Mistress of my heart

di keepsakeEFP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** |Only a dream ***
Capitolo 2: *** |The promise ***
Capitolo 3: *** |A different choice ***
Capitolo 4: *** |There's no place like home ***
Capitolo 5: *** |Exactly where I want to be ***
Capitolo 6: *** |A broken dream ***
Capitolo 7: *** |What he thinks about her ***
Capitolo 8: *** |Don't let it happen ***
Capitolo 9: *** |Breathless ***
Capitolo 10: *** |Friends forever ***



Capitolo 1
*** |Only a dream ***


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Mistress of my heart

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>> Capitolo 1 <<

 

Il cavallo pezzato galoppava senza sosta lungo la stradina sterrata. Il suono degli zoccoli che battevano contro la terra dura e fangosa rimbombava per il viale che portava alla tenuta di Hearthford, un imponente castello eretto sulla cima di una collinetta, circondato da alberi in fiore e un laghetto in cui alcuni cigni bianchi nuotavano sfiorando dolcemente la superficie dell’acqua. Il cavallo accelerò il passo dopo che il suo fantino ebbe fatto schioccare sonoramente le redini, guardò poi indietro ed incontrò lo sguardo di un secondo cavaliere che gli stava alle calcagna su un bellissimo puledro color carbone. L’animale dal manto scuro fece un sonoro sbuffo ed evitò un albero caduto saltando al momento giusto e atterrando con tutto il peso oltre l’ostacolo, per poi riprendere la sua incessante corsa in direzione del castello. Il cavaliere che stava davanti aveva il capo coperto da un foulard, ma i suoi occhi verdi, ovvero l’unica cosa del suo volto che si poteva intravedere, erano accesi, infuocati, quasi al limite dell’euforia. Entrambi percorsero una piccola curva, ma quando il fantino sul cavallo pezzato si voltò per osservare ancora una volta il suo inseguitore, quest’ultimo non c’era più. Si era volatilizzato.
Con sua grande sorpresa gli comparve davanti agli occhi piombando dall’alto come una furia. Il puledro pezzato si fermò bruscamente facendo quasi perdere l’equilibrio al suo cavaliere, mentre l’altro continuò la sua folle corsa passando sotto l’arco di pietra che delimitava l’entrata della magione. L'animale girò su sé stesso mentre l’uomo saltò giù dalla sua groppa toccando terra con la suola degli stivali impolverati, proprio mentre il suo compagno faceva il suo ingresso ancora in sella al suo ronzino pezzato.
« Non vale, hai barato! » esordì quest’ultimo abbandonando a sua volta la groppa del cavallo e avvicinandosi a lui, furente.
Dal canto suo l’uomo al suo fianco se la rideva sotto i baffi mentre faceva finta di essere molto interessato alla criniera del suo animale.
« Non ho barato, sono semplicemente arrivato primo, quindi… hai perso. »
Dopo aver ascoltato quelle parole il cavaliere si tolse il foulard con un gesto teatrale, che cadde a terra vicino alle suole dei suoi stivali. Da quel piccolo pezzo di stoffa vennero fuori dei bellissimi capelli biondi, lunghi ed ondulati, i cui boccoli gli ricaddero dolcemente lungo la linea della schiena. L’uomo osservò la bellissima ragazza dallo sguardo fiero che lo stava incenerendo attraverso quelle due splendide gemme verdi che aveva al posto degli occhi, e che restava ferma di fronte a lui con le mani appoggiate sui fianchi, in segno della sua irritazione.
« Dai Emma… » cercò di dire l’uomo accennando un sorriso, ma la ragazza glielo negò colpendolo a sorpresa dietro la nuca. In risposta ottenne un sonoro urletto di dolore.
« Ti avverto Neal, prova ad imbrogliarmi di nuovo e la prossima volta riceverai qualcosa di molto più doloroso in cambio. » lo minacciò la ragazza.
« Va bene, va bene! Ma era una semplice scorciatoia. » tentò di difendersi l’uomo.
« E ti pare che le scorciatoie in una gara siano ammesse? La prossima volta ci accorderemo prima sulle regole da seguire, d’accordo? » gli domandò la bionda imprigionandolo con la potenza del suo sguardo.
« Va bene, come vuoi. »
Neal non riuscì a trattenere l’ennesimo accenno di risata, ma questa volta Emma si unì a lui scoprendo per la prima volta un sorriso che fu in grado di abbagliare l’uomo.
« Sei il solito, devi sempre trovare qualche sotterfugio per poter vincere contro di me. » disse la bionda riprendendo il suo foulard e cominciando a scuoterlo un po’ per togliere via la polvere che vi si era depositata. Neal sembrò voler dire qualcosa in risposta a quella accusa, ma fu bloccato dall’arrivo di una ragazza dallo sguardo alquanto preoccupato.
« Ashley, che succede? » chiese Emma sperando che i suoi sospetti si rivelassero infondati.
La ragazza aveva i capelli biondi raccolti in uno chignon, gli occhi celesti fissi in quelli di Emma, e il suo volto angelico era stanco e stressato, forse a causa del duro lavoro.
« La contessa Regina ha chiesto di te, vuole che ti rechi subito nelle sue stanze. » le rispose con tono cauto. « e non sembra di buon umore. »
Emma socchiuse lentamente le palpebre e prese un profondo respiro portando le mani a massaggiarsi le tempie.
« E quando mai quella donna è di buon umore? »
« A quanto pare quel foulard non è bastato a farti fuggire dalle sue grinfie. » affermò Neal gettando un’occhiata al pezzo di stoffa che la ragazza aveva usato per nascondersi da sguardi indiscreti, o meglio da quelli della contessa.
« A volte credo che quella donna abbia dei poteri soprannaturali… sa sempre tutto di tutti, mi inquieta. »
Emma diede voce al suo pensiero involontariamente, ma un attimo dopo era già fuggita da Neal ed Ashley per raggiungere gli interni del castello. Il suo abbigliamento non era consono a ciò che avrebbe dovuto fare di lì a poco, presentarsi davanti alla contessa, ma sfortunatamente non aveva il tempo per indossare dei vestiti decenti. Avrebbe dovuto mostrarsi a lei vestita da uomo, con i pantaloni e tutto il resto. Poteva già sentire le frecciatine taglienti che quella donna le avrebbe rivolto, anche se ormai si era abituata da tempo ai modi di fare della sua padrona. Salì di corsa le scale, si precipitò lungo il corridoio con i lunghi capelli biondi che le svolazzavano dietro la schiena, e raggiunse la porta in legno decorato che si trovava al terzo piano, sul lato sinistro della magione. Il piano riservato ai nobili della casa. Prese un profondo respiro e si morse la lingua per evitare di rispondere alle provocazioni che le sarebbero piombate addosso. Sollevò le palpebre di scatto, e senza nemmeno realizzarlo bussò.


 

***



Due piccoli colpi rimbombarono all’interno del corridoio, cupo e silenzioso. Un attimo dopo udì una voce fredda e tagliente provenire da oltre la porta che la incitava ad entrare.
« Avanti. »
Emma fece pressione sulla maniglia e questa si abbassò facendo spalancare la porta di legno. La prima cosa che vide fu il volto di marmo della contessa, gli occhi scuri e profondi, i capelli neri raccolti in una elaborata acconciatura, e il suo corpo perfetto rivestito da un bellissimo abito di stoffa pregiata, adagiato elegantemente su una poltroncina di velluto.
La ragazza entrò nella stanza in punta di piedi mentre lo sguardo della nobile vagava sulla sua figura, studiandola da cima a fondo. Emma si sentì raggelare ma non abbandonò mai quegli occhi scuri che la stavano squadrando come se fosse un soprammobile.
« Da non credere. »
La voce della contessa ruppe il silenzio, il suo tono disgustato non fu una sorpresa per Emma, ma la nobile riuscì a farla sussultare quando si alzò di scatto e senza preavviso.
« Andare a cavallo per i boschi con uno stalliere, e per di più conciata in quel modo. »
Ad ogni parola pronunciata la contessa si avvicinava sempre di più ad Emma, e sempre di più il suo sguardo d’odio le penetrava fin dentro l’anima.
« Contessa… »
« Silenzio. Nessuno ti ha detto di rispondere. » la zittì fulminandola con lo sguardo.
« Devo forse ricordarti qual è il tuo ruolo in questa casa? » le domandò severa superandola, ed Emma non osò voltarsi per evitare di incontrare ancora quegli occhi tanto adirati.
« Sei stata portata qui per prenderti cura di mia madre, come sua dama di compagnia, non per andartene in giro a tuo piacimento. Non capirò mai come sia riuscita ad incantarla, ma sta sicura che prima o poi troverò il modo per rispedirti in quella squallida locanda da cui provieni. »
Regina si voltò finalmente a guardarla e lo stesso fece la bionda, che con gli occhi bassi e la mani giunte si mordeva il labbro a sangue.
« Sembra che quello sia l’unico posto in cui potresti trovarti a tuo agio. Credimi Emma, i posti altisonanti non fanno per te. Del resto la feccia deve convivere con i suoi stessi simili, non sei d’accordo… signorina Swan? »
Il tono di scherno si trasformò in una sonora risata derisoria. La contessa spalancò il ventaglio che teneva tra le mani e si fece aria continuando a squadrare la giovane che rimase in silenzio e con gli occhi chini a scrutare il pavimento. In un batter d’occhio il sorriso sparì dal suo volto di marmo e il rumore dei tacchi sulle mattonelle fece sollevare il capo della bionda. Si ritrovò il volto della contessa a un palmo dal naso, e i suoi occhi neri le regalarono ancora una volta l’illusione che avrebbe potuto ucciderla con uno sguardo.
« Va da mia madre, subito. Mettiti dei vestiti decenti e fai qualcosa per quei capelli. » le ordinò indicandole con il ventaglio chiuso le parti del suo corpo appena elencate.
« E ora sparisci. Il solo averti tra i piedi mi irrita. »
« Ai vostri ordini Signora. » rispose Emma frettolosamente accennando un piccolo inchino. Regina la osservò mentre la ragazza lasciava in fretta e furia la stanza richiudendosi la porta dietro di sé.


 
 
***



Emma percorse a ritroso il corridoio, questa volta sistemata a dovere. Aveva raccolto i capelli in un elegante chignon, il corsetto ricamato le stringeva il busto, quasi a farle mancare il fiato, e la gonna lunga e ampia le nascondeva le gambe snelle. Durante il tragitto si scontrò con altre ragazze della servitù, e con ognuna di loro scambiò una parola di cortesia o un commento alquanto colorito su ciò che era appena successo. Ritrovò nuovamente Ashley, che ancora una volta la avvisò dei suoi compiti.
« Emma, la contessa Cora ti sta aspettando in libreria. » la avvertì, questa volta senza nessuna preoccupazione, anzi, un piccolo sorriso le ridisegnò le labbra ed Emma contraccambiò aumentando il passo e dirigendosi verso il luogo che le era stato appena indicato. Ancora una volta bussò prima di precipitarsi all’interno della stanza, ma solo dopo che una voce calda e gentile l’aveva invitata ad accomodarsi.
« Contessa. » la chiamò avvicinandosi a lei. La signora era seduta su una poltroncina vellutata e guardava fuori dalla finestra. Il suo viso era stanco, ma negli occhi aveva impressa una luce talmente vivida da far venir meno il fatto che fosse malata di cuore.
« Mia cara Emma. » disse la contessa voltandosi sorridente verso la sua dama di compagnia. Allungò le mani verso di lei, e la bionda fece altrettanto stringendogliele tra le sue. La libreria era il posto preferito della signora, ogni mattina dopo colazione si faceva accompagnare in quella stanza tra la moltitudine di scaffali che contenevano una quantità sproporzionata di libri. La finestra dava sui giardini regalando una vista spettacolare della fontana e del piccolo laghetto.
« Cosa è successo cara? » domandò improvvisamente la contessa Cora quando notò lo sguardo accigliato della sua cara dama. Emma cercò di ricomporsi per non dare a vedere quanto l’incontro precedente l’avesse scossa.
« Niente Signora, ho solo parlato con vostra figlia, la contessa Regina. » le spiegò mentre le risistemava la coperta sulle gambe.
« Mia figlia ha un caratteraccio, e credo che nutra nei tuoi confronti una gelosia molto profonda. » disse la contessa mentre rivolgeva uno sguardo pensieroso al paesaggio che si trovava oltre i vetri della finestra.
Emma si accomodò vicino a lei. Le prese ancora una volta le mani e le si avvicinò così che la sua padrona potesse sentire chiaramente quello che stava per dirle.
« Contessa, io non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza per la cortesia con cui mi avete accolta qui a Hearthford. Cinque anni fa mi avete portata via da quella angusta locanda in cui lavoravo, mi avete salvata da una vita vuota ed inutile, e solo il cielo sa quanto io vi sia riconoscente per la possibilità che mi avete dato. Il rifiuto nei miei confronti della contessa Regina non è nulla rispetto a quello che avrei dovuto sopportare se avessi continuato con quella vita. »
Cora le sorrise in modo materno e le accarezzò una guancia con le dita fredde.
« Mia bella Emma. Il merito è soprattutto tuo. Al giorno d’oggi le ragazze povere che sanno scrivere e leggere si contano sulle dita di una mano, ma oltre a questo ciò che più mi ha colpito di te è stata la tua dolcezza e il tuo carattere forte e virtuoso. Le fanciulle come te si meritano il meglio dalla vita, per quanto la loro condizione possa permetterglielo. »
La bionda le sorrise a sua volta e la commozione cominciò a farsi strada nei suoi occhi illuminandole le iridi smeraldine.
« E ora mia cara, ti dispiacerebbe leggermi qualcosa? » le domandò la signora spostando lo sguardo su un ripiano particolare della libreria. Emma sorrise, cosciente di quello che avrebbe dovuto fare. Ogni giorno a quell’ora la contessa amava farsi leggere da Emma uno dei suoi libri preferiti regalatole da sua madre quando era ancora piccina. Un libro di fiabe.
La ragazza si avvicinò allo scaffale e salì la scaletta per poter arrivare al ripiano più alto. Afferrò il piccolo libricino dalla copertina in pelle su cui era impressa una scritta dorata che recitava: "Once Upon a Time".
Una volta preso Emma ritornò a sedersi accanto alla contessa che le rivolse uno sguardo nostalgico.
« Emma, sai a cosa servono le favole? » le domandò prendendola alla sprovvista. La ragazza sembrava non saperle rispondere e la contessa abbassò lo sguardo sul libro che la sua dama teneva in mano.
« A dare speranza, mia cara. La speranza che in questo mondo tutti possano avere il proprio lieto fine. » disse mentre la bionda la ascoltava rapita, e ancora una volta le dita gentili della sua padrona le accarezzarono il viso.
« E io ti auguro con tutto il cuore di trovarlo, mia cara Emma. »
« Io l’ho già trovato Signora, con voi. » affermò la ragazza aprendo le labbra in un bellissimo sorriso.
La Contessa ritirò la mano e le fece cenno di cominciare la lettura. Emma aprì delicatamente il libro e sfogliò le pagine fino a ritrovare il punto a cui era arrivata il giorno prima. I suoi occhi vagarono sulle piccole parole scritte con l’inchiostro nero, il profumo della carta le arrivò alle narici e lei lo inspirò beandosi di quell’odore che tanto le piaceva. Cominciò a leggere.
« Il mare era in fermento, ma la nave comandata dal più in gamba dei pirati non aveva nulla da temere. L’uomo si avvicinò all’albero maestro della Jolly Roger ed osservò il cielo in tempesta. L’artiglio che aveva al posto della mano venne conficcato all’interno del legno di quercia con un colpo secco e deciso. Peter Pan avrebbe avuto la fine che meritava per quello che aveva osato fargli, e più si avvicinavano alla costa più il suo obiettivo diventava chiaro. Represse un urlo di ferocia e poi si rivolse al resto della sua ciurma, o forse a nessuno in particolare: tremate, Capitan Uncino sta per arrivare. »
La voce di Emma era chiara e cristallina, la cadenza con cui leggeva era capace di trasformarsi in una dolce nenia e cullare la contessa per portarla lontana da quella stanza. Ma quel giorno c’era qualcosa che non andava, troppi pensieri affollavano la mente dell’anziana signora, ed Emma se ne rese conto quando un sospiro le giunse alle orecchie.
« Cosa succede Signora? Vi sentite poco bene? » le chiese visibilmente in ansia.
« No, no mia cara. Va tutto bene. Pensavo solo che anche io ho due uomini di mare che mi piacerebbe arrivassero qui ad Hearthford con la loro nave. »
Emma richiuse il libro con delicatezza e osservò il volto accigliato della sua padrona consapevole di cosa stesse provando in quel momento visto che ormai era argomento di conversazione della maggior parte delle loro giornate.
« I vostri figli torneranno Contessa, dovete solo avere un po’ di pazienza. » cercò di rincuorarla la ragazza, ma il tentativo non suscitò la reazione sperata.
« Avevo accettato a malincuore la decisione di Liam di arruolarsi nella marina militare, ma mai mi sarei aspettata che Killian lo avrebbe seguito dopo solo un anno. I miei due figli maschi, entrambi lontani da Hearthford, ed entrambi consapevoli che hanno lasciato la tenuta nelle mani di quel miserabile del marchese Malcolm, il marito di mia figlia. »
Emma la guardò consapevole del fatto che avesse ragione. Il marchese Malcolm Mills aveva sposato la contessa Regina, da cui aveva avuto un figlio, Henry, a cui la ragazza era molto affezionata, ma di certo non si potevano tessere le lodi del comportamento del Marchese, che fino ad ora sembrava stesse portando Hearthford alla rovina scialacquando il patrimonio della famiglia Jones. Gli unici figli maschi della contessa erano partiti per mettersi al servizio del Re. Il più grande, Liam, si era arruolato nella marina nove anni prima, mentre Killian, il secondogenito, lo aveva imitato arruolandosi l’anno successivo. Entrambi avevano raggiunto delle cariche di prestigio, Comandante e Capitano, e per il momento non sembravano intenzionati a fare ritorno causando disappunto e malinconia nella madre.
Emma non li aveva mai visti. Era arrivata ad Hearthford solo cinque anni prima e li aveva potuti ammirare solo nei ritratti che la contessa teneva appesi nella sua stanza, ma era sicura che quei dipinti non gli rendessero giustizia. Aveva sentito che erano di una bellezza fuori dal comune, ricercati e riveriti in ogni dove. Gli scapoli d’oro, ecco come li chiamavano.
Ma a lei cosa poteva importare? Emma era solo una serva, e le serve non avevano voce in capitolo. Ma potevano sognare. Questo almeno le era concesso.



Angolo dell'autrice
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Ed eccoci qua! Prima fan fiction in assoluto e ho voluto cominciare con la mia coppia preferita di sempre, i Captain Swan. Ho voluto unire le mie due serie preferite, ossia Once Upon a Time ed Elisa di Rivombrosa. Alcuni personaggi saranno OOC, perciò non spaventatevi se vedrete una Cora molto disponibile e cara nei confronti di Emma :D dimenticatevi anche alcune parentele, diciamo che mi sono divertita a strafare un po’ e spero che il risultato finale vi piaccia ^^ Se volete lasciatemi una recensione, ne sarei veramente felice! Al prossimo capitolo!

Keepsake

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Capitolo 2
*** |The promise ***




>> Capitolo 2 <<

 
L’uomo si rigirò il foglio tra le mani spiegazzandone gli angoli già sgualciti. La calligrafia sul biglietto era minuscola ma comunque leggibile, priva di fronzoli che avrebbero potuto appesantirne la lettura. Il messaggio contenuto in quella busta gli balzò addosso, le lettere sbiadite dalla pioggia e dall'umidità non facevano altro che accentuare il significato riportato in quelle poche righe.
Il messaggero era arrivato nel pomeriggio consegnandogli il biglietto non appena aveva messo piede sulla banchina del porto. Lo aveva riconosciuto subito, William. Era a servizio della sua casata da molto tempo, una specie di balia, se così si può dire. Rivedere il suo volto era sempre motivo di gioia, ma anche di un’ansia tale da spingerlo a rimanere calmo e riflessivo.
« Mio Signore! » lo chiamò l’ometto non appena lo vide attraversare la passerella. Indossava un cappello di lana rosso e il suo aspetto trascurato lo faceva rassomigliare ad un topo di fogna. Gli occhi piccoli e vispi incontrarono quelli del suo Padrone, che ricambiò sorpreso il suo saluto.
« William, mi aspettavo di vederti domani. »
L’uomo era alto e possente, indossava la divisa ufficiale delle forze militari della marina del Re e un enorme cappello nero. La nave da guerra aveva appena attraccato al porto di Leinster, una delle quattro provincie dell’Irlanda, proprio nei pressi di Hearthford, per racimolare delle provviste e mettere al corrente gli ufficiali a proposito delle loro peripezie in mare contro i nemici del Re. Tutto ciò aveva luogo una volta al mese per una settimana, il resto delle loro giornate lo trascorrevano tra cannoni, stiva e alberi maestri.
Una lieve brezza gli scompigliò i capelli ricci intrappolati dall’enorme cappello. Guardò nuovamente l’ometto con due occhi verdi come il mare, che diresse prontamente alla lettera che teneva in mano.
« Mi è stato chiesto di consegnarvela il prima possibile, ecco perché ho anticipato il nostro incontro. » spiegò il messaggero porgendogli la lettera.
« Spero non si tratti di cattive notizie. » rispose il suo padrone afferrando la busta dalle sue mani. Rigirò quel pezzo di carta finché non si decise a riporlo nella tasca interna della sua giacca.
« Mi ritiro nei miei alloggi. E’ stato un piacere rivederti, mio caro William. » lo salutò dandogli una leggera pacca sulla spalla mentre lo superava.
« Anche per me, signorino Liam. »
L’ometto lo osservò fin quando la figura del Comandante non sparì inghiottita dalla folla. Si voltò nuovamente verso l’enorme vascello e attese trepidante la discesa di qualcun altro che aspettava di vedere ormai da tanto tempo.

 
***


Liam spalancò la porta della sua dimora, una piccola stanza provvisoria che fungeva da casa quando si ritrovavano a dover ormeggiare durante la settimana dell’Attracco, così nominata e ufficializzata dal Re stesso in persona. Osservò il letto e ci scaraventò sopra il cappello senza nemmeno preoccuparsi di dove fosse caduto. Si avvicinò alla minuscola scrivania in legno che dava le spalle ad una finestra a due ante, la cui vetrata non era stata chiaramente ripulita a dovere, infatti poteva intravedere la polvere e i segni di qualche manata. Si accomodò sulla sedia e tirò fuori dalla tasca il biglietto ancora sgualcito. A quanto pare William non aveva avuto molto tatto nel trasportare il messaggio, di sicuro lo aveva tenuto nella tasca dei pantaloni anziché riporlo in una sacca come di consuetudine. Quel pensiero lo fece sorridere. William era sempre stato un uomo di poca furbizia, di scarsa moralità e molta inettitudine, ma era un uomo fedele, e per questo suo padre aveva deciso di riscattarlo dalla prigione, sotto precisa richiesta del suo fratellino minore. Forse era proprio per questo che William nutriva un affetto incondizionato nei confronti del secondogenito della famiglia Jones.
Liam si allontanò da quei pensieri ritornando alla realtà. La busta che aveva tra le mani riportava il simbolo della sua casata, un’ancora su cui era attorcigliato un bellissimo delfino argentato. Lo guardò ricordando come suo padre, qualche giorno prima della sua morte, gli aveva spiegato che i Jones erano sempre stati legati al mare, alcuni addirittura vociferavano che in un passato remoto i loro antenati avessero avuto contatti diretti con le sirene.
Liam strappò finalmente la busta e avvicinò il minuscolo biglietto al volto. I suoi occhi vagarono su quelle righe inchiostrate e il suo sguardo poco a poco mutò. Prese un profondo respiro, socchiuse le palpebre e lasciò che il foglio cadesse sulla scrivania. Con la mano appena liberata si sfregò la fronte e si voltò verso la finestra alle sue spalle che dava direttamente sulla banchina. Gli schiamazzi dei ragazzini e le urla degli adulti che cercavano di vendere il pesce appena pescato coprirono per un attimo il bussare insistente alla sua porta, o forse erano stati semplicemente i suoi pensieri troppo rumorosi a farlo estraniare completamente dalla realtà.
« Avanti. » urlò dopo essersi voltato nuovamente verso la porta. Quest’ultima si spalancò e nella stanza fece il suo ingresso un giovane uomo che non aveva mai visto.
Capelli castani con qualche riflesso rossiccio, occhi verdi e barba appena accennata. Indossava un panciotto nero con una fantasia che ricordava le foglie autunnali, una camicia che riprendeva lo stesso disegno e un foulard nero e bianco allacciato intorno al collo e inserito all’interno del panciotto.
I suoi occhi erano strani, spalancati con delle occhiaie vistose e violacee. Se ne stava in piedi davanti alla soglia della porta senza accennare un passo, immobile come una statua, ma teneva sempre gli occhi fissi sul Comandante seduto dietro la scrivania. Quest’ultimo lo squadrò da cima a fondo prima di alzarsi con cautela e posare entrambe le mani sulla superficie in legno del tavolo.
« Voi chi siete? » gli domandò non ottenendo alcuna risposta.
« Non siete stato annunciato. » aggiunse un attimo dopo cominciando a realizzare la situazione.
« Siete voi il Comandante Jones? »
La voce dello sconosciuto era tormentata. Liam poté percepirlo chiaramente a dispetto di quegli occhi freddi e vuoti che lo stavano squadrando fin da quando era piombato nella stanza.
« In persona. Con chi ho il piacere di parlare? »
« Il mio nome è Jefferson, e ho qualcosa per voi. »
Non appena ebbe terminato la frase scostò di poco l’apertura del panciotto e fece per infilare la mano al suo interno. Tutto successe in meno di mezzo secondo.
Liam afferrò la spada che teneva legata alla cintura e balzò oltre il tavolo afferrando lo sconosciuto per il bavero. Lo spintonò contro la parete con la punta affilata, intrappolandolo. Avvicinò il suo viso a quello del giovane tanto da poter udire il suo respiro accelerato sul collo.
« Fai un altro passo falso… e sei un uomo morto. » gli alitò contro schiacciandolo ancora di più contro la parete. Jefferson alzò le mani verso l’alto in segno di resa, ora il suo sguardo rifletteva il suo vero io, un uomo consumato dai dubbi e dalla paura.
« Vi prego, non sono venuto qui per uccidervi. Devo fare una confessione! » urlò cercando di allontanarsi quanto più poteva dalla lama che gli premeva insistentemente sul collo. Liam si scostò di poco per poterlo guardare negli occhi e sollevò un sopracciglio che rivelò la sua curiosità.
« Ebbene, parlate. » lo incitò allontanandosi da lui ma continuando a puntargli contro l’estremità della sua spada.
Jefferson prese un profondo respiro e infilò nuovamente la mano all’interno del suo panciotto, sotto la completa supervisione dell’uomo che aveva di fronte. Ne tirò fuori una lettera, sigillata con uno strano stemma.
« Quella cos’è? » gli domandò il Comandante avvicinando nuovamente la lama al collo del malcapitato.
« La mia confessione. »
Liam corrugò la fronte, ma l’uomo finalmente si decise a chiarire ogni suo dubbio.
« Sono il Marchese Jefferson Hatter e sono colui che ha cospirato insieme ad altri ai danni del Re. »
Gli occhi del Comandante si spalancarono e per un attimo smise totalmente di respirare. La presa sulla sua spada si allentò leggermente, ma un attimo dopo era nuovamente nel pieno delle sue facoltà per poter ascoltare il resto.
« Nonostante questo… mi pento delle mie azioni. Per il rispetto che porto al mio nome, e soprattutto alla mia famiglia, ho deciso di redimermi e di consegnarmi agli ufficiali. In questa busta c’è una lista, una lista scritta di mio pugno contenente i nomi di tutti i nobili che progettano di uccidere il Re. »
Jefferson gliela porse con gli occhi lucidi e sinceri di un uomo effettivamente pentito. Liam abbassò cautamente la spada fino a rinfoderarla del tutto ed osservò la mano tremolante dell’uomo che gli stava donando tutto ciò che rimaneva della sua vita. Il Comandante finalmente la afferrò segnando in questo modo il destino del giovane.
« Siete a conoscenza che la pena per la cospirazione contro il Re è la decapitazione, vero? » gli domandò in un sussurro quasi impercettibile. Jefferson abbassò lo sguardo verso il pavimento e un sorriso amaro si fece strada sul suo volto spossato.
« Che io possa trovare la pace nella vita che mi aspetta. »
Un’ultima supplica ad occhi chiusi, forse diretta involontariamente a qualcuno.
« Siete in arresto, Jefferson Hatter. Le guardie vi scorteranno alle prigioni, dopodiché verrete processato alla presenza del Re, che deciderà il vostro destino. »
Chiaro e conciso. La sentenza di Liam cadde come un macigno sulla mente straziata di Jefferson, ma quest’ultimo non aveva ancora finito.
« Aspettate! » urlò afferrandolo per un braccio, ma la stretta era talmente debole che l’uomo non provò neanche a fare resistenza.
« Ho un favore da chiedervi. » lo supplicò con gli occhi sgranati e arrossati. Dal canto suo il Comandante restò in silenzio in attesa dell’ultima richiesta di un condannato a morte.
« Promettetemi che se mi capiterà qualcosa vi prenderete cura di mia figlia. »
Quelle parole echeggiarono nella piccola stanza e nella mente confusa di Liam. Il Comandante lo guardò accigliato e per un momento spalancò la bocca senza che ne uscisse alcun suono.
« Come avete detto? »
« Vi prego. E’ soltanto una bambina e non ha altri che me. Non voglio che rimanga da sola. Dovete promettermi che quando morirò andrete a cercarla. »
La stretta sul suo braccio divenne poco a poco più opprimente man mano che il giovane andava avanti con la sua disperata richiesta. Il volto del malcapitato si era trasformato in una maschera di dolore, che non riuscì a far rimanere impassibile l’impeccabile Comandante.
« Dovete promettermelo! »
La sanità mentale di Jefferson era chiaramente in stato di allarme. Liam osservò il giovane aggrapparsi a lui come se fosse la sua ancora di speranza, l’ultimo barlume di luce nella sua vita ormai offuscata dal buio.
« Perché proprio io? » gli domandò riferendosi non soltanto alla sua richiesta. Voleva sapere perché si era rivolto a lui, perché aveva aspettato il suo ritorno dal mare per confessare ogni cosa.
« Perché no? Vi conosco di fama, Comandante. So che siete un uomo leale, un uomo che farebbe di tutto per far rispettare la giustizia. Qualcun altro mi avrebbe già ucciso sul posto o ne avrebbe approfittato per i suoi scopi, ma non voi. Se dopo morto vorrò che il mio nome sia riscattato dovevo rivolgermi ad una persona che sarebbe stata in grado di aiutarmi, che avrebbe riconosciuto il mio pentimento. Sto facendo tutto questo per mia figlia, Comandante. Voglio che i miei errori non le ricadano sulle spalle, voglio liberarla dal peso di una vita in cui sarebbe additata come una criminale solo perché il padre ha fatto delle scelte sbagliate. »
Liam lo guardò con gli occhi pieni di comprensione. Gli afferrò la mano mentre Jefferson si accasciava al suolo perdendo le ultime forze che fino a quel momento lo avevano aiutato a reggersi in piedi.
« Qual è il nome di vostra figlia? »
Una domanda che nascondeva molteplici significati, tra cui l’accettazione di una promessa. Il giovane a terra sollevò il volto estasiato e una piccola luce si accese all’interno dei suoi occhi donandogli per un breve attimo un aspetto quasi rilassato.
« A tempo debito lo saprete. »
Non aveva altro da dire. Ora non c’era più nessun motivo per continuare a combattere, per continuare a rialzarsi. Aveva fatto la sua scelta: la coscienza pulita e il riscatto del suo nome. Tutto per sua figlia.
Dopo qualche minuto le guardie reali erano già lì per ammanettarlo. Lo trascinarono via e Jefferson non si oppose minimamente, gettò solo un’occhiata alle sue spalle, verso il Comandante, che si era accomodato nuovamente sulla sua sedia. Ora sulla scrivania c’erano due buste differenti, due strade che avrebbe dovuto percorrere. Cosa avrebbe scelto? L’affetto per la sua casa o la lealtà verso il suo Re?

