I pick my poison and it's you.

di xshesagleek
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologue. ***
Capitolo 2: *** first chapter. ***
Capitolo 3: *** second chapter. ***
Capitolo 4: *** third chapter. ***
Capitolo 5: *** fourth chapter. ***
Capitolo 6: *** fifth chapter. ***
Capitolo 7: *** sixth chapter. ***
Capitolo 8: *** seventh chapter. ***
Capitolo 9: *** eighth chapter. ***
Capitolo 10: *** ninth chapter. ***
Capitolo 11: *** tenth chapter. ***
Capitolo 12: *** eleventh chapter. ***
Capitolo 13: *** twelfth chapter. ***
Capitolo 14: *** thirteenth chapter. ***
Capitolo 15: *** epilogue. ***



Capitolo 1
*** prologue. ***


I pick my poison and it's you.

PROLOGUE.


La città di Chicago era considerata una grande metropoli, la più grande nello stato dell'Illinoils. Non mancavano i grandi edifici che sfioravano il cielo, che erano visti come i veri protagonisti, in quella città.
Insomma, trasferirsi da una cittadella inglese come Plymouth a quella grande città americana era stata una decisione presa un po' su due piedi, da parte di Newt. Ma, come si suol dire, quando vedi un'occasione devi coglierla al volo, e l'occasione di una borsa di studio in un grande studio legale lì, in America, era davvero da non perdere.
Il biondo posò l'ultimo scatolone a terra, alzandosi poi in posizione eretta e mettendo le mani sui fianchi, osservando ciò che vi era ora sul pavimento del suo nuovo appartamento, come se stesse contemplando la sua ultima opera d'arte. Non era niente di che, in realtà, semplicemente un piccolo appartamento con camera da letto, cucina, bagno e salone, ma era meglio di niente. O almeno così si era detto. Lui la vedeva principalmente come un'occasione per riuscire a capire se era davvero portato per quel lavoro, se la legge era veramente ciò che faceva per lui.
Il padre gli aveva sempre detto che a 22 anni le idee possono cambiare in modo repentino, che un giorno ti svegli con la convinzione di voler fare il legale in uno studio in una grande città americana e quello dopo sei convinto di voler pulire i cessi pubblici di Plymouth. 
Ma per Newt non era stato così. 
Trasferirsi a Chicago per poter fare ciò che voleva era stata la sua più grande possibilità nella vita, finalmente qualcosa poteva andare per il verso giusto, magari ci sarebbe davvero riuscito, a diventare un avvocato. 
Si riscosse quando sentì il rumore del clacson di un tir, anche piuttosto scocciato si poteva intuire, proprio sotto il suo palazzo. Si passò la mano esile tra i capelli biondo cenere, e si guardò di nuovo intorno. Il suo nuovo appartamento era pieno di scatoloni con sopra scritta, grazie ad un pennarello indelebile, la categoria a cui appartenevano gli oggetti che vi erano sparsi un po' alla rinfusa all'interno. Le scritte recitavano cose come "Bagno" "Cucina" "Personale", che per un tipo preciso come lui erano una mano santa. Forse si sarebbe dovuto mettere al lavoro, se voleva sistemare l'appartamento in tempo per quando avrebbe iniziato il nuovo lavoro.

La porta dell'appartamento si chiuse dietro di lui con un tonfo, mentre Newt si stringeva nel cappotto pesante che si era messo proprio per uscire di lì. Non era un tipo da clima estivo, essendo nato e cresciuto in una cittadina inglese dove anche d'estate le temperature non erano così alte da permettere agli abitanti di uscire in canottiera o con dei vestiti leggeri, quindi il clima di Chicago, in quei primi giorni di Novembre, rifletteva perfettamente la sua persona.
Alzò gli occhi scuri verso il cielo plumbeo, carico di nuvole grigie che non promettevano niente di buono, chiedendosi tra sé e sé se avesse fatto bene a scegliere quell'orario per andarsi a fare una passeggiata nei dintorni del suo isolato. Aveva avuto la brillante idea di uscire, dopo aver passato tutta la mattina e anche qualche ora dopo pranzo a sistemare gli scatoloni che si era trascinato dietro dal Regno Unito, per farsi un giro e conoscere la zona, osservando le altre persone che uscivano di fretta, con le loro ventiquattr'ore nere, i tallieur intonati alle scarpe o alla borsa, le cravatte perfettamente stirate, i cani legati ai guinzagli, per paura che potessero far male ad altra gente. Il vento soffiò proprio in quel momento, penetrando attraverso i vestiti che si era messo quel pomeriggio, scompigliandogli il ciuffo elegante di capelli biondi che spuntava dalla fronte. Con gli occhi individuò un'isoletta verde, di alberi, qualche metro più avanti, nascosta da un grande negozio di gioielli che aveva notato arrivando, quella mattina.
Le mani nelle tasche dei jeans, il naso ormai rosso inseme alle guance, per via del cambio repentino di temperatura, gli occhi puntati verso quell'oasi di alberi, Newt si avviò con passo lento verso il parco.
Plymouth non era mai stata una città industriale, Newt era abituato a ettari di verde, a vedere la distesa della baia di Plymouth quando girava con la macchina e con i suoi pochi amici. Pochi ma buoni gli diceva ogni volta sua madre, quando, da piccolo, si riavviava gli occhiali da vista sul naso mentre il viso era bagnato dalle lacrime. Newt non era mai stato un tipo popolare, sin dai primi anni alle scuole medie, con quei grossi occhiali e quell'aria da cerbiatto spaesato, la sua etichetta era sempre stata quella di "nerd" della situazione. Poi con il tempo aveva imparato che anche i nerd potevano avere amici. Ma con il trasferimento, ovviamente, doveva ricominciare tutto da capo. A lui non erano mai piaciuti i cambiamenti, ne era consapevole, ma quel grosso cambiamento avrebbe potuto stravolgergli la vita una volta per tutte, ed era per quello che si era fatto coraggio ed era andato via dalla sua città natale.
Piccole nuvolette di aria condensata uscirono dalle labbra quando il biondo sbuffò leggermente. L'indomani avrebbe dovuto inziare a lavorare in quello studio legale, anche piuttosto famoso da come aveva potuto intendere, e sapeva già da ora che la mole di lavoro sarebbe stata piuttosto pesante, per uno tranquillo come lui, era per quello che aveva deciso di andarsi a fare un giro, e non rimanere chiuso in casa tutto il pomeriggio. Ma preferiva sostare in qualche parco, piuttosto che girare come una trottola, tanto quello l'avrebbe fatto comunque di lì a qualche giorno.
Il parco che aveva trovato con uno sguardo veloce era recintato di ferro, probabilmente dato che vi portavano anche i cani a passeggiare volevano che fosse sicuro, e aveva un piccolo cancelletto che ne delimitava l'entrata. C'era una fontana nel bel mezzo di esso, contornata da un tratto in cemento, che poi lasciava spazio all'erba verde e alle panchine, poco distanti dai giochi per bambini. Newt si guardò intorno per qualche minuto, un po' indeciso sul da farsi, quando decise di sedersi su una panchina a godersi l'aria fresca che soffiava in quel momento. Scelse la panchina più distante dall'area dei bambini, che cominciava ad essere troppo affollata per i suoi gusti, e si sedette davanti alla fontana. Rimase per un po' così, a rimirarla, a tentare di capire se il naso della figura raffigurata fosse fatto apposta così storto o l'avessero storto in un vano tentativo di riattaccarlo dopo un incidente, quando notò un altro ragazzo, che doveva avere più o meno la sua stessa età.
Passeggiava dall'altro lato della fontana, il cappuccio di una felpa pesante tirato sulla testa, un guinzaglio alla mano e una sigaretta nell'altra. Assottigliò lo sguardo, tentando di delinearne i tratti del viso, ma non ci riuscì, e lasciò perdere, in fondo non era così importante tentare di squadrare uno sconosciuto.
Ma Newt non sapeva quanto importante sarebbe diventato quello sconosciuto per lui.


NdA:
Ciao ciao ciao, ciao ciao ciao. Si, okay, ultimamente mi sto buttando sulle Newtmas perché si, sto avendo troppi feels e non lo so. 
Mi ero data alle OS, come avrete notato, ma grazie alla mia bff (che non mi ha assolutamente imposto di citarla o mi avrebbe spaccato il naso) ho avuto quest'idea di una long Newtmas, un po' angst, con un Newt che studia legge ispirato un po' ad un personaggio HTGAWM, una serie tv che se non avete visto  ... si, ecco, vedetevela. Anyway, tenterò di aggiornare una volta alla settimana, più o meno, wifi del mio amico permettendo.
Nel prologo per ora ho solo introdotto un Newt molto OOC e come ha cominciato la sua vita lì a Chicago, plus un incontro ambiguo in un parco. TANTANTAAAAN.
Ok ora svanisco, spero che questa storia vi piacerà e che lascerete tante recensioni perché mi adorrrrrrrrrrrate.
Alla settimana prossima! <3

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Capitolo 2
*** first chapter. ***


first chapter.

I pick my poison and it's you,
nothing could kill me like you do. 
You're going straight to my head,
and I'm heading straight for the edge.

L'unica cosa che sentiva in quel momento era il dolore persistente alla schiena. Ancora non era riuscito a farsi recapitare il nuovo materasso che aveva ordinato ed era per questo che la prima notte nel suo nuovo appartamento l'aveva passata sul pavimento. Aveva preso il sacco a pelo che, chissà per quale strano motivo, la madre gli aveva fatto portare e si era adagiato sul pavimento di legno della casa. 
Aveva dormito circa quattro ore, non esattamente l'ideale in vista del primo giorno di lavoro, e soprattutto aveva sentito il gelo entrargli fin nelle ossa. Quando poi la luce del sole era penetrata dalla sottile tendina bianca che aveva appeso il giorno prima e la sveglia aveva cominciato a trillare insistentemente, ricordandogli con quell'assurdo rumore che doveva alzarsi e cominciare il lavoro, aveva deciso che per lui le ore di sonno erano ufficialmente finite, e che doveva alzarsi. Con disperazione Newt guardava, ora, il colore un po' pallido del caffellatte che aveva riempito la sua tazza preferita, quella con il muso di un cane, che possedeva da quando aveva circa otto anni. Prese un biscotto dalla forma rotonda, pescandolo nella grossa busta che aveva comprato al supermercato, e lo intinse nel miscuglio, lasciandolo lì per un po', finché, assonnato com'era, non si accorse che si era rotto ed ora galleggiava sulla superficie della tazza, chiedendo silenziosamente aiuto.
Un po' come stava facendo lui ora.
Poteva immaginarsi: seduto al bancone della cucina, la testa poggiata al pugno chiuso, gli occhi semi aperti, che fissavano quei biscotti come se potessero essere la sua salvezza. E l'orologio ticchettava.
Cazzo. L'orologio ticchettava. 
Subito alzò il viso, leggendo l'ora. Le 7.30, avrebbe dovuto inziare il lavoro in mezz'ora. E doveva ancora vestirsi, e prendere la metro. Perfetto.
Si alzò velocemente dallo sgabello su cui era seduto e corse in camera da letto, a scegliere i vestiti. Si lavò il viso, i denti, in fretta si mise le lenti a contatto ed uscì di casa, cominciando a correre freneticamente verso la fermata della metropolitana più vicina a casa sua. Scese di fretta le scale del sottopassaggio, e si ritrovò davanti le porte aperte del suo treno. In meno di due decimi di secondo era già dentro, ringraziando una qualche divinità che quel giorno aveva deciso di assisterlo.
Si guardò in giro, scovando un posto poco più in là, anche se avrebbe dovuto fare poche fermate, non si reggeva in piedi. Quel pavimento era davvero il posto più scomodo sul quale aveva dormito in 22 anni di vita, e quando era al liceo aveva sicuramente dormito in molti posti strani.
Le fermate scorrevano una per una, la gente saliva, scendeva, e Newt osservava tutti con gli occhi assonnati, incapace di capire come potessero avere tali energie. E poi si rispose: probabilmente loro dormivano sul materasso.
Sospirò, stringendosi al petto la cartella che si era portato dove, si supponeva, avrebbe dovuto riporre scartoffie varie, magari di qualche caso che si sarebbe portato a casa. I suoi occhi marrone scuro scorrevano veloci quasi quanto le fermate della metro, quando si accorse che la sua era la prossima, e si alzò in piedi. Era strano come ogni volta semplicemente sedendosi su un sedile, i pensieri gli affioravano in testa. Era come se la metro lo conciliasse a pensare, eppure lui non l'aveva mai usata così spesso, a Plymouth si muoveva sempre con la macchina, o al massimo con qualche autobus urbano. Aveva tutto vicino casa, una villetta sperduta nel verde di quella cittadina inglese, ma Chicago era un centro urbano americano. Totalmente un'altra cosa.
Scese alla sua fermata ed uscì, lasciandosi alle spalle l'aria viziata di quei tunnell sotterranei ed uscendo, finalmente, all'aria aperta. Secondo i suoi calcoli, l'Ankin Law Office, era a circa cinque minuti di camminata dalla fermata della metro.
Si mordicchiò un labbro, leggendo i nomi di tutte quelle strade che si era studiato qualche settimana prima del trasferimento, facendo in modo di arrivare lì già preparato grazie all'ausilio della sua buona memoria, e cominciò a muovere incerto i primi passi verso la Grande Avenue. Con lo sguardo passava tutti i negozi lì vicino, finché una targa dorata non gli saltò agli occhi.
Ankin Law Office LLC
Personal Injury Attorney 

Esultò mentalmente, esibendo un gigantesco sorriso a 32 denti, fiero di sé stesso.
Entrò quindi nel grande edificio che quasi toccava il cielo e si affrettò a dirigersi verso quello che sembrava una sorta di punto informazioni: un bancone con una donna sulla quarantina, vestita elegante, che parlava al telefono, mentre scribacchiava qualcosa su un blocchetto.
Quando vide il biondino si affrettò a chiudere la chiamata, e si rivolse immediatamente a lui.
« Buongiorno, signore. Come posso esserle d'aiuto? »
« Salve, uhm ... sono Newton Richardson, sono qui grazie alla borsa di studio, l'Università di Plymouth ... » Disse lasciando la frase in sospeso, sperando che la donna carpisse quella specie di informazioni che il biondino le aveva fornito.
Si alzò immediatamente dalla sedia, voltandosi e cercando qualche scartoffia, evidentemente, mentre ripeteva Newton Richardson come fosse un mantra. Il ragazzo era intento a mordersi l'interno della guancia, sperando che tutto andasse per il verso giusto.
Finalmente, poi, la donna esibì una cartella gialla, voltandosi verso di lui con un sorriso stampato in volto.
« Eccoti qui Newton! E' il tuo primo giorno, giusto? Sì, è un piacere, io sono Angelica e lavoro all'Ankin Law Office da circa cinque anni, ora chiamo subito il tuo supervisore. »
Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a chiedere supervisore? che subito Angelica si mise al telefono, di nuovo. Aveva i capelli neri raccolti in un elegante chignon, ed un tallieur grigio faceva capolino da sotto la scrivania. Osservandola meglio Newt potè notare che aveva dei tratti come ... ispanici. Quando rimise giù la cornetta anche lei si voltò verso di lui.
« Il signor Huang sta arrivando per lei, passi un buon primo giorno di lavoro! »
E si rimise al telefono. 
Newt annuì mestamente, voltandosi alla ricerca di un signore, molto probabilmente cinese, che veniva verso di lui. Invece, dopo pochi minuti, spuntò fuori un ragazzo quasi della sua stessa età, sempre dai tratti orientali. Un sorriso imbarazzato nacque sulle labbra sottili di Newt, che si apprestò a stringere la mano all'altro ragazzo, che si era appena avvicinato.
« Newton, è un piacere. Il mio nome è Minho e lavoro qui da un paio di anni. Dato che anche io, come te, ho avuto un posto qui grazie ad una borsa di studio, il signor Ankin mi ha detto che per oggi sarò la tua guida in questo labirinto. » 
Newt studiò Minho per un attimo, mentre annuiva e lui continuava a parlare dei convenevoli. Era alto, slanciato e vestito di tutto punto. I capelli mori erano sparati in alto in una sorta di cresta e la sua parlantina aveva già riempito metà del cervello di Newt.
« Ora, se non ti dispiace Newton, ti porto a fare un giro dell'ufficio, che ne pensi? Oh, ti dispiace se ci dessimo del tu? Da come posso notare anche tu sei un po' più giovane della popolazione di quest'ufficio. »
A parte il fatto che non aveva seguito metà delle cose che gli aveva detto, sì, era d'accordo. Per entrambe le cose.
« Va benissimo. Sia per quanto riguarda il tour sia per il tu, comunque puoi chiamarmi Newt. »
Nessuno era solito usare il suo nome completo, a Plymouth. Newton era un nome troppo sofisticato, per quanto lo riguardava; l'abbreviazione Newt, che gli era stata data dalla madre, lo rappresentava di più.
« Allora okay, Newt. Seguimi pure. »
In circa dieci minuti Minho gli aveva fatto fare un giro completo di tutte le persone che lavoravano in quello studio legale. La maggior parte di loro erano tutti uomini e donne sulla quarantina o cinquantina, in più c'erano alcuni ragazzi della sua età, che si apprestavano a correre da un ufficio all'altro.
Per un momento Newt si chiese se anche lui avrebbe dovuto correre da un ufficio all'altro come un pazzo, in quei primi giorni, ma l'irrequieta parlantina di Minho lo distraeva troppo, mentre seguiva con gli occhi tutti i movimenti delle sue mani, che si agitavano in aria.
« E quindi, questo è lo studio in poche parole. »
Poche parole? Sul serio?
« Ora vieni che ti mostro la tua postazione. »
Newt seguì nuovamente Minho in quel labirinto di corridoi e porte a vetri. Il biondino non era mai stato un tipo molto propenso a parlare, tentava sempre di rimanere nella media, di confondersi con l'altra gente, non amava mettersi in mostra o risaltare in qualcosa.
Ecco anche perché spesso si ritrovava senza nessuno. I pochi amici che aveva conosciuto al liceo o al college erano sempre ragazzi con cui doveva fare dei progetti, che riuscivano a strappargli qualche parola in più dalla bocca, ma non aveva mai avuto quel tipo di giretto d'amici che spesso si aveva a quelle età, né tantomeno una storia d'amore.
Newt era sempre stato consapevole che lui non amava come un ragazzo normale. Non guardava i sederi alle ragazze, o sbavava dietro a quella più figa del liceo. A lui piacevano i ragazzi. Lo sapeva da sempre, anche i suoi amici lo sapevano e non avevano mai detto nulla a proposito, solo perché di solito si prendeva cotte per ragazzi irrangiungibili, o etero.
Si fermò davanti ad un'altra porta a vetri, insieme a Minho. Buttò un occhio al suo interno per scorgervi una scrivania vuota, i muri bianchi, immacolati, e una grande finestra proprio dietro la sedia.
« Benvenuto nel tuo regno, pive. »
I denti bianchi dell'altro ragazzo lo colpirono, mentre si rendeva conto, piano piano, che Minho gli stava praticamente dicendo che quello era il suo ufficio. Un sorriso spontaneo nacque sul volto del ragazzo mentre entrava nella stanzetta riservata alla sua persona.
« Io direi che puoi cominciare subito. La vedi quella pila di fogli? Sono tutti casi risolti. Mettili in ordine cronologico, dal più lontano al più vicino, e poi in quella scatola. Oh, e quando trovi due minuti di tempo la macchinetta del caffè è vicino all'entrata, saresti così gentile da portarmi un macchiato freddo? Grazie mille, biondino! »

La giornata dentro quello studio legale era davvero sfiancante. Newt aveva corso per tutta la sua permanenza in quello studio, quel giorno, da un ufficio all'altro, portando caffè (soprattutto a Minho), scartoffie, fotocopie e fax, passando telefonate.
E ancora non aveva nemmeno avuto l'opportunità di vedere un caso dal vivo.
Quando il sorriso bianco del ragazzo orientale spuntò dal muro del suo ufficio Newt cominciò a temere il peggio. Ma poi le parole "la tua prima giornata è ufficialmente finita, pive!" spuntarono fuori dalle labbra di Minho, e Newt potè sentire il sangue fluirgli di nuovo al cervello e le sue sinapsi connettere di nuovo.
Si alzò in fretta, salutando tutti con un sorriso timido e una mano impegnata a reggere un bicchiere di caffè quasi finito, e corse praticamente via da quell'ufficio. In un batter d'occhio finì il caffè che reggeva in mano ed uscì dall'ufficio, buttò in un cestino poco vicino il bicchiere di cartone e si riavviò la valigetta sulla spalla, cominciando a camminare verso la fermata della metro che lo avrebbe riportato a casa.
Il buio era sceso, oramai, su Chicago, e il biondo si rese conto che non aveva nemmeno visto l'ora, uscendo dallo studio legale.
Guardando l'orologio realizzò che era troppo tardi per mangiare, ma anche troppo presto per tornare a casa. In lui c'era sempre stata quell'indole un po' curiosa che lo spingeva ad esplorare ogni luogo in cui si trovava, ed essendo arrivato da poco in quella città voleva ancora dare un'occhiata in giro, quindi prese a girare un po' le strade, finché un'insegna non catturò la sua attenzione.
The Moonlight Pub
Newt alzò un sopracciglio, fermandosi davanti alla porta d'ingresso, un labbro stretto in mezzo ai denti. Era tardi, lo sapeva, domani gli sarebbe toccata un'altra giornata del suo nuovo lavoro, se così lo poteva definire, eppure la voglia di entrare e prendersi qualcosa era più forte di qualsiasi altro pensiero.
Quando varcò la soglia si osservò per un attimo intorno, notando i tavoli gremiti di gente che rideva, beveva, mangiava, parlava, si divertiva. Tutta vita notturna. A Plymouth non era così, c'era sempre vita, sì, ma fino ad una certa ora, poi solamente gli ubriaconi giravano per la cittadina, non i giovani, non come lì a Chicago. Spostò poi lo sguardo sul bancone, dove c'erano un paio di camerieri intenti a sistemare gli ultimi bicchieri. C'erano un paio di persone che chiacchieravano allegramente anche lì, ma evidentemente i camerieri non avevano da fare, quindi con piccoli passi si diresse lui, al bancone.
La prima cosa che notò fu la schiena di uno dei due camerieri, quello moro. Era larga e anche da dietro quel ragazzo sembrava incredibilmente attraente. Sospirò, richiamando l'attenzione proprio del moretto, che in pochi secondi si voltò, un sorriso stampato in volto.
Newt lo studiò per qualche secondo, studiò il suo naso leggermente all'insù, gli occhi marroni, i capelli mori, sistemati con un po' di gel.
« Cosa posso servirti, biondino? »
Fu allora che Newt lo riconobbe. Era il ragazzo che aveva visto al parco.
E, cavolo, se era bello.


NdA: 
E salve a voi, cari lettori! Ebbene ho deciso, dato che ho già un po' di capitoli pronti, di pubblicare un capitolo ogni 5 giorni circa, anche perché i feels per questa ff stanno aumentando sempre di più. Se poi volete seguire ogni spoiler o cose varie riguardo la fanfiction basta che mi seguite su twiiter (sono @dareflowers_ lol) dove pubblico sempre scleri e/o spam e/o spoiler AHAHAHHA
Anyway, passando a questo primo capitolo ... vediaaaaamo: Newt ha finalmente cominciato a lavorare -- porello, aggiungerei -- allo studio legale, sfruttato al massimo da Minho. Non preoccupatevi, lui è carino, e finalmente poi Newt avrà l'occasione di conoscere il "ragazzo del parco", ma mi sa che vi ho lasciato con un bel chifflanger, vero?
Ringrazio, nel frattempo, la mia collaboratrice Asia, nonché mia editor personale, tvb amika, che mi ricontrolla i capitoli e mi corregge l'itagliano, e ringrazio tanto anche sgranocchiandotacchino aka Ilaria che mi ha recensito il prologo e anche la OS sempre Newtmas che ho scritto, le tue recensioni sono sempre le più belle!
Vi aspetto per il prossimo capitolo! <3

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Capitolo 3
*** second chapter. ***


second chapter.

Our hearts are like firestones,
when they strike we feel the love.

« Cosa posso servirti, biondino? »
Il cervello di Newt rimase fermo a quella frase, ricollegando il viso di quel ragazzo a quello che aveva incontrato il giorno prima al parco. Sicuramente, dopo che lo aveva sentito parlare in quel modo, con quella calata americana un po' strafottente mentre si rivolgeva a lui come spesso facevano, con quel soprannome, biondino, non avrebbe mai immaginato che lui potesse essere il ragazzo del parco.
Non gli era capitato di pensarci, in realtà, era stato preso dal primo giorno di lavoro, dai tentativi vani di dormire la notte, eppure quando se lo era ritrovato davanti, in quel locale, col grembiule nero legato in vita e una maglia blu scollata, allora sì che ci aveva ripensato. E che aveva dato davvero uno sguardo al ragazzo.
Era più alto di lui, sicuramente. Il petto, fasciato da quella maglia attillata, ben in mostra, un ghigno sui denti, gli occhi che brillavano per il divertimento ... Newt odiava ammetterlo, perché stava pensando ad uno sconosciuto, ma era davvero attraente.
Il sopracciglio del barista si alzò leggermente quando Newt non diede segni di vita, quindi si appoggiò con un gomito al bancone e lo osservò a sua volta, mentre il biondino si allontanava leggermente.
« Scusami. Ehm ... »
Una veloce occhiata al "menu" che era presente sulla testa dell'altro gli fece capire che avrebbe dovuto prendere qualcosa di serio, e non una coca cola con un panino. Non era tipo da alcol, lui, ma rivalutando la giornata che aveva appena passato al lavoro ci ripensò un attimo, e il suo sguardò si spostò dalla tavola nera di nuovo in quello dell'altro.
« Una birra. La più forte che avete. »
Ed era convinto di quello che voleva. Lo era davvero. 
Fu quando il ragazzo davanti a lui cominciò a ridere che Newt iniziò, a sua volta, a farsi qualche domanda. Cosa aveva chiesto di sbagliato? Era forse ancora troppo piccolo per prendersi una birra? O forse non avevano birre forti? O forse non avevano birre?
« Amico, lo sai vero che con una birra forte non ci si dovrebbe atteggiare così tanto vero? »
Le parole dell'altro lo colpirono. Cosa voleva dire?
Ma lui gli mise ugualmente una bottiglia marrone contenente del liquido ambrato davanti, stappandogliela sul momento con un apri bottiglie e guardandolo con ancora il sorrisetto strafottente che aveva messo su da quando aveva cominciato a servirlo.
« Ecco la birra più forte che abbiamo. Ma attento, o le bollicine potrebbero darti alla testa. »
Disse arricciando il naso, con una smorfia che doveva essere qualcosa di simile a quella che si fa quando qualcuno fa qualcosa di sbagliato. Newt non capiva. Per questo si accigliò, stringendo una mano intorno alla bottiglia e richiamando l'attenzione dell'altro con una semplice frase dopo una scrollata di spalle.
« Non tutti hanno giornate stressanti come le mie, al lavoro. Non penso tu possa capire, sai ... »
Il barista, che era di nuovo di schiena, intento a lavare l'ennesimo bicchiere sporco, si voltò solo con il collo, mostrando a Newt un profilo perfetto, con quel naso leggermente tirato su e quella smorfietta che non si era ancora tolto dal viso.
« Stai forse dicendo che il mio non è un lavoro "stressante"? »
Newt lo guardò a sua volta da dietro la bottiglia di birra, ricambiando il suo sguardo carico di un qualcosa che ancora non riusciva a definire. Non era proprio sicuro se lo stesse prendendo in giro oppure fosse davvero arrabbiato per quello che il biondino stava insinuando, ma quella specie di giochetto che i due stavano conducendo gli stava piacendo.
Sentì il liquido che gli scorreva in gola, con il suo sapore amarognolo e il leggero retrogusto di alcol. Posò la bottiglia sul bancone ed ingoiò la birra, leccandosi successivamente le labbra per pulirle dal leggero strato di alcol che vi era rimasto sopra. Alzò le sopracciglia, il biondo, e successivamente le spalle.
« Io non ho detto proprio niente, in realtà. »
Disse tamburellando le dita sul tavolo di legno. Newt non era mai stato un tipo spigliato, sua madre gli aveva sempre detto che sarebbe dovuto essere un po' più aperto, più estroverso, ma non era semplicemente nel suo essere. Lui era sempre stato un ragazzo riservato, schivo, timido, non uno come quel barista, ecco. Eppure le cose che stava dicendo in quel momento, riferendosi al moro, i pensieri che poco prima avevano preso il sopravvento ... erano di tutt'altra natura. Quello non sembrava lui.
Si mordicchiò leggermente un labbro, stringendolo forte tra i denti mentre sentiva la risata dell'altro che si avvicinava a lui, segno che, molto probabilmente, si era girato e si stava avvicinando a Newt. Il biondo alzò gli occhi, ritrovandosi la figura del barista davanti al suo viso, mentre era intento a pulire un bicchiere che aveva appena preso dal bancone.
« E, di grazia, potresti dirmi come mai ce l'hai così tanto con me? Sei stressato per il lavoro, e lo capisco, ma hey! io ti ho solo avvertito: non andare mai in un bar chiedendo una "birra forte". »
I denti del ragazzo scintillarono sotto le luci al neon che pendevano da sopra le loro teste. Era incredibile, Newt ancora non capiva se quel ragazzo ce l'avesse davvero con lui oppure stava solo scherzando. Ma inevitabilmente il biondino si mise sulla difensiva, alzando un sopracciglio e bevendo un altro sorso di birra, poggiando con forza la bottiglia sul tavolo, producendo un rumore sordo.
« Beh, potevi anche dirmelo in modo un po' più carino. Mi hai fatto sentire uno stupido. »
Disse Newt, increspando le labbra in una smorfia, come un bimbo al quale dici che per quel giorno non può più mangiare caramelle. 
Il moretto arricciò il naso, un gesto che per un attimo fece perdere qualche battito a Newt, e poi fece un mezzo sorriso, una smorfia che increspò solo un angolo della bocca e catturò inevitabilmente lo sguardo dell'inglese, che si soffermò sulle sue labbra, per poi tornare agli occhi, sentendolo parlare.
« Se l'ho fatto, mi dispiace, biondino, la prossima volta starò più attento. »
E poi gli fece un occhiolino, voltandosi di nuovo e riprendendo a pulire i bicchieri sporchi che da poco aveva ritirato dal bancone di legno che li divideva. Newt si morse un labbro, prendendo un altro sorso di birra, che ingoiò con non molta facilità, accorgendosi solo allora di quanto effettivamente fosse amara quella bibita. Un sospiro leggero gli sfuggì dalle labbra sottili, ma non servì per attirare di nuovo l'attenzione dell'altro ragazzo.
Newt si rese conto solo in quel momento che non sapeva come si chiamasse. C'era un qualcosa in quel ragazzo che lo attirava, e non poco. Forse era il modo in cui si atteggiava, o si muoveva, o i suoi cavolo di occhi marroni, che anche se risultavano un po' anonimi, se si parlava del colore, erano gli occhi più belli che avesse mai visto. Newt lo osservò ancora, mentre lavorava, mentre sorrideva agli altri clienti, mentre li ringraziava con un occhiolino per le mance che gli avevano lasciato sul bancone, e arrivò ad una conclusione: quel ragazzo era attraente, e lo sapeva.
E lo sfruttava anche.
I modi e le parole che usava, l'atteggiamento che aveva, erano tutte cose che facevano capire al biondo quanto in realtà quel ragazzo non fosse affatto modesto. Eppure, come si diceva, se lo poteva permettere. Ma a Newt non erano mai piaciuti gli sbruffoni, soprattutto non gli sbruffoni che sapevano di poterselo permettere, fu per quella motivazione che, dopo aver finito la sua birra, senza una parola, prese il suo giaccone ed uscì da quel pub.
Non ne fu così sicuro, perché fu un qualcosa che colse solamente con la coda dell'occhio, ma quando uscì, gli parve che il barista si fosse voltato ad osservarlo. Si voltò per osservarlo a sua volta dalla vetrina, ma era già fuori dal suo campo visivo. Perciò, senza ripensamenti, si mise le mani nelle tasche del giubbotto e si incamminò verso la fermata della metro che lo avrebbe riportato a casa sua.

