House of Echoes di Wassat (/viewuser.php?uid=832651)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Cold Welcome ***
Capitolo 3: *** Insect Eyes ***
Capitolo 4: *** Friendly Haunt ***
Capitolo 5: *** Balm of Choice ***
Capitolo 6: *** Bad Blood ***
Capitolo 7: *** Black Tea ***
Capitolo 8: *** Pale Sun ***
Capitolo 1 *** Prologue ***
HoE chap 1
Euheueheuh,
eccomi qui con la nuova fic! Spero vi piaccia. I capitoli sono più
corti di PF e questa è un po' una grazia dal cielo, dato che con la
scuola mi trovo meglio così. Grazie alla brevità di essi potrei
riuscire a postarne anche due a settimana, ma sicuramente non sarà
la regola. Questa volta non mi do un giorno preciso per
l'aggiornamento, perché tra i compiti per casa e lo studio non penso
riuscirò ad aggiornare regolarmente. Comunque se mi capiterà di
dover saltare anche l'aggiornamento settimanale lo scriverò nel
gruppo facebook che trovate qui.
Al prossimo capitolo!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
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Tick,
tock, tick fanno le stanghette dell'orologio appeso sopra porte
blindate.
Uno, due, tre secondi
passati per sempre, mentre siede sospeso nel vuoto, ad aspettare
l'inevitabile.
Questo non lo aveva
mai preoccupato mentre scappava e si nascondeva, mentre era al
volante e seguiva il comando di un fantasma. La vita è
insignificante. Il mondo è insignificante. Gli umani non sono altro
che atomi su un granello di sabbia, in confronto alla vastità del
cosmo.
La morte non importa. Nulla
importa.
Canticchia a bassa voce,
riempiendo il silenzio della cella isolata. Canta, quando le porte
sotto al rumoroso orologio si aprono.
"They
used to be sweet little boys, but something went horribly
askew..."
Il ritmico
ticchettio di tacchi contro il pavimento in linoleum si scontra
spiacevolmente con il ritmo della sua canzone.
"Now
killing is their only source of joy."
Da
sbarre di ferro e una stanza grigio chiaro, la vista cambia al biondo
rossiccio dei capelli della nuova arrivata. Un sorriso triste
intrappolato nei confini di un completo blu.
"The
Shankill Butchers on the rise, they're waiting 'till the dead of
night."
"Levi,"
Dice la donna, attenta a stare dietro le linee bianche distanti tre
metri dalla porta della cella.
"They're
picking at their fingers with their knives, and wiping off their
cleavers on their thigh."
"Per
favore, smettila di cantare quella canzone." Dice, prendendosi
la sedia della guardia per sé. Non c'è nulla nelle sue mani, nessun
block notes o registratore, al contrario di altri psichiatrici o
procuratori che hanno varcato quelle porte.
"'Cause
everybody knows..."
"Non
te lo chiederò un'altra volta."
L'uomo
permette alla sua bocca di incurvarsi in un mezzo sorriso, può
vedere il brivido di disagio della donna anche in quella luce
fievole. Le cose erano diverse tra loro due, tempo fa. Una fiamma
spenta ancor prima che avesse la possibilità di bruciare. Ora, la
persona davanti a lui non è altro che un avvocato, la donna che
aveva il compito di non farlo finire in prigione.
La
donna che aveva fallito il proprio compito.
Ora
quello che restava era fare ricorso.
Con
la fortuna di Smith e l'abilità di Ral nel fare provare pietà alle
persone, erano certi che in qualche modo lo avrebbero fatto uscire da
lì.
"Ci hanno dato la
possibilità di riaprire il caso. Potremmo riuscire a tirarti fuori
da qui." Gli dice Petra, con un'espressione scura in
volto.
"Avrei dovuto dare
ascolto alle parole di mia madre," Dice Levi, incrociando le
gambe e piegandole alle ginocchia. "Un vento malvagio mi ha
scompigliato le ciocche fin da piccolo."
Petra
sospira e le sue mani vanno a torturare l'orlo della gonna. "Possiamo
ancora cercare di farti passare con l'infermità mentale, Levi. Ti
faremo aiutare, se è quello di cui hai bisogno, se è quello che
vuoi. Per favore, non buttare via questa tua possibilità. Viene
concessa così raramente."
L'uomo
misura il tempo che gli ci vuole per sbattere le ciglia, le volte che
il cuore gli batte sotto la giacca arancione. Aria condizionata o
meno, il sudore gli bagna le ascelle. Se non altro, scambierebbe il
suo ultimo pasto con una bella doccia.
La
testa contro il muro in cemento, Levi porta gli occhi di fianco a sé,
verso il suo letto precedentemente vuoto. Lì siede un giovane uomo
con un tiepido sorriso che gli incurva le labbra. Diversamente da
Levi, lui non sta indossando la divisa da prigione. Un paio di
pantaloni eleganti assieme ad una bella camicia bianca coprono il suo
corpo.
"Che ne pensi?"
Gli chiede il carcerato.
"Beh-"
"Non
tu." Dice a Petra, rivolgendole uno sguardo severo, ma che non è
cattivo. Semplicemente non gli piace quando la gente risponde a
domande che non sono riservate a loro. Torna nuovamente a rivolgere
il suo sguardo al letto. "Eren?"
Il
giovane inclina la testa di lato e il suo sorriso si allarga,
trasformando la sua espressione da annoiata a gioiosa. Fa un versetto
e gli offre una scrollata di spalle. "E' solo tua la decisione.
Io sono solo qui per seguirti."
Levi
ragiona per un lungo momento, prima di rivolgere gli occhi ad
un'allarmata Petra. "Non sono pazzo," Risponde, pieno di
noia. "Preferirei che la mia ultima azione non sia
mentire."
Petra lo fissa
dritto negli occhi, incontrando i suoi prima di rivolgerli al
lettino. "Lo vedi là?" Le sue parole sono un sussurro e
Levi può sentire esitazione nel suo tono.
Lo
vedi là?
Sei mesi a dover
sentire la stessa domanda ed ogni volta l'uomo aveva dato ogni
risposta immaginabile, ognuna di essa respinta. Se mente, gli viene
fatto notare che sta mentendo. Se dice la verità, viene chiamato
pazzo ed obbligato a cambiare la sua storia. Se tace, riceve lo
stesso sguardo che Petra gli sta riservando in quel momento.
Levi
lo vede sempre: la rovina della sua esistenza, l'ingranaggio della
macchina che è il suo corpo.
"Lascia
che mi gassino," Dice, evitando gli occhi verdi che lo guardano
con tenerezza. "Non sarebbe giusto per Erwin lasciarmi uscire.
Non dopo aver ammazzato il suo compagno, averlo fatto a pezzi e
chiuso in sacchi neri."
Il
colore lascia le guance rosee della donna e, per qualcuno
professionale come lei, è sorprendente vederla trattare l'uomo come
un amico, piuttosto che un cliente. "Perché?" Gli chiede,
muovendo a malapena le labbra. "E' stato Eren che ti ha portato
a fare questo?"
Levi
intreccia le dita, mettendosi comodo per la lunga conversazione che
lo aspetta. "Non nel modo che ti aspetteresti."
Da
una tasca interna del suo completo, Petra prende un piccolo
registratore. Alzandosi dalla sedia, si avvicina al tavolo ed
appoggia su di esso il piccolo oggetto, premendone il bottone rosso
prima di tornare a rivolgersi verso la gabbia di Levi.
Con
le mani strette tra loro, prende a camminare avanti e indietro nella
stanza. Nonostante la sua sottile vena di professionalità, è facile
vederla dibattere la sua prossima mossa. Petra sceglie con attenzione
le sue parole, cercando di prevedere i possibili risultati e
manipolarli in suo favore. Nonostante lo scenario, Levi sente un
senso di orgoglio per la sua ex collega.
"Mercoledì
16 aprile, 2014. 22.00" Si ferma giusto prima della striscia
bianca, al sicuro dalla presa dell'uomo. "Dimmi, Levi."
Facendo un lungo passo, afferra le sbarre in metallo. Il rosso delle
sue unghie contrasta magnificamente col metallo. "Dimmi
cos'è successo. Se vuoi morire, bene, sarà
quello che accadrà - so fin troppo bene che è inutile cercare di
fermarti." Amarezza. "Ma almeno dimmi perché l'hai
fatto."
"Questa storia
sta iniziando a diventare noiosa, se posso dirlo." Grugnisce
Eren, rigirandosi sul letto, tirando su col naso. Si gratta appena
sotto di esso. "E pensare che dovrebbero semplicemente crederti,
dopo tutto questo tempo. Cioè, l'evidenza c'era."
"Non
sta chiedendo degli omicidi. Sta chiedendo di te."
"Sì,
beh, cosa vuole sapere di me? Non c'è nulla che possiamo fare per
fargli credere a quello che dici, quindi perché continuano a
chiederti le stesse cose in continuazione?"
Levi
schiude la bocca per replicare, ma Petra si schiarisce la gola. C'è
disagio nel suo viso, ma non si scosta dalle sbarre. "Voglio
sentire quello che hai da dire." Dice. Per la verità, Levi non
è sorpreso dal suo tentativo di farlo parlare. "Non te lo sto
chiedendo da avvocato."
"Le
mie ultime dodici ore e vuoi che le passi a raccontarti una storia di
fantasmi?"
"Voglio
sapere perché un mio amico è così deciso a morire, quando in
passato era molto più forte di così."
"Non
siamo mai funzionati assieme perché tutto quello che eri capace di
fare era presupporre. Non è il prospetto di morire che mi trattiene
dal chiedere innocenza per infermità mentale."
La
sua frase fa voltare lo sguardo a Petra, ma non c'è imbarazzo nel
suo volto. Nessun arrossimento o sorriso timido. Non c'è
nulla.
"Pensi che riuscirai a
vederlo di nuovo, quando morirai?" La donna alza le spalle e fa
ricadere le mani dalle sbarre della cella.
Circa,
ma non esattamente. Levi può vedere Eren, ogni momento. Eren cammina
lungo i freddi corridoi di casa sua, siede al suo tavolino da caffè
e si sdraia sul pavimento del suo salotto per guardare i film. Ma c'è
di più che l'uomo vorrebbe ottenere.
Uno
sbadiglio porta la sua attenzione verso il ragazzo, che vede
sistemarsi meglio nel lettino. Si acciambella su sé stesso, pronto a
dormire.
"Cos'è esattamente
che vuoi sentire?" Parlare di cos'è successo, circa i fatti
tangibili accaduti per mano sua, è più semplice che pensare a come
potrebbe ottenere l'infermità mentale, per quanto questo possa
essere vero.
"Tutto."
Gli risponde Petra, con voce ferma e improvvisamente alta e chiara.
"Senza trattenerti, senza omettere informazioni che potresti
trovare compromettenti. Se vuoi veramente fare questa fine, almeno
dirci com'è andata per davvero ce lo devi."
Divertente,
pensa. E' sicuro che non deve niente a nessuno.
Portando
gli occhi al soffitto crepato, Levi sospira. "Non ti piaceranno
metà delle cose che ti dirò."
"Ho
sopportato di peggio."
"Io
mi ci sono masturbato."
L'ammissione
porta silenzio nella stanza, eccetto per un verso interessato da
parte di Eren. C'è calore nei suoi occhi, lo stesso calore che ha
portato Levi a premere il proverbiale grilletto.
L'uomo
scosta lo sguardo, quando vede il ragazzo accarezzarsi il petto in un
chiaro invito del quale nessuno dei due potrebbe approfittarne.
"Non
m'interessa." Le parole di Petra non sono altro che un sussurro
esitante.
"Mi sono fatto il
tè col loro sangue, l'ho mescolato coi loro metacarpi."
"Erwin
non ti incolpa per la morte di Mike," Lo interrompe la donna.
"Onestamente crede che tu sia malato-"
"No,
non è vero." La interrompe Levi, quasi ridendo, perché Erwin
sa meglio di chiunque altro. Diamine, tutti loro lo sanno. Tutti loro
conoscono Levi troppo bene per credere davvero che ciò che ha fatto
sia stato causato da un colpo di pazzia, è semplicemente più facile
abbracciare la scusa più conveniente. "Erwin lo sa perché l'ho
fatto."
Il movimento di un
sopracciglio della donna gli dice che anche lei lo sa. "Voglio
solo sentire la verità."
Il
ticchettio dell'orologio non c'è più, soffocato dal rumore dei suoi
pensieri. Raccontare nuovamente gli avvenimenti degli ultimi mesi
sarebbe stato come raccontare le sue ultime memorie. Si chiede se
Petra le avrebbe scritte, se ne avrebbe fatto un best seller. Spera
lo faccia. Il nome di Eren merita di essere reso immortale e lui non
può pensare ad un metodo migliore per farlo, al posto di portarselo
semplicemente nella tomba.
Che
questo sia il suo ultimo atto di vanità.
"Va
bene, allora." Dice, rivolgendo un'occhiata al giovane di fianco
a lui. "Ti dirò tutto."
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Capitolo 2 *** Cold Welcome ***
HoE chap 2
Capitoletto un po'
noioso, ma purtroppo non si può partire subito all'attacco ;v; Spero
di non aver fatto casino coi verbi, in quanto continuavo a scrivere
tutto al presente quando in realtà è tutto al passato: ho corretto
un bel po' di verbi, ma potrebbe essermene sfuggito qualcuno. Vi
lascio subito al capitolo, buona lettura uvu
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
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La via
Ashbury finiva in un pittoresco praticello accerchiato da pini, come
quelli che si trovavano nei dipinti di un museo. Al centro del
fazzoletto di terra, accarezzata dagli ultimi raggi di Sole di fine
autunno, vi era una casetta recentemente ristrutturata e verniciata.
Poco più in là c'era un corso d'acqua, il cui scrosciare si sentiva
fin dal portico della casa, quando il vento tirava dalla parte
giusta.
L'aria era pulita e
frizzante, in vista del freddo.
Quel
posto irradiava un senso di pace e sicurezza, come un pagina
strappata da un libro di fantasia. Delle piccole nuvolette
punteggiavano l'altrimenti azzurro cielo e le foglie danzavano fino a
raggiungere le sorelle, una volta posate a terra.
Una
pesantezza che solo la natura poteva fargli sentire fino le ossa:
odiava tutto questo.
"La
odio." Disse Levi, senza alcuna esitazione.
Era
abituato alla vita di città, ai condomini che tremavano ad ogni
treno che passava. Alle luci degli edifici, al fracasso dei nightclub
e il rumore dei taxi. Questo non era nulla a cui era abituato. No. Al
contrario, odiava sentire i rumori generati dall'ambiente, mentre
lavorava. Poteva già immaginare com'era sentire i cinguettii degli
uccelli e lo scrosciare del fiumiciattolo al suo risveglio.
"Io
penso sia carina," Disse Hanji, portandosi una mano al mento e
facendo un verso d'approvazione. "Non avrai vicini, non
respirerai i fumi di qualche industria. Cioè, tu non fumi, ma penso
che i tuoi polmoni ormai siano messi maluccio."
Levi
grugnì, sistemandosi la sciarpa attorno le spalle quando una brezza
gelida scompigliò gli alberi. "E' noiosa."
"E
tu sei un uomo noioso," Gli risponde la donna, mostrandogli il
pollice alzato. "Questo posto è perfetto."
Prima
che potesse ribattere, il familiare suono di un pickup attirò la
loro attenzione verso la strada. Hanji scosse una mano in segno di
saluto, mentre Levi percorse scocciato il praticello, allontanandosi
dalla conversazione che era certo sarebbe iniziata non appena le
porte del pickup appena arrivato si sarebbero
aperte.
Apparentemente, nonostante
le fondamenta nuove e i pilastri rinforzati, la casa emetteva i
classici cigolii sinistri di ogni fottutissima casa vecchia. Ogni
passo che faceva verso la porta d'entrata veniva seguito da un
lamento delle travi sotto i suoi piedi e tutto questo non faceva che
dargli sui nervi.
Guardare
attraverso la porta sotto il porticato gli fece rizzare i capelli
senza ragione, probabilmente perché poteva vedere attraverso la casa
e il vetro della porta posteriore e ancora più lontano, fino
all'oscurità della foresta. Nonostante la casa fosse piccola, gli
sembrava troppo grande per una persona sola.
Era
troppo aperta, tanto che sembrava invitare gli animali selvatici ad
entrare e, quando il sole era nella giusta posizione, si veniva a
creare un'ombra senza faccia che sembrava vagare per i corridoi.
Si
voltò verso la via, preferendo guardare la gente uscire dal pickup,
tutto nero con dettagli argentati.
Erwin
fu il primo a scendere, dalla parte del guidatore, Mike invece uscì
dalla parte del passeggero, premurandosi si tirare in avanti il
sedile. Petra, Erd e Gunther uscirono da dietro, ridendo ad una
battuta che Levi non aveva sentito. Auruo scese dal rimorchio.
"Ti
sei già sistemato?" Gli chiese Erwin, agitando una mano nella
direzione di Levi con un sorriso brillante in volto.
"Siamo
appena arrivati," Fu Hanji a rispondere al posto suo,
avvicinandosi al bagagliaio quando Erwin lo aprì. "Non abbiamo
ancora scaricato nulla."
Levi
li guardò togliere la copertura del bagagliaio, rivelando così un
grande scatolone. Riuscì a vedere cos'era solo quando venne messo di
lato e si ritrovò a non saper scegliere se corrucciare lo sguardo o
portare gli occhi al cielo. Erwin, Hanji e Auruo scaricarono il suo
nuovo televisore a schermo piatto.
"Consideralo
un regalo per la nuova casa," Gli disse Erwin, mentre assieme
agli altri faceva piccoli passi fino alla porta di casa. "Mike
ti ha aggiunto al suo account Netflix."
"Se
mi trasferisco pure io anche a me date Netflix in regalo?"
Chiese Petra, con due pacchi di birra in mano.
"Pensi
si possa fare un falò qui?" Chiese Erd a nessuno in
particolare, girandosi su sé stesso per guardarsi attorno. "Sarebbe
un posto perfetto per il campeggio. Scommetto che si riescono a
vedere le stelle, la notte."
"Non
con questi fottuti alberi giganteschi." Borbottò Levi, aprendo
la porta per far entrare gli altri.
Non
che lo sapesse. L'unica volta che si era fermato qui la notte era
stato di fretta. Poteva giurare che una persona l'avesse chiamato,
avvisandolo che qualcuno doveva essere entrato nella casa, ma non
ricordava la chiamata in sé. L'uomo però ricordava di aver guidato
fino alla fine della via Ashbury verso mezzanotte, con una mazza da
baseball in mano, pronto ad attaccare chiunque avesse osato
introdursi nella sua proprietà.
Ovviamente
non aveva trovato nulla. Non un singolo lenzuolo fuori posto, non una
tenda scompigliata. Se n'era andato con un peso sulle spalle e un
sussurro non sentito sull'orecchio.
Visitare
la casa nel bel mezzo della notte lo aveva reso esageratamente
consapevole di ciò che lo circondava ad ogni ora della giornata.
Aveva paura di venire investito quando attraversava una strada o di
strangolarsi nel sonno. Non c'era alcuna ragione che lo aveva portato
a sviluppare questa nuova paranoia, gli era semplicemente venuta.
Aveva iniziato a provarla da quella notte.
Quando
ognuno fu entrato, Levi si chiuse la porta dietro di sé e si diresse
al salotto, togliendosi la sciarpa e la giacca. Tutti i suoi amici si
erano già accomodati e tolti i giubbotti, che avevano sistemato
accuratamente su di un tavolino.
Petra
stava sistemando la televisione mentre Erwin la teneva ferma, gli
altri invece erano in cucina e stavano mettendo in frigo la
birra.
Levi rimase nel corridoio
che separava le due stanze, prima di decidersi a buttarsi sul divano,
per venire invece fermato da Hanji che gli disse di non muovere un
muscolo.
"Abbiamo lasciato le
pizze nella tua auto," Gli disse, spingendolo verso la porta.
"Vai a prenderle e percorri la strada più lunga." Con un
occhiolino, la donna sbatté la porta. "Non stiamo facendo nulla
di sospetto!"
Essendo
incapace di mentire, Hanji si era arresa anni prima a tenere nascosta
alcuna sorpresa.
Levi si diresse
all'auto, sentendo il tipico rumore che le foglie secche emettevano
ad ogni suo passo, fu solo allora che l'uomo si rese conto che non
sarebbe potuto rimanere troppo fuori senza la giacca. Faceva un
freddo cane, così mise le mani in tasca mentre percorreva il prato,
diretto alla sua macchina.
Il Sole
stava tramontando, l'arancione e il rosso stavano lasciando il posto
al blu e al grigio, e quel senso di disagio che provava ogni volta
che ricordava che avrebbe dovuto dormire in quella casa gli
appesantì le spalle. Gli ci erano voluti sei mesi, da quando aveva
comprato quella casa, per andare a guardarla e altri due per metterci
piede. Ora non avrebbe avuto altra scelta se non dormire nel letto
che si era sistemato.
Si disse che
non c'era nulla di cui aver paura. Era un adulto e di certo non
pensava che ci fossero mostri a nascondersi sotto il suo letto. La
vera ansia veniva sotto forma di solitudine. Nel suo vecchio e
piccolo appartamento, erano in due a viverci ed erano felici di
scontrarsi ogni volta che cercavano di raggiungere la cucina o il
bagno.
Questa casa era grande e
vuota, anche adesso che c'erano i suoi amici ad occuparla per fargli
una sorta di festa.
Quando
raggiunse l'auto, Levi aprì una porta posteriore e tirò fuori le
pizze.
Una ventata particolarmente
violenta gli fece sfuggire i fazzoletti che erano sopra le scatole
delle pizze e, mormorando qualche parolaccia, l'uomo si trovò senza
avere altra scelta che chinarsi per raccoglierli. Sarebbe ancora
dovuto uscire a comprare delle cose essenziali, ma avrebbe potuto
aspettare anche domani. Per ora quei fazzoletti erano l'unica cosa
con cui avrebbe potuto pulire il caos che si sarebbero lasciati
dietro i suoi amici.
Afferrando
quelli che non si erano addentrati fino alla foresta, Levi se li
infilò nella tasca dei pantaloni per poi girarsi pronto a prendere
nuovamente le pizze, ma si bloccò sul posto.
Voltò
di scatto la testa di lato, certo di trovare qualcuno di fianco a
lui, ma tutto quello che vide furono solo alberi e il pickup di
Erwin.
Con la porta dell'auto
ancora aperta, l'uomo si appoggiò ad essa, ispezionando attentamente
il prato attorno a lui alla ricerca, probabilmente, dello stesso
intruso di cui era stato avvisato con una chiamata tempo fa. Non vide
nulla, oltre ai giochi di luce e ombra tra i rami degli alberi della
foresta.
Un'altra ventata lo
spinse a prendere nuovamente le pizze, ma qualcosa di bianco attirò
la sua attenzione verso le finestre del primo piano di casa sua.
Non
c'era nulla, oltre alle tende bianche smosse dal vento.
Dopo
qualche secondo, l'uomo afferrò le scatole e chiuse la portiera con
un piede.
Salendo gli scalini del
porticato, lanciò un ultimo sguardo verso la foresta, prima di
decidere che probabilmente era solo l'idea di dover dormire in quella
casa a fargli provare quelle sensazioni. Se avesse potuto decidere,
avrebbe preferito dormire in qualche catapecchia nei bassifondi della
città.
La porta davanti a lui
venne aperta prima che potesse anche solo muovere un muscolo e le
scatole delle pizze gli vennero portate via, mentre i suoi amici lo
festeggiavano all'unisono.
Una
torta era stata appoggiata sul tavolo della sala da pranzo.
"Cosa?
State celebrando la mia dipartita?"
"Ad
un nuovo inizio!" Disse Petra, con un sorriso che andava da
orecchio a orecchio, mentre appoggiava le pizze vicino alla
torta.
Tutti gli altri gli
sorrisero e annuirono, ma nessuno approfondì il discorso. Che
persone intelligenti.
Il tempo
passò e vide loro distrarsi davanti alla TV, con piatti di
pizza e torta appoggiati sulle gambe e il film più stupido che Erd
era riuscito a trovare. Surf Nazis,
una robaccia che guardarono a velocità doppia da quanto faceva
schifo, perché comunque non volevano perdersi il finale.
"Vuoi
un'altra birra?" Gli chiese Erwin, obbligando Levi ad
allontanare lo sguardo dallo schermo, nel quale al momento degli
squali stavano invadendo una costosa villa.
Essendo
più un invito che una richiesta, l'uomo si alzò dal divano e seguì
Erwin fino alla cucina, lasciando gli altri a grugnire e ridere dei
pessimi effetti speciali del film.
Aprendo
il frigorifero, il più alto afferrò due lattine, lanciandone una
nella direzione di Levi.
"Come
ti senti?" Gli chiese Erwin.
Il
più basso aprì la lattina con lo sguardo fisso verso il salotto,
dove poteva vedere degli squali fuoriuscire da un tornado.
Auruo fece un commento che portò Petra a piantargli un gomito tra le
costole. Avrebbe passato la serata in compagnia, ma alla fine se ne
sarebbero andati tutto: ecco il motivo della domanda di Erwin.
Nel
momento in cui i suoi amici avrebbero varcato la sua porta di casa,
Levi avrebbe passato la sua prima notte da solo dopo più di due
anni.
"Sto bene."
Rispose, portando gli occhi contro la porta che dava al retro della
casa. Non c'era nulla se non buio, ora.
Altre
risate fecero ridacchiare anche Erwin, che afferrò la manica di Levi
e lo trascinò fuori dalla stanza. Entrambi si ricordarono di
prendersi la giacca, prima di uscire.
L'ultima
volta che avevano passeggiato assieme era stato dieci anni fa a Coney
Island e avevano condiviso molto di più che patatine fritte e
corndogs. Ed eccoli qui, dopo una separazione, nuove relazioni e un
matrimonio. Erwin Smith era rimasto una costante nella sua vita, una
roccia che mai si sarebbe spostata.
Decidendo
che era troppo buio per avventurarsi fino al corso d'acqua, decisero
di sedersi sugli scalini del porticato, sotto la luce delle
stelle.
Rimasero in silenzio per
un po', silenzio interrotto unicamente dalle risate provenienti
dall'interno della casa.
"Se
diventa troppo difficile da gestire, fammelo sapere," Gli disse
Erwin, appoggiando la birra perché faceva troppo freddo da tenerla
in mano. "Verrò subito da te."
"Vivi
a due ore di macchina." Rispose Levi, imitando l'altro e
mettendo le mani in tasca.
In
qualche modo la sua era un'accusa. Erwin era stato il primo ad
insistere per fargli cambiare posto e sempre lui aveva scelto la
casa, in quanto Levi era stato riluttante a farlo. Quest'ultimo si
era affezionato al suo vecchio e piccolo appartamento. Era suo. I
suoi ricordi più preziosi erano ambientati in quelle quattro
mura.
"Allora chiamami. O
chiama Hanji. Diamine, chiama chiunque," Appoggiò una mano sul
ginocchio del più piccolo, stringendolo piano. "Ambientarti non
ti sarà facile, ma non devi soffrire da solo."
Levi
quasi rise, ma si trattenne. "Ho guardato mio marito morire,"
Disse, con un tono di voce troppo calmo anche alle sue stesse
orecchie. "Posso sopportare di dormire nella mia camera da
letto."
Guardando il cielo
stellato, Erwin corrugò le sopracciglia. "Non fare così."
Ed eccolo, quel tono accondiscendente che aveva spinto Levi a mettere
fine alla loro relazione. Voleva un compagno, non un padre. La
lussuria non era stata abbastanza da farlo rimanere al suo
fianco.
La luce lunare si
rifletteva sul cristallo del pickup e, di conseguenza, Levi abbassò
lo sguardo verso il semplice anello in argento sul suo dito. Lo
stesso che portava dal suo matrimonio di quattro anni fa, che non
aveva avuto il coraggio di togliere.
Non
si era mai affezionato ad oggetti materiali, perché quelli gli
potevano venire tolti con facilità, ma mai avrebbe creduto che la
stessa cosa si poteva dire riguardo gli esseri umani. Levi non aveva
pianto quando suo padre era morto, nonostante fosse stato una persona
decente. Aveva però pianto quando la bara era stata abbassata dentro
la fossa e tutti, a parte Erwin, se n'erano andati.
Nella
sua lunga lista di amanti, romantici o meno, Eren era stato il suo
tutto.
"Quell'appartamento
era una tomba," Disse Erwin, guardandolo. "Non saresti mai
andato avanti."
"L'ho
superata, la morte."
"Sotterrare
la tua sofferenza sotto pile di lavoro non equivale ad aver superato
un bel niente, Levi. Prenditi questa opportunità per riniziare
da capo. Non ti sto dicendo di dimenticare, ma almeno superare questo
tuo ostacolo."
"Certo,
perché buttare una persona in mezzo alla natura selvaggia, magari
farla mangiare da un orso, questo sì che equivale a farle superare
gli ostacoli. Non riesco a capire il tuo ragionamento."
Strusciando
i palmi nel tessuto dei jeans, Erwin emise un verso divertito. "Hai
solo bisogno di aria fresca."
"Quello
di cui ho bisogno è una buona scopata." Le parole gli
scapparono di bocca prima che potesse fermarle, ma ormai non gliene
fregava più nulla. Non era l'intera verità, ma non era neanche una
bugia. "Ho bisogno..." Non finì la frase, perché non ne
avrebbe ricavato nulla di buono, non con la preoccupazione che gli
stava riservando Erwin in quel momento.
Nonostante
il suo tentativo, Levi non riuscì ad allontanarsi quando Erwin
premette una mano contro la sua guancia. "Mi dispiace." Gli
disse.
"Non mi riferivo a
te," E questa sì che era una bugia. "Dimenticati di quel
che ho detto."
"Non
questa volta. Non voglio continuare ad ignorare queste cose."
"Quali
cose, Erwin? Non c'è nulla."
"E
di chi è la colpa?"
Levi gli
riservò un'occhiataccia, ma non gli disse che stava sbagliando. Non
aveva rimorso delle sue decisioni. "Sopravviverò." Disse,
invece, guardando oltre la sua spalla verso la casetta. "Se non
riesco a dormire ti manderò via email i rapporti." Si voltò
verso Erwin. "Prometto di non ammazzarmi."
In
entrambe le precedenti occasioni era stato troppo codardo da premere
il grilletto.
•••
Levi serrò la
porta d'entrata alle due e un quarto di mattina, felice e scocciato
di essere lasciato solo in un posto del genere.
Per
prima cosa si fece una doccia lunga e bollente, poi s'infilò un
pigiama nuovo, cortesia di Gunther. Sia la maglietta che i
pantaloncini erano troppo grandi per lui, ma il tessuto era morbido e
comodo, quindi lo avrebbe sopportato. Magari avrebbe fatto troppo
freddo per dei vestiti così leggeri, ma per la prima notte avrebbe
potuto mettere il riscaldamento al massimo.
Mettendo
l'acqua a bollire sui fornelli, l'uomo girò la casa per assicurarsi
che tutte le finestre fossero chiuse e che le tende ne coprivano i
vetri. Non avrebbe sopportato l'idea di avere qualsiasi tipo di
roditore in casa.
Dopo lavò i
piatti, i ripiani della cucina e, mentre stava spazzando il
pavimento, la teiera prese a fischiare.
Levi
si preparò una tazza di tè nero, forte, con un po' di latte e
zucchero. Poi appoggiò la tazza per passare uno straccio sui
fornelli, in modo da non lasciare sporcizia.
Quando
fu certo di non avere più nulla da fare, l'uomo spense la luce,
prese il suo tè e si diresse al piano superiore.
Il
legno sotto i suoi piedi scricchiolava ad ogni suo passo,
irritandolo. Amava la perfezione e, assieme all'aiuto di Erwin, non
aveva fatto caso a spese nella restaurazione della casa. Non
dovrebbero esserci stati segni sul muro, o della vernice
mancante.
La sua camera da letto,
tuttavia, era impeccabile. Piccola e semplice, fornita unicamente di
cose essenziali: un letto, un comodino, un armadio, uno specchio, un
cassettone, una scrivania e una finestra che dava sul lato anteriore
della casa.
Dopo aver raggiunto il
suo lato del letto accese il lume e corrugò le sopracciglia nel
notare lo stato delle coperte. Ci dedicò solo qualche secondo della
sua attenzione, chiedendosi se mentre era uscito con Erwin qualcuno
fosse salito.
Appoggiò il tè sul
comodino in modo da chiudere le tende, ma finì con lo spendere più
tempo del previsto davanti alla finestra. Fuori non c'era molto da
vedere, ma i riflessi argentati della Luna si rivelarono
calmanti.
