La Morte balla il Tango

di 13Sonne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Layer 00: Rules ***
Capitolo 2: *** Layer 01: Sweets ***
Capitolo 3: *** Layer 02: God ***
Capitolo 4: *** Layer 03: Ache ***
Capitolo 5: *** Layer 04: Bug ***



Capitolo 1
*** Layer 00: Rules ***


Happy Game

<< -Salve a tutti, tesorini coperti di profumato caramello zuccheroso. Con una carica di allegria che tanto mi fa venir voglia di affogarmi in una piscina di miele vi do il benvenuto alla prima giornata di questo nuovo, fantastico videogioco. Ancora non abbiamo deciso il nome, ma siamo felici lo stesso, vero? La voce che sentite appartiene a me, Goth. Si, lo so, è un nome ridicolo, ma ho sempre sospettato che i miei genitori facessero parte di un complotto ordito per rendere la mia vita miserabile.- >>
 

Non riusciva a capire: quella voce apparteneva ad un maschio o ad una femmina? Il nome non dava un aiuto a rispondere a quella domanda, e la voce era strana: o era un po’ mascolina oppure fin troppo femminile, non riusciva bene a capire.
Non che per Shadi cambiasse davvero qualcosa: maschio o femmina che fosse, se avesse voluto gli sarebbe comunque bastato un semplice gesto per far cadere quel… Goth ai suoi piedi. Goth come chiunque altro.
Si guardò di nuovo allo specchio, cercando di vedere se c’era qualcosa che non andava nel suo aspetto: controllò ogni centimetro di stoffa alla ricerca di un qualche granello di polvere, si accertò che i suoi capelli fossero ancora lucidi e perfettamente pettinati, e quando finalmente decise di essere ad un livello accettabile di bellezza ammiccò al proprio riflesso.
Irresistibile. Shadi sillabò la parola, lentamente, senza però emettere un suono: era ir-re-si-sti-bi-le.
 

<< -Io sono Los, e non so voi ma mi sto già annoiando.- >>
<< -Los, oltre a fare evidentemente parte del suddetto complotto, è anche il secondo speaker di questo gioco. Insieme commenteremo, parleremo e guarderemo tutto ciò che accade.- >>

 

Bambole. Ninon si ritrovava in un negozio di bambole.
Milioni di occhi di vetro la fissavano. Pietre di ogni colore, verde, blu, marrone, incastonate in un freddo involucro candido come la neve coperto con deliziosi vestitini di pregiata fattura. Piccoli contenitori vuoti che l’osservavano, con un fragile sorriso dipinto in rosso scarlatto.
Ninon, tenendo per mano il suo orsacchiotto, si avvicinò ad uno scaffale, attirata da una bambola in particolare. Aveva i capelli neri- come lei. Gli occhi blu- come lei. La pelle bianca- come lei.
La bambina posò una mano sulla guancia della bambola, trasmettendole il suo calore- poi la buttò a terra, seguendo la traiettoria di ogni singolo pezzo di porcellana.
L’unica spiegazione che decise di dare al suo orsacchiotto, per spiegare quello strano comportamento, fu che lei era la regina delle bambole. Lei poteva farlo, e lo aveva dimostrato.
Strinse l’orsacchiotto al petto, chinandosi di fronte ai cocci della bambola, e cominciò a raccoglierli uno per uno.


<< -Noi vediamo ognuno di voi, ovunque esso sia. Noi siamo onniscienti. In questo gioco, noi siamo Dio.- >>
 

Corey sorrise ascoltando la frase del secondo speaker- Los. ‘In questo gioco, noi siamo Dio ’.
Era vero per loro come era vero per tutti: nei giochi chiunque poteva essere chiunque.
Ecco perché i videogiochi erano così amati: perché si poteva essere qualcun altro. Quello era l’unico modo in cui Corey potesse essere importante, temuto.
Non che nella realtà virtuale il suo aspetto fisico fosse cambiato, era sempre un debole bambino di undici anni. Tuttavia quello era il suo posto, il suo habitat naturale: sapeva cosa fare e come agire.
Aveva solo bisogno di comprare le attrezzature adatte e di collegarsi al programma: due operazioni che probabilmente avrebbero richiesto un giorno di gioco.
Alla fine di quel giorno, però, tutti avrebbero cominciato a tenere in considerazione quel debole bambino di undici anni.
 

<< -…Certo, Los. Ad ogni modo, noi non possiamo intervenire mai.- >>
<< -Come Dio.- >>
<< -Vorrei approfittare di questo momento per ricordare che avendo firmato il contratto avete accettato di non farci causa. Grazie per l’attenzione.- >>

 

Meredith era troppo occupata ad essere sicura che i suoi biondi capelli color del grano baciato dal sole del mattino di una candida giornata di primavera fossero morbidi e setosi per ascoltare una sola parola di ciò che stavano dicendo i due speaker.
La risoluzione grafica di quel gioco era splendida: riportava con precisione la perfezione delle sue curve, il candore della sua pelle, riusciva persino a ricreare il blu ‘mare profondo e tempestoso a mezzanotte mentre un faro lo illumina in lontananza’ dei suoi occhi.
Sorrise, cercando di mostrarsi timida ma al contempo noncurante: mentre tutte le altre ragazze, al suo posto, sarebbero andate in giro a vantarsi di quel meraviglioso corpo, lei invece si comportava in modo diverso. Lei era matura, intelligente, ma totalmente incompresa, sempre oggetto delle prese in giro delle sue amiche perché invidiose del suo corpo perfetto.
Nessuna la capiva; ecco perché lei doveva vincere quel gioco. Doveva riscattarsi, doveva far valere i suoi diritti, doveva dimostrare di essere davvero diversa dalle altre.
Camminò verso la porta, prendendo un pacchetto di sigarette dai suoi sicuramente anti-conformisti pantaloni a vita bassa, e cominciò a pianificare i suoi movimenti per i giorni a venire.
 

<< -Le regole sono semplici: l’ultimo che sopravvive vince. I partecipanti possono tentare di uccidere gli altri, ma è stancante, inutile e fin troppo noioso. Dovete sapere che le probabilità che accadano incidenti mortali sono state alzate di brutto: in poche parole, se nessuno va in giro ad uccidere gli altri dovrebbe esserci una media di due morti a giornata. Come vedete è inutile sprecare energie in questo modo, perché fra, uuuh… cinque giorni di gioco più o meno dovrebbe essere tutto finito. Rilassatevi e divertitevi.- >>
 

Oliver e Nicolas erano comodamente seduti su un divanetto di un pub desolatamente vuoto, assorbendo passivamente le informazioni che uno degli speaker – Los, se non si sbagliavano – stava dando.
Non avevano bisogno di parlare, per capirsi. Forse perché erano gemelli, oppure perché, nella loro vita, non si erano mai separati per più di cinque minuti: certo era che la maggior parte delle volte pensavano le stesse cose nello stesso momento.
In quell’istante, ad esempio, non avevano neanche dovuto guardarsi per decidere che le prime ore di quella giornata andavano spese nell’ozio più totale. Certo, Nicolas era giunto a quella conclusione convincendosi che in realtà avrebbe pensato ad un piano per vincere mentre Oliver cercava solo di godersi quella pace prima che il fratello lo spingesse a fare qualcosa di stupido e pericoloso, ma ciò che importava era il risultato: e come al solito, anche percorrendo diverse strade, quello era lo stesso.
 

<< -A parte l’ovvia incapacità di fare le tabelline del mio collega, vorrei solo aggiungere che essere in un videogioco non vi libera da bisogni quali, ad esempio, mangiare o dormire. Partite con una riserva iniziale di 500 monete, una somma soddisfacente di crediti che probabilmente si esaurirà più o meno il secondo giorno.- >>
<< -A meno che non decidiate di dormire sotto un ponte e mangiare spazzatura.->>

 
Celia sorrideva ascoltando le parole degli speaker. Quella specie di vacanza dal lavoro la rendeva felice; era davvero tutto più divertente oppure era solo la sua immaginazione?
Non le importava, non tanto quanto ordinare un gelato. Sapeva che non ne avrebbe sentito il gusto, ma – forse grazie all’eccellente grafica – le coppe in fotografia erano semplicemente irresistibili.
Avrebbe speso delle monete per niente, però come poteva resistere?
Il gelataio – un NPG, personaggio non giocante – era in quel momento occupato, ma per Celia non era un problema. La semplice idea che il giorno dopo non avrebbe dovuto andare al lavoro rendeva tutto più leggero, in un qualche modo. Semplice.
 

<< -Per guadagnare monete basta trovare un lavoro, fare qualcosa di utile nella città e così via. L’affitto delle camere è giornaliero, ed avete un massimo di due giorni di ritardo sul pagamento. ->>
<< -Il resto potete pure scoprirlo da soli, buona giocata e divertiteci.- >>

 

Daniel era estasiato al pensiero di poter passare due giorni senza far nulla. Certo, avrebbe dovuto lavorare, ma quanto poteva essere duro il lavoro in un videogioco? Al massimo noioso.
Gli piaceva pensare che quella nuova esperienza potesse dargli l’ispirazione per un nuovo libro: non aveva mai venduto dei best seller, ma almeno aveva i soldi per mangiare.
Il problema era che i soldi stavano diminuendo in fretta, e presto avrebbe dovuto chiedere dei prestiti per poter sopravvivere: quindi o vinceva il videogioco, sperando che il premio fosse in denaro, o riprendeva l’ispirazione.
Ma d’altronde Daniel era un ottimista. Se non vinceva e non superava il suo blocco dello scrittore, almeno avrebbe vissuto una bella esperienza prima di potersi impiccare.
 

<< -Un ultima cosa…- >>
<< -Aah, basta! Hanno capito, possono andare avanti da soli!- >>

 

Gwen non era particolarmente felice di essere li. Certo, vincere era sempre bello, e se il premio poi era in denaro la cosa si faceva anche interessante, ma non gli erano mai interessati i videogiochi. A parte per venderli, ma quello era un altro conto.
Il vero motivo per cui si trovava lì era suo marito: neanche i due figli, suo marito.
Perché sapeva che era inaffidabile, come sapeva che non tutte le ragazze che adoravano i videogiochi erano così brutte: quindi, essendo lei dell’idea che un tradimento rimane un tradimento anche se virtuale, voleva essere presente per ucciderlo sia via gioco che in realtà.
Quello non voleva comunque dire che doveva sprecare quella interessante esperienza, e poi doveva tenersi in allenamento: avrebbe avuto bisogno di crediti, e la cassa del negozio ne era spaventosamente piena…
 

<< -Un ultima cosa. Potrete scommettere su chi sopravvivrà fino alla fine o su chi sarà il prossimo a morire. La seconda opzione, in caso di vincita, vi darà l’occasione di accumulare crediti, mentre la prima vi darà una parte del premio finale. E ora, Los, so che scalpiti: dai inizio al gioco.- >>
 

Sid era in un negozio di vestiti. Ironico, considerando che era da una settimana che era vestito allo stesso modo.
Non importava. D’altronde non era di vestiti puliti che aveva bisogno.
Uscì dal negozio e si guardò attorno, cercando il primo vicolo scuro in cui rintanarsi: di solito quelli si andavano a cacciare nei posti peggiori, quindi aveva più possibilità di trovarne uno se cominciava a cercarlo da lì.
C’era anche la probabilità che non ci fossero. Sid ebbe un brivido al solo pensiero, stringendosi così tanto il braccio destro da piantarci le unghie.
Certo che c’erano- nell’annuncio dicevano che il gioco riproduceva fedelmente la realtà, quindi un pusher c’era di sicuro. Ci doveva essere.
D’altronde che male poteva fargli? Era vero che aveva deciso di partecipare al gioco per tentare di smettere, ma era realtà virtuale, quindi non si avvelenava davvero. Non poteva fargli male.
Quella sarebbe stata l’ultima pillola, poi si sarebbe pulito. Sì, si sarebbe pulito- però aveva maledettamente bisogno di quell’ultima dose.

 
<< -Era ora. Le scommesse sono aperte: signori, faites vos jeux.- >>
 

Faites votre jeux: per Dodger non c’era una citazione più azzeccata.
Si trovava in quello che era il suo paradiso e il suo inferno insieme: una sala giochi. Un’enorme e abbastanza vuota sala giochi, a parte per i croupier.
Con un sorriso da un orecchio all’altro ed il braccio destro che, da solo, si era mosso a prendere una moneta, Dodger capì che molto probabilmente sarebbe morto in quel posto- o avrebbe vinto in quel posto.
Si fermò, ragionando: perché doveva sprecare i suoi soldi in quel modo? Era in un videogioco e quindi vinceva solamente crediti- senza contare che, andiamo, quante volte gli sarebbe capitato ancora di trovarsi in una realtà virtuale? Avrebbe dovuto godersi quella esperienza, no?
Scosse la testa, inserì la monetina nella slot-machine ed abbassò la leva, gridando di gioia quando poi uscirono tre monetine.

(-*O*-)

Nota d'Autore: Allez, mon petite! Chi vincerà mai? Chi sarà il primo a dire addio alla storia? Ma soprattutto, qualcuno mi sa dire chi è mai la Mary Sue? Ho sentito che si è intrufolata nel mio scritto e non riesco a trovarla- OH MY GOD! T-T

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Capitolo 2
*** Layer 01: Sweets ***


Layer 01: Sweets

<< -Sono passate due ore dall’inizio del gioco e nessuno è ancora morto.- >>
<< -Sai, Los, non posso credere che tu ti stia attualmente impegnando a fare qualcosa. Anche se questo qualcosa è un continuo ed inquietante messaggio inviato ogni mezz’ora per ricordare ai videogiocatori che la morte è dietro l’angolo.- >>
<< -Attualmente sto ricordando alla morte che in teoria dovrebbe essere dietro l’angolo. Se tutto continua con questa calma dovranno almeno degnarsi di portarci dei dolci.- >>


Sentendo questo Shadi si fermò in mezzo alla strada, sorridendo con fare malizioso.

“Oh, se vi annoiate così tanto posso venire a farvi una visitina.”

Che strane, le coincidenze della vita- anche Shadi, in quel momento, si stava annoiando immensamente.
Fece un occhiolino prima di mimare con le labbra un bacio che, in teoria, era rivolto ai due speaker ma che in realtà fu recepito da un NPG: Shadi non notò nemmeno l’aria di disgusto sul volto dell’uomo, occupato com’era ad aspettare una risposta.
Bisognava dire che se il personaggio non giocante avesse reagito in maniera positiva Shadi sarebbe stato felice lo stesso: d’altronde l’importante era essere in compagnia.


<< -Alla tua età avevo la decenza di ubriacarmi prima di provarci con una persona che conoscevo appena.- >>
<< -Ai tuoi tempi provarci era stringere la mano a qualcuno. Comunque, io ci farei anche un pensierino ma purtroppo non sono gay.- >>
<< -Uh, forse mi sbaglio Los, ma credo di averti visto fare delle avanches a dei ragazzi, ad alcune feste.- >>
<< -Mi piacerebbe disquisire con te sulla sottile linea fra ‘omosessualità’ e ‘ubriaco da far schifo’, però mi sono reso conto che mi è venuta voglia di dolci.- >>

 
“E noi non vogliamo mica che il bambino nasca con una voglia a forma di millefoglie, vero?”

Dodger si rese conto troppo tardi che la battuta non l’aveva solo pensata.
Per pochi secondi si bloccò, braccio a mezz’aria e volto congelato in una smorfia di disappunto – la fortuna, che all’inizio gli aveva sorriso, aveva deciso di abbandonarlo nelle seguenti giocate che aveva fatto arrivando al punto che i suoi crediti si erano dimezzati - , quasi temendo che dalle finestre del casinò entrassero delle guardie dell’FBI. Passati cinque secondi di assoluta tranquillità Dodger si ricordò che bene o male di vincere al videogioco gli importava poco più di nulla: inserì quindi la moneta nella slot machine e ritornò a pregare la dea bendata per un misero jackpot.

 
<< -Quell’uomo è appena diventato il mio mito.- >>
<< -Sai, Goth, sono spaventato. Intendo dire, siamo entrati in contatto con solo due personaggi e tutti e due non erano normali. Non credo sia un caso.- >>
<< -Certo, in realtà è un complotto per distogliere la nostra attenzione dall’assassinio dei Kennedy.- >>
<< -Io mi riferivo più al fatto che forse le selezioni sono state fatte un po’ a caso, ma anche questa teoria è carina.- >>
<< -Comunque, per quanto riguarda il… ragazzino posso dire che non fosse normale, ma cos’hai contro il mio idolo?- >>
<< -Il ragazzino, che penso d’ora in poi chiamerò ‘sgualdrinella’…- >>
<< -Stai gia cominciando bene, complimenti.->>
<< -…bhè, la sgualdrinella è, per l’appunto, una sgualdrinella. Il tizio con il cappello da Al Capone, invece, ha evidentemente un problema. Intendo dire, posso capire se stesse giocando con un videogioco, ma è da due ore che sta spendendo soldi in una stupida slot-machine.- >>

 
Gwen si bloccò sul posto, chiudendo gli occhi mentre la sua mente assorbiva l’ultima frase, quasi avvelenandola dentro- perché di ‘tizi con il cappello alla Al Capone’ c’è n’erano tanti, ma l’unico che aveva anche il vizio del gioco d’azzardo era Dodger. Suo marito.
Per pochi istanti le venne da strillare, gridare, prendere a pugni un povero NPG innocente per sapere dove fosse l’uomo che aveva avuto la sfortuna di sposare- poi si calmò.
D’altronde i crediti erano solo di Dodger, cosa le interessava se si stava riducendo sul lastrico?
Quindi, rilassata, si voltò e ritornò a cercare un NPG dal portafogli abbastanza gonfio.

 
<< -E comunque tutto questo passa in secondo piano rispetto al fatto che voglio mangiare un dolce.- >>
<< -Los, siamo in un videogioco. Non sentiamo il sapore delle cose, perché dovresti sprecare il tuo tempo cercando qualcosa da mangiare?- >>
<< -Prima di tutto a portarmi il dolce sarà un cameriere, secondo non vedo cosa ci sia di male a volere qualcosa di buono. Intendo dire, lo fa anche la signorina ‘ehi ehi ehi è strepitoso essere vivi!’, perché non posso farlo io?- >>

 
Celia aggrottò la fronte, perplessa, ingoiando a fatica quell’ultimo boccone di gelato.

“State, uh, parlando di me?”

 
<< -Ebbene si, signorina che mangia il gelato da qualcosa come due ore. È sempre lo stesso o ne hai presi altri dieci?- >>

 
La donna aprì e chiuse la bocca, arrossendo per l’imbarazzo. Non le sembrava di aver fatto qualcosa di male ma i due non sembravano della stessa opinione- e se avevano ragione loro allora come poteva giustificarsi? Il suo non era altro che un atto di golosità e d’altronde era vero che non si sentiva nemmeno il gusto, quindi era stata solamente una sciocca a fare qualcosa che aveva infastidito i due ragazzi per niente…

 
<< -Rilassati, Los non ti sta prendendo in giro. Lo vuole davvero sapere.- >>
<< -Ho fame.- >>
<< -Sei peggio di un neonato.- >>

 
Daniel non poteva lamentarsi. Il posto era carino, gli NPG erano diversi e interessanti ed i due speaker riuscivano a far passare il tempo in modo divertente. L’unico problema era che a volte si interrompevano per un po’ di tempo per poi riprendere con quella che sembrava una risposta ad una domanda che solo loro avevano sentito. Probabilmente parlavano con uno degli altri personaggi, ma comunque era irritante.
Nel corso del suo peregrinare era entrato in contatto con tre altri PG. Li si riconosceva perché avevano qualcosa di diverso- in un qualche modo erano più luminosi.
Bhè, i tre personaggi che aveva incontrato erano parecchio strani. In ordine cronologico la prima era stata una bambina con in mano un orsacchiotto: aveva dei vestiti da bambolina e in generale sembrava una piccola vampira.
Poteva essere una protagonista perfetta per un suo libro: le storia di una bambina eternamente giovane che vaga per il mondo succhiando il sangue di chi la fa star male. Peccato che, come tutte le grandi storie, sicuramente uno scrittore più bravo di lui l’aveva già scritta.
Il secondo che aveva incontrato era un ragazzo dall’aria dimessa che correva avanti e indietro per le vie più scure della città alla ricerca di qualcosa- non si accorse nemmeno di averlo urtato da quanto era disperato.
Il terzo, invece, era un altro bambino. Per qualche secondo Daniel aveva ragionato sulla possibilità di andare a salutarlo, ma il ragazzino era troppo occupato a costruire qualcosa per dargli un minimo di attenzione.
Aveva poi continuato a girare per la città fino a quel momento, in cui, nascosto dietro ad un albero, stava osservando un’altra giocatrice.
Non era bella - era carina, se piaceva il tipo – ma era comunque interessante perché, molto probabilmente, era la ragazza con cui i due speaker avevano parlato fino a prima. La prova era il fatto che stesse mangiando un gelato.
Cosa fare, quindi? Andare a presentarsi o rimanere nell’ombra? In quel momento Daniel non aveva voglia di scegliere.


<< -Voglio solo una fetta di torta, non è una richiesta così terribile.- >>
<< -Puoi andartela a prendere.- >>
<< -Per togliere così il lavoro al cameriere?- >>

 
“Adesso basta!”

Meredith, nella sua rabbia, pensava che strillando si sarebbe mostrata maleducata eppure sensata.
Si ricompose, spostando una ciocca dei suoi biondi capelli color ‘oro che riluce grazie ad un raggio di sole al tramonto’ dietro l’orecchio, e con un’espressione fredda ma furiosa riprese a parlare.

“Per quanto ancora volete parlare di quelle cazzate? Eh? Eh? Concentratevi su di me! Io sono il fulcro dell’azione, non i dolci ne la ragazzina che mangia il gelato! Io!”

Ogni parola era piena di velenoso odio, ma le apparivano così perfette che di sicuro i due speaker si sarebbero vergognati di loro stessi e le avrebbero chiesto scusa.

 
<< -Gne gne gne!- >>
<< -E voglio i giocattoli! I giocattoli! VOGLIO I GIOCATTOLI!- >>
<< -E invece no invece no invece no, bu-HA!- >>


La ragazza sgranò i suoi meravigliosi occhi color del cielo in una notte di tempesta, scandalizzata eppure con espressione di sufficienza mentre si rendeva conto che non le avevano dato ragione e che anzi la stavano persino prendendo in giro.
Ma certo, era ovvio: loro, come gli altri, erano solo invidiosi della sua intelligenza e bellezza e incredibile forza, nonché contro il suo diverso stile di vita. Non riuscivano ad accettare che potesse esserci qualcuno superiore a loro, erano spaventati dalla sua suprema perfezione.

“Ah si?! Bhè… uh… la ragazza del gelato è morta! Morta! Perché lei è gioiosa e allegra e le persone come lei sono noiose e muoiono subito perché non sanno sopravvivere da sole!”

Soddisfatta di se stessa e della sua arguzia, Meredith fece un sorriso di trionfo e si voltò, cercando un posto dove manifestare la sua sicuramente anticonformista passione per gli alcolici.

 
<< -Temo che sia morto il cameriere, altro ché.- >>
<< -Distraiti cantando qualcosa, Los.- >>
<< -Voglia di sentire la mia meravigliosa voce?- >>
<< -No, speranza che tu non possa più sprecarla per le tue inutili richieste da bambino viziato.- >>

 
Oliver non stava realmente ascoltando ciò che i due speaker stavano dicendo: era troppo occupato ad essere sicuro che Nicolas stesse svolgendo esattamente ciò che aveva chiesto.
La verità era che Nicolas non era riuscito a pensare a nessun piano per vincere, in quelle due ore, per cui lui e il gemello avevano solamente vagato per la città fino a raggiungere un circo.
Nicolas, così come il fratello, odiava gli spettacoli degli animali e un contorto piano aveva preso forma nella mente di Oliver.
Avevano rubato un camion e uno dopo l’altro avevano caricando gli animali: c’era però da dire che non si fidavano a mettere gli orsi con i cavalli – a dire il vero ancora erano sorpresi dal fatto che ci fossero gli orsi – , ed avevano quindi deciso di fare due viaggi. Nel primo avevano liberato gli orsi, i leoni ed i lupi.
Stavano- o, per essere più sinceri, Nicolas stava cercando di far salire l’elefante (che avevano deciso di mettere assieme ai cavalli) nel camion quando Oliver si accorse che una bambina li stava guardando.
La prima reazione fu quella di scappare, ma si rese conto che se il fratello l’avesse poi ritrovato l’avrebbe ucciso con le sue mani: decise quindi che avrebbe zittito la bambina con le buone.

“Ciao piccola!”

Il sorriso che si era dipinto sul volto di Oliver era così gentile da essere sicuramente falso: la bambina, comunque, continuò a non muoversi.
Il ragazzo aggrottò la fronte, sorpreso dalla mancanza di reazioni, ma non si scoraggiò e continuò a cercare un modo per liberarsi di lei.
Ebbe improvvisamente l’illuminazione: alle bambine piacevano i cavalli, no? Poteva regalargliene uno, così avrebbe comprato il suo silenzio e liberato uno di quei poveri animali in un colpo solo.

“Ti piacciono i cavalli?”
 

<< -Ti piacciono, vero? Allora dai, entra nel camion… ti farò vedere il mio pony…- >>
<< -Questa è la prima volta in tanti anni che mi sorprendi, Los.- >>
<< -Non pensavi avessi un pony?- >>

 
Oliver continuò a sorridere, nascondendo con maestria il fatto che stava recitando mentalmente un rosario di insulti.
La bambina strinse a se l’orsetto, senza però dire nulla.

“Piantala di provarci con le bambine e aiutami, Ollie!”

Oliver alzò gli occhi al cielo, lasciando perdere la bambina e il sorriso falso ma concentrandosi subito sul fratello che, a quanto pareva, senza il suo aiuto non riusciva nemmeno a tenere a bada un elefante.

“Hai bisogno di uno stramaledetto schema per capire come spingere qualcosa all’interno di un camion?”

L’unico motivo per cui Nicolas non si era avventato sul gemello appena sentita la risposta era l’enorme elefante che ad ogni suo tentativo di spingerlo sul camion diventava sempre più nervoso- imbizzarrendo, fra l’altro, anche i cavalli.

“Perché non ci provi tu, se ti sembra così tanto semplice?! Forza, l’elefante sta scalpitando!”

 
<< -Sento che tutto il tempo in cui siamo rimasti qui sta finalmente per avere un senso.- >>
<< -Mi dispiace fartelo notare, ma siamo qui da due ore.- >>
<< -Due ore senza una torta sono due ore che non valgono la pena vivere, Goth.- >>
<< -In un secondo capisco come deve essere stato il momento più felice della tua vita, ed improvvisamente mi sento triste.- >>

 
Ninon osservò i due fratelli mentre litigavano, stringendo a se il suo orsacchiotto.
C’era una sorta di accordo dietro quel litigare- dietro il loro modo di agire. Lo si poteva capire ad occhi chiusi che i due erano legati in modo speciale.
Forse era perché erano fratelli, o forse era una prerogativa dei gemelli: lei non lo poteva sapere, perché era figlia unica.
La dinamica fra i fratelli le faceva capire che c’era sempre un ordine, dietro le azioni: anche quelle che sembravano più caotiche ed incomprensibili erano governate da qualcosa.
Tutto era ordine e non le piaceva, perché voleva dire che qualcuno aveva gia deciso tutto. Solo lei poteva decidere come andavano le cose- solo lei era la regina.

Al negozio di bambole aveva preso un viso di porcellana.
Mentre i due fratelli litigavano, cercando di tenere sotto controllo gli animali, Ninon prese la testa dalla tasca. L’osservò, analizzando la perfezione di quel lavoro ancora non finito: le fessure per gli occhi vuoti, le labbra sbavate, le guance tinte di un pallido rosa- un piccolo oggetto che rimaneva fuori dalla convenzione.
Lo gettò a terra, contro un sasso, e si permise di sorridere nell’osservare il tragitto scomposto e imprevedibile di ogni coccio di porcellana.

 
<< -Ah!- >>
<< -Cos’era quel rumore? Ci siamo persi qualcosa? Ehi?- >>

 
I gemelli sentirono il fragore – era come il rumore di un piatto che si rompeva – ma non ebbero il tempo di cercarne la causa: l’elefante ed i cavalli si erano spaventati e i due fecero appena in tempo ad abbassarsi per evitare un puledro che saltò sopra di loro.
Presto l’elefante e i restanti cavalli avrebbero seguito l’esempio del primo: intuendo il pericolo i fratelli scattarono da terra e corsero ad appiattirsi contro un muro, prendendo la bambina al volo.

 
<< -L’unico modo per salvarsi è dire per tre volte ‘jumanji’!- >>
<< -Eh?- >>
<< -La  tua ignoranza mi perplime, Los.- >>

 
La ricerca di Sid era andata a buon fine: aveva fra le mani due pillole di una droga che si vendeva solo nel videogioco (Zathura, se non si sbagliava) e dell’eroina rosa- non aveva abbastanza soldi per l’eroina bianca, ma aveva deciso di provare una delle migliori almeno per una volta nella vita.
Era eccitato come un bambino con dei nuovi giochi. Aveva solo bisogno di trovare un angolo tranquillo per provarli e poi…

 
<< -Dà la precedenza.- >>

 
…stavano parlando con lui?
Sid alzò lo sguardo dall’eroina per guardarsi attorno, cercando di capire a che cosa si stessero riferendo: da una parte la strada continuava ad essere tranquilla, mentre alla sinistra c’era un qualcosa che si stava avvicinando.
Socchiuse gli occhi, tentando di mettere a fuoco l’immagine: quel qualcosa era sempre più vicino e- ed ovviamente non poteva essere vero.
Cavalli e un elefante, certo. Probabilmente la droga che il pusher gli aveva dato aveva effetto a contatto.
C’era qualcosa che non andava in quelle allucinazioni, però. Da che ricordava  gli allucinogeni creavano immagini, come dire, ‘piatte’, come se fossero disegnate su un foglio, mentre quelle che stava guardando erano tridimensionali. Sembravano davvero reali.
Sid scosse la testa: ovvio che sembrassero reali, era in un videogioco. Probabilmente il grafico del videogioco non aveva mai provato l’LSD o un semplice fungo allucinogeno.

 
<< -Non capisco se ha dei riflessi molto lenti o cosa.- >>
<< -Bisogna ammettere che non si vedono tutti i giorni elefanti e cavalli per la strada.- >>
<< -Perché finire in una realtà virtuale è una cosa da tutti i giorni?- >>


Se anche i due speaker vedevano quella mandria impazzita allora…
Sid fece uno scatto all’indietro, finendo però per inciampare e cadere a terra: appena in tempo, comunque, per evitare cavalli ed elefanti impazziti ed aver salva la vita al costo- dell’eroina, che finì sbriciolata sotto gli zoccoli degli animali.

Cacciò un urlo e cominciò a scavare, nel vano tentativo di dividere i granelli d’eroina da quelli di terra.


<< -Deprimente.- >>
<< -I drogati sono deprimenti.- >>
<< -Però fa pena.- >>
<< -Dubito te ne farà ancora quando comincerà a dare di matto per una dose.- >>
<< -Già, sarà insopportabile quando andrà in giro a strillare ‘voglio un dolce!’… Ops, devo aver avuto un piccolo lapsus.- >>
 


Dodger non riusciva a capire che diavolo stesse succedendo- perché qualcosa stava sicuramente succedendo, lo si capiva dall’emozione nelle voci dei due speaker.
Parlavano in modo spezzettato, frammentario… e Santo Cielo, avevano davvero nominato elefanti e cavalli?
Scosse la testa, inserendo una monetina nella slot machine. Di sicuro non erano problemi suoi, in fondo lui era all’interno di un casinò: a meno che non fosse una mandria di cavalli d’azzardo, li non sarebbero potuto sicuramente entrare.
Fu dopo queste ultime parole famose che un muro alla sinistra di Dodger cedette sotto la forza di un elefante.
 

<< -Oh, andiamo! Neanche fosse fatto di paglia!- >>
<< -I tre porcellini avrebbero dovuto costruirlo di mattoni.- >>
<< -Si, poi sul tetto avrebbero dovuto metterci dei cecchini con kalashnikov...- >>
<< -“E il lupo cattivo mangiò piombo”.- >>


Dodger perse secondi preziosi a convincersi che quei cavalli e quell’elefante non fosse solo frutto della sua immaginazione malata: subito dopo prese i crediti, portandosi in piedi sullo sgabello, e con la forza che solo la disperazione poteva dare fece un salto all’indietro atterrando in ginocchio- appena in tempo per vedere gli animali distruggere la lunga fila di slot-machine su cui stava giocando fino a prima.
 

<< -Se fosse davvero così allora non riesco a capire perché nell’esercito non hanno continuato ad usare elefanti e cavalli.- >>


Dodger strabuzzò gli occhi più volte, cercando di capire se fosse stata solo la sua mente malata a fargli quello scherzo: la lunga fila di slot-machine distrutte gli confermò che tutto era successo.
Si rialzò, ancora piuttosto circospetto- e solo in quel momento si accorse che nelle macerie c’erano tutti i crediti che poveri malati di gioco d’azzardo avevano perso.
Prima sorrise, pensando fosse solo un sogno: poi, vedendo che i soldi continuavano ad essere di fronte a lui, esplose in un grido di gioia.

“JACKPOT!”
 

<< -Ho gia detto che quell’uomo è il mio mito?- >>
<< -La cosa divertente è che raccoglie i soldi e ritorna a giocare allegramente.- >>
<< -Non ho detto che è sveglio, ho detto che è il mio mito.- >>


Gwen non ebbe bisogno di chiedere per capire chi fosse l’idiota di cui stavano parlando.
Per la seconda volta in venti minuti le venne voglia di strillare e picchiare un povero NPG innocente, ma fortunatamente per i passanti fu distratta da delle grida.
Lei non era mai stata una di quelle persone che si precipitano a salvare le povere vittime indifese, quindi si guardò bene dal fare qualcosa di più di guardarsi attorno: quando poi vide che la persona in pericolo era una ragazza dai capelli biondi che scappava da una mandria di cavalli capitanati da un elefante, Gwen decise che l’unica cosa da fare era ignorare il tutto e mettersi al riparo.
Sfortunatamente per lei, però, la ragazza aveva deciso che Gwen doveva essere il suo ‘principe azzurro’- il che voleva dire che stava correndo verso di lei, portandosi appresso tutto il circo.


<< -Due al prezzo di uno, Los.- >>
<< -Persino meglio di quanto sperassi!- >>


Corey alzò lo sguardo dai suoi esperimenti, chiedendosi cosa fosse quel rumore infernale, solo per trovarsi di fronte ad una delle più strane immagini che potessero capitare- e che comunque non riuscì a sorprenderlo.
Un elefante e una mandria di cavalli che inseguivano una bella ragazza era un clichè. Certo, l’elefante e la mandria di cavalli di solito erano mostri, ma comunque la scena era piuttosto normale: l’unica aggiunta degna di nota era una donna che stava per essere investita da tutto il resto del quadretto.
Sapeva che quelle due erano sicuramente due giocatrici (si riconoscevano grazie ad uno strano chiarore che gli NPG non avevano) e che quindi la loro morte era solo un lato positivo per lui- però aveva alcuni piccoli ‘gadget’ che doveva provare e quello poteva essere il momento perfetto.
Corey prese la pistola che stava cercando di costruire da tutto il giorno: non era ancora perfetta, mancavano molte funzioni e Corey doveva ancora lavorare su alcuni piccoli codici, ma sparava già alcuni colpi e bisognava vedere se la potenza era effettivamente controllabile.
Impostò in fretta i proiettili su ‘non perforanti’ e mirò alle due ragazze.


