Lux Averni - Luce dell'Averno

di _Sherazade_
(/viewuser.php?uid=243036)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'amata dagli Dei ***
Capitolo 3: *** La Gemma si schiude ***
Capitolo 4: *** Adone ***
Capitolo 5: *** L'Ombra sul fiore ***
Capitolo 6: *** Vendette e Rivendicazioni ***
Capitolo 7: *** Ambra e Ametista ***
Capitolo 8: *** Ritorno alle radici ***
Capitolo 9: *** Il Fiore appassito ***
Capitolo 10: *** Voglia di vivere, voglia di amare ***
Capitolo 11: *** Persefone ***
Capitolo 12: *** L'albero di Melograno ***
Capitolo 13: *** L'ultimo Sacrificio ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Lux Averni - Luce dell'Averno





- Prologo -
 
 
- Non è possibile! No, questo non lo posso accettare! - gridò furiosa Demetra, con le povere ninfe, sue ancelle, che si rintanarono in un angolo del salone.
Dopo anni di dubbi e di tentativi, l'amara verità colpì la bella Dea, madre della Terra, protettrice del grano e dell'agricoltura, dei bei campi e dei matrimoni.
La Dea si struggeva, mentre le tre Moire fecero allontanare le ninfe terrorizzate.
Mai avevano assistito a tale struggimento da parte della loro amata Dea.
- Eppure è questa la verità. - le disse Atropo senza troppi giri di parole. La più anziana delle sorelle, che con la sua tranquillità andava sempre dritta al punto, senza perdersi in inutili fronzoli: senza se e senza ma, pacata ma schietta. Lei era la dea del destino ultimo di noi tutti: la morte. Era lei che poneva fine alle vite sulla Terra.
- È questo il tuo destino, invece che struggerti dovresti accettarlo senza troppi piagnistei. - disse secca Lachesi, senza un minimo di pietà per Demetra. - Sei una delle sei grandi divinità, accetta con dignità ciò che il fato ti ha riservato.
La seconda delle sorelle, quella che teneva nelle mani il destino di uomini e dei, come la maggiore, era molto diretta, e spesso la sua lingua tagliente non conosceva il momento esatto in cui fermarsi. Implacabile, ma anche crudele nei modi.
Demetra, di fronte a quelle terribili parole pronunciate con tanta noncuranza dalla Moira, scattò immediatamente, pronta a scagliarsi con violenza verso la divinità del destino.
- Placati, mia signora. - cercò di addolcirla Cloto, la più giovane delle tre sorelle. - È vero, il destino è stato crudele con te, ma non tutto è perduto. Poiché noi abbiamo visto, noi sappiamo cose che ancora tu ignori, e che potrebbero alleviare il tuo tormento.
Con le lacrime agli occhi Demetra cercò di calmarsi e di ricomporsi. La Dea si era così adirata, era così sciupata che le si era scavato il viso, e i capelli erano diventati grigi, come se fosse stata un'anziana umana. Il corpo sciupato era invecchiato di colpo, rendendo la Dea irriconoscibile.
- Parla, Cloto. Parlate, Moire. Ditemi cosa devo fare. Perché Gaia mi ha inflitto questa punizione, a me, che fra tutte sono la figlia a lei più vicina? - Con tutto il dolore che aveva nel cuore, Demetra pose quelle domande alle tre divinità che aveva invitato nel suo palazzo, nel cuore dei boschi verdi e sacri.
- La grande Dea Madre Gaia non voleva offenderti, poiché per te c'è un destino ancora più grande. - disse Cloto. A quelle parole Demetra scattò ancora, sentendosi presa in giro per l'ennesima volta.
- Mi ha reso sterile per cosa? Per compiere una missione come mio fratello Zeus? Perché non rendere sterile lui? - chiese velenosa la Dea, con tutta la rabbia che provava per essersi vista negata il suo sogno più grande: una figlia. - Lui, che prende ogni motivo per correre dietro a una qualsiasi Dea, ninfa o umana, che gli capiti a tiro! Perché non punire lui, invece che me? Io non ho mai fatto nulla di male per offendere la nostra grande Madre Gaia.
- Questa non è una punizione. - disse Cloto.
- Questo è un disegno più grande di te, più grande di noi. Questo è il destino che non riguarda solo te, ma tutti noi. - continuò Lachesi.
- Se ci ascolterai attentamente, il tuo dolore svanirà, e potrai di nuovo gioire, conoscendo ciò che la divina Madre, ha in serbo per te. - concluse Atropo. Demetra si zittì, sebbene fosse ancora furiosa per l'aver appreso in via ufficiale della sue sterilità. Non aveva mai avuto grossi piaceri nel giacere con gli uomini, divini o mortali. Ma desiderava una figlia, e solo con l'unione con un uomo, avrebbe potuto raggiungere tale scopo.
"Ho perso tempo inutilmente. Tutti questi anni per poter concepire, e scoprire solo ora che non avrei mai potuto generare alcuna vita! È il colmo che proprio io che dispenso vita, non ne possa generare nel mio grembo." Pensò lei sconsolata.
- Tu non potrai generare una figlia, ma là fuori, una donna sta morendo, dando alla luce una bambina. Quella bambina è tua di diritto.
- Ma è umana. - disse secca Demetra. Non disprezzava gli uomini, e pur di avere un figlio avrebbe anche allevato un'umana... Ma la vita degli uomini era così fragile.
Non avrebbe mai potuto sopportare di avere una figlia e vedersela poi portare via dagli anni che passavano veloci. Non avrebbe sopportato quel dolore.
- Non lo sarà a lungo. - disse Atropo.
- C'è un modo per renderla come noi, divina. - Demetra spalancò gli occhi alla parole di Lachesi. Impossibile!
- Noi ti spiegheremo come fare. - Cloto, con quell'affermazione, aveva fatto rifiorire Demetra. I capelli erano tornati di un bel biondo acceso, e il viso tornato paffuto e roseo.
Le belle forme della Dea ritornarono floride come prima.
- Dovrai bagnare la bambina con le acque dello Stige, del Cocito, dell'Acheronte, del Flegetonte e del Lete. Ma non ti basteranno i fiumi dell'Averno per donare l'immortalità alla bambina e renderla tua. Oltre a bagnarla in contemporanea con queste cinque acque, la piccola dovrà essere anche bagnata con il tuo sangue, e con quello del divino padre, Zeus. - "Avrò la mia bambina" Demetra pensava solo al fatto che il suo più grande sogno si sarebbe realizzato.
- Domani la bimba verrà alla luce, e tu dovrai avere già tutto pronto, poiché per rendere tutto questo effettivo serve anche l'allineamento con Giove e con la Luna. - Demetra si prostrò ai piedi delle tre Dee del Destino, scusandosi per il suo comportamento irrispettoso, e ringraziandole per averle dato veramente un motivo per andare avanti.
- Però... - Demetra tirò su la testa, mentre un'espressione di paura immensa le attraversò il volto.
- Però cosa, Lachesi?
- Non è tutto. - disse Atropo, lasciando poi la parola alla minore delle sue sorelle.
- Un giorno la tua bambina diverrà la più importante e potente fra le Dee. Amata dagli uomini, ma anche temuta per il ruolo che dovrà ricoprire. L'uomo che la porterà verso il suo destino, sarà anche l'uomo che la allontanerà da te se tu non farai attenzione. - gli occhi della bella Dea si infiammarono.
- E chi è costui? Ditemelo che porrò immediatamente fine alla sua patetica vita. Nessuno mi porterà mai via la mia adorata bambina. - Pur non avendo ancora avuto modo di abbracciare la bambina, sentiva che era sua. E nessuno gliel'avrebbe tolta.
- Questo non ci è dato dirlo. Presta attenzione, e tratta con cura tua figlia. Se seguirai i nostri consigli, lei non si allontanerà mai da te; se invece il tuo approccio sarà sbagliato, sarai tu ad allontanarla, e potrai solo prendertela con te stessa. - Concluse la Moira della nascita.
- Non accadrà. Proteggerò la bambina ad ogni costo.
Le Moire annuirono, sapendo già che il loro avvertimento non era giunto fino in fondo al cuore della Dea, e sapendo già cosa sarebbe accaduto.
- La Terra domani ti indicherà la via. Cerca di non dimenticare le nostre parole, o te ne pentirai. - Dopo quell'avvertimento, le tre Moire svanirono, lasciando solo una scintillante nuvola viola.
 
Demetra chiamò cinque delle sue ninfe predilette, le quali si rasserenarono vedendo che la loro Dea si era ripresa.
- Dobbiamo andare nell'Averno. - Le ninfe squittirono di terrore all'idea di dover scendere nel terribile e ombroso sottosuolo.
- Ma perché, mia regina? - chiese Anthea, ninfa al servizio di Demetra fin dalla spartizione del mondo. La più antica e fidata amica della Dea.
- È pericoloso recarsi in quei luoghi. - cercò di dissuaderla la saggia Egeria. Da tempo era diventata il braccio sinistro della Dea, in aiuto ad Anthea.
- Non porterà a nulla di buono. - disse Kraneia mordendosi il labbro. Una delle più giovani ninfe al servizio di Demetra, che si era però fatta notare per la sua intelligenza e dolcezza.
Atlanteia e Phoebe erano gemelle, e avevano la dote di calmare chiunque fosse stato preda della tristezza, dello sconforto o della rabbia incontrollata.
- Non importa cosa voi ora mi diciate, noi dobbiamo scendere, e chiedere a quell'antipatico di mio fratello un favore.
Demetra spiegò loro il motivo di tanto interesse per quel luogo orribile, e le ninfe piansero.
Piansero perché sapevano quanto la dea avesse sofferto, e a quanto le costasse scendere negli Inferi, da quel fratello tanto strano e temuto.
- Mia Regina, - disse Anthea, - per te faremo ogni cosa. Inclusa questa.
- Per la tua felicità, - cominciò Atlanteia. - Ci avventureremo anche laggiù. - concluse Phoebe.
Le ninfe abbracciarono la Dea, e si avviarono verso quel regno temuto da uomini e dei.
 
- Cos'è che vorresti? - chiese con voce piatta Ade, il tenebroso padrone degli Inferi. I lunghi capelli lisci e violacei gli ricadevano sui lati del viso, giungendo fino alla vita.
- Mi serve solo un po' di acqua dei tuoi fiumi. Non credo che sentirai la mancanza di qualche goccia. - rispose inflessibile la sorella.
- E a cosa ti servirà mai l'acqua dell'Averno? - lui la scrutò con i suoi occhi d'ametista, ma la Dea non aveva intenzione di rivelare i suoi segreti.
- Non me ne andrò da qui fino a che non avrò ciò che ti ho chiesto, fratello. Chiedimi tutto, tranne la ragione. - Ade non disse nulla, poiché immaginava già che tutto aveva a che fare con le Moire. Lui sapeva dell'incontro che le tre avevano avuto quel giorno con la sorella.
Tentennò, prima di concedere alla sorella il privilegio che lei chiedeva. Sebbene avesse già deciso, non intendeva cedere senza mostrare un minimo di diffidenza, senza tenere la sorella, che non voleva dirgli nulla, sulle spine.
Quando la Dea, esattamente come lui aveva previsto, cominciò a dare segni di irrequietezza, le concesse ciò che lei gli chiedeva.
Perché lui lo sapeva: per quanto Demetra affermasse di poter attendere in eterno, in realtà era ancora la piccola irrequieta sorellina che non era mai stata in grado di portare pazienza.
Certo, per il ruolo che aveva nell'universo, Demetra era in grado di portare grande pazienza: per l'erba che cresceva, per le piante  che germogliavano, per i raccolti che fiorivano, o per le civiltà che si evolvevano. Ma la Dea non era mai stata in grado di pazientare per quelli che erano i suoi desideri più profondi ed egoistici.
Ade ignorava ancora il vero scopo della sorella. Ma il Dio degli Inferi era paziente, sotto ogni aspetto, perché lui sapeva che alla fine ogni cosa avrebbe avuto un senso: tutto sarebbe stato spiegato a suo tempo, svelato, come la luce dell'aurora che scaccia le tenebre.
Ade sapeva essere paziente. E quando, per la noia che talvolta l'oltretomba gli procurava, non torturava le anime perdute, egli non perdeva occasione di tormentare le divinità che gli facevano visita.
- E dunque? Cosa vuoi in cambio? - chiese lei mandando le ninfe a prendere quello che gli serviva.
- Non ti chiedo nulla. Sarà l'Averno a chiedere qualcosa quando lo vorrà, perché ricordalo: niente di ciò che appartiene all'Averno, può essergli tolto. Un giorno, ciò che oggi mi hai chiesto e mi hai sottratto, troverà il modo di ritornare.
Demetra non si curò delle parole di lui, pensò che un giorno avrebbe lui chiesto un favore, e lei non avrebbe battuto ciglio. Glielo avrebbe dato, perché il suo bene più prezioso sarebbe stata quella bambina non ancora nata, e che la Madre Gaia le aveva predestinato.
 
Fu più facile spiegare tutto a Zeus. Per ovvie ragioni, Demetra spiegò interamente la faccenda al fratello minore, che acconsentì: quella bambina sarebbe diventata per lui come una figlia, anche se non lo era.
Il sangue che lui donò alla sorella, sarebbe servito non solo per rendere la bambina immortale, ma anche per proteggerla dal male del mondo. Come padre degli Dei, Zeus accolse questo disegno del fato a braccia aperte.
Concesse con piacere questo dono all'amata sorella. Quel sangue non era per lui un sacrificio, ma il dono più grande che poteva farle. Lui aveva avuto tanti figli, ma non era stato in grado di essere un vero padre per tutti loro. Con quella bambina, il Re degli Dei avrebbe potuto riscattarsi.
L'unico problema sarebbe stato giustificare ad Era, Regina degli Dei e gelosissima moglie, la presenza della bambina nell'Olimpo.
Perché nessuno, oltre a lui e Demetra, avrebbe mai conosciuto la verità su quella bambina.
Per tutti sarebbe stata l'unica figlia generata da Demetra e da Zeus.
Per tutti sarebbe stata Kore.



 
L'angolo di Shera ^^

Ebbene eccomi qua!
L'avevo detto che presto o tardi mi sarei cimentata in questo tipo di lavoro, e ho cercato di essere di parola.
Ieri mi son finalmente messa sotto, e questo è il risultato.
Vi prego, non linciatemi, lo so di aver stravolto interamente i personaggi, ma del resto, io sono l'autrice, e ora sono io a dettare le regole XD.
Credo di aver letto tutto, o quasi, riguardo a questa incantevole coppia. Tra le fic preferite che ho trovato qua su EFP, indubbiamente vi sono: Amori Oscuri di uranian7, che sfortunatamente è rimasta incompiuta, e le long in corso Raptus di Elpida, Ade e Persefone - quel che resta delle fiabe di Saliman e Regina di Fiori e Radici di Lem Mac Lem. Menzione d'onore anche per 
Di fiori, lapidi e altre cose inaspettate di Niglia, splendida rivisitazione!
Ho trovato moltissime storie ben scritte, ma queste mi son rimaste nel cuore, e credo che meriterebbero un posto in libreria, tutte e quattro. Sono innamorata in maniera viscerale di questa coppia, e da sempre avrei voluto scrivere una long su di loro >_<.
Da piccolina ero molto "innamorata" di Duo Maxwell, uno dei protagonisti di Gundam Wing, detto anche "Shinigami", ovvero dio della morte. Nella mia testolina bacata lo identificavo come Ade, e io ero la sua degna Persefone... poi ho battuto la testa e ho cominciato a ragionare XD. La passione per i miti greci però è rimasta ;).

Non so se riuscirò a scrivere una storia degna come quelle sopra citate, ma di certo farò di tutto per rendere unica questa mia versione. Tutte le versioni che ho letto hanno sviluppato diversi aspetti del mito, in maniera diversa e splendida. Spero di poter fare altrettanto.
Di certo ci saranno molte variazioni, a cominciare dalla nascita di Kore. Se c'è una cosa che non ho mai gradito dei miti, era l'incesto. Sì, son bacchettona -.-, per questo ho deciso di cambiare le carte in tavola, e giocare col destino di questo nuovo Universo.
Nella lista dei personaggi è stata aggiunta anche Gea, sebbene nella storia io usi il nome di Gaia.

Spero che vi piaccia, se volete lasciarmi un commentino sarò ben lieta di riceverlo.

P.S. Sono a buon punto con la FanArt di Glauco e Scilla, devo solo decidermi a finirla e credo proprio che finito di pubblicare, mi metterò sotto :P

A presto <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'amata dagli Dei ***


- L'amata dagli Dei -
 
 
In una capanna nel bosco, una donna stava dando alla luce una bambina.
Quella donna viveva da sola da quando il marito era perito in guerra. La levatrice scosse la testa mentre porgeva la bambina alla madre esausta.
- Hai perso molto sangue, Cloe. - La neomamma già lo sapeva, poiché sentiva le forze affievolirsi. Sapeva che presto avrebbe lasciato quel mondo.
La bambina se ne stava tranquilla fra le sua braccia, lasciandosi cullare per la prima e ultima volta dalla madre.
- Chi si prenderà cura di lei? - chiese Cloe con un filo di voce.
- Io. Affida a me questa bambina, non potresti fare scelta migliore. - disse una donna entrando nella piccola capanna di Cloe.
- Chi siete? - chiese la vecchia levatrice parandosi di fronte alla fragile Cloe, scrutando la donna che aveva di fronte.
Una donna di gran bellezza, dagli occhi cangianti e dallo sguardo autorevole.
- Non importa chi io sia. Ti basti sapere che sono gli Dei a inviarmi, e che la tua piccola vivrà una vita serena, ricca e al sicuro. Grazie a me questa bambina non conoscerà mai il dolore. - la donna protese le mani verso la piccola che si era addormentata. - Non hai più molto tempo, e lo sai anche tu!
Cloe non sapeva se fidarsi di quella sconosciuta, ma c'era un qualcosa in lei che le infondeva fiducia.
Non l'aveva mai vista prima di quel momento, ma c'era un qualcosa di familiare in lei. Era come se si fosse trovata di fronte alla Grande Madre.
Cloe annuì, accettando di affidare la sua unica figlia a una perfetta sconosciuta.
- Ne sei certa, Cloe? Non sappiamo niente di questa donna. - La sconosciuta fissò intensamente la levatrice. Cloe annuì di nuovo.
- È vero, non sappiamo nulla di lei, ma ci son cose che vanno al di là di quello che noi possiamo sapere o toccare. Non lo senti anche te, non riesci a vedere la luce che questa donna emana? Credo che sia stata davvero mandata dagli Dei, e io obbedisco a ciò che il fato mi ha messo sul cammino. - Cloe fissò con dolcezza e gratitudine la levatrice. - Lo sai bene che nemmeno tu avresti potuto prenderti carico della mia piccola. Mi fido di questa donna, delle sue parole... ma soprattutto, mi fido di ciò che in questo momento mi dice il mio cuore.
La levatrice non ebbe più nulla da dire, mentre la donna sconosciuta sorrise soddisfatta a Cloe.
- Piccola mia, - Cloe si rivolse alla bambina che stringeva dolcemente, - sappi che sia io che tuo padre ti abbiamo amata fin dal primo momento in cui abbiamo saputo di aspettarti. Purtroppo nessuno di noi potrà mai vederti crescere, nessuno di noi potrà mai sentire la tua prima parola, assistere ai tuoi primi passi, vederti crescere di giorno in giorno. Nessuno di noi ti starà accanto quando avrai la prima cotta, o quando ti sposerai e avrai a tua volta dei figli. - Cloe piangeva mentre parlava alla piccola neonata che se ne stava beata fra le sue braccia. Era sempre più pallida, e la voce si stava sempre più affievolendo. - Abbiamo pregato tanto gli Dei di donarci una figlia, e ora che finalmente ti abbiamo avuta, il nostro tempo su questa Terra è giunto al termine.
Spero che tu potrai davvero essere felice, vivere un'esistenza piena e priva di rimpianti. Fai la brava, piccola mia.
La donna prese la piccola dalle braccia della madre, tremante per l'emozione, e intenerita per le parole che aveva appena udito. Anche senza che le due si conoscessero, in pochi minuti avevano trovato il modo per intendersi, anche senza usar le parole. Il tempo di Cloe era oramai giunto.
- Kore.
- Come? - chiese la levatrice.
- È il nome che le darò. Approvi, Cloe? - chiese la donna.
Cloe annuì sorridendo, mentre l'ultima lacrima le solcava il volto.
- Addio Cloe, grazie per questo meraviglioso dono. Ti giuro che questa bambina la proteggerò per tutta la mia vita. - disse la sconosciuta fissando un punto vuoto accanto al letto dove giaceva Cloe.
- Tu sei Demetra, non è vero? La madre della terra, e protettrice dei raccolti. - Demetra annuì.
La Dea non avrebbe mai inviato le sue ninfe per quell'importante compito. Neppure Anthea o Egeria. Quello era un compito che doveva svolgere lei stessa.
Non appena lo spirito di Cloe lasciò le sue vesti mortali, la sua vista venne purificata, permettendole di vedere la sconosciuta per quello che era.
- Se mia figlia verrà protetta da te, la mia anima potrà raggiungere in pace il Sottosuolo. Grazie, mia Dea. - l'anima di Cloe si dissolse, e Demetra salutò l'anziana levatrice.
- Andiamo Kore, c'è una cosa importante che ora dobbiamo fare.
- Te ne prenderai davvero cura? - le chiese la levatrice mentre Demetra usciva dalla capanna.
- Sì. È solo per questo che sono giunta qui. Addio donna, e grazie per aver aiutato Cloe nel mettere al mondo mia figlia. - Demetra strinse la bambina e si allontanò dalla casa.
- Per quanto le Moire possano anche averti avvisata, alla fine farai esattamente quello che noi ci aspettiamo, Dea della natura. - disse la levatrice sorridendo, sparendo alla vista di mortali e immortali.
 
 
- Ma che carina!
- È proprio un amore.
- La nostra principessa sarà la più bella e la più amata di tutte!
Non appena arrivata al grande cerchio di pietra, posto in un luogo remoto e antico, dove nessun mortale aveva mai messo piede, Demetra venne accolta con gioia dalle sue adorate ninfe.
- Avete già preparato tutto? È quasi ora. - chiese Demetra con impazienza. Kore dormiva tranquilla, ignara di quello che stava per accadere.
- Dunque è questa la piccola? - chiese Zeus, appena giunto sul posto.
- Fratello! Sì, è lei. - disse Demetra con orgoglio nella voce. - Non è splendida?
- Sì, lo è. - Sorrise dolcemente il fratello. Come Demetra, anche Zeus aveva i capelli biondi, lunghi e scompigliati, e gli occhi chiari. Il fisico era muscoloso e abbronzato. Zeus non era mai stato un Dio particolarmente attento alla cura del suo aspetto, la fine barba che gli cresceva però, gli donava un aspetto ancora più gradevole, nonostante lui non vi prestasse cura.
Zeus amava la moglie, ma per qualche strano scherzo del destino, attirava sempre l'attenzione del gentil sesso. Sapeva di essere colpevole degli innumerevoli tradimenti commessi a discapito della povera moglie a lui pienamente devota, e stava cercando di cambiare.
Il fatto che lui fosse una calamita per chiunque, non significava che dovesse per forza cedere ai primitivi impulsi.
Zeus voleva cambiare.
Zeus però non voleva solo diventare un marito migliore, voleva anche diventare un buon padre.
La sua amata sorella gli aveva chiesto, per la prima volta, un favore. Ed era un grosso favore, ma per lei lo avrebbe fatto volentieri.
Nella sua lunga vita aveva dato origine a un'infinità di figli, ma per quanti di essi si era dimostrato degno come padre, e presente? Più volte se l'era chiesto, e la risposta era sempre stata per lui molto deludente.
Demetra gli stava dando l'opportunità di mettere una pietra sopra al passato, e cominciare un nuovo capitolo.
- Le hai già dato un nome? - le chiese prendendo la piccola in braccio.
- Kore.
- Fanciulla?
- Sì, resterà per sempre la mia bambina. Per sempre la mia piccola e dolce Kore. Non permetterò a nessuno di portarmela via. - Demetra era contenta per come si stavano svolgendo le cose. Tutto sembrava andare per il meglio, ma nella sua testa riecheggiavano le parole delle Moire. Lei avrebbe fatto di tutto per non perdere quella preziosa figlia. - Nessuno.
Zeus non era stato messo a conoscenza di quel particolare. Demetra non lo aveva ritenuto necessario. Le sarebbe semplicemente bastato che il fratello proteggesse assieme a lei quella bambina.
- È tutto pronto, mia signora. - Anthea richiamò le due divinità, Giove e la Luna erano allineati. Era giunta l'ora di compiere il rito.
Al centro del grande cerchio di pietra vi era una conca. In quella conca, la grande Madre Gaia aveva generato il suo primo figlio: Urano.
Quello era stato da allora il luogo dove si concentrava la più grande fonte di magia e di vita di tutto il mondo. Perché era da lì che il mondo aveva avuto modo di evolversi e di crescere.
Le cinque ninfe rovesciarono le acque infere nella conca, in contemporanea, mentre Demetra e Zeus incidevano i rispettivi polsi lasciando che una goccia del loro sangue scivolasse mescolandosi al liquido.
Le due divinità immersero la bambina nella conca, lasciando che il miracolo promesso avvenisse.
Il cielo si oscurò, il vento prese a soffiare con violenza e le acque insanguinate nelle quali vi era stata immersa la piccola Kore, vorticavano velocemente.
Demetra, spaventata, fece per prendere la bambina, temendo che potesse accaderle qualcosa di male. Temendo di essere stata ingannata. Zeus però la fermò.
- Calmati, sorella. Manca poco. - le indicò la bambina, che se ne stava tranquilla, con gli occhioni spalancati e puntati verso di loro.
Il corpo della piccola assorbì le acque infernali imbevute del sangue divino dei suoi genitori adottivi, e tutto si placò.
Demetra raccolse la piccola che sorrideva, e con le lacrime agli occhi la strinse dolcemente.
- Non saremo mai sole, piccola mia. Tu ed io, per sempre insieme. Mia dolce Kore. - la neomamma riempì di soffici baci la testolina della bambina, mentre le sue ninfe e Zeus osservavano inteneriti la scena.
Zeus si avvicinò alla sorella, e prese in braccio la sua nuova bambina.
- Con te sarà tutto diverso, vero Kore? - la bambina sorrise, sicura fra le braccia del padre. - Non resta che dare una grande festa. Tutti sapranno della nascita dell'unica figlia di Demetra e di Zeus. Sarai amata e coccolata, come poche altre prima di te. Sarai il vanto dell'Olimpo e nessuno oserà mai farti del male. - Demetra inviò a casa le sue ninfe, e, assieme al fratello e alla piccola, si recò sul monte Olimpo, per dare a tutti quella lieta notizia.
Per anni si era disperata, sentendosi diversa. Pur essendo una delle tre Dee figlie di Crono, Demetra aveva avuto complessi d'inferiorità per il fatto di non essere mai riuscita ad ottenere quell'unica cosa che aveva sempre desiderato. Ma finalmente era riuscita a raggiungere quel tanto sospirato obiettivo. Era così soddisfatta che donò agli uomini uno dei più grandi raccolti che la storia poté ricordare. Demetra era generosa, e voleva che anche gli uomini potessero gioire con lei della sua immensa felicità.
 
Arrivati a casa, nell'immenso palazzo, dimora degli olimpici, Zeus fece immediatamente preparare un grande banchetto. Per cinque giorni si sarebbe festeggiata la nascita della piccola Kore. Mortali e immortali avrebbero reso onore alla piccola, anche se nessuno avrebbe mai conosciuto le sue vere origini.
Incredulità, sorpresa, gioia... solo alcune delle emozioni che suscitò quella notizia sul sacro suolo divino.
Poseidone non perse tempo, e si congratulò immediatamente con il fratello e la sorella.
- È una bambina davvero graziosa. - disse lui, mentre la piccola, appena svegliata, giocò coi lunghi e ondulati capelli argentei dello zio. - Ed è anche molto vivace! - rise, alla forte stretta della piccola che rideva per chissà quale motivo.
In quei giorni era stata coccolata e ammirata da tutti.
Non v'era stato alcun dio o alcuna Dea, che non le avesse reso omaggio.
Anzi, una c'era stata. Si trattava di Era, e il suo distacco era comprensibile. Aveva sempre dovuto sopportare i continui tradimenti del marito, ma non avrebbe mai pensato che la sua amata sorella Demetra avrebbe potuto tradirla in quella maniera. Non lei.
La sua adorata sorella maggiore, la stessa che l'aveva cullata e consolata quando era stata ingoiata dal terribile padre: Crono.
Da bambina Era non era particolarmente vivace, era anzi timida, riservata e taciturna.
Fu solo quando conobbe Zeus che la Dea fiorì, lasciando spazio all'incantevole e seducente donna che ha affascinato a sua volta il Re degli Dei.
Capelli lisci e neri come l'ebano, labbra rosse e carnose, occhi verdi come gli smeraldi e il corpo sinuoso e morbido.
Per anni si era interrogata sul motivo che poteva spingere l'amato marito a tradirla, ma non era mai riuscita a darsi delle risposte.
Con lui era amorevole, condiscendente, avevano sempre condiviso insieme le gioie del letto... lo aveva sempre accontentato in ogni sua richiesta.
Eppure... lui preferiva passare il tempo con le altre, lasciandola sola in balia delle malelingue.
 
Lei era la regina degli Dei, temuta e rispettata. Sapeva però che alle sue spalle le altre divinità si beffavano di lei per quello che il marito le faceva.
Fu solo dopo il fattaccio con Ercole, che finalmente la acque si calmarono, e che le altre divinità misero freno alle loro lingue.
Era non riusciva a concepire il fatto che suo marito, che da un certo periodo aveva cominciato a comportarsi come si conveniva, ovvero da marito devoto e fedele, avesse potuto tradirla con la loro stessa sorella.
Una parte di lei fremeva dalla rabbia, voleva solo lanciare maledizioni al marito e alla sorella. Però c'era una parte di lei, nel profondo, che non riusciva ad odiare quelle due persone che per lei contavano così tanto.
Appena le fu possibile, Era abbandonò i festeggiamenti, rinchiudendosi nei suoi alloggi con le sue fedeli ancelle e il suo Abidos, il suo pavone da compagnia.
 
Dall'altra parte del palazzo, nella sala adibita ai festeggiamenti, arrivò anche l'altro fratello, quello temuto, quello che se ne stava sempre in disparte.
- Quindi... congratulazioni. Non mi avevi detto di essere incinta l'altro giorno quando sei venuta a trovarmi. - a quelle parole Demetra sussultò.
- Non credevo fosse importante per te sapere se c'era o meno vita nel mio grembo. - rispose secca lei. - Normalmente chiedi a tutte le Dee se sono incinte? Io non credo.
- In effetti no. Ma le uniche tre Dee di cui mi sia mai importato qualcosa sono le mie amate tre sorelle. E se non ricordo male, tu sei una di esse. O è cambiato qualcosa nelle ultime ore? - chiese lui con voce piatta.
- Sempre i soliti modi, eh Ade! - Zeus interruppe il tutt'altro che gradevole discorso dei due.
- Fratello, congratulazioni anche a te per la splendida bambina. Non vi somiglia per niente, e forse è un bene. - quella risposta fece arrabbiare Demetra, ma Zeus riuscì a tenerla a bada. Entrambi temevano che si sapesse delle origini della piccola.
Non vi erano leggi che vietavano agli dei di trasformare umani in divinità, ma era una cosa assai rara, e avveniva solo nei casi in cui vi fosse veramente una giusta motivazione.
Le motivazioni di Demetra, non erano poi così giuste. Erano solo i capricci di una donna che non riusciva a procreare, e si era presa una figlia dal mondo degli uomini.
Demetra temeva la vergogna e gli scherni da parte dei suoi stessi simili. Perché li conosceva.
Gli Dei si annoiavano molto facilmente, e ogni scusa era buona per spettegolare ai danni di questo o di quell'altro.
Se si fosse venuto a sapere che lei, la Dea delle Messi, era sterile, non avrebbe più avuto un momento di pace.
Dalla vergogna non se la sentì nemmeno di parlare con le sue stesse sorelle, che probabilmente l'avrebbero sostenuta e appoggiata nella scelta che aveva fatto.
- Essere figlia di due colossi come voi, non sarà facile da gestire. Ma immagino che con le cure amorevoli di mamma e papà, questa piccola crescerà bene. - disse il Dio dell'Oltretomba.
- Puoi starne certo, fratello. Stavolta sarà tutto diverso. - sentenzio il Re degli Dei.
Intanto, la piccola Kore si rivolse verso lo zio, e sorrise.
Tutti gli altri figli di Zeus, o di altre divinità, che avevano visto Ade per la prima volta, si erano messi a piangere. Ma lei no. Lei sorrise.
- Che strano. Credo che per la prima volta, i tuoi modi di fare, e la tua brutta faccia, non abbiano intimorito nessuno. - Zeus rise. Non voleva certo offendere il fratello di cui aveva una così grande considerazione, ma erano talmente rare le occasioni in cui poteva scherzare con lui, o ridere bonariamente di lui, che vedendo la figlia serena di fronte al Dio più temuto nell'intero Universo, non poté fare a meno di esprimere quella battuta.
Ade non era certo un Dio dal brutto aspetto.
Gli uomini lo immaginavano orribile, dato anche il ruolo che Ade ricopriva. E a lui stava bene.
Ade voleva essere temuto, poiché non stava bene che gli uomini si burlassero della morte.
Veniva venerato, ma i suoi riti venivano celebrati unicamente di notte... Temuto, rispettato, e a tratti anche amato.
Era quello che voleva, e nulla di più di quello che già aveva l'avrebbe reso felice.
La pelle bianca come quella di un cadavere, il fisico atletico, ma non eccessivamente muscoloso, e lo sguardo così tagliente che si diceva fosse in grado di spezzare le anime stesse.
Ade era potente, più di Zeus stesso, ma non per questo lui si era mai vantato, o aveva preteso qualcosa dalla superficie o dai fratelli.
Il suo regno, l'Averno, era quello che contava più abitanti di qualunque altro. Tutti, in un modo o nell'altro, presto o tardi, si sarebbero infine trovati al cospetto di Ade.
- Mi dovrò impegnare allora. Se non spavento più nemmeno i bambini, la mia reputazione è a rischio. - Il Dio accarezzò la testolina di Kore e le sorrise a sua volta. Un sorriso sincero però, non di scherno. Era raro vedere Ade di così disteso. - Vogliate perdonarmi, ma il mio lavoro mi reclama. Devo tornare nel mio regno dove, lo sapete bene, vi è ben poco spazio per il riposo. - Ade fece per congedarsi quando, ad un tratto, si ricordò di qualcosa.
- Ho un dono per la piccola. Tenete. - disse allungando un melograno rosso. - Non è del mio regno, state tranquilli, ma viene dall'albero che sta alle porte dell'ingresso dell'Averno. Come auspicio per una vita ricca e vitale. - consegnato il regale frutto, il temuto Dio e Signore incontrastato degli Inferi, lasciò quella allegra festa.
 
I festeggiamenti continuarono ancora, e una volta finiti, Demetra si ritirò con la bambina nel suo palazzo nascosto, con l'accordo che Zeus avrebbe potuto visitare la piccola e tenerla con sé, ogni tanto.
Demetra sapeva che senza il fratello non avrebbe mai potuto concludere il rito, ma in cuor suo, sentiva come un peso enorme il fatto di doversi separare di tanto in tanto dalla figlioletta.
 
Cominciò così la vita della piccola Kore, la bambina dagli occhi ambrati e i capelli color della terra baciata dall'alba.
La bimba cresceva sana e forte, amata da tutti, soprattutto dai genitori che la ricoprivano di attenzioni.
Kore era stata la prima figlia che Zeus avesse mai accudito con così tante premure. Si era rivelato un padre attento e dedito alle coccole verso la piccola.
Nonostante non avesse mai avuto così tante attenzioni per i suoi figli naturali, questi, vedendo la gioia del padre, non provarono rabbia nei confronti della sorellastra.
 
La vita mondana sul monte Olimpo proprio non faceva per la piccola Dea. Le piaceva stare a contatto con gli altri Dei e le altre Dee, ma il comportamento da tenere, tutte quelle regole e quei vestiti così scomodi, non facevano per lei.
Kore desiderava solo stare nel bel palazzo della madre, circondata dalla natura rigogliosa che le rispondeva. Voleva starsene scalza, coi piedi liberi dai calzari, senza vesti eleganti che la intralciavano nei movimenti.
 
Quando invece era costretta a restare sull'Olimpo, preferiva stare con le sorellastre, Atena e Artemide.
Le due Dee erano solite passare il tempo con la bambina, la quale era molto curiosa, e con piacere apprendeva dalle sorelle maggiori quante più informazioni potevano loro offrirle.
 
Kore era felice, voleva solo vivere con semplicità la propria vita senza le inutili regole che la vita sull'Olimpo, e la sua stessa madre, cercavano di imporle.
 
Per quanto Demetra avesse cercato di educarla per essere una vera signorina, Kore finiva per fare sempre tutto di testa propria. Tanto che alla fine anche la madre si arrese.
Demetra era molto attaccata alla figlia, quella figlia che come lei aveva un certo ascendente sulla natura.
Demetra era comunque fiera di Kore, anche se spesso vi erano motivi di contrasto. L'amore che la legava alla figlia, e l'amore che Kore provava per lei, era molto più forte di qualsiasi altro legame di sangue.
L'ombra dell'avvertimento delle Moire però non aveva mai abbandonato Demetra, la quale cercava comunque di tenere alle giuste distanze tutte le divinità maschili, con l'eccezione del buon padre.
Kore era ancora piccola, e Demetra avrebbe fatto di tutto coi suoi poteri per rallentare la crescita della sua bambina... ma di quanto avrebbe potuto rallentare quel processo naturale e inarrestabile?
 
Zeus stava tenendo fede alla sua parola, trattando Kore come una sua legittima figlia. La portava spesso con sé durante le sue passeggiate o apparizioni nei templi.
Kore si divertiva molto più col padre che con la madre, la quale era fin troppo seria, e per nulla incline agli scherzi.
Assieme a lui infatti, Kore progettava scherzetti innocui ai danni dei fratelli o delle sorelle. Piccoli scherzetti che non avevano mai ferito nessuno e che anzi, strappavano qualche risata.
Un giorno, però, qualcosa non andò come previsto.
 
Quel giorno, inaspettatamente, la vittima fu Era, e la rabbia della potente regina si scagliò sulla piccola Kore.
Lo scherzo non era stato pensato per lei, ma per Hermes.
Zeus aveva mandato a chiamare il figlio messaggero, e, insieme alla piccola Kore, avevano preparato una piccola rete per intrappolarlo.
I due erano pronti, nascosti dietro al portone, attendendo che esso si aprisse, pronti a lanciare la loro rete per acciuffare quell'inafferrabile Dio.
Sfortunatamente da quella porta non entrò Hermes, ma la regina, Era.
Kore si spaventò. L'istinto la voleva spingere a nascondersi dietro al padre, ma non aveva scordato gli insegnamenti della madre. Kore, allora, uscì dal nascondiglio pronta a scusarsi, finendo sotto lo sguardo accusatore di Era.
Da sempre aveva sentito gli occhi della zia su di sé. Sentiva di non piacerle, ma non ne aveva mai parlato con nessuno. Nemmeno con le amate sorelle o con le fedeli ninfe a seguito della madre.
Non le piaceva, ma Era non si era mai comportata male con lei. Erano solo quegli sguardi di ghiaccio che ogni tanto le lanciava, a far tremare la piccola Kore.
- Perdonatemi, mia Regina. - disse la piccola Kore balbettando. - Stavamo aspettando Hermes, non voi. Non ci saremmo mai permessi di... - ma prima che la piccola avesse il tempo di finire, Era le piantò un sonoro schiaffo sulla guancia, e la afferrò per il vestito, sollevandola da terra.
- Tu, piccola bastarda! - Era non si era accorta di Zeus che la fissava impietrito dal portone.  - Non so con quali sottili arti tua madre abbia sedotto mio marito, ma tutti quelli come te meritano solo la morte. - senza alcun freno, la Dea furente, lasciò cadere la piccola a terra, e non contenta fece per strangolarla.
Solo l'intervento del Padre degli Dei la fermò da quello che stava per commettere.
Gli Dei non possono morire come dei comuni mortali, ma era il gesto in sé ad essere disumano e indegno di lei.
Zeus cercò di far calmare Kore, che piangeva e tremava come mai prima di allora. Mandò così a chiamare Artemide e Atena, che presero con loro la piccola, cercando di farla distrarre, permettendole di ritrovare la solita allegria e vivacità.
Zeus trascinò la moglie nelle sue stanze e la gettò con violenza sul letto.
- Tutto questo per un banale scherzo? - chiese lui, fissandola con gli occhi che erano diventati due fessure. La sua voce era piatta, priva di emozioni, non v'era traccia di rabbia o alterazioni in essa. Il giovane Dio che si divertiva con poco, e provava grande piacere negli scherzetti e nelle piccole cose, aveva lasciato il posto all'autorevole e timorato Padre degli Dei.  Si stagliava immobile e imponente davanti ad Era. Non gli serviva alzare la voce o gridare, era il suo corpo a parlare per lui, i muscoli tesi e i movimenti lenti ma minacciosi. Anche i suoi poteri, all'esterno, davano voce a quello che provava: fuori dal palazzo, si stava preparando una delle più grandi tempeste mai conosciute.
Zeus conosceva il temperamento vendicativo della moglie, ma mai prima di allora l'aveva vista in azione.
Lui stesso, per un attimo, aveva tremato di fronte alla rabbia di lei.
- Quello scherzetto innocente lo aveva preparato con me. Era una cosa innocente, mia cara. E tu, - la afferrò per i capelli fin quasi a strapparglieli, - tu, con tutta la tua arroganza, hai minacciato una bambina innocente.
- Innocente! Innocente, tu dici? - con le lacrime per il dolore fisico, ma soprattutto, per le innumerevoli ferite al cuore che il marito le aveva inferto, Era si difese. - Quella bambina è frutto del tuo ennesimo tradimento, e io come una sciocca avevo creduto alle tue scuse. Avevo creduto alle tue bugiarde parole! Tu mi fai schifo, non sei degno del ruolo che ricopri, tu sei solo feccia, sei solo fe... - Zeus, furente di rabbia schiaffeggiò per la prima e unica volta la moglie.
- Bada, donna. So che sei alterata, ma non ti permettere un'altra volta di proferire queste ingrate parole verso di me o ti getterò nel Tartaro. E tu mi conosci, sai che non muovo queste minacce a vuoto. - un lampo divise in due il cielo, e un terribile tuono fece tremare le fondamenta stesse della Terra.
- Perché, Zeus? Perché Demetra? - Zeus era furioso, ma temeva che nonostante le minacce, la moglie avrebbe potuto ancora in futuro minacciare la vita della sua bambina.
"Dovrei dirle la verità" pensò. Era si era comportata in maniera orribile, ma quante volte lui l'aveva ferita?
"Però avevo anche promesso a Demetra che non avrei mai tradito la sua fiducia, rivelando ad altri il suo segreto!" Il Re degli Dei si trovava di fronte a un grosso dilemma.
Doveva salvaguardare la salute di Kore, e anche il suo matrimonio. Era quella l'unica cosa sensata da fare.
- Era, ciò che sto per rivelarti metterà fine a questi inutili battibecchi... Kore non è mia figlia, io l'ho solo adottata. - La moglie lo fissò incredula.
- Demetra è sterile. La bambina era mortale, e con un antico rito abbiamo reso immortale la piccola. Il mio sangue e quello di Demetra è servito allo scopo. Io sono solo il suo padre adottivo, - Era rise istericamente, rilasciando tutta la tensione degli ultimi anni. - però io l'amo come se fosse carne della mia carne.
Era si inginocchiò di fronte al marito, implorando il suo perdono e promettendo che avrebbe trattato con dolcezza la bambina.
- Mi fido di te, donna, ma osa rivelare ad altri quello che oggi hai scoperto, e capirai sulla pelle cosa significa farmi adirare. Quanto ti ho detto prima non l'ho dimenticato, e farai bene a non dimenticarlo neppure tu. Non devi questo solo a noi, ma anche a nostra sorella, che ha già sofferto molto in solitario, e alla bambina che non sa nulla... - inspirò, poi concluse - ... E mai nulla di tutto ciò dovrà arrivare alle sue orecchie.
Era promise, cercando un contatto fisico col marito, ma lui rifiutò. Era ancora molto alterato per quello che era accaduto.
- Ora andrò da lei. Ricomponiti e cambia atteggiamento, Era. Non voglio arrivare al punto di punirti seriamente. Mi sono spiegato? - chiese lui, con sguardo fisso su di lei.
Era annuì, più serena. Serena come non lo era più da parecchi secoli.
 
Passarono un po' di giorni dall'accaduto, durante i quali Kore non si avvicinava mai al padre, se sapeva che la regina era nelle vicinanze.
Demetra, che era impegnata sulla Terra nella cura dei campi e delle colture, non aveva saputo nulla di quanto era successo all'amata figlia.
In realtà nessuno lo sapeva, quella era una cosa rimasta fra Zeus, Kore, Era e le figlie di lui: Artemide e Atena.
Per la Regina degli Dei, chiedere perdono era un compito tutt'altro che semplice. Tuttavia, voleva rimediare al torto che aveva fatto alla bambina. Sapeva di aver agito in maniera sciocca ed eccessiva. Era stato davvero un colpo basso aggredire una bambina che, di fatto, non le aveva fatto alcun vero torto.
Passeggiando nei giardini del palazzo, Era trovò Kore, la quale, non appena la vide, cominciò a tremare, impietrita e spaventata.
- Piccola, non devi avere paura. - cercò di tranquillizzarla lei. Ma Kore continuava a tremare, memore di quanto era accaduto.
- Sono venuta qui... per scusarmi. -  La Dea si inchinò. L'espressione triste nello sguardo della Dea, e la voce spezzata, fecero si che Kore la guardasse, capendo che la Dea era sincera.
- Ho sbagliato a trattarti in quell'orribile maniera. Non è colpa tua se mio marito è... beh, quello che è. - Era non poteva dire alla bambina la verità che aveva appreso. Le disse una mezza verità, del resto, tutti sapevano della natura da seduttore che contraddistingueva il Padre degli Dei.
Kore annuì.
- Non volevo farti soffrire, mia Regina. - disse la piccola con voce flebile.
- Non è colpa tua. Sono io che ho agito in maniera esagerata. Potrai mai perdonarmi? - Kore annuì, e inaspettatamente, gettò le braccia al collo della Madre degli Dei.
Era sorrise piena di felicità.
- Ho un regalo per te, piccola Kore. - disse Era sciogliendo dolcemente l'abbraccio della piccola.
Chiamò una delle sue ancelle, la quale arrivò con un fascio di narcisi.
- Sono bellissimi. - esclamò la piccola con gli occhi che brillavano.
- So che ti piacciono tanto i fiori, e ho pensato che questi avrebbero potuto renderti contenta.
- Allora anche io ti regalerò dei fiori.
- Ma non è necessario.
Kore non dovette pensare a lungo, sorrise e si concentrò, fino a  quando il giardino non si riempì di papaveri, i fiori sacri alla Dea, stupita quanto la sua ancella per il meraviglioso spettacolo.
- Sono stata brava? - chiese Kore con un sorriso immenso.
Era la prese in braccio, la strinse forte forte a sé e le disse: - Sei stata bravissima, figlia mia.
Zeus aveva assistito di nascosto alla scena. Non le raggiunse, voleva che quel momento fosse solo loro. Zeus si era stupito della reazione violenta che Era aveva dimostrato nei confronti di Kore... ma si stupì ancora di più quando la sua stessa Regina si inginocchiò in segno di penitenza davanti alla bambina. Non aveva mai visto sua moglie sotto quella luce, e alla fine si ricordò perché avesse sposato quella creatura meravigliosa. Lei era una signora fiera e tenace, ma al contempo nascondeva le sue fragilità, la sua incredibile sensibilità e tenerezza, usando quella maschera di donna inavvicinabile.
Con questi pensieri di puro amore, il Padre degli Dei abbandonò contento sua figlia e la sua nuova Madre, ritirandosi nella sala del trono.
Era avrebbe prestato fede a quello che aveva promesso al suo amato sposo, anche perché aveva sempre dimostrato di essere una donna di parola.
Da quel giorno, Era divenne come una seconda madre per la piccola Kore, e l'avrebbe aiutata nel cammino che il fato aveva già pronto per lei.






 
L'angolo di Shera ^^

Primo capitolo, operazione riuscita!
Parto subito col ringraziare voi che mi avete commentata, aggiunta a preferiti, seguite o ricordate. Quindi un grazie speciale a ANCIENT IRIS, Saliman, Elpida, Renesmee94, evy88 e Mary40. Lo apprezzo moltissimo, quindi grazie di cuore <3.
Come avrete certamente capito, io sono una grandissima sfacciata.
Dovevo mettere nell'intro. dimenticate ciò che sapete degli Dei della mitologia greca, perché io l'ho fatto.
Non so, forse volevo renderli ancora più umani, e forse il giusto titolo per questa storia avrebbe dovuto essere "Redenzione", dato che ne ho parlato parecchio. Di Demetra ho parlato gran poco, ma tranquilli, il prossimo capitolo parleremo ancora di lei, e ci sarà un lieve balzo indietro.
Non credo che parlerò troppo di pappette e simili, ma qualche aneddoto sulla neonata Kore, credo che non ci starebbe male.
Alcune cose, alcuni personaggi, sembreranno, e perdonate il francesismo, cagati lì per caso... ebbene, io spero di smentire questo.
Avere una storia con tanti personaggi, e riuscire a caratterizzarli tutti come gli Dei comandano, non è facile. e io non sono George R. R. Martin. Oh sì, sono una fan del trono dei troni Trono di spade.


Era ho voluto renderla molto più fragile di quanto la mitologia non insegni. A conti fatti lei è una donna, ripetutamente tradita. La rabbia è comprensibile, e anche la poca lucidità. Non è mai da giustificare un atto di violenza, ma bisogna sempre vedere le cose sotto diversi punti di vista.
Zeus... l'avrete capito, provo una certa simpatia nei suoi confronti. Sono il genere di donna che non vede MAI di buon occhio il tradimento. Però voglio credere nel riscatto, almeno sulla carta. Di base dico sempre "Se uno tradisce, tradirà ancora". In questa storia però voglio credere in un lieto fine... più o meno.

Chi mi conosce, sa che ho una certa simpatia per le storie tragiche XD, sebbene cerchi sempre di regalare un lieto fine ai miei personaggi.

Ah per Ade... ricordatevi sempre che quest'uomo, questo Dio, la sa lunga. Non c'è bisogno che dica altro. È un simpatico modo per farvi cominciare a pensare a macchinose idee pronte per il racconto, e poi stupirvi facendo tutt'altro.
In realtà, ci sono poche cose certe su questa storia, a parte i due perni: la storia dei protagonisti, ovviamente, e ciò che muoverà tutto... ma quello me lo tengo per me.

Prima che me ne dimentichi. La scelta del nome della madre naturale di Kore. Cloe, si dice, è uno dei tanti nomi di Demetra, infatti significa erba verde, erba che spunta. La ricerca, con questo racconto, è fondamentale. Per le ninfe a seguito di Demetra ho giusto spaziato un poco. Egeria ad esempio l'ho presa "in prestito" alla mitologia romana. Egeria era amante, moglie e consigliera di uno dei sette re di Roma: Numa Pompilio. Demetra è una regina, a modo suo, e ogni buon sovrano necessita di un gruppo di consiglieri e persone fidate. 

Ringrazio il mio beta, e adorato moroso, per l'aiuto (dice che sto migliorando, ci mette poca mano oramai :D). 
Ho aspettato a lungo prima di buttarmi in questo nuovo progetto, e pare che le premesse siano buone.
È stato così anche per il principe Scorpione, favola che tra l'altro dovrei anche ripubblicare aggiornata (dato che ho fatto un bel po' di modifiche). Insomma, prendiamoci il dovuto tempo.

Sto facendo i miei siparietti decisamente troppo lunghi.
Per stavolta chiudo qui. Vi ringrazio ancora per il sostegno e i pareri, aspetto adesso le vostre opinioni.

Un bacione e alla prossima. <3


 
Shera



P.s. Ho leggermente modificato il testo, togliendo una parte che verrà ripresa nel prossimo capitolo.
Dato che non toglieva nulla a questo, e che invece era di grande aiuto nel prossimo ^^.

A presto ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Gemma si schiude ***


L'angolo di Shera ^^

Eccoci con un nuovo capitolo :D
Ringrazio Lady Devonne Isabel per aver aggiunto la storia fra le preferite, Julie_Julia, Lem Mac Lem e Nemesis98 per averla aggiunta fra le seguite, e ringrazio tutte coloro che mi hanno commentato :D


La storia sta prendendo forma, e io non vedo l'ora di passare al prossimo capitolo, dato che potrò divertirmi con lo stravolgimento di un altro mito, già sfruttato da altre prima di me.
Con questo capitolo mi son davvero messa le dita fra i capelli, complice probabilmente anche il caldo.
Continuavo a leggerlo, modificare e cadere di fronte alle odiatissime ripetizioni superflue. Stavo veramente smattando. E siamo solo all'inizio -.-.
Voleva essere un capitolo dedicato quasi interamente a Demetra e Kore, ma alla fine ho optato per questa versione, includendo anche una piccola "favola" su quella che è la Genesi, e un forte richiamo all'Equilibrio.
Sono una fan sfegatata della serie di videogiochi "Legacy of Kain" e in particolar modo sono affezionata all'ultimo capitolo della saga: Defiance. E qui l'Equilibrio gioca il suo ruolo mica da ridere. Ho voluto ripescarlo... credo che qualcosina si possa già intuire su quali saranno gli sviluppi (oltre al "Ade+Persefone felici sposi"), il resto cercherò di centellinarlo pian piano, giusto per tenervi sulle spine. Ma neanche così tanto. Non ho previsto un numero simbolico di capitoli, ma dubito di farne tantissimi.

Questo però credo di poterlo anticipare senza problemi, le figure di Thanathos e Hypnos ci saranno. Oh sì che ci saranno! Come sempre saranno a disposizione del loro padrone, e giocheranno il loro ruolo affinchè tutto vada come deve andare.

Ho messo prima le note, dato che ho fatto una piccola modifica al capitolo precedente, rimuovendo una cosa che poi ho ripreso e leggermente ampliato in questo capitolo, e che, una parte di questo discorso, se vogliamo, verrà ripreso poi. Erano giusto tre righe riferite ad Atena e Artemide.

Ci sono un po' più elementi certi adesso nella mia capoccia, alcuni sviluppi sono ancora un po' incerti, ma so dove voglio arrivare.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, aspetto i vostri pareri :D

Grazie e alla prossima <3

P.S. Me ne stavo dimenticando, in quanto a miti vi vorrei segnalare due artisti che secondo me hanno trattato molto bene Ade e Persefone, in versione fumettistica.
Zelda C. Wang e Poly-M.
La prima ha dato una bella rilettura ai miti (quello di Poseidone e Anfitrite è di una dolcezza sconfinata), senza contare il tratto meraviglioso dei suoi personaggi. 
Vi linko il sito dove poter leggere le sue opere. Credo che un giorno farò qualche acquisto XD

http://myth.smackjeeves.com/chapters/4576/info/

la seconda col suo Akward Hades, ha dato una lettura ironica di questo mito, e vi assicuro che vale la pena leggerlo! Quasi trenta tavole di puro divertimento XD
http://poly-m.deviantart.com/art/Awkward-Hades-1-404114171

 


- La gemma si schiude -
 
 
Demetra era raggiante.
Dopo i lunghi festeggiamenti indetti da Zeus per la nascita della piccola Kore, la Dea della natura si ritirò nel suo palazzo.
La reggia della Dea si discostava molto dalle imponenti costruzioni dei suoi fratelli.
Il bel palazzo era un intreccio di rami che non permettevano a una sola goccia di pioggia di filtrare, i letti erano delle chiome donate dagli stessi alberi, sempre verdi e morbide.
Il trono su cui sedeva la divina Regina delle messi, era in legno intarsiato, con effigi di quelli che erano i suoi domini.
- Un giorno tutto questo sarà anche tuo, piccola Kore. - disse la madre alla figlioletta, mentre le ancelle facevano strada lungo il corridoio che portava alle regali stanze di lei.
Fino a che la piccola non fosse stata in grado di dormire da sola, Demetra l'avrebbe tenuta con sé.
Anthea aveva preparato la stanza della regina adornandola di rose e gigli, Egeria aveva portato delle candele per illuminare la bella stanza, Kraneia invece aveva acceso gli incensi più delicati per rilassare l'amata Dea e la piccola Kore.
Phoebe e Atlanteia invece, con le loro dolci voci, cominciarono a cantare, così come avevano sempre fatto per accompagnare nel mondo dei sogni la loro Dea, e favorire anche la piccina.
Quella fu la prima notte di Kore nel palazzo della natura.
 
Ogni giorno la Dea e le ninfe coccolavano la piccina, che cresceva forte e gioiosa, amata da chiunque la conoscesse.
Fintanto che era piccola, Demetra riusciva a farle fare esattamente quello che voleva. La piccola era ubbidiente e seguiva ovunque la madre, curiosa di vedere i prodigi dei quali ella era capace.
A tre anni, Kore fece crescere da sola la prima quercia, alta e rigogliosa, con foglie così verdi e il tronco così stabile che niente riuscì mai ad abbatterlo. La madre fece mettere un dondolo su quell'albero, e le calde sere in cui l'afa era insopportabile, se ne stava beata con la figlia ad ammirare il manto nero del cielo, illuminato dalle lontane stelle, e raccontandole storie mentre venivano cullate entrambe dal quel dolce dondolio.
 
Quando Demetra veniva evocata dagli uomini, portava con sé la piccina, in modo che potesse conoscere il loro mondo, al quale, in un certo senso, apparteneva.
Pur essendo divenuta una divinità, il suo legame col mondo degli uomini era ancora vivo.
Un giorno sarebbe stata venerata a sua volta, e Demetra voleva che divenisse una Dea non solo giusta, ma anche amata.
Se voleva farsi amare dagli uomini, era giusto che si facesse conoscere.
 
Un giorno Demetra venne chiamata da alcuni contadini di una bella vallata, che negli ultimi tempi aveva conosciuto un'inarrestabile siccità. Gli animali morivano, le piante si erano seccate, e anche per gli uomini stava diventando un'impresa sopravvivere.
La Dea, da sempre rispettata da quei buoni contadini, era pronta a elargire loro la sua bontà, mettendo fine a quel periodo buio.
Ma a precederla fu la figlia, commossa di fronte alle parole e al dolore di quelle famiglie. La piccola pianse, e dalle sue lacrime il terreno secco divenne nuovamente soffice e profumato, i prati si colorarono nuovamente di verde brillante, e le colture ricrebbero forti e rigogliose.
Gli abitanti di quello sfortunato villaggio si inchinarono di fronte alla Dea bambina, ringraziandola per aver reso loro la vita migliore.
In quella città venne poi eretto un grande Tempio, nel quale si celebrò per secoli la magnificenza delle due Dee; quella città si chiamava Eleusi.
 
Come concordato all'inizio di tutto, Demetra lasciò che la piccola passasse del tempo sull'Olimpo, col padre e con le sorelle e i fratelli. Si premurò sempre con Zeus di tenerla il più possibile lontana dagli Dei, temendo che qualcuno di loro potesse interessarsi troppo a sua figlia, e in futuro reclamarla come moglie.
Demetra vide di buon grado la vicinanza di Kore con Artemide e Atena, le Dee vergini, tanto che era ella stessa a spingere la figlia, quando lei non poteva portarla con sé. a passare del tempo con le due Dee.
Atena era molto calma e paziente, non era un tipo materno, ma con Kore ci sapeva fare. Insegnò alla bambina a leggere, e le mostrò le bellezze della città che gli uomini le avevano dedicato.
Atena era una Dea saggia, e cercò di istruire Kore, in modo che anche essa potesse diventare una Dea equilibrata, in grado di vedere ben oltre ogni inganno. Capace di valutare le cose con occhio giusto... e di tenersi alla larga dai vizi che "infestavano" letteralmente la loro amata dimora, nella quale Dei e Dee davano libero sfogo ai più bassi istinti. Peggio degli uomini.
Atena portava la piccola principalmente nelle città, o nell'immensa biblioteca dell'Olimpo. E in rari casi anche nella grande Sala del Mondo, dove era possibile vedere tutto quello che accadeva sulla Terra.
 
A Kore piaceva passare così il tempo, ma le piaceva ancora di più la compagnia della cara Artemide.
Artemide aveva un carattere più aggressivo rispetto alla sorellastra. Atena era tranquilla e composta, mentre Artemide era spesso preda della rabbia, specie se si trattava di uomini che cercavano di attentare alla sua verginità, o a quelle delle sue ninfe, o peggio ancora uomini che violavano la sacralità dei suoi boschi e dei suoi abitanti.
Artemide insegnò a Kore l'uso dell'arco e l'arte della caccia, spiegandole che era importante quello che facevano, e che non bisognava mai abusarne.
Con la sorellastra, Kore condivideva l'amore per la natura e gli animali. In apparenza, questo secondo amore, entrava in contrapposizione con la passione per la caccia, ma Artemide sapeva che anche la caccia aveva la sua funzione, portando equilibrio fra il mondo umano e quello animale.
Kore poteva correre libera nei prati e cavalcare i cervi sacri della sorella, quando glielo permetteva.
La vita della piccola Dea trascorreva serena e felice.
 
Ma più il tempo passava, e più Kore non cresceva.
Erano passati dei secoli dalla sua nascita, eppure per lei, sembravano essere trascorsi solo un paio di anni.
La piccola chiedeva spesso alla madre il perché tutti crescessero normalmente tranne lei, ma Demetra cercava sempre di eludere quelle fastidiose domande della figlioletta.
La Dea, che era sempre molto attaccata alla figlia, cercava ancora di tenerla ancorata a sé, non permettendole, con i suoi poteri, di crescere.
Fu Era ad intervenire, costringendo la sorella a mettere giudizio.
- Non puoi costringere per sempre Kore a vivere da bambina per sempre. Anche se il suo corpo è quello di un'infante, la sua mente è quella di una ragazza oramai.
Demetra piagnucolò, dicendo che quella sarebbe stata la sua unica bambina, e che voleva che restasse per sempre con lei. Se fosse cresciuta, qualcuno gliel'avrebbe portata via.
Era consolò la sorella, dicendole che nessuno le avrebbe tolto la figlia, e che il legame che stringeva le due, era più solido di qualunque altro.
Demetra infine cedette, ma solo in parte. Infatti, Kore cominciò sì a crescere più velocemente, ma non troppo: sarebbe rimasta bambina, la sua bambina, ancora per un po' di tempo.
 
Ma più Kore maturava, e più reclamava la propria indipendenza.
Demetra mandava a malincuore la figlia sull'Olimpo, anche se ci teneva alla sua crescita ed educazione. Parlando con Era, aveva capito che non poteva tenere sua figlia troppo stretta a sé, ma doveva anche darle i suoi spazi.
Inoltre, la Dea sapeva quanto la figlia fosse insofferente alle buone maniere, ma come divinità era suo compito imparare a comportarsi degnamente.
Se fosse stato per Kore, le sue giornate sarebbero trascorse tra le fonti assieme alle ninfe, e correndo per i prati o coccolando e curando gli animali.
Che cosa voleva veramente Demetra per la sua Kore? Tutto e niente. Da una parte era fiera di lei, dei suoi poteri e del suo amore per la natura, del suo legame con la Terra e con il mondo degli uomini; ma avrebbe anche voluto che diventasse un'Olimpica, e che fosse degna di tale nome. Da una parte, apprezzava l'animo  libero e spensierato di Kore, la sua brama di libertà e di avventure, ma in fondo al cuore voleva che  restasse per sempre sotto la sua ala, come la sua unica piccola bambina adorata ed ubbidiente. Da un lato, preferiva che sua figlia diventasse matura e potente quanto lei, per poter condividere insieme quello che la Grande Madre Gaia aveva loro donato; ma dall'altro, quel lontano presagio delle Moire, e l'idea che lei diventasse adulta e preda di qualche pretendente, spingeva la Dea delle messi ad essere egoista e a non allentare mai del tutto la presa su Kore.
 
Tutto questo portò a molti battibecchi tra madre e figlia, tanto che un giorno, Kore fuggì di casa, allontanandosi senza lasciare traccia di sé.
Helios, che dall'alto vegliava sul mondo, e che nulla gli poteva essere celato, non riuscì a trovarla, e si temette il peggio. Zeus inviò subito gli Dei a cercarla, e ci vollero tre giorni prima che Kore venisse ritrovata.
 