 
***


Il sole era tramontato da poco e il cielo si era dipinto di colori accesi e vivaci che andavano dal rosso fiammante al giallo dorato. Aveva passato il pomeriggio seduto sulla banchina ad osservare il tragitto del sole che pian piano era svanito oltre la linea dell’orizzonte, inghiottito dal mare.
Una piacevole brezza gli accarezzò il volto e l’odore della salsedine gli entrò nelle narici facendolo rabbrividire. Socchiuse gli occhi nascondendo le iridi azzurre dietro un sottile strato di ciglia nere, si passò una mano sul volto e avvertì subito la sensazione graffiante della barba appena accennata sotto i suoi polpastrelli. I capelli scuri e lisci gli ricadevano sulla fronte, raccolti in una piccola coda all’altezza della nuca e tenuti insieme da un nastro color blu scuro che richiamava quello della divisa che indossava. Il panciotto e i pantaloni bianchi gli donavano un’aria immacolata, ma la giacca bluastra con i bottoni dorati gli conferiva un’aria autoritaria grazie anche all’aiuto del cappello a tricorno.
« Avete intenzione di rimanere qui per tutto il giorno? »
La voce di William lo riportò alla realtà e il giovane Capitano si voltò a guardarlo regalandogli uno dei suoi sorrisi sghembi.
« Non sembra che sia un problema per te, sei lì a fissarmi da circa venti minuti. Perché non ti sei avvicinato? Mi trovi così irresistibile? » gli chiese divertito ritornando ad osservare le onde che si infrangevano contro la battigia. William sbuffò indispettito.
« Non volevo distogliervi dai vostri pensieri. »
« Quelli potranno attendere. Sono contento di vederti, Spugna. »
La sottile ironia con cui accentuò quel nomignolo fece indispettire ancora di più il piccolo ometto, che si sedette al fianco del suo padrone con una grazia simile a quella di un pachiderma.
« Credevo avessimo superato il tempo dei giochi. »
« Mi piace ricordare il passato, a te no? »
« Se fa piacere a voi non posso fare altro che essere d’accordo. » rispose l’uomo cominciando a far dondolare le gambe corte sospese sul pontile di legno.
« Oh andiamo, so che ti fa piacere ricordare i vecchi tempi . » lo punzecchiò allegramente guardandolo di sbieco. Le loro menti non poterono fare altro che viaggiare indietro nel tempo, al momento in cui il Capitano e il Comandante erano soltanto due innocenti bambini, rannicchiati sul pavimento del salotto nella tenuta di Heartford ad ascoltare la contessa che leggeva loro le avventure di Peter Pan e di Capitan Uncino.
Il più giovane dei due aveva trovato assai divertente l’idea di soprannominare il suo adorato nuovo servitore come il Nostromo di Capitan Uncino, ricevendo in cambio le lamentele del povero uomo e le risate di suo padre e di suo fratello maggiore. A Liam era stato invece assegnato il ruolo di Barbanera, e adesso tutto ciò gli sembrò talmente surreale da strappargli un sorriso amaro. Barbanera era il nomignolo del loro acerrimo nemico, un pirata che inseguivano da molto tempo e che non erano mai riusciti ad incastrare. Il terrore dei sette mari.
« Notizie dalla tenuta? » chiese inaspettatamente il Capitano rivolgendo lo sguardo all’orizzonte.
« Una lettera, consegnata poco fa a vostro fratello. » lo informò William imitando il gesto del padrone.
« Come tutte le volte. »
Il Capitano ripensò alle miriadi di lettere che si erano susseguite negli ultimi dieci anni. A pensarci bene era la prima volta che attraccavano così vicino casa, tuttavia non avrebbero potuto abbandonare le loro posizioni se non con un congedo ufficiale.
Un forte trambusto li fece improvvisamente voltare. Il Capitano si alzò in piedi mentre il suo servitore rimase seduto dietro di lui ad osservare la scena. Due soldati stavano conducendo un giovane uomo verso le prigioni. Quest’ultimo era ammanettato e non aveva un bell’aspetto. Di certo sarebbe crollato a terra se quei due uomini non lo avessero sostenuto durante il tragitto.
A quel corteo seguì subito l’alta figura del Comandante, che appena vide il fratello minore accelerò il passo muovendosi nella sua direzione.
« Killian. » lo chiamò con la sua voce bassa e tonante. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, scattò in direzione dell’uomo finché non si trovò faccia a faccia con il suo superiore.
« Che succede Comandante? »
« Una confessione da parte di un pentito. Dobbiamo rimetterci in viaggio il prima possibile, le notizie sono alquanto scottanti. Ho bisogno che raduni la ciurma e dia disposizioni per la partenza. Salpiamo domani nel pomeriggio. »
Killian rimase spiazzato da quelle parole, continuò a seguire suo fratello che intanto non aveva accennato a fermarsi.
« Domani? Ma siamo appena arrivati e l’Attracco dovrebbe durare una settimana. Non abbiamo tutto quello che ci serve, gli approvvigionamenti e il materiale di ricambio per la nave non sono ancora pronti e… »
Killian smise di parlare non appena suo fratello si bloccò di colpo, impedendogli di proseguire. Vide le spalle del Comandante trasformarsi nel suo volto serio e contratto. Avrebbe tanto voluto chiedergli che cosa stesse succedendo, ma Liam lo anticipò.
« Le provviste ed il materiale non saranno un problema, per domani pomeriggio deve essere tutto pronto. E’ un ordine Capitano, non c’è tempo da perdere. »
« Va bene Comandante, ma… dove siamo diretti? »
Liam fece per allontanarsi, gli voltò le spalle e lasciò che suo fratello lo guardasse andar via mentre rispondeva alla sua domanda.
« Andiamo a far visita a sua Maestà. »



Angolo dell’autrice
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Ecco il secondo capitolo! Perdonate il ritardo, ma tra le feste e i vari impegni non ho potuto aggiornare prima. Spero che il nuovo capitolo vi piaccia. Questa è stata solo un’introduzione alla storia, nel prossimo entreremo nel vivo della vicenda, e vi prometto che i nostri due beniamini si incontreranno presto ;)
Un grazie a chi ha recensito la storia e l’ha già aggiunta tra le preferite e le seguite, per me significa molto! Un bacione e alla prossima!

Keepsaker

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Capitolo 3
*** |A different choice ***





>> Capitolo 3 <<

 
L’umile casa dei Locksley si trovava poco lontano dalla tenuta di Hearthford, ai confini del boschetto che circondava l’intera provincia. Emma si era messa in cammino la mattina presto, declinando la gentile offerta di Neal che si era offerto di sellarle il cavallo. Aveva sempre amato passeggiare per le stradine sterrate di Hearthford, scambiare quattro chiacchiere con i conoscenti e restare informata su ciò che succedeva nel suo amato paese. Da quando era stata presa a servizio della contessa passava il resto delle sue giornate all’interno della tenuta. Non che le dispiacesse, sia chiaro. La contessa Cora era una donna benevola e di buon cuore, ma quando ne aveva l’occasione le piaceva ritornare alla sua umile e vecchia vita, fermarsi ad osservare le acque cristalline del ruscello che scorreva nella piazza principale di Hearthford e soprattutto far visita ad una delle sue più care amiche.
Ormai era quasi arrivata a destinazione. Più andava avanti e più le case cominciavano a diventare sempre più rade. Si fermò nei pressi di una piccola casupola al limitare della brughiera. Nel cortile vi era qualche gallina e un piccolo orticello ben curato. Emma accelerò il passo tenendosi il mantello con una mano per evitare che le scivolasse giù dalle spalle. Si avvicinò alla porta e diede due colpetti, per poi rimanere in attesa.
In un primo momento non ricevette alcuna risposta, ma quando si guardò intorno vide sbucare da dietro l’angolo della casa una ragazza con i capelli scuri e la pelle olivastra.
« Marian! »
« Emma! Non ci posso credere! » urlò la ragazza buttandosi nelle braccia dell’amica.
« Da quanto tempo non ci facevi visita! Dai, entra. Ti offro qualcosa da bere. »
Marian aprì la porta e si fece da parte per far passare la sua gradita ospite. La bionda seguì la padrona di casa in cucina e si accomodò al piccolo tavolo rotondo e un po’ dismesso.
« Allora, come va? Devi raccontarmi tutto. Come procede la vita alla tenuta? » le domandò Marian mentre cercava lo zucchero da mettere nel tè.
« Beh sai, la contessa Regina non è di certo una gradita compagnia, ma riesco comunque a cavarmela. » le rispose non nascondendo l’orgoglio che si celava in quelle parole.
« Posso immaginare. »
Il volto di Marian si rabbuiò per un istante, ed Emma si morse subito la lingua per aver tirato fuori l’argomento di conversazione sbagliato.
« Tuo marito è in casa? Ultimamente non l’ho visto in giro. » le domandò subito dopo mentre la ragazza le porgeva il tè in un modesto bicchiere.
« No, Robin è sempre fuori con la sua pattuglia. Ultimamente controllano la strada che porta a Leinster, dice che ci sono stati dei movimenti sospetti da quelle parti. » le spiegò Marian mentre la bionda si mise a sorseggiare la sua bevanda.
« Mi dispiace, Emma. Di sicuro sarai abituata a maneggiare bicchieri di cristallo e servizi da tè costosi. Purtroppo questo è tutto ciò che possiamo permetterci. »
« Marian… »
Emma posò il bicchiere e guardò con occhi languidi la sua amica. Le prese la mano che aveva poggiato sul tavolo, tanto per darle un po’ di conforto, perché sapeva bene che quella ragazza portava dentro di sé un dolore immenso.
« Non è stata colpa tua, Marian. » le disse Emma con convinzione avvicinandosi a lei.
« Invece sì Emma, e lo sappiamo entrambe. Robin era un nobile, io solo una serva. Non avevo il diritto di trascinarlo con me giù nel baratro, e ora non gli è rimasto più nulla. La sua terra, i suoi titoli. Tutto svanito a causa della mia presunzione. »
Marian si accomodò sulla sedia accanto a quella dell’amica e cercò di asciugarsi velocemente una lacrima che le era sfuggita.
« Lo hai fatto per amore Marian, non per presunzione. E lui ti ha scelta perché ti amava, più dei suoi titoli e delle sue terre. »
« Ma io non riesco più a sopportare di vederlo allontanato da tutti. I nobili gli hanno voltato le spalle, e ora vive nella povertà. Per guadagnarsi da vivere deve controllare le strade, quando prima era ricco e benestante. Gli ho rovinato la vita. »
Ormai la mora non riusciva più a contenere il suo dolore. Emma le porse un fazzoletto per aiutarla ad asciugare le lacrime, ma ciò non bastò a portar via anche le ferite per una vita piena di rimpianti.
« Noi siamo serve Emma, siamo nate povere, per noi non fa differenza se veniamo trattate come tali. Ma lui… Robin è nato nobile, credi davvero che non ci pensi mai? Che tutto questo non gli pesi? »
Il volto di Marian era angosciato come non mai. Emma la guardò cercando di trovare le parole giuste per dare all’amica almeno una speranza a cui aggrapparsi, una luce che potesse tirarla fuori da tutta quella oscurità in cui era rimasta intrappolata. Marian si asciugò le ultime lacrime, e con ferma convinzione osservò di nuovo la bionda.
« Sai, mi ero illusa che l’amore potesse superare qualsiasi ostacolo, abbattere ogni barriera, e alla fine mi sono ritrovata a terra ancor prima dell’inizio della battaglia. »
L’arrivo di un calesse nel bel mezzo del cortile interruppe quella conversazione tanto sofferta. Marian si tirò su e cercò di fingere un sorriso mentre si asciugava le ultime lacrime rimaste e la porta veniva spalancata.
« Emma, non mi aspettavo di vederti! » esordì l’uomo piombando nella cucina.
« Ciao Robin. » lo salutò di rimando la bionda osservando il suo abbigliamento da Brigata composto da una giacca verde e dei pantaloni marroni scuciti in più punti.
« Che succede qui? Va tutto bene? » domandò osservando il viso tirato della moglie.
« Si, stavamo solo chiacchierando. Allora, mi è stato detto che ti sei unito alla Brigata di Hearthford. » affermò Emma nella speranza di spostare la conversazione su un terreno meno pericoloso.
« Sì, è un gruppo autonomo composto da cinque persone. Pattugliamo le strade in incognito per la sicurezza dei cittadini. Ultimamente abbiamo avuto dei problemi sul crocevia per Leinster. I soldati di guardia al confine sono stati assassinati. Nessuno può andare a Leinster senza un permesso, e a quanto pare qualcuno lo ha fatto. »
Il volto di Emma divenne stranamente pensieroso e ciò non sfuggì all’amica che le stava di fianco.
« Qualcosa non va Emma? » le domandò.
« No, è solo che… a Leinster si trova il porto in cui ha attraccato la nave dei fratelli Jones. »
« Non c’è da preoccuparsi allora, se fossi uno di quegli assassini me ne starei alla larga. » scherzò Robin afferrando una mela dal cestello e cominciando a rosicchiarla. Emma sorrise di rimando e si alzò sistemandosi il mantello sulle spalle.
« E’ tardi, farei bene a rientrare. La contessa Cora mi aspetta, e anche Granny. Quest’ultima farei bene a non farla attendere, quando vuole diventa anche peggio del conte Malcom. » affermò evitando appositamente di nominare Regina, soprattutto con Robin lì presente.
« Ci vediamo presto, Emma. » la salutò Marian abbracciandola.
« Si, alla prossima. » e così dicendo si congedò dalla famiglia Locksley.



 
***


Il sole era sorto su un nuovo giorno e la provincia di Leinster si stava risvegliando dal torpore che l’aveva avvolta per l’intera nottata. Qualcuno tuttavia era già in piedi a causa dei preparativi per la partenza che avrebbe avuto luogo quel pomeriggio, una partenza decisa così all’improvviso e sotto preciso ordine del Comandante.
« Capitano, il cordame per la manovratura delle vele è insufficiente. » affermò uno dei marinai rivolgendosi a colui che era a capo di tutte le operazioni.
« Non importa, fatevelo bastare. Voglio che entro questo pomeriggio la nave sia pronta a salpare, almeno con lo stretto indispensabile per la navigazione. Muoversi, scattare! »
Killian elargiva compiti a destra e a manca da quella mattina, sembrava instancabile e allo stesso tempo donava vitalità ai suoi sottoufficiali.
Mentre controllava il resto dei lavori incontrò William seduto su una pedana di legno all’ingresso del porto. Il piccolo ometto stava rosicchiando un pezzo di pane con del formaggio e allo stesso tempo continuava a guardare il Capitano gironzolare come un forsennato per lo spiazzale adiacente alla nave. Quando si accorse della sua presenza il giovane gli si avvicinò cautamente, osservò prima ciò che teneva in mano, poi lui.
« Spugna, ricordami di nuovo perché sei ancora qui. » gli chiese scetticamente sollevando un sopracciglio. Il servitore rispose con la bocca ancora piena di cibo.
« Non voglio perdermi la vostra partenza. »
Killian lo guardò come se avesse appena visto la cosa più disgustosa della sua vita.
« Si beh, un po’ d’aiuto da parte tua non guasterebbe, sai? Del resto dovresti eseguire i miei ordini, e non mi ricordo di averti detto di rimpinzarti. »
« Concordo con il Capitano, Spugna. »
« Comandante! »
Il Servitore scese giù dalla panca in un batter d’occhio e nascose il pane mangiucchiato dietro la sua schiena. Liam era apparso all’improvviso e aveva posato una mano sulla spalla del Capitano sottolineando volutamente il nomignolo dell’ometto.
« Ma tu guarda… a quanto pare tra i due sei tu quello che tutti temono. » affermò sorridente il giovane Killian deducendolo dalla tempestiva reazione di William.
« Questo perché sono il fratello maggiore. Non disperare, un giorno ci riuscirai anche tu, anche se sei già sulla buona strada. » rispose dandogli una pacca amichevole sulla schiena.
« Non ne dubito. » rispose a sua volta il ragazzo spostandosi avanti di un passo a causa della leggera spinta ricevuta.
« Capitano, Comandante! »
I due fratelli si voltarono all’unisono non appena udirono l’invocazione dei loro titoli. Uno dei loro sottoufficiali stava correndo verso di loro a perdifiato e non appena li ebbe raggiunti cercò di parlare indicando con il dito il luogo da cui stava arrivando.
« Che succede? » domandò il Comandante cercando di capire quale fosse il motivo di tanta agitazione.
« Dovete venire subito… alle prigioni… » cercò di dire il marinaio tra un respiro e l’altro. Fu allora che Liam cambiò repentinamente espressione.
« E’ successo qualcosa al prigioniero? »
« Venite a controllare voi stesso. »


 
 
***



La porta della cella si spalancò con un tonfo sordo e l’inferriata sbatté contro il muro emettendo una vibrazione inquietante. Liam piombò nella stanza, ma si bloccò di colpo non appena diede un’occhiata al suo interno, rimanendo totalmente pietrificato.
Mattonelle umide e catene arrugginite erano lì davanti a suoi occhi, insieme a qualcos’altro. Killian arrivò in quell’esatto istante, era proprio dietro il fratello, ma non riuscì neanche ad oltrepassare la soglia.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma rinunciò del tutto quando si accorse che gli mancava l’aria persino per respirare.
Nella cella, precisamente sul pavimento, vi era il corpo senza vita di Jefferson, disteso sulle mattonelle fredde e umide. Ma quello non era il dettaglio essenziale, ciò che li lasciò a bocca aperta fu il fatto che gli era stata tranciata la testa. Di netto.
Il sangue ricopriva il pavimento sotto di loro e il muro dietro il corpo, ma su quella parete vi era la cosa che aveva fatto più scalpore di tutti. Una frase scritta con il sangue troneggiava sul muro della cella e la dicitura riportava:
SAI COSA VOGLIAMO.
Liam la osservò fino a farsi male agli occhi. Ora tutto gli era più chiaro, ciò in cui si stava immischiando era pericoloso, non solo per lui, ma anche per le persone che gli stavano intorno. Stavano cercando la lista, la volevano a tutti i costi, e non si sarebbero fermati di fronte a nulla. Quella lista ora era nelle sue mani, ciò lo rendeva una minaccia e un pericolo allo stesso tempo. Consegnarla a sua Maestà avrebbe posto la parola fine su quella vicenda, ma portarla a termine sarebbe stato complicato, per non dire pericoloso. Non avevano risparmiato neanche Jefferson, un tempo loro alleato. A quanto pare non ben tolleravano il tradimento.
« Liam, che diavolo succede? Che cosa vogliono? Chi è che lo ha ucciso? »
Le domande di Killian gli perforarono la testa, una per una. Si rese conto che avrebbe potuto rispondere ad ogni singolo quesito, se solo lo avesse voluto. Invece di voltarsi si avvicinò al corpo senza vita di Jefferson. La testa mozzata non era in quella stanza, ciò rivelava che l’avevano portata via con loro.
Tastò il suo corpo alla ricerca di qualche indizio, una prova che gli avrebbe dato una pista da seguire, o forse sperava di trovare quello che poco dopo recuperò dalla sua mano. Un fogliettino accartocciato. Si inginocchiò e lentamente lo aprì. Ne lesse il contenuto, e quell’unico nome gli diede una conferma.
Sul fogliettino c’era scritto Grace, sicuramente il nome di sua figlia. Jefferson sapeva che quella notte lo avrebbero ucciso e si era preparato a dovere. Ma lui cosa avrebbe dovuto fare? Forse era tempo di prendere una decisione diversa, una decisione che includesse la salvezza delle persone che amava. Finalmente si alzò in piedi e si voltò verso la persona che gli stava più a cuore, suo fratello.
« Liam… » lo chiamò cautamente Killian accorgendosi del suo strano modo di fare.
« Raduna la ciurma, Capitano. Salpiamo immediatamente. »
Il giovane rimase ancora più spiazzato del giorno precedente.
« Ma come… non dovevi partire esclusivamente per accompagnare il prigioniero al processo e testimoniare sulla sua confessione? Ora che è morto a che servirebbe partire subito? »
« Non ha importanza il motivo, devo incontrare immediatamente sua Maestà. Fa quello che ti ho detto, raduna tutti. » insistette il Comandante superandolo e cominciando a dirigersi verso il suo alloggio. Killian lo seguì mentre cercava di fare mente locale della situazione.
« Va bene, ma… avrò bisogno di un po’ di tempo per fare rapporto agli ufficiali reali riguardo quello che è appena accaduto… »
Liam si bloccò, ma questa volta non accennò a voltarsi.
« Di questo non devi preoccuparti, ne avrai tutto il tempo. Tu resterai qui. »
Killian poté giurare di aver sentito male. Aggrottò la fronte e strinse il pugno in un riflesso quasi involontario.
« Che cosa? » gli domandò incredulo mentre gli angoli delle sue labbra si curvavano verso il basso. Il ragazzo spalancò la bocca, ma ciò che ne uscì fu solo un sussurro spezzato.
« Vuoi lasciarmi qui? »
« Killian, ti prego. » lo supplicò il fratello girandosi finalmente ad affrontarlo, ma di certo non si aspettò una tale reazione da parte del ragazzo.
« Non lo farò, Liam. Il mio posto è con te, con la nostra ciurma. Non puoi abbandonarmi così su due piedi senza uno straccio di spiegazione! »
« Ascoltami Killian, là fuori c’è qualcosa di pericoloso, molto pericoloso, e non sto parlando di un semplice pirata. Ora ne ho la certezza. Non posso rischiare di immischiarti in questo affare, non me lo perdonerei mai! »
Il tono calmo e contenuto del Comandante si era appena trasformato in un urlo liberatorio. Il giovane lo guardò con occhi altrettanto furenti, ma nonostante tutto non riuscì ad imporsi sulle decisioni prese da suo fratello. L’uomo questa volta sembrava irremovibile, più testardo del solito.
« Affare? Quale affare? Si tratta di quell’uomo, non è vero? Chi è che lo ha ucciso? »
Le domande fuoriuscivano una dietro l’altra senza che il giovane potesse fare niente per fermarle. Voleva delle risposte, o semplicemente non voleva essere tagliato fuori.
« Killian… »
Il tono di Liam stavolta rasentava la supplica, socchiuse gli occhi e prese un respiro nella speranza che lui potesse capire.
« Liam ti prego, parlami. Abbiamo sempre parlato, io e te. »
« Il tempo delle parole è finito, fratello. Ora non devi fare altro che fidarti di me. Puoi farlo? »
« Io… »
Un ultimo tentativo di ribellarsi a quella ingiusta decisione, ma lo sguardo preoccupato di suo fratello lo fece desistere dal provarci ancora una volta.
« Certo che posso. » ammise infine a malincuore decretando così la conclusione di quel battibecco fraterno.
« Bravo il mio Capitano. » lo elogiò il suo superiore picchiettandogli amorevolmente una spalla con la mano fasciata dal guanto. Killian rispose a quel gesto con un sorriso tirato, proprio mentre il Comandante si ritirava ancora una volta nei suoi alloggi, a fare chissà che cosa.


