Black Cherry

di MadHatter93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cioccolato e Amarena ***
Capitolo 2: *** Occhi smeraldo ***
Capitolo 3: *** Occhi Petrolio ***



Capitolo 1
*** Cioccolato e Amarena ***


L'aria era piacevolmente gelida, i piedi affondavano nella neve fresca e il cielo era coperto di nuvole biancastre e pesanti. Alice aveva appena fatto il suo primo passo verso una nuova vita, fuori da quell'edificio che era stato, più o meno, la sua casa per  ben cinque anni. Alla finestra c'erano un gruppo di quattro o cinque bambini, dai dieci anni in giù, che la stavano salutando con le mani, mentre vicino al cancello c'era una delle due persone che le era stata più vicina: Irena, la cuoca dell'orfanotrofio e sorella della responsabile, che invece non aveva molto interesse verso gli ospiti fugaci e destinati a non rimanere a lungo in quel luogo. Prima di fare un ulteriore passo si voltò verso la donna, in carne e con le guance rosse che le avevano sempre ispirato simpatia, abbracciandola forte. Non erano da lei certe dimostrazioni d'affetto disinteressato, ma quella donna aveva contribuito a tenerla in piedi dopo la morte dei suoi genitori.
" Grazie Irena, tornerò a trovarvi"
Le disse queste ultime parole mentre la lasciava andare dall’abbraccio e salutava, con un ultimo cenno della mano, i bambini che la guardavano sorridenti dal secondo piano dell’orfanotrofio. Dopodichè, finalmente, girò su sé stessa e cominciò a camminare per il sentiero ricoperto in parte dalla neve, che portava alla città più vicina.
Solo una persona non era stata lì per salutarla, ed era anche quella che era stata più importante in assoluto in quei cinque anni: Beatrisa, o come la chiamavano tutti, semplicemente Bea. Era una ragazza un anno più piccola di Alice, orfana di madre da quando era nata e di padre da quando aveva nove anni, quando lei arrivò all’istituto era già grande, a tredici anni, quindi i bambini del posto non le rivolgevano molto la parola, Bea invece fu la prima a farlo, offrendogli una mela, insieme alla sua amicizia più sincera. Da quel giorno diventarono inseparabili, crebbero insieme, passando dai giocattoli e le bambole alle prime cotte adolescenziali. Anche nelle notti in cui regnava il silenzio nei dormitori, ma si sentiva solo il lento e sommesso singhiozzare di Alice, Bea era lì, non diceva un parola, ma l’abbracciava e stava con lei tutta la notte, fino al risvegliarsi insieme, ricevendo la ramanzina della responsabile. Tutto sembrava perfetto e alle due nemmeno importava più l’essere adottate, i bambini all’orfanotrofio andavano e venivano, i più piccoli venivano adottati molto facilmente, ma loro rimanevano lì, crescevano lì, vedendo affievolirsi sempre più la speranza di avere una famiglia. Un giorno però tutto questo cambiò. Erano passati quattro anni da quando Alice era arrivata lì e lei e Bea avevano diciassette e sedici anni: Bea era più bassa di Alice, ma aveva lunghi capelli biondi e un viso con dei lineamenti splendidi, senza contare gli occhi color ghiaccio e uno sguardo malizioso da donna adulta, Alice invece era alta e magra, con poche forme e un viso con lineamenti tanto delicati da sembrare quelli di una bambina. L’ennesima coppia, quella mattina, entrò a visitare l’orfanotrofio,  ma appena furono sotto gli occhi di Alice a questa sembrò che fossero entrati i veri genitori di Bea: la donna era bassina, coi capelli biondi che le arrivavano fino alla vita, fermati sulla fronte da un fermaglio a forma di rosa, aveva gli occhi verde smeraldo e indossava un cappotto pesante blu notte,  l’uomo era più alto, con gli occhi di un verde ancora più chiaro di quelli della moglie, i capelli biondo cenere, non troppo corti, lineamenti duri segnati da una folta barba e dei baffi ben curati, indossava un completo pesante e di ottima qualità color verdastro. Per un attimo Alice si bloccò, stava parlando con una delle bambine più piccole, mentre Bea era andata a prendere dell’acqua. Una bruttissima sensazione la trapassò come una coltellata, ma appena Bea entrò con i bicchieri d’acqua la sensazione svanì del tutto. La ragazza bionda diede solo una rapita occhiata alla coppia entrata e sorridendo, subito andò da Alice.