La foresta era buia, i
suoi alberi impenetrabili. La possibilità che ci fosse qualche
animale da poter cacciare era quasi nulla e lui non era mai stata una
persona che amava andare a caccia, ma avrebbe potuto provarci. Non
che avesse idea di cosa fare con l'animale ucciso, poi. Non ne
avrebbe affisso la testa su un muro e non l'avrebbe neanche mangiato.
Uccidere unicamente per aver la soddisfazione di uccidere non lo
attirava per niente.
Quando la
vista gli prese ad appannarsi, a causa del sonno, Levi chiuse le
tende e tornò al letto. Il suo tè ormai era freddo. Considerò di
lasciare la tazza lì fino al mattino successivo, quando l'avrebbe
portata di sotto e lavata prima di fare colazione, ma l'odore non
l'avrebbe lasciato dormire.
Con un
sospiro prese la tazza e raggiunse la cucina, senza preoccuparsi di
accendere le luci.
Una volta che
la tazza venne sciacquata e messa ad asciugare, l'uomo controllò tre
volte che la porta d'entrata fosse chiusa. Cercò di aprirla, scosse
il pomello, bussò sul legno e la porta gli rispose imitandolo.
Levi
si bloccò.
Col pugno a mezz'aria
si voltò e guardò verso le scale.
Un
eco, magari, perché il suono era arrivato dal secondo piano - non
dalla porta che aveva appena bussato. Bussò nuovamente ed eccolo, un
suono identico rimbalzò tra le pareti della casa.
L'uomo
portò gli occhi al cielo e sospirò sollevato, perché era troppo
vecchio per venire spaventato dai rumori di una vecchia casa in
legno.
Portandosi una mano a
scompigliarsi i capelli, tornò al piano superiore e chiuse a chiave
la porta della camera da letto.
Si
grattò il mento, appuntandosi mentalmente di radersi il mattino
dopo, poi si bloccò ai piedi del letto.
Si
bloccò perché le coperte erano ben distese, rimboccate e senza una
piega. Si bloccò perché il tappeto circolare al fianco del letto
era piegato a metà, come se qualcuno l'avesse accidentalmente
calciato.
Sembrava quasi che si
fosse preso il suo tempo a sistemare il letto con dovizia, prima di
andare di sotto, ma mentre era ben conscio della sua involontaria
compulsione per la perfezione, l'uomo sapeva che non aveva sistemato
le coperte.
Non si fece alcuna
domanda. Non ci pensò neanche, perché facendolo avrebbe accettato
che non sapeva come questo sarebbe potuto accadere, non avrebbe avuto
una spiegazione adatta a questo avvenimento.
Nel
bel mezzo della foresta, a due ore dalla civiltà, era un brutto
posto dove trovarsi, senza avere delle risposte alle proprie
domande.
Fanculo ad Erwin e le sue
stupide idee.
Levi si rifiutò di
muoversi quando sentì nuovamente bussare anche se, questa volta, il
suono provenne dalla porta della sua camera.
Il
pomello si scosse e la porta scricchiolò-
Era
un incubo. Doveva aver bevuto troppo. Doveva essere così, perché i
suoi amici non gli avrebbero fatto una cosa del genere. In più non
c'era modo di spiegare perché la camera fosse diventata
improvvisamente così fredda. Magari il riscaldamento si era rotto,
ma-
"Oh! Che bello vederti
qua!"
In piedi in mezzo alla
stanza, in pantaloncini corti e una canottiera troppo grande per lui,
in una stanza gelida, Levi giunse ad un'unica conclusione. Doveva
aver bevuto troppo, essere svenuto, Erwin o Mike dovevano averlo
portato in camera sua ed ora doveva star avendo un incubo.
"Uh,
Levi?"
Non poteva esserci
altra spiegazione, perché i morti non camminano e ovviamente non
parlano.
I morti non entrano nelle
stanze da letto vestendo jeans e maglioni, non potevano apparire sani
nonostante l'oscurità della stanza.
"Va...
Tutto bene? Mi stai spaventando."
Levi
lo stava spaventando.
Il suo
marito morto da tempo era appena entrato nella sua camera da letto,
ed era lui a
spaventarlo.
"Dimmi qualcosa,
per favore?"
"Ho bisogno
di bere." Fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Quello
che non disse fu che probabilmente doveva aver bisogno di un lungo
soggiorno nell'istituto psichiatrico più vicino.
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Capitolo 3 *** Insect Eyes ***
HoE chap 3
Eccomi qui col terzo capitolo! Che secondo me è più bello del secondo u_u Buona lettura!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
_________________________________________________________________________________
Levi non si mosse, incerto sul da farsi.
La
linea tra il terrore e la malinconia era sottile e, nonostante si
dicesse che la gente sarebbe più che felice di poter riabbracciare i
propri cari ormai defunti, l'uomo non l'avrebbe fatto.
Fu la
rabbia a vincere, nel suo caso.
Aveva detto i suoi addii due
anni fa.
Aveva pianto davanti alla bara con i pugni serrati.
Aveva fatto pace col sapere che non avrebbe mai più posato gli occhi
su quel sorriso che gli ricordava un raggio di Sole. Aveva accettato
che non avrebbe più potuto guardare i suoi occhi verdi-blu
riflettere la luce lunare di notte. Levi aveva passato
giorni, settimane, mesi ad agonizzare per la perdita della persona
che era diventata il suo mondo.
Questa apparizione non era
altro che ripugnante.
Non aveva alcun desiderio di abbracciare
quella cosa. Si rifiutava di credere che fosse qualcosa di più che
un fantasma, o l'inizio di un ben più serio problema mentale.
Con
qualsiasi voglia di dormire ormai abbandonata, Levi uscì dalla
stanza attento a non toccare Eren - l'entità,
si corresse - nella via d'uscita.
"Hey,
aspettami!"
L'uomo fece una smorfia, quando numerosi
ricordi gli vennero alla mente nel sentire quelle parole. Solitamente le seguiva una risata.
Per prima cosa, una volta arrivato in
cucina, accese la luce, poi frugò sotto il lavandino alla ricerca
della bottiglia di vodka che Hanji gli aveva regalato. Ne avrebbe avuto
bisogno di almeno cinque bicchierini in modo da togliersi il cattivo
gusto che si sarebbe lasciato dietro questo incubo.
"Ascolta,
lo so che è tutto un po'... Veloce, ma volevo davvero
vederti."
"No," Disse Levi, girandosi verso
Eren e agitando la bottiglia davanti a sé come se fosse un'arma.
"No. Questo non è divertente, perché ho stretto a me il tuo
corpo. Ti ho visto morire." Un nodo prese a formarglisi in gola,
ma inghiottì qualsiasi emozione che cercava di soffocarlo. Avrebbe
mantenuto un tono di voce neutrale. "Esci dalla mia
casa."
Fissando l'apparizione, l'uomo si rese conto di
qualcosa che non aveva notato prima. C'erano delle fasce attorno alla
sua testa. Una a nascondergli gli occhi, un'altra sul naso e l'ultima gli
copriva la bocca. Probabilmente una volta dovevano essere state
bianche, ma ora erano sbrindellate ai lati, ingiallite dagli anni
passati e dallo sporco.
Levi non capì come potesse saperlo,
perché non poteva vederlo, ma riusciva a sentire il sorriso del
ragazzo da dietro lo straccio sporco. "Sapevo che sarebbe stato
troppo chiedere un po' di amore e affetto."
Sbattendo la
bottiglia sul ripiano della cucina, Levi ridacchiò cupamente. "Sei
fortunato che non ti abbia dato fuoco. Qualsiasi cosa tu sia."
Chissà se veramente avrebbe potuto dargli fuoco.
Decidendo
che stare nel mezzo della cucina a fissare la cosa non avrebbe
portato a niente, l'uomo attraversò la stanza per prendersi un
bicchiere.
Dall'angolo dell'occhio poté vedere Eren scrollare
le spalle e infilare le mani in tasca.
L'azione era così
normale, così sua, che decise di abbandonare il bicchiere e bere
direttamente dalla bottiglia.
"Ti sei trovato un bel
posticino," Gli disse Eren e il modo in cui si guardò attorno
fu irritante, a causa delle fasce sopra gli occhi. "Ti erano
sempre piaciuti posti più piccoli."
Levi fece un
versetto, aprendo la bottiglia e prendendone un sorso.
"Non
ci saremmo mai potuti permettere tutto questo." Continuò il
ragazzo.
Quelle parole lo colpirono a fondo senza ragione;
probabilmente perché sembravano troppo reali, troppo concrete per
essere sussurrate cupamente da un fantasma. "Erwin mi ha
aiutato." Rispose Levi.
"Oh."
Con gli
occhi fissi sulla bottiglia, il più grande fece scorrere un dito sul
bordo dell'apertura, prima di fermarsi. Ora avrebbe dovuto lavarlo in
modo da eliminare qualsiasi germe. Qualcuno sarebbe rimasto sorpreso
da quanti germi potevano esserci in un'unica impronta digitale. "Hai
cinque minuti per dirmi quello che vuoi. Poi ti voglio fuori. Non
voglio vederti mai più."
I fantasmi non potevano
apparire sconsolati, non con la maggior parte del viso
coperto.
"Avevo la possibilità di venire a vederti,
quindi l'ho fatto." Gli rispose Eren, come se viaggiare tra i
diversi piani della realtà fosse facile come attraversare una strada
per andare a visitare un vicino.
"Come facevi a sapere
che ero qui, piuttosto che al nostro appartamento?"
"Nostro?"
Levi
si voltò verso di lui e corrugò le sopracciglia. "Abitudine."
"Ci
sono andato, ma l'ho trovato vuoto. Non è poi così difficile
muoversi dove mi trovo io." Gli disse, avvicinandosi al piano
della cucina. Levi si irrigidì ma non si spostò. "Sono davvero
io."
"Sei morto."
"Lo so,"
Rispose il fantasma, offrendogli probabilmente un sorriso triste.
"Non è così male come si pensa, però."
Quando si
prese uno sgabello e ci si sedette sopra, Levi si alzò e si
allontanò dall'isola della cucina, lasciandolo indietro.
Non
poteva sopportare questo. Se era un incubo aveva bisogno di
svegliarsi subito, perché questo Eren era troppo perfetto da
continuare ad ignorare.
Accendendo la luce del salotto, l'uomo
si sedette sul divano. Non si preoccupò di accendere la televisione
o altro: si limitò ad incrociare le braccia sul petto e fissare il
vuoto. Faceva troppo freddo, avrebbe dovuto seriamente controllare il
sistema di riscaldamento per vedere se funzionava.
Dopo un
paio di minuti Eren lo raggiunse, sedendosi di fianco a lui,
lasciando comunque dello spazio tra loro. Levi poteva sentire il gelo
venire emanato dal suo corpo. Freddo come lo sono i
morti.
Ripugnante, disgustoso, atroce.
Doloroso.
"Anche
dopo la tua morte sei egoista," Gli disse, stringendosi le
braccia al petto. "Tutte quelle volte che mi hai detto che
saresti venuto a tormentarmi come fantasma quando ti chiedevo di
portare fuori la spazzatura... Dicevi la verità."
Eren emise un suono che
sembrava una risata. "Mi amavi ugualmente. Difetti e
tutto."
"Moccioso."
Anche se non aveva
pronunciato la parola con affetto, il sorriso del fantasma si allargò
come se quel sentimento ci fosse stato. "Ti manco?"
Levi non degnò
quella domanda di una risposta. Ovviamente. Gli mancava con la stessa
forza di mille stelle esplose nello stesso istante. Gli mancava
svegliarsi su di un letto ancora caldo e pancake mezzi bruciati ad
aspettarlo. Gli mancava il riuscire a sorridere e ridere, a provare
felicità.
"Penso di poter venire a visitarti di tanto in
tanto," Gli disse Eren, portando i piedi sul divano,
abbracciandosi le gambe. "Possiamo guardare un film o fare una
passeggiata nella foresta."
"No." Rispose Levi,
senza lasciar spazio ad ogni altra possibilità.
"Ma
Levi-"
"Non mi piace ripetermi."
"Va
bene," Sbottò il ragazzo. "Andrò a trovare Mikasa o
Armin. Magari loro possono apprezzare il mio sforzo."
"Mikasa
ti sparerebbe a vista e faresti venire un attacco di panico ad
Armin." Non erano possibilità, ma dure verità.
Un
silenzio pesante calò tra di loro.
Fu Eren ad interromperlo,
quando Levi si portò nuovamente la bottiglia alla bocca.
"La
morte porta una grande solitudine."
•••
"Eren
non era fatto per la solitudine." Dice Levi a Petra in un
mormorio soffocato. Ricorda, chiaramente, il senso di dolore che lo
aveva attanagliato alla confessione di Eren.
Il ticchettio
dell'orologio è nuovamente assordante, ma a nessuno dei due sembra
importare particolarmente.
Petra lo sta ancora guardando con
un'espressione che dovrebbe essere prima di emozioni, ma i suoi occhi
da cerbiatta la tradiscono. "E' ovvio che tu ed Eren abbiate condiviso un profondo legame."
"E' mio marito."
Le ricorda l'uomo.
Di fronte a lui, Eren scoppia
improvvisamente a ridere. "Non doveva essere una chiacchierata
da amici?" Chiede, camminando casualmente nella stanza con le
mani in tasca. "Mi sembra che stia tentando di
psicanalizzarti."
Petra porta lo sguardo alle sue gambe.
"Era, perché non c'è più ora," Dice lentamente e
clinicamente. "Mi diresti come l'hai conosciuto?"
Levi
non pensava da tempo ai ricordi prima della morte di Eren, ma per una
volta
può fare un'eccezione. Tanto morirà tra qualche ora.
Magari parlare di queste cose calmerà il rumore dentro la sua
testa.
"Avevo diciassette anni, quando l'ho incontrato
per la prima volta. Eren andava in seconda elementare."
Dice.
"Aveva otto anni?"
"Abbiamo nove
anni di differenza."
"Va bene." Risponde lei,
sospirando.
"Ero uno studente delle superiori e avevo
bisogno di soldi per poter uscire con la mia fiamma del momento nei
fine settimana. Gli Jaeger mi presero come babysitter. Penso tuttora
che furono stupidi a farlo, ma erano brave persone. Nessuno mi
avrebbe dato una possibilità, a quei tempi. Era anche un lavoro
semplice. Sua sorella, nonostante avesse un anno in meno di lui, era
terribilmente protettiva verso Eren. Tutto quello che dovevo fare era
sedermi sul divano con una lattina di birra e guardare la TV, mentre
Eren e Mikasa giocavano nella loro cameretta."
Levi ruota
la testa, nel tentativo di rilassare i muscoli della schiena.
"La
seconda volta che gli ho fatto da babysitter, il moccioso è stato
con me. L'ho aiutato a fare i compiti per casa."
"Facendo
delle linee a puntini che formavano le lettere dell'alfabeto,"
Dice Eren, portando gli occhi al cielo. "Fortunatamente eri un
genio."
Ignorandolo, Levi continua. "In breve, sono
cresciuto, ho frequentato il college, sono riuscito a farmi assumere
part time, ma comunque ogni tanto facevo un salto dagli Jaeger per
salutarli, specialmente quando Grisha se n'è andato. Aiutavo Carla
con i lavori di casa, quando ne aveva bisogno."
Aveva
visto Eren crescere, diventare un ragazzino alto e tutto ossa con un
terribile atteggiamento. Veniva trattenuto a scuola per aver
risposto ai professori, sospeso per aver picchiato qualche compagno
di classe... Aveva iniziato a comportarsi così quando aveva capito
che suo padre non sarebbe tornato a casa, così Levi era intervenuto.
Era diventato il suo mentore, una costante per quel ragazzino
problematico.
"Rispetto, ammirazione, adorazione:
chiamala come vuoi, ma davvero credevo fossero le uniche cose che
Eren provava per me," L'uomo si inumidisce le labbra. "Fino
ad un giorno, quando mi mise una mano sul ginocchio e lentamente la
portò sul mio interno coscia. Successe il giorno dopo che noi due ci
lasciammo," Dice a Petra, che mantiene uno sguardo impassibile.
"Mi disse che era per conforto, che era solo giusto che
ritornasse il favore."
Tu
c'eri quando mio padre se n'è andato, ora è giunto il momento che
ti ripaghi il favore.
Il
desiderio che aveva bruciato dentro di lui gli aveva fatto provare
vergogna. Aveva provato a dirsi che era causato dal dolore di essersi
appena mollato con Petra, ma sapeva che non era così. Eren era
giovane e bello, energico, entusiasta, ostinato... Ma aveva anche
nove anni in meno di lui.
"Quanti anni aveva, quando
questo è successo?"
"Sedici." Risponde.
"Lavoravo in un fast food. Io ne avevo venticinque." Se gli
chiedeva domande stupide, avrebbe ricevuto risposte altrettanto
stupide. Petra sapeva di tutto questo e il suo tono di voce lo
irritava.
"E siete andati avanti?"
"No,"
Risponde Eren. "Apparentemente ero troppo giovane per capire
cos'era il sesso."
Non sei
meglio di mio padre. Sarebbe bastato che tu mi dicessi di no.
"Me
ne sono andato," Continua Levi. "Non l'ho più visto per
due anni. In quel periodo di tempo io ed Erwin trovammo lavoro dove
lavoriamo tuttora. Provammo a vedere se eravamo capaci di mantenere
una relazione romantica, ma sai com'è andata a finire."
"Cosa
successe dopo i tuoi due anni di assenza?"
"Litigammo.
Eren mi disse che ero stato uno stronzo ed un codardo, per averlo
abbandonato il quel modo." L'uomo si gratta il mento. "Più
tardi scopammo sui sedili posteriori della sua auto. Dopo nel suo
dormitorio, dopo ancora nel mio ufficio."
"Me lo
ricordo," Dice Eren, spostandosi per andare a sedersi di fianco
a Levi. Si accoccola contro di lui, appoggiando la testa sulla sua
spalla. "E' stato bellissimo."
Avevano scopato, si
erano baciati, erano usciti assieme. Alla fine si erano
innamorati.
"Ti vedevi ancora con Erwin, quando successe
tutto questo?"
Eren rise e Levi fulminò Petra con lo
sguardo. "Sì." Dice, ma sa che la donna non avrebbe mai
capito il delicato accordo che c'era tra loro tre. "Non gli
importava. Alla fine ci lasciammo definitivamente, ma lui ed io
eravamo - siamo
- molto vicini."
"E questo non causò problemi fra
voi tre?"
"No." E' l'unica cosa che Levi le
offre come risposta.
Quando la donna capisce che il carcerato
non avrebbe approfondito il discorso si schiarisce la gola, provando
con un'altra domanda. "La relazione tra te ed Eren: com'è
progressa?"
"Normalmente," Risponde Levi,
abbassando lo sguardo verso i lunghi capelli castani che gli coprono
la spalla. "Nessuno di noi due si ha proposto il matrimonio, ma è successo,"
Ricorda con affetto. "E' stato il Natale prima che finisse il
college."
La festa di Natale era finita e tutti se ne
erano tornati a casa, Erwin era in cucina e stava preparando della
cioccolata calda per tutti e tre.
Riesci
a pensare a noi, sempre assieme, anche quando saremo vecchi?
Gli aveva chiesto Eren, strusciando il viso contro il suo. Dovremmo
farlo.
"Ci siamo sposati
tre anni dopo, il giorno dopo il suo compleanno. Abbiamo comprato un
appartamento ed adottato un gatto."
"Lo stesso
appartamento dove è avvenuto l'incidente," Dice Petra,
annuendo. "Che è avvenuto due anni dopo."
Levi
chiude gli occhi quando la mano fredda di Eren si poggia sul suo
ginocchio, stringendolo piano con fare rassicurante.
"Dopo aver vissuto la stessa
routine per così tanto, dove Eren andava a lavoro quando io tornavo,
fu strano entrare in casa e non ricevere un abbraccio ed un bacio. Fu
strano non vedere il gatto riposare sul tavolo e ancora più strano
sentire l'odore di cibo bruciato."
L'uomo ha paura che
quelle immagini non le dimenticherà mai. Ricorda, precisamente, il
soffocante senso di paura che velocemente aveva lasciato spazio al
torpore, l'unica cosa che gli aveva permesso di agire nel modo in cui
aveva fatto.
Nessuno gli avrebbe portato via il ricordo di
vedere Eren sul pavimento di camera loro con profondi squarci nel
petto, dei buchi sul collo e dei segni viola sui fianchi, come se
fosse stato legato con una corda. Levi non avrebbe mai dimenticato il
rumore che Eren emise, mentre stava soffocando nel suo stesso sangue,
i piccoli mugolii che emetteva perché era ancora vivo,
nonostante ormai non ci fosse più, i suoi occhi vitrei e ormai
ciechi.
Il caldo appiccicoso del suo sangue - può ancora sentirlo
inzuppargli i pantaloni, sporcargli le dita mentre stringeva Eren
contro di lui.
A quel punto Petra non cerca più di
interromperlo con domande intrusive, quindi continua col raccontare
la storia.
•••
Levi ricordava la sua morte.
Com'era stata orribile.
"Stai piangendo," Gli
sussurrò Eren e l'uomo non si preoccupò di correggerlo, anche se
non stava piangendo. Le sue guance erano asciutte, la sua vista non
era appannata. "Non sarei dovuto venire..."
Levi non
gli rispose.
Si mise in piedi e camminò fino alla cucina,
quindi appoggiò la bottiglia di vodka sul ripiano. Aprì il
rubinetto, mise le mani sotto l'acqua corrente e prese a
strofinarle. Continuò, spasmodicamente, perché non c'è sangue, ma
poteva sentirlo, poteva sentirne il puzzo e lo faceva stare male.
E se
ne aveva sporcato il divano? O il tappeto? Era sulla bottiglia, sul
rubinetto, stava andando giù lungo le tubature? Avrebbe dovuto pulire anche
quelli. Lavarli affinché anche loro fossero stati impeccabili.
Levi si scostò
di scatto, quando la mano di Eren gli toccò un gomito. "Non
farlo." Gli soffiò e il bisogno di picchiarlo fu soffocante.
La
rabbia, la sua ira, era immensa. Lo accecava e l'unica cosa che voleva
stringere era quel collo, stringerlo così forte e così a lungo da
togliergli nuovamente la vita.
"Esci." Fu l'unica
cosa che riuscì a dirgli, ritrovandosi sorpreso da come la sua voce
rimase calma.
Eren aveva le braccia davanti al viso, come se
si aspettasse di venir colpito da Levi, e il pensiero gli fece venire
la nausea. Mai l'uomo avrebbe alzato le mani su chiunque, tanto meno
su di Eren, invece eccolo lì. Il bisogno di colpirlo lo disturbò,
ma lo disturbò ancor di più il fatto che non se ne sarebbe sentito
in colpa. Eren era morto.
Eren
è morto.
Quello non era lui,
era una qualche allucinazione creata per tormentarlo, per
distruggerlo ancor di più di quanto non lo era già. Questo era un
incubo che si nutriva dei suoi ricordi e delle sue emozioni, che
cercava di farlo impazzire. La sua mente aveva bisogno di sfogarsi,
così come le sue mani. Il miscuglio di questi componenti erano
pericolosi.
"Sei stato tu ad abbandonarmi." Disse
Levi. Non c'era sofferenza, o rimorso, o rabbia: solo una inquietante
accettazione.
Eren guardò verso la porta e strinse in pugni,
nello stesso modo di quando non voleva litigare. "Ora siamo
pari." Disse dopo un lungo momento. Scrollò le spalle.
I
pugni di Levi tremarono involontariamente.
Eren scrollò
nuovamente le spalle. "Smithers non è qui, vero?"
La
domanda lo prese di sorpresa, ma scosse la testa. "Non c'era,
quando ti ho trovato." Rispose, ricordando la gatta
tigrata.
Sia la porta che le finestre erano chiuse e davvero
non sapeva cosa le era successo. La gatta era stata una specie di
sostituto di un bambino. Era stato troppo disperato dopo la morte di
Eren, per cercarla.
Eren portò lo sguardo verso le scale.
"Non so chi è stato." Disse.
Levi sbatté le
ciglia, perché chiedere ad Eren del suo assassino non aveva neanche
attraversato la sua testa. Era stato troppo concentrato a negare la
possibilità che tutto fosse stato vero, per pensare seriamente alle
possibilità che aveva in quel momento.
Non voleva chiedere
altro, perché farlo avrebbe segnato il suo destino. Fare domande
avrebbe garantito all'uomo il fatto di essere lucido, in quel
momento, ma la curiosità infine vinse.
"Ricordi
qualcosa?" Chiese, tornando al lavandino e portando nuovamente
le mani sotto l'acqua. Era gelida, ma non gli importava. Un dolore
fisico era sempre il benvenuto, in confronto ad uno
psicologico.
Questa volta Eren mantenne le distanze. "Stavo
preparando le lasagne. La ricetta di mia mamma," Disse, con un
tocco di calore nellla sua voce. "Smithers per qualche
motivo non voleva smettere di miagolare e ad un certo punto l'ho
sentita soffiare in camera da letto." Il fantasma abbassò la
testa, stringendo le braccia attorno a sé stesso. "Basta. Sono
andato in camera da letto e basta. Mi sentii estremamente caldo, poi
estremamente freddo. Ricordo di aver pensato che le lasagne si
sarebbero bruciate."
Il nodo in gola tornò, ma per
fortuna l'acqua gli offrì un po' di sollievo.
"Me ne
vado, se ti procuro così tanto disagio." Disse Eren.
Levi
mormorò qualche parolaccia, perché quel tono di voce così desolato
era così sbagliato.
"Dimmi perché hai addosso quelle
cose." Gli disse. Lo avrebbe mandato via subito, ma prima aveva
bisogno di sapere. "Perché posso sentirti e perché tu riesci a
vedermi con quella roba."
Guardando direttamente verso
Levi, Eren prese tra le dita l'eccesso del tessuto che ciondolava
sopra la sua spalla. Ci giocherellò, ma poi lasciò che la mano
tornasse al suo fianco. "C'è un prezzo da pagare per ogni
passaggio. Fortunatamente, dove mi trovo io, è dannatamente facile
riprendersi ciò che si perde."
L'idea di sopportare il
dolore di vedere Eren dopo averlo pensato perso per sempre, eppure
non poter vedere i suoi occhi e il suo sorriso un'altra volta, era la
tortura più crudele che poteva immaginare. Era come ricevere
l'ultimo pasto, ma essere troppo malati per sentirne il sapore.
Era
meglio così, si disse Levi. Sapeva che avrebbe abbandonato la sua
decisione, se avesse potuto vedere le cose che facevano Eren chi era,
il ragazzo che adorava. "Vattene." Disse e, questa volta,
non lasciò spazio all'esitazione.
Levi odiò il non poter
vedere, eppure poter sentire, il modo in cui il labbro inferiore di
Eren tremò, il dolore nel suo petto, la tristezza sulle punte delle
sue dita. Il mero pensiero di far del male ad Eren gli fece venire la
nausea, ma non c'era altro modo. Aveva bisogno di allontanare
quell'apparizione in nome della sua sanità mentale.
Eren
sparì in un battito di ciglia e il gelo se ne andò con lui.
Solo,
Levi afferrò il bordo del lavandino e calciò l'armadietto sotto di
esso tanto forte da farsi male.
•••
Normalmente
beccare Erwin di sorpresa migliorava l'umore di Levi. Non questa
volta, considerando che non aveva chiuso occhio nelle ultime
quarantotto ore.
"Ti ho visto sei ore fa." Disse
Erwin abbastanza stupidamente, perché Levi sapeva contare le ore.
Erwin e gli altri se ne erano andati a casa alle due del mattino, ora
erano le otto. "L'idea di darti la promozione mi è venuta per
farti lavorare a casa, sai."
"Fottiti tu e le tue
idee di merda, Smith," Rispose Levi, fregandosene di chi si voltò verso di lui ad occhi sbarrati. "Fottile
forte." Ormai la gente avrebbe dovuto essersi abituata al suo
linguaggio.
Senza riuscire a dormire, o meglio ben deciso a
non farlo, l'uomo aveva deciso di fare la cosa migliore.
Mentre
aveva messo a bollire il caffè si era fatto una doccia fredda e si
era lavato i capelli. Una volta uscito si era messo un completo
elegante, aveva preparato la sua valigetta con tutto il lavoro
incompleto, aveva riempito diversi thermos di caffè, lanciato il
tutto in macchina, chiuso a chiave la casa ed era partito. Aveva
guidato per un'ora nelle viottole della campagna e un'ora in
autostrada, fino a raggiungere l'edificio che ormai da dieci anni
chiamava luogo di lavoro.
"Voglio un appartamento in
città," Continuò, mentre entrambi salirono in ascensore.
"Starò lì durante la settimana, poi passerò il week end a
casa. Meno gas esausti, salverò il pianeta."
Erwin
lisciò la sua giacca prima di premere il pulsante per l'ultimo
piano. "Cosa ti ha fatto prendere questa decisione?"
"Il
fatto che devo guidare due dannate ore per arrivare qua."
La
luce delle lampadine non faceva altro che irritarlo, fargli bruciare
gli occhi. Un thermos di caffè e due tazze più tardi sembravano non
fare nulla. Era sveglio, certo, ma si sentiva più morto che
vivo.
Come ciliegina sulla torta, ulteriormente, non riusciva
a ricordare se aveva spento o meno la caffettiera. Con un po' di
fortuna, di cui era privo, sarebbe tornato e avrebbe trovato un
mucchietto di cenere. Avrebbe potuto usare i soldi dell'assicurazione
per comprarsi un posticino più carino in città.
"Hai
dormito, almeno?" La domanda arrivò assieme ad una grande mano,
una mano che strinse delicatamente il suo mento e gli fece voltare la
testa da una parte all'altra. Qualcosa, nel sentire le dita di Erwin
su di lui, lo aveva sempre fatto calmare. "Sei pallido. Stai
male?"
Levi allontanò la mano dal suo viso, prima di
passarsene una propria sugli occhi, "Non nel senso tradizionale,
sembrerebbe." La mano di Erwin tornò, ma questa volta passò
tra i suoi capelli.
Il tipo di relazione che avevano era
strana a guardarla nel lato migliore, complicata nel lato peggiore.
Amici d'infanzia che erano diventati ex e che erano diventati partner
di lavoro, lui ed Erwin avevano una lunga storia di problemi e pochi
momenti felici.
E per essere brutalmente onesti, c'erano dei
rimasugli di lussuria sotterrati nel profondo dei loro esseri. Con
centottanta centimetri d'altezza, occhi blu e capelli d'oro, sommato
al fisico di Capitan America e un carisma da far paura, non c'era una
persona che non avrebbe voluto portarsi a letto Erwin Smith. Anche Eren, ad
un certo punto, aveva sviluppato una cotta per l'uomo, cosa che li
aveva portati ad avere conversazioni imbarazzanti ed una manciata di
notti da ricordare.
Erwin era formato da innumerevoli strati,
dal capo carismatico al freddo e stronzo calcolatore, dalla persona
terribilmente empatica al dio del sesso che ti faceva venire la bava
alla bocca. Era complicato ed era naturale che anche le sue relazioni
lo fossero. Mike, il suo compagno, era ben conscio del ruolo di Levi
nella vita di Erwin, nello stesso modo in cui Eren era stato conscio del
ruolo di Erwin nella vita di Levi. Il sesso magari non era più
presente nella loro relazione, ma c'era un legame più profondo che
li teneva assieme.
"Puoi stare nel mio ufficio, se vuoi
la mia compagnia." Gli disse Erwin, accarezzandogli una tempia
col pollice.
Era anche molto fisico.
Contrariamente
alla sua apparenza, Levi era qualcuno che amava il contatto fisico,
per quello la sua relazione con Eren era andata avanti così bene.
Solo che Eren non aveva avuto idea di come frenare il suo bisogno di
toccarlo costantemente in pubblico.
Levi non espresse
vocalmente il suo assenso, ma seguì Erwin non appena l'ascensore si
fermò e aprì le porte, stringendo spasmodicamente la valigetta tra
le dita.
L'ultimo piano dell'edificio era il piano degli
esecutori ed includeva unicamente uffici privati ed una sala da
conferenze. Chic e minimalista, le decorazioni esprimevano calma ed
erano piacevoli all'occhio umano. I muri bianchi e i toni neri, le
finestre che dal pavimento arrivavano al soffitto che si affacciavano
ai grattacieli vicini e l'indaffarata vita di città giù; era la
classica sistemazione delle potenze commerciali.
L'ufficio di
Erwin era più caldo, i suoi colori più omogenei. Muri grigio scuro
e mobilio nero. Aveva un ché di professionale. Inoltre odorava di
sgrassatore al limone e disinfettante spray, tutti odori che
piacevano a Levi.