Kore era ancora giovane, ma era tanto testarda.
Camminò a lungo, guidata dalle voci degli alberi suoi amici, e fedeli a lei.
Da quella prima quercia che aveva fatto crescere, aveva dato vita a molti altri arbusti. In genere la natura rispondeva a Demetra, ma non loro. Loro che dovevano la loro vita alla piccola Kore.
- Sono stufa! - esclamò la ragazzina mentre gli alberi le mostravano una strada sicura.
- Non fraintendetemi, mi piace stare da papà e da zia Era, e vedere Artemide e Atena... ma lassù è tutto così rigido! Papà mi fa giocare e scherzare, ma di fronte agli altri devo sempre essere così composta... Per non parlare di mia madre! Mi tratta sempre come una bambina. Odio tutto questo, lo odio! - disse con rabbia.
Gli alberi le dissero che non doveva arrabbiarsi così tanto. Ogni mondo aveva le sue regole, e quelle che i genitori cercavano di insegnarle erano solo segno del loro affetto.
Ma a Kore non importava. La ragazzina voleva solo giocare, libera da tutte quelle costrizioni.
Un salice le chiese se non si sentiva un poco in colpa. La sua famiglia si sarebbe di certo disperata non vedendola più tornare. Kore esitò, ma gli rispose che se lo meritavano. Lei doveva sottostare alle loro regole, regole che lei detestava.
Era coccolata e amata, questo lo sapeva bene, ma era anche uno spirito libero, e come tale voleva vivere.
Passò un giorno, e Kore era contenta, libera in quel bosco che la proteggeva dagli sguardi degli Dei che incessantemente la cercavano.
Passò il secondo giorno, e ancora Kore non ne voleva sapere di tornare.
Sapeva come procurarsi il cibo, sapeva dove trovare l'acqua e aveva la compagnia della natura che mai l'avrebbe offesa.
Kore si sentiva al sicuro in quel paradiso che si era creata.
Il terzo giorno, però, scoppiò un temporale, di quelli forti e potenti, capaci di far tremare anche la Terra.
Kore si spaventò, fuggendo in cerca di un riparo migliore, e impaurita com'era non sentì più le voci degli alberi che cercavano, invano, di darle una mano.
Kore fuggiva, spaventata, senza saper più dove andare.
L'erba bagnata la fece scivolare. Non si fece troppo male, ma non riusciva più a rialzarsi. Per la paura scoppiò in un pianto dirotto.
La pioggia non cessava, e la giovane cominciò a gridare il nome della madre e del padre, ma nessuno poteva udirla.
 
Ad un tratto però, da un cespuglio comparve un enorme lupo nero, con gli occhi brillanti e violacei.
Kore, vedendolo, si pietrificò. Anche se poteva comunicare con gli animali, non tutti erano sempre ben disposti.
La fanciulla provò a parlargli dicendogli che si era persa, ma il lupo non le rispose, e si avvicinò lentamente a lei.
Kore era terrorizzata, ma il lupo non le fece nulla, si accovacciò accanto a lei, e le fece cenno di salire sulla sua groppa.
La giovane non sapeva cosa fare, ma lo sguardo del lupo fece sì che lei si fidasse e lo seguisse.
La bestia la condusse in una delle grotte, e, quando la pioggia cessò, portò la ragazzina ai limiti del bosco, lanciando un forte ululato.
Kore non ebbe modo di parlare realmente con lui, prima di congedarsi lo abbracciò e lo ringraziò per averla aiutata.
Il lupo fece un solo cenno col capo, e percependo l'arrivo degli Dei, lasciò che la bambina si ricongiungesse alla sua famiglia.
- Grazie infinite. - gli gridò lei mentre l'enorme lupo spariva nel fitto del bosco.
Demetra abbracciò piangendo la figlia, e Zeus la strinse forte, dicendole di non fare mai più una cosa del genere.
Kore lo promise, perché la paura che aveva avuto quando era scoppiato il temporale, non l'aveva mai provata, e mai avrebbe voluto provarla di nuovo. Il Re degli Dei, sorridente e quasi compiaciuto, scambiò un'occhiata complice con la sorella.
Dopo la gioia per essersi ritrovati, Demetra fece una bella ramanzina alla figlia, la quale aveva comunque imparato la lezione.
 
Dopo quell'episodio, Demetra rimase una madre apprensiva, ma cercò lo stesso di essere meno rigida, esortando la figlia comunque ad essere una buona Dea.
Kore, dal canto suo, cercò di lamentarsi di meno, e di seguire le direttive della madre. Odiava ancora le regole e le imposizioni, ma sapeva che l'apprensione e la severità della madre, le sarebbero tornate utili un giorno.
 
Passò del tempo, e Demetra e Kore fecero ritorno all'amata cittadina di Eleusi, i cui abitanti, felici per la visita delle amate Dee protettrici, decisero di preparare un sontuoso banchetto.
In quegli anni, grazie anche alla protezione delle Dee, la città aveva potuto prosperare ed evolversi, diventando una delle città più ricche delle Terre di Grecia.
Tra le genti festose, però, c'era qualcuno che soffriva.
Una donna in lacrime, disperata come poche, si inginocchiò di fronte a Demetra.
- Vi prego, mia signora. Aiutatemi, da madre potete capire il dolore nel vedere l'amato figlio che soffre, senza poter nulla fare per dargli sollievo. - la donna spiegò alla Dea che il medico a cui si era rivolta, era solo stato in grado di prescrivergli delle piante per alleviare il dolore del figlioletto costretto a letto. Purtroppo, secondo il dottore, non vi era alcuna cura per salvarlo definitivamente. Nel giro di pochi mesi sarebbe morto.
Demetra non fu insensibile alle richieste della donna, ma lei non era la Dea della medicina. Avrebbe dovuto rivolgersi ad Apollo, o, meglio ancora, ad Asclepio.
Il piccolo tossì, e il fazzoletto col quale si era coperto la bocca, rivelò macchie di sangue. La madre del piccolo svenì, e Demetra abbracciò la figlia, facendole distogliere lo sguardo.
"Al posto di quel bambino ci potrebbe essere lei..." pensò Demetra, con la nausea che si faceva strada.
Ma Kore voleva fare qualcosa per quel bambino. Allora si ricordò di una pianta, molto rara, che si diceva curasse ogni male.
Kore si divincolò dall'abbraccio della madre, e le disse che forse lei sapeva cosa fare.
Non era ancora così forte, ma ci provò, e aiutata dal sostegno della madre amorevole, fece crescere quella preziosa pianta, salvando così la vita del piccolo Adone.
 
Passarono alcuni anni, e Kore diventò finalmente una bella signorina.
I lunghi e mossi capelli castani le incorniciavano il viso lievemente paffuto. Gli occhi brillavano di luce dorata quando venivano baciati dai caldi raggi del sole.
La bellezza della figlia era motivo di orgoglio per Demetra, che l'amava infinitamente.
Kore non aveva abbandonato i suoi sogni fanciulleschi, e sebbene il suo corpo fosse cambiato, e avesse una certa maturità nei comportamenti, la giovane preferiva di gran lunga passare le giornate divertendosi.
Le gite sul monte Olimpo erano diminuite: essendo cresciuta aveva maggiore libertà, e, con gran piacere della madre, la stessa Kore preferiva la compagnia di quest'ultima, che neanche quella degli Olimpici.
Normalmente le giovani Dee preferivano gli sfarzi del grande palazzo del Signore dei cieli, ma lei no.
Kore si divertiva in compagnia della madre e di quella delle ninfe.
Zeus avrebbe preferito tenersi stretta la sua adorata figlia adottiva, ma Era, forse temendo anche un possibile interesse del marito nei confronti di Kore, cercò di rassicurarlo, dicendogli che la ragazza doveva essere libera di scegliere.
Durante le feste ufficiali, Kore avrebbe comunque sempre presenziato al fianco di Demetra: le due Dee non avrebbero chiuso i ponti con gli Olimpici, ma la loro presenza sul Monte Olimpo sarebbe diminuita.
Quelle poche volte che saliva a palazzo, Kore cercava le sorelle amate, oppure la stessa Era. A differenza di quando era una bambina giocosa e birichina, cercava ancora la compagnia del Padre degli Dei, ma preferiva quella della Madre.
Rispetto a Demetra, Era si dimostrava una figura materna per Kore molto meno apprensiva e più complice.
Quando la ragazza era ospite sull'Olimpo, prima di andare a dormire, lei e la Regina si pettinavano a vicenda i capelli, e la prima raccontava antiche storie all'altra.
Kore era molto affascinata dai racconti della zia, soprattutto quelli che riguardavano la Genesi.
- Zia, ti prego, raccontami ancora la storia della creazione del mondo. - le chiese quella sera la dolce Kore.
- Ma la sai a memoria! Oramai dovresti esserne stufa. - si lamentò Era. In realtà, non era davvero stanca di raccontare quella storia. Raramente aveva passato così il tempo assieme ai suoi figli, e con Kore tutto le era sembrato molto più semplice di quanto non avesse mai immaginato. Dopo quel brutto episodio in cui lei aveva aggredito una Kore bambina, la giovane Dea si era legata a lei, tanto che era nata una grande intesa fra le due.
Kore mise il suo solito broncio, lo stesso che adoperava da bambina quando voleva qualcosa. La Dea rise e cominciò il suo racconto.
 
In principio c'era il nulla cosmico. Il Caos.
Non vi era alcun ordine fra gli elementi, non esisteva il tempo o lo spazio, regnava solo Caos.
Poi qualcosa cambiò, e nacque la vita. Quella nuova vita aveva un nome, ed era Gaia.
Gaia portò l'equilibrio nella nostra dimensione, sconfiggendo il Caos, il nulla,  e donando  vita all''Universo.
Da sola, Gaia generò i suoi figli: Ponto, il mare salato che ricopre gran parte di questo pianeta, e Urano, il cielo stellato, che in seguito sposò.
Dalla loro unione, nacquero le stelle, i pianeti, e così anche la nostra Terra.
 
- La vita è donna, dolce Kore, siamo noi donne che concepiamo la vita e riportiamo l'equilibrio. La storia parlerà sempre di "grandi uomini", ma mai delle grandi donne al loro fianco. Ricordati sempre che, senza di noi, ben pochi uomini avrebbero potuto raggiungere vette così alte.
 
La Grande Madre Gaia e Urano generarono la vita su questo pianeta: le prime creature superiori, i ciclopi, le arpie, gli ecatonchiri e i titani.
Gaia era buona, elargiva i suoi doni ai suoi figli e creò anche i primi uomini, che erano grati alle divinità per la vita concessa.
Ma Urano, che teneva più al potere acquisito, che neanche alla sua stessa famiglia, temendo che un giorno i suoi figli potessero detronizzarlo, li ricacciò, costringendoli nelle profondità della terra.
Madre Gaia soffriva, perché amava suo marito, ma non poteva tollerare che i suoi figli venissero trattati in quella maniera.
Gaia fece allora l'unica cosa saggia: armò i figli, i quali vennero guidati da Crono, che assicurò la libertà per tutti loro, e Urano venne per sempre esiliato: il Dio del Cielo fu costretto a lasciare la terra, e ad ammirarla solo da lontano, lassù, e mai più si ricongiunse alla sua amata sposa.
 
- Secondo te, se potessero, tornerebbero insieme? - chiese Kore con gli occhi lucidi. Per Kore non vi era finale migliore di un lieto fine, ma sapeva che spesso la realtà regalava ben poche gioie, e spesso la vita era dura e triste.
- Io credo che quei due si amino ancora. Gaia ha appoggiato i figli perché l'amato aveva perduto la ragione. Ma nel suo cuore... credo che nel suo cuore l'amore per il marito non si sia mai spento. - Era non stava parlando solo di Gaia, ma anche di se stessa. Non importava quante volte Zeus avesse tradito il loro amore e la sua fiducia. Lei lo avrebbe amato fino a che l'Universo non sarebbe stato annientato dal nulla primordiale, per poi rinascere ancora e generare vita nuova.
Lei avrebbe amato quel marito tanto infedele, per sempre.
 
Crono cominciò quindi a governare, ma la storia, purtroppo, si ripeté.
Crono inizialmente governò in maniera giusta, sposò una delle sue sorelle, Rea, dalla quale ebbe molti figli.
Nuove divinità popolavano il mondo, e la Terra conobbe un'era particolarmente ricca e prospera.
Ma come spesso accade, anche quei lieti momenti finirono.
Ancora una volta uno dei discendenti di Gaia, preda dell'isteria, temette che la sua stessa prole potesse detronizzarlo, e così li inghiottì, dato che una profezia aveva rivelato al sovrano che i figli lo avrebbero alla fine detronizzato. Proprio come era successo a suo padre prima di lui.
Crono divorò i figli, certo che così la profezia non si sarebbe avverata.
Gaia, non sopportando la visione della storia che ancora si ripeteva, decise di aiutare la figlia Rea, suggerendole di salvare il suo ultimo figlio, il piccolo Zeus. Questo venne sostituito con una grossa roccia, e Crono, che non si curò di controllare il fagotto che la moglie gli porgeva in sacrificio, ingoiò quello che credeva essere la sua ultima minaccia. Nel frattempo, su un'isola, protetto da Gaia, Zeus cresceva sano e forte, pronto a spodestare il padre e a salvare i fratelli.
Ci volle del tempo, ma alla fine Zeus fu pronto, affrontò il padre e liberò i fratelli. Ebbe così origine la Titanomachia, l'aspra guerra fra Dei e Titani.
Dieci lunghi anni, che portarono alla finale vittoria di Zeus e degli Olimpici.
Per raggiungere quel tanto sospirato esito, Zeus si avvalse dell'aiuto di molte creature, guidato anche dai saggi consigli di Gaia, tra i quali spiccarono i ciclopi, abili fabbri che fecero tre doni ai figli di Crono: la Folgore per Zeus, il Tridente per Poseidone, e un elmo, la Kunée, per Ade.
Ognuno di essi avrebbe avuto il suo importante ruolo nella guerra.
Grazie all'elmo dell'invisibilità, Ade si infiltrò fra i titani, ai quali distrusse le armi; Poseidone, grazie al Tridente,  ebbe il dominio dei mari, nei quali i Titani marini non avrebbero potuto più nascondersi; e infine Zeus, armato della sua potente Folgore, mise in ginocchio i precedenti Signori del mondo allora conosciuto.
Crono venne esiliato nel Tartaro, e con lui tutti quelli che si opponevano alla nuova era iniziata da Zeus.
 
Dopo la dura guerra i tre fratelli si spartirono il mondo: Zeus, colui che aveva salvato i suoi fratelli e condotti alla vittoria, si prese il Regno dei Cieli, l'Olimpo. Un Regno di Luce e bellezza, di energia, da cui poté governare gli uomini.
Poseidone si prese il Regno dei Mari, splendente e affascinante, divenuta poi dimora di tutte le divinità e creature marine. Il regno dei Mari si estendeva su tutto il pianeta, e la bella reggia del Dio era nascosta nelle sue profondità, dove Poseidone viveva con la bella Anfitrite, la sua dolce regina, una Nereide. Le divinità marine fecero da allora capo a quella sacra dimora, e Poseidone si dimostrò un buon re.
Ade, che poté scegliere immediatamente dopo a Zeus, dato che fra i tre lui era il maggiore, scelse l'Averno, dato che, così come disse ai fratelli, lui era fatto per quel regno.
L'Averno era oscuro, i raggi del sole non potevano rischiarare quelle terre, e l'aver a che fare coi morti non faceva certo di quel regno un luogo particolarmente allegro.
Nell'Averno, il tempo non esisteva, non come negli altri domini.
La dimora di Ade si discostava dalle costruzioni dei palazzi dei fratelli: il suo aspetto era qualcosa che trascendeva il tempo, che apparteneva ad un'epoca ancora sconosciuta.
Nel suo palazzo si trovavano quadri raffiguranti scene sconosciute di eventi troppo remoti o ancora lontani nell'avvenire.
Il regno del Sottosuolo era immenso, e solo il suo sovrano e gli abitanti che lo popolavano ne conoscevano la sua vera vastità e le sue regioni.
Quel Regno era la destinazione finale per le anime dei mortali. In superficie si sapeva solo che le anime pie finivano nei campi Elisi, mentre le altre subivano il supplizio per le atrocità commesse in vita.
Dopo la spartizione del mondo, il Caos, che in quegli anni aveva governato grazie all'operato di Crono, e prima ancora di Urano, venne infine sconfitto, e l'Equilibrio ripristinato.
Il Caos cercherà sempre di stravolgere l'Universo, ed è nostro compito preservare l'Equilibrio.
Giorno e Notte, Vita e Morte, Uomo e Donna, Re e Regina... tutto deve avere la sua controparte, il suo opposto.
L'Equilibrio è la chiave del mondo, e Gaia ne è la sua protettrice.
 
Kore era affascinata dalla storia che aveva visto la restaurazione dell'Equilibrio, e dell'ascesa al potere del padre e degli zii. Anche se non li conosceva bene, li aveva visti di sfuggita poche volte.
Poseidone le sembrava simpatico, mentre Ade era così sfuggente che non era ancora riuscita a farsi un'idea su quello zio che in molti temevano.
- Sarebbe stato divertente nascere durante la vostra ascesa... far parte della storia, proprio come voi. - con tristezza, Kore sospirò. - Io sono solo una Dea fanciulla, una Dea della Natura insignificante.
- Perché dici questo? - Era scrutò la giovane, non capendo da dove venisse quell'improvvisa tristezza.
- Voi avete fatto così tanto, ma io? Io che mai potrò fare? Io che ho impiegato secoli a diventare fanciulla!
Era pensò a lungo cosa rispondere alla figlia. Demetra era sì artefice della mancata crescita della ragazza, volendo tenere per sempre sotto la sua ala quella bambina che tanto aveva cercato. Ma era anche la stessa Kore, incostante come solo una fanciulla poteva essere, che si privava della sua stessa crescita. Voleva essere bambina, e al contempo indipendente e adulta.
- Nella vita bisogna saper prendere le proprie decisioni. Se questa vita non ti piace, allora cambia. Diventa ciò che vuoi essere; oppure continua così, ma senza lamentarti. - Era baciò sulla fronte una stupita Kore. - Per crescere ci vuole tempo, non abbatterti se le cose non vanno subito come vorresti. Prendi esempio dalla natura. Gli alberi non crescono in un giorno. Tu hai impiegato un bel po' per arrivare fino a quella che sei diventata oggi, e ancora dovrai crescere, ma chi ti dice che non potrai essere null'altro che una semplice Dea della Natura? Il potere che hai è grande, non sottovalutarlo, piccola Kore. - La fanciulla sorrise, e la Madre degli Dei la lasciò ai suoi sogni.
 
Un giorno Kore sarebbe sbocciata del tutto, divenendo una grande Dea, padrona di sé stessa e del suo stesso destino.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Adone ***


- Adone -


Nonostante Demetra avesse da tempo cercato di essere meno soffocante nei confronti di quella figlia tanto amata, rimaneva comunque una madre estremamente gelosa e apprensiva.
Dover accettare che anche la sua amata sorellina Era fosse diventata per Kore una seconda madre, non era stato facile da digerire.
Ma Era era una donna forte e decisa, che non si lasciava incantare da nessuno, fuorché da quel marito amato forse fin troppo.
La Dea delle messi si fidava poco degli Dei dell'Olimpo: avere quindi un'alleata del genere nella crescita della figlia, era forse la cosa migliore e la più grande delle fortune.
Atena e Artemide erano delle sorelle, delle amiche per Kore, ma la sua bambina aveva bisogno più di una guida, laddove lei, Demetra, non era in grado di seguirla, ed Era era l'unica sostituta in grado di prendere il suo posto.


Kore non era più una bambina, e già da tempo. Dopo che Demetra decise di allentare finalmente la presa sulla figlia, Kore poté crescere normalmente, a ritmi umani.
Gli Dei crescevano molto più rapidamente rispetto ai mortali, in pochi anni erano già adulti. Demetra trovò il compromesso tra i suoi desideri e ciò che era giusto, facendo maturare la figlia con quei ritmi.
Kore non era cresciuta solo nel corpo, in quegli ultimi anni, ma anche caratterialmente.
La bambina che non accettava le imposizioni, i divieti, e, soprattutto, gli obblighi che derivavano dalla sua posizione, aveva imparato ad accettarli dove era consono. Kore non aveva voltato le spalle a quel lato ribelle del suo carattere, lo aveva semplicemente adeguato. Seguiva ancora le sue idee, il suo cuore, ma aveva capito anche che a volte doveva anche dare retta a chi ne sapeva più di lei.
La Dea non aveva scordato le parole di Era, e aveva cercato di farne tesoro in modo da non avere mai nulla da rimproverarsi. Sapeva che non sempre le cose sarebbero andate come avrebbe voluto, ma aveva intenzione di fare sempre del suo meglio per migliorare, per risolvere ogni problema, e per tirarsi sempre fuori da ogni impiccio che le potesse capitare.


Questa crescita cominciò ad attirare gli sguardi degli Immortali. Kore non era sensuale come Afrodite, esotica come Anfitrite, maestosa come Era, o affascinante come Demetra... ma cominciava a sbocciare. Niente attira di più lo sguardo degli Dei, di un frutto che non è ancora stato assaggiato.
I mortali la ammiravano, ma mai nessuno avrebbe osato alzare un dito verso quella divinità così buona con loro.
Kore in quegli anni si era adoperata, imparando dalla madre, nel dare agli uomini ciò di cui avevano bisogno.
Voleva insegnare loro il modo migliore per sfruttare quello che la terra gli donava, rendendoli sempre più autosufficienti.
Non sopportava le carestie, e quando si imbatteva in territori in cui la natura era morta, sfruttava ogni goccia del suo potere per riportare la vita là dove regnava la morte.
Kore era la vita che rinasceva dopo un lungo sonno, una morte apparente, perché la terra, la sua amata terra, non poteva morire. Il suo compito era quello di risvegliarla dal suo torpore e ridarle nuovo vigore.
Kore aveva un grande potere, lei lo sapeva, e voleva usarlo per aiutare chi non aveva avuto la sua stessa fortuna.
Nascere Immortale comportava avere un dominio sulla terra, ma sfruttarlo solo per sé, senza elargire anche un briciolo di quella fortuna, che senso avrebbe avuto?


Kore aveva sempre avuto una certa avversione per l'Olimpo, e crescendo aveva capito perché provasse quei sentimenti di “rimprovero” che nutriva nei confronti degli altri Dei.
Salvo rare eccezioni, quasi tutti erano egoisti, e l'unica cosa che sembravano voler elargire era dolore alle creature mortali, usate come giocattoli e poi gettate via.
Ares, quel bel Dio dai capelli riccioluti e folti: lui scatenava il peggio degli uomini. La città che gli era più devota era la sanguinaria Sparta, i cui uomini erano feroci guerrieri.
Eris, che dire della Dea coi capelli e gli occhi del colore della notte più cupa? Lei seminava la discordia ovunque andasse, le bastava un niente, una goccia, per poi scatenare un maremoto.
Il suo stesso padre, Zeus, signore dell'Olimpo, non era da dimenticare. Kore gli voleva molto bene, ma non era cieca di fronte alle sue colpe.
Le donne, e talvolta anche gli uomini, erano ammaliati da lui, una personalità a dir poco magnetica. E le conseguenze di questo “potere” che sprigionava anche involontariamente, erano la disperazione di Era, che poi si scagliava contro le vere vittime di un fato beffardo.
Erano tutti dei peccatori che non si interessavano mai troppo dei danni che conseguivano alle loro azioni.
Tutti troppo egoisti ed egocentrici per rendersi conto che loro, essendo superiori all'uomo, avrebbero per primi dovuto dare il buon esempio. Solo in pochi, purtroppo, l'avevano capito.
Atena era una di queste, e anche per questo la stima di Kore per lei, crebbe ancora di più col passare del tempo.
Kore nutriva ammirazione solo per poche divinità, e aveva invece un grande amore per il genere umano.
Sapeva che quella creatura non era perfetta, ma proprio per quello l'amava di più. L'ammirava. E talvolta la invidiava.


Kore però, non era la sola ad “amare” l'umanità. Seppur non alla stessa maniera.
Mentre Kore si recava ad Eleusi per vedere come procedeva la vita nella sua città prediletta, in un bosco, non lontano dalla stessa, un'altra divinità stava elargendo il proprio amore.
Afrodite, che molti anni prima si era innamorata di quello che all'epoca era solo un bambinello dalle guance paffute e rosee, stava eseguendo con lui l'antica danza dell'amore.
Afrodite non era una solo una Dea bellissima, dai capelli color del miele, labbra rosse e carnose, e occhi del blu degli zaffiri; Afrodite era una Dea che quando amava, amava con tutto il cuore.


Per uno scherzo del Fato, si era ritrovata però ad essere moglie dello sfortunato Efesto.
Efesto non era un Dio di amabile aspetto, non era mai stato particolarmente bello, ma prima di quell'incidente nessuno aveva mai provato ribrezzo nell'incrociare con lui lo sguardo. Era a quei tempi non era una madre molto attenta o particolarmente affettuosa. Le scappatelle del marito l'avevano ferita a tal punto che non aveva la forza di seguire i loro stessi figli.
Il piccolo Efesto, per una distrazione della Dea, ebbe un incidente che cambiò per sempre la sua vita, e un'orribile cicatrice gli deturpò per sempre il viso come ricordo di quanto accaduto. Fu un incidente, una disgrazia, della quale il piccolo non aveva colpa. Ma fu lui a pagarne le conseguenze.
In cuor suo la Dea, sentiva come se quel fatto, quella cicatrice sul volto del figlio, avesse creato un'ulteriore crepa fra lei e il marito.
Lui non l'aveva mai sgridata o umiliata per quello che era accaduto. Ma Era sentiva che silenziosamente, lui la stava giudicando per quanto accaduto.
Il marito non aveva mai nemmeno provato a nasconderle le numerose scappatelle dalle quali aveva avuto anche dei figli. Era lo aveva spesso aggredito per questo, e lui aveva sempre lasciato che lei si sfogasse.
Ma qualcosa cambiò. Da quella volta fu diverso.
Dopo l'ennesima conquista del marito, e l'ennesimo figlio, Era litigò col marito, e a lui bastò uno sguardo per farla smettere definitivamente.
Non sempre le ferite rimarginano, e ogni volta che Era vedeva il viso del figlio, non poteva che sentire un enorme senso di colpa.
Senso di colpa che non riuscì mai a far cessare del tutto. Non riuscì mai a comportarsi da madre più attenta nei confronti né di Efesto, né degli altri suoi figli.
Un giorno quel suo sfortunato figlio, fece una richiesta ai Signori dell'Olimpo, e fu Era a scegliere cosa fare. Quella scelta portò al matrimonio fra il Dio più grossolano e sgraziato di tutti, e la Dea più bella della Terra.


Afrodite aveva avuto molti amanti, il marito lo sapeva bene, ma si accontentava del fatto che la moglie gli facesse qualche carezza e che giacesse con lui di tanto in tanto.
Lui sapeva bene che lei non lo amava, come avrebbe potuto essere altrimenti? Lei era Afrodite, la Dea più bella, e lui era solo Efesto, l'orrendo fabbro degli Dei. Lei si era ritrovata incatenata a lui solo per volere dei suoi sovrani, altrimenti quel matrimonio non ci sarebbe mai stato.
A Efesto, però, andava bene comunque. Non poteva desiderare l'amore della moglie, ma Afrodite riusciva a dargli delle piccole soddisfazioni. Questo non poteva lenire interamente il dolore di Efesto, ma lo faceva sentire meno solo e abbandonato.


Afrodite non era senza cuore, ma sposare Efesto era stata una tragedia per lei. Peggiore di qualunque altro supplizio.
Aveva provato rabbia e repulsione nei confronti di suo marito che, seppur burbero nei confronti degli altri, con lei era sempre stato gentile.
Col tempo l'aveva capito, e aveva accettato di comportarsi, di tanto in tanto, come una buona moglie, ma il suo spirito pretendeva altro.
Lei era Afrodite, la Dea dell'amore, e in quanto tale doveva elargire al mondo il suo di amore.
E così dopo Ares, Ermes, Dioniso, Poseidone, e tanti altri che erano caduti ai suoi piedi, supplicando un po' di amore da parte sua, fu lei a cadere per Adone.
Quell'umano, quel cacciatore così bello e dolce che rapì il cuore della bella Dea quando era solo un bambinello dalle guance paffute e rosee.


Adone non aveva neanche un anno quando Afrodite lo vide per la prima volta, e subito ne rimase folgorata, decidendo di tenerlo d'occhio per vedere come sarebbe diventato quel dolcissimo bambino. Passarono alcuni anni, Adone era già stato salvato da Kore, e il piccolo era cresciuto forte e in salute.
I riccioli biondo cenere e gli occhi vivaci avevano subito attratto la bella Dea, la quale attese con impazienza il giorno in cui si sarebbe fatta trovare da un Adone più cresciuto, meno attratto dai giochi dei bambini, e interessato invece a quelli degli adulti.
Afrodite attese, e un giorno i due si incontrarono. Inutile dire che Adone si innamorò immediatamente della Dea, senza nemmeno che Eros, ragazzo vivace, figlio della Dea dell'Amore, scagliasse una delle sue micidiali frecce, dritta al cuore del ragazzo.
Da quel giorno i due si incontrarono ogni volta possibile. Adone aveva di che sfamarsi e vivere degnamente, grazie alle sue doti di cacciatore. Grazie ad esse, era riuscito a guadagnarsi un'ottima fama, e i suoi servigi erano richiesti un po' ovunque, e la sua merce pagata molto bene.
A volte sembrava quasi che gli animali si lasciassero uccidere da lui. Come se ne fossero attratti.
Adone conosceva la natura divina della sua compagna, e sapeva anche che la loro unione non sarebbe mai stata nulla di più di quello che avevano. Lui adorava Afrodite, lui l'amava, ma non desiderava una famiglia. La loro unione gli piaceva esattamente così come era.
L'unica cosa che per lui contasse, erano quei momenti fugaci in cui poteva bearsi e specchiarsi negli occhi di lei, assaporare i languidi baci che lei gli donava, e godere del momento in cui i loro corpi si fondevano lasciando spazio solo ai loro gemiti che raggiungevano il cielo stellato, o che rimbalzavano sull'acqua, o che ancora si perdevano nel fitto dei boschi.
Quando si incontravano, non esisteva null'altro che loro e quei momenti di piacere.
- Per me ci sei solo tu, mia dolce Dea. - gli ripeteva sempre lui ogni volta che si congedava dai suoi abbracci.
Afrodite rideva, lo baciava e se ne tornava a casa sul monte Olimpo dal marito, o da qualche altro amante.
Quella volta non sembrava diversa dalle altre.
Afrodite era certa che nessuno che fosse diventato suo, avrebbe mai più potuto amare qualcun'altra. Perché lei era Afrodite.
Lei però non poteva sapere che il suo amante, Adone, il suo Adone, avrebbe presto perso la testa per un'altra creatura. Una che non era lei.
Un affronto imperdonabile per la Dea dell'Amore. Per la Dea più bella del Cosmo.


Kore passeggiava scortata da uno dei consiglieri del re di Eleusi, Zenas, il quale le stava facendo un resoconto sull'andamento di quegli ultimi mesi.
Era passato del tempo dall'ultima visita di Kore, ma per fortuna, tutto andava bene.
Le colture fiorivano rigogliose dando di che vivere agli abitanti della città, il commercio aiutava ulteriormente nella crescita di Eleusi, le famiglie si moltiplicavano e i medici erano in grado di prestare ogni sorta di cura a chiunque ne avesse bisogno. Nulla sembrava turbare quell'equilibrio che con fatica avevano creato.
Non era una città perfetta, ma anche quei rari episodi in cui si venivano a creare situazioni incresciose, la brava gente di Eleusi riusciva a trovarvi rimedio.
Fu in quel momento, mentre Zenas chiacchierava amabilmente con la bella Kore, che Adone la rivide per la prima volta, e il suo cuore ebbe un sussulto.
La riconobbe immediatamente, anche se allora era solo un bambino, provato da quella malattia che lo stava consumando.
Ricordava una fanciulla avvolta da un'aura luminosa, che lo aveva salvato.
Le lepri che aveva catturato, e che aveva portato in città per rivenderle, le lasciò cadere a terra, e si avviò per porgere i suoi saluti a quell'incantevole bocciolo di Dea.
“Miei Dei, com'è... bella” pensò il giovane Adone mentre si avvicinava velocemente a Kore.
“Sapevo delle sue visite, ma da allora non ci siamo più rivisti. Non ne ho mai avuto la fortuna”. Essendo una delle protettrici della città, Kore e Demetra trovavano sempre del tempo per visitare Eleusi, e Adone, impegnato con la caccia, aveva sempre sperato di rivederla, senza però averne mai la fortuna.
Col tempo aveva finito per rinunciare anche alla speranza di rivederla, e nello stesso tempo apparve a lui Afrodite, bellissima e pronta ad accoglierlo e ad amarlo.
Kore era stata il primo amore di Adone, il quale ricordava ancora il profumo di lei, le dolci parole che lei gli sussurrava e il suono della sua voce.
Andrà tutto bene” gli aveva detto quella volta.
E lui si salvò.
Tutto grazie a Kore.
Aveva sempre voluto ringraziarla adeguatamente, ma non ne ebbe mai modo.
E Kore era lì, proprio a pochi passi da lui.
Bella, un bocciolo pronto a schiudersi, pura e incontaminata.
Bastava guardarla per sapere che Kore era ancora una ragazza dolce, ingenua, che non aveva ancora giaciuto con alcun uomo, e che dell'amore non ne conosceva nemmeno la forma, il profumo, il sapore... forse ne aveva sentito parlare, ma non l'aveva mai provato.
Più lui si avvicinava, più lui si scordava dell'altro suo amore.
Non c'era più Afrodite. C'era solo Kore.


Il giovane Adone, avvicinandosi in fretta e furia, finì per inciampare, cadendo di fronte alla Dea.
- Adone, da quando sei così maldestro? A palazzo stanno aspettando la tua selvaggina con impazienza. - disse allora Zenas, Kore soffocò un risolino. Il ragazzo si guardò allora alle spalle, cercando le lepri che aveva lasciato cadere a terra, nella speranza che nessuno le avesse raccolte.
- Credo che queste siano tue. - disse la giovane Dea, che era andata a raccogliere il prezioso carico che lui aveva perso per la strada.
Lei gli sorrise, e lui ricambiò contento, alzandosi e togliendosi di dosso la polvere che gli era rimasta appiccicata addosso.
- Divina Kore, voi non vi ricorderete di me, ma io... - Kore osservò il ragazzo, bastarono pochi secondi.
- Ma certo! Voi siete Adone. Vedo che siete cresciuto anche voi. Sono contenta di vedere che vi siete ripreso bene dopo quel nostro lontano incontro.
Kore, dopo aver salvato la vita al piccolo Adone, aveva lasciato Eleusi dato che la madre aveva altri compiti da sbrigare. La Dea non aveva più visto il giovane da allora , ma sapeva che si era ristabilito, e questo le era bastato per renderla contenta. Si interessava sempre di coloro che aveva aiutato, ci teneva che fossero in salute e che stessero conducendo una vita felice.
Sapeva che Adone era diventato importante, come cacciatore, e che era in grado di provvedere senza problemi a se stesso.
Questo la rendeva orgogliosa, in un certo senso, dato che in parte era anche merito suo.
Se lei non l'avesse strappato alla morte, Adone non sarebbe stato lì, non sarebbe diventato cacciatore, e non sarebbe stato così tanto apprezzato.
- È un piacere rivederti, Adone. Il signor Zenas mi stava mostrando le ultime migliorie della città. - disse la Dea, volgendosi nuovamente verso l'uomo gentile al suo fianco.
Adone non poteva lasciarsi sfuggire quella rara occasione, doveva trovare un modo per trattenerla, o per avere la sua attenzione.
- Potrei farvi io stesso da guida. Immagino che sia stato molto interessante il percorso fino ad ora, ma se mi concederete l'onore potrei mostrarvi i boschi immediatamente fuori da Eleusi. Sono stupendi, e nessuno li conosce come me. - Adone cercò di persuadere la Dea, e di avere il consenso di Zenas stesso.
Tutti conoscevano l'attaccamento di Demetra alla figlia, e per questo ben pochi uomini si potevano avvicinare a lei, solo i pochi eletti che godevano della fiducia della Dea della terra. Se Zenas avesse indotto Kore a fidarsi di lui, sarebbe stato più o meno come un consenso da parte della stessa madre.
Adone non aveva cattive intenzioni, voleva solo avere un'opportunità per stare con Kore. L'opportunità di conquistare quella che per lui era la donna migliore su cui avesse mai posato gli occhi.
- Voi che ne pensate, Zenas? - chiese Kore. La giovane era allettata dall'idea di uscire dalla città, per scorrazzare nei boschi, ma la madre raramente le concedeva il privilegio di fare da sola quelle particolari visite.
Le lasciava la completa autonomia solo quando si trattava di uscire con le ninfe per giocare nei boschi o per il bagno nelle fonti. Certo, le lasciava libertà anche per quanto riguardava le visite sul monte Olimpo, dato che erano diventati eventi più unici che rari.
Sua madre, molto probabilmente, non avrebbe approvato che lei se ne stesse da sola con uomo, anche se quell'uomo era un così bel giovane; ma si trattava sempre di Adone, il bambino che aveva salvato, e di certo non poteva essere cattivo. Kore si fidava, ma voleva un altro parere.
- Adone è un ragazzo affidabile, - disse l'uomo dopo aver ponderato lievemente sulla risposta da darle, - potete fidarvi di lui.
Kore sorrise e, dopo aver salutata il buon Zenas, si lasciò guidare da Adone, che la condusse fuori città.
- È stata una vera fortuna incontrarvi oggi.
- E come mai? - sorrise lei mentre glielo chiedeva.
- Ogni volta che voi facevate visita ad Eleusi, io ero fuori città, o per cacciare o per... altro. - per un momento, per un solo istante, Adone ripensò ad Afrodite. - Non ho mai avuto modo di ringraziarvi come si deve per quello che avete fatto per me. - Kore gli sorrise, dicendogli che lei aveva fatto solo quanto era in suo potere fare.
- Mi avete strappato alla morte, però. Ben poche divinità lo avrebbero fatto. Anzi, forse nessuna avrebbe fatto tanto per un misero mortale.
Kore sapeva che Adone non diceva il falso. Quante divinità avrebbero strappato un'anima ad Ade? Perché era questo ciò che lei aveva fatto. Aveva salvato una vita dall'abbraccio della morte prossima. Eppure il sinistro Signore dell'Oltretomba non aveva mai avuto nulla da ridire a riguardo.
- Se mi son trovata lì, se sapevo cosa fare, forse c'era un motivo. Io ho solo adempiuto a quello che era il mio destino, e il mio destino era quello di essere lì in quel preciso momento e di salvarvi. - Kore credeva in quello che diceva.
Il Fato era così difficile da spiegare, così arduo da sopportare, così meschino e crudele alle volte. Avere dei così rari momenti in cui si poteva dare il meglio di sé, era un'occasione per rendere la vita migliore per sé e per gli altri.
Adone baciò la mano di lei, e Kore arrossì immediatamente. Era la prima volta che un uomo aveva con lei un atteggiamento così intimo.
Kore conosceva i “fatti della vita”, con tutti gli anni che aveva, e con tutto quello che aveva visto, spesso involontariamente, sarebbe stato impossibile celarle quello che accadeva nel mondo.
A Kore non interessava molto quell'aspetto della vita. A lei ne interessava un altro.
Spesso aveva udito poesie d'amore, e visto coppie che si scambiavano tenerezze.
Questo era un lato dell'esistenza che le piaceva, si inteneriva a quella vista, e parole o note d'amore, riuscivano ad arrivare al suo cuore... ma a lei non interessava innamorarsi. Non interessava avere una famiglia, e non le interessava avere quel genere di rapporto con un uomo.
Aveva visto ben troppe volte le donne o gli uomini distruggersi, per i tradimenti subiti.
La fedeltà era un dono per pochi, e Kore temeva che se anche avesse conosciuto un uomo che le fosse interessato per davvero, questo non avrebbe avuto per lei il riguardo sperato.


Adone le mostrò il bel bosco, rivelandole luoghi nascosti e meravigliosi in cui la natura aveva saputo dare il meglio di sé.
Kore era stupefatta e Adone, reso sicuro anche dai discorsi fatti con la bella Dea, osò chiederle di rivedersi ancora, dato che aveva altri luoghi da mostrarle nei pressi di Eleusi.
- Ci sono altre meraviglie che vorrei mostrarti. - le disse lui.
Gli occhi di Kore brillarono per l'eccitazione. Pur essendo una delle Dee della natura, non poteva certo conoscere ogni singolo luogo sulla Terra. L'idea di poter vedere nuovi angoli di Paradiso come quelli che aveva appena ammirato, la rendevano trepidante per la felicità.


Fu così che per molti giorni i due si incontrarono, scoprendo insieme sempre posti nuovi e incantevoli.
Kore sapeva di non poter rivelare alla madre di aver passato tanto tempo da sola con un giovane. Se l'avesse fatto, di certo, non avrebbe più avuto modo di rivedere Adone. Gli si era affezionata, e per lei, lui era diventato come un fratello.
Cercò sempre nuove scuse per poter spiegare alla madre il motivo per il quale si stava trattenendo ad Eleusi più a lungo del solito.
Adone, dal canto suo, sentiva crescere in sé un sentimento sempre più prepotente, sempre più esigente. La voglia di avere Kore per sé stava diventando un'ossessione.
Afrodite, che in quei giorni non aveva più avuto notizie del suo amato, scese ad Eleusi, nella casa di lui, al limite del bosco per trovarlo.
- Amore mio, che fine avevi fatto? La caccia è stata così estenuante che non hai mai trovato un po' di tempo per me? - La bella dea corrucciò la bocca rossa come un rubino. - Non ti piaccio più, forse?
Adone, preso alla sprovvista, negò. Era oramai innamorato di Kore, ma non sapeva ancora se e come troncare la relazione con Afrodite. Rifiutare la Dea dell'amore avrebbe potuto rivelarsi poco saggio.
- Ma no, certo che no, mia signora. Perdonate questo vostro umile servo, purtroppo i giorni passati sono stati estenuanti, e un'altra giornata di fatiche mi attende. - Afrodite sembrò rilassarsi, ma non era del tutto soddisfatta.
- E non hai davvero neanche un poco di tempo per me? - chiese allungando le mani verso di lui e conducendolo verso il letto.
“ E Kore? Come faccio con Kore?” si chiese lui. Mancava ancora del tempo al suo incontro con la giovane Dea, ma sapeva che se si fosse trattenuto con la bella Afrodite, sarebbe arrivato tardi al suo appuntamento.
Adone stava cercando di trovare una scusa per congedarsi, ma Afrodite lo stava già spogliando, e con un gesto si levò le sue stesse vesti.
- Io... - Afrodite lo fece stendere sul letto, e ancora prima che lui potesse risponderle, lei si mise a cavalcioni sopra di lui e cominciò a baciargli il petto nudo.
- Mia signora, - balbettò lui, mentre combatteva fra il desiderio di possederla e la voglia di andare dalla bella Kore, - io dovrei... - La Dea non lo stette a sentire. Si mosse sopra di lui e ansimò per l'eccitazione crescente. Eliminato infine l'ultimo indumento che li separava, i loro corpi si unirono. Perché loro si appartenevano, i loro corpi si riconoscevano.
Ansanti, dopo essersi uniti ancora e ancora, Adone abbracciò la Dea che giaceva addormentata al suo fianco e la abbandonò così com'era.
“Ne è valsa la pena” pensò, prima di alzarsi e di raggiungere Kore.


La giovane Dea attese, ma Adone non arrivava, era in terribile ritardo. Kore cominciò a temere di aver sbagliato il luogo del loro incontro.
- Proprio oggi doveva ritardare? - si chiese lei sconsolata, ma quando lo vide arrivare, ansante e trafelato, si tranquillizzò.
- Perdonami per il ritardo! - si scusò lui immediatamente.
- Non ti preoccupare, - lo rassicurò lei, - a tutti può capitare. Ne ho approfittato per far crescere qualche nuova pianta. Ho solo seminato qualche seme. Lascerò che tutto segua il suo corso. - gli fece l'occhiolino. Ma Adone sembrava diverso. Era più distaccato, pur rimanendo gentile nei suoi confronti.
Kore cercò comunque di farsi forza, perché aveva una brutta notizia da dare ad Adone: la giovane Dea aveva ancora i suoi compiti da svolgere, le carestie da combattere e i raccolti da curare, e sapeva che per un bel po' di tempo si sarebbe dovuta assentare da Eleusi assieme alla madre.
Il legame stretto con Adone era forte, lei gli voleva così bene che già soffriva all'idea di separarsi da lui, ma aveva imparato da tempo che c'erano dei doveri ai quali lei doveva piegarsi. Alcuni di essi non le richiedevano grandi sforzi, sforzi che in genere le donavano anche grande felicità. I suoi poteri erano per lei sempre fonte di gioia e nuove scoperte.
Ci sarebbero voluti mesi, se non addirittura anni, prima del ritorno di Kore ad Eleusi.
Adone rimase scioccato dalla notizia, la Dea provò a consolarlo, ma lui reagì di scatto, allontanandola con uno spintone. Lui non voleva farle del male, ma quella notizia scombinava tutti i suoi piani.
Lui non sapeva che fare, Kore rimase seduta davanti a lui, senza dire o fare nulla, in attesa che l'amico si calmasse.
Poi, Adone, trovò una soluzione: in quanto cacciatore di una certa fama, si trovava spesso a viaggiare, e presto avrebbe lui stesso lasciato la sua città Natale in cerca di altra selvaggina e di nuovi affari fruttuosi.
Chiese a Kore se sapeva già i nomi delle città o dei luoghi che sarebbero andati a visitare. Demetra aveva infatti già informato la figlia delle zone che richiedevano il loro aiuto, e così i due poterono accordarsi.
C'era un luogo conosciuto da pochi, sperduto in una fitta boscaglia lontano dalle grandi città, dove c'era una caverna dalla quale nessuno era mai uscito.
Non era un luogo frequentato, ma una leggenda aveva incuriosito a tal punto la giovane Kore, che la spinse a scegliere quel luogo per potersi rivedere con Adone. Davanti a quella caverna, infatti, c'era un albero di melograno, che si diceva avere poteri altamente curativi e che assicuravano fortuna e prosperità a chiunque ne mangiasse i frutti.
Kore voleva suggellare la sua amicizia con Adone, proprio mangiando quei frutti portentosi. La Dea sperava che se entrambi avessero mangiato i frutti di quell'albero, avrebbero conosciuto una vita serena, e per sempre uniti da un profondo legame di amicizia e rispetto.
Sperava anche che mangiando quei frutti, Adone potesse poi incontrare, grazie appunto alla promessa di felicità del frutto, una donna che lo rendesse felice.
Kore non credeva alla felicità matrimoniale per sé, e per gli immortali in genere, ma era convinta che per i mortali fosse invece molto più facile trovarsi e innamorarsi.
Morire, rinascere e cercarsi di nuovo.
Per tutti loro esisteva una sorta di anima gemella, e Kore si era sempre sorpresa, nei secoli, nel vedere persone che si erano amate in un'altra vita, ritrovarsi in quella successiva.
Quello era amore.
Un amore che né lei, né gli altri Dei avrebbero mai avuto la fortuna di trovare.
L'uomo non era molto convinto della scelta del luogo del loro incontro, intimorito dalla fama della caverna, ma essendo un luogo isolato, era certo che nessuno li avrebbe disturbati o scoperti. Nemmeno Demetra o Afrodite.
Sarebbero trascorsi dei mesi prima di quel fatidico incontro, ma entrambi avrebbero resistito.


Per Kore, quella lontananza all'inizio fu dura, ma la prospettiva di rivedersi, e tutte le piccole o grandi soddisfazioni che ogni giorno aveva, le permettevano di andare avanti, in attesa di rivedere quel nuovo fratello che di lei aveva così cura.
La lontananza pesò anche ad Adone, nonostante l'uomo continuasse la sua relazione con la bella Dea Afrodite.
Si diceva innamorato di Kore, ma continuava ad amare col corpo quella stupenda donna che ogni volta gli faceva dimenticare persino il suo stesso nome.


I giorni, i mesi passarono, e finalmente giunse il momento in cui i due poterono re incontrarsi.
Kore, in viaggio con la potente madre, cercò l'ennesima scusa per allontanarsi da lei.
Durante quei mesi di visite e di aiuto agli uomini, di cure dei campi e dei boschi, Kore si era dimostrata molto capace e dedita al loro lavoro. Aveva affiancato la madre dimostrandosi una splendida dea della Natura. Era un compito molto impegnativo e quelle poche volte che Kore chiedeva del tempo per rilassarsi, la madre era ben lieta di concederglielo.
Quel giorno, Kore chiese l'ennesimo permesso per lasciare la cittadina e muoversi da sola nei boschi vicini e non appena ricevette il benestare della madre, la Dea si affrettò a raggiungere il melograno nel fitto del bosco.
Il cuore le batteva forte, era così felice che non le sembrava vero che stesse per rivedere il suo caro amico.
Quando arrivò, lui era già lì, non fece a tempo a salutarlo, che lui le andò incontro abbracciandola forte, come se avesse paura che lei non fosse vera, che potesse svanire se lui non l'avesse trattenuta. La foga era tanta che il giovane spinse la Dea contro un albero. Lei all'inizio rise, scherzando su quanto lei gli doveva essere mancata, ma da Adone non ricevette risposta, sentiva solo il suo affanno.
Il viso di lui era nascosto, Kore pensava che gli stesse sfuggendo qualche lacrima e che non lo volesse dar a vedere.
“Che carino, è sempre così dolce il mio Adone”, pensò lei ingenuamente.
La stretta di lui non si allentò, ma si strinse, quell'abbraccio sembrava che non volesse più scioglierlo, ed era così forte che ad un certo punto la Dea dovette chiedergli di allentare la presa. Ma Adone non lo fece. Adone la baciò.
Quello era il primo bacio di Kore, e Adone glielo aveva rubato senza nemmeno chiederle il permesso.
Kore fece per allontanarlo, ma lui non mollò la presa, e cominciò a baciarla sul collo, strappandole con foga il vestito.
Kore gridò, lo implorò di fermarsi, ma lui era sordo alle sue suppliche.
- Ho aspettato fin troppo, e so che nel profondo lo vuoi anche tu. - disse lui con voce roca.
- No, non è vero! Adone, ti supplico, - lo pregò lei piangendo, - lasciami andare. Torna in te!
Adone spinse la Dea per terra e cercò di prenderla con la forza. Kore era forte, aveva il dominio sulla terra, ma in quel momento si sentiva come privata della sua stessa energia. La paura l'aveva resa schiava, e non riusciva a ridestarsi, a riprendere possesso di sé e a reagire.
Sembrava tutto perduto, quando il gracchiare di due corvi li sorprese entrambi. Era un gracchiare così forte che si fece quasi assordante, tanto che Adone allentò la presa sulla spaventata Kore, e sempre tenendola bloccata a terra, si tirò su, volgendo lo sguardo verso coloro che l'avevano interrotto.
Un corvo bianco e uno nero se ne stavano appollaiati sull'albero di melograno.
Il corvo nero, che era anche quello più grosso, gracchiò osservando torvo Adone, come a volergli intimare di lasciare Kore.
Ma Adone prese una pietra e la lanciò, sperando di colpire il corvo, il quale si spostò evitando il maldestro tentativo dell'uomo.
La terra tremò, e Kore riuscì a sfuggire ad Adone, che, per le scosse, gli era caduto al suo fianco.
La Dea non si curò di raccattare la propria veste, che oramai era abbandonata sull'erba. Non capiva cosa fosse preso ad Adone, ma sapeva cosa lui le stava per fare. E non voleva che ciò accadesse.
Adone doveva aver ingerito qualche bacca velenosa, pensò lei cercando una spiegazione. Ma sapeva che nessuna delle giustificazioni che lei avrebbe potuto trovare, avrebbero corrisposto a verità.
I due corvi si avventarono su Adone, e lo privarono degli occhi, deturpandogli il viso.
Urla straziate di dolore scossero il bosco. Kore le sentì, ma continuò a correre senza meta, spaventata per quello che le era accaduto. Si sentì persa, come quella volta, molti anni prima, in cui era scappata di casa.
Il corvo bianco si appollaiò sul ramo di uno degli alberi che si trovavano nella radura nella quale era finita Kore.
Con ancora le lacrime che le rigavano il viso, Kore ringraziò il corvo per l'aiuto che le avevano dato. Prima che la terra tremasse, erano stati loro a distrarre Adone.
- Senza di voi... - in quel momento arrivò anche il corvo nero, il quale accettò i ringraziamenti della Dea, e si posò sulla spalla di lei, accogliendone le carezze che lei gli fece con dolcezza.
- Ora però non so più cosa fare, non so più qual'è la strada per ritrovare la via di casa. - disse lei sconsolata.
Il corvo bianco volò da un ramo all'altro.
Kore, grazie al suo potere, capì che i corvi la stavano aiutando, e che le stavano indicando la via.
Ma non era la stessa strada che lei aveva pensato.
I corvi la riportarono là dove era accaduto il misfatto. La giovane Dea ritrovò le vesti, e svelta se le rimise. Si guardò attorno, ma non vi era ombra di Adone, solo una traccia di sangue che indicava che l'uomo aveva preso il sentiero. Forse in cerca di lei.
Kore chiese allora ai corvi che fine avesse fatto l'uomo, e loro gli risposero che Adone aveva lasciato quel bosco sacro.
Quel luogo, infatti, conduceva a un dominio divino, e quei corvi erano lì perché l'albero di melograno stesso li aveva avvisati.
Kore ringraziò allora l'albero, ma da lui non ebbe risposta. La giovane riprovò a dialogare con lui, ma ancora non accadde nulla.
La Dea ripensò allora al lupo che molti anni prima l'aveva aiutata, con il quale non era riuscita a comunicare. Si sedette all'ombra del bell'albero e sospirò.
- Non importa se non riesco a sentirti, sono certa che tu puoi sentire me... quindi, grazie. - disse lei dolcemente, e si rivolse anche ai due corvi, che si erano appollaiati sulle spalle di lei.
- Non so chi voi siate, ma lo sento, come me, anche voi siete delle divinità. Non so chi vi ha mandato, o se siete venuti qui di vostra volontà. Ad ogni modo, senza di voi... Non so cosa sia preso ad Adone, spero solo che la prossima volta mi dia una spiegazione, e che si sia ripreso. - C'era ancora una parte di lei che temeva l'uomo, tuttavia aveva ancora fiducia in lui, e voleva chiarire quanto accaduto.
Il vento scosse lievemente le chiome degli alberi, e dall'albero di melograno, cadde a terra qualcosa.
Quel qualcosa era una specie di tiara di pietra.
Kore la prese in mano, la tiara emise un bagliore e la pietra si crepò.
- Ma che succede? - chiese la giovane spaventata, lasciando cadere a terra l'oggetto.
I due corvi incitarono Kore a raccogliere la tiara di pietra, dicendole che era importante che lei la prendesse. I due dovettero insistere molto, dicendole che se quell'albero millenario le aveva fatto trovare quell'oggetto, un motivo doveva pur esserci.
Così Kore acconsentì, e non appena la raccolse, la pietra si sgretolò completamente, rivelando una corona in ametista, degna di una regina.
- È bellissima. - disse lei con un filo di voce per la meraviglia. I corvi la invitarono ad indossarla, ma Kore sentiva che non poteva.
- Non è mia, non posso indossarla. - Kore avvertì un potere antico, e sentì come se il vento la spingesse verso la caverna poco distante da loro.
- Quello è l'ingresso degli inferi. Non è vero? - chiese lei, senza quasi pensarci. I corvi annuirono.
- Allora questa corona appartiene al suo padrone. Devo restituirgliela. - Kore non sapeva cosa avrebbe trovato dentro quella caverna, ma lei era pur sempre una Dea.
Se si avventurava in quei luoghi, temuti da mortali e immortali, con l'intenzione di restituire qualcosa a quel Dio temutissimo, nessuno le avrebbe fatto del male, pensò.
Kore aveva paura, ma sapeva di fare una cosa giusta. Quella corona poteva essere importante.
Kore, guidata dai due corvi, si avvicinò alla caverna, e quando fu quasi giunta all'entrata...
- Kore! Kore, bambina mia! - la voce disperata di Demetra fece voltare la giovane Dea.
- Madre mia! - Kore fece cadere la corona ai piedi del melograno e le andò incontro abbracciandola.
- Piccola mia, gli alberi mi hanno detto quanto è successo. - Demetra aveva il viso scavato dalle lacrime, pallida e sudata, come poche volte Kore l'aveva vista. - Non preoccuparti, quel mascalzone non ti farà più del male. Figlia mia adorata, la tua bontà ti ha quasi... - Demetra non riuscì a finire la frase, scossa dai singhiozzi.
Kore, che aveva finito con l'apprezzare a volte l'eccessiva premura della madre, l'abbracciò, dicendole che per fortuna non era successo nulla, e che i corvi l'avevano aiutata.
- Grazie, piccoli amici. Grazie per avere salvato mia figlia! - si rivolse a loro Demetra, chinando loro il capo.
Demetra non era solita prostrarsi, lei era una Dea antica e potente. Ma chiunque salvasse sua figlia, era degno della sua riconoscenza.
- Io non so cosa sia preso ad Adone. - spiegò Kore alla madre. - Era sempre stato così carino con me. Mi ha mostrato tante cose, madre. - Kore si vide costretta a raccontare alla madre cosa era accaduto. Come aveva incontrato nuovamente Adone, e come avevano instaurato amicizia i due. La madre stette a sentire. Dapprima la rimproverò per averle mentito, ma poi si calmò. Vedere la madre tranquilla fece rasserenare anche Kore, ma la cosa la stupì. Si aspettava che la madre muovesse l'intero Olimpo per punire Adone. Invece sembrava tranquilla.
- Piccola mia, gli uomini, divini e non, son tutti uguali. L'amicizia con loro è fattibile solo se in giovane età, poi subentrano altre cose, e loro perdono completamente la testa. - Demetra scostò i capelli di Kore, e le baciò la fronte.
- Lo so madre, ma io voglio capire. Aspetterò un po', e lo cercherò. Voglio almeno una spiegazione. Sono certa che...
- No, Kore. - rispose tranquilla la madre.
- Ma madre, io devo sapere. Adone era mio amico.
- No, Kore, inoltre da oggi avrai sempre almeno un paio di ninfe come scorta. - Demetra prese il viso della figlia fra le mani, e la guardò intensamente. - Non posso rischiare che succeda questo, o peggio, un'altra volta. Tu sei buona, figlia mia, ma non tutti sono come te a questo mondo.
Kore capì la paura, i timori che la madre provava. La paura le aveva impedito di reagire, e capiva che aveva bisogno ancora di crescere. Però aveva bisogno di chiarirsi con Adone.
- Madre, io lo capisco, e condivido i tuoi timori. Io stessa non sono stata in grado di reagire... Devo padroneggiare ancora i miei poteri. Nonostante io sia ormai grande, ho ancora delle difficoltà quando entrano in gioco i miei sentimenti, le mie sensazioni. Però io devo parlare con Adone.
– Non puoi, Kore. - La giovane, che fino a quel momento era rimasta calma, cominciò allora ad arrabbiarsi.
- Madre, proprio perché capisco che non sono ancora al sicuro da sola, accetto la compagnia delle tue ninfe. Vieni tu stessa con me, se vuoi, ma permettimi di parlargli. Io gli voglio ancora bene. - la madre sospirò.
- Kore, tu non puoi, perché per parlare con Adone... dovresti recarti negli Inferi.
- Cosa? - balbettò Kore mentre realizzava quello che le aveva appena detto la madre.
- Kore... Adone è morto. -non appena ho saputo cosa è accaduto, ho invocato l'aiuto degli animali, i più feroci e forti, chiedendo loro di cercarti e di portarmi lui. E lui è morto. Non potevo accettare che quell'uomo ti avesse messo le mani addosso. Era malvagio, e ha meritato la fine che ha fatto.
Kore non la stava già più a sentire.
Le orecchie cominciarono a fischiarle, e si accasciò fra le braccia della madre.
Adone non c'era più.
Quel bambino che tanti anni prima lei aveva salvato dalla morte, quel giorno, e indirettamente per causa sua, era morto.
Adone non c'era più. Ora apparteneva all'Averno.
E nessuno può togliere niente all'Averno, poiché l'Averno è vivo, e troverà sempre il modo per riavere ciò che gli è stato tolto.
Adone era morto, e mentre le lacrime di Kore scivolarono silenziose sulle sue guance, le grida strazianti di Afrodite riecheggiarono in tutto il cielo.


 
L'angolo di Shera ^^

Cucù, son tornata ^_^.
Comincio subito col ringraziarvi, dato che continuate a sopportarmi XD, e ringrazio anche TheBestLady e SilverMoon00 per aver aggiunto la mia storia fra le seguite. Sono davvero contenta che questo racconto stia piacendo, quindi, grazie di cuore a tutte voi <3. Facendo un bilancio di tutti i miei lavori, questo è quello che ha preso di più, ed è effettivamente anche quello meglio scritto -.-. Dovrei decidermi a postare la versione aggiornata dello scorpione, e anche dare una bella revisione almeno alle one shot.
Grazie per i commenti e i complimenti, fanno sempre infinitamente piacere.

Questo capitolo mi ha fatta penare, ma è stato soddisfacente, alla fine. E per alla fine, intendo sia alla fine di tutto, sia il finale del capitolo.
Kore oramai è grande, quindi siamo a buon punto, Adone si è levato dalle palle, e Afrodite è pronta a fare il **** a un bel po' di persone hihihi.
Non odio Afrodite, ma dopo "Amore & Psiche", ho mal sopportato questa Dea. In Xena invece l'adoravo (specie per il suo bel figliuolo :Q_)... bei tempi quelli.
Ci sono svariati punti che amo di questo capitolo, i corvi, l'albero (ve lo ricordavate, vero?!), e la corona... La corona è ancora in mano alla Dea, e di certo la restituirà al suo padrone (*ammicca).
Probabilmente avendo anticipato che avrei usato Adone, potevo aver fdato modo di pensare che si sarebbe creato il triangolo... invece no.
Volevo che per una volta, fosse Adone a "correre" dietro a Persefone, anche se alla fine, il mascalzone voleva solo fare il macho di turno con le due dee. L'ho reso peggiore del mito XD. Porello, ma mi serviva... altrimenti, beh, lo capirete poi.

Ultima anticipazione: userò un altro mito, uno dei più belli e il terzo fra i miei preferiti. Sarà fondamentale per Persefone (a buon intenditore, poche parole ;) )

So che l'avete notato: ho cambiato il rating. La scena di Afrodite non era spinta (non sono brava nello scrivere queste cose ç_ç), e all'inizio era un poco più accesa come cosa. Per ogni evenienza mi son portata avanti ^_^

Per oggi direi che ho concluso, se gli Dei vorranno, nei prossimi giorni mi dedicherò alla lettura, ci sono un po' di storie che dovrei rileggere e recensire... spero di riuscirci XD.
Alla prossima e grazie infinite per aver letto, e commentato la mia storia. Grazie di cuore ♥


Alla prossima, la vostra
Shera

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'Ombra sul fiore ***


- L'Ombra sul fiore -





Erano già passati alcuni giorni dall'accaduto.
Sull'Olimpo non si parlava d'altro. Tutti conoscevano i fatti, e tutti non potevano che comprendere e condividere la scelta fatta da Demetra.
Un uomo che osava allungare le mani su una qualsiasi divinità, avrebbe meritato quella fine. Se non peggio.
Ma per Afrodite non c'era consolazione, non c'era giustificazione per quello che le avevano fatto. Non riusciva a darsi pace.
Se non era a piangere in qualche angolo della reggia, gridava e lanciava maledizioni verso la Dea delle Messi, e verso quel demone tentatore di Kore.


La ragazza era a sua volta scossa. Avrebbe voluto risolvere la situazione parlando con Adone, chiarendosi... ma la madre aveva posto fine alla vita del ragazzo senza battere ciglio.
Kore era arrabbiata: pur comprendendo la reazione di Demetra, non riusciva a guardarla più in faccia.
Si era chiusa in se stessa, e barricata nella sua stanza.
Di tanto in tanto, le ninfe entravano per portarle i pasti, e cercare di farla uscire dal suo guscio. Ma era tutto inutile.
Demetra avrebbe voluto trascinarla fuori, e farle capire che quello che lei aveva fatto era la giusta punizione per l'umano infame. Ma Egeria la convinse a non fare nulla.
Avrebbe cercato lei stessa di far ragionare la giovane Kore.


La ninfa si recò nella stanza della ragazza e bussò alla porta.
- Sono io, Egeria. Posso entrare, mia signora? - Kore le rispose con un debolissimo “sì”.
- Oggi come vi sentite? - nessuna risposta. Kore era appoggiata alla finestra che dava sul giardino. Fissava gli alberi, le cui chiome erano smosse dal vento che soffiava forte.
- Potrete fissare il cielo, smettere di parlare e mangiare, chiudervi in un silenzio perenne... ma non lo riporterete indietro. - Kore si voltò di colpo. La ninfa stava sistemando il pasto che aveva portato, sul bel tavolinetto poco distante da Kore.
- Io posso capire i vostri sentimenti. Ma non è agendo in questa maniera che potrete superare l'accaduto.
- Lei non aveva il diritto di ucciderlo. - rispose Kore, tornando a fissare gli alberi, mentre una lacrima silenziosa le rigava le guance.
- Lui stava per abusare di te. Se non fosse intervenuta, tu lo avresti ancora cercato, e sai che sarebbe successo? - la voce di Egeria era calma, ma a Kore non era sfuggita la nota di rimprovero che lievemente alterava la piattezza del suo tono.
Kore sospirò. Lei avrebbe voluto parlare con Adone, per riavere indietro quel fratello che pensava di avere trovato in lui.
Ma sapeva anche che la sua non era altro che una patetica illusione. Se Adone l'avesse rivista, la situazione si sarebbe ripetuta, e quei corvi gentili non sarebbero tornati a soccorrerla.
- Lo sai che ho ragione. - Kore non disse nulla. Egeria era la più saggia fra le ninfe al servizio della madre. Di lei si fidava, e quella fiducia era davvero meritata. Non perché alla fine era in grado di ottenere sempre quello che la sua signora voleva, ma perché portava gli altri a ragionare con la propria testa.
- Più tardi, vai da tua madre. È in pena per te, e non merita di essere trattata in questa maniera. Se l'intuito non mi inganna, presto avremo a che fare con quelli lassù, e almeno fra noi è bene che di tensioni non ce ne siano. - Egeria sospirò pesantemente. - Non è dagli Dei che uno deve nascondersi e tremare, ma dalla furia delle Dee. Afrodite non cederà finché non otterrà ciò che vuole. Speriamo solo che Zeus non si lasci incantare da quel suo bel visino, o sarà l'inizio di un qualcosa più grande di noi.


