Upset
...In
the pain, there is healing
in
your name, I find meaning...
Con
uno scatto spalancò la portiera della limo, non appena
questa
si fermò davanti al Palace e con quello che pretendeva
essere
un passo deciso, Chuck si affrettò verso l'entrata, doveva
soltanto mettere in fretta un piede davanti all'altro per raggiungere
la sua suite e dimenticare, dimenticare...
A
mala pena vide un usciere dalla divisa distinta che si toglieva il
cappello e gli sorrideva timidamente, aprendogli la porta per farlo
passare.
Chuck
tirò dritto per la sua strada senza degnarlo di uno sguardo,
aveva ben altri pensieri per la testa, finchè non
sentì
la sua voce:
-Buon
pomeriggio, Mr. Bass.
Era
quasi entrato quando aveva sentito il saluto dell'usciere.
Aveva
capito bene?!?
Si
voltò lentamente verso l'uomo di mezz'età che si
sporgeva a tenergli aperta la porta. In un attimo il sorriso
scomparve dalle labbra dell'uomo, constatando l'occhiata glaciale che
Chuck gli aveva appena lanciato, carica d'odio e disperazione.
Chuck
cercò di controllarsi.
Strinse
i pugni a tal punto che le nocche gli diventarono bianche,
finchè
non sentì le unghie che gli ferivano la carne, per lasciare
poi piccole mezze lune rosse sulla pelle.
In
fondo sapeva che stava avendo una reazione esagerata, ma non poteva
farne a meno. Non quando aveva sentito pronunciare quelle due parole.
Mr.
Bass.
L'avevano
chiamato così anche in precedenza, ma non vi aveva mai
prestato molta attenzione.
In
fondo cosa c'era di strano? Era il suo cognome.
Ma
ora che suo padre era morto, sentiva in quel cognome tutto il peso,
le responsabilità che comportava.
Onore.
Rispetto. Lealtà. Sincerità...
Erano
tutti valori che suo padre aveva tentato, apparentemente invano, di
trasmettergli. Ed ora, sentirsi chiamare in quel modo, era un boccone
amaro che non voleva andarsene giù.
Tutto
quello che sarebbe potuto essere.
Tutto
quello che non sarebbe mai stato.
Per
questo non poteva sentirsi chiamare con quel cognome.
Semplicemente
non gli apparteneva.
Degludì,
prima di parlare:
-Mr.
Bass era mio padre.- gli urlò contro, digrignando i denti-
Non
si azzardi mai più a chiamarmi in quel modo o
sarò
costretto a farla licenziare.
L'uomo
di fronte a lui impallidì all'improvviso e piccole gocce di
sudore gli imperlarono la fronte. Non potè far altro che
annuire alla svelta.
-C-certo,
come vuole, Mr.- fermò il suo balbettio, non sapendo come
chiamare il ragazzo.
-Chuck.-sussurrò
lui,ormai privo di forze, prima di entrare nell'hotel- Sono solo
Chuck.
*
Con
un rumore sordo, la porta della suite 1812 si chiuse sbattendo.
Chuck
si guardò lentamente intorno, come se vedesse la camera per
la
prima volta.
C'era
troppa luce. Gli dava decisamente fastidio agli occhi.
Tirò
tutte le tende con forza, finchè l'intera stanza non fu
immersa nella penombra.
Ancora
un altro sguardo in giro e adocchiò una bottiglia di whisky
mezza vuota, sul bancone, resto di quella mattinata passata a bere,
mentre da Nate si lasciava aggiustare la giacca e Blair gli
strappava dalle mani la fedele bottiglia.
Ripensare
a quel nome, a quel dolore impresso a fuoco nella sua mente, gli fece
pulsare la testa a ritmo del suo cuore.
No,
non poteva sopportarlo.
Un
tale dolore, una tale sofferenza che faticava anche a concepire, gli
premevano sul cuore, che sembrava stesse per uscirgli dal petto in
ogni momento.
Prese
un lungo respiro ed espirò forte, allungando la mano verso
quella bottiglia, unica fonte di sollievo che conosceva.
Si
gettò di peso su quel divano, dove tante di quelle volte
aveva
dormito il suo migliore amico ed avvicinò la bottiglia alla
bocca, inclinandola di quel tanto che bastava perchè il
liquido ambrato gli scivolasse direttamente nella gola, bruciandolo
lungo il suo passaggio.