"Hai mangiato qualcosa?" Gli
chiese Erwin, chiudendosi la porta dietro di sé. Raggiunse la sua
scrivania e posò la valigetta per terra, poi frugò in un cassetto
alla ricerca di salviette anti batteriche. Ne usò una per pulire la
valigetta, prima di posarla sulla scrivania.
Erwin era sempre
pulito ed organizzato, ma al contrario di Levi non ne era nevrotico.
Non sarebbe impazzito per far sì che tutto fosse impeccabile. Il
gesto che aveva appena compiuto era per far rilassare Levi e
quest'ultimo non sapeva se esserne grato o sentirsene insultato.
Decise di non parlarne, così si sedette sulla chaise longue con la
valigetta sulle gambe.
"Vodka, caffè, una
ciambella."
Con i contenuti della propria ventiquattrore
improvvisamente dimenticati, Erwin lo guardò, attento a mantenere la
propria espressione neutra. "Bene, anche io ho preso solo un
caffè e una ciambella, prima di uscire." Manipolatore bastardo:
le sue parole erano sempre la sua arma migliore. "Vorresti
qualcosa di specifico per colazione?"
"Prenderò
quello che prendi tu." Gli rispose. Non era convinto di poter
tenere giù qualcosa anche se avesse voluto, ma ci avrebbe
provato.
Proclamando di aver voglia di fast food, Erwin chiamò il
negozio più vicino che faceva consegne. Venti minuti dopo entrambi
gli uomini avevano due piatti davanti a loro e mangiarono in
silenzio.
Quel poco appetito gli passò quando gli tornarono
in mente i ricordi dei sabato mattina da uomo sposato. Lui ed
Eren si prendevano sempre il loro tempo per uscire e fare colazione,
raccontandosi a vicenda cos'era successo durante la settimana
lavorativa. Poi sarebbero andati a fare la spesa, prima di tornare a
casa e passare il pomeriggio a guardare orrendi film alla TV.
Levi
sparse lo sciroppo sui suoi pancakes con la forchetta, ma si limitò
a mangiare la pancetta ed un biscotto.
Erwin lo guardò tutto
il tempo.
C'era una domanda sul suo viso, nonostante cercasse
attentamente di nasconderla e lasciare l'amico continuare a far
quello che stava facendo.
"Abituarsi ad un nuovo posto mi
era più facile quando ero più giovane," Disse Levi,
appoggiando la forchetta sul piatto e prendendo in mano il suo
bicchiere di succo d'arancia. "E' più rumorosa di come dovrebbe
essere."
Erwin sbuffò e trattenne una risata, annuendo.
Tagliò un triangolo nel suo pancake, che inforcò e si portò alla
bocca. Aveva usato il burro al posto dello sciroppo. "Se ti
infastidisce così tanto, troveremo un posto più vicino alla città
e che non sia fatto in legno."
Allontanando il piatto da
davanti a sé, Levi si appoggiò contro lo schienale della sedia,
tenendosi vicino al petto il bicchiere di succo. Lo ruotò, nella
speranza che il ghiaccio si sciogliesse più velocemente e che quindi
la spremuta si diluisse. "Lo apprezzerei molto."
"Contatterò
il mio agente immobiliare questa sera, quando torno a casa. Sei più
che benvenuto a stare con me e Mike, nel frattempo, se non vuoi tornare a casa
tua."
Levi si chiese se un giorno Erwin si sarebbe
stancato di lui. "Non voglio sentirvi fare sesso."
"Prometto
che mi tratterrò," Gli rispose l'uomo con un sorriso brillante.
"Casa o appartamento?"
"Più è piccola e
meglio è." Disse Levi. Meno porte, meno finestre, meno casino
senza una vera fonte. Avrebbe preferito mille volte il rumore di auto
e treni, piuttosto che quelli del vento e del legno
scricchiolante.
"Quindi un attico è fuori questione."
All'espressione dell'amico, Erwin continuò. "Stavo
scherzando."
Prendendosi l'ultimo sorso del suo succo,
Levi appoggiò il bicchiere sulla scrivania di Erwin. "Che ti è
preso, per aver deciso di trovarmi una casa in mezzo al nulla?"
Non c'era nessuna ragione o logica. Erwin era un uomo che aveva
sempre una spiegazione, riusciva sempre ad essere dieci passi più
avanti di tutti e magari Levi non era proprio al suo livello, ma era
dietro a lui di un passo o due al massimo. "Non riesco proprio a
capirlo."
"Per rilassarti." Gli rispose l'uomo,
rivolgendogli un sorriso triste. "Pensavo che allontanarti dalle
cose che ti ricordavano lui ti avrebbe aiutato a superare
l'accaduto."
"Lo avevo superato."
"Avevi?"
Dopo
un attimo, Levi si rese conto che come aveva impostato la frase aveva
commesso un errore. Quella singola parola era piena di
significati.
"Smettila di mettere il naso in cose che non
ti devono preoccupare."
"Questo mi preoccupa
enormemente, Levi." Gli disse. Erwin chiuse il contenitore del
cibo e ci mise la forchetta sopra, apparentemente soddisfatto con la
sua colazione. "Ti fai vivo a lavoro con nient'altro nello
stomaco se non alcool o caffeina e neanche un'ora di sonno. Non ti ho
visto messo così dal giorno in cui mi hai chiamato dal tuo
appartamento."
Impanicato, dopo aver trovato il corpo di
Eren, Erwin era stata la prima persona che aveva chiamato. Non la
polizia.
"Cos'è successo?" Spinse l'uomo.
"L'ho
visto. Ho avuto un incubo," Gli rispose Levi, troppo velocemente
per farsi credere dall'amico. "Qui sarei potuto andare a farmi
una passeggiata. Non sono una persona che va a camminare nel bel
mezzo di una foresta di notte." Guardò verso la finestra, dove
al di fuori di essa stavano iniziando a formarsi nuvole grigie.
"Stavo per perdere la testa."
Non era una bugia ed
Erwin lo capì. "E' strano vederti aprire così," Gli
disse, passandosi il palmo della mano sulla bocca. "Sembri
spaventato."
Una parte di lui voleva prendersela con
l'amico per quello che gli aveva appena detto, difendere la sua
dignità, ma più ci pensava e più si rendeva conto di quanta
ragione avesse Erwin. Era proprio così: aveva paura.
Essendo
a conoscenza che tutto quello che gli avrebbe detto sarebbe rimasto
privato, Levi si lasciò andare. Chi aveva bisogno di uno psichiatra,
quando c'era Smith.
"Sembrava reale."
"Gli
incubi spesso lo sembrano." Ed eccolo nuovamente, quel tono di
voce. Non era di per sé accondiscendente, ma puzzava di sospetto.
Erwin stava cercando di unire i puntini con le poche informazioni che
aveva a disposizione e, nuovamente, Levi realizzò di essersi fatto
scappare qualche parola di troppo. Non aveva dormito quella notte,
eppure si era messo a parlare di incubi.
Decidendo che sarebbe
stato meglio tenere la bocca chiusa, così fece. Guardò Erwin
raddrizzare la schiena, una volta che realizzò di essere stato
scoperto. Quello però non lo fermò dal sorridere soddisfatto.
"Ho
del lavoro da fare," Gli disse, anche se dal suo tono capì che
non lo stava cacciando. "Sei il benvenuto, se vuoi rimanere
mentre lavori ai tuoi rapporti."
Levi si chiese se
avrebbe preferito lavorare nel suo ufficio in quello di Erwin, ma
alla fine decise di rimanere in compagnia. Non sarebbe riuscito a
sopportare il silenzio dopo aver passato la notte in bianco.
Oltretutto la chaise longue dell'uomo era molto più comoda della
sua, se fosse riuscito ad addormentarsi.
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Capitolo 4 *** Friendly Haunt ***
HoE chap 4
Eccomi qui col
quarto capitolo! Con un'oretta di ritardo, ma spero possiate
perdonarmi: in questi giorni ho avuto degli impegni che non ero
consapevole di avere, lol. Però ho cercato comunque di mantenere
la promessa e mi sono messa davanti al computer non appena avevo un
attimo libero! Vi lascio subito, perché sto morendo x' Buona
lettura!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
_________________________________________________________________________________
Levi
tornò una settimana dopo solo per trovare la sua casetta in via
Ashbury esattamente così come l'aveva lasciata, coperta da uno strato di brina nel suo
perfetto cerchio d'erba ormai secca. Nessun fuoco l'aveva rasa al suolo,
come aveva sperato, quindi doveva aver spento la macchina del caffè
prima di dirigersi verso la città. Non gli dispiacque così come invece aveva
pensato, perché aveva preso una decisione.
Al momento, non
c'erano appartamenti che rispettavano le sue richieste, ma il suo nome
sedeva sulla scrivania del suo agente immobiliare. Nel momento
in cui un'offerta sarebbe stata fatta, il suo numero sarebbe stato il
primo ad essere composto. Nel frattempo, Levi avrebbe passato i week
end in campagna e la settimana lavorativa nell'appartamento di
Erwin.
Dopo aver spento il motore, l'uomo rimase al volante
per svariati momenti.
Non c'era nulla ad aspettarlo dall'altra
parte della porta. Non ci sarebbe stato nessuno: niente oltre al
piccolo velo di polvere che avrebbe felicemente spolverato facendo le pulizie.
Lasciò la ventiquattrore sul sedile
dell'accompagnatore e uscì dall'auto, raggiungendo velocemente il
porticato per scappare al freddo vento autunnale.
Col respiro
calmo e i nervi saldi, Levi girò la chiave ed aprì la porta,
ripetendosi che non c'era nulla ad aspettarlo oltre di essa. Se
avesse agito normalmente, se avesse finto che nulla avrebbe potuto
spaventarlo, non sarebbe accaduto nulla. Perché era tutto nella sua mente: i fantasmi non avevano ragione d'esistere.
Cosa lo salutò fu una casa gelida ed una risata
che proveniva dalla TV in salotto.
Immobile sull'uscio della
porta, corrugò le sopracciglia guardando il giovane uomo che stava
sedendo sul suo divano, coi piedi appoggiati al tavolino da caffè e
le gambe incrociate alle caviglie. Le sue dita stavano giocherellando
col bordo della felpa.
"Bentornato a casa." Gli
disse Eren, allontanando lo sguardo dallo schermo per
sorridergli.
"Che si fotta tutto."
Con le
chiavi strette in mano, Levi voltò i tacchi e uscì di
casa.
Avrebbe guidato fino alla città e avrebbe fatto visita
al più vicino ospedale psichiatrico. Tutto questo era stupido,
ridicolo, osceno ed impossibile. La gente non poteva tornare
dall'aldilà. Non esistevano i fantasmi. E anche se esistevano, non
passavano il tempo nel salotto di qualcuno a guardare la
televisione.
Avrebbe chiamato Erwin e gli avrebbe raccontato
la verità. Gli avrebbe detto che vedeva e sentiva cose, che il suo
cervello pensava che Eren lo stesse tormentando. Conoscendo Erwin,
tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato annuire, credergli e
mettergli una camicia di forza.
"Hey, aspetta!" Lo
chiamò Eren dalla porta e - fanculo a lui - poté sentire i suoi
passi mentre scendeva di corsa gli scalini in legno. "Oh, ma
dai!"
"Esci dalla mia cazzo di casa, ora, o giuro
che la brucio fino alle fondamenta." Gli rispose Levi, con un
tono di voce falsamente calmo. Non c'era bisogno che di arrabbiarsi:
anche facendolo non avrebbe ottenuto nulla. L'uomo avrebbe affrontato
la
situazione con calma.
"Il tuo primo tentativo ha
fallito," Gli rispose Eren, quasi petulante. "Hai lasciato
la macchina del caffè accesa."
Levi si bloccò. "E
scommetto che tu l'hai spenta."
"Beh, sì. Sarebbe
stato brutto per te perdere tutti i tuoi averi."
Levi
combatté l'istinto di portarsi una mano al viso, così come
l'istinto di urlare. Scelse di rimanere immobile, lasciando che il
freddo gli gelasse anche l'umore. Poteva sentire il rumore di foglie
secche provenire da dietro di sé, ma si rifiutò di muoversi. Non
sapeva cos'avrebbe fatto se Eren avesse cercato di toccarlo
nuovamente.
"Entri?" Lo pregò jl giovane e le sue parole
strinsero il cuore di Levi. "Sta diventando freddo fuori. Non
voglio che ti venga l'influenza."
Nonostante la rabbia e
l'incredulità, gli occhi dell'uomo presero a bruciargli.
La
forza che aveva di mantenere le proprie decisioni era sempre stato il
tratto di cui era maggiormente orgoglioso, in quanto mai aveva ceduto
in qualsiasi sorta di pressione, sia quando era giovane sia da
adulto. Una volta che prendeva una decisione, nulla avrebbe potuto
fargli cambiare idea. Ma il problema era che Eren una volta era stato
qualcuno a cui aveva tenuto più della sua stessa vita, quindi gli ci
voleva poco per farlo cedere.
Spaventosa realtà o meno, gli
era mancato e alla fine era pur sempre umano. Un debole e codardo
umano.
"Per favore? Non ti farò del male, se è quello a
preoccuparti." Continuò Eren e il vento trasportò la sua voce,
facendola apparire affettuosa e calda. "Me ne andrò, ok? Per...
Vieni dentro. Fammi vedere che stai bene."
"Perché
non dovrei star bene?" Sbottò l'uomo, voltandosi verso il viso
nascosto e inghiottendo un conato di vomito nel notare che l'entità
poteva uscire di casa come se niente fosse.
"Sei corso
via."
"Sì e questo ha a che fare col fatto che sto
conversando col mio marito morto da un po'."
Eren
sobbalzò, come se la menzione della sua morte lo avesse scioccato.
Portò una mano al petto e il dolore che ormai stava diventando
familiare fece bruciare il petto di Levi. Quello era un gesto che il
ragazzo aveva fatto sin da bambino.
"Mi sei mancato."
Quella poca voglia di dargli contro che gli era rimasta svanì.
"Prometto di
andarmene, ok? Per davvero. Lascia solo che ti faccia del tè,
almeno."
Levi lo fissò, studiando ogni movimento e
tremito della sorprendentemente fragile immagine che c'era davanti a
lui. Eren si stava grattando la mano che aveva portato al petto, con
lo sguardo rivolto di lato verso la foresta come un bambino che si
aspettava che gli venisse urlato contro.
Faceva male, perché
nulla era cambiato. Eren era ancora lo stesso, faceva gli stessi
gesti che faceva da vivo e che non sarebbero stati notati da nessuno,
se non da Levi.
"Ti ricordi almeno come farlo?"
Soffiò. Accettare la sconfitta non significava che lo avrebbe fatto
con maturità.
"Ovviamente!" Gli disse Eren,
comportandosi come un cucciolo a cui era stato appena dato un osso.
"Ricordo anche quanto miele ti piace. E' come andare in
bicicletta: è impossibile dimenticarsene."
Senza
aspettare un'altra parola, Eren girò sui tacchi e trotterellò
felice in cucina.
Chi avrebbe pensato che la sua vita avrebbe
preso una piega del genere?
Mettendo da parte la sua
esitazione e aggrappandosi al suo coraggio, Levi tornò in casa e si
chiuse la porta dietro le spalle. Lasciò che il ragazzo si muovesse
in cucina da solo, tirando fuori un bollitore e il contenitore di
foglie di tè che teneva lì per le emergenze, poi si spostò verso
il retro della casa per accendere il riscaldamento.
Quando
tornò trovò il bollitore sulla cucina ed Eren intento a sciacquare una tazza
canticchiando un motivetto sconosciuto.
Se non fosse stato per
le bende sulla sua testa, Levi avrebbe potuto scommettere di essere
tornato indietro nel tempo, nei giorni dove tutto era bello.
"Il
tempo passa diversamente, quando sei morto," Gli disse Eren,
serenamente. "Sinceramente ti ho aspettato." Ridacchiò,
asciugando la tazza con l'asciugamano appeso al refrigeratore.
"Pensavo che qualsiasi cosa mi avesse ucciso sarebbe tornata
anche per te."
I capelli sulla nuca di Levi si
rizzarono.
Pretese di non essere disturbato dall'ammissione,
concentrandosi nel tirarsi vicino uno sgabello e sedersi sopra di esso,
appoggiando un gomito sull'isola prima di tornare a dare la sua
attenzione ad Eren.
"Alla fine ho scoperto che se sei una
brava persona, hai la possibilità di poter vagare e spiare la gente,
prima di essere strattonato via. Un po' come il
paga-per-vedere."
Non parlò per un po' e neanche Levi lo
fece.
Il bollitore iniziò a fischiare, ma Eren rimase aggrappato
al bordo del lavandino, la testa calata.
"Non ho mai
pensato fossi capace di piangere," Gli disse, sussurrando.
"Sorridevi raramente, posso contare con le dita di una mano quante volte lo hai fatto. La
prima volta che abbiamo fatto sesso, al nostro matrimonio, quando ho
finto di aver vinto alla lotteria quella volta... Eri sempre così
forte e io... E' stato come sentire il mio cuore venire strappato a
metà, quando ti ho visto sul nostro letto con le guance bagnate di
lacrime."
Levi strinse i pugni tanto forte da lasciarsi i
segni delle unghie sui palmi. "Il tè." Disse, perché non
sapeva cos'altro dire. Quel momento di disperazione doveva essere stato
privato.
Senza un'altra parola, Eren prese il bollitore. Versò l'acqua
bollente dentro la tazza, poi riempì un filtro a forma di pallina
con le foglie di tè e ce lo mise dentro. Dopo trenta secondi lo tirò
fuori, versando un cucchiaino di tè nella tazza. Poi aggiunse un
cubetto di zucchero e mischiò cinque volte.
La scena scaldò il petto di Levi, perché solitamente a tutto quello seguiva un bacio.
Ma non questa volta. Eren appoggiò la tazza di fronte a lui e fece
qualche passo indietro, rivolgendogli un mezzo sorriso. "Spero
di averlo fatto esattamente come piace a te."
Un fantasma che faceva
il tè, un buon tè, oltretutto. Quello sì che gli era nuovo.
Levi fece un verso
d'approvazione, godendosi il calore che gli accarezzava il viso e
l'aroma che gli stuzzicava il naso. Non troppo amaro, non troppo
dolce, con la giusta concentrazione di tè.
Prima che potesse
fermarsi, sorrise contro la tazza.
Eren gli sorrise di
rimando. "Ebbene?"
"E' buono." Gli rispose
l'uomo, sorseggiando attentamente la sua bevanda in modo da non
bruciarsi la lingua.
"Scelgono sempre le brave persone,"
Gli disse Eren, confondendolo momentaneamente. "Mi è stata
offerta la possibilità di rimanere qua e l'ho presa."
Il
sorriso svanì dal volto di Levi, che appoggiò la tazza.
"Eren-"
"Sei troppo testardo per chiedere
aiuto," Continuò il fantasma, probabilmente perché era già morto e sapeva
che Levi non avrebbe potuto ucciderlo di nuovo. "Preferisci soffrire
da solo, piuttosto che disturbare gli altri con i tuoi
pensieri."
"Smettila."
"Non mi hai
mai fatto vedere niente di tutto questo," Sembrava arrabbiato,
quasi tradito. "Vederti piangere mi ha fatto capire che non sei
invincibile, Levi, che senti la tristezza tanto quanto gli altri e mi
ha fatto incazzare il fatto che ci fossimo conosciuti fa anni, eppure
non ti fossi mai aperto con me."
"Parli troppo."
"Non
sono stupido. Egoista, magari sì, perché so che l'hai fatto per
proteggermi o qualcosa del genere, ma ho sempre voluto che ti fidassi
di me. Tutto quello che volevo fare era darti conforto."
Levi
lo fissò con occhi duri e gelidi. Questa non era una conversazione
che voleva avere, neanche con un fantasma. "L'hai fatto."
Ammise. In più di un'occasione. "E' stata praticamente la
ragione della nostra relazione."
"Non conta di
quando ti sei lasciato con Erwin."
"Perché
no?"
"Perché vai ancora da lui, quando ti succede
qualcosa."
Levi alzò un sopracciglio e combatté
l'istinto di mettersi a ridere. "Non hai mai avuto problemi con
lui, quando ti scopava."
Quel poco di pelle che si poteva
vedere tra le bende del giovane divenne rosa acceso. "Non è
quello che intendevo e lo sai."
"Io ed Erwin siamo
cresciuti assieme."
"Ma io sono la persona che hai
sposato," Sbottò il ragazzo. "Pensavo che avresti potuto
parlare dei tuoi problemi con me, piuttosto che con lui."
"Lo
abbiamo fatto."
"No, non è vero. Tu parlavi sempre
dei miei problemi, ma mai dei tuoi, come se fossi quasi un
peso per me."
"Vuoi che ti chieda scusa?"
Chiese Levi, scrollando le spalle e prendendosi un sorso di tè
"Sì."
Rispose inaspettatamente Eren.
"Lo farei, ma sei morto e
non c'è nulla che io possa fare."
Eren apparve indeciso
se pensare o meno se Levi fosse serio. "Sono proprio qua."
Levi
scrollò la testa. "Tu sei la mia coscienza, che sta cercando di
farmi impazzire per tutto quello che ti ho fatto mentre eri in vita."
Aveva senso, davvero. "Se può aiutarti, domani mi recherò alla
tua tomba e ti chiederò scusa." Prese un altro sorso di tè, ma
quando abbassò la tazza notò l'espressione rassegnata sul volto del
ragazzo.
"Sei un grande stronzo, lo sai?"
Allontanando
la tazza ormai vuota, Levi rispose: "Fin troppo bene. Ma mi
amavi lo stesso."
Levi sobbalzò quando Eren si trovò di
colpo davanti a lui, il suo viso a pochi centimetri di distanza dal
proprio. Fece una smorfia nel trovarsi così vicino alle bende
sporche e notò che la seconda gli copriva le orecchie, non il naso.
Per ultima cosa, notò Eren abbassarsi con esitazione la benda che
gli copriva la bocca.
Non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo
non pelle intoccata. Le labbra erano sottili come lo erano sempre
state, sembravano morbide esattamente come lo erano state e l'uomo
sentì un tremito di bramosia scuotergli lo stomaco.
"Ti
amo ancora." Sussurrò il ragazzo e fu bellissimo vedere
nuovamente le sue labbra muoversi.
Levi non si mosse, quando
Eren eliminò lo spazio fra di loro, premendo le loro labbra assieme
in un bacio leggero. Il ragazzo era freddo come la morte, ma il calore del viso
di Levi gli scaldò il proprio. Non era diverso da quelli
che gli dava due anni fa. Era dolce uguale.
"Vai a
riposare," Fu quello che disse l'uomo quando si allontanarono,
sopprimendo il bisogno di toccare il viso del giovane. "Non hai
più nulla da fare, qui. Ti meriti un lungo riposo, di goderti le
nuvole e di bere tutto il latte al cacao che vuoi, moccioso. Smettila di
star dietro ad un vecchio incattivito."
Eren gli sorrise
ancora e questa volta Levi non riuscì a non baciarlo. "Pensavo
di essere solo la tua coscienza."
"A nessuno
piacciono i so-tutto-io."
"Va bene," Sbuffò il
ragazzo. "Me ne andrò. Basta che non ti dimentichi di
me."
"Non riuscirei neanche se ci provassi."
Con
un ultimo bacio, Eren sparì dalla sua vista.
•••
Levi
scoprì che c'erano piccoli villaggi al di fuori della sua via.
Una
minuscola cittadina rurale era posta tra gli alberi
appena venti minuti di distanza da casa sua, con le sue architetture
antiquate e una farmacia che aveva l'insegna recitante 'drogheria'.
C'era un negozietto, un ufficio postale, un dipartimento di polizia
più piccolo del suo ex appartamento e... Basta.
Altri cinque
minuti di guida lo avrebbero portato ad una fila di case che
avrebbero potuto appartenere ad una favola dei fratelli Grimm. Levi vide per lo più vecchi, qualche adulto e pochissimi
adolescenti e bambini. Nessun giovane uomo avrebbe voluto sprecare la
propria vita in un paese del genere, nascosto in una foresta dove
probabilmente non c'era neanche la linea telefonica.
Levi si
chiuse il cappotto e si portò la sciarpa fin sopra il naso, quando
starnutì. Fece una smorfia e si appuntò mentalmente di buttare
tutto a lavare, quando sarebbe tornato a casa.
Era raro che si
ammalasse, ma quando gli capitava si ammalava per bene.
La
drogheria era piccola come il resto del paese, rustica e accogliente.
Il suono di una campanella annunciò la sua entrata, ma non ci prestò
attenzione, guardandosi attorno mentre si puliva le scarpe sul
tappetino. Sospirò e iniziò ad aggirarsi tra gli scaffali, alla
ricerca di qualcosa che potesse alleviare i suoi sintomi.
Passò
uno scomparto che vendeva giocattoli, un altro dedicato all'igiene
femminile, un altro ancora con delle forniture da campeggio, poi finalmente
arrivò ai medicinali.
Guardò ogni etichetta, comparando i
dosaggi e ciò che il farmaco avrebbe alleviato. Starnuti e naso
colante, mal di gola, tosse e febbre. Andava bene, ma non era
abbastanza. Voleva trovare qualcosa che lo avesse fatto dormire per
almeno otto ore.
"Posso consigliarti... Questo qua?"
Gli disse una donna dai capelli biondi che le toccavano le spalle in
morbide onde. "Agisce velocemente e offre sollievo per dodici
ore." Gli rivolse un sorriso gentile, quando l'uomo prese la
bottiglia che gli era stata offerta. "O questo, sei vuoi
qualcosa di forte."
Levi si voltò per starnutire nuovamente,
prima di prendere la seconda bottiglia. "Posso prenderli
entrambi?"
La donna ridacchiò e tornò alla cassa.
"Puoi, ma questo non significa che dovresti." Si avvicinò
alla cassa e ne tirò fuori un libretto da ricevuta. "Mi chiamo
Nana, se te lo stavi chiedendo."
Non ci aveva neanche
pensato, ad essere sincero, ma probabilmente in un posto così
piccolo e lontano dal resto della civiltà era normale rivolgersi per nome già dopo il primo
incontro. "Levi." Le disse, appoggiando entrambi i
contenitori sul bancone.
"Sei qui per una visita
o...?"
"Mi sono trasferito un paio di settimane fa."
Cercò il portafogli, mentre cercava di trattenere l'ennesimo
starnuto.
"Huh," Disse la donna. "Non ho visto
un viso nuovo da queste parti da quando Pixis ha affittato la sua
casa. E' tutto?" Al cenno dell'uomo, gli fece lo scontrino. Levi
le porse una banconota da venti. "Ti sei trasferito vicino ai
Winchester?"
Levi non aveva voglia di parlare, la gola
gli faceva un male terribile. "Ashbury." Fu l'unica cosa
che disse, intascando il resto.
Nana fece un suono simile ad
una risata soffocata. "Le Casa degli Echi, eh? Scommetto che ne
stai passando un bel po'."
Improvvisamente interessato,
Levi si guardò attorno e, una volta certo che fossero soli, tornò a
prestare la propria attenzione alla donna, alzando un sopracciglio.
"In che senso?"
Nana si allontanò dalla cassa e
iniziò ad organizzare il portariviste con un sorrisetto criptico.
"Ogni paese ha le sue leggende metropolitane. Si dice che quella
casa sia infestata."
Quasi rise, involontariamente, ma
col naso chiuso finì col sembrare un toro asfissiato.
Oh, la
casa era decisamente infestata ed era stato proprio grazie al
fantasma che la abitava che aveva finito col prendersi l'influenza. Nonostante l'aver
concordato nell'andarsene, Eren aveva continuato a vagare per la casa,
seppur invisibile. Più di una volta si era svegliato con la schiena
gelata, quando il cosiddetto caro fantasma decideva si
appiccicarglisi durante la notte.
"Mi ricorderò di
appendere l'aglio alle porte." Disse e Nana apparve vagamente
confusa nel vederlo così serio.
"Il sale tiene fuori le
presenza cattive," Gli disse dopo un momento. Puntò verso il
retro del negozietto. "Ma non quella robaccia iodizzata."
Levi
scosse la testa e prese la borsa di carta. "Non credo ai
fantasmi," Quanto era bugiardo... "Grazie per il tuo
aiuto."
"Figurati, Levi. Spero ti riprenda
presto."
L'uomo le rivolse un cenno della testa, poi si premette
la sciarpa contro la bocca, temendo un altro starnuto.
Sentendosi
miserabile, uscì dal negozio e corse verso l'auto, dove accese al
massimo il riscaldamento e si scaldò le mani. Non aveva ancora
nevicato per la prima volta, eppure già odiava l'inverno. Non per la
prima volta considerò di traslocare più a sud, dove era sempre
caldo e soleggiato.
Starnutendo e mormorando qualche
parolaccia, uscì dal parcheggio e si diresse a casa.
Casa,
pensò corrucciato. Dormiva ancora nell'appartamento, per la precisione sul divano, di Erwin durante
la settimana, ma tornare nei week end non era più così pesante. Era
quasi confortevole. La cucina era sempre pulita, ma le coperte erano
sempre spiegazzate grazie alla presenza di un certo fantasma.
Non
si sentiva nulla alla radio, durante il viaggio di ritorno, così
Levi la spense e optò per pensare a qualsiasi cosa che non avesse a
che fare col lavoro e sposi morti. I week end ad Ashbury, seppur
rilassanti, finivano col diventare noiosi. Concentrarsi sui libri era
impossibile dentro casa, grazie alla strana aura presente che gli dava sempre
la sensazione di essere guardato. Levi aveva bisogno di poter fare
qualcosa fuori casa senza assiderare nei mesi più freddi.
L'uomo
pensò a cosa gli aveva detto Nana, le sue parole ben impresse nella
sua mente. Eren era stato a casa sua, assieme a lui, per tre
settimane. Chi, o cosa, aveva infestato la casa prima di lui?
Iniziò
a piovere.
Dopo aver acceso il tergicristalli girò a destra
alla biforcazione, diretto alla via Ashbury.
Ad entrambi i
lati della strada c'era selva impenetrabile, querce e pini
torreggiavano su tutto il resto. Occasionalmente qualche animale
usciva dalla foresta, lasciandosi dietro di sé le sue impronte. La
via era praticamente costituita da un tunnel di alberi che si apriva in uno spiazzo d'erba
perfettamente circolare, dove sedeva la sua casa.
Nessuno
poteva dire che fosse un brutto posto, ma non faceva proprio per
lui.
L'uomo parcheggiò l'auto più vicino possibile al
porticato, pronto a correre sotto la pioggia scrosciante. Non si era
neanche preoccupato di prendersi un ombrello, quando se n'era andato,
in quanto aveva pensato che il Sole avrebbe continuato a brillare
così come aveva fatto nelle tre settimane precedenti.
Considerò
di coprirsi la testa con la sciarpa, ma alla fine ci ripensò, quando
ricordò del moccio e germi che ci aveva starnutito contro.
Spense
l'auto e aspettò che la pioggia si calmasse.
Con la coda
dell'occhio notò una tenda in cucina muoversi.
Un fulmine lo
distrasse dal movimento e, una volta che la pioggia non fu altro che
una leggera pioggerella, afferrò la borsa di carta ed uscì
dall'auto. Si mosse velocemente, stando comunque attento a non
cadere. Il naso chiuso non faceva altro che irritarlo, obbligandolo a
respirare con la bocca.
La porta d'entrata si aprì mentre si
stava scrollando l'acqua di dosso ed Eren lo guardò da dietro di
essa, con una mano allungata pronto a prendergli il cappotto.
"Buongiorno." Gli disse timidamente. Era la prima volta che
si era mostrato, dopo avergli fatto la promessa di lasciarlo
solo.
Per sua fortuna, Levi era troppo stanco per arrabbiarsi.
Al posto di dargli il cappotto gli consegnò la borsa con le
medicine, in modo da togliersi di dosso i vestiti di troppo.
"'Giorno," Gli disse, con voce nasale. "Obbediente
come al solito."
Prima che Eren potesse ribattere, il
fischio di un bollitore lo interruppe. "Ti ho preparato del tè,
vecchio ingrato," Gli disse, dirigendosi verso la cucina col
sacchetto in mano. "Vai a cambiarti in qualcosa di
asciutto."
Ignorando il nomignolo, Levi fece come
gli era stato detto. Arrivato alla camera da letto si mise un
pigiama, ben deciso a non far nulla tutto il giorno. Il corpo gli
doleva al contatto, così si mise il pigiama più morbido che aveva.
Non stava facendo i capricci, sapeva di doversi riprendere. Anche
Erwin gli aveva ordinato di stare a letto tutta la giornata.
