Le sette fiamme di Tom Riddle

di EcateC
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mirtilla Malcontenta, ovvero l'Intelligenza ***
Capitolo 2: *** Druella Rosier, ovvero la Superbia ***
Capitolo 3: *** Helena Corvonero, ovvero la Vita ***
Capitolo 4: *** Hepzibah Smith, ovvero la Lussuria ***
Capitolo 5: *** Ginny Weasley, ovvero il Coraggio ***
Capitolo 6: *** Nagini, ovvero la Fiducia ***
Capitolo 7: *** Bellatrix Lestrange, la Preferita ***



Capitolo 1
*** Mirtilla Malcontenta, ovvero l'Intelligenza ***



Le sette fiamme di Tom Riddle




Myrtle Elizabeth Warren è stata probabilmente la strega più matura e intelligente che la Hogwarts degli anni passati avesse mai conosciuto.

Come ogni persona dalle eccellenti capacità intellettuali, era canzonata e fatta oggetto delle più numerose e banali prese in giro, ma come ogni persona d'intelletto, cercava di reagire con indifferenza, convinta che mostrarsi ferita sarebbe stato solo un mezzo per affilare le lame dei suoi stupidi carnefici.

Meglio piangere e soffrire in solitudine, lontana da occhietti indiscreti e cravattine verdi-argento. Non che ogni parola la ferisse, ormai i vari “Mirtilla”, “Mirtillo”, “Mirtilla che mangia i mirtilli” erano diventati di una banalità imbarazzante, tanto inflazionati da parere insignificanti. La studentessa arrivò perfino a chiedersi che cosa ci fosse di così divertente per continuare a ripeterli ogni giorno, ancora, dopo quasi sei anni.

Eppure Walburga Black, l'oca con la pelliccia firmata, sembrava non stancarsene mai. Anche Olive Hornby non scherzava, però quest'ultima puntava di più sull'argomento 'occhiali', come se l'astigmatismo fosse chissà quale fenomeno paranormale.

I Serpeverde, insomma, erano degli idioti.

Ma non degli idioti per modo di dire, erano proprio scemi... Dei mentecatti, per essere gentili.

Tra loro c'era chi aveva manie di grandezza, prendiamo ad esempio Cygnus Black e Abraxas Malfoy che, oltre a compiacersi del loro denaro e del loro nome, sapevano fare ben poco; c'era chi si sentiva una vera e propria regina mancata, come la bella Druella- non parlo con i mezzosangue- Rosier; c'era chi era semplicemente perfido, come Dolores Umbridge, e infine c'erano le vittime della situazione, come la timida Elieen Prince e Alphard Black, che si erano ritrovati in quel Casato tra capo e collo.

Esisteva solo un soggetto che Myrtle non riusciva proprio a comprendere, un ragazzo riservato e imperscrutabile che si faceva beffa di tutte le sue categorie mentali: Tom Riddle.

Quel sedicenne era una vera e propria sfida per la sua testa, perché era diverso da tutti gli altri, pur non facendo niente per sembrarlo. Manteneva un profilo basso, aveva modi garbati ma allo stesso tempo freddi e distaccati, come se fossero il frutto di un calcolo ben ponderato. Niente in lui era spontaneo, di questo Myrtle era sicura.

Ciò che però la lasciava più perplessa era il comportamento incomprensibile degli altri Serpeverde, che non solo lo trattavano come se fosse un Purosangue loro pari, ma lo stimavano pure, sempre alla ricerca del suo consenso come se fosse una sorta di maschio alfa.

Eppure Tom era un Mezzosangue esattamente come lei, ma nessuno pareva farci caso. Perfino l'estremismo di Walburga Black si quietava davanti a lui, anzi, spariva, dato che ne era- notoriamente accertato- innamorata cotta.

...Solo perché è bello, pensava Myrtle, sprezzante.

Come poi molte altre ochette, Walburga non era certo un caso isolato.

In effetti Tom era interessante, niente da dire. Diciamo pure bello, anzi bellissimo, di quelle bellezze diverse e non convenzionali, prive di occhi azzurri o muscoli scolpiti.

A Myrtle, però, Riddle non piaceva affatto. Tutto quello che poteva provare per lui era un senso di inquietudine misto a impotenza, nulla che si avvicinasse a sentimenti romantici.

O almeno questo si era sempre sforzata di pensare.

In realtà è difficile essere indifferenti a uno come Tom Riddle, perfino per una ragazza profonda come era lei. Perché oltre a questa bellezza magnetica, Tom aveva anche molto altro, era carismatico, brillante, molto più sveglio e maturo dei suoi coetanei, tutte qualità che cozzavano inesorabilmente con il suo status di ragazzo orfano e praticamente nullatenente.

Dove trovava tutta quella sicurezza in se stesso? Dove aveva imparato ad essere così garbato e signorile?

No, c'era qualcosa che non quadrava, e Myrtle sembrava l'unica persona della scuola ad essersene accorta. Giusto il professor Silente aveva mantenuto una certa obiettività nei suoi confronti, ma il resto del corpo insegnanti pareva abbagliato dalle sue mirabolanti capacità da studente modello.

Certo, Tom era bravo, ma lo era anche Myrtle. A dire il vero Hogwarts pullulava di ragazzi studiosi e ben educati, ma Tom era lodato e apprezzato come se fosse un caso più unico che raro, come se tutti sentissero la necessità di farselo amico, insegnanti compresi.

Perché lui aveva dei privilegi che a lei non erano riconosciuti? Perché lei non era invitata a quelle buffonate del LumaClub come lui?

No, non era giusto.

Insomma Riddle non le piaceva affatto, e Myrtle non faceva niente per nasconderglielo.

Anche quella sera di inizio novembre, quando lei era di ronda per i controlli che le erano stati assegnati in qualità di Prefetto, Tom si impicciò e le fece saltare i nervi, tanto per cambiare.

Myrtle infatti si stava trascinando per i corridoi del secondo piano con andatura annoiata e una torcia in mano, ignorando ben bene tutte le lamentele dei ritratti dormiglioni.

Quella sera era il turno dei Corvonero, e come sempre il suo compagno Prefetto aveva scaricato tutto il lavoro su di lei.

Non che fosse niente di troppo impegnativo, doveva solo accertarsi che tutti gli studenti -in particolar modo i primini, il cui entusiasmo di dormire fuori casa era pressoché incontenibile- fossero a letto o perlomeno chiusi in camera.

Myrtle quindi camminava lentamente, dietro di lei era tutto buio e non volava una mosca, tanto che quasi si convinse di tornare indietro.

A un certo punto, però, sentì uno strano rumore. Si fermò immediatamente e si guardò intorno per accertarsi che non fosse uno scherzo di qualche stupido bambino, ma intorno a lei non c'era proprio nessuno, era sola in mezzo al buio.

Avanzò lentamente, e il rumore si ripresentò. Sembrava un sibilo strascicato, appena udibile.

-C'è qualcuno?!- domandò a voce alta, spaventata -Guarda che se è uno scherzo non è affatto divertente, dopo riderò io quando finirai nell'ufficio del preside Dipett!-

Senza rendersene conto, aveva le mani che le tremavano.

Calma, Myrtle, è solo uno scherzo, sono quelli del primo anno che fanno gli stupidi, non c'è niente da temere, respira”

Infine un tonfo secco, proveniente da dentro le mura, la fece gridare di paura e cadere a terra per lo spavento. La torcia si ruppe rovinosamente in mille pezzi, tutto si fece buio e lei perse gli occhiali. Col cuore a mille e la pelle d'oca per il gelo del pavimento, Myrtle cominciò a cercare a tentoni la bacchetta o perlomeno gli occhiali, ma non sentiva altro che le fughe dei piastrelloni cementati e il pietrisco umido della roccia. Sarebbe probabilmente morta di infarto se non fosse spuntato lui, con la bacchetta illuminata da una parte e i suoi occhiali dall'altra.

-Hai perso qualcosa?- le domandò Tom Riddle serenamente, con un sorriso palesemente divertito. La luce della sua bacchetta gli illuminava parzialmente il volto e donava ai suoi occhi scuri un inquietante luccichio rosso, ma Myrtle non ci fece neanche caso

-TU!- gli puntò il dito contro, la voce più gracchiante del solito -Tu! Piccolo serpente che non sei altro! Dovevo aspettarmelo!-

Si alzò goffamente e gli strappò letteralmente gli occhiali di mano.

-Mio Dio, Riddle, ti diverti a spaventarmi!?-

Tom strinse le labbra per trattenere un sorriso colpevole.

-Andiamo, ti recupero da terra e questo è il ringraziamento?-

-Sei tu che mi hai fatto cadere- rimbeccò Myrtle, con le labbra arricciate dal nervosismo -Non sono stupida, tu giochi tanto a fare il perbenista e il santarellino, ma in realtà sei più subdolo di una sirena! Quei sibili...-

-Quali sibili, Myrtle?-

La ragazza si sentì arrossire.

-Ho sentito dei sibili nel muro...-

-Sibili nel muro? Ma davvero?- ridacchiò Tom con una dolcezza pungente, avanzando di qualche passo verso di lei -Sicura di stare bene?-

-Io sto meravigliosamente! Se c'è qualcuno che non è posto quello sei tu!-

-La vuoi smettere di attaccarmi?-

-NO!-

Il mago le fece un sorriso abbacinante e lei maledì se stessa e la sua ineluttabile prevedibilità. Tom le piaceva esattamente come piaceva a quelle stupidotte delle sue coetanee, non poteva farci niente.

-Sei molto più carina senza occhiali- asserì dolcemente, sfiorandole le guance bollenti con un dito -Dovresti indossarli meno spesso-

-Se anche fosse, non sono affari tuoi- gli rispose imbarazzata, arretrando di parecchi passi -Io amo i miei occhiali e continuerò a metterli anche da morta-

-Vedremo...-

-Ora se vuoi scusarmi, ho due piani interi da controllare-

-Dai, Myrtle, aspetta un momento-

Senza spiegarsi bene il motivo, la ragazza si fermò all'istante. Aveva la pelle d'oca e le guance roventi e, per quanto fosse impossibile, sentiva freddo e caldo insieme.

-Che cosa vuoi, Riddle?- cercò di rispondergli con tono scocciato -Guarda che non è giornata-

Tom le fece segno di avvicinarsi, ma lei scosse la testa e arrossì più di prima.

Allora lui le si avvicinò, talmente tanto da farla sussultare dalla sorpresa.

Mirtilla non aveva mai baciato un ragazzo né intendeva farlo, ma in quel momento, quando le labbra di Tom sfiorarono appena le sue, si ritrovò con il gli occhi chiusi e il viso rivolto verso l'alto.

-Domani alle tre ti aspetto nel bagno del ragazze, quello del primo piano che non frequenta nessuno- le sussurrò dolcemente, vicino all'orecchio -Inventati una scusa, Myrtle, lo so che sei intelligente-

La Corvonero annuì, priva della forza di aggiungere altro.





Il giorno dopo, alle ore quattro e trentacinque minuti, la giovane Myrtle Elizabeth Warren fu trovata morta, riversa supina nel pavimento del bagno più squallido del castello.

Aveva gli occhi spalancati per la sorpresa e gli occhiali tondi ancora bene appoggiati sul naso. Non sembrava affatto triste, a dire il vero.

Oggi il suo fantasma, che si trova a vagare senza pace nel limbo del castello di Hogwarts, afferma ai curiosi di essere finita lì per “Nascondermi a piangere, dato che Olive Hornby mi prendeva in giro per via degli occhiali.”

Sicuramente è un'ottima scusa, dopotutto lei fu davvero intelligente, tanto da percepire il seme della crudeltà nel giovane più insospettabile della scuola.

E fu anche di parola, porta ancora gli occhiali.








Note

Ciao a tutti! :)

Comincio una nuova raccolta che ha come filo conduttore il nostro caro Tom Riddle... Le protagoniste che ci saranno, hanno (secondo me) svolto tutte un ruolo importante nella sua vita, alcune sono scontate, altre un po' meno (tipo lei, Mirtilla). I capitoli saranno sette e anche se ho messo raccolta di One-shot, sappiate che le storie sono tutte collegate fra loro, compresa la vita dei personaggi.

Rispetto a questo capitolo, ho cercato di mantenere Mirtilla IC, rendendola suscettibile e polemica proprio come la conosciamo, anche se per me in lei c'è molto di più di ciò che appare.... Ah, i sibili nel muro si riferiscono al Basilisco che si aggira nelle 'tubature' (non chiedetemi come può un basilisco scorrazzare indisturbato nelle tubature di Hogwarts, non l'ho mai capito ^^”).

Spero che mi lascerete un parere.

Ne approfitto con l'augurarvi Buon Natale,

Ecate





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Capitolo 2
*** Druella Rosier, ovvero la Superbia ***


 

Note: Ciao ragazzi, per chi non lo sapesse/ ricordasse, Druella Rosier è la madre di Bellatrix, di Narcissa e di Andromeda, nonché la moglie di Cygnus Black. A dopo! 

 

                                                                                                     ***

 

 

Druella Rosier amava credersi perfetta e agli occhi dei più superficiali lo sembrava.

Fu una ragazza particolarmente bella, dotata di gambe lunghe e forme prosperose che amava celare come tesori sotto la divisa. I capelli lisci erano sempre sciolti e fluenti sulla schiena, le spalle dritte accompagnavano come un'armatura di gesso il suo portamento algido e sinuoso.

Gli abiti che soleva indossare erano tutti cuciti su misura e impreziositi con drappi di pizzo e orli di pelliccia, e se c'era una cosa che la giovane odiava, o meglio, disprezzava, quella era la divisa scolastica. Quei banali tentativi egualitari di mettere tutti gli studenti sullo stesso piano la facevano stizzire e arricciare il naso per il disgusto. 
È evidente, per Salazar, che non tutti gli studenti sono uguali, che non si può paragonare la lana con la seta.

Lei, Cygnus e Abraxas erano almeno un gradino... che dico! Una torre più in alto: Erano Purosangue.

I cosiddetti Mezzosangue e, peggio ancora, i loro cugini Sanguesporco, costituivano per lei la feccia della società, creature immonde e immeritevoli perfino di venire al mondo. Era colpa loro se la magia si sarebbe estinta, era colpa loro se il gene babbano era diventato dominante a quello magico.

Colpa loro e di quei farabutti che li sostenevano.

Quei fattucchieri che reputavano tutti i maghi sullo stesso piano erano per Druella poco meno che dei delinquenti, e come tali non meritavano neanche il suo saluto.

Lei, dal canto suo, si definiva una guerriera che aveva smesso di lottare.

Cosa poteva fare una delicata fanciulla dell'alta società per evitare questo imminente cataclisma? Nulla, si rispondeva con ovvietà.

Gli esseri inquinanti la magia ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre, oramai bisognava imparare a conviverci. Bastava guardare Hogwarts, che più che una scuola le sembrava uno Zoo.

Comunque, Druella avevo uno scopo nella vita, che non era quello ambizioso di cancellare gli ibridi e i babbani dalla terra (che ci pensino gli uomini...), ma, più semplicemente, quello di diventare la nuova signora Black.

I Black... Al solo sentire quel cognome le venivano le ali ai piedi. Esisteva famiglia migliore dei Black? No, ne era sicura. I Black sono il ceppo più nobile, antico e Puro di tutto il Regno Unito di Gran Bretagna, e forse di tutta Europa.

Nessun'altra famiglia era paragonabile alla loro, il cui stemma, Toujours Pur, le sembrava il titolo di una meravigliosa poesia.

Druella Black, perfino il suono le piaceva.

E di Black papabili ne conosceva eccome. C'erano Orion, Cygnus e Alphard, tre giovanotti che non aspettavano altro che essere sposati, e a tal proposito la madre di Druella aveva già discretamente iniziato le 'trattative' con i rispettivi genitori.

La ragazza lo sapeva, i suoi non mancavano a nessuna festa o ballo organizzato dalla famiglia Black, sua madre non faceva altro che invitare Irma Black a bere il tè delle cinque e suo padre regalava talmente tante casse di vino elfico e di Ogden Stravecchio a Pollux Black da riempirne una cantina.

Insomma, il loro intento era chiaro, e i coniugi Black si eran dimostrati fin da subito meravigliosamente accondiscendenti e bendisposti.

Anche i due rampolli parevano gradire Druella, in special modo Cygnus, i cui occhietti finivano sempre per cadere nel décolleté della giovane.

 

-È bella, non è vero ragazzo?- gli chiese Pollux, dandogli una pacca sulla spalla tornita.

-Molto, padre- rispondeva Cygnus, ammaliato dal sorriso pudico della Rosier.

-Eccellente! Signori, Habemus nuptam!-

 

Bisogna dire che Cygnus e Orion Black non erano proprio il massimo dell'eleganza, sghignazzavano come dei cani ed erano terribilmente maschilisti, ma Druella sapeva che nella vita bisognava anche accontentarsi.

Dopotutto erano ricchi sfondati e possedevano più ville loro che la regina babbana, del loro scarso decoro se ne sarebbe fatta una ragione.

Druella Rosier era, quindi, una ragazza cinica e materialista, più attenta alla forma che alla sostanza. Era talmente superba e sicura di meritare il meglio, che attirò su di sé gli occhi di un altro giovane, ancora più arrogante e arrivista di lei.

'Ignoralo' si diceva fra sé, imponendosi rigidamente di non guardarlo.

Ma quegli occhi scuri e dal taglio appuntito erano come una trappola, un buco nero che attrae e che non risparmia. Lo vedeva mentre si aggirava per la scuola, aveva le spalle dritte come le sue ma un portamento ben più morbido e spontaneo, i capelli neri sempre pettinati e la 'P' di prefetto sempre in bella mostra sulla divisa pulita.

Tom Marvolo Riddle, per quanto fosse elegante, restava un Mezzosangue, e come tale andava disprezzato.

Ma Druella, per qualche inspiegabile motivo, faceva molta fatica a farlo, anzi, di fatto non lo faceva proprio. Si limitava a mantenere davanti a lui un atteggiamento freddo e distaccato, un contegno superbo e altezzoso, ma nient'altro.

Non gli rivolgeva mai la parola ma, quando lo faceva lui, si sentiva segretamente contenta.

 

-Dio, cosa gli farei!- smaniava Walburga Black, la sorella minore di Cygnus.

-Andiamo, Wal, è un Mezzosangue-

-Sì, ma mica te lo devi sposare!-

-È un Mezzosangue- ribadiva Druella, paziente.

-È un gran figo, e non sembra affatto un Mezzosangue-

-Però lo è-

-Non ha genitori, per quello che ne sappiamo, potrebbe anche non esserlo... Che ne so, magari è figlio dei Lestrange, il nasino francese ce l'ha-

-Scema...-

 

A Walburga è sempre piaciuto Tom, e anche Cygnus e Abraxas lo rispettavano e lo trattavano come un loro pari, ma lei, che si sentiva un baluardo della purezza magica, doveva almeno mantenere le distanze. Ciò voleva dire non rivolgergli la parola, non guardarlo, e se proprio capitava di guardarlo, farlo con superbia.

Però è noto che tra dire e il fare c'è di mezzo il mare e Druella sempre più difficilmente riusciva a ignorare il Prefetto della sua casa, che con lei si dimostrava più amabile che con qualsiasi altro.

Quando, la mattina prima delle vacanze di Natale, Druella lo incontrò per caso in biblioteca, accadde una cosa che proprio non aveva previsto.

-Druella-

-Riddle-

-Niente lezioni questa mattina?- le chiese garbatamente, fermandosi al tavolo dove era seduta lei.

-No. Devo studiare-

Quindi vattene, avrebbe voluto aggiungere.

-Capisco- le rispose, aggirando come un felino la sua postazione -Io invece sto cercando un libro che a quanto pare è un'araba fenice, praticamente introvabile-

Druella annuì freddamente, cercando di manifestare più disinteresse che poteva.

-Forse tu lo conosci, si chiama De Tenebrosis Artibus, solo che a me serve il terzo volume e nel reparto proibito c'è solo una ridicola censura del primo-

La strega, che stava fingendo di leggere la sua pergamena, alzò subito gli occhi su di lui, sbigottita.

-Finalmente ho catturato la tua attenzione...-

-Cosa ci devi fare con un trattato di Arti Oscure?- gli domandò incredula, iniziando a percepire una strana inquietudine.

-Dunque lo conosci-

-Solo per fama- si affrettò a rispondergli, in imbarazzo -E certo non mi metterei mai a sfogliarlo-

Tom abbassò gli occhi e stese le labbra in un sorriso misterioso, appoggiandosi con un fianco al lato del tavolo.

-Non fraintendere, la mia è innocente curiosità, vorrei solo approfondire un argomento- le disse candidamente -E credo proprio che tu mi possa aiutare-

-Io?-

-Sì, tu-

Druella deglutì a vuoto, il senso di paura che le pungeva lo stomaco si era fatto più pressante, tangibile.

-E come, scusa?-

-Tu sei molto amica dei Black, non è vero? Sono sicuro che non ti costerebbe nulla andare nella loro biblioteca a prendere in prestito il manuale per me, durante queste vacanze-

La ragazza rimase basita, arrivò perfino a chiedersi se il Prefetto fosse serio o stesse solo scherzando. Ma, dal modo in cui la fissava, guardandola come se tra i due quella povera e disprezzabile fosse lei, il suo intento pareva inequivocabile.

-Perché non lo chiedi a Walburga?- gli rispose con un filo di voce, sentendosi improvvisamente a disagio -Non aspetta altro che farti un favore-

-Nah, Walburga è troppo distratta, finirebbe per farsi beccare. Preferisco che sia tu a farlo, Druella-

La voce di Tom era carezzevole, non sembrava che le stesse impartendo un ordine.

-Beh, no. Non lo faccio-

-Io dico che lo fai-

-Io dico di no- gli rispose Druella con tono sfida, al limite della sopportazione.

-Scommettiamo?-

Al diavolo la paura.

La strega chiuse con un tonfo secco e spazientito il grosso manuale di pozioni, alzandosi in piedi colma di sdegno e arroganza. Malgrado fosse più alta delle sue coetanee, non riusciva comunque a fronteggiare Tom, che la superava di diversi centimetri.

-Chi ti credi di essere tu per dare ordini a me, Druella Rosier?- sbottò iraconda, dandogli una ridicola spintarella sul petto -Tu sei un Mezzosangue, e io a mala pena tollero la tua presenza. Anche se fingi di essere uno di noi e ti comporti come tale, resti e sarai sempre un lurido ibrido Mezzosangue e non potrai fare niente per cambiarlo!-

Come gridò quelle parole, Tom, che aveva in volto un sorrisetto inspiegabile e a dir poco inquietante, le afferrò i fianchi e si impose su di lei.

