Time Lords - Beyond the mirror

di LittleDreamer86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Last Christmas ***
Capitolo 2: *** Senza un nome. ***
Capitolo 3: *** Chi al posto di PE ? ***
Capitolo 4: *** La stanza degli Specchi. ***



Capitolo 1
*** Last Christmas ***


Note: Sarà una lunga storia, che scriverò da qui a quando ricomincerà la serie nuova. Per mio diletto, per risolvere i vuoti lasciati dall'ottava stagione e riempirli con l'immaginazione dei perchè e percome. Parleremo di Clara, il Dottore, Missy...e si aggiungeranno nel tempo molti retroscena importanti. Premetto che il colore della storia potrà cambiare nel tempo. Ci saranno viaggi, avventure, misteri, mostri, passione soprattutto e tanto claraxtwelve ed forse altro.
Se c’è qualche errore di battitura vi prego di segnalarmelo, oltre a frasi poco scorrevoli e cose strane. E’ la prima volta che scrivo una fanfic, siate clementi e soprattutto, scrivete ciò che pensate perché mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri e consigli. Chissà cosa ne verrà fuori. Per ora ho scritto tre capitoli. Di cui uno molto più avanti nella storia. Vedremo…magari potrei chiedere la partecipazione di qualcuno alla stesura di qualche capitolo. Nella mia testa ci sono troppe idee..aiutoooo!!!! Un abbraccio affettuoso a chi leggerà. Buona lettura!
Dreamer :x

1. Last Christmas

Granchietto, granchietto
cosa ci fai sopra il letto?
Qualcuno ti doveva pur regalar,
per far la bella Clara e il Dottore, sognar.
Aggiunger altri umani al sognare,
è la cosa più semplice da fare,
come regali di Natale, tanti altri granchietti
basta lasciare.
Quattro comparse, e due protagonisti sulla scena.
Ci siam divertiti,
mio Dottore,
mio amico viaggiatore.

Missy
 
Ecco. Finalmente il freddo alle tempie era scomparso. Adesso si poteva dire realmente sveglio.
E lì davanti a lui, c’era la sua Clara che si guardava agitata allo specchio che gli aveva appena porto. Ai suoi occhi mai sarebbe cambiata. Sarebbe stata sempre la sua ragazza impossibile, solo sua, esclusivamente sua. Qualunque aspetto avesse, qualunque età avesse.
Tuttavia il Tempo scorre, e la vecchiaia sopraggiunge e aspira via dalle persone, dal popolo umano, la loro vitalità, la loro energia, esperienza dopo esperienza. Quando l’aveva vista anziana, uno dei due cuori aveva perso un battito, rimasto troppo indietro, aggrappato all’immagine di lei di un tempo, del tempo in cui avevano viaggiato insieme.
Aveva tenuto la mano premuta sulla sua, proprio come aveva fatto lei su Trenzalore, ma quel Christmas Cracker, una volta tirato, gli era rimasto solo tra le sue mani. Lei gli aveva donato tutta se stessa, tante vite, tanti echi del suo passato e nel suo futuro. Mentre lui invece cosa aveva fatto?
Le aveva preso tutto, e l’aveva lasciata sola, privandola dei viaggi che avevano fatto assieme.
Aveva sperato che con Danny sarebbe stata più felice che con lui, un vecchio scontroso e complicato.
Ma Danny era morto davvero, e non era tornato indietro. Se lo avesse saputo mai e poi mai l’avrebbe lasciata sola…
Adesso, questa seconda occasione. Come lasciarsela sfuggire?
Doveva dirlo, doveva chiederglielo esplicitamente, senza che la sua voce tremasse, con decisione, senza far trasparire la paura di perderla, senza far trasparire ciò che teneva nascosto nel più oscuro recesso dei suoi due cuori di vecchio Signore del Tempo. Come poteva d’altra parte digli anche quello, dopo che l’aveva abbandonata a se stessa? Come poteva parlarle di ciò che provava per lei? No, mai l’avrebbe fatto. E questo era per il suo bene, solo per il suo bene. Oh egoista Dottore, anche per il tuo, probabilmente. Perché hai sempre temuto un rifiuto, anche se hai sempre evitato di pensarci.

Fuori dalla finestra, candidi fiocchi di neve scendevano incessanti senza far rumore. La camera da letto di Clara rimaneva silenziosa ma piena di elettricità, la tensione della ragazza, attesa di qualcosa che stava per accadere, le aspettative del Dottore. La paura per la risposta che lei avrebbe dato. I desideri e i sogni di lei, quelli che aveva nascosto sotto la sua facciata di compagna di viaggio. Di essere sicura, decisa, bugiarda di poterlo controllare. Di essere un po com’era il Dottore con lei. Distaccato. Quegli stessi pensieri e sentimenti che si era lasciata sfuggire nello stato onirico, quando aveva parlato dell’altro uomo oltre a Danny. Quello impossibile.
< Il Tardis è la fuori…> le prime parole che gli soggiunsero alle labbra. Teneva le mani strette l’una nell’altra, sudate, davanti alla giacca nera. Per farsi coraggio, per evitare che tremassero per l’agitazione.
Lei, ancora seduta tra le coperte, reggeva lo specchio con la sinistra, osservandosi. Il suo sguardo si allargò e, voltandosi, sembrò scrutarlo fino nel profondo, facendolo vacillare nel proseguire in quelle parole.
< E…quindi…> Clara, stranamente, senza parole.
 Come poteva pretendere che lei volesse ancora seguirlo, si disse. Prese coraggio, e muovendo qualche passo verso di lei.
< Tutto il tempo e lo spazio sono là fuori. Una grossa cabina blu. Ti prego…>
Mentre si piegava sulle ginocchia e poggiava le mani sulle coperte a poca distanza da lei, si sporse oltre il bordo del letto. Lui la guardò con i suoi occhi freddi come il ghiaccio, ma così profondi, così vivi e misteriosi.
<...non provare a rifiutarti. > Mi renderesti molto, molto infelice. Ma non riuscì a dirlo. Riuscì solo a sollevare la sinistra e a porgergliela con uno sguardo che la incalzava, come faceva sempre, come aveva sempre fatto. Guardò il palmo della propria mano e poi lei.
Ed un sorriso, un ampio sorriso solo per lui vide nascere in quel visetto. La sua ragazza impossibile.
Gli occhi bruni le si illuminarono. La sua Clara. Mise la mano sopra la sua e lui gliela strinse appena, quasi timoroso che lei potesse cambiare idea.
< Buon Natale, Dottore…> Fu un battito di ciglia, quel bacio che lei gli diede sulla guancia. Un colpo più forte di uno dei cuori, che non era riuscito a trattenere. La guardò fortemente negli occhi e lei nei suoi.
< Buon Natale, Clara Oswald…>
Bastò uno sguardo del Dottore alla porta della camera e lei capì, come si fossero scambiati telepaticamente il messaggio. Si levarono insieme dal letto, e lei lo anticipò correndo fuori dalla stanza, seguita da lui. Scesero le scale rapidamente, ridendo come dei ragazzini.
Di nuovo insieme. Altri viaggi. Senza pensare al futuro, a conseguenze. Solo attimi di presente. Solo Clara. Solo il Dottore. Insieme. Sempre. Questo pensavano, mentre uscivano dalla casa di Clara e raggiungevano il Tardis parcheggiato nel giardino.
< Oh, ma sentilo, è tutto contento! >
< Seconde possibilità. Non ho mai avuto una seconda possibilità e questa volta non so davvero chi ringraziare…>
Si sistemò la giacca nera, guardando lontano con lo sguardo pieno di gioia e nuova determinazione, ed entrò nel Tardis dopo Clara. Un nuovo viaggio, una nuova avventura lì attendeva entrambi.
 