Gwen era pronta ad essere investita da ogni tipo di animale quando qualcosa la colpì, facendola volare fuori dalla traiettoria- precisamente contro un muro, ma quelli erano particolari irrilevanti.
Stava bene- stava incomprensibilmente bene, per una che in quel momento avrebbe dovuto essere una poltiglia di sangue e ossa. 

“Lo sapevo che mi sarei salvata! Il mio destino è vincere questo videogioco, e non potrò morire fino a quando non esaudirò il mio sogno!”

Purtroppo anche la ragazza stava bene.

 

Meredith era sicura che sarebbe sopravvissuta, eppure in quel momento era sorpresa della sua abilità nel sopravvivere ai danni: a quanto pareva, infatti, era stata capace di modificare la realtà virtuale con la sola volontà riuscendo ad imporsi di volare.
Fiera ma modesta, Meredith sorrise alla donna quasi avvenente come lei che era seduta poco distante.

“Oh, mi dispiace così tanto averla messa in pericolo di vita! Stia tranquilla, ora me ne vado e la lascio sola!” 

Si alzò, con grazie eppure con decisione, continuando a sorridere alla donna che, dal canto suo, continuava a guardarla in modo strano.
Probabilmente aveva visto le sue straordinarie doti e non sapeva se essere spaventata o se idolatrarla, ma Meredith era sicura che appena si fosse voltata l’avrebbe fermata.

“Certo, ovviamente so che tu stai per fermarmi perché sicuramente vuoi essere mia discepola, giusto?”

Gwen pensò seriamente di rispondere con un ‘vade retro puttana!’, ma poi decise di limitarsi alla più chiara ed eloquente occhiata di disgusto. 

<< -Otto persone su undici sono sopravvissute.- >>
<< -Forse il Tristo Mietitore sta perdendo qualche colpo.- >>
<< -So solo che se non ne uccide qualcuno potrei perdere la mia fiducia verso il genere umano.- >>


Shadi stava usando tutte le sue armi: il sorriso, le parole più dolci che una donna poteva sognare, un miscuglio di movimenti sensuali e gentili carezze ed, ovviamente, il suo bell’aspetto. Le barriere della ragazza stavano quasi per cedere (era al punto in cui ormai lei replicava alle sue frasi con parole di pari malizia) quando una mandria di cavalli e un elefante la investirono.


<< -Olè!- >> 


Il ragazzo rimase ad osservare il punto vuoto in cui fino a poco tempo prima c’era la ragazza, troppo scioccato per cambiare posizione- o anche solo per abbassare lo sguardo e notare che i suoi pantaloni erano macchiati di sangue. Semplicemente continuò a guardare il vuoto fino a che un altro ragazzo non lo fece ritornare alla realtà con un grido di dolore.
Shadi lo guardò ad occhi sbarrati, ancora troppo stordito per dire qualcosa- e notò che, dopo tutto, quel ragazzo non era poi così tanto male. 


<< -Non ci posso credere!- >>
<< -Neanche io… sai, penso che la sgualdrina, dopotutto, sia da stimare.- >>
<< -Io parlavo del fatto che nove persone su undici siano sopravvissute. Los, santo Cielo…- >>
<< -Però devi ammetterlo, il soprannome ‘la sgualdrina’ è semplicemente perfetto.- >>


Daniel reputava estremamente irritante non sapere di che cosa diavolo stessero parlando i due speaker. Da quello che aveva capito centrava una mandria di cavalli ed un elefante- e doveva essere per forza un messaggio in codice perché, sinceramente, cosa ci faceva un elefante insieme a dei cavalli dentro ad una città?
Era però ovvio che presto li avrebbe visti anche lui: se nove persone su undici li avevano evitati, allora era il suo turno e della ragazza.
La ragazza sembrava piuttosto sorpresa, probabilmente stava ascoltando anche lei i due speaker: Daniel decise quindi di andarle a parlare, giusto per avere un minimo di supporto morale in quel momento.
Aveva appena fatto tre passi verso di lei quando sentì un frastuono alla sua sinistra: si voltò e, allibito, si rese conto che ‘cavalli e un elefante’ non era una frase in codice.


<< -Eeeee strike!- >>
<< -Fuori uno, salvi dieci: media un pochettino bassa, bisogna ammetterlo, ma è pur sempre un modo per cominciare.- >>


Le gambe di Daniel cedettero di schianto, rese deboli dalla nausea. Abbassò lo sguardo, fissando il sangue della ragazza: per un qualche strano motivo sembrava troppo irreale, come se fosse solo un sogno.
La nausea- non aveva senso, non poteva sentire nausea. Era in un videogioco, no? Eppure la testa gli girava e sentiva un crampo allo stomaco, qualcosa che premeva per uscire.
Spostò gli occhi ai propri vestiti, anche loro sporchi di sangue. Daniel sorrise, chiudendo gli occhi- quello non era vero. Non poteva essere vero.
Riaprì gli occhi: il suo corpo fu scosso da un fremito di orrore e cominciò a strillare senza nemmeno rendersene conto.

 

Prima morte: Celia Boyd. Modus operandi: è stata uccisa da una mandria di animali impazziti.
Giocatori rimasti: 10

 

Quando Celia aprì gli occhi si ritrovò in una stanza che tanto assomigliava ad un laboratorio.
Si alzò, togliendosi il casco dalla testa: sapeva che era quello che l’aveva collegata al videogioco e ormai, purtroppo, non ne aveva più bisogno.
Attaccato al suo braccio sinistro c’era una flebo di glucosio. Avevano spiegato che era per nutrire il corpo.
Celia sospirò, staccando l’ago. Anche di quello non ne aveva più bisogno.
Gli occhi le si gonfiarono di pianto quando capì che l’avventura per lei era finita: il giorno dopo avrebbe dovuto andare al lavoro, avrebbe dovuto spiegare ai colleghi perché era assente e- e avrebbe dovuto passare la giornata a fare fotocopie e a sopportare gli scherzi del suo capo.
Si alzò, tenendo lo sguardo basso, e corse verso la porta per uscire- o almeno tentare. Abbassò la maniglia e spinse, tirò- tirò persino una spallata alla porta che non ebbe però effetto.
Alzò lo sguardo e finalmente notò il cartello affisso alla porta.
Che idiota, pensò diventando rossa.

“I concorrenti non possono uscire fino alla fine del gioco…?”

Strabuzzò gli occhi, rileggendo più volte la frase- non poteva uscire. Non poteva tornare a casa e quindi non poteva andare al lavoro!
Sorrise, trattenendosi a fatica dal gridare per la gioia, quindi continuò a leggere: le provviste erano nell’armadio e sugli schermi in fondo alla stanza si poteva vedere e sentire come procedeva il gioco.
Si voltò, cercando con lo sguardo l’armadio e gli schermi- li trovò in fretta. Uno di questi riportava la scritta della sua dipartita, ma sugli altri si potevano vedere gli altri giocatori.
Si sedette sulla sedia di fronte agli schermi e aprì un sacchetto di patatine, senza far niente per trattenere l’enorme sorriso che le andava da un orecchio all’altro.    

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Capitolo 3
*** Layer 02: God ***


Layer02: God << -Sono passate sette ore e… bhè, fra le notizie più importanti c’è che Los ha ricevuto il suo dolce, il che dà un’idea precisa riguardo la mediocrità della situazione.- >>
<< -Qualcosa come tre ore fa la sgualdrina ha trovato un cliente. Ammetto tristemente che è stata la cosa più interessante che è accaduta.- >>
<< -Preferirei non parlare di quel momento.- >>
<< -Uno spettacolo repellente da cui non si poteva staccare gli occhi.- >>

Shadi scostò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, sorridendo in un modo esageratamente malizioso.

“Avrei dovuto capirlo, prima, che siete due voyeour. State per ripetere tutto ciò che avete visto?”

Ridacchiò, immaginando l’espressione dei due speaker a tale proposta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli effettivamente vedere (anche perché voleva davvero capire se Goth era un maschio o una femmina), ma, per quanto ne sapeva, potevano persino non essere nel videogioco.
Scrollò impercettibilmente le spalle, come a tentare di eliminare l’espressione di disappunto che per qualche secondo si era disegnata sul suo volto, quindi uscì dalla stanza, senza degnare l’NPG che dormiva nel letto di una seconda occhiata.

<< -Non c'è ancora abbastanza alcol nelle mie vene.- >>
<< -Adesso che lo so farò in modo che nessun cameriere possa più portarti da bere.- >>
<< -Al contrario di te, Los, io so camminare per due metri e fare un cocktail senza il bisogno di un cameriere o di un barista.- >>
<< -…Mi vedo costretto a finire tutto l’alcool prima di te.- >>
<< -Mi vedo costretto a picchiarti.- >>

Dodger, vista la distruzione più o meno totale di tutte le slot-machine presenti nel casinò e l’accidentale rottura dell’unica altra macchina che andava a gettoni (sapeva che quello strano rumore ogni volta che tirava la manopola non era un buon segno, ma come poteva solo pensare di fermarsi?), era costretto ad aspettare la venuta dei croupier per poter giocare con le carte o alla roulette.
Durante il periodo di inattività imposto l’unica cosa che si era trovato a fare era ascoltare i due speaker: fu infatti per quello che alla parola “alcool” sembrò tornare in vita, allegro e gioioso come non mai.

“Se dovete smaltire dell’alcool potete chiedere il mio aiuto! Avete della Tequila?”

<< -No, ma farò in modo che tu la riceva, mio signore!- >>
<< -Non è giusto, con me hai continuato a lamentarti perché non potevo sentire il gusto, mentre con lui va tutto bene!- >>
<< -In base alla marca l’alcool modifica la percezione dei videogiocatori. Se tu leggessi le regole prima di fare una qualsiasi cosa, magari- >>
<< -Perché voi anziani dovete sempre venir fuori con questi discorsi? Nessuno legge le regole. Nessuno! C’è un motivo se spesso sono scritte nell’antica lingua di Mordor!- >>

“Ehi, ehi, ehi… calmatevi.”

Il sorriso sulle labbra di Dodger tradiva il divertimento che tale discussione gli dava. Gli sembrava di risentire i due figli quando litigavano fra di loro- o lui e sua moglie quando discutevano su quanto ancora fosse buono un certo cibo.
L’espressione sul suo volto divenne leggermente amara al pensiero che quelle, a dire il vero, erano le uniche discussioni con la moglie in cui non ne usciva con un qualche livido.

“Andiamo, come fate a litigare quando avete dell’alcool con voi? Trangugiate fino a perdere i sensi, Santo Cielo!”

<< -Mi piace come tu ci stia spingendo alla distruzione di fegato e cervello.- >>
<< -Vorrei avere lo stereo qui con me.- >>
<< -Perché non si riesce mai a tenersi su un discorso, con te?- >>
<< -Ho detto che voglio lo stereo!- >>
<< -Fai un’altra volta un simile scatto da bambino viziato e giuro che ti riempio di schiaffoni. Ad ogni modo, proviamo a chiedere ai due giovani salvatori del popolo animale. Dove sono i batuffolini caramellati col ripieno di pistacchio?- >>

Nicolas stava osservando con fronte distesa e sguardo vacuo il panorama che si godeva dalla cima della collina, inerme alla vista degli edifici che di tanto in tanto crollavano in diversi punti della città grazie alla forza dell’elefante che, incomprensibilmente, nessuno era ancora riuscito a calmare.
Accanto a lui sedeva il fratello, Oliver, che scriveva qualcosa su un fogliettino di carta: fronte corrugata e labbra serrate, era ovvio che fosse estremamente irritato per qualcosa.
Avevano visto, poche ore prima, una scritta che annunciava la morte di una certa Celia per colpa di una mandria di animali impazziti- mandria di animali che loro si erano lasciati sfuggire. In preda ai più profondi sensi di colpa, Nicolas aveva deciso che il modo migliore per rilassarsi e far sentire meglio suo fratello era prendere un gelato e fare un’allegra scampagnata.
Effettivamente la corsa per seminare il gelataio, inferocito perché i due non si erano neanche sognati di pagare, li aveva distratti dall’opprimente senso di colpa che era poi sparito completamente appena Oliver aveva cominciato a lamentarsi perché il fratello aveva ritenuto opportuno fargli tenere in braccio la bambina.

I due gemelli avevano deciso di portarsi dietro la bambina: Nicolas, che per i primi minuti aveva continuato a lagnarsi uggiolando che sarebbe stata solo un peso, aveva poi cominciato a procurarsi qua e là alcune caramelle da regalarle mentre Oliver, molto più serenamente, aveva cominciato a fare una lista mentale di possibili modi in cui poterla usare. La possibilità di utilizzarla come scudo umano, comunque, si presentava con un’allarmante ripetitività in data lista.

<< -Guardali, sembrano una famigliola felice… disse la persona con una famiglia caotica ad un adolescente che disprezza per motivi incomprensibili il padre e la cui madre è in giro per il mondo la maggior parte dell’anno.- >>
<< -Cosa stanno guardando? Cosa diavolo può essere più importante della musica?!- >>
<< -Irritarti, Los. Irritarti è la cosa più importante di tutte.- >>

Nicolas dovette aspettare altri cinque secondi per capire che, si, effettivamente avevano parlato di loro pochi minuti prima.
Scosse la testa, tentando di togliersi l’espressione da idiota sulla faccia, quindi sbatté le palpebre un paio di volte, assumendo il suo tipico sguardo innocente.

“Stavate parlando con noi?”

Fu solo in quel momento che Oliver sembrò aver sentito ciò che gli speaker avevano detto minuti prima: infatti lasciò perdere per qualche secondo il pezzo di carta su cui stava scrivendo e, con gli occhi socchiusi in un’espressione estremamente dubbiosa, finalmente si decise a parlare con la voce più disgustata che gli veniva.

“Batuffolini caramellati con ripieno di pistacchio?”

<< -Uno dei due riceve in ritardo. Che tenero.- >>
<< -Ora che abbiamo la vostra attenzione, cornflakes alla cioccolata e panna, potreste rivelarci se avete rubacchiato dei CD?- >>

Oliver distese la fronte, condiscendente. Sembrava aver ritrovato una qualche forma di serenità, se non proprio il buonumore.

“No.” Disse poi con tono asciutto prima di tornare a scrivere sul pezzo di carta.

“E comunque,” continuò il fratello, tentando di sopprimere l’ondata di irritazione che la risposta di Oliver gli aveva procurato senza un particolare motivo, “non avremmo potuto ascoltarlo. Intendo dire, non abbiamo uno stereo. Forse lo ha la bambina, ma dubito. Bambina?”

Nicolas si voltò verso la sua destra, dando una rapida occhiata al luogo, quindi si girò verso sinistra, cercando pazientemente la piccolina.
Tornò lentamente a guardare in avanti, il volto ridotto ad una fredda maschera che non lasciava presupporre la valanga di pensieri che in quel momento stava affollando la sua mente: con calma innaturale, quindi, chiuse gli occhi, emise un leggero sospiro e tentò di ragionare.

“Ommioddio Ollie, abbiamo perso la bambina!!”

L’unica reazione che Oliver riuscì a compiere mentre Nicolas scattava in piedi strillando con una ridicola voce stridula e i due speaker scoppiavano poco elegantemente a ridere, fu quella di fissare il fratello con sguardo vuoto e bocca socchiusa.

“Eh?”

Persino le sue abilità dialettiche avevano risentito della sorpresa.

Nicolas agitò le mani a mezz’aria, troppo fuori di se per fare qualcosa di ragionevolmente utile- o per fare a finta di pensare ad un piano. Oliver continuava a guardarlo con uno sguardo decisamente vacuo, come se le informazioni gli stessero arrivando a rilento, quindi Nicolas decise di fare l’unica cosa che gli sembrava logica.

“Eri tu quello che doveva stare attento alla bambina! È tutta colpa tua!”

Oliver sbatte le palpebre, assumendo in poco meno di un secondo un’espressione completamente sdegnosa- espressione che contribuì a far ridere ancora di più i due speaker, che ormai sembravano non riuscire più a riprendersi.

“Colpa mia? Come può essere colpa mia?! Tu sei quello che ha voluto portarsi dietro la bambina, tu avresti dovuto tenerla d’occhio!”

Nicolas assottigliò gli occhi fino a farne due fessure, serrando così forte le mandibole che i denti cominciarono persino a stridere. Incrociò le braccia sul petto, tamburellando nervosamente le dita sugli avambracci alla disperata ricerca di qualcosa con cui ribattere.

“La tua testa è stupida!”

Nessuno dei due fece caso alla nuova crisi d’ilarità dei due speaker, che cominciavano persino ad affannarsi alla ricerca d’aria: se da una parte, infatti, Oliver era profondamente colpito dall’idiozia del gemello, dall’altra non poteva fare a meno di pensare che, santo Cielo, semplicemente non poteva lasciarlo vincere in quel modo.

“Bhè, i tuoi occhi sono grandi e…” Per pochi secondi Oliver si guardò attorno, alla ricerca di un aggettivo utile per descrivere gli occhi del gemello- e fu in quel momento che si accorse che la bambina era a pochi metri di distanza, accucciata a terra, impegnata a fare qualcosa. “…Bambina.”

Nicolas inarcò un sopracciglio, tentando di capire cosa volesse dire ‘bambina’ riferito ai suoi occhi, notando solo in secondo momento il lento movimento del fratello atto a indicare uno spiazzo erboso posto a poca distanza da loro dove, lo notò solo in quel momento, la piccolina stava… facendo qualcosa.

“Ehi! Cosa stai facendo?” chiese Nicolas, perplesso.

La bambina girò leggermente la testa verso di loro, abbastanza per poterli vedere con la coda nell’occhio: per qualche secondo sembrò prendere in considerazione l’idea di ignorare la domanda e tornare ai suoi affari, ma alla fine decise di girarsi, alzando con la mano sinistra l’orsetto che teneva con così tanta cura.

I due gemelli strizzarono leggermente un occhio, in quello che era una specie di tic nervoso che avevano per qualsiasi cosa che reputassero estremamente disturbante: l’orsetto, in effetti, aveva lunghi artigli e piccole zanne sporche di quello che doveva apparire come sangue, e continuava a fissarli con due terrificanti occhi gialli.

“Quel…” Nicolas e Oliver lo sussurrarono all’unisono, strizzando nuovamente l’occhio, “Quell’orribile orsetto.”

<< -Oddio… Oddio…- >>
<< -Wew… pensavo di morire.- >>

Corey, per la prima volta dopo sette lunghissime ore, decise di prendersi una piccola sosta: alzò gli occhi dal progetto a cui stava lavorando con tanta lena e sorrise, divertito.

“Tecnicamente parlando, voi avreste dovuto essere morti per il ridere. Sapete, probabilità altamente ridicole eccetera.”

Mentre diceva questo cominciò a pensare che, effettivamente, era strano- cioè, era strano in quella normale stranezza.
Assottigliò le palpebre, come se stesse tentando di mettere a fuoco qualcosa. Quello, effettivamente, era un buon punto: se i due speaker avevano una qualche immunità, allora avrebbe dovuto seriamente considerare la loro posizione e studiarli un po’ meglio.

<< -Buon punto. Effettivamente dovrebbe esserci una qualche spiegazione logica a tale piccola mancanza…- >>
<< -Ma non m’interessa. Piuttosto, cosa sei tu? Uno di quei tristissimi bambini che trova la felicità solo risolvendo un intricato puzzle?- >>

Il bambino aprì la bocca, pronto a protestare, ma dovette bloccarsi quando si rese conto di non sapere cosa dire.
Alla fine optò per scuotere la testa sbuffando. Los (sempre se la voce apparteneva a lui, comunque) non aveva centrato appieno il punto: Corey non era un genio, non era tecnicamente triste ed aveva degli amici da preferire a qualche deprimente puzzle.
Tuttavia Corey era insoddisfatto della propria vita. La realtà era noiosa, scontata, poco interessante e priva di qualsiasi opportunità: in fondo che possibilità aveva, come undicenne, di fare qualcosa di importante che non fosse un semplice dieci in pagella? Assolutamente nulla.
Nei videogiochi, in compenso, le cose erano estremamente diverse.

“No. Tecnicamente parlando, comunque, preferisco di gran lunga i videogiochi a… uh… le… altre… cose.”

<< -Oh, un ragazzino intelligente. Si vede che non sei ancora un adolescente… anche se, ad occhio e croce, temo che ti manchi poco. Tratta bene il tuo cervello, perché sta per arrivare il giorno in cui i tuoi ormoni prenderanno il sopravvento e lo cacceranno lontano dal tuo corpo.- >>
<< -Videogiochi! Io amo Impending Doom II. Cioè, è semplicemente… non… è… è… cioè, io non… mio Dio, è… è… Oddio, è…- >>
<< -Bisogna comunque dire che alcuni partono avvantaggiati: d’altronde come può scappare ciò che non c’è mai stato.- >>

Quella cosa, quella Zathura, era decisamente una droga strana. Le cose, le persone- poteva vedere i complicati codici, i numeri binari che creavano ogni singolo pixel di tutto ciò che vedeva.
Avrebbe potuto rimanere ore ad osservare anche il più misero sassolino, a scrutare ogni minimo dettaglio (come facevano ad essercene così tanti in qualcosa di così piccolo?), affascinato dall’alone dorato che ogni pixel emetteva: era davvero fenomenale come credeva, oppure stava solo esagerando?
Si lasciò cadere all’indietro, finendo sdraiato a pancia in su. Le nuvole sembravano degli enormi ammassi di polverina brillante che riluceva al sole.
Gli uccellini, le persone- si muovevano quasi a scatti. O era lui che era troppo veloce?

“Sapevate che i videogame sono stati creati dalla resistenza per friggere i microchip che il governo ci installa appena nati?” chiese Sid prima di arcuare la schiena verso l’alto, facendo un ponte che sembrava ricalcare la forma di un semicerchio.
Piegò la schiena fino a quando la pelle dell’addome non cominciò a tirarsi, minacciando seriamente di strapparsi.

<< -Prima di drogarsi faceva danza classica?- >>
<< -So solo che la roba che ha preso non doveva fare per niente bene. E che forse dovrei provarla anch’io.- >>

Sid cadde su un lato, rotolando fino a trovarsi con la pancia a terra: di nuovo arcuò la schiena all’indietro, piegando le gambe sulle ginocchia.

“Non capite? I microchip. Il governo. Fa tutto parte di una cospirazione. Impending Doom rivela già nel suo titolo la missione dei videogiochi!”

<< -Giuro che gliela pago con i miei soldi la riabilitazione.- >>
<< -Però potrebbe avere un senso. Cioè, Goth, quando sono andato a fare le vaccinazioni ed ho visto il felice poster dell’orsetto Happy che andava a braccetto con il piccolo BeeBee, ho capito che qualcosa non andava. È ovviamente un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Sì.- >>
<< -Il felice orsetto Happy che va a braccetto con il piccolo BeeBee è un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Esattamente come dicono le Sacre Scritture!- >>

Gwen ridacchiò, ascoltando i due speaker.
I loro discorsi allucinati gli ricordavano suo marito e Ryek, il migliore amico. Quando parlavano assieme sembrava quasi non esistesse nient’altro.
Aggrottò la fronte al pensiero che, a dire il vero, suo marito era sempre sembrato più innamorato di Ryek che di lei- e non stava esagerando.
Forse, se lei... Forse avrebbe dovuto dare ragione a sua madre…
Gwen si passò una mano sulla fronte, mugugnando qualcosa di insensato. Se arrivava a pensare che sua madre potesse avere ragione e non solo per infastidire il marito, allora qualcosa andava davvero storto.

<< -Qual è la tua religione? Si basa sul credere ad un Dio o ciò che devi fare è soltanto dare in dono cervelli a Cthulhu?- >>
<< -A che?- >>
<< -Nghnff… Ok. Ehi tu… donna.- >>

Gwen si riscosse, sbattendo due o più volte le palpebre.

“Io?” chiese infine, perplessa.

<< -Sì, proprio tu dolce bocciolo di rosa vanigliato alla crema. Intrattienici. Divertici. Raccontaci i tristi e terribili pensieri che infestano la tua mente in questo istante!- >>
<< -Raccontalo a ‘un sussurro nella notte’, programma radiofonico che vi accompagnerà fino alla mattina: se hai annunci, dediche, vuoi dichiarare il tuo amore a qualcuno che non vuole neanche vederti o semplicemente vuoi fare un discorso alla nazione prima di invaderla, telefonaci. E ora un po’ di musica! However far away, I will always love you. However long I stay, I will always love you. Whatever words I say, I will always love you, I will always love you*…- >>
<< -Non ti sopporto quando canti. Torniamo a noi, petalo di fiore di pesca ripieno di involtini primavera, ti và?- >>
<< -Ehi, perché non mi- >>
<< -Dolcetto alla fragola ti ascolto!- >>

Di nuovo, Gwen aggrottò la fronte, perplessa. I discorsi dei due speaker erano già abbastanza strani senza che cominciassero a chiamarla con quegli strani nomignoli o a chiederle cosa avesse.

“Stavo chiedendomi, Goth,” cominciò lei, tentando di trovare un modo qualsiasi per riportarli a discutere di tutt’altro e a dimenticarla, lasciandola alle sue patetiche riflessioni. Sfortunatamente non sapeva come continuare la frase.
Rimase a corto di parole per qualche secondo, durante i quali non riuscì a pensare semplicemente a niente. “Sei un maschio o una femmina?”

Nei successivi attimi che precedettero la risposta dello speaker, Gwen ebbe il modo di insultarsi mentalmente più e più volte- quella era sicuramente l’influenza idiota di suo marito che faceva effetto, non c’era dubbio. Appena lo rincontrava lo distruggeva con le sue mani.

<< -Oh, andiamo, non è possibile! Me lo domanderanno in cento! Io- >>
<< -Cosa vuol dire che non sopporti quando canto?!- >>
<< -Ti risponderei se non ci fosse una cosa mi urta profondamente. Ehi, gelato al cioccolato, si può sapere cosa diavolo stai facendo?- >>

Daniel non rispose. Non sapeva nemmeno che stessero parlando con lui, d’altronde.
Era da qualche ora, ormai, che si trovava in quella chiesa. Non che fosse particolarmente religioso, no.
Era solo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in… quello. La ragazza- Santo Cielo, era morta in un modo semplicemente orribile ed il suo sangue- il corpo era ancora lì, in quella piazza.
Era disgustoso, terribile, orrendo.
Eppure qualcuno ci aveva pensato. Qualcuno aveva progettato quel videogioco per essere così, qualcuno aveva fatto in modo che capitasse, e quel qualcuno non si sarebbe fermato dopo aver collezionato solo una morte: avrebbe continuato, li avrebbe uccisi tutti.

Doveva fermare quel qualcuno… Doveva…

<< -Cosa vuoi che faccia in una chiesa, Goth?- >>
<< -Credi stia pregando?- >>
<< -Certo, sta pregando Dio, che in questo caso siamo noi. Ecco perché mi fischiavano le orecchie.- >>
<< -…lasciamo perdere.- >>

Dio, già. Se in quel videogioco c’era un Dio, allora lui era il responsabile.
I due speaker non lo convincevano. Erano, a quanto pareva, onniscienti. Potevano parlare con chiunque, vedere chiunque: le leggi, per loro, non contavano.
Forse, alla fine, il tizio stava dicendo il vero: forse erano davvero Dio.

Se così era, allora i due erano pericolosi. Andavano fermati. Eliminati.

Daniel si alzò dalla panca, uscendo poi dalla chiesetta. Doveva trovarli.

<< -Oh, il mondo ci ignora.- >>
<< -Cattivo mondo, brutto-brutto.- >>

Meredith era ragionevolmente arrabbiata.
Da quattro lunghe ore era rimasta da sola, abbandonata dall’unica discepola che aveva avuto e che si era poi rivoltata al suo volere – probabilmente perchè invidiosa della sua suprema bellezza -, ed aveva deciso di sfogare la propria rabbia che confinava con depressione ma anche con una leggera punta di allegria (sentiva che era un bene non doversi prendere carico del destino di qualcun altro all’infuori di lei, lo aveva scoperto quando, a nove anni, le era morto il canarino: a nulla erano valsi i suoi sforzi, il Tristo Mietitore l’aveva preso alla giovane età di venti anni e da allora lei aveva deciso di chiudere il suo cuore a quei sentimenti) nello shopping.
Aveva passato quindi un pomeriggio intero a scegliere i suoi diversi capi d’abbigliamento, meravigliosi pantaloni in pelle a vita bassa, magliette che mostravano l’ombelico, e santo Cielo come resistere a quelle mutandine con filo argentato? Senza contare la cintura dorata con brillantini leopardati, semplicemente irresistibili.
Aveva così indossato un paio di meravigliosi pantaloni a vita bassa, jeans strappati ma larghi - pieni di tasche in cui poter nascondere armi e accessori quale la sua diversa fiaschetta di birra o il suo diverso pacchetto di sigarette con brillantini dorati - da cui trasparivano le mutandine argentate, tocco di classe e sicuramente trasgressivo, assieme alla sua maglietta tremendamente corta ed aderente che sottolineava il suo seno prosperoso.
Eppure nessuno la guardava. Nessuno notava la sua carica trasgressiva, nessuno sembrava volerla notare.
E così, Meredith Joelle Elyectra Llawelyt Tyffany Rosemary Chaos Control Genesys Sakura Dunson si guardava attorno, con in mano cinque borse, chiedendosi quando qualcuno si sarebbe offerta di aiutarla: certo, lei ovviamente avrebbe risposto con un gentile ma sdegnoso e orgoglioso “posso farcela benissimo da sola”, ma quella mancanza la irritava.
Fu così che, convinta che i due speaker la stessero prendendo in giro, lanciò un urlo disumano atto a portare il terrore negli animi.

Gwen aveva da poco deciso di ricominciare con i suoi lavoretti, felice all’idea che stava per passare la serata in un meraviglioso hotel a cinque stelle. Prima volta nella sua vita, sicuramente.
Appena notò il portafoglio ben gonfio di uno degli NPG la sua mente andò in brodo di giuggiole. Quanti massaggi all’olio avrebbe potuto fare? E i vestiti, i gioielli- magari pure un idromassaggio in camera!
La lista di cose da comprare si allungava sempre di più, a mano a mano che Gwen si avvicinava e, lentamente, cercava di sfilare il portafoglio dalla tasca dell’uomo. Lo champagne, da quanto tempo non beveva più dello champagne? Del buon vino, qualcosa da mangiare, delle lenzuola di seta, una vista panoramica…
A distrarla fu un rumore agghiacciante che sembrava perforare l’aria: in fretta, senza nemmeno pensare, Gwen alzò le mani al cielo, tenendo il portafoglio con la destra, convinta che fosse un qualche genere di antifurto e che la polizia stesse arrivando.
Fu solo dopo dieci secondi che capì che l’NPG si era reso conto che lei aveva il suo portafoglio.

Corey aveva ricominciato a lavorare sulla pistola, inserendo quanti più codici poteva. L’arma era ormai finita, dopo avrebbe dovuto cominciare a lavorare sul bracciale e per allora aveva bisogno di un computer. Quanto costavano i computer, in quel posto? Li vendevano, soprattutto?
In preda a quelle domande esistenziali, Corey non ebbe il tempo di pensare logicamente quando uno strillo terrificante raggiunse le sue orecchie, facendole fischiare: preso alla sprovvista, completamente terrorizzato, urlò la prima cosa che gli passò per la mente.
“I Nazgul!!”

Dodger fissava il vuoto, cercando di calcolare quanti metri quadrati misurasse la stanza, tentando poi di convertirli in litri: quanta Tequila ci stava, lì dentro? Era una quantità che aveva già bevuto nella sua vita? Non poteva metterci la mano sul fuoco, ma scommetteva di si.
In quel silenzio quasi religioso Dodger accolse quel grido potentissimo con puro terrore.
La sua mente ritornò agli anni della sua infanzia, riportandolo ad un evento traumatico che aveva sperato con tutto il cuore di dimenticare: nel panico più completo, Dodger ebbe appena il tempo di strillare “Katyusha!” prima di gettarsi a terra e cingersi la testa con le braccia.

Shadi stava osservando, attraverso un vetro, con sguardo carezzevole i muscoli di alcuni appassionati di sport dentro una palestra, ricordando più o meno un bambino che guarda una vetrina di dolciumi. I ragazzi erano carini, certo, ma non si poteva staccare gli occhi dalle ragazze: come si poteva guardare altro mentre queste correvano, facendo rimbalzare quei loro generosi seni ben stretti in ridicole magliettine estremamente succinte?
Ridacchiò, assorto nei propri pensieri, prima che un suono orrendo non gli distruggesse il timpano destro. Si portò una mano all’orecchio, gridando per la sorpresa, e notando solo in quel momento che la vetrina stava tremando pericolosamente.

Sid stava tentando di tenere una verticale. Rideva sommessamente mentre il sangue gli arrivava al cervello e le braccia cominciavano a tremare: non si sentiva male o debole, era semplicemente... estasiato.
Era solo una sua impressione o le cose erano estremamente divertenti, quando sottosopra? Non lo sapeva. Vedeva il cielo sotto i suoi piedi e la terra sopra la sua testa, e la cosa gli sembrava così tremendamente buffa.
Assottigliò gli occhi, cercando di guardare meglio. C’era qualcosa di strano, in lontananza, sembrava quasi che si stesse avvicinando… qualcosa. Onda d’urto? Massa di energia?
Un urlo inumano lo investì, facendogli perdere l’equilibrio. Sid, cadde all’indietro, senza sentire la botta che sicuramente doveva aver preso alla schiena.
Sorrise, divertito. “Forte!”

Oliver fissava il gemello e la bambina con malcelata irritazione, a braccia conserte.
Il fratello stava sicuramente pensando a qualcosa. Un piano stupido, sicuro, e Oliver avrebbe dovuto faticare.
Strinse i denti fino a farli scricchiolare. Doveva liberarsi di lui e della bambina, lo sapeva: lei era anche carina, ma non aveva la minima intenzione di portarsela dietro fino alla fine.
Doveva liberarsi di lui. Il modo migliore era sacrificarlo al momento giusto, giusto per vendicarsi di tutti quegli anni in cui aveva dovuto fare il lavoro duro per niente. Doveva solo farlo sembrare un incidente agli occhi dei suoi genitori-
Un urlo lo fece distrarre, portandolo a guardarsi attorno spaventato, e Nicolas ne approfittò per dargli un calcio e farlo volare a qualche metro di distanza, offrendolo ad un qualsiasi nemico poteva esserci, prima di prendere la bambina e nascondersi in un luogo sicuro.
Appena Oliver comprese ciò che era capitato si voltò verso il fratello, pronto ad ucciderlo con le sue stesse mani.

Daniel sapeva chi stava gridando in quel modo insopportabile. Lo sapeva perché la vedeva.
Non aveva la minima idea di chi fosse, ma qualcosa gli diceva che non poteva essere un’altra giocatrice: un essere umano con simili corde vocali era semplicemente impensabile.
Così, passandole accanto mentre attraversava la piazza, si curò di spingere quanto più violentemente fosse possibile la ragazza, che cadde poco decorosamente a terra.

