Relitti nomadi. di EvgeniaPsyche Rox (/viewuser.php?uid=125348)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 1 *** I. ***
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Relitti nomadi.
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Preambolo.
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Poco più di tre ore d'auto e la sua vita aveva già assunto colori nettamente diversi.
Durante il viaggio si era sentito come drogato, sotto effetto di chissà quale sostanza allucinogena che lo aveva trascinato in una dimensione parallela. Il dolore era totalmente anestetizzato, lasciando posto ad un'eco sorda, lontana dal suo cervello.
Sua madre stringeva con forza il volante, così tanto che le nocche erano sbiancate. Aveva lo sguardo da fuggiasca di chissà quale ospedale psichiatrico, con gli occhi iniettati di sangue, le occhiaie profonde, le labbra tremanti.
«Non ti preoccupare, Thomas», gli ripeteva con voce strana, folle e disperata, «andrà tutto bene. Andrà tutto bene, Thomas.»
Thomas? Era davvero il suo nome, quello?
Non rispose. Mantenne la schiena incollata al sedile posteriore, le iridi rivolte verso la finestra, l'autostrada che correva, il paesaggio che mutava, trascinandoli entrambi altrove, verso un'esistenza differente.
Il cielo plumbeo continuava a rincorrerli, questo però lo ricordava bene.
Sua madre spingeva l'acceleratore, ma quel dannato cielo era alle calcagne, ruggiva dietro, tuonava, onnipotente.
«E anche tu», proseguì dopo poco la donna, abbassando appena la voce. «Chuck, non devi preoccuparti. Staremo benissimo.»
Thomas guardò il sedile accanto a sua madre e vide che era vuoto.
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Inverno.
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Dopo poco più di due settimane gli consentirono, o meglio, gli imposero di riprendere la scuola.
Janson era entrato bruscamente in camera sua, aveva sollevato le persiane e gli aveva detto: «Devi tornare a scuola, Thomas. E' la cosa migliore da fare.»
Lui era già sveglio da qualche ora, immobile su quel materasso troppo duro a cui ancora non si era abituato, con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
«Perché?»
«Perché devi andare avanti.»
«Perché?»
Janson aveva sospirato pesantemente senza rispondere, così Thomas aveva chiesto nuovamente: «Mia madre ancora non sta bene.»
«Di lei mi occuperò io.»
«Neanche io sto bene.»
«Presto starai meglio.»
«Stronzate.»
Ma Janson era già uscito dalla sua stanza, lasciandolo solo in quell'ordine surreale che caratterizzava tutta la dimora in cui avevano gentilmente deciso di ospitarlo insieme a sua madre.
La scuola era tremendamente deprimente ed i primi venti passi gli fecero venire atroci fitte allo stomaco.
La segretaria gli disse qualcosa che lui non si degnò di ascoltare; la bidella gli consegnò il programma e lui non ringraziò in alcun modo; il professore di biologia lo invitò a presentarsi, lui farfugliò ''Thomas, credo'', e tutti scoppiarono a ridere.
«Ehi, tu, novellino. Sì, proprio tu, Thomas-credo, Mr. incertezza.»
Terminata l'ora, Thomas si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo asiatico dalla smorfia che lasciava trapelare sarcasmo da tutti i pori perennemente stampata sul volto. Aveva l'atteggiamento spavaldo, sicuro di trovarsi un gradino al di sopra di tutti gli altri.
«Thomas basta, grazie.»
«Troppo tardi, ormai sei Mr. incertezza, o al massimo Thomas-credo. Perché t'hanno sputato qui a Dicembre?»
«Non lo so, dovresti dirmelo tu. Io sono Mr. incertezza.»
Quello scoppiò in una grassa risata, così squillante e potente che Thomas si ritrovò a sorridere; sentì i muscoli della faccia tirare, come se ormai avessero totalmente perso l'abitudine di quel gesto tanto naturale.
«Sei forte, Thomas. Io sono Minho. Ci becchiamo in mensa?»
«Sicuro.»
«Non farti illusioni. Fa finta di tenerti gli occhi incollati addosso per proteggersi la faccia, non so se mi spiego.»
Thomas prese due profonde boccate d'ossigeno prima di riuscire a rispondere. «Di che cavolo stai parlando?»