Portò la mela rossa alle labbra, e le diede un morso. Assaporò con gusto quella polpa succosa, quasi fosse quel momento, quasi fosse tante altre cose, forse un pezzo di tempo passato, forse un pezzo di tempo futuro. In alto, sul tetto scoperto della casa di Clara Oswin Oswald, mentre la neve scendeva copiosa sopra Londra, Missy se ne stava a mangiare tranquillamente la sua mela, osservando il Tardis scomparire col suo tipico rumore incalzante, dolce musica per le sue orecchie. Un sacco di tela grezza ai suoi piedi.
< Oh sciocchino di un Dottore. Dovresti solo ringraziare la tua fidanzata, la tua Clara…per questo.>
Diede un ulteriore morso alla mela, senza nascondere la propria soddisfazione.
< Mica male la sottoscritta come Father…> Portò il dorso della destra al fianco, appoggiando quello della sinistra, reggendo ancora la mela, poco al sotto del labbro inferiore. < Mother Christmas… > Si corresse.
Un sorriso ancor più compiaciuto le piegò di lato le labbra, mentre ruotando le iridi al cielo lanciò ciò che restava della mela dietro di sé.
< Missy, you’re faboulous…>
Si pulì con ambe le mani la gonna viola dai fiocchi di neve, aggiustandone le pieghe, e con la stessa teatralità ed eleganza si lisciò le spalline della sua giacca, prima da un lato e poi dall’altro. Si sentiva meravigliosa ed in forma, in quest’ultima rigenerazione.
< basta coi regali, adesso! E' quasi giunto il tempo…>
Battè le mani due volte, alla propria sinistra, schioccando la lingua sotto al palato.
< Boys, prendete il sacco, coi mandarini, dolciumi e granchietti sotto vuoto. Togliamo le tende! > Ordinò, indicando i suoi piedi con un gesto veramente posato ed raffinato della mano sinistra.
Al suo comando, dietro le sue spalle divennero visibili due uomini in giacca e cravatta, rigorosamente neri. Indossavano anche un paio d’occhiali, anch’essi dalla montatura nera e lenti oscurate. Uno di loro, afferrò il sacco, mettendoselo su una spalla.
< Si, signora...>
Missy, si voltò e andò a posizionarsi tra i due uomini. Azionò il manipolatore di Vortice al suo polso sinistro.
< A presto, Dottore… >
Un alone azzurro gli avvolse tutti e tre mentre si smaterializzarono. La neve continuò a cadere come nulla fosse accaduto quella notte. Londra 25 Dicembre 2014. Mezz’ora passata la mezzanotte.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Senza un nome. ***


Chi sono?
Sono tutta questa meraviglia.
Sono la notte e la tempesta, il fuoco e il tramonto scarlatto.
L'alba e la pioggia che bagna il tuo volto che piange tristezza e dolore e rabbia.
Sono l’odio e sono l’amore. Sono te. Sono Clara. Missy.
Sono un vecchio Signore del Tempo.
Sono ogni singolo essere vivente su questo pianeta.
Che importanza può avere tutto questo ormai?

Piuttosto, Dottore, ricordi ancora chi eri un tempo? Lo hai dimenticato, vero?
Ti nascondi ancora, fingendo di essere un burbero vecchio solo?
Sei così fregile…così umano. Così giovane…

Nessuno.

2. Senza un nome.

Primo Sole poco oltre la metà del giorno. Ore 27.27. Secondo Sole ormai tramontato al di là dei Monti del Sollievo e della Solitudine, lontani miglia e miglia dalle praterie e dal villaggio MDCicle.
Cielo, senza nubi. Arancione in ogni dove, a perdita d’occhio. Lui guardava oltre l’ampio oblò lo scintillio d’argento di quei distanti picchi innevati, perdendosi nell’estasi della contemplazione; trovava la bellezza in ogni forma e sciogliendo quel minimo ego rimasto era in grado di unirsi a quel Tutto di cui era parte ed insieme.
Per un istante, meno di quei 10−43 secondi in cui esiste questo universo, il tempo si bloccò, interrotto dalla sua volontà creatrice, e lui fu in cima all’Elhm.
Se qualcuno fosse stato con lui in quella stanza l’avrebbe semplicemente visto sorridere mentre guardava lontano oltre la vetrata. In effetti era così, ma era anche lassù, a contemplare la vista della vallata e di Arcadia.
Seguì con lo sguardo le pendici erbose. Era ogni filo d’erba scarlatto di quei prati semi-ricoperti da neve, era il vento che s’insinuava tra gli steli, era la roccia, era la montagna. Tutto assieme.
Persa la sua forma fisica, di lui adesso rimaneva solo il contenitore che l’aveva racchiusa, creato dalla sua stessa coscienza. Il suo contenitore attuale nella sua piccola casa, che fissava lontano l’orizzonte.
Bastava la volontà e l’avrebbe mosso con facilità anche trovandosi su un altro pianeta. Avrebbe potuto essere in più luoghi contemporaneamente, vivere tante vite tutte assieme, e lo faceva ogni volta che smetteva di essere diviso dal Tutto. Perché era Tutto nello stesso istante in cui era singolo. Si riconosceva in ogni forma di vita esistente di questo universo visibile, ed anche in ogni forma invisibile.
Era materia organica ed inorganica. Bruciava come una supernova, talvolta era la tempesta e talvolta nello spazio di un bacio, quei baci che spesso aveva rifuggito, pieno di paura. Paura di perdersi in troppa bellezza, destinata a sfuggirgli tra le dita e svanire nel nulla, credeva. In realtà allora ogni suo giudizio era guidato dalla sua limitata consapevolezza; ecco perché, nel palcoscenico della vita, aveva recitato la tragedia, il dolore della perdita, l’odio, il disprezzo, la rabbia, la vecchiaia, l’innamoramento silenzioso, il sorriso e la dolcezza; ogni forma di sentire aveva sperimentato da inconsapevole attore dell’universo olografico a cui tutti noi apparteniamo, universo dove lo spazio e il tempo e l’energia sono virtuali.
Ogni mutamento, ogni nuovo caos che turbava il precedente ordine delle cose, adesso era da lui visto, sentito, vissuto nel profondo, ogni singola volta che la sua volontà individuale decadeva per cedere posto alla pura Coscienza.
Così proprio in quell’istante, passi affrettati percorrevano il viottolo di ciottoli d’ametista e zaffiro di fronte a quella umile e accogliente dimora che aveva chiamato casa. Il suo lungo vestito d’ambra strisciava a terra, mentre ella s’affrettava.
E quando lei avrebbe bussato alla sua porta, avrebbe detto esattamente quelle parole che già sentiva delinearsi dentro la sua brillante mente di Signore del Tempo, quale ella era.
< E’ il momento! Sta per succedere! > I colpi sul battente sarebbero stati quattro. E poi, col fiatone per la corsa < Il Tempo è giunto, in cui ogni cosa sia come deve essere, come è stata e sarà! > l’eccitazione, la paura, la mancanza di fiato < Abbiamo aperto il Vortice del Tempo, all’interno del Cerchio! Se lei dovesse morire, il Dottore…e il paradosso…e io… assieme hanno visto… >
La porta venne aperta ed un leggero cigolio si propagò dai cardini poco oliati, spandendosi nel silenzio per unirsi al respiro affannato della giovane. Lui si affacciò oltre lo stipite verso l’esterno, spalancando la porta completamente, e mostrandosi a lei. Un ragazzino alto attorno a un metro e cinquanta circa. Poteva al massimo avere tredici oquattordici anni. Riccioli neri, occhi blu brillanti in un visetto dolce da micetto. Indossava una maglietta sgargiante di colore rosso e dei pantaloncini che gli arrivavano alle ginocchia, di un blu cobalto. Era a piedi nudi.
Alla sua vista ella rimase del tutto interdetta, e quello stupore palesemente si manifestò sul suo volto e farle balbettare quache parola. < Ma come...come ti è... >
Lui non la fece proseguire e la sua voce di ragazzino si sovrappose a quella di lei.
< Avete visto che potrebbe morire, il sangue, il dolore, la disperazione, ma questo tu lo sapevi già.
La fine del Tempo e di questo Universo. Avete visto che il paradosso frantumerebbe questa realtà, sbriciolandola in mille frammenti. E ciò è solo una piccola parte di ciò che potrebbe succedere. I Signori del Tempo, scomparirebbero per sempre. Il Dottore, mai sarebbe nato. Tu, noi tutti. E tutto tornerebbe ad essere pura Coscienza. Niente più gioco delle parti. Niente più umanità, niente più guerre coi Daleks o i Sontaran, niente più emozioni o sentimenti. Tutto tornerebbe allo stato originario, immobile, immutato. Lo so… >
Lui sollevò lo sguardo verso il volto della ragazza, e le prese la mano. I suoi occhi calmi scintillarono d’oro, per un brevissimo istante. Una profondità incommensurabile. Un abisso di maestosità, bellezza, perfezione dove perdersi per sempre, o ritrovarsi. Ed anche lei che lo guardava, rimaneva sempre incantata in quegli occhi, ogni volta che questi le si volgevano ad aprirle i cuori. Era stato così nel remoto passato, e così adesso. Avevano un potere come ipnotico perché dentro quegli occhi si specchiava tutto il tempo e lo spazio, se si sapeva Vedere. < Lo so che tutto ciò ti sta a cuore > disse il ragazzino. Tenne la mano tra le sue, sorridendole gentile, calmo, come a volerla rassicurare. Sapeva ogni cosa, del passato e del futuro nel Tempo, come lasciarsi impressionare da ciò? Se si fosse messo a guardare dentro di sè, in quello stesso istante, nella sua mente avrebbe trovato tutto il flusso delle possibilità, delle conseguenze di certe azioni, con le varie strade che è possibile percorrere, di una o dell'altra vita.
< Noi, adesso…dovremmo andare…al Cerchio ci aspettano… >
< Nulla vi è di cui temere. Hai paura che il gioco di questo universo giunga a una sua fine? E' solo un gioco dopotutto, e qualunque fosse quel momento, è quello esatto in cui tutto è come è. Adesso, vieni, attendiamo, fin quando sarà scesa la notte. Quando il cielo piange è il momento. >
< Quello in cui lui verrà. >
Annuì lui con un cenno, affermando sicuro < Si. A bordo del suo TARDIS. E successo una volta ed ancora succederà…ancora ed ancora. >
< Come pensi di presentarti? Intendo...con quale nome? Lui vorrà di certo capire chi sei, o cosa sei! >
< Gli dirò di chiamarmi come mi hanno chiamato al Cerchio. Za. Ma lo sai...i nomi hanno perso ogni significato per me. >
< Lo so...anche per me. >

