brivido sotto quel tocco audace come il proprietario di quelle ditatrattenendolo lì dov’era riuscito ad arrivare: nelle ossa. Non era facile guardarlo dritto negli occhi senza perdersi, ma lei continuò a farlo quando le iridi grigie, colme di desiderio e delle sensazioni che quella vicinanza provocava in entrambi, sprofondarono nelle sue sollevandosi dalla ciocca morbidamente ondulata dei suoi capelli con la quale Sirius aveva cominciato a giocherellare con lentezza inaudita.
«A me non spaventa il tuo pungiglione velenoso, Black» gli sussurrò altrettanto affannata mentre faceva scontrare sfrontatamente le punte dei nasi per un attimo fugace ma intenso, un attimo in cui le labbra di tutt’e due si schiusero d’istinto reagendo al respiro caldo dell’altro.
Il soffio d’aria che le separava, intriso d’elettricità, si fece di nuovo distanza subito dopo lasciandoli senza fiato e con il battito del cuore accelerato.
Gli occhi di Sirius, liquidi di eccitazione, restarono storditi e sorpesi per un lungo istante di tempo prima di farsi seri ed intensi, fermi sul violaceo poco sotto i suoi occhi e poi sulle labbra screpolate per ritornare proprio al centro della pupilla come se avesse visto qualcosa che non poteva più tenere per sè.
«Non stai dormendo, vero?» le sussurrò facendola sussultare impercettibilmente; Sirius lo vide nel tremolio brillante di quell'iride torbida di dolore, insonnia, difficoltà di tornare a galla
Liv, beccata in pieno, non rispose. Tutte le notti lo salutava con una buonanotte che non si rivelava mai tale, diventando soltanto un terrificante prolungamento del giorno col buio fatto realtà e il dolore libero di affogarla; non faceva nemmeno incubi perché non chiudeva occhio, perché l'incubo era la realtà .
Sirius restò a scrutarla, un'intensità nello sguardo completamente assorbito da lei che non diminuì nemmeno quando si allontanò dal suo volto per poggiare la testa sul cuscino della spalliera del divano: un muto sto qui con te che si riflettè su Liv quando anche lei posò il viso sul cuscino, il cuore accelerato dal piccolo sorriso che Sirius le fece alla vista di quel suo gesto.
Adesso che Liv si stava lasciando andare in quel modo così naturale, con lui, per Sirius era irresistibile come nessuna.
Cominciava a capire qualcosa di lei, della vera lei, del suo modo di fare, di ragionare, di agire. Ed era così meravigliosa, anche nei suoi difetti, da sconvolgerlo.
Restarono così, immobili sulla spalliera del divano con un buon odore nel naso e la semplice presenza dell'altro avvolta alla consapevolezza di star bene nonostante l'inferno attorno e dentro.
Entrambi sapevano che toccarsi, respirarsi da più vicino tanto da poter ascoltare il battito del cuore dell'altro sarebbe stato così potente da farli crollare quasi all'istante, ma la paura era così tanta che non osarono. Ma anche senza sfiorarsi, sembrava funzionare.
Sorprendentemente, fu Liv a chiudere gli occhi per prima; un lieve sorriso sulle labbra e il petto che si alzava ed abbassava dolcemente come non accadeva da tempo.
Sirius restò ad osservarla meravigliato, intimamente sollevato, prima di arrendersi a quel benessere spaventoso che lo portò a chiudere gli occhi pesanti lasciando andare ogni rigidezza.
 

 
*
 
 
 





 
Nè Liv e nemmeno Sirius si resero conto che, all’esterno, tutta quella sintonia, la spontaneità, l’affiatamento tra loro erano palpabili. E gli spettatori non erano altri che i loro migliori amici giustamente perplessi a parte James.
 
 

Remus,

James aveva ragione. Quella stretta di mano tra Liv e Sirius non se l’è sognata.
Stamattina sono andato da loro e li ho trovati mentre facevano la lavatrice insieme, ridendo e scherzando come una coppietta felice. 

Roba da pazzi.
 

Peter
 
 
 
 
 
Caro Coda, 

Sto cominciando a trovare imbarazzante questo scambio di lettere da pettegole, l’ho fatto notare anche a James.
Comunque, mi pare di capire che sono diventati amici (sia ringraziato chiunque l’abbia fatto accadere).
Una coppia? Forse hai ancora la febbre, Pete. É meglio se stai un altro giorno a casa.

Continuo a non credere alla leggenda della stretta di mano, mi spiace.
 
Remus
 
P.S.: Prega affinchè la tua lettera non arrivi mai nelle mani di Sirius. La brucio, se vuoi.
 
 

 
 
 
Maledetta Lily,

A che gioco stiamo giocando?! Il confessionale di ieri pomeriggio era aperto a tutte e tre e non riservato esclusivamente a me anche se la camera era la mia.
Liv aveva di certo roba più succulenta da esporre! 
Ma l’hai vista con Black!? 
Dopo pranzo sono andata da loro, mi ha aperto la porta Black mentre parlava amabilmente con lei (e già da qui sono rimasta scioccata, pensavo di aver sbagliato numero di appartamento).
Entrando ho capito che suonando il campanello li avevo distrubati mentre facevano i piatti, così, come se niente fosse.


Esigo spiegazioni. Subito.
 
Mary
 
 



 
Mary, 

stai bene? Credo sia il caso di andare al San Mungo per riportare i primi effetti collaterali di quel morso. 
Io intanto me li appunto.
Fammi sapere se hai altre allucinazioni. Non è una cosa da prendere così, alla leggera, per la tua salute e anche per la ricerca scientifica.
 
Un bacio,

Lily
 
 
 

 
Lily, 

devi smetterla di trattarmi come una cavia.
E non era un’allucinazione!
 
Un pugno sul braccio,

Mary
 
 
 
 

 
Carissimo uomo di poca fede,

Scrivo in pace.
L’intreccio di mani è avvenuto eccome. Storia, mio caro Lunastorta, non leggenda.
Se vuoi chiedo a Lily, c’era anche lei.
 
Ramoso
 
P.S.: Scopriremo il nome di quel Lupo Mannaro a costo di “intervistare gentilmente” ogni Mangiamorte.
P.P.S.: Quando sparlavate di me “innamorato” non vi sentivate pettegoli?!
P.P.P.S: Ho scritto a Lily, avrai anche la sua testimonianza.
P.P.P.P.S: Il fatto che non ti fidi della mia mi ferisce alquanto.
 
 
 
 


Egregia signorina Lily Evans,

La richiamo al Wizengamot dei Malandrini per riporre la sua testimonianza.
Ha visto anche lei Messer Felpato e la signorina Olivia McAdams tenersi per mano la mattina del ventisette dicembre (che poi sarebbe ieri) alle ore non mi ricordo ma comunque prima di pranzo?
 
 
Cordiali saluti,


La Legge Suprema.
 
P.S.: É pregata di non ignorare la Legge Suprema.
P.P.S: Perdoni la formalità. Il Giudice Supremo Remus Lupin è, dalla sua nascita risalente all’epoca di Barnaba il Babbeo, un erudito individuo affezionato all’etichetta, dedito ai cerimoniali, minuziosamente pignolo, un gran rompimento di coglioni.
 
 
 



 
CHE COSA?!

Ti spiacerebbe scrivere più di una riga dopo che spari certe rivelazioni, James Potter, grazie?!

 
Lily
 

P.S.: Anche perchè non siamo allo specchio e questo gufo è già mezzo morto!
P.P.S: La rivelazione alla quale mi riferisco è quella sulle mani di Liv e Black non su Remus  che non capisco come mai non è stato ancora fatto santo.
P.P.P.S: Ma sei James, giusto?
P.P.P.P.S: Domanda stupida che mi rimangio. Come potrebbe non essere tua questa grafia da Troll con il Parkinson?
P.P.P.P.P.S: Fosse solo la grafia il tuo tratto distintivo, poi. Come non ricollegare a te anche l’idiozia del contenuto e della forma? 
 
 
 
 

 
Meglio parlarne a voce, hai ragione.

Ti aspetto davanti al ponte di Westminster, tra un’ora.
 

James
 

P.S.: Non fare tardi!
P.P.S: Sarò quello bello ed affascinante anche con gli occhiali. 
P.P.P.S: Troppo facile esserlo senza. Riferimenti puramente casuali a Sirius Black.
P.P.P.P.S: Wow! Vacci piano con i P.S.!
 
 
 
 

Sei un maledetto insensibile, Potter.

Scrivimi tutto su una lettera e dì addio al tuo gufo, lo adotto io e non lo rivedrai mai più o farò una segnalazione al Dipartimento Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.
 

Lily
 

P.S.: “Vacci piano con i P.S.”?! Ma sentilo il bue che dice cornuto all’asino! 
P.P.S: Il mio non era un velato invito a vederci.
P.P.P.S: Non sai nemmeno dove si trova Westminster.
 
 
 
 

Evans, 

Vuoi darci un taglio con questo bue!?!
E comunque Boccino sta più che bene, guardalo. É il gufo più viziato del Mondo Magico, si è appena mangiato una fetta intera di torta alla melassa, la mia.
Il Dipartimento me lo restituirebbe immediatamente insieme alle loro più sentite scuse prima di spedire una squadra Auror a casa tua con un mandato di cattura per infamia.

 

James
 

P.S: Gli asini babbani hanno le corna?!
P.P.S: Me lo dirai sul ponte di Westminster.
P.P.P.S: So benissimo dov’è. Io e Sirius, una volta, l’abbiamo attraversato stando sul tetto di uno di quei bus rossi a due piani. Una bellissima esperienza educativa.  
 
 


 
 
Potter, 

​Ho perso completamente la pazienza. Purtroppo per te, non mi chiamo Remus Lupin.
Scrivimi cosa diamine hai visto ieri mattina e facciamola finita.
 


Lily
 
 
 

Lo sbuffo alterato di Lily si perse nel silenzio della sua camera.
Era passato troppo tempo da quando il povero rapace era volato via dalla finestra con la sua ultima lettera. O era morto durante il tragitto tra Cokeworth e lo sciagurato ed indistruttibile posto che resisteva stoicamente alla presenza di James Potter da appena nato oppure Potter stesso si era perso tra i suoi P.S. ridicoli.
Non voleva credere che lui fosse davvero andato a Londra e che la stesse aspettando lì.
Si sedette sul letto, pensierosa.
Liv e Sirius presi per mano, era praticamente assurdo. Come aveva fatto, poi, a non notarli?!
Assurdo. Passò un’altra mezz’ora a ripetersi quella parola, ad autoconvincersi che quella notizia era soltanto l’ennesima cretinata di Potter.
Un’altra mezz’ora in cui del gufo di James non si vide nemmeno l’ombra.
Lily saltò in piedi con uno scatto impaziente, i pugni chiusi lungo i fianchi ed un cipiglio stizzito e combattuto sul viso.
Era seriamente tentata di scattare verso la porta, infilarsi cappotto, guanti e sciarpa e raggiungere quel dannato posto.
Non che avesse qualcosa contro Westminster o Londra in generale, anzi, aveva dei bellisimi ricordi di quella zona. Vecchi ricordi con la sua famiglia e con le sue amiche che la presenza di James Potter non avrebbe mai e poi mai rovinato.
Potter era quello assurdo e lei non era stupida. Credeva che incuriosendola con quella baggianata su Liv e Black l’avrebbe convinta ad uscire con lui?!
Credeva che lei gli avrebbe dato la soddisfazione di raggiungerlo? Per vederlo compiaciuto e fiero di se stesso?
No, Potter si sbagliava di grosso.
A lei non interessava sapere se Liv e Black si erano tenuti per mano o meno.
Non le interessava, nel modo più assoluto.
Non le interessava, di più.
Al cappotto blu notte, guanti rossi e sciarpa gialla aggiunse anche il basco verde foresta a schiacciarle i lunghi capelli vermigli.
Lily salutò sua madre accennando al bisogno di fare della spesa ed uscì nel giardino sul retro per Smaterializzarsi a Londra in un vicolo buio di Charing Cross.
Dopo essersi accertata di non essere stata vista comparire dal nulla, marciò spedita verso la strada principale, il chiassoso centro di Londra riccamente e meravigliosamente addobbato per il Natale, scintillante di luci e luminarie che rischiaravano l’invernale tramonto imminente sopra i tetti offuscati dai sinuosi fili di fumo dei comignoli.
Lily s’immerse tra il via vai di persone alle prese con lo shopping, tra le macchine e gli autosbus scarlatti a due piani senza smettere un istante di maledire James, mentalmente e tra i denti.
Erano le cinque del pomeriggio ed era in ritardo di trenta minuti per quello stupido... incontro professionale. Se quell’idiota era già tornato a casa sua l’avrebbe cercato per tutta la Gran Bretagna, trovato ed ammazzato con le sue stesse mani.
L’idea di essere lei quella in torto non la sfiorò nemmeno per l’anticamera del cervello mentre passava- volutamente ignara come una normale babbana- davanti al Paiolo Magico schiacciato e nascosto tra un negozio di dischi e una libreria impreziosita da ghirlande di agrifoglio.
Uscì da Charing Cross diretta a passo sostenuto verso il luogo scelto da James, i lunghi capelli rossi a rimbalzarle con furia sulla schiena insieme alla sciarpa giallo ocra.
Quando ci arrivò, con il fiatone e l’aria gelida a sferzarle i pomoni, si guardò attorno con aria assassina scandagliando la folla attorno al brillante e maestoso albero di Natale.
Davanti a lei, l’alto ed elegante Big Ben scoccò l’ora con il solenne suono della sua campana nel preciso momento in cui Lily vide la slanciata e distante figura di James, in piedi proprio all’inizio del ponte, avvolta da un cappotto grigio scuro e babbano quanto il suo.
I neri capelli arruffati, gli occhiali storti sul naso arrossato per il freddo, due bicchieri di plastica con coperchio tra le mani e un largo contagioso sorriso sul viso luminoso: James Potter era ancora lì, a suo agio in mezzo ai babbani, e le sorrideva come non aveva mai fatto. Lily, davanti a quella sincera e bizzarra radiosità senza una briciola di potteriano compiacimento, si ritorvò a dare la colpa alla folle camminata da Charing Cross per il calore che sentì scaldarle le guance.
Fece lo slalom tra i passanti, i gruppetti di persone che scattavano foto e qualche albero punteggiato di luci con quell’unico sguardo familiare posato costantemente su di lei.
«Sei davvero qui?» le chiese spaesato James quando Lily gli arrivò davanti.
«Dove dovrei essere, Potter? A Piccadilly? Hai detto ponte di Westminster ed eccomi davanti al ponte di Westminster» rispose sbrigativamente lei senza guardarlo negli occhi, quasi scocciata. Decisamente scocciata e sofferente per la sanguinosa lotta greco-romana che internamente stava facendo con il suo orgoglio.
James sbattè le palpebre, confuso. Non era proprio quello che aveva voluto far intendere con quella domanda ma, ok.
Il silenzio imbarazzante che si era creato tra loro fu spezzato da Lily che si schiarì la voce nello stesso momento in cui parlò lui.
«Attraversiamo il ponte?» propose scherzosamente allungandole uno dei due caldi bicchieri della caffetteria vicina, gli occhi nocciola in quelli dilatati di Lily che accettò con titubanza il caffè. «Al mio tre saltiamo sopra il primo bus che ci passa vicino» aggiunse James sfilandosi da sotto il cappotto anche una bustina dall'aria invitante con il logo della pasticceria dall'altro lato della strada. Gliela porse e Lily prese anche quella, sempre più stranita.
«Potter» iniziò lei abbracciando la tazza di plastica con entrambe le mani, trovando un piacevolissimo conforto dal gelo. «Siamo qui per quella piccolissima notizia da niente, ricordi?» fece palesemente sarcastica mettendo subito in chiaro le cose.
Ma James aveva già cominciato tranquillamente a camminare sul marciapiede del largo e famoso ponte trafficato portandosi il bicchiere alla bocca come se l’unico motivo per cui era lì fosse passeggiare.
Lily restò immobile, scioccata ed interdetta di fronte a quel comportamento, prima di sbloccarsi marciando spedita dietro di lui per non perderlo tra la gente.
«Potter!?» lo richiamò ancora una volta in tono imperioso schivando i passanti.
«Questi affari sono scomodi» commentò James come se non l’avesse sentita, riferendosi al bicchiere che si rigirò tra le mani con fare critico. «La tizia che me li ha venduti mi ha detto che per bere, il buco sul tappo dovevo farmelo io*. Ma ti pare?! Ringrazia che avevo la bacchetta. Mi sono offerto di aiutare il signore prima di me nella fila, era in evidente panico, dovevi vederlo, aveva le dita come due salsicce tutte contorte dalla forza che stava mettendo per farsi quel dannato buco, sembrava Lumacorno ubriaco quando tenta di aprire le bottiglie a tutti soltanto per farli ubriacare al suo livello e non sentirsi l’unico fuori dal mondo. Ma quel signore ha guardato la bacchetta come se fosse un vermicolo dicendo che quel pezzo di legno potevo infilarmelo dove sapevo! Risultato?! Ci è riuscito da solo ma si è rovesciato tutto addosso e giuro sulla mia Nimbus che io non c’entro niente».
Lily, occhi verdi spalancati dall’incredulità e dall’essere stata praticamente sommersa dalle parole di James stile Mary nei suoi momenti peggiori, non riuscì a stare seria. Per la vicenda, per quel signore, per Lumacorno e per il modo in cui James l’aveva raccontato: coinvolgente, spontaneo.
Arrivò al suo fianco chiedendosi con quali soldi era entrato nella caffetteria. Doveva essere una delle poche conseguenze benigne dell’essere amico di Sirius Black.
«Potter» fece per tornare all’argomento per cui era andata lì trattenendo orgogliosamente una risata.
James lo notò con la coda dell’occhio, senza smettere di camminare.
Non c’era niente di più bello di lei in quel preciso momento, nemmeno la felicità e la sorpresa che l’avevano invaso appena l’aveva vista arrivare con quei suoi folti capelli rossi che spiccavano e facevano la differenza ovunque, proprio come la sua originale personalità.
«Si può sapere esattamente cos’hai visto ieri?» gli chiese Lily guardandolo dal basso con aria minacciosa. «Conosco Liv e so che non darebbe mai la mano a Black» continuò riportando lo sguardo davanti a loro con un veloce gesto della testa sconcertato quanto la sua voce. Conosceva Liv e la sua paura di riavvicinarsi a Sirius.
«Allora significa che è Sirius il pollice verde che l’ha fatta germogliare, non io» scherzò James spalancando le braccia con un’assoluta leggerezza da lasciare Lily sbigottita.
«Li hai visti davvero?» gli chiese facendosi seria scostandosi con la mano libera un ciuffo di capelli che l’aria le aveva portato davanti agli occhi attenti, di nuovo su James.
Lui annuì avvicinando il bicchiere alle labbra e Lily arrestò di colpo il passo.
James fu costretto a fare lo stesso, osservandola incuriosito e trattenendo l’irrefrenabile voglia di fissarla spudoratamente perchè averla lì, con la luce del tramondo mista a quella della città che le coloravano di mille sfumature il viso e i capelli rossi, lo faceva sentire disorientato, sospeso su un altro ponte, quello tra il sogno e la realtà.
Era strano, ancora più strano del vederla sul divano di Sirius.
Lily era una persona esistente anche fuori da Hogwarts e lì, in quello spazio aperto pieno di babbani, James lo percepì per la prima volta.
E non importava se quello non era un appuntamento, se Lily l’aveva raggiunto per parlare dei loro amici: lei c’era, lì con lui, ed era la sensazione più bella che avesse mai provato.
«E come fai ad essere così impassibile?» domandò Lily con una spiccata punta di perplessità guardandolo fare di nuovo spallucce.
«Perchè io mi sono già stupito gli anni scorsi» rispose in una risata James poggiandosi con un fianco alla balaustra. Lily strabuzzò gli occhi verde chiaro.
Erano esattamente a metà del ponte e il Tamigi sotto di loro scivolava placido in una moltitudine di riflessi sotto le luci della città che cominciavano a rendere d’oro ogni cosa.
«Anni?» tenne a rimarcare Lily come se non avesse sentito bene. James annuì, come se fosse ovvio.
«Conosco le sue espressioni e i suoi gesti meglio del suo specchio in bagno. Ho visto ogni più piccolo cambiamento, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno» spiegò ancora con sguardo tranquillo. «Quella stretta di mano era soltanto questione di tempo. Io me l'aspettavo già al terzo anno».
Lily parve cadere dalle nuvole.
«Ma cosa dici, Potter?» «La verità» rispose lui pensando che Sirius non gliel'aveva mai detto, ma sapeva che a lui piaceva Liv dal primo anno; James non volle esagerare, ma pensò addirittura dallo Smistamento.
«Dal terzo anno?» esalò Lily, scioccata. «Sei sicuro di non aver visto la mano mozzata di Black volare per aria il secondo dopo la stretta?» si sentì costretta ad accertarsi con un filo di voce.
James scoppiò fragorosamente a ridere di fronte a quell’ipotesi e all’espressione completamente spaesata di Lily che si ridestò dai suoi pensieri tornando nella realtà al suono caloroso e spontaneo di quella risata.
«Mozzare una mano non è mai un lavoro pulito, Evans, e riattacarla al polso richiede decisamente più di due secondi di tempo» fece James sistemandosi gli occhiali sul naso con tono ironicamente professionale.
Lanciò un’occhiata di sottecchi verso Lily incontrando quella della ragazza, a metà tra lo sconcertato e il divertito come se stesse facendo di tutto per autoconvincersi di non essere accanto ad un serial killer specializzato in fare a pezzi le vittime.
«Hai per caso visto fiumi di sangue e dita per terra, ieri mattina?» le chiese James.
«Ho semplicemente visto quelle due identiche e maledette sfingi rigide come manici di scopa» riflettè Lily poggiando comodamente gli avambracci alla balaustra, il bicchiere tra le mani e il delicato profilo del viso rivolto al fiume.
James restò a scrutarla intensamente ed in silenzio per qualche istante, decidendo di parlare quando il fantasma di John Owen parve manifestarsi all’altro fianco di Lily.
«Hai la faccia di una che è stata appena incaricata di addomesticare un drago con una Bacchetta di Liquirizia»
«Che è la stessa della tizia che ha appena constatato di avere la migliore amica in un bel guaio» rispose cupamente lei, incantata al lento scorrere dell’acqua senza vederlo davvero.
Per questo non notò la piccola smorfia contrariata sul viso di James, ma sentì chiaramente la sua frase subito dopo, seria come non l'aveva mai sentita.
«Sirius è la persona più leale e fedele che conosco».
E un sopracciglio rossiccio sotto l’orlo del basco verde scuro si arcuò, scettico.
«E non lo dico perchè è il mio migliore amico, mio fratello, ma perchè è proprio così. Quando si fida di qualcuno, quando si affeziona dà tutto se stesso senza mezze misure, senza limiti. O tutto o niente, non vale soltanto quando fa le stronzate».
«Stai sul serio dipingendo Sirius Black come un santo, James?» fece Lily, incredula, girandosi verso di lui.
James rise, esilarato dalla parola “santo” accostata al nome dell’individuo che lo minacciava di morte quasi ogni mattina.
«Sirius è la cosa più lontana da un santo!» esclamò, allibito, passandosi con forza una mano tra i capelli sparati in ogni direzione. «“Spudorato menefreghista, delinquente scatenato, casinista spericolato, folle fuorilegge, piantagrane anarchico”, "scalmanato ragazzo sconsiderato". La McGranitt è la più brava a descriverlo».
 Lily rise sottovoce, arricciando adorabilmente il piccolo naso lentigginoso e staccando i gomiti dalla balaustra per poggiarsi anche lei sul fianco.
Sollevò per aria il mento con un leggero sorriso spavaldo, improvvisamente interessata alla piega presa dalla discussione che James portò avanti,spontaneamente fervente.
«È pieno di difetti, è un casino totale. È contorto, complicato, a volte incoerente, egoista. Impulsivo quando è accecato dalla rabbia e riflessivo quando si trova davanti a qualcosa di nuovo. Rimugina sulle cose così tanto che si impantana da solo, soffrendo come un cane. Possessivo, è anche maledettamente possessivo. Permaloso da fare schifo. Vendicativo a livelli osceni. E questi sono soltanto i difetti visibili a tutti, per Godric». Imprecò, facendo intendere ci fosse il diavolo nascosto in Black.
E il sorriso di Lily, che si era abbassato man mano che James aveva aggiunto aggettivi all’analisi sorprendentemente profonda del compare, si spense del tutto.
«Guarda la mia faccia, Potter» lo bloccò indicandosi il volto a dir poco impressionato. «Ti sembra che questo discorso abbia contribuito a renderla quella di una ragazza spensierata al centro di Londra?».
Lui sghignazzò senza distogliere lo sguardo scaltro da lei. Voleva essere spensierata, lì con lui?
«Volevo soltanto dire che Sirius non è un santo però è la persona che morirebbe per chi ama» spiegò stringendosi nelle spalle.
L’espressione sul volto di Lily non sembrò minimamente intenzionata a cambiare e James si sentì in dovere di aggiungere dell’altro, per difendere Sirius o tranquillizzare lei. Forse per entrambe le cose.
«Ascolta, Lily» iniziò facendosi serio catturando tutta la sua attenzione. «Io non so cosa Sirius stia facendo o cosa abbia intenzione di fare, ma quello che posso dirti con certezza è che non l’ho mai visto così preso da una ragazza come è preso da Liv, non solo in questi mesi. Sirius è così con lei da anni. Fidati quanto te lo dico, nessuno meglio di me sa quante volte l'ha protetta anche senza farsi vedere, soprattutto quando a scuola c'era ancora sua cugina, Malfoy, Rosier... quelli là, lo sai. Sirius non me l’ha detto e credo non me lo dirà mai, ma lo vedo da anni» «Cosa non ti ha detto che tu vedi da anni?» chiese Lily pacata assorbendo l'informazione precedente, il fatto che l'aveva protetta da sua cugina al primo anno.
«E non mi ha ancora detto che è annoiato» sviò il discorso James tenendosi dentro il suo "A Sirius piace Liv da anni, è dannatamente cotto, andato" perché Sirius non gliel'aveva ancora detto e lui non aveva nessun diritto di dirlo a qualcun'altro, anche se era Lily. «Come invece mi diceva dopo un po' di appuntamenti con la stessa ragazza».
Lily lo guardò in silenzio per qualche secondo come per fare mente locale.
«Quindi, secondo te, Liv non è in un bel guaio perchè non annoia Black?» riepilogò Lily per nulla convinta.
«Beh... sì, un altro modo di dire che è affezionato a lei. Il modo di Sirius». E James lo disse con assoluta sincerità.
Quando non gli importava niente, Sirius era la pigrizia fatta a persona e per Liv aveva lottato con tutte le sue forze da anni, facendo credere fosse tutto casuale fino a quel momento, portandola addirittura sotto il suo tetto, la sua protezione.
James era perfettamente tranquillo riguardo quella situazione perchè Liv l’aveva letteralmente conquistato, dallo Smistamento. Non sapeva com’era potuto accadere, ma era così. E quando una persona entrava a far parte della vita di Sirius Black non ne usciva più, lui ne sapeva qualcosa.
Nel bene e nel male, certo. Dal bene si poteva finire dritti al male in un battibaleno, ma soltanto con la mancanza di rispetto, le bugie, il tradimento.
Conoscendo Liv, James era sicuro che la turbolenta permanenza della ragazza dentro il suo migliore amico sarebbe rimasta nella parte luminosa. E vedeva quanto quella ragazza lo facesse stare bene, in ogni situazione.
«Hai mai visto Sirius comportarsi con Liv come si è sempre comportato con le altre?» chiese James.
Lily restò immobile a quella domanda, sbattendo soltanto le ciglia con fare confuso. 
«No» rispose cauta, come se stesse misurando ogni parola. «Ma perchè Liv non glielo permette» aggiunse trovando la decisione.
«Anche, forse all’inizio» convenne James. «Ma la stretta di mano?» infierì, deciso a far valere quella nuova parte dell’amico che evidentemente all’esterno non appariva così palese come a lui.
Lily socchiuse gli occhi verdi, irritata per essere stata messa in difficoltà. Perchè Liv aveva permesso di farsi stringere la mano e questo non si poteva negare.
«Sono perfetti insieme, non vorrai tentare di negare anche questo?» concluse James appoggiando al bicchiere le labbra stirate in un sorriso vittorioso.
Lily scosse la testa in un gesto non del tutto contrariato, ma incerto.
«Prima di dirlo devo vederli e parlare con lei» commentò, costretta però ad ammettere mentalmente che in effetti non aveva mai visto Liv stare così bene con qualcuno ed essere se stessa, la vera se stessa. Black sembrava riuscire a toccare i suoi tasti giusti, farla sorridere, farla pensare. Lily, in quel preciso momento, si chiese come avesse fatto a farle piacere il suo nome intero.
Liv, con Black, non aveva bisogno di lanciare fatture in direzione degli occhi, non doveva nascondere il suo lato più grintoso e “spaventoso”, non storceva il naso perchè non c’era nessuna eccessiva dolcezza a farle “venire la carie”.
I modi spavaldi di Black le avevano tenuto testa per anni, a differenza dle resto della scuola, esattamente come lei teneva testa a lui.
Ma il lato più ragionavole di Lily non riusciva a zittirsi, a smetterle di farle pensare a quei due come a due bombe pronte a scoppiare, pronte a distruggersi a vicenda perchè Black non sapeva cosa significava stare in coppia e Liv doveva ricostruire se stessa, non poteva permettersi situazioni instabili.
«Andiamo?» propose James staccandosi dalla balaustra del ponte.
Lily annuì distrattamente, facendo altrettanto.
Ripresero tranquillamente a camminare, l’uno di fianco all’altra apparendo come due normali babbani. Nessuno oltre quel breve tratto d'aria che separava i loro corpi così diversi per l'ampia differenza di statura poteva sentire la meraviglia che sentiva James e la strana tranquillità che sentiva Lily.
«Parli di Sirius come se fosse te stesso» esordì dopo un po’ lei senza smettere di guardare davanti a loro.
James le gettò una fugace occhiata. «Perchè è così» rispose semplicemente. «A proposito, è come se fosse me stesso e proprio per questo sarebbe meglio se non dicessi a nessuno quello che ti ho detto, soprattutto a Liv».
Lily sollevò le sopracciglia, divertita, affrettandosi ad annuire consenziente all’occhiata preoccupata e serissima di James.
«Tu non conosci Liv come le tue tasche?»
«Sì, certo» fece subito lei «ma ci sono sempre diverse variabili che non possiamo mettere in conto perchè fanno parte della vita. Non sappiamo come si potrebbero comportare in determinate situazioni...»
«Sei sempre così ottimista, Lily?» l’interruppe James, sarcastico.
«Sono realista» sbottò lei scoccandogli un ironico sguardo altezzoso che James adorò all’istante.
«Per esempio, Black è geloso?» riprese Lily.

«Da morire» rispose lui all'istante, gli occhi nocciola spalancati come a ricordare vicende infernali.
«Intendo con una ragazza, Potter, non con te, Peter e Remus...
»
«Ah. Non... non lo so» si ritrovò a dire James, sconvolto dalla scoperta di avere una lacuna a riguardo.
«Ecco, vedi? Non sai come potrebbe reagire» stava continuando a dire lei soddisfatta di se stessa anche se visibilmente preoccupata.
«Non è mai stato geloso di una ragazza» si giustificò lui quasi più a se stesso che a Lily.
Ed era vero che Sirius non era mai stato geloso di una ragazza anche se James non faticò ad immaginarlo pericolosamente geloso di Liv adesso che le cose tra loro si erano fatte sicuramente più profonde perchè, ripensandoci, certi atteggiamenti che aveva notato sul suo migliore amico gli erano apparsi strani.
Come tutte le volte che qualcuno, negli anni, le si era avvicinato o quella battuta di mesi prima su due tizi, un Romeo e una certa Giannetta sicuramente babbani, davanti a Stevens negli spogliatoi. E gli sguardi tipicamente analizzatori che le aveva lanciato dopo.
E quando a lezione di Difesa l’aveva fissata come un assassino mentre parlava con Ned o a tavola in Sala Grande quando sempre Ned l’aveva salutata con un buffetto. E alla festa di Lumacorno, quando era stato lui a fargli notare Stevens parlare con Liv.
Senza dimenticare lo straccio sporco di grasso che gli era arrivato addosso dopo il bacio sulla guancia.
Sirius era pericolosamente geloso di Liv come lo era di lui, di Remus, di Peter. No, forse anche di più.
Improvvisamente, James capì cosa volesse intendere Lily.
Proseguirono a camminare in uno strano silenzio riflessivo per niente imbarazzante e quando arrivarono sull’altra sponda del Tamigi, James riprese a parlare all’improvviso scendendo i gradini.
«Non possiamo essere pessimisti in guerra, nemmeno per cose leggere come una coppia di amici. Soprattutto per le cose leggere e belle come una coppia di amici».
Lily lo guardò con occhi attenti, colpiti.
«Chi è pessimista cade per forza di cose. È come il Quidditch» spiegò lui fermandosi con indecisione tra una panchina sotto un albero spoglio ma illuminato di luci natalizie e il basso muro che si affacciava sulla sponda del fiume.
«Parla il Capitano che non ha mai buttato a terra la sua squadra alla vigilia di una partita» lo canzonò con sarcasmo Lily scegliendo il muretto.
«È qui che ti sbagli» la contraddì James, seguendola. «Con il pessimismo si liberano le paure, Lily, quelle che nessuno dei giocatori ammette... a parte Carter» aggiunse per ultimo in un mugolio sconsolato nei confronti del suo battitore non proprio un leone.
La piccola risata di Lily gli fece dilatare leggermente gli occhi nocciola dietro gli occhiali.
«Ma dopo che li hai liberati dalla paura è lì che si deve ficcare l’ottimismo, anche se non c’è nessuna ragione per farlo. Esempio? “La mano della squadra è esattamente in questa situazione... nella merda. Noi siamo così”. Ma, e sottolineo il ma»- e fece una pausa ricca di suspence facendo arcuare un sopracciglio interrogativo a Lily-«“Possiamo farcela anche se alla partita manca poco. Con il Quidditch tutto è possibile. Non siamo irrecuperabili, esiste una soluzione: allenarci” “Vinceremo. Elimineremo i Tassorosso. Abbiamo il quidditch nel sangue! Nessuno potrà batterci!”».
Lily non seppe come reagire. Fissò James senza scegliere una particolare espressione tra quelle che le vennero in mente.
Perchè lui aveva sempre agito così, lei era testimone grazie alle lamentele di Liv sulla “lunaticità di Potter “ dopo ogni allenamento.
Da questo discorso entusiasta e sprizzante ottimismo da tutti i pori si poteva ben intendere che James pensava da sempre in questo modo che- fu costretta ad ammettere- era bello.
James, il carisma di James, era qualcosa di così luminoso e potente da sentirlo adddosso. Lo emanava da ogni parte del corpo scattante (quasi schizzato), dagli occhi costantemente accesi, dalla bocca sempre pronta a curvarsi verso l’alto, perfino dagli occhiali sempre in bilico sul naso ma mai a terra. E soprattutto dai capelli che stavano fieramente dritti anche con la pioggia.
La cosa che Lily Evans scoprì in quel preciso momento fu che James Potter non era un leader semplicemente dentro il campo di Quidditch.
«Io non sono pessimista, Potter» si sentì di rimarcare, altera. «So che è possibile riuscire a rendere questo mondo migliore, lo so, altrimenti non avrei deciso di far parte dell’Ordine di Silente».
James annuì piano aspettando il “ma” che arrivò subito dopo.
«Ma...» iniziò Lily fermandosi per prendere un profondo respiro come se si stesse per liberare di un peso che l’attanagliava da tempo.
James cercò il suo sguardo, incoraggiandola a parlare.
«Noi non abbiamo ancora vinto una volta. Non siamo riusciti a parlare con Bones e McKinnon a Hogsmeade perchè ci sono scappati sotto al naso. Non abbiamo scoperto di più sull’Ordine e non sappiamo perchè Piton era a conoscenza del piano per uccidere il padre di Liv. Non abbiamo capito chi l’ha ucciso e scucire delle informazioni a Dedalus Lux al Paiolo Magico credi sarà più facile? Per non parlare dello spionaggio a Nocturn Alley». Si era liberata come un fiume in piena senza nemmeno rendersene conto, gesticolando e lasciando che i suoi lineamenti prendessero le sfumature delle mille emozioni che James aveva osservato in perfetto silenzio prima di intervenire.
«Ma siamo ancora in piedi, no? È questo che conta, Lily» esordì non riuscendo a distogliere lo sguardo da quegli occhi a mandorla maledettamente verdi, belli e più profondi del solito. «Non siamo ancora riusciti a vincere una missione ma ne abbiamo altre due. C’è sempre speranza fino a quando respiri, anche un secondo prima di morire può fare la differenza. Sarà un esempio stupido, in confronto, ma abbiamo vinto contro i Tassorosso grazie al secondo che ho impiegato per lanciare la pluffa mentre Stevens prendeva il boccino. Eravamo spacciati un secondo prima, sembrava la fine».
Lily restò impassibile ma internamente scossa non soltanto per quelle parole ma per il modo con cui James le aveva dette.
In quel racconto della sua “eroica impresa da Grande Cacciatore” non c’era stato un filo di borioso compiacimento, di egocentrica vanità.
«Ti sei rotto una spalla, il secondo dopo» gli ricordò in tono piatto.
«Ma abbiamo vinto, il secondo dopo» le ammiccò in risposta James trovando il suo solito piglio.
E Lily, ancora una volta, rimase impietrita per qualche attimo.
«C’è qualcosa di più grande, forte, migliore e spietato di tutti noi, Ned Stevens compreso» continuò ad obiettare, forse per puro spirito polemico che davanti a Potter dava il meglio di sè .
«C’è qualcosa di più grande, è vero» ammise James, un cipiglio improvviso ad incupirgli lo sguardo «più grande e più forte ma non migliore».
Gli occhi verdi si allargarono, impercettibilmente.
«La guerra, il razzismo e l’odio non sono migliori della pace, dell’uguaglianza e dell’amore, Lily. Non sono migliori di Silente e di tutti noi che vogliamo combatterli. Niente, non c’è niente migliore di noi. E i migliori vincono sempre, prima o poi, questo posso assicurartelo».
Totalmente spiazzata, lei sbattè più volte le palpebre incapace di proferire parola.
«Devo di nuovo tirare in ballo la nostra vittoria contro Tassorosso? Ti prego, Evans, non farmelo fare» si lagnò fintamente dispiaciuto passandosi una mano tra i capelli.
Lily sollevò un sopracciglio, ilare come l’angolo delle labbra tremanti per il trattenere la risata che le uscì poco dopo arricciando il naso e socchiudendo gli occhi.
James si bloccò, disorientato da quel suono. Sfilò lentamente la mano dai capelli guardandola spostare lo sguardo ridente lontano da loro, tamburellando con indifferenza le dita guantate sul bicchiere e la bustina ancora tra le mani.
«Non hai ancora bevuto e mangiato, si saranno raffreddati» le fece notare indicandolo con un cenno del mento.
Tirò fuori la bacchetta di mogano dalla tasca del cappotto per puntarla con discrezione verso il bicchiere che si scaldò di nuovo.
Lily s’irrigidì a quel gesto, ricevendo un altro colpo basso dal suo orgoglio.
Come se niente fosse prese un lungo sorso dal bicchiere aprendo contemporaneamente la busta restando però piuttosto sorpresa. Una sorpresa che stavolta non riuscì a camuffare perchè nel suo bicchiere c’era del caffè con una punta di cacao e nella carta un profumatissimo muffin al caramello, il dolce di cui andava pazza, quello che mangiava ogni mattina in Sala Grande o a merenda in Sala Comune e perfino in biblioteca.
Sollevò gli occhi colpiti su James trovandolo ad ammirare la sponda del fiume, e fu in quel momento che Lily si accorse del paesaggio attorno a loro, di quanto fossero mozzafiato il Palazzo del Parlamento e la Torre dell’Orologio illuminati d’oro come una maestosa vetrina di una costosa gioielleria, di quanto fosse suggestiva l’acqua del Tamigi brillante per quelle luci riflesse, di quanto fosse soffusa la luce data dai fili punteggiati di  piccole lampadine appese come ghirlande tra un lampione e l’altro lungo il muro sul quale erano poggiati, di quanto tutto quello aveva scintillato per tutto il tempo sulle lenti degli occhiali rotondi davanti a lei che non se n’era nemmeno accorta perchè si era vista negli occhi nocciola dietro le lenti.
E fu in quel momento che Lily si accorse di quanto tutto quello facesse pensare ad un vero e tangibile punto d’incontro tra lei e James come quel caffè al cacao che gli scaldava con familiarità la gola e il goloso caramello del muffin a riempirla di felicità.
Lo sconcerto e il panico per quell'assurda sensazione che sapeva esistesse e che prima o poi avrebbe dovuto affrontare gli arrivarono dritti negli occhi verdi spalancati.
«Sarà meglio andare, non mi sento più i piedi» esordì allontanandosi da James per dirigersi di nuovo verso il ponte e raggiungere così la più vicina stazione metropolitana che li avrebbe portati nella zona nord di Londra, nel quartiere St John's Wood dove stavano l’appartamento di Sirius e la vecchia casa di Liv. James sembrò del suo stesso parere.
 
 
 


 
*
 
 
 
 
 
 
 
«Sbrigati, deficiente
«Un attimo, cretina
«Bisognerebbe rivedere quella leggenda metropolitana delle donne che stanno ore in bagno, Black, o sei una donna?»
«Ma se da quando ci sei tu ho visto questa stanza due volte!»
«Certo che ne spari di cazzate»
«Senti chi parla!»
James e Lily restarono bloccati all’ingresso dell’appartamento, pietrificati dalle grida dei due coinquilini esattamente come Peter, traumatizzato sul divano.
“Questa sarebbe la nuova coppia perfetta?!” l’occhiata di Lily non si poteva interpretare diversamente e James, tramortito, non ebbe nulla da obiettare.
«Se non esci immediatamente da lì sfondo la porta, Black, posso farlo»
«Lo so benissimo»
La voce divertita di Sirius fu accompagnata dal cigolare della porta che si aprì nel piccolo andito facendo comparire il ragazzo con indosso soltanto dei boxer scuri, i lunghi capelli neri gocciolanti davanti al viso.
Liv restò un attimo interdetta davanti a quelle spalle larghe, il petto definito, le braccia abbastanza muscolose, i fianchi stretti e dritti.
«Contenta?!» la provocò Sirius in un malizioso sorriso aperto allargando le braccia per farsi ammirare meglio.
«Una pasqua» rispose lei, sarcastica, tentando di riprendere il controllo concentrandosi sul suo volto, ignorando gli addominali scolpiti.
«Era questo che volevi, presumo»
«Esattamente, avere il bagno libero» ribattè Liv e in soggiorno tutti percepirono i toni di quei due farsi decisamente più divertiti, quasi complici.
L’occhiata di Lily cambiò repentinamente diventando incredula, così come l’espressione di James che si distese in un largo sorriso sornione.
«Nella mia immaginazione però c’era molto più sangue e un coltello dalle parti del tuo stomaco» aggiunse Liv indugiando con lo sguardo sul corpo incredibilmente perfetto di Sirius prima di passargli accanto per entrare in bagno.
Sulle labbra del ragazzo, diretto in salotto, spuntò un mezzo sorriso che James si prese la libertà mentale di giudicare “fottuto” mentre Lily, rossa d’imbarazzo, marciava spedita verso il bagno ignorando volutamente la quasi totale nudità di Sirius che la salutò, disinvolto.
«Buonasera anche a te, Evans».
«Liv» esordì la rossa chiudendosi la porta alle spalle. Trovò l’amica china davanti alla lavatrice.
«Com’è andato l’appuntamento con James?» chiese quella senza smettere di svuotare tranquillamente il cestello sentendo la voce del suo Capitano dire a Sirius e Peter di essere appena arrivato con l’amica.
«Cosa?» pigolò Lily indietreggiando come se avesse appena preso uno schiaffo in piena faccia.
«Me l’ha detto. È venuto qui a cambiare due Galeoni con le Sterline per compare chissà cosa “A Lily, perchè dobbiamo vederci”. Gli ho dato dell’ubriaco ma glieli ho cambiati lo stesso» spiegò Liv agguantando il cesto colmo di bucato pulito ed alzandosi, guardandola con un sorriso particolarmente curioso. «Quindi ci sei andata davvero? O si è inventato tutto?» domandò passandole accanto, gli occhi scuri indagatori ma accesi da una punta di luce divertita.
Lily la guardò di traverso, oltraggiata, seguendola fuori dal bagno e poi nella sua stanza.
«Non era un appuntamento» si affrettò a spiegare con il tono più neutro e piatto del suo repertorio «Noi...»
«Voi?» l’incitò Liv poggiando il cesto sul letto per cominciare ad asciugare con la bacchetta ogni indumento.
«Noi ci siamo visti per parlare di una cosa, Liv, una cosa che riguarda te e Black» rispose schiettamente prendendo il coltello dalla parte del manico.
Liv le lanciò un furtivo sguardo perplesso da sopra la maglia lilla del pigiama. «Cioè?» indagò senza far trasparire nessuna emozione.
Lily sospirò, frustrata.
«Andiamo, Liv, stai offendendo la parte di me che crede di essere la tua migliore amica»
«Non riesco nemmeno ad immaginare cosa vorresti sentirti dire, Lily»
Il sopracciglio di Lily si sollevò esattamente come ogni volta che l’amica la capiva prima ancora di se stessa e Liv decise che fingere oltre sarebbe stato ridicolo.
Sbuffò, frenata dalla solita abitudine di tenere ogni cosa dentro, ma parlò come soltanto con Lily riusciva a fare.
 «È che...» cominciò, serissima e stanca, gettando di malagrazia la maglia asciutta sul letto. «Sto eliminando tutto quello che mi fa perdere tempo, che non mi serve, tutte le cose superficiali che in questo periodo ho capito di non volere attorno».
Gli occhi verdi di Lily, ben aperti e vigili, erano colmi di comprensione per quella sua saggia scelta. «E?» la esortò dolcemente a continuare sentendo un caldo moto d’orgoglio per quella ragazza meravigliosamente cresciuta davanti a lei.
«E credo che Black non faccia parte di quella lista nera» ammise Liv in tutta sincerità e con un piccola smorfia divertita per il gioco di parole.
Andò verso l’armadio posando della biancheria pulita dentro un cassetto aperto sotto lo sguardo di Lily, sorpreso per quella rivelazione che trovava riscontro in quel semplice gesto.
Il fatto che Liv stesse conservando i suoi indumenti dentro quell’armadio voleva significare mille cose. Significava che si stava abituando a stare lì, che sentiva suo quel posto, che si fidava di Black e che le parole di James forse erano vere.
«”Credi” che non faccia parte della lista nera?» tenne a sondare la situazione più nel dettaglio Lily.
«Sì, non so fino a che punto posso esserne sicura» rispose Liv nel suo tipico tono cinico che l’aveva da sempre contraddistinta.
Lily annuì, vedendola raggiungere di nuovo il letto. Frenò l’impulso di dirle quello che James le aveva chiesto di non dirle.
«Vorresti esserne sicura?» si limitò a chiederle, vaga, avvicinandosi al comodino.
A quella domanda, Liv si lasciò andare ad uno sbuffo divertito sotto il suo sguardo attento.
«Non si può mai essere sicuri di Sirius Black, Lily, lo sanno tutti» rispose pescando di nuovo dal cesto del bucato.
«Ma tu vorresti? Vorresti essere sicura di lui?» insistette Lily.
Liv restò a guardarla immobile e decisamente spiazzata, le famose coulotte con le ciliegie in una mano e la bacchetta di Sirius nell’altra.
«Non lo so» si ritrovò a dire socchiudendo i grandi occhi scuri. «Immagino di sì» rivelò senza un filo d’imbarazzo come Lily la vedeva sempre quando era decisa e sicura. La incitò a spiegarsi con un‘occhiata esitante.
«É interessante» rispose semplicemente lei, consapevole che a Lily quell’aggettivo sarebbe bastato.
E così fu. Negli occhi verdi di Lily si accese una luce e le labbra si addolcirono, piegandosi lievemente verso l’alto perchè “Interessante” per Liv- oltre ad essere una parola rara da sentirle quando parlava di ragazzi- significava che la incuriosiva, che la sorprendeva, che la faceva sentire bene, che aveva buonissime possibilità di renderla felice.
«Allora non fa decisamente parte della lista nera» constatò osservando l’amica mordicchiarsi distrattamente il labbro inferiore, combattuta, come se stesse trattenendo tutta l’impulsività e la voglia di buttarsi per colpa di qualcosa che Lily conosceva benissimo.
Quello che bloccava Liv faceva parte della vecchia Liv, era l’orgoglio che quella bambina aveva sempre avuto anche prima di Hogwarts e che con Black si era gonfiato a dismisura.
Era la stessa Liv rimasta confusa da Sirius che si avvicinava a lei e poi scappava come spaventato appena sembrava fare sul serio; la Liv disgustata dall'attenzione scostante di Black con le altre ragazze e che per questo aveva smesso di essere attratta da lui.
«Che hai detto a Mary ieri mattina?» continuò Lily in tono premuroso.
Liv fermò i bianchi e dritti incisivi, un bagliore a scaldarle lo sguardo pensieroso ma determinato.
«Anche tu non devi lasciarti sfuggire la felicità, Liv, soprattutto adesso».
Lei abbozzò un sorriso e Lily fece lo stesso, incoraggiante, prima di darle le spalle.
«E io faccio parte della tua lista nera?» scherzò sfilandosi i guanti di lana e chinandosi sul comodino per prendere il tubetto della crema corpo all'iris dell’amica con l’intenzione di trovare sollievo dai geloni.
«Dipende» rise Liv mentre Lily si massaggiava le dita intensamente profumate scrutando con attenzione il comodino.
Anche quello appariva come un mobile vissuto e non quello di una casa abbandonata. La crema profumata che stava usando, una tazza vuota da dove fuoriusciva una bustina di tè usata, la sveglia, il balsamo labbra e degli elastici per capelli: sembrava quasi di vedere il comodino di Liv nella torre dei Grifondoro.
«Dipende da cosa?» sbottò con oltraggio puntandole addosso il volto ironicamente minaccioso per quell’affronto alla loro sorellanza.
«Dipende se sarai onesta o no con me» spiegò mellifluamente Liv. «Sei stata bene con James oggi
«No» tagliò corto Lily non dando nemmeno il tempo alla coscienza di farsi quella domanda.
 Liv arcuò un sopracciglio, scettica.
«Ha fatto davvero così schifo?» le chiese scrutando con incredulità la smorfia addolorata sul viso di Lily che si strinse nelle spalle borbottando  “Schifo no” come se la stesse rimproverando di aver esagerato sul serio.
«Cos’ha la tua faccia allora?» disse Liv analizzandola meglio mentre sospirava, sollevando gli occhi verdi al soffitto.
«Mi sento in colpa, Liv» ammise Lily lasciandola confusa.
«Per quale assurdo motivo?»
«Per John»
«Mica l’hai tradito!» rise Liv riprendendo ad asciugare le coulotte per poi fermarsi di botto, risollevando lo sguardo sconcertato sull’amica.
«Hai baciato James?»
«Ma ti pare?!» la freddò Lily facendole capire con uno sguardo che quell’ipotesi non se la sarebbe dovuta nemmeno immaginare.
«E allora perchè mai dovresti sentirti in colpa?» le chiese Liv non capendo assolutamente il problema.
«Perchè con John non ho mai parlato come ho parlato oggi con James» soffiò di tirato Lily mostrando quasi sofferenza fisica nel dirlo. Negli occhi scuri e impercettibilmente dilatati di Liv cambiò qualcosa. Restò immobile a fissare la sua migliore amica, un piccolo sorriso sulle labbra spuntato al nome di James.
«Insomma, a John non posso parlargli così, lui non sa dell’Ordine!» continuò Lily infervorandosi.
«Avete parlato dell’Ordine?» la fermò Liv senza abbassare il sorriso.
«Sì, ed è stato...»
«Bello?»
Lily non confermò ma il suo sguardo anche se spaesato era limpido, brillante.
«Avevo bisogno di farlo e James...»- James l’aveva ascoltata, l’aveva rassicurata con quei suoi modi spontanei che usava sempre più spesso-«Mi sono sfogata, ecco».
Il sorriso di Liv si aprì. James era una persona meravigliosa ed era certa che Lily stesse cominciando a vederla.
Ne era felice, non soltanto per James che era innamorato di lei, ma anche per la sua amica che con John non era mai stata sinceramente felice anche se tutte le volte che gliel’aveva fatto notare l’anno precedente, lei aveva testardamente risposto il contrario.
Continuando a vedere Lily seriamente angosciata, però, si sentì in dovere di fare qualcosa.
«Perchè non dici a John dell’Ordine?»
«Perchè no, Liv. Perchè non... non lo so» mormorò Lily con occhi vibranti, aggrappati a quelli dell’amica.
«Non ti fidi di lui?» le chiese Liv assottigliando lo sguardo attento.
«Certo che mi fido di lui. Non parla mai della guerra ma non è un futuro Mangiamorte» rispose con forza lei, sincera, oscurandosi l’istante dopo. Liv non ebbe alcun bisogno di sentirsi dire il nome di Piton che le stava sicuramente aleggiando in mente come un fantasma.
«Ma non lo sento così vicino da confidargli un tale segreto» riprese Lily, incerta «un segreto che coinvolge diverse persone che rischiano di morire ogni giorno, un segreto non solo mio che dovrò portarmi dentro anche fuori da Hogwarts chissà per quanto». Finì la confessione accorgendosi con smarrimento di una sottile insinuazione velata tra le sue stesse parole che Liv, decisamente colpita, doveva aver colto.
«Lily Evans, stai pensando di mollare John?!»
«No!» esclamò lei, confusa.
«Stai pensando di lasciarlo in futuro?» si corresse Liv e davanti al mutismo e all’espressione di pietra dell’amica capì di aver fatto centro, come sempre quando si trattava di lei.
Lily continuò a non rispondere. Voleva molto bene a Jhon, le era legata da tempo, ma il futuro con lui era incerto, non riusciva a vederlo. Parlare a John dell’Ordine significava presupporre di stare con lui fino a quando la guerra non sarebbe finita. E chissà quando sarebbe finita.
La cosa la metteva incredibilmente a disagio senza nemmeno sapere il perchè.
«Ok, pensiamo al presente» spezzò il silenzio Liv e Lily gliene fu immensamente grata, almeno fino a al secondo dopo.
«Sei uscita con James Potter»
«Non sono uscita con James Potter»
«Sì che l’hai fatto»
«Ho attraversato il ponte di Westminster con James Potter ed altre centinaia di persone. Non sono uscita con James Potter»
Lily sorrise vittoriosa per aver zittito l’amica che scosse la testa, ridente come lei, sfilandosi l’elastico per capelli da un polso e farsi velocemente un’alta ed ordinata coda prima di riavvicinarsi all’armadio e ricominciare il suo lavoro.
«Oh, no» la sentì dire, raggelata, aprendo il primo cassetto.
«Cosa?» le chiese Lily sdraiandosi sul letto e rimanendone sorpresa dalla comodità.
«BLACK!». L’urlo severo dell’amica la fece sussultare e mettere seduta sul materasso con uno scatto, i lunghi capelli rossi in faccia.
Vedere Liv percorrere a grandi falcate sicure la stanza ed uscire in corridoio con sguardo assassino le fece provare un centinaio di deja vu. La seguì, mesta, trovandola impettita a due passi da Black non più mezzo nudo vicino al divano dove James e Peter sembravano godersi la scena come al cinema.
«Dammelo» ordinò Liv, forte e decisa.
«Olivia, ti sembra una richiesta da fare qui, davanti a tutti?» fece Sirius, malizioso, scatenando sommesse risate nei pressi del divano.
Liv restò irremovibile nel suo fermo contegno, gli occhi scuri duri e determinati che Sirius non riuscì a smettere di fissare dall'alto dei suoi venti centimetri in più di lei.
«Il reggiseno nero» specificò Liv freddamente per smontare ogni sorta di ambiguità tipicamente da Sirius Black.
«Dammelo»
«Quale reggiseno nero?»
«Quello che hai già tentato di rubare stamattina mentre svuotavo il baule per fare la lavatrice»
«Ah, quello» fece Sirius allargando il sorriso malizioso fingendo di aver capito soltanto in quel momento. «A che ti serve quel succinto reggiseno in pizzo? Sei single, la lingerie molto sexy ed elegante deve essere vista da qualcuno»
«Che t’importa di come e quando potrei usarlo? Potrebbe anche essere il mio abituale intimo dei giorni di festa»
«Non l’hai mai usato, ha ancora l’etichetta. E quella stoffa lascia ben poco all’immaginazione che tra parentesi dovrebbe essere quella della persona che ti porti a letto non del pigiama ‘’festivo’’. I pigiami non hanno occhi, cervello e nemmeno qualcos’altro, non so se mi spiego...»
«Scusate un attimo» s’intromise Lily, indagatrice nei confronti del furto e guardinga per quelle due figure davanti a lei che sembravano protendersi l’uno verso l’altra e cercarsi fisicamente a vicenda in modo spudorato.
«State parlando del reggiseno che penso io?»
«Sì» le rispose Liv senza distogliere lo sguardo fiammeggiante da Sirius.
Lily spalancò gli occhi verdi, gonfiandosi.
«Black, quel reggiseno fa parte di un completino  che a me e Mary è costato la bellezza di quasi cento sterline!» fece sapere, decisamente furente, ignorando i commenti e i fischi ammirati dal divano.
Liv la guardò, stupita a sua volta, impressionata non poco dalla scoperta del prezzo esorbitante di quel regalo dell’anno precedente che aveva sempre pensato fosse una presa in giro per il suo quinto mese di uscite con il Grifondoro Charlie Wood, record assoluto dopo William e la fattura agli occhi, Tyler McLaggen e gli altri vari rifiutati.
«Vedi di farlo spuntare davanti ai miei occhi, ora!» ordinò Lily avvicinandosi minacciosa a Sirius che però sembrava non aver sentito una parola.
«Esiste l’intero completino?» chiese piuttosto interessato, gli occhi grigi accesi dal desiderio e catturati di nuovo dallo sguardo intenso di Liv che voltandogli le spalle con decisione partì spedita verso la camera del ragazzo.
«Lo troverò, a costo di rivoltare questo porcile!» gridò, rabbiosa, e il fracasso che seguì quelle parole fece intendere quanto stesse dicendo sul serio.
L’occhiata pressante da esattore delle tasse di Lily non lo intaccò minimamente, troppo preso com’era a divorare  con occhi avidi la figura slanciata di Liv fare agilmente avanti ed indietro in camera sua.
La voglia di baciarla con trasporto lo stava consumando, le fantasie insinuate dal raffinato e sensuale reggiseno nero si stavano ampliando con l’informazione di Evans facendogli vedere Liv sotto un aspetto interamente provocante colmandolo di emozioni e sensazioni intense e tentatrici.
James, alzandosi dal divano nello stesso momento in cui Lily raggiunse l’amica, si avvicinò a Sirius contemplando con silenziosa ironia il suo sguardo malizioso ancora fisso sulla porta aperta della stanza in fondo.
«Cosa stai aspettando a baciarla?» esordì in un sorrisino compiaciuto facendolo sussultare.
«Sì, fai il finto tonto come se non fossi quello che conosce anche la forma delle tue budella» infierì sarcasticamente James scrutando le iridi grigie sbarrate e falsamente innocenti.
«Sei fottutamente disgustoso, Ramoso» sbottò Sirius accartocciandosi in una smorfia nauseata.
«Dimmi un po’... è diversa dalle altre?»
«La finisci con queste domande da imbecilli sfigati?»
James sorrise. Lo conosceva così bene da non aver bisogno di parlare per capirlo.
«Sirius Black» pronunciò in tono e sguardo solenni battendo rudemente una mano sulla spalla dell’amico che imprecò di dolore sentendo le dita ossute dell’amico stringere. «Puoi baciare la ragazza».
Calò uno strano silenzio- a parte la risatina di Peter dal divano- e Sirius, immobile, sbattè lentamente le palpebre continuando a guardare l’amico con fare impassibile.
«Ecco» esclamò allegramente James dandogli altre pacche vigorose «Hai avuto la benedizione del suo Capitano e pure la mia». Ammiccò, complice.
 «Quando mai ho avuto bisogno della tua benedizione per baciare qualcuna, James?» commentò senza il minimo entusiasmo Sirius.
«Mai, infatti, perchè Liv è la prima alla quale tengo» spiegò James diventando stranamente serio, cosa che colpì non poco l’amico. «E anche perchè è la prima che non ha ancora ricevuto un bacio dopo mesi in tua presenza ravvicinata. Mi spieghi quando avrei potuto darti la mia benedizione per le altre se il tuo record di primo bacio è sempre stato di un secondo e mezzo dopo “Piacere, Sirius Black”?».
Peter rise ancora, più forte, mentre James e Sirius si scambiavano furtivamente silenziosi sguardi: il primo raggiante, il secondo guardingo.
«Che fine ha fatto la Protezione Giocatrici Appetibili?»
«Ce n’è bisogno?» chiese James sollevando un sopracciglio «Voglio dire, c’è la possibilità che tu stia giocando con lei?».
Il tono serio dell’amico era molto simile a quello della sua coscienza ma Sirius decise comunque di mostrare il contrario.
«Quante altre possibilità con le ragazze conosci su di me?» ghignò, per nulla convincente. Il sopracciglio nero sopra la montatura rotonda infatti restò nella sua scettica posizione.
«Allora non capisco perchè ci stai mettendo così tanto» lo stuzzicò James fintamente confuso.
Perfino Peter capì che qualcosa, nella situazione, non quadrava.
Sirius lo guardò, capendo benissimo dove voleva andare a parare.
«Perchè devo essere io, scusa, il primo a baciare?» cercò di sviarlo con una stupida scusa, Sirius.
«Forse perchè Liv non ti salterà mai al collo?» lo illuminò James prima di rivolgersi candidamente all’amico appollaiato sulla spalliera del divano.
«Pete! Il signorino, qui, ha trovato pane per i suoi denti»
«Piantala» lo gelò Sirius piuttosto irritato.
James tornò a guardarlo, quasi compassionevole. Non l’aveva mai visto così andare così cauto con una ragazza e la faccia di Peter sembrava dire lo stesso.
«Muoviti a fare qualcosa, oltre che non saltarti al collo ha anche parecchie api che le ronzano attorno, non so se te ne sei accorto» gli consigliò James in tutta onestà. «Una in particolare» aggiunse alludendo al giallo-nero Ned Stevens.
Sorrise soddisfatto accogliendo in pieno una tetra occhiata in cagnesco. Proprio per quella reazione scontrosa, James capì di essere riuscito a toccare il solito punto nevralgico del suo migliore amico: le emozioni, sempre ben difese.
Fece cadere l’argomento lasciandolo nel suo solito brodo, un torbido brodo in cui Sirius sguazzò anche nei giorni seguenti.
Aveva pensato di baciarla ritrovandosi a guardarla fare colazione davanti a lui con il bel viso deliziosamente imbronciato dal sonno e i capelli spettinati dal cuscino, le sue morbide onde naturali, come aveva deciso di tenerli dalla partenza della madre; aveva pensato di farlo mentre avevano cucinato una frittata finita poi sul soffitto dopo una gara di “spadellamento”; mentre alle tre della notte, dopo il fracasso che l’aveva svegliato, l’aveva trovata sul pavimento del piccolo andito ricoperta di tisana alla Verbena e cocci di ceramica dopo essere inciampata mentre tentava di rientrare in camera come una volpe silenziosa per non svegliarlo; Mentre erano rimasti ad ascoltare mezza collezione musicale per un pomeriggio intero in un silenzio per niente imbarazzante, spezzato ogni tanto da strofe canticchiate all’unisono o che si susseguivano a vicenda; Mentre avevano fatto impazzire di vergogna la vicina rispondendo ai suoi colpi sul muro con altre botte ed espliciti versi poco casti in una chiara imitazione di un rapporto sessuale; mentre avevano litigato in mezzo alla schiuma in bagno, dandosi la colpa a vicenda per l’oblò della lavatrice lasciato sbadatamente aperto.
Ci pensava- di baciarla con foga- ogni volta che s’infuriava, ogni volta che si raccoglieva i lunghi capelli scuri in un’alta e liscia coda di cavallo lasciando scoperto il collo e il neo dietro l'orecchio, ogni volta che le sue fossette sui lombi spuntavano da sotto le magliette catturando il suo sguardo, e – dolcemente e lentamente – tutte le volte che si oscurava perdendosi tra i suoi pensieri e il suo dolore, che diceva di stare bene raddrizzando subito dopo la schiena, le volte che sorrideva debolmente, che lo guardava con discrezione da lontano quando c’erano gli altri.
Eppure non lo faceva mai, proprio per quel dolore che la stava mangiando dentro e che forse lei stava cercando d'ignorare. L'aveva salvata dalla perdizione del non sapere più chi fosse senza suo padre e senza una casa, l'aveva riaccesa in mezzo agli sguardi colmi di pietà di tutti, e quegli occhi marroni sembravano ringraziarlo ogni giorno per quel motivo; Sirius non voleva intaccare qualcosa di così instabile, qualcosa che era riuscito a portare in salvo e che aveva bisogno di cure e protezione.
Non voleva nemmeno rovinare quella convivenza che gli aveva cambiato la routine e lo aveva sconvolto in ogni modo, per non rovinare quella sublime tensione, un qualcosa che continuava a rendere la voce della sua coscienza tremendamente seria, quel qualcosa di veramente intenso tra loro che prometteva tanto, forse troppo facendogli esplodere lo stomaco al solo pensiero, ma che nessuno dei due aveva esplicitamente dichiarato.
E nonostante la bruciante voglia di scoprire fin dove avrebbe potuto spingerli, Sirius temporeggiava con sofferenza anche per questo, per avere più conferme da lei che lo stava facendo impazzire tenendogli testa, mostrandosi totalmente interessata un minuto prima e scostante quello dopo, facendogli capire che forse Olivia non era pronta e andava bene così, provava il totale rispetto per lei, per il dolore immenso che aveva dentro e che sperava un giorno di poter portare addosso al suo posto.
I tizi come Ned Stevens, invece, non erano nemmeno lontanamente in grado di mettergli paura. La parola “rivale” Sirius non sapeva nemmeno cosa significasse.





 
**
 
 
 
 
 
Qualcosa cambiò il pomeriggio del trentuno, quando uscirono a fare la spesa necessaria alla cena tra amici che avevano deciso di invitare per festeggiare in tutta tranquillità l’anno nuovo dopo le varie tragedie.
Camminando per la traversa che collegava la loro Abbey Road alla più commerciale e trafficata Finchley Road, Sirius sentì un vago fastidio farsi strada in lui notando che i ragazzi guardavano Liv spudoratamente. Ignari ragazzi babbani che non la conoscevano come quelli di Hogwarts, terrorizzati dalla sua bacchetta.  
«Hai scelto di abitare in questa zona per i Beatles, gli Abbey Road Studios e per diventare vicino di casa di Paul McCartney?»
«E me lo chiedi pure, Olivia?».
Liv rise sommessamente continuando a camminare decisa al suo fianco, Sirius rallentò leggermente per stare al suo passo, la coda di capelli scuri ad ondeggiare elegantemente per aria sprigionando il profumo fiorito di cui lui si stava segretamente beando.
«Quindi non devo nemmeno chiederti se hai fatto la classica foto sulle strisce pedonali?»
Sirius voltò la testa per guardarla, un sorriso compiaciuto sulle labbra.
«É la prima cosa che abbiamo fatto, quest’estate, quando siamo venuti per il trasloco. Gli scatoloni sul marciapiede e noi lì, in mezzo alla strada» rispose ammirandola ridere.
Liv non ebbe bisogno di chiedergli a chi si stesse riferendo con quel noi e Sirius ne fu piacevolmente colpito. Non dover spiegare il legame che aveva con i Malandrini significava avere davanti una persona che li riconosceva come famiglia, quella che si era scelto.
«Chi ha fatto la foto se voi siete quattro?» domandò Liv osservandolo di sottecchi.
«Uno dei tanti babbani con una polaroid che sostavano lì. Non eravamo gli unici a bloccare il traffico» raccontò Sirius facendo spallucce portandosi indietro i capelli neri scivolati davanti al viso.
«Chi ha avuto l'onore di impersonificare John Lennon?» chiese teatralmente lei, divertita.
«James, con la scusa degli occhiali...»
Liv rise per la voce vagamente indispettita di Sirius.
«Io ho fatto Paul. Remus e Peter all’idea di togliersi le scarpe e camminare scalzi sull’asfalto hanno quasi vomitato»
«Ti sei tolto le scarpe?!» esclamò Liv guardandolo stupita.
La curva della labbra di Sirius si sollevò da un lato mentre le rivolgeva un’occhiata furtiva  decisamente malandrina.
«Una cosa la si fa bene oppure non la si fa per niente, Olivia. La foto doveva essere identica all’originale» spiegò tuffando le mani nelle tasche dei pantaloni neri.
Liv continuò ad osservarlo, avvicinando le sopracciglia scure in un’espressione incredula ma piuttosto esilarata.
«Voglio vedere questa istantanea per dire se è identica o no all’originale» gli disse, spavalda.
Sirius rise scoccandole un altezzoso e divertito sguardo sfuggente.
«Dubiti delle nostre capacità?»
«Dalla tua pazzia non esce mai nulla di buono, Black»
«È merito dei miei piedi scalzi se quella foto è dannatamente perfetta» replicò lui e senza nemmeno guardarla capì che stava sorridendo, dandogli mentalmente ragione.
Nonostante la stimolante complicità, l’inebriante profumo e la presenza magnetica di Liv al suo fianco, Sirius non riuscì a smettere di far caso al sordo fastidio pungente dato dalle occhiate maschili anche nell’affollata ed ampia Finchley Road.
Superarono una fila di negozi addobbati con ghirlande e luci di Natale fermandosi davanti al primo supermercato, il furtivo sguardo grigio a dardeggiare in ogni direzione.
«Che c’è?» gli chiese Liv, stranita, notando l’improvvisa ombrosità del ragazzo che lanciò un’ultima occhiata guardinga alla strada prima di farle cenno di entrare, apparentemente tranquillo.
Con una certa irritazione, Sirius adocchiò anche lì dentro uno o due ragazzi sospetti tra la gente e le casse.
«Che ne dici dare di matto e far esplodere uno scaffale, Olivia?» bofonchiò appositamente per non farsi sentire bene da lei.
«Cosa stai dicendo?» chiese distrattamente lei mentre si chinava a cercare dei surgelati.
Sirius non rispose, mani in tasca e sguardo imperturbabile, si appostò dietro di lei oscurando la visuale ad un ragazzo biondo che passava nei paraggi.
«Black, spostati» sbottò secca Liv, imprigionata tra lui e il banco frigo.
«Un attimo» fece Sirius senza smettere di fissare il ragazzo con sfida.
«Si può sapere cosa diamine stai facendo? Mi si bloccherà la schiena e congeleranno i capelli a stare così»
«Un attimo, ho detto» ripetè lui fin troppo calmo e concentrato tanto da insospettire Liv che provò a girarsi verso di lui.
«Che cosa stai facendo?!» indagò, spazientita.
Il ragazzo davanti si dileguò e Sirius la lasciò libera facendo un passo avanti.
«Vado a cercare un carrello» esordì poi come se niente fosse.
Liv, allibita, restò a scrutarlo con un torvo cipiglio confuso vedendolo allontanarsi, mani in tasca e solita camminata disinvolta.
Quello che Liv non vide fu lo sguardo assassino che Sirius sfoggiò nella corsia accanto quando beccò il ragazzo di poco prima far finta di leggere l’etichetta di un pacco di zucchero puntando con la coda dell’occhio Liv, in lontananza.
Sirius prese un pacco a sua volta, ostentando indifferenza.
«Gnocca, eh?» esordì a freddo.
Il tizio, che a primo impatto gli ricordò Ned Stevens fomentando il fastidio che sembrava crescere ogni minuto di più, lo guardò allarmato per poi sciogliersi in un sorrisino “virilmente”complice.
«Già»
«Ma è pazza» gli mormorò in tutta confidenza Sirius, fintamente addolorato. Trattenne magistralmente un ghigno mentre quello strabuzzava gli occhi chiari. «Ci ho già provato io, mi ha quasi staccato un orecchio a morsi» aggiunse per rendere la cosa più minacciosa e sgradevole, centrando in pieno l’obiettivo.
«Oh» esalò quello, tramortito «grazie, amico» lo salutò prima si allontanandosi da lì in tutta fretta.
«Figurati, amico» mormorò Sirius, diabolico.
«L’ho già preso io!» lo richiamò Liv dal fondo della corsia alzando un braccio per fargli notare il pacco di zucchero. Sirius sollevò il pollice in risposta, rimettendo nello scaffale quello che aveva lui in mano.
«Vado a prendere il dannato carrello, Olivia» replicò serenamente dandole ancora una volta le spalle e lasciandola con attorno un’aura sempre più contrita.
Mancava il secondo idiota che Sirius scambiò con due ragazzi innocenti prima di trovarlo mentre scrutava Liv da lontano, tra il reparto verdura e quello dei detersivi.
«È mentalmente instabile» se ne uscì all’improvviso arrivandogli alle spalle, giusto per farlo cagare sotto. Cosa che il tipo fece, guardandolo però in cagnesco prima di sbottare con un arrogante “E chi se ne frega, l’hai vista bene?” che lasciò Sirius piuttosto interdetto e colpito, costretto a Schiantarlo a freddo.
«C’è un medico qui?» chiese distrattamente e per nulla preoccupato scavalcando con un’elegante falcata il corpo svenuto.
Si allontanò da lì non più con il semplice fastidio nel petto ma con le viscere contorte e un’espressione piuttosto stizzita stampata in faccia. “E chi se ne frega, l’hai vista bene?”. Semplicemente ridicolo.
«Si può sapere dov’eri finito?!» lo attaccò Liv, sconvolta, marciando furiosa verso di lui cinque minuti dopo.
«È sfiancante fare la spesa con te, Olivia» biascicò in un mezzo sorriso Sirius, mollemente poggiato con i gomiti al carrello che sembrava spingere per casuale inerzia.
Tutto nell’intero metro e sessantacinque di Liv- con le braccia doloranti per la montagna di confezioni e bottiglie- gridava a chiare lettere:“Mi stai prendendo per il culo?!”.
Buttò tutto dentro il carrello senza smettere di fulminarlo con lo sguardo e poi lo lasciò, dirigendosi altezzosamente verso i detersivi sotto l’occhio compiaciuto di Sirius che contemplò con orgoglio il territorio marcato. La seguì, poggiato pigramente al carrello, senza distogliere lo sguardo intenso sulle sue gambe, il fondo schiena e i fianchi messi più in evidenza dagli stretti jeans neri a vita alta. Quella camminata decisa che adorava da sempre lo faceva impazzire.
Olivia era bella e in quei giorni lo era diventata ancora di più.
Per i capelli naturali, per quella pacatezza che aveva rivelato i veri tratti dolci del viso a cuore, per la femminilità finalmente libera come se staccarsi da sua madre le avesse dato il permesso di farsi vedere per quella che era senza venire associata alla donna che le somigliava tanto quando la odiava.
E quella bellezza disarmante era vera, forte, sempre aggressiva e lontana dall’innocenza delle bambole ma elegante, quasi oscura. Le calzava così bene da restarne ammaliati anche con il cervello offuscato dal sangue che gli era salito rapidamente al cervello poco prima e che continuava a ribollirgli dentro, velenoso.
Anche con questi onnipresenti “senzapalle” dei Bee Gees a risuonare per tutto il supermercato.





*




 
Con l’ammorbidente sottobraccio e una mano a torturarsi le labbra con fare indeciso alla ricerca del sapone per i piatti, Liv sentì la ragazza accanto a lei ridere sommessamente.
La guardò con la coda dell’occhio, chiedendosi cosa ci fosse da ridere davanti a dei detersivi. Era una bella ragazza che fissava una confezione di saponette, un sorriso mal trattenuto sulle labbra.
Allarmata da quello strambo comportamento, Liv sollevò un sopracciglio costringendosi ad ignorarla, almeno fino a quando quella non sembrò lanciarle sfuggenti occhiate come sa a farla ridere, adesso, fosse lei e non il sapone.
Non riuscì a fare a meno di voltare l’intera testa, mollando le labbra e distogliendo lo sguardo improvvisamente duro e deciso dai detersivi per rivolgerlo alla ragazza che sgranò gli allarmati occhi castani per poi decidersi a parlare dopo averla altezzosamente squadrata da capo a piedi, evidentemente trovandola degna di risposta.
«Quel tipo, quello alto» spiegò alla muta e lievemente minacciosa domanda stampata sul volto serissimo di Liv facendole segno di guardare alla loro destra dove Sirius, sempre poggiato al carrello, si era fermato parecchi metri più in là per osservare chissà cosa su uno scaffale. 
«Lo conosci?» le chiese la ragazza, sorridendole complice. Sorriso che Liv non ricambiò riportando l’attenzione su di lei.
«Perchè sta continuamente guardando da questa parte. Non capisco se sta guardando me o te...» parlò ancora la sconosciuta con una certa punta d’ansia da attesa di risposta.
«Ah, sta guardando qui?» fece Liv, improvvisamente piatta. Riportò lo sguardo su Sirius per un lungo istante prima di parlare. «No, non lo conosco» decise di rispondere osservando il volto della ragazza farsi vagamente luminoso.
«Ok» fece quella trattenendo l’evidente gioia ed allontanandosi da lei per dirigersi come previsto verso Sirius.
E Liv, il viso incredibilmente inespressivo, si poggiò con nonchalance allo scaffale per osservare con imperturbabile interesse la scena della castana avvicinarsi a lui che seguì con la testa l’indice della ragazza puntare qualcosa nel ripiano più alto davanti a loro: una confezione di spugnette abrasive che dopo essersi staccato dal carrello afferrò senza nessuna difficoltà per poi porgergliela.
Un accenno di risata da parte della ragazza e un’angolo accentuato del sorriso di Sirius che s’infilò elegantemente le mani in tasca dicendo chissà cosa bastarono a Liv per avere la risposta che si era andata a cercare.
Increspò le labbra in un sorrisetto privo di affabilità mantenendo per qualche altro secondo lo sguardo adesso vagamente altero su di lui prima di farlo scivolare via con impassibilità prendendo il detersivo piatti ed allontanandosi da lì, i lontani occhi grigi a seguire ogni passo deciso della sua camminata sicura e quelli castani della ragazza davanti piuttosto taglienti a quella vista.
Sirius ritrovò Liv in fila alla cassa, apparentemente tranquilla.
«Grazie, eh?» le sussurrò sarcasticamente arrivandole alle spalle con il carrello.
«Per cosa?» chiese disinteressata lei senza degnarlo di uno sguardo.
«Per essertene andata» protestò sottovoce Sirius, indispettito «mi hai lasciato lì come se non fossimo arrivati qui insieme»
«Pensavo di averti fatto un favore, Black» replicò Liv in un sorriso traboccante orgoglio cominciando a svuotare impassibile il carrello mentre la fila avanzava. «Una pomiciata tra le spugnette abrasive con la bella tizia adocchiata al supermercato, cosa volevi di più? Non lamentarti» lo zittì, gelida, facendo strabuzzare gli occhi della signora prima di loro.
L’espressione smarrita ma vagamente compiaciuta di Sirius distrasse per un attimo la ragazza bionda che masticava distrattamente la gomma da masticare dietro la cassa e che non ruppe le uova soltanto per merito dell’allenata mano di Liv.
«Pomiciata? Mi ha chiesto di darle quelle spugnette e se n’è andata dandomi dello stronzo senza nemmeno degnarsi di farmi sapere perchè» la informò Sirius aiutandola a sollevare una pesante confezione d’acqua, senza successo perché Liv la poggiò sul nastro da sola, piuttosto altezzosa. Sirius trattenne un sorriso a quel gesto fieramente indipendente, così tipicamente suo, quello che lui tanto adorava di lei.
«A proposito, cosa le hai detto su di me? Perchè qualcosa mi dice che dietro quello “stronzo” ci sia tu» continuò insinuante, un sorrisetto malizioso appena abbozzato. Aveva sentito anche lei il fastidio bruciante al petto? Aveva sentito il sangue salire al cervello non facendola più ragionare? Aveva sentito la voglia di baciarlo per far vedere a tutti che era suo?
«Io non le ho detto proprio niente su di te» rispose Liv con incredibile distacco afferrando il dentifricio e un flacone di shampoo mentre la cassiera dava il buongiorno ad entrambi, soprattutto a Sirius che però socchiuse gli occhi grigi, studiando Liv perplesso.
Era una sua impressione o stava cercando di tagliarlo a fette con la voce?
«Non avrai per caso preso di nuovo le difese di una tua simile mettendola in guardia da me?» le chiese, sospettoso ed improvvisamente cupo.
Liv sollevò un sopracciglio rimettendosi perfettamente dritta, continuando ad ignorare i suoi occhi.
«Quando mai ho fatto una cosa del genere?» chiese con assoluta freddezza.
«La Pallottola Puzzola tra me e Susan Wilson per difendere Jane Phillips?» le suggerì Sirius chinandosi insieme a lei sul carrello per cercare ed incontrare finalmente il suo sguardo: era così duro ed intenso da stordire.
«Quella era vendetta, rivendicare la dignità di una ragazza» annunciò in tono ovvio Liv. «Non sono andata in giro per il castello dicendo alle mie similiquanto sei bastardo. Così come non ho detto niente a quella ragazza, prima. Ha fatto tutto da sola, hai fatto tutto da solo». Acciuffò con un gesto veloce l’ultimo articolo sul carrello per poi rivolgergli di nuovo le spalle.
«Da che pulpito questa predica...» buttò lì Sirius, provocatorio e vagamente tagliente, tuffando le mani nelle tasche e dando volontariamente il via ad un dibattito sottovoce, apparentemente calmo ma intriso di subdolo veleno, scandito dal ritmico ‘bip’ della cassa.
«Come scusa, Black?»
«Che mi dici di Anderson, il Serpente Cieco? Non si parlava d’altro al quinto anno»
«Ha fatto il cretino»
«Dirti cose romantiche è fare il cretino?»
«Dirmi cose smielate è fare il cretino»
«Tyler McLaggen?»
«Non mi piaceva. Potrò dire di no quando e come voglio o devo chiedere il permesso a Merlino prima? E perchè diamine sai di questa cosa, scusa?»
«Ned Stevens?»
«Perchè sai della proposta di Tayler?»
«Stevens?»
«Ned è...»
«L’hai lasciato lì, senza risposta, per poi andartene come se niente fosse. Gli hai forse scritto?»
«...»
«Nulla? Nemmeno un gufo?»
«...»
«Questo non è trattare male i miei simili
«C’è differenza. Una grossa differenza»
«Anch’io ho i miei motivi dietro, se per questo. La maggioranza è perchè mi hanno annoiato, ma io non gli ho cavato gli occhi a differenza di qualcuno qui presente. Le ho semplicemente lasciate, non spedite in infermeria»
«Le hai lasciate dopo averle illuse, io almeno non ho dato false speranze a nessuno»
«Jane e Susan... vuoi la verità?»
«Grazie ma non sono interessata ai dettagli squallidi e non me me ne può fregare un emerito pelo di troll dei motivi per cui il tempo più lungo con cui sei stato con una ragazza è di una settimana»
«Sei stata con due ragazzi, il Serpeverde e Wood, e non mi pare tu abbia superato la settimana con nessuno dei due»
«Non mi trascinerai al tuo lurido livello, Black»
«Ci sei già, cara, e non ti ho trascinato io»
«Wood»
«Scusa?»
«Con Charlie sono stata per più di una settimana, l'anno scorso, precisamente per sei mesi»
«Ma se vi abbiamo visto tutti soltanto l'ultima settimana di scuola. Stai forse dicendo che prima di uscire allo scoperto a fine anno scolastico, vi siete sbaciucchiati in segreto da gennaio?»
«Perchè questo tono scettico? Soltanto perchè non ci hai beccato prima come hai fatto a giugno nell'aula vuota al quarto piano non significa che io stia dicendo stronzate»
«Mi chiedevo soltanto come avete fatto a durare sei mesi con quei baci focosi soltanto all'apparenza...»
«Erano baci focosi non solo all’apparenza, te lo posso assicurare»
«...»
«Lo erano, è inutile che fai la faccia che so che stai facendo anche se non la vedo. Solo perchè era Wood e non Sirius Black il Sexy Baciatore di Hogwarts non possono essere focosi? Be', mi dispiace smontarti, ma Charlie Wood baciava da dio. Niente a che vedere con i famosi baci alla Sirius Black tanto romanzati nei bagni femminili di ogni piano...»
«Non puoi fare un paragone senza aver provato il meglio»
«Charlie era il meglio e su questo non ci piove. Tu sei il migliore a fare il presuntuoso»
«Continua pure a restare nella tua ignoranza, Olivia»
«E grazie per il consiglio ma avevo già intenzione di scrivere a Ned che all’apparenza sembra abbia due labbra più che da dio, un carattere adorabile e forse non cretino, in tutti i sensi».
Le mani che improvvisamente le presero rudemente i fianchi sotto l’aperto giubbino in pelle le fecero mancare il respiro.
Liv restò immobile sentendo il petto di Sirius premere sulla sua schiena, percependo chiaramente il martellante battito irregolare del suo cuore, impazzito come quello che aveva cominciato a dimenarsi in lei, tra i polmoni. Una sensazione forte, devastante, totalizzante.
Senza voltarsi, si liberò dalla presa con estrema facilità come se Sirius avesse fatto scivolare via le mani di proposito, lasciandola libera al suo primo accenno di volersi liberare.
Nessuno parlò più a parte la signora anziana con il marito, appena arrivati dietro di loro ed immersi un un piccolo litigio per i surgelati, e la cassiera che- più rossa in faccia del suo cappellino in testa per via della presenza ravvicinata di Sirius- chiese diciotto pounds e cinque pence dopo aver fatto scoppiare la bolla rosa della cicca tra le labbra.
Liv aprì il portafoglio con un gesto secco, ma Sirius fu più veloce di lei, porgendo le banconote alla bionda.
L’indifferente espressione sul volto di Liv restò straordinariamente al suo posto almeno fino a quando non sorrise in modo sincero alla cassiera prendendo il resto in spiccioli e schiaffeggiandoli in una mano di Sirius, intento a finire di riempire la busta. Liv l'acciuffò al volo, strappandogliela dalle mani, prima di salutare la ragazza ed uscire dal supermercato con Sirius dietro, le mani in tasca e uno sguardo fisso su di lei così cupo e scontroso da mettere in soggezione tutti quelli che gli passavano accanto. Il cuore ancora impazzito nel petto e il sangue che ribolliva e defluiva lentamente dal cervello offuscato per la seconda volta in meno di un’ora.
Imprecò quando un fruscio di ali e piume brune gli invasero udito e vista.
Le facce stranite della gente sul marciapiede fecero rallentare Liv fino a fermarsi, voltandosi verso Sirius e trovandolo intento a leggere una pergamena con un gufo sulla spalla come un pappagallo su un pirata babbano, cosa che esaltò non poco un bambino lì vicino.
«Ci ha messo anni ad addestrarlo» provò a limitare il danno Liv, alzando garbatamente la voce per farsi sentire da tutti.
Il bambino la guardò, meravigliato per quella notizia, lasciandosi andare ad un sonoro “WOW!” mentre l’applauso scrosciante della gente attorno invadeva il marciapiede. Qualche penny e sterlina volarono addirittura ai piedi di Sirius che sembrò non accorgersene minimamente, immerso nella sua lettura come se niente fosse.
Proprio per quell’espressione particolarmente concentrata e seria, Liv ebbe un presentimento.
Indurì lo sguardo aspettando spiegazioni senza osare avvicinarsi-trattenuta dal veleno ancora in serbo per lui- e come se l’avesse sentita, Sirius le riservò un’occhiata serissima e piuttosto eloquente.
Come aveva immaginato, era arrivato il momento di raggiungere Tom al Paiolo Magico.


















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
*A Boscastle c’è davvero Il Museo delle Streghe. Il paesino di Mary è situato proprio vicino Tintagel, luogo famoso per le leggende di Merlino e Re Artù.

*La Stanza delle Necessità ha diversi incantesimi che la proteggono, fanno parte dell'immensa antica magia del castello stesso, ed è indisegnabile. Vuol dire che non si può disegnare da nessuna parte. Nel sesto libro Harry è in fissa con Draco-Mangiamorte, spiandolo sulla Mappa giorno e notte, e ad un certo punto lo vede sparire al settimo piano. Pensano subito alla Stanza delle Necessità. Ron dice che i Malandrini non l'hanno disegnata perché ''forse non l'hanno mai scoperta", ma Hermione ribatte dicendo che la Stanza è protetta e può essere indisegnabile e che quindi i Malandrini potrebbero aver provato a disegnarla senza riuscirci. Dubito che i Malandrini non la conoscessero, conoscevano ogni angolo del castello e del parco, perché proprio il settimo piano è sfuggito alle loro scorribande? Mi cadrebbe un mito xD
Sirius si dimentica di consigliarla a Harry quando cercano un posto dove allenarsi con l'Esercito di Silente, ma Sirius nel quinto libro non ricorda nemmeno di James e della sua abitudine di portarsi le mani in testa. Dimentica un sacco di cose della sua adolescenza, dopo Azkaban. Non credo, poi, che i Malandrini la usassero, avevano ben altro di meglio da fare che stare chiusi in una stanza. Li ho sempre immaginati incapaci di stare chiusi entro quattro mura per troppo tempo. Li immagino più tipi che stavano all'aria aperta, Hogsmeade compreso, grazie ai passaggi segreti. Quindi, per Sirius, la Stanza delle Necessità non era un'informazione così importante da tenere in mente.


* “Inventai ogni genere di storie. Dissi loro che mia madre era ammalata e che dovevo andare a casa a trovarla”. Non credo che la madre di Remus fosse malata, con questa frase del terzo libro dice chiaramente che si è inventato quella storia (pag.319).
Sappiamo che nell’autunno del 1981 è già morta, ma non sappiamo da quanto tempo e per quale motivo, sicuramente avere un figlio Licantropo che combatte in una guerra che lo vorrebbe dalla parte dei cattivi non fa bene alla salute di una mamma.



Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** 38. 1978 ***


Credo sia necessario il riassunto della puntata precedente.
Vi ho lasciati con Sirius incavolato nero per lo scontro con Liv e con in mano la lettera di Tom, il barista del Paiolo Magico.
I Serpeverde sono quindi passati di lì
 e se Peter mesi fa ha detto la verità, sono a Nocturn Alley con Lucius Malfoy.
La morte di Edgar non c’entra niente, i Malandrini volevano scoprire da molto prima il motivo di questo losco incontro.

In breve: Non c’è tempo da perdere!

 






Capitolo 38


1978
 

 





Il caldo improvviso del Paiolo Magico dopo il gelo della babbana Charing Cross Road gli colorò di rosso acceso le guance e il forte odore di Whisky Incendiario e tabacco s’insinuò, bruciante, nelle narici.
James si coprì i capelli biondi con il cappuccio del mantello e Liv, al suo fianco, scrutò furtivamente l’interno del pub con due occhi azzurri nella penombra della stoffa calata sopra la testa schiarita di castano.
L’ambiente era come al solito dimesso e buio, rischiarato dalle candele nelle lampade. L’aria appesantita dal fumo del camino e della pipa di una vecchia strega seduta in un angolo rendeva ancora più faticoso scorgere le pochissime persone ai tavoli.
Il cappello a punta della donna, la barba grigia impreziosita da piume di un signore intento a giocare a Scacchi Magici da solo e la veste nera e sudicia di un’alta figura di spalle, poggiata al muro a sorseggiare chissà cosa: tra i segni particolari della scarna clientela non c’era nessun cilindro sgargiante dall’aria familiare.
Si avvicinarono al bancone logoro ma perfettamente pulito, alla ricerca di Tom che li salutò in un largo sorriso mentre asciugava un bicchierino di vetro con uno strofinaccio.
«Salve, ragazzi, qualcosa da bere? Sherry, Burrobirra, Odgen? Ce l’avete l’età per il Whisky?»
«Oggi non beviamo, grazie» rispose Liv poggiandosi come se niente fosse al bancone mentre James faceva lo stesso per avvicinarsi all’uomo senza dare troppo nell’occhio.
«Sono James, James Potter» gli mormorò facendogli un occhiolino d’intesa.
Tom dilatò leggermente gli occhi chiari, annuendo poi in segno di comprensione. Si schiarì la voce guardandosi attorno con circospezione prima di parlare a labbra strette poggiando il bicchiere pulito sul legno lucido, tra i due.
«Erano in quattro. Sono usciti sul retro cinque minuti fa» informò in assoluta confidenza.
Gli occhi azzurri di Liv e quelli verdi dietro le lenti Disilluse di James si incrociarono per un breve attimo. I Serpeverde dovevano essere già a Nocturn Alley allora, non c’era tempo da perdere.
Liv ripercorse con sguardo attento il locale per poi guardare James, risoluta.
«Lasciamo perdere Dedalus Lux e raggiungiamo Diagon Alley, avvisa Black» propose senza aspettare la risposta dell’amico che la seguì piuttosto interdetto tra i tavoli.
Raggiunsero il retro del Paiolo Magico uscendo sotto il cielo plumbeo di Londra, nell’angusto cortile circondato dall’alto muro di mattoni che sembrava essersi appena chiuso.
«Non vuoi parlare con Lux? Non vuoi sapere di più su tuo padre?» le chiese cautamente James arrivandole affianco, davanti ad un bidone della spazzatura accerchiato da erbaccia.
«Dedalus Lux non è lì, James, e non possiamo perdere tempo ad aspettarlo lasciando gli altri da soli. Il piano era che noi due restassimo con lui al pub ma lui non c’è quindi niente da fare» spiegò Liv con il tono di chi non ammetteva repliche. Tirò fuori la bacchetta nera e, contando i mattoni, ne picchiettò uno preciso mentre James, dandole ragione mentalmente, si calava maggiormente il cappuccio sulla fronte richiamando Sirius allo specchio.
«Felpato, cambio di programma. Vi raggiungiamo, aspettateci» mormorò osservando il volto serio di Sirius fargli un cenno d’assenso, i corti capelli e gli occhi neri a renderlo diverso dal solito come tutti loro.
Quando James sollevò lo sguardo smeraldino dall’oggetto, il varco di mattoni che dava su Diagon Alley si era appena aperto del tutto.
La tortuosa strada acciottolata di solito affollata, chiassosa e colorata era più vuota del Paiolo Magico, più deserta e cupa dell’estate. L’atmosfera era tetra, sinistra e pesante tanto da sembrare la copia del vicolo parallelo: Nocturn Alley. Nessuno aveva addobbato per il Natale le finestre, i balconi e le porte; le vetrine che non erano sprangate da assi di legno come il negozio di calderoni e l’Emporio del Gufo erano quasi tutte coperte da cartelloni ed annunci del Ministero della Magia riguardo le regole da seguire e i comportamenti da assumere in caso di emergenza.
Liv e James oltrepassarono l’arco che si richiuse alle loro spalle e con il volto celato parzialmente dai cappucci osservarono come i pochissimi passanti si muovessero uniti in gruppetti frettolosi ed ansiosi senza fermarsi a parlare, senza stare troppo fuori dai negozi come facevano a Hogsmeade. Vedere la stessa scena lì, centro economico e sociale di tutto il mondo magico, mise una certa angoscia ad entrambi.
Dallo specchietto in tasca a James, Sirius informò sottovoce di essere con Mary davanti alla Gringott e il bottone che scaldò improvvisamente il palmo della mano di James fu inciso magicamente da nove lettere e tre iniziali: ‘Olivander. L. R. P.’. Lily, Remus e Peter dovevano essere davanti al negozio di bacchette.
Si erano divisi apposta, cercando di coprire l’intera via e mischiare i due gruppi il più possibile per evitare che le diverse altezze combinate potessero ricordare ai Serpeverde chi fossero davvero - nel malaugurato caso in cui lo spionaggio avesse fallito.
«Andiamo, Liv» la incitò sottovoce James abbassando la testa e cominciando a camminare tenendosi vicinissimo a lei, tanto che i lussuosi mantelli ‘presi in prestito’ dai suoi genitori per far apparire tutti dei ricchi Purosangue sembravano formarne uno solo di diversi colori.
Ma, come se li avessero aspettati o fossero stati avvisati del loro arrivo, le loro prime falcate furono subito fermate dall’austera figura di Avery accompagnata da quella avvolta nella sudicia veste nera già vista dentro il pub.
 
 



 
*
 
 


 



 
 
«Qualcosa non va» sussurrò Lily facendo vagare l’attento e sospettoso sguardo castano scuro sulla strada.
Remus, tra lei e un Peter leggermente tremante, non rispose ma i suoi trasfigurati occhi azzurri dicevano la stessa cosa. C’era qualcosa nell’aria che dava spiacevolissime sensazioni.
Quella via da sempre affollata e chiassosa era immersa in un silenzio tombale. Anche il minimo passo sui ciottoli rimbombava facendo sussultare il cuore ogni volta, che fosse quello dell’anziana signora che si affrettava a raggiungere la Farmacia lì davanti o della famiglia con i bambini stretti tra loro poco importava: per ogni mago e strega, lì, la prima immagine che arrivava alla mente era un cappuccio nero e una maschera bianca.
Ed era una cosa incontrollabile, involontaria, orribile. 
«Perchè Sirius e Mary non si sono fatti vedere?» mugolò Peter aggrappandosi ad un braccio di Remus che sollevò una mano per farlo tacere, socchiudendo gli occhi azzurri come se stesse cercando di tendere allo stremo l’orecchio dopo aver sentito qualcosa.
Lily, stretta nel suo mantello da quando erano arrivati lì, strizzò all’altezza del mento la stoffa damascata della signora Potter chiudendosi maggiormente il cappuccio attorno al viso, i vaganti occhi castani in allerta e le labbra schiuse alla vista di Olivander che dall’interno della vetrina appena illuminata sembrava osservarli con quelle sue inquietanti iridi pallide.
«Ragazzi?» sussurrò con cautela voltandosi lentamente di nuovo verso i due Malandrini.
Peter, percependo la tensione trattenuta in quel tono di voce, pigolò un ‘’Che c’è?” senza riuscire a tenere bassa la voce tremula.
Lily indicò Olivander con un impercettibile gesto della testa e gli occhi di entrambi si spostarono alla vetrina dietro di loro restando raggelati.
Il fabbricante di bacchette sembrava li stesse fissando senza nemmeno sbattere le palpebre mentre accendeva l’ultima lampada del negozio.
«Direi che è arrivato il momento di spostarci» sentenziò Remus provando a mantenere la calma. «Cerchiamo Mary e Sirius» propose cominciando a fare qualche passo lontano da lì.
Peter non se lo lasciò ripetere due volte. Passandosi una mano grassoccia sulla fronte sudata, sotto i capelli neri, trotterellò al suo fianco con andatura instabile.
Percorsero Diagon Alley dalla parte opposta della direzione del Paiolo Magico facendo caso, negozio dopo negozio, che le vetrine si illuminavano una dopo l’altra quando ci passavano davanti. Forse, si costrinse a pensare Lily mentre avanzava a passo sostenuto adocchiando bagliori dorati sui vetri attorno a sè, stava accadendo per il cielo nuvoloso che rendeva buia la città e gli interni delle case nonostante fosse mattina.
Ma per una strana coincidenza le luci si accendevano esclusivamente al loro passaggio.
Remus, rigido sotto il vecchio mantello, si cambiò diverse occhiate sconcertate con Lily senza proferire parola per non mandare in panico Peter che comunque si accorse della cosa quando anche le lampade del Serraglio Stregato, in fondo alla strada, colorarono di arancio le loro figure.
«Che succede!?» esalò bloccandosi tra le schiene di Remus e Lily, pronti a difendersi con le bacchette in mano dopo aver sentito un sonoro e familiare crac.
La risposta arrivò proprio davanti a loro con l’apparizione improvvisa di Mulciber e Barty Crouch Junior, aggrappato al suo braccio per la Smaterializzazione Congiunta.
 
 
 

 
*
 
 


 
 
 
 

 
«Black, si può sapere perchè non arrivano?»
«E che ne so io?!».
Mary si calò con stizza il cappuccio sopra i lunghi capelli scuri per il tono a dir poco scontroso e l’aria tenebrosa di Black al suo fianco, il volto serissimo nell’ombra sotto il cappuccio e i nuovi occhi neri a rispecchiare quello che evidentemente aveva dentro.
Dire che era più insopportabile ed intrattabile del solito era dire poco. L’avevano notato tutti da subito, appena avevano raggiunto lui e Liv in appartamento dopo la loro chiamata d’urgenza.
Eppure era stata lei a decidere di tenersi vicino quella nuvola nera, a sceglierlo come compagno di missione.
Perchè Remus- sul pianerottolo, minuti prima- aveva velatamente fatto capire di non voler stare con lei ed afferrare malamente Black per un braccio Smaterializzandosi con lui era stata l’unica cosa che si era sentita di fare per non prendere a schiaffi il ragazzo baciato giorni prima.
Non aveva idea del perchè Sirius Black fosse così... Sirius Black e non gliene poteva fregare un accidenti perchè stare davanti alla Gringott era un problema ben più grande: un arcigno goblin appostato in cima alla bianca scalinata all’ingresso della banca li stava tenendo d’occhio in un modo alquanto losco da quando si erano Materializzati in mezzo alla strada. Stando in quella zona di Diagon Alley, poi, si poteva chiaramente vedere, anche se in lontananza, l’inizio di Nocturn Alley deserto, buio,pericoloso.
«Hai ancora lo specchio in tasca o è sparito nel nulla, scusa?» gli chiese ironicamente Mary scoccando l’ennesima occhiata furtiva all’ imponente ingresso in marmo candido alle loro spalle.
Sirius grugnì qualcosa in risposta senza smettere di guardare davanti a loro dove la lunga via tornò ad essere deserta quando la famigliola a destra sgattaiolò dentro il Ghirigoro e due streghe a braccetto si fiondarono nel negozio d’abbigliamento di Madama McClan.
«Meno ci parliamo più possibilità di non farci scoprire avremo, Macdonald» sibilò a labbra strette.
Mary non rispose assumendo un’espressione piuttosto scettica a riguardo. Espressione che si trasformò in ansia impaziente dieci minuti dopo. Dieci minuti d’attesa snervante che aveva messo a dura prova anche il sangue freddo di Sirius.
Felpato, cambio di programma. Vi raggiungiamo, aspettateci”. Da quando in qua ci voleva mezz’ora per raggiungere la Gringott dal Paiolo Magico?
Forse da ubriachi ma non da sobri come avrebbe dovuto essere James.
Tuffando una mano nella tasca del pantalone da mago di Fleamont che a mala pena gli arrivava alla caviglia, si accorse di avere le dita irrigidite e tremanti.
«James Potter» chiamò appurando che anche la bassa voce gli tremava, carica d’urgenza ed adrenalina perchè se James non era ancora lì con lui doveva per forza essere successo qualcosa e il solo pensiero che fosse successo qualcosa a James era devastante.
Socchiuse gli occhi taglienti quando la stessa intensa paura gli fece affiorare nel cuore agitato anche il nome di Olivia.
«Ve lo chiedo un’ultima volta con le buone, Potter. Perchè ci state spiando?».
La voce che arrivò dallo specchio immerso nell’oscurità del mantello di James era quella inconfondibile di Avery.
Mary spalancò gli occhi, in panico, agguantando per un braccio Sirius, già con una gamba protesa in avanti.
La tensione salita repentinamente tra i loro sguardi spiritati si poteva tagliare con il coltello.
«Dobbiamo andare da loro, Macdonald» soffiò rabbiosamente Sirius, una strana luce negli occhi neri che Mary non riuscì a ricondurre soltanto a furia cieca ma anche ad una preoccupazione immensa.
«Non possiamo» sibilò lei più in affanno di lui «Se ci facciamo vedere salta tutto. Siamo noi che abbiamo il Mantello, siamo noi che dobbiamo andare a Nocturn Alley, siamo noi che non possiamo essere fermati. Sono Potter e Liv, sanno badare a loro stessi e sono due contro uno. Se James non risponde allo specchio è perchè non vuole far saltare la nostra copertura». Le parole sembravano morirle in gola. La difficoltà per tirarle fuori era così tanta da farle male alle corde vocali. Perchè lasciare Liv con Avery andava contro se stessa, il suo corpo che voleva raggiungerla con una Smaterializzazione e il cuore che sembrava aver bucato il petto per correre da lei.
Sirius non sembrò affatto convinto dal discorso riabbassando di scatto lo sguardo baluginante ed infiammato sullo specchio mentre la voce incalzante di Avery arrivava di nuovo alle loro orecchie.
«Allora? Perchè avete chiesto a Tom di spedirvi un gufo quando ci avrebbe visto venire qui?»
«Ti stai allenando a torturare le persone per ottenere informazioni, Avery? Ma che bravo studente modello che abbiamo qui». 
Il sarcastico tono di scherno di James, sfrontato ed ironico come non mai.
Un piccolissimo sospiro riuscì ad alleggerire i polmoni di Sirius che si rilassò un minimo senza però riuscire a farlo del tutto. Il perchè non volle chiederselo. In fondo, agognare di sentire anche la voce di Liv era già una risposta più che chiara.
«Se dici questo dopo aver visto Tom perfettamente sano, Potter, non sai cosa significa torturare»
«É sotto Maledizione Imperius».
Liv. Quella era Liv, piuttosto disgustata e sorpresa al contempo.
Mary, stordita ma sollevata, si aggrappò spasmodicamente alle mani meno rigide di Sirius attorno allo specchio sempre nero per la stoffa del mantello di James.
«Ma che brava, McAdams». 
Avery pareva sinceramente colpito, ostentatamente colpito.
«Sapete? Non riesco più a capire chi tra voi due è il Purosangue. Potter, è proprio vero che tradire il proprio sangue fa andare in malora i neuroni. Rifiuta il tuo sangue e quello ti farà regredire al livello della feccia a cui tanto vuoi somigliare. Ci stai riuscendo, complimenti»
«Ti sputerei addosso se soltanto la mia saliva non fosse più preziosa di quella cosa che chiami faccia».
A Sirius scappò un piccolo sorriso compiaciuto e strafottente come quello che sicuramente doveva avere James.
Lo stesso sorriso, però, gli si gelò sulle labbra sentendo subito dopo il ringhio di dolore dell’amico e il grido rabbioso di Liv che gli fecero sprofondare lo stomaco sotto ai piedi.
«Prendila!».
«Che succede?!» ansimò Mary, i polmoni vuoti dal panico.
Sirius non rispose, non pensò. Diede il Mantello dell’Invisbilità a Mary e si limitò a fare quello che l’istinto gli aveva ordinato di fare fin dall’inizio: correre a perdifiato per Diagon Alley in direzione del Paiolo Magico, nella speranza che James e Liv fossero più vicini a lui che al pub.
Avrebbe potuto scoprirlo presto, viste le falcate velocissime e lunghe, se soltanto Piton non gli avesse sbarrato la strada Smaterializzandosi dal nulla tra la chiusa Gelateria di Florian Fortebraccio e Accessori per il Quidditch.
«Levati di mezzo, Mocciosus!» tagliò corto, furioso, dandogli una rude spallata che lo fece cadere per terra nello stesso istante in cui lui si ritrovò appeso a testa in giù, il sorriso serpentesco sulle labbra sottili di Piton a canzonarlo in un silenzio più umiliante di mille parole.
Il sangue al cervello di Sirius non fu di certo dato dal ciondolare per aria osservando Diagon Alley al contrario ma dall’odio puro che aveva cominciato a ribollirgli in ogni vena.
Vide il Serpeverde alzarsi lentamente in piedi, pulendosi il mantello nero con infinita calma senza distogliere lo sguardo mefistofelico e vittorioso da lui.

«Non siamo a Hogwarts, Black».
 
 


 
*
 
 


 
«Andiamo al Paiolo Magico da James e Liv, cerchiamo Sirius e Mary con lo specchio e andiamocene tutti da qui. Siamo nella loro meschina trappola» annaspò Remus stringendo spasmodicamente la bacchetta di cipresso come se stesse ancora duellando contro Mulciber steso ai suoi piedi, Schiantato un istante prima da Lily che scosse la testa con le guance in fiamme e il fiato corto.
«Nemmeno per sogno» obiettò fissando con odio Barty Crouch Junior, pietrificato da Remus nell’atto di afferrare Peter che ancora piagnucolava non riuscendo a muoversi ed allontanarsi dalla statua umana accanto a sè. «Restiamo» decise con forza Lily puntando ogni negozio illuminato come una leonessa punta le sue prede.
Remus la guardò allibito mentre Peter si lasciava andare ad un basso squittìo frustrato, al limite dell’esaurimento nervoso. «Ma non possiamo fare niente qui!» esalò, pallidissimo. Strisciò via da Barty Crouch guardandosi costantemente attorno come se stesse aspettando qualcuno, forse gli altri Serpeverde.
Lily, però, non era della stessa opinione.
«Se Olivander e tutti gli altri sono davvero sotto Maledizione Imperius come ha detto Mulciber, uno di noi deve chiamare la Squadra Speciale Auror» annunciò in tono pratico venendo interrotta da Peter che si offrì immediatamente, pienamente d’accordo a chiamare i veri rinforzi.
«No» lo fermò Remus, secco, lasciando Lily interdetta.
«Come no?» sbottò lei spalancando gli occhi marroni «È magia oscura, Remus, non possiamo di certo lasciarli così!»
«Nella Squadra Speciale Auror ci sono anche Frank, Alice e Moody» le ricordò sottovoce lui osservandola chiudere lentamente le labbra, delusa. «Se vogliamo portare l’Ordine di Silente qui facciamolo pure» continuò Remus « ma il fatto è che se Mary e Sirius sono già a Nocturn Alley, quelli li intralcerebbero pensando di portarli in salvo».
Non c’era niente da obiettare e Lily lo sapeva. La logica di Remus non faceva una piega.
Peter, nel frattempo, si era stretto con così tanta frenesia le mani da graffiarsi da solo. Spostò gli occhi neri dall’uno all’altra con crescente ansia, come se non si stesse capacitando della situazione.
«Ok» acconsentì Lily coprendo i lunghi capelli biondi con il cappuccio del mantello scivolato sulle spalle durante il duello «Allora avviseremo gli Auror quando sapremo dove sono Mary e Black».
Remus annuì facendo mugolare Peter, di nuovo nel panico.
«Quindi andiamo al Paiolo Magico da Liv e James» propose incoraggiando con uno sguardo rassicurante l’amico. Tornarono indietro, ripercorrendo la strada con le vetrine illuminate a passo più veloce e la sensazione di essere osservati ad increspare la pelle della schiena di tutti e tre.
Superarono la Gringott non trovando traccia di Mary e Sirius, capendo il motivo dell’assenza di quest’ultimo soltanto quando, avanzando ancora di parecchi negozi, lo videro ciondolare a testa in giù nell’atto di sferzare un forte gancio destro in faccia a Piton.
«SIRIUS!» gridò Remus sconcertato mentre il Serpeverde si Smaterializzava in un battito di ciglia. Il licantropo corse verso l’amico con Peter alle calcagna e Lily, irrigidita dalla figura di Piton, si costrinse a muoversi e a seguirli soltanto qualche istante dopo.
«SCHIFOSO VERME CODARDO! BASTARDO!» gridò Sirius rosso d’ira in direzione del vuoto lasciato da Piton. «Mettimi giù, Remus! Mettimi giù! James e Olivia sono con Avery!» ordinò, feroce, agitandosi in aria con impazienza.
«Era una trappola, Felpato. Non capisco come accidenti abbiano fatto a sapere che dovevamo venire qui» spiegò Remus liberandolo dall’incantesimo Levicorpus con un gesto della bacchetta. «Noi siamo stati fermati da Mulciber e Barty Crouch. Mesi fa, i Mangiamorte hanno messo sotto Maledizione Imperius quasi tutti i proprietari dei negozi. Olivander, la proprietaria della farmacia, quella di Telami e Tarlame, il tizio del Serraglio Stregato...».
Ma Sirius non sembrò ascoltarlo. Si rialzò da terra per mettersi a correre a perdifiato.
«DOV’È MARY?!» gli gridò dietro Lily, allarmata e divisa a metà tra la voglia  di correre da Liv e quella di raggiungere Mary, ovunque fosse.
«CREDO A NOCTURN ALLEY CON IL MANTELLO!» gli urlò di rimando lui aumentando la velocità fino a diventare un puntino in fondo alla via.
A quella notizia, Lily, Remus e Peter si bloccarono, gli occhi sbarrati. Nessuno dei tre fiatò con il cuore martellante sul petto, quello di Remus forte tanto quello di Lily e forse anche di più.
«Vado io» esalò proprio lui, fermando Lily con un braccio «Voi aiutate Sirius».
Lily chiuse le labbra, impotente, osservandolo correre nella direzione opposta a quella di Sirius. Lo seguì con occhi colmi d’ansia e il cuore in gola ma con la consapevolezza che avrebbe difeso Mary a qualunque costo se ce ne fosse stato il bisogno.
Sperando che il Mantello di James li proteggesse entrambi fino alla fine della missione, Lily decise di seguire Sirius. «Andiamo, Peter» esordì con fermezza prendendo per mano il ragazzo inchiodato sul posto come se decidere quale direzione prendere fosse la stessa cosa che scegliere di quale morte morire: imbattendosi in qualcosa di oscuro a Nocturn Alley oppure affrontando Avery.
Si lasciò trascinare da Lily, senza fiato, chiedendosi per quale assurdo motivo aveva avvisato l’Ordine di Silente appena aveva ricevuto la chiamata di Sirius un’ora prima se l’Ordine di Silente non sapeva difendere le persone come non aveva saputo difendere il signor McAdams.
Non sarebbero arrivati, ecco qual’era la verità. E lui era spacciato.
 
 


 
*
 
 


 
«Non lasciarla andare!» ordinò sotto sforzo Avery cercando di tenere James a terra mentre la figura in nero strattonava una Liv ribelle per bloccarla del tutto stringendole le braccia dietro la schiena con forza inaudita.
In difficoltà e con il panico a serrarle il petto, Liv tentò per l’ennesima volta di liberarsi annaspando per il dolore che l’uomo le stava procurando e le aveva procurato prima, spaccandogli un labbro soltanto per farla stare ferma. Era troppo forte.
Sentendo James ringhiare per la rabbia e mugolare per la sofferenza, Liv si dimenò cercando di sferrare qualche calcio al suo assalitore senza riuscirci, nello stesso momento in cui Sirius arrivò di corsa facendo volare all’indietro l’uomo con un gesto della bacchetta.
Liv, libera e frastornata, sguainò la sua per aiutare James scoprendo che sempre Sirius l’aveva già sottratto al peso di Avery.
James sorrise, come se non avesse dubitato nemmeno per un istante di quel salvataggio, afferrando la mano del compare per rimettersi in piedi.
Sorrise anche se con un occhio nero e sanguinante per colpa degli occhiali Disillusi che le nocche di Avery avevano rotto in pezzi di vetro invisibili.
Gli occhi neri di Sirius puntarono intensamente Liv, affannata quanto lui, che non riuscì a fare a meno di ricambiare l’occhiata per un lungo istante carico degli stessi taciti pensieri, la stessa tacita consapevolezza di essersi pensati a vicenda durante la breve lontananza immersa nel pericolo nonostante Ned Stevens, nonostante la ragazza del supermercato, nonostante tutto.
Il non potersi baciare ed abbracciare di slancio per assicurarsi che il cuore dell’altro battesse ancora, faceva male.
Il non poter stare insieme perchè Liv voleva "scrivere a Stevens" e Sirius "corteggiava altre ragazze", all’improvviso faceva incredibilmente male e sembrava l’unica cosa importante in mezzo allo stupido gioco di ripicche, trappole, prove e vendette.
«Che hai da ridere?» sbottò Liv, distogliendo lo sguardo da Sirius per rivolgersi al Serpeverde ghignante che con un rivolo di sangue sullo zigomo la stava fissando, provocatore.
«Assolutamente nulla» rispose Avery, sereno, asciugandosi il sangue con il dorso della mano. «Mi chiedevo soltanto se hai smesso o no di fare incubi sul funerale di tuo padre, McAdams».
Il tono perfido, maligno e quasi compiaciuto le arrivò dritto al cuore facendole fare una smorfia involontaria di dolore misto a rabbia per quell’argomento tirato fuori così, come un fulmine a ciel sereno.
«Sembrano reali, non è vero?» infierì Avery allargando il sorriso vagamente sadico. «Ti manca il fiato, ti sembra di esserci tu al suo posto là sotto».
La smorfia sul viso di Liv si accentuò e al dolore si aggiunse il disgusto e l’oltraggio per il sentirsi quasi nuda davanti a lui come se potesse vederla dentro, vederle le spine avvolte al cuore e i sogni che la tormentavano ogni notte.
«Ma è giusto così. Occhio per occhio dente per dente, come si dice...» continuò Avery, sardonico.
Liv, lo sguardo intensamente colpito, fece segno ad un iracondo James di abbassare la bacchetta puntata al compagno di classe.
«Cosa intendi dire?» chiese nascondendo ogni sorta di emozione sollevando fieramente il mento verso Avery che le si avvicinò lentamente facendo scattare la bacchetta in mano a Sirius, così attento e in allerta da assomigliare ad un cane da guardia pronto ad attaccare.
Liv notò la sicurezza con cui Avery camminava, si muoveva, teneva la postura. Non era la sua solita, quella tronfia e soddisfatta per essere un ‘Purosangue superiore’ un "figlio di Mangiamorte"
Era una sicurezza solenne e pacata come se si sentisse un dio, qualcuno impossibile da abbattere, qualcuno la cui superiorità non si poteva più mettere in discussione.
La leggera differenza metteva una certa soggezione che Liv si premurò di non dare a vedere facendo lei stessa un passo verso di lui, il volto impassibile e lo sguardo battagliero.
«Se si perde da una parte allora è giusto che si perda anche dall’altra, non credi? Ad ogni reazione corrisponde sempre una reazione, McAdams. Sai giocare a scacchi?» le sussurrò Avery ad un palmo dal naso. «É l’equilibrio che fa girare l’universo e che nemmeno il ‘’Grande’’ Albus Silente può fermare».
Liv assottigliò interdetta gli occhi azzurri, sostenendo lo sguardo beffardo del ragazzo mentre il cervello lavorava freneticamente.
Avery sapeva dell’Ordine di Silente?
Non lasciò i suoi occhi malignamente ridenti, fissandolo indagatrice.
«Stai forse dicendo che mio padre è morto perchè è morto il tuo?» sibilò in un soffio d’aria così intriso d’odio e violenza trattenuta da far rabbrividire James ed attirare Sirius, entrambi con ancora le bacchette puntate sul Serpeverde.
Avery sollevò un sopracciglio scuro, allargando il sorriso perverso.
«É la guerra, McAdams» si limitò a rispondere, mellifluo «E l’ago della bilancia non penderà mai dalla vostra parte. Ad ognivostro attacco ne seguirà sempre uno nostro».
Liv restò a fissarlo in un inquietante silenzio, incredibilmente gelida.
Vostro’, ‘nostro’: Avery parlava come un Mangiamorte fatto e finito davanti ad un membro dell’Ordine di Silente.
Un Mangiamorte che conosceva la sua volontà di unirsi a Silente, che pensava a suo padre come ad un membro dell’Ordine.
«Sei stato tu» sussurrò, sconvolta, senza distogliere lo sguardo da lui che si lasciò sfuggire un angolo delle labbra stirate. James sussultò a quella vista, un’espressione incredula stampata in faccia, e Sirius s’irrigidì, tetro.
Liv afferrò d'istinto un braccio di Avery per non farlo scappare e lui s'irrigidì al tocco, liberandosi dalla presa con una strana sofferenza fisica che lei e nemmeno Sirius e James capirono.
«Prendila e andiamocene!» annaspò Avery rivolgendosi all’uomo che di nuovo agguantò malamente una Liv dagli occhi chiari spiritati ancora fissi sul coetaneo Serpeverde, come se avesse davanti la morte o l’assassino di suo padre. La bacchetta di Sirius puntò all'istante l'uomo e quella di Avery puntò Sirius.
«Dovreste prendere anche me!» ruggì James facendo saettare la sua su Avery. «Sono anch’io un aspirante membro dell’Ordine di Silente!» fece sapere in tono di sfida.
Il volto livido di Avery parve avvampare, gli occhi brillare.
«Siamo in tre, a dirla tutta» lo corresse Sirius «Un bel bottino da portare a Voldemort, non credete? Sempre se riuscite a prenderci» fece notare con un sorrisetto insolente, la bacchetta sempre puntata sull’uomo che teneva Liv in ostaggio. «Prova a Smaterializzarla e io ti uccido ancora prima che tu possa pensare alla destinazione» gli sibilò con gli occhi furiosi.
Liv, ancora incantata all’assassino di suo padre ed infiammata da un sentimento corrosivo mai provato prima, si liberò dall’uomo con una violenta gomitata sullo stomaco e uno spietato calcio tra le gambe nello stesso momento in cui tre figure in divisa da Auror si Materializzavano davanti a loro.
A quella vista, Avery si Smaterializzò immediatamente e James pietrificò il complice messo schiena a terra dal ginocchio di Liv.
«Ragazzi?» esalò Alice, sconvolta, osservando la scena.
Frank raggiunse immediatamente Liv per chinarsi sull’uomo di pietra mentre Alastor Moody spostava il suo cupo sguardo da James a Liv e viceversa, guardingo ed impressionato al contempo.
 
 
 

 
*
 
 

 
 


 
Mary respirava a fatica sotto il Mantello dell’Invisibilità di James.
Il vicolo di Nocturn Alley era molto più stretto e buio di Diagon Alley, e completamente deserto perchè nessuno osava metterci piede, nemmeno le persone più losche ed affezionate alla magia oscura. Essere visti lì in un periodo come quello significava finire dritti al Wizengamot per un processo e poi quasi sicuramente ad Azkaban.
I Serpeverde e Malfoy, quindi, dovevano essere rinchiusi al sicuro da qualche parte. Ma dove?
I pochi negozi dalle vetrine luride e fatiscenti erano chiusi; le finestre delle case incrostate di sporcizia erano buie.
Mary cercò di fare meno rumore possibile avanzando quatta per Nocturn Alley con la bacchetta stretta in mano, pronta per essere usata al primo accenno di pericolo, e stando ben attenta che il Mantello le nascondesse anche i piedi.
Per una volta, la sua bassa statura le si rivelò utile. Ringraziò i geni dei suoi genitori per poi concedere un ringraziamento anche a James e a quel pezzo di stoffa che la faceva avanzare senza sentirsi addosso gli sguardi che la paura le stava facendo credere esistessero, magari dietro la tendina ingiallita nella finestra accanto.
Dal consunto pizzo dietro il vetro, gli occhi tornarono davanti a lei costringendola a fermarsi di botto.
C’era un’alta figura incappucciata e strisciante sul muro a pochi metri da lei.
La bacchetta si protese verso quella direzione ma il fiato mozzo le si liberò alla vista del volto sotto il cappuccio e della voce che la chiamava in un sussurro.
Abbassò l’arma e a passo sicuro raggiunse Remus, coprendolo con il Mantello in un leggero fruscio.
«Che ci fai qui?!» mormorò, severa.
Remus, sorpreso e spaesato dal cambio repentino della situazione, la guardò per qualche attimo venendo travolto dall’angoscia sul petto che a quella distanza ravvicinata con Mary sembrò espandersi rispetto ad un’ora prima sul pianerottolo dell’appartamento di Sirius.
Non riuscì a rilassarsi del tutto nonostante fosse ormai sotto la stoffa familiare e rassicurante perchè le labbra di Mary erano di nuovo vicine, il suo dolce profumo era di nuovo vicino ed era come se i giorni passati lontani da lei non avessero fatto altro che amplificare ogni cosa.
«Non puoi stare a Nocturn Alley da sola, è pericoloso anche sotto questo Mantello» le sussurrò, apprensivo, soffocando ogni più piccola sensazione.
La volontà di occuparsi in prima persona della sua protezione nel vicolo più pericoloso di tutto il mondo magico era stata più forte dell’altro senso di protezione, quello che lo teneva lontano da lei per il pericolo che lui stesso era.
«Pericoloso non quanto stare qui sotto con un Lupo Mannaro. Ma questo tu già lo sai, non capisco perchè sei qui» lo canzonò infatti Mary, pungente e sarcastica, trafiggendolo con gli occhi che Remus non riuscì a sostenere.
Remus aggrottò le sopracciglia rosse puntando la strada davanti a loro, cercando di incassare il colpo senza dare a vedere lo sconforto che sentiva assalirlo.
«Hai visto qualcuno?» le chiese cambiando appositamente argomento con voce instabile.
Mary non rispose subito. Si limitò a fissarlo, piuttosto irritata, non permettendo al cuore di sprofondare ancora.
«No, ma Magie Sinister ha la luce accesa» rispose piccata.
Remus annuì, forse fin troppo concentrato a guardare la lontana insegna malandata del piccolo ed oscuro negozio d’antiquariato.
Mary evitò accuratamente di farsi domande sulla sua presenza lì. Le risposte che voleva sentire erano quelle che uscivano dalla bocca di Remus non dal cuore gonfio nel suo petto, un cuore sempre troppo influenzabile davanti a lui.
Non ci fu bisogno di parlare. Entrambi avanzarono verso il negozio in un silenzio assoluto per un qualsiasi estraneo ma vibrante di un frastuono fatto di parole non dette ed altre ripetute allo sfinimento per loro due.
Quando arrivarono davanti alla vetrina polverosa di Magie Sinister, sbirciarono dentro cercando di avere una buona visuale dell’interno tra teschi di ogni dimensione, gioielli ossidati, collane di denti umani, mazzi di carte macchiate di sangue, coltelli arruginiti ed altri inquietanti oggetti dall’aria mortale.
Il locale sembrava non avere clientela. Al bancone, il proprietario aveva la stessa aria rilassata ma fin troppo innaturale di Olivander e Remus non faticò a credere che anche lui fosse sotto Maledizione Imperius.
Restarono lì per un’intera decina di minuti in cui non accadde nulla.
L’uomo gobbo e dal ciuffo di capelli unti che gli ricorpiva metà viso illuminato dalle lampade non si era mosso dalla sua postazione.
Mary cominciò a spazientirsi e guardarsi attorno chiedendosi se stessero perdendo tempo lasciandosi sfuggire i Serpeverde nascosti chissà dove, se fosse il caso o meno di cercare altrove.
Ma la stretta delicata della mano di Remus sul suo gomito la fece voltare ancora una volta verso la vetrina dove, oltre il vetro appannato, due figure stavano uscendo da dietro il bancone sotto lo sguardo rispettoso del signor Sinister che s’inchinò a loro con ossequiosa reverenza.
Soltanto spostandosi sull’altra finestra, libera da un grosso e alto armadio nero, Remus e Mary riuscirono a vedere i volti dei nuovi arrivati e quando lo fecero nessuno dei due riuscì a trattenere un sussulto.
Il più basso era Regulus Black, l’espressione seria ed altera mentre annuiva consenziente alla figura più alta: Lucius Malfoy con i corti capelli biondissimi tirati all’indietro e tra le mani maschera e cappuccio nero.
L’impellente bisogno di sentire cosa si stessero dicendo spinse Mary verso la porta in un pazzo tentativo di aprirla cercando di non fare rumore.
Remus riuscì a fermarla in tempo ricordandole che la campanella appesa all’uscio li avrebbe fatti scoprire all’istante.
Così si limitarono a guardare la scena senza suoni, osservare Malfoy poggiare una mano sulla spalla di Regulus per poi avvicinarsi al grande camino in pietra tuffando le dita nella ciotola della Metropolvere e sparire nel focolare, tra le fiamme smeraldine.
Regulus lo imitò subito dopo e in negozio rimase soltanto il proprietario.
 
 
 

 
*
 
 
 


«Va bene, continuate non dirci niente!» stava ruggendo sarcasticamente James tra Sirius e Liv, abbracciata da Alice. «Ma sappiate che mezza Diagon Alley è sotto Maledizione Imperius da almeno più di una settimana! Tom al Paiolo Magico, un folletto della Gringott, Olivander, il proprietario del Serraglio Stregato!» continuò sempre più fuori di sè «I Mangiamorte si sono già presi Diagon Alley e tengono sotto controllo chiunque metta piede qui, voi compresi! Per caso qualche vostra missione è fallita in questa strada?».
Gli occhi strabuzzati di Alice e quelli atterriti di Frank non furono il centro dell’attenzione di James che con sguardo colmo di sfida puntò un minaccioso Alastor Moody, decisamente interessato e colpito.
«Questi non sono affari che ti riguardano, ragazzino» tagliò corto il capo Auror, brusco. «Paciock, accompagnali nella Londra babbana, tieni d’occhio il Paiolo Magico ed occupati di Tom» ordinò facendo cenno a Frank di scortare gli studenti al pub mentre Lily e Peter facevano la loro comparsa rallentando la corsa, lei stranita e lui visibilmente radioso alla vista dei tre Auror.
Alice corse incontro a Lily, chiedendole come stesse.
«Bene» la tranquillizzò Lily trovandosi avvolta in uno degli abbracci tipici di Alice.
«Non dovete esporvi così tanto» le sussurrò in un orecchio l’Auror per non farsi notare dagli altri «Tutto ha un suo tempo, non è ancora il vostro. Non fate più pazzie, per favore».
Alice sciolse la presa guardando Lily negli occhi, trovandoli sbigottiti.
Nessuno osò dire che, in realtà, c’erano altri due ragazzi in giro per Diagon Alley. Tutti coprirono senza riserva Remus e Mary, costretti a seguire in silenzio Frank sotto l’occhio vigile di Moody.
«Che ci facevate tutti qui?» si affrettò a chiedere l’Auror appena il muro di mattoni si richiuse alle loro spalle lasciandoli soli nel piccolo cortile sul retro del Paiolo Magico.
«Compere di fine anno» rispose tranquillamente Sirius tuffando le mani nelle tasche.
Frank sollevò entrambe le sopracciglia scure, scettico come non mai.
«Carini i vostri nuovi look» osservò in un divertito sorrisino furbo «Erano necessari per le compere di fine anno, immagino».
Restò ad osservare i volti apparentemente impassibili dei suoi ex compagni di Casa dai capelli e occhi trasfigurati, fermandosi su Peter che invece gli sorrise, segretamente riconoscente.
«Non senti mai il bisogno di cambiare la tua faccia, Frank?» esordì amichevolmente James avvolgendo le spalle dell’Auror con un braccio per varcare la soglia del pub insieme. «Per Godric , ti vedo molto sciupato, dovresti lasciarti un po’ andare. Che ne dici se tu e Alice, stasera, venite ad aspettare il nuovo anno da Sirius e Liv?»
«Sirius e Liv?» ripetè piuttosto stranito lui girando la testa alle loro spalle per lanciare un’occhiata incredula ai due che facevano di tutto per evitarsi.
«Lunga storia, amico» rise James battendogli una mano sul petto «Abitano insieme e stasera facciamo una cena da loro, giusto per stare insieme in un momento in cui serve stare insieme. Che ne dici, i Ballerini di Hogwarts sono dei nostri?»
Frank rise. Erano sei anni che non sentiva quel soprannome. Lui e Alice, a dirla tutta, non ballavano più. Non c’era più tempo per ballare e forse nemmeno la voglia. Ogni energia doveva essere messa a disposizione dell’Ordine, del dipartimento Auror, della propria vita.
«Frank?»
Ma James era sempre il solito, riusciva a darne sempre in più, di energia.
«Come ai vecchi tempi?»
«Come ai vecchi tempi, Paciock».
Frank li accompagnò nell’appartamento di Sirius di persona e con la forza per poi andarsene raccomandando prudenza, "almeno per una volta".
Lily chiuse la finestra da dove un gufo aveva appena spiccato il volo con un biglietto indirizzato a Remus e Mary per informarli di raggiungerli lì.
«Sei sicura?» chiese per l’ennesima volta rivolgendosi a Liv che annuì, gli occhi e i capelli di nuovo scurissimi.
«James testimone» disse lei guardando l’amico annuire più volte ed ignorando completamente Sirius dallo sguardo immediatamente affilato fisso su di lei, se possibile ancora più irritato per quella totale mancanza di considerazione.
«Appena l'ha accusato di essere lui l'assassino si è lasciato sfuggire un sorriso beffardo, schifoso» confermò James picchiettandosi le palpebre con la punta della bacchetta facendo ricomparire i suoi tondi occhiali rotti. Li aggiustò con un altro semplice tocco.
Lily restò a fissarli per dei secondi infiniti, stordita come Peter non più stravaccato ed esausto sul divano ma così rigido da sembrare un manichino con la schiena perfettamente dritta.
«E sapeva dell’Ordine, di mio padre, del mio volermi unire a Silente» continuò Liv sotto gli occhi assorti di tutti, eccetto quelli ancora neri di Sirius. «É stato lui, ne sono certa. Ed ecco perchè Piton sapeva: si sarà vantato con lui».
Peter si alzò dai cuscini in pelle, nervoso e con la fronte imperlata di sudore, dirigendosi in bagno senza attirare l’attenzione dopo quella frase che aveva lasciato tutti impalati, sconvolti ed increduli di fronte alla notizia di avere un vero Mangiamorte tra i banchi di scuola, un assassino.
Lily si irrigidì a tal punto da sembrare di pietra.
E James lo vide nelle sue iridi sconcertate, lo stesso tormento che aveva travolto e turbato Sirius mezz’ora prima, gli stessi pensieri e le stesse domande travestite da demoni anche se rivolte a due persone diverse: “Anche tu sei già un Mangiamorte? Anche tu farai sul serio?” alle quali Regulus Black e Severus Piton non avrebbero mai risposto.
«Non so cosa potrei fare la prossima volta che me lo ritroverò davanti» sussurrò ancora Liv fissando il pavimento come se volesse bucarlo con la sola forza del pensiero.
«Niente» scattò Lily, severa «Non farai un bel niente perchè quello che finirà ad Azkaban, prima o poi, sarà lui e non tu»
«Lily, ti rendi conto?! Ha ucciso mio padre! Mio padre! E dovrò vederlo tutti i giorni gironzolare per la scuola, mangiare in Sala Grande, ridere, parlare, respirare!» replicò istericamente l’amica portando lo sguardo ridente ma per niente luminoso su di lei «E per tutti questi giorni mi sono nascosta da lui, da Avery, lo stesso con cui dovrò vivere sotto allo stesso tetto! Lui dovrà uccidermi e io vorrò ucciderlo, non finirà di certo bene!».
Lily aprì la bocca, sconvolta. «Non potrà fare un bel niente sotto al naso di Silente!» sentenziò indispettita e furente nei confronti di Avery.
Liv si lasciò andare ad un sospiro frustrato ed ancora cinicamente ridente, il cuore a batterle fin troppo veloce nel petto e l’indecifrabile sguardo perforante di Sirius addosso.
«Tenterà lo stesso, lo farà sembrare un incidente e io non voglio lasciargli il tempo nemmeno per pensare a come agire» sibilò Liv, lo sguardo fermo e scintillante di determinazione.
Lily parve prendere fuoco anche senza i suoi fiammeggianti capelli rossi.
«Vedremo se riuscirà a fare qualcosa dopo che avrò messo in guardia Silente» annunciò in tono di sfida guardandola dritta negli occhi con la sua solita straordinaria capacità di farla sentire con i piedi ben saldi a terra in mezzo al caos dove la terra sembrava non esistere.
«Intanto, prendere i M.A.G.O. e diventare Auror è il tuo primo passo per poterlo sbattere in cella di persona» continuò Lily con fermezza abbozzando un sorriso complice e vagamente vendicativo che a Liv piacque parecchio.
«Nel frattempo ci saremo noi a difenderti, da lui e dalla tua giusta voglia di vendetta. O pensi forse che ti lasceremo diventare un’assassina?*» aggiunse James raggiungendo la sua cercatrice al centro della stanza per buttarle un braccio sulle spalle. «Io, per esempio, sono un’esperto a fermare gli istinti omicidi. Sai quante volte ho salvato Sirius da prigionia certa? Senza di me, finirebbe dietro le sbarre di Azkaban un giorno sì e l’altro pure» cercò di stemperare la tensione rivolgendo un’occhiata irriverente e scherzosa a Sirius, trovandolo però incredibilmente cupo.
Riportò lo sguardo su Liv, il volto impassibile come se al posto di Sirius non ci fosse nessuno.
Stranito, James evitò accuratamente di chiedere cosa fosse successo grazie ad un’occhiata piuttosto eloquente e fulminante di Lily. Decise saggiamente di cambiare argomento.
«E adesso non lasciamo a quei bastardi il potere di rovinarci ogni cosa come hanno sempre fatto. Non possiamo mandare al diavolo il 1977 come si deve con i pensieri rivolti a loro» sbottò scrollando l’amica ‘sotto la sua ala’ che si lasciò andare ad un debole sorriso. James sorrise con lei, incontrando gli occhi di nuovo meravigliosamente verdi di Lily, accesi come i suoi.
«Ve l’ho già detto» disse Liv guardandoli mestamente ma con sincera decisione. «Soltanto perchè a me non va di uscire, voi non dovete stare qui. Andate a festeggiare il capodanno come fanno tutti i diciassettenni normali e non i novantenni in casa di riposo».
Lily non le rispose perchè sapeva benissimo che quella proposta non era stata rivolta a lei.
Come poteva lasciare la sua migliore amica lì per andare a divertirsi? Non l’avrebbe fatto nemmeno sotto tortura e Liv lo sapeva, sapeva che lei e Mary le sarebbero rimaste accanto come avevano sempre fatto in ogni momento della vita, bello e brutto, da quando si erano conosciute.
«Te l’abbiamo già detto anche noi» le parlò sopra James, sicuro e vagamente offeso per l’insinuazione. «Non starai qui da sola e non dovresti nemmeno pensarlo. Per chi ci hai preso, scusa?» Le scoccò un’occhiata oltraggiata che la fece sorridere lievemente.
Lily e James erano più simili di quanto chiunque potesse immaginare.
«E poi a me non piacciono le distoceche» informò ancora James con sfacciata serietà facendo arcuare le sopracciglia di tutti, quelle di Sirius in modo più evidente non soltanto per la pronuncia ridicolmente sbagliata dell’amico ma anche per il fatto che era l’unico lì a sapere che James aveva appena mentito. «Ma Codaliscia dov’è? PETER?!»
Peter, dal bagno, non rispose al richiamo di James.
Si lavò ancora una volta la faccia tonda e rossa al limiti del sopportabile e chiuse il rubinetto del lavabo con le piccole mani tremanti. Guardandosi allo specchio schizzato d’acqua proprio davanti a lui si sentì invadere dalla vergogna più spietata. Aveva avuto la verità tra le mani per tutto questo tempo e anche se adesso era venuta a galla da sola si sentiva ugualmente colpevole.
Colpevole per averlo nascosto a James, Sirius e Remus, colpevole per star ancora tenendo nascosto quel dettaglio e stranamente solo come se tenersi segreta quella parte di sè avesse tagliato uno degli infiniti fili che lo tenevano legato a loro.
Ed era tutta colpa di Sirius. Sì, colpa di Sirius che con quegli occhi accusatori gli aveva fatto capire che preoccuarsi dei Serpeverde era roba da sfigati, da stupidi.
Era colpa di Sirius se si era tenuto per sè le informazioni ottenute spiando di nascosto Avery, Mulciber, Regulus e Piton.
Preso da un’altra ondata di vergogna causata da quei pensieri cattivi rivolti all’amico che ammirava più di se stesso, aprì di scatto il rubinetto per sfuggire al suo riflesso e gettarsi in faccia altra acqua gelida.
 
