Maps

di lilyhachi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Here with me ***
Capitolo 2: *** Higher ***
Capitolo 3: *** I just wanna be yours ***
Capitolo 4: *** My youth is yours ***



Capitolo 1
*** Here with me ***


A Marti Lestrange e Helena Kanbara, per tutto il disagio sui Malec in versione high school.
 

“All the roads you took came back to me. So I’m following the map that leads to you 
The map that leads to you. Ain't nothing I can do. The map that leads to you”.



Maps


I

Here with me



 “I stand up just to see of all the faces, you are the one next to me”.


Alec emise un sospiro affranto.
Non sapeva da quanto tempo fosse in quel campo ad allenarsi, ma sapeva quanto le sue gambe stessero implorando pietà per tutti gli sforzi a cui erano state sottoposte.
Alec si piegò sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Sentiva piccole gocce di sudore colargli lungo la fronte e infrangersi contro l’erba umida, mentre un senso di spossatezza invadeva le sue membra stanche.
Si avvicinò alla panca posta a bordo campo e senza rifletterci troppo, si abbandonò ai suoi piedi, lasciando che la schiena aderisse all’erba del campo di football e che il suo corpo si rilassasse. Guardò verso l’alto: il cielo mostrava quella classica sfumatura aranciata che segnava sempre di più l’arrivo dell’imbrunire, e la scuola era praticamente deserta.
Alexander Lightwood, titolare della squadra di football del suo liceo, non reggeva bene la pressione…anche se cercava di impegnarsi il più possibile per non darlo a vedere. Per il suo allenatore era un giocatore da cui prendere esempio, per i suoi compagni di squadra era un modello a cui ispirarsi e chiedere consiglio, per i suoi genitori era un orgoglio.
Mentre per Izzy, Max e Jace era il fratello maggiore sul quale ricadevano troppe responsabilità e troppi macigni. Loro erano le uniche persone in grado di vederlo per come era davvero: stanco e spossato da troppi impegni e pensieri.
La sua vita si alternava tra studio, allenamenti sfiancanti e brevi momenti passati in compagnia della sua famiglia o dei suoi compagni di squadra: conciliare gli obiettivi che si era prefissato con momenti di calma e tranquillità non era facile.
Per Alec ogni giornata era il solito tran tran: nulla di nuovo o entusiasmante che gli permettesse di staccare la spina e respirare. Izzy gli ripeteva continuamente che era troppo stressato e che avrebbe dovuto concedersi un paio di giorni di riposo, ma per Alec quell’ipotesi era inammissibile: se si fosse lasciato andare, sarebbe crollato, lo sapeva.
Continuò a tenere gli occhi chiusi, disteso sul campo in attesa della forza necessaria per alzarsi in piedi e continuare quell’allenamento solitario in vista dell’ultima partita. Se intendeva entrare al college, doveva mettercela tutta.
Non sopportava l’idea di vedere la delusione sul volto dei suoi genitori che avevano compiuto tanti sacrifici per lui. Voleva che fossero fieri, che lo guardassero con ammirazione…voleva che suo padre gli sorridesse dagli spalti, alzando le braccia al cielo e urlando “Quello è mio figlio!”. Sorrise beato a quel pensiero, immaginando uno scenario simile nel quale si sarebbe sentito amato e accettato da tutte le persone a cui voleva bene. Sarebbe bastato…quel sogno sarebbe bastato a farlo sentire meno colpevole per ciò che aveva confessato loro. Cercava di compiacerli fino allo stremo, soltanto per aver deciso di essere sé stesso.
Una melodia non molto lontana lo costrinse ad aprire gli occhi.
Alec pensava di averla immaginata, di essersi appisolato un attimo al punto di udire della musica nella sua testa…ma più si metteva sull’attenti, più si rendeva conto che quella musica non era affatto frutto della sua immaginazione.
Si mise a sedere, piegando le ginocchia e appoggiandovi i gomiti mentre voltava il capo verso gli spalti alla sua sinistra, notando come la musica provenisse da lì. Seduto su una delle file centrali, c’era qualcuno con una chitarra tra le mani.
Il ragazzo era estremamente concentrato e Alec non ebbe bisogno di sporgersi o alzarsi in piedi per capire di chi si trattasse.
Era Magnus Bane, uno degli studenti più eccentrici di tutta la scuola…ed il suo ragazzo. Alec sorrise, passandosi una mano tra i capelli. Magnus trascorreva gran parte del suo tempo nell’aula di musica, e Alec, prima di conoscerlo, ricordava di averlo visto spesso accanto ad Izzy, dato che Simon Lewis, il suo ragazzo, aveva una band dal nome strano e spesso aveva suonato volentieri insieme a Magnus. A scuola lo adoravano tutti e Alec non poteva certo biasimarli.
Magnus era bravissimo, muoveva le dita sulle corde della sua chitarra con una delicatezza ipnotica, riuscendo a comporre suoni quasi magici: alle volte, credeva di vedere scintille azzurre muoversi tra le sue dita. Alec non era un gran patito di musica, ma ogni volta che si ritrovava ad ascoltare Magnus Bane, sentiva di potersi abbandonare come non aveva mai fatto in vita sua. La loro storia era nata quasi per caso, senza che nessuno dei due se ne rendesse realmente conto, fin quando le cose non avevano preso una piega particolarmente seria. Alec aveva tenuto nascosta la sua omosessualità per tutto il periodo del liceo, mentre Magnus, a differenza sua, non aveva mai cercato di mascherarla.
Gli aveva raccontato di come inizialmente fosse il bersaglio preferito dei ragazzi più grandi, i classici giocatori della squadra di football che se ne andavano in giro per i corridoi come se fossero i padroni.
Il cuore di Alec si era stretto, al pensiero di come lui adesso fosse uno di loro…ma le cose erano diverse, e Magnus lo sapeva bene. 
Magnus Bane non era più sulla bocca di tutti, e ormai a nessuno importava nulla dell’orientamento sessuale dei propri compagni di scuola: non era più una novità o uno scandalo. Tuttavia, era stato difficile da accettare per i genitori di Alec.
Izzy e Jace lo avevano sempre saputo, aspettando che Alec prendesse coraggio per dire loro la verità…e quando lo aveva fatto, i suoi fratelli lo avevano stretto in un goffo e dolce abbraccio. Mentre suo padre Robert lo aveva guardato come se avesse visto un criminale e non quel figlio di cui andava tanto fiero: il suo sguardo era paragonabile ad una lama tenuta tra le fiamme e poi premuta contro le sue scapole. Sua madre Maryse, invece, aveva accettato silenziosamente la cosa, ma senza intervenire per riaggiustare quella situazione.
A scuola, la questione non era di pubblico dominio, ma le voci giravano…e tutti notavano quanto tempo Alec passasse insieme a Magnus. Qualche membro della sua squadra gli aveva lanciato frecciatine colorite, umiliandolo, ma Alec aveva cercato di non darci peso…senza mai trovare il coraggio di urlare al mondo quanto fosse felice.
Magnus gli era stato vicino, senza avanzare troppe pretese e dandogli il tempo necessario per abituarsi a quella strana e nuova situazione. La loro storia rimaneva ugualmente clandestina, poiché Alec non se la sentiva di lanciare un’altra bomba che avrebbe sicuramente minato ancora di più la serenità della sua famiglia.
Tuttavia, Alec sentiva quanto Magnus fosse stanco quanto lui…impaziente di portare quella storia alla luce del sole, bramoso dei suoi baci e del tocco lieve delle sue dita non solo quando erano a casa ma anche nei corridoi della scuola. Voleva avvicinarsi a lui in mensa, senza dover trovare una scusa, stare in sua compagnia senza subire passivamente anche quella di Jace, Clary, Izzy e Simon allo stesso tavolo. Amava stare insieme a loro ma Alec sapeva quanto Magnus desiderasse restare solo con lui, senza dargli preoccupazioni.
Alec rimase in quella posizione, ascoltando con espressione rapita la canzone che Magnus stava suonando con tale trasporto da trasmettergli una sensazione strana e intensa.

“I made decisions some right and some wrong and I let some love go I wish wasn't gone.
These things and more I wish I had not done but I can't go back.
And I don't want to, cause all my mistakes they brought me to you”.

