Blu

di Love_in_idleness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Porto ***
Capitolo 2: *** Ambra ***
Capitolo 3: *** Cielo ***
Capitolo 4: *** Polvere ***
Capitolo 5: *** Voci ***
Capitolo 6: *** Lividi ***
Capitolo 7: *** Peso ***
Capitolo 8: *** Mente ***
Capitolo 9: *** Tempeste ***
Capitolo 10: *** Attesa ***
Capitolo 11: *** Vuoto ***
Capitolo 12: *** Ricostruzione ***
Capitolo 13: *** Schiena ***
Capitolo 14: *** Doppio ***
Capitolo 15: *** Navi ***
Capitolo 16: *** Affetto ***
Capitolo 17: *** Bacio ***
Capitolo 18: *** Argini ***
Capitolo 19: *** Statua ***
Capitolo 20: *** Preparazione ***
Capitolo 21: *** Estranei ***
Capitolo 22: *** Luna ***
Capitolo 23: *** Granello ***
Capitolo 24: *** Scrigni ***
Capitolo 25: *** Epitaffio ***
Capitolo 26: *** Cocci ***
Capitolo 27: *** Profezia ***
Capitolo 28: *** Successione ***
Capitolo 29: *** Cuore ***
Capitolo 30: *** Maledizione ***
Capitolo 31: *** Parola ***
Capitolo 32: *** Dispersione ***
Capitolo 33: *** Daga ***
Capitolo 34: *** Ora ***
Capitolo 35: *** Prato ***



Capitolo 1
*** Porto ***


blu 01

Blu

̴

 

1.

[Porto]

 

 

“E’ profondo.”

Il blu è il colore della distanza.

Il colore della solitudine.

Il mare è blu, e il cielo blu.

Sono entità che non potrai mai cogliere appieno, o attraversare in un attimo. Se volessi percorrerle, prima o poi ti staccheresti dalla terra e da tutto ciò che essa custodisce di prezioso, e alla fine ti ritroveresti solo, nel cuore del mistero.

Una nave dispersa tra le onde.

Una stella lontana anni luce.

Blu colore della distanza e dei sogni. Che forse sono la stessa cosa.

 

“E’ davvero così profondo?” Chiede ad alta voce a nessuno in particolare.

Saga punta lo sguardo verso l’orizzonte. Forse non sa nemmeno a cosa si riferisce.

C’è un sole forte dipinto nel cielo. Si porta una mano sulla fronte e stringe gli occhi per vedere meglio. Occhi blu, profondi.

L’estate, sul mare è calda e sembra sciogliere la tensione interiore. Saga sorride nel sole, mentre cammina per il porto e cerca di notare tutto, ogni odore, ogni colore, ogni forma della sua nuova casa. Atene dalle bianche porte vive la sua stagione migliore, e tutti sembrano accorgersene.

E’ uno strano garbuglio di vie e vicoli. Saga è sicuro di essersi perso, ma non è importante. Ora deve solo esplorare tutte le superfici e fare sua la città del mito. L’Acropoli svetta sulla sommità della collina, e lui sa che oltre quelle colonne antiche come la memoria è custodito un segreto di cui fa parte.

E la vede brillare sotto il sole e un cielo estivo così chiaro.

Il tempio chiaro come le case, come le case si oscurerà all’ora stabilita.

Se ne sta immobile a consumarsi stagione dopo stagione guardando la vita passare accanto a sé, mentre gli abitanti della città di tanto in tanto alzano lo sguardo per ammirarla, ammantata della sua modulare bellezza.

In tutto questo tempo non si sono accorti di niente. È come se non sapessero della sua esistenza. Come se non la capissero, lei che è sempre più bianca e azzurra nei secoli.

Saga si sente un po’ come quella vecchia cattedrale. Più blu del normale, con i capelli spettinati che volano al vento, e gli occhi che studiano ogni superficie. Più misterioso del normale, perché il suo destino, anche se il mondo non potrà mai saperlo, è quello di diventare il più forte tra i Cavalieri. Più gigante delle persone che gli passano accanto e che di tanto in tanto abbassano lo sguardo per ammirarlo, avvolto nella sua puerile bellezza.

 

“Ne vuoi una?” Gli domanda la grossa signora del negozio. Ha i capelli raccolti scompostamente e conta monetine su un tavolo più alto di lui.

Saga fissa le arance, il loro profumo è inebriante.

La signora gli sorride gentilmente.

“Non ho niente con me.”

“E’ solo un’arancia, piccolo!”

Saga fa una smorfia. Lei lascia perdere le monetine che tintinnano sul tavolo e si avvicina alla cesta delle arance.

“Ecco, tieni. Ti piacciono, sì?”

“Moltissimo, signora,” Risponde, educatamente come gli ha insegnato il suo maestro.

“Come ti chiami?”

“Saga.”

“Quanti anni hai?”

“Quattro.”

La signora sceglie un’arancia non troppo grande e non troppo piccola dal cesto. “Non sei un po’ piccolo per andartene in giro tutto solo?”

“Assolutamente no!” Risponde Saga.

Poi ci ripensa guardando l’arancia. Profuma di agrumi come il vecchio giardino di casa sua e gli trasmette una calma e una serenità inspiegabili. Un’arancia. Arancione. “Cioè, sono molto sveglio.”

“Oh, certo.” Ride la signora, accarezzandogli i capelli blu.

Saga vorrebbe aggiungere: io un giorno sarò più forte di questa città intera, ma si trattiene. La signora non capirebbe.

Ed è già stata abbastanza gentile a regalargli un pezzo della sua vecchia casa.

 

“Cosa guardi?”

Saga alza gli occhi. Il vento che gioca coi suoi capelli blu gli impedisce di vedere bene. Ma è meglio così, perché sarebbe costretto a distogliere lo sguardo.

“Il mare,”

Kastor si siede accanto a lui sul pontile di legno e Saga ritorna a guardare l’orizzonte. Non c’è un perché del suo comportamento. Se ne sta solo lì a fissare l’infinita distesa d’acqua con la consapevolezza che non potrà mai essere abbastanza grande, o abbastanza intenso per capirla. E’ una sensazione dolcissima, quella delle onde. Tutto il paesaggio sembra riportarlo a casa. Osserva con nostalgia il suo colore cristallino, sente il ritmo calmo del suo moto che è uguale in tutte le coste del mondo.

Odore di mare.

Sensazione salina sulla pelle che l’ha accompagnato.

Profumo di arance.

Istintivamente Saga si porta le mani al volto e annusa il profumo dell’arancia.

Puoi capire, a quattro anni, il significato di una parola come malinconia?

Kastor sembra intuire il suo silenzio. Non lo sgrida. Lo fissa con aria di rimprovero, e Saga si sente un po’ più sollevato. Forse in quello sguardo adulto, in quel viso, in quelle mani, potrà ritrovare un po’ del calore perduto. È a questo che pensa.

“Non saresti dovuto scappare.”

“Non sono scappato, Maestro.”

“Beh,” Dice. “sei qui al Porto. Non all’Arena, ad allenarti coi tuoi compagni.”

“I miei compagni…”

“Sei perdonato solo perché sei nuovo. Capito? Ora torniamo.”

Saga annuisce, ma continua a guardare l’orizzonte.

Forse gli basta solo legare questa vita nuova alla sensazione del sale, o all’odore di mare e di arance.

Forse si costruirà col tempo una nuova casa.

 

 

***

Queste note saranno particolarmente lunghe perché è il primo capitolo e perché sono afona ;O; e sono due giorni che non riesco ad esprimermi, così dovrete ascoltarmi voi.
Detto questo. Sì, è una long fic. Sarà molto long. Ho scritto 22 capitoli, fin’ora, ma credo di aver superato appena la metà. D’altronde il piccolo Saga di cose ne ha fatte nei suoi ventotto anni di vita ù.ù

 Due parole sulla struttura:
Punto uno. Non ho davvero rispettato i tempi della serie originale. Mi dispiace, ma avevo bisogno di più spazio per Saga e Aiolos. La notte degli inganni non può capitare nei loro quattordici anni, per cui l’ho posticipata di quattro. Spero non me ne vogliate. Esigenze di copione ù.ù
Punto due. Kanon. Kanon è un disastro. A parte che non ho mai capito se vivesse al Santuario o cosa. Voglio dire, se stava lì, come mai nessuno si è accorto della sua scomparsa o roba del genere? Se non era lì, come poteva conoscere Saga così a fondo? Non lo so. Sono anni che me lo domando. Per cui ho deciso, visto che Kanon è un personaggio che non capisco e che mi dà una marea di problemi, di abbandonarlo a se stesso al di fuori del Santuario. Ma sarà sempre lì in agguato, non preoccupatevi. Cioè. Forse sono io che non lo so… voi sapete chiarirmi questo dubbio?

 

Risposte per Dissolversi – perché non so dove metterle:

Spartaco: Oh, grazie, grazie per i complimenti *O*! Che poi in realtà è meglio se ci mettiamo a studiare. Su, facciamo uno sforzo di volontà

Syl: Ti ringrazio tantissimo *w* anche se non credo che proseguirò con la famiglia dell’Ariete. Questa cosa di Saga sta assumendo proporzioni enormi, e sta assorbendo ogni mio altro progetto.

HarleyQuinn: Zitta. Non ne voglio parlare, dell’esame abbacinante. Non ne posso parlare in realtà perché dalla mia gola uscirebbe un […] indistinto. No, comunque grazie per il commento, ma te l’ho già detto <3. E ricorda sempre: slash is love <3

 LeFleurDuMal: Oh, grazie per aver recensito ancora *O* sei ufficialmente il mio nuovo idolo. Non ho altro da aggiungere a questo *si commuove ;O;*

 HOPE87: Sono contenta di averti dato un’immagine che finisce nel tuo cuoricino <3 A me capita spesso, leggendo lavori di altri, ed è una cosa piacevolissima. È successo anche a me *^*. Sono fiera dei tuoi occhi lacrimosi. Grazie davvero XD

 Grazie di nuovo a HOPE87 e Ren_chan che hanno aggiunto la storia ai preferiti.

 Basta, non vi rubo più tempo. Vado a gettarmi sullo studio.
A presto e baci a tutti X*  

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Capitolo 2
*** Ambra ***


blu 02

02.

[Ambra]

 

 

Un colore

Così solo

Il tuo…

 

Stanco, si getta sul prato. La schiena gli fa male, come ogni altra parte del corpo. I fili d’erba accarezzano dolcemente la pelle graffiata, e profumano di umido e terra. Solleticano il naso.

Saga spalanca gambe e braccia, occhi blu rivolti verso il cielo.

Da qualche parte, nella città bassa, la vita continua. Ma lui è lì, sulla sommità della collina, e domina tutti. Almeno, così gli piace immaginare, anche se ha gli occhi chiusi e stanchi, e vorrebbe solo dormire per sempre.

“Sono un guerriero invincibile,” Mormora, accanendosi contro qualche ciuffo d’erba.

Vento lieve che gli scompiglia i capelli. Vento dai mille odori raccolto sulla cima della collinetta, il punto più alto del mondo. C’è il mare e l’erba, il sale e la terra. Vento, fine estate.

Profuma di… cosa?

Saga riapre pigramente gli occhi, disteso tra cielo e terra.

Un bambino lo guarda, aggrappato all’albero. Curioso. È sporto in avanti e le sue labbra sono dischiuse. Ha gli occhi nocciola, un colore caldo come il legno, come l’ambra.

“Ciao,” Dice.

“Ciao.”

“Non dovresti essere all’Arena?”

“Anche tu.”

Il bambino scende con un salto. Come lui, ha addosso le vesti strappate dagli allenamenti. La sua pelle è abbronzata e luminosa come l’ambra, e quando si avvicina Saga sente il profumo del sale.

Il bambino avanza di pochi passi. Rimane per qualche istante in piedi a osservarlo, mentre lui se ne sta disteso tra cielo e terra coi suoi ciuffetti di erba verde tra le mani che lascia uno dopo l’altro scivolare nel vento.

Il bambino lo guarda curioso. I suoi colori sono così caldi e luminosi…

Saga si porta una mano sulla fronte per pararsi gli occhi dall’ultimo sole pomeridiano.

“Chi sei?”

“Il mio nome è Aiolos.”

“Non ti ho mai visto prima, Aiolos.”

“Sono arrivato appena due giorni fa.”

Saga dentro di sé sorride. Così, lui è il più grande.

“E tu come ti chiami?”

“Saga.”

Aiolos ci pensa un secondo. È ancora in piedi e la sua ombra è come una meridiana celeste, la sua testa castana sembra ambra liquida così colpita dall’ultimo sole del pomeriggio, degli ultimi giorni d’estate. Poi si siede.

“Tu sei…” Dice Aiolos. “Ti ho visto oggi all’Arena. Tu sei forte!”

Saga alza la testa dal suo cuscino di terra. Il vento gli muove i capelli. La mano di Aiolos gli accarezza i capelli.

“Sei pieno di fili d’erba,” Ride. “I tuoi capelli hanno un colore così strano!”

“I miei capelli hanno il colore del cielo.”

“Oh,” Aiolos gioca con l’erba. “Anche i tuoi occhi. Non ho mai visto nessuno con i capelli colore del cielo. Forse, un dio.”

Il dio di… cosa? Vorrebbe chiedere Saga. Ma non lo fa. Sta zitto, e pensa alla profondità dei suoi capelli, a come ci si possa perdere facilmente, nel blu, che è un gorgo freddo e vorticoso.

Aiolos, invece ha la pelle dorata e capelli chiari come l’ambra. La sua pelle profuma di sale. I suoi occhi sono come un prato.

Aiolos fa un po’ parte di un tardo pomeriggio di fine estate, col suo venticello, la sua calura, il suo senso di accelerazione.

E poi, precipita.

 

“Maestro, chi è il nuovo allievo?”

Kastor si volta verso l’Arena e guarda nella direzione dei giovani combattenti. Una nuvola di polvere si alza tra di loro, e sembra renderne meno definiti i contorni.

“Quale?”

“Quello!” Saga punta il dito verso Aiolos.

“Lo conosci?” Domanda Kastor.

C’è traccia di dolcezza sul suo viso?

Saga rimane per un secondo abbagliato dal riflesso di sole sopra gli spalti candidi e le colonne. Sembrerebbe di nuovo tutto sospeso tra il bianco e l’azzurro, non fosse per quella nuvola di terra che indora la superficie.

“Ieri ci siamo incontrati.”

“E quando?”

Saga guarda per terra.

“Non te ne sarai di nuovo andato per i fatti tuoi piccolo Saga?”

La sua testa blu, piena di polvere. Negli occhi c’è solo orgoglio.

“Si chiama Aiolos.”

“Questo lo so.”

“Beh… sono contento che abbiate fatto amicizia. Devi conoscere quel bambino. Lui si allena per un’Armatura d’Oro. Come te.”

Saga apre la bocca.

Così è questo.

Per un attimo, sorride soddisfatto. Per un attimo. Dalla sua posizione in cima ai gradini può sbirciarlo anche attraverso nuvole di polvere. Vede i suoi movimenti fluidi e la sua potenza, e gli sembra evidente che risplenda più di tutti gli altri.

O forse, sono i suoi capelli colore dell’ambra. Forse, è solo che Aiolos gli ricorda un tardo pomeriggio di fine estate, e a quest’immagine sarà sempre associato.

La mano di Kastor si stringe sulla sua spalla minuta. “Condividete lo stesso destino.”

Per un attimo, Saga, si sente felice.

 

Un colore

Così luminoso,

Il tuo…

 

 

***

Anche qui ho vissuto un piccolo dramma per capire – ma di che colore sono gli occhi di Aiolos?

Perché cambiano. Cioè. Io li ho sempre immaginati castani, ma li ho trovati anche azzurri o verdi. Alla fine ho optato per il verde, che è il più comune. Insomma, castani mi avrebbero fatto più comodo, ma cosa possiamo farci ù.ù… Passiamo ai ringraziamenti, vah.

 

Special Thanks to:

 

Regina di Picche: Oh, grazie grazie *O* *saltella qua e là*. È una molto long fic, in realtà, ma sono a buon punto coi lavori. Cielo. Mi sta portando via la salute. Quella frase di Kanon l’avevo calcolata anch’io in realtà. Ho elaborato una mia personale teoria, ma non dico nulla X3. rimane comunque qualcosa che non quadra…

Kagura92: Anche a te, grazie! Un bacio X* Saga è un bambino che sa già il fatto suo, possiede la maturità che comporta la sua condizione, ma a volte ricade nelle situazioni tipiche della sua età. Aiolos, invece, è un patataccolo così <3 e basta XD

Gem: Signorina Gem di Voyager, che piacere incontrarla qui! *scatta delle foto* Ecco, sì, grazie per l’interessamento, mi fa molto piacere. Ora ho l’ansia, come sempre, e sono sicura che qualcosa andrà storto, ma terrò duro! Sono una stoica °^°!

Ren_chan: Io… *O* ho letto Antigone, sai, e per una buona mezz’ora ho pensato di lasciar perdere tutto quanto. Che bello <3 tu sei un genio. Ecco, lo dico qui una volta per sempre. Anch’io mi sono arrampicata sugli specchi per la vicenda Kanon. Voglio dire, io amo Kanon, Kanon sei fantastico. Ma, accidenti, come collocazione nella storia sei una vera scocciatura XO. Beh, mi dirai –direte- se la mia arrampicata è una cosa plausibile o meno. *sospira* Grazie di cuore per le recensioni çOç!

HarleyQuinn: Ultimamente sono più i giorni in cui sono in coma che quelli in cui ci vediamo, ma ti devi abituare! Lo faccio per te! No, comunque grazie lo stesso per il sostegno. Sul serio ;O; E per la cronaca, ho deciso che odio il genitivo. Non so quanto possa interessare, ma volevo sfogarmi…

 
Un grazie enorme anche a Shinji per avermi reso felice e saltellante <3 e a Gaara4.

Vado a infilare la testolina nel bicarbonato ora. Quando torno voglio trovare un milione di commenti, ok XD?

Baci X*

 

 

 

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Capitolo 3
*** Cielo ***


03 blu

03.

[Cielo]

 

 

C’è un cielo blu impenetrabile questa notte. È denso e punteggiato di stelle. Saga lo fissa senza vederci dentro nulla.

Una volta, Kastor gli ha rivelato che il Kyooko può leggere le stelle. Leggere il futuro dentro puntini luminosi, sospesi nel cielo. E Saga ha guardato per giorni il cielo, chiedendosi dove fosse la chiave di lettura.

“Non c’è scritto niente,” Si è convinto alla fine. “Non dice niente.”

Anche questa notte se ne sta disteso sulla scalinata gelida con il naso rivolto all’insù. Alza un braccio, lentamente, come per afferrare uno di quegli aloni iridescenti.

 

“I saggi da sempre hanno scrutato le stelle,” Ha detto Kastor, notando il suo sguardo crucciato. “In cima alle torri e agli osservatori per millenni hanno cercato delle risposte nel cielo.”

“E come può il cielo parlare agli uomini?”

“Il cielo non parla a tutti gli uomini.”

“Come può il cielo parlare ad alcuni uomini?”

“Non lo so,” Ha risposto Kastor. “esistono spiriti particolarmente sensibili. Gli dèi permettono loro di possedere conoscenze impensabili.”

“Mm.” Saga sembra soppesare queste parole per un istante. “Il nostro Kyooko è uno di questi.”

“Forse, chi lo sa, un giorno…”

 

Nel blu, Saga vede solo una profonda tristezza.

Blu colore della lontananza e del distacco. Blu solitudine.

Questo, è quello che capisce del cielo. Saga è piuttosto convinto che non ci sarà mai nient’altro per lui dipinto sulla volta celeste, nemmeno se un giorno il Pontefice stesso lo sceglierà tra una moltitudine per mostrargli come leggere le stelle.

 

È lì, steso nell’angolo.

Un angolo, vede. Nascosto nel silenzio e nelle pieghe imperscrutabili della notte, un angolo di pietra bianca che di giorno abbaglia gli occhi, ora giace come ammutolito dalla coperta blu che distorce la sua materia e la sua spazialità.

È lì, steso nell’angolo.

Aiolos si è accorto che è lì steso nell’angolo immobile, da ore. È rimasto seduto dall’altra parte dell’arena come avvolto in una paralisi finché Saga non ha fatto qualcosa di tanto banale, e tanto umano, come alzare un braccio.

In fondo, forse, di umano in quell’ora non ha avuto nient’altro. Era lì, steso nell’angolo, pelle bianca come il marmo e capelli blu notte – e chiunque passasse poteva scambiarlo per un rilievo fuori posto, per una statua caduta dal suo piedistallo e lasciata riposare tra le vestigia dei sacri templi. Era diafano e di una bellezza inconcepibile. A uno sguardo attento si poteva notare l’impercettibile cadenza del petto che si alzava e si abbassava col ritmo di un respiro troppo lento.

È lì, steso nell’angolo, ancora, con una specie di ombra che lo sovrasta. È il cielo che gli cade addosso?

Aiolos gli si avvicina, silenziosamente come gli sembra dovuto, perché tutto attorno a loro tace, e dorme, tutti i rumori umani sono silenziati. Si sentono i grilli che ancora cantano verso la fine dell’estate. Probabilmente, Atene città nuova non è muta, e non è buia. Probabilmente, pensa Aiolos, si trova in uno stato di veglia diverso da quello del giorno, ma oltre la candida soglia dell’Acropoli nessun rumore filtra, e nessuna luce artificiale. Oltre la candida soglia tutto tace di una tranquillità e della saggezza antiche come il tempo che rispettano ogni ora e ogni stagione.

Si siede accanto a lui senza aprire la bocca. Non vuole disturbarlo.

Saga abbassa il braccio, si porta la mano al petto. Rotea gli occhi nella sua direzione. C’è ombra anche sul suo viso?

Cose che un bambino di sei anni non è in grado di comprendere. Il cielo, la divinazione. Il destino, non è in grado di comprendere. Quello che si nasconde dietro tutte queste parole, dietro la volontà degli dèi.

“Torna a casa, Aiolos.”

“No…” Dice lui.

Sono giorni particolari al Grande Tempio. Giorni di mobilità. Il venerabile Kyooko si affaccia ogni notte alla Collina delle Stelle per cercare verità tra gli astri in modi che a Saga sembrano incomprensibili. Ci sono notizie scritte nel cielo, così dicono. Anche Kastor lo dice. Il venerabile Kyooko interroga le costellazioni più brillanti per sapere dove hanno lasciato risorgere i loro preziosi figli. Li vuole trovare, uno a uno, ad Atene li vuole portare. Ma prima, deve conoscere il luogo in cui sono caduti. Quale stella è precipitata come una meteora sulla Terra portandosi dietro un Cosmo dirompente.

“Tu credi che ce ne siano altri? E che… che basti così poco per vederci?”

Aiolos non risponde. Non capisce quello di cui Saga sta parlando.

“Perché questo vorrebbe dire che la nostra vita, tutta la nostra esistenza, è legata a qualcosa che è già da secoli – deciso.”

“Saga, non so cosa –“

“Per quale ragione ci alleniamo, tu e io? È un anno che ci alziamo all’alba ogni mattina. Compiamo sforzi che nessun uomo potrebbe sopportare finché non cala il sole. Non possiamo riposare nemmeno nel sonno. Ma se davvero una stella si è incarnata in me… a cosa serve tutto questo?”

“Saga parla già come un grande.” Dice Aiolos.

“Io sono grande!”

“Sì,” Ride.

Saga si alza dal suo letto di pietra e finalmente può guardare l’amico negli occhi. Nell’oscurità la loro dolcezza è come offuscata. I suoi, invece, non sono nascosti dalle tenebre, perché delle tenebre possiedono il colore. Sono blu come il cielo.

Saga ha degli occhi davvero troppo belli…

Saga ha degli occhi…

“Il mio Maestro dice che ne arriveranno altri come noi. Presto.”

“Altri come noi?”

“Altri destinati a conquistare un’Armatura d’Oro.”

“Beh. Le armature sono dodici. E noi siamo solo in due. Doveva succedere.”

“Lo so. Ma il Pontefice ha capito tutto questo,” Saga alza di nuovo il braccio con quel gesto che ad Aiolos era parso estremamente umano, e che adesso è come un collegamento tra cielo e terra. “guardando lì. E mi chiedo: com’è possibile? Mi chiedo: anche noi siamo arrivati al Santuario trascinati dalle nostre stelle?”

A questo, Aiolos assolutamente non sa rispondere. Nessuno ci riuscirebbe.

“Io non vedo l’ora che arrivino, invece!”

“Beh, sì. In fondo, sì.” Dice Saga. “In fondo, non vedo l’ora che arrivino.”

 

La notte è profonda. Di un profondo silenzio e una profonda oscurità.

Aiolos e Saga si alzano dall’angolo nascosto nelle pieghe imperscrutabili della notte e ritornano a calpestare il suolo umano.

Aiolos, ovattato da tutto il blu sospeso nel cielo. Saga, che invece blu lo è sempre stato.

 

 

***

Call an optimist, she's turning blue / Such a lovely color for you
Call an optimist, she's turning blue /While I just sit and stare at you.

C’è una canzone degli APC che si chiama Blue. Durante uno dei miei interminabili viaggi in treno la riproduzione casuale del mio Ipod l’ha tirata fuori ed è stata una specie di epifania, ecco. Mi sono esaltata e ho cominciato a scrivere *O* Dio benedica i Tool <3
Chiusa parentesi pubblicitaria – un giorno vi racconterò (forse éOé) del mio secondo momento di ispirazione. Ma ora basta XD! Sono felice perché sono tornata a casa col sole per la prima volta dopo mesi e mesi.

 

[Random Corner]:
 

dagliasa2: ma ti chiami Ambra *O* che nome belloso che hai <3 sul serio. Continua a seguire la storia, mi raccomando, anche se sai già come va a finire – cioè in tragedia ;O;

Regina di Picche: Lo so, lo so, sono piccoli e sono dolci, ora, ma con un presagio di catastrofe come un velo su entrambi. Che tristezza. Come mi facevano notare, in questo capitolo sono <3! Guarda Saga che esprime pensieri metafisici, e Aiolos-caro che tutto ha capito dalla vita e dice solo: hai degli occhi troppo belli! XD Forza Aiolos!

Shinji: <3 Il piccolo Saga è una specie di sbruffone molto carino che dentro si scioglie e trema come un budino al cioccolato, solo che non vuole farlo vedere. Ma è così. Lo so ù.ù. Guarda che ora aspetto il tuo seguito, caro X3

Kagura92: Grazie per le belle parole, addirittura in spagnolo –che non capisco, ma va bene, hai reso il concetto ;O;  *trema pensando al docente di spagnolo che non vuole incrociare*- eh, lo so. Questi due sono angst. Terribilmente. Ma tutta la serie lo è. Non capisco ancora perché mi ci sia buttata. Io amo i lieti fini çOç!

Gem: Buonasera, signorina Gem. Non si preoccupi per i ritardi e la cortezza delle recensioni. Sono consapevole che il lavoro di sceneggiatrice di Voyager le occupi gran parte del suo tempo, insomma *^*! Scherzi a parte, anche per me è un mese così °O°’’’! Thanks God It's Friday. Grazie per la recensione <3

Un grazie a particolare a Eliangel che mi aiuta involontariamente tantissimo <3 perché ospita me e la mia insalata dopo gli insani tutorati all’una, perché nel mentre discute con me su Saga come fosse il suo vicino di stanza, e perché mi ricorda cose che io ho dimenticato nonostante abbia visto l’anime almeno trecento volte. Ringraziatela tutte X*

 

I’m done. Vado a scrivere il capitolo della morte di Shion ;O;
Baci X*

 

  

 

 

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Capitolo 4
*** Polvere ***


blu 04

04.

[Polvere]

 

 

Kastor entra nel tempio in punta di piedi, con un rispetto e una solennità che raramente Saga gli ha visto addosso. China la testa, quasi a non scrutare la volta, quasi che su di essa sia inciso un discorso incomprensibile come nel cielo.

Il tempio è buio. È rimasto chiuso per molti anni, per secoli forse, e sulle sue superfici marmoree si è depositata un’enorme quantità di polvere. Ora la polvere si alza. Dal pronao penetra appena un filo di luce

Da quanto tempo la luce non accarezzava quel pavimento e quelle colonne, luce di luna, luce di sole?

Se saga si voltasse, la vedrebbe, la polvere che danza agitata dall’aria del mondo, da quell’unico raggio di sole.

Il tempio è chiaro sulla città. Il tempio e le case si spegneranno tutti all’ora stabilita.

Ma prosegue, camminando anche lui come Kastor in punta di piedi e solenne per non turbare il silenzio sacro e l’atmosfera atemporale che pervade l’intero edificio. Però percepisce il rumore dei passi, regolare e cadenzato. Sente l’odore della polvere nelle narici, e la fastidiosa sensazione di prurito.

Buio.

Fa freddo, tra queste spesse mura, e il freddo ci abita da più di un secolo. Il buio ci abita, spezzato solo dalla danza della polvere e da un unico, debole raggio di sole che nulla può fare contro tutto il resto.

Il buio sembra rendere il corridoio infinito con un’ombra. Sembra aumentare le distanze.

“Vieni,” Gli dice Kastor sottovoce, con un tono dimesso.

Saga si avvicina, occhi curiosi e un po’ profani. In fondo al corridoio brilla qualcosa colpito dall’unico, debole raggio di sole.

“E’ bellissimo…” Sussurra.

A Saga questo bagliore sembra quasi un miraggio, non più inarrivabile di una stella sospesa nel cielo. Sa benissimo cos’è. È il suo obbiettivo. È l’apice di tutto il suo percorso, depositato all’estremità di un corridoio che sembra infinito.

Un passo dopo l’altro.

Un giorno percorrerò questo corridoio a testa alta, col sole che mi arriverà addosso. Illuminerà tutto, tutto il blu, tutto…

“E’ questa, Maestro?”

“Sì.”

“Posso toccarla?”

Saga allunga una mano e per un momento si impone di essere rispettoso. Di guardare le Sacre Vestigia non con occhi curiosi e profani, ma con lo sguardo di un nuovo Santo, con la fede e la purezza di un Santo.

Così tocca l’urna, con la punta delle dita e gli occhi chiusi. La sente e basta. Fredda compattezza del metallo, rilievi magistrali che nel tempo non si sono mai scalfiti. C’è un’immobilità ieratica, un silenzio carico di mistero. C’è potenza. Saga non conosce il vero significato di questa parola, per ora, ma può intuirlo quando percepisce un’energia che erompe da dentro il contenitore, vibra e quasi sceglie di dischiudere il suo guscio dorato. È caldo. Appoggia il palmo sulla superficie aurea, ed è caldo, pulsante.

“C’è qualcosa di straordinario.”

“Lo senti?”

“Maestro, io…” Saga abbassa la testa. “mi dispiace aver dubitato. Non mi permetterò mai più.”

“Bene,” Dice Kastor. “questo dovevi capire. L’armatura vive per te. Fa parte di te. Col tuo sangue, con la tua fatica, col tuo Cosmo, con ogni parte di te risorgerà. Non mettere in discussione questa verità. Hai capito, ora?”

“Sì.”

Ho capito, ora.

“Non perdere mai di vista il tuo obbiettivo. Non perdere mai la fede. Non perdere mai la luce, Saga.”

Ho avvertito, ora.

 

Saga corre per le scale del Santuario con un sorriso sul viso e il capelli blu al vento. Le scende sempre più velocemente, saltando i gradini due a due. C’è una sottile brezza che viene dal mare e gli si fa incontro, leggera, un drappo trasparente. E attraverso il vento può vedere la Città nuova brulicante di movimento, e il Pireo, con quel suo scintillio cristallino splendente sull’orlo dell’acqua, e barche e navi che scivolano nella baia, e vele bianche.

Per un attimo Saga pensa agli antichi racconti, alle storie che Kastor gli narra durante le pause dagli allenamenti più intensi. Pensa alle leggende sulla scorsa Guerra Santa, e tutte le Guerre precedenti, all’eterna lotta di Atena contro le forze ctonie. Pensa a quei combattimenti, a come sempre gli sono stati dipinti avvolti nella tenebra e nella più densa oscurità.

Ma è quasi impossibile, si dice, credere che le ore più buie arrivino anche in una Città che sembra fatta di luce.

E’ quasi impossibile credere che qui penetri una notte del genere. E’ quasi impossibile.

Ma i templi e le case si spegneranno tutti all’ora stabilita, affogherà il blu, che il colore più solo e malinconico di tutti.

Ormai è giunto alle pendici del Santuario, è circondato da persone. Nessuno ha incontrato lungo le altezze vertiginose della scalinata, che è presieduta dal Pontefice e che non viene percorsa con leggerezza da secoli.

Tra le tante teste affaccendate ne trova una, più luminosa di tutte. Aiolos ancora si allena.

Saga si siede e aspetta. Lo guarda attentamente, lui solo che tra tutti quegli apprendisti è un suo pari, lui che è la reincarnazione di una stella. E si sente, per questo, stranamente felice.

Aiolos è veloce e ogni giorno più potente. Il suo Maestro ha assunto un’espressione eternamente dura, come Kastor – sarà una cosa da insegnanti, pensa Saga – ma in fondo è orgoglioso come mai. Con un ultimo colpo il bambino manda in frantumi il masso davanti a sé. La pietra è disgregata nella sua compattezza, ed esplode in una cascata di polvere sottile. Aiolos sorride soddisfatto, e, anche se nessuno lo può vedere, pure sorride Saga.

“Puoi andare, ora.” Gli dice il Maestro.

Aiolos si ricompone, cercando nell’orizzonte un indizio del tempo trascorso.

 

“Scommetto,” Dice Saga alle sue spalle. “che hai impiegato un intero pomeriggio per spaccare quel sasso.”

“E tu?” Risponde Aiolos con una nota di scherno. “Dove sei stato?”

Saga gli si fa incontro, negli occhi ancora lo scintillio dorato, sulla pelle la consistenza del metallo lavorato, e sotto, dentro tutti gli organi, quell’esplosione di calore. Il calore che viene dal Cosmo. Dal suo appartenere a una stella.

Ora Saga ci crede. Ora che l’ha avvertito, ogni dubbio si è sciolto, e rimane solo il bagliore dorato, contro la tenebra, contro il blu.

Quel bagliore che un giorno apparterrà anche ad Aiolos.

“Devo raccontarti una cosa bellissima!

 

 

***

Questo capitolo è stato scritto molti mesi fa, ma mi piace ancora abbastanza. Ecco. Che schifo, piove. Volevo fare un pic-nic ToT.

Ringraziamo – cioè, ringrazio, Regina di Picche. *sbaciucchia* Cara. Non era davvero mia intenzione fare spoiler! Mi rincresce, nessuno si aspettava questo colpo di scena XD! Se ti consola ho appena finito di seppellire Aiolos, la qual cosa è stata devastante *trema*. Ma non pensiamoci. In mezzo ci sono tanti capitoli di pucciosità <3. sono contenta che i miei patatini ti risultino convincenti. Li amo così. i bambini dovrebbero restare bambini per sempre, ecco. È per questo che non sono cresciuta X3.

Baci a tutti <3

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Capitolo 5
*** Voci ***


blu 05

05.

[Voci]

 

 

I tuoi capelli sono blu come la notte.

Aiolos, distratto, guarda Saga e poi il cielo lasciandosi sempre più scivolare sul prato. C’è un sole imponente, anche se l’autunno si avvicina e gli alberi e l’erba cominciano a soffrire la sete. Dalla sua posizione può sentire i rumori della città.

“I tuoi capelli sono blu come il mare.”

“No,” Dice Saga. Ne sfiora una ciocca con la punta delle dita. “I miei capelli sono blu come la notte.”

Aiolos si volta verso di lui, steso sul prato. Il sole è ancora caldo e il giorno sta per finire, sta per tingersi di quel colore splendido che Saga si porta nei capelli. Eppure lo vede farsi un po’ più piccolo e rannicchiato. Lui, che sempre si mostra forte, sul volto dipinge una smorfia di dolore. Appena accennata.

Ma Aiolos è lì di fianco, a pochi centimetri da lui. Può sentire quella vibrazione, può scorgere l’ombra che per un istante è passata sopra le loro teste. E non capisce. Ha solo la vaga intuizione che sia qualcosa di più profondo, e grave, di quanto può osare chiedere.

 

Ogni tanto Saga ripensa alla sua casa. Gli capita spesso quando è solo nella sua fredda stanza, e aspetta di addormentarsi. Allora i suoi pensieri corrono più veloci e liberi. Sprofondano in una zona oscura da cui nessuno potrebbe riportarli a galla.

Capita anche in tanti altri momenti del giorno e della notte, senza un perché. Il ricordo, semplicemente, arriva, come un’onda, una marea imprevedibile ma prima o poi attesa. Si espande in anelli concentrici.

Saga ricorda la sua vecchia casa con dolore. Non molto, a dir la verità, perché forse quando è partito era davvero troppo piccolo e perché i ricordi, dopo quasi due anni, sono sempre un po’ più rarefatti e più silenziosi.

I ricordi, pensa Saga, cantano con una voce così bella…

Saga sa che Atene è molto simile e molto diversa dal luogo in cui è nato. Atene è una città enorme e dirompente e moderna, mentre il suo era un piccolo villaggio di pescatori, di quelli con le case bianche e solo la strada principale asfaltata. Diversa perché Atene è culla di storia e di mito. Atene fatta di candidi templi, Atene dalle lunghe membra dischiuse sotto il sole, le dita del passato puntate ancora contro il Tempo.

E Saga è troppo piccolo per capire la complessità della cultura più solare di tutte, per riscoprire la sua importanza nella modularità del Partenone, nella linearità del primo alfabeto, nella purezza delle tragedie. Ma ogni volta che Kastor gli racconta una storia – la Storia, lui rimarrebbe ad ascoltarlo per ore con la piccola bocca dischiusa. Questo lo capisce. La gloria. La sacralità. Nel nome di Pericle, nel nome di Fidia, nel nome di Atene che è un tributo alla sua dea. Nel mito e tra le mura la città è un canto ininterrotto da millenni.

Il suo piccolo villaggio di pescatori, invece, non aveva nulla da dire, se non il mare, il cielo, i boschi, la macchia mediterranea e vite di povera gente.  Per questo Saga si sente fiero, ora, di essere Ateniese. Per questo probabilmente Saga finirà col pensare che ad Atene ci è sempre vissuto.

Eppure a volte rivede la somiglianza nelle cose più banali. Quando va al porto e rimane in silenzio a fronteggiare il mare, ad esempio.

Anche nel suo vecchio villaggio c’era un piccolo porto, e la sera i pescatori ci portavano le barche che tutto il pomeriggio avevano navigato. Le trascinavano sul molo e le distendevano con lo scafo rivolti all’insù. Saga ricorda di avere giocato fino allo sfinimento, nascondendosi sotto le plance che erano come gigantesche conchiglie rovesciate, accarezzando il legno ruvido o ricoperto di viscide alghe, annusando l’odore salmastro che impregna tutti i porti, tutte le vie sul mare.

Pure la bella Atene vive baciata di mare e di sole.

Lo stesso clima, la stessa estate lo svegliavano a casa sua.

Ricorda che sulla collina crescevano enormi ulivi e aranceti. L’odore delle arance è forse il più evocativo di tutti. Quando si porta le mani al viso e annusa quel profumo è come se per un attimo fosse ancora tra quei campi a correre, piedi scalzi e capelli al vento. È come se per un attimo, un solo attimo, potesse arrampicarsi per l’ultima volta sui rami nodosi dell’arancio e guardare dall’alto la collina, un po’ insicuro e malfermo.

Ma mi teneva sempre la mano.

Kanon.

Mi teneva la mano.

Il volto di Saga, di un blu più profondo della notte, sparisce con un singhiozzo sotto le lenzuola. 

 

 

“Saga,”

Alza la testa un secondo solo. Occhi come i suoi. Stessa forma, stessa espressione. Stesso buio. I suoi occhi sono chiari come il mare, ma di notte si tingono esattamente dello stesso buio.

“Devi essere forte!” Dice Kanon.

Gli stringe il braccio con forza e delicatezza allo stesso tempo, e Saga non riesce a trattenere la lacrima che gli solca il viso.

Kanon ha cinque anni, è piccolo per capire quello che succederà, è piccolo per realizzare quello che è appena successo. Ma è abbastanza intelligente per sapere che nulla sarà più lo stesso, e che sarà tutto difficile. Che un oceano li dividerà.

Loro che sono gemelli, loro che hanno il blu nei capelli e negli occhi.

E poi, è lui il più grande. È lui il più forte. Quando giocano insieme è sempre lui quello che sostiene, sempre lui quello che guida. Saga è splendido a modo suo, ma è anche fragile. Solo con Kanon si mostra fragile, ed è abbastanza, perché in questo momento non c’è nessun altro lì a consolarli. Saga può lasciarsi andare a tutta la sua tristezza e alla sua disperazione.

Kanon raccoglie le lacrime. Asciuga le lacrime.