La baciò con violenza, spingendola talmente forte contro lo scaffale della biblioteca che molti libri riposti caddero a terra con un tonfo. Druella gemette forte, lo graffiò nel collo e cercò di divincolarsi, ma era come se le sue gambe e le sue braccia fossero improvvisamente diventate di mattone, non riusciva più a muoverle.

Scosse la testa e strinse forte le palpebre, le veniva da piangere, ormai la lingua del ragazzo aveva già fatto irruzione tra le sue labbra e le stava invadendo la bocca, e non poteva fare niente per evitarlo. Tutto il suo corpo era come bloccato.

-È ora che impari un po' di educazione, Druella- la minacciò dolcemente, staccandosi finalmente dalle sue labbra -Ora inchinati davanti a Lord Voldemort-

Lord chi?”

Non fece neanche in tempo a finire di pensare la frase che una forza tanto incredibile quanto improvvisa le fece pressione sulla schiena, costringendola a piegarsi in due.

Cercò di resistere, ma il punto della pressione bruciava, le faceva un gran male.

Sentì Tom ridere.

-Brava Druella, così- le disse -Potrei importi qualsiasi cosa, lo sai? Potrei anche farti spogliare nuda, se solo lo volessi-

La strega sentì la propria mano animarsi e dirigersi sul seno, le dita comandate dall'esterno slacciarono un bottone della camicia, e poi un altro ancora.

-No, ti prego, non voglio!- gridò, disperata -Ti prego, basta! Basta!-

-Supplicami in ginocchio- le ordinò Tom, placido.

Lei lo guardò stravolta, ma subito le sue mani guizzarono plasticamente e slacciarono altri due bottoni, scoprendo in parte petto sorretto da un sobrio bustino nero. Un brivido di gelo le percorse la schiena e le fece venire la pelle d'oca, non stava succedendo davvero...

-Carine, peccato solo per questo brutto affare. Ti dispiace se lo tolgo?-

-No, no!- Druella scosse la testa, terrorizzata -Non voglio, sei un mostro!-

La ragazza cercò di resistergli, di scalciare o quanto meno di coprirsi, ma i fili che la trattenevano sembravano infrangibili. Perfino la gola le faceva male, come se avesse dei chiodi al posto delle corde vocali. Riddle le scoccò un altro bacio sulla bocca, e lei questa volta lo ricambiò con remissività, preferiva mille volte baciarlo che essere denudata nella biblioteca della scuola... O, peggio, essere vista mentre implorava un Mezzosangue.

-Per piacere...- gli sussurrò sulle labbra, baciandogliele generosamente. 

-In ginocchio, ho detto- 

La strega si arrese. Percepì le ginocchia rispondere ai suoi comandi e di sua volontà si inginocchiò davanti al coetaneo, con il viso rosso per la vergogna e il corpo che sussultava per i singhiozzi.

-Non ti sento, Druella-

-Per piacere- sussurrò appena, con le mani ancora bloccate e intorpidite -Non farlo, per piacere-

Tom fece finta di pensarci su, godendosi esultante quella scena.

-Va bene, ti perdono- le disse con finta indulgenza, accarezzandole dolcemente la testa -Ma solo perché mi piaci parecchio. Di solito quelli che sono cattivi con me fanno tutti una brutta fine, considerati fortunata-

Druella lo guardava dal basso, a bocca aperta. Tom torreggiava su di lei con la maestosità di una statua di marmo, e per un momento, uno strano momento, la ragazza avvertì una languida e calda sensazione attraversarle il basso ventre.

Si alzò in piedi lentamente, allacciandosi con premura la camicia.

Si sentiva oltremodo imbarazzata, cosa avrebbero fatto se non si fosse inchinata? Il solo pensiero la fece arrossire.

-Niente che non ti sarebbe piaciuto-

-Cosa?-

-Cosa?- la scimmiottò Tom con un sorriso irrisorio -Druella cara... Mi piace come ragioni, hai idee chiare e condivisibili, peccato che tu sia così mediocre e priva di talento. Non varresti nulla senza il tuo bel nome, sei un contenitore vuoto di sangue puro sprecato. Senza offesa, naturalmente- le fece un sorriso perlaceo e l'aggirò con un movimento fluido -Buon Natale, miss Rosier-

 

Se mai fossero esistite parole capaci di uccidere, per Druella Rosier sarebbero state quelle. Tom Riddle le pronunciò in modo disinvolto e discorsivo, senza alcuna traccia di invidia o rancore.

Quando se ne andò, lasciandola completamente svuotata e priva di ogni difesa, lei scoppiò in lacrime. Forse per sfogare la tensione accumulata, forse perché le labbra arrossate le bruciavano, forse perché... Forse perché sentiva che Tom, in fondo, aveva ragione.

Tutto l'orgoglio che provava per se stessa svanì in una nuvola di fumo e lacrime, e ben difficilmente riusci a solidificarsi di nuovo, nel futuro.

Lei si nascondeva dietro a un dito, si imbellettava con abiti d'alta sartoria per ostentare il nulla e apparire quella strega perfetta che non sarebbe mai stata.

Di una cosa però era sicura, cioè che suo figlio, o magari sua figlia, non avrebbe mai patito un disonore del genere... Né si sarebbe piegato a un simile affronto.

Perché Druella, alla fine, prese il libro. Lo rubò dalle collezioni di villa Black la notte di Natale, senza sapere bene il perché.

Inoltre non disse niente ai suoi conoscenti, né denunciò il fatto ai professori.

Portò il manuale di Magia Nera a Tom Riddle di ritorno dalle vacanze, mettendoglielo sul banco in una busta sigillata. Rimase in piedi, in attesa almeno di un 'grazie', ma l'erede di Serpeverde non la degnò nemmeno di uno sguardo: Afferrò la busta e se ne andò via, con un sorriso che aleggiava nelle labbra sottili.

Lei rimase attonita e rigidamente immobile, con le labbra dischiuse e i primi due bottoni della camicetta slacciati.

Ma, questa volta, non li aveva slacciati lui.

 

 

 

 

 

Note

Ciao a tutti ragazzi! :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che sia stato all'altezza del primo, ho cercato di immedesimarmi in una 'estremista magica' come poteva essere la madre di Bellatrix, perché secondo me a quei tempi, prima delle due guerre magiche, la situazione per i Mezzosangue-Sanguesporco era ancora più tragica che hai tempi di Harry, quindi con Druella sono andata giù pesante.
L'argomento che Tom voleva approfondire nel libro di arti oscure era quello degli Horcrux, ho immaginato infatti che un tale argomento non potesse trovarsi nella biblioteca della scuola, nemmeno nel reparto 'proibito'. Grazie mille a tutte voi che avete recensito nel primo capitolo e grazie a chi ha aggiunto la storia tra le liste, spero mi dedicherete qualche parola anche questa volta!
A presto,
Ecate
Ps Habemus nuptam è naturalmente una storpiatura di Habemus Papam, significherebbe 'abbiamo una sposa' e me lo sono inventato ;)

 

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Capitolo 3
*** Helena Corvonero, ovvero la Vita ***


 


Non morire mai, Tom Riddle.


 

 

Helena Corvonero stava rivivendo lo stesso incubo di quasi un millennio fa.

Uno studente aveva riaperto la Camera dei Segreti, proprio come aveva predetto a sua madre quel serpente a sonagli di Salazar.

Ricordava ancora le sue parole minacciose, quel cipiglio austero e sicuro di sé, beffardo nel suo essere crudele. Oramai erano passati talmente tanti anni, talmente tanti secoli, che Helena aveva dimenticato quel vaticinio, non credeva più che si potesse avverare. Dopo la fuga di Serpeverde ci fu in merito un grande allarmismo, gli studenti venivano sottoposti a svariati controlli, si chiamavano spesso i Maghi della Luce a perlustrare la scuola e a perquisire i ragazzi e molte volte il tutto sfociava in punizioni corporali e in vere e proprie torture, ma in compenso nulla era lasciato al caso, tutto era controllato. Peccato che già dal XII secolo questo clima di prevenzione sparì, e Hogwarts fu ritenuta, a torto o a ragione, la fortezza più sicura dello stato.

Oggi, la scuola pareva aver trovato il suo aggressore, un ragazzone alto e tenero, figlio di Godric e ineluttabilmente incapace di fare del male a qualcuno. Quando Helena l'aveva saputo quasi era quasi scoppiata a ridere, la prima volta dopo circa un millennio.

Non era stato lui ad aprire la Camera, Helena ne era più che sicura, però si sa che la parola dei fantasmi vale ben poco, nessuno l'ascoltò né tanto meno si degnò di chiedere il suo parere. E fu una cosa davvero stupida, chi meglio dei fantasmi antichi, che avevano assistito in prima persona all'origine dei fatti, poteva essere utile in questi casi? Ma né lei, né quella bestia del Barone Sanguinario, furono in alcun modo interpellati, e a causa di ciò oggi Hogwarts contava un fantasma in più e uno studente in meno.

-Povera bambina- si diceva la Corvonero -Quanti ne dovranno morire, oltre a lei?-

In effetti il pessimismo di Helena era giustificato, perché quel giovane Salazar vagava indisturbato in ogni angolo del castello, e poteva essere ovunque.

-Ciao-

Helena si eclissò istantaneamente.

-Non avere paura, non voglio farti del male-

La voce discreta di un ragazzo alto echeggiò armoniosa nell'aula variopinta di Divinazione. A Helena piaceva molto rintanarsi lì, quando veniva sera la torre di Divinazione diventava praticamente deserta, remota nel suo essere distante e priva di attrattive per i giovani della scuola. A differenza di molti altri fantasmi, infatti, lei non amava gli studenti ed evitava qualsiasi contatto con loro. Solo pochissimi avevano il privilegio di parlare con lei, ed erano tutti della sua Casa.

O, almeno, così era successo fino ad ora...

-Io non ho paura- gli rispose torva, mantenendo la sua invisibilità -Tu dovresti averne, figlio di Salazar, Hogwarts non è più un posto sicuro-

-Perché dici così?- le sorrise Tom Riddle, con gli occhi rivolti al soffitto -Al mondo non c'è posto più sicuro di Hogwarts, tu che sei qui da tanto tempo dovresti saperlo meglio di me-

Helena lo guardava dall'alto, malgrado si fosse resa invisibile si era comunque nascosta dietro a una trave di legno. Se ne sarebbe andata volentieri, ma c'era qualcosa in lui che l'attirava, le sembrava di averlo già visto da qualche parte.

-Era un posto sicuro, ma a causa della tracotanza della tua Casa non lo è più- gli disse con tono risentito -Voi tutti siete stati la rovina di Hogwarts, figli di Salazar, e io mi rifiuto di parlare con voi-

-Rovina... Che parolone- scherzò Tom, mentre scrutava il soffitto nella speranza di vederla -Se ti riferisci a quelle voci, sappi che sono tutte false, l'Erede non ha mai aperto la Camera, e la ragazza non è morta per colpa sua-

-Myrtle era mia amica- rimbeccò Helena -Tu stai disonorando la sua memoria!-

-Era anche amica mia... Stava per diventare la mia ragazza, se è per questo-

Lo stupore di Helena fu tanto che senza rendersene conto tornò visibile per una frazione di secondo. Tom la vide e sorrise.

-Ah, eccoti finalmente- le disse allegramente -Dai, Dama Grigia, scendi giù, mi sento stupido a parlare con il vuoto-

-Io non rispondo a quel nome!- gridò offesa e imbarazzata, pur nascondendosi meglio dietro la volta millenaria -Quello non è il mio nome!-

-Allora dimmi come ti chiami-

Lei esitò, presa in contro piede. Nessun Serpeverde le aveva mai chiesto come si chiamava, prima d'ora.

-Helena- gli rispose incerta, carica di timidezza -Helena Corvonero è il mio nome-

-Helena- ripeté il giovane, con voce armoniosa -Un nome bellissimo. Io sono Tom-

Il fantasma non disse niente, rimase fermo, in attesa.

-È stato un piacere conoscerti, Helena- continuò Riddle -Ora devo andare, ma se domani torno, mi prometti che ti farai vedere?-

-Perché ci tieni tanto a vedermi?-

-Perché sento il bisogno di confidarti un segreto, e mi piacerebbe farlo senza guardare per aria-

Helena sgranò gli occhi e osservò sbalordita quello strano ragazzo andarsene via.

Un segreto? Da un Prefetto Serpeverde!? Cosa poteva essere? Nessuno le aveva mai confidato un segreto da... Da sempre, ai fantasmi non si confidano i segreti, che follia. Era una situazione completamente nuova per lei, è un'ondata di entusiasmo misto ad eccitazione la travolse in un sol minuto.

Fu talmente curiosa di sapere cosa fosse, che la sera seguente si ripresentò puntuale ma pur sempre invisibile, nella speranza che quel Tom avesse mantenuto la parola data.

E infatti, incredibilmente, il fantasma lo vide arrivare. Tom entrò nell'aula con passi felpati; a differenza della sera prima, aveva i capelli umidi e spettinati, come se fosse appena uscito dalla doccia. Inoltre, senza la divisa verde argento che svettava, aveva un'aria molto più rassicurante, sembrava uno studente normale, non uno di Serpeverde.

-Helena?-

Lei certo non si fece aspettare. Gli apparì alle spalle, con un'espressione carica di curiosità, pronta a sentirsi rivelare quel benedetto segreto che l'aveva tormentata nelle ultime ventiquattro ore. Helena infatti è sempre stata molto curiosa, oltre che un po' invidiosa. Fu proprio la combinazione di questi due elementi che la spinsero ad acciuffare il prezioso Diadema, tanti secoli prima.

-Sei molto bella...-

-Qual è il segreto che devi dirmi?-

Tom le sorrise, sornione -Quanta fretta... Se te lo dico, prometti che non scapperai via?-

Helena promise ma non mantenne la parola: Appena Riddle le rivelò di essere lui il temuto Erede di Serpeverde, lei dovette fuggire via, in preda a un'angoscia senza precedenti.

Buffo pensare che i fantasmi abbiano paura, quando loro nel mondo babbano ne sono il simbolo per antonomasia. Ma quella volta, il timore dei ricordi passati non fu sufficiente per impedire ad Helena di fare ritorno da quel ragazzo, di conoscerlo, di vederlo. L'idea che l'Erede di Salazar Serpeverde, il suo antico e temibile maestro di pozioni, fosse lì davanti a lei, vivo e vegeto, le faceva affiorare sentimenti contrastanti, di paura e conforto, mai provati prima. Le sembrava di non essere morta da così tanto tempo, né il mondo le appariva più così estraneo e diverso da quello in cui era vissuta lei.

Soprattutto, quando trovava in Tom qualche traccia sbiadita del suo antico maestro, le pareva di tornare indietro nel passato, di rivedere Serpeverde in persona e tutti gli altri conoscenti, amici e nemici, che avevano animato la sua vita. In poche parole, le pareva di tornare viva.

 

-Noi siamo due eredi, Helena, siamo simili- le diceva durante le vacanze di Natale, quando la scuola era pressoché vuota -Tu sei l'unica che può capirmi, l'unica di cui io mi fida. Esiste forse qualcuno più simile a noi?-

 

Helena convenne di no.

Così nacque una stranissima amicizia, fatta di dialoghi, ricordi e uscite notturne. Tom le chiedeva sempre di parlargli dei fondatori, del loro carattere, dei loro gusti e perfino dei loro poteri, e in particolar modo le chiedeva di parlare del suo antenato. Riddle voleva sapere proprio ogni minimo dettaglio che lo riguardasse, le chiedeva quanto fosse forte, cosa sapesse fare, che livello di cultura avesse, i gusti, la bacchetta e altri particolari che, a dire il vero, il fantasma non poteva sapere... O non ricordava.

Il ragazzo scoprì però tantissime cose interessanti, ad esempio che la Hogwarts delle origini era dispensata dall'insegnamento di molte materie che lui riteneva stupide, come 'Volo' e 'Cura delle creature magiche', che lo studio dell'erbologia era riservato alle ragazze e che infine il rapporto conflittuale tra Serpeverde e Grifondoro si era manifestato fin dall'inizio, in quanto il primo voleva inserire tra le materie lo studio del latino, mentre il secondo l'arte della scherma e delle armi magiche.

-Che razza di zotico- si lasciò sfuggire Tom, disgustato -È ovvio che il latino è più importante, gli incantesimi hanno formule latine, i libri di alta magia sono scritti in latino, molti addirittura in greco antico. Come credeva di poter fare quel becero idiota?-

-Beh, Grifondoro proponeva la traduzione integrale di tutti i libri di magia- tentò Helena, stupita ma profondamente divertita -In modo da renderli accessibili a chiunque-

-Cosa mi tocca sentire, il volgare per i testi di magia, che scempio- le rispose Riddle, tragico -Appena diventerò io il preside, sistemerò tutto. Cinque belle ore di latino alla settimana, magari al posto di quella pagliacciata del Quidditch, e vedrai che gli studenti impareranno ad usare la bacchetta come si deve-

-Sei ambizioso, Tom Riddle. Aspiri a diventare preside di Hogwarts?- gli domandò amichevolmente, un po' perplessa.

-In realtà aspiro a molte cose. Anche a far tornare in vita le belle ragazze fantasma, per esempio-

Se fosse stata viva, la Corvonero sarebbe arrossita.

In effetti erano numerose le volte in cui lei si imbarazzava o si sentiva adulata da lui, che era davvero uno strano soggetto. Condivideva tutte le idee di Salazar Serpeverde, ma non sembrava per nulla ingiusto o prepotente come lo era lui.

Anche se, in realtà, Helena non aveva molti termini di giudizio, dato che tra i due parlava praticamente solo lei. Tom preferiva ascoltare, si esprimeva raramente e solo quando non riusciva a star zitto.

 

 

-Se avessi visto che belle feste c'erano!- gli disse Helena un mese dopo, presa dall'entusiasmo dei ricordi -C'erano tantissimi balli, le cetre e le arpe suonavano da sole e il cappello di sir Godric cantava e ci faceva ballare tutti insieme!-

-Non mi piacciono i balli- le disse Riddle con voce atona, mentre guardava con noia la figura argentea che svolazzava divertita da un muro all'altro.

Helena si fermò per sorridergli.

-Neanche a Salazar piacevano- gli disse -Era peggio di un orso, si chiudeva nei sotterranei e non c'era verso di farlo uscire. Solo mia madre riusciva a convincerlo, qualche volta-

-Non stento a crederci- le rispose Tom con un sorriso malizioso, che lei fece finta di non vedere.

-Peccato che tu non ci sia stato- gli confidò con gli occhi bassi -Saresti stato bene insieme a noi-

-Serpeverde mi avrebbe apprezzato?- le domandò a brucia pelo, ma Helena esitò prima di rispondere.

-Immagino di sì- gli rispose poco convinta -Per lui certe cose erano imprescindibili, chi non aveva origini magiche faceva meglio a stargli lontano... Ma con te credo che avrebbe fatto un'eccezione-

Tom annuì senza aggiungere altro, ed Helena colse nel suo sguardo assorto una vaga sfumatura di tristezza.

-Tu me lo ricordi- aggiunse dolcemente -Con qualche accortezza gli diverresti uguale. Dovresti farti crescere la barba e metterti al collo un bel medaglione, Salazar il suo lo portava sempre. E poi se trovi un paio di serpenti che ti seguano ovunque, allora sarebbe...-

-Medaglione?- la interruppe Tom malamente, come se si fosse riscosso all'improvviso -Serpeverde aveva un medaglione?-

-Sì, forse non te l'ho detto, tutti i fondatori avevano un proprio oggetto di rappresentanza, un cimelio a cui tenevano particolarmente-

-Davvero?-

Helena se ne compiacque, Tom aveva rizzato la schiena e la guardava con gli occhi che sfavillavano dalla curiosità. Nessuno aveva mai dimostrato tanto interesse per quello che diceva come Tom Riddle.

-Serpeverde aveva un medaglione- cominciò ad elencare -Sir Godric una spada lunga e affilata, è sempre stato un cavaliere molto belligerante a dire il vero, mia madre diceva sempre...-

-E poi?- le interruppe per la seconda volta, scocciato -Le donne che oggetti avevano!?-

-Oh... Ehm, donna Tosca una coppa da vino e mia madre...- Helena esitò, l'antico dolore la fece calare a terra senza che se ne rendesse conto -Mia madre...-

-Tua madre, Helena?- la imboccò lui, dolcemente -Su, non essere timida-

-Mia madre aveva un bellissimo Diadema con tanti topazi sul davanti-

Dirlo ad alta voce le rievocò tantissimi ricordi dolorosi: rivide come in un filmato la storia della sua morte, dalla fuga in Albania al piccone del Barone Sanguinario piantato dietro la sua schiena, ma Riddle parve ignorare del tutto il suo turbamento. Si era alzato in piedi con una mano stretta nei capelli, perso nei suoi pensieri, ma, a differenza di Helena, nelle sue labbra sottili aleggiava un sorriso entusiasta.

-Okey- disse più a se stesso che alla strega -Okey, fammi riprendere fiato- ridacchiò divertito, mentre Helena lo guardava interrogativa -Ho già detto che adoro parlare con te, Helena? Ma, senti una cosa, non è che puoi farmi vedere questo diadema?-

Il fantasma scosse subito la testa -È perduto- gli disse con aria solenne -Nessuno sa dove si trovi-

-Vorresti dire, nessuno tranne te-

-No, neanche io lo so...- mentì il fantasma, evitando accuratamente il suo sguardo.

-Guardami negli occhi e dimmi espressamente che non lo sai-

Helena ne rimase spiazzata. Il volto di Tom era rigido, gli occhi duri e semi chiusi erano fissi su di lei, mentre le labbra sottili erano così serrate da provocare un rigonfiamento nel mento. Non scherzava, era serio.

-Ribadisco che non so dove sia- balbettò imbarazzata -Ti ho detto che è perduto...-

Tom esitò prima di ribattere. Continuò a fissarla per un'altra manciata di secondi, e poi sbottò.

-Sei una sporca bugiarda- sentenziò sicuro, con i capelli simili a ragnatele sulle sopracciglia folte e corrugate -Credevo che avessi maturato una certa esperienza in queste cose, è da stupidi mentire a chi studia la Legilimanzia, non ti pare?-

-Sei un Legilimens?- gli domandò incredula, ricordandosi immediatamente che lo era anche Salazar.

-Non ancora, ma lo diventerò presto- le rispose a denti stretti -Ora però sono già in grado di riconoscere le menzogne e tu, Helena, mi hai mentito spudoratamente-

Il fantasma non sapeva cosa dire. Era vero, gli aveva mentito, ma l'aveva fatto per una buona causa.

-Io mi fidavo di te. Credevo che fossimo amici...-

-Ma noi siamo amici!- gli rispose lei sconvolta, temendo di perdere quell'unico amico e fonte di sfogo che le rimaneva.