“Che strani quei due.. sembrano usciti da un film”
Le disse Bea e in quel momento pensò che era tutto apposto, che era stata solo una brutta sensazione e che nemmeno questa volta sarebbero state separate. Si sbagliava. Quel giorno Beatrisa se ne andò per sempre  con quella coppia di sconosciuti, suo malgrado certamente, ma la lasciò comunque.
Mentre pensava a tutto ciò, Alice era ormai arrivata alla città di Tolka, dove tutto avrebbe preso inizio. Aveva la voglia di fare tutto ciò che le era stato negato per diciott’anni, ma come prima cosa voleva tener fede alla promessa tra lei e Bea. Capitava spesso che all’orfanotrofio si cenasse con ben poco, le due ragazze allora, scappavano in camera e cominciavano a fare un gioco. Facevano finta di essere in un grande ristorante, vestite di tutto punto, e di poter ordinare tutto quello che volevano. Quelle sere ridevano e scherzavano più di quando si cenava relativamente bene, perché la loro fantasia volava e non aveva limiti. Una sera, dopo la cena fantastica e dopo qualche bicchiere di vino immaginario, le due si fecero una promessa.
“Quando usciremo di qui... quando anche io uscirò di qui, insieme andremo al ristorante della città più vicina e ci prenderemo della carne arrosto.. e un gelato al cioccolato!”
Disse Bea.
“Ma a me piace di più quello all’amarena! “
Replicò l’amica.
“Va bene, che problema c’è, li prendiamo entrambi!”
Replicò di nuovo la bambina bionda.
“Allora è una promessa!”
E l’altra annuì, incrociando il mignolo con quello dell’amica.
Lei era uscita dall’orfanotrofio, ma Bea non era lì con lei a festeggiare.. non sapeva dire nemmeno lei se fosse arrabbiata o solo invidiosa che lei avesse trovato una famiglia al suo contrario, ma sapeva che era sbagliato provare quei sentimenti. Arrivò in quel momento al primo ristorante che i suoi occhi avessero mai incontrato, o almeno che avessero ricordato. Si chiamava “La rosa rossa”. Entrò senza pensarci due volte. Tutti la guardarono con aria strana, il posto era pieno di gente vestita bene e lei aveva indosso un vestito nero che apparteneva a sua madre quando era giovane e per questo le stava largo, un cappotto di due taglie più grandi marrone e delle scarpe un po’ rotte alle estremità anch’esse scure. Ignorando gli sguardi della gente si andò da sola a sedere ad un tavolo, poggiando il cappotto sulla sedia di fianco. Il cameriere le portò il menù, non potendo evitare nemmeno lui uno sguardo non proprio amichevole. La ragazza ignorò anche lui e si mise a leggere, ma solo per pochi secondi, già sapeva ciò che voleva prendere. Chiamò a gran voce il cameriere, attirando borbottii di disappunto nella sala, e ordinò. Dopo vari minuti, passati a giocare col centrotavola di fiori un po’ avvizziti e ad analizzare i presenti in sala, come se non avesse mai visto tanta e tale gente in vita sua, arrivò davanti a lei un fumante piatto di carne arrosto. Sorridendo ringraziò il cameriere, che questa volta le ricambiò il sorriso, ed impugnò forchetta e coltello. Si fermò prima di iniziare però, rimise sul tavolo le posate e si versò dell’acqua nel bicchiere di vetro, alzandolo davanti a lei.
“Non è vino cara Bea, ma mi devo accontentare di questo, alla tua salute!”
E bevve, sotto altri occhi attoniti dei presenti che ormai la credevano pazza. Finita l’ottima carne prese un gelato, facendoselo fare al cioccolato e amarena. Assaporò anche quest’ultimo, bevendo dalla coppa anche ciò che ne era rimasto sciolto sul fondo, dopodichè fece un sospiro di sollievo e andò a pagare. L’orfanotrofio dava, a tutti coloro che lo lasciavano a diciott’anni, dei soldi, erano veramente pochi, tanto che la ragazza ci pagò la cena e le rimasero solamente per pernottare una notte da qualche parte, ma le avevano comunque permesso di realizzare il suo sogno e quello di Bea.
