Ti troverò dovessi smuovere l'universo intero

di Inna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 
 

   

Ti troverò dovessi smuovere l’universo intero 

 

Capitolo 1

 
 
 
Una luce calda e piacevole mi sta accogliendo con i suoi raggi.
Con una lentezza snervante alzo le palpebre, un movimento così semplice che a me richiede molto sforzo ed energie.
La testa fa così male che mi pare il cranio sia stato tagliato in due e lasciato così in modo che io ne possa soffrire ininterrottamente.
Guardo quello che mi circonda rimanendo un po’ interdetta.
È una stanza completamente estranea, non mi pare di esserci mai stata qui, non riconosco niente di tutto ciò che ne contiene.
La finestra è ornata da questa tenda color panna dalla quale i raggi solari filtrano illuminando la stanza.
Vicino al letto di una piazza nel quale sono sdraiata, c’è un comodino in fibra color panna e i cassetti azzurri, una scrivania elaborato con la stessa tecnica del comodino e dell’armadio a quattro ante.
I muri sono dipinti di un’altra tonalità di azzurro molto più scuro.
Mi guardo attorno domandandomi come io abbia fatto ad arrivare fino a qui.
Faccio per alzarmi aiutandomi con il gomito ma ogni minimo movimento è una fitta da tutte le parti al mio povero corpo mezzo scassato.
Decido che forse è meglio che stia ferma, aspetterò che qualcuno passi a trovarmi.
Continuo a guardare la stanza.
Non ha l’aria di una camera d’ospedale.
Allora dove sono finita?
Possibile che il paradiso sia fatto così?
Non è come me lo aspettavo e nemmeno com’è sempre stato descritto. Io non vedo soffici nuvole bianche e non vedo nemmeno nessun angelo, e il mio caro nonno dov’è?
Allora dev’essere il purgatorio. Ma… il purgatorio lo raggiungono i raggi solari?
Grazie al cavolo, chi ha detto che dopo la morte ci si riposa e che non si sente nessun dolore, sto male da cani. Non c’è centimetro del corpo che non mi faccia male.
Il piede mi prude ed io non posso grattarlo. Ripeto alla faccia della pace dopo la morte, non posso nemmeno grattarmi.
Dov’è il grande creatore, ho un paio di cosette da dirli.
Insomma, si è proprio divertito a rendermi la vita impossibile, si vede che non aveva proprio nulla da fare. Dopo che ha creato l’universo, la vita e tutto quello che li passava per la mente non c’era più nulla da creare così ha pensato bene di rendermi la vita impossibile. Come?
Beh per cominciare ha deciso che non andava bene che io rimanessi una normale studentessa come tutte le mie amiche e coetanee, mi ha fata mutare in una specie di supereroina, nascondendosi dietro l’aspetto del fascinoso Shirogane, facendomi combattere contro gli alieni. Va bene può anche starci, gliela passo anche, ma credo che abbia iniziato a esagerare facendomi conoscere il mio grande amore…
Mi ha fatto incontrare il ragazzo più bello del mondo, mi ha fatto innamorare di lui ma purtroppo ero già impegnata con Mark, quindi non lo potevo avere e quando sembrava che tutto poteva essere possibile siamo divisi. Davvero tante grazie…
Chiamerò il mio avvocato per questo.
Aaah!
Ma che stai pensando Strawberry Momomiya, sei forse impazzita? Stai dichiarando guerra al grande creatore?
Te sei rimbambita dal midollo proprio.
Dei passi fuori dalla porta mi risollevano dal percorso alquanto strano dei miei pensieri.
La maniglia della porta si abbassa facendomi battere il cuore all’impazzata.
Stupido organo smettila di battere così, non ha senso.
Ti prego dimmi che è…
-oh, buongiorno Momomiya Strawberry- si apre in un sorriso dopo avermi vista, mentre io sono alquanto perplessa.
Tra tutte le persone che popolano il globo e le persone che speravo di vedere, mi appare questo? No sul serio?
Ora sono sicura che il grande creatore se l’ha sta ridendo sotto i suoi folti e bianchi baffi, non è giusto. Potevi farmi apparire il biondino dallo sguardo magnetico..
No, non è giusto.
-ciao Takumi- lo saluto a mia volta scoprendo che anche parlare è una faticaccia.
-finalmente sei tornata dal mondo dei morti- urla dalla gioia sfasciandomi i timpani –sei sempre bellissima, nonostante tu non abbia avuto il tempo di curarti- aggiunge abbracciandomi.
-mm- mugolo lagnosa –sto impazzendo, non è che potresti grattarmi il piede?- dico con voce flebile, molto debole.
Il ragazzo scioglie l’abbraccio per sollevarsi, rimane interdetto in piedi a guardarmi come si può guardare solo un pazzo.
Scoppia a ridere piegandosi in due, questa volta a guardarlo come se fosse un pazzo sono io.
-tu…- dice fra le risatine –tu non puoi immaginare…- cerca di trattenere le risate - … quanto tempo ho sognato il tuo risveglio, a cosa mi avresti detto, ovviamente io mi sono sempre immaginato qualcosa di estremamente romantico che si sigillava con un passionale bacio- dice mettendo una mano al lato della mia testa.
Lo guardo inarcando le sopracciglia verso l’alto.
Si abbassa mentre sul volto sfoggia un brillante sorriso.
-il solito pervertito- dico fra le labbra.
La sua bocca si appoggia sulla mia fronte in un movimento dolce e caldo, dopo poco si solleva di pochissimo, giusto lo spazio in modo da riuscir parlare.
-e tu la solita ammazza romanticismo- dice scherzoso.
-io non ammazzo il romanticismo- mi lamento gonfiando una guancia in segno di offesa.
-si certo- dice risollevandosi.
Lo guardo lì in piedi di fronte a me mentre continua a sfoggiare quello stupido sorrisino da schiaffi.
-allora dove volevi che ti grattassi?- domanda destandomi dai pensieri.
-em… il piede- dico mentre con un lieve sforzo muovo il diretto interessato.
Il ragazzo senza battere ciglio scosta di poco il lenzuolo bianco e con un sorriso che non promette nulla di buono mi guarda dritto negli occhi.
Deducendo quello che vuole fare –ti prego non mi fare il solletico, ridere è l’ultima cosa che il mio corpo desidera in questo momento, sai mi fa male ovunque- dico con voce supplichevole. Spero mi dia retta.
-scusa e chi ti vuole fare il solletico, o ma dai è questa tutta la fiducia che mi poni?- domanda con voce delusa.
-no, ti stavo solo informando- dico cercando di giustificarmi.
Ride –era vero, volevo farti il solletico- confessa infine ridendo di più.
 