 
 
 

 
*
 
 
 
 
 
 
 




«Mary, io non salgo» fece Remus osservando la ragazza tenergli aperto il vecchio portone in legno scuro del palazzo di Sirius.
Mary lo squadrò con cipiglio confuso restando perfettamente immobile come se non credesse a quelle parole.
«Saluta gli altri» proseguì Remus accennando ad andarsene.
«Fai sul serio?» lo bloccò lei, incredula davanti a tanta presunzione «Io non saluto proprio nessuno da parte tua, Remus, prenditi le tue responsabilità per una buona volta».
Il tono stizzito della ragazza gli trafisse letteralmente il petto. Remus socchiuse gli occhi di nuovo ambrati ingoiando il nulla.
Doveva andarsene. Che importava tanto?
I Malandrini prima o poi avrebbero capito e lei era già arrabbiata, giustamente.
Tutta quella rabbia, quella furia, Remus sentiva di meritarsela appieno.
Eppure c’era qualcosa che lo istigava ad agire per cambiare le cose, qualcosa che lo teneva inchiodato sull’asfalto: la pace, la felicità, la leggerezza trovata in quelle labbra di nuovo davanti a lui.
Aveva vicino la fonte della sensazione di normalità, quella che l’aveva fatto sentire un diciasettenne qualunque per un attimo breve quanto le carezze delle labbra di Mary.
Mary che non lo stava più guardando altezzosa ma addolorata ed irata al contempo con i lucidi occhi nocciola sotto la frangia ancora scura.
Non c’era più nessuna missione da mettere in primo piano, nessuno da spiare, ma soltanto loro due di nuovo faccia a faccia, di nuovo davanti a quello che entrambi avevano ignorato per giorni.
«Un lupo mannaro» sussurrò lei con un filo di voce disincantato ed appena udibile. «Sei un lupo mannaro, Remus, e non me l’hai detto» sibilò rabbiosa ed offesa, tradita dalla profonda tristezza che le fece tremolare le ultime parole.
Remus sospirò pesantemente, angosciato quanto lei. Gli occhi di Mary erano così grandi, lucidi e feriti da fermargli il respiro ed accelerargli il cuore.
Era quella la punizione che aveva meritato per essere stato una persona normale per mezzo minuto giorni prima.
«Tu non me l’hai detto» continuò Mary con enfasi per sottolineare il torto subito «Ero l’unica a non saperlo, sono stata l’ultimaa scoprirlo e la cosa che mi fa più...»- fece una pausa per non ammettere che le faceva male, che la faceva soffrire, che Remus continuava ad avere il potere di farla soffrire. Ma ogni più piccola sfumatura di quel dolore si poteva vedere nitidamente attraverso il suo sguardo limpido. «Non l’ho saputo da te» tagliò corto senza riuscire a tenere ferma la voce, senza riuscire a trattenere un principio di pianto che sfuggì del tutto al suo controllo quando riprese a parlare. «L’ho scoperto da un altro lupo mannaro! Uno che poteva uccidermi, al tuo contrario!».
Il caldo sguardo di Remus, dilatato e lucido di fronte alla ragazza in lacrime, sembrava divorarla e scappare al tempo stesso.
Mary però non spostò di un millimetro l’attenzione da lui.
«Perchè non me l’hai detto?» gli chiese arpionandolo con gli occhi vibranti di lacrime.
Il silenzio invase i secondi seguenti e notando che l’espressione tramortita ed indecisa di Remus sembrava non volesse cambiare, Mary gli lanciò un’ultima occhiata profondamente delusa facendo per chiudere il portone.
«Perchè... guardati!» esplose lui, agitato, costretto da quella spinta impossibile da fermare che lo istigava a riacchiapparla appena lei si allontanava davvero. I suoi occhi spaventati si posarono sul cerotto al collo di Mary che strinse le dita sulla nera vernice scrostata della porta, riaprendola del tutto.
«No, Remus, guardami tu» disse piatta con le guance, il naso e gli occhi rossi.
«Io ti sto guardando e vedo una ragazza quasi morta, quasi... quasi...» balbettò lui, annaspando.
«Dillo!» sbottò lei, spazientita.
«No!» ringhiò lui, infuocandosi a sua volta.
«Perchè no!?»
«Perchè non voglio nemmeno pensarlo, immaginarlo, perchè non deve succedere!»
«Ma può! Può succedere, Remus! Stava per succedere anche se per tutto questo tempo hai pregato, sperato, nemmeno pensato o immaginato che potesse accadere! È quasi successo, quasi una settimana fa! Non mi avevi rivelato il segreto, non stavamo insieme ma è successo lo stesso!».
Remus scosse la testa sollevando distrattamente le mani ai lati del viso come se volesse tapparsi le orecchie e non sentirla.
«Mi farò dei nemici non unendomi a Voldemort, non unendomi a quel lupo mannaro, e tutti quelli attorno a me saranno in pericolo» sibilò stringendo i pugni che riportò lungo i fianchi «Non posso stare con te e non potevo dirti cosa sono perchè so che per te non è un problema ma... ma lo è eccome, invece!»
«Oh, no, Remus!» rise sarcasticamente Mary mentre dalle ciglia bagnate colava via una lacrima.
«Mary» tentò di fermarla lui, in panico, sentendo il controllo sfuggirgli di mano.
«No, no, no» lo bloccò decisa lei sollevando una mano. «L’hai già detto, Remus. Questo... » sottolineò indicando lo spazio tra loro con dei vaghi gesti circolari «Continui a dirlo! È assurdo! Io... io credevo che t’importasse di me»
«E m’importa!» scoppiò lui, così frustrato che i suoi occhi si riempirono di lacrime all’istante come non era mai successo.
«Non è vero»
«Io lo faccio...»
«Non provare a dire che lo fai per me!»
«È la verità!»
«Non lo è
«Se ti dovesse succedere qualcosa per colpa mia?!»
«È successo! È già successo qualcosa! E non per colpa tua
«Sono io che ti ho fatto vedere la foto! Sono io che ti ho fatto riconoscere quell’uomo, quel»- Remus abbassò la voce roca e tremula, avvicinandosi repentinamente all’uscio, a lei- «lupo mannaro che mi ha ridotto così e che poteva ridurre così anche te!».
Mary sbattè velocemente le palpebre a quella notizia, scioccata. Era stata morsa dallo stesso lupo mannaro che aveva morso Remus?! Era lui?!
Ma non si lasciò fermare nemmeno da quello.
«Se non l’avessi riconosciuto, Diana sarebbe morta!» mormorò furiosamente. «Io, sono io che ho scelto di attaccare un Lupo Mannaro! E l’ho fatto perchè il lupo mannaro voleva azzannare una babbana! E lui l’ha fatto perchè siamo in guerra, Remus!Siamo. In. Guerra. Svegliati!» ringhiò in lacrime, pigiandogli con forza l’indice sul petto ad ogni parola come per imprimerglielo bene addosso.
Remus si passò frastornato una mano sugli occhi, sul viso bagnato. Non aveva mai pianto davanti ad una ragazza, non aveva mai pianto per una ragazza.
In realtà, non aveva mai fatto niente con e per una ragazza. Ed era forse quel non avere la più pallida idea di come comportarsi ad aver reso tutto così difficile con Mary.
Era successo e basta, lui non se n’era nemmeno accorto perchè Mary era spontanea e la sua spontaneità sembrava contagiarlo ogni volta.
Ed ecco perchè si era ritrovato a parlare con lei ai Tre Manici di Scopa, a ridere senza nascondere la bocca durante le ronde, a stare seduto con lei sotto gli alberi ascoltando semplicemente il fruscio delle fronde della Foresta Proibita e le voci in lontanza di una squadra di quidditch che si allenava al campo.
«Non deve succedere. Quel morso...» soffiò con un rancore rivolto più a se stesso che a lei. «Non deve succedere» ripetè, disperato.
«Ascoltami» lo stupì Mary lasciando il portone per prendergli le mani tra le sue facendolo sussultare impercettibilmente; la spontaneità del gesto lo condannò in partenza e Remus lo sapeva, lo sapeva che non aveva scampo.
«Non possiamo stare insieme perchè hai paura di perdermi? Solo questo? Non c’è davvero nient’altro?» gli chiese Mary piantando con decisione gli occhi nocciola sui suoi, storditi.
«Sì» rispose in tutta sincerità Remus faticando a distinguere il tepore sulle mani da quello dentro al petto, faticando a distinguere il battito del cuore dovuto alla felicità di averla così vicina e quello nato dalla paura per averle detto la verità, per essersi praticamente dichiarato.
Era stato contagiato, di nuovo, e con profondo rammarico ammise anche questa volta quanto fosse bello liberare se stesso. E non c’era niente di male, certo, se non si pensava al fatto che quel ‘se stesso’ era indissolubilmente legato ad un mostro peloso e munito di artigli che veniva trascinato fuori insieme a lui.
«Hai paura di perdermi. Non ti sembra ridicolo?»
«Mary, io non... »
«Se non stiamo insieme non mi hai, mi hai già perso. Se non stiamo insieme non mi avrai mai e magari morirò come stavo per fare giorni fa. Morirò per mano di un lupo mannaro, di un Mangiamorte o di Voldemort, oppure sotto un bus. E tu mi avrai perso davvero, senza avermi mai avuto. È questo che vuoi? Preferisci questo? Perchè se preferisci questo allora...». Fece scivolare le dita da quelle di Remus che sorprendentemente la trattenero.
«Io» esordì con voce acquosa e roca Remus immergendosi nelle iridi nocciola, accese a quel contatto «sto eliminando dalla lista delle possibili morti quella da lupo mannaro perchè non esiste come possibilità. Nella lista delle tue possibili morti, quella da lupo mannaro non deve esistere» sussurrò con forza.
«Eppure stava per succedere! Eppure esiste!» scoppiò sottovoce lei senza fiato «É la seconda della lista dopo quel volo che ho fatto dal faggio al prato  per colpa di Mulciber!».
Il gemito di frustrazione di Remus si perse nell’aria gelata. Spostò lo sguardo carico di lacrime in un punto imprecisato della via sembrando sul punto di esplodere, travolto dalla logica schiacciante di Mary che soffocava ogni suo pensiero, anche quello più convincente.
«Che tu stia in disparte ed isolato da tutti o no, le cose orribili capitano comunque, Remus» continuò Mary stringendo a sua volta le dita intrecciate alle sue «Non sei l’unico lupo mannaro esistente. Ma sei l’unico che conosco che non farebbe del male a qualcuno, che preferisce soffrire da solo piuttosto che fare del male agli altri. Sei quello che potrebbe cambiare le cose dando il buon esempio per tutti quelli che come te non vogliono combattere per Voldemort ma contro! Sei l’alternativa a quel lupo mannaro che ti ha trasformato! Questo non è un buon motivo per vivere in mezzo agli altri?!».
Remus balbettò, confuso come non mai. Quasi gli girava la testa.
«E non te ne rendi conto!» ringhiò tra i denti stretti Mary «É questo che mi fa rabbia, che mi fa venire voglia di... di... »
«Io voglio farlo, Mary» la fermò Remus angosciato, gli occhi liquidi spalancati nei suoi. «Voglio entrare nell’Ordine anche per questo! Ma da solo» le confessò quasi supplicante sciogliendo l’intreccio delle mani.
Mary lo guardò stordita, le ciglia bagnate come le sue, gli occhi sofferenti come i suoi.
Perchè doveva essere così difficile? Perchè faceva così male?
«Ci sarò anch’io nell’Ordine» gli ricordò facendosi dura «Combatterò comunque al tuo fianco anche se non staremo insieme. Rischierò ogni giorno, ogni ora come se fossimo insieme ma non lo saremo. E torneremo a casa, da soli, dopo aver sfiorato la morte. Potrò morire per una Maledizione Senza Perdono o di nuovo morsa da un lupo mannaro, non per colpa tua ma perchè sarò un membro dell’Ordine di Silente. E non sappiamo con certezza se il licantropo che ti ha trasformato è veramente al servizio di Voldemort, potrebbe invece essere sotto Imperio come certi Purosangue costretti dai Mangiamorte».
Gli occhi ambrati di Remus che per tutto il tempo si erano gonfiati e riempiti in modo contrastante di rabbia, frustrazione, affetto, paura e desiderio, in quel preciso momento sembravano essersi svuotati all’improvviso di tutto quanto, lucidi come non mai, spaesati di fronte a quel nuovo punto di vista.
Restò così per diversi istanti che parvero infiniti ad entrambi, restò a guardarla tramortito perchè davanti a Mary, adesso, non c’era più nessun ostacolo e poteva vederla in tutta la sua rassicurante genuinità, in tutto il suo coraggio, la sua forza, la sua semplice bellezza radiosa che scacciava la luna come il sole faceva ogni mattina: preciso, immancabile, inarrestabile.
Mary era lì, ancora lì, dopo tutti i suoi ’non posso’, i silenzi, le bugie, le distanze, le notti più nere che adesso conosceva anche lei.
“Tu meriti una ragazza che voglia e sappia stare con te nonostante la gente ipocrita, nonostante il pericolo che potrebbe procurarle averti al fianco, nonostante i mille ostacoli che tu e gli altri le mettete davanti ogni giorno. Tu meriti il meglio anche se pensi di essere il peggio”.
Si avvicinò al suo viso e il febbrile respiro teso di Mary, Remus lo sentì dolce sulle labbra.
Bastava un centimetro per sentirsi di nuovo un diciassettenne normale, per avere accanto il suo sole giorno e notte, la sua calda e luminosa certezza giornaliera che non sarebbe tramontata la sera, che non l’avrebbe lasciato da solo la notte, da solo con la luna.
«E anche se quel lupo mannaro fosse al servizio di Voldemort di sua spontanea volontà» cominciò a bisbigliare Mary con un filo di voce e il cuore in gola «verrei presa di mira in ogni caso, da amica o fidanzata non importa perchè io non mi allontanerò mai da te, Remus Lupin». Remus sentì il suo nome nel sospiro che gli scaldò le labbra, subito dopo coperte con delicatezza  da quelle di Mary. E fu lui a sospirare in quel soffice incontro fatto di stordente felicità.
“Non puoi rinunciare a lei solo perchè non hai il coraggio”.  
Prendendole gentilmente il viso tra le mani, rispose con lentezza a quelle labbra e sulla guancia di Mary scivolò giù una lacrima.
Il finalmente ricambiato bacio da timido ed incerto si fece impetuoso, intriso di tutte le emozioni rinchiuse dentro entrambi per mesi, anni.
Mary si lasciò circondare la vita dalle braccia di Remus e tutt’e due eliminarono le ultime distanze come se non volessero lasciarsi sfuggire l’altro in quel vortice di sensazioni forti ma straordinariamente confortanti.
Restarono a baciarsi per minuti interi, con la felicità a stringere il cuore, le vertigini nello stomaco e le labbra a cercarsi e trovarsi, non più impegnate a pronunciare i ‘perchè’ e i ‘non posso’.
Furono costretti a staccarsi non per riprendere fiato ma per gli irrefrenabili sorrisi aperti che ad entrambi stirarono le labbra umide, distanziandole dalle altre.
Remus poggiò la fronte sulla morbida frangia di Mary restando a guardarla con i due occhi ambrati increduli e storditi, come se non si capacitasse della cosa. E lei allargò il sorriso, più luminosa che mai.
Non avevano parole per descrivere l’emozione che gonfiava il cuore fino a sprizzare scintille in quei sorrisi, in quegli sguardi incatenati gli uni agli altri.
Non c’erano parole per descrivere la sensazione di sicurezza, pace e gioia così disarmanti e desiderati da non sembrare nemmeno reali.
Ma più Remus la guardava, più il suo sorrriso si abbassava. Mary lo notò chiaramente e non fiatò continuando ad osservarlo a sua volta con la massima attenzione.
Quando lui cominciò a parlare sentì il cuore incastrato in gola pulsare, spaventato.
«Mi dispiace non avertelo detto, mi dispiace se sei stata l’ultima a saperlo» esalò Remus, stringendo le dita sulla vita di Mary. «Mi sono davvero sentito in colpa per tutto questo, per il fatto di averti nascosto la parte più segreta di me mentre tu mi raccontavi tutto di te, ogni giorno di più. Mi sono sentito in colpa per non essermi potuto comportare spontaneamente con te, Mary, come tu hai sempre fatto con me. E molto probabilmente dovrei dire altre mille cose perchè mi sento pieno come un uovo di cosecose pesanti e grandi, cose ingombranti, cose che non ho mai avuto prima, qui dentro. Non parlo del mio vocabolario interno, sia chiaro, perchè quello ce l’ho sempre avuto anche se sembra davvero che io l’abbia visto soltanto adesso. Quindi, forse è il caso di riaprire per la miliardesima volta il mio vocabolario interno che non può abbandonarmi proprio adesso, dopo essere eroicamente cresciuto nelle vicinanze di James e Sirius come uno di quei fiori miracolati che spuntano dall’asfalto...».
Mary scosse debolmente la testa fermandogli gentilmente le labbra con i polpastrelli, divertita nel vederlo senza il suo adorato controllo, così stranamente simile a lei quando perdeva il suo, quando era umana esattamente come lo era lui. «Perchè non ricominciamo da capo e basta?» gli propose semplicemente senza smettere di sorridere. Era impossibile smettere di farlo.
La preoccupazione e la follia nelle lucide iridi ambrate si sciolsero mentre la curva delle labbra attraversate dalle vecchie cicatrici si risollevava, irrefrenabile per il sollievo che lo colpì di sorpresa come il vocabolario interno gli si stava scaraventando ripetutamente addosso, sul cranio.
Ignorandolo con la stessa forza di volontà con cui ingorava il distintivo da Prefetto sotto un Mantello dell’invisibilità alle due di notte, Remus lasciò passare qualche istante di ironico silenzio solenne prima di parlare, trattenendo una mezza risata.
«Mary?»
«Sì, Remus?» fece lei restando al gioco. Il sorriso brillava di una luce mai vista prima, bellissima, la stessa negli occhi ferventi di Remus.
«Devo dirti una cosa» fece lui tentando di mantenere un’espressione seria e contrita.
«Cosa?» rise sommessamente lei.
«Sono un vampiro» rivelò fintamente addolorato facendola scoppiare a ridere, una risata cristallina capace di smuovere anche lui, ancora poggiato sulla sua fronte.
«Stupido» lo apostrofò divertita Mary lasciandogli un veloce ed affettuoso bacio a fior di labbra mentre lo stomaco di entrambi esplodeva in uno sciame di farfalle impazzite.
«Sono un lupo mannaro» le mormorò tra le labbra Remus sentendo un enorme macigno sollevarsi inaspettato dai polmoni.
«E a me sta bene così» gli rispose Mary in un’altra nuova e delicata carezza di labbra che si trasformò in un altro bacio, bloccato quasi subito da Remus.
«No, Mary, voglio che tu ci pensi bene» le sussurrò, questa volta in tono realmente cupo.
«Remus, stai scherzando?» sospirò in un sorriso incredulo lei.
«Dico sul serio» la fermò ancora posando con accortezza una mano sul cerotto al lato del collo, lo sguardo determinato ed affranto.
Mary divenne seria quanto lui continuando a guardarlo con maggiore attenzione per poi prendergli il viso tra le dita e baciarlo con così tanta decisione da lasciarlo spiazzato.
Le labbra di Mary lo lasciavano e riprendevano senza nessuna titubanza, nessuna incertezza. Erano lente come se non avessero nessuna fretta, calme come chi sa di essere al posto giusto. Trasmettevano la certezza e la fiducia che rassenerarono ogni più piccola parte di Remus placando l’animale aggrappato alla sua anima umana come se Mary si fosse trasformata in un piccolo Animagus dentro al petto.
«Come te non c’è nessuno, Remus. Sei la persona più gentile, onesta e buona che conosco ed è questo che ti rende speciale, chemi piace di te. Mi fai sentire a mio agio ovunque senza passare metà del tempo a chiedermi se sono o no esagerata, imbarazzante o fuori luogo perchè anche se lo sono tu lo accetti, tu non lo trovi strano e quando lo siamo insieme non c’è niente di più bello, di più naturale, di più umano. Mi hai fatto sentire più al sicuro del Mantello di James e continui a farlo anche adesso mentre mi metti davanti il lupo come se fosse la tua guardia del corpo» esalò Mary allontanandosi leggermente dalle sue labbra schiuse per lo stupore.
«Perchè sei anche un lupo mannaro una volta al mese, un lupo mannaro in una guerra che ti vorrebbe dalla parte sbagliata... non lo sottovaluto, non lo nego» proseguì, gli occhi nocciola intensi e rassicuranti. «E ci sarò per entrambi. Ci sarò per la persona meravigliosamente umana che sei e ci sarò per il lupo che ti hanno costretto ad essere. Puoi convivere con quel mostro senza negare niente al ragazzo che sei da quando sei nato. E io sono qui per ricordartelo: Tu puoi, Remus, puoi fare e avere tutto ciò che desideri. Puoi avere me,puoi avere un lavoro e degli amici, puoi essere te stesso, puoi anche sbagliare e sembrare privo di un vocabolario interno perchè sei umano e quando lo sei... sei tu senza nessuna finzione, e sei normale. Tu puoi avere una vita normale, sono qui per ricordartelo e per aiutarti ad ottenerla. Non combatterai più da solo per tenere a bada il lupo, non affronterai più niente da solo».
Remus non potè fare altro che fissarla, profondamente scosso e commosso dalle parole, dalla distinzione netta tra lui- Remus Lupin, quello che era sempre stato, quello che sentiva di essere- e il lupo che si era insinuato in lui all’improvviso, contro la sua volontà; scosso e commosso dalla speranza che lei gli stava infondendo con i suoi bellissimi e dolcissimi occhi nocciola.
Non riuscì a fare altro che tuffare di sua spontanea volontà le labbra sulle sue e poi abbracciarla, così forte da toglierle il respiro.
 
 
 

 
*
 



 
«Che stai facendo?» esordì Lily chiudendo lo sportello del forno dove il pasticcio di carne comprato pronto si stava scaldando.
Liv sollevò per un attimo lo sguardo ironicamente interrogativo dal sacchetto di patatine che stava rovesciando su una ciotola, guardando prima le patatine e poi lei, come se fosse pazza.
«Intendo con Black» specificò Lily poggiandosi al ripiano invaso dal cibo.
Lo sguardo scuro di Liv si rituffò sulle patatine.
«É nella lista nera» rispose semplicemente, come se fosse la cosa più normale ed ovvia del mondo.
Il sopracciglio rosso di Lily si arcuò, sorpreso.
«Non dovevo nemmeno metterlo in dubbio» continuò Liv gettando distrattamente il sacchetto vuoto nel lavandino. «Perchè non mi hai detto che stavo facendo la stupida, Lily?»
Lily continuò a scrutarla, scettica. Sembrava che la cosa non la sfiorasse nemmeno o la trovasse assolutamente normale.
«Liv» la richiamò con un tono di chi la sapeva lunga, perchè era chiaro come il sole che invece era profondamente delusa.
«Voglio dire» riprese Liv, testarda, smettendo per un attimo di mordicchiarsi con nervosismo il labbro inferiore. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio, no? E accalappiare belle ragazze al supermercato è normale routine, per lui».
Lily spalancò gli occhi verdi, sconcertata. «É questo che ha fatto?» chiese con le labbra arricciate in una smorfia piuttosto infastidita mentre Peter entrava nella piccola stanza, zittendo entrambe.
«Ehm» fece vagamente in imbarazzo, rendendosi conto di aver interrotto qualcosa. «L’acqua» spiegò, indicando timidamente il motivo per cui era lì.
Le due lo osservarono prendere la bottiglia e poi uscire in tutta fretta dalla cucina.
Tornò in soggiorno trovando James non come l’aveva lasciato- ovvero intento a restituire tramite specchio gli insulti di tre mesi a Sirius - ma in fase d’osservazione scientifica dello stesso Sirius, ancora concentrato a riempire il tavolo di burrobirra ed alcolici vari con la stessa aria cupa e a dir poco spaventosa di due minuti prima.
«Che hai?»
«Io non passo il tempo a chiederti cos’hai, Scornuto, anche se sembri costantemente ubriaco e fatto».
Peter prese un sorso dalla bottiglia d’acqua controllando la reazione di James che annuì con fare professionale senza distogliere lo sguardo attento da Sirius.
Il soggetto era brusco, piuttosto brusco, e acido a livello quattro tendente al cinque.
«Che hai?». A maggior ragione ripetè la domanda perchè quel caratteraccio, il veleno, gli insulti, la rabbia erano precisi sintomi.
Sirius continuò a non rispondere, limitandosi a spostare le bottiglie di burrobirra per far spazio a quella del Whisky Incendiario senza sciogliere le sopracciglia aggrottate.
«É per Olivia, Ramoso» se ne uscì lo stesso Ramoso, imitando la voce e i gesti di Sirius che gli scoccò un’occhiata gelida di sottecchi.
«Mi è entrata in testa e non solo nelle mutande» continuò James aggiudicandosi un’ altra occhiata maledettamente fulminante e rischiando di far strozzare Peter con l’acqua che stava bevendo mentre rideva.
«Sono fottuto, fratello» parlò ancora James tuffando le mani nelle tasche in una perfetta imitazione dell’amico. «Una volta ti ho detto che mi sarei fottuto il cervello solamente se avessi trovato una ragazza bella, pazza e stronza quanto me. Beh, l’ho trovata, è Olivia e io sono fottuto»
«Zittisciti» sibilò Sirius, sferzante e minaccioso.
«E ti dirò, lei è anche di più. Mi capisce nel profondo e mi accetta per quello che sono. E se in questo momento tu non mi stessi magistralmente imitando mi diresti che in questi giorni mi hai visto veramente me stesso anche alla luce del sole, fuori dalla nostra cerchia di Malandrini».
Lo sguardo tagliente di Sirius si fece attento, aprendosi leggermente a quelle parole che sapeva erano sincere.
«E adesso sto facendo il solito stronzo infame perchè me la devo prendere con chiunque per sfogarmi, per scaricare sugli altri la colpa del mio rovinare sempre tutto. Sì, ho fatto una cazzata che tu non sai, Ramoso, perchè come al solito non ti dico mai niente e perchè di fatto sono un emerito coglione» proseguì James facendo scattare la testa all’indietro come per scostarsi lunghi ciuffi di capelli dal viso.
Sirius lo guardò con sufficienza, consapevole però di quanto tutto quello fosse vero.
«É tutto ok, Felpato» lo tranquillizzò James cambiando repentinamente tono ed espressione per tornare in sè facendo strabuzzare gli occhi a Peter, seriamente convinto di essere davanti ad uno schizofrenico.
James, un sorriso sornione stampato in faccia, allargò le braccia cominciando ad avvicinarsi a Sirius che, mollando le burrobirre sul tavolo, arrancò all’indietro per allontanarsi dal minaccioso abbraccio.
«Grazie per esserti aperto a me, l’ho apprezzato tantissimo» riprese James, paurosamente felice, avanzando verso di lui come un Infero. «Sono così fiero di te, fratello. Vuoi che facciamo una lista anti-rimbecillimento?»
«Perchè non lo chiedi a Stevens?» scattò Sirius, velenoso, continuando ad indietreggiare. «Lui ne avrà sicuramente più bisogno di me quando riceverà lettere da Olivia ed inizierà ad uscire con lei». Arrestò la fuga, vedendo James bloccarsi accanto al divano.
«Come, scusa?» chiese quest’ultimo, stranito e a dir poco sconcertato.
Sirius non fiatò, si limitò a fissarlo in cagnesco trattenendo una folle, bruciante, incontrollabile voglia di andare a prendere a pugni Ned Stevens per eliminarlo dalla faccia della terra.
James rimase a scrutarlo con occhi sorpresi da dietro le lenti rotonde. Fu la porta d’ingresso spalancata a fargli distogliere lo sguardo analizzatore.
«Ehy» esordì Remus varcando l’uscio con Mary al seguito.
Peter sorrise, sollevato nel vedere l’amico tutto intero.
«Finalmente! Ragazze, sono tornati!» esclamò James allungnado il collo verso la cucina.
«State bene? Cos’avete scoperto?» chiese ai due nuovi arrivati mentre Lily e Liv li raggiungevano di corsa. Furono le prime ad accorgersi che tra Remus e Mary era successo qualcosa; impossibile non notare la luce negli occhi di entrambi, i sorrisi accennati, le guance rosse, le labbra rosse.
Lily sorrise così tanto da scoprire tutta la fila di denti.
«Malfoy era da Magie Sinister, con maschera e cappuccio in mano» cominciò a raccontare Remus sfilandosi la cuffia dalla castana testa scarmigliata.
«Era sul retro del negozio insieme a Regulus Black» continuò Mary restituendo il Mantello dell’Invisibilità a James. «Hanno parlato e poi preso la Metropolvere»
«Non abbiamo sentito niente, non potevamo aprire la porta» si affrettò ad aggiungere Remus notando Sirius inclinare lentamente il capo da un lato, gli occhi socchiusi e il volto una maschera di tetra freddezza.
James, accortosi del cambiamento dell’amico, aprì la bocca nel tentativo di calmare gli animi senza però trovare niente da dire.
Non c’era proprio niente da dire se non si voleva scatenare l’inferno quando Sirius cadeva in quella precisa specie di trance che includeva suo fratello.
Fu proprio Sirius a scongelare la situazione. Lo fece girando elegantemente i tacchi e raggiungendo il tavolo delle bevande per afferrare con perfetto aplomb la bottiglia di Whisky Incendiario, stapparla ed esordire con un disinvolto: “Vogliamo cominciare?”.
James restò a guardarlo, serio.
Non iniziava affatto bene- le facce turbate di Remus e Peter lo dicevano chiaramente- e non sarebbe nemmeno finita bene. Ma lo raggiunse, acciuffando un grande bicchiere di carta dalla pila ordinata accanto alle bottiglie.
«Non devi nemmeno chiederlo» rispose sollevandolo in direzione del ghigno di Sirius nello stesso momento in cui la voce squillante di Alice echeggiò nell’appartamento.
«Senza dolci?» esordì l’Auror facendo il suo ingresso a braccetto con un imbaccucato Frank tutto preso a far oscillare allegramente una maxi busta di Mielandia.
A Peter brillarono gli occhi a quella vista e un gran trambusto invase la stanza ormai piena.
Lily, tra saluti e baci, afferrò Mary per un braccio.
«Cosa sono queste?» le chiese, radiosa ed indagatrice al contempo.
«Queste cosa?» fece Mary sfilandosi la sciarpa dal collo ed intercettando lo sguardo furtivo di Remus, in allerta poco distante da loro mentre salutava Frank con una pacca sulla schiena.
«Queste facce soddisfatte»
«Oh, Lily, ti prego»
«E cosa sono quelle?» continuò sottovoce indicando le labbra rosse e gonfie di Mary che si curvarono inevitabilmente verso l’alto.
«NON CI POSSO CREDERE!» gridò Alice spalancando le braccia in mezzo al gruppo. Tutti si voltarono a guardarla, spaventati. «Voi due vi siete baciati!» cinguettò indicando ripetutamente Remus e Mary.
 
 



 
*
 
 
 
 

 
 
 


 
«E per gli sposi hip, hip?!»
«Basta, Sirius»
«Urrà!»
«Hip, hip!?»
«Urrà!»
«Ci dev’essere qualche santo che mi trattiene e vi protegge tutti...»
«Bacio! Bacio! Bacio!»
«Io non ci credo fino a quando non li vedo limonare pesantemente»
«Lo stavo per dire io, Felpato!»
«Bacio, bacio, bacio!»
Mary mollò la tartina morsicata sul piattino ed afferrò il volto di Remus- intento a fissare gli amici gridare a squarcia gola- per baciarlo con trasporto, prendendolo alla sprovvista. Liv, l'unica rimasta in silenzio dall'inizio della cena, li osservò con piccolo un sorriso affettuoso pensando che quell'anno aveva portato con sè almeno una cosa bella.
Partì ogni sorta d’esclamazione sorpresa e vittoriosa, innalzandosi dal tavolino da caffè invaso dalla cena.
«E chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato Remus il primo ad avere una ragazza?» ridacchiò Peter quando tutti si rituffarono sul cibo e Remus passò da un malsanissimo bordeaux ad un accettabile rosso acceso.
«Hai ragione, Peter, le cose con cui esco io dal terzo anno sono creature  venute da marte, non ragazze» convenne sarcasticamente Sirius addentando una patata arrosto con una mano e prendendo un sorso di Whisky con l’altra sotto l’occhio turbato di Alice, seduta sullo stesso suo ampio cuscino del divano poggiato a terra.
«Tu sei stato il primo ad aver avuto un bacio non una ragazza, Felpato, è diverso» lo corresse Remus trovando e stringendo la mano di Mary sotto il tavolino.
«Ma comunque l’affermazione di Peter resta assurda, Remus. Non sei stato il primo ad avere una ragazza» sostenne James con la bocca piena di pasticcio di carne. «Vi siete dimenticati di Wendy?».
Tutti e tre i restanti Malandrini scoppiano a ridere sonoramente, quasi soffocandosi con il cibo.
«Ehy! Wendy era la mia ragazza!»protestò piuttosto offeso James.
«Vi vedevate una volta a settimana, James» gli ricordò pazientemente Remus.
«Per limonare e litigare ad intermittenza. E a rompere le palle a me, dopo» specificò Sirius facendo ridere tutti attorno al tavolo, tutti tranne Liv che si limitò a curvare le labbra mordendo un un grissino avvolto dal bacon come se nessuno avesse parlato.
«Vi ringrazio per ritenermi più importante delle squinzie di Black e di Wendy la Lagnosa» esordì Mary in un divertito sorriso onorato osservato con affetto da Remus.
Sirius fece spallucce, come se non gli importasse niente, versandosi da bere.
«Lagnosa?» ripetè invece James, piuttosto oltraggiato, allungando il bicchiere verso l’amico che glielo riempì. «Wendy non era...» Lo sguardo fulminante dello stesso Sirius gli fece morire le parole sulle labbra.
«Perchè James non mi dice che mi ama?» piagnucolò il suo migliore amico in una perfetta imitazione di Wendy con tanto di labbro inferiore sollevato e spalle curve «James mi ama? Tu devi saperlo per forza! Perchè non me lo vuoi dire? Ma tu lo sai?».
Scroscianti risate si levarono sopra il tavolo. Lily rise sotto i baffi nascondendo il sorriso sul vetro del bicchiere, beccata in pieno da una Liv contagiata, suo malgrado, dallo show dei due compari già brilli.
«Ok, lo era, un po’»
«Siiriiuus, gli puoi chiedere se mi ama? Ti prego, Siiriiuus...»
«Un po’ troppo».
E rimasero lì a ridere ancora, a mangiare, parlare, bere. Tutti lì, per niente agghindati a festa con degli anonimi maglioni addosso, i capelli spettinati e le scarpe consumate dalle corse fatte a Diagon Alley, consumate dalla voglia di combattere, di non arrendersi.
Alice e Frank con i bicchieri pieni di sola acqua per tenersi dentro la Fenice, Liv con il labbro ancora spaccato non quanto il cuore eppure leggermente curvato verso l’alto; James con i capelli di nuovo neri e gli occhi ancora verdi come se li avesse rubati a Lily che pareva volesse riprenderseli, viste tutte le volte che li osservava di proposito.
Remus e Mary incapaci di sciogliere l’intreccio delle loro mani, Peter non più oppresso dal pensiero di essere l’unico a sapere di Avery e poi Sirius con la testa leggera e il cuore pesante di errori, vecchi e nuovi.
Erano tutti lì, insieme per la prima volta senza sapere che era soltanto l’inizio di una serie di risate attorno ad
 un tavolo con labbra spaccate e scarpe consumate.
«No grazie, Mary, altrimenti non mi starà più il vestito». Alice declinò l’offerta della terza porzione di tartine alzando la voce per cercare di farsi sentire da Frank, tutto preso a parlare di chissà cosa con James.
«Il vestito?» ripetè confusa Liv ochieggiando tra una patatina e l’altra i pantaloni a zampa e il maglioncino a collo alto addosso all’amica.
Alice sorrise, emozionata, scrutando con la coda dell’occhio un Frank sempre ignaro di essere maledetto con gli occhi.
«Il vestito da sposa, Liv» spiegò facendo spalancare gli occhi verdi di Lily e la bocca di Mary che s’inginocchiò sui cuscini rischiando di far cadere a cascata le tartine sopra Remus.
 «Questo è quello che avrei voluto dirvi» se ne uscì Alice spegnendo repentinamente il sorriso. «Ma no, non c’è nessun vestito in programma e quindi dammi qua, Mary».
Rubò il vassoio intero delle tartine prendendone una manciata ed infilandosela in bocca con lo sguardo offeso rivolto verso Frank, dall’altra parte del tavolino.
E Frank, sentendosi evidentemente trafitto da una freccia, spostò l’attenzione dalle chiacchiere dei ragazzi alla sua fidanzata con una faccia così interrogativa ed innocente da far pena perfino ad Alice stessa.
Smisero di ingozzarsi quando Liv chiese ai due Auror di esibirsi in uno dei loro balletti famosi.
Inutile dire che quella domanda fece strabuzzare gli occhi a tutti.
«Dico sul serio» li tranquillizzò Liv cercando di apparire meno mogia rispetto al resto della cena. Stava desiderando chiudersi in camera al buio, nascosta sotto alle coperte; desiderando stare da sola e piangere buttando fuori anche l'anima. Così come lo era stato Natale, per lei quella serata non aveva niente di festa e sembrava anche peggio: il dolore che sentiva, la mancanza sempre più pesante, le toglievano le forze sia fisiche che mentali.
Ma si sforzò di prendere un’altra fetta della torta alla melassa portata da James per far vedere che stava bene, perché loro erano lì per lei, per non lasciarla sola, per starle attorno. Sapeva quanto fosse fortunata ad averli, eppure provava una colpevole sensazione d'insofferenza nei loro confronti, nello stare in mezzo a loro sentendosi schiacciata dall'angoscia e dalla voglia di isolarsi.
Sentì lo sguardo di Sirius posato sulla sua figura e, con un tuffo al cuore, percepì tutto di lui come se fosse pronto a far andare tutti a casa per permetterle di cedere, di smettere di far finta di stare bene.
Sapeva che dopo averli mandati via, lui sarebbe rimasto lì nonostante tutto; sapeva che le sarebbe stato accanto senza invadenza, anche solo oltre la porta della camera o sul divano se soltanto lei gli avesse fatto capire che poteva, che lo voleva perché entrambi sapevano che con lui Liv non aveva bisogno di fingere di stare bene; sapeva che Sirius aveva la capacità di accettare di vederle quel dolore addosso e di assorbirlo soltanto standole vicino, l'aveva già fatto appena aveva messo piede lì dentro. Non lo faceva sparire del tutto per sempre, ma le dava l'unica tregua per respirare, dormire, non impazzire, rimettersi in piedi.
«La musica non mi dà fastidio» ammise in un sussurro per il poco fiato che quei pensieri e quello sguardo le stavano togliendo.
Fece per alzarsi e raggiungere il giradischi quando si ricordò che non era suo, ma del fantasma che stava ignorando da mezza giornata.
Lo stesso fantasma che dopo quel suo lasciapassare rivolto a tutti si alzò, raggiunse il giradischi e con mani esperte afferrò un preciso disco dei Beatles che Liv riconobbe subito, trovandolo perfetto per Frank e Alice.
Tutti conoscevano lo stile di Frank e Alice, tutti sapevano quanto impazzivano per il rock and roll e il twist. Sirius dimostrò di non essere totalmente ubriaco quando a risuonare nella stanza furono le note di Rock And Roll Music, facendo saltare in piedi come una molla Alice.
Frank, ridente, si lasciò tirare un braccio da lei per poi alzarsi, lasciare una Bacchetta di Liquirizia natalizia tra i cuscini e cominciare a ballare al centro della stanza facendo applaudire ed esultare tutti gli altri.
Alla danza scatenata fatta di giravolte giocose e prese sorprendentemente acrobatiche per uno come Frank, si aggiunse James.
Remus si portò una mano sconcertata sulla fronte, davanti agli occhi chiusi, mentre Peter e tutti quelli al tavolo si scompisciavano dalle risate, compresa Lily che restò ad osservare il ‘ballerino’ con il mento sul palmo di una mano senza riuscire a trattenersi, senza riuscire a smettere di pensare a quanto fosse piacevole la sua compagnia nonostante il suo palese alto tasso d’alcol in corpo, senza riuscire a smettere di pensare che se Potter era sbronzo tanto quanto Black c’era un motivo e quel motivo era il vuoto e il dolore celato dietro gli occhi grigi, senza riuscire a smettere di pensare al fatto che James si faceva carico dei pesi altrui con così tanta naturalezza da restarne spiazzati, profondamente colpiti.
In contemporanea a Liv, Lily spostò lo sguardo su Mary che si era appena accoccolata sul petto di Remus mentre entrambi ammiravano la gara di ballo e si godevano i rispettivi e timidi mezzi abbracci.
Gli emozionati occhi nocciola di Mary incrociarono quelli furbi ed entusiasti delle sue amiche che sollevando leggermente i bicchieri nella sua direzione le sorrisero, eccitate per lei.
Con gran sorpresa di Liv, Mary e Remus, Lily finì tutto il suo whisky in un sorso solo e trascinando Peter che si muoveva a tempo sul posto, si unì anche lei al balletto facendo ridere apertamente James, i capelli neri più impazziti di lui e gli occhiali storti sul naso.
Esaltato dalla presenza della rossa, James velocizzò le sue mosse ridicole facendo piegare in due Sirius, poggiato alla mensola del giradischi con un bicchiere in bilico tra le lunghe dita.
«Ehy, Lily!» la salutò James avvicinandosi a lei a ritmo di musica «Non vedevi l’ora di ballare con me, vero?». L’aria ammiccante ma sbilenca la fece ridere di gusto.
«Non vedevo l’ora di dirti, James Potter, che finalmente ho la dimostrazione del tuo non essere il “gran figo in cielo così come in terra” che hai sempre detto di essere» replicò lei muovendo spalle e fianchi in un modo molto simile a quello di Alice, dietro di lei.
James sbuffò, incredulo ma ridente come non mai. «E con questo cosa vorresti dire?» la sfidò agitando le ginocchia nodose.
«Che balli come Gazza!» gridò di rimando Lily per farsi sentire mentre Sirius aumentava il volume della musica con un pigro gesto della bacchetta.
James si bloccò, contrariato. Fissandola intensamente, piuttosto risentito, le afferrò una mano per farle fare due giravolte veloci e schiacciarsela poi sul petto, i lunghi capelli rossi a svolazzare ed atterrare ovunque su di lui e sul volto sorpreso e stupito di Lily con i verdi occhi sbarrati.
«Do il meglio di me in coppia, Evans!» le rivelò stringendosela tra le braccia per un istante in cui sentì il cuore fermarsi prima di farla ruotare ancora senza lasciarle la mano.
Lily si ritrovò a ridere apertamente, sballottata da una parte all’altra, i capelli spettinati come quelli di James.
Per la prima volta ad una festa, Liv non ballò. Restò al tavolo con i due neo piccioncini, un debole sorriso sulle labbra e la decisione di portare con sè nel nuovo anno il dolore ancorato al petto. Perchè quel dolore non era altro che suo padre e lasciarlo indietro, nel passato, era l’ultima cosa che voleva.
Prendendo un sorso dalla bottiglia di Burrobirra si accorse degli occhi grigi di Sirius che dall’altra parte della stanza oscillavano da lei ai ballerini e viceversa, fintamente impassibili.
Nemmeno lui, stranamente, ballava. Liv si costrinse ad ignorarlo, ancora.
Fissò un punto indefinito tra le smilze gambe impazzite di James, i rossi capelli svolazzanti di Lily, le piroette di Alice e Frank, le braccia in aria di Peter.
Sirius, invece, ne approfittò per fermare lo sguardo su di lei.
Nessuno a parte loro due riusciva a comprendere la profondità dei torti subiti ed inflitti che li tenevano separati, perchè nessuno a parte loro due sapeva fino a che punto si erano avvicinati, sfiorati, toccati, immersi l’uno nell’altra soltanto guardandosi, parlandosi, ridendo insieme, promettendosi tacitamente baci infuocati ed abbracci confortanti mai messi in pratica.
E forse nemmeno loro la capivano davvero, quella profondità, quella delusione che faceva così male da spaventare.
A dieci minuti dalla mezzanotte, Liv si alzò in piedi amplificando la voce con le mani attorno alla bocca nel tentativo di sovrastare Twist and Shout a tutto volume.
«ANDIAMO A VEDERE I FUOCHI D’ARTIFICIO?» gridò agitando subito dopo le braccia per attirare l’attenzione dei ballerini.
«Possiamo vederli dalla finestra, a noi va bene!» la rassicurò James senza smettere di dimenarsi indicando oltre le spalle di Sirius, fin troppo concentrato a fumarsi una sigaretta.
«Non sono la stessa cosa visti da qui!» replicò Liv evitando di seguire con gli occhi l’indice dell’amico.
In realtà, non sapeva come si vedevano lì nel suo (e adesso anche di Sirius) quartiere di St. John's Wood perchè da quando era nata li aveva sempre visti stando davanti al Big Ben come ogni londinese che si rispetti. Li aveva visti in braccio a suo padre, seduta sulle sue spalle e al suo fianco con la mano stretta nella sua o con quelle di suo padre poggiate sulle spalle; anche per quei ricordi che le affollavano la mente sentiva di dover andare lì come se fosse un appuntamento importante. Il mondo continuava ad andare avanti e lei doveva esserci, lei doveva portare suo padre con sè.
«Liv, sei sicura?» le chiese Lily da sopra l’orlo del bicchiere d’acqua, i capelli fiammanti a nasconderle metà viso arrossato dal ballo e gli occhi verdi più accesi ed attenti che mai posati sui suoi.
«Sicurissima» garantì lei in un sorriso sincero che la convinse.
Entusiasti di uscire, raccattarono cappotti, sciarpe, cuffie e raggiunsero il pianerottolo fuori dall’appartamento.
Sirius chiuse la porta e poggiando una mano sulla spalla di James si Smaterializzò insieme agli altri per assistere ai tradizionali dodici rintocchi del Big Ben accompagnati dai fuochi artificiali.
A Westminster- sul ponte, la piazza e lungo tutta la strada affianco alla sponda del fiume- la folla era talmente immensa e in fervente attesa da non accorgersi di nove ragazzi comparsi dal nulla.
Il vociare festoso ed eccitato, le persone ridenti e movimentate attorno, le luci, il Tamigi vibrante di riflessi colorati e la torre dell’orologio con gli occhi puntati addosso fecero sentire meglio Liv, immersa in un mondo che in quel momento sembrava essersi fermato per darle il tempo di risalire a bordo.
Tuffò una mano dentro la tasca del cappotto e strinse la foto di famiglia strappata davanti a sua madre la vigilia di Natale. Con la promessa di portare suo padre nel 1978, s’infilò tra Mary e Frank mentre James tirava fuori una bottiglia di Odgen Stravecchio piena e Sirius distribuiva bicchierini a tutti.
«Partiamo dalle cose belle del 1977! Chi inizia?» esclamò James sopra il chiasso della gente, sollevando il suo.
«A Remus e Mary» si offrì Sirius, immancabilmente al suo fianco come ogni fine ed inizio anno.
Tutti sorrisero affettuosamente verso la nuovissima coppia, rossa non soltanto per il freddo, per poi congelare le dolci espressioni sentendo il resto del brindisi.
«Finalmente senza più paranoie rompipalle e seghe mentali impossibili. Dateci dentro adesso, vi presto la camera ma non il letto».
«Certo che potevi essere un po’ più romantico, Sirius» commentò sconcertata Alice allungando il bicchiere al centro del cerchio infreddolito che avevano creato per avvicinarlo a quello degli altri.
«A Remus e Mary» tentò di salvare la situazione James, trattenendo la stessa identica risata che si era impossessata di Peter e Frank davanti all’espressione indecifrabile di Remus al primo brindisi. «Finalmente insieme, mano nella mano sulla strada della vita. Possa il vostro cammino...»
«Ok, basta, James» fece paziente Remus.
«Essere sempre illuminato dall’amore con la A maiuscola, dalla complicità con la C maiuscola, dalle risate con la R maiuscola, dal...»
«Cavolo, Potter, non ti facevo così smielato» rise Lily sollevando un sopracciglio, un piccolo ghigno divertito sulle labbra.
«É l’alcool che parla, Lily» informò Remus come se avesse assistito a scene simili per più tempo di quanto la sanità mentale potesse sopportare.
«Bacio, bacio, bacio!». Sirius fece partire di nuovo il coro attirando l’attenzione delle persone attorno a loro.
«Smettetela» sibilò tramortito Remus stringendosi nelle spalle esattamente come Mary, impalata al suo fianco.
Ma gli amici continuarono, gioiosi, e alle voci familiari si aggiunsero quelle degli sconosciuti con grande scompisciamento di Sirius e James.
«BACIO, BACIO, BAC...!».
Remus e Mary si diedero un veloce bacio a stampo facendo applaudire e fischiare tutti.
«Oddio» mugolò Mary, impietrita.
«Che ti dicevo?» esalò Remus «Dovevamo negare fino allo stremo»
«Ok, avevi ragione» convenne lei, gli occhi nocciola a saettare spaventati sulle ridenti facce degli sconosciuti.
«Conosco i miei tre polli» sospirò con rassegnazione Remus guardando i Malandrini continuare a ridere lanciandogli occhiolini ridicoli.
«All’anno in cui mi sono innamorato!» se ne uscì Sirius riempiendo i bicchieri di tutti dalle sopracciglia esageratamente arcuate per quella sua affermazione. James puntò Liv che fece un cenno con la testa corrugando la fronte come a chiedergli cosa voleva.
«Possa la mia bambina stare tra le mie gambe per l’eternità» continuò Sirius tirando fuori dalla tasca del giubbotto la foto della motocicletta inviata dai Potter per il suo compleanno. La baciò con reverenza e dei versi di comprensione misti a risatine incredule si accavallarono uscendo dalle bocche degli altri.
«Alla vittoria contro il Mostro a Più Occhi» celiò James sollevando orgogliosamente il mento «possano i Grifondoro battere i Tassorosso ogni anno per i prossimi ottomila secoli ed oltre!».
I palmi delle mani aperte di James e Liv si scontrarono sonoramente mentre i bicchieri di tutti si incontravano con sentite e fiere esultazioni. Bevvero e l’infuocata bevanda li scaldò alleviando la pelle d’oca per il freddo.
«E a mio figlio e tua figlia, Liv, una squadra vincente!»
«Potrebbero essere anche due femmine o due maschi»
«Ah, non c’è problema, tanto io farò così tanti figli che ci sarà l’imbarazzo della scelta»
«Povera la futura signora Potter allora» osservò Alice a dir poco impressionata.
«Rido se vi vengono fuori due Tassorosso rammolliti incapaci anche soltanto di reggerlo un manico di scopa»
«Dubito fortemente, Black. Mio figlio non avrà di certo un padre che soffre di vertigini».
Lo sguardo di Sirius, finalmente incatenato a quello di Liv, era a metà tra il pungente e il vittorioso per essere riuscito a riottenere la sua attenzione.  
«Rosica, fratello, rosica» sghignazzò James dandogli una leggera spallata «Tuo figlio sarà costretto a fare la telecronaca stile Allock, maledicendo i tuoi geni. Già me lo immagino con il tuo corpo e il manubrio della motocicletta come faccia, tutto sua madre».
Vibranti risate si levarono dal piccolo cerchio. Risate spensierate, risate di un normale gruppo di adolescenti, quello che da qualche mese a quella parte dimenticavano di essere forse un po’ troppo spesso.
«Quanto abbiamo vinto?» chiese Frank piuttosto interessato.
«180 a 170, senza boccino» rispose James come se non ci fosse niente di più bello al mondo. «Questa Cercatrice qua ha preso la cosa più preziosa del campo in quel momento: il tempo».
Un altro sonoro cinque fece incontrare le mani di Liv e James che le scoccò un veloce ed amichevole bacio sulle labbra facendo ridere entrambi e sconvolgendo invece tutti.
«Che c’è? Non è mica il primo» informò con noncuranza Liv facendo spallucce sotto gli occhi fuori dalle orbite di tutti a parte quelli di Sirius, curiosamente ridotti a fessure.
«Che ne dici di Elvendork* come nome per la nostra creatura, Liv? È sia maschile che femminile» infierì James.
«Lo trovo delizioso» stette al gioco lei in un sorriso amorevole portandosi con aria materna la mano libera all’altezza della pancia.
Sirius, evidentemente più brillo e quindi meno consapevole di tutti nonostante fosse quello più resistente all’alcol, riempì di nuovo i bicchieri come se niente fosse.
«A Olivia e Scornuto, che fanno vomitare. Possa il vostro cammino di vita insieme essere sempre cosparso del nostro vomito rendendo l’attraversata liscia come l’olio. Sono stato sufficientemente romantico adesso?» concluse in un sorrisetto insolente sporgendosi verso Alice, a dir poco schifata come tutti gli altri; a Peter, addirittura, venne un principio di conato.
«A Peter!» esultò Sirius sollevando un altro bicchiere «che mette già in pratica i buoni propositi! Girati verso quei due, però...».
Altre risate scoppiarono in mezzo al cerchio, mischiandosi a quelle degli altri gruppi di persone che li circondavano in crescente attesa mentre le nere lancette sul grande orologio della torre si avvicinavano sempre di più al punto più alto del tondo ed antico quadrante illuminato nel buio.
«Lo faccio io un brindisi serio a Peter» esordì in tono solenne Remus sorridendo affettuosamente all’amico. Si schiarì la gola, sollevando il bicchiere verso di lui. «A Messer Codaliscia, piccola e preziosa fonte d’informazioni sempre affidabile».
Ad avvicinarsi tra loro furono esclusivamente quattro bicchieri, quelli dei Malandrini, gli unici a capire il significato di quelle parole.
Peter divenne completamente rosso in faccia sotto gli sguardi d’intesa e riconoscenza dei suoi tre amici, Sirius compreso; quasi gli venne da piangere per l’emozione.
«E a noi quattro» aggiunse James in un sorriso colmo d’orgoglio «miei compari di vita, di avventure e disavventure. Ci auguro di chiudere i prossimi duecento anni con un bel “Fatto il misfatto” e di ricominciare i nuovi senza mai avere buone intenzioni».
Risero, complici, facendo scontrare i bicchieri per poi bere sotto gli occhi vagamente ammirati degli altri.
«Ai miracoli!» esordì Mary incitando con la mano James a versare dell’altro Odgen «Possano le orecchie di Hogwarts continuare a non sentire Potter e Evans scannarsi a vicenda».
«Questa te la potevi risparmiare, Mary» commentò Lily cercando di farsi sentire sopra le risate.
«O dirla in un modo più accattivante, tipo...» la corresse Liv con sguardo furbo «All’amicizia tra James e Lily che presto diventerà qualcos’altro».
Esclamazioni di sorpresa, incitamenti entusiasti e cenni di convinto consenso seguirono il brindisi.
«Frank, toglile il bicchiere dalle mani per piacere» si premurò di fulminare la sua migliore amica Lily.
Frank, al suo fianco, ci tentò mentre Liv sorrideva all’occhiolino complice di James.
«Non ci provare, Frank» lo minacciò la ragazza diventando immediatamente seria allontanando il bicchiere dalle mani dell’Auror tra le risa degli altri.
«Ai nuovi ballerini di Hogwarts!» cinguettò Alice guardando Lily e James con occhi brillanti «Perchè non è vero che James non sa ballare. Va a tempo, si diverte e fa divertire gli altri!»
«E gli impomatati ballerini di valzer non li vuole più nessuno» le diede manforte Frank indicando con trionfo James, partito di nuovo in un più controllato twist sul posto per via del liquido ambrato che si stava scolando tutto d’un fiato per quel brindisi particolarmente apprezzato.
Lily, decisamente sempre più scocciata, scoccò un’occhiataccia ad Alice senza però riuscire a non sorridere. Forse perchè al nominare il ballerino impomatato le era venuto in mente John, oppure perchè con James non aveva sentito altro chedivertimento, quello semplice e puro con i capelli spettinati e la risata ad uscire libera dal petto, senza provare l’istinto di fargli una ceretta in testa o di prendersi la briga di descriverlo per farlo cadere dal piedistallo e riportarlo nella realtà.
«A Liv» fece James facendosi più serio. Liv lo guardò, sorpresa. «Che si è rialzata più forte di prima» continuò lui sorridendole con così tanto affetto da scaldarle il cuore ed inumidirle gli occhi scuri.
«Niente può abbatterti, ragazza» aggiunse Alice, ammiccante.
Liv rise sommessamente facendo scontrare il bicchiere con quello di tutti, il  cuore gonfio d’amicizia e negli occhi una riconoscenza impossibile da spiegare a parole.
Incontrò lo sguardo di Sirius per un attimo fugace, trovandolo meno offuscato dall’alcool, straordinariamente intenso e protettivo.
Si costrinse ad ignorare lo stomaco fare le capriole, il cuore battere frenetico, la pelle agognare un suo tocco confortante, le labbra pretendere quelle di lui e si schiarì la voce, improvvisamente roca.
«A mio padre» si decise a dire sorprendendo tutti per la sua scelta di mettere la morte di suo padre tra le cose belle. «Che ha rischiato e perso la vita per non farmi combattere da sola».
Gli occhi scuri si posarono su Frank e Alice, vagamente rigidi come se avessero capito il significato di quella frase nello stesso identico modo di tutti gli altri.
Fecero scontrare i bicchieri e bevvero in un rispettoso silenzio nei confronti di Edgar.
Mary scoccò un morbido bacio sulla guancia salata e umida di Liv mentre la bottiglia di Odgen faceva un altro giro.
«A noi» esordì semplicemente Lily innalzando il bicchiere, imitata subito dagli altri «a questo nuovo gruppo che non si arrenderà mai, nemmeno ad un secondo dalla fine».
Tutti sorrisero, grandi sorrisi emozionati e determinati; tutti bevvero senza accorgersi degli occhi verdi di Lily e quelli dietro le lenti rotonde di James, allacciati da quelle ultime parole che riverberavano nel loro ricordo sul ponte di Westminster.
«Possiamo passare alle cose brutte da lasciarci alle spalle? Mi sta venendo il diabete» smorzò l’atmosfera commossa Sirius strappando la bottiglia quasi vuota dalle mani di James che lasciò a fatica il meraviglioso sguardo smeraldino ancora posato su di lui.
«Vai, Felpato. Alle cose brutte da lasciare nel 1977!»
«A Remus e Mary!»
«Ma...?!»
«Che si sono rovinati la vita imprigionandosi a vicenda!»
Sirius bevve tutto d’un fiato e gli altri lo guardarono allibiti a parte Liv che sorrise, fin troppo affabile ed evidentemente piena di veleno nei confronti di Sirius, alzando il bicchiere verso la neo coppia e bevendo anche lei.
«A Frank»
«Alice!»
«Che ancora non mi ha comprato l’anello!».
Tra le risate, Sirius si avvicinò a Frank per stringergli un gomito e mormorargli un complice e piuttosto serio “Ti presto la moto per scappare”.
«Ai compiti della McGranitt!» annunciò Peter mentre Sirius tornava affianco a James allungando la bottiglia verso i bicchieri di tutti. «Che ad ogni fine del mese possa esserci una disgrazia colossale per farli saltare tutti!» continuò Peter venendo sovrastato dall’esclamazione compiaciuta di James.
«Woh! Che ideona, Pete!».
Lily e Remus lo fulminarono all’istante.
«Non oserete...»
«Chi ha detto qualcosa, Evans?»
«La tua faccia, Sirius» rispose per lei Remus.
Sirius sollevò educatamente le sopracciglia, un angolo delle labbra lievemente sollevato come unica crepa alla sua perfetta faccia di bronzo mezza nascosta dal bicchiere.
«Almeno informateci se la disgrazia colossale avrà buone possibilità di riuscita prima di farci passare trenta giorni sui libri per niente o non farci studiare lasciandoci nel letame di drago il giorno del compito» si raccomandò Lily e un coro di “Oooh!”stupito ed euforico la travolse in pieno facendola ridere. Scosse la testa bevendo, un braccio di Liv sulle spalle e gli occhi meravigliati ed accesi di James addosso.
«Alle cose che non valgono la pena!» se ne uscì ancora una volta spiazzante Sirius versando a tutti dell’altro Odgen. Lo sguardo ridente di Liv si fece serio a quella frase, spostandosi dall’amica a lui.
Gli altri restarono immobili, incerti e confusi, forse aspettando delucidazioni con il seguito che però non arrivò. James, allarmato, pensò stesse parlando di Liv.
Fece saettare lo sguardo da un preoccupato Remus a lei, scoprendola stranamente calma. Non immaginava il perchè, non immaginava che Liv sapeva a chi Sirius si stesse riferendo.
“Non lo so più se ne vale ancora la pena”.
A Regulus.
L’informazione di Regulus insieme a Lucius Malfoy da Magie Sinister doveva aver fatto prendere una decisone a Sirius. Restò a scrutarlo, attenta, anche quando Sirius le rivolse uno sguardo apparentemente imperturbabile.
Sirius bevve e gli altri lo seguirono a ruota, eccetto Liv.
«10, 9, 8... !»
Il gridato conto alla rovescia di quasi tutta Londra spezzò la tensione creandone un’altra decisamente più allegra.
Alice si strinse a Frank muovendo velocemente le gambe sul posto per la tensione attorno, Peter si voltò verso l’alta torre dell’orologio, Mary e Remus si scambiarono uno sguardo sprizzante di assoluta felicità stringendosi le mani tra le pesanti stoffe dei cappotti.
«7, 6, 5... !»
Lily prese a braccetto Liv lanciandole un lungo sguardo luminoso per poi ricambiare il sorriso arricciando il naso ed avvicinandolo affettuosamente a quello dell’amica.
Erano lì, insieme come ogni fine anno, come sempre, ed era l’unica solida certezza che le aveva accompagnate in quella sempre più burrascosa realtà nella quale avevano deciso di essere complici e sorelle.
Lily intercettò l’occhiata sfuggente di James con il braccio attorno alle spalle di Sirius e quello di Sirius sopra le sue.
L’aria frizzantina e in fibrillazione per gli ultimi secondi del 1977 si respirava con il cuore in gola e le gambe pronte a saltare sul nuovo anno che sia i Malandrini che le ragazze sentivano diverso da tutti i precedenti.
«3, 2, 1!»
Il primo rintocco del Big Ben scoccò la mezzanotte e un forte boato festoso esplose dall’immensa folla insieme ai brillanti colori nel cielo nero.
Tutti si abbracciarono, saltarono e scambiarono gli auguri nel tumulto di gente schiacciata l’una sull’altra. Risate emozionate e grida euforiche furono sovrastate dai botti e dai successivi rintocchi della solenne campana simbolo di Londra.
Peter applaudì con forza, il tondo viso arrossato dal freddo e stirato da un enorme sorriso, Alice si strinse maggiormente al collo di Frank per baciarlo più a fondo mentre Remus e Mary si guardavano negli occhi, naso contro naso, come se non avessero nessuno attorno. Era impossibile parlarsi in quel baccano di gente e fuochi d’artificio ma i loro sguardi intensi e ridenti lo facevano per loro.
Mary poteva chiaramente sentire le iridi ambrate davanti a lei gridarle la rinnovata convinzione di Remus di volerla accanto e Remus poteva riascoltare le promesse colme di speranza dei limpidi occhi nocciola immersi nei suoi.
Colmarono nello stesso momento i pochi centimetri di distanza tra i loro profili lasciandosi andare ad un dolcissimo bacio mozzafiato che sapeva di Cioccorane ed inizio in grande stile, un inzio tanto atteso, tanto voluto e finalmente scritto come la prima pagina del nuovo anno.
Si lasciarono sopraffare dalle sensazioni di ogni movimento delle loro labbra, dalla travolgente sensazione di amore, fiducia e stabilità che li scaldò interamente, dalla felicità mai provata prima che fece scivolare qualche lacrima sulle guance di Mary, raccolte dalle dita guantate di Remus.
James e Sirius quasi si tolsero il respiro a vicenda stringendosi sempre più forte esattamente come Liv e Lily, gli occhi serrati con forza e due ampi sorrisi immersi nei capelli rossi e in quelli scuri.
E mentre Mary saltava alle spalle di Liv e Remus abbracciava con pacche calorose prima Peter e poi Sirius, Lily e James si ritrovarono faccia a faccia. La luce dei fuochi d’artificio in cielo a colorare di rosso, blu, rosa, verde i loro lineamenti e i rintocchi della campana che giorni prima aveva fatto da sfondo nel momento esatto in cui si erano riconosciuti tra la folla a fare da deja vu come per segnare solennemente un altro momento importante, un deja vu però con qualcosa di diverso che si respirava nell’aria, si percepiva sulla pelle.
Forse per l’alcol in corpo che lo rendeva completamente se stesso senza freni inibitori, James si protese verso di lei per stringerla a sè.
E Lily, sconvolta, rimase rigida tra quelle calde braccia solide e protettive, schiacciata delicatamente sul suo petto intriso di un profumo che le entrò prepotentemente nei polmoni, nel cervello, dentro con la stessa caratteristica testardaggine del proprietario.
Si rese conto di quanto James fosse più alto di lei percependo il suo cuore battere frenetico direttamente nell’orecchio.
Si rese conto di quanto quel pulsare vigoroso fosse puro, genuino, sincero.
Si rese conto che anche il suo cuore cominciava a battere allo stesso ritmo in quello spazietto di mondo.
Quando il dodicesimo e ultimo rintocco dell’orologio scoccò, i fuochi d’artificio si moltiplicarono diventando più rumorosi e più colorati, e la lontana band sul palco al centro della piazza cominciò a suonare la cover di Sunny in stile Boney M.* James lasciò un veloce bacio tra i profumati capelli rossi e sciolse l’abbraccio mentre Lily sollevava il viso serissimo trovando il suo sorrisopuro, genuino e sincero come il suo cuore.
E le parole lontane della canzone soffocata dai fuochi artificiali parvero uscire direttamente dalla sua coscienza instupidita dai brindisi.

“Grazie per il sorriso sul tuo volto.
Grazie per la luminosità che tu mi mandi”.
 

Perchè il sorriso di James era bello.
Limpido, buono, spontaneo, autentico. Smentiva ogni pregiudizio, ogni dubbio, ogni sua incertezza riguardo la nuova persona che aveva cominciato a conoscere.
E luminoso, era soprattuto luminoso. Illuminava ogni cosa, il sorriso di James.
La stessa canzone stava avvicinando di nuovo le labbra di Remus e Mary.


“Ieri la mia vita era piena di pioggia.
Tu mi hai sorriso ed hai alleviato il dolore.
I giorni bui sono passati e quelli luminosi sono qui,
Il mio sole splende, così sincero”.


E mettendo a disagio Liv e Sirius, non più occupati ad abbracciare e baciare amici.


“Grazie per la sincerità che mi fai sentire.
La mia vita era stata spazzata via da una tempesta di sabbia
E la roccia ha preso forma quando tu mi hai tenuto per mano.
Sei la mia scintilla di fuoco nella vita,
Sei il mio dolce e completo desiderio”.


«Benvenuto 1978!» li salvò James scaraventandosi sulla schiena di Sirius prima di spalancare gli occhi dietro gli occhiali storti sul naso.
«Non abbiamo fatto un brindisi al nuovo anno!» gridò come si fosse appena reso conto di aver commesso un peccato mortale.
Sollevò il braccio inerme di Sirius che ancora stringeva la bottiglia con le ultime gocce di Odgen e fissava Liv con occhi lucidi non soltanto dovuti all'alcool perché lei percepì benissimo una profonda malinconia colma di rimpianto in quel grigio liquido, stranamente cupo.
Tra il baccano, James richiamò le coppie per formare di nuovo il cerchio.
Nessuno osò proporre il brindisi perchè chi meglio del Capitano poteva illuminare un futuro incerto e ricaricare gli animi di ottimismo?
«All’anno che ci farà spiccare il volo senza scopa!» gridò tra il chiasso attorno James facendo ridere tutti. «L’anno per vivere Hogwarts un’ultima volta, l’anno della sconfitta totale dei Serpeverde, delle ultime Coppe tra le mani. L’anno dei M.A.G.O. e dei cambiamenti che verranno dopo, l’anno in cui diventeremo adulti, grandi in tutti i sensi!».
Ammiccò pimpante facendo scoppiare di nuovo a ridere tutti, improvvisamente colti dalla consapevolezza che quell’anno sarebbe stato davvero fondamentale, davvero importante.
Lo sguardo di Liv incrociò quello di Sirius fermo su di lei chissà da quanto, ostile come se la stesse accusando di qualcosa ed intenso come se la volesse inglobare dentro di sè.
Ed era effettivamente quello che stava tormentando Sirius: la voglia di scaricarle addosso una furia mai provata prima e l’impulso di abbracciarla come non aveva mai fatto, baciarla, prenderle la mano confermando anche per quel nuovo anno la promessa di restarle accanto che si erano fatti giorni prima.
Liv fece scivolare via con finta noncuranza lo sguardo da lui sentendosi però sprofondare, mortificata.
Perchè quello sguardo magnetico non la lasciava mai indifferente, la vedeva per com’era davvero, la sconvolgeva nel profondo, le accendeva qualcosa che nessuno aveva nemmeno mai sfiorato, e perchè tra i brindisi delle cose belle da portare nel futuro avrebbe voluto metterci anche lui.
«L’anno della pace» aggiunse Alice con la voce incrinata e il viso smunto come se un’indescrivibile stanchezza le si fosse scaraventata addosso all'improvviso. Frank la strinse a sè, comprensivo, baciandole teneramente la fronte.
«La pace, » ripetè James con un incoraggiante sorriso luminoso che sembrò farla tornare in sè, far tornare le speranze a lei e anche a Frank. Gli occhi verdi di Lily erano così brillanti da fermargli il respiro.
«Al 1978, al nostro anno!» brindò sollevando il bicchiere insieme agli altri che sorrisero emozionati facendoli scontrare per poi bere. 
«E per gli sposi hip hip?!» attaccò Sirius. Remus lo zittì inclinandogli senza troppi complimenti il bicchiere sulle labbra senza però riuscire a fermare il coro che lo seguì.
 


 
 
*
 
 

 
h. 4.00 del mattino, Abbey Road deserta.
 
 
 

«Ah! Ah! Ah! Ah! Stayin’ alive! Stayin’ alive! Vai, Felpato!»
«Ah! Ah! Ah! Ah!... Stein alain... stein alain...».
Sirius- ubriaco ed inerme, portato letteralmente sulle spalle come un sacco di patate da un Remus per nulla turbato, evidentemente abituato a tutto ciò- cascava in pieno alle provocazioni di un esilarato ed altrettanto ubriaco James che, dietro di loro con Peter, gli faceva cantare i suoi odiati Bee Gees con la voce confusa dall’alcol e roca per le ore passate a cantare a squarciagola i Queen insieme alla piazza.
«Qualcuno ha una videocamera?» rise Mary camminando a braccetto tra Lily e Liv, esauste ma ridenti come gli altri.
«No, ma una macchina fotografica sì!» rise anche Alice sciogliendo la presa della mano di Frank per appostarsi davanti a tutti, sfilare la macchina dalla borsa e, camminando all’indietro per non fermare nessuno, scattare un’istantanea con il flash facendo perdere la vista a Remus e a tutti gli altri, ridenti alle loro spalle in un allegro e sbilenco corteo.
Fu la prima foto del 1978, la prima foto insieme, la prima di altre mille.
 
 



 
 
 




 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:

 
Per descrivere James che fa di tutto per evitare che i suoi amici possano diventare assassini nonostante abbiano tutte le ragioni per volere vendetta mi sono ispirata sempre a Harry che nel Prigioniero di Azkaban ferma Remus e Sirius, pronti ad uccidere Peter nella Stamberga Strillante. I due abbassano le bacchette soltanto quando Harry nomina suo padre.

“«Lo faccio perchè non credo che mio padre avrebbe voluto che loro diventassero assassini solo per colpa tua (Peter)».
Black e Lupin si guardarono. Poi, con un solo gesto, abbassarono le bacchette”.

H.P. e il Prigioniero di Azkaban, pag. 338.
 
 
 
Elvendork è il nome che James e Sirius, in sella alla moto, propongono al poliziotto babbano che li ferma dopo averli seguiti tra le strade di Londra in un breve racconto della Rowling scritto per un’asta di beneficienza. 

Eccolo qui: https://www.badtaste.it/2008/06/11/il-racconto-inedito-di-harry-potter/4091/ 
Se non l’avete ancora letto leggetelo perchè è stupendo!
 


I Boney M. erano un gruppo molto in voga alla fine degli anni ‘70 (Disco Music, ovviamente).
La canzone Sunny è di Bobby Hebb (1966) ma è stata rifatta da più cantanti come, appunto, i Boney M.

https://www.youtube.com/watch?v=XPfr2tpoo5o
 
 
 



Dopo aver detto che a James piace ballare in discoteca potevo forse negarvi di vederlo ballare stile John Travolta?
Certo che no. 

Guarda caso la Pasqua del 1978 è cascata il 26 marzo, il giorno prima del compleanno di James.
Questo significa che per le vacanze di Pasqua torneremo a Londra per un capitolo e la discoteca anni ’70 non ce la toglierà proprio nessuno, nemmeno Sirius che odia la disco dance.


Liv e Sirius non si sono ancora confrontati faccia a faccia, lo faranno a Hogwarts e non sarà un bello spettacolo tranquillo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** 39. Artigli e Pungiglione ***


Sono imperdonabile ma ho cercato di fare del mio meglio per recuperare il ritardo madornale. 
Il pc in coma, la formattazione forzata, parte del capitolo e degli appunti persi e, come se non bastasse, il raffreddore con febbre come batosta finale.
Questa storia ha Saturno e l’intero sistema solare contro. Spero non sia un segno del destino che mi sta consigliando di darmi all’ippica.
 
 
 
 
 
 
Capitolo 39

ARTIGLI E PUNGIGLIONE
 
 

 




«Sirius, ne hai ancora per molto?»
«Non sto facendo niente»
«Il mio libro balla da solo allora?»
«Può darsi».
Remus arcuò un sopracciglio chiaro spostando lo sguardo perplesso sul ginocchio di Sirius poggiato sul suo mentre si muoveva nervoso facendogli vibrare il libro aperto tra le mani abbandonate sulle gambe. Intercettò l’occhiata guardinga di James, mezzo sdraiato sul sedile davanti con una rivista di Quiddicth a nascondergli la faccia.
Era il pomeriggio del tre gennaio e l’Hogwarts Express aveva lasciato la stazione di King’s Cross da parecchie ore. 
Per la prima volta in sei anni di scuola, i Malandrini si erano ritrovati tutti e quattro al binario nove e tre quarti mezz’ora prima delle undici anche se Peter mezzo morto con la sciarpa stretta forse un po’ troppo premurosamente dalla madre, Sirius così scontroso da portarsi dietro una collezione di insulti e piedi trucidati dal baule che si trascinava malamente dietro e James, arrivato di corsa con un esilarato sorriso largo quanto la sua faccia anche dopo la caduta madornale sul marciapiede pieno di studenti e genitori per via della mancanza degli occhiali, casualmente in mano a Sirius.
Erano rimasti ad osservare la locomotiva scarlatta che li avrebbe portati per l’ultima volta a Hogwarts, la casa dei Malandrini, ed era stato bello, catartico, malinconico e maledettamente breve per colpa di Sirius che si era elegantemente infilato nel primo vagone a tiro appena la testa mora di Liv era sbucata dal muro di mattoni, scontrosa quanto lui e forse anche di più. 
Remus, comunque, continuava a sorridere pensando con incredulità al miracolo dell’essere arrivati lì tutti in anticipo, costringendo il suo istinto a prenderlo come un promettente presagio di cambiamento positivo. Era diventato ottimista, Remus, lo diventava inspiegabilmente ogni volta che le labbra di Mary sorridevano sulle sue.
Si mise di nuovo a leggere come se niente fosse tentando di ignorare le vibrazioni delle gambe e l’aria tenebrosa di Sirius seduto accanto a lui con un gomito mollemente poggiato sul bracciolo del sedile e negli occhi grigi apparentemente impassibili lo sguardo del diavolo in persona.
Il fatto, però, era che seguire le righe della pagina mentre si muovevano al ritmo scandito dal suo compare affianco era praticamente impossibile, figurarsi le lettere delle parole.
Dopo aver passato dieci minuti a liberare Peter dalla sciarpa assassina, tre quarti d’ora per convincere Sirius a restituire gli occhiali a James e la restante mezza giornata a sorbirsi gli effetti del muso peggiore dei Malandrini, Remus si convinse lentamente che l’essere arrivati in anticipo al binario era stata soltanto l’ennesima crudele illusione di vita tranquilla perchè dopo quell’idillio tutto era tornato alla normalità dove per normalità s’intendeva lui che faceva da balia, arbitro di rastling, mediatore politico (la McGranitt e Silente non avevano idea di tutte le volte che li aveva salvati da eclatanti colpi di stato), commerciale (a Hogwarts, i Galeoni delle scommesse potevano distruggere aule), linguistico (molto richiesto durante le sbronze e la mattina presto) e culturale (Serpeverde non si era ancora estinta grazie a lui).
Lasciando da parte Regulus Black- la più innominabile tra le due principali cause del malumore di Sirius- distolse lo sguardo dalle pagine e schiuse le labbra per tentare di mettere fine a quella tortura durata anche troppo.
Strizzacervelli, ecco, c’era pure quello nella normalità e nel senso letterale del termine: la voglia di spremere i cervelli dei suoi amici, a volte, era irrefrenabile.
«Avete litigato anche stamattina?» domandò pazientemente chiudendo il libro con un tonfo.
Sirius rispose sollevando gelidamente un sopracciglio senza spostare lo sguardo dal finestrino bagnato di nevischio apparendo perfettamente rilassato e composto.
James lo scrutò di sottecchi da sopra la rivista con i Puddlemere in copertina. 
Non si poteva nemmeno scherzare con Sirius ridotto in quelle condizioni se non si voleva far saltare il treno o il dormitorio dei Serpeverde, scatenare una rissa con tanto di sangue e punizioni epiche, essere annientati da cattivi e spietati insulti al vetriolo di cui Sirius stesso ore dopo si sarebbe pentito senza ammetterlo, con il conseguente prolungamento dello snervante mutismo. 
Bisognava soltanto stargli accanto in silenzio perchè era questo che voleva quando fingeva menefreghismo, quando il suo caratteraccio lo isolava da tutti. Il fatto che quelle condizioni di solito date da Regulus Black adesso ci fossero anche per colpa di una ragazza stava sul serio mettendo James a dura prova: l’istinto di ridergli in faccia era troppo.
«Non avete litigato stamattina?» proseguì Remus straordinariamente calmo per essere un tizio pervaso da un continuo tremolio esasperante per colpa di un ginocchio che lo stava usando come valvola di sfogo e che molto probabilmente avrebbe voluto disintegrare all’istante, visto il suo sguardo. 
«Allora non vi siete proprio parlati. Sul serio non vi parlate da Capodanno?» proseguì ad indagare, seriamente impressionato dall’orgoglio e la pazzia di quei due.
James scosse brevemente la testa nella sua direzione come per farlo desistere da quel tentativo di suicidio ma lui sollevò l’indice dalla copertina del libro facendogli cenno di non intervenire.
«Mi dispiace vederti stare male per una ragazza, Felpato» buttò lì Remus marcando il tono preoccupato. E il ginocchio di Sirius, il libro, le gambe, l’intero corpo e tutto lo scompartimento si fermarono per tornare ad oscillare dolcemente così come doveva essere sopra ad un normale treno in un normale scompartimento su un normale sedile con un normale amico.
«Stare male per una ragazza?» esordì Sirius con la voce roca per le poche volte in cui aveva aperto bocca fino a quel momento. 
Girò lentamente la testa verso di lui, i bei lineamenti immobili in un’espressione a dir poco incredula per quella ridicola uscita.
«Io non sto male per una ragazza, non so di cosa diavolo parli» ribattè straordinariamente distaccato. Remus sollevò un sopracciglio, meravigliandosi per l’ennesima volta dell’incredibile capacità dell’amico di mostrarsi padrone della situazione mentre all’interno aveva un inferno, senza ammetterlo nemmeno a se stesso.
«Io non sto male per una ragazza e Mocciosus è il mio migliore amico, di cosa diavolo parli?» lo scimmiottò James senza distogliere gli occhi interessati alle Nimbus 1500 in mano alla sua squadra del cuore. Immaginò l’occhiata nervosa e scocciata di Sirius dietro le pagine della rivista senza aver bisogno di vederlo.
«Non sei il massimo a negare l’evidenza quando sei particolarmente furioso, Felpato» osservò invece Remus riaprendo il libro con un rilassato sorrisino a stiragli le labbra «e il fatto che tu sia particolarmente furioso dimostra il tuo tenere alla situazione altrettanto particolarmente».
Sirius lo fissò inalberato per una manciata di secondi prima di riportare lo sguardo irritato verso il vetro.
«E poi ti chiedi perchè sono furioso, Lunastorta. Queste cazzate che tirate fuori sono la principale causa del mio avere le palle girate» commentò brusco prima che il silenzio calasse di nuovo, denso ed opprimente, trafitto dalle occhiate esasperate di Remus e quelle ilari di James. 
Soltanto quando la porta scorrevole si aprì facendo comparire la figura radiosa di Mary, il piccolo scompartimento sembrò riprendere vita.
«Riunione Prefetti e Capiscuola!» li richiamò all’ordine la bionda sorridendo esplicitamente a Remus che ricambiò il solare saluto mollando il libro sul sedile.
James sbuffò a quella scena, fintamente socciato. 
«Guardate che potete anche dirlo senza frasi in codice quando dovete andare a pomiciare, capiamo perfettamente il vostro bisogno di allenarvi per passare dal livello zero a quello che ci si aspetta da due diciassettenni» biascicò sollevando con fare teatrale gli occhi al soffitto e per posarli poi su Sirius, immobile nella sua posizione scazzata della giornata.
«Non è vero, fratello?» tentò di renderlo partecipe senza alcun successo.
L’occhiataccia di Mary, intanto, l’aveva centrato in pieno per quel velato anche se scherzoso insulto. 
«Non è una scusa, James, abbiamo la riunione proprio adesso» ribattè facendolo sorridere, malandrino.
«Come no» fece scoccando un’irriverente occhiata eloquente a Remus che si limitò a guardarlo con l’aria rassegnata di un insegnante d’asilo circondato da bambini urlanti. 
«Se siete andati in bagno per fare davvero i bisogni tutte le volte che l’avete detto avete dei seri problemi alla vescica, ragazzi. Io ve lo dico: Madama Chips deve saperlo» si premurò di consigliare James ostentando preoccupazione ed ansia palesemente ironici.
«Ho l’ordine di trascinarti per i capelli se non verrai di tua spontanea volontà, Potter» lo rimbeccò Mary, ridente, e il ghigno di James si ammorbidì all’istante cogliendo al volo l’allusione a Lily.
Mary rise sparendo di nuovo dietro la porta scorrevole e Remus non riuscì nemmeno a fare un passo per seguirla perchè l’immagine di James tranquillamente diretto verso la cappelliera per afferrare il baule di Sirius tirandolo giù senza troppi complimenti fu una visione così strana da immobilizzarlo.
«Cosa stai facendo» gli chiese senza avere nemmeno la forza per usare un tono interrogativo.
«Un attimo» fece lui con aria professionale piegandosi sulle ginocchia davanti al bagaglio. Lo aprì frugarci dentro come se fosse suo, ovvero con la stessa delicatezza di un Troll. 
Sirius non battè ciglio, restando ad osservarlo impassibile come tutte le volte che succedeva.
«Guarda che non c’è bisogno di metterti in ghingheri, James» lo rassicurò Remus «a Lily non interessa come ti vesti»
«A Lily vado a genio ubriaco» lo corresse lui con noncuranza, la voce ovattata dal baule «Lei si diverte e io mi diverto, cosa voglio di più dalla vita?».
Interdetto, Remus aggrottò le sopracciglia. 
«A Lily non ‘’vai a genio’’ ubriaco» sentenziò indeciso se essere esterreffatto o esasperato per quell’uscita dell’amico «A Lily vai a genio quando sei te stesso. Sotto l’effetto dell’alcool non avevi nessun freno, le hai parlato, preso la mano, ci hai ballato, l’hai addirittura abbracciata. Ti sei comportato come ti comporti con noi, spontaneamente» tentò di farlo ragionare, perdendo tutte le speranze quando lo vide riemergere dal baule con i capelli più disastrati di prima e una mano attorno al collo di una bottiglia mezza piena di Whisky Incendiario. 
A quella vista Sirius scattò, iper protettivo nei confronti dell’alcool.
«EHY!» sbraitò poggiandogli rudemente sulla schiena un piede che lo fece sbilanciare leggermente verso il baule mentre si rialzava forzando il tappo.
«James, no» lo redaurgì autoritario Remus raggiungendolo con un braccio teso «Ho detto che devi essere spontaneo, te stesso, non ubriaco!»
«Ma cosa vuol dire, scusa?» sbottò quello allontando il Whisky dalle sue mani con uno scatto piccato tanto quanto il suo tono di voce «Io sono sempre stato me stesso, eppure...»
«Per piacere, mettila giù». Remus zittì sul nascere le idiozie raccimolando ogni più piccola particella di pazienza. Il sospetto che fosse già brillo gli passò per la mente con sgomento.
«Nemmeno per sogno, questa è la mia Felix Felicis!» rise James facendo oscillare con aria vittoriosa il liquido ambrato seguito con intensa serietà dagli occhi grigi davanti.
«Dammela, coglione» lo smontò Sirius allungando una gamba per cercare di colpirlo di nuovo ma James schivò abilmente il calcio con un agile movimento laterale facendo per avvicinare le labbra alla bottiglia che Remus gli allontanò dalla bocca con una manata.
«James, per piacere, lo dico per te» sibilò severo, la ferma occhiata trucidante ad indurire le iridi ambrate. Il largo sorriso di James parve spegnersi come una candela al vento e così i suoi capelli, afflosciati sotto una mano nervosa.
«Non ho la più pallida idea di come ho fatto a Capodanno» rivelò lasciando cadere a peso morto lungo un fianco il braccio con la bottiglia. Sirius si esibì in un plateale sbuffo sbeffeggiatore mentre Remus, davanti a quell’espressione seriamente smarrita, agli occhiali storti sul naso e ai capelli neri impazziti, si sentì in dovere di mettere in chiaro le cose per il bene dello scompartimento Prefetti e del treno tutto.
«Non hai pensato a lei come a quella che ti ha sempre detto di no, James, non hai pensato a John Owen, non hai avuto paura di toccarla, di guardarla». Lo scrutò in perfetto silenzio, in attesa di una qualche sua ragionevole reazione come perdere quello sguardo da pesce lesso o consegnare a mamma disperata Sirius la sua bambina. 
Ci sperò seriamente, Remus, ci sperò con metà cuore perchè la restante cinica metà forgiata dall’esperienza era troppo presa ad insultarlo in anticipo.
«E tutto questo grazie al Whisky. Perfetto, no?» esclamò infatti James, alzando di nuovo il gomito.
«Perfetto niente!» ringhiò snervato Remus strappandogli la bottiglia di mano. «James, te lo dico con tutta l’onestà del mondo» cominciò tremendamente serio arpionandogli entrambe le spalle per guardarlo dritto negli occhi e rimarcare l’importanza della cosa «Presentati alla riunione ubriaco e preparati a dire addio per sempre a Lily Evans»
«E ad abbracciare la cirrosi epatica che ti sta aspettando e starà con te per i prossimi anni a venire mentre continuerai a bere cercando di fare di nuovo colpo» precisò Sirius smorzando la solennità. Si lasciò andare all’indietro sul sedile con un sorrisetto sardonico mentre un ticchettio insistente alla porta scorrevole li fece voltare tutti. 
Il viso di Mary li osservava spazientito da dietro il vetro.
«Arriviamo!» le rispose Remus in un sorriso esasperato facendole cenno di aspettare.
 
 
 

 
*
 
 
 




 
Le chiacchiere dei cinque prefetti di quinto e sesto anno che incontrandola in corridoio le avevano chiesto di poter cambiare i loro turni di ronda del dopo cena avevano fatto peggiorare il mal di testa che Lily si portava dietro da quella stessa mattina. 
E lì, in piedi con un fascio di fogli stretto al petto, la Caposcuola si massaggiò stancamente e per l’ennesima volta le tempie sotto i folti capelli rossi.
«Ciao, Lily, hai fatto buone vacanze?» la salutò sempre amichevole Pandora entrando con leggiadria nello scompartimento dei Prefetti insieme all’alto collega Corvonero Robert Goldstein.
Lily lasciò perdere la testa e sorrise stancamente ad entrambi consegnando anche a loro il foglio con i turni da fare subito dopo cena. «Buonissime vacanze, Dora, grazie. Le tue?» rispose guardandola andare a sedersi sul morbido sedile già occupato dai prefetti di Serpeverde Deanne Stevens e Piton, scuro in volto ed inquietantemente fisso su di lei da quando era arrivato.
«Meravigliose!» sospirò nostalgica e sognante la bionda sedendosi con naturalezza proprio accanto a lui, creando un netto contrasto di figure e stati d’animo che ad un occhio sano e non martellato da una cefalea madornale poteva anche risultare comico. Pandora si lanciò in un racconto dettagliato della sua prima cena di Natale con i Lovegood, della collana fatta con tappi di burrobirra ricevuta in regalo dal suo fidanzato e del Capodanno finito in tragedia per colpa di un suo esperimento con i fuochi d’artificio.
Inutile dire che la testa di Lily, a fine discorso, era sul punto di scoppiare e lo sguardo insistente di Piton non faceva altro che peggiorare la situazione. Gli diede le spalle, facendo finta di cercare qualcosa nella borsa poggiata al sedile ancora vuoto. 
Frugò a caso fra cianfrusaglie e libri, mordendosi un labbro da dietro la cascata di capelli rossi per evitare di insultarlo a gran voce. 
Averlo lì le dava una sensazione più insopportabile del solito perchè era davvero come avere un Mangiamorte davanti. 
A quel pensiero, assottigliò lo sguardo assorto chiedendosi dove fosse Avery e con chi. Aveva convinto Liv a chiudersi nel loro scompartimento con John come guardia del corpo ma si ripromise comunque di cercare il Serpeverde per tenerlo d’occhio prima di arrivare a Hogwarts.
«Collega!».
Un sorriso abbozzato sfuggì alle labbra di Lily a quel nomignolo che soltanto quattro mesi prima e in quello stesso treno era stata la cosa più ridicola ed assurda che avesse mai sentito. In quel momento, invece, le risuonò nelle orecchie come la più giusta
Non c’era nessuno a Hogwarts in grado di fare da leader più di James Potter. 
Non gliel’avrebbe mai detto ma lo pensava, era da stupidi negarlo ancora perchè era la pura e semplice verità. 
Sbuffò mentre l’ennesima fitta le trafiggeva una tempia all’improvvisa consapevolezza di non preferire più il noioso Robert Goldstein a lui, di non volere proprio nessuno al suo fianco - nemmeno il perfetto Remus- che non fosse James Potter per quel compito tanto difficile quanto soddisfacente perchè la sua presenza lì sembrava aver spazzato via l’aura tossica ed ossessiva emanata da Piton, ammutolito le chiacchiere dei Prefetti che lo salutarono entusiasti ed alleggerito il braccio dalla malloppa di fogli pigiati su un fianco mentre si ostinava a scavare nella borsa come se stesse cercando di tirare fuori un Erumpent. 
Osservando di sottecchi le magre dita di James agguantare meglio le pergamene per sistemarsele tra le mani, Lily si corresse ringraziando mentalmente quelle per l’ultima cosa.
«Ciao, James» rispose tranquilla sollevando lo sguardo dalla tracolla per lanciargli una sfuggente occhiata accesa di gratitudine ignorando totalmente gli occhi neri di Piton che sentiva bruciarle la pelle, gridarle da lontano come un richiamo disperato.
James le sorrise di rimando aggiustandosi gli occhiali sul naso in un gesto che Remus trovò vagamente impacciato. 
Il licantropo rise sotto i baffi prendendo posto sul sedile insieme a Mary mentre i prefetti Tassorosso, Elizabeth Truman e un Ned Stevens particolarmente sereno, facevano la loro comparsa.
«Bene, possiamo cominciare» esordì Lily scrutando con la coda dell’occhio James intento a distribuire i fogli anche agli ultimi arrivati lanciando sfuggenti occhiate divertite al suo largo e colorato maglione con le renne. 
Lily, guardando stranita prima lui e poi sè stessa per controllare di non avere macchie o buchi sulla lana, ostentò perfetta rilassatezza in antitesi alla sottile agitazione che ricollegò alla corrosiva tensione proveniente dall’angolino dello scompartimento occupato da Piton.
Non ci fu molto da dire ai prefetti più anziani, a parte le nuove parole d’ordine dei dormitori lasciate dalla McGranitt e da rivelare ai propri compagni di Casa prima di mettere piede alla stazione di Hogsmeade. 
La riunione finì dieci minuti dopo, con gran sollievo di Lily quando l’ombrosa figura di Piton lasciò lo scompartimento per primo come un pipistrello disturbato nella sua grotta.
Ma un altro sguardo costante, anche se decisamente meno opprimente, cominciò a farle sentire un leggero solletico sulla nuca. 
Si girò, notando James guardarla piuttosto serio e concentrato.
«Ti sei fatto Evanescere il cervello, Potter?» lo prese in giro in tono scherzoso senza però intaccare minimamente l’espressione del collega.
«Stai bene?» espresse tutta la velata preoccupazione nelle iridi nocciola James, avvicinandosi di qualche passo a lei che lo scrutò impassibile per qualche secondo, celando tutto il suo essere stata colpita dall’unica domanda azzeccata che le avevano rivolto in quella giornata infernale. 
Distolse gli occhi verdi da lui, agitando debolmente una mano in aria come a sottolineare un nonnulla.
«Soltanto un po’ di mal di testa» gli rispose acciuffando la tracolla per mettersela in spalla. James annuì senza distogliere lo sguardo particolarmente attento da lei che stranamente evitò di guardarlo dritto negli occhi per chissà quale motivo mentre rovistava tra le sue cose. 
Era strana, Lily Evans, e a dire la verità si sentiva strano anche lui. 
Non si erano visti al binario e per tutta la mattinata, si erano soltanto incrociati di sfuggita all’ora di pranzo dalla signora del carrello salutandosi velocemente come se il Capodanno passato insieme non fosse mai esistito nonostante la foto in movimento di Alice come prova.
«Capi» li salutò in tono scherzoso e militaresco Ned Stevens avvicinandosi per salutare James con una pacca sulla schiena prima di rivolgersi a Lily.
«Come sta Liv? É sul treno?» chiese esitante il Tassorosso sotto gli occhi nocciola guardinghi dietro le lenti.
«Scompartimento D» gli rispose Lily con un’occhiata e un sorriso fugaci ma complici. Ned le sorrise a sua volta, solare, prima di annuire e con un’altra leggera pacca uscire dal piccolo abitacolo.
James rimase a guardare la porta scorrevole di nuovo chiusa, lo sguardo assottigliato con disappunto. Si voltò verso Lily, sempre intenta a cercare le risposte della vita dentro quella borsa senza fondo.
«A proposito, come mai scompartimento D? Credevo ci avreste raggiunto nel nostro» indagò con finta aria indifferente e un tono vagamente allusivo. 
Quando Lily sollevò la testa rossa nella sua direzione con espressione interrogativa, lui gettò un’occhiata eloquente a Remus e Mary che ancora seduti sul sedile parlavano tra loro, un po’ troppo vicini per apparire dei semplici amici. 
Lily rise sottovoce a quella vista, scostandosi una ciocca vermiglia dal volto finalmente disteso e James sentì la sensazione di stranezza scivolare via con semplicità disarmante.
«Non so se l’hai notato, Potter, ma Liv e Black sono di nuovo in guerra senza nessuna possibilità di armistizio o trattative di pace» gli fece notare Lily sollevando le sopracciglia, ironica. «É praticamente impossibile farli avvicinare in questo momento se non vogliamo vederli sbranarsi a vicenda» aggiunse agguantando la fascia della tracolla appesa alla spalla.
James fece spallucce affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. «Sì, beh, Sirius non ha tutti i torti» buttò lì con ovvietà e gli occhi verdi si allargarono, increduli.
«Ripetilo se hai il coraggio» lo freddò Lily improvvisamente minacciosa, spiazzandolo non poco.
Confuso da quella reazione, James arcuò entrambe le sopracciglia, vagamente offeso anche per quell’affronto al suo coraggio. «Sirius non ha tutti i torti» ripetè convinto e con una punta di sfida nel tono di voce in risposta all’espressione indignata di Lily.
«Adescare una ragazza sconosciuta dopo aver flirtato spudoratamente e in modo ‘’serio’’ per settimane con un’altra sarebbe non avere tutti i torti?!» se ne uscì lei mollando definitivamente la tracolla per guardare impettita James deformare il volto come se fosse stato su una scopa con un bolide in testa.
«Cosa?» pigolò lui.
«Sì, certo, adesso neghi l’evidenza per salvargli le chiappe come al solito» lo smontò Lily in tono sdegnoso interpretando quell’aria smarrita in un suo tentativo di coprire Sirius e le sue stronzate.
Ma James, seriamente spaesato, sbattè le palpebre riformulando mentalmente la notizia nel tentativo di accertarsi di aver sentito bene.
«No, scusa, ripeti: cos’avrebbe fatto Sirius mentre Liv pensava a Stevens?» domandò con l’intera faccia corrucciata tanto quella di Lily subito dopo.
«Eeh?!» fece lei piegando di lato il volto con i lineamenti accartocciati dall’assurdità appena sentita.
«Liv ha sempre avuto l’intenzione di scrivere a Ned mentre “flirtrava spudoratamente e in modo serio’’ con Sirius, li abbiamo visti tutti» snocciolò James cominciando ad infervorarsi, rabbioso e forse anche deluso nei confronti di Liv come se avesse fatto un torto anche lui. «Avevo detto che Liv non avrebbe mai tradito la sua fiducia e a quanto pare mi sbagliavo. Adesso sì che devi preoccuparti per la tua amica, Lily. É finita nella lista nera e da lì non ne uscirà mai» annunciò in tono drammatico.
Lily aprì e chiuse le labbra velocemente e più volte, gli occhi verdi socchiusi con stizza. «Cosa stai dicendo?!» sbottò in una mezza risata allibita.
«La verità, quella che non stai dicendo tu!» replicò James allargando le braccia mentre Remus e Mary si zittirono, guardandoli discutere con tanto d’occhi.
«Liv non pensa a Ned Stevens ma a questo punto vorrei lo facesse!»
«Sirius non si abbasserebbe mai ad ammettere di essere stato preso in giro se non è vero, a mala pena lo fa quando è vero!»
«Io credo ciecamente in Liv e se lei dice che Black ha fatto una delle sue solite bastardate significa che è vero!»
«Certo che l’ha fatto! L’ha fatto perchè si è sentito preso il culo, Lily! E questo è niente, credimi!»
«Liv deve aver cercato Ned perchè è quel cretino del tuo compare a cui stai magistralmente parando il sedere l’unico che ha preso in giro qualcuno! E non osare dire il contrario perchè non ci crede nessuno!»
«Io credo proprio che entrambi abbiano fatto delle enormi stupidaggini» s’intromise pacatamente Mary avvicinandosi ai due che si voltarono a guardarla con uno scatto contemporaneo facendola sussultare come se fosse al cospetto di due leoni a digiuno.
«Oppure c’è sotto qualcosa e piuttosto che lasciar perdere l’orgoglio hanno agito d’impulso per chissà quale ragionamento contorto» l’appoggiò Remus arrivandole affianco «Sappiamo come sono fatti». L’occhiata che lanciò a James sembrò avere l’effetto sperato perchè con un profondo sospiro l’amico parve sbollire riprendendo un colore diverso dal rosso acceso, esattamente come Lily al suo fianco.
«Sono uguali» commentò quest’ultima abbassando i toni con un burbero cipiglio posato di sottecchi su James, tra i capelli rossi. «Mi riferivo a questo quando ho detto che sono due bombe pronte ad esplodere».
James mantenne lo stesso atteggiamento evasivo nei suoi confronti.
«E comunque io non c’entro un emerito pelo di Troll con quello che fa Sirius, Evans, c’era bisogno di gridarmi contro in quel modo?» sbottò, vagamente risentito.
«Tu c’entri sempre con quello che fa Black» lo contraddì Lily.
«Non di certo con quello che fa con Liv e le ragazze in generale, mi sembra ovvio» le fece notare osservandola di nuovo, sicuro. «Pensi che voglia vederla soffrire?»
«Penso che per coprire le stronzate di Black faresti di tutto, Potter» continuò Lily, imperterrita.
E James rise come se avesse sentito qualcosa di scontato spacciato per novità. 
«Certo che lo farei, l’ho fatto un’infinità di volte da quando lo conosco e sempre lo farò» confermò ignorando i richiami di avvertimento di Remus. «Ma pensi davvero che non gli direi niente se facesse una delle sue stronzate impulsive?».
Lily non rispose, negli occhi verdi ben aperti aleggiava una luce che rendeva allusivo quel silenzio tipico di chi acconsentiva.
«Cambierò idea quando ti inviterò a bere quella cioccolata calda al posto di fare la ronda, Potter» sentenziò piccata facendo intendere un chiaro e secco ‘’mai’’.
James non fece una piega. Sembrava stesse riflettendo velocemente, fissandola attento. 
Dopo qualche secondo di mutismo, spostò con disinteresse lo sguardo da un’altra parte.
«Bene, se è questo che pensi» le disse distrattamente, spiazzandola. Salutò Remus e Mary, rigidi come scope, ed uscì dallo scompartimento lasciando Lily avvolta da un silenzio totale. 
Lo sguardo smeraldino vagò confuso in direzione della porta appena chiusa fino a quando non incrociò quello di Remus, stranamente critico ed accusatore come se avesse fatto chissà quale atto criminale. Uno sguardo che la fece sentire in colpa senza sapere il perchè. Corrucciò il volto confuso, Lily, parecchio scettica sull’aver fatto effettivamente qualcosa di abominevole come quello sguardo faceva intendere.
«Non mi sento minimamente in torto, Remus, tantomeno in colpa» annunciò con una nota stranamente imbarazzata a rendere la sua voce non del tutto convinta. In risposta, Remus sollevò un sopracciglio castano non sembrando nemmeno Remus e con quel semplice gesto che l’amico di solito riservava a persone effettivamente colpevoli come Potter e Black, Lily perse tutta la sua sicurezza, guardandolo a disagio. Nel nuovo silenzio imbarazzato, fece un passo all’indietro, cauta, per poi farne un altro ed un altro ancora fino a raggiungere la porta con aria intimidita. La fece scorrere lentamente ed uscì, lasciandogli un’ultima occhiata incerta.
«Ma che hai fatto?» esordì Mary liberando la risata trattenuta davanti all’assurda ritirata dell’amica.
«Quello che andava fatto» gli rispose Remus sereno. Mary lo studiò, colpita e diverita, e con un passo gli fu vicina cercando le sue mani. Gli occhi nocciola ridenti ed incuriositi sotto la frangia bionda fecero brillare quelli di Remus che intrecciò all’istante le dita alle sue. Le sorrise stupendosi di come quella sensazione che lo rendeva leggero e ‘solo Remus’ non avesse limiti, di come aumentasse ogni volta di più. 
La baciò sentendo il suo sorriso sotto le labbra e il suo dolce profumo alla vaniglia avvolgerlo creando un goloso e confortante mix con l’aroma della barretta di cioccolato nella tasca dei pantaloni, intatta. 
Erano giorni che non mangiava cioccolato eppure il buonumore sembrava non avere fine.
 
 
 


 
*
 
 

 
 



 
 
Il verde smeraldo degli occhi a mandorla si posò su ogni porta scorrevole, ogni persona che sostava nei corridoi e ogni corridoio riempito soltanto dalle chiacchiere e dalle risa ovattate provenienti da dietro i vetri, senza vederli davvero.
«Lily?» la chiamò stranito John Owen affacciandosi dallo scompartimento D, quello che Lily aveva appena superato senza rendersene conto. «Vieni» la incitò ridente prendendola per mano. 
Lily, frustrata dall’ormai insopportabile e peggiorato mal di testa, si lasciò dolcemente trascinare dentro con occhi profondamente assorti.
«Liv è andata in bagno» la informò John spostando la Gazzetta del Profeta per farle posto sul sedile «Mi ha detto di dirti di stare tranquilla anche se non ho capito perchè». 
Il Corvonero restò piuttosto sorpreso quando Lily gli si sedette sulle ginocchia per poggiarsi al suo petto con un sospiro, sfinita.
«Hai fatto la scelta più giusta, Lils, te l’ho detto anche prima. Basta preoccuparti per me, d’accordo?» la rassicurò comprensivo circondandola con le braccia e baciandole affettuosamente i capelli «Mi sei mancata a Capodanno e ti avrei voluto con me, lo ammetto, ma capisco l’importanza della tua presenza a Londra. Liv aveva davvero bisogno di te e se non fossi andata da lei non saresti stata tu. Insomma, ti amo anche per questo, no?». Rise piano, stringendosela addosso con amore e sincera ammirazione.
L’occhio libero dai ciuffi vermigli e non immerso nel maglione blu scuro di John puntò sul finestrino punteggiato di neve facendosi più inquieto e tormentato a quella dichiarazione. 
Perchè a lei John non era mancato, nemmeno un po’, se ne rese conto soltanto in quel momento. Irrigidita dall’improvviso panico, fece saettare l’iride verde verso i bauli sulla grata sopra le loro teste. 
Lì dentro c’era parecchia roba tutta perfettamente piegata, pronta per essere messa in disordine da lei, ingarbugliata come i pensieri stipati in testa dalla mattina. 
Colta da un’illuminazione, si staccò dal petto di John che la guardò incuriosito, le sopracciglia scure arcuate e gli occhi azzurri puntati sul viso pensieroso di Lily che portando le mani sui suoi lisci capelli scuri tentò in ogni modo di scarmigliarli senza successo.
«Perchè stanno sempre al loro posto?!» sbottò indispettita scrutandoli con velato risentimento.
John rise di cuore lasciandole un veloce bacio sulle labbra indurite in un modo molto simile a quello della McGranitt davanti ad un Malandrino qualunque. 
«Ti sono sempre piaciuti proprio per questo» le ricordò in tono divertito e fintamente offeso. Lily sollevò un sopracciglio rossiccio fingendo supponenza.
«Ma in questo momento di confusione mentale mi servirebbero disordinati» gli fece sapere sollevando il mento con aria sostenuta mentre un lieve sorriso le arricciava gli angoli della bocca. «É troppo facile rimetterli a posto, guarda, non mi vengono in aiuto così». Rise apertamente sotto le dita esperte di John che conoscevano i suoi punti deboli riguardo il solletico.
«Esistono le tue adorate-odiate camicie per questo, Lily»
«É scomodo tirare giù il baule!»
«Posso sapere che pensieri ingarbugliati ti passano per la testa?».
John era tornato serio e le sue dita si erano fermate all’altezza delle spalle coperte dai capelli rossi. 
Lily lo guardò stranita, l’ombra delle risate sulle labbra meno incurvate e negli occhi lievemente più spenti. 
Aveva così tanti pensieri intrecciati ed annodati tra loro che nemmeno una camicia sarebbe riuscita a districare. Forse, soltanto i capelli di James Potter avrebbero potuto rendere l’idea.
 
 
 

 
*



 
 



 
Testa bassa e sguardo ombroso, James tornò nel suo scompartimento trovando Sirius intento a giocare a Scacchi Magici con Peter che alla sua vista saltò sul sedile, entusiasta.
«Ramoso!» squittì indicando ripetutamente la scacchiera ridotta sul serio ad un campo di battaglia «Devi vederlo! Devi vedere cosa sa fare Felpato! Pazzesco!»
«Pena?» chiese James in un sorriso canzonatorio facendo scorrere la porta alle sue spalle.
Sirius, senza distogliere lo sguardo affilato dai suoi pezzi neri, sibilò freddamente «Scacco matto» e contemporaneamente il re bianco esplose prima che potesse distruggerlo la sua torre. 
Peter andò in visibilio come se a vincere fosse stato lui mentre James strabuzzava gli occhi, impressionato.
«Senza bacchetta!» sottolineò l’eccezionalità della cosa - e a dirla tutta secondo James, anche il lato macabro- Peter.
«Coda, continua a saltare in quel modo e preparati a fare la fine del tuo defunto re» commentò James fissando intensamente Sirius rimbalzare contro la sua volontà sul sedile fulminando l’amico grassoccio come se fosse un pezzo della scacchiera.
Peter si fermò all’istante, terrorizzato, e Sirius si alzò con elegante indolenza.
«Vado a fumare» sentenziò atono raggiungendo l’uscita in due lunghe falcate decise passando accanto ad un James per nulla voglioso di farsi distruggere con uno sguardo chiedendogli spiegazioni sul suo avere o no adescato ragazze al supermercato. Ripromettendosi di parlargli con lo stomaco pieno e al caldo della Sala Comune, lo lasciò passare dandogli soltanto una leggera spallata che lui ricambiò con tanto di dito medio prima di far scorrere la porta per uscire.
Il corridoio era vuoto e le lampade si erano appena accese per contrastare il buio della sera fuori, lo sferragliare del treno era l’unico rumore a riempire l’ambiente e il lieve sobbalzare ritmico gli faceva vibrare la suola degli anfibi e i vetri dei finestrini. 
Guardando distrattamente a destra dello stretto corridoio, Sirius tuffò una mano nella tasca dei jeans neri alla ricerca delle sigarette e spostando l’attenzione a sinistra qualcosa dentro al petto scattò senza preavviso, bloccandogli il respiro come se avesse appena ricevuto un pugno secco allo sterno. 
Liv e Stevens erano lì, in fondo al vagone, poggiati con una spalla alla porta chiusa mentre parlavano sommessamente. Non smisero nemmeno quando l’uscio scorrevole si aprì e due ragazzini Corvonero passarono in mezzo a loro, dividendoli per qualche istante.
Talmente spiazzato da non riuscire a fare altro che guardare, Sirius scrutò infastidito Liv parlare piano e con espressione seria al Tassorosso che annuì altrettanto commosso subito dopo, avvicinandosi a lei e facendo sprofondare lo stomaco a lui. La voglia di spaccargli quel profilo da folletto buono si riflettè sulle mani chiuse a pugno. 
Fu in quel preciso momento che Sirius si accorse di non avere più in mano la situazione che per mesi aveva silenziosamente controllato con presunzione da dietro le quinte, pianificando ogni azione, sorridendo amabilmente ai nemici e lanciando uno sguardo seduttivo al suo oggetto del desiderio. 
Una sensazione insopportabile cominciò a ribollirgli dentro, saliva al cervello, contorceva le viscere. Non era semplice rabbia, la conosceva bene quella, e non era la stessa provata al supermercato. Era molta di più, molto più forte, era una rabbia cieca mista ad invidia che gli faceva desiderare di essere dov’era Ned Stevens. Quel pensiero lo infiammò ulteriormente perchè era stato al posto di Ned Stevens, prima di lui, e se l’era lasciato rubare come un imbecille.
Distolse lo sguardo profondamente irritato da loro, accorgendosi di star respirando più velocemente del normale. Si portò la sigaretta alle labbra socchiudendo gli affilati occhi grigi e dopo averla accesa con la bacchetta di Liv recuperata dalla tasca posteriore dei jeans, aprì il finestrino con un gesto brusco senza minimamente preoccuparsi di poterlo rompere. 
La sferzante aria gelata del treno in corsa gli scarmigliò all’istante i lunghi capelli neri schiaffeggiandogli il volto serio ed increspato da una profonda ruga a dividere le sopracciglia.
Restò a fumare la sigaretta con una voracia fuori dal comune, il tizzone ardente bruciava la carta tanto quanto quel qualcosa dentro di lui- che cominciò a ricondurre alla gelosia- gli stava corrodendo ogni cosa, montando lentamente come lava dentro ad un vulcano ad ogni risata bassa di quei due, l’unico suono distinguibile tra le loro parole incomprensibili, lo sferragliare del treno e l’ululare del vento fuori dal finestrino. 
Ad un certo punto non riuscì nemmeno più a capire cosa volesse respirare: la nicotina o l’aria gelida capace di dargli un minimo di sollievo come se fosse in sella alla sua motocicletta. 
All’ultimo tiro decise di andarsene il più lontano possibile da lì ma Liv e Ned si stavano salutando dicendosi chissà cosa, magari anche scambiandosi un bacio. Il solo pensiero gli contorse con una morsa più stretta le viscere, ma non riuscì a fare a meno di guardare, di vedere fino a che punto Liv l’aveva preso in giro, tradito
Spostò lo sguardo graffiante su Ned Stevens che stava lasciando un lieve bacio su una guancia di Liv, sulla fossetta bene in vista, e l’impulso incontrollabile di scaraventarsi addosso al Tassorosso gli fece fremere gli arti.
Gettò il mozzicone della sigaretta fuori dal finestrino, respirando a fatica. Non se ne andò soltanto perchè Liv, allontanandosi da Ned sparito oltre la porta del vagone, si era voltata dalla sua parte per andare chissà dove, sorprendendolo a guardarla di traverso. 
Bloccato semplicemente dalla sua presenza e dal suo sguardo, Sirius non mosse un muscolo. E anche se quella visione di lei- dannatamente bella e finalmente reattiva a lui- gli aveva scatenato una forte emozione dentro, non lo diede minimamente a vedere.
«Che vuoi?» sbottò freddamente Liv inchiodata sul posto dalla sorpresa di trovarlo lì, dalla ferrea morsa dei suoi occhi grigi fissi su di lei, dalla sua figura alta e slanciata ben piazzata al centro dello stretto corridoio. 
Sirius Black era tremendamente bello quanto ostile.
«Cosa dovrei volere da te, Olivia?» fece lui altrettanto gelido e distaccato mentre Liv, assorbendo stoicamente il veleno in un dignitoso silenzio, riprese la sua strada con la sua caratteristica camminata fiera e decisa. 
Sirius portò noncurante gli occhi verso lo sfuggente paesaggio innevato della Scozia, aspettando la nota floreale che l’avrebbe inebriato quando Liv gli sarebbe passata dietro. Perchè anche se la voglia di odiarla e di andarsene cresceva ogni volta che la vedeva, non poteva non provare un’irrefrenabile spinta verso di lei.
«Allora smettila di fissarmi» ordinò perentoria Liv fermandosi proprio alle sue spalle. 
Sirius voltò lentamente il viso, quasi con noia, ma il portamento di Liv era così sicuro da farlo incendiare dentro, da consumarlo come la sigaretta ma in un solo attimo. 
Non era troppo alta, Olivia, ma niente faceva pensare a lei come ad una bambina da proteggere. Emanava indipendenza, forse anche troppa, e la cosa gli piaceva da morire.
Olivia aveva il viso più in basso di diversi centimetri dal suo, ma quel mento dolce e delicato sempre leggermente sollevato, insolente e sfacciato, intriso di sfida e dignità lo mandavano fuori di testa.
Le labbra di Sirius si curvarono lente, arroganti. «Come siamo egocentriche» la canzonò girandosi del tutto verso di lei contemplandole intensamente gli occhi e poi le labbra che Liv strinse, sollevando gli angoli in un sorrisetto decisamente poco affabile.
«Le tue insistenti occhiate al veleno durate giorni cominciano ad urtarmi» lo informò schiettamente, altrettanto sferzante e canzonatoria ma respirando appena. Poteva chiaramente percepire quella sensazione che toglieva il fiato, la vertigine, l’ebbrezza del rischio per essersi avvicinata troppo al fuoco che stirava ogni nervo e scorreva, insieme all’odio.
«Ignorale» rispose Sirius scrollando le spalle con noncuranza e spostando fugacemente la testa di lato per poi rivolgerle di nuovo tutta l’attenzione, divorandola con lo sguardo. «Sei così brava ad ignorarmi, Olivia, non vedo dove sta il problema» soffiò lasciando che il tono prendesse una nota volutamente tagliente ed allusiva mentre si sporgeva verso di lei invadendo anche il suo spazio personale, incapace di starle lontano.
Liv sospirò impercettibilmente percependo il suo respiro depositarsi sulla pelle del viso scatenando un lungo brivido che le pervase l’intero corpo e Sirius sorrise, segretamente fremente, percependo con piacere la tensione aumentare tra loro, sentendo Liv reagire alla sua vicinanza: lo stesso suo fiato corto, la giugulare pulsante sul collo scoperto dall’alta e lunga coda di capelli neri, le stesse intense emozioni ad annebbiare ed agitare il caldo castano scuro di quei grandi occhi per lui incantevoli che con Ned Stevens non c’erano, lo sapeva, l’aveva visto.
«Io non ti sto ignorando» replicò secca lei, irrigidita dalla rabbia e dalla maledetta sensazione che le faceva perdere lucidità ed ogni contatto con la realtà quando si ritrovava a scrutarlo da così vicino, completamente in balìa di quello sguardo magnetico, penetrante capace di esasperare, infastidire e sedurre, di farle sentire addosso debolezza e vitalità al contempo. 
Tutto, con Black, diventava un controsenso, contradditorio come lui e come se stessa quando stava con lui.
Sirius sollevò le sopracciglia nere in risposta, gli occhi grigi aperti e fintamente meravigliati. 
«Non mi stai ignorando? Davvero?» le chiese con sarcasmo e perfidia, un’arroganza focosa a scintillare in quello sguardo fermo e letale inchiodato a lei, alla sua anima. 
Era quello il pungiglione di Sirius Black, lo stesso di cui Liv non aveva paura.
«Stai per caso alludendo al fatto che tra me e te c’è qualcosa che non devo ignorare?» replicò pungente ed ironica facendo uscire i suoi artigli, quelli che Sirius si vantava di saper tenere a bada.
«Assolutamente no» rispose arpionandola con lo sguardo improvvisamente infiammato da un risentimento mai provato prima. Una rabbia che sapeva essere rivolta a lei, ma anche a se stesso per non averla baciata tutte le volte che aveva potuto farlo, prima di vedere Ned Stevens con un boccino in mano e un sorriso ebete rivolto alle sopracciglia giallo-nere create proprio da lui.
«E allora, ripeto, cosa vuoi?» sbottò prontamente Liv stringendo i pugni lungo i fianchi, gli occhi scuri ridotti a fessure e il respiro leggermente irregolare esattamente come quello che sentiva infrangersi a tratti misurati sul suo profilo.
Sirius restò a fissarla perforante, al limite; sguardo sicuro e risoluto tra le lunghe ciglia nere, il mento sfrontato, le labbra imbronciate, il collo lungo scoperto dai capelli scuri, quel sinuoso fisico morbido e il suo insopportabile carattere enigmatico, testardo, grintoso, indomabile, irrimediabilmente stimolante ed accattivante: come se fosse fatta per lui, tutto in lei sembrava essere stato creato apposta per farlo impazzire in ogni modo, di piacere e di rabbia, fisicamente e sentimentalmente.
Piacere e rabbia della massima intensità perchè ciò che Liv scatenava ogni volta era qualcosa che stava nelle profondità più nascoste di se stesso, erano pulsioni inconsce potenti che esplodevano, travolgevano tutto, bruciavano corpo e anima, toglievano il fiato. 
Era come spingersi sempre oltre e raggiungere la velocità massima e folle della motocicletta, era sentirsi vivo, libero. Masochismo e sadismo si mescolavano insieme con lei, tenendolo perennemente sulle spine, acceso e furioso per l’imprevedibilità e la sfida di quella ragazza trasgressiva quanto lui. 
Rinunciarci era impossibile, rinunciarci era la vera follia.
Dopo un’ultima occhiata di fuoco, Liv lo superò con una spallata facendo scontrare la pelle nera dei loro giubbini, e lui non riuscì a fare a meno di agguantarle un braccio con forse più forza di quanto avesse voluto usare. 
Perchè non aveva più il controllo, il solo pensiero di aver spinto tra le braccia di Ned Stevens quella ragazza così giusta per lui gli bruciò dentro senza pietà.
L'aveva rispettata, l'aveva aspettata, l'aveva protetta da se stessa e dal vuoto che aveva dentro da settimane e non sarebbe mai andato via del tutto. E voleva continuare a farlo, Sirius, voleva starle vicino, non così lontano. Era insopportabile vederla andare in pezzi, da sola. Per anni si era fatto da parte tutte le volte che lei l'aveva chiesto, ma non riusciva più.
Immobile come Liv- ancora bloccata al suo fianco dalla sua presa più dolce ma salda, come calmata da quel contatto- serrò la mascella ed indurì lo sguardo grigio puntato sulla lampada davanti. 
La sentiva vicina, lo era stata dal momento in cui le loro mani si erano cercate, sfiorate e prese
La percepiva addosso quando le stava così vicino, l’avvertiva dentro quando la toccava e la sentiva anche senza sfiorarla, da lontano, e lei doveva sentirlo nello stesso identico modo, lo vedeva: Olivia c’era, lì con lui. Per quanto ne sapeva, quello ad essere stato preso in giro poteva essere proprio Stevens. 
Qualcosa nello stomaco e nelle vene gli ribollì come lava arrivando al cervello, annebbiandolo: furia, attrazione o gelosia, non seppe spiegarselo ma qualcosa di forte, intenso ed impulsivo lo spinse ad abbassarsi su di lei tirandola verso di sé quasi implorante, l'altra mano gentile sotto l'orecchio e sulla nuca per avvicinare le loro labbra che divennero fuoco sotto il caldo e affannato respiro dell'altro. Aperte e ad un soffio le une dalle altre formicolavano, protestando per quel tratto d’aria carico d’elettricità e dei loro respiri affannati che le separava, protestando per unirsi.
Entrambi profondamente scossi, rimasero paralizzati. 
Gli occhi grigi, intensamente accesi e storditi, rispecchiavano senza filtri lo stupore di Sirius per quella vicinanza che gli riverberava dentro al ritmo impazzito del cuore, al fremito dell’intero corpo attraversato più volte da una scarica elettrica. 
Continuò a guardarla con gli occhi ben aperti come se avesse appena scoperto scoperto qualcosa di dannatamente bello
E Liv, frastornata, lo guardava a sua volta con le stesse iridi stupite e sconvolte che presto si fecero rapite dal volto bello e dalla sua vicinanza, dalla sua bocca sensuale, dal suo deciso profumo maschile, dal suo respiro e dalla sua mano gentile sul suo collo e sulla nuca, il pollice che le accarezzava lentamente la guancia in un tocco bollente. Tutto era Sirius Black su di lei e dentro di lei ed era stordente, era una miccia ormai accesa che correva irrefrenabile verso di lei. 
Un lungo brivido continuava ad attraversarle il corpo togliendole il poco fiato che Sirius gli stava a stendo lasciando con quelle sue labbra che la chiamavano.
La voglia baciarlo, di infilare le mani tra i lunghi capelli nerissimi era devastante, irresistibile, un bisogno fisico impellente come una calamita impossibile da staccare dal proprio corrispettivo magnete. 
«Cosa vuoi fare?» esalò affannata, spaventata da quel piacevole brivido che scivolava dal collo alla schiena. Per quanto avesse voluto ringhiare, gridare, ruggire, non riuscì ad emettere più di un filo di voce roca.
«Tu che dici?» soffiò Sirius non riuscendo del tutto ad essere insolente, colpa del brivido insistente che dalla nuca scivolava giù alla schiena, colpa del cuore impazzito, del volto così bello ad un palmo dal suo, colpa della voglia di baciarla ad offuscargli la ragione, stringergli la gola e contrargli lo stomaco; colpa della familiare ed elettrizzante tensione che avevano sentito crescere giorno dopo giorno ogni volta che i loro corpi si erano ritrovati vicini e che adesso era esplosa diventando una sensazione così travolgente ed impetuosa da confondere i sensi, sconvolgergli, intontirli; lo si capiva dagli sguardi offuscati rapiti gli uni dagli altri.
«Con quale diritto vuoi farlo?» lo sfidò duramente Liv stringendogli il maglione con le mani sulla sua pancia piatta, per attirarlo inconsciamente a sé.
Sirius parve rifletterci senza distogliere lo sguardo irretito dal suo, non riuscendo a trovare una risposta forse anche per quel corpo contro di sè, la voglia che Olivia aveva di averlo addosso, di appartenerle. La sentiva tirare, fremere.
La sensazione che lo stava pervadendo e che gli aveva ordinato di fermare Liv non aveva alcun diritto su di lei, era vero, e si sentì in colpa per questo.
Eppure continuava a sentire che lo voleva anche lei.
Come aveva fatto lei a Londra, Sirius le sfiorò il naso con la punta del suo, trovando nel cambiamento repentino dell’affanno rumoroso all’appena accennato respiro irregolare di Liv la certezza di avere un prepotente effetto su di lei, esattamente come lei lo aveva su di lui. 
Si volevano, lo vedeva nel desiderio bruciante dentro quegli occhi e sulle labbra adesso gonfie, schiuse e rosse, frementi per lui.
«Nessun diritto, forse» rispose con voce improvvisamente roca, totalmente immerso nei suoi fiammeggianti occhi ambrati alla luce delle lampade e densi delle stesse turbinose emozioni che rendevano più profondi e caldi i suoi.
Più volte lei gli aveva fatto capire di volerlo, negli ultimi mesi. Dopo aver passato anni ad essere allontanato, rispettandola, Sirius vedeva la differenza e sentiva Liv chiamarlo a sè anche quando erano lontani. Sentì, in quel preciso momento, le mani di Liv agrappate al suo malgione tirarlo ancora di più verso di sè facenodogli fremere le viscere.
«Lo vuoi anche tu? Lo sento da mesi, da anni. Mi sbaglio?» le mormorò senza fiato, il cuore galoppante nelle costole, il tono fervente tanto quanto l'espressione sul volto di Liv colorato di rosso, colpita in pieno
. Con un mezzo sorriso, Sirius fece scivolare la ferma attenzione dello sguardo sulla sua bocca, irrimediabilmente attirato. Costrinse ogni più piccola parte di se stesso a non buttarcisi sopra con impeto, a non cedere alla smaniosa voglia di baciarla ancora e ancora che si faceva sempre più feroce, dominante, spaventosa.
«Non hai nessun diritto, Black,non più» sibilò Liv in un soffio astioso, tremante di brucianti sensazioni che s’infranse sulle sue labbra facendogliele fremere. Quasi pianse, Liv, perché quello che le aveva fatto capire che il suo punto debole era soltanto fumo da scacciare via in due, era lo stesso che l'aveva rafforzato: la fiducia. Sirius Black le aveva insegnato a fidarsi e poi l'aveva fatta diventare più cinica di prima. Ed era folle. «E potrebbe essere la cosa più sbagliata perché io...»
«Sono pieno zeppo di cose sbagliate, non m’importa» la zittì, pacato, guardandola dritta negli occhi con calore ardente prima di cadere di nuovo sul labbro inferiore arrossato dal suo respiro e dal solo suo sguardo che sembrava mangiarselo di desiderio, studiandolo e trovandolo ancora più bello così.
La carezza misurata ed attenta di quegli occhi la fece sospirare con la bocca scaldandogli le sue labbra, scaldandogli tutto il corpo.
Notando la scintilla battagliera in quel seducente castano intenso in cui si perse un’altra volta, Sirius aspettò il colpo, lo strattone, la spinta per essere tolto di mezzo ed essere allontanato da lei.
Per niente sorpreso, si sentì afferrare violentemente il colletto della giacca in pelle e poi spingere all’indietro fino a sbattere con la schiena sul finestrino in contemporanea, però, ad un imprevedibile annullamento della breve distanza tra le loro bocche con un disarmante bacio irruento ed aggressivo, un bacio che fece esplodere quella tensione insopportabile in calore ardente e brividi ovunque, sconvolgendo entrambi.
Le labbra carnose di Liv congiunte alle sue erano impetuose, passionali, sembrava volessero perdersi in un vortice senz’aria e- mordendo senza scrupoli con i denti- scaricare una rabbia cieca, spietata come tutte le fatture che gli aveva lanciato negli anni. Ma persero subito tutta la rabbia, l'astio e il rancore come se quel contatto avesse il potere di dirle chiaramente che la fiducia era ben riposta, che lui era lì per lei e che forse lo era stato fin dall'inizio, dalla prima volta che si erano visti in un mare di occhi di contorno.
L’istinto di Sirius, divampato a quell'unione, travolse il breve stupore stupore iniziale ricambiando con lo stesso completo trasporto animalesco, prendendole il mento e baciandola con urgenza, aumentando la profondità del bacio piegando di lato il viso e premendo con più vigore le labbra su quelle morbide e bollenti di Liv per aprirle entrambe ed affondare la lingua accarezzando languidamente la sua in un'ondata di fuoco da far tremare le ginocchia. 
Da quell’intenso contatto tanto desiderato e negato da troppo tempo, il bacio divenne avvolgente come se la fiamma promessa nelle lunghe e penetranti occhiate che entrambi si erano scambiati per mesi si fosse finalmente liberata, sentendosi l'uno dentro l'altra. Si baciarono per tutte le volte che non l'avevano fatto, negli anni.
Sirius lambì la sua lingua più volte, intenso e colmo di desiderio represso, e le richiuse le labbra stringendole possessivamente tra le sue, mordendole e facendola gemere in un sussurro accaldato tanto quanto il suo mugugno implorante succhiando il gonfio labbro inferiore per poi riaffondare morbidamente in lei, mandando alla perdizione entrambi nello sfogo totale di tutte le tensioni e le tormentate emozioni trattenute e represse per anni, tutto l'impetuoso desiderio frenato a stento davanti ad ogni ostacolo o impedimento di ogni genere, negli anni. 
Afferrandole con decisione i fianchi per premerla maggiormente a sè senza troppi complimenti lasciò che le dita di Liv scivolassero via dalla giacca per arpionarsi in una cascata di brividi direttamente sulla sua nuca, tra i capelli neri, tirandolo maggiormente verso il suo viso in basso e rispondendo all’intensità di quel famelico bacio completamente coinvolgente, totalizzante, che faceva scoppiare il cuore di entrambi. Sirius la sentì tremare contro di sè, stuzzicando ogni parle del suo corpo a contatto con le sue morbide curve.
Respirando ansiosamente con la bocca, tra un incontro di labbra e l’altro senza mai dare tregua ai rispettivi nasi ormai arrossati, Sirius allentò la stretta sui fianchi per insinuarsi sotto la stoffa della maglia e far vagare le mani ben aperte sulle curve, sulle vellutata pelle bollente che al suo tocco si coprì di brividi, riempiendo ed appagando con avidità il vuoto sui palmi che l’aveva tormentato e consumato per notti e giorni interi, nella fantasia e nei sogni. 
Le dita di Liv salirono tra i suoi capelli provocandogli una meravigliosa sensazione che lo fece quasi mugolare spudoratamente, e dai suoi fianchi Sirius risalì in scie di fuoco seguendo l’invitante curva fino alla vita stretta e a metà schiena percependo quanto fosse morbida la sua pelle e sentendo il naso di Liv sfregare sul suo al ritmo intenso delle loro labbra ormai fuse, mangiandosi e sfamandosi a vicenda, ma mai del tutto per via del fremente e costante desiderio sulla pelle che li spiangeva a cercarsi subito dopo. 
Un brusco movimento del treno in corsa li sballottò senza che se ne rendessero minimamente conto con l’unica conseguenza del ribaltamento dei ruoli sul finestrino perchè ad entrambi sembrò che non ci fosse nient’altro a parte loro, di star andando a fuoco insieme, d’ardere come le fiamme stampate sulla maglietta dei Doors di Liv, coperta dalla giacca in pelle di Sirius; sembrò di sentire l’altro sotto la pelle e nelle viscere in un susseguirsi istintivo di vogliosi movimenti del viso perfettamente in sincronia e sintonia, come se tutti gli scontri e le divergenze fuori da quell’anomalo incontro di labbra e corpi che esplodeva d’intesa, complicità, folle passione e qualcosa di assolutamente sconvolgente e sconosciuto non esistessero; come se labbra, lingue e mani appartenessero a due persone che non erano loro. 
Era dannatamente facile baciarsi, era soddisfacente ed appagante in un modo mai provato prima da entrambi, era una perfetta reazione chimica dove tutto sembrava accendersi, innescarsi, combinarsi. 
Era catartico per il corpo, la mente, l’anima.
Sirius si accorse di aver portato le mani ai lati del viso di Liv, agganciate dietro le orecchie, e di aver tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo quando fu costretto ad aprirli mentre lei gli sgusciava via dalla lingua e dalle labbra ma non dalle dita, accaldata ed affannata quanto lui. 
Le iridi grigie, stordite tra ciuffi di capelli neri scivolati sul viso durante quel primo bacio corrisposto che Sirius si era accorto di volere ancora, restarono incatenate a quelle stregate di Liv.
E se il primo fugace avvicinamento li aveva sconvolti e scombussolati, adesso non riuscivano neanche a capire dove fossero per le forti sensazioni che li avevano completamente messi sottosopra, che avevano trasformato l’odio in puro piacere.
«Olivia» le sussurrò Sirius sulle labbra con respiro pesante e voce roca, mandato in estasi dall’intensa pelle d’oca scatenata dalle dita di Liv ancora immerse nei suoi capelli, sulla nuca, dietro le orecchie.
Liv- gli occhi ormai persi per sempre in quel caldo grigio magnetico fisso ed inchiodato su di lei- non rispose perchè quella di Black non era una domanda. 
Anche lei sentiva il bisogno di pronunciare il suo nome senza sapere il perchè. Si limitò a riprendere fiato, estasiata dalle ondate di pelle d’oca sui fianchi, la vita, la schiena, il viso e ogni centimetro di pelle che le labbra e le magre mani bollenti di Sirius avevano fatto reagire con il contatto diretto.
Charlie Wood non si poteva nemmeno mettere a paragone, così come non poteva nessuna delle ragazze che scemarono dai ricordi di Sirius. 
Nessuno poteva
.
Quel bacio era la cosa più intensa, forte, sconvolgente, eccessiva e vera che avessero mai provato; un fuoco spaventoso che non si sarebbe spento mai. 
Era quell’ultima sensazione destabilizzante che attraversava ancora tutto il corpo come una scarica elettrica ad essere la più bella che avessero mai provato. In meno di cinque minuti avevano superato il record stabilito da loro stessi e il presentimento che ogni bacio avrebbe sempre potuto battere il  precedente si insinuò in entrambi, già assaliti da una rinnovata voglia di ricominciare anche se c’era un sentimento spaventoso, dolce e spaventoso che si stava unendo a quella voglia violenta, passione cieca e scandaloso istinto che andavano contro ogni buon senso. 
Il primo bacio bramato ardentemente da entrambi per anni sembrò scatenare anche quel qualcosa che li aveva tenuti separati, eppure rimasero stretti l'uno contro l'altra. Sirius si diede dello stupido per aver atteso così tanto, la paura che l'aveva tenuto lontano da lei gli stinse lo stomaco eppure quello che Liv gli aveva dato sembrava più forte. La guardò sotto di lei, divorò con gli occhi le sue guance in fiamme e le labbra schiuse gonfie dei suoi baci; la coda mezzo sciolta aveva perso diverse ondulate ciocche scure che le ricadevano scomposte sul volto dai bei tratti per niente contratti, proprio come i suoi occhi così intensi e dolci ed ancora incatenati ai suoi da fermargli il respiro. Era bellissima.
Liv, imprigionata tra lui e il vetro del finestrino, sfilò lentamente le dita dai suoi capelli ormai in disordine per premerle lievemente sul suo petto e Sirius esaudì la sua tacita richiesta lasciandola andare con la meravigliosa consapevolezza che fosse davvero sua; il suo buon odore nell'aria.
E anche se il cervello di entrambi sembrava rispecchiare la tempesta di neve fuori, i corpi non potevano essere più caldi, esaltati ed appagati di così. 
Dopo averla seguita con lo sguardo fino a vederla sparire dietro la porta scorrevole del vagone con una non da lei camminata vagamente instabile, Sirius rientrò nello scompartimento sbandando leggermente ed esattamente nelle condizioni in cui James l’aveva trovato davanti casa sua la notte della fuga da Grimmauld Place: spaesato, stordito, profondamente scosso ma vivo ed acceso con quel guizzo euforico ad animargli le iridi grigie.
«Per Godrc! Cosa diavolo ti è successo!?» si lasciò andare alle imprecazioni proprio James, a dir poco allibito dall’aria letteralmente sconvolta e scompigliata dell’amico anche se cercava di apparire il più disinvolto e rilassato possibile con i capelli neri arruffati, degli ambigui graffi su collo e mandibola, la giacca in pelle storta su una spalla e la maglia stropicciata, il naso e il mento arrossati, le labbra gonfie.
Sirius non rispose, con uno scatto elegante della testa si scostò i capelli dal viso lasciandosi mollemente cadere sul sedile sotto gli occhi esterrefatti di Peter al suo fianco.
«Hai fatto a pugni? Chi ti ha ridotto così?» esalò incredulo il biondo lasciando perdere la ristrutturazione degli Scacchi.
James, senza distogliere lo sguardo critico da Sirius, gettò la rivista di Quidditch di lato e si sporse dal sedile di fronte poggiando i gomiti sulle ginocchia per scrutarlo da più vicino con occhi attenti ed analizzatori. 
Si sitemò gli occhiali sul naso chiedendosi se fosse il caso di andare a cercare un cadavere, quello di Regulus o molto più probabilmente di Mocciosus.
«Dobbiamo preoccuparci? Per quello a cui le hai date, intendo, anche se sembri averle prese alla grande, fratello» osservò vagamente serio e piuttosto derisore. 
Perchè, sì, Sirius sembrava sopravvissuto ad uno scontro fisico parecchio selvaggio che aveva certamente scaricato l’ottanta per cento della sua rabbia, come ogni volta. 
Sirius, un mezzo sorriso a stirargli le labbra consumate, fece pigramente scattare una lunga gamba per allontanarlo e alla risata divertita di James si mischiò un tonfo assordante che li fece sussultare tutti mentre la porta scorrevole si apriva sbattendo ed un trafelato Alan Morgan si scaraventava dentro lo scompartimento con il fiatone e gli occhi fuori dalle orbite. 
Annaspando, il cacciatore Grifondoro chiuse frettolosamente la porta poggiandosi sopra con la schiena, stravolto e terrorizzato. Alla vista di James sbiancò, incredulo di aver beccato proprio lo scompartimento dei Malandrini. Rise, come impazzito.
«Capitano, mio Capitano!» salutò esageratamente raggiante cambiando posizione di braccia e gambe per assumere una postura fintamente rilassata spalmato sulla porta che sembrava separarlo dall’inferno «Come andiamo? Sei in forma, sì? Sono venuto per dirti che siamo tutti magri, sobri e soprattutto interi, come vedi». 
Ammiccò nella sua posa da Mago di gennaio del Settimanale delle Streghe ostentando totale agiatezza mentre alle sue spalle, dietro al vetro della porta sulla quale continuava a restare attaccato, il battitore Serpeverde Mani di Mazza sfrecciava di corsa facendo vibrare il pavimento ad ogni suo passo pesante.
«TI FACCIO A PEZZI, MORGAN!» gridò con voce tonante e a dir poco minacciosa, sempre più in lontananza.
 James, scuro in volto, sollevò un sorpacciglio e Alan rise di nuovo, isterico.
 