“Tu! Razza di-” cominciò a strillare la ragazza, inserendo quanti più insulti poteva. Daniel non si voltò nemmeno, continuando per la sua strada.
“Morirai! Hai capito?! Sarai il prossimo a morire!”

<< -Oh… mio… Dio… mi fischiano così tanto le orecchie…- >>
<< -Le mie orecchie… stanno vedendo la luce…- >>
<< -Sei un idiota.- >>
<< -La cosa divertente è che sto leggendoti il labiale, non sento più niente.- >>

Shadi si alzò, massaggiandosi le orecchie. Aveva schivato i frammenti di vetro per puro caso, ma la testa gli stava semplicemente scoppiando.
Camminò per pochi metri, con passo malfermo, cercando di capire se fosse tutto a posto: a parte l’orecchio destro che continuava a pulsare, non c’era altro fuori posto.
Non faceva male, anche se era ovvio che il timpano avrebbe dovuto essere rotto: stava soltanto pulsando. Forse era perché era in un videogioco?

<< -Ok, cerchiamo di vedere i feriti…- >>

Daniel non sapeva dove andare. Doveva esserci una prova, un qualcosa che indicasse dove fossero i due speaker, ma dove?
Doveva costringerli a rivelare il loro covo. Ma come? Minacciando di uccidere una ciambella?
Forse Los poteva cedere, ma prima che Daniel potesse ragionare seriamente su quel piano qualcosa andò a sbattere contro di lui.

<< -Nessun morto? Peccato!- >>

Shadi alzò lo sguardo, aprendo e chiudendo la bocca, troppo confuso per parlare.
Cerco di tornare a ragionare. Era andato a sbattere contro qualcosa- qualcuno. Avrebbe dovuto scusarsi. Vedere se il qualcuno era appetibile. Provarci.
Sorrise, cercando in tutti i modi di dare a quel gesto un qualcosa di naturale. “Scusi.”

<< -Oddio, la sgualdrina ha qualcosa… aspetta, la sgualdrina? Los, sei un bastardo! Mi hai fatto il lavaggio del cervello!- >>

Daniel scrollò le spalle, facendogli capire che non era nulla, prima di notare che dall’orecchio destro del ragazzo stava colando del sangue.
Sbarrò gli occhi, avvertendo uno spiacevole crampo allo stomaco.

<< -Non sembra fargli tanto male, eppure sembra che gli stia uscendo sangue dal cervello…- >>

Sangue… dal cervello?
Sbatté le palpebre, notando solo in quel momento l’alone più chiaro attorno al ragazzo dall’espressione intontita. I due speaker stavano parlando di lui. Lo conoscevano.
Le labbra di Daniel si piegarono in un sorriso malvagio, mentre un piano si delineava nella sua mente: poi sbatté il ragazzo contro il muro e gli puntò un pezzo di vetro preso dalla vetrina alla gola.

<< -Oddio, Goth, Storie di Vita!- >>
<< -Favoloso! Vuoi vedere che è il suo fidanzato che si è reso conto di essere stato tradito più e più volte?- >>

“Silenzio!” gridò Daniel, stringendo il pugno con cui teneva la maglietta di Shadi: il ragazzo squittì, impaurito, e tentò di divincolarsi senza successo dalla presa dell’altro.
“Se non mi dite dove siete lo uccido,” ringhiò Daniel premendo il pezzo di vetro contro la gola di Shadi, per provare ai due che non stava scherzando.

<< -Uh… ehilà? “Il gioco consiste nell’essere l’ultimo a morire”, “devi sopravvivere agli altri”… dicono niente queste due frasi?- >>
<< -Uccidere gli altri concorrenti è una possibile scelta per vincere. Se vuoi farlo, fai pure.- >>

Daniel imprecò sottovoce, bloccando l’ennesimo tentativo di Shadi di divincolarsi dalla sua stretta.
Erano davvero due pazzi sanguinari, se preferivano lasciar uccidere qualcuno piuttosto che rivelare la loro posizione.
Doveva trovare un altro piano. Cosa poteva convincerli a rivelare la loro posizione? Cosa poteva dar loro abbastanza fastidio…?
Socchiuse gli occhi, stringendo così tanto il pezzo di vetro che finì per tagliarsi il palmo della mano.
Inspirò, cercando di darsi un minimo di coraggio, poi chiuse completamente gli occhi e, tentando di convincersi che il ragazzo non era davvero un ragazzo, si piegò a baciargli il collo.

<< -Stai scherzando, vero?- >>
<< -Non può essere vero.- >>

L’orrore nelle voci dei due speaker riuscì, per alcuni secondi, a convincerlo che ciò che minacciava di fare non era davvero così disgustoso come pensava.
Lasciò andare il pezzo di vetro e strinse i polsi del ragazzo, che cercava di divincolarsi con più forza.

<< -Così disgustoso… e… allo stesso tempo… non posso…- >>
<< -Los! Senti… tu. Non puoi essere veramente serio. Oh, andiamo!- >>

Daniel strinse gli occhi, disperato. Non poteva essere necessario arrivare fino a quel punto, non poteva essere davvero costretto a-
Lasciò un polso del ragazzo, bloccandolo contro il muro con il proprio corpo, e portò la mano libera ai propri pantaloni.

<< -Mi arrendo! Mi arrendo! Non siamo tanto distanti, va dritto, l’hotel è ha due incroci di distanza. Gira a sinistra, vai all’ultimo piano, noi siamo lì.- >>
<< -...Ormai che ci sei potresti portarci anche un- >>
<< -Los.- >>
<< -Ci si vede.- >>

Daniel non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Si allontanò dal ragazzo, lasciandolo libero: questo scivolò a terra, cominciando a tremare violentemente. Daniel si rese conto di non avere la minima idea di cosa fare.
Il ragazzo stava male per colpa sua, gli doveva pur sempre qualcosa- ma allo stesso tempo doveva eliminare i due speaker, e portarlo con se non gli sembrava un’idea saggia.
Si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.
“A… ehm…” Il ragazzo continuava a tremare. Ovviamente. “I-io… s-scusa?”
In quel preciso istante Daniel capì di essere un’idiota.
Senza aspettare un secondo di più cominciò a camminare, cercando di allontanarsi il più possibile dal ragazzo che, ne era sicuro, stava per scoppiare a piangere.

<< -Hm… continuiamo. Nessuno sembra stare male, a parte la… ehr, il ragazzo.- >>
<< -Favoloso. Le cose non potevano andare meglio. Almeno l’ha uccisa, la ragazzina?- >>

Meredith fissò il proprio riflesso in una vetrina, sorridendosi con ammiccante modestia. Controllò che i suoi capelli color dell’oro fuso con grano al tramonto e stelle del mattino fossero meravigliosi come sempre, prima di controllarsi i vestiti.
Quando si rese conto che i suoi jeans trasgressivi strappati al ginocchio avevano un ennesimo strappo dovuto alla caduta, Meredith non ci vide più.
“Maledetto!” strillò con tutta la voce che aveva, “Tu morirai! Morirai!”

<< -Miseria boia…- >>
<< -Tirati su di morale. Vediamo come stanno le persone nel lato psicologico del termine.- >>
<< -Hm… non posso fare a meno di notare una persona…- >>
<< -Ehi! Cos’è successo al mio mito inarrivabile?!- >>

Dodger era ancora sdraiato a terra, la testa protetta dalle braccia, con la mente in un altro tempo e luogo.

<< -Uh… prima ha detto qualcosa tipo… Katia? Kat… katyos… Kat…- >>
<< -Smettila di insultare la mia intelligenza parlando, Los.- >>

Gwen, che stava ancora correndo inseguita da qualcosa come tre NPG, non poté fare a meno di stringere i pugni nel sentire che suo marito aveva urlato il nome di una donna.
Piegò la schiena leggermente in avanti, tentando di aumentare la velocità di corsa, prima di ringhiare qualcosa sottovoce.

<< -Allora, cerchiamo di ragionare… C’è stato un grande rumore, no? Urla eccetera. E lui ha gridato Katy… qualcosa.- >>
<< -Già.- >>
<< -Hm. Non ricordi altro?- >>
<< -Doveva essere un nome russo. Lungo.- >>
<< -Uff. Nome russo, lungo, rumore. Da quello che ne sappiamo, può anche aver preso l’urlo per una sirena.- >>
<< -…Sirena?- >>
<< -Non quelle con le code di pesce, per l’amor del cielo.- >>

Daniel aveva ormai passato il primo incrocio quando, buttando l’occhio alla propria destra, notò un interessante negozio che vendeva qualcosa che poteva essergli utile…

<< -Oh, Katyusha!- >>
<< -Che?- >>
<< -Katyusha! È una specie di camion che lancia missili, fa un rumore del diavolo e toglie un sacco di punti vita.- >>
<< -Punti vita. Ti prego, dimmi che non è un’arma presa da un videogioco…- >>
<< -Presa a sua volta dalla seconda guerra mondiale!- >>
<< -Favoloso. Comunque, lui non mi sembra così tanto vecchio da poter essere stato presente nella seconda guerra mondiale.- >>

A poco a poco Dodger stava tornando in se.
Dapprima aprì gli occhi, timoroso: vedendo che nulla era cambiato da prima del rumore si decise ad alzare la testa, per guardarsi attorno.
Il posto sembrava essere normale. Non era cambiato nulla.
Si mise seduto, pronto in ogni momento ad accucciarsi di nuovo a terra, e cercò di capire se era ferito in un qualche modo: oltre al cuore che continuava a battere all’impazzata, null’altro era strano.
Sbuffò per il sollievo, sentendosi improvvisamente stanco. Per qualche secondo gli era sembrato che fosse davvero la Katyusha- ma quello era ridicolo. La Katyusha faceva un rumore inimitabile.
Appoggiò la schiena alla slot-machine, rilassandosi. I suoi occhiali non erano volati a terra per un qualche miracolo della gravità: probabilmente avrebbe dovuto esserne grato.
Portò una mano alla fronte, asciugandosi il sudore, rendendosi conto in quel momento che a cadere, al posto dei suoi occhiali, era stato il cappello: era a pochi centimetri di distanza, ma non aveva abbastanza forza per allungarsi e prenderlo.

<< -Aspetta aspetta… si è ripreso.- >>
<< -Oh grazie al cielo.- >>

I due speaker stavano parlando con lui?
A quanto pareva erano preoccupati. O almeno, erano stati preoccupati per lui- incoraggiante.
Si sporse in avanti, nuovamente preso dal panico.

“Gwen! Gwen, mia moglie, sta bene?”

<< -Gwen…?- >>
<< -Uh… a rigor di logica… dovrebbe essere…?- >>
<< -Aspetta aspetta… forse lei?- >>
<< -Oh… si, sta bene. Sta fuggendo da tre tizi, penso abbia rubato il loro portafoglio.- >>

Dodger sorrise, divertito. Quello era così da sua moglie, era sicuramente lei.
Il sorriso si spense, mentre perdeva nuovamente colore.

“Nicolas? Oliver?”

<< -Uuuh…->>

I due gemelli stavano, in quel momento, litigando piuttosto violentemente. Oliver era ragionevolmente infuriato, Nicolas tentava di dire che tanto era solo un videogioco, che non si moriva davvero, e fra un insulto e l’altro i due si spintonavano e tentavano, senza molto successo, di darsi qualche calcio.

<< -…Bene. Si, direi che stanno benone.- >>

Crollò nuovamente contro la slot-machine, rilassandosi. Stavano tutti bene- e d’altronde non aveva avuto motivo di impaurirsi. Non c’era stato nessun vero pericolo.
Guardò l’orologio del casino, maledicendosi. A quanto pareva, non era ancora orario per il poker.
Aggrottò la fronte, perplesso- chissà se il bar era aperto?

<< -Vorrei ordinare una torta, ma temo che arriverebbe prima lo psicotico del cameriere.- >>
<< -Puoi giurarci. Cosa ti aspetti da questa inaspettata ma soprattutto spiacevole visita?- >>
<< -Probabilmente ci violenterà a morte.- >>
<< -Ti violenterà a morte. Tu sei la giovane carne fresca. Tu hai il bell’aspetto. Tu sei insopportabile.- >>
<< -Ehi!- >>
<< -I giocatori ameranno il tuo sacrificio, Los.- >>

L’ascensore arrivò finalmente all’ultimo piano. Quando le porte si aprirono, Daniel fu sorpreso di constatare che, in tutto il corridoio, c’era solo una porta: una suite da un piano intero era semplicemente da megalomani.
Sbuffò, prendendo in mano la pistola. Ripassò mentalmente l’idea che si era fatto circa ciò che sarebbe successo.
Sarebbe entrato. Avrebbe trovato i due speaker: magari avrebbero provato ad attaccarlo, ma lui gli avrebbe sparato subito, senza aspettare un solo secondo. Poi?
Poi… la gente non sarebbe più morta, il videogioco sarebbe finito e le cose sarebbero andate per il meglio. Si, sarebbe andata così.
Appoggiò una mano sulla maniglia della porta, inspirando profondamente. Doveva essere pronto. Doveva essere veloce. Doveva essere preparato.
Aprì la porta, alzando subito la pistola.

<< -Oddio!- >>

I due speaker erano seduti di fronte ad un enorme schermo dove si potevano vedere tutti i giocatori. All’estrema destra c’era un quadratino in cui si vedeva Daniel puntare la pistola ai due speaker, ad esempio.
Goth, quello (o quella?) che aveva appena parlato, era trasalito nel sentire la porta aprirsi: lo guardava con occhi sbarrati, come se davvero non si aspettasse che fosse lì.
Anche Los si era spaventato, ma in un modo diverso: la sua era la tipica paura del soldato, quella che ti porta a scattare e colpire.
E così fece. Impugnando con la mano destra una matita scattò verso Daniel, che scelse di mirare, in quel preciso istante, a lui.
Premette il grilletto e il suono, per qualche istante, lo confuse: lo confuse abbastanza da fargli credere di aver centrato il bersaglio. Così non seppe come reagire quando Los gli fece volare via la pistola dalla mano usando la sinistra, come non si mosse quando questo gli conficcò la matita nel collo, oltrepassandolo da parte a parte.

<< -...Ok, questo è stato…- >>

Goth non seppe come finire la frase. Daniel era caduto a terra, probabilmente in fin di vita, e Los si era voltato verso di lui, per tornare con calma al proprio posto.
La parola ‘sorpresa’ non si avvicinava minimamente a ciò che provava Goth in quel momento: incapace di continuare, decise quindi di cercare di tornare in se.

<< -L’ultima volta che hai fatto uno scatto simile è stato quando l’ultima fetta di torta del mio compleanno ha rischiato di cadere a terra.- >>

Los si sedette al suo posto, tenendosi la testa con la mano sinistra.

<< -Mhm. Mi manca così tanto quella torta.- >>

Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma poi sembrò addolcirsi: la sua espressione non era di gentilezza, comunque, ma più di imbarazzo.

<< -Uh… comunque… hm… sei stato… bravo. Arti marziali?- >>

Los scrollò le spalle, affondando ancor di più nella poltrona. Si vedeva che gli mancava terribilmente, quella torta.

<< -Krav Maga. Si… pensi che questo valga un servizio a malapena più accettabile da parte dei camerieri del posto?- >>

Ed in un solo secondo Goth perse tutta la gratitudine verso quello che reputava soltanto un piccolo odioso mostro.

<< -Santo Cielo, sei persino troppo pigro per vantarti?!- >>


Seconda morte: Daniel Richard. Modus Operandi: una matita gli è stata conficcata nel collo, soffocato nel sangue, rottura di una vertebra
Giocatori rimasti: 9

-

-:.:,*,:.:-

-

Quando Daniel aprì gli occhi gli sembrò di essersi risvegliato da un incubo.
Si sentiva bene come poteva sentirsi qualcuno che ha finalmente ritrovato la propria capacità di ragionare e sentire. Quel caldo, il sudore che gli gocciolava dalla fronte, tutto gli sembrava una specie di dono.
Si sedette e staccò l’ago della flebo dal proprio braccio, felice di non averne più bisogno. Si tolse il casco, fin troppo ingombrante, e strinse gli occhi, momentaneamente accecato dalla luce della stanza: non che fosse illuminata, ma per lui che non c’era più abituato era fin troppo.
Quando rimise a fuoco le immagini si rese conto che la Celia Boyd, la ragazza che aveva visto morire, lo stava salutando con un sorriso.
Si sentì gelare il sangue nelle vene. Come aveva potuto dimenticare che le morti nel videogioco non erano reali? Si era fatto trasportare troppo e…
Arrossì, senza riuscire a muoversi.

“Ciao! Non si può uscire.” Trillò allegramente la ragazza, stranamente felice di quel dato di fatto. “Rimaniamo qui fino alla fine del gioco. Possiamo guardare e mangiare!”

Daniel piegò leggermente i lati delle labbra all’insù, ancora non totalmente convinto che quelle che lei presentava con allegria fossero buone notizie.

“Ehm… Io…” cominciò Daniel, senza sapere cosa dire. Voleva scusarsi? Sì, forse- ma valeva, chiedere scusa alla ragazza?
Lei agitò una mano in aria, come a dire di lasciar perdere.

“Sai, alla fine è stato buono. Vedi questo schermo?” e Celia indicò uno schermo a destra, che riprendeva i due speaker mentre parlavano, “Bhè, prima era per te. Morendo nella loro stanza mi hai dato modo di vedere gli speaker.”

Lei rise, mostrando un altro dei suoi felicissimi sorrisi. “Non sono semplicemente grandi? Intendo dire… li adoro!”

Daniel si sedette nel posto accanto a lei, in silenzio, cercando di non ascoltare i sensi di colpa che lo stavano letteralmente divorando.

Goth doveva avere venti, venticinque anni. Gli occhi, dalle iridi di un colore scuro che poteva essere blu come una tonalità di grigio, erano pesantemente truccati di nero: per il resto, oltre allo smalto (anch’esso nero), non aveva altro tipo di trucco. Non si riusciva a capire se fosse stato il nome a portarlo ad un tale stile oppure se i suoi genitori erano stati dei veggenti, ma l’unico modo per descrivere Goth era, ironia della sorte, la parola “Goth”: capelli neri, tagliati undercut, terribilmente pallido, non si riusciva a capire se era una ragazza un po’ mascolina o un ragazzo dai lineamenti un po’ troppo delicati.
Los non doveva avere più di diciassette anni, probabilmente sedici. Goth assomigliava troppo ad un vampiro per poter piacere a più persone che non fossero Dark o Gothic, ma Los, al contrario, era decisamente carino: i capelli biondi, mossi, erano lunghi fino alle spalle e qualche ciocca gli cadeva sul volto. Gli occhi, le cui iridi erano verde chiaro, erano socchiusi, dandogli un’espressione calma e disinteressata- qualcosa che contribuiva, assieme al suo modo di fare piuttosto flemmatico, a farlo etichettare come fin troppo lassista. Cosa che probabilmente era, per carità: nessuno dei giocatori faceva fatica a credere a Goth, quando questo rimarcava quanto apatico, menefreghista e indolente fosse il ragazzino.

Celia sorrise, rannicchiandosi sulla propria sedia. “Non sono adorabili? Sto ancora cercando di capire se Goth sia o no un maschio. Secondo te?”

Daniel aprì la bocca, senza riuscire a parlare. La verità era che non ne aveva la minima idea.


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Grazie a Xanax per la sua recensione! Spero che la storia vi piaccia! E, uh... perdonatemi. L'ultima parte (da bambina nicolas e oliver in poi) l'ho fatta oggi. Sono... non... riesco più a pensare. Vi prego, perdonate gli errori ç_ç

*La canzone è "Love Song", dei "The Cure". Meravigliosa canzone *_*

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Capitolo 4
*** Layer 03: Ache ***


Layer 03: Ache

<< -Stavo pensando, Goth… non abbiamo visto delle morti molto forti.- >>
<< -Che ti aspettavi, i templari che tornavano dall’oltretomba per portare la fede ad un nuovo livello?- >>
<< -No, ma sai. Stavo pensando a qualche morte tipo, non lo so, qualcuno diventa pazzo e comincia a cibarsi di carne umana, scarnificando le povere vittime con le proprie nude mani e scavando nel cranio con una costola strappata da- >>
<< -Non accadrà mai. Mai. Infatti, faremo a finta che tu non abbia mai detto niente, nessuno oltre a noi dovrà mai sapere che tu abbia anche solo pensato ad una cosa del genere e prega Dio che uno studente non decida malauguratamente di sterminare i compagni di classe qualche settimana dopo il debutto del videogioco.- >>
<< -Potremmo dare la colpa alla musica.- >>
<< -Se i Bagel Zero devono cancellare un altro tour per un moccioso che ne ha avuto abbastanza giuro che ucciderò i suoi genitori, i superstiti del massacro e la stampa.- >>
<< -Accoltellandoli con le loro stesse costole?- >>
<< -Perché vuoi condannare questo gioco già da prima del debutto? Oh, non lo voglio sapere. Bhè, tesorini ricoperti di miele colato, è sera: la barra dell’energia dovrebbe essere, per tutti, ormai praticamente rossa e… che altro dire.- >>
<< -Non è morto nessuno.- >>
<< -Ti pagano per ricordare alla gente che deve morire?- >>
<< -Se per ‘pagano’ intendi ‘hai i soldi’ e per ‘ricordare alla gente che deve morire’ intendi ‘divertirti’ allora sì, mi pagano per ricordare alla gente che deve morire.- >>
<< -Tecnicamente ‘pagano’ andrebbe modificato con ‘mio padre ha i soldi’.- >>

Dodger guardava la porta del casinò con astio, ricambiato dallo sguardo severo delle due guardie.
Delle persone normali, constatato il fatto che un uomo era rimasto per tutto il giorno in attesa dell’apertura delle roulette, sarebbero quantomeno rimaste commosse dalla fedeltà- loro no. Loro avevano detto che il suo interessamento era patologico. Ridicolo.
E poi da quando ad un casinò importava di qualcosa del genere?
Una delle due guardie minacciò di avvicinarsi: Dodger alzò le mani al cielo con fare esasperato, prima di allontanarsi.

“Maledizione!” 

<< -Fortuna che lui non è ‘pagato per ricordare alla gente che deve morire’, altrimenti dovrebbero staccargli la mano dalla slot-machine a scalpellate.- >>

Gwen aveva prenotato una camera in un hotel a cinque stelle.
Era rimasta semplicemente estasiata alla vista della suite: televisore al plasma, bar, letto matrimoniale con morbide e meravigliose lenzuola di seta (lo stesso tessuto del suo vestito da sposa- che in realtà non era propriamente suo, ma quello era un dettaglio), idromassaggio- e, oddio, quella era davvero una bottiglia di champagne?
Felice come una bambina, vide però tutta la sua allegria volare fuori dalla finestra (che, con la scusa di essere al quinto piano, prendeva un’intera parete) appena capì che i due speaker si stavano riferendo a suo marito.
Emise un grido di frustrazione, lasciando perdere la promessa che si era rifatta ore prima- ovvero di lasciarlo perdere e godersi quella opportunità. 

“Cosa diavolo ha fatto Dodger adesso?!” esclamò infine, agitando i pugni in aria. 

<< -Dille che sta pagando una prostituta, dille che sta pagando una prostituta, ti prego, dille che sta pagando una- >>
<< -Los! Tranquilla, bocciolo di rosa vanigliata alla pesca, tuo marito sta solo uscendo dal casinò.- >>
<< -E sta usando i soldi di una vincita per una- >>
<< -Perché, Los? Non sei già abbastanza odioso senza avere queste trovate? Perché lo fai?- >>
<< -Perché a volte, Goth, in ordine di poter far soffrire terribilmente qualcuno, devi mentire sfacciatamente. Me lo insegnasti tu.- >>
<< -Ah, ecco. Ero inquieto, nel sentirla mi dava l’effetto di una frase con un senso logico inoppugnabile e pensavo ‘non può essere di Los, questo moccioso non ha voglia di pensare’. Come mai te l’ho insegnato?- >>
<< -Mi hai portato ad una mostra dell’artigianato. Dicendomi che c’erano videogiochi.- >>
<< -Oh già! Le migliori due ore della mai vita, vederti fare una torta è riuscito perfino a farmi dimenticare la folla di gente.- >>
<< -Sei un… orrendo… mostro... senza il minimo cuore.- >>
<< -Eh eh… sì. Sì, lo sono. Hm, stavamo dicendo?- >>
 

Gwen era rimasta ferma per tutta la discussione, con i pugni serrati e gli occhi socchiusi in un’espressione a metà fra l’esasperato e l’infuriato.
“Mio marito.” Ringhiò infine lei, lieta che, dopo averla completamente dimenticata, almeno uno dei due speaker si stesse domandando di cosa stavano parlando prima. 

<< -Oh già. Sta bene. È fuori dal casinò. Nessun problema.- >>
<< -A meno che non impazzisca qualcun altro e non decida di minacciare lo stupro su di lui.- >>
<< -Evitatelo. Non è che possiamo riempire di cadaveri la stanza. Già adesso è piuttosto inquietante.- >>
<< -Fra parentesi, dove diavolo è il servizio in camera? Non mi dirai mica che dobbiamo tenerci il corpo fino a domani, vero?- >>
<< -Io non lo tocco di sicuro.- >>

La donna alzò gli occhi al cielo, incredula: parlare con i due speaker era davvero come trovarsi di fronte a suo marito.
Esaurita quindi la propria pazienza decise che del destino del consorte alla fine poco gli importava: ignorò quindi i due ragazzi che continuavano a sproloquiare circa cadaveri e torte e si buttò sul letto.
Il sorriso le tornò istantaneamente sul volto mentre le mani accarezzavano le lenzuola di seta: se solo quello non fosse stato un videogioco e quindi qualsiasi sensazione legata al tatto non fosse stata inesistente, probabilmente sarebbe finita in brodo di giuggiole nello strusciare la testa contro il tessuto. 

<< -Goth, una sola domanda: noi cosa facciamo mentre gli altri dormono?- >>
<< -Quel che ci pare. Non siamo costretti a dormire.- >>
<< -Quindi non possiamo dormire?- >>
<< -Non siamo costretti neanche a mangiare, ma non è che questo ti ha trattenuto dall’ingoiare piatti di torte.- >>
<< -Quindi possiamo. Non avevo voglia di rimanere sveglio tutta la notte.- >>
<< -“Che gli dei misericordiosi, se esistono, ci proteggano nelle ore in cui né il potere della volontà, né le droghe inventate dagli uomini possono tenerci lontani dall’abisso del sonno”.- >> 

“La morte è compassionevole perché da essa non c’è ritorno, ma chi emerge, pallido e carico di ricordi, dai recessi della notte, non avrà più pace.” 

Le parole volteggiavano attorno a Sid mentre questo le pronunciava. Ebbene sì: anche se era una follia, anche se sapeva che quelli erano solo dei suoni, riusciva a sentire il calore delle lettere che lo sfioravano, a vedere la leggera sfumatura delle parole.
Sorrise, vedendo l’arancione cupo della frase mutare, lentamente, in nero. Era più che appropriato, probabilmente.
Era strano, sentire il calore di qualcosa. Era in un videogioco, quindi non sentiva freddo e caldo, eppure quelle parole lo facevano stare bene- come se fosse immerso in una nube di calore.

<< -Uh… wow. Cioè, wow.- >>
<< -Cosa diavolo state dicendo?- >> 

Il volto, contratto dalla rabbia, gli si ammorbidì leggermente nel sentire uno dei due speaker fare una simile citazione: si permise persino un leggero sorriso quando, dopo una pausa, il secondo ragazzino era venuto fuori con quella domanda. 

“Dovevo immaginarlo,” cominciò Dodger, calcandosi il cappello sugli occhi, “Goth… non potevi avere altri gusti letterari.” 

Diede un’ultima rancorosa occhiata al casinò in fondo alla via prima di svoltare a sinistra, alla ricerca di un posto dove andare a dormire- o anche di un semplice bar.

“Scommetto che nella tua biblioteca Cthulhu e Lestat vanno allegramente a braccetto.” 

<< -Si può non amare Akasha?- >>
<< -Non mi piace questo discorso, non ho la minima idea di cosa stiate dicendo.- >>
<< -Immagino. Parlare di cultura con te è inutile.- >>
<< -Come lo è parlare con te di… uh…- >>
<< -Di cosa, Los? Dimmi un solo argomento in cui tu sai più di me.- >>

“Oh, andiamo. Sembra quasi siate sposati.” 

Dodger non stava realmente pensando alla frase, quando questa gli sfuggì di bocca. Si stava guardando attorno, continuando a camminare, domandandosi quale fosse la logica della sistemazione dei negozi - souvenir, gelataio, vestiti, souvenir, gelataio, vestiti - .
Aggrottò la fronte perplesso quando, incomprensibilmente, invece di iniziare nuovamente quel mantra – souvenir, gelataio, vestiti – era comparsa una palestra.
Una palestra dopo dodici gelaterie? 

<< -Se mai lo saremo abbi paura: quel giorno mi arresteranno per pedofilia e, allo stesso tempo, sarò evidentemente sull’orlo del coma etilico.- >>
<< -Solo due disgrazie?- >>
<< -Tre. Troppo alcool, matrimonio con moccioso, arresto per pedofilia: un circolo perfetto.- >>
<< -Potremmo avere figli.- >>
<< -Come potremmo avere la malaria.- >>
<< -Potrei avere dei figli, un giorno.- >>
<< -Los, con tutta la buona volontà… ma ancora adesso non riesco a convincermi che tu abbia la voglia di alzarti dal divano per corteggiare una ragazza. O di ricordare il nome di ognuna.- >>
<< -Cosa vorresti dire con questo?- >>
<< -Esistono delle cartoline con su scritto “mi dispiace che la tua relazione non sia durata fino alla fine del pomeriggio”? Ne distribuiscono a pacchi di cento?- >>

Meredith, i lunghi capelli biondi come il sole a mezzogiorno in una limpida e cristallina giornata di primavera tenuti in una retina cosparsa d’oro e strass, si permise di arricciare il delicato nasino in una smorfia di disgusto.

“Lo dovevo immaginare! Sei un libertino, sempre a caccia di gonnelle!” 

<< -A caccia di gonnelle? Da che secolo è appena uscita?- >>
<< -Forse tu e la tua retina non avete capito: sono ricco. Ricco e bello. Pensi seriamente che le ragazze mi vogliano per testare l’amore vero?- >> 

“Sei solo un maschilista!” 

La ragazza era ragionevolmente infuriata: come si permetteva, quella vocina, di mettere in dubbio i buoni propositi del genere femminile? Di dire che lo inseguivano solo per i suoi soldi.
Alzò il volto, oltraggiata, e con rabbia ma anche calma si ripromise che gli avrebbe fatto capire che l’amore vero esisteva, esisteva per tutti: glielo avrebbe dimostrato, anche a costo dei propri tanga argentati in pizzo.

<< -Io?- >>
<< -Devo, mio malgrado, dare ragione a Los. Intendo dire, persino io lo seguo solo per i suoi soldi, il ché dovrebbe dirla lunga.- >>
 

Oliver e Nicolas si bloccarono, quasi illuminati dalla gioia nel sentire Goth dire quella frase: era una donna, quindi!
Poi il loro viso si rabbuiò: aveva detto ‘persino’. Cosa voleva dire? Che persino una ragazza come Goth inseguiva Los solo per i suoi soldi? O che persino i maschi non erano immuni all’amore per il denaro?
Si guardarono, sconsolati, scotendo tristemente la testa. 

<< -Approposito di questo. Tu mi segui solo per i miei soldi, vero?- >>
<< -Yep.- >>
<< -Fai a finta di sopportarmi per i miei soldi. Fai a finta di non odiarmi per i miei soldi. Giusto?- >>
<< -Uh… hm, sì.- >>
<< -Questo non fa di te la mia personale prostituta?- >>
<< -Cosa?! Io, uh, non, io…- >>

Shadi non si era mosso. Aveva passato le ultime ore rannicchiato contro il muro della palestra.
All’inizio aveva solamente pianto, rivolgendo un’occhiata spaventata a chiunque osasse avvicinarsi: in quel momento, qualsiasi contatto umano, foss’anche solo parlare, lo disgustava.
Se fosse stato abbastanza in sé si sarebbe reso conto di quanto ciò fosse ironico.
Poi si era calmato. Non riusciva più a piangere, quindi calmarsi era l’unica soluzione.
Gli faceva male la testa ed aveva la nausea, ma non poteva rimanere lì per sempre. Doveva riprendersi.
Chiuse gli occhi, mordendosi il labbro cercando qualcosa da fare. Non voleva provarci con qualcuno, era… disgustoso. Non voleva.
Così si concentrò sui due speaker, che continuavano a parlare ed a scherzare. Loro avevano rischiato di morire ed erano allegri- perché allora lui si trovava in quello stato?
Sospirò.

“Ne dubito,” Shadi fece un sorriso dicendolo, tentando di suonare malizioso. Il solo pensiero lo faceva star male. “Tanto per dire, Goth non farebbe mai una 'palla di neve'.”

<< -“Palla di neve”?- >>
<< -Per un qualche motivo, penso di non voler sapere cos’è.- >>

Dodger era rimasto sorpreso quando un ragazzo rannicchiato contro il muro della palestra aveva parlato, come se stesse riferendosi ai due speaker: poi aveva notato l’alone chiaro attorno a lui e decise che sì, era logico, ovviamente era un giocatore.
Così fu solo dopo, quando i due speaker fecero quella domanda, che Dodger capì finalmente cosa avesse detto.
Si sentì istantaneamente avvampare. 

“Uh, è quando lui, cioè, lei, fa, ehm, e-e-e poi dà, uh…”

Shadi alzò lo sguardo, sorpreso. C’era un uomo, un tizio con un cappello alla Al Capone, che tentava di rispondere ai due speaker.
Era un tizio strano. I capelli, biondo cenere, dovevano essere stati tagliati a caschetto mesi prima, tanto che ormai la frangia arrivava fino agli occhi. Non era alto, ed era piuttosto secco.
Continuava ad aggiustarsi gli occhiali sul naso in un gesto che assomigliava ad un tic nervoso e balbettava qualcosa, completamente paonazzo.
Si alzò, aiutandosi con il muro. Diede un secondo sguardo all’uomo: decise che era carino.
Prese un respiro e gli si avvicinò, sfoggiando il suo migliore sorriso.

“Vogliamo dargli una dimostrazione pratica?” 

<< -Sì! Sì! Sgualdrina back in action!- >>
<< -Quanto entusiasmo inutile.- >>

Dodger fissò Shadi, senza realmente capire cosa stesse dicendo. Poi comprese il soprannome – ‘Sgualdrina’ – e gli tornarono in mente alcuni commenti degli speaker precedenti a quel momento.
Aggrottò la fronte, perplesso. Per essere una sgualdrina non doveva essere molto grande, comunque- probabilmente aveva diciotto anni.
Il che, si trovò a pensare, era comunque meglio di niente: non è che gli andasse particolarmente a genio, l’idea di venire arrestato per pedofilia.
Sorrise, prendendo una delle mani del ragazzino fra le sue.

“Mi dispiace, tesoro. Il mio cuore è gia di un altro.”

Si bloccò per qualche secondo, pensieroso. 

“E poi c’è mia moglie che mi ucciderebbe se la tradissi.”