Kore mangiò con più gusto del solito quella sera.
La chiacchierata con Egeria era servita allo scopo, e la giovane Dea era pronta a lasciarsi alle spalle l'accaduto.
Non voleva dimenticare Adone, solo accettare quello che era successo, e a non addossare alla madre colpe che non aveva.
Qualunque madre avrebbe difeso strenuamente la figlia messa in pericolo.
Persa nelle sue riflessioni, Kore non si accorse che qualcuno la stava chiamando dal giardino. I corvi che l'avevano aiutata, avevano deciso di farle visita, portandole un dono.
- Vedo che stai meglio, piccola Kore. - gracchiò il corvo bianco svolazzando nella stanza, posandosi sul baule ai piedi del letto.
Kore si girò di colpo, e vedendo il piccolo amico piumato, le si dipinse un dolce sorriso sul volto.
- Grazie. Non mi dirai che eri in pensiero per me?
- Gli alberi ci hanno detto che eri molto triste, che mangiavi a stento e che ti eri isolata da tutto e tutti. - rispose il corvo nero, entrando dalla finestra e posandosi sulla spalla di lei.
Kore gli accarezzò il morbido petto.
- Non pensavo che vi sareste data tanta pena. Avete già fatto molto per me. Non so nemmeno i vostri nomi.
- Non è dei nostri nomi che ti devi curare. - rispose il nero. - Non hai dimenticato nulla? - Kore lo fissò con aria interrogativa. Li aveva ringraziati, si chiese se forse non avrebbe dovuto offrire loro qualcosa.
Il corvo bianco uscì dalla stanza, e invitò la ragazza a seguirlo.
La portò davanti alla quercia che ella stessa aveva piantato e fatto crescere molto tempo prima.
- Cosa volete mostrarmi, amici miei? Chiese Kore incuriosita.
Il nero e il bianco si librarono in volo, e il loro vorticare si fece così rapido che le loro figure parvero fondersi. Ci fu un lampo, e la corona d'ametista le cadde fra le mani.
- Me ne ero completamente dimenticata! - Kore stava per portare quella corona dal signore degli Inferi, poiché era certa che fosse una sua proprietà; l'arrivo di Demetra l'aveva però distratta, e aveva lasciato cadere il prezioso cimelio.
- Devo portargliela, e questa volta... - ma sembrava che il destino le volesse impedire di scendere negli Inferi.
La ninfa Phoebe la chiamò, con voce quasi disperata. Cosa poteva essere accaduto di tanto grave?
- Phoebe, sono qui. - la richiamò Kore.
- Vi stiamo tutte cercando. Voi e la Divina Demetra siete richieste sul monte Olimpo!
Kore non poteva far altro che raggiungere la madre per poter salire nella dimora del padre. Phoebe la precedette, e Kore si voltò per salutare e ringraziare i corvi, ma questi erano già spariti.
- Non sono nemmeno riuscita a salutarli... - aveva ancora la corona fra le mani. - Ti porterò con me, chi lo sa, magari dopo potrò riportarti dal tuo Signore.
Prima di partire per l'Olimpo, Kore si recò in camera, e prese una piccola sacca dove poter riporre la preziosa corona.
Non era certa di poter raccontare alla madre quanto accaduto poco prima. Non era un particolare così grave. Lei avrebbe solo restituito un oggetto allo zio, e per quanto lui potesse essere spaventoso, era pur sempre il fratello della madre. Non le avrebbe mai fatto nulla di male.


- Sei pronta? - le chiese Demetra bussando alla porta della sua stanza.
- Sì, eccomi madre. - Kore prese il fagotto e si incamminò con lei.
- Va meglio? - chiese quasi con timidezza.
- Sì. Ho sbagliato. - ammise Kore. - Non avrei dovuto tenervi il muso, voi avevate solo l'intenzione di proteggermi e impedire che lui potesse ancora farmi del male. - la voce di lei era quasi un sussurro. - Mi dispiace.
Demetra abbracciò la figlia, rassicurandola e dicendole che tutto si sarebbe aggiustato.
Grazie ai suoi poteri, Demetra generò una piattaforma, che venne issata da un infinito groviglio di rami fatti crescere fino al cielo, e grazie ad esso le due poterono raggiungere la dimora di Zeus e degli Olimpici.
Mentre le due venivano portate in alto, Demetra spiegò a Kore il motivo di quella convocazione straordinaria.
E i timori di Egeria si rivelarono fondati.
Non fu però Afrodite ad implorare il signore degli Dei, ma il suo sfortunato marito: Efesto.
Vedendo la moglie distrutta per la perdita dell'uomo, e non riuscendo più a sopportare la visione di lei che lentamente si stava spegnendo, Efesto convinse il padre a convocare gli Dei. Il Dio sapeva bene che non avrebbero potuto convincere Ade a riportare in vita il mortale, né tanto meno condannare madre e figlia. Kore non era colpevole di nulla. Se l'uomo l'aveva desiderata al punto da usare violenza, non era colpa di Kore.
E così non si poteva nemmeno puntare il dito contro una madre che punisce chiunque cerchi di fare del male a uno dei suoi figli.
Efesto voleva solamente far capire, tramite l'assemblea, che lei non aveva motivo di angosciarsi, poiché l'uomo aveva commesso un reato gravissimo, e l'aveva anche presa in giro.
Perché Adone aveva desiderato un'altra donna oltre a lei. Ma Afrodite a questa conclusione non ci era ancora arrivata. La Dea voleva solo imputare alla piccola Kore tutte le colpe, forse anche per mettere a tacere quella vocina dentro di lei che le rivelava una scomoda verità: Adone non l'aveva amata abbastanza. Kore si era rivelata più amabile, dolce e bella di lei.
Zeus finì per lasciarsi convincere, e chiamò tutti gli Dei per giudicare i fatti e giungere a una conclusione ovvia.
Tutto, pur di far smettere Afrodite di struggersi e di rovinare l'atmosfera gioiosa della sua reggia.


- Non temere, nessuno ti darebbe mai contro. Ci sono qui io con te. - disse Demetra, capendo i timori della figlia.
Preferì dirle quella bugia, piuttosto che esternarle i suoi veri timori.
Era vero che nessuno degli altri Dei avrebbe mai osato andare contro di lei. A prescindere che avesse ragione o torto.
Conosceva fin troppo bene l'indole di Afrodite, e temeva una ritorsione da parte sua. Per capricci e invidia, aveva condannato mortali e immortali a fini orribili.
La Dea delle messi temeva che quella donna potesse ferire la sua adorata bambina in una qualche maniera.
I rapporti con Kore non erano mai stati semplici, ma lei la adorava, e sua figlia le voleva bene.
Avrebbe difeso la sua bambina ad ogni costo, perché il suo amore per lei era più grande di qualsiasi altra cosa.


Ad attenderle all'ingresso della reggia, ci fu Helios, il Dio che secondo Kore era il più bello di tutti.
Una volta ne parlò con la madre e le ninfe, che sorrisero di fronte all'esternazione della piccola Kore. Era ancora molto piccola quando lo disse.
- Lui è luminoso, lui è il sole. E il sole è l'astro più bello di tutti, perché fa crescere forti gli alberi, e rigogliose le piante. Un Dio che governa l'astro che dispensa vita, non può che essere il più bello! - disse sicura la piccola Dea.
Helios non era forse il Dio più affascinante, ma Kore continuò a reputarlo il più bello di tutti.
Forse anche per la sua gentilezza.
Il Dio dai corti capelli ramati, accolse madre e figlia col solito calore di sempre.
- Mi spiace che si debba essere arrivati a questo punto. Ma non temete, - disse accarezzando con lo sguardo la figura di Kore, - qui nessuno darebbe mai retta ad Afrodite. Nemmeno Ares.
Lo sguardo di rubino di lui si fece triste. Helios era nobile, così come l'astro che governava. I continui tradimenti a cui assisteva, anche se commessi da persone a lui care, lo rendevano terribilmente triste. Il suo animo sensibile, aveva fatto sì che Kore si avvicinasse molto a lui.
Insieme condividevano una visione romantica e pura del mondo. Amavano entrambi l'umanità, e l'uno era di appoggio per l'altra.
Kore non passava molto tempo con lui, e crescendo i due si erano allontanati dato che lei aveva cominciato a frequentare sempre meno la dimora olimpica.
- Io sono il testimone più attendibile, dato che posso vedere ovunque. Io so tutto quello che accade sulla Terra, e Adone non è sfuggito al mio sguardo. - Kore avvampò per la vergogna. Demetra, accorgendosene, la abbracciò.
- Non hai nulla di cui vergognarti, piccola mia. È stato lui a comportarsi male. Non è vero, Helios? - Il Dio annuì, confortando la giovane, e dicendole che solo uno stupido come Adone avrebbe agito in quella maniera animalesca.
Le strinse le mani e se le portò alle labbra. Quel gesto non piacque molto a Demetra, ma preferì sorvolare, dato che Helios era il solo Dio che poteva mettere a tacere Afrodite.
Helios era onesto, e tutti lo sapevano.
Lui vedeva e sapeva tutto. Anche Afrodite avrebbe dovuto mettersi il cuore in pace.


Arrivarono nella grande sala del concilio, dove tutti gli Dei erano già riuniti. Mancava ancora qualcuno all'appello, ma presto sarebbero arrivati anche i rimanenti Dei.
- Io vi devo lasciare, ci vedremo dopo. - Helios le salutò, raggiungendo la moglie, Rodo, una splendida ninfa.
Era era già seduta al suo trono, e vedendo la sorella con la figlia, fece loro un cenno di saluto, e un dolce sorriso.
Zeus era preso da una vivace conversazione con Poseidone, ma non appena vide Kore, si interruppe per raggiungere lei e la madre.
- Bambina mia! - l'abbracciò lui. - Certo che potresti farti vedere più spesso, e non smuovere tutto l'Olimpo per costringerci a farti salire. - scherzò lui. Voleva smorzare la tensione che lei provava.
Afrodite era rintanata in un angolo dal lato opposto della sala, e continuava a fissare con astio le due Dee della natura.
- Non preoccupatevi, - gli sussurrò lui, - questa è solo una formalità.
Gli ultimi Dei arrivarono, incluso Ade, che prese posto sul trono a lui assegnato.
Gli Dei sovrani dei tre regni, quello celeste, quello abissale, e quello ultraterreno, avrebbero ascoltato le ragioni di Afrodite, e deciso cosa fare riguardo la situazione che si era venuta a creare.
Il Signore dell'Oltretomba sembrava contrariato per quella convocazione inutile, mentre il Signore degli oceani, continuava a scherzare con la moglie, che gli sedeva accanto e lo accarezzava amabilmente.
Kore non aveva mai conosciuto bene la moglie dello zio, ma le era sempre parsa molto dolce e innamorata.
Il loro non era un comportamento particolarmente appropriato, ma sembrava che a nessuno importasse.
Prima che l'assemblea iniziasse, Atena e Artemide affiancarono Kore.
- Stia tranquilla, sorellina. - le disse, con voce calma e delicata, Atena, - noi staremo al tuo fianco.
- Afrodite è solo una sciocca. Si è innamorata di un mortale che è abbastanza evidente che non l'amava. Dare a te le colpe di una sua mancata conquista, non la metterà certo nella posizione di ottenere nulla. - asserì Artemide con sicurezza.
Né lei né Atena avevano mai apprezzato la Dea dell'Amore. La reputavano troppo frivola per essere degna di interesse da parte loro.
Afrodite non aveva mai mostrato interesse per la cultura, e neppure per la caccia. E la castità non era certo il suo forte, anzi, per la Dea era un affronto che qualcuno rinunciasse ai piaceri della carne. Una terribile offesa nei suoi riguardi.


Zeus fece cenno a tutti i presenti di accomodarsi: erano pronti per discutere, e Afrodite finalmente si palesò e prese posto al centro della sala, e cominciò il suo racconto.
Parlò del suo grande amore per il giovane, e continuò a insistere sul fatto che il momento del mortale non era ancora giunto. Si dilungò per interminabili minuti sciorinando quanti più aneddoti possibili per intenerire i tre sovrani e le rispettive mogli. L'unica che sembrò rimanere colpita, fu la dolce Anfitrite, che si lasciò sfuggire una lacrima, presa dai racconti della Dea.
Ogni tanto la Dea dell'Amore si rivolgeva alle altre divinità, cercando di coinvolgerli, riportando alla loro mente amori passati, finiti troppo presto, e chiedendo loro se non avrebbero fatto qualsiasi cosa per riavere coloro che si erano visti strappare via.
E passando di volto in volto, si soffermava sempre qualche secondo in più su Kore e Demetra, per mostrare loro tutto il proprio disprezzo, tutta la propria rabbia.
Kore tremava davanti a quegli sguardi, e la madre le stringeva la mano.
- Non lasciarti intimorire da lei! Tu sei migliore di quanto lei non potrà mai essere. - le disse la madre decisa.
Atena era al suo fianco e Artemide era seduta nella fila dietro la loro. Demetra non poteva che essere grata del fatto che due Dee così potenti e buone fossero amiche della sua adorata figlia, e che la sostenessero in quel difficile momento.
Sentire quella donna lanciare accuse verso la sua povera bambina, che era così innocente e mossa dai sentimenti più nobili e sinceri, la faceva fremere, ma non poteva intervenire. Non in quel momento. Quando avrebbe avuto la parola, avrebbe rimesso al suo posto quella Dea infame.
Afrodite capiva che doveva piegarsi, per poter ottenere qualcosa, e sfruttò l'unica carta che sperava le avrebbe riportato il suo amato: la pietà.
Si prostrò davanti al signore dell'Oltretomba, e lo implorò di permettere al giovane di tornare da lei.
Ma Ade, visibilmente annoiato per tutto il tempo trascorso su quel trono, non si era lasciato convincere dai suoi piagnistei, e le negò stancamente quanto chiesto.
Afrodite provò a richiederlo, più e più volte, ma lui rimase fermo nella sua decisione.
- Ma non era giunto il suo tempo! - protestò lei, gridandogli contro. - Se non fosse stato per quella, - disse sprezzante, indicando Kore, - lui sarebbe ancora qui!
- Sbagli, - le rispose Ade, - perché il tempo di quel giovane era scaduto. Demetra ha solo svolto il suo ruolo, compiendo quello che era il suo destino: mandare da me il tuo amante.
Non c'era derisione nella voce di lui, solo una pura e semplice constatazione. Qualcuno rise, e i fratelli di lui riuscirono a stento a soffocare le risa, di fronte allo sguardo distorto della Dea.
- È inutile che tu ti disperi o mi implori. Il tempo di Adone in questo mondo era finito. Fattene una ragione, e piantala di comportarti come una bambina capricciosa, sei abbastanza grande per comportarti da donna. - continuò lui piatto, sotto lo sguardo attonito dei presenti. - Cresci!
La Dea boccheggiò. Nella sala si sentiva solo il respiro affannato di lei, che sembrava sul punto di avere una crisi isterica.
Afrodite dovette soffocare l'istinto di scagliarsi contro Ade, e chiese invece a chiunque avesse visto qualcosa, di farsi avanti, per dimostrare che Kore e Demetra avevano condotto ingiustamente un giovane alla rovina.
Ma nessuno dei presenti, nessuno fra quelli che parlarono, portarono prove che provassero la colpevolezza delle due Dee, tutt'altro.
Fu il turno per Demetra di parlare, e lei aprì il suo cuore a tutti i presenti.
- Io vi chiedo, se vostro figlio, o vostra figlia, venisse minacciato da chiunque, che fosse un vostro fratello o un perfetto sconosciuto, voi come reagireste?
Non è forse normale per un genitore preoccuparsi di fronte a un evento come questo?
Non è forse normale per un genitore proteggere un figlio da ogni male, e estirpare la fonte di quel qualcosa che lo minaccia?
Quell'uomo, quell'essere disgustoso, ha provato a fare del male alla mia adorata figlia, avevo tutte le ragioni per affrontarlo e porre fine alla sua vita, perché lo sappiamo tutti: se mai ne avesse avuto modo, lui avrebbe tentato di nuovo di metterle le mani addosso.
Io ho solo fatto in modo di prevenire questa eventualità!
Ho fatto quello che una qualsiasi madre avrebbe fatto di fronte a una minaccia verso il proprio adorato figlio, e sfido chiunque ad affermare che al mio posto non avrebbe fatto altrettanto! - Demetra concluse, e nessuno osò fiatare. Non che prima ci fosse il rischio che qualcuno appoggiasse Afrodite, ma con le dichiarazioni della Dea delle messi, erano già tutti schierati a suo favore.
E l'intervento del nobile e onesto Helios non fece altro che rafforzare ulteriormente l'opinione dei presenti.
- Bene, direi che non abbiamo bisogno di altro. - disse il Padre degli Dei, e gli altri due sovrani annuirono. Zeus decretò la fine di quella riunione, il cui esito era scontato fin dall'inizio.
E Afrodite dovette piegarsi al volere dei tre, anche se in cuor suo non avrebbe mai dimenticato.
Ci fu un boato generale, dopo quella lunghissima e noiosa, quanto inutile, riunione. Gli Dei poterono recarsi nella sala dei banchetti, per concedersi un giusto riposo e un po' di svago.
Demetra raggiunse la sorella minore, mentre Kore restò assieme alle sorelle, rincuorata anche dai commenti di altri Dei che, passandole accanto, le rivolsero parole gentili, o pacche sulle spalle. Sebbene non si fosse perfettamente integrata in quel mondo fatto di lussi e feste, Kore rimaneva una Dea, dolce e gentile con tutti, che di giorno in giorno acquisiva in bellezza e carattere.
Allontanandosi dalla sala, Afrodite, passò accanto a Kore e le sussurrò parole cariche d'odio “Un giorno, tu me la pagherai. Ti getterò io stessa nell'oblio, ricordatelo!”.
La giovane Dea rabbrividì, ma Atena e Artemide, che non l'avevano mai abbandonata, le dissero che erano solo minacce a vuoto. Dopo quella riunione, Afrodite avrebbe brontolato ancora per qualche giorno, e si sarebbe poi buttata su qualche altra creatura per dimenticare Adone. E ben presto si sarebbe scordata completamente dell'accaduto.
Kore notò che il signore degli Inferi si stava allontanando, e fu allora che si ricordò della corona che aveva appresso.
Gli corse immediatamente incontro, anche se non sapeva bene che cosa dirgli.
- Zio! - lo chiamò, a pochi passi da lui. Gli occhi di ametista di lui si posarono su di lei.
- Mi hai chiamato, nipote? - tutti avevano paura, eppure Kore provava solo un sentimento di timore reverenziale. Il Signore dell'Oltretomba non era di animo malvagio, ma si occupava di ciò che tutti temevano, e in pochi comprendevano: la morte.
La paura nasce proprio di fronte a ciò che non si comprende, e per questo quel Dio era così temuto.
- Hai perduto la lingua? Se non hai niente da dirmi, io toglierei il disturbo. A differenza di tutti questi signori, io ho un lavoro da svolgere. - Il bel Dio aspettava una risposta.
- Ecco, io ho trovato questa, e sono certa che sia vostra. - Kore porse ad Ade la corona che aveva custodito e protetto con cura.
Lui non parve molto sorpreso alla vista del prezioso gioiello.
- Credo tu abbia già conosciuto Hypnos e Thanatos. - I due corvi volarono poggiandosi sulle spalle del loro signore. Kore li fissò con stupore. Aveva capito che erano due divinità, ma non immaginava che fossero al servizio di Ade.
- Bentrovata, mia signora. - la salutò il bianco. Kore ricambiò.
- È a voi allora che devo la mia salvezza. - disse fissando negli occhi il signore che governava nel sottosuolo.
- Loro hanno agito di loro spontanea volontà. Io ho solo detto loro di controllare l'entrata del mio regno. Il fatto che tu fossi stata lì è stata una pura coincidenza. - Il nero ridacchiò, e Ade lo fissò fino a farlo smettere.
I due corvi si staccarono dal loro Signore, per prendere quella che era la loro vera forma.
Il corvo bianco era Hypnos, il Dio del Sonno, mentre il corvo nero era il suo gemello, Thanatos, il dio della morte.
I due gemelli avevano gli stessi lineamenti, ma se Hypnos aveva i capelli lunghi e bianchi, con gli occhi argentati e vispi, Thanatos aveva invece corti capelli neri, e occhi blu come il colore della notte.
- Perdonaci se non abbiamo rivelato prima la nostra identità, ma avevamo le nostre buone ragioni.
- Quali ragioni? - Hypnos non rispose. Fissò il suo signore, il quale scosse il capo.
- Capisco... Dunque, questa è vostra, quindi ve la restituisco. - Ade non aveva ancora preso la tiara dalle mani della giovane Dea. Bastò sfiorarle la mano, perché i loro corpi venissero percorsi da una scarica elettrica, e il prezioso oggetto per poco non cadde a terra.
Kore, sbigottita, si scusò piena di imbarazzo, mentre Ade reggeva la tiara. Thanatos trovò spassoso quello strano incidente, ma il fratello gli diede una gomitata per farlo smettere: per quanto Ade sembrasse tranquillo e disinteressato, non sembrava tipo da farsi ridere alle spalle.
- Grazie per essertene presa cura.
- Non ho fatto poi molto, però...
- Però? - chiese lui inarcando il sopracciglio.
- È successa una cosa strana quando l'ho toccata la prima volta.
- E che cosa è successo? - chiese una voce alle spalle di lei.
- Padre! - esclamò Kore. Zeus, vedendo il fratello e la cara figlia parlare, li aveva fissati a lungo, e quando vide la tiara, si avvicinò immediatamente.
- Su, cosa stavi per dire? - chiese lui incitandola.
- Non credo sia poi così importante. - minimizzò Ade, come se avesse voluto porre fine a quella conversazione.
- Sei il solito. Va bene che sei venuto qui per una sciocchezza, ma potresti prendere il pretesto per fermarti. Anche i tuoi cari servitori sono i benvenuti.
- Veramente non siamo proprio dei servi. - precisò Thanatos stizzito. - Servo è una parola così odiosa...
Zeus però non vi prestò attenzione, era più interessato a sentire cosa stava per dire la figlia al suo adorato fratello maggiore.
- Dicevi, Kore? - la giovane fissò prima il padre e poi lo zio. Ade non le disse nulla, e per questo si decise a rispondere all'insistente richiesta del padre.
- Ecco, quando l'ho trovata, o meglio, quando è caduta dal melograno, la corona era come fatta di pietra, e quando l'ho toccata si è illuminata, e la pietra si è sgretolata. - Zeus cambiò espressione. Da divertito e curioso, divenne pensieroso. Si guardò intorno, e notò subito la sorella.
- Credo che tua madre ti stia cercando, Kore. - La giovane salutò, e ringraziò ancora una volta gli Dei che l'avevano salvata.


Zeus accompagnò Ade e il suo piccolo seguito, al cocchio che li avrebbe ricondotti alla loro dimora.
- Volevi tenermelo nascosto?
- Non esattamente.
- E cosa intendi fare?
- Che dovrei fare? Io non farò nulla. - rispose secco il fratello.
- Sappiamo entrambi cosa significa quello che è successo. Intendi forse opporti al Fato? - chiese serio il Signore dell'Olimpo.
- Non dire stupidaggini, fratello.
- E allora? Era anche ora che finalmente ti trovassi una regina. - a quella parola il sovrano dell'Averno sussultò.
- Scusami Zeus, ma ora devo proprio andare.
I tre dei del regno del Sottosuolo, sparirono alla vista di Zeus, lasciando il buon sovrano con parecchie domande.


Scendendo verso il proprio regno, Ade si era chiuso nel silenzio. Non che normalmente fosse tipo da perdersi in chiacchiere, ma le parole del fratello avevano riportato a galla ferite passate.
Thanatos e Hypnos erano al suo fianco, ma nessuno dei due sembrava voler spezzare quella tensione.
- Sei stato tu a chiederci di sorvegliarla, giusto per essere chiari. - Inaspettatamente, fu il gemello della morte a parlare.
- Lo so.
- E perché non glielo hai detto?
- Dirglielo cosa avrebbe significato? Nulla, per cui non era necessario farglielo sapere. Non per ora almeno.
Thanatos era, fra i due, il più diretto. Non conosceva il significato del termine “discrezione”. O forse, preferiva semplicemente torturare i malcapitati, andando dritto al punto.
- Lo sapete anche voi, mio Signore, che è Lei. Abbiamo aspettato secoli, e ora è pronta.
- Lo so che è Lei, Thanatos. Ma è ancora troppo presto. - Con un sospiro, Il Dio della Morte ritirò fuori un argomento del quale nessuno aveva più parlato. Troppo doloroso per il loro signore.
- Avete pianto a lungo le vostre amate consorti. Prima Menta, e poi Leuce. È tempo di passare oltre! - quelle parole arrivarono dritte al cuore del signore dell'Oltretomba.
Erano quasi arrivati, ma lui fermò i cavalli.
- Thanatos. - la sua voce era ferma e dura. - Credevo di essere stato chiaro sull'argomento.
- Sì, ma se...
- Basta, Thanatos!- lo fermò il fratello. - Perdonalo, mio Signore, siamo solo preoccupati per voi.
Ade non disse nulla, incitò i cavalli e fece ritorno a casa, seguito dai due gemelli.
- Dite ai Giudici che oggi non sono in grado di presidiare al tribunale. Lascio tutto nelle loro mani.
I due Dei annuirono. Era raro che Ade si assentasse, ma quello era un caso straordinario.
Radamanto, Eaco e Minosse, erano i tre Giudici. Loro decidevano quale sarebbe stata la destinazione finale delle anime. Ade interveniva solo nei casi più particolari, ma era sempre presente.
Come sovrano di quell'immenso regno, era suo dovere assistere in particolare a quelle sedute.
Lui doveva conoscere ogni aspetto del suo regno, doveva sapere ogni singolo avvenimento, ogni scelta presa.
Si fidava dei suoi consiglieri, dei giudici, e di tutti coloro che prestavano servizio al suo palazzo.
Si fidava anche dei fedeli Dei gemelli, ma sentir pronunciare quei nomi, era per lui ancora fonte di tristezza.
Può il Dio dei morti soffrire? Certo che sì.
Ade, come tutti gli altri Dei, provava emozioni, era solo bravo nel celare quelli che erano i suoi turbamenti.
Per regnare sull'Oltretomba non c'era tempo per battute o festini, lacrime o tormenti: il loro regno richiedeva dedizione e serietà.
Passando per i corridoi del suo palazzo senza tempo, si fermò di fronte a un quadro, il suo preferito: l'incoronazione della sua Regina.
Si soffermò su quell'immagine così familiare, mentre un amaro sorriso gli si dipinse sul volto.
Sussurrò parole indistinte e raggiunse i suoi alloggi.
Ade era stanco, voleva solo dormire e dimenticare per qualche minuto Menta e Leuce. L'amore che aveva provato per loro si era estinto da molto tempo, ma la paura, il rimorso e la tristezza, erano ancora vive nel suo cuore.


All'epoca, Ade era appena diventato il sovrano degli Inferi, e si era trovato catapultato in una realtà che non era la sua.
Dei tre regni, sapeva che quello era destinato a lui, ma non sapeva ancora come avrebbe potuto gestirlo.
Ninfe, e altre divinità legate a quel mondo, lo aiutarono, permettendogli di conoscere quello che sarebbe diventata la sua nuova casa.
E la prima fra tutte che lo guidò, allietando non solo i giorni, ma anche le sue notti, fu proprio Menta, una dolce e tenera ninfa dell'Averno.
Ade ne era rimasto da subito abbagliato, e quando trovò la corona dell'Averno, che era ancora ricoperta dalla pietra, decise che avrebbe preso la ninfa come sua consorte.
Venne preparata una grande festa. Ade non informò gli Dei di superficie della sua decisione, voleva che fosse una cosa molto intima, dedicata solo a loro, abitanti del Sottosuolo.
Ma la festa si tramutò in tragedia.
Non appena Ade pose la corona sulla testa di Menta, la ninfa si pietrificò.
Il Signore dell'Averno rimase paralizzato di fronte a quella vista, non poteva credere a quanto aveva appena assistito.
Nessuno fiatò. Forse perché già temevano che sarebbe accaduto, ma speravano che Menta fosse davvero la prescelta.
Il Dio allungò la mano per toccare la sua amata, e la figura pietrificata di lei si sgretolò, lasciando solo polvere.
Passarono parecchi giorni prima che Ade si potesse riprendere, e non appena fu in grado di ripresentarsi alla corte, Thanathos e Hypnos lo portarono nella grande biblioteca, per mostrargli una pergamena antica, più antica del tempo stesso.
- La corona dell'Averno, se posta sul capo della legittima Regina, scatenerà il suo potere, si risveglierà dal suo torpore e riporterà l'equilibrio nel Mondo Sotterraneo. - lesse ad alta voce il gemello dai capelli bianchi. - Solo Lei potrà indossarla. Ma se posta sul capo di coloro che proveranno con arroganza a farsi avanti pretendendo il trono, essa priverà loro non solo della vita, ma anche dell'anima stessa.
Dopo minuti di silenzio, Ade chiese: - Voi lo sapevate? Sapevate che Menta non era... Lei?
- Conoscevamo la storia della corona, ma pensavamo che Menta fosse giusta per te, mio Signore.
Ade annuì. Anche lui lo aveva sperato.


La vita riprese a trascorrere normalmente, e dopo molto tempo, il Signore di quegli oscuri luoghi, si innamorò di nuovo.
Si innamorò di una nuova ninfa, Leuce, che lo amava più della sua stessa vita.
Da tempo Zeus chiedeva al fratello come mai non avesse scelto ancora una consorte. Ade non gli aveva mai rivelato quanto era accaduto con Menta, ma gli parlò invece della tiara di pietra.
- Di sicuro è nel tuo regno che la devi cercare. - gli disse il fratello. Nonostante i rapporti non fossero più stretti come una volta, data la scarsità delle volte in cui i due si incontravano, Zeus voleva infinitamente bene ad Ade, così come amava incondizionatamente tutti i suoi fratelli, e voleva per loro ogni bene.
Ade gli nascose di Leuce, e alla fine, spinto sia dalla ragazza, che dai suoi stessi consiglieri, decise di celebrare le nozze, convinto che la ninfa fosse quella giusta.
Ma la tragedia si ripeté ancora, e Ade decise di nascondere nelle viscere del suo regno quel malefico artefatto.
Decise che non si sarebbe mai sposato e che avrebbe per sempre governato in solitario il suo regno.
Ma non aveva ancora fatto i conti con il Fato.
- Tu lo sai che è Lei. - Una voce riempì la stanza.
- Sì, lo so.
- Lo sai da quando è nata.
- È vero.
- E sai anche che ne abbiamo bisogno.
- Sì. Ma non posso. È ancora troppo presto. Se la trascinassi quaggiù adesso, la sua luce si spegnerebbe. E questo non lo posso permettere!
- Lasceresti spegnere anche il tuo stesso regno, Ade?
- Io basterò per sorreggere il mio regno. Quando giungerà il tempo allora se ne riparlerà.
- E del tuo cuore? Che mi dici del tuo cuore, figlio di Rea? Quanto ancora potrai reggere, da solo? - Nessuna risposta dal solitario sovrano, caduto da tempo vittima di un amore che era intenzionato a non lasciar sbocciare.
- Le conosci le leggi di questo mondo. Bisogna ristabilire l'equilibrio. Tanto tempo fa è stato tolto qualcosa per dare ad altri una speranza. Il tempo per riportare qui quello che appartiene all'Averno è giunto.
- Un giorno l'Averno riavrà ciò che gli spetta. Ma sarò io a stabilire quando. Io ed io soltanto prenderò questa decisione. Non spetta a te sindacare sulle decisioni che prendo nel mio regno! - sibilò Ade.
- Lo vedremo...


Nel frattempo, sul monte Olimpo, una divinità furiosa tramava vendetta.
- Sono stati tutti così ingiusti con me! - piagnucolò Afrodite, mentre il figlio e la sua giovane sposa cercavano di consolarla.
Nonostante i rapporti fra loro non fossero dei migliori, Psiche aveva sempre cercato di compiacere la pericolosa suocera che un tempo l'aveva tanto odiata.
Afrodite non aveva sopportato l'idea che ci fosse una giovane nel mondo umano che fosse più amata di lei, e così scese sulla Terra e si travestì da oracolo.
Fece visita alla sua famiglia, dicendo loro che avrebbero dovuto sacrificarla a un demone marino per ottenere la benevolenza degli Dei.
I genitori di Psiche non volevano, per quanto devoti, offrire la loro unica e amata figlia, ma Psiche, per il bene della sua terra, acconsentì.
Eros, tuttavia, che si era invaghito di lei, la salvò, iniziando con lei una relazione segreta.
Relazione che venne presto scoperta, e Afrodite fece di tutto per separare i giovani innamorati, ma l'intervento di Demetra cambiò ogni cosa.
La famiglia della giovane era molto devota alla Dea delle messi, e fu proprio per questo che quest'ultima decise di aiutare la ragazza.
Convinse altri Dei a sottoporre la giovane a delle prove, per dimostrare che era degna di diventare moglie di Eros.
Di fronte all'evidenza, Afrodite dovette cedere, e Psiche divenne Dea. Non venne mai più paragonata alla Dea della bellezza e dell'Amore, e contenta di aver mantenuto la propria posizione, Afrodite non intralciò più i due ragazzi.
- Quella sfrontata, quella...
- Madre, già conoscevi Adone, dovevi saperlo che sarebbe finita così. - La Dea lanciò sguardi di fuoco al figlio impudente.
- Tieni a freno la lingua!
- Adone non era degno delle tue attenzioni, presto o tardi si sarebbe allontanato comunque da te. Ha avuto quello che si meritava. - Afrodite prese un vaso e lo lanciò contro il giovane Dio. Eros fece cenno a Psiche di allontanarsi.
I due erano giovani, ma con l'aiuto della moglie, Eros era maturato.
In passato si divertiva a far innamorare mortali e immortali, così, per gioco, ma in seguito aveva imparato a dispensare più saggiamente il suo potere.
- È inutile che ve la prendiate con Kore...
- Oh sì, poverina! - disse lei con sarcasmo. - Quella piccola strega non saprà mai che significa amare. Con la madre che si ritrova, rimarrà per sempre una bambina sotto la sua ala, nessun uomo... - la Dea si bloccò di colpo, e un ghigno malvagio le distorse il bel viso.
- Madre? - chiese Eros preoccupato.
- Dimmi, Eros, secondo te, cosa ferirebbe di più Demetra?
- Ovviamente la perdita della figlia... Cosa avete in mente? - realizzando che la madre stava ordendo qualcosa di terribile, il giovane Dio si allarmò.
- Sarebbe fantastico se quella strega morisse. Ma un Dio non può essere ucciso, in nessun modo.
Eros provò a pensare a una delle punizioni peggiori, e impallidì.
- Non vorrai forse gettare la Divina Demetra e la figlia nel Tartaro, rinchiuse con i Titani? - La Dea sorrise.
- Sarebbe grandioso. Soffrirebbero per l'eternità. Ma questo non mi darebbe grosse soddisfazioni, oh no!
Secondo te, cosa farebbe straziare due Dee, madre e figlia, talmente unite, talmente bisognose l'una dell'altra come gli alberi con il sole? Cosa farebbe appassire due divinità della natura così bisognose della luce e del vento che soffia tra le foreste?
Voglio separarle, e spedire quella ragazzina arrogante nell'Averno. Ora che ci penso... potrei donarla in moglie all'unico Dio che nessuna fra noi, mai sposerebbe. Se non fosse già mio marito, l'avrei fatta amare da Efesto, ma questa punizione mi sembra la più appropriata. - rise con cattiveria.
- No! Io laggiù non ci vado! - Eros capì il piano malsano di sua madre, e si ribellò all'idea di venire usato per i suoi scopi nefasti.
- Oh, sì che lo farai, o la tua dolce Psiche farà una brutta fine. - Rabbia e disprezzo si dipinsero sul volto del figlio.
- E sia. Cosa devo fare di preciso?
- Hermes scende spesso nell'Oltretomba per accompagnare le anime o fare da ambasciatore, e un giorno tu andrai con lui, ti nasconderai e ti infiltrerai a palazzo. Colpirai Ade con una delle tue deliziose frecce, e se tutto andrà a buon fine, quel maledetto si innamorerà follemente di lei, tanto da trascinarla contro il suo stesso volere nel suo Regno.
Madre e figlia saranno separate per l'eternità, e quella non potrà mai più vedere la luce del sole, né tanto meno un corpo vivo. Condannata per sempre al buio e alla dannazione di quei luoghi. - Eros deglutì. La madre era una Dea pericolosa, lo sapeva, tutti lo sapevano. Ma mai avrebbe immaginato che per uno stupido umano, si sarebbe trasformata in un mostro del genere.
Provò a dissuaderla, cercando di farla ragionare, invano.
- Tu fai quanto ti ho detto, o...
- E va bene! Va bene.
Afrodite spiegò ad Eros cosa fare, e mentre il giovane tornava dalla sua sposa, il suo cuore piangeva.
- Spero che sappiate cosa fate, madre. Perché non potremo mai più tornare indietro.




 


L'angolo di Shera ^_^


Ce l'ho fatta ad aggiornare, Yep! Grazie a fenrir93 per aver aggiunto la storia fra le preferite. E grazie, come sempre, a tutti voi che mi seguite e commentate :D
Ecco, che ci siamo dunque.
L'avevo già detto che con Afrodite non avevo un buon rapporto? Non la odio, ma ai fini della trama, è diventata la cattivona U_U, e ancora non sapete che altro ha in mente. La parte che mi ha fatto penare di più di questo capitolo?
Il titolo XD. Sul serio! Il resto si è scritto praticamente da solo.
C'erano un paio di cose che ho sistemato stamani, il capitolo era pronto già ieri, ma non ero ancora convinta di alcune cose (grazie amore mio per i consigli). Si può dire che da ieri sera, alcuni dubbi su determinati sviluppi, ora sono spariti.
Credo di poterlo dire... in linea di massima credo che la storia si aggirerà sulla decina di capitoli. Dopo la storia di Antares, mi ero ripromessa di non fare pronostici sulla lunghezza delle mie storie, ma, avendo chiari più o meno tutti gli avvenimenti, di certo, a dieci capitoli, dovrei arrivare.
Non sarà un'opera lunghissima XD. E chiamarla opera è eccessivo.

Eros e Psiche sono state l'aggiunta dell'ultimo, o meglio, solo la parentesi su Psiche, e anche su loro mi son presa qualche piccola libertà (ma c'è qualche libertà che non mi son presa con questa storia?! XD).

Credo che sia chiaro che fra i gemelli, Thanatos è il mio preferito ♥

Per il momento ho ancora il pieno(?!) controllo dei personaggi, ma non si può mai dire.

Con questo il mio siparietto finisce, spero che anche questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento :D
Grazie a tutti voi per il sostegno e le preziose opinioni.

Un abbraccio

Shera

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Vendette e Rivendicazioni ***


- Vendette e Rivendicazioni-



Scendere negli Inferi non era certo gradevole.
Il povero Eros aveva provato invano a convincere la madre a desistere, ma lei era decisa nel voler scaraventare la povera Kore fra le braccia dell'oscuro signore dell'Oltretomba.
Di fronte alle ripetute minacce lanciate nei confronti della sua amata sposa, alla fine, Eros si preparò nella sua discesa.
Era molto titubante, nessuno poteva scendere negli Inferi senza invito. L'unico Dio al quale era permesso accedere, era Hermes, in quanto psicopompo e messaggero. Il Dio alato si recava in quegli angusti luoghi ogni giorno, e per questo Afrodite aveva insistito affinché il figlio lo pedinasse, in modo da conoscerne le abitudini e scoprire dove risiedeva il Signore dell'Oltretomba. Per fare questo, Eros avrebbe sfruttato una delle creazioni del patrigno Efesto: una cappa in grado di far mimetizzare perfettamente chiunque e in un qualsiasi ambiente.
Prenderla in prestito era stato semplice: con tutte le cianfrusaglie presenti nella fucina e nel deposito del Dio, un pezzo mancante non avrebbe fatto la differenza. In fondo gli sarebbe servita solo per pochi giorni. Una volta terminata la sua missione, Eros l'avrebbe rimessa al suo posto.
Non era potente quanto la Kunée di Ade, ma sarebbe stata utile allo scopo. Eros non voleva fare del male a Kore, lei non gli aveva mai fatto nulla; ma non poteva mettere a rischio la vita della sua amata, e per questo, si dovette piegare ai capricci dell'infantile madre, anche se aveva l'anima tormentata.


- Come posso fare quanto mi chiede? - chiese il giovane Dio alla moglie devota. Quella mattina avrebbe seguito Hermes nella sua discesa, ed era l'ultima cosa al mondo che desiderasse fare.
- Non farlo, semplicemente. Non possiamo concederle ogni singolo capriccio, specie se ciò significa fare del male a un innocente. - replicò Psiche.
- Ma se io non lo faccio, lei... - Psiche prese le mani del marito e se le poggiò sul cuore.
- Tu non devi temerla. Il nostro amore è riuscito a contrastarla già una volta... perché ora dovrebbe essere diverso?
- Tu la conosci, e sai che è bene non contraddirla. - Eros la baciò, e subito dopo si alzò per prepararsi.
Avrebbe difeso la sua amata ad ogni costo, anche se avrebbe significato scendere fin nelle profondità del Tartaro.


Hermes sentiva che qualcuno lo stava tenendo d'occhio ogni volta che volava verso il cuore dell'Averno. Era così da giorni, ormai.
Era come se un'ombra lo avesse seguito per tutto il tempo, per studiarne i movimenti, e non fu facile per lui scoprire di chi si trattava. Fu una piccola traccia lasciata dall'ombra misteriosa, a chiarire ogni dubbio: una piuma bianca che il furbo Dio conosceva bene.
Hermes, però, decise di non reagire. Voleva capire che cosa stava accadendo, e se avesse palesato il fatto che aveva scoperto chi lo stava pedinando, non sarebbe mai giunto ad alcuna conclusione.
Che mai avrebbe potuto volere Eros dall'Averno o dal suo Signore in persona? Era venuto a reclamare l'anima del mortale compianto dalla madre? Voleva tentare di sottrarlo a quel mondo?
Se avesse avuto abbastanza fortuna, lo avrebbe presto scoperto. Di certo, chiunque in quel regno si sarebbe accorto della presenza dell'altro intruso, e qualunque cosa il demonietto alato, che mandava in crisi anche gli Dei più potenti con le sue micidiali frecce, avesse in mente, di sicuro sarebbe stato sventato.
Solo uno sciocco poteva pensare di entrare nel regno di Ade con l'inganno, e uscirne illeso.


Hermes ed Eros entrarono nel regno oscuro, e dopo aver superato il terribile mastino dalle tre teste, Cerbero, e il fiume Acheronte, svolazzando sopra la testa del vecchio Caronte, i due arrivarono al cospetto dei tre giudici.
Eros cominciò a guardarsi attorno: Ade non c'era nella grande sala.
I tre potenti giudici si erano accorti dell'intruso, ma Hermes li precedette, facendo loro segno di ignorare il ragazzo.
Dopo aver consegnato loro i documenti della giornata, il Dio Messaggero chiese loro: - Ma dov'è Ade? È strano non vederlo qui. Si sente forse poco bene?
I tre si guardarono, non sapendo se rispondere o meno. Non capivano il perché quell'unico Dio che aveva il permesso di entrare e uscire dal loro mondo senza pagar pegno, avesse avuto l'ardire di portare con sé un ospite.
Un ospite che li stava insultando, rimanendo invisibile ai loro occhi. Non si entra in casa d'altri senza invito o senza permesso, di soppiatto come solo un ladro poteva fare. Era così in superficie, e così anche nel regno dell'Averno.
- Il nostro Signore sta riposando, messaggero. Sono state giornate molto intense. - rispose alla fine Eaco.
Eaco era il custode dell'ingresso dell'Ade, un uomo affascinante, dai corti capelli color del mogano, e gli occhi castani. Eaco si era guadagnato il suo ruolo nell'Oltretomba, essendo in vita un uomo saggio e giusto.
Perfetto per giudicare le anime mortali, giunte in quel regno in attesa di espiare le proprie colpe, o invece di godere di un'eternità beata.
- La vostra stupida disputa di superficie lo ha molto annoiato. - commentò Radamanto, il custode dei campi Elisi.
Nessuno che si fosse trovato al cospetto di Radamanto, avrebbe mai potuto mentire. Quell'uomo era in grado di far rivelare a chiunque i più oscuri segreti celati nell'anima.
Lo sguardo di ghiaccio del giudice, faceva sentire a disagio persino Hermes, che in genere andava d'accordo con chiunque.
- Dovevate forse conferire con lui, Hermes? - Minosse, che fra i tre era il vero sostituto di Ade, parlò col Dio Messaggero, ma il suo sguardo mirava altrove.
“Qui dovrò sbrigarmi, o dovrò...” ma Eros non voleva pensarci.
Il Dio della passione si era già mosso, e con una velocità seconda solo a quella di Hermes, raggiunse le mura dell'immenso palazzo di Ade, nella speranza di poter trovare la strada per le stanze dello zio.
Fu come se il giovane Dio fosse guidato da una forza a lui sconosciuta, perché in pochissimo tempo, fu in grado di raggiungere la stanza di Ade.
Con la mano tremante cercò di aprire la porta senza far rumore, e si intrufolò immediatamente nella stanza.
Era grande e spaziosa, delle colonne scolpite sorreggevano i muri, e dal balcone entrava un'aria tiepida che smuoveva le tende. Vicino al balcone c'era il grande letto sul quale, supino, con la testa girata, stava riposando il Signore di quelle terre. Si trovava ad almeno cinque metri dal Dio della passione.
Non c'erano molti oggetti ad adornare la stanza. Oltre al letto spazioso, c'era una fontanella, che sprizzava acque dai colori smorti: non potevano che essere le acque degli inferi.
E c'era uno specchio, uno specchio insolito, posto fra l'ingresso e la fontanella. La sua superficie non rifletteva la stanza: sembrava riflettere le stelle, gli astri, l'intero Cosmo...
Eros chiuse la porta delicatamente, e Ade non si mosse. Dormiva placidamente.
“Deve avere il sonno particolarmente pesante. Una vera fortuna”, pensò il giovane Dio.
Tese l'arco e incoccò la freccia, mentre i dubbi e i timori si facevano largo nel suo cuore.
“Non è giusto quello che sto facendo”, pensò.
“Ma se non lo faccio, mia madre le farà del male”. Afrodite gli aveva dimostrato con quell'ennesima vendetta, che era capace di tutto: se non le avesse ubbidito, chissà cosa avrebbe fatto a Psiche.
“Perdonami, Kore. Forse, però, sarai al sicuro quaggiù”, e scoccò la freccia.


Eros aveva chiuso gli occhi. Non voleva vedere il piano della madre che prendeva vita da quel piccolo, singolo gesto, da lui perpetrato. Una mera pedina nelle mani di una donna ferita.
Ma qualcosa non gli tornava.
Ogni volta che qualcuno veniva colpito dalle sue frecce, sentiva come un suono che ne confermava la riuscita. E quella volta, quel piccolo, quasi impercettibile suono, non ci fu.
Aprì gli occhi e vide Ade, sul letto, sempre con la testa girata, ma con il braccio alzato e la mano che prontamente aveva bloccato la freccia prima che potesse trafiggergli il cuore.
- Credevi davvero, figlio di Afrodite, di poter entrare nel mio regno senza che io non me ne accorgessi? - Eros rimase pietrificato. Non solo Ade era stato il primo essere ad aver bloccato una delle sue frecce, ma aveva sempre saputo fin dall'inizio che lui era lì, ancor prima dei giudici, ancor prima dell'Averno stesso.
- Tutti hanno percepito la tua presenza, anche non riuscivamo a giustificarla. O meglio, - fece una breve pausa giocherellando con la freccia, - loro non riuscivano. Io avevo un sospetto più che fondato. - Ade scese dal letto e si avvicinò alla fontana della sua stanza, mentre Eros, rimasto per tutto il tempo mimetizzato sotto la sua cappa, lo fissava stupefatto e spaventato.
- “Kore”... - lesse l'incisione sulla freccia, - è di lei che volevi farmi innamorare?
Eros si tolse il mantello che avrebbe dovuto celare la sua presenza a chiunque, mostrandosi al Dio dei Morti che cominciò a fissarlo senza mostrare alcuna emozione.
- Io...
- Lo so. Tua madre non è tipo da seguire i consigli. Mi aspettavo una sua reazione... anche se non pensavo che avrebbe usato te. Inoltre, - disse Ade mantenendo lo sguardo fisso sul Dio della passione - non la facevo così stolta da credere che una delle tue inutili frecce mi avrebbe indotto a trascinare quaggiù quella sfortunata ragazzina. - Detto questo, il Signore dell'Oltretomba spezzò la freccia con una sola mano.
Eros aveva paura di una possibile ritorsione, ma Ade non sembrava intenzionato a punirlo o ad infuriarsi.
- Non temere... non me la prendo con chi è solo vittima di persone ancora più deboli e vigliacche, ma ti consiglio di lasciare al più presto il mio palazzo.
Eros si ridestò da quella paralisi, chinò leggermente il capo in segno di congedo e si voltò, ma prima che potesse poggiare la mano sulla maniglia della porta, Ade lo richiamò un'ultima volta prima di lasciarlo andare.
- Di' a quella sconsiderata infantile e libidinosa di tua madre che se oserà di nuovo violare ancora questi luoghi, di persona o tramite subordinati, i suoi amanti finiranno tutti quaggiù prima del tempo. Sarà mia premura occuparmene personalmente. - la voce piatta del Dio rimbombò nella stanza, e un sorrisetto divertito gli si dipinse sul volto.
Eros se ne andò, ma sapeva anche che non avrebbe potuto fare ritorno, senza avere buone notizie per la madre.
Afrodite aveva già immaginato che il suo piano potesse fallire, e per questo ne aveva ordito un altro, ancora più terribile.


Eros ripercorse la strada fino al grande salone dove ad aspettarlo, oltre ai giudici, c'era ancora Hermes.
- Hai fatto, quindi? - chiese il Dio che svolazzava a pochi centimetri da terra.
- Più o meno. - disse a capo basso Eros, sentendo su di sé lo sguardo truce dei tre giudici. Si scusò per l'intrusione con voce debole.
Per tutto il tempo in cui si era trovato in quel luogo oscuro, gli era parso di tornare un bambino. Il bambino a cui la madre voleva molto bene ma che, di fronte alle sue continue marachelle, reagiva con la peggiore delle minacce: una bella gita negli Inferi.
Nessun mortale, o creatura divina, avrebbe mai voluto vedersi costretta a soggiornare per anche un solo minuto in quella tetra regione. Mai.
Eros si sentiva a disagio, e non vedeva l'ora di poter tornare dalla sua amata, sul monte Olimpo, dove la luce brillava e dove l'aria era fresca e sapeva di buono.
Ma aveva ancora la sua terribile missione da portare a termine.
-Tutto bene, Eros? - Il Dio dell'amore venne scosso dai suoi tristi pensieri, e i affrettò a tranquillizzare l'altro.
- Allora se hai finito, possiamo tornare in superficie. - Hermes annuì, e i due presero la strada del ritorno.
Fu solo quando arrivarono di fronte al mastino infernale che Eros si bloccò.
- Che succede? - chiese Hermes, vedendo che lui era come pietrificato di fronte all'imponente Cerbero.
Lui non gli rispose, preparò l'arco e lanciò la sua freccia.
Ma quella non era una freccia come le altre. Quella era una freccia d'odio, e recava il nome della rivale di Afrodite.
Non appena Cerbero si fosse liberato, la giovane non avrebbe avuto scampo.
Cerbero, non appena venne colpito dalla freccia cominciò a dimenarsi e a ringhiare.
- Corri Kore, perché ormai è tardi. - sussurrò Eros, svenendo fra le braccia di un attonito Hermes, mentre il cane scioglieva le sue catene, pronto ad avventarsi sulla preda designata.




Kore stava provando a dimenticare quanto accaduto.
Ma c'era ancora qualcosa che la turbava.
Il contatto con Ade era stato strano. Non aveva mai provato nulla del genere, e qualcosa le diceva che non avrebbe mai dovuto provare quel turbamento.
Se ci pensava, il suo viso avvampava immediatamente.
Come poteva reagire in quella maniera per una semplice scossa?
Kore preferì non indugiare troppo su quei pensieri.
Dopo quanto accaduto, la madre non la lasciava quasi più sola.
Insieme si erano recate in alcune cittadine, Demetra sperava anche che così facendo, Kore si sarebbe distratta.
Sarebbe stato facile incolpare tutti gli esseri umani per quello che era successo, ma la Dea delle messi era consapevole che sarebbe stato ingiusto.
Molte persone le adoravano, e continuavano a fare loro dei sacrifici, nella speranza di ottenere la loro benevolenza.
Non sarebbe stato giusto colpire anche degli innocenti, e Demetra era certa che Kore non avrebbe mai mostrato biasimo per la razza umana. Un solo uomo le aveva recato offesa, e quell'uomo aveva pagato raggiungendo il mondo di Ade.
Demetra aveva apprezzato particolarmente l'intervento del fratello durante il processo sul Monte Olimpo. In altre circostanze, chiunque avesse osato alzare la voce contro una delle predilette di Zeus, avrebbe fatto una brutta fine.
Tuttavia, oltre ad essere il loro stesso fratello, Ade aveva perfettamente ragione nel mostrare tutto il proprio biasimo verso quella Dea capricciosa.


Quel giorno, Kore e la madre, seguite dalle fedeli ninfe, si erano recate in una fonte fresca, dove potersi beare della quiete di quei luoghi dove mortali e immortali raramente si recavano.
Non troppo lontano, infatti, vi era una delle entrate dell'Oltretomba, e nessuno sano di mente si sarebbe mai avvicinato troppo al regno del Signore Ade.


Dopo giorni di difficoltà, finalmente Kore sorrideva spensierata, e la madre poté trarre un sospiro di sollievo. L'aveva vista fin troppo pensierosa, aveva sperato che portandola da qualche parte, avrebbe potuto dimenticarsi davvero di Adone e Afrodite.
- Madre, qui vicino c'è un campo pieno di fiori, pensavo di andare a coglierli. Vi spiace? - Era evidente che Kore preferiva stare da sola.
Demetra scambiò uno sguardo prima con Egeria e poi con Anthea.
- E va bene, ma non ti assentare troppo a lungo, tra un po' pensavo di fare rientro a casa. - Kore annuì felice. Si voltò e correndo sorrise.
“Le porterò un mazzo stupendo”, pensò mentre raggiungeva il campo.


Dall'alto, sul Monte Olimpo, Afrodite stava spiando la giovane Dea. Sorrideva beffarda, mentre vedeva la nera figura di Cerbero che annusava l'aria e si preparava a scagliarsi in direzione della sua preda.
Kore non poteva morire, ma poteva venir mutilata brutalmente, e poteva soffrire.
Cerbero avrebbe reso giustizia alla sua sofferenza. Dopo non avrebbe avuto più nulla contro la giovane: il debito sarebbe stato saldato, e la sua vendetta compiuta.
La colpa sarebbe poi ricaduta su Ade, dato che quello era il suo amato cucciolo. E in quel modo, tutti quelli che l'avevano oltraggiata, avrebbero patito per non averle concesso quell'unico, sospirato desiderio.


Kore aveva già preparato uno splendido mazzolino di fiori quando, al centro del prato, scorse un bellissimo narciso.
Conoscendo l'amore che la madre provava per quei bei fiori, la giovane Dea non ci pensò su due volte, e subito si avvicinò per coglierlo e completare la sua opera.
Quando ad un tratto, la terra cominciò a tremare, dei forti rimbombi in lontananza si facevano sempre più forti.
Kore si voltò verso la direzione dalla quale provenivano dei forti latrati, e scorse una figura nera, che mano a mano che si avvicinava diventava sempre più grande, quasi quanto gli alberi.
Ed ecco Cerbero, il temuto mastino dell'Oltretomba, che con le sue tre teste riusciva a riunire le anime dei mortali che giungevano nel regno di Ade, come pecore di un gregge. Con la sua ferocia riusciva a intimorire anche il più possente fra gli uomini, e persino gli Dei più coraggiosi non avrebbero mai voluto averci a che fare.
La bestia massiccia puntò i tre musi contro la Dea. Gli occhi insanguinati dalla rabbia, e il ringhiare sommesso, ne facevano una creatura temibile.
Kore non si mosse, lo fissò pietrificata.
Aveva paura, sentiva che la bestia provava rabbia nei suoi confronti, ma non ne capiva il motivo.
Non si era mai recata negli Inferi, e non era nemmeno un'anima perduta. Cosa poteva mai volere da lei?
Kore si alzo lentamente, provando a parlargli: - Dimmi Cerbero, perché sei così arrabbiato? - Cerbero non le rispose, ringhiò, e ancora la terra tremò.
La bestia cominciò a camminarle intorno, diminuendo sempre più la distanza, e fu allora che Kore vide che c'era qualcosa che spuntava dal petto di Cerbero.
Capì che era una freccia e che doveva essere quella ad aver reso così rabbiosa la guardia degli Inferi.
- Va tutto bene, Cerbero. Non devi aver paura di me. - Il mastino dalle tre teste fissò la giovane Dea, così piccola al suo confronto. Come poteva lui avere paura di una creatura così insignificante?
Kore fece un passo per avvicinarsi, ma Cerbero le ringhiò contro.
- Quella freccia ti ha ferito, permettimi di levartela. Dopo starai meglio. - provò lei ad ammansirlo. Con tono dolce e pacato, e avanzando lentamente verso di lui, Kore sperava che Cerbero le permettesse di togliergli la freccia e di curarlo.
La bestia continuò a ringhiare, e con una zampata fece rotolare a terra la Dea, lacerando le vesti e la carne.
Kore sentì il tormento interiore del mastino: la freccia lo costringeva a comportarsi così con lei. Il compito di Cerbero era quello di vegliare l'ingresso alla dimora di Ade, non quello di dare la caccia alle Dee che vivevano sulla terra.
Dalle sue gambe colava del sangue, ma Kore era determinata ad aiutare quella creatura. Doveva, o altri avrebbero potuto finire con l'essere vittime dello strano sortilegio.
Kore poteva, e doveva fermarlo.
Cerbero si preparò ad attaccarla ancora, e quando fu sopra di lei, pronto per massacrare quel corpo, Kore riuscì ad estrarre quella freccia così ben piantata nel cuore della bestia.
Per Cerbero fu come risvegliarsi da un lungo torpore, e fissando la giovane, il grosso cane si spostò abbassando il capo, guaendo e scusandosi per averla ferita.
Kore, nonostante le ferite, si preoccupò prima di curare la bestiola.
- Non è stata colpa tua . Sei stato tratto in inganno. - La giovane Dea usò tutte le sue energie per risanare le carni lacerate da quella freccia. Kore conosceva bene quel manufatto su cui era inciso il proprio nome.
“Sei giunta a questo, Afrodite? Mi odi così tanto?” pensò.
E mentre Cerbero si rimetteva dalla ferita, altre due divinità giungevano in quel prato: da un lato Demetra e dall'altro Ade.
Cerbero stava leccando le ferite di Kore, e la giovane gli stava accarezzando ad una ad una le tre teste.
Sembrava che nulla di grave fosse accaduto pochi istanti prima, ma Demetra notò immediatamente le vesti lacerate e i graffi sul corpo della figlia.
- Bambina mia, - gridò Demetra avvicinandosi in fretta, - allontanati immediatamente da quella bestia!
- Madre, non è come credete! - Cerbero cominciò a ringhiare non appena Demetra si avvicinò a loro. - Calmati, è solo mia madre, non ci farà del male. - disse la Dea grattandogli una delle teste.
Ade arrivò a bordo del suo carro, seguito da Thanatos e Hypnos.
- Tutto bene, mia signora? - chiese Hypnos avvicinandosi per controllare le ferite.
- Sì, non preoccupatevi per me.
- No che non lo è! - urlò Demetra. - È tutta colpa tua! - rivolse il suo sguardo verso il fratello, e gli si avvicinò con furia.
- Ti sbagli, sorella.
- Cerbero è o non è il tuo cane?
- Cerbero è la guardia del mio regno. Non è il mio cane. - rispose il signore dell'Averno senza scomporsi.
Hypnos aiutò Kore a rialzarsi. Nonostante le ferite non fossero profondissime, faticava a tenersi in piedi.
- Madre, non è colpa loro. Guardate. - disse mostrando loro la freccia estratta dal corpo di Cerbero.
- Afrodite... - disse Demetra tremando per la rabbia. - Non la smetterà mai di tormentarti. Devo parlare con Zeus, e questa volta pretenderò una punizione esemplare.
- No! - gridò Kore. - Se reagiamo, lei continuerà a cercare nuovi modi per ferirmi, e potrebbe far del male anche ad altri... Basta. Finiamola qui. - esasperata, Kore si appoggiò a Hypnos che la sorreggeva.
- Mia signora, dovete riposarvi. - le disse lui con dolcezza, e anche la madre di lei accorse per sostenerla.
Ade distolse lo sguardo da quella scena e lo alzò verso il cielo, verso Afrodite che li fissava con un misto di rabbia e delusione.
Quando però il Signore dell'Oltretomba incrociò coi suoi occhi intensi e glaciali quelli di lei, la Dea, presa dalla vergogna e dalla paura, si allontanò di scatto dal cornicione al quale era affacciata, rintanandosi nelle proprie stanze.
Il suo piano era riuscito solo in parte.
Un giorno, però, avrebbe trovato il modo per allontanare definitivamente Kore da quel mondo, il suo mondo: quello in cui lei e soltanto lei poteva, anzi doveva, essere amata.
Quello era il suo obiettivo, e un giorno ci sarebbe riuscita.


- Ade, perdonami se me la sono presa con te. - si scusò imbarazzata la Dea delle Messi.
- È la tua unica figlia... Lo capisco. - disse lui piatto, volgendo lo sguardo verso Kore. - Va un po' meglio?
- Sì, grazie, zio. - rispose lei con un sorriso.
Cerbero continuava a fissare la ragazza con una delle tre teste, mentre le altre due si guardavano attorno, come se temesse che qualcuno potesse giungere e ferirla.
Sembrava che il mastino degli Inferi, lo stesso che poco prima aveva aggredito Kore a causa della freccia stregata, ora la trattasse come la sua padrona, come la propria Signora; e come farebbe il più fedele dei sudditi, era già pronto a servirla e proteggerla, a qualunque costo.
- Torniamo a casa, Kore. - disse la madre. La ragazza annuì, ma non appena provò a camminare, cadde a terra.
Ade non disse nulla, si accostò a lei e la prese in braccio.
- Salite, vi accompagnerò io a casa. - quel comportamento inaspettato sorprese sia la madre che la figlia. E anche quella volta, il semplice contatto della loro pelle, provocò ad entrambi una scossa. Kore si chiese se anche il Signore dell'Averno l'avesse sentita, ma lui le pareva così imperturbabile. Forse era solo una sua sensazione, nulla per cui preoccuparsi.
Ade depose Kore nel cocchio, e incitò immediatamente i quattro cavalli neri che lo trainavano: Abaste, Aetone, Meteo e Nonio.
Seppur dall'aspetto un poco sinistro, le quattro creature erano docili, e servivano fedelmente il loro sovrano.
Hypnos riaccompagnò Cerbero a casa, non prima che questi mugolasse ed ululasse in direzione di Kore, mentre Thanatos accompagnò il suo Signore e le due Dee.
Grazie alla rapidità dei cavalli, giunsero in fretta alla dimora della Dea, dove le ninfe le accolsero caldamente, pronte a medicare la loro Kore.
- Grazie per l'aiuto, zio.
- Grazie, Ade. - disse Demetra con sincera gratitudine.
- Perdonami, mia giovane signora. - l'interruppe Thanatos. - Ho parlato con mio fratello. Pare che Cerbero volesse porgerti ancora le sue scuse.
- Oh, ma non deve preoccuparsi, - rispose la giovane Dea con un sorriso, - gliel'ho già detto, non è stata colpa sua, per questo non ha proprio nulla di cui scusarsi. Spero di aver curato bene le sue ferite. È molto... dolce, nonostante il suo aspetto.
Ade sorrise a quelle parole. Nessuno avrebbe mai potuto definire “dolce” quella bestia terrificante. Eppure lei lo aveva capito e apprezzato. Neppure lui lo aveva mai riempito di attenzioni, nonostante fosse stato lui stesso ad accudirlo... ma non era nel carattere di Ade mostrarsi particolarmente affettuoso.
- Credete che potreste fargli visita ogni tanto? - chiese allora il Dio della Morte.
- Thanatos, no! - rispose Ade.
- Mia figlia? Non credo sarebbe una buona idea. Insomma, con tutto il rispetto, l'Averno non è un luogo nel quale potrei mandarla tranquillamente...
- Quando starò meglio. Riferisci questo. - disse Kore, spiazzando sia la Dea delle messi che il Signore dell'Oltretomba.
Thanatos sorrise compiaciuto, mentre Ade lo fissò tutt'altro che divertito.
- Ma... - provò ad obiettare Demetra.
- Cerbero è un mio amico ora, madre. Perché non dovrei fargli visita? - le ninfe si guardarono spiazzate. Davvero la loro piccola Kore voleva recarsi negli spaventosi Inferi per fare visita a Cerbero?
La madre si chiese se era davvero il caso di lasciarla scendere nella dimora del fratello, ma si convinse che forse quello era un posto sicuro.
Era vero che Eros vi si era introdotto, la freccia ne era una valida prova, ma di certo, Ade avrebbe preso seri provvedimenti. Non era solito lasciar correre una così evidente mancanza di rispetto nei suoi riguardi.
- Demetra, potresti darmi la freccia di Eros? - La Dea porse l'oggetto al fratello, senza chiedergli cosa ne volesse fare. Forse voleva salire per punire lui stesso Eros. Oppure voleva mostrarla a Zeus.
- Comunque, non credo che il mio regno ti piacerà, Dea della natura. Sei comunque sicura di voler scendere per vedere Cerbero? - chiese il Dio senza guardarla.
- Sì, ne sono sicura.
- La scelta è tua. Scusateci ma dobbiamo andare. - Ade, assieme ad un divertito Thanatos, si allontanarono dalla dimora di Demetra, pronti a raggiungere l'Olimpo: Ade aveva qualcosa da dire a suo fratello, e intendeva agire immediatamente.