Sul viso di Alec nacque un sorriso, debole come un tenue raggio di sole che cercava di farsi largo tra le nuvole durante un giorno particolarmente ombroso. Quello era l’effetto che Magnus aveva su di lui: era in grado di scacciare via le nuvole e riportare un po’ di luce nella sua vita con gesti singolari e per nulla plateali.
“Ho pensato volessi un po’ di incoraggiamento”, gli urlò Magnus, riponendo la chitarra sugli spalti e alzandosi per tentare di raggiungerlo. Si mise le mani nelle tasche con disinvoltura, e ad ogni suo passo, Alec udiva il tintinnio dei ciondoli che aveva al collo.
Magnus Bane, da eccentrico musicista quale era, esibiva uno stile altrettanto eccentrico e bizzarro ma così alla moda da attirare ogni tipo di occhiata nei corridoi. Non erano soltanto le ragazze a lanciargli sguardi sognanti, ad osservarlo come una di quelle rockstar amate da orde di sedicenni in preda agli ormoni…e Alec avrebbe voluto attirarlo a sé solo per ribadire un concetto chiaro ad entrambi: Magnus era suo e di nessun altro. Tuttavia non poteva fare nulla di simile, perché la paura di uscire allo scoperto era ancora lì a gravare su di lui, come la più terrificante delle ombre.
“Grazie”, esclamò Alec, restando seduto mentre la figura di Magnus troneggiava sulla sua.
“Fiorellino”, cominciò l’altro, piegando le gambe per portare il viso alla sua altezza. “Sai che dovresti riposare? Domani c’è la partita”.
“Lo so”, gli rispose Alec con tono afflitto. “Ma forse non sono pronto”.
L’espressione di Magnus divenne così seria da intimorirlo. Restava sempre sorpreso dal modo in cui Magnus passasse con estrema facilità da un’emozione all’altra, senza scomporsi come capitava a lui. Era capace di ridere a crepapelle e poi sfoggiare uno sguardo lapidario nell’arco di pochi secondi. All’inizio, Alec aveva scambiato quel suo controllo per falsità…credendo che lo stesse prendendo in giro. Invece, Magnus sembrava racchiudere semplicemente una maturità e una saggezza che poco si poteva associare al suo aspetto.
“Alexander”, lo chiamò il ragazzo, facendogli storcere il naso perché quando usava il suo nome completo non era mai un buon segno. “Certo che lo sei. Ti stai allenando da sempre per questa partita e domani sarà il tuo giorno. Giocherai e vincerai, perché il ragazzo di cui sono innamorato è un gran vincente, anche se ancora non se ne rende conto”.
Alec rimase interdetto a guardarlo, chiedendosi se Magnus si fosse reso conto delle sue parole.
Da quando stavano insieme non aveva mai detto di amarlo. Gli aveva affibbiato i nomignoli più assurdi, aveva elargito complimenti capaci di farlo arrossire fino alla punta dei piedi, lo aveva abbracciato con dolcezza, lo aveva cullato nei momenti di sconforto…ma mai aveva pronunciato quelle parole capaci di stringergli piacevolmente il cuore.
“Tu…mi ami?”, domandò Alec, strabuzzando quegli occhi azzurri in cui Magnus adorava perdersi, come fossero un oceano colmo di aspettative nel quale immergere le mani, lasciando che l’acqua limpida e fresca lo accarezzasse.
Magnus piegò il capo, quasi stupito da ciò che aveva effettivamente detto. Sapeva da così tanto tempo di amare Alec che quelle parole avevano lasciato le sue labbra in maniera naturale, forse stanche di essere tenute prigioniere e desiderose di vedere la luce.
Il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa ma Alec fu più veloce, baciandolo.
Magnus sorrise nel bacio, portando le mani attorno al suo viso, mentre Alec lo tirava sempre di più a sé, fregandosene del fatto che fossero in mezzo al campo…e stranamente il pensiero che qualcuno potesse vederli non lo scosse nemmeno lontanamente.
Alec si allontanò, poggiando la fronte sulla sua e sorridendo.
“Quando sei con me, sento di poter affrontare tutto…lo sai?”.
“Come quando si assumono steroidi?”, domandò Magnus con un ghigno.
Alec gli rifilò un pizzicotto sul fianco. “Stupido”.
“Se mi cataloghi come una droga, a me va bene”, esclamò l’altro, senza smettere di sorridere. “In fin dei conti, non riesci proprio a fare a meno di me”.
Ed era vero: Alec Lightwood non poteva alzarsi dal letto la mattina senza la consapevolezza che quel giorno – e molti altri giorni a seguire – Magnus Bane sarebbe stato con lui.



Angolo dell’autrice

-    (1) Il titolo e il primo verso sono tratti da “Maps” dei Maroon 5;
-    (2) il secondo verso è tratto da “If I lose myself” degli One Republic:
-    (3) la canzone cantata da Magnus è “All my mistakes” dei The Avett Brothers, lascio il link per chi non la conoscesse http://www.youtube.com/watch?v=lDQc6SMNwgY

Non mi soffermo sull’odio che sto provando per me stessa in questo preciso istante, perché probabilmente risulterei noiosa. Comunque, sono di nuovi qui…sorpresi? Anche questa volta il mio autocontrollo NON ha avuto la meglio, così mi ritrovata a scrivere (ancora!) su questi due e a pubblicare una cosa che non sia una shot e basta, poiché ho deciso di dare inizio ad una raccolta (non molto lunga, penso si aggirerà sui 4-5 capitoli, non di più e le shot non seguiranno una linea temporale precisa). L’idea della coppia in versione “high school” mi ronzava in testa da parecchio e dopo un bel po’ di disagio, ecco il risultato. Non ho molte precisazioni di fare, spero soltanto di averli resi in maniera accettabile anche in questa versione e che non siano troppo OOC: inizialmente, volevo renderli entrambi giocatori della squadra del liceo ma Magnus lo vedo più come musicista, se devo essere onesta. Nelle prossime shot, darò spazio anche altri personaggi. Purtroppo, non so dire con certezza quando arriverà il prossimo capitolo, ma cercherò di aggiornare una volta a settimana (salvo imprevisti). Intanto, spero che questo inizio vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere cosa ve ne pare :)
Grazie di cuore a quelle personcine che mi appoggiano ogni volta che voglio scrivere su questi due bimbi ♥
Alla prossima,
Lily.

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Capitolo 2
*** Higher ***


“All the roads you took came back to me. So I’m following the map that leads to you
The map that leads to you. Ain't nothing I can do. The map that leads to you”.



Maps


II


Higher


 
 “You're a mouthful that amounts for, another week on my own
Now I'm a novel, made resourceful. I start a chain with my thought”
 
 
“Credevo che non saresti più venuto, sai?”.
Magnus gli regalò un sorriso, seduto sul muretto del parco con la chitarra in grembo.
Aveva atteso per diverse ore che Alec lo raggiungesse, e per un attimo credette di aver sperato invano.
Vederlo vincere la partita era stata un’emozione indescrivibile e per tutto il tempo non aveva desiderato altro che raggiungerlo lì sul campo, come avevano fatto i suoi compagni, abbracciarlo e dirgli che era fiero di lui…solo che non poteva.
Avrebbe voluto baciarlo fino a fargli mancare il fiato, fregandosene di tutti ma aveva promesso a sé stesso di rispettare Alec e dargli tempo, nonostante fosse difficile.
“Ed io pensavo che tu non fossi alla partita”, disse Alec, con il respiro affannato e l’aria di chi aveva corso velocemente. “Quando non ti ho visto –“.
Magnus non gli diede il tempo di finire la frase: scese dal muretto, poggiando la chitarra a terra e gli si parò di fronte.
“Non mi sarei perso quella partita per nulla al mondo”.
Tenersi in disparte, fingendo di essere una persona qualunque della sua vita, era difficile.
Alexander Lightwood era il suo centro, e Magnus non poteva gravitargli attorno come voleva.
Aveva tardato qualche minuto prima di arrivare alla partita, con la paura che la sua presenza potesse in qualche modo scombussolare Alec o distrarlo dal suo ruolo, ma non avrebbe potuto perderla per nessuna ragione: non avrebbe mai dimenticato il cambiamento sul volto di Alec nel momento in cui si era finalmente posizionato sugli spalti accanto ad Izzy, che gli aveva stretto una spalla con un sorriso.
Gli prese le mani e Alec ebbe modo di respirare: la certezza di avere Magnus accanto a sé, il ricordo di lui sugli spalti accanto a Izzy, Jace, Clary e Simon, mentre tifava per lui, gli aveva riempito il cuore di così tanta gioia che credeva sarebbe scoppiato.
Poggiò la fronte contro la sua. “Allora hai festeggiato?”.
Alec rise di gusto. “Sì, sono stato con la squadra e con i ragazzi a bere un paio di birre, poi ho finto di sentirmi stanco e di voler tornare a casa”.
“Sei stato credibile?”, domandò l’altro con un ghigno. “Oppure era chiaro agli occhi di tutti che non vedevi l’ora di correre qui da me?”.
Alec arrossì fino alle punte delle orecchie, mettendo un broncio adorabile che Magnus desiderava togliergli a suon di baci.
“Izzy lo sapeva…e forse Jace ha capito qualcosa”.
“Ed è un problema?”, chiese Magnus, accarezzandogli la guancia con il pollice.
“Non saprei”, disse sinceramente Alec, chiedendosi se davvero Jace sospettasse di lui e Magnus. “Ma forse è troppo preso dagli affari suoi per capirci qualcosa...insomma, è Jace”.
“Jace tiene molto a te”, gli fece notare Magnus. “Non sottovalutare questa cosa”.
Alec sospirò, domandando a sé stesso quanto ancora sarebbe durata quella situazione di stasi: la sua famiglia era al corrente della sua omosessualità, eppure Alec si sentiva ancora frenato. Sapeva di essere lui l’ostacolo alla sua stessa felicità, e nessun altro.
Magnus lo strappò via da quei pensieri, sfiorandogli le labbra e sorridendo.
“Basta pensare, Lightwood”, lo rimproverò con un sussurro. “Ora sei con me”.
All’improvviso, si allontanò di scatto da Alec, balzando sul muretto e afferrando la chitarra.
Magnus Bane non era un patito dello sport, ma il suo fisico asciutto gli conferiva un’agilità di cui non faceva molto sfoggio: ogni tanto Alec lo aveva visto fare scatti degni di un giocatore di calcio e salti ben calibrati e armoniosi, come un perfetto ballerino. Se ne stava lì in piedi, come se fosse su un vero palco e pronto a mettere in scena il suo spettacolo riservato solo ed esclusivamente al suo Alec: era un vero divo, non c'erano dubbi.
Cominciò a suonare, mentre Alec si portava le mani alla faccia cercando di non ridere a crepapelle, per poi guardarsi intorno e accertarsi che non ci fosse nessuno. Erano l’una di notte e il parco era – per fortuna – completamente deserto.
“Avevo detto che il mio ragazzo era un vincente”, aggiunse Magnus, guardando l’altro nei suoi occhi azzurri imbarazzati ma carichi di aspettative.
 
“The sky is a long way when covered in rain. You gave me my vision. You gave me my faith.
And now I'm a fighter. I found the flame. You set me alight, alight again.
I was fearless but so easily. I let life fade away the colour of my dreams
Now you're with me, I know I can be…higher, higher than higher”.
 