 
 

 
*
 



 


Hogwarts e l’intero parco accolsero gli studenti con uno strato di neve ancora più spesso rispetto a dicembre. 
La pelle d’oca dovuta al freddo pungente della stazione di Hogsmeade e delle carrozze sparì sotto ai mantelli soltanto quando il familiare tepore della Sala Grande li avvolse, facendoli sentire di nuovo a casa e al sicuro. 
Privo di abeti, ghirlande ed addobbi natalizi, l’ampio ambiente illuminato dalle candele nella volta stellata e dal fuoco danzante nei camini e sui lampadari appesi alle pareti fu invaso da uno stranito e chiassoso chiacchiericcio sopra le quattro tavolate di nuovo al completo.
I Malandrini presero posto proprio a metà della tavolata Grifondoro, mischiandosi alle cravatte rosse e oro dei loro compagni di Casa di certo più spaesati di loro. Perché per James, Remus, Sirius e Peter, gli Auror appostati davanti al portone della Sala e quelli che dalla stazione di Hogsmeade li avevano scortati fino alle carrozze e poi al castello dopo averli accuratamente perquisiti manualmente e con aggeggi dall’aria per nulla rassicurante avevano un certo senso.
Così com’era solito fare- dare la precedenza al cibo scegliendo di palrare all’intera scuola soltanto con la pancia piena- Silente non aprì bocca dal tavolo degli insegnanti e con grande gioia degli studenti affamati e stanchi dal viaggio si era limitato a dare il bentornato e a far comparire la cena di tutti battendo con garbo le mani. 
Davanti a quel ben di dio, la strana nuova realtà del castello passò in secondo piano e il brusio stranito si fece chiasso allegro, chiacchiere, risate, tintinnio di piatti e bicchieri.
«Devono aver interrogato quel Mangiamorte che gli abbiamo fatto prendere a Diagon Alley» mormorò con sospetto James riferendosi all’Ordine. Sirius al suo fianco annuì distrattamente accoltellando a caso la montagna di costolette fumanti mentre assottigliava gli occhi grigi vaganti tutt’intorno come se stesse cercando qualcuno o qualcosa per tutta la tavolata; per poco non trafisse distrattamente la mano di Trevor Robins che seduto accanto a lui aveva scelto il suo stesso vassoio con suo grande spavento e rammarico.
James si ficcò una forchettata di arrosto in bocca e riprese, più serio che mai. «L’uccellino in trappola ha ‘’cantato’’ e Silente ha finalmente capito che razza di persona è Avery altrimenti non si spiega quest’accoglienza da parata militare»
«La parata militare non mi disturba affatto, anzi» ammise Peter spezzando a metà una pagnotta decisamente rilassato e sollevato. 
Al suo fianco, con l’espressione opposta alla sua adocchiata da un esasperato Harrison, Alan Morgan tentava di mangiare appiattendosi sul tavolo nel tentativo di evitare le lontane e visibili a tratti occhiate assassine di Mani di Mazza dalla tavolata verde-argento.
«Per me non è così, Ramoso» lo contraddì Remus seduto all’altro lato di Peter. Gli occhi nocciola di James si sollevarono dal piatto scrutandolo da sopra le lenti rotonde, interrogativi.
Remus poggiò il calice colmo di succo di zucca e si protese verso gli altri due per parlare a mezza voce. 
«Se ‘’l’uccellino’’ in trappola ha cantato, Avery non dovrebbe essere qui» spiegò spostando lo sguardo furtivo verso il lontano tavolo Serperverde dove Avery parlava e mangiava con i suoi amici lanciando cupe occhiate fugaci ai due Auror a guardia della Sala Grande. Molti, attorno a lui e in altri tavoli gli lanciavano occhiate spaventate: avere a tavola e a scuola un figlio di Mangiamorte dichiarato faceva un certo effetto, molto più di quanto aveva fatto negli anni precedenti quando era soltanto un ipotesi come Mulciber.
«Perché se quell’uomo che hai pietrificato e consegnato agli Auror, James, durante l’interrogatorio che gli avranno sicuramente fatto ha rivelato che Avery è un Mangiamorte…» proseguì in un tono così cospiratore e pieno di suspence da fermare forchetta e coltello di Peter. «Moody avrebbe avuto le prove e Avery sarebbe finito ad Azkaban all’istante. Ma visto che Avery è qui, l’Ordine e gli Auror non hanno nessuna prova sul fatto che sia un Mangiamorte e quindi quell’uomo che era con lui, la sua spalla, non ha fatto la spia. Sulla Gazzetta c’è scritto che hanno catturato un restio a collaborare presunto Mangiamorte, perché non era sotto Maledizione Imperio».
James, rimasto di sasso con la forchetta a mezz’aria sopra il piatto, non distolse gli occhi colpiti dal quel ragionamento più che sensato. Sirius, accanto a lui, continuò a tagliare in silenzio il suo roast beef con aria contrita e meditabonda non solo per la difficoltà nel tagliare a pezzetti la carne in un piatto stracolmo di ali di pollo, costolette, fagiolini, patate ripiene, salsicce e diversi mini Yorkshire Puddings.
«Allora che cosa significa tutta questa gente in divisa? E i controlli?» sbottò sottovoce James assumendo un cipiglio perplesso molto simile a quello di Peter.
«Of Alife ef Franf hanfo rifonofiufo Afefy pfrifa fhe fi Smaferiafiffaffe…» rispose Sirius masticando un boccone fatto con ogni pezzetto di pietanza stipata nel suo piatto.
James si voltò a guardarlo con infinita lentezza. «Può ripetere, mio Lord?» gli chiese, ironico.
Sirius ingoiò con difficoltà. «O Alice e Frank hanno riconosciuto Avery prima che si Smaterializzasse…» ripetè, annoiato e per nulla scalfito dal sarcasmo nei confronti della sua raffinatezza e gran classe a tavola «Oppure Silente e l’Ordine, a parte tutto il resto, stanno indagando anche sulla morte del padre di Olivia e a quanto pare stanno scoprendo qualcosa ma senza ottenere delle prove da portare al Ministro».
James aggrottò le sopracciglia nere, pensieroso, e Remus annuì consenziente all’intuizione dell’amico di fronte prendendo un lungo sorso dal calice per poter scrutare la lontana figura di Silente, come al solito serena e pacifica al fianco del cappello a punta di una professoressa McGranitt più rigida del solito. 
A Peter rimase direttamente una cucchiaiata di purè di patate ferma in gola perché a quelle parole, un’improvviso gelo gli era calato dalla testa al collo e poi a tutto il corpo. Era stato lui a dire alla McGranitt che Avery doveva uccidere uno di Silente prima, durante o dopo Natale. La professoressa e Silente sapevano sicuramente fare due più due.
I dolci che qualche minuto dopo presero il posto della carne lo aiutarono a non pensarci almeno fino a quando Silente non si alzò dalla sua sedia al tavolo dei professori e le chiacchiere e le risate nella Sala Grande si spensero all’istante.
«Bentornati a tutti voi che avete passato le festività natalizie con le vostre famiglie!» esordì Silente in tono bonario passando in rassegna i quattro tavoli con i vivaci occhi azzurri a brillare da sopra gli occhiali a mezzaluna. «Prima di darvi le dovute spiegazioni riguardo quest’accoglienza curiosa ed inusuale ma, ahimè, necessaria per la nostra sicurezza, mi preme farvi i miei più sinceri auguri per questo nuovo anno appena comiciato».
Un sentito e festoso brusio di ‘’grazie’’ e ‘’anche a lei’’ lo fermò e soltanto dopo aver aspettato di nuovo il silenzio totale, Silente riprese a parlare senza perdere l’aria tranquilla che lo contraddistingueva.
«Con mio profondo rammarico, non vi dirò che quello che ci sta aspettando sarà semplice o diverso dalle disastrose attuali circostanze perché nonostante tutte le nostre più audaci speranze non sarà così».
Un brusìo decisamente meno gioioso del precedente invase la Sala con i commenti concitati di tutti ai tavoli. Silente si schiarì la gola e il silenziò tornò man mano che gli studenti si accorgevano delle braccia aperte del preside, come a volerli abbracciare tutti.
«Per questo motivo colgo l’occasione di sottolineare ancora una volta l’importanza del mantenere alto il livello di guardia in ciascuno di noi, qui a Hogwarts. Le difese magiche del castello, rafforzate anche durante queste ultime vacanze, ci proteggono sì dall’esterno ma non da un possibile pericolo interno». 
E a quelle parole il silenzio si fece così assoluto e teso tanto da divenire assordante. 
I Malandrini si cambiarono sguardi furtivi mentre il preside riprendeva il suo discorso dai toni sempre più gravi. Avery, tra i Serpeverde, parve sbiancare.
«Con questo intendo dire che ciascuno di noi dovrà sempre agire tenendo bene a mente il fine ultimo di rispettare e dunque garantire la propria ed altrui sicurezza. Anche la più piccola negligenza da parte di uno di voi potrebbe mettere a rischio non soltanto voi stessi ma la protezione dell’intera scuola. Per questo vi chiedo di rispettare ogni restrizione di insegnanti ed inservienti per quanto rigide vi possano apparire, il coprifuoco serale in primo luogo. A questo proposito, grazie alla gentile concessione del Dipartimento di “Applicazione delle Leggi sulla Magia”, abbiamo a nostra disposizione gli Auror che sorveglieranno l’ingresso principale e i piani giorno e notte, ronde comprese per garantire la salvaguardia dei Prefetti». Fece un cenno con la mano ai due uomini in divisa ai due lati del portone aperto e tutte le teste ai tavoli si voltarono a guardarli, ammirate e riconoscenti.
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze con le spille appuntate alla divisa parvero sospirare di sollievo e rassicurazione. Remus allungò il collo alla ricerca di Mary, avvistandone soltanto la corta chioma bionda in lontanza.
«Vi pregherei, infine» concluse Silente riattirando la totale attenzione su di sé «di riferire immediatamente a loro, agli insegnanti o ai Capiscuola qualsiasi cosa vi sembri sospetta o strana dentro e fuori il castello». Lo sguardo serio di Silente ripercorse un’ultima volta i quattro tavoli prima di farsi ridente e rassicurante come il volto sotto la lunga barba argentea.
«Detto questo, non voglio trattenervi oltre. I vostri comodi baldacchini vi stanno aspettando e chi sono, io, per prolungare quest’attesa durata anche troppo? Vi auguro quindi la buonanotte e un buon riposo per ricominiciare le nostre preziose lezioni con più energia domattina!».
Il chiassosso strisciare delle panche sul pavimento in pietra proruppe appena Silente si risedette.
I Malandrini rimasero seduti qualche attimo in più del solito mentre i compagni attorno a loro si alzavano rumorosi, chiacchierando e mischiandosi alle divise delle altre case per raggiungere il portone.
Fu James ad alzarsi per primo e Remus capì il perché quando seguì fugacemente il suo sguardo posato su Lily che li stava raggiungendo facendo lo slalom tra la fila in mezzo ai tavoli.
«Sentito Albus? Qualsiasi cosa sembrerà sospetta o strana dentro e fuori il castello, io potrò venirla a sapere. Se questo non è iniziare a far parte dell’Ordine ditemi voi cos’è!» esordì James ironicamente ammiccante passandosi una mano tra i capelli per mascherare la sua fretta «Ho una ronda con Auror da organizzare, signori. A dopo!». 
Prima di fuggire sotto lo sguardo stranito di Peter e quello riflessivo di Remus, diede una vigorosa pacca a Sirius dagli occhi grigi di nuovo assottigliati e fissi con sospetto su un punto distante da loro ma che, a differenza di prima, sembravano aver trovato l’oggetto della loro attenta ricerca come un cane che punta la sua preda. 
Remus lo scrutò in silenzio per seguire la direzione del suo perforante sguardo agghiacciato e per capire il motivo della sua distrazione che si rivelò essere Liv appena lasciata libera da un abbraccio di gruppo della squadra Grifondoro e adesso intenta a parlare con Ned Stevens che le accarezzava teneramente la schiena con mano educata. Molti occhi la stavano guardando, dispiaciuti e curiosi, e Wayne Abbott le si avvicinò per abbracciarla di slancio con forza. Remus e nessuno dei presenti si stupì di quel gesto: anche Wayne, l'anno prima, aveva perso un parente per colpa dei Mangiamorte.
La figura arresa di Lily, che alla fuga di James aveva bruscamente arrestato l’andatura a zigzag, catturò lo sguardo di Remus sparendo e ricomparendo tra le vesti degli studenti ancora in marcia. Il volto vagamente deluso circondato dai lunghi capelli rossi parve riacquistare tutta la sua decisione quando gli occhi verdi s’indurirono, orgogliosi come il suo dietrofront.
Remus sospirò affranto e Peter, stranito dal comportamento di tutti i suoi amici, si strinse nelle spalle facendo per alzarsi lentamente dalla panca.
«Ce ne andiamo in Sala Comune?» propose cauto lanciando insistenti occhiate prima a Remus e poi a Sirius nello stesso momento in cui la voce squillante di Mary li raggiunse, sovrastando il chiasso e le risate attorno.
«Non vedo l'ora di stare davanti al fuoco» esclamò spuntando alle spalle del suo ragazzo, colpendogliele amichevolmente con due sonore pacche.
«Mi hai fatto perdere e riavere cinque anni di vita in un solo istante» esalò in un aperto sorriso lui portandosi una mano al petto per lo spavento. 
Mary rise a sua volta intensificando dolcemente la presa sulle sue spalle magre e schiacciandosi contro la sua schiena per non essere travolta dalla fiumana di gente tra il loro tavolo e quello dei Tassorosso. A quel morbido contatto, Remus arrossì ringraziando il fatto di non poter essere visto da lei in quella posizione.
«Che cosa ci fate ancora seduti?» chiese sbigottita Mary portando il vivace sguardo nocciola sugli altri due. Peter fece spallucce e Sirius non diede il minimo segno di averla vista, tantomeno sentita, ancora intento a squadrare Liv con una strana espressione sul volto.
«Non aspettiamo Liv?» indagò Remus con il tono più casuale possibile e fu certo che sotto i lunghi capelli neri di Sirius un’orecchio si fosse teso, in ascolto.
«Ah, no» fece Mary voltando la testa in direzione dell’amica per guardarla, pensierosa.
Lo sguardo di Sirius restò su Liv, fissandola con un’insistenza quasi provocatoria come a voler attirare la sua attenzione per farsi spiegare il significato di quella scenetta.
«Lei sta con Ned fino al coprifuoco, ci raggiunge dopo» spiegò Mary e a quelle parole gli occhi grigi si assottigliarono lievemente rimandendo su Liv per diversi lunghi istanti prima di spostarsi con finta indifferenza dalla parte opposta, incassando il brutto colpo in silenzio.
Remus, accorgendosene, prese entrambe le mani di Mary per lasciarle scivolare via dalle spalle e potersi quindi alzare. Lei lo assecondò, accigliata, mentre Sirius si alzava dalla panca e faceva bruscamente cenno a Peter di seguirlo.
«Sei il ragazzo più normale che io conosco, Remus Lupin, credimi» proclamò Mary seguendo con occhi sconcertati Sirius allontanarsi ad ampie falcate con Peter alle calcagna. «È un complimento, sia chiaro» si affrettò ad aggiungere portando il profilo piuttosto fiero verso Remus che, ormai in piedi davanti a lei, scoppiò a ridere intrecciando meglio quelle piccole dita alle sue senza nemmeno pensarci. 
Mary divenne immediatamente rossa per via delle occhiate curiose e sbalordite di qualche gruppetto di ragazzi attorno a loro e Remus, notandoli, tentò di sciogliere la presa con crescente panico. Ma Mary non glielo lasciò fare.
«No» gli mormorò stringendolo più forte «Fa che anche gli altri lo capiscano»
«Cosa? Che stiamo insieme?»
«Che sei normale, Remus».
 
 
 
*
 
 


 


 
«Fiato di Drago»
«Puoi dirlo, ragazzo. Non lo scorderò mai, ci scommetto le mie perle».
La Signora Grassa, fresca di restauro per essere andata a fuoco non si sa esattamente come dopo aver bevuto un po’ troppo Whisky Incendiario a Capodanno, si fece da parte con tutta la sua cornice per far passare un gruppetto di tredicenni e Liv, gli ultimi Grifondoro a raggiungere la torre.
L’accogliente Sala Comune rossa e oro era calda, piena come un uovo, chiassosa di voci, risate e chiacchiere. Diversi sguardi le si incollarono addosso, il peso nel petto a gravare ulteriormente ad ogni occhiata piena di angoscia e pietà. Liv si costrinse a respirare profondamente, cercando di ignorarli.
I tre ragazzini del terzo anno si diressero verso il basso tavolino dov’era in corso un’agguerrita finale di Scacchi Magici e Liv fu libera di zigzagare tra le morbide poltrone vermiglie occupate, i pouf e le sedie alla ricerca di Mary. Con un certo disagio l’adocchiò seduta sul bracciolo della poltrona vicina al camino, quella occupata da un ridente Remus. 
Arrestò di scatto la camminata notando la nera nuca di Sirius poggiata pigramente sulla spalliera del divano accanto ai due piccioncini, intravedendo anche quella bionda di Peter decisamente più in basso della sua.
Il lungo brivido sulla schiena, caldo e bruciante, continuava ad incresparle la pelle di tutto il cuorpo, le labbra formicolavano ancora;
Sirius ormai era dentro di lei. Poteva sentire il suo respiro da lì. Una certa agitazione cominciò a farle battere il cuore, tenendola ferma lì, come sulle spine. Fu Mary a smuoverla dopo essersi accorta di lei ed averla richiamata con la mano e una risata trasformata in largo sorriso.
Liv sospirò, avanzando verso il camino a passo deciso perché la presenza di Sirius Black non poteva e non doveva fermarla, perché lo stomaco contratto e il cuore accelerato non potevano e non dovevano prendere il sopravvento sul cervello che lentamente si dimostrava incapace di mantenere il controllo. Era ridotta in quello stato con un bacio, ed era pazzesco.
«Ehi» salutò disinvolta prendendo posto sulla poltrona libera, il calore del fuoco scoppiettante l’accolse insieme ai divertiti saluti di Remus e Peter. Sirius, stupendola, restò a fissare le fiamme con espressione altezzosa, un sorrisetto abbozzato a rendergli arrogante il bel profilo sotto gli occhi guardinghi degli altri tre.
«Avrei dovuto immaginare fossi quel tipo di ragazza, Olivia» se ne uscì senza scomporsi, impedendo a chiunque di parlare; dentro era arrabbiato, dentro si sentiva esplodere. Era così arrabbiato che le parole amare e pungenti sembravano aver premuto da dietro le labbra e niente di lui era riuscito a trattenerle.
Liv sollevò un sopracciglio arginando il ribollire delle vene, proprio come lui. 
«Scusa?» chiese in un tono tanto simile a “Ci conosciamo?” che però non scalfì minimamente la granitica espressione sarcastica sul volto di Sirius, evidentemente in cerca di lotta.
«Comunque ci sto, Olivia, le cose a tre mi hanno sempre incuriosito».
Colpita ed affondata. Liv si premurò di non far notare a nessuno di essere stata appena attaccata e centrata in pieno dal letale pungiglione velenoso di Black. La reazione istintiva del suo corpo fu quella di far uscire gli artigli mentre i tre spettatori sembravano pietrificati ai loro posti.
«Sento del sarcasmo nell'aria, Black» disse affondando le mani nei braccioli della poltrona e studiando con malcelato odio quel volto più impassibile e strafottente del solito ancora rivolto al fuoco. 
«Attento, Black, qualcuno potrebbe pensare che t’importi qualcosa dei tuoi sbagli».
Improvvisa, profonda, decisa: la zampata lo colpì senza pietà. 
Gli occhi grigi non smisero di fissare il camino e il mezzo sorriso sulle labbra di Sirius si stirò ulteriormente, insolente e beffardo per subire con magistrale piattezza l’ennesima ferita che quella dannata ragazza riusciva sempre a provocargli. 
Perché era maledettamente vero, gli importava qualcosa degli sbagli di cui era pieno, ma soltanto di quelli che dai suoi abissi portavano a galla quelle emozioni capaci di trapassare la maschera, di scioglierla come neve al sole. 
E la gelosia, la furia, la delusione che in quel momento lo stavano invadendo, cercando di sfuggire al suo controllo per scaraventarsi addosso a lei, ne erano la prova. 
Rise, sprezzante, voltando lentamente la testa dalla parte opposta a quella di Liv, lo sguardo improvvisamente tagliente scivolò con noncuranza su due ragazzi seduti al tavolo vicino alla finestra intenti a sfidarsi a Sparaschiocco.
«Bisogna vedere se anche a Stevens la cosa sta bene» osservò con assoluta noncuranza. «Voglio dire, il caro Ned ha il cuore d’oro, il classico ragazzo che non accarezzerebbe un Occamy diverso dal suo per paura di essere accusato di tradimento. Un Tassorosso leale che merita altrettanta lealtà, non di certo come me. Siamo d’accordo su quest’ultima differenza, sì?».
Le dita di Liv affondarono nervosamente sulla consunta imbottitura della poltrona. Indispettita dall’incrollabile sagace sarcasmo e dal tagliente senso dell’umorismo di Sirius, aprì la bocca per ribattere ma lui non la lasciò parlare, continuando a non degnarla di uno sguardo. 
Attaccò ancora, così fulmineo da risultare quasi violento. 
«Certo che sì, altrimenti il bacio sul treno non ci sarebbe sicuramente stato». 
Diretto e spietato. Mary, Remus e Peter sussultarono di sorpresa su poltrone e divano e Liv, invece, restò pietrificata da una sensazione molto simile all’imbarazzo e all’incredulità. 
Niente di quello che Sirius diceva era buttato a caso, tutto aveva un significato nascosto e segreto che non osava mai tirare fuori; dopo anni di scontri, frasi enigmatiche e senza senso apparente Liv aveva imparato a capirlo. E in quel preciso momento, restò totalmente spiazzata dalla delusione che riuscì a scorgere in quella gelida ironia, in quella voce sempre meno ferma e distaccata.
«Quindi non hai pensato alla purezza da unicorno di Ned Stevens quando hai deciso di mettere in piedi questa cosa a tre, immagino» le fece Sirius in tono canzonatorio puntandole finalmente gli occhi addosso, ardenti e micidiali sotto le sopracciglia arcuate nonostante la voce rilassata. 
Liv indurì i suoi di conseguenza, sentendosi inchiodata alla poltrona e troppo rabbiosa per parlare senza gridare. 
Le sopracciglia interrogative di Sirius si abbassarono e lui abbozzò un sorriso privo di allegria inclinando il volto di lato per guardarla di traverso con tutta l’aria di qualcuno che disprezza velatamente ciò che sta giudicando. 
«Merlino» commentò sempre più pungente e sarcastico ma straordinariamente pacato mentre sul suo viso l’accennato sorriso si spegneva facendo spazio al risentimento, al rancore. «Essere sleale con me è giusto, l’ho capito, ma te lo fa diventare anche nei suoi confronti e questo invece presumo non vada affatto bene per persone come Ned Stevens, persone diverse da noi due, Olivia, che ci sporchiamo le mani di meschinità e stronzaggine fregandocene altamente».
Sirius Black era bravo come nessuno a diventare odioso quando voleva, odioso in un modo che faceva imbestialire. Il leone nello stemma dei Grifondoro ricamanto sul maglione di Liv sembrava ruggire, muovendosi ad ogni suo respiro affannato. 
Oltraggiata dalle provocatorie offese in cui lui si era messo in mezzo giusto per sottolineare il torto subito senza apparire ferito, Liv s’infiammò perdendo ogni briciolo di autocontrollo.
«Non sono stata sleale con nessuno, Black, e prima di parlare con me sciacquati la bocca e fatti una lavanda al cervello» sibilò sulla difensiva, in risposta a quel tono accusatorio che non si spiegò affatto. 
Era intrisa di veleno, Liv, si sentiva quasi intossicata come se fosse stata davvero infilzata più volte ed avvelenata da quelle parole che le si erano iniettate dentro, sferzanti. Ma era anche carica d’odio, uno nuovo e l’altro represso e vecchio di anni che le indurì ulteriormente lo sguardo.
Lo vide sorridere, scuotendo brevemente la testa con fare cinico per poi risollevare lentamente gli occhi di una freddezza devastante sui suoi.
«Non essere anche ipocrita, adesso» le consigliò, velenoso, squadrandola perforante come a sottolineare il suo totale disappunto per quell’uscita del tutto fuori luogo e palesemente falsa che sapeva tanto di presa in giro e che l’aveva portato al limite, ad un passo dal punto di rottura. Una sola parola sbagliata da parte di Liv e non avrebbe più risposto di sè stesso.
«Ipocrita?!» replicò lei fissandolo furiosa e sconcertata non riuscendo più a tollerare tutto quel veleno gratuito, quella cattiveria ingiustificata perché Sirius così come non aveva avuto il diritto di baciarla non lo aveva per pretendere spiegazioni senza neanche chiederle. «Tu che dici ipocrita a me?! Hai la coerenza di un albero di Natale ad Agosto!»
«Piantala, Olivia!» sbottò alzando la voce Sirius, tutto d’un tratto brusco, serio ed irato facendo voltare i due giocatori di Sparaschiocco e spaventare Peter al suo fianco. 
Qualcosa era drasticamente cambiato nei suoi occhi grigi, nel suo viso. Sirius Black era infiammato di rabbia e non più gelido di cinismo. Scattò in avanti, staccando la nuca e la schiena dalla spalliera del divano per sporgersi minacciosamente verso di lei. «Non puoi mentire a me, non puoi insegnare a me come negare l’evidenza, come fingere di non esserti comportata da stronza! E lo sai benissimo dato che non ti sei fatta scrupoli, con me» sputò fuori con rabbia crescente, non riuscendo più a contenerla.
A quelle parole e a quella reazione esplosiva, Liv replicò con un’impulsività e una cattiveria tali da paralizzargli il volto.
«Proprio così, Black, non mi sono fatta scrupoli perché tu non te ne sei fatto con me e con nessun’altra. Qual è la novità?! Perché infervorarti tanto?! Come hai detto prima, con te si può essere sleali, si può giocare sporco!» sbraitò staccandosi a sua volta dalla poltrona, puntandolo con sfrenato disprezzo. «Ti ho baciato perchè mi andava, tutto qua. Non sei l’unico, sai, a provare esclusivamente attrazione sessuale e totale disinteresse emotivo per la stessa persona. Cos’è, tu puoi comportarti da bastardo e gli altri invece no? Oppure credi di essere speciale? Pensi di essere diverso? È per questo che sembri avere l’orgoglio da maschio alfa ferito?! Chi è l’ipocrita, qui, in realtà?!».
Remus dilatò impercettibilmente gli occhi ambrati, impressionato da quell’intrepido attacco diretto che metteva completamente a nudo la cruda realtà mai sputata prima in faccia a Sirius. Liv lo rimetteva al suo posto con una tale forza da vederlo per la prima volta schiacciato, calpestato, annientato.
Ma, esternamente, a quel violento e spietato schiaffo morale che gli ruppe qualcosa dentro, Sirius sorrise sfacciato ed insolente guardandola con un’intensità tale da scuoterla e farla sentire vulnerabile mai era successo; quella tipica intensità che la metteva con le spalle al muro, che consentiva a lui un accesso totale alla sua mente.
«Bene» fece, il tono tornato stranamente calmo ma gli occhi grigi ardenti come due tizzoni accesi che facevano benissimo intendere la perfidia e la crudeltà di quello che stava per dire. «Sarai felice allora di far parte di quella privilegiata cerchia di ragazze che tu chiami galline, finta volpe». Sapeva di aver appena mentito, sapeva che nessuna si era mai comportata come lei e che proprio per questo quel ‘’finta volpe’’ era insensato e stupido ma la rabbia, l’indignazione, l’astio e sempre quella fottuta gelosia erano più forti di qualsiasi altra cosa. Animato da un intimo compiacimento, si alzò e se ne andò ben consapevole di avere il suo sguardo agghiacciato addosso. Conosceva i suoi punti deboli, l’aveva studiata a fondo per anni, sapeva come e dove colpire ed era pronto a tutto pur di farle del male proprio come in quel momento, pur di vederla agonizzante, pur di farle sentire lo stesso dolore che sentiva lui al centro del petto.
Mary, alzandosi a rallentatore dal bracciolo della poltrona occupata da un’interdetto e vagamente contrariato Remus, boccheggiò senza distogliere gli occhi strabuzzati da Liv, ansante e profondamente colpita nell’orgoglio, disonorata, ferita. Fece per avvicinarsi all’amica pietrificata ma lei si alzò dalla sua poltrona con un tremante scatto intriso d’ira tanto quanto il suo sguardo, fermo e lucido di folle odio. Sotto gli occhi allarmati di Mary, Peter e Remus, Liv seguì Sirius divorando i tappeti rossi e oro con ampie falcate orgogliose.
 
 
 
*
 
 
 






CUCINE.
James rilesse per la sesta volta quella semplice parola incisa sul bottone, trovandola sempre più strana ma anche più reale.
CUCINE.
Scintillava alla luce delle candele al terzo piano, scintillava sulle lenti degli occhiali rotondi, scintillava negli occhi nocciola attenti ed increduli.
CUCINE.
Sembrava scritta anche sul cuore improvvisamente fermo, come le gambe. Il primo impulso che cinque minuti prima aveva avuto sentendo il familiare calore nella tasca era stato quello di scattare, correre e raggiungere i Sotterranei. Eppure, aprendo le dita per osservare il bottone sul palmo della mano, James si era immobilizzato; forse per il rassicurante pensiero degli Auror oppure perché l’elastico al petto si era semplicemente rotto.
«Potter».
James trasalì a quella voce, la stessa che nella mente gli sussurrava ‘’CUCINE’’. Si girò, vedendo Lily fissarlo con gli occhi verdi decisi e i capelli rossi a baluginarle sulle spalle alla luce delle candele.
«Ho voglia di cioccolata» esordì Lily in tono casuale. James strabuzzò gli occhi.
«La Mappa ce l’hai tu, sì?» continuò lei come se stesse parlando del tempo.
Sempre più spaesato, James aprì la bocca per rispondere ma lei gli diede le spalle facendo per andarsene.
«Evans?» la richiamò lui, allibito.
«Andiamo o te la devo rubare?» replicò lei sbrigativa fermandosi senza però voltarsi.
«Andiamo dov…?» ripetè James, confuso, per poi illuminarsi. «Ah…» fece, abbassando lo sguardo spalancato sul palmo della mano. Il bottone sussurrava ancora.
CUCINE. 
“Cambierò idea quando ti inviterò a bere quella cioccolata calda al posto di fare la ronda, Potter”.
Risollevò la testa verso la folta chioma rossa di una Lily in orgogliosa ed altezzosa attesa e uno strano silenzio teso cominciò ad espandersi tra loro come se la consapevolezza di riuscire a prendere in considerazione il punto di vista dell’altro li avesse colti alla sprovvista.
«Hai cambiato idea?»
«Ho cambiato idea».
Lily si morse le labbra spalancando leggermente gli occhi verdi davanti a sé, fissi sull’armatura in fondo al corridoio. Il mal di testa era peggiorato dopo quello scontro con lui sul treno e il pensiero del litigio durato mesi tra James e Sirius dopo lo Scherzo sotto al Platano le aveva invaso la mente anche a cena, confermando le parole di James.
“Ma pensi davvero che non gli direi niente se facesse una delle sue stronzate impulsive?”.
Un abbozzato sorriso divertito illuminò il volto di James che si guardò attorno, malandrino, per controllare se i Prefetti del piano erano nei paraggi.
«Andiamo» acconsentì sfilando la Mappa del Malandrino dalla tunica della divisa. E fu in quel momento che l’elastico tirò di nuovo, che Lily si ritrovò ad ammettere quanto spesso James Potter le avesse fatto cambiare idea nell’ultimo periodo e che la voce sfibrata di Remus uscì dallo specchietto infilato nella tasca dei pantaloni.
«James Potter, Potter James o come accidenti bisogna chiamarti per far funzionare questo oggetto. Vieni immediatamente in Sala Comune se non vuoi vedere il tuo migliore amico e la tua Cercatrice ad Azkaban o sotto una lapide, dipende da chi avrà la meglio sull’altro. Non è per niente certo sia Sirius come sempre perché Liv non scherza affatto».
 
 
 
 
*
 
 
 
 



“Sarai felice allora di far parte di quella privilegiata cerchia di ragazze che tu chiami galline, finta volpe”.
Sirius non esitava a dire quello che pensava con l’unico scopo di colpirla, affondarla, stenderla, disorientarla. 
Ci stava riuscendo, innegabilmente, e proprio per questo Liv si ritrovò completamente pervasa da un’infimo istinto feroce che la istigava a colpirlo, stenderlo, ferirlo a sua volta in modo altrettanto ignobile e spietato.
Impregnata dello stesso suo veleno, lo seguì risalendo le scale a chiocciola, attraversando a passo di marcia il corridoio del dormitorio maschile. 
Mentre Sirius richiudeva la porta della camera dei Malandrini, lei la bloccò con mano ferma e un tonfo sordo aprendola del tutto e facendola sbattere contro il muro mentre varcava la soglia.
La stessa mano premette con rabbia sul petto di Sirius, facendolo arretrare di qualche passo. Restò immobile in quella posizione, Sirius, il volto contratto da una furia cieca, lacerato dagli artigli che cominiciavano a fare davvero male. 
Vide l’affanno di Liv sul petto che le si alzava ed abbassava al ritmo del cuore impazzito che Sirius sentiva dentro al petto.
«Puoi prendere per il culo gli altri ma non me! Puoi trattare di merda chi cavolo vuoi ma non me! Mettitelo in testa!» ruggì ansimante Liv guardandolo dritto in faccia, fuori di sé. «E se credi che io stia qui a piangere, implorarti e a cercare di capire i cazzo di comportamenti contradditori che mi hai rifilato per tutti questi giorni ti sbagli!»
«Secondo te, perché sono stato così contradditorio?!».
Il grido adirato di risposta di Sirius la freddò sul posto, tra i baldacchini.
Sirius aveva reagito con impetuosa veemenza, lo sguardo paurosamente penetrante, folle. Era infiammato dalla furia scaturita dalla delusione profonda del tradimento subìto che faceva infinitamente  male.
«Perché?! Sentiamo! Perché sei stato così contradditorio?!» lo incitò Liv inveendogli contro senza temerlo nonostante tutto le faceva pensare di essere davanti ad un demone. «Forse perché sei stronzo di natura?!»
«Forse perché lo sei anche tu?!» proruppe lui, feroce, fissandola con il volto trasfigurato ed accecato dall’astio. «Forse perché non sono un coglione e volevo capire a che razza di gioco stavi giocando con il tuo tira e molla?! O forse perché, in fondo, ho sempre saputo che tipo di ragazza sei!?».
Allibita e sinceramente offesa dai maligni insulti velati, Liv annaspò sentendo un’altra ondata di rabbia travolgerla completamente. «Ti ho già detto che non c’è nessun dannato triangolo!» urlò come se si stesse rivolgendo ad un sordo.
Sirius parve andare fuori di testa. «Flirtare con me e scrivere a Ned Stevens! Cazzo, Olivia, sai contare?!» sbraitò così rabbioso da sgolarsi mentre la porta della stanza si chiudeva da sola con un forte botto.
Liv sussultò, girandosi a guardarla con uno scatto prima di ripuntare gli occhi spalancati su di lui, le labbra serrate dall’orgoglio per non permettere alla verità di uscire. 
Rimase a fissarlo, furiosa e del tutto restia a parlargli onestamente, a dirgli che non aveva mai pensato di scrivere a Ned Stevens e che dopo cena si era trattenuta a parlare con lui semplicemente per dirgli di voler restare da sola in un periodo in cui l’unica cosa che voleva era occuparsi di se stessa.
«Scrivere a qualcuno significa forse baciarlo, farci sesso!? Sei sospettoso al limite della sopportazione!» sputò fuori con maggiore accanimento, stizzita dalla porta sbattuta con violenza, dal suo inquietante sguardo diabolico, dall’aggressivo tono di voce e dal veleno sempre più letale. 
Era infuriata, confusa, frustrata perchè non riusciva a capire cosa Sirius pretendesse da lei. Era chiaramente colpito nell’orgoglio, geloso, ferito, deluso e tutto ciò, dopo la ragazza al supermercato, non aveva il minimo senso a parte ribadire il suo essere contradditorio, presuntuoso.
«Ti sei data della volpe da sola, Olivia, sei semplicemente ridicola mentre ti fingi agnellino!» s’infervorò Sirius avvicinandosi repentinamente a lei con due falcate. Sentirla così presa ed agguerrita lo incendiava, lo istigava a sfogarsi, ed era tutto ciò che voleva e di cui aveva bisogno. Quasi gli venne voglia di baciarla con foga per quel suo modo di fare, di essere.
«Era questo il tuo scopo, la tua missione, fin dall’inizio! Vendicare mezza Hogwarts femminile baciandomi per poi fare la gatta morta con un altro! Bella vendetta del cazzo!».
Liv si gonfiò, tremante di collera. «Ma ti senti quando parli?! Sei lo stesso che ha fatto il morto di fame tra le spugnette abrasive, Black!» esplose sollevando il mento per continuare a guardarlo dritto in faccia senza muoversi dalla sua postazione. Lo trucidò con i grandi occhi scuri socchiusi dallo sdegno e dall’odio, un odio riflesso nelle iridi grigie ed accese davanti a lei.
«È diverso!» tuonò Sirius, arrogante e colmo d’orgoglio.
Liv gli rise gelidamente in faccia, sbigottita dall’affermazione, non facendo altro che incendiare quegli occhi di ghiaccio.
«Scappa pure, Olivia! Scappa dalla consapevolezza di essere quella persona vile e doppiogiochista che mi hai sempre affibbiato con disgusto senza neanche conoscermi! Ti fai schifo da sola, adesso?!» inveì Sirius sprezzante, intriso di scherno e desiderio bruciante di zittirla. Ma per Liv, orgogliosa di natura e passionale quanto lui, ritirarsi e sottostare non era nemmeno lontanamente concepibile nonostante si sentisse continuamente punzecchiata e sbattuta a terra senza pietà.
«Hai ragione, è diverso» si corresse, derisoria, sovrastando la sua voce. Rialzarsi con fierezza e testardaggine era un istinto che la faceva ruggire, infischiandosene del pericolo mortale che aleggiava attorno a Sirius. 
Sbranarlo era l’unico impulso ad animarla e l’orgoglio non sarebbe riuscito a farla passare per quello che non era perché la dignità veniva prima di tutto.
«È diverso perché la tizia al supermercato è entrata in scena prima e il mio avvicinamento a Ned è soltanto una conseguenza!».
Sirius parve ricevere un altro schiaffo in pieno viso a quella rivelazione.
«Il tuo nobile senso della giustizia esce fuori per giudicare gli altri e se ne va al diavolo quando ti guardi dentro!» gridò ancora, Liv, incontenibile e con la schiettezza che l'aveva sempre contraddistinta e che Sirius aveva adorato fin dall'inizio, da quando l'aveva vista. «Sei l’ultima persona che può fare la vittima! L’ultima, Black! Eppure non sai fare altro!»
«E chi sarebbe la prima che può farla?! Forse tu!?» scoppiò letteralmente fuori di sé Sirius guardandola furibondo, sotterrato da quelle brucianti verità, pervaso da una rabbia adesso esclusivamente rivolta a se stesso; lui che per paura di essere l’unico tra i due a provare qualcosa aveva messo alla prova la sua gelosia abbordando la ragazza al supermercato, lui che non l’aveva baciata prima, lui che si era complicato le cose da solo distruggendo ogni cosa come sempre. 
Ed era un astio così assoluto e distruttivo da fargli perdere non solo il controllo ma proprio la testa, del tutto.
«Tu che fai la sostenuta e poi rinfacci agli altri di comportarsi in modo ambiguo!? Tu che ti fingi vittima, Olivia, come tua madre!?». Le sputò quelle ultime parole in faccia senza più ragionare.
Liv, impietrita, lo guardò così oltraggiata e colpita da non riuscire nemmeno a deglutire. E Sirius continuò, truce ed implacabile. La gelosia che gli corrodeva le viscere lo fece andare del tutto fuori controllo, affondava il coltello nella piaga continuando a mettergli davanti agli occhi Liv tra le braccia di Stevens. Un’unica e semplice immagine tatuata sulla retina ma così intensa, ossessiva e morbosa da cancellare tutto il resto portando ogni sensazione all’estremo. Era tutto così eccessivo e sfrenato per il fatto che la colpa fosse esclusivamente sua. Non c’era stato nessun tradimento, c'era stato soltanto l'avvicinarsi e allontanarsi di Liv che aveva alimentato la sua paura di provarci. In quel momento, in Sirius c'era soltanto rimpianto
L’unica cosa che si ritrovò a fare fu sfogare e scaricare su di lei quel tormento incontenibile senza preoccuparsi di risultare insensibile; fu reagire in modo sproporzionato all’offesa subita senza potersi controllare, come ogni volta che tutta l’oscurità gli turbinava violentemente dentro.
«Sei identica a lei, non soltanto nell’aspetto! Non ci hai mai fatto caso?! Ti sei preoccupata soltanto del lato esteriore come i capelli ma non del marcio che hai dentro!» vociò rimarcando in tono rabbioso e duro ogni sillaba.
Liv schiuse le labbra, annaspando senza riuscire a dire una parola con il petto impazzito e lo sguardo lucido ed atterrito puntato su di lui come se non lo riconoscesse.
«Sei egoista, come lei! Non senti il bisogno di metterti nei panni degli altri! A tua madre non importa il tuo punto di vista mentre si finge la vittima della situazione e tu fai lo stesso! A te non importa il mio punto di vista, o sbaglio?! Hai addirittura detto a quella ragazza di non conoscermi! Ma sono io lo stronzo, ovviamente! Pensi di essere sempre nel giusto perché delle altre persone non t’importa un cazzo! Ed è per questo che tuo padre è morto!» concluse con gli occhi grigi iniettati di cattiveria, trafiggendola.
L’affranto sospiro fino ad allora trattenuto con forza da Liv, investita e travolta dall’ondata di crudeltà delle ultime parole, spezzò il silenzio. 
Sentì le lacrime pungere dietro le ciglia, Liv, il cuore spezzarsi per l’ennesima volta in quelle settimane. La potente reazione emotiva di Sirius era talmente viscerale e maligna che era impossibile non rimanerne coinvolti e sommersi. 
Le girava addirittura la testa come se fosse al centro di un vortice d’acqua che le scompigliava i capelli, gli abiti e l’anima tenendola in apnea, affogandola. 
Annichilita, si sentiva completamente annientata eccetto in quel punto sempre acceso dove la dignità pulsava più forte ogni volta che il resto la schiacciava. 
Non pianse e non gli sferrò uno schiaffo come invece tutto in lei le gridava di fare, fremente. Restò ad affrontarlo con la voce rotta ma il volto splendente d’incrollabile determinazione.
«Non è Regulus quello che non vale la pena, sei tu» disse semplicemente in un soffio gelido. Solo allora si allontanò verso la porta lasciando Sirius raggelato, anche se soltanto per qualche secondo perché tutto in lui continuava ad ardere e divampare come un incendio indomabile.
«Va’ all’inferno, Olivia!» le sbraitò dietro, furioso e totalmente annebbiato dalla follia «Per me sei morta!». Drastico, estremo, impotente. Aveva distrutto tutto, compreso se stesso. Aveva attaccato ed avvelenato Liv e se stesso. 
E, ancora accecato dalla gelosia, ne era visceralmente soddisfatto perché se non poteva controllare gli altri l’unica cosa da fare era distruggerli; e con loro se stesso, per ricominciare da zero da solo.
Il silenziò calò, pesante e denso.
In una gara a chi teneva testa all’altro, a chi faceva prevalere il proprio temperamento forte e combattivo non c’era stato nessun vincitore. In una lotta estenuante e logorante per dominare l’altro senza esclusioni di colpi, pervasi dalla rabbia, dalle offese reciproche, dall’orgoglio e dalla gelosia ormai padrona dei loro cervelli, entrambi ne erano usciti perdenti e per la prima volta gravemente feriti, distrutti dal peggio dell’altro che si erano tirati fuori a vicenda.
Fuori dalla stanza Liv andò involontariamente a sbattere su James, immobile e con l’espressione serissima come se avesse ascoltato tutto. Si rimise subito in marcia e lui non la fermò, non la chiamò, non le chiese se stesse bene perché ovviamente non stava bene. 
Aveva gli occhi scuri stravolti e lucidi, non aveva il portamento fiero come suo solito e la sua camminata non era decisa. Ma James, nonostante l’amarezza provocata dal comportamento a lui familiare di Sirius, si ritrovò ad abbozzare un sorriso perché Liv aveva appena dimostrato di avere una delle capacità fondamentali per essere quella giusta per Felpato. Lui lo sapeva bene, così come Regulus. 
Sirius era sfiancante e logorante a lungo andare, era difficile stargli dietro. Pretendeva tantissimo da se stesso e dagli altri, metteva continuamente alla prova come se fosse costantemente insicuro senza assolutamente ammetterlo e nonostante la freddezza esteriore si aspettava la stessa intensità e passionalità che metteva lui in qualsiasi cosa facesse. 
Per stare con lui bisognava avere un temperamento tosto, bisognava essere forti per reggere le sue sfuriate. E Liv l’aveva, Liv lo era come lui, James, a differenza di Regulus.
Entrò in camera con il passo accorto di chi sa di stare per entrare nella gabbia di una belva feroce. Ed infatti quello che gli si presentò davanti fu proprio una belva. 
Sirius era completamente fuori di sé come quando qualcosa di inaspettato gli sbatteva contro e lo scombussolava mettendolo sottosopra. Succedeva raramente perché erano poche le cose a cui teneva. Liv, evidentemente, era entrata nella scarna lista. 
James lo guardò stare impalato al centro della camera, ansimante e rigido come un manico di scopa.
«Complimenti per il solito drammone che ti vai a cercare»
«Levati dalle palle»
«No, io non mi levo dalle palle, Sirius»
«Non hai sentito?! Sta perfettamente bene! Hai la tua Cercatrice ancora tutta intera! La tua giocatrice appetibile non è come le altre!».
Era ancora completamente pervaso dalla rabbia, sbraitava e minacciava le pene dell’inferno con il semplice sguardo. James lo squadrò serissimo e per nulla sorpreso da quel comportamento ma profondamente dispiaciuto. Sirius preferiva uccidersi per rinascere libero piuttosto che ammettere di aver sbagliato, scusarsi o tenersi stretto la cosa a cui teneva tanto. Era la stessa cosa successa con Regulus.
«Già, non è come le altre e proprio per questo non mi preoccupo più del tuo patto con la mia squadra ma di quello che hai fatto con me, come amico di Liv».
«Non ho fatto nessun patto con te» ringhiò lui in tono scocciato dandogli le spalle, nervoso.
«Stai parlando con me, Sirius» gli ricordò James avvicinandosi di qualche passo. Il significato di quella frase era chiaro ad entrambi: impossibile mentire all’altro, impossibile bersi le bugie dell’altro. Perché, sì, anche senza dirselo a voce avevano fatto un patto.
“C’è la possibilità che tu stia giocando con lei?”.
«Cosa significa la ragazza del supermercato?» gli chiese pacato, desideroso di capire sul serio.
Sirius percepì la delusione in quella familiare pacatezza e fu come sentire un altro coltello aggiungersi alla ferita che sanguinava copiosamente. 
«Io non ho fatto nessun patto con te!» esplose di nuovo ingoiando il boccone amaro della verità su quella dannata ragazza sconosciuta. «Così come non ho mai detto di voler cominciare tutto questo!»
«Nessuno lo dice! Succede e basta!» ribattè James iniziando a scaldarsi «Chi è il coglione che sceglie di innamorarsi di una ragazza impossibile da gestire e che ti odia?!»
«Non cominciare»
«Comincio e finisco pure».
Sirius girò il volto giusto per guardarlo in tralice, infastidito.
«Quindi mettere nel carrello quella ragazza non c’entra niente con le lettere di Ned Stevens» proseguì James in tono puramente casuale e pensieroso.
Sirius riportò lo sguardo duro davanti a sé come a voler far saltare in aria il comodino poggiato al muro. «Perché non mi hai ancora frantumato le palle con le tue ramanzine da erede di Godric Grifondoro?» scattò, caustico.
James sorrise facendo un verso di scherno e divertimento insieme. «Sei ridicolo quando pensi di poter distruggere ed allontanare anche me, Felpato»
«Pensi davvero che non possa succedere?» sibilò Sirius, volutamente provocatorio e in cerca di altra lotta.
«Non è successo due anni fa e non succederà nemmeno adesso anche se tirare in ballo suo padre è stata la più grande bastardata che avresti mai potuto fare e per questo ti meriteresti come minimo due calci nelle palle seduta stante» replicò James deciso «Ma so che le hai sputato in faccia quelle cose senza pensarle davvero come ogni volta che perdi la testa. E so anche che, in fondo, lo sa anche Liv, dopo tutto quello che hai fatto per lei in queste settimane terribili».
Il silenzio dell’amico, James lo interpretò come tormentata riflessione.
«Non sono pazzo» se ne uscì dopo un po’ Sirius, seccato.
«Su questo avrei da ridire» commentò James, ironico.
«Pensi che abbia adocchiato quella ragazza per niente?»
«Vuoi dire che non hai iniziato tu?»
«Sì, genio»
«Quindi hai accalappiato una ragazza al supermercato per cosa?»
Sirius affilò lo sguardo, irritato e trattenuto dall’orgoglio.
«L’hai fatto per colpa di Liv che parlava con Ned Stevens alla festa di Natale di Lumacorno?»
«No»
«E allora l’hai fatto perché sei una testa di cazzo, Sirius, come ogni volta che t’interessa qualcosa e la devi mettere alla prova»
«Vattene, James, o giuro che te ne pentirai»
«Per Godric, Sirius!» ruggì lui dandogli una spinta sulla schiena, aizzandolo «Vuoi davvero continuare ad agire in questo modo ridicolo che ti allontana da tutto ciò che vuoi davvero!? Non ti rendi conto che rimani sempre più solo e vuoto, così!?».
Senza nessun preavviso, Sirius gli sferrò un pugno su un occhio lasciando attonito e sconvolto non soltanto James ma anche se stesso.
Liv aveva il potere di portarlo nel punto più alto del paradiso con un bacio, un tocco e uno sguardo, e farlo precipitare negli abissi più neri un istante dopo; non poteva negarlo davanti a quel basso gesto abietto e violento rivolto contro suo fratello.
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
Sirius è tremendo, non è vero?
Liv e Sirius sanno tirare fuori il meglio e il peggio dell’altro, qui abbiamo visto certamente il peggio. 
Saranno costretti a guardare in modo più profondo e serio non soltanto il loro rapporto ma i loro difetti messi in luce dall’altro. Ho sempre pensato al loro rapporto come ad un’opportunità di crescita personale. 
Hanno ancora tantissimo da scoprire l’uno dell’altra, soprattutto i pregi che spunteranno fuori con le rispettive presenze come è successo con i difetti. 


Silente non poteva di certo far entrare un Mangiamorte a scuola come se niente fosse. Per il suo discorso ho preso spunto dal suo benvenuto di inizio anno in H. P. e il Principe Mezzosangue, quando sa che Draco Malfoy è un Mangiamorte. 

Lily e James continuano ad avvicinarsi. La cioccolata durante la ronda si farà (tranquillo, Giuseppe!). Preparatevi a dire addio a John.

Dal prossimo capitolo ricominceranno le lezioni mentre la partita Serpeverde-Grifondoro si avvicinerà sempre più. 
Gennaio sarà un vero caos per tutti, a Hogwarts! 
 
Non aggiornerò prima di Natale quindi ne approfitto per farvi gli auguri adesso perché sono affezionata ad ognuno di voi e ci tengo davvero tanto. 
Ormai siamo una famiglia formata da 237 persone che preferiscono, ricordano e seguono questa storia, da chi la recensisce tenendola praticamente in piedi e dalle veramente tantissime persone che la leggono in silenzio (così tante che quasi non ci credo!). 
Io vi ringrazio di cuore per tutto questo. 

GRAZIE. Vi voglio bene.

Vi auguro un Natale magico e un 2019 ricco di tutti i vostri desideri avverati!

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** 40. Anelli della Discordia ***


Avete presente quando un pianeta arriva a tutta velocità dallo spazio per scaraventarsi sulla terra, più precisamente sopra di voi? Ecco, è per questo che pubblico soltanto oggi.
Se questo capitolo vi sembrerà un po' confuso (a parte essere arrivato in abominevole ritardo) la colpa va tutta a Sirius Black incazzato nero, a Lily Evans confusa dal rosa del prosciutto che ha sugli occhi ma soprattutto a Saturno Contro.
La storia, comunque, resta qua con voi anche dopo essere stata calpestata, umiliata, screditata e svilita. Sa di avere mille difetti e di non essere il massimo ma resta qua perché è il suo posto, perché è testarda almeno quanto me e perché ci siete voi (spero, dopo quattro mesi d’assenza e questo capitolo un po’ strano non è scontato).
Grazie a tutte le persone che mi hanno scritto in privato per chiedermi se stavo bene, se ero ancora viva, se mi avevano rapito gli alieni (i saturniani, forse), se avevo deciso di continuare a scrivere o di mollare e scappare perché qualcuno stava arrivando a casa mia per picchiarmi, e grazie anche a chi mi ha inviato un messaggio per dirmi che mancavo.

GRAZIE, grazie davvero, mi mancavate anche voi.
 
 




Capitolo 40

ANELLI DELLA DISCORDIA

 






 
«Non sto piangendo per quel bastardo!»
«Ok, Liv, però…»
«L’unico maledetto motivo che ho per piangere, Lily, non è Sirius Black ma mio padre! Ogni fottuta lacrima che esce da questi dannati stupidi occhi lo fa esclusivamente per mio padre!»
«Ma è normale piangere dopo quelle cattiverie, Liv!»
«Non per una persona senza un padre, Mary! Non c’è nulla di più grande della morte di un padre e le cattiverie di Sirius Black sono niente in confronto! NIENTE!».
Liv non aveva mai pianto per Sirius Black, nemmeno a dodici anni, e lo shock sui volti di Lily e Mary era stato immediato di fronte a quei singhiozzi disperati, tipici di chi sente distrutto e ferito nel profondo.
Da quella notte nella quale Liv era tornata in camera totalmente annientata da Sirius Black erano passate tre settimane, non c’erano stati altri episodi simili perché Liv dalla mattina dopo il litigio era diventata un pezzo di ghiaccio, così come Sirius; due pezzi di ghiaccio che non si incontravano e vedevano mai, nemmeno a lezione sedendosi agli opposti in ogni aula quando Sirius si degnava di seguire l'orario scolastico.
Erano state tre settimane d’atmosfera tesissima anche per le lezioni del settimo anno sempre più difficoltose, la mole spropositata di compiti, gli attacchi verbali e fisici dei Serpeverde alla squadra Grifondoro, i salti mortali di Alan Morgan per scampare all’istinto omicida del suo personale assassino verde-argento, il freddo pungente degli allenamenti su un campo innevato accaparrato dalle due squadre avversarie come se si trattasse di un territorio da conquistare in perfetto stile Epoca Vichinga con tanto di battaglie fisiche tra giocatori e verbali tra Capitani che evitavano accuratamente anche solo di sfiorarsi per sbaglio (ogni mattina a colazione, James e Regulus Black facevano a gara a chi consegnava prima la richiesta di prenotazione ad una McGranitt agguerrita tanto quanto il Capitano rosso-oro e un Lumacorno sempre preso alla sprovvista mentre ingoiava il suo porridge, con grande irritazione del Cercatore Serpeverde).
Ma la cosa che aveva sconvolto di più l’intero castello nella prima metà di gennaio era senz’altro stato il comportamento di Sirius Black, arrivato all’estremo il ventitrè, un pesante lunedì particolarmente freddo e carico di lezioni impegnative per gli studenti del settimo anno.


*

I passi di Sirius arrancavano, quasi annoiati, tra quelli rabbiosi e frettolosi delle due ragazze Prefetto Serpeverde che lo stavano scortando dal professor Lumacorno; mezza casa Serpeverde a gridargli dietro, il muro del sotterraneo ridotto a un buco, l'intera Sala Comune verde-argento scoperta. Sirius nemmeno fece resistenza, il freddo argento che stringeva nel pugno era tutto ciò che importava, trovato tra articoli di giornale con foto di incappucciati e ponti babbani saltati.
Rise, Sirius, la bocca amara e gli occhi spenti anche quando Deanne Stevens, mollando per un attimo il braccio del Grifondoro coetaneo, bussò alla porta dell'aula di Lumacorno e quello disse di entrare. «Cosa vi porta qui a disturbare la lezione?» li accolse bonariamente il professore dalla cattedra, prima di restare sconvolto dal prigioniero letteralmente bloccato tra i due Prefetti.
Sirius, la risata ormai spenta sul volto improvvisamente serio, cercò stupidamente Liv tra le facce di sedicenni seminascoste dai fumi che salivano a spirale dal calderone sul banco più vicino alla porta: c'era il suo odore, ma Liv non era lì.


*

«Io invece, signor Minus, avrei qualche idea sul perché la sua pratica è da Eccezionale e la teoria sfiora a mala pena l’Accettabile».
Peter divenne completamente rosso in viso mentre lo sguardo ammonitore della McGranitt si posava eloquentemente su un James dall’aria magistralmente innocente con tanto di sorrisino adorabile e sfacciato, tipicamente suo.
«Molto bene, McAdams» proseguì la professoressa passando al banco accanto da dove Liv prese il test che la donna le porse, guardandola da sopra gli occhiali squadrati con un certo orgoglio.
Lily, adocchiando la grande E cerchiata di rosso sull’angolo in alto a destra della pergamena, diede una gomitatina eccitata al fianco dell’amica che però annuì senza dare segni di allegria.
Erano tre settimane che Liv prendeva voti alti nelle materie in cui non aveva mai eccelso e sia Lily che Mary conoscevano il motivo: aveva una concentrazione paurosa, forse eccessivamente granitica, come se volesse focalizzare sullo studio tutte le energie e l'inferno che aveva dentro e che invece Sirius gettava fuori creando il caos attorno a sè.
Per la prima volta, Lily dovette ricredersi: Liv e Black erano opposti.
L’orologio di Remus segnava le dodici in punto quando la campana annunciò la fine delle due estenuanti ore di Trasfigurazione, l’inizio della pausa pranzo.
Il chiacchiericcio liberatorio e lo strisciare delle sedie sul pavimento in pietra sovrastarono la voce piuttosto irritata della McGranitt che richiamava James.
«Potter, mi saprai di certo dire dove Black ha preferito passare queste ultime due ore invece di degnarci della sua presenza».
James si sistemò gli occhiali rotondi sul naso facendo spallucce, gesto che rese piuttosto interdetta l’espressione sul volto della professoressa dietro la cattedra.
«Trovalo immediatamente, ovunque sia. Tra cinque minuti esatti aprirò la porta del mio ufficio e lui dovrà essere lì» ordinò la donna, forse per la ventesima volta in tre settimane.
Remus, infilando in borsa piuma e calamaio, la guardò di sottecchi notando l’esasperazione negli occhi sopra la montatura squadrata.
«Glielo riferirò ma credo abbia la pergamena piena d’impegni anche per questa settimana, prof, le faremo sapere» si limitò a dire James. La McGranitt gli lanciò un’occhiata minacciosa che Peter tentò di rabbonire con un sorriso non del tutto convinto.
Mettendosi in fila dietro Wayne Abbott e un serissimo Ned Stevens dall’aria meditabonda, uscirono dall’aula vedendo John Owen parlare con Lily e poi Liv separarsi dalle amiche come ormai succedeva sempre nelle ore libere.
I tre Malandrini vedevano raramente Liv, esclusivamente alle lezioni e in Sala Comune quando Sirius non era nei paraggi. James la incontrava agli allenamenti ma tutte le volte che aveva provato a parlarle, lei era volata via nel senso letterale del termine e alla nuova impressionante velocità della Nimbus 1500.
«Altra punizione in arrivo per Felpato» sospirò Remus sistemandosi la borsa sulla spalla e sorridendo alla sua ragazza che s’incamminava verso di loro.
«Scherzi?» pigolò Peter al fianco di uno stranamente silenzioso James «Sarebbe la decima della settimana e la trentesima del mese! Non bastano le ore per scontarle!»
«Saltare le lezioni di Trasfigurazione per quattro giorni non ti procura di certo un Premio Speciale per i Servigi resi alla Scuola, Codaliscia» gli fece notare Remus curvando verso l’alto le labbra al sentire quelle di Mary posarsi sulla sua guancia pallida pre-luna piena.
«Ehi» esordì dolcemente lei mentre lui ricambiava il saluto intrecciando le loro mani tra la stoffa nera della divisa scolastica.
«Già, nessun premio» convenne nel mentre Peter alzandosi sulle punte dei piedi, alla ricerca di Sirius nel corridoio affollato e chiassoso del piano terra «Come riprendersi gli anelli confiscati da Gazza l’anno scorso, fumare le sigarette in ogni dove, mandare Mocciosus in infermeria mattina e sera oppure i jeans e la maglia dei Led Zeppelin al posto della divisa scolastica. Sembra voglia essere espulso…»
«Vuole soltanto sfogarsi» chiuse l’argomento James, come se niente fosse. Prima di cominciare a camminare per raggiungere la Sala Grande salutò con un cenno della testa Lily, appena arrivata lì con aria vagamente sconvolta dopo aver distolto lo sguardo da Liv ormai sparita tra gli altri studenti.
«Siamo alle solite, eh? Liv non vuole venire nemmeno se Sirius è scomparso di nuovo?» fece in un tono rilassato giudicato da Remus decisamente fuori luogo, come tutto il suo comportamento in quelle tre settimane.
James aveva cominciato a fare come se niente fosse successo, mostrando un rigido distacco da Sirius senza però mai toglierli l’attenzione più totale, come se fosse in costante attesa e si aspettasse qualcosa da lui, qualcosa che Sirius conosceva benissimo, ma che non voleva dargli.
Non era nemmeno andato in infermeria a farsi curare l’occhio colpito, James, proprio perché Sirius non si era ancora degnato di ammettere di stare male, nonostante fosse palese a tutti.
Ma anche se James non sembrava più un panda, Remus lo vedeva quanto il malsano verde pallido attorno all’occhio dietro alla lente rotonda scuoteva internamente Sirius ogni volta che ce l’aveva davanti. E anche James lo vedeva, con tacita e furbesca soddisfazione di essere lui, adesso, la Verità ambulante con l’Occhio Nero.
Tutto questo aveva reso l’atmosfera parecchio esasperante e tesa nel gruppo, riportando tutti ad una situazione giù vissuta in cui la Liv della situazione era stato Remus. Ed era forse per questo motivo che Remus riusciva a notare ogni più piccolo segno di sofferenza intensa in lei, apparentemente menefreghista al contrario di Sirius che invece non riusciva a controllare più niente in quello stato costantemente tormentato che lo faceva assomigliare ad un'anima in pena senza riuscire a nasconderlo.
Lily affiancò nella camminata il suo collega Caposcuola, prendendo un profondo respiro come se si stesse trattenendo dall’urlare contro chissà chi.
«Le solite per Liv, sì, ma che peggiorano sempre di più per Black, a quanto dice John» sussurrò in tono confidenziale.
«Cosa dice?» chiese James con una punta irritata nel tono di voce per quel nome, sforzandosi per non aggiungere ‘’quel coglione”.
«Davis gli ha detto che mentre eravamo a Trasfigurazione Black ha fatto esplodere il muro d’ingresso della Sala Comune dei Serpeverde per andare a scassinare le porte dei dormitori» rivelò Lily con sarcastica leggerezza, pensando di essersi trattenuta anche fin troppo con Sirius Black in tutti quei giorni.
A quelle parole James si bloccò, guardandola impietrito, e lei si fermò a sua volta mentre gli altri tre facevano lo stesso per l’improvviso scontro fisico.
«Che succede?» chiese perplesso Remus ad un James troppo concentrato sulla notizia per rispondergli.
«Sei sicura non sia una delle solite voci false che girano per i corridoi?» fece sistemandosi gli occhiali rotondi sul naso.
«Davis l’ha visto con i suoi occhi. Lumacorno l’ha trascinato dal preside con al seguito un corteo di metà Casa Serpeverde che gli gridava dietro di tutto» concluse Lily lasciando perdere l’ironia, sovrastata dalla completa incredulità e lo sbigottimento.
I serissimi occhi nocciola dietro le lenti restarono inchiodati su di lei senza vederla davvero, così intensi da far paura.
«Chi?» s’inserì curioso Peter.
«Sirius. Non è vero?» soffiò Remus, arreso.
«Sta esagerando» commentò sottovoce Mary, sbigottita «sembra un pazzo furioso scappato da un manicomio».
James sbuffò passandosi energicamente entrambe le mani tra i neri capelli ribelli.
«Credo sia proprio arrivato il momento di parlargli» annunciò Lily, adesso terribilmente seria. Inchiodando il suo sguardo smeraldino su James fece benissimo capire a chi spettava quell’arduo compito. E fu proprio a James che scappò una mezza risata, lasciando stare i capelli.
«Provare a trovare una soluzione all’insanità mentale del tuo migliore amico ti fa ridere, Potter?» gli chiese Lily, sinceramente interessata a sentire la risposta.
«Mi fa ridere il fatto che vuoi vedere questo castello sprofondare negli abissi del Lago Nero, Evans, è questo che mi fa ridere» replicò lui in un largo sorriso ilare.
L’occhiata confusa che Lily gli rivolse lo spinse a spiegarsi mentre Remus, dietro di lui, si massaggiava le tempie con fare esausto come se avesse sentito quella spiegazione milioni di volte.
«A parte il fatto che le orecchie di Sirius in questo momento sono in grado di darti l’attenzione che potrebbe dedicarti Peter davanti ad una piramide di bignè alla crema» cominciò James.
«Ehi!» protestò il diretto interessato con la faccia tonda andata a fuoco.
«Parlargli adesso avrebbe il nulla come primo effetto, l’altro mio occhio nero come secondo e l’Ardemonio come terzo. Non è decisamente il momento di intervenire» concluse con assoluta noncuranza James.
«E quando dovrebbe arrivare l’illuminante momento?» lo assecondò Lily, le rossicce sopracciglia arcuate ad enfatizzare il tono ironico.
«Prima non si è fatto male nessuno, no?» domandò semplicemente lui.
«Ah» fece Lily, piatta «quindi tu intervieni solo in caso di sangue, ossa rotte e pericolo mortale?»
«Esattamente, Evans».
Lily spostò lo sguardo su Remus che chiudendo per un attimo gli occhi scosse la testa come a dirle di lasciar perdere, cosa che Lily fece. Non era il caso di ribattere con “Il sangue e le ossa rotte ci sono, sono quelli di Liv” perché da quanto aveva capito- prendendo ancora una volta come esempio Lo Scherzo sotto al Platano che insieme all’Occhio Nero stava ormai diventando una sorta di strumento per capire l’assurda dinamica tra i Malandrini e la mentalità di James Potter- James quando parlava di sangue, ossa rotte e pericolo mortale si riferiva al senso letterale dei termini. Quindi sangue vero, ossa vere, pericolo mortale vero e non ferite psicologiche, la spina dorsale dell’orgoglio spezzata, il pericolo di morte della fiducia nel prossimo. Anche lei non aveva ancora dato il via all’argomento “Stai male, ammettilo” con Liv, proprio perché non sarebbe servito a nulla.
Un vago senso di confusione ed estraneazione dalla realtà la colsero di sorpresa constatando non solo di essere d’accordo con James Potter ma addirittura di essersi sempre comportata con la sua migliore amica nello stesso modo in cui lui si era comportato con il suo migliore amico.
James, comunque, non andò a pranzo con gli altri. Lily non capì il perché, Remus e il quadruplo degli strumenti per capire James Potter in più di lei invece sì e l’occhiata che lanciò all’amico espresse in modo eloquente non solo comprensione ma anche ammonimento.
Se James stava andando a cercare Sirius non era di certo per fargli una ramanzina ma per dargli una mano, qualsiasi cosa stesse facendo- anche far esplodere l’ufficio di Silente perché far esplodere l’ufficio di Silente era sempre meglio che far esplodere l’intero castello. Era un dannato meccanismo che scattava in ognuno dei due ogni dannata volta in cui l’altro aveva dei seri problemi da risolvere e Remus aveva da tempo smesso di interferire nonostante l’istinto gli gridava di farlo per evitare di vederli tuffarsi di testa nel fuoco dell’inferno.
In quel momento, però, l’istinto di Remus stava gridando decisamente più forte del solito perché c’erano le spille da Capitano e Caposcuola sul maglione di James, c’era lo sguardo amichevole di Lily rivolto all’amico ma appeso ad un filo ancora troppo sottile. “Non fare il cretino perché la tua squadra ha bisogno di te e Lily ti sta ancora studiando” era questo che l’istinto di Remus avrebbe voluto gridare a James, era questo che gli occhi ambrati di Remus avevano gridato a James.
Rimasto solo davanti alle clessidre, James sfilò la Mappa dalla tasca della divisa.
Il motivo per cui Sirius aveva scassinato il dormitorio Serpeverde era solo uno e il suo occhio nero non c’entrava più niente, Liv e le scuse che meritava non c’entravano niente.
Cercò il nome di Sirius su ogni centimetro di pergamena; non trovandolo, indossò il pesante mantello invernale per uscire dal castello.
In quelle settimane, Sirius era sparito nel nulla più volte e la McGranitt per cercarlo aveva addirittura organizzato una ronda speciale, un pomeriggio, senza ottenere risultati.
Era stato costretto, James, a far finta di cercare su ogni piano, scala, aula, sotterraneo e cortile innevato insieme a Lily, tutti i Prefetti, alcuni professori e addirittura gli Auror, tutti assolutamente ignari di averlo proprio sotto al naso passando accanto al grosso cane nero sdraiato sulla panchina in pietra nel cortile di Trasfigurazione che l’aveva fissato con sfida all’esclamazione allibita del professor Vitious- «Potter, mi rifiuto di credere che oggi tu non abbia visto il tuo compare!»- e che si era tradito con un bassissimo accenno di latrato alla sua risposta- «Perché non chiamate anche i Dissennatori per cercarlo? Mancano solo loro».
 
 


 
*
 
 


 


 
Gli occhi celesti di Peter seguivano terrorizzati la lama del coltellino che spariva e compariva ad ogni deciso movimento del polso di Sirius.
«Felpato, Ramoso ti stava cercando a pranzo e non ti ha trovato da nessuna parte» esalò dal divano facendosi piccolo subito dopo nella speranza di poter sparire tra i cuscini vermigli, come se si fosse pentito di avergli rivolto la parola.
«Evidentemente ha guardato nei vassoi sbagliati» rispose impassibile Sirius, tranquillo ma allo stesso tempo spaventoso tanto quanto l’aura emanata dalla sua longilinea figura.
Soltanto lui riusciva ad essere terrificante stando semplicemente seduto scomposto o facendo una battuta divertente. Peter infatti tacque, soffocando una risata, e gli scatti ritmici del coltellino ripresero ad essere gli unici suoni nella Sala Comune in quell’ora buca.
Subito dopo pranzo gli altri l’avevano lasciato, chi per Pozioni e chi per Cura delle Creature Magiche, e Peter aveva trovato Sirius totalmente incurante delle occhiate fugaci che i loro compagni di Casa gli rivolgevano di sottecchi, stravaccato sulla poltrona vicino al camino con una lunga gamba fasciata dai jeans mollemente ciondolante su un bracciolo, gli anfibi neri stretti alle caviglie, la giacca in pelle e la slacciata cravatta rossa e oro come unico capo della divisa scolastica sopra la maglia inneggiante la canzone “Black Dog”* dei Led Zeppelin regalata da James due estati prima; guardandola, Peter aveva subito pensato e sperato ad una dichiarazione implicita di scuse, tipica di Sirius.
«Che punizione ti ha dato Silente?» osò chiedergli dopo qualche minuto di silenzio teso. Sorprendentemente, lui rispose anche se in tono annoiato e senza smettere di giocare con quel suo serramanico degno dei gangster più temuti della strada babbana.
«Un mese di pulizia dei cessi dei Sotterranei- come se non fossero un cesso unico, quelli- e nessun diritto di ottenere punti per Grifondoro fino a maggio, nemmeno se salvassi il culo all’intera scuola o a Silente stesso».
Gli occhi celesti di Peter si spalancarono, scioccati dal severo verdetto del preside, lo sguardo di Sirius invece restò imperturbabile e fisso sulla lucida lama del coltellino. Fermò la mano, osservando il riflesso dei suoi occhi taglienti sull’argento.
 



31 Luglio 1975. Londra, 12 Grimmauld Place 
 



Zio Alph,

mi hanno rinchiuso in camera, sono imprigionato qui da tre settimane perché a cena ho chiesto a Bellatrix che taglia di mutande porta Voldemort.
Ne stava parlando come se fosse il suo amante e la domanda era più che lecita, no?

No, per loro non lo era.
Quell’ameba di Rodolphus Lestrange mi ha quasi lanciato il coltello con ancora un pezzo di cervo arrosto infilzato. Quando gli ho detto che lo capivo e che invece di lanciarlo poteva benissimo lasciarlo sul piatto perché mangiare i propri simili è orripilante anche per i Black, la settimana di punizione è raddoppiata.
E poi, alla scoperta di “Voldemort” scritto sulla carta igienica per l’occasione, è scattato il sequestro d’arma e l’ergastolo estivo.

Ed ecco perché questa è la terza settimana di prigionia. Condivido il bagno e la tavola con della gente che non sa accettare la realtà.
Quindi non è assolutamente vero che sono in vacanza dai Malfoy come ti hanno detto (preferirei mozzarmi la testa ed appenderla al posto di quella di uno degli elfi della scala), sono le loro solite stronzate per nascondere la vergogna di avere un ‘’erede’’ in punizione invece di un cazzo di damerino in papillon.
Devono aver imperturbato la porta, comunque, gridavo ma non mi sentivi. Sei venuto per vedere me e Regulus, non per il tè, lo so.
Non mi arrivano più le lettere di Andromeda e di James, quella puttana di tua sorella sta intercettando i gufi. Non mi stupirei se mi dicesse di averli anche uccisi.
A volte ce l’ho io l’istinto di uccidere, ucciderla. Fatico ogni giorno di più a trattenermi. Sono come lei, dentro, e non posso cambiarlo. Finirò per diventare un assassino, me lo sento.
Se avessi la bacchetta scapperei immediatamente. Ho provato a buttare giù la porta e la finestra a calci ma devono aver rinforzato anche quelle con la magia.


Ti invio questa lettera con Kreacher, è l’unico a cui posso ordinare di raggiungerti e tu sei l’unico che può ordinargli di portarmi la risposta.
 


Il tuo nipote preferito (non che ci voglia tanto, dati i nipoti che hai).

 
 
 
 

Sirius,

ricorda bene quello che ti sto per dire.
Abbiamo tutti luce e oscurità dentro di noi, nessuno al mondo è solo l’uno o solo l’altro. Vale per noi Black e vale per tutti gli altri, ciò che conta è da quale parte vuoi agire. Intesi?
Questo coltellino che ti mando insieme alla lettera apre qualsiasi serratura, anche quelle chiuse con ogni sorta di incantesimo o fattura (come credo abbia fatto Walburga).
Credo tu abbia già scelto chi vuoi essere.

Com’è che dite tu e Meda? “Solidarietà tra ribelli”, no?                        
 


Il tuo zio preferito (non che ci voglia tanto, dato gli zii che hai).
 
P.S: È da quando hai imparato a parlare che rischio di soffocarmi con il cibo alle cene di famiglia, maledetto ragazzino senza peli sulla lingua che Merlino ti benedica.
 





«Perché hai scassinato le porte dei Serpeverde?».
L’incerta voce di Peter lo riscosse da quel ricordo sempre vivido nella mente e nel cuore.
Rilassò la mascella e distolse gli occhi dalla preziosa lama, guardando l’amico.
Peter deglutì a vuoto osservando un angolo delle labbra di Sirius sollevarsi leggermente in un ghigno abbozzato e per niente rassicurante.
 
 




 
*
 


 
 



«Liv»
«Mh?»
«Senti, dovrei parlarti di… potresti fermarti un attimo, per favore?».
Le basse scarpe nere della divisa femminile si arrestarono di botto e Liv sollevò lo sguardo dai fogli che aveva in mano per osservare con dura espressione interrogativa John Owen.
Il Corvonero, colto alla sprovvista, indietreggiò sollevando le mani in segno di pace.
«Volevo parlarti di Lily» rivelò con voce sommessa e seriamente preoccupata. «No, aspetta!» tentò di fermarla vedendola sollevare gli occhi al soffitto, sorpassarlo e continuare a leggere le sue pergamene camminando a passo deciso nel corridoio del secondo piano attraversato da altri gruppetti chiassosi di studenti.
«Liv!» la chiamò, andandole dietro.
«John, ho molto da fare» rispose lei senza fermarsi, dicendo l'assoluta verità. Pozioni era uno scoglio difficile da superare.
«Aspettami»
«Non m'interessa»
«LIV!»
«Sei sordo?»
«Fermati, per Merlino! Ed ascoltami, almeno
«Ti ho già detto stamattina, ieri ed avant’ieri che io non mi immischio nelle faccende d’amore altrui. Lo faccio per il tuo bene, sia chiaro. Mi hai mai visto mano nella mano con qualcuno? Le tragedie sono il mio forte. Vuoi per caso fare la fine di Romeo?» replicò distrattamente Liv girando un foglio ed aumentando il passo.
«Chi?»
«Un tizio che ha seguito i miei consigli ed è morto».
John restò a fissarla senza capire, trasformando la camminata veloce in piccola corsetta, consapevole che lei stesse scherzando.
«Senti, Liv, non ti chiedo di immischiarti, voglio soltanto un parere» precisò arrivandole finalmente al fianco.
«Oh, allora dimmi pure tutto, adoro dare pareri che poi finiscono dritti in mezzo alle coppie» replicò lei in tono sottilmente sarcastico. «Ma prima fammi capire… sto parlando con un Corvonero o con un Troll, John?»
«A me invece non sembra proprio di star parlando con una Grifondoro».
Le scarpe nere femminili si inchiodarono ancora una volta al pavimento. «Scusa?» fece Liv fulminandolo con uno sguardo decisamente concentrato su di lui che strabuzzò gli occhi azzurri.
«Voglio dire» iniziò John tenendo un tono di voce pacato come se avesse a che fare con un Noto Ammazzamaghi del professor Kettleburn «Una Grifondoro dovrebbe rispondere al richiamo d’aiuto del prossimo in qualunque situazione, no?».
Liv sollevò un sopracciglio seminascosto da una lunga ondulata ciocca di capelli scuri scivolata davanti al viso mentre controllava gli appunti di Pozioni prima di essere fastidiosamente interrotta da quel ragazzo che la perseguitava da giorni.
«Sì, ecco, in realtà sono occupata con una missione di massima importanza in questo momento, mi dispiace» gli disse, infastidita. «Passa dai miei colleghi al Quartier Generale, settimo piano, la parola d’ordine è “Tutti per uno, uno per tutti”. Il Reparto Cupido lo trovi tra le prime poltrone a destra, mi raccomando»
«Sei una rottura» ringhiò tra i denti John, esasperato dall’umorismo continuo, forse non pensando di essere sentito.
«Per il colore delle tendine sulle sbarre invece mi sento di consigliarti il bianco, la luce scarseggia ad Azkaban»
«Eh?»
«Sono in servizio, John, ricordi? E ho le orecchie, vedi? Gli arresti d’emergenza per insulti sussurrati vengono prima delle missioni di massima importanza»
«Basta! Sei più scontrosa del solito!» si liberò il Corvonero, spazientito. «E lo capisco, capisco perché sei più scontrosa del solito» si affrettò ad aggiungere tentando di posarle una mano sulla spalla che lei trafisse con un’occhiataccia alla ‘’non ti azzardare’’.
«Questo dev’essere un periodo orribile per te e…» iniziò John, ignorandola.
«Dimmi cosa vuoi» stroncò l’omelia Liv, odiandolo.
Lui sospirò passandosi con fare stressato una mano sulla nuca. «Credi…?» iniziò in tono vago guardandosi fugacemente attorno, in evidente imbarazzo.
«Credi che regalare un anello a Lily per il suo compleanno sia troppo?».
Puntò lo sguardo attento su Liv rimasta ferma sul posto muovendo esclusivamente le palpebre, come intontita.
«Be', ecco, è di questa reazione che ho paura» ammise John indicandola ripetutamente con l’indice nervoso.
«Lo stai davvero chiedendo a me, Owen?»
«Ecco, io volev…»                         
«È una magnifica idea, un matrimonio subito dopo i M.A.G.O. è il sogno di tutte»
«Ma non le voglio mica chiedere di sposarmi adesso!»
«Ci mancherebbe».
A quell’ultima frase secca, il Corvonero restò interdetto ed allibito capendo soltanto in quel momento la precedente ironia di Liv.
«Potrebbe succedere, più avanti, e sinceramente spero che la prenderai meglio di… così» sbottò guardandola piuttosto offeso.
Liv lo squadrò, trattenendo uno sgarbato “Preferirei avere la Piovra Gigante come fratello acquisito”.
«Senti, regalale pure l’anello se vuoi rompere con lei, ok?» gli consigliò in tutta sincerità battendogli ripetutamente una mano sulla spalla prima di sorpassarlo un’altra volta ed allontanarsi.
«Lo so che tifi per Potter, mi stai boicottando!» le gridò dietro lui, allungando il collo nella sua direzione. «Non cambierò l’anello con un'altra cosa!»
«Congratulazioni, John» replicò lei abbassando di nuovo lo sguardo sui suoi appunti senza fermarsi o voltarsi a guardarlo.
Alla fine del corridoio svoltò a sinistra, bloccandosi alla vista di Avery poggiato al corrimano della scala. La bacchetta d’ebano di Sirius- sempre infilata dentro la manica del maglione- scivolò sul polso e tra le dita di Liv subito strette istintivamente e con forza al legno, pronta per attaccare o difendere.
Avery sembrava essere lì per pura coincidenza, se non fosse stato per lo sguardo acceso inchiodato su di lei come se l’avesse aspettata per chissà quanto.
«Riflessi pronti, vedo» esordì mellifluamente il ragazzo puntando con occhi ridenti la lunga bacchetta nera apparsa all’improvviso.
«Regulus Black com’è messo a riguardo?» lo provocò Liv alludendo alla partita imminente. Zittito il Serpeverde, avanzò per la sua strada senza cambiare meta nonostante la presenza davanti.
La camminata decisa sorprese Avery che sollevando entrambe le sopracciglia la seguì con sguardo pungente.
«Ti senti forte con Silente a guardarti le spalle, eh?» 
«Io non lo vedo» fece lei guardandosi ironicamente attorno. «Tu lo vedi, dici?»
Gli occhi di Avery si assottigliarono quando Liv gli si fermò proprio davanti.
«Allora devi avere dei seri problemi di allucinazioni a parte quelli del controllo degli istinti omicidi» gli fece notare con un sorriso così dolce da risultare inquietante.
Avery accennò una bassa risata di scherno e velato nervosismo, negli occhi una strana luce sinistra. Si allentò la cravatta verde e argento al collo fissando quella rossa e oro di Liv come se gliela volesse attorcigliare attorno alla gola.
«I cani da guardia li ha sguinzagliati per te, o no?» le sussurrò con sdegno, alludendo agli Auror. «Seguono te, dove ci sei tu ci sono loro».
«È te che seguono, idiota, te che segui me. Silente ha sguinzagliato i cani per un Mangiamorte che si aggira tra i suoi studenti, un Mangiamorte che prima o poi tutto il Mondo Magico vedrà senza cappuccio sulla Gazzetta del ProfetaO forse dovrei specificare: su una foto dietro le sbarre» ribattè duramente sottovoce Liv rimarcando le ultime parole con un apposito tono di sfida mormorato.
«Che succede là in fondo?» li richiamò la voce alta ed autoritaria dell’Auror di turno al secondo piano.
«Niente, signore!» fece Liv senza smettere di trucidare Avery con gli occhi scuri diventati due tizzoni baluginanti, colmi non solo d’odio ma anche della tacita promessa di fare qualsiasi cosa pur di vederlo marcire in prigione.
«I Serpeverde continuano a pensare di poter vincere la partita con l’intimidazione» aggiunse, cupa, senza distogliere lo sguardo dall'assassino di suo padre. Il cuore le batteva troppo velocemente e le tremavano le mani che serrò a pugno lungo i fianchi, tra le pieghe della gonna della divisa, cercando di calmarsi.
Gli occhi di Avery si ridussero a due fessure mentre l’Auror li osservava, guardingo. Soltanto quando Liv decise di proseguire verso il bagno delle ragazze, l’uomo in divisa parve abbassare lo stato d'allerta.
Liv entrò dentro al bagno con un principio di pianto rumoroso incastrato in gola e le lacrime negli occhi che puntarono subito due ragazze parlare l'una di fronte all'altra vicino alla finestra. Anche se le due non si accorsero della sua presenza, si affrettò ad asciugarsi le guance trattenendo i singhiozzi tra un respiro affrettato e l'altro autoimponendosi di darsi un contegno. Diede le spalle alle due studentesse, le loro voci a riempire la stanza.
«Quando?»
«Prima, stavo uscendo dall’aula di Aritmanzia e mi ha fermata per chiedermelo, davanti a tutti
«Wow»
«Già! Black non esce con molte ragazze, mi ritengo fortunata»
«Ma la settimana scorsa non era con quella Corvonero con cui si era visto ad ottobre in Aula Trofei? Wilson. Mercoledì pomeriggio dopo le lezioni l'hanno visto tutti baciarla davanti alle clessidre nella Sala d'Ingresso. Non si era mai visto Black fare una cosa del genere davanti a tutti...»
«Era soltanto un ''ritorno di fiamma" di paglia, Juls».
A Liv, intenta ad aprire il rubinetto dell'acqua gelata con mani tremanti, scappò un sospiro più rumoroso per quelle affermazioni, facendo voltare le due amiche che la guardarono stranite.
Le due ragazze Grifondoro- con una seconda occhiata fugace da sopra una spalla Liv capì si trattava di Cindy Wood e Julia Martin, del sesto- ripresero a parlare abbassando la voce a dei sussurri che però restarono di parecchie tonalità più acuti del normale.
«Sarà anche stato un ritorno di fuoco di paglia, ma il giorno dopo in biblioteca ho sentito Wilson dire alla sua amica che dopo, in bagno, è stato "pazzesco”. Se sia vero o no, non saprei... anche perché Black l'ha lasciata lì all'ingresso dopo che Potter gli è passato davanti con la squadra al seguito, per andare agli allenamenti. Ma sai cosa si dice di Black, no?»
Risatine maliziose vibrarono nella penombra del bagno, come ogni volta che Sirius Black si degnava di uscire con una ragazza facendo involontariamente notizia e scalpore.
Liv, incantata alle sue stesse dita sotto il getto d'acqua fredda, ricordò la sensazione che l'aveva fatta scendere al campo prima di tutti gli altri, evitando a quanto pare quella celestiale visione.
Non l'aveva mai visto baciare una ragazza, se non si contava Susan Wilson tra i Trofei; era stata lei a cercarli, quella notte. Sirius non aveva mai baciato nessuna davanti a tutti.
Si stava dando da fare come forse non aveva mai fatto, ben consapevole che la cosa sarebbe arrivata in ogni angolo del castello fino a trovarla, ovunque sarebbe stata, anche se avesse continuato ad evitarlo per sempre.
Si stava vendicando? Sirius si stava vendicando per Ned o davvero stava confermando il suo comportamento con la ragazza del supermercato?
"Secondo te, perché sono stato così contradditorio?!" La voce di Sirius durante la loro ultima discussione le invase il cervello, cattiva ed amareggiata, delusa. "Forse perché non sono un coglione e volevo capire a che razza di gioco stavi giocando con il tuo tira e molla?! O forse perché, in fondo, ho sempre saputo che tipo di ragazza sei!?", "Avrei dovuto immaginare fossi quel tipo di ragazza, Olivia", "Finta volpe". Liv serrò con forza gli occhi, sentendosi rabbiosa ed ancora profondamente oltraggiata per quelle frasi pesantemente offensive.
Eppure, proprio la sincera delusione nel tono di Sirius le fece credere che lui, prima di quelle bugie su Ned, non l'aveva vista in quel modo.
"Era questo il tuo scopo, la tua missione, fin dall’inizio! Vendicare mezza Hogwarts femminile baciandomi per poi fare la gatta morta con un altro! Bella vendetta del cazzo!"
Non era affatto così, non l'aveva mai nemmeno pensato, e Sirius invece in quel preciso momento stava credendo a tutto quello. Liv si sentì improvvisamente intrappolata nella sua stessa trappola, fregata da sola; si sentì male.
"Scappa pure, Olivia! Scappa dalla consapevolezza di essere quella persona vile e doppiogiochista che mi hai sempre affibbiato con disgusto senza neanche conoscermi! Ti fai schifo da sola, adesso?!"
«E Susan Wilson se li sogna il mio sedere e i miei capelli, Juls».
Liv si portò le mani a coppa piene d'acqua fredda in faccia per sacciare via l'immagine di Avery impressa negli occhi, tutta la stanchezza dell'insonnia e il vuoto di una mancanza che aumentava al solo sentire nominare Sirius.
Il cuore batteva stupidamente, come se le stesse gridando di andare a cercarlo, di raggiungerlo, facendogli addirittura percepire dove potesse essere.
Se non si erano ancora incontrati era proprio per quella sensazione che la faceva fremere alla sua presenza, ancora prima di vederlo, cambiando strada o stanza.
Le risate delle due amiche, scoppiate dopo l’ultima uscita degna di Gilderoy Allock, furono fermate dal botto della porta di un gabinetto, aperta e sbattuta con forza, dalla quale fece la sua comparsa una Susan Wilson singhiozzante e devastata.
Liv sussultò a quel suono improvviso, girandosi con il viso gocciolante d'acqua e lacrime camuffate per vedere la Corvonero guardare con occhi rossi di lacrime ed odio Cindy, puntandole la bacchetta contro.
«Tu!»gracchiò con voce lacrimosa e rabbiosa al contempo, la Corvonero.
Liv si voltò di nuovo verso il lavandino gettandosi in faccia altro gelo, cercando di riportare al massimo tutta la sua flemma britannica e l'ascendente Capricorno venuti fuori nelle ultime tre settimane. Proprio come le aveva detto più volte una Mary decisa a farla parlare, tirando fuori le scuse più disparate come lo zodiaco.
Aggrottò le sopracciglia scure, gli occhi lucidi rivolti alla ceramica bagnata tanto quanto quelle iridi scure tremule e piene di bugie scadute, rimpianti ed altra rabbia perché la ragazza al supermercato era arrivata prima di quella bugia sull'aver scritto a Ned.
Sirius Black non si era vendicato, Sirius Black non si stava vendicando. Sirius Black si era soltanto preso gioco di lei e lei aveva fatto bene ad essere contradditoria con lui, ad aver aspettato la pugnalata.
Non poteva nemmeno dimenticare gli insulti venuti dopo, il paragone con sua madre e il più grave, l'accusa di aver ucciso suo padre con il suo egoismo.
Chiuse di scatto il rubinetto e si voltò verso le ragazze intente a duellare; Julia, scioccata, si abbassò giusto in tempo sotto la finestra per sfuggire ad un rosso Schiantesimo.
Liv sfilò via la bacchetta dalla manica del maglione dall'orlo rosso e oro come quello di Cindy, appena colpito da una fiammella di fuoco scaturita dalla veloce bacchetta di Susan che subito dopo cadde schiena a terra tenendosi lo stomaco con espressione improvvisamente disgustata. Cindy fece per riattaccare e Susan provò a fare altrettanto, nonostante il malessere e la viscida lumaca bavosa che vomitò prima di ripuntare la bacchetta contro la Grifondoro con maggiore rabbia e il viso pallido.
Il Sortilegio Scudo che protesse entrambe bloccò non solo loro due, ma anche Julia. Liv si ritrovò tre paia d'occhi strabuzzati puntati contro.
«Sirius Black non ne vale la pena» esordì, dura, col volto così serio da far paura e la bacchetta di Sirius ancora puntata nella loro direzione. «Nessuno vale questa pena, non così, non tra voi» continuò abbassando l'arma per far svanire lo scudo e potersi avvicinarsi a Susan, di nuovo piegata in due da dei conati violenti; due lumache scivolarono via dalla sua bocca ricadendo con un orribile tonfo umidiccio sulla pietra del pavimento. Liv si chinò su di lei, massaggiandole gentile la schiena per aiutarla ad alzarsi.
Julia, avvicinandosi a Cindy, sbattè piano le palpebre scioccata quanto le altre due. Era la prima volta che qualcuno del castello la sentiva parlare, dalla morte di suo padre.
«Pensate a voi stesse, bastate a voi stesse» concluse Liv prima di far Evanescere le lumache da terra ed accompagnare la Corvonero verso la porta con l'intento di portarla da Madama Chips. Concentrandosi per immaginare nella mente una forma ben precisa, riuscì ad Evocare una piccola bacinella dall'aria non proprio perfetta, ma comunque vera e solida che Susan afferrò al volo, ficcandoci dentro la testa con urgenza.
Liv sorrise pensando all'ultimo oggetto che aveva provato ad Evocare* a lezione. La McGranitt sarebbe stata fiera di lei, davanti a quella bacinella.

 
*
 
 


 

 

 
Alle cinque del pomeriggio, la Sala Comune dei Grifondoro era illuminata dalla fredda luce del cielo carico di neve oltre i vetri delle finestre ed occupata esclusivamente dagli studenti di quinto e settimo anno che per colpa di G.U.F.O. e M.A.G.O. erano costretti a passare il tempo libero dopo le lezioni sulle montagne di libri, appunti e pergamene da riempire per dozzine di centimetri se non addirittura metri quando si parlava di Trasfigurazione.
Le risate eccitate di quelli che, imbacuccati con sciarpe e cuffie, uscivano dal buco del ritratto per raggiungere il Lago Nero ghiacciato non facevano altro che far sparire del tutto la poca voglia di stilare chilometrici temi di Incantesimi, disegni di piante carnivore brutte come la morte o contorte mappe di Astronomia.
Remus e Mary se ne stavano al caldo, sul rosso divano davanti allo scoppiettante fuoco del camino, sommersi di libri aperti e pergamene come la maggior parte delle persone attorno.
«Dovresti fare una pausa, Remus» esordì a bassa voce lei spezzando il basso brusio degli altri martiri e lo sfogliare frenetico delle pagine del vocabolario di Antiche Rune di Anne Asher, appollaiata sulla poltrona vicino alla finestra bianca di neve.
Non ricevendo risposta da Remus, Mary mollò il manuale di Difesa contro le Arti Oscure per allungare una mano verso il volto pallidissimo e rigido del ragazzo, concentrato sul volume di Aritmanzia.
«Per piacere, Mary, ti ho detto che sto bene» sussurrò bruscamente lui prendendogli le dita con delicata fermezza, allontanandole.
Lei indurì le labbra, visibilmente contrariata: sapeva perfettamente come si sentiva lui in quel preciso momento, quel tono sgarbato e la sua rigidità durati tutta la giornata non facevano altro che confermare le sue ipotesi.
Aveva preso un pieno Eccezionale all’ultimo compito di Kettleburn sui Lupi Mannari e il suo ragazzo era semplicemente ridicolo mentre faceva finta di non saperlo.
Con la coda dell’occhio, Remus la osservò portarsi una corta ciocca bionda dietro un orecchio prima di riprendere a scrivere. Il raschiare veloce della sua piuma sulla pergamena veniva a tratti sovrastato dall’incerto mormorio di William Johnson che ripeteva le proprietà della Pietra di Luna vagando senza meta per la Sala Comune con il libro di Pozioni in mano.
Dopo qualche attimo perso ad ascoltare lo spropositato numero di volte in cui il quindicenne aveva detto la parola ‘’luna’’- montandogli dentro un crescente fastidio senza motivo apparente, anche Remus riportò lo sguardo sui numeri e le formule stipati nei suoi appunti cominciando a far oscillare nervosamente la piuma che la piccola mano di Mary fermò un minuto dopo, coprendola gentilmente.
«Quando smetterai di dirmi bugie?» lo ammonì affettuosamente.
Gli occhi ambrati di Remus saettarono verso di lei, guardandola spiritati. Erano così arrossati e stanchi che Mary si chiese come aveva fatto in tutti quegli anni a non notarli ogni vigilia di luna piena.
Si rispose che Remus era sempre stato un maestro nel nasconderli, abbassarli al momento giusto, chiuderli, spostarli da un’altra parte, camuffarli nella penombra sotto i ciuffi di capelli.
Invece in quel momento, con sua profonda emozione, erano inchiodati ai suoi senza filtri o veli, trasmettevano limpidamente tutto il torbido che ora dopo ora cresceva fino ad impadronirsi di lui quando la luna piena si impadroniva del cielo.
Con il cuore impazzito nel petto per il semplice fatto di poter fare quello che aveva sempre desiderato fare, Mary scosse debolmente la testa bionda liberando le ginocchia dai libri e senza ammettere proteste si tirò addosso il busto di Remus, costretto a sdraiarsi ritrovandosi le gambe della sua ragazza come cuscino.
Quando lei cominciò ad accarezzargli il viso pallido e le tempie senza smettere mai di sorridere, sfiorando e massaggiando punti precisi come se sapesse dove fossero il dolore e le fastidiose pulsazioni, Remus sentì ogni muscolo teso rilassarsi, il respiro regolarizzarsi, le mani arpionate alla copertina del tomo di Aritmanzia allentare la presa. Il suo sguardo spaesato e meno tormentato non riuscì a fare a meno di posarsi sulla cicatrice seminascosta dai capelli biondi e dal colletto della camicia della divisa. Un segno sulla pelle che avevano in comune, creato dalla stessa persona.
«Scusami, non volevo essere…» esalò mortificato, fermato subito dal dolce sussurro di Mary.
«Lo so, non c’è bisogno che ti scusi».
Accorgendosi del punto in cui gli occhi ambrati si erano soffermati, Mary glieli chiuse abbassando delicatamente le palpebre, passandoci sopra le dita leggere, facendolo ridere a bassa voce.
Mary stava per la prima volta mantenendo la sua promessa, quella di passare con lui gioie e dolori, di rendergli la vita normale anche il giorno prima di un plenilunio, di esserci non solo per Remus ma anche per il Lupo. L’impressione che Remus ebbe, però, fu quella di essere salvato, fu quella di una Mary aggrappata soltanto a Remus come se il sole avesse il potere di trascinarlo con sé dietro l’orizzonte.
Se possibile, era un’impressione ancora più bella; bella tanto quanto il cervo, il cane e il topo aggrappati al Lupo nella Foresta Proibita.
«Hai fatto caso anche tu alle bistecche troppo cotte a pranzo?» gli chiese dopo un po’ Mary portando le carezze dagli occhi al collo, dove incontrò le gentili e non più refrattarie dita di Remus.
«No, ho preso la zuppa» rispose lui riaprendo gli occhi per scrutarla perplesso.
«Mh» fece pensierosa lei lasciandosi accarezzare le nocche della mano dal suo pallido e magro pollice «Comunque dovrebbero farle un po’ più al sangue».
La risata esilarata di Peter dall’altra parte della Sala Comune non diede il tempo nemmeno di riflettere a Remus ma tutto quello necessario per far imprecare William Johnson dallo spavento e dal successivo dolore dato dal tomo di Pozioni caduto proprio sul suo piede.
«Grandi!» ridacchiò Codaliscia dietro James sulle scale a chiocciola del dormitorio maschile.
«Contieniti, Pete» stava borbottando James saltando agilmente gli ultimi due gradini e dirigendosi verso la coppietta non più rilassata. Remus, di nuovo seduto composto sul divano, seguì con lo sguardo 
James salutarli allegramente e poi buttarsi sulla poltrona lì accanto. La Mappa per metà fuori dalla tasca dei pantaloni lo mise in allerta: James stava sicuramente controllando i movimenti di Sirius e quando James controllava i movimenti di Sirius si poteva respirare a pieni polmoni la tensione per il trio “Sangue, ossa rotte e pericolo mortale”, imminenti.
«Aah…» si atteggiò a vecchio con reumatismi James, allungando le magre gambe sopra al tavolino con aria disinvolta come se l’apocalisse non stesse alitando sul collo di tutti. Girando il viso verso Mary e Remus che lo fissavano- la prima con gli occhi imbarazzati e i denti conficcati sul labbro e il secondo fin troppo indagatore e spettinato- sorrise smagliante mentre Peter prendeva posto sulla poltrona all’altro lato del camino.
«Abbiamo appena impedito il concepimento di James Sirius Peter Remus Lupin, per caso?» chiese facendo avvampare Mary.
«No» rispose con infinita pazienza Remus «A parte il fatto che sarai solo tu quello che chiamerà suo figlio con i nostri quattro nomi, così come sarà solo Sirius che vivrà in una “casa” come quella dei Beatles *»
«La decisione per entrambe le cose era unanime, Lunastorta» gli ricordò James.
«Eravamo ubriachi, Ramoso» gli ricordò con più precisione Remus.
«Sei stato ubriaco?» si trovò costretta ad inserirsi Mary, rivolgendosi piuttosto sorpresa al ragazzo.
«”Il primo che farà un figlio dovrà chiamarlo con i nostri nomi”» proseguì James ripetendo solennemente il giuramento mentre Remus tentava di spiegare a Mary le scelte logiche che l’avevano spinto a quel gesto estremo.
«“Il primo nome sarà quello del padrino”»
«Per te, i nostri figli a parte il tuo dovrebbero chiamarsi tutti James. Ti sembra una cosa pratica?» gli fece notare Remus.
«”La precedenza tra i due nomi nel mezzo va al nome del testimone di nozze”» continuò James come se non l’avesse sentito.
«In tutto ciò, dov’è la mamma?»
«Lascia perdere, Mary, davvero»
«”Che potrebbe corrispondere al padrino, in quel caso la scelta verrà fatta in base alle nostre emozioni del momento o alla faccia del bambino”»
«Io quest’ultima cosa non l’ho mai capita, nemmeno adesso che sono sobrio» commentò Peter grattandosi una tempia biondo cenere.
«” L’ultimo nome sarà ovviamente quello del papà, come vuole la tradizione”». James concluse allargando teatralmente le braccia, compiaciuto.
«Se usassi questa impressionante memoria per ricordare le regole della convivenza civile saremmo tutti più felici…» osservò Remus posando lo sguardo sulle scarpe dell’amico ancora sopra al tavolino, vicine al suo cioccolato.
«Ora» riprese James togliendo i piedi dal tavolo per alzarsi di scatto dalla poltrona «vedendoti qui, spalmato sulla tua ragazza come la faccia di Flitt sul terreno del campo alla prossima partita» - diede un sonoro cinque ad un Michael Cooper di passaggio, come suggello per l’ultima frase detta- «non si può far altro che pensare che sarai tu ad avere questo grandissimo onore. James Sirius Peter Remus Lupin sarà un bambino molto fortunato».
La faccia di Mary fece intendere tutto il contrario.
«Avvisateci quando avete intenzione di farlo perché io, Sirius e Peter dobbiamo fare altrettanto più o meno nello stesso anno. Hogwarts deve riavere i suoi quattro Malandrini altrimenti a chi daremo la Mappa?».
Sempre la faccia di Mary assunse un’espressione così sconvolta ed imbarazzata da richiedere l’intervento di Remus.
«Non ascoltarlo» le consigliò vivamente afferrandole premurosamente una mano.
«Ripensandoci» fece James diventando serio «non potete stare sul divano». Si sedette in mezzo a loro, separandoli.
«Aspettate ancora un po’, ok? Nessuno di noi tre è pronto, non abbiamo ancora la giusta materia prima» disse guardando prima l’uno e poi l’altra.
«James?» esordì Remus con il suo tipico tono neutro che alle orecchie degli altri Malandrini risuonava chiaramente accusatorio «Piton è di nuovo in infermeria e tu c’entri qualcosa, per caso?».
 
 

 
*
 
 


 






«SILENZIO!».
Gli occhi verdi di Lily si spalancarono e sollevarono dalla pergamena al surreale grido belluino di Madama Pince. Esprimere con un urlo disumano la regola di non urlare lì dentro era un nuovo metodo d’insegnamento sperimentale?
«NON È POSSIBILE CHE IN QUESTA SCUOLA NON SI POSSA STARE TRANQUILLI PER PIÚ DI DUE ORE DI FILA!».
Agli occhi verdi spalancati di Lily e alla piuma improvvisamente immobile di John Owen, seduto accanto a lei, si aggiunsero le trattenute risatine delle altre persone sparse tra gli altissimi vecchi scaffali della biblioteca, incredule e divertite dal tono isterico della donna. Nessuno aveva mai sentito Madama Pince gridare in quel modo, soprattutto lì dentro.
«NON AVETE RISPETTO!»
«Ma si può sapere perché…?»
«ZITTO, BLACK!»
«Perché la colpa deve ric…?»
«NON HA NESSUN RISPETTO E CONTINUA A DIMOSTRARLO! LA SUA ARROGANZA NON HA LIMITI!»
 «Se lei non rispetta me io non rispetto lei, Madama Pince. Mi vuole far parlare o…?»
«NO, DEVE STARE ZITTO! NON PUÓ RISPONDERMI MENTRE LE DICO DI STARE ZITTO!»
«Parli lei, allora. Mi risponda. Perché la colpa deve sempre ricadere su di me?»
«PERCHÉ VEDERLA QUI DENTRO È SOSPETTO, SEMPRE!»
«Questa non è di certo una prova utilizzabile contro di me, madama, ma soltanto una sua soggettiva supposizione»
«LA CONOSCO DA SEI ANNI E MEZZO, BLACK, NON C’È BISOGNO DI DIRE ALTRO! E DOV’È QUELL’ALTRO!? PROPRIO PERCHÉ LA CONOSCO DA SEI ANNI E MEZZO SO PERFETTAMENTE CHE DOVE C’È BLACK C’È ANCHE POTTER E VICEVERSA!»
«Anche io la conosco da sei anni e mezzo ma si può sempre cambiare, sa? Anche se l’ho pensato per tutti questi anni, in questo momento non mi permetterei mai di dirle che di tanto in tanto le farebbe bene una bella pomiciata con il signor Gazza».
Risate soffocate echeggiarono per tutta la biblioteca.
«SMETTETELA, VOI! ADESSO VADO A CHIAMARE MINERVA! NON RIDA, BLACK! SONO SERIA
«Ma dai, non sapevo avessimo lo stesso nome!».
La voce pacata e tranquilla di Sirius Black suonò alle orecchie di tutti come la chiara spiegazione a quella situazione surreale: soltanto lui poteva portare all’esasperazione più totale un insegnante e l’aver fatto esplodere in quel modo Madama Pince era certamente un record che sarebbe rimasto nella storia di Hogwarts e nelle menti di tutti, anche quelli non presenti, per chissà quanto tempo.
«NEL FRATTEMPO QUALCUNO PORTI IL SIGNOR PITON IN INFERMERIA! SUBITO!»
«E come fa a controllare che io non scappi da qui, Sirius Pince?»
«BLACK, PENSA DAVVERO DI ESSERE DIVERTENTE?!».
Lily- che si era alzata dalla sedia per raggiungere i due litiganti, spinta dal distintivo appuntato al maglione- al nome del Serpeverde si risedette senza pensarci due volte. John, sempre seduto al suo fianco, le lanciò un lungo sguardo al quale lei rispose con un mormorato e deciso “Non è affar mio”, rimettendosi a leggere con aria altera.
La verità era che per la prima volta in vita sua, Lily Evans provava rispetto per Sirius Black. Immaginare Piton appeso a testa in giù sopra i libri (o chissà come lo aveva ridotto) non le aveva causato nessun fastidio ma soltanto un piacevole effetto, lo stesso provato in passato ogni volta che era intervenuta per riportare la giustizia tra James Potter e lo stesso Serpeverde.
«ALLA PROSSIMA SCIOCCHEZZA CHE USCIRÁ DALLA SUA BOCCA USERÓ LA BACCHETTA!»
«L’ha sempre detto ma non l’ha mai fatto con nessuno»
«C’È SEMPRE UNA PRIMA VOLTA, SIGNOR BLACK, E LEI È PROPRIO LA PERSONA CHE PORTA AL LIMITE LA GENTE E FA ACCADERE LE MALEDETTE PRIME VOLTE IN QUESTO CASTELLO!»
«Lo so, me l’hanno già detto in tante».
A sovrastare le risate questa volta rumorose sparse per tutta la Biblioteca fu il sibilo di una fattura, un tonfo di un libro, la mezza risata soffocata di Black, i tacchi secchi e stizziti di Madama Pince e poi di nuovo la voce di Black molto meno rilassata e decisamente colma di fredda vendetta come se fosse rimasto lì rischiando di farsi beccare in flagrante soltanto per dire quella frase.
«Siamo di nuovo a Hogwarts, Mocciosus».
Riuscì a dirlo prima che Madama Pince scoppiasse di nuovo, stavolta con il fiatone dovuto alla corsetta-suggerita a tutti dall’aumentata velocità del rumore dei tacchi- che doveva aver fatto per cercare di non farsi sfuggire il “Delinquente scapestrato!”.
Le risate continuarono ad echeggiare in quell’alto ed austero ambiente polveroso che a Lily aveva sempre fatto pensare ad una chiesa gotica ma il solito silenzio calò dopo qualche minuto, forse perché la maggior parte delle persone era corsa a raccontare l’epica impresa del Malandrino al resto del castello.
E mentre John Owen riprendeva a scrivere con una vaga espressione contrariata, Lily sospirò rigirandosi la piuma tra le dita illuminate dalla fioca luce proveniente dalla finestra alla sua sinistra. Gli occhi verdi si sollevarono in quella direzione, perdendosi ad osservare i fiocchi di neve che cadevano lievi dietro il vetro.
Allo stesso modo, la mente si perse tra ricordi lontani, lontanissimi, in un pomeriggio assolato di otto anni prima*; il ruscello scintillante al sole, la luce calda ed abbagliante che filtrava tra i rami degli alberi creando una fresca penombra sull’erba, il cinguettio di qualche uccellino, un bastoncino raccolto da terra come bacchetta, la sua voce curiosa e quella di Severus solenne.
Petunia gliel’aveva detto che era cattivo, che Piton era cattivo. “È una persona cattiva!” le aveva detto, ancora in lacrime, tenendosi la spalla colpita dal ramo che Severus le aveva fatto cadere addosso. “È una persona cattiva!”.
Quella frase Petunia l’aveva ripetuta più volte mentre tornavano a casa ma lei non le aveva dato ascolto.
«Lily».
La voce di John si mischiò a quella lontana di sua sorella, risvegliandola.
«Scusa» fece lei distogliendo lo sguardo dalla finestra per puntarlo su di lui «Dimmi»
«Che succede?» le chiese lui guardandola perplesso.
«Niente» si limitò a rispondere Lily. Scrutando di sottecchi l’espressione per niente convinta del Corvonero, si affrettò a cercare una spiegazione accettabile.
«Pensavo, stavo pensando» - la prima cosa che le venne in mente, che poi era la verità, ma che non bastò perché la faccia di John continuò a non sembrare convinta- «che mi manca la pioggia» specificò, annuendo convinta nella sua direzione subito dopo.
John annuì a sua volta, molto più lentamente e del tutto scettico senza spostare nemmeno di un millimetro lo sguardo acuto ed analizzatore da lei. L’intuito del suo ragazzo non falliva mai e la cravatta blu-bronzo ben annodata al collo spiegava il perchè; perfino il corvo nello stemma ricamato sulla divisa sembrava scrutarla a fondo.
«Insomma» aggiunse Lily usando il tono più casuale possibile «nevica da troppo tempo» - John arcuò un sopracciglio e il naso di Lily puntò quasi il soffitto- «Mi manca la pioggia, il ticchettio sui vetri, i tuoni… c’è troppo silenzio»
«Siamo in biblioteca, Lily»
«Il suono del temporale stimola la concentrazione per lo studio. Molte università babbane l’hanno scientificamente provato»
«Le università babbane stanno anche tra le nuvole?».
A quell’ultima frase tirata fuori con una voce molto meno rilassata della sua, Lily divenne seria e parecchio confusa.
«Perché se fosse così allora mi fiderei ciecamente dato che sei quasi sempre lì» spiegò lui in un leggero sorriso divertito ma con un’ombra di preoccupazione a velargli gli occhi chiari.
«Non è vero…» mentì lei in un sussurro che si spense sulle labbra al riaffiorare nella mente di quelle ultime tre settimane passate ad essere richiamata sulla terra da John nemmeno fosse stata una signora anziana, sorda e con l’Alzheimer.
«La situazione con Liv è tesa e ti preoccupa, lo capisco, ma io non c’entro niente» proseguì John senza risultare aggressivo od accusatore, cosa che rese ancora più dolorosa l’improvvisa ed inaspettata fitta al petto di Lily.
«Sì, hai ragione, scusa» esalò vagamente spaesata, accorgendosi di quel fatto soltanto in quel momento.
John inclinò leggermente il capo su una spalla, scrutandola profondamente. «Oppure sì?» le chiese in un sussurro.
«Eh?» fece lei corrucciando le sopracciglia rossicce per lo strano fastidio che quella conversazione aveva cominciato a dargli.
«Io c’entro qualcosa con il tuo essere così distante?»
«Cos…? No!» sbottò lei mollando la piuma sul tavolo mentre si agitava sulla sedia senza nemmeno accorgersene.
«Allora cosa c’è?»
«È che…». Le parole di Lily rimasero appese nel nulla, tra i loro sguardi in attesa.
Si chiese il perché di parecchie cose, Lily. Si chiese anche da quando, esattamente, aveva cominciato ad averle, quelle cose che forse avrebbe dovuto chiamare dubbi, paure, ricordi passati che spuntavano dal nulla come il più cretino dei cretini che pensa di essere simpatico attentando alla salute del cuore altrui.
Lily si ritrovò a fare una premessa nel suo cervello, ben sapendo che le premesse fungevano sempre da sipario per il grosso ‘MA’ che si celava dietro, pronto a rivelarsi al pubblico in tutto il suo splendore.
E più la premessa era lunga e ricca di aggettivi positivi, più il sipario era maestoso e lussuoso, tipico dei grandi spettacoli e quindi dei grandi ‘MA’.
John era un ragazzo forse un po’ troppo controllato e rigido per chi lo osservava dall’esterno ma in realtà era piacevole, divertente, comprensivo, intelligente, maturo, curioso, con un umorismo sottile mai fuori luogo e una mentalità aperta, un’incredibile dose di buon senso e logica, un sorriso sincero e una bellissima testa sulle spalle.
Dodici aggettivi positivi: drappo di velluto rosso e doppia passamaneria dorata.
In quelle tre settimane, a parte ripescarla dalle nuvole, l’aveva fatta ridere, l’aveva tranquillizzata più volte riguardo la situazione di Liv, le aveva fatto passare delle bellissime ore da semplice quasi diciottenne, quella che era e che voleva essere ma che troppo spesso nell’ultimo periodo aveva dimenticato di essere.
Al velluto rosso e all’oro si aggiunsero ricami, altri drappeggi, nastri. Il ‘MA’, lì dietro, doveva essere parecchio spettacolare.
Lily continuò a fissare John che la fissava a sua volta. Era tutto così ridicolo, senza senso ed insostenibile che Lily agguantò la spalliera in legno della sedia per girarsi completamente verso di lui e dare l’ordine di aprire il sipario.
“MA?” .
Il sipario si aprì e il ‘MA’ Lily lo vide in quel preciso momento come l’inizio di una commedia demenziale: John non la conosceva più, Potter invece sì.
Potter conosceva i dubbi che aveva dentro, sapeva a cosa pensava, di cosa aveva paura.
Ma non era colpa di John, John non aveva colpe, la colpa era sua che non lo rendeva partecipe di quello che le stava accadendo, della sua scelta di combattere.
Se le chiacchiere con John erano diventate vuote era perché si parlava di Vitious già in panico per i M.A.G.O. e di porridge troppo freddo a colazione, problemi stupidi in confronto a quelli che l’attanagliavano dentro, quelli che aveva rivelato per metà a James davanti al Tamigi.
Fu proprio quel fugace flash back e la contemporanea strana fitta allo stomaco a farle aprire le labbra, a farle capire che quello era il momento perfetto per dirglielo, per confessargli tutto perché se aveva dato una possibilità a James Potter allora doveva darla anche al suo ragazzo.
James Potter non ti ha chiesto di aprirti, l’hai fatto da sola con lui, è successo e basta.
«Cosa vuoi fare dopo i M.A.G.O.?» gli chiese a bruciapelo ignorando la vocina odiosa nella mente e la sensazione di sentirsi ascoltata e capita che James Potter non aveva mai smesso di emanare e trasmetterle quel giorno a Londra.
John aggrottò le sopracciglia scure guardandola come se si fosse perso qualcosa. Ed effettivamente si era perso l’inizio dello spettacolo, l’apertura del sipario e la sua creazione.
«Accertarmi di essere vivo?» rispose, ridente, facendola ridere a sua volta.
«A parte quello?»
«Lo sai, voglio lavorare al Ministero, inglese o americano che sia. Ne abbiamo già parlato, Lily, per te cambierei anche Paese» le rispose leggermente spiazzato da quella domanda alla quale aveva già risposto mesi prima.
«Sì, ecco, io invece ho cambiato idea» annunciò lei abbassando la voce per via dei tacchi di Madama Pince di nuovo da qualche parte della biblioteca.
«Come?» sussurrò in risposta John, sorpreso.
«Non voglio nascondermi, non voglio scappare»
«Stai scherzando?»
«No».
Lo shock negli occhi azzurri si intensificò.
«E cosa vorresti fare? Combattere, forse? Uscire in strada a Diagon Alley e sguainare la bacchetta? Oppure andare a stanare direttamente Tu-Sai-Chi
«Più o meno, sì».
Lily non aveva mai visto la faccia del suo ragazzo accartocciarsi in quella smorfia allibita, le venne quasi da ridere.
«Ok, questa storia del ‘Sentirvi Grifondoro nell’anima’ vi sfugge sempre di mano. Non dovete fare gli eroi per forza, ogni volta, anche perché in questo caso saresti soltanto folle, Lily»
«Se ci fosse una Resistenza, un gruppo che combatte Voldemort…?».
Il sussulto immediato di John a quel nome fece sussultare anche lei, presa alla sprovvista dal suo piccolo scatto automatico sulla sedia.
«Sarebbe lo stesso una follia!» le sibilò sbigottito, giusto per non gridare lì dentro.
«Tu non combatteresti?»
«Certo che no!»
«Ok».
Lily mollò lo schienale della sedia per rimettersi dritta verso il tavolo.
«Lily, ti rendi conto
«Mi rendo conto che la pensiamo diversamente, John, che abbiamo due diverse visioni della vita e che i nostri valori non sono nella stessa posizione sulla scala dei valori»
«Ma…»
«Lascia perdere, non esiste un gruppo che combatte Voldemort quindi questa discussione non ha senso… riprendi a studiare, domani hai il compito di Storia della Magia»
«Lily, vorrei sapere che intenzioni hai. Vorrei sapere se devo organizzare la mia vita qui in Inghilterra o in America, vorrei sapere…»
«Io voglio restare qui».
La voce decisa di Lily lo zittì all’istante.
«Questa è la mia scelta, John, ma tu sei libero di fare quello che pensi sia meglio per te. Voglio che questo sia chiaro» annunciò senza esitazioni o sfumature irritate nel tono di voce. John sorrise davanti a quel lato comprensivo e che amava della sua ragazza.
Dopo diversi minuti di silenzio Lily sentì le mani di John coprire le sue, calde e sincere.
«Ok» mormorò lui chinandosi su di lei per cercare il suo sguardo «Resterò qui ma per il fatto di combattere voglio pensarci».
Gli occhi verdi si sollevarono, attenti e così profondi da stordirlo.
«Non devi farlo per me, John»
«Certo che lo faccio per te, Lily. Ti amo, cos’altro dovrei fare altrimenti?».
Un piccolo sorriso curvò le labbra di Lily, coperte subito dopo da quelle del Corvonero.
«Quindi eri costantemente all’università babbana per questo? Fanno studi anche sui fidanzati cretini che non capiscono cosa le loro fidanzate stanno pensando?» le chiese lui allontanandosi di qualche centimetro dal suo viso. Lily rise a voce bassa, pizzicandogli con forza un braccio.
«Ahi» protestò sottovoce lui massaggiandosi il punto dolente «Allora Potter non c’entra niente?»
«Potter?» fece lei sollevando un sopracciglio.
«Sembrate andare d’accordo» le fece notare John.
Lily rise di nuovo, sottovoce, sbattendo le palpebre confusa come stesse assimilando la cosa in quel preciso momento. Io vado d’accordo con Potter?
«È tutta mia salute mentale che si riflette anche su di te, John, dovresti rallegrartene» rispose in un mezzo sorrisetto divertito.
«In effetti, non sentire te che ti lamenti di lui ci regala un’aria distesa e serena» fece lui «Ma non vorrei che questo lo illudesse»
Lily fece uno strano verso. «Che cosa dici?»
«Dico che gli piaci da secoli, Lily, e che potrebbe mettersi in testa strane idee adesso che siete amici».
Una fulminea stretta alle viscere irrigidì Lily facendole arricciare le labbra, subito dopo aperte in una risata stavolta più rumorosa, tanto che i tacchi di Madama Pince si fecero più vicini fino ad anticipare la magra figura della bibliotecaria, più impettita e nevrotica del solito per colpa di Black.
«Io non piaccio a James Potter» sottolineò con un filo di voce esilarata Lily appena la donna si allontanò da loro dopo uno sguardo torvo.
«Sì che gli piaci» s’intestardì John e qualcosa nello stomaco di Lily strinse ancora.
«Senti, lo dici perché sei il mio ragazzo e sei ovviamente geloso» spiegò lei assottigliando gli occhi verdi, persi momentaneamente oltre la spalla del ragazzo come se un pensiero fulmineo le avesse attraversato la mente.
“Gli piaci, tu piaci a Potter!”. Ricordava benissimo la voce di Severus di due anni prima: agitata, nervosa, addirittura angosciata ma soprattutto gelosa.
«Lily?»
«Mh»
«Sei di nuovo salita ai piani alti».
Gli occhi verdi si aprirono, saettando di nuovo verso il ragazzo.
«… parlando di Potter» specificò John inclinando la testa di lato come a voler sottolineare qualcosa.
«Adesso invece pensavo a quanto è ridicola questa tua ipotesi e continuo a pensare che lo dici soltanto perché tu sei davvero geloso, John, lo sei perché tu sei innamorato di me. Potter non è innamorato di me ergo non è geloso».
John la fissò per qualche secondo in totale silenzio prima di schiudere le labbra, le sopracciglia entrambe arcuate.
«Potter è innamorato di te».
Lily rise, sinceramente divertita.
«Sì e in Sala Comune ospitiamo un Grugnocorto Svedese, te l’ho mai detto?»
«Sono un ragazzo, per di più Corvonero» specificò lui, ironico «e queste cose le capisco, so come funziona per noi maschi».
A Lily scappò uno sbuffo di risata dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
«Il funzionamento di Potter è semplice, basico, non c’entra nulla con te. Semplicemente, non è geloso ma ti odia perché ho accettato di uscire con te l’anno scorso dopo aver rifiutato lui per anni e sai che Potter odia perdere. Ti odia come odia Ned Stevens, Regulus Black e il tuo Capitano Davis e vuole me nello stesso modo in cui vuole la Pluffa che tu prendi in mano alle partite. Potter non si è mai dimostrato dispiaciuto dopo un mio rifiuto, anzi, vuoi che ti ripeta gli insulti e i vari: “Ah, è così? Bene”, “Sai quanto me ne importa, Evans”, “Ok!”»
«James Potter è innamorato di te da anni» continuò a ripetere John come se proprio quelle frasi dimostrassero la cosa.
«James Potter non è innamorato di me neanche da un giorno ed avrei altre mille prove da riportarti ma siccome questo è l’argomento più ridicolo che io abbia mai sentito direi che possiamo chiuderla qui» replicò Lily in un sorriso sinceramente sconcertato dalla serietà e la sicurezza con cui John continuava a dire quella frase assurda: “James Potter è innamorato di te da anni”.
«John» lo chiamò pazientemente dopo averlo osservato per qualche secondo di silenzio allibito. «Mesi fa ti ho detto che non hai nulla di cui essere geloso. Valgono ancora quelle mie parole, sai? Non sono una Pluffa anche se sono rossa, ho un cervello e due occhi che vogliono soltanto te» lo tranquillizzò, scherzosamente romantica, sbattendo ironicamente le ciglia nella sua direzione.
Il guizzo divertito negli occhi azzurri davanti la fece sorridere e in un attimo si ritrovò nel suo abbraccio caldo e protettivo.
Quando lui la lasciò per rivolgere di nuovo lo sguardo sugli appunti di Storia della Magia, Lily riacciuffò la piuma sentendo ogni muscolo di collo e spalle rigidi come pietra.
Provò a leggere dal manuale di Antiche Rune, schiarendosi piano la gola e mettendosi comoda sulla sedia nel tentativo di scrollarsi via di dosso un senso di stranezza e disagio.
Fallì miseramente, non riuscendo a concentrarsi sulla traduzione delle rune ma soltanto sul fatto che nell’abbraccio di John era mancato qualcosa.
Iniziò a sfogliare a caso il libro di antiche rune, Lily, le dita stranamente nervose, l’occhio arguto di John puntato addosso e il battito vigoroso del cuore di Potter a rimbombarle nell’orecchio, più forte dei fuochi d’artificio.
«Ti serve qualche appunto?» le chiese John in un sussurro.
«No» rispose lei prendendo un altro libro per sfogliarlo velocemente, della margherita ancora nessuna traccia.
Erano mesi, ormai, che la cercava. “Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi, anche se non sempre come noi ce l’aspettiamo”, gliel’aveva detto Pandora quella stessa mattina a lezione di Antiche Rune ma forse sarebbe stato meglio rassegnarsi di averla persa per sempre.
«Non dirmi che stai ancora cercando quel segnalibro» domandò John con una punta d’ammonimento nella voce.
Lily non rispose, continuando a sfogliare ed osservare concentrata le pagine perchè non riusciva a non farlo, a rassegnarsi, a lasciar perdere.
«È solo un fiore, Lily, per giunta quello che tua sorella odiava. È un bene che tu non ce l’abbia più sotto gli occhi, ti faceva star male e basta»
«Già» fece lei fermando la ricerca e il suo volto tirato non sfuggì all’occhio attento di John.
«Senti, usciamo da qui» propose chiudendo il manuale di Rüf con un tonfo sommesso «Hai ragione, c’è troppo silenzio e fa troppo freddo oggi. Sala Grande?»
«E Sala Grande sia» accettò al volo Lily senza riuscire a sorridere come avrebbe voluto. John parve non accorgersene mentre raccattava alla rinfusa pergamene, libri e piume sparse sul tavolo.
Percorrendo il labirinto di scaffali s’imbatterono in quello che evidentemente era la scena del crimine di Black: l’ingresso del Reparto Proibito era completamente invaso da una sostanza nera appiccicosa in cui la borsa di Piton sembrava essersi incollata (come di sicuro era rimasto incollato Piton stesso) e tutto il contenuto scivolato fuori era, anche quello, rimasto intrappolato nella melma scura come degli insetti sulla tela di un ragno.
L’occhio verde di Lily non riuscì a fare a meno di notare, tra piume e manuali delle lezioni del lunedì, diversi libri riguardanti la Legilimanzia e l’Occlumanzia, troppi per essere quelli necessari al tema di Difesa richiesto dal professor Dearborn per il giorno dopo.
Seguendo John, superò tutto quel macello a passo deciso, lasciandoselo alle spalle. “Non è affar mio, non è più affar mio".
Uscendo dalla biblioteca non poterono fare a meno di sentire due voci basse e maschili provenire dalla destra del corridoio, dove apparentemente non c’era nessuno.
«Che cosa speravi di trovare oltre a quello?»
«Il tuo cervello, Regulus, conservato in uno dei cassetti del tuo comodino pieno di articoli di giornale con i Mangiamorte. La speranza si è volatilizzata, a quella vista»
«Ridammelo»
«Non ce l’ho io il tuo cervello ma voglio aiutarti a trovarlo dandoti addirittura un indirizzo. Londra, 12 Grimmauld Place, camera padronale di Walburga e Orion Black, primo cassetto chiuso a chiave del comò»
«Ridammi l’anello, Sirius»
«Non ho capito, scusa. Cosa sarebbe un ‘’anello’’?»
«Ridammelo!»
«Woh, tutto questo fervore per cosa?».
La bassa risata esilarata di Sirius vibrò per un attimo, nell’aria.
«Davvero per questo, Regulus? Eccola la cosa più importante che pensi di avere: un anello. Non il cervello, no, ma un pezzo d’argento che ti ricorda di aver perso il cervello, che genio!»
«Se tu guardassi meglio quello che non hai mai osservato per davvero ma soltanto ignorato con disprezzo scopriresti che su quello stemma c’è una S e non una R».
E se Lily avesse fatto un semplice passo avanti, oltre la grossa colonna che nascondeva i due fratelli Black, avrebbe potuto vedere il lampo negli occhi grigi del più grande.
Sirius si rigirò il familiare anello tra le lunghe dita della mano e con un’involontaria stretta allo stomaco si accorse che effettivamente la lettera maiuscola incisa al centro dello stemma dei Black in miniatura era l’iniziale del suo nome.
Quello era il suo anello, lo stesso che era stato costretto ad indossare ogni mattina prima di scappare di casa.
Quello era il suo anello e Regulus l’aveva custodito per lui.
Il suo gemello, quello con l’elegante R, era infatti al suo posto al dito del suo proprietario.
“Ne vale la pena?”.
«Ridammelo, Sirius, oppure lo rivuoi?».
A quelle parole, il sangue salì rapidamente al cervello di Sirius. Gli occhi taglienti si sollevarono lenti trovando una luce indecifrabile in quelli così fastidiosamente identici ai suoi e un leggero ghigno ad incurvare le labbra poco sotto; perché se lui aveva rubato quell’anello per parlare con suo fratello, suo fratello aveva abboccato all’amo esclusivamente per fargli quella domanda.
Tipico di Regulus, l’accorto e scaltro Regulus che si avvicinava al pericolo soltanto quando era certo di avere il coltello dalla parte del manico.
«Come sta Lucius Malfoy?» sputò provocatorio Sirius in un’impulsiva reazione di difesa. La vaga espressione vittoriosa di Regulus si spense all’istante.
«Siete andati a far visita a Voldemort?». Sirius notò chiaramente la mandibola del fratello serrarsi con forza e un flebile tremito di paura vibrare nello sguardo fisso su di lui. Lo spaventava semplicemente il nome, era ridicolo. Uno stupido idiota ridicolo.
«Vestiti di tutto punto?» continuò, punzecchiante, nonostante sapesse che far esplodere Regulus era quasi impossibile- lui, così sempre misurato e composto come le sue spille da Capitano e Prefetto verde-argento perfettamente appuntate sul maglione. Continuò, Sirius, ben consapevole di essere l’unico capace di farlo esplodere, da sempre.
«Dimmi se sei uno di loro» ordinò gelidamente sentendo il sangue scorrere sempre più veloce nelle vene, ovattando le orecchie, pulsando in testa.
Ne vale la pena?”.  La frase di Liv l’aveva tormentato per tre settimane intere, notti comprese, e conoscere la verità era diventato un impellente bisogno fisico, la pulsione che l’aveva portato a distruggere l’ingresso della Sala Comune dei Serpeverde.
«Perché dovrei?» replicò Regulus altrettanto freddamente. «Non sei mio fratello, io non ho fratelli».
Un'altra fitta colpì Sirius in pieno stomaco anche se all’esterno sembrava non sentire nemmeno il fratello.
«Ti sei mai preoccupato per me?» buttò lì Regulus, impassibile, e gli occhi grigi davanti a lui si allargarono, allibiti, prima di assottigliarsi di nuovo.
«Fai sul serio?» chiese Sirius in un sempre più largo sorriso incredulo. «Dici davvero, Regulus?»
«Ti è mai venuto in mente di chiedermi come stavo, l’estate dopo il tuo primo anno a Hogwarts?» proseguì più duramente l’altro e l’occhio di Sirius scese ad osservare le mani del fratello mentre si chiudevano a pugno lungo i fianchi. «Quando sei sceso dal treno con la cravatta Grifondoro e l’hai tenuta al collo e in testa per tutte le vacanze».
Lo sguardo penetrante di Regulus si posò su quella stessa cravatta portata ancora una volta fieramente sopra una maglia babbana, e Sirius rise seriamente sbigottito, una risata sempre meno squillante.
“Ne vale la pena?”.
«Ti è mai importato di me quando parlavi di James Potter e James Potter soltanto?» infierì Regulus sempre meno controllato, sempre più fremente come se non riuscisse più a trattenere un qualcosa di esageratamente grande e potente dentro di sé, qualcosa tenuto dentro troppo a lungo.
Esterrefatto nel sentire il nome del suo migliore amico, Sirius dilatò leggermente gli occhi attenti e la pupilla nerissima al centro del limpido grigio parve voler inglobare il Serpeverde davanti.
«La verità è che non ti sei mai chiesto o preoccupato di tutte queste cose, Sirius, tu te ne sei sempre fregato. Non sei nessuno per me e io non sono nessuno per te, me l’hai ripetuto più volte, mi hai voltato le spalle anni fa e adesso non hai nessun diritto di venire qui e comportarti da fratello maggiore, quello che non hai voluto essere per me, quello che hai scelto di essere per James Pott…»
«Tu non puoi rinfacciarmi tutto questo» lo fermò con un gelido sibilo Sirius che ad ogni parola del fratello si era fatto tremendamente più serio, di pietra. «Ti è mai importato di me quando prendevo le cinghiate al posto tuo?» gli chiese non riuscendo più a percepire altro se non la vena sul collo pulsare incontrollabile e nelle orecchie il ronzio del sangue pompato velocemente in testa da un cuore impazzito, come se non avesse aspettato altro per anni interi senza nemmeno saperlo.
Regulus non rispose, i suoi occhi lo fecero per lui; occhi ridotti in uno sguardo che tradiva profonda frustrazione.
Ne vale la pena? Se la risposta è sì dovresti cercare di parlargli seriamente”. E Sirius lo fece, Sirius si ritrovò a seguire quel consiglio sussurrato con consapevole intensità davanti ad una finestra senza tende, davanti all’odiato cielo stellato sopra Londra.
«Tu sei stato il primo a voltarmi le spalle, Regulus, a chiuderti in camera tua per non sentire il suono degli schiaffi sulle mie guance e per non vedere il sangue uscire dal mio labbro spaccato. Quando mai mi hai aiutato? Quando?!»
«Mai, vero» scoppiò in un sibilo Regulus, liberando la frustrazione incastonata negli occhi «perchè invece di parlare civilmente tu scatenavi l’inferno!»
«Io scatenavo l’inferno?!» si ritrovò a sollevare la voce Sirius, forse per sovrastare il ronzio ormai assordante nelle orecchie o per l’ondata di rabbia che lo travolse completamente «IO? Non loro?! Era impossibile essere ascoltati parlando civilmente!»
«L’hai mai fatto?!» sbottò rabbioso Regulus, ormai privo di controllo come se il muro tra lui e suo fratello fosse crollato ai loro piedi, una sensazione che entrambi si resero conto di aver agognato per anni. 
Fu Sirius a tacere, stavolta, creando un silenzio carico di tensione ed oscurità come quella che li avvolgeva quasi del tutto dietro la colonna di Hogwarts, il castello che fin dall’inizio li aveva visti divisi da quel muro argento e oro.
«No, Sirius, non ci hai mai provato! Invece di parlargli delle teste degli elfi sulle scale, tu le hai staccate direttamente e gliele hai portate in camera! Li provocavi apposta! Sempre! Anche quando non c’era da litigare! Non importava quando, lo facevi e basta! Come la maglietta babbana indossata sotto lo smoking da mago a quella cena di Natale con tutti i parenti al completo! O quelle allusioni infamanti rivolte a Bella e Rodolphus! E le scritte sulla carta igienica in bagno, il nome di Tu-Sai-Chi sputato in faccia a tutti, il giubbotto in pelle sempre appeso all’ingresso, gli stendardi di Grifondoro in camera, i poster con quelle babbane mezze nude e quei veicoli che non sono scope! Basta guardarti anche adesso! Contro chi stai combattendo, adesso, contro chi ti stai ribellando solo per il gusto di farlo?!».
Sirius, spiazzato, restò a fissare il fratello che con uno sprezzante ed altezzoso gesto del braccio indicò la sua intera figura, la maglia del Led Zeppelin impreziosita dalla cravatta Grifondoro, il giubbino in pelle, gli anfibi, i jeans neri strappati alle ginocchia in netto contrasto con la rigorosa divisa Serpeverde in ordine, la cravatta verde e argento perfettamente annodata al collo, il distintivo da Prefetto lucido.
«Non mi stupisce il tuo non capire questo» ribattè prendendosi la maglia con due dita. «Libertà, libertà d’espressione e di scelta. Non mi stupisce affatto che tu non sappia cosa siano».
Regulus sembrò quasi volergli sputare addosso quando riaprì la bocca per continuare a parlare come se Sirius non avesse detto niente.
«E Kreacher!» proseguì infiammandosi come non faceva mai, aggressivo e protettivo quando si trattava del suo elfo domestico.
Sirius lo sapeva: per lui suo fratello avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
«Kreacher appeso alla balaustra più alta delle scale, rinchiuso nell’armadio, costretto dal tuo ordine a nascondersi per una settimana e a non farsi più vedere nemmeno dopo il richiamo di nostra madre! Cosa ti aveva fatto Kreacher!
«Il tuo adorato Kreacher faceva più cose di quanto tu possa anche solo immaginare, Regulus» ringhiò Sirius abbassando gradualmente la voce dopo averla sentita echeggiare con fervore tra gli antichi muri in pietra del corridoio deserto.
«Perchè trattavi male tutti, non rispettavi nessuno, lui in primis!» replicò il fratello, iroso.
«Erano tutti che trattavano male me!» obiettò Sirius in una risata rauca, la vena del collo ingrossata e gli occhi grigi spiritati a dimostrazione di quanto quell’allegro suono fosse in realtà falso e carico di rabbia cieca. «Erano tutti che non rispettavano le mie idee, tutti che trattavano male esseri innocenti e lo sai, Regulus! Lo dicevi tu stesso! Davanti a quella pazza che continui a chiamare madre fingevi di apprezzare le teste di elfi appese sulle scale ma le odiavi! Con me, piangevi per quei dannati elfi e per la fine ingiusta che avevano fatto! E per toglierli di mezzo mi prendevo io le strigliate, gli schiaffi, perdendo la voce per dire le stesse cose che dicevi tu quando eravamo soli, noi due! Ma tu, davanti a loro, stavi zitto!»
Lo vide di nuovo, suo fratello, spaventato a morte. Regulus lì davanti a lui in quel preciso momento era lo stesso bambino dai brillanti occhi grigi dilatati nella penombra di casa Black, colmi di paura trattenuta con sorprendente tenacia.
Non poteva nasconderla a lui, a quello che in tutti i modi aveva sempre tentato di spazzarla via. Regulus era terrorizzato, terrorizzato a morte, ed era quello a contorcergli le viscere, a tormentarlo di sensi di colpa per aver lasciato quello sguardo nella penombra di Grimmauld Place, aver lasciato quella paura imprigionata nel grigio identico al suo; quel tormento negli occhi di Regulus lui lo vedeva sempre, chiaramente, facendogli sempre pensare che forse ne valeva davvero la pena.
«Più e più volte ti ho dato l’occasione di far valere le tue opinioni davanti a loro, Regulus, e non l’hai mai colta al volo!».
Come ogni volta che t’interessa qualcosa e la devi mettere alla prova”.
«L’occasione di farmi picchiare a sangue, vorrai dire!»
«È proprio per questo che non ci parliamo più, per questo che me ne sono andato»
«Te ne sei andato perché sei un codardo, perché non riuscivi ad essere all’altezza delle aspettative, perché mi hai sostituito con Potter!»
«Me ne sono andato perché siamo diversi, Regulus! Ci vuole molto più del sangue per essere mio fratello, tu dai troppa importanza al sangue in questo fottuto mondo!».
Una scheggia di luce attraversò il grigio degli occhi di Regulus, lucidi di rabbia o forse tristezza.
«Me ne sono andato perché in quella casa c’erano soltanto dei pazzi dittatori dalle idee folli, me ne sono andato perchè in quella casa ero un prigioniero in tutti i sensi, perché in quella casa non avevo più nessuno. Non rimpiangerò mai la mia scelta».
L’anello dei Black con l’iniziale dell’erede maggiore scintillò in una perfetta parabola nel metro di distanza che separava i due fratelli. Regulus lo acchiappò al volo come se fosse stato un boccino, serrando con forza le labbra in una smorfia per nulla simile ad un sorriso vittorioso; il dolore negli occhi grigi baluginò tanto quanto l’argento nella penombra della colonna e a Sirius non sfuggì, a Sirius non sfuggiva mai. 
“Ma pensi che forse potrebbe valerne ancora la pena. Cerca di capire il perchè prima che sia troppo tardi”.
«Dimmi se fai già parte di loro» ordinò, secco.
«Ti ho detto che non è affare tuo, tantomeno adesso» replicò a denti stretti Regulus stringendo l’anello nel pugno dalle nocche bianche, tremanti.
«Dimmelo, Regulus» ripetè Sirius imperterrito, deciso, autoritario, in preda all’ennesima ondata di furia sempre meno controllabile.
«No» rispose gelidamente lui.
«Dimmelo subito»
«Anche se fosse? Cosa mi faresti?» replicò altero e sfidante Regulus, la voce tradita da un’increspatura fremente, nervosa.
“Ne vale la pena? Regulus ne vale la pena?”
«Tu dimmelo e poi vedremo»
«Trattare male gli elfi è ingiusto, loro non hanno rubato la magia a nessuno. Sottomettere i Sanguesporco, invece, è giusto».
Le parole improvvise zittirono immediatamente Sirius che restò a fissare il fratello con sguardo incredibilmente penetrante e freddo. Non c’era soltanto paura negli occhi di Regulus, c’era reale convinzione e profonda fierezza. E il cuore di Sirius s'incrinò.
«E così gli ibridi come il tuo amico».
A quelle ultime parole Sirius non sentì altro a parte la testa pulsare, non percepì nient’altro a parte un forte dolore alle nocche del pugno destro a contatto con il naso dritto di suo fratello.
Un colpo ed un altro ancora, più scivoloso e caldo, un forte odore di sangue nelle narici, il pavimento di pietra a far male alle ginocchia e un altro pugno su quella faccia troppo simile alla sua, faccia che si fece più nitida quando Sirius si sentì prendere sotto le ascelle e tirare verso l’alto con la forza, in piedi; una faccia dai lineamenti quasi identici ai suoi, completamente rossa di sangue.
Ringhiò, furente, per la voglia di scaraventarsi di nuovo nel nero.
Ringhiò per ribellarsi e sfuggire a quelle testarde braccia familiari che però riuscirono a trascinarlo via, lontano dall’oscurità, come ogni volta.
«Portiamolo in infermeria!» esalò John, esterrefatto, inginocchiandosi davanti al Serpeverde stordito. Ma Lily, gli occhi verdi serissimi, restò ferma lì dove aveva arrestato la camminata.
«Lily, aiutami! Sta perdendo molto sangue!» la chiamò concitato il Corvonero non sapendo dove mettere le mani guardando spaventato la macchia vermiglia espandersi anche sulla cravatta verde argento. Per quanto stronzo ed apertamente contro i Nati Babbani, compresa la sua ragazza, Regulus Black era pur sempre una persona in pericolo davanti ai suoi occhi ed era quindi sua responsabilità fare qualcosa. Con sua sorpresa, la risposta di Lily fu la bacchetta di salice tirata lentamente fuori dalla tracolla e dei semplici ed esperti movimenti nel più completo e freddo silenzio.
Gli occhi grigi di Regulus si dilatarono leggermente al sentire le ossa di naso e mandibola rimettersi a posto, il dolore affievolirsi gradualmente, la sensazione di viscosità e il forte odore ferroso sparire dalla pelle del viso e del collo.
John strabuzzò gli occhi azzurri a quella vista, interdetto. Li portò poi sulla sua ragazza, intenta a raccogliere da terra uno strano mantello dall’aspetto setoso ed antico scivolato fuori da una tasca del giubbotto in pelle di Sirius durante la lotta.
«Vai nel tuo dormitorio, Prefetto Black» esordì autoritaria Lily lanciando uno sguardo altero a Regulus che si alzò lentamente in piedi assottigliando il suo, disgustato.
«E venti punti in meno a Serpeverde per le parole “Sanguesporco” e “Ibridi”, in questa scuola sono severamente vietate».
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 

 
 
James spinse rudemente Sirius dentro un’aula vuota, chiudendo la porta con difficoltà per via dell’amico partito di nuovo in azione, totalmente fuori di testa.
«È questo il momento di darti la calmata, fratello». Lo spinse ancora una volta dentro, facendogli quasi perdere l’equilibrio tra i banchi vuoti. Il fratello sottolineato apposta, per far capire a Sirius di non essere solo.
«LASCIAMI ANDARE!» ruggì Sirius senza fiato ma la perfetta calma di James davanti a lui lo destabilizzò e fu la figura del suo migliore amico ad essere l’immagine a fuoco nei suoi occhi grigi tormentati.
«Sirius» esordì in tono fermo James quando capì che era di nuovo in sé nonostante l’aspetto sempre duro e teso, con quello sguardo corrucciato inquietante, addirittura folle.
«Tu e lui siete due persone distinte».
Sirius serrò la mascella, lo sguardo scontroso portato immediatamente su un punto imprecisato dell’aula vuota. Perché era così, James, trafiggeva i problemi lanciando una freccia con mira millimetrica esattamente come faceva con la Pluffa e gli anelli; li beccava nonostante l’oscurità, fermando tutto. Faceva luce , James.
«Se pensa quelle cose, se crede in quelle cose è perché ha scelto lui di crederci, di pensarle» scagliò un'altra perfetta freccia James, per poi prepararsi a trafiggere il centro assoluto. «Tu non c’entri niente, tu non hai la colpa di questo».
Il mutismo che seguì quelle parole fu estremamente familiare per James. Si sedette su un banco senza avere la minima intenzione di dire altro, senza tirare in ballo il Problema Liv che li aveva tenuti separati per tre settimane come in un brutto dejà vu.
Perché se c’era una cosa che James non sopportava- più del fatto che Sirius faceva del male agli altri esclusivamente perché non sapeva scusarsi- era quel suo ingiusto sentirsi profondamente in colpa per Regulus.
E se per tutto il resto del mondo quel loro meccanismo sembrava superficiale e per nulla efficace, lui sapeva che invece le sue parole si imprimevano dentro Sirius, come un balsamo.
Il suo migliore amico aveva bisogno di sentirselo dire, sentirsi dire che non era sua la colpa.
Restarono quindi così, immobili e zitti, per un lungo tempo imprecisato fino a quando la porta dell’aula non si aprì all’improvviso.
«BLACK?!» gridò Lily facendo il suo ingresso marciando di gran carriera tra i banchi con i lunghi capelli rossi spettinati a nascondergli metà viso come se avesse vagato di corsa per chissà quante aule, prima di trovarli.
«Che vuoi da me, Evans?» sbottò lui decisamente infastidito.
«Anche se non posso dare punti voglio che tu lo sappia.Dieci punti in più a Grifondoro» se ne uscì con determinazione lei mettendosi dietro le orecchie i ciuffi rossi con un gesto deciso. «Per aver difeso i “Sanguesporco” e gli “Ibridi”». James, al suo fianco, la guardò come se fosse pazza.
«Anche se tu avessi avuto il potere di darmi punti, Evans, io e i rubini positivi della clessidra abbiamo rotto. Silente non approvava la nostra travagliata relazione» rispose in tono magistralmente impostato Sirius infilandosi le mani in tasca senza stupire affatto James con quel repentino cambiamento d’umore che altro non era che la sua maschera più brutta perché nascondeva se stesso.
«Ah» fece Lily, spiazzata, prima di rivolgersi proprio a James.
«Dieci punti a Grifondoro per il tuo tempestivo intervento, Potter» riformulò porgendo il Mantello al collega che lo agguantò parecchio spaesato dalla situazione a dir poco assurda. Anche se non poteva dare punti al suo collega, Lily sentì il bisogno di farglielo sapere lo stesso.
«Altri venti in più per non avergli rivolto la parola per tre settimane perchè non ha ancora chiesto scusa a Liv» proseguì Lily indicando Sirius «ed altri venti perché nonostante questa guerra fredda sei venuto in suo soccorso per quest’altro suo problema. È stato molto… molto nobile da parte tua, molto Grifondoro… molto bello. Sei una bella persona, Potter».
James, sotto shock, restò a guardarla basito.  
«Ho riaggiustato io i connotati a Regulus Black» informò Lily come se niente fosse, tradita però dal lieve rossore sulle guance che fece sorridere James, da qualche secondo schiavo di una forza invisibile che gli premeva sul petto e gli spingeva gli angoli delle labbra verso l’alto.
«Non andrà da Madama Chips a raccontare l’accaduto e quindi non beccherai la millesima punizione, Black»
«Posso sapere perché l’hai fatto?» le chiese Sirius, piuttosto diffidente ma sinceramente colpito internamente.
«Perché ha ragione James: sei una di quelle persone che meritano di essere salvate, Felpato» spiegò Lily con una naturalezza disarmante mentre gli occhi nocciola di James si allargavano dietro le lenti rotonde.
«Anche se tu non l’hai ancora capito e continui ad auto distruggerti» aggiunse Lily.
A quelle ultime parole, James si morse l’interno di una guancia assottigliando gli occhi come se stesse aspettando con terrore l’esplosione di una bomba.
Cosa che avvenne quando Sirius riaprì la bocca, improvvisamente scontroso.
«Senti, non ti mando al diavolo soltanto perché non mi conosci e quindi non sai che le prediche con me non attaccano. Ma adesso che lo sai, Evans, sei avvisata» sbottò passando arrogantemente in mezzo ai due Caposcuola con l’intenzione di andare via.
Lily e James restarono a guardarlo attraversare l’aula a grandi falcate ed uscire in corridoio chiudendosi la porta alle spalle con un botto.
«Lily?» esordì James grattandosi la nuca scarmigliata. Lei portò lo sguardo smeraldino su di lui.
«Venti punti in più a Grifondoro per il coraggio» continuò James e le labbra di Lily si aprirono in una risata mentre gli occhi le si ricevano a due linee verdissime scintillanti e il cuore di James perdeva un battito, l’ennesimo da quando Lily era entrata lì.
«A quanto pare sai dare alla tua Casa novanta punti tutti in una volta anche senza Pluffa, Potter» gli fece notare Lily allungando una gamba in avanti per andare via anche lei. L’espressione che James le lesse in faccia parlò da sé: Lily era quasi orgogliosa, di lui molto probabilmente.
 