 
 
***



Tutto era pronto per la partenza. Killian osservò la nave pronta ad ospitare gli uomini di mare che avevano calpestato il legno del suo pavimento per mesi, ma lui questa volta non sarebbe andato con loro. Il soffio del vento gli ricordò che forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe visto le vele di quel vascello gonfiarsi. Liam gli aveva detto esplicitamente di ritornare a casa, dalla loro famiglia.
Abbandonare la vita del Capitano? Forse avrebbe potuto farlo, forse dieci anni erano stati sufficienti a guarire la ferita che si portava dentro, che lo aveva spinto ad allontanarsi da casa per ricongiungersi con il suo adorato fratello.
William era accanto a lui. Non appena aveva appreso la notizia della non partenza del Capitano aveva fatto i salti di gioia nonostante le occhiate malevole del ragazzo. Sarebbero tornati a casa insieme, un pensiero che lo aveva sfiorato solo di sfuggita, ma che ora era diventato realtà.
Liam li raggiunse con il cappello stretto tra le mani.
« Ho parlato con gli ufficiali, il tuo congedo è stato ufficializzato. » lo avvertì a malincuore nonostante fosse stato lui a fargli prendere quella decisione.
« Torna a casa Killian, nostra madre ti aspetta. »
Il ragazzo dagli occhi azzurri annuì e cercò di non sembrare troppo amareggiato nonostante una parte di sé non vedesse l’ora di riabbracciare sua madre e sua sorella.
« Un’ultima cosa. Quando sarai a casa voglio che trovi una persona. » lo informò il Comandante lasciando basito il ragazzo. Ultimamente Liam si stava comportando in modo strano, esternava delle strane richieste a cui l’ex Capitano non sapeva dare un senso.
« Una bambina. Si chiama Grace, Grace Hatter. Trovala e portala con te. » gli sussurrò all’orecchio così da non divulgare il suo nome ai quattro venti.
Killian strizzò gli occhi e storse la bocca, e lo stesso fece William, che era riuscito ad udire l’intera conversazione.
« Stai parlando sul serio? » gli domandò incredulo.
« Sì, è la figlia di Jefferson. Ho promesso che se gli fosse capitato qualcosa me ne sarei preso cura. Ti prego Killian, non ha nessun altro al mondo. Non sono riuscito a fargli avere un processo, ma questo almeno glielo devo. »
Killian guardò suo fratello che lo stava letteralmente supplicando. Si passò una mano tra i capelli, arruffandoli leggermente. Alla fine sbuffò, ma accettò di adempiere a quella promessa.
« Va bene, lo farò. »
« Grazie fratello. Ti prometto che quando questa faccenda sarà conclusa tornerò a casa, e a quel punto sarò io a prendermi cura di lei, proprio come avevo promesso. Non dovrai fare il babysitter per sempre! »
L’ultima affermazione la disse ridacchiando, e Killian lo imitò sollevando entrambe le sopracciglia. Lui, un padre? No, non era ancora il momento.
« E’ ora di andare. » esordì infine il Comandante, ma Killian lo afferrò per un braccio prima che potesse percorrere la passerella.
« Buona fortuna, fratello. »
Liam sorrise di fronte all’emotività del proprio fratellino, era proprio vero che in fondo era un sentimentale.
« Anche a te, per tutto. »



 
***



La nave salpò subito dopo. Le onde la trasportarono lontano, verso il mare aperto. Killian poté ammirare le vele immacolate e gonfiate dal vento destreggiarsi tra la corrente, bagnate dalle gocce salate. Una parte di lui stava salpando con quel vascello. Il suo cuore si stava spaccando a metà, ma la sua mente era ancora lassù, sul ponte della nave ad osservare la marea, a riferire gli ordini con Liam al suo fianco. Ma tutto prima o poi ha una fine, e anche il suo viaggio era arrivato al termine.
« I cavalli ci aspettano, Signore. »
Killian sorrise a quella affermazione. Non la nave, i cavalli. Si tolse il cappello e lo tenne stretto tra le mani, come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
« Sì, andiamo. »
Si avviò insieme al suo servitore verso le stalle, dove lo attendeva il suo nobile destriero, Roger. Nero come la pece, indomito come il mare.
Improvvisamente la terra sotto i loro piedi tremò e un enorme fracasso sconvolse l’intera Leinster. Il cavallo si spaventò a tal punto da imbizzarrirsi, scalciò con gli zoccoli anteriori e colpì involontariamente colui che aveva di fronte. Killian venne colpito in pieno viso e cadde all’indietro attutendo la caduta con le braccia. Incredulo si voltò verso la fonte di quel rumore assordante, che si era placato così com’era venuto.
Restò pietrificato quando i suoi occhi si posarono sul mare aperto. La nave era letteralmente a pezzi e le fiamme la stavano lentamente divorando. Cercò di inspirare quanto più ossigeno i suoi polmoni riuscissero a contenere, tutto per urlare un semplice ed unico nome.
« LIAM! »




Angolo dell’autrice
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Ben trovati con il nuovo capitolo! Ho avuto molta ispirazione in questi giorni così ho deciso di cominciare a pubblicare quello che avevo scritto. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia! Posso anticiparvi che nel prossimo si concluderà questo arco narrativo e comincerà la vera storia ;P spero di non starla tirando troppo per le lunghe, ma quello che succede quì è importante per delineare il personaggio di Killian, quello che poi andrà ad interagire con Emma ;) Come sempre sono contentissima di tutte le persone che seguono questa storia e l'hanno messa tra le preferite. E grazie a chi commenta, e ricordate che non aspetto altro che i vostri pareri! Un bacione e al prossimo capitolo, che arriverà prestissimo! :)

P.S. Una cosa che volevo dire da tempo: il titolo della storia è provvisorio, sto ancora pensando a qualcosa di particolare. Ora come ora non so con precisione come si evolverà la trama, quindi rimane in sospeso. Perciò non stupitevi se cambierà da un giorno all'altro, è tutto nella norma xD - Edit: titolo scelto :D

Keepsaker

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Capitolo 4
*** |There's no place like home ***


 



>> Capitolo 4 <<

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Per una migliore resa del capitolo vi suggerisco di cominciare a far partire questa musica quando vedrete gli asterischi rossi.
Quando compariranno nuovamente vorrà dire che la musica non sarà più necessaria ^_^

Buona lettura!

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« LIAM! »
Killian urlò disperato cercando di rialzarsi e mantenere la mente lucida. Un dolore lancinante alla guancia sinistra lo portò a sfiorarsi il viso con una mano e quando la ritrasse vide le dita sporche del suo stesso sangue. Tutto ciò non fece altro che accentuare il senso di morte che si stava facendo spazio nella sua testa.
« Liam… » ripeté sottovoce con gli occhi sgranati e lo sguardo perso. Intorno a lui il tempo si era fermato, la gente osservava incredula il vascello distrutto con le bocche spalancate e i brividi lungo la schiena. William non osava dire nulla, la sua paura era troppo grande perché potesse fare o dire qualcosa.
Il cavallo nero nitrì improvvisamente, così forte da far sussultare il Capitano. Killian si risvegliò come da un sogno, ma quello in cui si ritrovò fu un vero e proprio incubo. Le sue iridi azzurre tornarono debolmente alla vita, e quando si guardò intorno notò che tutti erano caduti nello stesso stato di trance da cui lui era riemerso.
« Liam! »
Urlò di nuovo il suo nome, ma questa volta si mise a correre lungo la banchina del porto, come un forsennato. Lasciò cadere il cappello a terra e si preparò a tuffarsi tra le onde. Proprio all’ultimo momento qualcuno lo trattenne per la vita e lo ributtò a terra.
« Capitano, cosa pensate di fare? » urlò il servitore che a quanto pare era riuscito a rimettere in moto le gambe.
« Togliti dai piedi William! » ruggì il giovane cercando di rialzarsi. Lo spintonò con forza, ma l’ometto lo trattenne di nuovo tirandolo per la giacca.
« Vi prego, ragionate! La nave è troppo distante! Anche se riusciste a raggiungerla sarebbe comunque troppo tardi. »
Killian lo guardò con gli occhi pieni di astio. Lo afferrò per il bavero della camicia e lo tirò a sé ritrovandoselo a qualche centimetro dal viso.
« Allora corri a cercare una scialuppa. Fa presto! »
« S-sì! »
Il Capitano lo lasciò andare e William partì alla velocità della luce. Tutti i marinai erano partiti con la nave, a terra non era rimasto nessuno, ma quando la scialuppa fu pronta tre soldati si offrirono di accompagnarlo per aiutarlo a remare. La piccola barca solcò il mare e in quel lasso di tempo i pensieri di Killian viaggiarono alla velocità della luce. Era terrorizzato. Il vascello diventava sempre più grande man mano che si avvicinavano, ma il fumo e le fiamme ne impedivano la vista completa. I soldati remarono fino ad accostarsi a ciò che ne era rimasto, il resto era stato totalmente distrutto. Pezzi di legno e corpi umani galleggiavano sull’acqua, il furioso scoppio ne aveva scaraventati alcuni anche a qualche chilometro di distanza. L’intera imbarcazione era ricoperta di fumo e fiamme, ma ciò non fermò il giovane Killian, che una volta salito a bordo sperò di trovare qualche sopravvissuto. Cominciò a tossire a causa del fumo e cercò di rimediare coprendosi il naso e la bocca con la mano.
« Liam! » urlò mentre le fiamme diventavano sempre più alte. Il pavimento era distrutto in più punti e ciò non gli permise di raggiungere ogni angolo della nave. Più si guardava intorno e più capiva l’orrore a cui stava assistendo. Non c’erano sopravvissuti, o almeno ancora non ne aveva trovati. Si mosse lentamente tra i cadaveri e l’odore del fumo mischiato all’aria salmastra. Da ciò che riuscì a riconoscere capì che si stava dirigendo verso la cabina del Comandante, ma quando arrivò a destinazione trovò solo una montagna di assi distrutte.
« No… » sussurrò terrorizzato inginocchiandosi tra le macerie. Cominciò a scavare, disperato, mentre gli occhi gli pizzicavano a causa del fumo e del troppo calore.
« Liam! »
Urlò il suo nome fin quando un debole mormorio attirò la sua attenzione. Si lanciò sulle assi che bloccavano il passaggio e cominciò a spostarne alcune rivelando un buco nel pavimento.
Liam era lì sotto, pieno di sangue, ma ancora cosciente. Il fuoco stava per raggiungerlo e allo stesso tempo impediva a Killian di avvicinarsi.
« Liam, sono io, sono Killian! » urlò sollevato cercando di sovrastare il rumore delle fiamme. Il Comandante sollevò di poco la testa. Era la voce di suo fratello o la morte si stava solo prendendo gioco di lui?
« K-Killian… vattene da qui. » lo supplicò, ma il crepitio del fuoco coprì il suo debole tentativo di comunicare. Proprio in quel momento il pavimento sotto di lui si scheggiò, cedendo leggermente. Liam scivolò verso il basso, ma con le poche forze rimaste riuscì ad aggrapparsi ad un pezzo di legno.
Killian sussultò, e con la sola speranza a guidarlo protese il braccio verso di lui, cercando in tutti i modi di raggiungerlo. Il calore delle fiamme cominciò a consumargli la carne della mano, ma il giovane non aveva nessuna intenzione di arrendersi.
« Afferrala, ti prego! » urlò continuando ad allungarsi verso il fratello. Liam cercò di agguantare la sua mano, ma scivolava sempre più in basso, sempre più lontano da quell’appiglio di speranza.
« Mi dispiace, Killian. »
Il volto del Capitano venne rigato dalle lacrime contro la sua volontà, un po’ per il dolore alla mano, un po’ per l’incredibile paura che lo stava divorando. I suoi enormi occhi azzurri non appartenevano più all’uomo forte e valoroso che era, ma al bambino che era stato tanto tempo fa, quello debole e spaventato.
« Non avere paura, andrà tutto bene. » gli disse Liam in un sussurro, che stranamente riuscì a comprendere. Gli sorrise prima di abbandonare del tutto la presa e lasciarsi cadere tra le fiamme. Il suo corpo attraversò quell’inferno fino a cadere in mare con un tonfo sordo.
Killian ritirò la mano ormai del tutto ustionata e si tolse il foulard che aveva intorno al collo, lanciandolo tra le fiamme, poi si tuffò in mare alla ricerca di suo fratello.
Lui non si sarebbe arreso, non finché non lo avrebbe riavuto tra le sue braccia.

 

***


Lo trascinò sulla banchina del porto con le ultime forze rimaste. Non volle nemmeno l’aiuto dei soldati, di William o di altra gente sconosciuta. Lo trasportò fin quando non cadde in ginocchio e si rese conto di essere effettivamente debole, di non poter fare nulla di più se non lasciarlo lì, sdraiato sul ponte che lo aveva visto salpare.
« Killian… »
Il debolissimo sussurro di Liam lo fece scoppiare di nuovo in lacrime. Entrambi erano fradici fino alle ossa, i capelli del Capitano grondavano acqua che andava a mischiarsi con il sangue della ferita sulla guancia. Liam sollevò debolmente la mano e Killian gliela strinse con quella intatta, con l’altra non riusciva più a sentire niente, proprio ciò che avrebbe voluto per il suo cuore.
« Chi è stato a farti questo? » gli domandò il Capitano tra un singhiozzo e l’altro.
« Non ha importanza. » rispose Liam a stento, gli occhi ridotti a due fessure.
« Ne ha per me! » urlò Killian in preda alla rabbia più profonda.
« Devi dirmelo Liam, o lo scoprirò da solo. »
Il Comandante deglutì e cercò di avvicinarsi al suo orecchio. Non voleva che altri sentissero, aveva protetto il segreto fino a quel momento, ma ora doveva necessariamente passare il fardello a qualcun altro, e nessuno poteva immaginare quanto avrebbe voluto che non si trattasse di lui. Ma il tempo era arrivato al limite e su quella banchina non c’era nessun altro a cui si sarebbe potuto rivolgere, di cui si sarebbe fidato di più.
« D’accordo Killian, ora devi ascoltarmi. » cominciò raccogliendo le ultime forze rimaste. Il giovane si aggrappò alla sua divisa distrutta e Liam gli tirò la testa in avanti così che le loro fronti potessero sfiorarsi. Killian chiuse gli occhi lasciandosi cullare dal suono delle sue parole, probabilmente le ultime che avrebbe udito.
« Jefferson mi aveva confessato di voler uccidere il Re. Era in combutta con altre persone, ma lui si è pentito ed è venuto a raccontarmi tutto. I nomi degli altri congiurati sono scritti all’interno di una lista, che avrei dovuto consegnare al Re. »
Le parole di Liam fuoriuscivano lente e biascicate, con un retrogusto amaro mischiato al sapore del sangue. Killian non si mosse di un millimetro, continuò a respirare normalmente e con gli occhi chiusi, in attesa che suo fratello finisse di parlare.
« Sapevo che la mia vita era in pericolo, per questo non ho voluto portarti con me. E non ho portato con me nemmeno la lista. La troverai nel mio alloggio. Ora ti chiedo solo una cosa, Killian. Fa quello che ritieni giusto. Avere la lista equivarrà ad essere in pericolo, e non solo tu, lo saranno anche le persone che ami. Ora puoi decidere se essere fedele al Re, o dimenticartene e vivere una vita tranquilla. »
Killian aprì finalmente gli occhi per guardarlo. In quelli del fratello si era accesa una luce nuova, che non seppe interpretare fin quando quest’ultimo non gli rivolse un sorriso sincero.
« Ma ricordati questo: qualunque cosa sceglierai, io sarò dalla tua parte, fratello. Sempre. »
Un sospiro, l’ultimo che esalò.
Killian sbarrò gli occhi e senza rendersene conto gli accarezzò il volto spostandogli i capelli umidi dal viso.
« Liam. » lo chiamò accennando un sorriso, il sorriso fittizio di chi non vuole credere a ciò che ha davanti agli occhi, e allora continua a ripetersi che la realtà è troppo crudele, che non sta accadendo per davvero. E tutto sembra uno scherzo, un terribile scherzo.
Ma quello non lo era, e appena lo capì si morse le labbra per cercare di mettere a tacere tutto quel dolore.
Gli occhi del Comandante erano fissi sul cielo pieno di nuvole, vuoti e inespressivi.
« Liam, ti prego. » lo supplicò Killian con la voce rotta dal pianto, ma suo fratello non gli avrebbe risposto, non lo avrebbe fatto mai più. Si strinse a lui avvolgendogli le braccia intorno al corpo, posando la testa sul suo torace. Avrebbe tanto voluto sparire, essere inghiottito dalla terra e non pensare più a nulla, ma al momento un unico pensiero gli balenava in testa, l’unico che fosse chiaro in tutto quel caos. Il dolore aveva offuscato il suo giudizio, ma non ciò che voleva davvero. Sollevò la testa ed osservò il mondo a denti stretti e con occhi diversi.
« Avrò la mia vendetta Liam, te lo giuro. »

 

***


Era passato esattamente un mese da quel fatidico giorno. Non era più uscito dal suo alloggio ed era rimasto da solo, nel buio di quella stanza. William aveva cercato in tutti i modi di avvicinarlo, ma il Capitano si era dimostrato irremovibile.
Il servitore aveva inviato una lettera alla tenuta di Hearthford raccontando del funerale avvenuto a Leinster, così come voleva la tradizione. Se un uomo di mare muore tra le sue acque, allora quelle stesse acque diventeranno la sua dimora per l’eternità. Dopo la cerimonia Killian non si era fatto più vedere. Aveva rifiutato ogni tipo di contatto esterno, ma ciò che aveva fatto preoccupare di più William era stato il suo cambio di atteggiamento.
Il ragazzo era diventato scontroso, quasi un fantasma di sé stesso. Anche il suo aspetto era cambiato. I toni chiari e fanciulleschi lo avevano abbandonato, lasciando il posto a quelli di un uomo. Sembrava che fosse cresciuto in un sol colpo, troppo in fretta per un ragazzo della sua età.
I capelli curati e ordinati erano diventati più corti e scompigliati, a causa di un taglio fattosi personalmente che gli lasciava la fronte scoperta. Al contrario aveva lasciato crescere la barba, ora più ispida e accentuata.
La ferita sul volto era quasi guarita, ma vi era ancora un minuscolo taglio rosso ed obliquo che gli attraversava la guancia destra. Dal giorno del funerale aveva indossato sempre e solo abiti neri, come a ricordarsi che non poteva permettersi di dimenticare. La sua mano sinistra era invece diventata inutilizzabile a causa della perdita di sensibilità. Poteva muoverla, ma qualunque cosa toccasse gli sembrava inconsistente, come se non fosse davvero lì. La pelle in quel punto presentava delle macchie che ben presto sarebbero diventate delle enormi cicatrici, per questo la copriva sempre con un guanto di pelle. E le sue giornate le passava a bere, per cercare di dimenticare il suo dolore. I suoi occhi si erano fatti più duri, più oscuri, un azzurro capace di ipnotizzare ma allo stesso tempo di incenerire.
Qualcuno bussò alla porta, per la terza volta quel giorno, e come la maggior parte delle volte nessuno rispose.
« Capitano, sono William. Vi prego aprite. »
Il servitore sembrava instancabile, ma nonostante i suoi sforzi non aveva ancora ricevuto alcuna risposta, e se l’aveva ricevuta non era stata delle migliori.
« Capitano. »
La porta venne spalancata improvvisamente, così di getto che il piccolo uomo saltò sul posto, o forse fu lo sguardo del suo padrone che gli causò un colpo al cuore. Lo fissò come se avesse voluto strangolarlo, vestito con una camicia nera dalle maniche larghe e dei pantaloni dello stesso colore.
« Voglio dirti una cosa, Spugna. Il tuo Capitan Uncino è molto irritato in questo momento, quindi se vuoi vivere abbastanza per poter tornare a casa… comincia togliendoti di mezzo. »
Fece per chiudere la porta, ma William lo bloccò tirando fuori un coraggio che pensava di non avere.
« Che diavolo stai facendo? » gli domandò guardandolo in cagnesco.
« Io tornerò a casa Capitano, ma ci tornerò con voi. »
Killian scoppiò in una risata che suonò divertita, ma allo stesso tempo malvagia. Si avvicinò all’ometto, anche troppo rispetto al necessario, e gli soffiò contro tutto il suo astio.
« E come pensi di convincermi? »
Una domanda che seguì nuovamente una risata di scherno.
« Venite con me. Uscite da qui e fate visita all’alloggio di vostro fratello. Non ci siete mai entrato da quando… da quando… »
William non riuscì a continuare la frase, ma era sicuro della sua idea. Voleva che il suo padrone ritrovasse un po’ della serenità di cui si era disfatto. Certo, avrebbe potuto ottenere l’effetto contrario, ma c’era un motivo per cui voleva farlo andare proprio lì. Durante tutti quegli anni aveva consegnato molte lettere, tutte finite nelle mani del Comandante. Di sicuro le aveva conservate, e se il Capitano le avesse lette forse in lui si sarebbe risvegliato il desiderio di ritornare a casa.
Era il suo ultimo tentativo, in caso non fosse andata bene sarebbe ritornato alla tenuta, questa volta per sempre.
Ma quelle parole sembrarono sortire l’effetto sperato. Killian smise di sghignazzare e rilassò i muscoli del viso cambiando repentinamente espressione.
« Perché dovrei? In quel posto non troverei altro che dolore. »
« Potrebbe sorprendervi invece. Perché non fate un tentativo? »
Killian lo osservò per un po’, poi inaspettatamente prese il suo mantello e si diresse fuori, per la prima volta dopo tanto tempo. William lo osservò mentre camminava spedito in direzione dell’alloggio di Liam, e non poté fare altro che sperare in un miracolo.

 

***


Aprì la porta con un colpo secco e quest’ultima sembrò spalancarsi sui suoi peggiori incubi. Varcò lentamente la soglia e si guardò intorno con il volto accigliato. Non era mai stato lì dentro, e ora capiva il perché.
Tutto gli parlava di lui. Il letto in cui aveva dormito, la scrivania a cui si era seduto, la finestra impolverata attraverso la quale aveva osservato il mondo. Mancava soltanto una cosa, la più essenziale. Suo fratello non era lì, e non ci sarebbe mai stato. Il dolore lo colpì come un pugno nello stomaco. Corrugò la fronte nell’intento di fermare le lacrime che stavano cercando nuovamente di liberarsi dai suoi occhi, ma non lo avrebbe permesso, non questa volta. Aveva imparato a controllarsi, non sarebbe più stato debole come quel giorno. Si raddrizzò e cominciò a cercare la cosa per cui aveva effettivamente accettato di venire lì. Ci aveva pensato ogni giorno, ogni singolo istante da quel momento maledetto.
Aveva pensato che se fosse rimasto alla larga da quella famigerata lista sarebbe riuscito ad assopire il suo desiderio di vendetta, ma quest’ultimo lo aveva consumato, lo aveva portato all’esasperazione. E ora finalmente aveva la possibilità di scoprire i nomi dei responsabili della morte di suo fratello.
Si avvicinò furente alla scrivania e con un colpo secco aprì la cassettiera. Al suo interno vi erano molte cose, tra cui una scatola di legno sigillata. La prese e la posò sulla scrivania, dopodiché ne sollevò lentamente il coperchio. Era piena di lettere.
Prese la prima e vide che era sigillata con uno strano stemma, che riconobbe subito come quello della casata degli Hatter. Sorrise, inondato completamente dal suo desiderio di vendetta, ma qualcosa lo bloccò non appena fece pressione sul sigillo affinché si rompesse. Perché si tratteneva? In fondo era quello che aveva sempre voluto. Suo fratello gli aveva detto di fare una scelta, e lui aveva deciso di vendicarsi. Osservò ancora la lista che era finalmente tra le sue mani, ma il suo sguardo si posò nuovamente sul contenitore di legno. Cos’erano tutte quelle lettere? Che fossero…
La curiosità gli giocò un brutto tiro e afferrò la prima che si trovava in cima alla pila, mettendo da parte per il momento la lista. Osservò la data riportata sul retro, segnava esattamente il 5 Novembre, il giorno in cui erano arrivati lì. Si accomodò alla sedia di suo fratello ed aprì la busta, che in precedenza era già stata scartata, e cominciò a leggere.

 

Caro Conte,
non so se leggerete mai queste parole, ma il desiderio di scrivervi era così forte che non ho potuto fare a meno di prendere carta e penna per raccontarvi ciò che sta accadendo nella vostra tenuta. Spero che mi perdonerete per il mio gesto, forse troppo pretenzioso, ma ciò che vi riferirò non sarà altro che la pura verità. Il marchese Malcolm ha ormai il controllo assoluto della tenuta, e ultimamente non fa altro che scialacquare il vostro denaro con debiti di gioco e altri affari che sarebbe meglio non menzionare. Vostra sorella Regina è una donna molto forte, ma spesso cade vittima dei soprusi del marito, che coinvolgono anche il vostro amato nipote Henry. Per quanto riguarda vostra madre, le sue condizioni di salute non sono delle migliori. Non fa che peggiorare, sente infinitamente la vostra mancanza e quella del conte Killian. Io vi supplico, conte, di ritornare a casa, per il bene della tenuta e della vostra stessa madre. A volte non sappiamo a quale posto apparteniamo, ma vi dirò una cosa. La casa è dove si trova la famiglia. Quando ne senti la mancanza, allora capisci di aver finalmente trovato il posto a cui ritornare. Io spero che sia qui, il vostro e quello del conte Killian, e chissà che un giorno il desiderio di vostra madre possa finalmente realizzarsi: poter riabbracciare i suoi due splendidi figli.
Con rispetto e devozione,

Emma di Hearthford


Si accorse delle lacrime che gli stavano rigando il volto solo quando una di esse scivolò lungo il profilo del mento atterrando sulla lettera, bagnandone la carta. Eppure si era ripromesso che non si sarebbe più dimostrato debole, che non avrebbe più mostrato le sue lacrime. Ma quelle parole gli erano arrivate dritte al cuore, lo avevano pugnalato a tradimento, ma era stato il più bel dolore della sua vita.
Si asciugò gli occhi e ripiegò con cura la lettera riponendola nella tasca del suo pantalone. Non sapeva perché, ma voleva portarsela dietro, così da averla sempre con sé. Prima di lasciare l’alloggio prese la lista e la mise via in modo scrupoloso all’interno della sua sacca, dopodiché piombò fuori lasciandosi illuminare dai raggi del sole. Si sentiva più leggero, decisamente.
« Spugna! » urlò cercandolo nello spiazzale. Il servitore arrivò tutto trafelato e con il cuore in gola.
« Ditemi Capitano. »
« Non più Capitano. Da oggi per te sono il Conte Killian Jones. » esordì lasciandolo letteralmente a bocca aperta.
« Volete dire… » cominciò il servitore con la speranza negli occhi.

« Esatto, Spugna. Prepara il necessario. Torniamo a casa. »



 
Angolo Autrice
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Ben ritrovati a questo nuovo capitolo! Un po' triste, in effetti, ma la morte di Liam è servita a Killian per diventare più forte. Spero vi piaccia la piega che sta prendendo la storia, anche se ci sono state già due morti tra questo capitolo e il precedente! Non me ne vogliate, ma io adoro le situazioni drammatiche e tragiche xD Il figliol prodigo sta finalmente tornando a casa, sarà la volta buona per quei due? Non voglio anticiparvi niente xD
Ringrazio tutti quelli che leggono la storia e soprattutto lasciano una recensione! In particolar modo la mia cara Kerri che ogni volta è sempre pronta a lasciarmi un suo parere. Ti abbraccio tanto ^^
Un saluto e al prossimo capitolo :)

Keepsaker

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Capitolo 5
*** |Exactly where I want to be ***




>> Capitolo 5 <<

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Per una migliore resa del capitolo vi suggerisco di cominciare a far partire questa musica quando vedrete gli asterischi rossi.
Quando compariranno nuovamente vorrà dire che la musica non sarà più necessaria ^_^

Buona lettura!

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Era una fredda giornata autunnale. Il sole era coperto da giganteschi nuvoloni e il vento pungente si insinuava tra le foglie degli alberi, staccandole e facendole fluttuare lentamente verso il suolo. Emma si trovava nel giardino della tenuta, era seduta a terra con la schiena poggiata alla base dell’enorme quercia solitaria, gli occhi chiusi e un libro tra le mani. Di fronte a lei vi era la tomba del conte Jones, che era stata costruita non appena avevano ricevuto quella funesta raccomandata. Il monumento funebre era stato innalzato proprio sotto l’albero più bello del giardino. Sul granito immacolato vi era inciso un nome a chiare lettere e una data, insieme ad una frase commemorativa.

