Un medico di MaCk_a (/viewuser.php?uid=237820)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorni ***
Capitolo 2: *** Lorenzo ***
Capitolo 3: *** Joseph Logan ***
Capitolo 4: *** Fred e Lisa ***
Capitolo 5: *** Proposte ***
Capitolo 6: *** Grazie ***
Capitolo 7: *** Il vescovo ***
Capitolo 8: *** Legami ***
Capitolo 9: *** Complicazioni ***
Capitolo 10: *** La terra ***
Capitolo 11: *** Stephen e Lucilla ***
Capitolo 12: *** Accuse ***
Capitolo 13: *** Il bosco ***
Capitolo 1 *** Ritorni ***
Per
Frederick era ancora insolito esser chiamato
“dottore”, ma ancor più strana la
cosa appariva ai suoi pazienti, che raramente avevano dato quel titolo
a un
ragazzo tanto giovane.
Era
l’estate del 1869 e Frederick aveva ventuno anni e mezzo ed
aveva appena
iniziato a esercitare la professione: non c’era in
realtà da stupirsi, perché
sin da bambino il ragazzo aveva mostrato interesse per la materia e si
era
messo in testa di aiutare suo padre, già affermato in quella
professione; tanta
era stata la forza di volontà, da permettere al giovane un
programma di studio
veloce e comunque efficace, consentendogli di iscriversi
all’università prima del
previsto. Oh, certo, c’era stato bisogno di pagare qualcuno
per chiudere
qualche occhio… ma per fortuna i soldi non erano un problema
e, inoltre,
Frederick era figlio unico.
Figlio
oggettivamente perfetto, solo su un punto il ragazzo aveva dovuto
deludere suo
padre: Frederick non chiedeva laute parcelle, preferendo, il
più delle volte,
non chiederle affatto. La medicina era stata una vocazione filantropica
e la
filantropia non esige ricompense. Dunque, il giovane se ne camminava
attraverso
le campagne, solo, verso casa. Anche quel giorno non era stato pagato,
ma aveva
aiutato una famiglia che altrimenti avrebbe perso due componenti in una
volta
sola a causa di parto. Chi l’avesse visto vagabondare in
quello stato, sporco
di sangue – perché non aveva avuto modo di
ripulirsi – e sudato, ne sarebbe
stato spaventato, anche perché quella fisionomia non era
delle più placide: l’uomo
era tanto alto da apparire minaccioso, troppo magro per sembrare sano
– eppure godeva
di ottima salute! – e dallo sguardo assai profondo: gli
occhi, di un azzurro
scialacquato, osservavano il mondo come se andassero a scavare oltre le
apparenze e il loro colore, chiaro come quello dei capelli e della
pelle,
rendevano la sua figura sbiadita.
Eppure,
era affascinante e molte ragazze l’avrebbero desiderato, se
solo avesse avuto
una qualche aspirazione sociale o economica. Lui, dal canto suo, alle
donne non
pensava: non aveva più una madre e le uniche a figurare
nella sua vita erano
quelle che curava e che lo pagavano con dolci, riconoscenti sorrisi.
Poi c’era
Lisa.
Lei
era la sua amica d’infanzia, le loro famiglie vivevano in due
ville separate, sì,
ma una dirimpetto all’altra e, poiché
quell’angolo di campagna inglese non era
molto popolata, per i bambini era stato naturale crescere insieme. Ad
unirli
era stata non solo la vicinanza, non solo l’amicizia dei
padri, ma anche una
radice comune: entrambi avevano madre italiana e parlavano
correttamente il
toscano. Frederick non aveva mai lasciato l’Inghilterra, ma
Lisa sì e proprio
quel giorno sarebbe tornata dal suo viaggio nella penisola italiana e
Frederick, finalmente, l’avrebbe rivista. Aveva sentito tanto
la sua mancanza, in
quei mesi.
Lisa
– Elizabeth, per la verità, ma tutti la chiamavano
Lisa – aveva diciannove anni
e tutto, nel suo aspetto, ne rivelava la vivacità: le gote
erano sempre
arrossate dalle camminate o dalle corse a cavallo, i boccoli scuri e le
sopracciglia
ben disegnate tradivano le origini straniere e gli occhi, secondo
Frederick,
erano nati per ridere. Segretamente, lui aveva sempre sognato di
sposarla,
ignorando che, segretamente, lei si augurava lo stesso. Non che ne
avessero mai
parlato: semplicemente, sembrava l’evoluzione più
naturale per un rapporto come
il loro.
Per
tutta la giornata, Frederick aveva avuto il cuore in gola; ora che
attraversava
la strada per recarsi da Lisa, i cui genitori l’avevano
invitato, gli sembrava
che l’organo volesse balzare fuori dal corpo. Non ci fu
bisogno di reprimere le
proprie emozioni, quando si videro: il loro legame era puro e nessuno
avrebbe
mai potuto fraintenderlo. Niente di strano, dunque, nel balzo col quale
Lisa si
gettò ad abbracciare il caro amico, né
nell’enfasi che portò questi a
sollevarla per guardarla bene negli occhi; in effetti, Lisa gli
arrivava a
stento al petto.
«Santo
cielo, Fred, perché sei così elegante?»
chiese ridendo, ancora a mezz’aria,
notando i capelli raccolti in una lunga coda. «Ti dai le
arie, adesso, perché
sei un medico?»
Fred
rise ammettendo che, in effetti, da quando aveva iniziato a esercitare
preferiva legarli, per ragioni igieniche più che eleganti;
poi, fu costretto a
tacere. Lisa aveva troppo da raccontare, passava da un argomento
all’altro con
una velocità impressionante e riusciva a narrare con enfasi
anche le vicende
più banali che, in Italia, le erano capitate. Il clima era
caldo, aveva detto,
l’aria piacevole: per lei, che di salute era sempre stata
cagionevole, il clima
era ottimo, o almeno così avevano detto dei medici del luogo
(«ma non mi fido
di loro», aveva aggiunto, facendo arrossire l’amico
specificando: «il mio
medico d’ora in poi sarai tu!»
Per
tutta la notte, Fred ebbe le palpitazioni: quell’affetto Lisa
lo viveva con
spontaneità e grazia, ma lui si sarebbe ammalato di mal
d’amore, ne era certo.
Santo cielo, Lisa era ancora più bella di quanto non
ricordasse. L’aria
italiana le aveva fatto bene davvero! Cosa avrebbe dato per condurre
quella giovane
all’altare e condividere con lei tutti i giorni della sua
vita… se solo fosse
riuscito a farsi coraggio e parlarle, non sarebbe servito altro: la
famiglia
avrebbe accordato di certo, come anche lei. Mancava giusto quel momento
essenziale della dichiarazione…
Ogni
giorno i due trascorrevano assieme alcune ore, perché se il
lavoro toglieva del
tempo a Fred, Fred non era disposto a rinunciare a Lisa. Ogni giorno i
momenti
condivisi riscaldavano il cuore di entrambi e i ragazzi si
avvicinavano, sempre
più. Ogni giorno Lisa sperava che Fred si dichiarasse, ma
lui taceva, limitando
i loro contatti ad amabili strette di mano, casti baci sulla fronte e
cordiali
abbracci. “Domani” si ripeteva, ogni sera, tornando
a casa. “Le parlerò domani”.
Un
mese trascorse e lui ancora taceva; quando finalmente si decise a
parlare, poi,
trovò Lisa turbata e, nascondendosi dietro questa scusa,
pensò di rimandare
ulteriormente il discorso alla fine della visita. Lisa, da parte sua,
quando
capì che il momento di separarsi era giunto,
abbassò gli occhi. Neanche quella
volta aveva parlato. A questo punto, tanto valeva dirglielo.
«Sai,
Fred, ho ricevuto una lettera. Un uomo… non credo di averti
parlato di lui, non
lo ritenevo importante… un amico di mia zia… sai,
quest’uomo ha scritto che
verrà a trovarmi. Cioè, verrà a
trovare mia zia… che vive con noi e quindi…
quindi verrà a trovare anche me.
«Si
tratta di un conte, il suo nome è Lorenzo, l’ho
incontrato quando siamo andate
nel Sud della penisola… vive su una montagna, non molto
distante da Napoli.
Tutto bene, Fred?»
Il
ragazzo sembrava pietrificato; aveva capito solo che c’era un
uomo, che era un
conte e che sarebbe andato a trovare Lisa. Questo non lo aiutava di
certo. Non
si viene in Inghilterra dall’Italia per fare una visita di
cortesia; gli interessi
dovevano essere altri. Fred sbatté le palpebre e si
ricompose.
«Ma
certo» la assicurò, sorridendo. «Solo
che non capisco… perché mi dici questo. Vuoi
che non venga a farti visita, quando c’è
lui?»
«Cosa
dici, Fred? Non è così, io pretendo che tu venga!
L’ho detto solo perché…
pensavo che tu… oh, Fred, non importa.»
Amareggiata,
Lisa si era allontanata. Fred, nei giorni successivi, limitò
le visite,
passando in compenso molto tempo a spiare il giardino di lei dalla
finestra,
ignorando che, nascosta dietro i vetri della casa dirimpetto alla sua,
la
ragazza facesse esattamente lo stesso; quando si vedevano, comunque,
Fred si
comportava come se nulla fosse. Solo quando, agli inizi di Settembre,
Lisa lo
informò casualmente
dell’imminente
arrivo del conte, l’argomento fu menzionato di nuovo.
Angolo
dell’autrice.
Questo
capitolo è molto breve poiché ritenevo pesante
iniziare con un sovraccarico di
informazioni. Spero comunque di esser riuscita ad attirare la vostra
curiosità
e a dire "il giusto".
Gli
eventi narrati in questa storia riprenderanno alcuni luoghi e
personaggi di un’altra
mia fanfiction, Virginea; tuttavia non esistono legami tra le trame,
dato che
Virginea si svolge in un periodo posteriore.
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Capitolo 2 *** Lorenzo ***
Lorenzo
Ranieri in Inghilterra non c’era mai stato e non conosceva
una parola
d’inglese; appena sbarcato, aveva spedito uno dei tre
valletti che s’era
portato dietro a cercare qualcuno che li conducesse da Elizabeth Logan,
di cui
aveva annotato l’indirizzo su un biglietto. Il volontario,
che fu subito
trovato e lautamente ricompensato, accompagnò il conte
italiano in quella isolata
e tranquilla campagna che, al tramonto, sembrava completamente deserta.
Il
verde regnava sovrano e l’unica traccia della presenza umana
era data da due
ville, costruite ai lati del viale principale.
Poiché
non sapeva con sicurezza quale fosse la dimora di Lisa –
pensava si trattasse
di quella a sinistra, più elegante e curata, ma non era
detto – Lorenzo chiese
di fermare la carrozza davanti ai cancelli posizionati, uno di rimpetto
all’altro, esattamente alla stessa altezza. Quello della
dimora sulla destra
era aperto. A raccogliere i bagagli furono ovviamente i valletti;
Lorenzo,
quando ebbe rimesso piede sulla terra, pensò solo a
guardarsi attorno. Per lui
non era una novità il verde, né tantomeno la
solitudine; il castello della sua
famiglia si ergeva su una montagna, in un paesello che il mondo avrebbe
dimenticato se non ci fossero stati i Ranieri. Lui, Lorenzo, non aveva
viaggiato molto proprio perché gli dispiaceva
incredibilmente abbandonare quel
luogo di pace e armonia che era Valle. Per compensare i pochi viaggi,
pensò
divertito, doveva essergli venuta voglia di sposare una straniera.
Mentre
il conte rifletteva – ed era la cosa che sapeva fare meglio
– i suoi domestici
avevano intanto fatto così rumore da attrarre l’attenzione
dell’abitante della
casa dal cancello aperto. Uscendo sulla strada, Frederick Martin si
trovò
innanzi un giovane dalla carnagione scura – non
così scura, in effetti, ma
rispetto a Frederick poteva sembrare Otello – e alto quanto
lui. Il ragazzo –
aveva ventinove anni, si sarebbe poi scoperto – aveva capelli
scuri e folti ma
non lunghi, sopracciglia ben marcate e occhi castani che, alla luce del
tramonto, assumevano una tonalità morbida.
In
entrambi, nell’istante in cui si guardarono, accadde
qualcosa. Lorenzo non
aveva mai sperimentato nulla del genere, non essendo persona che si
affidasse all’intuito;
Frederick, invece, già conosceva quella sensazione. Era come
se, in uno
sguardo, si potesse predire in qualche modo il futuro. Guardando Lisa,
Fred
aveva un giorno avuto la certezza che sarebbe stato legato a lei per
sempre.
Non era una speranza, non aveva a che fare con l’amore o
l’affetto: si era
trattata di una premonizione. Ora, Lorenzo e Frederick, ancor prima di
conoscersi,
seppero che sarebbero stati legati. Come, non avrebbero potuto dirlo.
Forse il
legame non sarebbe stato neanche piacevole, come del tutto piacevole
non era
quella sensazione. Lorenzo, però, ebbe subito
l’impressione di potersi fidare e
pronunciò un educato “buona sera”,
rendendosi conto in un secondo momento di
quanto fosse inutile, dato che non aveva parlato in inglese; enorme fu
il suo
stupore quando il ragazzo gli rispose. Frederick che, come Lisa, aveva
madre
toscana, spiegò a Lorenzo chi fosse e come avesse sentito
parlare del conte
italiano che sarebbe presto giunto a far visita alla sua amica Lisa.
In
breve, col cuore in gola, Fred si propose di accompagnare il nemico
dalla donna
che entrambi desideravano.
Elizabeth
Logan, dopo aver udito la voce
dell’amico urlare di aprire il cancello, aveva fatto ricorso
a tutto il suo
autocontrollo per restare ferma accanto alle rose, senza correre
incontro a
Fred. L’aveva fatta arrabbiare con la sua indifferenza negli
ultimi tempi, ma
ora doveva esser venuto per far pace, finalmente. Oh, quanto fu lo
stupore
della ragazza quando vide avanzare due sagome della stessa altezza, e
che
strano colpo al cuore le diede la vista di Fred, il suo caro Fred, che
conosceva e amava da una vita, assieme a Lorenzo, il conte italiano che
la zia
Margherita le aveva con tanta insistenza fatto conoscere.
Il
signor Logan non parlava italiano. Lorenzo poteva discorrere
tranquillamente
con la signora, con Elizabeth o con quella che anche lui aveva preso a
chiamare
la “zia Margherita”, sebbene fosse quasi sua
coetanea; col padrone di casa,
però, non si poteva parlare se non tramite intermediari e
Joseph Logan non
voleva che ogni suo incontro col giovane conte vedesse presenti anche
le donne
di casa o i servi che Lorenzo si era portato dietro.
Lorenzo,
d’altro canto, avrebbe certamente preferito valletti o donne
a Fred.
«Sono
spiacente che si rivolga sempre a te» ammise una sera. Il
signor Logan, che
aveva desiderato passeggiare con lui e aveva chiesto a Fred –
come sempre – di accompagnarli
per fare da interprete, era già rientrato. Il giovane medico
disse, mentendo,
che la cosa non gli pesava affatto.
Lorenzo
lo guardò.
«Sai,
Frederick» iniziò, perché lui non lo
chiamava mai – e mai l’avrebbe chiamato - Fred,
«è strano. Ero venuto in Inghilterra per
approfondire la conoscenza di Lisa… e,
invece, la persona che ho conosciuto meglio sei tu». L’altro rise,
sostenendo giustamente che gli
sembrava un’affermazione assurda; dalla sera in cui si erano
incontrati per la
prima volta si erano visti, sì, ogni giorno, ma solo dopo il
tramonto, quando
Fred, assieme al padre, si recava dai Logan per “fare da
interprete in discorsi
da uomini”, come affermava Joseph. E, per la
verità, Lorenzo e Fred non si
erano mai detti nulla direttamente.
Ogni frase era stata detta per conto di altri o per esser detta ad
altri.
«Eppure
ti dico che ti conosco come le mie tasche. Lisa non fa che parlare di
te. In
ogni suo discorso, nomina te. In ogni suo ricordo, ci sei tu.»
«Non
c’è da stupirsene, è perché
siamo cresciuti insieme…»
«No,
non è per questo.»
Lorenzo
s’incamminò per il vialetto che scendeva verso il
cancello, deciso ad
accompagnare l’altro. Fred lo seguiva, dietro di qualche
passo; deciso a non
parlare, si dedicò con scrupolo all’osservazione
della vegetazione circostante,
occupazione che però fu presto disturbata.
«Lisa
è innamorata di te»
Fred
rise. «Che sciocchezza»
«Lisa
parla solo di te, vive nell’attesa che tu ti presenti per la
cena e si
rattrista quando gli uomini si appartano, perché
ciò la priva della tua
preziosa compagnia. Credo che mi avrebbe già chiesto di
andarmene, se non l’avesse
trovato maleducato. Vedi, Frederick, credo di piacere ai suoi genitori
più che
a lei. Tuttavia…»
Erano
giunti al cancello. Fred, senza guardare il conte, fece per uscire, ma
Lorenzo
lo trattenne per un braccio.
«Frederick,
io non sono venuto dall’Italia per prendermi una vacanza.
Quando ho incontrato
Lisa, ho capito di volerla; allora non immaginavo ch’ella
amasse un altro e
credevo di riuscire a conquistarla senza troppe difficoltà.
Invece sono arrivato
qui e ho scoperto di te.
«Non
sono un idiota e non voglio rovinare la vita a nessuno. Se
sarà il caso,
tornerò da dove sono venuto al più presto. Ma
vedi… tu sei un tipo enigmatico e
non riesco a capirti: ami Elizabeth o no?»
Non
fosse stato buio, Lorenzo avrebbe visto l’altro avvampare: il
ragazzo si era
mostrato indignato, aveva tentato di contenere l’imbarazzo e
di tranquillizzare
il conte ribadendo che le sue teorie fossero assurde, ma Lorenzo
insisteva.