 
 
*
 
 
 


 
«Oh, basta, Liv! Non si può più parlare con te! Hai portato al massimo il tuo già esagerato umorismo inglese e quando gli inglesi stessi si accorgono di questo, la situazione è davvero grave!»
«Chiamate Scotland Yard, presto!»
«E, giusto per informarti, tutto ciò non fa altro che rimarcare ancora di più il tuo accento londinese snob!»
«Scusami se sono nata a Londra, Mary, non era mia intenzione»
«Ma la cosa che mi fa più imbestialire è che sdrammatizzi ogni cosa, ogni cosa! Non hai mai lasciato trasparire nessuna emozione a parte la rabbia, e la massima espressione di un mare di emozioni positive è stato “Mi interessa” ma adesso, Liv, adesso non stai buttando fuori nemmeno la rabbia e questo non lo posso accettare!»
«Oddio, sono morta e non me ne sono accorta? Sto parlando con Dio?»
«Chiudi la bocca e stammi a sentire!»
«Non posso ascoltare il Dio eterno, Mary, quello lo possono fare davvero soltanto le persone morte. Mio padre, molto probabilmente, adesso starà discutendo con Lui sulla forma delle nuvole o qualcosa del genere…»
«Hai perso tuo padre un mese fa! L’hanno ucciso e l’assassino è qui a scuola e ti perseguita! Sei scappata di casa perché tua madre ti odia e adesso non sa nemmeno chi sei! Black ti ha insultato nel peggiore dei modi! Ti rendi conto di tutto ciò?! Ti rendi conto che non lo butti fuori perché è più grande di te e non sai come gestirlo e che se continui così finirà davvero male!?»
«Hai ragione, ho avuto periodi migliori»
«VEDI COME FAI?!?»
«Come faccio?»
«Cos’è tutto questo amore nell’aria?» esordì Lily entrando in dormitorio.
«Chiedilo a Mercoledì londinese, lì» le rispose infastidita Mary, in piedi a braccia conserte in mezzo alla stanza.
Le labbra di Liv, sdraiata comodamente sul letto a pancia in su, non riuscirono a trattenersi e si sollevarono leggermente verso l’alto. Mercoledì era il nome che le aveva dato Lily al primo anno.
Si riferiva, naturalmente, a Mercoledì Addams, l’inquietante bambina in nero con le lunghe trecce scure molto simile alla Liv undicenne per i capelli e il carattere. Nessuno sapeva quanto, in realtà, quel carattere fosse diverso di quello della Liv bambina prima di arrivare a Hogwarts.
«Mi mancava questo soprannome» disse allungando in aria il braccio con uno scatto nel tentativo di afferrare il Boccino.
«Be', a me no, sei insopportabile» commentò Lily dirigendosi verso il suo letto per poggiare a terra la tracolla piena di libri.
«Facci entrare nella tua bolla di ghigliottine, veleni e sarcasmo acido» l’incitò Mary.
«Non lo reggereste» rise piano Liv sfiorando per un pelo le ali argentate ed impazzite della pallina dorata prestata da James.
«Ah! Ma sentila!» esclamò la bionda rivolgendosi con espressione incredula e divertita a Lily che portandosi le mani ai fianchi puntò Liv.
«Ricordati con chi stai parlando, cara» fece in tono scherzosamente competitivo.
«Con Morticia delle Midlands*?» replicò in un sorriso Liv.
«Esattamente»
«Scusa, mamma».
Mary fece un verso esasperato sventolando una mano nella loro direzione prima di uscire dalla stanza, stranamente agguerrita come se avesse in mente qualcosa.
Rimasero in due tra i letti, immerse in un silenzio per niente imbarazzante.
Dopo un quarto d’ora, però, Lily distolse gli occhi verdi dal manuale di Trasfigurazione per puntare Liv e il boccino con sguardo eloquente fino a quanto la diretta interessata non se ne accorse.
«Sono gli esercizi che mi ha detto di fare James» spiegò il suo comportamento Liv senza fermare mani e braccia.
Lily restò ad osservarla per qualche istante prima di commentare con un filo di voce sconcertata.
«Ti sta plasmando a sua immagine e somiglianza»
«Lily, se non fosse già il Cacciatore più bravo di Hogwarts James sarebbe il Cercatore più bravo di Hogwarts e se permetti seguo i suoi consigli»
«Allora vedi di diventare brava quanto lui perché questo boccino che vola come una mosca in camera mi sta innervosendo».
Liv lasciò completamente perdere il Boccino per guardare l’amica con espressione sorpresa.
«Hai appena ammesso che James è bravo?»
«Non è la prima volta»
«È la prima volta che lo ammetti a voce alta»
«Senti, fai il James Potter della situazione e non rompere».
Sorrise, Liv, notando l’amica rituffarsi sulla pergamena con sguardo fintamente duro e le guance rosse quanto i suoi capelli.
«Evans?»
«Mh?»
«Vuoi venire a Hogsmeade con me sabato prossimo?»
«Sei un’idiota, lo sai?» rise Lily fermando per un attimo la scrittura.
«Cos’è che fa diventare un inglese doc una persona normale che esprime i suoi sentimenti al mondo?» esclamò Mary rientrando in camera con un sorriso sornione stampato in faccia e le mani loscamente nascoste dietro la schiena.
«L’hai presa?» fece in tono incredulo ma esaltato Lily mollando pergamena e piuma sul letto. Liv, ferma nella sua posizione supina, guardò entrambe con aria totalmente confusa.
«Sono serviti più baci di quelli che mi aspettavo ma non è stata poi una così grande sofferenza» rispose Mary in un’espressione furba ma radiosa.
Lily rise di gusto saltando giù dal letto con un balzo e i lunghi capelli rossi per aria per correre dall’amica e sfilarle dalle mani ancora dietro alla schiena una bottiglia di Whisky che fece subito strabuzzare gli occhi scuri di Liv.
«L’alcool, l’alcool trasforma gli inglesi doc in inglesi esseri umani» rispose alla sua stessa domanda di poco prima Mary.
«Da dove te la sei tirata fuori quella?» fece Liv sollevandosi sui gomiti per scrutare meglio la bottiglia mezzo piena in mano a Lily.
«Avere un Malandrino per ragazzo ha i suoi vantaggi» si limitò a dire Mary facendole un occhiolino d’intesa.
«E, tieniti forte, è della scorta di Black» rivelò Lily arrivata davanti al suo letto facendo dondolare la bottiglia sopra la sua testa.
A quell’informazione, Liv indurì lo sguardo ma non fece nulla.
«Gli lasceremo la bottiglia vuota in Sala Comune, elegantemente poggiata sul camino vicino alla radio» continuò Lily.
«Forza, siamo cariche!» esultò Mary saltando ed atterrando sopra al letto dell’amica.
«Per cosa?» chiese Liv oscillando di conseguenza sul materasso.
«Per distruggere Sirius Black» rispose semplicemente lei.
 «Questo è il momento che non abbiamo mai potuto mettere in pratica ma che sarebbe servito anni fa, cara» spiegò meglio Lily.
«Ma che cosa…?» esalò Liv sempre più spaesata.
«Criticare l’ex è l’unica cosa decente di una rottura»
«Ma quale rottura, Lily?» chiese Liv non capendo più di cosa si stava parlando in quella stanza.
«Usa troppa lingua, non è vero?» indagò in tono cospiratore Mary sedendosi all’indiana sul copriletto vermiglio e oro.
Liv aggrottò le sopracciglia in risposta.
«Ecco, l’ho sempre sospettato» riprese Mary come se la faccia dell’amica avesse convalidato scientificamente la sua ipotesi «Ovviamente quelle sciacquette dicono che è perfetto perché la troppa lingua per loro è la base…»
«Sarebbe semplice spiegare il funzionamento di una lavatrice a quelle due o tre ex ragazze Purosangue di Black» commentò ironicamente Lily facendo ridere Mary che tornò subito all’attacco.
«E quello che dice sempre Linda Riley?»
«Pessima, le bugie sulla faccia di quella si vedono da chilometri di distanza»
«In realtà…» s’intromise lentamente Liv facendo strabuzzare gli occhi delle altre due.
«Cosa?» l’attaccò Mary vagamente minacciosa come se smentire le sue ipotesi su Black fosse peccato mortale.
«Non dirmi che tutto quello che si dice è vero» l’avvisò Lily, tetra.
«Be', sì» ammise candidamente Liv facendo spallucce.
«Oh» mugolò Mary visibilmente sconcertata e delusa.
«Bacia dannatamente bene, quello stronzo. Ci sa fare, più di quel che si dice» continuò ad informarle Liv con apparente tranquillità all’esterno e un lungo brivido a sconquassarla dentro.
«Tutto questo non sta andando come previsto…» sibilò Lily assottigliando gli occhi verdi con stizza come se volesse incenerire Sirius a distanza senza nemmeno il contatto visivo.
«Mi spiegate quali erano le vostre intenzioni?»
«Le stesse tue dopo che Lily ha rotto con John l’anno scorso» sbottò Mary scendendo rabbiosamente dal letto. «Screditare l’ex del momento!».
Liv non riuscì a trattenere una piccola risata mesta ripensando alle critiche fatte a John.
«”Ride come un elefante”» ricordò contagiando le altre, loro malgrado. «Ma io non ho rotto con nessuno» continuò smorzando l’allegria.
«Un bacio non è niente. Vorrei rifarlo, certo…» ammise soffocando l'impetuosa sensazione di quel bacio che ancora riverberava in lei, ignorando gli sguardi inquieti delle altre. "Un bacio non è niente". Non era proprio così, non quel bacio, non quello che c'era stato con Black. Liv se lo disse, tenendolo dentro. «Ma tutto lì, baciarlo e basta. Questo dimostra che non me ne importa niente di stare con una persona oppure no» mentì spudoratamente, sentendo male al cuore.
«Liv»
«Posso vivere senza un ragazzo, tutte possiamo vivere senza un ragazzo. Io preferisco vivere senza un ragazzo. Nessun legame, nessuna regola, nessun divieto»
«Vuoi negarti un legame perché non ti fidi davvero di nessuno dopo questa. Sei diventata di nuovo cinica»
«E quando mai ho smesso, Lily?»
«Quando hai cominciato a fidarti di Black. Mi hai detto che lo trovavi interessante, il che significava che stavi pensando di costruirci qualcosa e quel qualcosa non era altro che fiducia, Liv»
«Fiducia sparita, interesse sparito perché è un coglione e non vale la pena. Ho altre priorità adesso»
«Fidarsi di qualcuno dovrebbe essere una priorità, non puoi dire di voler stare da sola per sempre. Questa reazione non è sana, Liv»
«Questa reazione è quella di una che vuole fidarsi esclusivamente di se stessa perché sa di poterlo fare totalmente, Lily, ok? E se devo passare la vita a cercare di sbattere ad Azkaban Avery la cosa migliore è essere sola» replicò Liv con una nota graffiante nel tono di voce deciso, cosa che Lily e Mary avevano sperato di sentire in quelle tre lunghe settimane di umorismo.
«Ned è l’unico che potrebbe valere la pena» mentì sentendo il cuore battere, chiamare a gran voce Sirius. Era sempre stato l'unico, per lei. «Ma non voglio scoprirlo, non m’interessa, non voglio avere legami che potrebbero rendere debole me ed avvantaggiare loro, i Mangiamorte. Nessuno da minacciare o uccidere per ricattarmi a farmi fare le cose, nessun ostaggio, nessun rapimento. Se ce l’avranno con me saranno costretti a vedersela con me e basta. Se vogliono me, è me e me soltanto che dovranno venire a cercare e prendere» snocciolò puntandosi l’indice al petto, la determinazione ad infiammarle lo sguardo scuro inchiodato a quello serissimo ed attento di Lily.
«È la stessa teoria che mi ha tenuto lontano da Remus e che tu hai condannato con tutta te stessa» le fece notare Mary.
«No, Mary, la differenza è che Remus desiderava averti accanto. Io no, io non desidero nessuno» risolse la questione Liv in un tono così sicuro che non diede spazio alle repliche.
«E non sono una vittima di Black, ok? Ho deciso io di baciarlo, esclusivamente per attrazione sessuale. Non mi aspettavo di certo nient’altro, soprattutto quella litigata senza senso». Rise amaramente delle sue stesse bugie, Liv, rise davanti alle facce pensierose delle due amiche.
«Senza senso ma orribile, malvagia, di uno che c’è dentro con tutte le scarpe, con l’anima» sottolineò Mary, sconcertata dalla leggerezza con la quale Liv stava affrontando la cosa. Leggerezza confermata dallo sbuffo dell’amica, un verso tra il divertito e lo scocciato mentre le mollava la bottiglia tra le mani.
«Ma se è stato più materno di mia madre» si rituffò nell’umorismo Liv, alzandosi per andare a prendere la Nimbus poggiata al muro.
A quella frase, Lily e Mary non riuscirono a non sorridere sotto ai baffi scambiandosi una fugace occhiata. Tornarono serie quando Liv si risedette sul letto con rilassatezza ma lo sguardo serio, uno di quelli limpidi ed aperti che riservava soltanto a loro due.
«Non ho rabbia da buttare fuori, sono solo… stanca» si aprì, finalmente, cominciando a lucidare con cura il nuovo manico di scopa regalato da James come se non stesse parlando della cosa più seria che avesse mai provato. «Sfinita. Non ho più forze per lottare per cose che non valgono la pena o che non si possono cambiare. Mio padre è morto e non ci posso fare niente, Sirius Black non vale la pena e finisce qui, l’ho baciato e me ne sono andata invece di perseguitarlo e gridargli contro stupidaggini in cui né io e nemmeno lui crediamo. Voglio soltanto, non lo so, riposarmi».
Il silenzio calato nella stanza non fu assordante per Liv, ma soltanto un balsamo che l’avvolse, confortante e familiare, al profumo di vaniglia e mughetto.
«Ok» sospirò Lily guardandola con i due grandi occhi verdi colmi di comprensione. E ci credeva davvero, Lily, perché lo sguardo e la voce di Liv erano sinceri, esprimevano esclusivamente una stanchezza profonda che faceva male al cuore.
Mary sorrise debolmente prima di abbracciare l’amica che non fermò la pulizia della sua scopa, anche se con le labbra curvate verso l’alto.
Mancava un’ora esatta all’ora di cena e tutt’e tre decisero di stare ancora lì, nella tranquillità assoluta della loro camera.
Mary cominciò a prepararsi per una doccia calda, Liv continuò a prendersi cura della Nimbus e Lily si sedette sul suo letto tuffando una mano nel pacchetto di Calderotti. Se ne ficcò uno in bocca, masticandolo con gusto fissando un punto imprecisato del dormitorio prima di scoppiare a ridere all’improvviso e senza apparente motivo bloccando i movimenti delle altre due che la guardarono stranite.
«Perché avete ritirato fuori la risata da elefante di John?» spiegò la sua momentanea pazzia quasi soffocandosi con il caramello.
«Guarda che l’anno scorso hai detto che era vero»
«L’ho detto perché pensavo mi avesse tradito, Mary, e screditarlo mi ha fatto sopportare la rottura»
«Allora perché stai ridendo adesso?» le chiese furbescamente Liv.
«Non starai di nuovo pensando che è vero?» si aggiunse Mary rimettendo la testa bionda dentro al baule.
«No» rispose di getto Lily tentando di essere seria, non riuscendoci. «Ok, sì, ride così»
«Ha aperto un occhio, Alleluja» mormorò in tono solenne Liv. Il cuscino che Lily le tirò la fece piegare in avanti, sul manico di scopa.
Il silenzio calò di nuovo, intervallato dal borbottio di Mary ancora per metà dentro al baule alla ricerca di chissà cosa.
«Lily?» esordì dopo un po’ Liv che per i dieci minuti precedenti era rimasta a scrutare l’amica incantata al poster di Robert Redford appeso davanti a loro, sul muro della parte di Mary.
«Cosa?» rispose Lily senza staccare gli occhi verdi dalla faccia dell’attore americano.
«Che c’è?» fece Liv sapendo benissimo che l’amica aveva qualcosa che non andava.
«Niente»
«Ci sono già Freddie e John, qui, a sfidare con lo sguardo quell’attorino da strapazzo» le ricordò indicando con il pollice il muro alle loro spalle in cui Freddie Mercury dietro Lily e i quattro Beatles dietro lei sembravano fissare il biondo sorridente davanti.
«Ehi!» sbottò battagliera Mary sollevando la testa scarmigliata verso di lei. «Se proprio vogliamo essere sincere, quei cinque sono inquietanti la notte! Vieni da questa parte a vedere, vieni, sembra di dormire con il pubblico!».
Liv rise debolmente, ma sinceramente divertita. «Non credo che Remus sarebbe contento di tutta questa tua passione per quel tizio, Mary»
«E infatti non lo saprà mai, Liv» la zittì lei, minacciosa.
«Secondo voi…» s’intromise Lily, pensierosa, e Liv socchiuse gli occhi scuri perchè quando Lily iniziava una frase in quel modo significava che era veramente confusa.
«Sì?» fece, lasciando perdere il rivale in amore di Remus.
«Avrei dovuto sentire la mancanza di John a Capodanno?» chiese Lily.
«Tutto il mondo sente la mancanza di John, Lily, tranne Yoko Ono e suo figlio che lo tengono segregato in casa» le rispose Mary.
«Manca perfino a Robert, secondo te perché lo fissa così?» le resse il gioco Liv indicando con una mano il suo poster e poi quello di Mary.
Lily sbuffò. «Venitemi in contro, per piacere»
«No» fecero in coro le altre due. L’occhiataccia in tralice dell’amica non fece altro che allargare il sorrisetto di Mary.
 «Dillo, Lily» la incitò a mollare l’orgoglio Liv.
«Ad una ragazza deve per forza mancare il suo ragazzo l’ultimo dell’anno quando non lo passa con lui?» si limitò a dire lei e sia Liv che Mary si accontentarono di quel tergiversare.
«Be'» cominciò Mary mentre le guance le si coloravano di rosso «se quella ragazza sta bene con il suo ragazzo, sì, decisamente sì. Credo sia quasi un bisogno fisico voler passare da un anno all’altro con il proprio ragazzo».
Lily portò lo sguardo attento su di lei, restando a fissarla profondamente assorta.
«Perchè non sei andata a Oxford da John, quella sera?»
«Devo rispondere sul serio, Liv?»
«Sì, devi rispondere sul serio. Oltre a me, c’erano altri motivi?»
«Assolutamente no. Volevo stare con te, lo sai, prima di lui venivi tu»
«Se non mi fosse successo tutto quello che mi è successo, ci saresti andata?»
Lily non se ne accorse ma titubò prima di rispondere.
«Sì».
Un millesimo di secondo di ritardo che bastò a Liv per capire ciò che realmente pensava. Lily non sarebbe andata a Oxfrod in nessun caso.
«Ok» si limitò a dire Liv ricominciando a lucidare il manico della Nimbus.
Mary guardò entrambe di sottecchi, più e più volte come se stesse seguendo una pallina da tennis a Wimbledon. Ci fu un altro silenzio ed un’altra domanda di Lily, qualche minuto dopo.
«La ragazza a cui non manca il proprio ragazzo a Capodanno è una stronza?»
Liv sorrise leggermente strofinando lo straccetto sopra il marchio dorato sul legno lucido.
«No, Lily, non è una stronza» rispose passando il dito su quel “Nimbus 1500” che faceva sempre un certo effetto.
Il lievissimo sospiro di Lily fece cedere anche Mary che si immerse di nuovo dentro al baule per poter ridere sottovoce senza farsi vedere.
«Non è innamorata, tutto qua» continuò schiettamente Liv osservando attentamente il legno pulito. Gli occhi verdi di Lily si spalcarono.
«Hai visto anche tu Alice e Frank, Mary e Remus e tutte le coppie che avevamo intorno, no?» proseguì Liv. «Sembravano sulla Luna, aggrappati l’uno all’altra come se fossero la bombola d’ossigeno dell’altro».
Mary arrossì scoccandole un’occhiataccia di traverso da sopra una spalla e Lily si morse un labbro. Lei non si era nemmeno ricordata di John mentre scoccava la mezzanotte. Eppure si sentiva in colpa, stava male per lui, adesso, senza quel ballo scatenato, le risate, gli sguardi intensi da dietro le lenti rotonde, le braccia che per un attimo l’avevano isolata dalla gente, dai fuochi artificiali, dal mondo intero.
«Sei arrossita come Mary» la informò Liv.
«Cosa?»
«Sei arrossita nello stesso identico modo di Mary»
«Non è vero»
«A cosa pensi?»
«A John» mentì e Liv se ne accorse, come al solito.
«Lily, non credo che la stupidità sia stata la qualità che ha convinto Silente a darti quel distintivo».
Lily e la sua occhiata indignata non fecero alcun effetto su Liv che continuò, imperterrita.
«Io penso che non ti sia mancato John perchè...»
«Perchè stavo bene con voi»
«Perchè stavi bene con James».
Le labbra di Lily si aprirono e richiusero, interdette.
«Ha smesso di essere arrogante, come speravi di vederlo in sei anni di scuola, e adesso riesci ad apprezzare ogni suo gesto, ogni suo sguardo, ogni suo sorriso. E ti piacciono tutti, non è vero?»
Lily, incapace di credere alle proprie orecchie, entrò in un evidente stato di ibernazione. Aveva odiavo l'arroganza di James Potter, per anni, ma chissà come aveva sempre sperato smettesse di comportarsi in quel modo, forse per dare tregua a Piton o agli altri studenti. In quel momento, Lily si rese conto che aveva sempre voluto vedere una luce in lui, forse perché gli era sempre piaciuto.
Senza l'arroganza, James Potter non aveva uno sguardo costantemente e stupidamente divertito e derisore, aveva due occhi nocciola; non aveva le scarpe mezzo metro sopra al pavimento, era semplicemente alto; James Potter non era più animale della Piovra Gigante, era un umano, per giunta bello.
«Adesso puoi anche dirlo che è un gran bel ragazzo» le diede il via libera Liv con una luce negli occhi, guardandola scongelarsi per lanciarle un Calderotto in un gesto scherzosamente violento. Liv lo prese con un piccolo sorriso sereno prima che potesse schiantarsi sulla faccia.
«Grazie» le disse infilandoselo in bocca. Scoccandole un’occhiataccia, l’altra incrociò le braccia al petto e si lasciò andare all’indietro poggiando con un tonfo la schiena alla spalliera del baldacchino.
«Cosa ti piace di più di lui, Lily?»
«Mary, ma che domande le fai?»
Mary rise e lo sguardo di Lily si assottigliò ulteriormente, puntando anche lei.
«Per un attimo mi sono illusa di essere in un gruppo normale di amiche ma non mi aspettavo seriamente una risposta, giuro» se ne uscì Mary tirando fuori dal baule la biancheria pulita.
«Perché sai benissimo che sarebbe più fattibile scendere a piedi a Manchester, proseguire verso Liverpool, nuotare per Dublino, tornare in Inghilterra con un salto e scendere ancora fino a Birmingham visitando ogni pub sulla strada per tornare qua in tempo per la cena, sempre a piedi e soprattutto sobrie»
«Molto spiritosa, Liv, stai dando il meglio di te oggi» commentò Lily sollevando gli occhi verdi al soffitto trattenendo una risata, al contrario di Mary.
«Allora? Cosa ti piace di più di James? Gli occhi? I capelli? Il naso? Il sorriso? Ha un bel sorriso…» riprese proprio Mary, avvicinandosi al letto di Lily.
«Il sedere?»
«Liv»
«Che c’è? Ha anche un bel sedere, credimi. Dovresti vederlo con solo i pantaloni aderenti della squadra. Se Alice mi presta la macchina fotografica gli scatto una foto ai prossimi allenamenti. Sai cosa? Le scrivo, tanto la settimana prossima ha il turno di guardia qui…»
«Pensa al sedere di Black»
«Black ha un lato B pazzesco, non ho problemi a dire le verità».
L’ennesima risata di Mary scoppiò, spontanea.
«Perché lo pensi davvero» cantilenò in risposta Lily senza più riuscire a stare completamente seria. Adesso che James non era più arrogante era difficile nascondere quanto le piacesse, in realtà.
«Ma non si tratta soltanto di bei fondo schiena, qui» proseguì Liv che si era alzata dal letto per cercare davvero piuma e pergamena da lettera.
«Da quando sei diventata un’esperta anche di lati A?» le chiese Lily guardandola indagatrice dalla sua comoda postazione.
«Il fatto principale è che non ti è mancato John, Owen» mise in chiaro Liv tirando fuori dal primo cassetto del comodino un foglio bianco «Il problema principale è quello, non ti è mancato John. Perchè stare bene con qualcuno non ti fa dimenticare del tutto un’altra persona. Voglio dire, anche Mary e Alice stavano bene con noi due, eppure a mezzanotte si sono fiondate sulle ventose di Frank e Remus».
Mary si fece di nuovo rossa, sempre di più. «Ti ‘spiacerebbe smettere di tirare in ballo me, Liv?» l’ammonì prima di chiudersi in bagno per la doccia.
«Se a Capodanno hai dimenticato John, Lily» la ignorò con un sorriso Liv rubando piuma e inchiostro da sopra il tema di Trafigurazione abbandonato sul letto della Caposcuola. «Significa che qualcosa non va con lui. Stai ancora pensando al fatto che prima o poi dovrai mollarlo per quella storia dell’Ordine?». Cominciò a scrivere la lettera ad Alice nel silenzio creato da una Lily zitta ed immobile.
«Non so nemmeno io perchè a mezzanotte non ho pensato a lui, ok?» esordì dopo un po’ lei. «Insomma, ci stavamo divertendo, eravamo tutti brilli ed in mezzo al caos, con i fuochi d’artificio, la musica...»
«Le braccia di James, il suo profumo...»
«In realtà, puzzava d’alcool».
Liv rise piano intingendo la piuma nella boccetta nera, decidendo di non forzarla ulteriormente perché sapeva com’era fatta Lily, non sarebbe servito a niente se non a farla negare ancora ed ancora.
«So che l’ultima cosa che vuoi sempre fare è prendere in giro gli altri, quindi pensaci bene»
«Io non sto prendendo in giro John, Liv, io voglio stare con lui»
«Anche nei giorni di festa?»
«Spiritosa»
«Ero seria»
«Sì, come no»
«Vorrei davvero che ci pensassi bene, Lily» disse Liv fermando la stesura della lettera per guardare l’amica con occhi così seri da far strabuzzare quelli davanti.
«Come mai tutta questa premura per “La Piovra Gigante”?» le chiese Lily piuttosto scettica.
Liv corrugò la fronte, boccheggiando. «Non è premura per la Piovra!» rispose, in difesa e difficoltà. “È premura per James”.
 «Sai che la Piovra ti vuole sposare?» se ne uscì vedendo Lily sollevare un sopracciglio rosso. «”Prima o poi”» aggiunse riportando le parole di John.
«Ti vuole regalare un anello per il compleanno» le rivelò ancora, riprendendo a scrivere.
«Non lo voglio» rispose immediatamente la voce decisa e seria di Lily e Liv sorrise brevemente fermando la piuma senza staccare lo sguardo dalla pergamena ormai quasi piena.
«Lo so, gliel’ho detto, ma crede che io stia cospirando contro di lui».
Lo scrosciare dell’acqua della doccia, in bagno, riempì la stanza e la voce di Lily risuonò ancora una volta.
«Stai davvero scrivendo a Alice?»
«Certo»
«Se ti azzardi a darmi la foto del sedere di Potter preparati ad annegare nel mio vomito».
Le labbra di Liv si curvarono verso l’alto al pensiero del biglietto d’auguri per la sua migliore amica con il sedere di James Potter in primo piano.
 
 
 
 
 
 
*



 
 
 
 
«Ehi, tizi» esordì James fermandosi dietro al divano della Sala Comune.
«Ehi, tizio» rispose Remus gettando la testa all’indietro per guardarlo. Notò subito che James aveva qualcosa che non andava, la luce negli occhi non era la stessa, non era il solito guizzo vivace. Il fatto che la situazione non fosse delle migliori non significava niente perché James quella luce testarda ed ottimista l’aveva sempre, a parte in quello strano momento.
«Tutto a posto con il cane» informò James battendo le mani su entrambe le spalle di Peter.
«Abbiamo visto, è salito in camera con una ragazza» aggiunse informazioni Remus riportando lo sguardo pensieroso davanti al lui, tra le fiamme nel grande camino. C’era soltanto una persona capace di spegnere la luce negli occhi di James, anche solo per un attimo fugace.
«Ah, sì?» commentò James piegando la tesa di lato, un improvviso cipiglio scuro ad aggrottargli la fronte.
«Sì» rispose Peter ancora sotto le sue mani «Si sentono i Led Zeppelin dal corridoio». E a quell’ultima frase, che per i Malandrini era un chiaro messaggio in codice, James annuì.
«Beh, la festa è finita» annunciò dando altre pacche a Peter prima di allontanarsi da lì per dirigersi verso la scala a chiocciola ad ampie falcate. Remus, in allerta, fece scattare la testa nella sua direzione mentre Peter, spaventato, saltò giù dal divano.
James salì la scala facendo tre gradini per volta, veloce, con nella mente il pomeriggio in cui Sirius aveva baciato con più foga la Corvonero Wilson davanti a tutti, proprio vicino alla porta d'Ingresso del Castello e all'ora degli allenamenti, sfidandolo con lo sguardo quando gli era passato appositamente davanti per fissarlo con l’occhio nero. e la mancanza di una giocatrice alle spalle, quella che gli occhi grigi avevano cercato, come in agonia.
Quando mise piede nel corridoio dei dormitori maschili, le note e le parole più che esplicite di Black Dog gli arrivarono chiare anche se ovattate.
La canzone del ‘’Non disturbare’’ funzionava meglio della cravatta sulla maniglia della porta.
«James, stai scherzando?!» esalò con il fiatone Peter, arrivato di corsa dietro di lui.
«Abbiamo già visto Sirius nudo. Questa cosa deve finire, è ridicolo».
Remus arrivò per ultimo, sfinito per la pre-luna piena, proprio mentre James spalancava la porta senza troppi preamboli, restando però muto ed immobile sullo stipite perché sia Sirius che la ragazza erano vestiti di tutto punto, la ragazza pietrificata al centro della stanza in una posa sorpresa e Sirius comodamente sdraiato sul letto con un braccio sopra gli occhi e una sigaretta accesa tra le dita incapaci di stare ferme.
Aveva fatto davvero finta di portarsi a letto una ragazza? James, basito, restò lì senza riuscire nemmeno a prenderlo in giro.


Ho bisogno di una donna che mi tenga la mano
E non mi menta, facendo di me un uomo felice”.

Olivia era stata l'unica verità in mezzo ai suoi demoni.

 
 



 
*




 

 


 
Liv si svegliò di soprassalto, ansante e sudata, il cuore a mille dentro al petto e il buio totale a svuotarle gli occhi sbarrati dall’angoscia.
Con una manata fremente d’urgenza scostò la tenda rossa del baldacchino nel tentativo di respirare, prendere ossigeno e vedere la luce della luna quasi piena come se stesse emergendo dalla terra che l’aveva sotterrata in sogno.
Era l’ennesimo risveglio brusco in piena notte.
Sentendo il petto abbassarsi e rialzarsi ad un ritmo impossibile, tentò di fermare e rallentare il respiro fissando la luna dietro al vetro della finestra che non diventava più un’argentea macchia tremula nel nero perché da giorni, ormai, aveva finito le lacrime.
Era ancora più dura sopportare il dolore e il vuoto in quel modo e lì, da sola sotto le coperte, Liv si ritrovava senza armature, persa tra i ricordi dolci-amari di suo padre; piccoli momenti e dettagli a cui stupidamente non aveva mai dato importanza ma che adesso mancavano come l’aria, come la luce dei pomeriggi estivi che disegnava la sua ombra sul tappeto quando si sedeva sulla finestra a bovindo del soggiorno per leggere il giornale.
Tenne gli occhi aperti ripetendosi mentalmente di non tremare, di non arrendersi a quel dolore soffocante perché poteva bastare a se stessa, doveva bastare a se stessa.
Si morse il labbro inferiore conficcandoci con forza i denti e con un gesto deciso scostò le coperte scendendo dal baldacchino. La luce della luna le permise di non sbattere sui bauli e raggiungere il bagno senza svegliare Lily e Mary.
Girando la manopola dell’acqua fredda del lavabo si guardò distrattamente allo specchio trovando la sua immagine riflessa leggermente spettinata che le ricambiava lo sguardo stanco.
Sei identica a lei, non soltanto nell’aspetto! Non ci hai mai fatto caso?! Ti sei preoccupata soltanto del lato esteriore come i capelli, ma non del marcio che hai dentro!”.
Non poteva più guardarsi allo specchio senza sentire quelle parole, quella voce rimbombarle in testa.
Non c’era niente di chiaro in quel malessere corrosivo che aveva cominciato a consumarla tre settimane prima, in quel sentirsi sopravvissuta per miracolo ad una guerra ma gravemente ferita, distrutta.
C’era Sirius Black in quel malessere, lui e i suoi occhi freddi che freddi non erano mai stati; il vero veleno, il vero odio e la vera cattiveria che le aveva riservato, c’era il suo sentirsi colpita come mai era successo prima. C’era quel bacio perso nelle campagne scozzesi alla velocità dell’Hogwarts Express, ma che la attraversava ancora per intero lungo la spina dorsale.
Sei egoista, come lei! Non senti il bisogno di metterti nei panni degli altri! Pensi di essere sempre nel giusto perché delle altre persone non t’importa un cazzoEd è per questo che tuo padre è morto!”.
Voleva ucciderlo, Sirius Black, voleva uccidere quel Sirius Black che forse aveva ragione.
Voleva sparare pallottole cariche del dolore che teneva stretto tra i denti addosso al Sirius Black dal volto estasiato da un bacio e poi trasfigurato dalla malvagità, dalle dita che le avevano accarezzato la pelle con devozione quasi commovente e poi l’avevano puntata, accusatrici e spietate. Dita che non erano quelle di qualcuno che toccava o puntava qualcosa di trascurabile, erano state dita intrise di impeto sincero e poi di delusione e forse paura avverata.
Voleva trafiggere il Sirius Black dalle labbra morbide e sensuali sulle sue e poi irrigidite da parole velenose. Labbra che la portarono a fare quello che ormai faceva per zittire quella voglia.
Con una smorfia stizzita chiuse il rubinetto ed afferrò una sigaretta dal pacchetto sotto l’orologio di Lily che segnava le due. Se l’accese mentre andava verso la finestra, trattenendosi dallo spezzare a metà la lunga bacchetta nera.
Aprì l’anta e l’aria gelida che sapeva di neve la costrinse a stringersi nel grosso pigiama in lana rossa.
Appoggiandosi al davanzale per far sporgere la mano con la sigaretta si accorse di un altro puntino arancio acceso nel buio e di una mano illuminata dalla luna quasi piena, una mano che anche se lontana avrebbe riconosciuto tra mille.
Lì ci doveva essere il davanzale della finestra dei Malandrini perché quelle dita che tenevano la sigaretta nel vuoto erano di Sirius Black, non c’erano dubbi.
E lo sapeva perché aveva imparato a riconoscerne la forma, la lunghezza, il modo di muoversi; lo sapeva perché ne era attratta.
La sigaretta in quella stessa mano rimase immobile ad accumulare cenere perché anche Sirius si era subito accorto del puntino arancio acceso nel buio e di quella mano illuminata dalla luna quasi piena che avrebbe riconosciuto tra mille anche da così lontano e non solo per lo smalto nero sulle unghie.
Restarono lì, quelle mani, con le dita strette maggiormente alla sigaretta che entrambi desideravano ardentemente fosse le labbra dell’altro, labbra diventate un’ossessione tanto quanto le parole che si erano gridati addosso settimane prima.
“Il tuo nobile senso della giustizia esce fuori per giudicare gli altri e se ne va al diavolo quando ti guardi dentro!”
 “Non è Regulus quello che non ne vale la pena, sei tu”.
Faceva male, male come una coltellata, ed erano anni che delle semplici parole non gli si conficcavano come lame nei timpani, nel cuore e nello stomaco. Forse perché, molto probabilmente, aveva ragione. Lo contro con Regulus più volte l'aveva fatte sentire peggiore di lui, aveva sbagliato con lui, sbagliava sempre e non solo con lui.
Liv gli spappolava il cervello, era una figura metà bianca e metà nera che lo fissava con quella sua dannata determinazione, giorno e notte. Olivia stava lì in mezzo, capace di fargli uscire il buio più nero con una litigata, la gelosia, l’indifferenza e di tirargli fuori la luce più bianca con uno sguardo perso, una richiesta di solidarietà gridata con dignità sotto una finestra, una mano stretta al suo braccio o intrecciata alla sua, un bacio che era diventato un bisogno ossessivo come una dose di droga pesante.
Lo devastava il pensiero che Liv l’aveva baciato con trasporto, con tutta se stessa, non solo con la bocca ma anche con le mani, il corpo e la mente. L'aveva baciato in un modo così vero da zittire i dubbi venuti dopo; quello non era stato un bacio di una ragazza che l'aveva usato per una vendetta del cazzo.
Quel bacio lo devastava a tutte le ore del giorno e della notte, gli dava l’impulso di raggiungerla ovunque si trovasse, anche a lezione. La percepiva anche senza vederla, l'aveva evitata grazie a quella sensazione. Eppure Ned Stevens esisteva e lei non aveva smentito quelle lettere, era stata con lui dopo quel bacio. "È diverso perché la tizia al supermercato è entrata in scena prima e il mio avvicinamento a Ned è soltanto una conseguenza!"
L'aveva gettata lui stesso nelle braccia di Stevens e Sirius se le voleva mangiare quelle stesse mani che l'avevano spinta da lui.
Era stata sempre l'unica, per lui.
I due puntini arancio acceso si spensero lentamente nel silenzio e nel buio della notte ma la scintilla che li faceva comparire durante le giornate no, quella bruciava più che mai.
 















 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note (sono tornate le note noiose, straparlerò un po’ perché erano mesi che non ci sentivamo e una chiacchierata tra noi ci sta, no?):
 

*Evocazione. Far comparire gli oggetti dal nulla o richiamare quelli già esistenti è Trasfigurazione Avanzata livello M.A.G.O. e ad Hogwarts si insegna dal sesto anno. Nei libri vediamo la prima lezione che la tratta, con la McGranitt, quando Hermione fa comparire dei canarini gialli con la bacchetta. Viene ritenuta tra le trasfiguirazioni più difficili in assoluto, come la trasfigurazione umana ed interpsecie che vedrete nei mesi prossimi e ovviamente agli esami di fine anno.
Abbiamo già visto Dirk Cresswell provarci ad Halloween con i pipistrelli (a lui escono pipistrelli gialli, perchè essendo ad ottobre del suo sesto anno è alle prime armi con l'evocazione). Vediamo Regulus, sempre al suo sesto anno, evocare nastri di lamè dorati a Natale, mentre la Sala Grande viene decorata dai Prefetti. A dicembre, i sedicenni hanno un po' più d'esperienza, soprattutto con le cose più semplici come il lamè (Regulus, comunque, secondo me era molto dotato con la magia e la scuola in generale).
Evocare un oggetto più grande come la bacinella che riesce ad evocare Liv, anche se non perfetta, è già un livello più alto... da settimo anno, appunto.


*“Black Dog” dei Led Zeppelin è uscita nel 1971.
Nel quinto libro Sirius dice a Harry che non vede Bellatrix da quando aveva più o meno la sua età. Harry in quel momento ha quasi quindici anni, il che significa che Sirius ha visto per l’ultima volta sua cugina a quindici anni, nell’estate del 1975 (estate della sua fuga da casa, dato che dice anche che è scappato di casa a quasi sedici anni) perché il resto dell’anno lo passava a Hogwarts, dove Bellatrix non c’era.
Il coltellino è lo stesso che Sirius regala a Harry, Harry lo usa per scassinare la porta dell'ufficio della Umbridge al quinto anno.
 

*Il ricordo che arriva alla mente di Lily in biblioteca è lo stesso di Piton in H.P. e I Doni della Morte (La Storia del Principe, pag 612). Il particolare di Petunia che dice a Lily che Piton è cattivo, invece, l’ho inventato io proseguendo il ricordo scritto dalla Rowling (Petunia scappa in lacrime e Lily la segue).
Harry può vedere solo i ricordi di Piton ma Lily, ovviamente, ha i suoi che io ho provato ad ipotizzare.
Sempre da quel capitolo ho preso la frase di Piton: “Gli piaci, piaci a Potter”.
 
*La frase di Pandora riguardo le cose perse è quella che Luna dice a Harry dopo la morte di Sirius, nel quinto film. Luna dice: “Lo diceva sempre mia mamma”.  Ed effettivamente Pandora ha ragione perché la margherita ce l’ha James e tornerà da lei in un modo del tutto inaspettato.


*Morticia delle Midlands: su Pottermore c’è scritto che Cokeworth (città inventata di Lily) è nelle Midlands, Inghilterra centrale. Non si sa il punto preciso. Giusto per darvi un’idea, tra le città più importanti e famose ci sono Birmingham e Nottingham.
Dato che siamo in tema ‘’accenti’’:
Per John ho scelto come sua città natale Oxford principalmente perché Ox significa “Bue” (e ho detto tutto… vero, James?).
Godric’s Hollow sappiamo che si trova nel West Country (grazie a Bathilda Bath), io presumo non molto vicino al mare (dato che Harry nel settimo libro a Natale ci trova la neve) e vicino Bristol perchè Hagrid quando il 31 ottobre 1981 prende Harry bambino e scappa da Godric's Hollow con la motocicletta di Sirius per raggiungere Privet Drive dice chiaramente a Silente: "Harry si è addormentato mentre volavamo sopra Bristol". Un altro indizio lo troviamo nel terzo libro, capitolo dieci, quando Harry da sotto il mantello dell'invisibilità spia ai tre manici di scopa Rosmerta, Vitious, il Ministro della Magia, la McGranitt e Hagrid parlare di Sirius. Hagrid dice: "Ho consolato quel traditore assassino, come facevo a non sapere che non era disperato per Lily e James? Invece lui pensava a voi sapete chi. E poi mi dice... 'Dammi Harry, Hagrid, sono il suo padrino e lo curo io'... ma io avevo ordini precisi da Silente, e ho detto a Black di no. Black ha insistito ma alla fine si è arreso, mi ha detto di prendere la sua moto per portare via Harry. E se gli davo Harry, eh? Ci scommetto che lo buttava giù dalla moto dritto in mare". L'unica contea del West Country che ha un'insenatura col mare e che per scendere verso il Surrey (contea dove stanno i Dursley) deve attraversarla passando sopra Bristol è il Gloucestershire. Quindi James è del West Country come Mary, solo che Mary abita tutto a sud in Cornovaglia sul mare e James tutto a nord, al confine col Galles.
Un altro particolare è che nel Gloucestershire c'è la Foresta di Dean, ovvero la stessa in cui Hermione Materializza lei e Harry dopo essere scappati da Godric's Hollow nel settimo libro.
Dettaglio da Wikipedia: "L'abbondanza di argilla e pietra da costruzione nella contea diede origine a considerevoli manifatture di mattoni, tegole e ceramiche". La Rowling scrive su Pottermore: "Nel mondo Babbano 'Potter' è un cognome professionale che significa "uomo che crea ceramiche". La famiglia magica dei Potter discende dal mago del XII secolo Linfred di Stinchcombe (Stinchcombe è un villaggio del Glouchestershire poco più a nord di Bristol quindi direi che Godric's Hollow era nelle vicinanze o comunque nella stessa area della contea), un uomo eccentrico ed amato a livello locale, il cui soprannome era "il vasaio". Potter, appunto, in inglese significa ''vasaio".
Non penso che Stinchcombe e Godric's Hollow siano la stessa cosa anche se la descrizione di Stinchcombe e sembra essere quasi identica a quella che la Rowling fa di Godric's Hollow nel settimo libro: villaggio piccolissimo e isolato dagli altri centri abitati, poche ma pittoresche case in pietra, tanta campagna selvaggia (Godric Grifondoro dicono provenga dalla brughiera selvaggia), una sola chiesa e una sola piazza, una manciata di negozi e un ufficio postale). Se fosse stato Godric's Hollow la Rowling l'avrebbe detto, non avrebbe chiamato l'antenato di Harry "Linfred di Stinchcombe " anche perchè Godric Grifondoro è vissuto due secoli prima di lui e quindi Godric's Hollow esisteva già da parecchio tempo. Però erano sicuramente due villaggi della stessa contea dato il fatto che deve per forza esserci Bristol ''di passaggio''. Forse Godric's Hollow è più a ovest e a nord (in effetti una zona ancora più selvaggia), al confine col Galles e sotto o sopra la Foresta di Dean, oltre l'insenatura oceanica di Bristol date le informazioni estrapolate dalle parole di Hagrid che fa riferimento al ''mare''.
Non so invece dove possano abitare Remus e Peter. Di Remus sappiamo soltanto che sua madre era di Cardiff, nel Galles (stessa città di Ned Stevens) ma che da piccolo è stato costretto a trasferirsi con i genitori di paese in paese per via della sua Licantropia. Chissà dov'erano, nel 1977.
Ned Stevens è un cordiale gallese :D



 


 
 
 
Il compleanno di Lily è in arrivo! Dal prossimo capitolo i “Jily” saranno la coppia centrale. James ha evidentemente qualche problema che Remus ha soltanto scorto e Lily, beh, Lily si è vista chiaramente: è nel caos più totale che peggiorerà sempre più.
La “predica” di Lily a Sirius ci sarà, più avanti (più che predica si può chiamare l’inizio della loro profonda amicizia).
La descrizione fisica di James fatta da Lily lascia a desiderare, lo so, ma volevo fosse così perché lei è solo all’inizio. Non pretendiamo troppo da lei in questo momento (so che alcuni di voi non sono d’accordo con me ma… pazienza, è impossibile accontentare tutti i gusti!).
Sarebbe un po’ troppo per lei parlare di profondità degli occhi, di sentimenti che le parti del corpo di James le trasmettono… succederà e sarà davvero molto intenso perchè per me sono la coppia più unita del fandom, due anime gemelle come i loro Patronus.
Per adesso, però, si è accorta (ed è disposta ad ammettere) solo dell’attrazione fisica, si è accorta che James è un umano, per giunta bello.

Forse l’ho già detto capitoli e capitoli fa ma voglio ripeterlo: tutti sappiamo essere più belli, più simpatici, più forti, più coraggiosi, più bravi, più talentuosi di un’ameba. James è tutte queste cose in più di John e non potevo rendere John un’ameba perché James è davvero brillante e talentuoso.
Dopo tutti quei complimenti che Lily fa a John pensate che alla fine lei sceglierà James.






 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** 41. Margherita ***


Capitolo 41

MARGHERITA

 






 
 
«Che cazzo ci fai qua?»
«Sei veramente un coglione se non sai la risposta a questa domanda, James»
«Non presentarsi nemmeno alle punizioni del preside, Sirius… dai, questo è troppo anche per te»
«”Mollare qualsiasi cosa si sta facendo” diceva un detto che tu, Remus, non conosci e gli altri due invece sì»
«Non è da noi che devi farti perdonare, Felpato»
«Il tuo comportamento dimostra il contrario ogni cazzo di volta, però, Ramoso»
«Stavolta non vogliamo le tue scuse, vogliamo che tu le dia a Liv»
«E nessuno pensa che lei debba darle a me?!» sbottò Sirius con voce malferma facendo sussultare tutti, come se non fosse riuscito più a contenere quel dolore struggente che lo stava consumando dentro da quasi un mese e che era diventato così dilaniante e palese da salire in superficie sul suo volto emaciato, scavato, vuoto.
Sirius si stava struggendo per amore senza ammetterlo, Sirius era in un inferno fatto di sensi di colpa, rimpianti, rabbia, errori che cominciava a capire di aver fatto da solo e traboccava odio che non era odio; Sirius ci stava annegando in quell'amore non più mascherato da odio, in quell'agonia che era la nostalgia per Liv. Sirius stava soffrendo come non aveva mai sofferto prima di allora.
«E vogliamo anche che tu ammetta di stare male, appunto»
«Non sto male».
James allargò le braccia in un gesto che voleva sottolineare l'ovvio, prima di farle ricadere con arrendevolezza sui fianchi quando Sirius s'infilò per primo sotto le radici del Platano Picchiatore rischiarato dalla soffusa luce rosata dell’alba, testimone di un Felpato ridotto malissimo dopo essersi occupato l'intera notte del Lupo Mannaro quasi da solo, rincorrendolo nella Foresta Proibita e lanciandosi su di lui prima che potesse farlo Ramoso, come se pensasse di meritare tagli, morsi, ferite e lividi.
«Non stai male, eh?» lo sbeffeggiò James arrivandogli dietro appena lo vide arrancare e inciampare, prendendolo al volo per non farlo cadere e sorreggendolo per tutto il tunnel.
Camminarono dietro un Remus stremato, ma intero con un braccio attorno alle spalle di Peter che gli circondava la schiena facendolo avanzare.
«Mollami» sbottò Sirius divincolandosi dalla presa di James quando Remus fu riportato nella loro “tana”, in attesa di Madama Chips.
James lo lasciò, restando a guardarlo andare via con passo leggermente zoppicante, ma decisamente furioso.
Sirius ripercorse da solo il tunnel terroso ed uscendo all’aria aperta, sotto al frenetico Platano illuminato dalla luce violetta dell’alba, una folata di vento gelido gli scarmigliò gli unici lunghi capelli neri non attaccati al viso contratto dal dolore e sporco di sangue, fango, sudore freddo.
Notando un puntino nero sulla neve, in lontananza ma sempre più vicino, fu costretto a nascondersi dietro al grande tronco del maestoso guardiano naturale almeno fino a quando un’imbacuccata ed infreddolita Madama Chips non sparì sotto le radici.
Sirius riprese a camminare a grandi falcate anche in mezzo allo spesso strato di neve, arrivando al Castello con l’affanno e i denti digrignati dallo sforzo. Senza il Mantello dell’Invisibilità, in quel momento sopra James e Peter alla Stamberga, ci mise il doppio del tempo per raggirare Gazza e Mrs. Purr all’ingresso, sgattaiolando poi alla prima scorciatoia.
Al settimo piano cominciò a vedere sfocato e senza notare il volto terrorizzato della Signora Grassa che lo guardava con sconcerto grugnì rabbiosamente la parola d’ordine.
«Fiato di Drago».
Il ritratto si fece da parte per farlo passare ma fu come se non si fosse spostato per niente perché facendo per entrare Sirius andò a sbattere su qualcosa.
Muovendo velocemente le palpebre pesanti si accorse di essersi scontrato con Liv che evidentemente stava uscendo nello stesso momento. La vide rovinosamente seduta a terra insieme ad una marea di Cioccorane e per la prima volta dopo tre settimane si guardarono negli occhi, inevitabilmente, provando la familiare vertigine allo stomaco e scoprendo di essere ancora meravigliosamente connessi.

«Che diamine hai combinato?»
«Torna a letto, Black»
«Stai bene?».
Lei, dal basso della pozza di tisana alla verbena sparsa sul pavimento dell’appartamento, alzò lo sguardo colpito trovando Sirius affacciato allo stipite della porta di camera sua con i lunghi capelli neri arruffati davanti al volto imbronciato dal sonno ma illuminato dagli occhi grigi stranamente svegli, intenti a vagare con attenzione sull’intera sua figura circondata dai cocci della tazza andata in frantumi dopo la scivolata al buio di poco prima.
«Ti sei fatta male?»
«No»
«Perchè non mi hai chiamato per farti quella tisana?»
«Perchè sono contraria alla schiavitù degli elfi domestici, Black». 
La risata di Sirius contagiò immediatamente Liv che si ritrovò all’improvviso il bel volto non più assonnato a poca distanza dal suo mentre il proprietario, piegato sulle ginocchia, raccoglieva i pezzi di ceramica senza riuscire a distogliere lo sguardo penetrante dal suo viso, i suoi occhi e le labbra, esattamente come lei.
Per un attimo Liv si chiese se anche il cuore sotto la maglia dei Pink Floyd davanti stesse battendo quanto il suo. Quegli occhi grigi fissi intensamente su di lei glielo suggerivano in modo limpido. 
Per un attimo Sirius si chiese se anche le labbra davanti stessero fremendo, agognando le sue che le volevano più di ogni altra cosa al mondo. Quei dritti incisivi conficcati con forza sulla pelle bagnata di verbena glielo suggerivano chiaramente.
 
Fu Liv ad interrompere quel perforante contatto passato e presente fatto di piccoli brividi, fiato sospeso, strette allo stomaco, agognata pace dei sensi e muti “Ti sei fatta male?”, “Che diamine hai combinato di prima mattina? Stai bene?” intrappolati negli occhi di entrambi.
Costringendosi a sbloccare ogni muscolo del corpo, raccolse le Cioccorane attorno a sé e ai neri anfibi bagnati di neve di Sirius e poi si alzò per varcare il ritratto ed uscire in corridoio mentre lui faceva lo stesso, entrando il Sala Comune.
Il quadro della Signora Grassa si richiuse, dividendoli di nuovo, ed entrambi rimasero fermi nel preciso posto prima occupato dall’altro. I cuori impazziti nel petto, gli incisivi conficcati sulle labbra, gli occhi colmi gli uni degli altri.
 
 
 
 
*
 
 
 
 


 
La mano di Mary, incredula, sfiorò con premura la fronte sudata ma senza nessuna ferita di Remus, gli occhi nocciola intensamente analizzatori ed esperti da quando avevano puntato la figura del suo ragazzo mentre entrava in infermeria a braccetto con Madama Chips.
Mary si era aspettata di vederlo completamente ricoperto di sangue, ferito gravemente, steso su una barella come nelle foto del Manuale di Cura delle Creature Magiche ed invece era apparso incredibilmente in forma (seppur stremato e con qualche ferita) per essere un Licantropo di ritorno da una nottata di luna piena.
«Continuo a pensarlo, Remus. Non è normale questo tuo aspetto quasi sano»
«Certo che è normale, Mary, sono un Lupo Mannaro educato io»
«Oh, smettila» ridacchiò piano lei dandogli un impercettibile colpetto sulla scarmigliata testa castana sprofondata sul cuscino dell’infermeria illuminata dai primi deboli raggi di sole.
«Nella Stamberga bevo il tè con altri animali del bosco, sapete? Vengono a trovarmi» continuò Remus chiudendo stancamente gli occhi, le labbra lievemente sollevate verso l’alto.
Anche Lily rise a bassa voce, seduta su una sedia vicino al comodino pieno di Cioccorane portate da una Liv quasi del tutto assente, in piedi a braccia conserte accanto a lei.
Lo sguardo verde intenso di Lily le aveva più volte chiesto cos’avesse che non andava ma lei non l’aveva nemmeno notato, fissa com’era a scrutare il pavimento in pietra come se non ne avesse mai visto uno.
«Grazie per essere venute» mormorò Remus senza aprire gli occhi, beandosi delle delicate carezze di quella meravigliosa ragazza che aveva sempre stupidamente allontanato. «Ma non dovevate alzarvi così presto, ci potevamo vedere prima di colazione o alla ricreazione…»
«Non abbiamo dormito» rivelò Lily con un sorriso affettuoso «La tua ragazza voleva scendere in infermeria dalle due del mattino per aspettarti qui. L’abbiamo convinta ad aspettare almeno alle quattro».
Remus riaprì gli occhi ridenti per portarli su Mary, rossa come un peperone.
«Grazie, Lily, sei proprio la mia migliore amica» commentò sarcasticamente lei lanciandole un’occhiataccia per nascondere l’imbarazzo. La debole stretta della mano di Remus tra le sue, sopra il lenzuolo, le fece abbassare lo sguardo su di lui, trovando un dolce sorriso che le scaldò il cuore all’istante.
«Forse è arrivato il momento di andare» sentenziò Lily alzandosi dalla sedia con espressione deliziata e dando una complice gomitata a Liv per svegliarla dalla trance in cui era stranamente caduta da minuti interi.
«Mh?» fece lei guardandola spaesata.
Lily sollevò un sopracciglio rossiccio, piuttosto stranita da quel comportamento.
«Noi due andiamo» le disse la rossa indicando con un cenno della testa Remus e Mary che continuavano a guardarsi negli occhi come se non ci fosse nessun’altro lì a parte loro. A quella vista, Liv parve ritornare nella realtà.
«Oh, sì, mi raccomando le precauzioni» esordì con ironica serietà spezzando l’atmosfera fiabesca tra gli occhi adesso sgranati della coppia.
Dopo aver salutato Remus con un bacio sulla guancia ed un’affettuosa stretta sulla spalla sana, Lily e Liv uscirono dall’infermeria incontrando James e Peter in corridoio.
«Buongiorno, signore!»
«Potter, abbassa la voce per favore»
«Che c’è? Dormito male, Evans?»
«Dormito? Per niente»
«Siete un po’ sciupate, in effetti»
«Anche le vostre occhiaie non scherzano»
«Che saranno mai, noi siamo abituati. Non è vero, Pete?»
«Abituati a correre la mattina presto?»
«Eh?»
«Avete le scarpe bagnate di neve fresca».
Peter sbiancò mentre James, tenendo il largo sorriso sornione, sbattè le palpebre con calma studiata dietro le lenti rotonde degli occhiali per cercare velocemente una scusa.
«Nell’Ordine di Silente faranno a gara per avere il tuo occhio clinico nelle missioni, Evans»
«Ed hai anche una foglia tra i capelli» proseguì lei allungando una mano per infilare con cautela due dita tra i ciuffi neri ribelli-sorprendentemente morbidi- acciuffare l’oggetto incriminato e metterglielo davanti al naso.
«Oh, quella?» fece con disinvoltura James sentendo il cuore in gola per chissà quale motivo che non era l’essere messo alle strette, cosa che gli capitava ogni giorno da quando aveva cominciato a camminare, parlare, mettere le dita nella marmellata.
«Il mio cervello in questo momento è per il novantacinque per cento spento, James, ma il cinque rimanente sa riconoscere una foglia» lo informò Lily.
«Andiamo ad accenderlo tutto allora, la colazione del dopo luna piena viene servita nelle Cucine e da questo momento in poi sarete le benvenute ogni mese» colse la palla al balzo lui scrollando le spalle «Remus è in buone labbra, sì?».
Lily si lasciò andare ad un mezzo sorriso divertito prima di lanciargli in faccia la foglia e seguirlo verso il seminterrato senza lasciare la presa attorno al polso di Liv, di nuovo tremendamente pensierosa.
«Ti ho capito, sai?» mormorò Lily sporgendosi leggermente verso James che le camminava tranquillamente affianco.
«Cosa?» fece lui sistemandosi gli occhiali rotondi sul naso.
«Tu, Peter e Black…»
«No, siamo solo amici».
Lo strano verso molto simile ad un accenno di risata soffocata di Liv lo fece sorridere chinando la testa oltre Lily per vedere la sua Cercatrice lanciargli un’occhiata divertita come non gli riservava da tempo.
«Andate a prendere Remus all’alba, alla Stamberga» continuò Lily lasciando perdere la battuta «Dovreste stare più attenti a quel Platano pazzo, ogni volta vi ritrovate tagli e graffi come se foste voi i Licantropi».
Gli occhi nocciola di James si spostarono sul volto più vicino a lui, il piccolo sorriso di Lily era così bello che proprio non ci riuscì a negare la sua teoria sbagliata.
Fece spallucce, portando lo sguardo vivace davanti a loro.
«Mi prenoto per i turni delle missioni con l’Ordine in cui ci sarai tu, Evans» disse semplicemente facendole intendere di aver azzeccato.
Lily scosse la testa, i capelli rossi a nasconderle la curva delle labbra leggermente più sollevate.
 
 
 

 
*
 
 
 

 




 
Aveva una bella voce Olivia, morbida ed espressiva, e per qualche strano motivo andava bene con la sua. Stavano bene insieme quelle voci o forse era semplicemente lo stare vicini che creava quella pace totale che lui aveva provato facendo soltanto cose folli, al limite, estreme. Riuscirci stando seduto sul divano di casa, chiacchierando e canticchiando strofe ed inventandone altre più divertenti delle originali era stato paradossale.
Era stata una felicità tutta nuova, un’emozione che scaldava e dava euforia eppure così tranquilla come se potesse durare per sempre perché non aveva fatto altro che stare seduto sul divano dell’appartamento accanto a lei, e basta. Una cosa del genere non aveva bisogno di niente a parte di Olivia; una cosa del genere avrebbe potuto farla in un qualsiasi luogo di qualsiasi momento della giornata, della settimana, del mese e dell’anno, anche a centovent’anni.
Ed era impossibile dimenticarsi del suo sorriso che sapeva ancora di risata quando James li aveva inconsapevolmente interrotti facendo la sua comparsa con un cartone di pizza in mano, impossibile dimenticarsi dei suoi occhi scuri che l’avevano guardato in un modo così intenso e dolce da non fargli vedere nient’altro mentre si era alzata dal divano per sbarazzare il tavolino e fare spazio alla cena a tre.
«Black?» La voce autoritaria del professor Dearborn lo risvegliò bruscamente. Sirius distolse lo sguardo dal banco per guardare con aria interrogativa l’uomo poggiato davanti alla cattedra.
«Stavi ascoltando?»
«No» rispose in tutta onestà il Grifondoro.
«Domanda retorica» commentò in un sospiro il professore facendo ridacchiare metà classe. «Vuoi per caso farci conoscere il tuo Patronus? Sembra proprio tu abbia trovato un ricordo felice» chiese con vero interesse e una certa convinzione incrociando le braccia al petto senza staccarsi dalla cattedra, senza distogliere lo sguardo da lui.
Sirius aggrottò le sopracciglia, interdetto e preso decisamente in contro piede.
«No» rispose ancora, sentendosi come un libro aperto.
Caradoc Dearborn, le sopracciglia castane arcuate, parve alquanto perplesso ma non insistette.
«Allora presta attenzione alla lezione perché è importante. Abbiamo cambiato argomento, se non sarai attaccato da un Dissennatore dovrai fare i conti con la Legilimanzia o la Maledizione Imperius e l’Occlumanzia sarebbe l’unica cosa che ti salverebbe».
Sirius non annuì, non rispose e non si mosse, lì seduto scompostamente sulla sedia all’ultimo banco ma vestito con la divisa della scuola per nascondere meglio le ferite non ancora del tutto guarite con maglione, pantaloni non aderenti e colletto della camicia chiusa fino all’ultimo bottone sotto la cravatta, come il più diligente degli studenti.
Il professore riprese a parlare alla classe ed un foglio di pergamena gli nascose casualmente le nocche sbucciate della mano poggiata sul tavolo, quella adocchiata da lontano da una Mary dall’aria sottilmente sospettosa. Sirius spostò furtivamente lo sguardo al suo fianco, lo stesso da dove era arrivato il foglio: James guardava davanti a sé, apparentemente interessato alla lezione. Da tre settimane sembrava non vederlo ma contemporaneamente accorgersi di ogni dettaglio che aveva addosso, quel bastardo.
«Consegnatemi i temi sull’Occlumanzia e, mi raccomando, continuate ad esercitarvi sull’Incanto Patronus perché a breve proveremo con la pratica per vedere a che punto siete» concluse il professore tra il chiacchiericcio dell’aula subito dopo il lungo trillo della campana che segnava la fine della stancante giornata di lezioni.
«Vado» esordì sbrigativamente James buttando piume e libri alla rinfusa dentro la borsa e mollando a Peter i centimetri di pergamena da consegnare a Dearborn «Salutatemi Remus».
Afferrò la tracolla e schizzò fuori dall’aula insieme a Liv, correndo come Brian Harrison e Alan Morgan con i quali quasi si scontrarono in corridoio, Daisy Smith al terzo piano, Michael Cooper nei sotterranei e George Carter fuori dalle Serre.
Nessuno si stupiva o lamentava più di quelle corse folli, non dopo aver visto la squadra rosso-oro perdere il possesso del campo, una sera, per un misero minuto di ritardo. I Grifondoro di ogni anno, sparsi per il Castello, avevano preso l’abitudine di aspettare ai lati dei corridoi, delle scale o dei cortili per non ostacolare il passaggio ed incitare con grida disumane e battagliere i propri giocatori di Casa.
I sette maratoneti si incontravano sempre sulla ripida discesa che portava al campo, quasi sempre illuminata dalla fredda luce di gennaio che filtrava da grossi nuvoloni carichi di neve, salutandosi senza fermare la disperata corsa disordinata.
«LUMACORNO MI VOLEVA FAR PULIRE I CALDERONI DI TUTTI PER SOLLEVARE I VOTI ED ARRIVARE AI G.U.F.O. CON ECCEZIONALE! SONO LETTERALMENTE SCAPPATO! ERA UNA TRAPPOLA, SICURO!» gridò Michael con il fiatone, le gambe e le braccia scoordinate come quelle di tutti gli altri per l’assurda velocità e il terreno scivoloso dovuto alla neve e al fango sotto le suole delle scarpe.
«QUELLA MUMMIA DECREPITA DI DIVINAZIONE, INVECE, CI VOLEVA TENERE CINQUE MINUTI IN PIÚ PER FINIRE QUELLA MERDA DI TÈ! ABBIAMO BEVUTO UNA TAZZA IN MASSIMO DIECI SECONDI CONTATI, CI STAVAMO PER STROZZARE!»
«COSA VI HO DETTO RIGUARDO AL MANTENERE LA CAPACITÁ DI RESPIRARE FINO ALLA PARTITA, ALAN?! HARRISON, SEI IL MIO VICE, PER GODRIC!»
«COSA AVREMMO DOVUTO FARE, JAMES?! QUELLA CI HA PUNTATO, NON AVEVA NESSUNA INTENZIONE DI FARCI USCIRE SENZA I FONDI DEL TÈ!»
«I SERPEVERDE HANNO SICURAMENTE DATO CHISSÁ QUANTI GALEONI A LEI E LUMACORNO!»
 «NON SAREBBE LA PRIMA VOLTA, DAISY!»
«BASTARDI FIGLI DI SALAZAR!»
«LI AMMAZZERÓ APPENA OSERANNO AVVICINARSI AGLI ANELLI!»
«PER LA NOSTRA TRANQUILLITÁ, SUL FONDO DELLA MIA TAZZA È USCITO UN CUORE!»
«PERFETTO, HARRISON! COME PRIMA DI CADERE DALLA SCOPA AL TUO TERZO ANNO! E IL TUO INVECE COSA DICE, MORGAN?!»
«QUADRIFOGLIO, JAMES! COME PRIMA DI METTERMI CON L'EX DI MANI DI MAZZA!».
Alla fine finivano sempre per ridere apertamente nonostante il fiato mozzo, esilarati dai racconti ed anche dalla corsa all’aria aperta, con i polmoni in fiamme e un’intesa sempre più forte.
«MA DOV’ È GEORGE?!».
Al grido affannato di Liv, James girò di scatto la testa all’indietro senza fermarsi, non trovando il secondo battitore. Quasi inciampò addosso a Michael, ancora di corsa davanti a lui ma improvvisamente terrorizzato come tutti gli altri perché come ogni pre-partita contro i serpenti si viveva come in trincea: ogni giorno si rischiava di perderne uno, catturato o pestato dai Serpeverde, e stare uniti fisicamente era un obbligo.
«È GIÀ ARRIVATO!» urlò Daisy con un largo sorriso e le trecce al vento indicando la sempre più vicina porta degli spogliatoi. L’alta e magra figura di Carter era lì, le mani sulle ginocchia e la schiena curva, sfiancato.
«Erbologia, avevo Erbologia» spiegò il suo proverbiale anticipo con un principio d’asma quando gli altri lo raggiunsero, le facce deformate dalla sofferenza fisica e la gioia. «Ho superato Montague, se n’è andato lanciandomi palle di neve che non mi hanno nemmeno sfiorato. Per una volta, ho visto in quella faccia di merda il desiderio di essere “secco” come me» raccontò riprendendo fiato e rimettendosi dritto per poggiarsi alla porta, stremato ma con un ghigno soddisfatto sulle labbra rivolte verso un James dal volto così radioso e fiero da illuminargli gli occhi ridenti dietro gli occhiali.
«È per questo che ti ho scelto, Carter! È questo che ho visto a settembre! È questo che volevo vedessi anche tu, per Godric!» ruggì profondamente orgoglioso ed entusiasta sollevandolo da terra insieme ad Alan e portandolo dentro agli spogliatoi come in un corteo festoso. George sorrise apertamente aggrappandosi alle loro teste per non cadere dalle loro spalle mentre gli altri quattro lo ricoprivano di pacche vigorose sulle lunghe gambe a penzoloni.
«CHE FARANNO I SERPEVERDE?!»
«NON CI FERMERANNO!»
«CHE FARANNO QUELLE MERDE?!»
«NON CI AVRANNO!».
Era un’allegria che resisteva testardamente da settimane, rendendo gli allenamenti più proficui, l’atmosfera più positiva, la squadra sempre più complice ed i Serpeverde sempre più velenosi.
James, ogni volta, arrivava e lasciava il campo dando il via a quel coro con gli occhi stracolmi d’orgoglio rivolti ai suoi sei giocatori che davano anima e corpo animati dall’odio per gli avversari, sudati nonostante il freddo ma sempre più forti, uniti. Quella era la squadra perfetta che aveva visto a settembre, quando erano tutt’altro che perfetti.
Non fu del tutto così giorni dopo, però.
La sera del ventinove, mentre la squadra appena atterrata rientrava allegramente negli spogliatoi, James restò in piedi sull’erba al centro del campo ad osservare Liv volare da sola sopra la sua testa, nell’oscurità delle sette e mezza invernali.
Quell’allenamento si era rivelato più tosto di tutti i precedenti, per la neve che aveva ricominciato a cadere e per il vento sferzante. Liv era stata più silenziosa del solito anche se incredibilmente concentrata sul boccino come in quel momento e come ogni volta che si staccava da terra.
La “Protezione Giocatrici Appetibili” non serviva per la Liv Cercatrice che sembrava mettere in primo piano la squadra ma per la Liv amica sì, perché quando rimetteva i piedi sull’erba diventava di nuovo assente, pensierosa come non era mai stata.
James inforcò con più decisione la Nimbus Mille e scavalcandola con una gamba spiccò il volo; un instante dopo era già dietro l’amica che voltandosi di scatto lo guardò accigliata tra i lunghi ciuffi scuri della coda di cavallo al vento. Presa alla sprovvista, Liv si vide sorpassata in un battito di ciglia, il volto di James rivolto verso di lei era sfuggente ma chiaramente ridente e colmo di sfida.
Sorrise debolmente, accettandola. Si piegò in avanti, appiattendosi sul manico di scopa per aumentare la velocità e seguirlo.
La Nimbus 1500 era più veloce ma James più esperto ed in meno di cinque minuti e dopo un testa a testa combattuto, lui aveva il boccino stretto in mano e lo sguardo colmo d’orgoglio per i netti miglioramenti della sua Cercatrice.
Liv lo raggiunse, la fila di denti a scintillare nella penombra e la lunga coda di capelli a frustrare l’aria dietro di lei.
Restarono a cavallo delle scope, parecchi metri da terra, l’uno di fronte all’altra.
«La Nimbus 1500 necessita già di un collaudo?»
«Evita di prendere in giro, Jim, se perdo io perdi anche tu»
«Non è accaduto adesso, però».
Liv gli rispose con un semplice dito medio al quale James rise spudoratamente.
«Come stai?» esordì dopo averla osservata per qualche istante mentre la risata si spegneva poco a poco.
Liv mollò la scopa per allargare le braccia e farsi ammirare.
«Bene, non vedi?»
«No, non vedo»
«Stupido»
«Se stessi bene ti vedrei chiaramente sotto la luce delle candele in Sala Grande, seduti a mangiare l’arrosto del venerdì»
«Sì, beh…»
«Non c’è bisogno che fingi, con me»
Liv si zittì, guardandolo con attenzione.
«Ci siamo sempre sputati tutto in faccia, McAdams, adesso sarebbe da ipocriti fingere. E non c’è nemmeno bisogno che mi racconti tutto, voglio soltanto sapere se stai bene o no riguardo Sirius perché per il resto so che non stai affatto bene ed è normale, purtroppo».
Le mani gelate di lei si riavvolsero al manico di legno, nervose; James notò i loro contorni soltanto grazie alla calda luce tenue proveniente dalla lontana porta aperta degli spogliatoi che arrivava a stento fin lassù.
«Che significa se sto bene o no riguardo “Sirius”?» chiese Liv senza spostare lo sguardo fermo ed un po’ più duro da lui.
«Lui si aspetta delle scuse, tu ti aspetti delle scuse… Oh, avanti, Liv non fare quella faccia da “ma che cosa stai dicendo, non me ne importa un accidenti”»
«Non avevi detto che non mi vedevi?»
«Questi due punti bianchi e leggermente luminosi davanti a me devono essere i tuoi occhi, giusto?»
«Presumo di sì a meno che tu non abbia fumato qualcosa di pesante prima degli allenamenti…»
«Si sono fatti più grandi dopo la mia frase, tipici della faccia “Ma che cosa stai dicendo, non me ne importa un accidenti” che su di te, in questo momento, non si addice per nulla perché tu le scuse da lui le vuoi eccome. Ho sentito la vostra litigata in dormitorio, ho sentito che ti sei avvicinata a Stevens e gli hai scritto dopo che Sirius ha flirtato con quella ragazza al supermercato».
Liv tacque un’altra volta, un po’ per la vergogna della bugia delle lettere a Ned che aveva propinato a tutti ed un po’ perché James sembrava vederla addirittura dentro e non soltanto esternamente al buio.
Avere a che fare con la schiettezza di James Potter non era mai stato un problema nemmeno quando gli argomenti erano stati insulti e ad essere sincera non lo era nemmeno in quel momento.
Il saper dire le cose in faccia era una qualità che aveva anche Liv e che in quell’ultimo periodo, si era accorta di cercare nelle persone; l’aveva trovata in Lily, Mary, James e soprattutto Sirius, senza stupirsi, dato che già dal primo anno era una delle cose che avevano scoperto di avere in comune. L’ennesima morsa allo stomaco la costrinse a serrare con forza le labbra e spezzare quel silenzio che la spingeva a pensare.
«Non capisco perché lui vuole delle scuse. Per aver nominato suo fratello e avergli detto che ne vale la pena più di lui? Beh, dovrebbe crescere un po’ e smetterla di fare la vittima che non è»
«Non conosci tutta la storia»
«E non mi interessa, James. Se sei venuto qui per farmi la predica e difendere il tuo amante segreto puoi benissimo andare a mangiare l’arrosto del venerdì con lui, al lume delle candele della Sala Grande».
Una folata di vento più forte piegò da un solo lato i neri capelli già scarmigliati di James che restò a guardarla, serio. Lei e Sirius erano davvero simili, per non dire identici.
«Sono d’accordo sul fatto che è lui il primo che deve scusarsi, secondo te perché ho ancora un contorno-occhio del colore della Pozione Polisucco con un capello di Mocciosus dentro?»
Liv si morse l’interno di una guancia, James la sentì sorridere.
«Quello che voglio dire è che per Sirius, “Minus” è diventato “Peter” soltanto dopo il quarantacinquesimo muffin, il primo sopravvissuto ad una notte sul suo comodino»
«Non ho mai studiato il Malandrinese, James»
«Sto cercando di dirti che sei cascata in pieno in una delle trappole di Sirius, che ti ha testata come ha testato Peter, me e Remus il primo anno, prima di fidarsi di noi».
I due occhi nella penombra davanti si assottigliarono, taglienti, e la sarcastica voce di Liv vibrò ancora nell’aria gelida.
«Adorabile. E questo suo comportamento simpaticissimo perché dovrebbe spingermi a scusarmi con lui?»
«Essere testata da Sirius significa interessargli. Quella ragazza al supermercato era una prova, era il muffin sul comodino. Non l’hai superata perché sei andata dritta da Stevens invece di dimostrare di essere gelosa».
James non riuscì ad interpretare il silenzio davanti a lui ma non ce ne fu bisogno perché con Liv non c’era da interpretare un bel niente, diceva tutto in faccia senza nessun problema.
«Sai perché non ho mai frequentato Divinazione, Jim?»
«Non ti piace il tè?»
«Perché l’unica cosa che si vede dentro quelle palle di vetro è il tuo stesso riflesso. Stessa cosa succede quando tenti di prevedere il futuro e le intenzioni degli altri: vedi le tue aspettative, vedi quello che vorresti vedere tu e cioè quello che non accadrà mai. Io guardo i fatti e i gesti così come la realtà me li fa vedere e non mi soffermo su cosa potrebbe esserci dietro perché non lo posso sapere, è soltanto un mio riflesso. Io ho visto Black flirtare con quella ragazza ed è questa la realtà».
Stavolta fu Liv a sentire un sorriso proveniente dall’oscurità davanti.
«Sono egoista, , ha ragione lui» continuò duramente «Sono come mia madre ed è per questo che mio padre è morto».
Mentre pronunciava le ultime sillabe un abbraccio arrivato all’improvviso dal buio la fece sbilanciare leggermente sul manico di scopa per poi sentirsi ben salda tra due braccia forti e protettive. Ed in quel momento, per la prima volta in assoluto, Liv si accorse che James Potter le era mancato.
James Potter che non brillava come la sua ormai scomparsa volpe-Patronus ma che era arrivato in quel buio che la circondava da un mese per assorbire e farsi carico del suo dolore almeno per un momento, lì a trenta metri da terra come nemmeno il volo riusciva più a fare.
 
 
 

 
*
 


 
 

 
 
«Lily»
«Cosa ci fai fuori dal tuo dormitorio dopo il Coprifuoco, prefetto Piton? Pensavo ti fossero bastati i dieci punti in meno dopo quella domanda inopportuna sul prefetto Lupin, giorni fa. Te ne devo togliere altri dieci perché gironzoli qui fuori? O vuoi che faccia direttamente rapporto al professor Lumacorno?»
Piton, al centro del corridoio dei sotterranei, restò in silenzio.
Aveva visto con i suoi occhi quanto erano cambiate le cose da settembre. Ad ogni luna piena lei e Potter erano sempre più complici ed uniti nel rispondere alla sua provocatoria domanda. Quel mese, addirittura, avevano trovato la stessa scusa nello stesso momento per poi scambiarsi occhiate fin troppo intime.
«Torna nella tua Sala Comune»
«Lily»
«Non siamo più amici, Piton, non hai più a che fare con la vigilia del mio compleanno». E dopo quelle amare e spietate parole, Lily si allontanò a passo deciso da lui ma una spinta prepotente nel petto del Serpeverde lo fece parlare di nuovo per tirare fuori la domanda che da settimane lo stava tormentando.
«Anche tu vuoi far parte dell’Ordine della Fenice?».
I passi nervosi di Lily si bloccarono all’istante.
«Ordine della che cosa? Fenice?» sbottò voltandosi di scatto verso di lui che arricciò lievemente le labbra sottili in un’espressione infastidita.
«Non far finta di non sapere» sibilò come se stesse provando un dolore profondo nel vederla mentirgli così spudoratamente «Se lo sa Liv, lo sai per forza anche tu»
«Chi te l’ha detto che vuole far parte dell’Ordine?» chiese velocemente Lily inchiodandolo sul posto con uno sguardo incredibilmente attento e perforante «Forse Avery?».
Piton serrò con forza la mascella, cominciando a respirare a fatica.
«Come ha fatto a saperlo?» lo sfidò a parlare Lily senza perdere la determinazione davanti a quell’ormai ennesimo silenzio da parte del suo ex migliore amico che dopo un momento d’incertezza parlò, rigido.
«Black e Potter gli hanno chiaramente detto che loro tre vogliono far parte dell’Ordine di Silente. In realtà è l’Ordine della Fenice, è così che si fanno chiamare».
Lily stette in silenzio come per assimilare l’informazione prima di attaccare di nuovo, decisa a tirargli fuori la verità.
«Non lo sa per altri motivi, no?»
«No».
Furono le labbra di Lily ad arricciarsi, stavolta, amareggiate.
«Sei sempre stato bravo a dire bugie, Severus» sentenziò con i due grandi occhi verdi colmi d’odio.
«Lily» la supplicò allora Piton afferrandole una larga manica della divisa.
«Non toccarmi e non chiamarmi Lily»
«Ti prego, ascoltami»
«Non ascolto gli amici degli assassini»
«Per favore, non unirti all’Ordine della Fenice»
«Per favore? Io ti devo dei favori, Severus?».
Piton boccheggiò, l’angoscia ad incupirgli lo sguardo.
«Dimmi, invece, tu fai già parte dei Mangiamorte?» fece Lily, secca, ignorando gli occhi neri spalancati.
«No» rispose Piton. Un bagliore fugace attraversò gli occhi di Lily che restò sul volto tetro del Serpeverde, per una volta privo di segni che rimandavano alle bugie.
«E adesso, dimmi. Se ti pregassi di non unirti ai Mangiamorte tu mi daresti retta?».
Il silenzio che seguì quella domanda non la stupì affatto.
«Vale lo stesso per le tue preghiere, Piton. Io mi unirò all’Ordine della Fenice anche se mi chiederai in ginocchio di non farlo»
«Verrai spiata, seguita, torturata, ammazzata come tutti quegli idioti che si fidano di Silente! Non potrai scappare, non potrai salvarti! Credimi, ti prego!» scoppiò Piton stringendo maggiormente le magre dita sulla stoffa nera di Lily che sollevò la voce tanto quanto lui.
«E tu verrai trattato come uno schiavo per spiarmi, seguirmi, torturarmi ed ammazzarmi!»
«Non lo farei mai!»
«Non potrai scapparenon potrai salvarti, Severus!».
Piton aprì la bocca per richiuderla immediatamente, il fiato corto e gli occhi frementi a tradire paura e frustrazione smisurate.
«Non unirti a Silente e io non dovrò fare tutto ciò!»
«Il problema sei tu, lo vuoi capire o no?! Non unirti ai Mangiamorte e non dovrai fare tutto ciò
«Perché non mi credi più? Perché credi a Potter?!»
«Io credo a chi mi dimostra di avere ragione, Severus» lo freddò Lily sollevando le sopracciglia rossicce e Piton, sorprendentemente rosso in viso, parve esplodere.
«Cosa ti ha dimostrato lui?!» sibilò in una smorfia come se avesse del veleno amarissimo ad invadergli la bocca.
«Prima di tutto che non c’entrava niente con lo scherzo sotto al Platano, non come mi hai detto tu»
«Se la stava facendo sotto per la paura di essere espulso da Hogwarts insieme a Black, Minus e Lupin!»
«Ha dimostrato che ti ha salvato dal lupo  alla fine del tunnerl sotto al Platano dopo che Black, esclusivamente Black, ti aveva detto come superare».
La smorfia sul viso di Piton si fece più accentuata, quasi grottesca.
«Che cosa?! E tu credi a queste idiozie?! Da quando credi alle idiozie di Potter!?»
«Potter che è rimasto più di un mese senza rivolgere la parola a Black, non di certo perchè hanno scampato entrambi l’espulsione»
«Non perchè la paura di Potter ha superato il loro istinto omicida e alla fine non sono morto come volevano? Come avevano organizzato!? Non perchè non sono arrivati fino in fondo per colpa della codardia di Potter che ha rovinato il piano!? Codardia e non eroismo!»
«L’unica cosa che tu mi hai dimostrato, più e più volte, è il tuo essere schifosamente bugiardo» lo zittì per un’ultima volta Lily con voce tetra e gli occhi verdi così gelidi da impedirgli di replicare «Lo sei sempre stato, fin dall’inizio, e l’ho capito soltanto due anni fa».

“È diverso se si è figli di babbani?”
“No, non è diverso”.
 
“Non ho bisogno dell’aiuto di una schifosa Sanguesporco!”.
 
«Ma è troppo importante per te far parte di quella banda di assassini che ti promettono di conquistare il mondo, di essere potente fuori da qui dove tutti ti hanno sempre preso in giro. Ti ho capito, sai? E mi disgusti perchè non capisci che là fuori potrai ricominciare tutto da capo non necessariamente con un cappuccio a anasconderti la faccia. Sei ancora in tempo per farlo».
Le ultime parole di Lily risuonarono alle orecchie di Piton come un eco surreale, insieme alla voce di James.
«Lily, tutto bene?» esordì il Caposcuola facendo la sua comparsa da dietro le sue spalle del Prefetto verde-argento, circospetto e con gli occhi nocciola fissi su di lui.
“Non toccarmi e non chiamarmi Lily”.
«Sì, James, tutto bene» rispose lei, negli occhi verdi una luce mai vista prima.
“Cosa c’è prefetto, Piton?”.
A quei nomi pronunciati con così tanta naturalezza, quasi affetto, lo sguardo di Piton si fece sottile, tagliente e colmo di un odio inimmaginabile.
«Il tempo è appena scaduto, invece» si ritrovò a dire senza neanche rendersene conto e senza fiato perché ogni cellula del suo corpo non aveva spazio per nient’altro a parte disgusto, rabbia, profonda tristezza. Lì davanti a lui c’era una chiarissima verità alla quale aveva tentato di non credere negli ultimi mesi. La sua paura più grande era diventata realtà ed era doppiamente peggiore di quanto aveva sempre immaginato.
Si voltò e se ne andò.
Lily, tutto bene?”
“Sì, James, tutto bene”.
Un dolore che toglieva il respiro e sconquassava il petto, le viscere, i polmoni, il cuore fino a strizzarlo così forte da farlo diventare secco. Non riusciva neanche a pensare, c’era soltanto dolore e vuoto, vero vuoto che lo rendeva cieco e consapevole del sempre più invadente senso di abbandono, tradimento.
Le magre e giallastre dita di Piton strinsero spasmodicamente la stoffa svolazzante della divisa, una formula sibilata con puro odio tra i denti, tra le sottili labbra strette: Sectumsempra. 
Quanto avrebbe voluto vedere sconquassato il petto, le viscere, i polmoni e il cuore di James Potter.
 
 

 
 
*
 
 


 
 
 
 

«Che voleva dire?» chiese James con un cipiglio ancora rivolto verso il fondo buio del corridoio in cui Piton era appena sparito.
«Non lo so» rispose Lily. C’era un’aria pesante che sapeva d’addio, un vero addio stavolta. «So solo che sono stanca di tutto questo» aggiunse in un tono così duro e deciso da attirare tutta l’attenzione di James che restò a guardarla intensamente ed in silenzio per qualche secondo prima di parlare di nuovo.
L’aveva raggiunta dopo aver visto il suo nome accanto a quello di Piton nella Mappa, l’aveva raggiunta perché l’elastico aveva tirato come forse non aveva mai fatto, l’aveva raggiunta per lo stesso motivo per cui guardava il suo nome sulla pergamena ad ogni ronda. Non aveva pensato a quella cioccolata ancora in sospeso tra loro due ma, in quel preciso momento, sembrava così giusto.
«Remus e il manuale di Difesa dicono che dopo un incontro ravvicinato con un Dissennatore il cioccolato fa miracoli».
Gli occhi verdi si spostarono irrimediabilmente su di lui, Lily sentì le labbra sollevarsi in un fugace sorriso senza sapere il perché, per il divertimento del paragone tra Piton e un Dissennatore oppure per una strana sensazione di benessere, come se si sentisse già meglio anche senza il cioccolato.
«Ho la Mappa». James non dovette aggiungere altro.
Pochi minuti dopo, quella stessa pergamena sventolata con aria malandrina se ne stava completamente aperta su uno dei quattro lunghi tavoli nelle Cucine, tra due tazze di cioccolata fumante ed un improvvisato muffin al caramello con un altrettanto improvvisata sottile candelina rossa ancora spenta.
James sorrise guardando da sopra gli occhiali Lily con il volto incorniciato dai lunghi capelli rossi scivolati in avanti e il naso lentigginoso immerso nella tazza, solleticato da una stecca di cannella.
Cioccolata con una stecca di cannella, caffè e una spruzzata di cacao, Burrobirra e un pizzico di zenzero, muffin ripieno di caramello e una spolverata di zucchero a velo e poi il tè con una goccia di miele: era così, Lily, aveva quel pizzico e spolverata di qualcosa in più che la rendeva diversa, più intensa.
«Non ti sei ancora fatto medicare quel livido» esordì lei posando la tazza sul tavolo.
«È un promemoria per Sirius» le fece sapere lui distogliendo l’attenzione forse troppo concentrata sul suo viso. Posò casualmente lo sguardo sulla Mappa, sollevandone una parte per far finta di controllare il terzo piano, vedendo muoversi soltanto il cartiglio di Argus Gazza. «Per ricordargli quanto è ridotto male per questa situazione con Liv»
«Credo l’abbia già capito, sai?» rispose Lily prima di prendere un altro sorso.
James la guardò di nuovo, interrogativo.
«Non mi sembra proprio si stia divertendo come tutte le altre volte» spiegò la sua ipotesi Lily senza allontanare la ceramica calda dalle labbra. «Credo voglia finire apposta in punizione perché pensa di meritare punizioni. Tipico comportamento autodistruttivo di chi si sente in colpa e pensa di non poter risolvere le cose».
Il silenzio davanti a lei e lo sguardo di James la spinsero a parlare ancora.
«Che c’è?»
«È strano»
«Cosa?»
«Tu che cerchi di capire Sirius e che ci riesci».
Lily fece spallucce e i capelli rossi parvero prendere mille riflessi alla luce del fuoco nel camino accanto a loro. «Non è difficile, si vede lontano un miglio quando prova qualcosa di vero, negativo o positivo» disse semplicemente riprendendo a sorseggiare la cioccolata sotto gli occhi attenti e accesi di James.
«Non riuscivo a capire, invece, come potessero esistere in lui due facce così diverse: il quasi assassino e il ragazzo che sente le mie stesse cose ma adesso ho capito» continuò lei senza distogliere gli occhi dalla Mappa per via dello sguardo davanti che si era fatto così penetrante e vigile da sentirlo addosso.
 «Io penso troppo. Io conservo una margherita secca, lui butta via un anello senza rimpianti».
L’espressione sul volto serio di James s’increspò un minimo al sentire la parola “margherita secca”, un bagliore attraversò il nocciola degli occhi fissi su Lily che riprese a parlare tamburellando casualmente le dita delle mani attorno alla tazza.
«Se soltanto smettesse di distruggere e cominciasse a pensare di avere qualcosa da proteggere. Prima però credo mi farò dare due o tre lezioni di menefreghismo perché ho perso la mia margherita e non riesco a darmi pace. È da stupidi, lo so».
Sarà stata la cioccolata, il profumo del muffin in attesa della mezzanotte per essere assaporato, il calore del fuoco e la sua luce dorata o quella sensazione di totale sicurezza che ormai sentiva in presenza di James ma si ritrovò a parlare di Petunia, del loro legame, del loro filo ormai spezzato dalla magia, della margherita che sua sorella aveva guardato con disprezzo quel lontano giorno d’estate. Accorgendosi della cosa, a fine racconto, abbassò gli occhi verdi giocherellando con la stecca di cannella dentro la tazza ormai vuota e tiepida senza notare James che le sorrideva in un modo così diverso dal solito, guardandola di sottecchi.
Lily risollevò lo sguardo, vedendolo distogliere il suo per dare un’occhiata all’orologio al polso, controllando l’ora ed alzandosi dalla panca con agilità.
«Potter?» lo richiamò, stranita.
«Aspettami qui, faccio veloce».
Fece davvero veloce. Cinque minuti dopo fu di nuovo da lei con un leggero fiatone, una mano tra i capelli e l’altra a stringere una piccola pergamena che le porse mentre si risedeva al tavolo.
Lily lo acciuffò, restandone incantata. Era un biglietto con i suoi disordinati ma sinceri auguri, la sua firma ma soprattutto la margherita secca accuratamente attaccata con dello scotch magico. Il fiore era lì, intatto, identico a come se lo ricordava.
«Dove l’hai trovata?» esalò guardandola con tanto d’occhi.
«Sotto il tavolo in biblioteca, quello della tua testata epica di mesi fa. Ti era caduto insieme ai libri e alla dignità ma io l’ho preso»
«L’hai tenuto per mesi?» chiese lei scoccandogli un’occhiata fugace.
«Ho pensato fosse importante. Perchè conservare un fiore secco sennò?» rispose James poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.
Lily non riuscì più ad evitare di osservarlo, si ritrovò a farlo con due occhi verdi luminosi, spalacati a metà tra il sorpreso e l’allibito, e la voce di John nelle orecchie.
“È solo un fiore, Lily, per giunta quello che tua sorella ti ha toldo dalle dita con una manata. È un bene che tu non ce l’abbia più sotto gli occhi, ti faceva star male e basta”.
«Avevo ragione?»
«Sì, per una maledetta volta nella tua vita avevi ragione, Potter».
Lily scherzava ma sembrava così colpita, così strana e soprattutto fissa su di lui.
«Non è da stupidi voler ritrovare un oggetto perso» proseguì James sistemandosi gli occhiali sul naso. «So cosa vuol dire sentire di riuscire a perdonare una persona anche se non capiamo i suoi gesti orribili. So cosa vuol dire conservare una margherita secca, Lily».
Si riferiva a Sirius e al suo scherzo a Piton, si riferiva al fatto che Sirius era ancora il suo migliore amico nonostante il gesto folle e del tutto opposto alla sua morale, si riferiva al fatto che capiva il desiderio di Lily di ritrovare quella margherita, di perdonare sua sorella nonostante tutto se soltanto lei avesse fatto il primo passo come spedirle una lettera con i suoi auguri di compleanno più sinceri.
E Lily capì lui senza però capire il suo cuore che aveva cominciato a battere veloce.
«Tu e Black siete davvero fratelli» sentenziò, internamente spaventata, raschiando distrattamente il fondo della tazza con la stecca speziata.
«Io sono quello uscito meglio» precisò lui. Lily, grata per quel cambio d’argomento, sollevò un sopracciglio rossiccio lanciandogli la cannella e sporcandogli il maglione mentre i nomi dei Prefetti sulla Mappa dimenticata ritornavano nei rispettivi dormitori.
«Sai, ho sempre passato la notte della vigilia del mio compleanno con Piton»
«Per Godric, Evans, questo è il peggior insulto che tu mi abbia mai rivolto!»
La risata di Lily scoppiò spontanea così come non aveva mai fatto e James restò a guardarla, gli occhi brillanti dietro gli occhiali ed un largo sorriso sulle labbra.
«Volevo dire che sei un amico, Potter»
«Oh! Anche questo è un altro insulto! Non ci smentiamo mai, eh, Evans?» Nella sua voce sembrava esserci una nota incrinata alla quale Lily cominciò a far caso.
«Accontentati, Severus… scusa, James» si corresse, scherzosa e ridente davanti alla faccia fintamente indignata di quello.
«Che voleva, a proposito?» buttò lì James controllando di nuovo l’ora.
Lily poggiò il mento sul dorso di una mano, spostando con finta noncuranza gli occhi verdi verso un punto imprecisato della grande cucina.
«Comandarmi, mentirmi, confermare di voler diventare un Mangiamorte. Niente di nuovo, insomma» rispose come se stesse parlando del tempo. «Ti sembro debole, Potter?» chiese all’improvviso spiazzando James che con le sopracciglia aggrottate sopra la montatura rotonda rimase a fissarla per diversi istanti.
«Mi sembri pazza, Evans» dichiarò sinceramente «Sei tutto fuorché debole, da sempre»
«Perché tutti sembrano non fare altro che ripetermi che in questa guerra io creperò» sbottò lei sentendosi libera di sfogarsi per zittire la voce di Piton e quella di John che si accorse di non aver affatto digerito.
«Il distintivo che hai sul petto non può togliertelo nessuno perchè ce l’hai dentro» fece James con incredibile decisione quando Lily finì di elencargli le parole usate dal Corvonero e il Serpeverde che, a giudicare dalla paura negli occhi verdi, avevano instillato un’infida insicurezza in lei.
«Non andrai dalle stelle alle stalle dopo il diploma, Lily, questo è certo. Quella spilla da Caposcuola te l’hanno data per le caratteristiche che hai dentro. Il tuo talento, la tua bravura con gli incantesimi e le pozioni, la tua determinazione, la tua forza, il tuo coraggio, il tuo saperci fare con le persone, la tua personalità originale e il tuo carattere tosto sono tutte cose che hai dentro e che nessun Mangiamorte può portarti via o distruggere. Nessuno può distruggere una spilla fatta di queste cose, Lily, l’avrai sempre appuntata al petto ed anche là fuori tu sarai straordinaria, intelligente, sveglia, coraggiosa, forte, la più brillante fra tutte».
Non aveva bevuto, no? Non aveva un goccio d’alcool in corpo eppure cos’aveva detto? James, immobile sul posto e rigido come i ceppi scoppiettanti nel camino, si zittì all’istante esattamente come aveva fatto Lily da quando quel monologo aveva cominciato a vibrare con fervore nell’aria.
Lily che, come presa dal panico, sentì la necessità di scappare lontano da quello sguardo che aveva appena capito essere la causa della debolezza alle gambe, lontano da quel James Potter che sembrava non avesse nessun dubbio riguardo le sue capacità di sopravvivenza e di combattimento come se per lui fosse normale vederla sfidare Voldemort, normale che lei se la sarebbe cavata. Ed avere qualcuno che pensava che se la sarebbe cavata la faceva davvero sentire bene.
Solo, era così strano fosse James Potter. James Potter così fiducioso di lei, certo che potesse farcela.
Sembrava un discorso pre-partita, quello, sembrava di essere negli spogliatoi con il Capitano a darti la carica e a farti capire che se sei nella sua squadra è perché sei la migliore, che ce la farai senza alcun’ombra di dubbio a picchiare forte quel bolide, parare quel tiro, lanciare dentro l’anello quella pluffa ed acchiappare il boccino.
Era una sensazione meravigliosa che spazzava via la terribile paura dell’Ordine della Fenice tanto quanto la luce della candelina che si accese davanti a lei spazzò via la penombra tra il suo volto e quello di James.
«Avanti, Evans, un desiderio» l’incitò lui avvicinandole il muffin perché la lontana campana della Torre dell’Orologio scoccava la mezzanotte e anche perché se fosse rimasto immobile un secondo di più era certo sarebbe sprofondato nei sotterranei e poi nel Lago Nero.
Lily sorrise senza accorgersene, impettendosi per lo stesso motivo. L’unica cosa che le venne in mente mentre fissava la fiammella sotto al suo naso fu di poter rivivere quel momento, quella leggerezza, quella sensazione di totale fiducia, sicurezza e potenza che non seppe nemmeno spiegare a se stessa.
Soffiò sulla piccola ondeggiante lingua di fuoco riflessa sulle lenti rotonde degli occhiali davanti, senza sapere che quel riflesso ci sarebbe stato anche l’anno dopo e quelli dopo ancora.
Dopo essersi divisi il muffin, lasciarono le Cucine ringraziando gli elfi e sotto al Mantello dell’Invisibilità risalirono i sette piani del castello fino alla torre dei Grifondoro.
James si limitò ad una buonanotte mormorata in un sorriso prima di fare le scale a chiocciola del dormitorio maschile e Lily, invece, restò impalata al centro della Sala Comune sentendo qualcosa mancare in quel saluto.
 







 
 
 
 
 
 
Note brevissime:
La professoressa di Divinazione è il contrario della Cooman 😂 Per questa tutto andrà bene. Ovviamente lei non è una vera veggente, anche per questo quando andrà in pensione nel 1980, Silente penserà di eliminare la materia dal programma di Hogwarts. Sibilla Cooman gli farà cambiare idea come ben sappiamo.

La margherita simboleggia la pazienza, la verità, la promessa di un amore fedele, la prova di affetto sincero; tra innamorati è la confessione e il pegno di un sentimento eterno.
L’ho trovata perfetta per James e Lily, in questa storia si può considerare il loro fiore. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** 42. Buon Compleanno L.E. ***


Capitolo 42

BUON COMPLEANNO L.E.
 






 
 
«OH! SIRIUS, NON FERMARTI!».
Il grido appositamente femminile di James fece sobbalzare e svegliare di botto Sirius, affannato e sdraiato supino sul letto con la testa staccata dal cuscino e il viso coperto dai lunghi capelli neri.
James gli rise sguaiatamente in faccia.
«Chi cavolo stavi sognando?!» lo prese in giro ad un centimetro dal suo naso.
Con uno scatto della testa, Sirius si scostò i ciuffi di capelli dalla faccia spaesata, sudata e confusa. A giudicare da quella esilarata del suo migliore amico, dalle grosse risate di Peter e dal rossore sul volto di Remus doveva essere successo qualcosa di sconveniente.
«Perché?» sbottò bruscamente con voce roca alzandosi dal materasso senza riuscire a nascondere il suo essere stravolto.
Nessuno gli rispose mentre girovagava tra i baldacchini raccattando la sua roba sparsa per la stanza.
«Ehm, Sirius…» pigolò Peter, provando a stare serio.
«Cosa» scattò ancora lui, teso come ogni nervo del corpo.
«Hai la bacchetta in modalità Wingardium Leviosa e lo sai» lo informò James cercando di mantenere un tono di voce più casuale possibile nonostante i risolini mal trattenuti di Peter e gli sbuffi di Remus alle sue spalle.
«Che cavolo stai dicendo?» borbottò distrattamente Sirius raccogliendo i jeans neri da terra il più in fretta possibile.
«Siamo tornati al terzo anno?» lo sbeffeggiò James con un largo sorriso divertito osservandolo coprirsi il cavallo dei boxer con gli indumenti. «Stai ricominciando a sognare Madama Rosmerta?»
«Non dircelo» lo bloccò all’istante Remus, incapace di resistere ancora. I racconti dei sogni pornografici di Sirius affascinavano da sempre James, facevano ridere convulsamente Peter mentre a lui scaturivano la voglia di tagliarsi di netto le orecchie.
«Almeno io funziono» se ne uscì con noncuranza Sirius prima di chiudersi in bagno.
«Sappiamo cos’hai fatto ieri sera» gli gridò James dalla stanza, nella voce divertita dalla precedente battuta non c’era nessuna nota sorpresa ma soltanto orgoglio, come se James nelle tre settimane precedenti non avesse fatto altro che aspettare quel momento che sapeva sarebbe arrivato, prima o poi. Sul profilo riflesso nello specchio sopra il lavabo spuntò un sorriso accennato.
Sirius non era sorpreso del tono per niente sorpreso di James.
«Codaliscia l’ha sentito durante la loro riunione pre-allenamenti ‘’segreti’’ notturni» aggiunse James dietro la porta chiusa.
Ed ecco perché lo scornuto e gli altri due avevano ricominciato a rivolgergli la parola.
Gettò una maglia bianca sul lavabo mentre la voce del suo migliore amico confermava la teoria.
 «A noi basta ma a lei no, non lo sa nemmeno. Devi parlarle e dirglielo chiaro e tondo. Non parla Malandrinese e non frequenta Divinazione, parole sue»
«Non ho intenzione di tradurre»
«E allora mi ‘spiace dirtelo, Felpato, ma se la vuoi devi mettere da parte l’orgoglio»
«Io non la voglio, James»
«Quello che hai fatto dimostra tutto il contrario, Felpato, ed è così palese e chiaro che lo capirà anche lei appena lo verrà a sapere»
«Ho fatto quello che andava fatto»
«L'hai fatto perché senti di volerla eccome. La vuoi e la vuoi proteggere nonostante tutto, nonostante il litigio pesante, nonostante l'esservi mandati al diavolo. E sai cos'è quello? Amore»
«Non osar...»
«E prima James ha detto orgoglio, Sirius, non dignità»
«È la stessa cosa, Remus»
«No, non lo è. Dirle la verità, dirle che quella ragazza non ti interessava, ma l’hai fatto soltanto perchè volevi vedere se era gelosa come lo sei tu perchè ci tieni tanto da avere una paura folle non è buttare la tua dignità, è essere sincero con i tuoi sentimenti per una buona volta».
Il silenzio dietro la porta del bagno fece sorridere furbescamente James.  Peter si girò vittorioso verso Remus, rivolgendogli un pollice sollevato.
«Dopo sarai sempre tu, tranquillo» riprese ironicamente Remus. «Invece che perdere dignità ne avresti molta di più. Fino a quando non imparerai a mettere da parte l’orgoglio, Sirius, distruggerai sempre tutto ciò che toccherai. E qui non c’entra niente Liv, non c’entra Ned Stevens e non c’entra nemmeno Regulus. C’entri tu e basta. Devi distruggere quello che non ti piace e non quello che ti piace, non lei»
«Preghiamo» s’intromise James in tono teatralmente solenne. «Ascoltiamo il saggio Lunastorta che ha sempre ragione, fratelli»
«E tu vedi di non rovinare tutto proprio adesso, con Lily. L’alcol ti ha fatto agire come fai sempre con noi, sei stato il vero te stesso e le seipiaciuto».
Alle ultime parole di Remus, la scherzosa estasi sul volto di James si trasformò in oltraggio.
«E ne ha sempre una per tutti, fratelli» rise Peter aggiungendo un aggettivo alla santa figura del Saggio mentre la porta del bagno si apriva e una saponetta volava dritta in direzione di Remus.
«Impara a limonare prima di sparare consigli!» gridò Sirius, una nota vibrante nella voce ad informare che stava sorridendo divertito.
«Adesso si crede chissà chi dall’alto del suo trono dorato da “Ragazzo di Mary”!» l’appoggiò James scimmiottando l’unico fidanzato nella stanza.
Peter rise di gusto. Tutti risero di gusto, in realtà felici di vedere le paranoie di Remus finalmente sparite.
«Dove le hai lette quelle soluzioni amorose? Sul Settimanale delle Streghe che tu e Mary leggete mentre vi fate le unghie?» iniziò James fintamente curioso, un sorriso femminile e le mani sui fianchi a trasfigurare la sua figura maschile.
«Ecco cosa fanno invece di far cigolare il letto» l’appoggiò immediatamente Sirius riportando la vecchia atmosfera nel quartetto. Remus sorrise, scuotendo la testa rivolta al pavimento.
James e Sirius erano tornati. La risata di Peter scoppiò a dare voce anche alla sua felicità.
«Che strega sei, Remus?»
«Profilo autunno o primavera?»
«Io dico primavera, Felpato»
«Dici? Forse hai ragione, la fantasia floreale gli ha sempre donato molto»
«Continuate pure» esordì tranquillamente Remus alzandosi dal suo letto in ordine «Intanto io adesso vado a pranzare con la mia ragazza che posso baciare quando voglio e che nessun’altro mi ruberà»
«Veniamo anche noi, lasciamo Sirius alla sua "privacy sotto la doccia"» annunciò divertito e malizioso James circondando le spalle di Peter con un braccio, mentre Sirius si chiudeva un’altra volta in bagno. Remus mugolò un "vi prego basta" che fece ridere perfino se stesso.
Era sabato e la maggior parte degli studenti avevano saltato la colazione per poter dormire fino a tardi, come Sirius. La Sala Grande, per questo, era più chiassosa del solito e il cibo nei vassoi andava letteralmente a ruba.
«Oh, no, avete finito tutte le costolette!» si lamentò Peter prendendo posto accanto a Liv, intenta a versarsi da bere.
«Cosa stavate aspettando a scendere?» gli disse lei prendendo una costoletta dal suo piatto per dargliela con un sorriso aperto. Peter, radioso, la prese al volo ringraziandola più volte per il “salvataggio”.
«Dov’è la festeggiata?» chiese Remus baciando Mary su una guancia gonfia di cibo. Lei indicò con la forchetta il tavolo dei Corvonero.
Lily era seduta lì, accanto a John, i capelli rossi sciolti sopra un grosso e largo maglione giallo che la rendeva più luminosa del solito. James l’osservò ridere e parlare con il ragazzo, con gli altri Corvonero e con tutte le persone che si fermavano a farle gli auguri.
«Dicevo sul serio prima» gli mormorò Remus, seduto al suo fianco.
James distolse lo sguardo da lei per portarlo sul suo amico.
«Non sbagliare proprio adesso, Ramoso»
«Cosa sto facendo di sbagliato?»
«Non le hai fatto gli auguri, non ti sei nemmeno avvicinato a lei»
«Sono stato il primo a farle gli auguri e poi, guardala, ad ogni suo compleanno non è mai da sola»
«Prima o poi dovrai darle il regalo, no?»
«No»
«Perché?»
«Perché molto probabilmente diventerei davvero il sostituto di Piton».
Remus bloccò coltello e forchetta, guardandolo stranito. James aveva la stessa espressione di quando era tornato in dormitorio dodici ore prima: serissima e leggermente alterata.
«Il tuo regalo le piacerebbe davvero molto, ne sono certo» insistette Remus, a favore della verità.
«Non voglio essere suo amico, Lunastorta» liquidò freddamente la questione James acciuffando una fetta di pane dal vassoio che levitava davanti a loro.
Gli occhi ambrati di Remus restarono ad analizzarlo attentamente, sperando vivamente stesse scherzando.
«È peggio» riprese James infilzando una patata ripiena.
«Cosa è peggio?»
«Esserle amico»
«Ok» fece Remus lentamente, per niente convinto e del tutto sarcastico.
«No, “ok” per niente» disse James tra le voci allegre e il tintinnare delle posate nell’intera Sala. «Preferivo pensare di non avere possibilità invece di esserne proprio certo»
«Chi ti dice che tu non possa avere una possibilità?» s’inserì Mary affacciandosi oltre Remus. James le scoccò un’occhiata indispettita da sopra gli occhiali per aver origliato quella conversazione privata ma anche curiosa per quello che aveva detto. Perfino Liv, davanti a lui, lo guardò in modo più che eloquente masticando a bocca chiusa.
«Le piace il tuo sedere, solo amico» lo informò dopo aver deglutito, trattenendo una risata di fronte alla sua espressione indecifrabile.
«Alza il culo da lì, Ramoso» esordì bruscamente Sirius, facendo la sua improvvisa comparsa dietro di lui.
Si allungò verso il tavolo facendolo piegare a forza sul piatto per prendere due panini e delle salsicce sotto lo sguardo di Liv che si era incupito al suo arrivo. Poi se ne andò, così com’era arrivato.
James bevve un lungo sorso di succo di zucca, salutò e si alzò per raggiungere l’amico senza accorgersi del paio di occhi verdi che lo seguirono per tutto il tragitto tra i tavoli fino a quando non sparì dietro la grande porta della Sala Grande.
«Che facciamo stasera?» chiese svoltando nella stessa direzione che aveva preso Sirius lanciandogli il panino alla salsiccia improvvisato e un fugace sguardo da “Sei scemo o cosa?” in risposta.
«Visita a Rosmerta?» continuò James come se niente fosse, addentando il pane imbottito. «Per rendere i sogni realtà» lo stuzzicò, allusivo ed ammiccante, dandogli una spallata che lo fece barcollare di lato di qualche passo.
«Non c’è bisogno di tenermi lontano dalla festa, Scornuto, ho già deciso da solo che ne starò fuori» sentenziò Sirius riprendendo a camminare dopo averlo guardato di traverso come se fosse pazzo. «A parte il fatto che sarò in punizione, non sono io la migliore amica della festeggiata, la Sala Comune stasera spetta a lei di diritto» spiegò addentando anche lui il “pranzo”.
«Non vedo come questo vada contro la mia proposta di prima» fece James con la bocca piena.
«Non fare il coglione. Tu vai alla festa di Evans» lo stroncò Sirius. La mezza risata di James in risposta era un tipico “piantala di sparare cazzate”.
«Le uniche cazzate, qui, sono le tue» disse infatti Sirius svoltando a sinistra per salire le scale «Se davvero tu non vai a quella fottuta festa sei un coglione»
«Perché mai dovrei andare? Per vedere John Owen Lo Scemo fare lo scemo?»
«Quanto sei coglione da te a Mocciosus nella scala del Coraggio Ridicolo che ti ricordo essere positivo?»
«Non vedo come una scala che ha Mocciosus come punto massimo positivo possa definirsi valida»
«Lui ha il coraggio di alzarsi dal letto la mattina e farsi vedere dalla gente, tu vuoi mollare Evans soltanto perché è fidanzata. O adesso ti porti a letto qualcuna oppure vai a quella maledetta festa. Non puoi restare impalato a fare niente, non dopo aver detto di essere innamorato, non dopo avermi fatto imparare a memoria gli orari delle lezioni di quei due»
«Ma che… ?»
«Sei innamorato? Prenditi Evans e non scassare. Non sei innamorato? Puntane una e ti farò da spalla, da quanto sei arrugginito potresti rimorchiare soltanto una sedia»
«Ma vaffanculo»
«Scegli e non rompere i coglioni»
«Oh, vedi di darti una calmata e di smetterla di dire coglioni un numero di volte maggiore a quello dei coglioni presenti o mi fai venire il dubbio che quelli che nomini in più tu ce li abbia in mente, di chissà chi»
«Coglione»
«Forse quelli di Morgan? Lo guardavi in modo strano l’altro giorno. Devo fondare anche l’Associazione Giocatori Appetibili?»
«Decidi» fece in una mezza risata Sirius non riuscendo più a trattenere un largo sorriso divertito «La lista anti rimbecillimento funziona così, prendere o lasciare, coglione»
«La lista dev’essersi rincoglionita perché mi sembra che andare alla festa di Evans mi faccia apparire più che rimbecillito»
«Non andarci sarebbe da rimbecillito»
«Perché non mi hai invitato a fumare la canna che ti sei fatto in bagno, Felpato?» fece James guardandolo con un ironico sorrisino stampato sul volto più vicino a quello dell’amico, perché il comportamento di Sirius non poteva che essere frutto dell’erba.
«Perché pensavo ti bastasse quella che ti sei fatto tu prima di portarmi via dalle gambe Olivia nuda».
James sghignazzò, malizioso e per niente sorpreso dalla protagonista del suo sogno erotico.
«Da quando vuoi vedermi insieme a Minerva Seconda?» cambiò argomento senza perdere il sorriso.
«Si è divertita con te ubriaco, ha spiato qualcuno sotto al Mantello dell’Invisibilità con te, ti ha preso per il culo allo Specchio, ha mentito per te alla McGranitt e con te al Preside, ti ha difeso dagli insulti di Mocciosus, ti ha coperto le spalle in uno scontro di bacchette, si è schierata dalla tua parte e da quel giorno la sua bacchetta non è mai mancata, ti ha messo in mano la tua prima che tu potessi anche solo accorgerti di non averla portata con te davanti al pericolo, ha rischiato di morire per te e ti ha salvato la vita più volte».
James lo guardò intensamente. Sirius aveva consapevolmente elencato le cose che lui stesso aveva fatto negli anni, per lui.
«Le manca ancora svegliarsi nella tua stessa stanza la mattina di una partita senza ucciderti, sopportarti quando sei malato, condividere il bagno con te senza toglierti l’uso delle gambe, pararti il culo rimettendoci, dare e prendere pugni per il tuo onore ed un altro bel paio di cosette ma come mio vice con il bonus “sesso”, per adesso, è ok».
James parve riflettere, concentrato come non mai, gli occhi nocciola fissi in quelli grigi rivolti davanti a loro. Messa in quel modo, Lily sembrava quasi innamorata di lui.
«Allora? Vuoi andare alla festa o scoparti la prima tizia di Hogsmeade che ti attizza?»
«Vado alla festa»
«Bravo. Anche perché in realtà stiamo andando a prendere gli alcolici. Pensavi che ti avrei lasciato a secco? Coglione» lo sbeffeggiò Sirius infilandosi dentro la gobba della Strega Orba. James lo seguì, un sorriso a stirargli le labbra subito oscurate dal buio del passaggio segreto.
«Ma appena esci dalla sala torture mi raggiungi nella versione Gramo altrimenti col cazzo che ti lascio da solo a fumarti gli spinelli migliori».
Un tonfo, un’imprecazione a Salazar da parte di Sirius e la risata vendicativa di James furono le ultime cose che si sentirono prima che la statua si richiudesse.
«Coglione».
 
 
 
 
*
 
 

 
 
 
«Senti, sono Caposcuola e prima o poi ne dovrò approfittare» rise Lily avanzando sulla neve con meno difficoltà adesso che si erano avvicinati alla riva sassosa e bagnata del Lago Nero, non più ghiacciato da giorni.
Aveva smesso di nevicare e tra le nuvole si potevano scorgere pezzetti di cielo azzurro ma il gelo irrigidiva ogni muscolo sotto i mantelli pesanti.
Era sempre stata una pecca del giorno del suo compleanno, a differenza di quello di Mary sempre accompagnato da fiori di ogni colore e quello di Liv che vantava sole e soffio delle candeline sotto brillanti cieli stellati.
«Non c’è scritto da nessuna parte, anzi, nel regolamento trovi il contrario» le rispose in una bassa risata John, stringendole la mano guantata che non l’aveva lasciata nemmeno per un attimo da quanto erano usciti per quella passeggiata in solitaria.
«E dai, un Corvonero nella Sala Comune dei Grifondoro non farà saltare in aria Hogwarts» lo rassicurò Lily con ironia.
«Che ne sai? Magari Godric Grifondoro ha in serbo per me un benvenuto per nulla piacevole. Il Medioevo non scherzava»
«Tu sì, spero» lo prese in giro lei, ridente, dandogli una leggera spallata verso il lago senza sciogliere l’intreccio delle mani. Un’increspatura sulla superficie piatta dell’acqua fece intravedere la punta di un tentacolo della Piovra Gigante, di nuovo libera di salire in superficie.
Anche John rise, prima di rimettersi dritto fermando la camminata.
«Non voglio metterti nei guai, Lily»
«Non mi metti nei guai, sono io che metto nei guai te»
«Ma sentila! E non t’importa?». Il sorriso incredulo di John la contagiò.
«No, perché ho un ottimo piano che include due Auror fidatissimi per riportarti alla tua torre sano e salvo, senza darti problemi con Gazza e Mrs. Purr»
«Oh, grazie, mio salvatore!» pigolò lui con voce acuta, atteggiandosi a donzella non più in pericolo. Lily rise e John la strinse a sé, baciandole il naso arricciato dalla risata e rosso per il freddo.
«Allora, vieni alla mia festa da maggiorenne babbana?» chiese lei circondandogli la vita con le braccia.
«Non posso entrare nella tua Sala Comune, Lily».
La piccola nuvola di vapore data dal sospiro esasperato di Lily gli nascose per un attimo il profilo.
«Pandora non si è messa alcun problema quando gliel’ho chiesto»
«Sappiamo tutti che lei non se li mette mai»
«Ned Stevens e gli altri pochi Tassorosso che ho invitato hanno accettato subito»
«Loro pensano che Godric Grifondoro aveva una tresca con Tosca Tassorosso, credono di essere i benvenuti. Nessuna ghigliottina da parte della Signora Grassa, per loro».
Lily rise, afferrando gli estremi della sciarpa blu-bronzo che John le aveva messo al collo prima di uscire dal castello per simulare uno strozzamento.
«Aiuto! Priscilla Corvonero mi vuole morta perché sto indossando la tua sciarpa!» pigolò con un filo di voce e un’espressione morente.
John rise di gusto, afferrandole le mani per liberarla.
«Se l’avessi saputo prima avrei organizzato tutto in Sala Grande» scherzò Lily sollevando gli occhi verdi al cielo mentre John continuava a ridere sistemandole la sciarpa.
«Tu al tavolo Corvonero, ovviamente, da solo»
«Finiscila di prendermi in giro»
«Te lo meriti»
«Ok, farò la cavia Corvonero ma tu non meriti il mio regalo».
Lo sguardo smeraldino di Lily si soffermò su quello ridente di lui. Il verde si fece così fremente che Lily stessa si autogiudicò esagerata quando si accorse di star muovendo febbrilmente le ginocchia sotto il lungo mantello.
«D'accordo. Niente regalo, ma tu metterai piede nella mia Sala Comune stanotte. A meno che il regalo non sia un muffin al caramello, in quel caso cambierebbe tutto». Ma qualcosa nel petto stava andando in fibrillazione, un ribollire di emozioni improvviso come se improvvisamente fosse arrivato un momento importante, molto più importante del semplice ricevere un regalo di compleanno. Era ridicolo.
Restò ad osservarlo mentre armeggiava sotto al mantello, alla ricerca di una scatolina argentata che tirò fuori pochi istanti dopo.
A quella vista, la tensione in Lily aumentò senza darle una minima spiegazione fino a quando le dita fredde di John non sollevarono il coperchio infiocchettato e nessun anello fece la sua comparsa.
La strana sensazione pressante di Lily si trasformò subito in immensa delusione.
Immediatamente si accorse di aver voluto vedere l’anello.
«Ti piace?» le chiese John prendendole un braccio per armeggiare con la manica del suo maglione giallo sotto il mantello nero.
«Molto» rispose lei guardando il sottilissimo braccialetto d’oro attorno al suo polso.
Le piaceva davvero.
 
 
 
 
 
 
*
 
 

 
 
«Liv» la chiamò in tono pacato Remus.
«Mh?» mugugnò pigramente lei con gli occhi chiusi, senza staccare la fronte dalla mano che le reggeva la testa.
«Posso sedermi?»
«Mh-mh»
Alla risposta affermativa, Remus spostò un cuscino sul divano della Sala Comune per sedersi al suo fianco, vicino alle ginocchia coperte da un paio di jeans neri e una rivista aperta.
«Non stavi dormendo, vero?»
«Mh-mh»
«Meno male»
«Mh»
«Se parlo mi ascolti?»
«Mh-mh»
«Ok. Perché ho qualcosa di importante da dirti».
A quella strana frase, Liv sollevò il viso aprendo gli occhi e portandoli verso di lui.
Remus la osservò per qualche istante, sembrava priva di energie, esausta. Le si era avvicinato proprio per quel motivo.
In quei pochi momenti in cui appariva sorprendentemente indifesa, come se le forze che usava per farsi forza ogni giorno venissero meno per qualche istante, il bisogno di parlarle si faceva pressante in lui.
 «Stavo facendo riposare gli occhi, non voglio addormentarmi durante la festa» spiegò Liv passandosi due dita sopra le palpebre prima di riportarsi alla bocca la stecca di liquirizia che prima di estraniarsi dalla realtà stava mangiucchiando mentre leggeva la rivista sulle ginocchia. «Ho insistito io per farla, sarei davvero cretina se cascassi come una pera allo spegnimento delle candeline. I diciotto anni sono importanti tanto quanto i diciassette e Lily non può non festeggiare la sua altra metà maggiorenne».
Remus accennò un sorriso sincero ricambiando il suo, appesantito dall’insonnia.
Ne era certo perché quell’ombra sotto gli occhi era la stessa sotto quelli di Sirius che ogni notte sbuffava con stizza nel buio, rigirandosi nel letto, alzandosi a fumare, sdraiandosi di nuovo, rialzandosi subito dopo.
«Senti…» iniziò Remus facendo vagare con imbarazzo lo sguardo sulla Sala Comune per fermarlo poi su Mary, intenta a sistemare la torta sul tavolo sotto la finestra adocchiato con fare eccitato dai compagni di Casa che uscivano dalla torre per andare a cena, impazienti di festeggiare.
«Questa è di vitale importanza! Non è vero, Peter?» stava dicendo la bionda sistemando il cibo attorno.
«Mai stato più d’accordo di così su qualcosa» le rispose Peter intento a scendere gli ultimi gradini della scala maschile, al rallentatore per via del Preziosissimo Giradischi di Sirius tra le braccia.
Liv, immobile con la stecca di liquirizia in mano, restò a fissare in perplessa attesa Remus che non si decideva a parlare.
«Ti è arrivato in anticipo?» gli chiese allora in un sussurro mentre lui si massaggiava con pollice e indice i lati del naso, vicino agli occhi spalancati.
«E ti serve un assorbente» gli mormorò chinandosi verso di lui con ironico fare confidenziale.
Lo sentì sorridere, divertito, prima di vederlo togliersi le dita dalla faccia e guardarla, ridente. Non c’era alcun dubbio che fosse imbarazzato ma almeno il disagio maggiore sembrava essere sparito.
Nonostante la soddisfazione per quel traguardo, Liv non riuscì proprio ad immaginare cosa caspita aveva da dirle.
«Non era questo che volevi dirmi?» gli chiese in una bassa risata senza allontanarsi dal suo viso.
«No» fece lui cercando di fermare la sua.
Liv scosse la testa con un largo sorriso, riaddentando la liquirizia e rimettendosi comoda.
«Dato che la partita sarà soltanto fra due settimane, che Sirius non lo dirà mai e che siete entrambi due stracci…» iniziò Remus, fermandosi un attimo perché a quel nome lei si era irrigidita diventando tremendamente seria. «Voglio dirtelo io adesso perché so benissimo come ti senti per colpa sua e…» Si fermò ancora una volta, un profumo dolciastro nell’aria aveva fatto arricciare il naso ad entrambi che si voltarono nella stessa direzione portando lo sguardo oltre la spalliera del divano.
Un grande mazzo di gigli bianchi nascondeva la faccia di Lily.
«Oh, non ci posso credere! Peggio di quanto credevamo, Liv!» commentò Mary inorridita dalla banalità di quei fiori.
«No, questi sono il regalo di Lumacorno» rispose atona di Lily da dietro quella marea di petali lanceolati.
«Ah»
«John si è limitato ai mughetti».
L’altra mano di Lily mise in mostra un mazzo di fiori candidi, molto più piccoli e delicati. Mary, ormai vicina al divano, li scrutò come se fossero un’allucinazione.
«L’opzione meno patetica» osservò Liv arcuando le sopracciglia, anche lei sorpresa dal Corvonero.
«Già»
«Sono quelli del tuo profumo»
«Già»
«I tuoi preferiti»
«Già»
«L’hai lasciato»
«Già».
Gli occhi ambrati di Remus si spalancarono, allibiti. Si alzò dal divano, sentendosi di troppo, e a grandi falcate raggiunse il Preziosissimo Giradischi di Sirius in bilico tra le mani di un Peter sudato ai massimi livelli che vedeva la sua intera vita passargli davanti.
«Ti ha regalato l’anello quindi» dedusse Mary fissando inquisitoria i gigli come se potesse trapassarli e vedere il volto dell’amica.
«No» rispose lei e l’espressione impassibile di Liv si fece sbalordita.
«E allora
«Un bracciale che mi piace molto»
«Oh, wow, è stupendo» commentò in tutta sincerità Mary osservando il delicato filo d’oro ondeggiare elegante al polso che Lily stava muovendo appositamente.
«Già»
«Volevi l’anello» disse Liv in tono piuttosto convinto.
«Già»
«Per rifiutarlo ed avere una scusa per chiudere»
«Già»
«Come mai?» le chiese Mary, la voce fintamente ingenua e il viso inclinato.
«Non lo so»
«Sì che lo sai, Lily»
«John non mi piace tanto quanto il bracciale»
«Ti piace tanto quanto l’anello» le tolse le parole di bocca Liv.
«Già»
«Stai dicendo che non ti piace John, lo sai?» mise in chiaro Mary, una luce a brillare negli occhi nocciola.
«Già»
«Come ti senti?»
«Confusa. Fino ad un’ora fa mi piaceva».
Liv sorrise mollando liquirizia e rivista sul divano per alzarsi e raggiungerla.
«Io non volevo l’anello e non l’ho ricevuto. Mi ha regalato il bracciale più bello che io abbia mai visto e io l’ho mollato»
«Lily, lascia perdere per ora» le disse pazientemente prendendole di mano il mazzo più ingombrante rivelando così il volto pallido e spaesato dell’amica, gli occhi verdi grandi e lucidi come due Galeoni, arrossati dal pianto.
Mary non si trattenne e l’abbracciò di slancio.
«Pensa a renderti presentabile, Lily» le consigliò Liv, scherzosamente critica, mandando giù un improvviso groppo alla gola a quella triste vista «Hai i capelli che sembrano davvero quelli di una strega. Oggi sei babbana, ricordalo, una maggiorenne babbana».
Con il braccio libero le circondò premurosamente le spalle per spingerla e dirigerla verso le scale del dormitorio femminile con Mary accanto.
«Perché ho lasciato John se non mi ha regalato l’anello e i gigli?» domandò Lily lasciandosi guidare da lei come se tutto il resto, fuori da quei pensieri stipati nella sua mente, non fosse di alcuna importanza.
«Perché evidentemente hai trovato ancora di meglio, in giro» le rispose Liv in un tono più casuale possibile facendole fare i gradini.
Lily restò in silenzio per metà scala prima di guardarla esilarata da sopra una spalla.
«No, decisamente no»
«Come vuoi, Lily»
«E chi? Potter?»
«L’hai nominato tu» precisò Liv scambiandosi un’occhiata vivace con Mary da dietro le spalle coperte dai folti capelli rossi dell’amica che continuava a lasciarsi spingere senza opporre resistenza.
«Ma per piacere, era nelle vostre parole insinuanti fin dall’inizio di questa conversazione assurda»
«Se lo dici tu»
«La smetti di assecondarmi come se fossi una pazza?»
«Va bene, Lily»
«Finiscila»
«Hai fatto bene a lasciarlo»
«Perché ne sei così sicura?»
«Perché quando agisci senza pensare fai sempre la cosa giusta, quella che vuoi davvero»
«Pensare è sempre stato il mio punto forte, però» scherzò Lily mentre le labbra si sollevavano per la prima volta e con il dorso di un dito si tamponava le ciglia umide e salate.
Liv la strinse maggiormente a sé portandola sul pianerottolo.
«Sei maggiorenne adesso, è ora di cambiare modo di agire»
«In teoria, a diciotto anni si dovrebbe cominciare a pensare…»
«Ma si vive nella pratica, Lily»
«Risposta furba»
«Grazie. Credi che la volpe, dopo questa perla, si rifarà viva?».
 
 
 
 
 
*
 
 



 
 
Una piccolaesplosioneaccompagnata da una nuvoletta viola unita ad una luce accecante e i sorrisi luminosi di Martha Spinnet e George Carter si fermarono nel tempo, nella macchina fotografica magica regalata a Lily da Liv e Mary.
“Così potrai immortalare il sedere di James da tutte le altre angolazioni oltre a questa che ti abbiamo gentilmente concesso in esclusiva assoluta”.
Lily sorrise. Martha le scoccò un affettuoso bacio sulla guancia dandole gli auguri e il battitore invece brindò a lei riempiendosi il bicchiere di burrobirra dall'odore forte, molto simile al Whisky Incendiario.
La festeggiata rise in risposta, ringraziandolo con un piccolo inchino prima di spalancare gli occhi verdi all’improvviso, avvicinando velocemente il naso indagatore al bicchiere del ragazzo.
Con uno scatto della testa, Lily si guardò attorno: le persone che riempivano la Sala Comune invasa da voci e dalla musica dei Beatles sorseggiavano drink alcolici.
«Da dove è uscito tutto questo alcool?!» gridò per sovrastare il chiasso quando raggiunse Liv, anche lei con le labbra bagnate di Whisky come il suo compagno di squadra.
«Chiedilo a James, lì» le rispose lei indicandole con un cenno della testa il tavolo delle bevande.
Lily seguì la sua direzione trovando il ridente Caposcuola che distribuiva allegramente bicchieri, circondato da persone, soprattutto ragazze.
Lo sguardo smeraldino restò fisso su di lui per qualche secondo e poi, con mano decisa, Lily coprì quella di Liv che reggeva il bicchiere mezzo pieno e le rubò un sorso. Liv rise.
«Che ora è?»
«Le dieci passate, Lily»
«Sono una maggiorenne davvero completa, quindi»
«Già» confermò Liv senza riuscire ad abbassare gli angoli delle labbra.
«E viviamo nella pratica, giusto? Com’era?» aggiunse Lily prima di allontanarsi da lei senza aspettare la seconda conferma e sparire tra le persone, direzione James Potter.
«Bella festa, Evans, non l’avrei mai immaginato… addirittura, gente di altre Case!»
«Hai ancora la lingua, Potter, non l’avrei mai immaginato… addirittura, mi parli!».
Confuso, il sorriso di James si spense mentre dall’altra parte della stanza Remus cercava di raggiungerli con una certa fretta, i capelli castano chiaro spettinati e un’espressione indecifrabile stampata sul volto lievemente arrossato.
«Perché hai pensato non avessi più la lingua?» chiese James, un sopracciglio nero arcuato sopra una lente rotonda mentre porgeva distrattamente un bicchiere pieno di chissà cosa ad una ragazza.
«Oggi non ho avuto il privilegio di sentire la tua voce soave» rispose sarcastica Lily.
Davanti a quel volto tirato, libero dai capelli rossi semi raccolti ai lati della testa da un fermaglio, James si fece ancora più stranito. Lily era palesemente arrabbiata e lui non aveva la più pallida idea del perché.
Remus, invece, appena sgusciato fuori da un gruppo di ragazzine del quinto anno, aveva la faccia di uno che lo sapeva e anche quella da “Te l’avevo detto’’.
«Era il mio regalo di compleanno, Evans» si ritrovò a rispondere James guardando di traverso l’amico che cercava di dirgli qualcosa con gli occhi.
«Tutti gli anni, a parte l'anno scorso, non mi hai forse detto: “Stai zitto, Potter, è questo che voglio da te per il mio compleanno”?». Perché la punta di acidità di Evans era stata come l’odioso dito di Sirius che affondava simpaticamente sulla sua perfetta bolla fatta con un intero pacchetto di Gomme Bolle Bollenti.
L’attrazione malsana che le sue nocche avevano per i muri, poi, cresceva di minuto in minuto insieme alla possibilità di vedere spuntare John Owen Lo Scemo tra la ‘’gente di altre Case’’.
«Non apprezzare neanche i regali che richiedi, Evans, è da maleducati».
Le guance di Lily avvamparono. Era rossa, imbarazzata o semplicemente furiosa tanto quanto gli occhi minacciosi di Remus. C'era così tanta furia, nell'aria, che inspiegabilmente contagiò anche lui.
«Grazie, allora» disse Lily in un’incredibile ripresa della sua perfetta aria di sufficienza. Non c’era nemmeno l’ombra di una nota di ringraziamento in quel grazie.
«Prego, allora» sbottò James altrettanto stizzoso, rendendosi conto di essere arrabbiato senza sapere nemmeno com’era potuto accadere.
Lily raggiunse di nuovo Liv, non più da sola ma in compagnia di Mary, Bettie Wood e Ned Stevens.
«Che c’è?» le mormorò Liv mentre Bettie mostrava con orgoglio la cicatrice sul braccio fattale amorevolmente dal suo Occamy ormai cresciuto che per Liv, a differenza degli altri presenti, avrebbe dovuto chiamarsi Salazar e non Fuffy.
«Sono maggiorenne, vivo nella pratica, non ho pensato» soffiò affannosamente Lily rubandole un altro sorso di Whisky senza distogliere gli occhi verdi infuocati dalla figura lontana di James, oltre le spalle di Liv.
«E?»
«E ho detto quello che volevo dire»
«Sarebbe?»
«Potter. Non mi ha fatto gli auguri a voce e poi vuole essere considerato un amico, ti rendi conto? Si può essere più imbecilli di lui?»
Liv arcuò le sopracciglia così tanto da attirare l’attenzione discreta di Mary che fece finta di continuare ad ascoltare la causa del labbro spaccato di Ned Stevens.
«E?»
«E niente, Liv».
Risate scoppiarono nel piccolo gruppo stretto in cerchio, la voce ridente di Ned a continuare il suo racconto divertente.
«Hai scoperto, almeno, chi ci ha fatto dono dell’alcool?» chiese ironicamente Liv e Lily la guardò, finalmente, con un cipiglio determinato prima di allontanarsi di nuovo sotto lo sguardo divertito dell’amica.
«Non ho bisogno dei Malandrini per mettere in piedi una festa come si deve, Potter, hai sentito? Perché ti sei sorpreso così tanto?»
«Ah, Evans, torni alla carica?»
Spiazzata dallo sguardo luminoso e non più ostile di James, Lily tacque per alcuni istanti. Forse non l’aveva mai visto così sinceramente felice.
«Di chi è stata l’idea degli alcolici?» chiese autoritaria.
Peter andò subito sulla difensiva, alzando le mani in alto e facendo un passo indietro andando a sbattere su un Remus decisamente più rilassato di poco prima.
Istintivamente, Lily puntò i bicchieri di carta con fare sospetto. Dovevano per forza fare uso di droghe visti i cambiamenti repentini d'umore, questa era la prova che chiudeva il caso aperto per quasi sette anni.
«Di Sirius. L’idea è stata di Sirius, quello che ci allieta anche con la musica che prima ti ha fatto muovere sul posto mentre parlavi con Pandora. E, come vedi, hai bisogno eccome dei Malandrini» ammise James, compiaciuto non solo per quella piccola vittoria ma anche perché la domanda di Lily, in apparenza severa, era in realtà un ‘’Grazie per aver portato gli alcolici”. 
O forse, soltanto perché l’attrazione delle sue nocche verso i muri era incredibilmente scesa a zero appena Remus gli aveva detto che Lily aveva lasciato John Owen.
«L’alcool è solo un dettaglio, Potter, non la festa intera. La musica esce anche dalla radio che ho in camera e gli incantesimi che ci permettono tutto questo, tenendoci lontani la presenza della vestaglia scozzese, sono opera mia»
«Sì, Lily, ma intanto se qui tutti si ubriacano come vogliono e quasi si staccano la testa mentre ballano come pazzi è merito dei Malandrini»
«Dov’è?»
«La vestaglia scozzese? Sono sicuro che sta facendo un buco in fronte a Remus in questo momento»
La gomitata di Remus lo fece traballare sul posto.
«Black, dov’è Black» specificò Lily.
«In punizione con Avery».
Lily aggrottò la fronte e Remus si decise a spiegarle il perché.
 