Si sente come un grande quando dice che andrà tutto bene, perché sa che non è vero. I grandi lo dicono sempre quando non è vero. Papà lo diceva, e nulla è andato bene, alla fine.

“Saga, tu sei forte!”

Per un momento Saga si aggrappa al turchese dei suoi capelli. Sotto quel mantello scuro i loro colori si confondono e le sfumature sono le stesse. Perfettamente uguali.

“Io non voglio.” Dice.

“Andrà tutto bene. Sei forte.”

 

E’ la voce di Kanon ad essere forte per la sua età. Saga conserva questa memoria come un tesoro, affondando sotto la leggera consistenza del lenzuolo, oppure sdraiato su un prato un pomeriggio qualsiasi d’autunno.

Sono i suoi colori forti, il suo profumo, il suo sorriso dolce, gli ultimi ricordi che conserva.

Ma più di tutto, la forza e la fermezza della sua voce.

 

 

***
Sono sull’orlo di una crisi di nervi °C°! Scusatemi. Sono due giorni che canto i Meshuggah, avete presente? No? Mi serve lo slancio emotivo ;O;!

Regina di Picche: la prossima volta ti scrivo un capitolo personalizzato così brutto che dovrai dire per forza qualcosa XD! Per il resto mi chiedo anch’io. Perché? D’altronde è La Domanda di questi ultimi giorni *piange*. Grazie <3

Ren_chan: <3 <3 <3. Oggi vorrei esprimere solo cuori. Che ne so… <3! Ecco. Anch’io a volte ho l’impressione di ritrovare i miei pensieri nelle fic che leggo. Per esempio, quando ho letto Antigone mi si è aperta un’Altra Dimensione *spoiler* *grins*. La cosa mi fa sempre molto piacere.

Gem: Ho perso il conto delle recensioni che ti ho fatto. Ho come l’impressione di aver dimenticato qualcosa. Boh. Non lo so *cipollino in stato confusionale*. Grazie di <3. Mi fa un immenso piacere essere commentata da un genio del male come te. Dev’essere una cosa da Gemelli…

X3 Baci a tutti & Happy Easter.

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Capitolo 6
*** Lividi ***


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06.

[Lividi]

 

Sono un grumo di sangue.

Pallidi come il mantello di un Saint.

Blu, freddi ed emaciati.

Saga li vede attraverso le lacrime, attraverso le fitte di dolore. Vede la loro immobilità e la loro linea spezzata.

Non vede più nulla.

 

Quando il Maestro gli si avvicina con l’aria grave, Saga non sa ancora. Lo attende avvicinarsi sulla terra bruciata dal sole dell’Arena. Respira l’aria fresca, e la polvere del campo gli si appiccica su viso, sul corpo, tra i capelli.

Va bene così. Per un attimo, fermo dai costanti allenamenti, al centro di un arido campo, si sente tranquillo. Per un attimo.

 

“No!” Grida rabbiosamente.

Kastor lo guarda come stupefatto, perché non ha mai visto tanta collera e tanta disperazione negli occhi del suo giovane allievo. Non ha mai visto tanta fragilità in lui. Saga che da due anni, ogni giorno, si alza con una scintilla particolare negli occhi blu e combatte per il suo destino. Saga che è irruento, e sprezzante, e per quanto piccolo già straordinario nella sua lucidità. Saga che è curioso e profano nel suo modo incredulo di rinnegare le stelle.

Non lo sa, Kastor, che anche Saga piange. Non sa che a volte gli succede, ripensando a casa sua e al gemello che forse non rivedrà mai più. Saga si nasconde sempre quando sente la nostalgia conquistargli i lineamenti e il blu dilagare conquistando tutti i suoi pensieri e le sue emozioni. Kastor non sa nulla della debolezza di Saga.

Perché è come se Saga già ora nasconda tutto. Una statua perfetta, scolpita nella pietra secolare. Liscia, immobile, proporzionata come quella che lo imprigionerà nella sua struttura purissima per troppi anni.

“Saga, fermati!” E’ un ordine, più che altro. È anche una supplica disperata, ma assume il tono dell’ordine.

Non che a Saga interessi, è sempre stato indisciplinato e orgoglioso. Per cui continua a prendere a pungi la colonna e sporcarla del suo stesso sangue che gli ha già imbrattato le mani. Con una furia cieca. Con una cieca disperazione.

“Saga, adesso basta!” Lo afferra di peso per la vita sottile, è ancora leggerissimo. Lo allontana dalla colonna, così candida, così sfregiata, adesso, che il solo vedere la macchia scarlatta gli sembra un’eresia. Saga si divincola nella stretta del Maestro come un pazzo, agitando le gambe e le braccia nell’aria, e i capelli blu che sono come una nuvola di cielo notturno imperlati di polvere terrestre.

È incredibile quanto sia forte, pensa. Ha solo sei anni. È solo un bambino.

È la reincarnazione di una stella, è vero, ma ha solo sei anni.

Dentro quel suo corpo snello, oltre la cupola dei suoi occhi blu, Saga possiede una scintilla che non è comune.

Ha solo sei anni, ma non è un bambino come tutti gli altri. È più forte e intelligente di tutti gli altri. E, ora Kastor sa, è anche più sensibile, infinitamente più sensibile di tutti gli altri. Nel suo cuore esiste una dimensione profonda che gli permette di toccare l’orrore.

“Saga. Basta.”

Lacrime gli solcano il viso. Kastor lo volta verso di sé afferrandolo per le spalle e vede le sue guance di alabastro, e due pozze nottilucenti che splendono di lacrime, bianco e blu, e trasparente. E per un attimo ha come l’intuizione della bellezza che conquisterà con i suoi colori traslucidi e quella sua purezza da statua.

“Perché?” Chiede con la voce rotta dai singhiozzi.

Kastor vorrebbe davvero abbracciarlo. Sente tutta la disperazione in quell’unica parola e attraverso i tremiti del suo corpo, e sa che sta tirando fuori da sé qualcosa di viscerale, e contorto, e amarissimo. Sa che ha bisogno di protezione nell’istante in cui mette da parte l’orgoglio e mostra il fianco scoperto. Ma sa anche che questo significherebbe cullare tra le braccia una pericolosa debolezza.

E al Santuario non c’è spazio per la debolezza.

O finirai anche tu con un volto così pallido, e il sangue… e i lividi blu.

Allora mette da parte il sottile richiamo dell’affetto e lo scuote violentemente. Lo scrolla finché non ritorna in sé, senza smettere mai di osservarlo con severità.

Lo scrolla finché le sue labbra non smettono di ripetere sempre più debolmente – perché?

 

“Vieni, Saga.”

Si alza dalla terra calda di sole dell’Arena, tutto coperto di polvere.

“Maestro, ho cos’era quel rumore fortissimo?”

Accanto a loro, alzando nuvole di polvere, gli altri apprendisti si allenano, meno scintillanti di Aiolos, meno statuari di Saga.

“E’ crollato un costolone. Asteria si stava allenando. Non hanno potuto fare niente contro la montagna che franava.”

“Ah,” Dice Saga scuotendo la testa sotto il sole per liberarsi della polvere. “E le urla?”

“Saga –“

Alza gli occhi. Due pozze blu nottilucenti che si spalancano improvvisamente. Saga ha solo sei anni, ma è il bambino più intelligente che Kastor abbia mai conosciuto.

“La nobile Asteria si allenava in quel punto?” Chiede.

Kastor non risponde. Apre la bocca come soppesando le parole, ma Saga lo brucia sul tempo.

“La nobile Asteria allenava i suoi allievi in quel punto?”

 

Saga corre davvero veloce. I suoi capelli fluttuano nel vento seminando una scia di polvere brunita, e sono come una nuvola leggera.

Arriva sul piano brullo dove una distesa di massi ricopre la terra. Molti Saints si stanno affaccendando a sgomberare il campo, sollevando macerie pesantissime con la sola forza delle braccia.

È lì che li vede. Distesi per terra.

Immobili. Non come statue, ma come cadaveri.

Bianchi come mantelli, i loro piccoli corpi spezzati sono un grumo di sangue scarlatto e lividi blu.

Morti.

Saga apre la bocca e pensa – se ci fossi stato io, sarei riuscito a scappare. Se ci fossi stato. Io.

Ma non lui si è trovato sotto la cascata di roccia questa mattina. Non lui, ma gli allievi di Asteria arrivati da pochi mesi al Santuario. Saga nemmeno li conosceva, nemmeno si era sforzato di avvicinarli perché ai suoi occhi erano piccoli e senza speranza di poter brillare. Loro non erano reincarnazioni di nessuna stella.

Adesso in tre giacciono sulla terra arida coperti di polvere e sangue. Si avvicina.

Pensa a suo padre, pensa alla sua vecchia casa. Saga ha solo sei anni, ma conosce già a grandi linee il concetto di mortalità. Sa che esiste una fine per ogni cosa, e a maggior ragione per l’essere umano. Sa che arriva per tutti.

Ma un cadavere non l’ha mai visto. Suo padre è stato risucchiato dal mare una mattina di molti anni prima, così gli hanno detto gli adulti con un’espressione di sgomento sulla faccia, e l’Egeo chissà dove se l’è trascinato coi relitti del piccolo peschereccio.

I corpi straziati di quei bambini invece sono lì sotto il sole, sono lì sulla terra visibili a tutti, sono come un sacrificio consumato sull’altare della mortalità.

Sono piccoli. Piccoli.

Non hanno vissuto un bel niente. Non avevano il dovere di morire. Sono bianchi come mantelli e sporchi di sangue scarlatto e lividi blu, e i loro petti non si alzeranno più al ritmo dei respiri.

“E’ stata una fatalità.” Dice piano Kastor, dietro alle sue spalle.

Saga si volta a guardarlo in faccia. E’ un gesto di sfida il suo. Lo sa, è perfettamente consapevole che la vita di un apprendista è estremamente precaria, che quello che fanno è pericoloso. Ma non si può morire a quattro anni schiacciati dalla montagna. Non si può e basta. Di questo Saga è sicuro.

“No.” Sibila. “No.”

 

Calmandosi, smette di tremare e singhiozzare. Si lascia cadere per terra, esausto. Kastor lo fissa con una velata preoccupazione.

C’è ancora l’orrore nei suoi occhi.

Deve imparare. La sua vita sarà costellata di cadaveri. Doveva vederli. Doveva toccarli.

Ma la verità è che quell’immagine accompagnerà Saga in tutti i suoi incubi. La verità è che rimarrà persistente nella sua memoria, abbacinante e terrificante. La vista di quei tre bambini di cui mai conoscerà il nome si sovrapporrà alla vista di ogni altro morto.

La loro immobilità, la loro linea spezzata.

Il loro pallore innaturale, come un mantello, come un sudario.

Il sangue raggrumato.

I lividi blu intenso.     

  

***

Che ritardo, scusate X3. Ma avevo gli esami ed ero °O°! Ora è tutto finito... tra le altre cose che mi sono successe, grazie a facebook mi sono diagnosticata un disturbo da personalità schizotipica e ho ritrovato il cestino da pic-nic. Sì, quello in vimini con l'imbottitura a quadri rossi e bianchi XD! Olè! Che meraviglia...

Piaciuto il capitolo? Chiama subito l' 89 Fammelo sapere! Altrimenti il mio disturbo cluster A, che è roba seria, mi porterà ad avere allucinazioni e schizofrenia e deliri mistici di vario genere. Parlo già con il piccolo Mu, ecco. 

Love-in-idleness ringrazia:

Gem, alla quale porterà in dono i gemellini appena riuscirà a ricatturarli. anche loro sono sfuggevoli e fluidi come acqua.

Regina di Picche, che è sempre un amore ricambiato <3

Tutti coloro che seguono & Shinji & i lettori & chi aggiunge ai preferiti. Un grazie generico a Ren_chan. Ho altro da dire? Buon week-end X3

 

 

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Capitolo 7
*** Peso ***


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07.

[Peso]

 

 

“Vergognati.”

“Maestro…” Saga abbassa gli occhi che ora sono spalancati e non più due paurose lame pronte a falciare.

I capelli blu cadono sul viso, fastidiosi. Vorrebbe scostarli, ma il polso gli fa troppo male. E poi si vergogna a compiere il minimo movimento. Immagina solo di farsi piccolo, sempre più piccolo, e scomparire inghiottito da una voragine.

“Non succederà più,” Dice.

Kastor annuisce soddisfatto.

Ora che ha sgridato l’allievo e l’ha medicato può anche permettersi un sorriso divertito.

 

“Aiolos, Saga! Fermi immediatamente!”

Saga si volta un secondo, distratto dalla voce di Kastor. E Aiolos ne approfitta, sferrandogli un pungo poderoso allo stomaco.

Attorno ai due bambini si è radunata una folla di curiosi, e alcuni, tra i più giovani, li osservano con la bocca spalancata.

Saga annaspa. Barcolla impercettibilmente e ritrova la concentrazione. Aiolos ride del tutto soddisfatto del proprio attacco, e questo Saga non glielo può perdonare. I suoi capelli sono inondati di polvere e fango incrostati. I suoi occhi, Aiolos li nota, sono ridotti a due fessure, due lame acuminate pronte a falciare.

Per un instante Saga carica tutta la sua energia negli occhi. Il pubblico freme. Una vibrazione innaturale si spande come un’aura attorno al ragazzino, così potente per la sua giovane età che persino i Maestri ne sono soggiogati.

Due futuri Cavalieri si fronteggiano.

Kastor può già vedere le loro capacità sovrannaturali, e il Cosmo che si nasconde nei loro petti è indescrivibile. Ancora pochi anni e non saprà più dominarlo. Ora sono solo bambini, possiedono un corpo fragile e una mente fragile, eppure se scagliassero la loro vera potenza sarebbero già in grado di far tremare la terra e il mare.

Così Kastor freme. Dalla sua posizione li guarda, li sente, e ha il terrore che non riescano a contenere la loro energia. Che la rabbia che Saga ancora non sa incanalare gli sfugga di mano e rada al suolo l’Arena.

“Saga. Smettila.” Dice.

Gli occhi di Saga sono due lame sottili pronte a falciare. Il suo volto che è come una luna celeste è sporco di fango e di terra ed è contratto in un’espressione di furia. Arriccia le labbra infantili.

“Aiolos!” Sibila. “Aiolos, muori!”

E con un ultimo guizzo di Cosmo prende la rincorsa e si getta sull’amico rotolando per terra.

 

Guarda il mare dagli scogli, Saga, quel mare mosso e scompigliato che gli ricorda la testa del suo gemello. È ancora chiaro l’orizzonte, ancora sono accesi i templi e tutte le case.

Saga sta seduto sulla spiaggia osservando il mare e di tanto in tanto, quando il polso gli lancia una fitta di dolore, guarda la pietra sotto i suoi piedi e poi il suo braccio e le mani graffiate. Scuote la testa stendendo le labbra e ripensa alla voce di Kastor che gli dice: Vergognati.

È molto arrabbiato con se stesso. Per essersi lasciato andare. Stupidamente.

Hai sette anni, Saga. Sei un bambino.

Saga ha solo sette anni, ma non è un bambino come tutti gli altri. Sulle sue fragili spalle coperte da onde blu sostiene già il peso di un’armatura d’oro massiccio. A volte gli capita di avere impulsi comuni, degni di ogni altro bambino della sua età. Ma scrolla la testa. Deve reggere il peso dell’armatura.

Questo peso…

Lo sente avvicinarsi. Fa rumore apposta.

“Saga…”

Saga si volta e lo fissa con occhi socchiusi. Aiolos vede quegli occhi di nuovo sottili come lame acuminate, ma sa che ora non falcerebbero niente. Non scalfirebbero neppure.

“E’ tutta colpa tua!” Dice. “Hai visto! Vuoi sempre litigare, noi non dovremmo litigare! Noi siamo Santi!”

Aiolos ride. Il sole gli illumina i capelli di ambra e sembra sfumare un’aureola attorno alla sua testa. Saga è un po’ accecato da questo riflesso.

“Non è vero!” Risponde. Si siede accanto a lui e gli sfiora il polso fasciato. “Fa molto male?”

“Guarirà in fretta. Il dolore. È una condizione a cui sono abituato.”

“Beh,” Aiolos capisce. “guarda come mi hai ridotto la faccia!”

Saga lo guarda. La sua faccia è coperta di graffi e tagli e il labbro inferiore è spaccato. Vorrebbe sorridere d’orgoglio, ma non lo fa. Sarebbe sbagliato.

“Insomma, sei un valoroso!” Aiolos lo schernisce.

“Smettila. Era una cosa seria. Insomma. Era un combattimento serio. Non so perché sia finito in un –“

“Io lo so che sei forte. Non ho bisogno di prove. Non devi dimostrare niente.”

Tutto questo peso…

Saga sospira. Il polso gli fa male e ha il sole negli occhi, quel sole così lucente che Aiolos sembra portarsi sulla testa. È uno strano miscuglio di toni, il loro.

“Dai…”

Tutto questo peso…

Io, me ne dovevo liberare.

 

Sette anni, e possiedono già un Cosmo capace di far tremare la terra e il mare.

Ma per chiunque sono solo due bambini. La gente che passa e li vede, uno accanto all’altro sulla spiaggia, non potrebbe pensare diversamente. La gente che passa non sa che vivono sopra le loro teste, sopra la città moderna, oltre le candide soglie dei templi, in un mondo fuori da ogni immaginazione. Per loro sono solo due bambini dai volti graffiati che forse hanno fatto la lotta.

Saga è stanco. Non vorrebbe farsi vedere stanco, ma lo è, e il polso fa davvero male. Si accovaccia sul grembo di Aiolos che lo guarda con un sorriso e quegli occhi di prato. E rimane così.

Rimane così sul far della sera, disteso e calmo durante il tramonto rosso fuoco.

Rimane così quando il sole cala e la città, come i templi, si spegne all’ora stabilita.

Rimane sdraiato, occhi-falci che abbracciano tutto il cielo e faccia come una luna celeste, mentre Aiolos, senza dire una parola, gli passa delicatamente una mano tra i capelli blu.

 

 

 

***

Avete capito cosa succede a questi due patatini *C*? In pratica si scontrano in allenamento e tutti hanno il terrore che scatenino il Cosmo, invece finiscono per fare la lotta come tutti i bimbi! e kastor se la prende XD! Lo ammetto. Ho scritto quarantuno capitoli finora, ma questo è in assoluto il mio preferito *C*! dovete assolutamente darmi ragione.
Oh, sì, mi scuso per gli errori di cui il precedente capitolo era disseminato.
Vi voglio bene <3 a tutti <3

Regina di Picche: lo so, è crudele çOç! Me ne accorgevo mentre lo scrivevo. Ma andava fatto. Un Saint è un Saint fin dalla tenera età e deve saper gestire la morte *abbraccia con slancio emotivo*.

Gem: oh, mia dolce SAGABRI, gemella segreta e vera cospiratrice dei malefici gemelli! Incamminiamoci insieme in pellegrinaggio verso il Sommo Re Sion del Regno dell’Ariete Verde. Marto Strappa Detonatore. Lol.

HarleyQuinn: la donne che ispiro senza volere *fa versi da pet depresso*. Insomma. Cerca di commentare un po’ più spesso *sgrida*. O niente kassy questo week-end e per il Gods. Sì, è un ricatto in piena regola X3

Ren_chan: cosa si può dire a Rucci? Lei è un amore e basta<3

Grazie a chi ha inserito la storia tra preferite/seguite. A chi legge. A chi passa di qua per caso. A chi... boh...
Baci <3

 

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Capitolo 8
*** Mente ***


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09.

[Mente]

 

 

La città dopo il tramonto. Kastor la guarda con amore.

La città dopo il tramonto gli ricorda così tanto Saga.

 

Ora Aiolos ha raggiunto la velocità della luce. Con un pugno, Saga riesce a vedere attraverso lo sfrigolio dell’aria, potrebbe distruggere una montagna. È molto contento per lui, ma non lo ammetterà mai. Mai.

Aiolos osserva con occhi spalancati la voragine che ha scavato nella roccia attraverso la più sfolgorante esplosione di Cosmo. È incredulo. Non avrebbe mai pensato di poter raccogliere in sé, nella sua mano, tutta questa potenza.

Quando la gente si disperde e Aiolos resta da solo col suo pungo sanguinante, solo allora Saga si avvicina. Cancella il sorriso dal suo volto non appena l’amico si accorge di lui.

“Saga!” Grida. “Hai visto? Hai visto io –“

“Era ora,” Risponde scrollando le spalle. “pensavo che non ce l’avresti mai fatta. Che non mi avresti mai raggiunto.”

“Invece ti sbagliavi!”

“Ehi.”

“Come vedi non ho niente da invidiarti in potenza. O no. Sono molto superiore di te in potenza.”

Saga alza il sopracciglio, una sottile linea blu notte che è come un ricciolo prezioso sulla statua, un cratere ombroso sulla sua faccia di luna. Lui non lo sa, ma talvolta Aiolos si incanta a fissarlo. Si incanta su quelle tinte che per lui sono pezzi di cielo, reincarnazioni di stelle, si incanta su quel viso pieno di ammirazione per la sua straordinaria bellezza.

Saga ha solo nove anni, ma il suo corpo presagisce già il più nobile degli aspetti, la forma di un dio.

“Io,” Dice avanzando verso di lui e spalancando gli occhi. “possiedo un potere interiore che tu non potrai mai nemmeno comprendere.”

“Ok, ok” Ride Aiolos. È abituato a questi scatti di Saga, e va bene così.

È solo Saga.

Bellissimo, inarrivabile Saga.

Lui, che nonostante sia ancora un bambino brilla più di chiunque, brilla come una stella nella notte, brilla come la notte.

Intessuto di notte.

 

C’è stato un giorno in cui Kastor ha intuito la vera natura del suo allievo. Saga è un bambino flessuoso e all’apparenza fragile. Nelle sue braccia dimora la forza, ma non abbastanza. Non come quella che sprigiona la sua mente.

Per questo, una sera, al termine degli allenamenti, sale le scale del Tempio diretto verso le stanze del Gran Sacerdote. Nel farlo si volge di tanto in tanto verso Atene, la bella Atene, la candida Atene dalle soglie millenarie che si sta spegnendo dei bagliori del giorno. E la guarda con amore.

Per certi versi, Atene gli ricorda Saga. Bianca e blu. Maestosa, bellissima, fatta di arte. Atene che brulica di vita lungo la costa, e si inerpica sulle montagne, Atene che poi si spoglia della modernità e dimora in una sfera atemporale dove tutto è bellezza, tutto è bianco e blu. Atene è sempre, in ogni momento del giorno, il luogo più bello e sacro della Terra. Ma c’è un istante per lui, un solo istante, in cui supera in splendore anche le dimore degli dei. Ed è questo. È l’ultimo bagliore del tramonto, quando il cielo è già scuro e del sole non rimane che un nastro snodato sull’orizzonte marino, e il colore della notte non è pura tenebra, ma trattiene ancora una certa luminosità.

È il momento in cui transitano le ore. Una compenetrazione perfetta.

Momento in cui convivono.

Luce e buio. Assieme.

Così arriva alla Tredicesima casa ed entra silenziosamente. Con rispetto si avvicina al Kyooko.

“Sei venuto a parlarmi del tuo allievo?”

Il Pontefice forse l’aspettava. Assiso sul trono, Kastor vede solo un’immobilità ieratica e i segni di un’antica potenza avvolti dal mantello più fine color della notte e una maschera impenetrabile. La sua voce risuona tra le colonne.

“Sì. Signore. Ho bisogno di un consiglio.”

 

“Ascoltami bene. Ascoltami. Mi stai ascoltando?”

Saga annuisce. Era distratto. Ora si concentra.

“Ricordi la tua prima, piccola esplosione di Cosmo?”

“Certo, Maestro.”

“Ricordi come ci sei arrivato?”

Saga si sposta una fastidiosa ciocca di capelli che continua a cadere davanti agli occhi. Ora di tagliarli.

“Io… io sentivo. Dentro di me era come se sentissi più forte. Come se… come se –“

“Come se raggiungessi una consapevolezza maggiore.” Suggerisce Kastor.

“Sì.”

“Da quel momento, forse non te ne sei accorto, il tuo Cosmo si è espanso fino a limiti che pensavamo impossibili per un bambino.”

“Non sono un bambino.”

“Sei ancora un bambino.”

“Ma –“ Tenta di protestare.

Kastor lo zittisce con un’occhiata. Sta per fare un discorso molto, molto serio. “Hai potuto raggiungere questi livelli perché possiedi qualcosa dentro, e questo qualcosa ha un’estensione e una profondità maggiore che nella maggior parte degli esseri umani.”

“Nella maggior parte…”

“Anche di me.”

Ora Saga lo guarda stupito. Per anni ha vissuto con quest’uomo, severo e inscalfibile, e per anni l’ha considerato il più grande guerriero della Storia. Un punto inarrivabile. Per anni l’ha amato come un padre, e forse, in tutto questo tempo, ha cominciato a idealizzarlo. Non avrebbe pensato mai di poterlo superare in qualcosa. Mai così presto.

“Non tutti i guerrieri, Saga, combattono con i muscoli. Il mio compito è stato quello di scoprire le tue forze e le tue debolezze, e ora ne sono certo. La tua forza risiede nella tua testa, non nelle tue braccia. La tua debolezza è la sensibilità. Per cui ora per noi comincia un nuovo percorso. Ora che ho esaurito la prima parte dei miei doveri, devo prendere questa tua forza e amplificarla a dismisura, e la debolezza, e cancellarla. Mi capisci?”

Saga scuote la testa.

“Tu hai un potenziale davvero enorme. Naturalmente differente da quello di Aiolos. Aiolos diventerà un guerriero il cui braccio frantumerà le montagne. Il tuo braccio, invece riposerà. Potrai fare tutto con la mente.”

Saga segue in silenzio il suo Maestro. Non ha capito molto del discorso che gli ha appena fatto. Non ha capito come si possa frantumare una montagna con la mente, per esempio. Non ha capito cosa deve fare. Guardare dentro di sé. E vedere – cosa?

“Ci alleneremo sulla meditazione.”

 

Sono passati due anni dall’ultima volta che Kastor ha salito i gradini del Tempio con il fardello della preoccupazione e del dubbio. Ma il percorso è sempre lo stesso. Scalini di roccia, e dietro di sé Atene che brilla come un gioiello prezioso.

Ora è nelle stanze del Pontefice, che è un po’ più vecchio e stanco di come lo ricordava, dietro al suo fine mantello blu notte e alla maschera impenetrabile.

“Dunque oggi ha compiuto il miracolo.”

Kastor, inginocchiato davanti al trono, ricorda con un sorriso. Saga che concentra il Cosmo sulla punta delle dita con una consapevolezza e una ferocia spaventosa. Saga che lo atterra.

Another Dimension!” Urla.

Kastor si sente trapassato. Leso nella sua interiorità.

E questo il punto a cui doveva arrivare?

Giace a terra per molti minuti, e alla fine si solleva, vinto.

Ma è felice.

Il mio compito è terminato del tutto.

“E’ pronto.” Annuncia il Pontefice. “L’investitura sarà celebrata alla prima occasione propizia, assieme a quella del suo compagno Aiolos.”

Sorride ormai apertamente, Kastor.

Sorride con la testa piegata nell’inchino. Sorride di orgoglio alzandosi e andandosene dalle stanze della Tredicesima casa.

Sorride ad Atene alla quale corre incontro scendendo un milione di gradini, fiero, consapevole che il suo tempo è giunto alla fine, ma che ha realizzato il suo scopo prima della chiusura definitiva. Prima che cali la notte più buia. Prima che le case, come i templi, si spengano all’ora stabilita.

Ora che la città brilla come un gioiello, ora che è persino più bella di qualsiasi dimora celeste, perché in lei convivono, per un momento, il giorno e la notte.

Per un momento.

Luce. Buio.

 

 

***

Lallallà sono ancora viva <3 Lo so che sono lenta XD ma che ci volete fare… il caldo, lo studio, la sessione estiva, Kanon che tenta di convincermi a fare il bagno in mare, e io, cretina, “no, devo studiare!” Io sono ancora pallida! Sono pallida, santo cielo! Se avessi i capelli blu sarei un Saga. Ecco.

Ho affrontato una perigliosa via, per dirla tutta, in questi ultimi giorni. Cioè. No, ve lo dico perché è una cosa che devo dire al mondo. Ho visto i Dream Theater dalla prima fila, capite *C*, e per farlo ho dovuto passare sopra corpi umani. Ho imparato un lezione di vita da Cavaliere, e mentre aspettavo tutta l’ora e mezza di Carcass davanti a un amplificatore alto tre metri, giuro XD, io INVOCAVO L’AIUTO DI SHION! Ed è stato tutto chiaro. Presto Milo avrà una chitarra, ad esempio. E anche Saga. E Shura avrà un basso. Lo so che non capite. Ma se Shion mi aiuta, un giorno ogni cosa acquisterà il suo senso, anche questo delirio.
Io ho terminato.

Si ringraziano cortesemente:

Regina Di Picche – ti sto già amando a dirla tutta, e ora i capitoli sono quarantasette, uno più angst dell’altro, e che cosa devo dirti se non *C* <3?

EliAngel – lol. Ce la sto facendo, vedi? Sono brava, vedi? Il piccolo stakanov nella mia testa è ancora lì a picconare col suo elmetto da minatore tra fango e detriti, e ogni tanto tira fuori La Pepita.

Gem – Gem, gem, gem. O Shion? O patatino arietoso? O SAGABRI? Chi si cela dietro codesto nick, l’oscuro e affascinante usurpatore o il vecchio e saggio e roseo sacerdote? Sei tu l’Enigma! Cioè, parlo con te cinque minuti e guarda la quantità di nonsense che produco. D’altronde come dice il (mio) proverbio: “La vita e il fanservice raramente hanno senso”.
E comunque le misure di Bartek sono:
Height : 1.87
Chest : 94
Waist : 72
Hips : 96
Shoes : 45
Ha il 45 accidenti. Sì. Fai pure la faccia HOHO. Qui non si vede XD.

 
Perché il rosa? Perché è arrivato il GLAM, gente.
Vi amo <3

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Capitolo 9
*** Tempeste ***


08. blu

08.

[Tempeste]

 

 Un onda arriva più violenta delle altre. Si infrange sullo scoglio e i suoi spruzzi salini si disperdono fino ad accarezzargli le guance.

Saga sorride per questo contatto freddo ed inaspettato. Il mare gli ricorda sempre un po’ la sua vecchia casa e il fratello che di questa distesa luminosa porta i colori.

Mare brillante di giorno.

In realtà c’è poco di brillante nel mare. Si sta increspando e la sua superficie è sempre più grinzosa, il cielo stesso si inspessisce. È plumbeo, quasi nero sulla linea dell’orizzonte. Saga cammina rapido sperando di tornare al Santuario prima che comici a piovere, ma ormai il vento è troppo forte. Gli scuote i capelli che danzano davanti agli occhi, blu profondo come la cappa di buio che presto colorerà il cielo pure se è ancora mattina.

Vive sul mare da quando è nato. Sa alla perfezione che le tempeste estive arrivano tanto velocemente da essere pericolose, e velocemente se ne vanno sparendo oltre le montagne, così come sono venute, sospinte da un forte vento.

 

Attraverso Atene i vicoli profumano di tempesta. Saga si guarda attorno, la gente sul molo si affretta verso casa. Sorride. Lui per arrivare a casa deve scalare la montagna.

Vento sempre più forte.

Stringe tra le esili braccia le commissioni per Kastor e sveltisce il passo. Ormai è chiaro che non arriverà mai in tempo per ripararsi dalla pioggia. Il cielo è sempre più scuro e nell’aria è sospesa la tensione della tempesta. Profuma di mare e un po’ di montagne questo vento che viene dal Sud. 

Lascia che il vento ti accarezzi i capelli.

Sembra quasi sera. Già.

Sale le scale quando le prime gocce, sottili, fresche, gli sfiorano il viso. Capelli, naso, labbra. È una bella sensazione, perché la pioggia estiva non è così fastidiosa. È veloce e leggera. Se ne va inghiottita dalle montagne.

Mi piace questo tempo.

“Saga.”

Su nel cielo è sospesa una luminosità innaturale. Le nubi sono dense, e sembrano non lasciar trasparire nulla del giorno. Anche il mare è denso e tumultuoso, e non si vede alcuna vela bianca a solcarne le onde. Ma è come se tutto fosse illuminato da un alone dorato, una sottilissima polvere che si distende sulle cose e le esalta.

Bello.

Una tempesta dorata.

Sabbia del deserto portata dal vento attraverso la pioggia.

“Saga.”

E’ la seconda volta che si sente chiamare. La prima si è voltato verso la discesa infinita del Santuario e non ha visto nessuno. Forse immagina il suo nome sussurrato dal vento e dalla tempesta.

“Saga!” Ripete la voce più insistente.

Questa volta non se l’è sognato. Il vento non ha un suono così familiare.

Rumore dai cespugli. Saga si avvicina con la busta di Kastor che ormai è completamente fradicia.

“Certo che,” Emette un fruscio. “certo che se sei ancora così impedito, non diventerai mai un Cavaliere!”

Saga lo guarda con la bocca spalancata. Attorno alle sue labbra si raccolgono goccioline di pioggia.

“Kanon…” Un sussurro.

“Te ne devi proprio stare lì a prenderti l’acqua?”

Saga sorride. Tende la mano al gemello. La sua piccola mano bianca in quell’oscurità sembra quasi fosforescente. Kanon l’afferra, e la sua pelle abbronzata gioca uno strano contrasto. Saga sorride e si lascia trascinare sull’erba.

 

Dietro al muretto non arriva la pioggia sferzante. Di tanto in tanto le foglie lasciano scivolare delle gocce d’acqua sui loro visi, ma sono riparati.

Kanon strizza la casacca, sbuffando verso il cielo. A Saga piace. Gli è sempre piaciuta la tempesta, l’urlo sul mare, il buio di giorno. Gli è sempre piaciuta perché è naturale e allo stesso tempo un evento straordinario.

Saga non possiede i colori del mare di giorno.

“Come sei arrivato qui?” Chiede. C’è una dolcezza così evidente nella sua voce e nei suoi occhi che se Kastor lo vedesse ora, non ci crederebbe.

Kanon scrolla le spalle.

“Beh, come mi hai trovato?”

“Sono ore che ti seguo. Speravo che fossi abbastanza furbo da correre per non prendere la pioggia. Invece…” Kanon sospira.

“Non pensavo che ci saremmo rivisti mai più!” Saga lo abbraccia continuando a sorridere.

Il più forte dei due.

Un colore come il mare di giorno. Una distesa di luminosità.

“Sht,” Dice Kanon. “Sono già passati troppi anni.”

“Troppi anni.”

Conosce Kanon da quando è nato, Saga. Sono gemelli e nonostante la lontananza sanno guardarsi dentro con una profondità sconcertante, e saranno sempre in grado di farlo. Sanno capirsi e sentirsi anche attraverso incalcolabili distanze. Per il momento non servono parole. La testa di Saga è appoggiata sulla spalla del fratello che la regge senza fatica, e i loro capelli bagnati dalla pioggia hanno lo stesso colore denso.

“Devo portare questa lettera al mio Maestro,”

Gli sfiora la mano bianca.

“Puoi aspettare con me che spiova.”

 

Scendendo le scale ancora bagnate del Santuario Saga non nasconde né la felicità, né la preoccupazione. Ha piovuto per un giorno e l’aria, ora che il sole si è di nuovo mostrato sul mare, è più fresca e ha un profumo cristallino. Da quest’altezza vede finalmente il porto tornato alla normalità e le vele bianche che bucano l’azzurro.

C’è una strana sensazione alla bocca del suo stomaco. È come una costrizione, è come il presagio della tempesta. Cielo limpido per giorni, e poi, all’improvviso, il mare si muove violentemente con un unico, roboante gorgoglio.

Il muro è ancora lavato dall’acquazzone. Sotto le fronde degli alberi cadono fini gocce della pioggia incastrata tra le foglie. Emettono un rumore regolare.

Oggi i suoi capelli sono blu come il mare di giorno.

“Ciao!” Sorride di nuovo correndogli incontro.

Una giornata così bella…

così - 

preziosa.

 

“Ma io ti starò sempre vicino in un modo o nell’altro.”

C’è una tempesta negli occhi di Saga. “Non voglio!”

“Non posso farci niente. Io non posso stare qui. Non mi è permesso, Saga. Ma ti terrò d’occhio. Lo prometto. Resterò vicino a questo Tempio.”

“Vicino a –“

“Vicino a te.”

Continua a piangere. Kanon gli prende di nuovo la mano nella sua, una mano bianca e gentile, ma in questo gesto, in questo contrasto, c’è qualcosa di estremamente disperato.

“Vicino a te per sempre.”

Bacia quelle dita sottili che sembrano non aver mai compiuto alcuno sforzo. Dita di luna che invece, se volessero, potrebbero far tremare la terra e il mare.

“No…”

Conosce Kanon come se stesso. Sa alla perfezione che è forte, che arriva tanto velocemente da essere pericoloso, e velocemente se ne va, sparendo dalla sua vista così com’è venuto, sospinto da un forte vento.

 

***

Et voilà. Il capitolo è tutto per Gem/SAGABRI che ha compiuto abbastanza anni per usufruire del p0rn, anno più, anno meno (non siamo fiscali, noi). Anche se lei forse non potrà leggerlo perché sarà impegnata a spacchettare cose e trascinarsi per stanze sconosciute e a progettare piani per la conquista del mondo. Ma se la pensiamo tutti intensamente forse le giungeranno le vibrazioni del nostro amore, no? *C*?
Beh, che volete. Dovevo essere al mare. Dovevo fare il bagno. Invece pioveva. Sono frustrata. Ed ecco l’ottavo capitolo, appena prima dell’inizio della sessione estiva. Muahahahaha. *Risata isterica*. Ho scritto una poesia per il mio navigatore. La volete sentire?

 oh, Tommy, mio navigatore,
senza di te a perdermi per ore
attraversando innumerevoli strade
e non trovando le contrade
di Dalila la celebrazione,
a Pavia la stazione,
a Monza il concerto,
nemmeno casa di certo...

Bella, eh? Ho talento, eh?

Regina di Picche: Oh, Regina, ora sono quarantatre. Gli ultimi tre sono psichedelici e folli in modo stupefacente. Ti amerò per sempre se resisterai fino alla fine (ormai siamo agli sgoccioli).

EliAngel: <3 <3 <3 your belt is lost somewhere in my wardrobe. Anyway.

Gem: Ovunque tu sarai ovunque io sarò non smetteremo mai – ò.O? WTF? La prossima sarà una canzone seria metalcore, perché questo è il mese del metalcore. Contenta? Un giorno mi risponderai. Lo so. Grazie, anche se le tue immagini estemporanee minano la mia credibilità agli occhi dei miei amici. E – l’ho detto a mio cugino XD. Lol. 

Love you all.

 

 

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Capitolo 10
*** Attesa ***


10. blu

Hello my dears <3.

Sono tornata. Dalle vacanze. In uno stato pietoso. Senza soldi. Con cinque libri e tre paia di scarpe in più. Ma.

*Comunicazione di servizio*

Penso vi farà piacere sapere che durante i miei ritiri spirituali (?), nella pace e nella quiete delle vacanze (?) ho messo la parola fine a Blu. Ebbene sì. È chiuso. Terminato. Finito. End. Fin. No more Saga.

Ecco <3

 

10.

[Attesa]

 

 

Teso come una corda di violino. Di tanto in tanto percorre a grandi passi la distanza tra l’ulivo e l’entrata dell’arena. Sul volto porta i segni dell’ansia e di una notte insonne.

“Non agitarti.” Dice una voce dietro di lui.

Saga si volta a guardarlo.

Così luminoso.

“Tu non lo sei? Agitato?”

“Lo sono eccome.”

“Non ci credo.”

Sul viso di Aiolos è dipinta serenità e compostezza. Saga davvero non capisce come può mantenere la calma in un momento del genere, così delicato, così annaspante. Così decisivo per le loro vite.

“Perché no?”

“Perché la tua faccia non mostra segno di preoccupazione.”

“Non c’è nulla di cui essere preoccupati. Quando il sole sarà alto, e il Pontefice richiamerà le Vestigia, noi entreremo nell’Arena e riceveremo la nostra investitura. È già tutto stabilito.”

“No.”

“Abbiamo costruito questo momento passo dopo passo per cinque anni. Da allora ci alleniamo senza sosta per oltrepassare il limite umano. Il nostro dovere è già compiuto. Ora non resta che ricevere il premio. Per cui non agitarti, Saga.”

Saga sbuffa, impaziente. I capelli si muovono sulle sue spalle. Misura il terreno, avanti e indietro.

“Un premio.”

“Un premio, sì. Un premio che meritiamo più di chiunque altro.”

“Appunto.”

Aiolos lo guarda senza capire.

