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di Jess2792
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


PARTE I
 
Non è semplice, non è nemmeno tanto complicato. Ho sempre creduto che la psicologia servisse a niente, che le emozioni incanalate in noi dovessero rimanere tali. Come soldato e come spia sono stato addestrato a non farmi prendere dal panico nelle situazioni difficili, a non avere crolli strani durante determinati eventi. Eppure ora sono qui, dallo psicologo, su un lettino come lo vediamo nei film, a parlare di ciò che ho vissuto negli ultimi ottant’anni. Mi sento davvero un pesce fuor d’acqua. Forse mi trattiene che la psicologa (sì, è una donna) è molto carina.
Se lo sapesse Natasha, di certo mi ucciderebbe, o peggio: mi torturerebbe col silenzio.
Continua a dirmi che ciò che ho passato può incidere davvero molto sulle mie future decisioni, soprattutto ora che io sono al comando della baracca, su chi potrei diventare un domani. Continuo a non credere a queste cose. Dannazione, sono un soldato! Sono preparato a tutto.
-“A parte questi ultimi mesi in cui vi siete ritrovati e tu sei tornato di nuovo sotto il suo comando, qual è l’ultimo ricordo che hai?”, mi chiede all’improvviso la psicologa.
-“Il suo volto quando caddi dal treno.”, le ho risposto un po’ seccamente.
Non ho voglia di ricordare. Non ho voglia di raccontarle del mio passato. Vedo solo orrori, morte e distruzione. In fondo i ricordi dei miei ultimi anni di vita sono proprio questi. L’esperta in materia è lei, devo forzatamente seguirla.
-“Se non se la sente di parlare del capitano Rogers, può sempre parlare d’altro. Un ricordo che ha impresso più di tutti gli altri.”, mi ripete.
-“Sa cosa vedo ogni giorno davanti agli occhi? Sa cos’è che mi tiene sveglio quasi tutte le notti? E sa cosa mi fa talmente paura da farmi completare ogni singola missione?” – c’è qualche istante di silenzio, lei mi guarda curiosa e un po’ preoccupata, forse ho esagerato con i toni, ma sono davvero seccato. – “Lo sguardo furioso e impazzito di mio padre e le sue grosse mani che mi fanno la faccia gonfia come un pallone. Ecco cosa vedo nei miei ricordi ogni istante della mia vita.
Lei rimane lì a fissarmi, perde anche quella sensazione di preoccupazione, come se quello che le ho appena detto fosse una piccola bugia e che lei lo sappia. Peccato che non sia per nulla una bugia, mio padre me le dava seriamente anche per i motivi più inutili. Poteva essere la cameretta in disordine, poteva essere che giocando mi sbucciassi un ginocchio. Ogni momento era buono per farmi male.
-“Ha mai pensato di perdonarlo?
-“Sta scherzando? Non ci ho mai pensato, non ci penso e non ci penserei mai, per nessun motivo al mondo. Mio padre era uno stronzo dittatore. Hitler a confronto era un santo.
-“Ha detto davvero una cosa simile, Sergente?
È allibita dalla mia affermazione, ma come darle torto. In effetti, ciò che ho appena detto non è molto rispettoso per tutte le vittime della Seconda Guerra Mondiale. Che stupido!
-“Mi perdoni. Non volevo. Mio padre mi ha rovinato la vita, non era per nulla un padre, era davvero un dittatore in casa, poi uscivamo tutti assieme con mia madre e mia sorella e lui si trasformava nel padre perfetto.
-“Tutta questa rabbia per delle sberle? C’è ben altro, Sergente. Lo butti fuori, non serve tenersi tutto dentro.
E va bene, vuoi la verità mia cara dottoressa? Va bene, l’avrai.