«Siamo
uomini, Frederick, affrontiamo la questione con dignità. Se
tu ami Lisa, non
avrò difficoltà ad accettarlo e a lasciarvi alla
vostra gioia, perché so che ti
vuole bene e che con te sarebbe felice. Però, se tu non la
ami… in quel caso,
nulla m’impedisce di corteggiarla e di chiedere la sua mano,
non credi? Dunque» terminò, piazzandosi le mani in tasca
con un atteggiamento che a
Fred non piacque, «cosa mi dici?»
Fred
tacque. Con la schiena contro le sbarre del cancello, tentò
di riflettere
velocemente. Cosa avrebbe potuto offrire lui a Lisa? Era un medico,
ma… un
medico dei poveri! Non avrebbe mai preteso laute ricompense da quella
povera
gente e non l’avrebbe neanche abbandonata. Lorenzo era un
conte; aveva un castello,
terre e possedimenti… non era un uomo spiacevole, anzi, era
sicuramente
diligente, onesto, retto e anche piacente, o almeno così
l’avrebbe definito lui.
Ammettendo
di amare Lisa, avrebbe mandato via Lorenzo. Era giusto? Dopotutto, che
male c’era
se Lorenzo corteggiava la ragazza? Lisa aveva il diritto di conoscere
altri
uomini e di scegliere.
«Io
non amo Lisa.»
Era
vero. Lui non l’amava. L’aveva creduto, forse, ma
ora capiva d’essersi
sbagliato. Aveva mai pensato a lei nei termini in cui di solito si
pensa alle
donne? No. Non aveva mai fantasticato di possederla, di stringerla in
un
abbraccio che non fosse amichevole. Non aveva mai immaginato lei come
madre dei
suoi figli. Aveva sospirato per lei, sì, l’aveva
adorata, ma come si adora una
divinità. Aveva ammirato la sua grazia e la sua intelligenza
e il suo nasino
così delicato e i capelli…
No.
No,
lui non amava Lisa come Lisa non aveva mai amato lui.
«Provo
per lei un enorme affetto, come lei per me, ma è
l’affetto che potrebbe legare
un fratello e una sorella. Non ho altro da dire»
Lorenzo
non gli credeva, ma non aveva né la voglia né il
tempo di discutere ancora con
una persona che non riusciva a dire la verità neanche a se
stessa.
«Attento,
Frederick. Io non torno mai sulla stessa questione due volte. Se
rinunci a lei
ora, rinunci a lei per sempre»
Sentendosi
offeso senza sapere perché, Fred aprì finalmente
il cancello. «Non ho altro da
dire» ripeté freddo, prima di andar via.
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Capitolo 3 *** Joseph Logan ***
Frederick
Martin non si era più recato dai Logan; la sua carriera da
interprete era
finita la sera in cui lui e Lorenzo avevano discusso. Il signor Logan
non era
riuscito a spiegarsi il comportamento del ragazzo, come del resto
Lorenzo che,
con la franca chiacchierata, non aveva previsto di intimidire il
presunto
rivale; comunque, il conte Ranieri e Joseph Logan se n’erano
fatta una ragione,
rassegnandosi a comunicare poco e alla meno peggio.
A
soffrire davvero per l’assenza di Fred era Lisa e, dopo
giorni spesi a
rimuginare in silenzio, durante i quali s’era convinta che
fosse stato Lorenzo
a causare in qualche modo l’allontanamento
dell’amico, la fanciulla aveva preso
la decisione di vincere il proprio riserbo e chiedere spiegazioni al
conte
italiano; l’aveva avvicinato un pomeriggio, nel salottino al
secondo piano,
poco prima che il Sole tramontasse.
Lorenzo
era solo. Ignorava, Lisa, che fino a qualche minuto prima fosse stato
suo padre
a fargli compagnia.
«Conte
Lorenzo» bisbigliò la ragazza, entrando,
rendendosi conto di quanto poco
suonasse autoritaria la propria voce.
«Solo
Lorenzo, vi prego» rispose lui, gentile, quando
l’ebbe notata. Lisa, prendendo
coraggio, assunse un’aria severa.
«Lorenzo,
voi sapete perché Fred evita questa casa?»
I
due si guardarono. L’uomo era assai meravigliato dalla
schiettezza della
domanda e, soprattutto, dal fatto che Lisa non avesse neanche tentato
di
formularla in maniera meno diretta. Evidentemente, non era
più interessata a
celare il proprio interesse nei confronti del giovane medico.
«Non
guardatemi così, vi prego. Dite di esser venuto fin qui per
conoscermi meglio…
ebbene, ora vi ho mostrato un nuovo aspetto di me.»
Lorenzo
abbassò lo sguardo per qualche secondo, per riflettere sul
da farsi. Volse lo
sguardo verso la finestra, che lasciava intravedere la dimora di Fred.
«Ciò
che dite non è esatto, poiché non sono venuto qui
per conoscervi meglio… non
solo, almeno. Voi mi interessate e…»
«…
e così avete pensato bene di allontanare Fred!»
L’occhiata
che il conte volse alla fanciulla, questa volta, fu alquanto indignata;
la
rigidezza delle labbra suggeriva la voglia di spalancarle e lasciarsi
andare a
qualche commento poco piacevole ma, da gran signore qual era, Lorenzo
Ranieri
tacque e prese posto sul divano. Quando parlò, lo fece senza
guardare l’altra.
«Mi
dispiace davvero che voi mi riteniate tanto meschino, Lisa. Non
immaginavo di
dovermi dichiarare a voi in tal modo, ma poiché avete voglia
di parlare, mi
pare opportuno dire ogni cosa adesso. Come avete intuito, mi
interessate; mi
interessate come moglie. L’ho appena confessato a vostro
padre, che si è
mostrato a dir poco felice; tuttavia, so bene che il suo giubilo serve
a poco,
se voi non mi riservate che astio.
«Noto
dalla vostra espressione che tale rivelazione vi disturba e lo capisco;
in
questo momento pensate solo a Fred. Lo so. Ma ritenevo necessario
precisare le
mie intenzioni prima di spiegarvi l’accaduto. Dunque, volendo
sposarvi e avendo
tuttavia notato il forte legame tra voi e il vostro amico, decisi di
parlare a
Fred, per illustrargli la mia situazione e chiedergli cosa provasse per
voi.
Vedete, se egli avesse dichiarato di amarvi, io sarei tornato in Italia
immediatamente.»
Lisa
tremò. Quindi, dato che Lorenzo era ancora lì,
doveva dedurre che Fred non si
era detto innamorato?
«Potrei
sapere cosa Fred vi ha detto?»
Lorenzo
tornò a guardarla e gli occhi di lei lo fecero tentennare;
non voleva ferirla,
«Questo
dovete chiederlo a lui.»
Lisa
sedette. Due cose le erano chiare: che Lorenzo era un gentiluomo,
troppo buono
e cortese per comunicarle una notizia che l’avrebbe umiliata,
e che lei era
stata maleducata, prepotente e, soprattutto, sciocca. Spiando con la
coda
dell’occhio l’uomo che le era accanto, la ragazza
dovette anche ammettere che
fosse bello, e tuttavia le parve che gentilezza e fascino non fossero
sufficienti per farglielo amare.
«Lorenzo,
io non vi amo» annunciò, tentando di ammorbidire
la voce. «E questo non dipende
da ciò che Fred possa aver o non aver detto.»
L’uomo
alzò un sopracciglio; guardò la ragazza con una
curiosa espressione e, quando i
loro sguardi s’incontrarono, rise. «Oh, Lisa!
Neanch’io amo voi!
«Ascoltatemi…
vi ho osservata, in Italia: siete intelligente, elegante e buona. Vi ho
guardata
pregare, in chiesa, e ho capito quanta purezza e onestà alberghino nel
vostro
cuore. E i bambini… eravate tanto dolce con loro, da farmi
desiderare… io, che
mai avevo avuto certe aspirazioni… insomma, Lisa! Vi stimo e
vi rispetto; su
stima e rispetto mi piacerebbe costruire un matrimonio.
«Siete
giovane e vi credete innamorata; lo capisco, ma so che tale sensazione
passerà
e per questo non demordo. Per favore, pensate a ciò che ho
detto: sono certo
che saremmo felici, insieme.»
E
Lisa ci aveva pensato davvero e, purtroppo, l’immagine del
conte cattivo e geloso
che si era costruita aveva finito per dissolversi. Il suo onesto
discorso l’aveva
colpita e la ragazza s’era ritrovata a fare delle
considerazioni: lei e Fred
erano sempre stati amici, solo amici, e Fred non aveva mai dimostrato
sentimenti di natura diversa; Lorenzo non l’amava, ma in
compenso la ammirava
tanto da aver affrontato un lungo viaggio solo per conquistarla. Fred
questo
non lo avrebbe fatto. Fred probabilmente aveva anche confessato a
Lorenzo di
essere completamente indifferente a lei, e Lorenzo poi non le aveva
detto nulla
per non ferirla. Probabilmente. Ma ciò che è
probabile non è certo e Lisa
voleva esser sicura; come avrebbe potuto decidersi, altrimenti?
***
Fred
non aveva più pensato a Lorenzo e Lisa, un po’
perché se l’era imposto, un po’
perché le condizioni di suo padre erano peggiorate: da ormai
sette giorni, Stephen
Martin era costretto a letto da una febbre che non accennava a scendere
e Fred,
stremato, si divideva tra lui e i suoi poveri pazienti. La sera, il
ragazzo era
tanto stanco da non avere neanche la forza di mangiare e si
addormentava dove
capitava; il 30 settembre si era appisolato nella sala da pranzo e
lì sarebbe
rimasto fino al mattino, se Joseph Logan non avesse preso a bussare con
insistenza a una finestra.
«Ho
saputo, Fred… quel Lorenzo, che razza di uomo… le
ha detto… »
Joseph
non aveva apprezzato la sincerità del conte; quando questi
gli aveva chiesto la
mano di Lisa, Logan ne era stato lieto, e aveva subito provveduto ad
avvertire
la moglie e la cognata; ma poi il conte, dopo neanche mezza giornata,
era
apparso meno convinto, aveva detto che ogni decisione sarebbe stata
rimandata a
data da destinarsi e, infine, aveva confessato quanto accaduto tra lui
e Lisa.
Joseph Logan, se avesse potuto, l’avrebbe picchiato
quell’italiano!
«Fred,
lei verrà qui. Ah, si crede furba la signorina, pensa che
nessuno sospetti! Ti
dico che verrà dopo la mezzanotte, e allora…
Fred, io mi fido di te. Lo sai che
mi sono sempre fidato.»
Il
ragazzo, ripresosi improvvisamente da sonno e stanchezza, rimase in
silenzio
per qualche istante; sebbene si fosse già rassegnato
all’idea, non riusciva a
immaginare Lorenzo e Lisa sposati senza che ciò lo
addolorasse. Eppure, neanche
il dolore riusciva a smuoverlo dalla sciocca presa di posizione e
così egli ammise
di non aver capito molto il senso di quella visita, né di
quella che avrebbe
dovuto fargli Lisa. «Lorenzo le ha detto che mi crede
innamorato di lei? Solo
questo è il problema?» domandò, con una
tranquillità assolutamente fuori luogo.
Joseph
Logan gli rivolse un’occhiata esasperata e divertita insieme.
«Fred, Lisa verrà
a chiederti se tu la ami. Perché se tu le dici di
sì, lei non sposerà Lorenzo; e
se tu le dici di no… allora, probabilmente…
»
Il
signor Logan non terminò la frase e un imbarazzante silenzio
calò nella
trascurata sala; un silenzio che, com’era prevedibile, non fu
Fred a rompere.
«Ragazzo
mio, perché non vuoi parlare? La ami, sì o no? E
se la ami, credi di poterle
dedicare il tempo e le cure che merita? Fred, l’affetto non
basta… serve
devozione… »
Fred
si avvicinò alla finestra dalla quale era visibile la dimora
dell’amica. La
voce di Logan faceva da fastidioso sottofondo. Poi vide qualcosa al
confronto
del quale il monotono ronzio diveniva il male minore.
«Insomma,
Fred, se la ami, soprattutto se la ami, devi lasciarla
andare!»
«Voi
dovete andar via!» esclamò lui, voltandosi di
scatto. Joseph rimase con la
bocca spalancata. «Cosa?», balbettò
scioccamente.
Fred
spinse il vecchio in un’altra stanza e gli impose di salire
al piano di sopra. «Nascondetevi
e fate silenzio, per carità! Ho visto il cancello aprirsi,
Lisa sta arrivando!»
E,
difatti, nel giro di cinque minuti il giovane medico si
ritrovò nuovamente ad
aprire la porta-finestra della sala da pranzo, per lasciar entrare
Lisa,
costretto a fingere stupore; Joseph Logan, rifugiatosi in camera di
Fred,
pregava che tutto andasse per il meglio.
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Capitolo 4 *** Fred e Lisa ***
Lisa
e Fred si guardavano come mai avevano fatto prima di allora: con
estremo
timore.
Fred
aveva accolto l’amica con uno stupore tanto grande quanto
fasullo e, quand’ella
aveva spiegato – dopo averlo rimproverato per non essersi
fatto più vedere – di
dovergli parlare, egli aveva quasi riso, dicendo che non riusciva a
immaginare
qualcosa di tanto importante da spingere una persona a presentarsi in
casa
altrui in piena notte.
Poi
era calato il silenzio.
Fred,
gli occhi chini sulle dita che tamburellavano freneticamente sul tavolo
di
legno, era incerto su cosa desiderare: che Lisa parlasse subito per
mettere
fine a quell’agonia, o che se ne andasse ancor prima di aprir
bocca,
rinunciando così ad affrontare l’inutile discorso.
In ogni caso, il ragazzo
mirava a esser lasciato in pace, solo.
Lisa,
già annientata dall’ansia che sempre, in certe
circostanze, corre ad
attanagliare chi vorrebbe invece mantenere la calma, non scorgeva in
Fred segno
alcuno d’incoraggiamento e questo la rendeva ancora
più demoralizzata.
«Come
sta tuo padre?» chiese d’improvviso, principalmente
per rompere il silenzio ma
comunque interessata alle condizioni di salute del signor Stephen.
«Non
bene» fu la scarna risposta, data con fare insolitamente
scortese, senza che il
ragazzo guardasse l’interlocutrice.
«Mi
dispiace.»
Lisa
prese nuovamente a scrutare la stanza: sedie e mobili erano
esageratamente
impolverati e negli angoli si scorgevano facilmente enormi ragnatele,
sebbene l’illuminazione
non fosse delle migliori. Nello stesso periodo in cui il signor Martin
aveva
smesso di esercitare la professione a causa della malattia, sua moglie
era
morta; era stato proprio nei mesi in cui Fred aveva iniziato a
lavorare, se il
suo poteva esser definito lavoro. Il ragazzo aveva deciso (secondo Lisa
era
stato costretto a decidere) di licenziare la maggior parte dei
domestici e i
pochi superstiti, evidentemente, avevano capito che la pulizia
interessava poco
al nuovo padrone.
«Fred,
Lorenzo mi ha chiesto di sposarlo.»
Per
alcuni istanti, il giovane rimase completamente immobile. Le dita si
fermarono
e le palpebre smisero per un po’ di sbattere. Lisa si chiese
se l’amico stesse
almeno respirando.
«So
che avete parlato, Fred» ritentò.
«Abbiamo
parlato, sì. Sebbene non avessimo motivo di farlo.»
Tacquero.
Per cinque minuti le loro orecchie furono distratte solo dal ticchettio
dell’orologio
che segnava l’ora sbagliata.
«Io
ti amo, Fred.»
Le
tenere parole giunsero come una freccia al cuor del ragazzo che,
ferito,
rivolse all’amica un’occhiata quasi offesa,
incredula, colma di rancore.
«Devo
averti amato sempre, Fred. In Italia mi sentivo così
sola… pensavo a te
continuamente, non con malinconia, ma con gioia… mi chiedevo
cosa tu facessi e
se dedicassi al mio ricordo qualche minuto della tua giornata.
Attendevo il
momento in cui ti avrei rivisto… e ora… ora io
non riesco a immaginare il mio
futuro senza di te.»
Si
fermò, per riprender fiato e coraggio. Sperava in una
risposta, o almeno un
breve commento, ma Fred pareva muto.
«Lorenzo
sa ciò che provo» riprese timidamente,
«ma non lo comprende. Dice che sono
fantasie da ragazzine e… »
«Io
credo lo stesso» la interruppe finalmente il ragazzo,
lasciandola sbigottita. «Tu
confondi l’amore con l’amicizia. Noi siamo sempre
stati come fratelli e
perciò…»
«No,
Fred! Lo sai che non è così! Persino Lorenzo
l’ha notato e per questo… ti ripeto
che so del vostro discorso! Ciò che Lorenzo non ha voluto
rivelarmi è solo quel
che gli hai risposto quando lui… quando lui ti ha
chiesto…»
«Ho
detto la verità, Lisa!»
La
voce del medico era suonata tanto alterata dalla rabbia da non sembrare
neanche
la sua.
«La
tua vita sentimentale non mi riguarda! Ma se davvero desideri con tanto
ardore
che io mi esprima… ebbene, ti consiglio di sposare Lorenzo
al più presto! Se volessi
rifiutarlo per me, commetteresti uno sbaglio; lui vuole sposarti,
saprebbe
renderti felice, è un uomo onesto e benestante! Vive persino
in un posto da cui
potresti trarre giovamento per la tua salute… va’
in Italia con lui, cosa
aspetti? Perché coinvolgi me in questa decisione?»
«Fred,
io non amo Lorenzo!»
«E
io non amo te, Lisa!»
L’orologio
rotto rintoccò le dieci. Lisa, tremante di rabbia e rossa di
vergogna, abbassò
gli occhi. Entrambi si erano alzati durante la discussione.