Dopo aver dato la caccia all’esatto angolo del piede che pretendeva di essere grattato, Takumi mi ha portato una specie di zuppa calda con delle erbe medicinali che devo ingoiare se voglio riuscir a riprendermi.
Non faccio domande, né perché né chi gli ha detto che le devo mangiare, per ora voglio solo poter continuare a sorridere un altro po’.
Devo dire che è davvero disgustosa.
Ogni ingurgito è una sofferenza.
-sai- dice Takumi seduto sulla sedia con il mento appoggiato sullo schienale –in questi mesi non facevi altro che chiamare Ryan.-
Sputo fuori quella schifosa zuppa colta di sorpresa.
O cavolo, che figura di merda, non posso credere di averlo fatto, eppure non mi ricordo di aver fatto alcun sogno.
-non è vero, mi stai prendendo in giro- dico guardando la zuppa mentre con il cucchiaio giocherello.
-no, non sto mentendo.- asserisce facendomi alzare lo sguardo su di lui, i suoi occhi sono fissi su me, sono così seri e fermi – dimmi, perché ogni volta piangevi?- chiede tenendo in ostaggio i miei occhi.
Piangevo?
Forse lo facevo per l’angoscia.
Insomma, lui era ferito ma non so quanto quelle ferite fossero profonde, non so se è sopravvissuto, non so nulla e ho paura di chiedere a Takumi. Che poi lui cosa sa, non è a conoscenza degli alieni e nemmeno della guerra.
Come sono finita sotto le sue cure?
-mi sai dire quanto tempo è passato?- domando spostando l’argomento da Ryan.
-tesoro mio, hai dormito per ben quattro mesi e mezzo- m’informa cambiando il tono di voce, lasciandomi a bocca aperta –attenta, la tua mascella a momenti cade dentro la tazza della zuppa- mi sfotte divertito.
-o mamma mia, ma è tantissimo tempo- asserisco ignorando la battutina scema di Takumi.
 -a chi lo dici- asserisce lui sospirando.
Lo guardo abbassando le sopracciglia.
-ho dovuto sopportare tutte le tue scorge per tutto il tempo senza avere qualcuno con cui lamentarmi- dice facendomi imbarazzare.
-non è vero- dico nascondendomi dai capelli.
-oh, invece sì, e ne facevi parecchie- mi sta chiaramente prendendo in giro, ma è comunque imbarazzante.
Forse è anche vero, in fondo non è impossibile, ma lui non è delicato, anzi più chiaro di così non può essere.
-e come se non bastasse, ogni volta che mi avvicinavo per lasciarti un bacio, il tuo alito pesante non me lo permetteva- lo dice con tono lagnoso.
-cosaaa?- chiedo sconvolta –hai provato a baciarmi?- chiedo fulminandolo con gli occhi.
-certo che ci ho provato, e ci mancherebbe. Un’occasione simile non mi sarebbe presentata un’altra volta dovevo approfittarne- dice tranquillamente –ma il tuo alito era talmente pesante che ci ho rinunciato- continua sospirando.
-il mio alito non è cattivo, e poi che colpa ne ho, non sono capace di lavarmi i denti nel sonno, soprattutto quando sono costretta a letto e ogni minima parte del corpo fa male- li faccio notare.
-ma si, non ti preoccupare avevo molto altro spazio dove posare le mie ardenti labbra- dice ghignando.
-cosa vuoi dire?- mi volto verso di lui guardandolo in cagnesco.
-che mi sono potuto divertire baciandoti altrove, come le mani, la fronte, il collo- lo dice con troppa enfasi –l’addome, il pancino, il seno-.
Lo interrompo perché ho appena “strillato”, oddio più che strillo sembrava un povero animale che si sta strozzando.
-tu, pervertito, giuro che non appena mi alzerò da questo cavolo di letto ti strozzo con le mie stesse mani- cerco di essere il più minacciosa possibile.
-o mamma che paura- dice derisorio alzando le mani.
-devi averne perché se è vero quello che mi hai appena detto, ti uccido senza pensarci troppo- i miei occhi vanno a fuoco, vorrei poter avere il potere di dare fuoco alla sua testa.
Stupido che non è altro.
Spero sinceramente che non abbia fatto nulla di tutto quello che ha detto.
-hahahahaaha- ride asciugandosi l’angolo dell’occhio.
-che hai da ridere?- chiedo sbuffando.
-essere minacciati da qualcuno costretto a letto è comico, tu non lo trovi comico?- chiede guardandomi con quello stupido sorriso, ma che mi sta facendo piacere vedere, perché non mi lascia pensare molto ad altre cose che mi tormentano.
Continuo a ingoiare questo schifo mandando giù i conati di vomito.
-dai mangia tutto- mi ordina lui incitandomi con un gesto della mano.
Lo fulmino con lo sguardo per poi ingoiare l’ennesima cucchiaiata.
Metto la ciottola sul comodino per poi appoggiare la testa alla testiera del letto, come sostengo ad aiutarmi a contenere il dolore che mi affligge.
Chiudo gli occhi cercando di reprimere il male che mi sta agonizzando, stare seduta a mangiare è stato molto faticoso, sono completamente sudata. È come se il corpo fosse in mezzo alle fiamme, subito dopo gettato in mezzo a un cumolo di filo spinato pungermi ogni dove, e poi lasciato nel freddo polare.
-ei, va tutto bene?- domanda Takumi allarmandosi dopo aver visto il mio viso soffrente.
-no..- sussurro fra le labbra stringendo i denti per reprimere le fitte di dolore che si stano scaricando su ogni centimetro del corpo.
-su sdraiati bene- dice aiutandomi a stendermi ancora come mi sono ritrovata dopo essermi svegliata, m’imbocca le coperte per poi posare la mano sulla fronte –la pianta sta combattendo contro il veleno che circola nel tuo corpo, hai un po’ di febbre ma non ti preoccupare, fra poco passerà tutto- dice per rassicurarmi.
Una serie di scariche s’impossessano del mio corpo agonizzante.
-su, ora cerca di riposarti- dice amorevolmente.
Sto lottando contro il mostro dentro il mio corpo, quel mostro che mi sta divorando organi e vita vitale.
 