-“Quel porco violentò me e mia sorella.” – ed ecco che finisco per rammollirmi, con le lacrime agli occhi e un odio immane che finisce tutto nel braccio. – “Le sue grosse, luride, mani sporche di fango. Ogni notte le sento su di me, come se lui tornasse ogni volta per completare ciò che aveva iniziato.
Adesso ho davvero voglia di rompere qualcosa, di andarmene, di farmi una lunga passeggiata per il mondo, senza nessuno tra i piedi. Ma cosa mi è saltato in testa di fare? Raccontarle di una cosa così schifosa, personale e vergognosa. Mi sento una merda.
-“Ha mai parlato di questo con qualcuno? Sua madre, ad esempio.”, mi chiede lei toccandomi leggermente una spalla.
-“Mia madre? Tsz, non scherziamo. Ma madre vedeva ma non reagiva. Mia sorella era troppo piccola per poter fare qualcosa. Avrei dovuto ucciderlo quando ne ebbi l’occasione.
-“Vuole parlarne?
Mi volto e la guardo come se mi stesse prendendo in giro. È stato già difficile tirare fuori una cosa del genere, secondo te ne vorrei parlare? E meno male che la psicologa sei tu. Però ormai ho iniziato e non mi piace lasciare le cose in sospeso.
-“L’ultima volta mi sentii talmente tanto lo schifo addosso che corsi a casa di Steve in lacrime, senza dire nulla. Sua madre mi guardò negli occhi e credo che avesse capito tutto. Mi preparò il letto in camera con Steven, una bella zuppa calda e rimase al mio fianco tutta la notte. Non riuscivo a chiudere gli occhi.” – mi parte una specie di risatina isterica. – “Assurdo, eh? Sentivo molto più vicina una donna qualunque della donna che mi ha concepito.
-“Non è assurdo, è tutta questione psicologica: non hai mai ricevuto sostegno da parte delle donne di casa, per un motivo o per l’altro, e ti sei ritrovato questa donna, una mamma, prendersi cura di te senza fare domande. L’amore rende una madre migliore.
Quelle parole mi fanno pensare… e ricordare: ricordo, infatti, che un giorno mi svegliarono le grida di mia madre, papà la stava picchiando a sangue e l’unica cosa che riuscii a fare io fu prendere il coltello che mamma aveva appoggiato sul tavolo della cucina e mi gettai su di lui. Lo ferii a un polpaccio. Credo che fosse in quel momento che iniziarono a piacermi i coltelli. Quella sera mi diede tante di quelle botte che tutt’oggi, quando ci penso, sento ancora i dolori nei punti dove mi ferì. Quella sera, dopo un’intera giornata a prenderle corsi a casa di Steven con una ferita alla testa, un enorme ematoma sulla spalla e una costola rotta. Fortunatamente sua madre era infermiera e mi diede una grossa mano. Gli sono debitore per avermi aiutato sempre, nonostante mio padre fosse un pezzo di merda, violento e molesto.
Su una cosa però la dottoressa si sbaglia.
-“Mia sorella non c’entra. Era troppo piccola anche solo per dire qualcosa. Io avevo dieci anni e lei appena sei. Quando scappai di casa non la portai nemmeno con me.
-“Come si sente ad oggi per questo?
-“Un vigliacco. Potevo (e dovevo!) salvare l’unica cosa bella della mia vita, invece sono andato via senza nemmeno voltarmi. Fui egoista. Un vero stronzo.
-“Che direbbe a sua sorella se fosse dinanzi a lei ora?
Eccola! Ha toccato il mio punto dolente più segreto, nemmeno Steven l’ha mai scoperto. Naturalmente riecco le lacrime. Ma da dove salta fuori un soldato, una spia, che piange come un bambino ogni volta che viene toccato un perno del proprio passato. Non si è mai visto!
-“Le direi che mi dispiace, che sono stato un vigliacco, che vorrei tornare indietro per salvarla, per portarla via quell’inferno chiamato Papà. Avrei preferito che morisse di tubercolosi piuttosto che sotto le grinfie di quello schifoso.

