La Morte balla il Tango di 13Sonne (/viewuser.php?uid=41146)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Layer 00: Rules ***
Capitolo 2: *** Layer 01: Sweets ***
Capitolo 3: *** Layer 02: God ***
Capitolo 4: *** Layer 03: Ache ***
Capitolo 5: *** Layer 04: Bug ***
Capitolo 1 *** Layer 00: Rules ***
Happy Game
<< -Salve a tutti, tesorini coperti di
profumato caramello zuccheroso. Con una carica di allegria che tanto mi fa
venir voglia di affogarmi in una piscina di miele vi do il benvenuto alla prima
giornata di questo nuovo, fantastico videogioco. Ancora non abbiamo deciso il
nome, ma siamo felici lo stesso, vero? La voce che sentite appartiene a me,
Goth. Si, lo so, è un nome ridicolo, ma ho sempre sospettato che i miei
genitori facessero parte di un complotto ordito per rendere la mia vita
miserabile.- >>
Non riusciva a capire: quella voce apparteneva ad un maschio
o ad una femmina? Il nome non dava un aiuto a rispondere a quella domanda, e la
voce era strana: o era un po’ mascolina oppure fin troppo femminile, non
riusciva bene a capire.
Non che per Shadi cambiasse davvero qualcosa: maschio o
femmina che fosse, se avesse voluto gli sarebbe comunque bastato un semplice
gesto per far cadere quel… Goth ai
suoi piedi. Goth come chiunque altro.
Si guardò di nuovo allo specchio, cercando di vedere se
c’era qualcosa che non andava nel suo aspetto: controllò ogni centimetro di
stoffa alla ricerca di un qualche granello di polvere, si accertò che i suoi
capelli fossero ancora lucidi e perfettamente pettinati, e quando finalmente
decise di essere ad un livello accettabile di bellezza ammiccò al proprio
riflesso.
Irresistibile. Shadi sillabò la parola, lentamente, senza
però emettere un suono: era ir-re-si-sti-bi-le.
<< -Io sono
Los, e non so voi ma mi sto già annoiando.- >>
<< -Los, oltre
a fare evidentemente parte del suddetto complotto, è anche il secondo speaker
di questo gioco. Insieme commenteremo, parleremo e guarderemo tutto ciò che
accade.- >>
Bambole. Ninon si ritrovava in un negozio di bambole.
Milioni di occhi di vetro la fissavano. Pietre di ogni
colore, verde, blu, marrone, incastonate in un freddo involucro candido come la
neve coperto con deliziosi vestitini di pregiata fattura. Piccoli contenitori
vuoti che l’osservavano, con un fragile sorriso dipinto in rosso scarlatto.
Ninon, tenendo per mano il suo orsacchiotto, si avvicinò ad
uno scaffale, attirata da una bambola in particolare. Aveva i capelli neri-
come lei. Gli occhi blu- come lei. La pelle bianca- come lei.
La bambina posò una mano sulla guancia della bambola,
trasmettendole il suo calore- poi la buttò a terra, seguendo la traiettoria di
ogni singolo pezzo di porcellana.
L’unica spiegazione che decise di dare al suo orsacchiotto,
per spiegare quello strano comportamento, fu che lei era la regina delle
bambole. Lei poteva farlo, e lo aveva dimostrato.
Strinse l’orsacchiotto al petto, chinandosi di fronte ai
cocci della bambola, e cominciò a raccoglierli uno per uno.
<< -Noi vediamo
ognuno di voi, ovunque esso sia. Noi siamo onniscienti. In questo gioco, noi
siamo Dio.- >>
Corey sorrise ascoltando la frase del secondo speaker- Los.
‘In questo gioco, noi siamo Dio ’.
Era vero per loro come era vero per tutti: nei giochi
chiunque poteva essere chiunque.
Ecco perché i videogiochi erano così amati: perché si poteva
essere qualcun altro. Quello era l’unico modo in cui Corey potesse essere
importante, temuto.
Non che nella realtà virtuale il suo aspetto fisico fosse
cambiato, era sempre un debole bambino di undici anni. Tuttavia quello era il
suo posto, il suo habitat naturale: sapeva cosa fare e come agire.
Aveva solo bisogno di comprare le attrezzature adatte e di
collegarsi al programma: due operazioni che probabilmente avrebbero richiesto
un giorno di gioco.
Alla fine di quel giorno, però, tutti avrebbero cominciato a
tenere in considerazione quel debole bambino di undici anni.
<< -…Certo,
Los. Ad ogni modo, noi non possiamo intervenire mai.- >>
<< -Come Dio.-
>>
<< -Vorrei
approfittare di questo momento per ricordare che avendo firmato il contratto
avete accettato di non farci causa. Grazie per l’attenzione.- >>
Meredith era troppo occupata ad essere sicura che i suoi
biondi capelli color del grano baciato dal sole del mattino di una candida
giornata di primavera fossero morbidi e setosi per ascoltare una sola parola di
ciò che stavano dicendo i due speaker.
La risoluzione grafica di quel gioco era splendida:
riportava con precisione la perfezione delle sue curve, il candore della sua
pelle, riusciva persino a ricreare il
blu ‘mare profondo e tempestoso a mezzanotte mentre un faro lo illumina in
lontananza’ dei suoi occhi.
Sorrise, cercando di mostrarsi timida ma al contempo
noncurante: mentre tutte le altre ragazze, al suo posto, sarebbero andate in
giro a vantarsi di quel meraviglioso corpo, lei invece si comportava in modo
diverso. Lei era matura, intelligente, ma totalmente incompresa, sempre oggetto
delle prese in giro delle sue amiche perché invidiose del suo corpo perfetto.
Nessuna la capiva; ecco perché lei doveva vincere quel
gioco. Doveva riscattarsi, doveva far valere i suoi diritti, doveva dimostrare
di essere davvero diversa dalle altre.
Camminò verso la porta, prendendo un pacchetto di sigarette
dai suoi sicuramente anti-conformisti pantaloni a vita bassa, e cominciò a
pianificare i suoi movimenti per i giorni a venire.
<< -Le regole
sono semplici: l’ultimo che sopravvive vince. I partecipanti possono tentare di
uccidere gli altri, ma è stancante, inutile e fin troppo noioso. Dovete sapere
che le probabilità che accadano incidenti mortali sono state alzate di brutto:
in poche parole, se nessuno va in giro ad uccidere gli altri dovrebbe esserci
una media di due morti a giornata. Come vedete è inutile sprecare energie in
questo modo, perché fra, uuuh… cinque giorni di gioco più o meno dovrebbe
essere tutto finito. Rilassatevi e divertitevi.- >>
Oliver e Nicolas erano comodamente seduti su un divanetto di
un pub desolatamente vuoto, assorbendo passivamente le informazioni che uno
degli speaker – Los, se non si sbagliavano – stava dando.
Non avevano bisogno di parlare, per capirsi. Forse perché
erano gemelli, oppure perché, nella loro vita, non si erano mai separati per
più di cinque minuti: certo era che la maggior parte delle volte pensavano le
stesse cose nello stesso momento.
In quell’istante, ad esempio, non avevano neanche dovuto guardarsi per decidere che le prime ore
di quella giornata andavano spese nell’ozio più totale. Certo, Nicolas era
giunto a quella conclusione convincendosi che in realtà avrebbe pensato ad un
piano per vincere mentre Oliver cercava solo di godersi quella pace prima che
il fratello lo spingesse a fare qualcosa di stupido e pericoloso, ma ciò che
importava era il risultato: e come al solito, anche percorrendo diverse strade,
quello era lo stesso.
<< -A parte
l’ovvia incapacità di fare le tabelline del mio collega, vorrei solo aggiungere
che essere in un videogioco non vi libera da bisogni quali, ad esempio,
mangiare o dormire. Partite con una riserva iniziale di 500 monete, una somma
soddisfacente di crediti che probabilmente si esaurirà più o meno il secondo
giorno.- >>
<< -A meno che
non decidiate di dormire sotto un ponte e mangiare spazzatura.->>
Celia sorrideva ascoltando le parole degli speaker. Quella
specie di vacanza dal lavoro la rendeva felice; era davvero tutto più
divertente oppure era solo la sua immaginazione?
Non le importava, non tanto quanto ordinare un gelato.
Sapeva che non ne avrebbe sentito il gusto, ma – forse grazie all’eccellente
grafica – le coppe in fotografia erano semplicemente irresistibili.
Avrebbe speso delle monete per niente, però come poteva
resistere?
Il gelataio – un NPG, personaggio non giocante – era in quel
momento occupato, ma per Celia non era un problema. La semplice idea che il
giorno dopo non avrebbe dovuto andare al lavoro rendeva tutto più leggero, in
un qualche modo. Semplice.
<< -Per
guadagnare monete basta trovare un lavoro, fare qualcosa di utile nella città e
così via. L’affitto delle camere è giornaliero, ed avete un massimo di due
giorni di ritardo sul pagamento. ->>
<< -Il resto
potete pure scoprirlo da soli, buona giocata e divertiteci.- >>
Daniel era estasiato al pensiero di poter passare due giorni
senza far nulla. Certo, avrebbe dovuto lavorare, ma quanto poteva essere duro
il lavoro in un videogioco? Al massimo noioso.
Gli piaceva pensare che quella nuova esperienza potesse
dargli l’ispirazione per un nuovo libro: non aveva mai venduto dei best seller,
ma almeno aveva i soldi per mangiare.
Il problema era che i soldi stavano diminuendo in fretta, e
presto avrebbe dovuto chiedere dei prestiti per poter sopravvivere: quindi o
vinceva il videogioco, sperando che il premio fosse in denaro, o riprendeva
l’ispirazione.
Ma d’altronde Daniel era un ottimista. Se non vinceva e non
superava il suo blocco dello scrittore, almeno avrebbe vissuto una bella
esperienza prima di potersi impiccare.
<< -Un ultima
cosa…- >>
<< -Aah, basta!
Hanno capito, possono andare avanti da soli!- >>
Gwen non era particolarmente felice di essere li. Certo,
vincere era sempre bello, e se il premio poi era in denaro la cosa si faceva
anche interessante, ma non gli erano mai interessati i videogiochi. A parte per
venderli, ma quello era un altro conto.
Il vero motivo per cui si trovava lì era suo marito: neanche
i due figli, suo marito.
Perché sapeva che era inaffidabile, come sapeva che non
tutte le ragazze che adoravano i videogiochi erano così brutte: quindi, essendo
lei dell’idea che un tradimento rimane un tradimento anche se virtuale, voleva
essere presente per ucciderlo sia via gioco che in realtà.
Quello non voleva comunque dire che doveva sprecare quella
interessante esperienza, e poi doveva tenersi in allenamento: avrebbe avuto
bisogno di crediti, e la cassa del negozio ne era spaventosamente piena…
<< -Un ultima cosa. Potrete scommettere su
chi sopravvivrà fino alla fine o su chi sarà il prossimo a morire. La seconda
opzione, in caso di vincita, vi darà l’occasione di accumulare crediti, mentre
la prima vi darà una parte del premio finale. E ora, Los, so che scalpiti: dai
inizio al gioco.- >>
Sid era in un negozio di vestiti. Ironico, considerando che
era da una settimana che era vestito allo stesso modo.
Non importava. D’altronde non era di vestiti puliti che
aveva bisogno.
Uscì dal negozio e si guardò attorno, cercando il primo
vicolo scuro in cui rintanarsi: di solito quelli
si andavano a cacciare nei posti peggiori, quindi aveva più possibilità di
trovarne uno se cominciava a cercarlo da lì.
C’era anche la probabilità che non ci fossero. Sid ebbe un
brivido al solo pensiero, stringendosi così tanto il braccio destro da
piantarci le unghie.
Certo che c’erano- nell’annuncio dicevano che il gioco
riproduceva fedelmente la realtà, quindi un pusher c’era di sicuro. Ci doveva
essere.
D’altronde che male poteva fargli? Era vero che aveva deciso
di partecipare al gioco per tentare di smettere, ma era realtà
virtuale, quindi non si avvelenava davvero. Non poteva fargli male.
Quella sarebbe stata l’ultima pillola, poi si sarebbe
pulito. Sì, si sarebbe pulito- però aveva maledettamente bisogno di quell’ultima
dose.
<< -Era ora. Le
scommesse sono aperte: signori, faites vos jeux.- >>
Faites votre jeux: per Dodger non c’era una citazione più
azzeccata.
Si trovava in quello che era il suo paradiso e il suo
inferno insieme: una sala giochi. Un’enorme e abbastanza vuota sala giochi, a
parte per i croupier.
Con un sorriso da un orecchio all’altro ed il braccio destro
che, da solo, si era mosso a prendere una moneta, Dodger capì che molto
probabilmente sarebbe morto in quel posto- o avrebbe vinto in quel posto.
Si fermò, ragionando: perché doveva sprecare i suoi soldi in
quel modo? Era in un videogioco e quindi vinceva solamente crediti- senza
contare che, andiamo, quante volte gli sarebbe capitato ancora di trovarsi in
una realtà virtuale? Avrebbe dovuto godersi quella esperienza, no?
Scosse la testa, inserì la monetina nella slot-machine ed
abbassò la leva, gridando di gioia quando poi uscirono tre monetine.
(-*O*-)
Nota d'Autore: Allez,
mon petite! Chi vincerà mai? Chi sarà il primo a dire
addio alla storia? Ma soprattutto, qualcuno mi sa dire chi è mai
la Mary Sue? Ho sentito che si è intrufolata nel mio scritto e
non riesco a trovarla- OH MY GOD! T-T
|
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Capitolo 2 *** Layer 01: Sweets ***
Layer 01: Sweets
<< -Sono
passate due ore dall’inizio del gioco e nessuno è ancora morto.- >>
<< -Sai, Los,
non posso credere che tu ti stia attualmente impegnando a fare qualcosa. Anche
se questo qualcosa è un continuo ed inquietante messaggio inviato ogni mezz’ora
per ricordare ai videogiocatori che la morte è dietro l’angolo.- >>
<< -Attualmente
sto ricordando alla morte che in teoria dovrebbe essere dietro l’angolo. Se
tutto continua con questa calma dovranno almeno degnarsi di portarci dei
dolci.- >>
Sentendo questo Shadi si fermò in mezzo alla strada,
sorridendo con fare malizioso.
“Oh, se vi annoiate
così tanto posso venire a farvi una visitina.”
Che strane, le coincidenze della vita- anche Shadi, in quel
momento, si stava annoiando immensamente.
Fece un occhiolino prima di mimare con le labbra un bacio
che, in teoria, era rivolto ai due speaker ma che in realtà fu recepito da un
NPG: Shadi non notò nemmeno l’aria di disgusto sul volto dell’uomo, occupato
com’era ad aspettare una risposta.
Bisognava dire che se il personaggio non giocante avesse
reagito in maniera positiva Shadi sarebbe stato felice lo stesso: d’altronde
l’importante era essere in compagnia.
<< -Alla tua
età avevo la decenza di ubriacarmi prima di provarci con una persona che
conoscevo appena.- >>
<< -Ai tuoi
tempi provarci era stringere la mano a qualcuno. Comunque, io ci farei anche un
pensierino ma purtroppo non sono gay.- >>
<< -Uh, forse
mi sbaglio Los, ma credo di averti visto fare delle avanches a dei ragazzi, ad
alcune feste.- >>
<< -Mi
piacerebbe disquisire con te sulla sottile linea fra ‘omosessualità’ e ‘ubriaco
da far schifo’, però mi sono reso conto che mi è venuta voglia di dolci.-
>>
“E noi non vogliamo
mica che il bambino nasca con una voglia a forma di millefoglie, vero?”
Dodger si rese conto troppo tardi che la battuta non l’aveva
solo pensata.
Per pochi secondi si bloccò, braccio a mezz’aria e volto
congelato in una smorfia di disappunto – la fortuna, che all’inizio gli aveva
sorriso, aveva deciso di abbandonarlo nelle seguenti giocate che aveva fatto
arrivando al punto che i suoi crediti si erano dimezzati - , quasi temendo che
dalle finestre del casinò entrassero delle guardie dell’FBI. Passati cinque
secondi di assoluta tranquillità Dodger si ricordò che bene o male di vincere
al videogioco gli importava poco più di nulla: inserì quindi la moneta nella
slot machine e ritornò a pregare la dea bendata per un misero jackpot.
<< -Quell’uomo
è appena diventato il mio mito.- >>
<< -Sai, Goth,
sono spaventato. Intendo dire, siamo entrati in contatto con solo due
personaggi e tutti e due non erano normali. Non credo sia un caso.- >>
<< -Certo, in
realtà è un complotto per distogliere la nostra attenzione dall’assassinio dei
Kennedy.- >>
<< -Io mi
riferivo più al fatto che forse le selezioni sono state fatte un po’ a caso, ma
anche questa teoria è carina.- >>
<< -Comunque,
per quanto riguarda il… ragazzino posso dire che non fosse normale, ma cos’hai
contro il mio idolo?- >>
<< -Il
ragazzino, che penso d’ora in poi chiamerò ‘sgualdrinella’…- >>
<< -Stai gia
cominciando bene, complimenti.->>
<< -…bhè, la
sgualdrinella è, per l’appunto, una sgualdrinella. Il tizio con il cappello da
Al Capone, invece, ha evidentemente un problema. Intendo dire, posso capire se
stesse giocando con un videogioco, ma è da due ore che sta spendendo soldi in
una stupida slot-machine.- >>
Gwen si bloccò sul posto, chiudendo gli occhi mentre la sua
mente assorbiva l’ultima frase, quasi avvelenandola dentro- perché di ‘tizi con
il cappello alla Al Capone’ c’è n’erano tanti, ma l’unico che aveva anche il
vizio del gioco d’azzardo era Dodger. Suo
marito.
Per pochi istanti le venne da strillare, gridare, prendere a
pugni un povero NPG innocente per sapere dove fosse l’uomo che aveva avuto la
sfortuna di sposare- poi si calmò.
D’altronde i crediti erano solo di Dodger, cosa le
interessava se si stava riducendo sul lastrico?
Quindi, rilassata, si voltò e ritornò a cercare un NPG dal
portafogli abbastanza gonfio.
<< -E comunque
tutto questo passa in secondo piano rispetto al fatto che voglio mangiare un
dolce.- >>
<< -Los, siamo
in un videogioco. Non sentiamo il sapore delle cose, perché dovresti sprecare
il tuo tempo cercando qualcosa da mangiare?- >>
<< -Prima di
tutto a portarmi il dolce sarà un cameriere, secondo non vedo cosa ci sia di
male a volere qualcosa di buono. Intendo dire, lo fa anche la signorina ‘ehi
ehi ehi è strepitoso essere vivi!’, perché non posso farlo io?- >>
Celia aggrottò la fronte, perplessa, ingoiando a fatica
quell’ultimo boccone di gelato.
“State, uh, parlando
di me?”
<< -Ebbene si,
signorina che mangia il gelato da qualcosa come due ore. È sempre lo stesso o
ne hai presi altri dieci?- >>
La donna aprì e chiuse la bocca, arrossendo per l’imbarazzo.
Non le sembrava di aver fatto qualcosa di male ma i due non sembravano della
stessa opinione- e se avevano ragione loro allora come poteva giustificarsi? Il
suo non era altro che un atto di golosità e d’altronde era vero che non si
sentiva nemmeno il gusto, quindi era stata solamente una sciocca a fare
qualcosa che aveva infastidito i due ragazzi per niente…
<< -Rilassati,
Los non ti sta prendendo in giro. Lo vuole davvero sapere.- >>
<< -Ho fame.-
>>
<< -Sei peggio
di un neonato.- >>
Daniel non poteva lamentarsi. Il posto era carino, gli NPG erano
diversi e interessanti ed i due speaker riuscivano a far passare il tempo in
modo divertente. L’unico problema era che a volte si interrompevano per un po’
di tempo per poi riprendere con quella che sembrava una risposta ad una domanda
che solo loro avevano sentito. Probabilmente parlavano con uno degli altri
personaggi, ma comunque era irritante.
Nel corso del suo peregrinare era entrato in contatto con
tre altri PG. Li si riconosceva perché avevano qualcosa di diverso- in un
qualche modo erano più luminosi.
Bhè, i tre personaggi che aveva incontrato erano parecchio
strani. In ordine cronologico la prima era stata una bambina con in mano un
orsacchiotto: aveva dei vestiti da bambolina e in generale sembrava una piccola
vampira.
Poteva essere una protagonista perfetta per un suo libro: le
storia di una bambina eternamente giovane che vaga per il mondo succhiando il
sangue di chi la fa star male. Peccato che, come tutte le grandi storie,
sicuramente uno scrittore più bravo di lui l’aveva già scritta.
Il secondo che aveva incontrato era un ragazzo dall’aria
dimessa che correva avanti e indietro per le vie più scure della città alla
ricerca di qualcosa- non si accorse nemmeno di averlo urtato da quanto era
disperato.
Il terzo, invece, era un altro bambino. Per qualche secondo
Daniel aveva ragionato sulla possibilità di andare a salutarlo, ma il ragazzino
era troppo occupato a costruire qualcosa per dargli un minimo di attenzione.
Aveva poi continuato a girare per la città fino a quel
momento, in cui, nascosto dietro ad un albero, stava osservando un’altra
giocatrice.
Non era bella - era carina, se piaceva il tipo – ma era
comunque interessante perché, molto probabilmente, era la ragazza con cui i due
speaker avevano parlato fino a prima. La prova era il fatto che stesse
mangiando un gelato.
Cosa fare, quindi? Andare a presentarsi o rimanere
nell’ombra? In quel momento Daniel non aveva voglia di scegliere.
<< -Voglio solo
una fetta di torta, non è una richiesta così terribile.- >>
<< -Puoi
andartela a prendere.- >>
<< -Per
togliere così il lavoro al cameriere?- >>
“Adesso basta!”
Meredith, nella sua rabbia, pensava che strillando si
sarebbe mostrata maleducata eppure sensata.
Si ricompose, spostando una ciocca dei suoi biondi capelli
color ‘oro che riluce grazie ad un raggio di sole al tramonto’ dietro
l’orecchio, e con un’espressione fredda ma furiosa riprese a parlare.
“Per quanto ancora
volete parlare di quelle cazzate? Eh? Eh? Concentratevi su di me! Io sono il
fulcro dell’azione, non i dolci ne la ragazzina che mangia il gelato! Io!”
Ogni parola era piena di velenoso odio, ma le apparivano
così perfette che di sicuro i due speaker si sarebbero vergognati di loro
stessi e le avrebbero chiesto scusa.
<< -Gne gne
gne!- >>
<< -E voglio i
giocattoli! I giocattoli! VOGLIO I GIOCATTOLI!- >>
<< -E invece no
invece no invece no, bu-HA!- >>
La ragazza sgranò i suoi meravigliosi occhi color del cielo
in una notte di tempesta, scandalizzata eppure con espressione di sufficienza
mentre si rendeva conto che non le avevano dato ragione e che anzi la stavano
persino prendendo in giro.
Ma certo, era ovvio: loro, come gli altri, erano solo
invidiosi della sua intelligenza e bellezza e incredibile forza, nonché contro
il suo diverso stile di vita. Non riuscivano ad accettare che potesse esserci
qualcuno superiore a loro, erano spaventati dalla sua suprema perfezione.
“Ah si?! Bhè… uh… la
ragazza del gelato è morta! Morta! Perché lei è gioiosa e allegra e le persone
come lei sono noiose e muoiono subito perché non sanno sopravvivere da sole!”
Soddisfatta di se stessa e della sua arguzia, Meredith fece
un sorriso di trionfo e si voltò, cercando un posto dove manifestare la sua
sicuramente anticonformista passione per gli alcolici.
<< -Temo che
sia morto il cameriere, altro ché.- >>
<< -Distraiti
cantando qualcosa, Los.- >>
<< -Voglia di
sentire la mia meravigliosa voce?- >>
<< -No,
speranza che tu non possa più sprecarla per le tue inutili richieste da bambino
viziato.- >>
Oliver non stava realmente ascoltando ciò che i due speaker
stavano dicendo: era troppo occupato ad essere sicuro che Nicolas stesse
svolgendo esattamente ciò che aveva chiesto.
La verità era che Nicolas non era riuscito a pensare a nessun
piano per vincere, in quelle due ore, per cui lui e il gemello avevano
solamente vagato per la città fino a raggiungere un circo.
Nicolas, così come il fratello, odiava gli spettacoli degli
animali e un contorto piano aveva preso forma nella mente di Oliver.
Avevano rubato un camion e uno dopo l’altro avevano
caricando gli animali: c’era però da dire che non si fidavano a mettere gli
orsi con i cavalli – a dire il vero ancora erano sorpresi dal fatto che ci
fossero gli orsi – , ed avevano quindi deciso di fare due viaggi. Nel primo
avevano liberato gli orsi, i leoni ed i lupi.
Stavano- o, per essere più sinceri, Nicolas stava cercando
di far salire l’elefante (che avevano deciso di mettere assieme ai cavalli) nel
camion quando Oliver si accorse che una bambina li stava guardando.
La prima reazione fu quella di scappare, ma si rese conto
che se il fratello l’avesse poi ritrovato l’avrebbe ucciso con le sue mani:
decise quindi che avrebbe zittito la bambina con le buone.
“Ciao piccola!”
Il sorriso che si era dipinto sul volto di Oliver era così
gentile da essere sicuramente falso: la bambina, comunque, continuò a non
muoversi.
Il ragazzo aggrottò la fronte, sorpreso dalla mancanza di
reazioni, ma non si scoraggiò e continuò a cercare un modo per liberarsi di
lei.
Ebbe improvvisamente l’illuminazione: alle bambine piacevano
i cavalli, no? Poteva regalargliene uno, così avrebbe comprato il suo silenzio
e liberato uno di quei poveri animali in un colpo solo.
“Ti piacciono i
cavalli?”
<< -Ti
piacciono, vero? Allora dai, entra nel camion… ti farò vedere il mio pony…-
>>
<< -Questa è la
prima volta in tanti anni che mi sorprendi, Los.- >>
<< -Non pensavi
avessi un pony?- >>
Oliver continuò a sorridere, nascondendo con maestria il
fatto che stava recitando mentalmente un rosario di insulti.
La bambina strinse a se l’orsetto, senza però dire nulla.
“Piantala di provarci
con le bambine e aiutami, Ollie!”
Oliver alzò gli occhi al cielo, lasciando perdere la bambina
e il sorriso falso ma concentrandosi subito sul fratello che, a quanto pareva,
senza il suo aiuto non riusciva nemmeno a tenere a bada un elefante.
“Hai bisogno di uno
stramaledetto schema per capire come spingere qualcosa all’interno di un
camion?”
L’unico motivo per cui Nicolas non si era avventato sul
gemello appena sentita la risposta era l’enorme elefante che ad ogni suo
tentativo di spingerlo sul camion diventava sempre più nervoso- imbizzarrendo,
fra l’altro, anche i cavalli.
“Perché non ci provi
tu, se ti sembra così tanto semplice?! Forza, l’elefante sta scalpitando!”
<< -Sento che
tutto il tempo in cui siamo rimasti qui sta finalmente per avere un senso.-
>>
<< -Mi dispiace
fartelo notare, ma siamo qui da due ore.- >>
<< -Due ore
senza una torta sono due ore che non valgono la pena vivere, Goth.- >>
<< -In un
secondo capisco come deve essere stato il momento più felice della tua vita, ed
improvvisamente mi sento triste.- >>
Ninon osservò i due fratelli mentre litigavano, stringendo a
se il suo orsacchiotto.
C’era una sorta di accordo dietro quel litigare- dietro il
loro modo di agire. Lo si poteva capire ad occhi chiusi che i due erano legati
in modo speciale.
Forse era perché erano fratelli, o forse era una prerogativa
dei gemelli: lei non lo poteva sapere, perché era figlia unica.
La dinamica fra i fratelli le faceva capire che c’era sempre
un ordine, dietro le azioni: anche quelle che sembravano più caotiche ed
incomprensibili erano governate da qualcosa.
Tutto era ordine e non le piaceva, perché voleva dire che
qualcuno aveva gia deciso tutto. Solo lei poteva decidere come andavano le
cose- solo lei era la regina.
Al negozio di bambole aveva preso un viso di porcellana.
Mentre i due fratelli litigavano, cercando di tenere sotto
controllo gli animali, Ninon prese la testa dalla tasca. L’osservò, analizzando
la perfezione di quel lavoro ancora non finito: le fessure per gli occhi vuoti,
le labbra sbavate, le guance tinte di un pallido rosa- un piccolo oggetto che
rimaneva fuori dalla convenzione.
Lo gettò a terra, contro un sasso, e si permise di sorridere
nell’osservare il tragitto scomposto e imprevedibile di ogni coccio di
porcellana.
<< -Ah!-
>>
<< -Cos’era
quel rumore? Ci siamo persi qualcosa? Ehi?- >>
I gemelli sentirono il fragore – era come il rumore di un
piatto che si rompeva – ma non ebbero il tempo di cercarne la causa: l’elefante
ed i cavalli si erano spaventati e i due fecero appena in tempo ad abbassarsi
per evitare un puledro che saltò sopra di loro.
Presto l’elefante e i restanti cavalli avrebbero seguito
l’esempio del primo: intuendo il pericolo i fratelli scattarono da terra e
corsero ad appiattirsi contro un muro, prendendo la bambina al volo.
<< -L’unico
modo per salvarsi è dire per tre volte ‘jumanji’!- >>
<< -Eh?-
>>
<< -La tua ignoranza mi perplime, Los.- >>
La ricerca di Sid era andata a buon fine: aveva fra le mani
due pillole di una droga che si vendeva solo nel videogioco (Zathura, se non si
sbagliava) e dell’eroina rosa- non aveva abbastanza soldi per l’eroina bianca,
ma aveva deciso di provare una delle migliori almeno per una volta nella vita.
Era eccitato come un bambino con dei nuovi giochi. Aveva
solo bisogno di trovare un angolo tranquillo per provarli e poi…
<< -Dà la
precedenza.- >>
…stavano parlando con lui?
Sid alzò lo sguardo dall’eroina per guardarsi attorno,
cercando di capire a che cosa si stessero riferendo: da una parte la strada
continuava ad essere tranquilla, mentre alla sinistra c’era un qualcosa che si
stava avvicinando.
Socchiuse gli occhi, tentando di mettere a fuoco l’immagine:
quel qualcosa era sempre più vicino e- ed ovviamente non poteva essere vero.
Cavalli e un elefante, certo. Probabilmente la droga che il
pusher gli aveva dato aveva effetto a contatto.
C’era qualcosa che non andava in quelle allucinazioni, però.
Da che ricordava gli allucinogeni
creavano immagini, come dire, ‘piatte’, come se fossero disegnate su un foglio,
mentre quelle che stava guardando erano tridimensionali. Sembravano davvero
reali.
Sid scosse la testa: ovvio che sembrassero reali, era in un
videogioco. Probabilmente il grafico del videogioco non aveva mai provato l’LSD
o un semplice fungo allucinogeno.
<< -Non capisco
se ha dei riflessi molto lenti o cosa.- >>
<< -Bisogna
ammettere che non si vedono tutti i giorni elefanti e cavalli per la strada.-
>>
<< -Perché
finire in una realtà virtuale è una cosa da tutti i giorni?- >>
Se anche i due speaker vedevano quella mandria impazzita
allora…
Sid fece uno scatto all’indietro, finendo però per
inciampare e cadere a terra: appena in tempo, comunque, per evitare cavalli ed
elefanti impazziti ed aver salva la vita al costo- dell’eroina, che finì
sbriciolata sotto gli zoccoli degli animali.
Cacciò un urlo e cominciò a scavare, nel vano tentativo di
dividere i granelli d’eroina da quelli di terra.
<<
-Deprimente.- >>
<< -I drogati sono deprimenti.- >>
<< -Però fa
pena.- >>
<< -Dubito te
ne farà ancora quando comincerà a dare di matto per una dose.- >>
<< -Già, sarà
insopportabile quando andrà in giro a strillare ‘voglio un dolce!’… Ops, devo
aver avuto un piccolo lapsus.- >>
Dodger non riusciva a capire che diavolo stesse succedendo-
perché qualcosa stava sicuramente succedendo, lo si capiva dall’emozione nelle
voci dei due speaker.
Parlavano in modo spezzettato, frammentario… e Santo Cielo,
avevano davvero nominato elefanti e cavalli?
Scosse la testa, inserendo una monetina nella slot machine.
Di sicuro non erano problemi suoi, in fondo lui era all’interno di un casinò: a
meno che non fosse una mandria di cavalli d’azzardo, li non sarebbero potuto
sicuramente entrare.
Fu dopo queste ultime parole famose che un muro alla
sinistra di Dodger cedette sotto la forza di un elefante.
<< -Oh,
andiamo! Neanche fosse fatto di paglia!- >>
<< -I tre
porcellini avrebbero dovuto costruirlo di mattoni.- >>
<< -Si, poi sul
tetto avrebbero dovuto metterci dei cecchini con kalashnikov...- >>
<< -“E il lupo
cattivo mangiò piombo”.- >>
Dodger perse secondi preziosi a convincersi che quei cavalli
e quell’elefante non fosse solo frutto della sua immaginazione malata: subito
dopo prese i crediti, portandosi in piedi sullo sgabello, e con la forza che
solo la disperazione poteva dare fece un salto all’indietro atterrando in
ginocchio- appena in tempo per vedere gli animali distruggere la lunga fila di
slot-machine su cui stava giocando fino a prima.
<< -Se fosse
davvero così allora non riesco a capire perché nell’esercito non hanno
continuato ad usare elefanti e cavalli.- >>
Dodger strabuzzò gli occhi più volte, cercando di capire se
fosse stata solo la sua mente malata a fargli quello scherzo: la lunga fila di
slot-machine distrutte gli confermò che tutto era successo.
Si rialzò, ancora piuttosto circospetto- e solo in quel
momento si accorse che nelle macerie c’erano tutti i crediti che poveri malati
di gioco d’azzardo avevano perso.
Prima sorrise, pensando fosse solo un sogno: poi, vedendo
che i soldi continuavano ad essere di fronte a lui, esplose in un grido di
gioia.
“JACKPOT!”
<< -Ho gia
detto che quell’uomo è il mio mito?- >>
<< -La cosa
divertente è che raccoglie i soldi e ritorna a giocare allegramente.- >>
<< -Non ho
detto che è sveglio, ho detto che è il mio mito.- >>
Gwen non ebbe bisogno di chiedere per capire chi fosse
l’idiota di cui stavano parlando.
Per la seconda volta in venti minuti le venne voglia di
strillare e picchiare un povero NPG innocente, ma fortunatamente per i passanti
fu distratta da delle grida.
Lei non era mai stata una di quelle persone che si
precipitano a salvare le povere vittime indifese, quindi si guardò bene dal
fare qualcosa di più di guardarsi attorno: quando poi vide che la persona in
pericolo era una ragazza dai capelli biondi che scappava da una mandria di
cavalli capitanati da un elefante, Gwen decise che l’unica cosa da fare era
ignorare il tutto e mettersi al riparo.
Sfortunatamente per lei, però, la ragazza aveva deciso che
Gwen doveva essere il suo ‘principe azzurro’- il che voleva dire che stava
correndo verso di lei, portandosi appresso tutto il circo.
<< -Due al
prezzo di uno, Los.- >>
<< -Persino
meglio di quanto sperassi!- >>
Corey alzò lo sguardo dai suoi esperimenti, chiedendosi cosa
fosse quel rumore infernale, solo per trovarsi di fronte ad una delle più
strane immagini che potessero capitare- e che comunque non riuscì a
sorprenderlo.
Un elefante e una mandria di cavalli che inseguivano una
bella ragazza era un clichè. Certo, l’elefante e la mandria di cavalli di
solito erano mostri, ma comunque la scena era piuttosto normale: l’unica
aggiunta degna di nota era una donna che stava per essere investita da tutto il
resto del quadretto.
Sapeva che quelle due erano sicuramente due giocatrici (si
riconoscevano grazie ad uno strano chiarore che gli NPG non avevano) e che
quindi la loro morte era solo un lato positivo per lui- però aveva alcuni
piccoli ‘gadget’ che doveva provare e quello poteva essere il momento perfetto.