«Non fare il finto tonto», lo ammonì Minho, sbuffando. «Parlo di Brenda.»
«Quella seduta in terza fila?»
«Bingo», ridacchiò il compagno, rallentando un poco per potersi affiancare a Thomas. «Non male comunque per il tuo secondo allenamento.»
«Avevi ragione, correre è grandioso.»
«E' una figata, amico. Soprattutto quando dopo ti gusti un bel panino al prosciutto.»
Thomas ridacchiò, sentendo i primi sintomi della stanchezza. «Tornando a Brenda...»
«Ha-ha, lo vedi che sei curioso. Ti fissa dall'inizio, ma fa finta, credi a me.»
«Perché? Non mi reputi abbastanza bello?», lo prese in giro Thomas, senza smettere di sorridere.
«Sicuro non lo sei quanto me!», sbottò Minho e, nello stesso istante, si fermò bruscamente, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, seguito a ruota dall'amico. «E' una lesbicaccia come poche in giro. Fa finta di guardare noi omaccioni per smentire le voci su di lei.»
«Solo perché porta i capelli corti le dai della lesbica?»
«Mica è per quello, scemo! L'ho vista baciarsi un paio di volte con una tipa.»
«Certo, certo.»
«Ma che, non mi credi?»
«Sei solo geloso.»
«Di che?»
«Dell'effetto che ho sulle donne.»
Minho lo guardò a lungo, così tanto che Thomas, per un attimo, temette di averlo offeso; dopodiché scoppiò a ridere, gli tirò una pacca sulla spalla e riprese a correre.
Teresa adorava le sigarette al caffè e la cioccolata.
Aveva due immensi occhi blu, un blu intenso e profondo, che però non sapeva né di mare, né di cielo, bensì di fiamma ardente, ed infatti a Thomas veniva sempre in mente la leggenda sui fuochi fauti di cui gli narrava sua madre quando era più piccolo.
Ancora non sapeva con certezza se gli piaceva o no. Si erano baciati un paio di volte, o meglio, lei lo aveva baciato, ma poi aveva atteggiamenti incomprensibili: si allontanava, lo maltrattava, parlava d'altri ragazzi, gli rivolgeva occhiate gelide, e lui si ritrovava completamente spaesato.
Poi si scusava, scuoteva i folti capelli corvini, gli prendeva entrambe le mani e gli ripeteva che ci teneva davvero a lui, e che si comportava così perché aveva per la testa mille idee e non sapeva a quali dare la precedenza.
Thomas non capiva affatto, ma si era accorto di essere troppo dipendente dalla sua presenza per cacciarla via.
Si era abituato alla sua figura per casa, al modo in cui riusciva a tener testa a Janson, che ormai sembrava non sopportarla più; si era abituato ai suoi rari sorrisi, ai suoi discorsi intensi, che non si capiva mai se fossero deliranti o semplicemente troppo profondi per lui.
«Mia madre sta peggiorando.»
Teresa fece un leggero cenno con la nuca, mantenendo le iridi verso la donna che in quel momento stava farfugliando qualcosa di incomprensibile alla finestra. «E' stanca, Tom.»
«Sì, ma sta peggiorando. Spero non finisca come... Come mio padre». Un leggero fremito nella voce di Thomas, percepibile solo alle attente orecchie di Teresa che gli lanciò una fugace occhiata.
«No, non credo succederà.»
«Come fai a dirlo?»
«Lo sento.»
«Ah, ora sei pure una veggente.»
A quel commento vagamente ironico Teresa soffocò uno sbuffo di risata. «E' che ho avuto a che fare con molti pazzi.»
«Mai quanto me.»
«Invece sì, te lo assicuro. Uno soprattutto. Fatto proprio a modo suo.»
Thomas si sentì inspiegabilmente attratto da quelle poche parole. «Sì? E chi è?»
«Lunga storia. Forse tornerà», rispose l'altra, e parve sul punto di aggiungere qualcosa, quando improvvisamente la donna in cucina si voltò di scatto con fare spaesato: «Thomas, dov'è Chuck? Tra poco la cena sarà pronta, se non scende si sarà raffreddato tutto.»
Quella poca voglia di scherzare svanì totalmente ed il volto di Thomas si oscurò.
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Note dell'autrice:
E' surreale che io sia tornata su questo sito, decisamente surreale.