Il caldo del suo appartamento lo investì come se fosse appena passato dal Polo Nord al deserto del Sahara, e non poteva che essere grato a chi gli aveva, finalmente, attaccato i termosifoni. Un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra, leggermente screpolate per via delle temperature fredde che attanagliavano la città di Chicago in quel periodo dell'anno, e si levò il giaccone dalle spalle, mentre buttava le chiavi di casa con un movimento brusco della mano, mandandole sulla mensoletta all'ingresso del corridoio.
Newt guardò l'ingresso del pianerottolo, dove avevano lasciato il materasso che aveva ordinato insieme con la rete e un biglietto stampato, che recitava dei ringraziamenti da parte del negozio per aver ordinato proprio lì da loro. Con un grosso sospiro portò tutto dentro quella che ora era casa sua, e cominciò a montare il tutto, anche se l'ora era piuttosto tarda. Non aveva nemmeno pensato a guardarla, quando stava sulla metro diretto verso casa, i suoi pensieri erano indirizzati ad un certo barista con degli occhi penetranti, e non poteva fare a meno di pensare che, se non fosse stato per i modi di quel ragazzo, sarebbe stato anche in grado di provare un qualcosa che si avvicinava alla simpatia per lui.
Ma quel barista aveva il tipico comportamento da menefreghista, di quelli che facevano andare Newt su tutte le furie, eppure non si spiegava perché impiegasse così tanto tempo a pensare a lui. Si passò una mano fra i capelli mentre finiva di poggiare il materasso sulla rete montata, e subito vi si buttò sopra. Finalmente avrebbe passato una notte decente.
Il lavoro era stato a dir poco stressante, quel giorno, e il biondo aveva non poca paura che potesse continuare ad essere così anche a lungo andare, nel tempo. Aveva paura che non avrebbero mai capito davvero le sue potenzialità, e che sarebbe rimasto tutto il tempo a fare fotocopie o inviare fax o portare caffè o riordinare tutti i casi conclusi, come aveva fatto in quel primo giorno.
Newt aveva talento, glielo avevano sempre detto tutti quanti. Al college era sempre quello con i voti più alti, era uscito di lì con una lode, eppure non si sarebbe mai aspettato di finire in uno studio legale a fare ... l'assistente. Perché, quel primo giorno, l'avevano tutti trattato da assistente.
"Newt, portami un caffè!" "Hey, pivello, fammi questo fax!" "Scusa, Richardson, dov'è quella fotocopia che ti avevo chiesto circa dieci minuti fa?"
Minho non era stato da meno, nonostante il biondo avesse capito che era un ragazzo simpatico, ovviamente era lì da più anni e si sentiva quasi in dovere di trattare il novellino dello studio legale così. Newt un po' era dispiaciuto, era convinto anche lui che avesse il potenziale adatto per poter condurre qualche caso e gli dispiaceva il fatto che in quello studio nessuno se ne era accorto. 
Un sospiro gli uscì dalle labbra, quel giorno era stato carico, sia per la mole di lavoro a cui era stato sottoposto, sia per quello strano incontro in quel pub. Probabilmente non avrebbe mai più visto quel barista di nuovo, e nonostante il modo in cui gli aveva parlato e le cose che gli aveva detto ... lo incuriosiva da morire. Aveva quasi una convinzione che dietro quei sorrisetti sghembi e quelle risposte che pungevano ci fosse qualcosa di più.
Preso dalla stanchezza Newt si addormentò, un'immagine di due occhi marroni, tremendamente belli, lo cullava.


NdA:
E rieccoci qui! Finalmente la fanfiction sta prendendo forma, e le idee cominciano ad affiorare mano mano che scrivo, yayyy!
In questo secondo capitolo notiamo un battibecco tra i due loverZ, praticamente a primo impatto Newt odia Thomas ... eheheheh caro il mio biondino. Vedrai, cosa ho in serbo per te. *inserirefaccinacreepyqui*
Ok la finisco di delirare come una quindicenne stupida (va bene un delirio da diciottenne stupida? lol) e niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Sinceramente mi sta davvero piacendo scrivere questa fanfiction, tant'è che ho già tutte le idee per tutti i capitoli scritti lol Ringrazio, a proposito, tutti voi che avete inseguito la storia nelle seguite e/o preferite, e tutte le 4 persone che hanno recensito il capitolo precedente, siete la cosa più bella del mondo! (Dopo i Newtmas, ovvio :3)
Ci sentiamo settimana prossima! <3

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Capitolo 4
*** third chapter. ***


third chapter.

I wanna be drunk when I wake up.
On the right side of the wrong bed.

« Pive, pive! Hai sentito la buona notizia? »
Un Minho più che eccitato si piazzò proprio davanti al volto di Newt, intento a sistemare altri casi in ordine alfabetico. Il biondino alzò gli occhi verso l'asiatico, con un sopracciglio inarcato che indicava una certa curiosità. No, non aveva sentito la buona notizia. Forse perché era rintanato in quel cavolo di ufficio da quella mattina alle otto in punto e non aveva messo il naso fuori dalla porta perché stranamente ancora nessuno gli aveva chiesto di portargli il caffè, o una fotocopia, o un fax.
Ma ora era decisamente curioso di sentire di quale buona notizia Minho parlasse, voleva capire perché tanta eccitazione nei suoi occhi, che al momento brillavano insieme al suo solito sorriso a 32 denti.
« Ci hanno assegnato un caso davvero, davvero importante. E siamo a tanto così dal risolverlo! »
Newt strinse le labbra in una smorfia, perché gli sarebbe dovuto interessare? In fondo lui era il pive in quello studio, non faceva altro che il lavoro di una segretaria che stava sempre al telefono. Perché Minho gli stava dicendo quelle cose? Il suo intento era quello di fargli pesare il fatto che lui non c'entrasse in quel caso? Di fargli capire che avrebbe fatto le veci di una segretaria in quello studio per sempre?
Uno sbuffo sfuggì alla presa dei denti, che avevano stretto un labbro proprio per evitare che l'aria fuoriuscisse e che si capisse quanto Newt fosse scocciato da tutta quella situazione, ma con grande maestria il ragazzo fece un sorriso, sperando che Minho non avesse notato lo sbuffo, e annuì leggermente.
« Wow, è una grande notizia Minho! Sono contento per lo studio, è una grande opportunità. »
Era troppo buono. Glielo avevano sempre detto, ma lui non dava mai ascolto a nessuno, perché tendeva a scrollare le spalle e lasciarsi scivolare le cose addosso, ignorando totalmente ciò che provava realmente. Come al solito, lasciava correre! Sei proprio uno stupido, Newt.
Se lo ripeteva sempre, eppure non aveva effetto sulle cose che diceva, o faceva.
Minho fece a sua volta un grosso sorrisone, dandogli una leggera pacca sulla spalla e lasciandolo al suo lavoro. Quando il ragazzo uscì dalla stanza Newt si accasciò sui fogli che aveva avuto davanti tutta la mattina e lasciò che un grugnito fuoriuscisse dalla sua bocca. Era frustrato, era tremendamente frustrato, e non sapeva cosa fare a riguardo.
« Tutto okay, biondo? »
Con uno scatto la testa di Newt si alzò dai fogli, un po' in imbarazzo per essersi mostrato così vulnerabile agli occhi di un qualcuno. Sulla porta c'era una ragazza che non aveva visto il giorno prima.
Le sopracciglia di Newt si incresparono, mentre lei alzava una mano per salutarlo.
« Non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerci direttamente, io sono Brenda. »
Brenda era una ragazza con i capelli neri corvini, corti, gli occhi erano di un marrone scuro, quasi come i suoi. Da quella posizione Newt potè notare che era sicuramente più bassa di lui, il fisico snello e asciutto.
No, sicuramente non avevano avuto il piacere di conoscersi.
« E' un piacere, Brenda, io sono Newt. »
« Oh, sì, mi hanno parlato di te. Sei il nuovo pive, giusto? »
E riecco quel soprannome. Strinse le labbra, il biondo, annuendo mestamente e facendo un piccolo sorrisino imbarazzato. 
« Ebbene sì, sono il famoso pive. »
Un sorriso si formò sulle labbra della ragazza, che entrò nell'ufficio del ragazzo, sedendosi su un angolo del tavolo sul quale Newt era intento a lavorare. Se solo gli fossero piaciute le ragazze, Brenda sarebbe stata sicuramente il suo tipo. 
Quando i suoi genitori avevano scoperto che Newt era gay non avevano battuto ciglio. Il vantaggio di avere dei genitori hippie, diceva sempre lui. Ma era grato a sua madre e suo padre per non averlo giudicato, per averlo accettato così com'era.
Per quanto riguardava la scuola era stato tutto un altro discorso. C'erano stati ovviamente i bulli di turno che lo spingevano regolarmente addosso agli armadietti freddi di metallo e che lo chiamavano frocio, ma per fortuna aveva trovato una cerchia molto ristretta di amici che lo avevano compreso, e accettato. 
Il ragazzo si concentrò nuovamente su Brenda, seduta vicino a lui. Con un sorriso lei alzò le spalle e si grattò un po' la nuca, dove i capelli erano quasi più corti dei suoi. 
« Ieri è stato il tuo primo giorno, non è così? Io sono qui da qualche anno, fidati, quando superi il periodo di gavetta tutto diventa migliore. »
Quindi c'era passata anche lei? 
« Te l'hanno fatto fare anche a te? »
Una domanda più idiota non poteva farla, in quel momento. Ma comunque la ragazza annuì, alzando le spalle e giocando con l'angolino di un foglio di un caso risolto circa cinque anni prima, che Newt aveva messo nella pila delle "D".
« Sì, finché non ho provato al signor Ankin che ero in grado di risolvere un caso, non solo di fare fotocopie. E che Angelica poteva anche cavarsela da sola nel fare la segretaria. »
Brenda gli fece un occhiolino, ridacchiando per il chiaro riferimento alla segretaria che c'era all'entrata. Inevitabilmente una risatina sfuggì anche dalle labbra di Newt, che scosse la testa e si passò una mano fra i capelli scompigliati per via della posizione che aveva assunto poco prima, quando si era buttato con la faccia sui fogli.
« Immagino che ci vorrà ancora un po' di tempo, allora. »
Commentò, sorridendole. Sapeva che aveva del potenziale, doveva solo mostrarlo anche al capo, al signor Ankin, che ancora non aveva avuto modo nemmeno di vedere da lontano. Allora cosa avrebbe dovuto fare?
« Hey, ti vedo un po' affranto. Che ne dici se ti offro un caffè, pive? »
Un caffè era quello che ci voleva, decisamente. Quindi entrambi si alzarono dalle posizioni in cui erano fino a pochi momenti prima, avviandosi verso la porta d'uscita. Durante il tragitto Brenda spiegò a Newt che era entrata nello studio tre anni prima, che aveva quattro anni più di lui e che il giorno precedente era di riposo, ed era per quello che non si erano incontrati. Era la prima volta che Newt incontrava qualcuno che parlasse davvero con lui, non solo di casi oppure di fotocopie che doveva fare, ma che parlava. Del più e del meno, di quello che aveva fatto quel giorno, delle sue abitudini.
Brenda gli risultava simpatica.
Quando si ritrovarono davanti alla macchinetta dispensatrice di caffè, Newt notò Minho con un altro ragazzo alto che chiacchieravano a bassa voce, lasciando andare ogni tanto qualche risatina e qualche alzata di sopracciglia. Newt non aveva mai visto nemmeno il secondo ragazzo: un ragazzo di colore, alto, con i capelli rasati, muscoloso.
« Oh, guarda chi si vede! »
Commentò Minho non appena Newt si avvicinò alla macchinetta. Il biondino rise scuotendo leggermente la testa. Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, bensì degli ottocento casi che era stato incaricato di sistemare in una mattinata.
« Sono uscito dalla mia tana, solo per un caffè. »
« Oh, io sono uscito per altro, invece. »
Commentò il ragazzo sconosciuto, portando lo sguardo davanti a lui. Quando Newt seguì lo sguardo vide un'ennesima ragazza piegata su una scrivania, intenta a scrivere, non aveva conosciuto nemmeno lei ancora. Era anche lei alta, i capelli corvini come quelli di Brenda, ma molto più lunghi. Una figura snella, fasciata perfettamente dal tallieur nero che aveva indossato quel giorno.
Minho commentò con una risata e così fece Newt, ma era più che altro perché a lui quella visione non interessava minimamente.
« Comunque io sono Alby. Non ho ancora avuto l'occasione di conoscerti, è un piacere, pive. »
Doveva ancora capire che fine aveva fatto "llo", in quel soprannome. Forse era una cosa che si usava dire frequentemente in quello studio, tutti i novellini venivano evidentemente chiamati pive, quindi doveva solo farci l'abitudine. Si voltò verso di lui stringendogli la mano e presentandosi a sua volta, mentre l'odore di caffè fuoriusciva dalla macchinetta che stava riempiendo un bicchiere.
« Ti godi anche tu la vista, Newt? »
Minho lo guardò sorridendo e facendo un cenno del capo verso la ragazza sconosciuta. Il biondo prese il bicchiere ormai pieno, lasciando modo a Brenda di riempirlo a sua volta, e prese un sorso di caffè, che era davvero una mano santa per lui, in quella situazione.
Un sorrisetto gli nacque in volto, mentre alzava le spalle.
« A dire il vero ... uhm ... non è il mio genere. »
Commentò poco dopo, abbassando gli occhi sul caffè scuro, dando modo agli altri tre di assimilare ciò che aveva appena detto. Aveva appena fatto coming out al lavoro, eppure non gli dispiaceva affatto: avrebbe evitato eventuali situazioni imbarazzanti e soprattutto era uscito subito allo scoperto, era fiero di essere ciò che era e voleva mostrarlo al mondo. Non sentendo altre risposte da parte dei ragazzi parlò di nuovo, guardando la ragazza mentre prendeva un altro sorso.
« Ma comunque ... chi è? »
« Teresa Ankin, figlia raccomandata del boss. Eppure, è proprio una gran- »
« Minho! »
Lo riprese subito Brenda. Newt rise di gusto, scuotendo la testa e guardando l'occhiataccia che la ragazza dai capelli corti aveva appena lanciato all'orientale. Lui alzò semplicemente le spalle, facendo un occhiolino alla ragazza e poi dando il cinque ad Alby, che lo guardava ridendo a sua volta.
« Ad ogni modo. Newt, stasera abbiamo deciso di andarci a bere qualcosa per festeggiare, la cosa del caso che ti ho detto stamattina, hai presente? Ecco, ti andrebbe di unirti? »
Newt increspò le labbra. Il giorno dopo avrebbe dovuto essere di nuovo al lavoro, eppure la prospettiva di poter familiarizzare con i ragazzi dello studio in cui avrebbe lavorato era una bella idea, quindi semplicemente alzò le spalle ed accettò con un sorrisetto. Era grato ai ragazzi per non aver detto niente quando lui aveva fatto quel commento sul "genere" che gli piaceva.
« Perfetto. Vado a chiederlo anche a quella figlia di papà laggiù. Ci vediamo al Moonlight Pub, ok? Se non sai dov'è chiedi a Brenda, lei lo conosce! »
E detto questo si avviò verso Teresa, ancora presa dalla sua posa un po' ambigua e dai fogli che stava ripetutamente controllando e scribacchiando. Solo allora Newt realizzò.
Il Moonligh Pub.
Oh, non poteva essere vero.

La musica alta rimbombava nella cassa toracica di Newt non appena tutti e cinque entrarono nel locale. Si guardò per un attimo intorno, tentando di non guardare al bancone perché sapeva benissimo che ci avrebbe trovato un paio di occhi marroni che avevano torturato le sue notti.
Deglutì un paio di volte a vuoto, mordendosi le unghie con una punta di nervosismo mentre tutti i suoi amici ridevano e scherzavano, seguendo la cameriera che li stava scortando al loro tavolo, quello che Minho aveva prenotato proprio quella mattina dall'ufficio.
Quando Newt aveva realizzato che si trattava di quel pub aveva provato a tirarsi indietro, dire che forse il lavoro era troppo, che non ce l'avrebbe fatta con gli orari, ma ormai c'era dentro. E poi perché doveva rinunciare ad una serata con i suoi nuovi amici solo per colpa di un cameriere tanto scortese quanto bello?
Non doveva, semplice. E non l'avrebbe fatto.
Quindi prese un grosso respiro e tornò a concentrarsi su Minho, Teresa, Brenda e Alby. Era incredibile come in una sola giornata di lavoro avesse avuto modo di conoscere veramente quelle persone. Forse un po' meno Teresa, dato che era stata invitata solo perché Minho voleva entrare nelle grazie del boss. Ma evidentemente il ragazzo orientale non aveva ancora capito che era Brenda la ragazza veramente interessata a lui, e Newt aveva capito tutto quello in un pomeriggio.
Sospirò leggermente, avvicinandosi a Brenda per poter leggere dal menu che la cameriera gli aveva portato, dove c'erano tutte le varie bevande. 
Newt alzò lo sguardo sugli altri, tutti intenti a decidere cosa potevano bere quella sera. C'era chi era combattuto tra alcol leggero come birra o superalcolici, o chi si era direttamente dato ai cocktails. Dal canto suo, il biondo, non sapeva proprio cosa prendere. Tutti stavano dibattendo sul fatto che volevano ubriacarsi, chi voleva tornare a casa sano e salvo ... lui voleva solo divertirsi. Per una serata, e non pensare a niente.
« Io penso che inizierò con una birra, giusto per mantenermi sobrio all'inizio della serata. »
Commentò, lo sguardo ancora sul menu, le labbra arricciate in una smorfia di indecisione, una mano sulla nuca, che sfregava i capelli corti.
« Newt ha avuto una bella idea. Facciamo che il primo giro di birra lo offro io, ma dopo si passa direttamente alla nostra amica Vodka, e non voglio scuse! »
Commentò Minho ridendo e alzando un dito, anche se Newt non capiva se l'aveva fatto per enfatizzare la frase o per chiamare la cameriera. Una risatina uscì dalle labbra del biondo, che acconsentì.
A Plymouth non beveva spesso, perché i suoi amici non erano decisamente i tipi da uscire e andare a bere in un qualche pub. Preferivano passare la serata a casa, a guardare un film, fare un po' i nerd, giocare ai giochi da tavolo, e cose del genere. Anche a Newt piaceva quel mondo, in realtà, ci era cresciuto quindi era ovvio che gli piacesse. Ma ora che era entrato nell'ottica della vita mondana di Chicago, con il nuovo gruppo di amici, il Pub, le birre e tutto il resto cominciavano a piacergli.
Si girò per seguire con lo sguardo ed un sorriso la cameriera che se ne andava con il loro ordine, quando i suoi occhi furono calamitati da una figura alta e snella, quella di un ragazzo che aveva conosciuto proprio il giorno precedente. Anche il barista si voltò verso di lui, proprio in quel momento, e per qualche secondo i loro occhi si incatenarono.
Newt aveva bisogno di bere.

« E quindi io gli ho detto: "No, boss, si starà sicuramente sbagliando, quell'assorbente non è mio!" »
E tutti scoppiarono a ridere. La frase che Minho aveva appena detto era completamente priva di senso, perché era praticamente palese che lui non avesse potuto lasciare un assorbente sulla sua scrivania, eppure Newt non potè fare a meno di scoppiare a ridere come gli altri. Sentiva le gambe molli, la testa che girava ed una strana ilarità, che non provava spesso. L'alcol faceva effetto in fretta su di lui, era una delle cose che purtroppo gli toccava sorbire ogni volta che beveva. Si erano presi una birra e poi avevano iniziato con i giri di shottini, ed erano già tutti ben oltre l'essere brilli.
« Non ci credo che hai parlato con mio padre di assorbenti, Minho! »
Commentò una Teresa presa dall'ennesimo sorso di un cocktail con rum e qualcos'altro, Newt aveva già rimosso, e riprese a ridere come uno stupido. Minho lo guardò e scoppiò a ridere a sua volta, indicandolo subito dopo.
« Ragazzi vi prego guardate Newt, è ubriaco come pochi! Scommetto che se gli dicessimo di buttarsi da un ponte lo farebbe! »
« Ho un'idea, ho un'idea! » Saltò su Brenda, che subito si avvicinò alla spalla di Newt, appoggiandosi con il mento alla sua spalla. Anche lei era bella che andata.
« Newt, dato che non parli mai, e che a quanto pare da ubriaco invece sei più aperto, ti lancio una sfida! Vai a chiedere al ragazzo più bello in questo locale di uscire con te, avanti! »
Il biondo si accasciò sul tavolinetto di fronte a loro ridendo come un pazzo e scuotendo ripetutamente la testa. Al contrario di quello che il cervello gli stava dicendo in quel momento, che era un grosso e gigante NO!, le gambe di Newt si alzarono e lo condussero proprio di fronte al bancone.
Subito si ritrovò il volto del barista con gli occhi castani e il naso all'insù davanti al suo, che lo guardava accigliato.
« Biondino, sei tornato, non me lo aspett- hey, tutto okay? »
Evidentemente aveva notato il suo stato.
« Nnnnno. Non è molto tutto okay, ho alzato un pochiiiino il gomito. Però, però ... li vedi quegli stronzi là? Quelli al tavolo, ecco, mi hanno lanciato una sfida e- devo chiederti di uscire! Quindi, barista dai bellissimi occhi castani, usciresti con me?! »
Le parole erano tutte strascicate, non sapeva nemmeno se lo avesse capito o no, fu solamente quando lui rispose, ridendo, che un po' di lucidità riaffiorò nel cervello di Newt.
« Beh, dato che me lo chiedi di tua spontanea volontà e con un tasso alcolico così basso ... diciamo che accetto. »



NdA:
Ed eccoci qui col terzo capitolo e un Newt ubriaco alla fine LOL come mi sono divertita ad immaginarmi Newt ubriaco, eheheh.
E soprattutto Newt che prende l'iniziativa e chiede a Thomas di uscire! Perché si sa, quando si è ubriachi si fanno sempre le cose che si vogliono fare o dire da sobri ma che non abbiamo il coraggio di fare o dire, quindi il biondino ha proprio fatto una bella mossa.
Ok, finito il momento "profondo" ringrazio come al solito la mia beta aka manager aka bff Asia che mi ha controllato tutti i capitoli sempre e per sempre (?) e tutti voi che leggete, o silenziosamente oppure anche lasciando recensioni, vi amo!
Ci sentiamo settimana prossima con il quarto capitolo! <3

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Capitolo 5
*** fourth chapter. ***


fourth chapter.

They say before you start a war, 
you better know what you're fighting for.

 

Era come se un trapano gli stesse sfondando le tempie. 
Newt stropicciò gli occhi con le mani nello stesso momento in cui il rumore assordante che la sveglia stava producendo aveva smesso di rimbombare per tutto l'appartamento. Un grugnito gli uscì dalle labbra al solo pensiero di doversi alzare ed andare a lavorare anche il giorno dopo una sbronza colossale.
Non si ricordava molto della sera precedente, a dire la verità. Anzi, aveva completamente un vuoto da quando avevano ordinato le prime birre fino alla fine della serata. Non sapeva nemmeno come era ritornato a casa, e una parte di lui non era nemmeno tanto sicuro di volerlo sapere. Con due dita si prese la radice del naso, cominciando a massaggiarla lentamente mentre con l'altra mano premeva il tasto di accensione del cellulare che aveva riposto sul comodino al fianco del letto.
A fatica si alzò e si trascinò in cucina, dove si preparò la colazione che quel giorno prevedeva come minimo tre litri di caffè.
Un trillo, però, lo distolse da ciò che stava facendo. Aggrottò le sopracciglia, il biondo, perché non aveva davvero idea di chi potesse mandargli un messaggio a quell'ora. Non aveva nessun numero di nessuno dei ragazzi dello studio legale, non potevano essere i suoi genitori o i suoi amici, perché Plymouth aveva un orario diverso da Chicago, ovviamente, quindi non aveva idea di chi potesse mandargli un messaggio alle 7.15 della mattina o anche più presto, dato che il telefono era stato acceso solo in quel momento. Così con una certa curiosità prese in mano il cellulare mentre si appoggiava con il fondoschiena al tavolo di marmo della cucina.

(6.57)
Hey, bellezza, spero tu ti senta meglio stamattina.


Oh merda. A chi diamine aveva dato il numero la sera prima? E chi diamine poteva chiamarlo bellezza?!

(7.18)
Ehm ... scusa se sembra un po' strano, ma non ho la più pallida idea di chi tu sia. Non è che potresti illuminarmi, vero?

Le dita si mossero velocemente sul tastierino del telefono, digitando in fretta parole un po' imbarazzate. Sospirò, prendendo in mano il bicchiere contenente un'aspirina disciolta nell'acqua di rubinetto al suo interno e prendendone un sorso. Rimase per un paio di minuti a fissare lo schermo del telefono sul quale compariva ancora quello strano messaggio. Eppure non si ricordava di aver lasciato il nummero a nessuno.
Ma dall'altro capo del telefono, evidentemente, non c'era più nessuno disposto a rispondergli. Finì la sua bevanda e lasciò il telefono sul tavolo, mentre lui si precipitò subito sotto la doccia. Ancora non sapeva come avrebbe fatto a superare un'altra giornata di lavoro infernale, l'unica cosa che lo metteva di buon'umore era il fatto che probabilmente Minho, Alby, Teresa e Brenda sarebbero stati più o meno nelle sue stesse condizioni. Aveva ancora qualche ricordo di Minho ubriaco e solo quello lo faceva morire dalle risate.
Quando la doccia fu terminata, si vestì scegliendo totalmente a caso gli abiti per quel giorno, prese la sua cartellina, inforcò gli occhiali da sole e tornò in cucina, prendendo il telefono.
C'era un nuovo messaggio.

(7.29)
Cavolo, non ti ricordi niente di ieri sera, non è così?


Cavolo doveva dirlo lui. Era stato capace di lasciare il numero a qualcuno che non conosceva e non lo conosceva minimamente, cos'altro era stato in grado di fare?
Si morse una pellicina e subito dopo le sue dita saettavano di nuovo veloci sul touchscreen.

(7.36)
No. Non mi ricordo nemmeno di aver lasciato il mio numero a qualcuno.

(7.40)
Quindi non ti ricordi nemmeno dell'appuntamento, dico bene?


Improvvisamente, in mezzo a tutta la gente che si muoveva velocemente a Chicago, tutti mentre andavano al lavoro, mentre si sbrigavano per andare a comprare qualcosa, mentre erano intenti ad accompagnare i figli a scuola, Newt si fermò proprio in mezzo al marciapiede, fermo, gli occhi incollati allo schermo, sgranati.
Appuntamento?! Non ci poteva credere. Ma che diavolo aveva combinato?

(7.43)
Comunque sono Thomas.
Cioè, non ti ricordi, sono il barista del Moonlight. Mi chiamo Thomas.


Aveva chiesto al barista più stronzo e sexy allo stesso tempo di uscire per un appuntamento e nemmeno se lo ricordava! 
« Gesù Cristo. » 
Imprecò Newt a bassa voce, mentre le sue dita non accennavano a volersi muovere sullo schermo per scrivere una risposta o le sue gambe non accennavano a volersi muovere verso lo studio legale, e così facendo avrebbe fatto tardi. Ma ancora faceva fatica a credere a ciò che stava accadendo. Lui, Newton Richardson, era andato dal barista -- Thomas -- e gli aveva chiesto di uscire con lui, lasciandogli il suo numero. Tutto questo da ubriaco marcio.
Se l'alcol aveva quell'effetto su di lui doveva bere della vodka la mattina, al posto del solito caffellatte.
Con un sospiro riprese a camminare, arrivando fino alla metro. Una volta seduto sul suo treno tirò fuori di nuovo il cellulare, pensando velocemente ad una risposta, prima che potesse essere troppo tardi.

(7.53)
Mi dispiace davvero ma, sinceramente, non mi ricordo proprio nulla di ieri sera.

(7.54)
Tranquillo, avevo immaginato che quella cosa dell'appuntamento fosse una cazzata.


E se invece fosse stato il suo trampolino di lancio per conoscerlo meglio? Non era affatto una cazzata. Magari Thomas non era sempre così stronzo e strafottente, dai messaggi che gli stava inviando sembrava anche un ragazzo "normale", piuttosto non sapeva quali fossero le sue intenzioni. E se fosse stato etero? Magari voleva uscire con lui solo per prenderlo per il culo.
Doveva pensarci bene, perché lui era esattamente il tipo di ragazzo che ponderava ogni sua scelta per circa tre giorni prima di farla. Ovviamente non avrebbe aspettato così tanto, ma doveva pensarci bene. In quel momento la voce metallica annunciò la sua fermata, così Newt rimise in tasca il telefono e scese, dirigendosi in fretta verso lo studio legale.
Durante tutto il tragitto dalla fermata alla metro, Newt non fece altro che tentare di ricordare cosa diavolo avesse fatto la sera precedente. Aveva dei momenti in cui riusciva a ricordare qualche sprazzo di quella serata, ma nulla più. Ricordava come Brenda e Minho fossero, alla fine, finiti con la lingua dell'uno nella bocca dell'altro; ricordava come Alby si fosse messo a fare il karaoke, ad un certo momento, ma non ricordava nient'altro.
La sua mente si era focalizzata su una visione di un paio di occhi marroni chiari, ma Newt aveva sospettato che fosse la solita visione ricorrente, non qualcosa della serata precedente.
Mentre camminava, le mani in tasca, i capelli scombinati dal vento freddo di metà Novembre, il suo sguardo fu catturato dalla vetrina chiusa del Moonlight Pub. Si fermò lì davanti per qualche secondo, mentre la gente lo spintonava per poter passare su quel marciapiede angusto.
Guardò le grate grigiastre per qualche secondo e poi si voltò, riprendendo a camminare.