<< -E poi ci siamo noi due, il cui disgusto sarebbe stato senza limiti.- >>
<< -Già. Avrei persino potuto azionare il pulsante di distruzione completa del mondo.- >>
<< -Non c’è nessun pulsante di distruzione completa del mondo, Los.- >>
<< -Perché i nostri nemici hanno azionato il pulsante per la distruzione completa del pulsante per la distruzione completa del mondo.- >>
 

Shadi sorrise, divertito. Non sapeva se per la reazione del tizio o per i due speaker- ‘sgualdrina back in action’ lo faceva sentire, curiosamente, più orgoglioso di quanto non fosse logico.

“Come ti chiami?” 

Per qualche secondo Shadi rimase con lo sguardo perso nel vuoto: poi finalmente capì che il tizio si stava rivolgendo a lui.
Ritirò istantaneamente la mano che l’altro aveva continuato a tenere fra le sue, improvvisamente spaventato: quando però vide che questo lo stava guardando con uno sguardo interrogativo, Shadi fece un debole sorriso, tentando di scusarsi.

“S-Shadi,” si passò una mano fra i capelli, imbarazzato, “mi ero, hm, deconcentrato. Scusa.”

L’altro scrollò le spalle, curiosamente allegro. “Chiamami Dodger. Sei maggiorenne, vero?” 

Shadi sgranò gli occhi, mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale. Tentò di tenere il sorriso, riuscendo solo a farne una pallida smorfia. “Si.” 

“Fantastico!” Dodger lo prese per mano, indicando allegramente il resto della via. “Sicuramente mi avrebbe reso triste, far ubriacare un minorenne!” 

“Aspetta! Io,”

Shadi non aveva la minima idea di cosa dire. Se c’era, però, qualcosa di cui era sicuro, era che non voleva davvero seguire il tizio- Dodger. O almeno, non voleva andare in un luogo isolato e fissarlo mentre si ubriacava e rischiava di perdere il controllo.
“Io… non posso ubriacarmi. Religione.”
 

<< -Non ci si ubriaca per un bicchiere. Quasi mai, almeno.- >>
<< -Se la tua religione è quella che credo io, allora dovrebbe esserci anche il divieto di avere relazioni pre-matrimoniali.- >>

Shadi si maledì internamente. Contando che era allegramente ateo, era ovvio che alcune regole del Profeta gli fossero oscure- ma quella era così ovvia che non c’era nemmeno bisogno di aver letto il Libro.

“Oh suvvia, non c’è motivo di smettere di bere per qualcosa del genere.”

Dodger si fermò, mettendo le mani sulle spalle del ragazzo. Shadi s’irrigidì, ma tentò di sorridere. Non sapeva neanche se avrebbe dovuto sorridere, ma decise di farlo lo stesso. 

“Shadi, ciò che noi preghiamo altro non è che uno degli ennesimi fattori in un’equazione. L’Universo è stato creato dal Big Bang che è stato creato da… Dio? E poi chi ha creato Dio? E chi ha creato chi ha creato Dio? E chi, o cosa, ha creato chi ha creato chi ha creato Dio? Come vedi, è solo un’enorme catena di eventi che non ha mai fine e che quindi a noi non interessa.”

Shadi gli rivolse un’occhiata così evidentemente confusa che Dodger non poté fare a meno di sorridere, intenerito.

“Seguiamo gli insegnamenti di un dio che potrebbe essere solamente il sostituto di qualcun altro, che a sua volta sarebbe il sostituto di qualcos’altro. Il che, per carità. spiegherebbe perché in molti credano a più dei o perché ci credano con diversi nomi, ma comunque- non importa.” 

Il diciottenne si succhiò le guance, fissandolo. La pelle nera nascondeva il fatto che stava arrossendo, così Dodger non comprese che il ragazzo era persino più confuso di prima. 

“Prendi invece l’alcool. L’alcool confonde le masse, le rende docili, cosa che fa piacere al governo, che paga le multinazionali per distribuirlo. Vedi? Causa. Effetto. Quando paghi per una bottiglia di liquore sai esattamente a chi vanno i tuoi soldi!”

Shadi emise un gemito, tentando disperatamente di far smettere quel fiume di parole: Dodger si fermò, incrociando le braccia sul petto e aspettando una domanda, con un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo si portò una mano alla fronte, sospirando. 

“In poche parole,” balbettò lui, tentando di fare il punto della situazione, “stai dicendo che… che non c’è motivo di pregare, ma c’è né per bere? È così?” 

Dodger annuì, non esattamente soddisfatto.
Shadi lo fissò per qualche secondo, convinto che, compreso quel punto, tutto il resto sarebbe divenuto ovvio: alla fine, però, si rese conto di avere semplicemente la risposta ad una domanda che non aveva minimamente compreso. 

“Non ho capito.” 

<< -La creazione, o qualsivoglia dio a cui tu creda, è una domanda che genera altre domande, quindi tentare di rispondere è inutile. L’alcool ha un senso e una risposta.- >>
<< -Più o meno come scegliere se dare un senso a un film surrealista o se andare a mangiarsi un gelato. Goth, perché mi guardi così?- >>
<< -Tu… hai capito di cosa stava parlando?- >>
<< -Uh, sì. Sì.- >>
<< -Io… non… io mi… l’orgoglio sta distruggendo qualsiasi mia logica ma… Oddio.- >>

Prima che Shadi possa anche solo minimamente pensare di ringraziare i due speaker per la spiegazione, Dodger lo aveva preso per mano, tirandoselo appresso nella sua disperata ricerca di un bar.

“Uh uh. Vedi, Shadi, puoi prendere questa come un occasione. Tutti hanno bevuto qualcosa, prima o dopo: tu hai la fortuna di avere un adulto come supervisore nel tuo primo meraviglioso tentativo con gli alcolici!”

<< -Se solo l’adulto non fosse quello che lo ha spinto a bere, eh?- >>
<< -E sempre se il supervisore non sviene dopo dieci minuti.- >>

 Dodger si mise apposto gli occhiali, tentando di apparire il più oltraggiato possibile.

“La vostra poca fiducia mi offende! Non seguo che i suggerimenti dei filosofi, Platone stesso disse che un uomo saggio inventò la birra, anche se io preferisco la vodka. Non ti fidi forse di me, mio tesoro?” 

Shadi aprì la bocca per rispondere qualcosa, ancora leggermente confuso: si dimenticò tutto appena vide lo sguardo da cucciolo che Dodger gli stava rifilando.
Ridacchiò, divertito.

“Insieme a te, amore mio, andrei ovunque.”

Il sorriso malizioso e la voce sensuale bastarono per far sciogliere qualcosa all’interno di Dodger, che replicò con un veloce occhiolino prima di tornare velocemente a cercare un bar.
Non sapeva, esattamente, perché quel tipo di comportamento lo intenerisse- sapeva soltanto che era adorabile.

<< -E via in un angolo a intrecciare lingue!- >>
<< -Come sei veniale.- >>
<< -Hai appena usato una parola complicata?!- >>
<< -Veramente affascinante sentire qualcuno parlare. Aspetta di vedere quando mi sdraierò sul letto e, dopo un’epica sequenza di cinque minuti in cui il mio corpo lotterà contro il torpore, mi addormenterò.- >>

“Silenzio!” esclamò Sid, alzando di scatto una mano nel tentativo di avere l’attenzione dei due speaker. “Non vedete che sto per…”

Le deboli braccia annaspavano alla ricerca di un qualsiasi appiglio: lo trovarono nel cornicione di una finestra e una pattumiera. Migliorò la presa, assicurandosi di non poter cadere, quindi, con tutta la forza che aveva, piegò le braccia tentando di alzare il resto del corpo: le gambe, infatti, sembravano aver ceduto sotto il resto del corpo e non rispondevano granché bene ai comandi.
Rischiò di scivolare più di una volta, ma infine ci riuscì: afferrando spasmodicamente il cornicione della finestra, si trovò infine in piedi sulle proprie gambe.
Sicuro di quella posizione, sorrise. Era un sorriso così calcatamene folle che fu subito ovvio che lo stesse semplicemente fingendo. “…Alzarmi?!” 

<< -…Mpfff…- >>
<< -Ed eccomi qui, a tentare di decidere se questo momento è più strano per il modo epico in cui hai descritto una cosa idiota o se per il fatto che Los sta scoppiando a ridere per qualcosa del genere.- >>
<< -E-era così… eh… c-così fuori luogo!- >>
<< -Adesso capisci perché il mondo tende a ridere, quando parli?- >>

Sid arrossì debolmente, traballando fuori dal vicolo in cui si era rifugiato. Gli erano rimasti ben pochi soldi, ma decise che li avrebbe spesi per trovarsi una camera decente dove dormire.
Un posto confortevole dove aspettare che la pillola finisse il suo effetto. Quella era l’ultima dose, lo aveva promesso, e avrebbe mantenuto fede al proprio giuramento: non avrebbe più dato un soldo ad uno spacciatore.
Sicuramente si sarebbe liberato della pillola che aveva in tasca il più presto possibile. 

“Che cosa intendete dire, che non era spettacolare?!” 

<< -Mancava soltanto il palcoscenico e la musica Apocalittica di sottofondo.- >>
<< -Goth, perché non facciamo noi le musiche di sottofondo? Eh? Eh?- >>
<< -Perché di no.- >>
<< -Tu-du-duun.- >>
<< -Se lo fai di nuovo ti, ta-da-da-dan, picchio.- >>
<< -Non ne saresti capace.- >>
<< -Evocherò il Demonio. Sai che posso.- >>
<< -Approposito di demoni, hai notato una cosa inquietante di… ragazza con retina dorata?- >>
<< -Che ha una retina dorata? Sì, l’avevo notato. E sì, è inquietante.- >>
<< -Oltre a quello. Hai notato che ha predetto esattamente chi sarebbe morto?- >>
<< -Sono morte solo due persone, non puoi esserne certo.- >>
<< -Giusto. Ehi tu… ragazza con la retina per capelli.- >>
 

Meredith non stava ascoltando i due speaker. Era troppo presa dalla sua immagine allo specchio.
Cercava di capire se il pigiama di pura seta si adattasse perfettamente alle sue morbide curve poste al punto giusto, un procedimento che, se andava bene, di solito richiedeva più o meno un’ora.
Tuttavia le sue orecchie, pronte a captare qualsiasi segno di pericolo, la misero subito in all’erta appena si rese conto che stavano parlando di lei.
Con un’occhiata irritata però enigmatica, alzò lo sguardo al cielo per parlare ai due speaker. 

“Che?”

<< -Chi morirà, secondo te?- >>
<< -Los, questo è decisamente… nah, va bene, continua pure.- >>
 

La ragazza sbatté più volte gli occhi, sorpresa dalla domanda. Che cominciassero finalmente a tenerla in conto? Che avessero finalmente capito che era un esempio da seguire?
Sorrise, gentile ma orgogliosa, scostando una morbida ciocca di capelli dal volto, prima di muovere le sue dolci labbra. 

“Oh, per me, anche se non vorrei dirlo, morirà… hm… eh… La… La sgualdrina.”

<< -La retina ha parlato!- >>
<< -Non penso che sia molto- >>
<< -Shh, la retina sta parlando!- >>
<< -O… k. Sei… hm. Bene.- >>

Corey sorrise. Fissò lo schermo del computer, su cui scorrevano dei codici incomprensibili.
Mancava così poco che la gioia gli stava opprimendo il petto, premendo per uscire: sentiva che in un qualsiasi momento avrebbe potuto alzare la testa e lanciare un urlo solo per sfogarsi.
Carezzò la pistola, cercando di scaricare lo stress in quel semplice gesto. Non serviva a granché, ma il solo pensare che potesse davvero aiutare lo faceva già sentire meglio.
Mancava poco. Molto poco. Il bracciale su cui stava scaricando tutti quei codici segnava 99%.
Quanto ci sarebbe voluto? Corey sbuffò, nervoso. Avrebbe potuto metterci dieci secondi come dieci ore…
Era una lenta, incontrollabile, impossibile tortura.

<< -Uh… giro di ricognizione. Allora, sgualdrina e mito inarrivabile stanno bene, per ora. La retina per capelli pure. Il bambino sta… giocando a qualcosa, direi. Il bocciolo di rosa ricoperta con marsala primaverile sta preparandosi per andare a dormire.- >>
<< -Sto sbavando? Credo di star sbavando.- >>
<< -No, ma chiudi la bocca. Poi… hm… i due gemelli e la bambina. Stanno… passeggiando?- >>

Nicolas alzò il viso verso l’alto con un’espressione indignata sul volto. Oliver, alla sua sinistra, si limitò ad un’occhiata inferocita che, probabilmente, doveva essere rivolta ai due speaker, prima di tornare a stare attento a dove stesse andando la bambina. 

“Passeggiare non è la risposta esatta!” esclamò Nicolas con un tono offeso, “stiamo esplorando i dintorni. Non è…”

Gli cadde lo sguardo alla propria destra, in tempo per notare che la bambina era scomparsa.
S’interruppe a metà, voltandosi verso il fratello. Il verso strozzato che gli sfuggì dalle labbra fu più che necessario per attirare l’attenzione di Oliver, che l’apostrofò con uno sguardo seccato.

“La bambina!” Oliver rimase a fissare il fratello, sorpreso. Per quanto non fosse nuovo alle sfuriate del fratello, gli faceva sempre un certo effetto vederlo strillare di fronte a lui. “Dovevi stare attento alla bambina, Ollie!” 

Oliver ci mise alcuni secondi per comprendere perfettamente ciò che il fratello stava gridando. Da qualche parte, nel suo cervello, sperava ardentemente che non avesse appena sentito ciò che aveva sentito: Nicolas non poteva essere davvero così idiota da gridargli addosso per una cosa del genere.

Poi si riscosse, e un’ondata di irritazione fece scomparire qualsiasi traccia di sorpresa. “No! Tu dovevi guardarla! Tu dovevi stare attento! Perché è sempre colpa mia?!” 

“Perché,” Nicolas ci mise qualche secondo per capire che non aveva la minima idea di come finire la frase, ma ormai non poté più tirarsi indietro, “io sono il maggiore!”

Oliver sgranò gli occhi, la bocca aperta nel più chiaro segno di sorpresa. 

“No!” la parola fu pronunciato con un tono così incredulo che uno dei due speaker non poté fare a meno di ridacchiare. “Non hai la minima idea di chi è nato prima di chi!”

“Sì invece!” Nicolas incrociò le braccia sul petto, fissando il fratello con uno sguardo inferocito, “sono nato prima io!”

<< -Possiamo chiedere. Ai genitori dei due pargoli, chi dei due è nato prima?- >> 

Gwen ringhiò qualcosa sottovoce, togliendosi le calze. “Cosa volete che ne sappia, fosse stato per me uno dei due sarebbe nato almeno tre giorni dopo.” 

Sospirò, lasciando perdere le calze e appoggiando il mento su una mano. Il volto si contrasse in una rapida smorfia di concentrazione, nel tentativo di ricordare. 

“Penso,” mormorò lei, socchiudendo gli occhi, “penso di essere ritornata a pensare coerentemente tre giorni dopo. Credo. Ho dei ricordi confusi, circa il tempo che ho passato in ospedale.”

 

Dodger rallentò il passo, arrossendo leggermente. “Ehm. Ai tempi, sono, tipo, svenuto nella sala d’aspetto.”

Qualcosa come cinque volte. Troppe feste, di sicuro, poco tempo per dormire, certo, orrendamente stanco, aveva sicuramente aiutato: a dire il vero, non sapeva se si potevano contare come episodi in cui era svenuto o se aveva meramente “perso conoscenza”- di sicuro l’alcool che l’amico gli aveva rifilato non era riuscito a tenerlo sveglio. Sapeva, comunque, che sicuramente era svenuto quando gli avevano detto che c’erano delle complicazioni… e quando gli avevano chiesto se voleva entrare in sala parto. Nessuna risposta avrebbe potuto essere più eloquente.

Shadi lo guardava in maniera strana. Dodger non aveva la minima idea di cosa stesse pensando il ragazzo, se fosse incredulo o stesse ridendo di lui, ma di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio. 

Sorrise, imbarazzato. “Sai… troppo studio e niente riposo fanno di Dodger un ragazzo delicato.”

<< -Di sicuro… Aspetta, stud- >>
<< -Mia madre dice che la mia gravidanza è stata un inferno. Tipo, sai, nausea ogni cinque minuti, mal di schiena, ore e ore per farmi nascere…- >>
<< -Favoloso, non eri nato e già eri una piaga sociale.- >>
<< -Ripete continuamente che era terrorizzata dall’idea di un’altra gravidanza, ma quando poi si è resa conto che il secondo bambino era calmo e placido non ci poteva credere. Ha continuato a chiedere ai maggiordomi se non fosse tutta una presa in giro- sai, tipo se durante la notte non le avessero messo una pancia finta. Dopo il parto ha persino chiesto se fosse vero che il bambino era nato.- >>
<< -Posso capirla, anche io, se venissi messo di fronte ad un altro ragazzo della tua stessa età, lo guarderei e chiederei se in realtà non è un ventenne molto basso.- >>
<< -Io non sono basso!- >>
<< -Purtroppo non sei neanche ventenne.- >>
<< -Che vorrebbe dire, questo?- >>
<< -Che sei un sedicenne, e quindi mentalmente inferiore.- >>

Sid fece un leggero sorriso, alzando le mani in un segno che doveva significare ‘io ne sono fuori’. “Wohoo, io ne ho diciassette!”

I due gemelli alzarono il viso, il volto sfigurato dalla rabbia. “Ehi!” 

<< -See, see. Stupidi ragazzini. Ad ogni modo, mi dispiace rovinare la tua teoria… gemello con il cappello, ma credo che sia quello che nasce dopo, ad essere il maggiore.- >> 

Nicolas ringhiò qualcosa sottovoce, distogliendo lo sguardo. “Eh… allora… sono quello nato dopo!”

Oliver si dimenticò dei due speaker, guardando il fratello con sguardo incredulo. Emise un rantolo strozzato, prima di riuscire finalmente a parlare. “Sei uno stupido!”

“Cosa?!” Nicolas sgranò gli occhi, incredulo. “No!”

“Sì, invece!” Oliver strinse i pugni, gli occhi socchiusi in uno sguardo inferocito. “Tu sei stupido! I tuoi metodi sono stupidi!” 

I due speaker scoppiarono a ridere ma Oliver li ignorò, fin troppo infuriato per rendersi conto di qualsiasi cosa non fosse l’oggetto della sua rabbia. “La tua testa è stupida! La tua intelligenza è stupida! Tu sei la cosa più stupida che-”

Si interruppe, notando che il fratello non gli stava più prestando attenzione e stava, invece, guardando qualcosa alle sue spalle. Oliver aggrottò la fronte, perplesso, ma prima che potesse chiedere qualcosa (o seguire il suo istinto e fuggire più velocemente possibile), Nicolas alzò un braccio per indicare ciò che gli interessava.
Oliver si voltò, seguendo lo sguardo del fratello e finendo per fissare la bambina, che in quel momento stava guardando una vetrina di giocattoli.

“Bambina,” aggiunse Nicolas, come a sottolineare l’ovvio.

Per qualche secondo, i due gemelli si limitarono a guardare la bambina: poi, dimenticando qualsiasi rancore, s’incamminarono verso di lei.

Si fermarono appena la bambina lanciò un sasso contro la vetrina del negozio.

I due la fissarono, scioccati, senza sapere cosa dire: lei stava trotterellando via, probabilmente senza meta, ma loro erano fin troppo increduli per fermarla o per ragionare che avrebbero fatto meglio a scappare, visto che loro erano gli unici rimasti di fronte al negozio.
Se ne ricordarono appena il padrone, un uomo decisamente grosso, uscì dall’ingresso strillando: in una reazione completamente naturale che veniva dal cuore, supportata dai pochi pensieri coerenti che il panico lasciava passare e che, semplicemente, gli era venuta spontanea, Nicolas spinse il fratello a terra e poi corse nella direzione in cui la bambina se n’era appena andata.

 
Oliver non ebbe il tempo per strillare tutto ciò che pensava del fratello – o per rammaricarsi del fatto che, per l’ennesima volta, lo aveva preceduto nel suo intento – , perché l’uomo emise un ruggito di rabbia capace di far tremare il cuore del più intrepido degli eroi.
Di conseguenza, Oliver rimase paralizzato dal terrore. 

<< -Giusto per finire bene la giornata!- >>
<< -Sarebbe ora, la Morte ha avuto parecchie occasioni che ha sprecato, oggi.- >>

Uno strano suono riscosse Corey dai suoi pensieri.
Alzò lo sguardo, finendo per fissare lo schermo del computer: una scritta gli fece sapere che il procedimento era, finalmente, finito.
Soffocò a malapena un grido di gioia, indossando il bracciale a cui aveva lavorato per tutto il giorno- non vedeva l’ora di poterlo finalmente testare. L’ultima piccola gioia prima di andare a dormire.
Il piccolo schermo installato sul bracciale si illuminò, mostrando un’aria vuota su cui inserire dei codici: Corey sembrava esaltato alla sola vista.
Premette alcuni pulsanti, inserendo un codice che, se n’era accertato, avrebbe dovuto funzionare sul programma di base- l’aveva installata in quel modo, doveva funzionare.
Lo schermo si colorò di blu, segno che il codice era stato accettato. Corey si permise un gridolino di gioia, prima di prendere in mano la pistola e lasciare il comodo internet point in cui era rimasto fino a quel momento.

 

Oliver si coprì istintivamente la testa vedendo che l’uomo aveva preso una delle assi attaccate alla porta e l’aveva alzata per colpirlo: l’idea che era un videogioco e quindi, in teoria, non avrebbe sentito dolore, non l’avrebbe comunque fatto sentire meglio. 

<< -…Mhm?- >>
<< -Cosa… un bug?- >>
 

Nulla lo colpì. Nessuna scrittina in rosso che proclamava la sua morte.
La curiosità presto superò la paura, ed Oliver finalmente abbassò le braccia, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Ci mise qualche secondo per accettare che il tizio di fronte a lui stesse realmente tornando indietro, come una specie di pellicola che viene girata al contrario, ma in un qualche modo decise che doveva avere un senso.
Si rialzò, continuando a fissare l’uomo che ora era congelato di fronte al negozio. Sembrava stesse per scomparire, aveva… era come guardare un film rovinato.
Aggrottò la fronte, perplesso. Era un problema del videogioco? Se aveva sentito bene, pure gli speaker erano perplessi. 

“Bhè, questo è strano.”

Oliver si voltò di scatto: a poca distanza, anche se a qualche metro di sicurezza, Nicolas stava fissando l’uomo con lo stesso sguardo perplesso che doveva aver avuto lui, tenendo per mano la bambina che, come al solito, continuava a stringere il suo inquietante orsacchiotto.
Oliver si alzò in piedi, dirigendosi con ampie falcate verso il gemello che, ancora per poco, sembrava non rendersi conto del pericolo che stava per correre.

“Odioso piccolo bastardo!” strillò infine Oliver quando ormai a poca distanza dal fratello, facendolo sobbalzare per la paura: Nicolas gli rivolse un’occhiata astiosa, mentre con la mano destra si massaggiava spasmodicamente il cuore. “Mi avresti lasciato morire!”

Nicolas aggrottò la fronte, poi incurvò le labbra in un sorriso incredulo. “Certo che sì!” scosse la testa, guardando il fratello come se fosse impazzito. “Cioè, ti aspettavi che tentassi di salvarti?”

“Sì!” gridò Oliver, ormai sull’orlo della crisi isterica.

Nicolas scosse la testa, socchiudendo un occhio e inarcando un sopracciglio, in una strana espressione che Oliver non riuscì a decifrare. “Per favore. Io ti ho solo preceduto, Ollie.”

Oliver alzò gli occhi al cielo, emettendo un rantolo strozzato. “Non tutti siamo-”

La frase si concluse così, perché solo in quel momento Oliver si accorse che un qualcosa di strano, come un’enorme muro scuro, stava avanzando dritto verso di loro e non ci voleva un genio per immaginare cosa potesse accadere se fosse rimasto nella traiettoria.
Così, approfittando del fatto che Nicolas non aveva ancora capito il perché di quell’improvvisa interruzione, Oliver lo spinse all’indietro, facendolo cadere a terra, poi prese la bambina per un braccio e si gettò verso sinistra, tentando di uscire dalla traiettoria.

Nicolas non capì subito di essere stato spinto: fu solo quando si trovò ad osservare il cielo che capì che era accaduto qualcosa di strano.
Si tirò su con le braccia, tentando di mettersi a sedere, e finalmente capì che qualcosa non andava perché suo fratello era per terra, lui era stato spinto, e il cielo, in lontananza, aveva cominciato ad essere piuttosto strano.
Poi vide che Oliver era decisamente più a sinistra di lui, come anche la bambina.

Rotolò a sinistra, giusto in tempo per evitare di essere ‘investito’ da… quel… muro?

<< -Ehi. Ehi! Cosa diavolo…- >>
<< -Non proprio il solito ma, hm, immagino che possa avere risvolti interessanti.- >>
<< -Tipo cosa, truppe sovietiche da una parte e gente che scava gallerie per passare dall’altra?- >>
<< -Immagino stia per cominciare un periodo freddo, uh?- >>
<< -See, cominceranno pure a girare manifesti circa tizi incappucciati che accarezzano missili e un po’ di falce e martello.- >>

Dodger non stava realmente ascoltando i due speaker. Cioè, sì, ma la domanda ‘perché stanno dicendo delle metafore circa la guerra fredda’ era decisamente in secondo piano rispetto alla ricerca di un bar.
Shadi, dietro di lui, si limitava a ridacchiare saltuariamente. Non stava più solo tenendogli la mano, ora era passato a tenersi al suo braccio, strusciando la testa- il che sì, era adorabile, ma gli faceva uno strano effetto. Aveva la vaga impressione di essere diventato una sorta di orsacchiotto e l’idea lo inquietava.

Quando i due speaker avevano ricominciato a parlare, facendo quei commenti incomprensibili, Dodger aveva finalmente trovato, in un angolo della strada, ciò che stava cercando: un bar. Shadi aveva cominciato a balbettare qualcosa circa il fatto che gli NPG sembravano strani, ma Dodger l’aveva tranquillizzato: forse il computer si era surriscaldato e ora stava resettando il programma di base, o forse a quell’ora tentava di sprecare meno energia possibile, eliminando quindi i personaggi non giocanti. Shadi l’aveva fissato, succhiandosi le guance, Dodger gli aveva arruffato i capelli con un sorriso e si erano diretti verso il bar.

Fu quando ormai mancavano pochi passi per raggiungere la porta che un muro gli sbarrò la strada.
Shadi sobbalzò, spaventato da quell’apparizione improvvisa: Dodger, invece, si ritrovò sull’orlo delle lacrime.

“No! No!” diede un pugno al muro, gridando con un tono a metà fra l’infuriato e il disperato. “Non il bar! Non il bar! Perché non poteva chiudermi dentro il bar?! Perché oggi non-”

Dodger si bloccò, fissando, estatico, gli strani simboli che si erano formati su ciò che lo divideva dalla sua meta.
Il muro non era di mattoni: se si doveva dare una definizione, assomigliava ad un muro di vetro nero. Su esso, però, risplendevano dei simboli dorati misti a lettere in un ordine che a Shadi pareva senza senso.
Dodger fece un passò indietro, per osservare meglio il muro e ciò che vi era inciso sopra.

Shadi aggrottò la fronte, notando che Dodger aveva assunto un colorito plumbeo e gli tirò una manica, preoccupato, tentando di attirare la sua attenzione. “Ehi?”

L’altro cercò di fare un sorriso, senza però riuscire a distogliere lo sguardo da quei simboli.

<< -Il muro… non è un muro. Sono tanti muri. Non sta dividendo a metà la città, procede a ragnatela.- >>
<< -Forse è stato ideato da Spiderman.- >>
<< -Oh, per l’amor del Cielo, Los.- >>
<< -Vuoi dire… che non credi in Spiderman?- >>
<< -Los, è una mia impressione o stai diventando sempre più idiota con il passare del tempo?- >>
<< -Non… ci credi?- >>
<< -Io non… Ok. Ci credo. Ci credo. Contento?- >>
<< -Ed è quando credo di non poter reputare qualcuno più patetico di quanto pensi, questo rivela sempre qualcosa di nuovo. Che razza di Nerd.- >>
<< -Se non gliel’avessi già data, ora donerei l’anima al Diavolo solo per farti soffrire.- >>

Sid aggrottò la fronte, perplesso alle parole dei due speaker, ma poi, semplicemente, scrollò le spalle, disinteressandosi.
Gli erano rimasti pochi soldi ma dovevano essere abbastanza per una camera in una pensione. Al massimo se ne sarebbe andato senza pagare.
Aveva però la vaga impressione di essere in una parte della città in cui di pensioni non c’è n’erano. A dire il vero, aveva la vaga impressione che più rimaneva in quel luogo più le probabilità di essere rapinato si intensificavano.
Borbottò qualcosa sottovoce, nervoso. Di solito andava sul sicuro: nessuno pensava anche solo lontanamente di rapinare un ragazzino così malmesso. Era ovvio che non avesse soldi- poteva, al massimo, avere qualche dose, sempre se non l’avesse già sprecata.
Nel videogioco, invece, aveva dei soldi e forse gli NPG lo sapevano. Magari potevano vederlo, forse riuscivano a vedere un numerino e allora avrebbero cercato di ucciderlo e… e non bastava poco, per uccidere qualcuno? Il solo inciampare poteva creare un effetto a catena disastroso.

“Fantastico,” mugugnò Sid sottovoce, pizzicandosi il braccio destro in un tic nervoso, “paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia.”

Appoggiò la schiena contro il muro, dando fugaci sguardi a destra e a sinistra. Non c’era nessuno, certo, ma aveva quella sgradevole sensazione che qualcosa, da qualche parte, lo stesse osservando.
Fece un respiro profondo, tentando di calmarsi.

“Paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia,” continuò Sid, rabbrividendo involontariamente.

Aveva la mania dei mantra: ad esempio, quando tentava di farsi coraggio ripeteva le note della chitarra di una canzone. Quando andava in paranoia, ripeteva la parola ‘paranoia’ fino a quando non si calmava.

Chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi sulla parola e non sull’ansia che lo stava soffocando.

“Paranoia. Paranoia. Paranoia.”

<< -Come al solito, è bello vedere che c’è qualcuno che riesce a mantenere la calma e il sangue freddo.- >>
<< -Pensa quando aprirà gli occhi.- >>
<< -Propendo per l’infarto.- >>
<< -Ci sto! Secondo me dovrà spendere i prossimi venti anni della sua esistenza da uno psicologo!- >>

Sid rabbrividì per la seconda volta in meno di un minuto- favoloso, ora sì che si sentiva tranquillo.
Ripeté più volte la parola, tentando di concentrarsi solo sul suono di questa.
Ma di cosa stavano parlando?
Smise di parlare, mimando solo con le labbra la parola: la mano libera, quella che non stava pizzicando spasmodicamente il braccio opposto, era corsa nella tasca dei pantaloni dove c’era la sua ultima pillola. Non poteva essere una persona, no? In teoria l’avrebbe sentita. Ma forse no. Era un videogioco, no? C’erano branchi di elefanti e cavalli, per l’amor del Cielo.
Aprì gli occhi, cercando di razionalizzare. Era stupido aver paura quando non sapeva neanche se c’era qualcosa- d’altronde, poteva pure essere un semplice scherzo dei due speaker.

Strillò, preso alla sprovvista: di fronte a se, un enorme muro nero faceva da sfondo a dei simboli dorati.
Si guardò attorno, il braccio destro ormai ridotto ad un livido. Il muro, a quanto pareva, non era solamente di fronte a lui, ma continuava fino all’orizzonte.

Gli scappò una risatina nervosa.

“La la la la la, lie lie lie. La la la la la, lie lie lie.” Le sillabe erano pronunciate come fosse una canzoncina, ma la voce era debole e tremante, come se in ogni secondo dovesse scappargli un singhiozzo. “La la la la la, lie lie lie. La la la la la, lie lie lie…”

<< -Aye, vent’anni di psicologo!- >>
<< -Questo ci mette di fronte a nuove prospettive. Sai che il muro di Berlino è stato costruito in una notte? Questo in neanche dieci minuti.- >>
<< -Intendi dire che forse noi in realtà viviamo in un videogioco e che esistono dei Game master capaci di strabilianti poteri cosmici?- >>
<< -No, ma è… piacevole vedere che hai la mente aperta a nuove, interessanti opinioni.- >>
<< -Cosa intendi dire con “interessanti”?- >>
<< -Credimi, non ne ho idea.- >>

Corey voltò l’angolo, visualizzando una mappa della città nel suo bracciale: i giocatori erano segnalati con dei puntini viola e non erano, contrariamente alle sue previsioni, divisi. Il gruppo più folto di persone era di tre.
Scrollò le spalle, decidendo che poteva farcela lo stesso. Poteva prenderlo come un gioco: c’erano le aree facili, quelle medie e quelle difficili.
L’area più vicina presentava tre giocatori, ma solo due erano vicini: il terzo doveva essere abbastanza lontano da non poterli neanche vedere.
L’undicenne sorrise, inserendo, nel bracciale, il codice per il ‘teletrasporto’: aveva infatti deciso che quello era un ottimo posto dove fare il primo colpo. Un’area vicina e di difficoltà media, sembrava persino avere degli hotel in cui andare a dormire.
Schioccò la lingua, aspettando che il paesaggio attorno a lui si stabilizzasse. Sorrise quando vide che, davanti a lui, c’erano già i due giocatori.

<< -Goth, parlando di cose di cui non hai idea, il gioco è stato dotato di piattaforme per il teletrasporto alla Star Trek?- >>
<< -Se avessi letto le regole sapresti che il solo pensiero è ridicolo.- >>
<< -C’è un ragazzino incredibilmente ridicolo, allora.- >>

Dodger sorrise, tentando, senza successo, di smettere di guardare quei simboli.

“Uh, hm,” la voce gli uscì rauca, fastidiosa solo a sentirla: sospirò, cercando di lasciar perdere. “Ci saranno di sicuro altri bar, giusto? Andiamo.”

Il ragazzino gli strinse il braccio, fermandolo prima che potesse allontanarsi: Dodger emise un mugolio strozzato, ma fece del suo meglio per mantenere il sorriso.
Shadi lo guardava con la fronte aggrottata, perplesso. Dodger si sentì male mentre, dentro di sé, si diceva che era piuttosto ovvio che avesse notato quanto si sentisse a disagio- solo un’idiota avrebbe potuto ignorarlo.

“Cosa c’è?”

Dodger scrollò le spalle, il solito falso sorriso incollato sulle labbra. “Tranquillo!” il tono di voce era fin troppo allegro, troppo calcato, troppo esagerato per essere sincero. “Cose inutili! Diciamo che ero rimasto stupito dalla comparsa del muro, ma sai, poi mi sono ricordato che siamo in un videogioco e, insomma. Cose stupide!”

Si calcò il cappello sulla testa, voltandosi alla propria sinistra. “Tempo di alcool! Wiiiiii!”

Shadi aprì la bocca con la mezza idea di continuare a chiedere cosa, seriamente, lo stesse preoccupando: non era così stupido da lasciar perdere dopo delle simili risposte. Tuttavia, il modo con cui aveva detto ‘wiiii’, l’esagerata allegria, ma soprattutto il tono acuto con cui l’aveva pronunciato, gli fecero optare per lo scoppiare a ridere.

 

Corey alzò la pistola, prendendo la mira: i due non si erano ancora resi conto di lui. Anzi, uno sembrava essere estremamente allegro per motivi non precisati.
Portò l’indice sul grilletto, chiudendo un occhio per aggiustare al meglio la mira.