Si guardarono, senza dirsi più nulla di tangibile in suono. Andarono quindi a distendersi entrambi tra l’erba rossa, all’ombra fresca dell’albero di Blue, di fronte alla casa. Tra le foglie rosa e rosse dell’albero, compariva qualche frutto dal colore tendente al cobalto o al nero. L’inizio dell’estate era sempre annunciata dalla nascita di quei frutti dal colore di oceani e notti perfette.

“ O mio dolce fiore,
i tuoi occhi brillano d’amore,
ma son troppo vecchio ormai,
per poter amare, sai.
Un vecchietto misterioso,
mal ti tratta e fa il borioso,
come puoi restar con me,
nonostante tutto quel
che ti ho fatto passar…là là là.
La là là…”

Il ragazzino si mise a canticchiare un motivetto allegro mentre lo sguardo si perdeva fra i rami grigi, lontano, viaggiando chissà dove. Lei, distesa alla sua destra su un fianco, gli accarezzava delicatamente la fronte con mano libera, passando le dita tra i riccioli lucidi e morbidi, delicata, lieve come quella di una madre, un amica, una sorella. Più probabilmente un amante? Emozione palpabile.
Era persa dentro i suoi occhi, rincorrendo la sua consapevolezza chissà dove. Riusciva sempre a seguirlo unendosi al flusso della sua energia dentro il tronco dell’albero di blu, dentro i rami, scendendo talvolta fino alle radici, o salendo fino alle punte delle foglie più lontane, sentendo quello che sentiva lui, percependo ogni fibra, ogni molecola d’acqua, ogni nutrimento che viaggiava dentro l’albero. Ed ora ecco che lui si congiungeva alla terra e allo stesso tempo si disperdeva nell’aria oltre la chioma, e lei finiva per unirsi a lui, riempendosi della pienezza dell’infinitezza, disintegrando tutto il limite, tutto il suo corpo, grazie a lui. Lui che era stato da sempre ciò che voleva per lei, solo per lei. Questo pensare, la fece rifocalizzare sulla “realtà” e tornò ad essere dentro il suo corpo aggraziato, flessuoso e femminile ma distaccata da lui. Prese un respiro, e si distese più comodamente tra l’erba rossa di fuoco. I suoi capelli si confusero nell’erba, come un fiume nell’oceano. Sangue nel fuoco. Chiuse gli occhi, rilassando il corpo completamente, cercando di rasserenare la mente. Erano giorni che si sentiva agitata. Se fosse successo qualcosa a Clara, lei stessa sarebbe morta. Tutti lo sarebbero e tutto sarebbe finito. Per sempre. Come diceva lui, tutto sarebbe tornato al nulla eterno.
< Smettila di pensarci … > il ragazzino aveva smesso di canticchiare, e si era voltato dalla sua parte.
Quel flusso di cattivi pensieri fu infatti interrotto perché aveva di nuovo catturato la sua attenzione ed anche la vista.
Semplicemente le fece una linguaccia. E rise, ributtandosi tra l’erba.
< Mi chiedo perché tu abbia scelto questo corpo di ragazzino…in questi giorni così importanti. E se non ti crederà? >
< Infatti nessuno prende sul serio un ragazzino. E così dev’essere…perché questo universo è così divertente. >
< Mmm…sei molto cambiato lo sai? Mi piaci molto di più così. > Lei rise, mentre i suoi occhi erano immersi in quelli di lui.
< Già. Una volta ero troppo serio…ma ho deciso di smettere, lo sai! > Un grande sorriso gli si allargò sul viso, mentre distendeva le braccia e tendeva la mano a quella di lei.
< Hai fatto bene. Io stessa che folle sono stata! Ma che senso dell'uomorismo...mio caro! In quello ero davvero il massimo...e sicuramente migliore di te! >
Risero entrambi di loro stessi. Le loro mani si intrecciarono, tra i fili rossi d'erba, nell’attesa che calasse la notte ed il Dottore tornasse lì, su Gallifrey. Come già era avvenuto e forse, chissà, continuerà ad avvenire. Perché il tempo è tutto meno che lineare. E’ un groviglio sferico Un groviglio di 4 e più dimensioni dove giocare alla divinità.

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Capitolo 3
*** Chi al posto di PE ? ***


Di nuovo in viaggio,
nello spazio e nel tempo,
di nuovo insieme.
Mai mi stancherò di questo,
pianeta dopo pianeta,
nel passato e nel futuro,
perchè ci sei tu.
Tu sei magnifico,
e ogni giorno mi riempi di meraviglia.


[On the road again,
in time and space,
together again.
I never get tired of all this,
planet after planet,
in the past and the future,
because you're here.
You are magnificent,
and every day fills me of wonder.]
Clara Osward

 


3. Chi al posto di PE ?

Nel Tardis.