“Se qualcosa…” Dice Saga. “se qualcosa andasse storto, oggi… io… vorrebbe dire che io ho buttato via la mia intera esistenza.”

Suona strana nel vento questa frase pronunciata da un bambino che ha appena compiuto i dieci anni. Ma Saga non è un bambino normale. E nemmeno Aiolos. Forse non sono ancora in grado di capire il concetto di intera esistenza, perché quello che hanno vissuto non è che misera cosa, un pugnetto di sabbia nella clessidra inesauribile del tempo. Eppure già conoscono lo spreco. Così giovani, così piccoli, e già conoscono il dovere, e il dovere che conduce alla morte. L’onta del fallimento.

“No, Saga.” Sussurra gentilmente Aiolos. Il suo volto è ombreggiato dalle fronde dell’ulivo. Sono piccole foglie sottili e lanceolate che gli punteggiano la pelle ambrata di chiazze scure. Saga lo guarda. Vede i suoi occhi di prato.

Luminoso e caldo.

Sole che riposa sotto un ulivo centenario.

Per una volta è lui a sembrare più maturo della sua età. Per una volta è Aiolos il più forte, il più ragionevole.

E l’ombra di tutte le cose…

Per una volta è Saga a pendere visibilmente dalle sue labbra. Aiolos che è dolce e lo accompagnerà per mano ad attraversare la soglia dell’Arena, la soglia della loro intera esistenza, che scava come un passaggio tra due mondi. I pilastri che li dividono dall’Armatura sono insormontabili e sembrano spessi e rigidi come gli anni che li hanno forgiati, e tutte le sofferenze e le perdite che hanno dovuto sopportare.

Ma è un varco quello che si è appena aperto?

 

Il sole è caldo, asfissiante. Brucia la terra con i suoi raggi dorati. L’Arena è in fermento, sugli spalti si agita tutto il Grande Tempio. Saga li ha visti, entrando. Ha lanciato una rapida occhiata, incredulo, un po’ stordito dal calore, un po’ soggiogato dall’emozione. E con un solo sguardo li ha visti tutti. Tutti li ha abbracciati.

Grazie.

E non sapeva cosa fare. Non sapeva con che occhi seguire la cerimonia, non sapeva dare un senso alle parole del Pontefice. L’ha visto alzarsi, e non ha notato la stanchezza nei suoi movimenti. Ammantato della sua fine tunica color notte, il volto coperto da una maschera impenetrabile, non ha saputo che vedere un gigante dei secoli, una colonna portante per molte generazioni, ancora in piedi bella, e forte come i pilastri che sorreggono gli antichi templi.

Ha provato ammirazione. Traboccante, nel suo cuore, mista all’ansia, alla paura. All’aspettativa.

Ora sposta lo sguardo – blu notte come il mantello del Kyooko – prima al suo compagno, poi alle due Cloth.

Non osservava le Sacre Vestigia dal giorno in cui Kastor lo condusse alla casa di Gemini per infondergli motivazione e rispetto verso il suo compito. E ora è là, così a portata di mano… non immersa nella silenziosa polvere del Terzo Tempio, nell’oscurità della sua futura dimora. Sta alla luce del sole. Brillano di sole i suoi intarsi dorati, la splendida fattura dei rilievi. Saga è sicuro che il metallo sia già caldo di sole.

Chiude gli occhi, capo chino verso la terra. È polvere del mondo quella che ora danza attorno al sarcofago della sua Armatura. Si distacca dai rumori che lo attorniano, dal discorso del Pontefice, dalle esclamazioni sugli spalti. Si distacca dalle occhiate di Kastor e dai cenni di Aiolos che rimane muto e imbarazzato quanto lui.

Guarda. L’Armatura.

Sente. L’Armatura.

Come quel giorno di quattro anni prima, in cui si è avvicinato curioso e profano, e ha scordato ogni dubbio della sua mente.

Avverte. L’Armatura.

Può incanalare il suo impercettibile tremore, la vibrazione contenuta dalla sua gabbia.

Presto ti libererai. Conoscerai di nuovo il tocco dell’aria, la carezza della pioggia. I suoni del mondo. L’odore e la consistenza del sangue.

Presto.

Saga può intuire nettamente l’impazienza delle Vestigia, che è esattamente la sua. Nel loro scrigno dorato aspettano per secoli la reincarnazione della stella.

Due stelle oggi brillano come oro tra la folla.

Due stelle in ginocchio sulla terra, aspettano.

 

E all’improvviso, il lampo.

Il Pontefice ha smesso di parlare quando la vibrazione delle Cloth si è fatta visibilmente insistente. La tensione nell’aria ha fatto tacere tutti quanti.

Arriva, pensa Saga. Qui. Dopo tutto, era scritto nel cielo.

Saga non si aspettava tanta leggerezza. Tutte le volte che ha sognato questo momento, ha immaginato un peso soggiogante, quasi insopportabile. Si è aspettato di dover trascinare le proprie gambe a fatica, schiacciato dallo spesso metallo. Un’ Armatura è estremamente robusta.

Ma non è stato così. Se la sente addosso, aderente alla sua pelle, tiepida come se fosse irrorata dal suo stesso sangue, flessibile come se fosse mossa dai suoi stessi tendini.

Anche Aiolos guarda stupito le proprie mani fasciate d’oro. Sorride.

Quando si alzano, uno buio come la notte, l’altro radioso come il giorno, non sono più bambini. Forse non lo sono mai stati. Ma ora è evidente, così rivestiti da raggi dorati.

Trasformati.

Ora sono due stelle ad avanzare verso il Pontefice.

Due stelle radiose, avvolte da una sacra corazza. 

 

 

***
Questo capitolo è così breve, cielo °O°
Non lo so. Pensavo, la musica mi salverà. Ma sto letteralmente crollando. Ho passato tredici ore su un treno ;O;
Comunque siete stati il mio primo pensiero, giuro. Ora vado a lasciare qualche recensioncina qui e lì e poi dormo. Gh. È successo qualcosa di bello in queste vacanze? A parte, sì, il cambio di grafica del sito che mi ha shoccata XD

Grazie a Gem per tutte le stupidate che dice <3 e per aver finito Enigma (arrivo XD) e grazie a Regina. Scusa se poi non ti ho più risposto ma sono partita all’improvviso e da quel momento è stato tutto un casino… nel frattempo, sono sicura che hai fatto tesoro delle mie sagge parole da Futuro Gran Sacerdote. No?

Bene. Alla prossima. Che non sarà fra mesi e mesi perché tanto prima o poi dovrò restare a casa a studiare.

Baci X*

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Capitolo 11
*** Vuoto ***


blu 10

11.

[Vuoto]

 

 

La Collina delle Stelle è il luogo più sacro dell’intero Santuario. E forse, per questo, è il luogo più sacro di tutta la Terra.

Saga non ha mai scalato l’Altura, non ha mai visto il cielo dalla sua sommità, ma può immaginare il silenzio innaturale e l’immobilità che permeano tutta la sua superficie. Le stelle si spostano impercettibilmente nei millenni. Non basta una vita umana, per quanto lunga, per quanto profonda, a scorgerne i movimenti.

C’è stato un tempo, anni prima, in cui si è interrogato sul vero potere delle stelle. Si è seduto per notti intere sulla terra del Santuario con la testa rivolta verso l’alto, il suo essere sempre un po’ più azzurro. Ora sa che sul cielo notturno è inciso il destino dell’intero genere umano, e che non tutti possono capirlo.

 

Indagare la materia celeste.

“Di cosa è fatto il cielo?”

“Seguimi.”

Saga non interroga più il Pontefice. Cammina innanzi a lui, diritto e maestoso come un gigante dei secoli, e la brezza smuove il suo fine mantello blu notte.

Anche lui, forse, sotto quella maschera si è colorato di azzurro…

“Dove stiamo andando, Signore?”

In realtà, Saga ha perfettamente intuito la direzione del loro percorso. I passi veloci del Pontefice li stanno conducendo verso l’Altura delle Stelle. Non c’è altra spiegazione per quella visita una notte propizia di luna piena. Non c’è altra spiegazione per la sua severità metallica.

 “Questa notte devo insegnarti una conoscenza antica.”

Saga ammutolisce. Dopo queste parole non ha il coraggio di aprire nuovamente la bocca per porre inutili domande. Arranca dietro il mantello blu, che è come un drappo di cielo buio e si confonde nella notte, e si chiede quale sia il segreto di tutto il silenzio. Si chiede se se li stia immaginando, il silenzio, la quiescenza. Nemmeno il rumore del vento tra l’erba, nemmeno i canti delle cicale. Nulla. Solo notte.

La Collina delle Stelle si trova poco distante dalla Tredicesima Casa. E’ il luogo più sacro dell’intero Santuario, e forse il luogo più sacro di tutta la Terra. Per questo a un solo uomo, al più santo tra gli uomini, è concesso di accedervi, vestito come un sacerdote dei tempi antichi, la testa umana china di fronte alla vastità del panorama.

Ma stanotte Saga affronta la salita con lui. Per indagare la materia celeste.

“Ecco. Vieni qui.”

“Signore…”

Per un attimo avverte il peso dell’intera volta sulle sue giovani spalle.

Quando raggiunge il Kyooko fissa la terra.

“Saga. Dove stai guardando? E’ lì,” Indica col dito. “E’ lì che devi posare i tuoi occhi.”

“Signore…”

“Avanti. C’è già la notte in te. Non avrai paura?”

Voce che si fa impercettibilmente più dolce.

Il Gran Sacerdote si è tolto la maschera. Saga non ricorda che qualcuno, negli ultimi due secoli, abbia osservato quel volto segnato dagli anni e dalle battaglie. Per questo non riesce a sostenerne la vista. E’ come se lo accecasse.

Shion gli sfiora il mento con una mano, sollevandolo.

“Non del cielo, ho timore…”

“E di cosa?”

Saga non risponde.

“Della mia faccia? Pensi che possa pietrificarti? Farti del male?”

“No, Signore.”

Lo guarda negli occhi. Occhi rosa, induriti dai molti anni in cui non hanno fissato alcun essere umano, induriti dalla Storia, dal dolore e dal dovere. Occhi che in fondo conservano una fragile dolcezza.

Lo guarda in volto. Saga non sa precisamente quanti anni abbia compiuto. La sua faccia non è né giovane né vecchia, non ha età. Sembra ancora delicato eppure è scavato dal tempo. E’ saggio e immaturo. Come fermato nel suo divenire.

Bellissimo, anche dopo due secoli. Un po’ dipinto d’azzurro.

“Allora cominciamo. Ti ho portato qui per insegnarti una scienza segreta. Leggere le stelle è prerogativa di pochi uomini. Io sono l’unico rimasto, al Santuario.”

“Pensavo che solo il Pontefice potesse –“

“Il Pontefice non è eterno. Il Pontefice prima di tornare ad essere una stella deve guidare un giovane Santo a comprendere questi segreti. Deve lasciare la sua traccia di conoscenze di modo che non vada perduta.”

“E proprio io…?“

 

Shion alza le braccia verso il cielo. Non c’è amore nel suo sguardo, solo una grande amarezza.

Saga lo sa. Saga sa intuire queste cose, perché il suo potere interiore gli permette di scavare fino al fondo dell’animo umano, vederci attraverso.

In certi uomini si trovano abissi spaventosi.

Sotto la maschera…

Questa notte, il Pontefice è andato a prenderlo alla Terza Casa e ancora gli sembrava il solido gigante dei secoli. Ha camminato in silenzio come un gigante dei secoli, sulla Collina ha spalancato il suo sguardo, gli ha detto: “Non c’è un luogo in tutto il pianeta dove la visuale sia più nitida. Conserva per sempre questa prospettiva.” E la sua voce è risuonata forte e regale.

Poi.

Si è tolto la maschera.

Poi ha mostrato per la prima volta il suo volto, ed è stato come rivelargli tutte le sue debolezze.

Saga vede un uomo solo. Un gigante di pietra consumato dai secoli. Una figura assoggettata dal Tempo, dalle battaglie, dal dovere. Dal dolore.

Saga sente la sua voce che non arriva più da distanze siderali, per confidargli un segreto spaventoso.

Prima che il Pontefice torni ad essere una stella.

“Prima della mia fine devo insegnarti.”

Prima che io muoia.

“Signore, lei sta…”

Morendo?

 

“Di che cosa è fatto il cielo?” Chiede nuovamente.

E’ quasi l’alba, l’aria si riscalda. Tutta la notte è trascorsa come un sipario richiuso trapuntato d’argento.

Saga si sente meno atterrito, ora. Shion gli ha parlato gentilmente per tutta la notte, e pian piano ha dimenticato lo sgomento delle sue prime parole.

“Abbiamo ancora tempo.” Ha sussurrato a nessuno in particolare. Saga non saprebbe dire se nella sua voce è risuonata la speranza, o la disillusione.

“Il cielo,” Dice Shion. “E’ un concetto in realtà inesistente. E’ un concetto di poesia. Le stelle sono ammassi gassosi regolati da leggi astronomiche. Il cielo è vuoto. E’ mancanza di tutto il resto, mancanza di materia. Nella tua lingua significa vuoto. Ed è proprio questo, il cielo sulla nostra Terra, il cielo sulle altre  galassie, sulle stelle, e oltre, in tutto l’Universo. Non è altro che assenza.”

“Come può dunque contenere tanti misteri?”

“Questa è una domanda che devi rivolgere agli dei.”

Saga guarda il Sole sorgere sul Mar Egeo e le prime vele bianche solcare le onde placide. Il carro di Elio comincia la sua epica traversata. Si sente affascinato dalle tinte dell’alba.

Come può il vuoto dipingersi di queste sfumature?

Rosa occhi di Shion. Occhi stanchi. Occhi davvero così belli.

“Ora torna a casa, e riposa per questa mattina.” Sussurra Shion, e poi scompare.

Prima di andarsene Saga si guarda nuovamente intorno. Di giorno anche il luogo più sacro di tutto il Santuario, anche il luogo più sacro della Terra perde la sua aura trascendentale e somiglia un po’ a tutti gli angoli della montagna rocciosa. C’è l’erba verde, ci sono gli alberi e le pietre. C’è il cielo che ora è azzurro.

Il cielo che anche quando è azzurro è vuoto.

Azzurro solo per il sole.

Anche mentre ad Atene brilla il giorno, pensa, il resto dell’Universo deve essere Blu.

 

 

***

A grande richiesta… ta-dan! Un aggiornamento rapido. Insomma, prima che quella strana cosa che è apparsa nel mio computer decida di spianare l’hard-disk. Tranquilli. Una copia di Blu è al sicuro nella mia personalissima banca dati svizzera.

 

Ringraziamo nell’ordine:

 

Il Sommo Pontefice Shion del Grande Regno blablabla: È tutto rosa in onore della sua roseità, perché lei ha gli occhi come un’alba che si dischiude sul mare di Atene, e in onore di Callas *C* piccola cara *C* Comunque dovrebbero esser 51, i capitoli. Se non mi colpisce un raptus di follia come quelli che di tanto in tanto mi costringono a tagliare. Sentirà parlare di me ancora per molto, MUAHAHAH! *spuccia Callas*

 

Regina di Picche: E’ così garystuoso il povero Aiolos çOç? No, vedrai che avrà il suo bel da fare. Insomma, d’accordo che Saga è un folle, ma anche lui ha avuto la sua bella parte nel patatrac. Non faccia tanto il santerellino, tutta luce e abnegazione. Io lo so come sono andate le cose èOé! E poi, sì, ecco. Se studio non posso partire. Se non posso partire sono a casa. Se sono a casa non resisto: accendo il computer, fingo di studiare, finisco per postare. Come ora. Vedi, che i miei piani sono infallibili?

 

Rucci: Lol, avevo capito che eri tu *O*! ti ringrazio per le cose che mi hai detto – tutte quante -. Sul serio. È un ringraziamento diversamente ringrazioso degli altri. Perché le tue parole mi rimarranno nel cuoricino *si commuove*. Ti adoro, assieme a tutto il resto dei Gold Saint çOç

 

Baci a tutti <3

 

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Capitolo 12
*** Ricostruzione ***


12. blu

Tutto per te, Rucci <3

 

12.

[Ricostruzione]

 

 

“Te lo ricordavi così?” Domanda Aiolos.

“No.” Risponde Saga, rimboccandosi le maniche. “Ne abbiamo di lavoro da fare.”

 

Quando questa mattina ha intrapreso il cammino per le Dodici Case, Saga ha ripensato all’unica volta che Kastor lo ha portato al Tempio di Gemini. Ha ripensato alla sacralità che ha scoperto in quelle mura, alla loro antica forza, alla loro muta magia. Ha ripensato a se stesso curioso e un po’ profano varcare cancelli oltre i quali non gli era veramente concesso di guardare.

Alzando la testa verso la scalinata ha immaginato di ripercorre gli stessi passi attraverso un mondo sacro e silenzioso.

Ormai faccio parte di questo complesso.

Parte del Santuario, con addosso la sua Armatura d’Oro. E gli cammina incontro. Parte di esso, a suo agio tra le pareti. Saga non è più uno straniero, un visitatore curioso e profano. Ha tutto il diritto di calpestare questo suolo, tutto il diritto di sentirsi a casa.

I Templi, bianchi e blu come il giorno sulla città, sono disabitati da quasi due secoli. Saga è a conoscenza che la sua investitura e quella di Aiolos sono le prime dopo tutto questo tempo, e che con gli anni il Pontefice ripristinerà l’esercito di Santi. Ma ora sono solo loro due. E l’Armatura della Bilancia, che si è preservata addosso al suo legittimo proprietario da un’eternità.

I Templi, da fuori, sono tutti bianchi e blu come il giorno sulla città. Ma dentro li invade la polvere.

Niente di mistico nella polvere.

Una volta, da bambino, ha pensato che la polvere danzasse attorno a un raggio di sole, entrando nella Casa di Gemini. Ora la vede per com’è. Consumatrice. Distruttiva. Sgretolante.

Aiolos si guarda intorno con la bocca aperta, il buio dentro le case lo rimpicciolisce quasi.

“E’ tutto crollato!” Esclama.

“Già.”

“Dovremmo ricostruire ogni cosa.”

“Già,” Ripete Saga fissando i pavimenti coperti di sporcizia.

“Tu hai idea di come si costruisce un Tempio? Insomma – esistono progetti? Possiamo fare quello che vogliamo? Da dove si parte?”

Saga si volta e ride. “Beh. Partiamo con l’aprire le finestre, no?”

 

Tre mesi sono passati dal giorno in cui hanno cominciato la loro ascesa verso il Tempio. La Casa dei Gemelli è quasi ripulita del tutto.

Almeno, pensa Saga, non si respira più la polvere.

Quel pomeriggio avevano rialzato l’ultima colonna.

“Ti senti un po’ più a casa?” Domanda a nessuno in particolare. Afferra una giacca ed esce all’aria fredda della sera.

Da fuori, il panorama è sempre lo stesso, eppure è un po’ diverso. E’ sempre lo stesso perché Atene è sempre la stessa, la città nuova in basso con le sue luci e i suoi movimenti, l’Acropoli taciturna, il Santuario. E’ un po’ diverso perché ora lo guarda da una posizione più elevata e può scorgere una porzione più grande di mare.

Più lontana di mare.

Se Saga si volta verso le collina può ammirare la striscia candida della scalinata che serpeggia per molti metri inerpicandosi quasi fino alla sommità. Fino all’Altura delle Stelle e al Tempio di Atena.

Le due persone più vicine ad Atena. Al Pontefice.

In alto, quasi fino al cielo.

Ora è buio, e il passaggio è confuso. Si sono spenti i Templi. E’ tutto freddo. Immobile nel modo in cui questo luogo sa fermarsi da sempre sospeso nel tempo.

Saga rabbrividisce. Lo consola la vista lontana dei puntini luminosi della città. Sono lampioni e macchine, e negozi e ristoranti. I ristoranti sono ancora chiari. Chiari come il giorno.

Ma sono… così in basso.

 

Aiolos lo osserva, appoggiato a una colonna. Per un attimo gli ricorda il bambino-statua che ha visto tanti anni prima, una notte come questa, osservare il cielo dall’Arena. Era immobile nel modo in cui le persone in questo luogo sanno fermarsi sospese nel tempo.

Sembrava coperto di cielo.

Intessuto di cielo.

Ora il suo sguardo è rivolto verso il basso.

Aiolos non lo può vedere perché gli dà la schiena. Ma è sicuro che sul viso abbia dipinto di nuovo quella sottile tristezza. Così, si avvicina. Si siede accanto a lui.

Saga si volta a guardarlo. “Cosa c’è?”

“Nulla.” Risponde Aiolos. E la vede, per un attimo. La sottile tristezza scompare velocemente in un sorriso. Ma non è abbastanza. La vede. L’ha vista, Aiolos. “Ultimamente sei sempre immerso in te stesso. C’è qualcosa che non va?”

“No. Solo che… è strano osservare le cose da qui. Siamo così in alto!”

“E’ vero.”

“Guarda la città. Come brilla. La città vince la notte. Il buio è annientato. Mentre noi, che siamo così in alto, non riusciamo nemmeno a riscaldarci.”

Aiolos pensa a cosa rispondere.

“E poi deve essere bello passeggiare per le vie illuminate come tutte le altre persone.”

“Una sera di queste possiamo anche andare, se vuoi.”

“No,” Sospira. “non lo voglio veramente. Dobbiamo restare qui.”

“Non siamo mica in guerra, Saga!”

Aiolos gli passa una mano tra i capelli di seta. Color notte. Sono così scuri e densi che le sue dita sono come inghiottite e scompaiono tra di essi. Si incanta a guardare il suo profilo. Una candida statua dai lineamenti perfetti, scolpiti nei millenni. Forse rimarrà così per sempre. E’ come se per un istante non avesse vita, solo splendore. Come se fosse stato depositato lì e non dovesse più alzarsi dai gradini.

La sua bellezza è spaventosa.

Perché sei così attratto dal basso?

“Saga… se ti fa male guardare, distogli gli occhi.”

“Non mi fa –“ Tenta di rispondere. Ma sa che non significherebbe nulla per nessuno dei due.

“Hai degli occhi davvero troppo belli,” Dice.

Sorriso.

Non guardare nell’abisso, dice.

 

Il blu è terrificante allo sguardo. Sembra una distesa infinita. Un’unica molecola di colore che contiene in sé un’espansione inestinguibile.

Saga possiede ancora l’immobilità della statua. A volte gli capita. In quei momenti è come se non fosse più un essere umano, è come se non vivesse più.

La sua bellezza è indescrivibile, e spaventosa.

Aiolos sa che non potrà mai raggiungerlo in quella dimensione. La natura è stata generosa con lui. Gli ha donato forza, gli ha donato intelligenza, gli ha donato una straordinaria intensità nei colori. Gli ha donato uno sguardo penetrante colore della notte.

Eppure, quando si trasforma in una statua, Saga scolpisce sempre la stessa espressione di sottile tristezza. Gliela vede ogni giorno più spesso.

Aiolos vorrebbe disperatamente raggiungerlo, prendere le sue mani e chiedergli: perché? Cosa ti succede?

Cosa ti ostini a guardare in basso?

Ma non sa se è la cosa giusta da fare. Per cui lo lascia stare e si limita a guardarlo, a proteggerlo in questa maniera un po’ contemplativa, come un custode che veglia sul suo museo.

Anche se allunga la mano e lo tocca, anche se allunga la mano e lo scuote, sa che non potrà mai raggiungere la profondità nei suoi occhi.

E’ intessuto di blu, e il blu amplifica le distanze.

 

“Torniamo dentro.”

“Cosa?”

“Torniamo dentro. Per favore?”

Si alza lentamente Saga. Lo raggiunge. Sul suo viso scorre di nuovo la vita.

E Aiolos può ora trascinarlo verso l’alto.

 

 

***

Ma siamo già al capitolo 12? Cielo. Sto perdendo la cognizione del tempo. Scusatemi. Sono da fucilare. Sono stanca di non fare niente.

Parliamo un secondo di questo capitolo, il precedente, quelli che seguiranno. Lo dico qui perché è una cosa che dovrei dire a tutti. Insomma. Sappiamo perfettamente che il sensei Kurumada non ha mai avuto le idee troppo chiare e che la sua versione non torna *fischietta*. Ora, ci ho messo una pezza sulla questione dell’età. Facciamo finta di niente, che vada bene coi fanciulli che a cinque anni distruggono le montagne *fischietta*. Kuru ha lasciato molti buchi neri che forse Voyager potrà colmare *parte il jingle*: “Dove ha passato la sua esistenza Kanon prima di venire mazziato e rinchiuso da Saga a Cape Sounion?”; “Che rapporto lega Saga ad Aiolos?”; “Cosa faceva Shion nelle sue giornate da Gran Sacerdote e come cavolo hanno fatto tutti quanti a non accorgersi che Saga aveva preso il suo posto? Sono solo inetti o Saga è un grande attore?”. Insomma, tutti quesiti irrisolti. Quando vedete apparire Shion che porta Saga sulla Star Hill, quando vedete Kastor e altri maestri random, quando vedrete arrivare giovani reclute di Gold saints senza un preciso ordine, quando vedrete comparire Kanon qua e là senza ragione… ebbene sappiate che… CHE STO ANDANDO A CASO!
È l’unica giustificazione che ho. Scusate XD. Se pensate che la mia versione sia ancora più futuristica, o se sapete cose che noi umani non conosciamo, fatemelo presente e rettificherò. Perché andare a caso non è mica facile, gente ù_ù

 

Special thanks to:

Regina: *C* non ti preoccupare. Anche per la questione della successione (?) ho elaborato un piano del tutto casuale. Presto ogni tassello andrà al suo posto (NB: presto = in tempi geologici)

Rucci: Carah <3 Grazie di tutto cuore per quello che hai fatto pour moi! çOç ho aggiornato per te! Perché sto provando molta invidia in questo momento e ti auguro una fantastica vacanza *C* mangia moussaka! L’ho arbitrariamente eletta piatto preferito di Milo.

Gem: Ecco, sì, può darsi che tu abbia ragione. È ricominciato Voyager (perché lo dico?). Non ho fatto riferimento a Lost Canvas. Può darsi che nel corso delle generazioni la conoscenza sia andata perduta. Sinceramente, non so che pesci pigliare ù_ù. Perdono. <3.

 

Fine. Che angolino lungo. Al prossimo capitolo X*

 

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Capitolo 13
*** Schiena ***


blu 13.

Ok. Sono viva. Non sto leggendo più niente perché fondamentalmente non ho più tempo per leggere. Tutte le storie che stavo seguendo, purtroppo, mi sono sfuggite di mano çOç. Mi dispiace tantissimo, spero di recuperare, prima o poi. Anche per questo gli aggiornamenti saranno lenti, forse vedremo la fine di Blu in tempi, come dire, escatologici. Il fatto è che oggi sono colpevolmente a casa per qualche ora (in realtà dovrei fare altro, ma tant’è) e ne approfitto. Plus, è il compleanno di RUCCI <3. Me lo ricordo perché è anche il giorno del PNT. Quindi tanti auguri, cara! Puoi considerarlo un regalo striminzito, ma questo passa il convento.

 

 

13.

[Schiena]

 

 

Cosa prova guardando la sua schiena allontanarsi.

Tira un sospiro di sollievo, sembra dire – è finita.

Dentro, no.

Sollievo è la parola più sbagliata per descriverlo. Se potesse scegliere un immagine per descrivere il suo modo di sentire, ora, direbbe – deserto.

Perché è proprio questo.

Immenso paesaggio. Desolato.

Come viaggiare su una navicella guidato dalle stelle e sorvolare un mare di dune di sabbia. Come precipitare in un deserto in piena notte.

Che paesaggio si potrà vedere mai nel deserto, in piena notte?

 

Sono tante notti che Saga dorme solo. Non ne è affatto abituato e ogni rumore lo fa trasalire. Sa che è assurdo. E’ una delle persone più sante e più potenti che camminino su questa terra, non deve temere le minacce terrestri né le minacce del cielo. Eppure non sa dormire solo.

Ricorda con gli occhi lucidi e la testa sprofondata sotto le coperte quando da piccolo, nella sua vecchia casa, divideva il letto con Kanon. Ricorda come era piacevole dormire accanto a lui, che aveva un petto sempre così caldo. Anche allora aveva paura, come tutti i bambini hanno paura del buio. Ricorda che le sere di mareggiata, col vento che ululava fuori dalle loro finestre e il mare burrascoso, si stringeva a Kanon e insieme tremavano senza dire una parola, e senza accendere la luce, fino ad addormentarsi. Dolce dormire con lui. A volte gli infilava una mano tra i capelli e gentilmente li districava. Capelli così simili ai suoi eppure un po’ più chiari. La sua piccola mano bianca sembrava quasi fosforescente.

Poi ha dormito nella stanza accanto a Kastor per la maggior parte della sua vita. Non era come condividere il letto con un gemello. All’inizio, si sentiva incredibilmente solo. Sentiva sempre freddo. Poteva rigirarsi ad ogni lato del letto e non toccare nessuno. Ma dall’altra parte del muro percepiva la presenza di Kastor che dormiva tranquillo. A volte si avvicinava semplicemente alla parete per sentirlo meglio. Altre notti, quelle più spaventose, si avvicinava alla porta per controllare che fosse lì. Lo guardava di nascosto. Petto che si alzava e si abbassava nel ritmo del sonno. Qualche secondo, poi scivolava sotto le sue coperte con la sicurezza di non essere così solo.

 

Sono alcune notti che Saga prova a dormire solo e non ci riesce. Il letto non è più tiepido. La sua casa sembra sempre silenziosa.

Si alza e cammina a piedi nudi attraverso i corridoi. La pietra è gelida al tocco. Non emette alcun rumore.

Guardandosi intorno ha l’impressione che sarà per sempre così. Che per sempre sarà fredda, e muta, e che non potrà mai sentirsi a casa fra le sue pareti e le sue sproporzionate colonne. Non finché sarà costretto a passarci tutto questo tempo da solo.

Così, esce all’aria aperta. Esce nella notte, nel blu, nei suoi elementi naturali a piedi nudi avvolto dal lenzuolo, e se qualcuno lo vedesse ora, col naso rivolto all’insù, un po’ più azzurro per questo suo scrutare le stelle, penserebbe che sia caduto sulla Terra per caso e stia cercando una via per tornare indietro.

Troppo bello ed incantato il suo sguardo.

Troppo guardare l’abisso.

Osserva la scalinata che si innalza con un sorriso amaro. Un nastro bianco latte spento dal buio, anche lui un po’ più azzurro. Guarda le case vuote che sono come tombe ai suoi occhi, tutte morte e consumate tranne la sua, così in alto.

Per un momento sorride.

Ma c’è un mare di scale tra di noi. Un deserto di scale.

Prova ancora quei sentimenti esagerati. Il giorno in cui ha sorriso sicuro ed incurante vedendolo andare. Quel giorno, dentro si è sentito un po’ come se fosse precipitato in mezzo al deserto di notte, e forse Aiolos non l’ha mai capito.

Forse non lo capirà mai. Che non può stare da solo. Non ne è abituato.

Non ne è capace.

 

Lo sveglia l’attendente con una lettera tra le mani. Ha dormito davvero pochissimo. Per un istante si rigira tra le lenzuola. Capelli che cadono ovunque come nuvole di notte. Faccia stravolta.

“Cos’è?” Chiede con voce roca.

“Il Pontefice l’ha convocata urgentemente nelle sue stanze, nobile Saga.”

“Certo.”

 

Mentre si sciacqua con cura il viso stanco, Saga non ha idea del motivo per cui è stato richiamato dal Kyooko così presto. Mentre si guarda allo specchio, mentre indossa l’Armatura, non si immagina niente. E’ piuttosto sollevato che sia mattina. Cammina e continua ad ignorare. Continua a non sapere a cosa lo stanno conducendo i suoi passi. E’ ancora una persona felice quando entra nella casa del Sagittario dove tutto dorme. E’ ancora felice quando arriva al Tredicesimo Tempio, quando si avvicina al trono, quando piega le ginocchia e la testa e si inchina di fronte al Pontefice.

E’ ancora felice.

 

“Non piangere, Saga.”

“Mi dispiace, Signore…”

“Non piangere e basta. Sei un Cavaliere e le lacrime non ti si addicono. Lo dici ai bambini che cominciano il loro percorso, ma come puoi redarguirli, se sei il primo a piangere?”

Shion in questo momento sa di mentire. Sa che sono le lacrime a mantenerlo umano, a mantenerli umani tutti quanti.

Quello che Saga non ha ancora scoperto è che la vita di un guerriero è piena di pianti. Ma vanno tenuti nascosti e soffocati, sempre, assieme alla sofferenza interiore. Vanno taciuti come se fossero fatti di vergogna. Vanno lasciati marcire dentro perché prima di tutto viene il dovere. Non ha idea, Saga, di quante volte una solitudine come quella di Shion abbia pianto segretamente nel cuscino.

Per cui in fondo lo lascia sfogare.

“Vieni,”

Saga lo segue senza emettere un fiato. Shion Lo conduce in una stanza illuminata dalla luce del giorno. Una lunga camera vuota. Accanto alla parete, un semplice tavolo di marmo.

Sul tavolo di marmo, Kastor.

“L’hanno già ricomposto.” Dice Shion con distacco.

Quante volte deve aver portato questa notizia, pensa Saga, per non provare più pena?

“Puoi restare con lui tutto il tempo che ti serve.”

Saga non rimane solo con Kastor molto a lungo. Si avvicina piano come se stesse ancora dormendo, ma non c’è ritmo nel suo petto freddo. E’ tutto stranamente silenzioso.

Il corpo è ricoperto dell’Armatura, ma attraverso il metallo Saga può vedere le ferite ripulite dal sangue e i lividi blu. La sua pelle è rigida e pallida come un mantello.

Per un istante, rivede i volti dei tre bambini che ha sepolto tanti anni prima.

Se fossi stato io? Al suo posto?

Non piange più. Non davanti a Kastor. E’ l’ultima volta che lo vede, e non vuole ricordarselo coperto di lacrime.

Vuole conservare l’immagine del guerriero forte e invincibile che da bambino pensava di non poter mai superare. Vuole conservare l’immagine dell’uomo che l’ha cresciuto per anni. Nella disciplina, nello sforzo. Nell’affetto.

La cosa più vicina a una padre che ho mai –

Vuole ricordarselo bello e imponente e severo.

Vuole ricordarselo per sempre vivo. Non avvolto dai colori di morte.

Vuole ricordarselo…

Gli prende la mano gelida. Non parla. Non potrà più parlare.

Qualsiasi sia il giorno scelto dai funerali, non mischierò il mio grido di dolore con quello di tutti gli altri.

E’ adesso, per me, che te ne vai.

“Addio,” Dice allora.

 

Scende le scale con passo pesante. Presto arriverà nella Casa del Sagittario, ma proseguirà dritto. Non può far pesare il suo dolore a nessuno. Ha bisogno di un posto dove nascondersi e piangere.

Si volta un ultimo istante verso le porte candide del Tempio colpito dal sole.

Prova di nuovo quel senso di perdita. E’come guardare la sua schiena allontanarsi.

Anche tu cammini nell’opposta direzione dandomi la schiena?

Saga si sente come se fosse precipitato nel deserto in piena notte. E’ solo e può unicamente sentire i rumori della natura selvaggia.

Nel deserto, di notte, oltre alle stelle, non si distingue nulla.

 

 

***

Eccoci. La notizia del giorno è che non sopravvivrò a questa sera. Tanto lo sapete tutti come finisce questa storia, no? Vi ho voluto davvero bene…

 

Regina di Picche: cara. Sì, grazie. Mi raccomando, fammeli sempre presenti, i miei errori. Mi fai un favore immenso. Spero non sia passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento… grazie mille per le tue belle parole *cipollino gongolante*

 

Gem: La febbre ti sarà passata da mesi a quest’ora XD o era la pork flu? Tutto bene i due vecchiacci? E la figlia? Mi spiace molto di non aver neanche letto gli ultimi capitoli delle te stupende fic (Io supporto Gem!).

 

Al prossimo capitolo X*

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Capitolo 14
*** Doppio ***


blu 14

14.

[Doppio]

 

 

Una spirale di acqua si avvolge attorno ai suoi polsi.

Bianco e nero. Tutto quello che vede.

La spirale si stringe tra i suoi capelli.

Piange?

 

“E ora cosa senti?”

Kanon lo stringe con un braccio saldamente attorcigliato alla sua vita. Gli sfiora il viso.

“Va meglio,” Dice. Sospira.

“Non è vero.”

Saga stira la schiena contro il suo petto caldo. E’ tantissimo tempo che non rimangono così vicini. “Sì che è vero. Ora ci sei tu.”

Kanon sorride. Gli passa una mano tra i capelli gentilmente. Non se li ricordava tanto blu. Non si ricordava tutta quella differenza tra di loro.

“Almeno apprezzi ancora la mia compagnia!”

Saga trattiene il fiato per un istante. E’ ancora distrutto. E’ ancora in pieno deserto e non ha capito da che parte camminare per trovare la città. Avere Kanon così vicino, anche se solo per pochissimo tempo, anche se solo per un contatto fugace, è come bagnarsi finalmente nelle tiepide acque di un’oasi.

“Saga!” La voce arriva dall’ingresso posteriore del Tempio, ed è calda e suona conosciuta tra le colonne.

“Aiolos,” Mormora. “Kanon! Kanon, muoviti!”

“Mm?” Kanon lo guarda stupito e senza la minima voglia di alzarsi dal letto. Lascia appena andare la presa sui suoi capelli che gli sfuggono dalle dita come fili di seta celeste.

“Oh, va bene. Stai qui. Ma appena capisci che Aiolos viene da questa parte, nasconditi.”

“Mi nascondo dove?”

Saga alza le spalle. “Ovunque non ti veda!”

Si alza ed esce dalla stanza così com’è vestito, pronto per l’allenamento al quale non ha ancora preso parte.

 

Solo nella stanza. Buio. Fuori, notte impenetrabile. Kanon arriva silenziosamente senza mai avvertire. Senza rispettare un orario o gli onori di casa. Compare sulla soglia del Tempio e Saga lo lascia entrare con il sorriso sulle labbra.

Ma non esiste un rito. Kanon non è legato a niente.

A volte Saga si domanda questo. Kanon non è legato a niente. Forse nemmeno a lui è legato? E’ libero di nuotare ovunque nel mare.

Saga percorre la Casa vuota e fredda a grandi passi. Comincia ad odiare la notte che lo priva di compagnia. Comincia a desiderare sempre di più la mattina e la luce del giorno. E gli viene da ridere. Luce del giorno. Per lui che è intessuto di buio.

Kanon è arrivato di nuovo in punta di piedi una notte, senza avvertire. La scorsa notte. E’ entrato nel Tempio senza chiedere il permesso a nessuno e non ha fatto rumore.

Ha avvertito una strana tensione nello stomaco. Sono molti giorni, ormai, che ha cominciato a sentirla, e ancora non ha capito di cosa si tratta. Ha l’impressione che siano le onde di un’enorme, sconfinata tristezza che si propaga di qui.

Una richiesta di aiuto?

Forse Saga sta chiedendo disperatamente aiuto a qualcuno. Ma non se n’è accorto.

 

“Sono venuto a vedere come stai.”

“Sto bene.”

“Ah, sì.” Dice Aiolos. “Oggi la tua faccia ha ripreso più colore.”

Aiolos allunga una mano per sfiorargli il viso, ma Saga lo ferma prima che possa raggiungerlo.

Non ora. Lui è lì che ci sta guardando.

Aiolos lo osserva con aria interrogativa. “Che c’è?” Chiede.

“Niente. Lo vedi che siete tutti troppo preoccupati per me?”

“Forse hai ragione.” Mente. Sul suo volto è ancor parzialmente visibile l’ombra del deserto di notte. E’ come se la sua faccia di luna sia leggermente adombrata, nascosta al sole. Aiolos comincia a temere che il lato oscuro resterà lì sempre più spesso ad incorniciare la sua faccia di luna celeste.

“Non mi offri la colazione?”

“Vieni.” Sorride.

La cucina è uno spazio molto arioso ricavato nella zona abitabile del Tempio. Una grande finestra la sovrasta, e da essa penetra una grande luminosità sui mobili chiari, sul semplice tavolo di legno.

“Dunque oggi parti?” Domanda Saga riempiendo d’acqua il bollitore.

“Già. Mi preoccupa abbandonarti.”

“Ma và. Per quanto starai lontano, piuttosto?”

“Non più di una settimana, immagino, anche se la situazione fosse più complicata del previsto.”

“Mm.”

La teiera fischia ancora impercettibilmente. Saga si siede di fronte ad Aiolos. Lo guarda in silenzio mentre gioca con un’arancia. Guarda le sue mani, le sue dita già screpolate dalla fatica, color ambra baciate di sole, togliere la buccia all’arancia e profumare la stanza. E per un istante, vorrebbe chinarsi a sfiorarle. Vorrebbe poterle prendere tra le sue e portarsele al viso e annusare l’odore così familiare.