“Bene mondo, adesso vediamo che hai da offrirmi.”
Disse tra sé, uscendo dal ristorante e assaporando l’aria ricca di sapori e odori della città.

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Capitolo 2
*** Occhi smeraldo ***


La notte era gelida nella città di Tolka e quell’inverno, da quanto dicevano i giornali, lo era ancor di più, ma Alice sorrideva beatamente nel  letto di una misera locanda del posto, dormiva felice quella notte, ma sapeva che il giorno dopo si sarebbe dovuta rimboccare le maniche, dato che aveva speso gli ultimi soldi per l’affitto di quella stanza.
La notte passò tranquilla, con qualche sogno felice, di quelli che al mattino ti lasciano il sorriso sulle labbra e un senso di pace, ma che svaniscono nel momento in cui apri gli occhi. La ragazza si alzò e afferrò dallo zaino una mela che aveva portato con sé dall’orfanotrofio, guardando fuori dai vetri rovinati della finestra. La gente cominciava ad uscire di casa e parecchi di loro erano già a lavoro, come panettieri e giornalai, la luce del sole, ormai oltre sopra l’orizzonte, si intravedeva tra le nubi fitte, tipiche di quei posti, facendo scintillare leggermente la neve riposta ai lati delle strade e il ghiaccio sui marciapiedi. Mentre faceva il secondo morso , una voce la chiamò dall’esterno della stanza .
“Signorina, devo pulire la stanza e le devo chiedere di lasciarla vuota il prima possibile”
“Arrivo!”
Ribatté veloce lei, per poi correre in bagno a darsi una sciacquata.
“un minuto solo!”
Uscì dal bagno e si  infilò di fretta delle calze pesanti nere e un vestito altrettanto pesante beige, una taglia più grande perché apparteneva a sua madre, le scarpe, degli stivaletti neri, la sua sciarpa poco pesante e consumata ed infine giacca marrone e zaino sulle spalle, riprese la mela lasciata a metà sul comodino e spalancò la porta, correndo fuori dalla stanza e lasciando entrare la cameriera, dal viso abbastanza corrucciato.  Alice le fece un cenno della mano insieme ad un veloce sorriso e poi scomparve giù per le scale. Una volta fuori diede l’ultimo morso alla mela, per poi lasciare il torsolo sul ciglio della porta.
Cominciò a camminare senza meta per la città e per tutta la mattina si propose per i posti di lavoro più svariati: giornalaia, aiuto cuoco, badante, spazzacamino, spazzina.. Ma nessuno sembrava essere disposto ad aiutarla, in più la trattavano come fosse una pezzente e Alice stava cominciando a stancarsi. Era ormai ora di pranzo e la ragazza si sedette sfinita su un muretto in pietra, spostando prima un po’ di neve da sopra. Non aveva un soldo ed era senza cibo, le cose non stavano più andando esattamente come avevano programmato lei e Bea.
D’un tratto, mentre era intenta a fare dei ghiri gori sulla neve col dito, qualcuno cominciò a parlarle.
“ Non prenderai freddo a star seduta lì sopra?”
Alice si voltò alla sua destra e quello che vide fu un ragazzo dagli sgargianti occhi verde smeraldo e una chioma scura, parzialmente coperta da un cappello, con le mani ben piantate nelle tasche del cappotto blu.
“Scusa dici a me?”
Il ragazzo le rispose ridendo.
“ Beh, sei l’unica così coraggiosa da sedersi lì sopra”
“ Il freddo è l’ultimo dei miei problemi al momento”
Gli rispose lei.
Il ragazzo aveva una statura nella media, poco più alto di lei e sembrava avere più o meno vent’anni. Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, riempito solo dagli sguardi del ragazzo indirizzati a lei, ma d’improvviso lo stomaco di Alice decise di rompere quel silenzio. Subito lei si portò imbarazzata una mano allo stomaco e non aggiunse una parola, cosa che però fece il suo interlocutore.
“ Lo sai che la taverna qui di fronte fa proprio delle zuppe di mais strepitose? Penso che andrò lì adesso e se qualche bella ragazza rossa si vorrà venire a sedere al mio tavolo, di certo non la caccerò.”
“ Non posso.”
Rispose secca lei, anche se il suo stomaco diceva decisamente il contrario.