Corey prese la pistola che stava cercando di costruire da
tutto il giorno: non era ancora perfetta, mancavano molte funzioni e Corey
doveva ancora lavorare su alcuni piccoli codici, ma sparava già alcuni colpi e
bisognava vedere se la potenza era effettivamente controllabile.
Impostò in fretta i proiettili su ‘non perforanti’ e mirò
alle due ragazze.
Gwen era pronta ad essere investita da ogni tipo di animale
quando qualcosa la colpì, facendola volare fuori dalla traiettoria-
precisamente contro un muro, ma quelli erano particolari irrilevanti.
Stava bene- stava incomprensibilmente bene, per una che in
quel momento avrebbe dovuto essere una poltiglia di sangue e ossa.
“Lo sapevo che mi
sarei salvata! Il mio destino è vincere questo videogioco, e non potrò morire
fino a quando non esaudirò il mio sogno!”
Purtroppo anche la ragazza stava bene.
Meredith era sicura che sarebbe sopravvissuta, eppure in
quel momento era sorpresa della sua abilità nel sopravvivere ai danni: a quanto
pareva, infatti, era stata capace di modificare la realtà virtuale con la sola
volontà riuscendo ad imporsi di volare.
Fiera ma modesta, Meredith sorrise alla donna quasi avvenente come lei che era seduta
poco distante.
“Oh, mi dispiace così
tanto averla messa in pericolo di vita! Stia tranquilla, ora me ne vado e la
lascio sola!”
Si alzò, con grazie eppure con decisione, continuando a
sorridere alla donna che, dal canto suo, continuava a guardarla in modo strano.
Probabilmente aveva visto le sue straordinarie doti e non
sapeva se essere spaventata o se idolatrarla, ma Meredith era sicura che appena
si fosse voltata l’avrebbe fermata.
“Certo, ovviamente so
che tu stai per fermarmi perché sicuramente vuoi essere mia discepola, giusto?”
Gwen pensò seriamente di rispondere con un ‘vade retro puttana!’, ma poi decise di
limitarsi alla più chiara ed eloquente occhiata di disgusto.
<< -Otto
persone su undici sono sopravvissute.- >>
<< -Forse il
Tristo Mietitore sta perdendo qualche colpo.- >>
<< -So solo che
se non ne uccide qualcuno potrei perdere la mia fiducia verso il genere umano.-
>>
Shadi stava usando tutte le sue armi: il sorriso, le parole
più dolci che una donna poteva sognare, un miscuglio di movimenti sensuali e
gentili carezze ed, ovviamente, il suo bell’aspetto. Le barriere della ragazza
stavano quasi per cedere (era al punto in cui ormai lei replicava alle sue
frasi con parole di pari malizia) quando una mandria di cavalli e un elefante
la investirono.
<< -Olè!-
>>
Il ragazzo rimase ad osservare il punto vuoto in cui fino a
poco tempo prima c’era la ragazza, troppo scioccato per cambiare posizione- o
anche solo per abbassare lo sguardo e notare che i suoi pantaloni erano
macchiati di sangue. Semplicemente continuò a guardare il vuoto fino a che un
altro ragazzo non lo fece ritornare alla realtà con un grido di dolore.
Shadi lo guardò ad occhi sbarrati, ancora troppo stordito
per dire qualcosa- e notò che, dopo tutto, quel ragazzo non era poi così tanto
male.
<< -Non ci
posso credere!- >>
<< -Neanche io…
sai, penso che la sgualdrina, dopotutto, sia da stimare.- >>
<< -Io parlavo
del fatto che nove persone su undici siano sopravvissute. Los, santo Cielo…-
>>
<< -Però devi
ammetterlo, il soprannome ‘la sgualdrina’ è semplicemente perfetto.- >>
Daniel reputava estremamente irritante non sapere di che
cosa diavolo stessero parlando i due speaker. Da quello che aveva capito
centrava una mandria di cavalli ed un elefante- e doveva essere per forza un
messaggio in codice perché, sinceramente, cosa ci faceva un elefante insieme a
dei cavalli dentro ad una città?
Era però ovvio che presto li avrebbe visti anche lui: se
nove persone su undici li avevano evitati, allora era il suo turno e della
ragazza.
La ragazza sembrava piuttosto sorpresa, probabilmente stava
ascoltando anche lei i due speaker: Daniel decise quindi di andarle a parlare,
giusto per avere un minimo di supporto morale in quel momento.
Aveva appena fatto tre passi verso di lei quando sentì un
frastuono alla sua sinistra: si voltò e, allibito, si rese conto che ‘cavalli e
un elefante’ non era una frase in
codice.
<< -Eeeee
strike!- >>
<< -Fuori uno,
salvi dieci: media un pochettino bassa, bisogna ammetterlo, ma è pur sempre un
modo per cominciare.- >>
Le gambe di Daniel cedettero di schianto, rese deboli dalla
nausea. Abbassò lo sguardo, fissando il sangue della ragazza: per un qualche
strano motivo sembrava troppo irreale, come se fosse solo un sogno.
La nausea- non aveva senso, non poteva sentire nausea. Era
in un videogioco, no? Eppure la testa gli girava e sentiva un crampo allo
stomaco, qualcosa che premeva per uscire.
Spostò gli occhi ai propri vestiti, anche loro sporchi di
sangue. Daniel sorrise, chiudendo gli occhi- quello non era vero. Non poteva
essere vero.
Riaprì gli occhi: il suo corpo fu scosso da un fremito di
orrore e cominciò a strillare senza nemmeno rendersene conto.
Prima morte: Celia Boyd. Modus operandi: è
stata uccisa da una mandria di animali impazziti.
Giocatori rimasti: 10
Quando Celia aprì gli occhi si ritrovò in una stanza che
tanto assomigliava ad un laboratorio.
Si alzò, togliendosi il casco dalla testa: sapeva che era
quello che l’aveva collegata al videogioco e ormai, purtroppo, non ne aveva più
bisogno.
Attaccato al suo braccio sinistro c’era una flebo di
glucosio. Avevano spiegato che era per nutrire il corpo.
Celia sospirò, staccando l’ago. Anche di quello non ne aveva
più bisogno.
Gli occhi le si gonfiarono di pianto quando capì che
l’avventura per lei era finita: il giorno dopo avrebbe dovuto andare al lavoro,
avrebbe dovuto spiegare ai colleghi perché era assente e- e avrebbe dovuto
passare la giornata a fare fotocopie e a sopportare gli scherzi del suo capo.
Si alzò, tenendo lo sguardo basso, e corse verso la porta
per uscire- o almeno tentare. Abbassò la maniglia e spinse, tirò- tirò persino
una spallata alla porta che non ebbe però effetto.
Alzò lo sguardo e finalmente notò il cartello affisso alla
porta.
Che idiota, pensò
diventando rossa.
“I concorrenti non
possono uscire fino alla fine del gioco…?”
Strabuzzò gli occhi, rileggendo più volte la frase- non
poteva uscire. Non poteva tornare a casa e quindi non poteva andare al lavoro!
Sorrise, trattenendosi a fatica dal gridare per la gioia,
quindi continuò a leggere: le provviste erano nell’armadio e sugli schermi in
fondo alla stanza si poteva vedere e sentire come procedeva il gioco.
Si voltò, cercando con lo sguardo l’armadio e gli schermi-
li trovò in fretta. Uno di questi riportava la scritta della sua dipartita, ma
sugli altri si potevano vedere gli altri giocatori.
Si sedette sulla sedia di fronte agli schermi e aprì un sacchetto
di patatine, senza far niente per trattenere l’enorme sorriso che le andava da
un orecchio all’altro.
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Capitolo 3 *** Layer 02: God ***
Layer02: God
<< -Sono passate sette ore
e… bhè, fra le notizie più importanti
c’è che Los ha ricevuto il suo dolce, il che dà
un’idea precisa riguardo la mediocrità della situazione.-
>>
<< -Qualcosa come tre ore fa la
sgualdrina ha trovato un cliente. Ammetto tristemente che è
stata la cosa più interessante che è accaduta.- >>
<< -Preferirei non parlare di quel momento.- >>
<< -Uno spettacolo repellente da cui non si poteva staccare gli occhi.- >>
Shadi scostò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, sorridendo in un modo esageratamente malizioso.
“Avrei dovuto capirlo, prima, che siete due voyeour. State per ripetere tutto ciò che avete visto?”
Ridacchiò, immaginando l’espressione dei due speaker a
tale proposta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli effettivamente
vedere (anche perché voleva davvero capire se Goth era un
maschio o una femmina), ma, per quanto ne sapeva, potevano persino non
essere nel videogioco.
Scrollò impercettibilmente le spalle, come a tentare di
eliminare l’espressione di disappunto che per qualche secondo si
era disegnata sul suo volto, quindi uscì dalla stanza, senza
degnare l’NPG che dormiva nel letto di una seconda occhiata.
<< -Non c'è ancora abbastanza alcol nelle mie vene.- >>
<< -Adesso che lo so farò in modo che nessun cameriere possa più portarti da bere.- >>
<< -Al contrario di te, Los, io
so camminare per due metri e fare un cocktail senza il bisogno di un
cameriere o di un barista.- >>
<< -…Mi vedo costretto a finire tutto l’alcool prima di te.- >>
<< -Mi vedo costretto a picchiarti.- >>
Dodger, vista la distruzione più o meno totale di tutte le
slot-machine presenti nel casinò e l’accidentale rottura
dell’unica altra macchina che andava a gettoni (sapeva che quello
strano rumore ogni volta che tirava la manopola non era un buon segno,
ma come poteva solo pensare di fermarsi?), era costretto ad aspettare
la venuta dei croupier per poter giocare con le carte o alla roulette.
Durante il periodo di inattività imposto l’unica cosa che
si era trovato a fare era ascoltare i due speaker: fu infatti per
quello che alla parola “alcool” sembrò tornare in
vita, allegro e gioioso come non mai.
“Se dovete smaltire dell’alcool potete chiedere il mio aiuto! Avete della Tequila?”
<< -No, ma farò in modo che tu la riceva, mio signore!- >>
<< -Non è giusto, con me
hai continuato a lamentarti perché non potevo sentire il gusto,
mentre con lui va tutto bene!- >>
<< -In base alla marca
l’alcool modifica la percezione dei videogiocatori. Se tu
leggessi le regole prima di fare una qualsiasi cosa, magari- >>
<< -Perché voi anziani
dovete sempre venir fuori con questi discorsi? Nessuno legge le regole.
Nessuno! C’è un motivo se spesso sono scritte
nell’antica lingua di Mordor!- >>
“Ehi, ehi, ehi… calmatevi.”
Il sorriso sulle labbra di Dodger tradiva il divertimento che tale
discussione gli dava. Gli sembrava di risentire i due figli quando
litigavano fra di loro- o lui e sua moglie quando discutevano su quanto
ancora fosse buono un certo cibo.
L’espressione sul suo volto divenne leggermente amara al pensiero
che quelle, a dire il vero, erano le uniche discussioni con la moglie
in cui non ne usciva con un qualche livido.
“Andiamo, come fate a litigare
quando avete dell’alcool con voi? Trangugiate fino a perdere i
sensi, Santo Cielo!”
<< -Mi piace come tu ci stia spingendo alla distruzione di fegato e cervello.- >>
<< -Vorrei avere lo stereo qui con me.- >>
<< -Perché non si riesce mai a tenersi su un discorso, con te?- >>
<< -Ho detto che voglio lo stereo!- >>
<< -Fai un’altra volta un
simile scatto da bambino viziato e giuro che ti riempio di schiaffoni.
Ad ogni modo, proviamo a chiedere ai due giovani salvatori del popolo
animale. Dove sono i batuffolini caramellati col ripieno di
pistacchio?- >>
Nicolas stava osservando con fronte distesa e sguardo vacuo il panorama
che si godeva dalla cima della collina, inerme alla vista degli edifici
che di tanto in tanto crollavano in diversi punti della città
grazie alla forza dell’elefante che, incomprensibilmente, nessuno
era ancora riuscito a calmare.
Accanto a lui sedeva il fratello, Oliver, che scriveva qualcosa su un
fogliettino di carta: fronte corrugata e labbra serrate, era ovvio che
fosse estremamente irritato per qualcosa.
Avevano visto, poche ore prima, una scritta che annunciava la morte di
una certa Celia per colpa di una mandria di animali impazziti- mandria
di animali che loro si erano lasciati sfuggire. In preda ai più
profondi sensi di colpa, Nicolas aveva deciso che il modo migliore per
rilassarsi e far sentire meglio suo fratello era prendere un gelato e
fare un’allegra scampagnata.
Effettivamente la corsa per seminare il gelataio, inferocito
perché i due non si erano neanche sognati di pagare, li aveva
distratti dall’opprimente senso di colpa che era poi sparito
completamente appena Oliver aveva cominciato a lamentarsi perché
il fratello aveva ritenuto opportuno fargli tenere in braccio la
bambina.
I due gemelli avevano deciso di portarsi dietro la bambina: Nicolas,
che per i primi minuti aveva continuato a lagnarsi uggiolando che
sarebbe stata solo un peso, aveva poi cominciato a procurarsi qua e
là alcune caramelle da regalarle mentre Oliver, molto più
serenamente, aveva cominciato a fare una lista mentale di possibili
modi in cui poterla usare. La possibilità di utilizzarla come
scudo umano, comunque, si presentava con un’allarmante
ripetitività in data lista.
<< -Guardali, sembrano una
famigliola felice… disse la persona con una famiglia caotica ad
un adolescente che disprezza per motivi incomprensibili il padre e la
cui madre è in giro per il mondo la maggior parte
dell’anno.- >>
<< -Cosa stanno guardando? Cosa diavolo può essere più importante della musica?!- >>
<< -Irritarti, Los. Irritarti è la cosa più importante di tutte.- >>
Nicolas dovette aspettare altri cinque secondi per capire che, si, effettivamente avevano parlato di loro pochi minuti prima.
Scosse la testa, tentando di togliersi l’espressione da idiota
sulla faccia, quindi sbatté le palpebre un paio di volte,
assumendo il suo tipico sguardo innocente.
“Stavate parlando con noi?”
Fu solo in quel momento che Oliver sembrò aver sentito
ciò che gli speaker avevano detto minuti prima: infatti
lasciò perdere per qualche secondo il pezzo di carta su cui
stava scrivendo e, con gli occhi socchiusi in un’espressione
estremamente dubbiosa, finalmente si decise a parlare con la voce
più disgustata che gli veniva.
“Batuffolini caramellati con ripieno di pistacchio?”
<< -Uno dei due riceve in ritardo. Che tenero.- >>
<< -Ora che abbiamo la vostra
attenzione, cornflakes alla cioccolata e panna, potreste rivelarci se
avete rubacchiato dei CD?- >>
Oliver distese la fronte, condiscendente. Sembrava aver ritrovato una
qualche forma di serenità, se non proprio il buonumore.
“No.” Disse poi con tono asciutto prima di tornare a scrivere sul pezzo di carta.
“E comunque,” continuò
il fratello, tentando di sopprimere l’ondata di irritazione che
la risposta di Oliver gli aveva procurato senza un particolare motivo, “non avremmo potuto ascoltarlo. Intendo dire, non abbiamo uno stereo. Forse lo ha la bambina, ma dubito. Bambina?”
Nicolas si voltò verso la sua destra, dando una rapida occhiata
al luogo, quindi si girò verso sinistra, cercando pazientemente
la piccolina.
Tornò lentamente a guardare in avanti, il volto ridotto ad una
fredda maschera che non lasciava presupporre la valanga di pensieri che
in quel momento stava affollando la sua mente: con calma innaturale,
quindi, chiuse gli occhi, emise un leggero sospiro e tentò di
ragionare.
“Ommioddio Ollie, abbiamo perso la bambina!!”
L’unica reazione che Oliver riuscì a compiere mentre
Nicolas scattava in piedi strillando con una ridicola voce stridula e i
due speaker scoppiavano poco elegantemente a ridere, fu quella di
fissare il fratello con sguardo vuoto e bocca socchiusa.
“Eh?”
Persino le sue abilità dialettiche avevano risentito della sorpresa.
Nicolas agitò le mani a mezz’aria, troppo fuori di se per
fare qualcosa di ragionevolmente utile- o per fare a finta di pensare
ad un piano. Oliver continuava a guardarlo con uno sguardo decisamente
vacuo, come se le informazioni gli stessero arrivando a rilento, quindi
Nicolas decise di fare l’unica cosa che gli sembrava logica.
“Eri tu quello che doveva stare attento alla bambina! È tutta colpa tua!”
Oliver sbatte le palpebre, assumendo in poco meno di un secondo
un’espressione completamente sdegnosa- espressione che
contribuì a far ridere ancora di più i due speaker, che
ormai sembravano non riuscire più a riprendersi.
“Colpa mia? Come può
essere colpa mia?! Tu sei quello che ha voluto portarsi dietro la
bambina, tu avresti dovuto tenerla d’occhio!”
Nicolas assottigliò gli occhi fino a farne due fessure, serrando
così forte le mandibole che i denti cominciarono persino a
stridere. Incrociò le braccia sul petto, tamburellando
nervosamente le dita sugli avambracci alla disperata ricerca di
qualcosa con cui ribattere.
“La tua testa è stupida!”
Nessuno dei due fece caso alla nuova crisi d’ilarità dei
due speaker, che cominciavano persino ad affannarsi alla ricerca
d’aria: se da una parte, infatti, Oliver era profondamente
colpito dall’idiozia del gemello, dall’altra non poteva
fare a meno di pensare che, santo Cielo, semplicemente non poteva
lasciarlo vincere in quel modo.
“Bhè, i tuoi occhi sono grandi e…”
Per pochi secondi Oliver si guardò attorno, alla ricerca di un
aggettivo utile per descrivere gli occhi del gemello- e fu in quel
momento che si accorse che la bambina era a pochi metri di distanza,
accucciata a terra, impegnata a fare qualcosa. “…Bambina.”
Nicolas inarcò un sopracciglio, tentando di capire cosa volesse
dire ‘bambina’ riferito ai suoi occhi, notando solo in
secondo momento il lento movimento del fratello atto a indicare uno
spiazzo erboso posto a poca distanza da loro dove, lo notò solo
in quel momento, la piccolina stava… facendo qualcosa.
“Ehi! Cosa stai facendo?” chiese Nicolas, perplesso.
La bambina girò leggermente la testa verso di loro, abbastanza
per poterli vedere con la coda nell’occhio: per qualche secondo
sembrò prendere in considerazione l’idea di ignorare la
domanda e tornare ai suoi affari, ma alla fine decise di girarsi,
alzando con la mano sinistra l’orsetto che teneva con così
tanta cura.
I due gemelli strizzarono leggermente un occhio, in quello che era una
specie di tic nervoso che avevano per qualsiasi cosa che reputassero
estremamente disturbante: l’orsetto, in effetti, aveva lunghi
artigli e piccole zanne sporche di quello che doveva apparire come
sangue, e continuava a fissarli con due terrificanti occhi gialli.
“Quel…” Nicolas e Oliver lo sussurrarono all’unisono, strizzando nuovamente l’occhio, “Quell’orribile orsetto.”
<< -Oddio… Oddio…- >>
<< -Wew… pensavo di morire.- >>
Corey, per la prima volta dopo sette lunghissime ore, decise di
prendersi una piccola sosta: alzò gli occhi dal progetto a cui
stava lavorando con tanta lena e sorrise, divertito.
“Tecnicamente parlando, voi
avreste dovuto essere morti per il ridere. Sapete, probabilità
altamente ridicole eccetera.”
Mentre diceva questo cominciò a pensare che, effettivamente, era
strano- cioè, era strano in quella normale stranezza.
Assottigliò le palpebre, come se stesse tentando di mettere a
fuoco qualcosa. Quello, effettivamente, era un buon punto: se i due
speaker avevano una qualche immunità, allora avrebbe dovuto
seriamente considerare la loro posizione e studiarli un po’
meglio.
<< -Buon punto. Effettivamente dovrebbe esserci una qualche spiegazione logica a tale piccola mancanza…- >>
<< -Ma non m’interessa.
Piuttosto, cosa sei tu? Uno di quei tristissimi bambini che trova la
felicità solo risolvendo un intricato puzzle?- >>
Il bambino aprì la bocca, pronto a protestare, ma dovette bloccarsi quando si rese conto di non sapere cosa dire.
Alla fine optò per scuotere la testa sbuffando. Los (sempre se
la voce apparteneva a lui, comunque) non aveva centrato appieno il
punto: Corey non era un genio, non era tecnicamente triste ed aveva
degli amici da preferire a qualche deprimente puzzle.
Tuttavia Corey era insoddisfatto della propria vita. La realtà
era noiosa, scontata, poco interessante e priva di qualsiasi
opportunità: in fondo che possibilità aveva, come
undicenne, di fare qualcosa di importante che non fosse un semplice
dieci in pagella? Assolutamente nulla.
Nei videogiochi, in compenso, le cose erano estremamente diverse.
“No. Tecnicamente parlando,
comunque, preferisco di gran lunga i videogiochi a… uh…
le… altre… cose.”
<< -Oh, un ragazzino
intelligente. Si vede che non sei ancora un adolescente… anche
se, ad occhio e croce, temo che ti manchi poco. Tratta bene il tuo
cervello, perché sta per arrivare il giorno in cui i tuoi ormoni
prenderanno il sopravvento e lo cacceranno lontano dal tuo corpo.-
>>
<< -Videogiochi! Io amo
Impending Doom II. Cioè, è semplicemente…
non… è… è… cioè, io
non… mio Dio, è… è… Oddio,
è…- >>
<< -Bisogna comunque dire che
alcuni partono avvantaggiati: d’altronde come può scappare
ciò che non c’è mai stato.- >>
Quella cosa, quella Zathura, era decisamente una droga strana. Le cose,
le persone- poteva vedere i complicati codici, i numeri binari che
creavano ogni singolo pixel di tutto ciò che vedeva.
Avrebbe potuto rimanere ore ad osservare anche il più misero
sassolino, a scrutare ogni minimo dettaglio (come facevano ad essercene
così tanti in qualcosa di così piccolo?), affascinato
dall’alone dorato che ogni pixel emetteva: era davvero fenomenale
come credeva, oppure stava solo esagerando?
Si lasciò cadere all’indietro, finendo sdraiato a pancia
in su. Le nuvole sembravano degli enormi ammassi di polverina brillante
che riluceva al sole.
Gli uccellini, le persone- si muovevano quasi a scatti. O era lui che era troppo veloce?
“Sapevate che i videogame sono
stati creati dalla resistenza per friggere i microchip che il governo
ci installa appena nati?” chiese Sid prima di arcuare la schiena verso l’alto, facendo un ponte che sembrava ricalcare la forma di un semicerchio.
Piegò la schiena fino a quando la pelle dell’addome non
cominciò a tirarsi, minacciando seriamente di strapparsi.
<< -Prima di drogarsi faceva danza classica?- >>
<< -So solo che la roba che ha preso non doveva fare per niente bene. E che forse dovrei provarla anch’io.- >>
Sid cadde su un lato, rotolando fino a trovarsi con la pancia a terra:
di nuovo arcuò la schiena all’indietro, piegando le gambe
sulle ginocchia.
“Non capite? I microchip. Il
governo. Fa tutto parte di una cospirazione. Impending Doom rivela
già nel suo titolo la missione dei videogiochi!”
<< -Giuro che gliela pago con i miei soldi la riabilitazione.- >>
<< -Però potrebbe avere
un senso. Cioè, Goth, quando sono andato a fare le vaccinazioni
ed ho visto il felice poster dell’orsetto Happy che andava a
braccetto con il piccolo BeeBee, ho capito che qualcosa non andava.
È ovviamente un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Sì.- >>
<< -Il felice orsetto Happy che va a braccetto con il piccolo BeeBee è un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Esattamente come dicono le Sacre Scritture!- >>
Gwen ridacchiò, ascoltando i due speaker.
I loro discorsi allucinati gli ricordavano suo marito e Ryek, il
migliore amico. Quando parlavano assieme sembrava quasi non esistesse
nient’altro.
Aggrottò la fronte al pensiero che, a dire il vero, suo marito
era sempre sembrato più innamorato di Ryek che di lei- e non
stava esagerando.
Forse, se lei... Forse avrebbe dovuto dare ragione a sua madre…
Gwen si passò una mano sulla fronte, mugugnando qualcosa di
insensato. Se arrivava a pensare che sua madre potesse avere ragione e
non solo per infastidire il marito, allora qualcosa andava davvero
storto.
<< -Qual è la tua
religione? Si basa sul credere ad un Dio o ciò che devi fare
è soltanto dare in dono cervelli a Cthulhu?- >>
<< -A che?- >>
<< -Nghnff… Ok. Ehi tu… donna.- >>
Gwen si riscosse, sbattendo due o più volte le palpebre.
“Io?” chiese infine, perplessa.
<< -Sì, proprio tu dolce
bocciolo di rosa vanigliato alla crema. Intrattienici. Divertici.
Raccontaci i tristi e terribili pensieri che infestano la tua mente in
questo istante!- >>
<< -Raccontalo a ‘un
sussurro nella notte’, programma radiofonico che vi
accompagnerà fino alla mattina: se hai annunci, dediche, vuoi
dichiarare il tuo amore a qualcuno che non vuole neanche vederti o
semplicemente vuoi fare un discorso alla nazione prima di invaderla,
telefonaci. E ora un po’ di musica! However
far away, I will always love you. However long I stay, I will always
love you. Whatever words I say, I will always love you, I will
always love you*…- >>
<< -Non ti sopporto quando
canti. Torniamo a noi, petalo di fiore di pesca ripieno di involtini
primavera, ti và?- >>
<< -Ehi, perché non mi- >>
<< -Dolcetto alla fragola ti ascolto!- >>
Di nuovo, Gwen aggrottò la fronte, perplessa. I discorsi dei due
speaker erano già abbastanza strani senza che cominciassero a
chiamarla con quegli strani nomignoli o a chiederle cosa avesse.
“Stavo chiedendomi, Goth,” cominciò
lei, tentando di trovare un modo qualsiasi per riportarli a discutere
di tutt’altro e a dimenticarla, lasciandola alle sue patetiche
riflessioni. Sfortunatamente non sapeva come continuare la frase.
Rimase a corto di parole per qualche secondo, durante i quali non riuscì a pensare semplicemente a niente. “Sei un maschio o una femmina?”
Nei successivi attimi che precedettero la risposta dello speaker, Gwen
ebbe il modo di insultarsi mentalmente più e più volte-
quella era sicuramente l’influenza idiota di suo marito che
faceva effetto, non c’era dubbio. Appena lo rincontrava lo
distruggeva con le sue mani.
<< -Oh, andiamo, non è possibile! Me lo domanderanno in cento! Io- >>
<< -Cosa vuol dire che non sopporti quando canto?!- >>
<< -Ti risponderei se non ci
fosse una cosa mi urta profondamente. Ehi, gelato al cioccolato, si
può sapere cosa diavolo stai facendo?- >>
Daniel non rispose. Non sapeva nemmeno che stessero parlando con lui, d’altronde.
Era da qualche ora, ormai, che si trovava in quella chiesa. Non che fosse particolarmente religioso, no.
Era solo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in…
quello. La ragazza- Santo Cielo, era morta in un modo semplicemente
orribile ed il suo sangue- il corpo era ancora lì, in quella
piazza.
Era disgustoso, terribile, orrendo.
Eppure qualcuno ci aveva pensato. Qualcuno aveva progettato quel
videogioco per essere così, qualcuno aveva fatto in modo che
capitasse, e quel qualcuno non si sarebbe fermato dopo aver
collezionato solo una morte: avrebbe continuato, li avrebbe uccisi
tutti.
Doveva fermare quel qualcuno… Doveva…
<< -Cosa vuoi che faccia in una chiesa, Goth?- >>
<< -Credi stia pregando?- >>
<< -Certo, sta pregando Dio, che in questo caso siamo noi. Ecco perché mi fischiavano le orecchie.- >>
<< -…lasciamo perdere.- >>
Dio, già. Se in quel videogioco c’era un Dio, allora lui era il responsabile.
I due speaker non lo convincevano. Erano, a quanto pareva, onniscienti.
Potevano parlare con chiunque, vedere chiunque: le leggi, per loro, non
contavano.
Forse, alla fine, il tizio stava dicendo il vero: forse erano davvero Dio.
Se così era, allora i due erano pericolosi. Andavano fermati. Eliminati.
Daniel si alzò dalla panca, uscendo poi dalla chiesetta. Doveva trovarli.
<< -Oh, il mondo ci ignora.- >>
<< -Cattivo mondo, brutto-brutto.- >>
Meredith era ragionevolmente arrabbiata.
Da quattro lunghe ore era rimasta da sola, abbandonata dall’unica
discepola che aveva avuto e che si era poi rivoltata al suo volere
– probabilmente perchè invidiosa della sua suprema
bellezza -, ed aveva deciso di sfogare la propria rabbia che confinava
con depressione ma anche con una leggera punta di allegria (sentiva che
era un bene non doversi prendere carico del destino di qualcun altro
all’infuori di lei, lo aveva scoperto quando, a nove anni, le era
morto il canarino: a nulla erano valsi i suoi sforzi, il Tristo
Mietitore l’aveva preso alla giovane età di venti anni e
da allora lei aveva deciso di chiudere il suo cuore a quei sentimenti)
nello shopping.
Aveva passato quindi un pomeriggio intero a scegliere i suoi diversi
capi d’abbigliamento, meravigliosi pantaloni in pelle a vita
bassa, magliette che mostravano l’ombelico, e santo Cielo come
resistere a quelle mutandine con filo argentato? Senza contare la
cintura dorata con brillantini leopardati, semplicemente irresistibili.
Aveva così indossato un paio di meravigliosi pantaloni a vita
bassa, jeans strappati ma larghi - pieni di tasche in cui poter
nascondere armi e accessori quale la sua diversa fiaschetta di birra o
il suo diverso pacchetto di sigarette con brillantini dorati - da cui
trasparivano le mutandine argentate, tocco di classe e sicuramente
trasgressivo, assieme alla sua maglietta tremendamente corta ed
aderente che sottolineava il suo seno prosperoso.
Eppure nessuno la guardava. Nessuno notava la sua carica trasgressiva, nessuno sembrava volerla notare.
E così, Meredith Joelle Elyectra Llawelyt Tyffany Rosemary Chaos
Control Genesys Sakura Dunson si guardava attorno, con in mano cinque
borse, chiedendosi quando qualcuno si sarebbe offerta di aiutarla:
certo, lei ovviamente avrebbe risposto con un gentile ma sdegnoso e
orgoglioso “posso farcela benissimo da sola”, ma quella
mancanza la irritava.
Fu così che, convinta che i due speaker la stessero prendendo in
giro, lanciò un urlo disumano atto a portare il terrore negli
animi.
Gwen aveva da poco deciso di ricominciare con i suoi lavoretti, felice
all’idea che stava per passare la serata in un meraviglioso hotel
a cinque stelle. Prima volta nella sua vita, sicuramente.
Appena notò il portafoglio ben gonfio di uno degli NPG la sua
mente andò in brodo di giuggiole. Quanti massaggi all’olio
avrebbe potuto fare? E i vestiti, i gioielli- magari pure un
idromassaggio in camera!
La lista di cose da comprare si allungava sempre di più, a mano
a mano che Gwen si avvicinava e, lentamente, cercava di sfilare il
portafoglio dalla tasca dell’uomo. Lo champagne, da quanto tempo
non beveva più dello champagne? Del buon vino, qualcosa da
mangiare, delle lenzuola di seta, una vista panoramica…
A distrarla fu un rumore agghiacciante che sembrava perforare
l’aria: in fretta, senza nemmeno pensare, Gwen alzò le
mani al cielo, tenendo il portafoglio con la destra, convinta che fosse
un qualche genere di antifurto e che la polizia stesse arrivando.
Fu solo dopo dieci secondi che capì che l’NPG si era reso conto che lei aveva il suo portafoglio.
Corey aveva ricominciato a lavorare sulla pistola, inserendo quanti
più codici poteva. L’arma era ormai finita, dopo avrebbe
dovuto cominciare a lavorare sul bracciale e per allora aveva bisogno
di un computer. Quanto costavano i computer, in quel posto? Li
vendevano, soprattutto?
In preda a quelle domande esistenziali, Corey non ebbe il tempo di
pensare logicamente quando uno strillo terrificante raggiunse le sue
orecchie, facendole fischiare: preso alla sprovvista, completamente
terrorizzato, urlò la prima cosa che gli passò per la
mente.
“I Nazgul!!”
Dodger fissava il vuoto, cercando di calcolare quanti metri quadrati
misurasse la stanza, tentando poi di convertirli in litri: quanta
Tequila ci stava, lì dentro? Era una quantità che aveva
già bevuto nella sua vita? Non poteva metterci la mano sul
fuoco, ma scommetteva di si.
In quel silenzio quasi religioso Dodger accolse quel grido potentissimo con puro terrore.
La sua mente ritornò agli anni della sua infanzia, riportandolo
ad un evento traumatico che aveva sperato con tutto il cuore di
dimenticare: nel panico più completo, Dodger ebbe appena il
tempo di strillare “Katyusha!” prima di gettarsi a terra e cingersi la testa con le braccia.
Shadi stava osservando, attraverso un vetro, con sguardo carezzevole i
muscoli di alcuni appassionati di sport dentro una palestra, ricordando
più o meno un bambino che guarda una vetrina di dolciumi. I
ragazzi erano carini, certo, ma non si poteva staccare gli occhi dalle
ragazze: come si poteva guardare altro mentre queste correvano, facendo
rimbalzare quei loro generosi seni ben stretti in ridicole magliettine
estremamente succinte?
Ridacchiò, assorto nei propri pensieri, prima che un suono
orrendo non gli distruggesse il timpano destro. Si portò una
mano all’orecchio, gridando per la sorpresa, e notando solo in
quel momento che la vetrina stava tremando pericolosamente.
Sid stava tentando di tenere una verticale. Rideva sommessamente mentre
il sangue gli arrivava al cervello e le braccia cominciavano a tremare:
non si sentiva male o debole, era semplicemente... estasiato.
Era solo una sua impressione o le cose erano estremamente divertenti,
quando sottosopra? Non lo sapeva. Vedeva il cielo sotto i suoi piedi e
la terra sopra la sua testa, e la cosa gli sembrava così
tremendamente buffa.
Assottigliò gli occhi, cercando di guardare meglio. C’era
qualcosa di strano, in lontananza, sembrava quasi che si stesse
avvicinando… qualcosa. Onda d’urto? Massa di energia?
Un urlo inumano lo investì, facendogli perdere
l’equilibrio. Sid, cadde all’indietro, senza sentire la
botta che sicuramente doveva aver preso alla schiena.
Sorrise, divertito. “Forte!”
Oliver fissava il gemello e la bambina con malcelata irritazione, a braccia conserte.
Il fratello stava sicuramente pensando a qualcosa. Un piano stupido, sicuro, e Oliver avrebbe dovuto faticare.
Strinse i denti fino a farli scricchiolare. Doveva liberarsi di lui e
della bambina, lo sapeva: lei era anche carina, ma non aveva la minima
intenzione di portarsela dietro fino alla fine.
Doveva liberarsi di lui. Il modo migliore era sacrificarlo al momento
giusto, giusto per vendicarsi di tutti quegli anni in cui aveva dovuto
fare il lavoro duro per niente. Doveva solo farlo sembrare un incidente
agli occhi dei suoi genitori-
Un urlo lo fece distrarre, portandolo a guardarsi attorno spaventato, e
Nicolas ne approfittò per dargli un calcio e farlo volare a
qualche metro di distanza, offrendolo ad un qualsiasi nemico poteva
esserci, prima di prendere la bambina e nascondersi in un luogo sicuro.
Appena Oliver comprese ciò che era capitato si voltò
verso il fratello, pronto ad ucciderlo con le sue stesse mani.
Daniel sapeva chi stava gridando in quel modo insopportabile. Lo sapeva perché la vedeva.
Non aveva la minima idea di chi fosse, ma qualcosa gli diceva che non
poteva essere un’altra giocatrice: un essere umano con simili
corde vocali era semplicemente impensabile.
Così, passandole accanto mentre attraversava la piazza, si
curò di spingere quanto più violentemente fosse possibile
la ragazza, che cadde poco decorosamente a terra.
“Tu! Razza di-”
cominciò a strillare la ragazza, inserendo quanti più
insulti poteva. Daniel non si voltò nemmeno, continuando per la
sua strada.