 

LIAM JONES
1741 – 1769
COMANDANTE DELLA FLOTTA DI SUA MAESTA’ RE MARCO XIV
FIGLIO E FRATELLO AMOREVOLE, ESEMPIO DI CORAGGIO E LEALTA’


Emma ripensò a quel tremendo giorno. La notizia era arrivata nel pomeriggio, durante un burrascoso acquazzone. La contessa si era sentita male non appena aveva letto che il suo primogenito era morto in un assalto provocato da qualcuno ancora ignoto. Avevano dovuto chiamare il dottor Whale per una visita d’urgenza, ma per fortuna il suo cuore malato aveva retto. Si era trattato di un miracolo, così aveva detto il medico.
Era passato esattamente un mese da quel giorno infausto, un mese in cui il secondo figlio, Killian, era completamente sparito. Non aveva fatto ritorno alla tenuta e nessuno aveva ricevuto sue notizie. La contessa Cora aveva avuto il netto presagio che fosse capitato qualcosa anche a lui, ma le lettere spedite da William avevano dissipato ogni suo dubbio. Il conte era semplicemente distrutto, nel corpo e nell’anima. Regina si era offerta di andare a cercarlo per riportarlo a casa, ma sua madre le aveva consigliato di lasciar perdere. La decisione spettava a lui, e a lui soltanto.
Emma restò vicina alla contessa come non aveva mai fatto, cercando di alleggerire il peso che la signora portava nel cuore. Si ricordò della lettera che aveva scritto e le venne da chiedersi se il defunto conte l’avesse mai letta. Un giorno si era ritrovata a scribacchiarla senza pensarci e in un batter d’occhio l’aveva già consegnata a William affinché la recapitasse. Inutile dire che se ne era subito pentita. Se Regina l’avesse scoperta si sarebbe ritrovata in guai molto grossi. Non poteva neanche entrare nella stanza del conte, figuriamoci scrivergli.
Quel giorno la contessa le aveva permesso di prendersi un giorno di riposo. Nonostante l’inverno fosse ormai alle porte decise di uscire a passeggiare nel bellissimo giardino della tenuta e fu proprio allora che, senza neanche accorgersene, si ritrovò ai piedi dell’enorme quercia. La tomba di Liam Jones era lì di fronte a lei e le venne naturale sederglisi di fronte, come se avesse appena incontrato un vecchio amico con cui chiacchierare.
Chiuse il libro che stava leggendo e lo adagiò sul terreno al suo fianco. Fissò le enormi lettere che componevano il suo nome e d’improvviso la colse un senso di malinconia.
« Vi starete chiedendo chi io sia. » cominciò mantenendo lo sguardo basso, come se volesse mostrare rispetto.
« Non c’è molto da dire, in effetti. Sono solo una povera ragazza al servizio della contessa. Non so se abbiate mai sentito parlare di me, ma io ho sicuramente sentito parlare di voi. Da vostra madre. »
Sorrise nel ricordare quanto la contessa lodasse i suoi due figli ogni volta che ne aveva l’occasione.
« Sapete… mi ha parlato così tanto di voi che mi sembra quasi di conoscervi. Hearthford è sempre stata la mia casa, da che ne ho memoria. Ma mai mi era capitato di affezionarmi così tanto a delle persone che non fossero la mia famiglia. La contessa Cora, Henry, Granny… e avrei voluto conoscere anche voi, e vostro fratello. »
Gli occhi verdi cominciarono ad inumidirsi e nemmeno lei seppe spiegarsi il perché. Sbatté le palpebre un paio di volte e si asciugò in fretta una lacrima traditrice che aveva preso a scivolarle giù lungo la guancia prima che potesse trasformarsi in qualcosa di più doloroso.
« Avervi scritto quella lettera è stato un enorme sbaglio, me ne rendo conto solo adesso. Ma avrei tanto voluto che vostra madre vi vedesse almeno un’ultima volta, l’avreste fatta davvero felice, credetemi. »
Si perse sulle ultime parole, scoppiando in singhiozzi. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma esternare ciò che provava l’aveva resa talmente fragile da risultare irriconoscibile persino a sé stessa. L’affetto che provava per la contessa era smisurato. Sapere che aveva perduto qualcuno di così caro aveva ferito anche lei, più di quanto credesse. Si alzò in piedi e prese un bel respiro cercando di calmarsi.
« Mi dispiace che dobbiate stare qui ad ascoltare i lamenti di una sconosciuta… di una serva. »
Il nitrito ravvicinato di un cavallo la fece sussultare. Si voltò, e nel farlo i lunghi capelli biondi le fluttuarono intorno, così come il mantello dai ricami dorati regalatole dalla stessa contessa per il suo compleanno. I suoi occhi, ancora luccicanti a causa delle lacrime, incontrarono la bellissima figura di un cavallo nero come la notte. Non fece in tempo a capire la situazione che l’animale si era già alzato sulle zampe posteriori, sovrastandola. In preda al panico fece un passo indietro, ma inciampò in una radice che fuoriusciva dal terreno. La ragazza cadde a terra, ma non smise di indietreggiare.
« Oooh, buono bello! »
Quell’ordine e le redini tirate furono in grado di far retrocedere l’animale e di farlo voltare, rivelandone il cavaliere. Emma osservò il giovane mentre smontava di sella, ma non seppe spiegarsi quello che accadde dopo. Tutto quello che riuscì a fare fu rimanere immobile ad osservare i suoi occhi, azzurri come il mare. E lui sembrò fare lo stesso.

 

***




Mentre smontava da cavallo Killian cercò di contenere un’imprecazione. Appena varcato il cancello della tenuta l’animale si era di nuovo imbestialito ed era partito in quarta verso una direzione ignota. Per fortuna era riuscito a fermarlo, o avrebbe investito la persona che ora si trovava a terra. Fece per raggiungerla, ma quando la guardò potette giurare di aver perso la sensibilità non solo alla mano, ma anche ad entrambe le gambe.
Si bloccò sul posto e deglutì vistosamente. Si perse negli occhi meravigliosi della ragazza, che lo stava osservando a sua volta con lo stesso sguardo. Continuò a fissarla incantato squadrandola da capo a piedi, incredulo che al mondo potesse esistere una creatura talmente bella e delicata. I capelli biondi pieni di boccoli, la pelle bianca come la neve, le labbra rosee e due smeraldi al posto degli occhi. Sembrava una venere scesa in terra.
« Perdonatemi, siete ferita? » le domandò in stato di trance non appena notò il fremito che le attraversò le labbra.
Emma sembrò risvegliarsi solo quando udì la voce rauca del giovane. Fece per alzarsi, ma Killian la anticipò porgendole la mano sana per aiutarla a rimettersi in piedi. L’afferrò titubante, ma appena le loro dita si sfiorarono entrambi provarono una strana sensazione, un brivido che li scosse nel profondo. La ragazza mostrò un sorriso che lo abbagliò letteralmente, e il Capitano non poté fare altro che sorriderle a sua volta, sempre con quell’espressione estasiata sul volto. La tirò su ed Emma si ritrovò ad osservare il volto del giovane da vicino, molto vicino.
« No, sto bene. E’ veramente bellissimo. » rispose la ragazza guadagnandosi un’occhiata dubbiosa da parte del giovane. Lei gli lasciò la mano, che era ancora intrecciata a quella di lui, e si allontanò un po’, tanto per non sentire il suo fiato sul volto.
« Il cavallo intendo. » aggiunse frettolosamente quando si rese conto della gaffe appena fatta. Si voltò per osservare il destriero alle sue spalle, mentre il moro non poté fare altro che continuare a fissarla. La bionda ritornò a guardarlo, e si ritrovò a sperare: una cosa a cui aveva smesso di dare credito da ormai molto tempo.
« Voi siete… » cominciò titubante, terrorizzata all’idea di essersi solamente illusa, ma il ragazzo l’anticipò.
« Conte Killian Jones. » disse con orgoglio inchinandosi di fronte a lei e lasciandola alquanto esterrefatta.
« Ai vostri ordini. » aggiunse guardandola in un modo così intenso da farle venire i brividi.
Killian le sfiorò le dita, sicuramente intenzionato a farle il baciamano, ma prima che potesse riuscirci la ragazza le aveva già allontanate per tirar su gli angoli della gonna e fare una piccola riverenza.
« Onorata. » affermò raggiante e con gli occhi luccicanti.
Killian non poté che porsi delle domande di fronte alla felicità dimostrata dalla ragazza non appena le aveva rivelato il suo nome.
« Noi… ci conosciamo? » le chiese non riuscendo a capire come avesse potuto dimenticare una simile meraviglia.
Emma scosse la testa, anche se avrebbe tanto voluto poter fare il contrario.
« No, ma vostra madre Cora mi ha parlato molto di voi. »
« Mia madre? » domandò il conte provando una strana sensazione nell’udire il nome della donna che non vedeva da ben dieci anni.
« Sarà felicissima del vostro ritorno. Vi abbiamo aspettato tanto. »
Lo sguardo di Killian si fece improvvisamente assente non appena focalizzò la sua attenzione oltre le spalle della ragazza. Il sorriso di Emma si spense nel vedere il suo repentino cambio di espressione, e per fugare ogni dubbio si voltò seguendo la linea visiva del giovane. E capì.
Stava guardando la tomba, il nome del fratello perduto torreggiava sul granito ruvido e freddo. Emma non poté fare altro che sospirare mestamente e tornare ad osservare il conte, che ora non era più concentrato su di lei, ma sul suo dolore.
« Le mie più sincere condoglianze, conte. »
Killian si sforzò di stirare le labbra in un debole sorriso per farle capire che aveva apprezzato le sue parole. Fece un passo in avanti avvicinandosi alla tomba, accarezzandone con la mano l’estremità.
« Dev’essere stato un ottimo Comandante… e un bravo fratello. » disse la ragazza titubante, chiedendosi se stesse osando troppo nel parlare in modo così confidenziale al suo padrone.
« Il migliore di tutti. » rispose il conte alzando poi lo sguardo verso di lei.
« E come tutti i migliori se n’è andato troppo presto. » aggiunse con la malinconia negli occhi. Ci fu un momento in cui entrambi non seppero cosa dire, ma i loro sguardi bastarono a riempire il silenzio di quei pochi attimi.
Il cielo era diventato bianco, l’aria fredda e ghiacciata. Emma cominciò a pentirsi di non aver indossato abiti più pesanti. Aveva camminato molto quella mattina e per raggiungere la tenuta ci avrebbe messo come minimo un quarto d’ora.
« Allora, vogliamo andare? » disse improvvisamente il conte afferrando le redini del cavallo, che nel frattempo si era calmato grazie alle foglie secche con cui aveva banchettato.
« Come? » domandò Emma convinta di aver sentito male, ma il giovane le si avvicinò prendendola alla sprovvista. Le afferrò la mano e la trascinò vicino alla groppa del cavallo.
« Non vi permetterò di diventare un ghiacciolo, non prima di avermi scortato da mia madre. Ora vi darò una spinta, non abbiate paura. »
Prima che la ragazza potesse dire qualcosa il conte le era già alle spalle.
Il contatto con i suoi pettorali la fece sussultare, ma si sorprese ancora di più quando lui l’afferrò per la vita stringendole il corpetto. Per un attimo le mancò il respiro, ma al Capitano non gli ci volle molto per sollevarla e sistemarla sulla sella.
La mano ustionata era un impedimento, ma perlomeno l’aveva ancora attaccata al braccio. Riusciva ad afferrare gli oggetti, ma non se ne rendeva conto. Nonostante tutto aveva imparato a conviverci, accettando l’idea di aver perso una parte del suo corpo, benché quest’ultima fosse ancora lì, sotto i suoi occhi.
« Io non ho affatto paura. » ribatté con forza la ragazza guadagnandosi un sorriso sghembo da parte dell’uomo.
« Ne sono più che sicuro, tesoro. » rispose l’uomo aggrappandosi al dorso dell’animale, poi si diede una spinta e si sistemò dietro di lei.
Una volta in sella Killian le passò le braccia intorno alle spalle per poter afferrare le redini, ed Emma si sentì stranamente a suo agio.
Nel frattempo i primi fiocchi di neve avevano cominciato a scendere giù dal cielo. L’inverno era alle porte e quei soffici petali bianchi ne erano la conferma. Roger cominciò a galoppare verso casa trasportando un peso piuttosto particolare. In quel momento non c’era niente che potesse nuocere a nessuno dei due, erano esattamente dove avrebbero voluto essere. Uno accanto all’altro.

 

***



Il cavallo percorse lo spiazzale adiacente all’ingresso della tenuta di Hearthford. Erano tutti lì, i suoi servitori. Alcuni erano cresciuti, altri erano proprio come se li ricordava. La prima cosa che vide fu l’anziana Granny che scendeva di corsa le scale e non poté fare altro che sorridere, divertito ed emozionato allo stesso tempo. La vecchia signora era stata la sua levatrice, sua e di suo fratello. Li aveva allattati, li aveva visti crescere e infine andare via. Con la cuffia in testa, i capelli bianchi e gli occhi celesti come il cielo, Granny si diresse verso il suo padrone con le braccia spalancate dopo che quest’ultimo scese da cavallo con un unico e preciso slancio.
« Non posso crederci. Killian! » urlò l’anziana mentre il Conte l’afferrava per le braccia e la faceva volteggiare insieme a lui.
« Sono io Granny, sono tornato! » le disse continuando a sorriderle come un bambino. Dopo una serie di giravolte la signora si portò le mani alla testa, ma non smise mai di sorridere al suo giovane padrone.
« Oh Signore. Ma guardatevi, siete diventato un uomo. » gli disse osservandolo in volto.
« E anche bello e dannatamente affascinante. Dì la verità. » disse lui facendole l’occhiolino.
Un sonoro sbuffo seguì quell’autocompiacimento, che non fece altro che far ridere ancora di più il giovane Capitano. Granny ridiventò improvvisamente seria e afferrò il volto di Killian con entrambe le mani.
« Mi dispiace tanto. »
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Killian si irrigidì conservando tuttavia lo sguardo amorevole per la sua badante. Annuì lievemente, sconfitto e rassegnato di fronte alla verità.
« Padrone. »
Neal sopraggiunse in quel momento insieme ad un’altra ragazza della servitù dalla pelle scura, i capelli neri e gli occhi sottili. Il Conte si voltò verso di lui e per un attimo si guardarono senza dire una parola. Neal fece un passo in avanti e stirò le labbra in un sorriso appena accennato.
« Siete tornato. » disse incredulo.
Killian rimase a fissarlo cercando di sovrapporre l’immagine dell’uomo con quella del bambino dei suoi ricordi.
« Neal. » disse avvicinandosi lentamente.
Dieci anni erano veramente tanti, ma non avrebbe mai potuto dimenticare i giorni passati con lui. Da bambini avevano giocato sempre insieme e Killian lo aveva coperto molte volte per evitare che il ragazzo ricevesse delle punizioni da parte del Conte, suo padre. Lo stalliere restò senza parole quando gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla.
« Mi sei mancato tanto amico. Sono felice di vederti. »
Neal rispose con un sorriso sincero e pieno di gratitudine. Aveva aspettato quel giorno da quando il Conte era partito per arruolarsi nella marina. A quel tempo Killian aveva soltanto diciassette anni, ma qualcosa lo aveva convinto a partire e a non ritornare più ad Hearthford. Ma ora eccolo lì, di fronte a lui, con la stessa indole di tanto tempo fa.
Lo sguardo di Killian si focalizzò sul cavallo dietro allo stalliere e sulla ragazza che era rimasta in sella a godersi quella stupenda rimpatriata.
« Scusatemi. » disse congedandosi dai membri della servitù che gli si erano riuniti attorno.
« Ma devo vedere mia madre. »
Si avviò verso il cavallo e sotto gli occhi di tutti tese una mano alla bionda, che ancora una volta l’afferrò con titubanza. Killian le avvolse nuovamente la vita con un braccio e la fece scivolare delicatamente verso il basso. Emma si aggrappò alle spalle del nobile e una volta a terra recise immediatamente il contatto, sollevò gli occhi e ritrovò il volto del padrone a pochi centimetri di distanza dal suo. Il modo in cui la guardava la convinse a dirigere lo sguardo altrove, e fu allora che si accorse delle occhiate incredule da parte della servitù.
Granny aveva uno sguardo apprensivo, il volto di Neal era indecifrabile e la ragazza dietro di lui sembrò volerla incenerire.
« Prego Signora, fatemi strada. »
Il Conte accompagnò quella richiesta con un gesto della mano che la invitava a precederlo su per le scale. Emma assentì debolmente, consapevole di avere tutti gli occhi puntati su di sé e con un po’ di riluttanza cominciò a guidare il suo padrone verso le stanze della Contessa.

 

 

***



Non appena ebbe messo piede in casa la nostalgia lo colpì dritto al cuore. Si guardò intorno mentre seguiva la ragazza bionda lungo il corridoio, quel corridoio che lo aveva visto correre all’impazzata tra una camera e l’altra quando era solo un ragazzino. Si pentì di non aver preso prima quella decisione, di aver aspettato così tanto a ritornare ad Hearthford, la sua casa. Ma c’erano ancora delle questioni in sospeso, e lui non aveva dimenticato la promessa fatta a sé stesso.
Emma passò davanti alle stanze della contessa Regina e di suo marito, ma non si fermò poiché i due nobili erano via a causa di un viaggio nella Capitale. Anche Henry era andato con loro, quindi l’unica persona a cui il conte avrebbe potuto rendere i suoi omaggi si trovava alla fine del corridoio.
Per raggiungere l’alloggio della contessa occorreva attraversare una porta vetrata. Emma allungò la mano per abbassare la maniglia, ma il conte la intercettò aprendo la porta prima di lei, invitandola poi ad entrare con una gentilezza quasi disarmante. La ragazza era sempre più perplessa riguardo allo strano comportamento nei suoi riguardi, ma per il momento aveva deciso di non preoccuparsene. Ciò che importava davvero era che la sua padrona avrebbe ben presto ritrovato una delle cose che più in assoluto le erano mancate.
Emma entrò nella stanza e si avvicinò al letto della contessa mentre Killian restò sulla soglia, immobile e con il fiato sospeso.
« Signora, qualcuno è venuto a farvi visita. » le disse cercando di nascondere l’emozione che le stava facendo brillare gli occhi.
« Di chi si tratta cara? »
Cora guardò con estrema curiosità la sua dama di compagnia e ripose il libro che stava leggendo sul comodino al fianco del letto. Emma si fece da parte per permettere al conte di fare un passo in avanti, così da entrare nel campo visivo della madre. Quando i piccoli occhi di quest’ultima si posarono sulla figura di suo figlio non riuscì a contenere un gemito di sorpresa. Si portò le mani davanti alla bocca spalancata e gli occhi le si inumidirono.
« Killian! » sussurrò protendendo le mani verso di lui.
« Madre! »
Il ragazzo si buttò letteralmente tra le sue braccia, che lo strinsero così forte da fargli mancare il respiro.
« Non riesco a credere che sia veramente tu. » gli disse la signora cullandolo in un dolce abbraccio.
« Va tutto bene madre, non dovete più preoccuparvi. Sono qui. » la rassicurò il giovane allontanandosi un po’ da lei per poterle guardare il volto. Cora gli accarezzò la cicatrice sulla guancia e Killian chiuse gli occhi tornando con la mente al giorno in cui se l’era procurata. La Contessa avvertì il dolore del figlio e di conseguenza capì a cosa stava pensando.
« Liam sarebbe così contento di vederci insieme. »
« Lo so. Lui voleva che ritornassi da voi, ancora prima di… »
Venne zittito dal tocco gentile di Cora sulle sue labbra, che allo stesso tempo lo convinse a riaprire gli occhi.
« Non c’è bisogno di ricordare ciò che è accaduto. L’importante è che tu sia tornato, figlio mio. »
Killian sorrise, grato alla madre per avergli risparmiato l’ennesimo colpo al cuore nel ricordare ciò che avrebbe tanto voluto dimenticare.
Emma si lasciò sfuggire una lacrima solitaria. La ragazza esitava tra il pianto ed il sorriso, indecisa se cedere o meno ad una delle due parti. Alla fine decise di ritirarsi per concedere loro un po’ di privacy. Si avviò verso la porta richiudendosela alle spalle, tirò un sospiro di sollievo e si avviò verso le cucine dove la aspettava Granny e il resto della servitù.





Angolo Autrice
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Ed ecco il fatidico primo incontro. Spero di averlo reso bene, avrò letto quella parte una decina di volte come minimo perché ci tenevo a descrivere perfettamente la scena che avevo in testa e spero di esserci riuscita. Killian sembra già provare qualcosa per la nostra bella Emma, ma sarà davvero così facile? :D
Per chi fosse interessato ho cambiato tutti i banner dei precedenti capitoli... quelli di prima non mi piacevano e quindi ho deciso di farne altri in uno stile un po' più carino xD
Ringrazio tutti quelli che leggono, seguono e mettono tra le preferite. Come vi dico sempre per me è una gioia vedere che la storia vi piace! Ringrazio in particolar modo chi mi lascia sempre un commentino con il suo parere, non sapete quanto mi faccia piacere e mi aiuti a migliorare sempre di più ^-^
A presto e al prossimo capitolo, che arriverà sicuramente entro la prossima settimana. Un bacione!

Keepsaker

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Capitolo 6
*** |A broken dream ***



>> Capitolo 6 <<
 

La cucina era il posto più affollato della casa, una stanza al piano terra in cui i nobili della famiglia Jones non avevano mai messo piede, ad eccezione di Killian e Liam quando erano bambini, e di Henry nei momenti in cui voleva sfuggire ai genitori o ai suoi doveri di nobile. Al contrario, era sempre piena zeppa di servitori. C’era chi si occupava di cucinare, di lavare i piatti o portare fuori il bucato, e chi ne approfittava per riposare quando non aveva alcuna mansione da svolgere.
Quel pomeriggio alcuni di loro si erano riuniti intorno al tavolo al centro della stanza. Erano coloro che avevano assistito al ritorno del Conte Killian Jones e che per lo stesso motivo erano stati spettatori di una scena alquanto insolita.
« Cavalcavano insieme! Li ho visti! » affermò una domestica mentre parlottava con l’amica al suo fianco.
« E lui l’ha aiutata a scendere da cavallo. Hai visto come la guardava? Sembrava volersela mangiare con gli occhi! » aggiunse Ashley euforica mentre era intenta a strofinare un piatto, fin troppo energicamente.
« Ok, adesso basta. » si intromise Neal al limite della pazienza.
« Magari le ha solo dato un passaggio, cosa ne sapete voi? » continuò cominciando a gesticolare con le mani, una caratteristica di famiglia, a detta di lui.
« Oh, andiamo Neal. Quando un uomo ti guarda con quegli occhi ha in mente solo… » cominciò Ashley, ma venne interrotta da un boato che li fece sobbalzare tutti. Granny era arrivata all’improvviso e aveva sbattuto sul tavolo un cesto enorme, pieno di biancheria da lavare.
« Se avete tempo per i pettegolezzi usatelo per lavorare. » inveì guardandoli uno ad uno da dietro le lenti dei suoi occhiali.
« Per una volta io e te ci troviamo d’accordo, Granny. » ammise Neal incrociando le braccia al petto e guardando con fare vittorioso le altre ragazze.
« Allora alzati da quella sedia, credo che nelle stalle abbiano bisogno di te. » rispose l’anziana guadagnandosi l’ennesimo sguardo truce da parte del ragazzo.
« Ok, ritiro quello che ho detto. » disse lo stalliere, afflitto.
« E non voglio sentire un’altra parola su Emma, ci siamo intesi? » continuò la badante, questa volta in tono minaccioso.
Ashley e le altre due domestiche si lanciarono degli sguardi, ma evitarono saggiamente di aprir bocca.
« E perché mai? Emma non è di certo la santarellina che vuole far credere. »
Tutti si voltarono verso la ragazza che aveva appena parlato. Il suo tono di voce freddo e tagliante fece indispettire l’anziana, che le riservò un’occhiataccia da record.
« Tamara, ti prego… » cominciò Neal sapendo dove la sua amica volesse andare a parare. Tamara ce l’aveva a morte con Emma, fin da quando era arrivata alla tenuta. Diceva che una come lei fosse stata privilegiata a causa del suo bel faccino, mentre tutti loro non avrebbero mai ricevuto un simile trattamento. E di certo non pensava che la piccola Emma fosse innocente. La sua facciata angelica nascondeva in realtà il suo essere opportunista e senza scrupoli.
« Ha già accalappiato il Conte. Non ha proprio perso tempo. »
« Io non ho accalappiato proprio nessuno. »
L’attenzione generale si spostò sulla ragazza bionda in piedi davanti alla porta. Guardava Tamara con il volto furente, pieno di risentimento. Neal cominciò ad alzarsi in piedi, consapevole che di lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio, come ogni volta.
« Vuoi farmi credere che non ti sei già approfittata della situazione? » le domandò la ragazza mora con un tono volutamente sorpreso.
« Non so di cosa tu stia parlando. » rispose la bionda continuando a sfidarla con lo sguardo. Tamara si fece una grossa risata mentre Neal cercava di farla smettere, invano.
« Questa sì che è bella. Sei davvero un’ammaliatrice, Emma Swan, e presto se ne accorgeranno tutti! »
« Non provocarmi. » soffiò la ragazza a denti stretti avvicinandosi pericolosamente alla domestica.
« Hai preso la palla al balzo. E’ facile fare breccia nel cuore del Conte ora che ha perso suo fratello, vero? »
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. La bionda non ci vide più e si lanciò come una furia contro Tamara. Neal si frappose velocemente tra le due e riuscì a bloccare Emma imprigionandola tra le sue braccia.
« Ritira subito quello che hai detto! » urlò quest’ultima, intrappolata nella potente stretta del giovane.
« Emma ti prego, cerca di calmarti! » tentò di convincerla lo stalliere, ma la ragazza sembrava una vera e propria furia.
« Adesso basta! »
L’intervento di Granny riuscì a calmare le acque, almeno per un po’. Il suo grido acuto fu in grado di riportare il silenzio nella cucina e a far bloccare tutti, comprese le due litiganti. Emma smise di dimenarsi tra le braccia di Neal e Tamara rimase immobile al suo posto, stavolta con la bocca chiusa.
« Separatevi! Emma, vai di sopra e porta la cena alla Signora Contessa. Tu invece vai a farti un giro in paese, e non tornare prima di questa sera. Sono stata chiara? »
Tamara annuì debolmente riservando un’ultima occhiata di disprezzo alla bionda, girò i tacchi e scomparve oltre la porta secondaria che portava nel retro del cortile. Granny prese un profondo respiro e si lasciò cadere sulla sedia di fianco a lei, esausta.
Neal allentò la stretta su Emma, ma continuò a tenerla tra le sue braccia.
« Ti sei calmata? » le domandò sollevando la testa verso il soffitto, in attesa di una sua risposta.
« Sì. » soffiò la bionda premendo la fronte contro il torace del giovane. Lo stalliere abbassò la testa osservandole i capelli, dorati come le spighe di grano.
« Mi dispiace, sai com’è fatta. »
« Lo so, purtroppo. »
Neal ridacchiò a quella affermazione. Lui e Tamara erano amici da molto tempo, sin da ragazzini. Lei aveva un debole per lui, ormai era palese, ma il ragazzo vedeva in lei nient’altro che una sorella minore. Non avrebbe mai potuto stare con la ragazza nel modo che intendeva, non ci sarebbe mai riuscito. Poi aveva conosciuto Emma e il suo mondo era stato completamente stravolto. Se ne era infatuato, alla grande, ma lei sembrava non accorgersene, o forse faceva solo finta.
« Sto bene Neal, ora puoi lasciarmi. »
« Oh, certo. »
Il giovane mollò subito la presa ed Emma si scostò dirigendosi verso la badante, che le porse un vassoio con su un piatto d’argento, ripieno di zuppa calda. La ragazza lo afferrò senza dire una parola e si diresse verso l’uscita, sotto lo sguardo vigile ed attento di Neal.
« Dai retta alla vecchia Granny, giovanotto. » cominciò l’anziana ottenendo la sua attenzione.
« Lasciala perdere. Rischieresti solo di farti del male. »
Neal sorrise. Un sorriso amaro senza alcuna ombra di ilarità.
« Semplice a dirsi. » affermò alzandosi in piedi. Si trascinò versò la porta secondaria e afferrò il suo cappello, prima di uscire si voltò nuovamente verso la badante, che lo stava guardando per la prima volta in modo apprensivo.
« Non è così facile liberarsi dell’amore. »