Dopo un’ora di sofferenza, il corpo smette di fare male, o dio, male fa ancora ma non mi sta attaccando come se cento boscaioli mi stiano colpendo con le loro asce senza sosta.
-allora, mi spieghi come fai a sapere del veleno che circola nel corpo?- chiedo una volta che il ragazzo è rientrato in camera e si è accomodato sulla sedia.
-è una lunga storia- dice lui sorridendo mentre apre il pacchetto di patatine.
-o guarda, di tempo ne ho a volontà- dico ironica facendo cenno al letto, giusto per ricordarli che non posso andare da nessuna parte e non ho nient’altro da fare.
-beh, lo so- risponde semplicemente alludendo alla mia domanda portando infine alla bocca una patatina come nulla fosse.
-si ma come?- insisto.
-perché?- chiede lui.
-non rispondere a una domanda con una domando- lo riprendo.
-allora tu non farmi domande- dice tranquillo per poi ingoiare un’altra patatina.
-si ma…- mi zittisce lanciandomi una patatina e colpendomi la fronte.
-niente ma- dice lui.
Lo guardo per un po’, chiedendomi perché non mi vuole rispondere. È normale che io voglia sapere.
-almeno posso sapere dove siamo?- chiedo con tono sconfitto, afflitto.
-certo- dice sorridendo e portando finalmente il suo sguardo su di me –siamo a casa mia e questa è la mia camera da letto- dal suo tono di voce sembra quasi sodisfatto.
-cosaa?- dire che sono sorpresa è un eufemismo. Direi che sono scioccata e perplessa, molto perplessa. –cosa ci faccio qui, perché non sono in ospedale?- lo guardo cercando risposte nel suo mutismo.
 
 
Sono passati tre giorni dal mio risveglio.
I dolori sono sempre forti e quasi insopportabili, e ogni volta, dopo aver mangiato quella zuppa speciale, mi sento ancora peggio, ma a quanto pare è per il mio bene ingerirla almeno una volta al giorno.
Takumi mi è stato vicino tutti i giorni, pronto a fare qualunque cosa per me, anche grattarmi i piedi, eccetto rispondere alle mie domande.
Non c’è giorno che il mio pensiero non abbia volato fino al mio gruppo di amici, a cosa è successo quel giorno, a come io sia stata salvata, a come stano i miei genitori e se lui sta bene.
Sono angosciata e tormentata da domande su domande, delle quali trovare risposta mi è impossibile.
Takumi non mi risponde, cambia sempre argomento o semplicemente risponde dicendomi “non te l’ho dico” o “smettila di assillarmi con le tue domande”.
Ma io voglio sapere, pretendo di sapere.
Il sole è calato, lasciando il cielo alla luna, la quale si erge in tutta la sua elegante lucentezza.
Non so perché ma mi ricorda Ryan… forse per il fatto che è così luminosa, fiera, sola ma bellissima.
O dio, quanto mi mancano i suoi occhi, la luce propria con la quale mi guarda quando si sta divertendo, il suo respiro lento e caldo spezzarsi contro la mia pelle, la sua voce mentre pronuncia il mio nome.
Mi manca da morire.
Voglio vederlo.
Una lacrima scende indomabile all’angolo dell’occhio per andare a finire sull’orecchio.
-ei, cosa c’è, dove ti fa male?- domanda Takumi lasciando la rivista di giochi sul comodino e alzandosi dalla sedia per asciugarmi il viso.
Tiro su con il naso mentre porto la mano da sopra il lenzuolo al cuore.
-ti fa male il petto?- chiede vedendomi posare la mano su di esso.
Muovo di poco la testa in segno di negazione mantenendo lo sguardo fisso sulla soffitta.
Forse capisce che non è qualcosa di fisico che in questo momento mi sta facendo male, rimane in silenzio.
Fra di noi cala un silenzio, un silenzio che sta completando i nostri pensieri così fragili e docili.
-sai è molto erotico, vedere quella mano posata sul tuo seno- dice infine interrompendo il silenzio –devi sapere però che la cosa non mi aiuta a trattenermi dal saltarti addosso.-
Inizialmente non bado alle sue parole. Ma nel silenzio che ne segue, il mio cervello le elabora dando loro l’esatto significato che lui ha voluto rendermi.
-tu- dico accigliata guardandolo in cagnesco.
Sul suo volto si fa largo un sorriso che la dice lunga.
-smettila di fare il pervertito. Non ti dona, hai il viso di un ragazzo intelligente, smettila di far emergere il tuo io pervertito- lo riprendo minacciosa.
-guarda che sei tu quella che si sta stringendo il seno nella mano sotto il mio sguardo, non è colpa MIA- si giustifica e questa mi pare sia la giustificazione più idiota che abbia mai potuto udire.
-non mi sto toccando il seno, io mi stavo…- perché mi sto giustificando con questo idiota.
-se io mi toccassi, tu penseresti subito male, allora io perché non dovrei?- pone la domanda sedendosi sulla sedia e accavallando le gambe in un gesto studiato.
-perché è un gesto disgustoso da fare e poi io NON mi stavo toccando, smettila di prendermi in giro, razza di stupido che non sei altro- rispondo offesa.
Metto il broncio girando il capo dall’altra parte.
-hahahahahahaha- lo sento ridere di me –sei proprio sexy quando ti arrabbi- dice tranquillamente. Mi dà fastidio sentirglielo pronunciare ma lo ignoro.
Quello stupido crede di potersi prendere gioco di me.
 
 
Apro gli occhi lentamente, come se un movimento brusco potesse strappare le palpebre in mille pezzettini. A pochi centimetri dal mio viso c’è quello di Takumi profondamente addormentato. Le sue labbra sono stirate in un sorriso e le sue folte ciglia nere si posano sulle candide guance le quali segnano i primi mutamenti che lo paragonano a un uomo.
Guardarlo così indifeso, mi fa tenerezza.
Certo, se non aprisse mai bocca, potrebbe essere anche tenero, un angelo. Sono proprio quelle stupide cose che dice e fa che spesso mi fanno arrabbiare.
Porto lo sguardo fuori dalla finestra. Ho chiesto a Takumi di tirare via la tenda, in modo che io possa vedere le soffici nuvole volare libere in cielo e lasciarmi cullare dai raggi solari.
A tormentarmi c’è il pensiero di lui là fuori da qualche parte ferito e bisognoso di cure… e io ho tutte le intenzioni di andare a trovarlo.
Ho bisogno di averlo al mio fianco…
Quando stavo morendo ho capito che non dovevo perdere altro tempo, che lui è l’unica cosa al mondo che mi rende veramente felice.
I suoi tocchi così lambiti, caldi, sensuali valgono come mille emozioni vissuti in un’intera vita.
Per questo non ho intenzione di stare un altro secondo sdraiata in questo letto, mi è stata data una seconda occasione e non ho nessuna intenzione di sprecarla.
Con una fatica che mi costringe a raccogliere tutte le forze mi tiro su aiutandomi con i gomiti.
I miei movimenti svegliano Takumi il quale da prima mi guarda mezzo addormentato per poi allarmarsi e prestarmi il suo soccorso.
-ei, va tutto bene, cosa c’è?- chiede posando la sua mano sulla spalla.
-voglio alzarmi- dico scostando il lenzuolo con un movimento deciso.
Scopro la canottiera turchese e i pantaloncini rosa, dai quali sporge tranquillamente una fasciatura bianca.
Guardo la fasciatura bianca per qualche secondo facendomi tornare alla mente quando Aki mi colpi con la lama della sua spada.
-vuoi andare in bagno?- chiede Takumi sostenendomi.
-voglio andare da lui- dico fra i denti mentre faccio un altro sforzo.
Passo le gambe fuori dal letto per toccare terra.
Stare semplicemente seduta così, è uno sforzo inumano.
Perché?
Perché il corpo mi fa male come se fosse inflitto da mille lame?
-fermati, non ti sforzare inutilmente- il mio compagno di classe che ha passato l’intera notte sulla sedia con la testa sul cuscino accanto a me, poverino mi sta facendo da babysitter.
-voglio vederlo- sussurro.
Riesco ad alzarmi in piedi ma non posso fare nessun passo perché le mie gambe non mi obbediscono e poi la sinistra sta bruciando ardente.
Sento un capogiro per poi ritrovarmi a peso morto per terra nel freddo pavimento impolverato della stanza.
Takumi si piega per raccogliermi da terra, passa una mano sotto l’incavo delle ginocchia e l’altra dietro la schiena. Mi solleva con un minimo sforzo per risistemarmi sul letto.
Riprende il lenzuolo e mi copre facendo molta attenzione a non toccare le ferite fasciate, il tutto senza dire una parola.
I miei occhi sono colmi di lacrime amare e disprezzevoli.
Non voglio stare a letto. Ne ho abbastanza di questa stupida stanza.
Da cinque giorni i miei occhi non vedono altro.
Nessuno è passato a farmi visita e non ho ancora trovato risposte alle mie domande.
Takumi si rimette sulla sedia con la rivista chiusa sul grembo e gli occhi posati a terra.
I miei singhiozzi si spezzano fra le mura della stanza, rimbombando nelle nostre teste. Vorrei smettere di piangere ma non ci riesco.
 