 

“Ah!” 

Dodger gridò non per il dolore, ma per la sorpresa: era ovvio che se non fosse stato nel videogioco avrebbe provato qualcosa, ma in quel momento avvertiva soltanto un formicolio all’avambraccio.
Abbassò la testa, cercando lo sguardo di Shadi. Il diciottenne, infatti, gli aveva afferrato il braccio con forza, quasi infilzandolo con le dita.
Aggrottò la fronte, cercando di capire perché il ragazzo stesse facendo ciò: poi, di nuovo, Shadi gli strinse il braccio, questa volta gridando. 

“Shadi?”

Con il braccio libero gli cinse il petto, tenendolo in piedi: solo in quel momento si rese conto del perché Shadi aveva agito in quel modo.
Sangue. Sulla schiena del ragazzo c’erano due fori attraverso cui poteva passarci un pugno: il sangue stava invadendogli la maglietta, macchiando irreparabilmente la manica dell’impermeabile di Dodger. 

“Shadi!”

La presa del ragazzo si faceva più debole, ma tentava con tutte le sue forze di non mollargli il braccio. Dodger, dal canto suo, non aveva la minima idea di cosa fare: c’era una parte di lui che gli diceva che doveva fare qualcosa, tentare di aiutarlo, portarlo in un ospedale. La parte razionale della sua mente, invece, tentava di ricordargli che era un videogioco: il ragazzino non stava morendo davvero, e contando la regola delle percentuali estremamente idiote non c’era alcuna possibilità che potesse sopravvivere. 

<< -No! La sgualdrina! Nooo!- >>
<< -Non so. Mi sento triste per la morte di un personaggio che ha fatto la storia, eppure non posso fare a meno di pensare che, oh mio Dio, tu sei disperato.- >>
<< -Tu non capisci! Io ero ormai convinto che il suo nome fosse ‘La Sgualdrina’! Io, io, no!- >>
<< -Te lo immagini se i genitori de la… uh, del ragazzo un giorno dovessero giocare a questo videogioco?- >>
<< -Signori, se può aiutare il vostro giudizio, io amo il Kebab…- >>
<< -Siamo così fottuti.- >>

Shadi si lasciò sfuggire una risatina, dimenticandosi per un momento che lo avevano colpito- poi partì un terzo sparo e Dodger si abbassò di colpo.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo per capire cosa era successo si accorse immediatamente che c’era qualcosa di strano, in Dodger.
Più precisamente, era senza il suo cappello. 

“Il mio cappello!” Dodger socchiuse gli occhi in un’espressione inferocita. “Se mi hai rovinato il cappello, moccioso, giuro che…”

Fece appena in tempo a scattare verso destra per schivare un altro colpo.
Shadi aggrottò la fronte, perplesso. Moccioso? Che cosa intendeva dire con moccioso? Quello non gli sembrava il tipo da chiamare uno di sedici anni ‘moccioso’ solo perché era infuriato- ma allora era stato colpito alle spalle da un bambino?
Chiuse gli occhi, ringhiando sottovoce una corona di improperi. 

“Shadi.” Shadi riaprì gli occhi, trovandosi a fissare il volto di Dodger contratto dallo sforzo di schivare i colpi e, allo stesso tempo, trascinarlo con se. “Devo lasciarti qui.”

Il ragazzo ci pensò per qualche secondo, cercando di decidere se ciò fosse buono o cattivo: poi un terzo proiettile gli prese la spalla e Shadi si limitò ad annuire, facendogli capire, con un rapido movimento della testa, che era meglio se si muovesse.
Dodger sorrise, stringendolo a sé. “Ci si vede dopo, tesoro.”

Gli sfiorò una guancia con le labbra, prima di mollarlo a terra e scattare verso il vicolo più vicino. 

<< -Se tutte le dichiarazioni d’amore fossero così, ora non farei altro che guardare film romantici.- >>
<< -Comprate questo videogioco che ancora non ha un nome: dentro potrete trovare azione, gesti normali resi epici, gesti epici resi normali, e la dichiarazione d’amore più breve della storia. E poi ci siamo noi.- >>
<< -Ma è ridicolo comprare un videogioco solo per noi.- >>
<< -Già. Più sensato venirci a trovare.- >>
<< -Se provate anche solo ad avvicinarvi con l’intento di parlarmi senza avermi prima imbottito di alcool libero i cani.- >>
<< -Non disturbatemi mentre gioco o vi butto nella fossa dei cani.- >>

Corey scrollò la testa, tentando di risvegliarsi. La sua energia era ormai completamente rossa, e lo schermo continuava a tremare.
Si portò una mano alla fronte, prima di scattare verso l’uomo biondo che stava tentando di fuggire: diede un veloce sguardo alla mappa sul suo bracciale. Sorrise: a quanto pareva, il vicolo era cieco.
Voltò l’angolo, lasciandosi alle spalle il ragazzo agonizzante, solo per trovarsi di fronte all’uomo che, in quel momento, aveva preso un sacco dell’immondizia e lo maneggiava in maniera inquietante.
Prima ancora che vederlo, Corey lo percepì: si buttò verso sinistra, schivandolo appena in tempo.
Le gambe gli tremavano, le braccia non riuscivano a tenerlo in piedi. Corey ringhiò qualcosa fra sé e sé, lasciandosi cadere a terra.
Quella giornata era stata frustrante, l’autonomia stava finendo. Ancora poco, e sarebbe svenuto.
Con un ultimo sforzo alzò la pistola e mirò a Dodger. 

“Vuoi piantarla?!” esclamò infine Dodger appena lo sparo gli bucò l’impermeabile, altro pezzo d’abbigliamento che semplicemente adorava. Borbottò qualcosa sottovoce prima di saltare sulla grondaia della casa e cominciare ad arrampicarsi, tentando di raggiungere le scale antincendio.

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-:.:.-*-.:.:-

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Terza morte: Shadi Al-Jamil Tabata'i Bukhari. Modus Operandi: Tre colpi d’arma da fuoco, emorragia interna
Giocatori rimasti: 8

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-:.:.-*-.:.:-

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“Oddio, ha un nome lunghissimo!”

Quella fu la prima frase che l’accolse al ritorno dal videogioco.
Shadi si tolse il casco, rimanendo momentaneamente stupito da quanto fosse piacevole l’aria sulla fronte imperlata di sudore: non che fosse così fresca, ma qualsiasi sensazione sembrava un dono dal cielo, la cosa più bella che esistesse.
Si mise seduto, togliendosi subito la flebo dal braccio. Quel dolore, quel vero dolore lo fece sentire, incomprensibilmente, bene.
Alzò lo sguardo, sorridendo- solo per poi sentirsi morire dentro.

“Uh. Ehm.” Daniel fece un sorriso imbarazzato prima di agitare la mano. “Eh, ciao.” 

Shadi non rispose. Rimase a fissarlo, incredulo.
Si era ormai convinto che quel tizio non era altro che un brutto sogno, che quello non era capitato. Poi si risvegliava e la prima persona che incontrava, ovviamente, era lui.
Celia gli sorrise, agitando una mano.
“Tranquillo! Lui è buono.” E per provarlo arruffò i capelli di Daniel, prima di tirargli una guancia con la mano sinistra: se Shadi non fosse stato sull’orlo del trauma, forse in quel momento sarebbe scoppiato a ridere.

“Ok, ok, sono buono, sono buono, sono buono, Celia, per favore, basta, sono buono!”

Celia si voltò nuovamente verso Shadi, ammiccando. “Visto? Se riesce a resistere all’urgenza di uccidermi per una cosa del genere, allora vuol dire che è proprio buono.”

Daniel arrossì, massaggiandosi con una mano la guancia dolorante.

“Ad ogni modo!” Celia batté le mani l’una contro l’altra, estremamente allegra. “Non si può uscire fino alla fine del gioco!”

Dietro la pelle scura Shadi impallidì. Celia se ne accorse, perché aggiunse subito “Il bagno è di là.”

“Senti,” cominciò Daniel, attirando l’attenzione del ragazzo. “Io, hm… mi dispiace. Davvero. C’è… un modo… per farmi perdonare?”

Shadi scosse la testa, senza parlare.

“Oh.” Daniel arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo. “Cioè, ok. Ti capisco. Scusa. Cioè, scusa. Davvero.”

“Non c’è motivo per essere depressi,” esclamò Celia appoggiando i piedi sul tavolo e mettendosi quanto più comoda fosse possibile. “Shadi, giusto? Non ti preoccupare. Puoi prenderli come giorni di vacanza! Abbiamo cibo, tanto per dire, e possiamo guardare gli altri giocatori.”

Daniel si lasciò sfuggire un sorriso. “Già. Una delle rare volte in cui si guarda un reality senza doversi vergognare di averlo fatto.”

Celia ridacchiò, annuendo. “Senza contare che il reality in questione è commentato da i due speaker per eccellenza!” Indicò con una mano il monitor in cui i due ragazzi apparivano. “Sono adorabili, non è vero?”

Shadi si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco lo schermo. In quel momento Goth (era ovvio che fosse lui - lei? - visti i vestiti) stava scribacchiando qualcosa, mentre l’altro, Los, si stava massaggiando le tempie.
Sorrise, ammiccando a Celia. “Un vero peccato che non mi abbiano invitato nella loro camera.”

Celia ridacchiò, un gesto che Daniel accolse alzando gli occhi al cielo. “Lascia perdere gli ormoni e lascia alle tue spalle l’adolescenza, Celia. Anche perché uno dei due è minorenne.”

La donna fece una linguaccia, ricordando terribilmente una bambina pestifera, quindi tornò a guardare Shadi.

“Allora! Come mai così tanti nomi?”

Shadi aggrottò la fronte, tentando di capire di cosa stesse parlando: poi lo sguardo gli cadde su uno dei monitor, dove ancora campeggiava la scritta in rosso che riportava la sua morte.

“Oh. È complicato.” Sospirò, passandosi una mano fra i capelli, solo per fare una breve smorfia di disappunto appena si rese conto che il casco li aveva rovinati: non erano più lisci e morbidi, ma quasi- no, anzi, totalmente grassi per colpa del sudore. Sbuffò fra se e se, seccato- a quanto pareva, doveva farsi una doccia il più presto possibile. “Shadi è il mio nome. Al-Jamil è il laqab. È… è una mia descrizione, o, come dire, descrive ciò che i miei genitori speravano diventassi. Gli altri due sono nasbi, servirebbero per, hm, per dire dove sono nato, o da chi discendo, o la mia occupazione. Tabata’i dice che entrambi i miei genitori sono della stirpe di Maometto, Bukhari significa che sono nato a Bukhara.”

“Che cosa vuol dire Al-Jamil?”

Shadi fissò Daniel per qualche secondo, a bocca aperta. Non che non volesse rispondergli, ma ancora reputava incredibile che quell’uomo esistesse davvero.
Celia intervenne, già ridendo fra sé e sé. “Ti immagini se vuol dire ‘La Sgualdrina’?”

Shadi ridacchiò, scotendo la testa leggermente. “Bhè, credo che ormai dovrò aggiungerlo, visto che mi conosceranno tutti con quel nome.”

Daniel schioccò le dita, tentando di attirare l’attenzione dei due. “Billy the Kid è svenuto e il tizio che era con te sta… camminando su una fune.”

“Noioso.”

Celia sbuffò, scotendo la testa, prima di illuminarsi di nuovo. “Vediamo cosa stanno facendo i due speaker!”

“Uh, come mai possiamo vedere gli speaker?” chiese Shadi, aggrottando la fronte.

“Serie di eventi.” Celia indicò con la testa uno schermo, sorridendo. “Daniel è morto nella loro stanza. Che fortuna, eh?”

Daniel fece una smorfia, distogliendo lo sguardo. “Non avrei mai pensato di dover definire una cosa del genere ‘fortuna’.”

Shadi continuò a fissare lo schermo dove Dodger stava camminando. Non gli era sembrato una persona particolarmente forte, anzi, a prima vista si era convinto che, volendo, avrebbe potuto stenderlo senza sforzo- eppure eccolo là, a scalare un edificio senza sforzo, a camminare su una fune con discreta velocità.
Non che facesse ciò con particolare facilità, certo, ma Shadi non avrebbe neanche mai potuto pensare di camminare su una fune. Se poi si contava che l’impermeabile stava per andare a fuoco-

Shadi scattò in avanti, fermandosi quando il naso gli arrivò a pochi centimetri dallo schermo.

“Ehi, piccolo! Non fa bene guardare la Tv da vicino, sai?”

La ignorò. Perché l’impermeabile di Dodger stava per andare a fuoco? 

<< -Guarda, Los. Abbiamo fra noi La Torcia.- >>
<< -Eh?- >>
<< -Non sai proprio niente!- >>

Appena i due speaker dissero ciò, il primo istinto di Daniel e Celia fu di avvicinarsi allo schermo che stava fissando il ragazzo e cercare qualcosa che non andasse.
Fra i due, lei fu la prima che se ne accorse: portò le mani alla bocca, incredula.

“Forse…” Daniel aggrottò la fronte. La sola idea sembrava così idiota ed improbabile che, semplicemente, non poteva essere vera. “Forse è stato lo sparo? Forse quella fiamma è per via del calore dello sparo?”

Dodger abbassò lo sguardo, probabilmente cercando di capire di cosa stessero parlando i due speaker: quando si rese conto che un piccolo braciere si stava allargando lì, dal punto dove gli avevano sparato, reagì d’impulso e lasciò scivolare l’impermeabile- che, ovviamente, si impigliò alla fune.

Celia fece una risatina nervosa, la mano ancora di fronte alla bocca. “Quando si dice probabilità altamente idiote, eh?”

Dodger, nello schermo, esclamò qualcosa che nessuno, ne speaker ne spettatori, riuscirono a comprendere, quindi tentò di calciare via l’impermeabile- dimenticando completamente di essere in precario equilibrio su una fune.

Shadi urlò, scattando verso lo schermo: fu solo grazie a Celia che questo non ci sbatté contro. 

Dodger si teneva disperatamente alla corda, probabilmente ancora scioccato dall’idea di non essere al pari di una frittata per rendersi conto che il suo preziosissimo impermeabile stava portando le fiamme anche sulla fune su cui si teneva.
Quando finalmente se ne accorse la corda si era ormai spezzata.

<< -Tu sai chi è Tarzan, vero Los?- >>
<< -Nnnnnhn… NO! Perché non lo vuoi capire? Forse, ai tuoi tempi, Platone si divertiva un mondo ad ascoltarti, ma ora sei fuori! Il tuo repertorio è antico! Non c’è spazio per te fra i giovani!- >>
<< -Grazie al Cielo. Approfitto di questo momento per dire che non stavo scherzando, prima, a proposito dei cani.- >>

Nessuno fra i tre riuscì a guardare mentre Dodger sbatteva contro un’enorme finestra: una donna gridò, i vetri andarono a frantumi, e, in sottofondo, Celia e Daniel si univano al ‘uuuh’ dei due speaker nel videogioco, che avevano subito immaginato in quali guai stesse per finire- era di sicuro una fortuna, poi, che non potesse provare dolore.

“Buonasera gentile ospite,” esclamò Dodger scattando subito in piedi con un cortese sorriso a trentadue denti stampato sul volto, facendo un ampio inchino galante. “Faccio parte della Securitè dell’albergo e sono desolato di informarla che, sfortunatamente, la sua camera non è a prova di attacco ninja!”

Gwen stringeva la vestaglia all’altezza del petto tentando di coprirsi, in un inconscio tentativo di difendersi dallo sconosciuto che era appena entrato in camera sua sfondando la finestra.
Blaterava qualcosa di insensato, diceva di far parte della sicurezza – l’aveva detto in un modo incomprensibile, ma quello doveva essere il senso – e parlava di attacchi ninja, eppure quella ridicola situazione scompariva se messa di fronte all’idea che diavolo se l’avrebbe ucciso appena il suo cervello tornava a connettere.
La guardia, quell’uomo che era Oh Così Morto, era effettivamente fin troppo esile per darle del filo da torcere, senza contare che si stava guardando attorno in modo strano. Più o meno come faceva suo marito quando non aveva gli occhiali e si guardava attorno.

Sgranò gli occhi, incredula. “Mikolaj?!”

Dodger si bloccò, socchiudendo gli occhi nel vano tentativo di metterla a fuoco. “…Tesoro?”

Gwen voleva strillare qualcosa, ma le si bloccò in gola: al contrario, emise semplicemente un verso strozzato.

“Tesoro!” esclamò Dodger, riconoscendola. “Grazie a Dio! Ti dispiacerebbe guidarmi al letto? Dovrei svenire.”

“Idiota!”

Urlò con così tanta forza che il volto le divenne rosso. “Cosa- perché devi fare così! Perché! Ogni volta che faccio qualcosa tu la rovini! Perché non puoi non rompere qualcosa, solo per una volta? Devi sempre comportarti come un bambino!”

<< -Quanti ricordi.- >>
<< -Io vorrei fermare questo litigio ma… non so… qualcosa mi blocca.- >>
<< -Sono momenti come questi che ti rendi conto di quale sia il vero lavoro di uno speaker: farsi da parte e osservare.- >>
<< -Momenti come questi si commentano da soli.- >>

Dodger alzò le braccia, avanzando alla cieca nella disperata ricerca di un posto morbido su cui atterrare e su cui perdere, finalmente, i sensi.

“Ascoltami quando ti parlo!”

“Scusa, tesoro,” borbottò Dodger, inciampando sul letto.

“E non osare svenire!”

Dodger sospirò, affondando il volto fra le coperte. Se le probabilità erano davvero ridicole come sembrava, forse c’era la possibilità di morire soffocato.
Alzò la testa, puntellandosi sulle braccia. “Tesoro, mi passeresti gli occhiali?”

Lei emise un nuovo, esasperato verso strozzato e per qualche secondo Dodger sentì l’irrefrenabile impulso di rannicchiarsi su se stesso ed aspettare che lo uccidesse a pugni.
Poi qualcosa lo colpì alla nuca, ricordandogli, fra le altre cose, che non aveva più il cappello, e Dodger dimenticò qualsiasi cosa stesse pensando, improvvisamente triste.

“I tuoi occhiali,” ringhiò Gwen. Dodger rabbrividì: il tono della gentil consorte era infuriato e non prometteva nulla di buono.

“Avrei dovuto ascoltare mia madre,” sibilò lei infine, mettendoci quanta più cattiveria era possibile. 

Dodger ringhiò, inforcando gli occhiali sul naso e incrociando le braccia sul petto. Se c’era qualcosa che riusciva a fargli dimenticare di quanto forte fosse sua moglie era il pensiero della suocera: un odio corrisposto che nessuno dei due smetteva mai di rinnovare ogni volta che fosse possibile. 

“Se tu avessi dato retta a tua madre, tesoro, molte delle tue minigonne da sgualdrina non esisterebbero.”

Dodger, che pure meglio di tutti conosceva la moglie, non sembrò accorgersi di ciò che aveva appena fatto: al contrario, il resto degli spettatori, dagli speaker ai tre eliminati, si schiaffarono una mano alla fronte.
Gwen strinse i pugni con forza, facendoli tremare: il volto, per la rabbia, divenne di un inquietante color porpora e gli occhi, socchiusi, sembravano emettere scintille di puro odio.

<< -Sanguis! Bibimus!- >>
<< -Corpus! Edimus!- >>
<< -Tolle Corpus Satani!- >>
<< -Satani!- >>

Gwen scattò verso Dodger, le mani tenute ad artigli e un’occhiata omicida sul volto: ancora, tuttavia, tale vista non servì a far capire al marito che avrebbe dovuto scappare.
Il suo sguardo, infatti, era in quel momento completamente attratto da ciò che la vestaglia, non più tenuta chiusa, rivelava.

“Ti ho mai detto quanto amo il pizzo?”

Gwen aggrottò la fronte, bloccandosi e rimanendo, per qualche secondo, impietrita ad osservarlo.
La perplessità aveva momentaneamente preso il posto della furia e Dodger ne approfittò per indicarle il reggiseno in pizzo: l’espressione sul suo volto, completamente rapita, sembrava essere quella di un bambino di fronte ad un negozio di dolciumi.
Lei non capì. Abbassò lo sguardo, seguendo l’indicazione del marito.

“Seriamente,” continuò Dodger, sporgendosi verso di lei, “sei sicura di non avere più venticinque anni?”

Gwen arrossì con forza, chiudendo di scatto la vestaglia. “Idiota.”

<< -Perchè, tu saresti vecchia?- >>
<< -Eh, hm, bocciolo di rosa vanigliato alla crema di lamponi, Los lo intendeva come un complimento.- >>
<< -Cosa?- >>
<< -Ah, basta. Andate a dormire, ci si vede domani, buona notte.- >>
<< -Cioè, possiamo decidere di smettere di parlare in Dolby?- >>
<< -Muori. Notte a tutti, tesorucci caramellati al cocco e bambù!- >>

Daniel piegò la schiena all’indietro, stiracchiandosi: in tutta la giornata non aveva fatto altro che star seduto di fronte a degli schermi, e ormai la sua schiena reclamava vendetta.
Si alzò in piedi, massaggiandosi il collo con le mani. Shadi e Celia lo stavano fissando, tutti e due aspettando di vedere come stava per muoversi- il primo con più timore che semplice noia, a dire il vero.

“Vado a dormire,” spiegò Daniel, accennando con la testa ai letti su cui, fino a poco tempo prima, erano collegati. 

Celia gli rivolse un’occhiata perplessa, aggrottando la fronte.

“Non capiterà nulla e i due sono a dormire.” Daniel scrollò le spalle, sospirando. “Credimi, è meglio se andiamo a dormire. O domani ti addormenterai quando capiterà qualcosa.” 

Lei lo guardò per un po’, cercando qualcosa con cui controbattere, ma alla fine dovette arrendersi, sbuffando. “Odio quando hai ragione!”

Daniel scoppiò a ridere nel bel mezzo di uno sbadiglio, rischiando seriamente di soffocarsi.

“E piantala!”

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-.:.-*-.:.-

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Suite 505, Ora: 1.48 AM 

<< -Goth.- >>

Di solito Goth avrebbe adorato sentire che il ragazzino provava qualcosa: gli piacevano quei rari momenti in cui Los non era più un semplice ragazzino apatico e annoiato, troppo pigro per lasciare che qualcosa lo interessasse davvero. Quando dimostrava che dietro quella flemma, molto in profondità, qualcosa c’era, Goth aveva finalmente l’impressione di trovarsi di fronte ad una persona con cui valeva la pena passare la maggior parte del tempo.
Eppure, in quel momento, non poteva fare a meno di detestare Los e la sua vocina lamentosa.

<< -Goth?- >>

Goth sbatté la matita sulla scrivania in un gesto esasperato: Los, dalla sedia accanto, non poté trattenere un gemito.
Non riusciva a sopportarlo. Quel piagnucolio, quei mugolii di dolore, in quel momento non facevano altro che colpire direttamente i suoi nervi, facendoli cedere con forza.

<< -Cosa, Los. Cosa c’è. Cosa c’è di così importante da dover comunicare? Cosa, nel nome del Cielo, cosa non potevi assolutamente tenerti per te?- >>

Si sforzava di non gridare, di parlare sottovoce per non svegliare i giocatori, eppure riusciva lo stesso a dare alla voce un’inflessione velenosa, infuriata- che, ovviamente, Los ignorò.

<< -Mi fa male la testa.- >>

Goth chiuse le mani in pugni, stringendoli contro la fronte con forza.
In quel momento non lo sopportava. Ringhiò sottovoce, sfregandosi la fronte contro le nocche della propria mano. 

<< -Mi piange il cuore. Ora che hai sparso la triste novella ti senti meglio? Oppure ti aspetti che faccia apparire una fenice dalle lacrime curative?- >>

Los non rispose. Fece il broncio, sbuffò, e poi rimase in attesa, aspettando che Goth finisse il suo piccolo teatrino.
Ecco un’altra cosa di Los: raramente se la prendeva per qualcosa. Non aveva voglia di prendersela per qualcosa. Scrollava le spalle e ti guardava con la tipica espressione di qualcuno a cui non importi nulla- come se ti reputasse, in un qualche modo, inferiore.
Forse non era vero. Los non era arrogante: troppa fatica esserlo. Eppure era ovvio che non considerasse le persone.
Goth non lo sopportava. L’aveva sempre reputato irritante, ma in quel momento odiava quello sguardo. 

<< -Non ti sopporto. Lasciami in pace.- >>

Los sbuffò, alzando gli occhi al cielo. 

<< -Tu non mi sopporti mai, tranne quando devo comprarti qualcosa.- >>

Goth strinse i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nella carne, tanto trovava il ragazzino irritante.
Non lo stava davvero rimproverando. Sapeva che per Los non era mai stato un problema spendere.
No, Los aveva tirato fuori quel discorso solo per rispondere: una delle sue solite battute acide, buttate lì tanto per tenere aperto il discorso e riportare l’“avversario” alla realtà- tanto per ricordargli che non aveva alcun diritto di ignorarlo. 

<< -Mi fa male la testa, Goth. Sul serio.- >>

Non lo sopportava. No, quella sera, Goth lo odiava. Con tutto il cuore.
Si voltò verso Los con l’intento di gridare qualcosa, di scuoterlo in un qualche modo. Gli faceva male la testa? E allora? Era anche ora che capitasse qualcosa a quel piccolo odioso ingrato.
Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, uno come minimo- ma si fermò a fissarlo, respirando a fondo. 

Si sentiva debole. Era stata una giornata stressante, e Goth aveva i nervi a fior di pelle. Tutto lì: non era Los ad essere più odioso del normale, semplicemente non c’è la faceva più.
Respirò, tentando di calmarsi. Erano solo i nervi. Sì, solo i nervi. 

<< -Troppi videogame, piccolino. Forse è ora di andare a nanna?- >>

Los aggrottò la fronte, piegando le labbra in un debole sorriso.
Era ovvio che stesse male. Gli occhi erano persino più socchiusi del normale, nel vano tentativo di difendersi dalla luce: il sorriso stesso sembrava quello di un reduce dalla guerra.
Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando- il moccioso non era minimamente abituato al dolore, a quanto pareva.
Si avvicinò, prendendogli il volto fra le mani: in meno di un secondo, Los passò dal sorriso ad un vago accenno di perplessità- il massimo, per un ragazzino come lui.
Poi, con la più completa sorpresa di Los, avvicinò le labbra alla sua guancia. 

<< -Goth, che- >>
<< -Misuro la febbre.- >>

Goth gli premette le labbra sulla fronte, tentando di concentrarsi sulla differenza di calore fra la pelle di Los e la propria: quello era solo un videogioco, tuttavia c’era una specie di termometro personale, nello schermo di ogni giocatore, che indicava se stessero congelando o se avessero, per l’appunto, la febbre.
Purtroppo Los, da idiota qual’era, probabilmente non aveva la minima idea dell’esistenza di tale termometro e Goth non aveva voglia di spiegare qualcosa ad un ragazzino che si dava arie da moribondo per un semplice mal di testa.
Appoggiò la guancia sulla fronte di Los, tentando di avere una stima migliore del calore corporeo del ragazzo.

<< -Sai, Goth, se appoggi le labbra sul mio collo potrei perdere il controllo del mio corpo.- >> 

Goth si staccò dalla sua fronte, portando le mani, a calice, attorno al collo di Los.

<< -Sai, Los, se mai appoggerò le mie labbra sul tuo collo, probabilmente la seconda cosa che farò sarà buttarmi dalla finestra.- >>

Los scrollò le spalle, sbuffando. 

<< -Non hai la febbre. Và a dormire e vedrai che domani ti sentirai meglio.- >>
<< -Sai una cosa?- >>
 

Goth si appoggiò di nuovo alla propria sedia, fissandolo in silenzio: Los prese tale movimento come un invito a continuare il suo discorso.

<< -Una persona normale avrebbe reagito male alla mia battuta. Tu hai solo risposto.- >> 

Mentre si alzava, per un momento, Los si sentì girare la testa: si appoggiò alla scrivania, aspettando che il malore gli passasse.
Goth, dal canto suo, non aveva minimamente pensato ad aiutare quello che, in teoria, era un suo amico.
Forse anche unico.

<< -Tu non sei come gli altri.- >> 

Goth alzò le spalle, girandosi nuovamente verso il foglietto che aveva lasciato perdere poco prima.

<< -Lo prendo come un complimento.- >> 

Los scrollò le spalle, cominciando ad avanzare verso uno dei due letti della camera.

<< -Prendila come ti pare.- >> 

Goth non rispose.
Non c’era modo di capire cosa intendesse dire Los, se volesse fare un complimento o prenderlo in giro. A volte aveva la vaga impressione che ciò che dicesse non fossero giudizi, ma semplici dati di fatti.
Riprese in mano la matita e cominciò a lavorare sugli ultimi dettagli del disegno, tentando di ignorare il principio di mal di testa.




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Mio Dio. Voi non avete idea. Questo capitolo è stato un incubo da scrivere... mi dispiace COSì tanto, non è nemmeno totalmente buono! ç_ç Perdonatemi. Segnate errori se c'è ne sono e... yay. Spero vi sia piaciuto. Oh! La litania in latino che i due speaker cantano, ad un certo punto, è dalla soundtrack di The Omen, precisamente "Ave Satani". Se non l'avete visto, vi consiglio di ascoltare almeno la canzone. *rabbrividisce*

Senboo_ : Hai vinto! La Mary Sue èèèè.... MEREDITH! Suvvia, bellezza, feeeenomenali poteri cosmici... Comunque, ti ringraziai già e, uh... bhè, grazie ancora! ^O^
Vitani: Uuuh... se può aiutarti nel tuo dolore... anche io amavo La Sgualdrina ç_ç
Fofolina: Oddio, mi dispiace XDD Questo capitolo era principalmente sui personaggi che odiavi... mi dispiace ç_ç Tuttavia, spero che ti sia piaciuto. Grazie per avermi letto ^O^

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Capitolo 5
*** Layer 04: Bug ***


Layer 05: Bug

<< -Buongiorno, miei piccoli zuccherinosi aiutanti del diabete. Sono sempre io, Goth. Mi duole annunciarvi che nessuno è morto nel sonno e che quindi il vostro tempo di gioco non si è in alcun modo accorciato.- >> 

Sid aprì gli occhi, svegliato dalla voce dello (della?) speaker.
Alla fine era riuscito a superare l’attacco di panico, la sera prima. Era riuscito persino a trovare un posto dove dormire, e ad un ottimo prezzo.
Si alzò puntellandosi sui gomiti, trovandosi a fissare una finestra da cui filtrava la luce del sole.

“M’illumina sentire la tua voce di prima mattina, Goth.” 

Si stiracchiò, un gesto dettato più dall’abitudine che da un reale bisogno, quindi si sedette sulla sponda del letto, cercando con lo sguardo i propri vestiti.

<< -Se il videogioco avrà successo ti regalerò un auricolare con web-cam, così potrai sentirmi mentre commenterò la tua vita. Uh, cosa stavo… ah sì, Los sta ancora dormendo, il che vuol dire che siamo solo io e voi. Non è un problema, vero bambini miei?- >>

Nicolas avrebbe potuto rispondere qualcosa, se solo non fosse così occupato a stropicciarsi gli occhi senza far cadere il cappello.
Così a parlare fu Oliver, che se anche era occupato a stropicciarsi gli occhi come il fratello, per lo meno non doveva stare attento a nessun cappello.

“Hai avuto una promozione a madre, nell’ultima frase?”

<< -La cosa inquieterebbe me, psicologi e Dio allo stesso modo, tesorino impanato nel curry alle patate. Ad ogni modo, muri corrono alti nel cielo, segno della divisione, della dicotomia tra bene e male, delle barriere fra persone, della linea bianca nel PONG. Urgh, passo troppo tempo assieme a Los. Proposito per l’anno nuovo: farmi uno straccio d’amico. Anche se sono così seccanti. Sinceramente, qualcuno potrebbe spiegarmi perché le relazioni sociali implicano un tale spreco di tempo? Farsi un amico è come comprarsi un maledettissimo cane.- >>

“Quasi. Quanti amici conosci che ti sbavino sopra?”

Per qualche secondo Sid, occupato ad allacciarsi le stringhe degli anfibi, non ragionò completamente sulla frase che aveva appena detto: poi aggrottò la fronte, facendo una leggera smorfia.

“A meno che non stiamo metaforicamente parlando ed il tuo amico non sia del sesso opposto o omosessuale.”

Rimase per qualche secondo a fissare la maglietta buttata la sera prima sul pavimento, come se in quello straccio sporco di fango ci fosse una qualche risposta che non aveva ben considerato.

“O a meno che non sia ubriaco e si sia addormentato su di te.”

Arricciò le labbra, scotendo leggermente la testa nel tentativo di ricacciare un’immagine nella profondità della propria memoria, quindi si alzò in piedi, scrollando le spalle.

“Sai cosa? Dimentica quello che ho detto.”

<< -Tua madre deve essere felice di ospitare a casa sua i tuoi amici. Comunque, caramellose entità vanigliate alla frutta... aspettate, non c’era una bambina con voi due?- >>

Oliver non si guardò nemmeno attorno: chiuse gli occhi, strinse le labbra in una sottile linea e si maledì mentalmente, tentando di sopprimere sul nascere qualsiasi reazione nervosa.
Il fratello invece strabuzzò gli occhi, completamente preso alla sprovvista. Probabilmente, pensò Oliver, doveva aver completamente cancellato dalla mente il giorno prima.

“La bambina!” gridò Nicolas voltandosi verso il gemello, “è scomparsa la bambina! Ollie-”

Al solo sentire il proprio nomignolo tutte le difese di Oliver cedettero, facendolo diventare istantaneamente paonazzo. “Non ci provare neanche!”

Nicolas lo guardò a bocca aperta, sorpreso da quello scatto d’ira: per quanto fosse un’abitudine, quella di gridarsi reciprocamente addosso, c’erano sempre dei giorni in cui rimaneva sorpreso. Soprattutto quando Oliver esordiva con quella vocina stridula.

Non mi hai detto di tenere d’occhio la bambina, non me lo hai mai detto! Capito?! Mai! Tu hai deciso di prenderla, tu dovevi starle dietro!” Oliver incrociò le braccia sul petto, in un gesto rabbioso. “Hai mai pensato che forse la bambina non vuole stare con noi? Hai mai pensato che forse vuole andarsene? Forse non vuole più stare nella tua ombra! Forse non vuole più dover obbedire ai tuoi stupidi ordini! Forse la bambina non vuole stare con te!”

Nel breve silenzio che seguì Nicolas non riuscì a modificare l’espressione incredula sul suo volto, ma sentì le proprie guance sfumare lentamente dal rosato al rosso vivo. La risata dello speaker in sottofondo non lo aiutava particolarmente a concentrarsi, ma quell’ultimo discorso gli faceva venire, per un qualche strano motivo, i brividi.
Ridacchiò nervoso, giocherellando con la manica della giacca, quindi, dopo essersi schiarito la voce, si decise a tentare di parlare al fratello che continuava a guardarlo con uno sguardo di puro odio.

“Qui… non stiamo parlando solo della bambina, giusto?”

Oliver socchiuse gli occhi, inclinando leggermente la testa verso destra. “Non essere ridicolo, Nico. È ovvio che stia parlando della bambina.”

Nicolas s’inumidì nervosamente le labbra, aggiustandosi il cappello sulla testa nel vago tentativo di liberarsi dalla tensione.
Non che la continua risata di Goth stesse aiutando.