 

 

***



« Allora, come procedono le cose qui? »
La domanda di Killian non fu del tutto inaspettata. Cora si sistemò meglio sul materasso e suo figlio l’aiutò con i cuscini affinché stesse dritta con la schiena, poi si accomodò su una sedia che si trovava di fianco al letto. Con la mano sana si tolse il guanto di cuoio che nascondeva quella deturpata, priva di vita. La pelle era a macchie e di un color rosa molto intenso. La contessa lo osservò mentre chiudeva e riapriva il pugno e si accorse della difficoltà insita in quel piccolo gesto.
« Prima dimmi della tua mano. » rispose lei in tono piatto.
Non voleva ricordargli quello che aveva passato, William era stato molto esplicito nella sua lettera, ma non poteva sorvolare sulla salute di suo figlio.
« Non c’è molto da dire. » cominciò il Conte alzando gli occhi verso di lei.
« Il fuoco l’ha completamente bruciata, non riesco a sentire niente. Il medico che mi ha visitato ha detto che ho subìto delle profonde ustioni all’epidermide e ho perso completamente la sensibilità. Riesco ancora a muoverla, ma è difficile controllare qualcosa che non ti appartiene più. »
Il suo tono era calmo e allo stesso tempo rassegnato. Guardò ancora una volta le profonde cicatrici che gli avevano sfigurato l’arto e in un batter d’occhio rindossò il guanto, nascondendolo nuovamente alla vista.
« Raccontatemi di Malcolm. » soffiò cambiando repentinamente espressione. Le rughe del suo viso si accentuarono e gli occhi divennero due pozze cerulee, fredde come il ghiaccio.
Quella richiesta stupì la contessa, ma non quanto il tono minaccioso che suo figlio aveva usato per rivolgersi al marchese.
« Perché mi chiedi di lui? » domandò la donna con un tono volutamente ingenuo.
« Non prendetevi gioco di me, madre. Se quell’uomo sta portando alla rovina Hearthford vi giuro che sarà l’ultima cosa che farà nella sua miserabile vita. » ringhiò alzandosi in piedi come una furia. La troppa spinta fece spostare la sedia, che andò a sbattere contro il paravento. Killian diede le spalle a sua madre e si passò una mano tra i capelli, frustrato. La contessa lo guardò apprensiva.
« Killian, che cosa ti è successo? » domandò con gli occhi puntati sulle spalle del figlio. Killian era sempre stato un ragazzino amorevole, un po’ troppo euforico, ma gentile e altruista verso il prossimo. Non si era mai arreso a sentimenti violenti quali rabbia o rancore, se non quando il suo povero padre era morto, assassinato da alcuni banditi proprio di fronte l’entrata della magione. Quel giorno il suo spirito vendicativo aveva preso il sopravvento e si era lanciato come una furia all’inseguimento degli assassini. Liam era riuscito a fermarlo e a farlo ragionare. Un ragazzino di quindici anni non avrebbe potuto fare nulla, se non farsi uccidere come uno stolto.
Ma ora quel rancore sembrava essere tornato in superficie, più forte e distruttivo di prima.
« Niente di cui dobbiate preoccuparvi madre. Allora, volete raccontarmi del marchese oppure dovrò andare a chiederglielo personalmente? » rispose voltandosi nuovamente verso di lei.
« E vi assicuro che non sarà piacevole. »
« Prima dimmi come lo hai saputo. » obiettò la contessa sollevando il mento. Poteva anche essere malata, ma aveva conservato il carattere forte e deciso che l’aveva sempre contraddistinta. Il giovane ridacchiò di fronte a quella richiesta così ostinata, che gli ricordava tanto qualcuno. Spalancò la giacca infilando una mano nella tasca interna dell’indumento. Ne tirò fuori una piccola lettera sgualcita, che porse con nonchalance alla madre. La contessa lo guardò incuriosita e afferrò la lettera aprendola con delicatezza.
« Voglio sapere chi è questa… Emma. » affermò sottolineando il nome della ragazza con la dovuta premura. Gli occhi della contessa vagarono sulle righe scritte dalla sua dama di compagnia, e più andava avanti più i suoi lineamenti sembravano addolcirsi. Quando ebbe finito di leggere ritornò in sé e ripiegò il foglio.
« Nessuno di cui tu debba preoccuparti. » tagliò corto la signora utilizzando le stesse parole che aveva usato lui in precedenza.
« Madre… »
« E’ per questa che hai deciso di ritornare? » gli domandò indicando la lettera che teneva in mano. Seguì un fugace attimo in cui i due si osservarono senza dire una parola.
« Sì. » ammise infine il giovane. Cora prese un profondo respiro e socchiuse gli occhi riconsegnando la lettera al suo proprietario. La mano di Killian strinse quel minuscolo pezzo di carta facendolo scricchiolare.
« Ha ragione lei, e ha fatto bene ad avvisarti. Io avevo timore nello scrivere dei problemi di Hearthford. Non volevo obbligare nessuno di voi due a tornare, ma con rammarico devo confessare che le mie preoccupazioni erano fondate. Quell’uomo non si accorge minimamente di star scialacquando il nostro patrimonio. Ci sta portando sull’orlo della rovina. »
Killian le si avvicinò inginocchiandosi ai piedi del letto e lei abbassò il capo per continuare a guardarlo negli occhi.
« Finché sarò qui non avrete nulla da temere, ci penserò io. Ora Hearthford è la mia priorità. »
« E’ la tua priorità adesso, ma poi? »
Killian la guardò respirando a fondo, si tirò su leggermente e le posò un bacio sulla fronte.
« Vi lascio riposare, madre. Sarete stanca. Per oggi abbiamo parlato a sufficienza. » affermò carezzandole la mano e cominciando a tirarsi indietro per raggiungere la porta.
« Parlare con mio figlio non potrebbe mai stancarmi, soprattutto se non lo vedo da dieci lunghi anni. » rispose la contessa allungando il braccio per evitare di sciogliere troppo presto il contatto con la sua mano. Quando se ne separò completamente l’attraversò un senso di malinconia, una sensazione di vuoto.
Killian raggiunse la porta, ma prima di aprirla si voltò nuovamente verso la madre.
« Perché non volete rivelarmi l’identità di questa Emma? »
« L’importante è che tu sia a casa, figlio mio. Il resto non conta. » tergiversò la donna accompagnando a quelle parole uno dei suoi sorrisi più amorevoli.
In realtà aveva paura, paura di quello che sarebbe successo.
« Buonanotte. » disse il giovane lasciando cadere la conversazione, almeno per quella sera.
« Buonanotte, Killian. »
Il Conte aprì la porta e se la richiuse alle spalle. Si ritrovò in corridoio, le spalle poggiate contro lo stipite e la lettera tra le mani. La fissò, ancora incapace di lasciar perdere, ancora pieno di domande a cui avrebbe voluto trovare una risposta. Sollevò la testa e si guardò intorno. Il corridoio era deserto, ma aveva comunque il presentimento di essere osservato.
Si avviò verso le sue stanze decidendo di lasciar perdere quelle strane sensazioni, ma non seppe mai che qualcuno lo stava effettivamente tenendo d’occhio, e anche con molta attenzione.

 

 

***



Il rumore dei suoi passi rimbombò lungo la rampa di scale che stava pian piano risalendo. Il vassoio che aveva in mano tremò leggermente a causa dei suoi movimenti, ma la presa salda della ragazza evitò di far rovesciare l’intero contenuto. Il vapore caldo che lasciava il delizioso pasto le aveva scaldato il volto facendole arrossire le gote, rendendola ancora più graziosa. Era appena arrivata in cima alle scale e stava per svoltare l’angolo che dava sul corridoio, ma appena sollevò lo sguardo da quello che teneva in mano vide l’elegante figura del Conte poggiata contro la porta della camera della contessa. Non seppe neanche lei in che modo, ma senza fare il minimo rumore si tirò immediatamente indietro appiattendosi contro la parete. Sgranò gli occhi e cercò di respirare in modo da non far sentire i suoi sbuffi. Il petto si alzava e si abbassava, prigioniero nella morsa di quel bustino troppo stretto. Voltò nuovamente la testa e spiò oltre la parete cercando di non farsi notare.
Il giovane era poggiato con tutto il corpo contro lo stipite della porta e in mano teneva qualcosa, ma Emma era troppo distante per riuscire a capire di cosa si trattasse. Lo osservò mentre socchiudeva gli occhi e lasciava ricadere la testa all’indietro, sfinito. Emma ne approfittò per osservarlo con la dovuta premura. Quel pomeriggio aveva cercato di evitare il suo sguardo per il senso di soggezione che le dava, ma ora che poteva ammirarlo da lontano pensò che il ritratto nella stanza della contessa non gli desse per niente giustizia. Era bello, molto più bello. Alto, slanciato, con due occhi che ricordavano il fondo del mare e una voce che metteva i brividi al solo accenno. I vestiti gli calzavano a pennello, sicuramente erano stati fatti su misura per lui. La ragazza percorse con lo sguardo la giacca nera con i bottoni dorati e il colletto della camicia di seta che lasciava intravedere il petto scoperto. I pantaloni neri gli fasciavano le gambe lunghe e muscolose e gli stivali di cuoio gli arrivavano fin sotto il ginocchio. Risalì la figura fino ad incontrare nuovamente il suo viso e si accorse che stava per riaprire gli occhi. Si tirò indietro e lo osservò mentre si staccava dal muro e cominciava ad allontanarsi, per sua fortuna dalla parte opposta. Arrivato a metà corridoio si bloccò nuovamente e si voltò guardandosi intorno con sospetto, dopodiché sembrò ripensarci e si avviò verso la porta d’uscita.
Emma rimase a fissarlo finché la sua figura non scomparve completamente, inghiottita dal buio. L’unica cosa ancora percepibile fu il rumore dei suoi passi lungo il corridoio successivo, finché anche quello non si disperse come tutto il resto.
« Emma. »
Una voce alle sue spalle la fece sussultare e per poco non fece cadere il vassoio per lo spavento. Si voltò cautamente fin quando non incontrò gli occhi celesti di Ashley, che la osservavano con sospetto.
« Cosa stavi facendo? » le domandò sollevando un sopracciglio biondo.
« Io… ecco… » farfugliò la giovane chiudendo gli occhi, cercando di trovare le parole per spiegare qualcosa di cui neanche si era resa conto.
« Perché ti sei nascosta? » tagliò corto la cameriera incrociando le braccia al petto. Emma strinse gli occhi, poi li riaprì parlandole in modo totalmente sincero, senza difese.
« Non lo so. » ammise spostando lo sguardo su ciò che teneva in mano. Ashley le si avvicinò e le posò una mano sul braccio scrutandole gli occhi verdi.
« Lui lo sa? »
« Di cosa parli? » rispose la ragazza aggrottando la fronte.
« Che sei una serva, Emma. Lui lo sa? »
La bionda sentì il mondo crollarle addosso. Allora era di questo che si trattava? Era questo il peso che sentiva gravare sul petto? Ora che lo udiva dalla bocca di qualcun altro tutto le sembrava più chiaro, più vero. Tutto ciò che le era accaduto quel pomeriggio era stato inspiegabile, magico, ma si era resa conto troppo tardi che si era trattato di un’illusione, un semplice sogno che era stato ridotto in pezzi.
« No. » rispose chinando la testa verso il basso, affranta.
Ashley sgranò gli occhi e si allontanò da lei.
« E quando diavolo hai intenzione di dirglielo? » urlò sottovoce inveendole contro.
« Non… non ce n’è stata l’occasione… è successo tutto così in fretta… »
« Non scherzare, Emma. Lui ti tratta come se fossi una principessa, l’abbiamo visto tutti. Per il suo bene, e soprattutto per il tuo, ti conviene dirglielo… e alla svelta. »
Emma sollevò lo sguardo guardando l’amica in un modo che lei non seppe interpretare.
« Ricordati cosa è successo a Marian. »
La cameriera non voleva spaventarla, ma avvertirla. Emma sembrò non dare molto peso alle parole della sua amica, come se non le avesse udite, ma subito dopo le passò il vassoio con sopra la cena della contessa.
« Portalo tu alla padrona. » disse evitando accuratamente di guardarla negli occhi. La ragazza annuì e guardò la sua amica mentre si dirigeva verso le scale, per poi sparire nella penombra. Socchiuse gli occhi e si diresse verso la porta della camera, bussò una volta, molto delicatamente, ed entrò quando le venne dato il permesso.
La cena era ormai tiepida, ma sperò che alla Signora andasse bene ugualmente.
« Emma dov’è? » le chiese notando l’assenza della sua dama di compagnia.
« Oggi ha avuto molto da fare e si è sentita poco bene. Si scusa con voi per questo contrattempo. » mentì la ragazza posando il vassoio sul comodino. Cora la guardò in un modo che la fece sudare freddo, ma alla fine le sorrise debolmente.
« Capisco. Vai a vedere come sta e dille di venire in biblioteca domani mattina. Ho urgente bisogno di parlarle. »
Ashley annuì e si inchinò, poi col permesso della signora uscì dalla stanza lasciando la contessa da sola con i suoi pensieri.

 



Angolo dell'autrice
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Ben trovati in questo nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto come i precedenti e naturalmente non vedo l'ora di leggere i vostri pareri, che sono sempre dolcissimi e pieni di aiuti preziosi!
Mi sono divertita molto a scrivere la parte ambientata nelle cucine, finalmente la nostra Emma tira fuori le unghie, e ci tenevo a renderla fiera e spavalda come nella serie tv perché è una caratteristica che la rende quella che è, ovvero il motivo per cui io l'adoro così tanto (e credo anche il nostro Capitano!). Emma si è anche resa conto che tutto quello che ha vissuto fino ad adesso è stato solo un sogno, un fraintendimento che ben presto dovrà rivelare, ma troverà il coraggio di farlo? Ringrazio come al solito tutti quelli che recensiscono, leggono e mettono tra le preferite e le seguite!
Al prossimo capitolo, sperando che vogliate ancora seguirmi xD

Keepsaker

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Capitolo 7
*** |What he thinks about her ***





>> Capitolo 7 <<

 
Gli scaffali ricolmi di libri erano illuminati dalla debole luce che riusciva a penetrare le tende appena tirate. Quest’ultime erano di un bel vermiglio sporco, in tinta con le mensole laccate di rosso. Fuori il tempo andava peggiorando. Erano solo le otto e mezza della mattina, ma la nebbia aveva già avvolto l’intero giardino impedendo di vedere a un palmo dal proprio naso. L’aria era gelida e l’azzurro del cielo rendeva il paesaggio invernale, così come le foglie intirizzite per il gran freddo.
Il giovane seduto alla scrivania faceva vagare lo sguardo sulla busta che, con apprensione, teneva in mano. Chiuse gli occhi e aggrottò la fronte accentuando le linee d’espressione che gli deformarono i lineamenti. Era combattuto, ancora prigioniero dei propri oscuri desideri.
Il rumore della porta che veniva aperta lo riscosse dai suoi pensieri e con un movimento fulmineo riuscì a nascondere ciò che teneva in mano prima che il visitatore potesse vederlo. La sua espressione alquanto irritata si addolcì non appena posò gli occhi sulla candida figura che gli si presentò dinanzi.
« Perdonatemi Signore, pensavo non ci fosse nessuno. » dichiarò Emma arretrando di un passo, colta di sorpresa. La sua voce tremava e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli del suo padrone, che intanto si era alzato in piedi facendo strisciare la sedia.
« Vi prego, restate. »
La supplica del giovane la bloccò, proprio mentre stava per tornare indietro, verso la porta. Si voltò nuovamente rimanendo ferma al suo posto, gli occhi fissi in quelli di lui.
« Di solito a quest’ora la biblioteca è sempre deserta. » tentò di spiegare la ragazza, ma si rese conto che si era bloccata non appena aveva cercato di accennargli che era venuta a sistemare la stanza per l’arrivo imminente della contessa. Cercò di prendere fiato per continuare, ma il Conte la batté sul tempo.
« Non abbiamo avuto modo di parlare ieri… con tutta quella confusione. » disse Killian aggirando la scrivania per avvicinarsi maggiormente a lei. Teneva le mani incrociate dietro la schiena e gli occhi fissi su ogni dettaglio del suo volto.
« Voi siete la dama di compagnia di mia madre? (*) » le domandò improvvisamente appoggiandosi al bordo della scrivania. Incrociò le braccia al petto e piegò la testa di lato, assai interessato a ciò che aveva davanti.
« » sussurrò la bionda, questa volta evitando il suo sguardo indagatore.
Si sentiva sotto esame, in soggezione. Avrebbe voluto scappare, fuggire da lui, ma lei sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto affrontarlo nonostante la sua riluttanza.
« Non mi avete ancora detto il vostro nome. »
La ragazza sollevò di scatto lo sguardo e dischiuse le labbra, cercò di trovare le parole per dire qualsiasi altra cosa, ma con scarso successo.
« Emma. » rispose senza neanche rendersene conto.
« Mi chiamo Emma… Swan. » ripeté, questa volta con più calma, scandendo bene le parole e aggiungendo il suo cognome.
Quel nome gli fece sgranare gli occhi. Killian lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, si staccò dalla scrivania e fece un passo in avanti, verso di lei. Aggrottò la fronte, incredulo, e dischiuse le labbra, ma le parole che voleva pronunciare gli morirono in gola.
Era lei, l’aveva trovata. La ragazza che aveva scritto la lettera, la ragione per cui era tornato: era proprio lì, davanti ai suoi occhi.
« Siete voi. » riuscì a dire mentre le labbra si stendevano in un sorriso appena accennato. Emma non riuscì a nascondere lo stupore sul suo volto, e neanche la tacita domanda che vi era legata. Il Conte la conosceva?
Killian tirò fuori dalla sua giacca la lettera che lei stessa aveva scritto e la tenne sollevata a mezz’aria, stretta nella sua mano. Emma la osservò per un momento, incapace di realizzare, ma quando la riconobbe sussultò facendo un passo indietro. I suoi occhi cominciarono ad inumidirsi, il labbro inferiore a tremarle, ma prima che potesse dire qualcosa si era già voltata in direzione della porta.
La stretta ferrea del giovane sul suo braccio la costrinse a fermarsi e a voltarsi nuovamente verso di lui. Incontrò il suo viso, che era esattamente di fronte al suo. Killian la osservava attentamente, gli occhi celesti fissi in quelli timorosi della ragazza.
« Mi dispiace, non avrei dovuto scriverla… ma vostra madre stava male, voi e il Conte Liam non c’eravate e… »
Un dito le bloccò dolcemente le labbra, impedendole di continuare. Il Conte la guardò mentre la bionda rimaneva interdetta da quel contatto troppo ravvicinato.
« Non mi dovete alcuna spiegazione. Sono io che dovrei dire qualcosa... per ringraziarvi. »
Emma sbatté un paio di volte le palpebre, molto velocemente. Si allontanò di qualche passo fin quando il Conte non allentò la presa sul suo braccio e la lasciò andare.
« La vostra lettera mi ha convinto a tornare. Se non fosse stato per voi avrei preso una strada… molto diversa. » si limitò a dire massaggiandosi nervosamente il retro del collo. Il volto della giovane si rabbuiò. Il Conte credeva di star parlando con qualcuno alla sua altezza, di star ringraziando una persona che considerava una sua pari. Non stava parlando con lei, ma con ciò che pensava di lei.
« Siete un’eroina, Swan. E questo vi fa solo onore. »
Killian sollevò una mano e cercò di accarezzarle molto delicatamente una guancia, ma Emma si tirò nuovamente indietro lasciando che le sue dita sfiorassero nient’altro che l’aria. Il giovane ritrasse immediatamente il braccio, dispiaciuto.
« Perdonatemi, non intendevo offendervi. » dichiarò fermamente, convinto che il rifiuto da parte della giovane fosse dovuto ai suoi modi un po’ troppo spavaldi.
« No, voi… non è colpa vostra. Sono io che devo dirvi una cosa, io sono… »
Emma si avvicinò nuovamente a lui e richiamò tutto il suo coraggio per dire quella semplice parola, ma la contessa irruppe nella stanza proprio in quel momento vanificando ogni suo sforzo. La carrozzina venne spinta all’interno della camera da Ashley, che osservava i due molto attentamente, così come stava facendo la contessa. Emma si allontanò dal conte mordendosi la lingua. Ce l’aveva quasi fatta, ma il destino a quanto pare si era messo contro di lei. Si diresse verso la sua padrona, ma prima tirò via le tende per far entrare un po’ di luce.
« Buongiorno madre. » disse Killian passandosi la lingua sulle labbra in modo alquanto irritato. Emma stava per dirgli qualcosa e quella interruzione aveva rovinato tutto.
« Buongiorno Killian. Emma, cara, come stai? Ashley mi ha detto che ieri sera non sei stata bene. » domandò la signora seguendo con lo sguardo la sua dama di compagnia. La ragazza si voltò, presa alla sprovvista. Guardò prima la contessa e poi Ashley, che le fece segno con gli occhi di stare al gioco.
« Siete stata poco bene? » le domandò subito Killian con apprensione.
« No, io… solo un po’ di stanchezza contessa, niente di cui preoccuparsi. » rispose la ragazza cercando di ignorare il troppo affiatamento da parte del conte, che a qualcuno però non sfuggì. Cora guardò suo figlio con serietà e dopo aver assottigliato gli occhi fece cenno ad Ashley di abbandonare la stanza. Prima di andar via la ragazza scambiò un’ultima occhiata con Emma, poi sparì chiudendosi la porta alle spalle.
« Emma, vorrei che mi leggessi qualcosa. E tu, Killian. Tua sorella è tornata dal suo viaggio, la sua carrozza è posteggiata qui fuori. Ho ragione di credere che tu voglia andare a salutarla quanto prima. » affermò Cora con una certa severità nella voce, un’alterigia che Emma non aveva mai associato alla figura della sua padrona.
Killian annuì debolmente e finalmente si decise a staccare gli occhi dalla ragazza che si trovava al fianco di sua madre.
« Vado subito, madre… e non solo per salutare mia sorella. » affermò minacciosamente il ragazzo rivelando quella parte di sé che in qualche modo riusciva a mantenere sopita in profondità. Emma lo osservò con la coda dell’occhio mentre le passava di fianco per raggiungere la porta. Ebbe un attimo di smarrimento non appena si accorse che lo sguardo del Conte era totalmente cambiato. Da dolce e gentile era diventato duro e severo, come se fosse un’altra persona, e si augurò di non dover essere mai costretta a fronteggiarlo sotto quelle vesti.
 

 
***



Il sole era alto nel cielo e i suoi raggi avevano riscaldato l’aria di quella mattinata, a tratti quasi invernale. La carrozza si trovava davanti alla scalinata della magione, due cavalli purosangue l’avevano trascinata sin dalla Capitale e ora erano in attesa dello stalliere, agognando il loro meritato riposo. Uno dei cavalli si voltò verso il ragazzino che gli stava dolcemente accarezzando il muso. Quest’ultimo - capelli castani, occhi cangianti - non si curava dell’aria gelida o dei rimproveri che di lì a poco avrebbe ricevuto. Gli era sempre piaciuto cavalcare, fin da quando aveva visto Emma galoppare sul suo pezzato a gran velocità. Purtroppo sua madre era contraria, almeno per il momento. Era troppo piccolo per imparare a cavalcare, ma si era fatto promettere che quando sarebbe diventato più grande avrebbe preso lezioni di equitazione. Il cavallo che stava accarezzando nitrì con forza quando gli sfiorò un orecchio con le dita. Il ragazzino sussultò e l’animale si spaventò a sua volta cominciando a scalciare. Sarebbe rimasto ferito se qualcuno non lo avesse tirato per la vita facendogli scansare il colpo.
« Hey amico, tutto bene? » gli domandò una voce che non aveva mai sentito prima. Il bambino si voltò ed incontrò due occhi azzurri come l’oceano, che lo stavano fissando apprensivi e allo stesso tempo incuriositi.
« S-sì. Grazie Signore. » disse il ragazzino continuando ad osservare l’estraneo.
« Non devi mai toccargli le orecchie, a loro dà parecchio fastidio. » gli spiegò l’uomo cominciando ad accarezzare l’animale nei punti giusti per calmarlo. Il bambino lo osservò rapito mentre il purosangue ritornava ad essere il cavallo docile di sempre. L’uomo abbassò lo sguardo verso il ragazzino e qualcosa attirò la sua attenzione. S’inginocchiò per poterlo guardare negli occhi e improvvisamente una luce gli rallegrò lo sguardo.
« Sei Henry? » gli domandò accennando un sorriso incredulo.
« Sì, voi chi siete? » chiese il bambino aggrottando la fronte.
« Tuo zio, il conte Killian Jones. » gli rispose l’uomo con orgoglio prendendolo in braccio senza che il ragazzino potesse opporre resistenza.
« Zio, siete tornato! »
« Non credo ai miei occhi. Quando sono partito eri appena nato… e guarda ora come sei cresciuto. Hai già dieci anni, vero? » gli domandò il conte continuando a tenerlo stretto tra le sue braccia.
« Li compirò il mese prossimo. » rispose il ragazzino mostrando un sorriso orgoglioso, un sorriso degno dell’uomo che lo teneva in braccio. Killian ridacchiò di fronte a quella visione, ma una voce lo fece diventare nuovamente serio.
« Killian. »
L’uomo lasciò andare Henry, che decise di rimanere comunque al suo fianco.
« Regina. » la chiamò l’uomo voltandosi a guardarla negli occhi. Sua sorella era proprio come se la ricordava, con lo sguardo fiero e il portamento regale. Non per niente sua madre aveva deciso di darle quel nome. La donna scese di corsa le scale sollevando leggermente gli angoli della gonna per evitare di inciampare, e una volta arrivata in fondo si buttò tra le braccia di suo fratello.
« Pensavo di non rivederti mai più. » gli sussurrò all’orecchio mentre gli stringeva le braccia intorno al collo. Killian aumentò la stretta sulla sua vita, era così fragile che aveva persino paura che potesse spezzarsi.
« Regina, tu stai bene? » gli domandò preoccupato prendendole il viso tra le mani per osservarla meglio. La donna gli sorrise amorevolmente guardandolo negli occhi.
« Non devi preoccuparti per me… pensa a te stesso piuttosto. »
Killian capì che si riferiva alla sofferenza per la perdita del fratello. L’abbracciò nuovamente per farle capire che ormai era tutto passato, che lo avrebbero affrontato insieme.
« Quel dolore non è soltanto mio. » affermò stringendole il capo contro il suo petto. « Non più. »
« Caro cognato! »
Il conte riaprì gli occhi di scatto, furente, ritrovandosi davanti la figura del marchese. Il solo suono della sua voce era stato capace di mandarlo in bestia. Osservò l’uomo che pian piano stava discendendo le scale per avvicinarsi a loro. Notò come anche la sorella aveva cambiato espressione e guardava suo marito come se fosse un fantasma, un fantasma orribile. Istintivamente spinse Regina ed Henry dietro di sé, quel tanto che bastò per evitare all’uomo di avvicinarglisi.
« Siete tornato! Viste le circostanze avrei giurato che ormai non ci saremmo più rivisti... e a proposito di questo. Condoglianze per la vostra perdita. »
Il suo tono era stato per la maggior parte ironico, come se si stesse beffando di lui. Killian lo osservò nei minimi dettagli con lo sguardo disgustato. Era un uomo di mezza età, capelli brizzolati, occhi verdi e spenti, la barba ispida e una puzza di alcol che proveniva dai vestiti, eleganti seppur sgualciti.
« Marchese Malcolm, vedo che avete fatto baldoria nella Capitale. » disse Killian continuando a lanciargli occhiate di disprezzo. Il marchese ridacchiò e si passò una mano sul volto per grattarsi la barba pungente.
« Avere una residenza nella Capitale ha i suoi vantaggi. Oltre ad occuparmi di questioni che riguardano Hearthford, ho invitato alcuni amici per passare il tempo. Sapete, non si resta giovani per sempre, bisogna approfittarne appena se ne ha l’occasione. » ridacchiò Malcolm con la bocca spalancata colpendo amichevolmente il petto del conte, ma quest’ultimo a quanto pare non gradì né il contatto né lo sproloquio che l’uomo era intenzionato a portare avanti. Lo guardò in modo truce facendogli sparire immediatamente quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia.
« Henry, tesoro, rientriamo in casa. »
Regina aveva capito che la situazione tra il fratello e suo marito non era delle migliori e decise saggiamente di trascinare il bambino con sé all’interno della tenuta. Killian aspettò che sua sorella e suo nipote rientrassero nella magione, li seguì con lo sguardo, poi ritornò con gli occhi fissi in quelli del marchese. Incrociò le mani dietro la schiena e si avvicinò a lui, molto lentamente. Malcolm non indietreggiò, ma lo sguardo di ghiaccio di Killian lo fece sudare freddo.
« Mi è giunta voce che vi siete divertito durante la mia assenza. Adesso avrete tutto il tempo che volete per dedicarvi ai vostri “amici”, caro marchese. » gli soffiò sul volto causandogli un brivido. « D’ora in avanti qui ci penso io. »
« Voi… avete intenzione di restare? » gli domandò l’uomo con voce tremante evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
« Potete scommetterci, e vi consiglio caldamente di non ostacolarmi, perché se lo farete… non immaginate minimamente che cosa sarei in grado di farvi. » ringhiò Killian a denti stretti, il volto vicinissimo a quello maleodorante del marchese. Lo guardò un’ultima volta con un’intensità tale da trafiggergli il cranio, poi lo oltrepassò.
« Oh, e se dovessi accorgermi che mia sorella sta soffrendo a causa vostra, ne pagherete le conseguenze. Di questo potete starne certo. »
Un’ultima minaccia che suonò più come una condanna a morte. Il conte risalì le scale lasciando il povero malcapitato con gli occhi sgranati e le mani tremolanti. Quando si riprese tirò fuori tutta la rabbia repressa fino a quel momento e diede un pugno contro la carrozza. I cavalli si spaventarono e cominciarono a sollevarsi con le zampe protese in avanti. Malcolm si voltò furente e indicò la scalinata ormai vuota.
« Nessuno mi minaccia e riesce a farla franca, nessuno! Nemmeno voi, Killian Jones. »
Le sue parole risuonarono nel vuoto totale, ma quell’avvertimento arrivò dritto alle orecchie di una ragazza che aveva origliato l’intera conversazione nascosta tra le piante del giardino. Osservò il marchese mentre si ritirava all’interno della tenuta, poi anche lei decise di ritornare alle sue mansioni, come se nulla fosse accaduto.