-Non mi pare proprio, non sei sincera- il tono di Riddle era diplomatico, per nulla scosso dal dispiacere.

-Non potevo esserlo...- ammise Helena, accorata -Non essere arrabbiato con me, Tom Riddle, per piacere-

-E perché non potevi essere sincera?-

-Perché... Perché il Diadema è magico- gli confessò addolorata, ma Tom si limitò ad alzare le sopracciglia, freddo e perplesso al tempo stesso.

-Tutti gli oggetti dei fondatori avevano dei poteri magici, particolari- cominciò Helena -Solo i rispettivi proprietari sapevano qual era la natura di quei poteri, nessun altro...-

-Nessun altro tranne te- l'anticipò Tom, ed Helena annuì.

-Mia madre mi disse solo del Diadema, ero l'unica a cui l'avesse confessato-

-Naturalmente. Vai pure avanti-

-Ecco... Io glielo portai via, volevo che fosse mio, lo bramavo con tutta me stessa, ed ho infine ceduto alla tentazione-

Si vergognò subito di quelle parole, ma ciò che le fece Tom la sorprese. Le porse la sua mano pallida e affusolata, con un sorriso dolce come il miele. Helena cercò subito di afferrarla, ma la sua consistenza aeriforme non le permise altro che trapassarla. Avrebbe voluto stringerla forte, avrebbe voluto stringere lui forte, ma tutto quello che ottenne fu procurargli la pelle d'oca.

-Scusami, sono aria fredda-

-L'aria è l'elemento più forte e invincibile che ci sia- le disse con voce calda, liquida -Tra tutti è quello che preferisco-

Helena allora fu presa da una voglia indicibile, ed entrò dentro di lui. Lo trapassò interamente, con calma e attenzione, per poterlo sentire, anche se era impossibile per lei sentire, però voleva almeno provarci, e per un momento ci riuscì. Percepì il calore del suo corpo umano, colse il respiro caldo dalle sue labbra e i meravigliosi battiti del suo cuore. Talmente tanto bene, che quasi le parve di vedere quel cuore rosso che batteva regolare, e il sangue che fluiva e ogni atomo e fibra del suo corpo maschile e pieno di vita...

-Mi dispiace, Tom Riddle, non volevo- si scusò mortificata, uscendogli direttamente dalla schiena -Non so cosa mi sia preso...-

In realtà lo sapeva eccome. Sarebbe rimasta a godere di lui per un giorno intero, ma sapeva quanto fosse orribile per i vivi essere trapassati, e l'ultima cosa che voleva era contrariarlo.

-Dov'è il diadema?- le chiese perentorio, con la voce resa roca per il freddo.

-In Albania-

-In Albania- ripeté il ragazzo, concentrato -Non è il luogo del tuo decesso?-

-Sì, si trova nel punto in cui sono morta-

-Perfetto. Tranquilla, Helena, non voglio sapere altro- finse di rincuorarla, dolcemente.

 

Il Barone Sanguinario mi dirà il resto.

 

 

 

 

 

Note

Ciao a tutti! Questo capitolo è stato difficilotto, e ammetto che non ne sono del tutto soddisfatta. Inizialmente la “Vita” doveva appartenere a Nagini per il fatto che l'avesse mantenuto vivo durante l'infanzia di Harry [ok, un piccolo spoiler ;) ], ma poi ho ritenuto che nessuno come Helena Corvonero potesse essere attaccata a doppio filo alla vita. Ho immaginato che Tom si fosse avvicinato a lei senza sapere del Diadema e degli altri oggetti dei fondatori, ma solo per ricevere informazioni in merito al modus operandi di Salazar, che per me era considerato da Riddle come un vero e proprio mito (e qui emerge tutto il suo essere sedicenne, il Voldemort adulto non l'avrebbe mai fatto). Il momento del 'trapasso' è intenzionalmente equivoco. Fate pure due più due.

A presto! :)

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Capitolo 4
*** Hepzibah Smith, ovvero la Lussuria ***


 

 

...Ottanta, novanta, cento.

 

Hepzibah Smith pose il malloppo di galeoni sul comodino arabescato, sotto gli occhi vigili di un giovane.

-Ecco a te, Damian, dovrebbero esserci tutti-

-Grazie, miss Smith- le rispose quel ragazzo biondo come il grano, intento a mettersi i pantaloni -Arrivo subito-

-Non c'è fretta, zuccherino- soggiunse mollemente, stiracchiandosi e godendosi fino alla fine quel corpo tonico e giovanissimo. Damian infatti era talmente bello da sembrare una fanciulla, il suo preferito tra tutti i sex worker. Appena lo vide avvicinarsi per prendersi i soldi, gli afferrò il polso.

-Se mi dai un bacio, te ne do dieci in più- gli ammiccò con un occhiolino, riferendosi ai galeoni.

Il ragazzo sorrise e si piegò su di lei, baciandola in bocca proprio come aveva richiesto.

-Sei un angioletto- ridacchiò, picchiettandolo sulla guancia -Ti aspetto venerdì, stessa ora-

-Sì, Miss Smith. Porto anche Jorge?-

-Se può, perché no-

-Certo, Miss-

-Ah, prendine pure altri trenta...-

Il ragazzo di nome Damien si illuminò nel viso e aggiunse entusiasta altri trenta galeoni alla sua paga. Stava per uscire, ma la strega lo fermò un'ultima volta.

-Damian!?- lo chiamò con voce stranamente tesa, come se le costasse parlare.

-Sì, Miss Smith?-

Hepzibah si morse un labbro, inquieta.

-Volevo chiederti... Tra voi non c'è un ragazzo che si chiama Tom, vero?-

Damian ci pensò un attimo, appoggiato sullo stipite della porta.

-C'è un Thomas, ma ha quasi quarant'anni; non so se...-

-No, no, lascia perdere. Grazie comunque-

 

 

E così, Tom non praticava la nobile arte del libertinaggio.

Hepzibah in realtà lo sapeva, l'aveva chiesto più per scrupolo che per reale necessità.

Ma doveva togliersi anche l'ombra di un dubbio, perché da quando aveva visto quel Tom Riddle passeggiare per le vie malfamate di Notturn Alley, non era più riuscita a pensare ad altro.

Aveva scoperto che lavorava nel negozio di Borgin & Burke e che aveva una ventina d'anni, e anche guardandolo da vicino le era parso un bocconcino meravigliosamente prelibato, da far scivolare in bocca e gustare intero.

 

-Come si chiama il tuo nuovo garzone, Borgin?- aveva chiesto al mago con nonchalance, un giorno di fresca primavera.

-Si chiama Tom Riddle, e non è in vendita-

Hepzibah rise platealmente, sventolandosi vigorosamente il ventaglio sul collo tornito.

-Borgin, mattacchione, cosa vai a pensare!-

Il proprietario alzò le mani al cielo, ma a stento riusciva a celare un sorriso malizioso e divertito.

- Volevo solo sapere come mai un ragazzo così fine ed educato abbia deciso di lavorare in questo... in questo posto un po' ambiguo-

-Probabilmente perché ha bisogno di soldi, no?-

-Probabilmente...-

Hepzibah sorrise sotto i baffi, era proprio quello che sperava di sentire.

-Vuole per caso che glielo presenti?-

-Se non è un problema, mastro Borgin...-

-Tom!- gridò rozzamente il mago verso le scale -Vieni giù, ragazzo!-

-Arrivo-

-Uh!- ridacchiò la strega, arricciando le labbra colorate di fucsia.

Dopo pochi minuti, il fisico slanciato di Tom Riddle apparve dalla curva delle scale a chiocciola, e la Smith prese a sventolarsi il ventaglio con più vigore di prima.

-Ragazzo, permettimi di presentarti la signorina Hepzibah Smith, una nobilissima strega nonché nostra affezionata cliente-

Tom si girò lentamente verso di lei, la soppesò e le fece un sorriso languido.

-È un onore, Miss Smith- esordì, baciandole la mano che la strega gli aveva prontamente allungato.

-Oh, Cielo... Che caro ragazzo- Hepzibah si rivolse a Borgin, con le guance rosse e paffute -Dove hai trovato un giovane così per bene, eh Uber?-

-Perché? Io non sono un giovane per bene?- scherzò il mago, convinto di essere simpatico. Hepzibah però ne parve divertita e ridacchiò, mentre Tom si limitò a sorridere dignitosamente, con gli occhi rivolti verso il basso.

Andarono avanti a chiacchierare amabilmente, e la strega notò con piacere quanto Tom fosse educato e composto, parlava poco ma quando lo faceva tutta l'attenzione era rivolta su di lui, come se fosse un catalizzatore di attenzione.

Quando poi la donna uscì dal negozio, non senza aver fatto l'occhiolino a Tom, il vecchio Borgin chiuse la porta con un tocco di bacchetta e proruppe in un gemito di esultanza.

-La vecchia ciabatta ti ha messo gli occhi addosso!- esclamò a Tom, felice come un bambino -Potente Merlino, è la volta buona che ci vende le armature! Aspetta solo che lo dica Caractacus, ti offrirà vino elfico da qui a capodanno-

-Quali armature, signore?- chiese Riddle sconfortato, sapendo già cosa gli sarebbe aspettato.

-Delle armature antiche costruite dai goblin della Normandia. La leggenda narra che fu la fata Morgana in persona a chiedere di forgiarle, ma a noi non importa, le spacceremo comunque come tali. E tu, ragazzo, devi andare da lei a chiederle di vendercele-

-Signor Borgin- protestò stancamente -Per cortesia...-

-Via, un paio di moine e il gioco è fatto, non farla tragica-

-Ma...-

-Basta, ragazzo. Tu andrai dalla vecchia e ti farai regalare le armature, altrimenti sarò costretto a cercare qualcun altro-

Tom lo guardò con la mascella serrata, teso come una corda di violino. Si intimò di non reagire, di respirare, di ricordarsi il motivo per cui si era abbassato a una simile umiliazione, ossia trovare i cimeli dei fondatori. E quale posto era migliore di un raccatta-beni come quella bottega? Stando lì aveva già scoperto moltissime cose, e in realtà di oggetti adatti per i suoi Horcrux ne aveva già trovati parecchi, ma la sua ostinazione non lasciava spazio a compromessi. Lui voleva i cimeli dei fondatori e quelli avrebbe avuto, costi quel che costi.

-Giocatela bene, figliolo, è la tua grande occasione- continuò più bonariamente il proprietario, mentre iniziava a lucidare un grosso candelabro -Se poi oltre alle armature riesci a sgraffignare anche qualcos'altro, non fare complimenti-

-Perché, possiede altre cose interessanti?-

-Che mi scoppi il calderone, se non ne possiede! La sua casa è più fornita di un bazar persiano, ha tanta di quella roba che non sa più dove metterla. Per questo devi andare da lei a lisciarle la sottana, basta un paio delle sue cianfrusaglie per farci diventare ricchi sfondati-

Tom annuì assorto, mentre la sua mente iniziava a trarre tutte le conclusioni del caso. Questa nuova missione iniziava a diventare interessante...

Vuoi vedere...”

-Borgin?- lo chiamò di scatto, più scortesemente di quanto volesse -La vecchia potrebbe avere gli oggetti dei fondatori?-

Il mago corrugò la fronte -Di che parli?-

-I quattro fondatori di Hogwarts- spiegò Tom a denti stretti, impaziente come non lo era mai stato prima -Ognuno di loro aveva un cimelio di rappresentanza, lei li potrebbe avere?-

-Ah, sì. Ho capito cosa intendi... Bah, mi pare di sì, ma non vorrei confondermi. E comunque se anche ci fossero puoi lasciarli lì, sono beni culturali privi di destinazione economica, non ci servono a nulla-

Tom annuì e gli fece un sorriso dei suoi, menzognero e speculativo.

-Ma certo, signore, la mia era solo curiosità- gli rispose, tornando al suo tipico tono gentile -Comunque, le garantisco che avrà la sue armature-

'Costi quel che costi'

 

****

 

Come ogni giovedì pomeriggio, Hepzibah stava prendendo il suo the delle cinque nel locale più in voga della Londra magica, con le sue immancabili amiche, tre zitelle pittate e pettegole proprio come lei. Era infatti il solito appuntamento fatto di maldicenze e pasticcini, ma quella volta Hepzibah ebbe una bella sorpresa.

-Miss Smith, posso disturbarla solo un momento?-

Hepzibah si girò e vide Tom Riddle di fronte a lei, in piedi e con le mani dietro alla schiena.

Le altre tre bisbetiche smisero subito di parlare, e rimasero con la tazza in mano e la bocca aperta. Per quanto il suo soprabito nero fosse sobrio e consumato, Tom riusciva comunque ad apparire molto elegante, ben più elegante di certi spocchiosi Purosangue che frequentavano il locale.

-Scusate l'interruzione, signore, ci metterò poco. Mi manda il signor Borgin, Miss Smith- continuò Tom, ignorando le loro espressioni - Voleva sapere se lei è ancora in possesso delle famose armature forgiate dai goblin, quelle antiche di mille anni-

Hepzibah rimase un attimo imbambolata, ma poi si ridestò subito. Gli rispose naturalmente che le aveva, e alla sua richiesta di vederle, non poté dimostrarsi più entusiasta.

-Puoi venire a vedere tutto quello che vuoi, Tom tesoro-

-Allora non mi porrò alcun limite, gentile signorina- le rispose Tom a tono, reggendole il gioco.

Hepzibah fece una risata argentina, mentre le altre tre si scambiarono un' occhiata di puro sconcerto.

-Le va bene domani pomeriggio?-

Tutto, mi va bene tutto.”

-Certo, caro, facciamo alla sera?-

-Non poteva scegliere momento migliore-

Detto questo, Tom salutò prima le tre streghe e poi la Smith in particolare, come per riservarle un posto d'onore, e per un momento, a Hepzibah parve di vedere la lingua di lui serpeggiare tra i denti, maliziosa e promettente.

Morgana benedetta”

Corse a casa non appena Riddle se ne fu andato, ignorando le domande isteriche della sue amiche.

-Chi è? Come si chiama? Quanti anni ha? Non l'ho mai visto nei paraggi, dove l'hai conosciuto? È sposato? Cognome? Ma è inglese? Che bei modi, ma non è il figlio di...-

 

 

No, la donna non rispose a nessuna di quelle domande, amava fare l'elusiva e vantare conoscenze che gli altri non avevano, la faceva sentire importante.

Si materializzò ed entrò nella sua villa senza fiato, il cuore le batteva furiosamente, come se avesse fatto chissà quale maratona a cavallo di una scopa.

-HOKEY!- gridò a squarciagola, agitando il ventaglio spasmodicamente -HOKEY! PER MORGANA, HOKEY!!-

L'elfa domestica comparì subito da lei, con gli occhi stanchi e affaccendati -Padrona! Hokey stava lucidando le scarpe della padrona... Cosa è successo?-

-Hockey, molla le scarpe e comincia a mettere in ordine tutta la casa! Lucida il pavimento, profuma gli ambienti, cambia le lenzuola e prepara una teglia di piperille. Se sapessi che ospite sta per arrivare! Oh, non posso ancora crederci!-

-Chi sta per arrivare, padrona?-

Hepzibah arrossì e strinse le labbra in una smorfia compiaciuta -Il giovanotto più sexy di tutta la Gran Bretagna-

-Il signorino Damian?-

-Meglio, Hokey, meglio. Arriva stasera, lo vedrai-

L'elfa annuì, senza permettersi di commentare. Anche se, è chiaro, di cose da dire ne avrebbe avute fin troppe.

Iniziò a pulire ogni angolo della casa in religioso silenzio, ignorando le solite lamentele della Smith sulla asserita miseria del suo guardaroba.

-Come sto, Hokey?-

Hepzibah si fece vedere fasciata in un vestito di raso porpora tenuto insieme da una spilla blu. Il vestito di per sé non era male, ma il suo corpo flaccido e grasso lo faceva sembrare un tendone da circo.

-Deliziosamente, padrona-

-Ottimo. Le armature dei Goblin?-

-Sono sul tavolino del salotto, Hokey le ha tutte lucidate come le ha richiesto la sua padrona-

-Perfetto, perfetto!- disse Hepzibah più a se stessa che alla serva.

In realtà era presa da tutt'altri pensieri, primo fra tutti come dire a Tom Riddle che era disposta a cedergli le armature in cambio di una capatina tra le lenzuola.

E soprattutto, si chiedeva se era il caso di dirglielo o se invece c'era il rischio di indignarlo, offenderlo o, peggio ancora, di essere segnalata alle autorità per induzione alla prostituzione .

Eppure Hepzibah si sentiva tranquilla, quel ragazzo non aveva per niente l'aria ingenua o innocente, anzi, sembrava molto scafato per avere... Quanti anni? Venti? Venticinque? O magari trenta!?

-Padrona, è appena arrivata una lettera dalla famiglia Black- la interruppe Hokey con un biglietto in mano e un barbagianni sulla spalla -La signora Druella Black ha partorito il suo primo erede-

-Splendido, Hokey- le rispose l'altra con gli occhi fissi sullo specchio, per nulla interessata -Maschio o femmina?-

-Femmina, padrona-

-Uh, povera creatura, parte già male. Manda ai Black le felicitazioni da parte mia, poi penserò io al regalo-

-Certo, padrona-

In verità la nascita della piccola Black le entrò da un orecchio e le uscì da quell'altro. La sua testa era impegnata su ben altri fronti, ad esempio su come rendere presentabile il suo corpo vecchio e grasso. Hepzibah Smith infatti non era una stupida, sapeva bene di essere tutto fuorché attraente, soprattutto per un ragazzo giovane e bello come poteva essere Tom Riddle.

Però, per quanto fosse ignobile e vile, Hepzibah celava pur sempre l'asso nella manica più antico e potente del mondo: il denaro.

Asso che, per converso, l'aveva gettata in un burrone di solitudine, circondandola di avvoltoi interessati solo a riempirsi le tasche e a far banchetto del suo patrimonio.

Il vuoto che sentiva dentro era indicibile, e l'unica consolazione che aveva, riposava nel corpo e nelle attenzioni dei suoi ragazzi, gli unici che le avevano dimostrato schiettezza, sincerità e, incredibile a dirsi, comprensione.

Quando però arrivò Tom Riddle, bello e puntuale come il sole di mattina, Hepzibah Smith ottenne tutto fuorché il calore e la benevolenza che era abituata a ricevere dagli altri giovani... Ma questo, purtroppo, non lo venne mai a sapere.

Riddle infatti si dimostrò subito estremamente gentile e cordiale, prima la illuse con sorrisi dolci e rose rosse, dimostrandosi interessato e aperto al dialogo, e solo dopo aver tastato bene il terreno, con le minuscole armature dei goblin sottobraccio, passò al vero attacco.

-Ragazzaccio, non avresti dovuto!- squittì Hepzibah, afferrando il mazzo di rose che si era materializzato dal nulla -Così vizi questa vecchia signora... Dovrò trovare il modo per sdebitarmi di tanta gentilezza, Tom-

-Sono certo che ne troverà uno più che soddisfacente, Miss Smith-

La donna arrossì violentemente e capì che quello era il momento per parlare, o gli proponeva ora la sua pensata, o mai più.

-Tom, caro- sussurrò Hepzibah, senza voce -Perdonami se te lo chiedo, non fraintendere, ma io vorrei... ti volevo proporre...-

-Prima io- la interruppe lui, malamente -Ascolterò tutte le tue proposte, ma prima voglio chiederti un ultimo favore-

-Tutto quello che vuoi-

-Lei possiede i cimeli dei fondatori di Hogwarts, vero?-

Hepzibah impallidì -Chi te l'ha detto?-

-Il signor Borgin me l'ha accennato, tra una chiacchiera e l'altra- le rispose lui, candidamente -Volevo semplicemente sapere se era vero, se lei possiede veramente oggetti così rari e preziosi-

-Sì, caro, la coppa di Tosca Tassorosso appartiene alla mia famiglia da secoli, mentre qualche anno fa acquistai il pendaglio di Salazar Serpeverde. Però quelli non posso proprio darteli, ragazzo, sono la cosa più preziosa che ho al mondo-

La voce di Hepzibah si era velata di inquietudine, come se già sapesse dentro di sé il destino che le sarebbe aspettato. Ma Tom le sorrise dolcemente e tornò a sedersi nel divano stile impero. Poggiò le braccia sullo schienale curvilineo e davanti ai suoi occhi divaricò leggermente, impudicamente, le gambe. La sfidò con lo sguardo, la sua espressione consapevole e licenziosa valeva più di qualsiasi gesto o parola.

-Miss Smith, non oserei mai chiederle questo, lei è stata fin troppo generosa con me- le disse suadente, con gli occhi scuri che brillavano di una luce innaturale -Io volevo solo vederli, niente più. Scusi se sono stato impudente, non era mia intenzione offenderla-

-No, ne-nessuna impudenza, figurati, Tom- balbettò Hepzibah, abbacinata -Certo che te li faccio vedere, ci mancherebbe... Ehm, Hokey?-

L'elfa sbucò dal nulla, veloce come la luce.

-Sì, padrona?-

-Mostra al nostro Tom ciò che hai sentito, tira fuori il medaglione e la coppa dei fondatori-

-Ma, padrona, avevate detto...-

-Subito, Hokey, subito!-

Hepzibah sentì solo vagamente il sospiro rassegnato dell'elfa, tanto era presa dal sorriso che Tom le stava rivolgendo. Le bruciavano le dita dalla voglia che aveva di toccarlo, e quando lui allungò un indice e le solleticò il dorso del mano, sempre con quello stesso sorriso equivoco, le parve di svenire.

-Eccoli padrona-

Tom sorrise trionfante, e diede un ultimo, caldo sguardo alla vecchia donna.


-Quando posso offrirle una cioccolata calda, Miss Smith?-

 

 

 

 



Note

Ciao a tutti, incredibile ma ce l'ho fatta! Purtroppo oltre allo studio ora ho pure il tirocinio curricolare, quindi il tempo che ho per scrivere è pochissimo, e mi dispiace perché ho davvero tantissime cose in mente... Comunque, come vi è sembrato -sinceramente- questo capitolo? Io personalmente non ho mai conosciuto una donna come Hepzibah, però voglio sottolineare che lei non è una di quelle vecchie viscide e poco di buono, ma è semplicemente una donna molto sola, con un grande bisogno di affetto... Io Hepzibah l'ho sempre immaginata così, ammetto che a volte mi faccio trasportare molto dall'immaginazione, però almeno mi sono divertita!