« Gesù, Minho. Ed io che pensavo di essere quello ridotto peggio. »
Sul volto di Newt si formò un sorrisetto strafottente mentre osservava, da dietro gli occhiali scuri, la figura del ragazzo accasciato sulla scrivania all'ingresso, anche lui con un grosso paio di occhiali da sole (erano un modello femminile o era una sua impressione?) che gli coprivano gli occhi. Un grugnito fu tutto ciò che riuscì ad ottenere come risposta, così Newt scosse la testa e si diresse verso il suo ufficio, divertito dal fatto che la sua teoria sul "almeno non sono l'unico" si era rivelata la verità.
Di sfuggita riuscì a vedere anche Teresa, seduta alla sua solita postazione, che sorseggiava caffè, fresca come una rosa. Newt era davvero curioso di sapere come aveva fatto la ragazza a sembrare così fresca il mattino dopo una sbronza, lo era davvero, ma riprese a camminare verso il suo ufficio. Vi entrò, si mise seduto, e trovò un post-it giallo attaccato sulla pila di documenti che aveva sistemato il giorno prima.
Con le sopracciglia aggrottate lo staccò e lo lesse, ed un sorriso gli nacque sul volto.
I tuoi genitori hanno chiamato e ti hanno lasciato un messaggio: devi richiamarli il prima possibile! -Angelica
Non sentiva sua madre da qualche giorno, e si era ricordato solo ora di quanto lei potesse essere un po' ossessiva. Prima che si trasferisse parlavano ogni giorno, mentre ora, tra la cosa del lavoro, le uscite, il barist- scosse la testa, Newt, impedendosi di pensarci anche in quell'occasione, e con mani svelte fece il numero di casa sua.
« Pronto? »
Il forte accento inglese della madre lo colpì a primo impatto, insieme con la sua voce familiare.
« Mamma, ciao! Scusami se non mi sono fatto sentire, il lavoro qui è un po' stressante e- »
« Oh, Cielo, Newton ciao! E' così bello sentirti di nuovo, ci sei mancato davvero tanto! Robert! E' tuo figlio vieni a salutarlo. »
Newt si piazzò una mano sulla fronte, pronto a stare ore al telefono, mentre i ricordi affioravano velocemente, così come gli argomenti di conversazione. Passò circa dieci minuti al telefono, prima che la madre tirasse fuori quell'argomento.
« E allora, hai incontrato per caso qualcuno di speciale, amore? »
Newt si morse un labbro, il soprannome con cui la madre si ostinava a chiamarlo anche dopo il compimento di 22 anni era ancora lì, ma era felice di poterlo sentire di nuovo. Così tutto d'un tratto le parole uscirono dalla bocca del ragazzo: raccontò alla madre del primo incontro con il barista, Thomas, di quando si era ubriacato, della scommessa e dei messaggi, e finì il tutto con un sospiro teatrale.
Dall'altro capo del telefono poteva sentire sua madre sorridere.
« Newton, tesoro, ti ho sempre detto che devi seguire l'istinto, vedere dove le cose ti portano, e questa volta sono dello stesso parere. Segui il tuo cuore, amore, vedrai che non ti deluderà. »
La madre era sempre stata brava a dispensare consigli amorosi, ed essendo così libertina per quanto riguardasse amore, orientamento sessuale e tante altre cose, non si faceva scrupoli a parlare con il figlio proprio di quelle stesse cose.
Newt, dopo un'ora e quaranta di telefonata, alla fine riuscì ad attaccare, dopo aver salutato calorosamente tutti quanti, e posò il telefono sulla scrivania. Per un attimo rimase a fissare il vuoto, finché una voce familiare lo riscosse.
« Allora anche il nostro pive preferito ha problemi amorosi, uh? »
Brenda era ferma sulla porta, appoggiata ad uno spigolo, radiosa come se la sera prima non avesse sopportato una sbronza colossale. Ma come facevano quelle ragazze?!
Il biondino si tolse gli occhiali da vista che avevano sostituito poco prima quelli da sole, e li posò sulla scrivania, passandosi una mano fra i capelli mentre sentiva i passi della ragazza avvicinarsi a lui.
« E' stato divertente. Il tuo accento british era molto più enfatizzato. »
« Sì, di solito parlare con persone inglesi fa quest'effetto, con me. »
Brenda annuì, sembrava pensierosa.
« Quindi ... il barista ti ha scritto, alla fine. »
Un sorrisetto spuntò sulle labbra della ragazza, un sorrisetto di una che la sapeva lunga. Newt si allungò per darle uno schiaffetto scherzoso con una delle cartelle che si era trovato davanti in quel momento, e ridacchiò insieme a lei, scuotendo la testa.
« Mi ha scritto chiedendomi di questo ... appuntamento che non ricordo nemmeno. Non ho la più pallida idea di cosa devo fare, Brenda. Seriamente. »
Sbuffò, alzando gli occhi in quelli della ragazza, magari lei sarebbe stata brava con i consigli amorosi. Ma lei semplicemente alzò le spalle, dondolando una gamba che era penzoloni dalla scrivania: come al solito si era seduta su di essa, spostando le cose che Newt ci aveva messo sopra appena era arrivato lì.
« Cosa dirti, Newt? Penso che tu debba seguire il tuo istinto. Vuoi uscirci? Accetta. Non vuoi? Non accettare. E' molto semplice, sei tu che la stai complicando e lo sai. »
Detto quello si alzò e fece per andarsene. Newt rimase un po' a pensare a ciò che gli aveva detto, erano state esattamente le stesse parole della madre. Ma forse entrambe avevano ragione, allora.
Quando la ragazza fu quasi fuori dalla porta, Newt improvvisamente ricordò una cosa.
« Oh, a proposito ... Minho, eh? »
Un sorrisetto sornione nacque sul volto di Newt, che ridacchiò quando Brenda si finse sorpresa e allo stesso tempo indignata. Sapeva bene che non lo era, e che lei sicuramente se lo ricordava, cosa era successo con il suo amico.
« Non tirare la corda, Newt. Pensa al tuo barista! »
Già. Newt avrebbe dovuto pensarci sul serio. Guardò la sua amica camminare fuori dall'ufficio e dirigersi verso Teresa, cominciando a parlarle di qualcosa di lavoro, suppose lui, perché indicava costantemente dei fogli sul tavolo di fronte a loro.
Improvvisamente il telefono nella sua mano si fece più pesante, soprattutto quando aprì di nuovo l'applicazione dei messaggi e lesse l'ultimo messaggio che gli era arrivato. Per un po' rimase a fissare lo schermo, chiedendosi dove il suo istinto lo avrebbe portato. Ad un sì, e magari un bell'appuntamento con un bel ragazzo, anche se un po' strafottente? Oppure ad un no, e al non sapere mai cosa sarebbe potuto accadere?
Le dita si mossero velocemente sulle lettere, scrivendo quella frase che aveva pensato per quasi tutta la mattinata. Passò qualche secondo a contemplare la parola "Invia" vicino al suo messaggio di risposta, prima che si decidesse e lo premesse.
Guardò il nome Thomas in alto allo schermo, segno che era la conversazione con lui, e poi rilesse velocemente il messaggio che aveva appena inviato al ragazzo.

(9.23)
Non è una cazzata. Quando hai il giorno libero? 


NdA:
E quanto amo lasciarvi in sospeso, alè! 
Buonasera, buongiorno, buon pomeriggio, insomma eccoci col quarto capitolo! So che è un po' un capitolo "di passaggio", perché effettivamente succede tutto alla fine, ma mi serviva per far riflettere un po' Newt ed introdurre anche il personaggio della madre che, poraccia, ho nominato tipo solo una volta. LOL
Ad ogni modo, non so se avete notato ma ho aggiornato un giorno prima dato che questo venerdì devo partire e starò via e, quindi, non avrò modo di postare nulla, ho dovuto modificare un po' di date, sappiate quindi che il prossimo aggiornamento col capitolo cinque ci sarà il 27 Agosto, mentre il capitolo sei il 1 Settembre! (ma quanto so precisa?!)
Quindi nulla, ringrazio moltissime tutte le persone che recensiscono, leggono, seguono questa storia, mi fate davvero felici, perché la ff sta davvero prendendo una piega che mi piace sempre di più, ovviamente anche grazie come al solito alla mia manager Asia che mi consiglia e mi beta. Sono contenta che la storia vi prenda e che esprimiate tutto l'amore per i capitoli nelle fantastiche recensioni, grazie ancora!
Un ringraziamento va alle mie amate supportatrici del gruppo "Dylmas culopesche" che sopportano i miei scleri e li assecondano, per non parlare delle foto che mandano ... W IL DIO CULOPESCHE RAGAZZE!
Ci sentiamo al prossimo capitolo, quello in cui ... SPOILER! ci sarà un appuntamento, a quanto pare! :))))))))) *faccinacreepysorridente*
Alla prossima! <3

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Capitolo 6
*** fifth chapter. ***


fifth chapter.

I need a little loving tonight. 
Hold me so I'm not falling apart.

Newt nervoso?
No, assolutamente no, Newt non era affatto nervoso. Cosa gli faceva pensare che era nervoso? Forse il fatto che aveva buttato tutto l'armadio sul letto per l'indecisione? Forse il fatto che le mani gli tremavano e, per non farci caso, si stava mangiando le unghie e le pellicine da tre quarti d'ora? Forse il fatto che aveva pulito tutto l'appartamento in meno di un'ora e ancora non si era fermato, girovagava per tutto l'appartamento in cerca di un qualcosa che nemmeno lui sapeva cos'era?
No, Newt non era nervoso. Di più.
Da quando aveva accettato l'appuntamento (cioè da quando aveva accettato il fatto che lui stesso aveva chiesto un appuntamento ad uno sconosciuto) il biondino non riusciva a fare altro se non girare ovunque tentando di tenersi impegnato. Avevano deciso di uscire due giorni dopo rispetto al messaggio, un venerdì sera, così entrambi avrebbero potuto fare più tardi, dato che il giorno seguente nessuno dei due lavorava.
Newt non sapeva se essere nervoso per il fatto che aveva chiesto di uscire a Thomas quando era totalmente ubriaco oppure per il fatto che lui aveva accettato senza nemmeno pensarci due volte, a quanto pareva. Anche lui allora era attratto da Newt? Perché se fosse stato così, Newt sarebbe potuto cadere a terra e agonizzare tutto il tempo.
Già il fatto che aveva accettato lo aveva fatto pensare, se non avesse provato un qualcosa il barista non avrebbe accettato l'invito di un povero ubriaco, no? O forse lo aveva fatto solo per prenderlo in giro successivamente?
Le domande affollavano la mente del biondo mentre si allacciava l'ultimo bottone della camicia blu che aveva scelto, dopo aver sventrato la sua camera, proprio per quell'appuntamento. Si stirò le pieghe immaginarie dei blue jeans che aveva deciso di indossare e prese un grosso sospiro, guardandosi allo specchio.
Ce la posso fare.
Si disse mentalmente. Non che non era mai stato ad un appuntamento serio, il problema era che l'appuntamento era con quel ragazzo attraente, di cui lui non sapeva niente e il quale carattere lasciava un po' a desiderare. Non voleva uscire con qualcuno pieno di sé stesso, con qualche strafottente che pensava solo alla sua vita, al suo benestare, e non a quello degli altri. Sperava solo di non rimanere deluso da quell'uscita.
Controllò l'orologio appeso dietro di lui attraverso lo specchio e constatò che doveva muoversi. Si sarebbero incontrati ad una fermata della metro per lui sconosciuta, un po' più in là di quella dove di solito scendeva per andare a lavorare, quindi doveva muoversi prima. Prese il cappotto che usava ogni giorno, quello marrone con la pelliccia bianca ma ... forse sarebbe stato meglio cambiare, almeno per quella sera. Quindi spese altri cinque minuti di fronte all'armadio, poi finalmente, con il cappotto meno ovvio che aveva, uscì di casa.

Newt si mordeva le labbra in continuo, aspettando solo il momento nel quale avrebbero cominciato a sanguinare per via della morsa dei denti. Aveva le braccia incrociate sul petto, fasciato nel giaccone nero che aveva preso poco prima di uscire dal suo appartamento. 
Le strade erano, come al solito, gremite di gente. Chicago non era Plymouth, ormai l'aveva capito da un pezzo, eppure ancora non riusciva a credere di riuscire a sopportare i ritmi incalzanti di quella città. Guardava ogni punto che gli capitava sotto tiro, e dopo l'orologio. 
Aveva paura che non si sarebbe presentato, sì. 
Aveva paura che Thomas avrebbe capito che non gli interessava uscire davvero con lui, non quanto gli interessava, magari, stare sul divano tutto comodo a guardare un'insulsa partita di football. Sbuffò, spostando il peso da un piede all'altro, quando scorse la figura del barista a pochi metri da lui, che arrivava con le mani nelle tasche dei jeans.
Il cuore di Newt perse un battito, il ragazzo fu sollevato: era lì. Thomas era davvero lì.
Un sorriso spuntò sulla faccia di Newt, che si avvicinò a sua volta a Thomas.
« Buonasera, biondino. » 
Disse con la sua solita aria. Gli occhi di Newt puntarono per qualche secondo verso il cielo, ma poi tornarono a guardare quelli di Thomas di fronte a lui, sorridenti, come la sua bocca. C'era poco da fare, per quanto Newt avesse un rapporto abbastanza amore/odio verso quel ragazzo non poteva evitare di sentirsi attratto da lui.
« Buonasera, anche a te, Tommy. » 
Newt fece un grosso sorriso sghembo, felice di aver trovato anche lui un soprannome per l'altro ragazzo, mentre poteva vedere la faccia sorpresa di Thomas. Il biondino non era mai stato un tipo molto ironico, soprattutto non a primo impatto, forse dopo un po' di tempo sì.
L'altro gli fece segno di seguirlo, ridacchiando, e cominciò ad incamminarsi insieme a lui per le vie di quella grossa città. Le luci confondevano Newt, Chicago era davvero una città bellissima, e la sera era sempre in azione, sempre in movimento, sempre luminosa, una cosa che lo attirava tremendamente. Era sempre stato attratto dalle grandi città, ed invece si era ritrovato in una cittadina che contava circa 200.000 abitanti, non erano pochi, ma di certo erano niente in confronto a quelli delle grandi città.
La voce di Thomas lo riportò alla realtà in un attimo, quando si voltò per vedere i suoi occhi che lo scrutavano, probabilmente aveva capito che in quel momento stava come "riflettendo".
« Tu sei inglese, non è così? Ho sentito l'accento. » 
Newt annuì, umettandosi le labbra con la lingua, facendo un mezzo sorrisetto al ragazzo.
Il suo accento era piuttosto forte, avendo passato 22 anni della sua vita in mezzo a gente che parlava con un accento molto calcato. In realtà il suo accento inglese gli piaceva, lo rendeva in qualche modo diverso da tutto il resto delle persone, e poi la gente capiva subito di che nazionalità era senza che dovesse spiegare tutto.
« Si, sono inglese. L'accento colpisce ancora, uh? » 
« Si, in effetti si. L'avevo sentito anche al pub, l'altra sera. » 
Le guance di Newt si colorarono leggermente di rosso quando Thomas nominò "l'altra sera", ed il biondo sperò che Thomas lo confondesse con un rossore dovuto alla sferzata di vento che li aveva appena colpiti. Annuì leggermente, stringendo le spalle nel cappotto.
« Ma ... spero che queste chiacchiere non ti stiano distraendo, perché io non ho la più pallida idea di dove stiamo andando, e se anche tu sei distratto siamo persi. » 
Tentò di cambiare argomento, ma effettivamente ... dove lo stava portando? Newt non aveva ancora visitato quella parte di Chicago, erano strade che aveva sentito nominare, ma non aveva mai percorso.
L'aria natalizia cominciava ad aleggiare tra le vie oscure della città, dove tutti andavano in giro stretti nei loro giacconi, con i tipici bicchieri di cioccolata calda in mano. Un sorriso nacque sul volto di Newt, quell'aria di leggerezza gli ricordava casa.
« Tranquillo, so perfettamente dove stiamo andando. Ho pensato che, dato che sei inglese, ti avrebbe fatto piacere girare un po' la città. » 
Effettivamente, con tutto il lavoro che aveva dovuto svolgere allo studio, non aveva avuto modo di girare nemmeno un quarto di Chicago. Era grato a Thomas per quello.
« Mi farebbe davvero piacere, sai? Non ho avuto modo di girarla. » 
E così cominciarono a parlare. Newt raccontò a Thomas del suo lavoro e della sua città, mentre le loro gambe si muovevano, i piedi andavano e gli occhi catturavano quante più immagini possibili; raccontò della sua famiglia, di ciò che studiava a Plymouth, dei suoi vecchi amici, e Thomas ricambiava parlandogli di Chicago, dato che era originario di lì. Newt notò che il ragazzo tendeva spesso a non parlare di sé stesso, se si poteva parlare di un altro argomento Thomas cambiava rotta volentieri.
Il biondino non sapeva da cosa era dovuto, ma lo poteva capire, perché non gli era mai piaciuto molto parlare di lui. Essendo sempre stato un tipo piuttosto introverso preferiva ascoltare gli altri, sentire ciò che avevano da dire, e poi magari fare qualche commento in merito, ma non gli piaceva molto sputare fuori informazioni su informazioni per quanto lo riguardava. Eppure quella serata fu quella in cui Newt rivelò a Thomas molteplici cose, sul suo passato e sul suo presente, forse perché non lo conosceva affatto, e con gli sconosciuti era tutto più facile.
Camminarono molto, e parlarono, parlarono tanto. Finché Thomas non si fermò in una piazza gigante, comunque piena di persone nonostante l'orario tardivo. Lo sguardo di Newt si fermò in quello di Thomas per qualche secondo, accigliato. Perché si erano fermati?
« Siamo arrivati. » 
Annunciò il moro, allargando un braccio così che una mano potesse indicare la piazza al loro fianco. Newt allora spostò lo sguardo verso ciò che indicava l'altro ragazzo e rimase di sasso.
Al centro dell'enorme piazza vi era una grossa scultura di acciaio lucente, che aveva la forma di un fagiolo. L'acciaio dalla quale era formata rifletteva perfettamente tutta la piazza intorno a loro, creando un'atmosfera strana, come se ci fossero migliaia di piazze con altrettanto migliaia di persone. Era bella.
Newt si voltò in tempo per guardare Thomas sorridergli. Cominciarono a camminare insieme avviandosi proprio sotto la scultura, mentre Thomas, con le mani in tasca, spiegava cos'era esattamente quel fagiolone all'esatto centro della piazza.
« Questo è Il Fagiolo. La scultura più famosa qui a Chicago, riflette tutto quello che c'è sotto. »
Il biondo si fermò sotto la grande scultura, che aveva una specie di "gobba", permettendo alla gente di poter passare proprio al di sotto di essa, rimanendo incantati. Newt stava adorando quel posto, era una scultura che rifletteva tutto, cavolo! Una risatina proruppe dalle labbra di Newt, che passò una mano sul metallo fresco, evidentemente "rifletteva" anche l'aria invernale di Dicembre.
« Ti piace? » 
La voce di Thomas era proprio dietro di lui, morbida come mai l'aveva sentita.
Newt non aveva mai creduto all'amore a prima vista, perché sapeva benissimo che era tutta una grandissima stupidaggine che serviva solo per far funzionare libri, serie tv, e film sdolcinati. Sapeva che non era affatto come facevano vedere, che l'amore te lo dovevi costruire mano a mano, che dovevi imparare a conoscere una persona per poter dire, alla fine, che ti eri innamorato di lei.
Allora cos'erano quelle sensazioni che improvvisamente gli attanagliavano la bocca dello stomaco? Era qualcosa di forte, qualcosa che non sapeva descrivere con le parole. Era possibile che solamente sentendo quel tono di voce, quella voce soffice, che Thomas non aveva mai mostrato fino ad allora, Newt fosse cascato nella sua trappola? Deglutì, il biondiccio, guardando gli occhi dell'altro ragazzo attraverso il riflesso del Fagiolo
« Mi piace molto. E' così particolare che ti toglie il fiato. » 
« Già, lo penso anche io. » 
Gli occhi di entrambi erano rimasti incatenati attraverso il riflesso della scultura. Nessuno dei due fece niente, nessuno dei due si mosse o disse qualcosa, rimasero semplicemente così, a fissarsi attraverso un riflesso, uno strano silenzio che aleggiava tra i due.
No, Newt non aveva mai creduto all'amore a prima vista, eppure non sapeva spiegarsi cosa stava succedendo in quel momento. "Segui il tuo cuore", gli aveva detto la madre.
Ma se lo avesse seguito, dove lo avrebbe portato? Forse solo ad immischiarsi in qualche guaio. E lui odiava i guai.
Newt voleva avere tutto programmato, tutto sotto controllo, da sempre. E quel "segui il tuo cuore" non lo vedeva molto sotto il suo controllo. Si schiarì un po' la gola, distogliendosi da quei pensieri e voltandosi, trovando il volto di Thomas che gli sorrideva, una sigaretta spenta in bocca, i capelli arrufati dal vento.
Oh, se era nei guai.

La serata si stava concludendo velocemente, troppo velocemente per i gusti dell'inglesino. Avevano passato tutto il tempo sotto al Fagiolo, ridendo, parlando, si erano fatti persino un paio di foto, ed in quel momento Thomas stava riaccompagnando Newt alla fermata di metro che avrebbe dovuto prendere, dato che lui, invece, abitava proprio lì vicino.
Era andato tutto bene. Tutto fin troppo bene, tanto che Newt da un momento all'altro si aspettava che Thomas saltasse e se ne uscisse con un "AH! Credevi che fossi interessato, eh? Invece sono etero al cento per cento e ti stavo solo prendendo per il culo!" o una cosa del genere, insomma.
« Quindi ora conosci Chicago, uh? Che ne pensi? »
Domandò il moro di punto in bianco. Newt si girò verso di lui con un sorriso stampato in volto e qualche ciuffo ribelle che gli cadeva davanti agli occhi scuri. 
« Non è Plymouth, è tipo ... tutta un'altra storia. Cioè, quella è una cittadina piccolissima, e non c'è praticamente nulla di nulla, qui c'è vita, c'è una popolazione decente e- »
Newt si bloccò quando capì che Thomas non lo stava seguendo. Piuttosto seguiva qualcos'altro, con lo sguardo perso dietro di lui, l'espressione accigliata, la mascella contratta ed i pugni stretti, così stretti da far diventare le nocche bianche.
Si voltò, lui, tentando di capire cosa aveva fatto innervosire in quel modo Thomas, ma non vide altro che gente. Troppa gente, non sapeva dove guardare, quindi tornò con lo sguardo sul moro.
« Thomas, che succede? » 
Le parole uscirono con un tono preoccupato e premuroso allo stesso tempo, e Thomas lo captò. Il suo sguardo era diventato più freddo, ora che si era posato in quello di Newt.
« Niente. »
La voce glaciale, ferma, ed un Thomas più scostante che mai.
« Thomas, seriamente, mi stai spaventando dimmi cos- » 
« Ho detto niente Newt santo cielo! Non sono affari tuoi, okay? Non mi conosci nemmeno, ma cosa diavolo vuoi?! Non immischiarti, hai capito? »  
Cosa era successo? Thomas era cambiato da un momento all'altro, dal giorno alla notte, in due secondi netti era diventato un ragazzo che non aveva la minima intenzione di parlare con Newt, di dirgli cosa lo preoccupava.
« Devo andare, forse è meglio che la chiudiamo qui. Ciao. »
E in un attimo Thomas era scomparso, così come tutto il tempo che avevano passato insieme quella sera. Newt era rimasto fermo imbambolato come un pesce lesso davanti alla fermata della metro, mentre osservava la figura di Thomas, ora incappucciato, che si allontanava dalla parte opposta rispetto alla sua, l'ennesima sigaretta fra le labbra. 
Ferito. Ecco com'era rimasto, lui. Era rimasto ferito perché probabilmente se lo aspettava, eppure gli era sembrato tutto troppo bello, perché potesse davvero andare come volesse lui. L'ennesima volta nella quale era rimasto deluso.
Il vento soffiava, ma non riusciva a sentire il gelo che lo penetrò, perché non riusciva più a sentire niente. Ci aveva sperato. Per una volta aveva sperato che qualcosa potesse andare bene, nella sua vita, che potesse andare come lui voleva, e come al solito il suo sogno si era distrutto sotto i suoi stessi occhi.
Thomas l'aveva distrutto. Con i suoi occhi marroni scuri ed i suoi capelli perfetti ed il suo naso all'insù e DIO! come aveva fatto ad essere così stupido? Era ovvio che non sarebbe riuscito ad ottenere niente da un ragazzo del genere, come poteva anche solo sperarci? 
Un'altra sferzata di vento gelido lo colpì proprio sul viso. Sentì gli occhi puncicare e decise che era tempo di tornare a casa, non voleva rimanere un minuto di più in quel posto.


NdA:
*Schiva i pomodori* Non mi uccidete, ve ne prego ç___ç
Thomas nasconde qualcosa. Io l'avevo detto, che il bello sarebbe arrivato nei prossimi capitoli! Sembrava tutto rose e fiori, per Newtino nostro, quando Tommy ha accettato, eh? Eppure no, ovviamente la scrittrice stronza ha dovuto rovinare tutto perché le piace far soffrire i suoi personaggi. Come al solito. :) :) :) :)
Vabbè, Thomas ha sclerato e Newt poraccio c'è rimasto male, ma non vi preoccupate, rimedierò, lo giuro!
Passiamo ora ai ringraziamenti che è meglio. Al primo posto come al solito la mia beta/migliore amica/manager Asia, che mi ha fatto da musa ispiratrice, miss u!
Poi vorrei ringraziare sgranocchiandotacchino, ehyrivera, thomasnewtgally che recensiscono sempre i miei capitoli; la mia BRO larryslovebirds che ho introdotto in questo fantastico mondo dei Newtmas e che lovvo tanto, e di nuovo le ragazze del Dylmas culopesca , gli scleri con voi sono i migliori! Soprattutto Ele aka norawasabi che è diventata la fan numero uno! A tal proposito vi ringrazio per le belle parole che spendete per me, sono davvero contentissima che la mia ff vi piaccia!
Dopo questo poema (è più lungo del capitolo, praticamente) vi lascio, al prossimo aggiornamento! <3

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Capitolo 7
*** sixth chapter. ***


sixth chapter.

Look for my heart,
You stole it away.

Prima che la sveglia potesse anche solo fare un accenno del primo suonetto irritante, gli occhi di Newt erano aperti.
Aveva passato la notte insonne, come del resto tutto il weekend. Aveva pensato, pensato pensato e ripensato a cosa era successo quel venerdì sera, e, Dio, se si dava dello stupido per quello, ma non poteva evitarlo.
Ripensava agli occhi glaciali di Thomas, a come gli aveva detto "forse è meglio se la finiamo qui", a come era scappato via da lui, via da quel qualcosa di speciale che Newt aveva intravisto sotto la scultura del Fagiolo, al centro della piazza. Forse era stato Newt, allora, che si era illuso che potesse andare nel verso giusto. Allora era stata sua, la colpa. Non di Thomas, o di ciò che aveva visto.
Perché come al solito correva. Si passò una mano sugli occhi stanchi, doveva prendere le forze e alzarsi, affrontare una nuova giornata allo studio legale, anche se nemmeno lì le cose sembravano andar bene, per lui. Continuava a fare l'assistente di turno, quello che portava i caffè, quello che doveva segnare gli impegni altrui.
Ma come far capire al signor Ankin che anche lui, alla fine valeva qualcosa?
Forse sarebbe stato meglio rimanere a Plymouth, si disse in un momento di estrema auto-commiserazione. Eppure la possibilità che gli era stata data era immensa, e lui era grato per questo.
Fu per questa motivazione, e solamente questa, che quel giorno Newt si alzò dal letto e si trascinò al lavoro. Di nuovo, la routine lo colpì come ogni giorno.
Si alzò, si fece la doccia, fece colazione, si vestì, prese la metro, tutto monotono. Tutto troppo vuoto. Nonostante i ricordi vividi dell'appuntamento andato a finire decisamente male, a Newt mancavano quegli occhi marroni, a Newt mancava Thomas.
E non il Thomas del bar, non quello che l'aveva preso in giro la prima sera, o il Thomas che lo aveva cacciato in malo modo, no. A Newt mancava il Thomas che aveva conosciuto sotto il Fagiolo, quello che si era messo a raccontare tutto di lui, quello che l'aveva fatto ridere e l'aveva spinto a parlare di sé. Il Thomas che, in davvero pochissime ore, era stato in grado di cambiarlo, anche se solo per una piccola parte.
Sospirò, reggendosi al palo giallo del treno della metro nel quale stava sostando. Si guardò un po' in giro, tentando di svagare i pensieri, eppure non riusciva a distoglierli dal ricordo di quella serata. Sì. Ecco come aveva passato il weekend. A rimuginare su quel maledettissimo appuntamento, a rimuginare sui sentimenti che aveva provato solamente guardando l'altro ragazzo, a rimuginare su quanto lui fosse stupido.
Portò una mano nei capelli, riavviandoli con le dita, quando il telefono dentro la sua tasca dei jeans prese a vibrare. Il suo cuore perse un paio di battiti, come lui perse un paio di squilli, mentre l'ansia lo divorava da dentro: aveva paura di leggere il nome sullo schermo. Aveva paura di potervi trovare scritto Thomas. E aveva ancora più paura di potervi trovare scritto, invece, un altro nome. 
Mamma.
Un sospirò uscì dalle sue labbra sottili mentre si portava il telefono all'orecchio, non sapeva se per la delusione o per il sollievo, i suoi sentimenti erano così contrastanti che aveva la vivida immagine mentale di quelli che facevano a botte, come due persone vere. Scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e cominciando ad ascoltare ciò che la madre aveva da dire.
Negli ultimi giorni l'aveva chiamato spesso, probabilmente perché aveva avvertito il suo stato d'animo così cupo. Era incredibile, sua madre riusciva sempre a capire come stava prima che anche lui potesse farlo.
Avevano sempre avuto un rapporto speciale, e Newt ne era sempre stato più che contento. 

