EdO - 1 - L’Erede degli Oblio [da revisionare]

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. La prima evocazione ***
Capitolo 3: *** 2. La classe speciale ***
Capitolo 4: *** 3. Sei in arresto! ***
Capitolo 5: *** 4. Ambizione crescente ***
Capitolo 6: *** 5. Pietra arcana ***
Capitolo 7: *** 6. Dinastia infame ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Quella mattina il cielo era particolarmente limpido, la temperatura era estremamente gradevole e non c’era vento. Un clima meraviglioso.

«Oggi è davvero un buon giorno.» affermò l’uomo sul bordo dell’altopiano. Si trattava di un hystricide[1] ed era facile capirlo perché i suoi capelli neri erano dritti in testa come aculei. Gli occhi erano neri e profondi, impossibili da decifrare, i tratti del viso invece esaltavano la sua espressione decisa e autorevole. Aveva una tripla cicatrice sulla guancia destra, come se fosse stato colpito dagli artigli di una bestia feroce, e altre vecchie ferite erano visibili sulle braccia forti e muscolose lasciate scoperte dalla giacca senza maniche. Non portava la maglietta e questo esaltava il petto e l’addome allenati, era abbastanza alto e ai polsi portava due grossi bracciali metallici. «Un buon giorno per vincere, un buon giorno per morire.»

La donna al suo fianco lo prese per mano. «Vedrai, vinceremo anche stavolta, amore mio.» La sua pelle era di un’inusuale sfumatura viola, aveva un paio di corna aguzze e levigate, e gli occhi lilla senza pupilla risaltavano sulle sclere nere, quindi era chiaro che non si trattava di un’hystricide, bensì di una demone. I capelli erano lunghi e color porpora, le dita sottili – quattro per mano – terminavano con dei minacciosi artigli e alle sue spalle ondeggiavano due code eleganti e sinuose. Il seno pieno era esaltato da un top di pelle aderente e dalla profonda scollatura, allo stesso modo i pantaloni stretti e chiusi ai lati solo da delle fibbie mettevano in risalto le sue gambe perfette.

Un hystricide li raggiunse. Somigliava un po’ all’uomo con le cicatrici, non così tanto da essere fratelli, ma abbastanza da essere parenti. «Drakuzan[2], Quimera, stanno arrivando.»

I due lo seguirono per osservare la grande pianura che circondava l’altopiano su cui si trovavano e non ci misero molto a riconoscere la massa di persone in avvicinamento.

«Quanti sono?» domandò l’uomo.

«Non lo sappiamo con esattezza. Sicuramente migliaia, forse addirittura qualche decina di migliaia. È tutto l’Esercito Alleato…»

La demone si strinse leggermente a Drakuzan, gli occhi di lui però non tradivano nemmeno una goccia di paura. «Chiama gli altri, vi voglio tutti qui tra cinque minuti.»

L’hystricide annuì e si allontanò.

L’uomo con le cicatrici aprì la mano, le sue iridi ebbero un lampo viola e sul suo palmo si creò un portale. Da esso uscì uno sciame di strani insetti che rimasero a ronzare di fronte al loro evocatore in attesa di ordini.

«Studiate l’Esercito Alleato e ditemi da che truppe è composto. Vi rivoglio qui fra quattro minuti.»

I piccoli animali volarono via, moltiplicandosi a vista d’occhio fino a decuplicare, così da poter passare in rassegna l’intero schieramento nemico.

Il rapporto di quegli strani insetti dagli occhi viola arrivò preciso e puntuale, e poco dopo un discreto numero di hystricidi si riunì intorno a Drakuzan e Quimera. Erano una cinquantina abbondante e quasi tutti avevano i capelli e gli occhi neri.

«Fratelli, guardate voi stessi!» esclamò l’uomo con le cicatrici «Questi sono i nostri nemici! Gli eserciti delle cinque Grandi Nazioni di Kisshar, e con loro almeno altri mille uomini provenienti dalle terre straniere! Questo è l’Esercito Alleato creato per distruggerci! Creato per distruggere il clan più potente che questo mondo abbia mai conosciuto! Noi! Il clan Shitsunen! Il clan forte come un esercito intero!»

Un grido unanime si sollevò dal gruppo di hystricidi, i pugni sollevati verso il cielo.

«Loro hanno voluto la guerra, e oggi capiranno la grandezza del loro errore!» gridò Drakuzan con quanto fiato aveva in gola «Ci prenderemo le loro vite, o moriremo dopo averlo fatto! Un buon giorno per vincere, un buon giorno per morire!»

«Un buon giorno per vincere!» gridarono in risposta i membri del clan «Un buon giorno per morire!»

Gli occhi dell’uomo con le cicatrici si tinsero di viola e su di essi apparve un simbolo nero: due mezzelune unite. «Andiamo, fratelli! Questo è il giorno della resa dei conti!»

La medesima sfumatura viola si diffuse di occhio in occhio fra tutti i presenti – solo per una manciata di loro il colore era differente – e un numero spropositato di portali affollò l’altopiano e il cielo sovrastante. Bastarono pochi secondi e un intero esercito di demoni era apparso dal nulla, bestie tanto spaventose da far accapponare la pelle anche al più esperto dei guerrieri.

Era proprio quello lo schiacciante potere del clan Shitsunen: i demoni erano senza dubbio gli animali più potenti che un evocatore potesse richiamare, del tutto svincolati dalle normali leggi di natura e dotati di una terrificante attitudine al combattimento. Quelle erano le creature del clan Shitsunen, il clan forte come un esercito intero!

La battaglia che si consumò quel giorno sarebbe stata ricordata per sempre non solo per il fatto che per la prima volta le cinque Grandi Nazioni di Kisshar si erano unite, ma soprattutto per il terribile massacro che causò.

I cinquantotto componenti del clan Shitsunen vennero tutti uccisi, ma il prezzo da pagare fu altissimo: più di cinquecento persone non tornarono a casa quel giorno, e quasi il doppio lo fece riportando ferite più o meno gravi.

Sono passati ormai più di dieci anni da allora, la vita è ripresa per i popoli di Kisshar e l’orrore di quella battaglia sembra finalmente alle spalle, eppure in molti evitano di pronunciare il loro nome, preferendo definirli come “gli Oblio”.

La paura che quel clan riesce a incutere è tuttora forte, troppo forte. Nonostante gli sforzi dei governi per passare oltre, nonostante la volontà di tutti di voltare definitivamente pagina, il timore che quella stirpe maledetta possa tornare sembra ancora più forte di qualsiasi rassicurazione...


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[1] Specie originale di TNCS. Il nome deriva da Hystricidae, la famiglia degli istrici nella classificazione scientifica.

[2] Drakuzan è presente anche in DS - 2 - L’isola bianca.

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Capitolo 2
*** 1. La prima evocazione ***


1. La prima evocazione

Data: 4120 d.s., prima deca[3]
Luogo: pianeta Marath, sistema Essud
 

Il possente grifone sbatté le grandi ali marroni e bianche, riprendendo quota dopo una breve planata. La fiera al suo fianco, un po’ più piccola, non si fece distaccare e acquisì velocità sfruttando le sue ampie membrane alari, di un viola scuro che si mescolava al nero del corpo. Entrambe le creature trasportavano due passeggeri, degli hystricidi a giudicare dai capelli simili ad aculei dei tre maschi.

«Maestro, manca molto?» gridò l’unica ragazzina per superare i fischi del vento. I suoi occhi dorati erano allegri e pieni di energia, e i vestiti che indossava – un cheongsam senza maniche e un paio di pantaloni – sembravano fatti apposta per offrirle la massima possibilità di movimento. Aveva un naso piccolo e carino, portava i capelli corti e i tratti del viso avevano una morbidezza ancora infantile.

«Siamo quasi arrivati, Nora, ancora un po’ di pazienza.» urlò in risposta l’uomo dal dorso del grifone. Era sulla trentina abbondante, aveva gli occhi grigi e tranquilli, e i capelli-aculei neri erano un po’ più chiari alla base. Le linee del viso erano semplici e levigate, perfettamente in accordo con la sua aria pacata e gentile che ispirava un’immediata simpatia.

Le parole dell’insegnante non bastarono per placare l’impazienza della ragazzina, in compenso accesero l’entusiasmo nel cuore dello studente seduto davanti a lei. I suoi occhi erano tinti di viola per via dell’evocazione attiva e su di essi c’era il suo simbolo caratteristico, aveva i capelli-aculei neri e un fisico mingherlino, inoltre portava una sciarpa grigio scuro, abbastanza leggera da poter essere indossata anche con quel tiepido clima primaverile.

Era la prima volta che svolgevano una missione lontano dal loro villaggio, quindi era molto emozionato. Gli sembrava una vita che aspettava quel momento, e il pensiero di averlo realizzato in quella classe molto particolare, lo rendeva ancora più fiero.

E pensare che all’inizio non riusciva nemmeno ad effettuare una semplicissima evocazione…

«Rex, tu non torni a casa?»

Il ragazzino, seduto sui gradini, si strinse nelle spalle. In quel momento sembrava piuttosto abbattuto, e non era difficile intuirne il motivo: tutti i suoi compagni se n’erano già andati con i loro genitori, era rimasto solo lui. «La mia mamma deve lavorare fino a tardi e quindi non può venire a prendermi.»

L’insegnante annuì. «Ho capito. Beh, allora resterò io qui con te.»

Il giovane non rispose.

Il maestro era un hystricide dai capelli-aculei castano chiaro e gli occhi verdi, era sempre allegro e gentile, ma quando ce n’era bisogno, sapeva come farsi rispettare dai suoi alunni. «Rex, se c’è qualcosa che non va, puoi parlarne con me.»

Il ragazzino rimase in silenzio per alcuni lunghi secondi. «Perché non riesco ad evocare nessun famiglio?»

L’istruttore si prese qualche istante prima di rispondere. Quella scuola serviva per insegnare ai giovani evocatori del villaggio come sfruttare il loro potere, alcuni però ci mettevano più tempo di altri per riuscire ad eseguire con successo il primo rituale. «Magari non è ancora il momento, può capitare che gli animali non rispondano subito… Se vuoi, possiamo provare un po’ insieme.»

Una scintilla si accese negli occhi nerissimi di Rex. «Sì!»

Corse al centro del cortile per cominciare a provare, ma il suo entusiasmo durò poco. «È inutile, non ci riesco…»

«Cerca di sentire il verso che hai dentro.» gli suggerì il maestro «Ogni clan ha il suo, devi solo riuscire a comprenderlo. Essere un evocatore vuol dire capire gli animali che evochi e riuscire a pensare come loro.»

Rex chiuse gli occhi e scavò dentro il suo animo alla ricerca di quel verso che ancora non era riuscito a percepire. Non aveva idea di cosa cercare, sua madre non era un’evocatrice e di suo padre non sapeva nulla, poi però d’un tratto gli parve di avvertire qualcosa. Era una specie di lamento, ma anche un ruggito e un latrato. Era un verso ansante e bramoso che non riusciva ad interpretare.