- Lo avevo detto io.
- Tu non avevi detto un bel niente, Thanatos. - replicò il Signore dell'Averno, incitando ancora i cavalli.
- Ha praticamente scelto lei di venire da noi.
- Da Cerbero. Lei scenderà solo per trovare Cerbero. - Ade indossava una maschera priva di qualsiasi emozione.
- Io dico che lei non scende solo per Cerbero. Non avete visto come vi ha guardato quando l'avete presa in braccio? - Thanatos fissò il suo Signore divertito. - Lo so che lo avete notato, e so anche che la cosa vi ha fatto piacere.
- Ho solo aiutato una ragazza. Una ragazza che fino a non molto tempo fa era solo una bambina ingenua. È logico che un gesto come quello potesse... intimidirla. - Per un istante, Ade si sentì in imbarazzo. Thanatos sorrise e guardò verso l'Olimpo, che era ad un passo da loro.
- Noi non aspettiamo altro.
- Cosa?
- Che lei diventi la nostra Regina. Persino quel tontolone di un cane tricefalo l'ha capito. È nata per questo, spetta ora a voi fare la vostra parte.


Zeus stava aspettando il fratello assieme a Hermes e a Eros: sapeva del suo arrivo.
Non appena Cerbero era stato liberato, i due Dei gemelli e Ade stesso erano accorsi sul posto.
Eros era ancora in uno stato di incoscienza, e Hermes raccontò l'accaduto allo zio.
- Questo è male. Le frecce d'odio non esauriscono l'effetto fino alla morte della vittima designata. - disse Hypnos guardando con ansia il proprio Signore.
- Dobbiamo muoverci immediatamente. Fate preparare subito... - ma prima che Ade finisse la frase, Thanatos stava già volando via sapendo già cosa fare.
Cerbero era irascibile anche senza una freccia d'odio piantata nel cuore, e l'unico che riusciva a tenerlo a bada era il solo Ade.
Se avesse fatto del male alla loro futura Regina, cosa mai ne sarebbe stato del loro regno?
- Hermes? - la voce del Signore oscuro rimbombò nell'entrata dell'Averno.
- Sì, Ade?
- Porta via Eros, tornate sull'Olimpo e aspettateci. Non appena fermeremo Cerbero, avrò alcune cose di cui discutere con mio fratello. Fatevi trovare all'ingresso, e fa in modo che Afrodite non ne sappia nulla. Sarebbe capace di andare a nascondersi chissà dove pur di sfuggire alle sue responsabilità. - La voce del Dio dell'Averno era piatta come sempre, ma Hermes capì che era arrabbiato, e molto.
“Dovevo prevederlo” pensò il bel Dio con gli occhi di ametista che brillavano per la sua rabbia crescente.
- Mio signore... - Thanatos arrivò col cocchio.
- Molto bene. Voi due, con me. - disse rivolto agli Dei gemelli. - Mentre voi, fate come vi ho detto. - scambiò un'occhiata con Hermes, il quale annuì, mentre Eros accanto a lui si stava finalmente riprendendo.
Quando il Signore dell'Olimpo venne informato di quanto accaduto, stava per andare da Afrodite, ma ci volle l'intervento di Era per calmarlo.
- Aspettiamo Ade. Se ci ha chiesto di attenderlo, forse avrà delle buone motivazioni.
Zeus avrebbe voluto punire lui stesso Afrodite. Pur di farla tranquillizzare, avevano dovuto indire quella noiosa riunione, di cui conoscevano già l'esito.
Ma Afrodite non si era placata, e aveva addirittura smosso Cerbero per ottenere quell'insensata vendetta.
Il Signore dell'Olimpo, però, decise di seguire il saggio consiglio della moglie, e attendere il fratello. Del resto, era lui quello che era stato più offeso: prima Afrodite ha cercato di farlo innamorare di Kore, mediante Eros, e dopo ha sguinzagliato Cerbero, mettendola così in una posizione tutt'altro che comoda.


- Fratello! Non c'è bisogno che ti chieda cosa ti porta qui da noi. - disse Zeus abbracciandolo.
- Lei lo sa che sono qui? - chiese lui senza mostrare emozione, e senza degnare di uno sguardo Eros ed Hermes.
- No, ma Era è andata a prenderla seguita da Ares. - Ade inarcò il sopracciglio. - È mio figlio, ed è ubbidiente, quando vuole.
Quando Zeus usava la carta giusta, il potente e ribelle Ares si piegava ai suoi voleri. Il ragazzo era sempre stato testardo e indisciplinato. Era selvaggio, così come le guerre combattute in suo nome. Ma Zeus non si curava di tutto ciò se non veniva messa a rischio la tranquillità degli Dei. O destabilizzato troppo il fragile equilibro del mondo dei mortali.
- Spero che non ci tradisca all'ultimo, fratello. - commentò Ade. Thanatos camminò dietro al suo Signore, con Hermes ed Eros al suo seguito.
Entrarono nella grande Sala, dove ad aspettarli erano già riunite le altre tre divinità.
Vedendoli, Afrodite cercò di fuggire, ma Ares la trattenne per un braccio. L'espressione del Dio della guerra era dura, ma celava del dolore. Lui amava quella Dea, la sua donna.
L'averla vista ridursi in quella maniera per un misero mortale, l'aveva ferito, come mai prima d'allora.
- Credo che questa sia tua, Afrodite. - disse Ade lanciando ai suoi piedi la freccia d'odio scagliata dal figlio a Cerbero.
La Dea non negò, non fece nulla.
- Non hai niente da dire a tua discolpa? - tuonò Zeus fissandola.
- Voi non mi avete dato giustizia, così me la son presa da me. - A quelle parole, Era scosse la testa.
- Ma tu lo sai che Kore non è colpevole. Il tuo umano ha scelto per conto suo cosa fare. - disse con voce calma la Madre di tutti gli Dei.
- Lei me lo ha portato via. - disse Afrodite con voce spezzata.
- Basta! - sibilò Ade, guardandola con disprezzo. - Ne abbiamo discusso anche fin troppo. Tu hai violato il sacro suolo del mio regno, hai tentato con degli inganni di farmi trascinare giù la giovane, e non contenta della sconfitta, hai fatto liberare una delle mie creature più preziose. - Per un attimo, fu come se l'intera sala fosse stata avvolta dall'oscurità del suo regno. - Hai una vaga idea di cosa sarebbe potuto accadere se Cerbero, una volta compiuta la sua missione, avesse perso il controllo? Non si gioca con il fuoco, non te lo hanno mai detto?
Afrodite cominciò a piangere, terrorizzata non tanto da quelle parole, o dalla consapevolezza delle azioni commesse. Afrodite piangeva perché Ade, quel Dio evitato da tutti, composto, impassibile, sinistro, che sprigionava l'oblio più profondo ad ogni sua parola, si stava rivelando una delle cose più terrificanti e minacciose che avesse mai visto.
Far perdere le staffe ai figli di Crono, lasciarli preda della furia, era un evento raro, ma a cui nessuno avrebbe mai desiderato assistere, poiché questo li portava a perdere il controllo dei loro grandi poteri. E se questo fosse successo anche solo a uno di loro, tale evento avrebbe comportato uno sconvolgimento dell'Equilibrio, gettando nel Caos non solo i loro rispettivi regni, ma l'intero Cosmo.
Per la fortuna di tutti, e in particolare quella di Afrodite tremante, Ade riuscì a ricomporsi, e la stanza parve riacquistare luce.
- Kore avrà per sempre delle cicatrici sulle gambe, come ricordo di quanto accaduto. Se volevi una vendetta, direi che adesso hai ottenuto ciò che volevi. Siete pari.
A quel punto, intervenne Era, composta ed elegante: - Afrodite, tu non hai rispettato quanto ti era stato detto durante la riunione, tu hai voluto agire di testa tua, e questo non lo possiamo scordare. Kore si è salvata, ma una cicatrice rimarrà per sempre sul suo corpo. È giusto quindi che anche tu abbia un ricordo delle tue azioni. Se dovesse ancora accaderle qualcosa, e tu risultassi coinvolta, le misure che prenderemo nei tuoi riguardi saranno terribili. Non puoi sottrarti al volere dei Signori del Mondo. Ad ogni modo, sii riconoscente per la misericordia che ti verrà ora concessa con questa sentenza, perché le tue deprecabili azioni avrebbero meritato soluzioni più drastiche.
Zeus aveva lasciato che fosse la sua sposa a decretare la punizione per la figlia. Aveva concesso a Era di pronunciare quella sentenza solenne, e una sentenza pronunciata dai Signori del Mondo aveva effetto immediato sul malcapitato.
Afrodite cadde a terra priva di sensi.
- Pensaci tu, Ares.
Il figlio annuì e portò via la Dea. Fu solo al suo risveglio che la punizione divina si palesò. I suoi bellissimi occhi, il suo sguardo penetrante, erano stati alterati: Afrodite era diventata strabica.
La sua bella chioma non era stata toccata, il suo fisico perfetto e provocante era ancora splendido, ma quel piccolo difetto, aveva intaccato per sempre la sua perfezione.
- Io ti amo, mia dolce Dea. - gli sussurrò Ares sfiorandole le spalle, cercando di consolarla. Il Dio della Guerra mostrava il suo lato dolce solo con Afrodite. Per tutti gli altri lui non era altro che un pazzo Dio sanguinario, privo di intelletto e di buone maniere.
In realtà, lui aveva un lato buono, ma lo riservava solo per i momenti che condivideva con lei.
Lui ed Efesto erano simili sotto questo aspetto: entrambi rudi e freddi all'esterno, ma con lei veniva fuori il loro lato più dolce.
Afrodite non lo sentiva: piagnucolava inconsolabile davanti allo specchio, mirando e rimirando la sua immagine così perfetta tranne che per quegli occhi strabici, prendendo a pugni il suo stesso riflesso che non mostrava più la perfezione.
Ares la placò con delicatezza e l'abbracciò, sussurrandole che era tutto finito, e che doveva davvero scordarsi di Adone e di Kore, lasciandosi tutto alle spalle.
Vinta dalla paura di punizioni ancora peggiori, e presa dalla stanchezza, alla fine la Dea annuì.
- Mi amerai davvero, mio Signore della Guerra?
- L'eternità può bastare?
I due si baciarono, e mentre nella sala i potenti discutevano, Guerra e Amore si univano ancora una volta, fondendosi e mescolandosi in un vortice di passione infinita.


- Ade, vuoi che venga punito anche Eros? - chiese Zeus fissando il Dio dell'Amore, che deglutì. Sperava si fossero dimenticati di lui.
- Io lo avevo avvisato, ma lui non è uscito dal mio regno... È così, Eros, o mi sbaglio? - chiese Ade senza nemmeno guardarlo.
Thanatos gli sussurrò “È meglio che tu risponda. Non vorrai farlo arrabbiare di nuovo”.
- Sì, è vero, ma mia madre mi aveva minacciato. Aveva Psiche in pugno e io...
Zeus e Ade si scambiarono un'occhiata complice.
- Che non ti veda mai più gironzolare per il mio regno. A meno che tu non sia stato invitato da me medesimo. Chiaro? - Eros annuì.
Zeus fece segno al figlio e al nipote di andarsene, così rimasero solo lui, Ade ed Era nella stanza.
- Dunque... è davvero Lei? - chiese Era fissando Ade. Il Signore dell'Averno annuì. - Da quanto lo sapevi?
- Da un po' di tempo. - disse lui con un ghigno.
- Ade, lo sai che non abbiamo più molto tempo. Non solo noi, ma anche Poseidone l'ha visto. - quelle parole sembrava che avessero colpito il fratello.
- Se l'Equilibrio non è stato sfaldato fino ad ora, non vedo perché debba sgretolarsi proprio adesso.
- Ade, - disse con tono fermo la sorella, - se davvero Kore è destinata all'Averno, se davvero è destinata ad essere la tua consorte, dovremo agire... e avvertire Demetra, non possiamo lasciarla all'oscuro di tutto.
Thanatos, pur essendo rimasto in disparte per tutto il tempo, non aveva perso una parola del discorso dei reali.
- Con la scusa di Cerbero, potreste velocizzare i tempi. È una ragazza dolce, si affezionerà più facilmente a voi se passerete del tempo assieme. - Zeus ed Era non potevano certo sapere tutto quello che era accaduto sulla terra, così Ade spiegò loro che la ragazza aveva preso la decisione di entrare nel suo regno per fare visita al suo guardiano.
- È la scusa perfetta, Ade.
- È quello che sosteniamo anche io e mio fratello. - disse Thanatos intervenendo ancora una volta senza essere stato interpellato.
- Hai la nostra approvazione. - disse infine Zeus dando una pacca sulla spalla del fratello.
- Non intendo gettarmi su di lei come se fossi un lupo e lei un agnello. Avremo... i nostri tempi.
- Lo sai che l'Altissima farà di tutto per affrettarli. - Era era pensierosa, e soprattutto preoccupata.
- Ci proverà, ma sono io a comandare per quanto riguarda il mio regno. Gliel'ho già detto che non voglio che interferisca. - Ade fece cenno a Thanatos di preparare il cocchio.
- Lo sai che non ti ascolterà. Non potrebbe mai accettare il fatto che le cose non vadano come da lei previste.
- Stavolta dovrà per forza piegarsi.
Zeus accompagnò il fratello verso l'ingresso del suo palazzo, mentre Era pensava alla sorella: il giorno in cui avrebbe scoperto cosa aveva in serbo il destino per loro, Demetra si sarebbe afflitta come non mai.
Lei che era la Dea delle Messi, privata del suo punto fermo, la figlia, cosa mai avrebbe fatto di fronte a una tale perdita?


- Quando parlerai a Demetra? Potrei anche farlo io, ma non sono io a reclamare sua figlia, e da padre della ragazza, io sono favorevole alla vostra unione. - disse Zeus con la sua solita spensieratezza. - Sicuramente sarà dura all'inizio. Kore è una ragazza fatta per stare all'aria aperta, è gioiosa e ama i divertimenti semplici. Stando con te forse si annoierà un po'... ma col tempo si abituerà. Lasciamole il tempo per maturare. - Zeus rise, ma Ade sembrava essere stato colpito da un violento pugno nello stomaco.
- Così mi trovi noioso?
- Sii onesto, fratello. Quante persone potrebbero trovarti divertente o simpatico? - erano giunti oramai al cocchio, e Zeus, giusto per punzecchiare ancora il fratello, si rivolse direttamente a Thanatos: - Ehi, dato che tu devi per forza... “vivere” con mio fratello, potresti definirlo un tipo simpatico o divertente?
Thanatos rise, rispondendogli che Ade era serio e talvolta pure noioso.
- Mio Signore, non prendetevela, non potevo certo mentire! - se Ade non avesse davvero apprezzato le qualità del Dio della Morte, di certo avrebbe trovato il modo di punirlo per la sua insolenza. Tuttavia, non solo apprezzava l'operato oneroso ma necessario dell'ironico Dio, ma conosceva anche la sua devozione e lealtà.
- Riguardo Demetra, - disse Ade salendo sul suo cocchio, - a tempo debito le parlerò. Per ora, lascerò che Kore scenda nel mio... nel suo regno. L'Averno già lo sa, la sua Regina è quasi pronta per lui.


 
L'angolo di Shera ^^

Finalmente ce l'ho fatta! Il capitolo è pronto da due giorni, ma trovare il nome adatto al capitolo ha preso più tempo del previsto. Avrebbe potuto essere Afrodite, ma ragionandoci su bene, abbiamo optato per Vendette e Rivendicazioni. Grazie amore mio per il fantastico suggerimento <3
Sempre di più, qualcosa si sta smuovendo. Ade, rispetto all'inizio è più pacato (?), lui sapeva che un qualcosa sarebbe tornato all'Averno, ma non poteva sapere, quando la sorella gli ha chiesto le acque avernali, cosa ne avrebbe fatto. Lo ha scoperto solo in seguito, e realizzare cosa sarebbe stata Kore per lui è stato facile.
Con questo capitolo non ho avuto grossi grattacapi, l'adorabile Thanatos mi è tornato utile ancora una volta, ma non preoccupatevi, mi rivolgo a chi aspetta di avere anche un po' di Hypnos, perché anche lui avrà il suo spazio.
Kore è pronta per scendere negli Inferi, quali saranno le sue emozioni e reazioni di fronte al regno dello "zio"? Ehehehhehe, lo scoprirete poi.
L'idea di rendere strabica Afrodite mi è venuta all'ultimo, l'aveva combinata davvero troppo grossa, non potevo lasciarla impunita. E come colpire la Dea più bella? rendendola non così perfetta XD.

Comunque ammettetelo... qualcuna di voi ha creduto che Eros ce l'avrebbe fatta, ingannando Ade e costringendolo a trascinare giù quella poveretta di Kore...

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio tutti voi che mi seguite e commentate. Ogni vostro parere è per me davvero molto prezioso, quindi, Grazie di cuore.
A presto

Shera ♥

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ambra e Ametista ***


- Ambra e Ametista -




- Nessuno ti obbliga. - disse con apprensione Demetra mentre la figlia si stava preparando per raggiungere l'ingresso degli Inferi.
- Lo so. Sono io che voglio andare, madre. Non avete nulla da temere, Cerbero non mi farà del male. - dicendo questo, Kore portò la mano sulla gamba che l'adorabile guardiano dell'Averno le aveva ferito. Le ferite si erano rimarginate, ma una cicatrice le avrebbe per sempre fatto ricordare quegli avvenimenti che di colpo l'avevano catapultata in un'altra fase della sua vita.
Le vicende che l'avevano vista coinvolta, prima con Adone, e poi con Afrodite, avevano segnato per sempre la fine di un ciclo. Kore non era più una bambina, e non poteva più permettersi di essere una ragazzina ingenua.
La piena consapevolezza della vera natura del mondo che la circondava, aveva fatto maturare nella giovane Dea la voglia di lasciarsi completamente alle spalle quella fanciullezza a lungo troppo legata alla sua persona.
Non tutte le persone che le sembravano mosse da buoni principi, erano davvero buone, e così, non tutte le persone che in apparenza sembravano cattive, poi si dimostravano davvero tali.
Kore pensò quindi allo zio che presto avrebbe rivisto. Era certa che per quella prima visita nel suo regno, loro due si sarebbero incontrati.
Tutti lo temevano, era potente, solitario e incuteva timore anche solo pronunciarne il nome.
Eppure lei aveva visto qualcosa in lui, qualcosa che forse nessun altro aveva potuto scorgere.
- Spero solo che Afrodite non ci infastidisca più. - disse pensierosa Demetra.
Dopo quanto accaduto, sembrava che la vendicativa Dea si fosse decisa a non dare più alcun tormento a sua figlia. Ma la Dea delle messi si chiedeva se davvero Afrodite avesse compreso quanto aveva fatto.
Zeus l'aveva mandata a chiamare, dicendole che avevano risolto ogni cosa, ma che per il momento, Kore non avrebbe dovuto salire sul Monte Olimpo. Afrodite non avrebbe più minacciato le vite delle due Dee della natura, ma era meglio evitare che si potessero incontrare.
Kore si avvicinò alla madre e la abbracciò, sussurrandole che tutto si era risolto, e che non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla.
La giovane Dea voleva tranquillizzare la madre, ma sperava anche che quelle sue stesse parole, potessero rivelarsi vere, perché c'era una parte di lei che le diceva che Afrodite avrebbe ancora fatto parte della sua vita.
Non sapeva come, ma sapeva che la Dea dell'amore avrebbe segnato, in una maniera o nell'altra, il suo futuro e il suo ruolo nel mondo.
- Ci vedremo più tardi, madre. Non state troppo in pensiero per me.
E mentre Kore si allontanava, Demetra si appoggiava ad Anthea.
- Mia Signora, Kore non è più una bambina, né una fanciulla ingenua. La nostra Kore sta diventando una donna, dovete essere fiera di lei. - le disse la ninfa dolcemente.
Quella fragile e dolce gemma si stava finalmente schiudendo, lasciando che il fiore potesse finalmente venire alla luce e schiudersi, mostrando al mondo tutta la sua bellezza.


- È tutto pronto?
- Sì mio Signore. - rispose Hypnos a un Ade straordinariamente agitato. Hermes aveva portato una missiva da parte di Kore pochi giorni prima, in cui li informava della sua imminente discesa. Da quel momento, il Signore dell'Averno aveva dimostrato tutta l'ansia derivata da quella visita.
- Se continuerete a girare avanti e indietro, finirete con lo scavare il marmo del pavimento. - scherzò Thanatos.
- Non diciamo sciocchezze, Thanatos! Ultimamente ti stai prendendo fin troppe libertà con la lingua. Non vorrai certo che te la faccia mozzare? - chiese Ade con voce tagliente.
- Non sono meno irritante del solito; e comunque, credo che in fondo vi mancherebbero i miei modi. - il fratello del Dio della Morte sospirò pesantemente.
- Se ogni tanto evitassi di fare battute, non credo che qualcuno si lamenterebbe.
- Dici così perché sono io quello simpatico. Mentre tu sei quello noioso e perfettino. - Thanatos diede una forte pacca sulla schiena del fratello, tanto forte da farlo vacillare. Loro erano gemelli, ma solo perché nati insieme nello stesso momento. Per il resto, i loro caratteri erano agli antipodi. Eppure, nessuno dei due poteva fare a meno dell'altro.
- Mio Signore, credo che la nostra ospite stia per arrivare. - disse Hypnos indicando la corona d'ametista. La tiara aveva cominciato a brillare di una fioca luce.
- La Regina è quasi a casa. - disse sorridendo Thanatos guardando verso l'alto.
Con la coda dell'occhio, Hypnos vide Ade sorridere a propria volta, e voltarsi per raggiungere Cerbero.
- Forse non è Kore a non essere pronta per il nostro regno, - disse Thanatos incrociando lo sguardo intelligente del fratello, - forse è lui che ha paura.
- Paura? Il nostro Signore Ade? - Hypnos lo fissò perplesso.
- Dopo così tanto tempo passato da solo a governare il regno, non escluderei che possa temere uno sconvolgimento con l'arrivo della Regina. - dopo quelle parole, Hypnos scosse la testa.
- Mi sorprendi fratello, dato che... sei tu che dovresti sapere più di chiunque altro quanto lui l'abbia attesa. Sono secoli che aspettiamo. - Il Dio del sonno fissò intensamente Thanatos, e prima ancora che quest'ultimo potesse parlare, aveva capito ciò che il Dio della morte intendeva dire.
- A volte mi sorprendi... Dovremo sbrigarci a raggiungerlo. - Hypnos e Thanatos raggiunsero il silenzioso Ade che, accanto a Cerbero, attendeva con impazienza l'arrivo della Dea della Natura.


Kore aveva scelto di raggiungere gli Inferi mediante l'ingresso posto dietro all'albero di melograno.
Si era portata con sé un piccolo cesto con della frutta fresca, ma non l'aveva riempito del tutto, perché c'era ancora qualcosa che voleva portare in dono, e lo avrebbe trovato solo sulla porta di casa dello zio.
L'ultima volta che era stata in quei luoghi, aveva sperato di poter condividere con Adone quel frutto di melograno le cui qualità erano note ai più. Le cose erano andate diversamente da quanto lei avrebbe mai potuto immaginare, e così non lo poté mangiare con quello che lei credeva un amico.
Quel frutto poteva portare fortuna, prosperità e anche felicità, per questo Kore voleva portargli in dono il melograno: nella speranza di poter regalare un po' di serenità e felicità a quel Dio solitario e distaccato, che nonostante la sua freddezza si era sempre dimostrato gentile con lei. Gli altri due figli di Crono, suo padre e zio Poseidone, avevano preso moglie già da molto tempo, mentre lui aveva scelto una vita da celibe.
Kore non conosceva la vita del suo regno, ma era certa che lo zio dovesse sentirsi estremamente solo.
La Dea colse qualche frutto dall'albero e si apprestò ad entrare nella caverna. Era buia, e Kore tremava, mettendo un piede davanti all'altro, tastando il sentiero prima di appoggiarsi con tutto il suo peso.
L'oscurità le dava un senso di timore, poiché faceva perdere cognizione di tutto quello che la circondava. In quel momento ripensò alla storia che Era le raccontava spesso: era come se si fosse trovata nel vuoto cosmico, prima ancora della creazione del Tutto.
Camminò a lungo, fino a che non vide una luce in fondo al tunnel, e sentì un forte latrato.
- Cerbero! - lo chiamò lei, e il cane abbaiò felice. Kore sentì tintinnare le pesanti catene che tenevano fermo il grosso cane. - Sto arrivando. - disse cominciando a correre verso la luce.
Cerbero scodinzolava dall'altro lato di quella che agli occhi della Dea si rivelò un'immensa sala circolare scavata nella terra. Accanto a lui c'erano Ade e i due Dei gemelli che l'attendevano.
La stanza era illuminata da tante fiaccole sparse per tutta la stanza, e Kore vide che dietro a Cerbero c'era un arco e il corridoio che avrebbe di certo portato al regno dello zio.
- Benvenuta, Kore. - disse Ade chinando leggermente la testa.
- Salve, zio. Grazie per avermi accolta. Questo è per voi. - disse sorridendo e porgendogli il cesto di frutta. Il Dio sembrò sorpreso per un istante, ma sul suo volto tornò presto la solita espressione imperturbabile.
- Sei stata gentile, non era necessario. - Il Dio si schiarì la voce. - Le tue ferite? - Kore si toccò la gamba.
- Oh, quelle. Tutto a posto, oramai è rimasta unicamente la cicatrice, non mi fa più male.
Cerbero strusciò una delle teste contro la Dea in cerca di attenzioni, e Kore rise di gusto.
- Non mi sono scordata di te, son venuta apposta per farti visita. E grazie anche a voi. - disse rivolgendosi agli Dei gemelli. Hypnos e Thanatos fecero un breve inchino alla giovane.
- I frutti di melograno... sono quelli dell'albero che c'è all'ingresso, non è vero? Quello dove ci siamo visti la prima volta. - chiese Thanatos avvicinandosi a lei.
- Sì, conoscendo la sua storia, ho pensato che portarveli in dono non sarebbe stata una cattiva idea. - vedendo la strana espressione sul volto dello zio, Kore si intristì. - Ho forse fatto male?
- No, affatto, è stato un bel gesto. Sapete, quando siete nata, anche il Nostro Signore ve lo ha portato in dono. - le spiegò Hypnos con il suo solito tono dolce e paziente.
- Che strana coincidenza, non vi pare, mio Signore? - chiese allora Thanatos rivolgendosi ad Ade. - Prima lo avete portato voi a lei, e ora è lei che ve lo sta offrendo.
- Ho sentito, Thanatos, è una coincidenza, come ne esistono tante altre... Vi ha, - chiese Ade con lieve tentennamento. - spaventata il buio dell'ingresso? A piedi ci si impiega un po' a raggiungere questa sala.
- Un poco, ma sapevo che presto sarei arrivata da voi, e che non mi sarebbe accaduto nulla. - la naturalezza con cui la giovane disse quelle parole sorprese le tre divinità.
Kore continuava ad accarezzare Cerbero, che si stava godendo quelle preziose attenzioni che non era solito ricevere.
La sua dolcezza aveva da subito raggiunto il cuore dell'enorme guardiano dell'Oltretomba.
La Dea si guardò attorno, si era immaginata di vedere le anime dei mortali che Cerbero doveva controllare, ma oltre a loro non c'era nessun altro.
- Mi chiedevo... le anime dei mortali, dove si trovano?
- Temendo di spaventarti, abbiamo momentaneamente bloccato questa entrata, facendo confluire tutte le anime direttamente al cospetto di Caronte, il quale trasporterà le anime attraverso uno dei fiumi del mio regno: l'Acheronte. E infine le anime verranno sottoposte al giudizio dei miei fedeli giudici: Minosse, Eaco e Radamanto. - la Dea annuì.
- Capisco, ma non dovevate darvi tanta pena, sono certa che le anime non siano così terrificanti. - Thanatos rise, e sul volto di Ade si abbozzò un sorriso.
- Sei la prima Dea a cui lo sento dire.
- Le altre divinità parlano degli orrori di questo regno, o anche di Cerbero, ma io non ho avuto questa impressione.
- Umani e divinità temono questo regno perché è vasto e potente – cominciò a spiegarle Hypnos. – C'è anche molta invidia, perché tutto ciò che sta sopra, presto o tardi dovrà venire da noi. Inventarsi storie per rendere ancora più terribile la nostra casa, è forse una delle reazioni più comprensibili, perché così forse si sentono meno inermi di fronte all'immenso potere che alberga in questi luoghi. - Ade annuì, spiegando alla nipote che al di là di tutte le dicerie, l'Averno era un luogo tranquillo. Non arrivava la luce del sole, ma non per questo era privo di vita.
Kore abbassò lo sguardo, quasi colpevole.
- Posso chiedervi un favore, zio?
- Certo.
- Potreste mostrarmi la vostra casa? Non ve lo chiedo nell'immediato, so che voi quaggiù lavorate, e di certo avrete sacrificato del tempo per stare qui con me; ma un giorno, potreste esaudire questa richiesta? - mentre Ade e Hypnos erano stupiti da quelle parole, anche se il primo riusciva a non dare a vedere del tutto il suo stupore, Thanatos sorrideva soddisfatto.
- E se le voci di superficie non fossero poi così lontane dalla verità? Se ci fossero oscuri segreti ed orrori nascosti...
- Thanatos, credo ne avessimo già parlato.- disse Ade fissando di sbieco il Dio della Morte, che noncurante della disapprovazione del suo Signore, continuava a fissare Kore.
- Ci sarete voi a farmi da scorta, giusto? Di certo io mi perderei, non potrei mai viaggiare da sola per l'Averno. Quindi non avrei nulla di cui temere.
Kore guardò Ade, e gli presentò ancora la sua richiesta, e alla fine lui acconsentì.
Subito voltò le spalle ad una Kore incredula e si incamminò verso una porta che lei non aveva notato.
- Non volevi vedere il mio regno? - le chiese Ade senza volgerle lo sguardo. Kore si apprestò a raggiungerlo.
- Voi due, - disse il potente Signore dell'Averno ai due Dei gemelli, - Riaprite il flusso, poi tornate a palazzo. Non scordatevi del cesto che la nostra ospite ci ha portato. - Gli Dei annuirono e salutarono con gioia la giovane Dea e il loro Signore.
- A più tardi. - la salutò Thanatos facendole l'occhiolino.
Cerbero guaì vedendola allontanarsi, e alla Dea si strinse il cuore.
- Mi dispiace, piccolo, ma credo che ora devi tornare al lavoro. - Il grosso mastino abbassò le teste afflitto, dato che sperava di poter godere ancora della sua compagnia.
- Prima di tornare a casa passerò a salutarti, te lo prometto! - lo rincuorò Kore, e immediatamente il dolce cane dell'Oltretomba riprese vigore.
“Lei non lo sa, ma per lui è già la Regina di questo regno” pensò il Dio con un misto di soddisfazione e timore.
Ade aprì la porta, facendosi precedere da Kore. A differenza del lungo corridoio buio che lei aveva dovuto attraversare per raggiungere quel regno, questo era illuminato, e più stretto.
- Vai sempre dritta, non puoi sbagliarti. - disse lui alle spalle della ragazza.
Kore camminò fino a che non vide una luce forte, bluastra, provenire dal fondo del corridoio. Quando infine vi giunsero, Kore scoprì che si trovavano su un balcone, posto sul lato dell'immensa montagna che avvolgeva l'intero regno di Ade.
- Quello, - disse Ade prendendola per le spalle e indicandole lo strano e imponente edificio che risaltava in lontananza, - è il mio palazzo.
- È così... - Ade si aspettava che Kore trovasse aggettivi che avrebbero demolito letteralmente la sua dimora, ma lei disse solo: - diverso. Sembra non appartenere nemmeno a questo mondo.
- A essere sinceri, non appartiene a questa epoca. Il mio regno non si piega alle leggi del tempo che regna in superficie. Qui vigono altre leggi, nipote. - a Kore brillavano gli occhi mentre scrutava l'ambiente sconfinato del regno di Ade.
- Quello è l'Acheronte, vero? - chiese indicando il fiume che passava sotto di loro. Ade annuì.
- Le acque sono strane, sembrano così torbide...
- È a tuo padre che Acheronte deve questo aspetto, per aver permesso ai Titani che lo appoggiavano di dissetarsi. Il ruolo però che oggi questo fiume svolge è molto nobile, e nonostante quanto ha commesso in passato, merita rispetto. L'Acheronte separa il regno dei vivi da quello dei morti, e le anime dei mortali che vengono sepolte dignitosamente, hanno il permesso di varcarlo tramite Caronte, se pagheranno il pegno promesso. - Kore assimilò quelle notizie, dato che in superficie le informazioni erano tutte molto vaghe e non completamente attendibili.
- E le anime dei caduti che non vengono seppelliti? Loro che fine fanno? - Ade non volle risponderle. Perché la fine di tutte quelle anime prive di sepoltura, erano destinate a vagare per sempre nel mondo di superficie, fino a che qualcuno non avesse trovato i loro corpi e donato loro il giusto riposo. Oppure, e questo era molto raro, se un umano in grado di vedere gli spiriti, avesse fatto una preghiera per loro.
Vedendo che lo zio non le rispondeva, Kore si sporse per guardare meglio, e vide delle figure luminose, che risplendevano di una luce azzurrognola.
- Quindi son quelle le anime?
- Sì, stanno raggiungendo il palazzo. Dopo il verdetto emesso dai tre giudici, le anime pure verranno inviate nei Campi Elisi; le anime di coloro che hanno commesso azioni malvagie, verranno smistate nel Tartaro in base ai crimini commessi; infine, per coloro che son stati equilibrati, senza mai essere stati né troppo buoni né troppo cattivi, la destinazione finale sarà il campo degli Asfodeli.
Sotto di loro, oltre al fiume, c'erano delle anime, e altre creature infernali. Nessuno si era accorto di loro, ma un'anima si voltò, e subito lo fecero anche tutte le altre, le quali si inchinarono e gridarono parole che Kore non comprendeva.
“Staranno inneggiando ad Ade. È il loro re, dopotutto” pensò Kore cercando di allontanarsi dal parapetto, ma Ade le si era avvicinato a tal punto che se si fosse mossa avrebbe finito con lo sbattergli contro.
- Non è me che stanno acclamando. - disse lui. “Non solo”, pensò abbozzando un sorriso.
- E chi, allora?
- La Luce. Tu, Kore. Perché sei viva, e appartieni alla superficie. Per loro emani una luce che ricorda ciò che hanno dovuto lasciare alle loro spalle. - la giovane Dea rimase colpita da quelle parole. - Tu, in questo momento, sei come il sole per l'Averno. - concluse lui con voce tremante. Sembrava volesse dirle altro, ma qualcosa lo bloccò.
- Va tutto bene, zio? - chiese Kore prendendogli la mano. - State tremando e...
- Non sto male, è solo... stanchezza. Ti prometto che un giorno ti mostrerò il mio castello, ti chiedo di portare pazienza. - Kore prese le mani di lui e gliele baciò.
- Se eravate così spossato, avreste potuto dirmelo, e avrei rimandato io stessa la visita. Anche se siamo divinità, anche noi possiamo star male. Ora pensate solo a riposarvi. - Ade alzò la mano per poterle accarezzare la guancia, ma subito la ritrasse. Come se quello che voleva fare fosse incredibilmente sbagliato.
- Thanatos e Hypnos ti riporteranno da Cerbero, così potrai salutarlo, e poi ti scorteranno fino all'uscita. - Ade fece un gesto e le anime ripresero il loro cammino, mentre dallo strano palazzo, due figure, una bianca e una nera, si mossero veloci per raggiungerli. Hypnos e Thanatos avevano preso la forma di corvi per raggiungerli il più velocemente possibile.
- Avete chiamato, mio Signore? - chiese Hypnos riprendendo forma umana.
- Sì, riaccompagnate Kore in superficie. Ho bisogno di riposare. - Thanatos, che anche lui aveva riacquistato le sue solite sembianze, stava per chiedere spiegazioni, ma il fratello lo strattonò prima che potesse aprire bocca.
- Grazie per oggi, zio. Tornerò presto a farvi visita, mi avete promesso di mostrarmi il vostro palazzo. - Ade accennò un lieve sorriso e annuì.
- Solo a una condizione, Dea della natura.
- Quale?
- Non chiamatemi più “zio”, ma solo per nome.
- Va bene... Ade. - Il Dio parve soddisfatto, e si congedò dalla giovane e dagli Dei gemelli.


- Vi è piaciuto questo breve soggiorno? - chiese Hypnos mentre percorreva con Kore e il gemello il corridoio illuminato che li avrebbe riportati da Cerbero.
- Sì, anche se...
- Cosa, mia Signora? - chiese il gemello del Dio del Sonno.
- Sono preoccupata per lui. È sempre molto impegnato col suo lavoro, vero?
- Effettivamente negli ultimi tempi il lavoro pare si sia triplicato. In superficie si è di recente conclusa una sanguinosa guerra tra due enormi armate, e le anime da valutare sono molte.
- Parlate della guerra tenuta ad Ilio, giusto?
- Sì, e gli Dei di superficie, schierandosi con gli uni e con gli altri, non hanno fatto altro che prolungare quell'inutile disputa. E pensare che è stato tutto merito, o tutta colpa, di una tua vecchia conoscenza... - disse Thanatos, alludendo ad Afrodite ovviamente. Lei aveva fatto strappare Elena da Menelao per darla in moglie a Paride.
- Se dobbiamo puntare il dito, la colpa andrebbe ad Eris e alla sua mela dorata – commentò Hypnos.
- In superficie gli Dei si stancano facilmente, e si divertono a usare gli uomini per tormentarli e giocarci fino a che non si annoiano di nuovo. Quei poveracci arriveranno poi da noi stremati e saranno i giudici, e talvolta Ade, a liberarli dal giogo che li ha portati alla rovina quando erano in vita. - concluse il Dio della Morte.
-Non c'è da sorprendersi se voi, come mio zio, avete una così scarsa opinione di chi, come me, vive nel mondo di sopra. - Kore stessa condivideva quelle idee, pur facendo parte di quello stesso mondo.
- Ade. - disse Hypnos.
- Cosa?
- Lo avete già scordato? Non solo quando vi rivolgete a lui, ma anche quando ne parlate, dovete chiamarlo per nome. - le ricordò il Dio del Sonno.
- Mi sembra però di non portargli rispetto. È pur sempre il sovrano di questo regno. Di fronte a lui, dato che me l'ha chiesto, posso chiamarlo per nome, ma di fronte ad altri...
- Posso assicurarti, mia Signora, che a lui farebbe piacere se usassi un tono più confidenziale. - disse Thanatos poggiandole un braccio sulle spalle. - Siete come una ventata d'aria fresca, quaggiù. Questa visita non ha reso felice solo Cerbero, ma anche noi. In special modo il nostro Signore.
- Si sente così solo? - chiese Kore fermandosi di colpo. Avevano quasi raggiunto la porta che portava alla grande sala dove dimorava Cerbero. Hypnos e Thanatos si scambiarono un'occhiata, e, temendo che il gemello potesse dire una parola di troppo, il primo lo precedette.
- Non è che si senta solo, ma governare questo regno senza potersi appoggiare realmente a nessuno è difficile. Può delegare a noi altri compiti di minore importanza, ma il peso del regno è tutto sulle sue spalle. - Kore annuì, avendo conferma di quelli che erano i suoi timori. Era sul punto di voltarsi e di raggiungere Ade per fargli compagnia ancora un po', ma se avesse tardato troppo, la madre si sarebbe preoccupata.
- Quando starà meglio, me lo farete sapere? Così tornerò a fargli visita.
- Verrò io stesso a prenderti. Va bene? - si propose Thanatos. Kore annuì e corse ad aprire la porta per poter salutare Cerbero.
La giovane Dea però non si aspettava di vedere le tante anime che passavano sotto lo sguardo scrutatore del grande mastino.
Appena lei entrò, tutti i presenti si voltarono, facendole un profondo inchino.
Anziani, donne, bambini e uomini... tutti riuniti in quel luogo prima di passare sotto l'arcata che li avrebbe portati sulle sponde del fiume Acheronte.
Ancora una volta, quelle ombre la chiamarono in una lingua a lei sconosciuta. Tutti i mortali, dopo la morte, parlavano una lingua universale, e le creature dell'Averno erano le uniche in tutto il mondo dei viventi a conoscerla.
Le anime dei bambini accorsero verso Kore, la quale si inginocchiò per carezzare loro le teste... ma non c'era nulla da toccare, dato che l'anima è incorporea. L'anima è solo l'ombra di ciò che si è stati in vita. Ognuna emette una sua luce, e più è intensa, più quell'anima è stata giusta in vita, mentre se tende ad essere opaca e fioca, quell'anima in vita apparteneva a un essere corrotto.
Bastò comunque che la Dea passasse la mano su quelle anime innocenti, che queste sorrisero e si rimisero in fila, porgendole quello che Kore tradusse come un “Grazie”.
Thanatos e Hypnos guardarono la Dea mentre porgeva l'ultimo saluto a Cerbero, e la scortarono infine all'uscita, senza mai dirle quello che le anime stavano gridando realmente: un benvenuto a quella che era già per loro, la Regina dell'Averno.
- Ti aspetterò allora, Thanatos. - disse lei, vedendo in lontananza la madre che la salutava.
- Non credo che dovrai aspettare molto, mia Signora. - Kore gli sorrise, e correndo raggiunse la madre.
- Allora, è andato... - chiese Demetra con voce tremula, - ...tutto bene?
- Sì, presto tornerò a fare loro visita. - a quelle parole, Demetra storse in naso.
- Non ti sentirai per caso obbligata a fare visita a quel bestione? - chiese la madre con una punta di acidità nella voce.
- No, io voglio tornare. L'Averno è molto meglio di quanto non mi aspettassi.
Improvvisamente, nella mente di Demetra balenò l'immagine di una vendicativa Afrodite, che con i suoi inganni voleva esiliare Kore nell'Averno, in compagnia di Ade e dell'oscurità di quei luoghi. Ma ciò che fece tremare di puro terrore la Dea delle messi, furono i pensieri riguardanti il Destino ineluttabile e inesorabile, riecheggianti nella sua mente attraverso parole così lontane nel tempo, e ancora così minacciose: la sentenza delle Moire.
Afferrò quindi le spalle della figlia stupita, e le strinse fin quasi a conficcarle le unghie nella pelle.
- Ade si è comportato in maniera strana con te?
- In che senso? Strana come... Adone? - Demetra annuì, e subito la figlia la rincuorò, dicendole che “lo zio” si era comportato da bravo ospite (Kore non poteva certo chiamarlo per nome al cospetto della madre). Conoscendo i suoi fratelli e altre divinità, Kore intuì le paure della madre: temeva che il Signore dell'Oltretomba, potesse avanzare pretese su di lei, la sua unica figlia.
Non c'era traccia di menzogna nelle parole di Kore, e la Dea delle messi poté tranquillizzarsi, liberandola dalla stretta e sorridendole completamente rasserenata.


- Io non capisco perché l'abbiate fatta salire. Lei si stava trovando bene quaggiù, ancora un poco e l'avreste convinta a restare, anche solo per una notte. - borbottò Thanatos non appena giunto al cospetto di Ade, subito dopo aver riaccompagnato Kore in superficie.
- Anche io posso perdere il controllo, e non voglio ridurmi come i miei fratelli che corrono dietro a ogni singola donzella che capiti loro a tiro. Perfino Poseidone, quello più controllato, specie da quando ha sposato Anfitrite, non è da meno.
- Quindi state dicendo che... - Ade se ne andò per raggiungere le sue stanze, prima che il Dio della morte potesse finire la frase, e prima di dovergli rispondere un'altra volta per le rime.
Con quei modi dolci e gentili, e gli sguardi teneri che Kore ingenuamente gli lanciava, Ade si era sentito inerme.
Avrebbe voluto prendere la giovane e portarla a palazzo per renderla davvero la sua Regina, così come era stato scritto.
Ma sapeva anche che se avesse agito d'istinto l'avrebbe unicamente spaventata, così come aveva potuto vedere nelle sculture e nei quadri delle epoche a venire.
- L'Averno reclama ciò che è suo. - disse la voce che già altre volte l'aveva aiutato, o tormentato, in base alle situazioni.
- Lo so, ma ho già detto che voglio fare a modo mio, mi pare. Non mi è ma piaciuto dovermi ripetere inutilmente.
- Lo so, ma ci sono tutti i segnali: la corona, il regno stesso rispondono a questo richiamo antico, e già l'hanno riconosciuta come sua padrona, e pure le anime. Devo portarla io da te? - chiese la voce con sarcasmo. - Non sei più abbastanza uomo da reclamare la tua legittima moglie con le tue sole forze?
Ade dovette lottare per risponderle con calma, dato che d'istinto, avrebbe voluto scaraventare qualcosa dentro lo specchio del Cosmo.
- Kore diventerà Regina dell'Averno. Ma non oggi.
- Più tempo attenderai, e peggiori saranno le conseguenze...
Ade si era già buttato nel letto, cadendo in un sonno profondo regalatogli da Hypnos.
Quella notte Ade sognò, e si vide nella sala del Giudizio mentre teneva per mano la sua bellissima Regina, la Luce che rischiarava l'Averno.


Trascorsero un paio di giorni, e Kore venne di nuovo scortata negli Inferi da Thanatos. Passarono prima per salutare Cerbero, che salutò abbaiando con gioia alla giovane Dea. Quando lei arrivava, Cerbero non era più il mastino infernale, ma solo un cucciolo troppo cresciuto dotato di tre teste. Per quel grosso bestione, il tempo che la Dea gli dedicava era sempre troppo poco, ma sapendo che avrebbe fatto visita ad Ade, Cerbero tornava a dedicarsi al suo lavoro col solito impegno, e forse con una carica in più.
Il Dio della Morte condusse Kore fino all'entrata del palazzo, dove ad attenderli c'era Ade.
- Vi trovo più riposato, Ade. - disse la Dea sorridendo e porgendogli un mazzo di narcisi.
- Sì, e oggi vi mostrerò il mio palazzo, come promesso. - Appena entrati, subito, di fronte a Kore, si presentò una zolla di terra circolare, racchiusa da un muretto di pietre. La terra non era più fertile da molto tempo, e la giovane si chiese come mai Ade non avesse fatto chiudere quello spazio, o cercato di abbellirlo. Così era decisamente triste e spoglio.
- Una volta qui cresceva un albero, e i suoi frutti erano fonte di vita per questo regno. L'Averno a quei tempi non era solo il luogo in cui le anime si raccoglievano, ma era anche un luogo ricco e prospero. Poi, un giorno, appassì, e il mio regno cadde nel buio, e le ricchezze di cui era ricco il sottosuolo, cominciarono a svanire. Il gemello di quest'albero, in superficie, vive ancora, e dona, con la stessa generosità, quei frutti miracolosi. Abbiamo provato a piantare quaggiù uno di quei semi, ma non c'è stato verso di far ricrescere quell'albero. Questo posto l'abbiamo mantenuto intatto nella speranza che un giorno quell'albero possa rigenerarsi tramite i semi che abbiamo piantato. - Kore aveva gli occhi lucidi, dato che il tono di Ade era sempre pacato, ma trasmetteva unna tristezza che mai avrebbe pensato di scorgere in lui.
- Quell'albero... è il melograno, non è vero? - Ade annuì. Senza la luce del sole, sarebbe stato impossibile, anche per lei, far crescere una pianta in quel regno.
- Non rattristarti troppo per le sorti del mio regno, piccola Kore. Ti voglio mostrare la sala del giudizio, e presentarti i giudici del mio regno.
Ade camminava a passo spedito di fronte a lei, mentre Thanatos si muovevano al suo fianco.
Kore conobbe quindi Eaco, Radamanto e Minosse, i quali le fecero un profondo inchino.
- Mia Signora, benvenuta. - dissero all'unisono. Kore arrossì per l'imbarazzo. La gente cortese dell'Oltretomba le mostrava un tale rispetto che non aveva mai ricevuto neanche nella superficie da lei amata, nonostante fosse la sua casa.
Kore pensò immediatamente che Minosse fosse il più autoritario dei tre, non solo per l'aspetto più maturo, ma anche per lo sguardo. Uno sguardo che spesso aveva trovato anche in Ade. Minosse scrutava silenzioso, come se già sapesse ogni cosa. I capelli argentati e gli occhi del medesimo colore, gli davano un'aria ancora più importante.
- Vogliate perdonarci, ma il lavoro ci chiama. - disse Radamanto prendendo il suo posto sul bancone dove i tre si riunivano per ascoltare e giudicare le anime dei mortali che giungevano dalla superficie.
Ade annuì, e seguito da Thanatos, condusse Kore per le varie stanze di quel palazzo straordinario, giungendo infine all'immensa biblioteca, dove Hypnos presiedeva zelante.
- È quanto di più grande io abbia mai visto. Nessuna biblioteca mortale riesce ad esser così immensa...
- ...nemmeno la futura biblioteca di Alessandria – rispose Hypnos – Le biblioteche dei mortali sono custodi del sapere di superficie, dai tempi antichi in cui il fuoco venne donato all'uomo, fino ad oggi. La nostra, invece, contiene tutto il sapere di tutti i regni, di ogni cultura e civiltà distanti nello spazio e nel tempo, passate, presenti, e soprattutto, future.
- Com'è possibile?
- Ricordi? Il tempo non fa parte di questo regno. - le rispose Ade. - Questo palazzo appartiene a un'epoca ancora molto distante da quella che ora viene vissuta in superficie. Troverai quadri, e anche sculture, nel mio palazzo, che ancora non sono stati dipinti o scolpiti e che hanno stili così diversi che non puoi davvero immaginare. L'arte, la musica, le tradizioni... son tutte cose che muteranno col passare dei secoli, e nessuno, tranne chi ha già letto questi libri, può sapere che cosa accadrà. Tranne forse le Moire, ma anche il loro enorme potere è limitato.
- È meraviglioso! - esclamò Kore. - Posso leggere, o potete mostrami dei quadri? - Il Dio dell'Oltretomba annuì, e condusse Kore lungo uno dei tanti corridoi pieni di quadri. Kore li fissava estasiata, rideva e li mirava incantata, passando da un genere all'altro.
Alcuni erano così belli che sembravano vivi, altri erano invece stranissimi, e pieni di forme geometriche.
- Davvero agli umani piaceranno cose del genere? - chiese ad un certo punto con una nota di disgusto.
- Gli umani hanno gusti strani, sarà una delle tante mode del futuro. - le rispose lui sorridendo.
Giunsero infine alla stanza delle statue, e Kore rimase colpita soprattutto da una di esse.
- Quel cane sembra una versione ridotta di Cerbero. - disse ridendo.
La statua riprendeva un uomo muscoloso e incoronato, doveva essere un re, che sorreggeva una fanciulla dall'aria terrorizzata che cercava di respingerlo. Ai loro piedi si trovava un cane a tre teste. Kore rimase soprattutto colpita dall'abilità dello scultore, era riuscito a modellare così bene le forme dei due protagonisti, che sembrava che la coscia di lei, sulla quale l'uomo affondava le dita, fosse fatta di morbida carne.
- Perché piange? - chiese lei notando che lo scultore era riuscito anche a catturare una lacrima per quel magnifico lavoro.
- Credo perché spaventata. Una cosa è certa, lui è davvero spaventoso. - disse lui con un tono quasi di ilarità.
- Beh, non è bello, ma non lo definirei proprio spaventoso. Certamente, se venissi presa contro la mia volontà, anche io griderei e piangerei in quel modo. - Kore aveva quasi dimenticato quanto accaduto con Adone, e quelle sue stesse parole avevano riportato alla mente ricordi dolorosi. Ade le mise un braccio attorno alle spalle e l'attirò a sé, posandole un bacio sulla testa.
- Nessuno ti farà del male finché ci sarò io, per questo non devi temere. - Ade sussurrò quelle parole con voce roca, mentre un brivido percorse la schiena di lei. Non era la prima volta che il Dio passava da toni più distaccati a quelli più confidenziali, ma c'era qualcosa di diverso. Kore sentì come se quello che le stava dicendo avesse una certa importanza. Il profumo della sua pelle, era quanto di più buono la giovane avesse mai sentito: era così familiare, e le dava come l'impressione di essere a casa.
- Si è fatto tardi, Thanatos deve riaccompagnarti in superficie.
- Come, è già ora? - si lamentò lei, facendo sorridere Ade.
- Purtroppo sì. Non vorrai far impensierire mia sorella? - il Signore dell'Averno non temeva certo le ire di Demetra, ma non voleva rischiare di rovinare quanto stava creando con Kore.
- Posso comunque fermarmi qualche minuto con Cerbero? - Ade annuì.
- Ti aspetterò, sempre che tu voglia ancora scendere a visitare il mio regno. C'è ancora molto che vorrei mostrarti.
- Non posso scendere tutti i giorni, e questo lo sai anche tu. Ma ti prometto che tornerò ancora, la strada la conosco.
Ade annuì e chiamò il Dio della Morte.


Di volta in volta, coi mesi che si susseguivano e gli incontri che si moltiplicavano, l'intesa fra i due crebbe sempre di più, mentre nel regno di Ade si diffondeva la voce dell'arrivo della vera Regina.
Ogni volta che la Dea scendeva nell'Averno, i suoi abitanti la salutavano e la acclamavano. La sua sola presenza sembrava dare luce e conforto alle anime e alle creature nate nella profondità della terra. Da tempo sembrava che anche gli spiriti più irrequieti si fossero calmati, tutto per merito della Dea della natura.
Kore cominciava a comprendere il loro linguaggio, anche se non capiva perché continuavano a chiamarla “Regina”.
Cerbero aspettava sempre più con impazienza le visite di Kore, e quando lei arrivava, il grosso guardiano si lasciava coccolare dalla dolcezza e dalle premure di lei.


Demetra si era accorta che la figlia cominciava a passare fin troppo tempo nell'Averno, e così la costrinse a fare sempre più spesso dei viaggi per le campagne e le città a loro sacre.
La Dea delle messi non avrebbe permesso a nessuno, neppure al fratello che le aveva concesso di avere quell'adorata figlia, di potergliela sottrarre dalle mani.
Kore era dispiaciuta di non poter raggiungere più Ade, anche perché cominciava a nutrire un interesse per quel Signore così solitario ma che le aveva dimostrato di avere un grande cuore.


- Il tempo è quasi giunto, mio Signore. - disse Atropo mostrando a Zeus uno specchio.
- Presto l'Averno reclamerà ciò che gli spetta. A lungo ha atteso, e Ade ha continuato a prendere tempo. - Lachesi accarezzò i capelli del padre degli Dei. - Sembra però che finalmente si sia deciso. Avrebbe dovuto prendere te come esempio già molto tempo fa. Del resto, tu non sei mai stato un Dio timido. - Zeus scrutò lo specchio ignorando le moine della moira mezzana.
- Cosa dobbiamo fare? Cosa posso fare? - Zeus guardò le tre divinità del Destino, tutte e tre silenziose che lo fissavano.
Cloto si fece avanti, emettendo la sua sentenza.
- L'Estate Senza Fine è oramai quasi giunta al termine. Un nuovo ciclo sta per cominciare.


Dopo quasi un mese dal loro ultimo incontro, Ade decise di salire in superficie per raggiungere Kore, la sua Kore, deciso a porle una semplice domanda, nella speranza che lei potesse rispondergli.
- Finalmente vi siete deciso. - disse Thanatos volando accanto al suo Signore.
- Credevo di avervi detto che avrai gestito da solo la faccenda. È una cosa personale. - disse lui facendo cenno al corvo nero di andarsene.
- Ma mio Signore, è un evento molto importante, dobbiamo essere presenti per documentare la cosa nei sacri testi. - disse Hypnos. In quanto guardiano della biblioteca reale dell'Averno, era anche suo compito tenere aggiornato il grande Libro delle Divinità e del Cosmo. In quel volume vi erano racchiuse tutte le vere storie del loro mondo, e non le favole che invece si raccontavano gli uomini, modificando a loro piacere ciò che poteva rivelarsi scomodo.
- E va bene, ma non fatevi vedere! - rispose il Dio seccato.
Thanatos rise e volò veloce fra gli alberi seguito dal fratello.
Kore si trovava pochi metri più avanti accanto a una fonte. Era sola, Demetra doveva essersi allontanata, e quello era il momento più opportuno.
- Ade! - rise Kore notando la sua figura scura fra gli alberi. - È passato così tanto tempo. Avrei tanto voluto rivedere te e gli altri. Cerbero come sta?
Il Signore dell'Averno aveva sperato che la giovane gli dicesse unicamente che era stato lui, e lui soltanto a mancarle, ma il sorriso di lei cancellò quella piccola nota di disappunto che per un momento aveva provato.
- Cerbero sente molto la tua mancanza. Di notte è un vero strazio. - le rispose lui.
- Oh, poverino. Mi sento terribilmente in colpa, ma mia madre mi sta portando un po' ovunque in quest'ultimo periodo. - Kore sospirò. - È più strana del solito, e mi preoccupa vederla così. Sembra che la stia tormentando qualcosa, e si rifiuta di confidarsi con me. Credo che le ninfe lo sappiano, ho provato più volte a parlare con loro ma nessuna collabora, nemmeno Atlanteia, che di solito si lascia convincere più delle altre.
Ade sembrava non curarsi di quanto gli aveva appena detto la ragazza. Prese la sua mano e la strinse, poggiandosela poi sul cuore.
- Forse tua madre si sta accorgendo che non sei più una bambina e che non può più tenerti stretta a sé come un tempo. Tutti i figli crescono, prima o poi.
- Vorrei solo che non soffrisse per questo. Io...
- Tu cosa vuoi, Kore? - lo sguardo di Ade era così intenso da mettere la Dea quasi in soggezione. - I desideri di tua madre sono più importanti dei tuoi? - Kore distolse lo sguardo, ma Ade non glielo permise, lasciò la mano di lei e dolcemente prese il viso della giovane fra le mani, costringendola a guardarlo. - Kore, non manchi solo a Cerbero. Il mio regno ha bisogno di te. Io ho bisogno di te.
Kore spalancò gli occhi. Sentì il cuore palpitare a quella dichiarazione, tanto da cominciare a tremare.
Da quando aveva cominciato a scendere negli Inferi aveva sentito che qualcosa era cambiato. Si era sentita sempre più attratta non solo dal regno del Sottosuolo, ma anche dallo stesso Ade. La notte, mentre si rigirava insonne nel letto, non faceva altro che pensare al palazzo di Ade, alla biblioteca, alle anime che sembravano adorarla e che si acquietavano ogni volta che la vedevano. Pensava al Signore di quel regno, ai suoi lucenti capelli e al suo sguardo in grado di incantarla.
Kore si era spesso chiesta cosa fosse quel sentimento che lentamente si era fatto strada nel suo cuore.
Abitudine? Non si era solo abituata alla sua presenza. Non le bastava vederlo semplicemente.
Bisogno? Non aveva solo l'impellente necessità di stare con lui e di sentire la sua voce, bearsi delle sue attenzioni e di quei piccoli gesti che aveva cominciato a notare.
Non erano solo quei lievi sorrisi che a lei, solo a lei, lui mostrava. O delle lunghe chiacchierate che i due erano soliti fare mentre passeggiavano per il suo infinito regno.
L'amore non esiste fra gli immortali”, questo aveva sempre pensato la giovane Dea della natura. Ma quando fissava il Dio del Sottosuolo, si scordava di tutto e di tutti. Esisteva solo lui.
Amore... Eros non aveva bisogno di scagliare alcuna freccia al cuore di Ade, o al suo.
Kore scostò le mani di Ade dal suo viso e gliele baciò.
- Mio Signore... - gli occhi di ambra di lei, lucidi per l'emozione, si riflettevano in quelli d'ametista di lui. Con la punta delle dita gli sfiorò le labbra, e sussurrò il suo nome.
Ade la strinse, e di fronte a quella piccola fonte, la Morte e la Vita si scambiarono il loro primo bacio.
Dapprima esitante, poi sempre più intenso.
Non era stato un bacio egoista come quello che Adone le aveva rubato. Ade non aveva rubato null'altro che il suo cuore, che lentamente si era arreso.
Sciolto il bacio, i due non riuscivano quasi a parlare.
- Ade... io... - Kore titubava mentre il Dio le carezzava le gote.
- Ho aspettato così tanto, ma ora... Ora non posso più attendere! - sussurrò lui. - Torna con me a casa. Diventa la mia Regina. - Ade le mostrò la corona che la ragazza aveva trovato quel lontano giorno. - È tua, devi solo indossarla e il mio, il nostro regno, conoscerà una nuova e migliore vita. - la corona di ametista brillava di fronte alla Dea, e quando lei la sfiorò, un accecante bagliore si diffuse tutto intorno a loro. Kore non aveva fatto tempo a prendere una decisione, quando qualcuno interruppe quell'idilliaco momento.
- Fermati! - gridò una voce.
Demetra si avvicinò come una furia, afferrando Kore per un braccio e dando uno schiaffo al fratello.
- Osa avvicinarti a Kore e giuro che ti farò rimpiangere il ventre di nostro padre!



 
L'angolo di Shera ^_^ (aka. Se i Numi vogliono, anche questa è fatta!)

Salve a tutti, comincio subito coi ringraziamenti, prima che me ne dimentichi. Allora, grazie a CiLzAzRyY e a fiascodisastro, per aver aggiunto la mia storia fra i preferiti. Ringrazio quindi anche MegWH per avermi aggiunta fra le seguite <3

Il capitolo era già pronto per essere postato da ieri, ma la lettura ha preso il sopravvento, così ho atteso di avere la testa più concentrata. Volevo anche inaugurare il capitolo con l'annuncio dell'apertura della pagina FB, che purtroppo non ho ancora aperto XD. Sto trasferendo tutto il materiale di Deviantart su un nuovo account, quindi, quello sta avendo la precedenza.

Ma bando alle ciance... Sono curiosa dei vostri pareri >_< spero di non aver reso eccessivamente Ade sdolcinato. Ade è tosto, ma già dai precedenti capitoli si capiva che... lo sappiamo U_U. Per il prossimo capitolo avremo parecchie cose di cui discutere, dato che sarà denso di avvenimenti, la scaletta è pronta, devo solo decidermi a cominiciare.
Ah, se temevate che Demetra non potesse più inacidirsi, eccola qui che torna! Demetra è cambiata, è più mamma dolce, ma toccatele sua figlia e BUM!

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. grazie a tutti di seguirmi e di commentarmi. Grazie di cuore :*

A presto
Shera ♥



Edit: Ora online anche su FB.
Se volete, potrete ripescarmi anche a questo indirizzo: https://www.facebook.com/SherazadeEfp

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ritorno alle radici ***


- Ritorno alle radici -




Zeus fissava con apprensione il fratello accasciato sul proprio trono, nella grande sala. Non molto tempo prima, tutte le divinità si erano ritrovate in quello stesso luogo per giudicare la Dea Afrodite, e nonostante qualche difficoltà, tutto sembrava essere tornato alla normalità.
Come potevano le cose, essere precipitate così rovinosamente?
Era ed Estia stavano cercando di tenere calma la sorella, mentre Poseidone sedeva con apprensione accanto al fratello maggiore dal volto ancora più pallido del solito.
Ade aveva perso il controllo del suo regno, dopo che quel giorno, Demetra l'aveva separato da Kore...