Dopo la breve performance di Magnus, Alec pensò seriamente di essere prossimo all’autocombustione e non era certo la prima volta.
Ogni volta che Magnus decideva improvvisamente di intonare qualche verso apposta per lui, lo colpiva direttamente al cuore, portandolo a chiedersi cosa avesse fatto per meritarsi qualcosa di così maledettamente giusto e meraviglioso: quelle parole, in particolar modo, parlavano proprio di lui.
Magnus lo portava in alto, dove non era mai arrivato prima.
Prima di lui, Alec non era altro che un leone in gabbia, arreso alla sua prigionia e senza alcuna intenzione di combattere…adesso, invece, le cose erano cambiate. Era ancora spaventato a morte e lo sapevano entrambi, ma Magnus aveva acceso una fiamma in lui, qualcosa di così intenso che Alec non riusciva a descrivere con semplici parole. Magnus Bane lo aveva risollevato, a suon di musica, eccentricità e frasi spiazzanti.
Alec sapeva di poter andare in alto insieme a lui…sempre più in alto.
“Sei completamente pazzo”, gli urlò Alec, una volta che Magnus ebbe finito.
Il ragazzo scese dal muretto con un balzo e senza il minimo sforzo. “Fa parte del mio fascino”, disse con tono vanesio, cingendolo con le braccia e lasciandogli una scia di baci a partire dall’orecchio per poi soffermarsi di più sul collo.
Alec gettò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi e poi trovò le sue labbra, baciandolo con quell’irruenza che Magnus adorava.
Rimasero stretti in quel modo, ignorando completamente la notte che avanzava e lo scorrere veloce del tempo.
C'erano solo loro e nessun altro ad intaccare quel momento di pura perfezione.

 
 
“Allora?”, domandò Jace, portando le mani dietro al capo per distendersi meglio sul letto.
Alec inarcò un sopracciglio, guardandolo con curiosità e timore allo stesso tempo.
C’era malizia nel tono di Jace. Si trattava della classica sfumatura di voce che suo fratello assumeva ogni qualvolta decidesse di dargli il filo da torcere.
“Allora cosa?”, chiese Alec, in risposta, riportando lo sguardo sul libro di biologia.
“Dopo la partita sei sparito”, gli fece notare Jace che stava certamente sorridendo.
Alec non aveva bisogno di voltarsi per capire che espressione avesse assunto.
“Ero stanco”, esclamò il ragazzo, sforzandosi di restare composto, nonostante l’agitazione avesse già iniziato a fare capolino.
“Ah”, rispose l’altro, consapevole del fatto che Alec stesse mentendo spudoratamente, visto che lo aveva udito rientrare a notte fonda.
Jace sospettava qualcosa già da tempo ma, per rispettare la sua privacy, aveva sempre evitato di porgli domande dirette che potessero metterlo in difficoltà. Tuttavia, dopo la partita che fortunatamente aveva visto Alec vincitore, quest’ultimo si era concesso qualche festeggiamento con i suoi compagni di squadra e con i suoi amici per poi volatilizzarsi, accusando una finta stanchezza dovuta al troppo allenamento.
Isabelle aveva fatto finta di crederci, strizzandogli l’occhio in risposta e intuendo al volo con chi Alec intendesse davvero trascorrere il resto della serata. Jace, invece, non aveva detto nulla, limitandosi ad inarcare le sopracciglia con la solita aria di chi ne sapeva sempre una più del diavolo.
Quando Jace assumeva quell’atteggiamento, c’era sempre da preoccuparsi: ad Alec ricordava un po’ uno scorpione che si preparava a colpire nel momento più opportuno. Infatti, Alec non sapeva che la stilettata di Jace sarebbe giunta a momenti.
“Hai qualcosa sul collo”, esclamò il fratello, rimanendo poggiato sul letto e guardandosi le unghie con finta indifferenza, mentre Alec tentava di non agitarsi, ovviamente senza risultati, visto il battito che aumentava sempre più.
La mano di Alec corse alla gola. “Cosa?”.
“Sembra il segno di un morso”, continuò il biondo, con la voce sfumata da un leggero ma non impercettibile divertimento. “Ma cosa hai fatto tutta la notte?”.
“Nulla”, rispose Alec, rosso come un peperone e continuando a fissare la pagina del libro senza leggerla davvero. “Ho dormito…solo che poi sono caduto dal letto”.
“E sei caduto sul collo?”, insistette Jace, mentre un sorriso palesemente compiaciuto – che però sembrava più un ghigno beffardo – gli illuminava il volto. (1)
“Probabile”, dichiarò Alec, tossendo e con la mano ancora serrata sul collo.
Jace sorrise, senza aggiungere altro: per quel pomeriggio lo aveva tormentato abbastanza.
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • (1) le battute tra Jace e Alec sono tratte da “Città di Cenere”, precisamente dalla parte in cui Jace fa notare a suo fratello un morso sul collo abbastanza “sospetto”;
  • il primo verso è tratto dalla canzone “Talk is cheap” di Chet Faker;
  • la canzone cantata da Magnus è “Higher than Higher” dei Take That.
 
Ecco la seconda shot, anche se un po’ in ritardo!
A rileggerla mi vengono le carie, perché ci ho messo un po’ troppo fluff, quindi vi avverto: nelle prossime, ci sarà angst a palate.
Comunque, spero vi sia piaciuta. Alla fine, sono riuscita a seguire una linea temporale, visto che il secondo capitolo si svolge dopo la partita di cui Alec parla nella prima shot, quindi stavo pensando di fare un cambiamento e rendere questa storia una mini-long (che rimarrà sempre sui 5 capitoli), invece che una raccolta: se con la terza shot, riesco a mantenere questo filo, allora apporterò questa piccola modifica. Credo di non avere molte precisazioni da fare, spero solo che la shot vi sia piaciuta e se vi va, fatemi sapere cosa ve ne pare (se ci sono errori, vi invito sempre a farmelo presente).
Ormai Magnus che canta è un elemento che sarà presente abbastanza spesso e, come ho già detto, questo fluff è temporaneo perché – da quello che ho in mente – per Alec e Magnus non ci saranno momenti felici nei prossimi capitoli…triste ma vero u.u
Ringrazio tutte le persone che mi seguono, che hanno letto/recensito e messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate: siete gentilissimi e grazie per essere arrivati anche questa volta fin qui ♥
Alla prossima,
Lily.
 

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Capitolo 3
*** I just wanna be yours ***


“All the roads you took came back to me. So I’m following the map that leads to you
The map that leads to you. Ain't nothing I can do. The map that leads to you”.
 

Maps

 
III
 
 I just wanna be yours



“I look into your eyes, diving into the ocean. I look into your eyes, falling!
Like a wall of stars, we are ripe to fall”.
 