Un’aura viola si sollevò dal suo corpo e l’istruttore si fece ancora più attento. Finalmente ci stava riuscendo! Presto anche Rex avrebbe evocato il suo primo famiglio! A dirla tutta era anche curioso di capire che animale fosse. A giudicare dall’energia sprigionata dal ragazzino, di sicuro era qualcosa di molto potente.

Dischiuse le palpebre e i suoi occhi neri si accesero di una tenue luce viola. «Evocazione!»

Un cerchio luminoso si aprì immediatamente davanti a Rex: era un portale dai contorni violacei e da esso usciva un’aria calda che sapeva vagamente di bruciato e di zolfo, come se provenisse da una zona vulcanica. Finalmente stava evocando il suo primo animale!

Una sagoma attraversò il disco magico e il bagliore si spense, a quel punto i due hystricidi spalancarono gli occhi di fronte alla creatura appena comparsa: il corpo esile non raggiungeva i 30 centimetri di altezza, il muso affilato aveva una bocca colma di dentini aguzzi, e quando sbatté le ali da pipistrello, riuscì a sollevarsi da terra per circa un metro prima di ricadere.

Rex si voltò verso l’istruttore, svelando così il simbolo nero che era comparso nei suoi occhi viola. «Maestro… che animale è…?»

L’uomo sembrava come paralizzato e nella sua mente continuava a rimbombare un nome: Shitsunen, il clan dell’Oblio. Solo i membri di quella famiglia erano in grado di eseguire quel tipo di evocazione.

Prese un profondo respiro. «Rex… quello è un demone…»

***

L’uomo incaricato di dirigere la scuola era un vecchio hystricide basso e minuto, i suoi corti capelli-aculei bianchi avevano ormai perso la loro rigidità, inoltre era un accanito fumatore e non si separava mai dalla sua pipa. Sebbene avesse un’aria calma e innocua, la sua carica metteva una certa soggezione in un bambino, e quegli occhietti circondati di rughe non sembravano far presagire nulla di buono.

Era stato l’insegnante a portare Rex nello studio del dirigente e gli aveva spiegato che, ora che aveva eseguito la sua prima evocazione, dovevano decidere in che classe metterlo. Il ragazzino all’inizio era rimasto un po’ stupido, lui era già in una classe di evocatori, tuttavia non era riuscito ad ottenere maggiori chiarimenti e aveva deciso di restarsene buono in attesa. I suoi capelli-aculei erano più ritti del solito a causa del nervosismo, inoltre gli occhi non avevano perso la colorazione viola e in essi si vedeva ancora il suo simbolo personale. Il demone che aveva evocato era lì con lui, accucciato di fianco alla sedia, e di tanto in tanto si stiracchiava o spalancava la bocca irta di denti in un annoiato sbadiglio.

Nessuno osava proferire parola.

Dal corridoio arrivò un concitato rumore di passi e la porta si spalancò di colpo. «Rex!»

«Mamma!»

Il ragazzino saltò giù dalla sedia e corse verso la donna, i capelli-aculei resi più morbidi dal senso di sicurezza che lei riusciva ad infondergli. Si trattava di un’hystricide bionda e abbastanza giovane e, a giudicare dalla sua aria trafelata, doveva essersi precipitata lì in tutta fretta. Sotto gli occhi verdi aveva dei vistosi segni scuri, i suoi vestiti erano sobri e un po’ consumati, le mani invece erano tutte sciupate.

Il piccolo demone si avvicinò e la scrutò con occhi curiosi. Chi era quella persona che stava abbracciando il suo evocatore?

«La ringrazio per essere venuta qui con così poco preavviso, signora Kioku.»

La donna lasciò il ragazzino e rivolse la sua attenzione al direttore della scuola. «Cos’è successo?»

I suoi occhi verdi incrociarono per un attimo quelli viola del demone, ma subito distolse lo sguardo.

«Vieni Rex, lasciamoli parlare.» disse il maestro porgendo la mano al ragazzino.

Il piccolo hystricide la prese e insieme uscirono dalla stanza, naturalmente seguiti a ruota dal piccolo famiglio.

«Non mi piacciono i giri di parole, quindi glielo spiegherò in maniera diretta.» affermò il vecchio tenendo in mano la sua pipa «Nella mia lunga esperienza ho conosciuto un solo clan in grado di evocare i demoni, e credo siano in pochi quelli che, come me, non associano tale clan solo a fatti estremamente negativi. Ammesso che ce l’abbia, non sono interessato alla sua spiegazione in merito all’abilità di suo figlio; al momento la mia principale preoccupazione è come evitare che tale abilità gli crei dei problemi. È brutto da dire, ma se mettessimo suo figlio in una classe normale, sarebbe sicuramente visto in maniera negativa, quindi ho deciso di trasferirlo nella classe speciale del maestro Sehvenn. È un ottimo insegnante e sono sicuro che riuscirà ad esaltare le qualità di suo figlio. E vedrà che, col tempo, anche gli altri capiranno che il suo potere non ha niente di diverso dai nostri.»

La madre di Rex rimase in silenzio. Aveva lo sguardo basso e continuava a tormentarsi le mani.

«Lei è d’accordo?»

Nonostante la sollecitazione, la donna ci mise un po’ per rispondere. Non voleva che suo figlio fosse considerato diverso, ma il dirigente aveva innegabilmente ragione. «Sì, sono d’accordo con lei.»

L’anziano hystricide annuì. «In tal caso già da domani suo figlio si unirà classe del maestro Sehvenn. La ringrazio per essere venuta, e anche per la sua collaborazione.»

La madre di Rex annuì e, dopo un rapido saluto, uscì dallo studio.

Subito il ragazzino le corse incontro. «Mamma, cos’ha detto il dirigente?»

Lei gli sorrise. «Ha detto che il tuo potere è molto raro e quindi ti inserirà in una classe speciale, sei contento?»

«Davvero? Sì! Quindi diventerò un evocatore?»

«Ma certo. Diventerai un bravissimo evocatore! Anzi no, diventerai il migliore di tutti!»

Magari non era ancora diventato il migliore, ma nei due anni abbondanti passati nella classe speciale, aveva imparato moltissimo. Grazie all’aiuto dei suoi famigli, era stato in grado di superare brillantemente tutti i test, tuttavia aveva anche capito che molti non vedevano di buon’occhio la sua abilità.

La missione che dovevano svolgere riguardava il furto di una pericolosa armédée[4], un’arma demoniaca, quindi si sentiva ancora più motivato per dimostrare che il potere dei demoni poteva essere usato per fare del bene.

«Ragazzi, siamo arrivati!» gridò l’insegnante «Quello è il villaggio!»

Rex guardò davanti a sé, scrutando con trepidazione il gruppo di edifici dalle forme variegate, quindi disse al suo demone di atterrare e la creatura alata cominciò a planare al fianco del grifone. Le due fiere si adagiarono dolcemente sulla strada che portava al borgo, e subito i tre alunni scesero per sgranchirsi un po’ le gambe, visibilmente eccitati. Finalmente la missione poteva cominciare!


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[3] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.

[4] Il termine deriva dalla fusione delle parole francesi “arme” (arma) e “possédée” (posseduta).

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Capitolo 3
*** 2. La classe speciale ***


2. La classe speciale

Per prima cosa, Sehvenn decise di andare a parlare con l’ufficiale di polizia del villaggio. Si trattava di un hystricide piuttosto giovane e possedeva solo dei blandi poteri magici, giusto quanto bastava per mantenere l’ordine in quel piccolo centro abitato. L’agente era già stato avvisato che sarebbero arrivati gli alunni di una classe speciale con il loro maestro, però non si aspettava che fossero così giovani. In ogni caso quei tre avevano di sicuro delle abilità molto superiori alle sue, quindi confidava che sarebbero riusciti a trovare il responsabile del furto in tempi ragionevoli.

«Venite, vi porto dove era custodita l’armédée.»

Il luogo in questione era un piccolo tempio posizionato vicino ad un ruscello cristallino, perfettamente in armonia con la natura, e i monaci che lo curavano condussero subito l’agente e i quattro forestieri al deposito dove fino a poco prima era conservata l’arma.

«La tenevamo su questo ripiano,» spiegò il paffuto hystricide indicando lo spazio vuoto su una mensola «era in una scatola su cui avevamo imposto dei sigilli magici per sopprimere l’aura del demone rinchiuso nella spada. Ecco, era una scatola uguale a questa. La prenda, anche se spero che non vi servirà. Ora vi prego di andare, dovete trovarla il prima possibile; tutto quello che possiamo fare io e i miei confratelli, è pregare affinché il ladro non la apra.»

«La troveremo, avete la mia parola.» garantì l’insegnante infilando la scatola d’emergenza nel suo zaino «Rex, chiedi a Riku se riesce a seguire l’odore del ladro.»

Il ragazzino non se lo fece ripetere e creò un portale da cui apparve il piccolo demone alato. Non si trattava di un famiglio particolarmente potente e ormai era abituato a farlo apparire, quindi i suoi occhi neri non cambiarono nemmeno colore. «Riku, ho bisogno che segui la traccia del ladro. Puoi farlo?»

L’animale sollevò il musetto e annusò l’aria con attenzione, quindi emise un versetto e si avviò verso l’uscita, deciso a far fare bella figura al suo evocatore.

Il monaco, fino a quel momento immobile, si accostò all’insegnante. Deglutì. «Emh… maestro Sehvenn… è quello che penso che sia?»

L’uomo sorrise e gli mise una mano sulla spalla. «Non per vantarmi, ma ho gli alunni migliori della loro generazione. Ora mi scuserà, ma abbiamo un’armédée da recuperare. Agente, noi cominceremmo la ricerca.»

«Oh, sì, certo! Se vi servisse qualcosa, non esitate a chiudere.»

«Dai, maestro!» esclamò Nora, che come al solito era piena di energie.

Sehvenn allungò il passo e si riunì al gruppo. Il fatto di essere il responsabile di una delle classi speciali era un grande onore e aveva i suoi vantaggi – ad esempio doveva occuparsi di un numero molto limitato di ragazzi – però era anche una grossa responsabilità perché, una volta diventati adulti, quegli studenti avrebbero giocato sicuramente un ruolo molto importante nella comunità.

«Maestro Sehvenn, quanto è potente l’armédée che è stato rubato?» domandò il terzo alunno. Aveva i capelli-aculei biondi ed era abbastanza alto, il suo fisico era quello atletico di chi fa attività fisica e ai polsi portava delle fascette nere. I tratti netti e precisi del volto suggerivano fosse un po’ più grande rispetto ai suoi compagni di classe, e i suoi occhi azzurro intenso rivelavano una sicurezza che sfiorava la supponenza.

«Piuttosto potente, Eden, ma credo che nemmeno i monaci sappiano quanto esattamente.»

«E i sigilli invece?»

«Se il ladro voleva tenere l’armédée per sé, molto probabilmente li avrà già forzati, però lo sai che mi piace essere ottimista.»

«Hai già un piano di riserva?»

«Certo, Eden. Questo perché essere ottimisti non vuol dire presentarsi alle verifiche studiando a metà.»

Il ragazzino infilò le mani in tasca con aria imbronciata. «Nella prossima andrò meglio.»