“Morirai! Hai capito?! Sarai il prossimo a morire!”
<< -Oh… mio… Dio… mi fischiano così tanto le orecchie…- >>
<< -Le mie orecchie… stanno vedendo la luce…- >>
<< -Sei un idiota.- >>
<< -La cosa divertente è che sto leggendoti il labiale, non sento più niente.- >>
Shadi si alzò, massaggiandosi le orecchie. Aveva schivato i
frammenti di vetro per puro caso, ma la testa gli stava semplicemente
scoppiando.
Camminò per pochi metri, con passo malfermo, cercando di capire
se fosse tutto a posto: a parte l’orecchio destro che continuava
a pulsare, non c’era altro fuori posto.
Non faceva male, anche se era ovvio che il timpano avrebbe dovuto
essere rotto: stava soltanto pulsando. Forse era perché era in
un videogioco?
<< -Ok, cerchiamo di vedere i feriti…- >>
Daniel non sapeva dove andare. Doveva esserci una prova, un qualcosa che indicasse dove fossero i due speaker, ma dove?
Doveva costringerli a rivelare il loro covo. Ma come? Minacciando di uccidere una ciambella?
Forse Los poteva cedere, ma prima che Daniel potesse ragionare
seriamente su quel piano qualcosa andò a sbattere contro di lui.
<< -Nessun morto? Peccato!- >>
Shadi alzò lo sguardo, aprendo e chiudendo la bocca, troppo confuso per parlare.
Cerco di tornare a ragionare. Era andato a sbattere contro qualcosa-
qualcuno. Avrebbe dovuto scusarsi. Vedere se il qualcuno era
appetibile. Provarci.
Sorrise, cercando in tutti i modi di dare a quel gesto un qualcosa di naturale. “Scusi.”
<< -Oddio, la sgualdrina ha
qualcosa… aspetta, la sgualdrina? Los, sei un bastardo! Mi hai
fatto il lavaggio del cervello!- >>
Daniel scrollò le spalle, facendogli capire che non era nulla,
prima di notare che dall’orecchio destro del ragazzo stava
colando del sangue.
Sbarrò gli occhi, avvertendo uno spiacevole crampo allo stomaco.
<< -Non sembra fargli tanto male, eppure sembra che gli stia uscendo sangue dal cervello…- >>
Sangue… dal cervello?
Sbatté le palpebre, notando solo in quel momento l’alone
più chiaro attorno al ragazzo dall’espressione intontita.
I due speaker stavano parlando di lui. Lo conoscevano.
Le labbra di Daniel si piegarono in un sorriso malvagio, mentre un
piano si delineava nella sua mente: poi sbatté il ragazzo contro
il muro e gli puntò un pezzo di vetro preso dalla vetrina alla
gola.
<< -Oddio, Goth, Storie di Vita!- >>
<< -Favoloso! Vuoi vedere che
è il suo fidanzato che si è reso conto di essere stato
tradito più e più volte?- >>
“Silenzio!”
gridò Daniel, stringendo il pugno con cui teneva la maglietta di
Shadi: il ragazzo squittì, impaurito, e tentò di
divincolarsi senza successo dalla presa dell’altro.
“Se non mi dite dove siete lo uccido,” ringhiò Daniel premendo il pezzo di vetro contro la gola di Shadi, per provare ai due che non stava scherzando.
<< -Uh… ehilà?
“Il gioco consiste nell’essere l’ultimo a
morire”, “devi sopravvivere agli altri”…
dicono niente queste due frasi?- >>
<< -Uccidere gli altri concorrenti è una possibile scelta per vincere. Se vuoi farlo, fai pure.- >>
Daniel imprecò sottovoce, bloccando l’ennesimo tentativo di Shadi di divincolarsi dalla sua stretta.
Erano davvero due pazzi sanguinari, se preferivano lasciar uccidere qualcuno piuttosto che rivelare la loro posizione.
Doveva trovare un altro piano. Cosa poteva convincerli a rivelare la
loro posizione? Cosa poteva dar loro abbastanza fastidio…?
Socchiuse gli occhi, stringendo così tanto il pezzo di vetro che finì per tagliarsi il palmo della mano.
Inspirò, cercando di darsi un minimo di coraggio, poi chiuse
completamente gli occhi e, tentando di convincersi che il ragazzo non
era davvero un ragazzo, si piegò a baciargli il collo.
<< -Stai scherzando, vero?- >>
<< -Non può essere vero.- >>
L’orrore nelle voci dei due speaker riuscì, per alcuni
secondi, a convincerlo che ciò che minacciava di fare non era
davvero così disgustoso come pensava.
Lasciò andare il pezzo di vetro e strinse i polsi del ragazzo, che cercava di divincolarsi con più forza.
<< -Così disgustoso… e… allo stesso tempo… non posso…- >>
<< -Los! Senti… tu. Non puoi essere veramente serio. Oh, andiamo!- >>
Daniel strinse gli occhi, disperato. Non poteva essere necessario
arrivare fino a quel punto, non poteva essere davvero costretto a-
Lasciò un polso del ragazzo, bloccandolo contro il muro con il
proprio corpo, e portò la mano libera ai propri pantaloni.
<< -Mi arrendo! Mi arrendo! Non
siamo tanto distanti, va dritto, l’hotel è ha due incroci
di distanza. Gira a sinistra, vai all’ultimo piano, noi siamo
lì.- >>
<< -...Ormai che ci sei potresti portarci anche un- >>
<< -Los.- >>
<< -Ci si vede.- >>
Daniel non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Si allontanò dal ragazzo, lasciandolo libero: questo
scivolò a terra, cominciando a tremare violentemente. Daniel si
rese conto di non avere la minima idea di cosa fare.
Il ragazzo stava male per colpa sua, gli doveva pur sempre qualcosa- ma
allo stesso tempo doveva eliminare i due speaker, e portarlo con se non
gli sembrava un’idea saggia.
Si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.
“A… ehm…” Il ragazzo continuava a tremare. Ovviamente. “I-io… s-scusa?”
In quel preciso istante Daniel capì di essere un’idiota.
Senza aspettare un secondo di più cominciò a camminare,
cercando di allontanarsi il più possibile dal ragazzo che, ne
era sicuro, stava per scoppiare a piangere.
<< -Hm… continuiamo. Nessuno sembra stare male, a parte la… ehr, il ragazzo.- >>
<< -Favoloso. Le cose non potevano andare meglio. Almeno l’ha uccisa, la ragazzina?- >>
Meredith fissò il proprio riflesso in una vetrina, sorridendosi
con ammiccante modestia. Controllò che i suoi capelli color
dell’oro fuso con grano al tramonto e stelle del mattino fossero
meravigliosi come sempre, prima di controllarsi i vestiti.
Quando si rese conto che i suoi jeans trasgressivi strappati al
ginocchio avevano un ennesimo strappo dovuto alla caduta, Meredith non
ci vide più.
“Maledetto!” strillò con tutta la voce che aveva, “Tu morirai! Morirai!”
<< -Miseria boia…- >>
<< -Tirati su di morale. Vediamo come stanno le persone nel lato psicologico del termine.- >>
<< -Hm… non posso fare a meno di notare una persona…- >>
<< -Ehi! Cos’è successo al mio mito inarrivabile?!- >>
Dodger era ancora sdraiato a terra, la testa protetta dalle braccia, con la mente in un altro tempo e luogo.
<< -Uh… prima ha detto qualcosa tipo… Katia? Kat… katyos… Kat…- >>
<< -Smettila di insultare la mia intelligenza parlando, Los.- >>
Gwen, che stava ancora correndo inseguita da qualcosa come tre NPG, non
poté fare a meno di stringere i pugni nel sentire che suo marito
aveva urlato il nome di una donna.
Piegò la schiena leggermente in avanti, tentando di aumentare la
velocità di corsa, prima di ringhiare qualcosa sottovoce.
<< -Allora, cerchiamo di
ragionare… C’è stato un grande rumore, no? Urla
eccetera. E lui ha gridato Katy… qualcosa.- >>
<< -Già.- >>
<< -Hm. Non ricordi altro?- >>
<< -Doveva essere un nome russo. Lungo.- >>
<< -Uff. Nome russo, lungo,
rumore. Da quello che ne sappiamo, può anche aver preso
l’urlo per una sirena.- >>
<< -…Sirena?- >>
<< -Non quelle con le code di pesce, per l’amor del cielo.- >>
Daniel aveva ormai passato il primo incrocio quando, buttando
l’occhio alla propria destra, notò un interessante negozio
che vendeva qualcosa che poteva essergli utile…
<< -Oh, Katyusha!- >>
<< -Che?- >>
<< -Katyusha! È una
specie di camion che lancia missili, fa un rumore del diavolo e toglie
un sacco di punti vita.- >>
<< -Punti vita. Ti prego, dimmi che non è un’arma presa da un videogioco…- >>
<< -Presa a sua volta dalla seconda guerra mondiale!- >>
<< -Favoloso. Comunque, lui non
mi sembra così tanto vecchio da poter essere stato presente
nella seconda guerra mondiale.- >>
A poco a poco Dodger stava tornando in se.
Dapprima aprì gli occhi, timoroso: vedendo che nulla era
cambiato da prima del rumore si decise ad alzare la testa, per
guardarsi attorno.
Il posto sembrava essere normale. Non era cambiato nulla.
Si mise seduto, pronto in ogni momento ad accucciarsi di nuovo a terra,
e cercò di capire se era ferito in un qualche modo: oltre al
cuore che continuava a battere all’impazzata, null’altro
era strano.
Sbuffò per il sollievo, sentendosi improvvisamente stanco. Per
qualche secondo gli era sembrato che fosse davvero la Katyusha- ma
quello era ridicolo. La Katyusha faceva un rumore inimitabile.
Appoggiò la schiena alla slot-machine, rilassandosi. I suoi
occhiali non erano volati a terra per un qualche miracolo della
gravità: probabilmente avrebbe dovuto esserne grato.
Portò una mano alla fronte, asciugandosi il sudore, rendendosi
conto in quel momento che a cadere, al posto dei suoi occhiali, era
stato il cappello: era a pochi centimetri di distanza, ma non aveva
abbastanza forza per allungarsi e prenderlo.
<< -Aspetta aspetta… si è ripreso.- >>
<< -Oh grazie al cielo.- >>
I due speaker stavano parlando con lui?
A quanto pareva erano preoccupati. O almeno, erano stati preoccupati per lui- incoraggiante.
Si sporse in avanti, nuovamente preso dal panico.
“Gwen! Gwen, mia moglie, sta bene?”
<< -Gwen…?- >>
<< -Uh… a rigor di logica… dovrebbe essere…?- >>
<< -Aspetta aspetta… forse lei?- >>
<< -Oh… si, sta bene. Sta fuggendo da tre tizi, penso abbia rubato il loro portafoglio.- >>
Dodger sorrise, divertito. Quello era così da sua moglie, era sicuramente lei.
Il sorriso si spense, mentre perdeva nuovamente colore.
“Nicolas? Oliver?”
<< -Uuuh…->>
I due gemelli stavano, in quel momento, litigando piuttosto
violentemente. Oliver era ragionevolmente infuriato, Nicolas tentava di
dire che tanto era solo un videogioco, che non si moriva davvero, e fra
un insulto e l’altro i due si spintonavano e tentavano, senza
molto successo, di darsi qualche calcio.
<< -…Bene. Si, direi che stanno benone.- >>
Crollò nuovamente contro la slot-machine, rilassandosi. Stavano
tutti bene- e d’altronde non aveva avuto motivo di impaurirsi.
Non c’era stato nessun vero pericolo.
Guardò l’orologio del casino, maledicendosi. A quanto pareva, non era ancora orario per il poker.
Aggrottò la fronte, perplesso- chissà se il bar era aperto?
<< -Vorrei ordinare una torta, ma temo che arriverebbe prima lo psicotico del cameriere.- >>
<< -Puoi giurarci. Cosa ti aspetti da questa inaspettata ma soprattutto spiacevole visita?- >>
<< -Probabilmente ci violenterà a morte.- >>
<< -Ti violenterà a
morte. Tu sei la giovane carne fresca. Tu hai il bell’aspetto. Tu
sei insopportabile.- >>
<< -Ehi!- >>
<< -I giocatori ameranno il tuo sacrificio, Los.- >>
L’ascensore arrivò finalmente all’ultimo piano.
Quando le porte si aprirono, Daniel fu sorpreso di constatare che, in
tutto il corridoio, c’era solo una porta: una suite da un piano
intero era semplicemente da megalomani.
Sbuffò, prendendo in mano la pistola. Ripassò mentalmente
l’idea che si era fatto circa ciò che sarebbe successo.
Sarebbe entrato. Avrebbe trovato i due speaker: magari avrebbero
provato ad attaccarlo, ma lui gli avrebbe sparato subito, senza
aspettare un solo secondo. Poi?
Poi… la gente non sarebbe più morta, il videogioco
sarebbe finito e le cose sarebbero andate per il meglio. Si, sarebbe
andata così.
Appoggiò una mano sulla maniglia della porta, inspirando
profondamente. Doveva essere pronto. Doveva essere veloce. Doveva
essere preparato.
Aprì la porta, alzando subito la pistola.
<< -Oddio!- >>
I due speaker erano seduti di fronte ad un enorme schermo dove si
potevano vedere tutti i giocatori. All’estrema destra c’era
un quadratino in cui si vedeva Daniel puntare la pistola ai due
speaker, ad esempio.
Goth, quello (o quella?) che aveva appena parlato, era trasalito nel
sentire la porta aprirsi: lo guardava con occhi sbarrati, come se
davvero non si aspettasse che fosse lì.
Anche Los si era spaventato, ma in un modo diverso: la sua era la
tipica paura del soldato, quella che ti porta a scattare e colpire.
E così fece. Impugnando con la mano destra una matita
scattò verso Daniel, che scelse di mirare, in quel preciso
istante, a lui.
Premette il grilletto e il suono, per qualche istante, lo confuse: lo
confuse abbastanza da fargli credere di aver centrato il bersaglio.
Così non seppe come reagire quando Los gli fece volare via la
pistola dalla mano usando la sinistra, come non si mosse quando questo
gli conficcò la matita nel collo, oltrepassandolo da parte a
parte.
<< -...Ok, questo è stato…- >>
Goth non seppe come finire la frase. Daniel era caduto a terra,
probabilmente in fin di vita, e Los si era voltato verso di lui, per
tornare con calma al proprio posto.
La parola ‘sorpresa’ non si avvicinava minimamente a
ciò che provava Goth in quel momento: incapace di continuare,
decise quindi di cercare di tornare in se.
<< -L’ultima volta che hai
fatto uno scatto simile è stato quando l’ultima fetta di
torta del mio compleanno ha rischiato di cadere a terra.- >>
Los si sedette al suo posto, tenendosi la testa con la mano sinistra.
<< -Mhm. Mi manca così tanto quella torta.- >>
Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma poi sembrò
addolcirsi: la sua espressione non era di gentilezza, comunque, ma più di
imbarazzo.
<< -Uh… comunque… hm… sei stato… bravo. Arti marziali?- >>
Los scrollò le spalle, affondando ancor di più nella
poltrona. Si vedeva che gli mancava terribilmente, quella torta.
<< -Krav Maga. Si… pensi
che questo valga un servizio a malapena più accettabile da parte
dei camerieri del posto?- >>
Ed in un solo secondo Goth perse tutta la gratitudine verso quello che reputava soltanto un piccolo odioso mostro.
<< -Santo Cielo, sei persino troppo pigro per vantarti?!- >>
Seconda
morte: Daniel Richard. Modus Operandi: una matita gli è stata
conficcata nel collo, soffocato nel sangue, rottura di una vertebra
Giocatori rimasti: 9
-
-:.:,*,:.:-
-
Quando Daniel aprì gli occhi gli sembrò di essersi risvegliato da un incubo.
Si sentiva bene come poteva sentirsi qualcuno che ha finalmente
ritrovato la propria capacità di ragionare e sentire. Quel
caldo, il sudore che gli gocciolava dalla fronte, tutto gli sembrava
una specie di dono.
Si sedette e staccò l’ago della flebo dal proprio braccio,
felice di non averne più bisogno. Si tolse il casco, fin troppo
ingombrante, e strinse gli occhi, momentaneamente accecato dalla luce
della stanza: non che fosse illuminata, ma per lui che non c’era
più abituato era fin troppo.
Quando rimise a fuoco le immagini si rese conto che la Celia Boyd, la
ragazza che aveva visto morire, lo stava salutando con un sorriso.
Si sentì gelare il sangue nelle vene. Come aveva potuto
dimenticare che le morti nel videogioco non erano reali? Si era fatto
trasportare troppo e…
Arrossì, senza riuscire a muoversi.
“Ciao! Non si può uscire.” Trillò allegramente la ragazza, stranamente felice di quel dato di fatto. “Rimaniamo qui fino alla fine del gioco. Possiamo guardare e mangiare!”
Daniel piegò leggermente i lati delle labbra all’insù, ancora
non totalmente convinto che quelle che lei presentava con allegria
fossero buone notizie.
“Ehm… Io…” cominciò Daniel, senza sapere cosa dire. Voleva scusarsi? Sì, forse- ma valeva, chiedere scusa alla ragazza?
Lei agitò una mano in aria, come a dire di lasciar perdere.
“Sai, alla fine è stato buono. Vedi questo schermo?” e Celia indicò uno schermo a destra, che riprendeva i due speaker mentre parlavano, “Bhè, prima era per te. Morendo nella loro stanza mi hai dato modo di vedere gli speaker.”
Lei rise, mostrando un altro dei suoi felicissimi sorrisi. “Non sono semplicemente grandi? Intendo dire… li adoro!”
Daniel si sedette nel posto accanto a lei, in silenzio, cercando di non
ascoltare i sensi di colpa che lo stavano letteralmente divorando.
Goth doveva avere venti, venticinque anni. Gli occhi, dalle iridi di un
colore scuro che poteva essere blu come una tonalità di grigio,
erano pesantemente truccati di nero: per il resto, oltre allo smalto
(anch’esso nero), non aveva altro tipo di trucco. Non si riusciva
a capire se fosse stato il nome a portarlo ad un tale stile oppure se i
suoi genitori erano stati dei veggenti, ma l’unico modo per
descrivere Goth era, ironia della sorte, la parola “Goth”:
capelli neri, tagliati undercut, terribilmente pallido, non si riusciva
a capire se era una ragazza un po’ mascolina o un ragazzo dai
lineamenti un po’ troppo delicati.
Los non doveva avere più di diciassette anni, probabilmente
sedici. Goth assomigliava troppo ad un vampiro per poter piacere a
più persone che non fossero Dark o Gothic, ma Los, al contrario,
era decisamente carino: i capelli biondi, mossi, erano lunghi fino alle
spalle e qualche ciocca gli cadeva sul volto. Gli occhi, le cui iridi
erano verde chiaro, erano socchiusi, dandogli
un’espressione calma e disinteressata- qualcosa che contribuiva,
assieme al suo modo di fare piuttosto flemmatico, a farlo etichettare
come fin troppo lassista. Cosa che probabilmente era, per
carità: nessuno dei giocatori faceva fatica a credere a Goth,
quando questo rimarcava quanto apatico, menefreghista e indolente fosse
il ragazzino.
Celia sorrise, rannicchiandosi sulla propria sedia. “Non sono adorabili? Sto ancora cercando di capire se Goth sia o no un maschio. Secondo te?”
Daniel aprì la bocca, senza riuscire a parlare. La verità era che non ne aveva la minima idea.
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Grazie a Xanax per la sua recensione! Spero che la storia vi piaccia!
E, uh... perdonatemi. L'ultima parte (da bambina nicolas e oliver in
poi) l'ho fatta oggi. Sono... non... riesco più a pensare. Vi
prego, perdonate gli errori ç_ç
*La canzone è "Love Song", dei "The Cure". Meravigliosa canzone *_*
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Capitolo 4 *** Layer 03: Ache ***
Layer 03: Ache
<< -Stavo
pensando, Goth… non abbiamo visto delle morti molto forti.- >>
<< -Che ti
aspettavi, i templari che tornavano dall’oltretomba per portare la fede ad un
nuovo livello?- >>
<< -No, ma sai.
Stavo pensando a qualche morte tipo, non lo so, qualcuno diventa pazzo e
comincia a cibarsi di carne umana, scarnificando le povere vittime con le
proprie nude mani e scavando nel cranio con una costola strappata da- >>
<< -Non accadrà
mai. Mai. Infatti, faremo a finta che tu non abbia mai detto niente, nessuno oltre
a noi dovrà mai sapere che tu abbia anche solo pensato ad una cosa del genere e
prega Dio che uno studente non decida malauguratamente di sterminare i compagni
di classe qualche settimana dopo il debutto del videogioco.- >>
<< -Potremmo
dare la colpa alla musica.- >>
<< -Se i Bagel
Zero devono cancellare un altro tour per un moccioso che ne ha avuto abbastanza
giuro che ucciderò i suoi genitori, i superstiti del massacro e la stampa.-
>>
<<
-Accoltellandoli con le loro stesse costole?- >>
<< -Perché vuoi
condannare questo gioco già da prima del debutto? Oh, non lo voglio sapere.
Bhè, tesorini ricoperti di miele colato, è sera: la barra dell’energia dovrebbe
essere, per tutti, ormai praticamente rossa e… che altro dire.- >>
<< -Non è morto
nessuno.- >>
<< -Ti pagano
per ricordare alla gente che deve morire?- >>
<< -Se per
‘pagano’ intendi ‘hai i soldi’ e per ‘ricordare alla gente che deve morire’
intendi ‘divertirti’ allora sì, mi pagano per ricordare alla gente che deve
morire.- >>
<<
-Tecnicamente ‘pagano’ andrebbe modificato con ‘mio padre ha i soldi’.-
>>
Dodger guardava la porta del casinò con astio, ricambiato
dallo sguardo severo delle due guardie.
Delle persone normali, constatato il fatto che un uomo era
rimasto per tutto il giorno in attesa dell’apertura delle roulette, sarebbero
quantomeno rimaste commosse dalla fedeltà- loro no. Loro avevano detto che il
suo interessamento era patologico. Ridicolo.
E poi da quando ad un casinò importava di qualcosa del
genere?
Una delle due guardie minacciò di avvicinarsi: Dodger alzò
le mani al cielo con fare esasperato, prima di allontanarsi.
“Maledizione!”
<< -Fortuna che
lui non è ‘pagato per ricordare alla gente che deve morire’, altrimenti
dovrebbero staccargli la mano dalla slot-machine a scalpellate.- >>
Gwen aveva prenotato una camera in un hotel a cinque stelle.
Era rimasta semplicemente estasiata alla vista della suite:
televisore al plasma, bar, letto matrimoniale con morbide e meravigliose
lenzuola di seta (lo stesso tessuto del suo vestito da sposa- che in realtà non
era propriamente suo, ma quello era un dettaglio), idromassaggio- e, oddio,
quella era davvero una bottiglia di champagne?
Felice come una bambina, vide però tutta la sua allegria volare fuori dalla
finestra (che, con la scusa di essere al quinto piano, prendeva un’intera
parete) appena capì che i due speaker si stavano riferendo a suo marito.
Emise un grido di frustrazione, lasciando perdere la
promessa che si era rifatta ore prima- ovvero di lasciarlo perdere e godersi
quella opportunità.
“Cosa diavolo ha
fatto Dodger adesso?!” esclamò infine, agitando i pugni in aria.
<< -Dille che
sta pagando una prostituta, dille che sta pagando una prostituta, ti prego,
dille che sta pagando una- >>
<< -Los!
Tranquilla, bocciolo di rosa vanigliata alla pesca, tuo marito sta solo uscendo
dal casinò.- >>
<< -E sta
usando i soldi di una vincita per una- >>
<< -Perché,
Los? Non sei già abbastanza odioso senza avere queste trovate? Perché lo fai?-
>>
<< -Perché a
volte, Goth, in ordine di poter far soffrire terribilmente qualcuno, devi
mentire sfacciatamente. Me lo insegnasti tu.- >>
<< -Ah, ecco.
Ero inquieto, nel sentirla mi dava l’effetto di una frase con un senso logico
inoppugnabile e pensavo ‘non può essere di Los, questo moccioso non ha voglia
di pensare’. Come mai te l’ho insegnato?- >>
<< -Mi hai
portato ad una mostra dell’artigianato. Dicendomi che c’erano videogiochi.-
>>
<< -Oh già! Le
migliori due ore della mai vita, vederti fare una torta è riuscito perfino a
farmi dimenticare la folla di gente.- >>
<< -Sei un…
orrendo… mostro... senza il minimo cuore.- >>
<< -Eh eh… sì. Sì,
lo sono. Hm, stavamo dicendo?- >>
Gwen era rimasta ferma per tutta la discussione, con i pugni
serrati e gli occhi socchiusi in un’espressione a metà fra l’esasperato e
l’infuriato.
“Mio marito.”
Ringhiò infine lei, lieta che, dopo averla completamente dimenticata, almeno
uno dei due speaker si stesse domandando di cosa stavano parlando prima.
<< -Oh già. Sta
bene. È fuori dal casinò. Nessun problema.- >>
<< -A meno che
non impazzisca qualcun altro e non decida di minacciare lo stupro su di lui.-
>>
<< -Evitatelo.
Non è che possiamo riempire di cadaveri la stanza. Già adesso è piuttosto
inquietante.- >>
<< -Fra
parentesi, dove diavolo è il servizio in camera? Non mi dirai mica che dobbiamo
tenerci il corpo fino a domani, vero?- >>
<< -Io non lo
tocco di sicuro.- >>
La donna alzò gli occhi al cielo, incredula: parlare con i
due speaker era davvero come trovarsi di fronte a suo marito.
Esaurita quindi la propria pazienza decise che del destino
del consorte alla fine poco gli importava: ignorò quindi i due ragazzi che
continuavano a sproloquiare circa cadaveri e torte e si buttò sul letto.
Il sorriso le tornò istantaneamente sul volto mentre le mani
accarezzavano le lenzuola di seta: se solo quello non fosse stato un videogioco
e quindi qualsiasi sensazione legata al tatto non fosse stata inesistente,
probabilmente sarebbe finita in brodo di giuggiole nello strusciare la testa
contro il tessuto.
<< -Goth, una
sola domanda: noi cosa facciamo mentre gli altri dormono?- >>
<< -Quel che ci
pare. Non siamo costretti a dormire.- >>
<< -Quindi non
possiamo dormire?- >>
<< -Non siamo
costretti neanche a mangiare, ma non è che questo ti ha trattenuto
dall’ingoiare piatti di torte.- >>
<< -Quindi
possiamo. Non avevo voglia di rimanere sveglio tutta la notte.- >>
<< -“Che gli dei misericordiosi, se esistono, ci
proteggano nelle ore in cui né il potere della volontà, né le droghe inventate
dagli uomini possono tenerci lontani dall’abisso del sonno”.- >>
“La morte è
compassionevole perché da essa non c’è ritorno, ma chi emerge, pallido e carico
di ricordi, dai recessi della notte, non avrà più pace.”
Le parole volteggiavano attorno a Sid mentre questo le
pronunciava. Ebbene sì: anche se era una follia, anche se sapeva che quelli
erano solo dei suoni, riusciva a sentire il calore delle lettere che lo
sfioravano, a vedere la leggera sfumatura delle parole.
Sorrise, vedendo l’arancione cupo della frase mutare,
lentamente, in nero. Era più che appropriato, probabilmente.
Era strano, sentire il calore di qualcosa. Era in un
videogioco, quindi non sentiva freddo e caldo, eppure quelle parole lo facevano
stare bene- come se fosse immerso in una nube di calore.
<< -Uh… wow.
Cioè, wow.- >>
<< -Cosa
diavolo state dicendo?- >>
Il volto, contratto dalla rabbia, gli si ammorbidì
leggermente nel sentire uno dei due speaker fare una simile citazione: si
permise persino un leggero sorriso quando, dopo una pausa, il secondo ragazzino
era venuto fuori con quella domanda.
“Dovevo immaginarlo,”
cominciò Dodger, calcandosi il cappello sugli occhi, “Goth… non potevi avere altri gusti letterari.”
Diede un’ultima rancorosa occhiata al casinò in fondo alla
via prima di svoltare a sinistra, alla ricerca di un posto dove andare a
dormire- o anche di un semplice bar.
“Scommetto che nella
tua biblioteca Cthulhu e Lestat vanno allegramente a braccetto.”
<< -Si può non
amare Akasha?- >>
<< -Non mi
piace questo discorso, non ho la minima idea di cosa stiate dicendo.- >>
<< -Immagino.
Parlare di cultura con te è inutile.- >>
<< -Come lo è
parlare con te di… uh…- >>
<< -Di cosa,
Los? Dimmi un solo argomento in cui tu sai più di me.- >>
“Oh, andiamo. Sembra
quasi siate sposati.”
Dodger non stava realmente pensando alla frase, quando
questa gli sfuggì di bocca. Si stava guardando attorno, continuando a camminare,
domandandosi quale fosse la logica della sistemazione dei negozi - souvenir,
gelataio, vestiti, souvenir, gelataio, vestiti - .
Aggrottò la fronte perplesso quando, incomprensibilmente,
invece di iniziare nuovamente quel mantra – souvenir, gelataio, vestiti – era
comparsa una palestra.
Una palestra dopo dodici gelaterie?
<< -Se mai lo
saremo abbi paura: quel giorno mi arresteranno per pedofilia e,
allo stesso tempo, sarò evidentemente sull’orlo del coma etilico.- >>
<< -Solo due
disgrazie?- >>
<< -Tre. Troppo
alcool, matrimonio con moccioso, arresto per pedofilia: un circolo perfetto.-
>>
<< -Potremmo
avere figli.- >>
<< -Come
potremmo avere la malaria.- >>
<< -Potrei
avere dei figli, un giorno.- >>
<< -Los, con
tutta la buona volontà… ma ancora adesso non riesco a convincermi che tu abbia
la voglia di alzarti dal divano per corteggiare una ragazza. O di ricordare il
nome di ognuna.- >>
<< -Cosa vorresti dire con questo?- >>
<< -Esistono
delle cartoline con su scritto “mi dispiace che la tua relazione non sia durata
fino alla fine del pomeriggio”? Ne distribuiscono a pacchi di cento?- >>
Meredith, i lunghi capelli biondi come il sole a mezzogiorno
in una limpida e cristallina giornata di primavera tenuti in una retina
cosparsa d’oro e strass, si permise di arricciare il delicato nasino in una
smorfia di disgusto.
“Lo dovevo
immaginare! Sei un libertino, sempre a caccia di gonnelle!”
<< -A caccia di
gonnelle? Da che secolo è appena uscita?- >>
<< -Forse tu e
la tua retina non avete capito: sono ricco. Ricco e bello. Pensi seriamente che
le ragazze mi vogliano per testare l’amore vero?- >>
“Sei solo un
maschilista!”
La ragazza era ragionevolmente infuriata: come si
permetteva, quella vocina, di mettere in dubbio i buoni propositi del genere
femminile? Di dire che lo inseguivano solo per i suoi soldi.
Alzò il volto, oltraggiata, e con rabbia ma anche calma si
ripromise che gli avrebbe fatto capire che l’amore vero esisteva, esisteva per
tutti: glielo avrebbe dimostrato, anche a costo dei propri tanga argentati in
pizzo.
<< -Io?-
>>
<< -Devo, mio
malgrado, dare ragione a Los. Intendo dire, persino io lo seguo solo per i suoi
soldi, il ché dovrebbe dirla lunga.- >>
Oliver e Nicolas si bloccarono, quasi illuminati dalla gioia
nel sentire Goth dire quella frase: era una donna, quindi!
Poi il loro viso si rabbuiò: aveva detto ‘persino’. Cosa
voleva dire? Che persino una ragazza come Goth inseguiva Los solo per i suoi
soldi? O che persino i maschi non erano immuni all’amore per il denaro?
Si guardarono, sconsolati, scotendo tristemente la testa.
<< -Approposito
di questo. Tu mi segui solo per i miei soldi, vero?- >>
<< -Yep.-
>>
<< -Fai a finta
di sopportarmi per i miei soldi. Fai a finta di non odiarmi per i miei soldi.
Giusto?- >>
<< -Uh… hm,
sì.- >>
<< -Questo non
fa di te la mia personale prostituta?- >>
<< -Cosa?! Io,
uh, non, io…- >>
Shadi non si era mosso. Aveva passato le ultime ore
rannicchiato contro il muro della palestra.
All’inizio aveva solamente pianto, rivolgendo un’occhiata
spaventata a chiunque osasse avvicinarsi: in quel momento, qualsiasi contatto
umano, foss’anche solo parlare, lo disgustava.
Se fosse stato abbastanza in sé si sarebbe reso conto di
quanto ciò fosse ironico.
Poi si era calmato. Non riusciva più a piangere, quindi
calmarsi era l’unica soluzione.
Gli faceva male la testa ed aveva la nausea, ma non poteva
rimanere lì per sempre. Doveva riprendersi.
Chiuse gli occhi, mordendosi il labbro cercando qualcosa da
fare. Non voleva provarci con qualcuno, era… disgustoso. Non voleva.
Così si concentrò sui due speaker, che continuavano a
parlare ed a scherzare. Loro avevano rischiato di morire ed erano allegri-
perché allora lui si trovava in quello stato?
Sospirò.
“Ne dubito,”
Shadi fece un sorriso dicendolo, tentando di suonare malizioso. Il solo
pensiero lo faceva star male. “Tanto per
dire, Goth non farebbe mai una 'palla di neve'.”
<< -“Palla di
neve”?- >>
<< -Per un qualche
motivo, penso di non voler sapere cos’è.- >>
Dodger era rimasto sorpreso quando un ragazzo rannicchiato
contro il muro della palestra aveva parlato, come se stesse riferendosi ai due
speaker: poi aveva notato l’alone chiaro attorno a lui e decise che sì, era
logico, ovviamente era un giocatore.
Così fu solo dopo, quando i due speaker fecero quella
domanda, che Dodger capì finalmente cosa avesse detto.
Si sentì istantaneamente avvampare.
“Uh, è quando lui,
cioè, lei, fa, ehm, e-e-e poi dà, uh…”
Shadi alzò lo sguardo, sorpreso. C’era un uomo, un tizio con
un cappello alla Al Capone, che tentava di rispondere ai due speaker.
Era un tizio strano. I capelli, biondo cenere, dovevano
essere stati tagliati a caschetto mesi prima, tanto che ormai la frangia
arrivava fino agli occhi. Non era alto, ed era piuttosto secco.
Continuava ad aggiustarsi gli occhiali sul naso in un gesto
che assomigliava ad un tic nervoso e balbettava qualcosa, completamente
paonazzo.
Si alzò, aiutandosi con il muro. Diede un secondo sguardo
all’uomo: decise che era carino.
Prese un respiro e gli si avvicinò, sfoggiando il suo
migliore sorriso.
“Vogliamo dargli una
dimostrazione pratica?”
<< -Sì! Sì!
Sgualdrina back in action!- >>
<< -Quanto
entusiasmo inutile.- >>
Dodger fissò Shadi, senza realmente capire cosa stesse
dicendo. Poi comprese il soprannome – ‘Sgualdrina’ – e gli tornarono in mente
alcuni commenti degli speaker precedenti a quel momento.
Aggrottò la fronte, perplesso. Per essere una sgualdrina non
doveva essere molto grande, comunque- probabilmente aveva diciotto anni.
Il che, si trovò a pensare, era comunque meglio di niente:
non è che gli andasse particolarmente a genio, l’idea di venire arrestato per
pedofilia.
Sorrise, prendendo una delle mani del ragazzino fra le sue.
“Mi dispiace, tesoro.
Il mio cuore è gia di un altro.”
Si bloccò per qualche secondo, pensieroso.
“E poi c’è mia moglie
che mi ucciderebbe se la tradissi.”
<< -E poi ci
siamo noi due, il cui disgusto sarebbe stato senza limiti.- >>
<< -Già. Avrei
persino potuto azionare il pulsante di distruzione completa del mondo.-
>>
<< -Non c’è
nessun pulsante di distruzione completa del mondo, Los.- >>
<< -Perché i
nostri nemici hanno azionato il pulsante per la distruzione completa del
pulsante per la distruzione completa del mondo.- >>
Shadi sorrise, divertito. Non sapeva se per la reazione del
tizio o per i due speaker- ‘sgualdrina back in action’ lo faceva sentire,
curiosamente, più orgoglioso di quanto non fosse logico.