Sono passati un paio di minuti quando inizio a sentirmi un po’ meglio, il pianto pian piano mi sta lasciando andare.
Porto lo sguardo su Takumi e noto la sua espressione ferita e immersa in un mondo tutto suo, dove io non posso mettere piede. I pensieri che lo assillano sicuramente sono dolorosi e lugubri.
-certo che..- dico fra i singhiozzi.
Il ragazzo alza lo sguardo su di me ma è ancora in stato di trans -.. ogni tanto potresti fare le pulizie- dico infine mostrando un sorriso sforzato.
Sta ridendo piegandosi in due sulla sedia –hahahahahahaha…. Aspettavo ….che me lo dicessi te- dice allegro, solare fra le risate.
Rivedo in lui la stessa allegria che l’ha sempre accompagnato ovunque andasse e questo mi rende serena.
-guarda che non sto scherzando. Ci saranno almeno venti centimetri di polvere sul pavimento. Purtroppo l’ho visto prima quando sono caduta. Povera me ora la mia faccia sembra il tuo pavimento- faccio la faccia disperata, tale e quale al “urlo di Munch”, con mano spolverandomi la guancia con la quale sono caduta a terra.
Il ragazzo è in lacrime, ogni tanto m’indica scuotendo la testa mentre con l’altra mano si tiene la pancia.
-non è divertente- dico guardandolo con la faccia offesa.
-o si che lo è. Dovresti vedere la tua faccia- risponde fra le risate.
-che cos’ha la mia faccia?- domando stando sdraiata con il volto rivolto verso di lui.
-è buffa - risponde mentre cerca di ricomporsi.
-ma ti sei visto allo specchio qualche volta o no?- domando assumendo uno sguardo cupo.
-perché?- domanda curioso.
-la tua faccia non è buffa è semplicemente stupida- dico seria.
-oi, questa mi è sembrata un po’ troppo offensiva- il suo tono di voce è consapevole.
-no tesoro, è la verità- replico sghignazzando.
-cosa c’è, vuoi per caso un attacco di solletico?- chiede minaccioso.
-o no no, per carità- rifiuto, alla sola idea mi vengono i brividi.
-ah ecco, mi sembrava- sorride spostando una ciocca di capelli dagli occhi.
Per il resto della giornata Takumi mi ha tenuta occupata con barzellette e indovinelli, non ho pensato molto al resto del mondo e alle persone che mi stano tormentando l’animo.
Mi ha fatta perfino quasi dimenticare il dolore fisico che mi affligge.
 
 
Sento dei bisbigli oltre la porta.
Apro gli occhi lentamente, prima di tutto devo capire dove mi trovo. Mi ricordo subito di essere in camera di Takumi costretta a letto.
Lo sguardo va a posarsi sulla porta socchiusa dalla quale proviene la luce giallastra illuminando di striscio la stanza nella quale mi trovo.
Abbastanza lontani e deboli sento la conversazione fra due persone.
Due persone…
Per quanto mi sforzo a captare quello che viene detto o semplicemente distinguere le voci, non riesco, non mi è possibile poiché stano parlando veramente con voce bassissima.
Chi è la terza persona che si trova fra le mura di questa casa?
Devo sapere, pretendo di saperlo.
Con un gesto che mi ci volle un sacco di sforzo, scosto il lenzuolo bianco e con una lentezza snervante, oltrepasso i piedi fuori dal letto, proprio come ho fato questo pomeriggio.
Aiutandomi scendo dal letto, rimango ferma immobile in piedi. Ho come l’impressione di non saper più come si fa a camminare. Esattamente come questo pomeriggio cado a terra rovinosamente di faccia impotente e priva di energie in corpo.
Chiudo gli occhi per trattenere quelle lacrime che vogliono fuoriuscire. Sono lacrime di rabbia…
-ma cosa?- chiede ad alta voce Takumi correndomi incontri e raccogliendomi da terra come uno straccio.
Mi rimette a letto ricoprendomi con il lenzuolo.
-chi c’è di là?- domando con voce sforzata, è come se in quel gesto avessi perso quelle poche energie che mi rimanevano in corpo.
-emm…- il ragazzo esita voltando la testa verso la porta.
Seguo la traiettoria del suo sguardo, noto che c’è qualcuno ma non riesco a vedere di chi si tratta.
La figura di Takumi mi occulta la vista, e la luce che lo avvolge dalle spalle non permette di vederlo chiaramente.
-ti prego..- sussurro sentendomi ad un tratto stanca, sfinita.
Sono bastati veramente pochissimi secondi per far passare il mondo su di un piano lontano, molto distante, lasciando spazio a un mondo dove il mio subconscio lavora fantasioso fino a quando il corpo non deciderà che dormire non è più necessario.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
   

Ti troverò dovessi smuovere l’universo intero 

 

Capitolo 2

 
 