Ora mancano solo tre capitoli alla fine e, se vi va, potete dirmi in una recensione o in un messaggio privato quali protagoniste vi piacerebbe vedere nel prossimi capitoli. Ve lo dico perché le ultime due le ho già decise, ma rispetto alla terzultima sono davvero combattuta... Naturalmente se non ricevo nessun messaggio, non succede niente, farò la conta e deciderò io ;-)

A presto e grazie a tutti voi,

Ecate

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Capitolo 5
*** Ginny Weasley, ovvero il Coraggio ***


 

Note1: Ragazzi, ce l'ho fatta. Ho scritto un poema immane, ma spero di cuore che lo leggerete fino alla fine e che non vi faccia troppo schifo (anche se il mio personaggio femminile è per molti di voi deludente, lo so!) ci vediamo giù.

 

 


Spesso, nel cuore della notte, le pareva ancora di vederlo.

 

 

 

 

 

Era appena trascorsa la prima settimana del suo primo anno di scuola, e Ginny non poteva essere più triste e insoddisfatta di così.

Tanto per cominciare, sua madre l'aveva messa in ridicolo davanti a tutti- davanti a Harry- con la Strillettera apocalittica indirizzata a Ron, gridando talmente forte che la sua voce roboante si era sentita perfino nel lontano tavolo dei Serpeverde. E, naturalmente, le conseguenze erano state inevitabili: prese in giro, imitazioni provette della signora Weasley e altre infantili provocazioni si susseguirono instancabili per almeno tre giorni interi.

La mattina dopo, durante l'ora di Pozioni, il suo esausto calderone di seconda mano, dopo anni di onorato servizio, decise puntualmente di abbandonarla e smettere di funzionare, facendole guadagnare per grazia ricevuta una sufficienza scarsa nell'infuso della Buona Notte, il più banale di tutti.

Ma non solo.

Ciò che più aveva mortificato Ginny era stata un'altra cosa, e non si calcolava in termini di voti o popolarità scolastica: si chiamava Hermione Granger, o altrimenti conosciuta come la 'fidanzata segreta di Harry Potter'.

Ginny sapeva di non dover dare credito alle dicerie, sua madre gliel'aveva ripetuto tante volte, ma quella volta non poté farne a meno, i fatti parlavano chiaro: quei due erano perennemente e inesorabilmente appiccicati come due ventose.

Ogni volta che la bambina intravedeva il suo beniamino per i corridoi o lo vedeva solo soletto in sala comune, ecco che compariva subito quell'altra e si sedeva vicino a lui.

Harry e Hermione.

Hermione e Harry.

Sempre insieme, sempre vicini, sempre inseparabili.

La piccola Ginny questo proprio non riusciva a sopportarlo, provava una fortissima gelosia per quella ragazza del secondo, bruttina e con i denti da castoro. Eccetto Luna Lovegood, tutte le sue amiche erano convinte che Harry Potter ed Hermione Granger fossero fidanzati, anche se suo fratello Ron l'aveva valorosamente smentito per tutta l'estate, come se la cosa lo riguardasse direttamente.

Ma quando mai lei ascoltava Ron!? La ragazzina si era messa in testa che i due dodicenni stessero insieme, e nessuno al mondo avrebbe potuto dissuaderla... Eccetto forse il diretto interessato.

Non ho potuto nemmeno parlargli” pensò dispiaciuta, mentre cercava tra i bauli semi vuoti il calderone di riserva “Mi sembra ancora di sentire Ron: Tranquilla Ginny! In treno ti siederai vicino noi e io te lo presenterò, vedrai... Sì, vedrò un corno! Quella lumaca di mare l'ha portato a scuola in macchina, mi sembra ovvio!-

Dopo aver rovistato tra le sue cose con malagrazia, Ginny trovò finalmente il calderone ammaccato e arrugginito di suo padre, che usava come porta libri.

Tolse immusonita la copia autografata di Magicamente io, il libro del professor Allock che aveva comprato al Ghirigoro, un rotolo sgualcito di pergamena, due riviste e... E un quaderno nero che non aveva mai visto.

Ginny lo guardò sorpresa, il diario aveva una copertina di pelle nera, liscia al tatto e opaca alla vista, e sul davanti c'erano incise tre piccole iniziali, rispettivamente una T, una O e una R, che Ginny non riuscì a decifrare.

E questo?” pensò stranita, mentre lo sfogliava. Le pagine erano intonse, pareva nuovo.

Ginny non poté trattenere un sorriso, e il pensiero le corse subito a suo padre. Gliel'aveva regalato lui e le aveva fatto una sorpresa, non c'era dubbio...

Prese il diario e si andò a sedere nella sua postazione, non c'era momento migliore di quello per sfogare tutto il risentimento che le bruciava dentro, sola e con un bel diario nuovo.

 

 

-La mia vita fa schifo- scrisse rabbiosa, calcando bene nella pagina -Odio Hermione Granger, odio pozioni, odio la scuola, odio i miei vestiti, odio tutto, TUTTO!!-

Passò solo un secondo, e come per magia, le parole che aveva appena scritto scomparvero dalla sua vista, come assorbite dalla carta.

-Ma che...?-

Ma guarda, e io che pensavo di essere l'unico...

Ginny sobbalzò e lo lasciò subito cadere, come se avesse preso fuoco all'improvviso.

Era impazzita, o quel vecchio quaderno le aveva appena risposto?

Ciao, comunque. Come sei entrata in possesso del mio diario?

-Ma... Ma sei un diario magico?- scrisse Ginny velocemente, con la sua calligrafia tondeggiante da bambina.

Diciamo di sì. Ma non hai risposto alla prima domanda.

Ginny sorrise, appoggiandosi allo schienale della sedia come per voler sfogare l'euforia di una simile scoperta. Il dispiacere in un batter d'occhio le era passato.

-Credo ti abbia comprato mio pap... Mio padre. Però è fantastico! Non avevo mai visto un diario magico!- scrisse entusiasta -Ma come fai!? Riesci anche a vedermi?-

Certo che ti vedo, e so anche come ti chiami.

-E come mi chiamo?- lo sfido Ginny, giocosa.

Fammi pensare...

-Ah, allora non lo sai!-

No, no aspetta. Forse... Imogen?

Ginny rise -No! Che schifo!-

Muriel?

-Quella è mia zia!-

Ah, allora è più difficile di quanto pensassi.... Vediamo, come può chiamarsi una fanciulla bella e adorabile come te?

Ginny inarcò le sopracciglia e le sue guance divennero rosse come due papaveri. Tranne i suoi genitori, nessuno le aveva mai detto che era bella, prima.

Ginevra, magari?

-Sì...- scrisse laconica, imbarazzata ma con un mezzo sorriso. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma il suo misterioso interlocutore la precedette.

Ginevra, io mi chiamo Tom Riddle.

-Ma cosa sei? Sei davvero un diario parlante?-

No.

-E allora cosa sei?- lo spronò Ginny, curiosa come mai in vita sua.

-Sono un ragazzo, uno studente di Hogwarts esattamente come te-

-Un ragazzo? Ma come è possibile?-

Tanti anni fa un mago oscuro mi fece un sortilegio, intrappolandomi dentro questa prigione di carta. Ma io ci sono, sono vivo, sento e vedo come tutti gli altri.

Ginny trasalì.

-Oddio, ma veramente?- gli scrisse, sinceramente sconvolta -Oddio, ma come facciamo? Ti porto da Silente? Lui saprà sicuramente come tirarti fuori, non devi temere che...-

No, non puoi. Fallo, e io cesserò di esistere. Dì a qualcuno della mia esistenza, e io sarò risucchiato per sempre nell'eco delle loro voci. Non è un caso che io sia capitato a te, proprio a te, tra tutti quanti.

Lo stupore di Ginny Weasley aumentava ogni secondo di più, di pari passo al suo entusiasmo.

-Io? Ma perché io?-

Il diario esitò, e dentro l'Horcrux di Voldemort ghignò entusiasta.

Perché sei speciale, la più speciale e coraggiosa di tutti. Non è stato tuo padre a portarmi da te, né tu a prendermi. È stato il destino che ci ha fatto incontrare, perché tu sei l'unica che può aiutarmi. Sapessi quanto ti ho aspettata, non puoi immaginarlo

Ginny deglutì a vuoto. A dire il vero, lei non si sentiva per nulla speciale. Essere la settima di sette fratelli, aver dovuto condividere tutto, dalla camera da letto ai vestiti smessi -e maschili- aveva dato alla sua vita un'impronta di trascuratezza e di genericità che non l'aveva aiutata affatto con l'autostima. In casa Weasley tutto era di tutti, tutti assomigliavano a tutti e non c'era alcun spazio per occhi di riguardo o per la concezione dell'intimo e della privacy.

Capisco il tuo turbamento, ma non avere paura, insieme risolveremo tutto. Intanto, se lo desideri, posso mostrarti il mio aspetto.

-Sì!- scrisse subito e senza remore, piena di innocente curiosità. Non sapeva perché, ma se lo immaginava decisamente bello.

Perfetto. Chiudi gli occhi e conta fino a cinque, lentamente.

1...

Ma Ginny in risposta li strabuzzò, gli occhi.

Chiudi gli occhi, Ginny, ti vedo se non lo fai.

-Sì, scusa- gli rispose velocemente, e con qualche esitazione li chiuse.

2...Ginny!

“Scusa!” pensò tra sé, e questa volta serrò le palpebre senza più sbirciare. Contò a mente come gli aveva detto quella strana scoperta, e appena arrivò a cinque e poté aprirli, ciò che vide fu sconvolgente.

Non si trovava più nello scrittoio disordinato del suo dormitorio, ma era in un mondo completamente diverso, privo di colori, suoni o profumi.

Davanti a lei, un ragazzo alto e moro si stava pettinando i capelli davanti allo specchio. Indossava una versione antiquata della divisa di Serpeverde, più lunga e dai colori più smorzati, e il pettine nero gli tirava indietro i capelli inumiditi con grande abilità, segno che per lui doveva essere una pratica abituale, se non quotidiana.

Ginny gli si avvicinò fino a potersi specchiare a sua volta, ma lui non parve vederla. Il ragazzo continuava a guardare la propria immagine con gelida indifferenza, perso nei suoi pensieri.

La ragazzina invece si incantò a guardarla, con le sue labbra sottili aperte in una 'O' di candido stupore, e proprio quando se lo sarebbe meno aspettato, quel ragazzo sbiadito si accorse di lei e le fece un sorriso furtivo dallo specchio, e subito dopo Ginny si ritrovò di nuovo nel suo dormitorio, catapultata nella realtà.

-È stato... Wow!-

...Tu sei wow” avrebbe voluto aggiungere, ma evitò accuratamente di farlo. In effetti ciò che aveva visto non aveva deluso le sue aspettative, anzi, gliele aveva perfino innalzate.

Contento che ti sia piaciuta l'esperienza. Perdonami se ero poco presentabile, è stato il primo ricordo che mi è venuto in mente.

-Per me eri presentabilissimo...-

Pìù del famoso Harry Potter?

Se prima le guance di Ginny erano due papaveri, adesso parvero due piccoli soli.

Si trovò ad alzare le spalle e ad assumere un'espressione confusa e intontita, e con la piuma grigia sospesa in mano fece cadere per sbaglio una goccia d'inchiostro sulla pagina, che scomparve assorbita.

Ho forse detto qualcosa di sbagliato?

-No, no figurati- si affrettò a rispondere, laconica.

Ginny, onorami delle tue confidenze come io ti ho reso partecipe delle mie. Tutto quello che vorrai dirmi non uscirà da queste pagine, puoi fidarti di me.

-Beh, Harry un po' mi piace- scrisse allora la bambina, stringendosi forte nelle spalle -Solo che lui non sa neanche che esisto, è sempre in giro con Hermione Granger e Neville mi ha perfino detto che stanno sempre in banco insieme. Non è giusto, lei è odiosa, Ron mi ha detto che vuole sempre fare la maestrina e che in classe lo corregge sempre e poi ha dei capelli che sembrano dei cespugli infestati dagli gnomi, non so come faccia Harry a starle sempre vicino, senza contare che Harry è troppo gentile per stare con lei, si mollerebbero subito!-

Per un momento, l'anima del giovane Lord Voldemort si pentì amaramente della sua richiesta.

Ginny infatti lo prese alla lettera e gli raccontò tutte le sue fisime e i suoi piccoli dispiaceri che, spaziando dal disagio di usare libri di seconda mano fino ad arrivare alle pene d'amore per Potter, non facevano altro che tediare Riddle e convincerlo di quanto potesse essere debole e manipolabile una ragazzina pura e ingenua come lei.

Ma Ginny Weasley non era una debole, era solo una bambina come tante, e per questo fisiologicamente ingenua e fiduciosa verso il suo prossimo. All'inizio infatti le sembrava tutto un gioco, trattava Tom come se fosse un amico immaginario, contenta finalmente di avere qualcosa di suo e solo suo, che non doveva condividere con nessun altro.

Solo che, presto, quello strano rapporto iniziò a prendere una brutta piega.

Ginny credeva ciecamente a tutte le soavi menzogne che le raccontava Tom, e più il tempo passava, più ne diventava dipendente, finché non arrivò ad isolarsi dal resto del mondo e a convincersi che solo Tom c'era e che solo lui era importante per lei.

Il suo viso tondo da bambina si fece pallido, il suo carattere solare divenne schivo, e ogni cosa che la distoglieva o le impediva di passare del tempo con l'onnipresente Riddle veniva preso da lei come un'offesa personale, qualcosa di negativo da scacciare come una mosca fastidiosa.

E, di tutto questo, Tom Riddle non poteva che uscirne rafforzato: confidando al diario i suoi segreti più intimi e le sue più grandi paure, Ginny iniziò a diventare sempre più debole e vulnerabile, mentre Riddle, al contrario, si appropriava della sua energia e accresceva le sue forze, tanto da poter comunicare con lei anche senza l'intermediazione del diario.

 

-Tom, mi ero sbagliata nei confronti di Hermione- gli confidò un giorno Ginny -È stata gentile con me, oggi per esempio voleva accompagnarmi in infermeria, pensava che fossi malata-

E tu l'hai ascoltata?

-No, perché altrimenti non avrei potuto stare con te-

Brava la mia bambina... Sai perché ti ha detto questo?

-Perché era preoccupata per me?-

No, sciocca, perché così ne avrebbe approfittato per separarci per sempre. Credi davvero che qualcuno possa interessarsi a te senza pretendere qualcosa in cambio? Ginevra, solo io ho capito quanto vali, solo io voglio il tuo bene, credevo che l'avessi capito.

-Ma infatti l'ho capito, non sono andata!-

Va bene, ora sdraiati e chiudi gli occhi, veglierò io su di te.

-Ma sono solo le otto di sera, devo ancora cenare-

Fai come ti dico, fidati di me.

Ginny allora, ormai incapace di ragionare con la sua testa, obbedì angosciata al suo burattinaio e senza togliersi nemmeno il mantello e le scarpe, si sdraiò nel letto. Come chiuse gli occhi, percepì sopra di sé la presenza vaga ma tangibile di Tom Riddle.

-Tom?-

-Shh, Ginny...- la sua voce era calda, distensiva -Ci sono io con te, non temere-

E come un Dissennatore, Tom si piegò su di lei le rubò dalle labbra un soffio di energia vitale, l'ennesimo.

-Sogni d'oro, principessina-

 

L'indomani mattina, però, Ginny non si sentì affatto bene. Aveva i brividi e le gambe intorpidite, un mal di testa lancinante e una sensazione di debolezza generale in tutto il corpo, come se avesse dormito otto minuti invece che otto ore.

Questo però le impedì di fare la prima cosa della giornata, ossia salutare Tom.

-Ciao, Tom!-

Ciao, tesoro.

-Oggi non mi sento molto bene, credo di avere la febbre-

Poverina... Sarà un male di stagione, passerà in fretta.

-Speriamo!- scrisse Ginny, poi le venne in mente qualcosa di strano -Ma ieri sera sei uscito dal diario? No, perché mi è parso di...-

-...Di vedermi qui?-

Ginny per poco non cadde dal letto. Si girò di scatto, talmente veloce da farsi male al collo, e dietro alle tendine gialle e rosse del suo baldacchino c'era lui, proprio lui, Tom.

La sua figura era semi trasparente e i suoi contorni sfocati lo facevano sembrare un fantasma a colori, ma non per questo si poteva dubitare della sua esistenza: Lui c'era, il suo sorriso di gesso era incontrovertibile.

Come lo vide, Ginny trasalì e diventò paonazza, il cuore iniziò a batterle a spron battuto.

-Tom!- urlò incredula ed entusiasta a un tempo -Sei uscito dal diario! Sei uscito dal diario!-

-Shh!- l'ammonì lui, senza essere sgradevole -Vuoi farmi scoprire proprio ora che sto per tornare?-

-Oh, scusa- ridacchiò goffamente, tappandosi la bocca con una mano -Ma come hai fatto?-

Tom le sorrise, un sorriso insinuante che la ragazzina non riuscì a interpretare.

-Ma come, non l'hai capito?- le rispose dolcemente, avvicinandosi a dov'era seduta -È solo grazie a te, tu sei la mia salvatrice, Ginny Weasley, la mia adorabile salvatrice...-

-Io? Ma io non ho fatto nulla...-

-Invece hai fatto tanto, più di quanto immagini, e io non posso che ringraziarti- Tom ormai la fronteggiava, e solo in quel momento Ginny parve realizzare cosa stava succedendo: era in camicia da notte, sul letto, con un ragazzo grande di Serpeverde.

-Ehm...Prego- gli rispose imbarazzata, con le spalle incassate sul collo e lo sguardo fisso sulla coperta.

-Posso chiederti una cosa io, ora?-

Ginny annuì appena, guardandolo di sottecchi.

-Ti piace ancora il grande Harry Potter o hai cambiato idea?-

La sua voce suadente e vellutata sembrava una carezza, e Ginny si limitò ad alzare le spalle e allargare le braccia, era talmente imbarazzata da non riuscire a parlare.

-No, perché se non ti piace più, magari potremmo...- lasciò cadere la frase a metà, e sorrise divertito davanti alla sua patetico imbarazzo.

-Lasciamo stare. Ora alzati e preparati, non vorrai mica essere malata durante la notte di Samhain, non è vero?-

-Va bene- gli rispose Ginny, senza chiedergli cosa fosse questa notte di Samhain, che non aveva mai sentito mai nominare.

Quando entrò in classe per le lezioni, però, fu un disastro: Non ascoltò una parola dei professori, né diede udienza alle sue amiche, che cominciavano a diventare sospettose rispetto a quel suo strano isolamento.

 

-Si può sapere che cosa ti prende, Ginevra?- le domandò Luna Lovegood subito dopo l'ultima ora, con quella sua voce lenta e narcotizzata -Sei strana, quasi quanto me-

-Io non sono strana, sono solo un po' malata. Una malattia di stagione, niente di grave-

-Oh, già, la stagione- concordò Luna, guardando meditabonda fuori dalla finestra -Eppure una mia amica mi ha suggerito un'altra cosa-

-Chi?-

-Helena-

-E chi è?-

-Una mia amica-

-Ho capito che è una tua amica, ma volevo sapere chi è, cosa fa-

-Vola, è un fantasma-

-E tu ascolti quello che dicono i fantasmi!?-

-Non mi pare di essere l'unica-

Ginny le lanciò uno sguardo sconcertato, incredulo, ma l'altra continuò a sorriderle come se niente fosse, lo sguardo azzurro come sempre un po' perso e trasognato.

-Ti saluto, Luna- le disse sbrigativa, caricandosi la cartella sulla spalla e iniziando a camminare.

-Ciao Ginevra, allora ci si vede la notte di Samhain-

La Grifondoro si volse a guardarla, sfinita, ma continuò comunque a camminare velocemente, cercando di reprimere quella strana sensazione di paura e irrequietezza che sentiva nel profondo di se stessa.

 

La notte di Samhain, o più banalmente conosciuta come la notte di Halloween, è stata ritenuta dagli stregoni medievali e dagli uomini di Chiesa come la più oscura e malefica dell'anno, in cui i demoni e i praticanti di arti oscure raggiungevano picchi di potere altissimo, ineguagliabile.

Circondata da un alone di ignoranza e superstizione, fu bollata come la notte dei sabba e dei sacrifici, e sia i maghi che i babbani erano caldamente invitati a restare in casa, in compagnia di esorcisti, corni e stupidi amuleti di protezione.

Nessuno a quei tempi avrebbe immaginato che una tale ricorrenza si sarebbe trasformata in una festicciola commerciale con tanto di costumi e decorazioni, e che tutta la sua valenza minacciosa fosse stata fagocitata dalla voglia di trasgressione, di vestire i panni del cattivo anche solo per poche ore.

A Hogwarts, però, l'orrore di Samhain quell'anno venne riconfermato in modo esemplare.

Nella parete spoglia del primo piano brillava di rosso la famosa frase che decretò l'inizio del terrore, l'annuncio che la Camera dei Segreti era stata aperta, di nuovo.

Naturalmente a Hogwarts scoppiò il finimondo e, altrettanto naturalmente, la colpa fu scaricata

sull'ultima persona che avrebbe potuto compiere un simile orrore: Harry Potter, il ragazzino più chiacchierato e popolare della scuola.

Solo Ginny Weasley non si era accorta di niente. La poverina giaceva svenuta sul suo letto ancora intatto, priva di qualsiasi forza, mentre il Ministero inglese e tutto restante il mondo magico veniva avvertito e allarmato di quel recente pericolo.

La mattina seguente, Ginny si risvegliò in un letto dell'infermeria, con un tubicino attaccato al braccio e un beverone di chissà quale pozione puzzolente sul comodino. Era pallida come un cencio e la testa le doleva, ma la cosa più sconvolgente era che non riusciva a ricordare assolutamente nulla della sera precedente. Nella sua mente c'era come un grosso e inquietante buco nero, contornato però da sensazioni macabre e spiacevoli.

Le pareva di ricordare un bagno stranissimo, i cui lavandini si muovevano e si disgiungevano fra loro come spicchi di limone, e insieme a questo delle lettere rosse e buttate senza logica nello sfondo nero del suo inconscio. E poi, delle frasi...

 

 

-Nuova fiamma, Riddle?-

-Dai, Myrtle, lo sai che non ho mai smesso di pensare a te...-

-Certo! La prima vittima non si scorda mai, non è vero?-

-Sei proprio adorabile. Salutami la Dama Grigia-

-Col cavolo-

 

 

 

-Ah, signorina Weasley, finalmente si è svegliata- la voce brusca di Madama Chips la destò dai suoi pensieri -Ieri sera ha avuto un mancamento, probabilmente per un calo di zuccheri, niente di troppo grave. Però voi ragazzine dovete finirla con questa stupida mania di digiunare. Se fosti nata ai miei tempi, quando si faceva carte false per una castagna, vedevi te come mangiavi...-

-Hmm... Il di-ario...- mugugnò Ginny, talmente esausta da faticare a parlare -Il diario, mi serve... dov'è il diario...-

-Diario? Non ti serve nessun diario, riposati-

-No! No! Portami il diario, il diario di To... Il mio diario! Devo andare a prenderlo- Ginny fece per alzarsi, ma l'infermiera la bloccò -Signorina Weasley, cosa pensa di fare? Non vede che non si regge in piedi? Si sdrai subito-

-No, per piacere...-

Ma con modi poco garbati, la donna spinse Ginny sul letto, e la ragazzina quasi si mise a piangere per la frustrazione. Ma per fortuna, appena Madama Chips fu chiamata con urgenza fuori dalla camera ospedaliera, Tom Riddle le si presentò davanti.