 
Alec Lightwood si sentiva sereno per la prima volta, senza la paura di doversi nascondere in un angolo e senza la fretta che era solito provare quando si trovava insieme a Magnus. Sorrise, allargando di più le braccia e sprofondando nel morbido materasso di Magnus, cercando di sorvolare sul colore rosso in contrasto con quello blu elettrico delle pareti.
Si sollevò sui gomiti, scrutando la camera del suo ragazzo.
La stanza rispecchiava perfettamente la sua personalità con tutti quei colori accesi che esplodevano nel mezzo della camera, poster appesi un po’ ovunque e vestiti sparsi come se un tornado fosse appena passato.
Dischi musicali di ogni genere tappezzavano le mensole, così come i vinili e biglietti di concerti – e ne erano davvero tanti – appesi in un quadretto.
Non c’erano foto nella camera di Magnus, nessuna cornice che racchiudesse il viso felice di un bambino in braccio ai suoi genitori, nessun ricordo d’infanzia che lo rappresentasse.
Da quel punto di vista, la stanza di Magnus appariva quasi smorta: così adulta, e senza nessuna traccia di innocenza infantile.
Magnus non voleva mai parlare di quel periodo della sua vita, e Alec non aveva insistito più di tanto, sapeva soltanto che era stato adottato, ma dei suoi genitori naturali o dei suoi anni prima di essere affidato alla sua famiglia attuale, neanche un accenno.
Lo stesso silenzio vigeva per il suo passato sentimentale.
Alec sapeva di non essere il primo ragazzo di Magnus, ma quest’ultimo non aveva mai voluto parlare delle sue storie passate, dettaglio che spesso lo feriva. Non voleva certo costringerlo, ma in momenti simili non poteva ignorare il groppo che gli si formava in gola. Una paura gelida si faceva strada nelle sue vene, ricordandogli quanto poco sapesse di Magnus, e di ciò che era stato prima di incontrarlo.
Tuttavia, Alec non voleva dare credito a quei pensieri, non quella sera.
Non fece neanche in tempo ad alzarsi, che Magnus entrò in camera e lo travolse, facendolo ricadere sul materasso con un tonfo e sorridendo sulle sue labbra, prima di baciarle. Alec portò una mano sulla sua nuca, per tenerlo ancorato a sé.
Una strana concatenazione di eventi aveva fatto sì che i genitori di Magnus decidessero di partire per una mini-vacanza, lasciandogli casa libera, così il suo ragazzo aveva ben pensato di impiegare quel tempo libero con Alec, senza che nessuno li tenesse separati.
Alec aveva pensato a lungo ad una scusa credibile da rifilare ai suoi genitori, e alla fine aveva optato per una nottata a casa di un suo compagno di squadra, a base di pizza e videogiochi. Quello che Alec non si aspettava era la complicità di sua sorella, che aveva bonariamente deciso di assecondare la sua copertura. Non c’era bisogno di parole con Izzy, perché ogni volta che Alec apriva bocca per mentire, lei lo fermava: sembrava leggerli il nome di Magnus direttamente in faccia, ritenendo inutile ogni possibile spiegazione proveniente dalle labbra di suo fratello.
“Stavi ammirando la mia tana?”, domandò Magnus, sfiorando il naso con il suo e mostrandosi sempre perfetto, anche se in pigiama, con dei pantaloni blu leggermente sgualciti e una maglietta con la scritta “Blink, if you want me”.
“E’ piuttosto pittoresca ma confortevole”, dichiarò Alec, lasciando vagare lo sguardo.
“E la tua presenza la rende ancora più accogliente”, sussurrò l’altro, premendo ancora le labbra sulle sue mentre sentiva Alec sciogliersi ad ogni tocco.
Quando Magnus si allontanò da lui, un brivido di freddo scosse Alec, facendolo sussultare.
“Metti i vestiti lì. Io vado a ordinare le pizze e poi mi metto a lavoro”.
“Lavoro? Mi hai fatto venire qui per vederti strimpellare con la chitarra?”.
“Andiamo, come se non ti piacesse”, lo rintuzzò Magnus, sfiorandogli il collo con le labbra.
Magnus gli regalò un ultimo bacio a fior di labbra, per poi alzarsi, provocando in Alec un grugnito di disapprovazione che lo fece sorridere.
“Per caso puoi prestarmi una maglietta del pigiama?”, chiese Alec, ancora disteso sul letto del ragazzo, cercando disperatamente la voglia di alzarsi.
Magnus gli rivolse un sorriso diabolico che non lasciava prevedere nulla di buono.
Quando cominciò a sfilarsi la maglietta, Alec credette di soffocare a causa della sua stessa saliva, sbarrando gli occhi e fissando senza alcun ritegno il torace di Magnus.
Il ragazzo – o come lo stava definendo Alec, il bastardo – gli lanciò la maglietta e ne prese una al volo dalla poltrona vicino al muro, infilandosela con espressione vittoriosa.
“Esibizionista”, borbottò Alec mentre si infilava la maglietta e Magnus usciva dalla camera.
Alec sospirò, tirando fuori i vestiti per il giorno dopo dal suo zaino e avvicinandosi alla cassettiera indicatagli da Magnus per riporli al suo interno.
Aprì il primo cassetto, trovandolo vuoto, e gli si strinse il cuore al pensiero che Magnus avesse lasciato un cassetto apposta per lui, quasi come per offrirgli un posto fisso. Quando lo richiuse, quello che sembrava essere un pezzo di carta svolazzò fuori, probabilmente rimasto incastrato tra il primo e il secondo cassetto. Alec si abbassò, accorgendosi che si trattava di una foto.
Un Magnus completamente differente dal suo gli sorrideva, con i capelli più corti, una camicia a quadri di flanella e un look del tutto diverso da quello che aveva adesso: era abbracciato ad altre tre persone, ma l’attenzione di Alec venne catturata da un ragazzo alla sua sinistra, con una zazzera di capelli neri scompigliati e gli occhi azzurri.
Il suo sguardo era genuino, e per quanto la posa fosse chiaramente amichevole, c’era qualcosa in quella foto che lo aveva turbato all’istante.
“Allora, pizza al formaggio per te e con i funghi per me”, esordì Magnus, facendo il suo ingresso nella camera. “Ne ho presa anche una terza e una porzione di patatine nel caso avessi ancora fame”.
“Ehi, e questa?”, domandò Alec, sventolando la foto con un sorriso.
Magnus non reagì come Alec aveva sperato, ovvero fulminandolo con lo sguardo per poi rincorrerlo, strappandogli la foto dalle mani.
Anzi, il suo sguardo si fece cupo.
“Vecchi amici”, rispose Magnus, avvicinandosi ad Alec per prendere la foto e guardandola come se gli facesse male. “Lei è Tessa e lui è Will”. (1)
“Vecchi amici?”, domandò Alec, sperando che la sua espressione non lo tradisse, mostrando il suo timore silenzioso. “Potrei conoscerli”.
“Non credo, Alec”, dichiarò il ragazzo, abbassando gli occhi. “Lui è morto”.
Alec rimase paralizzato da quell’affermazione, e l’unica cosa sensata che pensò di poter fare era scusarsi con il suo ragazzo, imbarazzato.
Magnus non sembrò badarci, e gli sorrise, scoccandogli un bacio.
Eppure, qualcosa si era infiltrato nel cuore di Alec, come una spina appuntita che aveva cominciato a circolare in lui, rendendolo inquieto e dolorante.
Quel ricordo spiacevole aveva confermato una paura appena accennata ma che sonnecchiava in lui, in attesa di essere finalmente risvegliata.
Alec Lightwood non sapeva quasi nulla del passato di Magnus Bane.
“Mentre aspettiamo le pizze, finisco un attimo una cosa, ok?”, esclamò Magnus, poggiando la foto sulla scrivania con un delicatezza silenziosa che non sfuggì ad Alec.
Il ragazzo riuscì solo a fare un cenno con il capo, mentre Magnus gli baciava la fronte.
Quando Alec rimase nuovamente solo nella camera del musicista, qualcosa prese a muoversi dentro di lui.
Una paura gelida si fece strada nelle sue vene, ricordandogli quanto poco sapesse di Magnus, e di ciò che era stato prima di incontrarlo. E quell’episodio apparentemente insignificante non aveva fatto altro che alimentare quella paura.
Magnus Bane non era un libro aperto, a differenza di Alec, che gli aveva permesso di scandagliare il suo animo e il suo cuore come se fosse la cosa più semplice da fare, lasciando parte delle sue paure fuori dalla porta.
Il suo sguardo, tuttavia, sembrava celare la malinconia di interi anni, allontanandolo così tanto che Alec non aveva la benché minima idea di come raggiungerlo. A dividerli c’era un oceano incommensurabile di cose non dette. (2)
Quando Alec raggiunse Magnus nel soggiorno, lo trovò seduto sul divano, con la chitarra in grembo mentre una mano scribacchiava qualcosa sul suo quaderno. Alec si sedette sul bracciolo del divano, mentre Magnus continuava a comporre note.
“Cosa suoni?”, chiese, osservando le sue dita lunghe che si contraevano.
“Qualcosa”, rispose Magnus in modo vago e regalandogli un sorriso sornione.
Alec sapeva quanto Magnus tenesse alla concentrazione in momenti come quelli, così si limitò a ricambiare il suo sorriso.
Il suo sguardo si posò sul quaderno di Magnus, aveva la copertina in pelle nera e sulla superficie erano riportate due iniziali bordate in oro: W. H.
“Chi è W.H.?”, chiese Alec, senza riuscire a fermarsi, come se il suo corpo sentisse il bisogno impellente di rivolgere quella domanda.
Magnus non sembrò irrigidirsi. “Un regalo di un vecchio amico”.
Un vecchio amico: quella definizione colpì Alec, facendo riaffiorare tutti quei pensieri che lo avevano travolto poco fa e ricordandogli il Will della foto.
“Un vecchio fidanzato, forse”, gli fece notare con tono pungente.
Magnus non si voltò a guardarlo, ma ad Alec bastò vedere la curva che le sue spalle avevano assunto per capire quanto quell’affermazione avesse smosso il bersaglio.
“Alec, non-“.
“Sono solo un numero del tuo elenco?”, chiese a bruciapelo. (3)
“Cosa? Assolutamente no”, rispose Magnus, sbattendo le palpebre come per ridestarsi.
“Sei sicuro? A me invece sembra esattamente così. Io sono solo un numero del tuo elenco di giocattoli. Uno se ne va e ne prendi un altro”. (3)
Gli occhi di Magnus erano fissi sul suo volto, spaventati e straniti, come se le parole di Alec lo avessero ferito e sorpreso allo stesso tempo, eppure non proferiva parola.
Alec si alzò di scatto, passandosi una mano tra i capelli, mentre una valanga di parole premeva contro le sue labbra per uscire e schiantarsi addosso a Magnus.
“Non so nulla di te. Vuoi parlare tutto il giorno dei problemi degli altri ma di te e della tua storia non dici nulla, e quando ti faccio una domanda ti contorci come un verme su un amo”. (4)
“Quando abbiamo iniziato a stare insieme, sapevi a cosa stavi andando incontro”, ribattè Magnus, alzandosi a sua volta e assumendo un tono per nulla comprensivo, come se stesse ricordando ad Alec di aver firmato un accordo svantaggioso a cui non poteva sottrarsi.
“Cioè una storia a senso unico? Una relazione in cui io parlo e tu no?”.
“Una relazione tra due persone mature”.
“Ah, quindi io sono immaturo”, dedusse Alec con un sorrisetto sarcastico. “Forse non ho la giusta esperienza per stare con un uomo vissuto come te, forse non sono come Will”.
Magnus alzò gli occhi al cielo, gesto che fece solo stizzire maggiormente Alec.
“Will non centra nulla, e non era ciò che intendevo. Se davvero mi ami, è un limite che devi accettare, come io riesco ad accettare i tuoi, senza costringerti. E se non riesci a venire a patti con questa cosa, allora forse non dovremo stare insieme”.
Quell’ultima affermazione lo fece vacillare, mentre il suo cuore perdeva un battito.
Ad Alec sembrò di essere su un campo di battaglia, con Magnus che gli lanciava colpi a tutta forza, mentre lui cercava di pararli con scarsi risultati.
“Parli del fatto che non voglio ancora dire a tutti di noi, vero?”, il tono di Alec si era fatto più basso, completamente diverso da quello che aveva assunto inizialmente.
Magnus sgranò gli occhi, portandosi le mani ai lati della testa e sospirando. Forse non era quello che intendeva dire, eppure lo aveva fatto, scoccando una freccia che aveva colpito in pieno il cuore di Alec, ricordandogli come tenesse in gabbia la loro storia.
“Alec, mi dispiace. Io – “-
“Hai detto abbastanza”, lo interruppe subito Alec. “Ora è meglio che vada”.
Magnus non gli corse dietro, né cerco di dire altro mentre Alec raccoglieva velocemente le sue cose per andare via dal loft il prima possibile, senza neanche voltarsi verso di lui.
Nella fretta, Alec non si era neanche accorto di avere ancora addosso la sua maglietta.
Una parte di lui sperava con tutto il cuore che Alec lo guardasse, che gli corresse incontro, buttandogli le braccia al collo e baciandolo senza sosta.
Un’altra parte di lui, invece, immaginava di afferrargli il polso per fermarlo e premere le labbra sulle sue, ripetendogli quanto gli dispiacesse fino allo sfinimento. Magnus, però, non assecondò nessuna delle due. Semplicemente rimase a fissare Alec mentre scappava via…perché forse era la cosa più giusta che potesse fare per entrambi.
Alec Lightwood brillava di luce propria, creava un’esplosione di luce in grado di oscurare completamente tutto quel passato doloroso che Magnus non voleva vedere. Ma nel momento esatto in cui Alec chiuse la porta alle sue spalle, tutta l’oscurità che Magnus aveva cercato di tenere a bada gli si rovesciò addosso, lasciandolo solo.
 