Aiolos capirebbe.

Quelle dita colorate dal sole sarebbero calde contro il suo viso.

Eppure domani potrebbero farsi bianche come le sue. Potrebbero farsi bianche come il mantello di un Santo e incrostate di sangue e coperte di lividi. Potrebbero spezzarsi nella battaglia.

Potrebbero essere morte.

Distoglie gli occhi in un secondo come se fosse stato abbagliato.

Aiolos lo fissa senza capire.

E se domani non ritorna?

 

Kanon arriva di nuovo in punta di piedi. E’ entrato ieri notte senza chiedere il permesso a nessuno ed ha attraversato le stanze del Tempio nel silenzio più assoluto.

Non per sorpresa, non per premura.

Una strana tensione cattura i suoi sensi appena varca la soglia, ed è come se quell’empatia che da giorni lo fa star male si amplificasse a dismisura.

Kanon vuole vedere. Vuole capire cosa sta succedendo. E allora deve nascondersi. Non fiata nemmeno quando gli si avvicina. Si farà vedere domani mattina. Per il momento lo guarda.

Piegato sul letto.

Avvolto nel lenzuolo, i capelli che non sono mai stati così scuri e densi – sembra una creatura celeste. Seduto sul letto. Schiena inarcata. Mani sul viso. Mani e braccia così bianche, in tutta l’oscurità che lo circonda, da sembrare quasi fosforescenti.

Voce che a Kanon sembra arrivare da distanze siderali. E che non riconosce.

“Lo lasci andare.” Sussurra.

“Hai sbagliato.” Sussurra.

E se non torna nemmeno lui?” Sussurra.

Kanon non può che assistere ammutolito. Non ha mai visto nulla del genere e non sa se sia giusto avvicinarsi, e svegliarlo da quello che sembra solo un lungo monologo nel sonno.

“Perché sei così –“

Debole. Pensa Kanon. Sei così debole. Così a fondo sei stato ferito?

“No. Zitto.” Dice. “Sparisci. Non parlarmi così mai più.”

Ora solleva le mani dagli occhi, bocca socchiusa. Faccia che ritorna un po’ più umana e viva.

Kanon lo guarda con la bocca spalancata. Non sa spiegarsi quello che ha visto.

Quando Saga riprende possesso di sé, si guarda le mani bagnate di lacrime.

E non capisce, non ricorda di aver pianto.

 

 

 
***

[Commento di Febbraio]: Questo capitolo è stato il più difficile da scrivere fin’ora, un po’ perché sono veramente stanca di stare in casa, un po’ perché la Ila mi importunava, un po’ perché le mie articolazioni mi facevano il solletico. E non ridete! E’ una cosa tremendamente fastidiosa che non auguro a nessuno ;O; non si riesce a scrivere col polso che è tutto solleticoso…
No, non mi piace. Ma non mi metto certo a riscriverlo ù.ù. Ringraziate i Tool per quel minimo di decenza che ha conservato. Cioè. Scrivere i monologhi di un pazzo non è mica roba da niente éOé.

[Commento di Novembre]: °C° OMMIODDIO è una vita che non aggiorno. Tutte le volte mi dico: un capitolo a settimana, Martina, un capitolo a settimana. Non ce la faccio MAI. E non so nemmeno perché. Beh, ecco il tredicesimo. Siamo quasi alla fine della prima parte di Blu. E dopo viene il bello *C*! 

Come al solito la regia ringrazia Regina di Picche per la sua pazienza, la sua costanza, la sua gentilezza eccetera. E anche tutti i lettori. Sappiate che la finirò, prima o poi. Forse ci metterò un anno, ma la finirò. Cioé, è finita. Tutto sta a torovare il tempo di postare... 

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Capitolo 15
*** Navi ***


blu 15

15.

[Navi]

 

 

Candide come gigli le vele si stagliano sull’orizzonte e sul mare. Saga aspetta davanti al vecchio porto, gli occhi un po’ persi nel sole e nella luce della giornata.

Si sente come un ragazzo dei tempi antichi, quando le persone tornavano a casa da lunghi viaggi a bordo delle navi. Una vena di nostalgia lo avvince, e ripensa agli eroi delle leggende, ai valorosi guerrieri che il mare che vede hanno solcato nell’epoca del mito, e si augura lo stesso destino. Di gloria. Di passione. Di morte, se deve essere, ma nella gloria e nella passione.

Pensa a questo, il nobile Saga, aspettando una nave moderna come se fosse un vascello di legno. L’idea è così romantica che si lascia cullare sotto il sole caldo del pomeriggio e si concede un sorriso.

Rimanere così per sempre…

In fondo, Aiolos è tornato. Gli viene da ridere solo a pensarci. Come ha potuto per un istante dubitare della sua forza? Aiolos è tornato coperto della sua lucente Armatura, sul suo corpo nemmeno uno sfregio. E’ come se fosse tornato vittorioso sopra una delle antiche galere, sovrano di questo pezzo di terra.

Questo non dovrà mai saperlo.

La preoccupazione. La paura. L’idealizzazione.

Sono cose che Saga non gli racconterà mai, e che non ama raccontare nemmeno a se stesso.

Ma oggi c’è il sole, e il clima è tiepido. Atene è calda e accogliente, e molta gente va e viene attraverso le strade del Pireo.

Saga ricorda il giorno in cui è arrivato, anche lui a bordo di una nave, ed è scappato al porto appena il Maestro si è distratto. Ricorda le sue sensazioni di stupore, il senso di perdita in una città così immensa, per lui che era piccolo e insignificante, ricorda lo sguardo fiero e la sicurezza che aveva di diventare grande.

Ora è un Cavaliere, un Santo d’Oro. Ora sovrasta la città.

Ora le sue sensazioni sono tutte diverse. Non si incanta più davanti alla vastità del mare o davanti alla cassa di arance del fruttivendolo. Ora che il suo sguardo si è fatto più profondo e ha conosciuto tante cose della vita umana, tanta felicità, tanta sofferenza, vede le navi. Le navi non sono il peschereccio di suo padre. Sono cariche d’oro e di soldati che salpano per la guerra, e a prua, stagliata contro l’orizzonte, la sagoma contro luce dei più valorosi eroi che mai abbiano combattuto per questo mondo. Sono quelle navi che anche se affondano per colpa dei Venti, o dell’ira di un dio, verranno cantate per secoli, per millenni, dalla poesia e dalle leggende.

Su una di queste navi voglio imbarcarmi.

 

Il bambino che scende correndo è così biondo che sembra abbia un sole sulla testa. Aiolos lo ha indicato col dito prima ancora che saltasse dai gradini della nave sulla passerella, sfuggendo alla presa dell’attendente che lo sorvegliava.

“Guardalo.” Dice con un sorriso. “E’ così piccolo.”

“Ma dove sta andando?”

Aiolos sembra divertito e lo rincorre per qualche minuto, seguendo la sua chioma dorata attraverso le bancarelle e la gente che transita.

“Fermati.” Dice alla fine, afferrandolo per la casacca.

Lui si gira.

“Ehi, tu. Fermati. Sei il nuovo apprendista?”

“Sì!” Sorride. Le sue guance sono punteggiate di lentiggini.

Non solo capelli di sole, ma anche occhi chiari come il mare. Un bambino che sembra nato da una conchiglia, pensa Aiolos.

“Come ti chiami?”

“Milo. E tu?”

“Io sono Aiolos.”

“Il nobile Aiolos.” Lo corregge l’attendente raggiungendoli con un inchino. “Nobile Aiolos, mi perdoni. E’ sfuggito in un istante.”

“Certo, è una scheggia!”

Milo ride. Aiolos allunga una mano verso la sua testolina e gli accarezza i capelli.

“E lui,” Dice. “è Saga. Il nobile Saga.”

“Uao. Dovete essere forti!”

A Saga, l’entusiasmo del piccolo Milo fa sorridere. Un po’ perché è così giovane, e ancora non sa niente, non sa cosa sia la vita al Santuario, nel bene e nel male. Un po’ perché è così biondo e luminoso e gli ricorda davvero Aiolos nel pomeriggio di fine estate di molti anni fa in cui l’ha conosciuto. Seduto su un ramo, faccia sorridente, capelli d’ambra e occhi di prato. Saga ricorda le loro prime parole con una certa dolcezza. Tu sei forte! gli aveva detto.

Tu sei forte.

Sette anni fa…

Sette anni sono già passati. E oggi giunge al Tempio una nuova generazione di futuri Santi.

Ora lo guarda con gli occhi incantati, e Milo lo nota. Lo guarda con gli occhi di uno che ammira un miracolo, e si sente per questo meno solo. Si è stretto per anni ad Aiolos, l’unico come lui a non essere un bambino comune, a possedere un Cosmo inestinguibile, dentro.

Milo, biondo, marino, la reincarnazione di una stella.

 

Una nave arriva e un’altra riparte. Dalla vetta del Santuario si vede tutta Atene, e si scoprono i suoi movimenti segreti. Le tensioni che la animano e la rendono viva. Il Tempio, invece, è qualcosa di non vivo e dimenticato lì per i secoli e i secoli nella sua unicità. E’ come una bolla nello spazio e nel tempo che non si lascia afferrare da chi non è degno.

Mentre percorrono la salita verso le stanze del Gran Sacerdote Aiolos spiega tutto questo a Milo, che guarda incredulo, spalancando i suoi occhi curiosi e ponendo mille domande. Gli spiega cosa stanno facendo tutte le persone nell’Arena e tutti i bambini che si allenano. Gli racconta del Cosmo, l’ultima scintilla interiore di un’antica materia stellare di cui tutti eravamo composti prima dell’esplosione universale, di come dimori in ogni persona, ma solo in pochi sono in grado di risvegliarla, pochissimi portarla al limite.

“Il Settimo Senso,” Dice Aiolos.

Milo lo fissa a bocca aperta.

“Aiolos. Forse corri troppo. Non credo che capisca. Hai capito qualcosa?”

“No.” Milo scuote la testa. “Però sembra fantastico!”

“Sì, all’inizio sì.”

Lo accompagnano lungo la sua prima scalata. Ora varcherà i corridoi dei Dodici Templi e sentirà quel fremito, e forse comincerà a sospettare qualche verità nel discorso di Aiolos. Varcherà le porte di tutte le dimore delle costellazioni, compresa quella che un giorno gli apparterrà. Passerà oltre incosciente, forse avvertendo come un lieve fruscio dalle stanze interne, forse presentendo l’Armatura che si scuote da un sonno durato secoli.

E alla fine giungerà davanti al Pontefice.

 

Una notte passata con Shion sulla Collina delle Stelle, Saga ha scorto sulla volta celeste i segni del cambiamento. E’ stato molto fiero di sé.

“I tempi sono ormai maturi. Si avvicina la chiusura. Tu hai imparato tutto quello che dovevo insegnarti.”

“Cosa significa questa congiunzione astrale, sommo Pontefice?”

“Significa che sono scese. Le stelle sono finalmente pronte. Guarda bene. Ora tutte le dodici costellazioni dell’orbita solare sono vive e parlano chiaro a chi le sa ascoltare. Li ho trovati tutti, Saga. Entro breve li porterò al Santuario e li affiderò ai migliori guerrieri di cui dispongo perché siano addestrati nel migliore dei modi. E allora sarà compiuto…”

Il mio percorso.

Sta davvero morendo?

Una stella si spegne e una nuova nasce.

Com’è piccolo l’universo, pensa Saga. Certe notti sembra possedere un volto umano e fragile. A volte è come se cielo e terra fossero intessuti di molteplici simmetrie. Come sotto, così sopra.

Com’è fragile l’universo…

 

Milo li segue e continua a parlare. E’ davvero un fiume in piena, è il mare che gioca sulla riva con le onde e non smette mai un momento di risuonare nella risacca. Gli hanno detto di stare zitto e guardarsi intorno, studiare ogni pietra e ogni angolo del Tempio.

“Sarà la tua casa per poco. Oggi sapremo dove verrai inviato per ricevere l’addestramento, e partirai entro la fine della settimana.”

“Partirò per dove?”

“Questo ce lo comunicherà il Pontefice.”

“Chi è il Pontefice?”

“Milo…”

“E’ forte il Pontefice?”

Saga non risponde. Sta cercando di vedere con gli occhi di quel bambino, perché deve essere una visuale davvero splendida sulla candida Atene.

“Certo che è forte!” Dice Aiolos.

“Più forte di voi?”

“Più forte di tutti.”

Un tempo lo era, pensa amaramente Saga. Ma non apre la bocca.

“Non ci credo.” Milo non ci può credere. Non può credere che esistano due persone più forti e più belle dei due cavalieri che l’hanno aspettato al porto. Ai suoi occhi sono giovani ed imponenti, e la loro aura lo acceca. Vestono una lucente Armatura d’Oro e sulle spalle portano un mantello bianco come un giglio. Sono gli eroi delle antiche storie e dei miti della sua terra raccontati la sera attraverso canti vecchi di millenni, e come quei versi, loro si portano la magia dentro. Sono gli eroi dei tempi passati, che soffrono e si rialzano e si amano e si prendono per mano.

Milo li vede così. Vede quella complicità negli occhi, quella comprensione che possiedono solo le persone che si conoscono profondamente l’una con l’altra. Vede quella leggerezza sventolare col loro mantello bianco come un giglio, e spera un giorno di poter diventare forte e bello e amato come loro.

 

 

***

Evvai, ho aggiornato prima di Natale! Come sono pigra…

A me questo capitolo piace. Mi è piaciuto scriverlo, e credo che mi piacerebbe leggerlo. È più denso di tutti gli altri per quanto riguarda le parole e comincia a tessere un filo, un sottile filo blu-nostalgia tra Milo, Saga e Shion. Attenti a questi tre!

Ringraziamo di nuovo Regina di Picche per il sostegno, nonostante io sia semplicemente pigra e svogliata. Evidentemente tu non lo sei, non so come fai a trovare sempre il tempo e la voglia di recensire <3

 

Auguri a tuttih X* !

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Capitolo 16
*** Affetto ***


blu 16
16.

[Affetto]

 

 

In questo momento Saga capisce la maestà e l’oro che per sempre brillerà addosso ad Aiolos.

Un colore così perfetto per lui.

Non se lo scrollerà mai di dosso. È stata solo una consapevolezza fugace, intravista nelle pieghe del movimento e nel suono della sua voce. È stato solo un lampo. Un abbaglio. Per anni dimentica la sconcertante consapevolezza della sua santità. Per anni dimentica, per anni non riesce più a vederla così chiara.

Forse un giorno quest’immagine tornerà a brillare, illuminandolo nell’angolo dove si rifugia, pulendo il suo viso per un istante dalla patina di blu.

 

In questo momento Saga scende alla rupe dietro al Santuario con una certa curiosità. Indossa la Sacra Armatura camminando per il terreno del Tempio, e il suo passo è maestoso, e ampio. Il mantello gli cinge le spalle ricamato dei suoi capelli blu notte. Somiglia a un gigante, un dio disceso sulla terra con il viso di una statua. Sembra fatto di pietra sotto il sole, e chiunque lo veda, potrebbe notare i colori del suo contrasto.

Ora che il Pontefice è una stella in procinto di eclissarsi lui sa, tutti sanno, che Saga sa brillare di una luce più forte di chiunque altro.

Ma non è luce lunare quella che ti investe pallida?

 

Non appena fatto ritorno in Grecia dopo mesi, gli viene comunicato che ad Aiolos è stato affidato un allievo. E che questo allievo è suo fratello. Aiolia.

Saga nemmeno sapeva che Aiolos avesse un fratello minore, ed è davvero molto curioso di conoscerlo. La prima cosa che fa dopo il rapporto al Pontefice è raggiungerlo dietro la scogliera per andare a studiare il ragazzino. Attraversa il Santuario in un istante conscio degli sguardi che lo seguono ad ogni suo passo. È come se dentro sentisse un fremito di eccitazione.

Chissà come sarà il bambino, pensa.

O forse sta aspettando di vedere qualcun altro.

È un mattino soleggiato, e l’Armatura splende più del solito e sembra ingigantirlo. Aiolia vede una figura imponente rivestita di luce avvicinarsi dal sentiero interno e per un istante sospende l’allenamento. Suo fratello sorride, capendo.

Ha avvertito il suo Cosmo. Stamattina, quando è giunto al Pireo approdando su una nave che per un solo viaggio è ritornata ad essere una nave del mito, Saga ha espanso il suo Cosmo solo per lui. Per manifestare la sua rinnovata presenza in Grecia, così si è detto, ma mentre chiudeva gli occhi e concentrava la sua scintilla interiore in modo da bruciare come una stella in combustione, a uno solo pensava. A lui. Chiedendosi come fossero stati quei tre mesi di assenza, cosa fosse successo al Santuario.

E lui, lui, svegliato da una percezione familiare, ha sorriso.

Aiolia non ha mai visto Saga di persona, ne ha solo sentito parlare. È giunto ad Atene da poche settimane e subito è stato messo nelle mani di quel fratello mai conosciuto prima. Anche Aiolos non aveva mai visto, ne aveva solo sentito parlare.

Il bambino lo vede arrivare, alto, scintillante, con quell’espressione distesa eppure solenne e quella forza e bellezza che solo lui possiede, un po’ lunare e misteriosa, e capisce le parole di Aiolos, quando gli parla di lui con una strana scintilla negli occhi. Saga è meraviglioso da togliere il fiato e attorno a lui si manifesta come un’aura.

“Aiolia,” Dice Aiolos. “il giovane che sta arrivando è il nobile Saga.”

“Nobile Saga,” Risponde con un inchino.

“Ciao Aiolia.”

Aiolia è un po’ spiazzato da tutta questa familiarità. Alza la testa di riccioli biondi e lo fissa con la bocca aperta, due labbra piene dalla curva perfetta. Quando mostra il viso, Saga è colpito.

Così uguale a lui, pensa, ricordando il bambino che nove anni prima ha conosciuto sdraiato sull’erba di un prato poco distante.

Così splendidamente uguale a lui, pensa. Per ora.

“Mio fratello mi ha parlato molto di lei in questi giorni.”

“Ah sì? E cosa ti ha detto?”

Il vento muove appena i loro corti capelli. Quelli di Saga invece sono animati da una breve danza e transitano come nuvole di notte. Aiolia stenta a crederci, e dietro di lui, senza che lo sappia, anche suo fratello si stupisce. Non dovrebbe, lo sa, perché ha visto quei capelli almeno un milione di volte arruffati dal vento o dalla battaglia ricadere in ondate di cielo. Ha passato la mano troppe volte nella loro serica volubilità per stupirsi di come il loro colore inghiotta tutto ciò su cui si posano.

“Ha detto che lei è il più luminoso tra i Santi!”

“Ha detto proprio così?”

“Sì! E ha detto che è il guerriero più forte del Santuario, uno che cammina così vicino al cielo da non calpestare la terra, ma che se volesse potrebbe frantumare una montagna senza nemmeno sfiorarla col pungo!”

“Sì?”

“Sì.” Annuisce Aiolia convinto. Nei suoi occhi c’è una grande ammirazione per la figura che lo sovrasta con la propria ombra, e dietro di lui, senza che lo sappia, anche suo fratello sorride. È un sorriso imbarazzato che gli colora per un istante le guance di rosso intenso, ma è estremamente piacevole. Forse perché sono tre mesi che non lo vede e in quel lasso di tempo gli pare che non sia successo nulla – nonostante l’arrivo al Tempio di quattro bambini d’Oro, nonostante la scoperta di avere un fratello e l’allenamento di lui affidatogli dal Kyooko in persona. Forse perché Saga si staglia sempre come una figura angelica, quasi divina, e non c’è nessuno al mondo che regga il confronto di tanto splendore.

Cammini così vicino al cielo che quando mi passi accanto mi sembra che non calpesti la terra.

Cammini così vicino al cielo che diventi sempre un po’ più

Blu.

Sorride Saga per le parole di Aiolia. Gli accarezza la testa con il palmo della mano prima di voltarsi e lasciarli agli allenamenti. Ha visto la fiducia e l’ammirazione negli occhi del bambino. E in quelli del maestro, anche.

 

“Non sapevo avessi un fratello.”

“Nemmeno io, a dir la verità.”

Parlano piano per non svegliare il piccolo Aiolia che si è appena addormentato con la faccia sul tavolo. Aiolos guarda amorevolmente i suoi riccioli biondi e le piccole braccia incrociate per sostenere la testa contro il legno. Braccia che ha appena curato, e che dopo tre sole settimane sono già completamente ricoperte di lividi. Braccia di un bambino di quasi cinque anni già distrutte dalla fatica.

A Saga, la presenza di Aiolia fa pensare. Credeva che anche Aiolos fosse orfano. Credeva fosse stato abbandonato come lui, credeva che per tutti questi anni avessero condiviso una penosa solitudine confortandosi l’uno con l’altro. Ma forse non è così. Forse Aiolos sapeva di avere una famiglia, da qualche parte in un villaggio nell’entroterra dell’Egeo, forse Aiolos pensava a loro prima degli scontri o prima di addormentarsi, con la speranza di poterli andare a cercare il giorno che il suo compito fosse esaurito.

E questo gli fa male. Credeva fosse solo come lui. Credeva che avrebbe avuto solo lui come sostegno. Credeva che si sarebbero bastati per sempre.

Credevo che condividessi con me la stessa solitudine.

Ma ora vedo che hai dell’altro da amare. Ritorno col sorriso e ti accarezzo nel sonno con il mio calore, ma tu stai dormendo abbracciato ad altri pensieri.

“Saga…” Aiolos si accorge della nuvola che adombra il suo viso, quella sottile tristezza che di tanto in tanto indurisce i suoi lineamenti rendendolo simile a una statua priva di vita. “Tutto bene?”

“No, è che pensavo – vive con te?”

“Sì,” Dice prendendolo in braccio delicatamente per portarlo a letto. “perché tu non vivevi con Kastor?”

“Ma questo è un Tempio sacro in cui solo i Cavalieri d’Oro possono dimorare!”

Aiolos lo deposita sul materasso e gli sistema le coperte. Saga è colpito dalla semplicità di questi pochi gesti. È colpito dalla felicità sul suo viso. Colpito al fianco.

“Ed è quello che lui sarà tra pochi anni. Il Cavaliere di Leo, indomito, coraggioso, fiero e possente come un leone, come un vero re. Nel frattempo dove vuoi che vada?”

C’è oscurità nella stanza. Le finestre sono serrate e fuori la notte si chiude nel più impenetrabile degli scrigni. Aiolos è come smorzato dal buio, mentre Saga sembra risplendere quasi fosforescente con la sua pelle candida.

O forse è la sua superiorità ad ogni essere umano, pensa Aiolos.

“Non ti piace che stia qui?” Domanda.

“No, figurati. È tuo fratello.”

Parlano sottovoce per non svegliare il bambino dormiente. Entrambi ricordano i sogni di quell’età, e sanno quanto sono splendidi, adornati d’oro e di gloria. Ma Aiolos gli si avvicina e tende lo sguardo a catturare ogni sua emozione. Inutile, nella penombra. Il viso di Saga non lo tradisce di notte. Non potrebbe, lui che di notte è intessuto.

“Saga,” Ripete. “Tutto bene?”

“Sì. Non continuare a chiedermelo.”

“Cosa mi devi dire?”

Abbassa lo sguardo su un pavimento che potrebbe essere un buco nero. Aiolos è abbastanza vicino da sfiorarlo, se stendesse il braccio. Vorrebbe davvero parlare, ma non se la sente. Non se la sente di condividere anche questo segreto pensiero, ora che da lui si sente tradito. Da lui.

“Ti sei già affezionato?”

“Da morire!” Sorride. “E’ un guerriero promettente. E poi lo vedi anche tu. È bello come il sole.”

Bello e così splendidamente uguale a te, davvero.

 

Esce che è piena notte con un enorme peso sul petto, Saga di Gemini, e deve discendere infinite scale. Di tanto in tanto lancia uno sguardo alla città nuova che è ancora sveglia di luci e moto artificiale, e si sente un po’ meno solo.

Ma Atene dalle candide colonne è muta in quest’ora tarda. Le case, come i templi, si sono spenti all’ora stabilita.

Cammina verso il suo Tempio che è freddo e silenzioso. Come lui ora.

 

Un colore

Così solo,

Il tuo.

***

Hello! Ho debellato il vairus. Ho vinto molte battaglie in questi giorni *^*! Per una volta, posso considerarmi giustificata per il colossale ritardo...

Non è vero. Nuovo capitolo, comunque. Non perdete il prossimo *spoielera inutilmente*! La svolta si appropinqua.

A proposito del prossimo capitolo, ho una comunicazione di servizio da fare. Sappiate che io tra una settimana me ne vado in Polandia e torno tra molto, molto tempo. Ora, il fatto che nella mia futura dimora ci sia una connessione internet mi rincuora. Il fatto che non funzioni mai niente un po' meno. Non credo dovrebbero esserci problemi di questo genere. Il problema sono io. Insomma, se l'autrice muore...  sepolta da una montagna di neve... sotto un ponte... mi sto autoconvincendo che RIUSCIRO' A POSTARE IL CAPITOLO DICIASSETTE (CHE TUTTI STAVATE ASPETTANDO) ENTRO VENERDI'!!! *risate registrate*. Vi fornirò le istruzioni per recuperare i restanti trentaquattro capitoli o me stessa. Potete seguire le mie appassionanti avventure su twitter... un giorno vi darò l'indirizzo.
Ringrazio come al solito Regina di Picche!!! Con tutto il mio <3

E poi: odio la neve èWé.

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Capitolo 17
*** Bacio ***


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17.

[Bacio]

 

 

“Adesso ascoltami.”

Saga si ferma nell’atrio. “Cosa vuoi?”

“Mi stai evitando.”

“Non è vero.”

“E allora perché parti di nuovo?”

 

Saga è stato lontano dalla Grecia per un mese con un peso sul cuore. Non c’è stato giorno in cui non abbia pensato ad Aiolos, non un giorno in cui non abbia avvertito sensi di colpa. Per essersi sentito tradito, per essersene andato senza concedergli il tempo di spiegare nulla.

Oggi ritorna, il sole gli batte sulle spalle d’oro e sul mantello bianco come un giglio, e sa che lui lo sta aspettando sulla soglia. Non è pronto. Non è pronto.

Non sono pronto.

Ho distrutto un’intera città, ieri.

Ho raso al suolo il terreno montagnoso, ieri.

Ho sparso sangue e morte e giustizia, e sono stato guardato per questo come un santo.

Eppure non sono pronto.

Oggi non sono pronto a vederti.

 

Aiolos aveva ragione. Lo stava evitando. Non riusciva a comportarsi altrimenti, anche se avrebbe voluto stargli vicino il più a lungo possibile. Temeva di perderlo con la sua distanza. E nonostante questo, aveva preso la decisione di andarsene.

Si era arrabbiato, quella sera il Cavaliere del Sagittario. Aveva intuito tutto. Aveva capito la profondità del silenzio che si era frapposto tra di loro. Saga indossava una maschera di pietra, e cercava di non mostrare nulla.

“Perché ti comporti così?” Ha chiesto.

“Così come?”

“Mi stai evitando.”

“Non è vero.” Saga ha risposto laconico. Ad Aiolos faceva male. Sembrava farsi scivolare la sua voce addosso come fosse acqua corrente, come una nuvola sulla superficie della luna.

“Allora perché parti di nuovo?”

“Il Gran Sacerdote me l’ha ordinato.”                     

“Certo!” Ride. “Te l’ha ordinato il Kyooko. Dopo averti lasciato riposare appena poche settimane!”

“Aiolos, non parlare così.”

Aiolos abbassa la voce. “Cos’è successo?” Chiede. “Cosa ci è successo? Per noi che siamo cresciuti insieme in questo deserto… ora che arrivano i nuovi bambini d’Oro, ora che insieme potremo crescerli e trasformarli nei guerrieri più forti al mondo, ora perché tu parti di nuovo?”

Non era pronto come non lo è oggi. Come forse non sarà mai. Non ha avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.

Aiolos ha degli occhi davvero troppo belli…

Aiolos gli ha parlato con foga, l’ha pregato di restare, di spiegarsi. Ha stretto il suo braccio con la mano, serrando la presa così forte da fargli male, ma Saga non era pronto, non lo era allora come non lo è oggi, come forse non sarà mai.

Prima o poi, lo sa, bisogna affrontare i propri demoni interiori.

 

“Sei tornato!” Grida dalla sommità della collinetta. “Non ero stato avvisato!”

Aiolos sorride, correndo come un bambino giù dal prato, capelli sugli occhi, stremato dal calore del giorno e dalla fatica degli allenamenti. È quasi il tramonto, per cui si volta verso Aiolia che trotterella dietro di lui.

“Puoi andare per oggi,” Dice.

Aiolia sembra molto sollevato. “Ma non abbiamo ancora finito…”

“Oggi sì, piccolo. Solo per oggi puoi andare.”

Non insiste a lungo. “D’accordo fratello. Nobile Saga,” Si inchina. “siamo tutti felici di rivedervi a casa.”

A casa.

“Grazie Aiolia.”

Il piccolo Aiolia dai capelli biondi e il passo deciso, così stupendamente uguale a lui, si allontana verso il complesso architettonico. C’è un altro bambino che lo attende da un po’ di tempo appoggiato ad una roccia. Ha lunghi capelli del colore della lavanda, e occhi verde chiaro. Saga lo nota. Stessa forma del viso e carnagione. Stessa fisionomia. Stessa antica saggezza nello sguardo.

“E’ l’allievo del Sommo Sacerdote?”

“Già.” Risponde. “E’ arrivato poco dopo la tua partenza. È un bambino spaventoso!”

“Sì?”

“Può… può sollevare massi col pensiero. Può spostarsi da un luogo all’altro col pensiero. Può leggere nella mente.”

“E’ una prerogativa della sua gente.”

Aiolos annuisce. “Andiamo?”

“Dove?”

“Camminiamo un po’. Mi devi raccontare un sacco di cose!”

No, non posso.

Non sono pronto. Non sono pronto, non sono pronto.

 

Saga parla senza accorgersi che Aiolos si è fermato alcuni passi prima di lui. Quando si volta il suo peso gli piomba addosso e lo trascina a terra, ridendo come un bambino.

Strano, ha appena il tempo di pensare, io ero steso su questo stesso prato una sera di tanti anni fa sul finire dell’estate, e lui è venuto da me.

È ancora qui, ha appena il tempo di pensare.

Tocca terra con la schiena, erba verde che profuma di vecchi ricordi a lungo ignorati. Quando alza il viso e Aiolos abbassa lievemente il suo le loro labbra si incontrano. Non è un attimo come si è sempre immaginato. Ma per un solo istante è come se tutto attorno si fermasse ed entrambi avessero unicamente la consapevolezza dei propri corpi incastrati. Inclina la testa, Saga. Lo lascia fare. Non importa davvero se non è pronto, se forse non lo sarà mai.

 

Spalla contro spalla, Saga guarda divertito come la sera che cala sul Atene colori di due tinte diverse la loro pelle. Pallida e abbronzata, chiara e scura. Luna e Terra. Così diverse, pensa divertito. Eppure così belle insieme.

Aiolos si muove, sente il frusciare dell’erba. Saga non lo sta guardando. Sdraiato sul prato freddo fissa il cielo, il cielo che ha studiato un milione di volte in cima alla Collina delle Stelle, e che non gli ha mai rivelato la parte migliore del suo futuro. Non vede niente in questo momento. Anche se i suoi occhi, crateri blu notte sulla sua faccia di luna rilassata, guardano in alto con insistenza, non vede niente. C’è solo quello che sente dentro. C’è solo la mano di Aiolos che stringe la sua, che lo trattiene ancorato a questo mondo e a questo prato, che non gli permette di scivolare e confondersi con la materia celeste, perché in questo modo non saprebbe tornare indietro.

“Andiamo?” Dice. “E’ buio, ormai.”

Saga assapora quegli istanti di prato, di cielo, di Aiolos, di contrasti tra i colori per un secondo ancora, perché per la prima volta da tanto tempo si sente davvero, davvero bene.

“Sì,” Dice.

Ma nessuno si alza. Restano sdraiati all’ombra della sera, invisibili a tutti, due ragazzi gettati sul mondo terrestre e poi persi. Sorridono senza guardarsi. Giacciono spalla contro spalla.

Così diversi i loro colori, uno accanto all’altro.



***
Yeah, ci siamo *C*! Siete contenti? Questo è quanto. Sono a Varsavia da una settimana ormai, e sta arrivando il disgelo. Mucchi di neve sciolta e acqua dappertutto. Ancora nessuna traccia di Bartek (?) *C* olé. I love you.

Ringraziamo:
Eje: *C* non preoccuparti di recensire solo da questo capitolo! L'importante è farlo! Scherzo, sono davvero contenta che troviate quasta fic interessante e ben scritta. C'è dentro un pezzo del mio cuore.
YohAsakura: Beh, vedi che ora ci siamo. Comincia lo slash *sghignazza*
K
iki May:Vedi, cara, questo è l'unico modo che conosco per scrivere. Lo ammetto. Sono una frana con le trame. Nulla di quello che ho scritto ha mai avuto una trama, ma se c'è una cosa che mi riesce bene è scavare. Scavare nel blu, lo ammetto, non è stato così difficile. Ma a volte mi è venuta quella fitta allo stomaco...

Bene, ora vado a lavare i vestiti! Andate in Erasmus, mi raccomando! E' sempre festa...
Baci <3

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Capitolo 18
*** Argini ***


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18.

[Argini]


Potrebbe continuare a piovere per i prossimi duemila anni e non gliene importerebbe nulla. È come se la pioggia rompesse il silenzio nel quale è stato avvolto in tutti questi ultimi anni e lo facesse risuonare di un rumore calmante e cristallino. Un rumore che si ripete. Un rumore che è il sottofondo di intere giornate, e quando le rievocherà non potrà che ripensare ad esso. Un rumore così soffice che quasi non lo percepisce, se non ci presta attenzione, ma che gli fa dimenticare il vuoto.

Il vuoto oggi non c’è.

Non c’è per molto tempo, non c’è. La città fruscia incantata. È tranquilla e più grigia di come è sempre. I templi saranno bianchi come latte quando il sole tornerà a splendere. Quando.

In realtà potrebbe essere qualsiasi stagione e Saga lo troverebbe affascinante.

Bene. Mi sento bene.

Forse non è semplicemente la pioggia. Forse è che in questo periodo ha ricostruito un equilibrio dentro di sé, quella sottile linea di certezze e stabilità che lo tratteneva sulla terra e che col tempo, e con le perdite, e le sofferenze dell’essere un Cavaliere si è logorato.

Dopo tutto mi sento così vicino a qualcosa. A qualcuno.

La camera è deserta e muta, ad eccezione del rumore della pioggia. Saga è steso sul letto e si rigira tra le lenzuola da una parte all’altra. Capelli sui cuscini, blu lucente, blu notte, lunghi, le dita della sera si riflettono nelle loro onde. Vorrebbe che Aiolos fosse qui con lui a riscaldare l’umidità della stanza, ad afferrare la consistenza dei suoi capelli, ad ascoltare il rumore della pioggia e il rumore dei respiri. Anche i respiri, in fondo, sono come le colonne sonore dell’esistenza. Sono costanti e quasi impercettibili se non ci presti attenzione. Ma quando lo fai, ti rendi conto di come il loro suono sia meraviglioso. Respiri tranquilli, respiri dopo le risate, dopo i pianti, dopo una corsa, respiri affannosi, respiri, sospiri, gemiti.

Vorrei sentire il tuo respiro, ora.

Vorrei mettere una mano sul tuo petto e ascoltare il rumore del cuore. Vorrei spingere una mano sulla tua pelle e sentire i muscoli tendersi e vibrare e il sangue che scorre. Vorrei farlo davvero e avvertire in profondità il tuo essere umano.

Ora che sei vivo.

A volte Saga guarda le persone che vivono al Tempio e gli sembra di osservare solo spettri. Gli sembra che siano tutti destinati a morire presto sul campo di battaglia, perché questo è il loro compito e il loro destino. Allora si domanda se nessuno l’abbia mai guardato con quegli stessi occhi. Si chiede se vedendolo passare, giovane dalla luce fosforescente, bello come una statua e forte come gli eroi del mito, qualcuno veda un uomo che va incontro alla morte. Perché questo in certi momenti scorge su Aiolos, che è dorato e diurno, e ha ali di piume d’oro che si aprono dietro la sua schiena come la corolla di un fiore – la traccia sbiadita della morte.

La vocazione per la morte. 

Negli ultimi giorni quasi quest’idea è stata lavata via dalla pioggia. O dai baci, non lo saprebbe dire neanche lui. È quasi nata una nuova vitalità. L’ ha sentito in un modo più profondo di quanto avesse mai immaginato, di quanto avesse mai sperato. C’è davvero vitalità in Aiolos, e più luce, luce diurna, luce riflessa su ali di piume d’oro, e gli illumina il viso, gli illumina qualcosa di invisibile dentro. Quando lo tocca, quando appoggia la mano sulla sua, quando affoga la sua testa nell’incavo della spalla, sente calore e vitalità. Sente i muscoli e i rumori e i movimenti del corpo umano, che sono così naturali e perfetti, così banali da non essere mai considerati. Ora che ci pensa, ora che presta attenzione, li trova più belli di qualsiasi, qualsiasi altra opera umana. 

 

Si addormenta senza nemmeno accorgersene. Perso nella contemplazione dei propri pensieri. Chiude gli occhi con una sola immagine nella testa, e li riapre in piena notte. Qualcuno lo scuote nel sonno.

“Cosa?” Chiede. “Che succede?”

“Nobile Saga,” Lo richiama l’attendente. È bagnato, e i capelli e gli abiti sono fradici di pioggia. Deve aver corso su quelle scale scivolose. “Nobile Saga, si svegli! Deve accorrere immediatamente al Porto!”

“Cosa?” Ripete.

“Il Porto. Il mare è violento. Questa tempesta sta distruggendo i pontili. Scenda immediatamente.”

 

Quando Saga giunge al Pireo è completamente bagnato nonostante l’armatura. Sente la pioggia infilarsi tra le fessure, più fredda del metallo e tagliente, scivolargli addosso assorbita dai capelli. È buio, e quasi nulla si vede. Oltrepassa velocemente il cordone della protezione civile e sparisce inghiottito dal buio, dal blu, nel vento ululante.

Non pensava fosse così violenta, la bufera. Dalla sua sacra dimora millenaria non si avvertiva l’intensità della tempesta. Ora cammina sulle passerelle che scricchiolano e sono investite da violente ondate, e dalle navi che sbattono lanciate sul filo della corrente.

Questo posto sta per essere inghiottito dal mare, pensa.

Si guarda intorno un’ultima volta. È il bel porto in cui anni e anni fa è sbarcato sotto il sole, in cui tante volte è fuggito scrutando l’orizzonte sentendosi sempre un po’ più vicino a casa e a tutto. È il bel porto in cui ha raccolto i bambini d’Oro che sono arrivati, tutti fulgidi con le loro stelle ancora incastrate dentro, e un futuro grandioso da percorrere. Vede le assi di legno e le banchine flagellate e un mare che non è mai sembrato così furioso. Come la notte in cui si è preso suo padre. Gemiti e urla di vento che non sembrano così violenti finché non presti loro attenzione.

Un ultimo sguardo.

La banchina cede sotto il peso dell’onda che gli ricopre la testa.

 

Nel mare blu Saga vede galleggiare le chiglie delle navi. Sono come giganteschi gusci metallici, conchiglie incrostate di alghe.

È freddo e apparentemente sembra tutto immobile sotto la superficie.

Vede un filo disordinato di bolle che cercano il cielo.

Vede i suoi capelli ondeggiare attorno a lui, bui e profondi come la acque, di quel colore che è così gelido, così pieno di notte e di malinconia.

Vede le sue mani dal pallore lunare.

Per qualche istante sembra bello. L’acqua rende magico il paesaggio.

Non vede il mondo di sopra, ma sa che è lì ad aspettarlo.

Anche se in tutto quel blu profondo-blu notte si sente a casa.

Stasera lui non è votato alla morte.

 

“E hai sorretto il porticciolo da solo?”

“Non ero da solo.”

Aiolos non presta attenzione a questo dettaglio. Strofina con un asciugamano la testa di Saga da almeno dieci minuti, ma i suoi capelli sembrano aver assorbito tutta l’acqua dell’Egeo. Ha sempre pensato fossero fatti d’acqua, o di cielo, o di etere, di qualche materia inconsistente e impossibile da stringere. “Avrebbero dovuto chiamare anche me!”

“Due Cavalieri d’Oro per recuperare una banchina? Poteva pensarci ub qualsiasi Saint. Non capisco perché mi abbiano scomodato.”

“Ma se sei caduto in mare.”

“Non sono caduto in mare,” Insiste. “E’ stata l’onda a cadere su di me.”

“Sì,” Dice distrattamente. Lascia cadere l’asciugamano. I capelli forse sono asciutti, forse sono sempre stati così blu da sembrare fatti d’acqua. Passa le mani attraverso le loro onde.