- Madre! - cercò di calmarla Kore, spaventata per la reazione violenta di Demetra.
- Lo sapevo che non potevo fidarmi di te! Non è un caso se fra tutti, proprio tu sei finito nell'oscuro mondo di sotto! - disse con rabbia la Dea delle messi, sputando ai piedi del Dio – Solo un essere dal cuore nero come il tuo poteva esserne il Sovrano, e solo un essere così spregevole poteva cercare di ghermire una figlia della superficie!
Ade si toccò la guancia che bruciava ancora per la violenza dello schiaffo infertogli dalla sorella.
- Demetra... - disse con voce neutra, ma con le mani che tremavano, - … sei mia sorella, e a te ci tengo, ma non immischiarti in cose che non ti riguardano. - lo sguardo gelido del Dio incrociò quello di lei. Thanatos e Hypnos raggiunsero il loro Sovrano, e ripresero forma umana senza dire nulla. In tale circostanza, persino Thanatos non avrebbe osato proferire parola. Ma l'apprensione delle due divinità non sfuggì allo sguardo di Kore.
- Madre, voi non capite... - la voce della giovane Dea era una supplica che Demetra non voleva proprio udire. Le afferrò con forza i polsi, gridandole che mai avrebbe dovuto accettare le attenzioni di Ade, e che mai più avrebbe dovuto mettere piede in quegli angusti luoghi. Kore la implorò di lasciarla andare, le unghie di Demetra le stavano lacerando la pelle, e non appena la Dea se ne accorse lasciò la presa e la strinse a sé scusandosi.
- Lo faccio per te, bambina mia. - le spiegò lei, anche se Kore era ancora spaventata. - Ade ti vuole solo usare, non gli permetterò di portarti via da me, dalla tua casa!
- Come se tu potessi impedirlo. - la sbeffeggiò Ade. - Ricordi? Tanti anni fa mi hai chiesto qualcosa, e io te l'ho dato. Ora spetta a me ricevere qualcosa in cambio.
Lo sguardo di Demetra s'incupì, e allora comprese l'inganno ordito molto tempo prima.
- Tu sapevi già! Tu lo sapevi, maledetto! - la terra tremava, e la voce di Demetra, che di solito era dolce come il miele, mostrò un'asprezza tale che Kore rimase spiazzata.
- Tu hai accettato di stipulare un patto con me, nessuno ti ha obbligata, ricordi? Sarà l'Averno a chiedere qualcosa quando lo vorrà, perché ricordalo: niente di ciò che appartiene all'Averno, può essergli tolto. Un giorno, ciò che oggi mi hai chiesto e mi hai sottratto, troverà il modo di ritornare.
Ade citò se stesso, ripetendo alla sorella le stesse identiche parole che le aveva detto il giorno in cui lei era scesa nell'Oltretomba per chiedergli l'acqua dei suoi fiumi.
- Tu e le Moire... voi mi avete ingannata! Mi avete usata e ora volete privarmi di mia figlia, e usare anche lei come strumento per i vostri giochetti. - Kore non capiva cosa stesse accadendo, di cosa stesse parlando la madre, e delle accuse che lanciava ad Ade... c'erano delle cose che le erano state taciute. Cose importanti, ma in quel momento, la giovane Dea non faceva altro che guardare impensierita Ade, che sembrava sul punto di esplodere dalla rabbia ma che, con compostezza, cercava di trattenere. Quell'alone nero che poche altre volte aveva avvolto il suo corpo, era ricomparso, e si stava espandendo pian piano.
- Mi credi davvero così bieco da comportarmi in quella maniera? Da ingannarti solo per ottenere un giorno una donna? È davvero questo quello che pensi di me? - lui tremava mentre rispondeva a tono alla sorella. Hypnos mosse un passo verso Ade, ma questi alzò la mano, intimandogli di non avvicinarsi e di non parlargli. I due gemelli si scambiarono uno sguardo d'intesa. In quanto creature dell'Averno, e quindi strettamente collegate sia al regno, che al loro stesso Signore, i due avvertivano tutta la tensione che Ade stava provando... e così anche quella dello stesso Sottosuolo. Come Ade, il suo stesso regno, in quel preciso momento, era in uno stato di sconvolgimento, e se Ade avesse perso il controllo, nessuno avrebbe potuto contenerne gli effetti che ne sarebbero conseguiti. - Se fossi il mostro che tu ti affanni ad affermare che io sia, avrei trascinato giù con me la tua preziosissima figlia, e ne avrei fatto mia moglie senza nemmeno chiederle se la cosa poteva interessarle. - L'aura nera che avvolgeva il corpo di Ade si faceva sempre più intensa, emanando tutta la sua potentissima energia. L'erba sotto i suoi piedi, e così anche la terra, e le piante accanto a loro, morivano lentamente. L'acqua della sorgente si seccò, mentre gli occhi di Kore si riempivano di lacrime.
La giovane Dea non era solo terrorizzata per quell'orribile scena che vedeva coinvolte due persone che amava, ma anche perché sentiva tutto il dolore che stava provando Ade in quel momento. Come era successo la prima volta che era scesa negli inferi, stava vedendo un Ade stanco, sul punto di crollare. Ma non era stanchezza del troppo lavoro. Non era solo quello.
- Ade... - sussurrò lei, muovendo pochi passi nel tentativo di raggiungerlo. Scambiandosi un semplice sguardo, dal viso del Dio scomparve momentaneamente quella rabbia che sembrava essere sul punto di prendere possesso di lui, e l'aria di morte che si stava propagando per i boschi, si arrestò. Prima che Kore potesse però raggiungerlo, la madre le bloccò la strada.
- Eh no! Tu non vai da nessuna parte. Non dovrai rivederlo mai più! - Demetra afferrò di nuovo la figlia, decisa a non cedere la presa, anche a costo di farle del male lei stessa. Un giorno, Kore avrebbe capito perché lei si stava comportando in quella maniera. Di certo lo avrebbe fatto. L'orribile presagio delle Moire non si sarebbe mai avverato. - Ora ti porterò via di qua e tu... - l'odio di Demetra parve investire il Signore dell'Oltretomba. - Prova ad avvicinarti ancora a noi e te la farò pagare. Fosse l'ultima cosa che faccio, Ade!
- Non è una decisione che spetta a te, mia cara. Kore... - il Dio dell'Oltretomba si rivolse alla giovane con la solita calma. Era una situazione delicata e tremendamente instabile. Più Demetra lo insultava e più Ade cedeva sotto il peso dei suoi poteri. Il solo pronunciare il nome dell'amata, pareva restituire ad Ade sia le forze che il pieno controllo di sé, facendo sospirare di sollievo gli inermi Thanatos e Hypnos. Quando Ade era in quello stato, intervenire per cercare di sedare la situazione, non faceva altro che complicare le cose, anche se il loro amato Sovrano sembrava sempre più debole. - Ignora tua madre, e ascolta la richiesta che prima ti ho posto. - fece una pausa, e con voce ansante glielo chiese ancora: - Vieni con me, a casa!
Kore guardò prima lui, e poi la madre, combattuta fra il desiderio di correre fra le braccia di lui, e di riaccompagnarlo nel suo regno, e la consapevolezza che se avesse lasciato il fianco della madre, questa si sarebbe disperata creando chissà quali catastrofi. Se Ade, di fronte all'opposizione di Demetra aveva perso per poco tempo il controllo dei propri poteri facendo morire la natura che li circondava, come avrebbe potuto reagire sua madre, che senza battere ciglio aveva ucciso Adone?
- Mi spiace, zio. - disse lei con le lacrime agli occhi, voltandogli le spalle. Incredulo, lui rimase ammutolito, mentre Demetra lo fissava con aria di superiorità e sorridendo vittoriosa.
- Ma mia Signora... - la chiamò Hypnos, ma Kore non rispose. Si incamminò da sola verso la strada che l'avrebbe riportata a casa.
- Hai visto, Ade? Tu non sei poi così potente come vorresti far credere. Vali meno di quanto gli altri non possano pensare. Tutti ti temono, ma come puoi ben vedere, noi, Dee della natura, davanti a te non tremiamo. - lei lo derise con gusto. Thanatos era sul punto di intervenire, ma Ade lo precedette.
- Demetra... sei ancora in tempo. Lasciala libera. - le disse il Signore dell'Averno con una voce così grave da ricordare quella del loro orribile padre. Anche se indebolito, Ade aveva ancora la sua compostezza.
- Non hai sentito, fratello? È stata mia figlia a rifiutarti. Per fortuna è rinsavita, temevo davvero che potesse essersi affezionata a te al punto di accettarti davvero come suo sposo. - La Dea rise, e in quel momento, Kore, che anche se distante, li poteva ancora udire, non poté fare a meno di accostare il comportamento della madre con quello infantile e crudele della Dea Afrodite. - Né in questa né in nessun'altra dimensione tu avresti mai potuto averla. - Demetra aveva dato fiato a quelle parole, senza pensare minimamente a quello che ne sarebbe potuto conseguire. - Tu vali meno di niente. Può la tenebra avere qualsivoglia pretesa sulla luce? Mai! Tornatene nel tuo lugubre regno, e sparisci per sempre dalla terra dei vivi!
Ade si appoggiò a Thanatos, ignorando l'ultima offesa della sorella, e chiedendogli di portarlo a casa.
Mai, neanche una volta in tutti quei secoli, il Signore dell'Averno, si era sentito così debole.
Non erano certo le parole sprezzanti della sorella ad aver fatto star male il Dio, ma il rifiuto della sua Regina.
Kore era già Regina del suo regno, anche se non era ancora stata incoronata. L'Averno stesso l'aveva riconosciuta, e con le sue visite, lei aveva cominciato ad entrare in simbiosi con esso. Per la giovane Dea, questo richiamo non era ancora così potente, ancora non comprendeva, né lo sentiva pienamente. Ma l'Averno sì, e col suo rifiuto, seguito dalle continue interferenze della madre con il proprio Signore, l'Averno si stava ora ribellando, prosciugando delle energie il povero Ade.
Il mondo dei vivi e quello dei morti non avrebbero mai dovuto fondersi. Ade, come sovrano dell'Averno, aveva il compito di mantenere quell'invisibile equilibrio che permetteva che nello stesso mondo i due regni potessero coesistere, senza però fondersi. Dovevano rimanere separati.
L'Averno era un regno potente, un regno oscuro per chi non ne conosceva la storia, un regno vivo; solo il degno sovrano avrebbe potuto mantenerlo sano. Ma Ade, che da secoli vi regnava in solitudine, aveva finito con l'esaurire buona parte della sua energia per mantenere il precario equilibrio.
Con Kore, l'unica legittima Regina, avrebbe potuto restituire a quelle terre l'antico splendore che si era andato ad estinguere. Ristabilire ciò che era andato perduto da molto prima che Ade si insediasse in quelle Terre.


Dopo la spartizione del mondo, il Caos, che in quegli anni aveva governato grazie all'operato di Crono, e prima ancora di Urano, venne infine sconfitto, e l'Equilibrio ripristinato.
Il Caos cercherà sempre di stravolgere l'Universo, ed è nostro compito preservare l'Equilibrio.
Giorno e Notte, Vita e Morte, Uomo e Donna, Re e Regina... tutto deve avere la sua controparte, il suo opposto.
L'Equilibrio è la chiave del mondo, e Gaia ne è la sua protettrice.


Essendosi visto privato di ciò che egli attendeva con impazienza da secoli, l'Averno perse il controllo, prosciugando i poteri del proprio Signore, che fino ad allora aveva tenuto a bada quelle forze potenti da solo.
Dalla terra, le anime dei morti non ancora giunte a destinazione, ritornarono in superficie, spargendo terrore, e regalando la morte a chiunque entrasse in contatto con loro, ricercando la vita alla quale erano ancora così legati.




- Grazie per essere venuti. - disse Zeus prendendo posto accanto al fratello, visibilmente indebolito per gli sforzi fatti per cercare di arginare il danno prodotto dall'equilibrio destabilizzato del proprio regno. Anche le altre quattro divinità presero posto. - La situazione peggiora di giorno in giorno. Non possiamo più andare avanti in questo modo. Il regno di Ade sta prendendo il controllo della superficie. - Il Dio sospirò mentre si apprestava a spiegare ai suoi fratelli tutto quello che stava accadendo a seguito dello scontro fra Demetra e Ade. - In meno di una settimana la devastazione che ha colpito la terra degli uomini è impressionante. E si sta diffondendo sempre di più, e presto o tardi raggiungerà anche l'Olimpo. Se non ci sbrighiamo, entro pochi mesi la vita potrebbe estinguersi dal pianeta.
- È con lui che te la devi prendere allora, fratello. - rispose acida Demetra, indicando un Ade più taciturno del solito, ben sapendo cosa avesse in mente Zeus. Ben sapendo cosa voleva chiederle. Era solo per quello che lui li aveva chiamati tutti.
- Demetra, lo sai, te lo abbiamo mostrato, l'hai visto tu stessa nello Specchio... Tua figlia deve andare con Ade. L'Averno ne ha bisogno. - le spiegò il Padre degli Dei, con voce grave, senza distogliere lo sguardo dalla sorella.
- Al diavolo l'Averno, e al diavolo gli uomini. Nessuno di voi può togliermi mia figlia! - urlò la Dea disperata, mentre al suo fianco accorrevano le due sorelle.
- Calmati, Demetra. Nessuno ti porterà via Kore, ma dobbiamo mantenere l'Equilibrio, se non lo facessimo... - provò a spiegarle Era, ma la Dea delle messi la spinse via con violenza. La Regina dell'Olimpo cadde a terra, e Zeus l'aiutò a rialzarsi.
- Demetra, sei nostra sorella, come puoi essere così egoista? - gli chiese Zeus con la rabbia che nel cielo si manifestava con tuoni e lampi. Il Dio stava stringendo le mani della moglie, la quale fissava con apprensione quella sorella così fragile.
- Tu devi rendere tua figlia al regno che le appartiene, o sarà la fine per tutti noi. - disse serio Poseidone. - Anche i mari sono stati colpiti da questo problema. Gli spiriti dei morti lo possono solcare e molte navi sono affondate a causa loro, aumentando quindi il numero delle anime erranti già fin troppo numeroso.
- Demetra, sorella cara, nessuno ti impedirà di vederla, - con dolcezza, Estia le carezzò la testa, - tua figlia diventerà una splendida Regina della quale potrai essere molto orgogliosa. Non vuoi vederla serena? - La Dea delle messi tremò a quelle parole, come se la sorella avesse insinuato che lei non era abbastanza per sua figlia, come se lei non potesse donare felicità a quella bambina così tanto desiderata e a lungo cercata.
- La mia Kore sarà felice solo con me!
- Le Moire mi hanno rivelato ciò che ti dissero prima della nascita della fanciulla – disse Zeus. - Lo sai anche tu che quella ragazza non ti appartiene più. Kore deve compiere il suo destino.
- Mai! - Demetra si alzò di scatto, e si scagliò verso Zeus, cercando di sferrargli un pugno nello stomaco, ma Poseidone la fermò.
- Guardalo, sorella. - il Dio prese il volto di Demetra fra le mani, e la costrinse a voltarsi verso quel corpo inanimato che era diventato Ade. - Lui è in quello stato perché sta cercando di trattenere con tutto se stesso l'Averno, che altrimenti ci divorerebbe tutti. Lo sai che potrebbe costargli la vita. Anche noi Dei possiamo morire! - Demetra aveva le lacrime agli occhi. - Se non facciamo qualcosa, non sarà la fine solo per l'uomo, ma anche per noi, per la nostra terra: per Gaia, la madre di tutti noi.
Poseidone la lasciò andare, e Demetra si accasciò al suolo, mentre il silenzio si impossessava della stanza.
- Gaia... - la voce della Dea era un sussurro. - Certo, lei può mettere tutte le cose a posto! - esultò Demetra, come se avesse trovato una scappatoia per quello che le avevano annunciato le Moire molto tempo prima.
Zeus scambiò un'occhiata con Poseidone: anche se avessero parlato con Madre Gaia, nulla sarebbe cambiato.
- Fra tre giorni ci sarà l'allineamento dei pianeti, e io parlerò con Gaia, nel suo tempio nascosto nel cuore del mio bosco sacro. Lei risolverà ogni cosa.
- Demetra, ma hai ascoltato tutto quello che abbiamo detto fino ad ora? - alzò la voce Poseidone. Anche il suo regno era stato colpito, ed era in ansia per il suo popolo, dato che le anime dei morti potevano prosciugare la vita anche alle creature marine. - Non abbiamo più tempo da perdere, troppe vite rischieranno di essere sacrificate inutilmente.
- Vorrà dire che dopo tutto questo, gli uomini si daranno da fare per generare altri figli! Magari tu e Zeus potreste contribuire, dato che vi è sempre così tanto piaciuto! - disse la Dea senza un minimo di comprensione o sensibilità. Il viso di Era era un misto di dolore e rabbia per quelle parole: seppur non così infondate, erano comunque ingiuste e meschine, soprattutto per la sua adorata sorella. - Datemi tre giorni, e vi assicuro che tutto si sistemerà.
- No. - le disse Zeus, anche lui risentito per quella provocazione, ma Ade, nonostante gli costasse fatica, intervenne in difesa di Demetra, e quelle furono le uniche parole che riuscì a dire durante quel loro incontro.
- E sia... ma tanto lo sappiamo già. Kore verrà con me, Demetra. Quella volta mi ha rifiutato solo per non darti un dispiacere, ma quando l'ordine ti verrà dato da Gaia in persona, - Ade ansimava, ma si fece forza per concludere la sua frase, - tu non ti potrai opporre, e me la consegnerai. Restituirai all'Averno ciò di cui lo hai privato, e lo stai privando tutt'ora. Tu mi restituirai ciò che è mio di diritto.
- La vedremo. Madre Gaia mi aiuterà, io sono l'unica tra di voi che possa avvicinarsi a quelli che sono i suoi poteri. Io sola son la Dea della natura, la sua unica vera erede. La Madre mi ascolterà! - disse con decisione abbandonando la sala.
- Ade, sei davvero in grado di reggere ancora così tanto? - chiese con apprensione Estia, accorrendo al fianco del fratello. Il Dio annuì.
- Non avrei mai dovuto lasciarle così tante libertà nella gestione della ragazza. Le si è attaccata troppo. - Zeus sospirò, mentre la moglie lo abbracciava, dicendogli che non avrebbe potuto fare altrimenti. La giovane era cresciuta bene, e presto anche Demetra avrebbe capito l'importanza che avrebbe avuto Kore in quel nuovo mondo che presto sarebbe nato.
- Per nostra sorella deve essere stato uno shock apprendere che l'unica adorata figlia, era pronta per lasciarla. Cerca di capire anche il suo punto di vista. - nonostante Demetra l'avesse allontanata con rabbia e insultata senza riflettere, Era riusciva lo stesso a perdonarla e ad amarla. Lo faceva soprattutto per il suo rispettato fratello Ade, e per la sua adorata Kore. Nonostante fossero passati anni, la Madre degli Dei ricordava ancora la sua stessa ferocia, riversata su quella bambina dagli occhioni color dell'ambra che la fissavano spesso con timore, e di come poi gli si fosse affezionata. Kore era anche sua figlia, non c'erano legami di sangue, ma Era aveva riversato su quella piccina entrata nella loro casa tutto l'amore che non era mai stata in grado di donare ai propri figli.
Il Dio della Morte comparve nella stanza, silenzioso e dal volto appesantito dalla stanchezza. Quei giorni erano stati molto impegnativi per tutte le creature dell'Averno, ninfe e Dei del Sottosuolo, non solo per Ade che aveva cercato di arginare i danni.
- Sono giunto per portare il mio Signore a casa. Possiamo riportare anche la Regina? - quella volta, Thanatos non usò neanche una punta di ilarità o di sarcasmo nella voce. La sua era una richiesta posta con garbo e che lasciava trapelare anche tutta l'urgenza con cui lui la richiedeva anche a nome del regno che abitava. L'Averno era in tumulto, e il suo amato Signore era allo stremo delle forze. Nemmeno lui aveva più la voglia di ridere e scherzare. L'unica cosa che voleva, era rivedere la sua casa tornare alla normalità, vedere di nuovo contento il suo Signore: perché da quando Lei era entrata davvero nelle loro vite, qualcosa era cambiato in Ade. Lui era felice come non lo era più stato da secoli. Non sorrideva più del solito – cosa impensabile per uno come lui! –, ma aveva un'espressione così serena, che tutti in quel regno senza tempo, se ne erano accorti. E tutti gioivano per quella Regina che stava portando la Luce nell'oscurità del Sottosuolo.
Quanto ancora avrebbero dovuto attendere prima che Demetra lasciasse libera la fanciulla?
- Non ancora, Thanatos. - la risposta flebile di Ade lo rattristò. Si avvicinò al suo Sovrano, chinando leggermente il capo in segno di rispetto verso i fratelli e le sorelle del proprio Signore, e con calma, lo accompagnò al cocchio.
- Non vi preoccupate, mio Signore. Ci penseremo io e Hypnos a risolvere ogni cosa. Tutto si risolverà. - disse Thanatos facendo sedere il Dio, e incitando i cavalli a partire. - Noi la riporteremo a casa.


Da quel giorno in cui era stata obbligata dalle circostanze a rifiutare Ade, Kore non era più riuscita a darsi pace. Aveva sofferto per la giusta morte di Adone, ma non così tanto. Mai avrebbe creduto di poter soffrire come in quel momento.
Spinta dal desiderio di non far soffrire la madre, aveva rinunciato a quella felicità che aveva intravisto di poter raggiungere con Ade. Per amore di sua madre, aveva rinunciato a qualcosa che non era ancora nato, ma che stava per farlo. Lei stessa, così facendo, aveva calpestato un innocente fiore che stava per schiudersi, e non se lo sarebbe mai potuta perdonare.
Le ninfe facevano la ronda a turno per controllarla, così come aveva ordinato loro Demetra, nel timore che potessero rapirla per trascinarla nell'Oltretomba.
La verità era che una parte di Kore avrebbe voluto uscire di corsa dalla finestra per raggiungere l'ingresso degli Inferi, perché sapeva quanto Lui stesse soffrendo a causa sua.
Anche se la madre e le ninfe avevano fatto di tutto per celarle la verità, Kore sapeva cosa stava accadendo, lei aveva sentito le anime lamentarsi e riversarsi sul mondo. Come una goccia che lentamente si propaga nell'acqua dapprima tranquilla... perché all'inizio erano poche le anime sfuggite al controllo di Ade, ma via via erano sempre più numerose. Lui non ce la faceva più a tenere il controllo del suo regno che si stava ribellando.
Quanto ancora avrebbe resistito?
Doveva trovare il modo di raggiungerlo, Kore non pensava ad altro. Ma come?
E fu allora che la risposta le venne data dalla madre appena tornata dalla riunione tenuta sull'Olimpo.
La giovane la sentì parlare con le ninfe, e allora elaborò un suo piano: quando la madre si sarebbe allontanata per raggiungere il tempio di Gaia, Kore avrebbe potuto fuggire per raggiungere Ade. Ma non poteva farcela da sola. Aveva bisogno di una mano.
Si buttò sul letto e finse di dormire, come aveva fatto spesso in quegli ultimi giorni. Ogni volta diceva che non stava bene a causa di quanto accaduto. Le ninfe la coccolavano, e così anche Demetra. Kore non voleva dare a vedere a nessuno che il motivo della sua sofferenza era proprio la separazione dall'oscuro Signore.
Le sentiva bisbigliare impietosite parole come “Povera Kore”, “Il Dio dell'Oltretomba è uno stolto se ha davvero pensato di poterla trascinare giù con sé”, e altre ancora che lo additavano come mostro. Kore piangeva, e chi la vedeva pensava che era solo la paura a farla piangere, quando invece piangeva perché la faceva soffrire sentire le persone che amava, giudicare Ade con tanta severità , senza nemmeno averlo conosciuto.
Kore aspettò che il silenzio della notte raggiungesse il palazzo della madre, e con un sussurrò evocò un nome, più e più volte, fino a che la creatura desiderata non comparve nella sua stanza, inginocchiata ai piedi del suo letto.
Kore gettò le braccia al collo della figura evocata, singhiozzando.
- Hypnos...
- Mia Signora, non dovete piangere. - sussurrò il Dio del sonno asciugandole le lacrime.
- Lui come sta? - Quel giorno stesso in cui tutto accadde, Kore chiamò Hypnos nel cuore della notte per spiegargli il motivo del suo rifiuto. Ade lo sapeva bene, e persino l'Oltretomba, ma era stato quest'ultimo a non accettare questa scelta imposta. Così, per punire Demetra, l'Averno aveva deciso di lanciare quella piaga sul mondo.
- Mia Signora, la situazione sta peggiorando, e vostra madre...
- Lo so, ed è per questo che mi servi. Hypnos, ascolta le mie parole, e stagli vicino in questi tre giorni. Non appena mia madre lascerà il palazzo, tu...


Passarono i giorni, e Demetra si preparò energica a raggiungere il tempio di Gaia.
Non appena le avesse parlato, la Grande Madre avrebbe ristabilito l'Equilibrio del Cosmo, e lei avrebbe potuto vivere serena accanto alla sua amatissima figlia
- Bambina mia, presto tutto sarà a posto e nessuno ci infastidirà più. - La Dea delle messi aveva informato la figlia di quanto accaduto sul monte Olimpo e della piaga che si stava spandendo nel mondo. Continuava ad attribuirne la sola colpa ad Ade, ma Kore conosceva la verità. - Non ti manderò più nemmeno sull'Olimpo, neanche loro ci capiscono. - Kore spalancò gli occhi. - Oh non preoccuparti, se vorrai vedere Atena o Artemide, loro potranno raggiungerti qui. Sono sempre le benvenute. - Era passato parecchio tempo anche dal loro ultimo incontro. Demetra le sorrise, proponendole di invitare le due Dee non appena tutto si fosse risolto.
- Madre... - Kore si sentiva in colpa per quello che stava per farle.
- Dimmi? - chiese lei con dolcezza. Kore stava per dirle che non c'era bisogno di scomodare la Grande Madre Gaia, che potevano trovare una soluzione, insieme.
Avrebbe potuto scendere ogni giorno nell'Averno, e poi tornare in superficie da lei. Senza doversi legare in matrimonio ad Ade, svolgendo semplicemente un lavoro al suo fianco.
Ma non riuscì a parlare. Demetra interpretò il silenzio della figlia come i timori per una possibile intromissione di Ade durante la sua assenza.
- Kore, Ade non si avvicinerà più a te. È una promessa. - “Ma io lo voglio”, pensò Kore.
- Fate attenzione, madre. - fu tutto quello che le uscì dalla bocca.
E attese. Attese che la madre si allontanasse abbastanza e allora invocò Hypnos, che intervenne come stabilito.
Le ninfe ad una ad una si addormentarono, e il Dio del Sonno le comparve di fronte agli occhi.
- Mia Signora...
- Andiamo Hypnos, portami da lui. - chiese la giovane Dea con gli occhi che brillavano per l'emozione.


In una radura non molto distante, Ade e Thanatos li stavano attendendo. Ade era ancora molto debole, ma più Kore si avvicinava e più il suo volto riacquistava quel poco colore che normalmente aveva, e l'energia che aveva speso per cercare di arginare i danni, sembrava che gli venisse restituita.
- Di certo avremo una Regina molto avveduta... Anche se avrebbe potuto venire con noi fin da subito.
- Thanatos, Kore voleva evitare che a perdere il controllo fosse Demetra. - Ade si guardò intorno in attesa di vedere comparire la sua Kore. - Se nemmeno io sono stato in grado di contenere il potere del mio regno che si è ribellato a questa privazione, cosa credi che sarebbe successo con Demetra? Conoscendola, avrebbe come minimo causato qualche carestia o chissà che altro... Spero che Madre Gaia possa riuscire nell'ardua impresa di farla ragionare.
Il Dio della Morte non gli rispose, indicò solo il fratello che stava arrivando seguito da Kore.
- Ade. - disse lei con un sussulto prima di abbracciarlo, scoppiando poi in forti singhiozzi. Lui le carezzò la testa, mentre lei si scusava per non aver cercato di fare ragionare la madre. Ma Ade la tranquillizzò, dicendole che non doveva scusarsi, e che aveva agito bene.
- Però per colpa mia, tu ora...
- Non importa, - Ade la strinse baciandole poi la guancia con delicatezza, - non ho nemmeno tenuto al corrente Zeus delle nostre intenzioni. Più tardi invierò qualcuno per informarlo. - Ade fece una pausa e guardò con insistenza ed affetto Kore – Ora...
- Sì, andiamo nell'Averno.
Kore e Ade sorrisero, mentre i due Dei gemelli li precedettero, avviandosi verso l'ingresso dell'Oltretomba.
Però, poco prima che le divinità raggiungessero l'entrata dell'Averno, dalla terra tremante fuoriuscirono dei rovi che si muovevano cercando qualcosa. Cercando qualcuno.
- Mia madre... - disse Kore tremando e aggrappandosi ad Ade.
- No, non è lei! - disse lui facendole da scudo. Il bersaglio di quei rovi, erano proprio Ade e Kore.
Prima ancora che Thanatos e Hypnos potessero intervenire, le due divinità vennero avvolte e trascinate nel profondo della terra.


- Se non è mia madre... chi mai potrebbe essere? - chiese Kore tremando fra le braccia di Ade, mentre sentivano attorno a loro la terra che sfregava contro i rovi che li avevano avvolti.
- Presto lo scoprirai. - Il Dio già conosceva il nome di quella divinità che aveva già manovrato tutto e tutti nei lunghi secoli passati dalla nascita dell'Universo stesso.
Ade sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, e sperava che Kore fosse abbastanza matura per accettare quanto presto avrebbe scoperto.
Dopo essere stati trascinati per metri e metri, lontani dalla luce del sole, la loro corsa si arrestò, e le spire che li avvolgevano li liberarono, rivelando il luogo in cui erano stati condotti: il tempio sotterraneo della Grande Madre Gaia.
In quel tempio non vi avrebbero incontrato la divinità primordiale sotto forma di donna, poiché lei era quella terra stessa che li avvolgeva. Lei era ovunque, e aveva sempre vegliato su tutti i figli che abitavano quel piccolo pianeta.
In quel luogo si vedevano solo le radici che impedivano alla terra di crollare sopra le loro teste; c'era una piccola sorgente, e in lontananza un antico altare di pietra, accanto al quale c'era una donna che pregava. Non appena questa avvertì la loro presenza si voltò, e riconoscendoli si avvicinò con furia.
- Tu! - gridò lei, - che cosa ci fai qui con mia figlia? - Ade, che aveva recuperato totalmente le proprie forze, non si scompose, nonostante la sorella si stesse avvicinando a lui sempre più minacciosa.
- Madre Gaia ci ha chiamati qui. - rispose impassibile. - È a lei che devi fare questa domanda.
- Tu... tu osi burlarti di me? - La Dea delle Messi tremava dalla rabbia. - Hai mia figlia tra gli artigli e osi tirare in ballo Madre Gaia?
- Demetra, - una voce che Kore non aveva mai sentito, richiamò l'attenzione delle tre divinità. Quella voce rimbombò per il tempio, e per quanto Kore si affannasse a cercare la fonte di quella voce, non la poté scorgere da nessuna parte. - non tollero che si alzi la voce nel mio tempio.
- Grande Madre... - subito la Dea parve acquietarsi. - Finalmente mi rispondete, ho pregato fino ad ora, e... vi prego, salvate la mia bambina.
- Salvarla? E da cosa? - sembrava quasi che Gaia si stesse divertendo ad ignorare quello che già sapeva.
- Questo spregevole Dio vuole privarmene. Pur di ottenerla, ha scatenato il suo regno contro la superficie. - disse indicando Ade. - Non si è nemmeno preso la responsabilità di ammettere che è stata tutta una mossa studiata per far cedere anche i miei fratelli e le mie sorelle. - Ade mantenne la sua solita compostezza di fronte a quelle infamanti accuse. - È tutto un suo piano per portarmi via la mia adorata bambina. Madre, punitelo e allontanatelo una volta per tutte dalla superficie. Ripristinate l'Equilibrio del mondo e liberateci dalla sua piaga, vi scongiuro. - Il tono della Dea delle messi era al limite dell'isteria.
- Madre, non è vero! Ade non lo farebbe mai, come potete accusarlo così ingiustamente? - disse la giovane Dea guardandola in faccia, e fu allora che comprese quanto dolore la madre stesse provando. A stento riuscì a trattenere un gemito di orrore, di fronte a quella vista.
Demetra, da giovane e bella Dea quale era sempre stata, si stava pian piano sciupando. I capelli che fino a poche ore prima erano luminosi e setosi, si stavano trasformando in una chioma stopposa, ingrigendo di colpo. La pelle morbida cominciò a raggrinzire, e l'espressione del suo volto mostrava una donna sull'orlo della pazzia.
- Bambina, tu non capisci. Tu devi stare con me, tu non puoi abbandonarmi! - Demetra si lanciò verso la figlia, abbracciandola, senza curarsi di Ade che era accanto a loro, e che le aveva lanciato uno di quei rari sguardi di pietà. Non gli importavano tutte le bugie che Demetra aveva appena raccontato, fintanto che Kore credeva ancora a lui; ma vedere ridotta sua sorella in quello stato fu sconcertante anche per uno come lui.
- Io ti ho dato questa figlia perché tu la facessi crescere, per educarla a quello che un giorno sarebbe stato il suo ruolo. Io stessa te l'ho infine affidata. Ricordi? - Demetra lasciò andare la figlia e si guardò attorno, avvicinandosi alla sorgente che c'era di fronte al tempio nascosto nelle viscere della terra.
Guardò lo specchio d'acqua, ma non vide la sua immagine riflessa: Demetra vide il riflesso della nutrice che molti anni prima le aveva permesso di portare via la piccola Kore dopo la morte di Cloe.
- Non... può essere. - singhiozzò la Dea fra le lacrime, prendendosi il volto fra le mani, tremando come una foglia. - Dunque era tutto stato ordito da Voi?
- Io non ho ordito niente. È solo il destino di tutti noi. Ognuno ha un suo ruolo nell'Universo. Il mio è quello di preservare l'Equilibrio. Dovresti saperlo, figlia di Crono e di Rea. - La voce di Gaia non lasciava trasparire alcuna emozione. Demetra era lì al suo cospetto, inerme e disperata, ma nella voce della Dea primordiale non vi era nemmeno una nota di compassione.
- Madre... - Kore si avvicinò a Demetra, e la abbracciò cercando di calmarla. - Anche se voglio bene ad Ade, non significa che non ne voglia più a te. Sei sempre la madre che mi ha dato alla luce e che mi ha cullata e amata in tutti questi anni.
- Non è del tutto esatto, figlia di Demetra.
- Non credo sia necessario, Madre Gaia. - disse Ade, interrompendo la Dea, ma questa parve non udire nemmeno il Signore dell'Averno.
- Cara Kore, tu sei nata mortale. La tua madre naturale si chiamava Cloe, e io stessa l'ho aiutata a metterti al mondo. Tramite anche l'aiuto delle Moire, ho guidato Demetra fino a lei, affinché ti trovasse e ti crescesse da Dea.
- Non è vero. Non crederle, Kore. Tu sei mia figlia, mia e di nessun altro! - Demetra si attaccò a Kore, stringendola, come avrebbe fatto un bambino impaurito che si aggrappa con tutte le proprie forze alla madre in cerca di conforto e protezione. Kore non poteva credere a quanto le stava dicendo Gaia. Sua madre era Demetra. Ne era certa, così come Zeus era suo padre.
- Anche Ade te lo potrà confermare. - La giovane si voltò di colpo, e lui annuì cupo in volto.
- Ade? - la voce di Kore tremava.
- Un giorno tua madre venne da me con le sue ninfe più fidate, chiedendomi le acque dell'Averno e senza spiegarmene il motivo. Quando lei le utilizzò, io potei vedere quanto stava accadendo: lei e Zeus hanno usato non solo le acque degli Inferi, ma anche il loro sangue per donarti l'immortalità. - per Kore fu come ricevere un pugno nello stomaco. Non poteva credere che quelli che aveva sempre creduto essere i propri genitori, la sua famiglia, non fossero altro che degli impostori.
- Ma che stai dicendo? - chiese lei con occhi lucidi, con sguardo fisso sul Dio.
- Mi spiace, Kore. - la voce del Signore dell'Oltretomba era un sussurro.
- Dea della natura, tu eri destinata fin dal tuo concepimento a diventare la Regina dell'Averno, per poter completare il cerchio.
- Il cerchio?
- Giorno e Notte, Vita e Morte, Uomo e Donna, Re e Regina... tutto deve avere la sua controparte, il suo opposto. Ogni regno su cui è fondato questo mondo deve essere in equilibrio, e l'Averno non lo è mai stato, Ade è sempre stato da solo. E ora ha bisogno di te, o sarà la fine per tutti noi. Uomini o Dei, saremo tutti in balia del Caos, se tu non accetti di prendere il tuo posto nel Mondo.
- No, Gaia! Non mi strapperai via mia figlia! - Demetra urlò contro la Dea primordiale. Tremando e piangendo, non si staccava dalla figlia che a sua volta era preda delle lacrime - Non puoi...
- Perché non me lo hai mai detto? - chiese Kore fra i singhiozzi.
- Tu sei mia figlia, che ti abbia partorita o meno. - il volto invecchiato di Demetra commosse Kore. Sua madre era sempre stata possessiva perché temeva che potessero strapparle via quella figlia che le era stata donata. A volte si era dimostrata egoista, ma Kore poteva finalmente comprendere il motivo delle azioni, spesso inspiegabili, che la madre aveva avuto nel corso degli anni. Anni prima l'avrebbe forse odiata per averle taciuto quella verità scomoda, ma vedendola così disperata, non poté fare a meno di compatirla e perdonarla. Demetra era una Dea potente, ma anche fragile, e sola. In Kore aveva riposto il suo amore, e con lei aveva finalmente potuto condividere una vita che fino ad allora era stata così solitaria. Kore aveva riempito il suo vuoto.
- Ade... Perché non me lo hai detto neppure tu? - chiese Kore senza guardarlo, rimanendo abbracciata alla madre.
- Non era il momento giusto per dirtelo. - rispose lui.
- Non è vero. - rispose secca Kore. - Tu non hai voluto dirlo. - La giovane Dea cercava di mantenere la calma, perché dentro di lei l'ombra di un atroce sospetto cominciava a farsi avanti, espandendosi sempre di più. - Ade... tu sei stato gentile con me, solo perché sapevi che ero destinata a scendere nell'Averno per farti da spalla? Per spartire con te il governo del tuo regno? - Ade sussultò.
- Solo all'inizio. Solo quando eri ancora una bambina. - ammise lui. - Ho... chiesto a Hypnos e Thanatos di vegliare sempre su di te, un po' per sapere che tipo di Regina avresti potuto diventare, e un po' per poterti proteggere. - rispose il Dio dicendole una mezza verità. Lui stesso aveva vegliato su di lei, perché già sentiva di appartenerle. - Ma non ho mai mentito su ciò che provavo per te. - Nessuno dei due in realtà si era dichiarato apertamente a parole, ma solo con gesti che dimostravano quanto l'uno tenesse all'altro. Kore, però, cominciava a dubitarne, complice anche il tipico e apparente distacco che il Signore dell'Oltretomba dimostrava persino in quel momento.
- Allora è vero... sono solo uno strumento per te e l'Averno... - Kore lasciò che le lacrime le solcassero il volto.
- Non è vero. - Ade mosse dei passi verso di lei, ma non appena incrociò lo sguardo con quella Demetra deperita, decise di non proseguire. - Io dovevo capire che tipo di persona avrei sposato un giorno. Tu non avresti fatto lo stesso al mio posto? - alzò leggermente la voce, non perché arrabbiato con lei, ma per la situazione che si faceva sempre più pesante per entrambi.
- Non lo so, e non mi interessa saperlo. Mia madre ha dimostrato di essere egoista, ma non mi ha usata, come invece vorreste fare voi. - disse loro, rivolgendosi anche a Gaia. - Dovrai trovarti un'altra Regina, perché io non ne voglio più sapere, né di te né dell'Averno. - rispose secca Kore, rivolgendo ad Ade per la prima volta uno sguardo d'astio. Non lo credeva possibile, si era fidata di lui, credendo per la prima volta che l'amore potesse sbocciare anche fra immortali. - Andiamo madre, torniamocene a casa.
Demetra fissò la figlia rincuorata, e pian piano sembrò riprendersi, ma Gaia separò le due, avvolgendo Demetra fra le stesse spire che già la giovane aveva visto in azione e trascinò via la Dea in lacrime.
- No! Restituitemi mia madre! - gridò Kore guardandosi attorno nel tempio sotterraneo, conficcando le unghie nel terreno che aveva inghiottito la madre, scavando fino a veder sanguinare le proprie dita. Ade si accostò a lei, intimandole dolcemente di smettere.
- No... rivoglio mia madre. - Kore pianse mentre Ade la abbracciava cercando di consolarla. Ma era inutile, e solo quando la Dea si calmò, lo spinse via. Lui aveva sempre temuto che il giorno in cui lei avrebbe scoperto la verità, non sarebbe stata in grado di sopportarla.
- Demetra è al sicuro, di questo puoi starne certa, non le farò del male. - la voce di Gaia riecheggiò per il tempio.
- Restituitemela. Fateci tornare a casa, e trovate un'altra Dea che possa governare l'Averno al fianco di mio zio. - Ade sussultò di nuovo. Detestava che Kore lo chiamasse “zio”. Sapeva che per lei era un modo per erigere un'invisibile muro fra di loro, solo perché la verità da affrontare era difficile.
- Dea della natura, il tuo compito non può essere ceduto ad altri. Devi prendertene carico, che ti piaccia o meno. - la voce di Gaia era severa, e non ammetteva repliche. - Non sarà un compito semplice, ma avete la fortuna di esservi innamorati, o no? - Ade non rispose, ma a dare una risposta alla divinità primordiale ci pensò Kore.
- Uno si può innamorare di una bugia, ma se questa viene rivelata, è inutile continuare a rincorrerla... anche se sarebbe bello poterci ancora credere. - disse la Dea senza mostrare emozioni. - Voglio tornare in superficie, e voglio tornarci con mia madre!
- Demetra è ora in una dimensione priva di tempo e spazio, molto simile all'Averno, e tu non la potrai raggiungere. È un luogo dove non esiste nulla se non la nostra persona. - le spiegò Gaia. - Demetra ne ha bisogno, perché deve imparare ad accettare i disegni che il Fato ha in serbo per noi. Neanche io ho scelto di essere quella che sono, ma non me ne rammarico. - nonostante quelle parole fossero prive di toni, la giovane Dea non aveva potuto fare a meno di provare rabbia di fronte a quel rimprovero. - Non sempre possiamo fare tutto ciò che vogliamo, a volte ci vengono richiesti sacrifici enormi, che ci sembrano davvero ingiusti. Un giorno, però, potremo raccogliere dei frutti così buoni e succosi che le fatiche fatte non ci sembreranno più un peso.
- A me non importa. Cambierò il mio Destino, perché non è tutto scritto, non diventerò mai Regina! - la determinazione di Kore fece ridere Gaia. - Cosa c'è di tanto divertente? Io sono serissima.
- Non tutto il nostro destino è scritto, è vero, Dea della natura. Ma ci son cose che per quanto potremmo provare ad evitarle, finiremmo comunque col doverci confrontare con esse, prima o poi. - quelle note di rimprovero che Kore aveva udito in precedenza erano scomparse, ma non per questo era intenzionata ad accettare quanto la Dea le stava dicendo. - In un modo o nell'altro, tutto deve trovare il proprio posto nel Cosmo. È il cerchio, l'Equilibrio, il Tutto. E tu, Kore, devi accettare quello per cui sei nata e fare la tua parte. Accettala con gioia, o sarà tutto più difficile.
- Io... - Kore era tutta un fremito mentre le rispondeva: era arrabbiata, delusa e amareggiata. Aveva scoperto che tutte le sue certezze erano basate su mere bugie.
Kore poteva perdonare l'egoismo della madre. Cominciava quindi anche a capire il perché da piccola, Era la fissasse con tanto astio, per poi diventare più dolce e buona. Capiva così anche perché Zeus la proteggesse. Si chiese quindi se tutti conoscessero la verità su di lei, e quanti le avevano taciuto la verità.
Tuttavia, non aveva importanza chi le avesse mentito, dato che aveva un legame stretto soltanto con pochi Olimpici. Di certo, Atena e Artemide non ne erano a conoscenza, o prima o poi glielo avrebbero detto. Forse solo i fratelli e le sorelle di sua madre lo sapevano, e le ninfe al loro seguito.
Ciò che non poteva perdonare, l'unica divinità alla quale non avrebbe mai dato più fiducia, era Ade: lui non poteva perdonarlo. Lui non ci teneva a lei, voleva solo spartire con qualcuno il peso del suo regno. L'aveva ingannata, proprio come aveva detto sua madre. L'unica cosa a cui poteva credere, era il fatto che il Dio avesse perso il controllo del proprio regno. Ma i sentimenti che il Dio le aveva mostrato, altro non erano che una menzogna. - Io... non accetterò mai di essere usata da voi. Troverò da sola mia madre, e con lei me ne tornerò a casa. - Kore sapeva di stare per condannare la superficie all'oblio, ma non voleva cedere di fronte a quello che per lei altro non era che un ricatto.
- Allora non mi lasci altra scelta... - Gaia usò di nuovo i suoi rovi per portare sia la giovane che il Dio nel cuore del palazzo dell'Averno. Ade e Kore si fissarono, mentre il terrore si dipingeva sul volto della ragazza.
- Perché siamo qui? Riportami a casa, Ade. - chiese lei con voce strozzata, mentre lui volgeva lo sguardo altrove. Non poteva sopportare di vederla supplicare di allontanarla da lui. - Se è vero che mi hai voluto bene, restituiscimi alla mia casa, ti prego.
- Kore, questa è la tua nuova casa, e non potrai vedere la luce di superficie fino a che non accetterai il tuo ruolo. - le voce di Gaia sembrava sempre più lontana.
- No, non puoi farmi questo!
- L'ho già fatto.
Le grida disperate di Kore si persero fra le pareti del Palazzo e riecheggiarono nel vasto regno del Sottosuolo, mentre il suo Signore rimase lì inerme, fisso a guardarla, non più con il suo sguardo impassibile, ma con un'espressione di pura malinconia sul volto.
Ade temeva che quello che avevano condiviso, non sarebbe stato altro che un bel ricordo destinato a sparire per sempre, bruciato via dalla rabbia che la Dea sembrava decisa a non lasciar estinguere.



 
L'angolo di Shera ^_^

Finalmente riesco a pubblicare, avrei potuto farlo anche ieri sera, ma ero certa che fosse meglio aspettare stamani, non credo che sarei stata in grado di scrivere il mio siparietto XD.
Parto subito col ringraziare lauraymavi per aver aggiunto la storia fra le seguite e Javaneh_97 per aver aggiunto la storia fra le preferite, e tutti voi che ancora mi seguite e mi commentate. Non avrei mai sperato di vedere una mia storia così tanto seguita e commentata. Sono immensamente felice di constatare che il frutto del mio lavoro venga tenuto così tanto in considerazione :).

Ma passiamo al capitolo:

A me piace Walking Dead, ma non sono una fanatica XD.


Volevo mettervi questa frase a inizio capitolo per farvi strizzare, e pensare subito a un'apocalisse zombie", poi ci ho ripensato, non potevo essere così cattiva XD.

Avevate chiesto il "Ratto", eccovi il mio "Ratto", anche se a commetterlo non è stato Ade. In realtà questa era una di quelle cose pensate fin dal principio, infatti ci sono parecchi rimandi negli ultimi due capitoli, a frasi estrapolate dal prologo. Gaia non è cattiva, come l'ha definita il mio fidanzato, è semplicemente meccanica, indifferente ai bisogni o ai sentimenti delle altre creature. Lei ha un suo ruolo, e lo porta avanti muovendo tutti noi per ottenere ciò che vuole.

Di sicuro i personaggi mi stanno sfuggendo di mano, perché la reazione di Kore non doveva essere quella che avete letto oggi! Kore doveva odiare solo la madre, e invece... invece la cosa si è ribaltata... come caspita abbia fatto non so.
Demetra la volevo cattiva, ma al contempo anche una madre, mi è uscita decisamente fin troppo ossessiva, e sicuramente fragile. Ho attinto da conoscenze personali, non lo posso negare, certe situazioni mi son tornate incredibilmente utili. Non temete, la dimensione di stati in cui per ora è confinata non durerà a lungo, probabilmente non sentiremo parlare di lei solo per il prossimo capitolo. Onestamente non ho ancora ben deciso la scaletta, so solo che Kore non ne vorrà sapere di Ade, e tornerà una vecchia conoscenza.
Credo che questo sia uno dei capitoli più intensi che abbia mai scritto. Lo dico anche soolo per la reazione del mio ragazzo quando gli ho inviato un primo estratto di diagolo della terza parte: era esterrefatto:

- Ma sta dando i numeri? Sta diventando davvero così t***a?
- C
he stia dando i numeri era nei piani.
- Ma addirittura diventare cme Afrodite? Spalare merda così a cazzo, dire vaccate su vaccate? 
Sembra quasi che la tua fiaba sia un elogio all'equilibrio - SOPRATTUTTO NELL'AMBITO DELL'AMORE XD. Se ami troppo qualcuno, diventi pazzo da legare


Devo anche avvisarlo di questa citazione inaspettata XD. Non voglio dire che amare tanto qualcuno faccia impazzire, ma che sì, a volte è tutto TROPPO. e i casi di cronaca ce lo ricordano ogni giorno :/. Per questo li vedo poco.
Questo capitolo, lo avevo già accennato nel precedente, è diviso in tre parti: la separazione, l'incontro dei sei, e la verità. Spero che sia stato intenso quanto promesso. È stata veramente una delle imprese più grandi che io abbia mai affrontato, e son contenta di come è uscito. Demetra e Kore si son invertite i ruoli, e ce le vedo. Kore è più matura, ma non abbastanza da capire che anche Ade, è a suo modo una vittima. Forse poteva dirle la verità, ma non era compito suo.
E con Ade, e la "vendetta" dell'Averno, credo di aver dato il meglio :D. L'Averno è vivo, provate voi a privarlo di ciò che gli spetta quando ha aspettato così tanto... la sua reazione è ancora contenuta. Oh sì, è contenuta perché Ade è buono  si è quasi ammazzato per evitare che l'intero Averno si riversasse in superficie XD.

Bon, direi che mi sono dilungata anche fin troppo.
A presto, e grazie infinite a tutti voi.
Bacioni

Shera ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il Fiore appassito ***


- Il Fiore appassito -




Erano già passati due giorni dal ritorno forzato di Kore nell'Averno. Le anime di superficie erano finalmente rientrate, pronte per essere giudicate, e sulla terra sembrava essere tutto tornato alla normalità.
Zeus in persona era sceso per parlare con Ade, per sapere cosa fosse accaduto con Demetra e Gaia.
- Ma... Demetra? Quando la lascerà andare Madre Gaia?
- Non lo so. È stata molto vaga, credo dipenda da Demetra stessa... Ho chiesto a Hypnos di cercare nella biblioteca se esiste qualche libro che parli di questa dimensione, ma per ora non ha trovato nulla. - Ade sospirò.
- Comunque, anche senza il consenso di Demetra, alla fine vi siete potuti ricongiungere, voi due... - Zeus decise di cambiare discorso, del resto era inutile parlare delle scelte di Madre Gaia. Lei era un essere superiore a loro, e le sue scelte non erano contestabili. Cercò di prendere con filosofia quanto era accaduto, certo che presto la loro cara sorella sarebbe stata libera e che sarebbe stata in grado di accettare il matrimonio della figlia e del fratello. Parlando di Kore, sperava anche di risollevare Ade, che aveva l'aria molto abbattuta: qualcosa ancora lo tormentava. Bastava infatti guardarlo per rendersene conto: pur avendo riacquistato vigore, il Dio dell'Averno sembrava che non avesse più dormito da parecchie notti. - Non devi sentirti in colpa, alla fine Demetra verrà liberata.
- Non è questo... - disse Ade con tono di rimorso.
- Se stai pensando al caos che si è venuto a creare in superficie non devi più dartene pena. Ora si è risolto tutto, e gli umani sono tornati alla loro vita di sempre, dando la colpa di quanto successo a qualche strana epidemia. - gli spiegò Zeus. Dopo la riunione, lui aveva sempre osservato quanto accadeva sulla terra, e quando Ade e Kore tornarono insieme nell'Averno, poté finalmente tirare un sospiro di sollievo: temeva davvero che non ne sarebbero più usciti. - Quindi è tutto risolto.
- Non proprio. Kore...
- Giusto, dov'è mia figlia? È ancora preoccupata per la madre? Capisco che l'aver scoperto la verità sulla sua nascita possa averla scossa, ma adesso deve riprendersi. Dovreste celebrare il vostro matrimonio, e non piangerlo. - Come sempre, Zeus cercava di trovare il lato più leggero delle cose, e di non abbattersi per le difficoltà. Ciò che però ignorava era la tenacia che stava dimostrando la figlia nel voler rifiutare a tutti i costi quello che il Destino le aveva riservato. - Capisco che viviate nel regno dei morti, ma ogni tanto dovreste festeggiare pure voi.
Prima che Ade potesse rispondergli, una delle ninfe incaricata di seguire Kore, arrivò di corsa nella sala dove le due divinità stavano parlando.
- Che succede, Actea?
- La Regina non vuole mangiare. Neanche oggi. - disse la ninfa sospirando colpevole. Kore era da tutti chiamata “Regina”, ma lei rifiutava ancora quel titolo. Lei viveva ancora nella speranza che Gaia la lasciasse andare.
- Capisco. Puoi andare. - non appena la giovane li lasciò, Zeus chiese ad Ade come fosse la situazione fra lui e la figlia.
- Come hai potuto sentire tu stesso, Kore si rifiuta di nutrirsi. Le stiamo offrendo solo il cibo di superficie per ora, ma non ne vuole sapere. Non si fida. - nella voce di Ade si percepiva tutta l'angoscia che provava. Lui aveva desiderato che la giovane Dea potesse vivergli accanto, ma non in quella maniera, non obbligata da Gaia, ma mossa dal suo stesso desiderio di stargli accanto. - Ha provato a scappare già almeno un paio di volte, con la scusa di recarsi da Cerbero, ma Gaia glielo ha impedito coi suoi rovi. Così come le anime, per ora, neppure Kore può lasciare il mio regno.
- Hai provato a parlarle?
- Secondo te? - Zeus prese quella secca risposta per un sì. Comprendeva la rabbia della figlia, ma vedere il fratello così abbattuto lo rattristava.
- Anche io ed Era abbiamo spesso delle discussioni, ma poi trovo sempre il modo per sistemare le cose. - Il Signore dell'Olimpo rise e diede una forte pacca sulla spalla del fratello maggiore. - Se riusciamo noi a far pace, non vedo perché voi non dovreste. Le donne, che siano di natura divina o mortale, son sempre soggette a sbalzi d'umore. Bisogna saperle prendere, e col tempo sono certo che anche tu capirai.
- Zeus... - Ade si voltò verso di lui e lo fissò intensamente. - Era si arrabbia con te per via delle tue continue scappatelle. La sua furia è più che giustificata.
- Queste son solo sottigliezze, sempre liti sono. Sono certo che anche Kore tornerà ad essere la solita gioiosa ragazza di sempre. Dalle ancora qualche giorno per accettare questa nuova situazione. - Zeus sorrise, spiegando al fratello il punto di vista della figlia. Solo capendo cosa essa stesse provando, avrebbero potuto aiutarla. - Di colpo è stata messa a conoscenza di fatti importanti che la riguardavano, e che tutti noi le avevamo nascosto...
- Spero tu abbia ragione, fratello.
I due Dei camminarono per i corridoi del palazzo, fino a che non giunsero di fronte alla stanza che Ade aveva fatto preparare per la Dea.
Ade bussò, ma non ci fu alcuna risposta. Provò allora a chiamare Kore, ma la giovane non rispose.
Zeus aprì la porta e vide la figlia abbandonata sul letto a fissare il soffitto, immobile come una statua.
- Kore? - la chiamò il padre, e per la Dea fu come risvegliarsi da un lungo sonno.
- Padre... - gli occhi gonfi rivelavano quanto essa avesse pianto quasi ininterrottamente da quando Gaia l'aveva confinata in quel regno. Su quel viso provato, comparve un debole sorriso - Sei venuto a salvarmi? - scese dal letto e gli andò incontro per abbracciarlo, ignorando totalmente Ade, rimasto nascosto dietro al fratello.
- No, non posso riportarti in superficie, lo sai. - la delusione di lei fece intenerire il Dio, e voltandosi verso Ade, notò la stessa espressione sconsolata. - Potresti però evitare di digiunare, qui si stanno dando una gran pena per reperire il cibo di superficie, solo per te.
- Lo so, ma non ci riesco. È vero che le ninfe sono molto gentili con me, e mi spiace che si diano tanta pena per cercarmi qualcosa da mangiare, ma io non riesco a fidarmi. - gli rispose la figlia. - Anche le altre creature che popolano questo regno son gentili con me... ma a me manca la mamma e la luce del sole. - Kore aveva finito col rimpiangere quella madre così troppo attaccata a lei.
- Per tua madre dobbiamo aspettare che Madre Gaia la liberi. Dobbiamo portare pazienza, mia cara. - gli occhi di Kore si stavano ancora riempiendo di lacrime. - Io, però, so che non ti è stato davvero vietato di rientrare in superficie. - disse il Dio cercando di risollevarla, ma Kore scosse la testa.
- Madre Gaia me lo impedisce ogni volta. Ho già provato a rientrare a casa, ma lei continua a negarmi l'aria fresca e i tiepidi raggi che riscaldano la terra.
- A me risulta che se tu accettassi di diventare Regina... - prima che Zeus continuasse, la figlia disse di no con così tanta rabbia da sorprenderlo. Ade sospirò, e fu come se proprio in quel momento, Kore si fosse accorta della sua presenza.
- Io non lo farò mai! - disse lei guardandolo con astio, e rivolgendosi nuovamente a Zeus. - Non può tenermi confinata quaggiù all'infinito. Vero, padre? - la voce dura della Dea si addolcì per supplicarlo. I tristi occhi d'ambra, fissi sul potente Dio, non trovarono purtroppo quello che cercavano disperatamente: la speranza di un ritorno alla normalità, la possibilità di evadere non solo dall'Averno, ma anche dal Destino stesso.
- Dovresti cercare di ascoltare quello che ti ha detto Madre Gaia: accogliere il tuo destino, e non combatterlo. - disse Ade, anche se sapeva che la Dea non lo avrebbe ascoltato. La giovane non avrebbe mai accettato di essere sua moglie, non dopo tutto quello che era accaduto. Continuava ad accusarlo di averla presa in giro, e per questo non riusciva più a fidarsi di lui. Era consapevole che in quel momento non era Ade a tenerla intrappolata sotto terra, ma non poteva fare a meno di detestarlo per le sue bugie, di ignorarlo, di trattarlo con spietata freddezza. E il Signore dell'Averno non si era mai sentito così impotente, nemmeno dopo tutti gli sforzi fatti negli ultimi giorni per evitare che il suo regno collassasse; nemmeno quando suo padre, l'orribile e potente Crono, lo aveva confinato dentro le viscide pareti del suo stomaco per un tempo che pareva infinito.
Il suo regno aveva ritrovato in parte il suo equilibrio, ma sentiva che l'Averno non era ancora del tutto soddisfatto. Di notte, quel Signore solitario, sentiva la sua terra chiamarlo, chiedendogli di portare la Regina, di darle il proprio posto nel loro mondo. Ma Ade non poteva rispondere a quel richiamo: non poteva incoronare Kore contro la sua stessa volontà, doveva essere lei stessa a volerlo.
La sua presenza nel regno aveva dato un senso di pace agli spiriti, ma non era più come durante quei lieti giorni in cui lei scendeva nell'Averno, e incrociava le anime adoranti, regalando loro quei calorosi sorrisi che sembrano donare pace anche alle anime più tormentate.
La sua luce non era più brillante come allora, e Ade si chiedeva se lo sarebbe mai più stata.
- Ve l'ho già detto: dovrete trovarne un'altra, perché io non intendo piegarmi, non intendo farmi usare da nessuno. - disse Kore risoluta. Zeus voleva fare in modo di appianare la situazione, voleva aiutare il fratello, anche perché temeva che a lungo andare, se Kore non avesse accettato di diventare Regina dell'Averno, esso avrebbe potuto ancora crollare. Definitivamente.
- Bambina mia... - la voce di Zeus era dolce come quando la Dea era una bimba, e lui era solito giocare con lei. - Io sono convinto che mio fratello non ti abbia voluta usare. Pensaci bene. - Kore fissò prima il padre e poi Ade. - Credi davvero che sia così meschino come affermi? Mi era sembrato di capire che tu fossi ben disposta nei suoi confronti. - Kore arrossì per quelle parole inaspettate. - Prima di annegare la tua vita nell'odio, pensa bene a tutto quello che è successo.
La giovane non sapeva come rispondergli. Una parte di lei sapeva che lui aveva ragione, ma non voleva perdonare quell'unica persona che aveva creduto non l'avrebbe mai tradita. Scoprire che lui sapeva, e che non le aveva mai neanche accennato nulla, dopo tutto quel tempo che avevano passato insieme, dopo averle dimostrato il suo affetto, era stato per lei il peggiore dei tradimenti: come poteva accordargli il perdono? Come poteva ancora fidarsi di lui?
- Ora devo tornare a casa. - il Dio accarezzò la testa della figlia, - Mi raccomando, pensa a quello che ti ho detto. Ade è noioso, ma non credo che per te sarà un così cattivo marito. - scherzò Zeus per farla sorridere un poco. Kore non sorrise, salutò il Signore dell'Olimpo con un abbraccio, quasi come se si aspettasse di trovare in lui il calore del sole che le era stato negato. In quel momento sentiva svanire anche quella che riteneva la sua unica possibilità per uscire. Se nemmeno Zeus aveva il potere di aiutarla, era davvero condannata a una vita negli Inferi. - E riprendi a nutrirti, se non per lui, - disse indicando il fratello, - fallo per te stessa. - lei annuì, e col cuore in mano lasciò che le due divinità si congedassero.
Nonostante tutto, Kore apprezzava gli alloggi che Ade le aveva riservato: ricordavano molto la sua vecchia stanza, e l'aria tiepida dell'Averno, entrando, riscaldava piacevolmente l'ambiente.
Il letto morbido le permetteva perlomeno di dormire abbastanza bene, nonostante lei si sentisse ancora un po' a disagio. Non era riccamente adornata, era semplice, come lei, e ogni giorno trovava dei fiori freschi, presi ovviamente dalla superficie, per abbellire l'ambiente e forse anche per darle un po' di conforto.
Ogni tanto si affacciava dal balcone che dava sul giardino del palazzo, per svuotare la mente. All'inizio lo faceva solo perché sperava di veder arrivare qualcuno della superficie per salvarla. Ma Kore aveva già capito che nessuna divinità si sarebbe opposta a Gaia e al Fato.
Provava quasi piacere nel sentire il vento tiepido che soffiava e le carezzava la pelle, e da lì, se chiudeva gli occhi, poteva fingere per pochi istanti di essere ancora a casa.


Sull'Olimpo, la Dea Afrodite, una volta scoperta la fine che aveva fatto la sua odiata rivale, rise sguaiatamente, rotolandosi fra le morbide lenzuola.
- Giustizia è stata fatta, alla fine! - disse con soddisfazione, mentre Ares si rivestiva. – E non ho dovuto nemmeno più muovere un dito. Ad averlo saputo non avrei neppure spedito giù nostro figlio. - Dopo quanto accaduto con Eros, Afrodite era riuscita abbastanza velocemente a dimenticarsi di Adone, così come in molti avevano sospettato, e dei suoi propositi vendicativi. La notizia sulle vere origini di Kore si era sparsa per il monte Olimpo come una macchia d'olio, e per la Dea dell'Amore scoprire che la sua nemica non era nemmeno pura come lo era lei, e sapere che avrebbe dovuto trascorrere il resto dell'eternità confinata nell'Averno, l'aveva accesa di passione, tanto da appartarsi con Ares non appena appresa la notizia.
- Invece che gloriarti della tua presunta vittoria, - Ares si fece serio, - che mi dici del tuo ultimo pupillo?
Lui e Afrodite erano amanti, e sebbene lei, di fatto, fosse unita in matrimonio a un altro, solo con Ares si sentiva completa e appagata. Lei stessa glielo aveva ripetuto più volte durante i loro incontri amorosi. Per questo il Dio della guerra non poteva che infuriarsi ogni qualvolta la compagna trovava un nuovo giocattolo con cui divertirsi, quasi sminuendo il loro amore, privandolo del tempo che potevano trascorrere insieme, e spendendolo invece con l'umano di turno.
“Non significano niente per me”, gli diceva sempre, “Io sono nata per elargire amore, così come tu sei nato per la guerra e i massacri”. Ma Ares non ci credeva, perché per quell'umano, Adone, lei aveva perso addirittura il senno smuovendo l'intero Olimpo pur di porre fine alla sua insensata guerra verso Kore.
- Pupillo? Sì, mi piace quell'Orfeo. Con quella sua lira è stato in grado di ammansire le bestie più feroci, e immagino tu sappia di quanto accaduto durante l'impresa guidata da Giasone e i suoi Argonauti. - Ares annuì.
- Sì, ma non vedo il perché ti piaccia tanto, dato che il tuo fascino non sembra averlo ammaliato. - rispose lui stizzito, deciso a provocarla e a farla desistere dal continuare a cercare altri uomini quando poteva avere lui.
Ed era proprio quello il punto: lui non le bastava. Nonostante fosse un amante focoso, presente e tremendamente innamorato, questo non le bastava. Voleva di più, voleva altri uomini che la venerassero.
Afrodite si alzò dal letto e prese il volto del Dio e lo avvicinò per baciarlo. Solo che, invece che scambiarsi dolci baci, la Dea gli morse il labbro fino a farglielo sanguinare, facendo gridare il povero Ares, che la allontanò con una spinta. Lei rise, rise di lui e della sua reazione.
- Non ti permettere mai più. - disse lei, smettendo di ridere di colpo e rivolgendogli uno sguardo gelido. Ares gemette, e se ne andò arrabbiato, lasciando la Dea che aveva ripreso a sghignazzare.
- Non c'è uomo al mondo che possa resistermi, e anche tu, Orfeo, sarai mio.