Si
diresse verso la cucina e trovò una tazza di tè appena fatto sul
ripiano. Eren gli stava preparando un panino. "Puoi prendere la
tua medicina dopo aver mangiato." Gli disse e Levi arricciò le
dita dei piedi.
La lista dei perché Eren fosse stato sempre
speciale per lui non aveva fine, ma erano questi suoi gesti
affezionati ed innamorati che lo avevano fatto capitolare. Eren era
bel lontano dall'essere perfetto, avendo un carattere che tendeva a
farlo esplodere velocemente, ma Carla gli aveva instillato una specie
di istinto materno. Durante gli anni, Levi aveva guardato il suo
compagno prendersi cura di sua sorella e del suo migliore amico,
poi prendersi cura di lui.
Eren era fin troppo adorabile e lo
sapeva. Levi non aveva mai avuto il bisogno di dirglielo.
"Prima
o poi dovrai andare a fare della spesa," Gli disse il fantasma,
aggiungendo del prosciutto tra le fette di pane tostato. "Anche
se passi qui solo i week end, non puoi sopravvivere di pane, bibite
gassate e gelato per tre giorni di fila."
"Certamente,
madre." Levi prese un sorso del tè. Perfetto come sempre. "Cos'è
successo al tuo andare via?"
Un piatto venne posato di
fonte a lui ed Eren ci mise sopra il panino. "E' più facile
dirlo che farlo," Mormorò. "E' stato più difficile starti
lontano quando hai iniziato a starnutire."
"E' colpa
tua."
Eren annuì e fece un'adorabile smorfia, che però
espresse la vergogna che provava. "Mi dispiace."
L'uomo
scrollò le spalle, addentando il panino. Ogni boccone sembrava
mandargli in fiamme la gola. Non sussultò, perché già sapeva che
il suo disagio fosse più che visibile. Eren non fisse nulla,
decidendo invece di sistemare la cucina.
"Sono davvero
così pesante da sopportare?" Gli chiese, aprendo il freezer e
prendendo la confezione di gelato.
Alcune persone tenevano
degli oggetti che erano stati cari alle persone amate. Non Levi. Eren
non era mai stato il tipo di persona da affezionarsi ad oggetti
materiali. La giacca della divisa delle superiori l'aveva data ad
Armin, la vecchia chiave che si era sempre portato dietro l'aveva
lasciata a Mikasa.
Così Levi teneva sempre una confezione di
gelato alla vaniglia nel refrigeratore, perché era il preferito
del
ragazzo. Per fare pace dopo una litigata sedevano sempre in cucina
con una ciotola di gelato e panna montata, facendosi il piedino fino
a ritrovarsi sul divano a fare sesso. La morte di un familiare,
vecchie ferite, promozioni, compleanni, pigre domeniche mattine...
Tutto era accompagnato da una ciotola di gelato alla vaniglia.
"No," Gli
rispose. "Ovviamente no."
Eren non lo guardò,
mentre si prendeva una ciotola e si serviva. "C'è
della panna montata?" Sembrava sollevato.
"E' nella
dispensa."
Era ancora nuova, Levi lo guardò rompere il
sigillo e spruzzarne una montagna sopra il gelato. "Bene, perché
non vedo nessun altro qua a prendersi cura di te."
Per
'nessun altro' intendeva Erwin e questo quasi lo fece ridacchiare.
"Ha altro nella sua vita di cui preoccuparsi, sai." Guardò
il giovane sedersi di fronte a lui. "Lui e Mike hanno una
relazione seria, adesso."
"Non importa," Disse Eren,
portandosi un cucchiaino di panna montata alla bocca e mugolando
soddisfatto. "Mi ha detto che saresti sempre stato la sua
priorità."
Giusto Eren poteva sentirsi confuso sul come
sentirsi verso Erwin anche da morto.
"E' un'influenza,"
Sbuffò l'uomo, sorseggiando il suo tè. "Sopravviverò."
"Mike,
uh?" Sbuffò divertito Eren e Levi si chiese se se l'era solo
immaginato, perché la benda sopra il naso non accennò alcun
movimento. "Voi tre avete-"
"No," Lo
interruppe immediatamente l'altro. "Non con Mike."
"Ma
con Erwin."
"Una volta," Allontanò il panino,
stufo di soffrire nell'inghiottirlo. "Una settimana dopo il tuo
funerale."
"Sesso di consolazione?"
"Più
che altro sesso di sottomissione. Ho provato a dargli un pugno, mi ha
fermato, le cose sono precipitate."
Eren gli rivolse un
sorriso obliquo. "Tipico. Perché hai provato a dargli un
pugno?"
"Neanche me lo ricordo."
Lo
ricordava, invece. Si erano messi ad urlare l'uno contro l'altro
quando si erano messi a parlare del suo comportamento autodistruttivo.
Non stava superando l'avvenimento nel modo in cui aveva bisogno ed
Erwin aveva cercato di farlo ragionare. Non aveva funzionato. Levi era
troppo abituato ad ascoltare unicamente Eren, dare ascolto ad
un'altra persona gli riusciva impossibile.
Erwin ci aveva
provato ugualmente. Ci provava ancora, ma un'importante parte di Levi
era andata persa, quando aveva trovato Eren ormai dissanguato sul
pavimento della loro camera da letto. Si era perso irrimediabilmente
ed un amico come Erwin non poteva neanche sperare di riuscire a
sistemarlo.
"Fa ancora roba assieme ad altri, anche se
sta con Mike?"
"Con 'altri' intendi in generale o
con me?"
"Con te."
Levi scrollò le
spalle. "Mike è abbastanza all'antica. Non gli piace che le sue
cose vengano toccate." E avrebbe rispettato il suo volere.
Nonostante le nottate pazze in cui si era portato a letto sia Eren
che Erwin, un filo di gelosia lo aveva sempre sentito nel vedere
Erwin premere un bacio sulla spalla del suo compagno. Quindi trovava
giusto rispettare il volere di Mike.
La gelosia alla fine era
svanita. Lui ed Eren appartenevano l'uno all'altro, mentre Erwin era
una persona importante che faceva della sua vita, seppur senza avere
un ruolo preciso. La terza ruota che dava loro una maggiore stabilità, come l'uomo
aveva scherzato in più di un'occasione, per lo più mentre preparava
a tutti e tre la colazione completamente nudo. Un uomo coraggioso
che cuoceva la pancetta senza una maglietta addosso.
Eren
s'imbronciò. "Non dovrebbe lasciarti solo."
"Non
è quello che sta facendo." Gli rispose Levi, rubando il
cucchiaino dalle mani di Eren e prendendosi un po' del gelato nella
sua tazza. Il sapore contrastava orribilmente quello del tè e del
panino, ma lo aiutò a calmare il dolore che aveva alla gola. "Non
guardarmi così. Tanto non ti puoi ammalare."
Eren
scrollò le spalle e sorrise. "Prendo un altro cucchiaio."
Gli
occhi dell'uomo s'inumidirono e starnutì nuovamente, poi emise una
stringa di parolacce. "Odio questa merda."
"Magari
se ti prendi la medicina..." Mormorò il ragazzo, tornando con un
cucchiaio e la busta di carta che l'altro si era portato dietro. Ne
tirò fuori i due contenitori e li scosse. "Probabilmente fanno
schifo."
"Ne scaccerò il saporaccio col
gelato."
Eren gli passò un cucchiaio pieno della
robaccia, così Levi la bevve. Lo fece con entrambi i medicinali,
anche se non riuscì a trattenere le smorfie disgustate nel sentire
il sapore degli intrugli. Appena finì fu veloce a inghiottire diverse cucchiaiate
di gelato e, mentre inizialmente anche la vaniglia gli parve amara,
dopo un po' riuscì a levarsi il saporaccio di bocca.
"Se
pensi che queste siano le attenzioni che Erwin dovrebbe riservarmi,
puoi dimenticartelo."
Troppo pigro per alzarsi a
sciacquare il cucchiaino, Eren lo usò per mangiarsi la sua parte di
gelato, assieme ai residui di medicina. "Ed è per questo che
sono qui." Gli disse, portandosi il cucchiaio contro il
mento.
"Va bene," Sbuffò l'uomo, irritandosi nel
sentire il naso ancora chiuso. "Tanto ho bisogno di qualcuno che
mi controlli la casa, mentre sono via."
"Quindi...
Posso restare?"
Levi non lo guardò, consapevole di
starsi scavando la fossa da solo. Non avrebbe dovuto fare così, non
avrebbe dovuto aggrapparsi all'eco di un tesoro che aveva perso e per
il quale aveva già sofferto. La casa degli echi, l'aveva
chiamata Nana. Si chiese se fosse la casa il motivo
dell'apparizione.
"Sì," Gli rispose, perché era
debole. Lo era sempre stato. "Puoi restare."
L'enorme
sorriso pieno di gioia e adorazione che ricevette gli fece pensare di
aver fatto la scelta giusta.
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Capitolo 5 *** Balm of Choice ***
HoE chap 5
Asdfghjkl, mi
dispiace di averci messo così tanto ad aggiornare! Ma tra la
scuola e le festività ho avuto fin troppo poco tempo. Oggi mi
sarebbe piaciuto aggiornare anche The Rest of Their Lives, ma proprio
non ci sono riuscita. Però lo farò a breve, prometto!
Chiedo scusa per i possibili errori, perché ho dato una riletta
mega veloce al capitolo y_y Buona lettura <3
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
_________________________________________________________________________________
"La temperatura è piuttosto alta per essere
ottobre." Disse Eren, passando sopra ad un ramo caduto.
Indossava un giubbotto che gli arrivava al ginocchio, castano come i
suoi capelli, ed una delle sciarpe di Levi attorno al collo. Chi
avrebbe mai detto che la temperatura avrebbe potuto intaccare un
fantasma? "Questo posto è particolarmente rigoglioso."
Levi
emise un grugnito per fargli capire che lo stava ascoltando.
Dopo
aver passato una settimana da Erwin, quando Eren gli aveva chiesto di
fare una passeggiata lo aveva accontentato.
L'uomo non aveva
passato molto tempo ad aggirarsi per la foresta che circondava casa
sua, Eren invece sì. Era noioso, gli aveva detto, stare solo per
giornate intere. Levi si era sentito terribilmente in colpa, quando
gli aveva detto quella cosa, perché era passato un intero mese senza
che il ragazzo osasse lamentarsi. Era troppo felice dei momenti
passati in compagnia.
Con le mani dentro le tasche, Levi
continuò a camminare tra gli alberi, rocce e rami secchi. Stava due
passi dietro al fantasma, che andava avanti come se già conoscesse
il sentiero. Magari era proprio così. "Il corso d'acqua
dovrebbe essere vicino," Gli disse. "Mi sembra di
sentirlo."
Era snervante quanto la vista e l'udito del
ragazzo fossero fini, ma Levi scosse la testa ed evitò di
rimuginarci sopra. Aveva già condiviso un letto col fantasma in
questione: le cose non sarebbero potute peggiorare.
Effettivamente
poco dopo sentì lui stesso lo scrosciare dell'acqua.
Continuarono
a camminare per mezzora, tanto che l'uomo iniziò a pensare di aver
preso il percorso sbagliato. Era da un po' che sentiva il rumore
dell'acqua, eppure non aveva ancora visto nessun ruscello. Il
pomeriggio stava divenendo lentamente sera e il tepore stava sparendo
assieme al Sole.
Di fronte a lui, vide Eren scalare una salita
ripida, voltarsi a guardarlo per essere certo di venire seguito.
"Dai, Levi. Non sei così vecchio. Pensavo che riuscissi
a starmi dietro."
Simpatico, considerando che
probabilmente il moccioso non aveva alcun peso da sopportare. "Sto indossando le
scarpe che uso all'ufficio," Fu la sua risposta ed Eren rise.
"Quanto manca ancora?"
"Siamo quasi
arrivati."
Scalarono una collinetta e, se non fosse stato lui
stesso ad aver camminato fino a quel punto, avrebbe potuto giurare di
trovarsi in un posto del tutto diverso.
Del fiumiciattolo non
si vedeva l'inizio né la fine, la sua acqua limpida bagnava le rocce
disposte come piccoli gradini, creando candide cascatelle. L'erba
stava ingiallendo lungo le sue rive, a causa delle rigide temperature
d'inizio inverno. I massi che costeggiavano il corso d'acqua erano
coperti da uno strato di muschio e odoravano di terra.
Levi
sorpassò Eren, avvicinandosi alla costa incuriosito. Era di una tale
bellezza, quel posto, che venne improvvisamente colpito dal desiderio
di immergere i piedi nell'acqua gelida.
"E' bello, vero?"
Gli chiese Eren, fermandosi al suo fianco, attento a non scivolare
sul muschio. "Un po' lontano, ma la camminata ne vale la
pena."
"Sembrava più vicino."
Il
ragazzo annuì. "Già."
Godendosi il silenzio,
l'uomo si prese il suo tempo ad esplorare il paesaggio di fronte a
lui, cosa che lo fece calmare. Avrebbe potuto addormentarsi in un
posto del genere, se ne avesse avuta la possibilità. Il ruscello non
produceva un rumore ritmico, ma seguiva il suono della natura.
Un
movimento dall'altra parte del fiumiciattolo catturò la sua
attenzione, ma tutto quello che vide fu l'ombra di un cervo tra gli
alberi. Cercò di seguirlo con lo sguardo, ma più si allontanava e
più faticava a vederlo, grazie anche al buio che stava iniziando a
calare. Il tramonto stava prendendo posto al pomeriggio, quindi
avrebbero dovuto presto tornare a casa.
Voltandosi, notò che Eren
non era più al suo fianco.
"Eren?"
L'uomo si
voltò dall'altra parte, ma le uniche cose che vide furono alberi
morti e acqua scrosciante.
"Avresti potuto almeno
avvisarmi prima di allontanarti, eh." Disse. Quando non
ricevette alcuna risposta sentì l'irritazione iniziare a ribollirgli
nello stomaco. "Non ignorarmi, moccioso."
Fece
qualche passo in avanti, guardando tra gli alberi senza allontanarsi
troppo dalla riva. Stava iniziando a fare freddo, ma non a causa
della presenza di Eren. Ormai stava scendendo la notte e aveva
bisogno di tornare a casa, prima di ritrovarsi in un bosco senza
nulla se non l'applicazione della torcia nel cellulare.
L'unica
cosa che poteva fare era sperare che Eren conoscesse abbastanza bene la
via di ritorno.
Un movimento periferico lo fece voltare, ma
ovviamente non vide nulla. Senza la luce del Sole, le ombre
sembravano prendere vita, inghiottendo la foresta nel buio. Qualcosa
gli diceva che non gli sarebbe piaciuto trovarsi lì, se fosse
accaduto qualcosa.
Vide nuovamente qualcosa e non poté dare
nuovamente la colpa all'immaginazione. Questa volta non si girò a
guardare. Non voleva guardare, perché nonostante sapesse che
non avrebbe visto nulla tra gli alberi, avrebbe potuto. Non sapeva
cos'avrebbe fatto, in quel caso. Lottare? Scappare? Chiamare
aiuto?
Si fermò e inspirò a fondo.
Non c'era nulla di
cui avere paura, al buio. Non esistevano i mostri, anche se
condivideva la casa con un fantasma. Nulla sarebbe potuto saltare
fuori da un cespuglio e mangiarlo e, magari, se si fosse dato una
mossa, sarebbe riuscito ad uscire dalla foresta prima che fosse
completamente buio.
Il problema era che non riusciva a muovere
i piedi, per qualche motivo.
Il cuore sembrava volergli
esplodere nel petto, tuttavia l'uomo cercò di calmarsi e mise le
mani in tasca, in modo da tenerle calme. Era un attacco di panico,
quello? Non gliene era mai venuto uno. Non avrebbe saputo come
comportarsi, se lo fosse stato.
Un altro movimento e questa
volta dovette voltarsi verso di esso. Si voltò per vedere il cervo
bere dal ruscello: era enorme. Non aveva mai visto cervi dal vivo, ma
si sarebbe mai aspettato che fossero così grossi.
Non era
neanche a conoscenza del fatto che fossero neri. O che avessero occhi
completamente bianchi.
"Eren?" Si ritrovò a dire,
anche se il suo fu solo un sussurro.
Nella sua vita Levi aveva
fatto un sacco di cose ed era sopravvissuto ad un numero maggiore di
avvenimenti. Spacciatori, ladri, gang, pure un padre violento. L'uomo
conosceva fin troppo bene le tragedie, la violenza, la morte. Aveva
combattuto contro di loro e ne era emerso vittorioso. Ma c'era
un'altra cosa che continuava a visitarlo, qualcosa che non era ancora
riuscito a sopprimere anche dopo trent'anni di repressione emotiva e
perfetto controllo.
La paura.
In quel momento aveva
paura e quell'emozione gli aveva rubato la voce.
Avrebbe
saltato, pensò, tenendo gli occhi fissi sul cervo che ancora si
stava dissetando, i suoi occhi bianchi e vuoti fissi su di lui. Lo
avrebbe caricato e l'uomo non aveva alcuna arma con cui difendersi.
L'unica cosa di cui era capace sarebbe stato correre e sperare
di non cadere, sperare di arrivare a casa e non essere incornato da
una bestia delle dimensioni del pickup di Erwin.
L'animale
alzò la testa e prese numerosi passi indietro, scrollando il cranio
per mettere in mostra i palchi.
Non c'era la Luna ad
illuminare il sentiero, ma a Levi non importava.
Saltò un
tronco caduto e scivolò su una roccia. Dei rami gli sfregiarono le
guance mentre correva alla cieca nella foresta, perso, perché ormai
avrebbe dovuto aver raggiunto la collinetta rocciosa. Continuò a
scappare perché era bravo a farlo, a correre, ad allontanarsi da
qualsiasi cosa che avrebbe potuto compromettere la sua persona. Non
poteva nascondersi, ma poteva scappare e, se fosse riuscito a correre
abbastanza veloce, per abbastanza tempo, sarebbe forse arrivato a
casa.
Magari avrebbe finalmente raggiunto Eren, il vero Eren e
non il suo eco. Magari avrebbe raggiunto Marie-Elise o Nicolas che lo
guardavano nella sua culla in Calais. Diamine, magari avrebbe
incontrato un Erwin più giovane ad aspettarlo con una coperta calda,
pronto a sedere assieme a lui davanti al suo camino, mentre i suoi
genitori erano fuori città per lavoro.
Levi cadde quando
incontrò rialzamento del terreno e si ritrovò a capitombolare giù
dalla collinetta che aveva scalato assieme ad Eren precedentemente.
Si rimise velocemente in piedi, con l'aiuto dell'adrenalina che gli
scorreva nelle vene, e riprese a correre.
La cavità del suo
petto gli bruciava, gli sembrava che il suo cuore fosse pronto a
collassare, e non c'era niente che avrebbe potuto fare per evitarlo.
Continuò a correre, inciampando senza però scivolare, lontano
dall'oscurità e verso una casa che non riusciva a trovare.
Una
forza invisibile lo pregava di restare, di voltarsi e combattere. Con
cosa? Le tue mani. Ma non poteva combattere solo con le sue mani.
Non c'era modo di riuscire ad afferrare quella cosa e metterla a
terra, non c'era modo di stringergli le mani al collo e soffocarlo.
Se si fosse fermato, la bestia lo avrebbe raggiunto.
Gli
sarebbe entrato dentro.
Avrebbe fatto della sua pelle la sua
casa.
Lo avrebbe consumato, bruciato ciò che non gli serviva
e divorato ciò che gli sarebbe piaciuto.
L'animale, i quali
zoccoli contro la terra producevano un rumore tanto forte da
annullare lo scrosciare dell'acqua, lo stava raggiungendo. Stava
caricando con i palchi pronti ad impalarlo, pronto a sollevarlo da
terra sopra la sua testa.
Levi non smise di correre. Chiamò
Eren, urlò il suo nome, ma nessun suono lasciò la sua bocca. La
pressione sul suo petto lo stava facendo impazzire, ma non si fermò.
Cercò di urlare più forte, correre più veloce, ma tutto quello che
riusciva a vedere erano sempre gli stessi alberi, ancora e ancora.
Non stava correndo in tondo, stava correndo sempre sullo stesso
posto. I suoi piedi non si erano mai mossi. Era ancora davanti al
fiumiciattolo, con quegli occhi bianchi sempre fissi su di lui, occhi
che lo stavano invitando ad attraversare il ruscello, a bagnarsi i
piedi - a uccidere con le sue mani soltanto.
•••
Levi
si svegliò di soprassalto, tremando dalla testa ai piedi. Era zuppo
di sudore, le sue mani erano umide e la cosa lo disturbò più di
quanto avrebbe potuto fare un incubo.
Scalciando le lenzuola e
correndo verso il bagno, ignorò l'assenza di un corpo - il vuoto nel
suo letto.
•••
"Sembri uno zombie."
Furono le prime parole che lasciarono la bocca di Hanji, quando Levi
mise piede nel suo ufficio.
"Che novità." Rispose,
chiudendosi la porta dietro di lui, attraversando il corridoio
diretto all'ascensore, dove avrebbe trovato gli altri ad
aspettarlo.
Hanji rise e gli diede un pugno giocoso sulla
spalla. Se non fosse stato così stanco avrebbe ricambiato, ma al
momento l'unico desiderio che provava era quello di acciambellarsi
sul divano di Erwin e dormire un mese intero. Fanculo pure alla
doccia e al cibo.
"Petra ci aspetta al ristorante."
Annunciò Auruo mentre scriveva qualcosa sul telefono, quando Hanji e
Levi lo raggiunsero.
"Fantastico. Più siamo e meglio è."
Con la sua emicrania, anche il Papa sarebbe potuto uscire con loro e,
senza alcun dubbio, Levi gli avrebbe detto di tacere se avesse
parlato a voce troppo alta.
Come la prima notte che aveva
passato in via Ashbury, l'uomo si era trovato nelle condizioni di non
poter guidare, ma l'aveva fatto. Si era messo dietro il volante e
aveva percorso il tragitto di due ore in un'ora e mezza ancor prima
dell'alba.
Era stanco, dolorante e le sue mani non sembravano
voler smettere di sembrargli bagnate. Non bagnate nel senso di
sudate, ma insanguinate. Non importava quanto le lavava,
il sangue era lì. Invisibile, ma c'era.
"Levi," Lo
chiamò Erwin, piano e gentilmente. Toccò il suo gomito, facendolo
sussultare. L'ascensore aveva aperto le porte e tutti gli altri
stavano aspettando che entrasse. Lo fece, ma non gli rispose e non
chiese scusa a nessuno.
Vicini com'erano, i suoi amici
mantennero un tono di voce bassa in modo da non infastidirlo
ulteriormente.
Erwin si mantenne a distanze ravvicinate tutto
il tragitto sul marciapiede, soprattutto quando lo vide sobbalzare
violentemente quando un carabiniere a cavallo passò di fianco a
loro.
I due rimasero numerosi passi indietro rispetto agli
altri, in modo da poter parlare indisturbati.
"Prima o
poi dovrai dirmi cos'è successo." Gli disse Erwin, mettendo in
tasca il cellulare e riservando a Levi un'occhiata che probabilmente
avrebbe dovuto farlo sentire in colpa. "Hai bussato alla mia
porta alle quattro di mattina, Levi."
"Lo so cos'ho
fatto." Fu l'unica cosa che gli disse, pentendosi di non essersi
portato dietro gli occhiali da Sole. I raggi di Sole che si
riflettevano sugli edifici gli stavano facendo bruciare gli
occhi.
Erwin tacque, ma quando l'altro non accennò a
continuare, annuì. "Non hai completato la gran parte dei tuoi
rapporti e quelli che mi hai portato erano pieni di errori." Si
fermarono ad un semaforo, attendendo il verde. Il resto del gruppo
aveva già attraversato la strada. "Se hai problemi a
concentrarti, mandameli per email e li correggerò io."
"Posso
fare il mio lavoro."
"Non ti sto dicendo che non ce
la fai," La luce cambiò e la folla li spinse in avanti. "Ma
sono seriamente preoccupato per te."
La preoccupazione
nella sua voce era ovvia, ma a Levi non provocava nessun dispiacere.
Erwin doveva solo tacere e lasciarlo stare. Il conforto che poteva
dargli doveva assumere la forma di cibo, di un divano su cui dormire e
magari di una buona scopata, ma quest'ultima cosa era impossibile, se
Mike non lo avrebbe permesso.
"Sono un ragazzo grande,
ormai," Rispose ironico, giocherellando con uno dei bottoni del
suo cappotto. "Non c'è nulla che una bella dormita non mi
faccia passare."
"Stai da noi, questa notte. Cucina
Mike."
Levi annuì, senza il bisogno di fare il timido o
far finta di pensarci sopra.
Non voleva tornare a casa per un
po', non mentre Eren non c'era. Il vuoto in quella casa lo
inquietava, nutrendo la paranoia che gli aveva provocato
quell'incubo. Il solo ricordo di correre attraverso la foresta gli
faceva stringere il petto.
L'uomo si fermò improvvisamente,
quasi finendo col cadere quando scoprì di non poter andare avanti.
Sentì il panico risalirgli lungo la gola, prima di accorgersi che
era stato solo Erwin, che lo aveva fermato afferrandogli un braccio.
Le persone dietro di loro gli riservarono delle occhiatacce, per
essersi fermati così di colpo.
"Cosa c'è?" Chiese,
confuso dallo sguardo dell'altro uomo. La preoccupazione era ancora
lì, ma ora c'era qualcos'altro. Magari lo stava solo immaginando, ma
Levi poteva giurare di vedere rabbia nei suoi occhi.
"Sei
uscito con qualcuno?" Non era un'accusa: era più una domanda
curiosa. Tuttavia il suo tono di voce era misurato, attento.
La
domanda gli fece alzare un sopracciglio. "Ovviamente no,"
Sbottò, apparendo comunque poco convincente. "Perché ti viene
anche solo-?"
"Hai dei segni sul collo."
I
marciapiedi affollati erano sempre chiassosi, di per sé, ma quel
giorno sembrava quasi che l'universo volesse vendicarsi su di lui. Il
Sole accecante, i pedoni troppo rumorosi. Era certo di aver capito
male. "Ho dei segni sul collo?"
Scrollando il
braccio per liberarsi dalla presa di Erwin, Levi si massaggiò il
polso prima di portarsi la mano sul collo. Effettivamente al tocco era
gonfio.
Erwin sembrò percepire la sua confusione. "Sembra
quasi che qualcuno abbia provato a strangolarti." Disse, col tono
di voce basso abbastanza da farsi sentire solo da Levi.
Ovvio
che Erwin fosse arrivato a pensare che avesse deciso di uscire con
qualcuno. Lui in particolare conosce le sue preferenze, come il suo
bisogno di essere sottomesso tendesse a sfociare nella violenza. Ma i
lividi sul suo collo non erano la conseguenza di preliminari.
Se
la solitudine della sua casa era terrificante, l'espressione di Erwin
fu ancora peggiore. Raramente Levi ha visto quell'espressione sul
volto dell'amico ed ogni volta è peggiore di quella precedente.
Il
suo primo istinto fu quello di dire all'uomo che non aveva idea di come
potesse essere successa una cosa simile, ma una risposta del genere
avrebbe peggiorato la situazione. Non perché Erwin non gli
avrebbe creduto, ma
perché c'era qualcosa che non andava e neanche Levi sapeva cosa
fosse. In tutta
onestà, sarebbe stato meglio se avesse detto che stava uscendo
con qualcuno.
"No." Disse il più basso, voltandosi
sui tacchi, tornando a camminare nella direzione del ristorante.
Avevano ancora solo mezzora di pausa.
"Levi."
"Ho
detto di no," Rispose, senza neanche preoccuparsi di guardarlo.
"Non qui."
Erwin lo raggiunse velocemente, senza
insistere sull'argomento.
Levi doveva trovare una scusa, una
credibile, perché la verità non lo sarebbe stata. Erwin non lo
avrebbe preso in giro, ma non si sarebbe tirato indietro nel portarlo
ad un ospedale psichiatrico. Il pensiero di abbandonare Eren gli fece
venire la nausea.
L'assenza di chiacchiere tra i due non
significava nulla, perché il più alto tra i due continuava a
controllare ogni minima mossa dell'altro. Ogni battito di ciglia e
ogni respiro irregolare, tutto veniva catalogato per uno studio più
approfondito più tardi.
Nel frattempo, Levi cercò qualcosa
che avrebbe potuto distrarlo dai lividi presenti sul suo collo. "Sai
qualcosa sulla caccia?" Gli chiese, spostando l'argomento sulla
prima cosa che gli venne in mente.
Stupido, ma efficiente, se
il modo in cui Erwin sbatté le ciglia e lo guardò potevano dire
qualcosa.
"Mi dispiace, ma non sono mai stato uno da
uscire più del dovuto," Avendo capito che l'altro voleva
cambiare argomento, Erwin decise di fare la persona civile e
continuò. "Quello che posso dirti lo devo aver imparato da
Animal Planet."
Nulla che una ricerca su internet non
potesse sistemare.
"Come mai questo improvviso
interesse?"
"Vivo nel mezzo di una foresta,"
Rispose, scrollando le spalle. "Voglio solo abituarmi al mio
nuovo habitat."
"Però tu non sei un animale."
Sbuffò Erwin, avendo anche il coraggio di apparire quasi
offeso.
Levi lo interruppe prima che potesse iniziare una
lunga discussione sul perché aveva deciso di comprargli casa nel bel
mezzo del nulla. "Tutti gli umani lo sono. Siamo mammiferi,
proprio come i cervi e gli orsi e la maggior parte di quello che
abita la foresta. Facciamo gli orgogliosi, dandoci il primo posto
nella catena alimentare, uccidiamo per mangiare... Com'è tutto
questo diverso da quel che fanno gli altri animali?"
Semplice,
pulito e vero. Levi rimase scosso dal peso delle sue stesse
parole.
Immaginarsi come un animale gli fa sentire quasi un
senso di solennità. L'idea inoltre gli offre l'illusione di avere
delle risposte a delle domande che è troppo turbato dal
soffermarcisi troppo.
"Intendi mangiare la tua preda?"
Il modo in cui Erwin sottolineò l'ultima parola la fa sembrare una
presa in giro, ma il suo viso dice l'opposto.
L'altro si prese
un momento per considerare la domanda e gli diede l'unica risposta
che gli venne in mente. "Probabilmente."
Vuole solo
una pistola per proteggersi, in caso si ritrovi perso nel mezzo della
foresta con un cervo selvatico alle calcagna. Quello non significa
che lo mangerà, una volta morto. La difesa, così sembrava, era un
altro fattore per il quale uccidere gli appariva
accettabile.
Uccidere.
Quella parola si portava
appresso un significato che era inevitabile. Non aveva mai ucciso
nessuno prima d'ora, anche se aveva provocato ferite che avevano
portato chi ne era stato colpito ben vicino. Levi non aveva mai
immaginato che si sarebbe ritrovato a puntare una pistola e premere
il grilletto.
Se mai avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto con un
animale che sembrava intento a volevo uccidere a sua volta.
Ma
non erano stati anche i suoi genitori, degli animali che avevano
tentato di ucciderlo?
Non lo era stato anche il preside,
ancora alle scuole medie, un altro animale che ci aveva
provato?
Eren, pure, anche lui non era stato un animale che
aveva affondato gli artigli nel suo cuore fino a
soffocarlo?
"Prenditi il resto della giornata libera,"
Gli disse Erwin, allontanando ancora una volta Levi dai suoi
pensieri. "Dopo pranzo vai a casa mia." L'uomo aveva
corrugato le sopracciglia e lentamente aveva portato una mano contro
il suo braccio, come se fosse spaventato che Levi potesse fare
qualcosa. "Sei pallido."
Erwin non lo aveva ucciso,
non ancora. Erwin era il bracconiere più furbo, quello che
nascondeva le sue tracce in modo da non farsi scoprire o spaventare
la sua potenziale preda.
No, decise Levi. Era più di quello.
Non era un predatore, ma un salvatore. Un Dio. Erwin Smith era un
messia.
"Non ho fame." Disse, voltando la testa per
guardare le strade affollate. Aveva freddo, la sua emicrania era
peggiorata e le sue mani erano nuovamente bagnate.
"Vuoi
che ti porti a casa?"
Levi alzò la testa quel che
bastava per guardare Erwin, giusto per controllare se nel suo viso si
poteva notare un secondo fine. Non c'era. "Chiamo un
taxi."
"Fammi sapere quando sei arrivato." Gli
disse Erwin, leggendo Levi nell'unico modo in cui riusciva: come un
libro aperto.