“Come ti chiami?”
Per qualche secondo Shadi rimase con lo sguardo perso nel
vuoto: poi finalmente capì che il tizio si stava rivolgendo a lui.
Ritirò istantaneamente la mano che l’altro aveva continuato
a tenere fra le sue, improvvisamente spaventato: quando però vide che questo lo
stava guardando con uno sguardo interrogativo, Shadi fece un debole sorriso,
tentando di scusarsi.
“S-Shadi,” si
passò una mano fra i capelli, imbarazzato, “mi
ero, hm, deconcentrato. Scusa.”
L’altro scrollò le spalle, curiosamente allegro. “Chiamami Dodger. Sei maggiorenne, vero?”
Shadi sgranò gli occhi, mentre un brivido gli percorreva la
spina dorsale. Tentò di tenere il sorriso, riuscendo solo a farne una pallida
smorfia. “Si.”
“Fantastico!”
Dodger lo prese per mano, indicando allegramente il resto della via. “Sicuramente mi avrebbe reso triste, far
ubriacare un minorenne!”
“Aspetta! Io,”
Shadi non aveva la minima idea di cosa dire. Se c’era, però,
qualcosa di cui era sicuro, era che non voleva davvero seguire il tizio-
Dodger. O almeno, non voleva andare in un luogo isolato e fissarlo mentre si
ubriacava e rischiava di perdere il controllo.
“Io… non posso
ubriacarmi. Religione.”
<< -Non ci si
ubriaca per un bicchiere. Quasi mai, almeno.- >>
<< -Se la tua
religione è quella che credo io, allora dovrebbe esserci anche il divieto di
avere relazioni pre-matrimoniali.- >>
Shadi si maledì internamente. Contando che era allegramente
ateo, era ovvio che alcune regole del Profeta gli fossero oscure- ma quella era
così ovvia che non c’era nemmeno bisogno di aver letto il Libro.
“Oh suvvia, non c’è
motivo di smettere di bere per qualcosa del genere.”
Dodger si fermò, mettendo le mani sulle spalle del ragazzo.
Shadi s’irrigidì, ma tentò di sorridere. Non sapeva neanche se avrebbe dovuto
sorridere, ma decise di farlo lo stesso.
“Shadi, ciò che noi
preghiamo altro non è che uno degli ennesimi fattori in un’equazione.
L’Universo è stato creato dal Big Bang che è stato creato da… Dio? E poi chi ha
creato Dio? E chi ha creato chi ha creato Dio? E chi, o cosa, ha creato chi ha
creato chi ha creato Dio? Come vedi, è solo un’enorme catena di eventi che non
ha mai fine e che quindi a noi non interessa.”
Shadi gli rivolse un’occhiata così evidentemente confusa che
Dodger non poté fare a meno di sorridere, intenerito.
“Seguiamo gli
insegnamenti di un dio che potrebbe essere solamente il sostituto di qualcun
altro, che a sua volta sarebbe il sostituto di qualcos’altro. Il che, per
carità. spiegherebbe perché in molti credano a più dei o perché ci credano con
diversi nomi, ma comunque- non importa.”
Il diciottenne si succhiò le guance, fissandolo. La pelle
nera nascondeva il fatto che stava arrossendo, così Dodger non comprese che il
ragazzo era persino più confuso di prima.
“Prendi invece l’alcool.
L’alcool confonde le masse, le rende docili, cosa che fa piacere al governo,
che paga le multinazionali per distribuirlo. Vedi? Causa. Effetto. Quando paghi
per una bottiglia di liquore sai esattamente a chi vanno i tuoi soldi!”
Shadi emise un gemito, tentando disperatamente di far
smettere quel fiume di parole: Dodger si fermò, incrociando le braccia sul
petto e aspettando una domanda, con un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo si portò una mano alla fronte, sospirando.
“In poche parole,”
balbettò lui, tentando di fare il punto della situazione, “stai dicendo che… che non c’è motivo di pregare, ma c’è né per bere? È
così?”
Dodger annuì, non esattamente soddisfatto.
Shadi lo fissò per qualche secondo, convinto che, compreso
quel punto, tutto il resto sarebbe divenuto ovvio: alla fine, però, si rese conto
di avere semplicemente la risposta ad una domanda che non aveva minimamente
compreso.
“Non ho capito.”
<< -La
creazione, o qualsivoglia dio a cui tu creda, è una domanda che genera altre
domande, quindi tentare di rispondere è inutile. L’alcool ha un senso e una
risposta.- >>
<< -Più o meno
come scegliere se dare un senso a un film surrealista o se andare a mangiarsi
un gelato. Goth, perché mi guardi così?- >>
<< -Tu… hai
capito di cosa stava parlando?- >>
<< -Uh, sì.
Sì.- >>
<< -Io… non… io
mi… l’orgoglio sta distruggendo qualsiasi mia logica ma… Oddio.- >>
Prima che Shadi possa anche solo minimamente pensare di
ringraziare i due speaker per la spiegazione, Dodger lo aveva preso per mano,
tirandoselo appresso nella sua disperata ricerca di un bar.
“Uh uh. Vedi, Shadi,
puoi prendere questa come un occasione. Tutti hanno bevuto qualcosa, prima o
dopo: tu hai la fortuna di avere un adulto come supervisore nel tuo primo meraviglioso
tentativo con gli alcolici!”
<< -Se solo
l’adulto non fosse quello che lo ha spinto a bere, eh?- >>
<< -E sempre se
il supervisore non sviene dopo dieci minuti.- >>
Dodger si mise apposto gli occhiali, tentando di apparire il
più oltraggiato possibile.
“La vostra poca
fiducia mi offende! Non seguo che i suggerimenti dei filosofi, Platone stesso
disse che un uomo saggio inventò la birra, anche se io preferisco la vodka. Non
ti fidi forse di me, mio tesoro?”
Shadi aprì la bocca per rispondere qualcosa, ancora
leggermente confuso: si dimenticò tutto appena vide lo sguardo da cucciolo che
Dodger gli stava rifilando.
Ridacchiò, divertito.
“Insieme a te, amore
mio, andrei ovunque.”
Il sorriso malizioso e la voce sensuale bastarono per far
sciogliere qualcosa all’interno di Dodger, che replicò con un veloce occhiolino
prima di tornare velocemente a cercare un bar.
Non sapeva, esattamente, perché quel tipo di comportamento
lo intenerisse- sapeva soltanto che era adorabile.
<< -E via in un
angolo a intrecciare lingue!- >>
<< -Come sei
veniale.- >>
<< -Hai appena
usato una parola complicata?!- >>
<< -Veramente
affascinante sentire qualcuno parlare. Aspetta di vedere quando mi sdraierò sul
letto e, dopo un’epica sequenza di cinque minuti in cui il mio corpo lotterà
contro il torpore, mi addormenterò.- >>
“Silenzio!”
esclamò Sid, alzando di scatto una mano nel tentativo di avere l’attenzione dei
due speaker. “Non vedete che sto per…”
Le deboli braccia annaspavano alla ricerca di un qualsiasi
appiglio: lo trovarono nel cornicione di una finestra e una pattumiera.
Migliorò la presa, assicurandosi di non poter cadere, quindi, con tutta la
forza che aveva, piegò le braccia tentando di alzare il resto del corpo: le
gambe, infatti, sembravano aver ceduto sotto il resto del corpo e non
rispondevano granché bene ai comandi.
Rischiò di scivolare più di una volta, ma infine ci riuscì:
afferrando spasmodicamente il cornicione della finestra, si trovò infine in
piedi sulle proprie gambe.
Sicuro di quella posizione, sorrise. Era un sorriso così
calcatamene folle che fu subito ovvio che lo stesse semplicemente fingendo. “…Alzarmi?!”
<< -…Mpfff…-
>>
<< -Ed eccomi
qui, a tentare di decidere se questo momento è più strano per il modo epico in
cui hai descritto una cosa idiota o se per il fatto che Los sta scoppiando a
ridere per qualcosa del genere.- >>
<< -E-era così…
eh… c-così fuori luogo!- >>
<< -Adesso
capisci perché il mondo tende a ridere, quando parli?- >>
Sid arrossì debolmente, traballando fuori dal vicolo in cui
si era rifugiato. Gli erano rimasti ben pochi soldi, ma decise che li avrebbe
spesi per trovarsi una camera decente dove dormire.
Un posto confortevole dove aspettare che la pillola finisse
il suo effetto. Quella era l’ultima dose, lo aveva promesso, e avrebbe
mantenuto fede al proprio giuramento: non avrebbe più dato un soldo ad uno spacciatore.
Sicuramente si sarebbe liberato della pillola che aveva in
tasca il più presto possibile.
“Che cosa intendete
dire, che non era spettacolare?!”
<< -Mancava
soltanto il palcoscenico e la musica Apocalittica di sottofondo.- >>
<< -Goth,
perché non facciamo noi le musiche di sottofondo? Eh? Eh?- >>
<< -Perché di
no.- >>
<<
-Tu-du-duun.- >>
<< -Se lo fai
di nuovo ti, ta-da-da-dan, picchio.- >>
<< -Non ne
saresti capace.- >>
<< -Evocherò il
Demonio. Sai che posso.- >>
<< -Approposito
di demoni, hai notato una cosa inquietante di… ragazza con retina dorata?-
>>
<< -Che ha una
retina dorata? Sì, l’avevo notato. E sì, è inquietante.- >>
<< -Oltre a
quello. Hai notato che ha predetto esattamente chi sarebbe morto?- >>
<< -Sono morte
solo due persone, non puoi esserne certo.- >>
<< -Giusto. Ehi
tu… ragazza con la retina per capelli.- >>
Meredith non stava ascoltando i due speaker. Era troppo
presa dalla sua immagine allo specchio.
Cercava di capire se il pigiama di pura seta si adattasse
perfettamente alle sue morbide curve poste al punto giusto, un procedimento
che, se andava bene, di solito richiedeva più o meno un’ora.
Tuttavia le sue orecchie, pronte a captare qualsiasi segno
di pericolo, la misero subito in all’erta appena si rese conto che stavano parlando
di lei.
Con un’occhiata irritata però enigmatica, alzò lo sguardo al
cielo per parlare ai due speaker.
“Che?”
<< -Chi morirà,
secondo te?- >>
<< -Los, questo
è decisamente… nah, va bene, continua pure.- >>
La ragazza sbatté più volte gli occhi, sorpresa dalla
domanda. Che cominciassero finalmente a tenerla in conto? Che avessero
finalmente capito che era un esempio da seguire?
Sorrise, gentile ma orgogliosa, scostando una morbida ciocca
di capelli dal volto, prima di muovere le sue dolci labbra.
“Oh, per me, anche se
non vorrei dirlo, morirà… hm… eh… La… La sgualdrina.”
<< -La retina
ha parlato!- >>
<< -Non penso
che sia molto- >>
<< -Shh, la
retina sta parlando!- >>
<< -O… k. Sei…
hm. Bene.- >>
Corey sorrise. Fissò lo schermo del computer, su cui
scorrevano dei codici incomprensibili.
Mancava così poco che la gioia gli stava opprimendo il
petto, premendo per uscire: sentiva che in un qualsiasi momento avrebbe potuto
alzare la testa e lanciare un urlo solo per sfogarsi.
Carezzò la pistola, cercando di scaricare lo stress in quel
semplice gesto. Non serviva a granché, ma il solo pensare che potesse davvero
aiutare lo faceva già sentire meglio.
Mancava poco. Molto poco. Il bracciale su cui stava
scaricando tutti quei codici segnava 99%.
Quanto ci sarebbe voluto? Corey sbuffò, nervoso. Avrebbe
potuto metterci dieci secondi come dieci ore…
Era una lenta, incontrollabile, impossibile tortura.
<< -Uh… giro di
ricognizione. Allora, sgualdrina e mito inarrivabile stanno bene, per ora. La
retina per capelli pure. Il bambino sta… giocando a qualcosa, direi. Il
bocciolo di rosa ricoperta con marsala primaverile sta preparandosi per andare
a dormire.- >>
<< -Sto
sbavando? Credo di star sbavando.- >>
<< -No, ma
chiudi la bocca. Poi… hm… i due gemelli e la bambina. Stanno… passeggiando?-
>>
Nicolas alzò il viso verso l’alto con un’espressione
indignata sul volto. Oliver, alla sua sinistra, si limitò ad un’occhiata
inferocita che, probabilmente, doveva essere rivolta ai due speaker, prima di
tornare a stare attento a dove stesse andando la bambina.
“Passeggiare non è la
risposta esatta!” esclamò Nicolas con un tono offeso, “stiamo esplorando i dintorni. Non è…”
Gli cadde lo sguardo alla propria destra, in tempo per
notare che la bambina era scomparsa.
S’interruppe a metà, voltandosi verso il fratello. Il verso
strozzato che gli sfuggì dalle labbra fu più che necessario per attirare
l’attenzione di Oliver, che l’apostrofò con uno sguardo seccato.
“La bambina!”
Oliver rimase a fissare il fratello, sorpreso. Per quanto non fosse nuovo alle
sfuriate del fratello, gli faceva sempre un certo effetto vederlo strillare di
fronte a lui. “Dovevi stare attento alla
bambina, Ollie!”
Oliver ci mise alcuni secondi per comprendere perfettamente
ciò che il fratello stava gridando. Da qualche parte, nel suo cervello, sperava
ardentemente che non avesse appena sentito ciò che aveva sentito: Nicolas non
poteva essere davvero così idiota da gridargli addosso per una cosa del genere.
Poi si riscosse, e un’ondata di irritazione fece scomparire
qualsiasi traccia di sorpresa. “No! Tu
dovevi guardarla! Tu dovevi stare attento! Perché è sempre colpa mia?!”
“Perché,” Nicolas
ci mise qualche secondo per capire che non aveva la minima idea di come finire
la frase, ma ormai non poté più tirarsi indietro, “io sono il maggiore!”
Oliver sgranò gli occhi, la bocca aperta nel più chiaro
segno di sorpresa.
“No!” la parola
fu pronunciato con un tono così incredulo che uno dei due speaker non poté fare
a meno di ridacchiare. “Non hai la
minima idea di chi è nato prima di chi!”
“Sì invece!”
Nicolas incrociò le braccia sul petto, fissando il fratello con uno sguardo
inferocito, “sono nato prima io!”
<< -Possiamo
chiedere. Ai genitori dei due pargoli, chi dei due è nato prima?- >>
Gwen ringhiò qualcosa sottovoce, togliendosi le calze. “Cosa volete che ne sappia, fosse stato per
me uno dei due sarebbe nato almeno tre giorni dopo.”
Sospirò, lasciando perdere le calze e appoggiando il mento
su una mano. Il volto si contrasse in una rapida smorfia di concentrazione, nel
tentativo di ricordare.
“Penso,” mormorò
lei, socchiudendo gli occhi, “penso di
essere ritornata a pensare coerentemente tre giorni dopo. Credo. Ho dei ricordi
confusi, circa il tempo che ho passato in ospedale.”
Dodger rallentò il passo, arrossendo leggermente. “Ehm. Ai tempi, sono, tipo, svenuto nella
sala d’aspetto.”
Qualcosa come cinque volte. Troppe feste, di sicuro, poco
tempo per dormire, certo, orrendamente stanco, aveva sicuramente aiutato: a
dire il vero, non sapeva se si potevano contare come episodi in cui era svenuto
o se aveva meramente “perso conoscenza”- di sicuro l’alcool che l’amico gli
aveva rifilato non era riuscito a tenerlo sveglio. Sapeva, comunque, che
sicuramente era svenuto quando gli avevano detto che c’erano delle
complicazioni… e quando gli avevano chiesto se voleva entrare in sala parto.
Nessuna risposta avrebbe potuto essere più eloquente.
Shadi lo guardava in maniera strana. Dodger non aveva la
minima idea di cosa stesse pensando il ragazzo, se fosse incredulo o stesse
ridendo di lui, ma di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio.
Sorrise, imbarazzato. “Sai…
troppo studio e niente riposo fanno di Dodger un ragazzo delicato.”
<< -Di sicuro…
Aspetta, stud- >>
<< -Mia madre
dice che la mia gravidanza è stata un inferno. Tipo, sai, nausea ogni cinque
minuti, mal di schiena, ore e ore per farmi nascere…- >>
<< -Favoloso,
non eri nato e già eri una piaga sociale.- >>
<< -Ripete
continuamente che era terrorizzata dall’idea di un’altra gravidanza, ma quando
poi si è resa conto che il secondo bambino era calmo e placido non ci poteva
credere. Ha continuato a chiedere ai maggiordomi se non fosse tutta una presa
in giro- sai, tipo se durante la notte non le avessero messo una pancia finta.
Dopo il parto ha persino chiesto se fosse vero che il bambino era nato.-
>>
<< -Posso
capirla, anche io, se venissi messo di fronte ad un altro ragazzo della tua
stessa età, lo guarderei e chiederei se in realtà non è un ventenne molto
basso.- >>
<< -Io non sono
basso!- >>
<< -Purtroppo
non sei neanche ventenne.- >>
<< -Che
vorrebbe dire, questo?- >>
<< -Che sei un
sedicenne, e quindi mentalmente inferiore.- >>
Sid fece un leggero sorriso, alzando le mani in un segno che
doveva significare ‘io ne sono fuori’. “Wohoo,
io ne ho diciassette!”
I due gemelli alzarono il viso, il volto sfigurato dalla
rabbia. “Ehi!”
<< -See, see.
Stupidi ragazzini. Ad ogni modo, mi dispiace rovinare la tua teoria… gemello
con il cappello, ma credo che sia quello che nasce dopo, ad essere il
maggiore.- >>
Nicolas ringhiò qualcosa sottovoce, distogliendo lo sguardo.
“Eh… allora… sono quello nato dopo!”
Oliver si dimenticò dei due speaker, guardando il fratello
con sguardo incredulo. Emise un rantolo strozzato, prima di riuscire finalmente
a parlare. “Sei uno stupido!”
“Cosa?!” Nicolas
sgranò gli occhi, incredulo. “No!”
“Sì, invece!”
Oliver strinse i pugni, gli occhi socchiusi in uno sguardo inferocito. “Tu sei stupido! I tuoi metodi sono
stupidi!”
I due speaker scoppiarono a ridere ma Oliver li ignorò, fin
troppo infuriato per rendersi conto di qualsiasi cosa non fosse l’oggetto della
sua rabbia. “La tua testa è stupida! La
tua intelligenza è stupida! Tu sei la cosa più stupida che-”
Si interruppe, notando che il fratello non gli stava più
prestando attenzione e stava, invece, guardando qualcosa alle sue spalle.
Oliver aggrottò la fronte, perplesso, ma prima che potesse chiedere qualcosa (o
seguire il suo istinto e fuggire più velocemente possibile), Nicolas alzò un
braccio per indicare ciò che gli interessava.
Oliver si voltò, seguendo lo sguardo del fratello e finendo
per fissare la bambina, che in quel momento stava guardando una vetrina di
giocattoli.
“Bambina,”
aggiunse Nicolas, come a sottolineare l’ovvio.
Per qualche secondo, i due gemelli si limitarono a guardare
la bambina: poi, dimenticando qualsiasi rancore, s’incamminarono verso di lei.
Si fermarono appena la bambina lanciò un sasso contro la
vetrina del negozio.
I due la fissarono, scioccati, senza sapere cosa dire: lei
stava trotterellando via, probabilmente senza meta, ma loro erano fin troppo
increduli per fermarla o per ragionare che avrebbero fatto meglio a scappare,
visto che loro erano gli unici rimasti di fronte al negozio.
Se ne ricordarono appena il padrone, un uomo decisamente
grosso, uscì dall’ingresso strillando: in una reazione completamente naturale
che veniva dal cuore, supportata dai pochi pensieri coerenti che il panico
lasciava passare e che, semplicemente, gli era venuta spontanea, Nicolas spinse
il fratello a terra e poi corse nella direzione in cui la bambina se n’era
appena andata.
Oliver non ebbe il tempo per strillare tutto ciò che pensava
del fratello – o per rammaricarsi del fatto che, per l’ennesima volta, lo aveva
preceduto nel suo intento – , perché l’uomo emise un ruggito di rabbia capace
di far tremare il cuore del più intrepido degli eroi.
Di conseguenza, Oliver rimase paralizzato dal terrore.
<< -Giusto per
finire bene la giornata!- >>
<< -Sarebbe
ora, la Morte
ha avuto parecchie occasioni che ha sprecato, oggi.- >>
Uno strano suono riscosse Corey dai suoi pensieri.
Alzò lo sguardo, finendo per fissare lo schermo del
computer: una scritta gli fece sapere che il procedimento era, finalmente,
finito.
Soffocò a malapena un grido di gioia, indossando il bracciale
a cui aveva lavorato per tutto il giorno- non vedeva l’ora di poterlo
finalmente testare. L’ultima piccola gioia prima di andare a dormire.
Il piccolo schermo installato sul bracciale si illuminò,
mostrando un’aria vuota su cui inserire dei codici: Corey sembrava esaltato
alla sola vista.
Premette alcuni pulsanti, inserendo un codice che, se n’era
accertato, avrebbe dovuto funzionare sul programma di base- l’aveva installata
in quel modo, doveva funzionare.
Lo schermo si colorò di blu, segno che il codice era stato
accettato. Corey si permise un gridolino di gioia, prima di prendere in mano la
pistola e lasciare il comodo internet point in cui era rimasto fino a quel
momento.
Oliver si coprì istintivamente la testa vedendo che l’uomo
aveva preso una delle assi attaccate alla porta e l’aveva alzata per colpirlo:
l’idea che era un videogioco e quindi, in teoria, non avrebbe sentito dolore,
non l’avrebbe comunque fatto sentire meglio.
<< -…Mhm?-
>>
<< -Cosa… un
bug?- >>
Nulla lo colpì. Nessuna scrittina in rosso che proclamava la
sua morte.
La curiosità presto superò la paura, ed Oliver finalmente
abbassò le braccia, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Ci mise qualche secondo per accettare che il tizio di fronte
a lui stesse realmente tornando indietro, come una specie di pellicola che
viene girata al contrario, ma in un qualche modo decise che doveva avere un
senso.
Si rialzò, continuando a fissare l’uomo che ora era
congelato di fronte al negozio. Sembrava stesse per scomparire, aveva… era come
guardare un film rovinato.
Aggrottò la fronte, perplesso. Era un problema del
videogioco? Se aveva sentito bene, pure gli speaker erano perplessi.
“Bhè, questo è
strano.”
Oliver si voltò di scatto: a poca distanza, anche se a
qualche metro di sicurezza, Nicolas stava fissando l’uomo con lo stesso sguardo
perplesso che doveva aver avuto lui, tenendo per mano la bambina che, come al
solito, continuava a stringere il suo inquietante orsacchiotto.
Oliver si alzò in piedi, dirigendosi con ampie falcate verso
il gemello che, ancora per poco, sembrava non rendersi conto del pericolo che
stava per correre.
“Odioso piccolo
bastardo!” strillò infine Oliver quando ormai a poca distanza dal fratello,
facendolo sobbalzare per la paura: Nicolas gli rivolse un’occhiata astiosa,
mentre con la mano destra si massaggiava spasmodicamente il cuore. “Mi avresti lasciato morire!”
Nicolas aggrottò la fronte, poi incurvò le labbra in un
sorriso incredulo. “Certo che sì!” scosse
la testa, guardando il fratello come se fosse impazzito. “Cioè, ti aspettavi che tentassi di salvarti?”
“Sì!” gridò
Oliver, ormai sull’orlo della crisi isterica.
Nicolas scosse la testa, socchiudendo un occhio e inarcando
un sopracciglio, in una strana espressione che Oliver non riuscì a decifrare. “Per favore. Io ti ho solo preceduto,
Ollie.”
Oliver alzò gli occhi al cielo, emettendo un rantolo
strozzato. “Non tutti siamo-”
La frase si concluse così, perché solo in quel momento
Oliver si accorse che un qualcosa di strano, come un’enorme muro scuro, stava
avanzando dritto verso di loro e non ci voleva un genio per immaginare cosa
potesse accadere se fosse rimasto nella traiettoria.
Così, approfittando del fatto che Nicolas non aveva ancora
capito il perché di quell’improvvisa interruzione, Oliver lo spinse
all’indietro, facendolo cadere a terra, poi prese la bambina per un braccio e
si gettò verso sinistra, tentando di uscire dalla traiettoria.
Nicolas non capì subito di essere stato spinto: fu solo
quando si trovò ad osservare il cielo che capì che era accaduto qualcosa di
strano.
Si tirò su con le braccia, tentando di mettersi a sedere, e
finalmente capì che qualcosa non andava perché suo fratello era per terra, lui
era stato spinto, e il cielo, in lontananza, aveva cominciato ad essere
piuttosto strano.
Poi vide che Oliver era decisamente più a sinistra di lui,
come anche la bambina.
Rotolò a sinistra, giusto in tempo per evitare di essere
‘investito’ da… quel… muro?
<< -Ehi. Ehi!
Cosa diavolo…- >>
<< -Non proprio
il solito ma, hm, immagino che possa avere risvolti interessanti.- >>
<< -Tipo cosa,
truppe sovietiche da una parte e gente che scava gallerie per passare
dall’altra?- >>
<< -Immagino
stia per cominciare un periodo freddo, uh?- >>
<< -See,
cominceranno pure a girare manifesti circa tizi incappucciati che accarezzano
missili e un po’ di falce e martello.- >>
Dodger non stava realmente ascoltando i due speaker. Cioè,
sì, ma la domanda ‘perché stanno dicendo delle metafore circa la guerra fredda’
era decisamente in secondo piano rispetto alla ricerca di un bar.
Shadi, dietro di lui, si limitava a ridacchiare saltuariamente.
Non stava più solo tenendogli la mano, ora era passato a tenersi al suo braccio,
strusciando la testa- il che sì, era adorabile, ma gli faceva uno strano
effetto. Aveva la vaga impressione di essere diventato una sorta di
orsacchiotto e l’idea lo inquietava.
Quando i due speaker avevano ricominciato a parlare, facendo
quei commenti incomprensibili, Dodger aveva finalmente trovato, in un angolo
della strada, ciò che stava cercando: un bar. Shadi aveva cominciato a
balbettare qualcosa circa il fatto che gli NPG sembravano strani, ma Dodger
l’aveva tranquillizzato: forse il computer si era surriscaldato e ora stava
resettando il programma di base, o forse a quell’ora tentava di sprecare meno
energia possibile, eliminando quindi i personaggi non giocanti. Shadi l’aveva
fissato, succhiandosi le guance, Dodger gli aveva arruffato i capelli con un
sorriso e si erano diretti verso il bar.
Fu quando ormai mancavano pochi passi per raggiungere la
porta che un muro gli sbarrò la strada.
Shadi sobbalzò, spaventato da quell’apparizione improvvisa:
Dodger, invece, si ritrovò sull’orlo delle lacrime.
“No! No!” diede
un pugno al muro, gridando con un tono a metà fra l’infuriato e il disperato. “Non il bar! Non il bar! Perché non poteva
chiudermi dentro il bar?! Perché oggi
non-”
Dodger si bloccò, fissando, estatico, gli strani simboli che
si erano formati su ciò che lo divideva dalla sua meta.
Il muro non era di mattoni: se si doveva dare una definizione,
assomigliava ad un muro di vetro nero. Su esso, però, risplendevano dei simboli
dorati misti a lettere in un ordine che a Shadi pareva senza senso.
Dodger fece un passò indietro, per osservare meglio il muro
e ciò che vi era inciso sopra.
Shadi aggrottò la fronte, notando che Dodger aveva assunto
un colorito plumbeo e gli tirò una manica, preoccupato, tentando di attirare la
sua attenzione. “Ehi?”
L’altro cercò di fare un sorriso, senza però riuscire a
distogliere lo sguardo da quei simboli.
<< -Il muro…
non è un muro. Sono tanti muri. Non sta dividendo a metà la città, procede a
ragnatela.- >>
<< -Forse è stato ideato da Spiderman.- >>
<< -Oh, per
l’amor del Cielo, Los.- >>
<< -Vuoi dire…
che non credi in Spiderman?- >>
<< -Los, è una
mia impressione o stai diventando sempre più idiota con il passare del tempo?-
>>
<< -Non… ci
credi?- >>
<< -Io non… Ok.
Ci credo. Ci credo. Contento?- >>
<< -Ed è quando credo di non poter reputare qualcuno più patetico di quanto pensi, questo
rivela sempre qualcosa di nuovo. Che razza di Nerd.- >>
<< -Se non
gliel’avessi già data, ora donerei l’anima al Diavolo solo per farti soffrire.-
>>
Sid aggrottò la fronte, perplesso alle parole dei due
speaker, ma poi, semplicemente, scrollò le spalle, disinteressandosi.
Gli erano rimasti pochi soldi ma dovevano essere abbastanza
per una camera in una pensione. Al massimo se ne sarebbe andato senza pagare.
Aveva però la vaga impressione di essere in una parte della
città in cui di pensioni non c’è n’erano. A dire il vero, aveva la vaga impressione
che più rimaneva in quel luogo più le probabilità di essere rapinato si
intensificavano.
Borbottò qualcosa sottovoce, nervoso. Di solito andava sul
sicuro: nessuno pensava anche solo lontanamente di rapinare un ragazzino così
malmesso. Era ovvio che non avesse soldi- poteva, al massimo, avere qualche
dose, sempre se non l’avesse già sprecata.
Nel videogioco, invece, aveva dei soldi e forse gli NPG lo
sapevano. Magari potevano vederlo, forse riuscivano a vedere un numerino e
allora avrebbero cercato di ucciderlo e… e non bastava poco, per uccidere
qualcuno? Il solo inciampare poteva creare un effetto a catena disastroso.
“Fantastico,”
mugugnò Sid sottovoce, pizzicandosi il braccio destro in un tic nervoso, “paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia.”
Appoggiò la schiena contro il muro, dando fugaci sguardi a
destra e a sinistra. Non c’era nessuno, certo, ma aveva quella sgradevole
sensazione che qualcosa, da qualche parte, lo stesse osservando.
Fece un respiro profondo, tentando di calmarsi.
“Paranoia. Paranoia.
Paranoia. Paranoia. Paranoia,” continuò Sid, rabbrividendo
involontariamente.
Aveva la mania dei mantra: ad esempio, quando tentava di
farsi coraggio ripeteva le note della chitarra di una canzone. Quando andava in
paranoia, ripeteva la parola ‘paranoia’ fino a quando non si calmava.
Chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi sulla parola e non
sull’ansia che lo stava soffocando.
“Paranoia. Paranoia.
Paranoia.”
<< -Come al
solito, è bello vedere che c’è qualcuno che riesce a mantenere la calma e il
sangue freddo.- >>
<< -Pensa
quando aprirà gli occhi.- >>
<< -Propendo
per l’infarto.- >>
<< -Ci sto!
Secondo me dovrà spendere i prossimi venti anni della sua esistenza da uno
psicologo!- >>
Sid rabbrividì per la seconda volta in meno di un minuto- favoloso, ora sì che si sentiva
tranquillo.
Ripeté più volte la parola, tentando di concentrarsi solo
sul suono di questa.
Ma di cosa stavano parlando?
Smise di parlare, mimando solo con le labbra la parola: la
mano libera, quella che non stava pizzicando spasmodicamente il braccio
opposto, era corsa nella tasca dei pantaloni dove c’era la sua ultima pillola.
Non poteva essere una persona, no? In teoria l’avrebbe sentita. Ma forse no.
Era un videogioco, no? C’erano branchi di elefanti e cavalli, per l’amor del
Cielo.
Aprì gli occhi, cercando di razionalizzare. Era stupido aver
paura quando non sapeva neanche se c’era qualcosa- d’altronde, poteva pure
essere un semplice scherzo dei due speaker.
Strillò, preso alla sprovvista: di fronte a se, un enorme
muro nero faceva da sfondo a dei simboli dorati.
Si guardò attorno, il braccio destro ormai ridotto ad un
livido. Il muro, a quanto pareva, non era solamente di fronte a lui, ma
continuava fino all’orizzonte.
Gli scappò una risatina nervosa.
“La la la la la, lie
lie lie. La la la la la, lie lie lie.” Le sillabe erano pronunciate come
fosse una canzoncina, ma la voce era debole e tremante, come se in ogni secondo
dovesse scappargli un singhiozzo. “La la
la la la, lie lie lie. La la la la la, lie lie lie…”
<< -Aye,
vent’anni di psicologo!- >>
<< -Questo ci
mette di fronte a nuove prospettive. Sai che il muro di Berlino è stato
costruito in una notte? Questo in neanche dieci minuti.- >>
<< -Intendi
dire che forse noi in realtà viviamo in un videogioco e che esistono dei Game
master capaci di strabilianti poteri cosmici?- >>
<< -No, ma è…
piacevole vedere che hai la mente aperta a nuove, interessanti opinioni.-
>>
<< -Cosa
intendi dire con “interessanti”?- >>
<< -Credimi, non ne ho idea.- >>
Corey voltò l’angolo, visualizzando una mappa della città
nel suo bracciale: i giocatori erano segnalati con dei puntini viola e non
erano, contrariamente alle sue previsioni, divisi. Il gruppo più folto di
persone era di tre.
Scrollò le spalle, decidendo che poteva farcela lo stesso.
Poteva prenderlo come un gioco: c’erano le aree facili, quelle medie e quelle
difficili.
L’area più vicina presentava tre giocatori, ma solo due
erano vicini: il terzo doveva essere abbastanza lontano da non poterli neanche
vedere.
L’undicenne sorrise, inserendo, nel bracciale, il codice per
il ‘teletrasporto’: aveva infatti deciso che quello era un ottimo posto dove
fare il primo colpo. Un’area vicina e di difficoltà media, sembrava persino
avere degli hotel in cui andare a dormire.
Schioccò la lingua, aspettando che il paesaggio attorno a
lui si stabilizzasse. Sorrise quando vide che, davanti a lui, c’erano già i due
giocatori.
<< -Goth,
parlando di cose di cui non hai idea, il gioco è stato dotato di piattaforme
per il teletrasporto alla Star Trek?- >>
<< -Se avessi
letto le regole sapresti che il solo pensiero è ridicolo.- >>
<< -C’è un
ragazzino incredibilmente ridicolo, allora.- >>
Dodger sorrise, tentando, senza successo, di smettere di
guardare quei simboli.
“Uh, hm,” la voce
gli uscì rauca, fastidiosa solo a sentirla: sospirò, cercando di lasciar
perdere. “Ci saranno di sicuro altri
bar, giusto? Andiamo.”
Il ragazzino gli strinse il braccio, fermandolo prima che
potesse allontanarsi: Dodger emise un mugolio strozzato, ma fece del suo meglio
per mantenere il sorriso.
Shadi lo guardava con la fronte aggrottata, perplesso.
Dodger si sentì male mentre, dentro di sé, si diceva che era piuttosto ovvio
che avesse notato quanto si sentisse a disagio- solo un’idiota avrebbe potuto
ignorarlo.
“Cosa c’è?”
Dodger scrollò le spalle, il solito falso sorriso incollato
sulle labbra. “Tranquillo!” il tono
di voce era fin troppo allegro, troppo calcato, troppo esagerato per essere
sincero. “Cose inutili! Diciamo che ero
rimasto stupito dalla comparsa del muro, ma sai, poi mi sono ricordato che
siamo in un videogioco e, insomma. Cose stupide!”
Si calcò il cappello sulla testa, voltandosi alla propria
sinistra. “Tempo di alcool! Wiiiiii!”
Shadi aprì la bocca con la mezza idea di continuare a
chiedere cosa, seriamente, lo stesse preoccupando: non era così stupido da
lasciar perdere dopo delle simili risposte. Tuttavia, il modo con cui aveva
detto ‘wiiii’, l’esagerata allegria, ma soprattutto il tono acuto con cui
l’aveva pronunciato, gli fecero optare per lo scoppiare a ridere.
Corey alzò la pistola, prendendo la mira: i due non si erano
ancora resi conto di lui. Anzi, uno sembrava essere estremamente allegro per
motivi non precisati.
Portò l’indice sul grilletto, chiudendo un occhio per
aggiustare al meglio la mira.
“Ah!”