Rex, in testa al gruppo insieme a Nora e Riku, non poté non sentire il discorso e avvertì crescere dentro di sé un miscuglio di emozioni. Era impaziente di trovare il ladro, però era anche un po’ preoccupato dall’idea di doverlo affrontare: i suoi demoni erano forti, ma non voleva che si ferissero. E poi c’era anche un altro sentimento, più lieve, uno sgradevole fastidio dovuto all’atteggiamento del monaco nei confronti suoi e del suo famiglio. Ormai riusciva a non dargli troppo peso, e probabilmente questo lo doveva proprio ad Eden: in fondo era stato lui a dargli una mano quando si era trovato per la prima volta di fronte alla diffidenza della gente…

«Però non è giusto, l’avevo vista prima io!» sbuffò Nora gonfiando le guance con aria offesa.

«Non bastava vederla, bisognava anche prenderla.» ribatté Eden con aria saccente facendo ondeggiare la lanterna che aveva in mano.

Il maestro Sehvenn aveva nascosto l’oggetto nella foresta vicina al villaggio, quindi aveva dato loro il compito di dividersi e di trovarlo così che si allenassero a lavorare con i loro famigli. Il fatto di trasformare l’esercitazione in una sfida era stata una naturale conseguenza.

Per sua sfortuna, Rex era riuscito ad individuare il lume solo quando i suoi due compagni stavano già lottando per ottenerlo, e alla fine Eden era riuscito ad avere la meglio anche su di lui. Del resto il biondo aveva un anno in più, quindi era normale che i suoi poteri fossero più sviluppati, viceversa Nora aveva un anno in meno di Rex, ma compensava col fatto di essere un’evocatrice da più tempo.

Finalmente raggiunsero il punto d’incontro prestabilito, ma con loro grande sorpresa scoprirono che c’era già un gruppo composto da una quindicina di ragazzini: un’altra classe probabilmente che si era radunata proprio in quel luogo per ricevere le ultime indicazioni prima della loro prova.

Il maestro Sehvenn aveva stabilito che potevano usare soltanto un famiglio e che non potevano rilasciare l’evocazione fino a quando non fossero tornati da lui, quindi gli altri alunni rimasero a bocca aperta nel vedere le creature dei tre: Nora era accompagnata da un muscoloso babbuino dal manto rosso porpora, tanto agile quanto forte; Eden aveva evocato un grifone dal muso di felino con delle ali più piccole della media che gli impedivano di volare – cosa comunque difficile dato che si trovavano in una foresta – ma dotato di micidiali artigli; Rex invece aveva deciso di richiamare un demone simile ad una tigre dai denti a sciabola nera con delle leggere striature viola, un famiglio molto orgoglioso con cui voleva entrare meglio in sintonia.

Se i primi due suscitarono subito una grande ammirazione nei membri dell’altra classe, così non fu per il demone. I giovani cominciarono a parlottare fra loro, creando un fastidioso brusio mescolato a sguardi preoccupati e diffidenti indirizzati al famiglio e al suo evocatore.

«Scusate, ci piacerebbe fermarci, ma domani devo essere interrogato e Rex ha promesso di aiutarmi a studiare.» affermò Eden con la sua consolidata sicurezza «Potrete ammirarci la prossima volta.»

All’inizio il ragazzino non capì, Sehvenn non aveva detto di voler interrogare il biondo, poi realizzò che era solo una scusa per attirare su di sé l’attenzione e toglierla da Rex e dalla sua tigre. Il fatto di aver detto che lui lo avrebbe aiutato a studiare invece serviva solo a fargli fare bella figura e metterlo sotto una buona luce.

«Grazie, Eden.» esalò a mezza voce.

«È a questo che servono gli amici. E fregatene di quello che pensano gli altri, tanto mica possono darti un voto.»

La battuta del ragazzo gli aveva strappato un sorriso, e qualche volta se la ripeteva ancora – soprattutto quando era preoccupato – per ritrovare sicurezza.

«Dai, Riku, fiuta!» lo incoraggiò Nora vedendo che il demone si era fermato ad aspettare il suo evocatore.

«Ehi, guarda che non è mica un cane!» sbottò Rex. E poi aggiunse al suo famiglio: «Fagli vedere di cosa sei capace!»

La creatura alata fece uno dei suoi versetti e ricominciò a seguire la pista con il massimo impegno. Era incredibile come riuscisse ad individuare le tracce anche a qualche giorno di distanza, e questa sua abilità si era rivelata utile anche per superare alcuni test decisi da Sehvenn.

Andarono avanti così per un bel pezzo, sempre percorrendo il sentiero che dal tempio si inoltrava nella vicina foresta; avevano salito un ripido passaggio che si inerpicava su per una parete rocciosa e ora potevano osservare dall’alto il tranquillo villaggio, più piccolo del loro ma non per questo meno vivace.

Il fuorilegge poteva essere già lontano ormai, ma quello era l’unico modo che avevano per sperare di ritrovare lui e l’armédée.

All’improvviso il famiglio di Rex si immobilizzò e fece scattare gli occhietti vispi da una parte all’altra, guardingo.

«Ha trovato il ladro?» chiese Nora, impaziente e sempre pronta all’azione.

«Riku, cosa succede?» gli domandò l’evocatore.

Il piccolo demone lanciò alcuni versetti e poi ricominciò a seguire la pista.

«Ha detto che siamo vicini.» riferì il moro.

«Quindi cerchiamo di non fare rumore.» affermò Sehvenn prima che a Nora venissero strane idee.

La tensione divenne ben presto palpabile: la ragazzina faticava a reprimere l’eccitazione e Rex sentiva un brivido lungo la colonna vertebrale. Ma come faceva la sua amica ad essere così impaziente?! Dopotutto stavano inseguendo un ladro, non era proprio come durante le esercitazioni di classe.

Un grido improvviso fece sobbalzare il ragazzino, Riku si precipitò verso il suo evocatore e Nora cacciò un urlo acuto. Alla fine anche lei aveva un po’ di paura.

Rex si portò una mano alla sciarpa. Deglutì. «C… Cos’è stato?»

«Mi sa che abbiamo trovato il ladro.» affermò Eden.

«O magari è lui che ha trovato noi.» ribatté Sehvenn, molto più serio e concentrato del solito.

Si udì uno schianto secco, come di qualcosa che colpiva un tronco, seguito da uno scricchiolio di legno. Uno colpo roboante fece tremare il terreno, e con esso i due ragazzini più giovani.

L’insegnante e i suoi alunni si voltarono all’unisono in direzione del rumore e ben presto individuarono i rami ancora ondeggianti di un albero caduto. Una sagoma aggirò il tronco appena tagliato, seminascosta dalla penombra: era indubbiamente una persona e avanzava stringendo qualcosa nella mano destra. Un luccichio verde si riflesse verso di loro. Impossibile sbagliarsi: era l’hystricide che aveva rubato l’armédée, e la cosa peggiore era che in mano stringeva proprio l’arma demoniaca. Il ladro attraversò una macchia di luce, rivelando un’espressione contorta e uno sguardo iniettato di follia che non lasciavano dubbi su chi fosse ad avere il controllo.

Riku si sporse da dietro la gamba del suo evocatore, terrorizzato.

«Beh, trovarlo l’abbiamo trovato.» commentò Eden cercando di ostentare sicurezza «Ora viene la parte interessante.»

Nora sorrise e i suoi occhi dorati si accesero di rosso. «Lasciatelo a me.»


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Capitolo 4
*** 3. Sei in arresto! ***


3. Sei in arresto!

Nora spalancò le mani davanti a sé e in un istante si aprirono due portali dai contorni rossi da cui spirò un’aria calda e umida, dall’odore fruttato come quello di una foresta pluviale. Dal primo cerchio saltò fuori il babbuino con la pelliccia color porpora, dall’altro invece emerse un primate molto più grosso: un massiccio gorilla che in piedi avrebbe superato i due metri abbondanti. Le sue braccia imponenti erano ricoperte da un magnifico manto dorato e il muso severo era reso più minaccioso dal pelo rosso vivo che spiccava sotto gli occhi.

«E ora fermati, sei in arresto!» ordinò la ragazzina.

Ma le parole servivano a poco con un posseduto, infatti l’uomo si gettò subito all’attacco urlando e mulinando l’armédée. Le due scimmie non si fecero intimorire e si divisero: il babbuino saltò come una molla su albero mentre il gorilla avanzò, deciso a far valere tutto il suo fisico. L’hystricide sollevò la spada per colpire il nemico più grosso, ma subito la scimmia rossa si avventò su di lui, afferrandogli le mani nel tentativo di disarmarlo. Il posseduto riuscì a resistere, gridò e si dimenò fino a liberarsi del babbuino, a quel punto intervenne il gorilla che lo sollevò di peso e lo gettò a terra qualche metro più in là. L’uomo grugnì di dolore – il colpo era stato violento, ma non così tanto da causargli ferite gravi – e si rialzò: di certo all’armédée non importava se quel ladro provava dolore, lei voleva solo mangiare altra energia attraverso le ferite che poteva infliggere.

L’hystricide tornò alla carica, più feroce e determinato di prima. Schivò un attacco del babbuino e cercò di colpirlo, ma la scimmia saltò via e intervenne il gorilla. Lo spadaccino arretrò di un passo, due, poi scattò in un fendente: la lama dell’armédée raggiunse un braccio del primate e la pelliccia dorata si tinse di sangue, ma non si trattava di una ferita grave.

«Nora, devi stare attenta a quella spada.» si raccomandò Sehvenn.

«Lo so, maestro, ma tanto vinceremo lo stesso.»

Il ladro caricò di nuovo, instancabile, menando fendenti a tutta velocità. Le due scimmie si divisero ancora: il gorilla mantenne la posizione frontale mentre il babbuino aggirava l’avversario, cercando di prenderlo alle spalle. La strategia sembrò funzionare, ma durò poco: lo spadaccino schivò con una torsione l’imboscata dall’alto e colpì il babbuino, ferendolo seriamente al petto. La scimmia cadde a terra con un grido e indietreggiò barcollando sulle zampe posteriori, al che il posseduto la inseguì per darle il colpo di grazia. Il babbuino scoprì le zanne in un inutile gesto di minaccia, la lama si sollevò, ma il pugno del gorilla colse di sorpresa l’hystricide, spazzandolo via.

«Rafasa, tutto bene?»

La scimmia si diede una vigorosa scrollata e poi batté un pugno sul petto facendo un verso d’assenso.

I due famigli si riunirono per iniziare un nuovo round contro il posseduto, ma questa volta il ladro non li aggredì con furia cieca come in precedenza: si era rialzato e la lama dell’armédée si era accesa di una tetra luce verde; in particolare le rune, che prima erano appena visibili sul metallo lucido, ora stavano brillando minacciose, così come gli occhi del teschietto di rapace che pendeva dal pomo dell’arma.

L’hystricide sollevò il capo e i tre giovani evocatori non poterono non notare il cambiamento nei suoi occhi, ora completamente verdi, dalle sclere alle cornee: era cieco di follia. Con uno scatto fulmineo piombò all’attacco, scatenando una pioggia di fendenti che costrinse le due scimmie sulla difensiva. I famigli di Nora non riuscivano nemmeno a muoversi come volevano perché il loro aggressore tagliava loro ogni via di fuga, muovendosi a velocità impressionante grazie ai poteri dell’armédée.