Inspiegabilmente, era diventato ancora più visibile e concreto, i suoi colori si erano fatti più densi e luminosi, anche se la sua figura restava comunque sfocata e avvolta da una strana aura nera.

Appena lo vide, però, Ginny si illuminò.

-Tom!- lo chiamò sorridendo, sentendosi subito meglio.

-Come sta la mia principessina?-

-Benino, madama Chips ha detto che ho avuto un calo di zuccheri, strano perché non mi è mai capitato-

-Capita a tutti... Piuttosto, hai sentito cosa ha fatto il tuo innamorato?-

A quella parola, Ginny scosse la testa e arrossì come un pomodoro, capendo immediatamente a chi si stava riferendo.

-Pare che l'eroe del mondo magico abbia smarrito la retta via- le disse allusivo, e poi le raccontò tutto e in breve, dalla scritta sul muro a Mrs Pur pietrificata.

Ginny ne rimase naturalmente sconvolta, senza poter credere che Harry, il suo gentile e generoso Harry, avesse potuto anche solo architettare una cosa del genere. Infatti, malgrado lo conoscesse praticamente solo di vista, Ginny aveva percepito tutto il buono e la luce che c'erano in lui: quegli occhi verdi come frammenti di mare non potevano che essere buoni, Ginny ne era sicura.

Per la prima volta, quindi, quello che le disse Tom non le parve verità assoluta, e un piccolo germe del dubbio iniziò a insinuarsi dentro di lei.

 

 

-Comunque, per me non può essere stato Harry- scrisse nel diario un giorno in biblioteca, dopo aver lanciato a Harry Potter uno sguardo veloce -Lui non lo farebbe mai-

Sei così ingenua, piccolina... Posso sapere quante volte gli hai rivolto la parola?

Ginny si morse un labbro, in effetti oltre a quel 'ciao' che lui le aveva rivolto alla Tana non c'era stato più niente. Di nuovo la ragazzina spostò lo sguardo su Harry, ma questa volta lui se ne accorse e le lanciò un'occhiata, perciò Ginny virò subito verso il basso, imbarazzatissima.

-Mai- scrisse a Tom, con la testa immersa tra le pagine.

Ebbene, per quale motivo credi più a lui che a me? Mi fai rimanere male...

-No, Tom, non rimanerci male- Ginny cercò di consolarlo, convinta che il suo manipolatore fosse davvero dispiaciuto -Non è che non ti credo, però Harry ha qualcosa dentro che mi rende sicura, non so perché. Per me l'hanno solo incastrato-

Esci da qui, ora.

Ginny aggrottò la fronte, stupita.

-Perché?-

Non fare domande, Ginevra, esci e basta.

-No, scusa ma devo ancora finire i compiti-

Ho detto, esci.

Subito.

Sbuffando, Ginny si alzò davanti a tutti e uscì dalla sala studio. Perché non riusciva mai ad obbiettare? Questa sensazione di impotenza la stava davvero esasperando, era come se fosse sotto l'influsso perenne e velato della maledizione Imperius.

Camminò preoccupata fino alla sala delle armi, ma come si trovò all'altezza di un arazzo, qualcosa l'agguantò e la spinse dietro il tessile con violenza.

-Finalmente, piccola Ginny- Tom le era a un palmo dal naso, venti centimetri più alto di lei -Cominciavo a sentire la tua mancanza... Ma sbaglio o stai diventando un pochino polemica? Dopo tutto quello che ho fatto per te?-

Ginny arrossì e una grande paura la invase. Indietreggiò qualche passo, ma sentì subito la parete fredda e dura del muro.

-Non sono polemica- mormorò allora, dopo essersi fatta coraggio -Tu non sei mio padre, non mi puoi comandare-

Tom scosse lentamente la testa, e un sorriso pigro gli incurvò le labbra sottili.

Si piegò su di lei, nero come l'inchiostro, e con un dito affusolato gli tracciò il profilo del mento.

-Accidenti, mi hai scoperto- la sbeffeggiò, con gli occhi ipnotici fissi nei suoi -Posso almeno darti un bacio d'addio?-

Quella di Riddle non era una domanda. E neanche il bacio che le diede fu un vero bacio, ma piuttosto uno spietato risucchio della sua forza vitale, strappatale direttamente dalle labbra.

Ginny infatti cadde svenuta subito dopo, e quello stesso pomeriggio l'erede di Salazar Serpeverde pietrificò la sua seconda vittima, Colin Canon, e poco dopo anche i malcapitati Justin Finch-Fletchley e Nick Quasi-Senza-Testa.

Giorno dopo giorno, l'umore e le condizioni di salute Ginny peggioravano vertiginosamente, e allo stesso tempo i sospetti su Harry Potter si facevano sempre più fondati e incontrovertibili: Sembrava che il triste destino dei due futuri sposi viaggiasse già su binari paralleli.

Durante un duello amatoriale di magia, infatti, si era scoperto che Potter parlava il serpentese e pareva che ne avesse avesse aizzato uno proprio contro Finch-Fletchley, trovato poi pietrificato la sera stessa, mentre Ginny era stata riportata in infermeria da suo fratello Percy, sempre per un sedicente calo di zuccheri.

Sola in infermeria, in piena notte e senza il disincentivo dato dalla presenza delle sue compagne di dormitorio, Ginny era in balia di Tom Riddle.

-Giiiinny...-

-Lasciami stare- sussurrò con le lacrime agli occhi, rannicchiandosi più che poté sotto le coperte ruvide dell'ospedale -Vattene via!-

-Giiinny- Tom aleggiò sopra di lei con il suo corpo, che ormai era diventato consistente -Perché non mi parli più, principessina?-

La ragazzina si nascose la testa tra il cuscino, ma questo non impedì a Tom di attaccarla e prendere possesso del suo corpo.

-Alzati, Ginevra- le ordinò, e la piccola strega si alzò subito, rigida come un manichino.

-Seguimi ora-

Ginny obbedì anche a questo, e in stato di semi incoscienza seguì la figura evanescente di Riddle fino al bagno di Mirtilla Malcontenta. Non capiva cosa stava succedendo né le interessava, si sentiva bene, estremamente tranquilla e rilassata. Anche i suoi sensi erano appannati dalla nebbia dell'ipnotismo, niente era genuino, tutto era artefatto.

Non poteva rendersi conto di quello che stava facendo, non poteva neanche immaginare che Tom la stava usando per aprire la Camera, sguinzagliare il basilisco e pietrificare i figli di babbani.

Né poteva immaginare che quel mostro la stava uccidendo piano piano, che le stava succhiando le energie e che la stava consumando sia fuori che dentro, come una candela accesa.

Non poteva immaginarlo, ma gli incubi continui, i vuoti di memoria e il brutto presentimento che continuamente le suggeriva di allontanarlo, furono spie di allarme che la ragazzina non si sentì più di ignorare.

Per questo, il mattino seguente a quello della pietrificazione della Granger, forte del suo coraggio da Grifondoro, Ginny scagliò il diario di Tom Riddle nel bagno ammuffito di Mirtilla, liberandosi così del fantasma che le aveva tormentato anima e corpo per quasi sei mesi.

Non fu una decisione facile, nei giorni seguenti le ritornarono in mente tutti i bei momenti che Tom le aveva fatto passare, dalla soddisfazione di ricevere tanti complimenti al piacere di sentirsi cullare da quelle parole incoraggianti e da quella amicizia segreta e un po' proibita, che era stata solo sua, sua e di nessun altro.

Però non si lasciò ingannare, si era sentita illusa e delusa una volta, non voleva rischiare di provarlo di nuovo.

Ci fu solo un problema, l'ennesimo scherzo del destino che Ginny non aveva potuto preventivare: quel diario che aveva abbandonato, fu trovato e raccolto da niente di meno che da Harry Potter in persona.

Appena Ginny lo venne a sapere, il mondo le crollò addosso, di nuovo.

Ebbe paura che Tom gli spifferasse tutto, che la colpevolizzasse o che inducesse Potter ad autoaccusarsi o, cosa peggiore di tutte, che gli facesse del male.

Corse quindi da Harry, pur non avendo la benché minima idea di cosa dirgli o fargli, seguì solo il suo istinto e si lasciò trasportare dal tenero sentimento che provava per lui.

Ma come arrivò nella sala comune di Grifondoro, Ginny Weasley non incontrò Harry, ma il frammento d'anima di Tom. Era incredibilmente regredito senza di lei, più sfocato e trasparente che mai, sembrava quasi un ricordo sbiadito...

-Ciao, principessina, ti sono mancato?-

Ginny scappò subito nella direzione opposta, pronta a gridare con tutte le sue forze ma, come negli incubi peggiori, Tom le si parò davanti e la bloccò.

-Dove credi di andare, eh?- la derise -Pensi che basti scappare per poter evitare l'ira del Signore Oscuro, Lord Voldemort?-

Dopo quella atroce scoperta, la ragazzina ammutolì. Rimase a bocca aperta, talmente sconcertata che la paura fu attutita dallo sgomento. Quel demone dalla faccia d'angelo aveva finalmente tolto la maschera e rilevato la sua vera identità.

-Sei così stupida... Siete così stupide, basta talmente poco per illudervi e raggirarvi che mi fate quasi pena- continuò Tom, sprezzante -Credevi davvero che mi interessassero i tuoi piagnistei da mocciosetta? Che mi importasse qualcosa di te, che non sei nulla, che vali meno del nulla?-

Ginny avrebbe voluto indietreggiare, ma si sentiva i piedi bloccati per terra. Sudore freddo, ansia, panico, impotenza e delusione imperavano nel suo io e non lasciavano posto a nient'altro, solo a quel senso di incredulità che si prova subito dopo un torto o un altro evento negativo.

-Ammetto però che ti devo ringraziare- continuò Riddle -Se non fosse stato per te, non sarei mai riuscito ad aprire la Camera dei Segreti e a pietrificare quegli inutili esseri nati babbani. Grazie, Ginny, Lord Voldemort ti ringrazia-

-Harry ti fermerà- sussurrò Ginny, ormai sull'orlo delle lacrime -Lui non ti permetterà di fare del male agli altri studenti... Lui è più coraggioso e più forte di te, lui ti fermerà-

-Potter morirà, esattamente come te, se non farai quello che dico io- le rispose Tom tra i denti, palesemente adirato, quasi offeso, dalle sue parole -Dato che sei stata tu a iniziare questa storia, mi pare ovvio che sarai tu a finirla. O vieni con me nella Camera dei Segreti, oppure io ucciderò Harry Potter e tutti gli altri studenti messi insieme. A te la scelta-

-Ma cosa devo fare io nella Camera dei Segreti?-

-Nulla, devi solo venire con me. Vieni con me, e ti prometto che dopo la chiuderò. Dimostra per una volta di valere qualcosa, di avere coraggio e di essere degna della tua casa-

La voce e l'espressione di Riddle si erano raddolciti, tanto che Ginny aveva già dimenticato che si trattava della versione giovanile di Lord Voldemort. In realtà le sembrava una cosa talmente impossibile che il suo cervello non era stato in grado di accettarla. Dire che Tom Riddle fosse Lord Voldemort per lei equivaleva a dire che Draco Malfoy fosse Gellert Grindelwald: assolutamente inaccettabile.

-Mi farai male?- gli chiese quindi ingenuamente, sempre con gli occhi lucidi. Tom le fece un sorriso vellutato.

-Non sentirai nulla- 

Ginny allora acconsentì, e permise al mago oscuro di oscurarle gli occhi con la mano e di farla cadere in quel famigliare stato catatonico.

Dopo aver scritto nel muro l'epitaffio sanguinolento della sua morte, la Grifondoro si lasciò trasportare da Tom fin nella Camera, dapprima con le sue gambe, e poi, quando il suo corpo prosciugato non ce la fece più, in braccio a lui.

Quando riaprì gli occhi, davanti a lei c'era solo la coltre buia di un soffitto altissimo, nella quale si perdevano lunghi pilastri di pietra formati da serpenti a fauci aperte intrecciati fra di loro. Era sdraiata su un pavimento gelato e disgustosamente umido, respirava a fatica e i battiti del suo cuore erano deboli e lenti. Non volava una mosca in quell'aria verdastra, se non per i passi calmi e misurati di Tom, che girovagava intorno a lei e canticchiava come se niente fosse.

Ginny cercò di muoversi e parlare, ma le uscì solo un gemito.

-Shh, Ginny, tra poco sarà tutto finito-

-Vo-Voglio tornare a ca-casa...-

-Temo che non sia possibile, mia cara- le rispose Riddle, dolcemente -Dovrai stare qui ancora per un po', giusto qualche secolo...-

Ginny non ebbe la forza di reagire, si sentiva talmente debole che perfino respirare le costava fatica.

Quando però credette di essere giunta alla fine della sua vita, poco prima di chiudere gli occhi udì un frastuono, e l'eco di una voce lontana le arrivò alle orecchie, una voce maschile che conosceva bene e che in quel momento le parve come il richiamo di un angelo.

-Ron! Stai bene!?!-

-Harry?- sussurrò a malapena, mentre Riddle era scattato in avanti.

Subito dopo, i suoi occhi si chiusero.

Quando li riaprì, dopo un momento lungo che le parve un istante, si sentì miracolosamente forte e piena di energie, e seduto accanto a lei un ragazzino sporco, ferito e malmesso le stringeva forte una mano.

Tom Riddle non c'era più.

C'era Harry, solo Harry.

 

 

 

 

Note2
Oddio. Sono sconcertata.
Sappiate che se fossi stata al vostro posto e avessi letto Ginny Weasley nel titolo del capitolo, un bel “MA NO, CHE SCHIFO!!” non me l'avrebbe tolto nessuno. Sì, perché Ginny non mi è mai stata simpatica, diciamo proprio che non l'ho mai potuta sopportare. Questo capitolo, però, da questo punto di vista è stato terapeutico: dopo aver scritto di lei e averla immaginata così, Ginny non mi fa poi così schifo... Anzi, mi è piaciuta. Cosa altrettanto incredibile, mi è piaciuto perfino anche quell'accenno di Harry-Ginny ( la cd. Hinny, se non erro) che ho inserito qua e là. Cosa ancora più incredibile, ho quasi tifato per i buoni,  quasi.
Se anche voi avete provato qualcosa di simile, posso dire aver fatto tombola. Se non vi è piaciuto, cosa ben più probabile, mi dispiace di avervi deluso e fatto perdere del tempo.
Ad ogni modo, vi ringrazio di cuore per tutto il supporto che mi avete dato, e scusate il ritardo mostruoso e l'assenza in generale su Efp, ma non è dipesa da me :(
Buona serata e un bacio grande,
Ecate.

 

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Capitolo 6
*** Nagini, ovvero la Fiducia ***


 

Asciugherò le tue lacrime e ti insegnerò a sopravvivere, per trasformarti in cobra tra mille vipere”

cit

 

 

 

 


Estate 1940, orfanotrofio Wool

 

 

Il grido assordante della sirena antiaereo annunciò l'arrivo del terzo bombardamento tedesco.

Londra si svegliò nel tumulto, esagitata come se fosse inseguita dalla morte stessa: tante persone si riversarono verso i bunker sotterranei più vicini senza alcun ordine, le scale che conducevano al rifugio presto divennero stipate di persone che spintonavano, bambini che piangevano, donne che gridavano e uomini che si maledivano a vicenda.

I più fortunati potevano fruire di proprie cantine o mansarde, molti si erano anche creati baluardi ad hoc per evitare calamità come queste.

L'orfanotrofio Wool, ad esempio, nel suo malfamato squallore, poteva usufruire di un'ampia cantina sotterranea, che si era dimostrata quanto mai provvidenziale per proteggere i suoi giovanissimi ospiti dagli attacchi delle Potenze dell'Asse.

Spesso, la sirena suonava senza che ci fosse un reale pericolo, ma la Signora Cole, la rigida direttrice dell'orfanotrofio, ordinava che i bambini e i ragazzi fossero condotti comunque nelle cantine, anche quando era ovvia la falsità dell'allarme. Costoro venivano tutti contati e sistemati diligentemente, ma quella notte, la proprietaria e i suoi aiutanti si accorsero con sommo orrore che un ragazzino mancava all'appello...

 

-Dov'è Tom?-

 

 

Fuori, a piedi nudi sull'erba fredda, un ragazzino e il suo Famiglio guardavano il cielo.

-Un giorno volerete anche senza quelle ali di ferro, Mio Signore-

-Dici tante cose di me, Nagini, ma non mi dici come farò a raggiungerle. Come potrò volare? Come potrò epurare la società se sono privo delle armi per farlo?-

-La magia scorre potente in voi, abbiate fiducia nelle vostre forze, e queste non vi deluderanno. Salazar non può essersi sbagliato-

Tom la guardò per un momento, e poi rivolse nuovamente lo sguardo al cielo, verso gli aerei militari nazisti che sfrecciavano lontani e minacciosi sui tetti dei civili. Al primo boato distruttivo, un fulmine di luce illuminò per un istante il viso del tredicenne, che si deformò in un sorriso entusiasta.

-Whoo! Hai sentito, Nagini?- le domandò eccitato

-Ho sentito, Mio Signore- gli rispose lei, quasi materna

-Si potrebbe eguagliare una simile esplosione con la magia?-

-Voi solo potrete...-

Tom la guardò compiaciuto, sentendosi subito lusingato da tutta la fiducia che il suo animale magico gli riponeva. Giorno dopo giorno, la superbia e la presunzione cresceva in lui con forza esponenziale, parallelamente al bisogno di primeggiare e di essere il migliore tra i migliori. E nessuno meglio di Nagini soddisfaceva questo bisogno impellente, quasi vitale.

E non solo quello: con delicatezza si avviluppò sopra di lui e, conscia di pesare troppo per il suo corpo ancora giovane e parzialmente immaturo, rimase per buona parte sul suolo. Sfregò e strinse dalle parti della cintola, e il ragazzo chiuse subito gli occhi.

-Io comunque tifo per i nazisti-

-Lo sospettavo, Mio Signore-

 

 

 

 

7 anni prima, febbraio 1932.

 

-Hai di nuovo rotto il bicchiere! Maledetto diavolo che non sei altro!-

La signora Cole strattonò il piccolo Tom per un braccio, stringendolo talmente forte da fargli male.

-Non l'ho fatto a posta! Si è rotto da solo, io non... Non è stata colpa mia...-

-Non l'hai fatto apposta!?- sputò la direttrice, con la sua tipica prepotenza -Ma se la cuoca Meredith ti ha visto con i suoi occhi! Dannato moccioso! Con che coraggio ti permetti di mentire così spudoratamente?-

-Ma io non... Si è rotto da solo, non so perché!-

Tom non sapeva neanche lui cosa dire. Dopo che la cuoca gli aveva bruscamente negato una seconda porzione di succo annacquato, lui si era innervosito a tal punto che il bicchiere gli era esploso in mano, letteralmente parlando. Non l'aveva fatto cadere, né tanto meno l'aveva stretto così forte da frantumarlo. Era proprio scoppiato, come per magia.

-Ah, ma certo. Adesso perfino i bicchieri si rompono da soli! Avete sentito, bambini?- la donna si rivolse al platea dei piccoletti, che assisteva divertita alla sgridata -Tom ha detto che i bicchieri si rompono da soli! E dimmi, parlano anche come le lucertole, per caso?-

Tutti i bambini si misero a ridere, sia i più piccoli che i più grandi, ma nemmeno davanti a un'umiliazione così grande Tom si lasciò andare alle lacrime. Li osservò ridere colmo d'odio e di imbarazzo, con i pugni chiusi e il viso arrossito. Aveva solo sei anni, ma nel suo animo albergava già quella sete di vendetta che avrebbe contraddistinto tutta la sua vita futura.

Il senso di ingiustizia, infatti, fu la forza motrice di molte delle sue scelte, scelte che il giovane schermò nell'urgenza di preservazione e purificazione della magia.

-Allora, chiedi scusa?-

Tom sfidò con lo sguardo la signora Cole, che divenne paonazza.

-No-

-Come hai detto, scusa?-

-Ho detto di no!-

Quest'impertinenza gli costò uno schiaffo in pieno in viso, ma il peggio doveva ancora venire.

-Sta notte dormirai in soffitta- sentenziò la donna, furente di rabbia -Così finalmente imparerai a rispettare la roba che non è tua-

-No, no, per piacere- la supplicò il bambino, disperato -Non voglio andare in soffitta, ci sono delle ombre, c'è la morte...-

-La morte ce l'hai nel cervello!- lo sbeffeggiò, e con l'aiuto del custode, lo trascinò di peso per le scale che conducevano nel luogo che tanto temeva. Tom era terrorizzato da quel posto, non tanto perché aveva paura che ci fosse qualcosa di pericoloso, come il classico mostro o la classica strega, quanto perché la sua mente da bambino lo ricollegava, non a caso, alla morte.

Quella soffitta infatti era buia, di un buio nero e spietato, e fredda, e muta. Tutti i bambini finivano lì per punizione, ma per Tom quella punizione aveva un sapore particolare, molto più amaro e distorto... Ma la direttrice non poteva certo immaginarlo.

Come la donna serrò la porta a chiave, Tom si sentì inghiottito da un buio fitto e da un freddo tombale, che lo prosciugarono di ogni forma speranza. Chiuse gli occhi e cominciò a tremare come una foglia, accovacciato davanti alla porta.

Cercò di calmarsi ascoltando il ritmo dei propri sospiri, ma come aprì gli occhi e vide che il buio era esattamente lo stesso di quando aveva gli occhi chiusi, fu preso dal panico.

Si girò di scatto, ma nulla, la distesa nera e infinita non mutava, e il bambino si sentì soffocare da quel niente assoluto che era il tutto allo stesso tempo, che l'aveva aggredito e disarmato di ogni elementare facoltà.

Ecco cos'era la morte secondo la sua mente distorta, il niente invincibile, eterno e assoluto.

In balia della sua soffocante paura del buio, il piccolo e indifeso Tom sarebbe potuto anche morire, se non fosse stato per un piccolo rumore provvidenziale, uno strisciare proveniente dall'alto.