Dodger gridò non per il dolore, ma per la sorpresa: era
ovvio che se non fosse stato nel videogioco avrebbe provato qualcosa, ma in
quel momento avvertiva soltanto un formicolio all’avambraccio.
Abbassò la testa, cercando lo sguardo di Shadi. Il
diciottenne, infatti, gli aveva afferrato il braccio con forza, quasi
infilzandolo con le dita.
Aggrottò la fronte, cercando di capire perché il ragazzo
stesse facendo ciò: poi, di nuovo, Shadi gli strinse il braccio, questa volta
gridando.
“Shadi?”
Con il braccio libero gli cinse il petto, tenendolo in
piedi: solo in quel momento si rese conto del perché Shadi aveva agito in quel
modo.
Sangue. Sulla schiena del ragazzo c’erano due fori
attraverso cui poteva passarci un pugno: il sangue stava invadendogli la
maglietta, macchiando irreparabilmente la manica dell’impermeabile di Dodger.
“Shadi!”
La presa del ragazzo si faceva più debole, ma tentava con
tutte le sue forze di non mollargli il braccio. Dodger, dal canto suo, non
aveva la minima idea di cosa fare: c’era una parte di lui che gli diceva che
doveva fare qualcosa, tentare di aiutarlo, portarlo in un ospedale. La parte
razionale della sua mente, invece, tentava di ricordargli che era un
videogioco: il ragazzino non stava morendo davvero, e contando la regola delle
percentuali estremamente idiote non c’era alcuna possibilità che potesse
sopravvivere.
<< -No! La
sgualdrina! Nooo!- >>
<< -Non so. Mi sento triste per la morte di un personaggio che ha fatto
la storia, eppure non posso fare a meno di pensare che, oh mio Dio, tu sei
disperato.- >>
<< -Tu non
capisci! Io ero ormai convinto che il suo nome fosse ‘La Sgualdrina’! Io, io,
no!- >>
<< -Te lo
immagini se i genitori de la… uh, del ragazzo un giorno dovessero giocare a
questo videogioco?- >>
<< -Signori, se può aiutare il vostro giudizio, io amo il Kebab…-
>>
<< -Siamo così
fottuti.- >>
Shadi si lasciò sfuggire una risatina, dimenticandosi per un
momento che lo avevano colpito- poi partì un terzo sparo e Dodger si abbassò di
colpo.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo per capire cosa era
successo si accorse immediatamente che c’era qualcosa di strano, in Dodger.
Più precisamente, era senza il suo cappello.
“Il mio cappello!”
Dodger socchiuse gli occhi in un’espressione inferocita. “Se mi hai rovinato il cappello, moccioso, giuro che…”
Fece appena in tempo a scattare verso destra per schivare un
altro colpo.
Shadi aggrottò la fronte, perplesso. Moccioso? Che cosa
intendeva dire con moccioso? Quello non gli sembrava il tipo da chiamare uno di
sedici anni ‘moccioso’ solo perché era infuriato- ma allora era stato colpito
alle spalle da un bambino?
Chiuse gli occhi, ringhiando sottovoce una corona di
improperi.
“Shadi.” Shadi
riaprì gli occhi, trovandosi a fissare il volto di Dodger contratto dallo
sforzo di schivare i colpi e, allo stesso tempo, trascinarlo con se. “Devo lasciarti qui.”
Il ragazzo ci pensò per qualche secondo, cercando di
decidere se ciò fosse buono o cattivo: poi un terzo proiettile gli prese la
spalla e Shadi si limitò ad annuire, facendogli capire, con un rapido movimento
della testa, che era meglio se si muovesse.
Dodger sorrise, stringendolo a sé. “Ci si vede dopo, tesoro.”
Gli sfiorò una guancia con le labbra, prima di mollarlo a
terra e scattare verso il vicolo più vicino.
<< -Se tutte le
dichiarazioni d’amore fossero così, ora non farei altro che guardare film
romantici.- >>
<< -Comprate
questo videogioco che ancora non ha un nome: dentro potrete trovare azione,
gesti normali resi epici, gesti epici resi normali, e la dichiarazione d’amore
più breve della storia. E poi ci siamo noi.- >>
<< -Ma è
ridicolo comprare un videogioco solo per noi.- >>
<< -Già. Più sensato venirci a trovare.- >>
<< -Se provate
anche solo ad avvicinarvi con l’intento di parlarmi senza avermi prima imbottito
di alcool libero i cani.- >>
<< -Non
disturbatemi mentre gioco o vi butto nella fossa dei cani.- >>
Corey scrollò la testa, tentando di risvegliarsi. La sua
energia era ormai completamente rossa, e lo schermo continuava a tremare.
Si portò una mano alla fronte, prima di scattare verso
l’uomo biondo che stava tentando di fuggire: diede un veloce sguardo alla mappa
sul suo bracciale. Sorrise: a quanto pareva, il vicolo era cieco.
Voltò l’angolo, lasciandosi alle spalle il ragazzo
agonizzante, solo per trovarsi di fronte all’uomo che, in quel momento, aveva
preso un sacco dell’immondizia e lo maneggiava in maniera inquietante.
Prima ancora che vederlo, Corey lo percepì: si buttò verso
sinistra, schivandolo appena in tempo.
Le gambe gli tremavano, le braccia non riuscivano a tenerlo
in piedi. Corey ringhiò qualcosa fra sé e sé, lasciandosi cadere a terra.
Quella giornata era stata frustrante, l’autonomia stava
finendo. Ancora poco, e sarebbe svenuto.
Con un ultimo sforzo alzò la pistola e mirò a Dodger.
“Vuoi piantarla?!”
esclamò infine Dodger appena lo sparo gli bucò l’impermeabile, altro pezzo
d’abbigliamento che semplicemente adorava. Borbottò qualcosa sottovoce prima di
saltare sulla grondaia della casa e cominciare ad arrampicarsi, tentando di raggiungere
le scale antincendio.
-
-:.:.-*-.:.:-
-
Terza morte: Shadi Al-Jamil Tabata'i Bukhari. Modus Operandi: Tre colpi d’arma da fuoco, emorragia interna
Giocatori rimasti: 8
-
-:.:.-*-.:.:-
-
“Oddio, ha un nome
lunghissimo!”
Quella fu la prima frase che l’accolse al ritorno dal videogioco.
Shadi si tolse il casco, rimanendo momentaneamente stupito
da quanto fosse piacevole l’aria sulla fronte imperlata di sudore: non che
fosse così fresca, ma qualsiasi sensazione sembrava un dono dal cielo, la cosa
più bella che esistesse.
Si mise seduto, togliendosi subito la flebo dal braccio.
Quel dolore, quel vero dolore lo fece
sentire, incomprensibilmente, bene.
Alzò lo sguardo, sorridendo- solo per poi sentirsi morire
dentro.
“Uh. Ehm.” Daniel
fece un sorriso imbarazzato prima di agitare la mano. “Eh, ciao.”
Shadi non rispose. Rimase a fissarlo, incredulo.
Si era ormai convinto che quel tizio non era altro che un
brutto sogno, che quello non era capitato. Poi si risvegliava e la prima
persona che incontrava, ovviamente, era lui.
Celia gli sorrise, agitando una mano.
“Tranquillo! Lui è
buono.” E per provarlo arruffò i capelli di Daniel, prima di tirargli una
guancia con la mano sinistra: se Shadi non fosse stato sull’orlo del trauma,
forse in quel momento sarebbe scoppiato a ridere.
“Ok, ok, sono buono,
sono buono, sono buono, Celia, per favore, basta, sono buono!”
Celia si voltò nuovamente verso Shadi, ammiccando. “Visto? Se riesce a resistere all’urgenza
di uccidermi per una cosa del genere, allora vuol dire che è proprio buono.”
Daniel arrossì, massaggiandosi con una mano la guancia
dolorante.
“Ad ogni modo!”
Celia batté le mani l’una contro l’altra, estremamente allegra. “Non si può uscire fino alla fine del
gioco!”
Dietro la pelle scura Shadi impallidì. Celia se ne accorse,
perché aggiunse subito “Il bagno è di
là.”
“Senti,” cominciò
Daniel, attirando l’attenzione del ragazzo. “Io, hm… mi dispiace. Davvero. C’è… un modo… per farmi perdonare?”
Shadi scosse la testa, senza parlare.
“Oh.” Daniel
arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo. “Cioè,
ok. Ti capisco. Scusa. Cioè, scusa. Davvero.”
“Non c’è motivo per
essere depressi,” esclamò Celia appoggiando i piedi sul tavolo e mettendosi
quanto più comoda fosse possibile.
“Shadi, giusto? Non ti preoccupare. Puoi prenderli come giorni di vacanza!
Abbiamo cibo, tanto per dire, e possiamo guardare gli altri giocatori.”
Daniel si lasciò sfuggire un sorriso. “Già. Una delle rare volte in cui si guarda un reality senza doversi
vergognare di averlo fatto.”
Celia ridacchiò, annuendo. “Senza contare che il reality in questione è commentato da i due
speaker per eccellenza!” Indicò con una mano il monitor in cui i due
ragazzi apparivano. “Sono adorabili, non
è vero?”
Shadi si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi nel
tentativo di mettere a fuoco lo schermo. In quel momento Goth (era ovvio che
fosse lui - lei? - visti i vestiti) stava scribacchiando qualcosa, mentre
l’altro, Los, si stava massaggiando le tempie.
Sorrise, ammiccando a Celia. “Un vero peccato che non mi abbiano invitato nella loro camera.”
Celia ridacchiò, un gesto che Daniel accolse alzando gli
occhi al cielo. “Lascia perdere gli
ormoni e lascia alle tue spalle l’adolescenza, Celia. Anche perché uno dei due
è minorenne.”
La donna fece una linguaccia, ricordando terribilmente una
bambina pestifera, quindi tornò a guardare Shadi.
“Allora! Come mai
così tanti nomi?”
Shadi aggrottò la fronte, tentando di capire di cosa stesse
parlando: poi lo sguardo gli cadde su uno dei monitor, dove ancora campeggiava
la scritta in rosso che riportava la sua morte.
“Oh. È complicato.”
Sospirò, passandosi una mano fra i capelli, solo per fare una breve smorfia di
disappunto appena si rese conto che il casco li aveva rovinati: non erano più
lisci e morbidi, ma quasi- no, anzi, totalmente grassi per colpa del sudore.
Sbuffò fra se e se, seccato- a quanto pareva, doveva farsi una doccia il più
presto possibile. “Shadi è il mio nome.
Al-Jamil è il laqab. È… è una mia descrizione, o, come dire, descrive ciò che i
miei genitori speravano diventassi. Gli altri due sono nasbi, servirebbero per,
hm, per dire dove sono nato, o da chi discendo, o la mia occupazione. Tabata’i
dice che entrambi i miei genitori sono della stirpe di Maometto, Bukhari
significa che sono nato a Bukhara.”
“Che cosa vuol dire
Al-Jamil?”
Shadi fissò Daniel per qualche secondo, a bocca aperta. Non
che non volesse rispondergli, ma ancora reputava incredibile che quell’uomo
esistesse davvero.
Celia intervenne, già ridendo fra sé e sé. “Ti immagini se vuol dire ‘La Sgualdrina’?”
Shadi ridacchiò, scotendo la testa leggermente. “Bhè, credo che ormai dovrò aggiungerlo,
visto che mi conosceranno tutti con quel nome.”
Daniel schioccò le dita, tentando di attirare l’attenzione
dei due. “Billy the Kid è svenuto e il
tizio che era con te sta… camminando su una fune.”
“Noioso.”
Celia sbuffò, scotendo la testa, prima di illuminarsi di
nuovo. “Vediamo cosa stanno facendo i
due speaker!”
“Uh, come mai
possiamo vedere gli speaker?” chiese Shadi, aggrottando la fronte.
“Serie di eventi.”
Celia indicò con la testa uno schermo, sorridendo. “Daniel è morto nella loro stanza. Che fortuna, eh?”
Daniel fece una smorfia, distogliendo lo sguardo. “Non avrei mai pensato di dover definire
una cosa del genere ‘fortuna’.”
Shadi continuò a fissare lo schermo dove Dodger stava
camminando. Non gli era sembrato una persona particolarmente forte, anzi, a
prima vista si era convinto che, volendo, avrebbe potuto stenderlo senza
sforzo- eppure eccolo là, a scalare un edificio senza sforzo, a camminare su
una fune con discreta velocità.
Non che facesse ciò con particolare facilità, certo, ma
Shadi non avrebbe neanche mai potuto pensare di camminare su una fune. Se poi
si contava che l’impermeabile stava per andare a fuoco-
Shadi scattò in avanti, fermandosi quando il naso gli arrivò
a pochi centimetri dallo schermo.
“Ehi, piccolo! Non fa
bene guardare la Tv
da vicino, sai?”
La ignorò. Perché l’impermeabile di Dodger stava per andare
a fuoco?
<< -Guarda,
Los. Abbiamo fra noi La
Torcia.- >>
<< -Eh?-
>>
<< -Non sai proprio niente!- >>
Appena i due speaker dissero ciò, il primo istinto di Daniel
e Celia fu di avvicinarsi allo schermo che stava fissando il ragazzo e cercare
qualcosa che non andasse.
Fra i due, lei fu la prima che se ne accorse: portò le mani
alla bocca, incredula.
“Forse…” Daniel
aggrottò la fronte. La sola idea sembrava così idiota ed improbabile che,
semplicemente, non poteva essere vera. “Forse
è stato lo sparo? Forse quella fiamma è per via del calore dello sparo?”
Dodger abbassò lo sguardo, probabilmente cercando di capire
di cosa stessero parlando i due speaker: quando si rese conto che un piccolo
braciere si stava allargando lì, dal punto dove gli avevano sparato, reagì
d’impulso e lasciò scivolare l’impermeabile- che, ovviamente, si impigliò alla
fune.
Celia fece una risatina nervosa, la mano ancora di fronte
alla bocca. “Quando si dice probabilità
altamente idiote, eh?”
Dodger, nello schermo, esclamò qualcosa che nessuno, ne
speaker ne spettatori, riuscirono a comprendere, quindi tentò di calciare via l’impermeabile-
dimenticando completamente di essere in precario equilibrio su una fune.
Shadi urlò, scattando verso lo schermo: fu solo grazie a
Celia che questo non ci sbatté contro.
Dodger si teneva disperatamente alla corda, probabilmente
ancora scioccato dall’idea di non essere al pari di una frittata per rendersi
conto che il suo preziosissimo impermeabile stava portando le fiamme anche
sulla fune su cui si teneva.
Quando finalmente se ne accorse la corda si era ormai spezzata.
<< -Tu sai chi
è Tarzan, vero Los?- >>
<< -Nnnnnhn…
NO! Perché non lo vuoi capire? Forse, ai tuoi tempi, Platone si divertiva un
mondo ad ascoltarti, ma ora sei fuori! Il tuo repertorio è antico! Non c’è
spazio per te fra i giovani!- >>
<< -Grazie al
Cielo. Approfitto di questo momento per dire che non stavo scherzando, prima, a
proposito dei cani.- >>
Nessuno fra i tre riuscì a guardare mentre Dodger sbatteva
contro un’enorme finestra: una donna gridò, i vetri andarono a frantumi, e, in
sottofondo, Celia e Daniel si univano al ‘uuuh’ dei due speaker nel videogioco,
che avevano subito immaginato in quali guai stesse per finire- era di sicuro
una fortuna, poi, che non potesse provare dolore.
“Buonasera gentile
ospite,” esclamò Dodger scattando subito in piedi con un cortese sorriso a
trentadue denti stampato sul volto, facendo un ampio inchino galante. “Faccio parte della Securitè dell’albergo e sono desolato di informarla che,
sfortunatamente, la sua camera non è a prova di attacco ninja!”
Gwen stringeva la vestaglia all’altezza del petto tentando
di coprirsi, in un inconscio tentativo di difendersi dallo sconosciuto che era
appena entrato in camera sua sfondando la finestra.
Blaterava qualcosa di insensato, diceva di far parte della
sicurezza – l’aveva detto in un modo incomprensibile, ma quello doveva essere
il senso – e parlava di attacchi ninja, eppure quella ridicola situazione
scompariva se messa di fronte all’idea che diavolo
se l’avrebbe ucciso appena il suo cervello tornava a connettere.
La guardia, quell’uomo che era Oh Così Morto, era
effettivamente fin troppo esile per darle del filo da torcere, senza contare
che si stava guardando attorno in modo strano. Più o meno come faceva suo
marito quando non aveva gli occhiali e si guardava attorno.
Sgranò gli occhi, incredula. “Mikolaj?!”
Dodger si bloccò, socchiudendo gli occhi nel vano tentativo
di metterla a fuoco. “…Tesoro?”
Gwen voleva strillare qualcosa, ma le si bloccò in gola: al
contrario, emise semplicemente un verso strozzato.
“Tesoro!” esclamò
Dodger, riconoscendola. “Grazie a Dio! Ti
dispiacerebbe guidarmi al letto? Dovrei svenire.”
“Idiota!”
Urlò con così tanta forza che il volto le divenne rosso. “Cosa- perché devi fare così! Perché!
Ogni volta che faccio qualcosa tu la rovini! Perché non puoi non rompere qualcosa, solo per una
volta? Devi sempre comportarti come un bambino!”
<< -Quanti
ricordi.- >>
<< -Io vorrei
fermare questo litigio ma… non so… qualcosa mi blocca.- >>
<< -Sono
momenti come questi che ti rendi conto di quale sia il vero lavoro di uno speaker:
farsi da parte e osservare.- >>
<< -Momenti
come questi si commentano da soli.- >>
Dodger alzò le braccia, avanzando alla cieca nella disperata
ricerca di un posto morbido su cui atterrare e su cui perdere, finalmente, i
sensi.
“Ascoltami quando ti parlo!”
“Scusa, tesoro,”
borbottò Dodger, inciampando sul letto.
“E non osare
svenire!”
Dodger sospirò, affondando il volto fra le coperte. Se le
probabilità erano davvero ridicole come sembrava, forse c’era la possibilità di
morire soffocato.
Alzò la testa, puntellandosi sulle braccia. “Tesoro, mi passeresti gli occhiali?”
Lei emise un nuovo, esasperato verso strozzato e per qualche
secondo Dodger sentì l’irrefrenabile impulso di rannicchiarsi su se stesso ed
aspettare che lo uccidesse a pugni.
Poi qualcosa lo colpì alla nuca, ricordandogli, fra le altre
cose, che non aveva più il cappello, e Dodger dimenticò qualsiasi cosa stesse
pensando, improvvisamente triste.
“I tuoi occhiali,”
ringhiò Gwen. Dodger rabbrividì: il tono della gentil consorte era infuriato e
non prometteva nulla di buono.
“Avrei dovuto
ascoltare mia madre,” sibilò lei infine, mettendoci quanta più cattiveria
era possibile.
Dodger ringhiò, inforcando gli occhiali sul naso e
incrociando le braccia sul petto. Se c’era qualcosa che riusciva a fargli
dimenticare di quanto forte fosse sua moglie era il pensiero della suocera: un
odio corrisposto che nessuno dei due smetteva mai di rinnovare ogni volta che
fosse possibile.
“Se tu avessi dato
retta a tua madre, tesoro, molte delle tue minigonne da sgualdrina non
esisterebbero.”
Dodger, che pure meglio di tutti conosceva la moglie, non
sembrò accorgersi di ciò che aveva appena fatto: al contrario, il resto degli
spettatori, dagli speaker ai tre eliminati, si schiaffarono una mano alla
fronte.
Gwen strinse i pugni con forza, facendoli tremare: il volto,
per la rabbia, divenne di un inquietante color porpora e gli occhi, socchiusi,
sembravano emettere scintille di puro odio.
<< -Sanguis!
Bibimus!- >>
<< -Corpus!
Edimus!- >>
<< -Tolle
Corpus Satani!- >>
<< -Satani!-
>>
Gwen scattò verso Dodger, le mani tenute ad artigli e
un’occhiata omicida sul volto: ancora, tuttavia, tale vista non servì a far
capire al marito che avrebbe dovuto scappare.
Il suo sguardo, infatti, era in quel momento completamente
attratto da ciò che la vestaglia, non più tenuta chiusa, rivelava.
“Ti ho mai detto
quanto amo il pizzo?”
Gwen aggrottò la fronte, bloccandosi e rimanendo, per
qualche secondo, impietrita ad osservarlo.
La perplessità aveva momentaneamente preso il posto della
furia e Dodger ne approfittò per indicarle il reggiseno in pizzo: l’espressione
sul suo volto, completamente rapita, sembrava essere quella di un bambino di
fronte ad un negozio di dolciumi.
Lei non capì. Abbassò lo sguardo, seguendo l’indicazione del
marito.
“Seriamente,”
continuò Dodger, sporgendosi verso di lei, “sei
sicura di non avere più venticinque anni?”
Gwen arrossì con forza, chiudendo di scatto la vestaglia. “Idiota.”
<< -Perchè, tu
saresti vecchia?- >>
<< -Eh, hm,
bocciolo di rosa vanigliato alla crema di lamponi, Los lo intendeva come un
complimento.- >>
<< -Cosa?-
>>
<< -Ah, basta.
Andate a dormire, ci si vede domani, buona notte.- >>
<< -Cioè,
possiamo decidere di smettere di parlare in Dolby?- >>
<< -Muori.
Notte a tutti, tesorucci caramellati al cocco e bambù!- >>
Daniel piegò la schiena all’indietro, stiracchiandosi: in
tutta la giornata non aveva fatto altro che star seduto di fronte a degli
schermi, e ormai la sua schiena reclamava vendetta.
Si alzò in piedi, massaggiandosi il collo con le mani. Shadi
e Celia lo stavano fissando, tutti e due aspettando di vedere come stava per
muoversi- il primo con più timore che semplice noia, a dire il vero.
“Vado a dormire,”
spiegò Daniel, accennando con la testa ai letti su cui, fino a poco tempo
prima, erano collegati.
Celia gli rivolse un’occhiata perplessa, aggrottando la
fronte.
“Non capiterà nulla e
i due sono a dormire.” Daniel scrollò le spalle, sospirando. “Credimi, è meglio se andiamo a dormire. O
domani ti addormenterai quando capiterà qualcosa.”
Lei lo guardò per un po’, cercando qualcosa con cui
controbattere, ma alla fine dovette arrendersi, sbuffando. “Odio quando hai ragione!”
Daniel scoppiò a ridere nel bel mezzo di uno sbadiglio,
rischiando seriamente di soffocarsi.
“E piantala!”
-
-.:.-*-.:.-
-
Suite 505, Ora: 1.48 AM
<< -Goth.-
>>
Di solito Goth avrebbe adorato sentire che il ragazzino
provava qualcosa: gli piacevano quei rari momenti in cui Los non era più un
semplice ragazzino apatico e annoiato, troppo pigro per lasciare che qualcosa
lo interessasse davvero. Quando dimostrava che dietro quella flemma, molto in
profondità, qualcosa c’era, Goth aveva finalmente l’impressione di trovarsi di
fronte ad una persona con cui valeva la pena passare la maggior parte del
tempo.
Eppure, in quel momento, non poteva fare a meno di detestare
Los e la sua vocina lamentosa.
<< -Goth?-
>>
Goth sbatté la matita sulla scrivania in un gesto
esasperato: Los, dalla sedia accanto, non poté trattenere un gemito.
Non riusciva a sopportarlo. Quel piagnucolio, quei mugolii
di dolore, in quel momento non facevano altro che colpire direttamente i suoi
nervi, facendoli cedere con forza.
<< -Cosa, Los.
Cosa c’è. Cosa c’è di così importante da dover comunicare? Cosa, nel nome del
Cielo, cosa non potevi assolutamente tenerti per te?- >>
Si sforzava di non gridare, di parlare sottovoce per non
svegliare i giocatori, eppure riusciva lo stesso a dare alla voce
un’inflessione velenosa, infuriata- che, ovviamente, Los ignorò.
<< -Mi fa male
la testa.- >>
Goth chiuse le mani in pugni, stringendoli contro la fronte
con forza.
In quel momento non lo sopportava. Ringhiò sottovoce,
sfregandosi la fronte contro le nocche della propria mano.
<< -Mi piange
il cuore. Ora che hai sparso la triste novella ti senti meglio? Oppure ti
aspetti che faccia apparire una fenice dalle lacrime curative?- >>
Los non rispose. Fece il broncio, sbuffò, e poi rimase in
attesa, aspettando che Goth finisse il suo piccolo teatrino.
Ecco un’altra cosa di Los: raramente se la prendeva per
qualcosa. Non aveva voglia di prendersela per qualcosa. Scrollava le spalle e
ti guardava con la tipica espressione di qualcuno a cui non importi nulla- come
se ti reputasse, in un qualche modo, inferiore.
Forse non era vero. Los non era arrogante: troppa fatica
esserlo. Eppure era ovvio che non considerasse le persone.
Goth non lo sopportava. L’aveva sempre reputato irritante,
ma in quel momento odiava quello sguardo.
<< -Non ti
sopporto. Lasciami in pace.- >>
Los sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
<< -Tu non mi
sopporti mai, tranne quando devo comprarti qualcosa.- >>
Goth strinse i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nella
carne, tanto trovava il ragazzino irritante.
Non lo stava davvero rimproverando. Sapeva che per Los non
era mai stato un problema spendere.
No, Los aveva tirato fuori quel discorso solo per
rispondere: una delle sue solite battute acide, buttate lì tanto per tenere
aperto il discorso e riportare l’“avversario” alla realtà- tanto per
ricordargli che non aveva alcun diritto di ignorarlo.
<< -Mi fa male
la testa, Goth. Sul serio.- >>
Non lo sopportava. No, quella sera, Goth lo odiava. Con
tutto il cuore.
Si voltò verso Los con l’intento di gridare qualcosa, di
scuoterlo in un qualche modo. Gli faceva male la testa? E allora? Era anche ora
che capitasse qualcosa a quel piccolo odioso ingrato.
Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, uno come minimo- ma si
fermò a fissarlo, respirando a fondo.
Si sentiva debole. Era stata una giornata stressante, e Goth
aveva i nervi a fior di pelle. Tutto lì: non era Los ad essere più odioso del
normale, semplicemente non c’è la faceva più.
Respirò, tentando di calmarsi. Erano solo i nervi. Sì, solo
i nervi.
<< -Troppi
videogame, piccolino. Forse è ora di andare a nanna?- >>
Los aggrottò la fronte, piegando le labbra in un debole
sorriso.
Era ovvio che stesse male. Gli occhi erano persino più
socchiusi del normale, nel vano tentativo di difendersi dalla luce: il sorriso
stesso sembrava quello di un reduce dalla guerra.
Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando- il moccioso non era
minimamente abituato al dolore, a quanto pareva.
Si avvicinò, prendendogli il volto fra le mani: in meno di
un secondo, Los passò dal sorriso ad un vago accenno di perplessità- il
massimo, per un ragazzino come lui.
Poi, con la più completa sorpresa di Los, avvicinò le labbra
alla sua guancia.
<< -Goth, che-
>>
<< -Misuro la
febbre.- >>
Goth gli premette le labbra sulla fronte, tentando di
concentrarsi sulla differenza di calore fra la pelle di Los e la propria: quello
era solo un videogioco, tuttavia c’era una specie di termometro personale,
nello schermo di ogni giocatore, che indicava se stessero congelando o se
avessero, per l’appunto, la febbre.
Purtroppo Los, da idiota qual’era, probabilmente non aveva
la minima idea dell’esistenza di tale termometro e Goth non aveva voglia di
spiegare qualcosa ad un ragazzino che si dava arie da moribondo per un semplice
mal di testa.
Appoggiò la guancia sulla fronte di Los, tentando di avere
una stima migliore del calore corporeo del ragazzo.
<< -Sai, Goth,
se appoggi le labbra sul mio collo potrei perdere il controllo del mio corpo.-
>>
Goth si staccò dalla sua fronte, portando le mani, a calice,
attorno al collo di Los.
<< -Sai, Los,
se mai appoggerò le mie labbra sul tuo collo, probabilmente la seconda cosa che
farò sarà buttarmi dalla finestra.- >>
Los scrollò le spalle, sbuffando.
<< -Non hai la
febbre. Và a dormire e vedrai che domani ti sentirai meglio.- >>
<< -Sai una
cosa?- >>
Goth si appoggiò di nuovo alla propria sedia, fissandolo in
silenzio: Los prese tale movimento come un invito a continuare il suo discorso.
<< -Una persona
normale avrebbe reagito male alla mia battuta. Tu hai solo risposto.- >>
Mentre si alzava, per un momento, Los si sentì girare la
testa: si appoggiò alla scrivania, aspettando che il malore gli passasse.
Goth, dal canto suo, non aveva minimamente pensato ad
aiutare quello che, in teoria, era un suo amico.
Forse anche unico.
<< -Tu non sei
come gli altri.- >>
Goth alzò le spalle, girandosi nuovamente verso il foglietto
che aveva lasciato perdere poco prima.
<< -Lo prendo
come un complimento.- >>
Los scrollò le spalle, cominciando ad avanzare verso uno dei
due letti della camera.
<< -Prendila
come ti pare.- >>
Goth non rispose.
Non c’era modo di capire cosa intendesse dire Los, se
volesse fare un complimento o prenderlo in giro. A volte aveva la vaga
impressione che ciò che dicesse non fossero giudizi, ma semplici dati di fatti.
Riprese in mano la matita e cominciò a lavorare sugli ultimi
dettagli del disegno, tentando di ignorare il principio di mal di testa.
-
---
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---
-
Mio Dio. Voi non avete idea. Questo capitolo è stato un incubo
da scrivere... mi dispiace COSì tanto, non è nemmeno
totalmente buono! ç_ç Perdonatemi. Segnate errori se
c'è ne sono e... yay. Spero vi sia piaciuto. Oh! La litania in latino che i due speaker cantano, ad un certo punto, è dalla soundtrack di The Omen, precisamente "Ave Satani". Se non l'avete visto, vi consiglio di ascoltare almeno la canzone. *rabbrividisce*
Senboo_ : Hai vinto! La Mary Sue èèèè....
MEREDITH! Suvvia, bellezza, feeeenomenali poteri cosmici... Comunque,
ti ringraziai già e, uh... bhè, grazie ancora! ^O^
Vitani: Uuuh... se può aiutarti nel tuo dolore... anche io amavo La Sgualdrina ç_ç
Fofolina: Oddio, mi dispiace XDD Questo capitolo era principalmente sui
personaggi che odiavi... mi dispiace ç_ç Tuttavia, spero
che ti sia piaciuto. Grazie per avermi letto ^O^
|
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Capitolo 5 *** Layer 04: Bug ***
Layer 05: Bug
<< -Buongiorno, miei piccoli
zuccherinosi aiutanti del diabete. Sono sempre io, Goth. Mi duole annunciarvi
che nessuno è morto nel sonno e che quindi il vostro tempo di gioco non si è in
alcun modo accorciato.- >>
Sid aprì gli occhi, svegliato dalla voce dello
(della?) speaker.
Alla fine era riuscito a superare l’attacco di panico, la sera prima. Era
riuscito persino a trovare un posto dove dormire, e ad un ottimo prezzo.
Si alzò puntellandosi sui gomiti, trovandosi a fissare una finestra da cui
filtrava la luce del sole.
“M’illumina sentire la tua voce di prima
mattina, Goth.”
Si stiracchiò, un gesto dettato più
dall’abitudine che da un reale bisogno, quindi si sedette sulla sponda del
letto, cercando con lo sguardo i propri vestiti.
<< -Se il videogioco avrà successo
ti regalerò un auricolare con web-cam, così potrai sentirmi mentre commenterò
la tua vita. Uh, cosa stavo… ah sì, Los sta ancora dormendo, il che vuol dire
che siamo solo io e voi. Non è un problema, vero bambini miei?- >>
Nicolas avrebbe potuto rispondere
qualcosa, se solo non fosse così occupato a stropicciarsi gli occhi senza far
cadere il cappello.
Così a parlare fu Oliver, che se anche era occupato a stropicciarsi gli occhi
come il fratello, per lo meno non doveva stare attento a nessun cappello.
“Hai avuto una promozione a madre,
nell’ultima frase?”
<< -La cosa inquieterebbe me,
psicologi e Dio allo stesso modo, tesorino impanato nel curry alle patate. Ad
ogni modo, muri corrono alti nel cielo, segno della divisione, della dicotomia
tra bene e male, delle barriere fra persone, della linea bianca nel PONG. Urgh,
passo troppo tempo assieme a Los. Proposito per l’anno nuovo: farmi uno
straccio d’amico. Anche se sono così seccanti. Sinceramente, qualcuno potrebbe
spiegarmi perché le relazioni sociali implicano un tale spreco di tempo? Farsi
un amico è come comprarsi un maledettissimo cane.- >>
“Quasi. Quanti amici conosci che ti
sbavino sopra?”
Per qualche secondo Sid, occupato ad
allacciarsi le stringhe degli anfibi, non ragionò completamente sulla frase che
aveva appena detto: poi aggrottò la fronte, facendo una leggera smorfia.
“A meno che non stiamo metaforicamente
parlando ed il tuo amico non sia del sesso opposto o omosessuale.”
Rimase per qualche secondo a fissare la
maglietta buttata la sera prima sul pavimento, come se in quello straccio
sporco di fango ci fosse una qualche risposta che non aveva ben considerato.
“O a meno che non sia ubriaco e si sia
addormentato su di te.”
Arricciò le labbra, scotendo leggermente
la testa nel tentativo di ricacciare un’immagine nella profondità della propria
memoria, quindi si alzò in piedi, scrollando le spalle.
“Sai cosa? Dimentica quello che ho detto.”
<< -Tua madre deve essere felice di
ospitare a casa sua i tuoi amici. Comunque, caramellose entità vanigliate alla
frutta... aspettate, non c’era una bambina con voi due?- >>
Oliver non si guardò nemmeno attorno:
chiuse gli occhi, strinse le labbra in una sottile linea e si maledì
mentalmente, tentando di sopprimere sul nascere qualsiasi reazione nervosa.
Il fratello invece strabuzzò gli occhi, completamente preso alla sprovvista.
Probabilmente, pensò Oliver, doveva aver completamente cancellato dalla mente
il giorno prima.
“La bambina!” gridò Nicolas voltandosi verso il gemello,
“è scomparsa la bambina! Ollie-”
Al solo sentire il proprio nomignolo tutte
le difese di Oliver cedettero, facendolo diventare istantaneamente paonazzo. “Non
ci provare neanche!”
Nicolas lo guardò a bocca aperta, sorpreso
da quello scatto d’ira: per quanto fosse un’abitudine, quella di gridarsi
reciprocamente addosso, c’erano sempre dei giorni in cui rimaneva sorpreso.
Soprattutto quando Oliver esordiva con quella vocina stridula.
“Non mi hai detto di tenere d’occhio la
bambina, non me lo hai mai detto! Capito?! Mai! Tu hai deciso di prenderla, tu
dovevi starle dietro!” Oliver incrociò le braccia sul petto, in un gesto
rabbioso. “Hai mai pensato che forse la bambina non vuole stare con noi? Hai
mai pensato che forse vuole andarsene? Forse non vuole più stare nella tua
ombra! Forse non vuole più dover obbedire ai tuoi stupidi ordini! Forse la
bambina non vuole stare con te!”
Nel breve silenzio che seguì Nicolas non
riuscì a modificare l’espressione incredula sul suo volto, ma sentì le proprie
guance sfumare lentamente dal rosato al rosso vivo. La risata dello speaker in
sottofondo non lo aiutava particolarmente a concentrarsi, ma quell’ultimo
discorso gli faceva venire, per un qualche strano motivo, i brividi.
Ridacchiò nervoso, giocherellando con la manica della giacca, quindi, dopo
essersi schiarito la voce, si decise a tentare di parlare al fratello che
continuava a guardarlo con uno sguardo di puro odio.
“Qui… non stiamo parlando solo della
bambina, giusto?”
Oliver socchiuse gli occhi, inclinando
leggermente la testa verso destra. “Non essere ridicolo, Nico. È ovvio
che stia parlando della bambina.”
Nicolas s’inumidì nervosamente le labbra,
aggiustandosi il cappello sulla testa nel vago tentativo di liberarsi dalla
tensione.
Non che la continua risata di Goth stesse aiutando.