Calde
lacrime ustionarono la sua pelle, mentre ad ogni sorso la
realtà
si faceva più sfocata e scolorita.
In
un batter d'occhio finì la bottiglia e quando si
alzò
per prenderne un'altra, barcollò un attimo e si sorresse al
bracciolo del divano, poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Una
foto di suo padre in bella vista accanto allo specchio e ad un mazzo
di fiori.
Le
lacrime continuarono a cadere imperterrite, incuranti di mostrare al
mondo l'umanità di Chuck Bass.
Chuck
chiuse gli occhi, stringendoli forte, come per fermare quella
semplice espressione di debolezza.
Perchè
lui non era debole. Non doveva esserlo.
Con
tutta la forza di cui disponeva, scagliò la bottiglia vuota
contro il muro, frantumandola in milioni di pezzi.
Ed
urlò.
Urlò
con tutto se stesso, con tutta la voce che aveva in gola, come se suo
padre lo avesse potuto sentire, ovunque si fosse trovato in quel
momento.
Perchè
era arrabbiato. Con la morte che gli aveva portato via l'unica
famiglia che possedeva. Ma soprattutto con se stesso, per essere solo
stato capace di deludere tutte le persone che conosceva.
Afferrò
la foto incorniciata d'argento e la gettò a terra, insieme a
tutto quello che si trovava sul tavolo. Compreso il vaso di fiori,
che finì sul tappeto, bagnandolo.
Strappò
con ferocia i biglietti di condoglianze che gli erano arrivate, per
la maggior parte da clienti o collaboratori di suo padre.
Si
passò le mani tra i capelli, spettinandoli.
Poi
cadde in ginocchio. Ma non sapeva più come rialzarsi.
Sospirò
quando sentì un rapido ticchettio di tacchi lungo il
corridoio
che portava alla sua camera.
Sapeva
fin troppo bene a chi appartenevano quei passi, così
cercò
inutilmente di prepararsi all'inevitabile.
-Chuck!!-sentì
urlare il suo nome appena fuori dalla camera- Apri questa dannata
porta!! So che sei lì dentro!!
Appoggiando
una mano a terra si rialzò, e si asciugò la
faccia con
una manica della costosa giacca.
Sembrava
che qualcuno stesse per buttare giù la porta, che veniva
puntualmente colpita da pugni, intervallati da imprecazioni.
Chuck
sospirò, appoggiandosi alla porta che vibrava sotto i colpi.
Poteva
semplicemente far finta di niente e se ne sarebbe andata .
Magari
avrebbe tentato ancora un po', poi però avrebbe gettato la
spugna e si sarebbe allontanata. Come facevano tutti gli altri.
Ma
chi stava tentando di prendere in giro?
Sarebbe
stata anche capace di chiamare un fabbro per fare smantellare la
serratura, pur di entrate in quella maledetta stanza.
Poggiò
la mano sulla maniglia fredda, per poi farsi coraggio ed applicare la
pressione necessaria ad aprire la porta.
L'aprì
quello spiraglio che bastava per farsi vedere, non aveva
assolutamente intenzione di intavolare una nuova conversazione
strappalacrime con lei.
Era
l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
Non
le era bastato quello che le aveva sbattuto in faccia, sul
marciapiede, appena dieci minuti prima?
Desiderava
che non lo avesse mai seguito fino a lì, non voleva farle
ancora del male.
Tuttavia
aveva bisogno che capisse che con lui non aveva futuro.
Bastava
guardare come si era ridotto.
Non
aveva più il controllo delle sue azioni.
D'altra
parte però, per quanto lottasse, per quanto lo volesse con
tutta l'anima, non riusciva a starle lontano. Come lei da lui, a
quanto pareva.
Doveva
pur significare qualcosa, no?
Rincorrersi,
ferirsi, amarsi forse?
Ad
un tratto smise di analizzare la situazione, smise di tentare di
darsi delle risposte ed tornò al suo intento iniziale.
Allontanarla.
-Cosa
vuoi ancora, Blair?-le chiese stancamente, evitando di guardarla
negli occhi, altrimenti tutto il suo piano sarebbe andato a farsi
benedire.-Non abbiamo più niente da dirci, mi pare.
Blair
aveva ancora il pugno alzato pronto a colpire di nuovo la porta e
Chuck, per un momento pensò che invece avrebbe colpito lui.
E
non avrebbe avuto altro che ragione.