Un ragazzino. Quel Danny, PE, Educazione Fisica, aveva mandato indietro dall’Altrove uno stupido ragazzino.
Era poco più alto di un metro. Un metro e 20-25 centrimetri per l’esattezza. Magro. Capelli scuri, neri, un po mossi e occhi bruni, scintillanti.
Occhi strani. Molto strani. Il Dottore gli si avvicinò, con un balzo, incrociando le mani dietro la schiena e sporgendosi avanti.
Accennò un mezzo sorriso, per rassicurarlo. Ancora gli era difficile sorridere, cambiando il suo stato perennemente serio e corrucciato. E un istante dopo, appoggiò il capo su quello del ragazzino, appoggiando le proprie mani sulle sue spalle. E fu nella sua mente. Nei suoi ricordi.
Una serie di immagini di guerra, sparatorie, fughe. Una volta una bomba l’aveva quasi ucciso. Persone che si succedevano davanti agli occhi senza alcuna importanza. Poi una porta che si apre, un uomo dalla carnagione scura in mimetica. Terrore. Uno sparo e più nulla. Era stato Pink, ad ucciderlo. E poi riportarlo indietro dall’Altrove, col braccialetto del Maestro…Missy.
Clara. Adesso c’era la sua faccia. Clara. Facce di Clara. Clara che rimbocca le coperte. Clara che da il bacio della buonanotte. Clara che prepara la colazione. Clara che lo sgrida perché deve fare il bagno. Andare a scuola insieme a Clara. Clara in classe che spiega gli autori inglesi. Clara che lo abbraccia. Clara che sorride. Clara. Clara con una faccia corrucciata. Clara. Sempre e solo Clara.
Si allontanò un poco, continuando a squadralo. Niente genitori. Strano.
< Dove sono i tuoi genitori? > chiese.
< Non mi ricordo…ho provato a sforzarmi, ma non ricordo nulla. Clara ha detto che puoi aiutarmi… > rispose, piano, la giovane voce. I suoi occhi si fecero più liquidi, lì, fermandosi al limite, poco prima delle lacrime.
Twelve lo notò, e si fece molto scuro in volto. Lo avrebbe sgridato, se si fosse messo a piangere. Non sopportava i pianti, soprattutto quando inutili. Era un uomo d’azione. No di pianti. E nemmeno d’abbracci. Se lo ripeteva in continuazione. Forse per convincere più se stesso, che altro.
< Non ti ci mettere anche tu! Niente pianti qua dentro. Al Tardis non piacciono i mocciosi… soprattuto se piagnucolanti. > In realtà era più a lui che non piacevano. Alzò l’indice della destra verso l’alto, guardando alternativamente il bambino e poi il soffitto della macchina del Tempo.
< Si. > Lui rispose annuendo col capo mentre si sfregava gli occhi con la manica della maglia.
Il Dottore, si avvicinò di nuovo. Lo guardò più attentamente, piegandosi leggermente con la schiena verso di lui. Chiuse l’occhio sinistro mentre incerto continuava a cercare di capire e capire ancora perché gli apparisse familiare. Molto familiare. E quando avvicinò di nuovo il capo al ragazzino, fu di nuovo nei suoi ricordi. Ove il tempo è mescolato, ove nulla è definito. Incasellati dentro pacchetti, le situazioni, i momenti, corrono via, avanti e indietro dentro il corpo che li contiene, assieme allo spirito dell’essere che li ha vissuti. D’istante in istante tornò indietro per cercare qualcosa, qualcosa che potesse legare il ragazzino a qualcuno diverso da Clara. Una madre, un padre, una zia. Nulla. Tutto sembrava nebuloso più indietro della guerra in Afganisthan. Era come se tutto cominciasse da quel preciso momento. Perché? Perché non c’era un prima? O forse, qualcuno aveva tolto, ciò che prima vi era stato. Missy? No. Impossibile. E se invece l’avesse fatto? Riuscì a risalire al ricordo più chiaro. Una stanza piena di specchi polverosi, che lo riflettevano senza fine. Teneva in mano qualcosa, qualcosa che mancava di importanza. Poi l’immagine sfocò e il Dottore fu costretto a tornare dentro la propria sfera di consapevolezza nel Tardis.
Si scostò di nuovo indietro, mordicchiandosi appena il labbro inferiore, internamente. Più lo guardava quel ragazzino, più i loro occhi si incontravano, e più dentro il Dottore cresceva un senso di frustrazione nel non comprendere perché lo trovasse noto. Come l’esistenza di quel ragazzino fosse davvero importante lì con lui, sul Tardis, in quel preciso momento e punto dello Spazio-Tempo.
< Del tutto strano. Si. > disse, un poco incerto. < Strano. Hai un… odore, strano. Che ti ha fatto quella là? Mh? Confessa. Ti ha mandato lei, Missy? Perché Pink non è tornato e ha mandato te? Eh? Eh? > Estrasse il cacciavite sonico dalla tasca interna della giacca e glielo puntò contro facendo un balzo teatrale all’ indietro. < Dillo una volta per tutte! Chi sei tu in realtà? >
In tutta risposta, il ragazzino, si imbronciò e scappò a nascondersi dietro la gonna verde, a pallini bianchi, di Clara. Era appena entrata nella sala di comando, sbucando da un corridoio.
< Dottore, basta spaventare John! E quel cacciavite sonico…mi pare di ricordare che non fosse un arma!!! > Lo ammonì, mettendo le mani strette a pugno sui fianchi, per darsi un tono.
< Quale spaventare? Lo sto solo studiando! >
< A si? E lo fai, rimproverandolo? >
< Lo spronavo a ricordare. >
< Mh… >
< Ha qualcosa di strano, oltre ad avere un comportamento poco adulto per la sua età, sia chiaro!!! > Affermò allargando le braccia.
< Ha solo dodici anni! > Ruotando il busto di poco, accarezzava il capo del ragazzino.
< Come fai a essere certa che ne abbia dodici? > Alzò le spalle, dopo averle lanciato uno sguardo di sbieco. < Tanto non capiresti! >
< Me l'ha forse detto lui? > Emise un sospiro, quasi disperato. Ogni tanto quel Signore del Tempo, la faceva davvero arrabbiare. Eccolo. Di nuovo, che ricominciava a fare il misterioso. Sbuffò ancora,Clara e poi si ricompose. Un leggero sorriso divertito sulle labbra. Mai aveva riflettuto sul fatto che nonostante fosse vecchio di duemila anni, ancora reagisse in alcuni casi come un adolescente. Il suo Dottore.
Twelve tornò alla console, prendendo ad armeggiare con una serie di pulsanti e leve. Di tanto in tanto guardava lo schermo, si fermava, pensieroso, fissandolo e nel contempo portava la mano sinistra chiusa a pugno sotto il mento, mentre la mano destra sorreggeva il gomito della sinistra.
Clara intanto si era voltata completamente verso John, le aveva detto che si chiamava così, e piegandosi sulle ginocchia si voltò verso di lui per dargli un bacio su una guancia. < John, caro, non preoccuparti del Dottore. E’ un burbero vecchietto, ma dentro di sé è così gentile e generoso. Su, su, va a giocare. >
< Si. > Ma continuava a tenere con la mano un lembo della sua gonna. Il volto imbronciato, e particolarmente triste.
< Lo sapevi che il Tardis ha una stanza piena zeppa di modellini, aerei, auto, treni, barche, navi. Poi abbiamo anche una grossa biblioteca, un piscina, un giardino…ah, quante stanze! Vero, Dottore? > Chiese, alzando il tono della voce in quelle ultime due parole con una certa nota di rimprovero, aggiunta giusto nel caso lui avesse evitato di risponderle. Poi voltò il capo dietro, scorgendolo seduto, poco distante dalla console, le dita incrociate tra loro a fissare in direzione opposta a quella in cui lei e il ragazzino si trovavano.
< Si, vai a giocare ragazzino… > disse Twelve, senza nemmeno farci caso. I suoi pensieri erano concentrati su altro, in quel momento.
< Jhon…si chiama così, ricordi? > Clara sbuffò di nuovo per il suo atteggiamento, volutamente menefreghista,lui potè sentirlo chiaramente.
< John…certo, si… > senza badare alle parole.
< Io, vado, Clara… > John parlò piano, timoroso lanciando uno sguardo impaurito verso Twelve.
< Vai e divertiti, capito? > disse Clara gentile, dandogli un buffetto su una guancia.
Il piccolino, annuì col capo e scappò via come un razzo, sparendo in un corridoio.
Risalì i gradini metallici della sala di comando.
< Dottore, cosa c’è che ti preoccupa? Non sarai geloso per il fatto che abbia un nome che qualche volta ti capita di usare? > chiese, sbucando all’improvviso col capo alla destra del Dottore, con la schiena piegata. I capelli scendevano morbidamente a circondarle il volto da bambola,un po impertinente in quel momento.