« Buongiorno Newton. »
La voce di Angelica lo accolse non appena entrò nello studio legale. Ancora non aveva capito che lui odiava il nome Newton, non a caso si faceva sempre chiamare Newt, da tutti. Non aveva mai capito il vero motivo per il quale la madre aveva deciso di dargli il nome di uno che aveva scoperto la gravità, ma i suoi genitori erano sempre stati fuori dal normale, ed il ragazzo non aveva mai fatto nulla per cambiarli.
Alzò la mano verso la segretaria che riprese a parlare al telefono (chissà con chi parlava, poi) in segno di saluto, e poi si tirò su la cartella, mettendola meglio sulla spalla, mentre con i soliti passi lenti e calcolati avanzava verso la sua postazione. Aleggiava una strana aria, quel giorno, nello studio legale. Erano tutti con la testa china sui fogli davanti a loro, le cartelle dei casi aperte sui tavoli, sparsi.
Newt si accigliò, ignaro di cosa stava succedendo. Si avvicinò, quindi, alla scrivania di Brenda, notandola tutta concentrata nello scrivere qualcosa, mentre toglieva e metteva fogli su una pila infinita. Si appoggiò con le mani all'estremità opposta rispetto a quella dalla quale era seduta Brenda e la fissò, finché il suo sguardo non attirò l'attenzione della moretta, che si riscosse immediatamente.
« Newt! Mi hai fatto prendere un colpo, giuro. »
« Era la mia intenzione. Che succede, Bren? »
Chiese usando quel nomignolo per la prima volta da quando era arrivato lì allo studio. Piano piano aveva avuto l'opportunità di conoscere davvero quelle persone, aveva cominciato ad affezionarsi a loro, e nemmeno poco, era più che felice che anche loro, da come aveva potuto vedere, stavano cominciando a fare lo stesso.
 « Eh? Ah, oddio, non lo sai? »
Un sopracciglio biondo di Newt si alzò, mentre lui incrociava le braccia al petto, alzandosi dalla posizione amichevole in cui si era messo, per prendere quella che era più sulla difensiva. Insomma, ma perché nessuno gli diceva mai niente lì dentro?!
« No. Non so mai niente qui dentro, a quanto pare. »
« Oh, andiamo. Non fare così. Ad ogni modo, hai presente il nuovo caso? Ecco, ci sono stati stani risvolti, qualche sera fa. C'è stato un morto, dicono sia colpa della droga e ... stiamo tutti un po' incasinati, al momento. »
Il naso di Brenda di arricciò in una smorfia. In effetti era strano, stavano portando avanti quel caso da un po' e ancora non era successo niente, eppure ora, da quanto diceva la ragazza di fronte a lui, qualcuno era morto. C'era qualcosa di grosso sotto.
Anche il naso di Newt si arricciò, mentre si sporgeva un po' per leggere quello che le schede dicevano: non sapendo le precedenti riguardo quel caso, però, non ci capì molto. Scosse la testa, e si alzò definitivamente, indicando con il pollice il proprio studio.
« Se vuoi possiamo dare un'occhiata insieme, magari dopo pranzo. Ora devo riordinare delle cose. »
E Newt sperava con tutto il suo cuore che finalmente quello poteva essere il suo trampolino di lancio, che finalmente Brenda gli avrebbe detto di sì, e che lui avrebbe potuto dimostrare quanto in realtà valesse. La moretta si passò una mano fra i capelli corti, arruffandoli leggermente, e poi spostò gli occhi in quelli del biondino, sorridendogli appena.
« E' una buona idea, certo. »
Non ci poteva credere. Finalmente avrebbe avuto accesso ad un vero caso, finalmente avrebbe potuto leggere qualcosa e capire, magari anche risolvere un caso che stava facendo andare tutti fuori di testa, in quel periodo. Sorrise alla ragazza, ringraziandola con lo sguardo, e poi se ne andò nella sua stanza, cominciando a sistemare qualche file che gli era stato assegnato quella mattina, che si era ritrovato sulla scrivania, come ogni mattina.
Le ore volarono, Newt non alzò il naso nemmeno per un momento, preso dall'idea che, se avesse chiuso tutto ciò che doveva chiudere in tempo per il pranzo, subito dopo aver mangiato allora avrebbe finalmente avuto modo di discutere con Brenda di quel caso.
Un bussare lieve sulla porta di vetro fu l'unica cosa che gli fece riprendere coscienza della situazione. Alzò gli occhi ed incontrò la figura di Minho che sostava davanti alla sua porta.
« Minho, buongiorno. »
L'asiatico gli sorrise, facendogli un cenno con la mano di saluto. Anche lui sembrava tremendamente stanco, tutti nello studio si stavano scervellando per quel caso, a quanto pareva, tutti tranne Newt. Non sapeva se ritenersi fortunato, viste le occhiaie che circondavano gli occhi di Minho, oppure se ritenersi escluso, visto che ancora non sapeva niente.
« Abbiamo ordinato il pranzo dal pub, senza che usciamo, dato che siamo piuttosto presi. Tra dieci minuti mangiamo tutti insieme sui divanetti quelli all'ingresso, ci stai? »
« Certo che ci sto. »
Minho gli sorrise e si incamminò verso la sua postazione, cominciando a riordinare qualche foglio. A quel punto della giornata, Newt era più curioso che mai di scoprire cosa c'era di quel caso che stava facendo finire in manicomio tutti quanti. Si alzò anche lui, riordinando qualche foglio e mettendo sulla scrivania ciò che aveva impilato fino a quel momento.
Si diresse verso i divanetti che Minho gli aveva indicato poco prima e cominciò a chiacchierare allegramente con tutti gli altri. Un'altra cosa che aveva notato, quel giorno, era che Minho e Brenda non si parlavano, mentre Teresa sembrava essere una cozza, sempre appioppata al ragazzo orientale. A quel punto si chiese se quel Lunedì qualcuno non avesse deciso che tutto doveva andare storto a tutti
Era abbastanza evidente che qualcosa era successo tra quei tre, ma in quel momento l'unica cosa che occupava la testa del biondo era il rumore della sua pancia che brontolava per la fame. Stranamente, sommerso da quel lavoro, Newt non aveva avuto modo di pensare neanche per un minuto al barista moro che tanto l'attraeva, e non voleva cominciare proprio in quel momento.
Quando Minho si alzò, per andare ad aprire al fattorino che avrebbe consegnato loro il cibo, quel giorno, Newt si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, che gli morì, nonostante tutto, in gola non appena vide chi era il fattorino.
« Mi state prendendo in giro. »
Commentò a bassa voce, osservando la figura alta e muscolosa di Thomas che entrava, poggiando le buste sul tavolo al centro, e consegnava il conto a Minho. Inevitabilmente il suo sguardo incontrò quello di Newt, che a sua volta cominciò a fissarlo.
Ma non c'era più quell'attrazione che aveva tanto sospirato in quei giorni, c'era solo dolore mischiato a rabbia, per ciò che gli aveva detto e per come l'aveva lasciato. Si alzò, quindi, dal divanetto, sussurrando a Brenda una scusa improvvisata, e dirigendosi fuori dallo studio.
Oltrepassò Thomas, che lo seguì con lo sguardo, e si rifugiò sulla strada asfaltata subito fuori dalla porta a vetri che recitava il nome dello studio legale, sedendosi sul gradino adiacente alla porta. Quando sentì dei passi dietro di lui si aspettò la figura di Brenda che arrivava a consolarlo, ed invece si ritrovò davanti qualcuno di totalmente diverso.
Alzò gli occhi sul volto di Thomas, incrociando le braccia al petto.
« La mia parte del pranzo l'ha pagata Brenda, ho lasciato i soldi a lei. »
Disse freddo. Thomas era nervoso, glielo si leggeva in faccia, eppure Newt non riusciva a non essere ancora più incazzato, perchè era tremendamente bello anche così.
« Non è di questo che volevo parlare. »
« Allora non parlare di niente, è meglio. »
Asserì Newt, freddo come il ghiaccio. Qualcosa negli occhi di Thomas improvvisamente si incupì, Newt riuscì a percepirlo anche da quella distanza.
« Permettimi di spiegarti, Newt, ti prego. »
Provò il moro, avvicinandosi di qualche passo a lui. Immediatamente Newt saltò in piedi, avvicinandosi all'altro ragazzo con tutta la rabbia repressa di quei giorni che esplodeva negli occhi.
« No, Thomas, non te lo permetto. Mi hai lasciato lì, da solo, al freddo, senza nemmeno una cazzo di spiegazione del tuo comportamento. Mi hai detto che era meglio finirla lì e che non sono tua madre, che non devo farmi i cazzi tuoi. Beh, sai che c'è allora? Non me li farò, è meglio così. La prossima volta che ci porti il pranzo, fai avvisare, così io me ne vado. »
Gli voltò le spalle, facendo per entrare di nuovo nello studio legale, gli voltò le spalle per sempre, si disse, non avrebbe più pensato a lui e avrebbe chiuso la cosa lì, perché non vedeva altra via, perché non ci sarebbe potuto essere niente.
Ma l'improvvisa realizzazione che qualcuno lo stava tenendo per il polso lo fece fermare, e voltarsi. La presa di Thomas era ferrea, le sue nocche erano diventate bianche per quanto era intento a stringere, e la mascella era serrata, il volto segnato da un'espressione corrucciata.
« Non voglio che tu te ne vada. »
La frase fu appena sussurrata, ma perforò le orecchie di Newt talmente forte che poteva benissimo averla urlata da un megafono. I suoi occhi si spostarono dalla mano di Thomas chiusa intorno al suo polso ai suoi occhi scuri, che sono fermi sul suo viso, duri.
Newt inspirò forte dal naso, avvicinandosi un po' di più all'altro ragazzo, per fare in modo che la presa si allentasse, e la sua mano scivolasse nuovamente lungo il suo fianco.
« Senti ... »
« No, Thomas, senti tu. Ero ubriaco, quella sera, okay? Forse- è stato un errore, accettare quell'appuntamento, e forse è meglio così, davvero. »
Scosse la testa, Newt, consapevole che stava spingendo l'ennesima persona lontana da lui, una persona che incredibilmente l'attirava, ma che in pochi giorni era stato capace di mostrare diverse sfaccettature di lui e, diciamocelo, non tutte erano proprio perfette.
« O forse no. »
Un altro sussurro da parte del moro, che a sua volta aveva alzato gli occhi scuri in quelli di Newt, affrontando per la prima volta il suo sguardo.
« No? »
« No. Ascolta, tu hai detto che eri ubriaco no? Che è stata tutta colpa dell'alcol, se mi hai chiesto di uscire, giusto? »
Newt annuì silenziosamente, curioso di dove il discorso di Thomas li avrebbe portati. Poteva scorgere il nervosismo del ragazzo di fronte a lui dalle sue mani grandi che si torturavano. Era strano, quello era il Thomas che lo interessava di più, non quello stronzo che lo aveva lasciato da solo davanti alla fermata della metro.
Thomas prese un grosso sospiro, evidentemente agitato da tutta quella situazione. Per il poco tempo nel quale l'aveva conosciuto non aveva mai visto quella parte di lui, forse perché non la faceva mai vedere, perché, come Newt aveva dedotto, voleva sempre essere il fighetto della situazione.
Manco gli leggesse nel pensiero, Thomas si raddrizzò, ed un sorrisetto gli nacque sul volto, prima di parlare di nuovo.
« Bene, okay. Allora io te lo chiedo da sobrio: usciresti con me? »
Newt fu preso alla sprovvista da quella domanda, tanto che le sue braccia scivolarono e la sua bocca si aprì leggermente in una piccola 'o'. Farfugliò un qualcosa di indefinito anche a lui stesso, per poi prendere un grosso respiro e rispondere, guardando Thomas negli occhi.
« Io- Sì. »


NdA:
Oh Cristo, che parto questo capitolo. AHAHAHAH La prima parte è stata lenta, devo dirvelo sinceramente, non riuscivo proprio a buttarla fuori, aprivo il documento e chiudevo, ma da lì in poi è venuto tutto da solo e ho finito in un giorno, sono contenta!
Insomma, qui il nostro Tommy si scusa, e gli chiede di uscire di nuovo, e Newt -- ovviamente, sei cotto, hon -- accetta! Che amori, aw.
Scusate se sto pubblicando con un giorno di ritardo, purtroppo ieri non ho avuto tempo nemmeno per guardare il pc da lontano che ah, a proposito ... ha la batteria fusa, e dovrò mandare in assistenza. YOLO.
ANYWAY, soliti ringraziamenti, solita gente, soliti cuoricini, se volete un sunto: VE SE AMA! 
Al prossimo capitolo, gente. <3

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Capitolo 8
*** seventh chapter. ***


seventh chapter.

I've got these feelings for you,
and I can't help myself no more.

Quando Newt era rientrato, dopo aver parlato con Thomas, tutti si erano accorti dello strano sorriso che gli aleggiava in volto. Non poteva evitarlo, era più forte di lui, ma al ricordare solamente di ciò che era appena successo al di fuori di quelle porte non poteva che sorridere.
E pensare a quanto Thomas lo stesse influenzando.
Chi avrebbe mai detto che un barista tutto fatto di presunzione e battutine saccenti sarebbe diventato così importante nelle sue giornate? Chi avrebbe mai detto che Newt si sarebbe preso una cotta così stratosferica per un ragazzo conosciuto solo poche settimane prima?
Brenda lo guardava con una mano sotto al mento, mentre con la forchetta rigirava le poche foglie di insalata che c'erano ancora nel suo piatto, Minho sorrideva come un cretino e Teresa ... beh, lei era raro che facesse o dicesse qualcosa che si avvicinasse all'intelligente, quindi semplicemente stava zitta. 
Newt aveva stampato in faccia quel sorrisino da idiota che solo una quindicenne stracotta riusciva ad avere, e nonostante le avesse provate tutte, per farlo andare via, dal pensare a cuccioli di cane morti o a criceti dilaniati, non riusciva proprio a toglierselo dalle labbra.
E, forse, nemmeno voleva.
« Newt? Stai sorridendo come un deficiente da minimo tre quarti d'ora, mi dirai cos'hai prima o poi oppure continuerai così? »
La voce scocciata di Brenda lo riportò bruscamente alla realtà, e subito lui alzò lo sguardo verso di lei, come se fosse appena cascato dalle nuvole e avesse battuto il sedere a terra talmente forte da farlo urlare.
« Oh, ehm ... scusami. No, niente, ho parlato un po' con Tommy di fuori e- »
« Tommy? »
Un sopracciglio della brunetta si inarcò violentemente quando ripetè il soprannome che Newt aveva ormai affibbiato al moretto. 
« Thomas, il barista del Moonlight, quello che ci ha appena portato il pranzo, hai presente? »
« Sì, Newt, so chi è Thomas. Solo, non sapevo che voi aveste tutta questa confidenza, dato che fino a qualche giorno fa sembrava che ti avesse ucciso il cane, tutto qui. »
Quella volta fu il turno delle spalle, che si alzarono in contemporanea alla fine della frase detta da Brenda. Newt sospirò, effettivamente Brenda aveva ragione. Era stato forse uno stupido, ad accettare quel secondo/primo appuntamento?
Avrebbe dovuto respingerlo e dirgli che aveva fatto talmente tanto un danno, con lui, che non lo voleva più vedere?
Cominciò a torturarsi un labbro, ed il tocco leggero della mano di Brenda sul suo braccio gli fece voltare il capo proprio verso di lei, un'espressione mista tra la curiosità e l'indecisione stampata sul volto.
« Newt, devi fare quello che ti rende felice, lo sai vero? »
Il punto era: cosa lo rendeva felice? Stare con Thomas di certo, ma con il Thomas gentile, quello che aveva avuto occasione di conoscere quelle poche volte, ma che durante quelle volte aveva dimostrato di essere un ragazzo gentile e dolce, non il solito ragazzo senza cervello. Ma se fosse successo come la scorsa volta? Se lo avesse lasciato lì, al secondo appuntamento, di nuovo, da solo? 
« Sì, Brenda, lo so. »
Commentò lui con un sorriso. Alla fine, forse avrebbe fatto come tutti gli stavano suggerendo: avrebbe seguito il suo cuore. Ma ora doveva distrarsi, e pensare ad altro. Incontrò gli occhi di Brenda con i propri e gli fece un sorrisetto.
« Torniamo ad occuparci del caso, ti va? »
« Sì, certo. »

E di nuovo, Newt era agitato.
Si guardava nervosamente allo specchio, tentando di trovare qualcosa che gli stesse bene addosso e che andasse bene con ciò che Thomas voleva portarlo a fare quella sera. Gli aveva detto di vestirsi comodo, niente di speciale, niente cene in ristoranti di lusso o cose del genere, sarebbero stati soli loro due, nient'altro.
E, oh, se era agitato. 
Deglutì per l'ennesima volta a vuoto, sentento il cuore perdere un battito quando il suo cellulare vibrò e di conseguenza il led in cima allo schermo si illuminò, segno che c'era un nuovo messaggio per lui. Con il labbro inferiore stretto tra i denti sbloccò lo schermo, leggendo il nome del mittente: Thomas.

(19.53)
Scendi.


Oh, santo cielo, lo era venuto a prendere. 
Sì, beh, certo, gli aveva dato lui l'indirizzo quella mattina, tramite messaggio. Per cosa lo voleva, sennò, per andare sotto casa a fargli da stalker personale?
Sbuffò, il biondo, accaparrando le cose che aveva preparato, come occhiali da sole, portafoglio, telefono, e poi scese giù in fretta, chiudendosi il portone alle sue spalle, con un tonfo sordo.
La prima cosa che Newt notò fu la moto nera che era parcheggiata di fronte al suo appartamento. In un primo momento si chiese a chi appartenesse, e poi la seconda cosa che Newt notò fu Thomas appoggiato con il fondoschiena ad essa, un giacchetto di pelle nero, come la moto, a coprirlo dal vento che si stava alzando. La terza cosa che Newt notò fu che Thomas aveva una moto, e che ci sarebbe montato sopra, e che sarebbero andati nel luogo del loro appuntamento sulla moto di Thomas.
Oh, avrebbe dovuto prevederlo, che aveva una moto.
Gli occhi dell'altro ragazzo incontrarono, finalmente, quelli di Newt, ed un sorrisetto gli nacque in volto.
« Oh, eccoti qua! Sei pronto, biondino? »
E fu in quel preciso momento che Newt capì di aver perso tutte le speranze, con quel ragazzo. Era inevitabile, più continuava a dire di volerlo odiare, dopo quello che aveva fatto, più lui riusciva a suscitargli ben altri sentimenti. Era tutta colpa sua, quel piccolo--
« Non sapevo avessi una moto, Tommy. Ma ci sta, con tutto il look da "cattivo ragazzo", sai. »
Il biondino si avvicinò a lui con un sorriso, mentre l'altro gli porgeva un casco nero che aveva stretto fra le mani. Newt indossò il giacchetto che, per sicurezza, si era portato, e prese il casco dalle mani di Thomas, indossandolo subito dopo, imitato subito dal ragazzo di fronte a lui. 
In pochi secondi entrambi furono sulla moto, e Thomas si girò a guardare Newt. Di profilo era anche più bello.
« Reggiti a me. »
E poi la moto partì. Il primo istinto di Newt fu quello di circondare la vita di Thomas con le proprie braccia, fu una cosa talmente automatica che nemmeno ebbe il bisogno di pensarci sopra, o di dirsi "Che diamine stai facendo?!".
Le mani del biondo trovarono subito la loro via sopra al giacchetto di pelle nera dell'altro ragazzo, che era tutto intento a guardare di fronte a lui e sfrecciare in mezzo a file infinite di macchine. L'aria sferzava sul volto di Newt, che con un sorriso stampato sulle labbra guardava gli alberi sfilare velocemente sotto ai suoi occhi, che piano piano lasciarono spazio ad un'area più urbana, ed infine, al mare. Gli occhi del biondino si allargarono quando intravide il blu dell'oceano che sfrecciava al loro fianco, e si sporse leggermente per poterlo guardare in volto.
« Il mare? »
« Il mare. »
Il cartello con la scritta "North Avenue Beach" fece capolino sotto gli occhi di Newt, che si incresparono a causa del sorriso che nacque sul suo volto, dandogli un po' un'espressione da ebete. Eppure il biondino non se ne rese nemmeno conto, preso com'era dall'idea di loro due tutti intenti a fare un pic-nic in riva al mare.
Si morse un labbro, allontanandosi da lui per non fare in modo che scorgesse il rossore sulle sue guance, che non era affatto dovuto al vento fresco che sbatteva contro il casco, penetrandovi anche all'interno.
Andare sulla moto con Thomas era come ricevere una botta di vita in piena faccia, sentire il vento sul vito, tenere la vita del ragazzo stretta a lui ... era una sensazione meravigliosa. Ma nonostante tutti quei sentimenti che avevano preso possesso del suo corpo e della sua mente Newt sapeva bene che doveva stare più che attento a ciò che sarebbe successo.
Non poteva lasciare che Thomas lo ferisse un'altra volta, quel giorno.
In poco tempo raggiunsero la spiaggia, la sabbia giallognola, fine, l'oceano a due passi, i grattacieli che spuntavano da dietro. Newt rimase incantato da tutto ciò per qualche momento: era così perfetto. Tutto, non solo la spiaggia, o il mare, o il calare del sole sulla linea dell'oceano, ma essenzialmente il momento che stava vivendo lo era.
La sabbia era fresca a contatto con le mani di Newt che, seduto su un telo appositamente portato da Thomas, guardava quest'ultimo mentre sistemava le varie cose da mangiare che aveva portato personalmente all'interno di un vero e proprio cestino da pic-nic.
Newt non riuscì a fermare la risatina che proruppe dalle sue labbra fini, mentre osservava quell'intricata massa di vimini al suo fianco. Con un dito longilineo la indicò, attirando così l'attenzione del ragazzo che si era appena seduto al suo fianco.
« Anche il cestino della nonna? Wow, Tommy. »
Una risata distese le labbra dell'altro ragazzo, e Newt notò solo in quel momento che non aveva mai detto nulla sul fatto che lui avesse preso il vizio di chiamarlo Tommy. Era un soprannome che gli stava bene, aveva pensato lui, c'era un qualcosa che quasi lo spingeva, a chiamarlo Tommy.
« Hey, mia nonna è stata più che contenta di cedermelo. »
Un'altra risata uscì dalle bocche di entrambi, che per un momento incastonarono gli occhi dell'uno in quelli dell'altro. Una cascata di ambra contro una di cioccolato caldo.
E rimasero semplicemente così, i sorrisi stampati sulle labbra, gli occhi incollati, come se una strana forza non permettesse loro di voltare lo sguardo, cambiare direzione.
E Newt in quel momento si sorprese della rapidità con la quale i sentimenti per il moro avevano preso il sopravvento all'interno della sua mente e del suo corpo.
Forse stava correndo. Forse stava sbagliando. Forse no.
Eppure quello fu il primo momento della sua vita in cui si sentì realmente bene.

« Per questo, caro il mio biondino, non si chiede mai una "birra forte" in un pub. »
Thomas portò il collo della bottiglia di birra alle labbra, bevendone un generoso sorso, mentre Newt giocava con la sua, di bottiglia, ancora mezza piena. Ridacchiò, agitando una mano in aria come a voler minimizzare il fatto che avesse fatto quella brutta figura proprio durante il loro primo incontro.
« Senti, ero stressato dal lavoro, dai miei colleghi, da ... non lo so, volevo fare il duro e, davvero ... stai ridendo, ti ho visto! »
Non potè fare a meno di notare come Thomas avesse preso ad essere scosso da singhiozzi, segno della risata che stava evidentemente trattenendo, ma non ci stava proprio riuscendo alla perfezione. Newt gli diede un piccolo cazzotto sulla spalla, amichevole, mentre anche lui si scioglieva in una risata.
« Eppure eri carino anche mentre chiedevi una "birra forte", lo sai? »
Fu poco più di un sussurro, ma Newt lo percepì comunque. Si voltò verso Thomas, un sorrisetto in volto, la mano ancora ferma sul collo della bottiglia che aveva lo stesso colore dei suoi occhi. Anche l'altro ragazzo aveva stampato in volto quello che somigliava ad un sorriso imbarazzato, mentre i suoi capelli si muovevano a causa del vento leggero che si era alzato in quel momento.
« Beh, grazie. »
Newt si morse un labbro sussurrando quella frase, mentre i suoi occhi si spostarono sul sole che, davanti a loro, si accingeva a sparire dietro la linea dell'orizzonte. Il tramonto lo faceva impazzire, quando il cielo si colorava di tutti quei colori diversi, quando il sole lentamente spariva e lasciava spazio alla luna, che si ritrovava a dominare in cielo, da sola, accompagnata solo dal luccichio flebile delle stelle.
Al tramonto l'atmosfera cambiava, le persone in controluce sembravano ombre che camminavano sulla spiaggia, ridendo e chiacchierando fra di loro. Newt sospirò e spostò nuovamente lo sguardo in quello di Thomas, che, però, non aveva lasciato il suo volto.
Anzi, ora era ancora più vicino.
Tanto vicino. Troppo
Poteva leggere nei suoi occhi, attraverso quella scintilla che scorgeva, l'emozione del momento. Poteva distinguere ogni sfumatura del colore ambrato che essi possedevano, poteva contare le goccioline di colore più scuro che campeggiavano nelle sue iridi.
Ma sentire la morbidezza delle sue labbra sulle proprie fu tutta un'altra cosa.
Newt si avvicinò di più, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo che aveva preso l'iniziativa, mentre sentiva le dita dell'altro intorcinarsi in alcune ciocche dei suoi capelli.
Non fu un bacio da film, non ci furono fuochi d'artificio, una banda sotto, una gondola o una nave che presto avrebbe colpito un icerbeg e sarebbe affondata.
Fu un bacio calmo, rilassato, uno scontro di labbra che si cercavano da fin troppo tempo, che finalmente avevano avuto l'occasione di trovarsi. Fu bello sfiorarle, sentire il calore contro le proprie, chiudere gli occhi e per un attimo dimenticare tutto. Non fu un bacio esagerato, un bacio urgente, un bacio irruento, fatto di lingue, denti, e cose del genere.
Ma fu un bacio perfetto per loro.

NdA:
Mi sentite awwwware da qui fino a dopodomani vero? Vero?! Sto pure aggiornando con un giorno di anticipo, mi merito un premio.
Sì, vabbè, cioè-- io mi sto immaginando questo bacio sulla spiaggia e boh! Complimenti all'autrice, insomma. eheheheh.
Ad ogni modooooo, capitolo dettato dal fluff per questi due. Devo ammettere che questo bacio era programmato dall'inizio della ff, ma mi è piaciuto così tanto scriverlo che sjfbjs urlo.
Tanto. Troppo.
Godetevi il fluff, ragazzi, perché vi assicuro che l'angst tornerà! *regala pomodori da lanciare in faccia all'autrice.* Scusate, ma devo. Devo proprio, perché ... perché io vivo di angst. Respiro angst, mangio angst, sono l'angst. Ed infatti Dio mi ha punito decidendo che dovevo mandare il portatile in assistenza, per cui ora sto dal fisso ( o come mi piace chiamarlo "il fossile"). Non essendo più abituata mi scuso per eventuali errori grammaticali.
E nel frattempo ringrazio le 13 persone che hanno preferito questa storia, le 4 che la ricordano e le 23 (!!!) che la seguono. Ovviamente ringrazio sempre il #TeamCulopesche, soprattutto le mie mogli Paula ed Eleonora, fan sfegatate della ff insieme a Beatrice che mi fa violenza psicologica su twtter. Grazie davvero, guys, sono così contenta che questa storia vi piaccia!
Al prossimo aggiornamento! <3

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Capitolo 9
*** eighth chapter. ***


eight chapter.

And now that I've found my side,
Oh, I finally realize that it was there the whole time.