 
 

 
 
*
 


 
 




 
 
Quando la porta dell’aula di Pozioni si aprì, un Avery a dir poco scocciato fece la sua comparsa allontanandosi da lì come se stesse fuggendo dalla gogna.
Subito dietro di lui, Sirius si bloccò sotto lo stipite venendo accecato da una luce abbagliante. Strizzò gli occhi grigi più volte, sofferente, riuscendo a riacquistare la vista soltanto parecchi secondi dopo vedendo Lily poggiata al muro di fronte, nuvolette viola ad aleggiare attorno alla sua testa rossa.
La spilla da Caposcuola appuntata al contrario sul maglione giallo come se l’avesse messa di fretta, una patatina tra i capelli rossi, la causa della sua semi-cecità tra le mani, gli occhi verdi fin troppo attenti e contrariati puntati su di lui.
«Che cavolo fai, Evans?» sbottò strizzando ancora una volta le palpebre per cercare di fulminare la polaroid.
«Immortalo la tua stupidità»
«Preferivi i Queen?»
«Sì»
«Sul serio, Evans?»
«Sì»
«Non ci posso credere»
«Sono avanguardia pura»
«Come lo erano i Beatles ai tempi d’oro, adesso sono la base»
«Sei Team Liv, allora, congratulazioni».
Spiazzato da quell’ultima uscita priva d’entusiasmo, come se tutto il resto della breve conversazione fosse stato normale, Sirius aggrottò le sopracciglia nere.
«Quanto puoi essere cretino, Felpato
«Addirittura, passiamo agli insulti pesanti adesso. Senti, Evans, ognuno ha i suoi gusti. In camera ho anche i Queen, rilassati. Chiedi a James, li ho prestati a lui che a quanto pare è Team Lily».
A quell’informazione non richiesta, un cipiglio pensieroso prese il sopravvento sull’intero viso di Lily almeno fino a quando non vide Sirius infilarsi le mani in tasca e prendere la direzione “sbagliata”.
«Dove stai andando?»
«A fare quel che mi pare fino a quando la tua festa non sarà finita»
«Stai forse insinuando che la mia festa è insignificante per te?»
«Non lo so, forse sì»
«I Beatles hanno festeggiato per me, sul tetto, quel trenta gennaio di nove anni fa, Black. Tu, chi ti credi di essere?»
«Ecco, vedi, se la festa fosse stata organizzata sul tetto sarei venuto molto volentieri»
«È un mio sogno che prima o poi metterò in pratica».
Lo sentì sorridere mentre rallentava il passo come se stesse pensando di fermarsi.
«Gira i tacchi e seguimi» gli ordinò lei, autoritaria. Un tono di voce che fece ridere d’incredulità Sirius.
«Per chi mi hai preso?» ribatté, strafottente, senza fermare la pigra camminata disinvolta.
«Per un invitato alla mia festa. Ma solo se ti rendi un minimo presentabile».
Spiazzato ancora una volta, Sirius si fermò girando soltanto il viso per restare a guardarla.
«Ti muovi? Sai, sono quella che deve spegnere le candeline. E Potter senza di te diventa insopportabilmente depresso e si attacca a quel dannato Specchio».
Un fugace sorriso stirò le labbra di Sirius. Trovare insopportabile la depressione in James e fare qualsiasi cosa per eliminarla. Altro punto per te, Evans. Touchè.
Tornò indietro, dentro l’aula di pozioni, ed uscì pochi instanti dopo con un mazzetto di piccoli fiori bianchi rubati dall’armadio degli ingredienti, incastrati su una chiusura del giubbotto in pelle.
«Così va bene o sono troppo elegante?» la prese in giro.
Lily si lasciò andare ad un mal trattenuto sorriso divertito e, staccandosi dal muro, cominciò ad incamminarsi verso la loro torre. Lui la seguì e capì che andava bene, qualsiasi cosa fosse quello che le andava bene e che l’aveva spinta a scendere fin lì, da lui, con il distintivo da Caposcuola usato come ribelle lasciapassare.
«Sei un idiota, Black»
«Ancora?»
«Fare appositamente a pugni dopo essere stato punito da tutti i professori, anche quelli non tuoi, e dal Preside».
Sirius stette in silenzio, non sapendo dove Lily voleva andare a parare. Il suo tono era sì arrabbiato ma negli occhi verdi che adocchiava di sfuggita mentre camminavano brillava una luce incomprensibile, per niente negativa.
«Istigare e provocare Avery fino a portarlo a picchiarti e picchiarlo a tua volta per farlo mettere in punizione e tenerlo lontano dal campo per la partita, proteggendo Liv…»
Ah, ecco qual era la cosa che andava bene a Evans.
«Perché cavolo nascondi le uniche cose intelligenti che fai, Black?»
A Sirius scappò un sorriso fugace, storto.
«Perché sono così intelligenti che non c’è bisogno di spiegarle, Evans»
«Come la tua modestia?»
«Taci, “I Queen sono migliori dei Beatles”»
«Ma sta’ zitto tu, Paul McCartney dei poveri»
«Perché lui?»
«Preferivi Ringo Starr?»
«Perchè non George Harrison?»
«Perché lui è troppo, per te. In realtà, tutti e quattro sono troppo per te»
«Ma allora ti piacciono»
«Certo che mi piacciono, a chi non piacciono?»
Nessuno dei due se ne accorse, troppo presi a guardare avanti salendo la pericolosa scala umida dei sotterranei, ma due sorrisi fecero bella mostra sui loro volti subito dopo illuminati dall’ambiente più luminoso della Sala d’Ingresso dove le pietre preziose nelle clessidre brillavano alla luce delle candele.
«E poi ammettilo, Paul McCartney dei poveri, non sei forse il più alto e quello che ha più ragazze dietro?»
«Troppi complimenti in troppo poco tempo, Evans, datti una calmata o comincerò a pensare di essere affianco ad un Molliccio».
Con la coda dell’occhio Sirius la vide abbassare leggermente la testa per nascondere dietro i capelli rossi un sorriso che suonò come risata trattenuta.
«Potrai fare George Harrison soltanto quando ti deciderai ad avere una ragazza che si chiama Olivia».
Il silenzio calò tra loro per tutte le scale dal terzo al sesto piano, poi la voce di Sirius rimbombò nell’ambiente abitato soltanto da loro due e dai quadri dormienti.
«Da quando vuoi vedermi con quella che hai sempre allontanato da me con le unghie e con i denti?»
«Da quando ti fai prendere a pugni rischiando l’espulsione pur di proteggerla. Da quando vorresti essere Ned, uno giusto per lei. Da quando te ne stai da solo, in giro per i corridoi bui, per farla stare tranquilla ad una festa. Da quando dimostri di star soffrendo come un cane perchè èquesto che ti rende giusto per Liv».
Un altro lungo silenzio si espanse tra loro due, stavolta pesante.
Davanti al ritratto della Signora Grassa, dietro il quale arrivava ovattato un familiare ad entrambi assolo di chitarra sotto il vociare festoso, Sirius aprì le labbra ma non per pronunciare la parola d’ordine.
«Due Galeoni che riesco a diventare George Harrison dei poveri»
«Due Galeoni che se non ci riuscirai ti prenderò a calci»
«Affare fatto, Yoko Ono dei poveri»
«Ripetilo se hai il coraggio»
«Fiato di Drago» scandì a chiare lettere Sirius in una mezza bassa risata sinceramente divertita.
Un altro flash lo investì in pieno mentre pensava a quanto fosse assurdo il modo in cui andava d'accordo con Evans.
«E questo per cosa cazzo era?!»
«Per farti vedere che stai sorridendo, cretino, e non stai più soffrendo. Lo vedrai appena la farò sviluppare, appure guardati allo specchio».
Lily gli schiaffeggiò una mano sul petto con aria giocosa prima di oltrepassare il buco del ritratto ed immergersi di nuovo nella festa.
Sirius seguì la sua chioma rossa, vedendola fermarsi tra quelle scure di Frank e Alice per poi sparire insieme a loro tra le persone ridenti, senza accorgesi del suo profilo libero dai lunghi capelli neri portati dietro l’orecchio, un largo sorriso a mostrare metà dentatura e un occhio grigio semichiuso, decisamente brillante.
Infilò le mani nelle tasche dei jeans e varcò anche lui l’ingresso della Sala Comune. E mentre la Signora Grassa si richiudeva alle sue spalle, restò ad osservare il caldo ambiente circolare, accogliente e pieno come un uovo, luminoso, familiare.
La voce di George Harrison a vibrare nell’aria con Something. Cercare Liv gli venne spontaneo, a quelle strofe.
La trovò seduta su una poltrona, in un angolo che s’intravedeva appena tra le persone. Sirius seguì ogni più piccolo movimento delle sue dita intente a giocherellare lentamente nel piattino pieno di salatini che aveva sulle ginocchia e come George Harrison cantava a tutti, lì dentro, Sirius si disse che non voleva lasciarla.
Faceva paura quel ‘’qualcosa” che Liv aveva.
Quella melodia era dolce, per niente adatta a quello che invece provava lui. Dov’era l’ansia di non avere sotto controllo la situazione? Dov’era l’angoscia di non capire quel qualcosa emanato da ogni suo movimento, ogni sua parte del corpo, ogni suo comportamento che lo ammaliava, che superava la rabbia, il sonno e forse poteva anche scavalcare l’orgoglio?
Non c’era un perchè a tutto quello e nemmeno la voce del famoso chitarrista diceva di saperlo.
Fidarsi di una persona che non aveva superato il test era folle, folle come volersi buttare perché non ce la faceva più a starle lontano, ad odiarla, a non pensare a quel bacio per niente finto perché era stata la cosa più vera che avesse mai sentito.
E non era possibile imitare la verità, non quella.
Ed era la seconda volta in un mese che la vedeva, riconoscendo per la seconda volta in lei i segni della sofferenza trattenuta. Olivia stava male, forse tanto quanto lui. Non era soddisfatta, non era felice, non era vittoriosa per la sua vendetta.
E non stava con Stevens. Non gli era arrivata nessuna voce, nessun pettegolezzo.
Sirius era stanco, non riusciva più a spegnere il cervello, stava impazzendo e sapere che avrebbe potuto trovare la pace nelle sue labbra non faceva altro che consumarlo e sfiancarlo ancora di più.
«Hey, futuro George Harrison dei poveri».
Sirius afferrò il bicchiere che improvvisamente gli si era parato davanti alla faccia.
«Non credi che la tua canzone sia perfetta per agire?»
«Perché non vai da John Lennon dei poveri? Ha gli occhialetti rotondi, non puoi sbagliarti, Yoko Ono dei poveri»
«Non smetterai mai di essere stronzo, non è vero?»
«Sono George Harrison dei poveri che parla con Yoko Ono dei poveri, che vuoi farci?»
Lily gli lanciò un’occhiata in tralice in contemporanea ad una gomitata che gli impedì di bere. Un gesto forse proverbiale dato che risollevando gli occhi grigi da sopra il bicchiere vide Liv guardarlo e continuare a farlo, sostenendo il suo sguardo come se gli stesse chiedendo qualcosa, intensa come se non avesse nessun'altro attorno.
E all’improvviso, Sirius capì perché George Harrison aveva scelto una melodia così dolce.
Mollò il bicchiere in mano a Lily che lo prese con un sorriso sulle labbra e poi s’infilò tra Alan Morgan e la sua nuova fiamma che non aveva niente a che fare con Mani di Mazza; schivò due o tre bottiglie di Burrobirra unite in un brindisi, come se niente fosse salì sopra un tavolino per tagliare la strada, si chinò per passare sotto le braccia tese di due ballerini improvvisati che avrebbe potuto riconoscere se soltanto non avesse avuto gli occhi impegnati a fissare la meta davanti a sé.
Dopo due passi, però, si fermò perché la poltrona dove poco prima stava Liv era vuota.
Forse, sarebbe stato più difficile di quanto credeva.
«LILY, LA TORTA!» gridò Mary da una parte non precisata della Sala Comune.
A quella voce così squillante tanto da superare quella di Paul McCartney al cambio di canzone più movimentata, gli invitati si trasformarono in una folla rumorosa ed incitante che spinse Lily verso il tavolo dei dolci.
Qualcuno fermò il giradischi, molto probabilmente Peter con l’acquolina in bocca, e il coro di Buon Compleanno gridato da tutti invase le orecchie sotto i capelli rossi.
Non c’era niente di più imbarazzante per Lily, da sempre. Tutti quegli occhi puntati addosso con grandi aspettative rivolte ai suoi polmoni, le mani che battevano a ritmo, il suo nome ad echeggiare ovunque.
Non c’era niente che la faceva imbarazzare di più, da sempre, a parte la faccia di James Potter che la guardava dalla prima fila davanti, tra lei e le diciotto candeline accese da Mary con un gesto della bacchetta.
James sorrideva e basta, senza cantare, senza battere le mani, senza incitare i suoi polmoni come ad una finale di Quidditch.
La canzoncina fastidiosa finì e i polmoni, ormai scambiati per un atleta olimpionico in procinto di oltrepassare la linea d’arrivo, fecero quello che tutti si aspettavano facessero.
E mentre diciotto spirali di fumo le pizzicavano il naso facendoglielo arricciare e un appaluso scrosciante si era innalzato dagli invitati entusiasti, il flash e il fumo lilla della macchina fotografica in mano ad Alice immortalò l’esatto momento in cui Lily Evans si chiese come avesse fatto quell’idiota di James Potter a smettere di essere la principale fonte di fastidio nella sua vita.
Era lì, ufficialmente maggiorenne del tutto, con James Potter davanti a mimarle un ‘’Auguri” tra gli applausi festosi attorno e la musica che si sollevava di nuovo nell’aria.
Maggiorenne in entrambi i mondi, aspettando di sentirsi di diritto parte di entrambi, e con James Potter ad avanzare verso il tavolo mentre il caos era esploso dietro di lui in balli scatenati e trenini che travolgevano tutto e tutti al ritmo coinvolgente di un altro album dei Beatles.
Maggiorenne in entrambi i mondi senza effettivamente sentire di esserlo e con James Potter ormai davanti a lei a far spuntare da dietro la schiena un mazzetto di fresche margherite di prato impossibili da trovare sotto la neve, a farle capire che lui sì, lui avrebbe accettato quel fiore che apriva e chiudeva magicamente i petali in un pomeriggio estivo, che avrebbe accettato lei in ogni modo perchè Lily Evans esisteva in entrambi i mondi.
Ed eccola lì, ufficialmente adulta per tutti ma spaesata e meravigliata come una bambina che ha appena scoperto che c’è di meglio dei gigli, ci sono i mughetti, e che c’è di meglio anche dei mughetti perchè ci sono le margherite.
Allungò una mano, accettandole e chiedendosi se era proprio necessario che Black lanciasse i fiori del suo taschino tra i suoi capelli e soprattutto sulla torta alla panna fatta amorevolmente dagli elfi che le mani di Mary, spuntate dal nulla, coprirono al volo.
«SIRIUS, TI AMMAZZO!».
Dopo l’urlo belluino della bionda tutto si fece ancora più confusionario.
La musica si fece più alta, i balli più frenetici, bicchieri passarono di mano in mano sopra le teste impazzite di tutti. La torta venne ripulita dai fiori e tagliata a fette da Peter, circondato dai più affamati, mentre Mary rincorreva Sirius tra la gente in movimento, facendo lo slalom in mezzo e sotto ad un trenino improvvisato.
Qualcuno della squadra acchiappò James buttandogli un braccio sulle spalle e Lily si ritrovò nella mischia, trascinando con loro un Remus all'inizio contrariato e poi contagiato dal grande sorriso di Mary che lo incitò a divertirsi.
 
 


 
 
*
 
 
 



«Non respiro!» annaspò Alice lasciandosi cadere addosso ad una Lily ridente intenta a bere dell’Acquaviola. «Questa non è di certo la miglior tenuta da ballo» aggiunse sbottonandosi un altro bottone della divisa da Auror.
«Dov’è Frank?» chiese Mary sventolandole un piattino di carta davanti alla tonda faccia paonazza.
Alice soffiò via un corto ciuffo scuro dalla fronte sudata, staccandosi dalla spalla di Lily.
«L’ho lasciato con James e Peter, James gli sta insegnando un nuovo passo» spiegò ironicamente allungando il collo alla ricerca dei tre ragazzi tra la gente che ballava.
Tutti gli altri seguirono la direzione del suo indice, ridendo subito dopo alla vista di James che saltellava su una gamba, alternandola all’altra a tempo con la musica.
Qualcosa, però, fece abbassare leggermente il sorriso di Remus, catturato dalla figura di Sirius che fumava nervosamente seduto sui gradini della scala del dormitorio maschile.
Gli occhi grigi erano fissi su un punto preciso dall’altra parte della Sala Comune, dove il profilo di Liv era rivolto alla persona che aveva accanto. Ned Stevens le stava parlando all’orecchio per farsi sentire in quel baccano di risate e musica.
Liv seguì con la coda dell’occhio Sirius voltarsi verso Jane Phillips che gli si era appena seduta accanto sulle scale ed un’intensa vertigine le fece sprofondare lo stomaco sotto le scarpe, a dispetto della ragione che continuava a ripeterle che non poteva essere gelosa di una cosa che nemmeno voleva, una cosa che l'aveva fatta soffrire.
Ma c’era qualcosa di Sirius che le mancava, a volte come l’aria sott’acqua, un qualcosa che nonostante il dolore che lui le aveva fatto passare esisteva ancora ; qualcosa che quel suo rispettarla nonostante il pesante litigio le aveva confermato che c'era ancora, che restava immutato come il cielo stellato dietro la finestra senza tende, un sorriso alle due di notte, un bacio che sapeva zittire il cervello e darle immediato sollievo, che portava la pace nella mente stanca, logorata, al limite della pazzia.
Quel qualcosa era così stronzo da non lasciarla nemmeno un momento, ricordandole che esisteva perché Sirius sembrava volerglielo far capire con un'intensità tale da scuoterla; farle capire che c'era ancora con quegli sguardi lontani consapevoli come non erano mai stati, colmi di scuse e sofferenza, fuoco; con quel suo lasciarle la Sala Comune per farla stare rilassata senza sapere che la sua mente era sempre rivolta sa lui, nei corridoi bui dove si rititirava e ovunque andasse.
Ed era quel qualcosa che la stava sfibrando, spaventandola con quel suo potere di farla stare bene nonostante tutto.
James gliel'aveva detto chiaro e tondo che la ragazza del supermercato era solo un muffin, un muffin che lei si era stupidamente mangiata, strozzandosi sa sola.
Rabbiosa con se stessa, riportò tutta la sua attenzione sul volto sorridente e gentile di Ned venendo contagiata da quel suo sorriso genuino che gli stirava sempre le labbra, anche mentre parlava.
Non aveva niente da nascondere riguardo Ned Stevens. Non c'era mai stato nessun triangolo e non avrebbe smesso di essergli amica.
 
 



 
*
 
 
 



Erano le tre passate e una melodia lenta e pigra risuonava a basso volume insieme alla voce di Paul McCartney nella Sala Comune che si era svuotata mostrando le condizioni pietose in cui i Grifondoro l’avevano lasciata.
Bicchieri e cibo come secondi tappeti, poltrone rovesciate, coperte che ciondolavano come drappi dal grande lampadario con le candele ormai spente.
Metà squadra Grifondoro sparsa sulle poltrone rimaste in piedi parlava a bassa voce, quasi in dormiveglia. Sul divano davanti al camino con il fuoco ancora acceso, Peter sbatteva piano le palpebre cercando di stare sveglio seduto accanto a Mary e Remus che con le teste l’una sull’altra si accarezzavano a vicenda le dita intrecciate poggiate su una gamba di lui.
Aspettare che Alice e Frank tornassero dalla missione “Portare a casa sani e salvi i Tassorosso e i Corvonero” si stava rivelando più difficile del previsto vista l’ora tarda, la stanchezza per i balli, l’alcool e quella voce dolce quasi da ninna nanna che usciva dal giradischi.
Sirius e Liv se n’erano andati nei rispettivi dormitori da diversi minuti, incapaci di sopportare la presenza dell’altro.
James, poggiato ad un tavolino pieno di briciole, bicchieri rovesciati e sostanze appiccicose non ben identificate, seguiva con gli occhi i capelli di Lily muoversi in tenui riflessi ramati ad ogni suo movimento mentre raccoglieva le candeline sul vassoio vuoto della torta.
Non riuscì a vederla quando, dandogli le spalle, Lily si rigirò tra le dita la diciottesima, osservandola con attenzione.
James vide soltanto, qualche minuto dopo, le stesse dita sganciare dal maglione il distintivo da Caposcuola per poggiarlo sul tavolo tra tovagliolini sporchi accartocciati, piatti impilati in una torre traballante, bicchieri ancora mezzi pieni.
Lily lo fissò, fissò quella grande C dorata scintillare alla fievole luce del camino.
Avrebbe dovuto togliersi subito quella spilla, dopo aver recuperato Sirius, perché su quel maglione babbano non aveva nessuna importanza, nessun potere.
Non le avrebbe permesso di uscire di notte da casa, assicurandole protezione come lasciapassare; non le avrebbe assicurato la salvezza in caso di incontro con il ‘’nemico’’.
Sobbalzò quando sentì un dito picchiettarle una spalla. Voltandosi di scatto si ritrovò un pacchetto davanti al naso.
«E questo cos’è?»
«Il mio regalo, Evans»
«Non dire assurdità, Potter»
«È il tuo compleanno, sono un invitato ergo ti porto un regalo»
«La margherita era il tuo regalo, il mazzolino era il tuo regalo»
«La margherita era il tuo regalo di mezzanotte, questo è il tuo regalo della festa»
«E i fiori?»
«Sono il contorno, no? Come le patate arrosto. Il mazzo di fiori è un contorno al regalo, lo sanno tutti».
Lo sguardo smeraldino si fece divertito e curioso. Facendo un finto sospiro esasperato gli strappò di mano il pacchetto e il volto di James le apparve davanti, sfacciato.
«Levati quell’espressione dalla faccia, Potter» gli disse sciogliendo il fiocco rosso «sicuramente non mi piacer…». Le parole le morirono sulle labbra, il fiato in gola.
Dentro la scatolina c’era una spilla della stessa forma e materiale di quella che loro due portavano ogni giorno, appuntato alla divisa. Lo stesso che giaceva sul tavolo accanto in quel momento.
Ma a scintillare non era una grande C bensì due lettere: L.E., le sue.
Le dita affusolate di James raccolsero il distintivo, Lily non fece niente per fermarle quando si avvicinarono alla lana gialla del suo maglione per appuntarglielo con cura.
«Ho mai detto che Trasfigurazione è la mia materia preferita?» mormorò James ammirando compiaciuto il regalo al suo posto.
Lily, scioccata, non smise di guardarlo nemmeno per un attimo, gli occhi verdi spalancati inchiodati a lui.
«L’unica cosa d’oro che avevo era l’orologio che mi hanno regalato i miei l’anno scorso e il mio fidato boccino sgraffignato due anni fa» spiegò allegramente James.
Il silenzio da parte di Lily era un buon segno?
«Ho scelto di sacrificare il boccino» rivelò indicando con un cenno del mento la spilla sul petto di Lily che si alzava ed abbassava sempre più velocemente.
«Come ti ho già detto, Evans, sei tu ad essere speciale e non il tuo ruolo da Caposcuola… Lily? Stai bene?».
Lily non rispose, immobile e pallidissima con gli occhi verdi impassibili.
Il cipiglio preoccupato di James la scrutò attentamente, come se ne valesse della sua vita.
Lily sembrava aver smesso di respirare o forse, guardandola meglio, lo stava facendo velocemente ma in modo impercettibile. Le labbra strette, tanto che sembrava non ne avesse più, il collo teso tanto da mettere in evidenza i tendini.
Il volto prima sorridente si era irrigidito senza nessuna espressione eccetto per gli occhi che sembravano sul punto di scoppiare da quanto erano profondi ed intorbiditi da chissà quali pensieri orribili.
In realtà, tutto ciò che Lily aveva dentro era il battito del suo cuore e il fracasso dell'arroganza di James caduta a terra. E tutto ciò che adesso Lily vedeva era il James Potter che aveva sempre sperato di vedere, dietro quel muro di arroganza e boria; era il James Potter che aveva cominciato a piacerle in un momento imprecisato della sua adolescenza, forse dopo essere diventato la mela rossa caduta dal Platano Picchiatore con Piton sottobraccio.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** 43. Il Cervo in Trappola ***


 
 
 
 

 
Capitolo 43

IL CERVO IN TRAPPOLA
 

 





 
«Non voglio andare a Hogsmeade con te, Potter».
James, stranito, accennò una bassa risata confusa.
«Non te l’ho chiesto, Evans»
«Meglio così»
«Non voglio chiederti di andare a Hogsmeade con te»
«Musica per le mie orecchie»
«Perché sono innamorato di te».
 
“Gli piaci, piaci a James Potter!”
“James Potter è innamorato di te”
“Perché sono innamorato di te”.
 
«Cosa sei?»
«Innamorato di te».

E Lily Evans non aveva più le maniche corte. Lily Evans aveva il costume da bagno, a gennaio.
“Sono innamorato di te”.
L’aveva detto lui ed era diventato improvvisamente possibile con quella voce, quello sguardo.
James Potter era innamorato di Lily Evans ed era come se tutto avesse preso importanza senza quei “Ok, bene, sai quanto me ne importa se non vuoi venire a Hogsmeade con me, Evans!”.

“Potter non si è mai dimostrato dispiaciuto dopo un mio rifiuto, anzi, vuoi che ti ripeta gli insulti e i vari: Ah, è così? Bene, sai quanto me ne importa, Evans, Ok!”.
“E se non ti avesse detto niente, guardandoti con occhi feriti?”.

Non aveva mai dato una risposta a quella domanda di Piton perché James Potter non l’aveva mai guardata con occhi feriti. Era sempre stata una questione da “lasciar perdere”. Quella situazione ipotetica era ridicola, perché impossibile. Non si era mai fermata a pensare a cosa avrebbe fatto in quel caso, Lily.
Come poteva prendere in considerazione una persona che se ne fregava dei suoi “NO”?
Come poteva prendere in considerazione una persona che prendeva in considerazione esclusivamente se stesso?

“Non voglio andare a Hogsmeade con te, Evans, perché sono innamorato di te”.

La risposta se la diede soltanto in quel momento perché James Potter era innamorato di lei e non le chiedeva di uscire perché un rifiuto gli avrebbe fatto male.  

Perché vuoi lasciarmi?”
“Perché sono innamorata di James Potter”.
Era questo che avrebbe dovuto dire a John Owen, da perfetta maggiorenne che non pensa.
Avrebbe riso esilarata, subito dopo, scatenando la confusione più totale sulla faccia del suo ormai ex ragazzo.
Avrebbe riso come se fosse stato tutto uno scherzo e poi pianto come se fosse stata la più grande disgrazia della sua vita.
Da quando aveva smesso di pensare, la sua mente aveva cominciato a farle brutti scherzi per vendicarsi di quell’improvviso spegnimento.
Ma con l’intero corpo scoperto e James Potter innamorato di lei, Lily capì che invece quella non era altro che la verità.
Aveva lasciato John Owen perché, davvero, era innamorata di James Potter.
Pronunciando mentalmente e per la prima volta quella frase, un click scattò come la luce d’emergenza quando salta la corrente.
Un clik senza flash perché a farlo non era stata la polaroid da chissà quale maceria della Sala Comune ma il suo cervello che con voce piacevolmente intelligente le aveva chiesto quanto sarebbe stato perfetto un grande punto di domanda dopo la r finale di Potter.  
Aveva lasciato John Owen perché, davvero, era innamorata di James Potter?
Perfetto. Il punto di domanda, lì, era perfetto.
Il cervello aveva ricominciato a funzionare, a pensare. Perché, in effetti, da quando il ‘’non pensare’’ era un’attività che portava a dei risultati veritieri?
Pensare, pensare a lei e James Potter.
Lily pensò, pensò come aveva sempre fatto. Freneticamente, andando a fondo di ogni cosa, anche la più piccola, analizzando tutti i possibili dettagli e particolari, cercando il nocciolo della questione e distruggendolo perché c’era sempre qualcosa anche lì.
La conclusione fu che aveva lasciato John Owen perché era innamorata di James Potter.
Sentì il pianto e la risata isterici risalire dallo stomaco.
Il cervello la stava chiaramente prendendo per il sedere. Permaloso, ecco cos’era. Per averlo spento una misera volta in diciotto dannati anni, lui la gettava all’inferno senza nessuna pietà. Aveva un cervello con il carattere di Sirius Black e nemmeno questo bastava a superare il fatto che lei era innamorata di James Potter.
Immediatamente, si disse che non c’era niente di sorprendente in questo perché peggio di essere innamorata di James Potter non c’era proprio niente.
Innamorata di James Potter.
Era innamorata di James Potter?
Sì.
Ho detto POTTER.
Sì.
Era innamorata di POTTER?
Sì.
Era assurdo?
Non poi così tanto.
Diamine, sì che lo è.
Sicura?
Non lo so.
Perché la realtà era che più pensava ed usava la logica, più l’essere innamorata di James Potter le appariva giusto.
Lo dicevano la logica e il suo cervello pensante intenti a riempire come folletti impazziti la lavagna analitica sempre presente dentro la sua mente con una marea di foto di James Potter, linee rosse, freccette verdi e scritte che si accorse di conoscere già.
Conosceva già quella linea che andava da un’istantanea di James Potter menefreghista a quella del Platano Picchiatore con Severus alle radici, sano e salvo.
Conosceva già lo spago rosso che collegava le due meritate spille da Caposcuola e Capitano, la divisa da Auror appesa sull’appendiabiti e la Pluffa al chiodo.
Conosceva le bugie per coprire Sirius, le corse e le grida senza bacchetta contro un Dissennatore per salvargli la vita, i silenzi in attesa di una buona azione che sapeva sarebbe arrivata.
Conosceva la preoccupazione negli occhi nocciola fissi su Remus in difficoltà, su Peter in difficoltà, su Liv in difficoltà, su Carter in difficoltà, su chiunque fosse in difficoltà, lei compresa.
Conosceva i pesi che aveva rubato agli altri per portarli lui stesso sulle spalle.
Conosceva quella lunga lista con le cose che non aveva di Piton e quelle che invece aveva in più.
Conosceva i sorrisi che sapeva far spuntare sul volto di tutti anche nei momenti più neri, il rossore sulle sue guance nella foto che la rappresentava e che la logica aveva appena dolorosamente appuntato con uno spillino, senza pietà.
Conosceva il baccano vigoroso e puro del suo cuore dentro il suo orecchio, il silenzio che faceva mentre ascoltava, il senso di completa sicurezza che trasmetteva.
Lily conosceva già quelle scritte in stampatello rosso acceso attorno alla foto del primo piano del viso di James Potter: “leale”, “altruista”, “sincero”, “intelligente”, “divertente”, “spontaneo”, “ottimista”, “coraggioso”, “buono”, “giusto”.
Forse non si era innamorata di James Potter in quel preciso momento, forse aveva cominciato ad innamorarsi di James Potter da molto, molto tempo prima perché non si potevano incollare, tracciare, legare e scrivere tutte quelle cose contemporaneamente.
E le fotografie appese non mostravano tutte il cielo di una stessa giornata, mostravano il sole nostalgico di settembre, le foglie secche di ottobre, la pioggia incessante di novembre, la neve nuova di dicembre, gli sprazzi di cielo azzurro di gennaio.
Ecco, forse si era innamorata di James Potter lentamente. D’altronde, non ci si accorge dei piccoli cambiamenti prima di ritrovarsi in maniche corte.
La prima coperta tolta dal letto, la sciarpa abbandonata sull’appendiabiti mentre si esce, la finestra lasciata aperta un’ora in più, il primo bottone del cappotto non infilato nell'asola, la luce del sole che giorno dopo giorno aumenta, restando sempre più a lungo la sera.
James Potter era il maledetto sole che era aumentato sempre di più, restando con lei ogni giorno qualche minuto in più.
E a lei era sempre piaciuto quel maledetto sole che entrava in casa ancora caldo e dorato anche all’ora di cena.
Era tutto evidente e per lei, pensatrice nata, le cose evidenti erano come draghi in Sala Comune.
Negarlo sarebbe stato da stupidi e lei non era stupida. Non avrebbe smesso di non essere stupida, quello proprio no.
Aveva le prove oggettive- fotografie e grafici degni del più stacanovista impiegato dell’Ufficio Auror- poteva quindi innamorarsi di James Potter. 
Lily Evans, lei è innamorata di James Potter?
Sì, signora Intelligenza
E come mai è così tranquilla?
Perché ho le prove, lo dice la logica, sono nel giusto, non è reato, non sono impazzita.
Dicendolo nella sua mente con assoluta convinzione ed un enorme sorriso rivolto alla telecamera, Lily pensò che forse un po’ pazza lo era dopo aver creato un dialogo con tanto di microfono tra lei e l’intelligenza.
Ecco cosa capita a chi pensa troppo finendo per non pensare affatto.
E il destino ti accoppia subito con i tuoi simili per preservare la razza umana e fare in modo che gli stupidi si estinguano.

Niente da obiettare, Natura, sono d’accordo con te. Io, innamorata di James Potter, merito l’estinzione.
Perché adesso io lo devo uccidere, non c’è altra soluzione. C’è sempre uno meno stupido che capisce cosa la Natura vuole che si faccia e quello sono io.
Io lo devo uccidere, portandolo con me nell’aldilà.
James non fece neanche in tempo a battere le palpebre dalla sorpresa per la mano che gli afferrò il maglione con forza trascinandolo verso il basso e per le morbide labbra premute e in movimento contro le sue, subito dopo.
Non fece in tempo nemmeno a ricollegarle ai capelli rossi accesi di mille riflessi, al piccolo naso lentigginoso, agli occhi verdi con le lunghe ciglia adesso a sfiorarle gli zigomi arrossati, al delicato e familiare profumo di fiori che lo invase perché Lily Evans aveva già smesso di baciarlo.
Lily Evans aveva smesso di baciarlo il che significava che aveva anche iniziato in un momento non ben identificato dal suo cervello ma perfettamente captato dal suo corpo pervaso da un lungo brivido nato nello stomaco e proteso verso di lei senza che lui se ne fosse minimamente accorto.
«Sei morto, sì?» si accertò con un soffio di voce Lily analizzando il volto davanti a lei. L’espressione era quella di qualcuno che aveva appena ricevuto un bolide particolarmente forte in faccia.
«Bene» sussurrò senza fiato lei scostandosi di lato per andarsene in camera senza percepire il pavimento sotto le scarpe.
Bene proprio niente, si sentiva più viva che mai anche senza ricevere risposta da stomaco, polmoni e cuore.
Merda.
 
 
 


 
 
***
 
 





 
 
«Quando la smetterà di odiarmi? Perché smetterà di guardarmi così, vero?».
La voce di Liv le arrivò alle orecchie in un mormorio infastidito sotto la squillante ed acuta spiegazione del professor Vitious.
Gli occhi verdi si sollevarono dal foglio degli appunti completamente bianco per guardare l’amica che osservava circospetta John Owen fissarla con odio dal banco vicino alla finestra.
«Non odia te, Liv, sa che non l’ho lasciato per colpa del tuo suggerimento riguardo il regalo. Non è un Corvonero per niente…» le sussurrò Lily, tetra «sa che l’ho lasciato perché sono innamorata di James Potter».
Il silenzio al suo fianco non riuscì a ricollegarlo a nessun’altro silenzio di Liv in sette anni di scuola.
Non la guardò, non ne aveva bisogno, sentiva i suoi occhi scuri perforarla anche se forse avrebbe fatto meglio ad inchiodare-letteralmente- lo sguardo su di lei perché da giorni la coda dei suoi occhi verdi aveva preso il brutto vizio di captare la presenza dell’Animale in Estinzione senza che lei lo ordinasse.
E così accadde anche in quel momento, trovando senza alcuna difficoltà l’ammasso arruffato di capelli neri più invitante di un groviglio di camicie, il profilo del suo viso rilassato stranamente rivolto alla lavagna, il naso dritto sotto gli occhiali, il colletto della camicia ben abbottonato che gli metteva sempre in mostra il collo lungo ma che già alla seconda ora quel cretino avrebbe sbottonato allentando la cravatta.
Idiota stupido troglodita odioso maledetto.
«Evans, vuole provare lei?»
«Scusi
«L’esercizio. Vuole farci vedere?»
«L’esercizio… sì, certo»
«Bene»
«Bene…».
La sussurrata risata di Liv alla sua sinistra la fece sospirare, tesa, mentre con dita malferme impugnava la bacchetta di salice.
«Quindi, l’esercizio, sì?». Lily si schiarì la voce provando un odio smisurato verso gli occhi nocciola che la coda dei suoi avevano visto posarsi su di lei, senza nessuna sua richiesta.
«Professore, posso andare in bagno?»
«Non adesso, Potter»
«Ma è urgente»
«Faccia silenzio, la signorina Evans sta cercando di concentrarsi»
«Vedo, vedo»
«Signorina Evans, prego»
«Sì, grazie, professore».
Un altro mormorato soffio di risata alla sua sinistra la portò a far scattare un piede sugli stinchi scoperti dalla gonna della sua migliore amica che si morse un labbro per non imprecare.
«L’esercizio di oggi è complicato, professor Vitious»
«Per questo ho chiesto a lei la prima dimostrazione, Evans»
«Grazie di nuovo, per la fiducia stavolta».
La voce di Liv le arrivò flebile a dirle in un sussurro che in quel momento era d’obbligo ricominciare a pensare, come brillantemente faceva un tempo.
Un suggerimento sul tipo di Incantesimo da fare era forse chiedere troppo?
Sì, forse era chiedere troppo a Liv che per tutta la lezione non aveva fatto altro che parare le saette di John Owen come il più fedele e protettivo dei cani da guardia.
«Professore»
«Signor Potter, mi costringe a toglierle dei punti!»
«Se non mi lascia andare in bagno mi espellerà direttamente, ne sono certo».
Uno scoppio di risa esplose nell’aula. Le guance del professor Vitious si tinsero di rosso ciliegia.
«Vada pure, Potter, corra se è necessario».
James, un largo sorriso stampato in faccia, si alzò dal banco che condivideva con Sirius e raggiunse la porta dell’aula, lo sguardo ridente ed ammiccante puntato su Lily.
«Avanti, Evans» riprese il professore passandosi un fazzolettino sulla fronte.
All’occhio della professoressa McGranitt non sarebbero sfuggite di certo la luce negli occhi celesti di Peter, la ruga tra le sopracciglia castane di Remus e la fossetta accanto all’angolo leggermente sollevato della bocca di Sirius.
Minerva McGranitt non avrebbe mai permesso a James Potter di andare in bagno, non sarebbe mai cascata nella trappola.
«Bacchetta in mano, Evans, concentraz…».
Un boato fuori in corridoio fece sobbalzare tutti sui banchi, eccetto i tre Malandrini dai sorrisi identici. Il professor Vitious quasi cadde dalla pila di libri dietro la cattedra.
«Per la barba di Merlino, cos’era?!» esclamò, agitato, cercando di darsi un contegno raddrizzando sulla testa il cappello a punta.
Quando scese dal suo piedistallo per attraversare l’aula a passetti affrettati e raggiungere la porta aperta, Lily si chiese perché diavolo non riusciva a fare il sospiro di sollievo per la scampata interrogazione.
Il cuore le batteva all’impazzata, la gola le si era chiusa, lo sguardo ridente e complice di James Potter le invadeva la mente senza permesso, esattamente come la stupida coda dei suoi occhi verdi.
I brutti vizi erano contagiosi e il suo corpo stava diventando un brutto vizio ambulante, senza il suo permesso.
 
 
 
 
 

 
*
 
 

 
 
 




«Siamo orgogliosi di te, Ramoso, davvero ma vorrei sapere perché continui ad essere così euforico se nemmeno ti rivolge la parola»
«Per me ha fumato anche stamattina, Remus»
«Molto meglio del fumo, Peter, quanto volte ve lo devo ripetere ancora?»
«Ti ha baciato…»
«Esatto. Mi-ha-baciato»
«Per farti venire un infarto» specificò in un sussurro e per l’ennesima volta in due settimane Sirius senza distogliere lo sguardo attento su Liv che abbassava la bacchetta-la sua- con uno sbuffo rabbioso e la voce del professor Dearborn a consolarla.
«Mi ha baciato, Sirius»
«Ti voleva uccidere, fratello, te l’ha detto chiaro e tondo».
Il sorriso di James, però, non si abbassò di un millimetro. Lui sapeva la verità, il suo corpo aveva sentito il pulsare frenetico di un cuore sotto le labbra, aveva sentito il trasporto nei decisi movimenti della sua bocca, aveva visto lo sguardo smeraldino subito prima e subito dopo, così lucido ed intenso da sembrare profondo tanto quanto il centro di un oceano; aveva sentito il respiro affrettato, irregolare, emozionato sulla pelle del viso e sulle lenti degli occhiali che si erano addirittura appannate.
«Non importa, McAdams, è normalissimo in una situazione come la tua. Tenterai la prossima volta, sono sicuro che ci riuscirai. Non scoraggiarti, d’accordo?».
Liv annuì, lo sguardo gelido e le nocche bianche della mano attorno alla bacchetta d’ebano erano chiari segnali di intensa frustrazione e rabbia, forse anche dolore e sconforto trattenuti per non scoppiare come bombe.
Sirius continuò ad osservarla anche quando lei si mise accanto a Ned Stevens nel gruppo delle persone che avevano provato ad evocare il Patronus. Il mento leggermente sollevato, fiera come sempre, ma con un’ombra di muta sofferenza a farle tremare gli occhi scuri. La voglia di raggiungerla ed abbracciarla stava diventando insopportabile.
Quel suo continuare ad essere amica del Tassorosso, senza diventare altro, confermavano il fatto che a sbagliare era stato lui. E Sirius sentì il cuore fremere, la colpa mangiargli lo stomaco,il rimorso e la paura avvinghiarsi addosso.
«Chi vuole essere il prossimo? No, Potter, conosciamo tutti il tuo “bellissimo e maestoso cervo”».
Tutti risero mentre il professore indicava Remus.
«Lupin? Vogliamo vedere a che punto è la tua promettente nebbiolina?».
Remus, preso alla sprovvista, arrossì vistosamente.
«Nessun miglioramento, professore» rispose, mentendo.
Mary, 
arricciando le labbra con disappunto, gli prese una mano tra la stoffa delle loro tuniche vicine .
«Perché non provi lo stesso?» lo incoraggiò Caradoc guardandolo analizzatore.
«Perché ho giusto provato stamattina e non è cambiato niente» mentì Remus, imperterrito.
Il professore annuì lentamente, per nulla convinto, mentre Remus si chiedeva mentalmente se fosse il caso di iniziare a sbagliare qualche domanda ai compiti in classe di Difesa per evitare che gli Eccezionale creassero tutte quelle aspettative da parte del professor Dearborn.
«Black?».
Gli occhi grigi da Liv si spostarono pigramente sull’uomo che girovagava a passo lento nell’aula liberata dai banchi.
«Avanti, prova tu».
Sirius, del tutto contrariato, sfilò svogliatamente la bacchetta di prugnolo dalla tasca dei pantaloni della divisa per puntarla davanti a sé sotto lo sguardo di tutti, Liv compresa.
Restò così, immobile, osservandosi attorno annoiato come se stesse chiedendo a tutti cos’avessero da aspettare.
«Black, siamo alle solite. La magia necessita di una bacchetta, certo, ma anche di un cervello» esordì il professore incrociando le braccia al petto «Applicati».
Il profumo di mughetto anticipò a James l’avvicinamento di Lily a Remus.
«Hai davvero intenzione di non far vedere il tuo Patronus soltanto perché è un lupo?» gli sussurrò lei con fare severo.
«Sì» rispose Remus sinceramente sorpreso da quell’attacco sottovoce.
Gli occhi verdi e le labbra strette che seguirono diedero vita all’espressione più arrabbiata e fredda che Lily gli avesse mai rivolto.
«Sappi che non te lo permetterò, Lupin» gli sibilò con sorprendente determinazione ed un velo di minaccia «Saresti un pieno Eccezionale anche ai M.A.G.O.»
«Lily, a me non fanno nessuna differenza i voti… non mi serviranno per un lavoro»
«Ah, no? E cosa dirai quando chiederai la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure?»
«Chi mai potrebbe portare un Lupo Mannaro a Hogwarts, in mezzo agli studenti?»
«Silente, forse? Credo l’abbia addirittura già fatto, sai?».
Interdetto, Remus non aprì bocca davanti al sorrisetto di Lily.
«Sarai un pieno Eccezionale ai M.A.G.O, Remus, e farai l'insegnante. Parola mia». Di nuovo il velo di minaccia, una luce brillante negli occhi verdi inchiodati a lui e il sorriso da ''Voglio il meglio per te'' di James impossibile da vedere perchè dava loro le spalle ma che Remus vide lo stesso, sul volto di Lily.
«Sì ma prima bisogna eliminare la Maledizione della cattedra di Difesa, se non vi dispiace» sibilò protettiva Mary stringendo le dita di Remus che rise sottovoce, ancora catturato dallo sguardo deciso di Lily.
«Evans, vuole farci vedere lei i suoi progressi dato che Black continua a prenderci in giro?» la chiamò il professore in tono esasperato nei confronti di Sirius, già dall’altra parte dell’aula con un accenno di sorriso divertito sul volto.
«Va bene, professore» rispose Lily scoccando a Remus un’ultima occhiata che sapeva di promessa prima di incamminarsi sfilando la bacchetta di salice dalla tunica.
Si fermò nel punto lasciato libero da Sirius e la puntò davanti a sé ricambiando lo sguardo incoraggiante di Liv, proprio di fronte a lei. Dopo una profonda inspirazione, chiuse gli occhi.
Felicità.
Quante volte nel buio delle sue palpebre abbassate si era ripetuta quella parola per concentrarsi ogni volta che si era esercitata con l’Incanto Patronus in dormitorio? Sempre.
E quante volte la felicità era arrivata subito dopo? Mai.
Quella era la prima volta.
Perché Lily, incredula, si accorse di essere piena di felicità.
Lily si sentiva potente, sicura, capace, giusta. Lily si sentiva così da giorni, da una settimana, dal trenta gennaio.
La bacchetta tra le dita tremò appena. Un’intensa emozione si allargava dal petto, calda e luminosa, incontenibile.
“Il proprietario ideale di una bacchetta di salice ha alcune insicurezze, di solito ingiustificate, per quanto bene cerchi di nasconderlo”.
Era questo che le aveva detto Olivander, sette anni prima.
Ed era sempre stato vero, soprattutto ad undici anni, ma non in quel momento perché in quel momento Lily si sentiva più sicura che mai, sicura delle sue capacità, delle sue possibilità, di se stessa.
Lily si sentiva come aveva sempre voluto sentirsi ed era quella la sua più grande felicità, mai sentita prima.
James, c’era anche James immerso in tutta quella luce bianchissima che invadeva la sua mente, il suo intero corpo.
James che la rendeva sicura di tutto. James Potter che la rendeva pienamente se stessa. Era assurdo.
«Expecto Patronum» sussurrò con un filo di voce tremula, fremente come ogni più piccola parte della sua anima.
Aprì gli occhi verdi, richiudendoli con forza subito dopo per la luce abbagliante davanti a sé.
Li riprovò subito dopo, ansiosa ed incredula, spaventata ed euforica. Felice.
I grandi occhi verdi a mandorla si allargarono nella luce, sorpresi.
Quelle lunghe zampe con gli zoccoli che aveva visto per mesi non erano quelle di una capra, erano di una cerva.
Una cerva, quella che aveva sempre tentato di uscire dalla bacchetta di salice era sempre stata una cerva, la vera se stessa.
In quel momento era intera e splendente con le sottili zampe eleganti, il corpo snello, il lungo collo delicato, gli occhi grandi e dolci, le orecchie ritte.
Lily si sentì così, intera e splendente come la sua cerva ed il merito era di James Potter che la guardava con gli occhi nocciola spalancati a dispetto di tutta quella luce. Sembrava incredulo, stordito tanto quanto lei.
Era assurda la sicurezza che James Potter le regalava ma il suo effetto era reale, ce l'aveva davanti agli occhi, ed era potente.
«Ben fatto, Evans! Meraviglioso!» esclamò sinceramente entusiasta Caradoc tra gli applausi dell’intera classe e il volto incredulo di Liv rivolto verso una compiaciuta Mary.
Lily, il fiato fermo in gola, seguì con occhi lucidi quell’essere di pura luce muoversi aggraziato e silenzioso attorno a lei, lentamente, lasciandosi dietro un’evanescente scia luminosa. Le ricordò il cervo di James mentre lo stomaco si annodava.
Ed era assurdo anche il fatto che la vera se stessa era il corrispettivo femminile del vero James Potter. Che fosse compatibile, affine a lui. Assurdo ma una prova in più da appuntare alla bacheca mentale "Lily Evans può innamorarsi di James Potter".
«Si merita un pieno Eccezionale, Evans» sentenziò il professore raggiungendo la cattedra per scrivere qualcosa su un foglio di pergamena.
Tra tutti quei bagliori di luce purissima nessuno fece caso a Piton, un’ombra nera in disparte.
Nessuno fece caso al rossore sulle guance magre e di solito pallide coperte dai lunghi capelli neri, al suo petto immobile come se avesse smesso di respirare, alle sue labbra serrate e ai piccoli occhi neri scintillanti e colmi di qualcosa che poteva essere di tutto a parte la sorpresa.
Severus Piton aveva già visto quella bellissima cerva, la stessa notte in cui aveva capito di averla persa per sempre.
 
 
 
 



 
 
*
 
 
 




 
 
«Evans, adesso che hai capito che siamo della stessa specie, uscirai con me?» scherzò a pranzo James ricordando a tutti le parole di Lily a settembre, seduta a quello stesso tavolo.
“Io esco solo con quelli della mia specie, Potter, mi dispiace”.
James, nascondendo la sensazione di essere seduto sulle nuvole e non sulla panca della Sala Grande, osservò Lily mentre gli altri ridevano.
Lily che mentre tagliava la sua bistecca si accorse con panico crescente di non sapere cosa rispondergli.
Aveva sempre avuto un ventaglio infinito di risposte, molto variegato e diviso accuratamente in precise sezioni.
Schiettezza, ironia, sarcasmo, dolcezza stucchevole troppo dolcezza stucchevole per essere vera, soda caustica, Schiantesimo diretto, preferenze che ricadevano su animali marini ed altri mostri vari. Non ne era mai mancata una, insomma.
James, comunque, non le diede nemmeno il tempo per pensarci ed il fatto che si fosse infilato in bocca mezzo panino prima di girarsi a soffiare briciole in faccia a Sirius come se niente fosse accaduto le fece sprofondare lo stomaco sotto il pavimento.
Remus fermò il calice pieno di succo di zucca a metà strada tra il tavolo e il suo viso, osservando con una certa inquietudine coltello e forchetta di Lily aumentare velocità e pressione sulla povera carne arrosto. I suoi occhi ambrati cercarono quelli nocciola di Mary che 
risposero subito, capendo al volo il cenno di Remus.
«Lily?» chiese la bionda.
«Mh?» rispose lei con la mascella serrata, apparentemente dovuta allo sforzo sovraumano che stava facendo per tagliare la carne sul piatto.
«Cosa ha fatto di male quella bistecca?»
«Niente a parte essere incredibilmente dura».
Mary lanciò uno sguardo a Remus. Le sopracciglia castane del ragazzo si arcuarono entrambe da sopra il calice mentre i fagiolini accanto alla bistecca martoriata scivolavano via dal piatto accompagnati dal raschiare fastidioso della forchetta sul piatto.
«Per Godric, che odio!» pigolò sofferente Liv tappandosi le orecchie. Lasciò per un attimo la conversazione con Ned, seduto dietro di lei al tavolo dei Tassorosso, per riportare il busto verso il suo piatto e fulminare chiunque avesse fatto fare alla propria posata quell’urlo di Banshee. Sperò con tutto il cuore fosse Sirius, giusto per avere una scusa per guardarlo.
«Che odio il burro sulla gonna, vorrai dire...» sibilò Lily scivolando un po’ indietro sulla panca, accanto a lei, in uno stizzito tentativo di pulirsi la divisa con il tovagliolo.
«Che odio i Serpeverde che fissano George sperando di fargliela fare addosso, davanti a tutti» esordì invece James accorgendosi in quel preciso istante dei ghigni di metà squadra Serpeverde che dal tavolo in fondo confabulava malignamente indicando nella loro direzione.
«Ma mi sembra stia reagendo bene stavolta, no?» osservò Remus posando il calice sul tavolo.
«Già» fece James spostando lo sguardo non più assottigliato dal tavolo verde-argento al loro, sul suo battitore che diversi posti più in là parlava tranquillo con Martha Spinnet, ignorando ‘’Il Nemico’’.
Restò a guardarlo con profondo orgoglio prima di cercare con gli occhi Daisy, trovandola a ridere e mangiare insieme alle sue amiche del terzo anno.
Scoccò un’occhiata furtiva a Liv, davanti a lui, ritrovandosi a guardare i suoi ondulati capelli scuri che si muovevano sulla schiena coperta dal maglione della divisa mentre parlava con Stevens, dando le spalle ad entrambi i suoi nemici. Della sua capacità di ignorare il Nemico, James non aveva mai avuto alcun dubbio.
Soddisfatto anche di lei, fece scorrere ancora lo sguardo ridente sull’altra metà della tavolata scorgendo Michael che gesticolava sopra i vassoi e i piatti in quello che sembrava un racconto particolarmente divertente.
James sorrise, intensamente compiaciuto dei suoi nuovi giocatori perfettamente a loro agio nonostante fosse la vigilia della partita, e per finire andò alla ricerca dei suoi due veterani.
In un primo momento non li trovò ed un leggerissimo velo di inquietudine iniziò a farsi strada dallo stomaco. Si disse che forse non aveva guardato bene.
Sistemò gli occhiali sul naso ripercorrendo l’intera tavolata affollata di cravatte rosse e oro. Scrutò entrambi i lati, destra e sinistra, più volte.
Niente.
Il velo di inquietudine si fece coperta pesante, attanagliandoli la gola.
Scattò in piedi, così veloce che Peter accanto a lui quasi cadde dalla panca insieme alla forchetta e al vassoio della carne.
«Liv?» chiamò in tono paurosamente agitato senza smettere di cercare battitore e cacciatore con sguardo spalancato.
Liv non lo sentì, continuando a parlare con Ned.
«Liv?!».
Lily, allarmata dall’intera figura in apprensione di James e dal suo lampo assassino negli occhi, le diede una gomitata.
«Che succede?» fece quella girando il viso per guardarla.
«Alzati immediatamente» le ordinò la voce di James.
«Cosa? Nemmeno per sogno, devo finire di mang…»
«Alzati ho detto».
L’ansia era ormai palese in James, e Liv si ritrovò costretta a girarsi del tutto per guardandolo preoccupata.
«Che succede?»
«Harrison e Morgan mancano all’appello»
«Stai scherzando?».
Il panico prese il sopravvento in entrambi e subito dopo anche a tutti quelli vicini a loro. Sirius spalancò gli occhi nello stesso momento di Lily, Mary sputacchiò del succo e Remus lasciò la forchetta sul tavolo. Perfino Peter smise di mangiare.
James si risedette tuffando le mani tremanti dentro la tracolla, alla ricerca della Mappa, mentre gli altri cercavano di contenere l’agitazione crescente per non scatenare il panico anche nel resto della tavolata Grifondoro.
Dopo pochi minuti di movimenti convulsi delle dita di James tra le diverse pagine della pergamena, il verdetto.
«Harrison è al primo piano, Morgan non c’è da nessuna parte» informò frettolosamente James senza riuscire a stare fermo sulla panca.
«È di sicuro nella Foresta Proibita, allora» disse Sirius, il profilo serissimo rivolto al tavolo dei Serpeverde. Regulus e Mani di Mazza mancavano.
«Dividiamoci, James» propose con il cuore in gola Liv, una gamba fremente già oltre la panca «Tu raggiungi Harrison, io cerco Alan nella Foresta…»
«Neanche per sogno, vado io a cercare Alan»
«Solo perché sei uomo e io donna?»
«No, Liv, io conosco a memoria quegli alberi. Vado io, tu avvisa gli altri e raggiungete la Sala Comune insieme. Proteggili tu, mi fido di te»
«Non sarebbe meglio se anche tu stessi qui dato che sei anche tu un bersaglio? Magari è una trappola, conoscendo chi abbiamo a che fare».
Era Lily che aveva parlato per ultima, il fiato mozzo e gli occhi verdi colmi di tensione come quelli di Mary e tutti gli altri.
«Non posso lasciare due miei giocatori ed amici in chissà quale pericolo, Evans»
«Non ho detto che devi lasciarli in pericolo…»
«Sono il Capitano»
«Lo so»
«È mio dovere»
«Lo so»
«E sono anche Caposcuola»
«Sono quella che te lo ricorda più spesso»
«Ma anche se non fossi Capitano e Caposcuola, sono due miei amic…»
«Lo so, James»
«E allora?!»
«Dico che potremmo aiutarti noi che non siamo i bersagli» spiegò lei indicando se stessa, Remus, Mary, Peter e Sirius, in realtà già in piedi e pronto a scattare.
Peter, gli occhietti celesti spalancati dalla paura, la guardò in una muta supplica di rimangiarsi le parole appena dette.
James invece, piuttosto colpito, restò ancora una volta a fissarla. Il cuore martellante nel petto divenne ulteriormente più veloce.
«D’accordo» accettò, alzandosi «Ma io devo venire con voi».
Lily annuì, consapevole che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
Saltarono tutti in piedi, Liv compresa.
«Che c’è?» sbottò duramente sentendosi gli occhi degli altri addosso. «Pensavate davvero che me ne sarei rimasta buona qua?»
Bacchetta in mano, superò Lily e Mary a passo deciso ed affrettato, quasi di corsa, sotto lo sguardo ardente di Sirius che accennò un sorriso fugace.
 
 
 


 
 
*
 
 


 
 
 
Ansia, panico, panico, ansia. Il pulsare del cuore di James era troppo veloce per essere dovuto soltanto alla corsa e ai salti sfrenati tra gli alberi innevati e le felci negli anfratti più riparati dalla caduta della neve, sotto i rami più fitti.
Erano ore che cercava Alan. Il sole stava tramontando e tra gli alberi più interni della Foresta Proibita il buio era già arrivato.
James si era appena separato da Liv dopo ore di discussione accesa sulla questione “dividersi o no”. Aveva vinto Liv, alla fine, soltanto perché non erano ancora riusciti a trovare il  compagno di squadra e dividersi in quell’immensa foresta era ormai l’unica cosa da fare.
Con la mente in panne corse più veloce, quasi senza sentire più il nevoso terreno sotto le scarpe ormai zuppe, gridando il nome di Alan senza mai ottenere risposta in quel silenzio totale dato dalla neve.
I rami più bassi, innevati, gli si scontravano addosso facendolo rabbrividire, e più avanzava più l’oscurità lo inghiottiva.
James conosceva a memoria quel posto anche al buio ma soltanto con la vista animale. Il pensiero di Liv, incapace di trasformarsi in Animagus, lo spinse a decidere di trasformarsi in cervo per cercarla.
Ma proprio quando gli venne in mente l’idea, la voce di Sirius lo richiamò dallo specchietto in tasca.
Si fermò di botto, poggiandosi ad un grosso tronco per metà coperto di muschio e neve ed acciuffò al volo lo specchio, subito appannato dal suo fiatone. Il volto di Sirius non era rivolto a lui ma a qualcosa che doveva avere davanti, nella stanza in cui stava.
«Madama Chips è riuscita a svegliare Harrison. Ci sono Remus, Mary e Peter con lui, adesso»
«Che ha detto?» esalò James con la faccia straziata dalla stanchezza fisica e dalla tensione.
«Che sono stati attaccati da qualcuno, alle spalle. Prima di svenire ha visto due figure sfocate che trascinavano Morgan in quest’aula vuota ma qui non c’è, proprio come dice la Mappa».
James si passò nervosamente una mano tra i capelli scoprendo di avere come minimo un chilo di neve in testa.
«Capisci che non è possibile, Sirius? A meno che quella non sia la Stanza delle Necessità»
«Al primo piano? Quelle a cambiare in questa scuola sono le scale non le aule, Ramoso»
«Quindi hanno portato Alan lì ed è sparito nel nulla?»
«Non lo so, ti sto solo dicendo quello che ha visto Harrison. Ripeto, qui non c'è niente a parte un grosso armadio vuoto che sinceramente non avevo mia visto»
«Non potrebbe essere che l’abbiano trasportato nella Foresta dopo avergli fatto chissà cosa lì?»
«Con quei bastardi potrebbe essere tutto»
«Evans dov’è?»
«È andata ad avvisare la McGranitt mezz’ora fa e ha detto che vi avrebbe raggiunto subito dopo. Non l’avete incontrata?»
«Deve aver beccato Liv»
«Perché? Olivia non è con te?»
«No, ha insistito per separar…»
«Ti raggiungo, dove sei di preciso?»
«Quasi alla radura» rispose James capendo benissimo che il suo migliore amico era seriamente preoccupato non per lui ma per Olivia, sola nella Foresta senza possibilità di trasfigurarsi in animale. "La raggiungo" sarebbe stata la frase più corretta. Sirius non era ancora pronto ad ammatterlo a voce, ma dentro di sè doveva percepirlo benissimo.
Lo vide annuire all'informazione della radura e l’immagine dei suoi occhi grigi frementi ed attenti sparì.
Quando James risollevò lo sguardo, il buio sembrava essersi affievolito grazie ad una luce che nel silenzio più denso emanava fievoli bagliori argentei tra gli alti tronchi degli abeti.
Non si spaventò e non sollevò la bacchetta in posizione di difesa perché non era la luce di una bacchetta, quella.
Gli occhi nocciola dietro le lenti seguirono l’affascinante cerva luminosa che avanzava con grazia nel sottobosco innevato, leggera come i pochissimi fiocchi di neve nell'aria.
«Lily?» fece in tempo a chiamare prima di gridare di dolore lancinante con tutto il fiato dei suoi polmoni che si bloccarono subito dopo, facendolo rantolare. 
Cadde schiena a terra, immobilizzato dall’orribile ed annichilente sensazione di avere il petto squarciato e ricoperto di sangue caldo.
Gli occhi nocciola spalancati verso le fronde nere sopra di lui.
 
 



 
 
**
 
 




 
Bianco. Tutto ciò che James vedeva era un bianco accecante, così accecante da essere fastidioso.
Si accorse di avere gli occhi chiusi soltanto quando sentì l’impulso di aprirli e quando lo fece fu come se due lame arroventate gli stessero cavando gli occhi.
Un mugolio sofferente uscì dalle sue labbra che sentiva schifosamente impastate e deboli, come l’intero corpo disteso chissà dove.
«Non devi sforzarti, Potter».
La voce di Madama Chips gli arrivò alle orecchie come un eco lontano.
«Credo proprio che non avrai neanche la forza per chiedermi di andare alla partita, stavolta».
La partita.
Madama Chips aveva ragione perché il tentativo di tirare fuori un grido dalla gola fu inconcludente. Riuscì però a spalancare gli occhi senza occhiali, capendo che le lame roventi non erano altro che un raggio di sole tra quelle macchie sfocate che dovevano essere la tenda e la finestra dell’infermeria dietro il letto sul quale stava.
«Non provarci nemmeno» l’ammonì la donna quando l’angoscia lo spinse ad agitarsi, rabbioso.
La partita. Doveva assolutamente correre giù al campo!
«Potter, non è proprio il caso» sbottò severa Madama Chips spingendolo gentilmente giù sui cuscini.
Si era sempre chiesta dove quel ragazzo riuscisse a trovare la forza anche dopo un trauma cranico o un quasi totale dissanguamento come quello in cui l’aveva visto la sera prima, tra le braccia di Black con Evans e McAdams al seguito.
Per la prima volta in sette anni, l’infermiera della scuola ebbe l’incontrollabile impulso di stringere le dita premurose sulla stoffa del pigiama di quel ragazzo perché fu proprio la prima volta che lo vide piangere.
James Potter, costretto a letto come un’infinità di volte da quando aveva undici anni, stava piangendo disperato perché si era appena accorto di non avere le forze nemmeno per mettersi in piedi la mattina di una partita.
Madama Chips, profondamente colpita e rammaricata, tentò di calmarlo ma James era chiaramente fuori di sé.
Sembrò calmarsi soltanto quando dall’altra parte del letto vide una macchia rossa dal profumo familiare, una macchia che si avvicinò a lui per infilargli gli occhiali rendendo nitidi tutti i contorni.
Lily, profondamente colpita quanto Madama Chips dalle lacrime su quel volto e i singhiozzi di quella voce, lo guardò con gli occhi verdi così intensi da far male.
In quello sguardo sinceramente impressionato, James ci lesse presto un chiaro ‘’Sfogati, butta fuori tutto, dai a me il tuo peso perché insieme a quello degli altri non ci sta sulle tue spalle. Non lo reggi, non stavolta”.
Ma James era inconsolabile con quegli occhi nocciola persi e per la prima volta lucidi come le sue guance smunte, esangui.
Rabbioso, frustrato, amareggiato, furioso, si sentiva in colpa e Lily se ne accorse.
«Non è colpa tua, James»
«CERTO CHE SÌ!» ruggì lui per la prima volta, provando a scendere dal letto con scarsi risultati e lo sguardo fulminante di Madama Chips addosso.
«AVREI DOVUTO IMMAGINARE STESSE PER ATTACCARMI, CAZZO!».
Lily non disse niente, restando in silenzio ad ascoltarlo. Sapeva a chi si stava riferendo perché soltanto una persona poteva scagliare quel maledetto Sectumsempra che lei era riuscita a fermare soltanto perché aveva memorizzato a grandi linee il contro incantesimo fatto da Piton a Liv nel bagno dei sotterranei, due mesi prima.
Fermare alla bell’e meglio, certo, perché il sangue di James non si era ancora fermato del tutto come invece era successo a Liv dopo essere stata curata da Piton, l’esperto.
«L’HO VISTO QUEL SUO SGUARDO DI… DI MERDA! LA NOTTE IN CUI SONO VENUTO NEI SOTTERRANEI MENTRE PARLAVATE! LO CONOSCO FIN TROPPO BENE, SO QUANDO VUOLE ATTACCARMI! HA QUELLA LUCE MALIGNA NEGLI OCCHI, QUELL’ODIO…»
«Perché non ti sei difeso?».
Alla domanda di Lily, James corrucciò le sopracciglia nere riprendendo fiato.
«Perché pensavo fossi tu» borbottò poi, distogliendo lo sguardo da lei.
Lily aggrotto la fronte, interdetta.
«Io?»
«C’era la tua cerva, tra gli alberi, e pensando fossi tu ho abbassato la guardia, non mi aspettavo una fattura oscura. Si è nascosto nel buio, quel codardo» sibilò tra i denti James, disgustato.
Il silenzio attonito affianco al letto lo fece sospirare con stizza perché sapeva benissimo che Lily aveva capito.
«Piton ha il tuo stesso Patronus» tirò fuori come se stesse vomitando del veleno.
Piton era innamorato di Lily. James l’aveva sempre sospettato e il voltastomaco non era mai mancato ogni volta che ci aveva pensato in tutti quegli anni.
«Quel bastardo figlio di puttana! Ha aspettato apposta la vigilia della partita per farmi fuori!» si sfogò James stringendo le lenzuola per issarsi e mettersi seduto. Un dolore lancinante al petto, però, lo fece ricadere tra i cuscini con un tonfo.
Ringhiò rabbiosamente per il fallimento che doveva fargli male tanto quanto i tagli profondi.
Madama Chips scosse la testa con disapprovazione prima di chiedere a Lily di tenerlo d’occhio mentre lei sarebbe andata a prendere altro dittamo per il sangue che aveva ripreso a macchiare le garze sotto il pigiama.
Quando la donna sparì nel suo ufficio, Lily si sedette con cautela sul letto osservando gli occhi serrati con forza dietro gli occhiali in una smorfia di dolore sia fisico che mentale.
Essere sconfitto dai Serpeverde senza nemmeno giocare lo stava uccidendo, Lily lo vedeva, lo sentiva tanto quanto sentiva il cuore battere all’impazzata tra i polmoni che sembravano essersi rimpiccioliti all’improvviso.
«Non posso stare qua. La mia squadra è là fuori da sola, prima della partita, l’ultima con i Serpeverde e io sono qui! Non lo sopporto!» esalò affannato James tentando ancora una volta di rialzarsi, testardo, ma la presenza di Lily seduta sul materasso lo gelò sul posto. Soltanto in quel momento James si accorse della gonna della divisa che copriva le cosce di Lily quasi completamente macchiata di sangue, il suo; dei suoi capelli rossi arruffati, delle leggere occhiaie sotto i grandi occhi verdi posati su di lui con decisione.
«C’è Harrison, Potter, è sempre stato un ottimo Vice Capitano»
«Mi fido di Harrison, Lily, ma ci dovrei essere io lì, adesso. Posso solo immaginare come si sentono tutti e… per Godric, Daisy è sola!».
La sincera e profonda disperazione nella voce e nel volto ancora più pallido di James fece scattare qualcosa dentro Lily che con un fiotto caldo nel petto poggiò di slancio una mano gentile sulla sua, accorgendosi di averlo fatto soltanto quando sentì la pelle d’oca del dorso della mano di James sotto i polpastrelli.
«Non ti muovere» gli ordinò in un tono che non ammetteva repliche, velatamente scosso.
«Dove vai?» mormorò lui guardando la mano di Lily scivolare via alla stessa velocità con la quale si era posata su di lui.
«Tu pensi sempre a tutti, Potter, ma a te chi ci pensa?» fece lei alzandosi dal letto con un cigolio.
James non capì, guardandola confuso.
«Oggi lo farò io» annunciò seria, allontanandosi a passo sicuro.
Con una strana spinta delle gambe, Lily si ritrovò a camminare velocemente nei corridoi deserti del primo piano e poi ad attraversare la Sala d’Ingresso illuminata dal grande portone di quercia aperto per permettere a tutti di raggiungere il campo. Lei, però, superò anche le clessidre e scese le scale dei sotterranei.
Quando arrivò davanti all’aula di pozioni bussò due volte e la voce gracchiante di Gazza arrivò subito dopo, ovattata dietro il legno.
«Punizione in corso
«Scusi, Mastro Gazza, ma ho urgentemente bisogno di…»
«Evans?»
«Sì, dovrei parlare un attimo con il signor Black. Questioni urgenti da parte della professoressa McGranitt»
«Hai il foglietto con la sua firma?»
«Non ho bisogno di foglietti, sono Caposcuola».
La porta si aprì pochi istanti dopo e Sirius fece la sua comparsa con uno sguardo colmo d’apprensione sul magro volto pallido.
«James è peggiorato?!» chiese in un soffio, chiudendosi la porta alle spalle.
«Si è svegliato, è debole ma vivo. Mi presteresti lo Specchio?» tagliò corto lei, spiazzandolo.
«Che cosa
«È per James»
«James ha il suo, non avrebbe senso se io rimanessi senza il mio»
«Potter ha bisogno della sua squadra in questo momento. Tu stai separando vermicoli vivi da quelli morti, che aiuto potresti dargli a parte fargli venire conati di vomito facendoglieli vedere da vicino?».
Sirius ghignò, una bassa risata a fargli vibrare il pomo d’Adamo sul lungo collo.
«Vi conosco più di quanto pensi» commentò Lily lanciandogli un’occhiata di puro biasimo prima di accartocciare i lineamenti saccenti in un’espressione schifata ad un centimetro dai guanti sporchi che Sirius le aveva avvicinato alla faccia.
«Dal vivo è peggio, Evans, non è vero?»
«Ti ammazzo!» sbottò lei allontanando le dita guantate con un gesto brusco della mano.
«Ok, prendi lo Specchio» le concesse lui porgendole un fianco con fare piuttosto sensuale.
Lily arcuò un sopracciglio, osservandolo perplessa.
«È in tasca, con questi guanti puzzolenti non posso prenderlo»
«Black»
«Avanti, Evans, è il sogno di tutte potermi toccare lì…»
«Accio Specchio».
Lo specchietto uscì fuori dalla tasca dei jeans neri per atterrare dolcemente sul palmo della mano di Lily che sorrise soddisfatta sotto gli occhi ridenti di Sirius.
«Prova superata, Evans»
«Tu sei pazzo»
«Non hai abboccato alle avances del migliore amico del tuo quasi ragazzo»
«Ma la pianti?»
«E sei anche intelligente».
Lily sollevò gli occhi al soffitto, esasperata ma con gli angoli delle labbra in lotta con la voglia di sorridere.
«Quando avrai fatto riportamelo qui»
«Certo, non sarò di certo io a rompere la vostra relazione clandestina ostacolando la vostra corrispondenza quando siete lontani»
«Sei così sensibile e dolce, Evans, grazie. Ci farai da testimone?»
«Ne sarei onorata, Felpato».
Lily gli diede le spalle per risalire al piano di sopra ma Sirius la richiamò.
«Anzi… Evans?».
E lei si voltò con aria interrogativa.
«Tienilo tu, lo Specchio, me lo renderai in Sala Comune dopo la partita».
Lily lo guardò senza capire prima di annuire, incerta anche per lo sguardo indecifrabile e perforante che aveva davanti.
«Credo vomiterà di più per l’ansia, guardando la partita» spiegò Sirius con una punta di luce malvagia negli occhi grigi.
Lily non riuscì a trattenere un sorriso, stavolta, scuotendo la testa e riprendendo a camminare.
Sirius ne era davvero convinto, così com’era convinto che Lily Evans avrebbe potuto far star meglio James tanto quanto lui.
 
 
 
 
 


 
*
 
 
 
 
 
 
 
Il cielo alle tre precise del pomeriggio era interamente coperto da grosse nubi grigie che non lasciavano intravedere il sole ma filtravano la sua fredda luce biancastra quanto la neve attorno.
C’era freddo ma sugli spalti dell’ovale campo da Quidditch il fermento e l’eccitazione surriscaldavano la folla verde-argento con battaglieri cori di scherno rivolti alla tribuna rosso-oro, stranamente chiusa in un silenzio totale.
Un silenzio che rispecchiava esattamente l’atmosfera all’interno degli spogliatoi dove la squadra Grifondoro faticava a stare in piedi ma anche seduta.
L’aria era così pesante e tesa da essere irrespirabile. La speranza, la forza, l’ottimismo erano stati completamente distrutti, annientati dai Serpeverde la sera precedente.
Avevano tentato con tutta la loro forza volontà di non cedere alla disperazione durante la notte e la mattina, allenandosi strenuamente animati da una rabbia viscerale ma lì, a mezz’ora dalla partita, con soltanto gli assordanti cori dei Serpeverde ad arrivare alle orecchie e l’immensa mancanza di Alan e James a creare un vuoto incolmabile era difficilissimo.
Le mani di tutti tremavano in modo più che evidente, comprese quelle di Harrison che con la spilla da Capitano appuntata alla divisa scarlatta tentava di spiegare per l’ennesima volta gli schemi di gioco ai due nuovissimi Cacciatori allenati soltanto per mezza giornata, Martha Spinnet e Richard Bell, selezionati ai provini improvvisati ed illegali durante la notte passata in bianco.
Il respiro ansioso dei due nuovi acquisti non era niente in confronto a quello di Daisy, rimasta l’unica Cacciatrice allenata della squadra.
Tra un Michael Cooper aggrappato disperatamente al suo casco da portiere e Carter che faceva avanti e indietro davanti alla lavagna con le tattiche di gioco, Liv se ne stava immobile ed in perfetto silenzio come una statua; il volto irrigidito in un’espressione dura e gli occhi scuri fissi sul pavimento, lo sguardo intensamente determinato nonostante le lunghe ciglia nere leggermente bagnate che facevano pensare ad un pianto.
Aveva liberato un pianto, Liv, respirando a fatica ma senza fare rumore. Nascosta dietro ad un pilastro in legno, lontano da tutti, per qualche istante si era lasciata sopraffare da una paura incontrollabile, la stessa che l’assillava da giorni.
C’era Avery sugli spalti. Ed aveva paura, sì, ne aveva così tanta da sentire il cuore martellarle in gola perché non si sarebbe potuta difendere a diversi metri d’altezza mentre sarebbe stata occupata a cercare il boccino per mettere fine il prima possibile a quella che tutti sapevano sarebbe stata una tortura e non una partita.
Per la prima volta Liv si sentì impotente, alla mercè del pericolo. Impotente e debole, impossibilitata a difendersi. Ed aveva paura.
Ma costrinse se stessa a stare lì in piedi con le mani strette a pugno, vestita di tutto punto e i capelli raccolti in un’ordinata coda alta perché la squadra aveva bisogno di lei, perché James contava su di lei e perché Liv stessa non voleva che Avery la fermasse in qualsiasi modo, a prescindere.
Si era illegalmente infilata la bacchetta di Sirius nella manica del maglione rosso e giallo ma sapeva che non avrebbe avuto modo di usarla e che se l’avesse fatto Madama Bumb l’avrebbe espulsa all’istante.
Decisa a fare qualsiasi cosa per la sua squadra e per se stessa, Liv sollevò lo sguardo fermo e risoluto davanti a sé.
Anche se non si era ancora rimessa in sesto, era sopravvissuta ad un dolore ed una paura ben maggiori. Si ripetè mentalmente che sarebbe sopravvissuta anche a questa.
Rilasciò con lentezza calcolata il fiato tra le labbra socchiuse e il petto cominciò ad abbassarsi con meno frenesia.
«Ragazzi, ragazze» li richiamò la voce sorprendentemente determinata di Harrison.
Liv portò gli occhi combattivi su di lui, notando che sul suo bel volto dalla pelle scura non c’era nessuna convinzione sul saper fare un discorso pre-partita degno di James Potter ma tutta l’intenzione di voler fare del suo meglio.
Harrison era davvero in gamba come giocatore e come persona, Liv l’aveva sempre pensato, e in quel momento ne fu ancora più certa. Vedendolo deciso, nonostante la situazione critica mai vissuta prima e il suo migliore amico ancora disperso, accennò un sorriso incoraggiante nella sua direzione. Lui ricambiò, preparandosi a parlare.
«So che non sono James…» iniziò il Battitore stingendo con forza la mazza tra le mani finalmente ferme e salde come tutti erano abituati a vedergli.
«Sei Brian e vai bene lo stesso, ce lo facciamo andare bene» scherzò Liv facendo sorridere miracolosamente anche gli altri «Hai organizzato dei provini a mezzanotte, hai trovato due Cacciatori all’ultimo minuto, non ci hai fatto buttare dalla Torre di Astronomia tenendoci alto il morale per tutta la notte, ci hai allenato per tutta la mattina, ci hai fatto pranzare, non ci hai fatto vomitare, ci hai portato qui e le tue mani non tremano più».
Lo sguardo colmo di riconoscenza che Harrison le lanciò fu l’ennesimo ricevuto in quelle strazianti ore passate a darsi il cambio a vicenda di “Portatori di Ottimismo”.
«Perché la vendetta è più forte della paura, o no?» chiese il vice Capitano rivolgendosi a tutti. «Perché siamo Grifondoro e proprio perché non abbiamo nessuna possibilità di vincere dovete per forza sentire qualcosa che ribolle nello stomaco. Dopo tutto quello che ci hanno fatto, non volete semplicemente distruggerli?» riprese Harrison serrando la mascella con furia. Si prese una breve pausa per osservare i volti dei giocatori di nuovo animati dall’espressione tipica della rabbia cieca.
Proprio quando riaprì le labbra per parlare ancora, la porta degli spogliatoi si aprì di scatto facendo entrare Lily.
Liv strabuzzò gli occhi, stranita dalla presenza della sua migliore amica con quello che sembrava lo Specchio di James e Sirius tra le mani.
«James Potter» chiamò infatti Lily sotto gli sguardi attoniti dei giocatori.
«Lily?» le rispose dopo poco la voce di James, alquanto confusa.
Un bellissimo sorriso di Lily catturò la visuale di James per qualche secondo prima di vedere la sua squadra nello specchio. E il sorriso spuntò, enorme, sul volto di James davanti a quelli dei suoi sei giocatori che si avvicinarono al piccolo ‘’schermo’’, allibiti ma ancora di più sollevati nel vederlo.
«Che ne dici di uno di quei discorsi sull’ottimismo, Potter? Qui sembrano tutti leoni a digiuno in attesa delle gazzelle ma in realtà se la stanno facendo letteralmente sotto» propose Lily ricevendo ironiche occhiatacce da parte di tutti mentre un fiotto di calore e sollievo attraversava il corpo di James come nemmeno la medicina più potente e miracolosa di Madama Chips avrebbe potuto fare.
Nonostante il dolore lancinante e la debolezza, si sforzò per sedersi sul materasso poggiando la schiena tra i cuscini.
Non poteva farsi vedere pessimista o morente, non l’aveva mai fatto e non l’avrebbe fatto neanche in quella situazione disperata mai vissuta prima mentre il senso di colpa per averli abbandonati proprio contro i Serpeverde e la rabbia cieca per non essere lì lo stavano divorando e corrodendo dentro.
Scandagliò con attenzione quelle facce tese, pallide, addirittura verdi da quanto erano spaventati, persi e sottopressione. Lo stomaco gli si fece di piombo alla vista di Daisy con le guance rigate di lacrime.
«Chi sono questi, Evans?» chiese ironicamente lanciando però un lungo sguardo premuroso a tutti «Questa non è la mia squadra, hai sbagliato spogliatoio».
Piccole risate liberatorie arrivarono dallo specchio e James si sentì un po’ meglio.
«Lo credo anch’io, Potter, ho sicuramente sbagliato porta» l’appoggiò Lily, complice, e James sorrise divertito osservando Daisy ridere asciugandosi il volto con la manica del maglione rosso.
«Dov’è il mio asso nella manica?» chiese riferendosi proprio alla tredicenne con le trecce che sollevò lo sguardo lucido su lui. «La mossa vincente ed imprevedibile. Lo sei sempre anche senza me e Alan, Smith. Sei tu che mi lanci quei passaggi, sei tu che acchiappi la Pluffa e tiri il secondo dopo prendendo alla sprovvista tutti».
Daisy sorrise, annuendo alla muta domanda nello sguardo del suo Capitano:“Ok?”.
«E dov’è il mio muro che ormai non fa passare neanche me?».
«Qui, James» rispose all’appello Michael ficcandosi in testa il casco da portiere «Farò diventare le mani che tremano un must tra i portieri del mondo» sentenziò sollevando le grandi mani incapaci di stare ferme.
James rise facendogli un occhiolino d’intesa.
«La mia coppia di battitori in perfetta sincronia?».
Harrison buttò un braccio sulle spalle di Carter che fece lo stesso con lui, un sorriso tremolante ma sincero a stirare le labbra del più piccolo.
«George, sono i Serpeverde che hanno paura di te e non il contrario, ormai l’abbiamo appurato. E, Harrison, quella spilla ti dona molto, sai? So cos’hai fatto mentre non c’ero, me l’hanno appena detto Remus e Peter».
Harrison sorrise portando la mano sulla fronte in un saluto militare.
«Senza Liv non ce l’avrei fatta» rivelò poi, sincero.
«Oh, certo, Liv» sospirò James, colmo d’orgoglio e per niente sorpreso nel sentire quelle parole. Perché non aveva mai visto nessuno più tosto, feroce e combattivo di Liv. Era una sopravvissuta che si era rialzata così tante volte dai baratri del dolore, della sofferenza e della paura che lui aveva addirittura perso il conto.
«Dov’è la mia veloce e cazzuta Cercatrice?».
Anche le labbra di Liv si curvarono lievemente verso l’alto mentre lo sguardo le si faceva ancora più duro di quanto già non fosse.
«Io mi fido ciecamente della nostra Mano, ragazzi, non ho alcun dubbio sul fatto che prenderà il boccino, oggi» annunciò diventando incredibilmente serio e sincero. Liv era la più grande speranza in quel momento e se lui credeva in lei allora l’avrebbero fatto anche tutti gli altri che infatti la puntarono facendola addirittura arrossire come mai era successo.
Per quelle guance rosse, Liv scoccò uno sguardo fintamente risentito a James che le sorrise come non le aveva mai sorriso. In quell’affettuosa mezzaluna fatta di denti bianchi Liv ci lesse una commovente fiducia totale.
«Adesso sì che la riconosco, Evans, la Mia Squadra» commentò James con un luccichio negli occhi nocciola.
«Spinnet e Bell. Ottime scelte, Harrison» si congratulò con il suo vice fermando lo sguardo sulle figure dei due nuovi giocatori «Spinnet, tuo fratello era il mio braccio destro tre anni fa. Tu non sarai da meno».
Il volto spaesato di Martha sembrò tutto fuorchè d’accordo con lui. Aveva il terrore di rompere la scopa di Alan Morgan che stringeva spasmodicamente in mano, come poteva eguagliare suo fratello?
«Bell, anche tu hai talento, l’ho visto quando hai trasportato i cesti con gli addobbi natalizi. Avete entrambi talento da coltivare l’anno prossimo, certo, ma voi ci servite adesso. Adesso, comprendete?! Quindi fate finta di essere avanti di un anno, ok? Fate finta di aver già giocato contro Serpeverde, fate finta di aver fatto mesi di allenamenti intensivi, fate finta di essere due Cacciatori con le potenzialità già sviluppate completamente»
«Mi stai mettendo ansia, James»
«Ansia?! Bell, tu sei un Cacciatore affermato, intendi? Uno di quelli che avrà figli e figlie con il Quidditch nel sangue, mi capisci? Tutti ti adorano, fanno la ola, disegnano striscioni per te, cantano cori che rasentano l’epicità, per te. Che ansia devi provare? Quale ansia? Niente ansia! Sei un campione! Un hip urrà per Il Campione! Forza!».
Grida esultanti esplosero nel piccolo ambiente dello spogliatoio. Tra fischi, appalusi, vigorose pacche sulla schiena ed abbracci camerateschi Bell sorrise, più confuso che altro, pensando di essere finito in una gabbia di matti.
«CHE FARANNO I SERPEVERDE!?» gridò James dallo specchio, tenendosi di nascosto il costato.
«NON CI FERMERANNO!»
«CHE FARANNO QUELLE MERDE?!»
«NON CI AVRANNO!».
Sorrise, combattendo contro un magone che gli attanagliava la gola e le lacrime pungenti che spingevano dietro le palpebre non soltanto per il dolore al petto di nuovo zuppo di Dittamo.
«Liv, non ti servirà quella» informò adocchiando la punta della bacchetta di Sirius spuntare dalla manica del maglione dell’amica.
«Ma…»
«Avery è qui al Castello, in punizione con Felpato. Si sono presi a pugni, o meglio, Sirius l’ha istigato appositamente a fare a pugni per metterlo in punizione e tenerlo lontano dal campo, oggi».
James restò ad osservare la sua esilarante reazione. Liv era così pallida e rigida da sembrare quasi morta.
«Hai visto, Potter? Che ti avevo detto?» s’inserì Lily fissandola con quel suo tipico sguardo di chi sapeva sempre tutto di lei «Dirglielo soltanto adesso ha fatto il giusto effetto».
Ma Liv non l’ascoltò, non la sentì nemmeno. L’unica cosa che sentì furono i polmoni diventare improvvisamente leggeri.
Fu proprio Lily a sfilare via la bacchetta d'ebano dalla manica del maglione dell'amica.
«Ragazzi!» la voce rauca e senza fiato di Alan Morgan attirò l’attenzione di tutti che lo guardarono prima come se fosse un fantasma e poi un dio sceso in terra.
Daisy strillò, felice, correndogli incontro e saltandogli addosso come un koala. E mentre negli spogliatoi l’aria cominciava a diventare più respirabile, Martha Spinnett si accasciò con sollievo su una panca ringraziando Godric Grifondoro, Merlino e Morgana.
«Allora, Morgan, hai conosciuto una ragazza di Honolulu e il cervello nelle parti basse ti ha trascinato da lei alla vigilia della partita facendo prendere un infarto a tutti?». La severa voce sarcastica di James lasciava trapelare un’incontenibile vibrazione euforica per il fatto che almeno lui fosse lì.
Harrison sciolse il vigoroso abbraccio fraterno con il suo migliore amico inspiegabilmente già in divisa mentre quest’ultimo si avvicinava sotto shock allo specchietto in mano a Lily.
«Perché sei… “lì dentro”?!»                                              
«Tu dov’eri, invece, stronzo
«Da Magie Sinister. Ma perché cazzo non sei qui, James?!». Terrore e panico più totali da parte di Alan Morgan.
«Magie Sinister?!». Incredulità e sconcerto da parte di tutti gli altri.
«Non mi sembra il momento opportuno per i racconti delle vacanze, non trovate?» s’inserì ironicamente Michael Cooper mentre la voce di Allock, amplificata dal megafono, chiamava le squadre in campo.
Ancora impressionato da quel “Magie Sinister” tanto quanto Lily e Liv, James assunse la sua tipica espressione concentrata ad un minuto dall’ingresso in campo.
«Sapete quello che dovete fare» si limitò a dire in quel suo preciso modo che accendeva sempre una fiamma negli sguardi decisi dei suoi giocatori. Successe anche in quel momento e James, colmo di fierezza, li vide sfilare coraggiosamente in fila indiana a passo spedito verso la porta. La sua Nimbus in mano a Bell, dov’era giusto che fosse. Una parte di lui sarebbe stata in campo, proprio come si era sempre premunito di raccomandare a Harrison in caso di assenza ed emergenze.
Liv, in coda alla fila, si girò verso di lui prima di uscire per ultima come il grande numero sette dorato sulla schiena. Gli fece un occhiolino complice che James ricambiò senza esitazione.
I sette entrarono in campo in volo, schierati l’uno di fianco all’altro con il vento gelido a far ondeggiare le larghe tuniche rosse e i capelli legati delle due ragazze.
Entrarono come dei sopravvissuti ma proprio come i sopravvissuti erano traboccanti di quella rabbia e quella voglia di vendetta che superavano qualsiasi paura, qualsiasi ostacolo.
Passando davanti alle tribune rosse e oro, il debole tifo fermò l’intera squadra. Scambiandosi un’occhiata con gli altri sei, Harrison cominciò a gridare.
«CHE FARANNO I SERPERVERDE?!»
«NON CI AVRANNO!»
«CHE FARANNO QUELLE MERDE!?»
«NON CI FERMERANNO!».
Un coro grintoso e battagliero che dopo due ripetizioni contagiò subito gli spalti, amplificandosi e superando quello intriso d’insulti dall’altra parte del campo.
Soddisfatta, la squadra Grifondoro continuò il suo giro sulle scope con finalmente il ruggito dell’intera Casa a vibrare nelle orecchie e nel petto.
Davanti alla marea di sciarpe, striscioni e cappelli verdi-argento che aumentarono di volume i loro cori infamanti, Liv cercò lo stesso Avery con lo sguardo e non trovandolo un’intensa calda sensazione di conforto le invase il petto, salendo al viso dove le labbra le si curvarono in un ampio sorriso spontaneo.
Per la prima volta in vita sua capì che essere protetta da qualcuno era una delle sensazioni più belle che si potessero provare.
Si sorprese di non sentirsi meno indipendente, si sorprese dell’irrefrenabile voglia di raggiungere Sirius, di lasciarsi toccare dalle sue mani e circondare dalle sue braccia.
Da tempo aveva imparato a bastarsi da sola e a cavarsela, preferendo stare sola piuttosto che accontentarsi di qualcuno. Con Sirius, il verbo 'accontentarsi' non esisteva.
Sirius aveva ancora una volta confermato quel suo rispettarla nonostante fosse stato immerso nel suo essere peggiore; l'aveva ferito con le sue stupide bugie e lui l'aveva ferita altrettanto per quei minuti che ad entrambi erano sembrati le ore peggiori mai vissute insieme, ma per tutto il resto del tempo lui aveva torturato se stesso, non lei.
Sirius ne valeva la pena? Decisamente sì.
Strinse con un’incontrollabile adrenalina il manico della Nimbus 1500 e sterzò per raggiungere a tutta velocità le altre divise rosse con uno sguardo battagliero ad infuocarle gli occhi scuri puntati su Regulus che fissava la scopa identica alla sua con una certa incredulità.
Le due squadre, da sempre le peggiori avversarie, restarono a fissarsi negli occhi mentre Madama Bumb liberava bolidi e boccino.
«Non voglio perdere né la voce tantomeno il fiato, siete avvisati» li minacciò l’arbitro scoccando occhiate minacciose ai Serpeverde che però sembravano troppo concentrati a difendersi dagli sguardi quasi folli davanti.
«I Capitani non si stritolino la mano». Madama Bumb cambiò con ironia la frase di rito, invano.
Mentre Harrison e Regulus si stritolavano le dita a vicenda, Alan sorrise con sfida ad un Mani di Mazza letteralmente sotto shock nel vederlo lì.
«Sorpresa» gli mormorò con un largo sorriso sornione proprio prima del fischio d’inizio.
La Pluffa venne lanciata in aria, tra i manici di scopa che partirono nello stesso istante.
«ED ECCOCI QUI CON LA TERZA PARTITA DEL CAMPIONATO, SIGNORI E SIGNORE! LA PROFESSORESSA MCGRANITT È INCREDIBILMENTE VIVA AL MIO FIANCO NONOSTANTE QUELLO CHE È SUCCESSO ALLA SUA SQUADR… SÍ, VA BENE, INZIO LA CRONACA DICENDO CHE ALAN MORGAN HA PRESO LA PLUFFA E… DIECI A ZERO PER GRIFONDORO! SEMBRA SIA TORNATO DA WOODSTOK DATA TUTTA QUESTA ESUBERANTE ENERGIA SOSPETTA, NON CREDE PROFESSORESSA?»
«MORGAN BRUTTO BASTARDO! SE FOSSI LÍ TI BACEREI PRIMA DI AMMAZZARTI E FARTI RESUSCITARE DI NUOVO!»
«Potter, non agitarti o sarò costretta a romperle quello Specchio»
«MADAMA CHIPS, DOPO QUESTA PARTITA POSSO ANCHE MORIRE QUINDI LASCI STARE QUESTI TAGLIETTI! LILY, NON RIDERE! VEDO TUTTO COME SE FOSSI A CAVALLO DI UN IPPOGRIFO UBRIACO!».
Lily si morse un labbro per smettere, stringendo con più decisione lo specchio rivolto verso il campo. I compagni di Casa attorno a lei e Mary erano un mare rosso-oro in un completo visibilio che presto si trasformò in un ululato di puro terrore.
«MANI DI MAZZA CONFERMA IL SUO ADORABILE NOME!» gridò Allock al megafono «MA L’EVIDENTE DROGATO MORGAN-insinuazione più che lecita, professoressa, l’ha visto?!- SCHIVA QUEL BOLIDE CHE AVREBBE POTUTO SPEZZARE UN GIGANTE!»
«LILY? DA MAGIE SINISTER VENDONO DROGA?».
Un boato euforico coprì totalmente la voce ridente ed altrettanto entusiasta di James: Michael Cooper aveva appena parato un tiro di Parkinson.
«POTTER, STIA FERMO! NON GLIELO RIPETERÒ UN’ALTRA VOLTA! LUPIN, LO FACCIA RAGIONARE!».
Lily scosse la testa. Far ragionare James Potter in una situazione del genere? Immaginava perfettamente la faccia di Remus in quel preciso momento.
 
 
 



 
*
 
 




 
Liv girò attorno agli anelli di Michael, gridandogli contro con un ampio sorriso.
Il giocatore solitario come lei sollevò una mano che Liv si premurò di battere con un sonoro cinque prima di sfrecciare di nuovo verso l’alto per schivare un bolide di Mulciber con il dente avvelenato o lo sguardo assassino.
«VENTI A ZERO PER GRIFONDORO! PUNTO DI SMITH! CHI È QUEL TIZIO ACCANTO A LEI?!».
Liv, lo sguardo concentrato, si lasciò andare ad un piccolo sorriso notando di sfuggita il piccolo puntino della McGranitt gesticolare furiosamente nel tentativo di prendere il megafono.
Subito dopo, strinse le mani sulla Nimbus e ricominciò la perlustrazione dell’intero campo alla stessa velocità di Regulus Black, parecchi metri sotto di lei.
 
 



 
*
 
 
 
 
 
«MORGAN SPIAZZA CROUCH E PASSA A SMITH CHE SUPERA BUTLER E… WHO! RAGAZZA MIA, CI CONTENDEREMO LA PRIMA PAGINA DELLA GAZZETTA DELL'ESTETA CHE, EBBENE SÍ, DA DOMANI TROVERE IN BACHECA OGNI DOMENICA MATTINA! COMUNQUE LA PROFESSORESSA MCGRANITT MI STA NON PROPRIO GENTILMENTE OBBLIGANDO A DIRE 
 IL PUNTEGGIO. TRENTA A ZERO PER GRIFONDORO. MA I SERPEVERDE CHE HANNO?».
«TE LO DICO IO CHE HANNO, ALLOCCO! SI SONO APPENA ACCORTI CHE LO SCHEMA NUMERO DUE NON È STATO USATO E CHE IL LORO SCHEMA NUMERO CINQUE HA FALLITO PERCHÉ LA MIA SQUADRA È FOTTUTAMENTE GRANDE!».
Lily strizzò i ridenti occhi verdi per l’assordante frastuono euforico attorno a lei e per le grida di Mary che alternava applausi e scrollate aggrappata a lei causando le proteste di James per le “immagini da terremoto” che gli arrivavano in infermeria.
Fu da quel momento in poi che tutto precipitò, compreso Richard Bell dopo essere stato placcato irregolarmente da Parkinson e Barty Chrouch che l’avevano evidentemente preso per del companatico.
«IL TIZIO È CADUTO!!» gridò terrorizzato Allock mentre la McGranitt scattava in piedi per allontanarsi velocemente dagli spalti.
Quando il Cacciatore fu recuperato e portato in infermeria, le urla rabbiose dei Grifondoro e il fischietto di Madama Bumb si susseguirono in un loop frenetico per tutta l’ora successiva.
Falli pesanti anche al portiere, spintoni non regolari, mazze sulle scope e sulle dita, bolidi impazziti da parte di Mulciber e Mani di Mazza che avevano rotto gran parte dei ramoscelli della scopa di Carter, Cacciatori che facevano i Battitori o direttamente rugbisti babbani: se i Serpeverde erano completamente impazziti di fronte a quella squadra che pensavano di aver distrutto il giorno precedente, i Grifondoro rispondevano con il triplo della grinta e dell’odio nonostante gli arti in meno.
«FORZA!» gridò Harrison con il poco fiato che gli era rimasto nei polmoni. Era così sudato da sembrare sotto ad una pioggia scrosciante.
Stringendo i denti per lo sforzo e la collera accelerò con la scopa per raggiungere Daisy e rimandare indietro un bolide che avrebbe potuto beccarle in pieno un braccio.
Senza aspettare di riprendere fiato scattò verso Alan con la Pluffa sottobraccio, immancabilmente preso di mira da un inferocito Mani di Mazza.
 
 
 


 
 
*
 
 


 
 
«HARRISON NON SBAGLIA E MORGAN SEGNA! 40 A 80 PER I GRIFONDORO! GUADAGNA DIECI PUNTI MA PERDE FORSE TRE DENTI CON QUELLA GOMITATA DI MULCIBER DRITTA IN FACCIA! IL SORRISO, MORGAN, È IL BIGLIETTO DA VISITA DELLE PERSONE... DI QUESTO PARLEREMO NEL PRIMO ARTICOLO DELLA GAZZETTA DELL'ESTETA CHE TROVERETE DOMANI MATTINA IN BACHECA E POI TUTTE LE DOMENICH...»
«Allock, la smetta immediatamente con i commenti frivoli e la pubblicità al suo giornaletto!»
«FRIVOLI?! GIORNALETTO?! LEI STA SCHERZANDO, PROFESSORESSA SPRITE, SPERO… E cerchi di rilassarsi, anche lei, tutta questa tensione sul collo la farà invecchiare precocemente, vedo già una ruga in più… lì, sì, proprio lì…»
«Io l’ho sempre detto a Minerva, Ned Stevens dovrebbe fare il cronista di queste benedette partite!»
«STEVENS?! AH! SOLO SE VOLETE CREDERE AD UN BUGIARDO! SÍ, STEVENS, STIAMO PARLANDO DI TE! TI VEDO DA QUI, SAI?!».
Un boato esultante si innalzò dall’esaltata tribuna verde-argento, sovrastando qualsiasi voce e suono come l’impazzito fischietto di Madama Bumb che aveva quasi perso la voce e i polmoni a furia di segnare falli e gridare.
«DIECI PUNTI PER I SERPEVERDE, PRESUMO… LA PROFESSORESSA SPRITE MI RIFERISCE CHE BUTLER HA SEGNATO MENTRE UN BOLIDE PRENDEVA IN PIENA SPALLA COOPER CHE È ANDATO A SBATTERE SULL’ANELLO PERDENDO IL CASCO! PER LA BARBA DI MERLINO, COOPER, QUEI CAPELLI HANNO BISOGNO DI UN BALSAMO!»
«Stia zitto, Allock!» ruggì nonostante l’affanno la professoressa McGranitt con gli occhi azzurri spiritati e l’aria devastata, risedendosi tra il Corvonero e la Sprite.
«MA LA PARTITA…»
«Stia zitto
«GLI SPETTATORI VOGLIONO SAPERE IL BOLLETTINO MEDICO DEL TIZIO, PROFESSORESSA. CI PUÓ DARE DELLE INFORMAZI…?»
«ZITTO!».
Il putiferio in campo si rifletteva nelle piccole lenti squadrate perfettamente immobili sull’austero naso dalle narici frementi: la McGranitt era furiosa, furiosa e molto somigliante al Demone di Duemila anni che Sirius gli aveva affibbiato il primo anno.
Le lenti rotonde di James non erano da meno. Lily piegò il viso verso il basso, affacciandosi oltre lo Specchio per controllare la sua faccia. Dire che era fuori di sé sarebbe stato un eufemismo.
«DEVO SCENDERE IN CAMPO»
«Tu provaci, Potter, e sarò costretta a ficcarti in gola una Pozione Soporifera insieme alla decima dose di quella Rimpolpasangue! Lasciami finire qua con Bell e vedrai!».
«DEVO SCENDERE IN CAMPO»
«James, non sai neanche scendere dal letto…»
«DEVO SCENDERE IN CAMPO, PETER. SPOSTATI, REMUS»
«Osa ripeterlo, Potter, e io metto fine al collegamento della diretta».
 
 


 
 
*
 
 


 
 
 
Liv lo sentiva quel familiare sguardo grigio, penetrante e fisso su di lei. Era lontano ma lo sentiva benissimo, sulla schiena.
Lo stava ignorando dall’inizio della partita così come stava ignorando Allock, le grida della folla, dei suoi compagni di squadra e dei ‘’Nemici”, il rumore secco dei bolidi sulle mazze e quello degli scontri fisici quando sfrecciava agilmente tra Cacciatori e Battitori, alla ricerca del dannato boccino che doveva essere suo, della squadra, di James, della McGranitt, dei Grifondoro.
La Nimbus 1500 era veloce, velocissima, esattamente come quella di Black che le spuntò davanti all’improvviso. Con i riflessi pronti grazie alla concentrazione totale, Liv si spostò di lato senza rallentare ma, anzi, accelerando per allontanarsi da lui ed evitare distrazioni, quelle che Regulus Black aveva intenzione di mettere in atto adesso che sotto di loro il caos aveva preso il sopravvento a sfavore delle divise scarlatte.
«MORGAN LANCIA A SMITH CHE PERDE LA PLUFFA PER VIA DELLE DITA ROTTE DI PRIMA… ALMENO LE UNGHIE SONO RIMASTE INTATTTE, SMITH?! SONO IL SECONDO BIGLIETTO DA VISITA DI UNA… Professoressa, non c’è bisogno di scaldarsi tantocontinuo, continuo. PLUFFA A PARKINSON CHE… SEGNA. COOPER, CI SEI ANCORA? QUALCUNO DIA UN CASCO E UNA SPALLA NUOVA A QUEL POVERO RAGAZZO!».
Con la lunga coda di capelli a sferzare l’aria fredda, Liv controllò da sopra una spalla Regulus Black. Era sempre più vicino.
Riportò il profilo determinato davanti a sé, appiattendosi sul manico di scopa per andare al massimo della velocità. Se Regulus Black pensava di riuscire a portarla ad esplodere per farla espellere, così come aveva detto ai suoi giocatori, si sbagliava di grosso.
«TI HA GIÀ USATO E SCARICATO?».
Un grido profondo e provocatorio, per sovrastare il vento, le arrivò all’orecchio sinistro. Liv non si voltò.
Mi sono allenata per anni con il fratello, questo idiota non può batterlo.
«PER QUESTO VI EVITATE COME SE UNO DI VOI AVESSE IL VAIOLO DI DRAGO?»
Ignoralo.
«SIRIUS È DI NUOVO LIBERO DI PROVARNE ALTRE E TU TI NASCONDI NEI BAGNI A PIANGERE?»
Ignoralo.
«ME L’HA DETTO AVERY»
«MI SONO “NASCOSTA” IN BAGNO PERCHÈ LA SUA PRESENZA MI CAUSA CONATI DI VOMITO!» si ritrovò a gridargli in risposta perché al solo nominare quell’assassino le si contorcevano le viscere. E Regulus lo sapeva benissimo.
Una bassa risata le arrivò infatti allo stesso orecchio, soffocata dal vento sferzante. Ma Liv non se ne preoccupò, sentiva di avere il controllo di se stessa.
«VUOI PER CASO SAPERE ANCHE TU SE HO IL CAPPUCCIO NERO NEL BAULE?»
Liv non rispose, non lo guardò, non rallentò.
«RIFERIRLO A SIRIUS TI POTREBBE FAR VINCERE UN NUOVO GIRO CON LUI, NON TROVI?»
«PENSI CHE IO SIA UNA PUTTANA, QUINDI»
«È IL GENERE DI RAGAZZA CHE PIACE A MIO FRATELLO»
«IO PENSO CHE INVECE TU HAI GIÁ QUEL CAPPUCCIO, È IL GENERE DI COSE CHE PIACCIONO AI SENZA PALLE COME TE»
Un'altra bassa risata le arrivò chiara, stavolta sinceramente divertita.
«OK, HO CAPITO PERCHÉ SIRIUS SI È FATTO PICCHIARE DA AVERY PER TE...»
«IO INVECE NON CAPISCO PERCHÉ PROPRIO UN CAPPUCCIO A PUNTA CON DUE BUCHI, NON TI BASTA IL CUORE CHE HAI SULLA PANCIA PER APPARIRE RIDICOLO?»
 
-Ok, Olivia, sai i punti deboli e quelli di forza di Regulus Black Cercatore, ma non sai quelli di Regulus Black Persona. Come l’esperienza insegna, i Serpeverde puntano agli insulti personali per distrarre l’avversario.
-Cosa stai cercando di dirmi, Black?
-Sto cercando di dirti che Regulus se la faceva addosso fino a sette anni per un temporale. Sto cercando di dirti che era innamorato di Celestina Warbeck a cinque, che il suo pupazzo preferito era un Erumpent rosa, che il suo primo bacio l’ha dato a Kreacher per sbaglio, che ha una voglia a forma di cuore sulla pancia e che si vergogna a morte di tutte queste cose.
 
Soltanto allora Liv girò il viso verso Regulus per guardarlo in quegli occhi grigi così identici a quelli di Sirius.
Occhi grigi che un Regulus dalle guance arrossate aveva allargato a dismisura, palesemente colpito nell’intimo e forse anche sorpreso nel constatare che quella tra lei e suo fratello non era affatto una semplice scopata.
Liv non aveva nulla contro le voglie sulla pelle, anche lei ne aveva una, ma vedere Regulus messo a tacere la fece soridere prima di abbassarsi repentinamente per schivare un bolide, sfrecciando parecchi metri più giù, accanto a Carter intento a colpire con un ringhio rabbioso ed esausto un'altra palla di ferro in direzione dei Cacciatori avversari marcati stretti da un agguerrito Alan Morgan che volava con un braccio solo, quello non ricoperto di grossi lividi dolorosi.
«IL BOLIDE DI CARTER ALLONTANA BUTLER MA CROUCH TIRA E… COOPER PARA CON IL PIEDE! I PIEDI SOSTITUISCONO LE SPALLE ROTTE E NON HANNO BISOGNO DI CASCHI, VERO, MA DI SCARPE DECENTI SÍ! LA MODA DEL MOMENTO LA TROVERETE TUTTE LE DOMENICHE NELLA GAZZETTA DELL'ESTE...».
Il boato liberatorio Grifondoro fu più forte dello spot di Allock.
Lo sguardo di fuoco di Liv non si rivolse più indietro. Restò fisso in avanti, attento ad ogni minimo movimento per schivare i bolidi ed anche al più piccolo luccichio dorato per captare il boccino che avrebbe messo fine alla sofferenza dei suoi compagni di squadra e Casa.
«BRACCIO ROTTO PER PARKINSON! HARRISON, TI RIFERISCO CHE LA MCGRANITT APPROVA E TI HA CHIAMATO “SANTO RAGAZZO”… COSA? NON DOVEVO DIRLO AL MEGAFONO, PROFESSORESSA? SCUSI».
Il rauco grido belluino di Daisy, intriso d’ira ed odio, echeggiò per l’intero campo mentre la Pluffa che aveva lanciato superava la mano guantata di Montague e trapassava l’anello più alto.
Un coro di urla altrettanto avvelenate dall’odio esplose come il mare di striscioni rosso-oro sugli spalti.
«BENE COSÍ!» gridò aggressivamente James nello specchietto in mano a Lily. Un mezzo sorriso a stirargli un angolo delle labbra per quella punta di intenso orgoglio per Liv che si era allontanata da Regulus senza neanche sfiorarlo.
In un piccolo momento di pausa, Harrison lanciò un grido d’incoraggiamento a Michael (aggrappato ad un anello a tenersi la spalla rotta) prima di sfrecciare di nuovo verso il bolide che Carter gli passò in modo tale da colpire Barty Crouch, già partito all’attacco con la Pluffa in mano. Il bolide, senza stupire nessuno, c’entrò in pieno l’obiettivo e la Pluffa finì in mano a Morgan, subito partito in azione alla parte opposta del campo apparendo a tutti come una scia rossa velocissima alla quale se ne aggiunse una seconda, Daisy.
Insieme, i due Cacciatori Grifondoro rimasti saltarono Crouch, Butler e Parkinson passandosi la Pluffa in una veloce catena di passaggi provati allo sfinimento durante gli allenamenti che però sentivano la terribile mancanza di James Potter.
Alan infatti, bloccato da Butler, ebbe l’impulso di usare quel lancio all’indietro che solo con James riusciva a fare. E mentre a Butler si aggiungeva il peso del corpo di Parkinson proprio sul braccio dolorante per i lividi, Daisy gli gridò da sotto. Alan lasciò appositamente cadere la Pluffa sotto il groviglio di divise e lei la prese al volo con le dita sane, scattando come un fulmine verso gli anelli avversari.
«SMITH SI LANCIA IN PICCHIATA VERSO MONTAGUE MA VIENE BLOCCATA DA CROUCH CHE PASSA A BUTLER, DERUBATO DA MORGAN... BOLIDE D’ATTACCO DI MULCIBER… MAZZA DIFENSIVA DI HARRISON… DENTI VITTIME DI BUTLER... PUNTO DI MORGAN»
«COS’ERA QUELLA MERDA, MULCIBER?!» gridò Harrison, rabbioso e sbeffeggiatore come poche volte lo si poteva vedere «IL ‘’ROVESCIO’’ CHE DOVEVA FARMI APPARIRE COME “UN BABBANO IN UNO SCONTRO DI BACCHETTE”?!»
«VAFFANCULO, HARRISON!»
«JAMES, RIESCI A SENTIRMI DALL’INFERMERIA?!». La voce amplificata di Allock si fece se possibile ancora più alta.
«PURTROPPO!» gridò dallo specchio James con lo sguardo incollato alla partita ed un enorme sorriso per Harrison e la sua perfetta risposta al ‘’rovescio’’ di Mulciber che avevano studiato per mesi agli allenamenti. Quasi gli venne da baciare Peter per la sua proverbiale capacità di fare la spia.
«MADAMA CHIPS, APRA LE FINESTRE! SIAMO 60 A 100 PER LA TUA SQUADRA, JAMES! MI SENTI?! RETTIFICO… 70 A 100… PUNTO DI CROUCH».
Carter, appostato coraggiosamente davanti agli Anelli, rispediva indietro con grinta sorprendente tutti i bolidi indirizzati a Michael che però faticava a stare diritto sulla scopa e soprattutto a mantenere nitida la vista sfocata dal dolore lancinante dato dalle ossa rotte della spalla.
Liv sentì l’agitazione galoppare nel petto quando, gettando un’occhiata verso il basso, vide il proprio Portiere cadere dalla scopa, svenuto.
Le grida di panico dei Grifondoro si unirono a quelle esultanti dei Serpeverde prima che il finimondo avesse inizio e la voce di Allock sparisse sotto quella dei tifosi.
Una pioggia di bolidi di Mani di Mazza cominciò a non dare tregua a Morgan, costretto a risvegliarsi dallo shock per volare a zig zag e fare giri della morte mentre Harrison, gli occhi spalancati dal terrore di non avere un Portiere, con Carter si divideva a proteggere Alan e Daisy, scattata verso gli anelli per fare anche da portiere in uno stato di puro shock.
Una sfilza di Pluffe cominciò ad attraversare gli anelli Grifondoro come coltelli nel cuore di James, improvvisamente muto nonostante la tremarella delle dita che reggevano lo Specchio.
«250 a 100 PER SERPEVERDE!» riuscì a farsi sentire Allock tra il putiferio di esultanza dei Serpeverde dopo l’ennesimo punto di Parkinson mentre Mani di Mazza cadeva dalla scopa, colpito da un bolide particolarmente forte di un Harrison ormai fuori di sé.
Il delirio del pubblico scaturì il secondo dopo, per aver tolto di mezzo quel mostro ed anche per Liv che si era buttata in picchiata in una direzione precisa, seguita immediatamente da Regulus.
Con il cuore ormai impazzito nel petto e le orecchie estraniate da qualsiasi rumore, Liv non batteva nemmeno le palpebre. Lo sguardo risoluto era puntato sulla pallina dorata che sfrecciava davanti a lei. Un bolide la costrinse ad inclinarsi a destra ma non a perdere il contatto visivo con quell’oggettino prezioso che doveva essere suo.
Obbligata a sterzare a sinistra, salire di quota per parecchi metri e ricadere verso il basso subito dopo- schiava dei movimenti del Boccino- sentì il sibilare della Nimbus di Black alle sue spalle e quello di altri due bolidi di chissà chi e per chi (per lei o per Regulus) mentre di sotto Alan e Daisy non facevano altro che difendere gli anelli.
250 a 100, potevano ancora pareggiare. Quel pensiero fece appiattire Liv sul manico di scopa per portare al massimo la velocità con l’aria a sferzarle il viso sicuro e determinato, scuoterle la lunga coda di capelli e la tunica rossa che sfiorava Black, quasi al suo fianco. Accorgendosene, Liv allungò il braccio destro davanti a sé ma uno dei due bolidi che passò ancora una volta in mezzo a loro la colpì al braccio facendola gridare di dolore.
Regulus, ormai accanto a lei in quel folle volo quasi del tutto verticale verso il prato innevato, allungò il suo e Liv con le lacrime agli occhi e i denti digrignati all’inverosimile ringhiò di rabbia stringendo con più forza le gambe sul manico di scopa per mollare l’unica presa ed allungare il braccio sinistro accanto a quello verde smeraldo di Regulus.
Le due mani avversarie si protesero allo stremo verso il Boccino ormai ad un soffio da entrambi mentre il terreno si avvicinava a vista d'occhio e il vento era così forte da non far respirare.
Stringendo più forte i denti per la sofferenza fisica e l’estrema determinazione, Liv scivolò di qualche centimetro sul manico di scopa stando attenta a non sbilanciarsi e i polmoni ripresero ad incanalare aria, spasmodicamente, quando il freddo metallo del Boccino d’Oro sfiorò la punta delle dita e poi la pelle del palmo della mano che si chiuse a pugno.
Il solletico delle ali argentate che sbattevano frenetiche fu la sensazione più soddisfacente che avesse mai provato.
Sia lei che Regulus arrestarono bruscamente la pericolosa corsa sollevando il manico della Nimbus per rimettersi in orizzontale, ad un soffio dallo schiantarsi sulla neve, mentre il mare rosso-oro negli spalti esplodeva sopra il fischio secco di Madama Bumb.
«GRIFONDORO PRENDE IL BOCCINO E LA PARTITA FINISCE 250 A 250!».
Liv, il fiatone a farle male il petto e il cuore a rimbombarle velocissimo dentro, vide di sfuggita lo sguardo indecifrabile di Regulus puntato su di lei prima di venire travolta dalle scope e dall’abbraccio caloroso dei suoi sopravvissuti ed euforici compagni di squadra.
 
 
 
 
 


 
*
 
 
 

 
 
James, finalmente sdraiato sui cuscini, guardava il soffitto dell’infermeria con un largo sorriso estasiato sulle labbra pallide.
Peter, Remus e Michael Cooper, seduto sul letto accanto con la spalla fasciata ma aggiustata, restarono a guardarlo perplessi. Nessuno di loro tre l’aveva mai visto così felice dopo un pareggio con i Serpeverde.
«Io la amo»
«Sì, Ramoso, Lily ha fatto un bellissimo gesto per te oggi»
«Io amo la mia squadra, Remus»
«Ah».
Peter ridacchiò mentre Madama Chips, dietro la sua sedia, si affaccendava tra i letti occupati dai giocatori feriti.
«Ed anche quest’anno l’abbiamo superata senza morti, sia ringraziato Merlino» stava mormorando l’infermiera sistemando i cuscini sotto la testa fasciata di Mani di Mazza, ancora svenuto.
I suoi chiari occhi premurosi, posati sulla frattura al gomito di Butler che si lamentava troppo per i gusti di tutti, si fecero diabolici quando le assordanti grida festose della squadra Grifondoro arrivarono dal corridoio per poi esplodere in infermeria.
Cinque persone in divisa rosso ormai sporco fecero la loro comparsa, malandati ma vittoriosi.
Liv, seduta sulle spalle di Alan che le teneva le gambe per non farla cadere mentre avanzava saltellando con tutti gli altri al seguito, sollevò il braccio con il boccino in direzione di un James Potter dal volto così radioso da sembrare quello di un tizio in paradiso.
«CAPITANO!»
«Abbassate immediatamente la voce, tutti!»
«Michael, James e Bell stanno bene, sì? ECCOLI LÁ!»
«Signor Morgan!»
«E ALLORA CHI SE NE FREGA DEGLI ALTRI!» gridò a squarciagola il Cacciatore facendo saltare più veloce Liv che rise di gusto tenendosi con il braccio sano ai suoi sudati capelli scuri.
«Faccia scendere subito la signorina McAdams! Vi devo medicare, per l’amor del cielo!».
Daisy si lanciò ad abbracciare James che la strinse a sé nonostante la debolezza. Un instante dopo finì tra le mani e la bacchetta di Madama Chips mentre Carter arrossiva sotto lo sguardo ammirato e fiero di James puntato su di lui. Harrison si tolse il distintivo dalla divisa sudata per restituirla al proprietario che però lo fermò.
«Oggi è tuo, vieni qua» fece James allargando le braccia in attesa di un cameratesco e riconoscente abbraccio tra vincitori.
Riaprendo gli occhi nocciola da sopra la spalla di Harrison, si vide il Boccino d’Oro ad un centimetro dal naso. Liv glielo stava porgendo sul palmo aperto di una mano.
Lo sguardo che si scambiarono valse più di mille parole.
«Il tuo stupido cane ti ha riportato la pallina» scherzò Liv riportando entrambi con la mente al giorno dei provini e facendo scoppiare a ridere tutti con grande disappunto di Madama Chips.
James raccolse il Boccino e contemporaneamente afferrò la mano sotto per tirarsi addosso Liv e stringerla con immenso affetto.
«Lily ci ha detto che hai visto la partita in diretta!» esclamò Carter sedendosi a forza su un letto, spinto da Madama Chips.
«L’ho vista in diretta, sì» rispose James schiacciando le labbra sulla divisa rossa dell’amica per camuffare l’emozione nella voce che Remus e Peter, però, colsero lo stesso.
«Tutta?!»
«Tutta»
«Già, idea di Black» esordì Lily entrando in infermeria con Mary al fianco e le mani vuote.
Liv sciolse l’abbraccio con James, catturato dalla figura della rossa.
«E adesso metà dei Grifondoro pensa che io sia una pazza che tratta uno specchio come se fosse una persona» continuò ironicamente Lily arrivata al capezzale del malato che le sorrise come non le aveva mai sorriso.
“Le manca ancora svegliarsi nella tua stessa stanza la mattina di una partita senza ucciderti, sopportarti quando sei malato”.
Lily si lasciò cadere esausta sulla sedia davanti al comodino sentendo subito dopo le labbra di James posarsi sulla sua guancia, facendole mancare il respiro.
Il piccolo gesto, durato forse troppo per essere un semplice bacio amichevole, attirò fischi maliziosi scatenando un’altra ondata d’ira di Madama Chips.
L’infermiera lasciò andare la squadra a festeggiare in Sala Comune con l’intera Casa soltanto dopo essersi accertata di aver aggiustato le ossa a tutti.
Remus, Lily, Mary e Peter restarono con James in infermeria. Liv, con una silente impazienza negli occhi scuri, disse di dover ‘’andare’’.
Nessuno le chiese dove, sapevano benissimo cosa volesse fare.
E dagli sguardi di tutti, Liv capì che erano perfettamente d’accordo con la sua decisione.
Liberare la verità era ormai un bisogno fisico, tanto quanto ascoltare quella che Black le aveva fatto implicitamente capire di voler mostrare.
 
 


 
 
*
 
 



 
 
 
Quando la porta dell’aula di pozioni si aprì, Avery fece la sua comparsa bloccandosi sul posto per la presenza di Liv.
Lei si limitò a guardarlo impassibile senza scomporsi davanti agli occhi colmi d’odio del Serpeverde che si decise a muoversi soltanto quando Sirius, dietro di lui, gli diede una spinta per niente delicata.
Avery lo fulminò con sguardo disgustato che lui non vide nemmeno perché catturato da Liv, la sorpresa o il sollievo di vederla lì a rendere le iridi grigie più brillanti, frementi.
I passi pesanti del Serpeverde si allontanarono nel corridoio deserto diventando sempre meno orecchiabili, a differenza dei respiri sempre più percepibili di Liv e Sirius.
Si divorarono con gli occhi immersi gli uni negli altri come se fossero stati a digiuno da mesi, come se nessuno dei due riuscisse a capacitarsi di poterlo fare di nuovo.
La tensione che ne scaturì fu più forte del solito e un'insofferente impazienza era lampante in entrambi.
Eppure nessuno dei due fece la prima mossa. La paura di distruggere l’orgoglio al quale tutt’e due erano morbosamente attaccati li stava consumando, rendendoli ciechi anche davanti al fatto che in realtà quell’orgoglio Sirius l’aveva distrutto lasciandosi prendere a pugni e Liv decidendo di andare lì in quello stesso momento.
Gli occhi grigi analizzarono intensamente l’intera figura esausta, ma dignitosa di Liv, la sua scarlatta divisa da quiddicth spiegazzata e sporca di fango sull’orlo, l’alta coda di cavallo leggermente spettinata dal vento ma ancora ben stretta alla testa, il livido al polso che faceva pensare ad una frattura appena aggiustata, l'altra mano che si era testardamente presa il Boccino sotto il naso di Regulus, a detta di Lily, e il suo eccitante sguardo morbido e splendente.
L’impulso ardente di baciarla si fece insopportabile quando la vide socchiudere le labbra screpolate dal freddo.
«Sono la persona più egoista sulla faccia della terra, come mia madre» esordì lei accettando a voce la verità che Siriuis le aveva messo davanti un mese e mezzo prima, facendole fare i conti con se stessa.
«Sono la persona più incoerente sulla faccia della terra e la maggior parte delle volte non valgo la pena, più di Regulus» replicò Sirius con altrettanta schiettezza, facendo vibrare nell'aria la cruda verità su se stesso che Liv gli aveva schiaffeggiato in faccia, facendola arrivare dentro dove aveva fatto male prima di fargli vedere che erano quelle le catene che aveva sempre rifuggito, senza accorgersi.
Osservò la fervente reazione dei grandi occhi scuri, troppo lontani da lui per i suoi gusti; la consapevolezza e l'accettazione di quelle verità sofferte a rendere i volti provati di entrambi mortalmente seri, svegli, vivi.
«Ho imparato a pensare esclusivamente a me stessa quando mia madre ha smesso di pensare a me» continuò Liv con il cuore in gola per lo sforzo di rivelare la sua essenza. «E non ho mai scritto a Ned, non l'ho nemmeno mai pensato... e con il lutto per mio padre non c'entra niente» aggiunse con voce incredibilmente fragile ed ansiosa, come se non riuscisse più a trattenere quel "C'entri tu, c'entravi tu, sei sempre centrato tu fin dall'inizio" che aveva tenuto dentro per anni.
Prima di parlare, Sirius restò in assoluto silenzio con lo sguardo fermo a perforarle l’anima ed accelerarle il cuore come nemmeno l’adrenalina della partita aveva fatto. Forse aveva capito, forse sentiva lo stesso per lei.
«Faccio passare le pene dell’inferno alle persone che voglio per essere certo che restino» rivelò, la voce bassa e roca come se non ce la facesse più a controllarsi, a starle lontano. Voleva buttarsi , nonostante la paura aggrappata a lui. «Quella ragazza... era l'ennesima che ho messo in mezzo a noi, come ho fatto per tutti questi anni. Prima erano un muro, poi cani da guardia... e questa una prova... per paura di essere l'unico a sentire».
La stessa paura fremeva negli occhi scuri davanti, intensi e grandi, incatenati a lui come se volessero imprimergli addosso e dentro quello stesso sentire; le labbra schiuse sotto rimasero immobili prima di sparire sotto i denti per un attimo fugace e poi muoversi, morbide e leggermente tremanti.
«Sei una persona orribile, Black»
«Anche tu».
Eppure entrambi, mentre l’avevano detto, si erano avvicinati l’uno all’altra con il respiro affrettato e l’impazienza scalpitante a scorrere frenetica nelle vene, perché nonostante quei difetti si volevano.
C’era qualcosa di immenso e tremendamente piacevole in mezzo a loro.
C’era che accettando quei difetti potevano essere completamente loro stessi con l’altro.
C’era che nonostante i difetti si tiravano fuori il meglio a vicenda.
C’era che il Distruttore aveva protetto e l’Egoista l'aveva raggiunto per ascoltare il suo punto di vista.
C'era che lui, dopo averle dato le pene dell'inferno per testare la sua resistenza, aveva agito per farla restare.
C’era che Sirius aveva pensato a lei e Liv gli aveva fatto vedere l'inutilità di quell'inferno.
C’era qualcosa che smisero di cercare di controllare.
«Non ti ho mai voluto diversa da come sei» le sussurrò Sirius sfiorandole i lati del collo scoperto con un tocco lieve delle dita, così lieve da sembrare inesistente ma che scatenò intensi brividi in entrambi.
«Non mi piaceresti diverso da come sei» soffiò Liv aggrappandosi alla sua felpa nera, in punta di piedi come per stargi ancora più vicino, mentre quelle carezze accennate continuavano a salire e scendere sulla pelle d’oca del suo collo, estremamente lente ed infuocate, facendole saltare i battiti del cuore.
Percepì il naso di Sirius posarsi sulla testa, inspirando contro i suoi capelli legati; il suo respiro si fermò per qualche attimo, come per intrappolare i fiori d'arancio dentro di lui, mentre la giugulare sul suo collo pulsava più velocemente proprio davanti ai suoi occhi che le si chiusero al sentire le labbra di Sirius sfiorarle appena la fronte e poi, accarezzando lentamente la pelle in una scia umida e calda, fermarsi su una tempia.
Non si erano mai toccati così, come se avessero tutto il tempo del mondo, come se si stessero soffermando su ogni parte del corpo per goderla appieno e permettere a quell’intensa emozione piacevole di crescere senza più freni e barriere.
Era uno sfiorarsi accennato, come per permettere all’altro di fermare tutto se l’avesse voluto.
Nessuno dei due lo fece, nessuno dei due voleva fermare quell’estasi creata da uno sfiorarsi di dita e pelle bollente, nasi e brevi respiri spezzati, ansiosi.
Restarono con gli occhi chiusi, lasciandosi invadere dai brividi e dalle sensazioni amplificate, rendendole consapevoli.
Le nocche di Sirius sul collo di Liv continuarono a lambirle la pelle con fretta trattenuta a stento, scoprendo la sua morbida consistenza, e fermandosi sullo sterno, sopra gli impetuosi palpiti del cuore di Liv che sembravano sprigionare il buon odore della pelle, a quel contatto.
Il naso dritto, sfiorando la pelle, dalla tempia scese fin dietro il suo orecchio, sul piccolo neo che fece fremere entrambi in un'esplosione di calore e batticuore, voglia intensa. Affannando, Sirius prese un altro tremante respiro che lo mandò in tilt quando arrivò alla sua giugulare percependo di nuovo nettamente il battito di Liv; il desiderio lo invase e il suo odore di mimosa sprigionato ad ondate dolci gli diede alla testa, era impossibile resisterle.
«Davvero?» le mormorò all’orecchio con voce calda e vibrante d'emozione, il cuore impazzito, facendole rabbrividire anche le viscere.
A quella potente reazione, le dita di Liv che gli annuì aggrappate alla felpa si ammorbidirono salendo dal petto alle spalle e poi al collo, provocandogli una lunghissima vertigine allo stomaco. Socchiuse lo sguardo, Sirius, quando le mani di lei s’infilarono tra i suoi lunghi capelli neri, scorrendo fin dietro le orecchie dove un'altra ondata di calore intenso e cuore frentico li fece respirare rumorosamente, al limite. La lenta carezza lo fece fremere spingendolo a posare le intere mani ai lati del suo collo, i palmi a contatto con la pelle bollente e morbida mentre il naso attraversava una guancia e risaliva lungo il suo profilo senza più riuscire a fermarsi.
Quando Liv aprì gli occhi e sollevò lo sguardo incontrò quello vicinissimo di Sirius, intenso e bruciante. I respiri di entrambi, in quell’attimo, sparirono. Per la prima volta si guardarono con una calma che sapeva di consapevolezza.
Liv lasciò i ciuffi neri e mentre quelle dita sottili che Sirius adorava scivolavano fino a fermarsi sul suo petto, proprio sopra il cuore impetuosamente martellante, le prese dolcemente il viso tra le mani; i diversi respiri ripresero ad infrangersi smaniosi sulle labbra formicolanti che si'incontrarono nello stesso istante con un impeto impossibile da trattenere ancora.
Un basso gemito sfuggì alle labbra bollenti di Sirius, per un attimo solo si curvarono insieme a quelle di Liv in due sorrisi impercettibilmente aperti per poi ricongiungersi con urgenza sentendo ogni parte di loro stessi fremere per essersi di nuovo uniti.
Liv si sentì prendere alla vita, sollevare da terra, stringere contro di lui. E mentre la bocca di Sirius assaggiava con trasporto la sua, ad ogni languida carezza di fuoco della lingua sentivano la pazzia data dallo stare separati che si allontanava, la pace che finalmente placava la tensione e l’intensa emozione senza nome espandersi, così travolgente da mettere fine al profondo bacio disperato per potersi sfogare in un abbraccio mozzafiato, eliminando l’ormai insopportabile distanza tra i loro corpi.
Respirando rumorosamente, Liy gli circondò il collo con entrambe le braccia stringendo forte e poggiando una guancia sull’orecchio libero dai capelli neri mentre Sirius, affannato, le avvolgeva la vita anche con l’altro braccio per sollevarla ancora di più e schiacciarla contro di lui, protettivo come se la stesse tenendo per non farla cadere da un burrone.
Si abbandonarono al calore dei loro corpi, e con il cuore martellante di entrambi che entrava nel petto dell’altro in quella stretta che comprimeva i polmoni ma faceva finalmente respirare l’anima, Liv si accorse di non aver affatto finito le lacrime per suo padre, per se stessa ed anche per la mancanza che aveva provato per quella persona che soltanto adesso sentiva dentro.
Il suo respiro irregolare si fece un susseguirsi di singhiozzi incontrollabili. Pianse nascondendosi sull’incavo della sua spalla, pianse silenziosamente ma così forte da farsi venire il mal di testa, il mal d’occhi.
Sirius fece sprofondare il viso sul suo collo scoperto, baciandolo con sorprendente delicatezza e cura per cercare di calmarla, di rallentare la frenetica vena pulsante, i singhiozzi che sconquassavano la gola; cercare di farle capire che c’era, che lui era lì per lei, che poteva arrendersi e riposare per un momento perché lui avrebbe pensato a tutto il resto al posto suo.
Liv si aggrappò ancora più stretta a lui mentre un braccio di Sirius le lasciava la vita per tenerle la testa sulla sua spalla, le dita tra i capelli scuri della coda in un lento movimento costante.
Le labbra premute ad intervalli regolari sulla giugulare parvero fare effetto immediato. Il respiro di Liv rallentò, il pianto si spense lentamente fino a cessare del tutto, ma la presa di Liv attorno al collo di Sirius, il braccio di lui attorno alla sua vita e l’altra mano sulla testa non smisero di stringere anche se il sentimento prorompente che li invadeva come un balsamo era avvinghiato allo spavento di star vivendo la loro più grande paura: l’essere dipendenti da qualcuno, impegnarsi con qualcuno.
Ma non potevano più farne a meno così come non potevano più fare a meno di assecondare l’impellente bisogno di baciarsi.
Le loro labbra si cercarono di nuovo, ansiose di riaversi, depositando respiri spezzati sulla pelle del collo e del viso dell’altro.
E si baciarono ancora ed ancora, senza riuscire a fermarsi, sorridendo ogni tanto per la meravigliosa certezza di poterlo fare tutte le volte che volevano.
«Vai bene così... per me...» tentò di mormorare Liv con le labbra di Sirius addosso e una veramente bassa lucidità mentale. «Tu... vali la pena, sempre, anche quando sbagli».
Sirius la strinse più forte, sorridendo impercettibilmente sulle sue labbra che catturò subito dopo; il cuore più veloce a quelle parole che lo resero libero di essere se stesso, con lei.
Fermare i baci per parlare richiedeva uno sforzo sovraumano. La posò a terra senza allentare la presa.
«Sei sempre... andata bene per me, vera volpe. Il marcio è ciò che ci circonda fuori da qui, quello è l'unico marcio che esiste e che ha portato via tuo padre» le mormorò Sirius con l'affanno, gli occhi grigi intensi ed ardenti nei suoi. «Scusami, sono stato crudelmente insensibile e bugiardo... più volte. Avrei dovuto crederti, riguardo Stevens... so che non sei quel genere... Non volevo. Mi fai... mi hai fatto finire all'inferno e avevo perso la testa,tutto...»
«Sirius» esalò Liv, avvolta dalla parola 'scusami' mai uscita prima da quella bocca. «Lo so, altrimenti non sarei mai venuta qui».
Sirius sospirò, affranto, prima di baciarla ancora prendendole il viso con entrambe le mani, chino su di lei come se volesse assorbire e riprendersi il male e la sofferenza che le aveva inferto con le cattiverie gratuite.
Liv sorrise brevemente contro le sue labbra mentre i pollici di Sirius le accarezzavano le guance e gli angoli della bocca aperta contro la sua; impetuosa e possessiva, mandandole a fuoco le labbra e aumentando la voglia di toccarsi.
«Basta trappole, Olivia» le sussurrò sulla pelle umida Sirius, mordendole la carne morbida e golosa del labbro inferiore per un attimo fugace, impetuosamente voglioso. «Per favore» aggiunse in un altro sussurro quasi supplicante che fece saltare il cuore di Liv.
C'era qualcosa di diverso dalla prima volta che si erano avvicinati; qualcosa che nessuno dei due osò dire, ma che ad entrambi aveva torturato il cuore senza mezze misure dal momento in cui si erano separati.
Di diverso c'era la consapevolezza, il sapere cosa fosse quel qualcosa che li aveva fatti avvicinare lentamente negli anni e poi torturati senza pietà per più di un mese, come se non volesse essere messo da parte.
«Basta trappole» concordò lei in un basso soffio fremente. Aveva fatto troppo male, mentirsi.
Fu soltanto un attimo, perché le loro bocche bramose non ammettevano più alcun tipo di distanza.













 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** 44. Scopa Bagnata, Scopa Fortunata ***





Nelle risposte alle recensioni ho detto che avrei pubblicato oggi e quindi pubblico oggi nonostante l'ora tarda (ci sono stati degli imprevisti, per questo non ho aggiornato nel pomeriggio come faccio di solito).
A qualcuna di voi ho detto anche che questo capitolo avrebbe dato meno spazio all’amore. Mi ero completamente scordata di San Valentino (sono single da anni, capitemi) quindi tratteremo il mistero della sparizione di Alan Morgan nel prossimo.
 
Chi ha letto altro di mio sui Malandrini, qui riconoscerà un momento speciale a cui avevo accennato in una One Shot. Non dico quale per non rovinarvi la sorpresa.
 
Ultima cosa:
Allarme rating arancione, mettete a dormire i bambini (se dopo aver letto pensate sia meglio alzarlo a rosso ditemelo pure).
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Capitolo 44
 
SCOPA BAGNATA, SCOPA FORTUNATA


 
 
 
 
Lily sapeva di essere ormai sveglia ma rimase con gli occhi chiusi, senza staccare la testa dal cuscino. Si era data della stupida più volte in un quarto d’ora eppure continuava a stare così, abbandonata ad uno stato di strano rilassamento diverso da quello abituale delle solite domeniche.
Non aveva bisogno di aprire gli occhi per puntarli sul comodino alla sua destra dove il mazzetto di margherite la osservava ogni mattina dal bicchiere pieno d’acqua.
Non aveva bisogno di aprirli nemmeno per osservare le sue iniziali d’oro sul distintivo accanto a quello da Caposcuola, se lo sentiva appuntato dentro come la sua cerva splendente.
Il fatto che molto probabilmente quello sarebbe stato il giorno dell’espulsione di Piton dalla scuola contribuiva al tutto, certo, ma la guancia toccata la sera prima dalle labbra di James formicolava ancora e per il suo cervello non era come se fosse più importante, lo era solo per il cuore che aveva deciso di smettere di battere ad un ritmo sensato.
«Quanto lo odio» sussurrò tra i denti.
«Chi?».
L’improvvisa voce di Mary la fece irrigidire sotto le coperte.
«Sei sveglia, quindi»
«No, Lily, è la tua coscienza che ti sta parlando»
«Buongiorno, Coscienza»
«Buongiorno, mia cara. Chi odi?»
«James Potter»
«Oh! Mia cara, come ti capisco. Quanto odio Remus Lupin! Non lo immagini nemmeno…».
Lily aprì gli occhi alla luce del sole che entrava dalla finestra, sporgendosi un poco dal letto per vedere oltre una colonna del letto a baldacchino e scoccarle un’occhiata senza sollevare la testa dal cuscino. Mary aveva la sua che spuntava dalle coperte del letto di fronte, il caschetto biondo spettinatissimo e un sorriso sornione che comprendeva anche gli occhi nocciola piccoli per il sonno.
«Noi due non odiamo Remus Lupin, Coscienza»
«Non mi hai ancora detto se bacia bene»
«Devi dirmelo tu se Remus Lupin bacia bene o no, Mary».
Un cuscino arrivò tristemente sul tappeto, sopra le sue ciabatte, mancandola di parecchi centimetri. Lily ridacchiò.
«Abbiamo qui la nuova Grande Cacciatrice, signori e signore» la prese scherzosamente in giro.
«Il vero Grande Cacciatore, James Potter, bacia bene?» sbottò l’altra ricascando stancamente tra i cuscini e sparendo dalla sua vista.
«Non l’ho baciato»
«L’hai baciato»
«Non l’ho baciato»
«Sei una bugiarda, Lily?»
«Non sono una bugiarda»
«Allora l’hai baciato»
«Non l’ho baciato»
«Mia cara, stai continuando a proteggere la tua sanità mentale…»
«Non l’ho baciato»
«… e per questo ti ho sempre rispettato»
«Non ho baciato James Potter»
«Ma, vedi, è successo due settimane fa e negare ancora non si può più chiamare protezione…»
«Non l’ho baciato, ho provato ad ucciderlo»
«Certo, Lily»
«Era l’arma più letale che avevo a disposizione»
«Naturalmente. Allora, dimmi, come muore James Potter?»
«Non lo so, è rimasto immobile»
«L’hai ucciso all’improvviso, certo. La prossima volta conta fino a venti, almeno, giusto per vedere se rantola qualcosa nel mentre, se tenta di difendersi, se ricambia la voglia di uccidere…»
«Se ci sarà una prossima volta»
«Vuoi dire che non provi più istinti omicidi verso James Potter?».
Un silenzio assoluto calò sulla stanza, tipico di Lily quando pensava. Mary sorrise furbescamente al soffitto.
«Voglio dire» esordì Lily «Che ho appurato l’inefficienza di quell’arma ed ho appena deciso che la prossima sarà il coltello del burro a colazione… Ahi!»
«Le stronzate in questa camera si pagano con le cuscinate, dal primo anno»
«Soltanto quando arrivano a destinazione, come adesso ma non come prima»
«Ho finito i cuscini. Immaginane uno enorme che ti arriva in pieno naso in questo preciso momento»
«Prendi quelli di Liv… a proposito, dov’è Liv?».
Entrambe le teste si sollevarono, in allerta, i nasi puntati verso il letto dell’amica. Restarono sorprese dal materasso vuoto ed ordinato.
«Credo proprio diventerà la nuova normalità, questa» preannunciò Mary mettendosi seduta sul letto con un sorrisetto malizioso «Sarà il caso di cominciare a farle regali seri, d’ora in poi»
«Ci deve pensare Black a quelli. Parte del corpo sua, responsabilità sua» sentenziò Lily nel suo più deciso tono femminista.
Mary rise in uno sbadiglio mentre Lily buttava fuori dal letto le gambe.
Le margherite le diedero l’ennesimo buongiorno e il cigolio della porta che si apriva da sola e con cautela spezzò il momentaneo silenzio.
«Fai pure come tuo solito, Liv, siamo sveglie» esclamò mettendosi in piedi per fare i due passi che la separavano dal letto accanto in modo tale da poter sbirciare i nomi degli spasimanti dell’amica e magari rubare qualche dolce dopo averlo scrupolosamente analizzato.
La porta allora si aprì del tutto senza alcun riguardo e Liv fece il suo rumoroso ingresso.
Era in divisa da Quidditch ma con i capelli sciolti. Una pacata rilassatezza la rendeva radiosa senza nessuna esagerazione, lo si percepiva dall’accennato sorriso sulle labbra e dallo sguardo incredibilmente luminoso. Più succhiotti erano chiaramente visibili sul lato del collo libero dagli ondulati capelli scuri spettinati.
«Vi siete dati alla pazza gioia nell’aula di pozioni?» esordì Mary guardandola indagatrice.
r Il piccolo sorriso di Liv si sollevò ulteriormente, le labbra non si aprirono e non raccontò niente a loro di quel momento che solo lei e Sirius avrebbero custodito per sempre; immagini, odori, sensazioni, emozioni e suoni, però, continuarono a scorrere nella sua mente.
 
«Aspetta» sussurrò sulle sue labbra Sirius in un ringhio affannato. Pigiò piano le dita sui capelli ormai sciolti sotto le mani ai lati della testa di Liv, spingendo la fronte sulla sua per separare le loro labbra fameliche, parlare e cercare di mantenere il controllo.
«Sei sicura?» gli chiese ansante nonostante sentiva che sì, era sicura; Sirius percepiva il suo corpo chiamarlo, attirarlo senza più nessun ostacolo davanti.
«Sicura» gli rispose in un soffio spezzato Liv, anche lei con lo sguardo stordito dalle forti emozioni, anche lei con un leggero strato di sudore freddo su tutta la pelle, le ondate di calore a pervaderla; anche lei con il controllo del proprio corpo e della mente pari a zero, dovuto a quella stretta vicinanza che pretendeva un contatto sempre maggiore, a quei baci e quei respiri che scioglievano la pelle, rendevano molli, facevano impazzire il cuore e sparire il resto del mondo per far spazio a loro soltanto. Anche lei schiava dell'accecante desiderio di lasciarsi andare in tutti i sensi, con lui.
«Tengo a te, Olivia, e non ho mai smesso un istante di farlo... mai» ansimò lui senza smettere di scrutarla con attenzione perforante, finalmente sincero, sentendo di non riuscire più a trattenersi.
Qualcosa spinse da dentro il petto impazzito, fin dietro le labbra, gridandogli che quel verbo non bastava, non era del tutto preciso. Lui non "teneva" soltanto, lui faceva anche molto di più. Un di più che faceva tremare e che sentì impresso addosso, attraverso gli occhi scuri davanti.
«Ho avuto tante occasioni per smettere di farlo, di tenere a te» sospirò Liv con sempre meno fiato, sentendo le mani di lui attirarla a sè e il cuore esplodere di quel di più che sembrava gridarle di correggere. «Tutte le volte che tu chiami i tuoi sbagli... ma non ho mai smesso nemmeno io, mai».
Sirius la guardò come non aveva mai fatto, uno sguardo indescrivibile tanto era intenso. Sembrava quello di qualcuno che aveva appena trovato qualcosa che aveva cercato da una vita.
La baciò impetuoso, possessivo, intenso, aumentando la presa delle mani sopra le sue orecchie coperte dai capelli per assicurarsi di averla tutta per sé in un bacio profondo, ardente di desiderio carnale e qualcos'altro che, dolce e bruciante allo stesso tempo, sembrava amalgamarsi ed assemblarsi alla perfezione.
Le lasciò la testa soltanto per infilare le mani sotto il maglione rosso e oro della squadra, marcando gelosamente con palmi e dita ogni parte e curva del suo corpo coperta di brividi, bollente, mentre il respiro si faceva più pesante ed affannato.
Arrancando all'indietro senza smettere di baciarsi e toccarsi con un'urgenza colma di desiderio bruciante, entrarono dentro l'aula di Pozioni. Sirius chiuse la porta con un piede, annaspando sulla bocca di Liv e con le sue braccia attorno al collo per abbassarlo e portarlo alla sua statura. Con una mano sul suo fianco sinistro la strinse a sè ricambiando quel bacio voglioso, smanioso, e con l'altra riuscì a prendere la bacchetta dai jeans per chiudere la porta soltanto dopo diversi tentativi.
Sospirò pesantemente, eccitato, quando furono liberi di spogliarsi godendosi appieno ogni sensazione stordente, ogni lembo di pelle scoperto che diventava malleabile sotto ai loro tocchi, ma spinti da un insopprimibile bisogno di unirsi, di sentirsi totalmente l’uno dell’altra, di appartenersi nel modo più assoluto possibile come per mettere in chiaro ogni cosa senza più incomprensioni, fraintendimenti, bugie, trappole.
Un bisogno mai sentito prima da nessuno dei due.