 

 
***



Killian attraversò il corridoio principale fino ad arrivare alla porta secondaria che portava al retro dei giardini. Durante il tragitto incontrò qualche servitore che si inchinò per rendergli omaggio, ma l’uomo continuava a camminare imperterrito senza prestare attenzione a niente e a nessuno. I vestiti che indossava erano abbastanza pesanti da permettergli di stare fuori senza che sentisse il freddo pungergli sulla pelle. Le sue gambe lo portarono istintivamente alla quercia secolare, al monumento funebre di suo fratello. Gli si inginocchiò di fronte e chiuse gli occhi abbassando il capo.
Non sapeva perché era venuto proprio lì. Forse per cercare un po’ di conforto, un po’ di quella forza che gli mancava per rinunciare ai suoi propositi di vendetta. E doveva essere lui a spronarlo, suo fratello, colui per il quale quei propositi erano ancora in piedi. Aveva lottato tanto strenuamente per non cadere nel baratro dell’oscurità, e ora che la sua famiglia aveva bisogno di lui non poteva abbandonarli nelle mani di Malcolm. Si riprese e decise di alzarsi in piedi, ma quando lo ebbe fatto qualcosa di appuntito gli pizzicò la schiena mettendolo immediatamente sull’attenti. Alzò le braccia verso l’alto con i palmi aperti per non tentare oltre il suo aggressore. Voltò leggermente la testa, ma non riuscì a vedere colui che lo teneva sotto scacco.
Era stato stupido. Aveva lasciato la spada nella sua stanza e di quei tempi non era molto sicuro per lui andare in giro disarmato.
« Non credevo che sarei riuscito a coglierti di sorpresa così facilmente, Capitano. Pensavo che dieci anni in marina ti avessero formato meglio di così. »
Killian sussultò a sentire quella voce. Abbassò lentamente le braccia e ridacchiò divertito scuotendo la testa. Si voltò e incontrò gli occhi celesti dell’uomo che teneva ancora la spada puntata contro di lui.
« Anche per me è un piacere rivederti, David. »






Angolo dell'autrice
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*Una dama di compagnia alla corte di una famiglia nobile è un'assistente personale femminile di una regina, una principessa o un'altra nobildonna di rango superiore. Una dama di compagnia è spesso una nobildonna di rango inferiore. I suoi compiti, ben distinti da quelli della servitù, variano da corte a corte. (Wikipedia)

Bentrovati! Scusate l'enorme (enormissimo) ritardo, ma tra una cosa e l'altra non avevo più trovato il tempo per continuare la ff, e non sapete quanto mi sia dispiaciuto! Ora che finalmente ho un po' di tempo libero ho deciso di riprenderla, sperando che molti di voi continuino a seguire questa storia a cui sono molto affezionata ^^ Non so neanche io come andranno a finire le cose, ma per quel che vale voglio darle una degna conclusione. A presto!

Keepsaker

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Capitolo 8
*** |Don't let it happen ***




>> Capitolo 8 <<
 
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Per una migliore resa del capitolo vi suggerisco di cominciare a far partire questa musica quando vedrete gli asterischi rossi. Quando compariranno nuovamente vorrà dire che la musica non sarà più necessaria ^_^

Buona lettura!
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I raggi del sole vennero nuovamente coperti da una coltre di nubi che preannunciava un bel temporale in arrivo. Quella mattina il tempo era veramente incostante, preda del cambiamento, proprio come le miriadi di sensazioni che il Capitano aveva provato fin dalle prime luci dell’alba. Rabbia, odio, rancore, ma anche curiosità, meraviglia, felicità, malinconia… ammirazione. E ora ciò che aveva nel cuore poteva essere espresso solo con il nome appartenente all’uomo che aveva di fronte.
« Allora… Pensavi davvero di poter tornare senza dirmi niente? » gli domandò l’uomo avvicinando maggiormente la punta della spada al collo di Killian. Quest’ultimo sollevò gli occhi blu al cielo e sorrise nonostante la parte affilata della lama gli stesse sfiorando la barba ruvida sotto il mento.
« Sapevo che lo avresti scoperto. In fin dei conti riesci a ficcare il naso anche dove non dovresti. » lo punzecchiò il Capitano beandosi dell’espressione assassina con cui il biondo lo fulminò. David tirò indietro il braccio e sferrò un fendente contro il volto di Killian che riuscì agilmente a fare un passo indietro evitando così il colpo.
« Sei diventato così meschino da attaccare un uomo disarmato? »
« Per mia sfortuna non credo che ci voglia così poco per toglierti di mezzo. »
Pochi secondi di silenzio seguirono quel travagliato scambio di battute. Subito dopo l’inusuale suono di due risate gutturali riempì quel luogo tetro e gelido, sul cui sfondo si stagliava la tomba in marmo del Comandante Jones. David si apprestò a rinfoderare la spada con un colpo secco del braccio e si avvicinò a Killian posandogli entrambe le mani sulle spalle.
« Mi sei mancato. » gli disse legando il suo sguardo di ghiaccio a quello blu mare del Capitano.
« Anche tu, amico. »
Killian lo guardò, così come aveva guardato il resto delle persone incontrate fino a quel momento. Non seppe descrivere la sensazione, ma era come ritornare bambino e osservare il mondo con occhi diversi, gli occhi di un uomo ferito.
David era un nobile, un conte, proprio come lui. Apparteneva alla rispettata casata dei Nolan, da anni la più vicina alla famiglia Jones. David e Killian si erano visti per la prima volta al palazzo reale durante un ricevimento. I loro sguardi si erano incontrati, ma i loro cuori non avevano saputo cogliere da subito lo stretto legame che li avrebbe ben presto uniti in una solida amicizia. I loro battibecchi erano famosi all’interno della Corte, i pettegolezzi dei nobili arrivarono persino alle orecchie del Re, che trovò divertente l’idea di assumerli a palazzo come valletti personali al servizio del principe August. Fu così che dai 13 ai 15 anni i due bambini passarono le loro giornate nel palazzo avendo così l’opportunità di conoscersi meglio ed instaurare un rapporto di fiducia e allo stesso tempo interagire con la famiglia reale, soprattutto con l’erede al trono. Il loro futuro sembrava ormai scritto, ma durante una visita ad Hearthford Killian assistette all’assassinio di suo padre di fronte ai cancelli della magione. Quell’episodio, insieme alla decisione del fratello di arruolarsi nella marina, gli fece cambiare idea sulla vita a palazzo. Decise di ritornare alla mansione e restarci, e anche David fece lo stesso. Abbandonò il palazzo e restò vicino all’amico durante il suo lutto per offrirgli una spalla su cui piangere.
L’anno successivo accadde qualcosa che gli fece prendere la decisione definitiva. Partì anch’egli per arruolarsi e seguire le orme del fratello lasciando tutto nelle mani della sorella diventata madre da meno di un mese.
Si gettò tutto alle spalle: David, sua madre, i pensieri di corte… Lei.
E’ vero, era scappato, ma ora era nuovamente lì, pronto ad affrontare i problemi, e questa volta a risolverli.
David era un ragazzo dall’aspetto piacevole, alto, capelli biondi e occhi celesti, il classico principe azzurro delle favole che ogni nobildonna sogna di avere al suo fianco.
« Jones sarebbe stato contento di vederti qui. » affermò David voltandosi insieme a Killian verso la tomba alle loro spalle. Il Capitano chiuse gli occhi e inspirò profondamente l’aria gelida di quel mattino.
« Già. »
« Non aveva mai accettato del tutto la tua decisione. Ricordo ancora il vostro brutto litigio quando gliene parlasti durante il suo congedo. »
« Se ti riferisci al pugno me lo sono più che meritato. Ero giovane e usai delle parole poco appropriate. La sua reazione fu più che giustificata. » rispose Killian incrociando le mani dietro la schiena. Entrambi avevano lo sguardo fisso sulla lapide, la mente proiettata verso un passato ormai lontano.
« Ma non mi pento della mia decisione. Mi ha aiutato a cicatrizzare la ferita. »
David si voltò a guardarlo. Sapeva benissimo che non si stava riferendo alla ferita riportata a causa del colpo di suo fratello, ma ad una spirituale, molto più dolorosa.
« L’hai più sentita? » osò chiedergli spostando lo sguardo in alto, verso le fronde della quercia secolare.
« No. » rispose il Capitano con tono piatto. La sua espressione non mutò, ma David ebbe la sensazione che dentro di sé stesse combattendo una guerra che durava ormai da ben dieci anni.

 
 
***



Quel pomeriggio, dopo una pioggerella fine e delicata, uscì finalmente il sole. La giornata sembrava volgere al meglio, i caldi raggi, ora non più nascosti dalle nubi grigiastre, splendevano dall’alto del cielo illuminando la radura piena di fiori. La nevicata del giorno precedente sembrava un ricordo lontano, l’aria gelida di quella mattina aveva lasciato il posto ad un leggero venticello che sfiorava le foglie appassite degli alberi, che al sol tocco si staccavano dai rami volteggiando lentamente verso il suolo.
L’aria era tiepida, riscaldata dal calore del sole che ora brillava lontano dal grigiore infausto delle nuvole temporalesche.
Un pensiero aveva sfiorato Emma non appena aveva scostato le tende della camera della contessa e aveva spalancato le ante della finestra per far entrare quel calore tanto acclamato.
« E’ una bella giornata contessa. Non avete voglia di fare una passeggiata in giardino? » le aveva chiesto la bionda mentre si voltava a guardarla dopo aver aperto la finestra. Cora le aveva riservato un’occhiata severa, sempre seduta sulla sua sedia a dondolo, con una coperta che le copriva le gambe.
« Signora, c’è qualcosa che vi preoccupa? » domandò Emma con un po’ di apprensione. Quella domanda l’aveva perseguitata fin da quando la contessa era entrata nella stanza. Non aveva ancora visto il debole sorriso sulle labbra sottili della signora, il che l’aveva fatta preoccupare non poco.
« Ho forse fatto qualcosa di male? » domandò ancora raggiungendola sul divano.
Cora non riuscì a sostenere a lungo la serietà di cui si era appropriata da quella mattina e che l’aveva tormentata per tutta la notte. La guardò negli occhi e le prese le mani stirando debolmente le labbra in un sorriso.
« Mia cara, non è colpa tua. E’ Killian che mi preoccupa. » affermò abbassando lo sguardo sulle loro mani giunte.
« Mio figlio mi ha mostrato la lettera che avevi inviato a Liam, e che poi lo ha convinto a tornare. »
Emma chiuse gli occhi stringendo forte le palpebre. Abbassò il capo e scivolò verso il basso atterrando sul pavimento con le ginocchia. Posò la fronte sulle gambe della contessa, che le accarezzò subito i lunghi capelli dorati.
« Non so come scusarmi. Non avevo il diritto di fare una cosa del genere, di immischiarmi nelle faccende della tenuta. » affermò Emma con il viso nascosto tra la coperta.
« Oh, mia cara Emma, non c’è nulla di cui ti debba scusare. Se non fosse stato per te non avrei mai rivisto mio figlio. Non posso fare altro che ringraziarti per la devozione che mostri alla nostra nobile famiglia. » disse l’anziana facendole sollevare la testa. Gli occhi di Emma brillavano di una strana luce, un misto tra pentimento e riconoscenza.
« Sono solo preoccupata per lo strano atteggiamento che Killian ha nei tuoi riguardi. Ora che ha scoperto che sei tu la ragazza che ha inviato la lettera ho il timore che le mie paure possano diventare realtà. »
« Prima ci avete sentiti. » affermò la bionda quando finalmente lo comprese.
« Sì, e il suo sguardo e la sua vicinanza non mi sono piaciuti. Non lasciare che accada, Emma. »
La ragazza sollevò le iridi cristalline verso quelle ambrate della sua padrona. Corrugò la fronte e la guardò dubbiosa.
« Accada che cosa? »
Cora prese un profondo respiro e le carezzò la guancia con delicatezza.
« Che si innamori di te. »
Una leggera risata nervosa sfuggì dalle labbra della ragazza.
« Non lo farebbe mai. »
« E perché no? Sei una bellissima ragazza, Emma, ed è evidente che Killian è rimasto molto colpito da te, e tu da lui. »
« Ma no contessa, io non… »
Le parole della bionda vennero subito troncate sul nascere da un gesto della mano dell’anziana che la zittì all’istante.
« Non fa per te, Emma. Killian è un nobile, e quando un nobile brama qualcosa non ci mette molto a prendersela e a farla sua. »
« Con me non ci riuscirà, vedrete. Lo terrò a bada. » affermò la giovane con convinzione, ma Cora scosse la testa mettendo ancora una volta a tacere la ragazza.
« No Emma. Tu non devi tenerlo a bada, devi tenerlo lontano, il più lontano possibile. »
La bionda abbassò nuovamente lo sguardo verso terra sotto gli occhi della sua padrona. Quelle parole facevano dannatamente male, ma raccontavano la verità. Cora aveva ragione. Killian l’aveva colpita, molto, ma tutto ciò non poteva andare avanti. Il suo stato sociale non glielo permetteva, le negava quel sogno che a poco a poco stava cominciando a diventare realtà, una realtà che purtroppo non poteva essere tollerata.
« Lo dico per il bene di entrambi, Emma. Non lasciare che succeda. »


 
***



Il cavallo nero come la notte galoppava veloce portando con sé il ragazzo dai capelli scuri e lo sguardo ceruleo. Dietro di lui altri due cavalli restavano al passo facendo tremare la terra sotto i loro zoccoli.
Improvvisamente Killian arrestò la corsa di Roger mentre gli altri due lo affiancarono fermandosi a loro volta. Il cavallo del color della pece si tirò indietro sollevando leggermente le zampe anteriori e nitrendo sommessamente sollevando il suo cavaliere per poi ritornare con le zampe fisse a terra.
« Neal, cos’è che mi dicevi a proposito di Hearthford? » domandò il Capitano facendo voltare il cavallo per guardare il ragazzo in sella a uno degli altri due destrieri.
« Che molte piantagioni sono incolte, Signore. Inoltre i contadini producono solo ciò che è necessario per sé stessi, non pensando alle riserve di cibo per l’esercito o quelle da mandare al mercato. »
« Beh questo dimostra solo una cosa. » affermò David in sella all’altro cavallo dirigendo lo sguardo verso il conte Jones.
« Mio cognato è un imbecille, ma questa non è una novità. Si sapeva già da tempo. » concluse Killian dando un colpetto al fianco del cavallo. Quest’ultimo partì al galoppo e i due dietro di lui fecero lo stesso.
« Non capisco proprio come tua sorella possa aver sposato un individuo del genere. » urlò David per cercare di sorpassare il rumore degli zoccoli che battevano contro lo sterrato.
« Semplice, si è lasciata abbindolare dalla ricchezza. Un po’ come fanno tutte le donne. »
Appena conclusa la frase i suoi occhi indugiarono su un’ombra che tagliò di netto dei cespugli scomparendo dietro di essi. Era stata veloce, ma era comunque riuscito ad intravedere una folta chioma bionda. Fece rallentare il passo a Roger finché non si trovò ad andare a passo d’uomo.
« Signore, qualcosa non va? » domandò Neal con una strana espressione in volto.
« Precedetemi, io vi raggiungerò tra poco. » li informò cambiando subito direzione e spronando al galoppo il suo destriero.
« Conte, vi prego. Io non lo farei! » urlò Neal che aveva inteso le intenzioni del suo padrone, ma a niente valsero i suoi richiami.
« Che succede? Dove sta andando? » domandò David voltandosi a guardare lo stalliere.
« Si sta cacciando in un brutto pasticcio, ve lo dico io. »


 
***



Smontò da cavallo a pochi metri dalla piccola sorgente cristallina in mezzo alla foresta. Aveva seguito i suoi capelli biondi e il suo meraviglioso portamento, sembrava una farfalla dalle ali dorate che volava tra le fronde degli alberi, bella e delicata quanto irraggiungibile. Inaspettatamente si fermò, smontò da cavallo e si avvicinò alla sorgente d’acqua che creava un’insenatura naturale. Killian era dietro di lei, ma la ragazza non si era accorta della sua presenza. Aveva lasciato Roger qualche metro più indietro per evitare di essere visto. Il Capitano si nascose dietro un cespuglio, si chinò e lasciò che i suoi occhi blu mare osservassero la delicata figura della ragazza che veniva illuminata da quei rari raggi del sole.
Quanto era bella? Sembrava una statua di marmo, un angelo caduto in terra. Killian spostò con la mano le foglie che aveva davanti al viso per poter guardare meglio. Osservò la ragazza che in ginocchio di fronte alla fonte sfiorava con le dita la superficie dell’acqua, la accarezzava delicatamente formando dei cerchi concentrici. La luce che traspirava dagli alberi le illuminava in parte la chioma dorata raccolta in uno chignon e le ciglia, lunghe e folte che le incorniciavano gli occhi smeraldini. Killian si rese conto di star guardando la scena a bocca aperta, assolutamente perso in quel meraviglioso spettacolo di donna.
Emma si rialzò e inaspettatamente si portò le mani alla base della schiena cominciando a slacciare il fiocco che le teneva stretta la gonna. Quest’ultima cadde a terra mentre spostava nuovamente le dita sui lacci intrecciati del bustino bianco che le stringeva il seno. Delicatamente passò le dita tra quei fili ingarbugliati liberandosi anche di quell’impedimento. Il Capitano scivolò a terra mettendosi seduto, deglutì silenziosamente mentre i suoi occhi cominciarono a splendere non appena si posarono sull’incantevole corpo della ragazza, ora avvolto soltanto da una candida camicia bianca semitrasparente. Emma fece un passo avanti, poi un altro. Lentamente si immerse nelle acque della fonte reprimendo una risata divertita a causa del contatto troppo freddo che le fece venire i brividi.
Si portò le mani dietro la testa sfaldando lo chignon. I capelli biondi diventarono una lunga cascata di fili dorati che le solleticò la schiena entrando a contatto con l’acqua. Emma chiuse gli occhi gettandosi l’acqua fredda sul viso e sulle braccia. La candida camicia divenne fradicia e si appiccicò alla pelle non lasciando molto spazio all’immaginazione.
Killian le osservò le gambe, la pancia piatta, i seni prosperosi. Quasi in trance gli sfuggì un sorriso meravigliato, dischiuse le labbra ed inspirò impercettibilmente.
Cos’era il resto del mondo rispetto a ciò che aveva davanti? Che significato aveva? Nulla sembrava più avere senso, se non quella meravigliosa ninfa al centro della sorgente. Il tempo si fermò, il battito del suo cuore accelerò. Si portò una mano sul petto per ascoltare quel palpito che non accennava a diminuire. Da quanto tempo non si sentiva così? Da quanto non provava più una sensazione del genere? Credeva di saperlo, ma a dire il vero non avrebbe potuto paragonarla a quella del passato.
Il nitrito di Roger pose fine a quell’atmosfera perfetta. Killian si voltò di scatto verso il suo cavallo che aveva scelto il momento peggiore per attirare la sua attenzione. Sapendo che non sarebbe valso a nulla si mise comunque un dito davanti alla bocca intimando all’animale di fare silenzio. Ridacchiò divertito cercando di non farsi sentire, ma la voce della ragazza lo colpì dritto al cuore.
« Neal? Sei tu? » urlò la giovane in preda alla rabbia stringendosi le mani intorno ai seni. Killian si voltò e la vide nascondersi frettolosamente dietro un enorme masso ai piedi della sorgente.
« Ti ammazzo, Neal! Ti ho detto mille volte di non seguirmi! » urlò ancora una volta furibonda la ragazza.
Il Capitano strisciò verso il suo cavallo e con un salto ritornò in sella. Lo spronò subito al galoppo e quando l’animale ebbe eseguito l’ordine si lasciò alle spalle la sorgente d’acqua insieme a quella furibonda ma meravigliosa creatura.


 
***



Il suono dello schiaffo riecheggiò nella scuderia facendo spaventare i cavalli.
« Emma! Ma sei matta? Che diavolo ti è preso?! » urlò Neal portandosi il palmo sulla guancia rossa e dolorante.
« Adesso non cercare scuse Neal, dovresti solo vergognarti! » urlò a sua volta Emma con ancora la mano ferma a mezz’aria. Aveva i capelli fradici, così come i vestiti. Se li era rimessi addosso in fretta e furia ed era subito tornata alla mansione, ricolma di rabbia. Si voltò furente avviandosi verso l’uscita della scuderia ma lo stalliere la bloccò afferrandola per un braccio.
« Aspetta, aspetta. Parliamone. » disse cercando di arrivare ad un compromesso con la bionda.
« Di cosa vuoi parlare? Non è la prima volta che mi segui nel bosco, ma non avrei mai immaginato che potessi arrivare persino a spiarmi! » affermò la ragazza cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
« Emma adesso calmati, non sono stato io. »
Quelle parole furono in grado di placare la ragazza che smise subito di muoversi.
« Era il Conte, l’ho visto con i miei occhi mentre ti seguiva nella foresta. »
Emma rimase pietrificata. Spalancò gli occhi e le pupille divennero quasi due punti impercettibili a causa della sorpresa.
« Killian? » domandò incredula.
Neal la lasciò andare e confermò con un movimento del capo.
« No, non è possibile. » disse Emma chiudendo gli occhi.
Nella sua mente riecheggiarono le parole della contessa, e mai come allora il suo avvertimento le sembrò più vero.
Non lasciare che accada.
« Non posso permettere che succeda. » affermò la ragazza allontanandosi da un Neal alquanto senza parole.
« Emma, ti senti bene? » domandò l’uomo preoccupato cercando di sfiorarle una guancia, ma la bionda evitò gentilmente quel contatto.
« Sì, non preoccuparti. Mi dispiace per lo schiaffo Neal, perdonami. »
Lo stalliere non fece in tempo a rispondere che la ragazza era già sparita.





Angolo Autrice
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Bentrovati con il nuovo capitolo! Finalmente fa la sua comparsa David e non potevo fare altro che renderlo uno dei migliori amici di Killian. Adoro il rapporto che hanno nella serie, soprattutto nelle ultimi stagioni in cui si sono avvicinati veramente tanto. Cora ha paura di quel che potrà succedere se il suo adorato figlio si innamorasse di una serva, puo' darsi che la sua famiglia possa cadere in rovina come è successo per Robin a causa del suo amore per Marian? Di certo non mancheranno gli ostacoli, soffro io stessa a creare così tanto angst per la mia otp ç_ç
Spero vi sia piaciuta la scena della fonte, personalmente adoro quella musica e per me ha reso la scena ancora più magica e piena di significato, e poi... Killian guardone x'D Ho intenzione di riprendere le scene più belle della serie tv Elisa di Rivombrosa ed adattarle per Emma e Killian, e questa era fra quelle ^^
Come sempre ringrazio tutti quelli che commentano e che seguono la mia storia. Ci risentiamo al prossimo capitolo!