«Siamo
amici… come lo siamo sempre stati. Tu hai creduto di amarmi,
ma…»
«…
ma devo essermi sbagliata. Hai ragione, Fred. Scusami se ti ho
disturbato.»
Il
signor Logan non si riteneva un uomo sensibile, e ammetteva
d’esser curioso;
quando Fred l’aveva richiamato, dicendogli che Lisa era
andata via, egli aveva
atteso con ansia che il giovane gli rivelasse l’esito
dell’incontro ed era
stato molto deluso dal suo silenzio.
«Ragazzo
mio, non voglio intromettermi nelle vostre questioni» disse,
mentre scendevano
al buio le scale che a quel signore non parevano molto stabili, «ma ho diritto di
sapere come stanno le cose,
non credi?»
Fred
sospirò. Non era mai stato loquace. Non ne poteva
più.
«Tutto
andrà per il meglio. Lisa sposerà
Lorenzo.»
«Sia
lodato il cielo!»
L’uomo,
scansate le insidie di alcuni gradini e di un tappeto, giunse
finalmente al
pianterreno. «Per te non è… un male,
vero? Voglio dire… tu e Lisa siete sempre
stati…»
«…
come fratello e sorella, signore.»
Trascinandosi
a fatica fino al portone, il ragazzo lo aprì e fu colto da
un brivido di
freddo.
«Vogliate
scusarmi, sono davvero molto stanco. Buonanotte.»
Angolino
dell’autrice:
Chiedo
umilmente
scusa per il capitolo corto cortissimo. Ritenevo però che
questa parte andasse
separata dal resto, non era il caso di anticipare qui ciò
che accadrà dopo.
Perdonatemi. Un
po’ è colpa mia, un po’ della tesi, il
cui pensiero mai mi abbandona e ad esser
più breve del solito mi sprona. Con questa direi che siamo
arrivati alla
frutta.
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Capitolo 5 *** Proposte ***
Elizabeth
Logan e Lorenzo Ranieri s’erano sposati il primo dicembre
1869 in Italia, a
Valle, il borgo di montagna in cui lui risiedeva. Si trovava in
Campania, ma
lontano da Napoli, così avevano detto i signori Logan prima
di partire per
accompagnare la figlia; Fred era stato invitato al matrimonio, ma anche
se
avesse voluto accettare, gli sarebbe stato impossibile: suo padre era
peggiorato al punto di non esser più in grado
d’alzarsi dal letto, e non aveva
altri, oltre il figlio.
In
realtà, Fred non gli restava accanto sempre:
continuava a esercitare la sua professione ed era grato di riuscire a
tenersi
occupato, così risultava più semplice non pensare
a Lisa, che non aveva più
visto dopo la loro “discussione”. A Settembre.
Da
allora Fred aveva fatto nascere tanti bambini e curato molte madri,
spesso
acquistando i farmaci a proprie spese; una volta, dopo aver salvato un
ragazzino da morte certa, era stato avvicinato dal padre del paziente
che, in
lacrime, «vorrei donarvi tutto l’oro del
mondo», gli aveva detto.
Il
giovane medico se n’era tornato a casa felice proprio come se
davvero gli fosse
stato donato, tutto l’oro del mondo. E non gli importava se
doveva spostarsi a
piedi, né se i pochi soldi racimolati venivano spesi tutti
in medicinali per il
padre; la sua vita non era peggiore di quella degli altri, pensava, e
in più
poteva godere della gioia di aiutare il prossimo.
Turbare
Fred era impresa ardua, raramente qualcuno c’era riuscito:
forse l’unica era
stata Lisa con i suoi sentimenti o, ancor prima di lei, Lorenzo con le
sue
insinuazioni.
Tornando
a casa nel tardo pomeriggio d’un giorno d’Aprile,
il ragazzo provò nuovamente
la poco conosciuta sensazione nel vedere, nel giardino della dimora dei
Logan,
i padroni di casa. Erano dunque tornati dall’Italia.
Fred
affrettò il passo e, giunto in casa, pregò che i
suoi vicini godessero sempre
di buona salute: non aveva davvero voglia di incontrarli, né
di sentirli
parlare della vita italiana di Lisa. Non ch’egli provasse
rimpianti: era felice
di aver rifiutato Lisa e non gli dispiaceva ch’ella si fosse
sposata, ma
preferiva relegare la sua amica nel passato: aveva fatto parte di un
capitolo
felice della sua vita, ma quel periodo era finito per sempre. Che
ognuno
continuasse per la propria strada lontano dall’altro.
Tuttavia,
proseguire nella direzione scelta senza rimorsi ed evitare in ogni modo
di
sapere cosa Lisa facesse erano cose ben diverse e, in cuor suo, Fred lo
sapeva.
Comunque,
era inutile che egli tentasse di evitare i Logan:
questi avevano già
deciso di parlargli, ancor prima di lasciare l’Italia per
tornare in
Inghilterra.
Joseph
Logan, in verità, si sentiva alquanto imbarazzato e non
sapeva davvero come
affrontare il ragazzo. Eppure era costretto a farlo.
All’inizio,
l’Italia era apparsa magnifica a Lisa che, lontana da Fred,
non aveva più
pensato a lui. Il matrimonio era stato celebrato da un vescovo amico di
Lorenzo
in una chiesa piccola e accogliente, i meravigliosi sposi erano stati
salutati
con calore dagli abitanti di Valle e l’ormai contessa Ranieri
aveva trovato il
castello in cui avrebbe vissuto assolutamente carico di fascino e
mistero. Si
ergeva su una delle piccole alture che circondavano Valle. Valle, a sua
volta,
nasceva in un avvallamento sulla cima di un monte campano.
A
fine gennaio Lorenzo aveva già annunciato la gravidanza
della moglie, che
avrebbe partorito presumibilmente agli inizi di settembre: la gioia dei
Logan
era stata inesprimibile, eppure durò poco.
Secondo
i medici che visitarono Lisa, la ragazza era “troppo delicata
per generare un
figlio” e avrebbe fatto bene a starsene a letto fino alla
fine della
gravidanza, nella speranza che tutto andasse per il meglio: tale
affermazione
aveva mortificato i Logan, preoccupatissimi, Lorenzo, che si era
sentito
responsabile dei mali della moglie, e soprattutto Lisa.
Per
quanto cagionevole di salute, la contessa non aveva mai creduto di non
poter
procreare; l’idea di non poter esser madre – i
medici avevano consigliato di
evitare assolutamente altre gravidanze in futuro, ammesso e non
concesso che
riuscisse ad affrontare questa – l’avviliva e
umiliava. Che razza di donna era?
Per quale motivo Lorenzo avrebbe dovuto continuare a desiderarla come
consorte?
Tali
pensieri le affollarono la mente durante i primi mesi di riposo, poi la
situazione
degenerò. Trascorrendo l’intera giornata a letto,
Lisa non faceva altro che
pensare alle proprie sventure, non solo quelle attuali: presto la
disperazione
e lo sconforto ebbero il sopravvento e apparve chiaro ai più
che la contessa
non fosse più in sé. Di solito piangeva; se non
lo faceva, aveva l’aria di un
uccelletto spaurito e malato, ed era assolutamente muta. Gli occhi,
stanchi di
indugiare su quella stanza che le era divenuta odiosa, abbandonavano il
mondo
reale e, seppur aperti, non vedevano ciò che le accadeva
attorno: impossibilitata
a godersi il presente, Lisa s’immaginava un futuro buio e
grigio, senza bambini
perché temeva di non poter far nascere neanche quello che
portava in grembo,
oppure ricordava il passato. E anche quello era motivo di sofferenza,
perché
ricordava Fred.
«Mia
cara» le aveva sussurrato una sera Lorenzo, «io non
avrei mai voluto essere la
tua rovina.»
Lisa
si era ridestata dall’oblio in cui ormai risiedeva e
l’aveva guardato,
spaesata. «Non è colpa tua. Il problema sono io.
Il problema è il mio corpo.»
Lui
aveva abbassato lo sguardo sulla mano che le stringeva, mortificato.
«Lisa… il
tuo corpo è delicato, non malato. Eppure, è
evidente che tu non goda, ora, di
buona salute. Io credo… che il tuo male sia la sofferenza. E
tu soffri perché
non hai sposato l’uomo che ami.»
Lisa
aveva spalancato gli occhi, allibita. Aveva dichiarato, senza mentire,
di aver
sposato l’uomo che desiderava, e se c’era qualcuno
che doveva pentirsi della
scelta fatta quello era proprio lui, purtroppo.
Ma
Lorenzo non si era convinto. «Io credo che, se Fred fosse
qui, tu ti sentiresti
meglio.»
Allora
gli occhi di Lisa avevano preso a lacrimare. «Lorenzo, io ho
paura di parlarti
di lui. Temo di non sapermi spiegare. Io… non ne sono
innamorata e so bene, ora
lo capisco, che se anche ci fossimo sposati saremmo stati infelici,
avremmo
finito per odiarci, addirittura. Al solo pensiero di fare con Fred
ciò… ciò che
ho fatto con te… rabbrividisco! Non era quel tipo di amore,
il nostro! E
tuttavia… Lorenzo, io non ho mai immaginato di vivere senza
di lui!
Egoisticamente, credevo di poterlo avere sempre accanto… ti
prego, non
fraintendermi! Io… io e lui siamo cresciuti insieme, e ne
sento la mancanza
come sentirei quella di un fratello! E contemporaneamente lo odio,
perché non
perdono l’indifferenza con cui mi ha trattata, e
perché non è venuto al nostro
matrimonio, né a salutarci prima che partissimo! E ora
potrei anche morire e
non lo vedrò più!»
Lisa
era scoppiata in pianto, un pianto isterico e disperato. Continuava a
farfugliare frasi incomplete e ce n'era voluto di tempo perché Lorenzo riuscisse a calmarla.
Il
giorno dopo, a insaputa della moglie, il conte aveva parlato al signor Logan, istruendolo sul da
farsi:
Joseph e la moglie erano partiti immediatamente, ma ora
ch’era tornato in
Inghilterra l’uomo non si sentiva più tanto sicuro
di sé.
Per
recarsi dai Martin, Joseph aveva usato la scusa di voler visitare il
vecchio
Stephen, cosa comunque vera, e l’unico domestico rimasto in
casa l’aveva fatto
entrare. Fred sarebbe tornato entro una mezz’ora,
così fu detto, e così fu.
Il
povero malato si era addormentato dopo dieci minuti dalla venuta
dell’amico e
Joseph se n’era stato seduto accanto al letto di Stephen in
silenzio, fino
all’arrivo del giovane medico. Fred, come previsto, non era
apparso entusiasta
della visita e aveva trascinato a malavoglia una sedia traballante
vicino a
quella di Logan.
«Devo
parlarti, ragazzo» ammise senza preamboli, chiedendo poi di
cambiare stanza
perché non voleva che altri udissero. Fred, però,
gli assicurò che suo padre
non avrebbe captato nulla, addormentato com’era, e non volle
spostarsi.
Joseph
sospirò. «Frederick, Lisa sta molto male.
L’hanno costretta al riposo perché
altrimenti rischia di non portare a termine la gravidanza e
lei… non so come
dire, sembra un’altra persona. È assente. Passa le
sue giornate in quel letto e
chissà a che pensa, e piange solo… quando
dà segni di vita, perché di solito
non ne dà proprio. Lorenzo le ha parlato e ha dedotto
che… »
Si
fermò. Temeva d’essere ambiguo e dovette
riflettere per meglio formulare la
frase.
«Fred,
ascolta. Lorenzo di tre cose è certo: che Lisa non gli
mancherebbe mai di
rispetto, che ciò che lega te e mia figlia sia un amore
fraterno e… e che Lisa
non possa vivere senza di te. Lui vorrebbe… lui crede che la
tua presenza possa
farle bene.»
«Io
non posso permettermi assenze» rispose semplicemente
l’altro, con una freddezza
che stupì egli stesso, «per nessun motivo. Ho mio
padre, i miei pazienti…»
«Non
si tratterebbe di un’assenza! Ragazzo… se Lisa ti
rivedesse per perderti
ancora, sarebbe anche peggio. Lorenzo vorrebbe… anzi,
t’implora di trasferirti
in Italia, a Valle. Così tu e Lisa potreste continuare a
frequentarvi come avete
sempre fatto.»
Fred
si inumidì le labbra, nervoso. Lisa era incinta di un altro
e lui doveva
correre a consolarla e assisterla? Inoltre, far del bene a lei avrebbe
significato distruggersi, obbligarsi a vederla sempre con il conte
italiano e
la loro famiglia.
«Io
sono un medico. Se anche esercitassi la mia professione a Valle, non
avrei poi
molto tempo da dedicare alle amicizie.»
«Lo sappiamo! Per questo Lorenzo intendeva chiederti di…
lavorare per lui. Non
come medico… tu… dirigeresti la casa. Non ti
toccherebbero compiti ingrati!
Dovresti solo controllare che gli altri svolgano il proprio
lavoro… io gli ho
spiegato che non sei pratico in queste cose ma lui confida nelle tue
capacità
d’apprendimento e…»
«Lorenzo
mi vuole come domestico?» esclamò esterrefatto il
ragazzo, indignato.
«No,
no! Come capo… capo dei suoi… capo dei suoi
camerieri! Fred, cerca di
comprendere, lui vuole far felice Lisa, ma certo non puoi stabilirti da
loro
come ospite per sempre! Così lavoreresti e saresti
regolarmente pagato… tuo
padre potrebbe seguirti…»
«Mio
padre non lascia quel letto da mesi e Lorenzo crede che possa lasciare
l’Inghilterra! E vorrebbe schiavizzarmi e umiliarmi con la
scusa di Lisa!»
«Non
è vero, Fred! Che ragione avrebbe Lorenzo di far
ciò? Non sarebbe meglio, per
lui, tenerti lontano dal suo matrimonio?»
Fred
si alzò in piedi.
«Io
sono un medico, amo il mio lavoro e sto bene dove sto! Ed è
ora che tutti voi
capiate che la mia vita non gira intorno a Lisa!»
Il
signor Logan se n’era andato, triste ma non stupito,
perché riteneva
impossibile che un uomo accettasse proposte simili. Il vecchio Joseph
aveva
rivisto Fred solo un mese dopo, per porgergli le condoglianze.
Poco
prima di morire Stephen, che aveva capito d’esser prossimo
alla fine, aveva
chiamato presso di sé il figlio. In meno di
mezz’ora l’aveva adulato come mai
prima, complimentandosi per l’intelligenza e la
generosità che lo
caratterizzavano.
«Ma
bisogna stare attenti, Fred; far del bene ti fa onore» gli
aveva sussurrato,
stringendogli la mano con le poche forze che gli erano rimaste,
«ma devi
pensare anche a te stesso! A volte temo che il tuo altruismo possa
distruggerti…»
Proseguire
era divenuto difficile; le palpebre pesavano e l’anziano
inspirò profondamente.
Avrebbe voluto rivelare al ragazzo d’aver ascoltato la
discussione tra lui e
Joseph, ma il tempo stringeva e dovette tagliar corto.
«Io
sono tanto orgoglioso di te, figlio mio. So quanto ami il tuo lavoro e
quanto
ti sia impegnato per diventare un medico… se non sei ricco
poco importa, se non
importa a te. Perciò Fred, per favore… non fare
pazzie. Non lasciare ciò che
ami e che ti rende felice. Non andare da Lisa.»
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Capitolo 6 *** Grazie ***
Frederick
Martin giurò solennemente di tenersi lontano dal mare per il
resto della sua
vita.
Era
sbarcato a Napoli e comunicare era stata una bella impresa,
perché lui
conosceva la lingua che sua madre, toscana, gli aveva insegnato, e
pareva che
in quella città parlassero in maniera assolutamente diversa;
tra l’altro tutti
parevano indaffarati e trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo era
difficile. Qualcuno
gli si era avvicinato, per la verità, ma aveva pure tolto il
disturbo dopo aver
capito che quel pallido ragazzo non aveva soldi da spendere.
Era
il mese di agosto del 1870 e Fred non ricordava d’aver mai
avuto tanto caldo;
stanco, si sarebbe anche seduto così, per terra, ma
c’era troppa gente attorno
a lui e non riusciva a respirare. Dunque decise di allontanarsi un
po’ e
passeggiare, nella speranza d’incontrare un’anima
pia disposta a parlargli lentamente.
Camminava
da un quarto d’ora circa quando un uomo non troppo alto e
grassottello, che
poteva avere una quarantina d’anni, richiamò la
sua attenzione: si stava
affogando (con del vino, straordinariamente, ma Fred sapeva che spesso
i
liquidi erano più pericolosi dei cibi) e il ragazzo non
poté fare a meno di
avvicinarglisi anche se, in quel caso, non erano richieste
chissà quali
competenze: bastò assestargli delle potenti pacche sulla
schiena.
«Grazie,
guagliò.»
Fred,
che aveva capito solo il “grazie”, rispose con un
“prego”.
«Mò morivo, se non era
pe’ te! Mi hai
salvato!»
Fred
sorrise, sostenendo che l’affermazione fosse alquanto
esagerata, e si presentò.
L’uomo, che si chiamava Gianni, stabilì
però che quel nome straniero fosse troppo
complicato e prese a chiamare il ragazzo semplicemente
“Fred”.
«E
quindi sei venuto dall’Inghilterra!»
esclamò, cercando di parlare in maniera
comprensibile. «E bravo! E cerchi lavoro a Napoli?»
«No»
spiegò l’altro, «mi aspettano in un
paesino vicino Caserta… in realtà non so
quanto vicino… ho pochissime informazioni. So solo che
questo paese si chiama
Valle, e che è su una montagna. Io devo andare a lavorare
dal conte Ranieri.»