«Sì, nell’aula di Pozioni. Quando si dice ’chimica’, Mary, o ’alchimia’ se preferisci…» rispose in ritardo Liv, mal trattenendo un sorriso; la luce negli occhi scuri a Lily e Mary fece intendere molto di più di semplice malizia da sesso. Qualsiasi cosa fosse successa durante il rapporto era stata profonda e seria, non superficiale.
«Dimmi su quale banco non poggiarmi, domani siamo lì alla prima ora» disse Lily mettendosi le mani sui fianchi.
«La cattedra» rispose schiettamente Liv. Così come il fatto di non avere addosso il completino in pizzo, il posto e l’atmosfera non avevano avuto alcuna importanza. A nessuno dei due erano passati per l’anticamera del cervello quando ad essere perfetto era stato il battito dei loro cuori finalmente in sincronia.
Lily rise apertamente sciogliendo la postura severa mentre gli occhi di Mary diventavano grandi quanto quelli del drago sul calendario dietro di lei.
«Siete pazzi, tu e Black» commentò saltando giù dal letto «Voi due siete pazzi e la cosa drammatica è che insieme create due pazzi complici».
A ridere stavolta fu Liv che si chiuse la porta alle spalle, conscia del fatto che le chiacchiere si sarebbero presto fatte più intime.
«State insieme?» le chiese Lily mentre lei attraversava la camera per raggiungere il suo baldacchino.
«Non ne abbiamo parlato, eravamo troppo occupati a fare altro»
«Nemmeno quando avete finito?»
«Siamo crollati, abbiamo dormito».
Sia Lily che Mary sapevano il perché dell’enfasi sull’ultima parola, quanto fosse importante per lei che non dormiva da più di un mese.
Liv si piegò sulle ginocchia per aprire il baule e rovistare tra gli indumenti puliti mentre risentiva la stoffa pesante della sua tunica rossa da Quiddicth separare la sua schiena nuda dal legno della cattedra, il piacere estremo pervaderla completamente, i loro cuori scoppiare, lo sguardo grigio offuscato dall'estasi perso nel suo e quel bacio sulla fronte; il respiro di Sirius che da affannato sul suo profilo e sulle sue labbra si era fatto più lento e regolare sull’incavo della sua spalla e poi nel punto più sensibile dietro l'orecchio, soffermandosi lì in una cascata di brividi intensa e calore, bacio dopo bacio sulla pelle, così dolce e focoso insieme da sorprenderla; il deciso profumo maschile misto al suo a mandarla ancora più in tilt, il calore della pelle a contatto diretto con la sua, i brividi che avevano continuato a pervaderli, i suoi occhi che l'avevano osservata in silenzio per minuti interi; le sue braccia protettive attorno a lei, la mano che saliva e scendeva lungo tutto il braccio nudo in un movimento esausto e premuroso, l'irrefrenabile sensazione di benessere e fiducia che le aveva fatto chiudere gli occhi.
Si era addormentata stretta al suo petto senza neanche accorgersene, avvolta dal suo calore e col battito del suo cuore addosso.
«Dormito sulla cattedra di Lumacorno?». La riscosse la voce allibita di Mary.
«Sì»
«Ripeto, siete pazzi»
«Non avete parlato nemmeno quando vi siete svegliati?»
«Sono andata via, Lily»
«Cosa
«Mi sono rivestita e me ne sono andata»
«Liv». La voce e l’espressione della migliore amica erano intrise d’ammonimento.
«Cominciamo bene» l’appoggiò Mary nascondendosi gli occhi con una mano mentre Liv rideva, divertita e furba.
«Non c’è niente da ridere!»
«Permaloso com’è!»
«Ha riso anche lui!» le rassicurò non riuscendo a trattenere un sorriso forse fin troppo dolce per i suoi canoni. Diede le spalle ad entrambe per riassaporare da sola, ad occhi chiusi, quel momento.
 
«Volpe».
La sua bassa voce profonda, calda e roca per il risveglio era divertita come se quel suo comportamento non facesse altro che eccitarlo, interessarlo e fargli perdere la testa ancora di più.
Liv, acciuffando come se niente fosse il reggiseno dalla spalliera della sedia del professore, l’aveva guardato da sopra una spalla con sguardo scaltro sentendo la punta delle sue lunghe dita sfiorarle languidamente una fossetta sui lombi, facendole fremere le gambe.
Sirius era immobile come l’aveva lasciato, steso pancia sopra e nudo, gli occhi intesamente posati su di lei e un sorriso sghembo sul volto che faceva intendere non solo divertimento ma anche profondo compiacimento, stupore per quell'amplesso che li aveva sconvolti senza riuscire nemmeno a trovare le parole per descriverlo.

Era la volpe ed era anche per questo che voleva lei, così com’era. Liv adesso lo percepiva non soltanto addosso, anche dentro.
 
«Sei sicura che faccia sul serio?» le chiese Mary.
«Sì» rispose Liv senza nessuna esitazione. Era assolutamente certa. Non si spiegava il perché ma lo era, lo sentiva dopo quella notte che ancora la invadeva dentro.
Quell’unione di corpi sembrava fosse stata anche un lungo chiarimento tra loro, un deciso e convinto ‘’Ci sono, stai con me, stiamo insieme, voglio davvero che tu sia mia, mio’’ dopo tutto il desiderare, l’aspettare, il faticare per ottenere quello che finalmente avevano tra le mani, sulla bocca, nell’aria che respiravano.
«Nudo è davvero bello come dicono?»
«Di più».
«Davvero bravo
«Di più».
Non riusciva a capire certi resoconti sentiti nei bagni che descrivevano un Sirius Black esclusivamente esperto perché con lei aveva fatto l’amore intensamente, un’intensità focosa e passionale del tutto estranea a Charlie Wood. Un’ intensità che aveva coinvolto visceralmente entrambi e che lentamente si era fatta insopportabile sfociando in una passionale, focosa e animalesca violenza che li aveva portati al limite ed oltre. Sirius Black voleva tutto: corpo, cuore, mente, anima. E dava anche tutto. Non era stata una sua semplice sensazione, lui lo faceva capire senza dubbi o esitazioni.
E dolce, Sirius Black era stato perfino più dolce ed attento del premuroso Charlie durante la sua prima volta.
«La pozione è riuscita, quindi» dedusse Lily osservando l’amica con un certo divertimento. Non l’aveva mai vista ridotta in quello stato dopo un incontro con Wood.
«Riuscitissima, credimi…» rispose ancora una volta Liv prendendo intimo ed indumenti puliti per farsi una doccia. Dalla sua voce, anche Mary capì che era rimasta profondamente segnata.
«Ok, ci basta questo» rise scambiandosi un’occhiata con Lily che però non sembrava del tutto soddisfatta del racconto.
«Che misura di mestolo ha Black?»
«Lily!» sbottò scandalizzata Mary lanciandole direttamente la coperta.
Liv rise, enigmatica e maliziosa, portando lo sguardo riservato ma vivace su di loro, la fossetta ben in vista su una guancia.
Quando scesero in Sala Comune, un’ora dopo, si accorsero che i pochi presenti sparsi tra poltrone e divano avevano il volto coperto da un giornale in pergamena lilla.
«Allock non scherzava affatto» pigolò sconcertata Mary avvicinando il piccolo naso alla prima pagina tra le mani di chissà chi. La foto di Gilderoy era così grande da lasciare spazio soltanto al nome del giornale, La Gazzetta dell’Esteta, e all’evento della giornata: “San Valentino”.
«Interessante, non ho mai visto così tante sciocchezze tutte insieme» esordì Lily chinata a leggere dietro una spalla di Daisy che sfogliava lentamente le pagine lilla profumate di lavanda e decorate per l’occasione da cuori e cornici di fiori disegnati piuttosto bene, a dirla tutta. A metà giornale c’era addirittura un poster autografato che lo ritraeva sulla scopa, in divisa da Cercatore Corvonero.
«Liv, ci sei anche tu» la informò la compagna di squadra con voce piuttosto perplessa.
«Scherzi?» fece lei distogliendo lo sguardo sconcertato dalla bacheca per avvicinarsi a lei «Fa’ vedere». L’espressione schifata sul suo volto attento non si fece attendere.
Allock aveva scritto tre parole in croce riguardo la partita del giorno prima perché evidentemente aveva una fissa per le foto, foto che invadevano le pagine, foto di se stesso con i giocatori così piccoli dietro di lui da riconoscersi a mala pena.
«Quella potresti benissimo essere tu, Daisy… o Parkinson»
«Parkinson è un maschio ed aveva la divisa verde…»
«Perché, riesci a distinguere tratti e colori che non siano ‘biondo grano’ e ‘blu cielo d’agosto’ in questa foto?».
Daisy rise strizzando gli occhi per cercare di vedere meglio il puntino dietro il faccione dal sorriso angelico di Allock. Liv, invece, sentì due mani infilarsi nelle tasche anteriori dei jeans per avvicinarla al bacino di qualcuno mentre un naso sprofondava sul suo collo.
Sorrise riconoscendo la presa, il tocco, il respiro, il naso, il profumo; rise, sentendosi trascinare all’indietro.
Il fiato mancò e fu come riavere addosso i suoi occhi grigi totalmente rapiti dalle curve del suo corpo nudo, sentire i brividi scatenati al primo contatto diretto della loro pelle che sembrava andare a fuoco, avere il seno sotto le sue mani esperte ma stranamente tremanti, la pancia schiacciata sugli addominali.
Rivedeva il suo sguardo liquido ed offuscato ma fermo ed intenso nel suo mentre affondava lentamente e poi incalzante dentro di lei, l'immensa emozione e sensazione di pienezza che l'aveva invasa in quel preciso momento in cui erano diventati una cosa sola cancellando l'intero resto del mondo. Sembrava di sentire i loro respiri affannati trasformati in gemiti incontrollati, quel ‘’Olivia” sospirato all’orecchio, le ardenti vampate di calore ad ogni spinta impetuosa colma di desiderio quasi violento, il corpo avvinghiato al suo sciogliersi. Poteva percepire la sua lingua sul collo e poi sempre più giù; la dedizione e la passione con la quale l’aveva accarezzata, toccata, esplorata, presa, respirata.
Poteva risentirlo gemere contro la sua bocca e il suo seno, sentire le sue mani attorno alla testa che le avevano accarezzato i capelli con dolcezza mentre si muoveva in lei lento, intenso e poi impetuoso, animalesco, bisognoso come se fosse tutto ciò che lo teneva in vita in quel preciso momento, come se volesse fondersi con lei. Rivedeva i suoi muscoli tendersi, gli attraenti lineamenti del suo viso contratti e rilassati dal piacere, le nere ciocche di capelli a ricadergli sugli occhi sempre addosso a lei oppure chiusi; lo stupore che li aveva accesi una volta raggiunto il piacere, di fronte a ciò che era esploso unendosi insieme.
Nella penombra dietro la porta che dava sulle scale dei dormitori femminili, lì dove l’aveva trascinata lontano dagli occhi di tutti, Liv si voltò verso di lui passandogli una mano dietro la testa per allacciare le dita ai capelli neri e baciarlo intensamente, lasciandosi andare con tutta se stessa come aveva fatto in quei precisi momenti sempre più vividi nella mente e come invece non aveva mai fatto con Charlie.
Sirius sorrise contro quella bocca squisitamente passionale ed istintiva come la sua, infilando senza indugi le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans per portarsela addosso e palparle con disinvoltura il sedere che l'aveva mandato fuori di testa.
Ricambiò il bacio per assaporarla ancora meglio e fu come risentire le sue lisce e toniche cosce nude attorno ai fianchi muoversi sinuosi con lui, la pelle d’oca del basso ventre a contatto con la sua, le sue unghie affondate sulla schiena, i respiri affannati, le sue mani tra i capelli e dappertutto, il suo modo di muoversi, le sue labbra baciarlo tra i gemiti, quel “Sirius” ansimato all’orecchio e il suo naso che si sfregava proprio lì dietro facendo esplodere tutto; la sua lingua sul collo e poi sempre più giù fino a farlo impazzire di desiderio bruciante; il suo seno pieno tra le mani e le curve ipnotiche anche alla vista e non solo al tatto, il profumo inebriante della sua pelle vellutata che lo richiamava senza che lui potesse resistere minimamente; quella pelle che reagiva alla sua, a lui. Quella pelle incredibilmente morbida alla quale non riusciva a non pensare.
Percepiva ancora il sentirsi una cosa sola ad ogni spinta, movimento, bacio, carezza, sguardo, respiro. Liv l'aveva sorpreso, sconvolto.
«Ehm… ragazzi? Giovani amanti di belle speranze?» li richiamò James.
Liv allontanò di malavoglia le labbra da quelle di Sirius che mugugnò infastidito, del tutto contrariato, per affacciarsi oltre lo stipite ed osservare non solo Mary, Remus e Peter imbarazzati ma anche tutti gli altri che avevano abbassato il giornale lilla guardandoli allibiti come se fossero una di quelle pagine. Cindy Wood, in lacrime, scappò fuori dalla Sala Comune.
«Qui i fanciulli e le fanciulle vergini si stanno scandalizzando immaginando le peggiori cose pornografiche dietro quella porta» spiegò James alla neo coppia. Lily gli diede una leggerissima gomitata.
«Ahi» si lamentò lui portando una mano sul costato ancora bendato sotto il maglione.
«Non fare il melodrammatico, Potter, Madama Chips ha detto che non senti più nessun dolore. E se lo dice lei…»
«Evans, sei rossa anche tu, o sbaglio?»
Traditrici, le guance di Lily dal rosa cicca passarono al rosso fenice. James restò a fissarla, incuriosito.
«Andiamo? Ho fame» tagliò corto lei superandolo con una certa velocità sotto il suo sguardo inquisitorio.
Con al seguito Peter, Remus e Mary presi per mano, s'incamminarono verso il buco del ritratto ed uscirono dalla Sala Comune. Liv e Sirius, invece, non si mossero dal loro nascondiglio.
Sirius le prese il viso tra le mani e Liv gli circondò la vita con le braccia.
«Presa» le mormorò con una luce accesa negli occhi, la stessa in quelli scuri davanti.
Sirius era andato a cercarla e se l’era ripresa mettendo in chiaro la sua scelta di averla sul serio, di volerla con lui.
E Liv sorrise, segretamente commossa, lasciandosi andare alle spaventose emozioni che la invasero ancora una volta.
«Non puoi stare in mezzo a tutti dopo la doccia» le mormorò ancora, Sirius, sistemandole una lunga ciocca di capelli dietro l’orecchio ed osservandola con lo sguardo colmo di quelle stesse stordenti emozioni.
«Perché no?»
«Perché il tuo buon odore è ancora più percepibile»
«E che problema c’è?».
Sirius sospirò pesantemente tra i suoi capelli, premendole gelosamente la fronte sulla sua.
«Fa impazzire».
Un brivido percorse interamente Liv a quella voce bassa e calda, al sentire le sue labbra parlare sulla pelle, ed altre immagini della notte appena passata ripresero ad ossessionare entrambi.
«E tu non farti più la barba prima di scendere a colazione». Liv gli morse il mento, provocandogli la contorsione delle viscere e una lunga vertigine più in basso. Olivia era audace anche in quello, Sirius era rimasto spiazzato più volte quella notte ed era una cosa l'aveva mandato in tilt. Lo adorava.
«Credo che l’unica cosa da fare, allora, sia rinchiuderci in camera per un po’» propose Sirius con una certa urgenza nella voce portando le mani ai lati della sua testa lasciandole un bacio sulla pelle morbida della fronte.
Un sorriso divertito contro il suo pomo d’Adamo fu la risposta di Liv che sollevò lo sguardo verso di lui, trovando non solo la stessa ardente e totale intesa della notte, ma anche un’ondata di emozioni, dalle più erotiche, avide e provocanti alle più dolci. Ci stavano annegando dentro quel fuoco, quell’acqua, quell’adrenalina non paragonabile nemmeno alla velocità massima della motocicletta e della Nimbus.
Liv sorrise ancora sentendo le labbra di Sirius scendere lungo il profilo del naso e sentì la testa girare quando Sirius la baciò con foga sollevandola dai fianchi, trasportandola di nuovo in Sala Comune e poi verso le scale dei dormitori maschili, sorridendo sul suo sorriso aperto.
Arrivarono nella stanza dei Malandrini senza sapere come, con le bocche che continuavano a cercarsi e prendersi, avide, mentre la porta si apriva e poi richiudeva sotto il peso della schiena di Liv e di Sirius che la teneva schiacciata contro il legno con un bacio lento ma profondo, sensuale.
Sfilandosi i maglioni freschi di bucato, avanzarono a tentoni verso il baldacchino di Sirius senza riuscire a separarsi, ignorando del tutto le scatole infiocchettate che si ritrovarono a calpestare.
La schiena nuda di Liv sprofondò sul morbido materasso insieme alla sua cascata castana di capelli, Sirius le andò sopra subito dopo con le braccia tese per non farle del male.
E lì, in quella comodità e totale privacy si soffermarono a guardarsi negli occhi perforanti e persi l’uno nell’altra come se l’intimità trovata in quel letto fosse la stessa che percepivano tra loro.
Sirius si abbassò a baciarla con calma, sospirando insieme a lei al rinnovato contatto diretto dei loro corpi.
Perlustrò con il naso il collo, attratto dal suo buon odore, andando in tilt. Liv chiuse gli occhi avvertendo il suo respiro morbido e caldo sulla pelle, facendole battere freneticamente il cuore, toglierle l'aria.
Sirius era incapace di resistere alla morbidezza della sua pelle resa profumata dalla densa nota vellutata, sensuale ed inebriante dell'iris nella sua crema corpo.
Con le mani risalì, accarezzando le cosce nude che lo accolsero, per affondare poi nella carne morbida mentre con le labbra seguiva la curva della gola, scivolando lascivamente sul punto preciso nello sterno palpitante facendo tremare Liv, completamente abbandonata a lui. Lì il suo cuore pulsava con un'intensità tale da percepirla col solo sfiorarle la pelle, per lui.
Il cuore di Sirius perse un battito al percepirlo e al sentire le sue mani ai lati del torace e sui bassi addominali, ritrovandosi ad annaspare sulla sua spalla che baciò il secondo dopo, occhi chiusi e cuore aperto.
La pelle di entrambi, dopo la doccia, era incredibilmente liscia ed intrisa della loro essenza più intensa; nuove sensazioni fortissime li travolsero, facendo perdere ancora una volta il controllo. Liv ribaltò con decisione le posizioni prendendogli possessivamente il viso tra le mani nello stesso momento in cui Sirius, piacevolmente sorpreso, prendeva il suo baciandola voracemente.
 
 
 
 


 
*
 
 
 




 
«Che intenzioni avete, piccioncini, in questo giulivo giorno di festa
«James, se la tua intenzione è quella di apparire menefreghista e per niente geloso delle coppie sappi che non ci stai riuscendo»
«Remus, perché devi sempre vedere messaggi nascosti dietro ogni comportamento?»
«Non è affatto nascosto il tuo “vorrei essere come voi”»
«Come? Io? Come voi? Ma nemmeno se mi offrissero in cambio un posto da Cacciatore nei Tornados»
«Non li sopporti…»
«Allora, che accidenti dovete fare?!»
«Dato che l’uscita a Hogsmeade è stata cancellata dopo il tuo “incidente”, io e Mary abbiamo optato per una passeggiata al parco»
«Sì, sarà perfetto lo stesso. Anche se si gela c’è un bel sole, la neve sta cominciando a sciogliersi e…»
«Che originalità, ragazzi, ci stanno andando tutti»
«Potter, finiscila»
«Di fare cosa, Evans
«Di rovinare il giorno di San Valentino a due persone che vogliono stare insieme»
«Rovinando? Io
«Sì, tu»
«Mi sto interessando a loro! In questo giorno diventano tutti egoisti verso il mondo che continua ad esistere attorno al loro nido, tana, giaciglio, groviglio di rami secchi e rifiut…»
«Sta’ zitto e basta»
«Siamo nervosette, Evans
«Parla il maestro di meditazione»
«Chi accidenti sarebbe? Mi stai insultando?»
«Quasi, Potter, ci sono quasi»
«Di nuovo l’originalità che la fa da padrona! Non chiedo nemmeno cosa i qui presenti “Non voglio ragazzi in mezzo ai piedi” e “Tutte le ragazze mi annoiano” vogliono fare, qualcosa d'incredibilmente egoistico in cui devono essere presenti solo loro due»
«Ci mancherebbe, Potter»
«Non è vero, Liv? Felpato? Dove cavolo sono quei due pervertiti!?»
«Non ci stavano seguendo?»
«Direi di no, Evans, hai bisogno degli occhiali?!»
«Usa di nuovo quel tono, Potter, e ti farò ingoiare i tuoi!»
«Ragazzi, calma…»
«Ma sono pazzi? Non hanno neanche cenato ieri sera!»
«Hanno un altro tipo di fame, Peter».
Peter, incredulo, si lasciò spingere gentilmente dalla mano di Remus posata sulla schiena e seguì gli altri per poi bloccarsi subito dopo insieme a loro perché la Sala Grande era nel completo caos.
Un ammassamento di gufi di ogni grandezza e colore mai visto prima e cartoline di San Valentino in tutte le sfumature del rosso e del rosa invadevano l'aria e i tavoli, il pavimento, perfino gli stendardi delle quattro Case, il tavolo dei professori e i camini. Il tavolo di Corvonero era quello messo peggio in quel turbine di piume, lettere, escrementi e studenti nel panico.
«È un incubo, sono come minimo centinaia» mormorò sconvolto James, spostandosi di lato per far passare la fila di studenti schifati e terrorizzati che cominciarono ad abbandonare la colazione con giornali e tracolle a riparare la testa, scappando dalla Sala dove una professoressa McGranitt furiosa intimava tutti di uscire alla svelta.
Il volto di Lily, se possibile, era ancora più disgustato del suo.
«Lui» disse semplicemente riferendosi al colpevole che non poteva essere altri che il tizio in divisa Corvonero, in fondo alla Sala proprio davanti ad una professoressa McGranitt in piedi e rigida come un manico di scopa dietro il suo posto, al tavolo dei professori sconvolti. Vitious, una minuscola mano a coprirsi gli occhi, era quello più mortificato di tutti. Lily era certa che, per la prima volta in vita sua, ringraziava il suo essere così piccolo da potersi nascondere dietro i tavoli.
Vide la professoressa McGranitt aprire bocca, e subito dopo venti zaffiri salirono verso l'alto nella clessidra Corvonero scatendando rimproveri pesanti contro Allock da qualche Corvonero nell'ormai affollata Sala d'Ingresso.
Quando Lily si girò di nuovo verso la Sala Grande vide Allock sfilare tra il tavolo dei Tassorosso e quello dei Grifondoro, ormai deserti come i restanti altri due, borbottando qualcosa senza però abbassare il sorriso.
«Io, fare una cosa del genere, pazzesco» stava dicendo con aria fintamente oltraggiata avvicinandosi a loro, tra le mani una manciata di cartoline e sui capelli biondi piume ed escrementi come sulla marea di teste della massa di studenti che lo fulminò da lontano prima di sparpagliarsi per i corridoi, le scale, i Sotterranei e il parco.
«Provate a dire che me le sono inviate da solo, avanti!» esordì Allock distribuendole a James, Lily, Mary e Peter.
Remus ne prese una, perplesso tanto quanto James al suo fianco, osservandola attentamente. La confrontò con quella di Mary notando effettivamente la grafia diversa, ma quella di Peter invece era identica alla sua.
Allock doveva aver passato notti a scriverle, cambiando grafia ogni tanto. Non c'era da stupirsi, spesso passava l'intervallo a riempire centimetri su centimetri di pergamene con differenti versioni della sua firma.
Oppure aveva convinto i suoi compagni di dormitorio e chissà chi altro a scrivere cartoline diverse, insieme a lui. Remus si chiese però come, dato che nessuno gli dava retta in quella scuola. Doveva aver usato un buon incantesimo* Confundus o uno di Memoria, si disse evitando accuratamente di guardarlo per non scoppiargli a ridere in faccia.
«Allora?! Cosa dite?!» «Diciamo che sei pazzo» rispose semplicemente James rigirandosi la cartolina tra le dita con espressione a metà tra il per niente sorpreso e il divertimento. «Che nessuna ti corre dietro e che una cosa del genere non succede nemmeno a Sirius che ha praticamente quasi l'intera popolazione femminile di questo castello ai piedi».
Il sorriso smagliante di Allock si abbassò e, man mano che lo sguardo turchese scorreva con aria critica lungo le loro intere figure, perse ogni briciolo d'entusiasmo.
«Ma come?» esordì Gilderoy, palesemente deluso. «Non avete letto la Gazzetta dell’Esteta?».
Mary e Remus sembrarono improvvisamente trovare interessante le cartoline, indicando il putto che sparava coriandoli a forma di cuore ogni tanto, mentre Peter quasi piangeva dal dispiacere nel vedere la pancetta abbandonata sui tavoli sotterrata da piume, coriandoli e cacche di gufo.
«I vestiti! I capelli! E il sorriso, per Merlino! Dove sono i vostri sorrisi?! Ho scritto dieci pagine solo sul sorriso come accessorio fondamentale per passare un perfetto San Valentino! Un sorriso perfetto fa innamorare chi vorreste accanto e rende felice quello che invece avete la fortuna di avere già! Non può mancare oggi!».
Il ribollire della risata trattenuta di Lily, James sembrò percepirlo sulla pelle della mano che quasi sfiorava il pugno chiuso di lei. Frenò ogni impulso di avvolgerlo con le dita.

 
 
 
 


 
*
 
 
 
 


 
Come ad ogni metà febbraio, la neve aveva cominciato a sciogliersi nel desolato parco attorno a Hogwarts. L’aria era diventata più umida nonostante il freddo continuasse ad essere rigido facendo venire la pelle d’oca sotto i mantelli.
Dopo pranzo, grossi nuvoloni gravavano sulle montagne e gli spioventi tetti delle torri oscurando il sole con uno spesso strato plumbeo non più da neve ma tipico delle gelide piogge del periodo.
Le due piccole figure di Remus e Mary passeggiavano nell’immensa riva del Lago Nero come altre coraggiose coppie sparse sul pendio scivoloso e sdruccioloso per via del fango misto alla neve.
«Dici che oggi uno dei due cederà?» rise Mary stringendosi al braccio di Remus per non cadere mentre camminava sopra dei sassi in riva.
Lui intrecciò le dita della mano aggrappata al suo polso, per sorreggerla meglio.
«Ho cercato di farlo capire a Lily, prima, ma sarà dura. Dico che se non succederà finirà molto male per tutti noi» rispose in un sorriso affabile prima di aggiungere un sincero ‘’Povero Peter’’ rivolto all’amico in quel preciso momento seduto tra James e Lily nel divano della Sala Comune.
Mary rise, una risata cristallina che gli fece sparire i brividi di freddo, mentre saltava giù dal masso bagnato per mettersi davanti a lui. I suoi occhi nocciola erano così luminosi da rispecchiare gli sfuggenti ed ultimi scorci di sole che le rendevano i capelli biondi più lucenti del solito.
Era sempre più bella e Remus non si era ancora abituato alla meravigliosa sensazione di averla accanto, di poterle toccare il piccolo naso all’insù che adorava, baciarle il viso delicato, di poterla abbracciare.
Non si era ancora abituato a quelle morbide labbra che lo baciarono anche in quel momento.
Ricambiò quel dolce contatto al sapore di cioccolato alle nocciole, pensando non ci fosse niente di meglio.
Era in assoluto il primo San Valentino per entrambi e nessuno dei due sapeva cosa accidenti si doveva fare per renderlo “speciale”. Bastava davvero un sorriso perfetto come aveva detto Allock?
Allontanando le labbra da lei e vedendo il suo, emozionato e tutto per lui, Remus si disse che, sì, bastava quello. L’abbracciò di slancio, circondandole la testa per lasciarle un bacio tra i capelli mentre lo sguardo volava davanti a lui, lì dove la collina s’incontrava con la Foresta Proibita e il Platano Picchiatore.
La strinse ancora più forte a sé, a quella vista.
«Ti voglio bene anch’io» sussurrò lei sul suo petto, in quel piccolo spazio di mondo sempre più accogliente.
Tra i ciuffi biondi, le labbra pallide di Remus si stirarono in un fugace sorriso.
«Vieni» le disse poi, sciogliendo la stretta ed afferrandole una mano.
«Dove?» rise lei lasciandosi però trascinare.
Risalirono tutto il pendio a fatica, incespicando sulla neve sciolta e sul fango ma senza scivolare grazie alle loro mani saldamente intrecciate.
E quando arrivarono in cima Mary si ritrovò a scostarsi con grande difficoltà i capelli dal volto arrossato per colpa del violento spostamento d’aria creato dai furiosi rami del Platano Picchiatore davanti a loro.
«Remus!» lo chiamò spaventata osservando il ragazzo allontanarsi un attimo da lei per andare a recuperare un lungo bastone da terra.
«Non ti preoccupare, stai tranquilla» la rassicurò lui sorridendole «Guarda».
E Mary guardò. Guardò la punta del bastone toccare un nodo del grosso tronco dell’albero impazzito che subito dopo bloccò i rami nell’aria.
Rimase a bocca aperta davanti a quello spettacolo.
«Andiamo?» la invitò Remus con voce divertita dalla sua espressione. Le posò una mano sulla schiena per spingerla delicatamente verso le radici e lei si lasciò trascinare ancora una volta, lo sguardo incredulo a vagare sopra le loro teste dove l’intreccio dei rami immobili sembrava minacciarla.
«Mi stai portando
«Ti sto portando lì».
Oltrepassarono la fessura sul tronco e il buio nel tunnel di terra umida li avvolse. Remus non fece in tempo ad accendere la bacchetta perché delle esili braccia lo strinsero forte.
«Ti voglio bene anch’io» mormorò in un sorriso visibile alle orecchie di entrambi. Remus sentì quello di Mary contro la guancia.
“Lumos” disse mentalmente perché senza voce dall’emozione, e dalla bacchetta di cipresso si accese ed espanse una tremula luce azzurrina.
Il viso di Mary davanti a lui era disteso in un’espressione di profonda riconoscenza, i suoi occhi nocciola lucidi ma ridenti sembravano accarezzarlo. Sapeva quanto Mary desiderasse far parte del suo ‘’Piccolo Problema Peloso”.
Le sorrise in risposta, baciandola a fior di labbra prima di farle strada.
«Prego, da questa parte» scherzò con voce da maggiordomo, facendola ridere.
Percorsero tutto il tunnel sottoterra in silenzio, l’emozione in Mary era così forte da zittirla.
Arrivati alla botola, Remus sbucò dentro la Stamberga per primo per poi allungarle una mano che lei prese al volo venendo subito sollevata.
Le stanze che Mary si ritrovò davanti le fecero capire senza più incertezze quanto in realtà il lupo soffrisse lì dentro.
Ogni cosa era distrutta, graffiata, scrostata, strappata ed incrostata di sporcizia dovuta all’abbandono ma anche al sangue secco, il colore non lasciava spazio ai dubbi. Una fitta le trapassò il cuore alla vista di un punto particolarmente sporco del tappeto nella camera al piano di sopra.
La luce entrava a strisce dalle finestre sbarrate con assi chiodate, la carta da parati era scollata, il grande letto baldacchino occupava gran parte dello spazio insieme al pianoforte a cui mancavano diversi tasti. Sul pavimento polveroso qualcosa attirò la sua attenzione. Vicino alle sue scarpe sporche di fango c’era quella che era a tutti gli effetti un’impronta di cane.
«L’unica cosa che mi fa più male della Luna Piena» esordì Remus, pacato, dietro di lei.
E accanto alle impronte di cane ce n’erano altre, zoccoli e piccolissime zampette sottili.
«È vederti soffrire per me» continuò Remus, l’emozione a rendergli malferma la voce. «Il mese scorso, in infermeria, eri davvero preoccupata. Avevi le occhiaie, eri pallida e so che hai pianto».
Mary, senza fiato, si girò verso di lui incontrando gli occhi ambrati più tremolanti che mai.
«Per me»
«Certo, Remus, prova a metterti nei miei panni! Sapevo che eri qui, da solo, a soffrire per i dolori atroci che non dipendono da te ed anche per quelli che dipendono da te, quelli che ti autoinfliggi!»
«Non ti sto rimproverando, Mary» si affrettò a mettere in chiaro lui prendendole le mani e stringendogliele con apprensione. Era spaventata da quel posto, Remus lo vedeva, continuava a guardarsi attorno con gli occhi nocciola spalancati e il fiato corto. E la capiva benissimo.
«Ti ho portata qui apposta»
«Per farmi sentire parte di te, lo so, e non immagini quanto io apprezzi questo tuo gesto, Remus».
Il suo sorriso di nuovo riconoscente e una lacrima solitaria sulla guancia lo spinsero a baciarla con trasporto.
«Proprio così» confermò dopo poco sulle sue labbra per poi allontanare il viso giusto per guardarla negli occhi.
«Ed anche per rassicurarti»
«Nascondete qualcosa, tu e gli altri»
«Sì»
«Un lupo mannaro è agonizzante all’alba, il manuale di Cura delle Creature Magiche ha i disegni. Per questo prima di vederti sorretto da Madama Chips ma in piedi sulle tue gambe ero preoccupata, pallida, con le occhiaie. Sempre per questo ho pianto tutta la notte»
«E proprio per questo io ti dico che ogni notte di luna piena io non sono solo».
Vide il volto di Mary irrigidirsi, gli occhi dilatarsi.
«Che significa?» esalò lei, fissandolo.
«James, Sirius e Peter stanno con me»
«Non è possibile, nessun essere umano può stare con un Licantropo le notte di luna piena senza venire ucciso»
«Un Eccezionale in Cura delle Creature Magiche e Difesa, Mary» le mormorò in un sorriso Remus scatenando in lei un’improvvisa espressione confusa.
«Cambia materia, adesso» le suggerì senza riuscire a smettere di sorridere davanti al volto attento della ragazza.
«Loro tre non possono aiutarti in alcun modo, Remus, con nessun incantesimo, nessuna pozione, nessuna Runa…»
«Sì che possono, Mary, con la Trasfigurazione». Le accarezzò lievemente le guance scrutando i suoi begli occhi muoversi impercettibilmente come se stesse sfogliando nella mente tutti i libri di testo della McGranitt studiati dal primo anno.
E quando quel viso pensieroso sfuggì alla sua presa per abbassarsi veloce verso il pavimento, una forte e calda sensazione si espanse nel petto. Non riuscì a capire se fosse per il fatto che la sua ragazza finalmente avrebbe smesso di soffrire per niente o se per l’immenso orgoglio ed affetto rivolto ai suoi tre migliori amici.
Mary risollevò lo sguardo spalancato verso di lui che le annuì dolcemente e i suoi occhi nocciola parvero sciogliersi, brillare di luce propria.
«Animagus?» sussurrò sconvolta ma con un tremulo sorriso meravigliato che lo tranquillizzò all’istante facendogli capire che lei era d’accordo, che non sarebbe andata a dirlo a nessuno.
«Ma non è possibile, Remus. A lezione, l’anno scorso, la McGranitt ci ha detto che il processo è difficilissimo e pericolosissimo, oltre che illegale»
«Ho provato a farli ragionare» continuò pazientemente Remus senza riuscire a trattenere un sorriso «ma “difficilissimo, pericolosissimo ed illegale” non sono altro che parole senza alcun significato per dei “Consiglieri ed Alleati dei Magici Malfattori”». Le fece cenno di osservare di nuovo il pavimento e Mary, sconvolta, lo fece.
«”Ramoso, Felpato, Codaliscia”… cervo, cane e to…». Remus lasciò la frase a metà, restando spiazzato dal pianto silenzioso di Mary.
«Mary». Preoccupato, si chinò su di lei per cercare di calmarla e passarle le dita sulle guance bagnate.
«Sono solo…» singhiozzò lei sollevando le mani tremanti per asciugarsi da sola le lacrime «Sollevata». Sentì il sorriso di Remus sui capelli e poi il pulsare frenetico del suo cuore quando la abbracciò con forza.
«Posso ringraziarli, quei pazzi?» gli chiese con la voce soffocata per via delle labbra premute sul suo maglione.
«Non sanno che avevo intenzione di dirtelo, in realtà non lo sapevo nemmeno io prima di mezz’ora fa, ma tempo fa mi avevano proposto di dirti tutto. Stasera ci parlerò e allora potrai dirgli quello che vorrai basta che non tenti di abbracciare o baciare Sirius, fidati».
Mary rise, una risata acquosa come i suoi occhi di nuovo in quelli di lui.
«Ti amo, Remus».
 
 


 
 
 
 
*
 
 
 




 
Seduti tra le lenzuola, ancora avvinghiati, Liv e Sirius si guardavano senza riuscire a smettere, avvolti da quella sensazione impossibile da combattere e che ancora persisteva.
«Che c’è?» mormorò Liv senza allentare la morsa delle dita aggrappate con morbidezza alla nuca di Sirius. Gli occhi grigi si spostavano ardenti su ogni parte del suo viso, intensi e ammaliati come se fosse davanti a qualcosa di immenso che lo stordiva e lo stupiva, sedotto completamente. Si sentiva una dea, Liv, sotto quello sguardo. «Penso» rispose in un sussurro Sirius ancora leggermente affannato, accarezzandole il naso con la punta del suo prima di ricominciare a lasciarle piccoli baci sul viso. Era estasiato, da lei, completamente.
«A cosa?» soffiò Liv sentendo il cuore tremare, la pelle arricciarsi sotto il tocco infuocato di quelle labbra che l'avevano fatta impazzire.
Lui intensificò lo sguardo socchiuso ma sempre fermo su di lei, un braccio ancora attorno alla sua vita ad avvolgerle la schiena per continuare a schiacciare Liv sul suo petto, e l'altra mano aggrappata su uno dei suoi morbidi fianchi che minuti prima si erano mossi maledettamente sensuali, dominanti ed eccitanti sul suo inguine in un vortice di piacere estremo. I lunghi capelli scuri sciolti ad ondeggiare sulla schiena nuda, sfiorando le fossette e la curva irresistibile del fondoschiena pieno.
Era stata una gatta flessuosa e sensuale che gli aveva fatto perdere la testa, stupendolo. Aveva adorato il modo in cui si era mossa su di lui, con lui. «Al tuo sedere» le rispose schiettamente portando le mani proprio lì, sulle attraenti natiche nude di Liv ancora seduta su di lui.
Lei sorrise spingendogli brutalmente il busto giù sul materasso, e Sirius restò disteso ad ammirarla con avida intensità dal cuscino spiegazzato, uno sghembo sorriso compiaciuto stampato in viso.
I lunghi capelli scuri, ondulati ed arruffati da lui e dal loro impetuoso bisogno di aversi, le cascavano sinuosi sulle piccole spalle e le braccia incorniciando sensualmente il pieno seno perfetto per le sue mani grandi; la vita stretta che metteva in risalto le seducenti curve magnetiche e morbide dei fianchi.
Olivia era interamente incantevole, aveva un corpo tremendamente sexy, più di quanto aveva sempre pensato.
Olivia era bella da togliere il fiato, era eccitante da morire e passionale, una passione sfrenata ed intensa che trovava senza inibizioni la sua, focosa ed esplosiva, innescando una completa connessione mai raggiunta prima con nessuna.
Anche il suo inconsapevole modo di guardarlo gli faceva perdere la testa tanto quanto il suon buon odore di pelle, capelli e labbra.
Sirius ci mise poco a ribaltare le posizioni in un ennesimo colpo di reni che tra quelle lenzuola si era alternato come in una lotta tra due animali predatori.
Il sorriso di Liv sembrò dire la stessa cosa e vedendola lì, sottomessa con i lunghi capelli sparsi sul suo cuscino, altre immagini si fissarono in mente facendogli notare che in realtà tra loro non era mancata nemmeno la parte più lenta e profonda, quella parte che ogni volta che ci pensava rendeva tutto più consapevole, intenso.
Provocandole un sommesso sospiro le andò sopra facendo ricombaciare del tutto i loro corpi, circondandole la testa con le braccia e le mani, scrutandola penetrante come se non esistesse nient’altro mentre lei gli infilava dietro un orecchio i neri capelli spioventi ad un lato del viso, accarezzandogli col dorso delle dita il piccolo neo nascosto lì dietro facendolo sussultare e sorridere, tremante, col grigio degli occhi ardente quanto il calore nell'intero corpo; il cuore impazzito e la voglia di baciarla a stringergli la gola. Liv sorrise, altrettanto scossa. Avevano scoperto di avere quel punto sensibile in comune durante la notte, era sorpendente. Fece scorrere le dita fino al mento che lui abbassò di poco per poterle baciare le nocche.
Era bello Sirius, bello da mozzare il fiato. La linea del naso, quella delle sopracciglia e dello zigomo che scendeva seducente fino al mento, le labbra invitanti, il taglio allungato degli occhi, l'iride grigia sempre intensa ed accesa. Era irresistibilmente sexy il suo corpo, il suo modo di muoversi, di guardarla, di toccarla, farla sua e darsi a lei. Focoso ed istintivo, faceva perdere la testa.
«Penso che sei la più bella che abbia mai avuto e visto» mormorò Sirius, una nota calda nella voce profonda. Sentì in modo chiaro il cuore di Liv mancare un battito sotto il suo petto, la sua pancia allontanarsi dai suoi addominali per il tempo di un profondo respiro e poi ritornare a stretto contatto con la sua pelle d’oca, combaciando perfettamente.
«Penso che non avevo mai dormito con qualcuna, tantomeno sulla cattedra di Lumacorno» continuò pacato senza smettere di far scorrere lo sguardo assorto sul suo viso estremamaente dolce, sul goloso marrone ambrato baciato dalla luce della finestra; le nere pupille ben visibili e dilatate fisse sulle sue.
Il sorriso complice e malizioso di Liv lo fece impazzire, attirandolo inesorabilmente. Seguì con un pollice il contorno di quella bella bocca irresistibile prima di premerle il labrro inferiore per aprirglielo e farci sprofondare le sue di labbra, chiudendo gli occhi come lei.
«Penso che sei perfetta per me». Fu un sospiro sulla lingua, nel buio delle palpebre serrate, nell’intimità di essere ancora un tutt’uno, abbandonati all’altro e alle emozioni nate da un sentimento che sembrava non andare via.
Con il cuore a mille Liv gli morse piano un labbro, altrettanto dolce, facendolo sorridere nonostante i denti a trattenerlo.
Il sorriso di Sirius si allargò quando Liv ribaltò ancora una volta le posizioni, piegandosi su di lui con i capelli scuri a cascarle da un lato del collo, ampie onde sinuose dalle punte profumate di fiori d'arancio che gli sfiorarono il profilo, inebriandolo, quando lei lasciò la presa per guardarlo con occhi colmi d’emozione, la stessa che lui sentiva palesarsi dentro di sè.
«Dai, dillo» la sfidò con la curva sfrontata delle labbra libere, un braccio poggiato su una sua spalla nuda per prenderle con dolcezza la parte scoperta del collo, la mandibola, il mento accarezzando la pelle con le dita e lo sguardo di chi sa di star toccando e guardando qualcosa di suo.
L’aperto sorriso di Liv lo incantò attirando lo sguardo di nuovo sul suo viso, i grandi occhi scuri a fondersi con le lunghe ciglia nere, il naso arricciato, la fossetta sulla guancia.
«Sei…» iniziò lei senza fiato per via delle mani di Sirius che avevano cominciato a salire e scendere, lente ed aperte sulle sue cosce sprofondate sul materasso ai lati del suo bacino «… troppo impaziente».
Rise rumorosamente subito dopo per le magre dita indispettite che le pizzicarono senza pietà la pelle della pancia.
Le mani di Sirius si fermarono, immobili come il suo respiro, quando Liv si abbassò su di lui con gli occhi scuri intensi, vibranti; il bel profilo ad un soffio dal suo.
«Sei perfetto per me» gli sussurrò Liv in un respiro spezzato da qualcosa che le stava mozzando il fiato. E le grandi mani maschili dalla sua vita passarono su tutta la sua schiena fino ad aggrapparsi alle spalle per farsela cadere addosso. Sentì il cuore di Sirius esplodere, impazzito sotto il suo.
Restarono abbracciati in una morsa possessiva fatta davvero di incastri perfetti, i respiri irregolari ad abbassare e sollevare all’unisono entrambi i corpi aderenti.
Il cuore di entrambi a rimbombare nel petto dell’altro, a fa pulsare la sensazione di pienezza e completezza assoluta. Ogni singola parte di loro era soddisfatta ed appagata, nutrita da qualcosa che sfamava lasciandola in perfetta estasi, senza alcun bisogno d’altro.
Rimasero così, succubi di quella totale pace come quando si trova la posizione giusta per dormire, come quando si è sicuri di aver trovato il posto giusto.
«Sirius»
«Mh?»
Il silenzio che seguì fece aggrottare le sopracciglia nere a Sirius. Non passò neanche un secondo di più perchè le dita di lui le presero con gentilezza il mento, portandolo verso i suoi occhi grigi totalmente attenti a lei.
«Che c’è?» le chiese accarezzandolo con il pollice.
Liv cercò di distogliere lo sguardo dal suo, ma era impossibile tanto era intenso e ricettivo ad ogni sua più piccola espressione.
«Ehi» la richiamò lui, apprensivo, il girigio degli occhi incupito.
«Non importa, è una stronzata»
«Se si tratta di te non è una stronzata».
Cuore, mente, corpo, anima, cervello. I suoi fermi occhi grigi non facevano altro che dirle quello. Essere totalmente parte di lui era stupefacente. Poter parlare di se stessa con lui, ottenere risposte da lui, conoscere tutti i suoi pensieri. Era stupefacente la sensazione che provava, così forte.
Liv si lasciò scappare un sorriso che il pollice di Sirius accarezzò all’istante.
«Ti aspettavi fossi vergine?»
«Dal cartellino sul reggiseno che ti ho rubato, sì» rispose sinceramente lui senza smettere di osservarla attentamente.
«Sei forse deluso?» chiese Liv senza nessuna vergogna o senso di colpa, un sottile tono di sfida le rendeva decisa la voce indagatrice.
A Sirius venne quasi da ridere.
«Perché dovrei?» le chiese in un sorriso incredulo senza liberare gli occhi scuri dalla presa ferrea del suo sguardo. Quell'insicurezza di Liv gli scatenò qualcosa dentro al petto mai provata prima. Era dolcezza e tenerezza e voglia di proteggerla, rassicurarla. Non l'aveva mai vista così, era deliziosa. Non riuscì a dare un nome a quella forte emozione che quella vista di lei gli diede.
«Ho detto che sei perfetta per me ed intendevo... in tutti i sensi». Il deciso e sensuale movimento di Sirius sotto il suo bacino, nel loro incastro più intimo, la fece sussultare e sospirare pesantemente con la bocca. Travolta da una vertigine al basso ventre ed una vampata di calore, non si trattenne dal morderlo di nuovo affondando le unghie sul suo petto e poi sulle spalle larghe, respirando con la bocca e gli occhi serrati proprio come lui. Sentì chiaramente il cuore di Sirius battere ancora più veloce sotto al suo seno, la pelle andare a fuoco, i loro respiri mischiarsi.
«Tu non hai idea…» mormorò Sirius in un gemito mal trattenuto, lasciando intendere ben altro che con la delusione non aveva niente a che fare. Le accarezzò i capelli al lato del viso con attenzione e cura, spostandoli con cura prima di accarezzarle lascivo la pelle del collo bollente. Liv rabbrividì, respirando a fatica.
«Cosa cambia? La nostra prima volta non ha nulla da invidiare, anzi. O per te ha avuto più valore la tua prima volta in assoluto?».
Liv percepì ogni muscolo, vena e nervo di Sirius reclamarla gelosamente, il cuore e il petto fermarsi, gli occhi immersi nei suoi fremere.
«Nemmeno lontanamente».
Fremere e farsi ridenti, intensi. Si strinse a lui mentre Sirius prendendola per i fianchi e con un abile scatto la portava sotto di lui, riappropriandosi della sua bocca, del suo collo, del suo seno con labbra vogliose, ricominciando a muoversi lentamente in lei accelerando respiro e cuore di entrambi, facendo perdere la cognizione della realtà e il senno.
 
 
 


 
 
 
*
 
 
 
 


 
«Evans»
«…»
«Evans»
«…»
«Ti devo chiedere un favore»
«Non faccio favori, Potter»
«Ma se aiuti sempre tutti»
«Aiutare non è fare un favore. Aiutare è fare qualcosa di tua spontanea volontà. Fare un favore è… non ho voglia di stare qui a spiegarti»
«Allora ti devo chiedere un aiuto»
«Non farò niente di mia spontanea volontà per te, Potter»
«Ma se lo stai facendo adesso, mi stai parlando»
«Mi hai costretto a farlo»
«Non è vero, mica ti ho detto: “Ehy, Evans, mi fai un favore? Mi parli?”»
«…»
«Mi hai risposto da sola»
«…»
«Quindi? Mi aiuti?»
«Ti farò un favore»
«Ragazzi, mi sta venendo mal di testa»
«Zitto, Peter»
«Cosa mi darai in cambio, Potter?»
«Il mio non rivolgerti la parola»
«…»
«Che c’è, Evans? Non ti sta bene?»
«Mi sta benissimo»
«Bene»
«Bene»
«Perfetto»
«Più che perfetto»
«Oltre Ogni Previsione…»
«Eccezionale, oserei dire…»
«Ehm, ragazzi?»
«Zitto, Codaliscia»
«Sai una cosa, Potter?»
«Cosa?»
«Fammelo tu un favore»
«Dipende da cosa vuoi in cambio»
«Vuole che tu esca con lei! Così come tu volevi che lei uscisse con te! Ditevelo, vi prego, non ce la faccio più!»
«Non passerei neanche mezzo San Valentino con lui, Peter»
«In teoria, lo state passando insieme da stamattina»
«Sta’ zitto, Peter»
«È un dato di fatto, Ramoso»
«Bene, allora io me ne vado»
«Grazie mille, Peter»
«Ma che ho fatto?!».
Peter, confuso ed oltraggiato, boccheggiò sul divano vuoto, seguendo con gli occhi James e Lily allontanarsi in due direzioni diverse per poi incontrarsi davanti al buco del ritratto.
Restò a guardarli sbigottito mentre si uccidevano con lo sguardo, puntando l’uscita della Sala Comune per far passare prima l’altro.
Fu Lily a rompere quel circolo vizioso di gesti stizziti e labbra serrate: uscì per prima in corridoio, andando a destra, mentre James, a passo spedito, prendeva la sinistra.
Sul divano, Peter Minus vide il retro del ritratto chiudersi e senza pensarci due volte sfilò la Mappa del Malandrino dalla larga tasca della felpa.
Si mise comodo tra i cuscini cercando i cartigli con i due nomi.
James andò dritto al campo di Quidditch e dal via vai del suo nome entro l’ovale ben disegnato Peter capì che stava volando con la sua scopa.
Il cartiglio di Lily, invece, vagò senza meta per tutto il castello prima di fermarsi mezz’ora in biblioteca ed uscire in tre secondi scarsi quando quello di John Owen le passò davanti di sfuggita.
Gli occhi celesti di Peter continuarono a tenerla sotto controllo, facendosi perplessi nel vederla immobile nella Sala d’Ingresso per un quarto d’ora buono. Ebbero difficoltà a seguirla quando si mosse all’improvviso, varcando il portone ed uscendo in cortile ad una velocità sorprendente.
Quasi la perse di vista mentre apriva una parte della pergamena per avere la visuale del parco.
La vide scendere spedita lungo il pendio, superando la capanna di Hagrid, fino ad arrivare al campo. Ma James non c’era più.
Peter lo cercò, ansioso ed in fibrillazione come sua nonna davanti ad una scena importante di una di quelle telenovelas che guardava in tv.
Lo trovò nei pressi del Lago Nero, molto probabilmente a volare a raso della superficie piatta dell’acqua. Lo faceva sempre quando aveva voglia di stare da solo.
Lo sguardo di Peter ritornò su Lily, ancora ferma al campo, per poi sollevarsi verso la finestra perché delle gocce di pioggia avevano cominciato a picchiettare il vetro.
La prima pioggia dell’anno stava cominciando a cadere e Lily Evans se ne stava ferma in un campo da Quidditch.
Peter vide altri cartigli risalire verso il castello, quasi tutti a coppie, ma non quelli di James Fleamont Potter e Lily Evans, fermi ai loro posti distanti.
Non fu così per troppo tempo, però. Quello di Lily si mosse di nuovo per allontanarsi dal campo e dirigersi verso il lago con una certa decisione, come se anche lei conoscesse i posti preferiti di James.
E quando si fermò sotto il nome di lui, Peter sorrise sobbalzando subito dopo per colpa del secco rumore di una scatola di cioccolatini lanciata di malagrazia sul tavolino davanti.
Una ragazza in lacrime ringhiò, dietro la spalliera del divano, forse delusa per il lancio non preciso visto il suo sguardo assassino puntato alle fiamme vive del fuoco nel camino.
L’unica cosa che lo sguardo di Peter puntava, invece, erano i cioccolatini sparsi sul tappeto.
Buon San Valentino anche a me.
 
 
 
 
 
 


 
*
 
 
 


 
 
 
«SÍ!» gridò rabbiosamente Lily per farsi sentire sotto la pioggia ormai scrosciante. Il volto rivolto al cielo, gli occhi verdi socchiusi per le fitte gocce d’acqua.
James fermò bruscamente la scopa, guardando giù.
«COSA CI FAI QUI?!»
«SÍ, POTTER
«SÍ, COSA?!»
«, POTTER, VOGLIO ANDARE A HOGSMEADE CON TE!».
James restò a guardarla, incredulo. Lily era fradicia, come lui.
Senza rendersi conto guidò la Nimbus verso il basso, verso di lei. Atterrò sulla riva senza toglierle gli occhi di dosso e quando poggiò le scarpe a terra l’abbracciò di slancio sotto quella pioggia così fitta da non permettere più di vedere.
Ogni nervo teso di Lily si sciolse in quella stretta vigorosa che la riparò dall’acqua.
Schiacciata sul suo maglione zuppo, non riconobbe il ritmo del cuore di James. Era molto più forte, molto più veloce, molto più esplosivo e non soltanto nell’orecchio ma direttamente al posto del suo.
La pioggia battente faceva ormai male ed era gelata, James mollò la presa ma afferrandole una mano rimontò sulla scopa aiutandola a salire, davanti a lui.
Con una decisa spinta delle gambe presero il volo.
Lily, tremante non soltanto per il freddo e l’altezza, strinse le dita attorno al manico sentendo il petto di James sulla schiena, le sue gambe e le braccia avvolgerla come per proteggerla dal vuoto sotto di loro, le mani esperte agguantare il legno vicino alle sue dita per virare tra le nuvole nere e la nebbia senza mai salire troppo in alto, dove i fulmini illuminavano a tratti il cielo scuro.
Il cuore. Tutto quello che Lily sentiva era il suo cuore impazzito battere allo stesso ritmo di quello di James facendo impallidire il frastuono dei tuoni, della pioggia e del vento.
Spalancò gli occhi verdi, nonostante le fitte gocce violente sul suo viso, perché fare lo slalom tra i tetti spioventi e le guglie di Hogwarts le fermò piacevolmente il respiro.
 
 “Non immagini nemmeno quanti luoghi stupefacenti nascondono Hogwarts e il suo Parco, Evans, altro che la scala mobile di Silente”
“Magari mi potresti dire dove si trovano e ci andrò da sola. Eh, Potter?”
“Nemmeno per sogno, Evans. Con me o niente”.
 
James la portò dritta alla Torre dei Grifondoro, davanti alla finestra della camera che condivideva con Liv e Mary.
«ENTRA, VELOCE!» le gridò in un enorme sorriso radioso, a dispetto del temporale.
Lily si sporse verso il vetro, poggiando la bacchetta sulle ante che si aprirono subito dopo. Prima di saltare dentro voltò il busto verso James trovando il suo largo sorriso luminoso, i capelli neri afflosciati sulla fronte, le lenti degli occhiali rotondi picchiettate dalla pioggia, il nocciola degli occhi dietro più vivo che mai.
«CHE C’È, EVANS? INTENDEVI ANDARE A HOGSMEADE PROPRIO ADESSO?».
Rise, Lily. Lily Evans rise sotto la pioggia battente e ghiacciata di febbraio, con i capelli rossi appiccicati alla faccia e al collo, davanti alla finestra esterna del suo dormitorio, sopra una scopa, con James Potter.
Lily Evans rise nonostante tutte quelle cose stupide perché non si era mai sentita più viva di così.
«BASTAVA DIRLO CHIARO, EVANS!».
E dopo quelle divertite ed eccitate parole, un brusco movimento della scopa sotto il perfetto controllo delle mani di James la fece gridare di sorpresa ed aggrappare di nuovo al manico in legno mentre ricominciavano a sfrecciare sotto la pioggia. Il vento ad immobilizzare il viso, il cuore più rumoroso dei tuoni.
Lily chiuse gli occhi con forza, sovrastata dall’adrenalina sullo stomaco alla repentina discesa sopra la Foresta Proibita.
Era bastato dire ‘’Sì’’ a James Potter e dalla desolazione era passata a vivere le sensazioni più forti ed eccitanti della sua vita.
E non doveva pensare, doveva semplicemente fidarsi di lui, di quelle mani esperte perché James Potter era quel fastidio sempre provato nel vederlo e sentirlo, la parte di lei che non voleva pensare, quella che aveva sempre zittito, quella che ogni tanto le faceva fare cose stupide ma vive.
James Potter era un folle volo improvviso sotto un violento temporale, senza sbandamenti, perdite di controllo, paura di cadere. Era sicurezza, era vivere pienamente… era cretino.
Lily spalancò gli occhi verdi mentre la Nimbus s’immergeva a tutta velocità nelle fronde degli abeti per volare poi a zig zag tra gli alti tronchi come se non fosse una completa pazzia.
Lo sentì ridere divertito o semplicemente felice al suo orecchio, la schiena scossa dal suo petto schiacciato sopra.
Sentì lo stomaco contrarsi per un’ulteriore accelerata oppure per quel suono contagioso che le vibrava dentro.
Si sentì ridere, Lily, ridere davvero.
Non pensare, fidati di lui.
Non pensando era arrivata di corsa al campo di Quidditch, al Lago Nero, a gridare “SÍ” a James Potter, a bagnarsi completamente di pioggia, a volare su una scopa dopo sei anni con i piedi per terra.
Sbucarono dagli alberi, ritornando nel cielo aperto, ed Hogsmeade apparve davanti a loro come una promessa mantenuta, come qualcuno che non aveva fatto altro che aspettare loro due per anni.
Fidandosi di lui si era ritrovata a non schiantarsi sugli abeti della Foresta Proibita, a ridere davanti a dei tronchi che avrebbero potuto distruggerle la faccia.
Fidandosi di lui si ritrovò tutta intera ed asciutta seduta ad un tavolo di Madama Rosmerta a sorseggiare una Burrobirra bollente speziata di zenzero, l’adrenalina a tenerle ancora sollevato il sorriso.
«Non salivo su una scopa dal primo anno»
«Le cose più belle capitano quando meno te le aspetti, Lily».
Non si era aspettata la pioggia che mentre stava con John aveva agognato, non si era aspettata di voler sentire quella domanda che invece l’aveva tormentata senza sosta per anni.
“Vuoi venire a Hogsmeade con me?”.
Quella domanda che in realtà era rimasta sempre valida, James l’aveva lasciata nell’aria perché se c’era qualcuno che odiava perdere, quello era James Potter.
E Lily si ritrovò a pensare che James Potter odiava perdere anche sul riuscire o no ad ingurgitare più gelatine al cerume di Sirius ma ciò non toglieva il fatto che per lei non si era mai arreso, nonostante le Piovre Giganti, nonostante il continuo perdere.
Capì anche che con quella perla di saggezza delle quattro del pomeriggio sembrava parlare anche a se stesso, lo vedeva in quel nocciola brillante puntato su di lei e lei soltanto.
Non l’aveva mai visto così bello, così pacatamente felice, serio e al tempo stesso euforico, così vero.
Quello che Lily non sapeva era che James con lei si era arreso eccome, più volte, perché Lily era sempre stata l’unica impresa capace di mettergli quella paura di perdere come nemmeno il processo per diventare Animagus aveva fatto.
«Vi posso portare dell’altro, ragazzi?». Madama Rosmerta continuava a guardarli scioccata ma non tanto perché erano gli unici studenti presenti in tutto il villaggio, Lily ebbe l’impressione fosse abituata a vedere James Potter in un qualsiasi giorno del mese.
«Io sono a posto così, Ros» rispose James senza distogliere lo sguardo da Lily, facendo intendere ben altro.
«Anche io, grazie» fece Lily sentendo che non le mancava proprio niente.
«D’accordo». La voce della proprietaria di Tre Manici di Scopa assunse una nota particolarmente dolce e divertita mentre si allontanava dal loro tavolo.
«Quindi è così che tu e Black prendete gli alcolici ogni volta?»
«No, Evans, per te ho fatto il giro turistico».
Lily sorrise sul vetro caldo del bicchiere fumante.
«Allora come fate?». Sorseggiò la bevanda ristoratrice aspettando una risposta che non arrivò. «Potter, ti ho fatto il favore di uscire con te. Ora tu devi ricambiare con qualcosa. Una risposta, per esempio».
Prese un altro lungo sorso, nascondendo il viso dietro il boccale perché il calore che percepì salire alle guance la stava gentilmente informando che il sorriso di James Potter, lì davanti, era dovuto al fatto di aver appena ascoltato una balla colossale.
«Per il ritorno al castello prenderemo la strada del personale autorizzato, Evans».
 
Non pensare, fidati di lui.
 
«Sempre se sarò ancora viva»
«Giusto»
«Ad un appuntamento con te non si può mai esserne sicure»
«Non so se ricordi quella ragazza al quinto anno, mai ritrovata»
«Pensavo proprio a quella, Potter»
«O quell’altra trovata a pezzi nella Foresta»
«C’ero quasi, prima»
«Non eseguo mai un omicidio uguale all’altro, Evans, tranquilla»
«Allora possiamo andare alla Stamberga Strillante, ci avrai portato tutte»
«Nessuna ha mai avuto il coraggio di avvicinarsi. Tu vuoi davvero andare alla Stamberga?»
«È dalla prima volta che l’ho vista, al terzo anno, che ci voglio andare. Insomma, adesso so di chi sono i lamenti ma in tutti questi anni mi sono sempre chiesta: perché aver paura dei fantasmi se i fantasmi sbucano fuori anche dal gabinetto, a Hogwarts? E come si fa a non essere curiosi di vedere com’è dentro una casa infestata o una Foresta Proibita?».
Al bancone, Madama Rosmerta versando dell’Idromele nel bicchierino di un mago infreddolito restò a guardare i due Grifondoro da lontano.
James Potter e Lily Evans ridevano, parlavano, sorseggiavano Burrobirra, sorridevano e minuto dopo minuto i vetri della finestra accanto a loro si appannavano, celando la bufera in strada.
Quel tavolo nell’angolo più appartato del locale sembrava emanare calore, luce, qualcosa di inspiegabile che un trafelato e sudato Peter Minus stranamente di corsa spezzò all’improvviso.
«JAMES!»
«Peter».
 
 
 
 
 


 
*
 
 
 
 
 

 
 
Il picchiettare della pioggia sui vetri era l’unico rumore rimasto dentro la stanza dei Malandrini perché il cigolare del letto, i gemiti e l’ansimare si erano placati mezz’ora prima per lasciare spazio a lenti respiri silenziosi, profondamente rilassati.
Sirius e Liv se ne stavano sdraiati l’uno accanto all’altra sotto le morbide coperte, dipendenti dei loro profumi e dell'essenza intrigante che creavano combinati insieme. Gli occhi semiaperti, il naso di lei a contatto con quello di lui che con sguardo assorto le tracciava ogni lineamento del viso con l'indice.
«Perché tu e Wood vi siete lasciati?» esordì in tono pacato Sirius sfiorandole la fronte e poi una tempia prima di aprire la mano ed infilare tutt'e cinque le lunghe dita tra i capelli, facendole chiudere gli occhi.
«L’ho lasciato io» mormorò Liv strofinando la punta del naso sul suo collo, attratta dal suo odore. Il corpo di Sirius, il suo calore e il battito del suo cuore la fecero sentire lontano da qualsiasi altra cosa, sembrava che niente del mondo esterno potesse anche soltanto sfiorarla. «Voleva invitarmi a casa sua per le vacanze, farmi conoscere i suoi genitori… non faceva per me» raccontò la verità, Liv, e mordendosi le labbra si tenne per sé il fatto che se non provato interesse per qualcuno era perché lui, Sirius, era sempre stato l'unico, per lei.
Il fugace sorriso di Sirius le lasciò un morbido bacio sulla fronte e Liv aprì un altro po' gli occhi, pigramente.
«Come ti sei fatto le cicatrici?» gli chiese lasciando una breve carezza su una con la mano abbandonata sul suo petto.
«Quali cicatrici?» le mormorò Sirius in un accennato sorriso adesso immerso nei suoi capelli insieme alle dita, inspirando il narciso che lo eccitava e calmava al contempo.
Il tono scaltro non sfuggì alle orecchie di Liv che colse all’istante la sua tacita richiesta di toccarlo ancora.
Gli lasciò un breve bacio sul collo prima di liberarsi dal suo lungo braccio dietro la nuca ed issarsi un gomito, spostando via le coperte dai loro corpi nudi. Si abbassò su di lui col viso, per sfiorargli con dita attente e lievi baci le cicatrici sparse sul petto, le spalle e gli addominali, provocandogli una visibilissima pelle d'oca.
Sentendolo sospirare con sempre meno controllo, gettò un’occhiata furtiva e furba verso il suo viso, trovando il pomo d'Adamo vibrante sul suo lungo collo buttato all'indietro sul cuscino. Liv sorrise, provocante tanto quanto il suo scivolare lentamente sul punto più sensibile della sua stretta e tonica anca, sentendolo annaspare senza riuscire a trattenere un gemito rauco; percependo la calda pelle muoversi e reclamarla sotto le labbra, la sua stessa pelle fremere come ad ogni contatto con quel corpo, con lui.
A quel suono leggero, Sirius risollevò la testa ed un occhio grigio semiaperto e stordito, stupito, tra i ciuffi di capelli neri ricambiò il suo sguardo. «Quanto siamo intraprendenti» sospirò pesantemente senza toglierle gli occhi ardenti di dosso. Gli piacque da morire. A Sirus piaceva da morire, lo mandava fuori di testa quel suo modo di fare.
E quel sorriso fermò per qualche attimo il cuore di Liv; Sirius era più bello che mai. Gli sfiorò una cicatrice più visibile delle altre con dita leggere, lasciandogli scie bollenti sulla pelle.
«Ah, quelle» fece Sirius con voce instabile.
«Proprio queste» fece lei mettendosi a cavalcioni sulle sue lunghe cosce nude con un seducente movimento sinuoso sotto lo sguardo rapito di Sirius che sorrise ancora, dandole della maledetta tentatrice con gli occhi brucianti, affascinati, divertiti.
«Il coniglio ribelle di Remus» rispose con la prima cosa che arrivò alla mente offuscata da lei.
«Remus non ha un coniglio, anche se tutti lo pensano da anni»
«Mh».
Sirius socchiuse gli occhi grigi pensando che forse avrebbe fatto meglio a distogliere l’attenzione dal suo morbido seno in bella vista nonostante le lunghe ciocche di capelli scuri, sinuose quanto quelle curve, a seminasconderlo. Non aveva lucidità per ragionare, non davanti a quella forma tonda e piena, così magnetica.
«Non vuoi dirmelo perché sono tutte state fatte dalle unghie delle tue amanti?» lo canzonò ironicamente lei in un sorriso irriverente facendo sollevare le sopracciglia nere sopra i ridenti occhi grigi adesso puntati sul suo viso.
«Adoro le tue stronzate» rise Sirius sollevando il busto per mettersi seduto senza farla scendere da lui, afferrarle i fianchi e baciarla in un sorriso divertito mentre Liv mal tratteneva una bassa risata appoggiando le mani sulle sue spalle per non cadere all'indietro insieme a lui.
Rimasero a guardarsi, ridenti e vicini, stringendo la presa sul corpo dell’altro come se ancora non credessero di essere lì. E Qualcosa li attirò verso le labbra dell'altro. Sirius le circondò la vita nuda con le braccia e Liv incassò il collo nelle spalle portando le mani tra i capelli neri di lui; un bacio morbido ed intenso, agognato di nuovo, ad unirli. Era spaventoso quel qualcosa, era forte, era ciò che li aveva fatti stare male quando avevano provato a reprimerlo, per anni.
«Mio padre» disse poi Sirius contro le sue labbra portando una mano di Liv sul costato destro, sopra una delle cicatrici più grandi. Non doveva mentire per quella, non era un segreto legato agli altri Malandrini ma soltanto a se stesso e quindi anche a lei, adesso.
Sentì le dita delicate di Liv sfiorare la pelle con gentilezza, i suoi grandi occhi scuri abbaglianti come non mai immersi nei suoi. Toglievano il fiato, tutto il suo viso toglieva il fiato in ogni momento, in preda al piacere ed anche lievemente imbronciato mentre dormiva.
«Dopo una lite per non mi ricordo più cosa, avevo dodici anni, in uno scatto d’ira mi ha spinto con forza sulla sua scrivania» cominciò a raccontare distogliendo lo sguardo assottigliato e fintamente menefreghista da lei che, cogliendo la sua celata difficoltà nel parlare, lasciò quel segno indelebile sulla pelle per accarezzargli le spalle e la nuca sotto i capelli neri.
«Sono finito sul suo tagliacarte e poi al San Mungo. È stata l’ultima volta che mi ha toccato, credo si sia spaventato perfino lui». Fece una pausa, abbassando il volto nel tentativo di nascondere un intenso turbamento.
«Spaventato per la vita del preziosissimo tagliacarte d’argento dei Black, naturalmente» aggiunse sarcastico risollevando il viso e lo sguardo di nuovo verso di lei che non aveva mai smesso di accarezzarlo, fargli sentire la sua presenza. Gli occhi grigi si aprirono leggermente, ardenti, trovando quelli di Liv paurosamente pensierosi. Ed eccoli lì, a capirsi di nuovo.
Decidendo di stare insieme avevano scoperto che non si toglievano l’indipendenza, non si rendevano deboli o diversi. Stare insieme significava poter essere completamente loro stessi con la certezza assoluta di essere capiti, addirittura ammirati, forse amati. Liv era la solita Liv ancora incasinata ed in lotta con la sua nuova vita da affrontare e Sirius era ancora Sirius con i suoi demoni da sconfiggere ma avevano entrambi un degno alleato accanto, un complice.
«A volte mi chiedo se Regulus sarebbe scappato con me se avesse avuto una cicatrice simile» mormorò Sirius senza più nascondere nessuna emozione, incantato da lei.
Le dita di Liv intensificarono le carezze tra i suoi capelli, sulle orecchie, il collo, soffermandosi sulle guance magre. Schiuse la bocca, pronta per parlargli e lui passò fugacemente il polpastrello del pollice sul suo labbro inferiore, pronto per ascoltarla.
«PERVERTITI INSTANCABILI!? CONTO FINO A TRE! SE NON SIETE VESTITI O COPERTI SARANNO AFFARI VOSTRI! UNO… ah, sono andato a Hogsmeade con Lily… DUE…».
All’ultima informazione, dei tipici tonfi da sorpresa fecero sorridere furbescamente James Potter.
 
 


 
 
 
*
 
 
 




 
Alan Morgan rientrò in Sala Comune fischiettando e smise immediatamente nel vedere sette paia d’occhi puntati su di lui.
I Malandrini al completo insieme a Lily Evans, Mary MacDonald e Liv se ne stavano davanti al caminetto, chi a braccia conserte e chi seduto sui braccioli delle due poltrone, con degli sguardi così inquietanti da superare quello di Severus Piton nell’ufficio del Preside, pochi minuti prima.
Alan, turbato, proseguì comunque la sua camminata cercando di fare finta di niente ma si accorse che quegli occhi lo seguivano, persecutori.
Rallentò, cominciando a sentirsi davvero oppresso.
«Vi serve qualcosa?» esordì lanciando un’occhiata guardinga nella loro direzione.
«Vieni qui, Morgan» ordinò James con una pacatezza horror perfettamente in linea con la sua faccia seria illuminata dal fuoco.
«Non voglio entrare a far parte di nessuna setta» mise subito in chiaro Alan sollevando le mani.



















 
 
 
 
 
 
 Note:
 
*La Rowling dice che Allock da giovane, per ottenere la popolarità che a Hogwarts pensava di avere e che invece non ebbe, faceva di tutto per mettersi in mostra. Qui avete potuto ammirare mentre si invia ottocento cartoline di San Valentino creando un ammasso di gufi ed escrementi in Sala Grande tanto da dover far abbandonare la colazione a tutti (la Rowling lo dice su Pottermore, insieme ad altre galiardate di Allock che vedrete sparse nei capitoli).
Ho immaginato i poveri compagni di dormitorio, tra i quali Dirk Cresswell, Confusi e convinti di dover scrivere le parole dettate da Allock.
 
*James riesce ad arrivare a Hogsmeade con la scopa nello stesso identico modo in cui Harry riesce ad arrivare a Londra con i Thestral nel quinto libro. A quanto pare la Foresta Proibita non è tutta protetta. 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** 45. Nero Inchiostro ***


 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 45

NERO INCHIOSTRO
 
 
 
 



«Eri da Silente, Morgan»
«E tu come fai a saperlo, James?»
«Cosa ti ha detto?»
«Potreste smetterla di guardarmi così, prima di tutto?»
«Se ci dici cosa ti ha detto il Preside, Morgan, smetteremo di guardarti così»
«Quasi niente, non ha detto quasi niente. Ha fatto parlare solo me. Non state smettendo, comunquesiete inquietanti»
«Cosa gli hai detto, tu, allora?»
«Non credo sia una cosa che posso dire, James, lui mi ha detto di non dire niente a ness…»
«Hai due Capiscuola davanti, Morgan, di cui uno tuo Capitano»
«Sì, be', l’aura spaventosa di Silente supera i Caposcuola e il Capitano, James, con tutto il rispetto per la tua che, ti assicuro, è una signora aura e sta subito dopo quella di Silente, appiccicata sotto proprio…»
«Morgan, vuoi restare in squadra?»
«Che? James, vuoi vincere la finale delle finali a giugno?»
«…»
«Ecco, appunto. E perché vi interessa tanto?»
«Sei un nostro Compagno di Casa e Squadra, un amico, e i Serpeverde ti hanno fatto sparire per una notte intera, vedi un po’ tu»
«Ti dobbiamo ricordare anche che sei al cospetto dei Malandrini, Morgan? E che se ci dirai tutto noi provvederemo di conseguenza
«Mi sembra di ricordare quelle poche parole del Preside riguardo proprio voi quattro, Black»
«Ah, sì?»
«Qualcosa del tipo “l’abitudine alla scherzosa vendetta, dannosa di questi tempi” ed altre stronzate varie perché chiunque mi abbia fatto quello merita la Punizione delle Punizioni»
«Contalo come già fatto, Morgan».
Remus, seduto sul bracciolo della poltrona occupata da Liv, si chiese perché Sirius a diciottanni anni non avesse ancora imparato a contare.
I Malandrini erano quattro, era stato appena specificato, e non gli sembrava di aver dato alcun consenso a quella Punizione delle Punizioni. A giudicare dalle facce degli altri due membri, la votazione era una tranquilla e benedetta parità con Peter contrario come lui e James, ovviamente, braccio destro di Sirius.
«Silente mi ha chiesto come sono andate le cose, io gli ho detto che ci hanno attaccato alle spalle- vigliacchi, figli di Salazar- con doppi o forse anche tripli Schiantesimi. Prima me e poi Brian. Quindi non ho la più pallida idea di come ho fatto ad arrivare al Paiolo Magico».
«Paiolo Magico?» chiese Liv stranita, raddrizzandosi sulla poltrona «Non avevi detto Magie Sinister?».
«Magie Sinister? Scherzi, Liv? Non ho mai detto di essere finito da Magie Sinister»
«Sì che l’hai detto, c’era tutta la squadra testimone più Spinnet, Bell e Lily»
«No, James, ho detto Paiolo Magico, potrei giurarlo».
Gli sguardi di Remus e Lily fissarono Alan con così tanta intensità da metterlo di nuovo in soggezione. La tensione si poteva tagliare a fette, tutti loro continuavano ad essere tesi come corde di violino. Morgan si chiese il perché di tanto astio e a chi fosse rivolto.
«Io ricordo di essermi svegliato al Paiolo Magico, da Tom. Da lì ho preso la Metropolvere per andare a casa. Sono tornato a Hogwarts con i miei, Gazza mi ha aperto il cancello e sono corso dritto agli spogliatoi, da voi» raccontò sedendosi sul bracciolo del divano con tutta l’aria da ‘’vengo in pace’.’ «Non vedo l’ora di iniziare il corso di Smaterializzazione la settimana prossima» aggiunse poi, esternando i pensieri che l’avevano tormentato da quando si era risvegliato lontano chilometri da Hogwarts.
James lo fissò penetrante per diversi secondi prima di avvicinarsi cautamente a lui.
«Avevi detto Magie Sinister, Morgan»
«Devo essermi sbagliato. Capiscimi. Una Smaterializzazione Congiunta con mio padre dopo essermi risvegliato al Paiolo Magico, la corsa dal cancello fino al campo a stomaco vuoto e sottosopra, cinque minuti alla partita, tu dentro uno specchio… Per Godric, è stato uno shock!»
«Alan, ti hanno minacciato per non dire dove ti hanno portato?» intervenne Liv con il volto tremendamente serio e, se possibile, più furioso di prima.
«Cosa?» rise lui «Dopo aver passato un mese di minacce di Mani di Mazza pensi che mi lasci spaventare da qualcun altro? E chi poi? Di sicuro era lui, ci metterei la mano sulla Salamandra. Era una di quelle loro trappole per non farmi giocare, le loro solite bastardate, solo che stavolta sono stati più pesanti e chissà che cazzo di magia hanno usato, così potente da eliminare quella anti materializzazione di Silente»
«Se così fosse saremmo in pericolo tutti in questo momento, Morgan» esordì Remus per la prima volta, lo sguardo ambrato ancora particolarmente pensieroso «Nessuno ha eliminato quegli incantesimi di difesa. Silente non se ne starebbe di certo seduto nel suo ufficio in questo momento, se così fosse»
«Per non parlare dell’enorme difficoltà che comporta sciogliere quegli incantesimi» convenne con lui Lily, altrettanto assorta e dura da dietro la spalliera della poltrona con una Mary a braccia conserte.
«Nemmeno Voldemort può, figurarsi Flint o uno studente qualsiasi» continuò Lily osservando il volto di Alan accartocciato dalla parola innominabile.
«Quindi da Hogwarts è finito al Paiolo Magico, come? Capite che non è possibile?» fece il punto della situazione Mary portandosi un’unghia tra denti senza nemmeno accorgersene.
Remus scosse debolmente la testa, il suo tipico sguardo da cervello in azione puntato sul tappeto rosso e oro.
«Alan, Harrison ha detto che ti hanno trascinato dentro l’aula al primo piano. Giusto?»
«Presumo di sì, Remus, se l’ha visto lui. Io ero svenuto»
«In realtà è possibile uscire dal castello, con dei passaggi segreti» fece James sistemandosi gli occhiali sul naso, la mascella serrata con forza «Ce ne sono diversi, pensavo li conoscessimo solo noi».
Lily arcuò le sopracciglia vermiglie, Alan notò il suo collo irrigidirsi ulteriormente chiedendosi ancora una volta il perché sembrassero tutti pronti ad uccidere qualcuno.
«Un passaggio segreto che li ha portati a Diagon Alley, James?» fece Lily piuttosto scettica «Molto improbabile attraversare l’intera Gran Bretagna con una sola notte di cammino sotto terra»
«Hogsmeade, Evans, portano tutti lì i passaggi segreti che conosciamo noi» informò Sirius poggiando la schiena sulla mensola in pietra del camino senza sfilare le mani dalle tasche dei jeans.
Lily e James si scambiarono uno sguardo, la passeggiata dalla cantina di Mielandia alla gobba della Strega Orba a passare nei loro occhi seri ma complici e in quelli semplicemente imbarazzati di Peter.
Nessuno se ne accorse a parte lui e Alan che da quel momento in poi pensò davvero di essere davanti ad un gruppo di Auror o qualcosa del genere.
Restò a guardarli ed ascoltarli, allibito dalla loro organizzazione come se la questione si trattasse di una vera e propria missione con in ballo la vita o la morte.
«A Hogsmeade ci si può Smaterializzare. Questo sì che torna» mormorò Remus lanciando un’occhiata a James che annuì.
«Smaterializzazione Congiunta, per trasportare un corpo svenuto» precisò Liv ricambiando lo sguardo d’intesa di Sirius «Dev’essere qualcuno del nostro anno che ha superato l’esame»
«Piton»
«Piton era nella Foresta, Peter» gli ricordò James con il volto trasfigurato da un’espressione di puro odio.
«Mulciber e Avery erano in Sala Grande»
«Mancavano Regulus e Mani di Mazza»
«Entrambi del sesto anno, niente Smaterializzazione»
«Allora la Metropolvere. Bisognerebbe chiedere a Rosmerta o alla Testa di Porco se hanno visto qualcuno…»
«Non sono scemi, James»
«Quanto li odio»
«Hanno di sicuro scelto un luogo meno affollato, una casa, per esempio»
«Andiamo a chiedere a tutti? È da pazzi»
«Sì, ma…» s’inserì Alan, sconcertato «tutto questo casino per eliminare un giocatore ad una partita?»
«Sì, Morgan, tutto sto casino per eliminare un giocatore che si è portato a letto la ex di Mani di Mazza». James mise prontamente a tacere i suoi dubbi per sviarlo, quasi si erano dimenticati della sua presenza.
Alle sue parole Alan alzò le mani, zittendosi e dandogli mentalmente ragione.
«Bisogna trovare il passaggio segreto in quell’aula al primo piano altrimenti tutto questo non si spiega» riprese Liv.
«Da quanto ne sappiamo non ci sono passaggi segreti in quell’aula» le assicurò Remus abbassando lo sguardo su di lei, dando a tutti la spiegazione del suo viso poco convinto per tutta la teoria appena messa in piedi proprio come gli altri tre Malandrini che conoscevano Hogwarts come le proprie tasche, ormai.
«Vado io a controllare» disse comunque Sirius, staccando la schiena dal camino. Fu bloccato subito dopo dalla voce di Lily che si rivolse di nuovo a Alan, il suo sguardo smeraldino pareva spietato tanto era freddo.
«Dimmi di Piton. Perché non è ancora uscito dal Castello?».
Ed eccola la domanda che li aveva resi così tesi e scontrosi. La domanda che si era fatto Peter mentre dal divano controllava le coppiette sulla Mappa del Malandrino, la domanda che l’aveva spinto a disturbare l’appuntamento di Lily e James. La domanda nata dalla convinzione che Piton sarebbe stato espulso, dopo l’attacco a James.
Per questo erano rimasti calmi, per questo non erano andati a cercarlo, per questo Sirius aveva tenuto i pugni nelle tasche.
Perché non c’era soddisfazione e vendetta più grandi nel vedere Piton, quello che dal primo anno aveva tentato in tutti i modi di far espellere i Malandrini, sbattuto fuori da Hogwarts.
«Come fate a sapere queste cose?» rispose Morgan sempre più basito.
«Siamo…»
«Capiscuola, certo. Piton è entrato dopo di me nell’ufficio del Preside. Sono rimasto ad ascoltare dietro la porta per assistere all’espulsione del secolo ma niente, non l’ha espulso».
Il silenzio agghiacciato seguì l’informazione. Gli occhi spalancati di Alan Morgan saettarono sui pugni serrati di Sirius dallo sguardo quasi diabolico.
«Come, scusa?» esordì James in un tono al limite della pazzia.
«Non l’ha espulso per ‘’mancanza di prove”».
La risata scioccata di Lily, palesemente furiosa, mise i brividi a tutti e non solo ad Alan.
«Scherzi? Ho detto alla McGranitt, chiaro e tondo, che sul suo Pozioni Avanzate c’è la formula della Fattura che stava per fare fuori James!» ruggì, il cuore a batterle nel petto con un vigore così eccessivo da spaventare perfino se stessa.
«L’hanno sfogliato, li ho sentiti, e il manuale di Pozioni era pulito»
«Ovviamente deve aver nascosto tutto» sputò con uno sprezzo mai sentito uscire dalle sue labbra.
«Silente in persona l’ha analizzato con ogni sorta di contro incantesimo e niente, sembra una copia quasi nuova».
L’attenzione dello sguardo di Morgan dai suoi verdi occhi irosi fu di nuovo rapita dai pugni adesso tremanti di Sirius e dal respiro affrettato di James che gli alzava ed abbassava il petto a brevi tratti irregolari.
«Ha nascosto il suo per prenderne un altro, allora» sentenziò con assoluta convinzione Lily, algida «oppure è di qualche suo amico»
«Non può aver nascosto niente perché Lumacorno è andato a perquisire la Sala Comune dei Serpeverde e tutti i dormitori. Tutti i suoi amici avevano il Manuale e non è stato trovato nessun’altro Pozioni Avanzate a parte quello che Piton ha portato dal Preside con tanto di firma nella prima pagina»
«Quel bastardo» sibilò Liv, le unghie conficcate sul bracciolo libero della poltrona.
Il respiro affannato di James ormai era più che udibile e il volto di Sirius si era fatto una maschera di inquietante follia.
«Beh, io vado a cena» esalò Alan alzandosi cautamente dal divano come se avesse a che fare con delle belve selvatiche «È stato un piacere. Giuro che l’anno prossimo mi comprerò la cintura di castità».
Se ne andò lentamente, a ritroso, per evitare scatti da parte dei sette compagni di Casa in evidente stato di pre-assassinio.
Li lasciò immersi in quel silenzio che parlava.
C’era tanto da dire sulla sparizione di Alan Morgan. C’era quell’aula al primo piano da controllare, quel ‘’Magie Sinister’’ cambiato in “Paiolo Magico” sicuramente da un incantesimo di modifica della memoria ben eseguito. Ma c’era anche Piton, Piton con ancora il diritto di respirare la loro stessa aria ed era come se tutto il resto non avesse importanza.
Tutti videro la follia trattenuta da un giorno e mezzo di Sirius esplodere nella prima lunga e decisa falcata verso il buco del ritratto.
«FELPATO!» gli gridarono all’unisono James e Remus, la stessa spaventosa sensazione di essere di nuovo al quinto anno a contrarre le viscere.
Nello stesso momento in cui James iniziò a camminare a passo spedito e colmo d’urgenza per fermarlo- perché più importante della soddisfazione di distruggere Piton c’era non rendere Sirius un carcerato- Liv lo superò più decisa che mai.
James pensò di fermarla, per evitare altri guai, ma non lo fece.
Proprio davanti al retro del ritratto della Signora Grassa, che si aprì per farli uscire, qualcosa gli suggerì che la forza che la stava spingendo da Sirius era la stessa che stava spingendo lui.
 
 
 
 
 
 
*
 
 

 
 



 
Il cuore batteva allo stesso ritmo affrettato delle scarpe nere che si susseguivano sul pavimento in pietra.
Batteva d’orgoglio o paura, sollievo o angoscia, potenza o tristezza. Batteva ed era tutto quello che contava.
“Siamo stati messi al corrente della fattura che poteva uccidere il signor Potter, Severus. Ci è stato anche detto che sei stato tu a crearla e che il tuo manuale di Pozioni dovrebbe riportare la formula esatta scritta a mano. L’hai portato come ti ha ordinato il tuo Direttore?”.
Lily. Non poteva essere nessun’altro quel qualcuno. Lily Evans l’aveva tradito.
Lily Evans l’aveva tradito per difendere Potter.
Lily Evans l’aveva addirittura salvato, James Potter. L’aveva vista con i suoi occhi neri come il buio della Foresta, tra i cespugli più fitti.
L’aveva vista inginocchiarsi senza alcun riguardo o tentennamenti sulla neve, sotto shock.
Aveva visto i suoi occhi verdi lucidi, le labbra aperte per tentare di respirare, le mani sporche di sangue, la bacchetta e la voce tremula, più spaventata di quanto ci si dovesse aspettare da lei che l’aveva sempre odiato, James Potter.
“Hai un debito con lui, Severus, non dimenticarlo. Ed un accordo con me, ricordati anche questo. Puoi andare adesso”.
Era micidiale tristezza quella che faceva pompare il cuore così forte, così dolorosamente. Piton si sentiva morire come la sua cerva d’argento, al solo ricordo.
Accelerò la camminata cercando di stare al passo del cuore, e stringendo in una mano il nuovo Pozioni Avanzate preso dall’angoliera dell’aula di Pozioni sorrise, scaltro.
Sorrise perché era fiero di se stesso, perché aveva fregato Lumacorno, il Preside, Lily Evans e chiunque si sarebbero trovato di fronte allo sconosciuto ‘’Principe Mezzosangue” sulla prima pagina di un logoro manuale non proprio dimenticato in quell’armadietto dietro la cattedra che nessuno apriva mai, sempre in disordine e pieno zeppo di altri libri.
Quello che scorreva senza sosta nelle vene insieme alla tristezza era orgoglio per quel soprannome enigmatico trovato di fretta, lo stesso orgoglio e la stessa fierezza che gli facevano raddrizzare la schiena ogni volta che si trovava spalla contro spalla con Avery, Mulciber e Regulus.
L’orgoglio di essere quello che aveva sempre voluto essere era l’unica cosa che lo faceva sentire vivo in quel vortice di rabbia ed angoscia, di vuoto che c’era sempre stato dentro il corpo che non sentiva più suo e che era pronto ad abbandonare per mostrare a tutti quello nuovo.
Lily non capiva, Lily non aveva mai capito quella parte di lui.
Svoltando nel corridoio a sinistra, una fitta lancinante alla testa e il tipico rumore di ossa incrinate gli fece serrare le palpebre ed andare a sbattere sul muro.
Quando riaprì gli occhi lucidi per il dolore acuto, Piton vide davanti a sé Sirius.
Annaspò, sbattendo le palpebre pesanti e brucianti, la vista annebbiata, l’odore e il sapore ferroso del sangue nelle narici insensibili e sulla lingua impastata. Tentò di recuperare la bacchetta ma una mano gli strattonò violentemente il braccio via dalla veste.
Riconobbe la luce negli occhi brucianti di Black, era la seconda volta che la vedeva.
 
“Gira a largo, Mocciosus”
“Qualcosa ti turba, per caso?”
“Il tuo naso che si ficca nei fatti degli altri è più di un qualcosa. Perché sei qui? Stai di nuovo spiando Remus?”
“Forse ti turba il fatto che l’altro giorno Regulus era con noi, per esempio? Improvvisamente ti ricordi di avere un vero fratello. Curioso il funzionamento ad intermittenza del tuo cervello, Black”
“Mi complimento con lui per i gusti di merda nello scegliere gli amici. Riferisciglielo al vostro prossimo pigiama party”
“Scommetto che il vostro è stanotte
“Ce la farai, stavolta, a seguirci più in là delle Serre o hai ancora troppa paura del buio? Per raggiungere il Platano e pigiare il nodo sul tronco con un bastone ci vuole così poco… ma lo capisco, sei un Serpeverde, sei tu”.
 
«Uccidimi, Black, avanti!» lo istigò con voce nasale strizzando i piccoli occhi neri per il lancinante dolore insopportabile. «Finisci quello che volevi fare due anni fa! Adesso non c’è quel codardo di Pot…».
Un altro pugno lo colpì al viso, sul mento. Le nocche dure e spietate contro il suo osso, la testa sulla pietra del muro.
«Chi è l’assassino che avant’ieri si è nascosto nel buio della Foresta per attaccare, eh?! Chi è il codardo!?» ruggì affannosamente Sirius mentre il sangue gli pulsava anche nelle orecchie, gli occhi spiritati tra i lunghi ciuffi di capelli neri e i denti in mostra a farlo sembrare la versione più spaventosa della sua forma canina.
«Non avete le prove» sibilò con sempre meno voce Piton, scivolando sul pavimento. Si sentì afferrare per il maglione prima di toccare terra e risollevare con forza fino ad arrivare davanti al volto trasfigurato dall’ira folle di Sirius.
«Possiamo trovarle e lo sai o non avresti questa faccia di merda che hai sempre quando hai paura, ovvero quando ci hai davanti» ringhiò in un tono derisore e disgustato al contempo.
«E io posso dire a tutti cosa in realtà ho trovato sotto il Platano» sputò Piton ad un centimetro dal suo naso, i lunghi capelli neri a nascondergli la faccia insanguinata, ma non le sottili labbra stirate in un sorrisetto beffardo anche se sofferente. «Le vostre prove e la mia espulsione sarebbe assicurata, vero, ma non avrei più motivo di tenere la bocca chiusa».
E il dolore divenne accecante. I forti pugni di Sirius si scontravano sulla sua faccia senza sosta, il sangue ad invadergli la bocca. Due voci gli arrivarono ovattate alle orecchie e poi il nulla.
«Basta, Sirius! Questo è abbastanza!» gridò James afferrandolo per le spalle con una certa difficoltà.
«Non è mai abbastanza quando si tratta di lui!» annaspò Sirius cercando di liberarsi dalla ferrea presa di James come un pericoloso animale braccato. I suoi occhi spalancati ancora fissi sulla figura svenuta di Piton facevano intendere la totale mancanza di senno, del controllo, di un pensiero che non fosse quello di vederlo morto perché aveva pensato di poter uccidere Liv e poi James e non meritava altro.
«Lo so ma è abbastanza quando tu passi dalla ragione al torto! Ci siamo già passati, o sbaglio? Non sei un assassino e non voglio che lo diventi, mi sembra di avertelo fatto capire già una volta!»
« che lo sono, James!»
«Non lo sei e lo sai anche tu». La voce ferma di Liv gli parlò arrogantemente sopra, immobilizzandolo internamente.
James la ringraziò mentalmente mentre la belva che teneva stretta si fermava.
Sirius portò lo sguardo spiritato su di lei, il fiatone ad uscire a tratti ansiosi dalle labbra schiuse, stupite.
«Non sei un assassino» disse ancora Liv, senza scomporsi nonostante quello sguardo bruciante fisso su di lei.
«Lasciami stare, Olivia, non puoi parlare dal tuo pulpito allo stesso livello del mio» ringhiò trucidandola con gli occhi mentre riusciva a liberarsi dalle braccia di James. Fece per scaraventarsi addosso a Piton, ma la presa calda della mano di Liv attorno alla sua lo frenò; il contatto parve rallentargli il cuore frenetico nel petto, togliergli quella rabbia che offuscava gli occhi e la mente quando perdeva il controllo.
"Ogni qualvolta sarai in difficoltà starai con me?"
«Pensi davvero che potrei lasciarti da solo con tutto questo?» gli chiese. La voce di Liv era morbida tanto quanto la presa delle sue dita ed il sangue sotto quel tocco si fece bollente, ma sembrò rallentare. «Proprio perché sto in questo pulpito so perché lo vuoi fare, so che non riesci a pensare ad altro e so che se lo merita, ma tu non sei questo . Altrimenti perché te ne sei andato via di casa?»
Un bagliore fugace passò attraversò i colpiti occhi grigi adesso fissi su Liv dall'espressione intensa addosso a lui come se gli stesse imprimendo ogni parola sottopelle, con lo sguardo.
«E non ti lascio, né adesso e nemmeno nel senso generale del termine. Chi dice che non si può stare con qualcuno se non sei a posto con te stesso sbaglia. Non voglio lasciarti da solo al tuo casino, al tuo inferno. È troppo facile stare con qualcuno quando tutto è a posto
Sirius, stordito, non riuscì a distogliere gli occhi da lei e non voleva nemmeno. Il cuore, sotto le sue dita, era tutto ciò che lo teneva sveglio.
«Non siamo sposati, Olivia». La voce era affannata, non del tutto stabile come i bei lineamenti del suo viso. Liv capì che stava per sorridere. 
«Merlino me ne scampi e liberi» sospirò lei con altrettanto affanno, mal trattenendo gli angoli delle labbra.
E a quella sua risposta, un ampio sorriso si stampò sulla faccia di Sirius. Liv lasciò andare il suo, subito dopo coperto dalle labbra di lui che con entrambe le mani le tenne dolcemente il viso; le dita di Liv ancora attorno al suo cuore.
James, piuttosto sconvolto dal repentino cambiamento d’umore dell’amico, sorrise incredulo indietreggiando lentamente come incantato da quella strana visione prima di girarsi ed allontanarsi scuotendo la testa, felice per lui, per lei, per loro.
Li lasciò a baciarsi, a ritrovarsi e riprendersi per l’ennesima volta.
«Però fargli Evanescere i vestiti non fa di noi degli assassini» le mormorò sulle labbra Sirius mentre riprendevano fiato.
«No, infatti» mormorò lei in una bassa risata che sapeva tanto di intesa e complicità. La scintilla negli occhi scuri gli strinse piacevolmente lo stomaco, riportandolo a baciarla lentamente e con più intensità.
Si allontanarono da lì scavalcando con due falcate il corpo in mutande di Piton; dei suoi vestiti nessuna traccia a parte quelli dentro il baule nella sua stanza cinque piani più giù.
Scapparono come due fuggitivi con Gazza alle calcagna, seminato grazie al passaggio segreto dietro l’arazzo in cui stettero parecchi minuti con le labbra di nuovo incollate, i corpi uniti, gli sguardi luminosi anche al buio, i sorrisi aperti non solo per il divertimento, ma anche per un’emozione così grande da non lasciare parole, fiato,coraggio.
Decisero di andare a controllare insieme l’aula misteriosa al primo piano, trovando Regulus mentre usciva di soppiatto. Quando i suoi occhi grigi incontrarono quelli di Sirius, il Serpeverde si immobilizzò con le spalle alla porta chiusa.
«È così, allora, che sei riuscito a sopravvivere qui per sei anni» esordì Sirius con il suo miglior tono sarcastico, lo sguardo improvvisamente imperscrutabile «raggiungendo Londra ogni sera per farti pulire il culo da mamma»
«Oh, ma certo» si limitò a dire Regulus puntando le mani intrecciate di Liv e Sirius che abbassando lo sguardo si accorsero soltanto in quel momento di essersi presi per mano senza sapere quando.
Nessuno dei due mollò la stretta, anzi, Sirius la rafforzò.
A quel gesto particolarmente intimo, le labbra di Regulus si arricciarono in una smorfia di indecifrabile interpretazione.
«Se soltanto la mamma lo sapesse…»
«Ti prego di dirglielo»
«Questo dimostra che non hai paura che possa succederle qualcosa» replicò il Serpeverde indicando con un altero cenno del mento una Liv silenziosa e dallo sguardo ferino «ma che ce l’hai per il puro gusto di infastidire i Black, come hai sempre fatto con tutte le cose»
«Sa difendersi da sola e morirei per difenderla, grazie per l’interessamento alla sua incolumità, ma non ce n’è bisogno» fece Sirius con micidiale ironia mentre le dita di Liv stringevano le sue come mai prima. Le accarezzò il dorso della mano con il pollice e continuò.
«Tu pensi che ogni cosa che faccia sia per infastidire voi, non hai capito che tutto quello che faccio va contro il vostro volere perché è quello che sono. Io sto con Olivia perché è quello che voglio, non perché farebbe impazzire del tutto un’isterica ossessionata dal sangue puro. Non mi aspetto che tu lo capisca, Regulus, non hai mai fatto niente per te stesso»
«Questo lo dici tu». Il sibilo di Regulus fu tagliente quanto i suoi occhi chiari assottigliati, accesi da una luce che appariva a tutti gli effetti come intensa fierezza.
Liv sentì la mano di Sirius scivolare via dalla sua, vide il suo profilo indurirsi, l’occhio grigio spalancarsi leggermente. Lo trattenne portandosi l’intero braccio addosso in una muta richiesta di mantenere la calma, di non buttarsi di nuovo nel buio che anche lei conosceva bene, di lasciare Regulus libero di dire la verità se voleva davvero capire se ne valeva la pena o no. Lui la lasciò fare,  sentendosi più controllato, e parlò ancora.
«Cos’hai fatto, Regulus?» chiese lentamente, la giugulare meno gonfia sul lungo collo. Ma il sorrisetto del fratello lo portò al limite e Liv lo percepì sotto le dita.
«Lo scoprirai, prima o poi» si limitò a dire Regulus, beffardamente vago.
«Basta» sbottò con fermezza. Ed in quel “basta” Sirius si riconobbe pienamente.
Basta era tutto quello che il suo corpo, la sua mente, le sue viscere, il suo cervello e il suo cuore non facevano altro che gridargli da mesi.
Basta era la fine di una tortura che per mesi non aveva avuto il coraggio di fermare per la paura di sapere o forse perché, in fondo, pensava di meritarsela.
«Dimmelo e facciamola finita, Regulus, voglio soltanto...» gli disse in un sussurro frustrato afferrando con il braccio libero la spalla di Regulus che scattò, per la prima volta visibilmente furioso a quel contatto. Sirius lo guardò perlpesso, non capendo qualle strana reazione esagerata.
«Sì, sono un Mangiamorte» sibilò Regulus con sfida, liberandosi dalla stretta senza distogliere lo sguardo dagli occhi spalancati del fratello dal volto pallidissimo, atterrito, orripilato.
Restò immobile, Sirius, incapace di muoversi, di respirare, di pensare. Lo sguardo raggelato inchiodato a quello che non riconosceva più come suo fratello.
Non sapeva ben definire la sensazione di vuoto e odio che cominciò ad allargarsi dal centro del petto come una macchia d’inchiostro nerissimo.
Aveva agognato quella verità che da sempre l’aveva consumato fino al midollo giorno e notte, da anni, da quando aveva visto Regulus frequentare Piton e la feccia vera di quella banda; la verità che gli era stata finalmente sbattuta in faccia ed improvvisamente si rese conto che era inutile allontanarsi dal buio, il buio l’aveva raggiunto ed inglobato perché il buio era Regulus che aveva tagliato il filo non poi così indistruttibile, il buio era lui che lo aveva permesso.
«Sirius» lo chiamò con voce decisa Liv per non farlo cadere nel baratro mentre Regulus si allontanava da lui di qualche passo, senza distogliere lo sguardo dagli occhi gelidi di Sirius che lo guardava dall’alto dei suoi centimetri in più, altero come mai lo era stato con lui.
Regulus ebbe la sensazione di essere nel corpo di sua madre, suo padre, Kreacher, Bellatrix e tutti gli altri parenti sentendo addosso il vero odio e disprezzo di Sirius.
Percependo anche la sua vera delusione riprovò la sensazione di essere nel corpo del ‘’fratello di Sirius”, quella che da piccolo l’aveva fatto sentire al sicuro anche davanti alla scala dell’ingresso a Grimmauld Place.
La verità, però, era che quello stesso corpo era ormai soltanto un guscio vuoto diventato tropo stretto.
Ricambiò tutto con uno sguardo identico al suo perché ogni cosa che Sirius aveva fatto non lo rispecchiava, non la condivideva e disprezzo, odio e delusione non erano una sua prerogativa.
Lui disprezzava Sirius per il suo continuo sputare sulle regole del Sangue Puro, per il suo voler seguire Albus Silente, per essersi fatto degli amici traditori del proprio sangue, babbanofili, Ibridi, Nati Babbani.
Lui era deluso da Sirius per il suo essere finito a Grifondoro, per il suo chiamare ‘’fratello’’ qualcuno che non era lui, per essere scappato di casa.
Odiava Sirius perché sapeva che rinnegando i Black avrebbe rinnegato anche lui. Sirius lo sapeva, sapeva a cosa sarebbe andato incontro, eppure l’aveva fatto.
Diede le spalle ad entrambi i Grifondoro e si allontanò a passo svelto, addirittura fiero.
Fiero. Regulus era fiero e Sirius sentì la rabbia di anni ribollire fino al cervello. Risentì la voce di sua madre che parlava di sangue puro e sangue sporco, quella di suo padre ricordargli il comportamento corretto da mantenere in ogni situazione, Bellatrix che ogni estate aggiungeva elogi in più al suo Signore Oscuro fino a guardare lui e Regulus come ''i prossimi".
Fece uno scatto rabbioso nella direzione del fratello ormai in fondo al corridoio, ma Liv lo fermò posandogli le mani sul petto vuoto d’ossigeno, sentendo dolore e delusione nel cuore martellante, dentro gli occhi grigi lucidi quando si abbassarono sui suoi, storditi da quel tocco. Erano furiosi e l’evidente tremolio faceva pensare a lacrime trattenute.
Era rabbiosamente spaventato, Sirius, fuori di sè. Ma non fece più nessuno scatto. «Avrei dovuto trascinarlo con la forza e portarlo da James, due anni fa, invece di chiederglielo e basta» sussurrò, tra i denti serrati.
«Come tu sei scappato da Grimmauld Place, lui sarebbe scappato da casa Potter. Noi due sappiamo benissimo che è impossibile costringere qualcuno a vivere in un posto non suo. E non è colpa tua»
«Come fai a dirlo?» le chiese in un ringhio senza fiato, sentendo ogni parte di lui cedere dal dolore e dalla furia, lo stomaco far male.
«Regulus non ha una cicatrice sul costato data dal tagliacarte in argento di tuo padre».
Quella risposta immerse Sirius in un silenzio colmo d'angoscia, la furia a rimbombare ancora nel petto sotto le mani calde di Liv. Regulus non aveva cicatrici, non aveva mai ricevuto uno schiaffo, non aveva mai fatto o detto qualcosa contro il volere o le idee dei suoi genitori.
«Si è sempre comportato da figlio perfetto, il migliore, non poteva di certo scappare di casa»
«Non voleva. Non è che non poteva, non voleva. Tu gliel’hai chiesto, Sirius, lui ha deciso»
«Perché non sono riuscito ad evitargli il lavaggio del cervello!» ruggì con voce più alta, quasi disperata.
«Il lavaggio del cervello l’hanno fatto anche a te, eppure guardati» gli disse Liv con grintosa veemenza, nella voce bassa una calda nota supplicante. Soffriva a vedere Sirius soffrire . «Tu sei stato in casa fino ai suoi quindici anni, Sirius. Regulus aveva due strade, grazie a te, ed era abbastanza grande per capire. Non credo sia stupido e nemmeno un tipo facile a lasciarsi condizionare dagli altri visto il suo essere contrario a mozzare le teste degli elfi, visto come tratta Kreacher».
Lo sguardo furioso di Sirius, offuscato dalla rabbia, non sembrava convinto e una punta di colpa galleggiava in quel grigio turbinoso. Era pronto a ribattere, a lasciare che quell'oscurità lo mangiasse vivo.
L'unica cosa che Liv sentì di fare fu quella che lui stesso aveva fatto per lei, la sera prima.
Lasciò scivolare via le mani dal suo petto impazzito per arrivare alle sue spalle e circondargli il collo, alzandosi sulle punte per abbracciarlo.
Lo sentì sciogliersi all'istante contro di lei, circondarla con le sue lunghe braccia che si aggrapparono alla sua vita con intensità.
Le fermarono per un attimo il respiro, facendole sentire quello di lui contro i capelli e poi sulla pelle del collo quando Sirius, affondando il naso, intensificò la dolce stretta come se la sua sopravvivenza dipendesse da quel contatto.
Le mani di Liv, arrivate alla nuca avevano l’incredibile potere di calmarlo nonostante la rabbia, pronta a travolgere tutto. Liv percepì le sue labbra sfiorarle l'incavo del collo, premere piano nel punto dove il cuore le batteva, solo per lui da sempre. E poco dopo sentì Sirius soffiare via piano l’aria come se l’avesse trattenuta per troppo tempo. Il suo cuore, lei lo sentì contro il suo, da martellante rallentò.
«Non è facile lasciarlo andare»
«So benissimo che non lo è».
A Liv tremò appena la voce, il volto di suo padre a galleggiarle nella mente, e Sirius la strinse ancora più forte a sé.
Rimasero stretti per un periodo di tempo incredibilmente lungo, i loro dolori simili a mischiarsi fino a non capire se la sofferenza provata fosse ancora per loro stessi o per quella dell’altro.
Liv aspettò che fosse lui a decidere di sciogliere l’abbraccio, dandogli tutto il tempo necessario per metabolizzare e riprendersi, per sentirsi di nuovo stabile.
Quando Sirius lo fece, minuti dopo, lasciò la sua giugulare e si guardarono negli occhi lucidi. Quelli di Sirius erano arrossati e sulla guancia erano ben visibili scie umide che Liv asciugò con i polpastrelli di una mano e poi con le labbra, sfiorando la sua pelle. Sentì Sirius fremere sotto , le sue mani ai lati dei fianchi morbidi tremare ed affondare, scaldarsi e stringerla con urgenza e desiderio, ma anche sollievo come se potesse trovare la pace in lei.
Erano lacrime incredibilmente pesanti quelle sul suo bel volto, lo sfogo di una ferita repressa che si era riaperta, l’espressione involontaria di sentimenti profondi non più possibili da sopprimere.

 
 
 

 
 
 
*
 
 
 
 
 



 
La calda Sala Comune dei Grifondoro era illuminata dalle lampade ed immersa nel silenzio spezzato soltanto dal temporale fuori dalle finestre e dal chiacchiericcio dei gruppetti di studenti che scendevano dalle loro stanze per andare a cena.
«Gli hanno cambiato il ricordo» mormorò per la seconda volta Lily seduta sul divano accanto a James che annuì, fissando attentamente il fuoco nel caminetto davanti.
«Morgan, negli spogliatoi, ha detto Magie Sinister. Non abbiamo sentito male, ci giocherei la mia spilla da Capitano»
«Perché proprio Magie Sinister?» espresse tutto il suo sconcerto Mary dalla poltrona vicina a lui «Portarlo là non c’entra niente con ‘’Eliminiamo un Cacciatore avversario per la partita”. È più un “Eliminiamolo” e basta»
«Infatti non dobbiamo dare per scontato che gli abbiano cambiato la memoria, il Paiolo Magico è molto più attendibile»
«Remus, nel momento in cui ci ha detto di essere stato da Magie Sinister aveva la memoria intatta visto che era appena arrivato dal cancello e nessuno l’aveva ancora visto! E non era così sotto shock da sbagliare il luogo in cui molto probabilmente è stato torturato!»
«D’accordo, Lily, ma se davvero è stato portato da Magie Sinister tramite Metropolvere…»
«Non sappiamo nemmeno questo» sospirò stancamente James poggiando i gomiti sulle cosce per massaggiarsi con nervoso gli occhi chiusi sotto gli occhiali «Mancavano Regulus Black e Mani di Mazza che non sanno Smaterializzarsi, ok, ma se avessero incontrato qualcuno ad Hogsmeade capace di farlo?»
«Oh, no, James, non cominciamo a complicarci la vita. Prima di pensare a queste teorie estreme dobbiamo...»
«Remus, portare qualcuno da Magie Sinister significa solo una cosa… avere a che fare con dei Mangiamorte»
«Sempre se i Mangiamorte non siano gli stessi rapitori»
«Infatti, Mary. Mani di Mazza spiegherebbe l’odio ‘’sportivo’’ per Morgan, Regulus Black… beh, proprio tu e Mary l’avete visto da Magie Sinister con Lucius Malfoy durante le vacanze di Natale, o sbaglio?».
L’espressione tramortita di Remus congelò i suoi lineamenti mentre portava lo sguardo allarmato su quello altrettanto turbato della sua ragazza.
«Ricapitoliamo» fece Lily scivolando un po’ in avanti sul cuscino del divano rosso per vedere meglio tutti.
«Grazie» fece Peter con espressione confusa lanciandole un piccolo sorriso riconoscente la quale lei rispose con uno più ampio prima di parlare di nuovo.
«Qualcuno ha usato un passaggio segreto che dall’aula al primo piano porta a Hogsmeade. Molto probabilmente sono stati Regulus Black e Mani di Mazza perché erano gli unici assenti in Sala Grande a parte Piton che si faceva i suoi giretti nel bosco. Fin qui ci siamo?».
Gli altri annuirono, percependo la durezza con la quale aveva enfatizzato la parte con Piton.
James, al suo fianco, si sistemò gli occhiali sul naso senza distogliere gli occhi da lei.
«Quei due sono del sesto anno, non sanno Smaterializzarsi, quindi è ovvio che abbiano usato un camino collegato alla Metropolvere. Utilizzeremo il vostro passaggio della Strega Orba per andare a fare i Testimoni di Geova in tutte le case, il prima possibile»
«Chi?»
«Te lo spiego dopo, Potter. Oppure hanno incontrato qualcuno capace di Smaterializzarsi. Malfoy, per esempio. Il fatto strano rimane, in ogni caso. Da Hogsmeade, Alan Morgan è stato portato da Magie Sinister, il covo o punto d’incontro della gente losca, oscura. Insomma, non si manda lì un semplice avversario di Quidditch».
Lo sguardo di Peter non era più totalmente spaesato.
«Ma perché Morgan dovrebbe interessare ai Mangiamorte?» chiese in un sussurro Mary, più a se stessa che agli altri.
James, improvvisamente, parve avere la risposta. Remus, però, non ne era affatto convinto e il suo sopracciglio arcuato lo diceva chiaramente. La faccia di James era quella pre-idiozia. Ed infatti, quello che si ritrovarono ad ascoltare e vedere fu una parodia di quello che doveva essere Voldemort con voce appositamente acuta e femminile.
«”Black, per testare la tua fedeltà portami un esemplare maschio di Grifondoro”».
Suo malgrado rise anche Remus, insieme a Lily e Mary ma non a Peter che aveva un sorriso tirato sul volto paffuto e i brividi sulle braccia al solo pensiero di una scena simile con lui protagonista.
«Non ha senso tutto questo» commentò lo stesso James sprofondando sullo schienale del divano e passandosi le mani tra i capelli in un gesto esasperato. Remus, in quel gesto, ci vide tutta la sua preoccupazione per Sirius.
«Non sappiamo neanche come ha fatto Alan a tornare tutto intero, dopo essere stato lì» disse Lily guardando James. Sembrava che le sue dita si stessero appositamente intricando tra quei ciuffi annodati in un modo così familiare da riportarle alla mente le sue camicie.
«Continuo a tenere aperta l’ipotesi che sia davvero stato solo al Paiolo Magico»
«Non lo sapremo mai, Remus, dato che gli hanno cambiato i ricordi» disse Mary sollevando lo sguardo verso di lui.
«Noi non lo sapremo mai, Morgan non lo saprà mai ma chi ha fatto tutto lo sa, eccome» disse James all’improvviso sbrogliando le dita dai capelli ribelli. Il suo sguardo nocciola non aveva più niente di scherzoso e lo sguardo di Remus si fece più intenso su di lui.
«Peter?»
«Sono pronto, Ramoso» fece lui alzandosi di scatto dalla poltrona e dimostrando una prontezza mentale e fisica rara da vedergli a parte quando si trattava di cibo o pericolo, come in quel caso.
«Per cosa?» chiese Lily, guardando confusa il diretto interessato.
«Peter ha un oggetto speciale per ascoltare le conversazioni altrui senza essere notato»
«Grande! Facci vedere, Peter!» esclamò Mary, elettrizzata.
«Ecco, Mary, non si può vedere» si aggiunse Remus che aveva capito soltanto in quel momento l’idea di James. Provò a farlo capire con lo sguardo anche a lei, non più all’oscuro del segreto degli Animagus, e gli occhi nocciola di Mary si dilatarono impercettibilmente.
«Come sarebbe, “Non si può vedere”?» rise Lily interdetta e forse anche un tantino offesa «Conosciamo Specchio, Mappa, Mantello, perché nascondere questo?»
«Perché altrimenti non funziona»
«Cos…?»
«Peter, dopo cena. Sono tutti in Sala Grande adesso, non troveresti nessuno» tagliò corto James mentre l’amico annuiva e Lily squadrava James con aria di sufficienza, come se lo stesse soppesando minuziosamente.
«Mi aspetto un’impennata della tecnologia Auror al tuo ingresso all’Accademia» sentenziò alla fine, poco dopo, e James si lasciò andare ad un largo sorriso.
«Al destino non si sfugge, Evans. Primo Cacciatore della Nazionale Inglese o inventore di nuovi oggetti indispensabili per combattere il male, in ogni caso diventerò famoso». Il cuscino che gli arrivò in piena faccia avrebbe dovuto soltanto infastidirlo per avergli fatto cadere gli occhiali ma l’unica cosa che gli regalò fu una vergognosa voglia di baciare Lily Evans.
«James Potter. James Potter non fare l’idiota e rispondi». La voce di Sirius uscì dalla tasca destra aggiudicandosi il premio Lista Anti-rimbecillimento dell’anno «Non ci sono passaggi segreti nell’aula al primo piano»
«Cosa?».
James fece segno a Remus di tacere con la mano libera mentre l’altra teneva lo Specchio, lo sguardo fisso sul volto di Sirius che ricambiava il suo.
«Non ci sono passaggi segreti, con Olivia abbiamo controllato ovunque, e l’armadio che ti avevo detto non c’è più. Il passaggio segreto deve per forza essere quello, l’armadio» spiegò la voce da dietro il vetro.
Aveva gli occhi arrossati, Sirius, James l’aveva visto così poche volte. Sotto al suo Mantello al secondo anno, in infermeria con un Remus addormentato ed ignaro di aver quasi ucciso Piton al quinto, davanti a casa sua alle tre di notte con un baule ai piedi due estati prima.
Non gli chiese se andava tutto bene, era chiaro come il sole fosse successo qualcosa. Ma c’era un dettaglio diverso in quello sguardo arrossato, la limpidezza. L’espressione di Sirius gli raccontava tutto mentre lo guardava in silenzio, consapevole di essere letto senza problemi.
«Tornate qui e ne parliamo, sempre se non avete altri piani. Dopo la cattedra di Lumacorno, un’aula vuota è un gioco da ragazzi» scherzò James con fare malizioso a stemperare la tensione, come piaceva al suo migliore amico.
Sirius infatti ghignò e James capì che non stava mentendo, che era tutto a posto sul serio e non soltanto in apparenza come magistralmente sapeva fare l’amico anche quando sfoggiava come se niente fosse gli occhi rossi.
«Arriviamo, non mangiamo da ieri. Ci vogliono forze per fare certe cose, non so se mi spiego».
Remus, sollevandosi dal bracciolo della poltrona, portò gli occhi al soffitto mentre James rideva rituffando lo specchio in tasca.
«L’armadio al primo piano è sparito?» esordì Lily, serissima.
«Già e non ci sono passaggi segreti. Questo può significare soltanto una cosa»
«Che è l’arma del ‘’delitto’’. Chi lascerebbe l’arma del delitto nella scena del delitto?»
«I cretini»
«E i Serpeverde, almeno questo concediamolo, non sono cretini quando si tratta di pararsi il culo»
«Wow, Lily!» esclamò James guardandola con profonda ammirazione per quelle parole che avevano fatto spalancare gli occhi di Remus e Peter mentre Mary se la rideva, abituata a quelle uscite dell’amica nei momenti di crisi.
«Oh, Potter, piantala di sorprenderti!» sbottò lei alzandosi dal divano con uno scatto nervoso. James aveva imparato a riconoscere quello sguardo assassino, l’aveva provato sulla pelle anno dopo anno. Lily era furiosa, e lui conosceva ogni suo gesto furioso.
Il passo rigido, la ruga tra le sopracciglia, il tic all’occhio scoperto sotto il tavolo della biblioteca. Stava pensando a Piton, al fatto che si era ‘’parato il culo’’ nonostante lei avesse detto chiaro e tondo alla McGranitt dove trovare le prove.
«Sirius l’ha messo K.O.» le assicurò James, guardandola fare avanti ed indietro sul tappeto rosso e oro.
«E poi gli abbiamo fatto Evanescere i vestiti e nascosto la bacchetta» esordì proprio Sirius facendo lo slalom insieme a Liv tra le poltrone e gli studenti che scendevano a cena.
«Adesso sta correndo al terzo piano per raggiungere i sotterranei, nudo, nascondendo le sue vergogne con la visiera di un’armatura davanti e il quadro dei monaci che non giocano più a carte perché scandalizzati dietro» informò Liv sopra le risate degli altri, Lily compresa.
«Questo vi fa capire anche la grandezza di suddette parti…» aggiunse Sirius prolungando quei suoni divertiti.
 «La professoressa di Babbanologia gli ha tolto cinquanta punti perché stava insultando Gazza chiamandolo “Inutile Magonò” per il suo non avere una bacchetta che avrebbe potuto far comparire dei vestiti» concluse Liv fermandosi dietro il divano con Sirius accanto. I due sadici sorrisi identici sui loro volti furono osservati con ridente attenzione da tutti. L’intesa tra loro era palpabile, sconcertante, quasi inquietante.
Quei due erano felici nonostante non avessero nessun motivo apparente per esserlo, invischiati com’erano nei loro problemi.
«Ma guardateli» fece James con la testa buttata all’indietro sullo schienale per osservarli, atteggiandosi a parente commosso «Avreste potuto essere compari e migliori amici fin dal primo anno se soltanto non foste stati accecati dall’attrazione fisica che pensavate fosse odio. Sciocchini».
Sirius gli diede una sonora cinquina sulla fronte facendolo raddrizzare ed imprecare di dolore mentre Remus ringraziava Merlino, terrorizzato al solo pensiero di quei due pazzi complici già dal primo anno, senza però riuscire a non guardarli con sincero affetto.
«Com’era l’armadio, Black?» chiese Lily cercando di restare seria.
«Alto, nero, a due ante, losco, molto ‘’serpeverdesco’’, mai visto prima».
Negli improvvisamente attenti occhi ambrati di Remus passarono in rassegna tutti i libri che aveva letto come se stesse sfogliando la lista della biblioteca, la sua personale. Il silenzio prolungato fece capire agli altri tre Malandrini, con una certa sorpresa, che nemmeno lui aveva mai sentito parlare di una cosa del genere.
«Andiamo in biblioteca a cercare qualcosa su un armadio alto, nero, a due ante che fa sparire le persone»
«Andate, Remus, vorrai dire. Noi due andiamo in Sala Grande» mise in chiaro Sirius posando mollemente un braccio sulle spalle di Liv «Sono sazio ed appagato di altro ma lo stomaco è vuoto da ieri a pranzo»
«Si può sapere cosa siete a parte essere pervertiti instancabili, amici e partner nel crimine?» rise Mary sopra i finti lamenti pudici di James che prendeva in giro l’esasperato ‘’Non incominciamo con queste battute, Sirius” di Remus.
Jane Phillips che passava dietro di loro insieme alle amiche sembrava molto interessata a sentire la risposta tanto che rallentò la camminata verso il buco del ritratto.
Ma Sirius e Liv non risposero, guardandosi straniti.
Non sapevano cos’erano, sapevano soltanto che si erano lasciati andare a quell’attrazione che si era fatta ormai insopportabile, a quella sensazione di essere amici da sempre e a quell’emozione più grande di loro, cercando di darle un nome.
Speravano di capire cosa fosse stando insieme, come non avevano mai fatto con nessuno proprio perché non avevano mai avvertito niente di simile.
Spaventava, certo che spaventava, da morire, ma dopo tutto il tempo passato ad avere paura si sentivano pronti per correre quel rischio perché quel qualcosa che entrambi provavano l’uno per l’altra era insopprimibile e faceva male se ignorato, l’avevano appurato più volte.
Il fatto di essersi trovati d’accordo sul volerlo affrontare li univa più che mai. Sirius ammirava Liv per questo e Liv ammirava Sirius per lo stesso motivo, ma ancora una volta nessuno dei due osò dire a voce alta quello che entrambi sapevano essere amore .
«Due gran fighi, ecco cosa siamo» rispose Sirius distogliendo l’intenso sguardo dai suoi occhi soltanto per stringerla a sé con il braccio ancora sulle sue spalle e stamparle un bacio sulla fronte mentre Liv rideva, chiudendo gli occhi a quel contatto.
«Ed ora, se volete scusarci…» concluse piuttosto orgoglioso Sirius voltando entrambi con un gesto elegante per dare le spalle alle diverse espressioni sulle facce degli amici ed uscire dalla Sala Comune, superando la figura immobile di Jane.
«Ok» fece Mary non riuscendo ad abbassare gli angoli della bocca come tutti gli altri.
«Loro due saranno anche ‘’quelli belli’’ ma noi, Evans, siamo andati a Hogsmeade con una scopa passando in mezzo ai tronchi della Foresta Proibita» sentenziò James sorridendo ammiccante davanti al rossore che impossessò le guance di Lily. «Eh?» continuò poi, scherzosamente provocatorio, rivolgendosi a Remus e Mary «Provate a superarci». Afferrò la mano di Lily e si diresse a passo spedito verso l’uscita della torre.
In corridoio, Lily, rigida come un manico di scopa, fece per aprire le labbra sconcertate quando dei passi affrettati arrivarono alle loro spalle.
«Superati!» esclamò scherzosamente Mary sorpassandoli di corsa mano nella mano con Remus, trascinato senza riserva tra le grasse risate di Peter.
«Dobbiamo andare in biblioteca, Mary, rallenta!»
«La biblioteca a quest’ora è chiusa, Remus! Ci andremo domani, adesso corri e basta!».
Anche James rise di gusto, piegandosi in avanti e portando irrimediabilmente con lui anche la mano, il braccio, la spalla e tutto il resto di Lily con i capelli rossi davanti alla faccia attonita.
«Potter?». La sua voce, al contrario della sua intera figura tesa, era straordinariamente piatta.
«Forte la tua Mary!»
«Sì ma non possiamo essere un limite da superare per lei e Remus»
«Come no?»
«Non siamo una coppia, Potter»
«Certo che lo siamo, Evans. Siamo una coppia di Capiscuola, tanto per dirne una»
«Remus e Mary non sono una coppia di Capiscuola, Potter»
«Siamo una coppia di persone che è uscita insieme a San Valentino, tanto per dirne due»
«Sono uscita a Hogsmeade con te a San Valentino soltanto perché la Piovra Gigante mi ha dato buca».
L’espressione ilare di James, che la guardava con un largo sorriso, la contagiò per un attimo.
«Quindi non siamo una coppia, Potter»
«Allora perché mi stai stritolando la mano?»
«Perché ti voglio fermare il sangue per crearti un blocco del sistema circolatorio e farti morire»
«Fai pure, Evans, è piacevolissimo anche questo tuo tentativo di ammazzarmi».
Piacevolissimo. Lo era. Anche questo. Il contatto con la sua mano scatenava brividi irradiando calore al petto, accelerava il respiro e il cuore. Come il bacio.
Lily continuò a camminare senza lasciargli la mano, il volto impassibile a celare le fiamme dell’inferno dietro.
Come diavolo era possibile che morire con James Potter fosse così piacevole?
«Forse dovresti impegnarti di più, sai? Altrimenti mi farai pensare che non mi vuoi uccidere davvero, Evans».
Quella frase la raggelò. La stava forse sfidando?
«Ho risposto con un  al tuo dannato invito per Hogsmeade, Potter, questo doveva essere il colpo di grazia»
«Ed invece, come vedi, sono ancora vivo e vegeto. Tu, invece. Sembri tu quella morente da quando ti ho detto che sono innamorato di te. Sono un assassino migliore, ammettilo».
Una smorfia oltraggiata sul volto gelatina alla barbabietola di Lily affilò gli occhi verdi puntati su James con il profilo ridente e rilassato rivolto ai gradini sotto i loro piedi.
Gli stritolò le dita, facendogli fare un verso ridicolo a metà tra la sofferenza e una risata.
Perché Potter non si doveva permettere.
Perché Potter non era lontanamente vicino ad essere un assassino migliore di lei.
Perché il suo istinto omicida nei suoi confronti era spanne sopra il suo, dal primo settembre del primo anno.
«Stai forse dicendo che quel ‘’’’ non ha più alcun valore?»
«Non ho detto questo, Lily, dico solo che due anni fa forse avrebbe potuto uccidermi ma adesso no».
Lily lo odiò, poi odiò la parte di se stessa che cominciò a sprofondare sotto la pietra lasciandosi cadere nel vuoto sotto le scale in movimento.
Ma non gli lasciò la mano perché aveva ragione.
“Vuoi venire a Hogsmeade con me, Evans?” si era fatta una domanda diversa, quell’anno, era maturata con James ed anche con se stessa.
Non significava più solo Hogsmeade e Lily ne era consapevole perché lei stessa aveva risposto “sì” a tutt’altro, non soltanto all’uscita al villaggio che negli anni precedenti aveva sognato in tutte le varianti più tragiche ed apocalittiche come il terremoto che lo aveva raso al suolo con un solo suo piede sbattuto a terra, l’incendio divampato con la sola forza delle sue pupille, un incantesimo inventato da lei stessa per farlo sparire con un solo gesto della bacchetta. Ricordava ancora la formula: “Muori Potter”.
Il suo ‘’sì’’ aveva voluto dire mille cose che facevano battere il cuore al solo pensiero.
Perciò no, quell’uscita non aveva più lo stesso significato di una volta e sia James che Lily sapevano che non avevano più bisogno del villaggio per stare insieme.
In quei mesi erano stati insieme in ogni angolo e corridoio del castello e del parco, perfino sul treno, a Diagon Alley e a Londra.
Ed era a quella richiesta di stare insieme ovunque che Lily aveva risposto ‘’sì’’.
«Però c’eri quasi, Evans, lo ammetto». La verità era che James ogni maledetta volta si sentiva morire e poi rinascere.
Le labbra di Lily si curvarono impercettibilmente verso l’alto. Il cuore di James non aveva mentito sotto il maglione zuppo di pioggia, a terra e sopra la scopa.
Storse il naso a quel pensiero, interdetta. Il cuore di un quasi morto non batteva così veloce, così vigoroso, così potente.
Il pollice di James accarezzò per un attimo le dita della mano di Lily aggrappata alla sua ed entrambi furono del tutto consapevoli del fatto che nessuno dei due sarebbe mai riuscito ad uccidere per sempre l’altro.
Ogni tentativo li faceva sentire più vivi che mai.
«Ma vuoi uccidermi del tutto o no?»
«Certo che sì, Potter»
«Fallo, allora».
Lì, in Sala Grande? Con tutti quei testimoni? L’aveva presa per stupida? L’avrebbe ucciso ma senza finire sul giornale di Allock.
«Quando vuoi, Evans. Lo sai, io sono il tipico Grifondoro, sono sempre pronto a morire. Il problema è che tu mi salvi sempre, nella Foresta l’hai fatto di nuovo»
«Perché devo essere io ad ucciderti, Potter, nessun’altra persona, calamità naturale, incidente o tua stupidità». Lily lo disse arcuando le sopracciglia rossicce, spalancando gli occhi verdi e non riuscendo a trattenere gli angoli delle labbra che si alzarono irrimediabilmente come il sorriso di James, spontaneo, felice, vivo.
«Ma così non diventerò mai l’eroe che tutto il Mondo Magico aspetta da secoli, Evans. Carini i capelli pettinati in questo modo, comunque» le disse a bruciapelo con lo sguardo posato già da qualche istante sulla treccia che le liberava la fronte.
Lily arrossì.
«Sei morta un’altra volta?».
Odiandolo.
«E siamo eccome una coppia, Evans, una coppia di cervi».
Varcando l’ingresso della Sala Grande riportata alla normalità, Lily mollò la sua mano per tirargli in piena nuca un fortissimo scappellotto che lo fece piegare in avanti facendo voltare diversi Tassorosso con la bocca piena di pollo.
Eppure, quell'ultima frase amplificò l'eco della travolgente sensazione provata da entrambi quel giorno a lezione, quando la cerva era saltata fuori così simile al cervo tanto da sembrare legata a lui in qualche modo, tanto da farli sembrare una coppia.
I loro Patronus creavano una coppia compatibile e neanche Lily Evans poteva negarlo.
«Che è ‘sta roba?» commentò con disgusto Sirius, pietrificato davanti alle pagine inneggianti San Valentino della Gazzetta dell'Esteta abbandonata sul pavimento, sotto ai loro piedi.
«Oggi è San Valentino?» chiese sinceramente stranita Liv.
«Era, ormai è quasi passato» la corresse Remus.
«Non lo sapevi neanche tu?» fece Sirius occhieggiando con assoluto disprezzo i petali di rose appena sputati dal giornale, finiti sulle sue scarpe.
«Ti pare che possa interessarmi una festa del genere?» gli rispose lei con la faccia allibita. E l’ennesimo bacio, colmo di quelle traboccanti emozioni che rispondevano al nome di soddisfazione e completezza totali, coprì le labbra di Liv come un timbro dalla scritta “Sei la migliore” mentre l’applauso di Allock li raggiungeva, illuso.
«Ma guardate che effetto fanno i miei consigli! Black e McAdams, proprio voi! Questa è la più grande vittoria! Ma d’altronde, sono io».
Sirius non si fece alcuno scrupolo a smontare nel modo più schietto possibile il suo ammiccante sorriso compiaciuto.
«Abbiamo passato più di mezza giornata a letto, a fare sesso, invece di mangiare rose e coriandoli che escono dalla tua brutta copia del Settimanale delle Streghe, Allock».
Lasciando il Corvonero attonito, si sedette insieme a Liv al tavolo Grifondoro davanti a Peter, Lily e James e sotto gli occhi curiosi di tutti, compresi quelli lontani di Ned Stevens.
Mary e Remus li seguirono a ruota soltanto dopo essersi liberati di Allock, assicurandogli con ironia che per loro i suoi consigli avevano ‘’funzionato alla grande’’.
«Aspettate» fermò tutti Sirius, posando forchetta e coltello. Remus, James e Peter non credettero alle loro orecchie e i loro occhi a quel comando e gesto. Remus perché pensava di essere davanti ad un miraggio ed invece gli altri due perché Sirius aveva interrotto lo slancio verso il cibo soltanto una volta da quando lo conoscevano. Al quinto anno, per recitare una preghiera (che proprio preghiera non poteva essere definita date le labbra dalla quale era uscita) davanti a quello che credeva fosse il suo ultimo pasto la sera della prima luna piena passata da Animagus.
«Doveri da Malandrini» spiegò invece Sirius in quel momento sfilandosi la sua bacchetta d’ebano dalla tasca dei jeans mentre Peter ridacchiava, Remus scuoteva la tesa fissandolo senza alcuna espressione e James, curioso, lo guardava ridente ed in attesa di vedere l’impresa.
«Che sia degna, Felpato, Morgan è della squadra» si raccomandò quest’ultimo in tono solenne.
«Tranquillo, lascia fare a me» rispose quello alzandosi dalla panca senza scavalcarla per poter scrutare il tavolo Serpeverde, alla ricerca di Mani di Mazza.
«Veloce, ho fame» lo incitò in una bassa risata Liv poggiando il mento sul palmo di una mano. A quel suono divertito Sirius si lasciò andare ad un sorriso con gli occhi grigi assottigliati e qualche secondo dopo finalmente fermi in una direzione precisa.
Sollevò la bacchetta accentuando la curva sghemba delle labbra quando dal tavolo Serpeverde cominciarono ad arrivare borbottii straniti.
«MA COME CI È VENUTO IN MENTE DI CHIAMARTI MANI DI MAZZA, MANI DI FATA?» gridò a squarciagola giusto per far notare all’intera Sala Grande, professori e Auror sulla porta compresi, le piccole e delicate mani del grosso Serpeverde che si guardava le esili dita femminili con puro panico.
Tra le fragorose risate, Sirius sollevò il calice di succo di zucca portandolo nella direzione di Alan Morgan che rideva di gusto accanto ad un esilarato Harrison. Il Cacciatore afferrò il bicchiere per rispondere al brindisi, ringraziandolo.
Tra le facce sconcertate dei professori, invece, quella furiosa della McGranitt puntò il suo studente che beveva come se niente fosse, stando ancora in piedi.
«BLACK!»
«Lo so, professoressa, lo so. È stata un’eccellente Trasfigurazione. Se ne compiaccia!».
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 




 
«Questa di chi è? Nostra?» chiese Liv sporgendosi per acciuffare la bustina di Calderotti su un puf della Sala Comune di nuovo affollata.
L’attesa per il ritorno di Peter stava diventando insopportabile.
Liv riportò la schiena dritta con le spalle al camino, seduta sul tavolino davanti al divano sul quale Sirius era stravaccato con una lunga gamba stesa e poggiata sul legno, accanto a lei, come a voler marcare il territorio. Un ginocchio a contatto con il suo e l’anfibio nero abbandonato sul tavolino che la stuzzicava con dei colpetti al fianco, facendola ridere e distrarre.
James, sprofondato sui cuscini affianco ad un divertito Sirius dallo sguardo fisso su di lei, non voleva credere ai suoi occhi.
«Ho perso la mia Cercatrice» commentò atono osservando con sgomento le dita dell’amica tentare di aprire con parecchia difficoltà il pacchetto. Liv ci riuscì soltanto cinque minuti dopo.
«Al volo» fece Liv lanciando un Calderotto a Sirius che aprì la bocca e si mosse appena sullo schienale per beccare in pieno il suo dolciume preferito.
«Ho perso il mio miglior amico» constatò come seconda cosa James, sempre più smarrito.
«Ho sempre voluto un cane» rivelò Liv prendendo un Calderotto per sé mentre l’anfibio si faceva più insistente sul suo fianco.
«Ed ecco perché bisogna sempre stare attenti a cosa si desidera» esordì in tono saggio Remus dalla poltrona, la faccia nascosta dietro un grosso libro.
Lily rise sollevando lo sguardo divertito dalla pergamena sulla quale stava scrivendo da una quindicina di minuti sotto le fugaci occhiate curiose di James.
La mano di Mary, seduta sul tappeto a finire una relazione per Cura delle Creature Magiche, arrivò sotto il naso di Liv che le schiaffeggiò un Calderotto sul palmo come risposta alla muta richiesta.
«Si può sapere cosa scrivi, Lily?» sbottò James dieci minuti dopo.
«Una lettera» rispose lei senza fermare la frenetica piuma d’oca.
Un sopracciglio nero di James si arcuò notando l’esagerata lunghezza della pergamena.
«A chi?»
«A chi non t’interessa, James»
«Se te l’ho chiesto mi interessa» ribattè lui piegando la testa di lato con gli occhiali storti sul naso nel tentativo di leggere il nome all’inizio del foglio penzolante sul bracciolo della poltrona.
«Chi è il ‘’Carissimo signor Belby”?».
Con uno scatto della mano Lily si portò la pergamena al petto, lo sguardo smeraldino lampeggiante dardeggiò su di lui per perdersi poi dietro il divano, catturato dalla piccola figura sudata ed arrossata di Peter che passava frettolosamente tra le altre poltrone occupate.
«Peter» avvisò tutti Lily, facendoli voltare.
«È scattato» annaspò lui senza fiato, piegandosi sulla poltrona di Remus con il libro sulle ginocchia. La sua flebile frase era stata sovrastata dal chiacchiericcio della Sala Comune.
«Cosa?» fece infatti Remus, non avendo sentito come gli altri.
«L’allarme» ripetè Peter in un principio d’asma, accasciandosi sul bracciolo «È scattato l’allarme dell’Incanto Gnaulante*»
«Eh
«Hanno messo… un incantesimo in camera e appena ho messo la zampa…»
«La zampa?»
«È così, Lily, che ha chiamato il suo dispositivo…».
Gli occhi di Sirius, Remus e addirittura Peter, spalancati per la tensione nell’aria, faticarono a nascondere il divertimento per il modo in cui James aveva ‘’parato il culo’’ a tutti e quattro. Mary nascose il piccolo sorriso dietro il suo disegno dell’Occamy.
«È scattato. Impossibile spiarli così. Non parlano mentre c’è un allarme e l’allarme c’è ogni volta che entro!»
«Sei entrato nei dormitori Serpeverde?»
«La Zampa, Evans, la Zampa è stata nei dormitori Serperverde» le ricordò Sirius, serissimo.
Lily era a dir poco impressionata, così come Liv.
«Merda, adesso sì che siamo nella merda» sibilò James rituffando le dita tra i capelli.
«Dopo aver capito che alla partita sapevamo le loro mosse devono essersi premuniti» ipotizzò Remus.
«Quanto li odio» sibilò James arpionando il cuscino che aveva sulla pancia.
«Vorrà dire che li terremo d’occhio con la Mappa e terremo d’occhio anche l’aula al primo piano» sentenziò Sirius spalancando le braccia, il volto una maschera altera.
«Ma non sapremo cos’hanno in mente, cosa diamine stanno cercando di fare con un Armadio che porta a Hogsmeade» disse con forza Lily, in evidente stato rancoroso viste le sue dita aggrappate alla piuma ad un passo dallo spezzarsi.
«E se portasse da Magie Sinister?»
«È assurdo, Peter»
«Dobbiamo capire cos’è quell’armadio, James, prima di pensare che sia assurdo»
«Silente non lascerebbe mai un qualcosa che collega Hogwarts a Magie Sinister, Remus»
«In quel caso Silente non lo saprebbe di certo»
«Silente sa tutto di questo castello, Liv» sussurrò Mary con sguardo preoccupato.
«Allora potrebbero averlo portato loro, di nascosto» accusò senza riserva James, cominciando a provare un odio smisurato.
«Ce lo vedi, tu, Mocciosus a trasportare un armadio grande il triplo di Mani di Fata?»
«Felpato, capisco benissimo la tua perplessità sulla loro intelligenza ma almeno un Incantesimo Rimpicciolente glielo vogliamo concedere?»
«Gazza ci ha ficcato quei Sensori Segreti su per il…»
«Sirius»
«…anche a gennaio, mi spiegate come hanno fatto a far entrare quell’armadio rimpicciolito senza far suonare l’allarme di quegli aggeggi infernali?»
«Stiamo dando ancora una volta per scontato qualcosa senza avere delle conoscenze certe. Non sappiamo se l’armadio in questione è un oggetto oscuro»
«Sono d’accordo con Remus» gli diede manforte Lily, ricevendo in cambio da lui uno suo sguardo e un sorriso riconoscenti «Non sappiamo cosa sia. Domani, nelle ore buche, andremo in biblioteca e faremo delle ricerche, è l’unica cosa da fare»
«Ma continueremo a non sapere quando avranno intenzione di agire, Lily»
«La fine dell’anno, Liv» esalò Peter risollevando il busto e la tonda faccia sudata «Sono riuscito a sentire solo questo prima che quel dannato allarme scattasse. Credo di aver avuto un infarto»
«Che carini, vogliono preservarci dall’enorme stress dei M.A.G.O.» pigolò Sirius scambiandosi uno sguardo sarcastico e divertito con Liv.
«Abbiamo quattro mesi per fermarli» sibilò velocemente Remus. E nessuno riuscì a capire se tutta quell’incredibile determinazione nello sguardo assassino fosse per fermare la possibile distruzione di Hogwarts oppure per non far saltare gli esami.
«Remus, te l’abbiamo sempre detto, dovresti rivedere le tue priorità» gli consigliò Sirius per l’ennesima volta in sette anni di convivenza.
«Diciamo tutto a Silente? Agli Auror?»
«No, Mary. Facciamogli vedere che possiamo cavarcela, che siamo degni dell’Ordine della Fenice».
Ed anche se soltanto Sirius era d’accordo al cento per cento con l’affermazione dell’amico, tutti annuirono consenzienti perché era stato il tono rassicurante di James a dirlo.
James che senza nemmeno accorgersene, dopo un’occhiata d’intesa con Sirius, aveva fermato lo sguardo su quello smeraldino già posato su di lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
«Perché non vuoi dire a Lily che sei un Animagus?».
James fece spallucce infilandosi i pantaloni del pigiama.
«Te lo dico io il perché, Remus» gridò Sirius dal bagno «Perché non ha le corna e si vergogna, ecco perché!».
Peter, infilandosi sotto le coperte, rise.
Remus scosse la testa, un sorriso divertito sulle labbra, continuando ad osservare James sfilarsi gli occhiali rotondi e poggiarli sul comodino.
«Ti aspetto, fratello» continuò la voce di Sirius camuffata dalla schiuma del dentifricio «Non dirò ad Olivia che sono il suo cane dei sogni fino a quando non sarai pronto. N
on c’è nessun problema per me, voglio dire, Felpato è una favola ad ogni stagione. E poi…».
I ridenti occhi ambrati seguirono attentamente i pigri movimenti di James che afferrava il Mantello dell’Invisibilità e ci spariva sotto mentre gli sputi di Sirius e l’acqua corrente del rubinetto anticiparono la comparsa della sua alta figura in mutande.
«… e poi questo ed altro per un cervo senza corna, ci mancherebbe, non sono così insensibile… dove cavolo…?». La punta di panico nella sua voce faceva intendere che sapesse eccome dov’era James ma il successivo grido di dolore e sorpresa fu totalmente autentico.
Remus e Peter restarono ad osservare Sirius contorcersi a terra, apparentemente senza nessuno di pesante, maligno e vendicativo seduto sulla sua pancia.
Peter rideva sul materasso scosso dal suo stesso peso, tutto il contrario di Remus che non si scompose minimamente nonostante le imprecazioni pesanti e le grida disumane di Sirius come se lo stessero scuoiando vivo; non si scompose nonostante stessero per raggiungere il limite del ridicolo di quella camera, stabilito proprio da loro due un’infinità di volte.
Quando un quarto d’ora dopo spense l’ultima candela, quella sul suo comodino, il temporale fu l’unico suono nella stanza per diversi minuti.
«Siamo davvero degni dell’Ordine della Fenice?».
Un silenzio diverso, pesante come il buio, cadde sui baldacchini caldi e comodi.
«Certo che lo siamo, Peter». La voce di James lo spezzò dopo un lungo istante fatto di parecchi tuoni e pioggia violenta fuori da quella stanza che li aveva visti crescere.
«Non voglio lo stesso che quest’anno finisca».
Il buio sparì per una frazione di secondo, quella dell’accecante luce bianca di un lampo. E nell’oscurità successiva nessuno contraddì Peter mentre il tuono rimbombava, attutito dai vetri e dalla pietra che parlavano di loro in ogni più piccola parte.
Nessuno parlò perché quello di Peter era lo stesso desiderio di tutti e quattro.
James si sentì improvvisamente triste.
Perché arrivare a giugno, quell’anno, significava perdere il filo che l’aveva legato a Lily nel bene e nel male, per sette anni. Ogni fine giugno aveva avuto la certezza assoluta di rivederla a settembre, di passare con lei un altro intero anno.
Quell’anno no, a giugno non avrebbe più avuto quella certezza e faceva soffrire immaginare la vita senza Lily, sembrava squarciargli il petto come la Maledizione di Piton.
Restarono ancora in silenzio, così a lungo che Remus dopo un po’ credette di essere l’unico sveglio almeno fino a quando non sentì il fruscio delle coperte e poi dei passi.
«James, dove stai andando?»
«Da Lily, Remus»
«Come?»
«Da Lily»
«Avevo capito. Ti stavo chiedendo il modo in cui hai intenzione di andarci»
«Apro la porta, cammino per il corridoio, scendo le scale, attraverso la Sala Comune, salgo le scal… oh»
«Appunto».
Di nuovo i passi e le coperte. Un sospiro frustrato. Nessun suono degli occhiali poggiati sul comodino.
«Sirius, perché stai sorridendo?»
«Perché stava andando a morire sullo scivolo sessista, Lunastorta, e pure senza occhiali»
«Non è quel genere di sorriso, non c’è malignità, e se fosse stato quel tipo di sorriso non ti avrei di certo chiesto perché lo stessi facendo»
«Remus, mi inquieti»
«Non sai neanche cosa significa quel verbo, Sirius»
«Non sto sorridendo, comunque»
«Ti sento»
«Ma non mi vedi, potrei star soffiando per scacciare una zanzara che mi infastidisce»
«Non ci sono zanzare, sentirei anche quella»
«Te lo dico io perché sta sorridendo, Remus…»
«James, le vendette vanno servite fredde. Non è passata neanche mezz’ora dal torto subito e la tua si può ancora considerare bollente»
«Lascialo perdere, Lunastorta, oltre che non avere corna è pure un pivello principiante»
«…perché Liv ci ha lasciato il suo odore in quel cuscino e quelle lenzuola. Sei fottuto, fratello, lasciatelo proprio dire»
«Detto da quello che stava andando a suicidarsi senza occhiali».
Un tonfo e Remus, così come aveva visto nel buio il sorriso di Sirius e la zanzara inesistente, vide un cuscino arrivare dritto in faccia a Sirius, un altro fallito sul comodino di James ed uno scaraventato nella tenda chiusa del baldacchino di Peter.
Quello sul suo naso non lo vide, lo sentì e basta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
Note (sicuramente sapete già tutto ma tengo a spiegare le scelte importanti che ho fatto in questo capitolo):
 
 
 
*Stupido idiota: è così che Sirius apostrofa Regulus nel quinto libro, quando ne parla con Harry.
 