Dato che non c'era modo di poter fuggire dall'Averno mediante l'ingresso che spesso la giovane Dea aveva adoperato per entrarvi, Kore si rifugiava spesso da Cerbero, il quale era sempre molto felice di vederla. Non appena sentiva il suo odore, cominciava ad abbaiare contento.
Non trascurava il suo lavoro, lasciava che la Dea gli carezzasse il pelo e che si abbandonasse poi contro di lui, piangendo. Il grosso mastino provava a consolarla, e ogni tanto riusciva a strapparle qualche sorriso. Kore sentiva che lui era l'unico del quale potesse realmente fidarsi il quel mondo.
- Per fortuna che ho te. - diceva lei scacciando via le lacrime. Kore aveva trovato la sua piccola isola felice in quel mondo buio, all'ingresso degli Inferi, dove accedevano le anime.
Fra quegli esseri fluttuanti e luminescenti, scorgere i fanciulli le dava sempre il più grande dei dispiaceri. Quando però li vedeva accennare un sorriso, rasserenati dalla sua visione, Kore sentiva che forse quella situazione non era poi così orribile se poteva dare sollievo a chi aveva già sofferto anche più del dovuto.
- Mia Regina, è ora di tornare a casa. - la voce di Thanatos la svegliò. Si era addormentata contro il corpo morbido e peloso di Cerbero, che pur continuando il proprio lavoro, aveva sempre vegliato su di lei.
- Arrivo. - le rispose lei alzandosi e salutando uno sconsolato Cerbero, posando un bacio su ciascuna delle tre teste.
- Tornerò domani. È una promessa. - gli disse lei con un sorriso, e il grosso mastino abbaiò contento.
Kore seguì Thanatos, senza però rivolgergli alcuna parola. Dopo quanto era successo, non si fidava più nemmeno degli Dei gemelli, che riteneva anch'essi bugiardi tanto quanto lo era stato Ade.
Del resto, erano stati proprio loro ad averle fatto trovare la corona dell'Averno. Se non l'avesse mai raccolta, pensava lei, tutti quegli avvenimenti che avevano scosso le loro vite, non si sarebbero mai verificati. Forse lei avrebbe continuato a condurre quella vita serena e a tratti monotona, che in quel momento agognava disperatamente.
Da quando erano tornati nell'Averno, non aveva quasi più parlato con loro, e quelle poche volte che aveva scambiato qualche parola, era stata molto fredda e distaccata. Thanatos avrebbe voluto reagire in una qualche maniera, cercando di far ragionare la Dea, ma Hypnos glielo aveva impedito, e Ade addirittura proibito.
- Tenere il broncio non ti servirà a nulla, lo sai questo? - Kore non gli rispose. Il Dio della Morte non poteva accettare che i suoi Signori non si parlassero, e che lei continuasse ad evitarli. Non dopo tutto quello che avevano condiviso. Le si era affezionato, e la sua inaspettata freddezza di quei giorni lo aveva irritato. Ade gli aveva spiegato quanto era accaduto con Gaia, ma se suo fratello aveva compreso i comportamenti della loro Regina, lui non riusciva proprio ad accettarli.
La giovane, dal canto suo, non era disposta a smuoversi dalla propria posizione. Non fino a quando Gaia avesse continuato a tenere in ostaggio sua madre, e a privare entrambe della propria libertà, privarle della luce del sole e dei prati verdi e profumati. La terra aveva bisogno delle sue Dee della natura, e Gaia avrebbe dovuto liberarle prima o poi.
- Ah, e così vuoi ancora giocare al gioco del silenzio? Va bene, ma io non ho mai detto che vi avrei partecipato, quindi dovrai ascoltare quanto ho da dirti. - Il Dio camminava davanti a lei facendole strada per le vie della tenebrosa cittadella sottostante il palazzo di Ade, e la Dea lo seguiva silenziosa.
- Adesso la nostra casa è tornata tranquilla, ma tu ancora non vuoi diventarne la Regina... eppure eri stata sul punto di accettare.
- Prima era prima, adesso è adesso. - rispose lei mordendosi la lingua. Non avrebbe voluto rispondergli. Lui la stava provocando proprio per avere una risposta, proprio per avere una reazione. E lei lo sapeva, ma ci era cascata.
- Dunque la parola ti è tornata. - la schernì lui. - Fare la preziosa non è il modo migliore per avere le attenzioni di Ade.
- Io non sto affatto facendo la preziosa! - alzò la voce, imbarazzata per tale insinuazione.
- Ti neghi quando ti cerca, non gli parli, e rimandi indietro i suoi regali... questo è fare la preziosa. Perlomeno hai abbandonato il tuo proposito di... morire di fame!
Kore aveva seguito i consigli del padre e aveva ripreso a mangiare. Aveva capito che non poteva lasciarsi andare e privarsi del cibo.
- Ho smesso perché ho capito che non avrebbe portato a nulla dato che è Madre Gaia a tenermi quaggiù. E comunque, io sto semplicemente rifiutando attenzioni sgradite. - Thanatos allora le rivolse una domanda alla quale Kore non poté rispondere.
- Se queste attenzioni fossero sgradite, perché allora sei stata tu stessa non molto tempo fa a chiedere di scendere in questo regno? Tutto è partito da te, non da lui. - Kore sussultò. - Tu hai sentito un richiamo per l'Averno, e così un'attrazione sempre più crescente per il Nostro Signore. - Kore fece per negare, ma l'espressione che scorse sul volto del bel Dio, le tolse ogni parola di bocca. - Perché affannarsi tanto a negare ciò che già conosci? Perché rifiutarsi di ammettere che nel profondo lo sapevi già di essere destinata a stare al suo fianco? Perché negare i tuoi sentimenti? - Thanatos si voltò incrociando lo sguardo al contempo arrabbiato e imbarazzato di lei. - Credo di comprendere lo smarrimento e il dolore che provi, ma è giunto il tempo di cambiare pagina. Volevi un capro espiatorio su cui riversare tutta la delusione che hai provato una volta scoperta la verità. Capisco anche che sia stato difficile credergli, ma ti posso giurare, - Thanatos si inchinò, lasciando Kore esterrefatta, - sul mio onore, sulla mia immortalità, che lui non ti ha né ingannata né usata. Il suo sentimento è sincero, e con il tuo comportamento continui a ferirlo.
La Dea distolse lo sguardo, tramortita dalla sincerità che aveva letto nello sguardo del Dio.
- Conducimi nelle mie stanze, Thanatos. - disse lei con un filo di voce. - Per piacere.
Thanatos sorrise, perché sapeva di avere seminato qualcosa in quel momento. Se avesse lasciato fare al tempo, come auspicavano Ade e Hypnos, ci sarebbe voluta un'eternità per smuovere Kore. Il suo Signore sosteneva che era meglio lasciarle del tempo per abituarsi, ma lui sapeva che la risposta non era una lunga ed estenuante attesa: bisognava agire. Lui sapeva che la Dea avrebbe cominciato a pensare più razionalmente dopo la loro chiacchierata. Già dopo aver parlato con Zeus qualcosa si era smosso nel suo cuore. La si doveva solo spingere verso la verità.
- Da questa parte, allora.


Ade si trovava di fronte a quella statua che per secoli gli aveva fatto dubitare di sé. Gli uomini raccontavano spesso storie su di loro, gli Dei, modificando i fatti e facendo passare le divinità per degli esseri infantili ed egoisti, ma c'era sempre stato un fondo di verità in quelle favolette.
“Sarei davvero così spregevole da rapire una ragazza solo per non vivere in solitudine?”, si era chiesto la prima volta che aveva visto la statua. Pur ammirandone la bellezza, non poteva che odiare quell'orribile versione di sé.
Lui non aveva rapito Kore, ma gli umani avrebbero parlato di lui come di un rapitore di fanciulle indifese, un Dio orribile che per placare il proprio desiderio e per non patire più quella solitudine nell'oscurità del proprio regno, non si era posto alcun problema nello strappare una giovinetta dalle braccia dell'amorevole madre.
Pur non avendo imposto alla giovane di restare negli Inferi con lui, Kore aveva dovuto cedere, molto malvolentieri, ai desideri di Madre Gaia. Senza l'intervento della divinità primordiale, forse la giovane non sarebbe mai stata davvero libera di vivere per sempre al suo fianco nel loro regno, date le continue interferenze di Demetra... ma in quella maniera, la giovane aveva cominciato a disprezzarlo per tutte quelle verità nascoste.
La rabbia della giovane si era scagliata proprio su di lui, che fra tutti era l'unico realmente estraneo alla vicenda.
Ammirando la bella scultura ancora una volta, silenzioso e immobile, il Dio si chiedeva se mai lei avrebbe potuto di nuovo accettarlo e amarlo, così come aveva letto nei suoi dolci sguardi. Conosceva già il loro destino come Sovrani, ma non sapeva se sarebbero mai stati felici, se l'amore che aveva percepito crescere fra loro, si sarebbe fatto divorare dall'indifferenza e dall'odio.
- Mio Signore. - Thanatos entrò nella sala col suo solito passo sicuro e un'espressione soddisfatta stampata sul volto.
- Come sta?
- Credo che da ora in poi le cose miglioreranno. Forse ci vorrà ancora un po' di tempo, ma di certo la ripresa sarà più rapida. - Ade sospirò, apparentemente seccato.
- Mi pareva di averti proibito di farle qualsiasi osservazione. Anche tuo fratello ti aveva avvertito. - Thanatos sorrise.
- Ho fatto solo il mio dovere, mio Signore. - Ade si voltò per tornare nella sala dei Giudici, ma a Thanatos non sfuggì il lieve sorriso comparso sul viso del Dio.
Dopo aver vissuto così tanti giorni tormentati dalle fatiche e dalla situazione che si era venuta a creare con Kore, finalmente il Signore dell'Averno aveva ripreso il controllo, riprendendo il proprio posto nella sala, con gran sollievo da parte delle creature del suo regno, dei Giudici e delle stesse anime.
Senza Ade non era la stessa cosa, e i difficili giorni della ribellione dell'Averno, avevano messo a così dura prova il suo fisico che il Dio non si era potuto allontanare dalle sue stanze per parecchi giorni. Dopo il ritorno con Kore, aveva riacquistato le forze e ristabilito l'ordine nel Sottosuolo, sebbene apparisse ancora provato, e questo per il rifiuto della Dea, per quella distanza che fra i due si era creata.
La tensione che esisteva fra le due divinità era oramai cosa ben nota nel regno, e tutti speravano in una loro riappacificazione, e la definitiva incoronazione di Kore come Regina dell'Averno.
Gaia aveva usato il suo immenso potere per poter ripristinare un equilibrio che a quel regno era sempre mancato, ma non poteva farcela da sola. Toccava a Kore e ad Ade fare il resto.


Kore sapeva di non poter contare nell'aiuto di qualcuno dalla superficie. Cercando di fuggire verso l'ingresso degli Inferi, Gaia le aveva bloccato l'uscita, quindi doveva per forza trovare una altro modo per riappropriarsi della sua libertà, ed era certa che nella biblioteca avrebbe potuto trovare una soluzione al suo problema. Se era vero che lì c'erano tutti i libri dell'Universo, scritti nelle epoche antiche e in quelle a venire, lei poteva di certo scoprire cosa fare per scrollarsi di dosso un destino che altri avevano scelto per lei e salvare la madre.
Dopo aver cenato, la Dea si diresse da sola verso la biblioteca, sicura di non trovarvi nessuno.
- Come sospettavo. - disse Kore una volta varcata la soglia. La biblioteca era completamente vuota. La Dea vagò fra gli immensi scaffali, viaggiando fra libri di storia, medicina, geografia, ma ancora non riusciva a trovare nulla che potesse aiutarla. Notò solo dopo un po' degli scaffali quasi nascosti, e le preziose pergamene antiche.
- Se c'è qualcosa, è di sicuro qui in mezzo. - Kore arraffò quanti più documenti riusciva a trasportare e le posò su uno dei tavoli sparsi per la biblioteca.
Per ore e ore la Dea lesse una dopo l'altra le antiche pergamene, ma non era riuscita a trovare nulla che potesse darle anche solo una speranza.
Capisco anche che sia stato difficile credergli, ma vi posso giurare, sul mio onore, sulla mia immortalità, che lui non vi ha né ingannata né usata. Il suo sentimento è sincero, e con il vostro comportamento continuate a ferirlo.”
Le parole di Thanatos ritornavano prepotenti nella sua mente, facendola sentire in colpa.
“È solo colpa sua se ora le cose fra noi son mutate”, si diceva fra sé e sé, come per convincersi. “Ade... di lui mi fidavo, e l'avermi taciuto tutto questo dimostra solo che il suo interesse per me era unicamente frutto della conoscenza del ruolo che un giorno avrei dovuto svolgere.” quelle considerazioni la facevano rattristare. “Io altro non sono che una pedina in mano ai potenti che giocano con le vite di chi gli è inferiore... Io sarei solo dovuta essere una normale fanciulla, invece son diventata Dea per volere di altri. Come sarebbe stata la mia vita se Gaia non mi avesse scelta?”. Persa nei suoi pensieri, e per la stanchezza che cominciava a farsi sentire, la Dea non si accorse di essere osservata. Era sempre stata tenuta d'occhio fin dal suo ingresso nell'immenso salone.
- Dovreste andarvi a coricare. Si è fatto tardi. - la voce di Hypnos sembrava quasi una dolce carezza che la invitava a chiudere le palpebre e a lasciarsi cullare dal sonno che il Dio regalava con piacere a chiunque.
- H-Hypnos! Non mi ero accorta del tuo arrivo. - la Dea tentennava nel rispondergli, evitando con cura di incrociare il suo sguardo, temendo che le le sue intenzioni potessero essere così scoperte. - La lettura mi ha preso molto, ma nonostante la stanchezza vorrei continuare. - Il Dio sorrise, sapendo bene quello che Kore stava realmente cercando, e sapendo che mai l'avrebbe trovato. Hypnos provava un misto di pietà e di amarezza. Avrebbe voluto consolare Kore. Comprendeva quanto fosse difficile il dover accettare un destino così grande sulle proprie spalle, ma non capiva come avesse potuto cambiare così radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti di tutti loro. Soprattutto verso Ade.
Quando lei lo aveva chiamato in lacrime dopo che sua madre li aveva costretti a separarsi, aveva capito tutta la disperazione e i sentimenti di conflitto. Kore avrebbe voluto dividersi tra Ade e Demetra, anche a costo di passare una parte della giornata accanto al Dio che aveva compreso di amare, e l'altra con la sua adorata madre. Il fatto che lui le avesse taciuto la verità sulla sua nascita, non era un comportamento così grave da spingerla a disprezzarlo a tal punto, e neppure il fatto che lui sapesse già che lei un giorno sarebbe diventata Regina dell'Averno. Inoltre, era fin troppo chiaro che l'affetto di Ade per lei fosse sincero, e che andasse ben oltre meri interessi di potere.
- Se volete potrete continuare domani, anche se sono certo che potreste passare meglio il tempo. Non avete mai visitato i Campi Elisi. Sono molto diversi dal resto dell'Averno, e addirittura più belli delle più fantastiche regioni incontaminate del regno di superficie. È strano che posti simili non abbiano suscitato interesse in voi come Dea della Natura. Nonostante siate scesa molto spesso qui nel Sottosuolo, non li avete mai visti. O sbaglio?
- Non sbagli. Ade... - Kore si fermò dopo aver detto il suo nome. Il solo pronunciarlo la scuoteva, riportando a galla sentimenti dei quali la Dea avrebbe voluto disfarsi. Per colpa di suo padre e di Thanatos, aveva cominciato a sentirsi sempre più confusa. - ...il Vostro Signore mi aveva promesso molto tempo fa che me li avrebbe mostrati. Ma non ne abbiamo più avuto il tempo.
Hypnos fece allora una cosa che se Ade lo avesse scoperto, non glielo avrebbe perdonato molto facilmente. Il Dio del Sonno abbracciò Kore, con una dolcezza tale da ricordare i dolci abbracci delle sorelle Atena e Artemide o delle ninfe. Le fiamme delle fiaccole appese accanto a loro si mossero come se una grossa folata di vento le avesse travolte.
- Non fate gelare il vostro cuore. - disse lui carezzandole la testa gentilmente. - Non dovete lasciarlo annerire solo per una questione di orgoglio ferito. Ricordate i giorni passati qua con noi, e ricordatevi il dolore dovuto alla separazione che vi era stata imposta. - Hypnos fece una pausa, sentendo la Dea tremare fra le sue braccia, e la baciò sulla testa – Io ho fiducia in voi e in quello che ho sentito. Siete oramai una donna, non lasciate che siano solo i sentimenti più superficiali a guidare le vostre azioni. Imparate a giudicare le situazioni sotto ogni punto di vista. - Hypnos la lasciò andare con un caldo sorriso.
Kore annuì incerta e si diresse tremando verso la porta, ma prima di chiudersela alle spalle sussurrò un flebile “Grazie” che venne comunque udito dal Dio.
Gli Dei gemelli avevano cercato di farle capire che i suoi comportamenti freddi e distanti erano infondati. Non volevano obbligarla ad accettare quanto Gaia, o il Destino, avevano in serbo per lei. Le due divinità volevano solo spronarla a dare retta al suo cuore, e a guardare il tutto con occhi non velati dall'odio e dal rancore che le stava lacerando l'anima. Questo avevano cercato di spiegarle, e Kore, quando tornò nella sua stanza, si accasciò in lacrime sul letto.
- Cosa devo fare? - chiese fra le lacrime, tremando come una foglia al vento.
- Accetta il tuo destino, e sii felice.
- Gaia! - disse Kore con astio asciugandosi in fretta le lacrime e sedendosi sul letto. Come nel suo tempio, lei non la poteva vedere, ma ne sentiva l'ingombrante presenza che riempiva l'intera stanza.
- L'Averno ti reclamerà presto come Regina, se non sarai tu ad accettarlo prima. Credi che non sarà ancora più doloroso di quanto lo è già stato? - Kore ripensò alle parole del padre e degli Dei gemelli. Ma l'arrivo improvviso di Gaia la stava di nuovo rigettando nell'odio. - Credi che io sia stata cattiva e ingiusta, ma credimi quando ti dico che l'ho fatto per il tuo bene, e per il bene di tutti quanti.
- Voglio essere libera di scegliere la mia strada. Voglio essere libera di scegliere chi amare.
- Amare?
- Sì... amare. - Kore era stupita per il tono sorpreso della divinità primordiale.
- L'amore non ha nulla a che fare con le divinità, o con il matrimonio. L'amore è la favola dell'uomo, che può crederci vivendo su questo pianeta per quello che per noi divinità, altro non è che un soffio. Sarai anche nata da umana, ma tu ora sei una Dea a tutti gli effetti: abbandona i sentimenti umani, lasciali a loro. Comportati per quello che sei, Kore. - La Dea non rispose. - Accetta il tuo Destino, e restituisci all'Averno il suo antico splendore.
La voce di Gaia si fece sempre più fievole, e quell'aura intensa che permeava nella stanza svanì.
Kore rimase seduta immobile a lungo, fissando il vuoto.
- Hypnos, - implorò come già aveva fatto prima di allora, - ti prego, concedimi un sonno tranquillo, non ce la faccio più!
La Dea si sdraiò in attesa che il Dio ascoltasse la sua supplica, e che le concedesse un sonno privo di sogni che potessero turbarla.
Ade la stava osservando dalla sua stanza, grazie alle torbide acque degli Inferi che sgorgavano dalla sua piccola fontana.
Dopo tutti gli impegni della giornata, era riuscito a seguirla in quella maniera, dato che la giovane non lo voleva vedere. Durante la cena, mentre si recava in biblioteca o mentre leggeva pergamene su pergamene in cerca di un perché, Ade era sempre stato lì con lei, anche se lei non lo poteva vedere. Il Dio aveva da subito capito cosa essa stesse cercando, ma aveva deciso di non ostacolarla. Da una parte ne era ferito, ma dall'altra non poteva non comprenderla. Era rimasto colpito dalla sua tenacia, e ne aveva apprezzato lo spirito combattivo. Del resto, non avrebbe mai potuto amare una donna che non lottasse per quello in cui credeva, per quello che realmente desiderava. Kore, nonostante le sue fragilità, cercava sempre e comunque di ritirarsi poi in piedi.
Era rimasto sorpreso dalla reazione di Hypnos, non aveva immaginato che il Dio del Sonno nutrisse un tale attaccamento per la giovane Dea. Per un momento la gelosia prese il controllo di lui, tanto che il suo stesso potere si era per un attimo manifestato nella biblioteca facendo scuotere le torce, finendo poi per placarsi. Conosceva fin troppo bene Hypnos per non sapere che cosa il Dio del Sonno stesse cercando di fare: far breccia nel cuore della Dea per riportarla a lui, il suo Signore, e restituire la luce all'Averno.
Ade osservava la sua Regina, mentre cadeva tra le braccia del sonno, e attraverso l'acqua degli Inferi che sgorgavano dalla fontanella, lui poté raggiungere le sue stanze. Quello era il suo personale portale per muoversi a suo piacimento per tutto il suo regno e anche per accedere più velocemente in superficie.
Si avvicinò al letto, e con una dolcezza insospettabile per un Dio all'apparenza così freddo e distaccato, le carezzò i capelli, le guance e infine le morbide labbra.
Rimase a lei accanto per ore, fino a che non fu quasi ora per loro di alzarsi. Aveva spesso passato le notti in bianco, e le occhiaie che da tempo gli solcavano il volto, ne erano la prova. Una volta, prima che Demetra li allontanasse, Kore gli aveva detto che se aveva delle occhiaie così scavate, doveva assolutamente riposare, e prendersi una piccola pausa dal lavoro. Ade le aveva sorriso, spiegandole che la stanchezza non c'entrava nulla, lui era sempre stato così, fin dall'infanzia. “Mi fanno sembrare così brutto o terrificante?” gli chiese lui. Lei, con un sorriso raggiante scosse la testa, e sfiorandogliele con delicatezza disse “Non ti ho mai visto come un Dio brutto. Questo è un segno che ti contraddistingue dagli altri... mi piace, a dire il vero”.
Prima che potesse congedarsi da lei, la baciò delicatamente sulle labbra.
- Ade... - sussurrò lei nel sonno. Il Dio sorrise sorpreso.
- Sono qui... mia Regina. - sussurrò lui. - Ci son sempre stato, e sempre ci sarò.


Quando Kore si svegliò, accanto a sé trovò un enorme lupo dal pelo scuro, che sonnecchiava placidamente.
La giovane era sicura di non aver mai visto quella creatura girare per gli Inferi. L'unico animale presente il quel regno era Cerbero, non aveva mai sentito parlare di un lupo che si aggirasse indisturbato nelle terre del Sottosuolo.
L'unica spiegazione che fu in grado di trovare era che quella creatura le fosse stata inviata da Ade, o dagli Dei gemelli. Non poteva essere altrimenti.
La Dea allungò la mano per toccare quel grosso animale, e affondò le mani nel folto pelo.
Il lupo, sotto il suo tocco, si svegliò sbadigliando. Kore sorrise, rispecchiandosi nei suoi occhi violacei.
- E tu da dove sbuchi fuori? - gli chiese. La bestia non le rispose, volse solo la testa verso la porta. Kore notò subito che non riusciva a comunicare con lei.
- Tu... tu sei lui, non è vero? - Il lupo la fissò con occhi sgranati, come se lei lo avesse colto sul fatto.
- Tu sei il lupo che mi ha aiutata tanto tempo fa a ritrovare la strada di casa, dopo che era scoppiato quel fortissimo temporale. Non è così? - la creatura parve sorridere e annuì. Kore gli carezzò la testa.
- Dunque era stato Ade a mandarti quella volta... - Kore si intristì nuovamente nel pronunciare quel nome. Quello che gli Dei gemelli le avevano detto la stava facendo dubitare del suo comportamento.
Le fredde parole di Gaia, invece, non l'avevano impensierita. Lei era un'umana, e anche se immortale, anche se cresciuta da divinità fra altre divinità, lei rimaneva un'umana. Non poteva reprimere i sentimenti, lei aveva un cuore, a differenza degli altri Dei.
Anzi, no.
Kore capì che Gaia e lei stessa sbagliavano nel voler vedere anche le altre divinità senza cuore. Sua madre la amava da impazzire, e la disperazione che provava era reale. Suo padre Zeus le voleva bene, e aveva sempre cercato di regalarle un sorriso. Era, Atena e Artemide ci tenevano a lei, ed erano sempre state al suo fianco per sostenerla. L'affetto e l'amicizia che la legava alle persone o alle divinità che aveva conosciuto, erano sinceri e autentici.
Non erano solo gli uomini ad essere vittime di sentimenti così inferiori eppure così potenti, ma anche gli Dei stessi. Persino Afrodite, adorata così tanto da suo marito Efesto e dal suo pretendente Ares, non sfuggiva alle strette del cuore.
Kore non sapeva se quei sentimenti d'amore venissero provati anche dal freddo e distaccato Ade, quel Dio dell'Oltretomba che sembrava averla ingannata... ma sapeva bene che quello che lei aveva provato per lui non era solo una mera illusione.
Gaia si sbagliava, e forse sbagliava anche su quello che le aveva detto del proprio Destino. Se sbagliava riguardo i sentimenti, poteva sbagliare per qualsiasi altro argomento.
Il lupo emise un lieve mugolio, ridestandola dalle sue riflessioni.
- Il tuo padrone ti ha mandato per sorvegliarmi? - Il lupo scosse la testa, scese dal letto e si avvicinò alla porta, grattandola con le zampe. Kore si vestì, senza aspettare che le ninfe arrivassero per darle una mano, e aprì la porta, lasciandosi guidare da quella creatura.
Il lupo le fece percorrere i corridoi del palazzo, riportandola in quella sala che le era tanto piaciuta: quella dell'arte.
Il lupo si fermò di fronte a quella bella statua con un Cerbero in miniatura. Quando Kore l'aveva vista la prima volta c'era una targhetta sulla base, liscia, senza scritte.
Ora però vi era stato inciso il nome dell'opera, o forse, le era stato svelato di proposito.
- Ratto di Kore... è così che vedranno gli umani quello che mi è successo? - chiese a sé stessa, e volgendo lo sguardo verso il lupo, la creatura annuì. - Ma non è così che è andata, non del tutto. Sono ancora arrabbiata, ma non posso negarlo, non è stato lui a rapirmi. È stata Gaia a strapparmi alla superficie per farmi restare al fianco di Ade, anche se ammetto che io stessa volevo scendere quaggiù mossa da un sentimento che... - la tristezza che traspariva dalla sua voce parve commuovere il lupo, che le si strusciò contro. - Grazie.
L'animale si allontanò, e quando si accorse di non essere seguito abbaiò per richiamare l'attenzione di Kore.
Il lupo la stava portando in un'ala del palazzo che lei non aveva mai visitato, e per un qualche motivo la cosa la metteva a disagio. In fondo al corridoio c'era una porta, e una volta arrivato, la creatura si fermò attendendo che la giovane Dea lo raggiungesse.
Attraversando quel buio corridoio ornato da bei quadri, Kore ne scorse uno che attirò immediatamente la sua attenzione. La Dea aveva riconosciuto immediatamente la grande sala del giudizio. C'erano molte figure, non perfettamente delineate, ma fra tutte ne spiccava una, e lei sapeva di chi si trattasse: quello era Ade, e accanto a lui c'era una donna con vesti scure e la corona dell'Averno sul capo. Di fronte a loro c'era un giovane inginocchiato, e sembrava che la Regina stesse emettendo una sentenza. Kore non sapeva per quale motivo, ma le sembrava che quel quadro stesse emanando una strana energia. In quella scena c'era un qualcosa che era riuscito a scuoterle l'anima, c'era una tale aria di solennità che avrebbe continuato a fissarlo per ore.
Scossa per i pensieri che le si stavano formando nella testa, Kore si allontanò quasi riluttante dal quadro e raggiunse la sua guida che la stava aspettando impazientemente.
- È la sua stanza, vero? - di risposta, il lupo appoggiò la zampa sulla porta. Kore inspirò profondamente, e con mano tremante fece scivolare la maniglia della porta.
Col cuore che batteva all'impazzata, la Dea si addentrò nella stanza. Non sapeva perché si trovasse lì, né sapeva cosa avrebbe potuto dire al Signore dell'Averno.
Durante quei giorni, lei gli rivolse pochissime parole, e tutte per dimostrargli il disprezzo nei suoi confronti. Con quali pretese si stava presentando lì nei suoi alloggi? Lei che lo aveva rifiutato così duramente, soltanto non molto tempo dopo avergli espresso il desiderio di stare con lui. Se Gaia non le avesse detto la verità, lei avrebbe accettato quella vita che l'oscuro signore del regno dell'Averno le aveva offerto, con la gioia nel cuore.
Sì, avrebbe trovato il modo per poter stare sia con la madre protettiva che con il Dio che aveva sentito d'amare, se non fosse intervenuta Gaia...
Kore ispezionò la stanza, pensando di trovarvi il Dio, ma di lui non v'era traccia.
- Lupo, perché mi hai condotta qui? Ade non c'è. Era per lui che mi avevi portata, no?
L'animale si avvicinò alla fontana dall'acqua scura, fissò Kore e poi si buttò sparendo. La giovane Dea si avvicinò di corsa, sentendo il lupo chiamarla, e fissando in quelle acque torbide lo vide: vide quella creatura correre per un prato meraviglioso baciato dalla luce del sole.
Kore pensò che quella fosse la sua via di fuga: l'animale le stava mostrando la strada per tornare a casa!
Senza pensarci più, Kore si gettò nella fontana, sentendosi avvolgere da uno strano tepore.
Quando aprì gli occhi, la giovane Dea si ritrovò su una collinetta avvolta dalla luce. Era diversa dal solito, sembrava quasi irreale, ma a Kore non importava: finalmente era di nuovo libera. Il profumo dell'erba e dei fiori era così buono da far piangere la Dea.
- Temevo che non avrei mai più sentito tutto questo. - Il lupo comparì al suo fianco e Kore lo abbracciò. - Grazie, grazie per avermi restituito alla mia casa.
- Mia Signora. - la voce di Thanatos la fece scattare. La sua fuga era stata scoperta così in fretta che un'espressione di delusione le si dipinse sul volto. - Temevo che non sareste più venuta.
- Come? Che cosa intendi dire? - la sorpresa di Kore fece sorridere il Dio.
- Benvenuta nei Campi Elisi.


 
L'angolo di Shera ^_^

Salve a tutti, finalmente son riuscita a completare questo noioso capitolo. Me lo dico da sola, ma serve per quello che sta per accadere alla nostra felice coppia. Kore sta facendo di tutto per tenere a distanza il povero Ade, ma io adoro i lieti fine, quindi tutta questa freddezza si scioglierà presto ^^,
Inizialmente pensavo di parlare anche dei Campi Elisi, ma la cosa sarebbe diventata troppo lunga per i miei standard. In questo capitolo ho voluto dar modo ad altri personaggi di far ragionare Kore, facendole capire che la rabbia e l'odio non servono a nulla, specie se rivolte verso chi non ha fatto nulla di male.
Ovviamente, la nostra Dea della Natura, non si riavvicinerà subito a quel poverino che si sta tormentando in un angolo - o medita vendetta contro la sottoscritta - ma il prossimo capitolo riserverà gradite sorprese.
Ammetto che ero quasi attirata dall'idea del triangolo con Hypnos, ma poi ho lasciato perdere, e scacciato i demoni dalla mia mente. Ade me l'avrebbe fatta pagare se avessi osato tanto (però sarebbero stati una splendida coppia U_U)

Oh sì, contenti del ritorno di Afrodite? XD il mio ragazzo quasi non voleva leggere la parte del suo ritorno, e sentirgli fare le voci idiote per le battute di lei mi ha fatta morire (Prima di pubblicare rileggiamo sempre insieme <3, e lui è davvero bravo a impostare le voci).
So che nel mito è Euridice ad attirare attenzioni indesiderate, ma non potevo abbandonare la mia cara Dea dell'Ammoreeeeh! A modo suo si fa adorare, è insopportabile XD.

Che altro dire, spero di non avervi annoiati troppo, colgo l'occasione per ringraziare MANDARINO ZEN per aver aggiunto la storia fra le ricordate, e tutti voi che continuate a leggere e commentare ^^.
Oramai non dovrebbero mancare tantissimi capitoli, non credo di riuscire a rientrare nei dodici che avevo preventivato, ma non credo che saranno tanti di più :). Sarà dura quando dovrò mettere la parola fine XD, mi sono affezionata a tutti loro.

Grazie ancora a tutti e a presto. Un abbraccio

Shera ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Voglia di vivere, voglia di amare ***


- Voglia di vivere, voglia di amare -





Kore fissò immobile Thanatos che le sorrideva, mentre il lupo le si sedette accanto.
- Hypnos te ne aveva parlato ieri sera, lo hai già scordato? - La giovane Dea allora ricordò le parole del Dio del Sonno. Non ci stava più pensando.
Quel bel prato in cui l'aveva condotta il lupo le sembrava così bello, il cielo era così limpido e il sole sembrava così meraviglioso...
- Se siamo nei Campi Elisi, come mai riesco a vedere il sole?Non siamo più nell'Averno? - Thanatos scosse la testa.
- Certo che siamo nell'Averno. I Campi Elisi fanno parte dell'immenso regno del nostro Signore, esistono solo in un'area lontana dal regno che voi conoscete. Quello che vedi non è il sole, ma solo un'illusione. -la delusione sul bel volto della giovane intenerì Thanatos. - Speravi di essere tornata in superficie, vero? - Kore non gli rispose. Imbarazzata com'era, non voleva dargli alcuna soddisfazione. - Lo prenderò per un sì.
- Perché mi avete portata qui?
- Dovresti conoscere ogni angolo del nostro regno, dato che diventerai presto la nostra Regina. - Kore si alzò in piedi e fissò intensamente il Dio della Morte.
- Non ricordavo di avere detto che avrei accettato il lavoro.
- Lavoro? - chiese lui sorridendo.
- Sì, quello che vi serve è una Regina, che in questo caso non è che un oggetto, un orpello un... - il lupo che fino a quel momento se ne era stato tranquillo e seduto si alzò e strattonò il vestito di lei.
- Pare che anche a lui diano fastidio queste aspre parole. - Thanatos sospirò. - E dire che avevo sperato in un vostro cambiamento. Forse siete davvero solo una kore.
La Dea gli rivolse uno sguardo glaciale.
- Forse, Thanatos. Forse sono solo davvero una fanciulla, e forse dovreste trovarvi una persona più matura per il vostro Signore. - la sua risposta stizzita colpì il Dio.
- Sai perché mio fratello viene chiamato il Dio del Sonno?
- Perché fa addormentare tutti, regalando sogni meravigliosi e anche gli incubi che ci terrorizzano?
- Lui regala i bei sogni, e veglia su di noi fino al risveglio. Ma una cosa bella dei suoi poteri è che può sentire e vedere quasi tutto. E lui mi ha detto che tu parli spesso nel sonno, e c'è un solo nome che invochi dolcemente. - l'espressione sorniona del Dio fece imbarazzare nuovamente la Dea. Lei lo sapeva, perché anche prima di essere rapita, Anthea glielo aveva detto.
Da tempo sognava Ade, e spesso lo chiamava nel dormiveglia. Un vero peccato che i suoi bei sogni fossero così lontani da quella dura realtà che stava vivendo.
Kore si schiarì la voce e chiese a Thanatos di mostrarle quella parte del regno. Non era la superficie, ma anche se era solo un'illusione, finalmente, dopo tutti quei giorni, poteva bearsi di quella luce meravigliosa.
Il grosso lupo camminava al suo fianco, mentre risalivano la verde collina, arrivando in cima a quella che pareva una sconfinata vallata. Non vi erano edifici sparsi, ma solo un'immensa distesa verde, e uno scintillante lago che i tre videro non molto distante da loro. Le anime dei beati passeggiavano tranquille per quei luoghi incontaminati. Le anime avevano riacquistato forma umana, ma Kore sapeva che erano solo degli spiriti.
Al loro passaggio, le anime volgevano un lieve inchino e salutavano la loro Regina. Kore avrebbe voluto rispondergli che non lo era, ma qualcosa la fece desistere, anzi, qualcuno.
L'anima di una bambina le si avvicinò porgendole un piccolo mazzetto di fiori. Con le gote rosse per la vergogna, la piccola la ringraziò, per averle restituito la madre.
La bimba era morta per una grave epidemia che aveva colpito il suo villaggio, lasciandosi alle spalle la madre, anche lei gravemente malata.
Al suo arrivo nell'Averno venne immediatamente inviata nei Campi Elisi, ma la piccina non voleva muoversi, era ancora molto spaventata, e voleva vicino la propria mamma.
Ade intervenne, dicendole che sua madre presto l'avrebbe raggiunta, e che non avrebbero più sofferto.
- Davvero ti ha detto questo?
- Sì. Gli altri abitanti dei Campi Elisi mi hanno detto che di rado interviene, ma che è molto buono e giusto con tutti quanti. Ero triste al pensiero che mia madre morisse, ma era tanto malata, e soffriva così tanto che il Dio della morte le ha finalmente donato il sollievo. - Kore sorrise, e ripensò i momenti che lei aveva trascorso con Ade prima che Demetra li separasse. Nelle ingenue parole della bambina, la Dea ritrovò un po' di quell'affetto che aveva provato per il Dio di quelle terre.
- Allora non è me che devi ringraziare, ma Thanatos e Ade. - La piccola le rispose che lo aveva già fatto, ma che se sua madre e lei si erano ricongiunte, il merito era solo della Regina.
- Perché dici questo? Io non ho fatto nulla.
- Quando la mamma è morta, l'Averno era sottosopra, e le anime risalivano in superficie, facendo del male alle persone... Finché voi non siete tornata, non ho potuto vederla. - Kore annuì. Quando Gaia l'aveva riportata nell'Averno, il regno si era acquietato, e le anime erano tornate dove avrebbero dovuto essere. Così madre e figlia si erano potute ricongiungere.
“Mi chiedo come stia mia madre. Potrò mai riabbracciarla?” sentire la storia di quella bambina la fece pensare alla sua situazione. Grazie a lei, altre famiglie si erano riunite. Benché le loro vite erano state stroncate nel mondo di superficie, in quel meraviglioso paradiso, avevano potuto ricongiungersi.
Però, il prezzo da pagare per poter aiutare tutte quelle anime, richiedeva che Kore non ritornasse più in superficie.
- Grazie, mia Regina. Grazie per avermi restituito la mamma. - la salutò infine la piccola.
- Ciao, piccina.
Thanatos e il lupo erano rimasti in disparte ad osservare la scena, e quando la piccola se ne andò, il Dio prese per mano Kore.
- Credo che sia ora per noi di tornare. - Kore però sembrava dispiaciuta all'idea di dover lasciare quella parte del regno. - Ma se vuoi domani potremo tornare.
- Posso farlo? - Il Dio scoppiò a ridere.
- Questo regno è anche tuo, mia Regina.
Kore si lasciò condurre dal Dio, ritornando nel luogo dove lei era comparsa dopo aver seguito il lupo. Thanatos schioccò le dita, e comparve dinnanzi a loro un portone in marmo, il quale li avrebbe ricondotti al castello.
- Tu non vieni? - Kore stava per varcarlo, ma il lupo sembrava non volersi muovere. - Ti vedrò domani? - la belva annuì, e la Dea sorrise, svanendo nel portone che lentamente si dissolveva.
Kore e Thanatos si ritrovarono non a palazzo, ma davanti all'ingresso degli Inferi, dove c'era Cerbero ad aspettarli.
- Ma non avevi detto che...
- Tu ieri avevi promesso a Cerbero che saresti passata per salutarlo. - Thanatos distolse lo sguardo dalla Dea. - Ho pensato che avresti avuto più piacere nel passare prima di lui, prima di tornare a palazzo.
- Thanatos... - Kore ringraziò il Dio, e si gettò verso il grosso mastino, che era davvero molto impaziente di vederla e di farsi coccolare da lei.


Nei giorni successivi, Kore, si recò ancora nei campi Elisi, facendo così la conoscenza di altre anime, soprattutto dei bambini.
Kore si divertiva a passare del tempo con loro, e con le bambine intrecciava insieme i fiori per formare delle ghirlande o delle coroncine.
Thanatos e Hypnos si davano il cambio nel condurla attraverso quella vasta vallata. Il lupo non si faceva sempre trovare, e Kore ne sentiva la mancanza. C'erano dei momenti in cui le sembrava di sentire il profumo di Ade quando l'animale le si accostava.
“Probabilmente saranno i suoi occhi”, pensò la giovane “Hanno la stessa identica tonalità di viola”.
Kore non aveva visto il Dio, neanche di ritorno dalle sue visite a Cerbero.
Sentiva ogni tanto le ancelle parlare, e sembrava che il Dio fosse particolarmente stanco, anche quando presenziava alla sedute del tribunale.
“Che sia colpa mia?” si chiedeva la giovane. Anche se si stava lentamente riabituando a quei luoghi, riscoprendoli ogni giorno, e innamorandosene come la prima volta che era scesa negli Inferi, Kore non riusciva ancora a rinunciare per sempre alla sua amata superficie.
“Se io decidessi di diventare davvero Regina dell'Averno, Lui starebbe meglio?”
Kore cercava di non pensarci, ma sia di giorno, che di notte, si tormentava, pensando e ripensando ad Ade e a quello che le anime le avevano detto.
Già da quando aveva fatto visita a Cerbero la prima volta, sembrava che quelle terre fossero migliorate, ma dal suo trasferimento, voluto da Madre Gaia, l'Averno era letteralmente rifiorito.
C'era una piccola valle, non molto lontana dal palazzo, dove, secoli prima, crescevano dei particolari frutti, molto buoni e succosi, di cui si nutrivano le creature avernali.
Gli alberi erano rimasti spogli a lungo, fino all'arrivo di Kore. Improvvisamente, questi si erano risvegliati, cominciando a produrre nuovamente quelle prelibatezze.
Uno dei tanti giorni in cui Thanathos l'aveva condotta da Cerbero, la giovane aveva visto entrambi cibarsi del frutto.
Sembrava così buono che lei stessa avrebbe voluto poterlo assaggiare, ma sapeva che qualora se ne fosse cibata, non avrebbe davvero più potuto vedere la sua terra.
Kore era sempre più combattuta, il suo cuore si era ammorbidito, e non si sentiva più in trappola. Non si sentiva più prigioniera. Non vedere più Ade, quel Dio oscuro e traditore, cominciava a pesarle sempre più, tanto che quella notte pianse.
Fu la prima volta che la giovane pianse, non ripiangendo la terra che le mancava, ma rimpiangendo il rapporto che temeva di avere compromesso per sempre.
Kore aveva capito che Ade la stava evitando, e forse era davvero troppo tardi per ricucire lo strappo che lei aveva procurato.
Un giorno, mentre Kore e Hypnos passeggiavano nei boschi dell'Elisio seguiti dal lupo, Kore avvertì una strana sensazione quando incrociò lo sguardo di una delle anime che vi dimoravano.
Inizialmente la Dea non disse nulla, ma il Dio capì immediatamente che qualcosa la inquietava.
- Mia Signora, c'è qualcosa che vi turba?
- Solo una sensazione strana.
- Una sensazione strana?
- Sì. Quando ho incrociato lo sguardo di quella donna lungo il lago, è stato come se avessi rivisto una vecchia amica dopo tanto tempo. Ma io son sicura di non avere mai incontrato quella donna.
Kore, non appena vide i bei fiori del prato di fronte a loro, lasciò indietro il Dio e il lupo, per poter coglierli e portarli nella sua stanza. Hypnos e l'animale si scambiarono uno sguardo, il secondo annuì, e con passo lento, il Dio del Sonno si avvicinò alla Dea.
- Forse avete provato quella sensazione perché c'è un profondo legame che vi lega. - Kore lo fissò senza capire cosa Hypnos stesse cercando di dirle. - Quella donna si chiamava Cloe. Quella donna è colei che vi ha messo al mondo e affidata a Demetra. Lei è vostra madre.
Kore lasciò cadere i fiori che aveva appena colto.
- Volete forse andarle a parlare. Conoscerla o...
- Hypnos, - l'interruppe lei, - portami a palazzo. Non credo di sentirmi bene.


- Orfeo, suona ancora per me! - Afrodite incalzò ancora una volta il bel cantore.
Afrodite non si era ancora stancata di correre dietro all'uomo che continuava a rifiutarla. Per lei era diventata una piacevole sfida che era sicura di poter vincere.
Per quanto Ares potesse chiederle di lasciar perdere, arrivando anche a violenti liti, la Dea non si lasciava abbattere.
Lei continuava, di giorno in giorno, a scendere sulla terra e pagare il giovane pur di avere la sua compagnia. Lei provava a sedurlo in ogni maniera, ma lui non ne voleva sapere.
Qualunque altro uomo sarebbe caduto ai suoi piedi, ma Orfeo non le si piegava. E questo rendeva la Dea sempre più agguerrita, era una sfida che lei aveva deciso di cogliere.
Era sempre stato facile per lei ammaliare gli uomini. Conquistare il cuore di quel ragazzo era diventato essenziale per lei.
- Perdonatemi, mia signora, ma devo andare. Ho un altro lavoro che mi attende. - Afrodite si mescolava ai mortali, ma assumeva sempre l'identità di una nobildonna.
Orfeo, dai corti capelli mossi, neri come l'ebano, e dagli occhi blu come il profondo oceano, era da tempo innamorato della ninfa Euridice. I due stavano per sposarsi, e il giovane stava cercando di racimolare quanti più soldi per offrire a lui e alla futura moglie un futuro più stabile.
Quando quella nobile aveva richiesto i suoi servigi, Orfeo ne era rimasto non solo sorpreso, ma anche contento, perché la paga offerta era davvero ottima. Le continue insistenze della donna però lo avevano messo a disagio.
“Non preoccuparti, amore mio” gli aveva detto Euridice, “Presto si stancherà. A nessuno piace essere continuamente rifiutato. Si stancherà, vedrai”. Ma quella donna sembrava invece decisa a non cedere.
Orfeo ignorava le lusinghe di lei, le proposte lascive e quelle mani che cercavano sempre di toccarlo, declinando sempre con educazione, ma un giorno quella donna superò il limite.
Orfeo fece per andarsene, ma le guardie del corpo di lei lo immobilizzarono e spogliarono, mentre quella donna si avvicinava a lui, con un terribile fuoco selvaggio dentro i suoi occhi lascivi. Orfeo non era un uomo violento, ma in quel momento fece ricorso alla sua forza per liberarsi dei due uomini, e con disprezzo fissò lei, lanciandole ai piedi il compenso del mese che lei gli aveva già pagato.
- Il mio corpo, il mio amore, la mia anima, non sono in vendita. Io appartengo solo ad una donna. Solo alla mia amata Euridice. - Orfeo si allontanò a passo spedito dalla donna che aveva cercato di tentarlo e di comprarlo con ogni mezzo a sua disposizione.
- Fermati! Tu non puoi resistermi. Io sono bellissima! Non c'è nessuna donna al mondo come me. - piagnucolò lei.
- Addio. - fu l'ultima parola che lui le rivolse.
- Io ottengo sempre ciò che voglio, Orfeo. Sempre! - disse lei con tanta convinzione e sicurezza. L'uomo non le rispose, e sparì dalla sua vista.
Afrodite non si disperò come aveva fatto invece altre volte. La Dea pensò che il problema non era lei, e nemmeno Orfeo.
Il problema era Euridice. Lei doveva solo eliminare quel piccolo inconveniente, e Orfeo sarebbe stato finalmente suo.
La Dea attese con impazienza, e il giorno del matrimonio dei due, si travestì da ancella, e aiutò la giovane a prepararsi.
Senza farsi vedere da nessuno, impregnò le vesti di lei di un profumo che avrebbe attirato su di sé i serpenti velenosi che Afrodite aveva portato, e che avrebbe poi liberato durante il banchetto.
Con Kore, i suoi piani non avevano avuto buon esito, anche se alla fine, era stata la stessa Gaia a regalare quella vittoria inaspettata alla Dea dell'amore. Con Euridice, invece, ebbe il successo sperato.
- Sono così felice, amore mio. - L'espressione di pure gioia che illuminava il viso della bella Euridice, fece sorridere Afrodite. “Non sai ancora cosa ti aspetta”.
Aspettò con calma che la cerimonia finisse, e dall'alto della sua grande generosità, decise di lasciare che i due si potessero baciare un'ultima volta, prima di reclamare per sé l'amato Orfeo.
Amici e parenti brindavano allegramente, mentre musiche gioiose si perdevano nell'aria.
I due freschi sposi si beavano l'uno della presenza dell'altra, e si perdevano negli sguardi di quel dolcissimo amore che li aveva uniti già da tempo.
Euridice si alzò e portandosi al centro del banchetto, ringraziò tutti i presenti, recitando una poesia d'amore che aveva composto per il suo, finalmente, amato marito.
Non fece però tempo a concludere la sua poesia, che delle grida terrorizzate fecero cessare i festeggiamenti.
Afrodite aveva fatto la sua mossa, e liberato i terribili predatori che si mescolarono alla folla, finendo col mordere alcuni dei presenti, che terrorizzati, gridarono creando ancora più confusione.
Orfeo si era gettato nella mischia per raggiungere la sua amata, ma più di un serpente l'aveva raggiunta e già morsa. Lui provò a succhiarle via il veleno, ma era troppo, e per la giovane non c'era più niente da fare.
Tra le grida generali per la tragedia che si era consumata, tremante fra le braccia del suo amato, la giovane spirò, lasciando un affranto Orfeo, che ne cullava il corpo sempre più freddo, sempre più rigido.
Quando tutto cessò, e ogni serpente venne abbattuto, Afrodite, celata ancora dalla maschera di ancella che si era creata, si avvicinò all'addolorato Orfeo.
- Mi dispiace, caro Orfeo. - Il giovane piangeva silenzioso, tenendo stretto il corpo della sua Euridice. - Di sicuro, buona com'era, Euridice starà presto per correre spensierata fra i Campi Elisi. Libera da ogni dolore e per sempre felice.
Afrodite accarezzò la testa del giovane, che si scostò a quell'indesiderato tocco.
- Credo che anche lei non vorrebbe vederti così affranto. So che è difficile, ma devi passare oltre. Magari potresti trovare un'altra donna che potrebbe renderti felice...
Orfeo si voltò per fissarla, con un'espressione di odio tale da far tremare la Dea.
- Con quale coraggio tu mi dici di dimenticare la donna che amo, di cercarne subito un'altra, dopo neanche poche ore dal nostro matrimonio? Che razza di donna sei?
Afrodite gli sorrise.
- Io ottengo sempre ciò che voglio, Orfeo. Sempre! - a quelle parole l'uomo spalancò gli occhi, e la Dea svanì, sussurrandogli che sarebbe tornata per reclamarlo. Lei aveva tutto il tempo del mondo, e lo avrebbe atteso fino a che non avrebbe ceduto di sua spontanea volontà.
Dopo l'accaduto, Orfeo si era chiuso nel silenzio, per giorni non parlò né uscì di casa.
Afrodite vegliava su di lui, pensando non al dolore che aveva causato, ma a quanto fosse ancora più bello il suo Orfeo, dilaniato dal dolore.


Dopo aver incontrato Cloe, la giovane Dea non aveva più avuto l'intenzione di recarsi nei Campi Elisi. Per qualche strano motivo, aveva il timore di poterla di nuovo incontrare.
“Lei lo sa che io sono sua figlia?”, si chiedeva titubante. “Che ne penserà di me e di quello che sono diventata? Mi muoverebbe rimproveri per come mi sto comportando?” pensare a Demetra era inevitabile.
“Madre, dove sei? Se ti chiamassi, udiresti la mia voce?” col cuore che le ballava nel petto, un'altra domanda, ancora più spinosa, si faceva largo: “Se le parlassi, tu come la prenderesti? Mi odieresti?”.
In quel regno dove il tempo non esisteva, sembrava essere trascorsa un'eternità da quel giorno in cui Gaia le separò così crudelmente.
Kore continuava ad andare a trovare Cerbero, e ogni tanto si recava nel piccolo giardino del palazzo.
I fiori che adornavano quel giardino non erano particolarmente variopinti, ma i giardinieri che li curavano, ne andavano molto fieri.
Ascalafo, il loro capo, si intratteneva spesso a parlare con Kore, con la quale avrebbe discusso per ore sulle bellezze nascoste dell'Averno. C'erano ancora tante cose che la Dea non conosceva di quei luoghi, né delle piante o dei fiori straordinari che in superficie non esistevano.
Un giorno, passeggiando con il giardiniere, Kore si imbatté in Ade. La giovane abbassò il capo, e Ascalafo, dopo aver salutato il suo Signore, si congedò, lasciando sole le due divinità.
- Mi hanno riferito che l'hai incontrata. - Kore annuì. Nei giorni successivi al suo rapimento da parte di Madre Gaia, lei gli aveva rivolto solo parole orribili, eppure lui non le aveva mai fatto pesare l'ostinato comportamento della giovane.
L'aveva fatta seguire e sorvegliare, soprattutto per la sua incolumità, dato che esistevano ancora zone del regno che non conosceva.
Nonostante vivessero nello stesso palazzo, erano passati parecchi giorni senza che si incontrassero. Kore si aspettava che lui le chiedesse o le dicesse tutt'altro. Di certo non pensava che lui si sarebbe preoccupato di parlarle della donna che l'aveva partorita.
- Sapevi che era nei Campi Elisi?
- Sì, è il mio regno dopotutto. Conosco ogni singola anima che ne varca la soglia. - Kore ripensò a quando lui le aveva parlato dei Campi Elisi, e di come, a una sua richiesta di visitarli, lui l'aveva invece portata ad ammirare altri luoghi del suo regno. La Dea cominciò a pensare che lui lo avesse fatto perché voleva evitarle quel dispiacere.
- È per questo che non me li hai mai mostrati? - lui non le rispose.
- Ora che lo sai, spetta a te scegliere che cosa fare. - Con quelle parole schiette e distaccate, Ade la lasciò sola nel parco. Sola coi suoi pensieri e i dubbi che Kore non riusciva a dissipare.


Il giorno successivo, qualcuno bussò alla porta della sua stanza, e fu per Kore una sorpresa enorme, dato che raramente lo aveva visto muoversi al di fuori del tribunale.
- Mia Signora. - Eaco, il più giovane dei giudici, si presentò di fronte alle stanze di Kore. Era la prima volta che un giudice la avvicinava. In genere, Kore li incontrava solo nella sala del giudizio, e oltre a qualche timido saluto, non si erano mai rivolti parola. Con nessuno dei tre.
- Normalmente avrebbe dovuto accompagnarvi Radamanto, ma c'è molto lavoro, e anche Hypnos e Thanatos sono impegnati. Per oggi vi scorterò io nei Campi Elisi.
- Vi ringrazio per il disturbo che vi siete preso, mi spiace che vi abbiano scomodato per questo, ma non intendo recarmi nei Campi Elisi, oggi.
- Noi crediamo invece che vi farebbe bene. - Il suo tono, seppur non secco e al contempo tagliente come quello di Ade, nella sua gentile offerta, non ammetteva alcuna replica da parte sua.
- Vi aspetterò qui fuori fino a che non sarete pronta, vi prego però di non impiegarci troppo tempo. Non sarebbe molto cortese. - Kore immaginò che quelli fossero gli ordini di Ade. Il giorno prima le aveva semplicemente detto che avrebbe dovuto decidere lei cosa fare. Eppure, in quel momento, fuori dalla porta della sua stanza c'era uno dei suoi giudici che le stava intimando di muoversi per andare nei Campi Elisi.
- Avete finito? - la chiamò il giudice.
- Un momento. - in fretta si mise una delle vesti più comode che aveva a disposizione e raggiunse Eaco.
Il giovane giudice non era di molte parole, ma Kore aveva la sensazione che non appena ne avesse avuto l'opportunità, le avrebbe parlato.
Non conosceva bene nessuno dei tre, ma ne conosceva la fama, senza contare che entrambi gli Dei gemelli gliene avevano parlato.
Lei sapeva bene che per come si era comportata, non meritava certo di essere elogiata o premiata, ma non voleva che gli altri la sgridassero. Aveva avuto tutte le ragioni per prendersela a morte per come era stata trattata. Strappata ingiustamente alla vita, con una violenza e una crudeltà pari solo a quella che aveva portato Crono a ingoiare i suoi stessi figli.
- Eccoci arrivati. - disse lui fermandosi di fronte al portone in marmo. - Dopo di voi. - Le aprì la porta.
- Grazie.
Una volta arrivati, Kore si era aspettata di vedere il lupo. Uno degli aspetti positivi del recarsi in quei luoghi era la certezza di poterlo incontrare. A parte il primo giorno in cui vi si era recata, quel lupo non era più andato a chiamarla nelle sue stanze, ma si era sempre fatto trovare nell'Elisio.
Con così tanti giorni di lontananza, la giovane era sicura che lo avrebbe trovato immediatamente subito dopo essere arrivata. Fu delusa nel non vederlo. “Sarà in giro, presto ci imbatteremo in lui”.
- Ha altri compiti da svolgere in questo momento.
- Come?
- Cercavate il lupo. Non è vero?
- Come facevate a saperlo?
- Intuizione.
- Capisco... - Kore non sapeva di cosa parlare con lui. Non c'era lo stesso legame che lei aveva stretto con Hypnos e Thanatos; e anche se quest'ultimo a volte era un po' invadente e la sua lingua eccessivamente tagliente, lei aveva finito con l'abituarsi a quei modi di fare discutibili.
- Avete dunque preso una decisione? - chiese dal nulla il giudice dai capelli color del mogano.
- Riguardo cosa?
- Il vostro ruolo nel mondo. - La Dea rimase stupita dal modo naturale col quale lui le aveva posto quella domanda così delicata e personale. Considerando che non si conoscevano bene, era piuttosto inopportuno quel comportamento quasi confidenziale.
- Sebbene io non viva male nell'Averno, questa non è casa mia. - disse lei con una punta d'orgoglio. - Anche se molti mi chiamano Regina, io non mi sento tale. - lei lo scrutò cercando di capire cosa l'uomo stesse pensando. - È così sbagliato anelare alla propria libertà? È forse sbagliato voler ancora sentire l'aria fresca e i tiepidi raggi del sole che baciano la terra e permettono alle piante di crescere sane e forti? È sbagliato che io voglia ancora poter vivere come se nulla di tutto questo non fosse mai accaduto? - L'espressione di lui sembrava imperturbabile.
- No, non è sbagliato volersi aggrappare alla vita che vorremmo. È però sbagliato privarsi di qualcosa solo per orgoglio, solo perché riteniamo che sia un'imposizione voluta da altri, e non un nostro stesso desiderio quello di seguire un determinato cammino. - le rispose lui cogliendo una calla e gliela porse. - Io credo che una parte di voi vorrebbe cercare di fare ammenda per come vi siete comportata col nostro Signore, ma la paura vi trattiene. La paura del giudizio che lui vi potrebbe dare, o in quello di vostra madre Demetra. Lei non approverebbe, lo sanno tutti, ma credo che sia più importante quello che voi desiderate, e non quello che desidera lei.
Inoltre... - il giudice prese un profondo respiro, e le lanciò uno sguardo magnetico. Uno sguardo che sembrava leggerle dentro tutti i suoi dubbi. - Inoltre, io credo che voi non vogliate accettare di diventare Regina, solo per non dare la soddisfazione a Madre Gaia. Accettare di essere ciò che siete, accettare di essere ciò che in cuor vostro volete essere, non è piegarsi al volere degli altri. Non significa piegarsi al destino, significa solo seguire il proprio cuore.
I due raggiunsero la cima di una delle collinette che guardavano uno dei tanti laghetti presenti nell'Elisio.
Eaco prese Kore per le spalle e la fece voltare verso il lago. Lei era laggiù, non molto distante da loro, seduta a raccogliere degli iris, con un'aura di serenità tale, da incantare chiunque la guardasse. Cloe, quella madre che Kore non aveva mai avuto modo di conoscere.
- Fossi in te ne approfitterei. Forse quello di cui hai bisogno è parlare con lei. - Kore avrebbe voluto voltarsi e tornare indietro sui suoi passi per raggiungere il palazzo, ma i suoi piedi erano come ancorati a terra.
- Se non volete esternare a me, o ad altri, i vostri dubbi e inquietudini... perché non farlo con lei? - di fronte al suo silenzio, il giudice proseguì. - Stareste senz'altro meglio.
Eaco le diede una lieve spinta, e passo dopo passo, la giovane Dea raggiunse le sponde del lago, restando a pochi metri da Cloe.
“Che mai potrei dirle?” si chiedeva posando discretamente lo sguardo sull'anima della donna che l'aveva partorita. “Non riesco a pensare a nulla...”. L'anima di Cloe si accorse di lei e non appena i loro sguardi si incontrarono, lei le sorrise con immensa dolcezza.
Si alzò, sistemandosi le vesti stropicciate, e si avvicinò a Kore.
- Buongiorno, mia Regina. - disse con un sorriso. “Non mi ha riconosciuta”, pensò Kore con un misto di sollievo e delusione. - Tenete, - disse porgendole il mazzo di fiori, - mi rendo conto che non è un presente dei più regali, ma io ho sempre trovato questi fiori meravigliosi. Non trovate?
- S-sì, sono molto belli. Vi ringrazio. - rispose lei imbarazzata.
- Era da qualche giorno che non vi vedevamo passeggiare nell'Elisio. - disse quasi con tristezza. - Immagino che abbiate molto da fare a palazzo. Essere regina comporta molte responsabilità. - aggiunse infine.
- A dire il vero no. Io non sono ancora formalmente la Regina. Ancora non capisco perché tutti mi definiate tale. - ammise Kore, e la donna la guardò con compassione e dolcezza.
- È un qualcosa che va al di là di quello che gli occhi possono vedere. Non posso sapere cosa comporti essere divino, ma, una volta morta, sono stata in grado di vedere molte più cose che fino a quel momento mi erano state celate. - la sua voce era quasi un sussurro. - Da viva avevo così tanto sotto gli occhi, che avevo finito col dare per scontato tutto. Solo alla fine ho compreso, e solo quando la mia anima ha abbandonato il mio corpo la mia vista è stata purificata. E io, come le altre anime, sono ora in grado di vedere la vostra natura divina. Splendente e radiosa, anche se sembra che la vostra luce sia ora offuscata. - Kore la ascoltò sorpresa. Non sapeva, non poteva immaginare che le anime potessero essere così acute. Ade di sicuro lo sapeva, chiunque là sotto doveva esserne a conoscenza. Perché nessuno glielo aveva mai detto? Le avevano spiegato tante cose di quel mondo, eppure c'era ancora così tanto che non conosceva, così tanto che avrebbe voluto conoscere.
- Noi percepiamo chi voi siate in realtà, noi sentiamo di appartenervi, così come sentiamo di appartenere al nostro Signore, e all'Averno stesso.
- Non mi sembra una cosa bella. Appartenere a qualcun altro. Non vorreste essere liberi?
- Ma noi lo siamo. Vi sentite prigioniera? - chiese con una naturalezza pari solo a quella dei bambini che pongono in buona fede domande realmente scomode per chiunque. A Kore non sembrava di scorgere provocazioni in quella domanda, ma solo la semplice curiosità.
- A volte. Io non mi sento Regina di questo posto. Non posso dire di odiarlo, - ammise, - ma mi sento come obbligata a doverlo accettare. E questo lo odio.
- Dalle vostre parole, sembra che in altre circostanze avreste accettato questo regno come vostro.
- In effetti, - arrossì la Dea, - ero stata sul punto di accettare di diventare regina. Poi però son cambiate tante cose. Ho scoperto delle verità che mi erano state tenute nascoste, e che non sono stata in grado di perdonare. - Cloe sospirò con aria preoccupata, fissando le Dea che le stava aprendo il proprio cuore. - Quel mio mondo imperfetto, ma che io amavo profondamente, è stato scosso con violenza, e non so se e quando riuscirò mai a riprendermi del tutto.
Cloe si guardò intorno, si accovacciò sulle sponde del lago, e quando si alzò mostrò alla Dea un piccolo sasso, dopodiché lo lanciò.
- Adesso anche il lago è stato scosso, vedi? - disse indicandole il punto dove il sasso era sprofondato, dove l'acqua si era increspata. - Sembra che il lago non ritroverà più la sua placida quiete, ma se una persona ha la pazienza di attendere, potrà notare che la quiete tornerà di nuovo, e scoprirà le scosse superficiali sono state solo passeggere.
- E se le mie non fossero solo delle scosse passeggere? Se il mio turbamento fosse maggiore? - chiese Kore con una lieve punta d'astio. Le parole di Cloe sembravano essere di rimprovero, e la giovane non riusciva a comprendere come una perfetta estranea potesse parlarle in quel modo.
- Lo sarà solo se voi lo vorrete. Odiare qualcuno per sempre richiede un certo sforzo, e anche una certa cattiveria di fondo. Scegliere se diventare o meno regina di questo regno sarà una vostra decisione. Vostra, e di nessun altro. - Kore si lasciò scappare una risata sarcastica.
- Vorrei che anche altri la pensassero come voi. Qui tutti si aspettano che io indossi quella corona e che diventi Regina. Nessuno mi ha chiesto cosa voglio io.
- Cosa desiderate? - in quel momento Kore non riuscì a dire che desiderava semplicemente la propria libertà. Perché non era solo quello il suo desiderio. Voleva essere libera di scegliere chi essere, che divinità diventare, chi amare... Kore sapeva di essere legata ad Ade, ma oltre a non essere del tutto sicura dei propri sentimenti, non era nemmeno più certa del fatto che lui la contraccambiasse.
- C'è già qualcuno nel vostro cuore?
- Sì. - le rispose immediatamente la Dea.
- Per questo non potete accettare di diventare regina? - le chiese Cloe fissandola negli occhi. Guardandola con attenzione, Kore non ebbe dubbi sul fatto che quella fosse la sua vera madre.
- Io... non so se posso ancora fidarmi di lui. - sospirò, e gli occhi si inumidirono. Kore però ricacciò indietro le lacrime che altrimenti le avrebbero rigato il volto. - In realtà, non so nemmeno se lui mi ami più.
- Ve lo ha detto?
- No.
Cloe prese uno degli iris dalle mani della Dea, e glielo infilò tra i capelli. - Se ci tenete a lui, dovete almeno provarci.
- Ma io non sono stata molto cortese con lui in quest'ultimo periodo... - disse mordendosi il labbro e abbassando, colpevole, lo sguardo, temendo di essere ancora giudicata. - Credo davvero che oramai sia finita fra noi.
- Ci tieni davvero a lui? - Kore non riuscì a trattenere le lacrime silenziose, e senza dire nulla annuì.
- Allora non dovreste piangervi addosso. Se ci tenete a lui, vale la pena di provarci. Potrebbe andare bene, o forse no... - disse Cloe asciugandole le lacrime con le dita che le accarezzavano il volto. - ma almeno potrete dire di averci provato. E comunque... se il vostro cuore lo desidera per davvero, non dovete arrendervi, e lottare per lui e per voi.
Kore annuì, e la ringraziò. Eaco, che non si era mai spostato dall'alto della collina dalla quale la giovane era scesa, le fece cenno di risalire.
- È stato un piacere parlare con voi, Cloe. - disse la Dea. - Grazie per i vostri preziosi consigli. Ci rivedremo presto.
- Sì. Ci rivedremo. - le rispose lei con un sorriso. Kore si era avviata per risalire la collinetta, e Cloe la richiamò: - Quando rivedrai Demetra, ringraziala da parte mia.
Kore capì solo in quel momento che la donna aveva sempre saputo chi lei fosse.
- Lo farò.
Kore risalì sorridendo la collina, e quando raggiunse Eaco, l'uomo non le disse nulla. Lui era rimasto a vegliarla impassibile, l'aveva semplicemente spinta a raggiungere la madre.
- Grazie, Eaco.
- Di cosa, mia Regina?
- Da sola non ci sarei riuscita. - ammise lei, vedendolo accennare un sorriso.
- Dovere. - ma Kore sapeva che non era solo per quello. Le era parso che il giudice provasse della simpatia nei suoi riguardi. Non aveva avuto l'impressione che lui la volesse spingere a parlare con la madre, solo nella speranza che poi lei esaudisse ciò che gli abitanti dell'Averno aspettavano ormai da tempo. - Mi è spiaciuto interrompervi, ma è ora di tornare.
- Lo so.
Quando i due attraversarono il portone di marmo che collegava il castello ai Campi Elisi, furono colpiti da una musica soave, e da un canto così triste da riempire d'angoscia il cuore di entrambi.
- Da dove proviene questo canto? È la prima volta che sento qualcuno cantare nel palazzo. - Kore si guardò attorno, e cercò di capire da dove provenisse quel canto così addolorato.
- Seguitemi.
Kore riconobbe quella strada: Eaco la stava conducendo alla sala del giudizio. Più si avvicinavano e più il suono era netto, e la voce cristallina, ma non solo. Ad accompagnare la bellezza struggente di quel canto, vi erano anche i pianti disperati di alcune creature avernali. Essi stessi stavano provando quella stessa pena che la fonte di quel pianto doveva aver provato.
Quando entrarono nella sala, videro gli altri due giudici scossi dai singhiozzi, così come le Erinni, le ninfe, Cerbero e le altre creature che abitavano quei luoghi. Tutti erano rimasti colpiti dall'uomo in carne ed ossa che Kore vide inginocchiato lì, nell'Oltretomba, al cospetto di Ade. E persino l'imperturbabile Dio pareva scosso dal canto del mortale, tanto che il suo corpo tremava lievemente per l'emozione.
- Vi prego, Mio Signore, ora che avete udito il mio canto, e percepito il mio dolore, lasciate che riconduca con me la mia amata moglie. Per favore, restituitemi la mia amata Euridice.