“ Ohh andiamo.. Il tuo stomaco non sembra d’accordo, allora facciamo così: io invito ufficialmente il tuo stomaco a pranzo, se lui mi vuole concedere la grazia di venire a sedersi al mio tavolo ne sarò contento.”
Disse guardando verso la pancia della ragazza, mentre a lei scappava un leggero sorriso.
“ E se tu..”
 Guardò accigliato Alice in volto.
 “Sarai costretta a venire con lui, cercherò di sopportare la tua presenza.”
Così dicendo fece un ultimo sorriso ad Alice e ,con un gesto del cappello come saluto, si diresse proprio alla taverna dall’altra parte della strada.
Ormai la giovane ragazza era stata convinta: si, stava effettivamente per farsi offrire il pranzo da uno sconosciuto, ma non aveva molte alternative.
Varcata la soglia della taverna piccola e accogliente, subito la invase un profumo di carne arrosto e zuppa di legumi, insieme ad un tepore tale da farle togliere immediatamente la sciarpa poco consistente che indossava. Si guardò un po’ in giro e, dopo qualche secondo, trovò il ragazzo tanto sfacciato di qualche minuto prima. Lui appena la vide si alzò in piedi, aveva le guance leggermente rosee, forse per la differenza di temperatura tra l’esterno e quel posto, sorridendole le scansò la sedia per farla sedere. Era questo un gesto di cortesia che Alice non aveva mai pensato di ricevere, ricambiò il sorriso e si accomodò.
“Allora, benefattore del mio amato stomaco.. Come ti chiami?”
Chiese Alice per prima e il suo interlocutore sembrava sorpreso.
“ Mi chiamo Adam, come si chiama invece la padrona dello splendido stomaco che ho davanti?”
Alice sorrise.
“ Ohh! Andiamo. .. Così lo farai arrossire, è molto timido sai? Comunque io sono Alice.”
“Splendido nome.. Alice”
Ripetè lui, in modo melodico, mentre prendeva le ordinazioni dalla cameriera.
“ Bene, qual buon vento ti porta in questa cittadina desolata,  Alice?
Ripeteva ancora una volta ancora il suo nome, forse gli piaceva davvero, pensò lei prima di rispondergli, abbassando lo sguardo su una allegra tovaglia a quadri rossi e bianchi.
“ Beh ecco… Sto cercando lavoro, ma sono qui da ieri e non trovo aiuto da nessuna parte. Forse dovrei cercare altrove.”
Cercò di mantenere un sorriso palesemente finto, ma non le riusciva molto bene.
“ Come? Ahahhaha..”
Adam si mise a ridere davanti a lei, cosa che le fece assumere un’espressione tutt’altro che divertita.
“ Tranquilla, ti aiuto io. Io e mio zio lavoriamo alla panetteria in fondo alla strada, abbiamo bisogno di qualcuno che faccia le consegne alla gente che lo richiede, che di solito sono persone che non possono fisicamente muoversi di casa tutti i giorni, tu capiti proprio a fagiolo!”
Nel frattempo erano arrivati due bei piatti fumanti proprio davanti a loro e  il profumo saliva dritto nelle narici di Alice, invadendole in cervello, fin quando, quasi automaticamente, non prese il cucchiaio in mano e cominciò ad affondarlo nella zuppa calda, girando per raffreddarla un pochino.
“ Ti ringrazio molto Adam, ma .. perché? Insomma, non mi conosci affatto eppure mi hai offerto un pranzo e mi stai offrendo un lavoro, chi ti dice che non sia una truffatrice o robe del genere?”
Adama fece un’altra piccola risatina per poi guardarla intensamente.
“ Innanzitutto non sto offrendo del cibo a te, ma al tuo stomaco.. E poi diciamo che no si può resistere né ai tuoi capelli e né ai tuoi occhi…”
Alice alzò lo sguardo, con le guance arrossite, non solo per il calore della zuppa o della stanza, vedendosi riflessa in quegli occhi così chiari. Era la prima volta che riceveva un complimento del genere da un ragazzo della sua età o poco più grande. Nell’orfanotrofio era vissuta sempre con ragazzini più piccoli, mentre le piccole cotte che aveva condiviso con Bea erano per lo più a senso unico. Quel contatto visivo durò una  manciata di secondi, ma ad Alice sembrò un’eternità. Per fortuna, fu di nuovo Adam a spezzare la tensione..