Il cinguettio degli uccellini è così dolce e armonioso, mi fa quasi dimenticare che mi ritrovo in questa stanza da oltre un mese, mi fa dimenticare la sofferenza che sto provando fisicamente ma ancor di più psicologicamente.
Immaginate cosa significa sapere che una persona ha bisogno di te ma tu non puoi raggiungerla per starli vicino, immaginate cosa significa stare in pensiero tutto il giorno ventiquattro ore su ventiquattro passando le ore insogni immaginando il peggio.
Ho immaginato ogni cosa brutta che poteva esserli accaduto.
Ho versato litri e litri di lacrime prosciugandomi di loro.
Ho avuto paura di addormentarmi e di risvegliarmi con la consapevolezza che ogni singola immaginazione che mi sono fatta in questi giorni si sia avverato.
La mia angoscia sta facendo male, molto più delle ferite che Aki quel giorno a scuola mi lasciò, mi sono perfino chiusa in un mutismo.
Takumi è disperato, sta cercando in ogni modo di tirarmi su di morale.
Mi compra manga divertenti, libri d’amore e comici, ma niente mi risolleva da questa depressione.
Ogni giorno mi chiedo perché nessuno è passato a trovarmi?
Chi era quella persona quella sera?
Cos’è successo in questi tre mesi di letargo?
Ho chiesto tante volte a Takumi ma lui non mi ha mai risposto, anche questo è servito a chiudermi in mutismo.
Il suo silenzio mi sta assordando. Non ha nemmeno tentato di far finta di non sapere, mi ha chiaramente dimostrato di sapere eppure non parla.
 
La porta d’ingresso si chiude in un tonfo destandomi dal flusso dei pensieri.
Poco dopo sento i passi pesanti di Takumi fare le scale per raggiungere il secondo piano e subito dopo fare il suo ingresso in camera.
Tengo gli occhi chiusi, faccio finta di dormire. Non mi va di vedere i suoi tentativi di rallegrarmi perché non fanno altro che incrementare la tristezza dentro me.
Lo sento sedersi sulla sedia sospirando pesantemente, poco dopo sta facendo una guerra con un sacchetto di plastica e poi scendere in pace mangiando il suo contenuto. È uscito anche oggi a fare compere.
-stupida, smettila di angosciarti- sussurra con voce rimproverosa.
Mi sento i suoi occhi addosso, bruciano di rabbia.
Continuo a fare finta. Fingo di dormire mentre non riesco a fingere che tutto vada bene, perché lui non è qui con me, non mi ha cercato. Questo significa che gli è successo davvero qualcosa. Altrimenti mi avrebbe già trovato, non sarei in questo letto sola e disperata, ma starei sotto le sue cure.
Una lacrima violenta e aspra mi sfugge, scendendo lungo la guancia in un percorso immaginario.
All’altezza del petto mi sento avvolta in una sorta di nuvola negativa che mi stringe in una forza magnetica non lasciando libero modo ai polmoni di respirare.
Vorrei non essere così debole fisicamente, alzarmi dal letto e correre per la città alla sua ricerca.
Mi manchi e ho paura… voglio vederti ridere, voglio stringerti e piangere contro la tua spalla in un lungo sfogo, voglio baciare le tue labbra che quel giorno mi stavano dando l’addio, ma io non sono disposta a darti l’addio. Dovessi passare l’oceano a nuoto per trovarti, ti troverò e non ti darò l’addio, ma voglio passare l’intera vita insieme te.
Le lacrime s’infittiscono spezzando il respiro in singhiozzi, singhiozzi che si spargono sollevandosi in una tortura di lamenti.
Sento le dita di Takumi asciugarmi il viso senza proferire parola.
Lo so che non è colpa sua.
So che sta cercando di prendersi cura di me, e ci sta riuscendo. Ma… ma non riesco a sorriderli, non riesco a non piangere a non pensare a cose spaventose. Non posso non pensare a Te.
-vuoi uscire fuori a cambiare aria?- propone con voce dolce e accondiscendente.
Annuisco senza aprire gli occhi.
Mi scopre per poi passare una mano dietro la schiena e l’altra sotto le ginocchia, passo un braccio dietro il suo collo per sorreggermi mentre l’altra mano la porto davanti alla bocca e al naso per trattenere il pianto isterico che mi sta attaccando.
Il ragazzo senza lamentarsi mi porta giù per le scale in penombra, illuminate solo da quella finestra posta in alto, le pareti sono di un verdastro freddo, lo stesso colore continua anche all’ingresso di casa, questo molto più luminoso, fino a portarmi fuori in giardino. Mi adagia delicatamente su una sedia all’ombra della stessa casa.
L’aria fresca, completamente diversa da quella della camera mi avvolge fra le sue braccia dandomi il benvenuto nel mondo dei vivi, sì, perché stando lì, fra quelle quattro mura è come essere morta per il resto del mondo.
La luce è molto più forte e i miei occhi inizialmente ne soffrono ma ora sto incominciando ad abituarmici.
Poco più lontano da qui, sui rami dell’albero accanto al muro del giardino, c’è un uccellino che sta cantando come a darmi il benvenuto. Apro bene le orecchie e chiudo gli occhi per assaporare ogni suo singolo suono. Ad accompagnarlo in questa melodiosa canzone c’è il fruscio dell’acqua che scorre nelle vicinanze.
Smetto di singhiozzare e le gotte bagnate si stano asciugando grazie all’aria fresca della giornata.
Le piante sono in fiore e l’erba è splendidamente verde.
Anche una come me, che è stata a dormire per tre mesi si è accorta che la stagione della primavera ha rubato il posto all’inverno, risvegliando tutti gli animali che all’inverno preferiscono dormire.
La primavera è segno di rinascita e io sento che rinascerò, diventerò più forte, scaccerò dalla vita di Ryan quella vipera Inglese.
 