 

“And I am feeling so small. It was over my head. I know nothing at all.
And I will stumble and fall, I’m still learning to love, just starting to crawl”.
 

Il cuore di Alec batteva all’impazzata nel petto mentre il ricordo dell’ultima volta che lui e Magnus avevano parlato riaffiorava violentemente nella sua testa, graffiandogli la pelle e togliendogli il respiro, costringendolo ad annaspare in cerca di ossigeno.
La testa gli vorticava, mentre quella canzone trasmessa per puro caso alla radio gli entrava nelle vene, come una sostanza velenosa messa in circolo e che prendeva la via del cuore. Alec sentiva di doversi alzare dal letto e spegnere la radio, o meglio, lanciarla dalla finestra.
Non sentiva Magnus da almeno una settimana, e nessuno dei due aveva cercato l’altro.
Si chiese se anche lui fosse nelle sue stesse condizioni, chiuso in camera, a rigirarsi il cellulare tra le dita, chiedendosi se fosse giusto chiamarlo o meno.
Quando Magnus gli aveva detto che avrebbe dovuto accettarlo senza fare domande, Alec non conosceva abbastanza dell’amore per capire quella strana richiesta, così aveva ignorato le conseguenze che presto avrebbero travolto entrambi.
Magnus, però, non gli aveva detto i dettagli più importanti.
Non gli aveva detto che le cose sarebbero andate in quel modo.
Non gli aveva detto che avrebbe dovuto accettare tutto quel silenzio.
Non gli aveva detto che un giorno sarebbero arrivati ad un punto di non ritorno.
Alec non sapeva nulla di Magnus, e lui non aveva mai dimostrato l’intenzione di cambiare le cose, non gli aveva mai raccontato nulla di sé e della sua vita: ricordi d’infanzia, racconti sulla sua famiglia, il primo amore, la prima volta che qualcuno gli avesse spezzato il cuore.
Intanto, le lacrime bruciavano nei suoi occhi, premendo per uscire, e Alec dovette sbattere le palpebre diverse volte per tentare inutilmente di ricacciarle. Si rannicchiò su sé stesso, mentre la stanza si faceva più buia.
Alec non si sarebbe alzato per accendere la luce.
 

“Say something, I’m giving up on you. I’m sorry that I couldn’t get to you.
Anywhere, I would’ve followed you. Say something, I’m giving up on you.
And I will swallow my pride. You’re the one that I love and I’m saying goodbye”.
 

Le dita di Magnus tremavano, mentre si muovevano sulla chitarra.
I suoi movimenti non erano gli stessi di sempre.
Qualcosa rendeva il tutto più inquieto, mentre una nota storta ricorreva più e più volte, gettando solo maggiore incertezza nella sua musica.
Tuttavia, nessuno ci avrebbe fatto caso…nessuno, fatta eccezione per Alec Lightwood.
Se Alec fosse stato lì, seduto sul letto accanto a lui, sarebbe stato in grado di andare oltre, di cogliere la nota storta, vedendo realmente Magnus e il dolore nei suoi occhi.
Era passata una settimana dalla sfuriata avvenuta a casa di Magnus, nessuno dei due aveva cercato l’altro…ed era finita, nonostante non lo avessero detto a voce alta.
Magnus aveva fissato il telefono più volte con la speranza che suonasse, spesso lo aveva anche afferrato, pensando di mandare tutto al diavolo e chiamarlo, ma non lo aveva fatto.
Era come se il suo corpo gli stesse dicendo di restare immobile, lasciare che Alec vivesse una storia normale con un ragazzo più adatto a lui…qualcuno che potesse dargli ciò che desiderava: complicità, stabilità e – cosa più importante – sincerità sul proprio passato.
Quelle erano cose che Magnus non sarebbe mai riuscito a donargli.
Credeva che tutto il suo amore sarebbe bastato, ma si era illuso.
Chiuse gli occhi, mentre continuava a suonare e – come ogni volta – vide il volto di Alec Lightwood in tutta la sua meraviglia: i suoi occhi blu, la forma del suo viso, i suoi capelli spettinati, la curva delle sue labbra, le sue sopracciglia aggrottate per gli atteggiamenti assurdi del suo ragazzo, il rossore che gli invadeva le guance ad ogni bacio. Alec era lì, davanti ai suoi occhi, e forse non sarebbe mai andato via.
Il cielo fuori dalla finestra cominciava a scurirsi, mentre il buio faceva capolino.
Continuò ad intonare quella canzone straziante, lasciando che gli facesse male ad ogni parola, come tanti piccoli aghi che gli si infilzavano nella pelle.
Intanto, l’oscurità lo avvolgeva lentamente e la camera si faceva più buia.
Magnus non si sarebbe alzato per accendere la luce.
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • (1) ovviamente, si tratta di Will Herondale, premetto che non ho ancora letto la saga di The Infernal Devices e non so molto della sua storia o del rapporto con Magnus;
  • (2) rimaneggiamento di una frase di Città delle Anime Perdute: “A dividerli c’erano incommensurabili oceani di tempo”;
  • (3) altro rimaneggiamento sempre da Città degli Angeli Caduti;
  • (4) frase tratta da Città delle Anime Perdute;
  • il primo verso è tratto da “Too late” di M83;
  • la canzone che viene ascoltata per radio da Alec e cantata da Magnus è “Say something” di Christina Aguilera feat. A Great Big World.
 
Beh, avevo detto che avrei rimediato con l’angst, no?
Ok, siete liberi di linciarmi, gettarmi pomodori, ortaggi, mattoni, insomma tutto quello che vi capita a tiro, perché so di aver fatto davvero del mio peggio. Se lo scorso capitolo era troppo fluff, questo è praticamente l’opposto. Comunque, come vi avevo accennato, visto che sono riuscita a seguire una linea temporale, la storia non è più una raccolta di one-shots ma una mini-long, spero siate contenti :)
Come spero abbiate notato, ho pensato di riutilizzare alcune frasi della saga per questo capitolo. Non credo di avere altre precisazioni da fare, questo capitolo onestamente non mi piace moltissimo, mi sembra di aver esagerato sul serio.
Volevo trovare un motivo che gettasse Alec e Magnus nel panico, costringendoli ad allontanarsi del tutto e spero sia credibile e non scontatissimo come sembra a me. Fatemi sapere cosa ve ne pare con un commentino, se vi va!
Dite che le cose tra questi bimbi si rimetteranno a posto?
Grazie a tutti coloro che seguono, leggono, recensiscono e mettono tra le preferite/seguite/ricordate…siete tutti dei tesori ♥
Alla prossima,
Lily.

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Capitolo 4
*** My youth is yours ***


“All the roads you took came back to me. So I’m following the map that leads to you 
The map that leads to you. Ain't nothing I can do. The map that leads to you”.
 

Maps

IV
 
My youth is yours

 
 
“Hello from the outside.
At least I can say that I’ve tried to tell you I’m sorry, for breaking your heart”.
 