“ Ci porterai un sacco di clienti.. I vecchietti adorano le giovani ragazze che gli portano il pane e che parlano con loro.”
Alice gli sorrise divertita e la tensione svanì del tutto. Fu così anche per il resto del pranzo, passarono insieme un’oretta abbondante, seduti a quel tavolo a chiacchierare del più e del meno, finchè la cameriera non fu costretta a farli alzare.
Una volta fuori Alice gli disse che sarebbe andata nella sua camera d’albergo a riposarsi e lui sembrò crederci. Non voleva essere di ulteriore peso a quel ragazzo. Subito dopo però lui la sorprese con una proposta:
“ Ascolta, questa è una città  molto piccola, ma c’è una locanda che si chiama “Il giglio” in cui ci troviamo spesso noi ragazzi.. Si insomma, io e i miei amici. Mi farebbe piacere se venissi anche tu a farci compagnia stasera,  se ti va.”
Sembrava un po’ agitato mentre glielo chiedeva e questo lo rendeva incredibilmente dolce. Alice annuì e gli rispose che sarebbe andata  sicuramente, quindi lui rispose subito con un sorriso speranzoso. I due si salutarono con un’amichevole stretta di mano e ad Alice trovò quel tocco così rassicurante e caldo, come quello di qualcuno che vuole proteggerti dai pericoli del mondo. Un ultimo sguardo alle impronte di lui che andavano allontanandosi, dopodichè lei corse lungo un ponticello, alla ricerca di un posto riparato per passare quelle poche ore, totalmente noncurante del freddo o del fatto che non avesse al momento alcun tetto sulla testa, ci avrebbe pensato in seguito…
La sua testa era troppo affollata per pensare a qualsiasi altra cosa.

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Capitolo 3
*** Occhi Petrolio ***


OCCHI PETROLIO

Freddo, freddo e poi ancora più freddo..
Alice si era ritrovata inspiegabilmente con un gruppo di barboni senza tetto, di fronte ad un falò improvvisato in un cassonetto della spazzatura. Non l'aveva di certo immaginata così la vita fuori dall'orfanotrofio..
Tuttavia, mentre continuava ad alitarsi sulle mani e a strofinarsele insistentemente, pensava che dopo appena un'oretta si sarebbe vista con Adam in quella taverna di cui aveva parlato, sarebbe stata al caldo e avrebbe conosciuto i suoi amici, non male come previsione della serata. Per questo riusciva a sopportare la noia e i geloni ai piedi di quel lasso di tempo. In più i barboni che  la circondavano sotto quel ponte, non sembravano nè affidabili nè chiacchieroni. Aveva anche provato ad attaccar bottone con uno di loro per passare il tempo, ma questo le aveva imprecato qualcosa in un dialetto a lei sconosciuto e aveva cambiato postazione.
Passò comunque quell'oretta, tra sbuffi e lamenti vari dei poveri senzatetto, ed Alice finalmente cominciò ad incamminarsi verso "Il giglio", la locanda di cui aveva parlato Adam. Aveva un largo sorriso sul volto ed era serenamente speranzosa di conoscere qualcuno in quella città che forse l'avrebbe trattata come essere umano normale. 
Prima di entrare si diede una sistemata come meglio potè ai capelli e al vestito, cercando di specchiarsi in una delle vetrate giallognole del locale, dopodichè varcò al soglia di ingresso. 
L'ambiente risultava subito accogliente: innanzitutto era caldo e Alice quasi si era dimenticato cosa fosse data la non sensibilità delle sue dita, poi aleggiava in tutta la sala un aroma di birra e cose buone da mangiare, insieme ad una musichetta molto allegra, ma che comunque non sovrastava il chiacchiericcio della gente. SI guardò intorno, tra le luci calde della stanza, quando si sentì chiamare da un angolo alla sua sinistra. Allungò il collo e vide Adam, solare come lo era stato qualche ora prima, circondato da ragazzi e ragazze che sembravano avere la sua età. 
Senza pensarci oltre, la rossa si avviò verso il loro tavolo e con un po' di imbarazzo salutò tutti.
"Buonasera, io mi chiamo Alice.. Piacere!"