“Sì, ma, ehm. Metti caso tu non stia
parlando della bambina, di cosa staresti parlando?”
La risposta di Oliver fu un suono
strozzato: la prima impressione di Nicolas fu di trovarsi di fronte alla madre.
“Perché devi sempre cercare di cambiare
discorso? Perché! Stiamo parlando della bambina, di cos’altro dovrei parlare?!
Sei un- bambina.”
Anche se ormai erano tre volte in neanche
due giorni che uno dei due ripeteva quel gesto – indicare qualcosa alle spalle
dell’altro e pronunciare un breve quanto criptico ‘bambina’ - , Nicolas ancora
si poneva qualche dubbio sul cosa intendesse dire il fratello in quel modo.
<< -Mi illuminate sempre la
giornata, adorabili cuccioletti della mamma! Comunque, allons-y
mon chers petits. Il
domani è oscuro, il futuro è nero e muri appaiono dal nulla, cosa che riesce
persino ad essere più inquietante delle prime due cose che ho detto. Passiamo
alle minacce: io vi guarderò, ed ogni minuto in cui non farete nulla un neurone
a caso del mio cervello sarà ucciso. Sì, un povero, piccolo, innocente neurone
con moglie e figli.- >>
Gwen sorrise, lo sguardo perso di fronte a
se, trovandosi a fissare il volto ancora addormentato del marito.
La prima cosa che Dodger faceva, appena addormentatosi, era abbracciarla e
stringersi contro di lei. Gwen non riusciva mai ad arrabbiarsi o a rimanere
infastidita per più di cinque secondi: quel semplice movimento riusciva a
risvegliarle qualcosa, all’altezza del petto, che, per un qualche strano
motivo, la faceva sentire bene.
Di solito lei riusciva a sciogliersi dall’abbraccio con relativa facilità,
senza nemmeno svegliarlo: tutte le volte Dodger si rannicchiava su se stesso,
quasi stesse tentando di ripararsi dal freddo, e per qualche secondo si poteva
notare un’ombra scura sul suo volto.
Quella mattina, invece, Gwen ancora non era riuscita a liberarsi. Il marito la
stringeva a se con più forza del solito, tanto che, ne era convinta, se non
fosse stato un videogioco avrebbe rischiato di soffocare.
Sospirò, tentando di tirarsi indietro: la presa non si allentò, anzi, Dodger
l’abbracciava con ancora più forza.
<< -Ehi, petalo di rosa impanato
nello zucchero d’avena, che sta succedendo? Non mi vorrai mica morire per un
gesto d’amore, vero? Sarebbe stucchevole e decisamente fuori luogo. A meno che
nessuno metta in sottofondo una canzone teen-emo-angst-rock-pop, almeno.-
>>
Per una qualche strana
ragione, il solo sentire Goth pronunciare le parole ‘gesto d’amore’ la fece
arrossire violentemente.
“S-silenzio!”
Dodger socchiuse le palpebre, mostrando a
malapena le due iridi verdi: Gwen s’irrigidì di scatto, serrando le labbra e
sgranando gli occhi in un espressione terrorizzata.
“…Dzien…”
Gwen rimase a fissarlo, chiedendosi per
qualche attimo se Dodger avesse cercato di dire qualcosa oppure se quello era
stato solo un verso senza senso: poi, senza una particolare ragione o perché,
lui si avvicinò e le appoggiò l’orecchio destro sul petto, chiudendo gli occhi
e rimanendo in silenzio.
<< -Se mettiamo questa scena nel
trailer la gente ucciderà per interpretare il suo personaggio.- >>
Gwen aprì e richiuse la bocca, arrossendo
ad intermittenza: da una parte voleva strillare qualcosa contro Goth,
dall’altra c’era la parte più insicura della sua mente che si sentiva
semplicemente lusingata.
Così alla fine rimase in silenzio, tentando di capire perché Dodger tendeva a
comportarsi come un bambino di tre anni alla ricerca di affetto ogni volta che
si trovava vicino a lei.
Aprì nuovamente la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, ma si ritrovò di
nuovo senza parole.
D’altronde, che cosa diavolo poteva fare con un tizio che aveva deciso di
appoggiare la testa sul suo petto?
Schioccò la lingua, tentando di
risvegliarsi da quello strano stato di ipnosi in cui era caduta. “Sei sempre
così appiccicoso.”
Alzò il busto, puntellandosi con le
braccia prima di appoggiarsi allo schienale del letto, scrollandosi da dosso
Dodger.
Lui reagì a malapena: si coprì gli occhi con un braccio, sospirando
leggermente.
“Non sei per niente romantica.”
Gwen lo fisso per qualche secondo,
tentando di ragionare su ciò che il marito aveva appena detto: poi, resasi
conto che non aveva capito male, emise un verso strozzato.
Dodger fece una breve smorfia: quel… suono gli dava sempre l’impressione
che la moglie avesse ingoiato un rospo.
“Romantica?! Mi hai appena messo
la testa fra le tette!”
<< -E mi sorprende che tu sia
sopravvissuto a ciò!- >>
Gwen alzò la testa verso l’alto, sbattendo
i pugni sul materasso. “Fa silenzio!”
<< -Calmati, o domani ti sveglierai
non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >>
Dodger dovette mordersi le labbra per
riuscire a soffocare le risate che quel breve scambio di battute gli stava
procurando, ma fu comunque abbastanza veloce da riuscire ad assumere
un’espressione esageratamente offesa quando, pochi secondi dopo, la moglie si
voltò verso di lui.
“Mi reputo insultato! L’unica cosa che
volevo fare era sentire il battito del tuo cuore attraverso la tua gabbia
toracica.”
<< -Tenero e al contempo
inquietante. Lo sapevo di aver fatto bene a nominarti mio mito intramontabile.-
>>
Gwen sbuffò, tentando di ignorare il
sorrisetto soddisfatto sul volto del marito e di concentrarsi sull’importante
decisione del cosa mettersi quel giorno.
Agguantò in fretta un corsetto dalla borsa convincendosi che sì, era un
indumento perfettamente normale, pizzo nero su stoffa rossa a prescindere.
<< -Tesorino alla crema di fragola e
ribes, non so cosa ti abbia detto il responsabile delle pubbliche relazioni ma
adesso puoi smetterla con il fanservice. L’abbiamo già catturata ieri sera, con
lo scorcio della tua vestaglia, la popolazione maschile del globo.- >>
Gwen strinse i denti, trattenendosi dal
gridare una terza volta allo speaker, quindi, dopo aver indossato la gonna,
prese le calze e si accinse a infilarsele.
Non un’operazione semplice quando alla sua destra Dodger la fissava imbambolato
con lo sguardo tipico di un fedele di fronte all’apparizione della Madonna.
“Che c’è?!” sbottò infine Gwen, risvegliandolo con un
sussulto.
Dodger fece un leggero sorriso, in un
disperato quanto patetico tentativo di tornare in se. “Perché non ti
esibisci direttamente su un cubo, tesoro?”
La risposta di Gwen sarebbe sicuramente
stata violenta se solo non fosse stata troppo occupata ad arrossire.
<< -Ooook, interrompiamo il
collegamento con i due tesorini amorosi e passiamo a… a… oh, santo Cielo, avete
tutti una vita meno intensa della mia e questo dovrebbe significare qualcosa.
Risvegliatevi un po’! Sono morte tre persone, ci sono muri che dividono la
città e siete in un maledetto videogioco, com’è possibile che continui a non
accadere nulla?! Comincio a rimpiangere i giorni in cui rischiavamo lo stupro!-
>>
Meredith camminava spavalda ma timida,
quasi sfilando di fronte a quella folla che amava ma allo stesso tempo odiava.
La sua bianca pelle color della luna in una notte di primavera con brezza
leggera-leggera rendeva naturalmente più luminosi le due gemme blu incastonate
al posto degli occhi, che brillavano ora di felicità, ora di altera freddezza,
ora di feroce rabbia. I lunghi capelli biondi color del sole del mattino in una
giornata di estate calda ma non troppo, ecco, diciamo abbastanza sui trenta
gradi ricadevano con grazia sulle spalle, coperte da una trasgressiva ma
firmata maglietta aderente, che mostrava la perfezione delle sue curve
granitiche.
“Tutto ciò che faccio è importante ai fini
della storia! La gente mi ama, mi teme, mi ricorda, mi… lovva!”
L’aria attorno alla ragazza sembrava
essersi improvvisamente illuminata, come per mostrare con maggior grazia la
perfezione del suo meraviglioso corpo.
<< -Mia cara, non uso molto spesso
questo termine, anzi, tento di evitarlo sempre e comunque, ma, ecco, in questo
momento io ho lollato. Ho lollato fino a ROTFLare, finendo
dritto ne… nel… nel LMAO. ROKLMFN.- >>
Era a metà strada fra la sua stanza e la
reception quando Sid sentì il commento dello speaker.
Dapprima si fermò, limitandosi ad aggrottare la fronte, confuso. Poi portò le
mani alla fronte, emettendo un gemito di dolore mentre le parole di Goth
riecheggiavano nella sua mente.
“La mia mente. L’hai appena violentata.”
<< -La nostra beneamata lingua madre
è stata violentata, involtino all’eroina e ribes.- >>
Sid sorrise debolmente, tentando di
scacciare quel briciolo di paranoia che continuava a roderlo dentro.
Era ovvio che Goth stesse scherzando. Goth scherzava in quel modo, con quella
voce annoiata ed ironica. Goth non stava, in alcun modo, tentando di fargli
rodere la coscienza o di prenderlo in giro.
Sorrise, soppresse l’ansia e tentò di sostenere la conversazione senza farsi
tremare la voce.
“Non vorrei mai essere invitato a cena da
te.”
<< -Oh, suvvia. Il brivido del
mistero alla vista di un piatto, aromi inimmaginabili, sapori al limite del
lecito… cosa puoi desiderare di più?- >>
Il sorriso nervoso che Sid aveva tentato
di mantenere fino a quel momento si sciolse, formandone uno sicuramente più
sincero.
Cosa poter desiderare di più? Rivedere ‘Dopodomani’ a scuola.
Il professore aveva deciso, un giorno, di portare il film a scuola e di
mostrarlo alla classe. Era sembrata, ai tempi, una cosa ragionevole: molta
gente appena uscita dal cinema aveva detto che era un film straordinario e che
si vedeva che il regista aveva fatto le sue ricerche.
Probabilmente nessuna di quelle persone era un meteorologo. O aveva avuto una
minima infarinatura circa il come funziona la fisica sul pianeta terra.
La pellicola durava due ore, ma riuscirono ad arrivare alla fine solo dopo tre
ore e mezza: non solo il professore continuava a fermare il video per spiegare
come mai ciò che stava avvenendo sullo schermo era una totale idiozia, ma
l’intera classe non riusciva a smettere di ridere.
Poteva accettare che la premessa del film, ovvero un raffreddamento globale
sulla base di quello avvenuto 8000 anni prima, fosse stata esagerata: nessuno
sarebbe andato a vedere un film circa una leggera variazione climatica che
avrebbe portato ad una drastica riduzione della vendita di piscine all’aperto,
ma c’erano degli errori che avevano portato alcuni alunni a rischiare di
soffocare per le risate.
<< -Deve essere stata una battuta fenomenale,
la mia, se è riuscita a toglierti quella tua aria da cane bastonato che tanto
ci ha convinti a sceglierti. Tanto per sapere, il giorno dei provini ti stavano
minacciando con un fucile oppure eri semplicemente contento di vederci?-
>>
Sid aggrottò la fronte, tentando di
ricordare il giorno in cui si era presentato ai provini.
Doveva essere stato un lunedì, ma era abbastanza sicuro non si fosse trattato
di una semplice depressione dovuta all’inizio di una nuova settimana di scuola.
No, se lo ricordava quel provino: era nervoso, abbattuto, scontroso, tanto che
poi, quando era arrivata la notizia che lo avevano preso, aveva dovuto
richiamare due volte per esserne certo.
Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Cosa era successo qualche mese prima?
Oh. Oh già.
“Il… fine settimana non era stato
esattamente idilliaco.”
Nominare quel sabato sera riusciva ad
essere traumatizzante anche se non c’era praticamente nulla da ricordare. Il
momento prima, in preda ai sintomi dell’astinenza, si stava iniettando una dose,
il momento dopo si risvegliava strillando, con una siringa piantata nel cuore.
Non era stata una cosa piacevole, ma, nonostante tutto, in poche ore aveva di
nuovo sentito il bisogno di comprare dell’eroina.
La mattina dopo aveva tentato di entrare in casa senza farsi notare da nessuno,
ma sfortunatamente i suoi genitori avevano deciso di aspettarlo perché
preoccupati. Poche cose riuscivano a farti capire che tuo figlio ha
ricominciato a drogarsi come vederlo apparire alla porta di casa alle sei di
mattina con un’aria moribonda e la maglietta intrisa di vomito.
Inutile dirlo, il resto della domenica era stato da incubo.
<< -Nhn. Immagino. Alla tua età ero
praticamente costretto ad andare a delle stupide feste. L’unico modo per
riuscire a sopportare così tante persone in un posto solo era uccidere qualche
neurone bevendo come una spugna. Poi c’era la domenica, in cui la casa si
riempiva di gente e così, olé, altre ventiquattr’ore di bevute continue.
Non era bello, il lunedì, dover vivisezionare una rana quando l’unica cosa che
volevo fare era andare in bagno e vomitare.- >>
“Sono sorpreso il tuo fegato funzioni
ancora.”
Non che avesse esattamente il diritto di
dire qualcosa del genere visto che lo conosceva da circa un giorno e il loro
rapporto era un semplice ‘tu fai qualcosa ed io la commento nel modo più
spietato possibile’, tuttavia era ovvio che lo speaker avesse un qualche
problema con l’alcool… e le persone in generale.
Sid ci pensò un secondo, raggiungendo il bancone della reception: da quanto
aveva potuto carpire da alcuni mezzi commenti dei due speaker, doveva esserci
anche qualcun altro con la stessa dipendenza.
<< -Tutto funziona sempre bene… fino
a che non vai a fare una visita di controllo. Viene da chiedersi se non siano i
dottori ad installare una qualche sorta di virus nel tuo corpo attraverso lo
stetoscopio.- >>
Oliver si fermò, rivolgendo un sorriso
verso l’alto.
“Indaga! Noi due siamo con te.”
Nicolas, al sentire le parole del gemello,
fece del suo meglio per imitare l’espressione di Clint Eastwood, tentando
miseramente di darsi un’aria importante.
<< -See, intanto fate
attenzione alla bambina. Va bene che è piccola, ma non è esattamente un
portachiavi che si può perdere ogni cinque minuti.- >>
Gwen, che in quel momento si stava
aggiustando i capelli di fronte allo specchio dell’ascensore, non poté fare a
meno di sogghignare.
Ah, i suoi bambini. Era difficile capire quando perdevano qualcosa e quando
l’avevano meramente rubata e la stavano tenendo nascosta.
Insomma, non era una novità che ‘perdessero’ qualcosa: ciò che realmente la
sorprendeva era quel continuo nominare una bambina.
“Tesoro, credimi, i tuoi capelli sono
perfetti. Puoi smetterla di… torturarli.”
Alzò gli occhi al cielo, ringhiando
sommessamente. Dodger, appoggiato contro la porta dell’ascensore, non riusciva
a capire che ad una pettinatura come la sua bastava una sola ciocca fuori posto
per ricordare i capelli di una persona che si è rotolata nel sonno senza alcuna
tregua.
D’altronde, comunque, non poteva aspettarsi molta comprensione in quell’ambito
quando parlava con un tizio che usava sempre un cappello.
Gwen aggrottò la fronte, perplessa.
“Dov’è il tuo cappello?” Lo fissò per qualche secondo, tentando di
afferrare cos’altro fosse fuori posto nella figura del marito. “E dov’è il
tuo impermeabile?”
Le porte dell’ascensore si aprirono e
Dodger si rimise in piedi, scotendo la testa con aria cospiratrice.
“Ratti. Mai sottovalutare i ratti.”
E, come se la criptica frase non fosse già
abbastanza, portò le mani, strette in pugnetti, al petto e mostrò gli incisivi,
in una tipica imitazione di un roditore.
Gwen si morse le labbra, tentando disperatamene di non scoppiare a ridere.
<< -Ah, il sorriso di una bella
donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non
me la sia inventata adesso. Comunque, ci sono un sacco di donne che sposano
qualcuno dicendo che le faceva ridere. Bello vedere che per qualcuna è vero e
non solo un altro modo di dire ‘non c’era nient’altro di meglio’.- >>
Gwen non parlò. Il suo improvviso perdere
colore, assieme al sorriso congelato sul suo volto, furono una risposta più che
eloquente.
Si voltò verso Dodger, affettandosi a dire qualcosa- non ci riuscì. Rimase a
fissare il marito con la bocca aperta, senza parole, tentando di convincersi
che non aveva visto quell’espressione triste sul suo volto e che lui non si era
girato solamente per non guardarla negli occhi.
<< -Uh. Programmi per la giornata,
involtini primavera alla rondine fucilata?”
Gwen si rilassò. Una conversazione con lo
speaker era qualcosa che poteva sopportare con facilità. Se toccavano un
argomento che interessava anche Dodger allora lui sarebbe tornato il solito,
stupido se stesso, avrebbe cominciato a scherzare e lei avrebbe potuto
ritornare a respirare senza sentire quel dolore al petto.
“Momentaneamente l’idea è di pagare la
stanza.”
Una risatina la riscosse, facendole venire
un mezzo colpo.
“Diciamo che è più esatto dire che l’idea
è di fare un salto alla hall.”
Non fosse stato che il tono con cui aveva
pronunciato quella frase era così… alla Dodger, Gwen avrebbe aggrottato
la fronte per il fastidio.
Per quanto geniali, non sempre i piani del marito davano gli effetti sperati.
<< -Mhm. Bhè, se può minimamente
aiutarvi, gli NPG sono modellati per agire come persone. Il che significa che
non hanno un database completo circa tutti quelli che sono presenti nel hotel.
Il che significa, in modo spiccio- >>
“Che, ad esempio, non sanno ancora che un
passerottino ha sbattuto contro la finestra della stanza.” Concluse Dodger.
Si portò una mano la dove doveva esserci
il cappello, con l’intenzione di calcarselo sulla testa e di darsi delle arie:
purtroppo, poiché il cappello non c’era, la mano tastò per qualche secondo il
vuoto, il volto congelato in una smorfia.
“Ratti, tesoro.”
Dodger si voltò verso di lei, sorpreso:
poi si sciolse in un sorriso, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.
"Mai fidarsi dei ratti.”
<< -Avete un curioso modo di
riferirvi ai dodicenni. Undicenni. Quel che era. Certo, non posso dire che non
sia appropriato.- >>
Gwen aggrottò la fronte. “Dodicenni?"
<< -Sono i ratti della società
moderna. Senza alcun dubbio.- >>
Lei rivolse a Dodger uno sguardo
interrogativo che lui ignorò, limitandosi a scrollare le spalle in quel modo
che sembrava significare ‘sai benissimo di non volerlo sapere’.
Gwen non insistette. Se Dodger implicava che lei non volesse sapere qualcosa,
di solito era così.
“Tesoro, questo è molto, molto, molto,
molto importante. È quello il tizio che ha fatto il check-in, ieri sera?”
Gwen tentò di ignorare il tono serio del
marito – per un qualche strano motivo riusciva sempre a farle saltare i nervi –
e si concentrò sull’uomo seduto dietro il bancone della hall.
Scosse brevemente la testa: quello non era il tizio che l’aveva accolta
all’hotel. A dire il vero aveva l’orrendo presentimento che, vista l’estrema
eleganza e il modo in cui rimaneva impettito ad aspettare i clienti, quello
fosse il direttore dell’hotel.
“Perfetto. Tutto a posto. Sorridi.”
Lei chiuse gli occhi per un secondo,
deglutendo a fatica. Se lo sentiva che se ne sarebbe pentita, lo sentiva che
doveva semplicemente pagare, lo sentiva che era una pessima idea seguire il
piano del marito.
L’uomo li notò subito. Rimaneva serio e
professionale eppure era possibile notare un impercettibile sollevamento del
sopracciglio destro, unica spia della tempesta di pensieri che stava
imperversando nella sua mente: primo fra tutti, probabilmente, dove avessero
trovato i soldi per entrare.
“Buongiorno signori.”
Dodger si guardò attorno con fare furtivo,
poi si appoggiò sul bancone, sporgendosi verso l’uomo.
“Buongiorno. Vorrei, uhm, pagare.”
Gwen aveva sviluppato, dopo tanti anni,
una perfetta faccia da poker. Era essenziale rimanere impassibili mentre tuo
marito tirava avanti una recita di cui non ti aveva spiegato nulla e il
receptionist di un hotel ti squadrava nel tentativo di capire qualcosa.
“Il nome, prego?”
Dodger schioccò la lingua, lanciando una
veloce occhiata alla moglie. “Smith. La… signorina non è segnata, non so se
mi spiego…”
Improvvisamente lei capì cosa stava
facendo il marito e l’unico motivo per cui riuscì a rimanere impassibile fu il
pensiero, rassicurante e piacevole come poche cose al mondo, che dopo l’avrebbe
ucciso con le sue mani.
L’uomo non aggiunse parola e cercò il nome nel registro.
L’espressione sul suo viso quando tornò a
guardare Dodger la fece sentire male.
“Qui la signorina è segnata...”
Lo sguardo sorpreso che Dodger le rivolse
le fece mollare la maschera. D’altronde sembrava così convinto, così sincero
che Gwen pensò davvero che il receptionist li avesse scoperti: così fissava il
marito, terrorizzata, pregandolo di dargli un segnale per fuggire.
“Io… la signorina ha fatto un… errore,
temo. Vede, abbiamo estremo bisogno di privacy e… ecco, se potrebbe… non so se
mi spiego.”
<< -Padroneggi alla perfezione
l’arte del parlare e non dire niente, mio mito inarrivabile.- >>
“I nostri clienti godono della massima
privacy, signore."
Dodger chinò leggermente la testa,
sorridendo. “Sapevo di poter contare su di voi. Posso sapere il conto…?”
Gwen non c’è la faceva più. Quello non era
il suo modo di fare, lei era più per sfilare il portafoglio. O colpire la
vittima e prendere i soldi mentre era svenuta. Non riusciva a sopportare l’idea
di dover passare più del necessario con il tizio da rapinare.
Cominciavano a tremarle le gambe per il nervosismo e non riusciva a
sopportarlo. Voleva solamente correre lontano da lì, maledizione, perché
dovevano discutere?
Anzi, perché non aveva semplicemente pagato la maledettissima camera?
“350 crediti.”
Dodger annuì, allungando qualche credito
in più rispetto al conto. “Per… il servizio.”
Ammiccò al receptionist con fare complice, quindi cominciò a marciare di fretta
verso l’entrata seguito da Gwen che, finalmente, riusciva a riprendere fiato.
“Ti odio. Ti odio,” bisbigliò Gwen con calma, trattenendosi a
stento dal mettersi a correre. “Per una volta che potevamo pagare, perché
devi sempre complicare le cose?”
Dodger schioccò la lingua, guardandosi
attorno con nonchalanche per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. “Era
una suite, Gwen. Una suite. Con un enorme finestra sfondata. E molto,
molto, molto alcool sul conto.”
Gwen dovette prendersi un secondo per
calmarsi: quando parlò, lo fece a voce così bassa che ricordava un sibilo. “Una
finestra che tu hai rotto. Alcool che tu hai ordinato.”
Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Oh,
perché tu hai disprezzato, giusto?”
<< -Ha protestato. I primi cinque
minuti. Parliamo di qualcosa di interessante, invece: la questione Smith.
Immagino tu abbia sparato quel nome perché è molto comune. Ad ogni modo, come
facevi a sapere che non avesse preso una suite?- >>
“Ah, lieto che tu me l’abbia chiesto!”
Dodger, ormai uscito dall’hotel, batté una
mano contro l’altra, allegramente.
“ Vedi, è
stato un semplice calcolo delle probabilità. Smith è usato più spesso degli
altri cognomi come pseudonimo, ed in questi casi è piuttosto ovvio che la loro
camera deve essere piuttosto economica. Se Smith era il cognome originale era
comunque più probabile avesse preso una camera normale piuttosto che una suite-
insomma, era una situazione in cui vincevo comunque!”
<<
-Ora che mi ci fai pensare, ricordo che un posto dove ho vissuto per un po’ di
tempo, una specie di… mi piange il cuore chiamarlo hotel, era abitato
esclusivamente da John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe.- >>
Sid rabbrividì leggermente, tentando però
di mantenere il sorrisetto nervoso che l’aveva contraddistinto negli ultimi
venti minuti.
“Eri per caso uno spacciatore?”
La domanda, fatta con una forzata nota di
allegria, era in realtà un tentativo di distrarsi dalla triste verità, ovvero
che era probabilmente rinchiuso in un angolo di città con poco o niente da
visitare, non sapeva dove andare a mangiare o dove prendere un lavoro per
accumulare qualche credito e, soprattutto, che cominciava ad avvertire una
sorta di fastidio.
<< -Diciamo che per un certo periodo
ho avuto un ruolo attivo nel procurare alle persone cose che non facevano per
niente bene alla salute.- >>
Schioccò la lingua. Goth stava parlando.
Doveva rispondere e ignorare qualsiasi pensiero.
“Devi avere un po’ di gente sulla
coscienza.”
<< -Lo spero. Comunque, raccontatemi
cosa volete fare oggi e facciamo a finta che mi interessi, vi và?- >>
Oliver alzò le spalle, muto segno per dire
che, per quanto lo riguardava, gli andava bene- e lasciando così al gemello
l’onere di spiegare quali fossero i loro piani per la giornata.
All’inizio Nicolas aveva semplicemente deciso di fare una passeggiata,
decidendo che andare in giro per il posto l’avrebbe aiutato a concentrarsi per
ideare un piano per vincere.
La bambina li seguiva. Ancora non aveva detto una parola, ma ormai i due
gemelli cominciavano ad affezionarsi: dopo averle trovato un nome avrebbero
dovuto insegnarle qualche giochetto.
Oliver, ad ogni modo, seguiva il fratello per un motivo più pratico. Sapeva che
Nicolas l’avrebbe spinto a fare qualcosa di molto stupido, tuttavia non poteva
ignorare il fatto che dividersi era, solitamente, la prima regola per morire
nei film horror. Senza contare che, davvero, non poteva andare in giro senza
qualcuno da sacrificare per salvarsi.
Così Nicolas si ritrovava a guidare altre due persone. Era ovvio, quindi, che
sarebbe stato quantomeno scortese alzare le spalle e rivelare che non aveva
nessuna idea circa il come passare la giornata.
“L’idea principale è quella di, hm,
studiare il territorio.”
Nicolas fece un sorriso, sicuro e
affascinante, sfoggiando al massimo la sua espressione da ragazzo sveglio: in
quel preciso istante Oliver comprese che il fratello non aveva la minima idea
di cosa stesse facendo.
Tuttavia non fece nulla. Continuò a camminargli accanto, fingendo di non aver
capito, lasciando Nicolas nell’illusione che sì, Oliver era davvero così idiota
da credergli anche dopo sedici anni di coltellate alle spalle.
Ed insieme afferrarono la bambina, bloccandola prima che potesse allontanarsi
per sparire un’ennesima volta.
Sid non riusciva a smettere di martoriarsi
il braccio. Doveva riuscire a distrarsi.
Avrebbe dovuto aiutare il fatto che nella sua mente, di solito, girassero solo
concetti di fisica assieme a partiture di canzoni, accompagnati da citazioni da
film più disparati. Sarebbe stato normale non concentrarsi su qualcosa più di
un secondo, almeno in teoria, eppure non era così.
Fra quei frammenti di pensieri, di musiche e di suoni che era la sua mente,
delle immagini sembravano riproporsi con più frequenza, brevemente, quasi
fossero solo dei messaggi subliminali con il solo scopo di farlo impazzire.
“Io… non lo so. Cioè, uh,” Sid si morse un labbro, guardandosi
nervosamente attorno, “non so dove sono né se ci sia qualcosa di
interessante qui attorno.”
Meredith si scostò una ciocca di capelli
dagli occhi, con fare sbarazzino, ben sapendo che quel semplice gesto poteva
essere abbastanza per attirare l’attenzione di Goth.
Sorrise, sfavillante come poche cose potevano essere, ancheggiando
elegantemente per le strade della zona in cui si trovava in quel momento.
Si maledì internamente: sorridere? Era un segno di debolezza e si era
ripromessa che mai e poi mai avrebbe lasciato cadere la spessa maschera che la
salvava dalle minacce di quella vita crudele e senza scrupoli.
“I miei capelli sono rovinati.”
<< -Sei spettinata, involtino dorato
al miele di rugiada. Ma, sì, effettivamente spettinarsi indossando una retina…
una retina d’oro, per giunta… sicuramente il segno di un potere
malvagio. Santo cielo, se non c’è qualcuno che vi insegue per uccidervi non
vale la pena fare qualcosa di divertente, uh? Sto cominciando a sperare che il
ragazzino si risvegli. Bonnie e Clyde, le mie speranze sono su di voi.-
>>
“Bonnie e Clyde... ?” biascicò Gwen a bassa voce, tentando di
non farsi notare dall’incauto cliente cui stava, ironia della sorte, infilando
qualcosa in tasca. Chi avrebbe mai detto che un giorno avrebbe fatto qualcosa
del genere?
Si allontanò con calma, facendo un cenno con la mano a Dodger.
<<
-Ooh, nuovi meravigliosi trucchi? Lo sapevo che facevo bene a sperare in voi.
Fra parentesi, temo che la polizia non sarà molto contenta di vedere queste
scene, ma se siamo fortunati saranno troppo occupati sulla parte ‘muoiono delle
persone’. Eh, vedo già soldi che si volatilizzano, cause su cause, avvocati…
fortuna che pagano i genitori di Los.- >>
Dodger aveva sempre pensato di essere un
tipo piuttosto rilassato, sul lavoro. C’era bisogno di prontezza di riflessi e
savoir-fair: aveva bisogno di essere rilassato.
Gli piaceva pure pensare di avere una certa elasticità mentale: a diciotto anni
era riuscito a scherzare con i dipendenti di una banca mentre teneva una bomba
sul petto e cercava, allo stesso tempo, di scassinare la cassaforte, quello
doveva pur dimostrare qualcosa. Oltre che a quei tempi era molto disperato,
ovvio.
Eppure sentire Goth parlargli nell’orecchio gli aveva procurato un brivido
lungo la spina dorsale. Non sapeva bene perché, visto che era così dal giorno
prima, eppure in quel momento sentire la sua voce l’aveva completamente
deconcentrato.
Appoggiò la rivista sul bancone, recuperando il proprio sorriso appena vide che
il giornalaio si era accorto di lui.
“Giornale, grazie.”
<<
-Ooh, qualcuno sta per essere ferito? Fra parentesi, così, pour-parler, ha un
fucile sotto il bancone.- >>
Dodger si sistemò con calma gli occhiali,
stringendo con forza i denti per trattenersi dall’esclamare quanto fosse felice
di avere una vocina nella testa che continuava a renderlo nervoso- qualcosa che
non era semplice, contando che era abbastanza rinomato per avere dei nervi
d’acciaio.
A parte con Gwen. Anche se quello era abbastanza normale. Tornare a casa da una
festa la mattina del giorno dopo con una sbronza terrificante non era
esattamente un bel modo per calmare la moglie. Che diventava così molto
nervosa. Che quindi cominciava a strillargli addosso e, occasionalmente, a
dargli pugni. Molti pugni.
“Cinque crediti.”
Di solito tendeva a distrarsi durante i
colpi, ma quello era ridicolo. Dov’era il tipico flusso di pensieri che lo
intratteneva? Dov’erano finiti Parmenide ed Eraclito, perché non stava pensando
a favolosi mondi pieni di adorabili coniglietti saltellosi e dove diavolo erano
finiti i versi di Goethe che aveva imparato a memoria anni prima? In poche
parole, dov’era finita la sua anarchica sapienza?
“Sì, subito. Eh. Stavo per addormentarmi
sul bancone.”
Sorrise, tentando di ammorbidire il
commesso mentre si tastava i vestiti alla ricerca dei soldi nella speranza di
tirare per le lunghe.
Dovette deviare da tale proposito appena vide lo sguardo che quello gli rivolse
dopo appena dieci secondi di tentennamento- abbastanza per fargli desiderare di
ritirarsi e ignorare il piano solo per fuggire il più lontano possibile.
Non c’è ne fu bisogno: l’allarme all’entrata scattò in quell’istante, lasciando
l’opportunità a Dodger di poter vedere il commesso mentre imbracciava un fucile
a canne mozze e correva verso il povero sfortunato, strillando qualcosa di
indecifrabile. Fu un momento estremamente strano per Dodger, che per pochi
secondi si sentì colto da uno strano dejà-vu: poi si riscosse, probabilmente
grazie alle urla del povero sfortunato che aveva saggiamente deciso di fuggire
a gambe levate, e saltò al di là del bancone, aprendo con un veloce gesto il
registro di cassa.
<< -Non è una cosa che faccio molto
spesso, quella di complimentarmi con qualcuno per più di cinque secondi, ma
devo dirlo… è davvero brillante. Riesce ad essere un piano astuto ed allo
stesso tempo estremamente divertente. Tuttavia vorrei ricordare che se questo
videogioco uscirà nei negozi potrà essere usato contro di voi in tribunale.-
>>
Oliver chiuse gli occhi, portando una mano
alla tempia in un semplice quanto esaustivo gesto di profonda e completa
disperazione- un movimento melodrammatico, certo, ma purtroppo rovinato dal
fatto che il gemello doveva aver ingoiato un rospo, o almeno così sembrava dal
suono che aveva prodotto.
“Avevi intenzione di dircelo oppure
preferivi che lo comprendessimo da soli appena finiti in riformatorio?”
Quegli impulsi erano rari e molto lontani fra loro, nel tempo – l’ultima volta
che era capitato doveva aver avuto circa quattordici anni - , ma in
quell’istante Oliver sentì l’improvviso, inarrestabile stimolo di voltarsi
verso il fratello e complimentarsi.
<< -Non ve l’ho detto perché poi non
avreste commesso nessun reato, tesorini ai confetti e panna con riso. È stato
già abbastanza noioso guardarvi mentre rubavate, immagina se non lo facevate.
Potreste fare qualcosa di interessante e io non dovrei ricorrere a questi
trucchetti, ma voi, noo, preferite trascinarvi come amebe nell’oceano della
noia. Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’. Veo
veo, santo Cielo! Perché volete mandare alla morte i miei neuroni ancora
funzionanti, perché?- >>
Meredith incrociò le braccia al petto: gli
occhi, socchiusi, emettevano lampi di furia e rabbia, eppure erano freddi, come
se appartenessero ad un soldato che combatteva da quando era capace di
camminare e non aveva più alcuna speranza al mondo.
“Tu non capisci. Non sai…”
Mantenne in sospeso l’ultima frase,
pizzicandosi il braccio nel tentativo di farsi venire le lacrime agli occhi
che, ovviamente, avrebbe fatto di tutto per nascondere, in quanto lei era
superiore e non voleva la pietà di nessuno.
<<
-Avere un’età compresa fra i tredici e i diciotto anni deve essere una vera
pena visto che non fate altro che lamentarvi. Piccole patetiche larve. Non
capisco? È la vita, tesoro, e non sarà comportandoti come una prima donna che
riuscirai a sopravvivere.- >>
Meredith era totalmente scandalizzata.
Apriva e chiudeva la bocca, senza sapere come rispondere, presa alla sprovvista
da quel fiume di parole rabbiose. Non era in quel modo che si aspettava
andassero le cose: non sapeva precisamente cosa avrebbe dovuto rispondere Goth,
ma sapeva che, qualsiasi cosa avesse dovuto essere, non era ciò che le aveva
detto in quel momento.
Si gonfiò il petto, dimenticando qualsiasi stupore e ritrovando la parte più
irascibile di se.
“Tu- cosa pensi di sapere? Tu non sai
niente! Niente!”
<< -Io so che voi dovete essere
sempre al centro dell’attenzione! Siete dei mocciosi viziati, dei->>
“Non vorrei lamentarmi,” borbottò Sid con sguardo assente, “ma
l’abuso è compreso o è un regalo per noi primi giocatori?”