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


PARTE II
 
-“Desidera un bicchiere d’acqua?”, mi chiede.
Porca miseria, certo che lo voglio! Ho bisogno di tranquillizzarmi. Una camomilla sarebbe ancora meglio, ma accontentiamoci di un sorso d’acqua. I ricordi di mia sorella, del mio passato turbolento e dello Schifoso mi hanno prosciugato e manca ancora un po’ al termine della seduta. Ma perché diavolo Coulson e Fury mi hanno costretto a fare terapia? Non ne ho bisogno. Sì, potrei approfittarne per tirare fuori un po’ di angosce e un po’ di rabbia represse, ma dopo che succederebbe? Tornerei di nuovo punto e a capo, alla solita vita da soldato e da spia, allo SHIELD, alle missioni, agli alieni e agli Inumani. Problemi da risolvere, soluzioni da trovare, viaggi, promesse che forse non manterrò. Come ho detto: di nuovo punto e a capo.
-“Da quanto tempo ha una relazione con l’agente Romanoff?”
Questa è una maga! Perché riesce a toccare tutti i punti più dolenti della mia vita? Inizio a sospettare che sia una Candid Camera organizzata da Coulson e Barton.
-“Non abbiamo una relazione.”, non è vero!
-“A me risulta, dai verbali del Kremlino, da alcuni documenti dell’HYDRA e dalle informazioni ricavate dagli archivi dello SHIELD, che lei e Romanoff avete avuto una relazione clandestina negli anni Novanta in Russia. A Mosca, più precisamente. È corretto?”
Okay, che vuole sapere adesso?
-“Si, abbiamo avuto una relazione clandestina, e con questo?”
-“Come la fa sentire Natasha?”
-“Come mi faceva.”
-“Come, scusi?”
-“Come mi faceva sentire. Tempo passato. Ora non esiste più un noi. È stata questione di pochi mesi.”
Le farfalle nello stomaco, il cuore che batte a mille, la testa che mi scoppia. Ormai ho capito che non posso mentire alla dottoressa, posso solo limitarmi a non rispondere alle domande. Eppure ho la sensazione che mi tirerà fuori ogni singola briciola di paura e rabbia. In fondo è il suo lavoro, analizzare i problemi degli altri.
-“Come la faceva sentire, allora?”
-“In una parola? Vivo. Era tutto ciò che avevo sempre sognato. Non avevo più ricordi del vecchio me, ma sentivo che lei era ciò di cui avevo bisogno. Qualcuno che mi amasse sinceramente, qualcuno che mi stesse vicino, che mi ascoltasse. Anche se ero una spia dell’HYDRA, ero pur sempre un uomo e un uomo ha bisogno di libero sfogo.”
-“Immagino che quello sfogo lo trovasse liberatorio e divertente.”
Aspetta, fermi tutti, stiamo ancora parlando di sentimenti? Non siamo caduti in qualche meandro segreto delle riviste porno di Stark… vero? Non esiste che io riveli dettagli piccanti a una sconosciuta.
-“Questo me lo deve dire lei.”
-“Natasha non era solo sesso, era animo. Anche essendo una spia sovietica, era pura e semplice. Era giovane, bella, intelligente. Non doveva finire in quell’istituto. Non meritava questa vita. Era una ballerina splendida.”
Ed ecco riaffiorare il ricordo del nostro primo incontro. Il Kremlino mi aveva appena assunto per addestrare una ragazza a mia scelta. Ne avevano circa una decina, tutte nuove, alcune piuttosto valide, altre che sapevo sarebbero morte durante la prima missione. Natasha mi diede subito all’occhio, non era tra le valide, ma sentivo che in lei c’era qualcosa che l’avrebbe resa grande. Non è il maestro che fa il guerriero, è la forza di volontà del guerriero a renderlo un maestro e Natasha aveva tutta la forza di volontà che solo una donna determinata poteva avere. Non me ne innamorai subito, ma sapevo che sarei dovuto stare attento con lei. Sapevo che mi avrebbe fatto impazzire. Quando fu lei a baciarmi, la prima volta, avrei voluto spararle, cosicché sarei stato certo di non averla sulla coscienza. Mi avrebbe fatto molto meno male. Come per mia sorella, avrei preferito ucciderla io, piuttosto che lasciarla in pasto agli squali.
-“Le informazioni parlano anche di una ‘Nota Rossa’, di un bambino, di un ospedale. Molte informazioni piuttosto confuse e incomplete.”
-“L’HYDR e il Kremlino avranno cancellato buona parte.”
-“Si, ma ciò che mi chiedo è se non fosse lei, Sergente, il famoso мастер di cui si parla tanto.”
Spieghiamo anche questa, tanto non ha davvero più senso rimanere in silenzio e farsi inacidire il sangue per una persona che sta facendo il suo lavoro per aiutarmi.
-“Maestro. Significa Maestro, è russo. Io ero il suo Maestro.”
-“E amante.”
Le notti insonni, guardarla dormire dopo un po’ di baldoria, tra le lenzuola profumate. Il suo volto mi donava pace e serenità, non mi faceva pensare al male che ci spettava fuori dal letto, al timore di venire scoperti. In quei momenti eravamo solo io e lei, gli altri erano cenere.
-“Cenere, ciò che divenne poi il nostro rapporto. E comunque la Nota Rossa non c’entra con me, o almeno non direttamente. La Nota Rossa non è altri che una nota che informa del passato status dell’agente. In questo caso, la Nota Rossa informa che Natalia Alianova Romanoff utilizzò, in passato, le sue doti per scopi ostili alla sicurezza pubblica.”
-“Sapeva che ha avuto una storia, seppur breve, con il professor Banner?”
Okay, Bucky, inspira, espira. Inspira, espira. Stai calmo. Sei già stato informato di questo, era nei file dello SHIELD che hai studiato per mesi. Natasha è il passato, era naturale che sarebbe andata avanti e si sarebbe innamorata ancora. Tieni a freno la tua odiosissima gelosia. Non fare l’idiota. Avrai tutto il tempo per sganciare un pugno in faccia a Banner, aspetta però che trovi una cura al suo problema, così non rischierai di diventare parte d’arredamento.
-“E con questo?”
-“L’ha chiamata Natalia, per la prima volta dopo mesi. Ha stretto i pugni e si è irrigidito quando le ho nominato Banner. Lei è ancora innamorato di Natasha, vero?”
-“Ogni giorno. In ogni istante.” – è vero, la amo, la amo ancora, forse l’amerò per sempre. – “Non mi capacito di averla abbandonata su quel ponte.”
-“Come sa che le avrei chiesto…?”
-“Non è l’unica a saper osservare, dottoressa.”
Eh sì, questa volta sono riuscito a fregarti prima che tu fregassi me. Però mi hai fregato ugualmente, te lo concedo dottoressa, perché questo è solo l’ennesimo evento che dimostra che razza di uomo io sia. Fa male. Prima mia sorella e poi la donna che amo. Le ho abbandonate come immondizia, mi sono affidato solo all’orgoglio e alla voglia di dimenticare e le ho lasciate entrambe in mano a Satana.
Quanto mi mancano le serate con lei, svegli e nudi nel letto o davanti al camino, in attesa di ricevere ordini. Anche se leggermente cresciuti, sembravamo due adolescenti che non devono farsi scoprire dai genitori a fumare erba. Per quanto fosse folle, mi fece risentire un ragazzino. Mi fece davvero sentire vivo. Il mio unico rammarico è che non ho più il coraggio nemmeno di guardarla negli occhi.

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