“Ti sei preoccupato?” Chiede Saga.

“No. È che poi sei finito in mare.”

“Non è stato niente.”

“Lo so! Ma… potevi…”

“Per così poco?” Taglia corto.

Nessuno dei due ha veramente voglia di affrontare questo discorso. Nessuno dei due vuole pensare alla vocazione per la morte, stanotte. Nessuno dei due vuole pensare a quell’onda e a tutte le onde che arriveranno e li sorprenderanno sulle loro teste, e a quella che alla fine li trascinerà giù, fino al fondo dell’abisso, da dove non potranno più riemergere.

Nessuno dei due pensa alla forma e al colore che un giorno avrà la loro onda.

“Comunque,” Dice Saga. “Resta qui. È quasi finita la notte.”

“Sì.”

È quasi finita anche la tempesta. Non possono saperlo dall’interno del Tempio, che con le sue mura millenarie li protegge da ogni pericolo.

Aiolos si avvicina e gli bacia la punta del naso.

“Smettila.”

“Ma come smettila?”

Soffia, Saga. Sul suo viso. Nella luminosità modesta della camera i suoi occhi sembrano un pezzo d’estate dimenticata su un prato. È strano, ma da quando è entrato Aiolos la stanza sembra più calda.

“Hai davvero degli occhi troppo belli,” Dice.

“Smettila tu!”

Aiolos ride, lo bacia di nuovo.

Saga gli prende le mani. Lo trascina in basso.

Come un’onda, lo sovrasta.

 

***
Commento di Marzo 2009
Ok, ok, ok. Ho appena ricominciato le lezioni. Dagli ultimi tre capitoli, precisamente, e sto in università tutto il giorno °^°. Sono sempre stanca morta quando torno a casa, sono più lenta e mi rendo conto di avere più difficoltà a scrivere. Ma io sono tenace e non mollo XD! Spero non si noti nulla, by the way…Ah, e se verrò bocciata agli esami sarà in parte colpa vostra ù.ù
Punto numero uno. Dico solo che questo capitolo è stato clamorosamente ispirato dai Led Zeppelin. Sì, proprio loro. When The Levee Breaks, che è una canzone meravigliosa, ascoltatela tutti *O*. Io volevo un fiume, ma ad Atene mi sono accontentata del porto. Non credo sia verosimile, comunque non cambio una virgola >.<.
Punto numero due. Cioè. Intendiamoci. Per me è Saga l’uke. Non c’è storia. E se si è preso una sola, misera riga finale da seme, è per il significato metaforico e tutto quello sproloquio incatenato morte – onda – Saga. Ecco. Perché sappiamo tutti della fine di Aiolos, nevvero çOç?

Commento di Marzo 2010 (un anno per postare).
Ok, è un mese esatto che sono partita. Festeggiamo! Stasera party, e per voi un nuovo capitolo. Se foste qui vi offrirei un sacco di birra, è gratis ù_ù
Capolavoro, amore… Eje, Kiky May… mi sopravvalutate un pochino mi sa XD! Ad essere sincera ho la consapevolezza che Blu è finora la cosa migliore che io abbia mai scritto. Questo capitolo è per voi.

Na razie X*

 

 

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Capitolo 19
*** Statua ***


blu 19

19.

[Statua]

  

Oggi cammina silenzioso, sul volto ancora i segni di notti passate insonni.

Saga non saprebbe dire di quando sia avvenuto il cambiamento in lui. Ma c’è stato, e in questi giorni se ne rende conto. È come se avesse dormito raggomitolato sulla terra per quindici anni, e ora si fosse alzato all’improvviso.

È diverso. È tutto molto diverso.

 

“Ma quando è successo?” Aiolos lo guarda con la bocca spalancata.

“Cosa?”

“Tu… tu sei…” Alza una mano alla fronte avvicinandosi a lui. Misura l’aria che li separa col palmo. “sei più alto di me!”

 

Dopo che Aiolos se ne va, mortalmente offeso per la scoperta, Saga si guarda a lungo allo specchio. È sempre stato consapevole della propria bellezza, ma non vanitoso. Eppure oggi si fissa per un tempo lunghissimo, e di tanto in tanto si porta una mano al viso.

È cambiato. È diverso, molto diverso.

I suoi lineamenti hanno acquisito le linee pure della giovinezza, e hanno perso le loro curve infantili. Le sue spalle sono più larghe, le sue braccia più robuste, il suo petto più scavato. La schiena è dritta è forte.

È cambiato.

La forma dei suoi occhi, sottili e blu notte, è rimasta sempre la stessa. Il loro colore silenzioso e malinconico è rimasto sempre lo stesso, ma qualcosa di impercettibile in essi sembra dire che hanno già osservato buona parte del mondo. Che hanno conosciuto e indagato il cielo e la terra e che si portano dentro le più grandi conoscenze. I suoi occhi sembrano dire, dietro il loro blu impenetrabile, che hanno già amato e sofferto, che sono occhi umani e adulti.

Da oggi non conserva più niente dell’infanzia.

 

Saga è già in tutto il Grande Tempio una sorta di creatura leggendaria.

Tra i suoi abitanti si racconta che sia fatto di materia celeste, lui con la sua faccia pallida come la luna e i capelli intessuti di notte.

Si racconta che si sia fatto sempre più vicino al cielo a forza di guardare verso l’alto.

Si racconta che sia stato lasciato cadere da una stella da un dio in persona, e che forse lui stesso è figlio di un dio dei tempi passati.

Perché è davvero troppo bello.

Come le statue che circondano il Santuario, in piedi da millenni avvolte dal loro pallore.

E ancora troppo belle.

Al Grande Tempio si racconta sottovoce che sia destinato a grandi cose, lui che è così simile alla reincarnazione degli antichi dei. Possiede un’aura fosforescente che ricorda a tutti le notti di luna, e le notti di luna sono profonde e silenziose, sono sagge e smuovono persino il mare.

Lo si vede spesso, il nobile Saga, passeggiare assieme al nobile Aiolos dopo gli allenamenti. A chi li guarda sembra di scorgere due creature fantastiche che appartengono a miti differenti. Uno è chiaro come il giorno, l’altro risplende nottilucente.

Ma è su Saga, sul nobile Saga dalla faccia di luna, che tutti sembrano scorgere i segni della santità più illustre.

Perché Saga, in fondo, sembra loro più distante dalla terra, sembra vivere in una dimensione quasi celeste, sembra stabilire un contatto col cielo, e per questo verrà sempre idolatrato come la reincarnazione di un dio dei tempi passati.

 

Saga guarda la città dall’alto della sua posizione. Sdraiato sui gradini del Nono santuario domina l’intera distesa di Templi e di case, tutte le loro candide soglie.

È un momento molto particolare del tramonto. Sorride, la sua faccia di luna inondata da riflessi rossi come lingue di fiammelle che strisciano da distanze siderali per tutto il cielo.

Qui è ancora chiaro, ancora non è il momento che i Templi, come le case, si spengano all’ora stabilita.

Sembra che il sole inondi tutto, prima di eclissarsi, di fuoco e rosso fiamma. Le superfici dei Templi e delle case scintillano, sembrano bruciare. La città divampa di luce, e più in basso, a valle, di luce artificiale.

“E’ strano, sai,” Dice. “come viviamo a stretto contatto con la civiltà. Ci stiamo proprio sopra. A due passi. Se allungo la mano, tocco il mare con la punta delle dita. Eppure nessuno, da secoli, riesce più a vederci.”

“Nessuno da secoli vuole più vederci.” Lo corregge Aiolos.

Ed in effetti è così. Ha ragione, lui che da questo tramonto è esaltato e trasfigurato in un essere splendente. Il genere umano non ha più bisogno di credere in loro, e tuttavia loro hanno bisogno di credere negli esseri umani. Così, si sono stabiliti in alto, dove possono accarezzare con lo sguardo quella vita moderna che è loro preclusa. Abbastanza in alto da dominare l’orizzonte con lo sguardo, abbastanza in alto da essere celati dalle nuvole e protetti dalle candide soglie delle antiche vestigia.

“E’ davvero una città splendida sull’orlo dell’eternità.” Dice.

Saga ama profondamente Atene. Si sente legato a lei da un destino comune. Atene bianca e azzurra, maestosa e severa nei millenni, conserva la faccia più antica e preziosa, ma dentro, brulica di vita. Atene che è come sospesa tra due mondi, e nel mezzo, le colonne dell’Acropoli.

“Sì. E questo è il suo momento più magico.”

Momento che sta nel mezzo.

Non sa, Saga, che tanti anni prima, un uomo che ha amato più di qualsiasi altro ha percorso le stesse scale su cui ora lui giace sereno, e voltandosi verso Atene ha espresso gli stessi pensieri. Con dolcezza. Non sa, Saga, che Kastor ha pensato a lui proprio in quel momento del giorno, appena un po’ più tardi, quando il rosso era già stinto nel blu della sera.

Non sa, Saga, che lui aveva intuito…

“Cosa c’è?” Chiede Aiolos.

Seduto sui gradini della propria Casa, faccia rivolta contro il vento che soffia dal mare. La testa di Saga è appoggiata sulle sue ginocchia, e i capelli gli scivolano ovunque sulle gambe come onde di cielo notturno, disegnano fili che sembrano liquidi, un po’ purpurei per la luminosità dell’orizzonte.

“Tu mi trovi diverso?”

“In che senso?”

“Oggi hai detto che sono cresciuto. Che sono più alto di te. Mi chiedo… io non me ne sono nemmeno accorto. Ma mi sono reso conto di essere cambiato.”

“E’ normale.” Risponde Aiolos. “E’ il ritmo dello sviluppo.”

“Sì, ma –“ Dice. “io non mi sento una persona normale. Ascolto le voci che parlano alle mie spalle. Sussurrano cose incredibili su di me. Dicono che somigli a un dio.”

“E’ vero.”

“Tu pensi questo di me?”

Aiolos non sa veramente cosa rispondere. “Sei bello come le effigi degli antichi dei, Saga. È vero.”

“Pensi davvero che io ti possa essere superiore? Per… per la mia faccia?”

“No,” Sussurra appena Aiolos.

Lo guarda negli occhi, e li vede stringersi appena mentre parla, il loro colore profondo e silenzioso incendiato da fiammelle che scivolano da distanze siderali. Vorrebbe dirgli molto di più, in effetti. Ma ha paura di ferirlo nella sua debolezza.

Vorrebbe dirgli che certe volte, guardandolo riposare, guardandolo nei suoi momenti di riflessione, ha come l’impressione di fissare una statua magnifica, immobile nell’eternità, scolpita di bellezza e perfezione, insensibile, forse nemmeno viva.

Vorrebbe dirgli che alcune notti la sua pelle è così chiara da sembrare fosforescente, avvolta dall’alone del cielo e dei suoi capelli di cielo.

Vorrebbe dirgli di quella notte di molti anni prima, in cui l’ha visto sdraiato nell’angolo delle rovine a scrutare il cielo, e il suo braccio alzato gli è sembrato il tramite tra due mondi inconciliabili.

Vorrebbe dirgli questo, e anche che in certi momenti gli capita di pensare che sia fatto di materia celeste, vorrebbe dirgli che la sua forza, il suo Cosmo, il suo viso, la sua voce, i suoi colori, tutto di lui fa pensare che viva in una dimensione trascendente all’essere umano, anche a lui stesso, che è pure più luminoso e potente di qualsiasi altro uomo.

Vorrebbe dirgli che è vero. Che lo vede in alto, irraggiungibile.

Ma a lungo a vissuto con lui, per anni l’ha visto crescere e l’ha amato a modo suo. Per anni l’ha guardato dentro. Sa che con le sue parole sfiorerebbe un punto che gli causa un enorme dolore.

Così sta zitto.

Dice: no, anche quando è: sì.

Perché altrimenti Saga si vedrebbe di nuovo distante. Si vedrebbe di nuovo relegato ad altezze inarrivabili. E se Aiolos ha capito una cosa soltanto, in tutto il tempo che ha scavato nel suo animo, è che ciò che Saga teme di più, ciò che più lo ferisce, è l’ombra della solitudine.

 

Il blu è il colore del distacco e della distanza.

La natura è stata gentile e crudele con Saga. Gli ha donato l’aspetto e i colori di un dio.

Ora chiunque lo guarda come se si trovasse più un alto, sopra un piedistallo che raggiunge il cielo.

Lo ammirano così. Da lontano.

Lui che più di ogni cosa ha paura di restare solo.

***

Uh che noia. La mia coinquilina è tornata in Italia e io sono sola e infreddolita e non mi resta altro che cucinare valanghe di frittelle di mele e occuparmi di un coniglio non mio che ho amorevolmente ribattezzato Mokona. In più, sono convinta che quest'appartamento sia popolato da fantasmi. Non mi spiego altrimenti come sia possibile che il forno vada SEMPRE tranne quando la pasta della pizza è pronta o le lasagne sono nella teglia dopo che abbiamo passato un pomeriggio a cucinare e non resta altro che accendere il gas, invece niente. Life is pain.

Sono così in ritardo? Sono una persona orribile.

Ringraziamo:  Kiki May, che è perseguitata dai Led Zeppelin (*drools*) e che ama Aiolos-seme. Grazie per sostenermi in queste piccole crociate di nessuna utilità.

Eje, che pure ama i Led Zeppelin! Bene, bene. Cara, devi sapere che vado a caso e mi faccio trascinare dal flusso di coscienza °C°. Non sono quasi più capace a scrivere su carta. Scrivere a mano è un processo troppo lento e a volte mi perdo dei passaggi. Assurdo. Chi lo sa. Ma questa fic mi è servita per esplorare delle tecniche di composizione che ora sono mie *W* mwuahahahahah. Come lavorare sui colori. Come la ricollocazione e l'accumulazione di immagini persistenti. Insomma, Blu è stato il  primo lavoro caratterizzato dal Mio Stile. Ma Saga ha aiutato in questo - perché è abbastanza solenne per un linguaggio poetico e abbastanza folle per eludere i nessi logici o allentarli. Insomma, la cavia perfetta.

Baci <3

 

 

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Capitolo 20
*** Preparazione ***


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20.

[Preparazione]

 

 

Si porta una mano alla fronte per coprirsi gli occhi. Il sole è molto alto e molto caldo in questo momento della giornata, ma non gli dà veramente fastidio. Anche se la sua pelle è più chiara del normale, ha imparato a sopportare il pesante sole della Grecia. Ci è nato sotto, in fondo è da sempre stato baciato dal suo tepore.

La stessa mano percorre la fronte e scosta una ciocca di capelli dagli occhi. Si guarda intorno. I lavori procedono bene. La terra dell’arena, per giorni rimasta impregnata di fango, è stata battuta ed ora è perfettamente livellata e consistente. Brunita anch’essa sotto i colpi del sole di agosto, e compatta. Dalle tribune, osserva Saga, sembra una massa uniforme di rosso. Sembra una sorta di mare piatto e calmo dal quale si alzano di tanto in tanto turbini di polvere come spirali. Ricorda tutti pomeriggi trascorsi sotto il sole cocente o sotto la pioggia, in qualsiasi stagione, in qualsiasi ora del giorno, ad allenarsi su quelle stesse zolle. Ricorda le volte che è caduto e vi si è rialzato. Pensa a come questa terra, questa terra sacra di nuovo livellata e compatta e brunita dal sole, non abbia niente di poetico, niente di magico. È impregnata di sangue e fatiche e delle molte vite che vi si sono spente, riverse al suolo, alcune sotto un pallido cielo, altre sotto la fiera calura del mezzogiorno. Anche lui ha sputato sangue sopra questo terreno. Anche lui, come una schiera di allievi e guerrieri da tempi immemorabili ha percorso la sua superficie combattendo, e una volta, una volta soltanto, sfilando come in una processione.

È tutto quasi pronto. Il palco è stato completato e le gradinate sono state rispolverate. La terra brunita è di nuovo livellata e compatta.

È tutto quasi pronto.

Saga ricorda la prima e l’ultima volta in cui ha assistito allo spettacolo. L’allestimento, la lunga preparazione ogni giorno per mesi, e poi, di notte, il Kyooko che domanda alle stelle quale sia il giorno propizio per il Rito.

Conoscerà già il giorno propizio per il rito?

Il sole gli ride in faccia.

L’ultima volta, è stato il suo rito. Il loro rito. Ricorda la sensazione di ansia, e paura prima di entrare nell’arena e varcare con essa la soglia del suo stesso destino. Ricorda la folla rumorosa sugli spalti e poi il silenzio, muto, rispettoso, sospeso sulla meraviglia, quando gli antichi scrigni si sono aperti riversando nell’Arena i loro dorati bagliori. Ricorda la sensazione di indossare l’Armatura per la prima volta, leggera, malleabile, una parte imprescindibile del suo corpo. Ricorda com’è stato bello alzare le ginocchia dalla terra arida e brunita, quel giorno, e tornare indietro camminando a testa alta, una scia d’oro, di potenza, di santità visibile agli occhi di tutti.

E di se stesso…

Ricorda quel giorno come uno dei più emozionanti della sua vita.

Ricorda di essersi aggrappato fiduciosamente ad Aiolos, il luminoso Aiolos, e di aver sgranato gli occhi quando per la prima volta l’ha visto, l’ha ammirato, cinto del suo colore così prezioso, incoronato da ali di piume metalliche come petali sulla corolla di un fiore.

Ricorda. Che era bello.

Ricorda con un sorriso sincero. In fondo non molto tempo è trascorso. Cinque anni appena lo separano da quella data, cinque anni in cui l’Armatura l’ha indossata ogni giorno scendendo dalle scale della sua Casa.

Cinque anni difficili.

 

“Ricordi?”

“Mm?”

Aiolos dice, sedendosi sulle gradinate, l’armatura un po’ più dorata dal sole estivo. “Ricordi quando sono arrivati? Sono stati i primi. Ed erano così piccoli…”

“In loro deve dimorare un Cosmo davvero impressionante.” Risponde.

“Immagino di sì. Hanno la stessa età di mio fratello.”

“Aiolia… non è pronto?”

“E’ quasi pronto. Ma non ancora.”

Saga gli siede accanto, ha il sole davanti agli occhi. “Non accelerare i tempi. Noi stessi abbiamo ricevuto l’investitura molto più grandi.”

“Sì.” Aiolos annuisce. “Questo è vero. Solo… mi chiedo: sono così piccoli. Possono sopportare a sette anni il peso delle Sacre Vestigia?”

Saga ripensa per un secondo al giorno in cui ha visto Milo arrivare al Pireo, scivolando dalla nave con entusiasmo. Un creatura marina, sembrava. Era davvero piccolo, più piccolo di molti suoi compagni, eppure il primo a giungere al Tempio. Il primo ad avere la possibilità di piegare le ginocchia sulla terra brunita dell’Arena, e la testa di fronte alla maschera inaccessibile del Pontefice. Il primo a provare quelle sue stesse emozioni.

Ripensa anche all’altro ragazzino suo coetaneo, appena un po’ più grande. Nato in Febbraio. Un Acquario. Camus dell’Acquario. Ripensa ai suoi capelli rosso fuoco, un colore impressionante, davvero, per lui che conosce perfettamente la potenza dei colori primari sulla testa. Ripensa ai suoi occhi profondi come il mare, come il mare compresso sotto uno spesso strato di ghiaccio perenne. Un altro bambino del mare, ha pensato l’inizio, ma un mare naturalmente diverso dall’Egeo di Milo. Una creatura degli abissi freddi e imperscrutabili. Poi ha rivisto il fuoco che scendeva a onde dalla sua testa, e si è detto di no. Si è detto: questo bambino è già un enigma a soli quattro anni.

Se li ricorda con affetto, entrambi. Erano giunti a poca distanza l’uno dall’altro e per alcune settimane avevano aspettato insieme il momento della partenza verso i luoghi dell’allenamento.

Milo e Camus.

Milo. Camus.

Sorride, Saga. Due bambini così, che non sono bambini, in realtà, ma la reincarnazione di stelle, e che già condividono qualcosa di tanto grande. Pensa a come, forse, in un futuro condivideranno lo stesso destino che ha legato lui e Aiolos sotto la luce delle stelle.

Non sa che un giorno di tanti anni prima il piccolo Scorpio, guardandolo camminare così maestoso e così bello e così felice, ha espresso la stessa preghiera.

Non sa Saga, come non sapeva Milo allora, che il destino scelto per loro dalle stelle sarebbe stato coperto di polvere, e sangue.

“Sì,” Risponde Saga dopo molto tempo. “Sopporteranno. Come noi abbiamo sopportato. C’è forza in loro.”

Così per lui.

C’è la speranza nel destino scelto per noi dalle stelle.

Ed è il pensiero che tornando a casa, dopo aver alzato il mio braccio, e fatto di esso uno strumento di morte giusta, io troverò ad aspettarmi tutto quello che ho lasciato.

 

“Le stelle sono troppo lontane,” Diceva sempre Shion, le notti in cui lo portava con sé alla Star Hill.

“Le stelle da troppo tempo guardano il mondo da distante.”

“Come possono provare pena per l’uomo?” Diceva sempre Shion.

“Come possono essere gentili, quale criterio guida la loro benevolenza?”

“Le stelle sono impietose.” Diceva sempre Shion, con una punta di amarezza nella voce. “Non attaccarti agli oracoli. Non sperare nella loro clemenza. Le stelle non sono buone con noi.”

E Saga per molto tempo si è interrogato su queste parole.

Ogni tanto tornano come un’eco, nella sua mente avvolta dalla luminosità fosforescente del cielo notturno. Anche ora ci pensa. Pensa a Shion, e alla sua taciuta sofferenza. Pensa a sé e ad Aiolos, al piccolo Milo e al piccolo Camus, e tutto gli sembra così infinitamente piccolo. Come una ruota che gira.

Le stelle sono impietose, diceva sempre Shion, che una lunga vita aveva già vissuto.

Le stelle non vogliono bene…

In questo momento è felice. Pensa al piccolo Milo e al piccolo Camus che hanno appena sette anni e già un peso così insopportabile sulle spalle.

E per sé, per loro, non può che avere speranza nel destino scelto dalle stelle.

 

Poi qualcosa accade.

Dopo che lascia Aiolos, dopo che lascia i suoi pensieri, qualcosa accade.

L’Arena è pronta e splende concreta sotto il sole. Entro qualche giorno sarà gremita di gente, e al centro, chini sulla terra, baciando la terra, due giovani stelle. Due giovani.

Ma ora Saga si allontana, dimenticando per un istante tutto ciò che l’ha impegnato da ore. Percorre velocemente i campi di addestramento e la gola rocciosa, comincia la scalata verso la sua Casa, così vicina su quei gradini bianchi come un giglio.

Qualcosa accade. Forse nessun’altro può avvertirlo. Il messaggio era solo per lui.

Ad ogni passo è un po’ più veloce, un po’ più sorridente.

Un po’ più fiducioso nelle stelle.

Un po’ meno solo.

“Kanon!” Lo chiama entrando di corsa nelle sue stanze.

E lui è lì, così diverso da come lo ricordava e così uguale all’uomo che Saga è diventato.

È lì, e lo aspetta.

 

 

***

Mmm. Aggiornamento veloce (?). Sono sopravvissuta al Vappu (in qualche modo). Per cui posso dichiarare raggiunto l'obbiettivo di Aprile. Yeeeeeee. Ho scritto una Kuro/Fay! Non è ancora pubblicata, ma penso di postare oggi pomeriggio. Se vi interessa XD

Ringraziamo la dolcissima Kiky May che pazientemente scrive lunghe recensioni e riempie il mio cuore di gioia *offre crepes alla nutella*.

Baci <3

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Capitolo 21
*** Estranei ***


blu 21

21.

[Estranei]

 

 

Kanon arriva come tutte le volte, senza avvisare. Entra nel Tempio dei Gemelli, varcando una soglia che gli sarebbe preclusa senza chinare la testa. Ancora suo fratello non c’è, sta correndo su per le scale per raggiungerlo. Ancora ha un minuto di tempo per guardarsi intorno. Per osservare come è tutto cambiato. La specchiera in camera e il letto disfatto in pieno pomeriggio, fiori sul comodino, disordine. Saga non è mai stato disordinato. Ha sempre avuto lucidità nel disporre le sue cose. Saga è sempre stato confinato. È sempre stato…

Kanon ricorda la loro vecchia stanza. Aveva una grande finestra che dava sul mare e tende di organza bianche che fluttuavano. Era dipinta di blu. Anche i lettini erano tutti bianchi e blu, e quello di Saga si trovava sul lato dove di mattina batteva il sole.

È sempre stato blu, pensa. Perché la loro camera era blu, ed è così che lo ricorda, le mattine che si svegliava con la testa arruffata per il sonno. In un certo senso è come se per lui non fosse mai uscito da quella stanza. È come se fosse ancora immerso nella luce della finestra. Per sempre lo assocerà a quell’immagine.

Alla camera blu.

Non. A questa.

Non riconosce la presenza di Saga nel suo breve sguardo. È tutto un po’ più disordinato e luminoso. C’è un calore, tra queste mura, che non ha mai provato. C’è una sensazione di completezza. Forse sono le lenzuola gettate sul pavimento, o la finestra aperta e la luce del pomeriggio riflessa sulla specchiera.

Forse perché per la prima volta quella camera gli sembra vissuta.

Come l’hai riempita di tutto questo calore?

Da solo?

Pochi attimi ha per osservare. Ma basterebbe uno sguardo. Lo capisce. Subito.

Si sente…

estraneo?

 

Saga si allontana, dimenticando per un istante tutto ciò che l’ha impegnato per ore. Percorre velocemente i campi di addestramento e la gola rocciosa, comincia la scalata verso la sua Casa, così vicina su quei gradini bianchi come un giglio.

Qualcosa accade. Forse nessun’altro può avvertirlo. Il messaggio era solo per lui.

Ad ogni passo è un po’ più veloce, un po’ più sorridente.

Un po’ più fiducioso nelle stelle.

Un po’ meno solo.

“Kanon!” Lo chiama entrando di corsa nelle sue stanze.

E lui è lì, così diverso da come lo ricordava e così uguale all’uomo che Saga è diventato. È lì, e lo aspetta.

“Fratello!” Dice, spalancando le braccia.

Saga gli corre incontro, con foga, ridendo, gettandosi in quell’abbraccio che per troppo tempo gi è stato precluso, trascinandolo sul letto nella caduta.

“Cosa?”

“Sono così contento di vederti!”

Saga si alza sulle ginocchia. Con una mano si scosta la frangia dagli occhi, incurante. Kanon, disteso sul letto, nota bene quel gesto. Così svogliato e così banale. Così perfetto nel suo movimento, nell’onda del suo colore. Così sensuale.

Lo intravede appena, gli sfugge via dalle dita.

Per anni mantiene le distanze. E ogni volta che torna si scopre sempre di più un estraneo.

 

“Non mi ricordavo così questo posto,” Dice Kanon.

“Sono molti anni che non torni.”

Sono molti anni. Sono quattro anni, in effetti, che non lo vede. Saga non ha davvero idea di cosa sia successo in quest’enorme lasso di tempo. Kanon potrebbe essere stato sempre accanto a lui senza farsi vedere, potrebbe aver girato il mondo, averlo percorso tutto. Potrebbe avere conosciuto tantissime persone, persone diverse dalle più grandi abilità, potrebbe essersi allenato ed aver risvegliato il Cosmo sopito dentro di sé. Saga non sa nulla di lui. Non lo sa più interpretare.

È come un estraneo, pensa.

È un pensiero molto doloroso.

Come un estraneo. Come una persona che non capisce. Come una persona distante.

Scuote la testa e in un secondo non ci pensa più. Ora è vicino, è tornato e forse rimarrà questa volta per più tempo. Rimarrà stabilmente. Rimarrà accanto a lui e ricostruiranno quella familiarità che un tempo possedevano. Forse…

“Quando sei arrivato?”

“Poche ore fa. Ti aspettavo.”

“Ero all’Arena. Stavamo preparando il terreno per le nuove investiture.”

“Ah.”

Saga si sente in dovere di aggiungere. “Tra quattro giorni due nuovi Cavalieri d’Oro riceveranno l’investitura.”

Kanon non commenta. Sorride a malapena, osservando il suo entusiasmo. Sincero. Chiaro. Un po’ più chiaro di come lo ricordava.

Saga vorrebbe raccontargli davvero un milione di cose. Aspetta il momento migliore, accarezzando le lenzuola con le mani per distendere le pieghe, aspetta un suo cenno. Vorrebbe dirgli dei nuovi Bambini d’Oro e dell’addestramento, e delle notti passate col Kyooko a studiare le stelle e tutto quello che gli astri hanno loro raccontato. Vorrebbe dirgli di Aiolos. Soprattutto di Aiolos. Di come quello strano sentimento di amicizia che per anni l’ha tenuto sospeso in limine, che l’ha afferrato l’istante prima che potesse cadere nel vuoto, sia diventato qualcosa di più. Bello e equilibrato. Di come l’abbia reso salvo. Di come abbia sofferto la solitudine, prima.

Di come – l’abbia sostituito.

In un certo senso.

Si morde il labbro, Saga, cominciando a spostare le cose lasciate disordinate sul letto. E cambia pensiero.

“Tu cos’hai fatto in questi anni?”

“Mi sono allenato! Che domande. Ti farò vedere subito,”

Saga si siede sul letto disfatto, spostando un cuscino con noncuranza. Si passa di nuovo una mano tra i capelli in quel modo che a Kanon fa male, perché è un gesto che non conosce.

Forse, per un momento, per un ultimo momento, riscoprono un pensiero in comune. Forse per un momento Kanon lo guarda, e Saga alza gli occhi incrociando i suoi. Due sfumature di blu che sono inconciliabili. Forse per un momento, per questo momento, riescono a sentire, riescono a intuire la stessa, medesima cosa. Lo stesso pensiero che fa male.

Per un attimo capiscono.

Come estranei, ormai.

Vite che non appartengono più l’una all’altra. E che forse mai si potranno ricongiungere.

Saga ha la netta impressione della verità di questo pensiero, e della sua profondità. È come se per un istante l’avesse afferrato in tutta la sua estensione.

E ora ne è consapevole.

 

C’era la loro stanza, tutta bianca e blu.

Entrambi la ricordano.

Era piccola e sempre ordinata, e dalla finestra si vedeva una lunga striscia di mare, e le colline coperte di ulivi.

Ogni tanto ripensano a quel tempo lontano in cui vivevano nella stanza bianca e blu, piccola, intima, familiare. È qualcosa che sanno di aver perso per sempre.

Eppure, una parte di loro, è ancora imprigionata tra quelle mura impregnate di mare e di sole.

 

Un colore

Così distante…

 

***

E’ una cosa tipo ujut’… ok, sto straparlando. Mi è venuta in mente oggi a lezione parlando di questa cosa che non saprei come tradurvi. È il fatto di trovarsi a casa propria, nella propria intimità e calore. Boh… avete capito, no XD? Saga è nell’ujut’ con Aiolos <3 solo che arriva Kanon e distrugge l’equilibrio ù.ù

Ritardo epocale. Apocalittico. E' anche un capitolo brevino. E devo pure correre, quindi ringrazio velocemente Kiky May (che si emoziona con le mie robe e io sono tanto contenta), Eli Angel (che mi supporta nei mie assurdi deliri mistici) e Eje (che pure è stata gentilissimah <3 nonostante i miei ritardi).

Ora, forse, potrò permettermi una misera vacanza. Forse. O esplderò. Nella peggiore delle ipotesi io mollo tutto e vado a fare la groupie. 

Baci <3

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Capitolo 22
*** Luna ***


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22.

[Luna]

 

 

Sembra passato davvero troppo tempo dall’epoca in cui gli astrologi osservavano il cielo dall’alto delle loro torri, vestiti come sacerdoti, pregando come sacerdoti. Tanti secoli fa non conoscevano niente dell’Universo, eppure, in un certo senso, ne avevano una concezione più profonda. Forse, pensa Saga, era troppo profonda e troppo mistica per essere vera. Ma allora si credeva negli dei e nella forza dei miti, e nella magia segreta dentro l’essere umano.

Com’è possibile che  mi trovi ancora qui, sull’Altura delle stelle, con la faccia rivolta verso il cielo ad indagare la materia celeste?

Atene brilla luminosa, sotto, coricata sul suo mare tranquillo. Atene che è viva e pulsante e non guarda più il cielo, perché si è costruita da sola le sue luci.

All’improvviso il Santuario gli sembra l’ultimo baluardo di un mondo ormai passato. Di un mondo, tutto sommato, inutile. Vede puntini in movimento, sono macchine che attraversano la città. Vede la luce delle insegne e delle finestre come piccole stelle su un tessuto di terra.

E si chiede: a cosa serve?

A cosa serve, ormai, il Santuario?

A chi servono, ormai, Cavalieri da secoli dimenticati?

 

Notte di un anno fa.

Il Pontefice e Saga sull’Altura domandano alle stelle il permesso per la cerimonia di investitura dei nuovi bambini d’Oro.

Shion, sulla sua torre, vestito come un antico sacerdote, alza le braccia all’universo quasi pregando. È un po’ più vecchio e un po’ più blu dell’ultima volta, ancora spera e si rassegna nella benevolenza celeste.

Saga guarda la Luna.

Luna tonda, piena, lattea come la sua faccia che spande un alone fosforescente gettandolo sulla terra e attorno a sé.

Luna che regola le maree e le messi e le profezie.

Luna che è da millenni un astro sacro e inviolato.

Quella notte di un anno fa c’era un uomo sulla Luna.

 

Anche la Collina delle Stelle è rimasta sacra e inviolabile e legata alle antiche tradizioni. O almeno, così il Pontefice ha detto a Saga. In realtà non ci crede. È un luogo troppo bello e troppo spirituale, domina sulla città e sul mondo intero, riverbera di questa mistica dimenticata. È come se nel suo piccolo protendersi sulla superficie del mondo, risplenda di una certa malinconia. Forse è solo quella tinta blu notte, che è il colore più malinconico e più distante di tutti. Ma è dalla prima volta che ha calpestato il suo suolo sacro, che Saga ha percepito qualcosa. La sua terra gli è sempre sembrata impregnata di magia, di sospiri. Molte persone, ne è convinto, sono passate di qua, attraversando porte che non avrebbero dovuto varcare. Molte persone che le stelle non avevano autorizzato hanno guardato il cielo da questa altezza.

Chiunque abbia violato questo santuario di luce ha lasciato una scia percepibile. Forse Saga, che è più sensibile di ogni altro essere umano, ha sentito queste strane vibrazioni. La scia si prolunga nei secoli. La scia potrebbe snodarsi all’indietro nel tempo fino a coprire l’arco dei millenni, tracciando il movimento delle costellazioni. La scia è sempre stata.

“Non dovresti essere qui.” Dice Saga.

Ora ha capito. Non è mai stata semplice suggestione. Ha capito la profonda malinconia sprigionata da queste rocce. La Collina delle Stelle è come una Porta che conduce verso il Cielo, e tanti sono venuti qui a salutare. I guerrieri come loro vengono troppo spesso condotti verso il cielo. Forse le loro anime passano proprio da questa soglia. Qualcuno parte, qualcuno resta. Qualcuno sale le scale del Tempio per recitare un addio.

 

Aiolos arriva silenziosamente apparendo dalle scale del Tempio. Lo chiama sottovoce. Sa che non ha importanza, che nessuno li sentirà a quell’altezza. Sa che la dea non sarà più clemente solo perché ha abbassato la voce. Ma lo fa lo stesso, per rispetto, o forse per paura.

Saga si volta a guardarlo.

“Non dovresti essere qui.” Dice.

“Non ti trovavo da nessuna parte.”

“Dovevo… dovevo capire delle cose.”

Aiolos  sorride. Saga è ancora in piedi sul ciglio, la luce lunare gli sbatte in faccia rendendolo quasi fosforescente. Ai suoi occhi è come un antico sacerdote, un profeta di una religione dimenticata, e la sua saggezza trascende quella di tutti gli altri uomini.

“Dovevi capire cosa?”

Saga si porta un dito sulle labbra. Zitto, gli chiede. Per un istante torna a voltarsi verso l’infinito, getta un’occhiata veloce. Dice: abbastanza per oggi. Poi si volta e va incontro ad Aiolos.

“Non dovresti essere qui.” Ripete. “Torna indietro. Questo è un luogo al quale tu non puoi accedere.”

“Lo so,” Risponde. “ma volevo vederti. In questi giorni sei così distante. Da quand’è che non restiamo soli noi due?”

Da quando è arrivato Kanon.

“Saga… non so come… io a volte ho paura che ti allontani troppo da me. Tutte le sere che sali su questa collina ho come l’impressione di perderti. Ho come l’impressione che volerai via, e che finirai sulla Luna dove non potrò raggiungerti.”

Sorride, Saga. Ma è un sorriso amaro.

Sulla Luna ha camminato un uomo qualsiasi.

“Questo posto è come una Porta, sai. Ma io ancora non posso varcarla.”

“Mi mette i brividi.” Aiolos si guarda intorno. “E’ troppo silenzioso.”

“E’ il Tempio della Contemplazione.”

Aiolos è senza parole. L’Altura delle Stelle possiede una bellezza insopportabile, fatta della sua purezza, della sua antichità, della sua sacralità, della sua magia. E in fondo, nascosta sotto ogni pietra, nascosta dietro ogni filo d’erba, la sente. La vibrazione. La malinconia. Quel sentimento soffuso come qualcosa di lasciato indietro per secoli e secoli, la passione di tutti coloro che da qui sono transitati. E non capisce, perché è la prima volta che vede e sente questo spettacolo, e non ha avuto tempo di riflettere. Ma ne è stranamente soggiogato. Un po’ la sente propria. È quella stessa insicurezza che stanotte l’ha portato a varcare una porta che non gli era concesso attraversare.

“Andiamo?” Chiede Saga.

“No. Ancora un minuto.” Aiolos si avvicina e lo abbraccia. “Restiamo qui ancora un minuto.”

“Non si può.”

“Saga…”

“Non fare così. Non si può.”

“Saga, per favore.”

“Tu non –“

Lo bacia. Con intensità, quasi con disperazione. Come se la strana malinconia di questo luogo gli sia penetrata dentro e abbia amplificato quello che già provava prima di raggiungerlo. È una sensazione strana, come di onde nello stomaco.

Saga all’inizio tenta di scansarsi. Tenta di smuoverlo e dirgli che non può fare questo, non può baciarlo in luogo dove neanche potrebbe restare. Sotto il recinto di stelle non c’è spazio per tutti e due. Gli stringe le dita sulle braccia e cerca di allontanarlo, ma Aiolos è mosso dalle onde nello stomaco e non ha intenzione di quietarsi. Sente qualcosa  dentro che urla troppo disperatamente per mettersi a tacere. Così continua, baciandogli il collo, e le labbra, un cratere increspato sulla sua faccia di luna. E alla fine Saga si arrende. Pensa che in fondo non è il primo, e non sarà l’ultimo, Aiolos, a cercare del calore su questo suolo che è amalgamato alla notte e al buio. Pensa che non è e non sarà il primo a cercare di chiuderne la Porta, a trattenere qualcuno per terra, perché dalla Collina delle Stelle si accede direttamente al Cielo.

Pensa che è proprio la sensazione che ha sempre avvertito.

Amore e disperazione.

Sotto ogni pietra, dietro ogni filo d’erba. Ammirata dal recinto di stelle.

Pensa a tutte le generazioni di Cavalieri che dai tempi del mito hanno provato esattamente quello che prova lui, perché sono stati tutti accumunati dal destino alla solitudine e alla sofferenza, dalla vocazione per la morte.

Pensa a coloro che hanno prematuramente attraversato la Porta che conduce al Cielo.

Ma che prima, prima hanno voluto prendersi qualcosa per sé.

Aiolos rallenta il suo impeto staccandosi da lui, portandosi dietro la sua tunica. Non lo guarda negli occhi. Gli scosta i capelli dal viso.

“Ti prego…” Dice, di nuovo sussurrando, come se questa premura potesse riscattarlo dalla profanazione compiuta.

Allora prenderò qualcosa per me.

“Sì.”

Copre di nuovo le distanze, gettando al vento il sacro e gli antichi riti di purificazione. Gettando al vento vestiti e capelli, come se fossero niente.

“Sì.”

Qualcosa per noi.

 

“Non ha più senso.” Saga si sistema meglio tra le braccia di Aiolos. “Ha volte ho come la sensazione che il nostro compito non abbia più molto senso. Tutto quello in cui noi crediamo… può essere distrutto in un secondo.”

“Questo non è vero.”

“Sì, invece. Una notte di un anno fa, sai, sono venuto qui col Pontefice. Proprio qui dove tu non dovresti essere. Chiedevamo alle stelle la data per la Cerimonia di dopodomani. Chiedevamo al cielo delle cose. Mi sembrava davvero assurdo che noi guardassimo il cielo per delle risposte la stessa notte in cui gli uomini hanno camminato sulla Luna.”