Non abbiate paura, padrone.

Una voce femminile, fredda e distante, lo rassicurò.

La morte non è qui, è lontana. Non avete nulla da temere.

Tom tese le orecchie e strinse gli occhi per affinare la vista. Tra le ombre scure, gli parve di intravedere la vaga figura di un muso appuntito. Qualsiasi bambino al posto suo avrebbe gridato per la paura, ma lui non lo fece.

-Chi sei?- le chiese con voce tremula, riprendendo piano piano a respirare normalmente.

Mi chiamo Nagini, e sarò vostra per sempre.

 

 

 

 

 

Primo anno a Hogwarts, 1 settembre 1938

 

Tom guardò l'ora: erano le dieci e trenta, mancavano ancora diversi minuti prima della partenza del treno. Il vecchio strambo vestito da melanzana gli aveva dato un biglietto farlocco, che cambiava orario ogni dieci minuti... Ma Tom sapeva che il treno partiva intorno alle undici, come gli aveva accennato lo stesso Silente alla fine dell'incontro.

Quell'uomo, poi, non gli piaceva affatto. Non solo perché era praticamente vestito da donna, ma anche perché era riuscito a scoprire in cinque minuti tutto ciò che lui aveva diligentemente celato per quasi cinque anni. Era pericoloso, fingeva di fare lo scemo, ma in realtà era più sveglio e arguto di quanto si potesse immaginare. Poi Nagini gli aveva pure rilevato che era magicamente potentissimo, uno tra i maghi più forti del mondo...“Ma niente di che, non preoccupatevi”.

Eppure l'immagine dell'armadio che prendeva improvvisamente fuoco non l'aveva abbandonato neanche per un momento, e di cose assurde in quei giorni ne aveva ben viste! A cominciare dalle scope volanti per finire agli elfi come amministratori delegati di una banca. Ma niente l'aveva sconvolto come quell'ostentazione di potere, che altro non era se non vera e propria minaccia nei suoi confronti.

Comportati male, e fai la fine dell'armadio” Ecco cosa aveva voluto dire.

Si chiese se quell'uomo era solito bruciare i ragazzini che gli stavano antipatici. Si immaginò Hogwarts come una scuola degli orrori, dove gli studenti cattivi venivano uccisi e dati alle fiamme come ceppi di legno rinsecchiti. Con una chiarezza cinematografica, Tom si figurò nella mente i roghi degli studenti e le urla di dolore, ma non ne fu affatto turbato, anzi, li trovò in qualche modo interessanti.

E i cadaveri però dove li mettono?” si interrogò, seduto sulle panchine della stazione “Li bruciano fino a cremarli? Magari hanno una stiva fatta a posta dove li fanno marcire. O se li mangiano...”

D'altronde, da che mondo è mondo, è notorio che le streghe cattive siano brutte e si mangino i bambini, no?

 

-Chi arriva ultimo è un Sanguesporco!-

 

Un gruppo di ragazzini vivaci lo distrasse. Correvano a perdifiato verso la locomotiva dell'Hogwarts' Express, seguiti in fondo da una ristretta cerchia di adulti e un paio di bambine che, a differenza dei ragazzini, erano rimaste ferme contegnose con le rispettive madri.

Una delle due catturò l' attenzione di Riddle. Costei camminava con grazia, aveva i capelli neri legati in una acconciatura dai nastrini verdi e un vestitino d'organza sempre sui toni del verde. Era bella, notò, decisamente bella, oltre che aristocratica.

-Druella!?-

Una donna sottile e con la puzza sotto al naso chiamò quella bambina con voce esigente. Teneva al guinzaglio un elfo domestico sparuto e tremante, e si piegò su di lei per dirle una cosa, un rimprovero, a giudicare dall'espressione.

Druella? Ma che nome è?” pensò Tom, senza riuscire a staccare gli occhi da quelle persone. Erano tutti nobili e ricchi sfondati, non c'era dubbio. A differenza di lui, infatti, erano vestiti di tutto punto, con abiti di alta sartoria, le calze di seta corte e i bottoni delle giacche in madreperla. I colori che spiccavano però erano solo due, il nero e il verde, talvolta il grigio perla.

Parlavano e ridevano fra loro, in disparte, stretti in un piccolo cerchio esclusivo, come a voler escludere il resto della gente. A loro si avvicinarono altre due famiglie, poi altre tre ancora, e il cerchio divenne un vero e proprio gruppo elitario abbastanza variegato, ma con elementi comuni imprescindibili: l'eleganza nel vestire, avvenenza fisica e una certa ostentazione di superiorità e compiacimento del proprio status sociale, che li rendevano detestabili e invidiabili al tempo stesso.

Tutte le altre famiglie, che in confronto parevano una massa di popolani al mercato, li ignoravano e li evitavano accuratamente, e altrettanto facevano i diretti interessati. C'era insomma un'avversione reciproca, talmente evidente da sembrare forzata.

Tom, però, essendo stato da sempre fin troppo ambizioso, decise di avvicinarsi proprio al gruppo dei più ricchi, ignaro del grave errore che stava facendo.

Con la sicurezza che gli era propria, infatti, si avvicinò alla bella bambina di nome Druella.

-Ciao- le disse freddamente, guardandola dritto negli occhi -Tu sei Druella. Io sono Tom-

La Purosangue lo guardò con un'espressione scandalizzata, poi guardò subito la sua amica, come per chiederle se era lei che era impazzita o se davvero un Mezzosangue aveva osato rivolgerle la parola.

-Ho forse detto qualcosa di sbagliato?- continuò Tom, che le stava fissando entrambe senza capire.

Druella allora lo guardò con un cipiglio ostile. Ma era bella, non aveva mai visto una bambina così bella, prima.

-Scusa, ma non ci è permesso parlare con i Mezzosangue- gli rispose spocchiosa, guardandolo dall'alto al basso con sufficienza -Puoi sempre andare a fraternizzare con quelli della tua specie. Andiamo, Wal-

-Cosa!? Io non sono un Mezzosangue!- si difese Tom, sentendosi profondamente offeso -Ma come osi chiamarmi così, stupida femmina!-

Druella e Walburga si scambiarono un'occhiata divertita.

-Come ti chiami di cognome, Tom?-

Tom ammutolì. Una ferita che non si sarebbe mai rimarginata lacerò il suo animo e, colpito e affondato, ebbe il buon senso di non rispondere.

-Vedi che sei un Mezzosangue?

 

 

Una settimana dopo.

 

Fuori, sulla sponda del lago, Tom Riddle si stava sfogando con Nagini, che era appena visibile sulla riva del Lago Nero.

-MA IO NON VOGLIO ESSERE UN MEZZOSANGUE!- gridò disperato, mentre calde lacrime di rabbia e umiliazione gli rigavano le guance pallide -MI FA SCHIFO! SCHIFO!-

Si lasciò cadere a terra, con le mani tra i capelli. Si vergognava terribilmente di se stesso, del fatto che stava piangendo e del fatto di non poter essere normale, come quei begli uomini distinti che aveva visto in stazione.

-Mio Signore, non doletevi in questo modo-

-Non voglio essere un Mezzosangue, lo odio, mi odio...- continuò l'undicenne, con gli occhi arrossati -Ti prego, Nagini, fai qualcosa-

Il serpente si attorcigliò su di lui, carezzandolo dolcemente con le sue spire.

-Volevo aspettare a dirvelo, siete ancora così giovane.-

-Dirmi cosa?- si animò il ragazzino -Cosa devi dirmi?-

-Mio Signore, sapete chi fu il sommo stregone, Salazar Serpeverde?-

-Il fondatore della mia casa- rispose subito Tom, ancora scosso dai singhiozzi.

-Costui ha un erede, Padrone...-

 

 

 

 

 

27 anni dopo

 

-Perché passate tanto tempo con quella strega, mio padrone?-

-È la mia allieva, Nagini, devo passare del tempo con lei-

Tom Riddle, ormai adulto e famigerato nel nome di Voldemort, si sdraiò più comodamente nel letto del sua dimora temporanea in Aberdeen, Scozia.

-Mio Signore, siate prudente con lei, non vorrei che vi distogliesse dagli affari importanti...-

-Il sesso non distoglie, mia cara, è solo un modo come un altro per rilassare i nervi. La ragazzina è completamente inoffensiva, non devi temere-

-L'intimità che le concedete è un onore che non merita-

Tom ridacchiò -Bellatrix non è così male-

-Il suo animo cela un'oscurità profonda che non dovete sottovalutare, padrone. È più furba di quello che sembra-

-E io meno sprovveduto di quello che credi tu. Perché credi che abbia deciso di istruire proprio lei? Lo so che è corrotta come la neve schiacciata nel fango, anche se finge di fare la verginella-

-Non finge, Mio Signore- gli rispose Nagini -Si è perdutamente innamorata di voi, per questo diviene timida quando l'avvicinate-

Riddle sgranò gli occhi, stupito. Per la prima volta nella sua vita si era lasciato sfuggire lo stato d'animo di qualcuno, proprio lui, il secondo Legilimens più potente della storia magica.

-Mi ama?- le domandò, appoggiandosi di peso su un gomito.

-Vedete che vi confonde, Mio Signore?-

-Nagini, Nagini... Se si bagna come un pulcino quando mi vede, non significa automaticamente che si sia innamorata di me-

Il suo tono era polemico e innervosito ma, mentre lo diceva, un sorrisino alleggiava sulle sue labbra sottili. Come tutti gli uomini, l'idea di interessare a una donna in quel senso lo riempiva d'orgoglio.

-Non voglio contraddirvi ulteriormente, Padrone. Ma guardatevi da quella donna-

-E tu guardati dalla gelosia-

Nagini non replicò e quando, qualche ora più tardi, si presentò nella loro casa quella stessa strega, si defilò sotto un mobile di legno massello.

Nagini non sapeva riconoscere la bellezza umana quando la vedeva, ma era sicura che quella ragazza poteva esserne una degna rappresentante, quasi quanto il suo padrone in età giovanile.

 

-Maestro-

-Stellina...-

 

La osservò incedere verso di lui, leggiadra e con il passo reso urgente dall'amore.

Cosa aveva quella giovane strega che lei, Nagini, non possedeva? Perché meritava tutte quelle attenzioni, quando non aveva fatto niente per lui?

Il serpente li sentì parlare nella loro lingua umana. Non aveva ancora imparato a comprendere il significato di quei versi sgraziati, però distingueva la voce del suo padrone, e ne coglieva i tratti emozionali.

Tratti emozionali che, in compagnia di quella strega, erano sempre e incredibilmente positivi. Andavano dal divertimento di umiliarla, al compiacimento di essere venerato; dal piacere di praticare magia oscura, a un altro tipo di piacere, più fisico e meno accademico.

Lo vedeva mentre con la mano aperta la palpava dietro, nella parte bassa e curvilinea, e percepiva in lui una strana fibrillazione, come se gli piacesse toccarla proprio lì.

E dire che sembrava una parte del corpo come un'altra, non certo qualcosa meritevole di attenzione.

Eppure, quando accarezzava Nagini nel suo dorso oblungo e squamoso, non aveva mai dato segno di provare lo stesso trasporto, la stessa curiosità e lo stesso piacere che provava quando accarezzava lei, Bellatrix... O Bella, come era solito chiamarla.

Perché?

Quel pensiero crucciò il serpente. Non bastava essere una creatura leggendaria e semi immortale, dotata di poteri e conoscenze quasi impareggiabili? Non bastava essere la sua protettrice, la sua fedele consigliera? Doveva per forza essere spodestata dalla prima ragazzetta umana che gli capitava a tiro?

Ma costei, a pensarci bene, non era esattamente la prima venuta...

Ce n'erano state molte altre di femmine umane intorno al suo padrone, ma nessuna era durata così tanto e aveva goduto di una tale considerazione da parte sua.

Nagini si interrogò un attimo, ed in effetti si rese conto che nessuna delle precedenti era stata una strega oscura, così simile a lui, una sua simile.

Dopo un certo tempo, un tempo dolente, i due scomparvero.

Il serpente non fece in tempo ad accorgersene, che lui strinse a sé la strega e si smaterializzò con lei, lasciando Nagini lì, come un qualunque animale da compagnia.

Come sempre accadeva, il Famiglio sentii subito la mancanza del suo protetto, un vuoto che lo faceva soffrire immensamente.

L'unica nota positiva fu che, così facendo, non l'aveva visto insieme a lei, durante il loro movimentato accoppiamento. Anche se non lo gridava come l'altra, Nagini sentiva che lui era felice in quei momenti, che quell'oscillare avanti e indietro lo faceva in qualche modo stare bene, e questo bastava per renderla contenta.

Meccanicamente, non le era chiaro né il come né il perché, ma se lui stava bene, allora anche lei, Nagini, stava bene.

Le doleva soltanto non poter essere lei, la femmina sotto di lui. Il destino sa essere davvero ingiusto, nessuno l'aveva avvertita che poteva innamorarsi del suo umano, per quanto ridicolo poteva sembrare. Si chiese se era almeno capitato a qualche altro Famiglio e non solo a lei... Ma, dopotutto, nessun altro aveva come protetto un uomo unico e controverso come il suo, che non lascia spazio a mezze misure: o lo ami molto... O lo odi, molto.

E dato che quelli che lo odiano superano di gran lunga quelli che lo amano, Nagini decise che la strega non era poi una figura così negativa, e che accettarla tra loro sarebbe stata senza dubbio la scelta migliore. D'altro canto, non aveva poi molta scelta, il suo Padrone era stato molto chiaro in merito.

Bellatrix non si mangia.” aveva detto, con il suo solito tono imperatorio.

...Come se c'era bisogno di precisarlo, poi. Era ovvio che la voleva viva, altrimenti l'avrebbe già freddata tanto tempo fa, come aveva fatto con le altre sfortunate che aveva incontrato.

Ma lei, evidentemente, era un caso a parte. Diceva che era forte, scaltra, che sarebbe diventata una pedina spietata e potente, la più utile e fedele di tutta la scacchiera.

Ma Nagini sapeva che non c'era solo questo e che lui celava qualcosa, perfino a se stesso.

Il piacere che provava a stare con lei era troppo, se paragonato all'odio che provava in compagnia di qualsiasi altro essere umano, uomo o donna che fosse.

Nagini però non indagò mai, e così nemmeno Bellatrix, che neanche si era accorta di godere di una tale considerazione.

Una domanda però se la fece: si chiese come sarebbe stato se lei, Nagini, fosse nata con un corpo simile a quello della strega o, ancora meglio, se lui fosse nato con un corpo simile al proprio, da serpente.

Allora sì che sarebbero stati vicini, attorcigliati l'uno nell'altra, senza più bisogno di quell'inquietante e chiassosa femmina umana.

Ma questo, lo sapeva, non sarebbe mai accaduto...

 

 

Durante gli anni dell'esilio in Albania, Voldemort si impossessò del corpo di molti serpenti, tra cui quello di Nagini. Insieme a lei, commise i più efferati omicidi del tempo, forte della fiducia che le riponeva e dell'elisir rigenerativo che poteva mungere direttamente dalle sue fauci.

La vicinanza e la condivisione di mente e anima con il serpente lo rese ancora più mostruoso e brutale, tanto che arrivo a impiantare in lei una parte della propria anima, che frammentò a seguito dell'omicidio di Bertha Jorkins.

Nagini questo non lo venne mai a sapere, ma quando lui si impossessava del corpo di un altro serpente, il desiderio di averlo vicino e tutto per sé poteva dirsi esaudito.

 

 

 

 

Note
Ciao, ragazzi! :)
In questo capitolo ho cercato (osato) di mettere in luce il lato più debole, umano e sofferente di Tom Riddle, lato segretissimo che ha potuto conoscere solo Nagini. Secondo me, in quell'orfanotrofio, Tom deve aver passato le pene dell'inferno, non dico che fosse vittima di abusi, ma di violenze psicologiche per me sì. Con questo non voglio certo insinuare che negli orfanotrofi i bambini siano tutti tratti male, però a quei tempi, durante la guerra, c'era sicuramente molta più insensibilità e severità di adesso.
Per questo ho voluto immaginare Nagini come una figura amica, che l'ha aiutato e che gli è sempre stata accanto fin dalla prima infanzia. Non si sa infatti quando i due si incontrarono, si sa solo che Nagini è un Horcrux, che è un serpente “speciale” e che è una femmina (Perché poi la Rowling abbia sentito la necessità di rendere Nagini femmina, resta un mistero...)
E infine c'è Bellatrix, e per una volta ho fatto sì che fosse Nagini ad essere gelosa di lei e non viceversa ( e ne ha ben donde, povera bestiola... Bella per lui deve essere stata una grande sodisfazione, e non solo come rivincita nei confronti di Druella, ma proprio come una vittoria personale...)
Grazie come sempre a tutti, spero che questo capitolo un po' strano vi sia piaciuto e se avete delle impressioni, positive o negative, vi prego di riferirmele! *_*
Se siete ancora interessati, ci vediamo all'epilogo, con lei.
Ecate.

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Capitolo 7
*** Bellatrix Lestrange, la Preferita ***


note: Eccoci arrivati alla fine! ^^ volevo solo anticipare che gli errori che ci sono nelle frasi di Rodolphus Lestrange sono fatti apposta perché ho voluto esasperare il suo accento francese (e che le traduzioni sono alla fine) spero che vi piaccia

 

 




 

-Ma dove ho sbagliato?-

Di fronte allo specchio della toeletta, l'algida e fredda signora Black era presa da ben gravi tormenti famigliari. Prima c'era stato lo scandalo di Andromeda, che aveva macchiato il buon nome e la reputazione dei Black, e ora la sua indomabile figlia maggiore aveva deciso di “intraprendere la carriera militare e affigliarsi a un'associazione a delinquere”, così come aveva efficacemente affermato il suo eccentrico cognato Alphard Black.

-Via cara, lo sai come è fatta, lasciala fare...-

-Lasciarla fare!?-

Druella non poteva credere alle sue orecchie.

-Cygnus, per Salazar, è proprio perché so come è fatta che mi preoccupo!- lo rimproverò la moglie, costernata -Come credi che andrebbe a finire se quell'uomo lo venisse a sapere? Credi che avrebbe pietà di lei? Lei è ancora così ingenua, poverina... No, bisogna mettere fine a questa storia. Domani le andrò a parlare io e le proibirò di pensare ancora a queste follie-

Detto questo, Druella chiuse forte la trousse, come per voler sottolineare la decisione appena presa.

Per lei, il discorso era chiuso.

Sua figlia non avrebbe mai e poi mai rischiato la vita per compiacere quel... mago, non dopo che lei lo aveva conosciuto così bene. Già le pareva di vederlo, Tom, mentre si svagava con la sua bambina piena di false speranze. Già vedeva quanto si sarebbe divertito a raggirarla, a illuderla, a depistarla, a... No, assolutamente no.

-Salazar, ma cosa ho fatto di male per meritare un tormento del genere!- esclamò melodrammatica, mettendosi una mano nella fronte -È una signorina, Per Salazar, non un Mangiamorte! E quell'uomo...-

La donna smise di parlare, tanta era l'angoscia che l'affliggeva.

-Il Signore Oscuro è un mago decoroso e ragionevole- le disse duramente il marito -Sono certo che Bellatrix non correrà alcun pericolo insieme a lui, anzi-

Druella lo guardò come se fosse un alieno.

-Ma cosa dici? Parli come se si fossero già incontrati-

Cygnus non rispose, si sedette sul letto con un'espressione stanca e gli occhi fissi in un punto.

-Cygnus?- continuò Druella, atterrita -Cygnus, ti prego...-

-È la nostra occasione. Non abbiamo avuto figli maschi, è l'unico modo che abbiamo per non restare esclusi dal mondo e per godere di un minimo di considerazione da parte sua-

Druella capì subito e si sentì mancare. Una bomba di rabbia, paura e disgusto esplose dentro di lei e la fece alzare di scatto, con gli occhi lucidi e i pugni chiusi.

-Hai venduto nostra figlia nelle mani di un assassino- lo accusò con un filo, tremante, di voce -Hai fatto questo? HAI FATTO QUESTO?-

-NON L'HO VENDUTA! HA FATTO TUTTO LEI!- sbottò l'uomo, dando un furioso pugno nel letto -Lei è andata da lui, lei gli ha parlato di nascosto e lei si è scelta quel destino, non osare addossarmi colpe che non ho, donna, non te lo permetto!-

-E perché non l'hai fermata!- gli gridò disperata

-Perché lui aveva già deciso. La vuole come allieva- le rivelò, con un'ombra di dispiacere nello sguardo.

-Che cosa? Ma, come... Perché lei?-

-Non lo so- sospirò il mago – Ma Lord Voldemort non si può contraddire

   
                                                                                                               ***

 

          

-È potente, mio padre dice che è il più potente mago oscuro mai esistito sulla terra. Ha detto che riesce a uccidere perfino con la mente, solo guardandoti negli occhi, e lo fa spesso-

-E il serpente con cui gira? È impressionante, mai visto un'anaconda così grossa prima. E poi si parlano fra loro, l'Oscuro sa parlare il serpentese come Salazar Serpeverde-

-Certo che parla il serpentese, è l'erede di Salazar...-


Bellatrix Black è sempre stata attratta dal potere.

Un'attrazione patologica, anormale per una ragazza della sua età, che l'ha sempre portata a vivere con una certa insofferenza le dinamiche della vita quotidiana. Confondeva la debolezza con la mitezza, la povertà con la mediocrità e detestava con ogni cellula del suo corpo essere nata donna. Non tanto perché non si sentiva tale, quanto perché era presunto che gli uomini, come le avevano inculcato a forza nel cervello, fossero più potenti delle donne.

Eppure lei si sentiva – non a torto- molto più forte, intelligente e potente di molti ragazzi che aveva conosciuto, e viveva nella costante esigenza di dimostrarlo. La sicurezza che riponeva in se stessa era davvero mirabile, nessuno era mai riuscito a scalfire la sua corazza di ferro e fuoco, o almeno nessuno che non fosse Lord Voldemort.

Lui sì, che era più forte, più intelligente e più potente di lei.

Lui, che l'aveva convinta che essere donna non era poi così male, anzi.

Ma è chiaro che quando si ama troppo non ci si rende conto della realtà delle cose. La carente obiettività di Bellatrix nei confronti dell'Oscuro Signore fu dovuta proprio dal suo amore indescrivibile e inenarrabile, tanto grande da potersi considerare un'attenuante di tutti i suoi crimini.