Keepsaker

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Capitolo 9
*** |Breathless ***






>> Capitolo 9 <<


 
Il salotto della tenuta era immenso, costituito da due enormi sale che erano state unificate e che si affacciavano sulla fontana circolare del parco. Il tavolino al centro della stanza era in legno di quercia massiccio, le tende alle finestre di un delicato rosa pallido che ricordava le camelie che in primavera riempivano il giardino. Le pareti erano rivestite con della carta da parati color nocciola e il lampadario di cristallo pendeva sulle teste di coloro che si accomodavano sul divano di pelle a sorseggiare il tè del pomeriggio, mentre un leggero pulviscolo svolazzava nell’aria posandosi sui diversi quadri affissi alle pareti raffiguranti volti appartenenti alla casata dei Jones.
Emma entrò nella stanza proprio nel momento in cui Regina stava dando sfogo alle pene che la tormentavano in un modo alquanto rumoroso.
« E’ inaccettabile che in questa casa la servitù non compia in modo adeguato il suo dovere. Guardate qui. » asserì passando un dito sul tavolino e sollevandolo per mostrarlo ad Ashley e Tamara.
« Vi sembra che sia una condizione rispettabile per la casa di un nobile? Ci saranno almeno due dita di polvere. Mi allontano per un po’ e abbassano tutti la guardia. »
Gli sguardi delle due cameriere fecero voltare d’istinto la contessa che si ritrovò dinanzi allo sguardo sconcertato e ancora scosso della bionda per quello che era appena venuta a sapere da Neal. Subito un ghigno malevolo ridisegnò le labbra tinte di rosso della nobildonna.
« Oh, proprio te cercavo. Avvicinati. »
Emma ubbidì evitando accuratamente di guardarla negli occhi.
« Mi hanno riferito che durante la mia assenza hai creato del trambusto nelle cucine. Oltretutto mi è arrivato all’orecchio uno strano pettegolezzo riguardo mio fratello. Bada bene Swan, questo è il mio ultimo avvertimento. O ti comporti adeguatamente o sarò estremamente felice di sbatterti fuori una volta per tutte, con o senza il consenso di mia madre. »
La bionda sollevò finalmente lo sguardo e la sua furia travolse la ragazza mora alle spalle di Regina che ridacchiava osservandola in modo truce.
« Non è così contessa! Tamara… »
« Silenzio, ne ho abbastanza delle tue scuse. Se hai così tanto tempo da perdere usalo per dedicarti alle cure di mia madre invece di andare in giro a fare chissà cosa. Abbiamo una festa da organizzare. »
La bionda lasciò perdere per un momento i pensieri omicidi rivolti a Tamara per concentrarsi sulle ultime parole pronunciate dalla nobile. Si voltò per seguire la figura della donna oltre la porta che si richiuse teatralmente con un tonfo. Ashley non disse una parola, sospirò sommessamente e uscì dalla parte opposta seguita a ruota da Tamara. Emma rimase così sola con i suoi pensieri.
« Quale festa? »
 
***
 
« Una festa? »
Fu la domanda che il giovane Killian pose a sua madre una volta che quest’ultima dal suo letto gli ebbe dato quell’inaspettata notizia.
« Sì figliolo, per il tuo ritorno. »
« Non ho bisogno di nessuna festa. » affermò il conte ridacchiando in modo alquanto irritato.
« Il conte Killian Jones torna a casa dopo 10 anni. La corte si aspetta una serata in tuo onore, e di certo noi non gli negheremo questo piacere. » rispose Cora osservando il figlio dalle lenti appannate dei suoi occhiali da lettura.
« Anche se al Conte Killian Jones queste serate di futili chiacchiere annoiano a morte? »
« Oh, suvvia Killian. La servitù si è già messa all’opera e questa sera le più alte cariche dello stato ci faranno l’onore di venire a festeggiare il tuo ritorno. Ho già preparato una lista degli invitati. »
La donna si diede una leggera spinta in avanti per poter sollevare la schiena. Aprì uno dei cassetti del comodino di fianco al letto e ne tirò fuori un piccolo foglio ripiegato su sé stesso che consegnò nelle mani di suo figlio. In un modo alquanto riluttante e seccato Killian lo aprì cominciando a leggere il primo nome della lista.
« Marchese Leopold Blanchard…. Ma sua moglie non si chiamava Eva? Qui c’è scritto Mary Margaret. » chiese il conte aggrottando le sopracciglia scure.
« Sua moglie è morta 5 anni fa, Killian. Quelle sulla lista sono le sue due figlie, Ruby e Mary Margaret. Due ragazze davvero molto graziose. »
« Oh. Sono cambiate un po’ di cose da quando sono partito. » affermò il ragazzo ripensando agli anni trascorsi. Continuò a leggere tenendo il foglio ben stretto nella mano destra.
« Conte David Nolan, Governatore Artù Pendragon e… »
Il nome successivo gli morì in gola. Sgranò gli occhi e strinse il foglio talmente forte da accartocciarlo. Sollevò il viso puntando gli occhi sbarrati in quelli quieti di sua madre e prese un profondo respiro per cercare di rimanere calmo e non aggravare troppo il tono della sua voce.
« Madre, qui c’è scritto… Marchesa Milah-Gold. »
Calcò il nome completo con più enfasi del dovuto. Gli sfuggì un brivido mentre restituiva il foglio accartocciato alla donna distesa nel letto. La contessa riaprì nuovamente il foglio e scorse i nomi inchiostrati fin quando anch’ella lesse il titolo e il nome della donna appena citata.
« Esatto Killian. Il Consigliere del Re, il Marchese Gold, e sua moglie, la Marchesa Milah. »
« Vi rinfresco la memoria madre. Quella donna… »
« Quella donna è la moglie del Consigliere del Re, Killian. Non ha più niente a che fare con te. » affermò Cora assumendo un’aria rispettabile e severa, degna del titolo che portava.
« Oh sì invece, quella donna mi ha rovinato la vita. E’ per colpa sua che me ne sono andato, che ho abbandonato voi e la tenuta per arruolarmi nella marina. Mi ha tradito, ha scelto il titolo e i soldi del Consigliere invece del mio amore per lei. »
L’enfasi rabbiosa con cui pronunciò quelle parole lo fecero alzare di scatto dalla seggiola in pelle su cui era seduto. Indicò il foglio che la madre teneva in mano mentre digrignava i denti e riduceva gli occhi a due fessure cerulee.
« Eravamo promessi, madre. Lei mi ha tenuto nascosto il fatto che si vedesse con il Consigliere, e se c’è una cosa che non sopporto è la slealtà. Mi ha mentito e si è presa gioco di me, e io dovrei ricambiare invitandola gentilmente alla festa per il mio ritorno? Non scherziamo! » concluse furibondo esplodendo sulle ultime parole, ringhiando con il tono graffiante della sua voce. Diede le spalle alla donna e si mise le mani sui fianchi guardando verso l’alto, indurendo i muscoli della mascella.
« Killian, pensavo che dopo tutto questo tempo l’avessi dimenticata. »
« Non prendetevi gioco di me, madre. Non sono un ragazzino che ha a che fare con la sua prima cotta. »
« Beh, sfortunatamente per te è ora di tornare ad esserlo. Milah si è fatta una vita, è la moglie del Consigliere del Re, e ci farà l’onore di partecipare alla tua festa… che ti piaccia o meno. »
Killian chiuse gli occhi inspirando profondamente. Il suo torace si gonfiò riempiendo la camicia nera di seta che gli sfiorava i pettorali. Rilasciò quell’aria a lungo repressa e sollevò nuovamente le palpebre. Non si voltò, dischiuse le labbra passando la punta della lingua sull’estremità del suo canino superiore.
« Come desiderate, madre. »
 
***


« Emma! »
Il richiamo del bambino arrivò alle orecchie della bionda che si trovava sul retro del cortile a stendere la biancheria.
« Henry! » rispose subito la ragazza una volta che si fu girata ed ebbe visto il ragazzino correrle incontro.
« Cosa ci fai qui? Sai che tua madre non vuole che vieni a trovarmi. » gli disse inginocchiandosi per poterlo guardare direttamente negli occhi.
« Sì, ma si è distratta e sono riuscito a sgattaiolare via. »
La bionda ridacchiò e gli passò una mano sul capo per accarezzargli i folti capelli castani. L’aveva visto per la prima volta 5 anni prima, un bambino energico ma allo stesso tempo timido e riservato. Non aveva amici, a parte lei e Neal, ma per un nobile avere come unica compagnia i membri della servitù non era di certo un vantaggio. Emma gli doveva tutto, doveva tutto a quel bambino che un giorno come tanti era passato di fronte alla locanda in cui lavorava, accompagnato da sua madre. Lei era lì, intenta a pulire ciò che i clienti avevano lasciato la sera prima. I loro occhi si erano incrociati, i suoi e quelli di Henry. Bastò quell’attimo a cambiare completamente la sua vita. Il bambino ritornò a casa e corse subito dalla nonna per fare quella richiesta che l’avrebbe portata via da un sentiero pieno di oscurità, una vita all’insegna del dolore e dell’umiliazione.
“Voglio che quella signorina venga a stare da noi.”
Il giorno successivo Neal era venuta a prenderla a cavallo e aveva pagato profumatamente i suoi servigi, così come richiesto da Cora. Il padrone della locanda, un tale di nome Isaac, era stato del tutto favorevole nel consegnare Emma alla tenuta di Hearthford in cambio di quel ricco bottino.
Nessuno seppe mai che fu Henry la causa di tutto, neanche sua madre. Fu un’esplicita richiesta del bambino, troppo spaventato all’idea che Regina potesse punirlo per essersi mischiato in certi affari. Emma vinse subito il cuore di Cora, ma non poté dire lo stesso di Regina. Quella donna l’aveva odiata non appena aveva messo piede in casa, e il suo odio veniva costantemente alimentato dalle continue lusinghe che riceveva dal marchese Malcolm a causa della sua bellezza.
« Hai sentito della festa di questa sera? Neal è già partito per consegnare gli inviti. Credo che ci saranno proprio tutti. Tu parteciperai, vero? » domandò il bambino con gli occhi pieni di aspettativa. Emma perse subito il sorriso. Come poteva dirgli che una serva non avrebbe mai potuto partecipare a questi incontri dediti esclusivamente ai nobili?
« Vedi Henry, io… »
« Certo che ci sarà. »
La voce cupa di Regina le impedì di concludere la frase. La bionda si tirò su voltandosi in preda alla sorpresa. Vide la contessa in piedi di fronte a lei, fasciata da un bellissimo abito viola che le metteva in risalto i seni.
« Contessa, cosa… » cercò di dire Emma, ma ancora una volta la ragazza venne messa a tacere.
« Mia madre ha voluto onorarti con un titolo che non hai diritto di portare, ma ricorda che sei anche, e soprattutto, un membro della servitù. Durante la festa terrai d’occhio Henry visto che mia madre non avrà bisogno dei tuoi servigi. Ci siamo intese? » domandò la donna avvicinandosi minacciosamente alla ragazza. Emma la guardò e piegò la testa verso il basso per darle la sua conferma mentre Regina spostava lo sguardo su suo figlio.
« E tu Henry… quante volte ti ho detto di non venire in questo postaccio? Il tuo posto è di sopra, insieme ai nobili. »
La donna lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé su per le scale, ma prima di lasciare il cortile si voltò nuovamente verso la ragazza bionda che se ne stava immobile di fronte al cesto della biancheria.
« Trovati un vestito decente e legati quei capelli. Qui non siamo di certo alla locanda, signorina Swan. »
 

***
 
Era pomeriggio inoltrato e di lì a poco i preparativi per la festa si sarebbero conclusi e gli ospiti avrebbero cominciato ad arrivare.
Emma era andata in città su ordine di Granny per comprare gli ingredienti necessari a preparare il piatto tipico della casata Jones: un po’ di pesce e tanta zuppa. Il porto non era lontano, ma la ragazza ci aveva impiegato un po’ visto che il suo amore per le passeggiate non era di certo scomparso in una sola notte. Mentre percorreva la strada per il ritorno decise di fermarsi a casa dei Locksley a salutare Marian. Era una bella occasione per rincontrarla e scambiare due chiacchiere, perciò aumentò il passo per evitare di perdere altro tempo.
La casetta al limitare della brughiera era sempre circondata da una strana atmosfera. Gli alberi che la sovrastano creavano delle ombre sul vialetto sterrato e le foglie cadute davano vita a un tappeto naturale, giallo e scricchiolante.
Emma si guardò intorno. Scorse la sua amica seduta su una roccia che regalava una stupenda vista di tutta Hearthford, compresa la tenuta che da quell’angolazione dava l’aria di essere un castello fatato delle fiabe.
« Ciao Marian. » la salutò la ragazza cogliendola di sorpresa.
« Sei tu Emma, non ti aspettavo. » rispose la mora regalandole subito dopo un sorriso sincero. La bionda si accomodò vicino a lei posando a terra il cestino in cui aveva riposto il pesce.
« Qualcosa non va? » le domandò Emma osservandola bene in viso. Aveva un’aria strana e sul suo volto vi erano impresse delle occhiaie ben evidenti.
« No, sono solo stanca, tutto qui. »
Vi fu un breve momento di silenzio. Le due amiche volsero entrambe lo sguardo verso l’orizzonte beandosi della vista del sole che stava per scomparire oltre le montagne.
« La tenuta sembra così luminosa questa sera. » affermò la mora continuando a guardare il palazzo illuminato.
« Ci sarà una festa in onore del conte Killian. Sembra che accorreranno tutti per dargli il bentornato. »
Un altro momento di silenzio. Le parole pronunciate da Emma vagarono a lungo nella mente della sua amica, che all’ultimo momento voltò la testa verso di lei mostrando un sorriso tirato.
« Ho sentito del suo ritorno. Come ti è sembrato? »
La bionda ebbe un attimo di esitazione e per un momento i suoi occhi raggiunsero la terra erbosa ai suoi piedi.
« Non credo ci siano parole per poterlo descrivere. » affermò giocherellando con un ramoscello d’erba, gli occhi sempre fissi al suolo.
« E’ bello, molto bello. Gentile e di buon cuore. Certo se non avesse il vizio di spiare… »
Avrebbe voluto dire di più, molto di più, ma si fermò appena la mora le sfiorò il braccio con la mano.
« Emma, guardami. »
La bionda fece come l’amica le aveva detto e tornò a guardarla negli occhi. Subito vi lesse un gran turbamento, una paura a cui non seppe trovare una spiegazione.
« Ti sei innamorata. »
Non era una domanda, ma un’affermazione. Marian guardò la bionda con gli occhi pieni di terrore e quest’ultima ruppe di nuovo il contatto visivo alzandosi in piedi.
« Cosa? Ma no, certo che no! Io… »
« Hai una strana luce negli occhi, Emma. E purtroppo riesco a riconoscerla. E’ la stessa che avevo io quando ho incontrato Robin. »
Emma non seppe cosa dire. Cercò in tutti i modi di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa che avrebbe potuto convincere la sua amica del contrario, ma lei stessa non sapeva trovare delle buone argomentazioni.
« Ascolta Marian, non è come sembra. Certo non posso dire che il conte non mi abbia colpito, ma da qui ad innamorarmi di lui ce ne passa. »
La mora le afferrò subito le mani. I suoi occhi lucidi riflettevano la paura che quella donna portava con sé, in ogni istante.
« Ed è proprio questo che devi continuare a ripeterti. Non fare il mio stesso errore Emma, o non te lo perdonerai per il resto della vita. »
 

***
 
Il sole era calato e la sera aveva portato una ventata d’aria gelida. Tutt’intorno alla tenuta erano stati piazzati dei lumi che rischiaravano il percorso verso l’entrata del palazzo, guidando i nobili che si facevano strada tra gli alberi autunnali del giardino. All’interno tutto era addobbato per la festa: fiori freschi, tavole imbandite di leccornie e gente in ogni dove, candele agli angoli delle finestre, lampadari di cristallo che brillavano come stelle cadenti. Il salone principale era sgombro e la pista da ballo comprendeva un’orchestra composta da sette uomini che tenevano in mano violini, violoncelli e un’arpa dorata che allietava il pubblico con le sue dolci note unita alla musica di un bellissimo pianoforte.
Killian vagava lungo la sala nel suo abito per la festa. Un panciotto nero che gli stringeva i pettorali, sotto di esso una camicia bianca con il colletto alto, pantaloni neri e stivali lunghi di pelle dello stesso colore. Sopra portava un soprabito di stoffa pregiata color marrone-oro, lungo fin sotto le ginocchia e che terminava con delle pieghe sulla parte posteriore, non abbottonato sul davanti nonostante fossero presenti dei bottoni dorati e delle fibbie nere di cuoio. Il colletto del soprabito era alto, nero e gli avvolgeva il retro del collo, mentre le maniche strette finivano con un risvolto nero su cui erano cuciti altri bottoni. Da queste maniche si intravedeva un po’ la camicia bianca che copriva leggermente i guanti di pelle, per la prima volta indossati su entrambe le mani.
Per quasi tutta la prima parte della serata il ragazzo non fece altro che accogliere gli ospiti, scambiare parole di cortesia e ricevere occhiate ammalianti da parte della maggior parte delle dame presenti alla festa. Sua madre era seduta su una poltrona sfarzosa preparata appositamente per lei, affiancata da sua figlia Regina e il marito, che non perdeva tempo di fare qualche complimento scadente alle dame che si avvicinavano per rendere i loro omaggi al conte e alla contessa. Dopo aver sopportato l’ennesimo sproloquio da parte di un marchese Killian riuscì a congedarsi per andare a ricevere David che aveva appena fatto il suo ingresso nella sala. Dopo aver salutato Regina e Cora il biondo incrociò lo sguardo con il capitano e gli andò subito incontro.
« Allora, ti stai divertendo? » gli domandò reprimendo una risata sarcastica.
« Non me ne parlare. Se potessi prenderei il mio cavallo e galopperei fino all’altra parte del mondo. » rispose il moro tra i denti mentre rifilava l’ennesimo sorriso forzato ad una coppia di conti appena arrivata.
« Oh andiamo, non può essere così male. E poi devo presentarti una persona. » disse David insinuando in Killian una certa curiosità. Il moro seguì lo sguardo del suo amico che sembrava essersi incantato non appena un signore anziano aveva varcato la porta, seguito a ruota da due ragazze che, doveva ammettere, erano davvero molto graziose. La prima aveva i capelli neri come l’ebano e una pelle bianca come la neve. I suoi occhi celesti vagarono per la sala fin quando non incrociò lo sguardo del ragazzo biondo al suo fianco. Il suo corpo snello era avvolto in un abito lungo, bianco e candido come la sua pelle. La seconda ragazza aveva i capelli castani e occhi verdi splendenti. Il suo abito rosso sangue metteva in risalto le sue forme e si coordinava con le labbra tinte dello stesso colore. Di certo la sua presenza non passava inosservata, soprattutto per la generosa scollatura sul davanti. La maggior parte degli uomini della sala si voltò a fissarla, mentre lei sembrava assolutamente indifferente a tutti quegli sguardi.
« Quale delle due? » domandò Killian avendo già capito a cosa si stesse riferendo il suo amico.
« Che domande… la più bella. » affermò David visibilmente offeso da quella domanda.
Killian le osservò entrambe, ma i suoi dubbi vennero fugati solo quando il suo amico afferrò con delicatezza la mano che la ragazza con il vestito bianco gli aveva porto.
« Killian, ti presento la marchesa Mary Margaret Blanchard. »
Il capitano le sorrise e le prese la mano, si chinò e gliela sfiorò leggermente con le labbra.
« E’ un onore conoscervi. » le disse rimanendo abbagliato dal sorriso della giovane.
« Bentornato conte. David non ha fatto altro che parlarmi di voi durante la vostra assenza. »
« Spero mi abbia dipinto come un ragazzo allegro e virtuoso. » disse conquistandosi l’ennesima risata cristallina da parte della ragazza.
« Non ha usato proprio questi termini, ma potete stare tranquillo. Siete proprio come vi ha descritto. »
« Lo prenderò come un complimento. » affermò rivolgendosi anche a David che lo stava fissando con il sorriso sotto i baffi.
« Killian, vorrei presentarti anche la sorella di Mary Margaret, Ruby. » aggiunse David indicando la ragazza che si stava facendo strada tra la folla per raggiungerlo.
« Onorato. » affermò Killian prendendo la mano che la ragazza gli stava porgendo.
« L’onore è mio, conte. Finalmente siete tornato, ed era anche ora che qualcuno organizzasse un ricevimento come si deve. Di questo periodo ci si annoia a morte. »
Dopo aver pronunciato quelle parole la ragazza gli sorrise e si allontanò per avvicinarsi al buffet con già tre ragazzi alle calcagna che non le avevano tolto gli occhi di dosso, compreso il marchese Malcolm.
« Vi prego di scusarla. Ruby è fatta così, non pensa prima di aprire bocca. » affermò Mary Margaret sollevando gli occhi al cielo.
« Non vi preoccupate. Non sarò di certo io a giudicarla. » rispose Killian guadagnandosi un’occhiata di gratitudine da parte della mora. Quest’ultima si allontanò per raggiungere il padre, proprio mentre la sala si acquietava per ricevere gli ospiti più graditi di quella serata.
Killian sollevò lo sguardo, e dopo ben 10 anni poté nuovamente ammirare gli occhi celesti di quella donna. Era sempre bellissima, di una grazia e una femminilità fuori dal comune. I capelli neri corvini erano legati in uno chignon di trecce da cui pendevano alcuni riccioli che le sfioravano le guance rosate. Lo sguardo del capitano vagò sulla sua bocca, bella come una rosa, poi si spostò sul collo snello, sul corpetto bianco e rosa che le stringeva i seni. La gonna era una ruota dalla fantasia fiorata, in coordinato con il ventaglio che teneva delicatamente tra le dita lunghe e bianche.
Non capiva cosa stesse provando in quel momento. Da una parte era furibondo, la sola vista di quella donna gli aveva mandato in fiamme il cervello, dall’altra sentiva uno strano calore all’altezza del petto. La odiava, la odiava con tutte le sue forze, ma non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
Al suo fianco c’era un uomo di mezza età che di certo non brillava per il suo aspetto. Il suo viso era marcato da qualche ruga dell’età, aveva i capelli lunghi e castani con qualche tocco di grigio e si reggeva in piedi grazie all’aiuto di un bastone da passeggio. Nonostante tutto, il suo modo di vestire era impeccabile. Indossava un panciotto, una camicia e dei pantaloni di una fattura a dir poco ottima e dal taglio elegante, tutto rigorosamente di colore nero. La folla si aprì per lasciarli passare, intimidita più che altro dall’uomo con il bastone.
« Mia cara contessa, avete un aspetto incantevole. » affermò l’uomo fermandosi di fronte alla poltrona sulla quale era seduta Cora. Non accennò alcun inchino, così come la donna al suo fianco.
« Consigliere Gold, è un onore poter ospitare voi e vostra moglie Milah nella mia umile casa. Vi ringrazio per aver accettato l’invito. » affermò Cora piegando rispettosamente il capo in avanti.
« L’onore è mio, contessa. Non potevo che presenziare a questo delizioso ricevimento per offrire il mio bentornato al qui presente Killian Jones. »
Gold si voltò verso l’oggetto delle sue parole. Incontrò gli occhi celesti del ragazzo, che però stavano guardando altrove. Quando voltò il capo verso sua moglie si rese conto che stava ricambiando lo sguardo penetrante del giovane. Nei suoi occhi vide per la prima volta una luce, un bagliore che le stava illuminando la carnagione pallida.
« Vi ringrazio Consigliere. Do il benvenuto a voi e alla vostra incantevole moglie. »
Non ci fu esitazione nelle sue parole. Né un fremito, un sussurro o un accenno di estasi. Sentiva solo il desiderio di sfiorarle la mano, e così fece. Allungò il braccio e afferrò delicatamente la mano della donna che nel frattempo l’aveva sollevata. Quel contatto restituì un brivido ad entrambi, ancora più forte quando le labbra del giovane toccarono il dorso della mano di Milah sotto lo sguardo vigile di Gold e del resto della sala, che nel frattempo sembrava aver perso l’uso della parola.
« E’ un onore avervi qui. »
Milah trafisse gli occhi del giovane, e in quelli di lei il capitano vi lesse qualcosa di inaspettato. Era forse desiderio? Le loro mani erano ancora l’una sull’altra, incapaci di separarsi.
Killian ritornò ben presto alla realtà. Non doveva farsi soggiogare da quella strega ammaliatrice. Le lasciò la mano e arretrò di un passo concentrando la sua attenzione sul consigliere Gold.
« Godetevi la serata. » affermò mentre si allontanava dai suoi illustri ospiti sotto lo sguardo vigile di Milah.
Le sue gambe lo portarono automaticamente sulla terrazza, forse perché sentiva il bisogno insistente di aria fresca. Non riusciva a respirare. Il panciotto sembrava essere diventato più stretto e la morsa che percepiva sul collo non aveva intenzione di allentarsi. Si avvicinò alla balaustra e vi posò sopra le mani stringendo forte le palpebre.
Una risata cristallina lo fece sussultare e voltare di scatto. In piedi di fronte a lui vi era una bellissima dama dai capelli biondi raccolti in un elaborato chignon e con indosso un sofisticato vestito rosso ciliegia dalle maniche strette che le fasciavano le braccia esili. La ragazza si voltò e il suo sorriso si spense non appena incrociò gli occhi raggelanti del ragazzo che se ne stava in piedi a fissarla.
« Conte. » disse in un sussurro.
« Emma. » la chiamò lui continuando ad ammirare quella creatura meravigliosa.
« Cosa fate qui. L’aria della sera è gelida in questo periodo. » le domandò il capitano con il fiato corto.
« Io… ero venuta qui con Henry per prendere una boccata d’aria. »
Il ragazzino fece capolino da dietro l’enorme gonna di Emma e osservò suo zio avvicinarsi lentamente a loro con uno strano sguardo negli occhi.
« Zio, vi sentite bene? » domandò il bambino aggrappandosi alla gonna della bionda.
Killian si fermò di fronte al volto di Emma. La ragazza poteva sentire il suo respiro sfiorarle le guance, la punta del naso ghiacciata che premeva dolcemente contro la sua. Rimase immobile, smettendo perfino di respirare.
« Sì, adesso sì. »

 

 

Angolo Autrice
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Ecco il fatidico incontro con la ex, Milah! Mi sono divertita a scambiare i ruoli rispetto alla serie. Qui è Killian ad essere lasciato per Gold, e non il contrario. Un po' strano in effetti, ma i soldi si sa sono allettanti quindi tutto è possibile xD In Elisa di Rivombrosa ho adorato la scena del ballo quindi spero che nel prossimo capitolo piacerà anche a voi ^^ A presto!

Keepsake

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Capitolo 10
*** |Friends forever ***




>> Capitolo 10 <<

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Per una migliore resa del capitolo vi suggerisco di far partire la musica indicata quando compaiono gli asterischi rossi.
Quando li vedrete nuovamente vorrà dire che la musica non sarà più necessaria.

Buona lettura ^-^
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Emma si staccò da lui posandogli una mano sul petto e arretrando di un passo. Aveva gli occhi chini a terra mentre quelli del conte continuavano a fissarle le lunghe ciglia scure. La bionda stava per recidere completamente il contatto, ma il giovane glielo impedì. Le afferrò nuovamente la mano e se la posò sul petto.
« Avete freddo. » le sussurrò il capitano con voce roca intensificando la stretta.
« N-No… sto bene. » rispose la bionda continuando ad evitare di alzare lo sguardo.
« Volete ballare con me? »
Emma finalmente tirò su il capo, di scatto. Lo guardò negli occhi leggendovi una gentilezza e una premura senza precedenti.
« Cosa? »
« Ballate con me. »
Non più una richiesta, ma un’affermazione.
Killian le lasciò delicatamente la mano e arretrò per poterla ammirare in tutto il suo splendore. Mise la mano destra dietro la schiena e l’altra la tenne sospesa a mezz’aria con il palmo rivolto verso l’alto, a pochi centimetri dal petto della ragazza. Un invito muto, silenzioso. Non aveva bisogno di parole dato che i suoi occhi cerulei stavano parlando per lui.
Ballate con me.
Il moro non aveva aperto bocca, ma la bionda continuava ad udire quella richiesta, impressa a fuoco nello sguardo del giovane, e prima di rendersene conto aveva già allungato la mano per afferrare quell’appoggio tanto rassicurante. Killian le sorrise, un sorriso che l’abbagliò.
« Permetti Henry? » domandò il moro rivolgendosi al nipote che li guardava estasiato.
« Certo zio. » rispose il ragazzino liberando loro il passo verso la portafinestra che dava sulla sala da ballo.