Una settimana e mezzo dopo, Newt aveva ancora le sensazioni di quel bacio sulla bocca dello stomaco, e anche sulla sua, di bocca. Ricordava ancora perfettamente le labbra di Thomas muoversi delicatamente sulle proprie, ricordava ancora perfettamente com'erano rimasti, subito dopo, a fissarsi imbambolati, o come poi Thomas l'aveva accompagnato con la moto sotto casa, e l'aveva baciato.
Di nuovo.
Molte volte.
Nonostante sapesse che Thomas l'aveva ferito, poco tempo prima, e non poco; nonostante fosse a conoscenza del fatto che non era una cosa certa che Thomas non l'avrebbe rifatto, Newt non riusciva a non dirsi letteralmente euforico riguardo a tutto ciò che provava in quel momento per quel moretto dagli occhi ambrati.
L'inglesino si rigirò nel letto, gli occhi ancora chiusi, le ciglia creavano un'ombra lunga sugli zigomi, e i timpani furono perforati dal solito suono antipatico della sveglia, che lo svegliò in due secondi netti. Aprì controvoglia gli occhi, sbattendoli due o tre volte, prima di puntarli sul bianco soffitto del suo appartamento. Una nuova settimana di lavoro stava cominciando, un altro lunedì speso tra i diversi casi da archiviare nel freddo magazzino sotto allo studio legale, un'ennesima giornata a guardare Brenda, Minho e Teresa portare avanti il loro triangolo amoroso, ridacchiando sotto i baffi, pensando a quanto fosse stupido e cocciuto Minho che non vedeva come la ragazza coi capelli corti valesse più della figlia del capo.
Si alzò dal letto, trascinandosi sotto la doccia, poi in cucina per fare colazione, poi davanti all'armadio, poi nella metro. Solita routine, solito lunedì mattina. 
Sentiva una sorta di aurea aleggiargli attorno,  c'era un qualcosa che ronzava intorno alla sua testa, dentro al cervello, e sapeva bene che si trattava di un moretto in particolare. Si torturò una pellicina sul dito con i denti, mentre con l'altra mano era intento a reggersi al palo della metro per non cadere rovinosamente a terra. Non sapeva perché quel bucco sotterraneo lo faceva, ma quando si trovava lì si ritrovava a pensare un po' a tutto ciò che gli succedeva o che gli era successo, ed in quel momento i suoi pensieri erano focalizzati su una domanda alla quale, nonostante il tempo passato insieme, Thomas non aveva mai dato accenno di mezione.
Era gay? Era etero? Era bisessuale?
Newt si rese conto solo in quel momento che non sapeva niente di lui, e a quel punto si rese, improvvisamente, conto anche del fatto che il suo cervello era stato totalmente fuso da quel ragazzo. Avevano passato molte giornate insieme, riso, scherzato, si erano baciati.
Ma quanto sapeva Newt di lui?
Non sapeva nulla di cosa facesse ora, se non che lavorava al pub, non sapeva nulla sul suo passato, non sapeva dove viveva, con chi viveva, che fine avevano fatto i suoi genitori, se aveva fratelli, sorelle ... come poteva provare dei sentimenti talmente forti per una persona che effettivamente conosceva solo per un terzo?
La metro frenò improvvisamente, Newt fu riscosso dai suoi pensieri quando finì proprio addosso ad un ragazzo più o meno della sua stessa età. Anche lui, come quando aveva visto Thomas per la prima volta, indossava un cappuccio scuro. Gli occhi, però, erano chiari, leggermente arrossati. Il biondino tentò di intavolare un accenno di scusa, ma non appena aprì la bocca, con essa si aprirono anche le porte della metro.
Il ragazzo che aveva urtato, e che lo aveva fissato per il resto del tempo, si voltò immediatamente ed uscì, inforcando velocemente le mani nelle tasche della felpa nera come la pece e camminando altrettanto velocemente, la testa bassa.
Newt era rimasto lì, il naso praticamente attaccato al vetro freddo della metropolitana, ad osservare, con la bocca ancora aperta e gli occhi ancora più aperti, curiosi, la figura di quello sconosciuto allontanarsi di tutta fretta, quasi sicuro che quella non fosse effettivamente la sua fermata, perché per un attimo gli era sembrato particolarmente spaesato. Era qualche giorno che ripensava allo strano "primo incontro" che aveva avuto con Thomas. Quando l'aveva visto aggirarsi per il parco con quel cappuccio nero, in quella fredda serata, nella sua prima serata a Chicago, aveva pensato che fosse un tipo strano. Sapeva che faceva freddo, nonostante lui fosse abituato a tutto ciò, ma girare con quel cappuccio tirato fino a sopra gli occhi ... non era proprio una cosa da tutti i giorni.
Improvvisamente l'inglese si rese conto di aver aggrottato le sopracciglia, preso da tutti i pensieri che improvvisamente si erano riversati nelle sue meningi, e soprattutto, di aver perso la sua fermata.
Si morse un labbro, violentemente, scendendo subito alla fermata che si ritrovò davanti, una che, però, non conosceva. Aveva imparato a memoria il nome di quella dello studio legale, ma non sapeva assolutamente quali altre fermate vi erano in quell'enorme città.
Tirò fuori il cellulare, ma il campo non c'era. Sbuffando, e passandosi una mano fra i capelli scompigliati, uscì dalla stazione metropolitana, salendo velocemente le scale in pietra grigia e pesante che vi erano davanti alla grande struttura metallica che riportava il nome della fermata.
Sicuramente non era la sua.
Il suo cervello entrò in panico, per un attimo si spense, cominciando ad immaginare gli scenari più terribili: lui, fermo in quella posizione per tutto il giorno e anche la notte, non arebbe mai più trovato la vita di casa, sarebbe rimasto lì in eterno e ...
Improvvisamente si ritrovò con il telefono all'orecchio. Senza nemmeno saperlo aveva composto un numero, come riflesso spontaneo delle sue dita, forse, del suo cervello, che era entrato in panico. 
Dopo quattro squilli, una voce ovattata rispose prontamente.
« Pronto? Newt? »
La voce di Thomas era leggermente allarmata, come se si meravigliasse che Newt, a quell'ora, potesse chiamarlo. Il biondino si stava mordendo di nuovo una pellicina, quella che prima non era riuscito ad estirpare con i denti, mentre si guardava intorno, tentando di riconoscere quaclosa a lui famigliare.
Ma cosa poteva esserci di famigliare in una città che non conosceva?
« Thomas. Sc- scusa se ti disturbo, io ... non so nemmeno perché ho chiamato te, è stato tipo un riflesso, non lo so, mi sono ritrovato col cellulare in mano e- »
« Newt, respira. Cosa succede? E' tutto okay? »
L'inglesino deglutì, seguendo il consiglio di Thomas dall'altra parte del telefono e prendendo un grosso respiro. Per un attimo chiuse gli occhi, tentando di riprendere il controllo di sé stesso. Il pettò si gonfiò, mentre la voce dall'altra parte del telefono attendeva impaziente, una musica rockettara, ma ancora a livelli bassi, risuonava in lontananza, probabilmente era la musica del Moonlight Pub. Thomas era già di turno?
« Oddio. Oddio ma tu sei al lavoro, mi dispiace Tommy, mi dispiace così tanto! »
« Newt mi stai facendo preoccupare, dimmi che cazzo è successo, ora. O non mi faccio problemi a cercarti per tutta la fottuta città. »
Il tono di Thomas era ferreo, quasi intimidatorio. Sembrava che gli imponesse di dirgli cosa stava succedendo, quasi come fosse spaventato più lui che Newt.
Perché tutto ciò?
Prima il ragazzo sulla metro, che l'aveva fissato a lungo, senza dire una parola, andandosene letteralmente da lui. Ora Thomas, con quel tono che quasi gli infondeva paura. Newt, improvvisamente senza parole, deglutì leggermente, scuotendo la testa e riprendendosi da quello stato di trance in cui sembrava essere caduto.
« Scusa, io ... ecco, ho perso la fermata della metro, e ora non so dove sono e ... ero entrato un po' nel panico, mi dispiace se ti ho fatto preoccupare. »
Ammise con un tono un po' colpevole lui. Dall'altro capo del telefono Thomas emise un sospiro, seguito da un paio di secondi di silenzio. Con la cornetta tra di loro Newt non sapeva dire se fosse arrabbiato o semplicemente sollevato del fatto che non fosse nulla di grave. Forse entrambe le cose.
Ma perché Thomas si era scaldato subito? Cosa lo aveva fatto scattare in quel modo tanto irruento, così tanto da far fermare il cuore di Newt per qualche secondo?
« Dimmi dove sei. »
Fu come una specie di comando. Al quale Newt subito ubbidì, voltandosi, il corpo stretto nel giaccone pesante, leggendo il nome della fermata a lui sconosciuta che sostava sulla grossa impalcatura metallica.
« La fermata della metro si chiama "Monroe", è ancora la metro rossa.* Penso sia la fermata dopo rispetto a dove dovevo scendere, ma non sono molto vicine, apparentemente. »
La sua voce risultava alquanto timorosa, come se avesse paura a pronunciare quelle parole, paura che Thomas potesse rimproverarlo.
« Non muoverti di lì. Sto arrivando. »
E la chiamata fu interrotta, quasi bruscamente.
Non ci volle molto prima che Newt scorgesse con i suoi occhi vispi, lacrimanti per via dell'aria fredda che, quella mattina, si era alzata, la moto nera del ragazzo, con lui in sella. 
Il biondo si avvicinò, osservando Thomas levarsi il casco dalla testa e poggiarlo sul sedile dietro di lui, per poi voltarsi verso Newt, con un'espressione che era un misto tra arrabbiato e sollevato, come si era immaginato al telefono. Subito l'inglese sospirò, mettendo avanti una mano come a volersi scusare subito.
« Scusami se ti ho fatto saltare il turno, davvero. »
Il moro scosse la testa, mentre la sua espressione si sciolse in qualcosa di più dolce, avvicinando Newt per la manica del giacchetto che portava. Gli lasciò un bacio sulla guancia, uno di quei baci che indugiava un po' troppo, facendo rimanere le labbra sulla pelle morbida della guancia di Newt per qualche secondo di più.
« Più che altro dovresti scusarti per avermi fatto perdere dieci anni di vita, biondino. »
Sorrise, Thomas, e Newt non potè fare a meno di fare la stessa cosa. Montò in sella alla moto dopo aver indossato il casco pesante, nero, e si resse alla vita di Thomas, che cominciò a sfrecciare per le vie di Chicago. In meno di dieci minuti raggiunsero l'ufficio legale, e Newt scese. Si passò una mano fra i capelli, riavviandoseli, e guardo Thomas fare la stessa cosa.
Il Moonlight Pub era molto vicino all'entrata dello studio, per quello i due riuscivano a vedersi spesso.
« Poi mi spiegherai come hai fatto a perderti in metropolitana. »
Disse ad un tratto Thomas, guardando il biondo con un sorriso stampato in faccia. Lo stava prendendo in giro? Newt rise, osservandolo mentre si rialzava dopo aver messo la catena alle ruote della moto, in modo che non potessero rubarla.
« Hey! Mica è colpa mia se vado addosso a tipi strani, tutti incappucciati, che ti fissano. »
Borbottò Newt, incrociando le braccia al petto, stando al gioco del moretto. Che a quanto pareva, però, lui non trovava più divertente.
La sua espressione si era indurita, le sue mani si erano fermate sul sellino in pelle della moto, il suo sguardo sembrava come perso. Newt lo richiamò leggermente, pronunciando il suo nome in modo flebile, pauroso che potesse scattare di nuovo com'era successo al telefono.
Thomas si voltò, a quel punto, inscenando un sorriso. 
Newt lo salutò sulla porta dello studio legale, un bacio fugace sulle labbra, soprattutto per non farsi scoprire da quegli impiccioni dei suoi colleghi, e poi lo guardò camminare verso il pub, aggrottando un po' le sopracciglia. 
Quando, alla fine, Thomas sparì dietro l'angolo della strada, il biondo entrò nello studio.

L'agitazione che, una settimana e mezzo prima, aveva preso possesso di tutti dentro quello studio, sembrava essere passata ad un altro livello: rassegnazione.
Il caso di cui tutti avevano parlato ora sembrava essere stato lasciato lì, messo da parte. Le prove erano incasinate, un testimone era morto, il presunto colpevole ancora libero, da qualche parte. 
Newt tamburellò con le dita sulla plastica della fotocopiatrice, mentre i suoi occhi erano intenti a fissare il fascicolo proprio di quello stesso caso, lasciato lì vicino in attesa di risvolti. Sapeva che a lui non avrebbero mai detto nulla, gli altri, perché lui per il momento lavorava solo negli archivi, quindi, con uno sprazzo di coraggio, lo agguantò, nascondendolo tra i fogli che aveva fotocopiato e che ora stringeva al petto, come fossero un tesoro.
Quando entrò nella sua stanzetta Newt chiuse subito la porta, avvicinandosi al tavolo e cominciando subito a sfogliare il fascicolo. Gli occhi scuri analizzavano ogni minima parola.
In pratica la vittima, Gareth Mitchell, un uomo burbero sulla cinquantina, era stato trovato morto nel giardino della casa vicino a quella che condivideva, ormai da più di vent'anni, con sua moglie, Jacquelyn. Lei aveva affermato, in una recente testimonianza, di essersi svegliata e non aver trovato il marito al suo fianco. Non si era preoccupata: sapeva che quel giorno lavorava. Da brava donna di casa, poi, la signora Mitchell aveva cominciato a svolgere i lavori di casa, finché, dal proprio giardino, non aveva scorto il corpo senza vita del marito.
E non si era nemmeno preoccupata, quando non aveva visto una chiamata da parte sua?
No, qualcosa non quadrava. Semplicemente, se tuo marito spariva, tu non restavi rilassata a pulire casa. 
Il rapporto della morte del signor Mitchell riportava diversi segni d'arma da fuoco. Nessuno aveva sentito niente? Ancora più impossibile.
Durante l'interrogatorio, poi, la moglie aveva ammesso di avere una relazione extraconiugale con un ragazzo più giovane, Jonathan Baker. Da quanto riportava il fascicolo era stato in prigione un paio di volte per spaccio e possedimento illegale di armi. Insomma, uno con la fedina penale tutt'altro che lucida.
E poi, poco prima del processo, era sparito nel nulla.
Niente più tracce, niente più spostamenti, niente di niente. Irrompendo in casa sua, poi, si era scoperto che era morto. Omicidio? Suicidio? 
No, non aveva nessun accenno di violenza fisica, sul corpo. 
Sotto gli occhi di Newt, allora, capitò un referto che avevano consegnato proprio quella mattina, cioè le analisi del corpo della seconda vittima. Sfogliando il referto e leggendo di sfuggita tutti quei numeri l'attenzione di Newt fu catturata da un valore piuttosto alto, uno che di solito non era rilevante, ma che in quel caso poteva contare.
Il test delle urine risultava positivo alle anfetamine.
Bingo! 
Il biondino si alzò di fretta, correndo nella stanza di Brenda, tutta intenta ad inserire dei dati di un ennesimo caso nel computer. Newt non la salutò nemmeno, piazzò il foglio sulla sua scrivania, con uno schiocco sonoro del palmo della mano, guardandola negli occhi.
Poi pronunciò una sola parola.
« Overdose. »
Brenda puntò gli occhi sul valore indicato con una striscia gialla di evidenziatore, ed il suo volto si illuminò improvvisamente: Newt aveva dato una svolta al caso.
E non una semplice svolta, ma la svolta.


NdA:
*"Monroe" -- linea rossa: Essì, mi sono pure informata! In pratica il sistema metropolitano lì è come quello inglese, diviso per colori. Newt sarebbe dovuto scendere ad una fermata chiamata "Grand Central CTA" della linea rossa, ma si è distratto e semplicemente è sceso a quella dopo, che si chiama appunto Monroe. Le due distano circa 5 minuti (Grazie Google Maps), quindi Thomas ci mette davvero poco tempo per andarlo a prendere, conoscendo bene Chicago.

Hey.
Heyheyhey.
L'altra volta ho pubblicato con un giorno di anticipo, e oggi pubblico con uno di ritardo, mi pare giusto! Questo è stato un altro capitolo-parto, l'ispirazione mi è venuta ieri sera a mezzanotte e mezza, ovviamente, un orario un po' più decente no?! Ho scritto due pagine e mezzo e poi sono andata a dormire, e stamattina ho scritto il resto.
Sono una genia, insomma.
Anyway, possiamo definirlo un po' di passaggio per quanto riguarda il misterioso Thomas e il misterioso caso di Newt, l'ho un po' spiegato, e spero che abbiate pure capito. Sono dovuta girarmi mille siti di droghe, per capire. Spero che mio padre non vedrà la cronologia.
E Newt da finalmente una svolta al caso! Che birbantello, che si ruba i referti medici. 
Per fortuna che studio chimica, sennò avrei praticamente fallato tutta la storia! AHAHAHAH
Passiamo ai ringraziamenti, ha! Ringrazio tanto thomasnewtgally che mi recensisce sempre e mi ha pure contattato su twitter (a proposito, ho cambiato nick, sono @seangsters) e anche ehyrivera , che segue questa fanfiction dall'inizio e LoveFandom22 che ha recensito lo scorso capitolo, vi amo!
Poi ringrazio come al solito le mie Culopesche, soprattutto Rob che ha fatto il meraviglioso picspam che vedete all'inizio del capitolo, Paula ed Eleonora aka mie mogli, e Beatrice, che ora invece che su twitter la violenza psicologica me la fa sul gruppo. 
Infine ringrazio le persone che ogni volta aggiungono questa storia tra i preferiti, ricordati o seguiti, sono così felice di vedere che vi piace e che la seguite, sul serio, mi fate la ragazza più felice del fandom!
Ci sentiamo al prossimo capitolo. <3
PS. Ricordatevi sempre che Thomas pensa che Dylan abbia un bel culo, BYE.

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Capitolo 10
*** ninth chapter. ***


ninht chapter.

Late December with my heart in my chest and the clouds of my breath,
didn't know where we were running to.

 

Aver risolto una parte del caso che, in quei giorni, aveva mandato in confusione tutto lo studio legale, per Newt, era stata una piccola ma grande vittoria.
Dopo aver scoperto che il principale sospettato per la morte del signor Mitchell era morto per overdose, Brenda era corsa, in piena crisi, nell'altra stanza, quella nella quale Minho era intento a sfogliare casi su casi, forse alla ricerca di un qualche collegamento esterno. 
Il ragazzo asiatico era scattato in piedi come una molla, correndo al fianco di Brenda, leggendo in fretta, gli occhi dalla forma a mandorla che si muovevano velocemente, quasi a voler strappare dal foglio di carta tutte le informazioni possibili.
Newt era fiero di sé stesso, per la prima volta in tanti anni. E anche tutti quelli che lavoravano lì con lui, allo studio legale, lo erano. Dopo ciò che era successo, aveva subito mandato un messaggio a Thomas, dicendogli che voleva fare qualcosa per "festeggiare". Nonostante Newt gli avesse proposto diverse volte di venire a trovarlo di nuovo lì allo studio legale, il moro aveva sempre rifiutato, qualche giorno perché aveva un turno strano, altri giorni perché c'era sempre qualcosa che glielo impediva ... ogni tanto l'inglesino aveva pensato che fossero tutte scuse.
Ma perché inventarsi scuse per non andare lì? Cosa c'era di male?
Newt si mordicchiò il labbro inferiore mentre le dita saettavano veloci sullo schermo touch del suo telefono, digitando alcune parole. 

(10.34)
Non ci crederai mai. 

(10.38)
Mh?


(10.40)
Ho praticamente risolto un caso! E voglio fare qualcosa. Ti andrebbe di fare qualcosa con me?

(10.42)
Quel "qualcosa" implica una "birra molto forte" ed un bel biondino? Magari ubriaco? Perché in caso potrei farci un pensierino.
;)


Il labbro inferiore del ragazzo più piccolo venne morso ancora di più. Non sapeva perché, ma in quel momento aveva letto quel messaggio con una punta di malizia. 
Newt non era un tipo malizioso. Non era affatto un tipo malizioso. Era sempre stato il tipo di ragazzo che guardava i ragazzi da lontano, senza farsi notare, fantasticando senza senso su relazioni impossibili e avvenimenti che non sarebbero mai accaduti. E poi, dopo ventidue anni, era arrivato Thomas, che gli aveva fatto cambiare tutta la sua prospettiva di vita, con la sua aurea misteriosa da cattivo ragazzo e i suoi modi esperti.
Semplicemente, Thomas sapeva come gestire una relazione, o insomma ... quello che erano.
Nonostante i dubbi che continuavano ad assillare la mente di Newt, non riusciva a staccarsi dal pensiero del ragazzo. Né tantomeno dal ragazzo in sé per sé.
Sentiva il calore affluirgli direttamente alle guance, ora di un rosso scarlatto. Per fortuna non c'era nessuno lì nella sua stanzetta, e nessuno, quindi, aveva notato il cambio di tonalità della pelle, solitamente pallida, tipicamente inglese, di Newt. Prese un grosso sospiro e questa volta le sue dita si mossero lentamente, come se avesse paura a scrivere quelle parole.

(10.50)
Forse.
E' una fortuna che io abbia un appartamento tutto per me.

Okay.
No, quella cosa che aveva appena scritto non era affatto da lui. Deglutì a vuoto, bloccando il telefono, improvvisamente aveva paura della risposta che sarebbe potuta arrivare. 
E se Thomas non voleva ancora, passare su quel lato? E se lo reputava solo un ragazzino? E se ...
« Raggio di sole, unico motivo della mia esistenza, perché non sei dillà?! Perché sei in questa stanzetta a fare il depresso? »
La voce di Minho interruppe il filo dei pensieri di Newt, che balzò, preso totalmente alla sprovvista dall'amico. Alzò gli occhi scuri in quelli dell'altro, passandosi una mano tra i capelli, quasi con fare colpevole, come se l'amico lo avesse colto in flagrante durante un qualche atto che non avrebbe dovuto fare.
« Improvvisamente sono diventato l'unico motivo della tua esistenza? Ma quel posto non spettava a Teresa? »
Un sopracciglio del biondo si alzò, accompagnato da un sorrisetto ironico. Minho, Brenda e Teresa erano ancora incasinati da far schifo. C'era il solito clichè di mezzo. A lei piace lui ma a lui piace quella stupida.
E Newt era un amico di Brenda, un amico di Minho! Quindi perché non dar loro un piccolo aiutino? Magari si sarebbe anche distratto da ciò che era appena successo con Thomas, di quel momento che Newt non era ancora in grado di descrivere, nonostante fosse successo solamente via SMS, e nemmeno tanto spudoratamente. 
Si alzò, lui, andando incontro all'amico che era ancora in piedi, fermo sulla soglia della camera di Newt. 
« A proposito, Min ... quando la lasci? »
« Perché dovrei? »
L'altro si accigliò, evidentemente confuso. In fondo era anche una cosa lecita: perché avrebbe dovuto lasciarla? Nella mente di Newt tutto filava, comunque. Minho si sarebbe accorto che anche lui provava qualcosa per Brenda, alla fine di tutto. Era ora di qualche consiglio romantico.
Si appoggiò con il fondoschiena alla sua stessa scrivania, sporgendosi leggermente solo per chiudere la porta. Incrociò le braccia al petto e guardò Minho con aria di sfida.
« Perché, carissimo, sappiamo entrambi che è un'ochetta e basta. E che tu ti meriti qualcun'altro, qui dentro. »
« Amico, credo proprio di non riuscire a capirti, sai? »
« Minho, santo cielo, sei cieco. Brenda, sto parlando di Brenda. »
La bocca del ragazzo asiatico si spalancò in una piccola 'o' muta, che rimase aleggiante tra di loro per un po'. In pratica, Newt aveva fatto capire a Minho tutto semplicemente pronunciando il nome della ragazza dai capelli corti, che ora era nell'altra stanza a riprendere in mano il suddetto caso. Newt gli sorrise, gli diede una pacca sulla spalla, giocosa, amichevole, e poi uscì, raggiungendo gli altri.
Non ci volle molto perché Minho uscisse dalla stanza di Newt, un'aria pensierosa, le mani nelle tasche dei jeans, e si avvicinasse a Brenda, sussurrandole qualcosa all'orecchio, per poi uscire insieme a lei. Il sorriso di Newt si allargò, era proprio un bravo Cupido.
In quel momento, allora, gli tornò in mente il messaggio. Gli tornò in mente Thomas. Raggiunse di nuovo la sua postazione, prendendo subito in mano il telefono e sbloccò lo schermo, trovandosi davanti la risposta del ragazzo.

(10.53)
Una vera fortuna, aggiugerei.
Passo a prenderti quando finisci.


Il suo cuore mancò un battito e si riprese a torturare il labbro.
Quando uscì un'altra volta, poteva scorgere da lontano Minho e Brenda, fuori dalla porta, tenersi le mani, i volti più vicini che mai.

"Beh, direi anche che era ora, Newt! Sei ufficialmente salito di livello, qui. Puoi dimenticarti delle scartoffie."
Quello era ciò che il signor Ankin gli aveva detto prima di uscire dall'ufficio. La gioia di Newt era esplosa tutta insieme, aveva cominciato a sorridere come un ebete, ringraziando il capo dello studio una cosa come mille volte tutte in un secondo. Era uscito e aveva visto la figura di Thomas sulla solita moto nera scura. Nemmeno il tempo di salutarlo che si era buttato subito sulle sue labbra, baciandolo.
« Hey, sono felice di vederti anche io. »
Il moro rise sulle sue labbra, porgendogli il caso ed intimandogli con un gesto della testa di salire dietro di lui. Newt non ci pensò due volte e fece esattamente ciò che Thomas si aspettava, salì, e si resse a lui, confidando nell'altro ragazzo per il luogo nel quale sarebbero andati.
Essendo, Thomas, originario di quella città (o almeno così aveva capito Newt), era molto più esperto di lui, sapeva muoversi velocemente, anche grazie alla sua moto, e di certo conosceva molte più attrazioni del luogo. 
Quella volta Thomas l'aveva portato in una zona a lui totalmente sconosciuta della città. Era un ponte, grossissimo, illuminato, dal quale era possibila ammirare tutta la città con una sola ed unica occhiata. Rimasero per molto tempo lì, a parlare. Newt riuscì ad estrapolare qualcosa in più sul passato di Thomas. Riuscì a capire che aveva sempre vissuto a Chicago, che i suoi genitori non avevano un bel rapporto con lui e viceversa, aveva scoperto che aveva lasciato l'università quasi all'inizio perché aveva trovato subito un lavoro lì al Moonlight e persino che aveva due tatuaggi e un piercing.
In pratica, aveva scoperto più cose di Thomas in una serata che in tutto il periodo durante il quale si erano visti, frequentati, erano usciti ... insomma, come lo voleva chiamare. Così avevano parlato, erano rimasti su quel ponte, illuminati dalle luci che li sottostavano, il rumore delle macchine sotto di loro. Era tutto tranne che tranquillo, ma Newt si sentiva bene.
Tutto d'un tratto il nervosismo che quella mattina, durante quel breve scambio di messaggi, lo aveva assalito di punto in bianco era scomparso, si era completamente volatilizzato, e Newt era di nuovo incredibilmente a suo agio. Quella giornata era andata stranamente bene, e per un attimo il biondino si era chiesto se sarebbe finita di nuovo come il loro primo appuntamento. Ma poi Thomas gli aveva sorriso, e d'improvviso tutto era di nuovo okay.
Quel ragazzo gli provocava dei sentimenti così contrastanti tra di loro che spesso si metteva quasi paura, di ciò che poteva veramente provare.
Dopo qualche ora passata lì, su quel ponte illuminato, i due decisero finalmente di tornare a casa. Quando salirono nell'appartamento di Newt l'orologio segnava le 22.54, eppure Newt ancora non era stanco, nemmeno un po', di passare il tempo con Thomas.
« E' ancora un po' in confusione, ma sì, insomma ... »
Indicò platealmente l'appartamento, buttando il suo giaccone sull'appendiabiti alla bell'e meglio, e poi prendendo quello di Thomas, appoggiandolo subito dopo sopra al suo. Thomas gli sorrise, ringraziandolo, e poi cominciò a girare per l'appartamento, osservandolo.
Il biondino si diresse verso il frigo, prese due birre e gliene porse una a Thomas, che ora osservava l'oggetto che li aveva fatti, in qualche modo, conoscere. 
« Due birre forti per i signori al tavolo cinque. »
Un occhiolino sfuggì al suo controllo, mentre Thomas lo guardava con l'aria di qualcuno che voleva solo scoppiare a ridergli in faccia. Newt gli diede un buffetto sulla spalla, cominciando a ridere, seguito poi, per l'appunto, dall'altro. 
Si sedettero sul divano, girati però con i volti a guardarsi, in modo da porter parlare ancora per un po'. Ripresero a parlare come avevano fatto poco prima sul ponte, partendo da argomenti stupidi, come i Mets. Newt aveva chiesto cos'erano, e Thomas aveva minacciato uno svenimento. 
Dopo una buona mezz'ora le bottiglie di birre vuote erano abbandonate sul tavolino di fronte a loro e le loro labbra si stavano cercando quasi con urgenza. Dopo il bacio che si erano scambiati ad inizio serata i due non si erano scambiati molti altri segni d'affetto, forse perché effettivamente troppo intenti a parlare. Ma in quel momento, su quel divano quasi improvvisamente spazioso, Newt e Thomas si ritrovarono. 
Le mani esplorarono ogni lembo di pelle possibile, i vestiti trovarono presto posto a terra, dove ormai non avevano più importanza alcuna. Il corpo di Thomas, pensò Newt, si fondeva perfettamente con il suo. Le sue dita trovarono presto quelle dell'altro, stringendosi quasi come loro si stringevano l'uno all'altro.
Le labbra si muovevano urgentemente, l'attrito fra i corpi dei due li faceva ricoprire da un sottile strato di sudore, i gemiti riempirono presto l'aria attorno a quel divano, mentre Thomas e Newt diventavano una cosa sola, per la prima volta. L'imbarazzo che aveva assalito Newt quella mattina ora sembrava essere una cosa lontana, un ricordo sbiadito.
Perché con Thomas ora si sentiva bene, bene davvero. Forse, pensò, per la prima volta, le cose sarebbero potute andare per il verso giusto.
Il rumore del respiro pesante di Thomas che dormiva, al suo fianco, lo cullò finché i ricordi di quella notte non lo lasciarono, le braccia di Morfeo ad accoglierlo.

Il mattino dopo, al lavoro, il clima era cambiato di nuovo.
Minho e Brenda si guardavano come due sposini, arrossendo e sorridendo come se avessero appena deciso la meta per la loro luna di miele, Teresa era come al solito nel suo mondo fantastico e Newt ... beh, lui per la prima volta era contento di essere lì, di vivere la sua vita, contento di tutto ciò che lo circondava.
Fu solo nel momento in cui mise effettivamente piede dentro lo studio, che qualcosa cambiò. Improvvisamente l'aria si fece pesante, e Brenda lo guardò arrivare con preoccupazione.
Le sopracciglia di Newt si aggrottarono, mentre si avvicinava alla ragazza, che teneva in mano diverse cartelle, tutte contenenti a loro volta diversi fogli.
« Brenda? Tutto okay? »
Si morse un labbro elegantemente dipinto di rosso, lei, porgendogli tutto il materiale che teneva tra le mani.
« Credo che tu dovresti dare un'occhiata a questi. »
Quando aprì i fogli e i suoi occhi scuri, ancora più scuri per via della curiosità, ne lessero il contenuto, Newt capì improvvisamente cosa si provasse a vedere il mondo cascarti addosso.


NdA:
Lo so, mi faccio schifo anche io!
Sia per la fine che per il ritardo con cui sto aggiornando, e pure l'orario di merda! Ma purtroppo questi giorni non ho avuto modo nemmeno di guardare il computer da lontano, non sono stata un attimo ferma e ho avuto mille cose da fare, quindi ho partorito questo capitolo tutto oggi, ergo: se fa schifo, prendetevela con le mie amiche e i loro diciottesimi!
Ad ogni modo. Il finale è da stronza, lo riconosco. Ahhhh, sta per arrivare il fatidico capitolo 10 (che tra l'altro non so quando aggiornerò ma shhh). Vi avviso che d'ora in poi l'angst farà da padrone.
Ora, in questo capitolo doveva anche esserci del bellissimo e sano smut, ma il mio umore non era dei migliori e sarebbe venuto fuori un capitolo chilometrico perciò vi prego, VI PREGO scusatemi ç_______ç
Come al solito ringrazio tutti quelli che recensiscono e seguono assiduamente me e la mia marea di cazz- ehm, ff. Tipo thomasnewtgally, bloodywimey, norawasabi, ehyrivera e tutte le altre ragazze del solito #TeamCulopesche, sono così felice di poter sclerare insieme a voi, girlz! 
Ringrazio anche le 40 persone che seguono questa ff, le 4 che la ricordano e le 19 (!!!!) che la preferiscono. Io ... vi adoro, semplicemente questo!
Al prossimo capitolo. <3
PS. Guardate il ponte ( http://images.fineartamerica.com/images-medium-large/chicago-dusable-michigan-avenue-bridge-at-night-paul-velgos.jpg ) e capirete perché l'ho inserito. E' ... boh.

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Capitolo 11
*** tenth chapter. ***


tenth chapter.

One day it's here and then it's gone.
How do you still holding on?