“Sì, ma, ehm. Metti caso tu non stia parlando della bambina, di cosa staresti parlando?” 

La risposta di Oliver fu un suono strozzato: la prima impressione di Nicolas fu di trovarsi di fronte alla madre.

“Perché devi sempre cercare di cambiare discorso? Perché! Stiamo parlando della bambina, di cos’altro dovrei parlare?! Sei un- bambina.”

Anche se ormai erano tre volte in neanche due giorni che uno dei due ripeteva quel gesto – indicare qualcosa alle spalle dell’altro e pronunciare un breve quanto criptico ‘bambina’ - , Nicolas ancora si poneva qualche dubbio sul cosa intendesse dire il fratello in quel modo.

<< -Mi illuminate sempre la giornata, adorabili cuccioletti della mamma! Comunque, allons-y mon chers petits. Il domani è oscuro, il futuro è nero e muri appaiono dal nulla, cosa che riesce persino ad essere più inquietante delle prime due cose che ho detto. Passiamo alle minacce: io vi guarderò, ed ogni minuto in cui non farete nulla un neurone a caso del mio cervello sarà ucciso. Sì, un povero, piccolo, innocente neurone con moglie e figli.- >>

Gwen sorrise, lo sguardo perso di fronte a se, trovandosi a fissare il volto ancora addormentato del marito.
La prima cosa che Dodger faceva, appena addormentatosi, era abbracciarla e stringersi contro di lei. Gwen non riusciva mai ad arrabbiarsi o a rimanere infastidita per più di cinque secondi: quel semplice movimento riusciva a risvegliarle qualcosa, all’altezza del petto, che, per un qualche strano motivo, la faceva sentire bene.
Di solito lei riusciva a sciogliersi dall’abbraccio con relativa facilità, senza nemmeno svegliarlo: tutte le volte Dodger si rannicchiava su se stesso, quasi stesse tentando di ripararsi dal freddo, e per qualche secondo si poteva notare un’ombra scura sul suo volto.
Quella mattina, invece, Gwen ancora non era riuscita a liberarsi. Il marito la stringeva a se con più forza del solito, tanto che, ne era convinta, se non fosse stato un videogioco avrebbe rischiato di soffocare.
Sospirò, tentando di tirarsi indietro: la presa non si allentò, anzi, Dodger l’abbracciava con ancora più forza.

<< -Ehi, petalo di rosa impanato nello zucchero d’avena, che sta succedendo? Non mi vorrai mica morire per un gesto d’amore, vero? Sarebbe stucchevole e decisamente fuori luogo. A meno che nessuno metta in sottofondo una canzone teen-emo-angst-rock-pop, almeno.- >>

Per una qualche strana ragione, il solo sentire Goth pronunciare le parole ‘gesto d’amore’ la fece arrossire violentemente.

“S-silenzio!” 

Dodger socchiuse le palpebre, mostrando a malapena le due iridi verdi: Gwen s’irrigidì di scatto, serrando le labbra e sgranando gli occhi in un espressione terrorizzata.

“…Dzien…” 

Gwen rimase a fissarlo, chiedendosi per qualche attimo se Dodger avesse cercato di dire qualcosa oppure se quello era stato solo un verso senza senso: poi, senza una particolare ragione o perché, lui si avvicinò e le appoggiò l’orecchio destro sul petto, chiudendo gli occhi e rimanendo in silenzio.

<< -Se mettiamo questa scena nel trailer la gente ucciderà per interpretare il suo personaggio.- >>

Gwen aprì e richiuse la bocca, arrossendo ad intermittenza: da una parte voleva strillare qualcosa contro Goth, dall’altra c’era la parte più insicura della sua mente che si sentiva semplicemente lusingata.
Così alla fine rimase in silenzio, tentando di capire perché Dodger tendeva a comportarsi come un bambino di tre anni alla ricerca di affetto ogni volta che si trovava vicino a lei.
Aprì nuovamente la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, ma si ritrovò di nuovo senza parole.
D’altronde, che cosa diavolo poteva fare con un tizio che aveva deciso di appoggiare la testa sul suo petto?

Schioccò la lingua, tentando di risvegliarsi da quello strano stato di ipnosi in cui era caduta. “Sei sempre così appiccicoso.”

Alzò il busto, puntellandosi con le braccia prima di appoggiarsi allo schienale del letto, scrollandosi da dosso Dodger.
Lui reagì a malapena: si coprì gli occhi con un braccio, sospirando leggermente.

“Non sei per niente romantica.”

Gwen lo fisso per qualche secondo, tentando di ragionare su ciò che il marito aveva appena detto: poi, resasi conto che non aveva capito male, emise un verso strozzato.
Dodger fece una breve smorfia: quel… suono gli dava sempre l’impressione che la moglie avesse ingoiato un rospo.

 “Romantica?! Mi hai appena messo la testa fra le tette!”

<< -E mi sorprende che tu sia sopravvissuto a ciò!- >>

Gwen alzò la testa verso l’alto, sbattendo i pugni sul materasso. “Fa silenzio!”

<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >>

Dodger dovette mordersi le labbra per riuscire a soffocare le risate che quel breve scambio di battute gli stava procurando, ma fu comunque abbastanza veloce da riuscire ad assumere un’espressione esageratamente offesa quando, pochi secondi dopo, la moglie si voltò verso di lui.

“Mi reputo insultato! L’unica cosa che volevo fare era sentire il battito del tuo cuore attraverso la tua gabbia toracica.”

<< -Tenero e al contempo inquietante. Lo sapevo di aver fatto bene a nominarti mio mito intramontabile.- >>

Gwen sbuffò, tentando di ignorare il sorrisetto soddisfatto sul volto del marito e di concentrarsi sull’importante decisione del cosa mettersi quel giorno.
Agguantò in fretta un corsetto dalla borsa convincendosi che sì, era un indumento perfettamente normale, pizzo nero su stoffa rossa a prescindere.

<< -Tesorino alla crema di fragola e ribes, non so cosa ti abbia detto il responsabile delle pubbliche relazioni ma adesso puoi smetterla con il fanservice. L’abbiamo già catturata ieri sera, con lo scorcio della tua vestaglia, la popolazione maschile del globo.- >>

Gwen strinse i denti, trattenendosi dal gridare una terza volta allo speaker, quindi, dopo aver indossato la gonna, prese le calze e si accinse a infilarsele.
Non un’operazione semplice quando alla sua destra Dodger la fissava imbambolato con lo sguardo tipico di un fedele di fronte all’apparizione della Madonna.

“Che c’è?!” sbottò infine Gwen, risvegliandolo con un sussulto.

Dodger fece un leggero sorriso, in un disperato quanto patetico tentativo di tornare in se. “Perché non ti esibisci direttamente su un cubo, tesoro?”

La risposta di Gwen sarebbe sicuramente stata violenta se solo non fosse stata troppo occupata ad arrossire.

<< -Ooook, interrompiamo il collegamento con i due tesorini amorosi e passiamo a… a… oh, santo Cielo, avete tutti una vita meno intensa della mia e questo dovrebbe significare qualcosa. Risvegliatevi un po’! Sono morte tre persone, ci sono muri che dividono la città e siete in un maledetto videogioco, com’è possibile che continui a non accadere nulla?! Comincio a rimpiangere i giorni in cui rischiavamo lo stupro!- >>

Meredith camminava spavalda ma timida, quasi sfilando di fronte a quella folla che amava ma allo stesso tempo odiava. La sua bianca pelle color della luna in una notte di primavera con brezza leggera-leggera rendeva naturalmente più luminosi le due gemme blu incastonate al posto degli occhi, che brillavano ora di felicità, ora di altera freddezza, ora di feroce rabbia. I lunghi capelli biondi color del sole del mattino in una giornata di estate calda ma non troppo, ecco, diciamo abbastanza sui trenta gradi ricadevano con grazia sulle spalle, coperte da una trasgressiva ma firmata maglietta aderente, che mostrava la perfezione delle sue curve granitiche.

“Tutto ciò che faccio è importante ai fini della storia! La gente mi ama, mi teme, mi ricorda, mi… lovva!”

L’aria attorno alla ragazza sembrava essersi improvvisamente illuminata, come per mostrare con maggior grazia la perfezione del suo meraviglioso corpo.

<< -Mia cara, non uso molto spesso questo termine, anzi, tento di evitarlo sempre e comunque, ma, ecco, in questo momento io ho lollato. Ho lollato fino a ROTFLare, finendo dritto ne… nel… nel LMAO. ROKLMFN.- >>

Era a metà strada fra la sua stanza e la reception quando Sid sentì il commento dello speaker.
Dapprima si fermò, limitandosi ad aggrottare la fronte, confuso. Poi portò le mani alla fronte, emettendo un gemito di dolore mentre le parole di Goth riecheggiavano nella sua mente.

“La mia mente. L’hai appena violentata.”

<< -La nostra beneamata lingua madre è stata violentata, involtino all’eroina e ribes.- >>

Sid sorrise debolmente, tentando di scacciare quel briciolo di paranoia che continuava a roderlo dentro.
Era ovvio che Goth stesse scherzando. Goth scherzava in quel modo, con quella voce annoiata ed ironica. Goth non stava, in alcun modo, tentando di fargli rodere la coscienza o di prenderlo in giro.
Sorrise, soppresse l’ansia e tentò di sostenere la conversazione senza farsi tremare la voce.

“Non vorrei mai essere invitato a cena da te.”

<< -Oh, suvvia. Il brivido del mistero alla vista di un piatto, aromi inimmaginabili, sapori al limite del lecito… cosa puoi desiderare di più?- >>

Il sorriso nervoso che Sid aveva tentato di mantenere fino a quel momento si sciolse, formandone uno sicuramente più sincero.
Cosa poter desiderare di più? Rivedere ‘Dopodomani’ a scuola.
Il professore aveva deciso, un giorno, di portare il film a scuola e di mostrarlo alla classe. Era sembrata, ai tempi, una cosa ragionevole: molta gente appena uscita dal cinema aveva detto che era un film straordinario e che si vedeva che il regista aveva fatto le sue ricerche.
Probabilmente nessuna di quelle persone era un meteorologo. O aveva avuto una minima infarinatura circa il come funziona la fisica sul pianeta terra.
La pellicola durava due ore, ma riuscirono ad arrivare alla fine solo dopo tre ore e mezza: non solo il professore continuava a fermare il video per spiegare come mai ciò che stava avvenendo sullo schermo era una totale idiozia, ma l’intera classe non riusciva a smettere di ridere.
Poteva accettare che la premessa del film, ovvero un raffreddamento globale sulla base di quello avvenuto 8000 anni prima, fosse stata esagerata: nessuno sarebbe andato a vedere un film circa una leggera variazione climatica che avrebbe portato ad una drastica riduzione della vendita di piscine all’aperto, ma c’erano degli errori che avevano portato alcuni alunni a rischiare di soffocare per le risate.

<< -Deve essere stata una battuta fenomenale, la mia, se è riuscita a toglierti quella tua aria da cane bastonato che tanto ci ha convinti a sceglierti. Tanto per sapere, il giorno dei provini ti stavano minacciando con un fucile oppure eri semplicemente contento di vederci?- >>

Sid aggrottò la fronte, tentando di ricordare il giorno in cui si era presentato ai provini.
Doveva essere stato un lunedì, ma era abbastanza sicuro non si fosse trattato di una semplice depressione dovuta all’inizio di una nuova settimana di scuola. No, se lo ricordava quel provino: era nervoso, abbattuto, scontroso, tanto che poi, quando era arrivata la notizia che lo avevano preso, aveva dovuto richiamare due volte per esserne certo.
Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Cosa era successo qualche mese prima?
Oh. Oh già.

“Il… fine settimana non era stato esattamente idilliaco.”

Nominare quel sabato sera riusciva ad essere traumatizzante anche se non c’era praticamente nulla da ricordare. Il momento prima, in preda ai sintomi dell’astinenza, si stava iniettando una dose, il momento dopo si risvegliava strillando, con una siringa piantata nel cuore. Non era stata una cosa piacevole, ma, nonostante tutto, in poche ore aveva di nuovo sentito il bisogno di comprare dell’eroina.
La mattina dopo aveva tentato di entrare in casa senza farsi notare da nessuno, ma sfortunatamente i suoi genitori avevano deciso di aspettarlo perché preoccupati. Poche cose riuscivano a farti capire che tuo figlio ha ricominciato a drogarsi come vederlo apparire alla porta di casa alle sei di mattina con un’aria moribonda e la maglietta intrisa di vomito.
Inutile dirlo, il resto della domenica era stato da incubo.

<< -Nhn. Immagino. Alla tua età ero praticamente costretto ad andare a delle stupide feste. L’unico modo per riuscire a sopportare così tante persone in un posto solo era uccidere qualche neurone bevendo come una spugna. Poi c’era la domenica, in cui la casa si riempiva di gente e così, olé, altre ventiquattr’ore di bevute continue. Non era bello, il lunedì, dover vivisezionare una rana quando l’unica cosa che volevo fare era andare in bagno e vomitare.- >>

“Sono sorpreso il tuo fegato funzioni ancora.”

Non che avesse esattamente il diritto di dire qualcosa del genere visto che lo conosceva da circa un giorno e il loro rapporto era un semplice ‘tu fai qualcosa ed io la commento nel modo più spietato possibile’, tuttavia era ovvio che lo speaker avesse un qualche problema con l’alcool… e le persone in generale.
Sid ci pensò un secondo, raggiungendo il bancone della reception: da quanto aveva potuto carpire da alcuni mezzi commenti dei due speaker, doveva esserci anche qualcun altro con la stessa dipendenza.

<< -Tutto funziona sempre bene… fino a che non vai a fare una visita di controllo. Viene da chiedersi se non siano i dottori ad installare una qualche sorta di virus nel tuo corpo attraverso lo stetoscopio.- >>

Oliver si fermò, rivolgendo un sorriso verso l’alto.

“Indaga! Noi due siamo con te.”

Nicolas, al sentire le parole del gemello, fece del suo meglio per imitare l’espressione di Clint Eastwood, tentando miseramente di darsi un’aria importante.

 << -See, intanto fate attenzione alla bambina. Va bene che è piccola, ma non è esattamente un portachiavi che si può perdere ogni cinque minuti.- >>

Gwen, che in quel momento si stava aggiustando i capelli di fronte allo specchio dell’ascensore, non poté fare a meno di sogghignare.
Ah, i suoi bambini. Era difficile capire quando perdevano qualcosa e quando l’avevano meramente rubata e la stavano tenendo nascosta.
Insomma, non era una novità che ‘perdessero’ qualcosa: ciò che realmente la sorprendeva era quel continuo nominare una bambina.

“Tesoro, credimi, i tuoi capelli sono perfetti. Puoi smetterla di… torturarli.”

Alzò gli occhi al cielo, ringhiando sommessamente. Dodger, appoggiato contro la porta dell’ascensore, non riusciva a capire che ad una pettinatura come la sua bastava una sola ciocca fuori posto per ricordare i capelli di una persona che si è rotolata nel sonno senza alcuna tregua.
D’altronde, comunque, non poteva aspettarsi molta comprensione in quell’ambito quando parlava con un tizio che usava sempre un cappello.
Gwen aggrottò la fronte, perplessa.

“Dov’è il tuo cappello?” Lo fissò per qualche secondo, tentando di afferrare cos’altro fosse fuori posto nella figura del marito. “E dov’è il tuo impermeabile?”

Le porte dell’ascensore si aprirono e Dodger si rimise in piedi, scotendo la testa con aria cospiratrice.

“Ratti. Mai sottovalutare i ratti.”

E, come se la criptica frase non fosse già abbastanza, portò le mani, strette in pugnetti, al petto e mostrò gli incisivi, in una tipica imitazione di un roditore.
Gwen si morse le labbra, tentando disperatamene di non scoppiare a ridere.

<< -Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. Comunque, ci sono un sacco di donne che sposano qualcuno dicendo che le faceva ridere. Bello vedere che per qualcuna è vero e non solo un altro modo di dire ‘non c’era nient’altro di meglio’.- >>

Gwen non parlò. Il suo improvviso perdere colore, assieme al sorriso congelato sul suo volto, furono una risposta più che eloquente.
Si voltò verso Dodger, affettandosi a dire qualcosa- non ci riuscì. Rimase a fissare il marito con la bocca aperta, senza parole, tentando di convincersi che non aveva visto quell’espressione triste sul suo volto e che lui non si era girato solamente per non guardarla negli occhi.

<< -Uh. Programmi per la giornata, involtini primavera alla rondine fucilata?”

Gwen si rilassò. Una conversazione con lo speaker era qualcosa che poteva sopportare con facilità. Se toccavano un argomento che interessava anche Dodger allora lui sarebbe tornato il solito, stupido se stesso, avrebbe cominciato a scherzare e lei avrebbe potuto ritornare a respirare senza sentire quel dolore al petto.

“Momentaneamente l’idea è di pagare la stanza.”

Una risatina la riscosse, facendole venire un mezzo colpo.

“Diciamo che è più esatto dire che l’idea è di fare un salto alla hall.”

Non fosse stato che il tono con cui aveva pronunciato quella frase era così… alla Dodger, Gwen avrebbe aggrottato la fronte per il fastidio.
Per quanto geniali, non sempre i piani del marito davano gli effetti sperati.

<< -Mhm. Bhè, se può minimamente aiutarvi, gli NPG sono modellati per agire come persone. Il che significa che non hanno un database completo circa tutti quelli che sono presenti nel hotel. Il che significa, in modo spiccio- >>

“Che, ad esempio, non sanno ancora che un passerottino ha sbattuto contro la finestra della stanza.” Concluse Dodger.

Si portò una mano la dove doveva esserci il cappello, con l’intenzione di calcarselo sulla testa e di darsi delle arie: purtroppo, poiché il cappello non c’era, la mano tastò per qualche secondo il vuoto, il volto congelato in una smorfia.

“Ratti, tesoro.”

Dodger si voltò verso di lei, sorpreso: poi si sciolse in un sorriso, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.

"Mai fidarsi dei ratti.”

<< -Avete un curioso modo di riferirvi ai dodicenni. Undicenni. Quel che era. Certo, non posso dire che non sia appropriato.- >> 

Gwen aggrottò la fronte. “Dodicenni?"

<< -Sono i ratti della società moderna. Senza alcun dubbio.- >> 

Lei rivolse a Dodger uno sguardo interrogativo che lui ignorò, limitandosi a scrollare le spalle in quel modo che sembrava significare ‘sai benissimo di non volerlo sapere’.
Gwen non insistette. Se Dodger implicava che lei non volesse sapere qualcosa, di solito era così.

“Tesoro, questo è molto, molto, molto, molto importante. È quello il tizio che ha fatto il check-in, ieri sera?” 

Gwen tentò di ignorare il tono serio del marito – per un qualche strano motivo riusciva sempre a farle saltare i nervi – e si concentrò sull’uomo seduto dietro il bancone della hall.
Scosse brevemente la testa: quello non era il tizio che l’aveva accolta all’hotel. A dire il vero aveva l’orrendo presentimento che, vista l’estrema eleganza e il modo in cui rimaneva impettito ad aspettare i clienti, quello fosse il direttore dell’hotel.

“Perfetto. Tutto a posto. Sorridi.” 

Lei chiuse gli occhi per un secondo, deglutendo a fatica. Se lo sentiva che se ne sarebbe pentita, lo sentiva che doveva semplicemente pagare, lo sentiva che era una pessima idea seguire il piano del marito.

L’uomo li notò subito. Rimaneva serio e professionale eppure era possibile notare un impercettibile sollevamento del sopracciglio destro, unica spia della tempesta di pensieri che stava imperversando nella sua mente: primo fra tutti, probabilmente, dove avessero trovato i soldi per entrare.

“Buongiorno signori.”

Dodger si guardò attorno con fare furtivo, poi si appoggiò sul bancone, sporgendosi verso l’uomo.

“Buongiorno. Vorrei, uhm, pagare.” 

Gwen aveva sviluppato, dopo tanti anni, una perfetta faccia da poker. Era essenziale rimanere impassibili mentre tuo marito tirava avanti una recita di cui non ti aveva spiegato nulla e il receptionist di un hotel ti squadrava nel tentativo di capire qualcosa.

“Il nome, prego?”

Dodger schioccò la lingua, lanciando una veloce occhiata alla moglie. “Smith. La… signorina non è segnata, non so se mi spiego…”

Improvvisamente lei capì cosa stava facendo il marito e l’unico motivo per cui riuscì a rimanere impassibile fu il pensiero, rassicurante e piacevole come poche cose al mondo, che dopo l’avrebbe ucciso con le sue mani.
L’uomo non aggiunse parola e cercò il nome nel registro.

L’espressione sul suo viso quando tornò a guardare Dodger la fece sentire male.

“Qui la signorina è segnata...”

Lo sguardo sorpreso che Dodger le rivolse le fece mollare la maschera. D’altronde sembrava così convinto, così sincero che Gwen pensò davvero che il receptionist li avesse scoperti: così fissava il marito, terrorizzata, pregandolo di dargli un segnale per fuggire.

“Io… la signorina ha fatto un… errore, temo. Vede, abbiamo estremo bisogno di privacy e… ecco, se potrebbe… non so se mi spiego.”

<< -Padroneggi alla perfezione l’arte del parlare e non dire niente, mio mito inarrivabile.- >>

“I nostri clienti godono della massima privacy, signore."

Dodger chinò leggermente la testa, sorridendo. “Sapevo di poter contare su di voi. Posso sapere il conto…?”

Gwen non c’è la faceva più. Quello non era il suo modo di fare, lei era più per sfilare il portafoglio. O colpire la vittima e prendere i soldi mentre era svenuta. Non riusciva a sopportare l’idea di dover passare più del necessario con il tizio da rapinare.
Cominciavano a tremarle le gambe per il nervosismo e non riusciva a sopportarlo. Voleva solamente correre lontano da lì, maledizione, perché dovevano discutere?
Anzi, perché non aveva semplicemente pagato la maledettissima camera?

“350 crediti.”

Dodger annuì, allungando qualche credito in più rispetto al conto. “Per… il servizio.”
Ammiccò al receptionist con fare complice, quindi cominciò a marciare di fretta verso l’entrata seguito da Gwen che, finalmente, riusciva a riprendere fiato.

“Ti odio. Ti odio,” bisbigliò Gwen con calma, trattenendosi a stento dal mettersi a correre. “Per una volta che potevamo pagare, perché devi sempre complicare le cose?”

Dodger schioccò la lingua, guardandosi attorno con nonchalanche per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. “Era una suite, Gwen. Una suite. Con un enorme finestra sfondata. E molto, molto, molto alcool sul conto.”

Gwen dovette prendersi un secondo per calmarsi: quando parlò, lo fece a voce così bassa che ricordava un sibilo. “Una finestra che tu hai rotto. Alcool che tu hai ordinato.”

Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Oh, perché tu hai disprezzato, giusto?”

<< -Ha protestato. I primi cinque minuti. Parliamo di qualcosa di interessante, invece: la questione Smith. Immagino tu abbia sparato quel nome perché è molto comune. Ad ogni modo, come facevi a sapere che non avesse preso una suite?- >>

“Ah, lieto che tu me l’abbia chiesto!”

Dodger, ormai uscito dall’hotel, batté una mano contro l’altra, allegramente.

“ Vedi, è stato un semplice calcolo delle probabilità. Smith è usato più spesso degli altri cognomi come pseudonimo, ed in questi casi è piuttosto ovvio che la loro camera deve essere piuttosto economica. Se Smith era il cognome originale era comunque più probabile avesse preso una camera normale piuttosto che una suite- insomma, era una situazione in cui vincevo comunque!”

<< -Ora che mi ci fai pensare, ricordo che un posto dove ho vissuto per un po’ di tempo, una specie di… mi piange il cuore chiamarlo hotel, era abitato esclusivamente da John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe.- >>

Sid rabbrividì leggermente, tentando però di mantenere il sorrisetto nervoso che l’aveva contraddistinto negli ultimi venti minuti.

“Eri per caso uno spacciatore?”

La domanda, fatta con una forzata nota di allegria, era in realtà un tentativo di distrarsi dalla triste verità, ovvero che era probabilmente rinchiuso in un angolo di città con poco o niente da visitare, non sapeva dove andare a mangiare o dove prendere un lavoro per accumulare qualche credito e, soprattutto, che cominciava ad avvertire una sorta di fastidio.

<< -Diciamo che per un certo periodo ho avuto un ruolo attivo nel procurare alle persone cose che non facevano per niente bene alla salute.- >>

Schioccò la lingua. Goth stava parlando. Doveva rispondere e ignorare qualsiasi pensiero.

“Devi avere un po’ di gente sulla coscienza.”

<< -Lo spero. Comunque, raccontatemi cosa volete fare oggi e facciamo a finta che mi interessi, vi và?- >>

Oliver alzò le spalle, muto segno per dire che, per quanto lo riguardava, gli andava bene- e lasciando così al gemello l’onere di spiegare quali fossero i loro piani per la giornata.
All’inizio Nicolas aveva semplicemente deciso di fare una passeggiata, decidendo che andare in giro per il posto l’avrebbe aiutato a concentrarsi per ideare un piano per vincere.
La bambina li seguiva. Ancora non aveva detto una parola, ma ormai i due gemelli cominciavano ad affezionarsi: dopo averle trovato un nome avrebbero dovuto insegnarle qualche giochetto.
Oliver, ad ogni modo, seguiva il fratello per un motivo più pratico. Sapeva che Nicolas l’avrebbe spinto a fare qualcosa di molto stupido, tuttavia non poteva ignorare il fatto che dividersi era, solitamente, la prima regola per morire nei film horror. Senza contare che, davvero, non poteva andare in giro senza qualcuno da sacrificare per salvarsi.
Così Nicolas si ritrovava a guidare altre due persone. Era ovvio, quindi, che sarebbe stato quantomeno scortese alzare le spalle e rivelare che non aveva nessuna idea circa il come passare la giornata.

“L’idea principale è quella di, hm, studiare il territorio.”

Nicolas fece un sorriso, sicuro e affascinante, sfoggiando al massimo la sua espressione da ragazzo sveglio: in quel preciso istante Oliver comprese che il fratello non aveva la minima idea di cosa stesse facendo.
Tuttavia non fece nulla. Continuò a camminargli accanto, fingendo di non aver capito, lasciando Nicolas nell’illusione che sì, Oliver era davvero così idiota da credergli anche dopo sedici anni di coltellate alle spalle.
Ed insieme afferrarono la bambina, bloccandola prima che potesse allontanarsi per sparire un’ennesima volta.
 

Sid non riusciva a smettere di martoriarsi il braccio. Doveva riuscire a distrarsi.
Avrebbe dovuto aiutare il fatto che nella sua mente, di solito, girassero solo concetti di fisica assieme a partiture di canzoni, accompagnati da citazioni da film più disparati. Sarebbe stato normale non concentrarsi su qualcosa più di un secondo, almeno in teoria, eppure non era così.
Fra quei frammenti di pensieri, di musiche e di suoni che era la sua mente, delle immagini sembravano riproporsi con più frequenza, brevemente, quasi fossero solo dei messaggi subliminali con il solo scopo di farlo impazzire.

“Io… non lo so. Cioè, uh,” Sid si morse un labbro, guardandosi nervosamente attorno, “non so dove sono né se ci sia qualcosa di interessante qui attorno.”

Meredith si scostò una ciocca di capelli dagli occhi, con fare sbarazzino, ben sapendo che quel semplice gesto poteva essere abbastanza per attirare l’attenzione di Goth.
Sorrise, sfavillante come poche cose potevano essere, ancheggiando elegantemente per le strade della zona in cui si trovava in quel momento.
Si maledì internamente: sorridere? Era un segno di debolezza e si era ripromessa che mai e poi mai avrebbe lasciato cadere la spessa maschera che la salvava dalle minacce di quella vita crudele e senza scrupoli.

“I miei capelli sono rovinati.”

<< -Sei spettinata, involtino dorato al miele di rugiada. Ma, sì, effettivamente spettinarsi indossando una retina… una retina d’oro, per giunta… sicuramente il segno di un potere malvagio. Santo cielo, se non c’è qualcuno che vi insegue per uccidervi non vale la pena fare qualcosa di divertente, uh? Sto cominciando a sperare che il ragazzino si risvegli. Bonnie e Clyde, le mie speranze sono su di voi.- >>

“Bonnie e Clyde... ?” biascicò Gwen a bassa voce, tentando di non farsi notare dall’incauto cliente cui stava, ironia della sorte, infilando qualcosa in tasca. Chi avrebbe mai detto che un giorno avrebbe fatto qualcosa del genere?
Si allontanò con calma, facendo un cenno con la mano a Dodger.

<< -Ooh, nuovi meravigliosi trucchi? Lo sapevo che facevo bene a sperare in voi. Fra parentesi, temo che la polizia non sarà molto contenta di vedere queste scene, ma se siamo fortunati saranno troppo occupati sulla parte ‘muoiono delle persone’. Eh, vedo già soldi che si volatilizzano, cause su cause, avvocati… fortuna che pagano i genitori di Los.- >>

Dodger aveva sempre pensato di essere un tipo piuttosto rilassato, sul lavoro. C’era bisogno di prontezza di riflessi e savoir-fair: aveva bisogno di essere rilassato.
Gli piaceva pure pensare di avere una certa elasticità mentale: a diciotto anni era riuscito a scherzare con i dipendenti di una banca mentre teneva una bomba sul petto e cercava, allo stesso tempo, di scassinare la cassaforte, quello doveva pur dimostrare qualcosa. Oltre che a quei tempi era molto disperato, ovvio.
Eppure sentire Goth parlargli nell’orecchio gli aveva procurato un brivido lungo la spina dorsale. Non sapeva bene perché, visto che era così dal giorno prima, eppure in quel momento sentire la sua voce l’aveva completamente deconcentrato.
Appoggiò la rivista sul bancone, recuperando il proprio sorriso appena vide che il giornalaio si era accorto di lui.

“Giornale, grazie.”

<< -Ooh, qualcuno sta per essere ferito? Fra parentesi, così, pour-parler, ha un fucile sotto il bancone.- >>

Dodger si sistemò con calma gli occhiali, stringendo con forza i denti per trattenersi dall’esclamare quanto fosse felice di avere una vocina nella testa che continuava a renderlo nervoso- qualcosa che non era semplice, contando che era abbastanza rinomato per avere dei nervi d’acciaio.
A parte con Gwen. Anche se quello era abbastanza normale. Tornare a casa da una festa la mattina del giorno dopo con una sbronza terrificante non era esattamente un bel modo per calmare la moglie. Che diventava così molto nervosa. Che quindi cominciava a strillargli addosso e, occasionalmente, a dargli pugni. Molti pugni. 

“Cinque crediti.”

Di solito tendeva a distrarsi durante i colpi, ma quello era ridicolo. Dov’era il tipico flusso di pensieri che lo intratteneva? Dov’erano finiti Parmenide ed Eraclito, perché non stava pensando a favolosi mondi pieni di adorabili coniglietti saltellosi e dove diavolo erano finiti i versi di Goethe che aveva imparato a memoria anni prima? In poche parole, dov’era finita la sua anarchica sapienza?

“Sì, subito. Eh. Stavo per addormentarmi sul bancone.”

Sorrise, tentando di ammorbidire il commesso mentre si tastava i vestiti alla ricerca dei soldi nella speranza di tirare per le lunghe.
Dovette deviare da tale proposito appena vide lo sguardo che quello gli rivolse dopo appena dieci secondi di tentennamento- abbastanza per fargli desiderare di ritirarsi e ignorare il piano solo per fuggire il più lontano possibile.
Non c’è ne fu bisogno: l’allarme all’entrata scattò in quell’istante, lasciando l’opportunità a Dodger di poter vedere il commesso mentre imbracciava un fucile a canne mozze e correva verso il povero sfortunato, strillando qualcosa di indecifrabile. Fu un momento estremamente strano per Dodger, che per pochi secondi si sentì colto da uno strano dejà-vu: poi si riscosse, probabilmente grazie alle urla del povero sfortunato che aveva saggiamente deciso di fuggire a gambe levate, e saltò al di là del bancone, aprendo con un veloce gesto il registro di cassa.

<< -Non è una cosa che faccio molto spesso, quella di complimentarmi con qualcuno per più di cinque secondi, ma devo dirlo… è davvero brillante. Riesce ad essere un piano astuto ed allo stesso tempo estremamente divertente. Tuttavia vorrei ricordare che se questo videogioco uscirà nei negozi potrà essere usato contro di voi in tribunale.- >>

Oliver chiuse gli occhi, portando una mano alla tempia in un semplice quanto esaustivo gesto di profonda e completa disperazione- un movimento melodrammatico, certo, ma purtroppo rovinato dal fatto che il gemello doveva aver ingoiato un rospo, o almeno così sembrava dal suono che aveva prodotto.

“Avevi intenzione di dircelo oppure preferivi che lo comprendessimo da soli appena finiti in riformatorio?”

Quegli impulsi erano rari e molto lontani fra loro, nel tempo – l’ultima volta che era capitato doveva aver avuto circa quattordici anni - , ma in quell’istante Oliver sentì l’improvviso, inarrestabile stimolo di voltarsi verso il fratello e complimentarsi.

<< -Non ve l’ho detto perché poi non avreste commesso nessun reato, tesorini ai confetti e panna con riso. È stato già abbastanza noioso guardarvi mentre rubavate, immagina se non lo facevate. Potreste fare qualcosa di interessante e io non dovrei ricorrere a questi trucchetti, ma voi, noo, preferite trascinarvi come amebe nell’oceano della noia. Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’. Veo veo, santo Cielo! Perché volete mandare alla morte i miei neuroni ancora funzionanti, perché?- >>

Meredith incrociò le braccia al petto: gli occhi, socchiusi, emettevano lampi di furia e rabbia, eppure erano freddi, come se appartenessero ad un soldato che combatteva da quando era capace di camminare e non aveva più alcuna speranza al mondo.

“Tu non capisci. Non sai…”

Mantenne in sospeso l’ultima frase, pizzicandosi il braccio nel tentativo di farsi venire le lacrime agli occhi che, ovviamente, avrebbe fatto di tutto per nascondere, in quanto lei era superiore e non voleva la pietà di nessuno. 

<< -Avere un’età compresa fra i tredici e i diciotto anni deve essere una vera pena visto che non fate altro che lamentarvi. Piccole patetiche larve. Non capisco? È la vita, tesoro, e non sarà comportandoti come una prima donna che riuscirai a sopravvivere.- >>

Meredith era totalmente scandalizzata. Apriva e chiudeva la bocca, senza sapere come rispondere, presa alla sprovvista da quel fiume di parole rabbiose. Non era in quel modo che si aspettava andassero le cose: non sapeva precisamente cosa avrebbe dovuto rispondere Goth, ma sapeva che, qualsiasi cosa avesse dovuto essere, non era ciò che le aveva detto in quel momento.
Si gonfiò il petto, dimenticando qualsiasi stupore e ritrovando la parte più irascibile di se.

“Tu- cosa pensi di sapere? Tu non sai niente! Niente!”

<< -Io so che voi dovete essere sempre al centro dell’attenzione! Siete dei mocciosi viziati, dei->> 

“Non vorrei lamentarmi,” borbottò Sid con sguardo assente, “ma l’abuso è compreso o è un regalo per noi primi giocatori?”