“Mm?”

“Uomini normali. Esseri umani senza forza, all’oscuro del nostro mondo. Senza Cosmo. Arrivano sulla Luna dove noi, coi nostri antichi riti e la nostra religione, non giungeremo mai.”

“E questo ti fa male?”

“Un po’ sì.” Risponde. “Un po’ mi fa sentire vano.”

Aiolos pensa un attimo a cosa rispondere. “Non puoi farci niente. Il nostro mondo e il loro, anche se occupano la stessa superficie, si sono evoluti in due direzioni diverse. La nostra presenza è oscura e segreta. Forse non arriveremo mai sulla Luna col nostro semplice Cosmo. Ma qui, sulla Terra, noi possiamo proteggerli.”

Saga non dice più nulla, chiudendo gli occhi, guancia appoggiata alla spalla di Aiolos.

“Perché da quando ti conosco ti poni sempre queste domande, Saga?”

“Non lo so. Forse sono troppo volubile.”

 

Almeno ora sai che non potrò mai partire per la Luna.

 

 

***

Oh, cielo, che capitolo lungo. Scusate. Sì, era prevista una sottospecie di lemon, qui. Ma io, dopo anni di fan writing, ho definitivamente capito che non ne sono in grado. Diciamo che vi lascio all’immaginazione XD

E poi, oh – che lunga attesa. Sono senza forze. Ma c’è ancora qualcuno che legge questa fic? No, perché mi ero seriamente impegnata per scriverla, ma mi sembrano passati mille anni dal giorno in cui ho messo la parola fine…

Ringraziamo Kiki May che per quanto ne so potrebbe in questo momento trovarsi in un atollo polinesiano a vendere noci di cocco (me lo auguro per lei, perché le voglio bene <3), tanto tempo è passato.

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Capitolo 23
*** Granello ***


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23.

[Granello]

 

 

Nel mezzo della notte ritorna Saga. Ha la faccia premuta contro il cuscino e guarda il suo gemello che giace accanto a lui. Sembra un miracolo averlo con sé di nuovo.

È appena entrato e ha cercato di fare il meno rumore possibile. In punta di piedi si è avvicinato al letto e si è sdraiato. Kanon ha aperto gli occhi appena appena, quel tanto che bastava per farli scintillare di azzurro. Si è proteso verso di lui, che lo guardava con un tono di scusa. Ha sfiorato col naso la curva delicata del suo collo.

Aveva addosso odore di altro.

 

Sono mesi che Saga non mette piede fuori da Atene. Sono anni che non lo fa per una missione. Ogni volta che lascia la città – la sua città, bianca e azzurra come la sua faccia – sente una strana sensazione di perdita. Il paesaggio che gradualmente scompare è qualcosa che gradualmente scompare dentro di lui. Atene dalle candide soglie è l’unico posto che ormai potrebbe mai chiamare casa, e l’unico dove desidera davvero ritornare.

Per i suoi colori.

Per il suo mare.

Per i templi.

Per i profumi che sono un po’ come tornare indietro in una regione remota dell’infanzia.

E per Aiolos.

Eppure ha come la sensazione che se camminasse a lungo per questa strada, se percorresse questa striscia di costa verso Nord, per miglia e miglia, giungerebbe prima o poi nel luogo in cui è nato. Forse è per questo che gli sembra tutto così famigliare. O forse perché le insenature sull’Egeo si somigliano un po’ tutte.

“Dove andiamo?” Chiede.

Corre veloce Kanon, su quegli scogli impervi. “In un posto dove non possano sentirci.”

“Ovunque ci possono sentire, Kanon. Il Cosmo è –“

“Lo so!” Si volta ridendo. “Ma qui non daremo nell’occhio.”

Si ferma in una zona poco lontana, a ridosso  del mare, dove gli scogli hanno formato una conca naturale.

La figura di Kanon si staglia contro il sole con quei suoi capelli appena un po’ più chiari e la pelle abbronzata, e per un secondo Saga si chiede com’è possibile che la sua sia così simile all’opalescente luna. Come è possibile, perché anch’egli è nato sul mare e sul mare, sotto il cielo mite della Grecia, ha sempre vissuto.

“Qui andrà bene.”

 

Saga sbatte la testa contro uno scoglio, e l’onda d’urto lo rispedisce indietro. Il braccio si incastra tra due spuntoni frastagliati. Lo strappa dalla morsa, lacerandosi la carne tutt’intorno al polso.

Non è come combattere all’arena, pensa. Le rocce sono dure e così ruvide, e gli graffiano la faccia. Sulla pietra chiara brillano come piccole perle rosse le gocce del suo sangue.

Si alza scuotendo la testa e con un balzo è di nuovo sul gemello.

È la prima volta che combattono l’uno contro l’altro. Lo facevano da bambini, ma allora era un gioco innocente come tanti. Allora non avevano nemmeno immaginato cosa fosse un Cosmo, e quale magia dimorasse dentro di loro. Ed oggi è molto strano, perché, non fosse per quei baluginii appena un po’ più chiari sulla testa di Kanon, Saga avrebbe la netta impressione di colpire se stesso, e lottare contro se stesso.

Fende l’aria fresca della mattina con un pugno.

Galaxian – Explosion!

Kanon si ripara come può, e allora reagisce. C’è una strana scintilla nei suoi occhi. Saga potrebbe dire di aver notato un impercettibile sorriso soddisfatto.

Galaxian Explosion!” Tuona Kanon.

Cosa può fare?

Saga sgrana gli occhi, sorpreso. Per un istante vacilla, poi finisce di nuovo contro gli scogli.

 

“Sei stato da Aiolos?”

Domanda diretta. Saga non può negarlo. Non sa come l’abbia capito. Forse sono cose che si sentono e basta tra gemelli, forse anche lui se ne sarebbe accorto, fosse stato al suo posto. Forse lo sapeva prima ancora di sentirne l’odore. Forse l’ha sempre saputo. Forse è davvero evidente.

“Sì.” Dice.

Kanon ha uno sguardo ininterpretabile. Saga inclina un po’ la testa per vederlo meglio, illuminato dalla luce notturna che entra dalla finestra. Aggrotta le sopracciglia, blu scuro, due piccole onde, due piccoli rilievi sulla superficie lunare.

“Ti dispiace?” Chiede.

Come se fosse colpa sua essersi innamorato dell’unica persona che ha condiviso con lui tutti questi anni.

Come se fosse colpa sua essere stato separato da Kanon troppo presto, e aver dovuto cercare un’altra casa, un altro appiglio, qualcuno

“Sì.”

E all’improvviso Kanon ha come un’intuizione. Vede Saga rabbuiarsi a poco a poco, ritraendosi sempre di più dalla sua parte di letto. All’improvviso Kanon capisce come deve fare.

Quello che non ho potuto avere…

Aiolos. Il suo punto debole. La sua fragilità. L’equilibrio instabile. Kanon ha sconvolto tutto il suo sistema, e così gli basta solo continuare a scuotere, e scuotere, finché non crollerà.

“Sì che mi dispiace. Lo odio. Lo detesto. Perché ti allontana da me. Non capisci?”

“Cosa dici?”

Non ho potuto avere…

“Lo sa che sei debole. Io ti capisco. Io posso prendermi cura di te. Ha capito che sei debole, sotto questa tua splendida maschera di forza. E la calpesterà. Ci arrivi?”

“Quello che dici non ha senso.”

“Vedrai.”

Primo granello di sabbia lanciato. Ce ne vogliono quanti per fare un deserto?

 

A Nord-Ovest sopra Atene si estende il Golfo del Pireo. È la prima cosa che Saga ha visto quand’è arrivato. Ricorda di aver pensato che il Pireo fosse solo il porto della città, e che per questo dovesse essere un porto davvero enorme. L’ha creduto finché Kastor, il suo vecchio maestro, gli ha spiegato che è stato il porto ad aver preso il nome dal golfo intero.

Cos’è un golfo, aveva domandato.

È una striscia di costa così, aveva risposto Kastor, disegnando un curva nell’aria con le mani. E’ un pezzo di terra che forma un arco col mare, e il mare entra più in profondità, protetto e calmo dalle turbolenze.

Ora guarda la distesa rocciosa davanti ai suoi occhi e il mare e il cielo, ed è tutto quello che c’è. Sono distanti chilometri e chilometri dal primo villaggio o dalla prima strada trafficata. Meglio. Si respira un’aria vera, l’aria di tutti i posti di mare. Odore di sale dappertutto. Sensazione salina sulla pelle.

Kanon finisce di sistemargli la benda attorno al braccio ferito con cautela.

“Dove hai imparato quel colpo micidiale?”

“Durante l’addestramento.”

“Chi è stato il tuo maestro?”

Non risponde. Stringe appena il nodo bianco. La garza si tinge di piccole macchie scarlatte attorno al polso, come perle di sangue.

“Chi ti ha insegnato quel colpo micidiale?”

“Ho viaggiato a lungo.” Dice. “Da molti ho appreso i miei segreti. Non ho avuto un Maestro come te. Non ho avuto una casa come te, fratello.”

Non sono stato fortunato come te, sembra voler dire.

E mentre pronuncia queste parole con le labbra, e altre ne sfiora solo col pensiero, stringe appena un po’ di più la benda che ora sul polso è cerchiata da un unico filo ininterrotto di perle scarlatte.

Tutto quello che non ho potuto avere, Saga…

Saga non aggiunge nulla. China leggermente la testa. I suoi capelli scivolano davanti agli occhi, come un’onda che si ricongiunge al mare.

Un colore appena un po’ più scuro del mare.

“Vorrei davvero sapere, sai.”

“Cosa?”

“Un giorno vorrei davvero sapere dove sei stato. Cos’hai fatto, con chi hai vissuto. Cosa ti è successo in questi anni. Cos’hai… provato. È come se tu sapessi tutto di me. Io, invece, ho l’impressione di non riconoscerti più.”

“Non dire così.”

Sorride.

“Ho l’impressione che il tempo ci abbia reso –“

Estranei.

“– distanti.”

Kanon si passa una mano sulla fronte scottata dal sole. Guarda verso il cielo con l’aria grave.

Tutto quello che non ho mai avuto…

“Io non ho più un posto dove andare, Saga.”

Glielo dice così, all’improvviso.

“Rimarrò qui con te.”

Allunga un mano, verso la sua. Così identiche. Dita affusolate e proporzionate che si intrecciano. La mano di Kanon è appena più abbronzata e screpolata della sua, ma è forte e calda, e potrebbe frantumare tutte le rocce del golfo. Saga la stringe, il polso cerchiato di rosso.

“Per molto tempo, credo, rimarrò qui con te.”

 

Tutto quello che non ho potuto avere…

Kanon lo guarda. L’espressione di Saga è quasi feroce.

Toccato un punto sensibile?

È come se sulla sua faccia di luna si addensassero nubi di tempesta. È come vederla dal suo lato oscuro. È come vederla una notte quando sta per essere ingoiata dal buio, e della sua luminosità fosforica non resta che una sottile falce calante.

È così, pensa Kanon.

Quella spaventosa oscurità sta solo dormendo dentro di te. E aspetta. Il tuo è un equilibrio estremamente precario, e vacilla al minimo tocco.

Sorride all’ombra della notte, e forse Saga lo vede. Forse Saga capisce.

Primo granello di sabbia lanciato. Ce ne vogliono quanti per fare un deserto?

Kanon ha tempo. Sono anni che aspetta.

Granello dopo granello li lancerà tutti, fino a riempire il Santuario, fino a farne un luogo arido e desolato. Non importa se ci vorrà una vita.

Questa notte ha appena cominciato.

Tutto quello che non ho potuto avere

da solo me lo prenderò,

Saga.

 

 

***

Oddio, che confusione, questo capitolo °O°! Come dissi a Ila, questo capitolo è nato con l’intenzione di essere un vaso andato in pezzi e ricomposto, ma credo di aver esagerato coi frammenti ;O;

 

Cooomunque, per rispondere a Kiki May, oh, i capitoli sono ancora tanti, tanti, tanti. Non ho nemmeno il coraggio di dirlo ad alta voce. Ma se consideri che siamo ancora a prima del colpaccio al Grande Tempio… ne abbiamo di strada da fare verso Hades (perché la storia finirà proprio con la conclusione di Hades). Ecco, ora che sei debitamente scoraggiata puoi deciderti ad abbandonare la nave o a rompermi le scatole per aggiornamenti più celeri, il che sarà l’unico modo per concludere questa fan fiction prima della mia laura magistrale (so far away).

I love youh all  <3

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Capitolo 24
*** Scrigni ***


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24.

[Scrigni]

 

 

Scrigni dorati al centro dell’Arena. Come gioielli risplendono sotto la luce del sole.

Saga è sceso dagli spalti ancora deserti.

Nessuno vede la loro meraviglia, nessuno avverte la loro sinergia. Le due Cloth mitiche sembrano richiamare il tempo per cui si sono quietate, lo raccolgono dentro, lo comprimono – due secoli di pace – per poter esplodere l’energia. Quell’energia.

Se la ricorda bene, Saga.

Una delle sensazioni più belle che abbia mai vissuto.

Qualcuno l’ha portato nell’Arena tenendolo per mano, allora.

Si china ad accarezzare gli scrigni dorati che rimangono muti. C’è una profonda potenzialità in essi, pronta a dischiudersi all’ora stabilita.

Guardando distrattamente verso l’alto, li scorge. Si sono nascosti dietro un gradino.

Così piccoli, pensa.

Eppure già destinati a grandi cose.

Quando domani apriranno questi scrigni, anche Milo e Camus si imbarcheranno sulle navi del mito, di quelle dei tempi passati che portavano a casa gli eroi della leggenda. Anche Milo e Camus saranno un po’ i nuovi eroi della leggenda. Come lui. Come Aiolos.

Un po’ prova pena per loro. A quei due bellissimi bambini toccherà percorrere insieme il cammino dei guerrieri, che è il più faticoso e il più struggente di tutti. Arriva più in alto, ma a che prezzo. Nelle loro facce innocenti sembra scorgere il destino di tutti. Sono fatti per provare sensazioni ed emozioni più intense. Sono fatti per credere fermamente nei loro ideali di giustizia, nella santità, nella rettitudine della loro dea. Sono fatti per combattere in nome di un bene superiore che li farà brillare. Sono fatti per uccidere e provare orrore per l’omicidio. Sono fatti per la lacerazione. Sono fatti per calpestare chiunque e per proteggere chiunque. Sono fatti per la solitudine degli eremiti. Sono fatti per l’amore che è l’unico sostegno nel deserto che attraversano. Sono fatti per i pianti, perché –

Sono fatti per morire giovani.

Possono frantumare una montagna con la forza del pensiero, e bruciare il Cosmo fino a far tremare il cielo e la terra.

Eppure, dentro, sono fragili come qualsiasi essere umano.

Soffriranno. Anche loro, come tutti.

 

Appena riparato da una tenda chiara, bianca come un giglio, che scherma i raggi forti del sole pomeridiano. Saga si chiede che luminosità possano vedere dall’Arena. Il loro piccolo palco deve scintillare di qualcosa di più puro del giorno, con la tenda bianca che riflette i raggi di sole e le Armature d’Oro che di sole sono come intessute. La sua, preziosa e imponente, e più ancora quella di Aiolos, che dispiega le ali come fossero l’ aurea corolla di un fiore.

Aiolos avrebbe voluto trovarsi dall’altra parte del campo. Non sul palco ufficiale. Non alle spalle del Gran Sacerdote, a guardare verso il basso le due figure immobili al centro dello spiazzo di terra brunita. Senza poter piegare le labbra in un sorriso.

Da quella distanza, sul loro piedistallo di guerrieri, non sono né Maestri né fratelli. Sono i Santi e la massima aspirazione. Per chiunque.

Entità irraggiungibili.

Per questo Aiolos avrebbe voluto potersi sedere sugli spalti assieme a suo fratello. Avrebbe voluto sedersi e guidarlo attraverso la Cerimonia con gli occhi sereni di chi c’è già passato. Prenderlo per mano. Spiegargli in cosa consiste questa strana vibrazione nell’aria. Permettergli di capire la magia che sta nascendo sospesa tra i mulinelli di terra sollevata.

Era irrequieto, oggi, il piccolo Leone. Aiolos l’aveva lasciato assieme ai suoi compagni per prendere posto sui gradini più alti.

L’aveva lasciato per indossare l’Armatura.

Saga era presente, in quello stesso istante. Tanti occhi ammirati li stavano guardando allontanarsi, uno accanto all’altro. Solenni e maestosi, come si immaginano gli antichi eroi del mito. Forti e belli.

Santi.

Fragili.

 

Guarda i Bambini d’Oro che ha ormai imparato a conoscere, tutti seduti ordinatamente. Presto verrà il turno per ognuno di loro di varcare la soglia dell’Arena.

Non può fare a meno di notarli, Saga, che ultimamente ha riscoperto un antico peso nel cuore. Non può fare a meno di pensare a loro nella stessa direzione in cui pensa a se stesso.

Così diversi l’uno dall’altro.

Cosa avrebbero avuto in comune, se quella notte il Kyooko non li avessi trovati sbirciando in una mappa di stelle? Si sarebbero mai incrociate le loro esistenze?

Sarebbero i loro destini stati così indissolubilmente legati, vita e morte?

Mu, il piccolo Mu dai lunghi capelli color della lavanda, lo vede benissimo, non sarebbe mai sceso dalle montagne dello Jamir. Shaka, che a sei anni conversa con Buddha forse si sarebbe fatto immolare su qualche sacro altare della sua antica religione. Poi c’è Afrodite, che viene dal continente, dalla Svezia. Anche lui ha capelli azzurri come il cielo più luminoso del giorno, e una bellezza che gli porterà solo sventura. Ci sono Shura e Aldebaran che sembrano i più grandi di tutti, c’è il bambino italiano che si fa chiamare Death Mask.

Tutti sono stati richiamati per assistere alla Vestizione.

Presto, molto presto, verrà il loro turno.

 

“Sembri dispiaciuto per loro.” Dice Aiolos.

“Ricordi?” Saga si stende meglio. “Una volta, quando avevamo sei o sette anni. Ricordi che peso sentivamo su di noi?”

“Sì.”

“Io non mi sento alleggerito, ora.”

Li prepariamo – a cosa, Aiolos?

 

Si aprono gli scrigni dorati. Il Santuario è investito di una luminosità sovrannaturale.

Da dietro la sua maschera il Pontefice sorride.

Si sta compiendo tutto per tempo, le Cloth si dischiudono all’ora stabilita.

Da oggi due nuove stelle si sono reincarnate e camminano su questa terra, e il loro aspetto è quello bellissimo e terribile degli antichi eroi delle leggende, quello bellissimo e terribile di tutti coloro che hanno mai indossato queste Sacre Vestigia.

 

 

***

Capitolo cortino. Non riesco a scrivere. Sono malata çOç. Meglio finirla qui, non vedo perché allungarlo forzatamente dove non c’è bisogno. Ringraziate di nuovo gli Zep e Mr. Plant che dice <3 The mighty arms of Atlas hold the Heaven from the Earth. Sì, è proprio lei. Achille’s Last Stand. La Canzone più bella della storia del rock.

 
Mm, è passato più di un anno da quell’8.03.2009 in cui ho scritto questo capitolo e sono di nuovo malatah ç_ç. Il primo giorno di lezioni non è bello.
Grazie Kiki May per l’incoraggiamentoh. Non sei stolta. Sei coscienziosa. E io devo fare qualcosa per impedirti di cadere nel baratro della stoltezza! Grazie per questa e tutte le altre recensioni. Eccì.

 

Baci <3

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Capitolo 25
*** Epitaffio ***


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25.

[Epitaffio]

 

 

La scia rossastra del tramonto lascia come una macchia sul pavimento della Terza Casa. Dalla soglia penetra una luminosità intensa che sembra accendere la pietra e renderla magmatica.

È un effetto curioso, osserva Kanon.

Gradatamente l’ombra infuocata del cielo di fuori si smorza e si estingue, lasciando il marmo alla sua naturale compattezza.

“Rimani. Rimani qui.”

Saga esce da quello stesso arco che ora sembra un portale su un mondo di fiamme, e di quelle fiamme è investito. Non indossa l’Armatura. Esce e comincia a salire le scale del Grande Tempio.

“Saga! Stupido Saga!”

Il suo gemello sorride. Appoggiato allo stipite, è un po’ più rosso del normale e la sua espressione e quel colore lo deformano quasi in una creatura demoniaca.

Un altro granello lanciato.

 

Per arrivare in cima, deve salire un milione di scale. Ha tempo di riflettere. Ha tempo per districare questi intricati fili.

Cammina lentamente, Saga, soffermandosi ad ogni passo sulla pietra che calpesta.

Attorno a lui si ergono antichi monumenti, tutti candidi come gigli, come il mantello di un Saint. Adesso che giunge l’ora stabilita si stanno spegnendo, bagnati di un rosso che già lascia il posto alla fosforescenza della sera.

Su questi muri sono state scritte parole profetiche

E questa luce le esalta.

Si chiede cosa sia nascosto, sotto. Quale segreto custodiscano. Ci sono troppi misteri al Santuario, troppe note sospese nel vuoto. Troppe voci stemperate nel silenzio.

A volte ha l’impressione di sentirne il riverbero sospeso tra queste antiche mura echeggiare da distanze millenarie.

Sempre stato qui, dai tempi del mito.

Mi chiedo quante cose potrebbe raccontare il Santuario se Atena gli donasse una voce.

Narrerebbe delle sue grandi battaglie? O di tutte le vite che l’hanno popolato? Narrerebbe di eroi o di uomini?

“A cosa pensa il Nobile Saga?”

Una voce infantile lo fa trasalire. Milo è seduto sui gradini davanti al proprio Tempio e lo guarda sorridente.

Nobile Milo…” Dice inclinando leggermente la testa.

Milo si morde il labbro leggermente imbarazzato. Non riesce proprio a pensare che Saga, il grande Saga, l’uomo così bello e forte da rassomigliare alla reincarnazione di un dio sulla terra, possa rivolgerglisi come un suo pari.

Questo Saga lo sa. Un po’ lo prende in giro con benevolenza. Se lo ricorda, il giorno in cui è arrivato a bordo della nave, un bimbo di quattro anni curioso e agitato che tratteneva tutto il suo potenziale dentro. Si ricorda gli occhi limpidi e i capelli intessuti di sole, e questa è l’immagine che per sempre avrà di Milo. Forse un giorno, quando sarà cresciuto, quando sarà un uomo – e sarà sicuramente un uomo bellissimo-, Saga lo guarderà e tornerà indietro alla sua prima immagine, alla sua immagine persistente. Forse un giorno, quando sarà cresciuto, quando sarà un guerriero esperto – e sicuramente sarà imbattibile ed indomito –, lo osserverà in battaglia, e sentirà la sua voce puerile chiedere: il Pontefice è più forte di voi?

Forse sorriderà a questi ricordi.

“Mi domandavo chi per tutti questi secoli abbia abitato le stanze della tua Casa.”

Milo è stupito della domanda. “Non lo so…” Ammette.

“Nemmeno io lo so. Non so chi abbia vestito la tua Armatura prima di te, né chi abbia vestito tutte le altre Armature. E questo se ci pensi è… voglio dire: siamo destinati anche noi a perderci nell’oblio delle future generazioni? Perché verremo dimenticati, come abbiamo dimenticato chi ci ha preceduto.”

Diventeremo solo altre voci tra quelle che echeggiano nel Tempio, e qualche nuovo abitante che passi da queste parti, un giorno, forse ci potrà vagamente sentire…

“Io ho visto le loro tombe.” Dice Milo. “Si trovano sulla scogliera, e sono coperte di erba. Ci sono solo piccole lapidi che sussurrano il loro nome. Non c’è scritto quando sono morti e come, non c’è scritto quanti anni avevano. C’è il loro nome scolpito nella pietra, e l’erba che li ricopre. E va bene così, credo. Insomma. Nobile Saga, noi ci alleniamo da una vita alla sofferenza e alla lotta, ed è questo quello che sappiamo fare. Sappiamo essere guerrieri. Siamo guerrieri, e così il mondo ci vede. Poi moriamo, e finalmente cessa lo strepito della battaglia. C’è solo pace. Silenzio. Mi conforta sapere che non verrò ricordato come colui che con la sua mano poteva distruggere la vita stessa. Mi conforta sapere che anch’io riposerò in un campo d’erba, e solo il mio nome sarà consegnato ai secoli, e me ne resterò accanto a quelli che con me hanno vissuto. Capisce?”

Non così piccolo, in fondo.

Saga è profondamente toccato dalle parole di Milo. È stupito che un simile discorso possa uscire dalle labbra di un bimbo di otto anni. Otto anni soltanto, e già tanta lucidità. È un Cavaliere d’Oro non per niente. Non è un bambino comune, come non lo è stato lui. Possiede un Cosmo, che è come possedere un universo dentro, una deflagrazione che origina le stelle, deve essere per forza più profondo dello spazio e più denso della notte.

Loro sono così. Anche lui era così.

“Capisco, certo. Credo che tu abbia ragione. Dopo tutto questo clamore forse ci meritiamo solo la pace.”

“Il silenzio.”

“Già.”

Si avvicina a Milo e gli accarezza affettuosamente la testa.

“Arrivederci, Nobile Milo.” Dice. Senza più scherno.

“Arrivederci, Nobile Saga.”

Lo sorpassa. Milo si volta un secondo e lo vede procedere, senza l’Armatura eppure, nonostante tutto, così maestoso. Sa che sta andando da Aiolos. E sa che in un certo senso quella visita, come tutte le altre che ha fatto, e che farà, è importante per lui.

Lo lascia andare con gli occhi, invidiandolo un po’ per quel sentimento così forte, per quel legame che, pensa, dà un senso a tutte le cose.

 

Ora ha nella testa l’immagine delle tombe.   

Ricorda di essere stato al cimitero più di una volta da bambino. Ma dal giorno della sepoltura di Kastor non vi ha più messo piede.

È stato lui ad incidere la pietra tombale. Avrebbe desiderato poter scrivere un epitaffio, una dedica adeguata per esprimere tutto l’amore che provava nei suoi confronti. Ricorda di non aver mai provato tanto dolore come il momento in cui era chino su quella lastra. Per un attimo ha sentito così intensamente il legame che li ha uniti. Per un attimo, nella sua mente, l’ha chiamato padre. Questo avrebbe voluto dirgli, inciso nella pietra per i millenni a venire, depositato accanto a tutti i guerrieri che nella morte l’hanno  preceduto. Ma da sempre la tomba di un Cavaliere è spoglia. Così ha inciso il suo nome e l’ha lasciato lì, a riposare dov’è ora, dove resterà per sempre, dove lo raggiungerà.

 

“Tu cosa vorresti che sia di te, dopo?”

“Dopo cosa?”

Saga lo guarda inarcando le sopracciglia, come due onde blu, due increspature sulla superficie lunare.

“Perché pensi così spesso alla morte?”

Anche questa è una domanda a cui Saga non risponde. Fissa intensamente Aiolos.

“Sai, non ci ho mai pensato. Al dopo. Spero che sia il più tardi possibile.”

“Neanche io ci ho mai pensato. Ma stasera ho come avuto un’illuminazione.”

Si volta su un fianco, Aiolos. Allunga il braccio e comincia a sfiorare l’addome del proprio compagno in una lenta carezza sovrappensiero.

“Immagino,” Dice. “di voler essere lasciato in quel prato sempre luminoso. Immagino fiori che crescono sulla mia tomba. Non ci è concesso molto, a dire il vero. Solo il nostro nome può essere scritto per coloro che verranno.”

“E nient’altro resterà di noi.”

“No.”

“Aiolos…”

“Sì?”

“Secondo te ci è dato almeno scegliere dove essere seppelliti? Voglio dire… se io desiderassi essere posto accanto a qualcuno in particolare per starmene lì tutta l’eternità, in pace –“

“Sarebbe un ultima consolazione. Non credo che qualcuno te la possa negare.”

Chi negherebbe la sepoltura a un uomo che muore?

Non prosegue. Non dice quello che sente.

È accanto a te che vorrei essere posto.

Non lo dice perché il solo pensiero lo fa inorridire, ora che sono ancora vivi, e possono giacere vicini e toccarsi per davvero.

Saga si ricorderà questo discorso. Verrà il giorno in cui gli tornerà alla memoria, e non ci sarà pace, non ci sarà conforto per lui sotto nessuna zolla di terra di questo mondo.

 

 

***

Certo, certo, scusatemi. Credits ai King Crimson. The wall on which the prophets wrote, is cracking at the seed è totalmente loro da –cielo- cinquant’anni buoni. Epitaph. È che scrivo sempre ascoltando musica, e a volte certe meravigliose parole si imprimono nel discorso ed è inutile cercare di cancellarle, stanno lì e basta… Oltre alla solita parentesi-ascoltate-buona-musica che non so perché mi ostini ancora ad aprire (?) anche se forse qualcuno coglierà i miei saggi consigli (?) sono particolarmente felice perché Lunedì prossimo me ne vado al Lucca Comics. Sono anche particolarmente depressa perché danno pioggia e il mio cosplay di Alice in Wonderland consta più o meno di una gonnellina leggerina e scarpettine di vernice e camicina ridicola per affrontare quello che probabilmente sarà un diluvio di proporzioni bibliche. Ma cosa devo fare…

 

I really wish to thank  Kiki May  for all the support! Tu cogli i miei assurdi deliri musicofili e per questo sono molto fiera *si bea di sé*. E poi sei ancora qui with me… With all the fun to have, to live the dreams we always had, with all the songs to sing, when we at last return again! *prende l’abbraccio e cerca di imitare i versi sexy di Robert Plant remdendosi ridicola*

 

Oh, beh. Alla prossima.

 

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Capitolo 26
*** Cocci ***


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26.

[Cocci]

 

 

“Smettila!” Grida Saga.

Lancia a terra un vaso, la prima cosa che gli è capitata tra le mani.

“Smettila, smettila, smettila!”

Kanon osserva i piccoli frammenti di ceramica smaltata spargersi su tutto il pavimento con apparente casualità.

È la prima volta che Saga perde in questo modo il controllo.

Il tuo equilibrio,

sta già cominciando a vacillare sotto i miei colpi?

Possiedo già un pungo di sabbia tra le mani.

 

C’è una bella giornata su Atene, e il sole è così chiaro nonostante l’inverno. Sta per finire la stagione buia, e con essa i tramonti precoci, le notti più fitte dell’anno. Sta per finire il periodo morto in cui Atene sembra come assopita in un letargo, lei che è una città costruita sul mare e vive in funzione del mare.

Per questo Aiolos è felice. Di una felicità piuttosto leggera, a dire il vero. Ma è pur sempre quello che ha tra le mani, e gli basta.

Scende la lunga Scalinata e giunge davanti alla Terza Casa. Entra. Le porte sono spalancate, e dall’uscio esposto al sole entra il chiarore di una bella giornata, spandendosi sulle colonne. Tutto così bianco e azzurro, pavimento bianco, pareti bianche, ritaglio di cielo dalla soglia.

“Saga,” Lo chiama.

Non risponde Saga. Non emette nessun rumore. Per un istante Aiolos pensa che nel Tempio non ci sia nessuno. Percorre il corridoio e accede alle stanze interne.

E lui è lì.

Chino sul pavimento dal candido bagliore, lunghi capelli come nubi celesti che quasi ne accarezzano la superficie.

È lì, e raccoglie dei cocci di vaso.

In silenzio.

Ha di nuovo quello sguardo.

Raccoglie i cocci di un vaso rotto ad uno ad uno. Allunga la sua bella mano pallida, quasi fosforescente, li afferra come se fossero fatti di materia inconsistente, o di aria, come se dovesse distruggerli con la punta delle sue dita. Poi li lascia cadere nella tunica. Guarda verso il basso, ma in realtà non fissa niente. Vede il vuoto.

Ha di nuovo quello sguardo da creatura inerte.

Da statua.

E questo, ad Aiolos, fa più paura che qualsiasi altra cosa, più della missione per la quale deve partire, più del vulcano da sconfiggere.

Rivederlo perso nel suo abisso, e provare la sensazione di doverlo perdere presto.

 

“Ad Aiolos è stata affidata la missione presso l’Eldfell.”

“Cosa?” Saga alza gli occhi dal suo libro.

“Ad Aiolos è stata affidata la missione –“

“E tu come lo sai?”

“Ho sentito questo. Sono solo voci.” Dice Kanon.

“E’ molto probabile che sia lui, perché il Pontefice non ha accennato a nulla durante il nostro ultimo colloquio.”

“Certo.” Risponde Kanon. Pronto a gettare un nuovo granello di sabbia.

“Beh, è normale, Kanon. Non sempre io devo partire.”

“Allora perché non affidare la missione a Camus, che conosce le lande dei ghiacci e ne è maestro? Perché Aiolos?”

“Perché – queste decisioni spettano solo al Gran Sacerdote, Kanon. Smettila.”

Ma Kanon non la smette. Non può e non vuole smetterla, ora che comincia ad accumulare un piccolo pugnetto di sabbia.

Tutto ciò che non ho potuto avere, e mi spettava, pensa.

“Ma riflettici un attimo. Non devi subirlo passivamente.”

“Subire passivamente cosa?”

“Che lui ti oscuri, Saga. Che lui diventi più luminoso di te al punto da eclissarti.”

Saga lo guarda inorridito. “Non posso credere che tu stia di nuovo cercando di farmi questo discorso. Non voglio più sentirlo. Mai più. Basta.”

“Un giorno vedrai. Cosa potrai fare quando capirai che ho ragione?”

“Tu non hai ragione.”

“E tu non vedi niente. Tu sei cieco di fronte alla realtà perché lo guardi con gli occhi di un innamorato. Ma non vedi che –“

“Che cosa?” Ora Saga comincia a gridare. Si alza dalla sedia e sbatte violentemente le mani contro il tavolo. È tutto protratto in avanti, verso Kanon.

“Che cosa?” Ripete, rabbioso.

Kanon non risponde.

Così facile scuotere il tuo baricentro, vedi?

“Kanon!”

“Una volta ti saresti fidato di me ciecamente.”

“Kanon, io non ti conosco più! Come posso fidarmi di te… ciecamente?”

“E’ colpa di –“

“Non è colpa di nessuno! Di nessuno!”

“Colpa di nessuno, forse. Ma intanto è contro di me che urli.”

“Tu mi stai facendo impazzire con questi tuoi assurdi discorsi. Non puoi pretendere che non mi arrabbi. Non puoi arrivare qui e pensare di toccare tutto quello che ho costruito. Non puoi farlo. Non puoi pensare di distruggerlo!”

“Non è questo che –“

“Non puoi e basta! Non parlare mai più di Aiolos in questi termini!”

Il tuo punto debole. Aiolos.

C’è un sorriso sempre più malvagio in Kanon. “Perché no, se tu non riesci a distinguere la realtà dall’inganno?”

“Perché noi due ci amiamo! E non puoi farci nulla!”

Non posso proprio farci nulla?

“Tu lo ami. Ne sono sicuro. Lo vedo nei tuoi occhi. Conosco il tuo cuore. Ma non conosco il suo.”

“Smettila!” Saga è quasi sull’orlo delle lacrime. “Smettila! Perché lo fai? Perché mi fai questo? Sei venuto qui solo per distruggermi?”

“Voglio solo –“

“Smettila!”

Afferra il vaso, lo lancia contro il pavimento davanti ai piedi di Kanon. Finge una faccia stupita, lui. Finge di non esserselo aspettato, di non capire quella reazione.

Ma dentro sorride di un sorriso sempre più malvagio.

Ha visto la rabbia, la ferocia incontrollata. È solo il primo pugnetto di sabbia, un misero numero di granelli.

E quando un giorno qui ci sarà il deserto…

Sorride, Kanon, di un sorriso sempre più malvagio.

 

“Ehi…”

Saga non dà segno di accorgersi della sua presenza. Continua la sua minuziosa raccolta, continua a guardare oltre qualcosa.

“Saga,” Aiolos gli si avvicina, si china dinnanzi a lui. Lo separa da quell’infinità di cocci.

Per un istante, Saga si arrende. I suoi occhi non scintillano di niente, sembrano fatti di un vetro denso e scuro, come quelli delle statue. Per lo stesso istante, mentre Saga alza il viso con lentezza, Aiolos ha paura che non lo riconoscerà, che vedrà attraverso di lui quello che ha visto attraverso la porcellana smaltata del vaso.

Invece torna in vita.

“Anche tu,” Dice piano. “Cosa vuoi?”

“Anche tu chi?”

Scuote la testa, Saga.

“Anche tu chi? Cosa è successo?” Lo scrolla delicatamente, come un bambino. “Saga!”

“Lasciami stare. Lasciatemi tutti stare.”

Ora Aiolos è estremamente preoccupato. Quando lo raccoglie tra le sue braccia, e se lo tiene stretto, Saga rimane immobile.

Perché? Si domanda. Perché? Cosa succede per farti stare male di nuovo, Saga?

Ho impiegato anni per convincerti che sei un essere umano come tutti gli altri. Ho impiegato anni a guardarti dentro e cercare il punto in cui qualcosa di te è spezzato, e ricostruirlo.

Perché ora hai di nuovo questo sguardo apatico?

 

Quella bellezza come di statua, placida, immobile, contemplativa.

Quel pallore come di marmo e quegli occhi densi e blu come vetro.

Quel distacco.

 

Saga si lascia abbracciare in questo modo, si lascia accarezzare da mani che cercano di scaldarlo sotto la superficie di pietra.

Ci sono dita leggere che passano attraverso i suoi capelli, e si perdono tra le onde come le navi nelle notti di bufera.

Il loro tocco è la prima cosa che sente.

“Aiolos?”

“Sì?”

“Dunque parti domani mattina per l’Islanda?”

“Sì.”

Lo abbraccia stretto Saga.

Paura di perderlo, paura che si sciolga nel vento.

Ma non è Aiolos, luminoso Aiolos dagli occhi di prato, che scivolerà via così facilmente, e questo, in fondo al cuore lo sa. Ha solo bisogno di calore. Ha solo bisogno di quella mano tra i capelli.

Ha solo bisogno di –

 

 

***

Visto che le mie commentatrici sono così solerti ed io sono ridotta all’ombra di me stessa – senza sapere se vivrò abbastanza a lungo per postare la fine di Blu – pubblicherò questo capitolo in un tempo eccezionalmente breve!!! Mi sembra così strano. Forse è perché dalla mia gola escono solo suoni indistinti tipo […hhhh---…hn]. Maledette corde vocali. Il mio sciroppo per la tosse sembra vodka alla menta.

 

Thanks to:

 

titania76: grazie per il supportoh! Ne ho bisogno, questa storia che mi ha portato via così tanto a volte non mi dà soddisfazioni >w<. E sì, per le età e le collocazioni di alcuni personaggi (Kanon in primis) è stata una lotta, ho dovuto escogitare scappatoie incredibili. Ora, cercherò di postare con più frequenza. Lo so, lo prometto sempre. Dovete ammettere che sto migliorando moltissimo XD

Kiki May: oh, cara. Io amo i rimandi. Questa storia è costruita sui rimandi. Ogni personaggio è caratterizzato da parole chiave che sono fili conduttori e costruiscono come una cornice su cui intessere la loro forma. Il fatto che ripeta costantemente gli stessi aggettivi e le stesse espressioni non è una scelta casuale. Poi per quella cosa di Milo, non so se ne ho già parlato. Volevo creare un legame particolare tra Milo, Saga e Shion. Mi piace pensare che questi Cavalieri abbiano un lato umano, e si innamorino, e soffrano tutti quanti, in ogni epoca, per ogni generazione. Così Milo dovrà combattere le stesse battaglie interiori che hanno combattuto Saga e Shion prima di lui, anche se con esiti diversi. Ecco perché esiste un rapporto così segreto e profondo tra questi tre personaggi. Sono tutti legati dallo stesso amore ç_ç

 

Ok, chiudo qui. ho parlato troppoh.

Baci X*

 

 

 

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Capitolo 27
*** Profezia ***


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27.

[Profezia]

 

 

Notte. Altura. Buio.

Un uomo solo sulla cima della Collina, vestito come un antico sacerdote. Ha lo sguardo rivolto verso l’alto e il cielo che gli si riversa addosso sembra dipingerlo un po’ più di blu.

Sono anni, ormai, sono secoli che mantiene quella posizione. Braccia alzate in una preghiera rivolta alle stelle, ditemi, ditemi, ditemi tutto, e la netta sensazione che loro rimarranno mute.

Sono anni ormai, sono secoli che spera nel miracolo.

Non c’è più molto tempo, prima che i Templi si spengano all’ora stabilita.

E allora parlatemi, stelle lontane.

Allora fate risuonare la vostra voce celeste.

 

Non c’è niente, all’apparenza, che renda questa notte diversa da tutte le altre. C’è il solito silenzio innaturale sospeso sulla quiescenza del Santuario. C’è il solito buio e il solito deserto. C’è il Pontefice sulla Collina delle Stelle che attende, attende come una creatura paziente la benevolenza divina.