 

Avete presente quando sentite la terra aprirsi sotto i vostri piedi?
Quando sembra che il mondo che conoscevate sta cadendo a pezzi, sopra di te, che i tocchi di intonaco ti percuotono violentemente la testa, le palpebre che sbattono, come per tentare di eliminare ciò che vedete, ciò che percepite? Magari chiudendoli passerà. Magari, chiudendoli ancora, si cancellerà tutto. 
Magari, chiudendoli tante volte, sparirà tutto.
Era questo che Newt si ripeteva, mentre le scritte gli passavano sotto gli occhi, increduli, spalancati, le mani che tremavano e, di conseguenza, i fogli che teneva tra le dita anche. Fogli che avrebbe voluto buttare a terra, calpestare, bruciare, pur di non rivedere mai più.
Li buttò sulla scrivania davanti a lui, avvertendo la presenza di Minho e Brenda accanto a lui, i loro sguardi preoccupati che quasi lo perforavano, che gli chiedevano silenziosamente se era tutto okay.
Tutto okay?
Come poteva essere okay ciò che aveva appena letto? Come poteva anche pensare di aver vissuto quell'ultimo periodo con un segreto del genere sulla testa, ad un palmo del naso, ad un soffio dalle labbra, e non essersi mai accorto di niente. La sua mente continuava a fare collegamenti, improvvisamente tutto ciò che aveva visto di strano, tutto ciò che lo aveva colpito e gli aveva fatto fare strani ragionamenti, improvvisamente tutto era rientrato al suo posto. Tutto aveva un significato, e fu solo allora che riprese a respirare.
La foto di Thomas con un cartellino nero e dei numeri stampati in bianco, dietro la tipica griglia della prigione americana, si stagliava contro di lui. Gli si fissò negli occhi, nel cervello, era come se d'improvviso gliel'avessero tatuata nelle palpebre, ed ogni volta che chiudeva gli occhi riusciva a vedere solo quello.
E quello era la cosa peggiore che potesse mai pensare.
Ripensò al primo appuntamento con il barista, ripensò a quando lui d'improvviso era cambiato come il giorno e la notte nell'esatto momento in cui aveva visto un qualcuno dietro lo stesso Newt. Ripensò a quando, perso sulla metro di Chicago, aveva visto quello strano ragazzo con la stessa felpa di Thomas e ripensò a quando, preso dal panico perché si ritrovava in un luogo sconosciuto, aveva chiamato Thomas, e lui era sembrato quasi orripilato dall'idea che Newt potesse essersi perso, che qualcuno potesse averlo ferito. Ripensò ai momenti molteplici in cui lui l'aveva invitato a passare per lo studio legale, pranzare insieme, chiacchierare con Brenda, Minho, Teresa, e ricordò come lui ogni volta finisse per rifiutare.
All'inizio l'aveva scambiata per preoccupazione, ma ora, in quel momento, mentre una risata amara gli proruppeva dalla bocca, Newt capì che era semplicemente preoccupato del fatto che lui potesse venire a contatto con quello che era il mondo del ragazzo più grande, con la sua vita nascosta, con ciò che era e che nessuno sapeva.
Era Thomas la causa di tutto. Lo era sempre stato.
E Newt era stato l'idiota di turno, quello che era cascato nella tela che aveva tessuto in silenzio, nascosto dalla luce del sole, nascosto da quel cappuccio che ogni volta si metteva sopra alla testa, per coprirsi, per non lasciar traccia alla gente di un vago ricordo del suo volto. Peccato che, di lui, Newt conoscesse tutto troppo bene. Ne conosceva ogni piccola parte, in così poco tempo aveva cominciato a conoscere ogni frammento di lui, ogni piccola sfumatura dei suoi occhi, del suo essere.
O almeno: pensava di conoscere quelle cose.
Deglutì a vuoto, Minho chiamò il suo nome, ma fu come sentire un sussurro lontano, qualcuno che da dentro una caverna chiamava il suo nome con un tono di voce basso, lo chiamava, e lui lo sentiva! ma qualcosa gli impediva di rispondere, in quel momento. I suoi polmoni non prendevano più aria, li sentiva bruciare, così come i suoi occhi. E il suo cervello, lui non faceva altro che implorare pietà per tutte le informazioni che in pochi minuti stava ricevendo, per tutti gli impulsi elettrici che, dalla base della schiena di Newt, lo avevano percorso tutto.
Mosse qualche passo all'indietro, per la prima volta i piedi rispondevano all'impulso che il cervello aveva mandato, e piano piano si ritrovò a correre per uscire da quell'ufficio legale. Non corse molto perché non sapeva dove andare e non voleva perdersi di nuovo, voleva solo uscire di lì, da quelle quattro mura con quell'aria viziata da bugie e tasselli che si andavano via via incastrando tra di loro. Quell'aria fatta di emozioni che non avrebbe mai pensato di poter provare, sia in modo negativo che positivo.
Uscì fuori dal grosso portone che conteneva quell'insieme di portoni, uno dei quali vedeva proprio la scritta Ankin Law Office intagliata sull'oro rettangolare. Si appoggiò con la schiena alla porta pesante e chiuse gli occhi, respirando affannosamente. Era quello che si provava quando si aveva un attacco di panico? Era quello un attacco di panico?
Erano quelli i sentimenti che si provavano quando scoprivi che tutto ciò che avevi costruito con un'altra persona erano solo menzogne, bugie, castelli campati in aria? Era quello che si provava quando vedevi il tuo mondo sbriciolarsi nelle tue stesse mani?
Aprì gli occhi, la voce di Minho lo chiamava ancora, sembrava avvicinarsi ogni momento di più, ciò voleva dire che quindi l'asiatico l'aveva seguito, ovviamente. Sospirò e si lasciò cadere seduto sui gradini luridi in marmo, mentre la figura di Minho gli si parava al suo fianco. Non alzò lo sguardo, Newt. Non tolse le mani dal volto, mani che nascondevano una lacrima solitaria, arida, che scendeva lungo la guancia fredda. Non fece nulla, non disse nulla.
Fu Minho, dopo qualche minuto, a parlare.
« Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprirlo così, Newt. »
Il biondo alzò il volto, pulendosi con la manica della giacca la lacrima, ormai secca dal freddo, che si era fermata a metà della guancia, come a voler rimanere un po' in sospeso, a voler rimanere ancora insieme a lui.
Si voltò verso l'amico, scuotendo appena la testa.
« Non l'avrei scoperto in altri modi, Minho. Sarebbe andata avanti per sempre. »
La sua voce uscì bassa, un po' rauca per via delle lacrime che vi erano bloccate lì e per il fatto che non aveva parlato per un lungo lasso di tempo. Spostò lo sguardo davanti a lui, osservando i passanti che freneticamente si dirigevano verso la loro meta.
Avrebbe voluto essere uno di quelli, quel giorno. Un passante, una persona anonima, senza problemi, senza fregature da parte della vita. Avrebbe voluto una vita normale, ma a quanto pareva non rientrava in ciò che il fato aveva progettato per lui.
E pensare che lui, al destino, nemmeno ci credeva.
Sospirò e poggiò la testa contro la porta, dando una leggera botta.
« Andiamo, amico. Vedrai che si risolverà tutto. »
Come poteva dire una cosa del genere?!
Ma li aveva letti quei fascicoli? Aveva visto la foto? Aveva letto le corrispondenze con il caso che stavano trattando da così tanto tempo da aver mandato in pappa i cervelli della maggior parte della gente in quella stanza? No, non si sarebbe risolto tutto, non si sarebbe risolto proprio un bel niente, in realtà.
Non poteva essere risolto.
Thomas era lo spacciatore che aveva fatto in modo che il loro testimone morisse. Non c'era niente che Newt potesse fare per cambiare i suoi pensieri, per cambiare l'immagine di Thomas che gli si stava improvvisamente sgretolando sotto gli occhi.
Aveva alle spalle grossi guai, ora ne avrebbe avuti altri, e soprattutto: aveva sempre saputo che Newt seguiva quel caso. Ecco perché non era mai voluto entrare nello studio legale.
Il ragazzo che aveva visto al primo appuntamento? Probabilmente era stato lo stesso Baker.
Il ragazzo che Newt aveva visto sulla metro? Qualcuno che lavorava insieme a lui.
Thomas era stata la causa di tutto, tutto ciò che era successo in quei giorni, in quel lasso di tempo così breve eppure così bello. E Thomas era la causa della rovina di ciò che avevano.
Newt era rovinato. E no, non si sarebbe risolto proprio niente.

Moonlight Pub era la scritta che figurava sopra la testa di Newt, in quel momento.
Il vento gli soffiava in volto, lo sentiva sferzargli freddo, puncicargli gli occhi, facendoli lacrimare quasi automaticamente. Li abbassò per un attimo, sentendo le ciglia bagnarsi di lacrime che non sapeva a cosa fossero dovute.
Il cuore gli batteva in petto come mai prima d'allora, le mani tremavano, ed i fogli che portava con lui si agitavano inferociti a causa dell'aria fredda che li trapassava. Con un coraggio che non sapeva da dove fosse uscito entrò nel pub, riconoscendo la famigliare figura di Thomas che, girato di spalle, rideva con un altro cameriere al suo fianco.
C'era davvero ancora qualcosa di famigliare in lui? 
« Thom- »
Provò a parlare, ma la voce gli uscì talmente flebile che poteva essere paragonata solamente ad un uccellino che, appena nato, tenta di invocare inutilmente cibo dalla madre, con quella vocina così sottile e acuta che nessuno avrebbe potuto sentirlo. 
Quindi ci riprovò, schiarendosi la voce.
« Thomas. »
Il moro si voltò, ed un sorriso si allargò sulle sue labbra quando, ignaro di tutto ciò che Newt aveva nella mente ed in mano in quel momento, i suoi occhi incontrarono quelli scuri dell'altro. Ma quando poi percepì ciò che aleggiava nell'aria, il sorriso si spense, gli occhi si fecero curiosi e le sopracciglia si aggrottarono.
« Tutto okay? »
Era una domanda così semplice. Gli sarebbe bastato annuire, buttare i fogli a terra, calpestarli e buttarsi su di lui, per finirla lì. Ma sapeva che non poteva ignorare il peso delle parole che vi erano stampate sopra.
Scosse la testa e gli indicò il retro del locale con un dito, voleva solo finirla. Voleva solo chiedere conferma al ragazzo, sbattergli in faccia le prove, sentire la sua voce che pronunciava scuse, che diceva che tutto ciò era solo una balla. E Dio, se Newt avrebbe voluto crederci.
Ma non poteva fare nemmeno quello.
« Possiamo parlare? »
Di nuovo la sua voce uscì così flebile che per un momento si chiese se il ragazzo avesse effettivamente sentito ciò che gli aveva appena chiesto. Ma con grande sorpresa Thomas uscì da dietro il bancone e, con passi frettolosi, si diresse insieme al biondo nel retro del locale.
« Newt, cominci a spaventarmi, vuoi dirmi, per piacere cos- »
« Leggi questo, Thomas. Leggi questo e dimmi che è tutta una cazzata. Ho bisogno di sentirtelo dire, io ... ti prego. »
Gettò i fogli su un tavolo malandato che, gli aveva spiegato lo stesso Thomas, tenevano solo per le emergenze, quando avevano troppo scarico merci le mettevano lì, in attesa che l'effettivo spazio nelle quali erano contenute si liberasse un po'. Il moro davanti a lui guardò i fogli con estrema cautela, come se potesse trapassarli solo con lo sguardo e avvertire già cosa vi era scritto dentro. Poi li aprì, con lentezza, e quando le sue iridi si mossero sulle parole nere del foglio un sospirò gli sfuggì dalle labbra, mentre una mano andò frenetica ai suoi capelli, passandoci dentro, spettinandoli, e poi andò sul viso, a stringere la radice del naso.
E allora capì.
Quella successione di gesti fece capire a Newt che ogni possibilità era stata spazzata via.
« E' vero, non è così? E' tutto ... vero. »
« Newt, ascoltami, ti prego ... »
Allungò una mano verso di lui, forse per trattenerlo. Nemmeno se ne era accorto, Newt, ma aveva cominciato a muovere qualche passo all'indietro, lontano da lui, lontano da quei fogli, lontano dalla verità che essi gli avevano rivelato e che Thomas gli aveva nascosto.
« Non mi toccare. »
Fu un sussurro, detto a testa bassa, a labbra serrate, a denti stretti e a mascella irrigidita. Fu un sussurro ma Thomas ne fu colpito dalla prima sillaba, e lo logorò dall'interno. Lo sguardo di Newt si spostò, finalmente, sul volto dell'altro, una smorfia quasi di disgusto si andò a formare automaticamente, come se fosse evidente che era quella l'emozione predominante.
« Non mi toccare, non mi parlare, non mi cercare più. Non fare niente per metterti in contatto con me, Thomas, perché sai benissimo che potrei distruggerti da un momento all'altro. Perché mi hai tenuto all'oscuro di un segreto di una portata impressionante, pur sapendo il mio lavoro qual è. L'hai fatto, Thomas, l'hai fatto e non puoi più tornare indietro ora. Ed io non tornerò sui miei passi. »
Lo sguardo di Thomas era ferito, dolorante, ed era assurdo che Newt provasse compassione per lui in un momento del genere. Thomas spacciava droga, per la miseria! La spacciava e l'aveva spacciata per tanto tempo, stando a ciò che c'era scritto in quella cartella. L'aveva spacciata anche ad una persona che poi, a causa di quello, era morta. 
Era finita. E Newt provò solo una sensazione di sollievo. Aveva scoperto tutto, aveva ricongiunto tutti i tasselli e, la parte investigatrice di lui, non poteva che esserne contenta.
Ma l'altra parte, quella sentimentalmente legata a quella persona fuorilegge, quella che lui stesso avrebbe dovuto condannare, essendo un quasi legale, voleva chiudere gli occhi e far finta che tutto ciò fosse solamente un'illusione, una balla, che da un momento all'altro Thomas sarebbe scoppiato a ridere e gli avrebbe dato dello stupido, perché no, che non era uno spacciatore.
Ma non successe nulla di quello.
L'unica cosa che successe fu il corpo di Newt che si mosse, spinto da una forza che non era la sua, spinto da una forza di volontà trovata negli ultimi granelli della sua voglia di uscire di lì. Ed in pochi minuti si ritrovò nella stessa situazione di prima, con il vento che gli sferzava sul viso, freddo, che penetrava nei suoi vestiti senza che nessuno gli avesse dato il permesso.
Solo che quella volta le lacrime non erano dovute al freddo.
Solo che quella volta i suoi passi lo portarono il più lontano possibile dal Moonlight Pub, e lui sapeva, lo sapeva per certo, che non l'avrebbe mai più rivisto. Né il pub, né Thomas.


NdA:
E' L'ANGST. LO SENTITE? IO LO SENTO FLUIRE NELLE VENE, NUTRIRMI, ENTRARMI DENTRO.
Okay, ciao a tutti e scusate l'immenso ritardo. Sono stata a Londra a festeggiare i miei 18 anni e negli ultimi giorni ho avuto il tempo per fare davvero tutto tranne che mettermi al pc e scrivere qualcosa di decente.
Ecco perché ieri sera, dato che non avevo nulla da fare a parte una per niente complicata relazione di chimica che mi ha allietato la serata, davvero, (*ironia ovunque*), ho deciso di scrivere questo famigerato capitolo. E sì, è uscito tutto in un paio di ore.
Incredibile eh?
Spero che vi sia """piaciuto""", anche perché finalmente è uscita fuori tutta la verità sul conto di Thomas e sul legame che lui ha con questo caso! Sono brava a scrivere angst, eh? Mi nutro di angst, respiro angst.
Ringrazio as always tutte le meravigliosissime 52 persone che seguono la ff, le 20 (!! quando cazzo è successo?) persone che la preferiscono e le 10 amorevoli creature che hanno recensito il precedente capitolo. Al solito un grazie al mio #TeamCulopesche, love u always, my girlz!
Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, se non mi avrete linciato prima! <3

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Capitolo 12
*** eleventh chapter. ***


eleventh chapter.

You're gone and I've got to stay high, all my life
to forget I'm missing you.

 

Quando i giorni si confondono tra di loro, quando i minuti che passano sembrano ore, quando non sai più se sei al letto, steso, imitando un vegetale, da una, due o tre settimane, come fai a dire di stare vivendo?
Newt si sentiva distrutto, non sentiva più niente dentro di lui, se non quel vuoto che la rivelazione avuta poco tempo prima gli aveva lasciato. Si sentiva spezzato, derubato di ogni cosa. Ogni volta che si alzava dal letto, anzi: le rare volte in cui si alzava dal letto, finiva per fissare il divano su cui lui e Thomas avevano fatto l'amore quella prima e ultima volta. Ricordava ogni singolo particolare come se fosse ieri. 
Poi chiudeva gli occhi e le parole stampate sui fogli dello studio legale, messe lì, in bella vista, nero su bianco, gli si presentavano sgarbatamente nel buio delle sue palpebre chiuse.
Thomas Edison Lewis, spacciatore, colpevole del decesso di Baker, Jonathan.
Thomas aveva ucciso il principale sospettato di un caso che trattavano allo studio legale. Cioè, in teoria non era stato proprio lui, ad ucciderlo, ma la droga che gli aveva spacciato. In un lampo di rabbia Newt strinse i pugni così forte che le nocche gli divennero bianche, e si immaginò Thomas, incappucciato, in uno di quei tremendi vicoletti nascosti da tutto e da tutti, a prendere una bustina trasparente dalla tasca e porgerla a quel ragazzo, che solo poco dopo avrebbe cessato per sempre di vivere.
Non riusciva più a pensare lucidamente. Ogni volta che tentava di ricordare un evento che aveva passato al fianco di Thomas, qualcosa gli faceva ricollegare il suo essere spacciatore a degli avvenimenti che aveva avuto modo di vivere o di vedere mentre era con il ragazzo. La mente di Newt era stata deviata da quella notizia, scacciando ogni pensiero positivo che aveva mai avuto sul conto di Thomas.
Per lui Thomas non esisteva più. Era andato, non l'aveva mai conosciuto, non l'aveva mai baciato e- e ogni volta che ripensava a lui ritrovava chiaramente il sapore delle labbra del ragazzo sulle sue. Se lo poteva sentire ancora sulla punta della lingua, il sapore di Thomas. Quel sapore così fresco, mischiato all'amaro della nicotina e del caffè. Thomas era stato tutto da scoprire, per lui, un qualcosa di totalmente inaspettato che si era rivelato, almeno in principio, una cosa più che bella, per lui. E che poi aveva rovinato tutto.
Ogni tanto pensava di andare da lui e prenderlo a pugni. Ma poi rifletteva sulla stazza dell'altro ragazzo e la metteva a confronto con la sua. E capiva che avrebbe perso in ogni caso.
Ma Newt aveva già perso. Aveva perso tutto ciò che aveva avuto in così poco tempo, qualcosa di così bello che, ovviamente, non poteva non essere rovinato da qualche avvenimento.

Newt si trascinava comunque al lavoro, quelle mattine. Aveva perso il conto dei giorni, aveva perso il conto di quante volte, guardandosi allo specchio, aveva pensato di essere ridotto davvero male. Aveva perso anche il conto di quante volte, a testa bassa, a occhi chiusi, era passato davanti al pub in cui lavorava Thomas. Non voleva più neanche vederlo. Sinceramente non sapeva nemmeno se lavorasse ancora lì, se fosse ancora a Chicago o se avesse cambiato città.
Non voleva più sapere niente di lui. Provava a convincersene, sì, eppure celte volte si trovava a pensare "Cosa starà facendo Thomas in questo momento?", per poi rispondersi due secondi dopo. "Probabilmente starà spacciando."
Ancora non si capacitava del fatto che lui, Newt, avesse smesso di vivere per un coglione del genere. Ogni tanto si animava e prendeva coscienza dello stato vegetale in cui si trovava, e allora usciva, andava a correre, andava a farsi una passeggiata e tentava di occupare la mente, ma poi rientrava nel suo appartamento, magari anche con un sorriso sulle labbra, e d'un tratto capiva che non sarebbe riuscito a voltare pagina così in fretta.
Per quanto la loro storia si fosse evoluta in poco tempo, per Newt Thomas era diventato qualcosa di speciale
Guardò con disperazione i fogli davanti a lui e li mise nell'ennesima pila che campeggiava sopra ad un foglietto con la lettera "D" scritta sopra. La porta del suo ufficio si aprì lentamente, quasi cigolando, e la testa di Brenda fece capolino, le sopracciglia leggermente alzate ed un sorriso di scuse sulle labbra.
« Hey, topo da biblioteca, si può? »
Newt rise a quel soprannome che la ragazza gli aveva riservato, e con la testa le fece un cenno leggero, invitandola ad entrare. Lei si chiuse la porta dietro di sé.
Da quando Minho e Brenda avevano iniziato una relazione stabile, o almeno così aveva capito il biondo, la ragazza sembrava essere costantemente di buon'umore, a parte nei momenti in cui Teresa si avvicinava troppo al suo ragazzo. Era una fidanzata un po' possessiva, aveva notato Newt, ma non sembrava che a Minho dispiacesse.
« Ancora ad archiviare? Pensavo che quella fase fosse ormai superata. »
Disse lei con un sorriso, appoggiandosi con le mani sulla scrivania, proprio davanti a Newt. Lui sospirò e alzò le spalle, come a volersi scusare.
« Non ho molto la testa per pensare ai casi seri, Teresa ad ogni modo ha detto che spiegherà tutto al padre, e quando mi rimetterò in sesto tornerò a risolvere i casi per voi scansafatiche. »
Per la prima volta da tanto, un sorrisetto aleggiò sul volto del biondino.
« Ho capito, ho capito, ora si sente superiore, lui! ... A parte gli scherzi, Newt, tu lo sai vero che sia io che Minho ci siamo? Per qualsiasi cosa, intendo. Se vuoi uscire, svagarti, chiacchierare o rimanere a deprimerti davanti ad un vascone di gelato al pistacchio. Insomma, chiamaci e saremo da te in due minuti. »
« "Chiamaci". Vivete per caso in simbiosi, ora? »
Entrambi risero, e Newt per la prima volta sentì di avere qualcuno al suo fianco. Di avere davvero qualcuno. Brenda era stata la sua prima amica, lì dentro, ed era contento di poter dire che non ne poteva essere più felice.
Brenda gli mise una mani nei capelli biondi e li arruffò leggermente, come di solito una madre fa al proprio figlio, un gesto affettuoso. Nonostante fosse un po' un gesto infantile, Newt lasciò fuoriuscire un'altra risata, mentre con una mano tentava di fermare l'amica, che continuava imperterrita a spazzolare la sua chioma biondo cenere. 
Con uno sbuffo alla fine tolse la mano, e Newt la guardò con uno sguardo di furia omicida. Di solito, quando qualcuno gli toccava i capelli, si mostrava molto più che scocciato: era una cosa che gli aveva sempre dato fastidio, eppure quello che Brenda aveva appena fatto, per lui, era stata una cosa divertente.
« Sai cosa facciamo stasera, Newtie? Andiamo a bere. Sì! Di nuovo, azzardati a fare storie e ti infilo la bottiglia di birra lì dove non batte il sole. »
« Hai reso l'idea, grazie Bren! L'importante è che non andiamo al ... »
Per lui era diventato impossibile anche solo nominarlo, il Moonlight Pub. Alzò gli occhi in quelli scuri di Brenda, ferma sulla porta, una mano ad aprira e l'altra appoggiata al muro al suo fianco. Lei gli sorrise, teneramente, come se la cosa fosse stata scontata, e annuì in silenzio, uscendo poi dalla stanza di Newt e camminando velocemente, con i tacchi che tamburellavano ritmicamente sul pavimento dello studio, verso la sua postazione.
Newt abbassò lo sguardo e, tristemente, pensò che l'ultima volta che era "andato a bere qualcosa" la sua vita era andata a rotoli.



QUALCHE ORA DOPO.


La stanza girava, forse anche troppo.
Newt rideva, forse anche senza un senso logico.
Il terpore dell'alcol si era diffuso in tutto il suo corpo, e ora non sentiva più nulla. 
Ma era quello il suo intento: non voleva sentire più nulla. Non voleva più sentire la mancanza di Thomas, o la mancanza di casa sua, le menzone che il ragazzo gli aveva detto, non voleva più sentire i fogli che gli dicevano che sì, era vero, Thomas spacciava droga e l'aveva spacciata a qualcuno che, dopo poco, era morto.
Newt voleva sentire solamente quella leggerezza che gli si era insinuata nel corpo, costringendolo a non riflettere più lucidamente. Voleva sentire solamente la risata di un Minho ubriaco, al suo fianco. Voleva dimenticare, tutto, tutti.
Ed in pochi minuti si ritrovò per strada, col freddo pungente di Dicembre a sparargli in volto. L'aria sferzava, e lui se ne infischiava, e camminava. Camminava lungo una lunga strada che non conosceva, e non sentiva nemmeno così tanto freddo. E poco importava se Minho ora lo stava cercando, o se Brenda era preoccupata per lui.
Schifava quegli sguardi di commiserazione che i due gli avevano riservato durante tutto il corso della serata. Li voleva solamente evitare, ecco perché era uscito di lì. Seguiva una strada che i suoi piedi conoscevano, ma il suo cervello ignorava totalmente. Il suo cervello, tuttavia, in quel momento non riusciva a connettere proprio un bel niente.
Voleva solo che si spegnesse, per un po'. Che quella vocina dentro di lui che gli ricordava, ogni minuto, ogni secondo, che era andato tutto a rotoli, si zittisse, tacesse, e lo lasciasse finalmente in pace. Strinse gli occhi ed i pugni in contemporanea, ferendosi il palmo delle mani, stringendo così tanto che le nocche divennero bianche.
E quando li riaprì, si trovò in un posto.
Era una parte del quartiere in cui stava, un quartiere a lui sconosciuto, l'importante è che stessero lontani dal Moonlight, piuttosto cupa. C'era un ponticello, poco più avanti rispetto a dove si trovava lui, sotto il quale scorreva un fiume, piuttosto secco, a dire la verità.
C'era una figura, tuttavia. Una figura che armeggiava proprio sotto quel ponte.
Newt strizzò gli occhi.
No! Erano due, le figure. Una di loro tendeva una mano all'altra, che prese in fretta, quasi come se ne avesse paura, ciò che la prima figura gli tendeva. Poi fuggì via, lasciando l'altra persona da sola, sotto al ponte, le mani nelle tasche ed il cappuccio tirato su.
Non ci fu bisogno di avvicinarsi, o di chiamarlo a grande voce. Newt capì quasi subito.
« Thomas. »
Sbiascicò, la voce impastata dall'alcol. Si avvicinò alla figura scura, che si era appena adesso voltato, facendo per andarsene. 
No, non andartene. Rimani, questa volta.
I piedi di Newt si mossero traballanti verso di lui, e pronunciò il suo nome una seconda volta, più forte rispetto a come l'aveva pronunciato poco prima, richiamando la sua attenzione.
« Thomas! »
La figura di Thomas si voltò verso di lui, abbassandosi il cappuccio e rivelando il volto che Newt adorava tanto. Adorava così tanto che si buttò, letteralmente, tra le braccia del ragazzo, cominciando a farfugliare parole incomprensibili al moro, che tentava di tirarlo su, ereggendolo in posizione eretta, guardarlo in volto.
Newt era ubriaco. Thomas se ne era accorto ancora prima che si avvicinasse a lui. Perché si era ridotto così?
Lo sollevò, guardandolo finalmente negli occhi.
« Newt? Cosa ci fai qui? E' pericoloso, ti prego, vai via. Dio-- perché sei ubriaco? »
« Perché ... perché ssssì! Non è bello essere ubriachi, Thomas? E' come essere fatti, non è vero? Come ... come fumare! Le canne, tu le fai le canne, non è così? E poi, vai in giro regalando quelle caramelle ... pasticche ... com'è che si dice? Dai anche quelle, non è vero? »
Improvvisamente, Newt si trasformò. Si alzò in piedi, scostandosi da lui come se avesse appena toccato qualcosa di schifoso.
« Ti avevo detto che non mi dovevi toccare! Mi fai ... ssschifo. Sì, mi fai schifo. Come fa schifo la roba che dai ... sai che c'è? Voglio provare. Sì! Sì, dammene un po', Thomas. Fammi provare l'ebrezza che si prova quando ci si fa una canna! Avanti, avanti, dammela tutta, la voglio tutta! Dammela! »
Newt urlava in maniera incontrollata, puntellando il dito indice contro il petto del ragazzo che, davanti a lui, guardava la scena sbigottito. Non sapeva cosa stava succedendo.
« Newt ... »
Thomas provò a scansarlo, a fermarlo, a domarlo, e quando ci riuscì, si rese conto che era solo perché Newt era svenuto.
Aveva perso i sensi, Thomas l'aveva preso tra le sue braccia appena in tempo, prima che cascasse rovinosamente a terra. Sbuffò, il moro, guardando il corpo inerme di Newt tra le sue braccia, le sue labbra, fredde, quasi viola, dischiuse. Le ciglia lunghe e chiare a creare particolari ombre sui suoi zigomi.
Non ci volle molto. Thomas salì su un taxi e disse all'uomo l'indirizzo dell'appartamento del suo "amico", che stava davvero male a causa di un attacco di una malattia inventata sul momento. Dovevano andare a casa, dove teneva le medicine.
E Dio, se era esperto, lui, ormai, di bugie.
Aprì la porta della casa del biondo con una copia della chiave che, sapeva bene, Newt teneva proprio nel vaso di una pianta, finta, di fronte all'entrata del suo appartamento. Lo portò dentro e lo adagiò sul letto, piano, spogliandolo e mettendolo al sicuro, riparato sotto le coperte.
Per un momento pensò di restare. Passare la notte lì e svegliarlo la mattina dopo con una bella colazione a base di succo di arancia, pancakes e sensi di colpa. Ma poi capì che non poteva. Per il bene di Newt, non poteva rimanere, non sarebbe rimasto.
Prese un pezzo di carta, scrisse al volo qualche frase e l'adagiò sul cuscino al suo fianco.
Poco dopo, la porta si chiuse silenziosamente dietro le sue spalle.