Il babbuino e il gorilla lanciarono dei versi di rabbia e dolore ogni volta che la lama li colpiva, squarciando la pelle e risucchiando quantità sempre maggiori di energia. E più la spada si nutriva, più diventava forte: presto non sarebbero più stati in grado di fermare il posseduto.

Nora, che in quanto evocatrice aveva il compito di supportare i suoi famigli assicurando loro energia e fiducia, ora era preoccupata e smarrita: non voleva che le sue scimmie soffrissero, ma non aveva idea di come aiutarle. E la sua incertezza si rifletteva nelle difficoltà dei suoi animali.

Un grido più forte la fece sussultare. L’armédée era affondata nella spalla del gorilla, proprio in corrispondenza del cuore, e le rune verdi si erano illuminate ancora di più, crudeli e voraci. Il babbuino intervenne in aiuto del suo compagno, costringendo il posseduto ad indietreggiare, ma ormai il danno era fatto: il possente gorilla vacillò, cercando di restare in piedi usando anche le mani, tuttavia la ferita infertagli e i tentennamenti della sua evocatrice non gli avrebbero permesso di continuare lo scontro.

Approfittando della situazione, il ladro tornò all’attacco, deciso a togliere di mezzo anche la scimmia più piccola. Il babbuino evitò il primo fendente alla testa e il secondo ad un braccio, poi un’ombra lo sovrastò e un possente grifone si avventò sull’hystricide, gettandolo a terra. Le sue piume erano più spesse e robuste del normale, e le zampe forti lo rendevano un avversario temibile per chiunque.

«Tranquilla, ora ci pensiamo noi.» affermò Eden.

Il suo famiglio spalancò il becco aguzzo in un verso di minaccia, ma ormai lo spadaccino aveva superato il momento di incertezza dovuto all’attacco a sorpresa ed era pronto a combattere.

Mentre il fuorilegge tornava alla carica, anche Rex capì di dover fare la sua parte. Voleva proteggere a tutti i costi i suoi amici, ma doveva scegliere con attenzione il famiglio da schierare: Riku ovviamente non andava bene, e anche la tigre avrebbe avuto problemi contro quella spada posseduta, quindi il cerchio si restringeva.

Portò le mani davanti a sé. «Ariete!»

Il portale si aprì, grande e dal tipico odore di bruciato e zolfo, seguito da un rumore di passi pesanti che aleggiò cupo nella foresta. Per prima apparve una mano, enorme e corazzata, poi il braccio, e a seguire la testa. Sembrava coperta da un elmo cornuto, e più che un volto, dava l’idea di essere un massiccio muso caprino. Anche il resto del corpo era incredibilmente muscoloso, le braccia erano spropositatamente grandi, mentre le gambe sembravano troppo corte e terminavano con dei grossi zoccoli. Aveva perfino una coda tozza che probabilmente gli serviva per mantenere l’equilibrio. Ma la cosa più sorprendente di quel demone era che tutto il suo corpo sembrava fatto di lava parzialmente solidificata, con tanto di venature luminose e bollenti. Quando ruggì, dalla sua bocca caprina uscirono degli schizzi che, più che saliva, sembravano le fiammelle di una fornace.

Ariete era grosso tanto quanto il gorilla di Nora, inoltre la sua pelle corazzata lo avrebbe protetto dai temibili fendenti dell’armédée. Quello era senza dubbio il famiglio ideale per combattere contro lo spadaccino posseduto.

Il ladro intanto era riuscito a tenere testa al grifone di Eden e al babbuino di Nora, i quali, dopo un rapido scambio di colpi, arretrarono per mettersi al fianco del nuovo alleato. Tutti quanti aspettavano la mossa del posseduto, in particolare Ariete era pronto ad afferrarlo per permettere agli altri famigli di sferrare un attacco, e invece l’hystricide non si mosse. Rimase immobile per alcuni interminabili secondi, come perso ad osservare il demone evocato da Rex, poi fece qualcosa che nessuno si aspettava: arretrò di un passo e sollevò la mano sinistra per indicarlo, intimorito e quasi spaventato.

I suoi occhi persero per un attimo la luce verde e rivelarono due iridi nocciola, colme di paura. «Shi…tsu… Shi… Shi…tsu…nen…»

Non ci voleva un grande intuito per capire che l’hystricide aveva riconosciuto in Rex l’inconfondibile potere del clan Shitsunen, il clan dell’Oblio che tutti avevano imparato a temere e odiare. Perfino una persona vittima di possessione non poteva esimersi dal provare un brivido di paura.

Ma il timore non durò a lungo, perché l’armédée approfittò del primo istante di tentennamento del ladro per riprendere il controllo, cancellando di nuovo iridi e pupille. Lo spadaccino si gettò all’attacco con rinnovata ferocia, abbattendo la sua arma sul corpo corazzato di Ariete nel vano tentativo di scalfirlo. Il demone allungò le mani enormi per cercare di afferrarlo, ma riuscì solo a prendere la giacca vecchia e logora dell’uomo. Il fuorilegge si divincolò, cercò di fargli mollare la presa o di sfilarsi l’indumento, ma un repentino attacco del grifone lo costrinse a tagliare il tessuto per riuscire a gettarsi a terra per tempo. Rotolò su un fianco, schivò una mano di Ariete e respinse l’altra con un calcio, poi scattò in piedi e con la spada ferì il babbuino tornato alla carica.

Nonostante la superiorità numerica, i tre famigli non riuscivano ad avere la meglio.

Il posseduto tornò all’attacco, instancabile, costringendo Ariete sulla difensiva e bloccando qualsiasi attacco degli altri due animali. Riuscì anche a causare un taglio superficiale sull’ala del grifone.

Sehvenn, che inizialmente voleva lasciare campo libero ai suoi alunni, capì di dover intervenire: il gorilla di Nora era ormai fuori gioco, Ariete era troppo lento per riuscire a bloccare il posseduto, e gli altri due famigli erano troppo vulnerabili ai fendenti dell’armédée; doveva fare qualcosa per aiutarli.

Il ladro aveva appena respinto con un calcio il nuovo attacco della scimmia, quando un essere lo prese alle spalle, attraversando il suo corpo con un brivido gelido. Si trattava di uno spettro diafano e impalpabile, e non era solo: altri tre suoi simili si avventarono sull’hystricide, indebolendolo a vista d’occhio semplicemente passandogli attraverso.

Lo spirito del demone nell’armédée, confuso e indebolito, non riuscì a mantenere il controllo, e la sua aura verde si dissolse. Il fuorilegge, una volta libero, capì subito di essere in pericolo, e il suo primo pensiero fu quello di scappare. Si mise a correre per la foresta, più veloce che poteva, sperando di mettere più strada possibile tra lui e quegli evocatori. Aveva percorso poco più di venti metri, quando l’armédée cominciò nuovamente a premere sulla sua mente, riuscendo senza troppe difficoltà a riprendere il controllo. Ma non tornò indietro: anche l’arma posseduta aveva capito che quei nemici erano pericolosi, e preferì allontanarsi. C’era qualcos’altro che la attirava, qualcosa che aveva risvegliato la sua fame di energia già da prima di incontrare gli evocatori. Lo scontro di prima era stato solo una distrazione dettata dal suo istinto bellicoso.

Nel frattempo Rex, dopo aver percepito l’aura demoniaca che tornava a manifestarsi, si voltò verso Sehvenn: «Maestro, cosa facciamo?»

«Per il momento lasciamolo andare, ci penserà Riku a ritrovarlo.»

Il piccolo demone, che aveva assistito allo scontro al sicuro alle spalle del suo evocatore, lanciò uno sguardo al suo padrone, ma gli occhi di Rex erano rivolti verso Nora. La ragazzina era in ginocchio di fianco al suo gorilla, la cui ferita al petto continuava a sanguinare.

«Come sta?» le chiese Eden.

«Fa male, ma non è niente.» rispose l’evocatrice cercando di ostentare sicurezza. Non era preoccupata, quelle che richiamava erano pur sempre scimmie immortali, però il dolore del suo famiglio era comunque molto intenso. Rilasciò l’evocazione in modo che il primate avesse modo di riposarsi e riprendersi, poi fece lo stesso anche con il babbuino. Le ferite di quest’ultimo erano meno gravi, ma anche lui aveva bisogno di recuperare le forze.

«Qual è il piano?» domandò il biondo.

Sehvenn si passò un palmo sui capelli-aculei e poi mise le mani sui fianchi. «Riposiamoci, i vostri famigli hanno bisogno di recuperare le forze. Da quella parte non ci sono zone abitate vicine, quindi il posseduto non dovrebbe incontrare nessuno. Nel frattempo pensiamo ad una strategia per sconfiggerlo.»

I tre alunni annuirono convinti. Nonostante tutto, volevano portare a termine la missione: il nemico era forte, ma non si sarebbero arresi di fronte alle prime avversità.

Anche l’insegnante era deciso a non abbandonare l’incarico, tuttavia non voleva correre rischi eccessivi per dei ragazzi così giovani: recuperare l’armédée era senza dubbio molto importante, ma la sua prima responsabilità era garantire la sicurezza dei suoi alunni.


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Capitolo 5
*** 4. Ambizione crescente ***


4. Ambizione crescente

Il posseduto continuò a camminare per la foresta, l’armédée serrata fra le dita della mano. La luce verde nei suoi occhi si era spenta, ma questo non aveva affievolito il controllo che l’arma aveva su di lui.

Quello che i monaci non avevano detto – e che probabilmente nemmeno sapevano – era che quella non era solo una spada demoniaca, ma bensì una Spada Infame di Gendarmeria[5], un’armédée di altissimo livello che solo i combattenti più forti e determinati erano in grado di brandire. Forgiate appositamente per l’élite della sanguinaria gendarmeria dell’impero di Haili-Nor, non c’era voluto molto perché si guadagnassero il loro poco nobile soprannome, e, dopo la caduta dell’impero, quasi tutte erano state fatte sparire, diventando armi molto ambite nei mercati neri di mezzo universo, dove non sempre gli acquirenti erano consapevoli del tipo di armédée per cui andavano a spendere cospicue somme di denaro.

Passando di mano in mano, di battaglia il battaglia, diverse Spade Infami di Gendarmeria erano finite su pianeti non spaziali, dove gli indigeni – inconsapevoli della minaccia a cui andavano incontro – finivano presto col soccombere alla brama insaziabile delle armédée, trasformandosi in meri burattini al servizio delle lame che brandivano.

Ora il ladro si stava dirigendo verso una delle zone più fitte ed impervie della selva, là dove era difficile anche solo passare attraverso l’intricato groviglio di rami e cespugli. Nessun hystricide vi si avventurava da anni, forse da decenni, e gli animali selvatici avevano preso pieno possesso della zona: un ulteriore motivo per le persone normali a stare alla larga. Ma tutto questo alla Spada non importava, lei aveva avvertito una fonte di energia in quella direzione, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ottenerla.