•••
Alla fine non chiamò un taxi,
ma decise di tornare a casa a piedi. Il freddo non fece nulla per
calmarlo, tuttavia la vista di negozio lo fece.
Levi era
orgoglioso della sua abilità di prendere decisioni al momento senza
un minimo di esitazione. Così, senza dare un seconda occhiata al
negozio, decise il corso delle sue prossime azioni.
Una volta
arrivato all'appartamento si fece una doccia e indossò vestiti più
informali. Decise per un jeans e un maglioncino col collo alto,
piuttosto del completo elegante che aveva usato precedentemente, e si
mise sopra lo stesso cappotto. Nel frattempo accese la macchina del
caffè. Caffè, perché il tè lo avrebbe solamente calmato e
l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di addormentarsi al
volante.
Sorseggiò la bevanda mentre sistemava la temperatura
dei caloriferi, quasi come se facendo più caldo nella casa lo
avrebbe aiutato a scaldare il ghiaccio dentro le sue
ossa.
Raggiungendo il salotto, decise di fermarsi di fronte
alla finestra che dal pavimento arrivava al soffitto per guardare
l'orizzonte. L'appartamento di Erwin era pretenzioso così come il
suo proprietario, ma non poteva di certo
lamentarsene.
L'appartamento era decorato con toni che
variavano dal grigio all'azzurro, schema che aveva deciso Levi
svariati anni prima. Caldo e confortevole, c'era un caminetto sotto
lo schermo piatto: una replica di quello che c'era stato nella
vecchia casa degli Smith, dove lui ed Erwin si erano baciati per la
prima volta a diciassette anni.
Quello era anche il camino di
fronte al quale lui, Eren ed Erwin avevano giocato qualche mese prima
del matrimonio. Troppo vino, buona compagnia, l'incessante flirt da
parte di Erwin. Ricordava come quelle grandi mani avevano preso
dolcemente il viso di Eren tra di esse, come le loro labbra si erano
unite in un bacio passionale. Levi ricordava anche di essersi eccitato alla
vista del suo fidanzato venir toccato dal suo ex.
Dopo quella
notte Erwin aveva occupato più di una volta il loro letto e loro il
suo. Avevano trovato il perfetto accordo per tenere sotto controllo
la loro stabilità emotiva e fare del gran sesso.
Ora Eren era
moto, Erwin usciva con Mike e lui non riusciva a smetterla di pensare
di ammazzare un animale che aveva sognato.
Divertente come la
vita di una persona potesse cambiare così drasticamente in così
poco tempo.
Cupo, Levi si voltò e raggiunse la cucina, dove
sciacquò la tazza e si lavò per un lungo periodo di tempo le mani.
Dovette combattere l'istinto di lavare ogni cosa che già era
immacolata perché aveva poco tempo. Se voleva riuscire a fare tutto,
avrebbe dovuto farlo prima che Erwin o Mike arrivassero a
casa.
Inspirando a fondo, Levi si allontanò dal lavandino e
prese le chiavi della sua macchina.
•••
Ritrovare
il negozio fu semplice, più complicato fu trovare un parcheggio non
troppo lontano.
Alla fine decise di parcheggiarsi davanti ad
un idrante, sperando di sbrigarsi e tornare prima che un vigile
potesse vedere la sua auto. Tuttavia, anche se avesse preso la multa,
il prezzo sarebbe stato pagato facilmente. Prima o poi.
Il
negozio era antiquato, col riscaldamento troppo alto e nessuna
ventilazione. Sembrava essere uno di quei negozi dove nessuno mai
entrava, cosa facile da aspettarsi da un negozietto del genere
sbattuto nel bel mezzo di una città conosciuta soprattutto per la
sua vita notturna. Lì i grandi capi non erano neanche interessati a
cose complicate come la pesca. Il golf, magari, ma nessun genere di
cose dove avrebbero potuto rischiare di sporcarsi i pantaloni.
Levi
fece una smorfia, addentrandosi maggiormente nel negozietto. In uno
dei muri c'era un assortimento di vestiti che variava da cose leggere
a cose pesanti, fino ad arrivare a giacche da neve.
Nel muro
opposto c'era il vestiario da pesca.
I muri erano decorati con
una serie di poster che pubblicizzavano equipaggiamenti da campeggio.
Ce n'era uno il cui significato gli sfuggiva e mostrava un kayak
pieno di libri sulla tassidermia e una pila di oggetti riciclati
tenuti assieme da scovolini colorati.
Le cose che lo
disturbarono maggiormente furono le numerose teste di cervo, orso e
gatti della neve attaccate ai muri.
Levi poteva apparire come
una persona fredda e senza sentimenti, inumana a detta dalla maggior
parte delle persone che lo avevano conosciuto, eppure adorava gli
animali. Animali più piccoli di me, penso tra sé e sé.
Gatti, cani, conigli... Se ne sarebbe preso cura, se non avesse avuto
altra scelta.
Si fermò di fronte ad una pila di libri,
chiedendosi come potesse fare pensieri così contraddittori.
Solo
un'ora prima stava pensando di sparare ad un animale indifeso. Cazzo,
si trovava in quel negozietto proprio per quella ragione ed ora si
ritrovava a pensare di adottare dei gattini.
Aveva seriamente
bisogno di dormire.
Si massaggiò le palpebre e sospirò,
completamente perso. Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che
strada prendere.
Ma una strada verso cosa? Gli sembrava come
se una questione importante gli stesse sfuggendo.
"Nuovo
in questo genere di cose, eh?"
Levi si voltò verso la
voce e si ritrovò davanti un uomo corpulento e con l'inizio di
calvizia poco più alto di lui. Sembrava stranamente fuori luogo, con
addosso un vestito poco costoso e una targhetta sulla quale c'era
scritto Dimo. Con le sue mani in tasca, mentre molleggiava sui
talloni, dava l'idea di essere un uomo d'affari pronto a fare la sua
vendita in un modo o nell'altro.
Levi mugugnò un
assenso.
"Quale sport hai deciso, quindi? La pesca,
forse? O qualcosa di più grintoso, come il combattimento con gli
orsi."
L'interessato fu quasi deciso di voltarsi, uscire
dal negozio e non tornare mai più.
"Caccia," Disse,
soddisfatto nel vedere l'uomo sussultare. "Animali
grossi."
Visibilmente snervato dal comportamenti di Levi,
l'uomo, Dimo, si voltò verso la cassa. "Ambizioso per un
neofita. Vuoi qualcosa di specifico?"
Levi lo seguì,
lasciando i suoi occhi vagare sulle assurdità presenti sui vari
scaffali. "Vivo in una foresta e i cervi continuano ad entrarmi
nel giardino. Speravo di trovare qualcosa per tenerli lontani e nel
frattempo trovarmi un hobby."
"Mi sembra che sia tu
ad aver invaso il loro giardino," Disse Dimo, tirando fuori una
pila di giornali per porgerli a Levi. "Ma hey, sono i tuoi
soldi. Chi sono io per discutere sulle tue scelte?"
Levi
fissò i giornali accigliato. Avrebbe probabilmente dovuto
sfogliarli, ma non aveva la forza di toccarli. C'erano macchie di
dubbi origine nei loro angoli.
"Ho solo bisogno di una
pistola." Sbuffò l'uomo, puntando con la mano le armi chiuse a
chiave in una scatola in vetro dietro la cassa.
"Sai
almeno come usarle?"
"Punto e sparo." Disse,
cercando di non apparire troppo irritato dall'idiozia
dell'uomo.
Dimo rise. "Colpire un obiettivo che si muove
non è così facile, ragazzo. Non puoi lasciare che ti veda. Devi
seguirlo. Farlo sentire al sicuro, prima di colpire." Aprì il
giornale più grosso su una pagina dove c'erano diversi fucili, di
cui alcuni cerchiati a penna.
"Puoi cacciare, ma devi
imparare a rispettare gli animali che abbatterai," Continuò.
"Anche quelli che invadono il tuo territorio."
"E'
per questo che la gente li mangia?" La domanda gli venne
automaticamente, dato che era occupato a guardare i diversi fucili
sul catalogo di fronte a lui.
"Sì, sì, esattamente,"
Gli rispose l'altro, tamburellando con le dita contro il bancone. "Ma
non tutti lo fanno. Alcuni ne tengono i trofei, come queste
bellezze."
Levi alzò lo sguardo per vedere Dimo puntare
con la mano le teste appese ai muri.
Avrebbe decisamente
preferito cucinare gli animali che avrebbe abbattuto.
Portò
nuovamente l'attenzione sul giornale. "Quale mi
consiglieresti?"
"Se ti piacciono le cose grosse
come a me, ti direi il Shilen DGV. Ha un prezzo abbastanza alto, ma
con la sua canna fatta a mano e su misura, assieme al grilletto della
Timney, non puoi sbagliare."
Il fucile era simile a tutti
gli altri presenti nel catalogo, solo più elegante. Il prezzo, che
era la metà delle spese per l'auto in un anno, non era apprezzabile.
Certo, i soldi non erano un problema, ma Levi non avrebbe sprecato i
suoi soldi in un prodotto che avrebbe potuto comprare a metà
prezzo.
Dimo notò il suo disinteresse e voltò pagina. Puntò
una pistola cerchiata in rosso. "Sennò c'è questa damigella,
che ho proprio qui."
Prendendo un paio di chiavi da
dietro la cassa, Dimo le usò per aprire l'espositore. Da esso tirò
fuori un fucile sempre simile agli altri. Era più piccolo e compatto
del resto e fu quello a catturare l'attenzione di Levi.
"Il
Savage MK II." Gli disse l'uomo, porgendo l'arma al
cliente.
L'apparenza inganna decise Levi, perché il fucile
era pesante, nonostante la sua struttura più piccola. Il caricatore
era grosso e laminato in legno e gli fu difficile capire come
tenerlo, ma la canna in acciaio gli dava un accenno di grazia. "E
cosa c'è di speciale in questo?"
"E' al primo posto
nei test di quest'anno per la precisione. E' stato creato per essere
usato dal suo proprietario anche in movimento. Se sei bravo a
sparare, beh..." Non concluse la frase e incrociò le braccia,
rivolgendo a Levi un sorriso professionale che sapeva di
presunzione.
Levi guardò il biglietto rosso e rotondo
attaccato sul calcio del fucine e notò l'espressione dell'uomo
vacillare.
Il prezzo sull'arma era minore di quello stampato
sul catalogo. Non ebbe neanche bisogno di farglielo notare, quando passò il fucile
al venditore per prendere il portafogli. "Lo compro."
Come
c'era da aspettarsi, Dimo non disse nulla e chiese a Levi di firmare
un contratto di proprietà.
"Buona caccia." Gli
disse, passandogli l'arma appena impacchettata.
•••
In
tutti gli anni in cui Levi ha conosciuto Erwin, ha imparato una serie
di verità che avrebbero annichilito ogni tipo di idea che le persone
che lo conoscevano poco avrebbero potuto farsi di lui. Per esempio,
Erwin amava i videogiochi. Spesso si ritirava nella sua stanza a
giocare coi suoi sparatutto in prima persona.
Una volta Erwin
aveva anche provato a dedicarsi alla scrittura della letteratura
erotica, ma aveva fallito. Levi aveva fatto presto a scoraggiare lui
e i suoi usi di atroci eufemismi per indicare il pene.
Per
ultima cosa, la sua passione per la musica anni ottanta era
impareggiabile. Certo, non era una rarità per qualcuno che andava
per i quaranta, ma al posto di tenersi la sua musica sull'iPod, aveva
la tendenza a spararla al massimo volume sulle sue casse, che erano
decisamente potenti.
Quando Separate Ways dei Journey
iniziò, Mike tirò fuori dal forno la lasagna e la lasciò a
raffreddare. Levi stava ancora affettando i pomodori per metterli poi
in una ciotola piena di lattuga, mentre Erwin invece stava preparando
la tavola.
"Lo fa spesso?" Chiese Mike, cercando in
un cassetto una spatola. "Questa cosa della musica,
dico."
Sciacquando il coltello e mettendolo ad asciugare,
Levi prese a cercare i crostini. "Solo quando sta rimuginando."
Ne trovò un pacchetto chiuso in una delle dispense. Nonostante fosse
uno che cucinava raramente, di certo teneva la sua casa sempre ben
fornita di tutto. Levi era certo che avrebbe potuto fare un soufflé,
se avesse voluto.
"Ok," Disse Mike, riuscendo a
sembrare disinteressato, nonostante lo sguardo paragonabile a quello
di un rapace. "Cosa mi sono perso?"
"Pensa che
io abbia bisogno di protezione." Ora doveva cercare un
condimento, preferibilmente il Thousand Island.
Mike ridacchiò
e si appoggiò sull'isola della cucina, con le braccia incrociate
contro il petto. Non avrebbe mai smesso di sorprendere Levi come una
persona così grande potesse avere una natura così buona e serena.
Era tipo una giraffa, i suoi capelli rispecchiavano pure il loro
colore.
"Non è esattamente una novità." Gli disse.
La sua bocca s'incurvò in un sorriso.
Con l'insalata pronta e
il condimento trovato, Levi si diresse nuovamente verso il lavandino,
finendo di lavare il resto degli utensili che si erano sporcati
mentre avevano preparato la cena. Normalmente avrebbe ignorato
qualsiasi tentativo di approfondire il discorso, ma quello era Mike.
C'erano pochissime persone capaci di farli parlare, ma l'uomo era
senza dubbio uno di quelle.
"Non c'è nient'altro da
dire," Gli disse, lavando un piatto. "L'allocco è
probabilmente convinto che finisca con l'uccidermi."
La
mancanza di reazioni esagerate in Mike è una delle tante ragioni per
la sua quale ci va così d'accordo. Scrollò una spalla e voltò il
viso verso il soggiorno, dove Erwin stava giocherellando con lo
stereo. "Se è quello che pensa, ci dev'essere un
motivo."
Erwin tendeva a pensare troppo, vero, ma era
capace di farlo razionalmente. Con la testa lucida sarebbe stato in
grado di rovesciare un governo con solo poche ore di lavoro nella
giusta direzione. Ma quando era compromesso psichicamente, tendeva a
fallire in modo spettacolare.
I segni sul suo collo erano a
forma di mani, non di corda o lenzuola o qualsiasi altra cosa con cui
avrebbe potuto provare ad impiccarsi. Levi era lusingato che Erwin
pensasse che fosse abbastanza forte da provare a strangolarsi
da solo, ma era ovviamente impossibile applicare una forza del genere
al proprio collo.
Un'altra opzione sarebbe stata quella di un
attacco, ma Erwin lo conosceva abbastanza bene da sapere che Levi
avrebbe spaccato il culo a chiunque avesse osato una cosa del genere,
prima di chiamare la polizia. Inoltre non avrebbe mantenuto un
avvenimento del genere segreto.
"Non mi suiciderò."
Disse Levi. Era troppo debole per farlo.
"Glielo hai
detto?"
"Regolarmente negli ultimi due anni."
"Che
scemo che è."
Le sue parole furono così piene d'affetto
che Levi quasi sorrise.
Solo in quel momento Erwin si addentrò
in cucina, sfilando un guanto da forno dalla mano sinistra di Mike e
mettendoselo sulla propria.
Sia Mike che Levi lo guardarono,
indecisi se essere confusi o divertiti, mentre afferrò la lasagna e
si diresse in sala da pranzo. "Sono affamato." E' tutto
quello che disse, al ché Mike rispose ridendo e Levi invece accennò
un sorriso.
"Quando non lo sei." Gli disse,
afferrando l'insalata prima di seguirlo.
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Capitolo 6 *** Bad Blood ***
HoE chap 6
Eccomi qua! Non sono morta e mi
dispiace averci messo così tanto ad aggiornare y_y inoltre sono
ancora mega indietro con The Rest of Their Lives, ma cavolo mi ero
dimenticata quanto fossero lunghi i capitoli sigh Cooomunque, verso la
fine del capitolo c'è la citazione di una frase di un film
(quella sugli alieni), ma ahimé non so di che film si trattava
perché non c'era il titolo, quindi non ho potuto usare la frase
che viene usata nel film in italiano e mi sono limitata a tradurla =v=
Buona lettura!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
__________________________________________________________________
Levi frenò fino a fermare l'auto poco
prima di imboccare la via che l'avrebbe portato a casa, incerto nel
dover guidare tra gli alberi che sembravano nascondere tutto ciò che
si nascondeva dentro la foresta. La luce mattutina aveva scacciato
l'usuale oscurità, ma quello non faceva molto per fargli passare un
disagio sconosciuto.
Un disagio che sembrava volergli dire che
qualcosa di brutto sarebbe successo, prima o poi.
Un disagio
che non aveva mai avvertito quando era stato derubato per la prima
volta, con risultato di farlo finire in ospedale. Neppure quando suo
padre era morto in un incidente stradale. Non aveva avvertito nessun
peso sulle spalle, nessun senso di preoccupazione, quando aveva
guidato diretto al suo appartamento, canticchiando una canzone pop
che girava alla radio, solo per trovare Eren sanguinante a terra.
Ora, invece, Levi era fin troppo cosciente del modo in cui le sue
dita fremevano sul volante. Poteva fingere che fosse ancora colpa
dell'incubo.
Sei un idiota, si disse fra sé e sé,
perché era un adulto. Gli incubi non avrebbero dovuto più
scombussolarlo a quel modo.
Alla fine allontanò il piede dal
freno e prese a percorrere la via.
Quasi sussultò nel vedere
qualcuno sulla radura di casa sua, ma presto la sorpresa lasciò
posto ad un broncio.
Eren era fuori e camminava avanti e
indietro lungo la lunghezza della casa. Si stava strofinando le mani fra loro
come se potesse sentire freddo.
Parcheggiando al solito posto,
Levi spense l'auto e notò che il fantasma non gli stava prestando
attenzione. Stava parlando a sé stesso, agitato, continuando a
camminare. C'era qualcosa che non andava, evidentemente, ed era certo
che il ragazzo non gli avrebbe detto nulla.
Uscì dall'auto e
fu solo quando sbatté la portiera che Eren sobbalzò, voltandosi
verso di lui a bocca aperta.
Gli mancavano delle bende e ora
gli si potevano vedere le orecchie, tra i folti capelli bruni.
Oltre
a notare quello, Levi decise di non prestargli ulteriori attenzioni e
andò ad aprire il bagagliaio, dove c'era il suo fucile protetto
dalla sua valigetta apposita.
"Sei tornato." Gli
disse Eren. Gli si avvicinò come se fosse un animale ferito alla
ricerca di protezione. Lo fece innervosire.
"Vivo qui,"
Con la valigetta in una mano, chiuse il bagagliaio con l'altra.
"Almeno fino a quando Erwin non mi trova un'altra
sistemazione."
Il fantasma sussultò nel sentire il suo
tono di voce. "Non c'eri quando sono
tornato."
"Quindi?"
"Erano le tre
di mattina, Levi. Cos'è successo? Perché te ne sei andato?"
C'era del panico nella sua voce. "E' stato a causa mia?"
Levi
corrugò le sopracciglia. "Non c'eri, quando mi sono
svegliato."
"Quindi? Ti sei svegliato senza di me
per due anni," Gli rispose, la sua precedente ansia ora mutata
in rabbia. "Se devi andartene via a quel modo ogni volta che non
ci sono io, allora-"
"Ti avevo detto di sparire, ma
mi hai rotto le palle per rimanere." Sbottò l'uomo. La rabbia
che stava provando non era strana, ma la sua incapacità di intrattenerla invece sì.
"Quindi dopo quella scenata devi esserci sempre, cazzo."
Il
ragazzo strinse le mani a pugno e, non per la prima volta, Levi sperava
di vedere la rabbia nei suoi occhi. Voleva vedere il fuoco
bruciare violento nei suoi occhi turchesi.
L'uomo sentì la propria paura mutare in rabbia, causata sia dal precedente abbandono che da un'oscurità
senza forma.
"Non me ne sono andato per mia scelta."
Gli rispose Eren, seguendolo.
"E' la seconda volta che
usi questa scusa."
Il fantasma sussultò come se fosse
stato colpito fisicamente e Levi non si fermò ad assistere alla sua
reazione, al contrario entrò in casa e sbatté la porta dietro di
sé.
Appoggiò la valigetta sul tavolo, prima di mettere
dell'acqua a bollire.
Non avrebbe dovuto dirlo.
L'uomo
era conscio di aver detto un miliardo di cose per la quale avrebbe
dovuto venire preso a pugni, ma questa volta si era superato.
Accusare Eren per la sua stessa morte era decisamente di cattivo
gusto e, più ci pensava, più si sentiva un pezzo di merda.
Le
sue mani tornarono ad apparirgli sporche di sangue, ma non le guardò quando le
portò sopra le piastre a induzione. Il calore si stava espandendo
su di esse, scaldandogli le dita.
La porta d'entrata si
aprì di colpo e sbatté e Levi riuscì a vedere un'ombra salire le
scale. Per la prima volta Eren gli sembrò più un'entità, piuttosto
che il ragazzo che era sempre stato, e questo gli fece rizzare i
capelli sulla nuca.
"Merda." Mormorò,
allontanandosi dalle piastre.
Nulla di tutto questo era colpa
di Eren. Tutto quello che aveva fatto da quando era tornato era cercare di compiacerlo,
tenerlo al sicuro e prendersi cura di lui all'occorrenza. Tutto
quello che Eren gli aveva offerto era il conforto e, l'unica volta
che non c'era stato, lui non aveva fatto altro che ringhiargli contro come
se fosse stato un cane che gli aveva disobbedito.
Non c'era
una cosa che poteva andare peggio in quel momento e non poteva
rischiare di perdere l'ultima cosa che gli era rimasta. Questa
finzione di normalità, per quanto fosse impossibile e sbagliata, era
l'unica cosa che lo teneva sano abbastanza da farlo alzare la
mattina.
Con un sospiro rassegnato aprì il freezer alla
ricerca del gelato alla vaniglia come offerta di pace e, quando ne
tirò fuori la scatola, la porta d'entrata si aprì.
Voltò la
testa, aspettandosi fosse stato il vento, ma invece si ritrovò
davanti ad un Eren avvilito.
Il freddo gli gelò la pelle e
ciò non aveva nulla a che fare col fatto di trovarsi vicino al
freezer aperto.
Eren percorse la distanza e si sedette su uno
sgabello. Alzò lo sguardo sul suo, schiudendo la bocca pronto a
parlare, prima di bloccarsi. "Cosa c'è?"
Levi
rimase immobile, certo che se avesse guardato verso le scale avrebbe
visto qualcosa guardarlo di rimando. Alla fine si obbligò a
guardare, ma trovò soltanto vuoto e buio. C'erano delle ombre solo
perché la luce mattutina non era ancora abbastanza forte da
illuminare la casa.
Si concentrò, cercando di captare
qualsiasi rumore, ma l'unica cosa che sentì fu il bollire
dell'acqua.
"C'è qualcosa lì." Disse con
convinzione. Il suo istinto gli diceva di prendere un coltello, ma
non poteva pugnalare qualcosa che non poteva vedere e tanto meno
toccare.
Eren inclinò la testa di lato. "Un
animale?"
Levi scosse la testa. "Qualcosa come
te."
No, non come Eren. Questo era qualcosa di diverso.
La paura che sentiva era diversa.
"Non è..." Il
fantasma non concluse la frase e si voltò a guardare fuori dalla
finestra. "Sono stato qui tutto il tempo e non ho ancora
incontrato nulla."
Levi continuò a fissare il bollitore,
quando spense le piastre. Eren stava mentendo. Riconosceva il tremare
della sua voce, il modo in cui si leccò le labbra e evitò di
rivolgergli uno sguardo. O mentiva o era nervoso.
Inconsciamente
l'uomo portò le mani al suo collo.
"Qualcosa ha cercato
di strangolarmi, l'altra notte."
Eren aprì la bocca, ma
rimase in silenzio per qualche momento. "E' stato...?"
Portò una mano sulla bocca e il mugolio che gli sfuggì fece
stringere il cuore a Levi. "Oh mio Dio."
La paura
che fosse stato Eren a fargli quello lo invase per un momento, ma
sparì quando vide il ragazzo chiudersi in sé stesso, guardandosi
attorno come una preda in trappola. Era spaventato da morire e la
vista fece provare a Levi una rabbia che neanche pensava di poter
provare.
Eren stava ancora cercando di parlare, ma era troppo
angosciato per trovare parole.
"Sto bene," Gli disse
l'uomo, cercando di calmarlo. "Pensavo avesse preso anche te."
Ed eccolo, il vero terrore che lo aveva assalito l'intera settimana
passata. Ciò che aveva mantenuto Erwin e Mike all'erta, attenti ad
ogni sua più piccola mossa.
Ci fu un altro cambiamento nel
comportamento del fantasma, ma questo fu più dolore che rabbia. Levi
lo aveva lasciato indietro.
Ora, però, non era il momento di
sentirsi in colpa. "Eren, ho bisogno che tu sia onesto."
"Non
sto mentendo," Rispose, indignato. "Anche adesso non sento
nulla oltre a te."
"La donna alla farmacia mi aveva
detto che la casa era infestata," Gli disse, senza tuttavia
spostare la sua attenzione dalle scale che portavano al piano
superiore. "L'aveva chiamata la 'Casa degli Echi'."
Sentì
il fantasma sussultare e muoversi sullo sgabello. Lo faceva strano
sentire Eren respirare dopo settimane che non lo aveva fatto. "Non
le hai chiesto perché?"
"Non le ho credevo."
Levi
poté sentire l'occhiata che gli rivolse Eren. "Pensi ancora che
io sia una specie di allucinazione causata dalla tua
coscienza?"
"Ora non è il momento."
"Col
cazzo che non lo è." Disse il fantasma, alzandosi dallo
sgabello con uno sbuffo.
"Cosa stai facendo?"
"Andando
a controllare che non ci siano mostri negli armadi." Gli
rispose.
L'uomo rimase basito dal comportamento del ragazzo,
non abituato a quella sorta di ostilità. "Una volta che abbiamo
controllato, possiamo parlare di questo." Gli disse, spostandosi
da dov'era.
Eren non gli rispose, ma scrollò le
spalle per fargli capire di averlo sentito.
Senza sprecare
tempo e senza fare alcun tentativo di muoversi silenziosamente, Eren
salì le scale con Levi dietro di lui. Non per sua scelta, perché
l'uomo avrebbe preferito stare davanti in caso fosse successo
qualcosa. Non era certo di poter proteggere qualcuno che già era
morto, ma non avrebbe voluto rischiare di scoprirlo.
Il piano
superiore era intoccato. Non c'era una singola porta chiusa e nulla
era rotto. Tutto era così come Levi aveva lasciato cinque giorni
prima.
Ma c'era un singolo particolare che li rese incapaci di
procedere.
Il corridoio che collegava la camera da letto di
Levi, il bagno, la stanza per gli ospiti e l'ufficio dove lavorava da
casa si estendeva più di quel che avrebbe dovuto. Se fosse stato
reale sarebbe dovuto protrudere dalla parte posteriore della casa, se
visto da fuori. Non c'erano finestre o porte o luci. Era buio e senza
fine e non sarebbe dovuto essere così.
Le dita tremanti di
Eren si strinsero alla manica della felpa di Levi e, se si fossero
trovati in un'altra situazione, quest'ultimo si sarebbe sentito
divertito nel pensare ad un fantasma spaventato. In quel momento,
invece, faticava a ragionare.
"Dobbiamo uscire da questa
casa," Gli disse Eren urgentemente. "Questa cosa non mi
piace."
"Non sei tu a fare questo."
"Ti
ho già detto di no!" La sua non fu una reazione rabbiosa. Si
stava facendo prendere dal panico. "Levi, per favore, andiamo
via. Non voglio più restare qui."
Una vita difficile e
una madre anche peggiore gli avevano insegnato di non avventurarsi in
strade che sarebbero potute essere pericolose, se non aveva bisogno
di ciò che c'era alla loro fine. Sapeva fin troppo bene di dover
evitare le cose che non lo riguardavano, ma l'anomalia era presente
nel suo territorio. Li stava spaventando, gli faceva male quasi
fisicamente ed era solo questione di tempo, prima che provasse a far
del male ad Eren.
"Cosa pensi che sia?" Solo perché
Levi sapeva quelle cose non significava che aveva mai ascoltato le parole
di sua madre. Le sue cicatrici lo attestavano.
"Non mi
interessa. Andiamo via."
Levi mosse un passo in avanti,
poi un altro e un altro ancora, fino a ritrovarsi davanti al
corridoio. Eren stava cercando disperatamente di
allontanarlo.
"Aspettami fuori." Gli disse.
"E
se ti succede qualcosa?"
"Chiama Erwin."
"E
cosa gli dico?! 'Hey, sono io, Eren. Sì, proprio quello morto. Ti
sto chiamando per farti sapere che Levi è entrato in un'altra
dimensione e ho bisogno che lo tiri fuori'?"
L'uomo voltò
la testa e notò Eren quasi in cima alle scale, pronto a scappare.
"Che ti creda o no, arriverà più veloce che può."
"Non
farlo, per favore."
Levi lo ignorò.
Tirò fuori
il suo cellulare dalla tasca posteriore dei Jeans e cercò
l'applicazione della torcia. La luce era luminosa abbastanza da
illuminare qualche metro di fronte a lui, ma oltre a quello c'era
ancora buio.
Corrugò le sopracciglia,
perché magari tutto quello era un sogno, ma non ricordava il
momento in cui aveva deciso di
andare a dormire. La sequenza di eventi gli era chiara, fin
dall'allontanarsi dall'appartamento di Erwin, le due ore di macchina,
la piccola pausa prima di inoltrarsi nella via. La discussione con
Eren,
l'ombra, il rumore, il bollitore - tutto: tutto era chiaro e
tangibile.
Oltrepassare l'invisibile linea sul pavimento non
lo polverizzò come si era aspettato. Nulla si mosse. Nulla
accadde.
In breve, lo spazio era solo un corridoio.
L'uomo
prese a percorrerlo, inizialmente con timore, poi con più confidenza
quando nulla sembrò volerlo mangiare. Camminò e camminò, ma non
c'era fine. Nulla cambiava ed era sempre circondato dal solito muro
beige.
Continuò ad avanzare.
Non si stancò e i suoi
piedi non gli fecero male, nonostante gli sembrava di aver camminato
per ore. Ad un certo punto si chiese se sarebbe stato più facile
tornare indietro, ma c'era solo buio anche da quella parte.
L'uomo
continuò a camminare fino a quando il suo cellulare si scaricò e lo
lasciò in mezzo all'oscurità, ma non provò paura. Senza alcun
dubbio non c'era nulla, lì. L'unica cosa che lo preoccupava era che
probabilmente non c'era modo di uscirne. Continuò a camminare.
Non
sentiva nulla, oltre ai suoi passi e il suo respiro affannoso. Gli
venne fame e sete, ma poco: non era nulla di preoccupante. Divenne
stanco e assonnato, ma non gli importava non poter dormire. Era come
se tutto il tempo si fosse condensato in quel singolo corridoio senza
fine.
I suoi pensieri accompagnavano i suoi passi,
riportandogli memorie che una volta erano state troppo dolorose da
ricordare.
In una scatola sotto il suo letto c'era un album
che Eren aveva fatto per il loro primo anniversario. Al suo interno
c'erano foto di tutto, dai membri delle loro famiglie agli amici, a
immagini casuali di auto e gatti. C'era una pagina dedicata ai post
it e ogni singolo pezzettino di carta conteneva un desiderio, un
pensiero, un poema o una parola a caso.
Mikasa aveva scritto
loro una ricetta e Armin una poesia. Petra aveva disegnato una casa,
Hanji aveva scritto un breve testo sul come il cosmo si era creato,
Auruo aveva scritto una frase, Gunther il suo numero di telefono ed
Erd gli aveva dato una sua foto. Carla e Grisha avevano dato loro una
foto di famiglia che rappresentava il Natale dove Eren aveva avuto
l'apparecchio, la madre di Levi aveva dato loro un nastro azzurro a
strisce verdi.
Nell'ultima pagina, Erwin aveva disegnato un
grande cuore ed era stato chiamato romanticone a causa di ciò. Levi
ed Eren avevano scritto le loro iniziali dentro di esso.
Levi
non smise di camminare, perché lì non c'era fine. Nuovamente si
ritrovò a cercare la via di casa. Non casa nel senso
strutturale, ma quel posto dove avrebbe potuto conservare gli impulsi
peggiori del suo cuore, dove avrebbe potuto sotterrarli al di sotto
delle fondamenta e dimenticarli. Voleva trovare un posto dove non
avrebbe più sentito il sangue macchiargli le mani o il gelo che
sembrava volergli gelare le ossa fino a spaccargliele.
Libertà.
Quello che voleva Levi era libertà.