 

                                                                                                                        ***

 

Bellatrix ascoltava i Nott con le gote arrossate e le labbra dischiuse. Ogni volta che si parlava di Voldemort, la sua mente iniziava a viaggiare per lidi inesplorati e il suo corpo si riempiva di piacevole adrenalina. Anche se non l'aveva mai incontrato di persona, riponeva in lui grandi speranze e gli serbava una stima inestimabile, violenta, ben diversa dall'ammirazione che fermentava la società Purosangue. Credeva e ascoltava bramosamente tutte le voci che si dicevano su di lui, si riempiva le orecchie e il cuore di ogni informazione e le custodiva come un tesoro, ripetendosele di sera, sul letto, mentre con gli occhi chiusi sognava lui e il suo Marchio Nero.  Per questo sfruttava ogni occasione per parlare di lui, a costo di sembrare ripetitiva e un po' ossessionata.

Quella sera, tutti i Purosangue della Londra bene, alcune figure di spicco del Ministero inglese e straniero e altri maghi famosi erano stati invitati a Malfoy Manor per celebrare un galà superbo e vanaglorioso, il cui unico scopo era di imbellettarsi e di far sentire inferiori coloro che invece erano stati esclusi.

Tra i “privilegiati” privi del sangue puro, infatti, c'erano solo il professor Lumacorno, felice come un bambino a Natale, e il Professor Igor Karkaroff di Durmstrang.

Bellatrix e sua sorella Narcissa erano a sedute vicine nell'ampio salone di Malfoy Manor, magnificamente decorato a festa, insieme ai loro amici e compagni di scuola.

Ma Bellatrix in quel momento era terribilmente annoiata. Si sventolava con aria sfiduciata un ventaglio di pizzo nero perfettamente abbinato ai guanti, e ascoltava in silenzio le solite lamentele dei suoi compagni.

L'argomento di discussione, infatti, era sempre lo stesso: Quanto fossero disgustosi i Sanguesporco. Per carità, lei li disprezzava esattamente come loro, ma alla lunga quei discorsi cominciavano ad annoiarla. Lei, infatti, era più una persona da fatti che da parole, voleva agire, passare all'azione, non tergiversare con lamentele e piagnistei.

I Mezzosangue sono la rovina del mondo magico? Bene, che muoiano. Sono troppi e si rifiutano di morire? Bene, che si chiami Lord Voldemort.

-Come Curatore, mio padre ha detto che sono portatori di malattie molto gravi, soprattutto per noi maghi- spiegava con voce boriosa Theodore Nott, il rampollo dell'omonima casa -Perciò bisogna stare molto attenti a non toccare le loro cose o a star loro troppo vicini, perché è un attimo venire contagiati-

-Sì, l'ho sentito dire anch'io- confermava Parkinson, sorseggiando un po' di vino -Sono il cancro della società, e adesso per colpa loro dobbiamo perfino rimetterci la salute-

-Perché, esiste qualcosa che non abbiamo rimesso per colpa loro?-

-Sono certa di no- intervenne Bellatrix, sbrigativa -Piuttosto, c'è qualche novità sul Signore Oscuro?-

Narcissa le diede una nervosa e discretissima gomitata, che suonava tanto così: 'Cielo, Bella, basta parlare in pubblico di lui, contieniti!' monito che, naturalmente, non venne affatto ascoltato.

-Oh, lui è un mito- cominciò Nott, guadagnandosi un bel sorriso da Bellatrix -Ha la manina pesante, eh, ma se il mondo non andrà in rovina sarà solo per merito suo-

-Pare che abbia usciso dieci babani in un colpo solo, chiamala 'manina'...- a parlare questa volta era Rodolphus Lestrange, con l'erre moscia e il suo caratteristico accento francese.

-Tutta salute- commentò Nott, cinico – E, comunque, il potente deve incutere paura, se no la società si riduce a essere la caricatura di uno stato. Guardate come ci siamo ridotti noi a furia di eleggere degli smidollati! Sembriamo un ricovero per babbani, non una comunità magica. Se è vero che Lord Voldemort vuole continuare il progetto di Serpeverde, avrà tutto il mio appoggio-

-Anche il mio...- sussurrò Bellatrix, ma nessuno parve sentirla.

-Theodore, guarda che 'il progetto di Serpeverde', come lo chiami tu, l'ha già iniziato da un pezzo- lo corresse Evan Rosier, cugino di Bellatrix, sbucando all'improvviso proprio dietro di lei - I suoi sostenitori sono sempre di più, e pare che abbia dei contatti perfino nel Ministero e tra gli onorari del Wizengamot. È questione di giorni, magari di qualche anno, e i Sanguesporco saranno estinti-

-Scusatemi- intervenne Bellatrix, alzandosi dalla sedia.

Ah, non resisteva più. Le sue guance erano platealmente rosse e i suoi polmoni reclamavano aria come dopo una corsa. Non poteva continuare così, doveva assolutamente incontrare Lord Voldemort, ne andava della sua salute. Anche se la sola idea di parlargli la mandava letteralmente in confusione e visibilio. Cosa gli avrebbe detto? Sarebbe riuscita a spiccicare una parola?

Voglio diventare una Mangiamorte”

Ti amo”

Sposami”

Fammi tua, prendimi, aprirmi in due, baciami fino a strapparmi l'an...”

 

-Sei un incanto con il visino rosso, ma petite-

Bella sussultò, facendo rovesciare sulla tovaglia buona parte del cocktail che stava reggendo in mano. La presenza invadente del suo promesso la pressò da dietro. Chiuse gli occhi, almeno era arrivato al momento giusto.

-Quanto ti voglio, me fai morire- le ansimò all'orecchio, poggiandole una mano nello stomaco e l'altra nella vita -Mais dis la verité, tu aimes bien le Lord Obscur...-

-Non ho capito niente- gli mentì brusca, stringendo forte il bicchiere -Ora levami quelle manacce di dosso, prima che ti faccia pentire di essere nato-

Ma la sua tipica voce aggressiva quella volta suonò molto più fiacca e insicura, e Rodolphus se ne accorse.

-Ma se mi meto un capuscio nero e faccio la voce buia...-

-Basta!- si ribellò la ragazza, liberandosi violentemente dalla sua presa e uscendo subito nel cortile del Manor, per allontanarsi da lui e cercare un po' di refrigerio.

Lestrange era proprio un coglione, non c'era che dire. Mentre lei, in compenso, era disperata.

Ottima coppia” pensò amara, cercando di trattenere le lacrime.

Come riuscì a uscire fuori e fu lontana dagli sguardi indiscreti degli ospiti, si tolse una scarpa col tacco e la lanciò furiosamente contro uno dei pavoni, che fuggì come una gallina, sbattendo le ali e perdendo le penne per la strada.

Si prese la testa tra le mani, cercando di non piangere.

Ma chi voleva prendere in giro? Lei non avrebbe mai incontrato Lord Voldemort, non gli avrebbe mai parlato né tanto meno l'avrebbe potuto servire come Mangiamorte.

Ma forse era un bene, almeno si sarebbe evitata una pessima figura.

D'altronde, che cosa poteva farsene il Signore Oscuro di una ragazzina ribelle e testarda come lei? Cosa poteva farsene di lei un uomo pieno di alleati e di bellissime donne, sicuramente molto più mature, smaliziate e attraenti di lei? Niente.

Lei era solo una ragazza, sicuramente più bella e ricca della media, ma comunque una ragazza restava. E le ragazze, a quei tempi, non dovevano fare altro che partorire figli e stare in casa, soprattutto se appartenevano a una cerchia conservatrice e bigotta come la sua. 
Le donne Purosangue non lavoravano, dovevano solo rimanere belle, eleganti e magre come delle sardine rinsecchite, il resto lo facevano gli uomini.

Ma Bellatrix non voleva una vita così, la sola idea di diventare la copia di quel ghiacciolo rigido e morigerato di sua madre la faceva inorridire.

Lei voleva osare, voleva vivere una vita vera e piena di emozioni, voleva divertirsi e amare tanto da impazzire e gridare fino a perdere il fiato, fino a morire, se era necessario.

E sapeva che tutto questo poteva offrirglielo solo una persona nel mondo, e quella persona era lui.

Lui solo era abbastanza potente, abbastanza intrigante e abbastanza ambizioso per garantirle un futuro degno di questo nome, per non parlare poi di quanto fosse temuto. Quest'ultima cosa, poi, la faceva avvampare, adorava incutere timore e imbarazzo nelle altre persone, ma adorava ancora di più chi riusciva a farlo meglio di lei... E su di lei.

Istintivamente, chiuse gli occhi e gettò la testa indietro, e un'improvvisa folata di vento freddo ma delicato le scompigliò i capelli. Pensare a lui la eccitava e disperava insieme, non era giusto che fosse destinata a non incontrarlo, a rimanere sola per sempre...

Con gli occhi lucidi e un'espressione abbattuta andò a riprendersi il tacco finito vicino alla fontana, e come lo fece una lacrima rimastale appesa tra le ciglia le rigò una guancia.

Fece per ritornare dentro, ma all'improvviso, una voce nel buio spezzò il silenzio.

-Le stelle non dovrebbero brillare nel firmamento del cielo?-

Bellatrix si girò di scatto, e tra l'oscurità delle siepi intravide la figura nera e slanciata di un uomo. La ragazza si accigliò, sembrava un'ombra tra le ombre.

-Chi è lei?- domandò, sentendosi leggermente allarmata.

-La domanda te l'ho fatta prima io- le rispose a tono, sempre col volto ombreggiato - Cosa può turbare una stellina come te?-

-Tanto per cominciare, 'stellina' lo va a dire a qualcun altro- gli rispose lei, prontamente e malamente -E poi cosa mi turbi o non mi turbi non sono affari che la riguardano-

-Ne sei sicura?- continuò lo sconosciuto, facendosi avanti -Prova a spiegarmelo, magari potrei aiutarti-

L'uomo si mostrò alla luce delle lanterne, e Bella ne rimase colpita, tanto che dovette sforzarsi per non strabuzzare gli occhi. Era un bell'uomo, alto e sulla quarantina, che non aveva mai visto ma che, a giudicare dal vestito da cerimonia, doveva essere senz'altro tra gli invitati di Malfoy.

Come le sorrise, lei si disincantò e riprese possesso di sé.

-Grazie, ma non ho bisogno dell'aiuto di nessuno- gli rispose acida, con il suo solito cipiglio arrogante -Ora, se vuole scusarmi, io torno dentro-

Detto questo, si girò e andò a passo svelto verso il salone di Malfoy Manor, senza nemmeno aspettare che lo sconosciuto rispondesse, anche se le era parso di sentire un “È lei” che le aveva fatto accapponare la pelle.

Ma quando tornò dentro, passando dalla porta-finestra dietro la tavola imbandita, le parve di essere entrata in un altro mondo.

In meno di dieci minuti, il clima festoso e spensierato di Malfoy Manor era sparito, non c'erano più le coppie che ballavano al centro della sala, nessuno brindava e perfino la banda magica aveva cessato la musica. Tutti erano in piedi e parlottavano con lo sguardo puntato in avanti, mentre i padri di famiglia si erano radunati davanti all'entrata e aspettavano rigidamente qualcuno, in piedi.

'Ma che succede?' pensò Bellatrix, frastornata, e poi la voce inconfondibile di Rodolphus la chiamò

-Belà! Vieni qui- la chiamò il suo fidanzato -Veloce-

-Ma che diavolo succede?- gli chiese infastidita, dopo essersi fatta largo tra la folla -È morto qualcuno proprio quando ero fuori io?-

-Quasi, indovina chi è appena arrivato-

-Chi?-

-Merda, sta per entrare!-

Bella si girò verso Nott che indicava un punto impreciso davanti a sé.

-Chi sta per entrare?- domandò, iniziando a preoccuparsi -Lestrange, se è uno scherzo...-

-In piedi, ragazzi! In piedi!- li ammonì un vecchio burbero -Non vedete chi è appena arrivato?-

I giovani si alzarono subito, Nott e Mulciber avevano un'espressione euforica, Lucius era sparito e Lestrange fissava Bellatrix con malcelato divertimento, la quale, da parte sua, cercava disperatamente di vedere tra le varie teste la fonte accentratrice di tutto questo sconvolgimento. E quando riuscì finalmente a vederlo e lo riconobbe...

-Lord Voldemort!- esclamò forte Abraxas Malfoy, a mo' di encomiato -Signore e signori, Lord Voldemort!-

Un applauso scrosciante riecheggiò in Sala Feste, il mago oscuro fece la sua entrata trionfale con un sorriso di circostanza, scambiò un abbraccio ipocrita con il padrone di casa e poi con la mano salutò la platea conservatrice che applaudiva e lo osannava come se fosse una celebrità.

Tutti applaudivano meno che una ragazza, che si era portata le mani alla bocca, angosciata.

No riusciva quasi a respirare, le sue emozioni furono tantissime e tutte concentrate in un solo momento, ma la vergogna, la consapevolezza e il disagio ne capeggiavano la fila. Strinse forte le mani congiunte, e Riddle iniziò a parlare, con voce sorprendentemente alta e chiara.

-Miei cari amici, che grande onore per me vedervi tutti qui, radunati insieme, nel nome di colui che prima di me si prodigò per proteggere ciò che abbiamo di più caro al mondo: La magia e la sua potenza grandiosa, la sua purezza antica e incorruttibile, che oggi più che mai è messa a rischio da folli millantatori che predicano una morale incosciente e dannosa, senza rendersi conto dell'effetto degenerativo che essa comporterebbe e che purtroppo sta già comportando. Ma non voglio soffermarmi sul punto, ormai la stoltezza di certa gente è più che nota- fece una pausa per permettere al pubblico di ridere e sorridere con fare consapevole -Se potessi convertire in fatti tutta la fiducia che mi serbate, amici miei, a quest'ora il problema sarebbe risolto. Per questo chiedo ad ognuno di voi una piccola collaborazione, perché se non restiamo uniti...-

Con la coda dell'occhio, Riddle vide la bella figlia di Druella uscire dalla sala con fare disperato, e un sorriso gli incurvò i lati della bocca.

Bellatrix, infatti, non poté finire di ascoltarlo, tanta era l'angoscia che l'aveva assalita.

Voleva morire, aveva appena mancato di rispetto all'unico uomo sulla terra che il rispetto se lo meritava a prescindere, per il solo fatto di essere nato.

Le lacrime minacciavano di scendere, il calore tra le gambe era alle stelle e il suo proverbiale menefreghismo di tutto e di tutti pareva averla abbandonata all'improvviso.

-Che ti prende, ora?- le chiese Rodolphus Lestrange, che l'aveva seguita -Non hai visto chi sta parlando?-

-Lasciami stare!- gli ringhiò contro, con uno sguardo furioso -Vattene!! Sei uno stronzo, è tutta colpa tua!-

Il giovane la guardò senza parole -As-tu perdu la tête!? Perché mi parli così, ora!?-

-Tu lo sapevi, sapevi che sarebbe arrivato e non mi hai detto niente!- continuò furibonda e disperata -Mi hai fatto fare una figura di merda, è tutta colpa tua!-

-Lo sapevo, ma volevo fare per te una sorpresa...- si difese Rodolphus, senza sapere bene perché -Che figura hai fatto?-

-Cosa te la spiego a fare, che non capisci niente!- sbraitò di nuovo la ragazza, tanto forte da farsi sentire anche dentro -Ora vattene via, sparisci subito dalla mia vista-

-Bellà, dai...-

Ma come Rodolphus le afferrò il braccio per fermarla, la pelle di Bellatrix si fece all'improvviso incandescente come il fuoco, e il ragazzo fu costretto a mollare subito la presa. Si guardò intontito la mano scottata e poi guardò lei, che ne era rimasta sorpresa a sua volta, anche se cercava di celarlo.

-Wow...- esclamò dopo, con un sorriso ammirato -Come hai fatto, ma petite?-

-Non te lo dico- gli rispose Bella, che in verità non lo sapeva nemmeno lei.

-Sei una macchina da guerra- affermò lui, avvicinandosi -Ma dimmi, diventi così... Bruciante anche quando sei distesa sul letto? Perché in tal caso mi dovrò cercare un'armatura...-

Bellatrix trovò la forza di sorridergli, un sorriso ammiccante ma privo di allegria.

-Sempre se mi metterò distesa, per te. Non dare nulla per scontato, Roddie-

Il ragazzo fece un sospiro e la guardò tornare dentro con quella sua solita postura arrogante e presuntuosa.

Deux mois, Rod” pensò eccitato, seguendola in sala “Solo due mesi ed è tua”

 

 

 

Disperata, Bellatrix rientrò per cercarlo.

Doveva assolutamente chiedergli scusa, implorarlo di perdonarla, di avere pietà.

Se anche aveva una vaga e remota possibilità di stargli vicino, ora se l'era giocata completamente.

La ragazza si guardò intorno, Voldemort aveva già finito il discorso e ora era accerchiato da una fitta rete di persone- di uomini- che facevano la fila per parlargli e per conoscerlo.

Si avvicinò velocemente verso di lui, sgomitando e con il mento rivolto verso l'alto nella speranza di vedere il suo viso. Quando riuscì finalmente a vederlo, notò che stava parlando con i Malfoy, o meglio, che i Malfoy stavano parlando con lui.

-Mio Signore, che squisita sorpresa, vi ringrazio a nome di tutta la mia famiglia...- sentì Abraxas -Ma vi prego, lasciate che vi presenti mio figlio, è un giovane sveglio, ambizioso e con le idee chiare, l'ho educato io stesso in modo che sapesse distinguere le persone giuste da quelle sbagliate, e, perdonate la presunzione, credo proprio di aver fatto un buon lavoro. Pochi se ne vedono come lui e se ancora mi permettete, Lucius ha già...-

Ma Tom-Voldemort non stava più ascoltando quel vecchio pavone arrogante, i suoi occhi si erano soffermati fissamente oltre di loro, tanto che Abraxas e il relativo figliolo se ne accorsero e si voltarono, curiosi.

-Signorina Black! Che cosa fa qui?- intervenne subito Abraxas Malfoy, convinto di fare il volere di Voldemort -Torni subito dagli altri invitati, non può stare qui! Dov'è Cygnus...-

-Aspetta, Abraxas, io e la signorina ci siamo già conosciuti- disse Voldemort con una voce morbida, onorando lei di una complicità senza precedenti -Non è vero, miss Black?-

Sia Bellatrix che i Malfoy ne rimasero esterrefatti.

-Sì... beh, a questo proposito io... Mi dispiace tanto- sussurrò lei, mortificata e imbarazzata - Non credevo che lei... Che voi foste...-

-L'ho immaginato- la interruppe dolcemente -Temevo solo che lanciassi una scarpa anche contro di me, ma per fortuna non è successo-

Bellatrix arrossì violentemente e gli fece un sorrisino impacciato, ebete, come avrebbe detto suo cugino Sirius.

-N-no, non lo faccio di solito, cioè le scarpe le tengo, non le lancio...- balbettò, sentendosi una perfetta idiota

-Buona a sapersi-

Detto questo, il mago oscuro fece per voltarsi verso i Malfoy con un sorriso a mezz'asta, ma Bellatrix lo fermò un'ultima volta.

-No, aspettate un attimo!-

-Signorina Black, Lord Voldemort le ha già dedicato abbastanza tempo per oggi- la richiamò Abraxas, terribilmente irritato.

-Dove sono finite le tue proverbiali buone maniere? Ti sembra questo il modo di trattare una gentile signorina?- lo rimproverò Voldemort, con un tono tanto beffardo da risultare offensivo -Lasciala parlare, da bravo-

Bella si morse la lingua, davanti a lei c'erano Abraxas Malfoy e Antonin Dolohov che la stavano guardando in cagnesco, e insieme a loro probabilmente tutti i Mangiamorte alle sue spalle. Lui, però, le sorrideva.

-Ecco, io...- cominciò, in difficoltà -Mi chiedevo se un giorno potevo... Se era possibile, per me, diventare una...-

-Mio Signore, mi dovete perdonare, ma ci sono i fratelli Parkinson che chiedono di voi da più di venti minuti- questa volta fu Dolohov a parlare.

Tom si girò verso due uomini nerboruti che lo attendevano con fare scocciato, ma come lo videro cambiarono subito espressione e lo salutarono con un sorriso smagliante.

-Facciamo che me ne parli un altro giorno- disse a Bellatrix -Ti aspetto domani sera, l'indirizzo te lo farà recapitare Antonin, giusto amico mio?-

-Ma certo, Mio Signore- gli rispose il più potente e spietato dei Mangiamorte, davanti al sorrisino della giovane.

 

 

 

 

La sera successiva sembrava non arrivare mai.

Bella non chiuse occhio per tutta la notte, sia per l'orrenda figura che aveva fatto, sia per l'incredibile disponibilità che il Signore Oscuro le aveva dimostrato. Quando finalmente fu pomeriggio, lei iniziò a prepararsi, ad abbellirsi e a profumarsi al meglio delle sue possibilità.

Stranamente, però, non si sentiva nervosa. Sapeva che a lui non importava niente di lei né di quello che aveva da dirgli, sapeva che non poteva essere solo, sapeva di stare rischiando tutto, ma proprio tutto, ma nonostante ciò non riusciva a sentirsi spaventata...

“Magari vuole uccidermi” pensò, mentre finiva di truccarsi “Magari vuole... torturarmi...”

Si immaginò la scena: lei nuda sopra un tavolo sacrificale, sdraiata, i polsi legati, le gambe aper... Scosse forte la testa, bevendo un bel bicchiere di tisana calmante che si era fatta preparare.

… E lui in piedi, con la bacchetta in mano e gli occhi rossi come il sangue, le si avvicinava minaccioso, passandosi voluttuosamente la lingua tra i denti...

-Basta!- si intimò, alzandosi subito per uscire.

Per fortuna Dolohov si era dimostrato puntuale e le aveva recapitato un indirizzo, peccato però che era stato ricevuto da suo padre e che gli avesse spiattellato tutto.

Inutile descrivere lo sgomento di Cygnus Black quando venne a sapere il tutto, il quale però concesse a Bellatrix di andare, anche perché Dolohov ebbe la gentilezza di precisare che se non l'avesse fatto, il Signore Oscuro ne sarebbe rimasto molto ma molto contrariato, sia con lui che colla signorina.

-Occhi aperti- le disse solo, appena la vide scendere e dirigersi verso la camera della smaterializzazione. Come sempre, nascondeva la preoccupazione dietro la pagina di un giornale.

-Padre, non ti preoccupare-

-Parla solo quando sei interpellata, e cerca di non... Contraddirlo, un corpo illibato vale ben poco, se privato della vita-

Bella si girò a guardare Cygnus, senza riuscire a nascondere un sorrisetto.

-Padre, ma cosa dici...-

-Dico l'ultima cosa al mondo che un padre vorrebbe dire a una figlia. Ma dato che sei nata tanto bella e che stasera vorrei vederti rincasare, mi trovo costretto a farlo. Non contraddirlo, Bella, sopporta, ma non ti opporre. La vita è il dono più prezioso che abbiamo, non lo sprecare con un'inutile presa d'orgoglio-

-Non mi opporrò, puoi starne certo... - e dopo avergli mandato un bacio con la mano, si smaterializzò.