C’è Saga che ancora una volta lo accompagna, lui che ormai ha imparato quasi tutto dell’antica scienza della divinazione.

Saga ha sempre più familiarità con l’uomo nascosto dietro la maschera. Anche ora Shion se la toglie e la deposita delicatamente sul prato. Si mostra senza più vergogna. È sempre un po’ più vecchio, pur restando un essere senza tempo. Forse è per la piega delle sue labbra. Forse per l’espressione degli occhi che non tradiscono più nessuna speranza.

Shion si è arreso.

Saga lo può quasi percepire attraverso quello sguardo offuscato. Il suo corpo risuona delle stesse voci che pervadono la collina, di quella vibrazione sommessa che è come un’onda che monta da secoli e secoli nel suo sciabordare e non trova mai la spiaggia. È la stessa vecchia malinconia, quella che si porta dentro.

Ha atteso per secoli su quella collina qualcosa.

Ha atteso per secoli che le stelle gli concedessero di liberarsi dal suo peso. Ha atteso per secoli il momento in cui avrebbe potuto riappropriarsi della sua vita, e per un istante, per un solo istante, ritornare ad essere felice, senza maschere, senza paramenti sacerdotali.

Saga ha paura di guardare in quegli occhi come ha paura di guardare in quelli di Milo. Perché forse ci vede dentro se stesso. Forse, ci si ritrova. È un filo che li collega tutti quanti, una sorte condivisa.

Le stelle sono troppo lontane, diceva sempre Shion, le notti in cui lo portava con sé alla Star Hill.

Le stelle da troppo tempo guardano il mondo da distante.

“Nobile Shion,” Domanda Saga, preoccupato dal lungo silenzio del Pontefice.

“Sì?”

“Perdoni la mia domanda. Si sente bene?”

Braccia abbandonate lungo i fianchi. Sempre più blu, Shion a furia di guardare il cielo. Sempre più blu, che è il colore del distacco e della malinconia.

“Certo, Saga.” Sospira. “Cercavo una risposta, ora che è tempo di riceverla.”

Le stelle sono impietose…

Saga non sa cos’altro aggiungere, oltre all’amarezza di quella voce che giunge da lontano, come da distanze siderali. Perciò si siede sul prato e aspetta.

C’è un bel cielo chiaro questa notte. È aperto e sconfinato, e mostra tutto il suo recinto di stelle. Anche Saga cerca, pure se non sa cosa.

“E quasi tempo.” Dice infine Shion. “È quasi giunta l’ora. Ne sono sicuro. Tutti i segni mi sono giunti. Ora le stelle devono solo dire…”

“Che cosa?”

La Dea, Saga. La Dea deve rinascere. Lo so. Ma devo capire come fare per proteggerla prima che…”

Prima che.

Prima di morire? Pensa Saga.

Shion non conclude la frase. La lascia cadere nel vuoto e nel riverbero delle voci che sussurrano tra i fili d’erba, sotto le pietre della Star Hill.

“Perché?” Domanda. “Saga, perché non mi possono aiutare? Lo chiedo una volta. Una sola volta. Mi hanno già tolto tutto. E io sto diventando così debole…”

“Sommo Shion!” Saga si alza per soccorrerlo.

Il Gran Sacerdote, l’uomo più forte e santo che abbia mai camminato su questa terra, ha perso la speranza. Non ripone più fiducia nelle stelle. Forse da molti anni ha cominciato a dubitare del miracolo. Forse, semplicemente, il prezzo che ha pagato è stato troppo alto rispetto a quello che ha ricevuto in dono.

Saga questo non lo sa. Sa solo che vede l’uomo dietro la maschera di forza e santità, vede il guerriero e il sacerdote dei tempi passati, l’eroe di secoli di battaglie, l’eroe della sua infanzia, che piange. Sta piangendo silenziosamente davanti a lui.

“Le stelle non vogliono bene a nessuno.” Dice.

 

Poi si siede sul prato, che sembra un mare blu sotto il mantello scuro della notte. Non dovrebbe, non così recitano gli antichi riti. Ma cosa resta oggi degli antichi riti?

Saga non sa bene cosa fare e cosa dire. Se ci fosse un altro uomo, disteso accanto a lui, potrebbe cercare di capirlo, di consolarlo, ma è il Sommo Pontefice, e su di lui non si può indagare.

“Dunque, Saga.”

“Sì?”

“Io non sono eterno. Lo sai che la mia razza vive molto a lungo, vero?”

“Certo.”

“Io ho duecentoquarantotto anni. Ho già combattuto una Guerra Sacra. Per Atena. Da più di due secoli sono rimasto al Santuario per governarlo come Gran Sacerdote, con un preciso compito: quello di ricostruire i Templi che le scorse battaglie hanno distrutto. Ti ha mai parlato, Kastor, delle scorse Guerre?”

“Sì, signore.”

“Ti ha detto che dovrai combatterne una tu stesso? Che è per questo, alla fine, che sei qui?”

Saga scuote la testa.

“Ogni duecento anni, dai tempi del mito, il Signore degli Inferi, Ade, ingaggia una guerra contro Atena. È questo il tempo delle grandi tessiture astrologiche. È ora. Le stelle, vedi, conoscono gli dei, e li supportano. Quando arriva il momento di una nuova guerra, alcune di esse precipitano sulla terra e si reincarnano. Questo è il senso della tua nascita.”

Lo guarda. Shion, invece, fissa l’alto.

“Tu, voi Cavalieri, d’Oro, d’Argento, di Bronzo, siete qui per proteggere la Dea. Atena. È lei che stiamo tutti aspettando. Ora siete forti, siete pronti per difenderla, e con lei difendere questo mondo intero dalla furia del Dio degli Inferi. Arriverà. La Dea deve giungere per forza. Non può mancare molto. Eppure io non so ancora dove –“

“Sommo Shion, io credo che le stelle, neppure con tutta l’indifferenza che possiedono verso il genere umano, possano tacere la reincarnazione della Dea. Parleranno all’ora stabilita.”

“Me lo auguro.”

Saga si muove appena. Vorrebbe davvero andarsene.

“Perché vedi, bambino… non mi resta più molto tempo.”

Questo, sì, me l’hanno rivelato.

 

Le stelle sono impietose. Shion sa che non deve attaccarsi agli oracoli, sa che non deve sperare nella loro clemenza. L’hanno già troppo distrutto.

Eppure gli rivelano un ultimo presagio, quando Saga se ne va.

Shion lo vede scendere dalle Scale del Santuario, la sua schiena dritta e poderosa, i suoi capelli che si confondono con la notte. Il suo alone fosforescente che si confonde con la notte.

È un messaggio scritto con inchiostro pallido e leggero sulla volta celeste. Ma sono secoli che allena lo sguardo, per cui lo vede. È lì, incustodito.

Sposta gli occhi dall’alto a Saga, da Saga all’alto.

Attento! Urlano per un attimo. Attento!

Uomo dalla doppia faccia, uomo dalla doppia anima.

La sua santità vacilla sotto i colpi di sentimenti troppo grandi.

I Templi si spegneranno con lui all’ora stabilita.

Prima che giunga la Dea,

Aiutalo.

Shion sgrana gli occhi, atterrito dall’intensità del messaggio.

“Cosa?” Domanda. “Quale profezia è questa?”

Ma il grido è già lontano. Ne ha afferrato solo alcune parole.

E come ogni volta sono risuonate terribili.

 

 

***

Oh, yeah kickstart my heart!!! *ascolta strana roba dei Moley Crue e si ESALTA*

Today I’m positive! Olé. Sono nel tunnel (senza via d’uscita) di D.gray-man. Sono ad un punto morto con la tesi. Sono a casa al freddo ç_ç. Che noia. Mi ci è di nuovo voluto un mese per postare. Però in tutto questo tempo ho imparato a fare delle sfogliatine di mele buonissime, quindi mi sento realizzata.

Saga è crudele. Stiamo arrivando al dunque XD but it’s a long way to the top if you wannabe pope (?)

 

Special thanks to:

 

Kiki May- Citami pure dove vuoi e come vuoi se è per non insultarmi, ovvio. Solo, poi dammi il link perché anch’io sono una donna curiosa e voglio bearmi per cinque minuti del mio inutile lavoro. Perché, parliamoci chiaro, potevo nascere con un interesse utile come la biochimica. Invece no. Scrivo fanfiction. Eh… un abbraccio.

 

 titania76 - Vedrai i picchi di dramma che raggiungeremo. Lo sai, ho sempre pensato che tutto questo casino sia successo perché fondamentalmente ognuna delle parti coinvolte – Shion, Saga, Aiolos – non è stata irreprensibile come avrebbe dovuto. Sono esseri umani e sono deboli. Volevo mostrare questo lato interiore fragile che l’epos dell’originale non fa vedere nemmeno di sbieco. Baci anche a te <3

 

Stay tuned!  

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Capitolo 28
*** Successione ***


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28.

[Successione]

 

 

Saga è già in tutto il Grande Tempio una sorta di creatura leggendaria.

Tra i suoi abitanti si racconta che sia fatto di materia celeste, lui con la sua faccia pallida come la luna e i capelli intessuti di notte.

Si racconta che si sia fatto sempre più vicino al cielo a forza di guardare verso l’alto.

Si racconta che sia stato lasciato cadere da una stella da un dio in persona, e che forse lui stesso è figlio di un dio dei tempi passati.

Perché è davvero troppo bello.

Come le statue che circondano il Santuario, in piedi da millenni avvolte dal loro pallore.

E ancora troppo belle.

 

L’uomo che regna sul Santuario con saggezza e moderazione è lo stesso da secoli. I suoi abitanti ne conoscono la figura maestosa e avvolta di mistero. Da sempre lo scorgono soltanto attraverso la durezza della maschera e la tunica blu come quella degli antichi sacerdoti.

Fronti piegate fino a terra al suo passaggio. Ombra che striscia sotto il loro mento prostrato, e che li rassicura, come una carezza.

Tutti sanno che è un eroe della leggenda, perché conosce gli antichi miti e li incarna. Legge le stelle. Manipola il Cosmo. Ha ricostruito il Sacrario di Atena con le sue stesse mani.

In tutto questo tempo, nessuno ha mai conosciuto il suo nome. Shion, era per tutti, molto prima. E un giorno il nobile Shion dai severi occhi rosa è scomparso, dissipato da una Guerra che si è portata via tutti i suoi compagni uno ad uno. Ed il Kyooko è arrivato, per riportare l’ordine.

In due secoli il suo nome ed il suo volto sono stati dimenticati dalla memoria. In due secoli mai un essere umano oltre a Saga ha potuto scorgerne i lineamenti senza tempo.

Eppure, in un certo senso, è visibile. È stata visibile all’improvviso.

La sua vecchiaia.

Forse l’ha eroso lentamente anno dopo anno, stagione dopo stagione, nella sua solitudine e nella sua amarezza. Forse la maschera ha contenuto dentro di sé il suo lento sgretolarsi, finché i solchi non si sono fatti troppo profondi. Che alla fine, è fuoriuscita.

Ora tutti vedono il Pontefice, cammina ancora come un maestoso soldato, solo un po’ più curvo, un po’ più stanco. Le sue mani sono segnate dalle rughe dell’età, e il suo Cosmo è offuscato.

Ora tutti vedono il suo inverno, pure attraverso la maschera.

 

Occhi rosa come l’inizio del giorno, pensa Saga.

Shion ha degli occhi davvero troppo belli.

Sull’Altura delle Stelle, braccia alzate verso il cielo, vestito come un antico sacerdote, Shion cerca risposte che forse non gli giungeranno.

Saga gli resta accanto. E osserva.

Capisce bene tutto il movimento che c’è su questa terra, Saga, lo stesso movimento che muove il cielo e le costellazioni.

Shion questa sera si toglie la maschera, e per la prima volta a Saga sembra di guardare la faccia di un vecchio.

Ora che stai morendo…

Tra tutti gli esseri umani, tra tutti gli abitanti del Tempio, il Pontefice una notte di tanti anni prima ha scelto lui, per insegnargli la divinazione.

Ora che abbandoni questi Templi di pietra…

Saga conosce i pensieri della gente e gli sguardi delle persone che lo vedono camminare. Lo paragonano ad un dio, ad una creatura lasciata cadere da una stella.

Ora che ti sciogli nel blu come un uomo celeste,

è me che scegli?

 

A volte se lo immagina. Sa che è sbagliato. Che il vecchio Pontefice è ancora vivo e forte e giusto, e che è il solo in grado di preparare l’imminente venuta della Dea.

Ma non può fare a meno di vestirsi con la fantasia degli abiti blu degli antichi sacerdoti. Non può fare a meno di guardarsi allo specchio. Non può fare a meno di pensare che è il suo posto, la Tredicesima Casa sopra i Templi degli altri guerrieri, non può fare a meno di pensare alla notte che lo coglierà solo, sulla cima della Collina, e il giorno che verrà per lui prima che per chiunque altro.

Non può fare a meno di vedersi così.

Superbo.

Bellissimo.

Più santo dei santi, più giusto dei giusti.

“Vedi, devi fare a meno di preoccuparti!” Dice.

Rientra in casa quando l’orizzonte si fa appena più chiaro di luminosità diurna, e i Templi, come le case, si accendono di bianco all’ora stabilita.

Kanon è già sveglio mentre l’alba perlacea si stende su Atene. La bella Atene che non sente sua e per la quale non prova nessuna pietà. I raggi colpiscono la sua testa e la colorano di un azzurro marino.

“Vieni.”

Lo raggiunge e si siede ai piedi del Tempio.

“Guarda la città che si sveglia.”

Saga osserva il braccio del fratello alzarsi e con un gesto attraversarla, come un soffio d’aria, come il volo di una foglia. Può sfiorare tutti i tetti con la punta delle dita. Può contenerla nei suoi palmi. Abbronzati, pieni di sole.

“E’ bella vero?” Chiede Saga. “Non è la più bella del mondo?”

Un giorno sarò più grande di questa città, diceva il bambino dai capelli blu, esplorando le vie e i negozi del Pireo.

Saga guarda Atene con affetto, la accarezza con gli occhi, che sono come crateri su una faccia di luna. Atene dalle candide soglie. Ama Atene più di ogni altro luogo al mondo, perché è casa sua, ed è un po’ come lui, bianca e azzurra e sospesa tra due mondi divergenti.

“E’ bella, sì.”

“Un giorno non molto lontano la guarderò brillare più in alto di chiunque altro.”

Kanon sorride, ma dentro è un sorriso malvagio. “Un giorno. Forse.” Dice.

Saga si rabbuia all’improvviso.

Nuvola sul suo volto pallido.

“Se sarai tu il legittimo successore del Pontefice. Se il Pontefice non sceglierà Aiolos.”

“E perché dovrebbe farlo?”

 

Altro granello di sabbia.

Quanti granelli di sabbia occorrono

Per creare un deserto?

 

 

 

***

E così fu. Voglio questo colore perché è il colore del mio nuovo smalto. Non è una scusa accettabile? Oh, sono una persona orribile. Sono ricaduta nel malvagio mondo di Twitter. Vivere è davvero difficile, ora che il 16 Dicembre è passato, e io ho D.gray-man 19 – quanto dovrò aspettare per il 20? Dio degli shonen, aiutami. Grazie.

Grazie anche a:

titania76 La faccenda qua è amara. Ciò, ce l’hanno sempre dipinta un po’ così… capelli vaporosi, roselline e parole auliche, ma la guerra è profonda. E le persone hanno tutte un po’ paura. No?

 

Kiki May - Eh, son piccole soddisfazioni quando uno coglie i miei spunti buttati lì, come gli AC/DC. Ma per tornare alle cose serie (?). oh, grazie. E non ti preoccupare, ho tutto sotto controllo. Ma tu devi essere forte. Lo sai. Arriverà l’angst. Molta. Moltissima. Moltissimissima. Moltissimerrima. Beware.

 

See you, o come dice il flaconcino del mio fantastico smalto nuovo Catrice, SEA YOU <3

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Capitolo 29
*** Cuore ***


29. blu

Capitolo dedicato a Ila <3

che si è improvvisata beta X*

e che mi ascolta ancora quando ho I Dubbi!

 

 

29.

[Cuore]

 

Il cuore vede troppo bene e tace.

 

E’una notte molto chiara, aperta tra le urla e l’agitazione di tutti. Saga cammina avanti e indietro per il porticato del suo Tempio, sotto le bianche colonne, e di tanto in tanto getta uno sguardo preoccupato verso la sommità della salita.

“Tranquillizzati.” Kanon lo richiama. È seduto poco distante e lo guarda, vede la sua profonda inquietudine. Lo avvolge come spirali lungo il suo percorso.

In cima alla Collina, ci sono fuochi accesi. Tutti i Templi sono rischiarati nonostante l’ora così tarda, e sembrano un po’ meno pallidi, un po’ più fosforescenti. Come lui. Tra le loro mura, Saga ne è sicuro, altri dieci Cavalieri attendono inquieti un segno. Uno scintillio nel cielo, un bagliore innaturale. Il richiamo del Gran Sacerdote. Qualcosa. Qualsiasi cosa possa significare che è arrivata.

Che è nata.

Che è risorta in un corpo mortale.

Accendete i Templi, ora, accendete i Templi!

Qui i Templi sono chiari, anche a notte fonda. Come la città che, di sotto, è ancora animata dalle sue luci artificiali, pure i Templi stanotte, dopo secoli di silenzio e imperturbabilità, sono illuminati da un alone fosforescente.

“Non posso farlo. Non capisci? È un momento cruciale.” Risponde Saga.

Alla Tredicesima Casa sta avvenendo il Miracolo. Si realizzano le profezie e la volontà delle stelle. E’ un evento eccezionale che li trascinerà tutti con sé in un abisso, e li sporcherà di guerra e di sangue e di lacrime. Questo Saga non può saperlo. Attende, con la speranza che il sole sorga su un giorno migliore.

Accendete i Templi, ora!

Un bagliore più intenso che è la potenza di un Cosmo senza pari, brucia. Su questa terra. Su questa collina. Nel cuore di questo Santuario.

La Dea. È giunta.”

Saga si prepara a salire le scale tra Templi che non sono mai stati così luminosi.

Non sa, non sospetta minimamente che sarà lui a spegnerli tutti, uno dopo l’altro, nell’ora stabilita.

 

Riuniti dinnanzi alla Casa del Gran Sacerdote, attendono undici Cavalieri d’Oro. I loro giovani volti non si spostano dall’ingresso, fremono nell’attesa. Alcuni, pensa Saga, sono bravi a non tradire le proprie emozioni. Altri sono un libro aperto e sulle loro facce portano dipinto lo stupore, l’impazienza, la speranza.

Aiolos è uno di questi. Luminoso anche se offuscato dalla notte, che pure è così chiara. È vestito della sua bella Armatura, cinto da ali di piume d’oro che lo avvolgono come la corolla di un fiore. Uno strano scintillio colora le sue guance e i suoi occhi, e per un momento Saga pensa al loro prato verde, a quell’estate che non tornerà mai.

Non c’è nessuno, qui, più bello e meritevole di te.

Nessuno brillerà mai più di te.

La porta si apre. Sembra pesante, scivola all’infinito lungo le pareti del Tempio.

Aiolos sorride, è il primo ad entrare. Subito Saga lo segue.

Prima di varcare la soglia si volta un istante, guarda il tetto con la coda nell’occhio. C’è un freddo innaturale sulla sua superficie bianca. Nasconde alla luce un Cosmo oscuro e invidioso, e occhi che li guardano tutti con odio.

Odio.

È così violento, il sentimento che sente vibrare da quell’altezza…

Saga è sicuro che si tratti di Kanon.

 

L’alba deflagra con potenza sul mare e sulla costa. È abbastanza perché Saga si porti le mani davanti agli occhi, lui, che è abituato alla notte e che nel buio si muove al meglio.

Si sente agitato e disarmato. La notte appena trascorsa col Miracolo della Venuta l’ha scosso nel profondo. Ha sentito le proprie fondamenta tremare, come trema la terra quando scaglia i suoi colpi più potenti.

La piccola bambina, l’involucro di carne della divinità. L’ha vista. Le si è avvicinato mentre piangeva, appena dopo essere venuta al mondo. L’ha guardata negli occhi non appena li ha spalancati sul mondo, il mondo che le appartiene e che non conosce più nulla di lei.

Si è sentito trafitto. Trasportato distante. Dentro quel corpo bianco e rosa, così tenero che potrebbe essere spezzato dalle dita di qualsiasi comune mortale, Saga ha visto l’Universo. Qualcosa di così potente, di così sconfinato, e più profondo della notte più buia.

Era un Universo caldo di luce. Non c’era vuoto. Non c’era silenzio.

Ora che i Templi si sono accesi di nuovo…

Atene città di Atena torna sveglia e investita di sole. È ancora bianca e azzurra, l’orizzonte disperde il rosa – rosa come gli stanchi occhi del Pontefice – e lo discioglie tra un distesa turchese e le vele bianche delle navi.

Saga discende le scale con un peso sul cuore che non riesce a comprendere.

I suoi occhi così chairi.

Nella luminosità divampante di questo giorno, senza capire, si sente un po’ disciolto.

“Kanon?”

Forse è questa la sensazione che sta provando ora. Forse è colpa di Kanon. Prima di varcare la soglia del Tredicesimo Tempio e vedere la Dea Infante, Saga si è voltato verso i tetti. Ha sentito il fratello. Ha avvertito un Cosmo ostile eppure inconfondibile, blu scintillante come l’acqua del mare.

“Kanon!”

Il Tempio di Gemini è vuoto. Viene riempito solo dal sole che penetra attraverso l’ingresso e si riflette sul candore delle colonne. Perché oggi si riflette così violentemente contro l’Armatura, e lo acceca?

“Kanon, dove sei?”

Saga comincia a capire. Esce dalla propria Casa, e il peso che porta sul cuore si è fatto all’improvviso insopportabile. Può darsi, cederà. Esce dalla propria Casa in questa bella giornata di sole, e la luce colpisce il suo volto lunare, accecandolo.

Non si accorge che le stanze sono già tutte sepolte dalla sabbia.

 

Tutto quello che non ho mai potuto avere…

Kanon lancia una pietra verso il mare. Precipita in una veloce parabola e scompare tra i flutti. Sorride dentro di sé.

Kanon lancia un pugno di sabbia.

“Dove sei stato questa notte?”

“Non mi aspettavo di vederti così presto. Dovresti riposarti un po’.”

“Dove sei stato questa notte?”

Kanon non risponde. Si sposta una ciocca di capelli, stesso colore del mare, dalla faccia abbronzata.

“Dicono che la Dea sia infine tornata a vivere tra noi mortali come una graziosa bambina dagli occhi viola.”

“E’ così.”

“Saga…”

Saga si avvicina, ha bisogno di fronteggiarlo. Ha bisogno di carpire il suo sguardo, di sentirlo, di vedere che in fondo non c’è nulla dell’odio e della malvagità che ha percepito.

“Tu che l’hai guardata, dimmi. È già così grande?”

“E’ una Dea, fratello. È più grande ora di quanto noi potremmo mai sperare di essere.”

“Eppure così inerme.”

“Cosa?”

Kanon si volta e lo guarda dritto negli occhi.

Tutto quell’odio…

“Non fare quella faccia, Saga. Non dirmi che non hai pensato alla possibilità di –“

“Sta zitto.” Saga si volta, cerca di andarsene.

Una mano scura, così uguale alla sua, gli afferra il polso pallido. “Ascoltami, Saga. Devi starmi a sentire.”

“Sei blasfemo e ignobile, non ho intenzione di ascoltare le tue parole!”

“Non dire così. Lasciami terminare.”

Saga storce le labbra, rosse contro la sua pelle, cratere sulla sua faccia di luna.

“Non puoi.” Dice. “Ti proibisco di dare voce ai tuoi pensieri.”

“Mi proibisci cosa? i pensieri di chi?” Ride.

“So dove vuoi arrivare.”

“Bene,” Kanon scrolla le spalle, i suoi capelli sono come un’onda. “allora non dovresti temere niente.”

“Kanon. Desidero che tu te ne vada. Che tu parta immediatamente.”

“Sai cosa penso?”

“Mi hai capito?”

“Penso che ora il Gran Sacerdote sceglierà il suo legittimo erede. Penso che pondererà a fondo la sua decisione. Forse sono anni che ci pensa –“

“Kanon!”

“Saga, così bello da somigliare a un dio, Saga il celeste che tutti considerano il più forte e il più saggio tra gli uomini. Aiolos il luminoso, dalla pelle d’ambra e gli occhi gentili. Credi che spetti a te il trono, non è così?” Dice, accarezzandogli i capelli intessuti di notte.

“E’ già deciso. Il Kyooko a me ha insegnato –“

“Non è deciso un bel niente, Saga! Non è deciso nulla. Non è deciso che sarai tu il prossimo Pontefice. Io non lo credo. Io credo che il Kyooko affiderà il suo scettro al tuo caro, amato Aiolos.”

“Cosa dici?” Saga lo fissa con occhi sbarrati, come due finestre nel buio impenetrabile della notte, finestre sull’Universo che non vede mai la luce. È debole la sua voce, spazzata via dal rumore del mare. “Perché dovrebbe?”

“Perché dovrebbe? Non lo sai?”

“No.”

“Uccidi la Dea, Saga. È la tua unica opportunità. Ora che è una creatura debole e inerme. Uccidi la Dea e prenditi quello che ti spetta.”

Quello che non ho mai potuto avere…

“Sei un folle. Non so cosa ti sia successo. Ma sei impazzito. Quello che dici è –“

“Non ho ragione? Tu ucciderai la Dea.”

“Io non potrei mai farlo. È solo una bambina. Ed è la reincarnazione della divinità che io proteggo, e in cui credo fermamente! Kanon, sei un pazzo se pensi che potrei mai anche solo considerare l’idea di sacrificarla per… per cosa?”

“Per il potere.”

“Non mi serve questo potere!” Dice Saga. La sua voce è sempre meno tangibile, sempre più soverchiata dalle onde, una nave alla deriva. Si incrina.

“No. Allora continua a sperare. Sei un debole.”

“Sparisci. Ora. Subito.”

“Aspetterai tutta la vita seduto nel tuo Tempio fuori dal mondo, e molte persone ti passeranno accanto. Sarai felice quando dovrai prostrarti ai piedi del tuo amante, e la tua fronte lambirà l’orlo della sua preziosa tunica? Penserai alle parole del tuo sciocco fratello in quell’istante? Coverai… rabbia!”

“Stai zitto!”

“Tanti anni abbiamo trascorso insieme, e tutti li ho passati a guardarti nell’animo Saga. Ti ho visto. Ti conosco più a fondo di chiunque altro. Ti ho capito. Quello che gli altri ammirano, la maschera perfetta sul tuo volto… Io so come sei lacerato, dentro.”

“E cos’hai visto?” Domanda.

“L’angelo sul volto, il demone nel cuore.”

Cosa?”

“Tu non lo sai, Saga…”

Saga ora non parla più. Il peso che portava nel petto è diventato così opprimente, e ha sfondato una barriera. È come se si fosse rotta un diga, e tutta l’acqua precipiti follemente. Una profonda disperazione lo investe.

“Non puoi parlare così. Non tu, ti prego. Non puoi dire questo. Non puoi essere così empio! Cosa devo fare, ora?”

“Uccidi la Dea.”

“Devo ucciderti, Kanon.” Sussurra atterrito.

“Uccidi Atena. Uccidi Aiolos. Uccidi il vecchio Pontefice.”

“Devo ucciderti.”

“Prenditi quello che ti spetta.”

 

Tutto ciò che non ho mai potuto avere,

da solo me lo prenderò.

 

“Non puoi più restare qui, Kanon. Non posso lasciarti vivere dopo ciò che hai detto.”

Fa così male, il cuore di Saga. È in pezzi, è un mucchio di sabbia.

Ma deve agire secondo giustizia, lui che alla santità è stato da sempre addestrato.

“Perché?” Chiede. “Perché mi costringi a farlo?”

Alza il braccio, scure della giustizia, lo cala sul proprio gemello in nome di Atena. Una Dea bambina.

Vorrebbe morire in questo stesso istante. 

 

 

***

Oh, cominciamo ad avvicinarci alla resa dei conti. E da qui, ahimé, son dolori. Non ho altro da dichiarare, tranne che sono particolarmente stressata. Potrei non sopravvivere a questa sessione d’esame. E sicuramente non posterò prima della sua conclusione. Se non vedete aggiornamenti entro marzo, beh, mi sarò buttata nel Ticino, non lo so. Vi lascerò un recapito per leggere la fine di Blu. Perché vi voglio beneh.

 

Ringrazio as usual:

Kiki May – oh, sono un antistress! Servirebbe davvero tanto anche a me ._. Tu sei troppo entusiasta di questa fic *raccoglie complimenti com aria losca* - & titania76 – yes, hai inteso benissimo, qui la cosa è lenta e ragionata. Kanon è un demoneh è_é -. 
I love you both!!!

 

Mario (?)

 

 

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Capitolo 30
*** Maledizione ***


blu 30

30.

[Maledizione]

 

 

Il rumore delle onde è costante e monotono.

Il rumore delle onde lo ha accompagnato per una vita, attimo dopo attimo.

Sempre stato così. Uguale a sé stesso in ogni luogo del mondo.

Dalla cima dell’Acropoli non si sente quasi, è solo un mormorio distante.

C’è un anima nel mare, che è identica alla sua. Blu luminoso come l’acqua rischiarata dal cielo. È profonda, più profonda del silenzio – più profonda della notte?- e saggia e in perenne movimento.

Il rumore delle onde blu marino lo riporta indietro alla sua vecchia casa sul promontorio, tra gli aranceti e i campi di ulivi e il porto con le barche rovesciate sui moli. Lo riporta alle stanze azzurre della sua infanzia. Lo riporta agli anni dell’addestramento, al lungo viaggio che ha percorso come una goccia d’acqua verso il mare.

Sempre c’è stato rumore di onde. Nella sua testa blu marina c’è rumore di onde.

Ora c’è rumore di onde.

Kanon apre gli occhi abbagliato dal sole. Cerca di alzare una mano per riparare lo sguardo, ma non riesce a muoversi.

Sente il rumore del mare, di onde contro gli scogli. È agitato. Forse arriverà una tempesta.

Precipitare dall’abisso e gettarsi nel mare che abbraccia.

Il suono delle onde, dolce e familiare, lo riscalda.

“Cosa succede?”

Mani pallide lo trattengono dalla sua dimensione, così chiare da sembrare fosforescenti.

“Tu…”

Rumore delle onde.

Quanti granelli di sabbia occorrono

Per fare un deserto?

 

Saga sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo sprofondare tra onde che sono come lui. Si sarebbe perso come schiuma, e blu sarebbe ritornato, un blu luminoso come il colore sulla superficie dell’acqua. Avrebbe dovuto guardarlo dall’alto del promontorio, precipitare e sciogliersi tra le correnti. Avrebbe dovuto piangere su un fratello scomparso, inghiottito dal mare, trascinato chissà dove dai flutti e consumato.

Un fratello empio merita le lacrime?

Sull’orlo dell’abisso, qualcosa l’ha chiamato. Forse l’amore che prova per Kanon, forse la speranza in fondo agli occhi che sono come crateri celesti sulla sua faccia di luna.

Forse perché poi sarebbe, in fondo, un po’ più solo.

Il cuore sente e vede così bene, eppure tace.

“Quanto male dimora in te?” Sussurra al vento, e lo afferra prima che precipiti.

Ha preso la sua decisione, Saga.

La metà più preziosa di lui giace sugli scogli, sporca di sangue, corrosa di acqua. I suoi capelli sono come onde marine. Profuma di estate, la sua pelle emana un odore salmastro che è quello dell’aria che batte tutte le coste. Lo trascina per il polso, impietosamente. Il suo volto, le sue braccia nude strusciano contro la pietra, si feriscono. Scia di perle rosso sangue sulla scogliera.

Kanon apre gli occhi, muove appena le dita della mano. Non può fare altro. Il sole gli batte sulla faccia, mostruoso. Lo asciuga. Il sangue è rappreso sulla sua faccia.

“Cosa succede?” Domanda.

Saga non riesce neanche a voltare la testa per guardarlo. I suoi occhi blu notte a stento trattengono le lacrime.

Così sbagliato, pensa. Così malvagio. Eppure io non riesco a farlo.

“Tu…”

Eppure io non riesco davvero a farlo.

“Saga!”

Con un colpo secco Saga fa rotolare il corpo inerme lungo le pendici del promontorio. Kanon scivola contro la pietra ruvida senza riuscire a fermarsi. Sente il proprio corpo che precipita verso il basso, verso le prime pozzanghere raccolte tra le insenature degli scogli. Verso l’ombra che lo avvolge come fosse onda. E freddo. E pareti di roccia che ora lo circondano.

La sua faccia finisce nell’acqua. Annaspa, si alza a malapena. Le vede.

Sbarre.

Invalicabili cancelli verso il mondo. Fuori, Atene e la distesa azzurra del mare. Fuori, tutto quello che desidera, che non ha mai potuto avere. Fuori, tutto ciò che non avrà. Per quanto allunghi il braccio non riuscirà a sfiorare l’orizzonte.

Una prigione sul mare.

“Questa è la prigione di Cape Sounion. La tomba degli empi.”

“Saga…” Sussurra, la bocca impastata dal sangue e dal sale brucia terribilmente. “Saga. Così non sei nemmeno riuscito ad uccidermi!”

“La punizione che spetta a coloro che tradiscono la Dea è quella di morire qui, schiacciati dall’incombenza del mare. La marea ti soffocherà presto.”

“Non sei nemmeno riuscito ad uccidermi.”

Saga non fiata. Ascolta la voce di Kanon debole come se giungesse da un luogo infinitamente distante, e il rumore delle onde che è il sottofondo di tutta la loro storia. Non vuole andarsene. Non vuole lasciarlo.

Non riesco davvero ad ucciderti, fratello.

Kanon marino, Saga celeste. Si guardano, per un istante ancora fratelli. Ancora due parti della stessa stella.

“Non sei nemmeno riuscito ad uccidermi!”

“Addio.”

“Ed era troppo presto, ancora troppo presto per te. Ancora non era il deserto…”

“Kanon. Tu morirai presto. E io – ti dico addio.”

Il cuore di Saga è in brandelli. Condanna a morte il proprio fratello, il proprio gemello, la propria metà, per adempiere al dovere verso la Dea Infante.

E’ sbagliato.

“Addio!”

Quando si volta cominciano a scendere le lacrime, lambendo il suo viso di luna. Sono calde e salate come acqua di mare, ma portano un dolore così grande… Saga, sì, vorrebbe morire un po’ anche lui, assieme a Kanon, sul fondo della prigione degli empi.

Vorrebbe non essere così – solo.

“Che tu sia maledetto!” Urla Kanon, l’ultimo disperato slancio avvinghiato alle sbarre. “Che tu sia maledetto, maledetto, maledetto! Che tu sia tre volte maledetto, che tu possa soffrire come io soffro ora, che tu possa morire come io muoio ora, schiacciato dalle tue colpe! Che tutte le lacrime e l’acqua del mare possano sbiancare Saga celeste e la sua santità! Maledetto, io ti maledico!”

Saga non si volta mentre risale il costone della scogliera e si allontana. Non vuole girarsi e incontrare la sua furia. È sicuro che il suo volto sarebbe una maschera feroce di odio. Se lo vuole ricordare com’era, Kanon. Kanon marino, dai riflessi di onde tra i capelli. Kanon che gli tende la mano a salire sull’olivo. Kanon che lo aspetta dietro a un muretto segreto e sa sempre tutto, Kanon che torna di tanto in tanto, ma che è così profondamente parte di sé anche quando è assente.

Kanon che l’ha guardato nell’animo e che lo conosce più a fondo di chiunque altro.

E, in fondo, muore un po’ con lui nel buio della prigione degli empi.

Il cuore fa troppo male. Anche quando gli occhi sono ciechi, il cuore vede e sente, e tace.

Il cuore dice…

Ho ucciso mio fratello.

Il più santo tra gli uomini oggi ha ucciso suo fratello.

 

Che il demone dentro di te si risvegli!

Che sbianchi Saga celeste, lavato dalle onde del mare e dalle lacrime!

Che tu sia maledetto!

 

“Ehi,”

Calda la mano di Aiolos che passa tra i suoi capelli. Blu profondo, intessuti di notte, così bui che le dita sembrano perdersi e scomparire tra di essi.

“Che c’è?”

Saga si volta. Fruscio di lenzuola. Petto esposto ai raggi di luna, che sotto questa luce ha una certa risonanza fosforica.

Aiolos lo guarda con dolcezza e preoccupazione. “Sei teso. È tutto il giorno che sei così teso. Cosa ti succede?”

“Nulla,” Sussurra. Senza nemmeno guardarlo. “Mi preoccupa la piega degli eventi futuri. Tutto qui.”

“Saga… per un’ora,” Dice Aiolos, chinandosi sul suo viso, sfiorando la sua guancia di luna con le labbra. “per un’ora sola, dimenticati di tutto.”

Anche che ho ucciso mio fratello?

Anche che sono un mostro?

Anche che… una parte di me manca?

“Hai ragione.” Si distende di nuovo, lineamenti rilassati. Lineamenti della statua perfetta, quella che ad Aiolos fa molta paura. Quella che sembra non vivere, non muoversi, non respirare.

Perciò continua a toccarlo. Teme che qualcosa di lui possa sfuggire. Teme che se lascerà la presa sarà come la notte sulla Collina delle Stelle, e Saga si disperderà nel cielo che continua a guardare.

Così, lo accarezza. Lo accarezza e lo guarda ovunque.

“Saga,” Sorride seppellendo la faccia tra le sue onde blu. “Ma guarda. Hai una ciocca…i tuoi capelli cominciano a imbiancarsi!”

 

Che il demone dentro di te si risvegli!

Che sbianchi Saga celeste, lavato dalle onde del mare e dalle lacrime!

Che tu sia maledetto!

***

Questo è davvero un capitolo pesante. E io sono tanto tanto stanca °A°... Per cui credo che aggiornerò, farò una doccina e andrò a nanna.

Come dicevo a titania76, con questo capitolo cambiano molte cose. Saga non ne uscirà indenne, sapete. Da questo momento sarà un uomo lacerato da dubbi e finirà per distruggere tutto ciò che possiede, e sarà divorato dai sensi di colpa, e distruggerà di più, e così in un lunghissimo circolo vizioso. E' quasi la conclusione della Seconda Parte della storia, la parte migliore, in cui era giovane e puro e innamorato. Ci rimangono da affrontare: anni di falso pontificato, anni di battaglie, morte, resurrezione, morte. Insomma °A°. Un'eternità! Ma ho tutto sotto controllo (?).

Ringrazio titania76 e Kiki May. Questa cosa delle risposte alle recensioni mi esalta, però vi ringrazierò anche qui. Scusate gli eventuali errori nelle vostre risposte. Ho scritto di corsa, non ho riletto, sono veramente distrutta.

Baci X*

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** Parola ***


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31.

[Parola]

 

 

Saga è già in tutto il Grande Tempio una sorta di creatura leggendaria.

Tra i suoi abitanti si racconta che sia fatto di materia celeste, lui con la sua faccia pallida come la luna e i capelli intessuti di notte.

Si racconta che si sia fatto sempre più vicino al cielo a forza di guardare verso l’alto.

Si racconta che sia stato lasciato cadere da una stella da un dio in persona, e che forse lui stesso è figlio di un dio dei tempi passati.

Perché è davvero troppo bello.

Come le statue che circondano il Santuario, in piedi da millenni avvolte dal loro pallore.

Al Grande Tempio si racconta sottovoce che sia destinato a grandi cose.

Lo si vede spesso, il nobile Saga, passeggiare assieme al nobile Aiolos dopo gli allenamenti. A chi li guarda sembra di scorgere due creature fantastiche che appartengono a miti differenti. Uno è chiaro come il giorno, l’altro risplende nottilucente.

Ma è su Saga, sul nobile Saga dalla faccia di luna, che tutti sembrano scorgere i segni della santità più illustre.

 

Saga sale le scale del Santuario con un certo senso di incoscienza. Sembra tutto perfetto, i tempi sono maturi.

Ora che si accendano i Templi.

Ora di percorrere questi gradini e fermarsi in cima per sempre.

C’è lo stesso peso nel cuore che da giorni lo tormenta. Le urla di suo fratello echeggiano nella sua testa, non riesce a soffocarle. Le sente come se fosse accanto a lui di nuovo e gridasse.

Per un attimo si concede un sorriso.

Sta salendo le sale del Santuario, e con esse sta ascendendo al suo destino.

 

Shion appare sempre più stanco e vecchio, ma nelle sue rughe si insinua qualche traccia di rassegnazione. Possiede un’aura strana. Non più splendente, non più forte, non più fiduciosa. È offuscata dalla notte che cala su di lui inesorabile.