 
Ogni giorno mi faccio portare fuori da Takumi per osservare il cielo azzurro, quello stesso azzurro che mi ricorda i tuoi occhi.
Il ragazzo mi lascia lì, con tanto di bibita fresca e libri per non annoiarmi mentre lui rientra in casa a fare solo dio sa cosa.
Mentre sono tranquilla a osservare di là della recinsione in muro la signora anziana con la busta della spesa per poi fermarsi a parlare con un signore che è a spasso con il suo barboncino, un bisogno urgente, mooolto urgente mi colpisce.
La pancia sta implorando e la mia forza interiore sta cedendo a questo bisogno estremamente necessario.
-Takumi- chiamo stingendo l’elastico lì dove il sole non batte mai –Taakumiiii…- questa volta urlo disperatamente.
Non vedendolo arrivare, inizio a disperarmi seriamente.
Con uno sforzo inumano e con l’aiuto delle mani mi sollevo dalla sedia. Lascio cadere il corpo sul muro per prendere a respirare regolarmente cosa che avevo smesso di fare nel frattempo che mi rialzavo.
Uso il muro come sostegno mentre con passi incerti e piccoli mi avvio verso l’entrata.
Dopo un tempo che mi sembra infinito arrivo davanti alla porta del bagno.
Non voglio pensare a tutto lo sforzo e i movimenti acrobatici che ho dovuto fare per calarmi i pantaloncini e la biancheria.
Dopo aver sodisfatto quel bisogno necessario mi assale un dubbio.
Takumi dov’è? Quando oggi mi ha portata fuori ha detto che sarebbe stato in salotto a studiare. Allora perché la casa è vuota?
-Takumi?- la mia voce rimbomba nella mia testa ma non c’è nessuna risposta ad arrivare in cambio.
Reggendomi sul muro muovo piccoli passi verso l’uscita.
Le gambe stano implorando pietà, non vogliono più reggere il mio peso, non vogliono fare un altro passo.
Raggiungere la sedia fuori è troppo lontano ma sedermi sul divano è lontano, troppo lontano dal muro.
Scivolo fino a toccare terra con il fondoschiena. Il parchè del salotto è impolverato all’esatto modo della camera di Takumi, come i mobili e i vetri, sembra che in questa casa sia scoppiata una bomba di polvere.
-Takumi- sussurro l’unico nome che in questo periodo ho pronunciato ad alta voce.
Sono in bilico fra la disperazione e la solitudine.
Mi sento sola, abbandonata da tutti.
Non è normale che nessuno è venuto a trovarmi. Non è assolutamente normale che mi trovo a casa di Takumi, che oltretutto vive da solo in una casa famigliare.
Mi rialzo non lasciando mai il muro, con altri passi piccoli e incerti arrivo alla mia postazione.
Mi siedo per afferrare il libro comico e riprendere a leggere.
Takumi pensa che leggendo questi libri mi sentirò meglio e che riuscirò a dimenticare il dolore che il mio corpo sta affrontando da più di un mese, o almeno da più di un mese che io sono sveglia altrimenti fano quattro mesi.
 
Il sole sta calando, l’orizzonte ha assunto quell’aura arancione calda, i lampioni gialli si sono accesi ma non sono più potenti del tramonto. L’acqua continua a scorrere impetuosa a qualche metro da me, abbastanza lontano da non farsi vedere ai miei occhi ma vicino da farsi sentire.
Per tutto il giorno non ho visto Takumi.
Forse era stufo di dover stare in casa a servire ogni mio capriccio, sarà andato fuori con i suoi amici.
Non lo biasimo.
In fondo è un giovane ragazzo, ha bisogno dei suoi spazzi e del suo divertimento, dell’adrenalina che ogni ragazzo alla sua età cerca.
L’aria fresca della sera prossima ad arrivare mi fa alzare in piedi, con mille sforzi e sofferenze, per rientrare in casa.
Impacciata e dolente raggiungo il salotto, al suo centro c’è il divano rosso mentre in un angolo vicino alla finestra alle spalle del divano, c’è un tavolo con tre sedie attorno.
Opto per la sedia, dato che purtroppo il divano è una meta impossibile, almeno in queste condizioni non raggiungerò mai.
Mi accomodo su quella sedia. Mi lascio cadere sullo schienale per riempire i polmoni.
La stanza è illuminata solo dalla luce che deriva da fuori. È molto solitaria e lugubre, esattamente come mi sento in questo esatto momento.
Una cosa è certa, sono sola, ma non per scelta di quelle persone che vorrei avere udienza, sono sicura che sia successo qualcosa.
Appoggio la guancia sostenendolo sul palmo della mano mentre gli occhi volano fuori dalla finestra con la testa piena di dubbi e domande.
Lì vicino al muretto di una cinquantina di centimetri c’è un ragazzino, alla luce di quel lampione i suoi capelli sono rossicci ma non sono sicura che sia quello il loro vero colore, sta facendo avanti e i indietro con testa china, come se stesse cercando qualcosa.
Lo osservo alla sua insaputa.
Potessi camminare liberamente andrei ad aiutarlo, ma non posso, non sono libera di fare ciò che voglio.
Distolgo lo sguardo da fuori per portarlo sulla coscia fasciata.
Seguo le linee che la fascia bianca ha formato a ogni giro che le è stata fatta.
Porto la mano libera accanto alla fasciatura ma senza toccarlo. Al solo guardarla mi fa senso, sento la ferita bruciare e darmi fastidio.
Ricordo gli occhi di Takumi quando ieri sera me l’ha fasciata, erano fermi, distaccati ma nonostante quella specie di muro che aveva creato ho visto la compassione prendere il sopravento anche se solo per un secondo.
Non ho mai osato guardare quanto quella ferita sia grave, non ho mai osato guardare nessuna delle due.
Riporto lo sguardo fuori dalla finestra, il ragazzino è ancora lì a fare lo stesso percorso avanti e indietro.
Possibile che non ci ha ancora rinunciato, cosa può mai aver perso?
Sono completamente immersa sulla figura graziosa di quel ragazzino quando improvvisamente, dal nulla sovrapponendosi per un’istante con la figura del ragazzino per poi trovarsi in giardino c’è una figura alta e snella.
Ha dai lunghi capelli neri che li arrivano fino alle spalle, pantaloni che si allargano alla fine e una maglia aperta che li mostra il petto bianco pallido. Ha spaventarmi maggiormente non è il fatto che un estraneo sta camminando in direzione della casa ma che quel estraneo ha le orecchie uguali a quelli di Ghish, Pai, Tart, Eizo e… e di Aki.
Batto le palpebre quando quella figura scompare, o per lo meno lascia spazio alla famigliare e amichevole figura di Takumi.
Sono perplessa. Dov’è andato a finire quell’allineo, sono sicura di aver visto un alieno.
Sbatto più e più volte le palpebre ma la figura che continuo a vedere è quella di Takumi.
-Strawberry- lo sento urlare, quando dev’essere arrivato alla postazione dove questa mattina mi aveva lasciato e non avermi più ritrovata lì.
Compare sulla soglia della porta con il fiatone e lo sguardo spalancato come a voler vedere meglio, come a voler sfidare le tenebre della stanza nella quale mi ritrovo immersa da non so più quanto tempo.
-Strawberry- urla di nuovo.
I suoi occhi non si sono ancora abituati alla luce dell’ombra.
-si- rispondo con voce flebile e subito dopo sentire il tik di un interruttore premuto. La stanza s’illuminata rivelando la mia persona seduta sulla sedia con lo sguardo rivolto a lui, e Takumi guardarmi perplesso, ci guardiamo per un po’ prima che lui interrompa il silenzio.
-o mio dio, stai bene- dice con voce grata mentre corre verso di me.
Mi stringe fra le sue braccia infondendomi calore. In un primo momento tentenno prima di alzare le mani e afferrare la maglietta bianca dietro la schiena del ragazzo.
Non mi accorgo che sto piangendo non fino a quando i singhiozzi popolano la stanza.
-ti prego perdonami- sussurra fra i miei capelli.
-mm…- mugolo fra le lacrime. Non credevo di essermi spaventata così tanto, non pensavo di arrivare a piangere quando avrei rivisto Takumi tornare.
-sono qui. Sono qui- il suo tono di voce è amichevole e confortante a tal punto che le lacrime smettono di scendere.
Mi ricompongo per poi appoggiarmi allo schienale della sedia e guardare Takumi ancora seduto sui suoi talloni di fronte a me.
-per favore Takumi, mi porti a letto, sono stanca- non mi risponde semplicemente si alza in piedi e con un semplice gesto mi prende in braccio.
Mi rimette a letto aggiustandomi il cuscino sotto la testa in modo che io sia comoda.
-non mi preparare la zuppa, questa sera non voglio niente- sussurro sentendomi più nel mondo dei sogni che nella stanza con lui.
Chiudo gli occhi e come se automaticamente alla loro chiusura io mi dovessi trovare in un sogno.
 