-Io
invece non ho ancora finito.-gli disse risoluta e facilmente
riuscì
a farsi spazio tra lui e la porta e ad entrare nella camera.
Finse
di non essere scioccata dalle condizioni in cui versava la suite e si
voltò verso di lui, le mani sui fianchi.
-Perchè
ti ostini a tormentarmi? Lasciami in pace.- le chiese con fare
indifferente- Non ho bisogno di nessuno. Tanto meno di te.
Farsi
odiare a tal punto da scappare nella direzione opposta alla sua, da
cancellarlo dalla sua vita e dai suoi ricordi. Questo era il suo
obiettivo.
In
fondo lo faceva solo per il suo bene.
Ed
era proprio perchè l'amava, perchè la sua
felicità
stava al di sopra di tutto. Non poteva sopportare il fatto di farla
annegare insieme a lui.
Lui
sarebbe sparito e lei nel giro di pochi mesi lo avrebbe già
dimenticato. Questo era il piano.
-Non
è vero. Hai bisogno di aiuto.-tentò di
avvicinarglisi,
ma lui fece un passo indietro.- Anche se non mi dirai mai che mi
ami...
Chuck
aprì la bocca per parlare, ma non vi uscì nessun
suono,
tanta era la disperazione.
-...anche
se continuerai a respingermi- continuò con voce rotta,
afferrando il suo braccio, stringendolo come per evitare che lui
sparisse sotto i suoi occhi.- io sarò sempre qui per te.
Con
uno scatto, sfuggì alla sua presa e le ringhiò
contro.
-Possibile
che tu non abbia ancora capito? Mi sono divertito fino ad ora, ma
adesso il gioco si sta facendo noioso e mi chiamo fuori. Blair, non
sei mai stata niente per me, niente di più di un
passatempo...
Seppe
di aver raggiunto il suo scopo, quando Blair tra le lacrime lo
schiaffeggiò forte.
Ma
non era soddisfatto, dal momento che le aveva spezzato il cuore
ancora una volta.
-Sei
soltanto un bastardo, Chuck.-gli gridò contro, mentre si
avviava verso la porta.- Che cos'è questo? Un altro dei tuoi
giochi perversi? “Tormentiamo Blair Waldorf fino allo
sfinimento
per vedere quanto resiste”? Non riesci a chiedere aiuto,
quando è
evidente che ne hai bisogno, visto in che condizioni di trovi. Non
riesci a mettere da parte il tuo orgoglio neanche per un attimo,
quando invece io l'ho fatto, soltanto per te. E tu invece cosa hai
fatto?
Iniziò
a piangere a dirotto, a testa bassa.
Chuck
si sentì sprofondare, desiderava solo non essere mai nato.
A
cosa era servita tutta la sua esistenza?
Solo
a fare del male agli altri...sua madre, suo padre, Blair, Nate erano
solo i primi della lista.
-Mi
hai umiliata, mi hai rifiutata e quando ti ho detto...-prese un
respiro, per farsi coraggio, alzando cautamente la testa per
fronteggiarlo, tra le lacrime-...quando ti ho detto che ti amo, sei
semplicemente...andato via. Per questo...ho chiuso.
Così
se ne andò, lasciandolo lì da solo, in bilico tra
la
solitudine ed il rimorso.
Quando
sentì la porta chiudersi, serrò le labbra,
trattendosi
dall'urlare la sua frustrazione e la sua sofferenza.
Che
diavolo aveva fatto, stavolta?
Era
solo l'ultimo di una lunga serie di errori madornali che aveva
commesso con Blair.
All'improvviso
un'idea malsana gli passò per la mente.
Attraversò
la camera velocemente, aprì la cassaforte e tirò
fuori
una scatola nera.
Cautamente
sollevò il coperchio e scostò un panno di velluto
che
nascondeva una Revolver
Smith&Wesson. Era stato uno dei suoi capricci e nessuno aveva
mai
saputo dell'esistenza di quella pistola. Solo per il gusto di
possederla, una delle tante cose che i soldi potevano comprare.
Era
piccola e gli entrava in una mano.
Si
sedette sul letto, la pistola in grembo.
In
fondo dopo tutti i casini che aveva combinato, aveva ragione a voler
sparire, sarebbe stato meglio per tutti.
Prese
un respiro e continuò ad accarezzare con l'indice il metallo
freddo dell'arma.
TBC...
Grazie
a tutti quelli che hanno commentato!!!
Al
prossimo capitolo!
Xoxo
Melian90
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