 




 
L'angolo di Shera ^_^

Salve a tutti, mi avevate dato per morta? Tranquilli, sono ancora viva e vegeta XD
Ringrazio subito __aris__Soleil_3 e Sha_17 per aver aggiunto la storia fra le seguite e writer01 fra le preferite.

In una maniera o nell'altra la storia procede. Ho penato non poco per scrivere questo capitolo, ammetto che ero un poco scoraggiata ultimamente, e temevo di non farcela a preoseguire, ma poi mi son ripresa. Anche grazie all'aiuto del mio fidanzato ♥. Il suo sostegno è vitale ^^. Non lo dico per fare la zuccherosa, io son così, non posso farci nulla.

Finalmente Kore ha "perdonato Ade", solo che ora deve scendere a patti coi suoi comportamenti. Nulla di ciò che facciamo a questo mondo è privo di rischi o conseguenze. Ade ha già dimostrato un certo distacco, ma sarà davvero così? Bah, intanto il prossimo capitolo sarà decisivo per la nostra Dea della primavera.
È uno di quei capitoli fissi, una di quelle cose che avevo in mente fin dal concepimento della storia così come la conoscete. E non vedo l'ora di scriverlo.
Sarà molto più impegnativo degli altri, in quanto sarà cruciale per la mia "fiaba mitologica". Inutile dire che fremo al pensiero di mettermi giù a scrivere XD.
Il mito di orfeo e Euridice l'ho sempre amato moltissimo, e qui ho voluto proporre la mia versione, con una sempre più stronza Afrodite che ha dato sfoggio di umanità (?!), liberando Orfeo di un peso morto XD.
Nel prossimo capitolo dovremmo davvero liberarcene, spero che non mi stiate odiando.

Eaco lo sto amando. Ero indecisa su quale persona avrebbe accompagnato Kore da Cloe. All'inizio doveva essere Ade, ma era fin troppo scontato. Volevo che fosse qualcun altro ad aiutarla. Secondo la mitologia, Eaco era stato un uomo saggio e giusto. Per questo ho voluto far parlare lui. Sarebbe andato bene anche Radamanto, dato che è il custode dei Campi Elisi, ma il mio cuore mi ha guidata altrove.
Potrebbe sembrare che la gente voglia costringere Kore a scegliere l'Averno, ma alla fine sarà una decisione che spetterà soltanto a lei, come le ha giustamente detto Cloe.
Spero vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, non vi nego che sono un po' tesa, dato che ho penato moltissimo per arrivare alla fine XD.

Ringrazio tutti voi che continuate a sostenermi, seguirmi e a lasciarmi dei commentini. Non solo fa piacere, ma è anche utile sapere che cosa ne pensate.

Un abbraccio e a presto (tranquilli, dovrei essere in grado di aggiornare più rapidamente XD).

Vostra Shera ♥

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Persefone ***


- Persefone -




Orfeo aveva passato intere giornate chiuso in casa, dilaniato dal dolore della prematura morte della sua amata Euridice.
La nobildonna che per mesi lo aveva tormentato, cercando di persuaderlo a diventare il suo amante, era di certo la causa di tutto quanto.
L'ancella che lo aveva avvicinato durante il caos che si era creato durante i festeggiamenti, mentre Euridice giaceva fra le sue braccia, aveva pronunciato quelle stesse parole che la nobildonna gli aveva detto prima che lui l'abbandonasse. Prima di svanire, l'ancella sembrava essere proprio lei, quella donna che aveva già cercato di strapparlo via dalla sua amata.
Lui aveva capito che c'era qualcosa di strano, e la sparizione gli aveva fatto capire di essere finito nella rete di una qualche divinità.
C'erano momenti in cui non poteva fare altro che incolparsi per la morte della moglie. Lei era morta perché lui l'aveva preferita all'altra, perché l'aveva preferita a una creatura divina.
- Non dovresti struggerti così tanto, mio adorato... - Orfeo sentì qualcuno accarezzargli i capelli, e si voltò di scatto trovandosi di fronte l'ancella. Era entrata in casa sua senza che lui se ne accorgesse.
- Vattene, chiunque tu sia! - gli ordinò lui. Divinità o meno, quella donna gli aveva portato via la sua amata. Comportandosi in quella maniera, rischiava di attirare ulteriormente l'ira degli Dei, ma non gli rimaneva più nulla per cui vivere.
- Siamo ancora scontrosi, vedo. - disse lei sogghignando.
- Vattene. - lui spalancò la porta d'ingresso e le intimò ancora di uscire.
- Sai, quello che stai facendo non è molto cortese nei miei riguardi. - Orfeo fremeva dalla rabbia, e lei sembrava quasi divertita dalla situazione. - Puoi davvero biasimarmi? - disse avvicinandosi a lui. - Lei era un ostacolo, e io ho fatto quanto in mio potere per liberarti da quel peso morto... Dovresti ringraziarmi, lo sai?
A quelle crudeli parole, l'uomo dovette trattenersi dall'aggredirla. Quelle parole gli davano il voltastomaco.
- Tu sei un mostro! Lasciami in pace, vattene e dimenticati di me. Dimentica che esisto e trovati un altro uomo con cui sollazzarti. Io non sono disponibile. - lei rise di gusto.
- Tu non puoi sfuggirmi. E comunque, nessuno potrà restituirti la tua adorata mogliettina. Potrai anche esserti fatto valere in passato, ma neanche se tu andassi ad implorare Ade in persona, superando tutti gli ostacoli per poter raggiungere la sua reggia, lo potresti convincere a restituirti l'anima della tua amata Euridice. - lei si avvicinò a lui, paralizzato non solo dalla sua stessa rabbia, ma dallo stesso potere della Dea. - Vieni con me. Ti assicuro che ne varrà la pena... - gli sussurrò con voce tremante per l'eccitazione.
- Sai che la tua non è una cattiva idea? - disse Orfeo sorridendo. La Dea si protese per dargli un bacio, rilasciando il suo potere e permettendo all'uomo di muoversi ancora. Ma prima che lei potesse premere le proprie labbra contro le sue, lui la allontanò.
- Ma... - protestò lei.
- Andrò negli Inferi. Se riuscirò ad arrivare alla sua reggia forse il Dio mi concederà ciò che chiedo, altrimenti morirò nell'impresa. È l'unica possibilità che mi è rimasta. In ogni caso, tu non mi avrai. Non si può comprare l'amore, né ottenerlo con l'inganno. - La Dea cercò di convincerlo a lasciar perdere, convinta che non sarebbe ami arrivato al cospetto dell'oscuro Signore dell'Oltretomba.
- Morirai, razza di idiota!
- Meglio morire rischiando tutto per colei che ami, che restare fermo ad aspettare che la situazione migliori da sola.
Orfeo raccattò la sua fedele lira e si mise in cammino, mentre la Dea rimase immobile sulla soglia continuando a chiamarlo fino a che la sua sagoma non scomparve.


L'uomo si recò dai saggi, dai filosofi e dai cantori, per scoprire dove potesse trovarsi l'entrata degli Inferi. La sua ricerca lo portò a vagare per i boschi a lungo, fino a che non la vide, e con un profondo sospiro si addentrò nella caverna, cominciando a suonare la sua fedele lira.
Il primo ostacolo che incontrò fu Cerbero, il grosso mastino che di norma avrebbe aggredito l'umano, ma l'animale venne vinto invece dalla dolce melodia suonata dall'uomo.
Seguì Caronte che non solo lo trasportò fino all'ingresso della cittadella, ma mosso da vecchi e nostalgici sentimenti, gli chiese lui stesso di soffermarsi un poco e suonare una vecchia ninna nanna.
Orfeo incrociò altre creature che avrebbero dovuto bloccargli il cammino, ma tutte si lasciarono convincere nel lasciarlo passare grazie alle sue abilità musicali e canore, mosse a compassione per il dolore che il giovane recava con sé. Mai nessuno si era spinto a tanto, solo per amore.
Una volta arrivato a palazzo, venne condotto da Ade nella grande sala del Giudizio, dove erano presenti anche due dei tre grandi giudici, gli Dei gemelli, e altre divinità inferiori e creature del Sottosuolo.
- Orfeo... devo complimentarmi con te per essere riuscito ad arrivare qui sano e salvo. Non sono molti i mortali che son riusciti a giungere integri al mio cospetto. - Il Dio lo studiò e serio in volto proseguì. - Cosa sei venuto a fare nel mio regno? Dovresti sapere che a nessun mortale viene concesso di entrare qui così impunemente.
Le labbra dell'uomo tremavano, ma Orfeo si fece forza, e diede voce ai suoi pensieri, raccontando di come una misteriosa divinità lo avesse privato della sua amata.
Vide il Signore dell'Averno annuire.
- Capisco. La Dea di cui parli non può che essere quella sciagurata di Afrodite. Lei è solita giocare con le vite degli altri, pur di ottenere ciò che vuole. Io, però, non posso fare nulla per te. Io non posso restituirti l'anima di tua moglie. - Ade non era noto per essere un Dio particolarmente accondiscendente o compassionevole. Tuttavia Orfeo sapeva che era un Dio giusto: il Signore dell'Averno preferiva non darlo a vedere, ma avrebbe voluto poterlo aiutare, soprattutto se si trattava dell'ennesima anima tormentata dai vizi degli Dei della superficie. Orfeo sentì che forse, poteva ancora trovare un modo per convincerlo.
- Vi prego, mettetemi alla prova, chiedetemi ciò che volete e io lo farò. - disse Orfeo con decisione. - Darei la mia vita pur di riabbracciare la mia Euridice.
- La tua vita? Sei consapevole di ciò che stai dicendo? - chiese Minosse, intervenendo a nome degli abitanti dell'Averno. Orfeo non stava chiedendo la grazia unicamente a quel sovrano solitario, ma a tutto il regno del Sottosuolo.
- Sì, lo so, e sono serio nel dire che metto la mia vita in gioco pur di salvare colei che amo.
Seguirono minuti di silenzio. Ade lo osservò pensieroso, e Orfeo cominciò a temere che il Dio non gli avrebbe mai accordato nulla.
Con gran sorpresa dei presenti, però, Ade acconsentì.
- E sia. Ti concederò l'anima di tua moglie, ma tu dovrai superare una prova. - Lo sguardo dell'uomo si illuminò. I due giudici sembravano voler far desistere Ade dal concedere al mortale quanto richiesto, ma il loro Signore gli disse che la tenacia dell'uomo era da apprezzare. Non gli avrebbe ceduto l'anima senza metterlo alla prova, e tale prova sarebbe stata davvero ardua, ma se era ciò che il giovane desiderava, Ade era ben lieto di acconsentire alla sua richiesta.
- Dovrai riuscire a farmi commuovere. Con le tue parole, col suono della tua lira, o con qualsiasi cosa ti passi per la mente... Se non riuscirai, però, dovrai lasciare immediatamente il mio regno. Tornerai solo quando sarà giunta la tua ora. Fino a quel momento, non tenterai mai più un'impresa del genere. Attenderai come hanno fatto altri uomini o donne, prima di te. - I due si guardarono intensamente negli occhi, con la tensione che cresceva sempre di più. I giudici e le altre creature presenti tirarono un sospiro di sollievo. Sapevano che Orfeo non sarebbe mai stato in grado di far commuovere Ade. Era un'impresa impossibile, per quanto Orfeo fosse motivato nel voler ad ogni costo liberare l'anima della sua compagna. Non erano ostili verso l'uomo, ma le leggi dell'Averno non potevano essere piegate di fronte ai desideri umani. Ade aveva scelto di metterlo alla prova proprio perché sapeva già in partenza che avrebbe fallito. - Questa è la tua unica possibilità. Accetti?
- Sì, mio Signore. Farò quanto mi avete chiesto.


- Vi prego, Mio Signore, ora che avete udito il mio canto, e percepito il mio dolore, lasciate che riconduca con me la mia amata moglie. Per favore, restituitemi la mia amata Euridice.
Eaco e Kore entrarono nella sala proprio mentre il poeta stava supplicando il Dio, subito dopo aver dato sfoggio delle sue abilità per poter superare la difficile prova a cui era stato sottoposto.
Il giudice prese posto al proprio scranno, chiedendo agli altri due cosa fosse successo e perché un mortale fosse giunto fin lì.
Kore invece si era avvicinata silenziosa a Hypnos, il quale le spiegò la vicenda del giovane. Kore, che era di buon cuore, non poté che sentirsi vicina al ragazzo. Dopo aver passato giorni e giorni, consumata dal dolore per la lontananza con la superficie e dalla sua vecchia vita, la giovane Dea aveva capito, grazie anche ad altre persone, che ciò che le mancava di più era quell'amore che aveva conosciuto, e che lei stessa, per stupidità, aveva allontanato.
- Dunque eravate voi a suonare, poco fa? - chiese lei muovendo qualche passo verso Orfeo, e interrompendo il silenzio che si era venuto a creare da quando lei ed Eaco erano entrati.
Ade doveva ancora pronunciare il suo verdetto.
- Sì. Suono per la mia amata che ora non c'è più. Suono per l'amore e per il sogno che è stato ingiustamente infranto dai capricci di un'altra donna che, mossa dalla gelosia, ci ha calpestati come se le nostre vite non valessero nulla. - rispose lui franco, rivolgendosi poi ad Ade, - Mio Signore, ho superato la prova? Il mio dolore è riuscito a toccare il vostro cuore?
Ade voltò la testa altrove, scrutano nel vuoto, in cerca di una risposta.
- Mi dispiace. - rispose infine il Dio, mentre Orfeo si abbandonava di peso a terra. Quella sua unica possibilità, si era appena sgretolata fra le sue mani.
- Sapevo che non sarebbe stato facile. Già poter giungere fino a qua, sembrava un'impresa impossibile, ma ho voluto provarci. Non potevo non tentare. - sussurrò lui, più a sé stesso che agli altri.
Davanti a quella triste visione, Kore salì i gradini che portavano al trono di Ade, e quando lo raggiunse lo implorò di concedere all'uomo quanto richiesto.
- Pur non sapendo nulla, appena siamo tornati dai Campi Elisi, io ed Eaco abbiamo udito il canto straziante di questo giovane, ed è stato come se il cuore mi venisse strappato dal petto. Non ami forse la musica? Non posso credere che una persona che ami la musica non riesca a percepire nulla, che non riesca a commuoversi neanche un poco. Se così fosse, Orfeo non avrebbe potuto convincerti a prescindere. - il dolore che trapelava dalle sue parole colpì Orfeo. Non conosceva la giovane che con gentilezza gli si era avvicinata, ma era certo che anche lei fosse una divinità.
- Mi deludi. Sai bene che apprezzo la musica, e non ho detto di non apprezzare le doti di quest'uomo, ma il suo compito era quello di commuovermi, e non è riuscito a farlo. - gli rispose lui seccato. - I patti sono patti, e ora lui deve lasciare il mio regno.
A quelle fredde parole, Kore fissò il Signore dell'Averno prima con stupore, poi con dispiacere e infine con rabbia.
- Come puoi dire che il suo dolore non è riuscito a commuoverti? Hai forse il cuore di pietra? - urlò la Dea lasciando spiazzati i tre giudici.
“Dici che dovremmo fare qualcosa?” sussurrò Thanatos al gemello. Ade si era alzato in piedi e stava fissando la ragazza con sguardo gelido, così freddo da farla arretrare, mantenendo però lo sguardo fisso su di lui.
“Meglio di no, lasciamo che se la sbrighino loro. Il nostro Signore sa ciò che fa”.
“Mi sembra furioso, però. Non dovremmo aiutarla?” Hypnos gli fece cenno di tacere. Non avrebbero dovuto interferire per nessuna ragione. Nonostante Kore fosse arrabbiata, e nonostante lo stesse provocando, quella era la prima volta che i due erano davvero vicini dopo la discesa della Dea.
- Sono rimasto colpito, e vorrei poterlo aiutare... ma come sovrano di questo regno non posso permettere a chicchessia di poter venire qui a reclamare una proprietà dell'Averno, e concedergliela senza battere ciglio. - La voce di Ade era piatta, ma rivelava la rabbia provata di fronte all'interferenza di lei. Era rimasto sorpreso nel vederla intervenire in quella faccenda, e da una parte ne era anche contento, ma non ammetteva che proprio lei alzasse la voce con lui in quella maniera. Allungò le mani e l'afferrò con forza per le spalle. - Mi chiedi se ho un cuore di pietra. Dovresti saperlo se ce l'ho o meno, dato che sei stata tu a spezzarlo e a corroderlo.
Tutta la frustrazione che Ade aveva provato nei giorni passati traboccò e si riversò contro Kore. Per tutto il tempo, lui non aveva potuto fare altro che sorvegliare la sua amata da lontano, o vegliandola quando questa si addormentava. Temeva che se l'avesse avvicinata quando ancora tra loro la situazione era così tesa, lei lo avrebbe accolto coi suoi freddi silenzi o, peggio ancora, con le sue ingiuste accuse che gli aveva continuamente rivolto.
Non appena notò la lacrima silenziosa che aveva solcato il viso della Dea mortificata, lasciò la presa, tornando a sedersi sul suo trono, mentre il mormorio delle creature presenti riempì la sala.
- Mi dispiace. - sussurrò Kore.
- È tardi per le tue scuse. - la sua freddezza fece soffrire ancora di più la Dea. Aveva capito che quel sentimento che era nato da tempo, era rimasto soffocato dalla sua rabbia cieca. Kore aveva finalmente capito i suoi sbagli, e aveva sperato di potersi riavvicinare a lui pian piano... Ma la freddezza, e il disprezzo che aveva letto nel Dio, le avevano fatto capire che non poteva più tornare indietro. “Non potevo aspettarmi altro. È troppo tardi per noi... ” pensò lei. Hypnos si avvicinò alla Dea spiazzata dal dolore e dalla vergogna, dicendole che l'avrebbe accompagnata in camera per riposarsi.
Quando però Kore, voltandosi verso Orfeo, lesse un dolore pari al suo, capì che non doveva cedere, e che doveva convincere Ade ad ogni costo. “È troppo tardi... ma non per lui e per il loro amore”.
Kore scese le scale, prese posto al fianco di Orfeo e si inginocchiò, facendo sussultare i presenti, riuscendo a colpire anche il gelido Signore dell'Oltretomba che la fissava contrariato.
- Mio Signore, ti scongiuro, concedi a questi due innamorati una possibilità. Non lasciare che il loro amore si spenga in questo modo. - chiese con voce tremante per l'emozione. Sperava che mostrandosi umile, Ade avrebbe acconsentito nel lasciare libera l'anima di Euridice, e, non udendo risposta alzò il capo, incrociando lo sguardo furente del Dio.
- Alzati immediatamente! - le ordinò lui, e lei obbedì all'istante, intimorita nel vederlo veramente arrabbiato. Non l'aveva mai visto così. - Cosa credi di ottenere prostrandoti al mio cospetto come una donnicciola qualunque? In quanto Sovrano dell'Averno, è mio compito preservarne l'Equilibrio, e non lasciare che le anime vadano e vengano a loro piacimento. Esistono delle regole nell'Universo, più grandi di noi, e io devo fare del mio meglio per rispettarle e per farle rispettare. Questo è il mio compito, questa è la mia vita. - urlò iracondo. - Come osi mettere in discussione le mie scelte?
- Io non le stavo contestando. - Si difese lei, - Io volevo solo...
- Cosa?! - Kore non riusciva a rispondere. Vederlo così arrabbiato le aveva tolto la parola. Non si aspettava che proprio lui potesse essere così. Finì col chiedersi se la madre non avesse ostacolato il suo desiderio di stare con Ade proprio perché temeva che lui potesse riversare quell'ira proprio su di lei un giorno. “Anche se mi fa paura, io devo...”
- Farò qualsiasi cosa purché li lasciate andare. Qualsiasi. - Kore non riuscì a guardarlo negli occhi. Ade rise sarcastico, mentre i giudici e gli Dei gemelli li fissavano, incerti sul da farsi.
- Faresti qualsiasi cosa per me? Anche diventare Regina dell'Averno, suppongo. - Kore annuì tremando lievemente. Thanatos si lasciò scappare un grido di soddisfazione, ma Ade non era soddisfatto per nulla. - Te lo puoi scordare.
- Come?! - gridò Thanatos, ma il fratello gli tappò la bocca, prima di fare infuriare ulteriormente il loro Signore.
- Non voglio una Regina che sceglie di diventare tale solo come sacrificio, solo perché non ha altra scelta. Per aiutare un mortale poi... è addirittura peggio. È tardi, Kore.
- Ma non è solo per quello, io...
- È tardi.
Con quelle parole, lui l'aveva rifiutata definitivamente, rinnegandola di fronte a tutto il suo seguito. Kore non si aspettava di poter recuperare da subito il rapporto che avevano costruito insieme, ma sperava di poter rimettere insieme i pezzi di quella vita che scioccamente aveva rifiutato.
Con le lacrime che premevano per uscire, la giovane Dea balbettò parole che solo il Dio riuscì a udire, e con un rapido balzo la raggiunse.
- Non mi interessa più nulla di te. - Ade si rivolse poi a uno sconcertato Thanatos. - Conduci quest'uomo all'esterno.
- Ma... Mio Signore... - protestò il Dio della Morte, ma lo sguardo gelido di Ade non ammetteva alcuna replica. Thanatos avrebbe dovuto seguire gli ordini così come erano stati pronunciati.
Si avvicinò rattristato a Kore e ad Orfeo, il quale, seppur rassegnato e deluso, era grato a Kore per essersi erta in sua difesa.
- Mia Signora... Kore, Dea della natura, giusto? - Lei annuì, - Vi ringrazio per quello che avete fatto per me.
- Ma non ho ottenuto nulla. Non sono stata in grado di convincerlo a darvi una mano. Mi sento così impotente e inutile. Sono davvero dispiaciuta, Orfeo – lui però, scosse la testa.
- Avete fatto quanto era in vostro potere per darmi una mano. - nonostante la tristezza, l'uomo le sorrise amabilmente. - Era un'impresa ardua, lo sapevo, e sapevo anche che avrei potuto fallire, ma dovevo almeno provarci. Non potevo non tentare di salvarla con tutte le mie forze. - Orfeo le baciò la mano. - Non dimenticherò mai quanto avete fatto oggi per me.
- Mi spiace interrompervi, ma...
- Dobbiamo andare, vero? - Thanatos annuì con amarezza.
“Non posso lasciarlo andare via così”, pensò Kore, e ripensò anche alle parole di Madre Gaia. Se lei era nata per essere Regina dell'Averno, poteva davvero aiutare il giovane e la sua sposa.
“Se per noi è tardi, per loro si può ancora fare qualcosa... Non posso più voltare le spalle a ciò che sono. Ho perso la mia occasione di felicità, ma posso ancora donarla ad altri”.
Si voltò verso Ade, e con un'aria così autorevole da sembrare la Regina degli Dei, si rivolse con decisione al Dio – Ade, per giorni mi hanno chiamato Regina, e tu stesso mi avresti consegnato questo tuo regno... Dici che è tardi, e lo capisco, ho sbagliato e ne pagherò per sempre le conseguenze, ma ciò non toglie che io sono stata scelta per essere la Regina del Sottosuolo. Io voglio che l'anima della ninfa Euridice venga rilasciata all'istante.


Il silenzio che ne seguì fu solenne. Tutte le creature presenti in quel momento erano rimaste ammutolite davanti a quel comportamento inaspettato della Dea della Natura.
Eaco, Thanatos e Hypnos sorrisero soddisfatti, così come altre creature che a lungo avevano atteso quel momento.
- Cos'è successo nei Campi Elisi? - chiese sottovoce Radamanto a Eaco.
- Ha avuto un incontro inaspettato con l'unica persona che potesse farla ragionare con la propria testa. Chiunque di noi avrebbe potuto parlare, facendole capire dove sbagliava e cosa era davvero giusto fare, - rispose Eaco fissando la giovane che fino a pochi istanti prima sembrava essere una creatura debole e indifesa, - ma nessuno ha mai provato a farla ragionare su ciò che lei davvero desiderava. Per questo c'è voluto così tanto tempo per farle capire che la sua rabbia era mal riposta, e che l'unica cosa che doveva fare, era decidere lei chi diventare. Anche se aveva già scelto di scendere, non aveva ancora capito chi era lei per davvero.
- Che intendi? - chiese Minosse.
- Lei è il ponte fra tre realtà diverse, e anche se Madre Gaia glielo ha spiegato, ma non è riuscita ad arrivare al suo cuore.
I giudici annuirono.
Fu Ade ad essere visibilmente irritato dall'inaspettato comportamento di Kore. Dopo la sorpresa iniziale, il Signore dell'Averno continuava a fissare la Dea cercando di riacquistare calma e contegno.
- Tu hai rifiutato molto chiaramente di diventare la mia Regina. Non puoi ora venire qua e fare finta di nulla, come se il modo in cui ti sei comportata non contasse niente. Sei stata maleducata e scortese con me, io non posso dimenticarlo. Quando Gaia lo vorrà, potrai tornare in superficie. Fosse per me, ti scaccerei seduta stante assieme al mortale. - lui la squadrò con scherno, e Kore si sentì pervadere dalla rabbia.
- Come puoi dirmi questo? So di aver agito in maniera stupida, ma non potevi pretendere altro da me, dopo tutte le bugie che mi avete detto tutti quanti. Ho sbagliato, e capisco che non posso pretendere di cancellare nulla, ma credevo che fra noi...
- Fra noi cosa? Tu hai fatto capire molto chiaramente a chiunque che io per te non ero altro che l'orco cattivo che ti aveva rapita. Bene, non desidero più averti nel mio regno! Se vuoi puoi anche provare ad andartene... la cosa non mi interessa. - Ade giocherellò coi suoi capelli, fissandola in cagnesco dall'alto del suo trono. - Lascia le questioni dell'Averno all'Averno. A me e ai suoi abitanti. Tu non sei altro che un'intrusa di superficie, tu non conti nulla. Tu non sei la mia Regina!
A quelle dure e crudeli parole, Kore uscì correndo dalla sala; qualche ninfa provò a raggiungerla, chiamandola, ma la Dea era già lontana.
- Mio Signore, - chiese con pacatezza Hypnos, - era proprio necessario parlarle con tale durezza? Non c'è il rischio di allontanarla del tutto? - Ade sospirò.
- Kore aveva bisogno anche di questo. Avrei potuto essere più calmo, ma non ce la facevo più, Hypnos. - Ade strinse i pugni con tanta forza che le unghie conficcate nella carne, lacerarono la pelle facendone uscire del sangue. Hypnos sapeva che il Dio amava ancora Kore, ma che aveva preferito stuzzicarla fino al limite per capire se lei lo amava ancora. - Se non riesce più ad accettarmi, forse è meglio che mi odi davvero. Così ora ha una vera ragione, e almeno non è più triste. - Hypnos lo guardò, e comprese che quello era l'ultimo disperato tentativo per riunirsi a lei.
Ade desiderava ancora che la Dea diventasse non solo la Regina dell'Averno, ma anche la sua compagna, sua amica, sua moglie e amante. Temeva però che la giovane fosse mossa solo dal desiderio di aiutare Orfeo. Non voleva avere accanto una moglie resa tale solo per aiutare qualcun altro. Lui voleva che quello fosse davvero un desiderio della sua Kore.
Le parole che lui le aveva rivolto erano davvero dure, e sapeva che poteva rischiare di perderla, ma il Dio non sopportava più la vista di quella Dea così depressa, così distaccata, desiderosa di essere libera di potersene tornare nel vecchio mondo, lontana da lui. Ade voleva di nuovo la dolce fanciulla che gli aveva rapito il cuore, l'adorabile e gioiosa ragazza che titubando aveva acconsentito a scendere negli Inferi con lui prima che Madre Gaia le rivelasse la verità.
Ade era ancora convinto che quella parte di lei era ancora viva in Kore, ma che la Dea non riusciva più a farla emergere.
- Quindi cosa dobbiamo fare ora? - chiese il Dio del Sonno, ma Ade non gli rispose, sospirò e basta.
Vedendo che Thanatos continuava a fissarlo senza muoversi, Ade chiese poi a Hypnos di spronare il fratello a riaccompagnare in superficie Orfeo.
- No, non posso ancora portarlo di sopra. Dobbiamo aspettare.
- Aspettare che cosa? Non vorrai far arrabbiare il nostro Signore?
- No, ma credo che stia per accadere qualcosa. - Hypnos lo fissò, e guardò in direzione dello sguardo del gemello.
Thanatos stava guardando la porta dalla quale era uscita Kore.
- Significa che c'è speranza per la mia Euridice? - chiese Orfeo, che era rimasto silenzioso fino ad allora.
- Significa – rispose il Dio della Morte con un ghigno – che tu sarai presto l'unico mortale presente a uno degli eventi più significativi dei Tre Regni: l'Equilibrio dell'Averno a lungo disturbato, verrà presto ristabilito. Preparati, perché quella che tu hai chiamato Kore, quando tornerà, non sarà più la stessa.


- Come può avermi parlato così? - borbottò Kore, camminando a passo spedito verso le sue stanze. Una parte di lei avrebbe voluto piangere per la pena e per l'umiliazione a cui l'aveva sottoposta Ade; ma c'era un'altra parte di sé stessa che invece era così arrabbiata da dimenticarsi perfino del dolore che lui le aveva inflitto col suo netto rifiuto.
- Gli Dei non amano... come ho fatto a dimenticarlo? Come ho fatto ad essere così sciocca da credere che noi... - sbuffò lei. Arrabbiata com'era, non aveva prestato molta attenzione a dove metteva i piedi, e finì con il perdersi fra i tanti corridoi dell'immenso palazzo.
- Ci mancava solo questa. E ora che faccio? - chiese lei a se stessa, guardandosi attorno cercando di trovare qualche punto di riferimento. Aveva passato molti giorni a vagare per il castello, e riusciva a orientarsi in base agli oggetti, ai quadri, le statue o a ciò che l'aveva colpita. Ma quell'ala le era completamente sconosciuta. - Anche se tornassi indietro, so che mi perderei ancora. Non ricordo nemmeno se prima avevo girato a destra o a sinistra, figuriamoci se posso ricordare tutta la strada fatta.
Kore si accovacciò a terra e cominciò a piangere silenziosa.
- Non ne faccio una giusta. Prima ho perso lui, allontanandolo come una sciocca, e ora non sono nemmeno stata in grado di aiutare il povero Orfeo. Orfeo... - sussurrò il suo nome, - quanto invidio te ed Euridice. Anche se il vostro è stato un amore sfortunato, vi siete davvero amati, e non vi siete mai arresi. - Kore cominciò a giocherellare coi propri capelli. - Sono certa che dai Campi Elisi anche lei ha sempre vegliato su di te, e che in questo momento sta soffrendo per te. Vi invidio...
Kore ripensò ai momenti felici che aveva passato in superficie. Aveva passato tutta la sua esistenza libera per i prati, o fra le sale del palazzo del padre, lassù, sul monte Olimpo. Il tempo passato fra quelle due realtà era stato maggiore di quello che Kore aveva passato nell'Oltretomba. Eppure, l'unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento, erano le belle giornate passate con Ade. Ricordi di secoli e secoli passati in superficie, momenti felici, allegri, piccole feste e scampagnate per i boschi che lei aveva tanto amato, avevano finito con l'essere completamente soppiantati da quelle poche, ma intense visite. Da quei sorrisi e da quel bacio vicino alla fonte che lei non avrebbe mai potuto dimenticare.
- Non riuscirò mai più a farmi perdonare da lui. - disse mentre le lacrime le offuscavano la vista, e cadevano bagnandole il vestito.
Kore avrebbe voluto essere più forte, ma non sapeva nemmeno da che parte muoversi per tornare nelle sue stanze.
Con gran sorpresa, sentì una lieve corrente. Se c'era una finestra aperta, affacciandosi, pensò lei, forse avrebbe potuto capire dove era finita.
La Dea si incamminò, ma non trovò nulla, fino a che non arrivò di fronte a una porta, la quale sembrava che non venisse aperta da secoli.
- Tanto, Ade è già arrabbiato con me... se aprirò questa porta e dovesse ancora arrabbiarsi, non potrà farmi più paura di quanta non me ne abbia fatta prima. - la Dea pensò anche che se in quella stanza ci fosse stato qualcosa di veramente importante, di certo sarebbe stato ben protetto.
Kore si fece coraggio aprendo con cautela la porta, ed entrò incuriosita nella stanza.
Di fronte a lei c'erano un sacco di tende bianche, molto spesse, che non lasciavano intravvedere nulla, smosse da un'aria tiepida, anche se non c'erano finestre. Era come se in quella stanza vi fosse una strana energia, potente e al tempo stesso tiepida e dolce. Kore si fece largo fra le tende e vide la fonte di quell'energia, capendo che non era giunta in quella stanza per puro caso. Era come se fosse stata chiamata dalla fonte stessa.
- Strano però che nessuno la protegga. Credevo che la Corona dell'Averno fosse molto preziosa.
- Lo sono infatti! - disse una voce femminile che Kore non aveva mai udito.
- Chi è là? - chiese Kore guardandosi intorno, ma nessuno si fece avanti.
- Stai guardando dalla parte sbagliata. Sono qui! - disse ancora la voce.
- La c-corona? - Kore si avvicinò al piedistallo su cui era poggiato il prezioso oggetto, si specchiò nelle sue pietre preziose, e il suo stesso riflesso le fece l'occhiolino.
- Ce ne hai messo di tempo per accorgertene. Cosa stai aspettando? - chiese il suo riflesso, con una punta d'impazienza nella voce.
- Come?
- Non sei venuta qui per indossarmi finalmente?
- Io veramente mi ero persa. Ho sentito una corrente d'aria e l'ho seguita.
- E non ti sei sentita come richiamata? - sembrava quasi che la corona fosse divertita dalla situazione.
- A dire il vero... sì. Mi sono lasciata condurre dalla strana corrente che ho avvertito.
- La corrente che hai sentito era la corrente dell'Averno.
- La corrente dell'Averno?
- È l'energia stessa di questo Regno. Se l'hai sentita, significa che anche tu sei parte di noi, parte dell'Averno. Una parte di te desidera restare qui, e desidera anche il potere che otterresti nel diventare Regina. - disse la corona.
- Non desidero il potere... ma ammetto che vorrei aiutare Orfeo, e anche... - rispose Kore con la tristezza nel cuore.
- Conosco le pene del giovane, ma Ade ha ragione, l'Averno non può rilasciare con tanta facilità le anime... Non sarebbe giusto.
- Lo capisco, però... - La giovane Dea avrebbe voluto poter cambiare le regole di quel mondo. Avrebbe voluto poter aiutare le anime dei mortali che spesso soffrivano ingiustamente a causa delle divinità. Avrebbe anche voluto poter cancellare i propri sbagli e riavvicinarsi ad Ade.
- La vita a volte è ingiusta mia cara, e noi non possiamo farci nulla. Anche se...
- Anche se?
- Dipende tutto da noi. Dalle nostre scelte, e dalle nostre convinzioni. Se vuoi davvero qualcosa, devi fare di tutto per raggiungere il tuo obiettivo, altrimenti significa che non è poi così importante per te.
- Io voglio davvero aiutare Orfeo. - disse Kore stringendo i pugni. - Io voglio che lui torni da me...
- Orfeo?
- Ehm, no, io parlavo di...
- Ade. - Kore sospirò e annuì.
- Ho fatto tanti di quegli sbagli, tanti errori che avrei potuto risparmiarmi, invece ho fatto un passo falso dietro l'altro e ho finito con l'allontanarlo da me. - ammise tristemente la Dea.
- E cosa hai fatto fino ad ora per porre rimedio? Cos'è che desideri più di ogni altra cosa, Kore?
- Vorrei poter stare per sempre al suo fianco, anche se ho dimostrato di non esserne degna. Voglio però fargli capire che non sono più una bambina stupida, e che posso anche io fare la mia parte. - Kore non aveva capito fino a quel momento, quanto intensamente desiderava stare al suo fianco. - Io lo amo, e ho paura che non ci sia davvero nulla che possa fare.
- Se ti piangi addosso non lo riconquisterai di certo, mia cara. - disse la corona.
- E che posso fare?
- Dimostrati sicura di te, intanto. Se vuoi stare al suo fianco non puoi piangerti addosso, Ade non ama le donne deboli. Tu non sei una donna debole, sei forte, solo che a volte te lo dimentichi.
- E se non fossi in grado di...
- Non lo saprai mai se non ci provi. E comunque... - disse la corona con voce dolce, - Ade sarà sempre al tuo fianco pronto a sostenerti. Lui ha bisogno non solo della Regina, ma anche di una compagna. Se lo ami davvero, buttati alle spalle tutte le incertezze, tutte le paure, e afferra la sua mano.
“Mi ha rifiutata però”, pensò Kore.
- Dimostragli che non sei una donna che si arrende, dimostragli che non può permettersi di perderti, e che anzi, sei tu a comandare il tuo destino.
La Dea prese in mano la corona e la studiò. Era ancora più bella di quanto non ricordasse, con quelle pietre splendenti incastonate sopra dove il riflesso le sorrideva. Ambra e Ametista, come il colore dei suoi occhi e di quelli di Ade.
Kore notò che c'era anche una collana e un paio di orecchini sul tavolo.
- E questi? Sono meravigliosi. - disse prendendoli in mano.
- Li ha fatti preparare Ade, per te, ovviamente. Dovevano essere il tuo regalo di benvenuto non appena foste scesi. C'è anche un vestito se guardi bene.
Kore trovò subito l'abito regale, che si sarebbe perfettamente accostato con la corona e gli altri gioielli.
- Lui aveva fatto tutto questo per me?
- Sono solo oggetti. Lui per te ha fatto molto di più, non trovi? Cose che non si possono costruire, fabbricare o tessere. - Kore lasciò andare il vestito che aveva preso in mano. L'espressione di meraviglia per lo stupore di fronte a quei meravigliosi regali, era sparita. Kore si focalizzò solo sui bei ricordi che il Dio le aveva donato.
- Sì, lo ha fatto, e io non ho fatto altro che rifiutarlo. Sono una ragazza davvero orribile.
- Sei solo molto confusa.
Kore tremava mentre guardava la corona, indecisa se prenderla o meno.
- Sono davvero io la vera Regina dell'Averno?
- Se tu non lo fossi, verresti incenerita... - La Dea sobbalzò spaventata, mentre la corona rideva. - Puoi fidarti, se non so io chi è degno di portarmi, non può saperlo nessun altro. E io son certa: sei tu l'unica vera Regina.
- Cosa accadrà quando ti indosserò?
- Sarà semplicemente un nuovo inizio. Molte cose ti saranno chiare immediatamente, mentre per altre dovrai ancora attendere.
- Mi farà male?
- No. - la corona fece una pausa. - Dimmi, fanciulla, cos'è che desideri veramente?
- Desidero restare al suo fianco per sempre, e governare con lui questo regno.
- Perché lo desideri? - Kore scosse la testa.
- Perché lo amo, e perché ho cominciato ad amare questo regno ed i suoi abitanti. Perché io... ho sempre amato l'Averno. Ho sempre amato... - Kore pensò che se quella corona avesse avuto sembianze umane, in quel momento le avrebbe sorriso.
- Ti accetto come mia Signora, e come Sovrana di questo Regno. Lascia alle spalle la fanciulla, e lascia libera la donna di prendere il suo posto.
Kore afferrò la corona con mani tremanti, e se la poggiò sul capo. La terra tremò per qualche secondo, e tutto venne avvolto da una luce bianchissima.
- Quando aprirai gli occhi, mia dolce Kore, saprai cosa fare. Tu hai scelto da sola che cammino intraprendere. Devi andarne fiera, non pentirtene mai. Sii felice per ciò che sei.
La Dea era pronta per tornare nella sala, ma prima c'era una cosa che doveva fare.


Le porte della sala si aprirono e Lei entrò, maestosa e meravigliosa, prendendo posto sul suo trono, accanto ad Ade, che la osservò con un misto di sorpresa, sollievo e soddisfazione, mentre molti occhi curiosi e stupefatti si posavano sulla sua figura.
La veste plumbea, i capelli parzialmente raccolti, la corona e i gioielli che adornavano capo e collo... Kore non era più la stessa, e non solo per l'aspetto più sofisticato. Qualcosa nel comportamento e nello sguardo rivelavano che la giovane Dea aveva preso coscienza di molte cosa che fino a qualche momento prima, le erano totalmente sconosciute.
La Regina sedeva composta accanto al Re, e guardò ad uno ad uno tutti i presenti, posando infine i propri occhi sul povero Orfeo che la guardava esterrefatto, mentre Thanatos e Hypnos le sorridevano.
- Vai avanti, - sussurrò Thanatos a Orfeo - la Regina ti sta aspettando.
Orfeo annuì, e si avvicinò, inginocchiandosi ai piedi della piccola scalinata che portava ai piedi dei due troni.
- Orfeo... grazie per aver aspettato. - disse lei con un caldo sorriso. Era ancora Kore, ma i suoi occhi brillavano di una nuova luce.
- Kore, voglio dire... Mia Regina...
- Persefone. - disse lei chiudendo per un attimo gli occhi, prendendo un profondo respiro.
- Persefone?
- È il mio nuovo nome. - spiegò lei. Era stata una kore, una fanciulla, per tutta la vita. Nella vita di superficie, Kore era stata tenuta troppo sotto l'ala protettiva della madre. Non c'era da stupirsi se nessuno le aveva detto la verità sulle sue origini.
Kore non era più un nome adatto per la Regina dell'Averno. Prendendo posto in quel mondo, voleva ricominciare da capo, scegliendo da sola quel cammino, e così le era sembrato giusto anche scegliere un nuovo nome che l'avrebbe accompagnata da quel momento in avanti.
La corona dell'Averno, adornata di pietre di ametista e di ambra, brillava come non accadeva più da secoli.
- Orfeo, tu non hai superato la prova di Ade, Signore del Sottosuolo, ma per quanto mi riguarda, tu ed Euridice potete tornare insieme a casa, in superficie. - lo sguardo della Regina, che al suo ingresso sembrava quasi freddo, emanava una dolcezza che di rado, prima che Kore cominciasse a visitare il palazzo, si era vista tra quelle mura. - Io ho sempre creduto che l'amore fra divinità non potesse esistere. Ho visto fin troppe volte le mie sorelle, i fratelli, zii e zie, tradirsi a vicenda come se nulla avesse più importanza del desiderio carnale. Mentre invece per voi mortali, era facile trovare coppie più stabili, che ardevano d'amore fino alla fine del loro percorso in superficie. - negli occhi di Persefone, c'era una certa malinconia e tristezza, anche se la Dea sorrideva dolcemente all'uomo. - Il tuo amore per la tua compianta moglie mi ha commossa, e per questo ho deciso di concedervi una seconda possibilità, infrangendo un tabù, e sfidando le leggi stesse di questo Regno. - Radamanto si alzò e si mosse verso i troni per ribattere, ma Persefone gli fece cenno di non muoversi. Il giudice incrociò lo sguardo con quello di Ade, e vedendolo scuotere leggermente la testa, dando quindi ragione alla Dea, Radamanto si sedette scontento.
- Grazie, mia Signora! - Orfeo chinò il capo, il viso rigato da lacrime di gioia, e le spalle scosse dai singhiozzi. - Io non so davvero come ringraziarvi.
- Alzati, Orfeo, perché purtroppo non ho ancora finito. - il sorriso sulla bocca di lei morì, perché la Dea aveva compreso, nel momento stesso in cui aveva posto la tiara sul proprio capo, ogni legge di quei luoghi, e quindi, sapeva anche il perché del comportamento di Ade. - Ognuno dei tre Regni ha le sue regole, e l'Averno non fa eccezione. Io ho provato ad oppormi, ma a nulla mi è servito, e mi ci è voluto molto per capire... tante cose. - disse quasi con un sussurro. - Ho fatto tanti sbagli, e me ne pento, ma non li posso cancellare. E forse nemmeno voglio, perché son proprio gli sbagli a farci maturare. - un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra. - Voglio aiutarti, perché credo in te, e credo nel sentimento che ho visto... ma non posso voltare le spalle al Regno che ho scelto come mia nuova casa.
Ho appreso che come sovrana, mi è possibile fare delle scelte importanti, ma non posso piegare a mio piacimento tutte le regole del Sottosuolo, per questo anche io devo sottoporti ad una prova: potrai portare con te l'anima di Euridice, ma a una condizione. - Con sicurezza, Persefone illustrò al giovane cosa avrebbe dovuto fare per riportare in vita la moglie tanto amata. - Dovrai rifare il percorso che ti ha portato fino al palazzo a ritroso, e non dovrai mai voltarti fino a che non lascerai il nostro Regno. La tua amata proverà a chiamarti, ti implorerà, cercherà con ogni mezzo di metterti alla prova, ma tu non cedere, o non potrai ricongiungerti a lei fino al momento della tua morte. Questa è la mia prova, questa è la mia condizione.
Ade sorrise di sottecchi, osservando la Dea che si era finalmente decisa a prendere ciò che le spettava. Lui era sempre stato certo che sarebbe diventata una grande regina, e con quella prova lo stava già dimostrando.
Aveva temuto che le sue parole l'avessero ferita troppo, vedendo che non tornava più, ma quando la vide varcare la soglia, e prendere posto al suo fianco, avevano cancellato i suoi timori. La vista di lei con la corona dell'Averno sul capo, con gli orecchini e la collana che lui aveva fatto da tempo preparare da Efesto, e il vestito cucito dalle ninfe, basandosi sul modello del quadro che portava alle sue stanze, gli avevano fatto tirare un bel sospiro di sollievo, e avevano scatenato in lui emozioni che prima di allora temeva fossero destinate a morire.
Era tutto come nel quadro, era tutto come l'aveva sempre immaginato da quando aveva capito che lei sarebbe stata sua. Nonostante tutte le difficoltà affrontate, in quel momento, loro erano lì, e anche se non si erano ancora chiariti, lui era comunque contento. Lei era finalmente lì, non come prigioniera, non come ospite forzata, o Regina indotta ad accettare con la forza il suo ruolo.
Kore aveva scelto da sola di diventare Regina, Kore aveva scelto di diventare Persefone. La sua Persefone.


Nei lunghi minuti di attesa, prima che Persefone facesse il suo ingresso nella sala, la tensione che si era creata era stata davvero insostenibile.
Ade aveva notato gli Dei gemelli parlottare, e nonostante il suo ordine di portare via l'uomo, i due non si erano più mossi, e il Dio parve spazientirsi.
- Mio Signore, - disse Eaco avvicinandosi a lui, - credo che Thanatos sappia quello che sta facendo, del resto, - disse sorridendo, - nonostante faccia tutto di testa propria, è mosso dal rispetto e dalla devozione che ha nei vostri riguardi. Quindi direi che non c'è nulla di cui preoccuparsi.
- Lo so. Non sarebbe al mio servizio altrimenti. - Il Dio osservò distratto la grande sala. - Vorrei solo che non ci impiegasse troppo. - chiaramente, Ade si riferiva a Kore. Lui si aspettava che lei tornasse, se lo sentiva.
- Credo che l'ultima visita ai Campi Elisi l'abbiano aiutata molto. Anche se non credo che la vostra freddezza sia stata molto d'aiuto, sono convinto che presto ritornerà, abbiate pazienza. - Eaco si voltò per tornare al proprio posto accanto agli altri due giudici, quando si fermò. - Oh, dimenticavo! Quando siamo arrivati vi stava cercando. Anzi, siete stato il suo primo pensiero, era dispiaciuta del fatto di non avervi potuto vedere. Avreste anche potuto dircelo nei giorni passati, che la vostra assenza era dovuto a quello. Ci avete fatto preoccupare per nulla. - Dietro quelle parole di rimprovero, vi era in realtà il forte attaccamento che i giudici avevano nei riguardi di Ade.
Loro tre erano stati dei semplici uomini in vita, che, una volta morti, erano stati scelti per aiutare Ade in quel difficile e lungo lavoro che veniva richiesto in quel regno.
Da tempo, il loro Signore, si era comportato in maniera inusuale, e le sue continue assenze dal tribunale, li aveva fatti allarmare. Scoprire che il motivo della sua assenza, non era un malore o la spossatezza, ma solo l'interesse del Dio nel far riavvicinare la Dea a lui e al loro Regno, li aveva fatti rasserenare.
Una forte scossa di terremoto ruppe il brusio della sala.
- Kore ha fatto la sua decisione, a quanto pare. - disse Thanatos sorridendo soddisfatto al fratello, mentre Orfeo si era spaventato per la violenza del sisma.


Kore se ne era andata per lasciare spazio alla Regina che Ade aveva sempre atteso. Per lasciare spazio a Persefone.
Lei poteva dire di credere che l'amore fra le divinità non esisteva, ma entrambi sapevano che non era vero, non per loro. Lui sapeva che lei lo stava mettendo alla prova. Dopo quello che era successo prima nella sala, lei era rimasta ferita dalle parole che lui le aveva detto, ma quello era stato davvero l'ultimo tentativo per riaverla con sé.
- Grazie, mia Regina. - la ringraziò ancora Orfeo. - Non mi volterò, lo prometto. - disse lui sorridendo.
- Molto bene, - disse Persefone, - Thanatos ti accompagnerà fin fuori dal palazzo. Comincia a percorrere la tua strada e fa come ti ho detto. A breve sentirai la voce della tua sposa chiamarti, ma tu non voltarti.
Orfeo annuì, e Thanatos obbedì ai voleri della Regina.
Persefone stava tremando. Era la prima volta che era stata così sicura di sé, sapeva esattamente cosa fare e cosa dire. Sentiva dentro di sé una forza e un'energia mai provate prima. Era una sensazione meravigliosa, che però non riusciva ancora a spiegarsi.
- Dici che ce la farà? - chiese ad Ade, con sguardo fisso verso la direzione presa dall'uomo. Una parte di lei temeva che Ade non avesse approvato le sue scelte, ma era convinta di aver fatto la cosa migliore.
Ade si alzò e poggiò la propria mano su quella tremante di lei, aggrappata al bracciolo del suo trono scavato nella pietra.
- Lo spero per lui. - disse lui con voce calma. - Sei stata brava.
Fu in quel momento che i due si guardarono per la prima volta, dritti negli occhi, da quando lei era rientrata nella sala.
- Grazie, Ade. - disse lei arrossendo.


- Dunque è successo questo... - disse annuendo Afrodite. La Dea aveva inviato una delle sue ninfe per seguire Orfeo, e aiutarlo nel caso in cui fosse stato in pericolo. La ninfa era poi riuscita ad infiltrarsi nel palazzo assieme all'uomo che, grazie al dolce suono della sua lira, era riuscito anche a coprire la sua presenza.
Non appena Persefone aveva emesso la sua sentenza, la ninfa era corsa dalla sua padrona per avvisarla di quanto accaduto.
- Puoi andare. - disse la Dea sorridendo. - Io aspetterò che lui arrivi qui sulla soglia per poterlo portare via con me. Si è solo intestardito per una sciocchezza. Quando mi vedrà di nuovo, in tutta la mia sfolgorante bellezza, si dimenticherà per sempre di quella là.


Le risate della Dea giunsero fino alle orecchie dei Sovrani dell'Averno.
- Cosa è stato? - chiese Persefone.
- Afrodite è vicina all'ingresso degli Inferi.
- Oh no! È qui per Orfeo, dobbiamo fare qualcosa... - disse la Dea, ma un forte capogiro la costrinse a poggiare la testa sullo schienale del trono. Diventare Regina, comprendendo di colpo le leggi dell'Averno, e acquisire poteri inimmaginabili, l'aveva prosciugata delle forze.
- Orfeo dovrà superare da solo quell'ostacolo, ora tu devi recuperare le forze. - Persefone non era ancora preparata a quel cambiamento, e Ade la accompagnò nelle sue stanze.
- È normale, non devi preoccuparti, è una conseguenza dell'essere diventata un tutt'uno con l'Averno. - gli spiegò lui, mentre la Dea si teneva la testa fra le mani. Lui la fece sdraiare sul letto, e le tolse la corona, appoggiandola sul tavolino.
- Non posso nemmeno chiudere gli occhi, che vedo immagini di ogni parte del regno. Sento le voci e i lamenti delle anime che popolano l'Averno rimbombare nella testa.
Ade le si sedette accanto, prendendo le mani di lei e baciandole la fronte.
- Passerà. Anche a me c'è voluto del tempo, ma riuscirai ad estraniarti e a sfruttare il tuo nuovo potere solo quando servirà. Se vuoi ti lascio riposare.
- No! - esclamò lei. Si tirò su dal letto e fissò intensamente Ade. - Non voglio rimanere sola, adesso. Inoltre... vorrei le tue scuse. - disse avvampando. Sapeva che lei stessa gliele doveva, ma il modo in cui lui si era comportato l'aveva indispettita parecchio. - Non ho dimenticato come ti sei comportato con me quando ti ho chiesto di chiudere un occhio con Orfeo. Sei stato un villano.
- Tu vuoi da me delle scuse? - chiese inarcando il sopracciglio. E con la solita voce pacata continuò - Ti sei comportata in maniera discutibile negli ultimi tempi. Non dovresti tu delle scuse a me?
- Io però non ti ho umiliato di fronte a tutti, urlandoti contro come una pazza. - replicò lei. Ade non era arrabbiato, sembrava invece divertito dalla situazione.
- Io sono il Sovrano dell'Averno, devo far rispettare le leggi e il decoro del nostro Regno. - Persefone aveva notato subito l'enfasi particolare messa nella parola “nostro”, e per lei valeva più di tante altre ammissioni. - Ma sono certo che non debba più spiegartelo... no? - chiese lui accarezzandole una ciocca di capelli che era sfuggita dall'acconciatura.
- Ad ogni modo, non avresti dovuto arrabbiarti così tanto. Volevo solo aiutare Orfeo. È una brava persona, e sono certa che anche tu eri sul punto di lasciarlo andare. - Ade sorrise. - Perché non l'hai fatto? Perché hai lasciato che fossi io a lasciarlo andare?
- Ho le mie buone ragioni.
- Anche fare l'antipatico con me rientrava in queste buone ragioni?
- No. Mi hai fatto davvero arrabbiare. Sono stati giorni molto pesanti per me, lo sai, vero? - Persefone prese la mano di lui e se la portò alle labbra.
- Potrai mai perdonarmi per essere stata così cieca? - Ade sorrise e lasciò il letto.
- Forse, ma adesso è bene che tu ti riposi. Potresti anche impiegare meno tempo di me ad abituarti, ma per un po' ti sentirai privata delle energie. Devi riposare.
Persefone sorrise al suo amato, con le lacrime agli occhi per la gioia, e, dopo un piccolo sbadiglio, si sdraiò di nuovo.
- Rimarrai qui con me?
- Fino a che non ti addormenterai, poi però dovrò tornare nella sala del giudizio.
Ade si accomodò accanto a lei, e le accarezzò la testa, coccolandola mentre la Dea cercava di addormentarsi, quando, ad un tratto, lei sentì come un fremito per tutto il corpo, e spalancò gli occhi.
- Ade, Orfeo...
- Sì, l'ho visto anche io. - disse lui con voce tremula. - Mi dispiace.


Durante il suo cammino verso l'uscita, l'anima di Euridice continuava a chiamare Orfeo, ma lui non si era mai voltato per guardarla, si era limitato a dirle di portare pazienza, e che una volta all'aperto si sarebbero potuti abbracciare di nuovo. Per lei però, non era abbastanza, temeva che Orfeo non l'amasse più.
- Amore mio, perché non puoi voltarti? Non mi vuoi più? Ho sofferto così tanto. - la voce di lei era una supplica alla quale l'uomo avrebbe voluto cedere, ma se lo avesse fatto, avrebbe perso quell'unica possibilità che duramente aveva conquistato.
- Porta pazienza, mia adorata. La regina Persefone mi ha concesso di riportarti con me a patto di non voltarmi. Non angustiarti, Cerbero è ormai alle nostre spalle, e mi sembra già di sentire l'odore dell'erba. - disse lui, con voce provata per la fatica, ma colma d'emozione. - Quando raggiungeremo l'albero di melograno, potremo stare di nuovo insieme.
Euridice però continuava a chiamarlo, e quando riuscirono finalmente a vedere la luce alla fine della lunga galleria, la ragazza cominciò ad avvertire una fitta là dove era stata morsa dai serpenti velenosi.
- Orfeo... aiutami! - lo chiamò lei con voce supplichevole. Ma Orfeo sapeva che non poteva farlo. Sentirla implorare, con tutto quel dolore che doveva provare, lo faceva sentire del tutto impotente, ma non doveva voltarsi.
- Non posso. Tieni duro, quando usciremo sarai viva e in salute. - Orfeo allungò il braccio all'indietro. - La Regina Persefone non mi ha però detto che non possiamo tenerci la mano. Per ora è tutto quello che riesco a fare. - Euridice sorrise e gliela afferrò.
Stavano quasi per arrivare in fondo alla galleria, quando una donna bellissima gli sbarrò il passaggio.
- Sei quasi arrivato alla fine, mio dolce Orfeo, ma la tua amata non può venire con te. - disse lei squadrando l'anima della ninfa.
- Chi siete?
- Ma come, non mi riconosci? - La donna cambiò aspetto, prendendo prima le sembianze della nobildonna, e poi quelle dell'ancella. Riprese poi quelle che era il suo vero aspetto, e allungò la mano verso Orfeo – Vieni con me. Vieni dalla Dea dell'amore e della bellezza. Vieni da Afrodite.
Orfeo indietreggiò, non sapendo cosa fare. Non poteva voltarsi e tornare al palazzo dell'Averno, se lo avesse fatto, avrebbe perso l'anima dell'amata. Non poteva però neanche avanzare, dato che la Dea gli sbarrava il passaggio.
- Sei fortunato, sai? Sono pochi gli uomini che suscitano un così grande interesse da parte mia. Dovresti sentirti onorato, e venire con me senza fare più storie. Ti tratterò bene. - disse ancora facendogli cenno di andare da lei.
- Sono un uomo sposato, e innamorato devoto. Non sono interessato, ma sono certo che potrete trovare ben altri uomini, più affascinanti di me, interessati a renderti felice. - Afrodite volteggiò attorno all'uomo, facendo allontanare l'anima di Euridice.
- Ma io voglio te! Sei speciale, e io ti voglio. Lascia perdere la ninfa morta, e vieni via. Dopo tutta la fatica che ho fatto, non sarebbe carino farmi ancora attendere. - Orfeo rise di quelle parole e la scansò, cercando di proseguire verso l'uscita.
Afrodite però lo trattenne, e cercò di farlo voltare.
- Conosco il patto a cui vi ha vincolati quella sciocca di Kore. Tu non puoi voltarti o la tua amata sparirà per sempre. Se non vuoi voltarti te, ti farò voltare io! - e la Dea provò in ogni modo, ma Orfeo riuscì a resistere. Per fortuna la Dea non disponeva di una grande forza fisica, ma aveva il suo asso nella manica.
Con un incantesimo riuscì a rendere irrequieta l'anima innamorata di Euridice, rendendola insicura, e facendole credere che la Dea e il suo sposo avessero avuto una relazione, e che la stessero consumando proprio davanti ai suoi occhi, mentre in realtà Orfeo cercava solo di divincolarsi dalla Dea.
- Amore mio... voi due... Tu e la Dea Afrodite avete una storia... - disse lei con voce tremante.
- No, no Euridice! - rispose lui, lottando contro sé stesso per non voltarsi. Avrebbe voluto correre da lei, stringerla fra le braccia e rassicurarla, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. - Non credere agli inganni di questa Dea bugiarda. Io amo solo te, e a te sarò sempre devoto. - la voce spezzata di Orfeo fece quasi rinsavire l'anima della sua amata, ma Afrodite era più forte, lei era la Dea dell'Amore.
- Facciamo così, Orfeo, - disse Afrodite, raggiungendo l'uscita della galleria, - scegli, me o lei.
- Scelgo Euridice ovviamente. - le rispose lui sicuro.
- Dimostralo allora. - Afrodite gli sorrise con l'espressione di chi sapeva di aver già vinto. - Se scegli lei voltati e valle incontro, ma se non ti volterai, lei saprà che hai scelto me... coraggio, vieni fra le mie braccia, vieni verso la luce del sole. È vero che se non ti volti la sua anima tornerà in vita, ma se vieni verso l'uscita, se vieni da me, segnerai anche il tuo destino, e mi apparterrai.
Orfeo batté i pugni contro la parete rocciosa, fino a che le mani non gli sanguinarono.
In ogni caso, erano entrambi perduti, e l'uomo pianse, sapendo che l'unica cosa che poteva fare era quella di starsene lì, fermo, immobile, aspettando fino a quando la Dea non si sarebbe stancata. Lui però sapeva che quella Dea non si sarebbe mai arresa, e che era più probabile invece che lui cedesse.
L'incantesimo di Afrodite su Euridice si allentò, e la ninfa capì che poteva fare qualcosa.
- Grazie, amore mio. - disse abbracciandogli le spalle, sussurrandogli all'orecchio le ultime parole che l'uomo voleva sentirsi dire. - Grazie per esserti sempre preso cura di me, grazie per avermi cullata con la tua musica, grazie per avermi amato intensamente ogni giorno della tua vita. Ti amo tanto, e per questo ti chiedo di voltarti, per vedermi un'ultima volta. Ti prometto che ti aspetterò fino a che non tornerai, quando sarà il tempo.
- No, Euridice, non voglio perderti ancora. - disse lui scosso dai singhiozzi.
- È l'unico modo. Se vai verso l'uscita per liberarmi, apparterrai a lei, ma se ti volti verso di me, le avrai dimostrato la tua scelta, e quando uscirai all'esterno, sarai un uomo libero.
- No, Euridice, ti prego. Non lasciarmi. - la voce tremante di Orfeo scosse la ninfa, che gli baciò il capo e lasciò la presa.
- Io me ne torno laggiù, è l'unico modo per aiutarti. - Orfeo scattò in piedi, sempre senza voltarsi, implorandola di tornare da lui e di non lasciarlo.
- Mi dispiace. Addio, mio amato. - disse lei, e Orfeo non poté fare a meno di voltarsi, trovandosi faccia a faccia con Euridice.
- Era l'unico modo per farti voltare. - gli posò un lieve bacio sulle labbra, e svanì.
“Ti amo”, furono le ultime parole che lei pronunciò, parole che si persero nelle gallerie che portavano al regno del Sottosuolo.
- Come dicevo, non hai che da uscire e rifarti una vita, mio caro. E io sono ancora disponibile. Vieni via con me, non te ne pentirai.
Orfeo rimaneva fermo immobile, fissando il vuoto davanti a sé, e pensando alla sua amata, che mai più avrebbe rivisto.
- Orfeo, sto ancora aspettando, non costringermi a venire lì e trascinarti io stessa. Potrei davvero arrabbiarmi, e non sarebbe un bello spettacolo. - si lamentò ancora lei.
Orfeo scacciò l'ultima lacrima, e si incamminò verso il palazzo di Ade.
- Orfeo! - Afrodite lo raggiunse e si parò di fronte a lui, - guarda che l'uscita è dall'altra parte.
- Lo so.
- E allora? Cosa credi di fare? Ade e Kore non ti concederanno un'altra possibilità. - disse lei sprezzante, pronunciando quei nomi, e quando Orfeo le puntò addosso gli occhi resi furenti dalla rabbia, Afrodite si fece da parte impaurita.
- Lei non si chiama più Kore, ma Persefone. Inoltre, non ho mai detto che sto scendendo per implorarli ancora. Non tornerò mai più indietro, vattene via.
In quel momento, si sentì il nitrire dei cavalli, e un'altra divinità fece il suo ingresso nella caverna: era Ares, venuto per portare via la Dea.
- Lascialo andare, ha fatto la sua scelta. - disse lui seccato, trascinando via la Dea che continuava a lamentarsi.