«Pensa
tu! E io lo so dov’è, vivo sotto a quella
montagna! Puoi venire con me, poi
sempre lo troviamo qualcuno che sale a Valle e ti porta dal conte, che
ci
vuole?!»
Durante
il viaggio in carrozza - che non fu corto - Gianni raccontò
a Fred tante, forse
troppe cose.
«Questa
carrozza mica è mia, eh. No, è dei baroni. Io
lavoro dai baroni Gaetani. Mi
hanno mandato a ritirare dei vestiti, quelli ci tengono a queste cose,
ricorrono solo alle migliori sartorie! Sono dei signori, veramente. Io
mi ci
trovo bene a lavorarci, se ti devo dire la verità. Non
è male, non è male.»
Il
medico inglese – che di essere un medico non lo disse
– ascoltò Gianni con
attenzione e seppe così dove questi era nato,
com’era la sua famiglia, quando
si era sposato, quanti figli aveva e persino quali erano le
festività più
importanti dalle loro parti. «Noi facciamo festa grande a
giugno, per il
patrono. Però pure a maggio non si scherza, eh: ci stanno le
processioni per
altri santi. A Valle invece è festa ad agosto, ma mò è
già passata, quindi devi aspettare un anno. Eh
vabbé mi dispiace.
L’inverno invece non si fa niente, anche perché di
solito nevica e si muore di
freddo.»
Dovevano
essere le otto di sera, più o meno, quando arrivarono al
paese ai piedi del
monte in cui Gianni viveva e di cui Fred non scoprì
– o non intese - il nome. E
poiché era tardi il baldanzoso signore insistette
perché il ragazzo si fermasse
a riposare e gli trovò alloggio presso amici di amici, o
parenti di parenti, il
medicò non capì bene: comunque, quelle persone
furono gentilissime e lo nutrirono
molto più del necessario.
La
donna più anziana della famiglia, il mattino dopo, lo
salutò raccomandandogli –
per l’amor di Dio! – di mangiare, perché
così sembrava una spiga di grano; e
dopo essersi congedato anche da Gianni, che ringraziò di
tutto cuore, Fred salì
su un carretto malandato che trasportava viveri a Valle, guidato da un
uomo
anziano e silenzioso.
Fu
quasi peggio dell’esperienza in mare: la strada svoltava
continuamente e,
poiché le ruote si muovevano su sassolini e pietre di
diverse grandezze, il
ragazzo non faceva che rimbalzare, chiedendosi come mai non accadesse
lo stesso
al conducente.
«Sono
abituato» disse quello, come se gli avesse letto nel
pensiero. «Quando fai
questo un giorno sì e l’altro pure, non ci fai
più caso e impari a tenere il
culo attaccato al suo posto.»
Durante
il tragitto, che durò quasi quattro ore ma perché
a un certo punto si fermarono
dato che pareva che Fred stesse per vomitare e non era il caso di
sporcare il
mezzo di trasporto, i due non parlarono molto: il ragazzo si
limitò a dire che
andava a lavorare dai Ranieri e che aveva lasciato
l’Inghilterra per sempre,
accennando vagamente alle sue origini italiane per parte di madre;
l’uomo parlò
invece di Valle, dicendo che era un posto freddo e spiacevole durante
l’inverno,
ma paradisiaco d’estate. «Se vai dal conte
Ranieri stai a posto, perché i
più ricchi del paese sono lui e la famiglia Di Cosmo. Io
proprio a loro sto
portando questa roba» spiegò, indicando con la
testa il carico. «L’altra è
povera gente, quindi buona e onesta. Pure il conte Ranieri è
onesto, eh, per
carità. I Di Cosmo invece… boh, non ci metterei
la mano sul fuoco.»
A
ora di pranzo («Alle due secondo te è ora di
pranzo?», aveva obiettato il
vecchio), più o meno, Fred giunse a Valle. Il posto gli
parve magnifico: il
paese era perlopiù pianeggiante, e circondato da piccole
alture. Piccoli monti
che sorgevano su quella montagna che da Valle era coronata
perché, oltre quel
borghetto, non c’era più niente, non si poteva
salire oltre. Inoltre, vi era
verde ovunque, dappertutto, e faceva da protagonista.
Fred
ebbe l’impressione che la natura ospitasse benevolmente la
comunità che però,
appunto, era ospite, non padrona.
«Tu
devi salire là sopra» lo richiamò
l’uomo, facendogli segno col dito. «Quello
è
monte Janara, lo vedi il castello dei Ranieri?»
Sì,
lo vedeva. Era grande, imponente, maestoso e per questo anche
leggermente
minaccioso e inquietante, visto dal basso.
«Là
ci sali a piedi, dieci minuti e ci arrivi, un quarto d’ora al
massimo. Buona fortuna.»
«Aspettate!»
lo fermò l’altro, deciso. «Vi ringrazio
moltissimo e mi scuso perché mi rendo
conto solo ora di non avervi rivelato il mio nome. Mi chiamo Frederick
Martin…
oh, potete chiamarmi Fred, se preferite.»
«Non
penso proprio che ci rivedremo, veramente.»
«In
ogni caso, voglio che sappiate di poter contare su di me, qualsiasi
cosa vi
serva. Posso sapere il vostro nome?»
«Endrio.
Endrio e basta, il cognome non lo tengo e non mi serve, tanto solo io mi
chiamo
così.»
Fred
sorrise. «Grazie ancora, Endrio.»
***
Lorenzo
Ranieri corse in giardino, non appena gli fu detto che un ragazzo alto,
scheletrico e dal nome incomprensibile fosse giunto con la pretesa
d’essere
assunto.
Il
medico inglese, meno pallido del solito, se ne stava seduto su una
panca all’ombra
di un albero e osservava ammirato la vegetazione. Il conte
ordinò che nessuno
si avvicinasse loro e lo raggiunse, chiamandolo amichevolmente per nome.
«Andato
bene il viaggio, vecchio mio?»
«Mi
ha fatto capire di non voler più lasciare
l’Italia» tagliò corto
l’altro, a
disagio. Sapeva che non sarebbe stato semplice parlargli, non all’inizio, almeno.
Lorenzo
sospirò, teso. «Ti ringrazio per esser venuto,
Fred. Sono convinto che Lisa si
riprenderà, con te qui. Lei non sospetta nulla…
pensa che sorpresa sarà per
lei! Forse dovrei prepararla… non vorrei che
l’emozione le giocasse brutti
scherzi…»
Fred,
che era seduto, alzò lo sguardo verso il conte, che stava
ritto accanto a lui.
«Io
sono un medico, lo sai. Per me è umiliante e degradante
divenire il capo dei
tuoi camerieri.»
«Lo
capisco.»
«Ma
rinuncio volentieri ai miei sogni, se è per la salute di
Lisa.»
«Lo
so.»
Era
vero che Valle era molto fresca: a fine agosto si stava bene, lontano
dal caldo
afoso di Napoli. Del resto, era anche logico, vista
l’altitudine.
«Lorenzo,
perché un uomo sposato chiama presso di sé colui
che ritiene essere innamorato
di sua moglie?»
Il
conte fu infastidito dal quesito, ma se lo aspettava ed era preparato a
rispondere.
«Perché
Lisa è in uno stato pietoso e voglio aiutarla.
Fred… io so che tra voi esiste
un legame profondo e credo che mia moglie non sarà mai
legata a me quanto lo è
a te. Tuttavia è sempre mia moglie ed è una donna
onesta e so che non mi
tradirebbe mai. Mai e per nessuna ragione. E se ti ho chiamato qui, lo
ammetto…
è soprattutto perché so di potermi fidare. Non mi
fa onore dirlo, forse, ma… io
sono convinto che tu non toccheresti mai Lisa, ora che è
sposata. Questo mi
rassicura. Sei libero di disprezzarmi, a me non interessa: ci tenevo a
chiarire
la mia posizione e l’ho fatto. Ora seguimi, perché
voglio dire a Lisa che sei
qui e, se reagisce bene, potrai incontrarla subito.»
Lisa
si accarezzava l’enorme pancione, mentre ascoltava Lorenzo:
udire il nome di
Fred le causò inizialmente dolore, ma quando seppe che egli
era partito per
vederla, per restarle accanto come sempre aveva fatto, accettando di
vivere in
quella casa come dirigente della servitù… allora
il dolore scomparve e gioia ed
egoismo si fusero: non le importava nulla di quanto significasse tutto
ciò per
Fred, né di quanto la situazione potesse imbarazzare
Lorenzo. Il suo amico era
lì, era lì per lei e non sarebbe andato via, mai
più, e di certo l’avrebbe
anche aiutata nel parto.
Lorenzo
non uscì dalla camera da letto. Voleva osservare la scena.
Quando
Fred fece timidamente capolino e poi, piano, entrò, Lisa
scoppiò in lacrime. Rideva
e piangeva e allargò le braccia, singhiozzando, chiamando il
nome del ragazzo.
Lui,
lentamente e con molta accortezza, perché il pancione era
davvero ingombrante,
si avvicinò e la strinse a sé. Rimasero
così per dieci minuti almeno, lei in
lacrime, incapace di dir qualcosa che non fosse
“grazie”, lui composto ma
felice e, comunque, emozionato.
Lorenzo,
in piedi a un angolo del letto, con le braccia dietro la schiena,
udì Fred
giurare a Lisa che non l’avrebbe mai, mai più
lasciata.
Erano
gli ultimi giorni di agosto e il parto era previsto per la prima
settimana di
settembre.
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Capitolo 7 *** Il vescovo ***
Lorenzo
avrebbe probabilmente consumato il pavimento.
A
ogni urlo di Lisa, l’uomo bussava alla porta e puntualmente
faceva capolino
Mariuccia, la più anziana tra i suoi dipendenti, che lo
pregava di pazientare
perché la situazione era delicata e lui, purtroppo, non
poteva essere d’aiuto.
L’ultima volta, però, ad affacciarsi era stato
Fred, che aveva quasi ordinato
al conte di “smetterla d’esser tanto
molesto”.
Fred.
In
quelle due settimane di permanenza era riuscito a imparare cose che
aveva
sempre ignorato e nessuno s’era stupito del fatto che fosse
stato messo a capo
della servitù: era diligente, scrupoloso e severo. Lorenzo
si rivolgeva a lui
chiamandolo Frederick (ed esigeva ch’egli gli desse del voi,
e non lo trattava
diversamente dagli altri), ma il resto degli inquilini del castello
preferiva
Fred, ch’era più corto e semplice da pronunciare,
o al massimo “signor Fred”,
che pareva abbastanza rispettoso.
Fred.
Era
dentro, lui.
“Sa
pure far nascere i bambini?” aveva chiesto con stupore
Mariuccia, quando
Lorenzo le aveva ordinato di chiamare il ragazzo in modo che assistesse
il
medico, immaginando già che, in realtà, sarebbe
stato il medico ad assistere
Fred.
Le
urla si fecero più frequenti e parevano quelle di
un’ossessa. Lorenzo, che
odiava se stesso per aver concepito quel figlio, si
accovacciò sul pavimento,
poggiando il capo tra le mani. Era un uomo molto religioso e
pregò per sua
moglie fino al momento in cui il pianto di un neonato non lo
ridestò dallo
stato di trance in cui era caduto. Il conte balzò in piedi
per avvicinarsi alla
porta, che trovò chiusa dall’interno; solo dopo
una mezz’oretta Mariuccia la
aprì, mentre con un solo - robusto - braccio cullava
l’erede dei Ranieri.
“È
un maschietto” disse, porgendolo al conte che accolse quel
fagottino con
accortezza e timore. “Come sta la contessa?”
domandò, notando quanto quel
bambino ricordasse, nei lineamenti, la madre.
Lisa
era stremata, pallida, debole, ma viva. La gioia di aver dato alla luce
un
bambino bello e sano le aveva donato coraggio, e sul viso mostrava uno
stanco
sorriso. Lorenzo le era stato accanto per ore, stringendole la mano ma
tacendo
per non stancarla; addirittura, aveva evitato di chiederle se avesse
delle
preferenze per il nome del piccolo. A lui avrebbe fatto piacere
Stefano, come
suo padre, ma non aveva intenzione di imporsi: Lisa doveva decidere.
Era il
minimo, dopo tutto quel che aveva passato.
Quando
il conte, verso la mezzanotte, si ritirò per dormire,
rimasero con la puerpera
Fred e Mariuccia. E nessuno avrebbe potuto obiettare, perché
anche se Fred era
un uomo era ovvio che fosse il più adatto ad assistere la
contessa, e proprio
Mariuccia, che aveva osservato l’operato del ragazzo durante
il parto, aveva
suggerito a Lorenzo di fidarsi.
“Fred”
sussurrò Lisa sentendo Mariuccia, seduta poco distante dal
baldacchino, che
iniziava a russare.
Piano,
egli si avvicinò all’amica e le
accarezzò il viso.
“Sei
più stanco di me, Fred” sorrise, osservandolo con
dolcezza. “Il mio bambino…”
“È
forte e sano, Lisa. E ti somiglia.”
Gli
occhi della ragazza scintillarono, o così parve al suo
amico. “Stephen. Si
chiama Stephen, il mio bambino.”
Fred
tacque. Riuscì solo ad annuire, commosso, quando Lisa gli
chiese se il nome gli
piaceva. La contessa era però molto stanca e presto le
palpebre coprirono gli
occhi; allora il giovane sbottonò il primo bottone della
camicia e tirò su il
ciondolo che pendeva dalla lunga cordicella che aveva al collo. Era un
piccolo
rombo d’argento, dalla sottile cornice d’oro. Era
stato di suo padre, di cui
recava inciso il nome: Stephen.
In
un mese, Lisa tornò ad essere la ragazza vivace e allegra
ch’era sempre stata e,
quando il vescovo Di Cosmo venne a far visita al piccolo Stephen, disse
a
Lorenzo che la contessa ricordava un fiore a primavera. Secondo Fred le
visite
del vescovo erano stranamente frequenti, ma in fondo la fede di Lorenzo
era
tanto grande da giustificare tale amicizia, e comunque il giovane
sapeva di
dover pensare agli affari propri: soprattutto, Fred amava dedicarsi a
Steve. Non
c’era occasione che non cogliesse per stargli accanto e,
sebbene tentasse di
non palesarlo, era evidente che lo adorasse.
Steve,
dal canto suo, imparò presto ad amare quello che riteneva il
capo dei
maggiordomi e, appena apprese a camminare, cominciò anche a
seguire Fred
ovunque potesse. Lorenzo non ne era infastidito: aveva desiderato un
erede, non
tanto un figlio, e non aveva mai amato particolarmente i bambini;
attendeva
dunque con ansia che Stephen crescesse e che gli desse soddisfazioni.
Al
castello nessuno avrebbe commentato maliziosamente
l’attaccamento del piccolo
al capo-maggiordomo, né l’amicizia tra la contessa
e Fred, per tre motivi: la
contessa era amata da tutti e tutti l’avrebbero difesa da
qualsiasi critica;
Fred era un uomo rispettabile e onesto, e se non lo fosse stato non
sarebbe
stato assunto da Lorenzo; pareva che la famiglia di Fred fosse stata a
servizio di quella della contessa da sempre, e quindi i due erano
cresciuti
insieme. Almeno, così era stato detto quando il giovane era
giunto a Valle.
A
tre anni e mezzo Steve, che della madre era la copia esatta, aveva
fatto
proprio della contessa il suo essere umano preferito. Avrebbe trascorso
con lei l’intera
giornata e spesso gli era consentito, ma quando proprio non poteva
sapeva dove
andare: correva nel grande castello, che a lui pareva enorme, alla
ricerca di
Fred, che metteva sulle spalle e gli faceva guardare il mondo da
un’altra
prospettiva, o lo portava nelle cucine dove poteva assaggiare tante
cose buone
senza che nessuno lo ammonisse, o ancora gli permetteva di sbizzarrirsi
in
giardino.
Ovviamente,
Steve sapeva anche di avere un padre, ma non era un individuo
particolarmente
importante per lui: lo vedeva una o due volte al giorno, e lui non era
cattivo,
ma il bambino non si sentiva attratto dall’uomo e, forse,
voleva addirittura più
bene a Fred e a Mariuccia.
C’era
anche un’altra figura piuttosto presente nella vita del
piccolo: il vescovo
Angelo Di Cosmo veniva spesso a fargli visita e allora il conte
raccomandava al
figlio di comportarsi bene, di non parlar troppo e di star fermo. Il
vescovo
rideva e scherzava, era gentile e diceva spesso: “tra poco
potrà indossare l’orologio”,
riferendosi a quello da taschino, tutto d’oro massiccio, che
aveva regalato al
piccolo alla sua nascita. Nelle altre frasi pronunciate durante tali
incontri
non vi era nulla d’interessante.
Una
sera, poi, il vescovo si rivolse direttamente al bambino.
“E
così il nostro Stephen compie cinque anni!”
commentò, sorridente. Il piccolo,
con gli occhietti vispi, aveva guardato le tasche dell’abito
dell’uomo, nella
speranza che nascondessero un regalo per lui. “E dimmi,
giovanotto, non hai
ancora una fidanzata?”
Steve
non aveva avuto modo di pensare alla questione, in realtà,
anche perché nella
sua breve esistenza quasi non aveva visto altri bambini. Si
limitò dunque a far
cenno di no col capo, lanciando poi un’occhiata alla mamma,
che pareva turbata.
Suo padre, invece, sorrideva. “Sarebbe ora di
trovarla” commentò, cortese.
Il
bimbo, avendo udito poche volte il padre consigliargli qualcosa,
pensò allora che
la questione fosse di una certa serietà.
“Io
ho una nipotina, lo sai?”, riprese il vescovo. “Un
po’ più grande di te, ha
nove anni, ma questo mica ci importa! Vive a Valle, proprio come te, ma
non vi
siete mai incontrati. Eppure avrebbe tanta voglia di giocare con te! Si
chiama
Lucilla ed è molto buona. Pensi che ti farebbe piacere se
venisse qui a farti
visita, una volta ogni tanto, come faccio io?”