Eppure, è come se fosse felice.

Saga può dirlo, lui che l’ha visto in volto per anni e per anni ha osservato il cambiamento sulla sua pelle, attorno agli occhi rosa come l’alba. Un essere senza tempo si trascina tra le pieghe dell’eternità. Shion, che portava un peso insopportabile sulle spalle, e cercava di alzarlo verso l’alto.

È come se avesse atteso sulla soglia della consunzione per secoli. È come se la sua fronte si fosse mantenuta pallida e liscia per tutto questo tempo, perché c’era qualcosa da fare.

C’era il Tempio da ricostruire, una Dea da accogliere.

Ora non c’è più niente.

Ora può morire in pace.

Ricorda le sue parole all’Altura delle Stelle.

“Prima che io me ne vada. Devo insegnarti tutto prima che io…”

Che io muoia.

L’hai sempre saputo? Te l’hanno rivelato le stelle che il tuo tempo sarebbe appena bastato per vedere negli occhi la nuova Dea?

E ora che hai chiuso il tuo cerchio, ti dissolverai tra di esse, ti disperderai nel cielo blu che per te ha scelto una vita di privazioni?

Lo – perdonerai?

 

“Immagino che sappiate perché vi trovate qui.”

Aiolos sicuramente non se l’aspettava. È sempre entrato nella Tredicesima casa piegando le ginocchia e la testa, ha sempre guardato il pavimento davanti al trono, e mai, mai il volto del Gran Sacerdote.

Un uomo è in piedi davanti a loro, e li invita ad accomodarsi. La sua faccia è ancora bellissima, ma porta i segni di una vecchiaia sofferente. I suoi occhi sono rosa come le prime luci del mattino, duri e dolci nel medesimo istante.

È come se fosse tutto. Una saggezza impressionante è contenuta nel suo petto. È come se fosse tutto. È come se Shion custodisse dentro di sé i segreti dell’universo.

Ed averlo lì, davanti, nudo e leggibile, è per Aiolos un miracolo.

“Sì.” Dice Saga accanto a lui.

“No.”

Shion lo guarda, sorride gentilmente.

“Voglio dire, venerabile Shion… che –“

“Nel Santuario non se ne parla abbastanza?”

Aiolos ammutolisce e abbassa lo sguardo.

“Non avere timore a dire quello che pensi. È proprio così. Il tempo è giunto per scegliere il mio successore.”

“Ma lei –“

Shion sospira. Sembra quasi sollevato da questo momento. Per Aiolos, invece, è solo pura angoscia. È la prima volta che lo guarda in viso, e ci vede dentro una totalità alla quale non potrà mai aspirare nessun’altro. Come può dunque un gigante coricarsi nella terra e affidare il mondo a dei piccoli esseri umani?

“Io devo andarmene come chiunque altro.”

Silenzio.

Saga non ha ancora pronunciato una parola. Conosce quello sguardo da molti anni, ormai. Non sa cosa pensare. Non sa se dolersi per la fragilità che è improvvisamente dentro le ossa di Shion, non sa se essere contento per la sua liberazione. Non sa se deve, in fondo, gioire un po’ per se stesso.

“Non mi resta più molto tempo. Ho bisogno di nominare un erede.”

Shion ha gli occhi rosa come l’alba sul mare di Atene.

Ma a forza di guardare il cielo è diventato sempre un po’ più azzurro.

Shion, ora che è vicina la sua fine, è totalmente celeste.

 

La notte è profonda, come il blu è profondo.

Ha trascorso intere notti a pensare.

A volte ha chiesto consiglio al cielo. Vestito come un antico sacerdote, ha alzato le braccia sotto il recinto di stelle, e ha atteso, tingendosi lentamente del suo stesso colore.

Un grido, alla fine, ha echeggiato indistinto attraverso le galassie.

Attento!

Un uomo dalla doppia anima…

Shion ha udito solo il lontano riverbero di queste parole. Ha capitolo solo una parte del loro significato.

Ha guardato indietro, e nel futuro, ha di nuovo chiesto spiegazioni, ha riflettuto, ha alzato le braccia nella notte.

E alla fine ha compreso.

Ha fatto la sua scelta.

 

“Saga.”

Saga alza la testa. Nella luce intensa del tramonto i suoi capelli possiedono una vaga sfumatura di indaco.

“Ti ho insegnato tutto. Ti ho insegnato a leggere il futuro, ti ho insegnato la tecnica destinata solo a coloro che appartengono al mio rango. Ho visto in te e nelle tue stelle qualcosa fin da quando eri un bambino. Pensavo, Saga, che sarebbe spettato a te il mio posto.”

Non vuole sorridere, Saga. Le sue labbra si increspando lievemente, ma non vuole, non può sorridere in un momento tanto angosciante.

“Lo so.” Shion sospira. “Tu lo meritavi più di chiunque altro. Tu porti dentro di te un Cosmo che è più esteso, e profondo, di quello dei tuoi compagni. Ma in te porti anche la notte…”

Ancora silenzio. Ancora tensione.

“Aiolos invece porta su di sé il chiarore del giorno. Cosa ne pensa, il nobile cavaliere del Sagittario?”

“Venerabile Shion,” Dice Aiolos chinando appena il capo. “io penso che in tutto l’universo non esista una creatura più giusta, e santa del cavaliere di Gemini.”

“Già.”

Vorrebbe allungare una mano, Aiolos, e prendere quella di Saga, così pallida da sembrare fosforescente, nella sua. Lo osserva. I suoi lineamenti si sono fatti più duri.

“Perdonami, Saga.” Dice Shion. “Io non posso… io… non posso.”

Aiolos sgrana gli occhi. Saga non si muove, non respira, non emette alcun suono. È una statua bellissima, ora.

“Io non posso. Per anni ti ho allenato a questo, eppure, ora che viene il momento di scegliere, non posso darti ciò che ti spetta. Capisci?”

“No.”

C’è disperazione sul volto di Shion?

“E’ la volontà del cielo.”

“Del cielo?”

Annuisce.

“Del cielo!” Saga soffoca un moto di rabbia. “Dello stesso cielo di cui devo dubitare? Delle stesse stelle crudeli che non vogliono bene all’essere umano? Degli stessi astri a cui non prestava più fiducia?”

“Mi dispiace infinitamente.”

“Perché?”

Perché di te dicono che spegnerai questi Templi.

E ricorda parole ben più potenti di quelle delle stelle, ben più risonanti, ben più vere.

Affiderà lo scettro al tuo amato Aiolos.

“Perché?”

Perché nel tuo cuore dimora un demone.

Guarda Aiolos che è come perso in una nuova dimensione.

Sarai felice quando dovrai prostrarti ai piedi del tuo amante, e la tua fronte lambirà l’orlo della sua preziosa tunica? Penserai alle parole del tuo sciocco fratello in quell’istante?

“Oh, dèi. Cos’ho fatto?”

 

Il cielo è come precipitato sulla sua testa, e lo schiaccia.

 

 

***

Ci siamo. È una rottura irreversibile °A° i tempi sono ormai maturi, Saga sta sbroccando! Esattamente come me in questi giorni! I’m freaking out! Mi stanno anche venendo i capelli bianchi!!! Voglio che arrivi Marzo con tutto il mio cuoricino, voglio la primavera e voglio che questo tempo orribile la finisca di deprimermi e poi ho comprato così tanta roba leggera in saldo e non posso nemmeno staccare i cartellini dei vestiti perché devo ancora mettere maglioni di lana. Weather sucks. I wanna live in Greece.

Oh, cielo, oh, cielo, aiutatemi. Diamo il benvenuto a Marian. La mia prima macchina eterosessuale.

Nel frattempo ringraziamo  titania76 e zu_zu, per il sostegno morale ç_ç! Mi commuovete, ragazze! Io sono forte grazie a voi. Ho risposto alle recensioni. Lo avete notato, quindi perché lo ribadisco? Non lo so, ma questa nuova funzione è molto comoda. Vi ringrazio davvero infinitamente per il supporto.

 Baci X*

 

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Capitolo 32
*** Dispersione ***


blu 32

32.

[Dispersione]

 

 

Blu colore del distacco e della lontananza.

Blu colore della malinconia.

Blu profondo di cui è fatto l’universo.

Saga era come una creatura celeste, tutta dipinta di blu.

 

Che il demone dentro di te si risvegli!

Che sbianchi Saga celeste, lavato dalle onde del mare e dalle lacrime!

Che tu sia maledetto!

 

Bianco colore del vuoto e dell’assenza.

Bianco colore delle nuvole e di un lento precipitare.

Bianco colore del silenzio, della nebbia.

Bianco, come la luna.

 

“Non puoi farlo. Non puoi farlo. Non puoi tradire tutti.”

“Eppure te l’aveva detto. Tu non gli hai creduto quando ha detto che sarebbe finita così, l’hai ucciso. L’hai scaraventato nel baratro degli empi. Aveva ragione. Ascolta il ricordo della sua voce.”

“Non posso farlo.”

Che il demone dentro di te si risvegli!

“Ascolta quella voce che viene dal mare.”

Saga si alza lentamente.

Volto pallido come una luna, occhi come crateri di sangue, capelli che sembrano fili di nebbia.

Tutto ciò che avrei dovuto avere,

da solo me lo prenderò.

 

È appena cominciata una lunga notte. I gradini della scalinata sono bianchi, e sotto il mantello scuro del cielo sembrano quasi fosforescenti, come la sua faccia.

Il silenzio è violato solo dal rumore di passi. Non indossa l’Armatura, ora. Ha provato ad avvicinarla, ma qualcosa come una scossa elettrica l’ha allontanato. Non stasera. Stasera che tutto  precipita, l’Oro della sua corazza sarebbe un peso insopportabile.

Per cui procede, vestito solo di blu, intessuto di notte.

Cima delle scale. Collina invalicabile. Luogo più sacro della terra, così tante volte violato della sua purezza da uomini che aspirano verso l’alto, ma che rimangono sempre legati alla terra. Violato da passioni, e amori, e sofferenza. Per la prima volta l’Altura delle Stelle è calpestata da qualcosa di più oscuro e distruttivo e sta per macchiarsi di un colore che non è il blu del cielo, né il verde del prato. E l’aria sembra fremere.

Sopra, il recinto di stelle emana bagliori sinistri, e conosce ogni cosa terrena. Shion ha di nuovo il naso all’insù, completamente celeste. Anche lui finalmente sa. Ora ogni cosa è chiara in questo disegno, ogni tassello nella sua giusta posizione.

Quando Saga giunge, si volta ad accoglierlo con un mesto sorriso. La sua fronte non più liscia, i suoi occhi rosa come l’alba, sembrano esprimere una pacata rassegnazione.

Una notte più lunga delle altre scenderà sul Santuario.

Un uomo dalla doppia anima camminerà fino a te.

Lui spegnerà i Templi all’ora stabilita.

“E’ dunque questa, l’ora?”

“Nobile Shion,” Chiede Saga. “Non capisco.”

“Sei venuto da me per cosa?”

“Avevo bisogno di parlarle.”

“Riguardo all’investitura di Aiolos, immagino.”

“Già.” Sospira Saga.

I suoi capelli emanano strani riflessi argentei questa notte…

“Perché, nobile Shion? Perché?”

“Ancora non lo sai?”

Alza una mano al cielo, Shion, ponte tra l’essere umano e le stelle. Il suo braccio vestito degli abiti degli antichi sacerdoti si perde nell’oscurità, e sembra quasi dissolversi.

“Così dicono gli dèi. Chi sono, io, per disubbidire alla volontà divina?”

Saga si morde le labbra, guardando verso l’alto.

“Io non vedo nulla.”

“No, tu non puoi…” Shion si volta verso di lui. “ma io le ho sentite. Le loro voci. All’inizio era un grido che giungeva da distanze siderali, e risuonando attraverso l’universo si disperdeva. Ma poco a poco mi è sempre stato più chiaro.”

“Più chiaro – cosa?”

“In te, Saga, dimora un male da estirpare.”

“In me…”

“Sono sicuro che Atena saprà insinuarsi nel tuo cuore e mondarlo. A me non rimane tempo.”

“Non capisco.”

“Anche Aiolos,” Dice Shion. “anche Aiolos saprà sostenerti. È su di lui che ti devi appoggiare. Vorrei che tu lo aiutassi nelle cose per le quali non è stato istruito.”

Saga abbassa la testa. Sconfitto.

Aiutare?

Prostrasi ai piedi del proprio amante?

Baciare il lembo della sua veste, piegato in un inchino, e mai più guardarlo dalla stessa altezza?

“No.”

Shion forse si aspettava una reazione di questo tipo. Una parte di sé ha sempre intuito che sarebbe stato Saga.

“Forse avrei potuto aiutarti di più. Ma ora mi sento troppo stanco.”

“No! Mi guardi! Nobile Shion, mi guardi!”

“E’ tardi. Cosa avrei dovuto fare? In ogni caso la mia decisione… e mi sento troppo stanco.”

Si avvicina, Saga, oltrepassa la distanza consentita verso il Sacerdote. Lo afferra per il braccio. Vede benissimo i suoi occhi, rosa come la prima luce del giorno, la sua pelle candida solcata da rughe, il suo corpo senza tempo. Vede un uomo celeste. Pronto a disperdersi nella notte, proprio lì, sulla Collina che è come la soglia, il portale tra la terra e l’aria.

“No!” Grida. “Io più di tutti meritavo questo! Io solo meritavo il suo posto, come ha potuto!”

Anche Shion è abbastanza vicino per vederlo bene. Una rabbia repressa contrae tutta la sua fisionomia. Non c’è più nessun Saga celeste. Saga celeste sbianca, sempre più simile a una statua. I suoi capelli sono sempre più fili di nebbia.

E capisce.

“Ho sbagliato.” Ammette in un sussurro. “Ho sbagliato. Ma ero davvero troppo stanco.”

Lo lascia andare.

“Saga.”

“No.”

“Torna in te.”

“No.”

L’aveva detto, Kanon, con la sua voce che proveniva dal mare. Aveva visto tutto, in fondo. Aveva capito, sapeva cosa si prova ad essere esclusi. Ad essere abbandonati.

Ad essere soli.

Aveva ragione.

“Saga…”

“Non è più tempo per te, Sacerdote. I tuoi Templi. I tuoi Templi si offuscheranno.”

Shion china la testa. Non prova nemmeno a reagire.

È dunque finalmente ora? Pensa.

Saga si avvicina con passi pesanti. Alza il braccio, la scure della giustizia, e quasi sfiora il cielo. Ma non ne è mai stato così distante. La sua mano, la sua mano tanto pallida da sembrare fosforescente, racchiude nel palmo un Cosmo potentissimo, nero come la pece.

Così bello da sembrare una statua, un dio dei tempi passati, avanza. Non più una scintilla di santità scorre in lui, sbiancata da voci che vengono dal mare.

“Tutto quello che non ho potuto avere,” Dice Saga. “Da solo me lo prenderò.”

 

 

 

***

E’ davvero tanto tempo che non pubblico più. Mi ero quasi dimenticata di avere questa storia in sospeso. Spero che qualcuno dei vecchi lettori sia rimasto da queste parti e possa continuare a seguire Blu fino alla fine – perché arriverò alla fine. Prima o poi.

A presto <3

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Capitolo 33
*** Daga ***


blu 33

33.

[Daga]

 

 

Questa è una notte di perla.

Si addensa sulle colline, attorno al Santuario. Sale dal mare. Lentamente scivola a ritroso sui pendii e contro le candide colonne, contro le statue, e tutto avvolge, tutto fa tacere, tutto smorza nel suo alone perlaceo.

Si spengono i Templi, nell’ora stabilita.

C’è un vago riflesso di notte blu, sullo sfondo di questo quadro. Ma più nebbia risale dal mare. Presto tutto sarà coperto, tutto sarà solo un’indistinta macchia bianca.

Presto nessuna luce, più luminosa di questa fosforescenza…

eppure così morta.

 

Saga cammina per le stanze deserte della Tredicesima Casa, e i suoi passi echeggiano tra le pareti. Indossa la tunica che era stata di Shion, ancora macchiata di sangue. Indossa la maschera bronzea che è come una maschera mortuaria sopra un viso di cera. Gli abiti gli stanno larghi. La bordatura dorata lambisce il pavimento ad ogni suo passo e fruscia, sibila, lo sorprende alle spalle.

Scintilla tra le sue mani una daga, afferrata da un Cosmo nero come la pece.

“Tu, mi hai rovinato, Kanon.”

Anche la sua voce si propaga per i corridoi. Risuona sinistra e quasi sconosciuta.

 “O forse, forse sono stato solo io.”

La porta d’ingresso è incustodita. Dodici Cavalieri addormentati dovrebbero presiedervi, e uno che dorme un sonno più profondo di tutti. Nessuno sente, nessuno presentisce. La notte non è nera, ma pallida come un mantello, pallida come le vele di navi che solcano l’orizzonte. Pallida come la luna, eppure così morta.

“Possibile?” Si domanda. “Possibile che nessuno di loro -?”

Entra nella stanza.

Ricordo. La prima volta che ero qui. Aiolos davanti a me. Quella sua aura così luminosa!

E la bambina, che è un po’ più cresciuta di quando l’ha presa in braccio, quel giorno, davanti a tutti, quando ognuno di loro pensava che suo sarebbe stato il compito di accudirla per il resto della sua vita.

Ora cosa gli resta, se non farsi avanti verso la culla dove dorme incosciente, con una daga in mano e un Cosmo nero che la afferra?

“Mia Dea,” Sussurra. “mia Dea. Mia rovina.”

Oh, come cadrò…

Atena apre gli occhi, come cogliendo la presenza accanto a lei. È un’ombra, quella di Saga, che si allunga tra le lenzuola pulite dove giace. Sorride. Lo riconosce. Alza le piccole braccia rosa quasi per toccarlo, e per un istante Saga vorrebbe farsi scoprire, vorrebbe farsi accarezzare da polpastrelli soffici e dita piccolissime, vorrebbe farsi ripulire. Vorrebbe che quelle manine potessero penetrare la carne del suo petto fino al cuore e strappargli quel male che così profondamente s’è radicato in lui.

“Mia Dea!”

Così piccola, e indifesa. Se alza ora il braccio, che una volta è stato in quella tensione scure di giustizia e santità, potrebbe ucciderla in un secondo. Senza nemmeno farle male.

Atena afferra una ciocca bianca e comincia a tirare. Ride.

“Vuole forse salvarmi?” Chiede rivolto a quello sguardo viola. “Ma io sono caduto. Così a fondo, sono caduto…”

Si scosta all’improvviso, l’ombra si muove, e questo la fa piangere.

“No. Io non risparmierò nemmeno Lei, questa notte. Io mi prenderò quello che mi spetta.”

La guarda ancora per un istante, prima di sferrare il colpo. Il suo visino arrossato e contratto dal pianto, il suo corpicino rosa così piccolo. Eppure contiene un Cosmo sopito abbastanza potente da eclissare quello di tutti gli altri guerrieri del Santuario, o tutti i guerrieri del mondo riuniti.

“Scelgo da solo il mio destino, Dea ingrata!”

Alza il braccio. Tende la mano, serra il Cosmo che trattiene il pugnale. Forte. Vigoroso. Un colpo solo per non farla soffrire. Le lenzuola si macchieranno, si impregneranno di sangue divino. Un arco perfetto, una parabola che cade.

Sferra.

“Ah…”

Saga sorride dietro la maschera. Ha colpito qualcosa che non è la tenera carne di un bambino.

E davanti a lui, nella sua luminosità perfetta, Aiolos trattiene un grido di dolore. La sua spalla è lacerata.

“Perché il Gran Sacerdote desidera uccidere la Dea che si è appena reincarnata?”

Allora uno se n’è accorto. E chi se non il più santo tra di loro?

Saga non risponde. Aiolos si alza, stringendosi la bambina al petto. Dal gomito gocciolano sul pavimento piccole perle di sangue.

“Perché dunque dimostrarsi così empio?”

Nessuno dei due si muove. Solo Atena piange.

Mi avrà riconosciuto?

“Io non permetterò a nessuno di sfiorare questa bambina. Dovessi combattere contro un dio.”

Dovessi combattere contro Saga?

“Dovessi morire. La proteggerò fino alla fine.”

“Bene. Aiolos del Sagittario.”

Forse Aiolos è sorpreso di udire una voce così poco familiare. Non è Shion che parla.

Saga lancia un colpo, Aiolos si abbassa appena in tempo per contrattaccare, fendendo l’aria. Sfiora il suo collo, non riesce a trovarlo. Ma il movimento è sufficiente.

La maschera cade con un rumore metallico.

Saga rimane immobile. Non cerca di coprirsi. Guarda la maschera riversa per terra, e poi Aiolos attaccato alla bambina. Sorride leggermente.

“Tu…”

Aiolos sembra invece all’improvviso privo di ogni forza e di ogni convinzione.

“Come hai potuto, proprio tu… di che colore sono i tuoi capelli?”

Il Cosmo freme nella mano di Saga, nero ed impenetrabile. Lo scaglia contro Aiolos che è come rallentato, lo colpisce in pieno viso. Cade. Una, due, tre volte. Sempre la bambina protetta tra le braccia.

“Saga!”

C’è disperazione nella sua voce?

Non ce n’è negli occhi di Saga, rossi come il sangue. Non ce n’è nelle sue mani.

Nel cuore…

“Nobile Saga!”

E’ solo un istante, e la mano esita.  Potrebbe colpire, ora che lui è così fragile e la sua luminosità si è come spenta. Potrebbe ferirlo mortalmente e riprendersi la bambina. Potrebbe ottenere quello che vuole, e lo sa.

Eppure si ferma. Ci sono lacrime negli occhi di Aiolos che gli ricordano un prato verdeggiante,  giorni lontani sulla fine dell’estate. Un’estate che non tornerà mai.

Non tornerà mai, sembrano dire. Quello che stai cercando non tornerà mai.

Rallenta. Non che lo voglia. È come se la mano fosse comandata dal cuore. È come se ci fosse ancora un filo di luce stellare, un bagliore di cielo in lui.

Appena il tempo per sfuggire, prima che il colpo si abbatta contro la parete, e la frantumi.

Appena il tempo per stringersi la Dea Infante, al petto e correre verso la finestra.

Appena il tempo per voltarsi, mentre Saga si avvicina, l’orlo della veste troppo lunga che struscia contro il pavimento impolverato.

Appena il tempo di guardarlo negli occhi e vederli per l’ultima volta, per l’ultima volta amarli. Per quel frammento sospeso nel tempo sono di un blu che sembra fatto di notte, sono ancora crateri celesti sulla sua faccia di luna.

È un addio, e ne è consapevole. Ma questo vede.

E in fondo sa, Aiolos, o crede, o spera, gettandosi nel vuoto di una notte di perla, che il blu profondo, e lontano, e addormentato, prima o poi si sveglierà. Non tutto è perduto. Dietro questa nebbia, avvolto di bianco e silenzio, vive ancora Saga celeste.

Saga che ha combattuto per anni al suo fianco.

Saga che ha condiviso tanto dolore e tanta fatica.

Saga che ama più di ogni altra cosa al mondo.

Saga, prima o poi, tornerà.

 

Si avvicina alla finestra.

Tutto è pesante, tutto urla nel silenzio, anche dentro di lui.

Quelle lacrime, quegli occhi così verdi…

“Aiolos.” Dice. “Perché proprio tu hai dovuto –“

Si sporge dalla finestra. Tutto, fuori, è coperto di una fitta nebbia perlacea.

Piange.

“Addio, Aiolos.”

È caduto.

Non tonerà. Non tornerà più da te.

L’estate che stai aspettando non tornerà mai.


***

Cose da dire sul capitolo 33: siamo arrivate. Questa è la resa dei contih! Da questo momento nulla sarà più lo stesso. La storia la conoscete tutti, quindi siete consapevoli di dover preparare i fazzoletti.

Per quanto riguarda l’aggiornamento *risate registrate* - oh, è estate, tu guarda… fino ad oggi non me ne ero accorta. Uno di questi giorni partirò (?) , e rigorosamente senza computer. Un altro di questi giorni tornerò e aggiornerò con il capitolo più deprimente che abbia mai scritto. Ma tanto ci siete abituati alla mia scomparsa, no?

Come sempre, ho risposto a tutte le commentatrici, titania76, Pilatigirls, scrapheap_sama nell’angolo recensioni!
A presto! Buone vacanze <3

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Capitolo 34
*** Ora ***


blu 34

34.

[Ora]

 

 

La nebbia è fredda e sospesa.

È qualcosa di incorporeo e transita.

Ti penetra dentro, ti scuote con un brivido la schiena.

Shura del Capricorno esce dalla sua Casa in una notte fumosa come è difficile trovarne in Grecia. Entra nelle stanze del Gran Sacerdote con le percezioni ottuse, e un senso di tremore. Si inchina.

“Nobile cavaliere del Capricorno.”

“Venerabile Pontefice.”

“L’allarme è suonato. Le campane hanno destato il Santuario. Questa notte un uomo ha compiuto il più grande sacrilegio, attentando la vita della Dea Infante.”

Shura per un istante è incredulo. Il bordo dorato della veste del Sacerdote si muove impercettibilmente sotto i suoi occhi chini.

“Tu, che possiedi la giustizia nel braccio, e con un colpo puoi ripristinare l’ordine delle cose, tu lo seguirai e lo ucciderai. Prenderai la bambina e la riporterai da me.”

Come le parole possono essere fatte di nebbia.

“Signore…” Dice Shura. “Mi sembra impossibile che qualcuno abbia violato il Santuario senza che noi ce ne –“

“Aiolos. Aiolos del Sagittario.” Dice Saga, con una gravità, e una pesantezza che gli sfondano il cuore. “E’ lui che devi cercare. È lui che devi uccidere. È lui che ha tradito…”

È lui che…

 

Mentre aspetta, Saga abbandona la maschera. La sua faccia di luna risplende nella notte con strani bagliori fosforici, i suoi occhi sono come crateri sanguinolenti sulla superficie astrale.

Solo, nelle stanze usurpate, attende.

Sente rumori soffocati da una nebbia perlacea. Sente il clangore di armature e le urla di soldati che corrono agitando e svegliando il Grande Tempio nelle ore che sempre sono state coperte dal più impenetrabile dei silenzi.

Vede dalla finestra un mare di bianco. È la stessa dalla quale Aiolos è fuggito. Ne è come magnetizzato.

Saga cammina, avanti e indietro, e sulla sua faccia di luna si scorgono i segni di un uomo precocemente distrutto.

Aspetta.

Aspetta.

Camminando, aspetta.

Non sa, forse nemmeno immagina cosa succede al di là della sua finestra. Non sa di soldati e cavalieri che muoiono irretiti dal suo inganno. Non sa che questa notte bianca è in realtà un notte purpurea e densa. Non sa, Saga, cosa accade per le scale e i terrapieni della sua casa. Forse può sentire qualcosa di sospeso nell’ora più angosciosa della sua esistenza.

Aspetta.

Non sa da che parte Aiolos fugge con la bambina stretta al petto, tra i colpi ostili e furiosi di chi lo insegue. Non sa che strada prenderà, se riuscirà a fuggire, se sarà contento, o disperato per questo.

Non sa, non può vedere dalla sua posizione, la rupe battuta del vento sulla quale scivola il suo piede. Ora tace e cerca di scrutare tra il silenzio, ma nulla è chiaro.

Si ferma per un istante.

Non sa che ora Aiolos fronteggia centinaia di attendenti e li scosta con un lieve colpo della mano. Non sa la pena che prova per questi innocenti, con Atena che piange stretta al suo petto d’oro.

Non sa che ora giunge Shura, col suo braccio investito di giustizia, e l’Armatura che è resa un po’ più pallida dalla notte attorno. Non sa come lentamente cammini incontro a lui, il più splendente di tutti, il più generoso di tutti, non sa quanta angoscia provi ad alzare il filo della sua lama contro il collo di chi credeva volare in alto con ali di piume come la corolla di un fiore.

Non sa, Saga, che Aiolos mai una volta si fa scudo con la Dea. Non sa che è stanco, e ferito, e provato dalla furia di mille attacchi e dall’orrore più grande di tutti – il suo viso. Non sa che di tanto in tanto guarda verso l’alto, verso la cima della collina, mentre lui cerca qualcosa dalla finestra, e i suoi occhi si fanno velati di lacrime.

Non sa che pensare alla creatura celeste che era lo distrugge forse più di tutti i colpi ricevuti. Non sa che ad ogni suo affacciarsi nel vuoto gli ruba un po’ di forza e un po’ di vita.

Non sa quando precisamente succede. Quando Shura del Capricorno, col suo mantello bianco che si fonde con l’alone di questa notte, troppo vicino e troppo angustiato, alza il suo braccio-spada e con esso trafigge il corpo di lui, di lui, il vero eroe delle antiche leggende, Aiolos il luminoso, Aiolos il più luminoso, Aiolos il più santo e meritevole, Aiolos il più grande.

Oh, come cadrò…

Non sa quanto grande sarà la sua disperazione. Non sa che Aiolos tratterrà il fiato, inarcandosi e precipitando dal costone di roccia verso il basso, verso le rovine silenziose dell’Acropoli. Non sa che compirà quest’ultimo gesto in un mutismo di morte.

Questo, Saga ancora non lo conosce, mentre cammina avanti e indietro per le stanze usurpate.

Ha come la percezione di qualcosa di terribile che si abbatte sul Tempio e su tutta la terra, perché il Tempio è il luogo più sacro di tutta la terra. Ha come la percezione che la sua caduta, giù per un precipizio ben più profondo, sia ormai giunta al termine.

Tutte queste cose, Saga non le sa. Ancora.

 

Ora entra di nuovo il Cavaliere del Capricorno. Ha la testa china e i capelli neri come la notte nascondono i suoi occhi pieni di vergogna. Braccio imbrattato di sangue. Si perdona questo colore alla spada della giustizia?

Shura si inchina nuovamente e con gesti lenti, e parole lente, racconta.

A poco a poco, Saga sa tutto. A poco a poco si rende conto del quadro al di là della sua finestra.

A poco a poco, si rende conto di aver perso per sempre.

 

C’è una cosa, però, che Saga non sa, e non saprà mai.

“Cosa ha detto con le sue ultime parole?”

“Nulla ha detto. O forse la sua voce si è persa nel vento.”

Saga trema davanti al Cavaliere della giustizia dal braccio sporco di sangue. Perché è sangue ingiusto. E si chiede per molti minuti quando sferrerà il colpo contro il suo collo candido, svelando l’inganno.

Invece Shura racconta sommessamente, poi si alza e scompare per anni inghiottito dalla nebbia.

Quello che Saga non capirà mai, è perché Aiolos non ha detto nulla. Sull’orlo del precipizio, con un destino di morte appeso in faccia e la Dea bambina stretta al petto, non ha detto nulla.

Saga.

L’usurpatore.

Saga celeste ha ucciso il Pontefice, lui ha attentato alla vita della Dea.

Lui, devi andare a cercare.

Ora uccidimi, poi lui vai a cerare, e castigalo.

Aiolos ha portato questo segreto nel suo precipitare senza senso. Avrebbe potuto smascherarlo e salvare il Tempio negli anni futuri. Avrebbe potuto risparmiare molte vite, in cambio di una sola, la più malvagia e la più empia di tutte.

Ma non l’ha fatto.

 

Forse cadevi col sorriso?

Forse ti piaceva essere un martire?

“Perché?” Chiede Saga al mattino che sorge dalla finestra. Ora comincia a distinguere il contorno delle cose.

“Perché?”

C’è un pallido riverbero celeste tra i suoi capelli in quest’ora così precoce. È l’ultimo segno.

È l’ultimo giorno di Saga celeste, e l’alba sarà come una meridiana per lui, conterà i minuti diluendo l’azzurro del cielo in un bianco accecante.

“Perché ti sei portato tutto dietro?”

Cosa abbiamo fatto?

Siamo due traditori.

Meritiamo…

Ultime ore di Saga celeste.

 

 

 

 

***

Sono viva! Sono tornata! Non sapete che periodo di agonia… senza computer, senza internet – come si faceva a fare le cose senza internet! Senza scans e senza megavideo, senza facebook! Mi viene da piangere se ci ripenso. Questa mattina tutto torna. E quindi posto Blu dopo mesi di assenza.

 

La storia è stata inserita tra le consigliate! Questo grazie alla gentilissima segnalazione di  scrapheap_sama  alla quale va tutto il mio amore <3. grazie anche a titania76. Gentilissima come sempre. Scriverò una risposta adeguata, nonostante io sia una persona terribile per questi ritardi. Se non si rompe più niente (ma dubito) proverò ad essere puntuale negli aggiornamenti (???)

Love <3

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Capitolo 35
*** Prato ***


blu 35

35.

[Prato]

 

 

“Lo abbiamo trovato. Signore.”

“Sì.” Sussurra.

Un suono indescrivibile esce dalla sua gola e si allunga in un sospiro di dolore e di nebbia.

Il giorno sta per sorgere sulle bianche colonne dei Templi.

“Mai più,” Dice. “neanche in questa luce di Grecia, mai più saranno così chiari.”

 

Saga abbandona per un istante la maschera e gli abiti sacerdotali.

Con l’ultima forza che gli resta, diluita nel colorarsi del giorno, esce di nascosto dal suo Tempio e cammina per quella strada che non vuole percorrere mai più. Corre su quelle scale che non desidera più salire mai più.

C’è una porta bianca, e oltre alla porta, una lunga stanza vuota e fredda. Accanto alla parete, un semplice tavolo di marmo.

“Ricordo questa scena.”

E sul tavolo lui.

“Aiolos.”

Si avvicina. Passi che rimbombano tra pareti silenziose. Ha come la sensazione che questa stanza per cadaveri, di cadaveri ne contenga due. 

“Ai –“

Lo sfiora con una mano. Appena, gli accarezza la guancia, le labbra, il volto coperto di terra e di sangue. Nessuno l’ha ripulito.

“Cosa abbiamo fatto? Cosa ti ho fatto? Io?” Sussurra.

E all’improvviso, si rende conto.

Ci sono tante cose che vorrebbe chiedergli. Ma lui non può parlare. Non parlerà mai più. È morto e non parlerà mai più, mai più sentirà il timbro della sua voce, o il calore del suo petto, mai più potrà toccare e vedere quel corpo così bello, mai più potrà sentirsi a casa assieme a lui.

È morto.

“Cos’ho fatto?”

C’è un pallido riflesso celeste tra i capelli di Saga in questo momento. Lui lo sa. Che è il regalo dell’alba, il più prezioso dei doni, e sparisce con il tempo di una meridiana celeste che segna i minuti, le ore.

Si inginocchia accanto al corpo inerte e piange. Per tutto il tempo che gli resta, prima di morire un po’ anche lui.

È morto.

 

“Non piangere, Saga.” Diceva un tempo Shion. “Un Cavaliere non piange.”

Un Cavaliere non piange alla luce del giorno.

Per un attimo, si ricorda di Kastor. Di quell’immagine che col tempo si è sbiadita come molte cose nel suo cuore, e lo rivede steso su questa stessa tavola, rigido di morte e bianco come il mantello di un guerriero, come le vele che solcano il mare di prima mattina. Era fiero e maestoso, il suo volto compunto, e sapeva di essere morto nel giusto.

Così Saga l’aveva lasciato andare.

Ma Aiolos, Aiolos sapeva di non essere morto nel giusto. Aiolos sapeva di essere morto nella sofferenza, e di essersi condannato. Sapeva di aver trattenuto il fiato per salvare un essere indegno. Sapeva di morire perché amava un essere indegno.

Credeva di salvare un uomo celeste che si era solo addormentato.

E il suo viso, così abbagliante ora, porta per Saga i segni di questa pena.

Morto nel disonore e nella pena.

“Cosa potevo farti di peggio, amore mio?”

Si rialza. Gli sfiora i capelli.

“Nessuno ti ricomporrà. Perché sei morto da traditore, e ai traditori la sepoltura non è concessa. Sei morto da empio, e hai rovinato l’attesa di questo Santuario. Per me, anche, sei morto da traditore. Ma come faccio a lasciarti qui nelle loro mani?”

Non riesce a smettere di toccare quel viso. Fa male, è gelido, ad ogni tocco sembra bruciarlo. Fa male anche vederlo. Ricorda la pelle dei morti, quella dei bambini coperti di lividi blu e macchie di sangue, quella di Kastor che era bianca come un mantello. Anche la sua è bianca come un mantello. Pallida come il marmo su cui riposa. Non c’è vita in essa. Tutto il suo colore splendente… Aiolos il luminoso non emana più rilessi dorati.

“Non sanno nulla. Non sanno… nulla… io... ti porterò lontano.”

 

C’è un prato, dietro ai campi di allenamento, sempre battuto dal sole fino a tardi. Oggi che è quasi terminata l’estate verdeggia come una volta.

Saga se lo ricorda bene, colorato e odoroso in quella stagione lontana. La stagione splendente.

Che non tornerà mai più.

“Da domani questo prato sarà popolato dai fantasmi, e nessuno disturberà il tuo sonno.”

Finché non tornerò.

Ha scavato una fossa, smuovendo la terra come un animale. Ha respirato l’odore umido della profondità ctonia, e ne è rimasto intossicato. La terra è marcia, sotto. È bagnata. Ha guardato Aiolos e si è chiesto quanto in fretta questa terra possa consumare il suo splendido viso.

Ha baciato le sue labbra inerti e fredde – ed è stato colto da un brivido di orrore.

L’ha avvolto in un mantello candido come un giglio, candido come le vele che solcano il mare dirette in posti forse più felici.

L’ha lasciato scivolare. Il suo ultimo abbraccio. Nel petto profondo e mutevole della terra l’ha richiuso, per l’eternità confinato sotto la luce solare che gli appartiene. Per l’eternità spoglio, e disadorno, per l’eternità condannato.

Ora guarda il tumulo di terra fresca e odorosa che si riscalda sotto la luce di questo mattino. Una giornata di fine estate.

Saga sorride.

Ironia.

Il nostro prato. La nostra stagione.

“Avevi gli occhi davvero troppo belli.”

Si scosta un filo d’erba dai capelli, vaghe sfumature celesti.

E piange ancora. Inonda la terra di lacrime.

“Sono le lacrime più sincere. Di tutto il male ch ho fatto, Aiolos, di tutto il sangue di cui mi sono macchiato, il tuo solo brucerà in eterno. Il tuo solo non doveva… non doveva essere…”

Non un nome resterà inciso nella pietra, consegnandolo all’immortalità come il più santo, e il più luminoso, e il più bello tra i Cavalieri di Atena. Nulla. Sarà presto polvere.

Saga disegna il suo nome con la punta delle dita sul terriccio, poi cancella.

Perché? si chiede. Da domani il nostro prato sarà popolato dai fantasmi.

“Io – cosa posso fare ora, che ho perso tutto?”

Indugia, Saga. Non se ne vorrebbe andare. Se potesse, scaverebbe una fossa accanto alla sua, si coricherebbe nell’abbraccio di morte della terra, e, sfiorandolo, si lascerebbe ricoprire. Se potesse.

“In fondo, sono già morto. Qui. Muoio anch’io.”

È giorno pieno, ormai.

Si spegne la meridiana celeste. Il sole accarezza capelli dai pallidi riflessi blu, e un volto sofferente come la luna.

“Qui, con te, ritornerà anche il mio corpo. Promesso, amore mio.”

 

Il più santo, il più luminoso, il più bello di tutti i Cavalieri, questa notte ha accettato il suo destino di morte. Per salvare la Dea, e per salvare l’uomo che ama. Non importa quanto dovrà costare.

Saga non saprà mai perché Aiolos s’è portato il suo nome nella tomba.

Eppure, nel momento del loro addio, quando si è voltato verso di lui prima di scomparire dalla finestra, ha sorriso.

“Svegliati.” Ha detto.

Saga si risveglierà, un giorno, da questo lungo sonno.

 

Convocare tutti i Cavalieri, pensa Saga.

Allontanarli.

Si immerge nella vasca da bagno con un sospiro.

Il cielo è già azzurro, fuori dalla finestra, ma per quanto sole splenderà sulla Grecia, i Templi non saranno mai più chiari come prima.

Spegnere i Templi. È l’ora stabilita?

Scivola più in basso, sommerso dall’acqua. I suoi capelli volteggiano come onde sulla superficie, morbidi, serici. Pallidi.

Fili di nebbia.

Finita anche l’ultima ora di Saga celeste.

 

Un colore

Così vuoto,

il tuo.

 

 

 

***

Basta, mi metto a piangere. Non pensiamoci più. Come ho fatto a scrivere questa roba? Sono appena tornata da Lucca, sono ancora mortalmente stanca. Quest’anno è successo anche a me il celebre: “Ho fatto milioni di foto e non c’è manco un album con me in tutta facebook.” I miei 15 minuti di gloria sono sfumati nel nulla. Meglio concentrarsi su Blu.

Al solito, le risposte alle recensioni, sotto le recensioni!

I luf yah!

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