 
“Alec, devi mangiare qualcosa”.
Il diretto interessato emise uno sbuffo per cercare di far capire a sua sorella Izzy che, no, non avrebbe mangiato, nonostante i suoi rimproveri da mamma apprensiva.
“Ha ragione, non hai toccato cibo”, le diede man forte Simon, tenendo un braccio attorno alle sue spalle e Alec quasi tornò a quando ancora non lo vedeva di buon occhio, desiderando staccargli il suddetto braccio, e a quel punto si rese conto che, sì, forse aveva bisogno di mangiare davvero qualcosa.
“Tieni”, esclamò Jace, piazzandogli davanti un hamburger di dimensioni considerevoli con tanto di patatine e un bicchiere di Coca Cola. “Mangia”.
La sua non era una richiesta e Alec rimase spiazzato dal tono categorico della sua voce, mentre gli altri, Clary in particolare, sghignazzavano divertiti a quella scenetta. “Grazie, mamma”, commentò, senza preoccuparsi di apparire irritato da tutte quelle attenzioni e decidendosi a dare un morso all’hamburger, accorgendosi che Jace aveva praticamente rinunciato alla sua cena per assicurarsi che mangiasse.
“Una madre che si è letteralmente tolta il cibo per nutrire il figlio”, gli fece notare Clary con un sorriso soddisfatto stampato in volto, mentre Jace la fulminava con lo sguardo, per poi finire a darle un bacio sul naso, cosa che quasi fece vomitare Alec.
Ormai era diventato allergico a tutte le manifestazioni di affetto, qualunque fosse la loro natura e i loro amici non avevano tardato ad accorgersene, eppure continuavano a coinvolgerlo in un uscite del genere dove, in un modo o nell’altro, lui finiva sempre per essere quinto incomodo in mezzo a coppiette ormai consolidate. Tuttavia, lo aveva voluto anche lui.
Si chiese cosa stesse facendo Magnus in quel preciso istante e dovette deglutire a forza per non rigettare l’hamburger.
Era passato più di un mese dalla loro rottura. Un mese di silenzio assoluto, senza nessuna chiamata o messaggio, soltanto qualche sguardo fugace lanciato nei corridoi ma nulla di più. Nessuno dei due se la stava passando bene, era evidente: non erano altro che due spettri vaganti, alla disperata ricerca di ciò che li teneva ancora incatenati alla vita terrena.
Avrebbe tanto desiderato corrergli incontro e stringerlo, solo per dirgli quanto gli mancasse.
Sapeva che sia Simon che Jace avevano provato a parlargli – grazie ad Izzy – ma Alec non aveva voluto ascoltare, perché riusciva ad immaginare le parole di Magnus. Probabilmente lo aveva definito un codardo, e forse aveva detto a Jace di conservare le prediche per quel coniglio di suo fratello, invece di scocciare lui. Perché, sì, era davvero un codardo ma Magnus – dal canto suo – se l’era cercata, non poteva continuare a stare con lui, pretendendo di non ricevere domande sul suo passato.
Certo, Alexander Lightwood non era l’essere più coraggioso al mondo in fatto di sentimenti e tremava solo al pensiero di confessare al mondo la sua omosessualità, ma si era aperto con Magnus, gli aveva confidato ogni cosa, aveva lasciato che fosse il “primo” in tutto, smettendola di vergognarsi e sentirsi come una ragazzina alla prima cotta. Lo aveva accolto nella sua routine e nel suo cuore…ma Magnus, evidentemente, non era mai stato intenzionato a contraccambiare fino a quel punto, così profondamente. I pensieri di Alec vennero interrotti da una figura in piedi vicino al tavolo.
Alzò lo sguardo, accorgendosi che si trattava di Rafael, amico di Simon e – in un certo senso – anche di Magnus.
Non aveva mai capito con esattezza quale fosse il loro rapporto, ma nulla escludeva la possibilità che quel bel ragazzo dalla pelle ambrata potesse essere uno dei suoi tanti fidanzati, ormai Alec non si stupiva più di nulla.
“Voi venite alla festa di stasera?”, stava domandando Rafael. “Andiamo, non fate sempre i soliti asociali chiusi nel vostro circoletto, amigos. Al Pandemonium. Ci sarà tutta la scuola”.
“Da quando ti occupi delle pubbliche relazioni?”, chiese Izzy, guardandolo con un sopracciglio alzato mentre Simon se la rideva.
Il ragazzo poggiò il gomito sulla spalla di Simon. “Si da il caso che io abbia sempre sponsorizzato buona musica e divertimento garantito, come nel caso di questo signorino qui e della sua banda di sfigati strimpellanti”.
“Ehi!”, lo riprese Simon, dandogli una spinta, ma con fare giocoso.
“E’ la festa di fine anno e poi suonerà Magnus, non posso evitare di fargli pubblicità”.
Per un attimo, Alec avrebbe giurato di vedere Rafael rivolgergli uno sguardo con la coda nell’occhio ma forse se lo era immaginato, cercando di ignorare quell’ultima affermazione. Eppure, non era servito a nulla: solo sentire il suo nome gli aveva fatto passare la fame.
 
Magnus emise un sospiro affranto, cercando ancora una volta di riprodurre quella maledetta nota che sembrava sfuggirgli ogni volta, ma l’ennesimo fallimento gli fece solo salire il sangue alla testa, spingendolo a scaraventare la chitarra sul divano.
Si alzò in piedi, portandosi le mani tra i capelli con fare esasperato.
Possibile che avesse dimenticato come si suonava? Possibile che avesse perso completamente quel poco di talento che aveva?
Possibile che da quando Alec non era più insieme a lui, Magnus Bane fosse diventato un completo fallito e incapace?
“Vuoi smetterla di fare casino?”, chiese Ragnor, entrando in casa con una busta della spesa probabilmente piena di schifezze. “Ti sento dalle scale”.
Magnus si gettò a peso morto sul divano, osservando il suo amico e chiedendosi cosa avesse fatto per meritarlo: si muoveva come se fosse a casa sua, perfettamente suo agio mentre riponeva ogni cosa al suo posto. Si passò una mano tra i capelli chiari.
Ragnor Fell - conosciuto quando era soltanto un bambino in orfanotrofio in attesa di essere adottato – non lo aveva mai abbandonato dal giorno in cui si erano incontrati, nonostante lo trattasse come se fosse l’essere peggiore che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Ragnor era stata la prima persona a cui aveva confessato di essere gay e che gli aveva risposto con una scrollata di spalle ed una frase che gli aveva praticamente fatto cascare le braccia: “Si capiva da come guardavi Adam Levine in tv”.
Dietro di lui, arrivò anche Catarina, che chiuse la porta alle sue spalle, guardando poi Magnus con un’espressione decisamente disgustata.
“Una doccia, no?”.
“State facendo i crocerossini con me?”, domandò Magnus, notando quanto effettivamente i suoi più cari amici d’infanzia – in realtà, gli unici – lo stessero trattando come un malato che aveva bisogno di cure attente, visto che in quei giorni si erano presentati a casa sua alle ore più improbabili, restandoci per diverso tempo e senza preoccuparsi di creare fastidio.
“E’ anche abbastanza evidente”, dichiarò Catarina, lanciandogli un’espressione così ovvia da sembrare finta e spostandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
“Adesso dirà che non ne ha bisogno”, aggiunse Ragnor, spalmando una generosa quantità di Nutella su diverse fette di pane tostato, porgendone prima una a Catarina e poi a lui.
“Puoi smetterla di trattarmi come una ragazzina appena lasciata dal fidanzato?”.
“Ma tu sei una ragazzina che è stata lasciata”.
“Sono stato io a lasciare Alec, in realtà”, la corresse Magnus, ricordandolo a malincuore.
“Già, e non la stai affrontando come se ti andasse bene, caro mio”.
Magnus si lasciò andare ad un gemito di frustrazione, volgendo lo sguardo verso il soffitto, mentre Ragnor e Catarina prendevano posto sulle poltrone ai lati del divano.
“Dovresti darti da fare con questa canzone, sai?”, gli fece notare la ragazza, carezzando con una mano le pieghe della sua gonna nera svolazzante. “Altrimenti farai schifo”.
“Non posso suonare”, esclamò, scuotendo il capo. “Non posso”.
“Ci risiamo”, lo cantilenò Ragnor, preparandosi a sentire una delle sue lamentele.
La porta di casa si spalancò all’improvviso, ricordando a Magnus che avrebbe dovuto seriamente togliersi l’abitudine di lasciar entrare quei pazzi in casa sua, soprattutto quando i suoi genitori erano fuori per lavoro: questo dava loro ancora più libertà.
“Dios mio, che scenario patetico”.
Rafael si bloccò sulla porta di casa Bane, osservando i suoi amici che sembravano un vero e proprio ritratto della depressione più pura, buttati su divano e poltrone, armati di Nutella. “Qualcosa mi dice che devo risollevare la situazione”, disse lui più a sé stesso che agli altri, chiudendosi la porta alle spalle con un profondo sospiro. “Questo sarebbe il grande musicista a cui ho fatto pubblicità? Bane, dovresti vergognarti”.
Magnus lo ignorò, continuando a guardare il soffitto con maggiore intensità e pensando a tutti i momenti che avrebbe desiderato trascorrere su quel divano insieme ad Alec. L’immagine di loro due distesi lì, abbracciati e mezzi addormentati, con Magnus che guardava verso l’alto con un sorriso da ebete in volto, si presentò a lui come un vero pungo nello stomaco: un sogno che non avrebbe preso forma, mai più.
Casa sua era davvero diventata vuota da quando Alec era uscito dalla sua vita, così come la sua anima: era diventata gelida, museo triste e abbandonato testimone di tutti i momenti passati insieme, a suonare e cantare per Alec, a baciarsi senza sosta, a sfiorarsi fino a perdere fiato mentre il cuore quasi balzava fuori dalla cassa toracica. Magnus aveva lasciato che Alec andasse via, senza provare a fermarlo. Lo aveva visto spesso a scuola, constatando quanto fosse praticamente diventato il fantasma di sé stesso, ma probabilmente Alec avrebbe potuto dire la stessa identica cosa di lui.
Tutti i suoi fidati glitter erano spariti, insieme allo smalto colorato e la linea nera che era solito mettere per sottolineare il suo sguardo magnetico e felino: quel Magnus non c’era più, al suo posto era arrivato un ragazzo con i capelli spettinali e totalmente neri, senza alcuna traccia di luce ad evidenziarli, ed uno sguardo spento, privo di ogni emozione.
Aveva perso tutto il suo modo di essere, tutto ciò che lo rendeva Magnus Bane.
Davvero la perdita di un amore era in grado di provocare simili perdite?
Magnus avrebbe tanto voluto rispondere, e lo avrebbe fatto volentieri, se solo ci fosse stato qualcun altro prima di Alec a farlo innamorare in quel modo viscerale. Certo, aveva avuto altre storie ma Alec Lightwood…
“Ah, credo che domani sera verranno anche Alec e l’allegra brigata”.

“Cosa?”.