Contro le sue aspettative non tutti le risposero e chi lo fece non lo fece comunque con troppo entusiasmo. La rossa fece finta di nulla e si sedette tranquillamente al posto che Adam le aveva riservato accanto a sè. Dall'altro lato invece c'era una ragazza bionda, dalle labbra sottili, che non la guardava proprio benissimo, ma che comunque le fece un cenno di saluto. 
"Cameriere! Due cicchetti di vodka grazie."
Urlò subito Adam al ragazzo che lavorava lì.
"Per me? Oh.. Io non..."
Fece per dibattere Alice.
"Cosa? Non dirmi che non bevi perchè non ti posso proprio credere sai?"
Gli chiese il ragazzo.
Alice arrossì leggermente per l'imbarazzo, non voleva rivelagli che all' orfanotrofio non facevano minimamente toccare alcol a nessuno e che le bevute di lei e Bea erano puramente immaginarie. 
"No no.. Ok tranquillo, bevo.."
Gli rispose con un sorriso. Nel frattempo la ragazza di fianco a lei si intromise subito aggiungendo un altro cicchetto all'ordine.
"Sei in vena stasera, El?"
Chiese Adam rivolto alla ragazza bionda.
Quest'ultima, che continuava a guardare Alice con un'aria non troppo amichevole, rispose con una semplice movenza delle spalle all'insù, per poi rigirarsi verso gli altri compagni. A quel punto Adam spostò di nuovo lo sguardo su Alice e le fece un cenno come per dire di lasciarla perdere. 
"Grazie per avermi inviato.."
Gli disse la rossa.
"Pf.. figurati, io ho sempre invitato il tuo stomaco, non te...Ricordalo!"
Ribattè prontamente lui, con il solito senso dell'umorismo.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante per Alice in quel nuovo gruppo, la vodka arrivò e sia Adam che la ragazza di fianco a lei, la bevvero il più velocemente possibile. Alice cerò di fare del suo meglio, anche se piccola parte le andò sulla maglia e per il resto le stava quasi andando di traverso, ma cercò di fare finta di niente, sbattendo come fecero gli altri due, il bicchierino sul tavolo.
"Hey.. tutto bene?"
Chiese Adam con un viso leggermente preoccupato.
"Certo certo.."
Rispose con un sorriso Alice.
"Bene, una bimbetta che non sa bere ci hai portato Addy.."
Era stata la bionda a parlare questa volta, con sguardo rivolto prima ad Alice e poi ad Adam.
Alice, quando sentì quelle parole, si girò di scatto verso quella donna che già le appariva insopportabile, pronta a rispondere a qualsiasi altra cosa avrebbe detto, ma Adam la bloccò prima, mettendole una mano sulla spalla e portando Alice a girare lo sguardo su di lui*
" Lasciala stare, è un po' nervosetta.. "
Disse il ragazzo, avvicinandosi all'orecchio di Alice, per far in modo che sentisse solo lei.
Tutto sommato un oretta passò velocemente e senza intoppi: Alice parlava soprattutto con Adam, mentre i discorsi degli altri non li sentiva minimamente.
Tutto filava liscio, quando ad un tratto un altro gruppo di ragazzi entrò nel locale ormai affollato: erano sei o sette, o forse anche di più, ma Alice non fece caso a nessuno in particolare, se non a un ragazzo. Era alto, vestito bene ed attorniato da varie belle ragazze, aveva una folta chioma castana con dei riflessi biondi, li portava un po' lunghi, che gli ricadevano sulla fronte, la pelle era molto bianca ed era anche molto magro, ma più di tutto la colpirono gli occhi, talmente penetranti e scuri che una pozza di petrolio sarebbe stata più confortante. Nonostante questo era bello, molto più bello di qualsiasi ragazzo aveva visto fino a quel momento. Non riusciva bene a capirne neppure l'età, sembrava un ventenne per il fisico, un trentenne per i tratti del viso un po' duri e un uomo di un'età indefinita per quello sguardo.
Alice non parlò per qualche minuto, intenta a fissare i movimenti di quel ragazzo appena entrato e Adam la ridestò dal mondo dei sogni.
"Alice? Ti senti bene? Non dirmi che hai già bevuto troppo..Mi deludi rossa!
"Cosa? Ma certo che no! "
Rispose lei con una leggera risata, tornando con lo sguardo ad Adam e i suoi amici.
" Devo solo andare in bagno.."