Steve
guardò il padre, che gli riservava uno sguardo insolitamente
amorevole. Dal canto
suo, Lorenzo evitava deliberatamente di volgersi verso Lisa che, al
contrario,
aveva assunto un’espressione poco felice.
Il
piccolo fece una smorfia, pensoso. “Non so”, ammise
infine, “a lei che giochi
piacciono?”
La
risata che seguì parve stabilire che la risposta fosse
stata, in qualche modo, positiva;
il vescovo assicurò che Lucilla conoscesse tanti bei giochi
e promise di
organizzare un incontro al più presto.
Fred,
quando entrò nella sala per accompagnare l’ospite
all’ingresso, notò che l’amica
aveva in volto un’espressione indignata.
“Avete
organizzato ogni cosa alle mie spalle!” urlò la
contessa, ignorando il marito
che la invitava gentilmente ad abbassare la voce. “Ecco
finalmente spiegata la
ragione di tante visite!”
Il
conte tentava di avvicinarsi alla moglie per accarezzarla, ma
continuamente
veniva scansato. “Mia cara, ne parli come se fosse un
crimine…”
“Voi
avete agito come se fosse un crimine, escludendomi dalla
questione!”
Lorenzo
tacque, mortificato. “Mia cara… la maggior parte
delle persone contrae
matrimoni, e quello di Stephen sarebbe molto vantaggioso.”
Non
avevano mai litigato davvero, i coniugi Ranieri. Quella sera la
contessa accusò
il marito di aver sempre ignorato il figlio e di averne ricordato
l’esistenza
solo per accasarlo con la nipote del suo amico, mentre il conte
tentò di
spiegare le proprie ragioni, ammettendo di non aver mai amato i bambini
e
tuttavia di attendere con ansia il momento in cui il figlio fosse
cresciuto;
sottolineò inoltre che quello che intendeva organizzare
– “Ma se tu non vuoi,
mia cara, possiamo annullare tutto” – sarebbe stato
un matrimonio molto
vantaggioso per Stephen e che comunque, se il figlio si fosse
rifiutato, una volta
adulto, di unirsi a Lucilla, di certo non l’avrebbe
costretto.
Dunque,
Stephen e Lucilla s’incontrarono. E Steve scoprì
così che il vescovo gli aveva
mentito, perché quella bambina non sapeva giocare proprio a
niente ed era anche
abbastanza noiosa.
Angolo
dell’autrice.
È cortissimo, lo
so. Giuro che a Maggio m’impegnerò di
più!
Grazie a chi segue e commenta questa storia e scusate per la latitanza!
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Capitolo 8 *** Legami ***
A
nove anni, Stephen Ranieri sapeva d’esser fidanzato e,
tuttavia, non
riusciva bene a comprendere come ciò fosse accaduto. Lui e
quella bambina si
vedevano poco, e quelle poche volte non si dicevano nulla di che:
figurarsi se
si erano mai chiesti di fidanzarsi, quando era così chiaro
che nessuno trovasse
l’altro simpatico!
Durante
l’ultimo incontro, in realtà, le cose erano andate
davvero male. Lucilla,
avendo ormai tredici anni, non solo appariva infinitamente
più grande del suo
fidanzato, ma trovava i giochi di questi assolutamente infantili e
sciocchi;
allora Stephen si era messo a giocare con Erica, la piccola dama di
compagnia
di Lucilla, mentre la nipote del vescovo era rimasta sola, in disparte
e
imbronciata.
«Lucilla
cara, non sentirti offesa» le aveva detto la contessa
Ranieri, raggiungendola. «Tu
ora sei una signorina, ma Steve è ancora un bambino.
Dovrà passare qualche
anno, prima che possiate comportarvi davvero come dei promessi
sposi.»
Lucilla
aveva fatto una strana smorfia, ma era apparsa più
rilassata. «Avete conosciuto
la mia dama di compagnia?»
La
contessa, ridendo, aveva ammesso di no.
«Il
suo nome è Erica. I suoi genitori sono morti
nell’incendio del mese scorso,
erano persone molto povere. Ma lo zio dice che bisogna prendersi cura
di chi è
sfortunato e quindi è stato deciso che Erica stesse al mio
servizio, e non come
una semplice cameriera, ma come una mia pari, o quasi. Lo zio dice che
prima o
poi riusciremo anche a combinarle un buon matrimonio.»
Elizabeth
Ranieri aveva provato un brivido di spiacevole stupore
nell’udire una ragazzina
parlare con tanta freddezza.
«Io
comunque voglio esser buona con lei. Io voglio esser buona con tutti.
Perché le
persone buone sono amate e rispettate.»
«Fred,
tu perché non sei fidanzato?»
L’uomo
poggiò sul tavolo di legno un candelabro, e ne
afferrò un altro per lucidarlo.
«Non
tutti sono fidanzati, Steve.»
«Lo
so, ma tu in particolare, perché non lo sei?»
Fred
sorrise, sebbene non ne avesse davvero un motivo.
«Io
in particolare… forse non ho incontrato la persona
adatta» sospirò, pensoso. «Non
è che un uomo qualsiasi può fidanzarsi con una
donna qualsiasi; ad ognuno è
destinata una certa persona… e bisogna avere la fortuna di
trovarla e di non
lasciarsela scappare.»
Steve
poggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le
manine. «Io non sono
molto sicuro che Lucilla sia la persona destinata a me»,
ammise. «Non la trovo
simpatica o divertente. Penso che mi annoierei molto, a vivere con lei.
Solo se
ci penso, di dover vivere per sempre con lei, mi sento
triste.»
Fred
diede un’ultima occhiata al candelabro, prima di rimetterlo
al suo posto. «Steve,
non puoi ancora sapere se Lucilla ti piacerà o no; siete
solo dei bambini!
Quando sarete cresciuti, allora capirete se è il caso di
sposarsi o no. Se tu
non sarai convinto, potrai dirlo. Non possono mica farti sposare per
forza»
scherzò, chiedendosi poi quanto ci fosse di vero nella
propria affermazione.
Steve
scosse il capo. «Ma mio padre sarebbe davvero felice se io
sposassi Lucilla.»
L’affermazione
colpì Fred, che sapeva quanto il bambino tenesse
all’approvazione del padre.
«Oh,
Steve… ma non si vive mica per accontentare gli
altri.»
Frederick
Martin, medico di trentuno anni che da tempo ormai viveva come un
semplice
maggiordomo, si riteneva nella giusta posizione per poter odiare
Lorenzo
Ranieri, ma non gli riusciva di farlo: anzi, come uomo, come marito e
come
conte, anche, lo stimava; tuttavia, non riusciva a ritenerlo un buon
padre.
Il
conte Lorenzo non amava i bambini, e non rappresentava
un’eccezione il figlio,
col quale neanche tentava di instaurare un rapporto; Steve era un bimbo
intelligente, sapeva disegnare molto bene e suonare discretamente,
eppure il
padre non lo lodava, mai; gli rivolgeva parola solo per rimproverarlo,
quando
scopriva che il piccolo se n’era andato nei boschi a
sporcarsi, e Steve si era
segretamente convinto d’essere odiato dal proprio genitore;
di conseguenza, si
era affezionato molto a Fred, che apertamente gli dimostrava grande
affetto.
Lorenzo
allora, vedendo il proprio figlio giocare con “il
maggiordomo”, aveva finito
per nutrire un certo astio per la creaturina, convincendosi che Steve
non
amasse (né rispettasse) suo padre.
Solo
quando si parlava di Lucilla, Steve aveva
l’impressione che il conte si interessasse a lui e, sebbene
l’idea di
fidanzarsi non lo divertiva per niente, il giovane Ranieri taceva per
godersi
l’approvazione del padre.
Il
passato, Steve lo ignorava, come ignorava alcuni aspetti del presente.
Non
sapeva, per esempio, che i suoi genitori non si sfioravano dal giorno
del suo
concepimento. Fred, invece, lo sapeva, come la maggior parte degli
abitanti del
castello, del resto: alla nascita di Stephen, i medici erano stati
concordi nel
dire che mai e poi mai la contessa avrebbe dovuto affrontare una nuova
gravidanza,
che le sarebbe costata la vita. Lorenzo, da vero gentiluomo qual era,
non si
era più avvicinato a sua moglie.
Il
conte, Lisa, Fred, tutti vivevano in perfetta castità, e a
nessuno di loro la
cosa pesava. Ciò che pesava era altro.
A
Fred, semplicemente, pesava la propria posizione.
Lisa
non avrebbe avuto grandi problemi, se non fosse stato per il
fidanzamento
forzato di Steve; egoisticamente, convivere con i due uomini
– con i quali non
intratteneva che rapporti platonici – le pareva la situazione
più comoda.
Lorenzo
sapeva che, praticamente, mai sarebbe stato tradito: né da
Lisa, né da Fred. Tuttavia,
vedere sua moglie in giardino assieme al figlio e all’amico
di sempre, uniti e
sorridenti, come se loro tre fossero una famiglia, lo turbava
enormemente.
«Tra
me e lui non c’è differenza!»
sbottò, tentando di non alzar troppo la voce. «Io
e Fred… tu ci consideri allo stesso modo!»
La
contessa aveva tentato di spiegare che così non fosse, ma
qualsiasi sua frase
lasciava intendere poi l’esatto contrario: stimava Fred per
la sua bontà e
intelligenza, e lo stesso valeva per il marito; a legarla a Fred era un
sentimento quasi fraterno, e non si poteva dir diversamente per il
rapporto che
legava lei e Lorenzo; aveva allora ammesso che non avrebbe mai voluto
né potuto
amare fisicamente Fred, perché sarebbe stato innaturale;
d’altro canto, però,
non toccava da nove anni neanche suo marito, sebbene i motivi fossero
altri.
Dopo
quella notte, Lisa prese a soffrire per la sofferenza che causava a
Lorenzo.
Pian piano tentò di avvicinarsi a lui, di toccarlo
più spesso, di accarezzarlo,
di apparire almeno come una moglie e non come una sorella o semplice
coinquilina; un bel giorno, poi, decise di ricordarsi che tra persone
sposate
c’erano impegni da rispettare, e tentò di sedurre
il conte.
Lorenzo
volle opporsi, ricordandole che era pericoloso, sostenendo di amarla
troppo per
volerle causare male, dicendo che certe cose non erano poi
così necessarie, a
pensarci bene; tuttavia la contessa non si era mai dimostrata tanto
provocante,
e la carne è debole.
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Capitolo 9 *** Complicazioni ***
Stephen
Ranieri era un bambino che si era sempre sentito molto solo e avrebbe
tanto
voluto un compagno di giochi. Il concetto di
“amico” gli era quasi estraneo:
poteva ritenere Fred una persona molto cara, ma non gli era permesso
giocare
con lui, e poi, Fred era grande!
Le
uniche bambine con le quali aveva instaurato una sottospecie di
rapporto erano
Lucilla, che però tanto bambina non era più, ed
Erica, che era certamente
meglio di Lucilla ma, comunque, un po’ timida e insicura, e
non disposta a
cimentarsi nei giochi spericolati che Steve le proponeva in
continuazione.
Stando
così le cose, era ovvio che il piccolo accogliesse con
immensa gioia la notizia
dell’arrivo, entro qualche mese, di un fratellino o una
sorellina; gli
dispiaceva un po’ per la mamma, che era costretta a stare
sempre a letto perché
in tali condizioni era meglio non affaticarsi troppo, tuttavia gli
pareva un sacrificio
fattibile; tanto, dopo aver dato alla luce il bimbo, la contessa
sarebbe
tornata ad essere la stessa di sempre.
Lisa
Ranieri, che durante la prima gravidanza si era lasciata sprofondare in
un
abisso tetro e asfissiante, appariva ora stanca ma placida,
perché circondata
da chi amava: Steve, Lorenzo e Fred. L’idea della morte, che
sovente la
sfiorava, non riusciva a turbarla: se fosse morta dando alla luce la
creaturina
che portava in grembo, cosa che riteneva probabile, sarebbe rimasto
Fred a
vegliare sui suoi figli, e ciò la consolava. La voglia di
vivere che l’aveva
caratterizzata durante l’adolescenza, aveva lasciato spazio a
una rassegnazione
quasi mistica e, se qualcuno avesse potuto leggerle i pensieri, sarebbe
stato
stranito da tanta inquietante saggezza. Accarezzandosi il pancione, la
contessa
rifletteva infatti su quanto tutto fosse sensato, perché era
ovvio che per ogni
nuova vita doveva spezzarsene un’altra e, in fondo, a cosa
serviva lei, su
quella terra? Non si poteva neanche dire che avesse davvero vissuto.
Lei, la
vita, l’aveva solo accarezzata, ne era stata spettatrice
più che attrice. Ed
era ora che lo spettacolo finisse, si diceva.
Lorenzo,
invece, soffriva. A ogni frase di congratulazioni per la nuova
imminente
paternità, egli si sentiva trafiggere il cuore. Avrebbe
voluto gridare al mondo
che non c’era nulla di cui rallegrarsi, che non esisteva
marito peggiore di
lui, che la contessa non avrebbe dovuto affrontare una nuova
gravidanza;
sperava che qualcuno lo rimproverasse, perché quello
meritava; e invece tutti a
congratularsi, a felicitarsi. Neanche il vescovo pareva aver capito la
gravità
del suo peccato, e continuava a far visita al castello portandosi
dietro
Lucilla ed Erica.
Lucilla,
in realtà, stava diventando davvero carina; l’aria
altezzosa del suo viso era
illuminata da un paio d’occhi verdi che parevano smeraldi, e
il corpo iniziava
a maturare. Se Stephen fosse stato due o tre anni più
grande, si sarebbe
innamorato; ma il piccolo, essendo un bambino, neanche si sognava di
guardare
la “fidanzata” e non pensava affatto
all’amore. Le sue azioni, come le sue
parole, erano assolutamente innocenti e pure.
Quando
aveva osservato che il nome “Erica” fosse molto
bello, perché faceva pensare ai
prati, non aveva parlato con l’intenzione di adulare la
damina di Lucilla; e se
giocava tanto con lei era solo perché solo lei, appunto, era
disposta a giocare
con lui.
Lucilla,
gelosissima, ignorava che presto avrebbe dimenticato certe sciocchezze,
perché
presto Steve avrebbe ignorato Erica come ignorava lei.
Erica,
che di anni ne aveva sette, non poteva ovviamente immaginare quanto
quei
piccoli gesti avrebbero influito sui suoi sentimenti, portandola, in
futuro, a
fantasticare ad occhi aperti sul promesso sposo della sua signora.
Tornando
al 1880, comunque, bisogna specificare che tutti
fossero convinti del fatto che la contessa non sarebbe
sopravvissuta al
parto, e si erano a ciò rassegnati.
I
problemi nacquero quando anche la vita del bimbo che Lisa portava in
grembo
entrò in pericolo.
La
contessa era al sesto mese di gravidanza e le era venuta una forte
febbre, che
l’aveva portata a mangiar poco, vomitare molto e, di
conseguenza, indebolirsi.
Quel corpo – reputato unanimemente inadatto ad affrontare un
parto – era dunque
divenuto ancor meno forte e, come se non bastasse, Fred si
ritrovò a scoprire –
per puro caso – che la contessa aveva delle perdite.
La
sera stessa in cui realizzò ciò, Fred si diresse
da Lorenzo, deciso a
spiegargli la gravità della situazione e pronto ad ammettere
di non esser
capace, lui solo, a fronteggiare la cosa. Bisognava assolutamente
rivolgersi a
medici più esperti. Lui non operava seriamente nel settore
da troppo tempo, era
fuori allenamento, e non se la sentiva di “prendersi certe
responsabilità”.
Lorenzo
si allarmò, chiese spiegazioni, voleva capire cosa stesse
succedendo, perché se
si era rassegnato alla perdita di Lisa non poteva tuttavia accettare
un’eventuale
morte del bambino: avrebbe reso, questo, la dipartita della contessa
assolutamente inutile.
«Signor
conte, la realtà dei fatti è purtroppo molto
semplice: Lisa è sopravvissuta
alla prima gravidanza per miracolo, ed era ovvio che non avrebbe dovuto
affrontarne un’altra. Tutti l’avevano
detto.»
Lorenzo
si era sentito offeso, e consolato assieme: finalmente qualcuno lo
rimproverava, come da tempo aveva agognato, e tuttavia non gli sembrava
giusto
che fosse proprio quell’uomo a farlo.
«Frederick,
quando ti ho chiesto di trasferirti in Italia, sono stato molto chiaro:
il tuo
ruolo sarebbe stato quello di un capocameriere. Nulla di
più, nulla di meno. Ti
prego, pertanto, di non tediarmi con commenti che non ti
spettano.»
«So
bene quale sia la mia posizione; non fate che sottolinearlo, da dieci
anni.
Tuttavia, mi avete spesso incaricato di prendermi cura della contessa
come medico,
e proprio come medico – non come uomo, badate bene
– sono costretto a
rimproverarvi.»
«Io
e Lisa siamo marito e moglie, Frederick.»
«Con
tutto il rispetto, signore, avreste potuto evitare questa gravidanza,
come l’avete
evitata per tanti anni.»
Fu
l’unica sera, quella, in cui Lorenzo e Frederick parlarono da
pari a pari;
dopo, sarebbero tornati a comportarsi come un padrone col suo servo.
Allora,
invece, discussero con franchezza, si accusarono di gelosia ed egoismo,
sputandosi addosso il rancore accumulato nel tempo. Se qualcuno li
avessi
visti, sarebbe stato comunque sorpreso nel notare che, anche in un
litigio del
genere, quei due erano capaci di rimanere dei perfetti gentiluomini.
Fatto
sta che la lite servì esclusivamente a far sfogare il conte
e il medico, senza
poter cambiare ovviamente il destino di Lisa.