Lo scontro con gli evocatori era stato solo un contrattempo, ora niente avrebbe potuto distrarla dal suo vero obiettivo.

Presto la sua fame di energia sarebbe stata soddisfatta.

***

Sehvenn e i suoi alunni avevano ripreso l’inseguimento, e Riku li stava guidando lungo il sentiero aperto dal posseduto fra la vegetazione sempre più fitta. La pausa era servita per recuperare le forze ed elaborare una strategia, quindi ora si sentivano molto più sicuri.

In particolare Eden, essendo più grande dei suoi due compagni, cercava di dimostrarsi fiducioso e determinato, in modo da essere il punto di riferimento per Rex e Nora. Sapeva di essere un po’ presuntuoso, però preferiva mantenere quella sua aria da figo pieno di sé, piuttosto che ammettere le proprie incertezze e le proprie paure: era la sua strategia per riuscire a superarle, ed era fiero di farcela senza l’aiuto di nessuno.

Del resto, pur vivendo in una famiglia benestante che poteva permettersi dei domestici, spesso era da solo e sentiva un po’ la mancanza dei genitori: suo padre era quasi sempre occupato con incarichi ufficiali o faccende politiche, mentre sua madre era poco più di un ricordo sfocato, una voce dolce persa nella sua memoria. Era morta, o meglio era stata uccisa, quando era molto piccolo, quindi l’immagine che si creava quando pensava a lei era quella incorniciata di una foto, sorridente ma lontana, impalpabile. Era successo tutto in una notte: la Guerra delle Cinque Nazioni stava ormai finendo, stavano vincendo, ma un demone del clan Shitsunen si era infiltrato in casa loro e le aveva azzannato la gola, lasciandola agonizzante nel letto prima di essere ucciso. E pensare che non era nemmeno un’evocatrice.

Quando aveva saputo che Rex era un evocatore di demoni, aveva sentito riaprirsi quella ferita mai sanata, eppure non lo odiava. In un primo momento la cosa lo aveva stupito, poi però si era detto che sarebbe stato stupido prendersela con lui per qualcosa che i suoi parenti avevano fatto. Parenti che tra l’altro lui non aveva mai nemmeno conosciuto.

Si aggiustò la fascetta che portava al polso sinistro, un gesto che ripeteva tutte le volte che si preparava ad una battaglia seria. Pur essendo l’erede di un clan molto prestigioso, non aveva alcun interesse alla politica, anzi il suo sogno era quello di andare per mare, viaggiare e vivere avventure con una ciurma fortissima. Non poteva mica farsi spaventare dal primo posseduto che incontrava!

D’un tratto Riku si immobilizzò e sollevò il capo, guardandosi intorno circospetto.

«L’hai trovato?» gli chiese Rex, già pronto ad evocare Ariete: questa volta non si sarebbe fatto cogliere di sorpresa dal nemico.

Il rumore di un ramo spezzato li mise in arresta, seguito da fruscio di foglie smosse. C’era qualcuno – o qualcosa – vicino a loro, e con ogni probabilità li stava osservando. Ma dov’era?

Ci fu un nuovo scroscio di cespugli, ormai vicinissimo, al che Riku diede prova del suo immenso coraggio correndo a nascondersi dietro il suo evocatore.

Rex, che lo conosceva bene, non ci fece caso e rimase concentrato. I suoi occhi si illuminarono di viola, pronto ad evocare un altro demone.

Per alcuni secondi regnò un irreale silenzio, poi una sagoma emerse dalla vegetazione. Si trattava di un animale simile ad un grosso cinghiale, aveva il pelo ispido, scuro e maculato, e dalla bocca uscivano due zanne lunghe e minacciose. L’animale fece un basso grugnito d’avvertimento e grattò il terreno con uno zoccolo, deciso a non farli passare.

«Maestro, facciamo il giro?» propose Rex, preoccupato che quell’animale di almeno ottanta chili potesse caricarli.

Nora spirò dal naso con aria di superiorità. «Lasciate che me ne occupi io!»

Con un gesto della mano aprì un portale e da questo uscì il suo fidato babbuino rosso porpora. Il gorilla sarebbe stato fuori gioco ancora per un po’, lui invece era già pronto a combattere e subito scoprì le zanne in segno di minaccia, facendo qualche breve saltello laterale per intimorire l’avversario. Il cinghiale, che probabilmente voleva difendere il suo territorio, non si fece intimorire, lanciò un verso acuto e caricò con tutto il suo peso. Un simile animale avrebbe potuto spazzare via la maggior parte degli avversari senza alcuna difficoltà, ma il famiglio di Nora non andava sottovalutato: con un balzo si avventò sul cinghiale e lo prese per le zanne, tirandolo indietro fino a farlo impennare. Il malcapitato gridò e si dibatté, ma la presa del primate era ferrea e con uno strattone spedì il cinghiale contro un albero. L’animale, confuso e spaventato, corse via grugnendo, sparendo fra i cespugli così com’era comparso.

«Così impari!» esclamò Nora gonfiando il petto, subito imitata dal suo famiglio. Quella era solo una piccola vittoria, ma le diede comunque coraggio in attesa della rivincita con il posseduto.

«E menomale che ami gli animali.» commentò Eden.

«Ma non gli ha fatto tanto male!» si difese la ragazzina, un po’ presa in contropiede. La sua passione per gli esseri viventi era innegabile, però il suo temperamento acceso spesso la induceva ad agire prima di pensare.

Rilasciò l’evocazione del babbuino e si rimise in marcia con il resto del gruppo guidato da Riku.

Un suo grande desiderio era quello di diventare veterinaria, tuttavia era consapevole che per riuscirci avrebbe dovuto studiare moltissimo, quindi spesso diceva che si sarebbe unita all’esercito o alla polizia come molti dei membri del suo clan. Del resto anche il suo cognome era molto rinomato, anche di più di quello di Eden, e questo perché le scimmie immortali dei Ruuh erano senza dubbio tra le creature più potenti al mondo. Non a caso tra gli evocatori più importanti della Storia c’era anche Gohan Ruuh, il nonno di Nora, uno dei pochi in grado di tener testa da solo a Drakuzan Shitsunen, l’ultimo leader del clan dell’Oblio, o a Branko Prazgodovina, che, prima di far perdere le proprie tracce, si era guadagnato il soprannome di Evocatore Ancestrale per via della sua capacità di richiamare animali estinti.

Ovviamente Nora non voleva essere da meno, e anche lei desiderava raggiungere la fama di suo nonno, o magari addirittura superarlo. Di certo le potenzialità e l’ambizione non le mancavano, però come le diceva sempre Gohan: “Non si diventa i migliori in un giorno. Devi allenarti sempre con impegno e costanza, all’inizio non vedrai nessun risultato, ma dopo un po’ non crederai a quanto sei migliorata”.

Più o meno la stessa cosa valeva per il loro inseguimento: per quanto camminassero, sembrava che il posseduto riuscisse sempre a tenerli a distanza, poi all’improvviso la vegetazione si aprì, rivelando un lungo squarcio nella terra affiancato da alcune zone dove il terreno era franato. In effetti in quella zona c’era stato un terremoto di bassa entità di recente, ma la cosa non era insolita e quindi nessuno ci aveva dato troppo peso.

Riku si avvicinò di qualche altro passo alla frattura e la indicò facendo alcuni versetti.

«Dice che il posseduto è là sotto.»

«E cosa c’è andato a fare là sotto?!» esclamò Nora.

Non ci fu il tempo per trovare una risposta: qualcosa avvenne nelle profondità dello squarcio e una vibrazione magica si propagò in ogni direzione, talmente intensa da far tentennare i quattro hystricidi.

La ragazzina, che dopo Riku era la più preoccupata, si voltò verso l’insegnante. «Maestro… cos’era…?»

Sehvenn non riuscì a rispondere. Poteva fare delle ipotesi, ma in realtà non aveva idea di cosa fosse successo nelle profondità del terreno. E questo lo turbava non poco.

«Si avvicina.» affermò Eden. I suoi occhi si accesero di una luce dorata e in un attimo evocò una coppia di grifoni. L’aria uscita dai portali era fredda e frizzante, limpida come quella che si poteva trovare in alta montagna.

Anche Rex e Nora non furono da meno e richiamarono Ariete e il babbuino.

Qualcosa sfrecciò fuori dalla spaccatura, veloce come una saetta verde, atterrando di fronte a loro con la forza di una meteora. Era il ladro, su questo non c’erano dubbi, eppure era diverso: ora l’aura verde avvolgeva completamente sia lui che l’armédée, e quasi riuscivano a percepire quello che era stato il demone prima di venire sigillato nella spada.

Il primo a capire le ragioni di quella trasformazione fu Sehvenn: nella mano sinistra del fuorilegge c’era qualcosa, sembrava una roccia, ma non era una semplice roccia. Bastava uno sguardo per intuire la straordinaria quantità di energia magica che conteneva, talmente grande da essere difficile da quantificare anche per qualcuno con la sua esperienza.

Di fronte ad un simile potere, perfino famigli coraggiosi come quelli richiamati dai tre alunni fecero qualche passo indietro, spaventati come mai prima di allora.

L’insegnante evocò i suoi spettri, ma non era sicuro di quanto sarebbero riusciti a fare. Non aveva mai visto una cosa del genere, ne aveva solo sentito parlare in racconti che profumavano di leggenda, eppure, ora che ce l’aveva davanti, non riusciva ad azzardare altre ipotesi se non quella: una pietra arcana.


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[5] Altre Spade Infami di Gendarmeria sono presenti nella saga Delta Survivors e in Armi contro il passato.

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Capitolo 6
*** 5. Pietra arcana ***


5. Pietra arcana

Si racconta che l’origine delle pietre arcane risalga a prima della nascita dell’universo, ad un tempo sconosciuto dove le leggi della fisica e della magia si confondevano, e dove la materia e l’energia non erano distinguibili.

Secondo altre storie le pietre arcane sono state create in un’epoca antichissima da alchimisti di cui si è persa memoria, temprate con tecniche segrete che nessuno sarebbe più stato in grado di replicare.

Ci sono poi leggende che sostengono che le pietre arcane non sono sempre esistite, né sono state create da mano senziente, ma semplicemente si sono formate naturalmente attraverso processi simili a quelli che portano alla comparsa delle gemme preziose. Tra queste leggende, le più famose sostengono che la comparsa delle pietre arcane risale al momento esatto della rinascita dell’universo, quando tutta la materia e l’energia viene condensata in un solo punto prima di esplodere in un nuovo inizio, diffondendo per tutte le galassie questi frammenti di potere grezzo e concentrato. Le pietre più grandi sarebbero quindi le responsabili della comparsa della magia su alcuni pianeti, mentre le più piccole andrebbero ad alimentare i sogni di tutti quelli che sperano un giorno di conquistare incredibili poteri.

Una cosa è certa: chi ha la fortuna di trovare una pietra arcana, difficilmente se ne separerà.

***

«Avanti, dobbiamo riuscire a fermarlo!» esclamò Eden.

I suoi due grifoni lanciarono dei versi acuti, da rapace, e partirono alla carica.

«No, è troppo forte per voi!» gridò Sehvenn, ma era già troppo tardi.