L’esperienza avrebbe dovuto insegnargli che non era mai un bene scherzare sul modo di fare degli altri, soprattutto quando questi erano infuriati. Soprattutto quando questi erano cinici e sarcastici e avevano come lavoro quello di tenerlo d’occhio.

<< -Senti… Billy Idol. Non ne posso più. Siete delle piccole, irritanti sanguisughe che succhiano qualsiasi linfa vitale si trovino a tiro. Tentare di instillare in voi un po’ di senso è solo uno spreco. Farei qualsiasi cosa in mio potere, e credimi che non lo dico tanto per dire, per farvi smettere… o, al limite, farvi soffrire tentando.- >>

Un leggero sospiro le risuonò nelle orecchie.
Si fermò, senza più riuscire ad avanzare. La voce aveva sospirato.
Strinse a se l’orsacchiotto in un moto difensivo: non importava quale potesse essere la minaccia, non sapeva se fosse lei che difendeva il suo orsacchiotto o l’orsacchiotto che la difendeva.
La voce aveva sospirato e quello era strano. Non aveva mai pensato, fino a quel momento, che la voce potesse respirare- essere viva.
Ma respirava. E sospirava. Quindi era viva.
Stritolò l’orsacchiotto in un abbraccio ansioso.
La voce era viva. La voce la vedeva, vedeva tutto, sentiva tutto, ed era viva e lei non poteva vederla.
Strinse i pugni, sentendo la tensione divenire rabbia e la rabbia prendere il controllo del suo corpo.

“Ehi- Nico! Nico, la bambina! Abbiamo perso la bambina!” 

Era la Regina delle Bambole. Pretendeva quella voce. 

<< -Ironicamente è il fatto che non vi sopporto che vi salva. Non voglio avervi attorno, quindi non ho la possibilità di fare ciò che voglio. E mettetele uno stramaledetto campanellino, Mon Dieu, fosse un bebè ora lo alleverebbero i lupi! Io… ngh. Uff… Se la violenza fa fluire le onde, allora romperò ogni osso nel vostro corpo.- >>

“Se il silenzio fa soffiare il vento, allora ascolterò il suono del tuo cuore gelido?”

Per quanto, era vero, c’erano poche possibilità che Sid si fosse sbagliato, il diciassettenne non poté fare a meno di pizzicarsi nervosamente un braccio, tentando di scaricare la tensione. E se si fosse sbagliato?
Se la frase era solo simile per coincidenza ad una strofa di quella canzone sarebbe sembrato, come minimo, un idiota. E non poteva sembrare un idiota con uno il cui lavoro sembrava essere erodere l’anima umana.
Sid fece una leggera smorfia, massaggiandosi e pizzicandosi il braccio.

<< -Pensavo di essere solo io ad avere un gusto così deprimente in fatto di musica! Los a parte. Forse. A che posto sono i Nirvana e i The Cure nella classifica della tristezza? Oh, i Norvegesi riescono a stare in vetta a priori.- >>
<< -Intendi dire che esiste una specie di classifica della tristezza?- >>
<< -Los! Sono le undici e ti stai movendo… il letto sta andando a fuoco?- >>
<< -Non cambiare discorso. Cioè, tipo, ci sono queste band che si sfidano… a colpi di tristezza?- >>
<< -…Sì. Vincono quelli che raccolgono più lacrime di sangue dai fan.- >>
<< -Uha… siete troppo fuori…- >>
<< -…Los, stai male?- >>
<< -Eh?- >>
<< -Mi sembrava un po’… fiacco, questo commento…- >>
<< -…Eh?!- >>
<< -Ho capito, ho capito… ti sei svegliato troppo presto e ora sei una specie di morto vivente, vero? Dai, torna a dormire.- >>
<< -Ma non ne ho voglia…- >>
<< -Oh santo Cielo. Los!- >>
<< -Lasciami in pace! Neanche mia madre rompe in questo modo!- >>
<< -Lo credo bene, tua madre non è mai a casa!- >>
 

“Ehm,” cominciò Dodger, incerto sul come continuare e sul cosa dire. Fece un attimo di mente locale: era fuggito dalla cartoleria e sua moglie aveva cominciato a dare di matto, dicendo che voleva fare un qualcosa di più semplice e che non poteva sempre rischiare la vita e altre cose che, sinceramente, Dodger non ricordava, troppo occupato ad ignorarla e annuire per comprendere una sola parola.
Aveva così deciso di fare come voleva lei, con una piccola modifica: Gwen distraeva la vittima e lui sfilava il portafoglio.
Effettivamente non c’era niente da ricapitolare. Tuttavia aveva sperato che, nel pensare a come fossero andate le cose, Dodger potesse riprendere la sua proverbiale concentrazione.
Non fu così.

“Mi dispiace davvero disturbarvi ma, ecco…” Deglutì a fatica, abbassando la voce nell’avvicinarsi all’uomo, avverto del nervosismo.” 

<< -Oh. Oh sì.- >>
<< -Che sta facendo?- >>
<< -Rischia la vita.- >>
<< -Solo per noi? Sono commosso.- >>
<< -Egli è stata l’unica fonte di divertimento, fino adesso. L’unico motivo per cui non ho dato all’alcolismo una nuova, emozionante sfumatura.- >>
<< -Davvero? Bhè, allora tentiamo di rilassarlo. Cantiamo una canzone.- >>
<< -Los, ti ho già detto che non canteremo. Mai. E poi non conosco canzoni rilassanti.- >>
<< -Bhè, io sì.
Allooora… Oh! Heee’s the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun...- >>
<< -Los, Los, meglio di->>
<< -Oh giusto! Cosa vuol dire che non mi sopporti quando canto?!- >>
<< -Nngh! Non ti sopporto! Ti odio! Perché nessuno mi ha avvertito? Si nasce, si vive, si passano le pene dell’inferno, e poi cosa succede? Si diventa una specie di baby-sitter per un moccioso insopportabile! Dì ai tuoi genitori che devono almeno cominciare a pagarmi.- >>

<< -Goth, tu vivi a casa mia. Vivi e mangi a casa mia.- >>
<< -Cosa credi che faccia una baby-sitter di solito? “Cura i bambini”?- >>

Dodger strinse i denti, lanciando supplicanti occhiate verso la sua dolce consorte che, in quel momento, stava cominciando ad innervosirsi- non era mai stato il suo forte, quello di parlare con la vittima.
Socchiuse gli occhi, emettendo un gemito strozzato. Quelle due vocine lo stavano mandando nel panico, non riusciva ad avvicinarsi e, oddio, quanto era grosso il tizio che dovevano rapinare?
Agitò lievemente la mano destra, tentando di attirare l’attenzione dei due speaker. Nervosiiismooo…” 

<< -Oh sì, giusto. Ti faccio le mie più profonde scuse, mito inarrivabile. Cambiamo discorso, Los.- >>
<< -Non è ancora morto nessuno.- >>
<< -In qualcosa che non includa morte e distruzione, Los!- >>
<< -Pensi che oggi il servizio di questo posto sia migliorato abbastanza da avere una torta entro stasera?- >>
<< -Cioè, le tue scelte sono o morte e distruzione o cibo?- >>
<< -Che altro c’è d’importante?- >>
<< -Dipende da come la vedi. Il tramonto, il cosmo, la scintilla di speranza nello sguardo di un bambino… sono cose molto carine quando sei un idealista. Nel mio piccolo, penso che tutto sia ugualmente inutile appena è toccato da mano umana.- >>
<< -Il che si risolve in cosa? In noi che passiamo qualche minuto in silenzio a guardarci negli occhi nell’attesa che un dio misericordioso materializzi una pistola dal nulla?- >>
<< -Bhè, c’è un’emozionante buco, nel muro, chiamato “finestra”. Passando da quella “finestra” ci sono buone possibilità di ottenere lo stesso risultato della pistola.- >>
<< -Pensavo fosse un ascensore.- >>
<< -Uno molto veloce, anche. Certo, ci sono un po’ di problemi per salire, ma per scendere non lo batte nessuno.- >>

 
Non aveva voglia di andare a scuola.
Sentiva i suoi genitori parlare in cucina e sapeva che sua madre sarebbe presto venuto a svegliarlo, ma, davvero, non aveva voglia di andare a scuola.
Non ricordava una mattina in cui il suo primo pensiero non fosse stato ‘speriamo che si dimentichino di me e mi lascino rimanere a casa’. Il che, davvero, era piuttosto deprimente.
Aprì gli occhi per guardare la sveglia (sempre, quando si svegliava, leggeva l’ora per sperare che fosse troppo tardi per andare a scuola) ma, al suo posto, si ritrovò a fissare una solitaria buccia di banana marcia che lo osservava.
Curioso. 

<< -Goth, lo so benissimo che è una finestra! È solo che, sai… è… strana.- >>
<< -In che senso è strana, è una finestra!- >>

Quelli non erano i suoi genitori.
Corey si mise seduto, guardandosi attorno con aria vagamente interrogativa. Era in un vicolo. C’era della spazzatura sparsa attorno a lui. Si sentiva il vociare della folla, qualcosa che normalmente non sarebbe potuto accadere visto che abitava in un tranquillo paesino perso nella prateria.
Poi, finalmente, Corey collegò il tutto. Era nel videogioco, e le voci erano quelle dei due speaker, ed era in un vicolo perché aveva inseguito un tizio che gli era sfuggito.
Tempo di ricominciare la caccia, quindi.
 
<< -Ma non vedi che- >>
<< -Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra!- >>
<< -Che?- >>
<< -Il ragazzino si è svegliato.- >>
<< -Uh… ok…- >>
 

Ma prima avrebbe mangiato qualcosa. E magari avrebbe cambiato bersaglio. Non che avesse paura, ma, ecco, preferiva prima riscaldarsi un attimo.
Così era meglio se cambiava settore. Non aveva voglia di essere riconosciuto dal tizio della sera prima- che aveva lasciato lì il cappello. Corey aggrottò la fronte, afferrandolo.
C’era ancora il foro del ‘proiettile’. Il ragazzino sbuffò, ragionando che appena più in basso e avrebbe concluso la serata in bellezza.

<< -Oh, hai trovato il cappello del mio mito inarrivabile?- >>

E sentendo queste parole Dodger si rizzò in piedi, portafoglio in mano e occhi sgranati in un’espressione di sorpresa. 

“Chi ha il mio cappello?!"

L’esperienza assunta dopo anni di lavoro sul campo non bastò a ricordargli che esclamare qualcosa ad alta voce dietro ad un tizio il cui portafoglio si trova in bella vista fra le tue mani non è una bella idea.
L’armadio che aveva appena rapinato, infatti, si girò verso di lui, sorpreso da quelle criptiche quanto fuori luogo parole, e stava in quel momento ricollegando ciò che Dodger aveva in mano con ciò che mancava nella tasca dei suoi pantaloni.
Prima ancora che la vittima potesse mettere tutti i pezzi del puzzle al loro posto – o che Dodger potesse aprire la bocca per esordire con una scusa – , però, Gwen gli diede un preciso quanto potente pugno sui reni, facendolo ululare di dolore.
Il resto, nei ricordi di Dodger, fu solamente uno scatto di adrenalina e degli edifici, ai lati della strada, che scorrevano in modo troppo veloce per essere in un qualche modo identificati.

<< -Ouch.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Ti prego, ripetilo.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Eh!- >>
<< -…Già.- >>
 

Corey ignorò quei due esseri inquietanti che continuavano a parlare, relegandoli in un piccolo angolo della sua mente che, in un computer, sarebbe stato denominato ‘cestino’, e programmò la nuova destinazione.
Aveva dodici zone a sua disposizione. Quella in cui era in quel momento era di ‘media’ difficoltà, ovvero aveva due personaggi. C’era poi un’altra zona con tre personaggi- ma non aveva davvero voglia di sforzarsi troppo di prima mattina.
Così rimanevano due zone facili, ovvero con un solo Pg. Sì, era un buon piano, partire dal fondo.

<< -Ora che ci penso… hai presente quel cartone che guardavi una volta, con dei disegni strani e, sai, con due tizi che commentavano… qualcosa?- >>
<< -Come no, il cartone con disegni strani e due tizi che commentano qualcosa, come faccio a non ricordarlo.- >>
<< -Yup. Bhè- >>
<< -Los, re degli imbecilli, non so di che stai parlando!- >>
<< -Neanche io so di cosa sto parlando, se lo sapessi ti avrei detto il titolo, non credi?- >>
<< -…raggiungiamo picchi di intelligenza che servono solo a rendere i fossati di idiozia ancora più profondi.- >>
<< -Oh sì, erano due personaggi molto stupidi. Molto. Molto molto.-
>>
<< -Wow, continui a… Beavis and Butt-head?-
>>
<< -…Cosa?- >>
<< -Il cartone, idiota.- >>
<< -…Uh. Sssì… cioè, immagino che, sì… bhè, comunque. Non ci stiamo comportando come loro, più o meno?- >>
<< -Stai attento. Stai molto attento. La reazione che avrò sarà determinata dalla tua risposta a questa semplice domanda: è un complimento?- >>
<< -Ma non lo sssso, cioè, per adesso so solo che commentiamo le cose come loro e, insomma, in qualcosa siamo simili, no?- >>
<< -Fuoco! Fuoco!- >>
<< -Che ca- >>
<< -Cioè, vuoi dirmi che non l’hai capita?- >>
<< -Ehm?- >>
<< -Esci da questa stanza. Ora. Subito.- >>
 

Sid aveva, finalmente, trovato un luogo che potesse interessargli: il negozio di musica.
Per quanto avesse la vaga impressione che spendere soldi per un CD in un videogioco fosse estremamente stupido, non poteva comunque nascondere il fatto che due giorni senza musica lo stavano uccidendo dentro. Non che i due speaker non sapessero intrattenere, ma cominciava a sentirsi a disagio.
Senza contare che, comunque, la musica lo avrebbe aiutato a distrarsi da quei… sgradevoli pensieri.

“Se figo vuoi apparire un casino devi soffrire.”

<< -Eh?- >>
<< -Pretendo una spiegazione circa il come diavolo facevi a saperlo. Lo pretendo! Hai colto una citazione di Lovecraft e va bene, potrebbe piacerti il macabro. Poi cogli una citazione dei Seigmenn, gruppo norvegese praticamente sconosciuto alla massa ma, ehi, va bene, d’altronde avevamo già capito che ciò poteva rientrare nei tuoi gusti.
Ma Beavis and Butt-head? Cosa c'entra questo con tutto il resto?!- >>

Sid non sapeva realmente come rispondere, ed il principale motivo per quella mancanza di parole era da cercarsi sul fatto che stava guardando con sguardo insistente un basso, forse nella vana speranza che un passante si intenerisse e glielo comprasse.
Quel trucco non aveva mai funzionato quando era un adorabile bambino di dieci anni, figuriamoci a diciassette.
La triste verità era che Sid preferiva sempre passare le proprie giornate a casa, facendosi una spaventosa cultura su qualsiasi cosa esistesse di inutile in quel mondo. Era forse l’unica persona che potesse parlare di Haydn e poi citare Road House. Il che era, secondo il suo stesso parere, piuttosto triste.
Scrollò le spalle, ricordandosi forse in quel momento che i due speaker gli avevano parlato, e si affrettò a rispondere. 

“Chiedi ad Alice. Penso che lei sappia.”

<< -Alice? Ehi, gente, chi di voi è Alice?- >>
<< -When logic and proportion have fallen sloppy dead! And the White Knight is talking backwards, and the Red Queen’s ‘off with her head’!-
>>
<< -…White rabbit?- >>
<< -Ooh, hai riconosciuto una canzone della tua giovinezza?- >>
<< -Ciò che mi disturba è che tu l’abbia riconosciuta prima di me. Questo è un vero e proprio segno dell’Apocalisse.- >>
<< -O, semplicemente, un segno che la tua reattività si è inaridita col tempo.- >>
<< -Ogni tua parola mi dà l’impressione di un pugno allo stomaco. Sul serio. È proprio… hai presente, un concentrato di odio puro. E tu continui a parlare e l’odio dentro di me cresce, cresce, cresce, fino a che, un bel giorno, il mio stomaco non si squarcerà e un portale collegherà questo mondo al paese del Terrore. Da lì, mille angeli della morte inonderanno il pianeta con lacrime di sangue che inaridiranno il terreno, e poveri bambini innocenti moriranno di fame nel dolore più assoluto. Quando tutti i primogeniti saranno eliminati, i demoni e gli angeli si riuniranno in un'unica fila e cominceranno a cantare la canzone che porta la Fine del Mondo.- >>
<< -Perché tu puoi fare tutto sto casino e io non posso nemmeno finire di esporre la mia idea sulle persone che si scarnificano l’un l’altro usando solo le proprie nude mani, scavando poi nel teschio utilizzando una costola- >>
<< -Perché io detengo il portale del Terrore.- >>
<< -E io ho la Villa della Felicità Giocosa. Come la mettiamo?- >>
<< -Un giorno, tutti saranno annichiliti dal piano del Terrore.- >>
<< -Fino a quel giorno, tu continui ad abitare nella Villa della Felicità Giocosa.- >>

Forse, sembrava ragionare Sid, forse avrebbe potuto comprare il basso. Non doveva essere un’idea troppo idiota, d’altronde non aveva molto altro da fare. E poi avrebbe potuto guadagnare un po’ di soldi suonando per strada, il che era pur sempre una soluzione.
Sid schioccò la lingua, battendo la punta dello stivale contro la strada, tentando di decidersi. Quel basso era favoloso, ma era in una realtà virtuale e per quanto ne sapeva stava per morire. Non sarebbe stato quantomeno stupido fare una simile compera?
Sbuffò, lasciando cadere la propria testa sul petto, quasi pensare richiedesse troppa energia per potersi tenere dritto.

“Ehi? Ehi?”

Per pochi, irrazionali secondi, una vocina dentro Sid esplose in un grido di gioia. Poteva sentirla strillare ‘sì, sì, qualcuno si è fermato! Comprami un basso, misterioso benefattore!’- il che era abbastanza patetico, visto che la sua parte più razionale della sua mente sembrava non avere dubbi circa il fatto che nessuno si sarebbe mai fermato a fargli un regalo.

“Perfetto. Vorrei farle sapere che sto per pwnarla. Ka-ching!” 

Pwnarla. La sua mente era stata nuovamente violentata. 

<< -Oddio, sta succedendo qualcosa? Sarebbe una novità.- >>
<< -Ooh. Potrebbe formarsi un portale spazio-temporale formato da pura sorpresa.- >>
<< -Dove porterebbe un portale spazio temporale in un videogioco?- >>
<< -In un antivirus.- >>
<< -…Prego?- >>
<< -Antivirus. La meta ultima dei cybernauti.- >>
<< -Un giorno il buco nero che è nella tua testa ci distruggerà tutti.- >>

Il ragazzo che stava per eliminare aveva fatto un movimento strano, come fosse scosso da un brivido. Qualcosa, dentro Corey, sembrò illuminarsi: adorava instillare paura nei piccoli n00b che si trovava a tiro.
Il tizio gli stava ancora dando le spalle- un grave errore, davvero. Corey non era il tipo di aspettare di trovarsi a faccia a faccia con il nemico. A dire il vero, tutto il discorso che aveva fatto all’inizio era estremamente fuori carattere, per lui. Prima spara, poi parla- o, al massimo, spara mentre parli.
Tuttavia quella era una situazione straordinaria e Corey si sentiva di buon’umore, quindi avrebbe atteso una risposta dal tizio con i capelli tinti di biondo e con quei vestiti che sicuramente avevano visto dei momenti migliori.
Curiosamente, ciò gli era familiare.

“Che fantastico modo di morire. Ucciso da un baby-killer del linguaggio nella più noiosa delle vie di un videogioco.”

Il ragazzo, che era riuscito a mantenere un tono freddo fino alla fine della frase, si lascio sfuggire una risatina nervosa.

“La la la la la, lie lie lie…”

Curiosamente, quell’incredibilmente disturbante strofa gli era familiare.

<< -Non sta veramente bene con la testa, comunque.- >>
<< -Non vedo come tu possa dire una cosa del genere, visto che probabilmente sai anche cosa sta cantando.- >>
<< -…Devo ammettere che mi dispiacerà non poter più fare citazioni ignote con qualcuno che finalmente le capisce.- >>
<< -Potremmo farci una maglietta.- >>
<< -Inserisci citazione ignota qui?- >>
<< -Non c’è citazione più ignota di questa citazione?- >>
<< -Lo sai qual è la differenza fra me e te? Io, con questa citazione, sono uno schianto.- >>
<< -Stai citando una citazione usando una citazione? Ehi, neanche questa sarebbe male, come maglietta.- >>
<< -Tornando a noi, non che tifi per l’uno o per l’altro, ma avresti potuto sparargli cinquanta volte, bimbo.- >>
<< -Forse sta avendo un flashback.- >>
<< -Ciò che mi spaventa è che potrebbe anche essere vero.- >>
 

Sid si rese conto che, effettivamente, non era ancora morto. Non si faceva molte illusioni, fra un po’ sarebbe morto, ma c’era comunque da dire che quell’indecisione – se di ciò si trattava – era comunque insolita.
Si voltò, lentamente, temendo che fissare negli occhi il tizio potesse dargli la decisione che aveva bisogno per sparare: fortunatamente, così non fu.
All’inizio Sid si limitò a prendere atto che c’era un bambino, di fronte a lui. C’era di buono, se così si poteva dire, che prima aveva indovinato- era un ragazzino. C’era poco da festeggiare, comunque, contando che il suddetto bambino gli stava puntando addosso una pistola piuttosto strana.

Poi si trovò a guardarlo negli occhi, sbarrati per la sorpresa, e un’ombra di riconoscimento cominciò a farsi avanti nella sua mente. Lo conosceva, anzi, era sicuro di aver visto quel bambino, ma dove…?

Strabuzzò gli occhi, incredulo. Corey? Che ci fai qui?!”

<< -Non mi piace questa cosa del sapere i nomi delle persone. Sapere il nome è il primo passo verso l’affezionarsi.- >>
<< -Ah sì? Quindi saresti affezionato a me?- >>
<< -…Goth è il tuo vero nome?- >>
<< -…Mi piace sempre pensare che tu abbia una profondità di fondo. A volte ho questa idea che tu stia realmente pensandoci, che sia una sorta di filosofia… poi la realtà subentra e di nuovo mi ritrovo a strisciare nel letame.- >>
<< -Qualcuno è di buon’umore, oggi.- >>
 

Corey arretrò. Un gesto più che altro istintivo, in quanto il ragazzino era fermamente convinto di non avere paura di Sid. Insomma, come avrebbe potuto aver paura di Sid, era solamente il suo baby-sitter.
Quindi no, non era spaventato. Ovvio che non lo fosse. Perché mai avrebbe dovuto? Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento, solo che… non ne aveva voglia. Ecco tutto.

“Ah, uh, ehi. Sid. No. Cioè,” Corey scosse la testa, tentando di riportare un ordine logico ai propri pensieri, non mi hai visto.”

<< -All together now: non hai visto niente! Rosabella era la sua slitta! La torta è una bugia!- >>
<< -Oh, sì, certo. Non sia mai che Sua Idiozia possa mantenere una parvenza di senso per più di cinque secondi.- >>

C’era di buono che gli speaker lo stavano commentando, quindi non era tutto un frutto della sua immaginazione.
Il che, davvero, non aiutava particolarmente Sid. In quel momento poteva solamente guardare Corey giocherellare frettolosamente con una specie di orologio - quel che era – e chiedersi come fosse possibile che i genitori del ragazzino, particolarmente tirannici per quanto riguardava i computer, gli avessero dato il permesso di saltare giorni di scuola per partecipare a quel videogioco.

“Cos…” Sid si bloccò, rendendosi conto di avere troppi pensieri per la testa per poterne esprimere soltanto uno- non stava aiutando poi la pistola che, per quanto prometteva di non dover essere utilizzata, il ragazzino continuava a tenere in mano. “Uh, aspetta, Corey, cosa ci fai…” 

E Corey scomparve.

<< -Puff!- >>
<< -Ti ho già detto che non faremo i rumori di sottofondo!-
>>
<< -…Te-te-teeen.- >>

Ci mise alcuni secondi per convincersi che sì, Corey era davvero scomparso di fronte ai suoi occhi. Una realtà piuttosto agghiacciante da considerare quando sapeva di non aver preso l’ultima pillola.
O forse l’aveva presa? No che non l’aveva presa. O forse sì?
Sid ficcò in fretta la mano destra nella tasca dei pantaloni, cercando disperatamente la pillola.

<< -Ad ogni modo, fantastico. La nostra unica fonte di divertimento è di nuovo scomparsa. Era un po’ troppo, in effetti, richiedere un po’ d’intrattenimento che durasse più di cinque secondi.- >>
<< -Goth, non posso fare a meno di sentire una distorsione della Forza, quando parli…- >>
<< -Di che stai parlando?- >>
<< -Uh… mettiamola così. Se tu l’avessi chiesto con lo stesso tono ad un camionista, il camionista si sarebbe rannicchiato in un angolo a piangere.- >>

Dodger, sdraiato su una panchina con gli occhi chiusi, fece un breve cenno con la testa.

“Vero. Stai inondando l’aria di nervosiiismo.” 

E Dodger, che era da poco riuscito a tranquillizzarsi, non aveva bisogno di nervosismo. L’unica cosa di cui aveva bisogno era il suo cappello, così almeno poteva coprirsi il volto e addormentarsi in pace, ma purtroppo non si era ancora trovato.
Tamburellò con le dita sull’addome, chiedendosi, per qualche istante, se ci fosse ancora, il suo cappello. Il bambino poteva averlo bruciato.
Piccolo moccioso infame, fu l’istantaneo pensiero di Dodger.
 
<< -Fra un po’ inonderai l’aria di sangue.- >>

Dodger aggrottò la fronte, perplesso. “Ehi, da quando minacciate i-”

Prima di poter terminare la frase scattò seduto. Era stata una reazione completamente involontaria, apparentemente causata da nessuna ragione.
Per qualche istante, Dodger si limitò a pensare che fosse solamente colpa di un qualche strano bug del sistema e che non vi fosse nulla di cui preoccuparsi: poi un pugno gli volò contro e il pover’uomo fece appena in tempo a coprirsi la testa con le braccia.

“Razza! Di! Idiota!”

Il fatto che la voce e i pugni appartenessero alla moglie non tranquillizzavano per nulla Dodger, che, anzi, si rannicchiò su se stesso, terrorizzato.
Che cosa aveva fatto? Non ne aveva idea. Aveva cominciato a correre, prima, e, certo, doveva averla persa di vista, ma non poteva essere quello il motivo per cui…
Oddio. Era quello il motivo per cui.

<< -E questo manda al diavolo tutti i miei pensieri su quanto carini fossero.- >>
<< -Bhè, lei è carina. Lui… forse non lo sarà più tanto.- >>
<< -Fra parentesi, appena questo videogioco tocca il mercato, noi siamo molto arrestati.- >>
<< -Guardando il lato positivo, un sacco di femministe verranno a supportarci.- >>
 

Meredith scostò una ciocca di capelli color del sole del mattino in una giornata di primavera dagli occhi blu mare profondo sotto il cielo di San Lorenzo in Russia. In quel momento si sentiva positivamente splendida, con le sue curve al posto giusto sottolineate dai comodi quanto trasgressivi abiti firmati.
Era, insomma, in pace con il mondo. Sentiva di poter perdonare quei due speaker, anche se erano incredibilmente rudi e molto maschilisti, come poteva perdonare tutta la gente che non le prestava sguardo e come voleva perdonare quella donna che aveva incontrato il giorno prima, la donna quasi avvenente come lei, per averla abbandonata. Non era colpa loro, e solo in quel momento, con quella borsa di Armani sotto gli occhi, al di là della vetrina, Meredith riusciva a rendersene conto.

<< -Goth, gioisci! Abbiamo ritrovato il bambino!- >>
<< -Voi due, in compenso, avete perso la bambina.- >>
<< -Spero non abbiano mai un figlio. Sapere dov’è il pargolo è una di quelle cose che le donne, curiosamente, guardano, quando devono decidere se chiedere il divorzio o no. Comunque, eccolo là!- >>
 

Corey era infuriato. Era cominciata la giornata e l’unica persona che avrebbe potuto uccidere era stata Sid, ovvero qualcuno che poteva riferire ai suoi genitori che non era a casa di amici, ma stava bensì provando un videogioco.
Quindi se Sid usciva dal gioco sarebbe, probabilmente, andato a riferire ai suoi genitori che cosa il figlio aveva fatto per quei due giorni. Ed, oltre a quello, non aveva ucciso nessuno.
Corey era ragionevolmente infuriato. E quando vide, di fronte a sé, una biondina che guardava con sguardo assente e sorriso incomprensibile una vetrina, decise che si sarebbe sfogato su quell’inutile ragazza.

<< - Morte time!- >>
<< -Come sei sopravvissuto fino ad adesso senza nessuno che morisse per il tuo solo divertimento?- >>
<< -Bhè, qualche volta avevo questo assurdo desiderio di scrivere storie su gente che moriva per motivi assurdi…- >>
<< -Uno dei primi segni degli psicopatici.- >>
<< -Assieme all’uccidere scoiattoli.- >>
 

Se c’era una cosa che Corey doveva ricordarsi, quella era di trovare un codice per diminuire il volume. Poche cose come due speaker riuscivano a rovinare un attacco a sorpresa.
La ragazza si voltò verso di lui, quasi sentendo che qualcosa non andava, e lo vide mentre le puntava contro una pistola.
Una situazione invero imbarazzante.

“Sparisci, infimo moccioso.”

Il sopracciglio sinistro di Corey si alzò di ben un centimetro a tale frase.
Abbassò lo sguardo verso la propria pistola, tanto per essere sicuro che, sì, era una pistola e sì, era puntata contro la ragazza. Quindi, se l’arma esisteva ed era puntata contro la ragazza non rimaneva altra possibile scelta se non l’aver sentito male.

“Sparisci. Voglio rimanere qui ed essere in pace con il mondo.”

<< -Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide.- >>
<< -…Scommetto che il drogatello sa di cosa stai parlando.- >>

Sid schioccò la lingua, scrollando leggermente le spalle.

“Preferirei, amici miei, dimenticare tale losca avventura: i compagni di viaggio tendevano dimenticare le più basilari regole di convivenza, e, per favore, tacciamo del cane.”

<< -Aah, non ci posso credere!- >>
<< -Mai come questo momento mi sono sentito così investito da energie Nerdiche.- >>
 

La ragazza era strana e probabilmente nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Non c’erano motivi per cui Corey non potesse spararle subito.
Eppure c’era qualcosa che lo bloccava, qualcosa che non riusciva ad afferrare. Gli sembrava – ma forse era solo una sua impressione – che la zona si fosse in un qualche modo incupita, come se qualcosa avesse coperto il sole. Il che era ridicolo, perché fino a cinque minuti prima non c’era una nuvola, in cielo.

“Sei così morto. Davvero. Punta la pistola su di me per altri cinque secondi e tu sei morto.”

Non era solo una sua impressione.
Tutto era divenuto più scuro e gli NPG erano strani. Sembravano scomparire e ricomparire, come fossero immagini di un film rovinato, e continuavano a cambiare. Erano piccoli dettagli, ma Corey non poteva fare a meno di notarli. Gli occhi degli NPG cambiavano colore, passando per tutte le gradazioni possibili; alcune piccole imperfezioni – tipo un neo sulla guancia – scomparivano; le ragazze sembravano diventare più avvenenti con il passare dei secondi. Senza contare che - Corey socchiuse gli occhi, tentando di capire se fosse vero oppure stesse solo immaginandoselo - gli NPG indossavano tutti vestiti di marca.

<< -I cinque secondi sono passati e la maledizione secolare è ora su di te. Se guardi alla tua destra puoi vedere la Morte: alla tua sinistra, invece, puoi vedere il ristorante cinese ‘mangia o muori’. Volevano scrivere ‘mangia o togliti dalla vetrina’, ma mancavano i soldi. Trovo che la scelta sia, ora, molto più semplice.- >>
<< -Vorrei dare una risposta pungente, ma per adesso preferisco prendere atto del fatto che Los ha fatto un discorso con più di cinque parole senza che gli esplodesse la testa.- >>
<< -Hai un’opinione ingiustificatamente bassa di me.- >>
<< -Sì sì, ora vai a mangiare la vernice.- >>

Corey emise un leggero ringhio, colto impreparato da quella valanga di idiozie che gli speaker, secondo lui, continuavano a spargere- senza rendersi conto, così, che la ragazza stava per saltargli addosso.

<< -Bella forza, anche io sono capace di predire che qualcuno morirà e poi ucciderlo.- >>
<< -No, tu non lo sei. Schioccheresti le dita e due camerieri di cui tu, ovviamente, non conosci il nome, procederebbero a ucciderlo.- >>
<< -Non è la mano che commette il gesto che devi guardare, quanto quella che le da lo stipendio a fine mese.- >>
<< -Los, ho una notizia speciale per te: quei soldi non sono tuoi. Sono di tuo padre. Un padre estremamente magnanimo, in quanto io ti avrei sacrificato alla prima partita di Dungeon’s and Dragons.- >>
 

Se Corey non fosse stato troppo occupato a lottare per la sua vita avrebbe sicuramente strillato di gioia nel sentir nominare il suo gioco preferito: purtroppo era occupato a lottare per la sua vita, quindi relegò nuovamente le parole degli speaker in un posto non troppo privilegiato della sua mente, tentando disperatamente di immettere il codice adatto per fuggire. Non facile, contando che la ragazza stava probabilmente tentando di strappargli gli occhi con le unghie- non si capiva perfettamente, sapeva solo che stava mirando il volto.

<< -Hm-hm, la cosa mi ferisce profondamente. Comunque, a quanto pare il nostro bassista aveva ragione: queste risse sono interessanti solo se fra donne.- >>
<< -Il tuo bassista non era quel tizio che è stato arrestato per molestie?- >>
<< -…Mi chiedevo che fine avesse fatto.- >>
 

Meredith non capiva cosa fosse successo, sapeva solo di aver rovinato le proprie unghie, quelle unghie appena smaltate, nel tentativo di uccidere il ragazzino e il ragazzino era scomparso.
E quello la rendeva molto, molto, molto nervosa.
E l’unico modo per far passare quel nervoso era lo shopping. Tipo, quella splendida borsa di Armani…

<< -Ti rendi conto che io so dov’è finito un tuo compagno di band mentre tu non ne hai idea? Non ti dà un qualche dubbio?- >>
<< -Sì, uno… dove sono finiti i sei bassisti che sono venuti prima?- >>
<< -…Erano cinque, Los. Il terzo aveva solo cambiato pettinatura.- >>
<< -Oh. Bhè, dove sono finiti?- >>
 

La prima cosa che Corey decise, appena materializzato in uno spazio relativamente pacifico e senza una ragazza fuori di testa che voleva scarnificargli il volto, fu di creare un altare celebrativo per quel piccolo computerino che aveva costruito e che gli aveva salvato la vita.
La seconda cosa fu di prendere una pistola e sparare all’indirizzo dei tre ignari Personaggi Giocanti, preso da furia omicida e carico di stress che, semplicemente, doveva sfogare in un qualche modo.