Mi muovo nel letto con una necessità identica a quella di oggi pomeriggio, ma non voglio svegliare Takumi, desidero che se ne stia per un po’ in pace. Deve recuperare forze che durante la giornata io li faccio sprecare.
È proprio per questo motivo che continuo a dimenarmi sotto la leggera coperta.
Trovandomi al limite dello sforzo, decido di alzarmi, aiutandomi con le cose che mi circondano sorreggendomi su di esse.
Sulla sedia accanto al letto non c’è la sagoma del ragazzo che ogni notte la passa lì accanto a me, come a proteggermi dal buio. Mi convinco che forse è andato a dormire sul divano.
E con questo pensiero mi avvio verso il bagno che per mia fortuna si trova accanto alla camera di Takumi.
Con un gesto impacciato abbasso la maniglia per spingere la porta rivelandomi il bagno illuminato, di fronte al lavandino con l’espressione di chi è stato colto in fragrante c’è Takumi.
-ma cosa..?- mi chiedo ad alta voce osservando il ragazzo. Fra i denti serra la fascia bianca con la quale si sta fasciando l’avambraccio, sul lavandino ci sono alcuni oggetti da kit medico.
-strawberry, che ci fai qui?- mugola a denti serrati.
-perché ti sati fasciando l’avambraccio?- domando tenendo gli occhi sul suo braccio.
-è una lunga storia- risponde lui continuando a fasciare.
-cosa ti è successo?- insisto.
-niente, giocavo a calcio con i miei amici, sono caduto e mi sono tagliato contro un sasso- spiega completando l’opera –tu invece come sei arrivata fino a qui?- mi corre incontro sorreggendomi per le spalle.
-volevo usare il bagno- arrossisco vergognosamente.
-dai ti aiuto- mi porta al suo interno posizionandomi di fronte al wc.
Osservo la tazza bianca difronte a noi per poi portare lo sguardo su Takumi, il ragazzo ricambia lo sguardo, continuo a guardarlo accigliata.
-allora cosa stai aspettando, un invito a buttarti fuori?- domando acidamente.
-hahaha … forse era proprio quello che mi aspettavo- risponde lui ma senza muoversi di un millimetro.
-allora?- chiedo guardandolo con insistenza.
-sessanta minuti, come sempre- risponde lui divertito.
-te ne vai?- chiedo spazientita, anche perché sento che non riuscirò a trattenermi a lungo.
-fammi pensare…- alza lo sguardo verso un punto indefinito come a meditare sulla cosa -..no- risponde secco.
-si- urlo disperata.
-no-
-si- li mollo un pugno sulla spalla.
-nemmeno per sogno, voglio guardarti mentre fai la cacca- dice fin troppo divertito.
-nooo..- urlo spaventata dalla cosa, nemmeno per sogno –esci- strillo.
-oo hoho non se ne parla- risponde accomodandosi sul bordo della vasca da bagno –io resto qui- asserisce con un sorrisino che non appena guarirò glielo toglierò dalla faccia a suon di pugni.
-giuro che ti ammazzo, ora vai fuori se desideri ancora vivere- lo guardo con insistenza e uso il tono più minaccioso che io possa mai avere.
Sorride sfidandomi con lo sguardo.
Di certo non mi tiro indietro.
-e va bene, me ne vado prima che te l’ha fai addosso, non mi va di pulirti le mutande di cacca- dice derisorio uscendo finalmente dal bagno.
Tanto dopo gliela faccio pagare a quello stronzo ma ora l’importante è che io mi liberi da questi… em… sostanze superflue.
Mi lavo le mani con il sapone, e con passo incerto sorreggendomi ai mobili arrivo alla finestra, sto per aprirla quando i miei occhi vanno a finire sulla figura del ragazzino in strada che sta facendo avanti e indietro con la testa china.
Rabbrividisco a quella visione solitaria.
Com’è possibile che si trovi ancora lì fuori, cosa c’è di così importante che non li permette di ritornare a casa, e i suoi genitori dove cavolo sono finiti da non accorgersi che loro figlio non è tornato a casa?
Apro la finestra per espormi leggermente in avanti. La brezza notturna, fresca e umida mi soffia sulle guance.
-ehi, ragazzino, che ci fai lì torna a casa- urlo indirizzandomi a lui.
Quel bambino continua a camminare avanti e indietro come se io non esistessi, come se il buio della notte non lo avesse avvolto.
-eehi- cerco di richiamarlo, purtroppo non riesco a urlare molto, lo stomaco brucia maggiormente se sforzato.
-Strawberry che succede?- domanda Takumi dietro la porta del bagno –sto entrando- dice per poi un attimo dopo spalanca la porta e raggiungermi.
-là..- indico con il dito verso il ragazzino -.. c’è un bambino da questa sera che sta cercando qualcosa, ma non può stare fuori tutta la notte- dico senza staccare mai lo sguardo da quel ragazzino.
-capisco..- sussurra lui, ho l’impressione che non abbia nulla da dire, come se la cosa non lo toccasse minimamente, come se un ragazzino che passa l’intera notte fuori casa in mezzo alla strada fosse la cosa più normale che si possa vedere. No, non ci sto, io non sono della stessa idea.
-hei bambino, tesoro, devi tornare a casa, la tua mamma e il tuo papà saranno preoccupati- continuo a urlare, sentendo forti fitte al addome.
Mi piego in due dal dolore, con una mano mi stringo la ferita mentre con l’altra continuo a sorreggermi tenendomi sul muro.
-hai sentito? Torna a casa, domani troverai quello che cerchi- insisto.
Il dolore s’infittisce facendomi arrivare le lacrime agli occhi.
-su, torniamo a letto- mi prende in braccio.
-non riuscirò mai a dormire sapendo che quel bambino passerà la notte lì fuori- dico a fior di labbra sentendomi l’animo stritolato da rami spinosi.
-invece devi dormire, altrimenti come pensi di rigenerare le ferite?- chiede rimproveroso.
-ma..- m’interrompe –niente ma, ora tu dormi, io vado là fuori e mando a casa quel bambino, okay- se prima aveva iniziato a parlare rimproveroso verso la fine della frase assume un’espressione compiaciuta.
-va bene- dico facendomi mettere sotto le coperte, come una bambina – grazie Takumi- sussurro quando il ragazzo mi ha dato le spalle per uscire dalla stanza.
Nel silenzio della notte, sento i passi decisi di Takumi scendere le scale velocemente, aprire la porta d’ingresso e poi nulla. Non si sente niente, nemmeno il suono dell’acqua di quel fiume che durante il giorno riesco a sentire quando sono fuori.
Uno di questi giorni voglio chiedere a Takumi di portarmici.
La porta d’ingresso si richiude e subito dopo i passi veloci di Takumi salgono i gradini fino a ritrovarmelo nuovamente in camera.
-allora?- chiedo ansiosa.
-è tornato a casa- mi sorride per poi lasciarsi cadere sulla sedia.
-menomale- sospiro finalmente rilassandomi.
 