Alec non voleva andarci e non ci sarebbe andato, non avrebbe varcato la soglia di quel dannato locale. Non aveva intenzione di arrivare lì solo per ritrovarsi Magnus Bane al centro della sala, intento a suonare e farlo sentire più triste di quanto non fosse già.
“Andiamo, Alec! Dovresti venire”, esclamò Izzy, facendosi più vicina e mantenendo un tono di voce così flebile e speranzoso che ad Alec quasi fu tentato di accettare, solo ed esclusivamente per fare felice sua sorella...ma non poteva.
“Non posso”, dichiarò lui lapidario e irremovibile come una statua di sale.
Jace si scambiò uno sguardo complice con sua sorella, lanciandosi un segnale silenzioso noto solo a loro mentre Clary e Simon li fissavano con espressioni mortificate. Alec odiava creare tutto quel disagio all’interno del suo gruppo di amici, motivo che lo portò a credere ancora di più quanto dovesse restare solo, senza dare fastidio: loro stavano insieme ed erano felici, perché proprio lui doveva intaccare la loro quiete?
“Andate, davvero”, continuò Alec, buttandosi sul divano e preparandosi ad un’altra maratona di Supernatural. “Io starò qui e ordinerò una pizza”.
“Solo…chiamaci, ok?”, dichiarò Jace, fissando gli occhi nei suoi. Sembrava volesse dirgli se hai bisogno di me, ti prego, chiama, ed era quello che Jace stava davvero cercando di fargli capire, Alec questo lo sapeva e gli rivolse un mezzo sorriso, colmo di gratitudine.
Quando uscirono dalla casa dei Lightwood, chiudendo la porta alle loro spalle, Alec sentì il peso dei suoi pensieri farsi sempre più insostenibile.
Accese la tv, sperando che il suono potesse sovrastare quello che rimbombava in continuazione all’interno della sua testa, senza dargli pace.
Chiuse gli occhi, strinse le palpebre e serrò le labbra, concentrandosi solo sulle voci di Sam e Dean Winchester che se ne andavano a caccia di demoni insieme all’angelo Castiel. Non doveva pensare a Magnus. Non voleva pensare a Magnus.
Lui era lontano, al Pandemonium, a suonare la versione acustica di qualche canzone.
Forse poteva essere una canzone dedicata a lui e quel pensiero lo scosse.
“Alec?”.
Il ragazzo quasi saltò dal divano, riaprendo gli occhi immediatamente e voltandosi di scatto, spaventato, verso suo padre, in piedi dietro al divano che lo fissava con le mani nelle tasche. “Papà”, disse lui. “Non sapevo fossi in casa”.
“Sono appena rientrato”, rispose, passandosi una mano dietro al collo, improvvisamente a disagio. Il suo volto era stanco, la barba incolta di qualche giorno e gli occhi sembrava volessero chiudersi da un momento all’altro. “Scusa, ti ho svegliato”.
“No, non stavo dormendo, solo-“, si interruppe, facendo segno alla televisione, mentre suo padre prendeva lentamente posto accanto a lui, quasi impaurito dal suo stesso gesto.
“Ho visto i ragazzi”, dichiarò, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. “Perché non sei con loro? Stanno andando al locale per la festa”.
Alec trattenne una risata amara. “Non sono molto dell’umore”.
Suo padre non aggiunse nulla. Entrambi potevano percepire l’imbarazzo sospeso nella stanza, il silenzio che faceva da padrone e la voglia di parlare seppellita sotto cumuli di orgoglio, perché Alec avrebbe tanto voluto parlare, o meglio urlare, chiedergli perché si stava sforzando di comportarsi normalmente con lui, come se il loro fosse un classico rapporto padre-figlio. Desiderò salire in camera sua e lasciarlo lì, perché sostenere anche un semplice dialogo con lui non aveva alcun senso, ogni cosa puzzava di marcio, ogni contatto trasudava finzione perché suo padre Robert non aveva fatto altro che trattarlo come uno spettro vagante per casa, di cui non avrebbe desiderato altro che liberarsi.
Fece per alzarsi, quando le parole di Robert lo inchiodarono al divano.
“E’ per lui, vero? Magnus”.
Alec lo fissò interdetto, troppo colpito da quell’affermazione che per lui era suonata quasi come una stilettata. “Che c’è? Vuoi criticarmi?”.
“No, Alec. Io-“.
Poi lo vide, negli occhi di suo padre, di quell’uomo grande e fiero che non si lasciava scalfire da nulla: dispiacere, senso di colpa…i suoi occhi sembravano così pieni che sarebbero potuto scoppiare per la moltitudine di sensazioni che racchiudevano.
“Forse dovresti andare da lui. Ti ho visto, negli ultimi giorni, anche se tu pensi che non lo faccia…io vedo quanto tutto questo ti faccia soffrire”.
“Non hai mai accettato completamente ciò che sono, e adesso mi dici questo?”.
“No, Alec. Non pensarlo. Io sono fiero di te, dell’uomo che stai diventando e del coraggio che dimostri ogni singolo giorno. Non mi vergogno di te, ma di me e del modo in cui ho reagito a ciò che mi hai detto, perché il tuo uscire allo scoperto non ha fatto altro che ricordarmi quanto sia stato codardo da ragazzo”. (1)
Alec continuò a guardarlo, senza accennare a muoversi o ad interromperlo, ormai incatenato dalle sue parole. In un’altra situazione, si sarebbe probabilmente alzato per fiondarsi nella sua stanza, sbattendo la porta, ma non quando suo padre stava tentando di dirgli qualcosa.
“Non mi sono comportato nel migliore dei modi con una persona a me cara, non sono stato gentile con un amico che ha mostrato sentimenti…particolari nei miei confronti”. (1)
Alec lesse la punta di imbarazzo nella voce di suo padre e sgranò gli occhi per lo stupore, avendo l’esatta conferma di ciò che aveva pensato grazie allo sguardo che gli lanciò: rammarico, vergogna, senso di colpa, rimorso, voglia di rimediare.
“Un amico…davvero?”.
“Mi vergogno di me perché tu sei un uomo migliore di quanto io sia mai stato. Sono tuo padre e avrei dovuto darti il buon esempio, appoggiarti invece di farti sentire un rifiuto…e tu hai fatto tutto da solo, sei cresciuto e hai trovato un amore sincero”.
Alec, udendo quell’ultima parola che risuonò nelle sue orecchie come una barzelletta per nulla divertente, emise uno sbuffo che attirò subito l’attenzione di suo padre. Robert lo osservò con un cipiglio contrariato. “Alec?”.
“Mi permetto di dissentire sulla parola sincero…io e Magnus abbiamo qualche problema”.
Quasi si pentì di aver parlato…quando aveva permesso a sé stesso di lasciarsi andare a certe confessioni? Con suo padre, per di più, ovvero l’ultima persona con cui avrebbe mai immaginato di conversare circa i problemi sentimentali che aveva con Magnus Bane.
“Lascia stare. Fa’ come se non avessi detto nulla”.
“Se vuoi che Magnus sia sincero, comincia ad essere sincero con te stesso, circa ciò che provi per lui e sul vostro rapporto…non buttare tutto così”.
Alec osservò il volto contrito di suo padre, le piccole rughe ai lati degli occhi stanchi e sulla fronte contratta per la tensione che quel discorso doveva aver fatto nascere in lui. Si chiese se la mamma fosse al corrente di ciò che gli aveva raccontato, se parlarne con lui avesse alleviato almeno un minimo il senso di colpa che gli opprimeva il petto.
Gli sorrise, per la prima volta dopo mesi, e gli sfiorò la mano in un tacito ringraziamento: sapeva che per una persona orgogliosa e chiusa come suo padre, quella conversazione doveva essere stata uno sforzo immane che Alec aveva apprezzato. Non era intenzionato a perdonarlo, o almeno non ancora, semplicemente perché gli sguardi di disapprovazione e le settimane intense di silenzio erano ancora lì, legate ai suoi polsi come catene di cui non era ancora riuscito a liberarsi del tutto, ma ci avrebbe provato…un giorno. Ne era certo.
Suo padre ricambiò il sorriso, rilassando le membra. “Grazie”.
 
Il Pandemonium non era certo tra i locali preferiti di Alec Lightwood.
La solfa di gente, i chiacchiericci indistinti, l’odore pungente di alcool che gli entrava violentemente nelle narici, persone ubriache che gli si buttavano addosso come se lo conoscessero: tutti quei motivi non facevano che ricordargli quanto il divano di casa fosse comodo, pulito e senza estranei con uno strano concetto di spazio vitale. Aveva percorso la strada da casa fino al locale a piedi, non avendo trovato alcun taxi e ricordandosi di aver lasciato la macchina a Jace, ma – come se quella giornata non fosse già abbastanza ridicola di per sé – aveva iniziato a piovere ed Alec si era ritrovato sulla soglia del Pandemonium, con il cappuccio della giacca tirato alla ben meglio sul capo e l’aspetto di un pulcino bagnato che aveva perso la via di casa. Ovviamente, aveva attirato un paio di sguardi divertiti che lo avevano fatto sentire ancora più come un pesce fuor d’acqua.
Un paio di occhi familiari lo intercettarono quasi subito: Jace era qualche metro più avanti, con un braccio attorno alle spalle di Clary, sorridente e con il capo poggiato sulla sua spalla. Jace si immobilizzò non appena lo vide, regalandogli un largo sorriso che costrinse Alec a sorridere a suo volta, perché era raro vedere suo fratello sorridere in quel modo a qualcun altro che non fosse Clary.
Era felice, per qualche motivo a cui Alec non volle pensare. Il ragazzo gli fece cenno di raggiungerlo e Alec lo vide dare un colpetto sul braccio di un’altra figura, che si rivelò essere Isabelle, con la mano stretta in quella di Simon.
“Alec!”, sua sorella lo chiamò, senza preoccuparsi di essere indiscreta e gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo. “Sei venuto, lo sapevo!”.
“Jace, mi devi dieci dollari”, dichiarò Simon con tono vittorioso mentre il diretto interessato ruotava gli occhi al cielo.
“Facciamo che sono i migliori dieci dollari che abbia mai speso”.
Alec rimase quasi frastornato da tutta quella gioia con cui i suoi amici lo avevano accolto.
Credevano che avrebbe fatto qualcosa di plateale per parlare con Magnus? Che era corso lì solo ed esclusivamente per rimediare? Che era lì per urlare al mondo che era gay ed innamorato perso di Magnus Bane? Che avrebbe fatto ufficialmente coming out?
Il panico cominciò ad assalirlo. In realtà, Alec non aveva pensare a cosa dire o fare durante il tragitto verso il Pandemonium. Aveva semplicemente camminato a passo veloce, con il respiro corto e la mente completamente vuota, cercando di bagnarsi il meno possibile.
E adesso che aveva raggiunto il locale cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto?
Non si era preparato un discorso e non era mai stato un grande oratore. Il pensiero di scappare da lì con la coda tra le gambe gli attraversò la mente, e Alec lo avrebbe fatto, se solo non fosse calato un silenzio improvviso su tutta la sala.
Magnus era al centro del palco, seduto su uno sgabello con la chitarra in grembo e quella visione gli spezzò il cuore ancora una volta: aveva il volto stanco, pallido ed emaciato, una leggera barba di qualche giorno gli ornava il viso, i capelli erano – come al solito – spettinati ma al naturale senza alcun gel o glitter a risaltarli. Anche l’abbigliamento sembrava rispecchiare il suo stato d’animo: una semplice maglietta nera che gli calzava larga, jeans scoloriti e anfibi dello stesso colore della maglia. Quello non era il suo Magnus, ma un fantasma.
La folla lo accolse con un applauso caloroso e qualche fischio di apprezzamento.
“Grazie a tutti, ragazzi”, esclamò lui, avvicinandosi al microfono, mentre Alec faceva di tutto per nascondersi, rimanendo fermo dietro la figura di Jace. “Stasera ho deciso di portare un pezzo a me molto caro che ho trovato particolarmente adatto per la fine di quest’anno. Sapete, non starò qui a farvi i discorsi strappalacrime”. Sorrise, Magnus, e per un attimo gli sembrò quasi il suo Magnus. “Semplicemente, divertitevi e ricordate che siamo giovani, ok? Questa è una cover in versione acustica, quindi spero tanto che apprezziate”.
Il pubblico applaudiva, Izzy e Clary saltellavano ed emettevano urletti come due perfette groupie mentre Simon alzava le braccia al cielo con fare divertito e Jace gli rifilava continuamente pacche sulle spalle, come per dargli forza. In lontananza, Alec scorse anche gli amici di Magnus: Ragnor, Rafael e Catarina. Quest’ultima gli sorrise cordialmente e diede una gomitata a Ragnor per richiamare la sua attenzione ma Alec si voltò in tempo per non vedere la sua reazione, troppo imbarazzato da tutta quella attenzione.
Quando Magnus cominciò a cantare, Alec sentì le ginocchia cedergli.
 