«In
conclusione» domandò Lorenzo, quando si furono
ricomposti, «posso sapere come
stanno le cose dal punto di vista medico?»
«Probabilmente,
Lisa partorirà prima del tempo; a breve, anzi, oserei dire.
E non credo sarà
facile far sopravvivere la creatura.»
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Capitolo 10 *** La terra ***
Dopo
aver discusso con Lorenzo, Fred si diresse verso le camere di Lisa.
L’argomento
da affrontare era delicato, ma tacere era impossibile e furono pochi i
giri di
parole che il medico utilizzò per comunicare
all’amica che aveva notato le
macchie sul lenzuolo.
«In
questi casi, il parto viene di solito anticipato e le
conseguenze… potrebbero
essere particolarmente critiche.»
«La
mia creatura sopravvivrà?» domandò
semplicemente lei, senza guardare
l’interlocutore che si mostrò scettico a riguardo.
«Fred, tu dovrai badare a
Steve; Lorenzo non ne è in grado.»
La
contessa era tranquilla, pacata. «Voglio che tu vegli su di
lui come un angelo
custode; e se, da adulto, mio figlio non amerà Lucilla, tu
devi fare in modo
che non la sposi. Steve merita un Amore Vero.»
Fred
tacque, mesto, e allungò la mano per stringere quella magra
e debole di Lisa.
«Ho
già detto a Lorenzo che voglio esser seppellita in giardino,
in una buca molto
profonda. Senza lapidi, né altro. Senza nulla.»
In
situazioni del genere, sarebbe possibile pronunciare frasi di
circostanza,
nominare la speranza, le preghiere e i miracoli; tuttavia Fred sentiva
la
necessità di non mentire e di esser sincero, una volta per
tutte. Dunque
domandò a Lisa se avesse piacere nell’udire una
confessione.
La
contessa seppe finalmente di esser stata sempre amata, seppur in
silenzio, di
un amore puro e costante. Fred avrebbe voluto sposarla, ma aveva visto
in
Lorenzo un partito migliore per la ragazza e si era deciso a
cedergliela, come
anche il padre di Lisa aveva sperato. La donna ascoltò con
attenzione e pianse
di gioia, e quando Fred esclamò di sentirsi in un certo
senso colpevole, ella
rispose che evidentemente era così che doveva andare, che
era inutile chiedersi
cosa sarebbe accaduto, perché i “se”
servono a ben poco. «Io sono felice
comunque, Fred. Mi fa piacere sapere che mi ami, e mi fa piacere
saperlo ora.
Se tu avessi parlato prima, mi avresti tentata: avrei potuto tradire
Lorenzo, e
non mi sarei mai perdonata una cosa del genere.»
Quella
sera non fu possibile dirsi altro: la contessa avvertì
presto dei forti dolori
al ventre, i medici che Lorenzo aveva mandato a chiamare giunsero il
prima
possibile e, assieme a Fred, si barricarono nella camera della donna,
mentre il
conte pregava, in ginocchio, nel corridoio. Gli fu detto che bisognava
tentare
di far nascere il bambino, che non c’era scelta; Lorenzo non
ebbe neanche il
tempo di salutare sua moglie, che sapeva non avrebbe mai più
rivisto.
Il
mattino seguente, Steve aprì gli occhi e si rese conto che
era molto tardi;
strano, perché suo padre non amava che lo si lasciasse
dormire troppo, e mandava
sempre qualcuno a svegliarlo. Ora nella sua stanza non c’era
nessuno, ma
sentiva il rumore di passi e un sommesso chiacchierio provenire dal
corridoio;
inoltre, affacciandosi dalla finestra, notò la presenza di
un gruppetto di
persone, abbigliate in nero, in giardino.
Il
bimbo si vestì in fretta e lasciò la propria
stanza, deciso a scoprire cosa
stesse accadendo. Il castello era pieno di gente, che lo spiava con
tenerezza
senza aver tuttavia modo di avvicinarlo, dato che Steve correva alla
ricerca di
Fred, l’unico che, secondo lui, poteva aver voglia di
spiegargli cosa stesse
accadendo.
Fred,
che invidiava il conte per esser libero di esternare il proprio dolore
– cosa che
comunque Lorenzo non faceva - , aveva molto da fare, date le
circostanze; con
una fermezza che agli altri membri della servitù parve quasi
mancanza di cuore,
egli diede disposizioni per l’accoglienza dei visitatori e la
salvaguardia dell’ordine,
e aveva anche dato ordine che qualcuno andasse ad intrattenere Steve,
ma il
bimbo era stato più veloce ed era già in giro per
il castello, e fu nel
corridoio più vicino alle stanze della contessa che Fred
scorse, tra la folla,
il piccolo Ranieri.
Steve,
abituato ad esser trattato con certi riguardi da tutti e con
particolare
affetto da Fred, fu stupito dal modo in cui egli lo trascinò
lontano da quel
posto e, quando furono giunti nuovamente nella camera del giovanissimo
conte,
questi assunse un’aria piuttosto offesa.
Frederick
Martin, nel corso della sua esistenza, era riuscito a rendersi utile in
svariati modi, aiutando la maggior parte della gente che aveva avuto a
che fare
con lui; con le parole, però, non era mai stato bravo. Anzi.
Steve
fu messo a sedere sulle ginocchia dell’uomo, che lo
abbracciò e gli rivelò,
senza troppi preamboli, che era successo qualcosa di molto brutto: la
madre si
era sentita male, avevano cercato di far nascere “il
fratellino”, ma tutto era
stato inutile. «Steve, tua madre è tornata in quel
posto dove, prima o poi,
tutti ci incontreremo ancora; il suo corpo è ancora in
questo castello, e se
vuoi puoi andare a salutarlo, tuttavia ti sconsiglio di farlo: ricorda
la tua
mamma per come era, allegra e sorridente, prima della gravidanza.
È meglio
così.»
Lorenzo
non seppe che suo figlio era stato delle ore chiuso in camera con Fred,
a
piangere contro il suo petto, e fu una fortuna: non avrebbe approvato.
Il conte
Ranieri, che di disperarsi avrebbe avuto più di un buon
motivo, imprigionava in
sé il proprio dolore e si mostrava serio, freddo ma educato
con chiunque gli si
avvicinasse. Il corpo della moglie lo guardava solo di sfuggita,
perché
preferiva conservare di lei un’altra immagine; con grande
sgomento dei più, il
conte fece sapere che la cerimonia funebre sarebbe stata privata ed
espresse il
desiderio di non vedere alcuno: nella chiesetta di Valgre furono dunque
presenti solo il vescovo, che celebrò di persona il rito, il
conte, Steve, e la
maggior parte del personale del castello, compreso Fred. Fu detto che
il corpo
sarebbe stato sepolto nel cimitero di una città vicina,
più grande e maestoso:
in realtà, la contessa fu sepolta nel giardino del castello,
in una buca
estremamente profonda e in una bara d’ebano, fatta realizzare
in una sola
giornata da un falegname del posto. In quel punto, fu piantato un
albero.
Lorenzo
e Stephen avevano vissuto, fino ad allora, come due estranei accumunati
da un
parente in comune; la morte di Lisa mise il conte dinnanzi
all’evidenza che,
tra lui e suo figlio, non ci fosse più nulla. Non sapendo
come rimediare,
decise semplicemente di spedire il bimbo in collegio e di lasciarcelo
fino ai
suoi vent’anni. L’idea di licenziare Fred non lo
sfiorò neanche, come del resto
il medico non considerò affatto la possibilità di
tornare in patria: il
castello aveva bisogno di un dirigente, per così dire, e
Fred era l’unico in
grado di gestirlo; Lorenzo lo sapeva, e Fred sapeva di poter essere
ancora utile
in quel luogo.
Paradossalmente,
Lorenzo e Fred si ritrovarono legati anche dopo la morte di Lisa, e fu
chiaro a
entrambi che, ormai, non si sarebbero separati più.
Prima
di lasciar partire Steve, Fred si recò da lui.
«Questi
anni voleranno, Steve. E poi, tornerai per le vacanze; vedrai posti
nuovi, e
avrai degli amici.»
Steve
non rispose; dalla morte della madre, sembrava essersi spento. Solo
quando l’uomo
espresse il desiderio di volergli fare un dono, il bimbo parve
ridestarsi un po’.
Fred
gli porse una collana molto semplice, ma dal ciondolo particolare: era
un rombo
che pareva di pietra, con inciso il nome Stephen.
«Ti
avrei regalato qualcosa di meglio, ma purtroppo non ne ho i mezzi, al
momento.
Questa collana mi è stata lasciata da mio padre, tempo fa.
Lui aveva il tuo
stesso nome, lo sai? Io non mi sono mai separato da questa catenina, ma
ora la
cedo volentieri a te. Indossala sempre, e sarà come avermi
vicino.»
Il
piccolo vide l’altro avvicinarsi e allacciargli al collo il
semplice gioiello.
Sembrava emozionato.
«Ma
Fred, è un regalo di tuo padre…»
«Ora
è tuo, Steve.»
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Capitolo 11 *** Stephen e Lucilla ***
Il
collegio stava cambiando Steve, Fred l’aveva notato subito.
Il giovanotto, che
tornava a Valle due volte in un anno, solitamente per il Santo Natale e
alcune
settimane di vacanze estive, si faceva, con gli anni, sempre
più cupo e
solitario. Coltivava diverse passioni, suonava molto bene il piano e
dipingeva
divinamente, ma tali attività finivano a volta per
avvilirlo, perché sapeva di
non potervi dedicare tutto il tempo che desiderava. Fred sapeva che
Steve,
potendo, avrebbe voluto diventare un pittore, e che suo padre riteneva
i
passatempi del figlio assolutamente inutili, “una perdita di
tempo”, come
soleva ripetere.
Non
si somigliavano, Lorenzo e il figlio. Il ragazzo ricordava la madre nel
taglio
degli occhi e nei colori, ed era sì alto, ma non
esageratamente, per un uomo; o
almeno, paragonato al conte e a Fred, che erano due giganti, Stephen
Ranieri
non spiccava. Era comunque un bel giovane, molto affascinante a detta
delle
signorine che lo guardavano, che erano attratte dallo sguardo pensoso e
serio
del ragazzo più che da qualche dettaglio del viso.
Poiché
Stephen passava a Valle poco tempo e Lucilla era spesso impegnata in
“opere di
carità”, come le chiamavano il conte e il vescovo,
era difficile che i due si
incontrassero e, sebbene esistesse tra loro una corrispondenza, era
noto ai più
che tali lettere non contenessero il minimo segno di interesse da parte
di
Stephen. Non che il parere di Steve contasse tanto, in
realtà; il vescovo
sperava però che tra i due futuri sposi nascesse almeno una
piccola simpatia.
«Non
temete, monsignore» lo assicurò il conte. Era
agosto e Valle era in festa: il
vescovo aveva celebrato personalmente la funzione – onore che
non tutti i paesi
potevano vantare! – e, dopo la processione, si era fermato ad
assistere ai
balli di piazza. Altrove, non sarebbe accaduto: ma a Valle
c’era Lorenzo, che
era suo amico, e Lorenzo era un conte, e il figlio del conte avrebbe
sposato
Lucilla: insomma, quel paese sarebbe stato di sua nipote, un giorno.
«L’ultima
volta che Stephen ha visto vostra nipote era un quattordicenne che poco
pensava
alle fanciulle; ora ha diciassette anni e credo gli sarà
difficile ignorare la
bellezza di Lucilla.»
Il
vescovo annuì.
«Quest’anno,
però, a Natale, dobbiamo fare in modo che si incontrino.
Dirò a mia nipote di
non prendere impegni di alcun tipo; il mondo non cadrà, se
per una volta pensa
a se stessa e non agli altri.»
In
realtà, ciò che non doveva
“cadere” era la reputazione di Lucilla, osannata in
lungo e in largo come una sorta di santa, una fatina dei poveri; per
costruire
tale aura di santità c’erano voluti anni di
impegno e, alla fine, la ragazza si
era anche abituata al ruolo: fare del bene era ormai diventato
automatico.
L’unica cosa che le si sarebbe potuta rimproverare era
d’essere alquanto bigotta;
tuttavia, Lucilla era circondata da gente bigotta, ragion per cui
nessuno
poteva criticarla.
Quasi
fosse la sua ombra, Erika si spostava sempre assieme a Lucilla e,
dov’era
l’una, era immancabilmente anche l’altra. La
ragazza era stata educata bene, vestita
con eleganza, pettinata con riguardo; tuttavia non bisognava
dimenticare da
dove venisse e, perciò, era costantemente ricordato
– a lei e agli altri – che
si trattava solo di una dama di compagnia, salvata da un destino che
altrimenti
sarebbe stato triste, dato che i poveri genitori erano morti quando la
piccola
non era autonoma e senza lasciarle altro che debiti, saldati poi dai Di
Cosmo.
Insomma, Erika era una sorta di trofeo ambulante di Lucilla, un simbolo
della
sua bontà e carità.
Il
vescovo aveva stabilito di trovare un marito alla giovane, ma sarebbe
stato un
marito “della sua pasta”: buono, onesto, benestante
nei limiti del possibile, o
almeno non proprio un poveraccio, ecco, un bravo ragazzo che lavorasse
a Valle
e che potesse essere assunto al castello, per impedire ad Erika di
lasciare
Lucilla. Il vescovo, infatti, voleva che le due restassero
insieme
sempre. Erika avrebbe potuto fare benissimo da governante. Era un buon
lavoro,
decoroso. Certo, si voleva fare in modo che la ragazza non divenisse
mai
libera, ma a questo nessuno pensava. Dopotutto, Erika era stata
graziata. Cosa
sarebbe stato di lei, se non ci fossero stati i Di Cosmo?
Si
è detto che Erika fosse ben pettinata e vestita; ovviamente,
però, Lucilla era
vestita e pettinata magnificamente. Una sola occhiata alle due bastava
per
capire che non fossero “uguali”. Inoltre, la natura
era stata buona: se Erika
era molto carina, Lucilla era reputata da tutti una bellezza
assolutamente
straordinaria. I capelli nerissimi erano abbelliti da fermagli
preziosi, il
fisico ben proporzionato la rendeva desiderabile e, soprattutto, gli
occhi
parevano smeraldi: erano di un verde luminoso, che creava un bel
contrasto con
le lunga ciglia nere che la fanciulla sbatteva spesso, conscia del loro
fascino.
Erika,
che aveva occhi altrettanto belli e azzurri, era un po’
infastidita da questa
piccola astuzia dell’altra: lei, infatti, aveva le ciglia
chiare come i capelli
e non poteva ricorrere allo stesso espediente.
Per
incontrare, dopo tanti anni, il suo fidanzato, Lucilla aveva indossato
un abito
verde e bianco, e se ne stava seduta accanto alla sua giovane dama. Il
vescovo
era presente, e Lorenzo nervoso, perché Stephen tardava.
Quando Fred entrò per
servire del tè con biscotti – abitudine che il
conte aveva preso tempo prima,
col matrimonio con Lisa – egli chiese notizie del figlio,
rivelando una certa
inquietudine; il maggiordomo rispose che doveva essere ancora nelle sue
stanze,
giustificandolo perché in fondo il ragazzo era arrivato solo
la sera prima ed
era ancora stanco per via del lungo viaggio, e Lorenzo
s’innervosì ancor di più
perché Fred aveva la tremenda consuetudine di difendere
Steve sempre e comunque
ed egli proprio non riusciva a sopportarlo.
I
nervi dell’uomo poterono distendersi solo col sospirato
ingresso del giovane
Ranieri in salotto: allora il vescovo e Lorenzo si guardarono, felici.
Gli
abitanti del castello sapevano che Stephen non aveva un carattere
piacevole:
taceva per la maggior parte del tempo, con quell’espressione
perennemente
accigliata che sfoggiava con presunzione anche in presenza di ospiti, e
si
degnava di rivolger parola solo a Fred. Gli altri, neanche li guardava.
Tutto
il contrario del conte Lorenzo e della buon’anima della
contessa, insomma, che
con la servitù erano sempre stati gentili.
Entrando
nel salotto, comunque, Steve si comportò come previsto:
aperta la porta di
malavoglia, come se stesse facendo un immane sforzo,
manifestò poi un
improvviso interesse nel momento in cui i sui occhi si posarono su
Lucilla che,
alzatasi, gli augurò la buona sera.
Non
gli era mai sembrata così bella. Il giovane conte sorrise,
la raggiunse, si
chinò e la salutò col baciamano. Solo un lieve
cenno del capo fu dedicato ad
Erika, che ne fu ferita perché, come Steve era stato
illuminato dalla presenza
di Lucilla, Erika era stata colpita da quella di lui.
Lorenzo
esibì un’espressione soddisfatta quando il figlio
chiese a Lucilla il permesso
di ritrarla ed ella, lusingata, acconsentì: la sciocca
passione del ragazzo
avrebbe finalmente portato a qualcosa di buono, perché i due
avrebbero modo di
trascorrere del tempo insieme e poi, ormai era chiaro, Steve era
attratto da
lei.
Attratto,
non innamorato. Lorenzo non era sciocco. A diciassette anni si sentono
certe
esigenze – e Steve non aveva ancora avuto modo di placarle,
ne era certo – e
Lucilla era tanto graziosa… magari, l’urgenza di
possederla, avrebbe portato
Steve a stabilire al più presto la data delle nozze
– in fin dei conti, col
collegio aveva quasi finito – e certo, l’attrazione
fisica non è una buona base
su cui fondare un matrimonio, ma ormai loro erano già
fidanzati, e quindi,
meglio quello di niente.