Detto questo la ragazza si allontanò, dopo l'indicazione di Adam su dove fosse il bagno. Per arrivarci doveva passare molto vicino al tavolo dove si era seduto quello strano ragazzo, lei cercò di non guardarlo troppo, anche se l'occhio le cadde inevitabilmente, ma lui sembrò non accorgersene.
Andò nel bagno delle donne e si diede una veloce sciacquata al viso, guardandosi allo specchio. Non aveva mai pensato di essere brutta o inferiore a qualcuno, ma in quel momento allo specchio vedeva solo una ragazzina dai tratti troppo infantili e delicati, capelli rossi da un taglio indefinito, scompigliati e vestita male. Uscì sbuffando dal bagno, con la testa bassa, ma qualcosa o qualcuno fermò la sua avanzata. Alzò lo sguardo e vide proprio il ragazzo dagli occhi neri. Chiese immediatamente scusa, leggermente imbarazzata, guardandolo dal basso verso l'alto, era più alto di lei di più di venti centimetri. 
" Non essere ridicola, sono io che devo chiedere scusa a te, una bella ragazza come te non dovrebbe mai chieder scusa se finisce addosso ad un ragazzo."
Rispose lui, con una voce incredibilmente calda, al contrario della bassa temperatura che emanava il suo corpo. Alice sorrise imbarazzata e non riuscì a far altro che a passargli di fianco e correre via al suo posto, vicino ad Adam. 
Il cuore le batteva all'impazzata e non riusciva a capire per quale assurdo motivo, non si era mai comportata prima così con un ragazzo e la cosa la continuava a sconvolgere anche vari minuti dopo. 
"Sicura di stare bene? Se vuoi ti riaccompagno a casa.."
Le chiese Adam, che aveva notato qualcosa di strano  nell'espressione dell'amica. 
" Si scusami, sto bene, sono solo un po' stanca, penso che tornerò a casa comunque, ma non è necessario che tu mi accompagni."
Rispose lei, cercando di sorridergli il più possibile. 
"sei pazza? Certo che ti accompagno, non me lo perdonerei se la nostra nuova porta-pane si facesse rapire."
Disse in fretta lui.
Alice non fece in tempo a controbattere che il ragazzo si era già infilato il cappotto e aveva salutato gli altri, così non ebbe altra scelta che uscire dal locale con lui. Prima di attraversare la porta lanciò un'ultima occhiata in direzione del ragazzo misterioso che era in quel momento girato dall'altro lato, proprio in quell'istante però si voltò verso di lei e le fece un sorriso con dei denti splendidamente bianchi e perfetti. Alice ricambiò con un sorrisino forzato ed uscì in fretta dalla locanda. 
L'aria era abbastanza gelida e la ragazza si avvolse in fretta la sciarpa attorno al collo, adesso doveva pensare ad un modo per evitare che Adam l'accompagnasse alla sua ipotetica casa, che in realtà non esisteva. 
" Guarda sul serio, non è necessario che mi accompagni, so benissimo cavarmela da sola.."
" Allora, da che parte? Destra o sinistra? "
Rispose Adam, ignorandola.
Alice rimase in silenzio e Adam intraprese la strada a destra dopo qualche secondo.
" Dato che non dici niente sarà quella giusta, guarda che non mordo non preoccuparti."
Disse lui.
" Non è quello.. "
Fu la risposta incompleta di Alice.
Cominciarono a camminare nella notte buia, illuminati dai pochi lampioni ancora accesi, Alice rimase in silenzio, intenta a pensare a cosa dire nel momento in cui fossero arrivati ai confini della città. Ci pensò di nuovo Adam a parlare per primo.
"Sono molto antipatici i miei amici? Spero che Elena non ti abbai infastidito, fa sempre così con la gente nuova.."
"no figurati.. Anzi grazie per avermi invitato, non mi divertivo così da molto tempo."
Sorrise, pensando alle serata passate in compagnia di Bea.
" Ma quanto ancora c'è da camminare? Non mi farai mica arrivare fuori città? Poi se tornassi da solo potrei incontrare qualche cattiva persona che si approfitta di me."
Disse lui in tono scherzoso, ma Alice si fermò di colpo con un'espressione seria.
"Ecco... Devo dirti una cosa..Io.."