Ma questa storia bussava nella mia testa da un po' di tempo, o forse è solamente che non mi andava di non pubblicare qualcosa di completo relativo alla saga di ''The Maze Runner'' (... Poiché gli altri due miei racconti della saga in questione sono finiti nel dimenticatoio).
Per quanto mi riguarda, sono già alla trascrizione del quarto capitolo, dunque dovrei riuscire ad aggiornare regolarmente ogni due settimane circa, magari anche meno.
Nel frattempo, spero di ricevere commenti e/o eventuali critiche costruttive.
Bacini a tutti.
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Capitolo 2 *** II ***
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Quella mattina non trovò Minho ad aspettarlo in cortile.
Lo cercò a lungo e, pochi minuti prima del suono della campanella, notò la sua figura dietro l'edificio scolastico, in un angolino poco visibile.
L'aria era particolarmente gelida ed il cielo più grigio che mai, forse addirittura più lugubre del giorno in cui sua madre aveva deciso di trascinarlo lì a Cork, strappandolo dalla sua cara Dublino.
Thomas si sentì inspiegabilmente agitato, mentre si avvicinava al compagno, il quale pareva intento a discutere animatamente con qualcuno.
Uno, due, tre, quattro passi.
Dieci, quindici.
Diciassette.
Il rintocco della campanella rimbombò per tutto il cortile; Thomas sussultò appena, ma ancora non si decise a tornare indietro. L'asiatico a malapena si era accorto della sua presenza; gli dedicò una glaciale occhiata, aveva un'espressione che non gli apparteneva proprio per niente, scura, frustrata, Thomas non gliel'aveva mai vista addosso, stonava terribilmente con il suo tipico ghigno divertito.
Accanto a lui c'era un ragazzo poco più basso, dai capelli dorati e la pelle diafana.
Aveva gli occhi – due pozzi oscuri, distese di sabbia nera – puntati su di lui, ma solo dopo qualche secondo Thomas osservò che non lo stava guardando per davvero. Aveva l'aria stanca, lo guardava per finta, con la mente altrove, in un'altra Galassia.
«E' ora di entrare, forza», disse Minho con un tono così cupo da far rabbrividire Thomas; non capì se stesse parlando al biondo, a lui, a se stesso, al vento o a nessuno in particolare.
In ogni caso, lo seguì. E, con la coda dell'occhio, spiò il ragazzo misterioso, rimasto più indietro, con il suo andamento zoppo.
Dopo l'arrivo di Newt, la scuola parve mutare, seppur in maniera impercettibile.
Quando attraversava i corridoi, mantenendo rigorosamente il capo chino o lo sguardo puntato dritto davanti a sé, smarrito nel baratro del nulla, le bidelle si scostavano, quasi si sentissero in imbarazzo. Gli studenti bisbigliavano parole incomprensibili tra di loro, e lo guardavano, Dio, non smettevano di guardarlo nemmeno per un attimo solo.
Minho aveva abbracciato la crisi più totale quando, durante la ricreazione, aveva scoperto che il biondo si trovava ai servizi.
«Dov'è Newt?»
«In bagno», aveva detto tranquillamente Thomas, sistemando i propri libri nell'armadietto. «l'ho visto andare in bagno.»
«Cazzo!», aveva imprecato Minho, e poi altre parolacce ancora, si era passato ripetutamente la mano tra i capelli, agitato, battendo i denti con violenza.
Thomas lo aveva guardato con fare stralunato; non aveva avuto il tempo di chiedere perché e per cosa, che Newt era uscito dal bagno, facendo sospirare di sollievo l'asiatico.
Si ritrovò insieme a lui durante l'ora di ginnastica.
Persino Mr. Jorge, che anche durante le giornate più uggiose e deprimenti era in grado di sollevare l'umore a tutti, parve malinconico in volto. «Bentornato, Newt. Ci sei mancato, hermano.»
Non rispose, Newt. Si limitò ad annuire in cenno di ringraziamento, o forse di saluto, e si sedette sulla piccola panchina di legno, collocata in un angolino della palestra.
Thomas continuò a guardarlo, per tutta l'ora. Durante la corsa, lo guardò. Durante il riscaldamento, pure. Durante la partita di pallacanestro così intensamente che si beccò una pallonata in fronte.