*L’Incanto Gnaulante è quello che usa Hermione per proteggere la tenda nel settimo libro, mentre sono dei fuggitivi. È un incantesimo che avverte la presenza del nemico facendo scattare un suono d’allarme.
Peter, anche se Animagus, viene riconosciuto come nemico.

 
 
 

Mi sono sempre chiesta il perché Piton avesse messo il suo prezioso Pozioni Avanzate nell’angoliera dell’aula di Pozioni (Lumacorno lo prende da lì nel sesto libro. Non prendo in considerazione i film).
All’inizio ho pensato l’avessero nascosto i Malandrini, giusto per fargli un dispetto, poi però mi sono ricordata che Remus non conosce la formula del Sectumsempra (sempre nel sesto libro, alla tana durante la notte di Natale Harry gli fa vedere il Pozioni Avanzate di Piton e lui non lo riconosce, non sa a chi possa essere appartenuto, non riconosce neanche il nomignolo ‘’Principe Mezzosangue” quindi mi son detta che Piton non si faceva chiamare così dagli amici).
Non mi torna nemmeno il fatto che Piton non abbia chiesto a Harry di dirgli dove ha trovato il Pozioni Avanzate che gli vede galleggiare nella mente grazie alla Legilimanzia, dopo il Sectumsempra a Draco in bagno.
Piton sa che è una sua fattura quella che ha quasi ucciso Draco e sa che se Harry pensa a quel manuale dopo la domanda ‘’Come conosci quell’incantesimo?” significa che ha in mano il suo vecchio libro. Ma non gli chiede dove l’ha trovato.
Insomma, Piton sapeva dov’era il suo vecchio Pozioni Avanzate che vede nella mente di Harry e sapeva che uno studente avrebbe potuto prenderlo dato che era nell’aula di Pozioni anche se ben nascosto.
Ma è soltanto una mia teoria che ho voluto mettere nella storia, così come l’Armadio Svanitore. Perché a Hogwarts c’era un armadio collegato a Magie Sinister? (tra l’altro funzionante dato che lo rompe Pix soltanto nel secondo libro?). Prima di morire Silente è sorpreso quando Draco gli dice di quel collegamento. Quindi Silente non ne era a conoscenza e direi che è il minimo. Per tutti quegli anni il posto più sicuro del mondo magico è stato collegato a quello più pericoloso e Silente non ha mai fatto niente? No, sarebbe stato davvero assurdo.
Ma c’era e chi l’ha portato lì? Da quello che so gli armadi svanitori sono creati in coppia, collegati fin da subito. Perché Silente ha il gemello di Magie Sinister?
Prima di scrivere la trama e pubblicare, anni fa, mi sono chiesta come avessero fatto certi oggetti a finire lì dove li abbiamo visti nella saga originale. Spero vi piaccia questa mia idea di mostrarvi come potrebbe essere andata (sicuramente sbaglio, è la Rowling quella che lo sa!).
Anche la Mappa del Malandrino subirà la stessa sorte.
Come hanno fatto i Malandrini a perderla o farsela sequestrare facendola finire nell’ufficio di Gazza da dove Fred e George la ruberanno?
Insomma, è la cosa più preziosa che hanno e sono i Malandrini, riprendersela sarebbe stato un gioco da ragazzi.
A questa domanda però risponderò alla fine della storia, poco prima o dopo i M.A.G.O.
 
 

 
 
Kreacher nel settimo libro dice chiaro e tondo che Regulus si è unito a Voldemort a sedici anni, dopo aver passato anni ad ammirarlo (i ritagli di giornale che nota Hermione nella sua camera a Grimmauld Place l’avevano suggerito).
L’elfo dice anche che era ‘’così fiero’’. Non penso mentisse perché a parte i ritagli di giornale Regulus ha proposto a Voldemort il suo adorato elfo per una missione, dicendo a Kreacher che ’’era un onore’’.
Regulus cambia idea soltanto quando Kreacher torna dalla missione, dicendogli della caverna.
Sappiamo dai libri che Regulus da quel giorno ha fatto ricerche su Voldemort, scoprendo la sua idea di diventare immortale creando Horcux con l’uccisione anche di Purosangue importanti come la discendente di Tosca Tassorosso (Hepziba Smith, per la coppa). Tutto questo era una blasfemia per Regulus (ed in effetti Voldemort era parecchio ipocrita e contradditorio, al contrario di Regulus che resta coerente alle “regole del sangue” proprio come ho cercato di renderlo nel bagno distrutto da Liv a dicembre).
Quindi per me Regulus era un Mangiamorte convinto, all’inizio.
 
 
 
Sì, Sirius ha di nuovo la propria bacchetta e Liv la sua.
Spiegherò tutto nel prossimo capitolo perché ho voluto trattare l’argomento in un certo modo. Vedrete perché 😊
 
 
Per chi si chiede chi è il tipo nella prima foto sotto il titolo del capitolo:
Jonathan Whitesell (Alan Morgan in questa storia). Io lo conoscevo come Bryan della serie The 100.

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** 46. Lily e Ramoso ***


 
 
Capitolo Jily-centrico.
 
 
 
Capitolo 46
 
LILY E RAMOSO

 

 
 
 
«Lily, quella che ha spalato cacca di Occamy nelle ultime ore di lezione sono io, non tu!»
«Un attimo, Mary! Ti dimentichi sempre che puoi andare nel bagno dei Prefetti, se vuoi!»
«Be', non voglio, è troppo grande per i miei gusti! E, scusami, ma i tuoi attimi ultimamente durano mezz’ora d’orologio!»
«Che diamine stai facendo, Lily, si può sapere?» esordì Liv affacciandosi alla porta del bagno vedendo l’amica fissarsi allo specchio sopra il lavabo.
Arcuò un sopracciglio scuro seguendo i piccoli movimenti di Lily come il sollevare il mento e girare il viso a destra e sinistra per osservarsi il profilo da ogni angolazione con sguardo attento, particolarmente indagatore.
«Sei bellissima, tesoro» commentò utilizzando per la prima volta in vita sua quel nomignolo, giusto per sottolineare lo strano comportamento non di certo da Lily «adesso ti dispiacerebbe far entrare Mary? A parte essere isterica per la luna piena, puzza di marcio»
«Ehi!» sbottò Mary dalla camera.
«Sono andata a Hogsmeade con James Potter, quasi una settimana e mezzo fa» disse Lily per la millesima volta in nove giorni senza poi rispondere alle altrettante millesime domande delle sue due migliori amiche che ogni volta rimanevano con un pugno di mosche in mano.
«Cosa c’entra anche adesso?» fece infatti Liv, l’espressione sempre più sbigottita «Non vorrai paragonare James ad un Occamy con la diarrea, spero. Giuro che questa gliela riferisco, non se la merita»
«Non se la merita affatto» gridò in lontananza Mary con ancora più enfasi ed una serietà riferita a James Potter mai sentita prima uscire dalle sue labbra.
«E non ho le squame» continuò Lily come se non le avesse sentite, la punta del naso lentigginoso quasi a sfiorare lo specchio «non ho parti di pelle verdi o viola, macchie, bolle, prurito… sono io, sono ancora io».
Il silenzio calò nel piccolo bagno solo per essere spezzato dalla voce tutta d’un tratto spaventata di Liv.
«Oddio».
A quel tono allarmato, Lily girò di scattò il viso verso d lei.
«Cosa?» esalò spalancando gli occhi verdi nel vedere anche quelli scuri dell’amica dilatati sopra la mano che le nascondeva la bocca. 
«Adesso che me l’hai fatto notare…»
«Cosa?! Liv, per piacere, smettila e parla!» l’incitò Lily con una certa agitazione nella voce e nelle mani per aria.
«Hai un sorriso enorme stampato in faccia e gli occhi che ti brillano! Per Godric, MARY, VIENI A VEDERE! CORRI! CHIAMA LA MCGRANITT, MADAMA CHIPS, IL SAN MUNGO, TUTTI! LILY È ANDATA A HOGSMEADE CON JAMES POTTER E… GUARDALA! Oh, Merlino, perché hai deciso di portarmi via la mia migliore amica così presto!?».
Lily scoppiò a ridere dandole un pugno per niente delicato sul braccio prima di distogliere lo sguardo da lei riportando gli occhi verdi sullo specchio, l’espressione tesa e spaventata del viso a far spazio a quella rilassata e a tratti radiosa che la contraddistingueva da più di una settimana.
Afferrò il Boccino d’Oro posato accanto al bicchiere degli spazzolini e se lo mise nella tasca interna della divisa prima di uscire dal bagno sotto l’occhio emozionato di Liv.
«Divertiti con James»
«Devo soltanto restituirgli il Boccino e poi ognuno andrà a fare il suo dovere al suo posto come l’ordine naturale delle cose vuole»
«È la cosa più hot che tu abbia mai detto, Lily».
 
 
 


 
*
 

 




 
«James, tu vieni con me»
«Come, Evans?»
«Hai sentito bene».
James restò a guardare sorpreso Lily che lo fissava a sua volta con il verde degli occhi brillante anche nella penombra dell’Aula Professori ormai vuota, appena lasciata da Gazza.
«Ma, Lily, chi controlla i piani superiori se io no ci sono? I ragni sui muri, per caso?».
 “Se siamo entrambi al terzo piano chi controlla i Sotterranei!? I ragni nei muri svolgono il nostro dovere!?”.
Un sorriso divertito sfuggì a Lily, con la mente alla lontana ronda di settembre quando quella frase sui ragni l’aveva detta lei per evitare di stare con lui.
Era così assurdo, adesso. Lo era anche per James, glielo leggeva senza alcuna difficoltà negli occhi e sulla curva del sorriso.
«Sì, li ho convinti giusto ieri. Al primo problema verranno ad avvisarci con la loro comodissima rete di ragnatele» rispose osservandolo arcuare le sopracciglia sopra gli occhiali, anche lui con un’espressione parecchio divertita ad illuminargli la faccia.
Uscirono dall’aula e cominciarono a camminare senza sapere bene dove andare. Il silenzio notturno dei corridoi di Hogwarts lasciò spazio soltanto al rumore delle loro scarpe sulla pietra, al mormorio delle persone nei quadri al loro passaggio, al fruscio delle tuniche dalle fodere rosse e ai suoni lontani di un ennesimo temporale ancora lontano. Il tempo sembrò rallentare.
«Posso sapere perché stiamo facendo la ronda insieme?» chiese James dopo un po’, mentre la campana nella Torre dell’Orologio scoccava le nove e l’incredulità che minuti prima gli aveva aperto una voragine nel petto, passo dopo passo, si trasformava in crescente adrenalina.
Lily fece spallucce sentendosi stranamente agitata nel percepire una nota altrettanto emozionata nella sua voce.
Il passo di James al suo fianco era tranquillo, la sua mano ogni tanto sfiorava la sua per sbaglio e quando succedeva non era la sola a sussultare impercettibilmente, lo sguardo dietro le lenti rotonde la scrutava di sottecchi e lei se ne accorgeva sempre grazie alla sua ormai allenata coda dell’occhio seminascosta dai capelli rossi.
Non stavano facendo assolutamente niente eppure James non percepiva la terra sotto ai piedi e Lily si sentiva così bene da non aver bisogno di parlare.
Ma lo fece, naturalmente, perché se aveva eliminato i sette piani che li avevano sempre separati un motivo c’era eccome.
Quando aprì le labbra per iniziare a spiegare, però, si ritrovò a parlare di tutt’altro.
«Sai mantenere un segreto, Potter?».
Gli angoli delle labbra di James si sollevarono, furbi.
«Non ne hai nemmeno idea, Evans».
A quella risposta enigmatica e parecchio misteriosa, Lily voltò la testa per guardarlo senza arrestare la camminata.
«E con questo tono cospiratore che cosa staresti cercando di dirmi?» gli chiese puntando lo sguardo nei suoi occhi ridenti.
«Assolutamente nulla» replicò semplicemente James arcuando un sopracciglio con fare casuale e rispondendo così alla sua prima domanda.
Lily trattenne un sorriso assottigliando gli occhi verdi. James Potter sapeva eccome mantenere i segreti, forse fin troppo.
«Riguarda Remus» iniziò ripuntando lo sguardo davanti a loro, e a quel nome poté sentire l’attenzione perforarla al suo fianco «Non proprio Remus, in realtà… sappi solo che voglio fare una sorpresa a Remus, ecco. Il segreto da mantenere sarebbe questo».
Lanciò un’occhiata a James, stava sorridendo in un modo così affettuoso che le scaldò appena le guance. Non si era ancora abituata, Lily, alla vasta gamma di sorrisi di James. Dall’unico sorrisetto strafottente degli anni passati, era passata a vedersi davanti agli occhi una marea di curve e file di denti diverse, una più sorprendente dell’altra.
«Ti serve il mio aiuto?» si sentì chiedere da lui.
Lily rise, sardonica.
«Soltanto se volessi rovinare tutto».
E gli occhi di James si spalancarono prima di assottigliarsi.
«Ma sentila
«Il signor Belby» sollevò la voce ridente Lily, per sovrastare le lamentele di un James fintamente oltraggiato «il destinatario della lettera che scrivevo l’altro giorno e che tu hai letto, spiandomi…» continuò voltandosi ancora una volta verso di lui e sporgendosi per accusarlo anche fisicamente con la punta del piccolo naso alla stregua di un indice minaccioso. La vicinanza momentanea non zittì soltanto James ma anche lei che non riuscì a fermare gli occhi irrimediabilmente caduti sulle labbra davanti a lei.
«Non ti stavo spiando» si difese lui.
«Sì che lo stavi facendo, Potter, ma comunque…».
Il sorriso di James si allargò e il suo passo sembrò diventare vagamente saltellante. Lily distolse lo sguardo da lui, mordendosi le labbra per non sorridere troppo apertamente.
«È un pozionista che ho conosciuto alla festa di Natale di Lumacorno, un pozionista che sta cercando una cura per la Licantropia».
Sentì chiaramente James trattenere il respiro, diventare serio sul volto e nella camminata che rallentò.
«Ci vorrà tempo, sia chiaro, sicuramente tanti anni e non è ancora sicuro che la pozione alla quale sta lavorando riuscirà ad eliminare ogni sintomo, molto probabilmente non annullerà la Maledizione ma addormenterà il lupo ad ogni luna piena. Io, io sto cercando di dare una mano, il mio piccolo contributo per quel poco che vale…»
«Vale tantissimo» soffiò con assoluta sicurezza James fissandola come se non esistesse altro.
Lily sentì lo stomaco contrarsi e in un gesto automatico si grattò il naso abbassando la testa nel tentativo di far scivolare davanti al viso i capelli rossi.
«Non voglio illudere Remus, per questo è un segreto» mormorò con più forza girandosi verso di lui «per questo non devi dirglielo fino a quando non saremo certi della pozione, James. Che c’è?» chiese poi, colpita dagli occhi che la stavano guardando come se non avessero le palpebre.
James restò ancora qualche istante in silenzio a guardarla perforante, le parole a mancare.
«Puoi star certa che non glielo dirò» le assicurò senza smettere di guardarla in quel modo tanto impressionato perché erano le stesse parole che lui aveva detto a Sirius e Peter quando avevano deciso di diventare Animagus.
L’avrebbe baciata. In quel momento, James sentiva l’intero universo spingerlo per baciarla.
«È un bellissimo gesto, Lily» si limitò a dire, invece, vedendola più luminosa e bella del solito come se quella bellezza interiore appena tirata fuori avesse il potere di far risaltare ogni già affascinante lineamento del viso delicato, la forma del piccolo naso lentigginoso e dei grandi occhi verdi, il rosso intenso dei capelli.
«Non è niente, davvero» sdrammatizzò lei distogliendo lo sguardo da lui con un sorriso imbarazzato e un gesto noncurante della mano «merito di Lumacorno, della passione per i calderoni e di una voglia matta di aiutare un amico».
Camminarono in silenzio per un po’, senza guardarsi, James bombardato internamente dall’eco surreale di una semplice frase: “Una cura per la Licantropia”. Era come essere in un sogno doppio.
«È che…» riprese Lily in un sussurro facendolo levitare da una nuvola all’altra di quel paradiso in cui Lily Evans gli era vicina e Remus poteva sperare in una vita più semplice, quella che aveva sempre desiderato.
«Da quando so cos’è e quanto soffre, non riesco a darmi pace. Ad ogni luna piena, come oggi, mi sento impotente. Non dovrei nemmeno dirtelo, saprai benissimo come ci si sente».
James annuì, si ricordava benissimo come ci si sentiva ad ogni luna piena passata in dormitorio, gli occhi spalancati e fissi che vagavano dal soffitto al letto vuoto di Remus ogni cinque minuti.
«Potresti cominciare ad impegnarti sul serio a Pozioni, Potter, per aiutare la causa e Remus» propose lei. La nota canzonatoria nel suo tono di voce non sfuggì a James che sorrise. Preferiva di gran lunga la Trasfigurazione, gli Animagus avrebbero tenuto compagnia a Remus mentre la pozione sperimentale bolliva nel Calderone.
«Perché me l’hai detto se non ti posso aiutare?» replicò restituendole il tono e lo sguardo canzonatori.
Lily si ritrovò senza parole. Perché gliel’aveva detto? Non ne aveva idea, aveva sentito il bisogno di dirglielo, di condividerlo con lui proprio quella notte. Poi, inspirando impercettibilmente il suo buon odore e sentendo la sua presenza accanto, capì.
«Soltanto James Potter può sollevare il morale della gente?» lo stuzzicò. Gettò un’occhiata nella sua direzione vedendo i suoi occhi che la fissavano, spalancati, e poi un sorriso farsi largo sulle sue labbra. Lily si sorprese per l’ennesima volta nel constatare con quanta naturalezza James riuscisse a contagiarle quella curva.
«Volevi sollevarmi il morale, Evans?» le chiese con sguardo sornione.
«Forse, Potter» rispose lei nello stesso suo tono giocoso, lo stesso sorriso divertito.
«Ci sei riuscita, Evans, forse».
La bassa risata di Lily li accompagnò mentre salivano sulla scala per il sesto piano che si mosse da sola un istante dopo.
Fermi sullo stesso gradino Lily agguantò il corrimano in pietra per non cadere, stringendolo con nervosismo nel sentire il bisogno ancora più pressante di rivelare altro.
«Hai un altro segreto da confessarmi, per caso?» le chiese sagacemente James e lei si chiese come facesse, lui, a far uscire quel tono innocente da quel sorriso malandrino.
«Volevo…»
«Baciarmi di nuovo
«No»
«La mia mano di nuovo
«No, Potter»
«Toccarmi i capelli?»
«… No»
«Ho sentito una punta di indecisione, o sbaglio?» fece furbescamente James afferrandole all’improvviso un braccio per attirare la sua attenzione persa nel vuoto sotto di loro.
Cercò il suo sguardo smeraldino con il suo, trovandolo nel momento in cui Lily si lasciò voltare delicatamente da quella presa salda ma rispettosa, così diversa dalle mani autoritarie di Piton.
A James bastò un attimo per capire cosa celasse quel verde intenso e meravigliosamente brillante puntato su di lui. L’adrenalina aumentò, facendolo tremare dentro.
“Uccidila tu”. La voce di Sirius era diventata un mantra in quei nove giorni, da quella mattina dopo il primo temporale notturno dell’anno.
«Prego, fai pure. Preparati a morire, Evans» le diede il permesso James abbassando la testa in un gesto così tenero ai suoi occhi verdi da crearle un buco profondissimo al centro del petto.
Lily restò immobile, fissandolo e pensando che forse nessuno aveva mai visto com’era fatta la parte superiore della testa di James Potter, quella testa sempre sopra tutto e tutti.
Era una normale testa, come aveva sempre fermamente sostenuto, ma con dei capelli così folti, neri ed arruffati al limite del ridicolo da attirarla senza nessun freno.
Senza riflettere avvicinò la mano per immergerla lì in mezzo e vederla sparire subito dopo tra la marea di ciuffi morbidissimi che le avvolsero le dita.
Lo sentì sorridere, un sorriso che sembrava più un sospiro liberato dopo aver trattenuto l’aria nei polmoni, esattamente come quello che uscì silenzioso dalle sue labbra schiuse per quel contatto così piacevole.
Mosse appena le dita, constatando di riuscire a farlo nonostante fossero state risucchiate dal cespuglio intricato che per anni la aveva annodato le viscere dal fastidio.
Riconobbe quel fastidio, era lo stesso che l’attanagliava in quel preciso momento, ma non se la sentiva più chiamarlo in quel modo perché non era fastidio, era ben altro. Era sempre stata attratta da quegli stupidi capelli e non se n’era mai accorta.
Le dita sottili scorrevano libere per l’incredibile morbidezza di quelle folte ciocche nerissime spettinate o per quella strana forza che sembrava attirarla a quella testa. Non erano come le sue camicie, affatto: i capelli disordinati di Potter si districavano senza alcuna difficoltà, risolvevano ogni problema al volo.
Sentendo il cuore battere in un modo così veloce da farle paura, Lily sfilò di scatto la mano da lì, indietreggiando di un passo sullo stesso gradino mentre James sollevava di poco la testa per guardarla di sottecchi da sopra gli occhiali, il nocciola dei suoi occhi più luminoso e vivace che mai.
«Non sembri morta» constatò senza riuscire ad abbassare la curva sfrontata delle labbra, senza riuscire a frenare l’adrenalina che quella mano e il sorriso che aveva Lily in quel preciso momento stavano portando al limite.
Si era trattenuto fin troppo, James, si sentiva scoppiare dal giorno in cui le labbra di Lily avevano toccato le sue. Non riusciva più a contenere quella sensazione esplosiva fatta di euforia, incredulità, felicità.
Se c’era una cosa che aveva imparato al suo primo allenamento di Quidditch, al secondo anno, era che anche con la Pluffa in mano e nessun portiere davanti all’anello si poteva sbagliare il tiro se mancava la concentrazione.
Per questo nell’ultimo periodo aveva cercato di stare calmo, per questo aveva cercato in tutti i modi di stare concentrato quando il sogno si era fatto realtà e tutto attorno, addosso e dentro di lui era esploso, stordendolo.
Aveva paura di sbagliare, James. Adesso che Lily si era tolta casco, guanti e l’espressione nemica dalla faccia, il pensiero di poter fare punto gli faceva tremare la mano attorno alla Pluffa come non succedeva mai in campo. Perché non poteva sbagliare con Lily. Nove giorni prima, tra i tuoni del primo temporale dell’anno, aveva visto l’altro capo del filo rosso che l’aveva legato a lei per sette anni, quel filo che aveva una fine e che a giugno sarebbe rimasto tra le sue dita senza più un continuo.
James si sentiva più vivo che mai con quella paura a scorrere nelle vene insieme all’adrenalina che all’inizio dell’anno l’aveva fatto sentire invincibile vedendosela schierata al suo fianco nei sotterranei.
Si sentiva di nuovo così, James. Invincibile e ad un passo da Lily Evans.
Lo fece, quel passo. Ricoprì la distanza che poco prima Lily aveva messo tra loro, indietreggiando.
«Cosa volevi dirmi?». La voce stranamente sommessa, il volto rilassato a parte un angolo della bocca che tremava appena.
«Non ho detto che volevo dire qualcosa» si ritrovò a sussurrare Lily senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui, dai suoi occhi, le sue labbra.
La scala si fermò al quinto piano così come sembrò fare il tempo tra i loro profili un po’ più vicini del normale. Ed era stupido provare un tale baccano dentro senza sentire assolutamente nulla con le orecchie.
Bastava un misero respiro per scatenare una cascata di brividi sulla pelle del viso e sul collo, uno sguardo troppo lungo dentro il verde intenso e il nocciola brillante per attorcigliare le viscere in un altro nodo stretto.
Una mano leggermente tremante di Lily si tuffò nella tunica della divisa per rispuntare quasi subito, attorno al Boccino d’Oro.
James strabuzzò gli occhi a quella vista.
«Dove l’hai rubato?!»
«Non l’ho rubato».
Le sopracciglia nere aggrottate formarono un’unica ruga sulla fronte sopra gli occhiali, Lily si perse ad osservarla, trovandola innegabilmente attraente tanto quando il suo profumo muschiato, legnoso, buono.
«È il mio regalo?»
«Sì, Potter»
«I regali non si restituiscono, Evans! Che maleducata
«Infatti non ti sto restituendo il regalo» sentenziò lei in un sorriso mal trattenuto.
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che il tuo regalo non era… questo» spiegò Lily mettendogli davanti l’oggettino alato «Non era la spilla di per sé. L’ho trovata bella, chiariamoci, e ti avrebbe fruttato l’ennesima E della McGranitt».
Il sorriso sfrontato e compiaciuto di James un tempo l’avrebbe ricollegato al suo ego spropositato, in quel momento desiderò soltanto sentirlo sotto le sue labbra perché dietro quel sorriso c’era il suo compiacersi per essere riuscito a trasfigurare il Boccino sicuramente portato anche a letto, il simbolo della sua infantilità che lei aveva odiato per anni, per sacrificarlo e trasformarlo in un distintivo che onorava tutte le sue doti personali e non soltanto da ragazza Caposcuola.
«Il tuo regalo è la mia cerva» iniziò tutto d’un fiato Lily sentendo le guance farsi bollenti. Si sforzò di mantenere il collo teso, le spalle dritte, l’espressione più dignitosa del suo repertorio. «Il tuo regalo è l’efficacia dell’incantesimo più potente e difficile che conosco, quello che mi proteggerà dalla paura, dalla tristezza più nera, dalla vita senza un’anima, che proteggerà i miei ricordi più preziosi, quelli che non vorrei mai perdere. Il tuo regalo è il mio sentirmi sicura, forte, combattiva, ottimista e capace ogni giorno nonostante i brutti pensieri, la paura di non farcela. Il tuo regalo è la mia cerva che spunterà quando la chiamerò, come fai sempre tu con il nostro bottone. E la spilla con le mie iniziali, certo, quella che sento appuntata al petto anche adesso».
Non aveva più voce, Lily, non aveva più fiato.
«E poi, insomma, senza questo non sei tu, Potter» sbottò mettendogli in mano la pallina dorata, il tono di voce duro per far uscire le parole incastrate dal magone in gola, per nascondere l’esplosione di emozioni che le stavano facendo galoppare il cuore «Questo è il tuo dannato boccino che ti rende il dannato James Potter che si scompiglia i dannati capelli perché passarti la mano tra i nodi è il tuo modo di scaricare la tensione, controllare le cose, cercare una soluzione ai problemi, l’ho capito e lo capisco. Questo Boccino ti rende James Potter a tutti gli effetti, quello che mi piace».
Era diventata un sussurro quella voce, un sussurro che stava facendo tremare il nocciola dietro le lenti.
Lily prese un respiro profondo ed il fiato buttato fuori l’istante dopo uscì tremante tanto quanto quegli occhi intensi immersi nei suoi, grandi e profondi come non li aveva mai visti.
James era sempre più estraniato dalla realtà, da tutto ciò che non era Lily Evans e le sue parole, la sua voce forzatamente decisa perché in realtà vacillante, il mento sollevato più del normale, i suoi occhi quasi spaventati ma accesi, i microscopici sorrisi accennati e nascosti tra un movimento e l’altro delle labbra che gli avevano parlato.
Era stordito, James, aveva pensato più volte di essere sordo, di non aver sentito bene, ed anche mezzo cieco. Aveva pensato di star dormendo, di essere morto e vivo al contempo.
Strinse il boccino in mano come se fosse finalmente riuscito a prenderlo dopo anni di giri della morte, finte Wronsky, pioggia, vento, neve, sole accecante, freddo, caldo asfissiante. Sentiva il cuore battere, il petto fare male, il sudore imperlare la pelle, il fiato corto come se avesse davvero appena catturato il Boccino mettendo fine a quell’estenuante partita. Non sapeva nemmeno più cos’era, un Cacciatore o un Cercatore?
Era passato dallo sfrecciare per il campo tentando di fare una sfilza di punti a ritrovarsi paziente ed osservatore alla ricerca della cosa più preziosa, sfuggente e difficile da acchiappare ma l’unica in grado di mettere fine alla partita.
Ma non aveva alcuna importanza, niente aveva importanza a parte la ragazza che lo guardava con aria interrogativa.
E come poteva trattenersi, adesso?
Non poteva e non doveva nemmeno perché Lily l’aveva appena trascinato davanti all’anello, la Pluffa era praticamente già dentro.
Fece per avvicinarsi al suo viso, alle sue labbra, senza distogliere lo sguardo lucido e deciso da lei quando Lily parlò.
«Bene» esalò aggrappandosi alla sua stessa gonna a pieghe della divisa «dovrei andare di sotto, adesso, ma non ne ho voglia. Stai qui con me?».
E James ritrasse le punte delle dita per riacciuffare la Pluffa e non farla cadere oltre l’anello. Lily non era affatto pronta.
Trattenere tutto divenne insopportabile ma doveva, non soltanto per rispettare lei ma anche perché un chiodo cominciò a martellargli il cervello:
 
Comportamento n. 5 del Protocollo ‘Luna Piena’: Mollare qualsiasi cosa si sta facendo per raggiungere Lunastorta prima che spunti la luna.
(Anche se quel qualsiasi cosa fosse Evans che sta per baciarmi dopo aver scoperto che mi ama pazzamente dopo sei anni di insulti. R.)”.
 
«Vorrei, Lily, vorrei davvero stare qua». Un pugno sullo stomaco gli fermò il respiro, era delusione quella negli occhi apparentemente altezzosi di Lily. L’adrenalina mischiata a quel dolore creava il mix di emozioni più forti e contrastanti che James avesse mai sentito turbinargli dentro ed essendo il migliore amico di quello che creava quel genere di emozioni estreme ogni giorno, era tutto dire.
«È che…» continuò. Era così difficile dirlo, dannatamente difficile. La voce sembrava essersi incastrata in gola come se tutto il corpo stesse cercando di non far uscire quelle parole che avrebbero messo fine a quel momento surreale.
«Ti senti bene?» chiese lei scrutando il volto di James contorto in un’espressione di quasi dolore fisico.
«Sì ma devo andare, Lily». Fu come avere gli artigli di Remus aggrappati al petto, affondati sui polmoni.
«Dove?».
James strinse i pugni facendo quel passo all’indietro, allontanandosi da lei, lasciando che gli artigli del lupo lo trascinassero via.
«Sirius mi ha chiamato allo specchio, credo sia urgente».
Corse, James, si girò e corse giù per le scale.
Corse forzando l’elastico che per la prima volta stava tirando lui.
 
 
 
 

 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
«Lily? Perché sei qui?»
«Non ho sonno».
Liv avanzò traballante tra le poltrone vuote della Sala Comune illuminata dalla luce della luna piena. Arrivata davanti al divano scrutò l’amica tentando di aprire gli occhi assonnati.
Lily era rigida, le labbra curvate verso il basso, gli occhi verdi arrossati non per il fatto di star leggendo uno dei dieci tomi recuperati dalla biblioteca che ancora non aveva dato nessuna informazione riguardo l’armadio misterioso.
«Ehi, che succede?» le chiese preoccupata.
«Niente» rispose Lily sfogliando una pagina.
Liv sbuffò lasciandosi cadere esausta con un tonfo sui cuscini accanto a lei.
«Ti prego, parla».
Il tono vergognosamente supplicante era raro da sentire con la sua voce.
Lily la guardò, aveva gli occhi chiusi dal sonno, l’espressione sofferente per lo stesso motivo. Si era alzata dal letto soltanto per cercarla.
«È che… James»
«Mh?»
«Oh, lascia perdere. Andiamo a letto». Lily chiuse il libro vecchio di chissà quanti secoli senza il riguardo che necessitava e che aveva usato nei giorni precedenti, e portandoselo al petto si alzò. La mano di Liv attorno al suo polso la ributtò sul divano.
«Che ha fatto? Devo parlargli? Devo castrarlo?»
«Dimmi che sono una stupida, Liv»
«Sei una stupida, Lily»
«Grazie»
«Adesso dimmi il perché. Credo di essermi persa qualcosa e non solo perché sono le tre di notte e le persone normali a quest’ora dormono. Perfino la ragazza di un lupo mannaro sta dormendo con la luna piena dietro i vetri della finestra»
«A proposito, non ti è sembrata troppo rilassata? Siamo più preoccupate per Remus noi di lei»
«Sì, ma sono qui per te, adesso».
Gli angoli bassi delle labbra di Lily si sollevarono un minimo.
«Mi sono praticamente dichiarata a lui»
«Lo so, hai ritrasfigurato il Boccino apposta»
«Sì, dimmi di nuovo quanto sono stupida»
«Sei stupida…»
«Grazie»
«…mente innamorata. Sei stupidamente innamorata»
«Sono stupida e basta» sentenzio Lily perfettamente calma e professionale come se stesse rispondendo ad una domanda di Lumacorno «Se n’è andato, capisci? An-da-to. Il Grande Cacciatore, il valoroso, coraggioso, senza paura Potter se n’è andato via come… come…»
«Forza, ce l’hai, ce l’hai l’insulto nuovo…»
«Come un bue»
«Oh, fanno così schifo quelli degli innamorati…»
«Lurido bue. Gli ho fatto tutto un discorso che non gli farò mai più, sia chiaro, e che non farò mai più in generale in tutta la mia vita… anzi, lo farò al primo che mi passerà davanti domattina per dimostrare che non è affatto così speciale, che un discorso del genere se lo merita chiunque, descrive chiunque e lui non è come se fosse un ragazzo speciale, l’unico che mi faccia sentire bene, viva. No, perfino… perfino quelle mutande lì sono più speciali di lu… perché ci sono delle mutande in Sala Comune?!»
Liv sussultò all’improvviso innalzamento di tono dell’amica che per tutto il tempo precedente, quello in cui in teoria avrebbe dovuto sbraitare nei confronti di uno che gli aveva chiaramente dato un due di picche, era rimasta incredibilmente rilassata.
«Ci sarà sicuramente un buon motivo se James è dovuto andare via, Lily» disse la sua Liv perché James che dava un due di picche a Lily era pura follia «Io non voglio credere che dopo tutt…»          
«L’ha chiamato Black, Liv, capisci? Era urgente».
Il tono tornò piatto, forse un tantino più pungente.
«Alle nove e un quarto, Sirius Black aveva un’urgenza, molto probabilmente per il suo intestino».
Liv, il volto accartocciato in un’espressione confusa e sbigottita, la guardò non essendo sicura di volere spiegazioni per l’ultima cosa.
«Peccato che la voce del tuo ragazzo si senta a chilometri di distanza anche quando sussurra e io non ho sentito assolutamente nulla nel silenzio che è seguito al mio stupido discorso. Ho fatto uno stupido discorso a James Potter, per Merlino!».
Liv si coprì un orecchio mentre, per Lily, James Potter raggiungeva l’importanza delle mutande in Sala Comune.
«Sirius e il suo intestino erano con me fino alle nove e mezza» la informò Liv, adesso con una serissima espressione sul volto «Poi è salito in camera da Peter, per non lasciarlo solo».
Lily sbatté le ciglia, attonita.
«Ma bene. Bene» commentò piuttosto sarcastica subito dopo poggiandosi allo schienale con finta disinvoltura, il profilo ombroso rivolto alla brace quasi del tutto spenta nel camino. Un'unica domanda a bruciare nelle iridi verdi: “Come ho fatto ad arrivare al punto in cui sto male nel venire a sapere che James Potter mi ha mentito?!”.
«Che cavolo ha in testa?» esalò Liv, incredula.
«Dei bellissimi capelli» rispose Lily in una bassa e breve risata amara, intrisa di un’ironia glaciale «Ci credi? James Potter ha dei bellissimi capelli in testa». Un sorriso fintamente affabile e il sopracciglio rossiccio arcuato sopra l’occhio verde colpito dal suo tic, a dimostrazione del disprezzo rivolto alla parte di se stessa che aveva appena preso il sopravvento per dire al mondo che i capelli di James Potter erano “bellissimi” in un momento assolutamente non necessario.
«Dove vai?» chiese quando Liv si alzò dal divano con uno scatto.
«A tagliare le palle al bue e, se c’entra qualcosa, anche al cane» rispose lei, spietata.
Lily la seguì con lo sguardo mentre saliva velocemente la scala a chiocciola dei ragazzi. Nessun pensiero per la testa, semplicemente la voglia di darsi della stupida in continuazione perché provare delusione nei confronti di James Potter era, senza alcun’ombra di dubbio, da stupidi.
Liv tornò appena due minuti dopo, lo sguardo cupo, a dir poco sconcertato.
«Porta chiusa, hanno la porta chiusa da qualcosa di più di un Colloportus e non risponde nessuno» informò ributtandosi sul divano accanto a lei «Prima o poi dovranno uscire da lì».
Era quasi l’alba quando Mary, stranamente non vestita di tutto punto, scese in Sala Comune in vestaglia, caschetto biondo spettinato e sguardo spaventato. Sembrava si fosse scaraventata giù dal letto e poi direttamente sulle scale.
«Siete qui!» esordì, svegliandole. Dei mugugni infastiditi si sollevarono dal divano dove un ammasso intrecciato di capelli rossi e scuri si mosse pigramente.
«Sì, tranquilla. La luna è già tramontata?» farfugliò Lily sollevando la cascata di capelli vermigli dalla testa mora di Liv, ancora abbandonata sullo schienale del divano.
«Ma come mai non sei pronta e sei ancora qui?» chiese ancora Lily liberando dai capelli la faccia accartocciata dal sonno, gli occhi verdi piccoli e socchiusi a squadrare la figura dell’amica in piedi.
«Dovete andare via da qui» esalò Mary puntando il retro del ritratto con occhi allarmati.
«Perché?»
«Perché sì, Lily, alzatevi»
«Odio questa risposta» biascicò Liv schiacciando la guancia sul cuscino.
«Che non è una risposta, tra l’altro» l’appoggiò Lily intensificando il cipiglio analizzatore su Mary.
«Per favore»
«Mary, che ti succede?»
«Non è illegale stare qui, Mar».
Un bagliore fugace passò negli occhi nocciola di Mary alle parole strascicate di Liv dagli occhi ancora chiusi.
«Sì, beh, adesso salite in camera… è tardi, dobbiamo prepararci»
«La doccia è tua, noi aspettiamo qui il nostro turno. Io ultima» mugugnò Liv sistemandosi meglio sul divano.
«Liv, ti prego»
«Ma perché non vuoi vederci qui?» insistette Lily poggiando i piedi sul tappeto.
«Ho bisogno di voi». E per la prima volta in vita sua, Mary MacDonald riuscì a dire una bugia convincente con tanto di lacrime finte.
A quella vista le due amiche scattarono in piedi per raggiungerla, abbracciarla, rassicurarla e riaccompagnarla in camera.
Ma Lily, checche ne dicesse Black, aveva sempre avuto un debole per il proibito.
“No, Lily, non andare sull’altalena così forte! La mamma non vuole!”
“Lily, Spinners End è un postaccio! Non si può andare”
“L’ingresso alla Foresta Proibita è severamente vietato a tutti gli studenti”
“Mi dispiace, signorina Evans, ma questo è il Reparto Proibito. Ha tutto il resto della biblioteca a sua disposizione, non le basta?”
“Alla mistura ottenuta è assolutamente proibito aggiungere l’Artemisia se non si vuole vedere esplodere il calderone…”.
E non riuscì a resistere nemmeno quella volta.
Appena Liv accompagnò Mary in bagno per convincerla a farsi una doccia ristoratrice e pettinarle i capelli, sgattaiolò fuori dalla stanza per scendere in Sala Comune.
Mary aveva aspettato troppo tempo per dire di aver bisogno di loro quando di solito lo diceva subito.
E fu così che Lily scoprì ancora una volta che il proibito nascondeva sempre dei segreti.
«Che diavolo avete fatto?»
«Lily»
«Lily un corno, Potter!». E Lily gridò per la prima volta, rabbiosa, liberando il macigno di sensazioni che l’aveva tenuta sveglia. Perché avercelo di nuovo davanti aveva il potere di farle perdere il controllo e farla reagire in modo esagerato. L’aveva sempre avuto quel potere su di lei, James Potter, dal primo settembre del primo anno.
Con il suo sguardo provocatorio l’aveva fatta gridare in Sala Grande durante un discorso di fine anno del Preside, con il sorrisetto beffardo le aveva fatto prendere la sua prima punizione della carriera scolastica, con il suo passarsi la mano nei capelli lei aveva pietrificato la ragazzina del primo anno che si era sfortunatamente trovata dietro di lui al momento sbagliato, dietro il Grande Cacciatore dai riflessi pronti a schivare non solo i bolidi, gli insulti e i suoi ‘’no’’ ma anche le fatture.
Soltanto quell’anno, Lily aveva capito che James Potter era capace di farle perdere il controllo anche positivamente, che a parte regalarle le sensazioni più esagerate, incontrollabili e negative della sua vita sapeva anche scatenare ben altro.
In quel preciso momento, Lily si accorse che le due cose non erano affatto diverse. Quel fastidio profondo e il cuore che batteva di rabbia erano così familiari.
«Evans, senti, non…»
«Sta’ zitto, Black!»
«Facci parl…» tentò ancora una volta James, bloccato immediatamente.
«“Devo andare”» lo scimmiottò con voce instabile Lily sentendo il cuore pulsare anche in testa.
«Puoi ascoltarmi senz…?»
«Dove dovevi andare, Potter?! A scatenare una rissa?!»
«C’era la luna piena ed è l’alba. Come hai giustamente indovinato tu il mese scorso, siamo andati a prendere Remus alla Stamberga per portarlo in infermeria» mentì James.
«Il Platano Picchiatore è stato sostituito con un Pugnacio gigante e io non ne sapevo niente?» commentò Lily, sarcastica.
E lui si accorse che in effetti Lily non li aveva mai visti così, senza neanche una goccia di Dittamo, e che in effetti i taglietti alla quale era abituata lei erano decisamente diversi da quelli che in quel momento li rendevano simili a degli zombie insanguinati senza maglietta, perché il dolore era così forte da rendere insopportabile il contatto della pelle con la camicia e il maglione della divisa.
«Siamo stati da Remus ma era ancora in versione Lupo Mannaro, ok?» se ne uscì Sirius con assoluta noncuranza.
James lo ringraziò mentalmente per la prontezza mentale che in lui, invece, sembrava essersi volatilizzata.
Lo sguardo di Lily parve perdere tutta la durezza per farsi scioccato.
«Siete pazzi?!» sussurrò senza fiato, guardandoli terrorizzata.
«Può darsi, Evans, e se adesso non ci lasci andare moriremo. È questo che vuoi?» fece ancora Sirius in tono appositamente melodrammatico.
James restò in perfetto silenzio, a fissare il cipiglio allibito di Lily.
«Siete stati contagiati?» sussurrò lei con l’aria di non essere più in sé.
«Non ce li ha fatti lui, questi» si affrettò a rassicurarla James, senza pensare. Lily lo guardò, aspettandosi una spiegazione plausibile.
«Ci ha lanciato quello che gli capitava a tiro» gli andò in soccorso Sirius che aveva la proverbiale capacità di fiutare il momento esatto in cui andava in difficoltà. James si ritrovò a ringraziarlo mentalmente per l’ennesima volta.
«Che dire, ha una mira decisamente migliore di quando gli chiedo di passarmi le risposte ai compiti in classe» proseguì Sirius facendo cenno a Peter di seguirlo «Ed ora con il tuo permesso, Evans, andiamo a resuscitare».
Trascinò con sé l’amico lanciando un’occhiata d’intesa a James prima di dirigersi verso la scala a chiocciola e sparire nei dormitori maschili.
James aprì le labbra per parlare ma senza emettere alcun suono per via della mano di Lily che gli afferrò il braccio sano per portarlo sul divano, facendolo sedere.
Lei tirò fuori la bacchetta di salice cominciando a pulire e rimarginare i tagli senza sfiorarlo mentre James desiderava ardentemente sentire le sue dita sulla pelle, anche se avrebbero fatto male.
Ma Lily sembrava decisa a non toccarlo e a non guardarlo in faccia o in un punto qualsiasi del suo corpo che non fosse ricoperto di sangue. Le sue guance, però, erano lievemente rosse come i suoi capelli alla debole luce dell’alba. James si sentì uno stupido per il modo in cui ogni dettaglio di lei avesse il potere di incantarlo.
«Hai pianto?» le chiese quando gli occhi verdi furono costretti a sollevarsi per puntare attentamente la ferita sulla mascella.
«No» sbottò Lily agitando la bacchetta vicino al suo viso.
«Mi dispiace per prima» si ritrovò a dire James perché Lily aveva pianto eccome e si sentì uno schifo per questo, non perché la pelle era sporca di sangue e fango, non perché non aveva le forze neanche per muovere un dito, non perché puzzava di sudore e muschio.
«Ti dispiace per cosa?» fece lei come se niente fosse mentre si alzava dal divano lanciandogli la camicia che James aveva abbandonato sui cuscini.
«Come “per cosa”? Sono dovuto andare via dopo che mi hai chiesto di stare con t…»
«Non m’interessa più, Potter, e vestiti»
«A me , m’interessa spiegarlo, dirtelo» sbottò James infilandosi l’indumento con gesti nervosi.
«Qualsiasi sia il motivo per cui tu te ne sei dovuto andare non m’importa, non è affare mio. La mia serata non dipendeva di certo dalla tua presenza o meno. La prossima volta che dirai a qualcuno di essere innamorato, però, sforzati di essere coerente anche nei fatti»
«Non puoi dire questo, Lily!».
Lily sussultò. Sussultò per la voce roca e tremante di James, per la sua espressione sinceramente rabbiosa e sofferente, per il suo essersi alzato dai cuscini ad una velocità impressionante, per gli occhi velati. Fu come rivederlo disperato nel letto dell'infermeria ed allo stesso tempo vivere qualcosa di totalmente nuovo, molto più intenso perchè più inteso era lo sgiarod di James, la sua sofferenza.
«Ti stai rimangiando tutto quello che mi hai detto ieri!?» sibilò con le dita aggrappate con forza al secondo bottone della camicia.
Lily restò a guardarlo dal basso, sovrastata dalla sua altezza, gli occhi verdi spalancati per l’incredulità nel vederlo così… così, per lei. Sembrava che ad ogni parte di quel corpo sfibrato e stanco importasse 
soltanto di lei .
«Avete l’Essenza di Dittamo in camera?» chiese freddamente mentre il cuore voleva chiaramente scoppiare e saltare fuori. La confusa espressione corrucciata e furiosa di James, in risposta, le fece sprofondare lo stomaco.
«Ti conviene andare a metterlo se non vuoi morire dissanguato, stavolta non posso fare più di così e sappi che se mi sono degnata di farlo è soltanto perché ti sei ridotto così per Remus».
Lily, rigida, si allontanò stringendo spasmodicamente la bacchetta in mano e James parlò d’impulso con la forza di un elastico mollato all’improvviso, senza pensare più alle corna piccole quanto le Stecche di Liquirizia tascabili di Mielandia, senza più dar peso al fatto che sarebbe apparso ridicolo con quelle cose minuscole in testa. Perché più che per il suo aspetto, Lily Evans doveva vederlo dentro.
«Alla prima ora buca vieni nella Foresta e vedrai il motivo per cui sono dovuto andare via da te, stanotte».
Il passo deciso di Lily si arrestò alla base delle scale femminili ma dopo pochi attimi le sue pantofole si susseguirono sui gradini, fino a sparire.
James alla terza ora andò lo stesso nella Foresta Proibita.
Lily non lo raggiunse.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
«Ehi» annaspò Liv arrestando la corsa, la lunga ed alta coda di capelli scuri a ricadere su un lato del collo coperto dalla sciarpa rossa e oro.
«Hai il fiatone, Liv? Per cosa ci alleniamo a fare?»
«Lily mi ha detto tutto, James. Cosa cavolo hai in testa?».
James sorrise amaramente, fissando di nuovo la superficie piatta del Lago Nero.
Era sceso alla rimessa delle barche con Sirius invece di andare a pranzo, Sirius che se ne stava poggiato ad una colonna in legno anche in quel momento, nel perfetto silenzio proverbiale che Liv invece aveva appena spezzato.
«Cosa ti ha detto, per curiosità?» fece James, il tono arrogante tradito da una nota instabile come un qualcosa di indecifrabile nei suoi occhi nocciola lievemente arrossati.
«Le hai mentito ieri sera?» chiese Liv cercando di regolarizzare il fiatone.
«Sì» rispose James guardandola con la sincera serietà tipica di chi sa di essere nel giusto «Ma stamattina ho provato a dirle la verità, lei non mi ha fatto parlare. Credevo avesse smesso di dubitare di me sempre e comunque, di non volermi neanche ascoltare».
Liv si limitò ad osservarlo attentamente, era un James che non aveva mai visto e tutta la rabbia si spense davanti a quell’espressione così adulta, matura, davvero ferita.
«Dillo a me, dì a me questa verità» lo incitò in tono pacato avvicinandosi a lui.
«No» sbottò James aggrottando le sopracciglia «Scoprirà tutto quando capirà che può fidarsi anche di me, che deve ascoltare me, credere a me e non solo alle sue migliori amiche».
Liv annuì piano, trovandosi d’accordo con lui. Sembrava stanco, James, in un modo diverso da Sirius e Peter che quella mattina non avevano fatto altro che dormicchiare sul banco. James aveva una stanchezza profonda negli occhi, sulle labbra, nelle mani, nella voce, perfino i suoi capelli sembravano esausti di stare in piedi.
Intercettò lo sguardo di Sirius che si staccò dal legno consumato dall’acqua per andarle vicino.
«Vieni, ti devo parlare» le disse prendendola per mano «Torno subito, Ramoso».
Liv si lasciò trascinare per qualche passo prima di puntare le scarpe a terra.
«James» chiamò stringendo le dita di Sirius, fermandolo.
James girò il viso verso di lei, l’aria interrogativa.
«Io ti credo, qualsiasi cosa sia questa verità che nascondi. Non potresti mai farle del male, l’hai dimostrato più volte».
Una scintilla di luce illuminò gli occhi dietro gli occhiali rotondi e come se Sirius avesse letto nella mente di Liv lasciò andare la sua mano per permetterle di ritornare da James, ad abbracciarlo.
 
 
 
 
****
 
 
 
 

 
 
 
Alla pioggia e all’umidità di febbraio si aggiunse il vento di marzo. Lily ogni giorno si indispettiva nel constatare quanto il tempo incerto ed instabile del nuovo mese rispecchiasse se stessa.
Incerta ed instabile, era così che si sentiva da settimane ed invece di migliorare peggiorava di giorno in giorno, innervosendola ulteriormente.
Aveva passato ore in biblioteca con Remus, chini su vecchi libroni logori e puzzolenti. Conoscevano più oggetti oscuri dei Serpeverde stessi, ma l’unico che interessava loro non era ancora comparso tra quelle migliaia di pagine che sfogliavano ogni giorno.
«E se avessero preso l’unico libro che parla dell’Armadio?» mormorò Remus sollevando lo sguardo da “Oggetti che rendono la tua soffitta più preziosa di una camera blindata della Gringott”.
Vide Lily seduta davanti a lui con lo sguardo perso oltre il vetro della finestra picchiettata dalla pioggia ma illuminata dal sole.
«Lily?» la chiamò sottovoce per non attirare i tacchi delle scarpe di Madama Pince.
«Sì?» fece lei sbattendo le palpebre.
Remus si morse una guancia, le sopracciglia castano chiaro aggrottate.
«Dicevo» riprese scrutandola attentamente «E se i Serpeverde avessero preso l’unico libro che parla dell’armadio?».
Quella domanda parve risvegliarla dallo stato catatonico in cui era caduta.
«Per capire come funziona?» mormorò portando gli occhi verdi su di lui che annuì «Oppure per nascondercelo».
Remus annuì ancora piantando lo sguardo analizzatore sulle mani di Lily aggrappate con forza alla copertina del libro. Il suo viso era smunto da giorni ma in quel momento sembrava più sciupato che mai.
«Stai bene, Lily?» le chiese in un sussurro.
«Sì» soffiò lei riportando lo sguardo verso la finestra per poi riportarlo sulla marei di libri che ricoprivano il tavolo della biblioteca occupato da loro soltanto «Sono solo… schifata. E stufa, e arrabbiata… insomma, adesso saremo costretti a risfogliare tutti i libri già sfogliati perché mi è appena venuto in mente che potrebbero anche aver strappato la pagina che riguardava l’armadio in uno di questi tomi da tremila pagine ciascuno!» sibilò con nervosismo, chiudendo quello che aveva tra le mani.
«Intendevo in senso generale. Stai bene in senso generale del termine?» fece Remus con un piccolo sorriso incerto per quello sfogo a bassa voce che nascondeva dell’altro.
Lily lo guardò, impassibile.
«Sì, Remus» mentì e il sopracciglio dell’amico davanti la fece arrossire lievemente. Tra i loro sguardi il nome a caratteri cubitali di James Potter era una presenza ingombrante, soprattutto per lei che non riuscì a trattenersi più.
«Mi ha mentito»
«Ma ha provato a dirti la verità»
«Resta il fatto che mi ha mentito, Remus, ed io, stupidamente, ero convinta non potesse farmi una cosa del genere».
E capì il perché di tutta quella rabbia, quella delusione.
«Pensavo fosse diverso da Piton».
L’accenno della bassissima risata incredula di Remus le trafisse il petto.
«Lily, dici sul serio?!». Negli occhi ambrati bruciava qualcosa che Lily ricondusse a tutto l’affetto e il senso di protezione che aveva lei nei confronti delle sue amiche.
«La colpa del suo mentire è soltanto mia, se proprio vogliamo dirla tutta»
«In che senso?»
«Non sta a me dirtelo, Lily. Fidati di lui, ascoltalo, credi a lui»
«È la stessa cosa che mi dice Liv ogni giorno».
Remus le sorrise, facendo spallucce.
«Perché è quello che vuole lui» spiegò semplicemente notando il verde dei grandi occhi davanti farsi più intenso.
«Dobbiamo rimandare a domani la nostra morte su queste pagine, tra cinque minuti abbiamo Erbologia» le ricordò dando un’occhiata all’orologio al polso.
Lily sbuffò, abbandonando la testa tra le braccia poggiate sul banco.
«Vuoi saltare Erbologia?» le chiese Remus guardandola divertito.
«Mi faresti compagnia?» replicò lei con la voce ovattata «In questo momento sarebbe perfetta una di quelle tazze di tè che mi offri sempre quando la biblioteca chiude… possiamo anticipare quel momento della giornata?»
«Non dirlo a Sirius, però, sai quante volte mi ha detto di saltare una lezione e io non l’ho mai fatto?»
Lily rise silenziosamente risollevando la testa.
«Meglio andare a lezione, allora, non posso reggere una sua sfuriata, non oggi». Raddrizzò del tutto la schiena e cominciò a raccattare e chiudere con cura libri e tomi di ogni grandezza e colore.
«Senti, Lily» la richiamò in un mormorio incerto Remus «Mary è… sta bene?»
«In questo momento non saprei dirti, ogni volta che è a lezione di Cura delle Creature Magiche non si può mai sapere, sai»
Remus sorrise, grattandosi distrattamente una tempia, allentandosi la cravatta rossa e oro.
«Intendevo, durante la giornata. Insomma, si comporta in modo normale con te e Liv?»
«Che dici, Remus?»
«Volevo soltanto sapere, così».
Lily fermò le mani sopra la copertina di “Quando i tuoi avi potrebbero farti rinchiudere ad Azkaban: Cimeli di famiglia da far Evanescere”.
«È successo qualcosa tra voi?» chiese sottovoce puntando gli occhi su di lui.
«No. Tutto ok, davvero» fece lui palesemente in imbarazzo mentre scuoteva la testa e si affrettava a rimettere in ordine il tavolo.
Lily assottigliò lo sguardo, attenta ad ogni suo movimento.
«Andiamo ad Erbologia o faremo tardi» aggiunse lui riempendosi le braccia con i tomi più pesanti.
 
 
 
 
 
*
 

 
 
 
 
Il sole del tramonto la accecò quando uscirono dalla Serra di Erbologia dopo l’ultima lezione della giornata. T
ra le chiacchiere dell’intera classe, Lily seguì in silenzio Liv, Mary e Remus sul pendio ormai ricoperto d’erba bassa.
Gli occhi verdi caddero irrimediabilmente sugli alberi in ombra della Foresta Proibita, per l’ennesima volta.
Alla prima ora buca vieni nella Foresta e vedrai il motivo per cui sono dovuto andare via da te, stanotte”.
Quella frase e quella voce non le davano pace. La Foresta Proibita l’aveva sempre attratta, dal primo anno, ma il suo richiamo non era mai stato forte quanto in quel momento, dopo le parole di James.
James che la sua coda dell’occhio intercettò passarle accanto.
Il respiro le si fermò quando la sua longilinea figura la superò senza degnarla di uno sguardo, il sole negli occhi nocciola puntati davanti a lui.
Lo osservò allontanarsi a passo spedito insieme a Peter e Sirius che di passaggio lasciò un veloce bacio sulla guancia di Liv mentre parlava con Mary.
Lily sentì il magone che l’accompagnava da settimane farsi pesante e grande, chiuderle la gola, farle bruciare gli occhi.
Senza accorgersene fermò le scarpe sulla terra bagnata del sentiero, bloccando il passaggio a Ned Stevens che le andò a sbattere sopra insieme a Bettie Wood e Wayne Abbott.
«Scusami, Lily»
«No, è colpa mia, Ned. Scusami tu, piuttosto».
Si allontanò da lui senza sentire le parole che lui le rivolse, senza accorgersi di star prendendo la direzione della Foresta. Quando se ne accorse arrestò la camminata ad un passo dai primi alti tronchi degli abeti, lo sguardo serissimo perso in quella fitta penombra senza orizzonte.
«Lasciami da sola, Liv, per favore» sussurrò sentendo dei passi dietro di lei.
«Vai, Lily»
«Non servirebbe a niente»
«Perché no?»
«Perché non è la prima ora buca della giornata»
«L’hai visto, non è vero? James che continua ad andare nella Foresta, ogni prima ora buca di ogni giorno»
«Sì».
Perché il cuore doveva battere in quel modo?! Perché il respiro doveva mancare in quel modo?! Perché il sole andava e veniva, sfuggente, come James Potter?!
«Entra, Lily»
«Lui non c’è, Liv, mi è passato affianco poco fa…»
«Ma se sei qui vuol dire che stare sotto quegli alberi è quello che vuoi in questo momento».
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 



 
Il tempo incerto ebbe come conseguenza la Sala Comune Grifondoro affollata e chiassosa dopo le lezioni del giovedì, c’era addirittura la radio accesa sulla mensola del caminetto acceso e il Torneo di Sparaschiocco nel solito angolo sembrava in realtà la finale anticipata del Mondiale di Quidditch.
Eppure con tutto quel casino che infastidiva chi aveva un compito in classe il giorno dopo, i Malandrini per la prima volta non c’entravano niente.
Lo spazio intimo tra il divano, le due poltrone e il camino era invaso dal chiasso della Sala ma dal silenzio tombale delle persone sui cuscini, per la gioia di Remus sulla poltrona a destra che con grande stupore era riuscito a leggere due capitoli interi senza nessuna interruzione; per la preoccupazione di Peter, seduto sulla poltrona a sinistra con lo sguardo che oscillava dal suo tema di Pozioni ancora in alto mare alla figura di Sirius, serissimo, in piedi a braccia conserte accanto al divano sul quale James se ne stava sdraiato, un braccio abbandonato sulla fronte dolorante.
«Felpato, allontanati e smettila di fissarmi»
«Ma come, io ti faccio da cane da guardia e tu mi tratti così?»
«Nessuno mi sta rompendo le palle a parte te».
Remus scosse piano la testa senza staccare lo sguardo dal libro e il motivo si rivelò subito dopo, quando Sirius agitò le braccia verso le persone che parlottavano tra loro come per scacciare via delle galline starnazzanti.
«Lasciatelo in pace, poverino, gli sono ricresciute le corna!» sbraitò facendo sgranare gli occhi al gruppo più vicino che si allontanò, stranito.
«Zitto» sussurrò James tentando di dargli un calcio senza muovere il resto del corpo abbandonato sul divano.
«Eri isterico all’ultima luna piena, fratello, ti sei mangiato tre piante dal nervoso»
«Per Godric»
«Dai che ci sei, adesso dovrebbero essere cresciute del tutto. Non te l’abbiamo ancora detto ma sappi che hai uno spuntone in più, bello grosso pure»
«Vero, James!» gli diede manforte Peter dalla poltrona, il volto paffuto euforico «Saranno sicuramente più grandi della scorsa primavera!»
«Il simbolo della maturità» commentò non troppo distrattamente come voleva far vedere Remus, sfogliando una pagina.
«Il nostro Ramoso si è fatto un cervo adulto, che emozione!» pigolò Sirius chinandosi su di lui che lo scacciò di nuovo via con una manata.
«Hai già scodinzolato addosso a Liv?»
«Quanto vorrei, fratello, quanto vorrei»
«Per piacere» fece Remus, ammonitore, sollevando per la prima volta lo sguardo retorico dal libro.
«Ma sto aspettando che Ramoso maturo si decida a mostrare il nuovo ingombrante palco di corna. A proposito…».
James mugolò sentendo il divano affondare al suo fianco mentre Sirius si sedeva senza alcun riguardo nonostante una parte delle sue chiappe si stesse accomodando sul suo fegato.
«Perché non vai a farti un giretto nella Foresta?» propose Sirius picchiettando con una mano lo stomaco di James che sussultò.
«Sirius, per piacere»
«Sono più serio del mio nome, James».
James sollevò pigramente una palpebra, giusto il tanto per poter occhieggiare il suo migliore amico che troneggiava sopra di lui.
Era davvero serio.
«Perché dovrei andare a farmi un giretto nella Foresta adesso?»
«Perché il mal di testa si sopporta di più da animale»
«Vedi che sei coglione?»
«Ti ricordo che sono serio»
«Se mi trasformo, oltre al mal di testa avrò anche quelle due cose odiose… dove vai?». Il cuscino del divano tornò alla sua forma originale così come il fegato di James che aprì entrambi gli occhi per guardare Sirius raggiungere Peter con una falcata.
«A segnare sul calendario il giorno in cui hai chiamato le tue adorate neo corna “quelle due cose odiose”»
«Quello non è il calendario, Felpato, è il mio tema… e la mia matita»
«Sei gentilissimo, Peter. Ecco qui. Nove marzo, vigilia del compleanno di Remus e… an-niv-er-sar-io di mor-te del-le…».
Remus sbatté lentamente le palpebre osservando Sirius scrivere sul tema di Peter poggiato sulla coscia della gamba usata come banco.
 «… cor-na… ma-tu-re di… Ra-mo-so. Che cadranno a breve, per suicidio» aggiunse l’ultima informazione a voce scoccando un’occhiata ad un lamentoso James, tipico di quando stava male.
«Lasciami in pace»
«Ed è qui che ti sbagli, Cornuto». Sirius lo puntò con la matita che un secondo dopo volò per aria sfiorando Remus e rimbalzando sul muro dietro una coppietta intenta baciarsi. I due non si accorsero di niente proprio come Sirius che rimettendosi dritto lanciò uno sguardo d’intesa a Liv, dall’altra parte della Sala Comune.
«Mi sbaglio a far cosa?» si lagnò James «Sono immobile sul divano! Adesso sbaglio perfino a stare immobile su un divano?!»
«A pensare che io possa lasciarti in pace quando è chiaro che non sei in pace da precisamente due settimane» rispose Sirius puntandolo di nuovo, con l’indice.
James sbuffò sbattendosi in faccia il cuscino, un sorriso sulle labbra schiacciate dalla stoffa perché come lui se ne infischiava altamente del “lasciami in pace” di Sirius quando stava male, anche Sirius faceva sempre la stessa cosa con lui. Dal primo anno.
«Cosa ti ho detto quella mattina di un mese fa, fratello?».
James pensò che Sirius lo chiamava sempre più spesso fratello da diverse settimane. Il motivo lo sapeva benissimo.
«Che mia cognata è una bomba anche a letto, fratello»
«Già… ma non osare distrarmi, intendevo altro»
«Che hai sognato di cedere a Peter il tuo turno di ricerca delle informazioni sull’armadio in cambio delle Cioccorane nel cassetto chiuso di Remus e che l’avresti fatto diventare realtà perché bisogna sempre avere il coraggio di inseguire i propri sogni»
«Che cosa?!»
«Scusa, Lunastorta, nessuno resiste alle Cioccorane» squittì Peter facendosi piccolo sulla poltrona.
«Ed infatti l’ho realizzato nell’ora buca di stamattina» proseguì Sirius come se niente fosse, portando Remus a chiudere del tutto il libro con un tonfo assassino tanto quanto la sua faccia.
«Ma prima, James, prima di quello. Cosa cazzo ti ho detto appena hai aperto gli occhi?». Sirius si risedette sul suo fegato e James non lo ammazzò soltanto perchè aveva abbassato la voce.
«”Cosa cazzo hai, fratello?”» rispose ricordando benissimo quella mattina.
«Risposta esatta, signor Potter, prego… ritiri pure il suo premio»
«Sarebbe? Un tuo pugno sul naso appena mi toglierò questo cuscino dalla faccia perché sto morendo dalla curiosità di sapere qual è il premio?»
«Altra risposta esatta, signor Potter»
«Che merda di premio»
«Quello che meriti. Ricordi cos’hai risposto alla mia domanda, quella mattina?»
«”Dormito male per colpa del temporale”»
«E io l’ho bevuta?»
«La finiamo di parlare così?»
«Se non parliamo così tu non parli. Soltanto chi non ti conosce penserebbe “Bravo, James Potter, che vuoi parlare con lui come due persone normali” perché tu non sei una persona normale e io non sono una persona normale»
«Bastardo»
«Sì, io ti conosco. Continui a cercare di farmela, stronzo, e la cosa mi ferisce alquanto»
«Sei diventato troppo fragile da quando stai con Liv»
«Ho quel dolore alla schiena per un motivo del tutto diverso da quello che stai cercando di far intendere tu e lo sai»
«Pervertiti»
«Mi stai facendo distrarre di nuovo… levati il ghigno che non vedo ma che hai sotto questo cazzo di cuscino lurido che ha visto le peggiori cose dal medioevo ad oggi»
«Merlino, che schifo» esalò James staccandoselo dalla faccia disgustata e lanciandolo oltre il divano sulla testa di chissà chi.
«Non mi sono bevuto la scusa del temporale perché non hai tre anni ed infatti cosa mi hai risposto, dopo?»
«”Mancano solo quattro mesi ad uscire da qui e Lily non mi ha ancora ucciso. Non avrà più modo di uccidermi, mai più, dopo giugno”»
«E io cosa ti ho detto?»
«”Uccidila tu”»
«L’hai forse uccisa i giorni seguenti?»
«No»
«Che cosa ti ho detto due settimane fa, dopo che tu non hai ucciso Lily Evans mentre ti curava le ferite?»
«”Perché non le hai detto la verità?” e io ti ho risposto che non lo sapevo ed invece lo sapevo eccome così come lo so adesso»
«E io te lo chiedo un’altra volta. Perché non le hai detto la verità?».
Il silenzio calò tra loro due. Il silenzio che Sirius sentiva sempre anche al centro della Sala Comune affollata.
Il silenzio che aveva immediatamente sentito in James subito dopo la chiassosa felicità che l’aveva pervaso dopo essere stato baciato da Lily, dopo essere uscito a Hogsmeade con Lily, dopo la ronda passata con lei.
Un silenzio simile a quello del suo non voler andare alla festa di compleanno.
Il silenzio che aveva caratterizzato James nelle ultime settimane.
Il silenzio di James quando aveva paura.
«Perché ho paura». La voce bassa di James fu sovrastata dalle risate esplose attorno al tavolo di Sparaschiocco ma per Sirius era stata forte e chiara per tutto il mese passato a ripetergli quel ‘’uccidila” anche nei momenti meno opportuni come davanti alla professoressa McGranitt.
Lo sguardo nocciola si fece sfuggente, perso sul soffitto rosso e oro, non era quello combattivo ed ottimista, era quello che James sfoggiava sempre dopo una sconfitta.
Stava male, James, e non per la testa come i Malandrini avevano deciso di credere ma perché il dolore al centro del petto ogni volta che incrociava la figura distante di Lily si faceva così forte da annullare tutto il resto.
Credeva di essere a giugno, tra le dita il filo giunto al capolinea ma con un nodo che prometteva un continuo. Quel filo sembrava il lungo capello rosso di Lily che conservava ancora. Era riuscito a sciogliere tutti i nodi tranne uno, l’ultimo. Non aveva smesso di provarci così come non aveva smesso di andare nella Foresta Proibita ogni prima ora buca della giornata di lezioni anche se Lily continuava a non farsi vedere. Ed era proprio la sua assenza a ordinargli di non tirare più forte quel nodo perché il solo pensiero di poter spezzare il capello era inaccettabile.
«Che cosa ti ha detto Olivia all’ultimo allenamento?»
«Che sto perdendo perché non sto giocando sul serio».
La voce di James e il suo volto si erano fatti profondamente assorti, le labbra di Sirius abbozzarono un sorriso soddisfatto che Remus riconobbe al volo nonostante non avesse sentito la loro conversazione.
 
«FERMO! FERMO LÍ, JAMES! NON OSARE TIRARE!»
«Che cavolo dici, Liv?!».
James rimase sbigottito davanti all’anello, il braccio allungato all’indietro, la Pluffa ben stretta in mano, Michael pronto a parare.
«Stai fermo così» ripeté Liv a pochi metri da lui, le braccia conserte e lo sguardo deciso.
«Si può sapere cos’hai? Cerca il Boccino, piuttosto»
«Ora dimmi, hai fatto punto?»
«Sei impazzita?»
«Rispondi»
«No, ovvio che no»
«Stai sbagliando?»
«Che dici, Liv, andiamo a trovare Madama Chips?»
«Rispondi!»
«No, non sto sbagliando»
«Stai vincendo?»
«No, sto perdendo»
«Perché non stai tirando, James, stai perdendo perché non stai giocando sul serio. Puoi giocare sul serio, credimi, la partita non è affatto finita».
 
«Andiamo a farci un giro nella Foresta» ripropose Sirius, se possibile ancora più serio di prima.
«Ci sono stato stamattina. Perché dovrei andare lì anche adesso?»
«Perché te lo sto dicendo io».
Perché ti fidi di me”. Era questa la vera frase di Sirius, senza alcun punto di domanda. E James a quelle parole non aveva niente da ribattere. Avrebbe seguito Sirius ad occhi chiusi, ovunque.
 
 
 
 
 
*

 
 
 

 
 
Le scarpe nere di Lily erano ancora ferme sui verdissimi fili d’erba mossi dal vento come il suo mantello nero al quale era stretta e i capelli rossi che si scostò dal viso contratto mentre il sole spariva e ricompariva dalle nuvole scure sopra la sua testa.
Liv l’aveva lasciata lì da più di mezz’ora e con quell’ultima frase enigmatica che ancora non era riuscita a convincerla.
Un chiaro muggito le invase le orecchie proprio nell’istante in cui decise di allungare una gamba verso gli alberi, facendola sussultare e bloccare sul posto.
Lo risentì, più forte, proveniva dalla Foresta alla sua destra, e risentendolo ancora qualche secondo dopo suonò incredibilmente familiare alle sue orecchie.
Provò l’istinto di inoltrarsi tra quegli alberi proibiti mossi dal vento per capire cosa fosse.
Restò in attesa di sentirlo un’altra volta, cosa che accadde poco dopo, e fu un suono così vicino e potente da farle vibrare la cassa toracica, accelerarle il cuore, nello stesso momento in cui una grande macchia nera con quattro zampe, due orecchie a punta e una folta coda sbucò dalla Foresta e le sfrecciò accanto, allontanandosi di corsa verso la capanna di Hagrid.
Terrorizzata, Lily non riuscì a muovere più un muscolo chiedendosi cosa cavolo l’aveva appena ignorata per scappare via da chissà quale altra creatura peggiore di quella. Quale delle due muggiva?
La risposta le arrivò subito, tempestiva come non accadeva mai quando si rivolgeva all’universo per mille altre cose forse meno importanti, era vero, ma comunque… i pensieri le si bloccarono nel cervello, con la coda dell’occhio allenata a trovare James Potter, Lily aveva notato qualcosa tra gli alberi. Si voltò lentamente, cauta.
C’era un animale alto e possente tra i tronchi, immobile come lei ma nascosto nella penombra, come se avesse paura. Scorgendo delle corna ramificate, mimetizzate tra le fronde verdi scure che oscillavano dolcemente al vento come i suoi capelli rossi ai lati del volto, Lily capì.
Era un cervo, un semplice cervo. Ma i muscoli non si sciolsero, anzi, si irrigidirono ancora di più.
Perché non ne aveva mai visto uno, non così vicino, e l’aura che emanava era quasi soprannaturale, magica in un modo totalmente diverso da quella degli Unicorni e i Centauri. Era meraviglioso.
Quando sentì il primo zoccolo battere sull’erba e poi un secondo ed un terzo, vedendolo indietreggiare, Lily fece tre passi avanti senza rendersene nemmeno conto e poco dopo si ritrovò immersa nella foresta, tra gli alberi che filtravano la luce del sole ed avvolta dal forte e piacevole odore di terra bagnata ed abete trasportato dal vento; un'aroma che le riportò alla mente in un flash il profumo di James.
Davanti a lei, a pochi metri di distanza, il cervo.
Era sempre stata affascinata da quell’animale, fin da bambina. I cervi erano maestosi, regali, ancorati alla terra e quello che aveva davanti lo era in modo particolare. Toglieva il respiro semplicemente con la sola presenza.
Lily rimase incantata a fissarlo, fissare le sue imponenti corna, sentendosi proprio una bambina.

I bucaneve nei cespugli alle radici dei tronchi più grossi dondolavano al vento così come l'erba verde vicino alle sue scarpe e quella attorno agli zoccoli del cervo che la fissava a sua volta con i grandi occhi nocciola così stupidamente uguali a quelli di Potter, come il portamento fiero.
Lily strinse i pugni, profondamente infastidita perchè James Potter non poteva rovinarle anche un simile momento.
Desiderò ardentemente toccare il manto marrone scuro del dorso o quello folto attorno al collo e come se il cervo l’avesse capito, abbassò la testa perdendo tutta l’aria altera e solenne, diventando quasi docile, tenero.
E Lily, incerta e sbigottita, avanzò sull’erba nuova mentre anche il cervo cominciò ad andarle lentamente incontro.
Aveva sempre letto sui libri che erano animali schivi, selvatici, sfuggenti. Quello era tutt’altro, sembrava avere totale fiducia in lei e la cosa, a parte emozionarla in un modo così strano da farle tremare le mani, sembrava rassicurare anche lei.
Senza riuscire a respirare, allungò un braccio e le dita toccarono il naso umido, il fiato caldo le scaldò la mano.
Da così vicino era ancora più bello. Le corna ramificate la sovrastarono, erano scure ed illuminate dal sole che filtrava a tratti dagli alberi gettando ombre e macchie di luce che rendevano i suoi grandi occhi nocciola quasi dorati, ancora troppo simili a quelli di James quando stava davanti al fuoco del camino, sotto il sole del tramonto di ritorno dalle Serre di Erbologia o seduto sul banco vicino alla finestra ad una lezione qualsiasi.
La lingua ruvida e calda la distolse da quei pensieri, facendole il solletico al palmo, e Lily abbozzò un sorriso estasiato risalendo dal naso, accarezzando esitante il pelo bruno, fino ad arrivare sulla testa che l’animale abbassò impercettibilmente come se non volesse farle male con il palco di corna. Lily passò le dita con sempre più decisione tra le grandi orecchie e lo sentì sbuffare sommessamente, uno sbuffo che sapeva di fiato trattenuto e poi lasciato andare con sollievo. Di nuovo, James Potter monopolizzò i suoi pensieri.
Sorrise lo stesso, continuando ad accarezzarlo, beandosi di quell’atmosfera quasi onirica capace di regalarle pace ma anche adrenalina.
Una folata di vento più forte si fece sentire tra le fronde degli abeti e i capelli rossi le volarono davanti alla faccia. Lily tolse la mano dal cervo per scostarseli ma quando riuscì a liberarsi, l’animale non c’era più.
Lily rimase immobile, chiedendosi se avesse o no vissuto tutto. Il senso di meraviglia ed eccitazione mista ad un vuoto improvviso la riportò allo stato in cui era da giorni: il vuoto lasciato da James era molto simile a quello che provava in quel preciso momento.
Lily si strinse nel mantello, un cipiglio infastidito ad aggrottarle le sopracciglia rossicce, imbronciarle le labbra. Era stato sconvolgente provare quel vuoto dato dalla mancanza di James Potter, quella che aveva sempre desiderato negli anni era in realtà un incubo, uno stare costantemente agitata e nervosa ed al contempo spenta.
Lily senza James si sentiva imprigionata da una pesante tristezza e non libera come aveva sempre immaginato e sognato.
Non c’era stato nemmeno il bisogno di confessarlo a Lily e Mary, loro lo vedevano come lo vedeva lei allo specchio.
Restò da sola sotto gli alberi, contro il vento, la presenza di James soltanto in mente.
E poi lo rivide, il cervo.
Quasi le venne da ridere perché aveva la testa e metà muso coperti di felci*, come una parrucca.
James Potter le invase la mente ancora una volta, per la precisione la sua faccia, i suoi capelli. Quel cervo le ricordava lui in tutto e per tutto oppure era soltanto lei che lo vedeva dappertutto, proprio come quando si perde una persona e quella spunta nelle facce di qualsiasi essere umano attorno. Il fatto che per James accadesse anche con gli animali non la sorprese per niente. Ma, sul serio, aveva ucciso James Potter?
L’universo le rispose ancora una volta. Non aveva ucciso James Potter perché al posto del cervo comparve lui, le felci ancora in testa e gli occhiali storti sul naso.
Il sorriso divertito le si congelò sulle labbra.
Le venne da pronunciare il suo nome ma dalla gola non uscì nemmeno la prima lettera.
“Vieni nella Foresta e vedrai il motivo per cui sono dovuto andare via da te, stanotte”.
 
 

 
 
 
 
*
 
 


 
«Gliel’hai detto?» fece Remus in un tono piuttosto scettico perché quando Sirius prometteva una cosa a James era praticamente impossibile che infrangesse la promessa.
«No, Remus, non mi ha detto qual è il segreto di James e non mi ha detto per quale assurdo motivo James ha detto a Lily di andare nella Foresta» esordì Liv sentendosi afferrare per i fianchi e tirare verso il basso, sul divano, nello spazio tra le lunghe gambe di Sirius. «Diciamo che mi sono fidata di lui quando mi ha chiesto di farlo» sentenziò fintamente scocciata poggiando la schiena sul suo petto.
«Vestiti, fuori dal letto, semplicemente parlando» tenne a specificare Sirius imprigionandola tra le braccia.
Remus fece una faccia scherzosamente colpita ed impressionata, osservando però Sirius con sincero compiacimento. Sotto l’apparente disinvoltura e l’ironia, l’amico sembrava così felice per quel gesto di Liv rivolto nei suoi confronti, per quella fiducia cieca che lei gli aveva dato. Remus sapeva quanto fosse importante per lui.
«Ma adesso voglio sapere che diavolo mi hai fatto fare, Black» fece Liv in un sorriso, scoccandogli un’occhiata ridente da sopra una spalla.
Sirius sorrise a sua volta, baciandole una tempia.
«Dopo»
«Dopo quando?»
«Adesso non hai gli allenamenti?»
«Oh, cavolo, è vero! Me n’ero dimenticata!».
Sirius mollò il suo stesso polso per aprire le braccia e lasciarla andare. Liv gli stampò un veloce bacio sulle labbra e poi si alzò sotto il divertito occhio sbalordito di Remus.
«Se ti sentisse James, Liv…»
«Tu non hai sentito niente, Remus!» gli rispose lei correndo verso il dormitorio femminile mentre la voce affannata di Mary, nascosta da una pila di scatole che teneva tra le braccia, li raggiungeva.
«Accidenti, Sirius, ti alzi o no da lì!? C’è una festa di compleanno da preparare!»
«Quale festa di compleanno?».
Quella stranita di Remus la bloccò sul posto. Mary abbassò la torre di cartone tra le mani per accertarsi della figura di merda appena fatta.
 Si morse la lingua nel constatare che Sirius non era da solo.
«La tua! Sorpresa!» squittì Peter allargando le braccia entusiasta, le Burrobirre a ciondolare tra le mani.
Mary sorrise, isterica, e Sirius sghignazzò da sopra lo schienale del divano.
«Peter, ecco, come dire… non era questo il momento che avevamo prestabilito per dirlo».
 
 




 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
Tra febbraio e marzo ai cervi ricrescono i palchi in testa, sono molto nervosi e mangiano di più.
Non so se anche ad un Animagus può succedere questo ma per una volta ho voluto prendere una licenza poetica ed inventarmi tutto.
Per attirare le femmine, a volte i cervi decorano le corna con le felci e il muschio. Appena ho visto la foto mi son detta “Questo è James”.



 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** 47. L'Improbabile Fidanzato ***


 
Capitolo 47
 
L’IMPROBABILE FIDANZATO
 

 
 
 
 
 
«Sono qui per ascoltarti, Potter».
James sentì la voce di Lily, la sentì perché era decisa e chiara nonostante la folata di vento, nonostante le fronde impazzite sopra le loro teste, nonostante il cuore che pompava il sangue alle orecchie ad una velocità mai raggiunta prima.
Lesse anche il labiale, James, lesse la forma e la luce degli occhi nella penombra della Foresta Proibita che li aveva visti crescere litigando, lesse le sue mani, la sua postura, i lineamenti di quel viso da bambina seminascosto dai lunghi capelli rossi accesi da un raggio di sole infiltrato tra le foglie, verdissime come le iridi puntate su di lui.
Tutto di Lily Evans sembrava deciso ad ascoltare lui.
E quando James cominciò a parlare, la strana atmosfera nata sotto gli abeti non si spezzò, anzi, divenne ancora più surreale, estasiante.
Lily non si chiese il perché, la sua mente glielo fece capire all’istante: adorava quella voce calda, rassicurante, profonda e ricca di sfumature con la sempre presente vibrazione divertita che un tempo aveva odiato perché le era sempre arrivata alle orecchie come risata di scherno e superiorità ma che adesso era come un balsamo, una sferzata di onnipresente ottimismo e voglia di vivere, di vincere le battaglie più importanti, quelle fuori dal campo di Quidditch, fuori da Hogwarts.
In quel momento, le parole che la stavano tirando fuori la rendevano più attraente che mai, come non lo era mai stata.
«E poi io preferisco Trasfigurazione a Pozioni, Evans, lo sai. Ma il fine è lo stesso, no? Aiutare un amico usando le nostre migliori capacità, perché gli amici meritano il meglio di noi».
Lily non parlò. Si limitò ad annuire lentamente con la testa, totalmente d’accordo, un sorriso accennato sulle labbra, gli occhi fissi su di lui.
E non si chiese perché avesse la divisa da Quiddicth e perché gli stesse così bene.
Lily non si chiese come aveva fatto, anni prima, a smettere di guardare quella vita stretta sotto il maglione rosso e oro, quelle spalle larghe, le gambe lunghe messe in risalto dagli aderenti pantaloni bianchi e gli alti stivali, non si chiese come aveva fatto a catalogarli come “Accessori per Pavoneggiamento” subito dopo essersene accorta dopo un’estate in cui Potter sembrava essere cresciuto di colpo di dieci centimetri, dando la colpa al suo ego sempre in crescita.
Non se lo chiese perché quel corpo agile, scattante e slanciato era così simile a quello del cervo e lei non se n’era mai accorta.
Mentre l’aveva accusato di essere un egocentrico pallone gonfiato capace di pensare soltanto ai suoi capelli, lui aveva costantemente rischiato la vita per salvare quella di un suo migliore amico, lui aveva deciso di modificare il suo aspetto tanto amato per trasformarsi in un animale, l’unico modo per stare accanto a Remus quando anche Remus perdeva il suo aspetto umano.
Stare accanto ai suoi amici sempre e comunque, a qualunque costo, nella buona e nella cattiva sorte, era quello James Potter.
«Ricordi quando al terzo anno mi accusavi di avere un alito orribile? Era la foglia di Mandragora che ho dovuto tenere in bocca per un mese intero*. Per Godric, che incubo…». Rise, James, passandosi distrattamente una mano in testa in un gesto nervoso ricordandosi soltanto in quel momento delle felci che così facendo vennero scrollate via dai capelli sotto gli occhi sempre più decisi e brillanti di Lily.
Quelli ridenti di James si sollevarono poco dopo, trovandoli. Il largo sorriso sul suo volto si abbassò appena, diventando una curva decisamente più dolce che accelerò ulteriormente il cuore di Lily con il petto che si cominciò ad abbassarsi ed alzarsi velocemente proprio come il suo, come se entrambi avessero corso chilometri infiniti per arrivare lì, l’uno di fronte all’altra in un luogo privo di muri di qualsiasi genere.
«Allora?» esordì James poggiando le mani sui fianchi stretti, lo sguardo appositamente ironico «Non dici che so eccome imitare un cervo, Evans? Che non sono affatto un bue? Che il muggito in realtà è un bramito? Che siamo dei seri fuorilegge e non dei semplici Malandrini? Che ci porterai tu stessa ad Azkaban? Non dici proprio niente?».
Eppure era straordinario come Lily, senza dire una parola, stesse in realtà dicendo tutto e come lui, James, riuscisse a percepire ogni singola lettera di quello sguardo nuovo che lo faceva tremare, parlandogli dritto al cuore gonfio ed impazzito sotto il maglione.
C’era una strana naturalezza nell’aria ma fu comunque un colpo, per James, vedersela arrivare con il passo incredibilmente deciso sull’erba appena nata, i lunghi capelli rossi ad ondeggiare ai lati del viso determinato, il verde sguardo splendente puntato su di lui, un sorriso dolcissimo sulle labbra, quello che gli aveva fatto capire di essere innamorato di lei e che aveva voluto risentire addosso, dentro, subito dopo essersi spento.
Lily avanzò senza fermarsi, spinta dalla certezza di essere innamorata di lui. Non aveva bisogno di prove, adesso, quella bastava per tutte, quella andava oltre ogni sua immaginazione. Il suo Animagus racchiudeva tutto ciò che amava di James Potter, ed era reale, maledettamente reale, in carne e ossa, pelliccia e corna.
Ed era maledettamente reale anche quella certezza nuova: era innamorata di James Potter e ne era felice.
«L’unica cosa che ho da dire a riguardo è che sono innamorata di te»
«Cosa?»
«Sono innamorata di te, James».
James sentì il proprio corpo protendersi verso di lei ancora prima di percepire le sue piccole dita tirare il maglione di Quidditch verso il basso.
Le prese il volto tra le mani e la baciò, incontrando a metà strada le sue labbra morbide e sorridenti.
Un’altra folata di vento soffiò tra le fronde degli abeti, ululando, ma entrambi non sentirono niente a parte i loro cuori battere nelle orecchie con forza inaudita, lo stomaco attorcigliarsi, i brividi coprire la pelle mentre i lunghi capelli rossi di Lily coprivano i loro visi e il resto del mondo scompariva.
Non c’era niente a parte loro due e quel contatto di labbra che si cercavano, sicure e prorompenti come le dita che lei attorcigliò alla lana rossa e oro perché improvvisamente le labbra ridenti si erano fatte serie, bisognose di un contatto diverso, più intenso, magnetico come quel qualcosa che aveva spinto Lily nella Foresta, anche se non alla prima ora buca della giornata, e James a raggiungerla ogni volta che lei ne aveva avuto bisogno, anche quando non gliel’aveva chiesto.
Le mani di James erano così delicate sui suoi capelli rossi e sulla pelle del suo viso da sembrare quelle di qualcuno che aveva a che fare con una bolla di sapone pronta a scoppiare in qualsiasi momento, qualcuno incapace di credere a qualcosa.
E Lily lo sentiva il cuore sotto il maglione che stava sicuramente slabbrando con le dita, lo sentiva esplodere di paura, incredulità. Saltava battiti, accelerava di botto, si fermava per un istante e ripulsava più forte di prima mentre il suo, invece, galoppava come un forsennato, impazzito, come se volesse scappare lontano da lì.
Ma Lily si lasciò trascinare dalla stordente sensazione di star provando la cosa più sconvolgente e vera della sua vita.
Voleva ucciderlo, del tutto.
Voleva uccidere il ragazzo che nonostante i suoi insulti non si era mai vantato di essere un Animagus per proteggere il segreto di Remus.
Voleva uccidere quel ragazzo intelligente e talentuoso che si meritava ben più di un distintivo da Caposcuola o un Eccezionale in Trasfigurazione.
Voleva uccidere davvero il ragazzo che rischiava la sua vita ogni mese per salvare quella di un amico, il ragazzo che aveva salvato anche il suo peggior nemico.
Voleva uccidere il ragazzo che aveva conservato una margherita secca per lei.
Il ragazzo pronto a combattere al suo fianco in una guerra che la voleva morta, quello che credeva in ogni sua singola abilità, modo di essere, di agire, di pensare.
Voleva uccidere il ragazzo che la voleva per com’era dentro.
Lasciò il maglione per stringere i capelli neri sulla nuca di James ed inclinare il viso di lato, aprendo la bocca.
Ed al contatto delle lingue persero un battito entrambi, constatando definitivamente di essere morti.
In quella Foresta Proibita* morirono per rinascere ad ogni carezza morbida della lingua e stretta intensa delle labbra così perfette per stare le une sulle altre e non solo per inventare insulti originali, far sorridere e ridere, liberare parole segrete e pesanti.
James si ritrovò a stringerla a sé con una sicurezza e una decisone totali.
Era reale quel corpo minuto, morbido e caldo schiacciato addosso a lui.
Era reale il piccolo naso che sfregava dolcemente sul suo.
Anche la lingua che stava assaporando era reale, faceva girare la testa.
Le labbra che si muovevano sulle sue senza alcuna indecisione erano reali.
Niente sarebbe scomparso al suo risveglio perchè non stava dormendo, quel tutto era troppo forte per essere irreale, lo sentiva cambiarlo dentro, fisicamente e mentalmente come non era mai successo in sogno.
Niente di tutto quello sarebbe scoppiato ed un grido più potente del suo bramito esplose dentro di lui, vibrando ovunque, facendogli tremare le mani, le ginocchia, lo stomaco.
Fu la stessa potente ondata di calore che sentiva sempre quando la vedeva, la sfiorava, sentiva il suo profumo, quando correva da lei per proteggerla quella che lo spinse a prenderle con mani sicure il viso, a catturarle le labbra senza più trattenere niente.
E Lily ne fu travolta. Fu travolta dalla vera essenza di James, il James Potter finalmente libero di darle tutto.
Si sentì accendere in ogni sua parte mentre quelle labbra e quella lingua la trasportavano in un mondo mai esplorato prima dove lei era la protagonista, dove quello che era e che poteva essere era giusto, compresi i difetti; un luogo dove lei era la cosa migliore che esisteva.
James Potter riusciva a toccare tutto di lei, non tralasciava niente.
Con quel bacio, Lily percepì tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti accarezzati ed amati con la stessa misura, la stessa intensità.
Si baciarono per un tempo lunghissimo nella penombra e segretezza degli alberi, senza lasciarsi mai, senza quasi prendere il respiro, senza aprire gli occhi perché non ce n’era bisogno, quello che amavano l’uno dell’altra era invisibile come la spilla con le iniziali di Lily e come il cervo che James nascondeva dentro ogni giorno.
Soltanto il largo sorriso euforico ed emozionato di lui riuscì ad allontanare quelle labbra che nessuno dei due aveva davvero pensato di vedere vicine.
«Adesso sì che ci sei riuscita, Evans» soffiò in un sussurro affannato James senza staccare la fronte dalla sua «Mi hai ucciso del tutto».
La guardò negli occhi, non riuscendo a vederla nitida nemmeno con gli occhiali. Aveva lo sguardo offuscato, James, completamente stordito come quello di Lily che gli sorrideva a pochissimi centimetri di distanza, gli occhi verdi spaesati ma abbagliati dal volto di James, seriamente simile a quello di uno zombie appena rinato.
James la sentì sorridere, però, il filo di voce tremante e bellissimo perché era stato lui a rubarle l’aria.
Ed era difficile crederci ma il suo corpo era totalmente stravolto, un lungo brivido continuava a sconquassargli la spina dorsale, il petto e le viscere, e non c’era niente di finto in quello, niente di già provato in sogno. Era un’emozione così forte e nuova da pizzicare dietro le palpebre, stringere la gola. Piangere, James pensò di star per scoppiare a piangere dalla felicità.
Per sicurezza le accarezzò con i pollici le guance arrossate, percependo la pelle punteggiata di lentiggini morbida e reale sotto i polpastrelli, inspirando il suo fresco profumo fiorito trasportato dai lunghi ciuffi di capelli rossi mossi dal vento, un profumo confortante come il verde dei suoi grandi occhi ridenti, luminosi e vicini come non li aveva mai visti. Si perse ad osservare la delicata e piccola curva del naso, quella più grande delle labbra: era Lily Evans in tutto e per tutto, era lei e la voglia di baciarla l’assalì un’altra volta.
Lo fece lentamente, sfiorandole le labbra, sentendole curvarsi sotto le sue. Carezze lievi che scatenarono esplosioni e scintille tutt’altro che pacate, vertigini travolgenti come terremoti mai provate prima da nessuno dei due.
Gli occhi si chiusero di nuovo, i respiri mancarono di nuovo per poi mischiarsi, di nuovo.
Di nuovo. Non c’era una parola o un’emozione adatta per descrivere quel ‘’di nuovo’’.
Era La Felicità in persona, quella, era avere tra le mani la cosa più preziosa che una persona potesse mai trovare nella vita.
Era la possibilità di poter sentire ogni volta che si voleva ogni parte di se stessi completa.
James non trovò nessun aggettivo adatto e non volle nemmeno trovarlo.
Continuò a baciarla, ignorando il suono acuto del suo fischietto proveniente dal campo.
Chiunque l’aveva portato alla bocca sapeva che avrebbe scatenato il putiferio e l’aveva fatto sicuramente apposta per attirare la sua attenzione e farlo correre la campo. Quel fischietto era suo e nessuno si era mai permesso anche solo di toccarlo con un dito.
Ma James in quel momento aveva ben altro tra le labbra e l’avrebbe volentieri regalato a chiunque, perfino Mocciosus, se soltanto gli avessero assicurato che così facendo le labbra di Lily sarebbero state sotto le sue per sempre.
«CAPITANO?! DOVE SEI?!».
Morgan. Alan Morgan. E chi altro poteva essere?
Lily sorrise divertita sulle sue labbra, James sospirò sulla sua lingua.
«SEI A TIMBUCTU, CAPITANO!?!».
Di nuovo il fischietto, di nuovo un altro bacio.
«”Devo andare”, non è vero?» mormorò divertita Lily imitando la sua voce.
James non le rispose, trattenendola tra le labbra.
«SEI A HONOLULU?! HAWAII?! SIDNEY, CAPITANO?!»
«SONO DOVE VOGLIO IO PERCHÉ, APPUNTO, SONO IL CAPITANO E RIMETTI A POSTO IL FISCHIETTO, MORGAN!».
Lily rise tra le grandi e calde mani di James che a quel suono delizioso riabbassò il volto per guardarla con occhi luminosi e ridenti, l’ampio sorriso a tradire un’emozione più grande di lui, di loro.
«Lei è un cervo troppo impegnato, Messer Ramoso» sentenziò ironicamente Lily portando le mani sulle dita di James ancora aggrappate al suo viso per liberarsi dalla sua dolce presa ed indietreggiare lentamente sull’erba con un’aria così furba da fargli inarcare un sopracciglio sopra la montatura degli occhiali rotondi e trattenere a stento un sorriso parecchio divertito, ancora più euforico.
«Credo che invece la Piovra Gigan…» continuò Lily indicando la direzione del Lago prima di scoppiare a ridere sentendosi prendere e sollevare di peso.
«No, non così, James!» gridò ridente dall’alto della sua spalla come se fosse un sacco di patate.
«Fammi scendere!» ordinò pizzicandogli la schiena e scoprendo un punto debole di James che la mise immediatamente giù, ridendo forte per il solletico.
Senza preavviso, se la ritrovò sulla schiena con le braccia attorno al collo e le gambe attorno alla vita che prese d’istinto per non farla cadere.
La folta cascata di capelli rossi svolazzanti lo inebriò proprio sotto il naso, facendogli socchiudere beatamente gli occhi dietro le lenti.
Girò il volto quel tanto che bastava per incontrare i verdi occhi lucidi e grandi, le labbra gonfie ed arrossate dai baci, dai suoi baci.
Era bellissima così sconvolta, così sicura di se stessa, così sua.
«Muoviti, cervo, al galoppo! Portami al castello!».
James sbatté le palpebre attonito per poi ridere di gusto, scoccandole un solo sguardo scaltro e divertito prima di cominciare ad avanzare sull’erba, sempre più veloce.
«L’hai voluto tu, cerva!».
La successiva forte risata di Lily arrivò fino al campo di Quidditch e al Castello, trasportata dal più mite vento di marzo.
Nessuno immaginò che la causa di quel suono intriso di felicità era James Potter.
Nessuno immaginò che Lily Evans se ne stava aggrappata stretta alla schiena di James Potter lanciato in una corsa folle lungo il pendio erboso, luminoso di sole e sorrisi sinceri.
Nessuno immaginò che Lily Evans e James Potter stavano finalmente insieme.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 



«Ragazzi, davvero, cos’è tutto questo?»
«Remus, davvero, vai a farti un giro e non rompere».
Sirius gli afferrò le braccia per spostarlo in modo tale da poter passare per andare a recuperare la cassa di Burrrobirre in fondo alla Sala Comune invasa da festoni e cibo come una piccola Mielandia durante le feste.
«Auguri, Lupin!» esclamò una deliziosa bambina bionda del primo anno passando accanto alla poltrona sulla quale Remus aveva deciso di morire.
«Grazie» fece lui, sorridendole affabile.
«Cosa ringrazi!?» sbraitò Sirius dal tavolo delle bevande «Ti ha appena regalato dieci anni di sfiga!»
«Felpato…»
«Ehi, tu, riprenditi gli auguri!».
La bambina spalancò gli occhi chiari, spaventata dal tono del ragazzo.
«Il suo compleanno è domani, porta sfortuna fare gli auguri prima» continuò Sirius puntandola con sguardo serio.
«E perché allora la festa è oggi?» chiese giustamente la bambina arrossendo vistosamente.
«Ah, l’ingenuità del primo anno…»
«Sirius, basta». L’occhiata fulminante non funzionò. Remus si chiese come mai con la vecchiaia stesse perdendo la sua autorità quando di solito succedeva il contrario.
«A lui non piace stare sveglio fino a tardi, soprattutto se c’è lezione il giorno dopo» si limitò a spiegare pigramente Sirius sistemando alcune bottiglie «Facciamo la festa oggi perché così è costretto a stare sveglio fino a mezzanotte e tutte le ore successive fino a quando uscirà la torta».
Remus restò impassibile sulla poltrona, consapevole della cosa da ben sette anni. Aveva smesso di chiedere il perché la sua torta era l’unica, tra quelle dei Malandrini, che compariva soltanto alle tre del mattino.
«Ok, allora mi riprendo gli auguri» pigolò l’undicenne rossa in volto per la vicinanza del ragazzo che attraeva lei e le sue amiche da mesi oppure per la brutta figura appena fatta con l’altro Malandrino.
«Brava» le sorrise Sirius facendole un occhiolino che peggiorò soltanto la situazione delle sue guance.
Remus sospirò, esasperato.
«Lascialo perdere e grazie ancora» le disse con sguardo sinceramente riconoscente osservandola sorridergli, salutarlo con la mano e scappare via.
«Vuoi finire ad Azkaban, Felpato?»
«Non volevo mica rimorchiare davvero, Lunastorta, non sono un pedofilo».
«Intendevo che questa cosa di aggredire chiunque mi faccia gli auguri oggi mi porterà a spedirti dai Dissennatori, alla prossima» fece Remus arcuando un sopracciglio «Prova a rifarlo e vedrai»
«Mi preoccupo solo per il tuo futuro. Non c’è di che, amico, davvero. Smettila di ringraziarmi».
Remus gli lanciò un’occhiataccia mentre una furia dai capelli biondi li raggiungeva.
«Fate salotto durante i preparativi di una festa?!» li rimproverò Mary fermandosi tra loro con il caschetto più spettinato di cinque minuti prima.
«Mary…»
«Remus, tu non devi toccare nemmeno una Cioccorana, te l’ho già detto. Cos’hai in tasca?!»
«Niente, giuro! Ma posso parlarti adesso?»
«Non vedi che sono impegnata?» esclamò lei facendo oscillare due enormi e pesanti buste di cartone cariche di cibo mentre Remus si affrettava a raggiungerla per aiutarla.
«No, vai a sederti, non spetta a te aiutarmi oggi» lo allontanò lei con il tono di chi non ammette repliche ma Remus si chinò velocemente su di lei per lasciarle un intenso e giocoso bacio di ringraziamento sulla guancia, facendola sorridere.
«Sirius, tu invece muovi quelle chiappe da lì e prendi quel cesto!»
«Non posso, MacDonald, ormai queste chiappe le muovo soltanto per una persona»
«Per Merlino, Felpat… Mary, NO! Gli fai male!».
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
«No, Mike, sarà meglio evitare perché poi non…»
«BLA, BLA, BLA, BLA!».
Liv, a parte sentirsi zittire dall’alta voce entusiasta di James alle sue spalle, percepì due braccia sollevarla da terra con forza sorprendente.
«OGGI ALLENAMENTI BREVI!» esclamò James ad un centimetro dal suo orecchio.
Liv rise toccando terra subito dopo per poi venire trascinata in uno scoordinato tango improvvisato dalle stesse mani che l’avevano tenuta stretta pochi istanti prima.
«Qualcosa mi dice che quello che dovevi fare nella Foresta è andato bene» rise ancora lasciandosi guidare da quei matti movimenti al ritmo di una buffa musica inventata dalla voce ridente di James.
«Esatto» le rispose lui. E Liv notò soltanto in quel momento il viso di James, i suoi occhi, il sorriso, i capelli, il rosso delle guance. Tutto in lui sembrava scoppiare di vita, felicità, emozioni incontenibili.
Sentendo un immenso calore nascere nel petto, Liv fermò il ballo buttandogli le braccia al collo ed abbracciandolo forte.
«Grazie» le sussurrò James all’orecchio, ricambiando subito la stretta.
«Ehi, si può sapere che succede?» esordì Daisy con aria stranita e perplessa come la maggior parte del resto della squadra.
«Avevi detto niente storie tra compagni di squadra, James» gli ricordò Harrison piuttosto interdetto e stupito. Ma James era chiaramente su un altro pianeta.
«Dov’è?» chiese Liv sciogliendo l’abbraccio.
«L’ho accompagnata al castello e poi sono corso qui» rispose lui, il sorriso ancora più largo e la luce negli occhi nocciola ancora più brillante. Liv sorrise di riflesso, guardandolo immensamente entusiasta per lui.
«Bene!» fece James rivolgendosi a tutti battendo forte le mani «Vediamo di muoverci! C’è la festa di Remus che non può aspettare!»
«Sì, certo, solo la festa di Remus…» gli mormorò Liv dandogli una gomitatina tra le costole.
James le lanciò un’occhiata complice e divertita, spingendola giocosamente di lato prima di chinarsi a prendere il baule con Pluffa, Bolidi e Boccino.
                                                                         
 
 
 
*
 

 
 
 
 
 
 
 
Lily mise piede in Sala Comune con un sorriso accennato. Restò a guardare i lunghi fili di bandierine colorate che attraversavano da una parte all’altra il soffitto rosso e oro, pensando di non aver mai visto quella stanza più bella di così in sette anni passati per la maggior parte lì dentro.
In realtà, ogni cosa che le passava davanti agli occhi le sembrava più bella del solito, perfino Pix che aveva provato a tirargli boccette d’inchiostro in testa mentre saliva la scala al quarto piano.
I compagni di Casa le passarono accanto puntando con sguardi straniti e divertiti i rossi capelli sconvolti dal vento e dalle mani di James. Dalle mani di James. Era successo davvero?
«Allora?! Cos’è successo?!» pigolò Mary facendola sussultare con il suo arrivarle alle spalle alla sprovvista. Il volto radioso e curioso dell’amica ad un centimetro dal suo naso la fece ridere o forse era quella costante sensazione all’altezza dello stomaco che continuava a farle il solletico alle viscere?
«Il Grande Cacciatore bacia benissimo» sentenziò aspettando la reazione di Mary che arrivò all’istante.
Il piccolo grido le trapassò il timpano più vicino alla bocca aperta di Mary che le scoccò un sonoro bacio sulla guancia mentre mollava lo scatolone su una poltrona per stringere forte lei.
«È un Animagus» mormorò Lily tra le sue braccia, gli occhi a scintillare dietro i corti capelli biondi sopra la spalla dell’amica.
«Lo so!» squittì Mary, stringendola ancora più forte per farla dondolare giocosamente sul posto.
«So che lo sai, me l’ha detto» rise piano Lily.
«E?»
«E…». Lily sospirò pesantemente senza abbassare il sorriso.
Mary, sciogliendo la stretta, lesse tutto nel suo sguardo abbagliante, spaesato e stordito in modo decisamente positivo.
«Non ci sono parole, vero, so anche questo» parlò per lei Mary, stringendole le mani e sorridendole affettuosamente, euforica. «Sappi che acconsento a te e James insieme, sia chiaro! Non c’è nessuno migliore di James Potter come pretendente per una delle mie migliori amiche».
Lily annuì, dandole mentalmente ragione, la curva delle labbra sempre più sollevata.
«E Sirius, ovviamente» continuò Mary dando sfogo al suo lato più logorroico dovuto sicuramente all’ansia per la riuscita o meno della festa di Remus.
«Dici che adesso potrò dirlo anche a Liv che Sirius è il pretendente migliore per una delle mie migliori amiche e che sono d’accordo nel vederla insieme a lui? Se quel cretino non si sbriga a rivelarle la verità lo ucciderò con quell’abbraccio che non mi ha voluto dare quando sono andata a ringraziarli per tutto quello che fanno per Remus».
Lily rise. Il luminoso sorriso sempre sollevato si abbassò soltanto quando, minuti dopo, la Sala Comune cominciò a riempirsi e le scale del dormitorio femminile iniziarono ad attirare le sue gambe come una calamita.
Tutta quella gente, quelle persone, i loro compagni di Casa l’avevano vista per sette anni gridare contro James tra quelle poltrone, insultarlo nel peggiore dei modi, lanciargli fatture da una parte all’altra della stanza, giurare davanti a tutti di odiarlo, di preferire la Piovra Gigante.
Rispondendo al saluto caloroso di Elizabeth Johnson, Lily si accorse che appena James avrebbe messo piede lì dentro lei sarebbe apparsa ai loro occhi come la persona più incoerente della terra.
Smettere di credere di odiare James, smettere di pensare che in nessun universo le sarebbe piaciuto James Potter faceva apparire la sua vita priva di qualsiasi nesso logico e spaventava, spaventava vedere la sua vita prima di nessi logici, di significato. Faceva paura non riconoscerla più.
Senza ragionare, s’intrufolò tra la gente entusiasta per la festa, tra poltrone occupate e braccia che si scambiavano bicchieri, vassoi, piattini colmi di cibo.
«Yoko».
Quella voce le fece serrare gli occhi.
«Oh, no, ti prego» mormorò più a se stessa che a Sirius, dietro di lei. «George» si limitò a rispondergli in tono piatto riaprendo gli occhi per non andare a sbattere sulle persone.
«Dove stai andando?»
«Dove non puoi seguirmi, George»
«Mi devi due Galeoni per la storia di George, a proposito».
Lily sentì una mano di Sirius afferrarle un gomito, trattenendola sullo stipite della porta alla base delle scale.
«Bastava dirlo subito» fece lei voltandosi e ritrovandoselo davanti, lo sguardo grigio stranamente attento e serio, quasi minaccioso forse per gli esagerati centimetri che separavano le loro altezze.
«Ma giuri di lasciarmi in pace dopo che te li avrò dati?»
«Non voglio i tuoi Galeoni, Yoko»
«Solo per sapere…Quanto accidenti hai già bevuto?»
«Al posto dei Galeoni voglio che tu stia qui giù invece di salire in camera tua per evitare John»
«Non voglio salire in camera per evitare John»
«Ah no? Eppure quest’aria losca che hai attorno dice chiaramente questo»
«Non mi aspettavo altro da te, George, sinceramente…» rise lei, facendo per salire le scale ma la mano di Sirius la trattenne ancora.
«E allora devi salire in camera a fare cosa?»
«A farmi gli affari miei. Dovresti imparare anche tu, caro»
«Se salirai in dormitorio, Yoko, dimostrerai a tutti di essere la persona più incoerente, codarda ed arida del pianeta»
«Stai diventando Paul, George, vuoi continuare sul serio?»
«Ti ho avvisata, Ono».
Lily rimase piantata lì, da sola ed in silenzio, alla base delle scale femminili che non la allettavano più perché Sirius aveva ragione.
Ufficializzare era più difficile, spaventoso ed assurdo di quanto aveva pensato. Lei e James si erano baciati in un modo che non lasciava spazio ad interpretazioni o dubbi. Lei e James si volevano, si piacevano, stavano insieme.
Stavano insieme ed era come vedere un’altra Lily camminare, parlare, sorridere, respirare al suo posto; una Lily che aveva sempre assicurato a tutti non potesse esistere eppure era una ragazza in cui si riconosceva in tutto e per tutto quella Lily libera, sicura, forte e felice che in quel momento della sua vita la rispecchiava perfettamente.
Era cresciuta, era cambiata, quella era la vera Lily Evans diciottenne con tutte le sue convinzioni e i suoi pregiudizi completamente ribaltati, ad un passo dal buttarsi in una guerra in cui tutto sarebbe apparso senza senso, effimero e diverso dal mondo in cui era abituata a stare.
Lily capì che quel ribaltamento di false sicurezze era stata la cosa più fortunata che le fosse mai capitata perché James Potter appariva come l’unico pilastro solido in quel futuro incerto ed in tempesta.
Non riconosceva più la sua vita, era ancora così, ma esclusivamente quella vecchia perché James gliene aveva regalato una nuova in cui lei sentiva di starci alla perfezione.
Ed era davvero da incoerenti, codardi ed aridi scappare da tutto quello. Era da incoerenti evitare la persona che faceva sentire felici, da codardi nascondersi a tutto il resto del castello, da aridi lasciare al vento l’immenso amore che James riservava soltanto a lei e che nella Foresta aveva cercato di trasmetterle con un bacio meraviglioso.
Ritornò lentamente in Sala Comune sotto il lontano sguardo compiaciuto di Sirius che brindò a lei con un bicchiere per aria rivolto nella sua direzione, sopra le teste in movimento di tutti.
Rimase di nuovo piantata al pavimento cercando di capire quando, di preciso, Sirius Black aveva cominciato a capirla nel profondo e ad avere il potere di farle cambiare idea ed umore in pochi secondi.
Ma mai quanto James. James che semplicemente entrando nella Sala Comune invasa dalla musica, dalle risate e dalle chiacchiere le accelerò il cuore all’istante.
Con la squadra al seguito ed una ridente Liv al fianco, James si fermò per perlustrare con impazienza la Sala attraverso uno sguardo brillante ad ingrandirgli gli occhi nocciola dietro le lenti rotonde. Trovò quasi subito quelli verdi altrettanto luminosi, già puntati su di lui mentre sparivano e ricomparivano dietro le persone intente a mangiare e parlare, in movimento al ritmo della musica, in festa. E a quel contatto di sguardi, due sorrisi emozionati esplosero all’unisono sul volto di entrambi.
«Ehi, Ramoso, la tua Nimbus sta bruciando nella stufa» esordì in tono scherzoso Sirius, intrecciando le dita con quelle di Liv che rise divertita.
James parve non sentirlo nonostante ce l’avesse attaccato all’orecchio per sovrastare i Beatles. Non si mosse per non distogliere lo sguardo da quello deciso e splendente di Lily, in piedi davanti allo schienale del divano.
«James, Mocciosus sta andando in giro a dire che siete stati insieme una notte al quinto anno».
James non ascoltò le assurdità di Sirius, cominciando a camminare verso di lei nello stesso momento in cui Lily cominciò ad avanzare verso di lui.
 «James, il capitano dei Puddlemere sta aspettando una tua risposta al suo invito di entrare in Nazionale. Ma devi rispondergli adesso altrimenti sarai fuori per sempre, è un tipo rancoroso! Mi hai sentito?».
Qualsiasi cosa avesse detto Sirius non gli importava, e Sirius lo sapeva bene.
A James non gli importava di niente perché poteva anche cascargli il tetto in testa ma Lily Evans sarebbe rimasta l’unica cosa importante in quel momento e niente poteva fermarlo, adesso, neanche il pouf rosso e oro in mezzo a quel metro di distanza che lo separava da lei e che stava letteralmente divorando con falcate decise, impazienti.
Ci salì sopra e saltò giù subito dopo trovandosi quasi addosso a lei. Le prese la testa tra le mani baciandola con impeto e Lily, perdendo l’equilibrio all’indietro, si aggrappò al suo maglione senza staccare le labbra dalle sue mentre un frastuono di voci sorprese ed incredule scoppiò nella Sala Comune.
Tra la gente in visibilio c’era Mary con una mano al cuore accanto ad un Remus spaesato ed un Peter euforico, Liv stordita si resse al braccio di Sirius che sputò senza volerlo tutta la Burrobirra addosso a delle ragazzine davanti a loro perché vederli con i loro occhi faceva tutto un altro effetto.
Ma per Lily e James non c’era nessuno. C’erano soltanto le mani di James tra i capelli rossi e quelle di Lily sul maglione della divisa maschile, c’erano le labbra che si muovevano all’unisono, perfettamente in sintonia.
Entrambi non sentirono assolutamente niente del vociare attorno, proprio come sotto gli abeti della Foresta Proibita. I loro cuori raggiunsero un nuovo record di velocità.
 
 
 
 
*
 




 
«Ehi, perché sembriamo di meno rispetto a due ore fa?» chiese Remus con il collo allungato oltre la spalliera della poltrona.
«Perché una ventina di ragazze è salita in camera a piangere per James e Lily» gli rispose con nonchalance Mary buttandosi nel piattino una manicata di patatine.
«Dalla contentezza?» chiese Peter allungando il bicchiere vuoto.
«Credici, Codaliscia» fece Sirius riempiendoglielo con della Burrobirra dal colore ed odore leggermente alterato.
«Forse avremmo dovuto dare la notizia in un modo meno sconvolgente…» commentò Lily dal divano sollevando lo sguardo leggermente preoccupato verso i dormitori femminili.
«Scherzi, Lily? Quello è il modo più giusto per far sapere a tutti di stare insieme!» esclamò allegramente James seduto accanto a lei posando il bicchiere sul tavolino già colmo di piattini per scattare in piedi «Andiamo a ballare, ci sono i Queen!».
Lily afferrò la mano davanti a sé che la tirò verso l’alto, sollevandola dal divano. Perché a Bohemian Rhapsody non si poteva resistere e a James Potter nemmeno.
«Dov’è finita Olivia?» chiese Sirius lasciando distrattamente sul divano la bottiglia che Remus prese al volo evitando di inzuppare d’alcool cuscini vecchi di secoli.
«A prendere da mangiare» gli rispose Mary buttandosi sul divano per prendere i posti migliori appena lasciati liberi.
Sirius annuì puntando il serio profilo verso il tavolo del cibo. Il suo volto rilassato cambiò totalmente espressione in meno di mezzo secondo.
«Cosa cazzo ci fa Stevens qui?!»
«È nostro amico»
«Tuo amico, Macdonald!»
«Anche mio»
«Non dire idiozie, Remus, non ci hai mai parlato!»
«Ci parlo spesso invece»
«Quando vai a prendere lei a lezione con i mostri!»
«Rimangiati subito quello che hai detto, mostro!»
«Quello non è parlare con un amico è parlare con un conoscente incontrato in strada o un vicino di casa fuori in cortile! Non ci fa niente alla festa
«C’era anche per quella di Lily…»
«Ma a quella di Remus non ci fa niente, MacDonald!»
«Sei geloso, Sirius?» chiese a bruciapelo Remus.
«Cosa!? Ah, bella questa!»
«Allora che problema c’è se Liv parla con lui mentre si riempie il piatto di cibo?»
«Nessuno»
«Cosa ti cambia la sua presenza alla festa?»
«Niente! Ok!» sbottò piuttosto nervoso Sirius spalancando le braccia.
«Bene, nessun problema allora» sorrise Remus trattenendo una risata.
«Infatti»
«La tua faccia suggerisce che ce ne sia uno, invece, bello grosso pure»
«Me ne starò qui, perfettamente rilassato» annunciò Sirius incrociando le braccia al petto.
«Ottimo» sentenziò gioviale Remus.
«Non sembri perfettamente rilassato, sai?» gli fece sapere Peter guardandolo dalla poltrona con aria piuttosto perplessa.
«Non sono geloso»
«Mh mh»
«Dico sul serio, Remus»
«Mh mh»
«Olivia è mia, lo sa lei e lo sanno tutti»
«Mh mh»
«Sono decisamente migliore di Stevens»
«Mh»
«Cosa?»
«Cosa?»
«Hai fatto solo un mh»
«E allora?»
«E allora… ah, lascia perdere, non mi metterai dubbi»
«Mh mh»
«Mi fido di lei»
«Ooh» s’intromise Mary guardandolo sorridente, sinceramente intenerita «Questa è una cosa molto carina da dire».
Sirius si limitò a scoccarle una cupa occhiata di sottecchi restando perfettamente immobile nella sua posizione minacciosa fino a quando non sbottò di nuovo proprio mentre Peter pensò di veder volere via il suo ginocchio che aveva mosso avanti ed indietro sempre più veloce, nervoso, per tutti i dieci minuti precedenti.
«Quanto ci vuole a riempire un piatto, scusate?!».
Mary rise sottovoce dietro il tovagliolo di carta mentre le labbra arricciate di Remus e Peter non riuscirono più a trattenere il sorriso divertito.
«Non lo so» fece Remus aggrottando le sopracciglia per fingere assorta serietà «Forse si è portata dietro quello di Hagrid?».
L’occhiataccia che Sirius gli rivolse lo fece scoppiare del tutto.
                                               
 
 

 
*
 

 
 
«Siamo una coppia, Lily»
«Siamo una coppia, James, di ballerini»
«Ovvio. Ballerini piuttosto bravi oserei dire, guarda qua!»
«Oso dirlo anch’io!»
«E nella Foresta che tipo di coppia eravamo? Così, tanto per sapere»
«Una coppia di cretini. Una coppia di cretini attratti della persona che per sette anni è stata quella meno probabile a diventare la cosa che è adesso»
«Mi piace essere anche questo tipo di coppia, sai?» rise anche con gli occhi, James, facendole muovere la braccia a ritmo.
«Anche a me piace» fece Lily nel sorriso più grande e genuino che lui le avesse mai visto. Era bellissima.
«Credo che per spargere a tutta la scuola la notizia della nostra cretinaggine di coppia ci vorrà un modo ufficiale adatto alla nostra storia» propose James appena una ridente Lily atterrò sul suo petto dopo una giocosa giravolta.
«La notizia si spargerà a colazione con il primo Grifondoro che metterà piede fuori di qui, domattina. Oppure qualcuno è già sgattaiolato via, chi manca?» rispose lei alzandosi in punta di piedi per allungare il collo oltre la sua spalla.
«Vieni a Hogsmeade con me, sabato?».
Lily fermò la ricerca dei menestrelli pettegoli ed anche il ballo, riportando il volto immobile davanti a quello radioso di James che continuò a parlare senza lasciarle le mani.
«Senza scopa, niente foresta. Ci incontriamo davanti al portone d’Ingresso come tutti gli altri».
Il sorriso che stirò le morbide labbra di Lily gli fece mancare un battito del cuore. Gli tremarono le gambe, aveva aspettato quel momento per anni, ed era stupido, lo sapeva. Il fatto che gli tremassero le gambe era stupido. Stavano insieme, si erano baciati e allora perché quell’agitazione per un semplice…
«Sì, James».             
Fu più estasiante di qualsiasi altra cosa. La baciò di slancio mentre attorno a loro braccia, teste e gambe continuarono a muoversi con la musica. Tutte a parte quelle di Michael Cooper che con fare circospetto e spaesato si appoggiò alla spalla altrettanto ferma di Sirius.
«Per Godric, Sirius, devo davvero aver esagerato con il Whisky, continuo a vedere James e Evans insieme…»
«Non sei ancora marcio, Mike, è la pura e nuova realtà» lo rassicurò lui battendogli una mano sulla schiena da portiere prima di mollarlo e girare il viso verso la coppietta.
«SIETE ADORABILI MA NON VORREI CHE QUESTA COSA DIVENTASSE UN’ABITUDINE» gridò sopra un assolo di chitarra.
«QUALE COSA?» replicò James.
«ESSERE FISICAMENTE PRESENTE NEI MOMENTI IMPORTANTI DELLA VOSTRA VITA. O MEGLIO, È OVVIO CHE VOGLIO ESSERE PRESENTE NEL SENSO DI VIVO MA NON ATTACCATO A VOI COME ADESSO. NON SO SE MI SPIEGO E SICCOME VOGLIO ESSERE PIÙ CHIARO POSSIBILE VI FARÒ UN ESEMPIO: QUANDO AVETE INTENZIONE DI FARE SESSO PER LA PRIMA VOLTA AVVISATEMI CHE VADO A FARMI UN GIRO».
James rise di gusto e Lily invece gli diede una forte pappina sulla nuca coperta dai lunghi capelli neri.
«Tu che cosa stai facendo appostato in mezzo alla pista da ballo senza ballare?!»
«Io sto ballando, Evans» replicò Sirius agitando a caso e soltanto in quel momento braccia e gambe, facendola scoppiare a ridere.
«Sì, molto spiritoso» commentò James «Stai fissando il tavolo del cibo, Felpato. Scommetto che quella testa mora vicino alla bionda di Stevens è Liv»
«Ah, Evans» cambiò argomento come se niente fosse, Sirius «io ti chiamo Yoko Ono ma non pensare assolutamente di fare quello che ha fatto lei»
«Ma cosa…?» provò a dire James, piuttosto confuso soprattutto dall’espressione ridente di Lily in risposta.
«Messaggio ricevuto, Paul» rispose infatti lei scoccando un complice occhiolino a Sirius che ricambiò il gesto prima di riportare il profilo al tavolo delle patatine. Vedendo la testa di Ned di nuovo solitaria, si allontanò da loro per andare alla ricerca di Liv.
«Lily?»
«Mh?»
«Hai segreti e accordi con Felpato?»
«Diciamo di sì, più o meno».
L’espressione indecifrabile di James la portò a strisciargli giocosamente tutte le dita di una mano davanti alla faccia, come per scacciare via la sua velata preoccupazione.
James rise, afferrandogliele. Ebbe l’istinto di baciarle e lo fece, beandosi del rossore che subito invase le guance di Lily e di quella sensazione di invincibilità che era scoppiata dentro al petto appena aveva messo in pratica il suo desiderio senza trattenersi. Non doveva più trattenersi, era libero di amarla e nessun’emozione già vissuta era paragonabile a quella.
«”Yoko Ono”» borbottò con sconcerto sistemandosi gli occhiali che la dolce manata gli aveva fatto scivolare sulla punta del naso.
«È un idiota» commentò Lily in un sorriso divertito, arricciando il naso «Non potrei mai separarvi. Chi ti sopporterebbe tutto il tempo, sennò?»
«Ehi!».
Una ridente Lily lo zittì con un bacio e James si auto dichiarò Il Ragazzo Più Felice Della Terra, sentendosi così per davvero.
 
 


 
*

 




«Ehi» mormorò Sirius all’orecchio di Liv che sussultò sentendo due mani avvolgerle i fianchi da dietro «Dov’eri finita?»
«A prendere tutto questo ben di Dio» gli rispose lei in un sorriso, lasciandosi baciare piano la guancia «Hai fame?».
Sirius annuì allungando le lunghe dita verso il piattino che Liv gli porse per afferrare una manciata di patatine.
«Ci hai messo tanto» buttò lì lui prima di ficcarsi in bocca tutto senza lasciare la presa possessiva della mano ancora sul fianco di Liv che accennò una risata.
«Ti sono per caso mancata?» scherzò lei, lanciandogli un’occhiata di traverso da sopra la spalla orami ricoperta di briciole.
«Certo che no» si affrettò a dire Sirius abbassando leggermente le palpebre per guardarla in modo assolutamente impassibile.
«Ci ho messo tanto perché mi sono fermata a parlare con Ned» spiegò sincera Liv voltandosi del tutto verso di lui, stupendosi per il largo sorriso che Sirius le regalò senza riuscire a capire perché «è stato un sollievo vedere che non è arrabbiato o offeso. Mi sono anche ricordata del libro sui Cercatori che mi ha prestato mesi fa, devo restituirglielo. Ricordamelo doman…». Le labbra di Sirius sulle sue spensero la sua voce.
«Foto!» gridò Mary sbucando dalla folla.
«Mi sei mancata» sussurrò Sirius sulla pelle umida di baci prima di girarsi verso la polaroid davanti a loro che li accecò con un flash catturando il largo sorriso di Sirius e il profilo sorpreso di Liv rimasta a guardarlo con sguardo stordito. Sorrise apertamente sentendo le guance farsi vergognosamente bollenti mentre lo stomaco di entrambi si attorcigliava senza apparente motivo.
 
 
 
 
*
 
 
 
Erano le tre precise quando la torta apparve sotto il naso di un Remus stranamente non stanco, esasperato, scocciato.
Perché se n’era reso conto, Remus, che quello non era un compleanno come gli altri.
Quello era l’ultimo, l’ultimo con la mente totalmente sgombra da paure ed ansie; l’ultimo totalmente al sicuro, circondato da persone e festoni, musica, luci, quattro mura e un tetto impossibili da buttare giù.
Era il suo diciottesimo compleanno e sentiva tutto il peso della maggiore età babbana, Remus, delle responsabilità che lo aspettavano. Era un compleanno che pesava di tutti quelli passati ed era un peso dolce ed amaro al contempo. Era un compleanno prezioso come il coperchio d’argento di un portagioie che racchiude e mette al sicuro tutte le cose più belle, quelle che di solito si ottengono da bambini o da adolescenti. La vita da adulti ti regala ben poco.
Quel compleanno chiudeva tutto e Remus lo sentiva, quel tutto. Erano una marea di ricordi lì a Hogwarts, casa sua e Londra, ovunque era stato con i Malandrini.
Era un compleanno che gli ricordò quanto era fortunato, quanto gli sarebbe mancato ricevere una torta alle tre del mattino in Sala Comune, con la cravatta Grifondoro al collo e una confortante vita scandita dalle lezioni, non allo sbando.
Remus restò a guardare quella torta al cioccolato, le candeline accese, il traballante ‘’Buon Compleanno, Lunastorta” scritto con la panna da Peter, desiderando fossero le dieci di sera per ricominciare tutto da capo, aspettare la torta, restare sveglio fino all’alba, aggrappato a quel confortante momento. Ma lui era l’unico che sapeva davvero cosa voleva dire non poter fermare il tempo, non poter sfuggire alle cose brutte che alla fine arrivano sempre, come la luna ogni mese.
«ADESSO POTETE FARGLI GLI AUGURI, GENTE!».
Il grido di Sirius echeggiò per l’intera Sala Comune sopra la musica, seguito da un ancora più rumoroso coro scoordinato ma festoso di auguri.
Remus sorrise largamente, lo sguardo ambrato fermo su James, Sirius e Peter che smisero di cantare per sorridergli all’unisono.
Aveva un unico desiderio, uno solo.
Chiuse gli occhi lucidi e soffiò sulle candeline, i volti dei suoi migliori amici impressi in mente.
Con loro accanto, il coperchio di quel portagioie si sarebbe sempre aperto e richiuso in continuazione, anche in guerra.
Vederli sempre uniti era tutto ciò che Remus chiedeva a quelle diciotto fiammelle che si spensero in tanti fili di fumo e uno scrosciare di appalusi.
 
 

 
*
 


 
«Mary» la chiamò Remus facendosi spazio tra le persone. Arrivandole vicino le posò le mani sulle spalle sotto il caschetto biondo che si mosse mentre la ragazza si voltava verso di lui con un sorriso radioso sul volto delicato.
«Ma non starai ballando un po’ troppo?» esordì Mary scoppiando a ridere insieme a lui, passandogli una mano tra i disordinati capelli leggermente sudati.
«Sono Peter, James e Lily che mi trascinano!» fece Remus lasciandosi accarezzare da quelle mani che sentiva ormai familiari sulla pelle.
«A proposito di Lily, mi ha detto che gli hai chiesto come sto e le sei sembrato parecchio preoccupato».
Remus s’irrigidì.
«Sei uno stupido, Lupin» rise Mary prendendogli entrambe le mani per stringerle continuando a guardarlo negli occhi con intensità. «Capisco perché non hai risposto al mio ‘’ti amo’’. Non ci sto male, davvero, so benissimo che dirlo comporta darsi completamente all’altro e tu non sei ancora pronto a darmi anche il lupo, non del tutto»
«Mary» cominciò Remus con il cuore in gola ma lei, sollevandosi sulle punte delle scarpe, lo zittì con un dolce bacio sulle labbra prima di aggrapparsi al suo collo ed abbracciarlo stringendosi forte a lui.
«Ti aspetterò, come ho sempre fatto» sentenziò al suo orecchio in un sussurro più forte della musica e del chiasso attorno.
Le lunghe braccia di Remus l’avvolsero all’istante, forti e protettive, riconoscenti e tremanti di paura, la paura di creare qualcosa di davvero serio con Mary, di dare aspettative e fare promesse a lungo termine perché lui non se lo poteva permettere, perché il lupo non glielo permetteva.
«Vieni, ti devo dare il mio regalo» fece Mary sciogliendo l’abbraccio per portarlo via dalla massa di gente in movimento.
«Un altro?» rise Remus, lasciandosi trascinare «Il cesto con tutti i tipi di cioccolato di Mielandia era già il massimo!»
«Decido io qual è il massimo, Remus! Muoviti!».
Passarono accanto a James e Lily che parlavano vicini accanto alla finestra e poi davanti al tavolo sopra il quale Sirius teneva sollevato un braccio di un Peter rosso come un pomodoro.
«SIGNORE, AFFRETTATEVI! L’ULTIMO MALANDRINO RIMASTO!»
«Sirius, ti prego…»
«EDUCATO, SIMPATICO, GALANTE, OTTIMO CUOCO, NASCONDE DELLE DOTI CHE VI SORPRENDERANNO COME NESSUNO VI HA MAI…»
«Sirius!»
«EHI, TU! SEI INTERESSATA?! QUANTO OFFRI?!»
«Felpato…»
«UN GALEONE?! NAH, PETER VALE MOLTO DI PIÚ! COME DICI, TU?! DIECI?! MH, COMINCIAMO A RAGIONARE… VENTI?! CHI L’HA DETTO!? AGGIUDICATO ALLA BIONDINA LÁ IN FONDO! FORZA, PETER, COSA ASPETTI?! VAI!».
Liv se la rideva dal divano. Seguì con sguardo divertito Peter raggiungere incerto e rosso come un peperone la ragazza e poi Sirius scendere dal tavolo con un agile salto per dirigersi verso di lei.
«Sono un coglione?» commentò ridente quando le fu davanti, forse leggendole l'espressione stampata sul viso e togliendole le parole di bocca.
«E mi piaci» completò la frase Liv restando a scrutare gli occhi grigi davanti farsi istantaneamente intensi su di lei e un sorriso diverso spuntare poco sotto.
. Sirius poggiò le mani sullo schienale del divano sul quale Liv era poggiata per chinarsi su di lei e baciarla, occhi chiusi e labbra vigorose.
Era per quel motivo che si era spinto oltre con lei, nonostante la paura che per sei anni l'aveva fatto arretrare ogni volta che si era ritrovato troppo vicino a lei: poteva essere se stesso, stava con lei eppure era libero.
Liv sorrise sotto quelle labbra che davano dipendenza, irruente e dolci al contempo.
«Che c'è?» sussurrò quando il volto di Sirius si fece visibile a pochi centimetri di distanza lei, l'espressione distesa e lo sguardo immerso in lei colmo di qualcosa d'indecifrabile ma percepibile, così denso e genuino da sentirlo addosso.
«Niente» mentì Sirius rifuggendo quel mistero spaventoso eppure bellissimo mai conosciuto prima e che in realtà racchiudeva il contrario del niente; era un tutto che lo attirava irrimediabilmente a lei senza farlo sentire costretto, rinchiuso, prigioniero.
Si chinò a baciarla ancora assaporando il suo labbro inferiore, assaporando la paura
fargli tremare le viscere.
Sorrise sentendo il basso mugolio soffiato di Liv tra le labbra, soffocato dal chiasso dei loro compagni in festa e da un altro suo bacio. Quando le lasciò la bocca rossa e gonfia, Sirius si umettò le labbra percependo sulla pelle umida anche la sua paura e la sua voglia di provare ardenti in egual misura.
«Stavo pensando di rimettere in moto l’auto di mio padre» disse Liv dopo che Sirius le lasciò istintivamente un ultimo bacio sulla punta del naso facendola arrossire e sorridere, prima di sedersi al suo fianco sui morbidi cuscini.
«Sai guidare?» le chiese prendendole le gambe, fino a quel momento intrecciate all’indiana, per metterle di traverso sulle sue.
«Mi ha insegnato, sì, ma non ho la patente» rivelò Liv osservando la smorfia divertita apparsa sul volto di Sirius alla parola “patente”.
«Scappare dagli agenti su quattro ruote è diverso che farlo su due, motociclista illegale» gli fece notare lei sbefeggiandolo scherzosa. E lui rise con un’altra attraente smorfia che attirò le istintive carezze di Liv. Sirius restò spiazzato ad assorbire quei tocchi sul suo viso, prima di rispondere; lasciavano scie calde e rassicuranti sulla pelle e anche sul cuore.
«Hai ragione, questo è vero, accidenti. Ti toccherà davvero prendere la patente, volpe»
«Sembrerò la tipica britannica anni ’50 tornata dal passato…» sospirò Liv facendo scivolare lo sguardo e le dita dalla fronte allo zigomo di quel bel volto che le apparteneva, giorno e notte.
«Scherzi? Sembrerai una riccona» esclamò sottovoce Sirius stringendo la presa sulle sue ginocchia e mordendo giocosamente l’indice di Liv arrivato sulle sue labbra, facendola ridere sottovoce. «Quel modello, Olivia, vale già un bel gruzzoletto»
«Per quanto l’Austin Mini di Paul McCartney mi ispiri parecchio credo proprio che non la venderò mai. Mio padre la adorava, con quella ha portato mamma al cinema all’aperto al primo appuntamento»
«Sicura?» scherzò lui sollevando un sopracciglio nero con fare suadente. «Che ne dici della ex Rolls Royce di Lennon?»
«Quella sarà mia dopo la rapina alla banca che abbiamo programmato per dopo i M.A.G.O.»
Sirius rise apertamente poggiando la nuca sul divano sotto i vicini occhi divertiti di Liv e quelli lontani di Ned Stevens e Jane Phillips che restarono a guardarli da diverse parti della Sala Comune in festa.
Non ballarono neanche stavolta, Liv e Sirius. Restarono sul divano a parlare tra loro, estraniati dalla felicità attorno che acuiva il dolore dentro.
«Quest’estate potrei rimetterla in sesto» disse dopo un po’ Sirius osservando con aria assorta e compiaciuta la sua mano intrecciata a quella di Liv.
Lo sguardo interrogativo di lei lo spinse a specificare.
«L’auto di tuo padre» aggiunse stringendo e mollando quelle dita perfette per la sua mano in un gioco che aveva sempre trovato ridicolo con le altre, ma che con lei si ritrovava a fare ogni volta beandosi della sensazione di pace e completezza che quell'incastro cercato gli dava.
«Chiederò al meccanico a Finchley Road e vedremo cosa si può fare mentre tu studi cartelli stradali ed altre cose pallose ed inutil».
Liv sorrise guardandolo, una luce brillante negli occhi scuri. Sapeva che Sirius l’avrebbe fatto davvero e questo suo pensare ad un futuro, un futuro in cui lei esisteva ancora, la fecero sentire come mai prima.
Sirius la voleva con lui anche nel futuro, Sirius pensava ad un futuro con lei ed era così strano, ma bello da spaventare e far provare sicurezza al contempo.
Fermò il giocherellare delle dita di Sirius con la sua mano per sporgersi verso di lui, circondargli la vita e poggiare il viso sul suo petto. Sentì subito le braccia di Sirus sollevarla dai cuscini per farla sedere sulle sue gambe e poi le sue labbra posarsi su una sua tempia, lasciandole piccoli baci prima di posarci sopra la guancia; il cuore vigoroso quanto le sue labbra poco prima.
Era una sensazione che le toglieva il fiato ogni volta. La sensazione di pace, di sicurezza, di protezione era nuovissima e stava diventando giorno dopo giorno familiare, confortante, un punto di riferimento stabile.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
«Ho paura»
«Avanti, McDonald, dobbiamo farlo tutti insieme o il gioco non funziona»
«1…»
«Sono sicuro che ce l’ho di nuovo io il bicchierino con il Veritaserum…»
«Non essere così eccessivamente ottimista, Remus»
«2…»
«Non mi avete ancora detto dove avete preso la pozione»
«Lily, dovrebbe essere l’ultimo dei tuoi pensieri in questo momento»
«3…».
Tutti e sette bevvero, seduti sul tappeto della Sala Comune ormai deserta ed in disordine alle quattro e mezzo del mattino.
Mary tossì per il troppo alcool scolato tutto in una volta e poi portò lo sguardo lucido sui volti degli altri mentre Sirius leggeva con gli occhi la domanda pescata pochi minuti prima.
«Ma a chi è venuta in mente una cosa del genere?» scoppiò a ridere, esilarato.
James, al suo fianco, si chinò di lato per sbirciare ma l’amico allontanò il pezzo di carta schiarendosi la voce.
«Il posto più proibito in cui l’avete fatto»
«Il letto di Sirius» rispose James tappandosi la bocca con le mani subito dopo.
Gli occhi grigi, spalancati, lo puntarono mentre Liv scoppiava a ridere per prima.
«Oddio» commentò.
«Non è come sembra» si affrettò a mettere in chiaro Sirius allungando un braccio al centro del cerchio di amici ormai fuori controllo anche per l’alcool.
«James, è come sembra?» chiese Lily, sconvolta ed esilarata, approfittando del Veritaserum in corpo al suo neo ragazzo dal passato alquanto interessante.
James boccheggiò, gli occhi nocciola sbarrati dietro le lenti rotonde.
«In che senso, Lily?» bofonchiò provando un forte fastidio per quella strana spinta che dal petto saliva alla gola liberando pensieri e parole «Io ho fatto sesso nel letto di Sirius. È questo il posto più proibito»
«Sirius era presente?» chiese in una risata Mary. Remus al suo fianco scosse la testa non riuscendo a trattenere una risata nemmeno con l’ennesimo boccone di torta al cioccolato in bocca.
Il diretto interessato della domanda di Mary sbuffò, sollevando gli occhi grigi al soffitto mentre accanto a lui la faccia di James assumeva un’espressione a dir poco sconcertata.
«Certo che no! Siete pazzi?! Era una tizia quella con me! Io e Sirius ci siamo solo baciati, una volta, da ubriachi, io pensavo fosse Lily e lui pensava fossi Liv»
«Cosa?!» scoppiò Liv piegandosi in avanti.
«Credo sia ora di dormire, gente!» esclamò Sirius scattando in piedi come una molla.
«Ti è piaciuto, James?!» domandò Peter non riuscendo più a respirare dalle risate.
James fece spallucce. «Niente di che, molto meglio la vera Lily»
«Oddiomio» pigolò Mary coprendo la bocca aperta in una risata incredula.
«Siamo tutti schifosamente ubriachi!» tagliò corto Sirius tirando fuori la bacchetta «Ramoso, Silencio!»
«Finitem Incantatem! Parla, James!»
«Silencio! Metti via la bacchetta, Evans!»
«Finitem Incantatem! Col cavolo, Black!»
«Silencio! È da meschini quello che stai facendo al tuo nuovissimo ragazzo!»
«Finite Incantatem!»
«Silencio!»
«Così lo farete impazzire» avvisò la saggia ma anche leggermente brilla voce di Remus che restò ad osservare James aprire e chiudere la bocca ad intermittenza mentre con gli occhi nocciola spalancati gridava aiuto.
 