NdA:
Buongiorno pargoli.
Sì, sono di nuovo in ritardo (carrambachesorpresa), e per questo chiedo venia in ginocchio davanti ai vostri piedi. MA COMUNQUE.
Avete letto che bella la frase all'inizio del capitolo? Della canzone di Tove Lo? La trovo particolarmente azzeccata per questo capitolo, adoro quella canzone e mi sembra particolarmente connessa sia con la ff che con questo capitolo in particolare. E' stato uno dei primi capitoli che io e la mia bff abbiamo pensato per questa fanfiction, all'inizio di tutto, in una cameretta a casa al mare.
... bei tempi.
Ad ogni modo, in questo capitolo esploriamo in pratica il dopo, di Newt. Lui che fa un po' l'ameba e che poi, per dimenticare, va a bere. E TADAAAN, chi incontra? Ovviamente Thomas che spaccia. MA CERTO, LUCREZIA. Inoltre, leggete attentamente, nel prossimo capitolo potrebbe esserci un cambio improvviso di POV. Essì. 
Ringrazio come al solito *sicambiamodiscorso* tutti i lettori che seguono assiduamente questa ff e che, ogni volta, con le loro recensioni o le loro visite ai capitoli (a proposito, parliamo delle 1260 visite al prologo???????????) mi scaldano il cuorcino da newtmas shipper! Un grazie speciale al mio #TeamCulopesche che ci sopportiamo da qualcosa tipo due mesi ormai. Un grazie come al solito a: thomasnewtgally, ehyrivera e bloodywimey per le recensioni allo scorso capitolo, e alle nuove ragazze che hanno recensito, The_Tenth_Weasley  e TerremotiAmbulantiWeasley (quanti Weasley omg).
Inoltre volevo ringraziare TUTTI VOI perché la storia è entrata nella categoria delle più popolari e... boh. Cioè, ci ho speso molte forze, per questa ff, da Agosto che ho cominciato. Con questa ff la mia scrittura è migliorata NA CIFRA e sono davvero, davvero contenta che piaccia a tal punto. Perciò GRAZIE!!!!! 
Ci sentiamo la prossima settimana! <3
PS. DOMANI THE SCORCH TRIALS MI ASPETTA AL CINEMA, CAN'T WAIT.

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Capitolo 13
*** twelfth chapter. ***


twelfth chapter.

Memories of a life I leave behind,
take a souvenir to remind me of the ones I love.

 

Un ciuffo di capelli marroni, due occhietti vispi, del colore del cioccolato caldo, fuso, una risata che si propagava per tutta la stanza, mentre le gambe paffutelle si muovevano lungo tutto il perimetro di quelle quattro mura.
Un piccolo Thomas giocava, felicemente, con una donna. Gli stessi capelli mori, gli stessi occhi color cioccolato, la stessa risata squillante. Kaylee Lewis era una donna piena di vita, nel fiore dei suoi quarant'anni compiuti appena, proprio in quella soleggiata giornata.
« Sei proprio diventata una vecchia, mamma! Già non riesci più a prendermi! »
Il bambino cacciò fuori la lingua, mostrandola alla madre in modo scherzoso. La donna allungò un braccio per afferrargli il volto, in modo altrettanto giocoso, ma il bambino sfuggì alla sua presa, riprendendo a correre per tutto il salotto. La madre fece per dire qualcosa, cominciando a muoversi nella sua direzione, ma fu interrotta dall'eco della porta d'ingresso che sbattè — quasi violentemente — dal piano di sotto, segno che il padre del bambino era rientrato.
La figura di Kaylee Lewis si irrigidì visibilmente, mentre ritirava il braccio che aveva allungato verso il piccolo. Mosse qualche passo verso la porta e l'aprì, quasi timorosa. Thomas aveva sempre sospettato che la madre dovesse avere paura di qualche mostro, o fantasma, che silenziosamente si appostava dietro la porta scorrevole che separava il salotto dall'ingresso.
« Sei tornato. »
Disse rivolta all'uomo che in silenzio si stava levando il cappotto pesante, che era andato a coprire gli abiti eleganti che ogni mattina, in rigido silenzio, indossava.
« Cos'è tutto questo casino? »
Rispose invece lui, ignorando l'affermazione che la moglie gli aveva rivolto pochi secondi prima. Lo sguardo della donna seguì, quindi, quello del marito, voltando il capo verso la cucina. C'erano diversi piatti usati sul tavolo, qualche sprazzo di farina qua e là e coltelli, forchette, cucchiai e cucchiaini ovunque. La donna si torturò le mani, rivolgendo lo sguardo a terra, come se si vergognasse della risposta che, di lì a poco, sarebbe arrivata.
« Io e Thomas abbiamo cucinato una torta ... ce n'è ancora un pezzo in salotto, aspetta, te la vado a prendere! »
« E perché avete deciso di fare questa benedetta torta, sentiamo? »
« Perché ... è per il mio compleanno. »
« Allora dato che sei in vena di festeggiare ti conviene pulire. Tra poco viene a cena la vicina, l'hai dimenticato? Meglio che non trovi quel casino. »
E poi si chiuse nel suo studio, vicino al salotto. 
Thomas, che guardava la figura della madre sostare nel bel mezzo del salotto, in piedi, i pugni stretti fino a diventare bianchi, pensò che quei fantasmi che vedeva dovevano essere proprio brutti, se cominciava a piangere in quel modo.

Dieci anni. L'inesperienza di chi, la vita, ancora la guarda da lontano, pensando che sia una bella canzone. Forse, Thomas, quella sera, non aveva messo in conto che qualche volta la vita prende una brutta piega, una di quelle irrisovibili. Forse, Thomas, quella sera, avrebbe dovuto rimanere in camera sua a giocare con quell'aeroplanino che tanto gli piaceva, che tanto gli faceva avvertire la libertà che avrebbe voluto avere.
Forse, Thomas, quella sera, non avrebbe dovuto aprire la porta della camera della madre.
Suo padre era al lavoro, come suo solito, e non sarebbe tornato prima di un paio d'ore. La madre era debole, troppo debole ultimamente, e anche quella sera non se l'era sentita di preparare la cena. Thomas aveva fame. Ne aveva anche tanta, a dire il vero.
L'unica cosa che c'era nel frigo erano delle strane lattine. Non erano di Coca-Cola, né di aranciata, né di ogni altra bevanda che lui conoscesse. Di solito le apriva il padre quando tornava, se ne beveva una sul divano e si addormentava lì.
Dieci anni. L'inesperienza di chi, la vita, ancora non l'ha capita. Ancora non ha capito come il mondo gira, e gira, e gira, e quando si ferma, e si ferma su di te, sei finito. In qualche caso poteva dirti bene, e allora vivevi una vita bella, ricca di gioia, magari anche di lusso.
Ma a Thomas non era andata bene. Lo pensava mentre osservava il frigo vuoto, mentre sentiva il silenzio assordante che quella casa ospitava, sempre, comunque. Allora prese una decisione, ed insieme ad essa prese anche il cartone del latte che il triste e vuoto scompartimento del frigorifero ospitava.
Ci si mise d'impegno, lui. Preparò latte e biscotti come se fosse un grandissimo piatto da ristorante pluripremiato italiano, o francese. Li preparò per due, lui e la madre, ovviamente, e li mise su uno di quei vassoi che, a occhio e croce, erano più pesanti persino di lui. Con la lingua in mezzo ai denti, chiaro segno di iper concentrazione da parte del ragazzino, Thomas salì le scale con premura, facendo in modo che il latte non straripasse dalle tazze o che i biscotti, accuratamente ordinati in delle faccine sorridenti, non cadessero rovinosamente a terra.
E la buona intenzione c'era tutta. C'era nei suoi occhi, che brillavano, nel suo sorriso, che sperava, nel suo cuore, che batteva un po' più veloce del normale, un po' più animato da un qualcosa che poteva quasi definire speranza.
Arrivò in cima alle scale, arrivò fino all'entrata della stanza di sua madre, quella che un tempo era di entrambi i suoi genitori, e appizzò l'udito per capire se sua madre era sveglia oppure già dormisse. Non sentiva nessun suono, in realtà. Erano diversi giorni che si era chiusa in camera sua, ogni tanto si muoveva, scendeva, mangiava qualcosa, si faceva una doccia, e poi risaliva nella sua stanza.
Ma Thomas, oh, se avrebbe cambiato le cose!
Sua madre era triste perché suo marito, e suo padre, non c'era mai, perché tornava sempre tardi dal lavoro e perché non aveva abbastanza amore da donarle. E allora? L'amore di Thomas le sarebbe bastato! L'amore di Thomas sarebbe bastato per tutti e tre, in realtà.
Così lentamente aprì la porta con la punta di un piete paffuto, adornato dalla scarpetta da ginnastica che, una volta rientrato da scuola, ancora non si era tolto.
« Mamma? »
Chiamò, la vocina timorosa, come se invece che la madre avrebbe potuto trovarvi un mostro spaventoso. Sua madre dava la schiena all'entrata, la testa china sul suo corpo, i capelli corvini che ricadevano mosci sulle spalle, decisamente più esili di qualche mese prima.
Thomas mosse qualche passo in avanti, ed il volto della madre si voltò, mentre i suoi occhi, dello stesso colore di quelli del ragazzino, scrutavano quasi duramente il volto del bambino.
« Perché sei qui Thomas? Cosa vuoi? »
« Io avevo fame e ... ho pensato che potessi averne anche tu. Quindi ho preparato un po' di latte con— »
La sua voce si interruppe quando, avvicinandosi al corpo della madre, intravide una siringa a terra. Cosa stava facendo? Si stava levando il sangue? Lui aveva sempre saputo che le siringhe servivano proprio a quello. Ma perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere, lei?
Aggrottò le sopracciglia, mentre la vocina flebile, e troppo curiosa, usciva fuori dalle labbra leggermente piegate all'ingiù.
« Mamma cosa stai facendo? »
« Va' via Thomas. Maledizione, vai via! »
Il corpo della donna sembrò animarsi di un fuoco ad entrambi sconosciuto. Si alzò e spinse via il bambino, fuori dalla porta, chiudendola dietro di lui con forza, facendola sbattere, il solito eco che aleggiò per tutta casa, vuota, silenziosa.
Il latte giaceva a terra, una pozza che si allargava a macchia d'olio.

Cinque anni dopo le cose erano cambiate.
E Thomas avrebbe voluto con tutto sé stesso poter dire che erano cambiate in meglio. Ma dovette presto arrendersi all'idea di dover dire che erano cambiate, cambiate e basta.
Kaylee aveva finalmente lasciato il padre, che si era scoperto avere una relazione con un'altra donna (ovviamente. Lui, lei, l'altra.), e quello non si era fatto più vedere. 
Ovviamente.
Ora Thomas andava alle scuole superiori, tra poco avrebbe finito il secondo anno, e la madre non era cambiata di una virgola. L'unica cosa che era cambiata era il modo di Thomas di vedere le cose. Ora aveva capito cos'era quella siringa che aveva visto cinque anni prima, cosa si stava iniettando la madre nel sangue.
Droga, veleno, morte. Tutto quello tutto insieme.
E allora si era detto, se ha provato lei perché io no?
E aveva provato. Oh! Se aveva provato. Aveva provato molte volte e tutte quelle volte gli era piaciuto, gli era piaciuto sentirsi libero per un po', sentirsi un altro, sentirsi leggero, ignorare tutto il peso di tutto quello che c'era sulle sue spalle.
Ignorando tutto. 
Tutto quello che c'era stato, tutto quello che ci sarebbe stato, tutto quello che c'era.
La madre costantemente fatta, il padre sparito nel nulla, la droga era l'unica cosa che gli rimaneva. Di amici ne aveva pochi, di fidanzate meno di zero, anche perché si era riscoperto a volere altro. Voleva sentire più frizione, più mascolinità, non aveva voglia di quelle stronzate da ragazzine alle prime armi.
Voleva provare cose da uomo maturo.
E dall'alto dei suoi quindici anni ora si sentiva davvero davvero maturo. Ma non sapeva quanto il mondo potesse essere immaturo nei suoi confronti. Come se gli avesse voluto fare uno scherzo, dirgli che non si meritava proprio niente, che la sua stessa vita era uno scherzo.
In fondo, a chi importava di lui? 
A sua madre? No.
A suo padre? Non gli era mai importanto.
Ai suoi amici? No.
Nononononono.
A nessuno importava di lui. A quello pensava mentre l'ennesimo granello di polvere bianca andava nel suo naso. A nessuno importa di te, Thomas.
Un altro granello. 
A nessuno importa di te, Thomas.
« Dammi l'altra bustina. »
« Thomas, ne hai già finita una. »
« Dammi l'altra bustina, ho detto. »
A nessuno importa di te, Thomas.
Aveva iniziato troppo presto, lui, a perdere la speranza nel mondo. A quindici anni di solito si pensa solo a come conquistare una ragazza, a come chiederle di andare al ballo con te, a come vestirsi per far colpo sul gruppetto più popolare della scuola, a trovare amici con cui uscire la sera, divertirsi, godersi la vita.
Non si dovrebbe pensare a cose come quelle.
Non le avrebbe nemmeno dovute vedere, lui, cose come quelle.
E fu solo quando l'ennesimo granello di polvere bianca finì nel suo naso, che smise di vederle.
Che smise di vedere tutto.

"Cambia aria, Thomas".
Quello gli aveva detto.
Quello gli aveva detto e poi si era voltata, dandogli come ultima sua immagine la sua schiena scarna. Sua madre l'aveva lasciato. L'aveva lasciato per sempre.
In quella casa vuota, vuota come lui, ormai, vuota come la sua mente, come il suo cuore, come i suoi polmoni. Vuoti di tutto, vuoti di vita.
Lui stesso era un vuoto.
Un buco nero che attraeva tutto e trascinava giù, e nessuno sapeva più che fine faceva ciò che c'era entrato. Li aveva trascinati giù con lui tutti. Suo padre in primis, e sua madre lo aveva seguito a ruota. 
Era colpa sua, si diceva mentre scagliava un pugno contro il muro intonacato della casa.
Era colpa sua. Due pugni. Tre pugni, quattro, destro, sinistro, sette pugni.
Ma cosa c'era da fare, ancora, in quel caso? Thomas era una causa persa, Thomas era vuoto, Thomas non si sarebbe più potuto salvare, ormai. Come si fa a salvare qualcuno che non vuole essere salvato, poi?
"Cambia aria, Thomas".
Se lo ripeteva mentre saliva sull'aereo, convinto che quelle parole non erano mai state così sbagliate, quei gesti così avventati.
Lui aveva cambiato aria, sì, ma lei no.
Lei era cambiata e basta, non aveva fatto in tempo a cambiare aria perché qualcosa di più grande, qualcosa di più forte, non le aveva permesso di muovere un singolo passo. E allora l'unica cosa che era cambiata, per lei, era ciò che vedeva. 
Di solito quando si pensava a Kaylee Lewis si pensava ad una donna forte, coraggiosa, sorridente, piena di colore. Ma Thomas ci aveva visto solo del nero, in lei. Nero, spento, morto. Sua madre si era spenta, il nero l'aveva inghiottita, proprio come aveva previsto Thomas. Il nero che si era andato creando in lui gliel'aveva portata via.
E' colpa tua, Thomas.
Era solo colpa sua. Se lo ripeteva come un mantra, mentre il pilota annunciava che presto avrebbero raggiunto Chicago. Era sempre stata colpa sua, tutto era stata colpa sua, dall'inizio fino alla fine. Sin da quando quella siringa sul pavimento di casa sua aveva incontrato i suoi occhi color cioccolato fuso.
E ora, chi avrebbe potuto salvarlo?
Non c'era più nessuno per lui. Forse, pensò, non c'era mai stato.
Non c'era mai stato e non ci sarebbe mai stato. E no, non era un forse, quello.
Lo sapeva. Dentro di lui l'aveva sempre saputo, che sarebbe rimasto da solo, prima o poi. Senza occasione di essere salvato, senza un appiglio con cui farsi forza quando il mondo diventava troppo da sopportare.
Non aveva mai avuto il coraggio di salvarsi da solo, pensò, mentre nella tasca della sua felpa nera stringeva, le mani chiuse a pugno, una bustina con i granelli di polvere bianchi dentro.
Nessuno poteva salvarlo, ora. 



NdA:
Io non .................. davvero, non so da dove mi sia uscita questa cosa AHAHAHAH
Ovviamente ho cambiato il POV per raccontare tutto il background di Thomas, che è alquanto triste e deprimente, come potete notare. Mi dispiace che ci sia tutto questo angst in un solo capitolo, ma lo sapete che io A M O l'angst, no?
Ah, a proposito: ho anche una OS in cantiere ;) ;) ;) ;)
ANYWAY, passiamo as always ai ringraziamenti. Volevo ringraziare come al solito le mie Culopesche che sono l'unica cosa che mi rallegrano le giornate. Come al solito ringrazio: norawasabi, f_r_e_d, The_Tenth_Weasley, dracosapple, thomasnewtgally ed ehyrivera che mi recensiscono sempre e mi mandano un sacco di amore, vi ringrazio tanto!
Giusto per lettarvelo know: il prossimo sarà l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. Ebbene sì, signori miei, anche questa cazzata che mi ostino a chiamare fanfiction volgerà al termine.
*coretto: che culo!!!!*
Okay, nulla, ci sentiamo al prossimo aggiornamento! <3

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Capitolo 14
*** thirteenth chapter. ***


thirteenth chapter.

Let's start with the truth,
'Cause it gets you in the end.

 

Il periodo natalizio, per Newt, era sempre stato quello più bello di tutto l'anno.
Lo aspettava con impazienza, proprio come da bambini aspetti Babbo Natale sotto l'albero, pronto a coglierlo con le mani nel sacco non appena avesse messo il tuo regalo, quello tanto agnognato, sotto l'albero che tu e i tuoi genitori avevate montato con tanta cura.
Almeno, per Newt era sempre stato così.
Avendo una tipica famiglia di quelle unite, tutti felici, e contenti, e aperti anche mentalmente, fortunatamente, passavano sempre le vacanze natalizie tra gioie e risate, scintillii e tavole piene di buon cibo che la madre preparava, puntualmente, da una settimana prima. Erano sicuramente quelli, i ricordi più gioiosi che il biondino si portava dietro.
Ed erano a quei ricordi che la sua mente fece collegamento mentre tirava fuori il grosso valigione nero. Il Natale si avvicinava sempre di più, Newt poteva sentirlo battere alla porta. Aveva cominciato ad intravedere i primi sconti nei negozi, le prime lucine per le viuzze di Chicago, i primi addobbi natalizi che adornavano le vetrine di quella grande città.
E lui sarebbe presto tornato a Plymouth. 
Non poteva negare che, per quanto Chicago gli avesse rubato il cuore, le sue origini, i suoi genitori, la sua città natale, erano tutte cose che gli mancavano. E allora aveva deciso di prendersi qualche giorno di ferie anticipate, chiedendo gentilmente al signor Ankin, che gliele aveva concesse con un sorrisetto quasi dispiaciuto. Avevano tutti, bene o male, saputo della storia con Thomas ed il suo essere spacciatore, e avevano anche capito che Newt, la sera in cui si era ubriacato, ci aveva dato giù davvero pesante.
Ma come potevano biasimarlo? L'unica cosa che voleva fare era dimenticare tutto ciò che era successo con quel ragazzo, e se per farlo doveva andarsene dall'altra parte dell'oceano allora ben venga, l'avrebbe fatto. Inoltre i suoi genitori gli avevano chiesto più e più volte di tornare, perché gli mancava, perché volevano consolarlo un po' e perché non lo vedevano da quando, circa quattro mesi prima, era partito per approdare in America.
Issò la valigia sul letto, la guardò, la contemplò per qualche minuto come se essa potesse avere tutte le risposte a cui Newt aspirava maledettamente, poi si decise a muoversi e ad impilare i vestiti che si sarebbe portato nella sua città natia. Non sarebbe rimasto lì per sempre, oh, no. 
Si sarebbe preso un bel po' di tempo per pensare e poi sarebbe tornato lì. Aveva già pensato a salutare Minho, Brenda, anche Teresa, a dirla tutta, e aveva parlato con lo stesso signor Ankin.
Che, oltre che concedergli ferie anticipate, gli aveva anche detto di prendersi tutto il tempo che voleva, che loro l'avrebbero aspettato lì a braccia aperte. Evidentemente il trauma che Newt aveva sorbito con tutta la storia del caso, che ora avevano passato ad un altro studio legale, per questioni burocratiche, aveva fatto rammollire un po' tutti, lì dentro, portandoli a provare quasi compassione per l'inglesino.
Ed era proprio ciò che non voleva.
Non gli piaceva essere guardato mentre si pensava "Oh, povero Newt!", avrebbe preferito essere preso a parolacce, avrebbe preferito sentirsi chiamare "coglione", avrebbe preferito qualsiasi cosa tranne la compassione. Era un'emozione che lui stesso schifava, perché era inutile, e faceva sentire inutile anche te.
Prese con forza una pila di maglioni pesanti che aveva sistemato sulla trapunta ed un movimento anomalo catturò la sua attenzione. Per terra, ora, giaceva un pezzo di carta. Rimase un paio di secondi a guardarlo, come se potesse alzarsi in piedi e dire "Hey, sono mr. foglietto di carta, perché non mi raccogli e mi leggi?!". E poi pensò che stava pensando cose davvero idiote.
Sbuffò e lo raccolse, quasi con forza, come se gli stesse antipatico, quel povero ed inutile pezzo di carta, strappato da chissà dove. Forse era semplicemente una nota che si era fatto per ricordarsi di--
"E' strano il fatto che ci incontriamo sempre quando sei ubriaco, non trovi?
Non ho mai creduto nel destino, Newt, ma se qualcosa o qualcuno lì sopra ha deciso di farci incontrare un motivo ci sarà. 
Sono stato stupido, ma vorrei avere modo di spiegarti. Newt io penso di 
Dammi un'altra un'ultima possibilità, e ti dimostrerò che ne valgo valiamo la pena.
Thomas."

Seguiva un indirizzo, un indirizzo totalmente sconosciuto a Newt, ma evidentemente facilmente raggiungibile con i mezzi, o Thomas non glielo avrebbe mai nominato. Si sedette sul letto, lo sguardo ancora fisso su quel pezzo di carta che aveva cominciato ad odiare. Perché?
Perché proprio ora che aveva deciso di andare avanti il passato gli si ripresentava davanti agli occhi, graffiandolo come unghie su una lavagna, producendo quel sibilo che tanto faceva rabbrividire Newt? Proprio come stava facendo ora.
Strinse il pugno che conteneva il bigliettino di carta, producendo su di esso delle piccole pieghe, incartando le parole tra di loro, creando una palla di carta che buttò successivamente a terra, scagliandola contro il lato del cestino che teneva vicino al comodino.
Si passò nervosamente una mano fra i capelli, alzandosi, intento ad ignorare totalmente quel bigliettino, perché no, non c'era mai stato un "noi" e non ci sarebbe potuto essere. Aveva intenzione di trinciare tutti i rapporti con Thomas. Non lo avrebbe più cercato, non si sarebbe più ubriacato, non avrebbe mai più fatto cose del genere.
Poi realizzò un'ulteriore cosa: Thomas aveva scritto quel biglietto la sera che lo aveva riportato nel suo appartamento, quando si era ubriacato insieme a Minho e Brenda per tentare di dimenticare tutti gli avvenimenti che in quel periodo sembravano averlo preso di mira, tutta la sfiga che si era catalizzata contro di lui. E da quella notte era passato un po' di tempo.
Erano due giorni che, d'altronde, Thomas non aveva dato più segni di vita. Probabilmente, dato che Newt non si era presentato all'appuntamento, aveva dato per scontato che non voleva più vederlo. Quel pensiero, invece che farlo andare fiero delle sue decisioni, gli provocò solamente un tuffo al cuore.
Si immaginò Thomas, stretto nel cappotto invernale, col cappuccio tirato su come suo solito. Fermo, in strada, da solo, con il nevischio che cominciava ad adornare Chicago a cadergli sul volto. Volto segnato dalla delusione di non vedere la figura di Newt avvicinarsi alla propria, o di non ricevere sue notizie affatto.
E quando si immaginò quella scena dovette scivolare con la schiena lungo il fianco del letto, perché gli provocò un dolore al petto per niente trascurabile. Possibile che quel ragazzo gli fosse entrato così tanto dentro? Che in così poco tempo fosse diventato il suo veleno, veleno che Newt aveva riconosciuto come tale e scelto, alla fine.
Thomas era la droga di Newt.
Per quanto gli facesse male ammetterlo, Thomas era la sua droga, e ne era consapevolissimo.
Fu per quel motivo che prese il cellulare con le mani tremanti, aprendo l'applicazione dei messaggi e scorrendo la rubrica lentamente, come se a quel nome non ci volesse arrivare.
Eppure sentiva una parte del cervello che fremeva tant'era la voglia di vederlo, di vedere il suo stupidissimo nome su di uno schermo, di rivedere il suo volto in condizioni di sobrietà.

(14.32)
Hai dieci minuti di tempo per scusarti/spiegarti o quello che è.
Ci vediamo al Fagiolo tra mezz'ora.

Rilesse quel messaggio parecchie e parecchie volte, prima di trovare la forza di inviarlo.
Con gambe tremanti, poi, si alzò in piedi e prese il cappotto pesante, insieme con la sciarpa, l'aria natalizia aveva portato con sé anche un bel vento freddo, che penetrava nelle ossa del ragazzo esile, facendolo rabbrividire.
Sapeva, tuttavia, che ora non era per quel motivo, che stava rabbrividendo.

Thomas aveva aspettato.
Aveva aspettato invano, molto tempo, seduto su una panchina sgangherata di uno dei tanti parchi che si trovava nelle vicinanze di casa sua, lì, nella fredda Chicago invernale.
Aveva aspettato per ore, seduto a rimirare ogni persona che passasse, tentando di vedere in loro qualcosa di Newt, di riconoscere la sua chioma biondo cenere, di riconoscere il suo andamento leggermente zoppicante, che si era provocato quando, da bambino, aveva avuto la brillante idea di tuffarsi dal muretto di casa sua per vedere se riuscisse a volare. Uno degli ennesimi aneddoti che proprio lo stesso Newt gli aveva raccontato in una delle tante giornate passate insieme.
E, Dio, se gli mancavano quelle giornate. 
Aveva fatto di tutto per rovinare quel rapporto senza neanche accorgersene. Era stato così stupido a concedersi quell'unico momento di debolezza, quello che aveva avuto quando era uscito il primo giorno con Newt. Quello che aveva creato una voragine, che poco poco era andata aprendosi, e che alla fine aveva risucchiato entrambi nella propria oscurità.
La sua mano sembrava essersi congelata, quel giorno, mentre, in piedi col volto riverso al Fagiolo, fumava una delle sue tante sigarette. Una delle poche droghe a cui non riusciva a resistere.
Osservò le nuvolette di fumo fuoriuscire dalle sue labbra, quasi rapito, come se esse potessero effettivamente avere delle risposte alle milioni di domande a cui cercava ancora di dare una rispsota.
Aveva aspettato molto tempo, nei giorni precedenti, dopo l'accaduto con Newt ubriaco. Aveva aspettato su diverse panchine, aveva cambiato posizione, aveva fumato molti pacchetti di sigarette diverse, ma Newt non era mai arrivato. E Thomas sapeva perfettamente che non poteva pretendere niente, perché era stato lui la causa di tutto quello. Era stato lui ed il suo dannatissimo passato, a causare un enorme e gigantesco casino nel quale entrambi erano caudti vittime. 
La cosa peggiore era che Thomas aveva capito solo in quei momenti, quanto fosse importante per lui un ragazzo biondo, dalla corporatura esile, ma ben bilanciata. Un ragazzo con quegli enormi occhi marroni, profondi, che ogni volta gli avevano riservato solo grossa felicità, eccetto nell'ultima volta in cui lo avevano guardato, quell'unica e tremenda volta in cui Thomas, al loro interno, vi aveva letto solo delusione.
Ma quando, voltandosi, li incontrò nuovamente, non potè fare a meno che affogare al loro interno per un paio di minuti, perdendosi in quelle iridi color cioccolato fuso, che a lui tanto piaceva. Deglutì, quasi a vuoto.
« Newt. »
Non disse nient'altro, pronunciò solamente il suo nome, beandosi un'ennesima volta del suono di quelle quattro lettere che scivolavano tra le sue labbra.
Le guance di Newt erano arrossate dal freddo, così come il naso. Aveva i capelli leggermente scarmigliati, per via del vento che improvvisamente andava alzandosi, le mani nelle tasche del cappotto pensate, e le iridi ferme in quelle di Thomas, così simili alle proprie.
Newt lo guardava. Impassibile, Newt spostava gli occhi su ogni piccola curva del volto di Thomas, su ogni piccolo neo, che aveva rimirato, nel pallore della luna, quasi troppe volte. Osservava il suo naso all'insù, che gli trasmetteva un senso di dolcezza. Guardava Thomas e capiva quanto non avrebbe mai potuto fare nulla per dimenticarlo.
« Sono qui. E, come ti ho detto, hai dieci minuti per spiegarti, ho delle cose da fare. »
Le parole probabilmente gli uscirono molto più duramente di come avrebbe voluto. Ma cos'altro poteva fare? Thomas era lì davanti ai suoi occhi, e non sapeva se dirsi felice o arrabbiato nero, quindi nel dubbo scelse la seconda.
« Oh, sì, certo. Io ... in realtà, Newt, volevo solamente dirti che ho rovinato tutto. Lo so, mi dispiace, ne sono consapevole e sinceramente non so se posso prometterti che ciò che hai visto non si ripeterà, perché io sono fatto così, è da molto, moltissimo tempo che io sono fatto così. Non posso assicurarti nulla, Newt. Se non un'unica singola cosa: tu per me sei qualcosa di importante, e mi dispiace, ma devo dirtelo Newt. Non rinuncerò facilmente a te, dovessi fare i salti mortali, non rinuncerò facilmente a te. »
Furono parole che si dissolsero nel vento, mentre Newt le ascoltava con ferocia, quasi a volerle divorare, farle sue, incanalare nel suo cervello per non farle più uscire. Newt voleva perdonarlo. Voleva farlo con tutte le sue forze perché le cose che Thomas gli aveva detto erano esattamente le stesse che lui pensava.
E Newt voleva crederci. Voleva credere a quelle parole portate via dal vento di metà Dicembre che soffiava sui loro volti, infreddoliti, rossi a causa dell'emozione del momento e del pungente freddo che li trapassava. Newt voleva crederci e voleva sperare che ci fosse una minima possibilità per loro due perché era probabilmente l'unica cosa che, nella sua vita, aveva avuto più valore di tutte.
Ed in così poco tempo, Thomas per lui era diventato un fulcro, una colonna portante, un ragazzo che aveva preso il suo cuore in tempo record. Ma come poteva perdonarlo altrettanto facilmente, altrettanto velocemente dopo ciò che non aveva avuto il coraggio di dirgli, dopo ciò che, invece, aveva avuto il coraggio di fare?
Sospirò, causando delle piccole nuvolette di vapore davanti alle sue labbra screpolate, spostando lo sguardo in quello di Thomas. Aveva bisogno di tempo. Aveva bisogno di più tempo perché doveva capire cosa voleva e perché doveva capire cosa significava per lui fino in fondo quel ragazzo dai capelli castani e dagli occhi scuri e profondi.
« Sto partendo. »
Ed invece, dalla bocca gli uscirono solo quelle due parole.
Thomas sentì il cuore fare un tonfo sordo dentro il suo petto, cadere e finire fino a terra, sbriciolato da due semplici parole che Newt aveva pronunciato con voce flebile.
Stava partendo.
« Dove vai? »
« Plymouth. Almeno per le vacanze di Natale, tornerò quando avrò le idee più chiare. Anche per quanto riguarda noi due, Thomas. Voglio ... vorrei davvero perdonarti, ma ho bisogno di tempo, di riflettere e di passare un po' di giorni da solo, lontano da qui, da te. »
« Newt ... »
Provò, Thomas, ma non gli uscirono altre parole.
Sarebbe partito per più di un mese, e quando sarebbe tornato sarebbe stato diverso. Avrebbe avuto qualcosa da dirgli, qualche risposta da dargli, e Thomas sperava con tutto sé stesso che sarebbero state risposte positive, perché lui ce l'avrebbe messa tutta pur di non ripetere lo stesso errore.
« Tornerò, okay? Io ... ho solo bisogno di questo, Tommy, di tempo. »
Fu un attimo, nemmeno se ne accorse che il suo cervello ricollegò quel soprannome al ragazzo di fronte a lui. Scivolò dalle sue labbra come se fosse stata un'abitudine di un tempo andato, di un ricordo passato e vissuto, come lui aveva vissuto loro due.
Eppure sembrò così giusto e sbagliato al tempo stesso.
Nel vento freddo di Dicembre, due cuori facevano i conti con le conseguenze di alcune azioni sbagliate, due ragazzi si guardavano negli occhi e, silenziosamente, si salutavano.
Fu solamente quando Newt scivolò via, assicurandogli che sarebbe tornato, che non lo avrebbe lasciato senza risposte, che dagli occhi di Thomas scesero delle lacrime fredde, solitarie, salate.
E si disse che probabilmente, quello, era solamente il prezzo da pagare per ciò che aveva fatto.