Il posseduto sollevò la spada e scatenò un fendente a mezz’aria. La lama intrisa di energia creò un’onda verde scintillante che divampò verso i nemici, squarciando il loro robusto piumaggio e penetrando la carne per diversi centimetri prima di esaurire il suo potere.

Eden avvertì subito il dolore dei suoi famigli e si portò una mano al petto, come se anche lui fosse stato ferito. Se prima sarebbe stato difficile sconfiggere il ladro e l’armédée, ora sembrava praticamente impossibile.

«Lasciate fare a me!» ordinò l’insegnante, serio come mai lo avevano visto prima.

Un intero squadrone di spettri si materializzò dal nulla e si avventò sul nemico da ogni direzione per impedirgli di difendersi. I primi famigli riuscirono ad attraversare il suo corpo e a rubargli un po’ di energia, fiaccando leggermente la sua determinazione, ma per quanto colpissero, il posseduto – o meglio la pietra arcana – non esauriva mai i suoi poteri.

Il fuorilegge gridò e un’esplosione di energia verde spazzò via gli spettri, cancellandoli dalla foresta come se non fossero mai esistiti. Non era da tutti riuscire ad annullare forzatamente l’evocazione di qualcuno del calibro di Sehvenn.

«Maestro, cosa facciamo?!» esclamò Nora, visibilmente spaventata. Ormai aveva perso tutta la sua spavalderia e sembrava sul punto di mettersi a piangere: lei e i suoi compagni di classe non erano pronti ad affrontare un nemico tanto potente.

«Andatevene, subito!» ordinò l’insegnante «Ci penserò io a trattenerlo!»

Ma l’armédée non era dello stesso avviso. Ruggì attraverso il ladro e scatenò la sua furia su tutti i presenti, scaraventandoli contro la vegetazione grazie ad una tremenda onda d’urto.

I quattro hystricidi caddero a terra e i famigli rimasti si dissolsero. Anche loro non potevano fare nulla contro qualcuno in possesso di una pietra arcana.

Rex, che era caduto addosso ad un grosso cespuglio, cercò di tirarsi su, ma le sue gambe erano piene di graffi e faticò a soffocare un grido. Eden era andato a sbattere contro il tronco di un albero e non riusciva a capire se fosse in grado di rialzarsi, Sehvenn era stato colpito in pieno dall’attacco del nemico e faticava a riconoscerlo da tanto era stravolto, Nora invece era ormai scoppiata in lacrime e niente pareva in grado di consolarla. Si sentiva spacciato, debole e inutile. Cosa poteva fare contro un nemico tanto potente? Stava per perdere la speranza quando vide Sehvenn che, con un enorme sforzo di volontà, si rimetteva in piedi.

L’insegnante strinse i denti e piantò i suoi occhi grigi sul posseduto. Già se avesse saputo che l’armédée era tanto potente, ci avrebbe pensato due volte prima di intraprendere la missione insieme ai suoi alunni, per di più il demone nella spada era riuscito ad impossessarsi di una pietra arcana. Era qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere, ma lui doveva essere pronto anche all’imponderabile se voleva essere in grado di proteggere la sua classe in quel mondo pieno di magia e misteri.

Facendo appello a tutta la forza che gli era rimasta, richiamò un nuovo spettro, questa volta però non lo mandò contro il nemico. Si focalizzò sul legame che c’era tra lui e il famiglio, cercando quel punto di connessione che gli avrebbe permesso di attivare la tecnica. Un bagliore magico li avvolse e nel giro di un istante i due corpi si unirono in uno solo, restituendo al mondo un Sehvenn dai capelli chiarissimi, di un bianco tendente all’azzurro.

L’insegnante partì all’attacco, il posseduto provò a colpirlo con un fendente, ma l’altro vi passò attraverso, proprio come uno spettro intangibile. Riuscì a tirare un pugno al ladro e questi vacillò, visibilmente sorpreso. Sehvenn attaccò ancora, senza sosta, e ad ogni colpo, riusciva a rubare un po’ dell’energia del nemico.

La fusione non era una tecnica propria degli evocatori, tuttavia era stata sviluppata e migliorata nel tempo per permettere di unire il proprio corpo a quello di un famiglio, ottenendo così le sue abilità e riuscendo ad aumentare notevolmente le proprie capacità combattive.

Grazie a questo espediente riuscì a far arretrare il posseduto, ma per quanto attaccasse, non sarebbe mai riuscito a sopprimere tutta la straripante energia della pietra arcana. Quello a cui puntava veramente era tenerlo occupato abbastanza a lungo da permettere ai suoi alunni di fuggire.

Per un attimo il pensiero dei tre ragazzini gli fece abbassare la guardia e tanto bastò al nemico per scatenare una controffensiva: dal suo corpo pervaso di magia divampò una tremenda onda d’urto che spazzò via Sehvenn, scaraventandolo all’indietro con forza perfino superiore a quella che l’aveva colpito in precedenza. La fusione si annullò e lo spettro si dissolse, lasciando l’insegnante a terra, inerme. Aveva fatto tutto il possibile, eppure non era ancora sufficiente. Non sapeva più cosa inventarsi…

Eden, consapevole del pericolo a cui stavano andando incontro, provò ad evocare uno dei suoi grifoni, ma la sua vista era offuscata e traballante: sentiva di poter perdere i sensi da un momento all’altro, ciononostante non si voleva arrendere. Con un enorme sforzo si mise in piedi e aprì un portale. L’aria tersa che uscì dall’anello dorato gli riempì i polmoni, fresca e leggera, preparandolo a fare la sua mossa; Sehvenn gli aveva spiegato i rudimenti della fusione solo da un paio di mesi, ma questo non era un problema: gli avrebbe dimostrato che, quando voleva, anche lui studiava.

Il suo corpo e quello del grifone si illuminarono e in un lampo si unirono, tramutandosi in uno solo come accaduto per l’insegnante e il suo spettro. Ancora avvolto dal bagliore, si lanciò all’attacco, rapidissimo: il posseduto sbarrò gli occhi e un violento pugno gli centrò la mandibola, scaraventandolo all’indietro. Il corpo di Eden ora era rivestito da un robusto piumaggio e tutti i suoi muscoli avevano acquisito maggiore volume. Il grifone che aveva scelto era quello con le ali più piccole e gli artigli più sviluppati, inoltre durante la fusione aveva ottenuto anche una maggiore forza per le braccia.

«Rex! Nora! Trovate subito un famiglio che possa sistemare questo qui!»

Il ladro scatenò un fendente, ma il biondo lo schivò con un balzo ferino.

«Svelti!»

Per quanto odiasse ammetterlo, era sicuro di non avere chance contro quell’avversario, ma forse poteva guadagnare abbastanza tempo per permettere ai suoi compagni di trovare una creatura adatta a fronteggiarlo. Ammesso che esistesse un animale del genere…

Eden scattò fulmineo e di nuovo riuscì a colpire il ladro, strappandogli un grido.

L’urlo, più di rabbia che di dolore, servì a ridestare Rex. Il suo compagno aveva ragione, non doveva arrendersi! Si voltò di lato e l’immagine di Nora in lacrime riempì tutto il suo campo visivo. Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa! Lui era l’ultimo discendente del clan Shitsunen, che da solo aveva mosso guerra alle cinque Grandi Nazioni; era pronto a sopportare il peso dell’odio della gente e i loro sguardi diffidenti, ma in cambio voleva il potere dei suoi antenati per essere in grado di aiutare i suoi amici. La sua eredità poteva essere un dono o un fardello, si era sempre sforzato di vederla come un dono, adesso però era giunto il momento di capire se era davvero così.

I suoi occhi si illuminarono di viola e dentro di sé cercò un verso che potesse aiutarlo. Riuscì a sentirne qualcuno, ma erano tutti troppo flebili, incerti e lontani. Non voleva un demone da mandare allo sbaraglio nella speranza di guadagnare tempo, ne voleva uno che fosse in grado di fermare il posseduto. Sapeva bene di cosa erano stati capaci i membri del suo clan, quindi era convinto che ce ne fosse almeno uno. Ma doveva sbrigarsi: Eden stava facendo del suo meglio, tuttavia non poteva resistere ancora a lungo.

“Vi prego, aiutatemi a salvarli…”

Una voce. Non riusciva a capire cosa dicesse, ma era sicuro che non si trattasse di un verso: era proprio la voce di una persona. Ma com’era possibile? No, non aveva tempo per farsi domande, doveva evocare quel demone!

Creò il portale e una sagoma emerse dall’anello violaceo. Come ogni volta che evocava un nuovo famiglio, non aveva idea dell’aspetto che avrebbe avuto, questa volta però rimase ancora più stupito del solito. La creatura aveva delle gambe toniche, con la pelle viola e liscia, ma soprattutto indossava dei pantaloni corti in pelle nera che mettevano in risalto il sedere sodo e da cui uscivano due code flessuose e sensuali. Si sforzò di sollevare lo sguardo e colse una giacca senza maniche anch’esso di pelle nera, poi una massa di capelli porpora e un paio di corna aguzze e levigate, ma non riuscì a scorgere il viso perché il demone – o meglio la demone – era di spalle. Anche se non riusciva a vederla bene, gli venne da pensare che era bellissima.

Il posseduto esplose un ruggito selvaggio e con un colpo devastante spazzò via Eden, squarciando allo stesso tempo una mezza dozzina di alberi. La fusione si sciolse e il grifone, malconcio quanto il suo evocatore, svanì.

Sistemato il ragazzino, il ladro si volto senza paura verso il nuovo nemico. Scoprì i denti in un ringhio animalesco, la demone però non si fece intimorire e qualcosa si accese nei suoi occhi lilla. Un brivido attraversò il corpo dell’uomo, propagandosi gelido fino all’armédée: lo spirito rinchiuso nell’arma venne invaso da un sentimento sconosciuto, assoluto e inevitabile che lo spingeva a fuggire, rinchiudendosi in se stesso per non farsi vedere mai più: paura. Il suo controllo sul fuorilegge vacillò e nel giro di pochi secondi svanì del tutto.

Consapevole della forza dell’avversario, il nuovo famiglio di Rex non aveva nemmeno provato a combattere, ma aveva sfruttato le sue abilità psichiche per indurre l’altro a ritirarsi.

L’armédée cadde a terra, ormai inerte, e l’hystricide tornò lentamente consapevole di se stesso. Cercò di mettere a fuoco la situazione, e la prima cosa di cui si accorse fu la pietra che stringeva nella mano sinistra. Sprigionava un potere incredibile, ma non ebbe modo di contemplarla ulteriormente perché un rumore di passi lo indusse a sollevare lo sguardo.

Un pugno lo centrò in pieno sulla mandibola e la sua mente già confusa venne sovrastata, al punto che crollò a terra come un frutto maturo. La presa sulla pietra arcana si annullò e quella scivolò a terra, rotolando inerte come un semplice sasso.

La demone si aggiustò i capelli e osservò il ladro con muto disprezzo.

«Grazie, ci hai salvato la vita.»

Lei si voltò e i suoi occhi dalle sclere nere trafissero quelli del suo evocatore. Nonostante quello sguardo truce, Rex continuò a pensare che fosse incredibilmente bella.