L’esperienza avrebbe dovuto insegnargli
che non era mai un bene scherzare sul modo di fare degli altri, soprattutto
quando questi erano infuriati. Soprattutto quando questi erano cinici e sarcastici
e avevano come lavoro quello di tenerlo d’occhio.
<< -Senti… Billy Idol. Non ne posso
più. Siete delle piccole, irritanti sanguisughe che succhiano qualsiasi linfa
vitale si trovino a tiro. Tentare di instillare in voi un po’ di senso è solo
uno spreco. Farei qualsiasi cosa in mio potere, e credimi che non lo dico tanto
per dire, per farvi smettere… o, al limite, farvi soffrire tentando.-
>>
Un leggero sospiro le risuonò nelle
orecchie.
Si fermò, senza più riuscire ad avanzare. La voce aveva sospirato.
Strinse a se l’orsacchiotto in un moto difensivo: non importava quale potesse
essere la minaccia, non sapeva se fosse lei che difendeva il suo orsacchiotto o
l’orsacchiotto che la difendeva.
La voce aveva sospirato e quello era strano. Non aveva mai pensato, fino
a quel momento, che la voce potesse respirare- essere viva.
Ma respirava. E sospirava. Quindi era viva.
Stritolò l’orsacchiotto in un abbraccio ansioso.
La voce era viva. La voce la vedeva, vedeva tutto, sentiva tutto, ed era viva e
lei non poteva vederla.
Strinse i pugni, sentendo la tensione divenire rabbia e la rabbia prendere il
controllo del suo corpo.
“Ehi- Nico! Nico, la bambina! Abbiamo
perso la bambina!”
Era la Regina delle Bambole. Pretendeva
quella voce.
<< -Ironicamente è il fatto che non
vi sopporto che vi salva. Non voglio avervi attorno, quindi non ho la
possibilità di fare ciò che voglio. E mettetele uno stramaledetto campanellino,
Mon Dieu, fosse un bebè ora lo alleverebbero i lupi! Io… ngh. Uff… Se la
violenza fa fluire le onde, allora romperò ogni osso nel vostro corpo.-
>>
“Se il silenzio fa soffiare il
vento, allora ascolterò il suono del tuo cuore gelido?”
Per quanto, era vero, c’erano poche
possibilità che Sid si fosse sbagliato, il diciassettenne non poté fare a meno
di pizzicarsi nervosamente un braccio, tentando di scaricare la tensione. E
se si fosse sbagliato?
Se la frase era solo simile per coincidenza ad una strofa di quella canzone
sarebbe sembrato, come minimo, un idiota. E non poteva sembrare un idiota con
uno il cui lavoro sembrava essere erodere l’anima umana.
Sid fece una leggera smorfia, massaggiandosi e pizzicandosi il braccio.
<< -Pensavo di essere solo io ad
avere un gusto così deprimente in fatto di musica! Los a parte. Forse. A che
posto sono i Nirvana e i The Cure nella classifica della tristezza? Oh, i
Norvegesi riescono a stare in vetta a priori.- >>
<< -Intendi dire che esiste una specie di classifica della tristezza?-
>>
<< -Los! Sono le undici e ti stai movendo… il letto sta andando a fuoco?-
>>
<< -Non cambiare discorso. Cioè, tipo, ci sono queste band che si
sfidano… a colpi di tristezza?- >>
<< -…Sì. Vincono quelli che raccolgono più lacrime di sangue dai fan.-
>>
<< -Uha… siete troppo fuori…- >>
<< -…Los, stai male?- >>
<< -Eh?- >>
<< -Mi sembrava un po’… fiacco, questo commento…- >>
<< -…Eh?!- >>
<< -Ho capito, ho capito… ti sei svegliato troppo presto e ora sei una
specie di morto vivente, vero? Dai, torna a dormire.- >>
<< -Ma non ne ho voglia…- >>
<< -Oh santo Cielo. Los!- >>
<< -Lasciami in pace! Neanche mia madre rompe in questo modo!- >>
<< -Lo credo bene, tua madre non è mai a casa!- >>
“Ehm,” cominciò Dodger, incerto sul come continuare e sul cosa
dire. Fece un attimo di mente locale: era fuggito dalla cartoleria e sua moglie
aveva cominciato a dare di matto, dicendo che voleva fare un qualcosa di più
semplice e che non poteva sempre rischiare la vita e altre cose che,
sinceramente, Dodger non ricordava, troppo occupato ad ignorarla e annuire per
comprendere una sola parola.
Aveva così deciso di fare come voleva lei, con una piccola modifica: Gwen
distraeva la vittima e lui sfilava il portafoglio.
Effettivamente non c’era niente da ricapitolare. Tuttavia aveva sperato che,
nel pensare a come fossero andate le cose, Dodger potesse riprendere la sua
proverbiale concentrazione.
Non fu così.
“Mi dispiace davvero disturbarvi ma,
ecco…” Deglutì a fatica,
abbassando la voce nell’avvicinarsi all’uomo, “avverto del nervosismo.”
<< -Oh. Oh sì.- >>
<< -Che sta facendo?- >>
<< -Rischia la vita.- >>
<< -Solo per noi? Sono commosso.- >>
<< -Egli è stata l’unica fonte di divertimento, fino adesso. L’unico
motivo per cui non ho dato all’alcolismo una nuova, emozionante sfumatura.-
>>
<< -Davvero? Bhè, allora tentiamo di rilassarlo. Cantiamo una canzone.-
>>
<< -Los, ti ho già detto che non canteremo. Mai. E poi non conosco
canzoni rilassanti.- >>
<< -Bhè, io sì. Allooora… Oh! Heee’s the one who likes
all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun...-
>>
<< -Los, Los, meglio di->>
<< -Oh giusto! Cosa vuol dire che non mi sopporti quando canto?!-
>>
<< -Nngh! Non ti sopporto! Ti odio! Perché nessuno mi ha avvertito? Si
nasce, si vive, si passano le pene dell’inferno, e poi cosa succede? Si diventa
una specie di baby-sitter per un moccioso insopportabile! Dì ai tuoi genitori
che devono almeno cominciare a pagarmi.- >>
<< -Goth, tu vivi a casa mia. Vivi e
mangi a casa mia.- >>
<< -Cosa credi che faccia una baby-sitter di solito? “Cura i bambini”?-
>>
Dodger strinse i denti, lanciando
supplicanti occhiate verso la sua dolce consorte che, in quel momento, stava
cominciando ad innervosirsi- non era mai stato il suo forte, quello di parlare
con la vittima.
Socchiuse gli occhi, emettendo un gemito strozzato. Quelle due vocine lo
stavano mandando nel panico, non riusciva ad avvicinarsi e, oddio, quanto era
grosso il tizio che dovevano rapinare?
Agitò lievemente la mano destra, tentando di attirare l’attenzione dei due
speaker. “Nervosiiismooo…”
<< -Oh sì, giusto. Ti faccio le mie
più profonde scuse, mito inarrivabile. Cambiamo discorso, Los.- >>
<< -Non è ancora morto nessuno.- >>
<< -In qualcosa che non includa morte e distruzione, Los!- >>
<< -Pensi che oggi il servizio di questo posto sia migliorato abbastanza
da avere una torta entro stasera?- >>
<< -Cioè, le tue scelte sono o morte e distruzione o cibo?- >>
<< -Che altro c’è d’importante?- >>
<< -Dipende da come la vedi. Il tramonto, il cosmo, la scintilla di
speranza nello sguardo di un bambino… sono cose molto carine quando sei un
idealista. Nel mio piccolo, penso che tutto sia ugualmente inutile appena è
toccato da mano umana.- >>
<< -Il che si risolve in cosa? In noi che passiamo qualche minuto in
silenzio a guardarci negli occhi nell’attesa che un dio misericordioso
materializzi una pistola dal nulla?- >>
<< -Bhè, c’è un’emozionante buco, nel muro, chiamato “finestra”. Passando
da quella “finestra” ci sono buone possibilità di ottenere lo stesso
risultato della pistola.- >>
<< -Pensavo fosse un ascensore.- >>
<< -Uno molto veloce, anche. Certo, ci sono un po’ di problemi per
salire, ma per scendere non lo batte nessuno.- >>
Non aveva voglia di andare a scuola.
Sentiva i suoi genitori parlare in cucina e sapeva che sua madre sarebbe presto
venuto a svegliarlo, ma, davvero, non aveva voglia di andare a scuola.
Non ricordava una mattina in cui il suo primo pensiero non fosse stato
‘speriamo che si dimentichino di me e mi lascino rimanere a casa’. Il che,
davvero, era piuttosto deprimente.
Aprì gli occhi per guardare la sveglia (sempre, quando si svegliava, leggeva
l’ora per sperare che fosse troppo tardi per andare a scuola) ma, al suo posto,
si ritrovò a fissare una solitaria buccia di banana marcia che lo osservava.
Curioso.
<< -Goth, lo so benissimo che è una
finestra! È solo che, sai… è… strana.- >>
<< -In che senso è strana, è una finestra!- >>
Quelli non erano i suoi genitori.
Corey si mise seduto, guardandosi attorno con aria vagamente interrogativa. Era
in un vicolo. C’era della spazzatura sparsa attorno a lui. Si sentiva il
vociare della folla, qualcosa che normalmente non sarebbe potuto accadere visto
che abitava in un tranquillo paesino perso nella prateria.
Poi, finalmente, Corey collegò il tutto. Era nel videogioco, e le voci erano
quelle dei due speaker, ed era in un vicolo perché aveva inseguito un tizio che
gli era sfuggito.
Tempo di ricominciare la caccia, quindi.
<< -Ma non vedi che- >>
<< -Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra!-
>>
<< -Che?- >>
<< -Il ragazzino si è svegliato.- >>
<< -Uh… ok…- >>
Ma prima avrebbe mangiato qualcosa. E
magari avrebbe cambiato bersaglio. Non che avesse paura, ma, ecco, preferiva
prima riscaldarsi un attimo.
Così era meglio se cambiava settore. Non aveva voglia di essere riconosciuto
dal tizio della sera prima- che aveva lasciato lì il cappello. Corey aggrottò
la fronte, afferrandolo.
C’era ancora il foro del ‘proiettile’. Il ragazzino sbuffò, ragionando che
appena più in basso e avrebbe concluso la serata in bellezza.
<< -Oh, hai trovato il cappello del
mio mito inarrivabile?- >>
E sentendo queste parole Dodger si rizzò
in piedi, portafoglio in mano e occhi sgranati in un’espressione di
sorpresa.
“Chi ha il mio cappello?!"
L’esperienza assunta dopo anni di lavoro
sul campo non bastò a ricordargli che esclamare qualcosa ad alta voce dietro ad
un tizio il cui portafoglio si trova in bella vista fra le tue mani non è una
bella idea.
L’armadio che aveva appena rapinato, infatti, si girò verso di lui, sorpreso da
quelle criptiche quanto fuori luogo parole, e stava in quel momento
ricollegando ciò che Dodger aveva in mano con ciò che mancava nella tasca dei
suoi pantaloni.
Prima ancora che la vittima potesse mettere tutti i pezzi del puzzle al loro
posto – o che Dodger potesse aprire la bocca per esordire con una scusa – ,
però, Gwen gli diede un preciso quanto potente pugno sui reni, facendolo
ululare di dolore.
Il resto, nei ricordi di Dodger, fu solamente uno scatto di adrenalina e degli
edifici, ai lati della strada, che scorrevano in modo troppo veloce per essere
in un qualche modo identificati.
<< -Ouch.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Ti prego, ripetilo.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Eh!- >>
<< -…Già.- >>
Corey ignorò quei due esseri inquietanti
che continuavano a parlare, relegandoli in un piccolo angolo della sua mente
che, in un computer, sarebbe stato denominato ‘cestino’, e programmò la nuova
destinazione.
Aveva dodici zone a sua disposizione. Quella in cui era in quel momento era di
‘media’ difficoltà, ovvero aveva due personaggi. C’era poi un’altra zona con
tre personaggi- ma non aveva davvero voglia di sforzarsi troppo di prima
mattina.
Così rimanevano due zone facili, ovvero con un solo Pg. Sì, era un buon piano,
partire dal fondo.
<< -Ora che ci penso… hai presente
quel cartone che guardavi una volta, con dei disegni strani e, sai, con due
tizi che commentavano… qualcosa?- >>
<< -Come no, il cartone con disegni strani e due tizi che commentano
qualcosa, come faccio a non ricordarlo.- >>
<< -Yup. Bhè- >>
<< -Los, re degli imbecilli, non so di che stai parlando!- >>
<< -Neanche io so di cosa sto parlando, se lo sapessi ti avrei detto il
titolo, non credi?- >>
<< -…raggiungiamo picchi di intelligenza che servono solo a rendere i
fossati di idiozia ancora più profondi.- >>
<< -Oh sì, erano due personaggi molto stupidi. Molto. Molto molto.- >>
<< -Wow, continui a… Beavis and Butt-head?- >>
<< -…Cosa?- >>
<< -Il cartone, idiota.- >>
<< -…Uh. Sssì… cioè, immagino che, sì… bhè, comunque. Non ci stiamo
comportando come loro, più o meno?- >>
<< -Stai attento. Stai molto attento. La reazione che avrò sarà
determinata dalla tua risposta a questa semplice domanda: è un complimento?-
>>
<< -Ma non lo sssso, cioè, per adesso so solo che commentiamo le cose
come loro e, insomma, in qualcosa siamo simili, no?- >>
<< -Fuoco! Fuoco!- >>
<< -Che ca- >>
<< -Cioè, vuoi dirmi che non l’hai capita?- >>
<< -Ehm?- >>
<< -Esci da questa stanza. Ora. Subito.- >>
Sid aveva, finalmente, trovato un luogo
che potesse interessargli: il negozio di musica.
Per quanto avesse la vaga impressione che spendere soldi per un CD in un
videogioco fosse estremamente stupido, non poteva comunque nascondere il fatto
che due giorni senza musica lo stavano uccidendo dentro. Non che i due speaker
non sapessero intrattenere, ma cominciava a sentirsi a disagio.
Senza contare che, comunque, la musica lo avrebbe aiutato a distrarsi da quei…
sgradevoli pensieri.
“Se figo vuoi apparire un casino devi
soffrire.”
<< -Eh?- >>
<< -Pretendo una spiegazione circa il come diavolo facevi a saperlo. Lo
pretendo! Hai colto una citazione di Lovecraft e va bene, potrebbe piacerti il
macabro. Poi cogli una citazione dei Seigmenn, gruppo norvegese praticamente
sconosciuto alla massa ma, ehi, va bene, d’altronde avevamo già capito che
ciò poteva rientrare nei tuoi gusti. Ma Beavis and
Butt-head? Cosa
c'entra questo con tutto il resto?!- >>
Sid non sapeva realmente come rispondere,
ed il principale motivo per quella mancanza di parole era da cercarsi sul fatto
che stava guardando con sguardo insistente un basso, forse nella vana speranza
che un passante si intenerisse e glielo comprasse.
Quel trucco non aveva mai funzionato quando era un adorabile bambino di dieci
anni, figuriamoci a diciassette.
La triste verità era che Sid preferiva sempre passare le proprie giornate a
casa, facendosi una spaventosa cultura su qualsiasi cosa esistesse di inutile
in quel mondo. Era forse l’unica persona che potesse parlare di Haydn e poi
citare Road House. Il che era, secondo il suo stesso parere, piuttosto triste.
Scrollò le spalle, ricordandosi forse in quel momento che i due speaker gli
avevano parlato, e si affrettò a rispondere.
“Chiedi ad Alice. Penso che lei sappia.”
<< -Alice? Ehi, gente, chi di voi è
Alice?- >>
<< -When logic and proportion have fallen sloppy dead! And the White
Knight is talking backwards, and the Red Queen’s ‘off with her head’!- >>
<< -…White rabbit?- >>
<< -Ooh, hai riconosciuto una canzone della tua giovinezza?- >>
<< -Ciò che mi disturba è che tu l’abbia riconosciuta prima di me. Questo
è un vero e proprio segno dell’Apocalisse.- >>
<< -O, semplicemente, un segno che la tua reattività si è inaridita col
tempo.- >>
<< -Ogni tua parola mi dà l’impressione di un pugno allo stomaco. Sul
serio. È proprio… hai presente, un concentrato di odio puro. E tu continui a
parlare e l’odio dentro di me cresce, cresce, cresce, fino a che, un bel
giorno, il mio stomaco non si squarcerà e un portale collegherà questo mondo al
paese del Terrore. Da lì, mille angeli della morte inonderanno il pianeta con
lacrime di sangue che inaridiranno il terreno, e poveri bambini innocenti
moriranno di fame nel dolore più assoluto. Quando tutti i primogeniti saranno
eliminati, i demoni e gli angeli si riuniranno in un'unica fila e cominceranno
a cantare la canzone che porta la Fine del Mondo.- >>
<< -Perché tu puoi fare tutto sto casino e io non posso nemmeno finire di
esporre la mia idea sulle persone che si scarnificano l’un l’altro usando solo
le proprie nude mani, scavando poi nel teschio utilizzando una costola-
>>
<< -Perché io detengo il portale del Terrore.- >>
<< -E io ho la Villa della Felicità Giocosa. Come la mettiamo?- >>
<< -Un giorno, tutti saranno annichiliti dal piano del Terrore.- >>
<< -Fino a quel giorno, tu continui ad abitare nella Villa della Felicità
Giocosa.- >>
Forse, sembrava ragionare Sid, forse
avrebbe potuto comprare il basso. Non doveva essere un’idea troppo idiota,
d’altronde non aveva molto altro da fare. E poi avrebbe potuto guadagnare un
po’ di soldi suonando per strada, il che era pur sempre una soluzione.
Sid schioccò la lingua, battendo la punta dello stivale contro la strada,
tentando di decidersi. Quel basso era favoloso, ma era in una realtà virtuale e
per quanto ne sapeva stava per morire. Non sarebbe stato quantomeno stupido
fare una simile compera?
Sbuffò, lasciando cadere la propria testa sul petto, quasi pensare richiedesse
troppa energia per potersi tenere dritto.
“Ehi? Ehi?”
Per pochi, irrazionali secondi, una vocina
dentro Sid esplose in un grido di gioia. Poteva sentirla strillare ‘sì, sì,
qualcuno si è fermato! Comprami un basso, misterioso benefattore!’- il che
era abbastanza patetico, visto che la sua parte più razionale della sua mente
sembrava non avere dubbi circa il fatto che nessuno si sarebbe mai fermato a
fargli un regalo.
“Perfetto. Vorrei farle sapere
che sto per pwnarla. Ka-ching!”
Pwnarla. La sua mente era stata nuovamente violentata.
<< -Oddio, sta succedendo qualcosa?
Sarebbe una novità.- >>
<< -Ooh. Potrebbe formarsi un portale spazio-temporale formato da pura
sorpresa.- >>
<< -Dove porterebbe un portale spazio temporale in un videogioco?-
>>
<< -In un antivirus.- >>
<< -…Prego?- >>
<< -Antivirus. La meta ultima dei cybernauti.- >>
<< -Un giorno il buco nero che è nella tua testa ci distruggerà tutti.-
>>
Il ragazzo che stava per eliminare aveva
fatto un movimento strano, come fosse scosso da un brivido. Qualcosa, dentro
Corey, sembrò illuminarsi: adorava instillare paura nei piccoli n00b che si
trovava a tiro.
Il tizio gli stava ancora dando le spalle- un grave errore, davvero. Corey non
era il tipo di aspettare di trovarsi a faccia a faccia con il nemico. A dire il
vero, tutto il discorso che aveva fatto all’inizio era estremamente fuori
carattere, per lui. Prima spara, poi parla- o, al massimo, spara mentre
parli.
Tuttavia quella era una situazione straordinaria e Corey si sentiva di
buon’umore, quindi avrebbe atteso una risposta dal tizio con i capelli tinti di
biondo e con quei vestiti che sicuramente avevano visto dei momenti migliori.
Curiosamente, ciò gli era familiare.
“Che
fantastico modo di morire. Ucciso da un baby-killer del linguaggio nella più
noiosa delle vie di un videogioco.”
Il ragazzo, che era riuscito a mantenere
un tono freddo fino alla fine della frase, si lascio sfuggire una risatina
nervosa.
“La la la la la, lie lie lie…”
Curiosamente, quell’incredibilmente
disturbante strofa gli era familiare.
<< -Non sta veramente bene con la testa, comunque.- >>
<< -Non vedo come tu possa dire una cosa del genere, visto che
probabilmente sai anche cosa sta cantando.- >>
<< -…Devo ammettere che mi dispiacerà non poter più fare citazioni ignote
con qualcuno che finalmente le capisce.- >>
<< -Potremmo farci una maglietta.- >>
<< -Inserisci citazione ignota qui?- >>
<< -Non c’è citazione più ignota di questa citazione?- >>
<< -Lo sai qual è la differenza fra me e te? Io, con questa citazione,
sono uno schianto.- >>
<< -Stai citando una citazione usando una citazione? Ehi, neanche questa
sarebbe male, come maglietta.- >>
<< -Tornando a noi, non che tifi per l’uno o per l’altro, ma avresti
potuto sparargli cinquanta volte, bimbo.- >>
<< -Forse sta avendo un flashback.- >>
<< -Ciò che mi spaventa è che potrebbe anche essere vero.- >>
Sid si rese conto che, effettivamente, non
era ancora morto. Non si faceva molte illusioni, fra un po’ sarebbe morto, ma
c’era comunque da dire che quell’indecisione – se di ciò si trattava – era
comunque insolita.
Si voltò, lentamente, temendo che fissare negli occhi il tizio potesse dargli
la decisione che aveva bisogno per sparare: fortunatamente, così non fu.
All’inizio Sid si limitò a prendere atto che c’era un bambino, di fronte a lui.
C’era di buono, se così si poteva dire, che prima aveva indovinato- era
un ragazzino. C’era poco da festeggiare, comunque, contando che il suddetto
bambino gli stava puntando addosso una pistola piuttosto strana.
Poi si trovò a guardarlo negli occhi,
sbarrati per la sorpresa, e un’ombra di riconoscimento cominciò a farsi avanti
nella sua mente. Lo conosceva, anzi, era sicuro di aver visto quel bambino, ma
dove…?
Strabuzzò gli occhi, incredulo. “Corey?
Che ci fai qui?!”
<< -Non mi piace questa cosa del
sapere i nomi delle persone. Sapere il nome è il primo passo verso
l’affezionarsi.- >>
<< -Ah sì? Quindi saresti affezionato a me?- >>
<< -…Goth è il tuo vero nome?- >>
<< -…Mi piace sempre pensare che tu abbia una profondità di fondo. A
volte ho questa idea che tu stia realmente pensandoci, che sia una sorta
di filosofia… poi la realtà subentra e di nuovo mi ritrovo a strisciare nel
letame.- >>
<< -Qualcuno è di buon’umore, oggi.- >>
Corey arretrò. Un gesto più che altro
istintivo, in quanto il ragazzino era fermamente convinto di non avere paura di
Sid. Insomma, come avrebbe potuto aver paura di Sid, era solamente il suo
baby-sitter.
Quindi no, non era spaventato. Ovvio che non lo fosse. Perché mai avrebbe
dovuto? Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento, solo che… non ne aveva
voglia. Ecco tutto.
“Ah, uh, ehi. Sid. No. Cioè,” Corey scosse la testa, tentando di
riportare un ordine logico ai propri pensieri, “non mi hai visto.”
<< -All together now: non hai visto
niente! Rosabella era la sua slitta! La torta è una bugia!- >>
<< -Oh, sì, certo. Non sia mai che Sua Idiozia possa mantenere una
parvenza di senso per più di cinque secondi.- >>
C’era di buono che gli speaker lo stavano
commentando, quindi non era tutto un frutto della sua immaginazione.
Il che, davvero, non aiutava particolarmente Sid. In quel momento poteva
solamente guardare Corey giocherellare frettolosamente con una specie di
orologio - quel che era – e chiedersi come fosse possibile che i
genitori del ragazzino, particolarmente tirannici per quanto riguardava i
computer, gli avessero dato il permesso di saltare giorni di scuola per
partecipare a quel videogioco.
“Cos…” Sid si bloccò, rendendosi conto di avere troppi pensieri
per la testa per poterne esprimere soltanto uno- non stava aiutando poi la
pistola che, per quanto prometteva di non dover essere utilizzata, il ragazzino
continuava a tenere in mano. “Uh, aspetta, Corey, cosa ci fai…”
E Corey scomparve.
<< -Puff!- >>
<< -Ti ho già detto che non faremo i rumori di sottofondo!- >>
<< -…Te-te-teeen.- >>
Ci mise alcuni secondi per convincersi che
sì, Corey era davvero scomparso di fronte ai suoi occhi. Una realtà piuttosto
agghiacciante da considerare quando sapeva di non aver preso l’ultima pillola.
O forse l’aveva presa? No che non l’aveva presa. O forse sì?
Sid ficcò in fretta la mano destra nella tasca dei pantaloni, cercando
disperatamente la pillola.
<< -Ad ogni modo, fantastico. La
nostra unica fonte di divertimento è di nuovo scomparsa. Era un po’ troppo, in
effetti, richiedere un po’ d’intrattenimento che durasse più di cinque
secondi.- >>
<< -Goth, non posso fare a meno di sentire una distorsione della Forza,
quando parli…- >>
<< -Di che stai parlando?- >>
<< -Uh… mettiamola così. Se tu l’avessi chiesto con lo stesso tono ad un
camionista, il camionista si sarebbe rannicchiato in un angolo a piangere.-
>>
Dodger, sdraiato su una panchina con gli
occhi chiusi, fece un breve cenno con la testa.
“Vero. Stai inondando l’aria di nervosiiismo.”
E Dodger, che era da poco riuscito a
tranquillizzarsi, non aveva bisogno di nervosismo. L’unica cosa di cui aveva
bisogno era il suo cappello, così almeno poteva coprirsi il volto e
addormentarsi in pace, ma purtroppo non si era ancora trovato.
Tamburellò con le dita sull’addome, chiedendosi, per qualche istante, se ci
fosse ancora, il suo cappello. Il bambino poteva averlo bruciato.
Piccolo moccioso infame, fu l’istantaneo pensiero di Dodger.
<< -Fra un po’ inonderai l’aria di sangue.- >>
Dodger aggrottò la fronte, perplesso. “Ehi,
da quando minacciate i-”
Prima di poter terminare la frase scattò
seduto. Era stata una reazione completamente involontaria, apparentemente
causata da nessuna ragione.
Per qualche istante, Dodger si limitò a pensare che fosse solamente colpa di un
qualche strano bug del sistema e che non vi fosse nulla di cui preoccuparsi:
poi un pugno gli volò contro e il pover’uomo fece appena in tempo a coprirsi la
testa con le braccia.
“Razza! Di! Idiota!”
Il fatto che la voce e i pugni
appartenessero alla moglie non tranquillizzavano per nulla Dodger, che, anzi,
si rannicchiò su se stesso, terrorizzato.
Che cosa aveva fatto? Non ne aveva idea. Aveva cominciato a correre, prima, e,
certo, doveva averla persa di vista, ma non poteva essere quello il motivo per
cui…
Oddio. Era quello il motivo per cui.
<< -E questo manda al diavolo tutti
i miei pensieri su quanto carini fossero.- >>
<< -Bhè, lei è carina. Lui… forse non lo sarà più tanto.- >>
<< -Fra parentesi, appena questo videogioco tocca il mercato, noi siamo
molto arrestati.- >>
<< -Guardando il lato positivo, un sacco di femministe verranno a
supportarci.- >>
Meredith scostò una ciocca di capelli
color del sole del mattino in una giornata di primavera dagli occhi blu mare
profondo sotto il cielo di San Lorenzo in Russia. In quel momento si sentiva
positivamente splendida, con le sue curve al posto giusto sottolineate dai
comodi quanto trasgressivi abiti firmati.
Era, insomma, in pace con il mondo. Sentiva di poter perdonare quei due
speaker, anche se erano incredibilmente rudi e molto maschilisti, come poteva
perdonare tutta la gente che non le prestava sguardo e come voleva perdonare
quella donna che aveva incontrato il giorno prima, la donna quasi
avvenente come lei, per averla abbandonata. Non era colpa loro, e solo in quel
momento, con quella borsa di Armani sotto gli occhi, al di là della vetrina,
Meredith riusciva a rendersene conto.
<< -Goth, gioisci! Abbiamo ritrovato
il bambino!- >>
<< -Voi due, in compenso, avete perso la bambina.- >>
<< -Spero non abbiano mai un figlio. Sapere dov’è il pargolo è una di
quelle cose che le donne, curiosamente, guardano, quando devono decidere se
chiedere il divorzio o no. Comunque, eccolo là!- >>
Corey era infuriato. Era cominciata la
giornata e l’unica persona che avrebbe potuto uccidere era stata Sid, ovvero
qualcuno che poteva riferire ai suoi genitori che non era a casa di
amici, ma stava bensì provando un videogioco.
Quindi se Sid usciva dal gioco sarebbe, probabilmente, andato a riferire ai
suoi genitori che cosa il figlio aveva fatto per quei due giorni. Ed, oltre a
quello, non aveva ucciso nessuno.
Corey era ragionevolmente infuriato. E quando vide, di fronte a sé, una
biondina che guardava con sguardo assente e sorriso incomprensibile una
vetrina, decise che si sarebbe sfogato su quell’inutile ragazza.
<< - Morte time!- >>
<< -Come sei sopravvissuto fino ad adesso senza nessuno che morisse per
il tuo solo divertimento?- >>
<< -Bhè, qualche volta avevo questo assurdo desiderio di scrivere storie
su gente che moriva per motivi assurdi…- >>
<< -Uno dei primi segni degli psicopatici.- >>
<< -Assieme all’uccidere scoiattoli.- >>
Se c’era una cosa che Corey doveva ricordarsi,
quella era di trovare un codice per diminuire il volume. Poche cose come due
speaker riuscivano a rovinare un attacco a sorpresa.
La ragazza si voltò verso di lui, quasi sentendo che qualcosa non andava, e lo
vide mentre le puntava contro una pistola.
Una situazione invero imbarazzante.
“Sparisci,
infimo moccioso.”
Il sopracciglio sinistro di Corey si alzò
di ben un centimetro a tale frase.
Abbassò lo sguardo verso la propria pistola, tanto per essere sicuro che, sì,
era una pistola e sì, era puntata contro la ragazza. Quindi, se l’arma esisteva
ed era puntata contro la ragazza non rimaneva altra possibile scelta se non
l’aver sentito male.
“Sparisci. Voglio rimanere qui ed essere
in pace con il mondo.”
<< -Ehi, Jerome, ma sei proprio
sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide.- >>
<< -…Scommetto che il drogatello sa di cosa stai parlando.- >>
Sid schioccò la lingua, scrollando
leggermente le spalle.
“Preferirei,
amici miei, dimenticare tale losca avventura: i compagni di viaggio tendevano
dimenticare le più basilari regole di convivenza, e, per favore, tacciamo del
cane.”
<< -Aah, non ci posso credere!-
>>
<< -Mai come questo momento mi sono sentito così investito da energie Nerdiche.-
>>
La ragazza era strana e probabilmente
nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Non c’erano motivi per cui Corey non
potesse spararle subito.
Eppure c’era qualcosa che lo bloccava, qualcosa che non riusciva ad afferrare.
Gli sembrava – ma forse era solo una sua impressione – che la zona si fosse in
un qualche modo incupita, come se qualcosa avesse coperto il sole. Il che era
ridicolo, perché fino a cinque minuti prima non c’era una nuvola, in cielo.
“Sei così
morto. Davvero. Punta la pistola su di me per altri cinque secondi e tu sei
morto.”
Non era solo una sua impressione.
Tutto era divenuto più scuro e gli NPG erano strani. Sembravano
scomparire e ricomparire, come fossero immagini di un film rovinato, e
continuavano a cambiare. Erano piccoli dettagli, ma Corey non poteva fare a
meno di notarli. Gli occhi degli NPG cambiavano colore, passando per tutte le
gradazioni possibili; alcune piccole imperfezioni – tipo un neo sulla guancia –
scomparivano; le ragazze sembravano diventare più avvenenti con il passare dei
secondi. Senza contare che - Corey socchiuse gli occhi, tentando di capire se
fosse vero oppure stesse solo immaginandoselo - gli NPG indossavano tutti vestiti
di marca.
<< -I cinque secondi sono passati e
la maledizione secolare è ora su di te. Se guardi alla tua destra puoi vedere
la Morte: alla tua sinistra, invece, puoi vedere il ristorante cinese ‘mangia o
muori’. Volevano scrivere ‘mangia o togliti dalla vetrina’, ma mancavano i
soldi. Trovo che la scelta sia, ora, molto più semplice.- >>
<< -Vorrei dare una risposta pungente, ma per adesso preferisco
prendere atto del fatto che Los ha fatto un discorso con più di cinque parole
senza che gli esplodesse la testa.- >>
<< -Hai un’opinione ingiustificatamente bassa di me.- >>
<< -Sì sì, ora vai a mangiare la vernice.- >>
Corey emise un leggero ringhio, colto
impreparato da quella valanga di idiozie che gli speaker, secondo lui,
continuavano a spargere- senza rendersi conto, così, che la ragazza stava per
saltargli addosso.
<< -Bella forza, anche io sono
capace di predire che qualcuno morirà e poi ucciderlo.- >>
<< -No, tu non lo sei. Schioccheresti le dita e due camerieri di cui tu,
ovviamente, non conosci il nome, procederebbero a ucciderlo.- >>
<< -Non è la mano che commette il gesto che devi guardare, quanto quella
che le da lo stipendio a fine mese.- >>
<< -Los, ho una notizia speciale per te: quei soldi non sono tuoi. Sono
di tuo padre. Un padre estremamente magnanimo, in quanto io ti avrei
sacrificato alla prima partita di Dungeon’s and Dragons.- >>
Se Corey non fosse stato troppo occupato a
lottare per la sua vita avrebbe sicuramente strillato di gioia nel sentir
nominare il suo gioco preferito: purtroppo era occupato a lottare per la
sua vita, quindi relegò nuovamente le parole degli speaker in un posto non
troppo privilegiato della sua mente, tentando disperatamente di immettere il
codice adatto per fuggire. Non facile, contando che la ragazza stava
probabilmente tentando di strappargli gli occhi con le unghie- non si capiva
perfettamente, sapeva solo che stava mirando il volto.
<< -Hm-hm, la cosa mi ferisce
profondamente. Comunque, a quanto pare il nostro bassista aveva ragione: queste
risse sono interessanti solo se fra donne.- >>
<< -Il tuo bassista non era quel tizio che è stato arrestato per
molestie?- >>
<< -…Mi chiedevo che fine avesse fatto.- >>
Meredith non capiva cosa fosse successo,
sapeva solo di aver rovinato le proprie unghie, quelle unghie appena smaltate,
nel tentativo di uccidere il ragazzino e il ragazzino era scomparso.
E quello la rendeva molto, molto, molto nervosa.
E l’unico modo per far passare quel nervoso era lo shopping. Tipo, quella
splendida borsa di Armani…
<< -Ti rendi conto che io so dov’è
finito un tuo compagno di band mentre tu non ne hai idea? Non ti dà un
qualche dubbio?- >>
<< -Sì, uno… dove sono finiti i sei bassisti che sono venuti prima?-
>>
<< -…Erano cinque, Los. Il terzo aveva solo cambiato pettinatura.-
>>
<< -Oh. Bhè, dove sono finiti?- >>
La prima cosa che Corey decise, appena
materializzato in uno spazio relativamente pacifico e senza una ragazza fuori
di testa che voleva scarnificargli il volto, fu di creare un altare celebrativo
per quel piccolo computerino che aveva costruito e che gli aveva salvato la
vita.
La seconda cosa fu di prendere una pistola e sparare all’indirizzo dei tre
ignari Personaggi Giocanti, preso da furia omicida e carico di stress che,
semplicemente, doveva sfogare in un qualche modo.