 

 

 

Tra tutti i posti che Bellatrix credeva di vedere, la tenuta in Scozia dei Rosier era decisamente l'ultima. Si materializzò proprio in casa, nella camera di materializzazione corrispondente, a due passi dalla biblioteca. Erano passati molti anni dall'ultima volta che c'era stata, tanto che non si ricordava più la strada da prendere per andare nella sala principale.

Si fermò lì, sicura che qualcuno- un domestico, magari- sarebbe arrivato a prenderla.

Per stemperare la tensione esagerata che aveva in corpo si avvicinò al primo scaffale della biblioteca e, tra le coste dei numerosi libri, riconobbe un titolo che la lasciò a bocca aperta: il terzo e rarissimo volume del “De Tenebrosis artibus”, che nella biblioteca di famiglia era misteriosamente scomparso anni prima. Sfiorò la copertina di pelle rigida come se fosse di cristallo, apparteneva perfino alla stessa collana che aveva a casa...

-Puoi prenderlo se vuoi, ormai non ha più niente da insegnarmi-

Bellatrix trasalì e si girò di scatto, come un ladro sorpreso a rubare.

Tom Riddle, o meglio, Lord Voldemort, la stava guardando con curiosità dall'ingresso della sala principale. Come sempre era estremamente elegante, con i capelli tirati indietro e un completo nero che sembrava cucito su misura. Senza la lunga e larga veste da mago, il suo fisico slanciato era ancor più messo in risalto.

-Grazie- sussurrò con una vocina, accennando un inchino.

-Vieni, accomodati pure- le disse gentilmente, indicandole una sedia sotto un banco colmo di fogli scritti e libri aperti -Bellatrix, dico bene?-

Lei annuì, sedendosi rigidamente.

-Che nome suggestivo-

-Sì, significa...-

-Lo so cosa significa- la interruppe -Immagino che tu sia venuta qui proprio per questo. Sei la bambina che aspira a diventare Mangiamorte-

-Come fate a saperlo?-

-Oh, io so molte cose- le ammiccò, insinuante -Anche se una domanda mi sorge spontanea...- continuò, sedendosi comodamente di fronte a lei -Perché?-

-Signore?-

-Perché una ragazza come te vuole diventare Mangiamorte?-

Bella raddrizzò la schiena con fare sicuro, a questo sapeva decisamente rispondere.

-Perché odio i Mezzosangue e desidero la loro morte- sentenziò decisa, stringendo i pugni -Non trovo giusto che per colpa loro e dei babbani noi maghi dobbiamo rimetterci sia magicamente che economicamente, loro sono solo dei parassiti inquinanti che come tali vanno estirp...-

-Sì, sì, bla bla bla, le solite cose- la interruppe Voldemort con fare annoiato -Ma tu capisci bene che io non posso far entrare chiunque me lo chieda; c'è una selezione naturale nell'ordine di tutte le cose, per la quale gli uomini hanno un compito, e le donne ne hanno un altro...-

Bellatrix si sentì morire, era esattamente ciò che temeva di sentirsi di dire.

-Vi prego non ditemi così- lo supplicò affranta -Datemi una possibilità, vi scongiuro-

-Le scelte che prendo si ripercuotono tutte sulla mia credibilità- le rispose con voce dolce ma dal retrogusto beffardo -Cerca di capire, Bella... Posso chiamarti Bella, vero?-

Ma la ragazza non gli rispose, era troppo disperata.

-Vi prego signore, vi scongiuro- insistette affranta -Vi renderò fiero, farò tutto per voi, qualsiasi cosa voi mi chiederete io la farò, ma vi prego, non negatemi di diventare Mangiamorte, è tutto quello che desidero al mondo-

Tom Riddle-Voldemort la guardava con sufficienza, ma dentro non si era mai sentito più compiaciuto di così. Per quanto lo riguardava, aveva già deciso fin dall'inizio che quella strega sarebbe diventata non solo una Mangiamorte, ma anche la sua prima allieva di magia. Ma vederla promettere e supplicare così lo mandava letteralmente in visibilio, d'altronde lui adorava essere supplicato, sia dagli amici che dai nemici.

Chissà fin dove è disposta a spingersi... È anche più bella di sua madre” pensò allettato, guardandole furtivamente il petto generoso che si alzava e si abbassava velocemente.

Dopo un momento interminabile passato a tamburellare con un dito e a soppesarla, il mago parlò.

-Cosa dici, Nagini?- esclamò con tono conciliante verso il serpente acciambellato sul tappeto -Diamo una possibilità a questa ragazza?-

Riconoscendo il suono del proprio nome, Nagini aprì gli occhi e alzò il collo verso di loro, ma non fece altro perché Bellatrix si alzò di scatto e andò incontro al suo padrone con un'irruenza che quasi l'allarmò.

-Mio Signore, è un sì!?- gli domandò emozionata, inginocchiandosi davanti da lui -È un sì?!-

-Ehi, ehi, frena l'entusiasmo, ragazzina, te lo devi meritare- la quietò, sempre con lo stesso tono falsamente benevolo -Non crederai certo che ti marchierò adesso, sic et simpliciter-

-No, certo...-

-Devi prima dimostrarmi di esserne all'altezza, di poter servire realmente a qualcosa, perché lo sai, basta un anello debole per spezzare la più forte delle catene, e noi vogliamo che succeda, no?-

Bellatrix scosse vigorosamente il capo, a disagio.

-Bene. Dato che mi basta guardarti per capire che sei ancora molto acerba con la magia e che ora saresti solo un peso per me e per i miei Mangiamorte...-

-Mio Signore, non sono acerba con la magia- lo interruppe offesa, ma l'occhiataccia furiosa che le lanciò subito dopo la fece pentire amaramente e piegare il capo in segno di scuse. Provava una tale ammirazione per quell'uomo che finiva di dimenticarsi che era un assassino seriale, uno di quelli che uccide con la forza del pensiero.

-Dicevo- continuò Tom-Voldemort, duro come il granito -Dato che sei molto acerba, anche troppo per la tua età, è necessario che qualcuno ti insegni a praticare la magia e a comportarti come si conviene, e quel qualcuno potrei essere io-

Bellatrix alzò il capo e per la prima volta lo guardò diritto negli occhi.

-Voi, signore?- gli chiese con la gola secca, incredula.

-Io in persona-

-Ma non...-

-Hai da ridire anche in questo?-

-No! Solo che... Non sono degna di meritare una tale attenzione, voi siete... Troppo, non potete abbassarvi a questo-

-Ripongo grandi aspettative su di te- le disse, raddolcito -E poi, talvolta, anch'io mi abbasso a fare certe cose, molte di più di ciò che puoi immaginare... E posso abbassarmi anche con te-

Le accennò un sorriso malizioso, così per confermare la sfumatura equivoca del discorso. Ma la giovane apparentemente non coglieva, arrossì e rimase impalata a guardarlo, con la bocca semi aperta. “Cosa diavolo sta succedendo?” era tutto quello che riusciva a pensare.

-Ora alzati in piedi, fammi vedere quanto sei bella-

Con il cuore in gola e il corpo accaldato, Bellatrix si alzò rigidamente. Come sua madre, anche lei era alta per essere una donna, ma questo non bastava per sminuire Riddle, che risultava alto perfino da seduto. Con la testa infatti le arrivava all'altezza del seno, ma i suoi occhi critici scrutavano tutta la sua figura per intero, ignorando l'imbarazzo che questo le procurava.

-Oh sì, sei proprio bella. Fai un bel giro- la fece roteare su se stessa, come una bambola -Così, brava... Da quanto non vedevo una bella ragazza da vicino, sei un piacere per gli occhi-

Il respiro della strega si fece tremulo, tutto il suo corpo era rigido e in allerta, ma non per la paura. Cercò di guardarlo, voleva sorridergli e ringraziarlo, ma le sembrava estremamente sciocco e banale.

-Non mi dici niente? Sono qui che pendo dalle tue labbra, Bella, non essere crudele-

-Non posso credere che non ci siano altre ragazze- riuscì a dire Bella, sconvolta, alzando appena lo sguardo su di lui, che invece si stava divertendo come un bambino.

-Credici, invece, essere me ha i suoi svantaggi- le rispose divertito, senza alcuna traccia di amarezza -Tutti hanno paura di morire quando sono in mia presenza, donne comprese. E anche se ti sembrano disinvolti, anche se sorridono e cercano di parlarmi, puoi percepire la loro paura come se fosse dipinta nei loro occhi. Per questo...-

-...Hanno bisogno di assecondarvi-

-Brava. Ma il tuo bisogno non è dato dalla paura-

-No, signore-

-Infatti. Quindi, cosa vuoi da me?-

-Tutto-

Tom Riddle sorrise e alzò entrambe le sopracciglia.

-Tutto è un po' generico, cerca di essere più precisa-

-Tutto, signore- ribadì la giovane, incapace di rispondere diversamente -Vorrei vivere con voi, vorrei stare con voi e fare tutto con voi, per sempre-

I due rimasero a guardarsi per un momento. Lui manteneva la solita espressione compiaciuta e imperturbabile con il volto rivolto in alto per guardarla negli occhi, mentre Bellatrix avanzò di un passo, fino a toccargli le ginocchia con le proprie. Bastò quel misero contatto per darle un brivido di elettricità, per cui, vedendo che lui non reagiva e che pareva gradire, si abbassò per baciarlo.

Ma quando fu a un soffio dalle sue labbra, il mago le tirò forte un ciocca di capelli e le parlò nuovamente.

-Sai, Bella, c'è differenza tra volere entrare in un gruppo per far propri gli ideali e volerci entrare per far proprio il leader... Non è il tuo caso, vero?-

-No!- gli rispose lei, troppo in fretta e con le gote troppo rosse -No, affatto, cioè... Io credo in quello che fate, condivido tutto, non ho mai pensato di...-

-Di sedurmi? Eppure lo stai facendo così bene-

Lei tacque, con gli occhi pietrificati come quelli di coloro che sanno di star per morire.

-Prima regola dei Mangiamorte, mai celare qualcosa al proprio padrone- improvvisò suadente, mollandole la ciocca per intrecciarsela tra le dita -Perché tanto lui la verrà a sapere. Se vuoi avere il Marchio Nero perché sei interessata a me, ti conviene dirlo subito-

Lei avvampò, sia per l'imbarazzo che per il desiderio che provava per lui.

-Lo sono, signore- confessò Bellatrix, come se amarlo fosse una colpa grave -Ma vi giuro che non desidero il Marchio solo per quello, perché io voglio combattere, voglio davvero aiutarvi ad annientarli tutti, uno ad uno... Mettetemi alla prova, se non mi credete! Anche subito-

-Lo farò, ma non adesso- le rispose impaziente -Ora continua quello che stavi facendo...Volevi darmi un bacio, no? Su, riprovaci, non fare la bella statuina-

Senza chiederle il permesso, le afferrò i fianchi e la fece sedere sulle sue gambe, girandola verso il suo viso. Bellatrix squittì stupita e lui le baciò violentemente la bocca, afferrandole forte la nuca e la schiena per non permetterle di divincolarsi, caso mai ce ne fosse stato bisogno. Si sentiva eccitato, era passato realmente molto tempo dall'ultima volta che era stato con una donna, queste infatti lo temevano, e il suo aspetto, per quanto attraente, incuteva più terrore che interesse. Non che la cosa gli pesasse, ma i pochi rapporti umani che era costretto a intrattenere riguardavano solo uomini viscidi, spocchiosi e servizievoli, e con il passare degli anni questo stava diventando fastidioso perfino per lui.

Fece scorrere una mano sotto la sua gonna, le sue cosce incrociate erano calde e morbide, ma come insinuò due dita nell'inforcatura, lei senza avvedersene interruppe il bacio e diede un piccolo scatto verso l'alto.

-Cosa fai...- ridacchiò, con lo sguardo carico di lussuria -Ho forse esagerato?-

-N-no, no- gli rispose avvilita, maledicendo se stessa e il suo disastroso autocontrollo. Aveva fatto una pessima figura dietro l'altra, ora come minimo o lui la sbatteva fuori dalla porta definitivamente o la dava in pasto al serpente sul tappeto che, a giudicare da come la fissava, avrebbe sicuramente gradito.

-Non ti preoccupare, sei un fuoco scoppiettante, un diamante grezzo che ha bisogno di essere raffinato- le disse assorto, passandole una mano affusolata tra i capelli -Sento il tuo potere, la tua oscurità latente... È qui che grida, è prigioniera e supplica di essere liberata, la senti anche tu?-

-Sì- rabbrividì Bellatrix, sentendosi colpita nel vivo.

-Anche tu lo sei...Ti senti prigioniera, non è vero, Bella? Snaturata e schiacciata da aspettative che non senti e che ignorano il meraviglioso potenziale che hai da offrire- le accarezzò il viso, la sua voce era morbida e rassicurante -È per questo che sei venuta da me-

-Sì!- esclamò lei sull'orlo delle lacrime, stringendosi al suo corpo come se fosse un appiglio salvifico -Sì, sì, è così!-

-Ti libererò io. Sali sul letto-

-Come?-

-Hai capito benissimo. Diventa mia, giurami fedeltà e io ti proteggerò per sempre-

Lei lo guardò spaventata, ma la sua espressione era comunque molto docile. Non si sentiva per niente pronta per quel passo... Insomma, fino alla settimana scorsa la sua unica speranza era di poterlo vedere una volta, anche solo da lontano o di sfuggita, mentre ora...

-Hai paura?-

-No... Un po', è che voi siete... Voi, mentre io non ho mai...- lasciò cadere la frase a metà, sperando di trovare un briciolo di conforto in quegli occhi assassini. Lo vide solo sorridere.

-Sarò particolarmente comprensivo- la liquidò, cercando di non sorridere -Sul letto-

Anche se separarsi da lui fu uno sforzo immane, la ragazza si alzò e si diresse verso quel letto grande e perfettamente intatto, che era dietro di loro.

Non lo dava a vedere, ma tremava da capo a piedi. Si sedette appena e pose le mani sulle lenzuola di seta, tanto lucide che parevano nuove. Si chiese quante volte ci avesse realmente dormito, ammesso e non concesso che uno come lui dormisse.

Si girò subito verso di lui, e notò che era in piedi, di spalle e si era tolto la giacca.

-Sdraiati pure, stellina- le disse allegramente, mentre iniziava a sbottonarsi anche la camicia. Lei provò ad obbedire, ma lo fece senza staccare gli occhi dalla sua figura slanciata.

-Togliti le scarpe, io ci dormo lì sopra-

-Oh, certo...-

Mentre se le toglieva, con la coda dell'occhio lo vide togliersi la camicia e scoprire la sua schiena ampia, glabra e bianca come la neve. Le scappò un gemito dalle labbra, ma lui non parve farci caso. Piegò con cura la camicia sopra il tavolo, senza fretta, e poi passò ai pantaloni.

Bella arrossì come mai in vita sua, il respiro le era diventato affannoso e le gambe si erano incrociate in una morsa ferrea. Non poteva credere che stesse accadendo davvero, ma quando lui si girò e lei lo guardò tutto, capì che di finto non c'era proprio niente, e l'ansia sfumò via, tanto veloce com'era arrivata.

-Cosa guardi, Bellatrix...-

-Scusate, signore- gli rispose con un sorrisino spontaneo, malizioso.

-Seconda regola dei Mangiamorte, piccola pervertita- esclamò eccitato, arrampicandosi sul letto con fare felino -Mai mancare di rispetto al proprio padrone, altrimenti lui si arrabbierà molto-

La ragazza respirò affannosamente e si alzò a sedere per toccarlo e baciarlo tutto, perché sì, lo voleva da impazzire e non poteva aspettare un secondo di più. Ma lui la fermò, bloccandola per il collo e sbattendola giù.

-Cos'ho appena detto?-

Bella fece una smorfia imbronciata, ma ne approfittò per accarezzargli il braccio teso su di lei.

-Se vuoi un bacio, devi chiedermelo per bene- le disse su di giri, alzandole la gonna -Devi dire: 'Maestro, vi supplico, datemi un bacio!' e allora io potrò decidere se concedertelo o no-

Ma Bellatrix era troppo presa dalle sue mutandine che si abbassavano per potergli rispondere.

-Dillo!-

-M-Maestro...-

-Sì, Bellatrix?- le rispose lui con occhi attenti, simulando perfettamente la curiosità.

-Maestro, vi supplico... -

Ma un bacio nella coscia destra la interruppe e le strappò un fremito.

-Vi imploro...-

-Ti ascolto-

-Datemi un...- lo sentì baciarla sull'inguine, e poi subito nel basso ventre e poi ancora nell'altro lato, sempre intorno alla parte più sensibile. Si dimenò disperatamente, trattenendo indietro la pancia e inforcando le lenzuola per non farlo con i suoi capelli.

-Vi prego! Vi prego!-

-Cosa?-

-Un bacio!-

-Dove?-

Alzò il collo per guardarlo; tra le sue gambe i suoi occhi marron rossicci la punsero come due aghi avvelenati, mentre il suo sorriso torbido sembrava quello di un vampiro affamato.

Non rispose, non poteva, gettò la testa sul cuscino ma aprì meglio le gambe, per fargli capire che sì, lo desiderava proprio lì.

Ma non accadde quello che sperava. Sentì il corpo di lui allontanarsi e il vestito scivolare in basso, e poi sulle labbra un bacio asciutto e inatteso. Bellatrix, ben lungi dal voler pretendere qualcosa, non poté nascondere una smorfia di delusione.

-Te lo devi meritare, Bella- le insinuò, puntellandosi su di lei con i gomiti -Non elargisco favori per niente, premio solo chi se lo merita-

Lei scosse la testa con un'espressione sofferente, agitando le gambe contro gonne ingombranti, che creavano un'inutile barriera tra il suo corpo e la pelle di lui.

-Ma per la mia ragazza Mangiamorte farò un'eccezione... Ti consiglio di rilassarti, ora-

In un attimo, il vestito volò in alto, le sue mani affusolate le afferrarono i glutei e le sollevarono il bacino verso l'alto, per rendere più agevole l'amplesso.

-Sei mia, Bella- le sussurrò, e con una delicatezza insperata ne concretizzò l'assunto.

Bella trattenne il fiato e lo guardò con gli occhi sbarrati e la bocca semi aperta, stupita e impaurita insieme.

-Sei mia- ripeté, spingendosi più dentro -Sei mia, e non puoi più fare nulla per tornare indietro-

Lei strinse i denti, ma lo fece sorridendo, conscia che non poteva accaderle niente di più bello che quello. Lo sentì andare su e poi tornare giù, e poi di nuovo, più rapidamente e più profondità, e il suo sorriso si allargò fino a diventare un gemito di gioia.

-Terza regola dei Mangiamorte... Imparala bene perché ti riguarda- si sforzò di parlare rapidamente, con il viso distorto dal piacere -Essere fedeli al padrone, sempre. Dall'ordine dei Mangiamorte non si può uscire, i traditori pagheranno l'onta con il sangue e...- si bloccò, la voce gli si ruppe in un sospiro -...e lo sputeranno ai piedi del loro padrone, ai miei piedi, Bellatrix, fino a che non mi supplicheranno disperatamente di morire. E allora io, forse...-

Non riuscì a finire, ma tanto il discorso era già molto chiaro.

E Bella, dopo il primo, trascurabile, momento di dolore, iniziò a sentire il piacere immenso che tanto aveva sognato, che si irradiò a cascata in tutti i nervi del suo corpo e si depose in lei, fin nell'anima. Lo strinse forte tra le braccia e tra le cosce, baciandogli convulsamente il collo e le spalle.

-Non accadrà mai per me- gli sussurrò sulla pelle -Sono vostra, non vi lascerò mai, mai più!-

Ma lui non le rispose, continuava a muoversi con la mascella contratta e un'espressione tesa, come se stesse cercando di contenersi. Bellatrix cercò di baciarlo, ma lui spostò bruscamente il viso dall'altra parte.

Voleva quasi che smettesse, quella sensazione era talmente forte che la spaventava, ma allo stesso tempo ne voleva di più e non riusciva a tenere fermo il bacino, lo spingeva contro di lui, lui! E a ogni mossa si sentiva colpevole, come se gli stesse mancando di rispetto.

E quando arrivò la fine e tutto si fece bianco, lui si lasciò cadere di peso su di lei e lei aumentò la presa su di lui, lo cinse forte come se volesse stritolargli il bacino e la schiena, come se temesse che lui sparisse da un momento altro, che quell'episodio fosse tutto un sogno e che lei si sarebbe svegliata, sola e disperata.

-Mi fai male-

-Scusatemi!- gli disse, mollandolo subito per permettergli di uscire, poi con un'espressione più tenera aggiunse -Non volevo farvi andare via...-

-Ti consiglio di non rifarlo- l'avvertì, scivolando giù dal letto e chiamando con la mano i vestiti.

Lei sorrise furtivamente.

-Perché, ci sarà una prossima volta, Mio Signore?-

-Questo lo deciderò io- le disse secco, iniziando a vestirsi -Intanto ti aspetto domani...-

 

 

 

 

 

Note al cap.
-Mais dis la verité, tu aimes bien le Lord Obscur? = Ma dì la verità, ti sei presa una cotta per il lord oscuro?
-As-tu perdu la tête!? = Hai perso la testa!?
-Sic et simpliciter = così e semplicemente
 
Note della sottoscritta
This is it, come direbbe Michael Jackson ;)
Siamo arrivati alla fine e come prima cosa vorrei ringraziare tutti voi che avete letto e seguito questa breve storia, e un ringraziamento speciale va alle ragazze che mi hanno lasciato con costanza una recensione, ovvero:
-Manu75
-yawaraf
-LostHope92
Rispetto a quest'ultimo-CAOTICO- capitolo, ho voluto dare a Tom-Voldemort un'impronta più propagandistica che crudele, ho immaginato infatti che all'inizio della sua 'carriera' il suo essere un assassino spietato fosse coperto da un velo di mistero, anche se le voci tremende su di lui circolavano e le persone ne percepivano la pericolosità nascosta. Ma solo i Mangiamorte a lui più vicini e qualche Auror lungimirante avevano davvero compreso cos'era disposto a fare per raggiungere i suoi scopi...
Per le scene con Bella... Beh, che dire, ho cercato di fare del mio meglio ^^ Spero di avervi convinto e di aver rispettato i personaggi, e comunque per qualsiasi chiarimento/richiesta/critica io sono sempre qua (e il discorso vale anche per voi, amici posteri, che leggerete nel futuro, ammesso che ci sarete ;)
Ancora umilmente grazie,
Ecate

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