La demone fece un passo verso di lui, poi un altro, senza dire nulla. Quando gli fu davanti, il ragazzino non poté fare a meno di arrossire a causa di quel seno pieno abbinato alla profonda scollatura.

Il ceffone lo colse completamente di sorpresa, talmente forte che la guancia parve infiammarsi e per poco non cadde a terra.

Arrancò di un paio di passi, gli occhi sbarrati, incapace di dare voce alla sua incredulità. Perché l’aveva colpito…?


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Capitolo 7
*** 6. Dinastia infame ***


6. Dinastia infame

Il dolore alla guancia destra era acuto e pulsante, probabilmente anche per l’incredulità che lo accompagnava. Anche sua madre gli aveva tirato qualche schiaffo in passato – quale bambino non combina almeno una marachella di tanto in tanto? – però non ne aveva mai ricevuto uno così forte. E poi perché quella demone l’aveva colpito? D’accordo, forse non era stato molto elegante fissarle la scollatura, però in quel caso la reazione sarebbe stata un tantino eccessiva.

Sentì qualcosa di caldo scorrere sulla pelle ancora dolorante, ma era abbastanza sicuro che non fossero lacrime. Si toccò con una mano e la vide macchiarsi di sangue: non solo il colpo era stato violento, ma gli artigli di lei gli avevano lacerato la pelle, aprendo tre tagli netti e piuttosto profondi.

Guardò la demone per chiedere la ragione di quel gesto, ma gli occhi lilla di lei erano increduli e spaventati, come se avesse appena visto un fantasma. Rex non fece in tempo ad aprire bocca per dirle che stava bene, che la demone rilasciò da sé la propria evocazione e si dissolse.

Il ragazzino rimase imbambolato a fissare il vuoto, incapace di elaborare una reazione a quanto appena successo: aveva appena evocato una demone molto bella che sembrava più una persona che un animale, questa demone era stata in grado di sconfiggere in un attimo un posseduto che aveva steso facilmente Sehvenn, poi lei lo aveva colpito e per finire aveva annullato di sua iniziativa il legame che l’aveva fatta comparire. Di questi quattro eventi, nessuno era coerente con quanto aveva imparato.

«Rex… stai bene?»

La voce del suo insegnante lo riscosse e si voltò. «Sì, sto bene, non è niente.»

Sehvenn si sforzò di tirarsi su e con passo incerto si avvicinò al ladro. Avrebbe voluto dare un’occhiata ai tagli del ragazzino e sincerarsi delle condizioni di Eden e Nora, ma prima doveva mettere al sicuro la pietra arcana. Non poteva rischiare che il fuorilegge rinvenisse e se ne impossessasse di nuovo, e lo stesso valeva per l’armédée.

Per prima avvolse la pietra nella sua giacca in modo da essere sicuro di non toccarla – in realtà non pensava di correre dei rischi in caso di un contatto diretto, ma dopo quanto successo, non aveva nessuna intenzione di mettere alla prova la sorte – dopodiché, sempre stando molto attento a non toccarla direttamente, ripose l’armédée nella scatola coi sigilli che il monaco gli aveva consegnato.

Una volta sistemate le due minacce, utilizzò le sue ultime gocce di energia per evocare uno spettro che sorvegliasse il ladro, a quel punto andò a sincerarsi delle condizioni dei suoi alunni. Per fortuna nessuno di loro era ferito gravemente e dopo un quarto d’ora di riposo furono in grado di rimettersi in marcia per tornare al piccolo villaggio.

Il ladro venne consegnato all’ufficiale di polizia affinché scontasse la sua pena, l’armédée venne restituita al tempio insieme alle raccomandazioni per metterla più al sicuro, per quanto riguarda la pietra arcana invece Sehvenn preferì non rivelare niente a nessuno e la portò con sé lungo il viaggio di ritorno fino a scuola.

L’insegnante si raccomandò ancora una volta con i suoi alunni di mantenere il segreto, quindi li salutò e osservò mentre si allontanavano verso casa. Non appena li ebbe persi di vista, rientrò nell’edificio scolastico e si diresse senza indugio verso l’ufficio del dirigente.

«Hai fatto bene a non dire niente a nessuno, le pietre arcane sono troppo potenti, non è bene che si sappia che c’è n’è una in circolazione.» affermò l’anziano hystricide mentre la osservava. All’apparenza sembrava un comunissimo sasso, forse appena più lucido e spigoloso, ma bastava un minimo di sensibilità magica per accorgersi della differenza. «La metterò in un posto sicuro, dove nessuno potrà trovarla.»

Sehvenn annuì, ma per quanto fosse curioso, non chiese quale fosse quel posto: meno persone sapevano, e meglio era.

«Bene, se non le dispiace, tornerei a casa; ci penserò domani a scrivere il resoconto della missione.»

«D’accordo, te lo concedo. Arrivederci, Hayato.»

L’insegnante non nascose il proprio sbadiglio. «Arrivederci.»

***

Rex camminava tranquillo per la strada che percorreva quasi ogni giorno tra scuola e casa, ormai poteva dire di conoscerla a memoria e le vetrine dei negozietti non avevano quasi più segreti.

Non ci faceva più caso, però il fatto di poter tornare da solo lo faceva sentire molto fiero. Prima, quando ancora faceva parte di una classe normale, doveva aspettare fino a tardi che sua madre lo venisse a prendere, adesso invece il maestro Sehvenn lo faceva sempre tornare a casa per conto suo come Eden e Nora.

A proposito di sua madre: di sicuro gli avrebbe chiesto spiegazioni per i tre tagli che aveva sulla guancia, ma non sapeva ancora se dirgli la verità.

“Ho evocato una demone che sembrava una persona, mi ha tirato uno schiaffo e mi ha fatto questi con i suoi artigli.” Cavolo, era talmente assurdo che sembrava una bugia!

Ripensandoci, gli era già capitata una situazione simile, solo che quella volta era lui a voler sapere la verità da sua madre. Oltretutto l’atmosfera che lo aveva accolto al suo rientro a casa non era stata poi così diversa dal solito…

«Ciao mamma!» esclamò il ragazzino mentre richiudeva la porta alle sue spalle.

«Ciao Rex! Sbrigati, la cena è pronta!»

«Arrivo!»

Il giovane si cambiò velocemente, si lavò le mani e poi andò in cucina. Si sedette a tavola e fece comparire Riku, che subito si guardò intorno e raggiunse la sua ciotola.

Sua madre versò a tutti e tre il pasticcio di patate e poi si sedette con loro. Il piccolo demone mangiava praticamente tutto quello che mangiavano loro, quindi la donna aveva preso l’abitudine a riempire un po’ di più la pentola per soddisfare anche lo stomaco della creatura.

«Allora Rex, com’è andata oggi?»

«Mmh, al solito…» Mosse il cucchiaio all’interno del piatto, smuovendo la sostanza gialla e disomogenea all’interno. Gli era sempre piaciuto il pasticcio di patate, ma in quel momento non si sentiva molto affamato.

«Qualcosa non va?»

Lui sollevò lo sguardo dal cibo, concentrandolo negli occhi verdi della donna. «Mamma, chi è mio padre?»

Aveva perso il conto delle volte che aveva fatto quella domanda, e tutte le volte aveva ricevuto una risposta vaga o una scusa per cambiare discorso. Ma questa volta era deciso a farsi dire la verità.

Riscontrando una certa titubanza da parte della madre, decise di insistere: «Ho undici anni ormai, non sono più un bambino… Mamma, lo voglio sapere!»

La donna prese un profondo respiro. «D’accordo, hai ragione.» Osservò il pasticcio di patate nel suo piatto. Anche lei non aveva più molta fame. «Io… ecco… non lo so il suo nome… Quando è successo… io…» Le parole non volevano uscire, ma non poteva negare a suo figlio la verità. «Io… ero ubriaca… Già, ubriaca fradicia… Non ricordo nemmeno bene quello che è successo, so solo che era un evocatore… un evocatore potente… un evocatore di demoni.» Guardò suo figlio negli occhi, ma il suo sguardo era offuscato da un alone di muta colpevolezza. «Immagino l’avrai capito, comunque era uno del clan Shitsunen… Io, ecco…»

La frase venne lasciata a metà, e Rex non riuscì a rompere quel silenzio. Non sapeva cosa dire. Ormai era praticamente certo di essere un discendente del clan dell’Oblio, però non credeva… non credeva che suo padre fosse un perfetto sconosciuto.

Si sentiva confuso. Finalmente sapeva la verità, però non era una delle verità che si era immaginato, e quindi non sapeva nemmeno come sentirsi. Arrabbiato? O magari triste? No, non provava niente. Suo padre era un perfetto sconosciuto, anzi no: era uno sconosciuto del clan più disprezzato della Storia. Eppure non gli importava.

«Rex, io… Mi dispiace, non volevo…» Si sforzò di trovare le parole giuste: «Ecco, non volevo che pensassi che… insomma… che non ti volevo… Lo sai che ti voglio bene…» I suoi occhi si fecero lucidi e la sua voce divenne ancora più incerta: «A quel tempo non avevo niente… Non avevo voglia di fare niente… E bevevo… Poi però sono rimasta incinta di te e… ed è cambiato tutto.» Gli sorrise. Un sorriso che sapeva essere bello e luminoso nonostante le lacrime che le rigavano le guance. «Ho capito quello che volevo… ed è quello che voglio anche adesso: io voglio che tu sia felice, Rex. Quando sei nato… è stato il momento più bello della mia vita.» Si accorse di stare ridendo e piangendo allo stesso tempo, e questo la fece sorridere ancora di più. «Rex, tu sei tutto per me, sei mio figlio e… e la mia forza… Farei qualsiasi cosa per te.»

Entrambi si alzarono e si abbracciarono.

«Ti voglio bene, Rex.»

Il ragazzino, anche lui con gli occhi lucidi, si strinse ancora di più a lei. «Anch’io ti voglio bene, mamma.»

A quel punto anche Riku svolazzò verso di loro e abbracciò la donna.

«Anche lui ti vuole bene.» commentò Rex, divertito dallo slancio di emotività del demone.

Lei sorrise e accarezzò il muso della creatura, quindi si asciugò le lacrime prima di guardare negli occhi il figlio. «Rex, a volte mi fai arrabbiare, ma lo so che sei un bravo ragazzo. Ti sei sempre comportato bene e voglio che tu continui a farlo, però devi capire che, anche se farai il bravo, la gente potrebbe guardarti male. Non per colpa tua, ma solo perché sei un evocatore di demoni. Ma tu non devi odiarli per questo, hai capito? Non devi combattere l’odio con altro odio.»

Rex annuì e Riku, appollaiato sulla spalla, fece altrettanto.

«Promettimelo.»

«Te lo prometto.»

La donna lo abbracciò stretto. «Lo so che in certo momenti sarà difficile, ma tu dovrai essere forte. Io ti voglio bene, e te ne vorrò sempre. Sono fiera di essere tua madre, e sono felice che tu sia mio figlio.»

Il ragazzino si strinse a lei. «Anche io sono felice di essere tuo figlio.»