< Niente, niente. > Qualcosa lo preoccupava. Era palese.
Si inginocchiò accanto a lui, andando a stringere con la propria destra, le mani del suo Dottore. Lui non respinse quel contatto. Senza rendersi conto, mise una delle due mani, sopra quella di lei, finendo per racchiuderla tra le proprie. Stretta. Sua. Mai si sarebbe potuto spingere oltre. Mai. Se lo ripeteva in continuazione. Anche in quel momento.
Lei, spostò lo sguardo dalla propria mano, al suo volto. Si fissarono per qualche istante restando in silenzio, e poi arrossirono, entrambi, come due ragazzini. Fin quando Clara, riprese il controllo della situazione, togliendo la mano lentamente.
< Sei preoccupato. Credo sia una di quelle volte in cui qualcosa ti sfugge… >
< Centro, Clara. Colpito…affondato. > le fece l’occhiolino, sorridendole, per poi rifarsi scuro e serio in volto, un istante dopo.
< Non ho trovato nulla nei suoi ricordi. Come se fossero stati cancellati…o…o…oscu… >
< Oscurati? > Le uscirono le parole di bocca, senza che avesse pensato. Lui se la guardò alquanto turbato.
< Ti metti a completare quello che dico, adesso? >
< Si, scusa, scusa…Dottore. Provavo ad aiutarti… >
< Ascolta, Clara. Primo punto. >
 Tornò in piedi, raggiungendo con ampi passi la Console di Comando, parlando. < Mi sembra strano dirlo, ma anche se tutto appare caotico, quel tutto ha un suo particolare senso, una sua importanza precisa in questo universo. Quel ragazzino senza ricordi ha un suo motivo di esistere. Dobbiamo scoprirlo. >
Clara, si sollevò in piedi, rimanendo tuttavia accanto alla sedia metallica occupata in precedenza da Twelve.
< E cosa faremo? > Il tono che aveva usato, era come se lo avesse pregato di parlare, di rivelarle ogni suo pensiero, tanto la voce le uscì tesa.
Il Dottore, rimase in silenzio per diversi istanti. Dietro le sue spalle, Clara restava, senza nemmeno sfiorarlo, passando il proprio peso su piede e poi l’altro. Attendeva, la sua voce.
Clara. Era molto brava ad ascoltare, nonostante tutto, ed aveva molta pazienza con lui, soprattutto in quest’ultima generazione. Ne aveva probabilmente molto bisogno, adesso, più che mai. Dopo aver passato tutti quei decenni su Trenzelore.
< Punto secondo. Quel ragazzino mi è familiare. Perché? Nessuna idea. Forse duemila anni hanno consumato la mia memoria senza che me ne rendessi conto. Ma…mi è familiare. Più come…è giusto, anzi…> si voltò verso Clara < anzi, è come fosse di vitale importanza che lui sia qui. Forse perché lui deve essere qui! > Concluse, fissandola dritto negli occhi scuri.
< Tu > lei, allargò lo sguardo < credi che questo sia uno di quei punti fissi? Intendo, punti fissi nella  time-line? >
< Probabilmente. Ma…Clara, Clara, ho un altro punto, prima di dirti quello che faremo. E questo riguarda te. > Fece un mezzo giro attorno alla console, per calzare un bottone rosso, poi uno blu.
 < Me ? > Inclinò la testa di lato, alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia davanti a se. < In che…senso…? > Balbettò una parola dopo l’altra, mentre ora piuttosto preoccupata continuava a fissarlo.
< Ha ricordi più di te che di chiunque altro prima. Oh Clara. Lui ti venera come una Dea. Gli piaci. > Un leggero sorriso comparve sulle labbra del Signore del Tempo. < Pensa continuamente a te. Molto anomalo. Mica sei sua madre. Troppo vecchia per il resto delle possibilità. Oppure no? > sollevò un solo sopracciglio, ruotando il capo verso di lei. Il sorrisetto divenne malizioso.
< Dottore!!! Perché devi dire queste cose?? > lo ammonì, arrossendo tutta.
< Perché sei spassosa, Clara Osward! > Affermò mentre si voltava completamente dalla sua parte, con un enorme sorriso, che palesò a Clara, la sua perfetta dentatura. Le mani andarono a rifugiarsi nelle tasche dei pantaloni di lana scura, mentre si appoggiava con la schiena dietro, al cerchio metallico del Tardis.
< Non sono spassosa! > Affermò, allargando le braccia.
< Guarda come sei rossa! > continuò lui, incalzandola.
< E’ perché dici queste cose! >
< Le cose in cui tu e quel dodicenne …. > lasciò intendere, di tutto di più, lasciando in sospeso la frase, e continuando a sorridere.
< E’ solo un ragazzino! >
< Invaghito comunque della sua Maestrina! >
< Dottore! Basta! > Lo ammonì, ancora un po rossa. Strinse i pugni, battendo il piede sinistro a terra. Quando faceva di tutto per farla arrabbiare, lei ci cascava sempre. Ed anche questa volta, per di più per una motivazione stupida. Ma era come se quello che avesse detto le importasse, le importasse profondamente. Lasciò andar via immediatamente quel pensiero, appena se ne rese conto.
< Va bene, va bene! Tornando seri…hai detto che PE ti chiedeva di trovarne i genitori. Perché quei ricordi sono introvabili? >
< Cancellati, da quella tua amica, direi. > Incrociò le braccia davanti al corpo Clara, piegando le labbra da un lato, sottolineando con la voce, la parola amica, in un modo del tutto astioso. Tono che non sfuggì a Twelve.
< Avanti, Clara…non essere acida. >
< Acida, io? > Allargò i suoi occhi castani, facendo un’espressione volutamente stupita.
< Dì, che non te la sei presa, per quello che ti dissi l’ultima volta che mi sono rigenerato! >
Aveva perfettamente capito a cosa si riferisse. Il coraggio di guardarlo negli occhi in quel momento, lei lo ebbe solo per un istante. Fuggì a quello sguardo di ghiaccio, freddo eppure in grado di ferirti e penetrarti dentro. Era vero. Le era dispiaciuta ogni singola parola che le aveva detto. Twelve aveva costruito un muro tra loro, perché sapeva che lei era innamorata. Innamorata della sua precedente rigenerazione. Dell’uomo con il farfallino. Del chiaccherone dal dizionario forbito. Si quelle parole l’avevano del tutto devastata. Era stato per quello, per quella necessità di nascondere ciò che provava per lui, per cancellarlo da quella parte di memoria di superficie, che aveva guardato altrove ed aveva trovato Danny Pink. Danny, così semplice, e così lontano da Eleven, rifletteva un aspetto del Dottore che accumunava tutte le rigenerazioni. Soldato e Uomo. Emanava un certo auto-controllo di sé stesso, nei suoi modi posati che pur tuttavia non gli impedivano di rimpiangere il passato e i propri errori. Sicuro, deciso, le aveva sempre comunicato un senso di protezione. Probabilmente furono questi aspetti a trascinarla inevitabilmente verso di lui. All’inizio era stato un gioco, per distogliere la propria attenzione da Twelve, da Eleven, poi la cosa era diventata seria.
Fu il silenzio e le rosse labbra di lei serrate, quando rifuggì il suo guardo, a comunicare a Twelve la risposta alla sua domanda.
< Perdonami, Clara, se sono stato brusco con te…ma lo sai perchè.>
Gli bastarono due soli passi a raggiungerla. E stringerla sé. In un abbraccio. Forte. Caldo. Il massimo che avrebbe fatto. Lei, stupita fu costretta a sciogliere le braccia incrociate ed appoggiare le mani proprio sopra la maglia nera che il Dottore indossava, proprio sopra i suoi due cuori, che in quell’istante battevano all’impazzata. La destra di Twelve sul suo capo, tra i capelli, le spinse dolcemente il volto di più verso di lui, fino a quando la sua guancia toccò il suo petto.
Sollevò di poco lo sguardo. E lo guardò, sorridendo, come una bambina a cui hanno appena fatto un regalo.
< Non è vero che gli abbracci sono solo un altro modo per nascondere i propri volti… >
Lui aprì le labbra per ribattere in qualche modo, ma rimase bloccato a guardarla. Il suo dolce viso, gentile e i suoi grandi occhi bruni.
< Già… > Riuscì a balbettare, a malapena con la voce che gli uscì sporcata, roca. E subito dopo scappò, voltandosi di nuovo verso la console. In quel momento avrebbe voluto solo trovarsi molto lontano dai suoi due cuori. Battevano furiosamente.