<<
-Uno se n’è andato perché diceva che eravate degli incompetenti da paura. Non
ho mai provato una reale pena per te, ma ho davvero odiato quel tizio: era la
prova vivente che al di sotto di una certa età gli esseri umani andrebbero
costretti ad avere una zip alla bocca. Il secondo era un tizio eccessivamente
rilassato, doveva essere sotto costante marijuana. Credo che ad un certo punto
si sia solo scordato di venire. Il terzo aveva manie da rockettaro e si
divertiva a distruggere cose, il che lo ha portato ad un richiamo della
polizia. La quarta ti ha mollato.- >>
Non fosse stato per il grido inumano che
il ragazzino aveva emesso prima di sparare come un pazzo, Nicolas sarebbe stato
sicuramente morto. E probabilmente anche suo fratello. Ma quello era un altro
conto.
Il ragazzino aveva sparato, mirando contro di loro: Nicolas era abbastanza
sicuro di non essere nella traiettoria, ma abbastanza era una di quelle
parole che raramente portavano alla sopravvivenza.
Così era scattato verso la destra, dimenticando la bambina. E sì, anche Oliver,
ma soprattutto la bambina- gli sarebbe davvero dispiaciuto, se questa fosse
morta per colpa sua.
Fortunatamente il fratello aveva avuto il tempo di prendere la bambina e
trascinarsela dietro nella sua folle corsa verso la salvezza- salvezza che
credeva a sinistra, ovvero da tutt’altra parte rispetto a quella di Nicolas. Il
che dava, secondo i calcoli di quest’ultimo, un cinquanta per cento di
possibilità che il ragazzino lo seguisse- cosa incredibilmente seccante.
<< -Uh… mentre stavamo parlando
della storia della mia emozionante band ci siamo persi un po’ di azione. In cui
nessuno è ancora morto. Questo è veramente deludente.- >>
<< -Ad un certo punto cominci ad abituarti alla delusione e questa,
semplicemente, non ti tocca più.- >>
<< -Senti, posso immaginare che tu sia stato amico intimo di Nietzsche,
ma potresti per favore smetterla di tentare di portarci tutti al suicidio?-
>>
<< -…Tu sai come si pronuncia Nietzsche? Tu sai chi è?!- >>
Sentiva di voler mitragliare i loro miseri
corpi fino a quando non fosse rimasto altro che una poltiglia informe di carne
ed ossa. Quella era una sensazione che provava solamente quando il suo computer
si bloccava nel bel mezzo di una quest vitale in Impending Doom II ed era
evidente che doveva riavviare, cosa che avrebbe portato a perdere cinque
preziosissime ore di gioco.
Una rabbia devastante, insomma, che solo sua madre riusciva in un qualche modo
a contenere.
Tuttavia la genitrice non sapeva neanche che lui fosse là, quindi Corey, ben
lungi dal calmarsi, si limitò a sparare ripetutamente in direzione di quello,
fra i tre, che indossava un cappello- cappello, fra l’altro, che gli scatenava
altri assolutamente ingrati ricordi che nulla facevano per sedare la sua
rabbia.
Così l’adolescente sarebbe sicuramente morto, se solo non fosse stato così
maledettamente… sgusciante. Procedeva in modo imprevedibile,
abbassandosi e poi saltando a destra, ondeggiando a sinistra, facendo di tutto
per non prendere un solo proiettile.
Oh, quello era veramente seccante. Avrebbe dovuto creare proiettili che si
dividevano in tanti frammenti, così da poter dominare un raggio più ampio. Non
doveva essere tanto difficile.
Corey ringhiò quando l’ennesimo proiettile mancò il bersaglio, e stava per
sparare un’altra volta quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Fu questione di un attimo, a dire il vero. Un’immagine che come era comparsa se
n’era andata. Tuttavia era così orribile, così incredibilmente perversa
che quel semplice attimo bastò a farla imprimere a fuoco nella sua mente- e,
Cielo, lo sapeva che quella cosa l’avrebbe inseguito nei suoi incubi.
Puntò la pistola verso l’alto, piegando la
testa d’un lato nel vago tentativo di razionalizzare. Quella… cosa orribile
non poteva essere stata solo un parto della sua mente. Miseria, non poteva
essere così perverso. Ma se non era solo sua immaginazione, allora che era
stato?
Si guardò attorno, socchiudendo gli occhi. Gli NPG apparivano normali- non
troppo perfetti, non sembrava che i seni stessero per scoppiare, e i loro
vestiti non erano firmati Gucci. Erano piuttosto anonimi.
Forse un po’ troppo anonimi.
In quel momento un qualcosa che no, non era assolutamente panico, lo
assalì: avrebbe sudato freddo, se fosse stato possibile farlo in quel momento.
Era solo che aveva la strana impressione che fossero tutti strani, quegli NPG.
Ostili, poteva essere, ma soprattutto inquietanti. Ciò che lo preoccupava era
che non c’era una reale ragione per cui potessero esserlo: da quanto vedeva
erano tutti normali. Tutti, in un qualche spaventoso modo che Corey non
riusciva ad afferrare, uguali- anche se, fisicamente, non lo erano.
Non erano tutti uguali, tentò di ricordarsi. Lì guardò, uno a uno.
C’era chi era nero, chi aveva i capelli biondi, chi aveva le lentiggini, chi
aveva la bocca-
Corey trasalì, arretrando di qualche passo, inorridito. L’NPG stava
scomparendo, stava per entrare in un pub ma ne era sicuro, l’aveva visto-
Aveva la bocca cucita.
<< -Nietzsche, sì. So come si legge.
Come si scrive è tutt’altro conto…- >>
<< -Che tu sappia scrivere è un miracolo di per sé.- >>
<< -Goth, sei così… stancante.- >>
In un altro quadrante, pochi attimi dopo.
Da quanto diceva il computer, quel quadrante era deserto: se c’era qualcosa che
non andava, allora lì l’avrebbe sicuramente visto.
Corey si guardò attorno, tentando di registrare quante più informazioni
possibili e notando, con suo grande sollievo, che nessuno aveva la bocca
cucita. Era un grande passo in avanti: se non nel capire cosa stesse
succedendo, di sicuro per la sua sanità mentale.
<<
-Bambino, hai intenzione di smetterla di saltare di qua e di là oppure dobbiamo
cominciare a scommettere sul dove comparirai la prossima volta?- >>
<< Senza contare che, davvero, non puoi costringerci a cercarti in ogni
quadrante.- >>
<< -Giusto, lo sai che cosa è successo l’ultima volta che Los ha usato il
cervello? Vuoi veramente distruggere il mondo?- >>
Ed ecco che “togliere il volume agli speaker”
scivolava velocemente al primo posto della sua lista di cose da fare.
Corey ringhiò qualcosa a quell’NPG che stava ridendogli in faccia prima di
tornare a guardarsi attorno, cercando qualcosa che fosse strano.
Una ricerca vana, a dire il vero: tutto sembrava abbastanza normale, anche se
qualcosa, in sottofondo, continuava a limare con costante pazienza i suoi
nervi.
Non riusciva perfettamente a capire cosa- era un rumore che non riusciva ad
attribuire a qualcosa. Il che era strano, perché era piuttosto sicuro di averlo
già sentito.
Chiuse gli occhi, riuscendo a malapena ad ignorare quella risatina che, ne era
sicuro, era rivolta a lui, e tentò di concentrarsi su quell’odioso,
fastidiosissimo rumore di sottofondo.
<< -Secondo te perché chiude gli
occhi?- >>
<< -Forse deve azionare la Forza?- >>
<< -Ti immagini se gli viene un attacco d’asma?- >>
<< -Noi siamo qui a sognare Darth Vader mentre la triste verità è che…
che…- >>
<< -Se vuoi piangere avvertimi, ho sinceramente paura delle tue lacrime.-
>>
Una fotocopiatrice. Era il suono di
una maledettissima fotocopiatrice. Che diavolo ci faceva quell’aggeggio
malefico lì? E da quando era così irritante?
Corey scrollò le spalle, aprendo gli occhi e tornando a digitare qualcosa nel
computer al suo polso: non era al livello di ‘gente con la bocca cucita’,
ma era comunque qualcosa di strano.
Avrebbe dovuto andare in un altro quadrante e vedere com’era la situazione –
quello era il suo piano, in effetti - , ma una risatina lo riscosse, ridestando
parte di quella furia che si era svegliata, pochi minuti prima, al cospetto dei
tre tizi.
Era nervoso, non aveva ancora ucciso nessuno e non aveva intenzione di sentire
pure un NPG ridergli addosso.
Quindi si voltò, pronto a sparare- senza però trovarsi di fronte nessuno.
<< -Hhhm? Che stai facendo, si può
sapere?- >>
Corey aggrottò la fronte, perplesso. Per
quanto fosse evidente che non c’era nessuno, non poteva comunque credere di
essersi immaginato quella risatina: era stata, semplicemente, così reale che
aveva sentito l’impulso di voltarsi e crivellare di colpi chiunque avesse avuto
la triste idea di prenderlo in giro.
Aveva cominciato, poco a poco, a
convincersi che forse – forse – la risatina era stata solo un frutto
della sua immaginazione quando questa si fece sentire, di nuovo, alle sue
spalle.
Si voltò, più sorpreso che realmente infuriato – anche se prometteva di
ristabilire l’equilibrio appena scoperto chi lo stava prendendo in giro
– solo per rischiare un infarto quando si rese conto che non era solo una
persona a ridere, ma un intero gruppo di NPG.
<< -…Goth, c’è qualcosa di buffo nel
ragazzino?- >>
<< -A parte il fatto che ha una specie di pistola giocattolo
lanciamissili?- >>
<< -Bhè, no. Intendo dire, qualcosa per cui lo guarderesti e scoppieresti
a ridere.- >>
<< -Trovo esilarante l’idea che stia per friggersi il cervello grazie
alla pubertà.- >>
<< -Io pensavo più all’altezza. È piccolino. È Piccolino mcPicciol. E
bassissimo. Ehi, sei proprio tu Puffo Inventore?- >>
La risata degli speaker non lo
stava aiutando.
Corey non riusciva ad immaginare cosa ci fosse di così divertente, in lui: e
anche se a monte di quelle risa una ragione c’era, bhè, non lo sopportava
comunque. Avrebbe potuto cancellarli tutti immettendo un semplice codice, non
avevano il diritto di prenderlo in giro.
Alzò la pistola, puntandola contro la folla – non valeva la pena sceglierne uno
specifico, l’importante era che capissero la lezione e stessero zitti - :
nessuno sembrò notarlo.
Di nuovo, la sgradevole sensazione che, forse, non stava realmente puntando
un’arma si impossessò di lui.
<< -Mi chiedo perché non stia
sparando. Intendo dire, cosa sta aspettando, il permesso dei genitori?-
>>
<< -Questa è la tua risposta a tutto, vero? Solo… “spara al problema”.-
>>
<< -Uuuh… ssì… Senti, sai dirmi l’esatto momento in cui questo videogioco
si è trasformato in una seduta per coppie in crisi?- >>
<< -…hhhnf…- >>
<< -No, la so, la so… ‘se mi ascoltassi, qualche volta, lo sapresti!
Invece con te è sempre e solo lavoro, lavoro, lavoro!’- >>
Sparò due colpi, che, ne era certo,
portarono alla morte di un uguale numero di NPG. Il loro sangue aveva persino
macchiato qualcuna delle altre persone attorno a loro, miseria, era sicuro
che fossero morti.
Eppure nessuno sembrò farci caso. Corey sgranò gli occhi, spostando lo sguardo
dai due cadaveri al gruppo che continuava a guardarlo e ridere, e per qualche
secondo pensò che fosse solo un sogno. Un incubo, forse. Un incubo
esageratamente surreale ed incredibilmente inquietante.
“…Oh, al diavolo.”
<< -Di fronte alle difficoltà della
vita, sparisci. Sparisci. E ti ritorna il sorriso.- >>
<< -Oh, siamo educativi, oggi.- >>
Nicolas non riusciva mai a capire per
quale motivo Oliver fosse sempre così imbronciato. Tornava indietro dalla sua
piccola fuga e lui era sempre lì, pronto a ringhiargli contro e a lanciargli
occhiate di puro odio senza che avesse mai fatto qualcosa per meritarsele.
Tuttavia a Nicolas non importava molto. Una delle poche cose su cui poteva
sempre contare, nella sua incerta vita fatta di figuri malfidati, era che suo
fratello sarebbe sempre stato abbastanza idiota da rimanergli accanto: fosse
imbronciato o allegro, bhè, non faceva alcuna differenza.
La bambina godeva di ottime condizioni, o almeno così sembrava ad uno sguardo
superficiale. Era probabile, a dire il vero, che fosse in un qualche modo
strana, ma a dirla tutta Nicolas aveva più paura dell’orsetto che questa
stringeva al petto.
“Odioso
bastardo. Continua a scappare, continua. Verrà il bel giorno che inciamperai.
Vediamo se un branco di cani feroci non banchetterà con i tuoi resti.”
Nicolas si corresse: Oliver era un
pochettino più spaventoso.
Non riusciva realmente a capire se quelle parole, mormorate a bassa voce,
fossero un semplice mantra, se lo stesse minacciando oppure se il gemello
stesse pensando ed, effettivamente, non sapesse che stava parlando.
Tutte ipotesi egualmente agghiaccianti.
<< -Uff… Ok, ricognizione generale.-
>>
<< -I due sposini sono… hm… sono… occupati…- >>
<< -Ancora? Involtino al mandolino di crema e cedro, ma fai così anche
nella vita reale? Qualcuno chiami la polizia!- >>
<< -Non credo sarebbe una buona idea, intendo dire, probabilmente
metterebbero dentro anche lui e sai se li mettono in cella assieme?- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -…Ghgh!- >>
Così qualcosa di sbagliato c’era,
evidentemente. Qualcosa che avrebbe potuto anche essere colpa sua- anche se ne
dubitava fortemente.
Tuttavia era evidente che per aggiustare l’anomalia doveva collegarsi al
videogioco. Per farlo doveva usare un internet point che era, ovviamente, nel
quadrante con tre persone- proprio quelle tre persone che aveva attaccato e che
probabilmente non si erano dimenticate di lui, già.
Il piano A di Corey era comparire e correre via prima che uno dei tre lo
riconoscesse, così da non dover perdere tempo con inutili ‘sentite, c’è solo
questo piccolo problema quindi se poteste lasciar perdere il fatto che vi ho
ucciso fino a che non l’ho risolto ve ne sarei molto grato’. Il piano B era di
sparare ai tre maledetti rompiscatole in caso avessero fatto resistenza.
Purtroppo, quando si materializzò nel quadrante non ebbe il tempo né per il
piano A né per il piano B: i tre, infatti, erano di fronte a lui, stavano
camminando verso di lui e sembravano discretamente inferociti.
“Oh, credimi. Ti squarterò e con la tua
pelle farò- aspetta un secondo.”
Uno dei due gemelli – quello senza
cappello – lo vide per primo e lo sguardo che gli rivolse avrebbe potuto
uccidere un povero innocente.
<<
-Poi ci sono i due gemellini… Oh. Ehi, bambino.- >>
<< -Ma tu guarda questi bambini, li ritrovi sempre nell’ultimo posto dove
vorresti guardare.- >>
Corey aveva già alzato la pistola e
l’aveva puntata verso i due gemelli, giusto per precauzione. Non aveva
realmente voglia di sparargli, voleva solo tenerli lontani da lui.
Piegò la testa d’un lato, notando, in quel momento, che a dire il vero poteva
semplicemente prendere un sacco di tempo e farli fuori tutti e tre: questi,
infatti, anche se continuavano a guardarsi attorno alla ricerca di una via di
fuga non sembravano essere riusciti a trovarne una ed erano immobili di fronte
a lui.
Sarebbe stata un’idea geniale, se solo non gli fosse venuta così in ritardo.
Nicolas portò una mano al cappello, osservando con estrema attenzione il modo
in cui l’espressione del bambino mutava: dapprima completamente terrorizzata,
sembrava rilassarsi sempre di più, fino a quando non fece un piccolo ed
inquietante ghigno.
Che cosa la perfida mente del moccioso stesse architettando, Nicolas poteva
solo immaginarlo: sapeva solo di non essere armato e di essere, quindi,
probabilmente alla fine della sua avventura.
Le sue dita affondarono nella stoffa della fedora, stringendola.
C’erano poche cose che Nicolas amava: una
di quelle era il suo cappello.
Tuttavia il sedicenne era arrivato ad uno stato di saggezza, principalmente
ladresca, che bisognava essere capaci di sacrificare tutto, anche ciò che più
si amava, per quel grande obiettivo che era il continuare a vivere. E
non c’erano rimorsi di coscienza che valessero quando, cinque minuti dopo aver
fatto il suo sacrificio, si ritrovava vivo, vegeto e fuori dalla prigione: una
tripletta, quella, che poteva tirarlo su di morale in qualsiasi situazione.
Così, quando capì che il moccioso infame stava per sparargli contro, Nicolas
non ebbe alcun dubbio su cosa fare.
Lanciò il cappello verso il bambino:
questo, fedele alla sua parvenza di grande cacciatore, sparò alla fedora un
paio di volte, convinto, come solo il panico riusciva, che quel povero straccio
potesse in un qualche modo ucciderlo.
Oliver non aveva mai bisogno di farsi
spiegare il piano. Lo capiva, era semplicemente ovvio.
Nicolas aveva distratto il bambino, ma quella era solo la prima azione, lo
sapeva. Il fratello creava piani così semplici, così elementari: Oliver avrebbe
sicuramente saputo fare di meglio, se solo l’altro non avesse continuato a
batterlo sul tempo.
Il bambino era distratto, ma sarebbe durato poco: probabilmente, avendoci preso
gusto, sarebbe passato direttamente a sparare contro di loro. Anche quello era
ovvio.
Ciò che doveva fare, quindi, risultava istintivo: doveva solo gettarsi su di
lui e colpirgli la mano che teneva la pistola, così da disarmarlo.
Era così semplice che riuscì a farlo prima ancora di averlo
pensato.
<<
-Non è un po’ ingiusto? Intendo dire, sono due contro un bambino.- >>
<< -Il bambino però ha la pistola.- >>
<< -Ok, quindi, uh, esiste una specie di aritmetica di guerra? Tipo,
bambino più pistola è uguale a quattro persone normali armate di cappello?-
>>
<< -Mentre Metallaro più chitarra elettrica è uguale ad un plotone di
uomini.- >>
<< -Sarà colpa nostra se gli omicidi perpetrati grazie a riff della
morte saranno in aumento, quest’anno.- >>
Corey arretrò di qualche passo, portando
la mano al micro-computer che portava al polso: i due non sembravano essersene
accorti, troppo occupati a camminare verso di lui e, probabilmente, ad
ucciderlo a botte.
“Fermi o…” Corey abbassò lo sguardo al computer,
terrorizzato. “Faccio crashare il sistema!”
I due si fermarono, anche se, molto
probabilmente, non per via della minaccia quanto per il fatto che non sapevano
cosa volesse dire ‘crashare’.
“Con questo” e dicendo ciò mostrò il simil-bracciale
legato al polso, “posso modificare la realtà del videogioco. I muri sono
stati una mia idea. E l’avete visto, posso teletrasportarmi, quindi non
scherzate.”
I due gemelli si guardarono per qualche
secondo, prima di tornare a fissarlo in uno sguardo di puro odio che Corey
intese come un ‘sei momentaneamente salvo’.
Se non avesse rischiato la vita avrebbe di sicuro sorriso: non aveva mai
creduto di riuscire a bluffare così bene.
Ad ogni modo non aveva tempo da perdere. La sua pistola era a qualche metro di
distanza e quei due erano più grandi di lui: senza contare che Corey non voleva
morire in quel momento, non senza aver ucciso almeno qualcuno. E no, i due NPG
non contavano.
Doveva, quindi, uscirne a parole: spiegare cosa dovesse fare sembrava la
soluzione migliore, anche se, minuto dopo minuto, cominciava a chiedersi se
fosse effettivamente possibile parlare con quei due come tra normali esseri
umani. Senza contare che era anche il quadrante in cui aveva visto quella… cosa,
quindi non aveva la minima intenzione di spendere troppo tempo in giro per le
strade. Non lì.
“Bene. Ora, parliamo seriamente, vi và?”
<< -Disse un ragazzino di dodici
anni a due tizi di sedici mentre sventolava una specie di orologio da polso
come fosse un’arma mortale.- >>
Oh, doveva assolutissimamente togliere il
volume agli speaker.
“…Dicevo.
Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, vero? Intendo dire, io con tutta
quella storia del tentare di uccidervi e voi con la cosa del non lasciarmi
fare.”
Poté vedere una specie di ombra oscurare
per pochi istanti i volti dei fratelli, ma nessuno dei due disse niente. Corey
sorrise: non gli andava di litigare ogni cinque minuti, grazie tante.
“Tecnicamente parlando, ho avuto una
brutta giornata, ma non ho voglia di discuterne. Tutto ciò che conta è che ho
notato qualcosa di strano nel sistema. Sono delle interferenze… cose strane."
Sospirò, sperando che tale concetto avesse
attecchito nelle menti dei due sedicenni: questi continuavano a fissarlo, senza
dimostrare altro che enorme e terrificante insofferenza.
Avrebbero dovuto sopportare, temeva. Il discorso non era finito e Corey era
estremamente infuriato.
“Devo risolvere il problema, ok? Capite?
Devo risolvere il problema. E devo rimanere in pace, mentre lo faccio. Frignate
e rompete le palle quanto vi pare, ma non vi azzardate a disturbarmi. Ho del
lavoro da fare.”
Gli speaker ridacchiavano, divertiti da
qualcosa- non aveva importanza. I fratellini non davano segno di voler reagire
e a Corey bastava quel piccolo vantaggio.
Nessuno dei due agì quando Corey scattò
verso destra e riprese la pistola: tutti e due erano rimasti sorpresi, lo si
poteva capire dalla loro espressione, ma non sembravano aver mosso un solo
muscolo.
Di nuovo, a Corey andava bene così: aveva una pistola, meglio non poteva
andare.
“Ora voi
starete buoni e in silenzio e mi lascerete trovare l’internet point dove
riuscirò ad aggiustare la situazione. Suona bene, no?"
Di nuovo nessuna risposta. Andava bene, o
almeno così pensava Corey: l’importante era che avessero capito.
Eppure era semplicemente troppo infuriato, troppo per capire che era
tempo di andarsene, o per seguire quella maledetta vocina nella sua testa che
continuava a ripetere ‘uccidili, uccidili’.
Puntò l’arma nella loro direzione, il sorriso mutato in una smorfia irata e il
volto rosso per la collera, ovvio segno che, a quanto pareva, trattenere la
rabbia non faceva bene.
“Lasciatemi in pace o vi uccido!” Il tono con cui aveva pronunciato quelle
parole poco aveva di umano e, per qualche secondo, Corey sembrò sul punto di
cedere e premere quel maledetto grilletto: era la soluzione migliore, era la
soluzione più logica, maledizione, perché doveva continuare con quell’assurdo
teatrino? Solo perché era infuriato?
Ma si calmò. La fronte si distese, anche se l’espressione non si addolcì, e
quando parlò il suo tono era calmo, sebbene ugualmente spaventoso.
“Mi avete capito?”
Quella era la prima volta che Corey
sentiva lo scorrere dei secondi come fossero intere ore.
I due gemelli continuavano a fissarlo senza pronunciare una sola parola,
quasi stessero studiando una qualsiasi farfalla in vetrina: persino i due
speaker, quelli che, grazie ai loro commenti decisamente fuori luogo, erano per
la maggior parte responsabili per il modo in cui la sua giornata era diventata,
in quel momento stavano zitti, aspettando qualcosa.
Per l’ennesima volta in meno di un’ora Corey si chiese se stesse realmente
puntando una pistola a qualcuno: poi, dopo aver brevemente accertato che quella
che teneva in mano era, effettivamente, un’arma da fuoco, decise che non poteva
più sopportare quel silenzio.
“Cosa?!” Sbottò infine il ragazzino, riottenendo
parte del suo colorito porpora.
Oliver serrò le labbra in una linea
sottile, unica spia di quanto realmente quella domanda lo avesse innervosito:
poi si chinò verso di lui, quasi riuscendo a guardarlo negli occhi.
“Mi hai stancato.”
<< -Oddio, me lo vedo già: miglior
momento ‘Sta zitto Hannibal!’ nella categoria di videogiochi dell’anno va a…
Gemello senza cappello!- >>
<< -…Momento ‘Sta zitto Hannibal’?- >>
<< -Sai, quando il nemico tenta di convincere l’eroe che non sono tanto
diversi, o che non dovrebbe parlare, o tenta di convincerlo di passare al male
e l’eroe, invece di fare monologhi, gli dice di stare zitto. O… risponde con un
“parla al pugno”.- >>
Oliver odiava i discorsi. I discorsi
erano, di solito, un modo come un altro per convincere gli altri che avevano
torto.
Nicolas continuava a fare discorsi, tentando di fargli credere che sapesse, che
fosse più qualificato di lui. Suo padre continuava a fare discorsi, solitamente
per tentare di fuggire dal pericolo. E, a volte, anche Oliver faceva dei
discorsi, quando tentava di convincere Nicolas che lui era il più
qualificato e lui avrebbe dovuto essere il ‘capo’.
Oliver odiava i discorsi e non sopportava che a tentare di prenderlo in giro
fosse un moccioso. Poteva andare in giro armato quanto voleva, poteva essere un
maledetto genio del computer, sempre moccioso rimaneva e no, non aveva il
diritto di fargli dei discorsi.
“…Ho
menzionato la parte dell’uccidere, giusto?”
Oliver si mise di nuovo ritto in piedi,
fissando quel patetico bambino che lo fissava con stupore.
“Cazzate.
Sei spaventato.”
Gli prese il polso con cui teneva la
pistola, tirandolo verso di sé: il bambino, troppo occupato a tentare di
trovare una risposta decente, non riuscì a frenarsi, rovesciandosi a terra.
Dietro di lui Nicolas rideva, probabilmente divertito da quella patetica
scenetta: Oliver non riuscì a non sorridere all’idea che, per una volta, era
stato lui il primo ad agire.
“Ooh, dov’è finita tutta la tua boria,
adesso? Nicolas, passami la cintura.”
<< -Aww, che piccoli pervertiti.-
>>
<< -In questi momenti la sgualdrina mi manca…- >>
<< -Ovunque tu sia, alla tua salute, piccolo involtino ripieno di kebab
al succo di zucca.- >>
“Ora,” cominciò Oliver, bloccando la schiena del moccioso con un
ginocchio e legandogli le mani con la cintura, “ascoltami tu. Non hai idea
da quanto tempo una mia giornata non comincia bene e non ho neanche voglia di
dirtelo.”
Finito di legare le mani prese i piedi,
tentando di legarli con l’altro capo della cintura- non troppo facile, contando
che il maledetto continuava a dibattersi come un pesce che è stato appena
pescato.
“Tuttavia
oggi tu hai avuto un ruolo significativo nel rendere la mia mattina piuttosto
insopportabile. E non mi piacciono le persone che mi rovinano la giornata.”
Fece una leggera smorfia, finalmente
riuscendo a legare anche i piedi e immobilizzandolo quindi del tutto, prima di
cominciare a frugare nelle sue tasche: e sì, per quanto gli riguardava poteva
lamentarsi quanto voleva, ma doveva solo ringraziare il cielo che non lo
uccidesse direttamente.
“Quindi,
piccolo, rimarrai qui. Frigna e lamentati quanto ti pare, tanto non puoi
liberarti. Ora…”
Oliver si alzò, prendendo la pistola e
rivolgendo al bambino uno di quei sorrisi tanto gentili quanto perfidi. “Questo
suona bene.”
<< -Ed ecco che, sull’altare di
Goth, appare un nuovo dio da osannare.- >>
<< -Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth.- >>
<< -…Eh?- >>
<< -Non v’è dio più malvagio del vuoto cosmico nel tuo cervello.-
>>
Corey era ragionevolmente infuriato.
Aveva pensato che, essendo figlio unico, fosse riuscito ad evitare tutti quegli
inutili scherzetti tipo, per l’appunto, l’essere legato come una specie d’animale:
a quanto pareva, invece, c’era sempre tempo per provare un po’ di tutto e,
soprattutto, non aveva la minima idea di come diavolo liberarsi.
Aveva, tuttavia, ancora il computer al polso. Certo, era dietro la schiena,
ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a immettere un codice utile- anche se
dubitava che esistesse un codice per liberarsi da una specie di corda.
L’idea di rimanere da solo in quel quadrante – quello, ovvero, in cui aveva
visto quella cosa e l’uomo con la bocca cucita – non lo entusiasmava.
Aveva già cominciato a provare a fare qualcosa con il computer quando qualcuno
si fermò di fronte a lui: ebbe, per pochi secondi, il terrore che fosse stato
uno dei due gemelli a tornare, ma scoprì ben presto che in realtà era solamente
una bambina. Una bambina estremamente inquietante, sì, ma una bambina comunque.
Sorrise, tentando di mostrarsi più gentile di quanto l’umore potesse
permettergli di essere.
“Oh, ehi. Ciao. Senti, ti
andrebbe di liberarmi, magari?”
Dopo aver passato dieci minuti a parlare
con due tizi che non avevano fatto altro che fissarlo in silenzio per poi
legarlo, disarmarlo e derubarlo, Corey non reagiva più molto bene alle persone
che non rispondevano.
Insomma, cominciò a balbettare, arrossendo e sbiancando ad intervalli regolari.
<< -Ah, il nostro divertimento è
finito, temo. I due gemelli sono via e… aspetta un secondo. Goth, cos’è
quello?- >>
<< -Quello cos… Uh-oh.- >>
<< -Ma dai, guarda che si rivede!- >>
Il momento dopo, Corey stava rotolando
verso il centro della strada, senza sapere né come né perché. La bambina lo
stava spingendo, dandogli dei piccoli calcetti che, se reali, avrebbero fatto
sicuramente molto male, senza però dargli un semplice perché: sembrava,
leggendo la sua espressione, che lo stesse facendo rotolare semplicemente per farlo
rotolare.
Quando, finalmente, lei smise, Corey si sentì così buono e benevolente che
lasciò perdere il fatto che la bambina stesse fuggendo per ringraziare il Cielo
di aver fatto smettere quella tortura- ringraziamenti, quelli, un pochettino
prematuri.
<<
-Oh… Oh! Morte time!- >>
<< -Andiamo, così non vale. Intendo dire, che cosa potrebbe fare? Non è
che possa rotolare, no?- >>
Qualcosa gli disse che gli speaker stavano
parlando di lui, e ciò non gli piaceva per niente.
Si guardò attorno, tentando di capire che cosa ci fosse che non andava e
notando solo in quel momento che c’era qualcosa di strano, in lontananza.
Era qualcosa di curioso: Corey dovette socchiudere gli occhi per mettere a
fuoco che cosa fosse. Era un’immagine strana, come di animali, che però
sparivano e tornavano come se fosse uno schermo vecchio che non riceve
abbastanza: cosa, quella, che gli ricordava la biondina che per poco l’aveva
ucciso. In poche parole, un pessimo auspicio.
L’immagine mutò per pochi secondi, divenendo un qualcosa di immateriale, quasi,
nero: tornò subito normale, comunque, come se quella piccola trasformazione non
fosse mai avvenuta. Non riusciva a capire che cosa avrebbe dovuto essere, ma
riusciva a distinguere, oramai, un elefante e altri animali…
<<
-Oh, andiaaamo. Questa morte è stata veramente triste.- >>
<< -Però è stato il grande ritorno del branco impazzito. Anche se ad un
certo punto sembravano… nah… Bhè, la Morte si è ricordata di noi, finalmente!
Che si ricordi di noi anche il cameriere con la mia torta?- >>
Quarta
morte: Corey Patterson. Modus Operandi: è stato ucciso da una mandria di
animali impazziti
Giocatori rimasti: 7
*-*-*
“Gli animali assassini!”
Ovunque fosse, Corey era ossessionato
dalle vocine.
“Celia, sono
solo animali. Non è che facciano apposta. Anche se è strano che siano ancora
infuriati dopo un giorno.”
Due vocine. Gli speaker erano ovunque,
sembrava.
“Io ancora non posso credere che
mi abbiano salutato… cioè, aww!”
Tre vocine. A quanto pareva, era persino
peggio che nel videogioco.
Corey sospirò, levandosi il casco di dosso: la vita vera, a quanto pareva, era
piena di corrente fresche che si infilava nella maglietta sudaticcia e
rischiava di farti venire una polmonite.
Si staccò la flebo dal braccio, dannandosi quando, subito dopo, si rese conto
che faceva un male del diavolo: ecco un’altra cosa di cui non sentiva la
mancanza, nella realtà virtuale.
“Ah, il cuccioletto si è
svegliato!”
Il tempo di sentire quella frase e
qualcosa lo strinse a sé: se per stritolarlo o per abbracciarlo, quello non era
possibile capirlo.
“Aww, ciao piccolino! Siamo
bloccati qui dentro, quindi, uh, ehilà, sono Celia!”
Corey agitò la mano destra, ancora chiuso
nelle spire di chissà quale terribile mostro, in un gesto che Celia decise di
prendere come un gesto di saluto.
“Io invece sono Daniel, mentre quello che
ti sta stringendo è-”
“Shadi! Mi chiamo Shadi,
tesoruccio!"
Corey si sedette sul letto, finalmente
lasciato in pace dal tizio che, chinato di fronte a lui, continuava a
sorridergli in quel modo strano.
A dire il vero fu solo dopo qualche secondo che lo riconobbe: nella stanza, in
quel momento, era molto più luminoso, lo ricordava con più sangue ed un tizio
accanto, ma Shadi- sì, doveva essere il nome della persona che aveva ucciso la
sera prima. Ricordava il nome, anche se era apparso pochi attimi prima che
anche Corey perdesse conoscenza.
Il ragazzino aggrottò la fronte, fissandolo.
“…Ma io ti ho ucciso, no?”
Shadi sorrise, tirandogli allegramente una
guancia. “Sì, ma sai, bah. E poi sei così carino!”
E prima che Corey potesse realmente protestare per via della guancia – stava
cominciando a perdere sensibilità – Shadi tornò ad abbracciarlo, quasi
mozzandogli il respiro.
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Chiedo scusa a tutti per il mio ignobile ritardo, e chiedo scusa per la
grandezza dei caratteri... purtroppo, è l'unico modo per farli apparire bene
ç_ç
Davvero, grazie a tutti quelli che mi hanno recensito e, perfavore,
perdonatemi.
Ci sono un milione di citazioni, in questo capitolo. Ora proverò a riportarle
tutte: se qualcuno ne nota altre che mi sono sfuggite, per favore, avvertitemi.
"Chiedi ad Alice, penso che lei sappia" = "Go ask Alice, I think
she'll know" è una strofa di White Rabbit, dei Jefferson Airplane.
<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma
con la testa di un cavallo.- >> = Via, non avete mai sentito parlare del
Padrino?
Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è
una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. = Sono piuttosto
sicuro che se lo sia inventato...
John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe = I primi due sono i più
comuni nomi Inglesi, oltre che gli pseudonimi più usati. John e Jane Doe è,
invece, come vengono chiamati i cadaveri senza nome.
Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’ = Gioco spagnolo,
tradotto significherebbe "Vedo vedo". Si fa di solito in macchina:
uno sceglie un oggetto fra quelli che vede attorno a sè e l'altro deve capire
qual'è.
Se la violenza fa fluire le onde romperò ogni ossa nel vostro corpo. Se il
silenzio fa soffiare il vento ascolterò il suono del tuo cuore gelido = Strofe
tradotte della canzone 'Frost Bite', dei Seigmenn. O Seigmen. Il dibattito è
ancora aperto, su ciò.
Heee’s
the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he
likes to shoot his gun... = Una strofa della canzone "Bloom", dei Nirvana. Tradotta
sarebbe "Lui è quello a cui piacciono tutte le nostre belle canzoni, e gli
piace cantare a ritmo, e gli piace sparare con la sua pistola".
Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra = Citazione da
'Le regole della casa del Sidro".
Fuoco! Fuoco! - Se figo vuoi apparire, un casino devi soffrire. = Da
Beavis e Butt-head.
La torta
è una bugia = "The cake is a lie" è una frase piuttosto famosa, nel
mondo parlante Inglese. Significa, in pratica, che la ricompensa non esiste.
Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono
splendide. = Frase che si riferisce a "Tre uomini in barca". Jerome,
il protagonista, stava guardando il panorama, colto da una gioia quasi divina,
quando un vecchietto gli si è avvicinato per chiedergli se voleva visitare le
tombe.
Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth. = Due 'mostri' di Lovecraft.
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