Aveva mille domande che gli opprimevano la scatola cranica. Chi fosse, da dove venisse, perché era tornato, quando s'è n'era andato. Perché non facesse ginnastica, perché zoppicasse.
Perché sembrasse così triste e abbattuto.
E Newt, seduto su quella misera panchina, talvolta aveva a sua volta ricambiato lo sguardo. Magari di riflesso si era sentito osservato, ma Thomas era lieto di quelle piccole attenzioni. Al suo terzo canestro, Newt gli sorrise un poco, e Thomas si sciolse come miele sotto il sole.
Erano tutti in pantaloncini, o perlomeno in t-shirt. Certo, stavano sudando, era l'ora di ginnastica, e poi c'era Newt, seduto dall'altra parte, con quel pesante cappotto scuro e la sciarpa.
Infreddolito, solo e triste.
Bello.
Fu il giorno di Natale più angosciante della sua intera esistenza.
C'era l'orologio a pendolo che scandiva il tempo infinito nel corridoio grigio, Janson che sfogliava distrattamente il giornale, elegante e composto come sempre. Nessun augurio da parte sua, niente di niente.
Sua madre lavava gli stessi piatti da quasi venticinque minuti. Borbottava che dovevano prepararsi al cenone di quella sera, dovevano sistemare casa, sarebbero arrivati un'infinità di cugini, zii, fratelli e parenti.
Thomas la contemplava seduto sul divano, in preda alla desolazione più totale. Non la riconosceva più. Non riconosceva nulla, in quella maledetta città.
Passò quella giornata infernale scarabocchiando i compiti per le vacanze. Uscì camminando in solitudine, alla sera consumò in religioso silenzio la sua minestra e, poco prima di addormentarsi, pensò casualmente a Newt.
Si domandò se anche lui fosse stato strappato bruscamente da qualcosa, perché aveva davvero l'aria afflitta.
Mentre Mr. Jorge era intento a sottoporre alcuni suoi compagni al test di resistenza, Thomas ne approfittò per riprendere fiato accanto a Newt.
«Faticoso, eh?»
Il moro sussultò e sentì il cuore salirgli in gola; aveva praticamente passato l'ora a trovare un modo per rivolgere la parola a Newt, e lui invece, per chissà quale grazia divina, aveva deciso finalmente di farsi sentire spontaneamente.
Il fatto era che risultava essere davvero l'unico studente della scuola a non aver ancora parlato con lui. O almeno, lo era fino a qualche attimo fa.
«Puoi dirlo forte», balbettò dopo poco, schiarendosi la gola. «e pensa che io sono pure più allenato. Per gli altri dev'essere una tortura.»
«Già, ti vedo correre con Minho, dopo scuola.»
Altre piccole attenzioni che fecero sorridere Thomas di tenerezza. «Esatto, hai notato?»
«Sì, Minho mi parla spesso di te.»
«Davvero? E che dice? Cose carine, spero.»
Newt accennò un flebile sorriso e prese a strofinarsi le mani per riscaldarsi. «Dice che sei uno forte, ed io mi fido di lui. Sei arrivato qui a Dicembre, giusto?»
Thomas lottò con tutto se stesso per non scoppiare a ridere forte, giusto per scaricare tensione e felicità. «Sì, proprio così. E tu, invece? Voglio dire, all'inizio pensavo ti fossi trasferito, ma ho sentito dire che sei tornato... Perché, dov'eri prima?»
La breve espressione luminosa di Newt svanì nell'aria; il biondo spostò la testa e guardò un punto indefinito di fronte a sé, proprio come faceva i primi giorni per i corridoi.
Insieme alla sua spensieratezza, anche la voglia di ridere di Thomas venne totalmente annientata; era riuscito ad avvicinarsi a lui, e già lo aveva smarrito, a chilometri e chilometri di distanza.
«Su, tornate negli spogliatoi!». La tuonante voce di Mr. Jorge rimbombò nella palestra, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi. Thomas fece per rimediare, voleva assolutamente scusarsi della sua indiscrezione, ma Newt lo precedette e si alzò. «Devo andare in laboratorio, ho chimica. Tu invece penso debba cambiarti.»
E proprio quando Thomas pensò di essere ormai pronto a sprofondare, Newt aggiunse: «Alla prossima, Tommy.»
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Capitolo 3 *** III ***
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Primavera.
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