Pianeta Terra: Afganistan, Provincia di Helmand, 21 Luglio 2009

< Dottore, ricordami, perché siamo venuti, per favore!!! >
La sera era calata. E il silenzio. Lontano sopra l’orizzonte si estendeva ancora una rossa luminosità reduce della discesa dell’astro solare oltre la linea del visibile. Solo le macerie erano rimaste a vigilare complici su quel luogo dimenticato dai vivi, regno ormai solo di corpi. Cioè che era avvenuto alcuni giorni prima, era ancora testimoniato dai cadaveri ai lati delle strade della piccola città. Cadaveri di soldati in mimetica, di entrambe le parti. Britannici e talebani. E anche qualche civile. Alcuni avevano il corpo solo in parte integro. Probabilmente a causa di bombe a mano, o mine. La guerra nessuno è in grado di risparmiare, e spesso nemmeno gli innocenti, quelli che mai avrebbero voluto essene attori, ne scampano. In braccio, qualcuno teneva ancora il proprio fucile, probabilmente rimasto senza proiettili. Proiettili vuoti e sangue. Polvere da sparo, nell’aria e il puzzo di sangue secco, molto simile a quello di carne arrostita, le fecero venire la nausea, mentre tentava di seguire nel passo Twelve, davanti a lei.
< Per capire, Clara! Dobbiamo vedere il luogo dove Pink ha sparato a John. Trovare il cadavere del ragazzino. Potrebbe esserci qualche indizio. > Dopo aver saltato a terra il corpo senza vita di una giovane donna dalla pelle scura, si voltò verso di lei. < La guerra è questo, Clara. Morte… nessuno vince, tutti perdono. Ma voi umani ancora non l’avete capito. >
< Vero… > sussurrò Clara.
< E nemmeno alcuni Signori del Tempo l’avevano capito… >
 Si voltò di nuovo, dando le spalle alla ragazza che continuava a seguirlo. Proseguirono per quella via, per un centinaio di metri, prima che il Dottore si fermasse, estraendo il proprio cacciavite sonico e sonicizzando l’entrata di un vecchio edificio di due piani.
Senza dire una parola, Twelve entrò seguito dalla ragazza.
L’interno era completamente buio e c’era un odore cattivo di chiuso misto a marcescenze. Clara accese la pila che si era portata con se, estraendola dalla tasca posteriore dei pantaloni. Il raggio artificiale prese ad illuminare il corridoio nel quale si trovavano.
< Controllo al piano superiore, tu resta qui… >
< Ma…voglio venire anche io... >
< Niente ma! Vedi se riesci a trovare il corpo. >
Allargò le braccia sbuffando, contrariata. Non aveva voglia di rimanere al buio in quel posto e per giunta da sola. Le dava una certa inquietudine, pensare a quanto successo lì, qualche giorno prima. E poi, non voleva lasciare lui solo. Mentre il Dottore stava già salendo al piano superiore, si infilò nella prima stanza a destra. La luce che teneva in mano, illuminò l’interno. Un grosso mobile in legno fracassato, e a terra piatti spezzati, teiere, bicchieri, qualche posata. Al centro del locale, un tavolo era stato rovesciato completamente sul fianco. Lo aggirò, e proprio lì dietro, lo vide. Il corpo senza vita di John, riverso su un fianco. Si inginocchiò accanto e lo voltò, per guardarlo meglio. John era vivo, eppure il suo corpo era anche lì morto. Tocco la guancia del ragazzino coi polpastrelli della mano libera, e una lacrima solitaria scese a rigarle il volto di tristezza. Quanti innocenti morti in quella guerra? La morte l’unica incontrastata vincitrice di questo universo. Un solo istante e la sua mente corse al Dottore, a lui. Alle parole che mai gli avrebbe detto e al giorno in cui se ne sarebbe andata per sempre, senza avergliele potute dire perché sapeva in se stessa che lui, non le desiderava sentire. La sua vita sarebbe terminata un giorno, e lui non aveva intenzione di soffrire ancora una volta. Dopo River, dopo Rose.
Guardò quel ragazzino, e pensò che un giorno anche lei sarebbe stata esattamente così. Un contenitore vuoto. Scosse il capo più volte per rassicurare se stessa, e scacciare quei cattivi pensieri. Evitare di pensare a quell’inevitabile conclusione del suo viaggio, fatto di una sola unica vita.
< Clara, concentrati…> espirò tutta l’aria e poi prese un profondo respiro.
< Allora, vediamo un po se troviamo qualcosa…e questo… cos’è? >
Persa nelle proprie considerazioni, gli era sfuggito in quel momento che il ragazzino avesse in mano qualcosa. Una specie di strano dispositivo circolare fatto di un materiale simile al vetro, col grigio scuro, connesso ad una piastra di poco più grande sulla quale vi era un solo ed unico pulsante di colore giallo fatto di uno strano materiale gommoso. Face attenzione nell’evitare di premerlo mentre sfilava quello strano oggetto dalla mano ormai irrigidita. Se lo rigirò fra le dita con estrema attenzione, chiedendosi cosa fosse. Era come se in realtà ne avesse già visto uno identico. Ma com’era possibile? Mentre era solo un eco del passato del Dottore, probabilmente, si disse. Lo appoggiò a terra, e senza sapere perché si mise a frugare nelle tasche dei pantaloni del ragazzino morto. C’era qualcosa, qualcosa che doveva trovare. Tirò fuori il contenuto di una tasca. Vi erano due caramelle dall’incartamento giallastro, una pallina di gomma, un foglietto ripiegato.  ed una targhetta metallica, collegata ad una catena dello stesso materiale. 
La prima cosa che fece fu il foglietto. Qualcosa cadde a terra. Era una medaglietta metallica molto sottile, collegata ad una catenina dello stesso materiale. Tornò a porre attenzione al foglietto e lesse < Trova ispirazione nel vedere e nel vivere! E poi sceglilo! > In che linguaggio fosse scritto non lo sapeva, ma riusciva grazie al tardis a leggerlo.
< Sceglilo… > ripetè tra sé. < Chissà a cosa si riferisce... > Se lo mise nella tasca dei pantaloni, quella dove aveva tenuto la pila elettrica. Prese la medaglietta in mano. Forma rettangolare. 4 x 1 cm di dimensioni. Una strana vibrazione, prese a percorrerle il corpo non appena il metallo toccò il palmo. Molto sottile, molto lieve. Era quel metallo, come se fosse vivo. Le venne in mente il Tardis. Forse era metallo vivo, come ciò che costituiva il Tardis. Vi erano diversi disegni sopra. Cerchi, prevalentemente. Cerchi che si intersecavano. Alcuni piccoli, dentro altri più grandi. Alcuni si toccavano in tangenza. Spirali che si chiudevano su un cerchio, e altre si originavano da più di uno, per contenerne diversi. Un disegno molto suggestivo, in uno spazio molto piccolo. 
< Clara! Qui, IMMEDIATAMENTE! >

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Capitolo 4
*** La stanza degli Specchi. ***


Come frammenti di specchi infranti,
come vite mai vissute che spezzano la mia mente e mi confondono,
come la tormenta di neve che soffia gelo sul cuore.
Così vedo quell'inevitabile momento in cui ci separeremo per sempre.