Adam nel frattempo si era avvicinato a lei con espressione curiosa e Alice finalmente parlò.
" Non.. Io non ho una casa in realtà"
Ci fu qualche secondo di silenzio che poi venne interrotto dalla risata improvvisa del ragazzo.
" Cosa c'è da ridere? "
Chiese lei infastidita.
" Ma me lo potevi dire prima stupida! Abbiamo fatto un sacco di strada inutile, su vieni!"
Disse il ragazzo, cominciando a camminare nell'altra direzione, con le mani nelle tasche e un'aria molto tranquilla.
"Dove stai andando?"
Gli chiese, ma lui non le rispose, dopo cinque minuti arrivarono sotto un vecchio palazzo un po' diroccato e Adam cominciò ad aprire il portone.
" Mi spieghi che stai facendo?"
Insisteva la rossa.
"Sto aprendo la porta.. Su muoviti, che sto congelando"
Alice non potè dire nulla, ma  aveva capito cosa stava facendo Adam. Dopo che la ragazza fu entrata nell'ingresso del palazzo, lui richiuse la porta dietro di sè e prese delle chiavi da una cassetta.
"Tienile strette, potrebbero venire a rubare in questa ricchissima dimora per principi.."
Disse lui, porgendo le chiavi alla ragazza. che le prese in mano alquanto sconvolta, se la voleva ospitare a casa sua perchè le stava dando delle chiavi?
Adam salì poi varie rampe di scale, con al seguito Alice, che si sentiva terribilmente in imbarazzo per la situazione, dopodichè, arrivato all' ultimo piano, salì ancora una piccola scala, diversa dalle precedenti, e si fermò di fronte ad una porta di alluminio.
"Avanti, tocca a te, apri pure."
Disse indicando le chiavi che la rossa teneva strette in mano. Lei aprì senza fare troppe domande, ormai aveva capito che Adam le avrebbe dato una risposta solo a tempo debito, e si ritrovò dentro un piccolo appartamento mansardato: l'aria sapeva di chiuso, ma allo stesso tempo di pulito, la carta da parati era molto bella, anche se rotta in alcuni punti, l'aria era piacevolmente calda e l'arredamento semplicissimo, ma in ottimo stato. Sembravano esserci solo due stanze, un piccolo cucinino con un tavolo di fronte e  una che doveva essere la camera da letto, dato che si intravedevano delle coperte color panna. Alice si voltò verso il ragazzo, che se ne stava lì in piedi come se tutto quello fosse normale.
"Adesso mi vuoi spiegare per favore?"
Lui la guardò e sbuffando rispose: 
" Oh ragazza mia, non sei una che afferra al volo le cose mi sembra.. Allora, questa è la tua nuova casetta, per il momento, ti ospiterei volentieri nella mia, ma mio nonno e il suo gatto non sono nè molto amichevoli nè molto profumati, non sarebbe un bello spettacolo. Questo posto è di mio zio, che vive al piano di sotto, dato che da domani lavorerai alla panetteria, di cui lui è il proprietario ufficiale, non ci dovrebbero essere problemi, comunque domani glielo dirò. C'è anche un piccolo bagno nella camera da letto e nel frigo .. ecco non mangiare nulla perchè penso che siano molto salutari le cose rimaste lì dentro. Insomma rossa, benvenuta a casa e non pensare di essere in debito con me perchè ti ripeto, porterai tanti nuovi clienti alla panetteria, quindi ci sarai molto d'aiuto."
Alice era sconvolta e imbarazzata.
" Io.. Non so cosa dire.."
" Non dire niente e vai a dormire, sembri molto stanca.. Domani alle sei in punto sveglia e pronta"
E così dicendo Adam fece per uscire dalla porta, ma Alice la riaprì fermandolo mentre scendeva le scale.
"Adam... Grazie."
Lui rispose con un saluto e una buonanotte, mentre scendeva fischiettando per le scale. 
La rossa, con un sorriso sulle labbra, richiuse la porta dietro di sè e cominciò a prendere confidenza con l'appartamento. 
Dopo vari minuti si ritrovò nel letto, sotto le coperte calde, ripensando a tutto ciò che Adam stava facendo per lei e di quanto fosse gentile, ma pochi attimi prima di cadere tra le braccia di Morfeo, le vennero in mente due occhi color petrolio e un sorriso perfetto.

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