 
 
 
*
 
 
«Lily?»
«James»
«Sei sveglia?».
Gli occhi verdi si aprirono nella penombra della Sala Comune immersa nel silenzio a parte il lieve russare di Peter.
Tutti dormivano a parte loro due. Remus e Mary sdraiati uno accanto all’altra sull’altra metà del divano, Sirius e Liv sulla poltrona in un abbraccio aggrovigliato all’apparenza scomodo ma di sicuro perfetto visti i loro volti sereni e Peter spaparanzato sul tappeto con un pouf come cuscino, i piedi senza scarpe rivolti alla piacevole brace del camino.
«Non riesco a dormire» sussurrò Lily guardando il viso di James vicino al suo, poggiato sulla spalliera del divano.
«Nemmeno io» mormorò lui accennando un sorriso nel sentire la mano di Lily sfiorare la sua, abbandonata tra le loro gambe che si avvicinarono ulteriormente.
Era impossibile dormire con una tale adrenalina in corpo, impossibile dormire quando la realtà era più bella del sogno ed era proprio lì, addosso. Intrecciò le dita a quelle di Lily trovando il coraggio per baciarle il naso.
«Come mai non riesci a dormire?»
«Puoi benissimo non usare questo tono malizioso, Potter. Tu non c’entri niente con la mia insonnia»
«Ah, no?»
«No. La colpa è della torta, il cioccolato sveglia e quel pan di spagna aveva ogni tipo di cioccolato esistente sulla terra»
«Ma l’hai digerita da ore, Evans»
«Che c’entra? Ce l’ho nel sangue»
«Ok, va bene, è “colpa del cioccolato”. Anch’io devo aver esagerato con le fette…».
Sorrisero in contemporanea, cercando di non fare rumore per non svegliare gli altri.
Restarono a guardarsi in silenzio, vicini come non lo erano mai stati, immersi nel silenzio della notte come se fosse giorno, come se ci fosse il sole, capendo che quella luce invisibile al resto del mondo non sarebbe andata via, nemmeno nel bel mezzo dell’oscurità della guerra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 










 
 
 
Note:

*James che parla di cattivo alito del terzo anno: mi riferisco ad una scena della mia breve storia “Quattro Lune per una Foglia di Mandragora” in cui cerco di raccontare la prima tappa del processo per diventare Animagus (quello descritto dalla Rowling) intrapreso dai Malandrini tredicenni.
 


*Ho scelto la Foresta Proibita come luogo prescelto per il bacio di Lily e James perché a parte la questione della mancanza dei muri, volevo che tutto iniziasse nel luogo in cui Harry è morto e risorto, tornando in vita più forte e pieno d’amore, senza oscurità dentro di lui, uccidendo una parte di Voldemort e poi sconfiggendolo.
La Foresta Proibita è il luogo che vede il coraggio più grande di Harry, quello che supera la paura di morire. Il luogo dove il boccino regalato da Silente finalmente trova un suo senso: “Mi apro alla chiusura”. Ed è un po’ come James e Lily che si sono ‘’aperti’’ all’ultimo anno, alla ‘’chiusura’’.
Harry è nato da questo amore potentissimo. Volevo cominciare e chiudere un cerchio nello stesso luogo pieno di significati importanti.
Il secondo bacio in Sala Comune, invece, rimanda chiaramente a quello di Harry e Ginny (nel libro. Secondo me è molto più bello del bacio del film).








 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Non Fine ***




 

 
STORIA RIPRESA.

GRAZIE davvero a tutte le 332 recensioni e le centinaia di persone che l’hanno messa nelle categorie♥
 
GRAZIE anche a chi legge soltanto. Significa tanto♥







 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** 49. De-Caedere ***


Mentre spolveravo una mensola con le auricolari nelle orecchie, YouTube ha deciso di far partire una playlist a sua scelta; la colonna sonora “Professor Umbridge” mi ha rimbombato nelle orecchie ed è stato come avere faccia di rospo a scrutarmi dal basso con aria accusatrice, la divisa di Hogwarts addosso e lo straccio su un trofeo per il Quidditch di James Potter.

Ho sentito nostalgia di casa e sono tornata in punta di piedi con la paura di non trovare nessuno, restando però sorpresa dalle recensioni sotto i capitoli e dai messaggi privati che continuano ad arrivarmi nonostante siano passati anni (soprattutto dopo l'uscita della serie Mercoledì che a quanto pare vi ha ricordato Liv). Sinceramente non me l'aspettavo, nel modo più assoluto.

Mi avete ispirato con l'affetto per i personaggi e per la storia. Ho passato questi ultimi nove mesi a scrivere come non facevo da tempo, tanti ricordi legati anche a voi sono riaffiorati in superficie ed è stato davvero bello.

Se c'è ancora qualcuno a cui interessano questi strambi personaggi credo troverà qualche capitolo nuovo.

In ogni caso, grazie a chi ha tenuto la luce accesa.


 


 

 

 

Note (non so quanto possa avere senso mettere le note all'inizio, ma capirete il perché a fine capitolo):



*Lumacorno a proposito di Lily: “Hai del coraggio, ragazzo! Oh, sei come tua madre. Be', niente da dire, un bezoar è senza dubbio un antidoto a tutte queste pozioni. Dieci punti a Grifondoro per la sfacciataggine!”
Penso che Lily fosse così brava in pozioni anche per la vicinanza con Piton, ma non penso che al sesto e settimo anno (quando non sono più amici) lei si sia trovata in difficoltà con Pozioni Avanzate ''pulito''. Vedo più Remus come Hermione (molto attaccata alle istruzioni ufficiali) anche perché dice a Harry che non era bravo a Pozioni. Liv invece sta iniziando a ragionare come le ha sempre spiegato Lily: non fossilizzarsi su Pozioni Avanzate e studiare gli ingredienti. La stessa cosa che dice a James. Ovviamente non le usciranno mai pozioni perfette come invece escono a Lily e Piton che hanno proprio intuito e talento, a detta di Lumacorno.
Lumacorno non ha mai parlato di James, presumo che almeno in Pozioni James non fosse da Eccezionale. Anche perché il Manuale di Pozioni Avanzate era sbagliato, perfino Hermione ottiene risultati non perfetti o addirittura scarsi.
Pozioni Avanzate è il libro di testo per sesto e settimo anno, vuol dire che il manuale fino ai G.U.F.O. era diverso, magari molto più valido, e quindi chi ha ottenuto l'accesso alla classe di Pozioni del sesto anno con almeno una O (Lumacorno accetta dalla O in su, Piton da Eccezionale) si è sicuramente trovato in difficoltà con Pozioni Avanzate (come Hermione e Remus che seguono alla lettera le istruzioni).
Sirius e James vengono descritti sempre brillanti da tutti, non da Lumacorno però. Quando Lumacorno parla di Sirius lo fa soltanto perché ha avuto tutti i Black tra i Serpeverde, avrebbe voluto anche lui nella sua Casa. Non parla di bravura in Pozioni, proprio come James. Credo che gli unici perfetti dal sesto anno al settimo fossero Lily e Piton, perché ci voleva talento naturale per andare oltre Pozioni Avanzate. Lumacorno ha sempre nominato solo Lily e Piton come pozionisti con talento.


“*Ho preparato un po' di pozioni da farvi vedere, così per curiosità. Un esempio di ciò che dovreste saper fare dopo aver completato i vostri M.A.G.O.” H. P. e il Principe Mezzosangue pag. 174

Quindi le pozioni che vediamo nel sesto libro sono pozioni da fare in due anni. Ho scartato quelle che fa Harry al sesto anno, presumendo che i Malandrini le abbiano fatte l'anno prima di questa storia, e ho scelto le restanti come la Polisucco (fatta all'inizio dell'anno nel capitolo “Vendetta Liquida”), il Veritaserum (prima di Natale), l'Amortentia e la Felix Felicis (tutte illegali e quindi tutte fatte Evanescere all'istante dopo essere state giudicate... forse xD).
Prima dei M.A.G.O. vedrete comunque il programma anche del sesto anno, di tutte le materie, perché prima degli esami dovranno ripassare ogni cosa fatta nei due anni dopo i G.U.F.O.


 

*“La capacità di parlare ai serpenti era la cosa per cui era famoso Salazar Serpeverde” Parole di Hermione in H.P. e La Camera dei Segreti. Silente, nel sesto libro, dice che Tom Ridlle molto probabilmente scoprì che Salazar era un rettilofono come lui già la stessa sera dello Smistamento (era praticamente come un Nato Babbano, non conosceva nulla del Mondo Magico).
Sempre Silente dice che Tom potrebbe aver stupito i suoi amici più intimi parlando il serpentese, ma gli insegnanti e il resto del castello non lo vennero mai a sapere. Tom Ridlle e i primi Mangiamorte facevano tutto di nascosto, a scuola, compreso aprire la Camera dei Segreti. Nessuno seppe mai che era stata aperta (a parte Silente, credo. Silente però senza prove non può mai fare nulla). La colpa della morte di Mirtilla, Tom la fece ricadere su Aragog e quindi su Hagrid. Solo i primi Mangiamorte più stretti sapevano tutto (i padri di Avery e Mulciber, per esempio).
Lucius Malfoy sa perché era un Mangiamorte. Draco non lo sa (lo dice a Harry e Ron in versione Tyger e Goyle con la Polisucco). Non penso che i padri Mangiamorte dicessero i segreti di Voldemort ai figli. Per questo Avery e Mulciber non sanno chi sia l'erede. Anche perché resterà segreto (anche il fatto ch era stata già aperta in passato) fino al 1993.

 *Piton implora Voldemort di non uccidere Lily, dopo che Voldemort decide di uccidere Harry e i Potter. Voldemort crede che sia perchè a Piton piace Lily "fisicamente", non perché è innamorato. Lo dice chiaro alla fine del settimo libro e sarà Harry a dirgli che Piton amava Lily.
Quindi Piton è stato bravissimo a nascondere il suo segreto più grande anche a Voldemort. Per questo ho iniziato a fargli studiare l'Occlumanzia già da adesso. Piton, Regulus e tutti i Mangiamorte sanno che Voldemort controlla le loro menti con la Legilimanzia, per capire se mentono o no. Come dice Silente più volte, Voldemort non si fidava ciecamente di nessuno, solo di se stesso. Piton era un eccellente Occlumante, io penso il migliore di tuti dato che frega Voldemort per tutta la vita.

*Bertha Jorkins aveva pochi anni in più dei Malandrini, Sirius lo dice a Harry nel quarto libro (pag. 287) e secondo lui: “Era a Hogwarts quando c'ero anch'io, qualche classe avanti a me e tuo padre. Ed era un'idiota. Molto indiscreta e senza cervello, nemmeno un po'”, “Era un po' ottusa, ma aveva un'ottima memoria per i pettegolezzi”. Al settimo anno dei Malandrini era già diplomata, non può essere presente a Hogwarts come studentessa. L'ho nominata in diversi capitoli passati.




*Tenete d'occhio Barty! ;) Non avete mai visto il suo punto di vista, l'avete sempre visto attraverso gli occhi degli altri che lo sottovalutano parecchio. Nel prossimo capitolo capirete perché.

 

*Il passaggio segreto dietro lo specchio al quarto piano è quello che Sirius consiglia a Harry nel quinto libro (pag. 357) per le riunioni dell'Esercito di Silente. Fred e George, però, dicono che quel passaggio è chiuso, franato nell'inverno del 1992 (terzo libro, quando danno la Mappa a Harry).


 


 


 


 


Capitolo 49

 
DE-CAEDĔRE






 

10 marzo 1978


 


 

«James, è tardi».
La voce di Remus era pacata e James non si mosse dai cuscini, ben consapevole del fatto che non era davvero tardi perché quella era soltanto la Tattica Prefetto Lupin per farlo alzare mezz'ora prima degli altri e fare così in modo che tutti fossero pronti alla sua personalissima “Ora giusta” senza lotte per il bagno.

Facendo finta di essere morto, James si chiese perché diamine spettava sempre prima a lui poche ore dopo una festa finita alle quattro del mattino e con considerevoli quantità di succo di zucca in corpo che adesso gli facevano pulsare dolorosamente la testa.
«E non è sabato, James, così come vi ho più volte ripetuto praticamente tre ore di sonno fa, prima di correre a tenere la fronte di Peter in bagno... come faccio sempre, a proposito»
«Perché dovevi iniziare proprio da me?»
«Abbassa la voce»
«No, davvero. Adesso tu mi spieghi, Prefetto Lupin, perché il mio turno cade sempre il giorno dopo una festa»
«Pura coincidenza, James»
«Caposcuola, prego»
«Adesso ti fa comodo essere un Caposcuola?»
«Rispondi, Prefetto Lupin»
«Sei il più vicino al mio letto».
Ci furono tre secondi di silenzio prima che Remus gemette, sbuffando subito dopo mentre James sorrideva ancora ad occhi chiusi, orgogliosamente soddisfatto: il cuscino aveva fatto centro anche senza l'uso della vista.
«Pura coincidenza, Lunastorta, sei il più vicino al mio letto»
«Hai fatto il primo movimento della giornata appurando così di essere ancora vivo, puoi alzarti adesso»
«Stavo facendo un sogno bellissimo, per Godric» mugolò James perseverando nel suo stare immobile a palpebre abbassate.
«Ho detto abbassa la voce, Ramoso, per favore»
«Il sogno più bello che abbia mai fatto, per Merlino» continuò lui ignorando volontariamente l’ansia nella voce dell’amico con gli occhi ambrati sicuramente rivolti agli altri due belli addormentati che per la buona riuscita della Tattica Prefetto Lupin dovevano appunto stare così, addormentati, possibilmente semi-morti.
«Puoi parlare mentre ti vesti, James. Lo sai, sì?» sussurrò Remus con impazienza sempre maggiore.
«Ho sognato Lily che finalmente entrava nella Foresta, mi sono trasformato in Ramoso e lei è venuta dritta a baciarmi. Remus, non immagini la sensazione... »
«...»
«E ci siamo messi insieme, cazzo, tutti ci hanno visto in Sala Comune... era il tuo compleanno anche nel sogno, a proposito»
«...»
«E abbiamo dormito tutti e sette lì, in Sala Comune, io e Lily ci siamo divisi il divano con te e Mary»
«James...»
«Per Godric, quanto era bello...»
«James»
«Non il divano... dormire con lei. Te lo posso giurare su qualsiasi cosa, Lunastorta, nessun'altro sogno è stato mai così realistico».
James sospirò, deluso come non era mai stato dopo un risveglio in cui la realtà gli si scaraventava con tutta la sua amarezza sul naso. Inspirando a pieni polmoni sul cuscino, però, percepì un dolce profumo fiorito nell'aria, lo stesso profumo del sogno. Si accorse soltanto in quel momento di essere avvolto da quel dolce odore e da un calore annidato sul petto. Spalancò gli occhi senza muoversi cercando di mettere a fuoco la vista senza occhiali, ansioso di trovare la macchia rossa dei capelli di Lily.
Provò a fare mente locale della sera prima, non riuscendo a distinguere il sogno dalla realtà: aveva davvero dormito con Lily Evans sul petto? A quel pensiero, il cuore già straordinariamente veloce si arrestò per poi pulsare con ancora più forza. E in quel preciso momento tutto gli tornò in mente con la forza del vento che gli sferzava la faccia e gli scompigliava i capelli quando stava sulla scopa: la Foresta, Ramoso, l'essere finalmente visto per com'era davvero da quegli occhi verdi che sapevano vedere l'anima di tutti ma che non avevano mai visto la sua per sei lunghi anni, quel bacio scioccante sotto gli abeti mossi dal vento di marzo e l'altro stravolgente in mezzo alla Sala Comune strapiena di gente, le mani intrecciate e quel profumo nel naso prima di crollare in un sonno profondo sul divano... non aveva mai avuto quel profumo addosso anche al risveglio, nella realtà.
«James»
Lui stava insieme a Lily Evans e l’adrenalina gli fece fremere gli arti.
«Adesso è davvero tardi, James»
«Basta parlare, Remus, o sveglierai Lily!»
«Nei tuoi sogni» bofonchiò Sirius alla sua sinistra. Quella roca voce assonnata gli fece sbattere velocemente le palpebre e sollevare la testa, stringendo le braccia si accorse che la cosa morbida, calda e profumata fra le sue braccia non era Lily, ma il suo cuscino del dormitorio.
James scattò seduto sul materasso che cigolò quando si sporse verso il comodino per inforcare gli occhiali rotondi illuminati dal sole del mattino. Se li mise frettolosamente, schiacciandoli storti sul naso per guardarsi attorno e scrutare per bene la stanza rotonda del loro dormitorio, le tende rosse del baldacchino e poi il vuoto del suo materasso sotto lo sguardo dei suoi due migliori amici rimasti in perfetto silenzio. Tastò con le mani le lenzuola spiegazzate, uno dei tre cuscini accartocciato nel sonno, la trapunta rossa e oro; con rammarico non trovò traccia di Lily Evans, non c'era nemmeno un suo capello rosso.
«Abbiamo appurato anche oggi che James Fleamont Potter è un ragazzo disturbato con molti problemi. Posso tornare a godere di questa confortante normalità e dormire, di grazia?»
«No, Sirius. Fai la cortesia di alzarti, di grazia, sono le sette» lo fermò Remus lanciandogli alla rinfusa pantaloni e cravatta della divisa che lui invece portava già perfettamente addosso insieme all'esausta spilla da Prefetto. «Sette come i piani di scale che dobbiamo fare per raggiungere la Sala Grande prima di risalirne altri tre e non fare tardi a Trasfigurazione»
«Chi se ne frega della colazione, Remus, ci svegliamo alle otto e da qui ci basteranno tre rampe di scale per andare a degnare della nostra presenza la McGranitt. Sono bravo in Aritmanzia anche se non la frequento»
«Sono quattro anni che dico che Aritmanzia non è matematica... ed ecco perché non la frequenti»
«Cos’è che tu non frequenti, Remus, diamine?»
«Io frequento la Sala Grande» squittì Peter saltando giù dal letto con sorprendente agilità generale e non soltanto per essere le sette del mattino, a stomaco vuoto. «E sono sette anni che dico che è la colazione quella che non si salta». Corse dritto in bagno, sfrecciando davanti a un Remus con le mani sui fianchi e l’aria ormai rassegnata pregustando la lotta per il bagno ormai imminente; sussultò quando James ringhiò dal suo letto con una punta di disperazione nella voce, così acuta che rischiò di far scoppiare a ridere Sirius dietro i lunghi ciuffi di capelli neri mentre tentava di alzarsi ciondolante dal suo baldacchino.
«Non ignoratemi!» sbottò James, brusco, la braccia allargate con sconcerto e lo sguardo frustrato dietro le lenti rotonde. Vide Remus mordersi l'interno di una guancia, camuffando un sorriso sicuramente divertito dai suoi capelli che dovevano essere più sparati del solito. Al diavolo i capelli, pensò rabbioso James.
«Dov’è Lily?» chiese, indagatore. Sirius arcuò un sopracciglio nero stando immobile in piedi tra i loro due letti, un calzino in una mano e la cravatta nell'altra, lo sguardo sbigottito. Nel silenzio che seguì nessuno fiatò, soltanto lo scrosciare dell'acqua in bagno e lo spazzolare ritmico di Peter che si lavava i denti riempiva l’aria almeno fino a quando Remus, schiarendosi la voce, non si decise a rispondere con calma come se avesse davanti un pazzo.
«Sicuramente già a colazione, vista l’ora»
«Ma era qui? Insomma, tu mi hai visto dormire! Mi hai svegliato tu, per Merlino! Abbiamo dormito insieme, io e lei! Ci siamo messi insieme nella Foresta, ieri»
«Quanto succo di zucca hai bevuto, ieri, alla festa di Remus?»
«Prima della festa, Felpato! Ci siamo messi insieme prima della festa!»
«Dannazione, Remus, questo ha preso un bolide di Harrison agli allenamenti...»
«Prima anche di quelli! Ci siamo... mi ha visto cervo, nella Foresta, e ci siamo messi insieme!» continuò a ripetere James, imperterrito e sempre più stranito. Fissò i suoi due amici guardarlo impassibili prima d’ignorarlo come se niente fosse. Sconcertato, James seguì con tanto d'occhi Remus dargli tranquillamente le spalle per infilare l’ultimo libro nella tracolla poggiata sul letto; Sirius sbadigliare, stiracchiarsi e poi chinarsi sul suo baule aperto. Il sangue parve ribollire nelle vene di James che gridò ancora, cercando l’attenzione.
«Ragazzi, oh!?»
«Cosa?!» sbottò Sirius guardandolo allibito.
«Non fate i coglioni!»
«Il coglione sei tu, James, che sogni Lily Evans e credi sia stato tutto vero. Non riesco nemmeno a prenderti in giro, vedi? Ti faccio sapere che mi dimetto come Lista Anti-rimbecillimento, sei un caso perso».
James si lasciò sfuggire un mugolio di rabbia che nel petto suonava più come disperazione man mano che i minuti passavano, la paura di essere diventato pazzo. «Ci siamo baciati davanti a tutti, in Sala Comune» si sentì dire con urgenza, in cerca di conferma «questo è impossibile negarlo, c’eravate. C’era tutta la Casa»
«Se fosse successo lo ricorderemmo. No, Felpato?» commentò Remus lanciando un’occhiata a Sirius.
«Eccome se lo ricorderemmo, Lunastorta» gli fece eco lui in una risatina posando lo sguardo divertito su un James dalla mascella pulsante.
«State mentendo, bastardi»
«Perché dovremmo mentire?»
«Me ne accorgo sapete? Avete quelle facce». James scalciò via le coperte e scese con furia dal suo baldacchino per frugare nei cassetti dei comodini di tutti, alla ricerca di qualcosa.
«L'ho messo in ordine proprio ieri» si lamentò Remus, sospirando.
«Chi è che ha vinto di voi tre, eh?»
«Cosa diamine stai cercando?»
«I Galeoni della scommessa»
«Ma quale scommessa?»
«La Scommessa, lo sapete, non fate i finti tonti»
«Cosa sta dicendo, Sirius?»
«Remus, questo è andato totalmente fuori di testa»
«Tirate fuori i Galeoni, stronzi figli di Salazar»
«Senti, coso, ributtati a letto perché sei ancora troppo zuppo d’alcool per andare a lezione o la McGranitt ti trasfigurerà in una bottiglia di Whisky Incendiario senza troppo sforzo»
«Avete scommesso su me e Lily, Felpato»
«Io non scommetterei mai su te e Evans» ammise Sirius senza problemi, non riuscendo a stare del tutto serio davanti alla faccia offesa di James chino proprio sul suo comodino in disordine. Si morse le labbra trattenendo una risata quando James lo fulminò con lo sguardo da sopra le lenti rotonde in bilico sul naso prima di spostarsi per andare ad invadere anche i cassetti di Peter.
«Niente nemmeno qui! Grazie anche a te, Peter! Grazie davvero!» abbaiò velenosamente sarcastico.
«Per cosa?!» gridò quello dal bagno, sputando il dentifricio.
«A quanto pare ho lasciato a secco tutti e tre. Avete perso»
«Ma contro chi?» chiese sempre più confuso Remus.
«James, sul serio, chi scommetterebbe su te e Lily? Ti sfido a trovarne uno»
«Felpato, io e Lily ieri ci siamo messi insieme e voi, luridi traditori, avete perso. Chi ha vinto, eh? Liv o Mary? I Galeoni li hanno loro?»
«Continuo a dire che non abbiamo fatto nessuna scommessa, James»
«Abbiamo dormito tutti in Sala Comune, Remus!» sbottò lui, spazientito. «Io e Lily sul divano, era sul mio petto! Possibile eravate così ubriachi da non accorgervene?»
«E chi ti ha staccato da lei, portato di peso qui, spogliato e messo il pigiama?» La semplice domanda di Sirius e il suo eloquente sopracciglio arcuato lo zittirono all’istante. James restò a guardarlo, spiazzato, sentendo di star impazzendo perché era praticamente certo fosse accaduto. Quello che ancora gli riverberava dentro non era un residuo di un sogno, più volte aveva sognato di stare con Lily ma mai si era sentito così, al risveglio.
Sirius, però, aveva ragione: abbassando lo sguardo su se stesso, James notò il suo pigiama a righe fare bella mostra di sé. L'unica volta che Sirius gli aveva messo il pigiama trasfigurandogli i vestiti con un gesto fulmineo della bacchetta era stata quando, una notte del quinto anno, l'aveva fatto passare per sonnambulo con le mani tra le foglie delle Mandragore e il Mantello dell'invisbilità scivolato alle caviglie, coprendogli le spalle davanti alla professoressa Sprite da giorni segretamente di guardia nella serra numero due per capire perché le sue piante ogni mese diventavano inspiegabilmente calve nonostante fossero adolescenti. Almeno, si disse James ripensandoci, era stata la volta buona del primo passaggio per diventare Animagus.
E quando mai l'avevano messo a letto, trasportandolo dalla Sala Comune? Mai, appunto. Nessuno di loro quattro si era mai preso la briga di portare gli altri nei propri letti, non provando nemmeno un misero senso di colpa nel trovare il malcapitato di turno, la mattina dopo, in condizioni imbarazzanti sotto gli occhi sconcertati o esilarati dei compagni di Casa diretti verso il retro del ritratto per scendere a colazione.
«James, mi dispiace davvero, ma non è successo niente di quello che dici» gli assicurò infatti Remus guardandolo negli occhi. Ed in quel preciso momento, il magone che strinse la gola di James fu il più forte che avesse mai sentito. Si guardò attorno con lentezza e in surreale silenzio, stando in piedi al centro della stanza sentendosi come il vecchio manico di scopa babbano di Gazza usato fino allo stremo.
«Bene» sentenziò dopo un minuto intero di dignitoso ed orgoglioso mutismo nonostante i ridicoli neri capelli arruffati e gli occhiali storti sul naso. «Bene, sì» rimarcò tornandosene a letto a passo deciso per sotterrarsi con la pesante trapunta rossa e oro. Gli occhi ambrati di Remus saettarono verso quelli grigi di Sirius, stranamente accesi sotto le sopracciglia nere aggrottate.
«Ramoso, cosa stai facendo?» chiese calmo ed apparentemente impassibile.
«Quello che avrei dovuto fare anni fa, Felpato» rispose lui altrettanto calmo ed impassibile.
«Sarebbe?»
«Mandare al diavolo Lily Evans».
Sirius scoppiò a ridere di gusto piegandosi in due sul letto mentre Remus, con la faccia accartocciata in un'espressione incredula e rabbiosa, avanzò a grandi passi fino al baldacchino di James per afferrare le coperte e scoprire l'amico che sussultò spaventato.
«Adesso basta» esplose acciuffandogli un braccio e un piede per trascinarlo via dal materasso fino al freddo pavimento in pietra. «Adesso tu ti alzi, ti lavi, addirittura ti pettini e scendi a fare la dannata colazione che Peter non vuole saltare. PETER ESCI SUBITO DAL BAGNO SE NON VUOI VEDERE LE TUE UOVA STRAPAZZATE VOLARE FUORI DAL CASTELLO! INTENDO ENTRAMBI I SENSI DELLE PAROLE “UOVA STRAPAZZATE”».
James boccheggiò rimettendosi in piedi a fatica, incredulo e sconvolto, le braccia piene dei capi della divisa che Remus cominciò a lanciargli addosso tra le risate sempre più esilarate di Sirius, in sottofondo. Tentò di ribattere ma non ci riuscì, Remus sembrava aver raggiunto il limite della sua proverbiale pazienza.
«Ti prometto che prima uscirai da qui e prima smetterai di soffrire, James. Credi a me, muoviti, forza» lo intimò Remus, concitato, schiaffeggiandogli la spilla da Caposcuola sulla fronte per la millesima volta in un anno. «Non voglio più sentire idiozie e palesi bugie su Lily. Alle dieci e mezza abbiamo la prima ora buca e tu sarai nella Foresta come hai fatto per tutte le settimane, fino a ieri».
James si ritrovò ad eseguire gli ordini senza nemmeno accorgersene, ma quando uscì da quella camera non si sentì per niente meglio come gli aveva promesso Remus; non aveva mai sentito il cuore pesante come in quel momento. Scese i gradini della scala a chiocciola con la mano di Sirius a spintonargli la schiena, sulla spalla già dolorante la tracolla piena di libri ficcati dentro velocemente da Remus poco prima. Si sentiva rabbioso, James, con la voglia impetuosa di trasformarsi in cervo nel bel mezzo della Sala Grande.
In Sala Comune tutti sembravano spariti, c'erano soltanto William Johnson e il suo amico di sempre, McLaggen, che parlottavano eccitati facendo lo slalom tra le poltrone rosse col naso incollato ad una rivista di Quidditch.
«Ehy, William, tua mamma alla fine ha ceduto e ti regala la scopa?» esordì Sirius passando accanto ai compagni di Casa del quinto anno intenti a raggiungere il retro del ritratto insieme a loro.
«No, ho trovato il modo per comprarmela, lei non lo sa nemmeno» rispose quello abbassando il giornale e mostrando il volto radioso.
«E quale sarebbe? Rubare?»
«No, per chi mi hai preso? A proposito... grazie, James!»
«Per cosa?» sbottò James rivolgendogli un'occhiata sospettosa.
«Le vostre feste sono sempre le migliori, ma ieri ti sei proprio superato! Alla fine la macchina fotografica che mamma mi ha regalato a Natale è servita a qualcosa» rispose William superando insieme all'amico i Malandrini all'uscita del ritratto della signora grassa.
«Cosa vuol dire?» chiese stranito James «Cos'ho fatto ieri?»
«A parte ballare in mutande sopra il tavolo di Sparaschiocco con la bottiglia di Whisky Incendiario appesa al collo usando la cravatta di Morgan? Niente» gli rispose Sirius battendogli una mano sulla spalla e trascinandolo con sé per il corridoio del settimo piano con Remus e Peter al seguito.
«Stai dicendo che Johnson si comprerà una scopa nuova grazie alla mia nudità, Felpato?»
«La prossima volta ti farai pagare, sì?»
Al piano terra, passando accanto al grande portone di quercia all'ingresso, Remus ringraziò per gli auguri di buon compleanno che Hagrid gli diede stranamente di sfuggita mentre usciva in cortile con una certa agitazione stampata sul volto sotto la folta barba ispida. Gettò un'occhiata all'esterno del castello per osservare la mattina di marzo particolarmente ventosa, le lontane cime degli abeti della Foresta Proibita dondolavano furiosamente facendo cadere anche gli ultimi cumuli di neve ormai del tutto sciolta sui pendii verdeggianti attorno al castello. La Sala Grande era illuminata dalla tiepida luce del sole che filtrava dalle alte vetrate, ogni lungo raggio di sole sembrava battere e riflettere non solo su posate e calici pieni di succo di zucca, ma anche sopra le luccicanti lettere dorate della Gazzetta dell'Esteta in mano ad ogni studente seduto a tavola per la colazione.
«Ma non usciva solo la domenica?» borbottò Peter dando una gomitatina a James per svegliarlo dalla trance in cui era di nuovo caduto, come tutte le settimane precedenti. James sembrò non sentirlo e continuò a camminare con le mani in tasca, dritto verso i posti liberi tra i Grifondoro stranamente tutti ridacchianti.
Il brusio sempre più insistente che si levava dalle tavolate, insieme agli indaffarati gufi postali sopra le teste di tutti, fu la prima cosa che lo impressionò. Tassorosso, Corvonero e Serpeverde sembravano scioccati dietro le pagine del giornale e in un primo momento James si chiese cosa fosse successo fuori da quella bolla perfetta che era Hogwarts. Un'altra sparizione? Un altro attentato? Un'altra famiglia di babbani uccisa? Un attacco di Giganti? Lanciò uno sguardo al tavolo degli insegnanti scoprendolo apparecchiato soltanto per la professoressa Sprite, il professor Vitious e tutti gli altri eccetto il professor Lumacorno, la professoressa McGranitt, Silente e il professor Dearborn. Ma guardandosi meglio attorno capì che, anche se i tre membri dell'Ordine della Fenice e il direttore dei Serpeverde mancavano facendo sospettare qualcosa di grave, la notizia sconvolgente non doveva riguardare qualcosa di serio perché i fogli che tutti stavano leggendo erano leziosamente lilla e profumavano fastidiosamente di lavanda.
«Per me è un fotomontaggio, si vede, proprio qui» sentì dire a Martin Whitby, il Tassorosso seduto sulla panca che James superò più lentamente per ascoltare meglio.
«Un fotoche?» rispose l'amico al suo fianco con le uova fritte penzolanti dalla forchetta ferma a mezz'aria.
«Un fotomontaggio, Ben. I babbani a volte uniscono due foto per farne una. Mia sorella se n'è fatto fare uno simile con John Travolta, fa davvero schifo. Con la magia sembra vero, ovviamente»
«Chi è John Travolta?»
Furono gli occhi delle persone che sbucarono da dietro quei fogli, man mano che James avanzava tra il suo tavolo e quello dei Tassorosso, a fargli capire che il fatto tanto strano trattava di lui. Ed improvvisamente l'immagine di se stesso in mutande nella prima pagina del giornale stupido di Allock lo tranquillizzò.
«Vi scandalizzate tutti per un corpo in mutande ad una festa? Dopo aver visto Piton dovreste essere pronti a tutto» esordì annoiato sedendosi sulla panca affianco a Martha Spinnet con una fetta di pane tostato tra i denti scoperti dalla curva di un sorriso identico a quello di quasi tutti gli altri Grifondoro, vicini e lontani. «Chi mi hanno messo vicino nel fotomollaggio? Peter a petto nudo?» chiese in uno sbadiglio acciuffando al volo un muffin ai mirtilli, la coda dell'occhio dietro gli occhiali alla ricerca involontaria di una chioma rosso scuro.
Come risposta ricevette due colpetti da sopra una spalla con l'edizione straordinaria del giornale di Allock e il muffin gli restò in bocca per metà, l'altra cadde sui fogli lilla sbriciolandosi morbidamente sulla foto in movimento di se stesso e Lily in Sala Comune, circondati dai Grifondoro in festa e uniti in un bacio prima di liberare due sorrisi identici.
«Sono scioccata, Potter» esordì la dura voce della professoressa McGranitt alle sue spalle, ma James non riuscì a staccare gli occhi da quell'immagine che gli faceva attorcigliare ed esplodere lo stomaco in mille doxy impazziti. «Questo è decisamente lo scherzo meglio riuscito della sua intera carriera scolastica».
Solo allora, James, con ancora mezzo muffin in bocca si girò di scatto verso la sua Capocasa scoprendo su quel volto di solito sempre tirato e severo un piccolo sorriso.
«Più che un lavoro magnifico di Trasfigurazione, Minerva» commentò invece Lumacorno piuttosto impressionato al suo fianco, il naso e i baffoni biondi a sfiorare quasi la foto sul giornale tra le mani. «A me sembra un ben riuscito filtro d'amore o, peggio ancora, eccellente Polisucco. Avevo espressamente detto di non conservarla, Potter!»
«Posso sapere cosa sta succedendo, qui?» esordì Lily in divisa Grifondoro sbucando da dietro la professoressa, metà volto nascosto dagli sciolti capelli rossi e gli occhi verdi indagatori ancora leggermente assonnati ma saettanti come fulmini dal giornale al suo collega Caposcuola. James restò a guardarla soltanto per un attimo perché qualcosa nello stomaco e nel cuore straordinariamente leggero scattò come una molla. Diede un morso al muffin prima di lasciarlo cadere sul piatto scavalcando agilmente la panca. Gli era bastato vederla per sentire la botta di felicità che l'aveva travolto la sera prima.
«Lily, avanti, dillo che è tutto vero»
«Scherzi, Potter? Preferirei baciare la... » Le parole “Piovra Gigante” di Lily sfumarono in una risata sotto le labbra di James, e la professoressa McGranitt si lasciò sfuggire un mezzo sbuffo divertito scuotendo piano la testa prima di allontanarsi con un boato di risate festose, applausi e fischi esploso in tutta la Sala Grande. John Owen, al tavolo dei Corvonero, mollò il cucchiaio del porridge fissando le uova strapazzate ormai fredde sul vassoio.
«Sei stata loro complice, Evans?» mormorò divertito James sulle labbra sorridenti di Lily dagli occhi verdi accesi con aria furba. Lui rise prima di girarsi verso i tre Malandrini ancora in piedi, i volti accartocciati in espressioni esilarate e per niente colpevoli. «Bastardi maledetti!» sibilò scaraventandosi su Sirius scoppiato in una risata sguaiata. Con una manata, James acciuffò anche Peter e poi Remus, colpito da una serie di pugni sul braccio che lo fecero ridere di più. Liv gli passò accanto altrettanto ridente, ma guardandosi attorno la sua espressione divertita s'incupì, sospettosa.
«Mary, perché accidenti mi guardano tutte?» mormorò lasciando a terra la tracolla e prendendo posto accanto all'amica intenta a leggere il giornale del momento. «Cosa c'entro con Lily e James?»
«Ho i pantaloni, sì?» borbottò Sirius scavalcando l'altro lato libero della panca, tutto intento a guardarsi le lunghe gambe. «Stanno guardando anche me»
«Vi guardano tutte perché avete appena superato La Scadenza» fece sapere Mary seduta tra i due con la faccia nascosta dalle pagine viola.
«Quale scadenza?»
«La Scadenza di Sirius Black, Liv, lo sanno tutte» specificò la bionda in tono ovvio. Sirius strabuzzò gli occhi grigi prima di ridurli a fessure taglienti da sopra il vassoio levitante del bacon. «Hai superato il tempo più lungo con cui sei stato con una ragazza, Black, prima di Liv» continuò Mary cercando di non ridergli in faccia apertamente anche se ben nascosta dietro il giornale.
«Questo cosa c'entra con la faccia di Wendy Preston?» chiese Liv occhieggiando il volto disperato della ragazza che la stava fissando dal tavolo dei Corvonero. «Non è la ex lagnosa di James?»
«Ah, lei è leggermente strabica...» le fece sapere Mary senza nemmeno guardarla «in realtà sta trucidando Lily, non te»
«A me fa più paura Phillips» ammise Sirius ricambiando il lontano sguardo glaciale della compagna di Casa; di sfuggita vide quello cupo di Stevens, al tavolo dei Tassorosso proprio dietro di lei.
«Siete passati da"Fuoco di paglia" a "Coppia stabile"» riprese a parlare Mary trattenendo un'altra risata continuando a stare ben nascosta dietro i fogli profumati. Si morse le labbra, divertita, sentendo Liv sbattere il coperchio della zuccheriera con fin troppa enfasi.
«Lo stai leggendo su quel dannato giornale, Mary?»
«Dammi qua, Macdonald» sbottò anche Sirius tentando di acciuffare i fogli di pergamena con la faccia schifata data dall'odore pungente di lavanda che si sprigionava ad ogni tocco e che col profumo di pancetta arrosto si abbinava ben poco. Mary, però, si tenne il foglio incriminato sogghignando senza ritegno.
«Avete un articolo con tanto di foto, anche voi» li informò sentendo il mal trattenuto sospiro stizzito di Liv alla sua sinistra e il basso ringhio di Sirius a destra.
«Io vado dall'allocco, Olivia, tu da William Johnson»
«Cosa c'entra William?»
«La macchina fotografica è sua».
Mary, allibita da quel breve e secco dialogo, abbassò di scatto il foglio di giornale restando ad osservarli alzarsi dalla panca con aria risoluta prima di prendere due direzioni opposte camminando come due sicari pronti a tutto. «Ragazzi, ehi!» gridò, improvvisamente preoccupata. «Non c'è bisogno di fare una strage delle vostre!»


 


 


 


 

*

 

 

 


 

Regulus, l'affanno a mozzargli la voce, arrivò alla base delle scale umide del sotterraneo esalando un “Per Salazar” piuttosto irritato. Si fermò giusto il tempo per ridarsi un contegno sistemandosi i capelli corvini sulla fronte e la cravatta verde-argento al collo, ma soprattutto per riempire d'aria i polmoni dolenti dovuti alla corsa fatta fin lì dalla Sala Grande, cercando in ogni dove Piton che si era pietrificato tra il mare di fogli lilla al tavolo dei Corvonero e quello dei Sepreverde senza raggiungere Mulciber e Avery per la colazione. Regulus l'aveva visto impallidire e fare dietrofront da sopra i corn flakes nel cucchiaio che aveva mollato subito dopo per alzarsi dalla panca e seguirlo.

«Permesso, scusate» chiese passando con eleganza tra due ragazzine del terzo anno intente ad uscire dall'apertura sul freddo muro in pietra della Sala Comune dei Serpeverde. Regulus attraversò a lunghi passi decisi l'intera sala vuota, illuminata dall'acqua verdognola del lago dietro le finestre, fino a raggiungere la porta in legno scuro del dormitorio maschile del settimo anno. Quando la aprì, dopo aver bussato educatamente più volte senza ottenere risposta, restò immobile sullo stipite.
Non aveva mai sentito Severus Piton piangere, quella fu la prima volta e la scena lo lasciò esterrefatto. «Severus» tentò di chiamarlo in un sussurro basito provando ad avvicinarsi al baldacchino dalle tende smeraldo chiuse per metà.
«Vattene» sibilò di rimando il più grande senza però muoversi dal suo buio nascondiglio. Ma Regulus fece un altro passo avanti e solo in quel momento si accorse che il disordine regnava sovrano dove c'era sempre stato un ordine quasi maniacale.
Recuperò da terra pezzi strappati di una vecchia foto che esaminò con cura rigirandoli tra le dita affusolate, sul medio l'anello dei Black a riflettere la luce; rimettendoli approssimativamente insieme si ritrovò davanti allo stranamente immobile viso ridente e fanciullesco di una Lily Evans forse undicenne, senza divisa scolastica, illuminato da un sole estivo accecante. Sospirò lanciando di sottecchi uno sguardo severo al baldacchino di Piton, nell'iride grigia un baluginante lampo di comprensione.

«Quando la smetterai, Severus?»
«Ho detto vattene, Black»
«Lo dico per te. Forse hai convinto Mulciber e Avery quando hai insultato Evans un anno fa, ma a me no. Lo capisci o no che James Potter non potrà mai perdere? Non te la ridarà mai più indietro, mettitelo in testa. L'ha cambiata, Severus, per sempre. Devi liberartene, è soltanto un peso che non vale la pena tenere»
«James Potter perderà, prima o poi». Il sibilo di Piton sapeva di infima promessa ed era così intriso d'odio folle che Regulus sentì dei brividi rizzargli i peli sulla nuca. «James Potter perderà ogni cosa» continuò Piton dall'oscurità del suo baldacchino con la voce traboccante rabbia e disprezzo, il silenzio vibrante a prendere il posto dei singhiozzi un istante prima soffocati sul cuscino.
«Ho deciso, Regulus»
«Cosa?»
Piton rimase muto per alcuni istanti, la morsa stretta al cuore pulsò feroce dandogli un'unica e semplice risposta in mezzo a tutto quel dolore straziante che non voleva provare più. 'Decidere', dal latino de-caedere, 'tagliar via'. E lui aveva deciso, era pronto a tagliare via Lily Evans.
«Voglio il Marchio Nero, adesso» sentenziò uscendo allo scoperto con un gesto secco della mano tra le tende. Regulus si limitò a guardarlo mettersi seduto sul materasso, alla torbida luce del lago proveniente dalla finestra dietro il suo comodino. Era più pallido del solito a parte il lungo naso sporgente lievemente arrossato come il taglio non ancora rimarginato che si era fatto il giorno prima per colpa del Platano Picchiatore; ma le labbra erano strette in una linea dura e gli occhi scuri tra i lunghi ciuffi di capelli neri lampeggiavano ferventi.

«Questo vuol dire che sei disposto ad eseguire gli ordini del Signore Oscuro stando sotto lo stesso tetto di Lily Evans, Severus?» gli fece notare Regulus «non avevi detto che prima volevi aspettare di uscire da qui?»
«Ho deciso» ripeté Piton col volto deformato dalla rabbia ripensando con disgusto alle labbra di Lily su quelle di Potter nella foto del giornale di Allock, il Corvonero adesso ancora più insopportabile.
«Il Signore Oscuro sa leggere la mente meglio di qualsiasi altro mago esistente» insistette Regulus, mettendolo alla prova «cosa farà quando vedrà che sei legato sentimentalmente a una Sanguesporco?»
«Ho chiuso con lei».
Nonostante il tono di voce incredibilmente gelido di Piton, a Regulus scappò uno sbuffo di risata senza però scomporsi. «Andiamo, Severus, non essere ridicolo. Puoi imbrogliare chi non c’è già passato, non me»
«Quindi a te importa ancora di tuo fratello?» chiese Piton facendo trapelare tutto il suo scetticismo a riguardo. L'altro infatti restò un attimo interdetto prima di liberare un verso di sdegno.
«Per me è morto quando ha scelto di scappare di casa, consapevole di venire così diseredato» sentenziò asciutto. «Quando decidi di dare il tuo avambraccio sinistro non puoi stare da entrambe le parti. Io sono nella mia, Sirius è nella sua. Tu stavi piangendo perché Lily Evans sta con Potter, Severus, dall’altra parte ci sei con tutte le scarpe»

«Lily Evans è morta scegliendo Potter» sibilò Piton promettendo mentalmente a se stesso di non far vedere mai più a nessuno quel dolore che lacerava l’anima. Il sopracciglio di Regulus si arcuò verso l’alto, un sorrisetto amaro a stirargli le labbra. Le pene d’amore per una ragazza non erano così forti da spezzare il filo che tiene connessi a qualcuno, Regulus sapeva bene che nemmeno un legame di sangue tradito portava a vedere morto qualcuno. La delusione, il dolore e lo sdegno che si provavano erano atroci, l’odio che nasceva nei confronti di chi rinuncia deliberatamente alla famiglia era più grande di tutto eppure c'era sempre qualcosa, dall'altra parte, che attirava.

«Anche se deciderai davvero di farti il Marchio, Severus, toglierai al massimo un solo piede da lì, l’altra scarpa starà per sempre da lei». Fissò il volto grigiastro di Piton capendo al volo che, anche se adesso lui sembrava sicuro di odiarla, sarebbe stato così come aveva detto lui. Una lieve piega compiaciuta gli addolcì i lineamenti alteri: Regulus sapeva di essere intelligente, i professori glielo dicevano in continuazione e i suoi genitori ne andavano estremamente fieri. Quello che non sapeva era che la sua intelligenza, oltre che mentale, era anche emotiva. Regulus Black sapeva sentire le emozioni degli altri, elfi domestici compresi; Regulus Black era profondamente sensibile e nessuno gliel aveva mai detto, a parte Sirius.


 

“Tu non sei come loro, Reg, sei la persona più sensibile che conosco. Per favore, vieni con me dai Potter”

“Vai a prendere per il culo i tuoi amici Grifondoro, Sirius, non me”

“Sei così stupido da non capire che ti sto facendo un complimento!”

“Essere sensibili non è un complimento, soprattutto detto da te”

“Idiota, ti sto dando l’opportunità per ribellarti!”

“Non devo ribellarmi ai valori in cui credo”

“Credi che gli elfi debbano essere decapitati e appesi alle pareti se fanno cadere per sbaglio o vecchiaia una tazzina da tè?!”

“Non lo credo, ma quello è soltanto un piccolo particolare della nostra famiglia che io non ho intenzione di…”

“Un particolare che ti differenzia da tutti i pazzi che chiami parenti! La tua sensibilità è l'unica cosa che può salvarti, Regulus!”

“Vattene pure da quei babbanofili senza onore dei Potter, ma senza di me. Schifoso traditore come Purosangue, come figlio e soprattutto come fratello. Mi dai la nausea solo a guardarti”


 

«Non aprirò bocca con nessuno, Severus, ti do la mia parola. Ma non ti coprirò le spalle, sappilo. Ho dato la mia totale lealtà al Signore Oscuro, non sono mai stato un traditore e mai lo sarò» sentenziò Regulus duramente, lo sguardo fermo e deciso. Tutto in lui trasudava sempre orgoglio, coerenza e soprattutto onore. Regulus si muoveva con la nobiltà del sangue puro che tutti gli riconoscevano con rispetto, aveva fattezze eleganti e modi alteri come un qualsiasi Black ma era estremamente educato come nessuno di loro, e nonostante quella strana rispettosa gentilezza appariva sempre al di sopra di tutti. Piton invidiava la sua aria di chi sa sempre quello che sta facendo, quella schiena dritta e il volto fiero sempre in mostra, l'opposto delle sue spalle curve e dei suoi lunghi capelli a tendina attorno agli occhi.
«Come farai a nascondere al Legilimante più potente del mondo che sei innamorato di una Sanguesporco?»
«Non lo sono più» rispose Piton con decisione e un odio per Lily Evans mai provato prima. La odiava, la odiava con tutto il cuore spezzato. Quella non era la stessa Lily di cui si era innamorato anni prima, eppure soffriva come non aveva mai sofferto e la stupida foto di Allock stampata in mente continuava a fermargli il respiro e bruciargli gli occhi.
«Che eri innamorato di una Sanguesporco, allora. Perchè sai che è altrettanto grave e che il Signore Oscuro vede anche il passato, sì? Parti svantaggiato rispetto a me, Mulciber e Avery. Non hai nessun parente nella cerchia dei Mangiamorte e non sei nemmeno Purosangue, hai il cognome Prince come biglietto da visita ma dovrai dimostrare di essere abile, guadagnarti da solo la Sua fiducia»
«Ho già pensato a tutto, non ho bisogno di qualcuno che mi copra le spalle» rispose Piton algido, il tono piatto a nascondere nel petto l'esplosione di feroce orgoglio che non vedeva l'ora di liberare. Regulus restò a scrutarlo, interrogativo. «Occlumanzia» specificò allora lui, in un sibilo fervente «mi sto esercitando da mesi»
«Non mi sembra tu stia facendo grandi progressi visto questo tuo perdere il totale controllo delle emozioni nel bel mezzo della Sala Grande»
«Non succederà mai più, da nessuna parte» sbottò Piton, il disprezzo per se stesso e per Lily ad avvelenargli la voce «mi eserciterò per tutta la vita, se sarà necessario».
Regulus lo squadrò in silenzio, indagatore, lo sguardo grigio perforante. Lo conosceva abbastanza per ritenere valida la sua idea dell'Occlumanzia perché Severus era di per sé un asociale sempre chiuso a riccio come le sue spalle; la sua mente era impenetrabile di natura, calcolatrice ed imperturbabile non solo davanti ai nemici ma anche con gli amici. I suoi unici punti deboli erano Lily Evans e James Potter, capaci la prima di farlo piangere come un bambino e il secondo di portarlo ad esplodere di rabbia e odio incontrollabili. Regulus, però, vide per la prima volta davanti a sé qualcuno pronto a dare tutto se stesso pur di riuscire nel suo intento. Determinato ed incredibilmente scaltro, Severus Piton era il tipico Serpeverde ambizioso, e Regulus sorrise alla vista del suo amico finalmente libero di essere se stesso.
«Vuoi darti alle Arti Oscure usando contemporaneamente tecniche di Difesa contro le Arti Oscure» gli fece notare arcuando un sopracciglio nero senza abbassare la curva delle labbra, assomigliando in modo del tutto inconsapevole a suo fratello maggiore. «Severus, sei un vero controsenso».
Piton ci pensò giusto un attimo, arrivando alla veloce conclusione che essere un controsenso significava stare in mezzo e lo stare in mezzo voleva dire rischiare. Non gli importò, il Marchio Nero sarebbe stato sul suo braccio e Lily Evans non poteva fermarlo nemmeno dal passato.


 


 

*


 


 


 

Le gocce di pioggia battevano sui vetri delle alte finestre ad arco acuto della biblioteca immersa nel silenzio surreale del pomeriggio, la luce bianca dei nuvoloni plumbei fuori entrava gettando lunghe ombre ed illuminando il pulviscolo nell'aria e sugli antichi scaffali pieni zeppi di libri. Mary, seduta al tavolo nella sezione “Erbologia”, spostò i suoi occhi nocciola dal libro a Peter che si mangiava le unghie mentre sfogliava un tomo più grosso di lui, lì davanti. Erano in biblioteca da un'ora e mezza precisa, a riempire la loro ora buca con le ricerche sullo strano armadio nero che aveva inspiegabilmente fatto sparire Alan Morgan il mese prima. Quel pomeriggio spettò a lei e Peter mentre gli altri mescolavano pozioni immersi nei fumi del sotterraneo. Nessuno era ancora riuscito a cavare un ragno dal buco riguardo quell'oggetto misterioso e Mary aveva notato quanto Peter fosse sempre più preoccupato a riguardo.

«Ehi» lo chiamò in un sussurro. Gli occhi chiari dell'amico si sollevarono su di lei, interrogativi, le unghie della mano destra ancora sotto agli incisivi sporgenti. «Che ne dici se prendessimo questi per continuare la ricerca all'aperto, in un posto meno triste?»

«Sta piovendo» rispose lui indicando i vetri grondanti.

«Sta per smettere»

«Non credo»

«Siamo a marzo, la pioggia va e viene. Tra cinque minuti uscirà il sole» lo rassicurò Mary in un dolce sorriso. Peter restò ad osservare il cielo grigio con sguardo incerto tanto quanto il tempo, e quando lo scrosciare della pioggia fitta divenne un leggero ticchettio discontinuo sempre più raro fino a fermarsi riportò lo sguardo su Mary, già in piedi con due vecchi tomi polverosi sottobraccio.

«Che ti avevo detto?» esordì allegra quanto l'uccellino svolazzante dietro il vetro, il petto rosso piumato ad attirare l'attenzione di Peter. «Andiamo, conosco un posto che non si bagna mai».

Appena uscirono dal castello, passando tra i due Auror della sorveglianza diurna, Mary inspirò a fondo non capendo il perché tutti si lamentassero ancora della pioggia, del freddo e del nuovo vento di marzo che da una settimana aveva iniziato a scuotere le chiome degli abeti, far ululare le finestre delle torri più alte del castello e svolazzare i mantelli di tutti; lei percepiva già il leggero profumo dei narcisi selvatici nell’aria pregna d'umidità trasportata da quel vento forte ma, secondo lei, ogni giorno meno rigido. Scese velocemente la scalinata in pietra con Peter al seguito, percorrendo il cortile fino a raggiungere l'erba bagnata.

«Mary, aspetta, dove vuoi andare? Secondo me sta per piovere di nuovo, ho sentito un tuono»

«Nella Foresta»

«Nella Foresta?!» pigolò Peter arrestandosi di botto col mantello nero a turbinargli attorno.

«Lì dentro gli alberi sono così fitti che il terreno resta asciutto, possiamo sederci sul muschio» propose Mary senza fermare l'andatura decisa «Avanti, perché ti sei fermato?!»

«Non... non credo sia una buona idea! C'è anche freddo!»

«Sbrigati o resterai indietro!» gli gridò lei, ridente e sempre più lontana. Peter mugolò sconsolato riprendendo a camminare frettolosamente per raggiungerla sul pendio di grigio brugo accarezzato dal vento fino a rallentare di nuovo quando le arrivò al fianco, come due puntini neri minuscoli nell'immenso paesaggio scozzese selvaggio di nuovo tipicamente cupo per via del sole già sparito dietro grossi nuvoloni scuri e fitta nebbia.

«Ci sono i Centauri, là dentro, esistono davvero e sono pericolosi» balbettò Peter col fiatone e le guance piene arrossate per lo sforzo nel raggiungerla. «Ad ogni luna piena, quando andiamo con Remus, li vedo sempre»

«I Centauri non sono nella categoria “animali”» rispose Mary con fermezza. «Sono esseri senzienti molto rispettosi se trattati con rispetto, Peter, non gliene importa niente di noi perché sono troppo presi ad osservare le stelle. Non sono cattivi, in realtà ci disprezzano per colpa dell'ingiusto trattamento che gli riserva il Ministero e in tutta sincerità li capisco» spiegò con fervore raggirando dei piccoli cespugli di fitti bucaneve ormai liberi di sbocciare senza farsi più spazio tra la neve. «Non si avvicinano agli umani, dobbiamo soltanto non invadere il loro territorio e qualcosa mi dice che tu lo conosci bene quindi non abbiamo nulla di cui temere»

«Oh, beh... ma esiste anche un ragno gigante! Spaventoso! L'ultima volta ci ha inseguito insieme a una marea di altri ragni più piccoli»

«Lo so» confermò tranquillamente lei in un sorriso seminascosto dai ciuffi biondi del suo caschetto sbarazzino mosso dall'aria fredda intrisa d'abete e pioggia imminente. «Si chiama Aragog e più precisamente è un Acromantula maschio. Lo sto studiando con il professor Kettleburn sotto la supervisione di Hagrid, ma tu non dirlo a nessuno». Peter boccheggiò, sinceramente scioccato. «Se mai ti dovessi sfortunatamente trovare nella tana di un Acromantula non usare la bacchetta e non aprire bocca, loro amano il buio e il silenzio. Ma di Aragog non ti devi preoccupare, siamo amici di Hagrid e lui lo sa»

«Lui lo sa?!»

«Le Acromantule sono catalogate dal Ministero come animali Ammazzamaghi ma in realtà sono semi-senzienti e parlano, Peter. Aragog non ha mai fatto male ad un essere umano ed ha anche una moglie, si chiama Mosag» fece Mary guardandolo di sfuggita con un'occhiata divertita senza fermare la camminata. «Meglio non invadere nemmeno il suo territorio, comunque, soprattutto senza la presenza di Hagrid» aggiunse col respiro mozzato per un'improvvisa salita scivolosa per via della pioggia che aveva creato pozzanghere e fanghiglia. «Sono convinta che Cura delle Creature Magiche dovrebbe essere una materia obbligatoria e non facoltativa, almeno fino ai G.U.F.O. La cura e il rispetto vanno dati a tutti, umani e non, e sono valori che un mago e una strega dovrebbero possedere per essere persone complete, non credi? Soltanto conoscendo a fondo le altre creature si distruggono i pregiudizi di ogni genere e le paure come le tue e quelle della maggior parte della gente».

Peter strabuzzò gli occhi azzurri, incredulo e spiazzato dalla tranquillità con la quale Mary si approcciava a quelli che lui aveva sempre chiamato ''mostri'' e che per lei invece sembravano esseri umani con nomi, sentimenti, addirittura una moglie.

«“Non esistono bestie intrinsecamente malvagie, vanno soltanto comprese”. É questo che Newt Scamander dice nel libro di testo. E ha ragione» disse Mary con un sorriso soddisfatto, allungando il passo spedito. «Scamander ha scoperto per noi cosa fare e cosa invece non fare davanti ad ognuna, perché se le creature ci attaccano è soltanto colpa di un nostro gesto sbagliato». Peter la seguì pensando che lui aveva paura di entrare in quella Foresta da topo, un animale che passava inosservato perfino sotto al naso degli scoiattoli, mentre lei aveva il coraggio di stare faccia a faccia con le bestie più pericolose. In quel preciso momento capì perché quella ragazza piaceva così tanto a Remus.

Quando arrivarono al limitare della Foresta, Mary si fermò davanti ad un vecchio imponente castagno dal bitorzoluto tronco solido e un'ampia rete di rami spogli resistenti al vento, a parecchi metri sopra le loro teste.

«Non è bellissimo?» disse piegando la testa come se stesse cercando qualcosa in mezzo a quell'intreccio di corteccia grigiastra.

Un uccellino cinguettava solitario e melodioso nonostante il maltempo, il profumo della terra bagnata impregnava l'aria e il fruscio dei nuovi fili d'erba verdissimi sotto le loro scarpe e i mantelli svolazzanti sembravano rendere quella nicchia di natura incontaminata davanti a loro lo spazio più rilassante della Scozia ma, al contrario dello sguardo limpido di Mary posato sull'albero maestoso, quello cupo di Peter fu irrimediabilmente catturato dal buio nebbioso in fondo, tra i tronchi muschiati degli abeti di un verde profondo quasi nero, sempre più fitti e con le grosse radici aggrovigliate nel terreno fangoso.

Mary sapeva tutto sugli esseri pericolosi che abitavano lì dentro, e sembrava anche parecchio brava a capire cosa fare e cosa non fare per sopravvivere in caso di attacco. Lui no, lui non avrebbe saputo cavarsela nemmeno con quelli. Tutti sembravano essere bravi in qualcosa, tutti eccetto lui. James e Sirius erano straordinariamente brillanti in tutto, Mary sapeva tenere a bada i mostri, Lily era un genio con le pozioni e come Remus sapeva sempre quale fattura o incantesimo ci voleva per difendersi efficacemente e rendere innocuo il nemico; per non parlare di Liv che faceva paura con la bacchetta in mano e che, anche se non sapeva evocare un Patronus corporeo, all'ultima lezione pratica di Difesa aveva distrutto tutte le sagome di legno del professor Dearborn con una velocità, precisione e forza tanto da impressionare il professore. Lui era bravo a trasformasi in topo in mezzo secondo, ma per cosa?

«Lo so, l'ignoto fa paura» ammise Mary facendo due passi per poi chinarsi a raccogliere uno stelo piegato dal bocciolo del bucaneve che le schizzò d’acqua gelida la mano con i petali candidi. «Ma non devi pensare sempre al peggio, Peter. Lì dentro ci sono anche puri Unicorni e... guarda bene chi ci sta spiando tra i rami del castagno...»

«Cos'è?»

«Un innocuo Asticello che fa la guardia al suo albero da bacchette»

«Cosa dice Newt Scamander riguardo i Dissennatori?» la spiazzò a bruciapelo lui, liberando la sua paura più grande come non faceva più nemmeno con Remus. «Non ha strategie? Ci si può nascondere e passare inosservati davanti a loro?»

«Beh, in realtà non vedono perché non hanno occhi» gli rispose Mary lasciando perdere i fiori per portare tutta l'attenzione sul tondo volto improvvisamente meno ombroso dell'amico. «Ma captano le emozioni, è inutile nascondersi a meno che non trovi un modo per smettere di provare emozioni» aggiunse dispiaciuta vedendo la delusione e una punta di panico impadronirsi negli occhi celesti davanti. «Loro sì che sono creature oscure, per questo si studiano a Difesa e non c'è molto da fare a parte dargli in pasto il Patronus al posto della tua anima»

«Come fai, Mary?»

«A fare cosa?»

«A non avere paura anche se non sai evocare un Patronus».

A quelle parole tirate fuori a fatica forse per vergogna, Mary lo guardò con sconcerto. «Eccome se ce l'ho» gli assicurò, avvicinandosi. «Abbiamo tutti paura, Peter, pensi forse di essere il solo?»

Il mutismo del ragazzo le fece storcere il naso e aggrottare le sopracciglia bionde, interdetta. Lei lo ammetteva schiettamente di avere paura, lo faceva sempre davanti a tutti quando l'argomento “Ordine della Fenice” spuntava fuori; era l'unica a dirlo, era vero, ma lo faceva e Peter non poteva sentirsi solo. Forse, si disse Mary continuando a scrutarlo, la differenza tra loro era che lei aveva una speranza dentro a farle pensare che la primavera sarebbe arrivata, prima o poi, al contrario di Peter sempre più immerso in un inverno a sua detta ''infinito”. Per questo, Mary cercava di passare sempre più tempo con lui quando avevano le ore buche in comune.

Un tuono più vicino dei precedenti fece sollevare i nasi all'insù di entrambi.

«Si sta avvicinando un altro temporale, Mary, sarà meglio tornare al castello di corsa»

«Perché invece non vieni con me da Hagrid? Devo dare una controllatina a Newt, il mio Occamy»

«Ma sta per venire giù il cielo»

«Il tetto più vicino è quello di Hagrid. Senza contare, poi, che ci darà i biscotti e farà il tè bollente»

«No, grazie, gli altri stanno per uscire dall'aula di Pozioni, quei biscotti assomigliano alle pietre del Lago Nero e... ho paura degli Occamy». Mary rise piano scuotendo la testa, ma Peter non le diede il tempo per ribattere. «Ci vediamo in Sala Comune più tardi o direttamente a cena!» la salutò incamminandosi goffamente per via dell'andatura frettolosa sul fango e del mantello pesante, bagnato sull'orlo. Mary lo seguì con lo sguardo arreso fino a quando lui non sparì dietro il ripido pendio.

A volte riusciva ad alleggerirgli i pensieri, altre invece lo vedeva andare via più cupo che mai, come in quel momento. Sospirò sconsolata e dopo aver gettato un'occhiata ai nuvoloni neri in lontananza diede le spalle al maltempo minaccioso, si sistemò il cappuccio del mantello attorno al collo e prese il sentiero fangoso in direzione della capanna del guardiacaccia costeggiando senza fretta il limitare della Foresta Proibita con le cime degli abeti dondolanti nell'aria. Quando tornava a casa in Cornovaglia amava fare lunghe passeggiate sulle verdi distese immense o i boschi più fitti, arrivare fino al mare selvaggio che s'infrangeva sull'alta scogliera e respirare aria nuova.

Era abituata al maltempo più rabbioso, Mary, quello dell'oceano che sollevava spaventose onde, piegava senza pietà l'erica della brughiera, faceva andare alla deriva i pescherecci e scricchiolare i vetri alle finestre delle case, ma che finiva sempre con un doppio arcobaleno salato e le reti brulicanti di pesci. Un po' come Hagrid e James che venivano anche loro dal West Country, ma dalla contea più a nord; Hagrid dalla selvaggia Foresta di Dean al confine col Galles vicino alla città gallese di Ned Stevens, dall'altra parte del mare di Bristol- l'aveva scoperto durante una delle tante chiacchierate sui draghi che si faceva con lui- e James invece dalla zona più a nord senza mare. Anche loro sapevano riconoscere le tempeste senza perdere la speranza e l'ottimismo, anche loro sapevano che bisognava prepararsi per poter resistere come faceva l'erica sulla scogliera sotto il vento sferzante e la salsedine o il gelo della neve; Hagrid e Ned conoscevano quell'aria spaventosa ma rinvigorente, sospesa all'orizzonte frastagliato del mare grigio piombo prima di una burrasca; chiacchierare con Hagrid era come tornare a casa, era avere qualcuno che pensava come lei.

Quando Mary arrivò davanti alla capanna del guardiacaccia, però, non trovò nessuno. Dal comignolo in pietra stranamente non saliva nessun filo di fumo e la porta era chiusa a chiave. “Strano”, si disse facendo il giro dell'orto senza trovare traccia della balestra. Con un tuffo di dispiacere al cuore fece dietrofront e si accinse a risalire il pendio ripido sotto una nuova pioggerella fredda.


 


 


 

*

 


 

Lo sguardo chiaro del professor Lumacorno attraversava i vapori dell'aula di Pozioni per posarsi apprensivo su Lily ogni due per tre. La sua studentessa pupilla non faceva altro che sorridere da sopra il suo calderone fumante accanto a quello di Potter, i capelli rossi semiraccolti e disordinati attorno al viso. Più volte il professore si era avvicinato per chiederle se andasse tutto bene ottenendo sempre la stessa risposta: “Benissimo, professore”, stupendosi subito dopo per le espressioni divertite di entrambi. Non si capacitava ancora del fatto che quei due stessero insieme e cominciava a preoccuparsi per lo strano comportamento della presunta Lily Evans.

«Scusi, signore?» esordì inespressivo Piton alle sue spalle. Lumacorno si accorse soltanto in quel momento di essersi seduto sul vassoio con i petali di rosa del Serpeverde.

«Severus, ragazzo mio, perdonami» si scusò in un borbottio mortificato tra i baffi biondo zenzero, spostandosi dal tavolo da lavoro dei Serpeverde che Piton condivideva con Mulciber. «Oggi sono un po' tra le nuvole. Ma vedo che invece la tua mistura sta prendendo la giusta luminosità madreperlacea, non è vero?»

Piton non lo degnò di uno sguardo così come non aveva degnato il mondo che l'aveva circondato per tutta la giornata, pranzo compreso.

«Sirius, leva questa... cosa dal mio spazio vitale, è tutta la maledetta giornata che lo fai» sbottò sottovoce Remus piuttosto irritato, come di consueto dentro quella classe. Allentò la cravatta rossa e oro al collo e si asciugò la fronte con l'avambraccio lasciato scoperto dalla manica della camicia arrotolata fin sopra il gomito, sbuffando; lo sguardo ambrato sotto le sopracciglia corrucciate divise da una sottile ruga sembrava rimbalzare ad intermittenza da Pozioni Avanzate al calderone fumante sotto al suo naso.

«Questa... cosa, Lunastorta, come dici tu» mormorò al suo fianco Sirius sventolando con ancora più veemenza la macchina fotografica di William Johnson. «Poteva causare gravi danni al resto del nostro ultimo anno scolastico». Remus sembrò non ascoltarlo, tantomeno sentirlo. “Perché diamine non sale a spirali? Ho fatto tutto quello che dice il manuale” stava ringhiando tra i denti mollando il mestolo sul tavolo sporco d'ingredienti tagliuzzati per piantare le mani sui fianchi con stizza fissando la sua pozione bollire in modo sbagliato mentre Sirius gettava con poca accortezza tre uova di Ashwinder, una spolverata fin troppo generosa di peperoncino e un numero non identificato di petali di rosa nel calderone affianco, tenendosi un petalo rosso per lanciarlo in faccia a Liv che sorrise brevemente sciogliendo l'espressione seria e concentrata rivolta alla sua pozione, mescolando volutamente in apnea.

Lily restò ad osservare James tentare di tagliare a metà un congelato uovo di Ashwinder con il coltello sbagliato, lanciare sguardi sfuggenti agli altri ingredienti sul tavolo, grattarsi la nuca scarmigliata, sistemarsi gli occhiali sul naso, sbuffare. Non si era ancora abituata a vedere la paura sul viso di James Potter; non era mai palese, scritta limpidamente sui lineamenti come quella di Peter, ma c'era e da quando Lily aveva iniziato a notarla, mesi prima, tutto era cambiato. La vedeva sempre più spesso, lì in quell'aula, ma a volte anche dentro le serre di Erbologia, ovvero nelle materie necessarie per diventare Auror eccetto quelle in cui eccelleva come Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure e Trasfigurazione. Un po' come Liv che da tre mesi aveva l'unico obiettivo di prendere E a tutti i M.A.G.O. per essere accettata dall'Accademia Auror e sbattere in cella Avery; Lily vedeva l'ossessione della vendetta dare alla sua amica una ferrea e costante concentrazione. Mancavano soltanto quattro mesi alla fine dell'anno scolastico e l'agitazione cominciava a crescere in tutti.

«Cosa c'è che non va, James?» chiese sottovoce facendogli sollevare la testa spettinata verso di lei, sorpreso. Per un attimo James restò spiazzato dal fatto che Lily l'avesse capito senza parlare.

«Credi che un Accettabile in Pozioni basterà all’Accademia Auror?» liberò i suoi pensieri afferando il mestolo con aria nervosa per poi poggiarlo di nuovo sul banco come se non sapesse che farsene. Le labbra di Lily si curvarono lievemente verso l'alto al pensiero di aver letto bene l'espressione di James.

«Al colloquio di orientamento la McGranitt ha detto a Liv di no, James»

«Già, l'aveva detto anche a me» borbottò lui riprovando a tagliare l'uovo che sgusciò via dalla lama sotto gli occhi verdi di Lily brillanti nella semi oscurità fumosa della classe di Lumacorno, impressionati dal fatto che James Potter a quindici anni avesse già in mente di scegliere la carriera Auror.

«Non sei tu che sbagli, comunque» esordì dopo un po' Lily, sottovoce, facendogli sollevare un sopracciglio nero sopra la montatura rotonda degli occhiali.

«No? Fino a prova contraria questa che tiene il coltello è la mia mano, Lily»

«È il manuale che sbaglia»

«Oh, come siamo superbe» la prese scherzosamente in giro James, punzecchiandole un fianco con la mano libera.

«Ti ho osservato, sai?» ribatté lei spostandosi giusto in tempo per non scoppiare rumorosamente a ridere dal solletico.

«Sì, lo so che non riesci a fare a meno di fissarmi, oggi»

«Ti ho osservato, per anni» ammise Lily schiettamente non senza una punta d'imbarazzo che nascose perfettamente dietro un'occhiata fintamente accusatrice. James strabuzzò gli occhi dietro le lenti degli occhiali appannati dal vapore che saliva in perfette e sinuose spirali dal calderone pacifico di Lily, tutto il contrario del fumo nero proveniente da quello borbottante di Sirius.

«E, a parte questo tuo odio spropositato per Pozioni dato soltanto dal fatto che è la materia preferita di Piton...»

«Scusa?»

«Sbagli perché ti distrai» proseguì con decisione Lily, la schiettezza nella voce e negli occhi verdi «perché vuoi fare un dispetto a Lumacorno, perché prendi in giro Piton, parli con Sirius oppure perché sei tra le nuvole a pensare a chissà cosa e quando non fai tutte queste cose segui alla lettera Pozioni Avanzate»

«Non vedo dove sta lo sbaglio nell’ultima parte» replicò James, allibito da quell'elenco minuzioso di cose che riguardavano se stesso.

«Ti svelo un segreto: Pozioni Avanzate è pieno di errori»

«E hai passato sei anni e mezzo a dire che sono io il pallone gonfiato!»

«Ssst!» soffiò Lily senza trattenere però una bassa risata. «All’inizio dell’anno la Pozione Polisucco ti è uscita perfetta, sai perché?» gli chiese in tono cospiratore. James restò in silenzio, guardandola spaesato. «Perché hai copiato ogni minimo gesto di Piton davanti al calderone»

«Mi hai osservato davvero» constatò lui con un sorrisetto a metà fra lo stupito e il compiaciuto. Lily sollevò gli occhi verdi al basso soffitto di pietra, un sorrisino ad incurvarle le labbra.

«Si tratta di conoscere i tuoi avversari ed agire di conseguenza» mormorò decisa abbassando lo sguardo divertito sugli ingredienti sopra il tavolo.

«Stai dicendo che per andare bene a Pozioni devo conoscere Piton? Forse sei tu che non conosci bene me, Evans, perché io Piton lo conosco anche fin troppo bene e preferirei consegnarmi al Platano Picchiatore, nudo, piuttosto che fare ripetizioni con lui»

«Devi conoscere gli ingredienti, Potter, sono loro gli avversari da conoscere»

«Sono solo ingredienti, Evans. Voglio dire, questi occhi sembrano dire “Continua a fissarmi e ti farò vomitare l’anima” ma in realtà non si possono definire dei veri e propri avversari»

«Non sono “solo ingredienti”, Potter».

Liv gettò un'occhiata nella loro direzione, divertita dal loro battibecco nonostante fossero ormai una coppia ufficiale.

«Sono come le persone, reagiscono con le altre e con il trattamento, il calore, il freddo, il tempo» stava dicendo Lily prendendo un freddo uovo di Ashwinder per avvicinarlo alla fialetta d'Acqua di Luna che Sirius, tre posti più in là, offrì a Remus ricevendo in risposta dall'amico lupo mannaro una sonora pappina.

Lily avvicinò i due ingredienti come se stesse facendo interagire due pupazzi davanti ad un bambino. «Sono come i giocatori avversari in campo o i membri nuovi della tua squadra: se non conosci le loro mosse in anticipo risultano imprevedibili» continuò sentendosi addosso la completa attenzione di James come aveva previsto. «Ma se li studi a fondo, proprio come fai tu ad ogni partita o allenamento, sarai capace di anticipare le loro mosse e far funzionare tutto»

«Ho una ragazza che sa qualcosa di sport» constatò James sinceramente illuminato, osservandola sorridere. Si accorse proprio in quel momento che Lily aveva sorriso per tutto il giorno, quasi in continuazione, non ricordando di averla mai vista così. Liv, al suo fianco, pensò la stessa cosa della sua amica, mescolando la mistura con un sorrisetto trattenuto dai denti.

«Pozioni è un po’ così» riprese Lily completamente inconsapevole del suo sorriso costante «un po' come il Quidditch. È così che io e Piton». Si fermò, schiarendosi piano la voce. Nella sua espressione del viso James ci lesse un passato pieno di chissà quanti ricordi, ma era soltanto un’ombra scura che passò su quel bel volto fiero come un nuvolone nero sospinto lontano dal forte vento di marzo.

«È così che ho scoperto che tre foglie di Centinodia non possono stare bene con sedici gocce d'essenza di Mandragora, per esempio» proseguì Lily con un certo orgoglio. «Perché, al contrario di quello che dice Pozioni Avanzate, sono troppo poche e i principi attivi in tre foglie non possono reagire bene a questa quantità di Mandragora. Ci vogliono soltanto sei gocce precise... sei gocce, Potter, non mezza in più e non mezza in meno». L'ultima parte del discorso le uscì dalla gola a mezza voce non soltanto per non disturbare la classe e non farsi sentire dal professore, ma anche per l’eco di vecchie giornate passate a sperimentare le proprietà di ogni singolo ingrediente con Severus.

«Quindi, Potter, prima cosa: studia i singoli ingredienti, i giocatori per così dire, le loro proprietà e i punti di forza, i difetti e i modi più efficaci per trattarli, soltanto così scoprirai le combinazioni migliori per ottenere ciò che vuoi. I libri non hanno sempre ragione e a volte bisogna fidarsi del nostro istinto, ma tu questo già lo sai».

James restò a guardarla, piacevolmente sorpreso. «Ti ho già detto che sei un genio?»

«Mai»

«Mai? Davvero?»

«Davvero. A voce, s’intende».

James sorrise, capendola. Non glielo aveva mai detto a voce, ma evidentemente Lily doveva averlo capito ogni volta che lui l'aveva guardata in quel modo. Nello stesso istante, James scoprì che era anche per quel motivo che l'aveva baciata il giorno prima, nella Foresta. Lo fece anche in quel momento, si chinò su di lei con l'intenzione di sfiorarle le labbra con le sue in un bacio dolce che però non avvenne per colpa del rumore sordo di un barattolo di vetro rotto in mille pezzi sul pavimento di pietra.

«Severus!» esalò atterrito il professor Lumacorno tenendosi la pancia.

«Mi scusi, signore» esordì il Serpeverde, imperturbabile a parte la linea delle labbra sollevata leggermente in un angolo «Mi è scivolato»

«Quando ti deciderai a darti una sciacquata alla testa, Mocciosus?» lo sbefeggiò Sirius dal fondo dell’aula, ignorando le ammonizioni di Lumacorno. «Cose del genere non capitano senza olio sulle dita, lo sai?»

Ma Piton sembrò non aver nemmeno sentito o visto il volto beffardo di Sirius. Severus era una maschera d'indifferenza ma era anche più pallido del solito, gli occhi più neri del normale, soltanto Lily se ne accorse e non fece niente per evitare d'incontrare il suo sguardo. Sostenne quel contatto perforante fatto di dolore, amarezza e delusione profondi, disgusto e forse anche odio. Lily non si era mai sentita addosso il disgusto e l'odio di Piton, in quel momento scoprì quanto potesse essere spaventoso. Non le importò. Se Severus pensava di farla sentire un'ipocrita o una traditrice con quello sguardo che gridava "Stai con quello che ritenevi un idiota" si sbagliava di grosso, non sapeva più niente di lei.

«Bene, il tempo è scaduto» sentenziò gioviale Lumacorno riaggiustando il barattolo a terra con uno sventolio di bacchetta «e la mistura complicata e pericolosa che ci ha accompagnato per tre interi mesi dovrebbe ormai essere potentissima e pericolosissima Amortentia»

«Professore, posso andare in bagno?» chiese Piton con voce gelida. Lumacorno strabuzzò gli occhi chiari aggrottando le folte sopracciglia bionde, preso totalmente alla sprovvista dalla domanda. «Beh, Severus, certo» borbottò dopo un po'. «Se ne hai bisogn...» Non riuscì a terminare la frase perché il suo alunno migliore che non aveva mai saltato nemmeno un minuto di lezione era già sgusciato via tra i banchi con la tunica nera e verde svolazzante, uscendo in tutta fretta fuori dall'aula riempita da dense spirali di fumo che cominciavano ad emanare assuefanti aromi nell'aria, salendo ipnotici fino al soffitto.

«Ecco, be'» riprese Lumacorno distogliendo lo sguardo stranito dalla porta che Piton si chiuse alle spalle con un cigolio sinistro e un tonfo cupo. «Al tavolo dei Serpeverde vedo le caratteristiche spirali sollevarsi soltanto dal calderone di Severus» constatò guardando con una smorfia Mulciber sventolare una mano per scacciare via il vapore violetto dalla faccia stizzita. «Abbott? Tutto bene?» L'unico Tassorosso della classe, da quando Edgar Bones era sparito ad Hogsmeade, sollevò il pollice di una mano nera di fuliggine quanto tutta la faccia e i capelli biondi.

«Corvonero, voi... complimenti, signor Goldstein!» esclamò sorpreso Lumacorno accingendosi ad avvicinarsi al calderone di uno dei tre Corvonero per controllare anche colore e consistenza della pozione del Prefetto, ma si fermò al centro dell'aula sconcertato dal sempre più invadente fumo nero che nascondeva tre quarti di tavolo Grifondoro, ovvero la metà di un Remus con le mani sui fianchi in rassegnato disappunto e tutta l'intera alta figura di Sirius.

«Black, questo è troppo addirittura anche per te»

«Peccato» esordì la voce sarcastica di Sirius da dietro la nebbia fitta «ci tenevo tanto a questa pozione in particolare».

Remus arcuò un sopracciglio castano, gli occhi ridotti a fessura, ripensando a tutti gli ingredienti che Sirius aveva buttato a casaccio dentro il calderone senza nemmeno leggere il manuale, giusto per evitare che la pozione riuscisse e fare i conti con ciò che aveva con Liv.
Liv che- Remus si sporse a guardarla- era ad un metro e mezzo di distanza dal tavolo a braccia conserte, scrutando cupamente Lumacorno avvicinarsi al suo calderone con invece un'aria curiosa e sorpresa.

«Niente male, McAdams, niente male! In quest'ultimo periodo ti stai mettendo d'impegno, ho notato. Mi sai dire la particolarità di questo potente filtro d'amore?»

«L'aroma cambia da persona a persona, in base a cosa ci attrae di più»

«Bene, cinque punti a Grifondoro» sentenziò Lumacorno compiaciuto tanto quanto Lily che sorrise scuotendo però piano la testa nel vedere l'amica restare perfettamente impassibile, a debita distanza dal calderone.

«E tu cosa senti, se posso sapere?»

«Nulla, professore, purtroppo sono raffreddata».

Remus la guardò accigliato storcendo il naso e mordendo l'interno di una guancia per trattenere un sorriso divertito, pensando a quanto stupidi fossero quei due davanti alla paura di ammettere la “cosa” che li teneva uniti anche con i vestiti addosso.

«Lily? Tu cosa senti?» proseguì Lumacorno in tono indagatore avvicinandosi al calderone senza nemmeno dargli uno sguardo. Lily sorrise per l'espressione agitata sotto i baffi paglierini del professore con gli occhi che le scrutavano il viso come se volesse analizzarle ogni singolo lineamento in cerca dei suoi segni particolari.

«Sono proprio io, professore» rispose semplicemente percependo sotto al naso un avvolgente odore così piacevole ed annebbiante da farle aprire il sorriso senza poterlo fermare. Era lo stesso identico profumo che l'anno precedente aveva sentito arrivare dal calderone preparato dal professore, alla prima lezione di settembre, e sapeva di muffin al caramello e dell'armadio delle scorte di quella stessa aula, del profumo dell'erba in riva al Lago Nero e dell'essenza forte dell'abete unita alla vivace menta piperita che l'anno prima non si era spiegata e che soltanto in quel momento riconobbe come l'odore del Mantello dell'Invisibilità di James, più precisamente era quello dei suoi capelli ribelli che facevano da palo portante sotto quella stoffa sempre pronta a proteggere i suoi amici.

«Sono io, professore» lo rassicurò con la nuova interna scioccante constatazione di essere attratta da James Potter da chissà quanto tempo. «La vera Lily Evans libera da Maledizioni senza Perdono che decidono le mie azioni, senza filtri d'amore o Pozione Polisucco nelle vene, e soprattutto ancora Grifondoro fino al midollo perché ci vuole del coraggio per uscire con Potter, non lo può più negare» concluse notando i baffi biondi del professore vibrare leggermente come se avessero riconosciuto la risposta alla solita affermazione che il professore le rivolgeva sempre: “Saresti dovuta stare tra i miei Serpeverde”. Ma Lily vedeva ancora del dubbio in quegli occhi affezionati a lei, e non faticò a crederci perché lei stessa aveva smesso di dubitare di essere la vera Lily Evans soltanto la sera prima. Si voltò verso James che a braccia conserte faceva il finto offeso per la battuta sul coraggio- tradito da un sorriso mal trattenuto- per poi voltarsi di nuovo verso il professore.

«E va bene» aggiunse con aria astuta e vivace. «Mi faccia mandar giù un Bezoar intero come veloce antidoto contro il filtro d'amore velenoso, dato che è stato Potter a crearlo»

«Benedetta, ragazza!» scoppiò Lumacorno aprendosi in una fragorosa risata. «Soltanto tu penseresti ad un Bezoar come antidoto universale! E che sfacciataggine con Potter!»

Lily rise, contagiata dal sorriso radioso del professore finalmente convinto e dalla faccia sempre più oltraggiata di James. «Sei proprio tu, mia cara! Be', allora non mi resta che farvi i miei migliori auguri e... Potter, hai tra le mani un fiore raro»

«Lo dica anche a Evans, professore» rispose James facendo scoppiare tutti a ridere nel tentativo di camuffare il cuore gonfio che gli stava scoppiando nel petto; nell'istante in cui inspirò per dare un contegno alla felicità, una densa spirale di fumo del calderone di Lily lo inebriò inaspettatamente rendendogli il respiro pesante e lento. Poteva sentire la torta alla melassa e l'intensa essenza della Foresta nelle notti di luna piena, quella inconfondibile del legno dei manici di scopa e il fresco mughetto dei capelli rossi di Lily che si aggiunse alla golosa cannella delle sue labbra facendolo sorridere pigramente, inebetito. James si sentì molle e quasi levitante in una sensazione offuscante tanto era bella e non molto diversa da quella che aveva iniziato a provare la sera prima.

«Preparatevi alla prossima lezione, signore e signori» riprese con entusiasmo Lumacorno battendo le mani per attirare l'attenzione di tutta la classe che cominciava a ritirare libri, bilance ed ingredienti. «Riprenderemo in mano la misteriosa mistura “sorpresa” che vi ho fatto iniziare a preparare a gennaio, l'ultima di quest'anno. Badate che non sarà affatto una passeggiata, sarà la cosa più difficile che i vostri calderoni abbiano mai visto!»

«Più difficile della Polisucco e degli antidoti ai veleni avanzati della settimana scorsa, signore?»

«Più difficile anche di quelli, signor Stone! Assurdamente difficile da preparare e disastrosa se si sbaglia, per questo l'ho lasciata per ultima»

«Che pozione è una che ha bisogno di sei mesi per essere pronta?»

«Felix Felicis» rispose Lily al Tassorosso «fortuna liquida»

«Esattamente, cara» Il faccione di Lumacorno si illuminò in un sorriso ampio, orgoglioso da scoppiare, mentre Liv notava gli occhi di Mulciber baluginare febbrili e desiderosi nella semi oscurità dell'aula come quelli di un serpente nella sua tana.

«Lunedì scopriremo perché risulta tossica se assunta in dosi eccessive. Io, per esempio, l'ho presa soltanto due volte in tutta la mia intera vita. Solo uno di voi, quello che a fine anno riuscirà a completarla perfettamente, potrà averne una fiala come mio personale regalo per chiudere in bellezza la carriera scolastica». Gli occhi di Lumacorno si soffermarono su Lily, come se fosse già sua. «Ma soltanto dopo aver sostenuto i M.A.G.O... non vorrei vi annullassero gli esami, per l'amor di Merlino! Questa curiosa pozioncina è bandita nelle competizioni ufficiali, negli eventi sportivi, agli esami e alle elezioni. Per adesso imbottigliate la vostra Amortentia, scriveteci sopra nome e cognome come al solito e portatemela alla cattedra».

Liv non aspettava altro. Con un gesto della sua bacchetta di prugnolo fece levitare il mestolo per tuffarlo nel calderone senza avvicinarsi al tavolo, riempì la sua ampolla e la fece arrivare sul palmo della mano sinistra. «Non fare domande con lo sguardo, Remus» disse tappandola velocemente e contemporaneamente pulendo il calderone con un altro gesto sbrigativo della bacchetta. Remus, che aveva seguito ogni suo gesto con divertito sguardo perplesso, sollevò le mani trattenendo una bassa risata prima di chinarsi a scrivere il suo nome sulla fiala. Gettò un'occhiata anche a Sirius da sopra la piuma, vedendolo scrostare con il coltello d'argento la sua pozione diventata ormai fredda lava nera, fischiettando come uno spensierato spazzacamino.

«Lily, cosa stai facendo?» sussurrò James osservando la ragazza riempire con la sua perfetta Amortentia una seconda fiala.

«Sta' zitto e scrivi il tuo nome qui»

«Questo è imbrogliare l'Accademia Auror»

«Un Auror non sconfigge Voldemort facendolo innamorare di lui con l'Amortentia, Potter» sentenziò lei sentendolo ridere sotto i baffi subito dopo.

Quando tutti ebbero consegnato, l'aula cominciò a svuotarsi. Passando accanto al calderone di Lily ancora da pulire, Remus diede di proposito una spintarella a Sirius che si ritrovò col naso altero sotto i vapori dell'Amortentia. “Remus” gli sentì ringhiare tra i denti mentre, agile, riusciva ad allontanarsi da lì in tutta fretta come se il fornello sotto il calderone fosse ancora pericolosamente acceso a fiamma vivace. Remus sorrise affabile camminando tranquillo alle sue spalle, guardandolo scostarsi con un gesto della testa i capelli dagli occhi socchiusi mentre varcava la porta dell'aula a falcate disinvolte, gli angoli delle labbra irrimediabilmente sollevati verso l'alto e nel naso il penetrante sentore di benzina della motocicletta e delle sue ruote sull'asfalto, l'odore confortante che si respirava nel dormitorio condiviso con i Malandrini e la nota dolce ed inebriante di fiori d'arancio, mimosa ed iris che aveva percepito anche l'anno precedente, dai vapori sollevati dalla fila di calderoni preparati dal professore, e un mese prima nel bel mezzo della rottura con Liv, sempre in quell'aula.
Rimandava a Liv, quel buon odore dolce e allo stesso tempo sensuale che rendeva tutta quell'amalgama di fragranze la cosa più saziante e seducente che avesse mai sentito. Sirius batté le palpebre pesanti sentendosi rallentato, inebriato, perfettamente soddisfatto.
«Idiota» mormorò tra sé Remus seguendo l'amico con lo sguardo ambrato ridente e il naso pieno di squisito cioccolato e dell'aroma inconfondibile di pergamena vecchia in biblioteca, di tè al limone e densa vaniglia che gli ricordò immediatamente Mary, sfumando in modo inaspettato in letame di Occamy.

Risalirono al piano terra dove l'aria era meno umida, la luce del giorno faceva strizzare gli occhi e la vita del castello brulicava con le chiacchiere degli studenti in movimento. Liv si sistemò la tracolla sulla spalla notando gruppetti di ragazze di ogni età e Casa fissarla da lontano con occhiate circospette ed indagatrici. Distolse lo sguardo come si era ritorvata a fare per tutta la giornata di lezioni da quando il giornale di Allock era spuntato a colazione.

«Mulciber vuole la Felix Felicis, perciò deve essere nostra» esordì ignorando due ragazze Corvonero vicino alle clessidre tutte intente ad indicarla, parlottando tra loro. «Piton ha ottime possibilità di averla quindi, Lily, tu...»

«Farò del mio meglio, puoi metterci la mano sul fuoco» rispose lei camminando alle sue spalle, fianco a fianco con James dall'aria rilassata e al tempo stesso così euforica da far sorridere Remus, emozionato e divertito nel vederlo finalmente in compagnia di Lily, finalmente felice. Tutto il contrario di Liv e Sirius che avevano l'aria di chi si sente tremendamente a disagio. Remus, in coda alla fila, riuscì a ridere sottovoce senza più trattenersi, facendosi i piani di scale col borbottio infastidito di Sirius (“Ci siamo liberati solo due anni fa di quell'idiota pettegola di *Bertha Jorkins”) e le frasi ''Odio Allock” di Liv, liberate ad intervalli regolari ad ogni gruppetto di ragazze dagli sguardi insistenti incontrati per strada.

«Che c'è, Evans?» chiese James osservando Lily lanciargli occhiatine abbinate ad un sorrisetto mal trattenuto mentre aspettavano la scala del quinto piano, in mente l'espressione di James quella mattina a colazione dopo essere stato chiamato “bue”.

«Ti disturba la popolarità che hai addosso adesso che sei la mia ragazza?» la stuzzicò James prendendole la mano sotto gli occhi curiosi di due Tassorosso. “La mia ragazza”, al solo ripeterlo, a James tremavano le ginocchia.

«Non dirlo più, Potter»

«Cosa? Che sei la mia ragazza?»

«Non credo di essere pronta a sentirlo a voce» rispose provocatoria Lily, scoppiando poi a ridere davanti alla faccia spaesata di James. Contemporaneamente, però, si ritrovò a stringergli le dita fra le sue sentendo un calore mai provato prima invaderle il cuore.

«Perché non mi ha detto subito che sei un cervo e non un bue?»

«Be', per prima cosa non sapevo sapessi di Remus» iniziò James scrutando Lily storcere il naso lentigginoso, pensierosa, prima di annuire dandogli ragione. «Poi, quando l’hai scoperto, avevo vergogna» rivelò James senza problemi, quasi con aria di sfida tanto che a Lily scappò uno sbuffo di risata esilarata come se avesse appena sentito una battuta particolarmente divertente. «Vergogna?» rimarcò, guardandolo scettica. «Pensavo non sapessi nemmeno il significato di ''vergogna'', Potter»

«Delle mie corna grandi quanto due Bacchette di Liquirizia? Sì, avresti potuto benissimo scambiarmi per il bue»

«Sei un idiota» l'apostrofò Lily senza però riuscire a non guardarlo con uno sguardo affettuoso che contagiò James.

«Ma alla fine l’ho capito, Evans, sai?»

«Cosa?»

«Che a te interessa l’interno».

Lily sorrise prima di sollevarsi sulla punta delle scarpe per dargli un breve bacio a fior di labbra senza accorgersi che la scala del quinto piano era arrivata ed era anche andata via di nuovo con Liv, Sirius e Remus sopra.

«E avrei dovuto capirlo da subito, da quando ti ho visto sul treno affianco a Piton» continuò James, leggermente stordito da quel gesto spontaneo. «Voglio dire, chi starebbe con un tizio del genere?» scherzò, con un pizzico di serietà nella voce, portandole una lunga ciocca rossa di capelli dietro l'orecchio. Lily non rispose, limitandosi ad arcuare un sopracciglio.

«Piton doveva davvero essere un buon amico per farti restare con lui. Poi è diventato marcio ed unticcio anche dentro ed ecco che l’hai lasciato andare via. Hai la capacità di vedere dentro le persone, Lily, non è da tutti. Pensavo vedessi anche me, ma ho capito tardi che per vedere le persone come sono davvero hai bisogno di scorgere anche solo un po' di luce uscire da dentro».

Lily sorrise ancora perché James l’aveva capita perfettamente. E se ne rese conto soltanto in quel momento, qual era stata la scintilla che le aveva fatto intravedere la luce che adesso quasi l'accecava: l'aver salvato il suo peggior nemico da morte certa era stata la primissima scintilla che alla fine del quinto anno le aveva fatto vedere James e che per tutto il sesto l'aveva incuriosita da lontano come una falena orgogliosa.

James non era cambiato, le aveva soltanto fatto vedere cos'era sempre stato. Non aveva visto quel James, Lily, perché lui non le aveva mai dato segno della sua esistenza, era stato nascosto con furbizia e incrollabile fratellanza dietro troppi sorrisi dalla stessa curva strafottente, sotto il Mantello dell'Invisibilità, in mezzo ai minacciosi rami guardiani del Platano Picchiatore.

James, ad ogni prima ora buca di lezione, aveva messo da parte l’esteriorità per mostrare esclusivamente la sua interiorità. Era quello il lato rosso della mela, era quella la maturità di James Potter che Silente aveva visto con la sua solita proverbiale lungimiranza forse proprio dopo quel fattaccio sotto al Platano. Lily aveva scoperto di non poter fare a meno di quella mela rossa.

«Esigo delle scuse, Evans, per quel tuo “bue”» soffiò James scoccandogli un'occhiata sbieca da sopra gli occhiali rotondi.

Lily trattenne un sorriso divertito, lo sguardo brillante di segreta ammirazione puramente accademica in fatto di Trasfigurazione e forse qualcosa in più per il motivo che aveva spinto James a prendere l'aspetto della sua anima: rischiava la vita e Azkaban semplicemente per stare accanto a Remus anche quando non poteva, e Lily non sapeva ancora se l'istinto di baciarlo com'era successo nella Foresta fosse dovuto al suo essere sorpresa o al non esserlo affatto, perché non era come se fosse una novità per James Potter quella di fare il testardo anche con i muri e l'impossibile per i suoi amici. Il fatto era che quel particolare segreto di James le aveva fatto capire di potersi innamorare di lui. O di esserlo già.

«Quando le perderai di nuovo?» si ritrovò semplicemente a chiedergli in tono marcatamente punzecchiante, riferendosi al fatto di volerlo vedere senza corna. James capì al volo.

«Non credo proprio, Lily»

«Oh, sì»

«Ho detto di no»

«Potter»

«No»

«Sirius... ?» chiamò Lily, ridente, provando a cercare aiuto e bloccandosi però nel non vedere più gli amici davanti a loro.


 


 


 

*


 


 

«Draco dormiens nunquam titillandus»

«Parlando come mangiamo, Severus, sarebbe?»

«"Mai disturbare un drago che dorme". É latino, Mulciber, e dovresti saperlo dato che ogni formula magica e nome di pozione che mastichi sono parole in lingua latina»

«Io ripeto le formule così come me le dicono, Piton, non vado a studiarmi un'intera lingua come fai tu»

«Quindi dite che il mostro nella Camera dei Segreti in realtà è un drago?»

«Draco ha un significato omologo a “drago”, Barty, sarebbe “serpente”»

«Un semplice serpente come mostro? Nah, a questo punto credo sia più probabile il drago»

«Farebbe riferimento al serpente della nostra Casa, a Salazar, colui che ha creato la Camera dei Segreti. Potrebbe benissimo essere un serpente, invece»

«Un serpente che uccide Sanguesporco, Black? Come? Basterebbe un incantesimo da quinto anno per eliminare un serpente»


«Magari con un veleno senza antidoto, Mulciber, che dici? E dovresti smetterla di riferirti al quinto anno come a qualcosa di elementare»
«Come siamo suscettibili, Crocuh»
«Salazar non era un rammollito buonista stile Albus Silente in vesti medievali, tantomeno era stupido. E, Serpente o drago che sia, il motto della scuola fa riferimento a un mostro da non svegliare nascosto chissà dove... io e Severus l'abbiamo preso come un indizio»
«In Storia di Hogwarts c'è scritto che la Camera può essere aperta soltanto dall'Erede e che il mostro racchiuso dentro può essere controllato solo da lui. Questo significa...»
«Ma, Severus...»
«Fammi finire, Crouch. Questo significa che solo l'erede ha qualcosa che può aprire la camera e controllare il mostro, un qualcosa che faccia entrambe le cose»
«Una chiave che si tramanda da generazioni?»
«Una chiave potrebbe essere persa o rubata, Mulciber, e soprattutto non potrebbe controllare un mostro»
«Esatto, Barty. Dovrebbe essere qualcosa che si tramanda da generazioni, ma che non può essere persa o rubata»
«Non ti sto capendo»
«Per questo le ricerche le stiamo facendo io e Piton. Non tu, Mulciber»
«Attento a come parli, Black»
«Qualcosa nel sangue, nei geni, una capacità magica presumibilmente rara dato che è l'unica capace di aprire la Camera. Se non fosse rara, qualsiasi studente potrebbe aprirla, invece nemmeno il più intelligente della scuola può se non è l'erede»
«Questi due sono gli unici indizi che io e Severus abbiamo trovato in tutta la biblioteca, in mesi di ricerche»
«Ma non avete pensato a cosa accidenti potrebbe essere questa capacità!»
«Se, come abbiamo dedotto, il motto della scuola si riferisce al mostro allora dovrebbe avere a che fare con qualcosa capace di addomesticare draghi o serpenti» «Forse è meglio che a cercare indizi ci mettiamo io e Barty, Piton, noi non abbiamo nell'albero genealogico rami marci con fratelli babbanofili o nelle mutande puttanelle Sanguemarcio da proteggere dal mostro»
«Come osi, Mulciber?!»
«Lascialo perdere, Regulus»
«Io e Piton valiamo il doppio di te e tuo padre messi insieme. E non parli mai del padre di Barty che è il folle capo di quelli che un giorno ci daranno la caccia con il suo permesso di ucciderci e non più di catturarci e basta?!»
«Mio padre non sa nulla di me, Black. E comunque è soltanto un pregio a mio favore avere in casa il direttore dell'ufficio Applicazione della Legge sulla Magia dato che potrò spiare tutti movimenti del Quartier Generale degli Auror! Avere un fratello come il tuo, invece, non ti procura nulla di buono»
«Io non ho fratelli, quel ramo è letteralmente bruciato»
«Il dono dell'erede potrebbe essere la Legilimanzia, Severus?»
«La Legilimanzia non è un dono raro ereditario, Mulciber, chiunque può metterla in pratica con una formula e una bacchetta. Albus Silente sa farlo anche senza bacchetta e non mi sembra abbia mai trovato la Camera»
«Senza contare che non è una capacità che addomestica animali o mostri»
«Esatto, Barty»
«Allora?»
«Salazar Serpeverde era famoso per essere un rettilofono. Sapeva il Serpentese, ovvero parlare con i serpenti. Quello sì che potrebbe essere. No, Severus?»
«Non conosco nessuno che lo sappia fare»
«Appunto. Ma tu e Crouch cercate pure gli indizi sulla Camera dei Segreti, soltanto due idioti come voi perseverano nell'errore invece di cercare nuove soluzioni»
«Proprio così, Severus. Perdiamo soltanto tempo con quella Camera dei Segreti. Nessuno di noi sa parlare il serpentese e non esistono corsi per impararlo. Come pensate di poterla trovare, aprire e soprattutto come fareste a controllare il mostro che c'è dentro? L'armadio invece funziona, l'abbiamo testato con quell'idiota di Morgan, non ha bisogno di ricerche, aggiustamenti o studio per usarlo»
«Black, quello è soltanto la via di fuga di Avery per fregare Silente, gli Auror e scappare da questa gabbia una volta che avrà portato a termine il suo compito, ovvero uccidere quella specie di finta Mezzosangue futura serva di Silente»
«Possiamo usarlo anche per altri scopi, Mulciber. Non è di Avery, l'idea era mia»
«Io so solo che la Camera dei Segreti è l'unica che vi porterebbe dritti nelle grazie del Signore Oscuro senza nemmeno passare attraverso me e Avery... cosa che dovrebbe quantomeno interessarti, Severus»
«Non è fattibile, Mulciber, non vedo perché continuare a perseverare nel nulla. Storia di Hogwarts dice espressamente che serve l'erede di... »
«Se in passato è stata già aperta e ha ucciso una Sanguemarcio, come ci ha aveva detto il padre di Avery, significa che non serve l'erede di Serpeverde! Avery dice che secondo lui era suo padre l'erede di Serpeverde, ma non era rettilofono così come non lo è lui, non lo è mio padre e non lo sono io! Storia di Hogwarts racconta dell'esistenza di una camera nascosta come se fosse una leggenda, cosa ti aspetti da quel libro? La verità?»
«Non pensi che invece in quel periodo l'erede di Serpeverde, rettilofono, potesse aver studiato a Hogwarts?»
«L'erede di uno vissuto nel medioevo?! Andiamo, Severus, e dicono che sei intelligente! Il signor Avery e mio padre erano presenti all'epoca, nessuno dei due ci ha detto come sono andate le cose. Uno è morto e mio padre non vuole sgarciare nessuna informazione per non far saltare la sua copertura di Mangiamorte perché evidentemente quel decrepito di Silente sa tutta la verità come sa sempre tutto di tutti e se dovessi liberare io il mostro...»

«Io lo uccido!»

«Buona sera anche a te, Avery»

«Io ucciderò Silente, vedrete! Sto perdendo la pazienza!»

«Non sei capace di uccidere una tua coetanea e vuoi uccidere quel vecchio bacucco pieno d'esperienza?»

«Cosa dici, Regulus? Albus Silente non è nessuno! Ne parlate tutti come se fosse impossibile imbrogliarlo!»

«Perfino il Signore Oscuro non lo sottovaluta, Barty, perché dovresti farlo tu?»

«Quegli Auror! Sono dappertutto! Paciok, al terzo piano, mi fissa! Con quella divisa si crede chissà chi, soltanto perché esce sempre più spesso sul giornale!»

«Sei un Mangiamorte a casa di Albus Silente, io non mi stupirei»

«Oh, sta' zitto, Piton!».

Codaliscia sgattaiolò via da sotto il letto a baldacchino di Piton usato come nascondiglio e zampettò fuori dalla stanza dei Serpeverde del settimo anno con i piccoli occhi acquosi da topo sbarrati e i baffi vibranti attorno al naso appuntito. Il cuore frenetico continuò a battere anche una volta che il pelo biondo cenere si ritrasformò nella divisa scolastica rossa-oro di Peter, ansante, poggiato al muro umido del sotterraneo più buio e lontano dall'ingresso della Sala Comune verde e argento; in mente un unico pensiero martellante: l'incantesimo Gnaulante non era scattato.


 


 


 

*

 


 

«Chi sarà Mister Hogwarts 1978?» lesse James sulla Gazzetta dell'Esteta di Allock sprofondando sul divano rosso della Sala Comune Grifondoro, gli occhi curiosi di qualche ragazza puntati su di lui e Lily che, al suo fianco, lasciò perdere la fitta versione di Antiche Rune per allungare il collo in direzione delle pagine viola con aria sconvolta.

«L'ha fatto davvero?!» esalò incredula facendo ridere James «Quando gliel'ho suggerito, l'anno scorso, stavo scherzando!»

«Felpato, dovresti iscriverti al concorso di bellezza»

«Fermami se ci riesci, Ramoso» rispose atono lui aprendo una parte della Mappa del Malandrino sul tappeto vermiglio davanti al camino acceso scoppientante, il chiaro sguardo vigile puntato sul cartiglio di Silente che faceva avanti e indietro nel suo studio.

«Silente era lì anche mezz'ora fa» fece notare Liv in piedi lì davanti, le braccia conserte. «Siete sicuri non sia impallata?»

«Cosa?» chiese James sistemandosi gli occhiali sul naso.

«La mappa»

«Ti devo ricordare che è stata fatta da mani e menti d'inestimabile intelligenza?» replicò Sirius in un mezzo sorriso sghembo. Liv annuì piano, del tutto sarcastica, e Remus corrucciò le sopracciglia con le labbra arricciate nel tentativo di fermare un sorriso senza distogliere lo sguardo dal suo manuale di Trasfigurazione poggiato sulle ginocchia.

«Cose che voi nemmeno potete immaginare, Liv» aggiunse James. Liv, senza sciogliere le braccia conserte, gli lanciò uno sguardo di comica commiserazione mentre Lily lasciava perdere il giornale di Allock.

«Caspita, Potter, siamo durati un giorno» sentenziò, guardandolo stupita. «Più di quanto mi aspettassi»

«Ehi!» sbottò James prima di ricevere da lei un giocoso scappellotto sulla nera nuca spettinata. «Ahi!»

Remus sollevò gli occhi dal suo tema per guardare con aria divertita James massaggiarsi la testa, gli occhiali di nuovo storti sul naso e un sorriso sornione stampato in faccia. L'iride ambrata, però, venne catturata dalla lontana figura fradicia ed infreddolita di Mary appena sbucata dal retro del ritratto della Signora Grassa.

Remus si alzò subito dalla poltrona mollando i libri sui cuscini per andarle incontro.

«Ma che cosa è successo?!»

«Sta piovendo, Remus» rispose lei in tono ovvio, gocciolante. Un tuono particolarmente forte fece vibrare i vetri delle finestre ad arco acuto e lui scosse la testa sfilando la bacchetta dalla tasca dei pantaloni per asciugarle mantello, divisa e capelli; il piacevole tepore la fece sorridere sotto le labbra gentili di Remus chino su di lei.

«Hagrid» sussurrò Mary con le guance di un colorito più sano «non c'è»

«Come sarebbe a dire “non c'è”?» chiese stranito Remus accompagnandola alla sua poltrona vicino al fuoco scoppiettante mentre metà tavolo di Gobbiglie in fondo a destra esultava sovrastando il chiacchiericcio tranquillo della calda Sala Comune.

«Non c'è proprio, Remus. Capanna chiusa a chiave, fuoco spento... Hagrid non spegne mai il fuoco, nemmeno quando va nella Foresta Proibita»

«Sirius, trova Hagrid» ordinò Remus all'amico che spostò lo sguardo attento dall'ufficio di Silente alla capanna del guardiacaccia.

«Ancora insieme, voi due?» salutò Mary lasciando un veloce bacio sulla guancia di Lily seduta sul divano e guadagnandosi da parte di James una cuscinata che la fece ridere. Si avvicinò a Liv per un altro bacio, trovandosi però tra le braccia dell'amica che aveva sciolto dal petto soltanto per afferrarla facendo finta di baciarla sulla bocca portando gli altri a scoppiare a ridere, compreso qualcuno nei dintorni del divano insieme agli occhi spalancati delle ragazze che ancora fissavano Sirius e Liv come se fossero due Maridi fuori dall'acqua.

«Coppia stabile a chi?» esordì scherzoso Sirius senza sollevare lo sguardo concentrato ma ridente dalla mappa. «Comunque Hagrid non c'è da nessuna parte. A meno che non sia a Hogsmeade a bersi due barili di idromele, lo fa spesso»

«In realtà, a me è sembrato molto preoccupato stamattina» fece sapere Remus ricordando i frettolosi auguri di buon compleanno del mezzo-gigante davanti al portone d'ingresso prima di colazione. «Tieni d'occhio anche la capanna di Hagrid, Felpato»

«Anche gli uffici di Lumacorno, della McGranitt e del professor Dearborn... stamattina a colazione mancavano tutti e tre» aggiunse James con aria pensierosa.

Sirius aggrottò le sopracciglia, guardandoli storto. «E Silente e l'aula al primo piano, i sotterranei e il Buco dei serpenti, la capanna di Hagrid e gli uffici di quei tre... non so, se volete che faccia anche qualcos'altro non avete che da chiedere»

«Una cioccolata calda accompagnata da... vediamo... i muffin al caramello preferiti di Lily e mezza torta alla melassa per me... quella dannata pozione d'amore me l'ha fatta desiderare»

«Tu meriti solo Scarafaggi a Grappolo, faccia di capra»

«Torta di mele per me, grazie» si aggiunse Liv.

«Conosci bene la strada delle Cucine, Volpe» la stuzzicò Sirius, vedendola portarsi subito una mano al cuore con finto fare melodrammatico alla sua risposta divertita. Arcuò un sopracciglio nero, mal trattenendo un sorriso rivolto nella sua direzione.

«L'avete sentito? Non è così che ci si comporta in una coppia stabile» lo ammonì Liv, scherzosa, facendo ridere tutti.

«Dov'è Peter, Mary?» chiese Remus cedendo la sua poltrona comoda e calda alla ragazza. «Non dovevate fare le ricerche sull'armadio?»

«Siamo andati nella Foresta, ma lui non voleva proprio starci e allora è salito al castello. Non è qui?»

«D'accordo» fece Sirius in tono arreso, cercando anche Peter tra i cartigli della Mappa del Malandrino ancora sul tappeto.

«Comunque niente di niente, quell'armadio non esiste in nessun libro» sentenziò Mary allungando le mani verso il calore del fuoco scoppiettante nel camino. «Sei sicuro fosse un armadio, Sirius?»

«Quanto sono sicuro che Peter non è nel castello»

«Sarà a Mielandia» buttò lì Lily con una leggera preoccupazione gli occhi verdi, riflessa sui volti degli altri cinque. Da quando i Serpeverde erano riusciti a far sparire Alan Morgan nel nulla, nessuno era più sicuro di sapere dove fossero gli altri quando mancavano.

«Se non compare entro dieci minuti, andiamo a cercarlo» sentenziò James, deciso.

«Ehi, c'è Frank di guardia giù al terzo piano» informò Sirius, e James saltò tra i cuscini del divano facendo rotolare via i cinquanta centimetri di pergamena piena zeppa di rune ancora scintillanti d'inchiostro fresco.

«Potter!»

«Lily, vieni!»

«Dove?! Dannazione, guarda cos'hai fatto»

«Andiamo a salutare Frankie»

«Possiamo farlo quando scendiamo per cena...»

«No, adesso» insistette James prendendola per un braccio nel tentativo di farla alzare dal divano.

«James, smettila, devo finire questa maledetta versione che hai fatto cadere a terra. Forse devo addirittura rifarla e non ne ho la minima voglia!»

«Domani è sabato! E dopo sabato sai che c'è? Un altro giorno in cui degli adulti non ti chiedono versioni di rune vecchie»

«Antiche»

«Dai, Lily, prima che gli Auror cambino turno!»

«Perché tutta questa fretta di vedere Frank?!»

«Frank ha vinto La Scommessa e Alice deve dargli i galeoni che gli spettano. Perché Frank è un vero amico». Sirius fece il verso al tono marcato con cui James aveva liberato l'ultima frase, Remus invece sollevò gli occhi al soffitto.

«D'accordo» concesse Lily alzandosi. «Voglio proprio vedere come farai a dimostrare che stiamo insieme per davvero» disse divertita lasciandosi trascinare via da James oltre le poltrone e il divano passando accanto a una Mary ridacchiante sprofondata sui cuscini.

«Ricordatevi che vi vedo» li minacciò Sirius sventolando per aria la Mappa con aria maliziosa. James gli rispose con il dito medio prima di sparire oltre il ritratto, dietro Lily.

«Mi dai un pezzo di cioccolato?» chiese Mary puntando con sguardo brillante Remus che si frugò nelle tasche alla ricerca della tavoletta sempre in tasca, non trovandola.

«Credo di averlo finito, ma ho il tuo cesto-regalo in camera»

«Uhu, qui le proposte si fanno sempre più audaci...»

«Piantala, Felpato»

«Non dire bugie, Lupin, si sente il profumo fin qui»

«Ti giuro che non ho cioccolato, Mary» esalò sconcertato Remus tirando fuori la fodera dalle tasche dei pantaloni come prova di star dicendo la verità.

A quella vista, Mary assottigliò gli occhi nocciola, guardinga. «Eppure lo sento, così come sento il tuo sapone al talco. Ti sei appena fatto la doccia?» chiese non capendo l'aria di salsedine appena arrivata al naso insieme all'odore che si respirava nei recinti del professor Kettleburn; non capì nemmeno il piccolo sorriso spuntato sulle labbra pallide del suo ragazzo.

«Ti porto l'intero cesto, ogni tavoletta che c'è lì è tua» sentenziò Remus pensando a chi tra lui, Sirius e Liv avesse un po' di Amortentia sulla divisa tanto da far sentire a Mary il cioccolato e il suo sapone. Si chinò su di lei per abbracciarla, ma lei si scostò di lato aggrappandosi ad un bracciolo imbottito della poltrona rossa.

«No, Remus, puzzo!» pigolò allontandandolo con un cuscino. «Non voglio che senti la mia puzza! Sono andata a cercare Newt, dato che Hagrid non c'è e quando non siamo a lezione è lui che tiene tutti gli Occamy della classe. L'ho trovato insieme a tutti gli altri nell'ufficio di Kettleburn, il professore era decisamente in difficoltà. Visto che c'ero, l'ho aiutato con il nuovo allestimento dei nidi e ho spalato cacca di Occamy, come al solito». Ma Remus si avvicinò lo stesso a lei con un sorriso: quella puzza era nella sua Amortentia insieme alla vaniglia di quel caschetto biondo, eppure non riuscì a dire a Mary le due parole che non era riuscito a dire nemmeno alla Stamberga, come risposta alle sue. Ti amo, era maledettamente difficile dirlo.

Liv sciolse per una seconda volta le braccia conserte distogliendo lo sguardo fino a quel momento posato in direzione di quelli furtivi ed insistenti di Jane Phillips alla finestra picchiettata dalla pioggia, e si sedette sul divano dove Sirius si era spostato per stare più comodo con gli occhi sulla mappa tra le mani.

«Benjamin Fenwick» esordì lui, guardandola.

«Chi?»

«Il Benjamin della lista dell'Ordine, quello che avete sentito tu e James a Hogsmeade spiando Bones e McKinnon»

«Sì?»

«Fenwick è il cognome» sussurrò Sirius indicando un punto sulla Mappa. «Guarda qui, è appena apparso dal nulla». Liv si chinò a leggere il secondo cartiglio nell'ufficio del preside, restando basita.

«Cosa state confabulando, coppia stabile?» li prese in giro Mary dalla poltrona.

«Abbiamo un cognome nuovo di uno della lista» li informò sottovoce Liv con un leggero sorriso furbo. Remus e Mary si avvicinarono a loro all'istante. «Dov'è?» chiese Remus chinandosi su Sirius che portò di nuovo l'affusolato indice sul punto esatto.

«Da Silente. Apparso all'improvviso come Sturgis mesi fa»

«Usano sempre una Passaporta o la Metropolvere, quindi. Non c'è più verso di vederli in faccia» ragionò Remus, la ruga data dall'espressione concentrata a separargli le sopracciglia castane. «Andiamo subito ad aggiornare la lista»

«Prima o poi avremo tutti i nomi» soffiò Sirius, fissando il nome con un certo orgoglio negli occhi taglienti. «E sbatteremo in faccia a Silente la lista completa»

«Chi manca?» chiese Mary.

«Il cognome di Elphias, Dorcas, Emmeline» elencò Remus ripensando ai nomi sulla lista nascosta dentro il cassetto del suo comodino. «E non abbiamo ancora visto sulla mappa l'amico di tuo padre, Liv»

«Dedalus Lux» confermò lei, annuendo. «Ma sappiamo che ne fa parte. Mio padre ha messo nome e cognome nella lettera che mi ha lasciato, per potermi mettere in contatto con lui. Ha scritto chiaro e tondo che Lux fa parte “dell'organizzazione segreta di Silente”. Lux si è anche presentato a voi al funerale, no?»

«Posso aggiungere anche lui, allora» convenne Remus con una certa sicurezza. «Vieni in camera, Mary?»

«Vedo anche voi» fece sapere con noncuranza Sirius guardandoli allontanarsi dal divano e dal fuoco. Remus non alzò il dito medio come James, ma si limitò a prendere Mary per mano dirigendosi con lei verso la scala a chiocciola maschile.

«Remus»

«Mh?»

«Peter è molto giù di morale in questi giorni»

«Lo so»

«Voglio dire... credo si senta solo»

«Solo?» ripetè Remus fermandosi a metà scala, nella penombra del circolare muro in pietra della torre. «Lui non è solo, Mary, è tutto fuorché solo e lo sa bene» disse pacatamente girandosi a guardarla dall'alto di un gradino con aria interdetta e lievemente stranita.

«A me ha dato quell'impressione» insistette Mary osservando lo sguardo di Remus farsi più serio, immerso nel suo mentre in Sala Comune una ragazzina del primo anno faceva lo slalom tra le poltrone rosse e le sedie in legno occupate per raggiungere il divano.

«McAdams?»

«Sì?»

«Per te»

«Per me?»

«Da parte del professor Lumacorno»

«Cosa? No, aspetta ci deve essere un errore»

«Sei Olivia McAdams, Cercatrice dei Grifondoro»

«Sì»

«Il professore mi ha detto di darti l’invito»

«Be', grazie» si ritrovò a dire Liv guardando con diffidenza il rotolino di pergamena infiocchettata tra le mani. La dodicenne se ne andò e il fiato di Sirius le solleticò il collo.

«Benvenuta nel club» la stuzzicò ben sapendo l'interesse praticamente nullo che Liv, da sempre, nutriva per il Lumaclub. «Peccato, avevo già scritto un discorso romanticissimo per invitarti alla festa» sospirò teatralmente poggiando la schiena sul divano, le mani dietro la nuca e l'espressione sarcastica a fare bella mostra di sé sul volto sfacciatamente ironico. Liv stette al gioco senza riuscire a non sorridere, mal trattenendo una risata arcuando un sopracciglio.

«Ah, sì?»

«Sì. Fare il cavaliere, rivolgerti la fatidica domanda che ti avrebbe fatto arrossire come succede nelle coppie stabili... sai, no?»

«Ovviamente»

«Ma adesso, vedi, sei una lumaca anche tu»

«Fino a quando non aprirò questo invito non sarò ancora una lumaca, quindi cosa aspetti?»

«A fare cosa?»

«A farmi il discorso romantico delle coppie stabili. Sono qui, sto aspettando» lo sfidò Liv, il sopracciglio sempre più inarcato e una luce furba a farle scintillare gli occhi scuri ridotti a fessure. «Sono così emozionata» aggiunse senza nessuna enfasi, ma sentendo lo stomaco in subbuglio mordendosi l'interno della guancia con la fossetta sempre più in mostra. Sirius rise guardandola sempre più divertito, trattenendosi dal baciarla. «Dai, ragazzo stabile, cosa volevi chiedermi?»

«Vuoi non venire alla festa di Lumacorno con me, Olivia?»

«No»

«Come sarebbe a dire, “no”?»

«Gli darò buca da sola perché ho l’invito» rispose a tono Liv lanciandogli in faccia il nastro viola sfilato dal rotolo di pergamena istanti prima, senza che lui se ne fosse reso conto. Sirius sogghignò perdendo la posa pigra tra i cuscini per allungare con uno scatto canino le mani su di lei, tuffandosi sulle sue labbra ridenti prima di lasciarle leggere la leziosa grafia di Lumacorno.

«Volpe»

«Il Capo Lumaca dice che gli dispiace per Regulus ma ho meritato il Boccino alla partita contro Serpeverde, e anche l'invito al suo club»

«Stai bene?» le chiese piano Sirius scostandole con premura i morbidi capelli scuri dal collo, il penetrante sguardo grigio attento esclusivamente su di lei. Liv annuì, gli occhi di nuovo nei suoi e un mezzo sorriso a far spuntare la fossetta sinistra in un modo decisamente diverso da pochi minuti prima. La semplice parola “volpe” le aveva oscurato i lineamenti, l'ombra del suo probabile Patronus scomparso del tutto dalla morte del padre; aveva riprovato a chiamarlo ma non uscivano nemmeno più le uniche due cose che avevano fatto pensare ad una volpe o ad un gatto: coda lunga e folta, orecchie a punta. Sirius sapeva quanto saper evocare un Patronus corporeo potesse aumentare le possibilità di entrare nella difficile Accademia Auror; soprattutto, sapeva quanto Liv ci tenesse.

Le avvolse la testa con le braccia per portarsela piano al petto sentendo le mani di Liv aggrapparsi al suo maglione in un inconsapevole gesto sempre più naturale, stabile .
Quello che lui non sentì fu l'eco del profumo percepito da Liv nell'aula di Pozioni che sapeva del secco aroma del legno di prugnolo della sua bacchetta e di pancakes al miele, dell'aria nelle notti di fine estate e poi di muschio e vetiver uniti in una decisa e sensuale nota legnosa quasi animalesca che rimandava direttamente a Sirius e che aveva percepito anche l'anno prima, nella stessa aula alla prima lezione di Pozioni.
Liv inspirò ad occhi chiusi portando inconsciamente la punta del naso sul lungo collo di Sirius, seguendo quell'intrigante scia camuffando un piccolo sorriso contro il suo pomo d'adamo sporgente fino a sfiorare la cravatta rossa e oro; il suo calore e il battito del suo cuore a pulsare direttamente contro di lei. La faceva sentire dannatamente bene, tutto quello, e non dargli un'etichetta o non dicendolo a nessuno non sembrava renderlo meno reale, era soltanto meno spaventoso.

«Se ti dico una cosa, prometti di non giudicarmi?» chiese in un sussurro con aria determinata, allontanando il naso dalla cravatta di Sirius per guardarlo schiettamente in faccia. Lo vide ridere brevemente, incredulo.

«Come ti salta in mente che potrei farti una cosa del genere?»

«Voglio uccidere Avery» sentenziò lei in un secco mormorio sfacciato quanto la sua espressione dura, come se non le importasse niente di essere giudicata nonostante la premessa iniziale. Sirius sorrise, pacato, notando eccome la sua insicurezza negli occhi immersi nei suoi.

«Lo so» rispose semplicemente, ben consapevole di essere l'unica persona al quale Liv l'aveva detto. Glielo leggeva in faccia ogni volta che aveva Avery davanti in Sala Grande, nei corridoi o a lezione, e nessuna delle sue amiche si accorgeva di quei lineamenti aggrottati per la voglia di uccidere trattenuta e nascosta con forza al resto del mondo. Liv aveva vergogna di dire alle sue amiche che sentiva di poter uccidere e Sirius si sentì così connesso a lei tanto da sembrare di essere la stessa persona.

«Sento che potrei» rimarcò Liv, fissandolo insistente.

«Lo so» insistette lui vedendola inclinare leggermente la testa, sorpresa, scrutando attentamente il suo sguardo che s'immerse in quel mare scuro pieno di paura che non aveva imparato a conoscere, era lei che aveva cominciato a farglielo vedere fidandosi di lui. Non lo vedeva spesso perché Olivia era incredibilmente brava a nasconderlo con quel suo tono di voce sempre deciso e l'espressione del volto sfrontata, ma quando c'era sembrava toglierli il respiro tutto in una volta e contemporaneamente scatenargli dentro una forza disumana capace di fargli fare qualsiasi cosa per difendere la luce di quegli occhi marroni.

«Non te lo permetterò come tu non mi hai permesso di uccidere Piton, l'ultima volta» le sussurrò piantandole lo sguardo sicuro nel suo. «Ma anche se tu lo facessi non ti giudicherei mai, ricordalo, e non pensare mai più all'idea di poter essere giudicata da me, soprattutto su Avery o Piton» continuò Sirius con una durezza così affettuosa da suonare morbida, ma accorata, ardente. «Stesso pulpito, ricordi?»

A quelle due semplici parole, le stesse che lei gli aveva detto settimane prima, Liv si sentì improvvisamente un tutt'uno con lui e contemporaneamente libera, libera non di uccidere qualcuno ma libera di poter esprimere ciò che sentiva turbinargli dentro, per quanto sbagliato ed orribile fosse.
Il suo sguardo scuro si fece così intenso tanto da attorcigliare lo stomaco di Sirius dallo sguardo profondamente assorto su di lei, indecifrabile ed incredibilmente sveglio.

«Vuoi uscire con me?» le chiese lui, d'istinto, osservando i grandi occhi di Liv spalancarsi alla domanda improvvisa.

«Cioè?»

«Come, “cioè”?»

«Non abbiamo lezione»

«Lo so»

«Non ho nemmeno allenamenti, oggi»

«So anche questo»

«Uscire dove? Perché?»

«Uscire a farci un giro» rispose Sirius, gli occhi grigi posati sui lineamenti di Liv arricciati in un'espressione a metà tra l'incredulo e il divertito.

«Adesso?»

«Adesso, Olivia, sì»

«Dove?»

«Ti stupirò»

«Ti sei deciso a dirmi cos'ha fatto ieri James per farsi perdonare da Lily, nella Foresta?»

«Ti stupirò» rispose ancora Sirius, deciso a liberare Felpato davanti a lei per raccontarle ogni cosa del Platano Picchiatore, compreso il suo tentato omicidio a Piton. Liv doveva capire fino a che punto fossero sullo stesso pulpito, capire che anche lui si vergognava della sensazione di poter uccidere ma non aveva paura di sentirsi giudicato da lei; con James si era sentito coperto d'imbarazzo quando era stato costretto a confessarlo, con lei c'era semplicemente la spiazzante libertà di poter essere totalmente se stesso, per quanto spaventoso e sbagliato fosse.

«Perché c'entri tu? Perchè Lily dice che non può dirmelo se prima non ne parlo con te?» riprese Liv dopo alcuni istanti di silenzio sbigottito.

«Ti stupirò»

«La pianti? E perché ridi?»

«Sei arrossita davvero al mio invito ad uscire, come le coppie stabili» le fece sapere prendendola in giro e sentendo il bisogno urgente di riportare le cose normali; il cuore, però, gli era andato a fuoco esattamente nello stesso momento di quelle guance. Liv gli scoccò un'occhiata minacciosa, anocora rossa, sferrandogli un giocoso pugno sulla pancia che lo fece ridere.

«Comunque non puoi andare da nessuna parte, adesso, hai l'appuntamento settimanale di punizione con Avery»

«Cazzo, è vero» imprecò Sirius serrando gli occhi grigi con forza prima di baciarla sulle labbra, alzandosi dai cuscini. «E stavolta mi spettano i dannati Trofei. Tieni d'occhio la Mappa! Ti nomino mia vice, Felpata!»

«A dopo, messer “ti stupirò”» lo salutò Liv prendendo in custodia la Mappa del Malandrino, lo scuro sguardo ridente a seguire l'alta figura di Sirius intento a fare una corsetta tra i compagni di Casa fino al ritratto della Signora Grassa già aperto, andando quasi a sbattere su Peter con una Piuma di Zucchero in bocca e tra le braccia una familiare busta in carta piena di Burrobirre.

«Dov'eri?!» si limitò a chiedergli girandosi e rallentando il passo per guardarlo boccheggiare, apparentemente in difficoltà come se non sapesse dove fosse stato fino a quel momento.

«Io... a Hogsmeade» rispose Peter, arrossendo per aver omesso la parte in cui era stato nel dormitorio Serpeverde prima di sgattaiolare dentro il passaggio segreto dietro lo specchio al quarto piano. Sirius annuì distrattamente prima di voltarsi oltrepassando il ritratto, sparendoci dietro in un attimo. Lasciò l'amico fermo sul posto, invaso da un senso di colpa più grande di lui. Aveva seguito l'impulso, Peter, quello che da mesi lo spingeva a spiare i Serpeverde per sapere come facevano a cavarsela sempre senza andare in infermeria o a non avere problemi con i Dissennatori a Hogsmeade- senza l'intenzione di andare a ridire tutto a James, Sirius e Remus che non lo prendevano mai sul serio quando si parlava di Camera dei Segreti- e l'incantesimo d'allarme non era scattato; Peter, lì in piedi e di nuovo solo in Sala Comune, si chiese se per caso avesse smesso di vederlo come nemico.


 


 


 

*

 


 

 

 

«Era ora, Black!» lo accolse senza benvenuto Gazza, seduto su una sedia in legno scricchiolante dell'Aula Trofei in cui Sirius aveva appena messo piede col fiatone e i capelli scuri davanti al viso. «Pensavi forse di farla franca questa settimana? Sei in ritardo di mezz'ora» grugnì il custode alzandosi sulle ginocchia nodose accarezzate sinuosamente dalla folta coda di Mrs Purr con gli occhi rossi baluginanti in direzione di Sirius. Quella gatta non osava più avvicinarsi a lui da quando Felpato l'aveva rincorsa per tutto un passaggio segreto, spaventandola a morte, e per Sirius era sempre un piacere vederla soffiargli contro come in quel momento.

«Senza magia» gracchiò Gazza con un certo sadico compiacimento lanciandogli uno strofinaccio e un vasetto di lucido. «La professoressa McGranitt è stata chiara a riguardo». Sirius li prese al volo gettandosi occhiate indagatrici attorno, alla ricerca del Serpeverde compagno di punizione. Tutto quello che vide fu soltanto la solita marea di coppe, trofei e medaglie per Quidditch e i Servigi resi alla Scuola che riflettevano la luce delle torce sui muri.

«Dov'è Avery?» sbottò con lo strofinaccio stretto in mano.

«Sta scontando la pena da un'altra parte»

«Ne è sicuro?»

«Certo che ne sono sicuro, Black» sbraitò Gazza spazientito «e adesso basta chiacchiere! Non sei qui per fare conversazione!»

Sirius, il volto corrucciato da un'espressione sospettosa, prese al volo la prima coppa che gli capitò a tiro e con mani ormai abituate a farlo, stappò il vasetto di lucido fissando la porta in legno dell'aula.

«E chi lo starebbe controllando?» esordì dopo un po', strofinando la targa in oro per i Servigi resi alla Scuola di un certo Tom Riddle. Si girò verso Gazza scoprendo sul suo viso raggrinzito una smorfia mentre se ne stava in silenzio, come se si fosse reso conto di quel piccolo dettaglio soltanto in quel momento. E il sospetto in Sirius crebbe ulteriormente. «Chi le ha detto che oggi io e Avery avremo scontato la punizione separati?» continuò strofinando la targa sempre più lentamente nel vedere Gazza farsi confuso. Sirius lo scrutò attentamente con le sopracciglia aggrottate e lo strofinaccio ormai immobile in mano.

«Stai qui, Black» gli ordinò Gazza affrettandosi ad uscire dall'aula con Mrs Purr al seguito. Non sembrava Confuso e nemmeno sotto Maledizione Imperio, si disse Sirius mollando strofinaccio e targa lucente sulla mensola, ma poteva essere stato raggirato in qualche modo con un buon incantesimo di memoria, per esempio.

Uscì di soppiatto dall'Aula Trofei con l'intenzione di trovare Avery, qualsiasi cosa stesse facendo. Poteva davvero essere in un bagno a sturare lavandini, si disse scegliendo il corridoio a destra; quel pensiero gli fece controllare tutto il terzo piano con la sua sciolta andatura tranquilla, aprendo le porte di ogni aula e sgabuzzino, giusto per togliersi ogni dubbio. Scese al secondo, con l'intenzione di farsi un giro di perlustrazione anche lì, quando un ragazzino del terzo anno con la divisa Corvonero gli arrivò addosso all'improvviso sbucando dal corridoio a sinistra, arrestando così la sua folle corsa.

«Non ti funzionano più le ali?» gli chiese ridente Sirius aiutandolo a risollevarsi da terra. Restò sconcertato subito dopo, quando lo sentì tremare tutto sotto le mani ed annaspare terrorizzato con le guance bagnate e gli occhi arrossati che guizzavano in ogni direzione, allarmati ed intrisi d'angoscia.

«Black! Dov'è Potter?! Tu lo sai, lo sai sempre!» pigolò il Corvonero in preda al panico e pallido come un cencio, come se avesse visto qualcosa di terribilmente spaventoso. «Silente... ha detto di avvertire i Capiscuola nel caso ci fossero... non possiamo stare qui... dobbiamo avvisare gli Auror, dove sono gli Auror?!»

«Prima di tutto, calmati. Puoi dire a me cosa è successo, poi andremo da James»

«C'era un Mangiamorte, di là» si liberò allora il tredicenne scoppiando a piangere di nuovo, la paura a fargli tremare la voce e gli arti in modo incontrollato. Sirius, raggelato sul posto, ci mise qualche secondo in più per aprire bocca con il presentimento su Avery a pungergli il petto da dentro.

«Hai visto... hai visto un Mangiamorte?» balbettò, quasi, incredulo.

«Un mangiamorte, sì, sono scappato... aveva... aveva la maschera, come sul Profeta, e il cappuccio... e... è uscito da un armadio! Sono, sono riuscito a scappare... dobbiamo andare via da qui!»

«Un armadio?! Dov'era?!»

«Di là!»

Sirius non se lo fece ripetere due volte e corse nella direzione indicata dal ragazzo, una mano tuffata nella tasca dei pantaloni per sfilare la bacchetta d'ebano. Corse con l'agilità di chi conosce i pavimenti sotto le scarpe alla perfezione, le lunghe falcate decise e l'espressione dura sul volto teso e vigile riflettevano la capacità di mantere lucidità e sangue freddo per dare tutto se stesso, ma il cuore gli scoppiava nel petto come mai prima: Avery, nella sua mente e in un punto imprecisato tra il cuore e lo stomaco, era connesso a Liv in quella che era la sua più grande paura.

Quando voltò l'angolo si guardò attorno più volte prima di notare qualcosa d'indefinito in fondo al corridoio buio a destra. E riprese a correre a perdifiato in quella direzione, liberando senza volerlo un lamento pieno d'angoscia intrisa negli occhi non più determinati ma disperati e lucidi fissi davanti a sé. A metà corrioio fu come andare a sbattere contro un muro invisibile: Sirius s'immobilizzò col volto pallido deformato in una smorfia terrorizzata mentre tutto attorno a lui si svuotò di colpo, il cuore bloccato in gola.

Il corpo di Liv era a terra inerme, nessuna pozza di sangue, soltanto gli occhi vitrei spalancati e orribilmente vuoti, la bocca aperta seminascosta dai capelli scuri e un braccio teso in avanti, immobile come le dita in una muta richiesta d'aiuto. Morta. Il ghigno di Avery, in piedi lì affianco con la bacchetta in mano, a confermarlo con trionfo.

E Sirius fu travolto da un forte pianto rauco che lo sconquassò da dentro come mai gli era successo prima, facendogli cedere il cuore e le ginocchia. Quasi cadde a terra senza fiato, ma il volto deformato dallo shock e dal dolore si irrigidì diventando una maschera d'animalesca follia.
E ringhiando rabbioso riuscì ad alzare il braccio con la bacchetta liberando un grido disumano; i denti digrignati e negli occhi spiritati colmi di lacrime il riflesso baluginante di una fattura dal colore che parlava da sè: verde brillante.





 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3307176