Clara
                                            

 

   4. La stanza degli Specchi.


Quel comando, come quello di un comandante ad un suo sottoposto, la fece scattare velocemente in piedi. Si infilò la medaglietta nella tasca davanti dei pantaloni e corse rapidamente di sopra, tenendo il dispositivo tecnologico in mano e la pila accesa nell’altra. Che fosse successo qualcosa di grave al Dottore? Era quello il pensiero che le face risalire la scala il più rapidamente possibile, saltando sempre un gradino. Arrivò alla prima porta, uscita dai cardini e per metà rotta.
< Dottore!!! >
L’interno era vuoto e buio. Varcò la soglia e l’oscurità l’inghiottì assieme alla polvere di cui era piena l’aria. Tossì due o tre volte rompendo quel silenzio di morte. Con il cono luminoso garantito dalla piccola torcia elettrica riuscì ad avventurarsi senza inciampare in niente fino a raggiungere una seconda stanza. La porta mancava. Frammenti di legno sul pavimento e bossoli di proiettili. Qualcuno aveva sparato per entrare lì. Entrò. Vi era un odore di qualcosa di marcito, come se si stesse decomponendo qualcosa. La luce della torcia prese a illuminare l’interno. Una striscia scura sul pavimento, macchie. Era. Era sangue. Sangue di persone. Vide due uomini che imbracciavano ancora i loro fucili, accasciati addosso ad una libreria. Totalmente aperti. Le loro viscere riverse sul pavimento. Sparse. Nausea forte la investì. Avrebbe vomitato se la sua mente non fosse stata distolta da una vibrazione e tre bip dalla tasta sinistra della camicia che indossava. Sms.
Pila tra i denti. Sfilò il telefono dal taschino e indietreggiando lesse. Era del Dottore. Strano, pensò.

Lei ti può aiutare. E’ viva.
She can help you. She’s alive.



Un messaggio strano.
Nel mentre era di nuovo nel corridoio. L’inquietudine che cominciava a salire. Perché il Dottore avrebbe dovuto mandare quel messaggio? Qualcosa non andava.
< Dottore? E’ …successo … qualcosa? Dove sei? > Clara era agitata.
< In fondo al corridoio! Presto! >
La voce concitata di Twelve la raggiunse dalla propria destra. In realtà il corridoio nel quale si trovava, aveva solo altre due stanze, una destra e una a sinistra, osservò.
< Dottore!!! Che succede??… > gridò quasi.
Corse fino in fondo, illuminando con la torcia elettrica il luogo. Spalancò una porta e poi l’altra, ma l’interno di entrambe era buio e polveroso. Era un corridoio chiuso, che finiva lì. C’era solo un muro con l’intonaco per metà perso. Perché non gli rispondeva. Che gli fosse successo qualcosa, senza di lei?
< Dove sei? Rispondi Dottore. > con la voce ancora più alta.
Doveva trovarlo velocemente. Quel messaggio.
< Sono qui, oltre il muro! >
Ruotò il volto verso il muro. Era da lì che veniva la voce di Twelve.
Mise tra i denti la piccola torcia elettrica, e tese quella mano ora libera verso il muro. E se quel muro fosse stato solo un illusione? Nel momento in cui i polpastrelli delle dita stavano per toccare la parete, il contatto mancò e avvertì un formicolio attraversarle la mano. Stupore. Dall’altra parte era vuoto. Prese un respiro e coraggiosamente attraversò il muro, e fu dove aveva trovato lo spazio vuoto.
< Sei totalmente sconvolta Clara. > Lo guardò dritto negli occhi. Lui le osservò il volto spaventato. < Mi fa piacere quando ti preoccupi per me…inutilmente. > Un cenno del capo la invitò ad entrare.
La calda luce di una sola lampadina illuminava la stanza. Il Dottore, aveva in qualche modo riparato il circuito elettrico dell’edificio, in quella stanza segreta. Quella camera aveva una grandezza massima di circa  quattro metri per lato eaveva le pareti fatte totalmente di specchi. Al centro vi si trovavano un letto in legno ricolmo di vecchie coperte scolorite dal tempo e lenzuola ingiallite di polvere. Lui aveva sistemato il cuscino dietro la schiena e si era ben accomodato lì.
< Meglio che evito di parlare! > disse lei < L’hai fatto apposta! >
< Non posso sempre essere l’unico a preoccuparsi! >
Clara fece finta di non aver sentito. < Che gusti strani per una stanza… >
Lui accennò un sorriso che gli piegò le labbra di lato per un istante. < Ti ricordo che tu stessa hai tre specchi per guardare il tuo volto che invecchia… > e rise, prendendola in giro.
< Ti ricordo la tua personale collezione di 53 fez e 207 farfallini, di quella stanza del Tardis. > Clara, naso all’insù, impettita e orgogliosa per quella risposta, si avvicinò al letto e si sedette all’estremità più lontana dal Dottore. L’ immagine della ragazza si moltiplicò centinaia di volte sulle pareti riflettenti, assieme a quella del Dottore, rimpicciolendosi dentro quelle finestre senza fine all’infinito. Centinaia di Clara. Echi in qualche altrove. Ed altrettanti Twelve.
< 56 fez per l’esattezza. Tutti assolutamente necessari. >
< Certo! > Rispose in modo distratto mentre osservava la propria immagine e quella del Dottore, che divertito la osservava dallo specchio. Si voltò verso di lui giusto per tiragli addosso la pila portatile che teneva ancora in mano. Il lancio mancò l’obiettivo per un soffio, rimbalzando a lato della sua testa, sul cuscino per finire a terra. La solita fortuna, pensò lei.
< Clara, Clara…> scosse il capo, due volte, continuando a sorriderle. Prese un profondo respiro, prima di dire altro. < Ma torniamo alle nostre questioni. Questa è la stanza degli specchi. Uno dei ricordi più vecchi. > Disse lui, allargando le braccia e dando un colpo d’occhio all’intera stanza.
< L’hai trovata dentro la mente di John ? >
< Affermativo. E tu, l’hai trovato? >
< Si e, Dottore, ho trovato questo oggetto in mano a John, al corpo… al piano inferiore…sembra importante. Credo…> Clara appoggiò il dispositivo circolare sul letto, mentre il Dottore, si raddrizzava con la schiena e si sporgeva interessato sull’oggetto.
< Bene! Non è stato mosso niente allora da quando PE gli ha sparato. Sicuramente possiamo arrivare ad un buon punto! Bene, molto molto bene! > Il Dottore entusiasta. Il volto gli si illuminò. Era sempre la prima volta, c’era sempre qualcosa di nuovo e sconvolgente dietro l’angolo che l’attendeva. Da scoprire, da comprendere, da vivere.
< Come fai a parlarne così tranquillamente? Come se fosse un gioco? > Lo guardò, accusatoria.
< Lo è sempre stato! >
Lei non disse niente. Il volto corrucciato, quasi dispiaciuto da quelle parole, che la tiravano inevitabilmente in ballo in quel “gioco”. Aiuto protagonista. Intanto Twelve si rigirava l’oggetto tra le mani, alquanto soddisfatto.
< Oh, Clara, questo è un Dispositivo utilizzato per aprire portali Spazio-Temporali. Un po particolare però. Lo può utilizzare solo il proprietario. All’interno vi è registrato il codice genetico. Una vecchia tecnologia comunque. Questo pulsante giallo, serve per attivare il dispositivo. > Sollevò l’oggetto in alto, e lo avvicino allo sguardo più volte. < Può essere utilizzato solo con un catalizzatore di energia vitale che smembra a livello molecolare l’utilizzatore! Ecco il perché della presenza degli specchi! Gli specchi servono come deviatore dell’energia-pensiero del viaggiatore in uno spazio senza spazio per cominciare il viaggio. Lo specchio in sé riflette in un altro specchio un nuovo spazio. Nuovo. Diverso. >
< Uno spazio che non esiste in realtà… >
< Come fai a dire che non esiste, quando lo vedi proprio con i tuoi occhi? > Abbassò la mano con l’oggetto per andare a fissare la ragazza in volto.
Lei allargò le braccia. Le sembrava alquanto strano esistesse uno spazio negli specchi.
< Lo so. A te sembra solo un riflesso ma non è così. Quella Clara che è dentro quello spazio sei sempre tu, in un'altra, in una nuova dimensione. La tua coscienza si sente lì quando tu sei volta verso quel riflesso di te, e più si sente altrove e più sarà facile spostarsi. E quando uno specchio riflette uno specchio, nasce un nuovo spazio. Gli specchi sono come porte su altre dimensioni. L’importante è attraversarle, e non rimanervi troppo a sostare.  >
Rimasero in silenzio per qualche istante, finchè Clara non si ricordò della piastrina metallica che teneva nella tasca posteriore dei jeans.
< Dottore…c’era anche questa. > E gliela mostrò. Lui allargò lo sguardo stupito, e tirò a sé quel pezzetto metallico attraverso la catenella al quale era collegato.
< Oh. > riuscì solamente a dire, rigirandosela fra le dita, osservando i disegni incisi.
< Di cosa si tratta? >
< Questa, va qua.  > Inserì la schedina metallica in una fessura sottilissima sul bordo del dispositivo col bottone. Clik metallico come se qualcosa si fosse sbloccato. < Serve come ulteriore misura di sicurezza, per evitare che il proprietario per sbaglio spinga il bottone… > disse mentre lui stesso faceva quanto detto.
L’indice della mancina di Twelve era ancora appoggiato quando tutto prese a vibrare, come se lo spazio-tempo avesse preso a contrarsi in quel punto, modificandosi. Gli specchi vennero percorsi come ad un onda. E poi tutto divenne strano, inconsueto. Era come se l’aria si fosse riempita di inquietudine tutto d’un tratto. Sull’orlo di un tunnel temporale, quando potresti finire dentro un non-spazio e un non-tempo. Come quella volta in cui Clara si era aggrappata al Tardis da fuori e lo aveva raggiunto su Trenzelore. Questo era quello che stava provando lei. Questa la sensazione che si agitava dentro la mente di Clara.
< Ops… >
< Come ops? Che significa ops, Dottore? > Clara si alzò di scatto dal letto nel quale era seduta. Lo vide piegare le labbra in un sorriso tirato di circostanza.
< Credo di aver commesso un piccolo errore di valutazione. Il proprietario... >
Gli specchi cominciarono a tremare vistosamente. L’intera stanza era come se stesse per frantumarsi. Clara era spaesata. Si guardò attorno completamente spaventata. < Dottore! > Vide il suo antico volto schiarirsi, come se la sua immagine perdesse consistenza. < No! No! No! > Scuoteva la testa, mentre in un balzò si era accostata a lui seduto. Aveva avvicinato la mano alla guancia per accarezzarla ma non riuscì mai a raggiungerlo. Non era mai riuscita in quel contatto più intimo. E nemmeno in quell’ultimo momento assieme era scritto che questo non dovesse accadere.
< Clara. Mi dispiace… >
Quello sguardo che le rivolse prima di svanire, assieme alle sue ultime parole, mai se lo sarebbe dimenticato. Pieno di rammarico. Pieno di dolore. Ed era lo stesso rammarico, lo stesso dolore, la stessa angoscia che lei stessa provava. Gli specchi si infransero e mille frammenti caddero dalle pareti; era come se lo stesso cuore di Clara fosse andato in frantumi.
Le persone che Ami prima o poi se ne vanno, e ti lasciano sola.
Danny che aveva cercato di amare.
Il Dottore. Quando Amare va a superare il limite, quel limite umano che significa possesso, e divine altro. Amare senza limiti.
 