“What if, what if we run away? What if, what if we left today?
What if we said goodbye to safe and sound? And what if, what if we’re hard to find?
What if, what if we lost our minds? What if we let them fall behind and they’re never found?”.
 
Alec aveva perso il conto di quante volte il cuore gli fosse andato in pezzi nell’arco di una giornata. I cocci erano tutti sparsi ai suoi piedi ma non sembrava importargliene, troppo impegnato ad osservare Magnus che si esibiva nella sua straziante performance.
Alec avrebbe tanto voluto salire su quel maledetto palco e baciarlo lì, davanti a tutti.
Fu in quel momento che Magnus lo vide: gli occhi ambrati si incastrano nei suoi, gonfi e lucidi di un pianto che stava trattenendo con tutte le sue forze. Il ragazzo non fece nulla, semplicemente continuò a cantare, tenendo gli occhi fissi su di lui come un naufrago che ha appena trovato la sua isola.
Alec gli sorrise, quasi senza pensarci, dimenticando completamente tutto ciò che lo circondava e concentrando tutte le sue attenzioni su Magnus e su quella melodia lancinante come il canto di un cigno…era per lui, poteva sentirlo nelle vene.
Magnus cantava, ferito e straziato, e sembrava stesse cercando di dirgli tante cose, tutte quelle cose che non gli aveva detto quando ne aveva avuto l’opportunità, ma che si riassumevano in poche semplici parole: Ti amo. Ti prego, dimmi che mi ami ancora.

 
 “And when the lights start flashing like a photobooth. And the stars exploding, we’ll be fireproof.
My youth, my youth is yours, trippin’ on skies, sippin’ waterfalls. My youth, my youth is yours. Runaway now and forevermore.
My youth, my youth is yours. A truth so loud you can’t ignore. My youth, my youth, my youth. My youth is yours”.
 
Quelle parole furono il colpo di grazia, e senza neanche accorgersene, Alec cominciò ad avanzare lentamente verso il palco, mentre gli sguardi di Izzy e Jace erano puntati su di lui. Forse anche altre persone lo stavano fissando ma non gli importava, perché lui era lì, bagnato fradicio ad ascoltare Magnus Bane che cantava una canzone guardandolo dritto negli occhi, come fosse una vera e propria dichiarazione d’amore.
Ricordò tutti i sorrisi, gli abbracci, i baci scambiati di nascosto dietro gli angoli meno affollati della scuola.
Ricordò tutte le volte che Magnus gli aveva cantato qualcosa, con gli occhi pieni d’amore un sorriso felice in volto.
Ricordò le serate trascorse a casa sua, aggrovigliati tra le lenzuola mentre il mondo fuori rimaneva sospeso.
Ricordò le labbra di lui che gli baciavano ogni parte del viso.
Ricordò le sue mani che gli carezzavano il corpo come fosse fatto di cristallo.
Ricordò il suo volto sugli spalti, la sua presenza silenziosa a dargli forza.
 
“What if, what if we start to drive? What if, what if we close our eyes?
What if we’re speeding through red lights into paradise? Cause we’ve no time for getting old.
Mortal bodies; timeless souls. Cross your fingers, here we go”.
 
Magnus aveva gli occhi chiusi e la sua voce sembrava farsi sempre più roca ad ogni strofa, come se una lama rovente gli si conficcasse nel petto ad ogni parola, rendendogli tutto più difficile…come se cantare gli provocasse quasi un dolore lancinante.
Alec chiuse gli occhi, come se in quel modo potesse avvicinarsi a Magnus, sperando di instaurare un qualche contatto immaginario presente solo ed esclusivamente nella sua mente. Immaginò di allungare una mano verso di lui, arrivando a sfiorargli le dita che stavano armeggiando con la chitarra, producendo quel suono triste e meraviglioso.
Quando Alec riaprì gli occhi, trovò quelli di Magnus su di sé, come se gli stessero rivolgendo un lamento silenzioso e Alec si ritrovò a sospirare pesantemente per cercare di placare tutte quelle emozioni che lo stavano assalendo, troppo forti da sopportare.
 
“And when the lights start flashing like a photobooth. And the stars exploding, we’ll be fireproof.
My youth, my youth is yours, trippin’ on skies, sippin’ waterfalls. My youth, my youth is yours. Runaway now and forevermore.
My youth, my youth is yours. A truth so loud you can’t ignore. My youth, my youth, my youth. My youth is yours”.
 
Quando Magnus Bane finì la sua canzone, ci fu un attimo di silenzio, giusto un momento di assestamento, come se tutti i presenti si stessero accertando di ciò a cui avevano assistito. Durò giusto qualche secondo, dopodichè tutto il pubblico scoppiò in un applauso ma Alec non ci badò, perché Magnus era sceso di corsa dal palco, mettendo via la chitarra, lasciandola chissà dove, mentre lui gli era andato incontro a metà strada, piombandogli addosso e gettandogli le braccia al collo come se ne valesse della sua vita.
Magnus lo strinse forte, carezzandogli la schiena come per rassicurarlo, perché Alec non si era neanche accorto di essere scosso dai singhiozzi, non riusciva nemmeno ad udirli, soppiantati dalle grida dei presenti, dalle urla felici di Izzy e i fischi di Jace.
Tutti i rumori attorno a lui non erano altro che un brusio indistinto, l’unica cosa che giungeva realmente alle sue orecchie - e non come un suono ovattato – era la voce di Magnus, il suo Magnus: “Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace”.
Alec seppellì il viso nel suo collo, inspirando a pieno il suo odore, riprendendo familiarità con quel corpo che aveva rischiato di dimenticare e passando le mani tra i suoi capelli corvini, assaporandone la consistenza morbida e setosa.
Voleva avere la certezza che Magnus fosse lì, reale fra le sue braccia.
Voleva dirgli qualcosa, ma nella sua testa c’era un groviglio di parole che non riusciva a sciogliere. A tempo debito lo avrebbe fatto, avrebbe sciolto quei nodi che si erano formati durante la sua assenza ma in quel momento, riusciva solo a ricordare i versi della canzone cantata da Magnus, come se fossero l’unica realtà a cui dare credito. Avvicinò le labbra al suo orecchio. “My youth is yours”.
Magnus lo strinse un po’ più forte. “Anche la mia, Alec. Anche la mia”.
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • (1) questo è un leggerissimo spoiler da Città del Fuoco Celeste, e, come avrete notato, ho evitato di fare nomi ma chi ha letto il libro sa di cosa sto parlando, e ho ripreso la scena avvenuta alla fine del libro tra Alec e suo padre Robert;
  • Il verso ad inizio capitolo è tratto da “Me” dei The 1975;
  • Il titolo e la canzone suonata da Magnus è “My youth” di Troye Sivan ♥
 
Vi chiedo scusa, davvero. Sono una persona orribile e sono stata capace di presentarmi con l’ultimo capitolo dopo ben tre mesi.
Non ci sono scuse, semplicemente l’ispirazione era andata un po’ a farsi benedire ma in questi due giorni ho cercato di fare del mio meglio per dare una degna conclusione a questa storia. Non so se ci sono riuscita (infatti quello che ho scritto mi convince ben poco), lascio la parola a voi.
Questo ultimo capitolo è un po’ più lungo rispetto ai precedenti e spero tanto non vi abbia annoiato; visto che Magnus è un musicista, proprio non sono riuscita a resistere all’immagine di lui che canta per Alec davanti ad una marea di gente, per scusarsi e fargli capire che tiene a lui. Ho scelto questa canzone di Troye Sivan perché il testo è maledettamente adatto alla situazione che hanno affrontato ed è anche uscita giorni fa, quindi…grazie, Troye (andate a sentire le sue canzoni se non lo conoscete, perché sono stupende e super angst!). Infatti, ho pensato di non far parlare molto Magnus perché credo abbia detto abbastanza con la sua performance. Non penso di avere altre precisazioni da fare, spero semplicemente che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia deluso. Fatemi sapere cosa ve ne pare con un commentino perché l’ansia mi sta divorando, e sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate, sperando di non aver combinato un disastro.
Grazie di cuore a tutti voi per avermi seguita in questa pazzia e per aver aspettato, davvero ♥
Alla prossima,
Lily.

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