Non riuscì ad evitare un
sussulto, quando sbatté contro un muro. Nell'oscurità non riuscì a
vedere nulla, così poggiò le mani su di esso. Bussò contro di esso
con le nocche scoprendo che era vuoto e la cosa lo invitò a cercare
con più fervore. Doveva esserci un modo per uscire, perché non
sarebbe riuscito a tornare da dove veniva. Le sue gambe non sarebbero
riuscite a compiere l'intero viaggio di ritorno.
Le sue dita cercarono
ogni piccola fessura su cui si sarebbe potuto aggrappare, ma non
trovò nulla. Il materiale del muro in sé non era familiare, non
diverso dai mattoni ma più liscio e caldo. Respirava come se fosse
vivo e la cosa lo disturbò, ma non smise di cercare.
Non
c'era nessuno spiffero o un minimo di luce, ma non si arrese. Si
premette contro di esso, lo prese a spallate, urlò rabbioso quando
non accennò a cedere.
"Tutti voi animali reagite nella
stessa barbarica maniera." Disse una voce ed ogni parola fu
come uno schiaffo gelido contro le guance. Era senza fine e vuota e
Levi si ritrovò a premersi nuovamente contro il muro, disperato nel
tentativo di allontanarsi.
"No, no, animaletto: calmati
un minuto. Non ti mangeremo ancora."
Levi si irrigidì,
ma non per suo volere. Poteva sentire il battito del suo cuore nelle
orecchie.
La voce non veniva dall'oscurità, perché la voce
era oscurità. La presenza dietro la voce non era qualcosa di
tangibile o visibile. L'entità dietro quella voce era l'orribile
aspettativa di guardare nel buio e vedere qualcosa dentro di essa, un
paio di occhi, oppure sentire una mano gelida sfiorarti la nuca
quando si sa che non ci dovrebbe essere nessuno. Era il tremare di un
letto quando ci si sveglia da un sogno che non si ricorda più o il
muovere un arto nel mezzo del sonno.
L'entità non era fisica:
era tutto quello che ogni persona pensava come uno scherzo della
mente. Ma era vera.
"Oh," Gli disse. "Capiamo.
Non c'è molto da fare qui, sembra."
L'uomo non respirò.
Non riusciva.
Quasi urlò - ma il suo fu un urlo silenzioso -
quando qualcosa si scontrò contro di lui, senza però toccarlo
realmente. Lo imprigionò contro il muro con la sua presenza
gelida.
Quando qualcosa lo toccò lo sentì caldo, peloso e
umido. Quella cosa sbuffò e immediatamente la mente di Levi gli
riportò l'immagine del cervo nero.
A pochi centimetri dal suo
viso, due spiragli di luce sembrarono prendere vita - occhi - ma non
poté distinguere il loro colore. Non avevano colore.
"Puzzi
di immondizia," Gli disse e un muso gli sporcò la faccia di
liquido appiccicoso. "Cattivo sangue e ossa bruciate.
Buono."
La cosa si allontanò e finalmente l'uomo riprese
controllo del suo corpo, solo per cadere all'indietro contro il
tettuccio della sua auto.
Sbatté le ciglia e si ritrovò a
guardare la Luna nascosta dietro grosse nuvole grigie che
promettevano neve. Scosso e disorientato, gli ci volle qualche
secondo per capire perché la sua pelle sembrava star bruciando: era
fuori, presumibilmente nel mezzo della notte, con addosso solo un
paio di jeans e una felpa leggera.
Levi inspirò di colpo,
sentendo l'aria fredda graffiargli la gola, prima di esalare e
rilasciare la tensione. Stava tremando, ma quella era l'unica cosa
non causata dal freddo.
La radura era desolata, a parte la sua
auto e un pickup che non riconobbe subito.
Le luci della casa erano tutte accese e c'era movimento al suo interno.
Si disse
che doveva muoversi, ma i suoi muscoli sembravano non volergli
rispondere. Aveva bisogno di allontanarsi dall'oppressivo silenzio
della foresta, ma non aveva l'energia anche solo per un battito di
ciglia. Solo la sua pelle non la smetteva di tremare, dandogli la
sensazione di nausea e disagio.
Immondizia.
Una
doccia avrebbe fatto miracoli. Aveva bisogno di strofinare i residui
di oscurità che ancora gli strisciavano sul corpo in una carezza
crudele. Liberarsi dell'odore era la sua priorità. Successivamente
doveva lavarsi il sangue dalle mani.
"Levi!" Quella
singola parola fu così feroce che quasi scappò lontano dall'auto e
dal suono, ma il viso che accompagnò il suo nome lo calmò quasi
istantaneamente.
Al diavolo la vergogna, l'uomo non combatté
il bruciore dei suoi occhi quando vide Erwin sull'uscio di
casa.
"Dove cazzo sei stato?" Le parole erano rigide
e tese, assassine quasi, ma Levi non ne aveva paura. Anzi le
assaporò, così come la violenza in loro, la promessa di sicurezza.
Magari era capace di proteggere Eren, ma chi oltre ad Erwin sarebbe
riuscito a proteggere lui? "Ero ormai pronto a chiamare la
polizia." Gli disse, afferrandogli un polso per tirarlo giù dal
tettuccio dell'auto.
Le ginocchia di Levi tremarono.
I
suoi piedi erano bagnati dentro le scarpe e il suo intero corpo era
dolorante. Non sarebbe riuscito a muoversi anche se lo avesse
voluto.
Erwin mormorò qualche parolaccia e lo prese in
braccio con poca fatica, tenendolo contro di lui per condividere il
suo calore corporeo. Non parlò quando entrò in casa e chiuse la
porta dietro di loro.
Levi non voleva stare lì. Avrebbe
preferito la foresta, piuttosto che passare un altro istante in
quella maledetta casa. Quella cosa respirava lì dentro, una creatura
malvagia e dormiente, pronta a nutrirsi. Dovevano uscire tutti e tre
da là.
Quando venne appoggiato gentilmente sul divano, l'uomo
vide Eren in un angolo del salotto. Vederlo gli fece tirare un
sospiro di sollievo, anche se rischiava ancora l'isteria. Doveva aver
chiamato Erwin e lentamente iniziò a ricordare tutto il resto. Non
che ci fosse molto da ricordare.
"Per quanto-?"
"Taci."
Sbottò Erwin e Levi obbedì. Ultimamente l'unica cosa che era
riuscito a fare era far arrabbiare Erwin, un record anche per
lui.
Coi capelli biondi arruffati e gli occhi azzurri fin
troppo sbarrati, Erwin si passò una mano sul viso nel tentativo di
calmarsi. Sotto la luce del salotto appariva anche più pallido del
normale.
Erwin gli volse le spalle e rimase immobile per un
momento, inspirando lentamente e a fondo. "Non me ne vado finché
non mi dici che cazzo sta succedendo," Con le mani sui fianchi,
scosse la testa. "Sei ore, Levi. Sono sei ore che sei
sparito."
Chiudendo gli occhi, l'interpellato li riaprì
un secondo dopo. Il terrore lo aveva reso troppo spaventato per tenere gli
occhi chiusi. Con la testa che pulsava di dolore, fissò Erwin ad occhi
socchiusi. "Perché sei qui?" Raspò. Le sue erano parole
tremanti, ma almeno riuscì a pronunciarle abbastanza bene da farsi
capire dall'uomo.
Erwin non gli rispose immediatamente, così
come non si voltò. Si sedette sul divano, attendo a non schiacciarlo. "Hai bisogno dell'ospedale?" Gli chiese, col suo
solito atteggiamento calmo e pacato, ma Levi poteva ancora vedere
traccie di tensione sulla sua schiena. "Ti sei fatto
male?"
Respirare normalmente gli era difficile, ma ce la
fece. Fissando il soffitto, contrasse le dita. La situazione in cui
si ritrovava era irreale.
Prima le priorità. "Ho bisogno
di un bel bagno. Più caldo è, meglio è."
•••
L'acqua
calda riuscì a svegliarlo dal suo torpore, ustionandogli la pelle.
Erwin sapeva sempre di cosa aveva bisogno e non esitava mai a dargli
ciò senza lamentarsi.
Levi si lasciò scivolare sott'acqua
fino ad avere solo metà viso fuori di essa.
Dietro di Erwin,
Eren sedeva sulla tazza del water con i gomiti appoggiati sulle
ginocchia. "Gli ho mandato un messaggio," Disse. "Mi
sono fatto prendere dal panico e gli ho mandato un messaggio."
Scrollò la testa, prima di prendersela tra le mani. "Penso di
aver peggiorato tutto."
"Non dire così," Lo
ammonì l'uomo. "Non è colpa tua."
S'irrigidì,
quando ricordò che Erwin era nella stessa stanza e che ovviamente
non poteva vedere o sentire Eren. Sbuffò, portandosi le gambe al
petto, stringendosele addosso con le braccia.
"Quando ne
avrai voglia," Gli disse Erwin, prendendo una saponetta e
lasciandola scivolare in acqua. "Puoi iniziare a dirmi cosa c'è
che non va."
"Non c'è nulla che non vada."
"Mi
hai messaggiato da un numero sconosciuto e poi mi hai fatto aspettare
per sei ore."
"Sono andato a farmi una passeggiata e
ho perso conto del tempo."
"Ovviamente. E' anche per
quello che sei collassato contro la tua auto abbastanza violentemente
da farti sentire da dentro casa," Le parole dell'uomo erano
tinte di rabbia. "Ed è per quello che avevi quei segni sul
collo."
Levi si concentrò nel cercare di scaldarsi le
dita dei piedi, godendosi l'acqua calda scorrere tra di esse. Erwin
copriva la porta, dandogli l'illusione di trovarsi in un posto sicuro
dove nulla avrebbe potuto attaccarlo. Era divertente come la sua
stessa madre non fosse mai riuscita a dargli una sensazione del
genere.
Rilassando il suo corpo, Levi mantenne le gambe contro
il petto e incrociò le braccia sopra di esse. "Eren è seduto
dietro di te."
Non c'era davvero utilità nel
mentire.
Eren alzò la testa di scatto, schiudendo le labbra
in un'espressione sorpresa.
Erwin non reagì, continuando a
fissare Levi. Non c'era nulla nei suoi occhi o nel suo viso: solo lo
sguardo corrucciato di prima.
Levi spostò le braccia e le
posò sul bordo della vasca, sfiorando con le dita la superficie
dell'acqua.
"E' stato lui a fare tutto questo?"
Eren
si voltò di scatto verso Erwin, serrando le labbra in un espressione
rabbiosa. "Sei un bastardo anche solo per suggerire una cosa del
genere," Disse, incurvando le spalle. "Stronzo."
"C'è
qualcos'altro." Rispose Levi.
"Sembra
preoccupante."
"Decisamente."
Il suono
di una porta sbattuta catturò l'attenzione di Erwin, mentre Levi
continuò a fissare l'acqua. La tensione tornò a stringerlo nelle sue
spire, così come il bisogno di correre fino a farsi cedere le
gambe.
"Eren?" Domandò Erwin, esitante, ma non
stava chiamando il ragazzo, stava chiedendo a Levi se era stato lui.
Eren
però era ancora al suo posto, con lo sguardo fisso sulla porta
aperta. Non poteva vedere il suo viso, ma la sua postura urlava
terrore.
"E' ancora sulla tazza del cesso."
Erwin
puntò lo sguardo sul water. In quel momento la vista dei due intenti
ad osservarsi gli fu stravolgente, specialmente sapendo che Erwin non
poteva vedere il fantasma. Il fatto l'uomo gli stesse dando corda
lo fece sentire stranito.
"Ciao." Disse il più
alto e, anche se Levi non poteva vederlo, sapeva che lo stupido stava
sorridendo.
Eren spostò lo sguardo dall'uomo per portarlo su
Levi. "E' serio?"
L'interpellato rise. "Non
puoi credermi." Disse ad Erwin, passandosi una mano umida sul
viso.
"Non sono uno psicologo," Gli rispose,
voltandosi per guardarlo. "Ma so che sei sempre stato molto
scettico. Quindi o hai sbattuto la testa veramente forte, oppure c'è
sul serio qualcuno, lì."
"E cosa credi che sia, fra
le due opzioni?"
"Entrambe." Giusto. "Da
quand'è che tutto questo sta andando avanti?"
"Da
quando mi sono trasferito. Si è fatto vivo poco dopo che ve ne siete
andati." L'acqua stava iniziando a raffreddarsi. "Abbiamo
parlato, ero certo di essere impazzito definitivamente, sono scappato
e sono venuto a rifugiarmi da te e Mike."
"Quindi ti
sei fatto vivo alla mia porta a quell'orario a causa di ciò."
"Per
lo più."
Erwin si voltò nuovamente verso Eren, che ora
aveva un'espressione dubbiosa sul volto. "E' un bravo
fantasma?"
"Uno stronzetto."
"Sembra essere
proprio lui." Disse Erwin e, se non fosse stato per le bende che
gli coprivano gli occhi, Levi era pronto a scommettere che gli occhi
del giovane si sarebbero ridotti a due fessure.
"Il
marito dell'anno." Disse Eren, drizzando la schiena. "Sembra
prendere tutto questo decisamente bene." Si grattò il mento e
realizzò che non gli era cresciuto neanche un accenno di barba nelle
ultime due settimane. "Chiedigli a cosa sta pensando."
"Dimmi
cosa stai pensando." Ripeté Levi, chiudendo gli occhi e
appoggiando la testa contro il bordo della vasca. Perlomeno poteva
essere certo che Erwin non lo avrebbe lasciato annegare, se si fosse
addormentato.
"Potremmo metterci in contatto con una
chiesa." Il suo tono di voce era così serio che Levi quasi
rise.
"Prima dovremmo confessarci," Ribatté
sarcasticamente. "Se te la senti di dire al prete dove hai messo
il tuo cazzo durante la tua vita, problemi tuoi. Di certo non dirò a nessuno tutto
quello che ho fatto io."
Cattivo sangue, lo prese
in giro la voce.
Urlare 'oh mio Dio' mentre o Erwin
o Eren si
scopavano il suo culo era stata la sua massima religiosità. Non
era
mai andato in chiesa da piccolo, anche se sua madre aveva sempre
portato un rosario al collo. Non era un credente: non credeva neanche
alla fortuna, figurarsi se pensava ad affidarsi ad un essere che
sedeva sulle nuvole e uccideva la gente che succhiava cazzi.
Al
contrario, Erwin ed Eren avevano due idee completamenti differenti
dalle sue. Mentre Eren non era esattamente un uomo di chiesa, era
sempre presente alla messa di Pasqua. O, lo faceva, quando era vivo.
I suoi genitori glielo avevano inculcato fin da piccolo. Erwin invece
non aveva le idee molto chiare, ma Levi sospettava che c'era della
fede in lui.
"O," Continuò Erwin, ignorando
bellamente Levi, perché entrambi sapevano che non funzionava così.
"Possiamo andare da un dottore."
La seconda opzione,
la più logica, era quella che lo allettava maggiormente. Levi di
certo non era eccitato di scoprire se era pazzo o meno, però quello
perlomeno sarebbe stato un problema che avrebbe avuto una soluzione
logica.
"Sarebbe uno spreco di soldi." Sbuffò
Eren.
"Ne ha abbastanza da potercisi pulire il culo."
Disse Levi ed Erwin sorrise, anche se non aveva sentito la prima
frase. Conosceva Eren abbastanza bene da poter immaginare cos'aveva
detto.
"La scelta è tua." Gli disse, passandogli
una mano tra i capelli per allontanarglieli dagli occhi.
Levi
continuò a tenere lo sguardo su Eren, che stava giocherellando con
le sue dita.
"Quando sei pronto, ovviamente."
Continuò Erwin.
"Prima è, meglio è," Disse
amaramente il fantasma. "Sarebbe inutile affezionarsi
nuovamente." Era una semplice osservazione, quella, eppure
svegliò in Levi un senso di assoluta tristezza.
L'uomo
allontanò lo sguardo da entrambi i presenti, puntando gli occhi
contro il soffitto. "E' tutto così incasinato." Non era
esattamente certo a cosa si riferissero quelle parole, ma suppose
fossero rivolte alla situazione in generale. Tutto quello era
innaturale.
"Magari, in questo modo, puoi dare a tutto
questo una fine." Gli disse Erwin, alzandosi in piedi.
Tutti
dicevano così. Lo dicevano come se Levi non avesse sofferto
abbastanza per la morte di suo marito. Invece sì, nella solitudine
della sua camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Il dolore al
petto lo aveva fatto stare così male da farlo urlare fino a farsi
andar via la voce, incapace di trattenere le lacrime. Aveva pianto
come un bambino fino a quando aveva ritrovato un equilibrio ed era
riuscito a mettersi nuovamente in piedi. Aveva sofferto fino a
ritrovarsi uno spazio vuoto dentro al petto.
"Vado a
prenderti dei vestiti," Continuò Erwin, fermandosi sulla porta
del bagno. "Noi tre potremmo dormire tutti assieme nel
salotto."
Il suo tono paterno fece venire voglia a Levi
di alzarsi e annegarlo nella vasca da bagno.
"Ancora non
capisco cosa tu ci veda in lui." Grugnì Eren, lanciando
occhiatacce nella direzione di Erwin.
"Ci vedo quello che
ci vedevi anche tu, moccioso."
Con le guance rosee, Eren
sbuffò. "Vabbeh."
Levi sospirò divertito.
Nonostante tutto quello che Eren aveva fatto nella sua vita passata
era ancora capace di arrossire come un timido verginello. Era una vista
preziosa, la sua.
Tuttavia i suoi commenti non erano dati
dalla gelosia. Erano causati da risentimento, perché Erwin voleva
liberarsi di lui. Non che Eren non lo capisse, perché nonostante
fosse spesso pronto a saltare a conclusioni affrettate e a fare il
viziato, era un ragazzo intelligente. Come al solito i due erano
concentrati sulla soluzione migliore per Levi. La loro devozione non
smetteva mai di sorprenderlo.
"Levi?"
Non era
né un urlo né un sussurro, eppure nelle parole di Erwin c'era una
certa preoccupazione.
Nel tempo che gli ci volle per mettersi
in piedi, Eren era già corso fuori dalla stanza.
Afferrò un
asciugamano, ma nella fretta non ne fece uso, quasi scivolando sulle
piastrelle che presto diventarono legno. Il suo cuore era pronto ad
esplodergli in petto, anche se riuscì a vedere Erwin poco distante da lui.
Le
spalle larghe dell'uomo gli bloccavano quasi la vista, ma gli ci volle
tutta la sua forza di volontà per non correre nella direzione
opposta. Il corridoio era innocuo come lo era stato anche quando
aveva deciso di metterci piede prima, però questa volta aveva una
fine visibile.
Eren si mise in mezzo ai due, assicurandosi che
Levi non potesse avvicinarsi ulteriormente.
"Che
cosa...?" Si fermò, prima di fare un esitante passo in avanti.
Levi non lo fermò. "Com'è... Possibile?"
"La casa è
più grande di quello che sembra dall'esterno." Disse infine Levi,
assicurandosi l'asciugamano ai fianchi.
"Sarà meglio che
tutto questo non sia colpa degli alieni." Grugnì Eren e, se la
situazione fosse stata diversa, Levi avrebbe riso alla citazione.
Ora, invece, non c'era nulla di divertente circa la loro
situazione.
Erwin si voltò verso Levi, poi nuovamente verso
il corridoio in un modo quasi comico. Fece un passo indietro e si
leccò le labbra, cercando e fallendo di ricomporsi. Dopo aver
inspirato profondamente annuì, raddrizzando la schiena e schiarendosi la
gola.
"Va bene," Disse. "Eren, hai la mia
completa attenzione."
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Capitolo 7 *** Black Tea ***
HoE chap 7
E
con questo capitolo siamo ad un terzo della fic! Quindi mancano 14
capitoli alla sua fine. Mi viene la lacrimuccia solo a pensarci y_y
Dettagli a parte, mi dispiace moltissimo per l'attesa, ma purtroppo
ultimamente non ho tutto il tempo che mi piacerebbe avere da dedicare
alla traduzione. Spero di riuscire a far passare meno tempo per il
prossimo capitolo.
Preparatevi alla parte finale del capitolo, dove Levi fa il pirla e ne
paga le conseguenze (assieme ad Eren). Buona lettura!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
__________________________________________________________________
I raggi di Sole
iniziarono finalmente ad illuminare le pareti della casa, col loro
tiepido calore, dopo una nottata priva di sonno.
L'unico
rumore, oltre al silenzio che regnava nella stanza, era quello di una
penna contro la carta. La tensione era ancora palpabile tra loro, ma
almeno Levi non si sentiva più sotto pressione.
Sono
stato qui per mesi, ma non avevo idea ci fosse qualcosa, la
penna si fermò un attimo, esitante, oltre
a me.
Seduto sul divano, con i
gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento tra le mani, Erwin
annuì. "Come sei arrivato fin qui? Sei un fantasma? Un ghoul?
Un poltergeist?"
"Siete dei nerd," Commentò
Levi. "Entrambi."
Eren gli mostro la lingua, da
persona matura qual era, ma continuò a scrivere. Non
lo so. Esisto e basta.
"Però
Levi riesce a vederti e tu riesci a tenere in mano una penna senza
problemi."
"E può toccarmi."
"E
com'è?" Gli chiese Erwin, rivolgendogli un'occhiata.
"Come
se fosse una scossa," Rispose. "Nel peggiore dei modi, per
essere precisi."
"Mi dispiace," Gli disse Eren,
grattandosi timidamente il collo. "Fortunatamente non ho tentato
di fare nulla con te."
"Non pensarci neanche, in
futuro. Per il quieto vivere di entrambi." Anche se furono quelle
le parole che pronunciò, l'uomo si ritrovò a chiedersi come sarebbe
stato. "Non voglio prendermi i pidocchi fantasmi."
Probabilmente sarebbe stato come scoparsi una lastra di
ghiaccio.
Erwin alzò un sopracciglio e Levi scosse la testa, assicurandolo che non gli sarebbe piaciuto venire a conoscenza della
loro breve conversazione.
"In qualsiasi caso, tutto
questo mi fa ricordare di un programma televisivo che guardavo da
bambino." Disse Erwin. Prese il pezzo di carta tra le mani, per
poterne apprezzare meglio le parole scritte su di esso, ma subito gli
venne strappato dalle mani da una forza sconosciuta. Neanche sobbalzò
all'accaduto.
Ghostwriter.
"Proprio
quello." Rispose con un sorriso.
Levi portò gli occhi al
cielo. "Lo ripeto: siete dei nerd."
"Penso che
il termine appropriato sia geek." Disse Eren, con un sorrisone
in viso.
"Due geek." Precisò nello stesso momento
Erwin.
Alzandosi dal divano e stiracchiandosi, Levi grugnì e
sospirò. "Volete che vi lasci del tempo da soli? Sto iniziando
a sentirmi la ruota di scorta." Non c'era veleno nelle sue
parole, solo divertimento. "Sapete, messo da parte quel
presentimento che qualcosa nella mia casa abbia intenzione di
uccidermi."
L'uomo si diresse in cucina, prima che uno
dei due potesse rispondergli.
Si chiese se fare colazione
fosse una buona idea, poi decise di preparare dei caffè e dei panini
per tutti.
La conversazione a senso unico che si poteva
sentire provenire dal soggiorno era stranamente calmante, grazie alla
voce placida di Erwin e le occasionali risate di Eren. Ricordi di
normalità gli affiorarono, quelli di tranquilli giovedì sera
passati con la testa di Eren sopra le sue gambe, dopo una lunga
giornata al college, ed Erwin sul divano di fianco a loro, a guardare
vecchi film.
Non gli era mai capitato di pensare a quanto
potesse mancare tutto questo anche ad Erwin.
Dopo aver messo
dell'acqua a bollire, Levi mise a scaldare del latte. Si appoggiò al
frigo, dopo aver messo i primi due panini nel tostapane. La sua
abilità nel multitasking lo aveva sempre portato sopra le altre
persone.
Con riluttanza, l'uomo si decise a pensare al suo
incubo e all'apparente passeggiata durata un intero giorno che aveva
fatto ieri. L'unico aspetto che accomunava le due esperienze era la
presenza del cervo, o qualcosa di simile ad uno di quegli animali. Il
secondo avvenimento era stato più oscuro, gli aveva indotto un senso
di claustrofobia che contrastava l'agorafobia che aveva provato
il giorno prima nella foresta.
Nulla di quello aveva un senso,
a partire da Eren fino alla voce che lo aveva toccato nell'oscurità
della sua mente.
Il tostapane emise un rumore e i panini ne
uscirono, così si sbrigò a spegnere il pentolino col latte prima
che iniziasse a bollire. Mise il terzo panino a scaldare, poi cercò
nel frigo del formaggio spalmabile che era certo di avere. Lo trovò
vicino al fondo e prese anche la marmellata, ricordando come ad Eren
piacesse il contrasto di sapori.
Li preparò e, quando ebbe
finito, spense la macchina del caffè e lo servì nelle tazze. Due
cucchiai di zucchero per Erwin, tre per Eren e quattro per sé. Gli
piaceva il caffè così come gli piacevano i suoi ragazzi: forti e
dolci.
"Non si mangia in salotto," Chiamò i due,
poggiando i panini su dei piatti, che sistemò sull'isola della
cucina. "Portate i vostri culi di qua."
"Però
tu puoi tranquillamente mangiare sul divano." Brontolò Eren,
prendendosi lo sgabello più lontano possibile dalle scale.
"Perché
io so mangiare decentemente," Gli rispose Levi, puntandolo col
coltello sporco di marmellata. "Non fare il rompipalle."
Erwin
era rimasto vicino alle scale, rivolgendo un mezzo sorriso a Levi.
"Ti dispiace dirmi dove Eren non
sta sedendo?"
Levi ci pensò su, prima di scrollare le
spalle. "Sì."
"Come ha fatto ad accettare di
sposarti?"
"Vero?" S'intromise Eren,
gesticolando con le mani come se fosse stato esasperato.
Alzando
nuovamente il coltello, l'interpellato fece sicuro di rivolgere ad
Eren un'occhiata più omicida possibile, ma il ragazzo si limitò a
sorridere. "Puoi andare a infestare la casa di Erwin, se questo
ti fa felice." Sbuffò l'uomo, voltandosi per prendere i loro
caffè. "Sacchi di merda."
Quando Erwin si rifiutò
di muoversi e Levi prese ad irritarsi al pensiero di far freddare il
cibo, quest'ultimo disse: "Quando mai hai mangiato dei panini
alla marmellata?"
Erwin scrollò le spalle. "Potresti
averli scambiati per vendicarti di me."
"E di cosa?"
Ovviamente Erwin aveva una lunga lista di cose per la quale avrebbe
meritato di essere punito, ma a Levi non avrebbe soddisfatto vederlo
schiacciare il suo marito già morto. "Siediti e mangia quel
fottuto panino."
Avvicinandosi agli sgabelli, Erwin
piazzò una mano sopra a quello col panino farcito unicamente di
formaggio spalmabile. "Se sei qui, sarebbe meglio se ti
spostassi."
Levi lo fissò senza espressione, mentre Eren
sorrise.
Quando Erwin si sedette, Levi quasi stava per fare
una battuta, quando venne interrotto da un mormorio pensieroso. "Che
tu ci creda o meno, penso di riuscire in qualche modo a
vederti."
Quello catturò l'attenzione di entrambi e Levi
optò per rimanere in piedi vicino all'isola per mangiare la sua
colazione. "Illuminaci."
Erwin guardò al suo
fianco, con le sopracciglia corrugate. "Ci sono degli indizi, se
mi concentro," Disse. "Per esempio, sono certo che hai
messo davanti a lui un panino e una tazza di caffè, eppure la tazza
è sparita."
Eren sbatté le ciglia, poi portò gli occhi
sulla tazza che stava stringendo tra le mani. "Ho sempre pensato
che, quando muovo qualcosa, la gente riuscisse a vedere il movimento.
Cioè, non ha visto la penna muoversi?"
"E'
interessante." Mormorò Levi, stringendo le dita sulla sua
tazza, senza però prenderne un sorso. "Nessuna sorta di
movimento?"
"No. E' strano, però, come se sapessi
che è lì e che dovrei essere capace di seguire i suoi movimenti, ma
venissi distratto abbastanza a lungo da far sì che lui agisca senza che io
me ne accorga."
"E' una cosa fighissima," Disse
Eren. "Pensa a tutti i concerti in cui mi potrei
infiltrare."
"Non pensarci neanche," Lo avvisò
Levi. "C'è qualcos'altro?"
Erwin rimase immobile
per un momento, prima di annuire. La sua espressione era nuovamente
seria, un deciso contrasto dal divertimento di qualche minuto prima.
"Hai presente quando la tua vista si appanna all'improvviso? Non
c'è nessuna ragione per il quale dovrebbe appannarsi, ma c'è questa
specie di macchia nebbiosa che non puoi levarti dagli occhi?"
All'accenno di Levi, Erwin sospirò. "E' tipo una strana
distorsione che si può notare dove si trova in quel momento."
"Ma
è qualcosa, giusto?" Chiese Eren, probabilmente dimenticandosi
che Erwin non poteva sentirlo. "Almeno dimostra che non sono un
problema della tua testa."
Dopo aver finalmente
sorseggiato il suo caffè, Levi afferrò metà del suo panino.
"Dove
stai andando?" Chiese Erwin e Levi ed Eren si voltarono verso di
lui.
Stava guardando verso le scale con un mezzo sorriso e
Levi sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.
Perché Eren non si era mosso
dal suo posto.
"Con chi diavolo sta parlando?"
"Con
chi cazzo stai parlando?" Sbottò Levi, poggiando il cibo sul
piatto, improvvisamente senza appetito. "Erwin?"
Erwin
lo guardò confuso. "C'è..." Smise di parlare e si alzò
lentamente dalla sedia. "Vicino alle scale."
Ognuno
agì velocemente, Eren con abbastanza forza da far cadere lo
sgabello, facendo sobbalzare Erwin. Levi era pronto a correre fuori
dalla stanza, ma l'altro uomo lo afferrò dal braccio prima che si
potesse allontanare troppo.
Stava anche ridendo
istericamente.
Levi si scrollò il suo braccio di dosso, col
cuore che correva impazzito. Quando capì la situazione, desiderò
poterlo castrare a vivo.
"Figlio di puttana!"
Lo
spinse lontano da sé, senza però riuscire a far molto,
data la sua stazza. "Tutto questo ti sembra un fottuto gioco?"
Con
una mano sul petto, Erwin quasi cadde dalle risate.
Con la
schiena premuta contro il muro, Eren scrollò la testa. "Non è
stata una cosa carina." Disse, in un mormorio.
"Mi
dispiace, va bene?" Disse l'interpellato, raddrizzandosi senza
però riuscire a contenere le risatine. "Ho visto l'opportunità
e l'ho presa."
"Sì e quasi mi hai fatto morire
d'infarto, stronzo."
"Lo so, lo so. Mi dispiace,
davvero." Erwin si passò una mano sul viso, senza più cercare
di nascondere il suo divertimento. "Non ci ho ragionato sopra."
Mai una singola frase era suonata così sbagliata
alle orecchie di Levi.
Nonostante Erwin fosse, senza dubbio,
un idiota, c'era sempre una linea che non aveva mai passato. Le sue
scelte di vita non erano certamente pure e sante, ma aveva - e
avrebbe continuato - sempre ragionato prima di parlare. In contrasto
con la freddezza di Levi, Erwin era decisamente più caloroso, ma
nonostante tutto sempre saggio.
In breve, Erwin non aveva mai
fatto una cosa del genere.
Quel pensiero fece preoccupare
immediatamente Levi.
"Erwin?"
Erwin si buttò
sullo sgabello, alzando gli occhi umidi verso Levi. "Mi fa male
la testa." Fu tutto quello che riuscì a dire, prima che l'altro
gli si avvicinasse.
Passando attorno all'isola, Levi afferrò
una manica di Erwin e lo fece alzare. "Fuori." Abbaiò,
spingendolo verso la porta. L'aria all'esterno era gelida.
Il più
basso si guardò alle spalle solo per sincerarsi che Eren li avesse
seguiti.
Erwin barcollò sulle scale. Quando Levi fece per
avvicinarsi a lui, fece un gesto per fargli capire di stargli lontano
e così l'altro lo ascoltò.
Levi lo guardò barcollare fino alla sua
auto, lontano dalla sua vista, ma non distante abbastanza per non
fargli capire che stesse vomitando.
"Che è successo?"
Chiese Eren, esausto.
Scosso, Levi non protestò quando il
fantasma gli prese la mano nella sua, nel tentativo di offrirgli
conforto.