 
***
 
 
Emma continuò a fissarlo mentre le note di una dolce melodia si disperdevano nell’aria. La coppia fece il suo ingresso tra gli sguardi sorpresi e confusi della gente. Killian guidò la sua dama verso il centro della sala da ballo in mezzo a tutte le altre coppie che avevano rallentato per poter osservare quell’insolita scena. Il volto di Milah impallidì, il suo sguardo si soffermò sulla mano di lui che teneva quella della ragazza in un modo talmente delicato da credere che fosse fatta di porcellana. Il capitano fece fare un mezzo giro alla sua dama attirandola poi verso di sé, le circondò la vita con l’altro braccio e le posò la mano sul fianco. Emma si fece trasportare da lui, completamente rapita dai suoi occhi che non l’avevano ancora abbandonata da quando gli aveva preso la mano.
Killian cominciò a muoversi insieme ad Emma compiendo un mezzo giro verso sinistra, un passo in avanti e poi ancora verso destra. La gonna rossa della ragazza cominciò a volteggiare aprendosi in tutto il suo splendore, sfiorando le mattonelle del pavimento. Killian la guidò in quella danza delicata, un lento fatto di note alte, corde vibranti e tremolii. Il moro continuava a guardare gli occhi verdi della ragazza che a sua volta erano persi nei suoi, un mare calmo e cristallino. Nessuna tempesta all’orizzonte.
Fecero un giro completo sorridendosi. Emma si aggrappò intensificando la stretta sulla spalla del suo cavaliere, le loro teste si avvicinarono e la ragazza poté udire il dolce profumo del conte che le inebriò le narici. Ora che era così vicina notò la cicatrice sulla sua guancia destra, il ciondolo che teneva legato al collo e l’anello che portava al dito, dettagli su cui non si era mai soffermata.
Continuarono a danzare sulle note di quella dolce melodia con tutti gli sguardi puntati addosso. Le coppie ricominciarono a muoversi in circolo tenendo sempre gli occhi fissi sulla dama cremisi e il suo cavaliere. Ad Emma parve di vivere un sogno. Si sentiva una principessa delle favole, trasportata nel mondo che aveva sempre sognato fin da bambina.
Colui che la stringeva a sé le regalò un sorriso, e lei contraccambiò. In quel momento non le importava di cosa avrebbe pensato la gente, di cosa sarebbe successo in futuro. Ci avrebbe pensato quando la musica sarebbe finita, ora voleva soltanto godersi quel momento, fluttuare tra le braccia di Killian e non pensare a quelle fatidiche parole.
Non lasciare che succeda.
E lei stava lasciando che accadesse. Era completamente rapita, distante dallo sguardo angosciato di Cora, da quelli sconcertati e assassini di Milah e Regina, perfino da quello gioioso di Henry. L’unica cosa davvero importante era il suo sguardo, quello dell’uomo che aveva di fronte. Di Killian. Non più Conte, o Signore. In quel momento era semplicemente Killian, l’uomo che le stava rubando il cuore.
Il suo cavaliere sollevò il braccio facendole fare un giro su sé stessa. Il vestito rosso seguì il movimento del suo corpo e volteggiò insieme a lei. Sembrava una rosa appena sbocciata, e il suo sorriso la rese ancora più bella. Il capitano le si avvicinò nuovamente afferrandola per la vita. La strinse a sé e abbassò il capo per sfiorarle la fronte con la propria.
Pochi metri più in là Ashley stava servendo da bere. Si bloccò come tutti gli altri nel vedere la sua amica danzare con il padrone di casa. Li osservò entrambi con gli occhi sgranati, chiedendosi se Emma fosse del tutto impazzita, o se lo fossero entrambi. Dietro di lei Tamara per la sorpresa si lasciò sfuggire un bicchiere di cristallo che finì in frantumi sul pavimento. Si beccò la ramanzina di un nobile al suo fianco, ma tutto ciò a cui riusciva a prestare attenzione era quella sgualdrina che ballava con il conte. Voltò la testa verso un angolo della sala e lì, nell’ombra, lo vide. Neal stava osservando la scena da dietro il drappo rosso di una tenda, il suo sguardo era indecifrabile a causa del buio che gli oscurava il volto, ma Tamara poté giurare di aver visto la bocca del ragazzo spalancarsi.
La musica stava volgendo al termine. Le ultime note risuonarono nella sala rincorrendosi l’una con l’altra, svanendo poi nell’aria. Un ultimo rintocco del pianoforte e la magia finì, Emma si risvegliò da quel sogno e la realtà le piombò subito addosso. Il suo sorriso si spense, ma non quello di Killian. Il giovane non aveva smesso un attimo di sorridere, e questo pensiero le fece ancora più paura.
Lo stava ingannando, si stava prendendo gioco di lui. Voltò la testa per non essere costretta a guardare ancora i suoi occhi, ma grazie a ciò si rese finalmente conto di quello che la circondava.
Cora, Regina, Ashley, Tamara. Tutti la stavano fissando con uno sguardo che le fece venire i brividi. Lasciò subito andare la mano di Killian, come se si fosse scottata.
« Emma, qualcosa non va? » le domandò il ragazzo sorpreso cercando di sfiorarle nuovamente la mano, ma la bionda evitò ancora una volta il contatto.
« No, io… con il vostro permesso vorrei ritirarmi. »
La ragazza scappò via attraversando la sala sotto gli sguardi attenti dei presenti. Prese per mano Henry ed insieme a lui sparì oltre il corridoio. Killian cercò di andarle dietro, ma una stretta delicata gli artigliò il braccio. Quando si voltò rimase completamente senza fiato.
« Oh, Killian. Una volta quello sguardo era solo per me. » affermò Milah accennando un sorriso. Il moro si allontanò affinché la mano della donna scivolasse via dal suo braccio, poi le si avvicinò nuovamente per sussurrarle qualcosa all’orecchio.
« Hai detto bene, Milah. Una volta. »


 
***



« E’ inconcepibile madre. Come ha potuto fare una cosa del genere? » tuonò Regina cercando di non farsi udire dagli ospiti mentre tirava una gomitata nel fianco del marito per farlo smettere di sogghignare.
« Certo non si può dire che non abbia occhio. Fra le tante si è accalappiato la più bella. » sussurrò l’uomo a sua moglie guadagnandosi l’ennesima occhiata inceneritrice.
« Sta calma figliola. Per il momento fa finta di niente, a questo problema penseremo poi. » disse Cora continuando a sorridere agli ospiti che le passavano davanti.
« Sapevo che quella ragazza avrebbe portato solo guai. »
Mentre Regina dava sfogo ai suoi pensieri David raggiunse Killian subito dopo che quest’ultimo si fu allontanato da Milah.
« Hey, non sapevo ti piacessero le bionde. » ridacchiò il ragazzo scontrandosi con un capitano alquanto angosciato.
« Che succede? Problemi con Milah? » gli domandò ritornando nuovamente serio.
« No, è tutto ok. Non pensavo, ma ho come l’impressione di poterla gestire. »
« Te la sei finalmente lasciata alle spalle? »
Killian sorrise e il suo sguardo si spostò sul corridoio imboccato dalla sua dama bionda.
« Sì, grazie ad una persona. »
« Mi fa piacere amico. Comunque ho notato che manca qualcuno. Dov’è il Governatore Pendragon? » domandò guardandosi ancora una volta intorno per assicurarsene.
« Ha fatto recapitare un avviso. Non potrà partecipare a causa di un impegno imprevisto. »
David stava per rispondere ma la quiete di quel momento venne interrotta da qualcuno che stava letteralmente facendo a botte con la servitù per aprirsi un passaggio nella sala da ballo.
« Vi ho già detto che non potete entrare! » urlò Neal cercando di fermare l’uomo che con un destro eccellente lo scaraventò al suolo. Regina si voltò verso quel trambusto così come Cora e il resto degli ospiti. L’espressione sul suo volto non poté spiegare ciò che provò quando posò gli occhi su quella figura tanto familiare. Fece un passo indietro lasciando che suo marito le coprisse la visuale. I suoi pensieri scorrevano veloci, ed erano talmente tanti da non riuscire a formularne uno di senso compiuto. Era furibonda, ma allo stesso tempo scossa.
« Vi prego, dovete aiutarmi. Mia moglie è scomparsa! » urlò l’intruso ricevendo molti sguardi sorpresi e di sufficienza. Gli ospiti si allontanarono da lui creandogli un vero e proprio vuoto intorno.
« Robin! »
Killian si avvicinò al suo amico non appena lo ebbe riconosciuto.
« Killian, grazie al cielo! Sono tornato a casa e Marian non c’era. L’ho cercata insieme alla Brigata ma ci servono più persone per controllare nei dintorni della foresta e al porto. Ti prego! »
Le suppliche dell’uomo non rimasero inascoltate. Il capitano gli posò una mano sulla spalla e chiamò subito a sé Neal che intanto si era rialzato dolorante dal pavimento.
« Neal prepara i cavalli e raduna il resto della servitù. Presto! »
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Con un cenno del capo si diresse verso il corridoio che portava al piano inferiore, verso l’uscita secondaria che lo avrebbe condotto prima nelle cucine, e poi alle stalle.
« Ora cerca di calmarti, vedrai che la ritroveremo. »
« Non so come ringraziarti Killian. Non sapevo davvero a chi altro rivolgermi. » affermò l’uomo in divisa visibilmente scosso ed affranto.
« Hai idea di dove potrebbe essere andata? »
La voce di David raggiunse i due uomini che si stavano dirigendo verso l’uscita. Robin si voltò di scatto rimanendo visibilmente sorpreso dal fatto che un altro nobile si fosse unito alla sua causa. Lo ringraziò con gli occhi, così come Killian che gli diede una calorosa pacca sulla spalla.
« Non saprei, ho solo un brutto presentimento. Quando sono tornato a casa abbiamo avuto una strana discussione, poi sono uscito per una commissione e quando sono tornato era scomparsa. Neanche i vicini l’hanno vista. » rispose l’uomo mentre insieme al conte e a David si dirigevano verso il cortile seguiti a ruota da alcuni membri della servitù che sbucavano da ogni dove affiancandoli.
« Scusa se te lo chiedo, ma su cosa stavate discutendo? » gli domandò Killian mentre percorreva a passo veloce il vialetto sterrato. Robin non rispose immediatamente e i due giovani lo guardarono scambiandosi una rapida occhiata.
« Come ben sapete non sono ben visto dal resto della corte da quando io e Marian ci siamo sposati. Per lei è sempre stato un peso, si è sempre data la colpa di tutto. Quando ha saputo che questa sera non ero stato invitato al Ricevimento il suo umore è peggiorato. Non l’avevo mai vista in quello stato. Abbiamo parlato un po’ e sembrava tutto risolto, ma ora è sparita e ho paura che possa aver fatto qualcosa di azzardato. »
L’uomo si passò le mani tra i capelli al limite delle lacrime. Il solo pensiero di perderla per lui era insopportabile, ma quel macigno gli gravava sul petto impedendogli di respirare, di ragionare.
« La troveremo, ora monta a cavallo e dividiamoci. Tu vieni con me al limitare del bosco mentre Killian cercherà al porto. » affermò David montando frettolosamente sul cavallo bianco posteggiato di fronte al cancello principale insieme ad altri cavalli. Neal si avvicinò al suo padrone tenendo le redini di Roger, dietro di lui William era in sella ad un altro cavallo, pronto a partire e a seguire il suo capitano.
« Va bene, dividiamoci. William, Neal, voi venite con me. Tutti gli altri con David. Non c’è tempo da perdere. »
Il ragazzo salì in groppa al suo destriero nero tirando le redini per farlo voltare verso il cancello che stava per essere spalancato. La mandria di cavalli venne spronata al galoppo lasciandosi alle spalle il palazzo illuminato e il Ricevimento da cui l’ospite d’onore era appena fuggito sotto gli sguardi increduli dei presenti e di quello divertito del Governatore Gold.



 
***



Alla sera il luogo più tranquillo della tenuta era la cucina al piano terra. Il buio e la calma che contraddistinguevano quel posto non li si trovava in nessun altro angolo della casa. Quando tutti andavano a dormire le luci si spegnevano e il silenzio piombava in quel luogo illuminato solo dalla luce fioca di una candela. Il viso delicato di Emma venne rischiarato da quel flebile torpore che le illuminava gli occhi. In loro vi era ancora impressa l’eccitazione provata al piano superiore, ma anche una tremenda angoscia. Era scappata in camera sua portando con sé Henry, e dopo averlo affidato alle amorevoli cure di Granny si era tolta di dosso il vestito e lo aveva lanciato sul letto. Aveva indossato poi qualcosa di più comodo e si era slegata i lunghi capelli. Osservando il suo riflesso nello specchio era però rimasta sconvolta. Aveva visto un’altra Emma, diversa da quella che osservava la mattina appena alzata e la sera prima di addormentarsi. C’era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che le illuminava il viso e le riempiva le gote. Un sorriso.
E non riusciva a smettere, non riusciva a non pensare a quel tocco delicato, a quegli occhi blu profondi come il mare. Prese un profondo respiro ascoltando in sottofondo il lieve sibilo del vento. Si riscosse quando udì dei passi affrettati discendere le scale. Si voltò per trovarsi di fronte a un Neal alquanto sorpreso di vederla lì.
« Emma. Che ci fai qui? » le domandò arrestando la sua corsa prima di arrivare all’ultimo gradino.
« Io… avevo bisogno di allontanarmi da tutta quella confusione. Tu dove stai andando? » gli domandò a sua volta notando la fretta che trapelava dai suoi occhi.
« Nelle stalle, il conte ha richiesto di preparare i cavalli. Robin ha fatto irruzione nella sala dicendo che sua moglie è scomparsa. Stiamo andando tutti a cercarla. »
Emma si tirò su con uno slancio che fece ribaltare la sedia.
« Marian!? Io vengo con te. » affermò la bionda afferrando lo scialle blu che aveva posato sul tavolo.
« Neanche per idea. Ci rallenteresti e basta. » obiettò il ragazzo superandola, ma Emma gli afferrò il braccio con una tale forza da inchiodarlo sul posto.
« Mi stai dicendo di rimanere qui senza far nulla? Marian è una delle mie migliori amiche! Che tu lo voglia o no, io verrò con te. »
La risoluzione della bionda fece vacillare i buoni propositi di Neal. Si voltò completamente verso di lei e le afferrò le spalle scuotendola leggermente.
« Va bene, d’accordo. Aspettami qui, verrò a prenderti non appena avrò portato i cavalli all’entrata principale. »
Il ragazzo stava per andarsene, ma Emma lo tirò ancora una volta verso di sé.
« Promettimelo Neal. Promettimi che tornerai a prendermi. »
« Te lo prometto Emma. » le disse il ragazzo intensificando lo sguardo. Le si avvicinò per mostrarle che le sue parole erano vere, che avrebbe potuto fidarsi di lui.
« Eri bellissima questa sera. »
Le sussurrò quelle parole a voce bassa. La ragazza sgranò gli occhi e allentò la presa sul suo braccio fino a lasciarlo andare. Neal le voltò le spalle e sparì dopo averle riservato un tenero sorriso e aver lasciato la ragazza senza parole dopo aver udito quel complimento tanto inaspettato.



 
***



« Marian! »
Robin continuava a urlare il nome di sua moglie galoppando nella foresta insieme ai membri della servitù. David era dietro di lui, aveva chiamato a raccolta anche i suoi uomini per intensificare le ricerche, ma della donna non vi era alcuna traccia.
I cavalli si muovevano attraverso il folto bosco che delimitava la casa dei Locksley anche se il buio non aiutava di certo con le ricerche. Robin smontò da cavallo e si inginocchiò tra le fronde sfiorando con la mano una traccia lasciata qualche ora prima.
« Trovato qualcosa? » domandò David avvicinandosi all’uomo in groppa al suo cavallo bianco.
« Un’impronta. E’ molto recente, potrebbe appartenere a Marian. » rispose Robin cominciando a gattonare in avanti. Ne trovò un’altra a qualche centimetro di distanza, e poi ancora una un po’ più avanti. Il capo-brigata si alzò in piedi afferrando le redini del suo cavallo, ma non rimontò in sella. Con lo sguardo osservò quella pista che gli stava donando un po’ di speranza e cominciò a mettere un piede davanti all’altro per seguirla.
« Il piede è molto piccolo, non tanto da poter appartenere ad un bambino, ma ad una donna sì. Il suo passo era lento, poi in questo punto ha cominciato a correre… e qui di nuovo a camminare. A volte sembrava avere fretta, poi rallentava, come se avesse un ripensamento. »
David lo ascoltò rapito. Era impressionato dalle abilità di quell’uomo, un perfetto cacciatore che stana la sua preda.
« Notevole. » si congratulò continuando a seguirlo in sella al cavallo. Dietro di lui altri cinque o sei uomini coprivano un raggio più ampio cercando di scovare altre tracce.
« Una volta ero nell’esercito reale, sottosezione ricerca. Mi occupavo di stanare i fuggitivi e consegnare i criminali nelle mani della giustizia. »
« Vedo che non hai perso le tue abilità. »
Robin sorrise amaramente a quelle parole.
« Ho perso solo la fiducia della corte. A quanto pare le relazioni personali influiscono sulla buona condotta di un uomo. »
Il nobile rimase in silenzio. Era a conoscenza di quello che era accaduto a Robin, la corte ne aveva parlato per mesi. La sua storia d’amore con la sua serva era stata sulla bocca di tutti, uno scandalo che aveva trovato pace solo quando l’uomo era stato privato di tutti i suoi titoli e delle sue terre.
« Ho trovato qualcosa! » urlò improvvisamente l’uomo correndo verso il limitare della foresta. Si inginocchiò nuovamente al suolo e sfiorò con le mani il paio di stivali di pelle che giacevano impolverati tra l’erba fitta.
« Sono gli stivali di Marian. » affermò Robin con voce tremante. Strinse forte una delle calzature mentre avvertiva sulle mani uno strano formicolio.
« Robin. »
L’uomo si voltò non appena David pronunciò il suo nome. Il cavaliere allungò un braccio e indicò un punto preciso dinanzi a sé. Robin guardò nel punto segnalato e notò che si trovavano dall’altra parte del bosco, al suo limite. Altre tracce portavano fuori dalla boscaglia, ma gli si gelò il sangue nelle vene non appena ebbe compreso dove conduceva quella strada.
« Si è diretta verso la scogliera. »



 
***



Appena arrivato nei pressi del porto Killian aveva ispezionato per bene la sponda e i dintorni dell’area mercantile. Si era avvicinato all’acqua, profonda e fredda come il ghiaccio, e osservando le navi arenate gli era tornata quella sensazione che avrebbe tanto voluto non provare più. Un senso di malinconia, il vuoto che provava quando osava anche solo pensare di avvicinarsi al mare, o ad una nave. Tutto in quel posto gli ricordava Liam. Il vento sembrava portare con sé la voce del fratello perduto, i suoi ordini gridati all’aria riecheggiavano nella sua mente, scolpiti nella memoria.
Provò un profondo senso di disagio, eppure avrebbe dovuto sentirsi a casa. Una volta la vista della luna riflessa sul mare era capace di tranquillizzarlo, gli bastava fissare quelle onde biancastre per riacquistare tutta la serenità e l’ottimismo di una vita passata a solcare le onde. Ora tutto era diverso, e quel riflesso era diventato un promemoria. La sua sofferenza non era ancora svanita, e non se ne sarebbe mai andata definitivamente. Aveva perso ciò che gli stava più a cuore, ma anche ciò che gli donava serenità. Stare lì, in piedi sulla banchina del porto a fissare le onde, gli fece ricordare perché quel giorno aveva preso la lista e l’aveva riposta nella sua sacca, al sicuro. Avrebbe potuto bruciarla, distruggerla e non pensarci più, ma un pensiero l’aveva bloccato dal farlo, lo stesso pensiero che ora lo spingeva a non abbandonare quel proposito di vendetta a cui si era affidato il giorno della morte di suo fratello.
« Capitano! »
William gli arrivò alle spalle chiamandolo con il titolo che aveva ormai abbandonato da tempo. Udirlo nuovamente associato alla sua persona gli fece provare un brivido che non fu dovuto al freddo invernale che gli stava gelando le ossa.
« Qui non c’è nessun Capitano, Spugna. Solo Killian Jones. »
« Mi scusi Signore, è l’abitudine. » si giustificò l’ometto abbassando il capo. Il suo padrone era rimasto immobile sul ciglio della banchina ad osservare le onde, perso nei suoi pensieri.
« Dov’è Neal? Qui non sembra esserci alcuna traccia di Marian. Dobbiamo spostarci verso il bosco per vedere se gli altri hanno avuto maggior fortuna. Digli di preparare i cavalli. »
« Mi dispiace Signore, sembra che Neal sia rimasto indietro. »
Mentre il servitore pronunciava quelle parole il nitrito di un cavallo unito al passo rumoroso dei suoi zoccoli li fece voltare entrambi. L’animale pezzato affiancò il nobile e Neal tirò le redini per fermare la sua avanzata. Alle sue spalle una ragazza dai lunghi capelli biondi si teneva stretta a lui per non scivolare.
« Emma! » la chiamò Killian mostrando la sua sorpresa. Si avvicinò immediatamente al cavallo porgendo la mano alla ragazza che un po’ titubante accettò l’aiuto. Il giovane le semplificò la discesa cingendole la vita con una mano e posandola delicatamente a terra.
« Cosa fate qui? » le domandò visibilmente scosso dalla sua presenza.
« Marian è una mia amica. Sono preoccupata per lei. » rispose la bionda stringendosi nello scialle che le circondava il collo.
« Capisco. Non preoccupatevi, vedrete che riusciremo a trovarla. Qui le ricerche non hanno avuto un esito positivo, non c’è traccia di lei da queste parti. » la informò guardandosi ancora una volta intorno.
« Avevo intenzione di muovermi verso la boscaglia per controllare se David e Robin avessero avuto maggior fortuna. Vi unite a me? »
Quella domanda restò in attesa di una risposta che sembrava non arrivare mai. Killian guardò la bionda che si era voltata in direzione del bosco in cima alla collina, poi il suo sguardo si era rivolto ancora più in alto, verso le rocce che sovrastavano la vallata e si affacciavano sul mare aperto. Emma si portò subito le mani davanti alla bocca per soffocare un sussulto.
« Che succede? » le domandò Neal preoccupato. Voltò il cavallo dalla parte opposta rimirando lo stesso promontorio che stava osservando la bionda.
« Emma? »
Il richiamo di Killian fu in grado di riportarla alla realtà. Il suo nome pronunciato dal ragazzo le aveva dato la forza di riprendersi e tornare a ragionare lucidamente. Si voltò stringendosi ancora di più nello scialle bluastro che le garantiva una protezione dal freddo pungente.
« Credo di sapere dove si trova Marian. »




 
***
 
 
Il gelido tocco del vento le sfiorò i capelli. Le prime gocce di pioggia cominciarono a scendere dal cielo bagnando le guance della donna, mischiandosi alle lacrime salate che le rigavano il volto. La vista era bellissima da lassù. Il mare sembrava uno specchio argentato illuminato dai tenui raggi lunari che si increspavano sulla superficie dell’acqua. Poteva sentire il vento carezzarle i capelli, gli abiti che le sfioravano la pelle quasi a rassicurarla. Strinse i pugni, chiuse gli occhi e dischiuse le labbra. Sollevò il mento udendo le onde infrangersi sotto di lei. Una melodia rassicurante, un suono dolce e soave. La brezza marina le riempì i polmoni. Inspirò a fondo quell’aria gelida mista a sale, una dolce tortura a cui non si sottrasse. La pietra fredda sotto i suoi piedi era ruvida, dolorosa al contatto diretto con la pelle olivastra. Aprì gli occhi e accanto a lei apparve la figura di una bambina dai bellissimi boccoli biondi e le iridi dello stesso colore dell’acqua illuminata dal sole. Le parlò, frasi già riascoltate e parole già udite.
Marian. Prometti. Il nostro posto segreto. Saremo amiche per sempre.
« Sì, per sempre. »
Un sussurro quasi accennato tra le lacrime. Spalancò le braccia sfiorando il vento, alzandosi sulle punte per avvicinarsi al cielo.
Quando sarai triste. Sarò qui con te.
Ancora parole già sentite, promesse suggellate in un passato ormai lontano. Una vita che aveva vissuto a metà con l’ombra del risentimento che le pesava sul cuore, un peso troppo difficile da sopportare, da continuare a sostenere.
Marian. Il suo nome. L’eco di quell’appellativo che risorge dal passato, dalla voce carezzevole di una fanciulla. Marian. Ancora una volta, stavolta la voce di un uomo. Del suo uomo.
« Marian! »
Un urlo disperato, così intenso che le diede un brivido. Il tocco gentile sul suo braccio, una forza che la allontanava dal precipizio.
No. Non poteva allontanarsi. Si voltò negando a sé stessa quell’aiuto, respingendo l’uomo che era venuto a salvarla. Lo guardò negli occhi e vi lesse una gran paura, un’angoscia senza fine. Presto tutto sarebbe finito, lei avrebbe spazzato via quella dannata sofferenza che aveva creato. Lo avrebbe salvato.
« Marian, ti prego. »
Un altro richiamo, un’altra voce, stavolta delicata come la brezza primaverile. Era lei, la sua amica, la sua Emma. Le stava venendo incontro, stava affiancando Robin seguita a ruota dal ragazzo dagli occhi blu.
« Non farlo Emma. » affermò con gli occhi persi nel vuoto. La bionda si fermò a guardarla con gli occhi sgranati e il fiato sospeso.
« Non lasciare che succeda. »
Altre lacrime le rigarono gli occhi. Altre lacrime cominciarono a cadere dal volto della bionda che si inginocchiò a terra tremante.
« Me lo hai promesso Marian. Ricordi? Proprio qui. Amiche per sempre. »
« Sì Emma, per sempre. »
Un passo indietro, un passo verso il fondo del burrone. Un ultimo tentativo di afferrarla mentre lei donava al suo uomo l’ultimo sospiro della sua voce.
« Ti amo. »
Scivolò all’indietro e venne risucchiata nel vuoto. Robin cercò di afferrarla, ma Neal lo bloccò per evitare che finisse anche lui sul fondo del mare.
« MARIAN! »
Un ultimo grido disperato, un debole tentativo di liberarsi da quella stretta.
Emma si alzò e corse verso il burrone, ma delle mani energiche le circondarono la vita, la strinsero così forte da toglierle il fiato.
« Marian… MARIAN! » urlò la ragazza dimenandosi al massimo delle sue forze. Killian la teneva stretta a sé, le artigliò la testa tenendola premuta contro il suo torace. Le lacrime della giovane gli bagnarono il panciotto, i suoi singhiozzi gli tormentarono l’anima. La bionda scivolò a terra tra lamenti disperati e urla soffocate. Killian la seguì continuando a sorreggerla, la strinse forte a sé baciandole i capelli bagnati dalla pioggia.
« Mi dispiace Emma. Mi dispiace. » continuava a ripeterle tenendola stretta a sé. La ragazza gli avvinghiò le braccia al collo rifugiandosi tra quelle di lui, l’unica cosa che in quel momento sembrava darle un po’ di calore.
« Perché lo ha fatto… perché? » domandò la bionda lasciandosi cullare dalle braccia dell’uomo. Non ricevette alcuna risposta, solo una carezza gentile che le sfiorò la schiena.
David si fece avanti. Aiutò Neal a trasportare Robin, un uomo distrutto che continuava a guardare in fondo al burrone, desideroso di porre fine alla sua vita per poter seguire la donna che amava. Lo trascinarono lontano da lì, caricandolo sul suo cavallo.
La pioggia continuava a cadere dal cielo, sempre più fitta, sempre più forte. I due giovani rimasti sulla scogliera non si mossero di un millimetro. Lui continuava ad abbracciare lei, lei continuava a stringersi a lui. E rimasero così, immobili, in attesa del momento in cui entrambi sarebbero stati pronti a lasciarsi andare.






Angolo dell'Autrice
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Bentrovati in questo nuovo capitolo! Mi sono divertita un sacco a descrivere la scena del ballo e non avete idea di quanto ci abbia messo per scegliere la musica adatta! Dovete sapere che io sono un'eterna indecisa, finché una cosa non risulta perfetta continuo a cambiarla in continuazione xD ne è una prova il fatto che continuo a modificare lo stile di scrittura della storia ahaha!
Adoro far interagire Emma e Killian, e ora che stiamo andando avanti con la trama avrò modo di farli incontrare e parlare molto più spesso. Questo capitolo finisce con una nota tragica, ma non disperate, arriveranno tempi migliori (si spera!).
Ne approfitto per augurare a tutti voi una buona vigilia da passare con i vostri cari :)
Al prossimo aggiornamento!

Keepsake

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