 
I raggi del sole si sono posati sulle mie guance come a darmi il bacio del buongiorno, forse sono stati mandati da te, volevi farmi sentire il tuo calore. Mi piacerebbe fosse così, ma so che è solo un mio desiderio.
Apro gli occhi con la testa incasinata da pensieri simili.
Mi accorgo che Takumi non è sulla sua sedia.
Porto lo sguardo sulla soffitta ma senza vederla realmente.
-ti sei svegliata?- sento dire da Takumi che ha fatto capolino in stanza con il kit medico sottomano.
-giorno- lo saluto a mia volta con un sorriso.
-pronta a farti medicare le ferite?- domanda appoggiando quelle cose sul comodino alla testa del letto.
-non proprio- rispondo.
-io si invece- mi prende in giro.
-e certo a te non fa male e non brucia quando me la lavi con quella roba blu- lo rimprovero.
Lo vedo stappare la bottiglia bianca e metterci un panno sul boccale per bagnarlo lo appoggia sulla mia pancia e inizia a levarmi la fasciatura bianca.
Quando lo leva completamente e la getta a terra, con un dito sfiora la ferita senza calcare, come a volersi assicurare di ciò che i suoi occhi scorgono.
-cerca di resistere- dice infine afferrando il panno che in precedenza aveva bagnato.
Annuisco serrando forte i denti come per non permettere al dolore di raggiungermi.
Inizia a medicarmi e il dolore che provo è atroce.
-resisti piccola ho quasi finito- dice lui cercando di fare in fretta.
Dopo pochi minuti finisce di pulirla e finalmente posso prendere a respirare.
-vuoi guardare la tua ferita?- domanda sorridendomi.
Lo osservo per qualche secondo senza proferire parola, non sono sicura di voler guardarla, e se è più grave di quanto me la immagino… mi demoralizzo e non mi muovo più da questo letto, questo è sicuro, passerò il resto dei miei giorni a marcire.
-guardala, non avere paura- asserisce convincendomi a farlo.
Mi sollevo appena sui gomiti per osservarlo.
Vedo il taglio che la lama ha lasciato quando è stata conficcata nello stomaco. Si trova poco in alto dell’ombelico, credevo che lo squarcio fosse più aperto e invece si sta molto rimarginando.
Sorrido per poi alzare lo sguardo su Takumi.
-sta guarendo m’informa lui, e quella sulla gamba è molto meglio- asserisce dandomi la notizia più bella che potesse darmi –devi continuare a prendere la zuppa per guarirla internamente e poi sarai come nuova- conclude sorridente.
-dammi anche tre portate di zuppa, voglio guarire subito.- dico ansiosa.
Il ragazzo scoppia a ridere –con calma strawberry, con calma- dice cercando di farmi tranquillizzare.
Finisce di fasciarmi, ritorna in stanza con la porzione di zuppa.
Questa volta la mangio più velocemente, resistendo al disgusto e al dolore, sì perché sono più convinta e motivata.
Guarirò e verrò a cercarti, promesso…
-senti Strawberry..- interrompe il flusso dei miei pensieri Takumi –ti va se facciamo delle specie di esercizi per farti abituare al dolore e così far emarginare bene la ferita?- chiede quasi timoroso.
-e me lo chiedi- urlo quasi, di gioia.
-dobbiamo cercare di farti camminare, a stare seduta ti ho già iniziata a farti abituare ma anche camminare ci hai già provato- dice guardandomi negli occhi.
-sono prontissima- asserisco al settimo celo.
Mi prende in braccio e mi porta fuori.
-l’aria fresca ti aiuta a rilassarti- dice mettendomi a terra.
Sorreggendomi a lui, inizio la mia riabilitazione.
Stiamo facendo avanti e indietro per il prato a piedi nudi.
Ma purtroppo mi stanco subito e mi ritrovo seduta sulla sedia a rimproverarmi mentalmente perché mi sento un incapace.
-tranquilla, vedrai che col tempo riuscirai a camminare anche da sola senza doverti sorreggere a nulla e nessuno per molto tempo fino a guarire del tutto- dice il ragazzo posando sul tavolo un bicchiere di acqua.
Sorrido senza aggiungere altro.
Lui mi dice che usciva per un po’ mentre io rimango seduta a dover leggere uno dei libri che Takumi mi ha portato.
Quando alzo lo sguardo dal libro, si presenta la scena della signora anziana con il pane che si ferma a chiacchierare con l’anziano signore che porta a spasso il suo cagnolino e poco più in là il bambino con la testa china che fa avanti e indietro alla ricerca di qualcosa.
 
Sono stata qui fuori per tutto il giorno e incredibilmente si ripete la stessa identica scena. Il ragazzino che fa avanti e indietro, la signora con il pane che si ferma a parlare con il padrone del cane.
Non per fare la paranoica, ma qui c’è qualcosa che non va.
Mi tasto il corpo, eppure sembra reale, sento le mie mani sul corpo e sento anche il dolore, quindi non sto dormendo.
Possibile…?
Possibile che sono morta e tutto questo è soltanto un illusione?
 
 
 
 

Angolo Autrice:

Care lettrici, con “Guarda solo me Ama solo me” vi avevo lasciate con un finale a sorpresa, molte di voi sono rimaste male da quel finale inaspettato… hihihi ve la siete anche presa un pochetto…
Il mondo delle mew mew è cambiato moltissimo rispetto a come vi siete abituate a vedere, e negli prossimi capitoli lo vedrete anche voi, per questo ho deciso di tagliare…
Dopo la separazione violenta di Strawberry da Ryan la ritroviamo nella camera da letto di Takumi, persa nelle sue paure e paranoie.
Secondo voi che fine ha fatto Ryan e Strawberry riuscirà a rincontrarlo?

Con questa domanda vi lascio ringraziandovi tutte per aver letto la mia storia.
Un bacio enorme a tutte :*
Inna :)

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