I due aspettarono in silenzio che Erwin si
ricomponesse. Quando lo fece, aprì la porta del pickup,
probabilmente alla ricerca dei fazzoletti.
Tornò verso di
loro un po' più stabile sui piedi.
Eren gli lasciò la mano,
quando Levi si mosse verso Erwin per farlo sedere sugli
scalini.
"Non è sicuro per te, questo posto." Disse
Erwin, come se già non fossero arrivati a quella conclusione.
"Non
c'è molto che possa fare, finché l'agente immobiliare non trova
altro." Levi usò uno dei fazzoletti per asciugare il sudore
sulla fronte dell'altro. "Non vomitarmi addosso."
"Non
lo farò." Gli rispose con un sorriso.
Eren gli si
sedette vicino, premendosi contro il suo fianco.
"Avremmo
dovuto prenderci i giubbotti." Commentò Erwin, tremando
visibilmente.
Faceva freddo, ma non così tanto da avere
bisogno di coprirsi così. "E' Eren," Gli disse Levi,
guardando il ragazzo appoggiare la testa sulla spalla dell'uomo.
"Evidentemente gli era mancato accoccolarsi a te."
Eren
gli fece la linguaccia, ma non negò.
"E' bello sapere
che stai bene anche adesso," Gli disse Erwin, voltandosi verso
la sua spalla. Il suo sorriso tremante si addolcì. "Levi non è
l'unico ad aver sofferto della tua mancanza."
Con un
braccio dell'uomo stretto tra le sue, Eren si acciambellò al suo
fianco. Era il suo modo per combattere l'ansia, riconobbe Levi,
avendolo visto comportarsi allo stesso modo durante il periodo antecedente agli esami al
college o quando il suo capo s'intrometteva nel suo lavoro. Né a lui
né ad Erwin era mai pesato stringerlo tra le braccia, per aiutarlo a
calmarsi.
Certo che i due fossero al sicuro, fuori dalla casa,
Levi si avvicinò alla sua auto alla ricerca di salviette
sanitizzanti all'alcool e il kit da pronto soccorso. Afferrò anche
una bottiglia d'acqua che si era dimenticato di essersi preso. Era a
temperatura ambiente, ora, ma sarebbe andata bene
ugualmente.
Nessuno dei due stava parlando, quando gli si
avvicinò, entrambi avevano chiuso gli occhi e il loro respiro era
placido.
Levi aprì il pacchetto di salviette e ne avvicinò
una al naso di Erwin, attento a non soffocarlo. L'uomo aprì uno dei
suoi occhi blu al contatto.
"Per la nausea." Gli
spiegò. Anche se sapeva che Eren non stava dormendo, parlò
involontariamente a bassa voce. "Ti senti meglio?"
Erwin
mormorò un assenso. Effettivamente stava iniziando a riprendere
colore.
"Come prima cosa, domani mattina, mi metterò in
contatto con l'agente immobiliare." Sussurrò. "Se non avrà
nulla di disponibile, cercherò io qualcosa di adatto a te. Nel
frattempo starai da me e Mike."
Eren emise un suono di
protesta, ma non si mosse.
"Hai pensato di parlare prima
con Mike?"
"Non gli peserà. Non è che sia una
sistemazione tanto diversa da quella che abbiamo ora." Disse Erwin.
Stava tremando, ormai, ma non si lamentò.
Conoscendo Mike, di
certo non si sarebbe lamentato, però a Levi non piaceva come
cosa.
Quattro anni fa, lui ed Eren erano diventati una coppia
effettiva. Non perché Eren fosse preoccupato dalla presenza di
Erwin, ma perché Levi aveva l'idea che il matrimonio fosse una cosa
ben diversa e più seria di stare semplicemente assieme. Nonostante
tutta la sua apertura mentale, gli sembrava che fosse arrivato il
momento della loro intimità, nonostante sapesse che Erwin non si
sarebbe mai intromesso in alcun modo tra loro due. Erano le abitudini
di un vecchio uomo, si era detto.
Dopo una seria conversazione
sull'argomento, lui ed Erwin avevano preso le loro strade. Il ricordo
del sorriso tirato dell'uomo era ancora ben stampato nella sua mente,
ma aveva rispettato la sua decisione.
Di conseguenza Levi non
se la sentiva di mettere piede nella stessa situazione che lo aveva
spinto ad allontanarlo. Mike aveva idee molto simile alle sue. L'uomo
amava la sua privacy. Però era così buono da compromettere i suoi
stessi ideali di tranquillità per lui e la cosa non gli sembrava
giusta.
"Non posso abbandonare questa casa," Disse
Levi, spaventato al sol pensiero. "Non posso abbandonare
Eren."
Eren alzò la testa, scrollandola. "Non
preoccuparti di me." Gli disse.
"Non farlo." Lo
avvisò Levi, portando lo sguardo verso la foresta. "Davvero.
Non iniziare neanche."
"Per l'amor di Dio, Levi,"
Disse il fantasma, la sua voce fin troppo calma. "Se rimani in
questa casa a causa mia, puoi davvero dirmi addio perché me ne andrò
sul serio. Non rimarrò qua ad aspettare che qualcosa ti faccia del
male."
"Se succederà, non sarà colpa tua."
"E
come fai a saperlo, eh?! Per quel che ne sappiamo si sta nutrendo
della mia energia o qualcosa di simile. Mia mamma ha sempre detto che
la malvagità richiama altra malvagità-"
"Non sei
malvagio." Disse Levi. Non urlò, non ne aveva bisogno. Le sue
parole era così decise che fecero tacere il ragazzo. "Che sia
l'ultima volta che osi anche solo suggerire una cosa del
genere."
Eren serrò le labbra e continuò a tacere,
tornando ad appoggiarsi contro Erwin.
"Allora è il momento
di trovare un compromesso." Disse Erwin. L'espressione
preoccupata che assumeva ogni volta che Levi ed Eren parlavano era
ormai inesistente. "Sei disposto ad ascoltarmi?"
Levi
non disse nulla, così Erwin continuò.
"In modo da non
disturbare qualsiasi cosa sta succedendo qui, che sia con Eren o
quell'altra cosa, possiamo continuare a fare come abbiamo fatto
fin'ora. Puoi rimanere da me durante la settimana e, nei week end,
puoi stare qua."
"Con te."
"Con
me."
"No." Rispose Levi. Incrociò le braccia
quando la brezza mattutina si scontrò su di lui, tenendo le mani al
caldo.
"Non è una pessima idea." S'intromise Eren,
piegando di lato la testa.
"Quella cosa era dormiente
finché Erwin non ha deciso di entrare. Come potrebbe essere una
buona idea?"
"Hai bisogno di qualcuno che riesca a
mettersi in contatto con le autorità se qualcosa dovesse succedere."
Disse Erwin.
Levi ricordò la simile conversazione che aveva
avuto neanche ventiquattro ore prima. La risposta del come Eren fosse
riuscito a mandare un messaggio ad Erwin gli sfuggiva
tutt'ora.
"Decisamente sicura, come cosa." Ribatté
Levi, preoccupandosi che il suo sarcasmo non passasse
inosservato.
Erwin si sedette e allargò le braccia in un
gesto esasperato. Eren si mosse con lui, come se la sua fosse una
forma corporea. "Hai un piano migliore? Fino ad ora questa è
l'unica che riesca a soddisfare i bisogni di tutti e tre."
"Anche
te?"
"Sì, Levi, soddisferà anche me." Sospirò
Erwin. "Dormirò meglio la notte, sapendo di essere vicino a
te."
"Due contro uno," Disse Eren con un
sorriso trionfante. "La vittoria è nostra."
"Sei
a conoscenza del fatto che non ci sarò per cinque giorni su sette."
Gli ricordò Levi. Ridusse gli occhi a fessure, guardandolo, perché
sapeva che mentre le intenzioni del giovane erano buone, spesso si
dimenticava a pensare alle situazioni per intero.
"Non ho
mai detto di essere estatico all'idea, ma mi sentirò decisamente
meglio a saperti lontano dal pericolo per più giorni che non il
contrario."
Levi lo fulminò con lo sguardo, prima di
voltarsi dall'altra parte. Questa non era la prima volta che si erano
messi entrambi contro di lui. Prima avrebbero ricorso a diversi
metodi di persuasione, quelli che richiedevano la porta della camera
da letto chiusa a chiave.
Ora, invece, avevano fatto
uno gli occhioni da cucciolo, dell'altro invece si vedevano solo le
labbra imbronciate. Gli ci sarebbe voluto molto di più per
convincerlo, ma lui stesso capiva la loro decisione. Era testardo, ma
di certo non cieco. Se fosse stato per lui non avrebbe mai più
varcato quella porta.
"Parlerò con Mike," Disse
infine, attento a non far sembrare la sua frase un cedimento.
"Decideremo meglio dopo aver avuto la sua risposta."
"Cosa
gli dirai?" Gli chiese Eren. "Non potrai di certo dirgli la
verità."
"A questo ci penserà Erwin."
Rispose. "Ma non insinuare qualcosa su un mio ipotetico crollo
mentale."
Erwin ridacchiò. "Fidati di me: non c'è
una persona che conosciamo che ormai non abbia pensato ad una cosa
simile."
•••
Quando il pickup di
Erwin sparì dalla loro vista, Levi era già dentro casa,
nonostante le proteste di Eren.
"Perché non sei andato
con lui?" Gli chiese, gesticolando. "Starà via solo per
poche ore."
Levi si avvicinò al contenitore posto sul
tavolo, rimanendo soddisfatto nel vederlo intoccato. Erwin doveva
essere stato troppo preoccupato con quel che era successo, per
decidere di aprirlo. "Perché," Disse, aprendolo e
sollevandone il coperchio. "C'è qualcosa che devo fare."
Il
fucile era posato all'interno di esso, tenuto fermo da uno strato di
spugna, intoccato e lucido.
"Quando l'hai preso?"
Sussurrò Eren.
Levi non incontrò i suoi occhi. "E' solo
una precauzione."
"Non hai risposto alla mia
domanda." La sua apprensione era palpabile.
Decidendo di
continuare a non rispondergli, Levi uscì dalla casa.
Si
diresse alla sua auto, alla ricerca del resto del suo
equipaggiamento. Aprendone il portabagagli, afferrò una
borsa.
Quando tornò alla casa, Eren era andato a sedersi nel
salotto, con la schiena rivolta a lui. La casa gli apparve più
fredda di prima, ma non a causa di una presenza malvagia. Il rifiuto
di Eren era decisamente la peggior cosa che potesse capitare a
Levi.
Decise di non insistere o discutere con lui e così andò
in bagno a cambiarsi.
Gli abiti da camouflage gli era costati
un bel po', quindi era compiaciuto nel vedere che gli stavano
perfetti. Gli stivali da caccia non erano stati così costosi,
infatti gli erano un po' larghi: nulla che non potesse essere
sistemato stringendo per bene i lacci. Per ultima cosa si mise il
cappotto da caccia arancione.
L'uomo si sentiva ridicolo con
addosso tutto quel vestiario.
Si soffermò un attimo al bagno,
quando ebbe finito di cambiarsi, con la mano sulla manopola della
porta. Doveva ancora verificare se il corridoio era ancora lì e non
voleva. La sola idea di quella struttura aggiuntiva era blasfema e,
se poteva, preferiva non doverla ancora affrontare.
Sapendo
che non avrebbe ottenuto nulla a stare lì, aprì la porta e fece sì
da rivolgere sempre la schiena verso il corridoio. Non era una delle
sue idee migliori, ma se avesse sentito qualcosa si sarebbe voltato
senza esitazioni.
Riuscì a far le scale senza alcun
incidente.
"Sei ridicolo." Gli disse Eren. Era
ancora voltato contro il muro.
"La tua faccia è
ridicola." Fu la risposta di Levi. Stanco e stressato, l'ultima
cosa di cui aveva bisogno era un altro litigio.
Impugnò il
fucile e ne testò il peso. In qualche modo gli sembrava differente
da quando l'aveva maneggiato al negozio.
"Quando hai mai
sparato con un'arma da fuoco, prima d'oggi?" Gli chiese
Eren.
Levi si assicurò il fucile alla schiena. "Mio
padre cacciava volpi, quando ero piccolo." Gli disse: quella era
l'unica esperienza che aveva avuto. In realtà non aveva mai neanche
impugnato lui stesso un fucile, ma aveva semplicemente visto suo
padre cacciare e uccidere animali.
Non stava cercando di fare
il difficile, ma la paranoia ormai lo stava mangiando. Sapeva che
Eren era a conoscenza del fatto che era solito comportarsi così
quando era scocciato, quindi non si preoccupò del suo atteggiamento
difensivo.
"E tu hai mai sparato prima d'oggi?"
Chiese nuovamente Eren, senza dargli alcuna possibilità di
fuga.
Levi si concentrò sul rumore dei suoi passi, di come
gli stivali scricchiolavano sul pavimento in legno. "No, non con
armi vere." Aveva, tuttavia, usato pugnali in più di
un'occasione - strettamente per autodifesa. Essere basso e ossuto da
adolescente lo aveva sempre fatto finire nei casini.
"Quindi
tu adesso vuoi uscire e sparare a qualche animale perché...? Cosa?
Cosa stai cercando di provare?"
Una bella domanda,
concesse Levi, una che aveva evitato di porsi fin da quando aveva
deciso di comprarsi il fucile.
"Pratica." Rispose.
Era l'unica scusa logica che gli era venuta in mente. Pratica, in
caso qualcuno cercasse di entrare in casa sua o fargli del male. Una
piccola parte della sua mente gli disse che le pallottole non avrebbe
di certo ferito qualcosa che non poteva sanguinare, ma l'essere umano
ha sempre avuto la tendenza di mentire a sé stesso, in modo da
riuscire a dormire la notte.
Eren sbuffò. "Per cosa, le
olimpiadi?"
Levi ridusse gli occhi a due fessure, la sua
inesistente pazienza ormai al limite.
Scegliendo di ignorarlo,
l'uomo si assicurò alla cintura uno di quei pacchi equipaggiati di
torcia, pugnale, repellente per insetti, un kit per il pronto
soccorso e una bussola. Al suo collo pendeva un paio di binocoli.
Il
tutto gli sembrava esagerato, ma chi era lui per sapere se fosse vero
o no. Per essere così deciso ad andare a caccia, si era anche
dimenticato di cercare in internet qualche consiglio. Quelli di cui
era a conoscenza erano quelli di Dimo.
Levi non esitò a
inoltrarsi tra gli alberi, una mano serrata sull'arma. Se si fosse
fermato a ragionare, sapeva che avrebbe girato i tacchi e sarebbe
tornato a casa, ma non voleva permettersi una cosa del genere. Non
aveva idea di chi stesse cercando di convincere, ma aveva bisogno di
convincere qualcosa che non era affatto spaventato. Non avrebbe
lasciato che la paura lo paralizzasse. Come un animale in trappola,
avrebbe attaccato.
Per un attimo si sentì disorientato
dall'ambiente in cui si trovava, poi ricordò che l'unica volta che
era entrato nella foresta era stato in un incubo. Era ovvio che il
posto sarebbe stato diverso e la cosa non fece altro che
calmarlo.
Respirò a fondo, con calma, facendosi strada
rumorosamente in quel labirinto d'alberi.
La prima cosa da
fare: localizzare un cervo.
Era conscio che avrebbe dovuto
allontanarsi molto da casa sua. Aveva bisogno di trovare un posto
pieno d'alberi, scomodo agli umani. Se non lo avrebbe trovato, un
altro posto adatto sarebbe stato un fiumiciattolo, ma avrebbe
preferito evitare.
Tirando fuori il cellulare, accese il
GPS.
"Vuoi veramente fare questa cosa?" Gli chiese
Eren. Levi si sorprese dalla sua mancanza di reazione.
"Se
vuoi rompere le palle puoi tornare a casa."
"Non si
deve andare a caccia da soli."
La presa dell'uomo sul
fucile si fece ferrea. L'ultima volta che aveva camminato tra gli
alberi, Eren lo aveva abbandonato a qualsiasi forza che stava
cercando di farlo impazzire.
Andarono avanti in silenzio,
avvantaggiandosi della luce mattutina. Non c'era un filo d'aria a
scompigliare le chiome degli alberi e nemmeno un uccello cantava.
L'inverno era ormai arrivato, ora mancava solo la neve.
"Erwin
è a conoscenza di tutto questo?"
Eren era di fronte a
lui. Per la prima volta gli apparve quasi traslucido, come se le
ombre che avrebbero dovuto colpirle non ci fossero. Come una fiamma
di una candela, Levi aveva paura che un colpo d'aria lo potesse far
scomparire.
"No e la cosa non cambierà."
Quando
il rumore dell'acqua corrente gli colpì le orecchie, si voltò e
prese a camminare nella direzione opposta.
Evitando rovi e
quella che sembrava una tana, i due camminarono per un altro quarto
d'ora, prima di cambiare sentiero.
"Penso di aver sentito
qualcosa." Disse Eren, corrucciato.
Levi sospirò e prese
a camminare nella direzione opposta. "Era probabilmente il
vento."
"Non penso che il vento emetta
grugniti."
Per suo disappunto, la foresta non sembrava
voler diventare più fitta. Gli alberi erano sottili e distanti l'uno
dall'altro, favorendo una visuali di almeno cento metri più avanti.
Non c'erano impronte sul terreno, quindi iniziò a chiedersi se
c'erano animali o meno.
"Non dovresti nasconderti da
qualche parte e aspettare che qualche animale si avvicini?"
"Per
fare quello," Gli disse Levi, attento a non alzare troppo la
voce. "Devo prima trovare un posto dove i cervi si sentano a
loro agio."
Eren annuì. "Che ne dici del
fiume?"
"No."
"'No' nel senso che
non ce ne saranno o...?"
"Lo lasceremo per ultimo."
Rispose Levi, attento a non apparire troppo sulla difensiva. Non
sapeva perché, ma pensava che evitare di raccontare ad Eren
dell'incubo sarebbe stata la cosa migliore da fare.
"Va
bene," Sbuffò il ragazzo. "Vai avanti e continua a
complicarti la vita come fai sempre."
"Se vuoi fare
i capricci, torna a casa." Gli rispose l'altro, zittendosi
quando notò movimenti quasi fuori dal suo campo visivo.
Muovendosi
il più velocemente e silenziosamente possibile, l'uomo premette la
schiena contro un albero.
"Non voglio andarmene!"
Levi
lo fulminò con lo sguardo e sperò che gli animali non potessero
sentire le voci dei fantasmi.
"Che cosa ti sta
succedendo, Levi? Lo so che sta succedendo un casino assurdo, ma non
sei mai stato così ostile. E non è da poco, come cosa."
Le
sue parole lo scossero, ma decise di non prestarci
attenzione.
Sistemando il fucile, l'uomo si spostò sulla sua
sinistra, cercando il corpo dell'animale. A circa cinquanta metri di
distanza c'era una cerva. Era piccola e il suo pelo era chiaro, stava
annusando una pila di foglie secche.
Nel frattempo, si rese
conto, Eren aveva continuato a parlare.
"Non solo
hai comprato un fucile, ma ti stai anche buttando in situazioni
pericolose. E' come se in qualche modo desiderassi di morire! C'è
sempre stato posto solo per un bastardo suicida in questa vita, ed
era il mio. Ma sai cosa, Levi? Sono cresciuto. Sono diventato un
normale membro della società, nonostante non avessi avuto un padre
su cui contare, nonostante tutte le stronzate. Tu non hai alcuna
scusa. Io sono qui e tu ti stai comportando come se... Come
se..."
Non concluse la frase, lasciando posto ad un
silenzio sofferente.
"Mi stai ascoltando,
almeno?"
Certo. Ovviamente lo stava ascoltando.
Levi
poggiò il calcio del fucile sulla spalla e prese la mira.
Sapeva
che non sarebbe riuscito ad abbattere il suo obiettivo, da quella distanza,
ma se non si fosse deciso a sparare le parole di Eren lo avrebbero
inghiottito. Aveva bisogno di sopprimere quel bisogno di cui non
capiva il significato dentro di sé e non ce l'avrebbe fatta, se Eren
lo avesse obbligato a pensare razionalmente.
La razionalità
non aveva motivo di esistere da quando Eren era entrato nella sua
camera da letto sotto forma di spettro. Era uno scherzo della natura,
eppure gli stava chiedendo di ragionare razionalmente.
C'era
una ragione per le sue azioni ed era certo che non potesse confidarsi
con Eren. Non poteva neanche ammetterlo a sé stesso, nel modo più
semplice, che il bisogno di uccidere un animale innocente era un modo
per sentirsi in controllo di una situazione senza speranza.
Non
era, d'altra parte, lo stesso motivo che accomunava tutti i
cacciatori? Gli umani erano gli unici animali che uccidevano senza
alcuna ragione. Questo era il suo motivo. La calma.
"Non
posso crederci." Disse Eren, ridacchiando senza essere realmente
divertito. Si voltò, quando Levi si preparò a sparare.
Levi
cercò di fermare le sua mani tremanti. Fece un esitante passo in
avanti e il rumore delle foglie secche sotto i suoi stivali fecero
alzare la testa alla cerva, che non lo vide immediatamente.
L'uomo
premette il grilletto troppo presto, non volendo rischiare la fuga
dell'animale.
La mancò di quasi un metro e la pallottola si
piantò in un albero.
La cerva scappò, spaventata dal
rumore.
"Merda!" Levi batté un pugno sull'albero,
prima di portarsi la stessa mano tra i capelli in un gesto frustrato.
Sarebbe riuscito a prenderla se avesse aspettato, se fosse stato
paziente. Sbuffò, cercando di contenere la sua rabbia.
"Questo
è proprio quello che intendevo," Disse Eren, con l'audacia di
apparire compiaciuto nell'aver avuto ragione. "Una volta ci
voleva così tanto per farti incazzare, per farti reagire
così."
Levi fece per allontanarsi, stringendo la presa sul
fucile. "Sai fin troppo bene di non dover insistere così."
Gli disse, con un tono privo di emozioni.
"L'unico
che sta insistendo, qui, sei tu."
"Eren."
"No,
smettila di fare così, Levi. Smettila di cercare di provare
qualsiasi cosa tu abbia in mente, perché non funzionerà. Stai
davvero iniziando a spaventarmi."
Levi lo sorpassò
scocciato, scontrandosi contro la sua spalla. Rimase insoddisfatto
nello scoprire che l'azione non ebbe l'effetto sperato. "Parla
il fottuto fantasma."
"Oh, di nuovo con questa
conversazione." Sbuffò il diretto interessato, alzando le
spalle. "Lo hai detto tu stesso! Non ho nulla da provare... Non
sono cattivo, o qualsiasi cosa tu pensi io sia. Magari... Magari non
ho un corpo, ma sono umano ugualmente."
"No,"
Gli disse Levi, voltandosi per guardarlo in faccia. "Non sei
umano. Sei un fottuto cadavere e i morti dovrebbero rimanere
morti."
"Non lo hai detto seriamente," La sua
era più una rassicurazione per sé stesso, più che un'accusa. "Sei
solo spaventato."
"Come pensi di aver
ragione?"
"Perché quando avevo dieci anni e sono
caduto da un albero, slogandomi una caviglia, mi hai urlato contro
per due giorni consecutivi. Avevi paura di cos'avrebbe detto mia
mamma."
"Cazzate."
"Poi hai provato
a fare il duro, crescendo," Continuò il ragazzo, ridendo
amaramente. "Sempre così calmo e distaccato, e sai cosa? Ora
sei vecchio e solo e tutto quello che hai è uno stupido fantasma a
tenerti compagnia e tutto quello che fai è buttarmi merda
addosso!"
Levi non rispose, guardando la curva arrabbiata
delle sue labbra. "Hai finito?"
"No, non ho
finito! Non avrò mai finito, perché tutto quello che ho sempre
fatto è stato per te, dannazione, e adesso ti comporti come se fossi
la rovina della tua esistenza!"
L'aria nella foresta
stava diventando sempre più fredda, nonostante il sole pomeridiano
illuminasse timidamente le chiome degli alberi.
"Dì
qualcosa," Disse Eren, umettandosi le labbra, cercando
disperatamente di controllare il suo respiro impazzito. Strinse i
pugni. "Qualsiasi cosa."
Non c'era nulla da dire,
decise Levi, perché era stanco di portare avanti discorsi con i
morti. Anche se avesse voluto parlargli non sarebbe stato quello il
momento e il luogo. Aveva bisogno di riordinare i pensieri ed agire
come il mentore che era stato una volta.
Non aveva idea di
come funzionasse la vita dopo la morte, ma sapeva che Eren doveva
andare oltre. Si sarebbe arrangiato con qualsiasi cosa ci fosse nella
casa e con i demoni della sua mente. Ora la sua priorità era quella
di liberarsi di Eren, per la salute di entrambi.
Pronto a
voltarsi e dirigersi verso la civiltà, venne interrotto dal soggetto
dei suoi pensieri.
Venne afferrato per le braccia e sbattuto
contro un albero, gesto che gli mozzò il respiro.
Eren usò la sua
altezza per avvantaggiarsi, bloccandolo col suo corpo e con una
smorfia priva d'espressione. Le sue mani erano premute contro il tronco, sopra
la sua testa, creando l'illusione di una gabbia. Una gabbia
specialmente costruita per contenerlo.
Tuttavia Levi non aveva
paura di lui.
L'elettricità gli accarezzava la pelle,
facendogli rizzare i capelli sulla nuca. La temperatura aveva
raggiunto livelli glaciali e l'uomo poteva vedere la condensa del suo
respiro. La sensazione che stava provando in quel momento era quella
di trovarsi di fronte ad un grattacielo ed ammirarne l'incredibile altezza.
Eren
non si mosse, la sua bocca curvata in una smorfia rabbiosa.
Almeno
stavano provando la stessa cosa, verso quella situazione.
"Non
me ne andrò, finché non sarai tu ad obbligarmi a farlo,"
Sussurrò gelidamente. "Se il tuo comportamento non è stato
abbastanza per farmi allontanare quando ero un bambino, allora di
certo non lo è neanche adesso."
"Non ti
voglio."
"No, non è vero." Disse Eren in un
mormorio. I raggi di Sole gli illuminarono i capelli.
Non
erano mai stato così vicini, dopo la morte del ragazzo, e da lì
Levi poteva vedere la sua pelle intoccata. Poteva vedere le cuciture
del tessuto che gli copriva gli occhi, così come le sue macchie. La
secchezza delle sue labbra, la curva del suo naso. Tutte
le caratteristiche da ragazzino che non lo avevano mai abbandonato.
I
suoi occhi si fermarono sulle bende.
"Le provocazioni
posso farle anche io, sai, Eren." Disse, nonostante nel suo tono
di voce ci fosse una scusa non pronunciata.
Ci fu un momento
di immobilità, prima che Eren si allontanasse, realizzando ci fosse
qualcosa che non andava, ma non si allontanò troppo.
Levi si
mosse per primo, grazie ai suoi riflessi, anche se gli sembrò che il
tempo si fosse fermato.
Le sue dita afferrarono le bende
rovinate e le tirò.
Il ragazzo sbatté le palpebre più di
una volta, mentre Levi lasciò il tessuto sfuggirgli dalle dita, che
si disintegrò prima di toccare terra. Negli occhi del giovane c'era
furia, tradimento, ma l'unica cosa che notò Levi fu l'assenza di
colore nelle due iridi.
I suoi occhi erano grigio pallido con
qualche riflesso dorato. Offuscati e vecchi.
Facendo un passo
indietro, Eren si toccò il viso e, quando le sue mani incontrarono i
suoi occhi, questi si sbarrarono inorriditi.
"Perché avresti fatto...?"
"Nega la mia richiesta e io negherò le
tue."
Levi si diede mentalmente una pacca sulla spalla,
quando non sussultò nel ritrovarsi sbattuto contro l'albero con
abbastanza forza da fargli mancare il respiro.
"Pensi
davvero che le indossassi perché lo volevo?!"
"Pensi
davvero che mi interessi?"
"Levi, questo non è uno
scherzo!" Eren si strofinò il viso con le mani e fu solo allora
che l'altro si rese conto che stava piangendo. Stava singhiozzando,
con lo sguardo rivolto ai suoi piedi in vergogna e pentimento. "Ho
pagato per questo e ci sono delle regole."
Il ragazzo
emise un lamento così disperato che gli fece stringere il cuore.
Voleva
dirgli l'ovvietà, in caso Eren non sapesse che il colore dei suoi
occhi era sbagliato. Se lo avesse saputo, voleva chiedergli perché.
Altre domande, tutto quello che sembrava farsi negli ultimi giorni
erano altre dannatissime domande.
Odiava tutto questo.
Si
ritrovò a volergli rimettere le bende, perché quelli non erano gli
occhi che aveva imparato ad amare. Ovviamente Eren era qualcosa di
più di uno stupido paio d'occhi, ma c'era qualcosa di
fondamentalmente sbagliato nel vederlo così. Erano irreali, come se
fossero stati tolti ad una bambola e spinti nelle sue
orbite.
Qualcosa, dentro di Levi, si ruppe, ma non seppe
dargli alcun nome.
"Ho sbagliato tutto," Disse Eren,
coprendosi la bocca con le mani. "Dio, ho sbagliato
tutto."
Levi scosse la testa, sentendosi in colpa.
"Eren."
Ma neanche fece a tempo ad alzare una mano
che Eren sparì.
•••
Erwin arrivò con un
sorriso falso ad incurvargli le labbra, armato di cibo cinese. Erano
le sette di sera e nessuno dei due disse nulla, a parte una domanda
su Eren, alla quale Levi rispose con una scrollata di spalle.
Il
cibo rimase per lo più intoccato e venne messo in frigo per il pasto
successivo.
Le luci vennero accese presto e vennero chiuse
tutte le serrature possibili.
"La donna della farmacia mi
ha detto che del sale avrebbe tenuto fuori le presenze maligne."
Disse Levi.
"E tu ne hai?" Gli chiese l'altro, senza
esitazione.
"Non il tipo di cui mi ha
parlato."
"Dovremmo andarlo a prendere,
domani."
Mentre Erwin si sistemava sul divano, Levi si
dedicò alla pulizia della cucina, sgrassando i ripiani, gli
utensili, il pavimento, il frigorifero. Continuò, inalando i fumi
chimici senza sbatter ciglio.
Le sue mani gli sembravano
fredde e umide, come se avesse giocato nel fango, solo più gelide.
Aveva prurito ai palmi, ma nonostante si continuasse a grattare, non
sembrava intenzionato a sparire. Quindi strofinò più
forte.
Continuò, facendo formare schiuma candida e immacolata. Ma le sua mani continuavano a prudergli. Le serrò,
fino ad affondare le unghie nei palmi, eppure non avvertì alcun
sollievo. La sua disperazione era soffocante tanto quanto
l'oscurità che proveniva dalle scale, quelle in cui Erwin aveva
acceso la luce. Levi non ricordava aver toccato l'interruttore.
Con
un nodo in gola, chiuse il rubinetto.
Calore, decise: aveva
bisogno di calore. Con il calore avrebbe combattuto il freddo.
Cercò
un accendino in un cassetto, solo per scoprirlo vuoto.
Si
guardò attorno, nella cucina, alla ricerca di qualsiasi cosa che
sarebbe potuta tornare utile, solo per soffermarsi ai
fornelli.
Sprecare del gas su qualcosa come un prurito
fantasma era assurdo, ma ormai non sapeva cos'altro fare. Il prurito,
il freddo, la sensazione di bagnato erano tutte presenti, ma non
abbastanza da poter essere chiamate fisiche.
Tè. Si sarebbe
fatto del tè e avrebbe tenuto le mani vicino alla fiamma: avrebbe
preso due piccioni con una fava.
"Lo faccio io."
Disse Eren e Levi si voltò di scatto con gli occhi sbarrati.
Per
la prima volta non lo aveva sentito avvicinarsi.
"Non ce
n'è bisogno."
"Insisto." Disse, sorpassandolo,
stando attento a non toccarlo. "Siediti. Mi sembri stanco."
Lo
era, definitivamente. Voleva dire al fantasma di uscire dalla sua
cucina, che aveva bisogno di scaldarsi le mani, ma qualcosa lo
fermò.
Senza alcuna ragione, eppure si ritrovò a
tacere.
Non voleva parlare con Eren, non poteva. Per la prima
volta si sentì genuinamente a disagio in sua presenza, ma era una
sensazione probabilmente data dal fatto che ormai poteva vedere i
suoi occhi. Non era una semplice apparizione: era Eren, ora, anche
con gli occhi di colore diverso.
Prima che potesse
registrarlo, i suoi piedi si mossero, portandolo a sedere su uno
sgabello dell'isola.