Naturalmente,
Stephen fantasticò a lungo sulla sua fidanzata, pur sapendo
che solo dopo il
matrimonio gli sarebbe stato concesso toccarla. Tutta la sua foga fu
canalizzata nella realizzazione del ritratto, completato dopo una sola
settimana durante la quale, però, pittore e modella furono
costantemente
impegnati. Dovendo restare immobile per posare, Lucilla
parlò poco; e neanche
dopo, quando la frequentazione continuò, ella si
mostrò particolarmente
loquace. Tuttavia, passando tanto tempo assieme – durante le
vacanze di Natale
di quell’anno si separarono solo la notte – fu
inevitabile, per i due giovani,
rivelare il proprio carattere: agli occhi di Stephen, allora, Lucilla
risultò
generosa, elegante, composta, misurata, silenziosa, ben disposta ad
accontentare gli altri anche qualora le chiedessero di far cose a lei
poco
gradite. Contemporaneamente, la nipote del vescovo gli apparve
indifferente
alla quasi totalità del mondo che aveva intorno, noiosa,
bigotta, senza personalità:
pareva ripetere a memoria i precetti appresi dallo zio, si
scandalizzava
per poco, temeva qualsiasi animale, evitava i colori – o
qualsiasi altra
sostanza a sua detta “pericolosa” –
perché rabbrividiva all’idea di sporcarsi
le mani o, peggio, gli abiti, trattava Fred con sufficienza e riteneva
che il
suo fidanzato gli accordasse troppo rispetto, e si muoveva nel castello
come un
avvoltoio attorno alla carcassa che sta per cibarlo.
Come
se non bastasse, la ragazza aveva espresso – non davanti a
lui: l’aveva detto
ad Erika, ma egli aveva origliato – il desiderio di non avere
una famiglia
numerosa, poiché i bambini le piacevano poco. «Un
figlio basta e avanza» aveva
sentenziato, «anzi, direi che è meglio.
Così tutta l’eredità andrà a
lui.»
A
Stephen dei bambini interessava poco, ma immaginò che una
fanciulla tanto
pudica e certamente poco passionale gli avrebbe negato anche quelli
che,
normalmente, sarebbero stati i suoi “diritti di
marito”. Insomma, lui e Lucilla
avrebbero dormito insieme solo fino al concepimento del primo e unico
figlio.
«Non
possiamo sposarci» esclamò semplicemente,
lasciando sbigottiti il conte e il
vescovo. «Mi dispiace, ma vostra nipote non è
adatta a fare la moglie. Potrebbe
facilmente diventare una santa, ma è troppo virtuosa per
avere un marito. Credo
che i suoi desideri mal si concilino con i miei.»
Quel
che mandò in bestia Lorenzo fece invece ridere di gusto il
vescovo, che scoppiò
in una sonora risata che spiazzò il giovane e anche il conte.
«Vieni
qui, Stephen, vieni!» lo chiamò, ridendo, quel
grosso signore, invitandolo ad
avvicinarsi al camino.
«Sei
un bravo giovanotto, tu. Onesto, soprattutto. Perspicace, anche. Hai
proprio
ragione su Lucilla: è più adatta al cielo che
alla terra, e la cosa ti
spaventa, giustamente. Ma vedi, ragazzo, la tua ingenuità
non ti fa vedere la
realtà delle cose: credi forse che ogni uomo sia fedele alla
propria moglie?
Aspetta, aspetta; mi sono espresso male. Ecco, Steve, quando un uomo ha
una
moglie come la mia Lucilla… non può certo
obbligarla a fare certe cose quando
lei non vuole, no? Quindi, se intende rispettare la moglie, deve
lasciarla
stare tranquilla e… e sfogare altrove i propri
istinti.»
Steve
assunse un’espressione stranita, e si chiese cosa pensasse
suo padre, il suo integerrimo
padre, di una teoria simile. In pratica, il vescovo gli stava
suggerendo di
tradire sua nipote.
In
realtà egli sapeva – gli era stato spiegato
– cosa ci fosse dietro quell’idea
di farli sposare: la famiglia Ranieri ormai aveva solo il titolo, ma
pochi
beni; Lucilla, al contrario, era ricca ma non nobile e lo zio
desiderava
rimediare a ciò. “Ma io non vorrei mai che una mia
nipote, o una figlia, o una
sorella, passasse la vita con una persona che non la ama e la disonora
andando
con altre donne, solo per avere in cambio un titolo inutile”
pensava il ragazzo
che, a diciassette anni, era piuttosto virtuoso.
«Tu
hai mai dormito con una donna, ragazzo?»
Ancora
Steve fu preso alla sprovvista, tanto da arrossire, imbarazzato dalla
presenza
del padre più che dalla domanda in sé. Lorenzo,
che non aveva apprezzato per
niente quella discussione, guardava il figlio. Il ragazzo fece segno di
no con
la testa, guardando il pavimento.
«Be’,
direi che è ora di rimediare.»
Stephen
Ranieri aveva sempre temuto di essere l’unico, in quel
castello, ad avere pensieri
impuri. Il padre, ne era sicuro, viveva in piena castità,
come anche Fred, e
degli altri dipendenti al loro servizio non sapeva nulla, ma li
immaginava
piuttosto lontani dalle fantasie peccaminose che invece agitavano le
sue notti.
Quando
gli fu offerta la possibilità di placare i propri tormenti,
dunque, il ragazzo
fu ben felice di cogliere la palla al balzo, come si suol dire, sebbene
il
fatto che a lanciare la palla fosse stato proprio un uomo di Chiesa lo lasciasse vagamente perplesso.
Possedere
quella prostituta fu una liberazione, o così parve
all’inizio al giovane; era
stato con una donna adulta, con la quale non aveva parlato molto, in
realtà, e
di cui aveva presto dimenticato il nome. Si convinse, Steve, a
sposarsi; perché
abbandonare Lucilla se, comunque, era stato autorizzato a tradirla?
Mica doveva
per forza pagare una donna di malaffare: si sarebbe trovato
un’amante, che avrebbe
amato davvero. Era stato il vescovo stesso a suggerirglielo:
“l’importante è
che non si sappia mai in giro”, aveva detto.
|
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Capitolo 12 *** Accuse ***
A
Stephen era piaciuto andare con quella donna; di lei sapeva poco, ma
neanche
gli interessava saper di più, né era desideroso
di rivederla. La sua compagna
notturna non era stata di grande importanza; importante era stato
l’atto in sé,
un atto liberatorio, che gli aveva permesso di sfogarsi. Dopo, la sua
vita gli
era sembrata più piacevole: era tornato al collegio a
terminare gli studi, si
era detto e ridetto fino allo sfinimento che lui e Lucilla sarebbero
andati d’accordo
proprio grazie alle amanti che si sarebbe procurato, era giunto alla
conclusione che accontentando suo padre -che voleva tanto quel
matrimonio –
avrebbe fatto la cosa migliore per tutti.
Poi,
terminati gli studi, era tornato definitivamente a Valle e si era reso
conto di
come stessero certe situazioni: lui e suo padre avevano davvero perso
molte
delle antiche ricchezze, questo principalmente a causa
dell’incompetenza di
Lorenzo di occuparsi di affari: l’uomo era sempre stato
attratto più dalla
matematica e dalle scienze che dalla gestione dei suoi possedimenti, e
ciò l’aveva
portato a dover vendere parecchie terre per evitare di indebitarsi.
Oltre al
titolo nobiliare e al castello di Valle – perché
era un castello, non una semplice
dimora – i Ranieri possedevano solo una villetta nella
cittadina ai piedi del
monte cui Valle si trovava in cima. In tale cittadina risiedeva anche
un
barone, Giuseppe Gaetani, più giovane di Lorenzo e suo
conoscente non che
ammiratore.
Bisogna
sottolineare tale dettaglio – ovvero che Gaetani stimasse
Ranieri – perché gli
amici del conte erano ormai pochi: la famiglia, assieme alle ricchezze,
aveva
infatti perso anche prestigio e credibilità: persino a
Valle, pochi
continuavano a provare quel senso di rispetto che solitamente si ha per
chi si
sente “superiore”, e Lorenzo era considerato quasi
come un popolano, più
elegante, ma non più importante.
L’unica
ancora di salvezza era il matrimonio con Lucilla: l’antica
grandezza sarebbe stata
ripristinata grazie al legame tra lei e Stephen –
perché la sua famiglia,
quella del vescovo, era rispettata, riverita e temuta,
altroché! – e assieme
alla sposa sarebbe arrivata anche una dote più che
consistente.
Prima
di tornare a Valle, Stephen sapeva che il matrimonio fosse importante,
ma non
aveva capito quanto; ora lo sapeva, e sentiva di dover reggere una
responsabilità troppo grande. Per non pensarci
più, o comunque per pensarci
meno, il ragazzo pensò bene di abbandonarsi con
più libertà ai piaceri della
carne.
Abbandonarsi
ai piaceri della carne, poi, lo portò a provare una certa
malinconia, perché le
sue abitudini lo facevano sentire alquanto squallido: quelle donne
stavano con
lui perché pagate, non perché lo volevano, e
neanche lui amava loro, e dunque
si sentiva nauseato, ma non riusciva a rinunciare al piacere fisico e
dunque
godeva, e si intristiva subito dopo.
Per
rimediare alla malinconia, decise che a ogni incontro galante sarebbe
seguita
una sbornia, e l’effetto dell’alcool gli piacque
tanto da scegliere di farvi
ricorso ogni qualvolta ne avesse bisogno, ovvero quasi sempre. Se
proprio non
poteva bere - perché Lucilla era al castello –
allora andava nel bosco che
separava il castello dal villaggio, e lì si sentiva meglio.
Se fosse stato un
lupo, si diceva, la vita sarebbe stata migliore, e senz’altro
più semplice.
Poiché
Valle contava mille abitanti scarsi, le voci si diffondevano in fretta:
gli
abitanti avrebbero sparlato del giovane conte aggiungendo ai suoi vizi
altri
che il narratore di turno di volta in volta avrebbe inventato, e le
voci sarebbero
arrivate all’orecchio del vescovo, se solo Steve avesse agito
in maniera meno
cauta: ma il ragazzo era discreto e solo la servitù del
castello aveva scorto
qualcosa; la stessa servitù, però, era stata
quasi minacciata da Fred: se
qualcuno avesse parlato, sarebbe stato licenziato.
In
realtà, se anche Lucilla avesse saputo, poco sarebbe
cambiato: a lei
interessava diventare contessa e avere una vita rispettabile, e suo
marito
poteva anche ubriacarsi, purché lo facesse di nascosto; tale
era la sua
moralità.
Quella
di Fred e di Lorenzo, invece, era diversa, e i due ammonivano
continuamente
Stephen: se però Fred amava il ragazzo e, malgrado i
rimproveri, continuava a
dimostrargli affetto, Lorenzo pareva essersi rassegnato a vivere la
paternità
come una punizione divina: si dice che ognuno ha la sua croce, e
Lorenzo
pensava – rendendolo chiaro a tutti – che il figlio
fosse la sua. I due Ranieri
parlavano raramente, e silenziosamente si odiavano, uno
perché deluso, l’altro
perché incapace di accontentare quel padre troppo esigente.
A
settembre, in occasione del compleanno del futuro sposo, sarebbe stata
annunciata ufficialmente la data delle nozze.
Nel
mese di agosto, il giovane perse anche la voglia di dipingere, suonare
e
passeggiare, e giunse alla fatidica data come una sottospecie di morto
vivente.
Se
il castello non era mai stato tanto luminoso e pieno di gente,
l’animo del
ragazzo non era mai stato tanto cupo.
Lucilla
era meravigliosa e si muoveva tra gli ospiti come una farfalla: vestiva
di
bianco e verde, e gli occhi parevano smeraldi, e Steve si disse che non
c’era
niente di più banale: che un paio d’occhi verdi
ricordasse un paio di smeraldi.
Lorenzo
appariva raggiante, sorrideva e scherzava con gli invitati e chiamava
spesso il
figlio accanto a sé, per presentarlo a qualcuno: tali
attenzioni erano
richieste dall’occasione, non volute, e Steve odiò
anche questo.
Fred,
l’unica persona da cui lo sposo si sentiva amato, era
occupato a gestire la
servitù, perché quello era il suo compito,
servire, e Steve non poteva
avvicinarglisi perché sarebbe stato assurdo e sconveniente
far notare quanto
egli amasse il maggiordomo, un maggiordomo che tuttavia era stato come
un
padre.
Il
vescovo rideva con quella sua risata sguaiata, gli ospiti parlavano e
il brusio
delle loro voci lo innervosiva, i musicisti continuavano imperterriti a
suonare
nonostante fosse chiaro che nessuno li ascoltasse e tutto era
assolutamente
ipocrita, e magnifico a vedersi.
La
musica si fermò solo quando Lorenzo lo richiese, e allora
Steve e Lucilla
furono chiamati al centro della sala: Giuseppe Gaetani, presente senza
la
moglie che era in dolce attesa, avrebbe poi rivelato a
quest’ultima che in quel
momento il ragazzo gli era certamente sembrato molto bello, distinto ed
elegante, ma infinitamente contrariato.
«Se
vi ho invitati qui questa sera non è solo per trascorrere
del tempo assieme,
questo vi è noto; la verità è che
volevamo, io e i giovani qui presenti,
comunicarvi la data in cui ci ritroveremo di nuovo tutti a Valle,
assieme, per
festeggiare un avvenimento importante.
«Lucilla
e Stephen sono cresciuti insieme: si conoscono da sempre, e sempre si
sono
rispettati e stimati. Quel che accadrà il 28 Gennaio del
prossimo anno, dunque,
è assai prevedibile: la loro unione sarà
celebrata dinnanzi a Dio, e per mezzo
di un uomo che i nostri promessi sposi conoscono bene»
concluse Lorenzo
sorridente, guardando il vescovo Di Cosmo. Un applauso si
alzò, e fu richiesto
un bacio tra i due giovani: le labbra di Steve sfiorarono per la prima
volta
quelle di Lucilla, e il contatto fu breve e freddo. Quello fu
l’unico momento
della festa in cui i due stettero assieme.
Era
quasi mezzanotte quando Fred si avvicinò al festeggiato
– perché lui aveva più
diritto di dirsi festeggiato: era il suo compleanno! – e,
fingendo di volersi
congratulare, gli sussurrò all’orecchio di
seguirlo e lo condusse fuori.
«Stai
davvero esagerando, Steve. Stasera non puoi. Ti conosco e so
riconoscere il
momento in cui stai per perdere il controllo: a te manca un altro mezzo
bicchiere, e la festa è rovinata. Quindi o ti ritiri
fingendo un malore, o ti
fermi ora.»
Inaspettatamente,
Steve scelse la prima opzione e Fred fu costretto a scusarlo col conte,
facendo
poi riferire che il ragazzo aveva avuto un calo di pressione dovuto
alle tante
emozioni ed era andato a coricarsi.
Lucilla
ne fu molto contrariata, e tale delusione avrebbe influito sul suo
futuro da
sposa.
***
Quando
scoccò la mezzanotte che segnava l’inizio del 28
Gennaio 1893, accaddero due
cose.
Nella
ridente cittadina ai piedi del monte, Giuseppe Gaetani udì
il pianto di un
neonato, anzi, di una neonata, e seppe dopo qualche minuto di esser
diventato
padre di una bambina. I piccoli Elio, Leonardo e Quirino, di 10, 7 e 4
anni,
reagirono con relativa indifferenza all’arrivo di una
femmina, e Virginia
Bianca Maria Gaetani fu accolta al mondo con freddezza.
A
Valle, Fred, che era in piedi e guardava verso il bosco attraverso una
delle
finestre del salone, ebbe una fitta al cuore: non che avesse visto
qualcosa –
era impossibile, il bosco era fitto – ma il suo
cuore… aveva sentito. Non riusciva
a prender sonno, lui, quando Steve era fuori, e quella sera era andato
al
villaggio. Non avrebbe dovuto, gliel’aveva detto, e ora
quella strana
sensazione pareva confermare i suoi indefiniti timori.
Da
quando Lucilla lo aveva lasciato, la situazione era peggiorata: le
accuse che i
Di Cosmo avevano rivolto al giovane erano gravi, e inutili erano state
le
parole di lui, che aveva negato tutto. I Ranieri avevano perso di
credibilità
già da tempo, mentre la potenza dei Di Cosmo e la
reputazione da santa di
Lucilla conferivano alle affermazioni della ragazza una grande
attendibilità;
erano nate sul giovane conte storielle assurde ed egli, disprezzato da
tutti,
aveva deciso di smetterla di giustificarsi, dando alla gente
ciò che voleva: si
era reso odioso e non si preoccupava più di nascondere il
proprio piacere per l’alcool.
Le
donne lo evitavano e facevano il gesto di nascondere le proprie
figliolette,
quando lo vedevano: il tutto era assurdo.
Il
27 Gennaio, il vescovo aveva organizzato una festa per Erica, che
diventava
moglie dell’onesto Ermanno; Steve, che vedeva proprio in
Erica la colpevole
delle sue sventure, aveva deciso di andare al paese, proprio per
indispettire
chi gli aveva rovinato la vita.
Fred
gli aveva detto di lasciar perdere.
Alle
due di notte, il maggiordomo andò a svegliare Lorenzo, che
lo cacciò dicendogli
che quel che Steve faceva non gli riguardava, e per quel che gli
importava
potevano anche divorarlo i lupi.
L’uomo
si era dunque coperto per bene e aveva abbandonato il castello, per
recarsi
solo alla ricerca dell’adorato ragazzo, che aveva in effetti
trovato: inerme ai
piedi di un pino, con un taglio accanto al collo, taglio apparentemente
innocuo
che aveva invece causato una morte per dissanguamento.
Gliel’avevano ucciso.
Lucilla
e il vescovo si presentarono ai funerali e raccontarono che la sera
prima Steve
aveva fatto irruzione alla festa di nozze e aveva offeso la sposa, ma
Ermanno
non gli aveva dato corda, e nessuno si era allontanato dal banchetto,
quindi
era inutile incolpare la gente del posto: piuttosto, era probabile che
il
giovane conte si fosse imbattuto in qualche brigante che si nascondeva
nel
bosco, cosa probabile dato che il cadavere era stato anche spogliato
dei pochi
gioielli di valore che portava addosso.