<< -Uno se n’è andato perché diceva che eravate degli incompetenti da paura. Non ho mai provato una reale pena per te, ma ho davvero odiato quel tizio: era la prova vivente che al di sotto di una certa età gli esseri umani andrebbero costretti ad avere una zip alla bocca. Il secondo era un tizio eccessivamente rilassato, doveva essere sotto costante marijuana. Credo che ad un certo punto si sia solo scordato di venire. Il terzo aveva manie da rockettaro e si divertiva a distruggere cose, il che lo ha portato ad un richiamo della polizia. La quarta ti ha mollato.- >>

Non fosse stato per il grido inumano che il ragazzino aveva emesso prima di sparare come un pazzo, Nicolas sarebbe stato sicuramente morto. E probabilmente anche suo fratello. Ma quello era un altro conto.
Il ragazzino aveva sparato, mirando contro di loro: Nicolas era abbastanza sicuro di non essere nella traiettoria, ma abbastanza era una di quelle parole che raramente portavano alla sopravvivenza.
Così era scattato verso la destra, dimenticando la bambina. E sì, anche Oliver, ma soprattutto la bambina- gli sarebbe davvero dispiaciuto, se questa fosse morta per colpa sua.
Fortunatamente il fratello aveva avuto il tempo di prendere la bambina e trascinarsela dietro nella sua folle corsa verso la salvezza- salvezza che credeva a sinistra, ovvero da tutt’altra parte rispetto a quella di Nicolas. Il che dava, secondo i calcoli di quest’ultimo, un cinquanta per cento di possibilità che il ragazzino lo seguisse- cosa incredibilmente seccante.

<< -Uh… mentre stavamo parlando della storia della mia emozionante band ci siamo persi un po’ di azione. In cui nessuno è ancora morto. Questo è veramente deludente.- >>
<< -Ad un certo punto cominci ad abituarti alla delusione e questa, semplicemente, non ti tocca più.- >>
<< -Senti, posso immaginare che tu sia stato amico intimo di Nietzsche, ma potresti per favore smetterla di tentare di portarci tutti al suicidio?- >>
<< -…Tu sai come si pronuncia Nietzsche? Tu sai chi è?!- >>
 

Sentiva di voler mitragliare i loro miseri corpi fino a quando non fosse rimasto altro che una poltiglia informe di carne ed ossa. Quella era una sensazione che provava solamente quando il suo computer si bloccava nel bel mezzo di una quest vitale in Impending Doom II ed era evidente che doveva riavviare, cosa che avrebbe portato a perdere cinque preziosissime ore di gioco.
Una rabbia devastante, insomma, che solo sua madre riusciva in un qualche modo a contenere.
Tuttavia la genitrice non sapeva neanche che lui fosse là, quindi Corey, ben lungi dal calmarsi, si limitò a sparare ripetutamente in direzione di quello, fra i tre, che indossava un cappello- cappello, fra l’altro, che gli scatenava altri assolutamente ingrati ricordi che nulla facevano per sedare la sua rabbia.
Così l’adolescente sarebbe sicuramente morto, se solo non fosse stato così maledettamente… sgusciante. Procedeva in modo imprevedibile, abbassandosi e poi saltando a destra, ondeggiando a sinistra, facendo di tutto per non prendere un solo proiettile.
Oh, quello era veramente seccante. Avrebbe dovuto creare proiettili che si dividevano in tanti frammenti, così da poter dominare un raggio più ampio. Non doveva essere tanto difficile.
Corey ringhiò quando l’ennesimo proiettile mancò il bersaglio, e stava per sparare un’altra volta quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Fu questione di un attimo, a dire il vero. Un’immagine che come era comparsa se n’era andata. Tuttavia era così orribile, così incredibilmente perversa che quel semplice attimo bastò a farla imprimere a fuoco nella sua mente- e, Cielo, lo sapeva che quella cosa l’avrebbe inseguito nei suoi incubi.

Puntò la pistola verso l’alto, piegando la testa d’un lato nel vago tentativo di razionalizzare. Quella… cosa orribile non poteva essere stata solo un parto della sua mente. Miseria, non poteva essere così perverso. Ma se non era solo sua immaginazione, allora che era stato?
Si guardò attorno, socchiudendo gli occhi. Gli NPG apparivano normali- non troppo perfetti, non sembrava che i seni stessero per scoppiare, e i loro vestiti non erano firmati Gucci. Erano piuttosto anonimi.
Forse un po’ troppo anonimi.
In quel momento un qualcosa che no, non era assolutamente panico, lo assalì: avrebbe sudato freddo, se fosse stato possibile farlo in quel momento.
Era solo che aveva la strana impressione che fossero tutti strani, quegli NPG. Ostili, poteva essere, ma soprattutto inquietanti. Ciò che lo preoccupava era che non c’era una reale ragione per cui potessero esserlo: da quanto vedeva erano tutti normali. Tutti, in un qualche spaventoso modo che Corey non riusciva ad afferrare, uguali- anche se, fisicamente, non lo erano.
Non erano tutti uguali, tentò di ricordarsi. Lì guardò, uno a uno.
C’era chi era nero, chi aveva i capelli biondi, chi aveva le lentiggini, chi aveva la bocca-

Corey trasalì, arretrando di qualche passo, inorridito. L’NPG stava scomparendo, stava per entrare in un pub ma ne era sicuro, l’aveva visto- 

Aveva la bocca cucita

<< -Nietzsche, sì. So come si legge. Come si scrive è tutt’altro conto…- >>
<< -Che tu sappia scrivere è un miracolo di per sé.- >>
<< -Goth, sei così… stancante.- >>

In un altro quadrante, pochi attimi dopo. Da quanto diceva il computer, quel quadrante era deserto: se c’era qualcosa che non andava, allora lì l’avrebbe sicuramente visto.
Corey si guardò attorno, tentando di registrare quante più informazioni possibili e notando, con suo grande sollievo, che nessuno aveva la bocca cucita. Era un grande passo in avanti: se non nel capire cosa stesse succedendo, di sicuro per la sua sanità mentale.

<< -Bambino, hai intenzione di smetterla di saltare di qua e di là oppure dobbiamo cominciare a scommettere sul dove comparirai la prossima volta?- >>
<< Senza contare che, davvero, non puoi costringerci a cercarti in ogni quadrante.- >>
<< -Giusto, lo sai che cosa è successo l’ultima volta che Los ha usato il cervello? Vuoi veramente distruggere il mondo?- >>

Ed ecco che “togliere il volume agli speaker” scivolava velocemente al primo posto della sua lista di cose da fare.
Corey ringhiò qualcosa a quell’NPG che stava ridendogli in faccia prima di tornare a guardarsi attorno, cercando qualcosa che fosse strano.
Una ricerca vana, a dire il vero: tutto sembrava abbastanza normale, anche se qualcosa, in sottofondo, continuava a limare con costante pazienza i suoi nervi.
Non riusciva perfettamente a capire cosa- era un rumore che non riusciva ad attribuire a qualcosa. Il che era strano, perché era piuttosto sicuro di averlo già sentito.
Chiuse gli occhi, riuscendo a malapena ad ignorare quella risatina che, ne era sicuro, era rivolta a lui, e tentò di concentrarsi su quell’odioso, fastidiosissimo rumore di sottofondo.

<< -Secondo te perché chiude gli occhi?- >>
<< -Forse deve azionare la Forza?- >>
<< -Ti immagini se gli viene un attacco d’asma?- >>
<< -Noi siamo qui a sognare Darth Vader mentre la triste verità è che… che…- >>
<< -Se vuoi piangere avvertimi, ho sinceramente paura delle tue lacrime.- >>
 

Una fotocopiatrice. Era il suono di una maledettissima fotocopiatrice. Che diavolo ci faceva quell’aggeggio malefico lì? E da quando era così irritante?
Corey scrollò le spalle, aprendo gli occhi e tornando a digitare qualcosa nel computer al suo polso: non era al livello di ‘gente con la bocca cucita’, ma era comunque qualcosa di strano.
Avrebbe dovuto andare in un altro quadrante e vedere com’era la situazione – quello era il suo piano, in effetti - , ma una risatina lo riscosse, ridestando parte di quella furia che si era svegliata, pochi minuti prima, al cospetto dei tre tizi.
Era nervoso, non aveva ancora ucciso nessuno e non aveva intenzione di sentire pure un NPG ridergli addosso.
Quindi si voltò, pronto a sparare- senza però trovarsi di fronte nessuno.

<< -Hhhm? Che stai facendo, si può sapere?- >>

Corey aggrottò la fronte, perplesso. Per quanto fosse evidente che non c’era nessuno, non poteva comunque credere di essersi immaginato quella risatina: era stata, semplicemente, così reale che aveva sentito l’impulso di voltarsi e crivellare di colpi chiunque avesse avuto la triste idea di prenderlo in giro.

Aveva cominciato, poco a poco, a convincersi che forse – forse – la risatina era stata solo un frutto della sua immaginazione quando questa si fece sentire, di nuovo, alle sue spalle.
Si voltò, più sorpreso che realmente infuriato – anche se prometteva di ristabilire l’equilibrio appena scoperto chi lo stava prendendo in giro – solo per rischiare un infarto quando si rese conto che non era solo una persona a ridere, ma un intero gruppo di NPG.

<< -…Goth, c’è qualcosa di buffo nel ragazzino?- >>
<< -A parte il fatto che ha una specie di pistola giocattolo lanciamissili?- >>
<< -Bhè, no. Intendo dire, qualcosa per cui lo guarderesti e scoppieresti a ridere.- >>
<< -Trovo esilarante l’idea che stia per friggersi il cervello grazie alla pubertà.- >>
<< -Io pensavo più all’altezza. È piccolino. È Piccolino mcPicciol. E bassissimo. Ehi, sei proprio tu Puffo Inventore?- >>
 

La risata degli speaker non lo stava aiutando.
Corey non riusciva ad immaginare cosa ci fosse di così divertente, in lui: e anche se a monte di quelle risa una ragione c’era, bhè, non lo sopportava comunque. Avrebbe potuto cancellarli tutti immettendo un semplice codice, non avevano il diritto di prenderlo in giro.
Alzò la pistola, puntandola contro la folla – non valeva la pena sceglierne uno specifico, l’importante era che capissero la lezione e stessero zitti - : nessuno sembrò notarlo.
Di nuovo, la sgradevole sensazione che, forse, non stava realmente puntando un’arma si impossessò di lui.

<< -Mi chiedo perché non stia sparando. Intendo dire, cosa sta aspettando, il permesso dei genitori?- >>
<< -Questa è la tua risposta a tutto, vero? Solo… “spara al problema”.- >>
<< -Uuuh… ssì… Senti, sai dirmi l’esatto momento in cui questo videogioco si è trasformato in una seduta per coppie in crisi?- >>
<< -…hhhnf…- >>
<< -No, la so, la so… ‘se mi ascoltassi, qualche volta, lo sapresti! Invece con te è sempre e solo lavoro, lavoro, lavoro!’- >>

Sparò due colpi, che, ne era certo, portarono alla morte di un uguale numero di NPG. Il loro sangue aveva persino macchiato qualcuna delle altre persone attorno a loro, miseria, era sicuro che fossero morti.
Eppure nessuno sembrò farci caso. Corey sgranò gli occhi, spostando lo sguardo dai due cadaveri al gruppo che continuava a guardarlo e ridere, e per qualche secondo pensò che fosse solo un sogno. Un incubo, forse. Un incubo esageratamente surreale ed incredibilmente inquietante.

“…Oh, al diavolo.”

<< -Di fronte alle difficoltà della vita, sparisci. Sparisci. E ti ritorna il sorriso.- >>
<< -Oh, siamo educativi, oggi.- >>

Nicolas non riusciva mai a capire per quale motivo Oliver fosse sempre così imbronciato. Tornava indietro dalla sua piccola fuga e lui era sempre lì, pronto a ringhiargli contro e a lanciargli occhiate di puro odio senza che avesse mai fatto qualcosa per meritarsele.
Tuttavia a Nicolas non importava molto. Una delle poche cose su cui poteva sempre contare, nella sua incerta vita fatta di figuri malfidati, era che suo fratello sarebbe sempre stato abbastanza idiota da rimanergli accanto: fosse imbronciato o allegro, bhè, non faceva alcuna differenza.
La bambina godeva di ottime condizioni, o almeno così sembrava ad uno sguardo superficiale. Era probabile, a dire il vero, che fosse in un qualche modo strana, ma a dirla tutta Nicolas aveva più paura dell’orsetto che questa stringeva al petto.

“Odioso bastardo. Continua a scappare, continua. Verrà il bel giorno che inciamperai. Vediamo se un branco di cani feroci non banchetterà con i tuoi resti.”

Nicolas si corresse: Oliver era un pochettino più spaventoso.
Non riusciva realmente a capire se quelle parole, mormorate a bassa voce, fossero un semplice mantra, se lo stesse minacciando oppure se il gemello stesse pensando ed, effettivamente, non sapesse che stava parlando.
Tutte ipotesi egualmente agghiaccianti.

<< -Uff… Ok, ricognizione generale.- >>
<< -I due sposini sono… hm… sono… occupati…- >>
<< -Ancora? Involtino al mandolino di crema e cedro, ma fai così anche nella vita reale? Qualcuno chiami la polizia!- >>

<< -Non credo sarebbe una buona idea, intendo dire, probabilmente metterebbero dentro anche lui e sai se li mettono in cella assieme?- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -…Ghgh!- >>

Così qualcosa di sbagliato c’era, evidentemente. Qualcosa che avrebbe potuto anche essere colpa sua- anche se ne dubitava fortemente.
Tuttavia era evidente che per aggiustare l’anomalia doveva collegarsi al videogioco. Per farlo doveva usare un internet point che era, ovviamente, nel quadrante con tre persone- proprio quelle tre persone che aveva attaccato e che probabilmente non si erano dimenticate di lui, già.
Il piano A di Corey era comparire e correre via prima che uno dei tre lo riconoscesse, così da non dover perdere tempo con inutili ‘sentite, c’è solo questo piccolo problema quindi se poteste lasciar perdere il fatto che vi ho ucciso fino a che non l’ho risolto ve ne sarei molto grato’. Il piano B era di sparare ai tre maledetti rompiscatole in caso avessero fatto resistenza.
Purtroppo, quando si materializzò nel quadrante non ebbe il tempo né per il piano A né per il piano B: i tre, infatti, erano di fronte a lui, stavano camminando verso di lui e sembravano discretamente inferociti.

“Oh, credimi. Ti squarterò e con la tua pelle farò- aspetta un secondo.”

Uno dei due gemelli – quello senza cappello – lo vide per primo e lo sguardo che gli rivolse avrebbe potuto uccidere un povero innocente.

<< -Poi ci sono i due gemellini… Oh. Ehi, bambino.- >>
<< -Ma tu guarda questi bambini, li ritrovi sempre nell’ultimo posto dove vorresti guardare.- >>

Corey aveva già alzato la pistola e l’aveva puntata verso i due gemelli, giusto per precauzione. Non aveva realmente voglia di sparargli, voleva solo tenerli lontani da lui.
Piegò la testa d’un lato, notando, in quel momento, che a dire il vero poteva semplicemente prendere un sacco di tempo e farli fuori tutti e tre: questi, infatti, anche se continuavano a guardarsi attorno alla ricerca di una via di fuga non sembravano essere riusciti a trovarne una ed erano immobili di fronte a lui.
Sarebbe stata un’idea geniale, se solo non gli fosse venuta così in ritardo.


Nicolas portò una mano al cappello, osservando con estrema attenzione il modo in cui l’espressione del bambino mutava: dapprima completamente terrorizzata, sembrava rilassarsi sempre di più, fino a quando non fece un piccolo ed inquietante ghigno.
Che cosa la perfida mente del moccioso stesse architettando, Nicolas poteva solo immaginarlo: sapeva solo di non essere armato e di essere, quindi, probabilmente alla fine della sua avventura.
Le sue dita affondarono nella stoffa della fedora, stringendola. 

C’erano poche cose che Nicolas amava: una di quelle era il suo cappello.
Tuttavia il sedicenne era arrivato ad uno stato di saggezza, principalmente ladresca, che bisognava essere capaci di sacrificare tutto, anche ciò che più si amava, per quel grande obiettivo che era il continuare a vivere. E non c’erano rimorsi di coscienza che valessero quando, cinque minuti dopo aver fatto il suo sacrificio, si ritrovava vivo, vegeto e fuori dalla prigione: una tripletta, quella, che poteva tirarlo su di morale in qualsiasi situazione.
Così, quando capì che il moccioso infame stava per sparargli contro, Nicolas non ebbe alcun dubbio su cosa fare.

Lanciò il cappello verso il bambino: questo, fedele alla sua parvenza di grande cacciatore, sparò alla fedora un paio di volte, convinto, come solo il panico riusciva, che quel povero straccio potesse in un qualche modo ucciderlo.
 

Oliver non aveva mai bisogno di farsi spiegare il piano. Lo capiva, era semplicemente ovvio.
Nicolas aveva distratto il bambino, ma quella era solo la prima azione, lo sapeva. Il fratello creava piani così semplici, così elementari: Oliver avrebbe sicuramente saputo fare di meglio, se solo l’altro non avesse continuato a batterlo sul tempo.
Il bambino era distratto, ma sarebbe durato poco: probabilmente, avendoci preso gusto, sarebbe passato direttamente a sparare contro di loro. Anche quello era ovvio.
Ciò che doveva fare, quindi, risultava istintivo: doveva solo gettarsi su di lui e colpirgli la mano che teneva la pistola, così da disarmarlo.
Era così semplice che riuscì a farlo prima ancora di averlo pensato. 

<< -Non è un po’ ingiusto? Intendo dire, sono due contro un bambino.- >>
<< -Il bambino però ha la pistola.- >>
<< -Ok, quindi, uh, esiste una specie di aritmetica di guerra? Tipo, bambino più pistola è uguale a quattro persone normali armate di cappello?- >>
<< -Mentre Metallaro più chitarra elettrica è uguale ad un plotone di uomini.- >>

<< -Sarà colpa nostra se gli omicidi perpetrati grazie a riff della morte saranno in aumento, quest’anno.- >>

Corey arretrò di qualche passo, portando la mano al micro-computer che portava al polso: i due non sembravano essersene accorti, troppo occupati a camminare verso di lui e, probabilmente, ad ucciderlo a botte.

“Fermi o…” Corey abbassò lo sguardo al computer, terrorizzato. “Faccio crashare il sistema!” 

I due si fermarono, anche se, molto probabilmente, non per via della minaccia quanto per il fatto che non sapevano cosa volesse dire ‘crashare’.

“Con questo” e dicendo ciò mostrò il simil-bracciale legato al polso, “posso modificare la realtà del videogioco. I muri sono stati una mia idea. E l’avete visto, posso teletrasportarmi, quindi non scherzate.”

I due gemelli si guardarono per qualche secondo, prima di tornare a fissarlo in uno sguardo di puro odio che Corey intese come un ‘sei momentaneamente salvo’.
Se non avesse rischiato la vita avrebbe di sicuro sorriso: non aveva mai creduto di riuscire a bluffare così bene.
Ad ogni modo non aveva tempo da perdere. La sua pistola era a qualche metro di distanza e quei due erano più grandi di lui: senza contare che Corey non voleva morire in quel momento, non senza aver ucciso almeno qualcuno. E no, i due NPG non contavano.
Doveva, quindi, uscirne a parole: spiegare cosa dovesse fare sembrava la soluzione migliore, anche se, minuto dopo minuto, cominciava a chiedersi se fosse effettivamente possibile parlare con quei due come tra normali esseri umani. Senza contare che era anche il quadrante in cui aveva visto quella… cosa, quindi non aveva la minima intenzione di spendere troppo tempo in giro per le strade. Non lì.

“Bene. Ora, parliamo seriamente, vi và?”

<< -Disse un ragazzino di dodici anni a due tizi di sedici mentre sventolava una specie di orologio da polso come fosse un’arma mortale.- >>

Oh, doveva assolutissimamente togliere il volume agli speaker.

“…Dicevo. Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, vero? Intendo dire, io con tutta quella storia del tentare di uccidervi e voi con la cosa del non lasciarmi fare.”

Poté vedere una specie di ombra oscurare per pochi istanti i volti dei fratelli, ma nessuno dei due disse niente. Corey sorrise: non gli andava di litigare ogni cinque minuti, grazie tante.

“Tecnicamente parlando, ho avuto una brutta giornata, ma non ho voglia di discuterne. Tutto ciò che conta è che ho notato qualcosa di strano nel sistema. Sono delle interferenze… cose strane."

Sospirò, sperando che tale concetto avesse attecchito nelle menti dei due sedicenni: questi continuavano a fissarlo, senza dimostrare altro che enorme e terrificante insofferenza.
Avrebbero dovuto sopportare, temeva. Il discorso non era finito e Corey era estremamente infuriato.

“Devo risolvere il problema, ok? Capite? Devo risolvere il problema. E devo rimanere in pace, mentre lo faccio. Frignate e rompete le palle quanto vi pare, ma non vi azzardate a disturbarmi. Ho del lavoro da fare.”

Gli speaker ridacchiavano, divertiti da qualcosa- non aveva importanza. I fratellini non davano segno di voler reagire e a Corey bastava quel piccolo vantaggio.

Nessuno dei due agì quando Corey scattò verso destra e riprese la pistola: tutti e due erano rimasti sorpresi, lo si poteva capire dalla loro espressione, ma non sembravano aver mosso un solo muscolo.
Di nuovo, a Corey andava bene così: aveva una pistola, meglio non poteva andare.

“Ora voi starete buoni e in silenzio e mi lascerete trovare l’internet point dove riuscirò ad aggiustare la situazione. Suona bene, no?"

Di nuovo nessuna risposta. Andava bene, o almeno così pensava Corey: l’importante era che avessero capito.
Eppure era semplicemente troppo infuriato, troppo per capire che era tempo di andarsene, o per seguire quella maledetta vocina nella sua testa che continuava a ripetere ‘uccidili, uccidili’.
Puntò l’arma nella loro direzione, il sorriso mutato in una smorfia irata e il volto rosso per la collera, ovvio segno che, a quanto pareva, trattenere la rabbia non faceva bene. 

“Lasciatemi in pace o vi uccido!” Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole poco aveva di umano e, per qualche secondo, Corey sembrò sul punto di cedere e premere quel maledetto grilletto: era la soluzione migliore, era la soluzione più logica, maledizione, perché doveva continuare con quell’assurdo teatrino? Solo perché era infuriato?
Ma si calmò. La fronte si distese, anche se l’espressione non si addolcì, e quando parlò il suo tono era calmo, sebbene ugualmente spaventoso.

“Mi avete capito?”

Quella era la prima volta che Corey sentiva lo scorrere dei secondi come fossero intere ore.
I due gemelli continuavano a fissarlo senza pronunciare una sola parola, quasi stessero studiando una qualsiasi farfalla in vetrina: persino i due speaker, quelli che, grazie ai loro commenti decisamente fuori luogo, erano per la maggior parte responsabili per il modo in cui la sua giornata era diventata, in quel momento stavano zitti, aspettando qualcosa.
Per l’ennesima volta in meno di un’ora Corey si chiese se stesse realmente puntando una pistola a qualcuno: poi, dopo aver brevemente accertato che quella che teneva in mano era, effettivamente, un’arma da fuoco, decise che non poteva più sopportare quel silenzio.

Cosa?!” Sbottò infine il ragazzino, riottenendo parte del suo colorito porpora.

Oliver serrò le labbra in una linea sottile, unica spia di quanto realmente quella domanda lo avesse innervosito: poi si chinò verso di lui, quasi riuscendo a guardarlo negli occhi.

“Mi hai stancato.”

<< -Oddio, me lo vedo già: miglior momento ‘Sta zitto Hannibal!’ nella categoria di videogiochi dell’anno va a… Gemello senza cappello!- >>
<< -…Momento ‘Sta zitto Hannibal’?- >>
<< -Sai, quando il nemico tenta di convincere l’eroe che non sono tanto diversi, o che non dovrebbe parlare, o tenta di convincerlo di passare al male e l’eroe, invece di fare monologhi, gli dice di stare zitto. O… risponde con un “parla al pugno”.- >>

Oliver odiava i discorsi. I discorsi erano, di solito, un modo come un altro per convincere gli altri che avevano torto.
Nicolas continuava a fare discorsi, tentando di fargli credere che sapesse, che fosse più qualificato di lui. Suo padre continuava a fare discorsi, solitamente per tentare di fuggire dal pericolo. E, a volte, anche Oliver faceva dei discorsi, quando tentava di convincere Nicolas che lui era il più qualificato e lui avrebbe dovuto essere il ‘capo’.
Oliver odiava i discorsi e non sopportava che a tentare di prenderlo in giro fosse un moccioso. Poteva andare in giro armato quanto voleva, poteva essere un maledetto genio del computer, sempre moccioso rimaneva e no, non aveva il diritto di fargli dei discorsi.

“…Ho menzionato la parte dell’uccidere, giusto?”

Oliver si mise di nuovo ritto in piedi, fissando quel patetico bambino che lo fissava con stupore.

“Cazzate. Sei spaventato.”

Gli prese il polso con cui teneva la pistola, tirandolo verso di sé: il bambino, troppo occupato a tentare di trovare una risposta decente, non riuscì a frenarsi, rovesciandosi a terra.
Dietro di lui Nicolas rideva, probabilmente divertito da quella patetica scenetta: Oliver non riuscì a non sorridere all’idea che, per una volta, era stato lui il primo ad agire.

“Ooh, dov’è finita tutta la tua boria, adesso? Nicolas, passami la cintura.”

<< -Aww, che piccoli pervertiti.- >>
<< -In questi momenti la sgualdrina mi manca…- >>
<< -Ovunque tu sia, alla tua salute, piccolo involtino ripieno di kebab al succo di zucca.- >>

“Ora,” cominciò Oliver, bloccando la schiena del moccioso con un ginocchio e legandogli le mani con la cintura, “ascoltami tu. Non hai idea da quanto tempo una mia giornata non comincia bene e non ho neanche voglia di dirtelo.” 

Finito di legare le mani prese i piedi, tentando di legarli con l’altro capo della cintura- non troppo facile, contando che il maledetto continuava a dibattersi come un pesce che è stato appena pescato.

“Tuttavia oggi tu hai avuto un ruolo significativo nel rendere la mia mattina piuttosto insopportabile. E non mi piacciono le persone che mi rovinano la giornata.”

Fece una leggera smorfia, finalmente riuscendo a legare anche i piedi e immobilizzandolo quindi del tutto, prima di cominciare a frugare nelle sue tasche: e sì, per quanto gli riguardava poteva lamentarsi quanto voleva, ma doveva solo ringraziare il cielo che non lo uccidesse direttamente.

“Quindi, piccolo, rimarrai qui. Frigna e lamentati quanto ti pare, tanto non puoi liberarti. Ora…”

Oliver si alzò, prendendo la pistola e rivolgendo al bambino uno di quei sorrisi tanto gentili quanto perfidi. Questo suona bene.” 

<< -Ed ecco che, sull’altare di Goth, appare un nuovo dio da osannare.- >>
<< -Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth.- >>
<< -…Eh?- >>
<< -Non v’è dio più malvagio del vuoto cosmico nel tuo cervello.- >>

Corey era ragionevolmente infuriato.
Aveva pensato che, essendo figlio unico, fosse riuscito ad evitare tutti quegli inutili scherzetti tipo, per l’appunto, l’essere legato come una specie d’animale: a quanto pareva, invece, c’era sempre tempo per provare un po’ di tutto e, soprattutto, non aveva la minima idea di come diavolo liberarsi.
Aveva, tuttavia, ancora il computer al polso. Certo, era dietro la schiena, ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a immettere un codice utile- anche se dubitava che esistesse un codice per liberarsi da una specie di corda.
L’idea di rimanere da solo in quel quadrante – quello, ovvero, in cui aveva visto quella cosa e l’uomo con la bocca cucita – non lo entusiasmava.
Aveva già cominciato a provare a fare qualcosa con il computer quando qualcuno si fermò di fronte a lui: ebbe, per pochi secondi, il terrore che fosse stato uno dei due gemelli a tornare, ma scoprì ben presto che in realtà era solamente una bambina. Una bambina estremamente inquietante, sì, ma una bambina comunque.
Sorrise, tentando di mostrarsi più gentile di quanto l’umore potesse permettergli di essere.

“Oh, ehi. Ciao. Senti, ti andrebbe di liberarmi, magari?”

Dopo aver passato dieci minuti a parlare con due tizi che non avevano fatto altro che fissarlo in silenzio per poi legarlo, disarmarlo e derubarlo, Corey non reagiva più molto bene alle persone che non rispondevano.
Insomma, cominciò a balbettare, arrossendo e sbiancando ad intervalli regolari.

<< -Ah, il nostro divertimento è finito, temo. I due gemelli sono via e… aspetta un secondo. Goth, cos’è quello?- >>
<< -Quello cos… Uh-oh.- >>
<< -Ma dai, guarda che si rivede!- >>
 

Il momento dopo, Corey stava rotolando verso il centro della strada, senza sapere né come né perché. La bambina lo stava spingendo, dandogli dei piccoli calcetti che, se reali, avrebbero fatto sicuramente molto male, senza però dargli un semplice perché: sembrava, leggendo la sua espressione, che lo stesse facendo rotolare semplicemente per farlo rotolare.
Quando, finalmente, lei smise, Corey si sentì così buono e benevolente che lasciò perdere il fatto che la bambina stesse fuggendo per ringraziare il Cielo di aver fatto smettere quella tortura- ringraziamenti, quelli, un pochettino prematuri.

<< -Oh… Oh! Morte time!- >>
<< -Andiamo, così non vale. Intendo dire, che cosa potrebbe fare? Non è che possa rotolare, no?- >>

Qualcosa gli disse che gli speaker stavano parlando di lui, e ciò non gli piaceva per niente.
Si guardò attorno, tentando di capire che cosa ci fosse che non andava e notando solo in quel momento che c’era qualcosa di strano, in lontananza.
Era qualcosa di curioso: Corey dovette socchiudere gli occhi per mettere a fuoco che cosa fosse. Era un’immagine strana, come di animali, che però sparivano e tornavano come se fosse uno schermo vecchio che non riceve abbastanza: cosa, quella, che gli ricordava la biondina che per poco l’aveva ucciso. In poche parole, un pessimo auspicio.
L’immagine mutò per pochi secondi, divenendo un qualcosa di immateriale, quasi, nero: tornò subito normale, comunque, come se quella piccola trasformazione non fosse mai avvenuta. Non riusciva a capire che cosa avrebbe dovuto essere, ma riusciva a distinguere, oramai, un elefante e altri animali…

<< -Oh, andiaaamo. Questa morte è stata veramente triste.- >>
<< -Però è stato il grande ritorno del branco impazzito. Anche se ad un certo punto sembravano… nah… Bhè, la Morte si è ricordata di noi, finalmente! Che si ricordi di noi anche il cameriere con la mia torta?- >>

Quarta morte: Corey Patterson. Modus Operandi: è stato ucciso da una mandria di animali impazziti
Giocatori rimasti: 7

*-*-*

“Gli animali assassini!”

Ovunque fosse, Corey era ossessionato dalle vocine.

“Celia, sono solo animali. Non è che facciano apposta. Anche se è strano che siano ancora infuriati dopo un giorno.”

Due vocine. Gli speaker erano ovunque, sembrava.

“Io ancora non posso credere che mi abbiano salutato… cioè, aww!”

Tre vocine. A quanto pareva, era persino peggio che nel videogioco.
Corey sospirò, levandosi il casco di dosso: la vita vera, a quanto pareva, era piena di corrente fresche che si infilava nella maglietta sudaticcia e rischiava di farti venire una polmonite.
Si staccò la flebo dal braccio, dannandosi quando, subito dopo, si rese conto che faceva un male del diavolo: ecco un’altra cosa di cui non sentiva la mancanza, nella realtà virtuale.

“Ah, il cuccioletto si è svegliato!”

Il tempo di sentire quella frase e qualcosa lo strinse a sé: se per stritolarlo o per abbracciarlo, quello non era possibile capirlo.

“Aww, ciao piccolino! Siamo bloccati qui dentro, quindi, uh, ehilà, sono Celia!”

Corey agitò la mano destra, ancora chiuso nelle spire di chissà quale terribile mostro, in un gesto che Celia decise di prendere come un gesto di saluto.

“Io invece sono Daniel, mentre quello che ti sta stringendo è-”
“Shadi! Mi chiamo Shadi, tesoruccio!"

Corey si sedette sul letto, finalmente lasciato in pace dal tizio che, chinato di fronte a lui, continuava a sorridergli in quel modo strano.
A dire il vero fu solo dopo qualche secondo che lo riconobbe: nella stanza, in quel momento, era molto più luminoso, lo ricordava con più sangue ed un tizio accanto, ma Shadi- sì, doveva essere il nome della persona che aveva ucciso la sera prima. Ricordava il nome, anche se era apparso pochi attimi prima che anche Corey perdesse conoscenza.
Il ragazzino aggrottò la fronte, fissandolo.

“…Ma io ti ho ucciso, no?”

Shadi sorrise, tirandogli allegramente una guancia. “Sì, ma sai, bah. E poi sei così carino!”
E prima che Corey potesse realmente protestare per via della guancia – stava cominciando a perdere sensibilità – Shadi tornò ad abbracciarlo, quasi mozzandogli il respiro. 







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Chiedo scusa a tutti per il mio ignobile ritardo, e chiedo scusa per la grandezza dei caratteri... purtroppo, è l'unico modo per farli apparire bene ç_ç
Davvero, grazie a tutti quelli che mi hanno recensito e, perfavore, perdonatemi.

Ci sono un milione di citazioni, in questo capitolo. Ora proverò a riportarle tutte: se qualcuno ne nota altre che mi sono sfuggite, per favore, avvertitemi.

"Chiedi ad Alice, penso che lei sappia" = "Go ask Alice, I think she'll know" è una strofa di White Rabbit, dei Jefferson Airplane.
<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >> = Via, non avete mai sentito parlare del Padrino?
Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. = Sono piuttosto sicuro che se lo sia inventato...
John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe = I primi due sono i più comuni nomi Inglesi, oltre che gli pseudonimi più usati. John e Jane Doe è, invece, come vengono chiamati i cadaveri senza nome.
Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’ = Gioco spagnolo, tradotto significherebbe "Vedo vedo". Si fa di solito in macchina: uno sceglie un oggetto fra quelli che vede attorno a sè e l'altro deve capire qual'è.
Se la violenza fa fluire le onde romperò ogni ossa nel vostro corpo. Se il silenzio fa soffiare il vento ascolterò il suono del tuo cuore gelido = Strofe tradotte della canzone 'Frost Bite', dei Seigmenn. O Seigmen. Il dibattito è ancora aperto, su ciò.
Heee’s the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun... = Una strofa della canzone "Bloom", dei Nirvana. Tradotta sarebbe "Lui è quello a cui piacciono tutte le nostre belle canzoni, e gli piace cantare a ritmo, e gli piace sparare con la sua pistola".
Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra = Citazione da 'Le regole della casa del Sidro".
Fuoco! Fuoco! - Se figo vuoi apparire, un casino devi soffrire.
= Da Beavis e Butt-head.
La torta è una bugia = "The cake is a lie" è una frase piuttosto famosa, nel mondo parlante Inglese. Significa, in pratica, che la ricompensa non esiste.
Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide. = Frase che si riferisce a "Tre uomini in barca". Jerome, il protagonista, stava guardando il panorama, colto da una gioia quasi divina, quando un vecchietto gli si è avvicinato per chiedergli se voleva visitare le tombe.
Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth. = Due 'mostri' di Lovecraft.

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