NdA:
BLAME IT ON THE SCHOOOOOOOL, DON'T BLAME IT ON ME! DON'T BLAME IT ON ME!
Okay, no davvero, mi scuso per i ritardi con cui sto pubblicando tutti i capitoli ma ho avuto delle settimane che infernali è dire poco a scuola.
Consiglio: se state per andare in quinto liceo rifiutate l'offerta e andate avanti.
ALLORA. Passiamo alla ff. Comunicazione di servizio, ragazzi: il prossimo capitolo è l'epilogo. Avevo in mente di fare un salto temporale, ma visto come mi è uscito fuori questo, di capitolo, ancora non so bene come farlo, se di tanto, di poco, di medio (?), insomma, è ancora un #wip, quindi per ora godetevi l'angst di questo.
Non preoccupatevi, aggiornerò appena potrò dato che per un po' ho i giorni liberi da ogni tipo di studio eccessivo e/o scervellamenti dietro biofermentatori vari. 
Come al solito ringrazio tutte le ragazze del #TeamCulopesche che seguono questa fanfiction dall'alba dei tempi, nel lontano Agosto. Ah, i bei tempi. Poi ringrazio tutte le 21 persone che l'hanno messa tra i preferiti, facendola entrare nelle storie più popolari della sezione di TMR! Le 40 persone che l'hanno messa tra le seguite e le 6 che invece l'hanno messa nelle ricordate. Ringrazio moltissimo le solite persone che continuano a recensirla costantemente, ormai sapete chi siete. Soprattutto ringrazio Ele aka norawasabi a cui posso sempre rompere per le idee che mi vengono su nuove ff.
Ah, brace yourself, perché ho in mente una marea di nuove idee, alcune delle quali già mezze scritte.
Quindi ci sentiamo al prossimo aggiornamento, babies. Love u all. <3

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Capitolo 15
*** epilogue. ***


epilogue.

I love bittersweet ecstasy that you got me in. Fallin' deep, I can sleep tonight.
And you make me feel like I'm out of my mind. But it's alright, it's alright, it's alright

 

24 Dicembre 2015
Stare con la propria famiglia il giorno di Natale, per Newt, non era mai stata una forzatura. Di solito i ragazzi amavano divertirsi, ed utilizzavano il tempo delle vacanze natalizie per uscire, fare baldoria, andare a bere, andare a rimorchiare e chi più ne ha più ne metta.
Newt, forse a causa del suo carattere così chiuso, così introverso che aveva sempre avuto, aveva sempre adorato passarle a casa del genitori, con la famiglia riunita tutta almeno per una volta, l'aria festosa che si respirava, le risate, le battutine.
Eppure, quel giorno, Newt non sentiva gli stessi sentimenti che, ad esempio, l'anno prima aveva sentito. Con aria assente girava la forchetta d'acciaio nel piatto in ceramica che la madre aveva preso dal nuovo servizio esclusivamente per il giorno di Natale. I suoi pensieri erano altrove, i suoi pensieri erano oltreoceano, la sua mente era ancora ferma tra la vista di una Chicago innevata ed il nasino all'insù rosso di Thomas, che si era evidentemente colorato per via del cambio di temperatura repentino che vi era tra l'interno degli appartamenti e le vie della città.
« Newton, tesoro, è tutto okay? »
La voce tenera di sua madre, con l'accento tipico che aveva sentito sin da quando era nato, lo riscosse dai suoi pensieri fissi. Ormai, erano sempre gli stessi.
Il ragazzo alzò il capo in direzione della madre, che con i suoi occhi scuri lo scrutava, tentando di capire se ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato. Ovviamente le aveva raccontato tutto, a proposito di Thomas, della droga e di tutto il resto, e ora lei sembrava ancora più apprensiva di quanto non lo fosse mai stata in ventidue anni di vita.
Allora Newt mise su il sorriso più finto che avesse mai fatto e annuì, risultando quasi convincente.
« Sì, scusatemi, è che sono ancora un po' scosso dal jet-lag. »
E allora tutti i parenti cominciarono a parlare l'uno sopra all'altro, chiedendogli com'era l'America, com'era Chicago, com'erano le persone di Chicago, e Newt si sentì quasi di nuovo a casa, in quel momento. Eppure la frase "casa non è un luogo, è una persona" continuava a riproporsi nella sua mente. 
Gli aveva chiesto tempo. Newt aveva chiesto del tempo a Thomas e lui, volente o nolente, glielo aveva dovuto dare. I primi giorni lì a Plymouth erano stati duri senza poter prendere in mano il telefono e scrivergli, o chiamarlo. Ma sapeva che l'aveva creata lui, quella situazione. L'aveva decisa lui e ora non poteva cambiare idea di punto in bianco e ripresentarsi nella vita di Thomas, entrambi dovevano capire cosa volevano. E anche se Thomas affermava di saperlo già, Newt aveva bisogno di allontanarsi, pensare, schiarirsi le idee e fare mente locale.
Un sospiro uscì dalle labbra di Newt quando si chiuse la porta del bagno dietro la sua figura, appoggiandosi poi contro di essa con la schiena e la testa. Chiuse per qualche minuto gli occhi, ascoltando le chiacchiere fluenti della sua famiglia e dei suoi parenti dall'altra parte del muro.
Almeno qualcuno si stava divertendo.
Aprì gli occhi e si avvicinò al lavandino, appoggiando le mani contro il freddo lavandino di marmo bianco di fronte a lui, ritrovando la propria immagine riflessa nello specchio. Guardò i suoi stessi occhi scuri, chiedendosi che cosa gli stava accadendo.
Gli sarebbe piaciuto potersi dare una risposta.
Un leggero suono acuto lo fece riscuotere, e prese il telefono dalla tasca posteriore dei jeans che quella mattina aveva indossato, senza nemmeno ragionarci su. C'era una chiamata in arrivo.
Una chiamata da parte di Thomas
Aprì velocemente il rubinetto e fece scorrere l'acqua nel lavandino contro il quale poco prima si aggrappava, per non dar modo ai suoi parenti di ascoltare ciò che stava succedendo.
« Pronto? »
Lo pronunciò con una vocina flebile, come se avesse paura dell'eventuale risposta del ragazzo dall'altro capo del telefono.
« Hey. Volevo ... solo augurarti Buon Natale, e chiederti come va lì. »
La voce di Thomas era ovattata da una musica che sembrava provenire dal fondo, come se fosse in un locale con un sottofondo musicale e si stesse allontanando per poter parlare con lui. Probabilmente stava facendo il turno al pub.
« Buon Natale anche a te. Qui va tutto bene, ti ... ti ringrazio per avermi chiamato. Tu sei al pub? »
« Non mi andava di mandarti un semplice messaggio. Siamo comunque amici, no? Ad ogni modo sì, sono al pub. »
Siamo comunque amici, no?
Sì. Ecco la seconda domanda da un milione di dollari. Cos'erano, loro due?
Erano stati un qualcosa, un qualcosa che a Newt era stato in grado di togliere il respiro e di farlo capitombolare in uno stato di trance talmente forte da non farlo più rendere conto di ciò che accadeva intorno a lui. Erano stati un qualcosa. Un qualcosa di perfetto.
Eppure Thomas aveva rovinato tutto.
Si mordicchiò un labbro, appoggiandosi con il fondo schiena contro il lavandino, che continuava a caricare e svuotare acqua nello scarico, come un circolo vizioso. Anche loro erano un circolo vizioso?
Ricominciava sempre tutto da capo, ora Newt, oltre che ferito, si sentiva anche abbastanza nervoso, come se stesse parlando con Thomas per la prima volta e la sua cotta per lui non fosse mai sfumata. 
« Sì, amici. »
No, no che non erano amici. Il casino che regnava tra di loro uguagliava solo quello che Newt sentiva nella sua testa, non sapeva più come gestire l'andamento delle cose e mai l'avrebbe saputo, molto probabilmente. 
Ma perché un semplice ragazzo aveva dovuto rivoluzionare il suo mondo in quel modo?
Come se non esistesse più gravità, come se fosse Thomas a tenerlo ancorato alla terra, come se tutto girasse intorno a lui, ai suoi occhi scuri, al suo naso all'insù e ai suoi mille nei che adornavano quella pelle nivea, delicata, quasi pura.
Ma cosa c'era di puro in lui?
Improvvisamente Newt realizzò che non era per niente contento di essere definito amico da Thomas. Insomma, come poteva esserlo? Avevano condiviso emozioni che di certo non incontri ogni giorno, nel tuo cammino. Ed ora veniva a rivendicargli la sua amicizia?
Sul serio?
« Ancora non sai quando tornerai qui? »
Chiese Thomas, riscuotendolo da quei pensieri difficili che il suo cervellino stava lavorando. Poteva sentirlo girare a velocità diversa dal normale, tentando di metabolizzare ciò che gli aveva detto e capire. 
Perché non gli stava bene?
« Uhm ... a dire il vero no. »
« Okay. »
« Okay. »
Eccolo lì, l'imbarazzo solito che li attanagliava quando sembrava che volessero solo sputarsi addosso tutto ciò che provavano, ed invece non facevano altro che reprimerlo e far finta di niente. 
E non sapevano quando gli facesse male, seguire quell'istinto. 
« Comunque ... forse è meglio che io ora torni dillà, si starano chiedendo che fine io abbia fatto. »
Disse Newt, anche se nemmeno lui sembrava totalmente convinto di ciò che stava dicendo. Ingoiò il boccone amaro, dicendosi che era meglio così. 
« Certamente. Ancora auguri e ... beh, divertiti. »
« Certo. Anche tu, Thomas. »
Si salutarono con un imbarazzato "Ciao" e Newt chiuse la chiamata, insieme con il rubinetto che per tutto quel tempo era rimasto aperto, giusto per coprire le parole che si era scambiato con il ragazzo. 
Sospirò e mise di nuovo il telefono nella tasca. Si sistemò il ciuffo di capelli con una mano e con decisione aprì la porta, uscendo e ritrovando tutti i suoi famigliari. 
« Pensavamo fossi cascato nel water, Newton! »
Risero, e lui si sforzò di fare lo stesso, ma la sua risata non gli uscì proprio vera come quelle degli altri. 
« No, fortunatamente sono qui. È che mi ha chiamato il mi– »
Il tuo cosa?
Una vocina interiore, anche molto fastidiosa, gli fece rimbombare quelle parole nella testa, ricominciando a far girare il cervello come poco prima era successo. 
« Un mio amico di Chicago, per farmi gli auguri. »
Concluse velocemente, sedendosi al posto che aveva lasciato vuoto a tavola. Sorrise di nuovo, come per scusarsi di quell'imprevisto, e si umettò le labbra, mentre con la coda dell'occhio scorse l'occhiata apprensiva della madre. 
« Un amico speciale, per caso? »
Commentò sua zia, un sorrisetto malizioso piantato in volto. 
Gli occhi di Newt si alzarono immediatamente, fissando la donna con uno sguardo a dir poco inceneritore. La cosa che più gli dava fastidio era il fatto che sì, ci aveva indovinato. 
« Un amico e basta. »
Lasciò morire la conversazione di proposito, osservando come la madre in fretta trovò un nuovo argomento di cui parlare. 
« Sai, Newtie? C'è lo studio legale di Jonah che cerca qualcuno. »
Jonah era il cugino di Newt. Non si vedevano spesso perché il ragazzo aveva già messo su famiglia con una donna in carriera di successo, ma ogni tanto nelle festività si incrociavano a qualche pranzo, o cena. 
Newt alzò un sopracciglio, osservando gli occhi scuri della madre che, in qualche modo, tentavano di convincerlo. Voleva con tutte le sue forze che il figlio ritornasse a vivere a Plymouth, ora mai era abbastanza ovvia, come cosa. Il biondino si schiarì la gola e annuì leggermente, mostrandosi minimamente interessato alla cosa. Nonostante volesse allontanarsi da Chicago, sicuramente la sua intenzione non era quella di tornare stabilmente nella piccola cittadina inglese. 
L'America gli aveva offerto nuove possibilità, e ritornare alle origini gli sembrava uno spreco di tempo. Però era pur vero che, forse, tornando nella sua città natia si sarebbe distratto un po'. Non voleva valutare i pro e i contro su due piedi, quindi semplicemente stropicciò l'angolo del tovagliolo sulle sue gambe e annuì. 
« Magari ci dormo su. »
La madre gli sorrise incoraggiante, ed in quel momento suo padre uscì dalla cucina con i primi piatti di antipasti che avrebbero aperto quel pranzo. La voce possente dell'uomo si scatenò in un "Chi è che ha fame?!" e tutti presero a ridere e passarsi piatti su piatti. 
Newt guardava la scena con un sorrisetto sulle labbra. Forse tornare a Plymouth non era stata una cattiva idea.

30 Dicembre 2015
Newt uscì dal suo ufficio riavviandosi il ciuffo di capelli scuri e prendendo dalla tasca del suo cappotto pesante ed invernale un pacchetto di sigarette. Ne sfilò velocemente una, portandosela alle labbra e riponendo nuovamente il pacchettino dalla tasca da cui lo aveva estratto.
Suo cugino Jonah si trovava sulla porta dell'ufficio legale, e lo guardava sorridendogli.
« Gran lavoratore, eh? Sono contento che alla fine hai accettato, cugino, è bello riaverti qui a Plymouth. »
Il ragazzo si tolse la sigaretta dalla bocca e gli sorrise, più che un sorriso fu una specie di ghigno. Inclinò la testa come a volerlo ringraziare delle sue parole e si riavviò la cartella sulla spalla.
« E' bello saperlo. Ti ringrazio per l'opportunità Jonah, ci vediamo tra qualche settimana, giusto? »
« Sì, e oh! A proposito: abbiamo trovato un testimone per quel caso a cui stai lavorando, ti lascio la sua cartella, magari durante queste settimane te lo studi per bene, che ne dici? »
Il biondo prese in mano i fogli che il cugino gli stava porgendo, e diede una rapida occhiata ai dati che vi erano riportati sopra. Annuì leggermente, sfilando con gli occhi scuri tutte le varie informazioni che il cugino aveva raccolto per lui. 
Mise nuovamente la sigaretta tra le labbra, un po' distrattamente, e poi sorrise all'altro ragazzo.
« Va benissimo. Faccio tutto e appena ho qualche informazione ti faccio sapere. »
Gli fece un occhiolino e lasciò lo studio. 
Nel vento gelido di Plymouth Newt si accese la sua sigaretta, uno dei suoi brutti vizi emergenti. Prese qualche tiro, continuando a leggere le parole sul ragazzo che Jonah gli aveva appena fornito. Apparentemente, questo Oliver, era un hacker professionista, e nell'ultimo caso che Newt stava portando avanti, l'hacker in questione aveva avuto uno scontro con la vittima, una ragazza viziata che lo aveva messo in ridicolo di fronte a tutta la comunità divulgando la notizia della sua omossessualità. 
Guarda caso, dopo poco tempo, la ragazza in questione era stata assassinata.
Tra le informazioni di Jonah c'era una notizia che risaltava all'occhio di Newt: andava sempre in un locale che si trovava vicino casa sua. Ora sapeva cosa doveva fare.

Quella sera stessa
« Newtie? Stai uscendo anche stasera? »
In pochi giorni la vita di Newt era cambiata. Plymouth l'aveva fatto cambiare.
Non sapeva ancora bene com'era successo, tantomeno quando era successo, eppure si sentiva diverso, e si comportava anche diversamente.
L'unirsi ad un nuovo studio legale, il conoscere gente nuova e ricominciare ad uscire, conoscere nuovi locali, erano state tutte piccole cose che lo avevano fatto cambiare. Si allacciò gli stivaletti neri che indossava ogni volta che doveva uscire e controllò di avere abbastanza sigarette.
Ovviamente i suoi genitori non sapevano che fosse diventato un fumatore, in ventidue anni di vita non aveva mai provato a prendere nemmeno un tiro di sigaretta, ed ora, in sei giorni, ne aveva presi più di quanti ne avesse potuti immaginare.
« Sì mamma, vado a conoscere un testimone di un caso che io e Jonah stiamo portando avanti. »
Scese le scale nel suo cappotto nero e pesante, perfetto per il clima rigido di fine anno. Sorrise alla donna che era intenta a preparare dei dolci per il giorno dopo, Capodanno, e di fretta uscì.
D'altronde aveva detto una mezza verità. Non l'avrebbe proprio ... conosciuto.
Qualche ora dopo Newt uscì dal bagno del locale, pulendosi le labbra rosse e sistemandosi la maglia che si era stropicciata. Si voltò giusto in tempo per vedere quell'Oliver uscire dallo stesso bagno, sistemandosi i capelli e gli occhiali da vista sul naso, tentando di non destare sospetti.
Ghignò, il biondo, infilandosi una sigaretta tra i denti.
Ora si che aveva tutte le informazioni.

31 Dicembre 2015
« Cinque minuti, ragazzi. Solo cinque, oddio che emozione! »
Sua zia urlò per tutta casa, mentre Newt alzava gli occhi al cielo, ridacchiando. Capodanno gli era sempre piaciuto, significava l'inizio di un nuovo anno, una nuova vita.
Anche se Newt era già cambiato molto, in un lasso di tempo così ristretto. Quell'anno che sarebbe arrivato sarebbe stato sicuramente diverso, e Newt non vedeva l'ora di scoprire cosa Plymouth ed il 2016 gli avrebbero riservato.
Il countdown si muoveva lentamente sulla televisione, mentre i suoi parenti si aggiravano nervosamente per tutta casa sua. Aveva decisamente bisogno di una sigaretta. Quindi furtivamente si avviò verso il bagno, uscendo dalla piccola finestrella e salendo fino al tetto di casa sua. Di solito, quando abitava lì, quel posto lo usava per riflettere, ci andava quando voleva fermare un po' i pensieri e stare da solo.
Ora usava quel posto per dar sfogo alle sue (cattive) abitudini.
Quando la sigaretta era giunta quasi a metà, il suo cellulare trillò. Lo tirò fuori senza nemmeno pensare, finché il nome scritto sullo schermo non lo fece immobilizzare.
Si riprese in tempo per scorrere il dito sullo schermo ed accettare la chiamata.
« Pronto? »
« Hey, biondino. »
La voce di Thomas che lo chiamava con quel soprannome che non sentiva da tempo lo fece sospirare, quasi come se fosse il primo respiro dopo essere stato sott'acqua tutta la giornata. Lui e Thomas non si erano più sentiti dal giorno della vigilia di Natale, quando Thomas, nonostante il fuso orario, lo aveva chiamato per fargli gli auguri.
Sentire di nuovo la sua voce era strano, ma al tempo stesso sembrava quasi come se fosse tornato a casa. La sua idea di rimanere a Plymouth era ormai ferrea, eppure quel pensiero lo colpì come un fulmine a ciel sereno.
« Thomas, hey. Come va? »
Disse il biondo, osservando la sigaretta che, tra il suo indice ed il medio, si stava consumando lentamente. Il suo sguardo di perse nel vuoto, pensando che tra soli cinque minuti sarebbe ricominciata la sua vita, una nuova vita. E sentire Thomas in quegli ultimi cinque minuti fu ... strano.
« Bene. Sono con Minho e Brenda, hanno dato una festa e sono riuscito ad imbucarmi. Sembrano una coppietta sposata, lo sai? Oh, a proposito, ti fanno gli auguri. »
Newt ridacchiò, pensando a quanto fu strano pensare il moro nello stesso luogo in cui vi erano Minho, Brenda, Teresa e tutti quelli del suo vecchio studio legale. All'asiatico e alla sua ragazza non era mai stato molto simpatico, Thomas, per ciò che era successo con la droga e tutto il resto.
« Oh, penso di aver combinato un casino, con quei due. Mi sarei dovuto fare gli affari miei. Ma comunque ringraziali, e salutameli tanto. »
« Lo penso anche io, ma alla fine sono carini, e prometto che dopo te li saluto. Tu che fai? Non sento molto brusio in sottofondo. »
Anche la musica che stava sotto la voce di Thomas aveva cominciato ad affievolirsi, segno che si stava allontanando dal luogo della festa. 
« Sono sul tetto, sto ... mi sto fumando la mia ultima sigaretta del 2015, a dire la verità. »
Dall'altro lato del telefono ci fu solo silenzio, mentre Newt aveva rilasciato una risatina, quasi imbarazzata. Ma quando non sentì più parole da parte di Thomas anche la sua risata, e con essa la sua voce si spense.
« Da quando fumi? »
« Da un po'. »
Quella di Thomas sembrava più un'accusa che una domanda, e la risposta di Newt suonava molto scostante e fredda. Da quando gli interessava quello che faceva?
Da lontano provenne la voce della madre, che urlava a tutti di sbrigarsi, perché mancavano solo due minuti all'inizio del nuovo anno.
« Manca poco lì, vero? »
Thomas aveva cambiato discorso, per sua fortuna.
« Due minuti. »
« Allora ti lascio ai tuoi parenti. »
Newt si mordicchiò un labbro. Voleva, al tempo stesso, tornare dai suoi genitori e rimanere a parlare con Thomas, che sembrava volesse urlargli qualcosa tipo "non andare, rimani qui a parlare con me al telefono!"
« Buon anno, Tommy. »
Di nuovo, le vecchie abitudine erano dure a morire.
« Buon anno a te, biondino. Vorrei essere lì, in questo momento. Mi ricorderò che hai speso gli ultimi due minuti del 2015 al telefono con me, fidati. »
Le sue parole lo lasciarono senza parole, ed il telefono segnalò di nuovo che la linea era libera. Thomas aveva attaccato dopo aver sputato fuori tutte quelle confessioni, e Newt si sentiva un po' più debole dei minuti precedenti.
Da dentro casa provenì un urlo, che sembrava un "BUON ANNO!", ma suonò più come un boato generale. Solo in quel momento Newt si rese conto che aveva finito il 2015 ed iniziato il 2016 con un pensiero in testa.
Thomas.

Gennaio 2020
« Chiamaci quando atterri, mi raccomando! Buon viaggio, amore mio. »
Newt alzò gli occhi al cielo. Nonostante ora fosse vicino ai trent'anni, sua madre ancora gli riservava quegli stupidi soprannomi da bambino piccolo.
Non sapeva se dirsi contento o meno.
Si preparò mentalmente al volo per arrivare a Chicago che avrebbe dovuto affrontare mentre saliva sull'aereo. Gli ultimi cinque anni, per Newt, erano rimasti un po' statici. Aveva lavorato dal cugino, aveva continuato a continuare i suoi brutti vizi, era rimasto ad abitare con i suoi genitori, ma non aveva più sentito Thomas.
Dopo il Capodanno di cinque anni prima avevano parlato un po', scambiandosi qualche messaggio di tanto in tanto, dopo che Thomas gli aveva detto quelle frasi molto strane, secondo il biondino. Ma poi avevano intrapreso strade diverse e si erano concentrati su cose nuove, e tutto era cambiato.
Ora Newt stava tornando in America per una ragione ben precisa: Minho e Brenda avevano deciso di sposarsi, nonostante la loro giovane età. Non poteva dire di condividere la decisione dei due, ma se erano felici allora anche lui lo sarebbe stato.
Chiuse gli occhi e si preparò al volo.
Volo che passò lentamente. Newt si annoiò per tutta la durata e non fece altro che sbuffare e desiderare una sigaretta. In ogni momento.
Finalmente, sbarcato, ritrovò il clima rigido americano, sicuramente meno freddo di quello di Plymouth, ma comunque il freddo lo fece rabbrividire leggermente. Quando arrivò all'uscita dell'aeroporto, i volti di Minho e Brenda lo accolsero sorridendogli a trentadue denti.
« Eccolo qui! »
Si fiondarono contro di lui, stringendolo in un abbraccio caloroso, che Newt ricambiò con molta gioia. Rivederli dopo così tanto tempo era una cosa che lo faceva sentire bene. E anche se non considerava più Chicagno come casa sua, poteva ancora dire di avere un motivo valido per tornarvici.
« Eccomi qui, fresco e riposato per il vostro matrimonio, domani! »
Risero, mentre l'asiatico scortava Newt alla sua macchina. Durante il tragitto i due richiesero un resoconto dettagliato degli ultimi cinque anni passati nella sua madre patria, e poi quando raggiunsero l'hotel che Newt aveva trovato, lo lasciarono con l'eccitazione di rivederlo l'indomani.
Ovviamente il ragazzo, quando aveva capito che sarebbe rimasto a Plymouth, aveva venduto l'appartamento, quindi ora si trovava costretto a dover dormire in un hotel trovato giusto per starci una notte, trovando un po' di riposo, finalmente. Non aveva dormito per niente, sull'aereo, e dopo una dolcia rigenerante si fiondò sotto le coperte.
Domani sarebbe stato un giorno importante.

Newt gettò a terra il mozzicone di sigaretta, spegnendolo con la punta della scarpa lucida e avviandosi verso l'entrata della chiesa.
« Hey, biondino. »
Una voce lo richiamò, facendolo voltare lentamente.
La figura di Thomas, elegante in quel vestito scuro e raffinato, si trovava dietro di lui. Le mani nelle tasche, lo sguardo scuro fermo contro quello di Newt. Per un attimo il respiro gli si bloccò in gola.
Thomas era ancora bellissimo.
Non riuscì a dire nulla perché proprio in quel momento una voce, quella di Teresa, li richiamò all'interno, dicendogli velocemente che la sposa sarebbe arrivata da lì a pochi secondi. Thomas gli sorrise, incoraggiandolo ad entrare, e lui così fece. Trovò posto su di una panca in legno, proprio vicino a Thomas.
Strano il destino eh?
La musica tradizionale da matrimonio accolse l'entrata di Brenda, splendente nel suo abito bianco, che guardava Minho con un sorriso emozionato e le lacrime agli occhi. Newt avrebbe pagato per poter riavere quello sguardo sul proprio volto.
Era cambiato, sì, ed era cambiato anche in peggio. Eppure il tornare a Chicago lo aveva fatto tornare il Newt di cinque anni prima, quello che si emozionava nel vedere i suoi amici felici, quello che nonostante tutto tirava avanti, quello che non faceva altro che pensare a Thomas.
Thomas che stava vicino a lui, che con un sorriso fissava la scena di Brenda che si aggrappava al braccio di Minho, sorridendogli amorevolmente.
E mentre i due si scambiavano le promesse, diverso tempo dopo, sentì la voce del ragazzo al suo fianco pronunciare una frase sussurrata, dando modo solo a Newt di poterla sentire.
« Magari dopo ti offro una birra forte, che ne dici? »
Gli occhi si Newt si spostarono nei suoi, ed in quel momento la parola casa gli figurò nella mente. Si disse che forse era indeciso, che forse stava ancora ragionando sul fatto di dover tornare in America, che forse stava pensando a Plymouth, al fatto che non la voleva lasciare.
Ma poi pensò ad un'altra frase che aveva sentito e che spesso aveva pensato. La pensò mentre le sue dita stringevano leggermente quelle di Thomas, calde, soffici, proprio come se le ricordava.
Casa non è un luogo, è una persona.
E guardando il sorriso di Thomas, Newt capì che era quella, casa sua.

THE END.


NdA:
E ... okay.
E' finita. E' davvero finita. La prima fanfiction che ho finito.
Oddio, I can't even.
Voglio dire che è stata un'esperienza bellissima, e che ho adorato ogni singola parola che avete sprecato per me e questa storia, che spero davvero, davvero vi sia piaciuta.
Ringrazio tutti, dal primo all'ultimo. Da Asia che mi ha aiutato a tirarla fuori alle 25 persone che l'hanno preferita, le 7 che l'hanno messa tra le ricordate e le 43 che l'hanno inserita nelle seguite. Ringrazio le persone che assiduamente si sono adoperate per commentarla, farmi sapere cosa ne pensavano, persone come ehyrivera, norawasabi, LoveFandom22, The_Tenth_Weasley, f_r_e_d, thomasnewtgally, e tutti gli altri che davvero, se starei ad elencarli dal primo all'ultimo finirei in lacrime.
Ringrazio infinitamente il mio #TeamCulopesche, tutte ragazze che AMO, che mi hanno sempre fatta sorridere nei momenti difficili e ridere a crepapelle in altri. Così come amo tutti voi.
La fanfiction è giunta al termine ed ora io spunterò quel "completa", spero che i miei Newtmas vi abbiano emozionato, e tranquilli/e, non vi libererete assolutamente di me!
Tornerò, ho molte idee in mente, e spero che nonostante questo ultimo anno di liceo riesca ad essere costante nella pubblicazione di altre storie, sempre che vi interesseranno.
Alla prossima, guys. Vi adoro, lo sapete. Non dimenticatevi di me! <3

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