 

Nel Taris, poco dopo.

Non si poteva ancora arrendere. L’unica idea che le venne in mente era quella di usare il Tardis per cercarlo.
Aveva gli occhi lucidi di lacrime e le guance bagnate, quando le sue mani si immersero dentro il fluido luminoso che costituiva la guida telepatica del Tardis. Doveva provare. Cerca il Dottore. Portami da lui. Qualcosa si aggrappò alle sue dita, trascinandola dentro, ancora più in profondità. Cerca il Dottore. Portami da lui. Ti prego portami da lui.
Un rintocco sordo. E silenzio. Alzò lo sguardo giusto il tempo per vedere sullo schermo mobile apparire queste parole.

Dottore Chi?

Rimase sconcertata. Forse qualcosa non andava. Continuò a concentrarsi. Trova il Dottore. Tardis trova il Dottore.

Un nuovo rintocco.

Lo schermo: Esistono numerosi dottori: dottor anderson, medison street 21, london 1832 Terra; dottor Jillean, Norton avenue 1245, Greenwich 1834, Terra; dottor rossi, rome piazza guiducci  45 int A 1988, Terra; Inm Kha della città di Luhtherandskar, 25695 e.g., pianeta Nhipos 12;…

L’elenco era infinito. Sullo schermo cominciarono a scorrere nomi con annessa locazione spazio-temporale. Alcuni umani e altri alieni. Bit su bit.

< No! Non farmi questo… Tardis non farmi questo.> Labbra tirate, parole fra i denti. Non ci stava! Non voleva starci! Non poteva essere finita. Chiuse gli occhi di nuovo Clara, le mani ancora nella stessa posizione. Tento di scacciare lo sconvolgimento che la agitava dentro e concentrarsi di nuovo. < Trova il Dottore Signore del Tempo! Questo Dottore! Ha più di 2000 anni umani, nella sua dodicesima rigenerazione. Solo questo… >
Lo schermo si bloccò. La lista scomparve.

Nessun dottore con le seguenti caratteristiche è stato trovato.
 
Perchè? Perchè proprio a lei era dovuto accadere?
Era finita.
Sola.
Dispersa.
Il Dodicesimo scomparso da tutto lo Spazio e il Tempo.
Ogni speranza svanì dalla consapevolezza di Clara.
Era finita per sempre.
Poteva tornare nel suo tempo, con la guida telepatica. E poi?
Era finita.
L’unico uomo che aveva davvero Amato.
Cosa poteva fare in quel momento se non sedersi nella poltrona in cui lui era solito sedersi per meditare, e piangere. Piangere a dirotto raggomitolandosi su se stessa. Piegate le ginocchia e tirati su i piedi, aveva nascosto il volto nel tessuto che costituiva lo schienale. Sentiva ancora il suo odore lì. L’odore del Dottore. Così dolce e raffinato. Così sensibile. E questo non fece altro che peggiorare il suo stato emotivo.
 
Chiusa nel proprio dolore e in quella tetra rassegnazione che l’aveva colta, non si accorse che il ragazzino gli si era avvicinato da qualche minuto e la guardava piangere. Quando una delle sue mani andò a sfiorare la spalla, lei nemmeno si accorse. Ci volle del tempo affinchè quel tocco potesse farla emerge dal mare di disperazione che l’aveva sommersa.
< John… > sussurrò. Con gli occhi pieni di dolore e lacrime che non volevano placarsi, lei lo guardò mentre si voltava per abbracciarlo.
< Il Dottore è scomparso… ed io non so cosa fare. Scusa. Scusa, piccolo. > Continuava a piangere, mentre lo stringeva a se. < Siamo bloccati qui. Nel passato. Nel passato in cui sei morto. >
Per qualche istante nessuno dei due osò rompere il silenzio. Poi John ebbe un idea.
< Andiamo a cercarlo. >
< Ma io non sono lui. E il Tardis non riesce a trovarlo. >
< Clara, tu sai come funziona questa macchina? O conosci qualcun altro, oltre al Dottore, che lo sa fare? > Il ragazzino si scostò da lei, facendo un passo indietro per rivolgerle la domanda.
< Qualcuno che la sa usare… > ripetè, tra sè.
Il messaggio le tornò in mente improvvisamente. Come risposta alla domanda di John.
L’sms non era stato uno scherzo.

Lei li avrebbe aiutati. Non era morta.

Ma lei chi? Chi?
Qualcuno che non era morto. Qualcuno ancora vivo. Vivo.

Quando finalmente capì, le labbra le si spalancarono lasciandola finalmente libera dalle lacrime e riempendola di stupore.

Missy era viva.

Doveva cercarla, anche se questo significava correre dei rischi.





Nota: ci ho messo abbastanza per pubblicare questa parte, mi spiace per chi l'ha inserita tra le seguite. Purtroppo l'ispirazione è altalenante: bassi e alti. In ogni caso la storia proseguirà senza alcun dubbio. Ho scritto diversi capitoli relativi a fatti che si verificheranno molto in là nella storia. Quindi sarà molto difficile che la interromperò. Rinnovo l'invito a chi legge: se trovati errori di grammatica o frasi con punteggiatura errata o poco fluide, segnalatemelo; purtroppo inserisco di getto quello che mi viene in mente e sicuramente qualche volta, immagino, possa essere sicuramente mal scritto o contorto. Un bacione a voi che leggete! Grazie

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