Levi guardò la schiena del fantasma,
mentre questo si muoveva nella cucina, tirando fuori ciò di cui
aveva bisogno. Nessuno parlò, probabilmente Erwin si era anche
addormentato.
L'intera giornata gli sembrava sbagliata. C'era
pesantezza, sia nel loro silenzio che nelle loro parole.
Tutto
questo era sbagliato, così sbagliato, così sbagliato, eppure
non sapeva dire perché.
Il bollitore prese a fischiare ed
Eren versò silenziosamente l'acqua nella tazza.
Non lasciò
la bustina di tè abbastanza a lungo. Non aggiunse abbastanza
zucchero, abbastanza miele, ed era come guardare un sacrilegio
svolgersi davanti ai suoi occhi.
Non c'era familiarità nel
modo in cui Eren mise la tazza sul ripiano dell'isola, di come
lentamente la spinse verso Levi. Non parlò, non incontrò i suoi
occhi.
Levi abbassò lo sguardo sulla bevanda, assaggiandolo
nonostante il senso di allarme che urlava nella sua testa.
Il tè
sapeva di marciume.
Il tè, così come tutto il resto, così
come il sorriso che incurvava le labbra di Eren – era tutto
sbagliato.
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Capitolo 8 *** Pale Sun ***
Hoe chap 8
Sono
tornata, eh! Godetevi questo capitolo, in particolare la prima
metà, perché la fine vi lascerà decisamente
scioccati. Buon capitolo!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
__________________________________________________________________
"Pensi di essere pronto a provare nuovamente ad andare a caccia?" Gli
chiese Eren. Era sdraiato sul divano, usando il cappotto che Erwin si
era lasciato dietro come un cuscino.
Levi non smise di digitare al pc, non allontanò neanche lo
sguardo dallo schermo. Aveva bisogno di finire il rapporto per mezzo
giorno. "Ovviamente sì." Rispose, corrugando le sopracciglia
quando il rumore di una nuova mail in casella catturò la sua
attenzione.
"Spero tu non abbia sprecato tempo, al poligono," Ridacchiò il
fantasma. "O i soldi. Chi ha pagato per le lezioni, tu o Erwin?"
"Io." E il ragazzo lo avrebbe saputo, se si fosse fatto vivo più spesso.
Era passato un mese dal loro ultimo litigio e le cose erano state
tranquille da allora. Nessuna lampadina rotta, nessun rumore di passi e
pure il corridoio era sparito.
Il prezzo per quella normalità, tuttavia, si era dimostrato alto.
Aveva passato innumerevoli notti a pensare, cercando di collegare i
pezzi. Levi sapeva esattamente quando le cose avevano iniziato a
cambiare, ma non aveva idea del perché. All'inizio aveva pensato
fosse dovuto al fatto che Eren era arrabbiato con lui, ormai
però non ne era più sicuro.
Il comportamento del ragazzo si era fatto più acido, più
sarcastico e continuava costantemente a lanciargli frecciatine,
preparandogli il tè malamente. Eren aveva già fatto il
broncio per mesi, in precedenza, ma questa volta era diverso.
Perché sorrideva, scherzava e agiva come se non avesse alcun
pensiero in testa. Non era per niente arrabbiato.
Eppure era diverso.
Una parte di Levi sapeva che la freddezza del giovane nei suoi
confronti era più che meritata. Aveva violato i suoi voleri, lo aveva
spogliato dell'unica cosa che gli dava conforto. La colpa non smetteva
di mangiarlo da dentro, ma cercava sempre di non perdercisi troppo. Non
poteva cambiare ciò che aveva fatto e neanche Eren ne sembrava
più preoccupato - a parte quando gli preparava il tè, o
quando spariva durante i week end.
Quanto più le attività paranormali diminuivano, più Levi si sentiva al sicuro.
Era mercoledì mattina e aveva deciso di lasciare ad Erwin e Mike il loro spazio.
"Dovremmo andare a fare una prova." Gli disse Eren, rotolandosi sul divano fino a trovarsi sdraiato sullo stomaco.
I suoi occhi chiari erano un tratto a cui mai si sarebbe abituato.
Magari era meglio che tendesse a sparire spesso, anche se non poteva
fare a meno di chiedersi dove andasse a finire. "Non eri contro il mio
voler andare a caccia?"
"Dato che non posso fermarti, posso almeno darti il mio supporto da bravo maritino."
Levi digitò la data, salvò i documenti e mandò il tutto nella mail di Erwin.
Da quando Eren abbandonava le sue morali?
"Grazie." Gli disse cautamente. Aprì la mail che gli era arrivata precedentemente, scoprendo
un invito da parte di Hanji ad andare al bowling il sabato dopo. La
eliminò.
Eren si grattò il mento e incrociò le gambe alle
caviglie. "Posso farti una domanda?" Strinse il cappotto tra le sue
braccia.
"Dimmi."
Il ragazzo sorrise. "Se avessi la possibilità di cambiare le cose come stanno," Disse, chiudendo gli occhi. "Lo faresti?"
Levi ridusse la pagina ad icona e mise il pc in stand by. "Quanto devo essere onesto?"
"Brutalmente." C'era una certa forza dietro a quella parola, come se volesse renderla quasi tagliente.
Voltandosi verso il fantasma, Levi appoggiò un gomito sul
tavolo. Lo guardò, tracciando con gli occhi la morbida curva
della sua schiena e il suo collo forte. Spalle larghe, così come
la schiena, la strettezza dei fianchi e le natiche sode, cosce
muscolose e piedi adorabili. Eren era perfetto, a parte i suoi occhi.
Le domande che iniziano con i se non hanno senso e Levi mai ci aveva
perso dietro molto tempo. Una volta che una decisione era presa, tutto
quello che gli rimaneva era sperare di non pentirsene in futuro.
Se fosse stato a casa, quel giorno, se fosse partito dieci minuti
prima, se, se, se - se Eren non fosse morto, qualcosa di simile
sarebbe successo.
"No," Rispose semplicemente. "Cambiare le cose ora renderebbe ogni
scelta difficile obsoleta e nessuno sarebbe felice di sapere di aver passato invano i momenti peggiori della sua vita."
"E' un pensiero particolarmente egoista."
Levi scrollò le spalle. "Non puoi essere l'eroe di nessuno, a
meno che tu non decida di mettere la tua sicurezza al primo posto. Per
esempio, se il tuo impero crolla in guerra, come puoi pensare di avere
entrambi i territori nelle tue mani?"
"Un po' come succede negli aereo," Ragionò ad alta voce il
giovane. "Quando ti dicono di metterti per primo la mascherina per
l'ossigeno e dopo aiutare chi è accanto a te, anche se è
un bambino."
"Qualcosa di simile, sì."
Eren emise un suono di cui non comprese il significato, stringendosi
una ciocca di capelli tra due dita. "Non mi vorresti indietro?"
"Sei già qui." Rispose l'uomo, portando gli occhi al cielo.
"Vero." Con uno sbadiglio, Eren si mise a sedere. La sua maglietta era
spiegazzata e gli scopriva una parte di stomaco. "Ma..." Levi lo
guardò alzarsi su gambe traballanti e percorrere la breve
distanza che li separavano. "Fino ad ora mi sei apparso decisamente
riluttante a scoparti un fantasma."
Il pensiero gli era passato per la testa un paio di volte, ma l'ultima
cosa che voleva fare era pensare intenzionalmente di fare sesso con una
persona morta.
"Non avrei mai immaginato che anche i fantasmi avessero certe voglie,"
Gli disse, rizzando la schiena quando Eren gli si mise a cavalcioni.
"Devo ammettere di non sapere cosa pensare."
Eren gli fece un mezzo sorriso e portò la destra a grattarsi lo stomaco.
Era una tattica che Levi conosceva bene. Il moccioso sapeva come
manipolarlo, come trasformare il più semplice dei gesti in
qualcosa di altamente provocante. Portandosi una mano sulla nuca,
grattandosi lo stomaco, giocherellando con i peli scuri sotto
l'ombelico - abbassandosi i pantaloni tanto da fargli vedere cosa
nascondevano.
"Non pensarci troppo," Gli disse, premendogli un bacio sulla guancia. "Limitati a portare una mano nei miei pantaloni."
Non poteva mentirsi tanto da dirsi che non voleva andare a letto con lui, ma aveva ancora dei limiti. "Eren-"
Eren lo zittì con un breve bacio sulle labbra.
Il suono di una zip abbassata attirò la sua attenzione, ma non
osò guardare. Poté vedere, con l'angolo dell'occhio, il
giovane leccarsi un palmo.
"Non devi fare nulla, se non vuoi," Gli fisse. "Lasciami fare da solo,
ok? D'altra parte io non ho nessuno che mi aiuti in queste cose."
Levi si voltò verso di lui solo per fulminarlo con lo sguardo. "Non sono andato a letto con lui."
"Ma ci pensi tutto il tempo," Rispose l'altro, col pugno ora stretto
attorno alla sua erezione. "Ti sei sempre vantanto di quanto grande è e
di come riesci a prenderlo."
Levi inghiottì con una certa difficoltà.
Eren schiuse le labbra, lasciandosi sfuggire brevi ansimi.
"Guarda,"
Gli disse, stringendosi la base del membro. "Mi fai ancora eccitare,
Levi. Cazzo se mi fai eccitare." Inclinandosi in avanti, il fantasma
afferrò la spalla dell'altro con la mano libera. "Ti ho mai d-detto che
la prima volta che mi sono toccato, l'ho fatto a causa tua?"
Non ebbe bisogno di rispondergli.
"Avevo
tredici anni," Continuò, iniziando a muovere i fianchi. "Armin
continuava a portarmi di nascosto dei giornaletti porno, ma... merda...
Le tette non hanno mai fatto per me." La sua risata venne strozzata da
un gemito. "E poi eccoti, proprio tu, che entri in salotto con una
t-shirt sudata, quel ridicolo fazzoletto in testa per tenerti i capelli
lontani dagli occhi." Il ragazzo accelerò i movimenti con la mano.
"Cazzo, ricordo tutto così bene. I tuoi capelli erano così lunghi che
ci facevi la coda di cavallo."
Levi ricordava quel giorno. Si era fermato a casa degli Jaeger per pitturarne l'esterno.
"Anche
durante cena," Continuò il giovane, senza più riuscire a trattenere i
gemiti. "Non riuscivo a smetterla di toccarmi da sotto il tavolo."
Con le mani ora sulle cosce di Eren, Levi le strinse, portandosi il corpo dell'altro contro il proprio.
Non
avrebbe dovuto fare così, qualcosa gli diceva di resistere, ma il modo
in cui si muoveva sulle sue gambe, il modo in cui stringeva il membro
turgido tra le dita, era troppo. Aveva le guance ormai rosse e le sue
labbra screpolate in alcuni punti si erano rotte, ma Eren continuò a
masturbarsi.
"Che cosa hai fatto, poi?" Si ritrovò a chiedergli. "Dimmelo."
"Mi
sono n-nascosto sotto le coperte, quella notte," Rispose il giovane, ma venne
fermato dal delizioso gemito che gli sfuggì dalle labbra. "M-merda, è
stato così bello. Dio, Levi, è stato fottutamente fantastico, toccarmi
e pensare che fossi tu, che mi baciavi e che mi toccavi..."
Levi
nascose il viso sulla spalla dell'altro, soddisfatto della sua
concretezza, nonostante il freddo del suo corpo. "Sei venuto?" Gli
chiese, combattendo l'istinto di masturbarsi lui stesso.
Stranamente Eren lasciò la presa su sé stesso.
"No,"
Gli confidò con un sorrisetto da demone. "Ogni volta che passavi z
casa mi toccavo, perché il ricordo del tuo odore era ancora fresco
nella mia mente." Eren abbassò lo sguardo, guardando quasi con estasi
il proprio membro eccitato. "Continuavo a farmelo venire duro, mi
toccavo, ma non venivo mai, non mi sono mai lasciato venire, fino a quando non
ti ho visto baciare Petra prima di andare via."
Il ricordo era
offuscato, ma ricordò di aver baciato Petra sull'uscio della casa degli
Jaeger. Ai tempi stavano ancora assieme.
"Ricordo
il modo in cui le hai leccato le labbra." Sussurrò Eren, con gli occhi
scuri di lussuria. "E il modo in cui lei ti ha stretto il culo tra le
mani. Quella notte ti ho immaginato fare a me quelle cose e, cazzo,
sono venuto così forte."
Levi sentì la propria eccitazione risvegliarsi sotto i pantaloni.
"E ora farai la stessa identica cosa." Concluse Levi, con voce tremante.
Eren lo schiaffeggiò
giocosamente sulla guancia. "Verrò solo quando il mio amato
papino farà la stessa cosa assieme a me."
Levi sbarrò gli occhi. "Non è giusto."
"Sei tu quello ad essere riluttante a fare sesso con me."
"Potrei riconsiderarlo."
Eren
ridacchiò e, prima che Levi potesse far qualcosa, si mise in piedi. La
sua erezione sobbalzò al movimento, così si diede un'ultima carezza,
prima di sistemarsi i pantaloni con un soffio. Saltò sul posto e fletté
le gambe.
L'evidente rigonfiamento dei suoi jeans invitò Levi a
portargli le mani ai fianchi, immobilizzarlo, leccarlo e morderlo
gentilmente fino a farlo venire nei pantaloni. Fortunatamente riuscì a
mantenere un certo controllo.
"Andiamo a caccia," Gli disse
Eren, stringendosi un'ultima volta l'erezione attraverso i pantaloni.
"Nulla riesce a scaldarmi tanto quanto una bella pistolona."
•••
Un sottile strato di neve copriva il terreno.
Gli
arrivava solo alle caviglie e riusciva a muoversi facilmente, era tutto
il resto a cui si doveva ancora abituare. Tenere in mano il fucile,
d'altra parte, gli era venuto più semplice dopo le settimane di
allenamento.
"Mi manca l'autunno," Disse Eren, felicemente
avvolto nel suo cappotto. Le sue guance erano subito diventate rosse,
dando l'illusione che appartenesse al mondo dei vivi. "Mi piace quando
gli alberi iniziano a perdere le foglie. L'inverno è così... meh:
specialmente quando devo condividere la casa con la persona meno
attaccata alle festività della terra."
Con gli occhi a terra,
controllando attentamente l'area alla ricerca di qualsiasi traccia,
Levi emise un grugnito. "Pensavo ti arrangiassi a decorare la casa come
hai sempre fatto."
Voltandosi per guardarsi oltre la spalla, Eren sbuffò. "Non sapevo avessimo qualche sorta di decorazione."
"Sono
nella scatola nello sgabuzzino," Gli disse Levi, scavalcando un albero
caduto. "Come sempre. Penso ci sia anche il Menorah di tua madre."
"Oh." Fu tutto quello che disse Eren, prima di fermarsi.
Levi
quasi gli si scontrò addosso, se non fosse stato per la mano che gli si
poggiò sulla spalla, fermandolo a sua volta. "Cosa c'è?" Gli chiese, ma
qualsiasi altra domanda che avrebbe potuto fare sparì dalla sua testa,
quando Eren annullò lo spazio tra di loro per rubargli un bacio veloce.
"Possiamo sistemare tutto questo da soli, giusto?"
"Sistemare cosa?"
"Questo...
Casino." Gli disse il ragazzo. La mano che gli aveva appoggiato sulla
spalla salì fino ad intrecciarsi tra le sue ciocche corvine. "Lo so che
non è normale, ma forse in qualche modo potremmo farcela."
Leccandosi le labbra, Levi continuò a camminare. "Sei davvero così disperato per una scopata?"
Eren finse di pensarci sopra. "Beh, sì, ma non è solo quello."
"Elabora."
"Come
ho detto quella volta, non è stato facile venire fin qui. Mi è costato
più di un braccio e una gamba, insomma." Gli disse, puntandosi gli
occhi. "Lo so cosa vorresti dirmi adsso e hai ragione, ci siamo passati
prima. Ma, sai, magari potremmo parlarne? Dire tutto?"
L'uomo si
fermò un momento, osservandosi attorno prima di decidere in che
direzione continuare. Scelse di seguire lo stesso sentiero dell'altra
volta e continuare a camminare fino a trovare un punto con una maggiore
densità di alberi.
"Ti sto ascoltando." Quella era una mezza verità.
Eren
raramente si ripeteva e facendolo adesso aggiungeva solo un altro senso di
stranezza utile solo a farlo irritare. Avevano già parlato di quello,
avevano raggiunto un accordo ed era stato proprio Eren a non seguire i
loro patti. Aveva promesso di andarsene e non lo aveva fatto. Aveva
promesso di non volere troppo, ma l'aveva fatto. Tutto quello che aveva
fatto Levi era stato reagire.
Per un po' non ottenne nessuna
risposta e, in più di un'occasione, il giovane gli tirò una manica per
indirizzarlo dove pensava avrebbero avuto più fortuna.
"Voglio
che tu ti senta a tuo agio," Gli disse il giovane. "Voglio farti
rilassare, massaggiarti i piedi dopo una giornata di lavoro.
Condividere con te i pasti, la doccia, la cucina. Mi manca tutto
questo. A te?"
Più di quanto avrebbe voluto ammettere, in realtà. "Se è ciò che vuoi." Rispose semplicemente.
"Ma tu lo vuoi? Ti scoccerei solo, se non fosse così."
Levi sospirò. "Non riesco a
capirti." Gli disse, corrucciandosi quando Eren si fermò davanti
a lui. "Continui a cambiare."
Eren
si voltò verso di lui lentamente e, per una volta, il suo viso era
completamente privo di emozioni. La sua era un'espressione più adatta a
Levi. "Cosa intendi?"
Per nessuna reale ragione, ma piuttosto
perché gli dava una certa pace, Levi sistemò la presa sul fucile. "Hai
voluto la mia onestà, no? Sei cambiato."
"No, non lo sono."
"Non
ti infili sotto le coperte quando dormo," Disse Levi, riuscendo a
mantenere un tono di voce disinteressto. "Non mi aspetti davanti la
porta, non hai toccato il gelato."
"Oh, quindi vuoi che faccia il cagnolino e che aspetti in ginocchia il tuo ritorno?"
Un brivido percorse la schiena dell'uomo.
Un'altra conversazione già avuta, questa un anno prima della morte di Eren.
Era
stato lui stesso a dire al giovane di non comportarsi come un servo, ma
Eren gli aveva assicurato che gli piaceva comportarsi a quel modo. Eren
voleva compiacere suo marito e Levi aveva finito con l'accettare quel
suo lato, a patto di viziare a sua volta Eren tra le coperte.
Quello era l'unico aspetto della sua vita in cui Eren aveva deciso di fare il sottomesso.
Ciò
che Nana aveva detto circa la casa gli tornò alla mente. Un eco
diveniva sempre più distorto quanto più viaggiava, quindi magari era quella la
causa dei comportamenti del fantasma. Eren era ormai un vecchio eco.
Magari,
magari, magari. Levi odiava così tanto quella parola e odiava anche la
sua implicazione. Non aveva nulla di cui si poteva fidare, solo mezze
teorie che spesso rifiutava quando Eren gli rivolgeva un sorriso dolce.
In
qualsiasi caso l'uomo decise di stare più attento. Avrebbe soddisfatto
le richieste del giovane per quanto poteva, ma non si sarebbe mai dato
ciecamente ad un'apparizione.
"Sembri aver dimenticato anche come fare il tè correttamente." Commentò.
Eren lo fulminò con lo sguardo. "Mi dispiace, Sua Grazia."
Levi stava per rispondere, quando il rumore di acqua corrente lo interruppe.
Il freddo poteva anche andare a farsi fottere, perché prese a sudare.
"Direi che hai visto un fantasma,
ma sai com'è." Disse Eren, apparendo al suo fianco a braccia
incrociate. "Cosa c'è?"
Levi
portò lo sguardo dagli alberi ad un Eren impaziente. "Non penso questo
sia il posto giusto." Disse, conscio che quello non era né il posto né
il momento adatto per discutere dei suoi incubi.
"Sei pazzo?
Questo posto è perfetto!" Ribatté Eren, afferrando la tracolla del
fucile per tirarlo verso la spiaggia. "E' tutto ghiacciato, altrove,
quindi sicuramente qualche animale passerà di qua."
La forza di
Eren era anche troppa e togliersi il fucile non era un'opzione valida.
Si lasciò quindi trascinare, cercando di controllare il senso di nausea
che gli attanagliò la gola e lo stomaco. Una parte di lui voleva
aggrapparsi ad Eren in modo da negargli la possibilità di svanire da un
momento all'altro com'era successo nel suo incubo.
Il suo orgoglio vinse, così strinse la stretta sull'arma.
Il
corso d'acqua era simile a quello del suo sogno, ma non troppo. Era
relativamente più largo e i massi erano grigio chiaro e non
neri. Tutto era più chiaro, il luogo illuminato dai raggi solari e dai
loro riflessi sulla neve.
Ripensandoci ora, l'inquietante scena
di cui era stato protagonista quella notte appariva come un vecchio
sogno, completamente oscurata da ciò che si trovava davanti ai suoi
occhi in quel momento. Come se non avesse mai fatto quel sogno, ora non
aveva affatto paura ad avvicinarsi all'acqua.
"Bello, vero?" Gli chiese Eren, lasciandolo camminare vicino alla riva nevosa.
"Sei già venuto qui?"
"Due
volte," Gli rispose. "Avresti dovuto vederlo in autunno." Eren sorrise.
"Ora, immaginatelo d'estate. Dev'essere fantastico."
"Tutto è
più bello d'estate." Sbuffò Levi, cercando un posto dove sistemarsi. Se
Dimo diceva il vero, avrebbe potuto aspettare anche qualche ora, prima
che un animale facesse capolino per abbeverarsi.
"Ti ricordi quella volta in spiaggia?" Disse Eren, proprio vicino al suo orecchio.
Levi riuscì a non sobbalzare, però diede una gomitata al giovane. "Non fare così quando sono armato."
"E
cosa potrebbe succedere? Riusciresti ad uccidere per sbaglio un
fantasma?" Eren rise, abbracciandolo da dietro, premendogli un gelido
bacio sulla nuca. "La prima volta che ti ho visto in costume da bagno-"
"E'
stata la volta in cui ti ho quasi fatto annegare." Finì Levi,
allontanandosi dall'abbraccio. Il Sole del sud non era stato d'accordo
con lui, arrostendolo fino a farlo assomigliare ad un'aragosta. Era
stato al centro delle prese in giro per anni. "Troverò un modo per
spararti."
"Va bene, signor Cacciatore. Dove andiamo ad aspettare?"
Levi
scelse un punto a sud del fiumiciattolo, dove c'erano più arbusti che
lo avrebbero nascosto. Dallo zaino tirò fuori una pannocchia, una mela
tagliata e una carota a cubetti, che sistemò tra gli alberi verso est e
ovest.
Quando arrivò mezzogiorno l'aria si fece più fredda e
l'uomo mormorò qualche parolaccia. Non si era coperto abbastanza e il
freddo iniziava a farsi sentire. Neanche lo scalda mani offriva troppo
aiuto.
Di fronte a lui Eren continuava a camminare avanti e
indietro. Canticchiò, disegnò qualcosa sulla neve con l'aiuto di un
bastone, per poi calciare il tutto. Sospirò, stufo di dover aspettare e
irritato dal non voler parlare da parte di Levi.
"Quant'è che dobbiamo stare qui?"
Levi
scrollò le spalle, studiando attentamente l'area attorno a loro. Fino a
quel momento non c'era stato alcun movimento o suono, eccetto quello
dell'acqua.
"Mi sto annoiando."
Colpito improvvisamente
da un'idea brillante, Levi passò ad Eren il suo telefono, ma non prima
di averlo impostato in vibrazione.
Funzionò. Eren si tenne
occupato con tetris. Con un po' di fortuna i cervi non potevano sentire
i ringhi frustrati di un fantasma.
"Pensi di poter ferire un
cervo senza ucciderlo?" Chiese Eren, sempre concentrato sul gioco. "Mi
piacerebbe avere un animale domestico."
Levi portò gli occhi al cielo. "Non adotteremo un cervo." Disse, attento a mantenere la voce più bassa possibile.
"In qualsiasi caso, pensi che sarebbe facile addestrarlo?"
"Non sono cani."
"Già."
Il ragazzo poggiò il telefono sulle sue gambe, dopo aver probabilmente
perso per l'ennesima volta. "Come pensi che funzioni l'addestramento,
però? Bisogna essere stupidi o intelligenti? Cioè, posso insegnare ad
un bambino di fare cose specifiche e posso insegnare ad un cane a fare
cose specifiche. Fanno parte di due specie completamente differenti con
differenti capacità mentali, ma alla fine... Puoi far far loro cose
specifiche."
Levi portò la sua attenzione dalla foresta ad Eren. "Penso tu stia confondendo l'imparare col comportamentismo."
"Ma non puoi imparare un comportamento?"
"Gli umani possono, ma non fino a quel punto."
"Ma gli animali ci riescono." Era un'affermazione impostata da domanda.
"Con un addestramento intenso e mirato."
"Anche
gli umani possono essere addestrati." Disse Eren. Le sue parole furono
un mormorio pensieroso. "Come i cani che sbavano nel sentire il suono di una
campanella."
Levi corrugò le sopracciglia in un gesto di disagio.
Era
strano sentire Eren prendere parte ad una conversazione simile, quando
non era mai stato una persona a cui piacevano discorsi del genere.
L'uomo poteva quasi vedere gli ingranaggi lavorare nella testa del
fantasma, come se quest'ultimo avesse realmente deciso di addestrare un
cervo, col suo consenso o meno.
"La psicologia non era una delle mie materie migliori, al college." Disse Eren. "Ma è ugualmente interessante."
"Pensi di voler addestrarmi?"
Probabilmente avrebbe fatto meglio a non porre quella domanda, ma aveva bisogno di sapere a che gioco stavano giocando.
Lo sguardo di Eren fu tagliente, ma
gentile, e la sua bocca s'incurvò in un sorriso genuino. "Non
è il lavoro di Erwin, quello?"
Levi
sgranò gli occhi per un attimo, non aspettandosi una risposta simile.
Portò il peso da una gamba all'altra. "Non c'è bisogno che tu sia
geloso."
"Non è colpa mia, se lo sono." Gli rispose, portandosi
le gambe al petto per tenersi più al caldo. Appoggiò il mento sulle
ginocchia. "Cioè, io ho sacrificato più di metà di me stesso per
tornare e tu mi ripaghi così."
"Non ti ho chiesto di tornare."
"Sei proprio un ingrato, eh?"
"Parla l'egoista."
"La
morte ti strappa la coscienza." Spiegò Eren, continuando a sorridere.
"Ho smesso di essere il perfettino che sono sempre stato."
Levi fece scivolare le dita lungo la canna del fucile. "Allora quanto è rimasto di Eren?"
"Cosa ti garantisce che io sia io?"
"L'illusione di un vedovo addolorato." Rispose semplicemente Levi.
"Bene." Disse Eren. Si alzò
con un grugnito e si pulì dalla neve. "E' più facile
addestrare un cavallo che è già stato domato."
Levi
si diede un colpo alla caviglia, quando sentì un morso di una formica,
solo per rendersi conto che nulla avrebbe potuto morderlo. La rabbia
che sentiva, la furia, era qualcosa che era cresciuto nel retro della
sua mente e del quale non se n'era neanche accorto. Non doveva stare
calmo, perché era in perfetto controllo di sé stesso, nonostante fosse
accecato dalla rabbia.
Era questa la sua confessione?
La confusione non fece che aggiungersi al fuoco che aveva dentro.
"Se è così che deve andare, devi essere onesto con me." Disse Levi, muovendo le mani sul fucile.
"Sono sempre stato onesto, sei tu che non ascolti."
"Cazzate."
"Ti
ho detto di non toccare le bende attorno alla mia testa, no? Me le hai
strappate di dosso." Eren si portò una mano al viso. "Adesso ne dovrai
pagare le conseguenze."
Il rumore di un ramoscello spezzato
catturò la loro attenzione e Levi si voltò giusto in tempo per notare
del movimento verso ovest. L'uomo si alzò immediatamente e si mosse tra
gli alberi, cercando un posto dove prendere la mira.
Eren era dietro di lui, ma anche la sua attenzione era sull'animale.
Il
riflesso del Sole sulla neve rendeva quasi impossibile tenere traccia
dell'animale, ma da quel punto Levi era certo di poter colpirlo.
Essendo sempre stato veloce ad imparare, perfezionare la sua mira al
poligono era stato semplice.
Ignorò il freddo, quando si stese
sulla neve, col calcio del fucile contro la spalla. Immobile, poteva
vedere una massa nera simile al cervo del suo incubo. Qualsiasi cosa
fosse stata, Levi l'avrebbe uccisa e per lui sarebbe stata una
vittoria, per quanto piccola potresse essere.
La forma si
muoveva veloce, correndo nascosta dagli alberi. Come se sapesse che
Levi la stava guardando, si nascondeva usando il riflesso del Sole.
Levi non si fece scoraggiare da quel comportamento.
"Si sta
allontanando." Sussurrò urgentemente Eren. Stava seguendo il
fiumiciattolo e, se Levi non si decideva a sparare, avrebbe dovuto
spostarsi. Seguire i movimenti di una bestia non era il suo
forte. "Levi?"
Levi lo ignorò, accarezzando col dito il grilletto.
Lasciò
svanire tutto ciò che c'era attorno a lui. Dal freddo alla neve,
dall'amarezza alla frustrazione irrisolta, fino alla rabbia tutto svanì
con un battito di ciglia. Lo scrosciare dell'acqua non divenne nulla se
non un rumore di sottofondo.
"Spara!" Soffiò Eren, ma ciò non lo
fece preoccupare. Per la prima volta, le azioni completamente fuori
carattere di Eren non lo scossero.
Aspetta, le parole di Dimo riverberarono nella sua mente. Studia
le sue abitudini, come si muove, cosa gli piace e aspetta. Mettiti
comodo e aspetta tre anni se devi, ma non affrettarti. Non spaventare
la tua preda. Aspetta.
Levi non aspettò.
Premette il grilletto col prossimo inspiro e non osò espirare fino a quando non vide il corpo toccare terra.
Di
fianco a lui Eren sospirò di sollievo, iniziando a ridere nel mezzo di
esso. "E' stato fantastico." Disse, sorridendo a Levi, porgendogli una
mano per aiutarlo ad alzarsi. Levi la prese. "Andiamo a vedere cos'hai
preso."
Eren lo precedette, mentre Levi sistemò ciò che si era
portato nello zaino, con le dita che sembravano vibrargli. Il rinculo
di un'arma era decisamente soddisfacente. Non c'era nulla di più
gratificante del processo di preparare un piano, agire secondo esso e
ottenere ciò per cui aveva lavorato.
Attento di non lasciarsi
nulla indietro, Levi corse fino alla sua vittima, solo per rimanere
confuso dall'espressione di Eren, quando lo raggiunse.
Inizialmente, non vide nulla.
Tutto
quello che registrò fu uno strano mormorio nella sua testa, nel vedere
la neve intoccata. L'albero occasionale catturò i suoi occhi, quando si
guardò attorno. Il Sole lo accecò momentaneamente.
Poi, tutto apparì.
Iniziò
col sangue, che macchiava il bianco intoccato della neve. Un rosso così
scuro che era quasi surrealmente bello, nel suo contrasto con i suoi
stivali neri. Eppure, l'immagine davanti a lui era come sfocata.
Non c'erano corna, ma solo delle ciocche bionde.
Nessuna pelliccia, ma solo un cappotto e un paio di jeans.
Nessuno zoccolo, ma solo un paio di scarpe da ginnastica.
Lucidi occhi blu guardavano il cielo, senza vederlo realmente.
Nonostante avrebbe dovuto farsi
numerose domande, nella sua testa regnava il silenzio. Perse la
capacità di fare qualsiasi cosa.
Eren
si accucciò lentamente a terra, evitando la neve macchiata di sangue.
Alzò le mani, allontanando il cappotto dal corpo a terra solo per
rivelare altro sangue che macchiava la felpa sotto di esso.
C'era un buco nel suo petto, proprio sopra il cuore.
Eren
coprì la ferita fatale e fece attenzione a mantenere un'espressione
neutra, quando alzò il viso verso Levi. Con le labbra premute in una
linea sottile, scosse la testa.
La scena si allontanò, facendosi
sempre più lontana, fino a quando si rese conto di essere lui ad
allontanarsi, facendo un passo dopo l'altro, come se potesse correre -
veloce - lontano da ciò che aveva compiuto.
Appoggiando il
fucile a terra si portò una mano a coprirsi la bocca. Nuovamente le sue
mani gli parvero umide e non era altro che colpa sua.
Era davvero colpa sua e non c'era nulla che potesse fare, ormai.
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