Fred
ascoltò senza parlare. Da quando aveva trovato il suo
ragazzo la notte prima,
non aveva più aperto bocca. Solo quando lui e il conte
tornarono al castello e
Lorenzo gli ordinò di preparare le valigie, egli dovette
opporsi, dicendo che
avrebbe voluto assistere alla sepoltura perché, come sua
madre, Steve sarebbe
stato sepolto in giardino. Macabro, forse, ma Lorenzo così
aveva detto.
«Frederick,
quel che ho detto non ha alcuna importanza. Innanzitutto, se tu avessi
prestato
attenzione, ora sapresti che le mie parole sono state ben diverse. Ho
detto che
avrei seppellito Stephen qui, ma parlavo di una cappella; non abbiamo
cappelle,
non serve che me lo ricordi. Ebbene, ho mentito. La verità
è che la servitù è
stata licenziata stanotte stessa, e io non ho intenzione di perder
tempo. Ci trasferiamo,
Frederick. L’epoca dei Ranieri qui è finita: ci
odiano, e come hanno ucciso
Stephen tenteranno di uccidere anche me. I Di Cosmo sono potenti, i
popolani
pendono dalle loro labbra. Questa tenuta costa troppo e non posso
permettermi
di mantenerla, tra l’altro: dunque ci trasferiamo, e la bara
portala dove
preferisci. Sappi solo che tra un’ora la carrozza
arriverà, e i bagagli devono
esser pronti.»
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Capitolo 13 *** Il bosco ***
Il
conte Ranieri, dopo la morte del figlio e il trasferimento nella
cittadina ai
piedi del monte, aveva vissuto nella solitudine. Il solo essere ad
interagire
con lui era Fred che, in quanto unico membro della servitù,
si occupava
dell’elegante ma piccola dimora e cucinava per Lorenzo.
Le
uscite erano assai rare e, se anche qualcuno avesse voluto fargli
visita, il
conte si sarebbe opposto: era vecchio, stanco, deluso dalla vita. Di
aver perso
la maggior parte delle sue ricchezze non gli importava, ma
l’onore… quell’onore
di cui il suo cognome era stato privato a causa di suo
figlio…
Gli
avevano riferito, un mese dopo il suo trasferimento, che a Valle era
accaduta
una cosa strana: i popolani si erano diretti al castello per
saccheggiarlo, e
il castello non si era trovato. Sparito. Tra l’altro, la
dimora era enorme, da
sempre era stata visibile dal villaggio, e ora, invece…
niente. Fred era
rimasto colpito dalla cosa, ma Lorenzo ne era stato assolutamente
indifferente.
Non gli importava nulla di Valle, né del castello.
Un’altra
notizia che gli era giunta all’orecchio era che Lucilla
avesse trovato marito:
un esponente dell’alta borghesia napoletana, ricco, e molto,
ma non nobile. Il
vescovo aveva celebrato il matrimonio e la coppia si era stabilita a
Valle.
In
effetti, tutto ciò che Lorenzo veniva a sapere, lo sapeva
tramite Fred, unico
tramite tra lui e il mondo: il maggiordomo, che si recava al mercato
piuttosto
spesso per la spesa, aveva lì modo di udire parecchie
chiacchiere, con le quali
tentava – invano – di intrattenere poi il
“padrone”.
Una
mattina, però, Fred era uscito senza tornare. Solo la sera,
tardi, si era fatto
rivedere, e aveva un occhio bendato. Lorenzo non seppe di preciso cosa
fosse
accaduto, ma capì che qualcuno doveva aver nominato Stephen,
e che Fred avesse
picchiato questo qualcuno, che però gli aveva tirato un bel
pugno su un occhio.
Quando la benda fu rimossa, i due uomini si resero conto che la pupilla
era
rimasta dilatata.
Nel
1910, Lorenzo decise di andare a teatro assieme a Frederick. I due
formavano
una strana coppia, entrambi altissimi e molto magri, uno con i capelli
brizzolati e armato di un minaccioso bastone che serviva a farlo
reggere in
piedi, l’altro pallido, dalla chioma ormai bianca e sfoltita,
con quell’occhio
strambo. Se anche avesse incontrato persone conosciute tempo prima,
Fred non
sarebbe stato riconosciuto.
Chi,
invece, era nonostante tutto ancora riconoscibile, era Lorenzo, e
infatti il
barone Gaetani lo avvicinò, alla fine dello spettacolo.
Disse varie cose, che
Fred ascoltò poco: l’unica cosa che intese fu che
Elio, il maggiore dei
Gaetani, si fosse fidanzato con la figlia di Lucilla. Insomma, quel
titolo
nobiliare che non era riuscita a ottenere per sé, Lucilla
l’avrebbe ottenuto
per la sua discendenza. Il resto, invece, Fred non lo
ascoltò, perché troppo
occupato a osservare la baronessina: Virginia Gaetani aveva
un’espressione
sofferente e mortificata, insoddisfatta, e Fred ricordò
Steve, il suo Steve,
che tante volte aveva visto in quelle condizioni.
Successivamente,
lui e Ranieri sentirono parlare spesso della ragazza, che pareva fosse
impazzita; poi, nel 1913, la giovane scomparve a Valle.
Non
era la prima: da qualche anno, ormai, si parlava di uno spirito che
popolava il
Monte Janara, il monte in cui un tempo era sorto il castello, e questo
spirito
faceva sparire tutti coloro che “invadessero il suo
territorio” dopo il
tramonto. Certo, sembrava una fantasia popolare, ma la gente scompariva
davvero.
Una
sera del 1914, era dicembre, Lorenzo chiese a Fred perché
gli fosse rimasto
accanto.
«Sei
venuto in Italia per Lisa; dopo, sei rimasto per Stephen.
Perché continuare a
vivere con me? »
Fred
si era seduto, dato che ormai neanche si sentiva più un
cameriere: piuttosto,
si sarebbe detto un amico molto premuroso.
«Ho
rinunciato alla mia vita, quando sono venuto qui, per crearmene
un’altra, e
ormai non avrebbe senso abbandonarla.»
Lorenzo
sorrise. «E pensare che avremmo dovuto odiarci noi due! Siamo
sempre stati a
competere, anche se in silenzio… per le attenzioni di Lisa,
prima… per
l’affetto di Stephen, dopo… e ora non ho che te!
Una situazione assurda, a ben
pensarci.»
Fred,
in realtà, era convinto che il conte non avesse mai fatto
nulla per guadagnarsi
l’affetto del figlio, ma tacque. «Abbiamo amato le
stesse persone, e questo ha
creato un legame tra noi.»
La
mattina dopo, Lorenzo non si risvegliò, e Fred
scoprì presto di aver ereditato
la casa in cui avevano vissuto negli ultimi anni. Tuttavia,
l’uomo dubitava di
potervi vivere. C’era assolutamente una cosa che doveva fare,
e non era detto
che riuscisse a sopravvivere.
***
Fu
strano, dopo tanto tempo, tornare a Valle. Era il 1915 e nessuno lo
riconobbe,
dato quanto i segni della vecchiaia erano manifesti sul suo viso, ma
molti lo
guardarono a causa dell’occhio “strano”.
«E
quindi… cercate lavoro qui?» domandò
l’albergatore, alquanto stranito. L’uomo
che aveva innanzi gli pareva molto, molto avanti con
l’età! Chi l’avrebbe mai
assunto? «E che tipo di lavoro?»
Fred
alzò le spalle, rispondendo che aveva sempre fatto il
maggiordomo, ma volendo
poteva anche adattarsi ad altri mestieri. Insistette per pagare subito
la prima
notte di pernottamento, quello strano forestiero, e domandò
– nella maniera più
casuale possibile, secondo lui – se fossero vere quelle
“strane voci” che si
sentivano su Valle.
L’albergatore
parve stupito che quelle storie fossero giunte persino alle orecchie
degli
stranieri, e all’inizio tentennò, balbettando che
non era niente di che, o
meglio, niente di certo, però a dire il vero, ecco,
sì, delle persone erano
sparite. Sempre su quel monte, sempre dopo il tramonto e prima
dell’alba.
L’ultima era stata una baronessina, Virginia Gaetani,
scomparsa assieme agli
uomini che erano andati a cercarla, dato che la signorina era fuggita
di casa
(o, come avevano detto i familiari, “uscita per una
passeggiata”). I corpi non
si erano trovati, di nessuno, mai.
«E
la questione del castello, invece?»
Diamine,
il vecchio sapeva anche quello!
«Oh,
be, sono passati vent’anni… io all’epoca
ero solo un bambino, ma che il
castello esisteva lo ricordo bene. Poi accadde qualcosa, ora non
ricordo
neanche bene cosa, il figlio del conte che era un ragazzo diede
scandalo e la
sua fidanzata lo lasciò, lei era una Di Cosmo…
poi non s’è capito come, ma
forse in una rissa, il giovane fu ammazzato e il conte
lasciò Valle. Dal giorno
dopo, il castello non s’è più
visto.»
Fred
abbassò lo sguardo. Neanche si ricordava più cosa
avesse fatto il ragazzo,
eppure erano stati capaci di trattarlo come un criminale, di
condannarlo senza
neanche tentare di capirlo, di ammazzarlo, infine.
Aveva
dimenticato, l’anziano uomo, quanto fosse freddo quel paese,
soprattutto
durante la notte. Avanzare nel bosco era stato più semplice,
quando era
giovane, e ora gli facevano male le gambe, senza contare che in una
mano
reggeva una lanterna e che aveva dimenticato di prendere un bastone.
Avrebbe
potuto usare quello di Lorenzo, che gli era stato lasciato…
Durante
il cammino, Fred ripensò alla sua vita in quel posto:
all’uomo che l’aveva
accompagnato a bordo di un carretto malmesso, alle persone che aveva
conosciuto
al castello, a Lisa, ovviamente, a Lorenzo, al suo adorato
Steve…
Dei
lupi ulularono. Fred deglutì, e tuttavia continuò
ad avanzare.
Gli
ululati cessarono, ma l’uomo si sentiva osservato e avvertiva
la presenza
silenziosa delle bestie nascoste, da qualche parte, attorno a lui.
Oltre al
canto dei grilli, era ora udibile quello di una donna. Una sirena,
pensò. Una
sirena che mi chiama come fossi un marinaio, e che mi farà
passare a miglior
vita. E non era tal pensiero a ferirlo, quanto quello di aver
sbagliato: se lo
spirito della montagna era una donna, allora lui aveva sbagliato: il
vecchio,
infatti, si era lanciato in quella folla spedizione nella speranza di
vedere il
fantasma di Steve; se poi quella storia si fosse rivelata falsa, bene,
si
sarebbe recato al castello – che avrebbe trovato –
e avrebbe dato degna
sepoltura al cadavere abbandonato tanti anni prima. Ammesso che ci
fosse
rimasto ancora qualcosa, di quel corpo.
Il
canto cessò, e questo causò un cambiamento tanto
brusco da far tremare Fred,
che fu costretto ad abbandonare i propri pensieri e a guardarsi
intorno: ci
volle un po’ per identificare la figura che gli era apparsa,
perché era notte,
ma poi la luce della luna lo aiutò.
La
conosceva. O meglio, la ricordava. Quella era la baronessina Gaetani.
Eppure,
l’ultima volta gli era apparsa una sofferente bambola di
porcellana; ora,
invece, era una donna… e tutto sembrava, fuorché
infelice.
Virginia
Gaetani, dal canto suo, gli rivolse uno sguardo curioso, ma non
perché avesse
memoria del suo viso: semplicemente, non si aspettava
d’incontrare un uomo
tanto anziano, e ora si sentiva spaesata.
«Mio
buon signore, cosa fare in questo bosco?» domandò
la giovane, almeno
apparentemente con gentilezza. Il vecchio tremò. Essendosi
finalmente fermato,
aveva più freddo: gli pareva di sentire il gelo nelle ossa.
«Io…
cercavo un castello» borbottò, timoroso.
«Vivevo qui, da bambino… poi mi sono
trasferito altrove ma ecco, dato che non ho più un
lavoro… ho pensato di
tornare a Valle, perché certamente al castello dei conti
fanno comodo delle
braccia in più.»
Per
una questione di delicatezza, colei che era stata riconosciuta come
Virginia
Gaetani evitò commenti sull’evidente
inutilità di braccia anziane. «Dunque, non
sapete nulla di quel che è accaduto al castello?»
domandò, invece. L’altro
disse di no.
«Ecco,
caro signore… al castello viviamo solo io e il conte, mio
marito. Non abbiamo
bisogno di servitù… »
iniziò, ma poi parve pensierosa. In effetti, una persona
che potesse dare una mano… anche se quell’uomo era
tanto vecchio…
«Cosa
vorreste in cambio del lavoro? Denaro? O vi accontentereste
di… »
«Vitto
e alloggio, non chiedo altro.»
Ancora
la contessa tacque, meditabonda. Le regole erano che gli intrusi
venissero
uccisi, ma quell’uomo era un forestiero, neanche
sapeva… era tanto ingenuo, e
vecchio, le faceva pena, insomma, e poi la carne dei vecchi non era
buona, l’aveva
detto tante volte, suo marito…
«Vedete,
signore, temo che mio marito si opponga, perché conducendovi
al castello
infrangerei alcune regole. Tuttavia, le infrangerei anche
allontanandovi da me;
vedete, l’unica cosa da fare sarebbe… oh, ma
qualcosa in voi m’ispira simpatia.
Non credo che riuscirei ad uccidervi.»
Fred
abbozzò un sorriso. Si domandava come potesse fargli del
male quella creatura
minuta, ma alla morte era pronto. «Signora contessa, la mia
vita vale poco e
potete prenderla. Tuttavia, se solo poteste lasciarmi almeno parlare
con vostro
marito… se solo potessi vederlo, e implorarlo di esaudire il
mio desiderio… Se
egli dirà di no, mi ucciderete comunque e senza che io tenti
di resistervi.»
Se
la contessa avesse conservato il buon senso degli umani – o
meglio, se l’avesse
avuto: perché anche prima, era stata un po’
svitata – si sarebbe posta qualche
domanda su quell’uomo; tuttavia la donna aveva un modo
d’interpretare la realtà
tutto suo, e che gli altri si adattassero alle sue
“regole” le pareva logico. «Non
voglio, comunque, che voi pensiate a me e mio marito come degli
assassini,
perché non lo siamo» si preoccupò di
precisare, «è solo che non siamo umani.
Siamo morti, e i morti devono pur tutelarsi, in qualche modo.»
***
Da
quanto aveva avuto la certezza che la contessa e il marito fossero
morti, le
speranze di Fred erano rinate. Durante il tragitto che portava al
castello,
Virginia – che egli non rivelò di aver
riconosciuto, anche perché la donna non
sembrava voler accennare alle sue origini, né al suo nome
– gli parlò molto,
facendo domande su quell’occhio e sulla sua vita in generale.
Egli, per ragioni
di sicurezza, preferì mentire.
Rivedere
il castello fu un colpo al cuore, e ancor più sconvolgente
fu udire quella voce
tanto amata, quella voce familiare…
La
contessa gli aveva chiesto di aspettare nel corridoio, e si era chiusa
in uno
dei salottini col marito, che egli però non era riuscito a
intravedere. Poiché la
discussione della coppia fu animata, Fred poté
però ascoltare e lo riconobbe. Lì
dentro doveva esserci Steve, che non voleva intrusi nel suo castello.
«Mio
caro, io non ho il cuore di far del male a quell’uomo,
né di rifiutarlo come
nostro maggiordomo. Se sei convinto delle tue idee, parlagli
direttamente e fa’
quello che devi, ma senza di me.»
La
porta si aprì, facendo sobbalzare Fred che ormai aveva il
cuore in gola. La
contessa lo invitò silenziosamente a entrare, ed egli
avanzò piano. Il conte
era in piedi davanti a una finestra, gli dava le spalle. Si
voltò dopo qualche
minuto di assoluto silenzio, evidentemente infastidito, e la scena che
si trovò
davanti lo lasciò interdetto.
Nel
rivedere Steve, Fred cadde inginocchiato sul pavimento e pianse.
Poiché il
ragazzo pareva non conservare memoria di lui – e
più tardi l’avrebbe capito,
Steve non conservava memoria alcuna della sua vita – il
vecchio fece passare la
commozione per disperazione, disse che sarebbe stato lieto di servire
quella
coppia finché fosse rimasto in vita, che mai si sarebbe
mosso dal castello, che
avrebbe obbedito solo a loro, senza chiedere altro; e per quanto il
conte non
riuscisse a capire il perché di tale desiderio, si
ritrovò infine ad
acconsentire, perché impietosito.
«E
sia: resterai al nostro servizio. Ma bada bene, potrebbero capitarti
compiti
poco piacevoli.»
«Non
importa, signore.»
La
contessa appariva raggiante, e invitò l’anziano
uomo a rialzarsi.
«Il
vostro nome?» domandò, curiosa, mentre lo
accompagnava a vedere la sua stanza.
Il
vecchio rifletté. Non poteva dire la verità,
Steve non ricordava e forse, a
questo punto, era meglio che non ricordasse. L’avevano tanto
fatto soffrire in
vita, povero ragazzo… rivelare il suo nome, avrebbe potuto
forse far
riaffiorare delle memorie. Meglio evitare. A lui bastava potergli stare
accanto, non era importante che il ragazzo lo riconoscesse.
In
un attimo, ripensò alle persone che aveva conosciuto a
Valle, al nome di colui
che lo aveva accompagnato a Valle, tanto, tanto tempo prima.
«Mi
chiamo Endrio, signora.»
La
contessa sorrise. «Benvenuto, Endrio.»
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