Era stato in quel momento che aveva capito che in realtà non gli importava più di tanto sapere chi fosse suo padre o da dove venisse il suo potere. Non gli importava di essere l’ultimo discendente del clan più temuto della Storia e non gli importava di essere considerato l’Erede degli Oblio.

Aprì la porta di casa e si tolse le scarpe.

«Ciao mamma!»

La voce della donna lo raggiunse dalla cucina: «Ciao Rex! Lavati le mani che è quasi pronto!»

«Ok, arrivo subito.»

Magari adesso la gente aveva paura dei suoi famigli, ma era convinto che, un giorno, anche lui avrebbe potuto camminare tranquillamente in compagnia di Riku senza suscitare la diffidenza di nessuno. A conti fatti era questo il suo più grande desiderio.


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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

Un vulcano eruttò in lontananza, sparando verso l’alto una fontana di lava accompagnata da lapilli e da una nuvola di cenere che andò ad intasare ulteriormente il cielo già scuro di pulviscolo. In quel territorio il sole era un alone chiaro nel cielo grigio, quindi l’illuminazione era garantita per buona parte dai fiumi di lava che scorrevano dai crateri, andando a creare dei veri e propri laghi incandescenti dove solo pochissimi demoni erano in grado di sopravvivere.

Un simile ambiente aveva ben poco da invidiare alla classica rappresentazione dell’inferno, ma per Quimera corrispondeva al nome di “casa”. Era nata e cresciuta tra eruzioni e terremoti, perfino l’edificio in cui viveva era stato costruito con vari tipi di pietre vulcaniche.

Quando era una bambina, i suoi genitori le avevano fatto visitare diverse volte Marath, un mondo strettamente connesso al suo e popolato da una specie animale evoluta in grado di produrre innumerevoli strumenti utili. Crescendo, le avevano insegnato la tecnica per creare lei stessa dei portali, tuttavia, dopo la loro morte, aveva smesso di visitare Marath, chiudendosi in se stessa e smettendo di cercare altre persone.

Poi però lui l’aveva evocata, e tutto era cambiato. All’inizio Drakuzan le faceva paura – non credeva che qualcuno sarebbe stato in grado di richiamarla – poi però aveva imparato a conoscerlo meglio e se n’era innamorata perdutamente. Avrebbe voluto stare con lui per sempre; perfino quando era scoppiata la guerra, non aveva voluto saperne di abbandonarlo.

Ricordare quel conflitto le strappò come sempre un sorriso amarissimo: le genti di Marath avevano dato inizio a quella faida contro il clan Shitsunen accusandoli di essere degli “evocatori di demoni”, e questo senza nemmeno accorgersi che tutti i famigli di qualsiasi clan altro non erano che demoni a loro volta, solo con un aspetto più simile a quello delle creature del loro mondo.

Un sospiro afflitto uscì dalle sue labbra.

Dei colpi la distolsero dai suoi pensieri e i suoi occhi lilla si tinsero di meraviglia: qualcuno aveva bussato?

Lasciò l’apertura nel muro che doveva fungere da finestra e raggiunse la tenda che aveva messo davanti all’entrata per non far entrare i demoni più piccoli. La scostò e con suo grande stupore trovò due persone, un ragazzo e una ragazza, entrambi sulla ventina. La femmina aveva un corpo viola che pareva liquido, tuttavia nessuno dei due era un demone.

«Chi siete? Come avete fatto ad arrivare qui?»

«Io sono Trickster, lei invece è Yanvyra[6].» rispose il giovane. Portava delle cuffie per la musica intorno al collo, ma la padrona di casa – originaria di un mondo piuttosto arretrato – non aveva modo di sapere cosa fossero. «Facciamo parte dell’organizzazione Delta. Tu devi essere Quimera, giusto?»

All’inizio la demone non capì, poi riconobbe i ciondoli a forma di triangolo dei due, e di colpo ricordò. «Voi siete già venuti…» esalò puntandoli con un artiglio «volevate reclutare me e Drakuzan…» Scosse il capo. «Mi spiace, siete arrivati tardi. Drakuzan… Drakuzan è morto anni fa.»

«Purtroppo ho saputo, ma non siamo qui per Drakuzan. Vorremmo che tu insegnassi a Rex Kioku come sfruttare i suoi poteri, sei certamente la persona più adatta. So che non è una scelta facile, anche noi abbiamo perso i nostri compagni e posso immaginare quello che provi, però pensaci, ok?»

«Il nostro obiettivo è quello di ricreare Delta, ma per farlo avremo bisogno di nuovi membri, e Rex è uno dei candidati.» aggiunse Yanvyra.

Quimera appoggiò un pugno sul muro e guardò altrove. «Venite qua, all’improvviso, e mi chiedete di aiutarvi… Voi cos’avete fatto per aiutarci quando ne avevamo bisogno?!» Il grido della demone si perse per le lande scure e i fiumi di lava.

«È proprio per aiutare la gente, che vogliamo ricreare Delta.» le spiegò la ragazza in tono gentile. «Sappiamo di non poter aiutare tutti, ma questo non vuol dire rinunciare e non aiutare nessuno. Credimi, anche noi vorremmo poter cambiare il passato, ma questo è impossibile. Possiamo solo impegnarci per il futuro.»

Quimera serrò i pugni e non rispose.

«Ti lasciamo questo, nel caso volessi contattarci.» affermò l’uomo appoggiando su una pietra un ciondolo identico a quello che aveva al collo.

I due si congedarono e si allontanarono di qualche passo dalla casa, prima di svanire in un fascio di luce.

Rimasta sola, la demone richiuse con uno strattone il telo. Dopo la morte del suo amato, aveva vissuto un periodo di dolore straziante e aveva immaginato i modi più crudeli per vendicarsi, ma poi il peso della solitudine aveva schiacciato ogni cosa.

Perché doveva aiutare quei tizi? Come potevano anche solo pensare che, dopo tutto quello che aveva patito, avesse ancora voglia di dare una mano al prossimo?!

Uscì di casa, assaporando l’aria calda e dall’odore familiare.

Ripensò al momento in cui era stata evocata, e un misto di emozioni si risvegliò dentro di lei: in passato avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sterminare tutti gli hystricidi, eppure tornare su Marath l’aveva resa felice. Non riusciva a crederci, però era così. Quel ragazzino aveva sì riacceso il dolore sopito, però allo stesso tempo l’aveva risvegliata dall’apatia, restituendole quella vitalità che credeva di aver perduto insieme al suo amato. In lui aveva rivisto suo figlio, e l’istinto le aveva detto di aiutarlo.

Si voltò, osservando il ciondolo argentato lasciato sulla roccia.

Una volta aveva sentito la voce di Drakuzan che la chiamava, però era come se non fosse davvero lui, quindi non aveva avuto la forza emotiva per rispondere e aveva respinto l’evocazione. Ogni volta che ci pensava, aveva la terribile sensazione di aver commesso il più grave errore della sua vita; era un sentimento orribile e, pur di non alimentarlo ulteriormente, aveva permesso a Rex di evocarla.

Strinse i pugni. Non voleva aiutare quelli di Delta e non voleva rivedere quel ragazzino. Almeno non subito. Doveva riflettere, schiarirsi le idee e meditare con calma sul suo futuro.

Drakuzan non era il mostro che tutti si immaginavano, non era un guerrafondaio sanguinario, al contrario il suo sogno era di fondare una gilda per aiutare le persone. Proprio come Delta.

Si chinò e raccolse il pendente.

Anche in punto di morte, il suo amato aveva messo gli altri davanti a sé, dando la vita per salvarla. Forse tenere vivi i suoi ideali sarebbe stato il modo migliore per onorare la sua memoria…

***

L’inverno aveva ormai preso il pieno controllo del clima, stendendo un’inusuale coperta bianca anche in quella zona solitamente temperata.

Incurante del freddo, l’uomo continuò a recitare la litania di parole arcane, leggendo senza esitazione le rune scritte sul vecchio tomo. Il cerchio alchemico che aveva tracciato si risvegliò, illuminando con un bagliore azzurrino la carcassa nel suo centro. Lampi di magia crepitarono tutto intorno dall’amuleto che aveva al collo.

La voce del mago si innalzò, più forte e sicura: ci stava riuscendo!

L’incantesimo raggiunse l’apice e la voce si arrestò, le reazioni magiche si attivarono in rapidissima successione, risucchiando energia dal pendente, e il corpo dell’animale sfavillò di luce azzurra, quasi accecante.

Quando il bagliore si attenuò, l’uomo dischiuse le palpebre e finalmente osservò i frutti del suo incantesimo: l’amuleto era diventato inerte e opaco, in compenso la creatura si era rianimata e la carcassa, prima in composizione, ora aveva riacquisito la sua integrità.

Gli scappò un risolino stentato, poi una mezza risata, e alla fine tutta la sua gioia sfociò in un’esultanza dalle sfumature folli: ci era riuscito! Ci era riuscito davvero! Aveva speso anni, anni per trovare quel libro, ma ne era valsa la pena. Riportare in vita un animale era un traguardo straordinario, ma quello a cui puntava davvero era, ovviamente, resuscitare le persone.

Appoggiò su uno sgabello il prezioso tomo: le sue mani tremavano per l’eccitazione e non voleva rischiare che gli cadesse.

Era talmente felice che non sentiva più nemmeno il freddo nonostante i vestiti vecchi e logori. Ora il suo piano era realizzabile! Il progetto a cui lavorava da un decennio poteva dirsi fattibile! Mancavano ancora molti tasselli, doveva ammetterlo, eppure le sue guance erano rigate da lacrime di gioia.

Una persona priva di poteri come lui poteva fare ben poco, ma non appena fosse riuscito a resuscitare il suo clan, allora tutto sarebbe cambiato: questa volta sarebbe stato lui a muovere guerra contro le cinque Grandi Nazioni, e la sua vendetta sarebbe stata tremenda. Tutto l’odio accumulato negli anni sarebbe stato ripagato!

Lui, Damon Shitsunen, l’unico vero Erede degli Oblio, avrebbe mostrato al mondo intero la reale potenza degli evocatori di demoni. Gli servivano solo due cose: i cadaveri dei suoi parenti – che già sapeva dove erano stati sepolti – e poi una fonte di energia sufficiente per riportarli tutti in vita. Questo in effetti era un problema non irrilevante: gli serviva moltissimo potere magico per resuscitare un clan intero, non poteva utilizzare dei semplici catalizzatori. Aveva bisogno di qualcosa di straordinariamente potente, qualcosa come… una pietra arcana.


Note dell’autore

Drakuzan Shitsunen compare anche in DS - 2 - L’isola bianca.

Altre Spade Infami di Gendarmeria sono presenti in Armi contro il passato e nella saga Delta Survivors, dove compaiono anche Trickster e Yanvyra.

 

Sul mio sito potete trovare un disegno (fatto con la mia zampa di gallina) di Rex, ecco il link dell’articolo: http://tncs.altervista.org/articoli/disegno-rex/.

Scopri di più su L’Erede degli Oblio e tutte le altre saghe, visita tncs.altervista.org!


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[6] Trickster e Yanvyra sono presenti anche nella saga Delta Survivors.

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