Orfeo scese di nuovo verso il palazzo,incontrando un indaffarato Cerbero che lo salutò abbaiando. Lo conosceva e gli piaceva, anche senza bisogno dell'aiuto della lira, e per questo lo lasciò passare. Così come anche Caronte, seppur sorpreso, che lo traghettò sull'altra sponda, dove, ad attenderli vi erano Ade, Persefone e gli Dei gemelli.
- Mi dispiace, Orfeo. - disse Persefone. - Abbiamo visto quello che è accaduto, quando ormai era troppo tardi per intervenire.
- Non è colpa vostra... alla fine mi sono voltato io.
Ade strinse la mano di lei, avvertendo tutta la profonda commozione che la Dea stava vivendo.
- Non sono tornato qui per chiedervi di nuovo di ridarmi la mia Euridice. I patti sono patti, e voi non mi avete ingannato. - fece una piccola pausa, inchinandosi di fronte ai sovrani dell'Averno.
- Quella pazza se ne è andata, ma puoi restare per un po', se hai paura che possa di nuovo tornare all'attacco. - disse Thanatos con poco tatto, ma Orfeo scosse la testa.
- Non sono tornato da voi nemmeno per chiedere protezione. Il motivo della mia seconda discesa è un'altra richiesta, so di avervi già chiesto molto ma...
- Parla pure, Orfeo. - gli disse Ade.
- Vi prego, concedetemi di restare qui al vostro servizio. Suonerò e canterò per voi... o, qualsiasi cosa voi mi chiediate. Fatemi solo restare al vostro servizio fino alla fine dei miei giorni.
I due sovrani si guardarono, e quando Ade annuì, Persefone acconsentì a nome di entrambi.
- Ade, posso... - Persefone prese in disparte Ade, e gli chiese sottovoce se potevano fare qualcosa, anche una sciocchezza per permettere all'umile Orfeo, di poter vedere Euridice. Il Dio pensò a lungo, e quando giunsero all'ingresso del palazzo, guardò il triste Orfeo.
- Io e la Regina Persefone abbiamo preso una decisione. - disse il Dio con fare solenne. - Tu puoi restare, come ti ha già detto, ma non è tutto. C'è un giorno durante l'anno in cui succede che l'Averno perda potere sulle anime, e qualcuna di esse riesce a muoversi fra i mondi. Non solo fra i mondi di superficie e il nostro: questo riguarda l'Averno stesso, e anime dei Campi Elisi si ritrovano a vagare per il Cocito in cerca di parenti non così meritevoli da poter raggiungere l'Elisio. Il regno del Sottosuolo è molto vasto, presto te ne accorgerai anche tu. - spiegò brevemente Ade, - Così, durante quel giorno, ti verrà concesso di vedere la tua amata. È un solo giorno all'anno, e solo perché è l'Averno stesso a volerlo. - concluse lui, mentre la Dea gli stringeva la mano, grata per quello che aveva fatto, e con Orfeo che si era del tutto ripreso.
Fino alla fine dei suoi giorni, Orfeo avrebbe servito i Signori dell'Averno, e quando il tempo sarebbe giunto, si sarebbe infine riunito alla sua Euridice, raggiungendola definitivamente nei Campi Elisi. Fino ad allora, avrebbe atteso con ansia quell'unico giorno in cui avrebbe potuto ancora suonare per lei, rimirarsi nei suoi occhi e sentire il dolce suono della sua melodiosa voce.


- Grazie, Ade.
- È stata una tua idea, però.
- Ammettilo che anche tu avresti voluto fare qualcosa. - il Dio non le rispose.
- Ci sarà ancora molto da fare. L'Averno è sulla strada della ripresa, ma c'è ancora tanto lavoro. Lo sai, vero?
- Sì, ma ora sono pronta. Sono pronta a lavorare al tuo fianco per ristabilire l'Equilibrio del nostro Regno.
- Oh, adesso è nostro? - sogghignò lui, mentre Persefone gli passeggiava accanto, stretta al suo braccio.
Erano entrambi stupiti per come si erano evolute le cose. Non si erano ancora chiariti, ma sembrava quasi che tutto il distacco che c'era stato, fosse stato annullato nel momento stesso in cui Kore aveva deciso di scegliere da sé la strada da prendere, e di diventare la Dea del Sottosuolo.
- Ci penseremo domani comunque. Tu ora devi riposarti, Hypnos ti condurrà nelle tue stanze. - anche se leggermente contrariata, Persefone acconsentì, e mentre il Dio del Sonno la riaccompagnava in camera, un Ade più contento del solito riprendeva posto sul suo trono nella grande sala del Giudizio.
- Lo avevo detto io. - disse sorridendo Thanatos passandogli accanto.
- Lo so, Thanatos. - sorrise di rimando il Dio dei Morti. - Lo so.


Mentre nel Sottosuolo si stava festeggiando l'incoronazione di Persefone, Madre Gaia si decideva finalmente a liberare la Dea delle Messi.
- Mia figlia... oramai è perduta. Perduta per sempre... - Demetra, quella che una volta era la bellissima Dea della natura, si era ridotta a un corpo pelle e ossa.
La grande Madre l'aveva liberata alle porte della sua stessa dimora. Le fedeli ninfe che per secoli l'avevano seguita, ne avevano avvertito la presenza, e accorsero tutte per soccorrerla. Quando la videro, alcune fra loro svennero: la vista della loro amata Dea ridotta in quel pietoso stato, era stato troppo anche per loro.
Per giorni avevano pregato e atteso il ritorno di Demetra, ma la felicità di riaverla con loro era stata soffocata di fronte a quell'orribile spettacolo.
- Questo non è che l'inizio. Questa era sta per finire. L'Estate Senza Fine è giunta al termine. - disse con voce rauca la Dea prima di svenire fra le braccia di Anthea.

 



L'angolo di Shera ^_^

Ed eccoci qui con questo nuovo, lunghissimo, capitolo. Il più lungo di Lux Averni, e, di conseguenza, il più lungo capitolo che abbia mai scritto.
Sebbene ci sono state un po' di aggiunte, e alcune cose siano state leggermente modificate, questo era uno dei miei punti fiissi per la storia. Orfeo doveva essere il pretesto, non la ragione, per cui Kore decideva di diventare Regina. Non mi piacciono troppo le storie tragiche, per questo preferisco regalare un finale agrodolce a coppie martoriate. L'ho fatto con Scilla e Glauco, e l'ho voluto fare anche con Orfeo ed Euridice, e qui mi son davvero sbizzarrita.
Ho preso in prestito sia dalle credenze europee, sia dalla mitologia asiatica, nipponica se vogliamo essere precisi. Parlo ovviamente della storia legata alla festa di Tanabata, dove la Dea Orihime, e il Dio Hikoboshi vennero separati, ma il sovrano degli Dei, mosso a compassione, decise di concedere alla coppia un giorno all'anno per potersi rivedere. Ho davvero riassunto il tutto in poche parole, ma vi consiglio, se già non la conoscete, di leggere bene tutta la storia, molto romantica.
Forse non è solo un caso se pubblico proprio oggi, dato che, l'altro spunto, viene dalle credenze europee, e qui mi riferisco a Samhain, o Halloween se preferite. Samhain è uno degli otto sabba, festività delle antiche religioni, oggi riprese dalle "nuove" religioni neopagane (anche se non mi piace usare il termine "pagano"). Tale festività viene talvolta associata a culti da "bestie di satana", ma non c'entra nulla. Con Sahmain si celebra l'inizio del nuovo anno, semplicemente. Secondo la tradizione, inoltre, durante questi festeggiamenti il confine fra il mondo spirituale, quello dove dimorano gli spiriti, e il nostro, per un breve lasso di tempo si assottigliava abbastanza da lasciar passare gli spiriti nel nostro mondo. Questi spiriti, si dice, che cercassero le loro case, i loro cari, e qui salta fuori anche il discorso della zucca.
La cosa mi ha sempre affascinata, e ho pensato di sfruttarla a dovere ^_^. Era sempre stato nei piani che poi Orfeo si stabilisse negli Inferi U_U.
Lo confesso, rileggendo la lora parte mi sono commossa ç_ç. Ok, l'ho scritto io, ma sono una ragazza romantica dalla lacrima facile.

Con questo capitolo ho anche chiuso con Afrodite, farà la sua apparizione finale nell'epilogo, e ho in mente altri progetti per lei U_U (sì, ho cominciato a buttare giù qualche riga per la storia su Menelao e Elena). Senza contare i prompt suggeriti da Crateide, che ringrazio ^^.

È stato un capitolo impegnativo, ma sono molto soddisfatta del risultato finale, spero che vi sia piaciuto. Vedendo quanto si stava allungando, ero quasi tentata di spezzare il capitolo, ma alla fine l'ho lasciato intatto.
Devono ancora accadere un po' di cose, ma il grosso, oramai, è fatto ^^.

Ringrazio Heartofgold e Damned, per aver aggiunto la storia fra le seguite; e ringrazio sempre tutti voi che mi seguite. Vi ringrazio anche per i deliziosi commenti che mi lasciate, fa sempre molto piacere ♥

A presto, e grazie ancora a tutti ^^
Baci
Shera ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** L'albero di Melograno ***


- L'albero di Melograno -




Per colpa dell'intervento di Afrodite, Orfeo aveva perso Euridice, ma i Sovrani del Sottosuolo avevano deciso di permettere al giovane uomo di restare nel loro regno fino al giorno della sua morte.
L'uomo ne fu molto grato, tanto da diventare uno dei più fedeli servitori della Regina.
Il Sottosuolo, da quel giorno, conobbe il potere meraviglio della musica. Alcune delle anime tormentate che vivevano nel Regno, riuscirono per la prima volta a provare un senso di pace, sollevate dai tormenti che si erano guadagnati durante una vita votata alla violenza.
Ad Ade questo non piacque molto, ma lasciò che il mortale si recasse di tanto in tanto in giro per il regno, suonando per chiunque lui volesse e portando con sé un qualcosa che mai quelle anime avrebbero pensato di provare ancora: la speranza. La musica che Orfeo creava, regalava speranza, riaccendendo l'umanità che le anime avevano perduto non appena era stato emesso il giudizio sulla loro sorte.
Orfeo, che era sempre stato un uomo buono e gentile, aveva capito da subito quello che lui era stato in grado di stimolare in quelle anime, e ne parlò con Persefone, la quale rifletteva spesso sulla condizione degli abitanti dell'Averno.
Persefone era ancora debole a causa dei suoi nuovi poteri. Avrebbe voluto seguire Orfeo per vedere dal vivo quello che accadeva, ma si doveva accontentare di assistere al miracolo del mortale, chiudendo gli occhi e diventando un tutt'uno con il suo Regno.
Persefone si faceva poi raccontare da Orfeo quello che il giovane aveva visto, le sue impressioni e le sue sensazioni. Ogni volta lei si emozionava, ed era sempre più motivata a diventare una buona Regina.
Per Persefone, Orfeo non era semplicemente un cantore, o l'uomo che aveva dato all'Averno un dono prezioso come quello della musica. Per Persefone, Orfeo era un amico, e uno dei suoi più fidati consiglieri.
Il cantore, però, non passava tutto il suo tempo fra il palazzo e il vagare fra le anime condannate. Vivendo nell'Averno stava conoscendo tutte le creature che lo abitavano, e con una in particolare strinse un'amicizia così inaspettata che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. Persino Ade, quando lo venne a sapere, si lasciò sfuggire un lieve sorriso.
Fin dalla sua prima apparizione nel regno dell'Averno, il giovane uomo era entrato nelle simpatie del vecchio Caronte, e dopo aver appreso quanto successo con Afrodite ed Euridice, il traghettatore decise di prendere Orfeo sotto la sua ala, deciso a proteggerlo e a guidarlo fino alla fine dei suoi giorni.
Quando si sentiva sconsolato o triste, o quando sentiva di aver fatto il suo dovere, Orfeo raggiungeva quel burbero amico che era sempre molto lieto di vederlo e di poter scambiare con lui qualche parola.
A volte Caronte lo lasciava salire a bordo della sua barca per fargli compagnia mentre andava a recuperare l'ennesimo carico di anime. Il suono della lira del giovane, rasserenava le anime, e rendeva contento anche il vecchio e solitario Caronte che per anni aveva svolto quell'ingrato compito in totale solitudine.
La loro amicizia, nata davvero per puro caso, aveva dato un nuovo senso alle vite di entrambi, portando il vecchio a sorridere per la prima volta da quando era diventato il traghettatore dell'Acheronte.
Orfeo era davvero felice di aver trovato sia in Caronte che nella Regina, due ottimi amici.
La separazione dalla sua amata era stata dura e difficile, ma con la promessa di poterla vedere una volta all'anno, e con la sua nuova condizione di abitante dell'Averno, il cantore riusciva a sentirla molto più vicina.
Il giorno in cui lui e lei avrebbero potuto stare davvero per sempre insieme, era ancora lontano, ma Orfeo non era più triste. Lui sapeva che la sua amata Euridice era in ottime mani, e che anche lei continuava a pensarlo e ad amarlo con tutto il suo cuore.
La ninfa, infatti, non si era dimenticata del suo amato sposo. Capitava spesso che Persefone ritornasse a palazzo dai Campi Elisi con mazzi di fiori e piccoli ornamenti che lei aveva fatto assieme ad Euridice e ad altre anime. Ogni corona intrecciata, ogni collana, ogni bracciale... tutto quello che lei faceva per lui, era intriso del suo stesso amore.
- Non è molto, ma sappi che lei lo ha fatto pensando solo a te. Mi ha detto di salutarti e di abbracciarti forte da parte sua. - disse la Dea porgendo il dono al suo caro amico.
Orfeo, sebbene avesse scelto l'Averno, sapeva di non essere più solo.


A seguito dell'incoronazione di Persefone come Regina dell'Averno, l'Equilibrio così a lungo cercato, non sembrava più essere solo un obiettivo irraggiungibile.
Per gli abitanti del regno, fu una vera benedizione quella lieta notizia. Avevano atteso così a lungo l'arrivo della loro amata Regina, che per molti sembrava impossibile il fatto che Kore avesse preso quella tanto sospirata decisione.
Per alcuni non si era trattato altro che di tempo, erano certi del fatto che presto la Dea avrebbe capito l'importanza del suo ruolo, e preso coscienza delle proprie responsabilità.
Altri invece avevano avuto timore che la Dea della Natura non avrebbe mai rinunciato alla vita di Superficie per l'oscurità che regnava in quel Regno da moltissimi secoli.
Chi mai avrebbe potuto preferire la morte alla vita, la vita spensierata che Kore aveva sempre vissuto e amato?
Molte delle creature dell'Averno erano rassegnate all'idea che la giovane non avrebbe mai ceduto ai voleri del fato.
Quando Kore prese la corona e se la posò sul capo, tutto il regno, dal Tartaro ai Campi Elisi, dal Palazzo fino all'antro dove dimorava Cerbero, avvertì la scossa di terremoto che segnava l'inizio di una nuova era.
L'intero Averno era stato scosso dal cambiamento, dall'arrivo della sola e unica Regina degna di poter governare su quelle terre.
Kore aveva scelto quella strada da sola, perché era quello che nel profondo del suo cuore desiderava. Abituatasi a quel mondo, e innamorata di Ade, non si era vista costretta a piegarsi al volere della Grande Madre. Kore aveva abbracciato da sé quella nuova vita, diventando così Persefone, conscia di tutte le difficoltà alle quali sarebbe andata incontro.
Aveva paura, ma sapeva anche che diventando Regina avrebbe potuto aiutare molte anime, molte delle creature che vivevano nel Sottosuolo. La corona le aveva mostrato verità dell'Averno che lei non conosceva, verità che le avevano anche fatto male.
Persefone aveva acquisito nuovi grandi poteri, ma non voleva abusarne, e sapeva che avrebbe dovuto sempre agire per il bene di tutti. Dell'Averno, delle anime, ma anche dei mortali.
Quelle sarebbero state le sue priorità.


Il primo a beneficiare dei suoi poteri e del suo grande cuore fu proprio Orfeo, il mortale che indirettamente l'aveva spinta a prendere coscienza di sé e di quello che avrebbe potuto fare.
Così tante persone avevano provato a farla ragionare, mettendola di fronte alla realtà, ma fu solo la voglia di aiutare il giovane a spingerla a indagare su quelli che erano i suoi veri desideri. Su quello che lei voleva realmente.
Per alcune creature fu una vera sorpresa la scelta della Regina. Non comprendevano bene il motivo della sua decisione di voler aiutare il mortale che aveva supplicato Ade, fallendo nella prova alla quale era stato sottoposto.
Se aveva fallito con Ade, perché dargli una seconda opportunità? Perché sfidare così apertamente i voleri del Dio che fino a poco tempo prima aveva regnato in solitario su quel regno vastissimo? Perché andare contro le antichissime e severe regole dell'Averno?
Anime e ninfe se lo chiesero senza trovare risposta. Ma poi compresero.
Lei non voleva stravolgere le leggi di quel regno, né voleva sovvertirne l'ordine naturale. Lei voleva offrire semplicemente una possibilità a chi se ne mostrava degno, a chi meritava di ricevere quel raro dono che le divinità raramente concedevano ai mortali.
Molti non avrebbero compreso le sue scelte, e spesso si sarebbe scontrata verso pareri ostili a quelle che erano le sue innovative idee, ma la Dea non avrebbe mai ceduto.
Nata in superficie come essa stessa mortale, ma resa divina per capriccio di un'altra immortale. Aveva compreso il suo ruolo e non avrebbe mai mollato la presa.
Persefone era il ponte perduto fra tre regni: il mondo divino, il mondo mortale e il mondo sotterraneo.
Vita e morte erano connessi in maniera indissolubile, e Persefone era l'unica e sola creatura conscia di questo.
Lei sola avrebbe condotto l'intero Averno e il mondo di superficie, verso una nuova era.
Tuttavia Persefone non si era ancora abituata ai nuovi poteri acquisiti, e spesso si ritrovava priva di energie. A volte il riposo non bastava, così veniva condotta nei Campi Elisi, dove la giovane Sovrana riusciva a recuperare le forze e a rilassarsi.
Quello era il suo posto preferito dell'intero regno. Lo amava non solo perché le ricordava la Superficie, della quale sentiva la mancanza; lei amava i Campi Elisi soprattutto per le anime che lo abitavano. Lo amava perché c'era Cloe, la madre che non aveva mai conosciuto e con la quale aveva cominciato a stringere un legame che purtroppo non era mai stata in grado di creare. Lo amava per le anime dei bambini che erano stati strappati con crudeltà alla vita, ma che avevano ancora il sorriso stampato sul volto. Persefone amava ogni singola anima dei Campi Elisi, inclusa la buona Euridice, e che finì poi col diventare anche una delle più care amiche della Dea della Natura, Regina dell'Averno.
Era diventata Regina e aveva molte responsabilità, ma non per questo voleva dimenticarsi dei buoni sentimenti e dell'amore. Persefone voleva essere una Regina giusta e amorevole, in grado di valutare sempre ogni situazione con occhio giusto, e di ammorbidirsi solo dove necessario. Lei si conosceva, quello che aveva fatto per Orfeo non sarebbe stato un caso isolato: per chiunque si fosse dimostrato degno, lei avrebbe concesso una possibilità.
Ade era un sovrano abbastanza severo per entrambi. All'Averno serviva quindi una sovrana più dolce. Una figura materna.
Anche quello era un passo per riportare l'Equilibrio nel loro mondo. Loro erano la luce e l'ombra, la vita e la morte, donna e uomo.


Purtroppo, però, c'era ancora molto da fare, e Persefone non era ancora stata in grado di assorbire e di sfruttare appieno i suoi poteri, senza farsi sottomettere da essi.
Orfeo era preoccupato per lei, e non era il solo.
Anche Ade, così come i Giudici e ovviamente Thanatos e Hypnos, vedevano quanto impegno Persefone ci mettesse, ma la Dea riusciva a resistere solo poche ore nella sala del Giudizio, anche a distanza di parecchi giorni dall'incoronazione.
Talvolta sveniva, accasciandosi su se stessa, altre chiedeva agli Dei gemelli di scortarla nei Campi Elisi, perché lì riusciva a riprendersi del tutto, distraendosi con le anime beate e con l'aria fresca che le accarezzava la pelle.
Una volta indossata la corona dell'Averno, lei era diventata Regina di quei luoghi, ma per essere Regina a pieno titolo, aveva ancora un importante compito da portare a termine.
Per prima cosa, avrebbe dovuto dimostrare di essere degna del titolo che il destino le aveva riservato. Per essere Regina a pieno titolo, avrebbe dovuto farsi accettare dall'intero Sottosuolo. Senza la totale approvazione di questo, Persefone non sarebbe mai stata pienamente Regina.
Pian piano stava cominciando a capire come sfruttare i propri poteri per aiutare il Regno a riprendersi dai lunghi anni bui nei quali Ade aveva regnato in solitudine, sobbarcandosi tutto l'enorme peso del controllo dell'Averno. Anche la piena conoscenza della storia, delle creature del regno, e il dominio assoluto dei propri poteri, erano essenziali per poter ristabilire l'Equilibrio del Sottosuolo.
Ogni notte si svegliava di soprassalto, dato che ad occhi chiusi sentiva le voci e vedeva le anime tormentate di chi in vita si era macchiato dei peggiori delitti, anime che si contorcevano e pativano pene atroci.
- Questo è il loro castigo. - gli disse una volta Ade, dopo che Persefone aveva raggiunto le sue stanze nel cuore della notte in cerca di conforto.
- Ma loro soffrono così tanto... Alcuni di loro si sono pentiti, non potremmo fare qualcosa?
- Vorresti forse mandarli nei Campi Elisi?
- Si sono pentiti per quello che hanno fatto, lo sento.
- Se io lo facessi, quelle anime tormentate che tu ti ostini tanto a difendere incontrerebbero le anime pure delle loro vittime. Non credi che sarebbe crudele? Inoltre, queste anime corrotte che hanno fatto per guadagnarsi la beatitudine? - chiese allora lui, fissando Persefone con aria indagatrice.
- Non intendo inviarli nei Campi Elisi, non prendermi per una donna avventata, incapace di fare ragionamenti sensati. Lo so che non meritano un tale privilegio, ma dopo tanti anni di tormento, non potremmo offrire loro una vita meno dura nell'aldilà? - Ade scosse la testa, dicendole di lasciare perdere, ma Persefone non riuscì a non pensarci, soprattutto dopo le testimonianze di Orfeo e gli effetti della sua musica sugli abitanti dell'Averno. Infatti, pochi giorni dopo, prese in disparte il Signore del Sottosuolo e lo condusse alla biblioteca del palazzo.
- L'altro giorno, dopo essere stata male, ho pensato di fare un giro qui e ho letto tante cose interessanti, tante credenze umane.
- Non mi sorprende che tu abbia avuto piacere nel leggere qualcosa riguardante il mondo degli umani. Mi hai trascinato via solo per dirmi questo? Lo sai che c'è sempre tanto lavoro... non posso assentarmi così dalla sala del Giudizio. - rispose lui. Anche se in apparenza sembrava dura la sua risposta, in realtà il Dio era felice di poter passare del tempo con la sua amata. Si era ricreata di nuovo quell'armonia che c'era in quei giorni che a lui erano sembrati appartenere a un'altra epoca. Così lontani, eppure così vicini.
Tuttavia, l'affiatamento che c'era fra loro quando Kore lo aveva baciato per la prima volta e preso per mano per raggiungere l'Averno e diventare la sua sposa, sembrava essere svanito. C'era ancora qualcosa fra loro che sembrava tenerli a distanza.
- Lo so, e mi dispiace di non poter ancora essere di vero supporto per te e per gli altri, ma avrei avuto un'idea. Fidati quando ti dico che ci ho davvero pensato tanto.
- Riguardo a cosa, Persefone?
- Ti ricordi l'altro giorno, quando abbiamo parlato delle anime dei mortali che ora vivono tormentate nel nostro regno? - Ade non la guardò nemmeno. Sapendo dove la Dea voleva andare a parare, voltò le spalle e si diresse verso la porta, dicendole che stava solo sprecando il loro tempo.
- Aspetta, io ci ho pensato a lungo, ho letto davvero tanti libri e pergamene. Non credi che sarebbe una buona cosa permettere a queste anime di redimersi per quanto hanno commesso in vita? - Ade la fissò stupito.
- Permettere loro di nascere di nuovo? È questo che mi stai chiedendo, Persefone? - La Dea annuì.
- Tenerle quaggiù e torturarle in eterno non serve a nulla. Loro vivono in eterno, giorno dopo giorno, torture indicibili per gli orrori che hanno commesso in superficie, ma non sono del tutto coscienti. - Persefone spiegò entusiasta la sua idea al Sovrano dell'Averno che la seguiva scettico. - Se permettessimo anche a loro, e non solo alle anime buone, di tornare in vita, potrebbero redimere la loro anima, condurre una vita serena. Lo sappiamo entrambi che la vita in superficie è dura... Anche quella può essere una tortura da espiare, una punizione per quanto hanno commesso nella vita precedente, non trovi? Sarebbe come un percorso di purificazione, e credo che l'Averno stesso ne gioverebbe - Persefone fissò il Sovrano speranzosa, mentre lui si chiuse nel silenzio per qualche minuto.
- Ci penserò. - fu la laconica risposta. Persefone non era del tutto soddisfatta, ma era pur sempre un inizio. Lei sapeva di avere acceso una punta d'interesse in Ade, e quella era già una piccola vittoria. - Non posso prendere una decisione tale così su due piedi, preferirei parlarne anche coi giudici e con Hypnos e Thanatos. Si tratterebbe di un cambiamento non da poco, mia cara.
Persefone annuì, dicendogli che avrebbe esposto con chiarezza la sua idea a chiunque Ade ritenesse necessario. Per lei quello poteva essere un modo per riportare l'Equilibrio nel Regno, ed era disposta a fare qualunque sacrificio, sopportare qualsiasi fatica, pur di dimostrare di essere davvero degna del ruolo che stava ricoprendo.


Di giorno in giorno Persefone cercò di dedicare un po' del suo tempo per muoversi all'interno del Regno, per quanto le sue poche forze glielo permettessero, soprattutto nella biblioteca del palazzo, dove ebbe modo di conoscere più a fondo la storia e i segreti di quel mondo, il suo mondo. Nonostante la corona le avesse rivelato moltissime verità un tempo celate ai suoi occhi sull'Averno, la Dea voleva conoscere molto di più sulle sue origini e sui suoi abitanti.
Ade aveva cercato di convincerla a desistere dall'affaticarsi, dato che la Dea era spesso vittima di mancamenti. Il Sovrano decise però di lasciarla fare.
A seguito della rivolta che lui e i suoi fratelli avevano mosso verso il loro tirannico padre, prima di diventare il Sovrano legittimo del Sottosuolo, aveva dovuto superare le stesse difficoltà. Se lui l'avesse ostacolata nel suo intento, se non l'avesse lasciata fare con le sue sole forze, il Regno non l'avrebbe mai accettata.
Ade si limitò a sostenerla a distanza, dandole il suo appoggio, ma lasciandole prendere in completa autonomia tutte le decisioni.
Persefone avrebbe trovato la sua strada per farsi accettare dall'Averno.
Sebbene non avesse ancora stabilizzato i suoi poteri, che ancora la rendevano debole, sembrava che più essa si muoveva all'interno del Regno e del suo passato, e più lei entrava in contatto con le creature che lo abitavano, si sentiva così meno affaticata, stanca e priva di forze. I suoi poteri diventavano più forti e lei si sentiva sempre più in grado di sfruttarli appieno.
Tutto l'impegno e l'amore che la Dea dedicò per giorni e giorni all'Averno, anche a costo della sua stessa salute, non passò inosservato, e alla fine, vennero raccolti i frutti di quel duro lavoro. Le voci che per parecchio tempo avevano tormentato la testa della povera Persefone, se ne erano finalmente andate. La Dea aveva infine capito come riuscire a sentire l'Averno senza però diventarne succube.
Persefone riuscì a diventare un tutt'uno con il Sottosuolo e tutte le sue creature, senza perdere se stessa. E il Sottosuolo, di rimando, riconobbe i suoi sforzi e la accettò come sua indiscussa e amorevole Sovrana.


Il lavoro che era sempre stato incessante, aveva comunque permesso a Persefone di parlare ai giudici e agli Dei gemelli della sua proposta per le anime dei mortali dannati.
Seppur all'inizio Minosse e Radamanto fossero scettici, le argomentazioni della Dea riuscirono a portarli dalla sua parte.
- Smaltiremmo parte del lavoro. - disse lei. - Ogni tanto so che qualcuna di queste anime riesce a liberarsi e fuggire, portando il caos dietro di sé. Io credo, che se succedono di queste cose, qualcosa non funzioni, e per questo bisogna pensare a qualcosa di nuovo. - Persefone era agitata, ma anche molto eccitata all'idea di poter creare un nuovo Averno. - Io credo che sia giusto far pagare le anime dei mortali che hanno commesso dei crimini imperdonabili in vita. Ma, una volta che arrivano quaggiù e dopo essere stati giudicati, loro perdono le memorie della loro vita passata. Subiscono il loro supplizio, ma non ne comprendono appieno il motivo. La vita è molto dura, gli umani passano delle vite davvero difficili, e forse quella è la vera condanna. - Quelle parole riuscirono a suscitare immediatamente l'interesse dei Giudici. - Io credo che, dopo un giusto tempo di condanna, le loro anime verrebbero purificate dalle vite passate, e per questo meriterebbero di ricominciare per potersi guadagnare una seconda possibilità di poter entrare nei Campi Elisi. Questa sarebbe una nuova rinascita per tutti, e anche per l'Averno. Gli umani non devono vedere la morte solo come la fine di tutto: l'inizio del supplizio per i malvagi, e la beatitudine per i giusti; devono capire che questa non è che una fase della vita. - gli occhi di Persefone brillavano per l'emozione immensa che provava mentre esponeva quel suo grande sogno. - Potremmo portare l'intera umanità a vedere l'Averno sotto una nuova e meravigliosa luce. Non devono credere che la morte sia la fine di tutto.
Ade si era già convinto. Era sempre stato certo che Kore, oramai Persefone, sarebbe stata una vera luce in quel regno che mai aveva goduto del caldo abbraccio di Helios.
Lei era diventata quel caldo abbraccio che in tanti avevano agognato, e che alcuni avevano visto durante la prima discesa della Dea nel Regno. Forse era davvero un'azione sconsiderata rimettere in libertà le anime degli uomini che avevano commesso atrocità in vita; tuttavia, se anche lui li avesse tenuti lì nel suo regno per l'eternità, questi non avrebbero mai capito fino in fondo quanto avessero sbagliato nella loro vecchia esistenza.
Vivere era difficile, per chiunque, e forse quelle anime, avrebbero di nuovo commesso gli stessi errori, però... c'era qualcosa nel disegno della Dea che era riuscito a convincerlo, portandolo ad appoggiare quella pericolosa proposta.
Non era mosso solo dall'immenso amore che provava per lei: lui la appoggiava perché voleva credere anche lui in quella visione meravigliosa, quasi utopica.
Dopo gli Dei gemelli e dopo Eaco, anche gli altri due Giudici acconsentirono, dando così inizio a una nuova era. Un nuovo ciclo che avrebbe portato a una nuova umanità.
Nessuno avrebbe mai scoperto che dietro a tutto c'era proprio la Signora dell'Averno, mossa dalla sua immensa bontà, ma a lei stava bene così. Lei che da kore aveva così tanto amato l'umanità, da donna voleva poter fare qualcosa di concreto.
- Tutti sbagliano, - diceva lei, - ma non sempre siamo noi a scegliere il cammino sul quale altri ci hanno indirizzato. Io voglio dare loro l'opportunità di prendersi il meglio della vita, senza però dover calpestare gli altri. Spero che la sfrutteranno.
- Lo spero anche io, mia cara, - sussurrò Ade, mentre i due videro la prima anima reincarnarsi.


I giorni da Regina trascorrevano più felici per Persefone, e con Ade era sempre più vicina, anche se ancora non riusciva a dirgli tutto quello che provava per lui. Temeva di fare quel passo in più che li avrebbe visti non come i semplici sovrani di quelle terre, ma come compagni di vita. Come marito e moglie, come uomo e donna.
Persefone avrebbe voluto fare qualcosa per poter annullare definitivamente quella distanza impercettibile che ancora c'era fra loro, ma qualcos'altro la tratteneva oltre alla paura di poter fare un passo falso.
C'era ancora qualcosa da fare prima di poter pensare all'amore che lei non aveva mai smesso di provare per Ade.
Per quanto il suo Regno l'avesse riconosciuta come sua Regina indiscussa, per quanto cercasse di portare sollievo e speranza non solo ad esso, ma anche ai suoi abitanti, mancava ancora qualcosa: il bene dell'Averno.
L'Equilibrio.
Cosa mancava ancora per ristabilirlo? Hypnos studiava giorno e notte, quasi senza sosta, muovendosi veloce fra gli scaffali e leggendo quanti più tomi possibile. Ma a nulla erano ancora valse le sue ricerche.
Ade, dal canto suo, aveva più volte provato a chiamare Madre Gaia, e a cercare lui stesso una risposta nel Regno, m nessuno aveva saputo rispondere alle sue domande e Gaia era sorda e muta alle sue preghiere, lasciandolo solo.
Persefone però non demordeva. Era ancora un po' provata dalla fatica, ma non avrebbe mai ceduto, e avrebbe cercato una risposta fino alla fine.
Lei era la Regina, e avrebbe per sempre lottato per offrire il meglio al Regno e al suo Popolo. Anche il Sottosuolo meritava di entrare in un'era di prosperità, così come per anni la Superficie e l'Olimpo avevano goduto dei suoi dolci frutti.
Le notti della Dea già da tempo non erano più tormentate dai lamenti delle anime, ma aveva cominciato a fare degli strani sogni.
Non ne capiva bene il senso, ma sapeva che quei sogni avevano un particolare significato. Lei sapeva che doveva recarsi in biblioteca, lo aveva visto, e sapeva che lì avrebbe trovato tutte le risposte che stava cercando.
Finalmente l'Averno sarebbe rifiorito ancora.
L'Averno sarebbe diventato un Regno ancora più grande e più bello di quanto non lo era mai stato.


Nel cuore della notte, Persefone si fece condurre nella biblioteca dove stava lavorando Hypnos. La ninfa al suo servizio provò a dissuaderla, cercando di convincerla a riposarsi ancora, ma la Regina era decisa a raggiungere la biblioteca, con o senza scorta. Avevano aspettato così a lungo le creature degli Inferi, per Persefone era molto più importante sacrificare qualche ora di sonno se questo avrebbe portato alla rinascita del suo Regno.
- Mia Regina, cosa succede? Cosa vi porta qui a quest'ora? chiese il Dio sorpreso vedendo la sua Regina fare capolino nella sala.
- Hypnos, ho bisogno del tuo aiuto. - disse lei facendo cenno alla ninfa di lasciarli. - Sono certa che solo tu, oltre ad Ade, hai le conoscenze di cui necessito. - Il Dio del Sonno era ben lieto di dare una mano alla Regina.
Dal giorno dell'incoronazione la Dea si era adoperata per svolgere al meglio il suo ruolo. La tristezza a la rabbia se ne erano andate, lasciando che la dolcezza di sempre potesse tornare.
Fra i due regnanti non c'era più l'ostilità che Kore aveva alimentato; si erano riavvicinati, ma non si sentivano ancora così uniti. Per Hypnos era solo una questione di tempo. Sapeva quanto l'uno tenesse all'altra e viceversa. Non era tanto una questione di se, ma di quando. Fosse stato per Thanatos, avrebbero dovuto costringere i due Dei a starsene chiusi in una stanza per chiarirsi, ma quello non era l'approccio migliore per poterli aiutare.
Inoltre, c'erano questioni ben più gravi a cui prestare attenzione. L'affaticamento di Persefone non era una questione da sottovalutare, e lui, così come il fratello, erano molto preoccupati per lei.
Nonostante tutto, però, la Regina non si lamentava. Non appena ritornava in forze, riprendeva posto accanto ad Ade nella grande Sala del Giudizio, intervenendo o commentando, sorridendo e commuovendosi di fronte alle storie dei mortali giunti al loro cospetto; oppure si recava in biblioteca, per continuare le sue ricerche.
- Io sono convinta che c'è ancora qualcosa che non abbiamo considerato. - disse lei pensierosa. - Io sono stata accettata dal Regno, questo è innegabile, e sto cercando il più possibile di aiutare le anime che lo popolano, dando loro sollievo e redenzione. Ma tutto questo non è bastato per riportare l'armonia nell'Averno. Dobbiamo fare ancora qualcosa.
Hypnos la ascoltò preoccupato. Di certo c'era un sogno particolare, e doveva esserci un significato dietro a quelle immagini e sensazioni provate dalla Dea.
- Ricordate qualcosa dei vostri sogni? - Persefone scosse la testa, spiegando al Dio che c'erano solo immagini confuse del regno e un'improvvisa oscurità.
- Oh sì, e poi come un battito.
- Un battito?
- Sì, ricordo di avere affondato le mani nella terra, era buio e non so dove mi trovassi... So però di certo che le mie mani stavano toccando della terra. Poi ho sentito il cuore della terra, il suo battito. - Hypnos cominciò allora a cercare frenetico muovendosi da una parte all'altra della biblioteca. Si era ricordato di un antico libro che forse poteva dare loro qualche risposta. Il Dio del Sonno prese quanti più libri trattassero dell'argomento dei sogni e delle simbologie, portandoli tutti sul grande tavolo posto al centro del salone.
Persefone li sfogliò con cura, e quando s'imbatté nell'immagine del palazzo dell'Averno, esultò.
- Credo di averlo trovato, Hypnos. - aveva il respiro quasi mozzato – È solo una sensazione, la mia, ma credo che questo sia proprio quello che stavamo cercando.
Il Dio la raggiunse immediatamente, lasciando così cadere gli ultimi libri presi, e quando guardò il tomo che la Regina reggeva, sorrise come mai aveva fatto prima.
- Come ho fatto a non pensarci prima?! - disse più a sé stesso che a Persefone. - Tutto ha un senso, il regno, l'oscurità, la terra e il battito. Sì, ora ho capito!
- Ti spiacerebbe spiegare anche a me? - Hypnos le sorrise.
- Conoscete la storia dell'Averno, no? - Persefone annuì. Anche se le era stata spiegata, dopo essere diventata Regina, aveva ottenuto poteri e conoscenze dei tempi remoti.

 
Tanto tempo fa il Sottosuolo non era un regno oscuro, come lo potete vedere ora, ma molto più simile ai Campi Elisi. Le anime che popolavano l'Averno non erano così numerose, e vivevano in pace. Non c'era un regnante, non serviva. Madre Gaia vegliava sul primitivo Sottosuolo, e tutto sembrava essere perfettamente armonico. L'albero di melograno produceva i suoi preziosi frutti, e la vita per tutte le creature che abitavano il Sottosuolo, era gioiosa e serena.
Questo accadeva ancora prima della Titanomachia. Durante quegli anni bui, l'Averno conobbe i primi mutamenti, e l'albero cominciò a produrre sempre meno frutti, e la luce che splendeva era sempre più pallida. Grandi terremoti scossero il Regno da cima a fondo, e si crearono delle rotture che non siamo mai stati in grado di richiudere. Si è così venuto pian piano a creare l'Averno che tu conosci.
Quando il Nostro Signore è sceso per governare, il regno era dominato dal Caos, e l'albero stava già morendo.
Ade provò a salvarlo, ma fu del tutto inutile. L'unica parte rimasta sana di quel regno meraviglioso che era un tempo l'Averno, è quella che voi amate di più: i Campi Elisi.


Persefone ascoltò con la tristezza nel cuore quelle parole. Conosceva la storia, ma l'amarezza riflessa negli occhi del Dio, le fecero provare lo stesso sentimento che aveva provato quando Madre Gaia le aveva rivelato la verità.
Si sentiva persa, sola e triste.
Cosa poteva aver provato Ade quando si era visto Sovrano di un regno in decadenza? Quanto solo doveva essersi sentito nel dover cercare di arginare i danni che le dispute passate avevano creato in quel regno?
Non era stata unicamente la superficie a patire per le guerre combattute dagli Dei e dai Titani... il Sottosuolo aveva forse patito più di tutti gli altri regni.
L'Averno era l'unico fra i Regni devastato dalle dispute degli immortali, che non si era mai ripreso del tutto.
- È terribile quello che mi stai dicendo, Hypnos. Io non avevo visto... - Persefone conosceva la storia, l'aveva vista, ma solo parzialmente. Il suo Regno l'aveva accettata, ma quante cose ancora lei non conosceva?
- Sì, lo è... - disse lui quasi con rassegnazione, poi però la guardò con la solita dolcezza. - Ora che voi siete arrivata, le cose cambieranno.
- La storia che mi hai raccontato... Che cosa c'entra col mio sogno? Hai capito il suo significato? - Il Dio le sorrise e le chiese se ricordava quanto Ade le aveva detto riguardo l'albero di melograno.
- Certo. Il gemello dell'albero dell'Averno si trova in superficie, davanti all'ingresso stesso della caverna che porta al nostro Regno. Ade ha provato a piantare qualche seme, ma non è mai riuscito a far rinascere l'albero... - Bastarono pochi secondi per far capire a Persefone cosa doveva fare. Incrociò sorridendo il volto del Dio del Sonno, e per la felicità lo abbracciò ridendo come una bambina.
Finalmente sapevano che cosa fare per salvare il loro Regno.


La Regina e il Dio del Sonno non potevano aspettare, così corsero immediatamente verso le stanze di Ade. Persefone però, prima di bussare alla sua porta, si fermò.
- E se lo disturbassimo? Forse dovremmo ripassare più tardi, o, meglio ancora, fare noi il lavoro. Se per caso fallissimo... - disse lei titubante. Non voleva deludere Ade, o sentirlo che la rimproverava. Non l'aveva fatto con Orfeo quando lei aveva preso le decisioni da Regina, ma avrebbe potuto farlo in quell'occasione.
Persefone voleva rendersi utile, ma spesso le forze venivano meno nel momento sbagliato. Lei voleva rimanere nella sala, ma Ade spesso le intimava di allontanarsi e di riposarsi. Lei lo sapeva che lui agiva per il suo bene, ma a volte le era davvero insopportabile sentirsi così fragile.
- Non falliremo, e comunque è l'alba ora in superficie.
- Cosa?! Di già?
- Il tempo vola quando si è impegnati, mia Regina.
Hypnos la incoraggiò a bussare, ma prima che lei potesse farlo, un assonnato Ade aprì la porta.
- Perdonaci. Ti abbiamo svegliato? - chiese lei evitando il suo sguardo.
- Con tutto il baccano che avete fatto, chiunque si sarebbe svegliato. - Il Dio squadrò prima Hypnos e poi Persefone. - Cosa succede di così importante? - Il suo tono sembrava distaccato, ma era davvero felice di vedere la sua Regina.
- Ecco, noi abbiamo forse trovato il modo per ricreare l'Armonia perduta del Regno. - incominciò a spiegargli Persefone.
- Credo che dentro saremo più comodi, non trovate? - Ade li fece entrare nella sua camera e li fece accomodare.
Persefone gli raccontò dei sogni che lei aveva fatto e della ricerca fatta in biblioteca.
- Perché non mi hai parlato prima di questi sogni? - Chiese lui fissandola intensamente. Persefone era molto imbarazzata.
- Pensavo fossero sogni privi d'importanza, mio Signore.
Ade sospirò e annuì. Disse che l'analisi di Hypnos era molto accurata, e che quasi sicuramente era l'unica spiegazione a quegli strani sogni fatti dalla Regina. Decise di condurla lui stesso in superficie per cogliere un frutto di melograno e provare a piantare di nuovo i semi.
- Anche se ora sei la Regina dell'Averno, rimani pur sempre la Dea della Natura. Il tuo contributo credo sarà fondamentale per la rinascita dell'albero. - disse sorridendo di sottecchi, porgendole poi il braccio, - Vogliamo andare?


Thanatos, vedendo i due Sovrani, seguiti dal suo gemello, dirigersi verso l'uscita del palazzo, non poté non avvicinarsi per scoprire cosa stesse accadendo. Era certo che fosse qualcosa di importante e non voleva perderselo per nulla al mondo.
Da quando Kore era diventata Persefone, aveva lasciato il palazzo solo e unicamente per recarsi nei Campi Elisi e nella Sala del Giudizio.
Quella non era certo la direzione giusta, e lui avrebbe presto scoperto che cosa essi avessero in mente.
- È la tua prima uscita in superficie da Regina, non posso perdermela! - insistette lui, dicendo che era suo preciso obbligo accompagnarla. Hypnos sospirò, dicendo al fratello che la loro non era una visita di piacere. - Oh, sì! Ovviamente è importante anche l'Equilibrio del regno. Era scontato!
Quando Cerbero sentì del loro arrivo, abbaiò festoso, contento di poter rivedere la sua amata padrona.
Da quando era diventata Regina, Persefone non era stata più in grado di recarsi da lui regolarmente, e il temibile guardiano degli Inferi aveva sofferto moltissimo per quella lontananza.
- Ti prometto che cercherò di passare a trovarti più spesso. - gli disse lei con dolcezza. A Persefone si stringeva il cuore, aveva sentito anche lei la sua mancanza, ma non potevano fermarsi più a lungo. Lei voleva sapere se avevano interpretato bene il suo sogno e se portando negli Inferi il melograno della superficie, lei sarebbe stata in grado di salvare il loro Regno.
- Dici che funzionerà? - chiese titubando ad Ade, mentre si avvicinavano sempre più verso l'uscita.
- Non lo possiamo sapere, ma io credo di sì. - disse stringendole la mano. - Abbi più fiducia in te stessa. Non sei più una kore. - Persefone arrossì per quel tenero gesto e per le sue parole.
Quando uscirono finalmente dall'antro della caverna, Persefone inspirò a pieni polmoni l'aria fresca della superficie. Il sole brillava alto nel cielo, e i raggi del sole non le erano mai sembrati così piacevoli come in quel momento.
Era così felice che pianse per l'emozione, e Ade le si avvicinò, abbracciandola con dolcezza.
- Scusatemi. - disse lei asciugandosi le lacrime.
- È passato molto tempo. - disse Thanatos con la sua solita allegria e spensieratezza, - Credo sia normale.
- Non avevo mai visto gli alberi in questo stato... - commentò Hypnos.
Le quattro divinità osservarono la natura circostante, non più verde, bensì del color dell'oro e del rame.
- Tanto tempo fa mi capitò di vedere una situazione del genere... - disse Ade distogliendo lo sguardo pensieroso, lasciando andare Persefone, che si mise a camminare fra le foglie secche che erano cadute a terra.
Anche lei non aveva mai visto gli alberi tinti del colore del sole, ma non li trovava brutti. Li osservò con meraviglia e stupore, lasciandosi incantare da quell'insolito paesaggio.
- Magari c'è stato un periodo di siccità nella zona. Del resto con mia madre tenuta in ostaggio da Gaia... - Era da molto tempo che lei non pensava alla madre. Non l'aveva dimenticata, in realtà, ma da quando era diventata Regina, quello era stato l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva saputo, tramite Hermes, che Madre Gaia aveva deciso di liberare Demetra, e lei aveva gioito di fronte a quella bella notizia. Purtroppo, però, non aveva ancora avuto modo di rivederla.
“Spero che questa non sia una punizione inflitta da mia madre sul resto del mondo per causa mia...” pensò lei.
- Persefone, - disse Ade richiamando la sua attenzione, - non siamo venuti qui per prendere qualcosa? - le chiese lui indicandole l'albero di melograno, apparentemente immune al cambiamento che aveva intaccato gli altri alberi.
- Sì. - rispose lei avvicinandosi ai rami e allungando la mano per coglierne un frutto.
“È passato così tanto tempo”, pensò lei ricordando la prima volta che vi si era trovata davanti. “tante cose son cambiate da allora...”. Senza neanche pensarci, la Dea si voltò incrociando lo sguardo del Dio.
- Possiamo andare. - disse Persefone. - Credo che un frutto basterà; del resto, ho bisogno solo di qualche seme.
Sorridendo, precedette gli Dei entrando nella caverna.
- Thanatos, Hypnos. - chiamò Ade, e gli Dei gemelli si inchinarono al suo cospetto.
- Sì, Mio Signore? - risposero in coro.
- Che uno di voi si rechi immediatamente da mio fratello. - disse lui serio in volto. - Di sicuro sa cosa sta accadendo.
- Andrò io. - disse Thanatos, trasformandosi immediatamente in corvo. - Vegliate voi sulla Regina, e ditele che mi sono dovuto assentare per svolgere il mio lavoro. - Il corvo volò velocemente in direzione del monte Olimpo, sparendo alla vista del fratello e del suo Signore.


Non appena Persefone arrivò a palazzo, si diresse immediatamente là dove una volta si ergeva l'albero dell'Averno. Ade chiese ad Hypnos di lasciarli soli, ma di avvertirlo immediatamente non appena Thanatos fosse tornato con notizie da parte di Zeus.
Persefone era talmente presa da quello che doveva fare, che non si accorse nemmeno di essere rimasta sola con Ade.
Con mani tremanti, aprì il frutto della superficie e ne prese qualche seme. Scavò una piccola buca e fece scivolare con dolcezza i chicchi dai riflessi rossastri, ricoprendoli poi con la soffice terra e donando loro un po' d'acqua.
Si concentrò, così come aveva fatto molte altre volte prima di allora. Pensò al seme che si schiudeva, lasciando che la piccola piantina bucasse la terra, fuoriuscendo in cerca dei caldi raggi del sole e diventando sempre più grande, con radici robuste e sane.
Persefone immaginò ancora una volta la crescita del piccolo seme che diventava un grande albero, infondendo in esso tutto il suo potere.
Lo aveva fatto talmente tante di quelle volte che era diventato naturale per lei come bere. Quando aprì gli occhi però, non vide nulla.
Stupita, tastò il terreno, ma sembrava che il miracolo tanto atteso non fosse avvenuto.
Scavò allora, in cerca dei semi piantati, e quando li trovò, ebbe la più amara delle sorprese: si erano seccati. Mai prima di allora le era accaduto.
- Com'è possibile? - disse lei con voce straziata. - Perché non ha funzionato? - chiese sul punto di scoppiare in lacrime. Lei era la Dea della Natura, com'era possibile che le piante non crescessero secondo i suoi voleri? Era per lei terribile sentirsi così inutile. Aveva fallito là dove lei non avrebbe mai dovuto fallire. Ade le si sedette accanto.
- Hai fatto del tuo meglio. Forse non c'è speranza per il regno. - non vi era rimprovero nelle sue parole, tuttavia, per Persefone era una sconfitta davvero amara. - Forse dovremmo andare avanti così... ti sei fatta accettare dall'Averno e dal nostro popolo, e questo è già abbastanza per me. - le disse lui, costringendola ad alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
- Ma non lo è per me, Ade. - tremava la voce di Persefone, non riuscendo più a trattenere le lacrime. - Io voglio fare di più, non voglio che tu o che il Regno vi dobbiate accontentare di una Regina a metà. Io... - Ade la strinse a sé, fin quasi a farle male. Persefone sentì una lacrima sfiorarle la spalla.
- A me basta che tu sia qui con me. - sussurrò lui.
- Ade... - Persefone si scostò da lui, voleva vederlo in volto, e vide l'uomo che per colpa sua aveva sofferto più di chiunque altro. Lo vide per la prima volta toccato ed emozionato, un aspetto di lui che nessuno avrebbe potuto credere che esistesse. - Ti chiedo scusa... per tutto quanto.
Persefone gli accarezzò il volto e, col cuore che temeva le avrebbe forato il petto per quanto le batteva forte, lo baciò.
In quel momento sentì non solo che tutti i problemi che c'erano stati erano oramai solo un triste ricordo; Persefone sentì di nuovo quel battito che aveva sentito nel suo sogno. Sentì di nuovo il battito del cuore della terra.
- Persefone... - sussurrò lui.
- Sì. L'ho sentito. E ho capito. - disse con dolcezza prendendo le mani di lui fra le sue, baciandogliele.
- Non ha funzionato prima, perché l'ho fatto da sola. Facciamolo insieme. Restituiamo la luce all'Averno.
La Dea prese di nuovo il melograno e ne colse qualche chicco, chiedendo ad Ade di fare lo stesso.
Scavarono una nuova buca e sempre insieme vi depositarono i chicchi, ripetendo gli stessi gesti che la Dea aveva fatto in precedenza.
- Sono certa che ora funzionerà. - disse la Dea, stringendo per le mani il suo amato.
E allora avvenne un nuovo miracolo per quel Regno che tanto aveva patito, che tanto aveva sofferto.
Fu come quando lei si poggiò la corona sul capo: una lieve scossa, poi un'onda di luce partì dal terreno, espandendosi per tutto l'Averno. La piccola zolla si smosse, e lentamente crebbe di fronte ai loro occhi l'albero di melograno, che si riempì immediatamente di grossi e succosi frutti.
Dalle finestre del palazzo filtrava una luce diversa, più calda e chiara, che rischiarava tutto il Sottosuolo. Una luce nuova che non si era mai più vista nel Regno da secoli.
- Ce l'abbiamo fatta! - disse stringendosi emozionata ad Ade, mentre lui le accarezzava la testa con delicatezza.
- Sì, ce l'abbiamo fatta.
Dopo tutti quei secoli, finalmente anche l'Averno poteva conoscere una nuova era di prosperità. Non sarebbe mai tornato ad essere quel paradiso splendente di un tempo remoto, ma i due Sovrani sapevano che quella luce sarebbe stata solo un preludio di un nuovo inizio per il Regno del Sottosuolo.
Nei tempi successivi, la natura dell'Averno riprese a crescere più rigogliosa che mai, le piante che si credevano andate estinte crebbero di nuovo dopo che la nuova luce irradiò l'intero Regno.
I preziosi frutti che crescevano sul melograno, donarono nuovi poteri alle creature che abitavano quei luoghi.
Una nuova vita, questo rappresentava il melograno, il ponte fra la Superficie e il Sottosuolo. Quell'albero era la vita che si insediava di nuovo nel regno dei morti.


L'insperato ritorno dell'Equilibrio, della vita nel mondo sotterraneo delle anime, fu motivo di grandissimo entusiasmo e felicità per gli Dei e tutte le creature del luogo. Sfortunatamente, però, tale euforia durò molto poco.
Da qualche giorno nell'Averno stavano arrivando parecchie anime, o per meglio dire, il carico che normalmente il burbero Caronte trasportava con sé ogni giorno, era addirittura raddoppiato. La stima dei morti sembrava destinata a crescere ancora, e la cosa finì col mettere in agitazione il vecchio traghettatore. Una qualche strana calamità doveva essersi abbattuta nel regno di Superficie.
- Se la situazione continua a peggiorare, sarò obbligato a chiedere ai Sovrani di eleggere altri traghettatori: il lavoro si fa sempre più pesante. Mi spiace scomodare la Regina, anche lei ha avuto non pochi grattacapi da quando è scesa quaggiù, ma stando così le cose non posso fare tutto da solo. - si lamentò Caronte. - Di giorno in giorno scendono sempre più anime, e io da solo non so quanto ancora riuscirò a reggere. - Aveva commentato lui, mentre il preoccupato Orfeo suonava tristemente la sua adorata lira. Quella battuta non era poi così lontana dalla verità: tutte quelle anime dovevano essere traghettate, e Caronte da solo avrebbe faticato moltissimo.
- Gliene parlerò, amico mio.
Quando Orfeo tornò a palazzo, trovò i due sovrani molto indaffarati. Caronte aveva fatto uno sbaglio coi conti.
A distanza di pochi giorni dalla fioritura del melograno che i Sovrani avevano piantato, la quantità di anime che scendevano negli Inferi non era raddoppiata, ma triplicata.
Ade e Persefone, aiutati dai giudici, stavano smistandole a ritmo frenetico.
Solo Ade e gli Dei gemelli conoscevano la causa di quell'inaspettato aumento di morti, ma ancora non erano pronti per rivelarlo a Persefone.
Come avrebbe reagito la Regina, scoprendo che la causa di tutti quei decessi, era proprio lei?


 
L'angolo di Shera ^_^


Salve a tutti e buona domenica.
Siccome son tanto fortunata, per sbaglio ho chiuso la pagina senza salvare, dopo aver quasi finito di scrivere il mio siparietto. Come se questo capitolo non avesse già dato abbastanza grattacapi.
Oramai la mia cadenza per Lux Averni è di due settimane, spero per la fine dell'anno di riuscire a pubblicare gli ultimi due capitoli, non ne posso davvero più -.-. Sarà che son scorbutica di mio, sarà che sta per arrivare la zia Flo, sarà che la prima parte di questo capitolo mi ha fatto venire voglia di gettaare il portatile fuori dalla finestra, ma io non vedo l'ora di concludere questa long. E dire che non è nemmeno la long che mi ha tenuta più incollata alla scrivania, eppure...
Forse dovrei darmi una calmata, ma non ho mai sofferto così tanto per un capitolo, anzi, per metà. La stesura è stata quello che è stata, non era una parte particolarmente entusiasmante, ma era da fare... la revisione è stato il mio peggiore incubo.
Credo che per un po', dopo aver finito con Lux Averni, le long non le toccherò per un lungo periodo.
Son giù di morale e la voglia di scrivere non è al top.
Anche se son comunque riuscita a scrivere oggi una delle quattro long in programma (due sotto suggerimento del mio ragazzo, e due sotto suggerimento di Crateide che ringrazio per i prompt suggeriti ^_^).

Spero che, al di là, del mio pessimo umore, il capitolo sia stato di vostro gradimento ;)
Demetra sta per tornare, e la nostra coppia dell'Oltretomba si ritroverà a dover affrontare l'ultimo grosso ostacolo.

Ringrazio caldamente Liliav per aver aggiunto la storia fra le seguite, Effe46 per averla aggiunta fra le preferite, severus_lovegood e Stefy_02, per averla aggiunta fra le ricordate.

Per il momento chiudo qui. Grazie per il supporto, i commenti e i preziosi consigli. Grazie di cuore e a presto.

Shera ♥

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'ultimo Sacrificio ***


- L'ultimo sacrificio -




I giorni nell'Oltretomba trascorrevano sereni per Ade e Persefone. I due Sovrani, nonostante il lavoro incessante che sembrava aumentare sempre più, erano riusciti a ritagliarsi del tempo per loro, e per festeggiare il loro tanto sospirato matrimonio.
Le due divinità, padrone del Sottosuolo, che si erano finalmente ritrovate, erano finalmente libere di stare insieme, svincolati da ogni pregiudizio e limite.
Ma un'ombra si stava per abbattere di nuovo nel loro Regno. L'ombra di quello che stava accadendo in Superficie e che già da un po' di tempo aveva cominciato a far impensierire la dolce Persefone, che si chiese quale sciagura si stesse abbattendo lassù.
Nonostante Ade avesse provato a tenere all'oscuro la moglie dai problemi che si stavano verificando, era impossibile per lui nasconderle la verità.
Troppe anime stavano giungendo negli Inferi, per troppi giorni consecutivi.
- Lo so che lo sai, Ade. Perché non me ne vuoi parlare? Ha a che fare con mia madre? - chiese lei aggrottando le sopracciglia. Ade sospirò, e quando i loro sguardi si incontrarono, il Dio capì che non avrebbe potuto nasconderle più nulla.
- Non volevo angustiarti con quello che accade in superficie. Senza volerlo né saperlo, la causa di tutto, sei tu, mia amata.
Persefone abbassò lo sguardo. Lo aveva già intuito, ma ancora non sapeva cosa fosse accaduto.
- Cosa sta succedendo? Dimmelo, ti prego! - Ade la fissò sconsolato. Anche se quella richiesta le avrebbe fatto male, Ade decise di accontentarla, dicendole la verità.
- Siediti, perché non sarà piacevole.
- Sono pronta.


Durante quei lunghi giorni di prigionia, Demetra si era ritrovata in uno spazio-tempo estraneo e nuovo.
Non vi era dimensione, non vi era spazio né alcun suono.
Demetra si era ritrovata a fluttuare nel nulla, avvolta da una luce immacolata.
Quel luogo in cui l'aveva relegata Madre Gaia era una immensa prigione dove l'unica cosa che esisteva, era la persona che vi veniva imprigionata.
- Madre Gaia, liberami! Io ti ho sempre servita con amore e devozione! Perché mi tratti così ora? Perché mi allontani dalla figlia che amo e che ho tanto cercato?
In quella strana dimensione bianca, Demetra si era ritrovata sola, ad implorare per la propria libertà, e per quella della figlia.
Come poteva essersi lasciata ingannare in quella maniera? Gaia l'aveva davvero solo usata per il bene del Cosmo?
Era davvero quella l'unica verità?
Demetra passò giorni ad interrogarsi su quei punti.
Ogni tanto alzava la voce, implorava, lanciava maledizioni contro la Madre della Terra e contro il fratello che l'aveva privata dell'amata figlia.
Si sentiva sola, e a volte scoppiava a piangere, ma nessuno rispondeva ai suoi numerosi tormenti.
In quel luogo non esisteva il giorno e la notte... Tutto sembrava infinito e Demetra finì col perdere la cognizione del tempo che passava.
- Ne hai abbastanza? - Un giorno, Demetra sentì di nuovo la voce di Madre Gaia, e fu per lei come un sogno. L'aveva tanto sperato, e a lungo aveva pregato di poter ricevere una sua risposta.
- Voglio tornare a casa e riabbracciare mia figlia. Ti prego, Madre di tutte le divinità che hanno solcato il tuo suolo sacro, ti prego, concedimi il tuo perdono e fammi tornare a casa.
- Sei pentita per aver tentato di ostacolare il Destino? Sei pentita di aver ostacolato il ripristino dell'Equilibrio dell'Averno? - Demetra non rispose subito.
- Io volevo solo proteggere la mia bambina. Non volevo che qualcuno me la portasse via.
Madre Gaia le pose ancora quelle domande, e infine, Demetra cedette.
- Sì, ho sbagliato, ma le mie intenzioni erano nobili.
- Nobili?
- Sì. - rispose Demetra. - L'amore di un genitore per i propri figli è nobile. Io volevo solo difendere la mia amata figlia dall'oscurità che si cela nel mondo. Io ho cercato di fare del mio meglio come madre... - gli occhi della Dea si riempirono di lacrime, - ma non è stato abbastanza. Ora Ade la tiene imprigionata nel suo regno, e non oso immaginare le brutture alle quali lui l'ha costretta.
- Costretta? Demetra cara, tu sottovaluti tuo fratello. Lui non ha dovuto costringere tua figlia, è stata lei ad accoglierlo, è ben diverso.
- Mai! - le urlò contro la Dea delle Messi, - Ciò che dici non è vero, mia figlia non avrebbe mai acconsentito.
- Ah no? Ne sei davvero sicura?
- Fermamente!
- E allora guarda, guarda coi tuoi occhi quello che è accaduto e quello che sta accadendo proprio ora.
Così, Madre Gaia, mostrò a Demetra dei primi faticosi giorni della figlia nel mondo del Sottosuolo e del suo rifiuto per il Signore dell'Averno.
- Avevo ragione!
- Aspetta, e non arrivare alle conclusioni troppo in fretta.
La divinità primordiale mostrò a Demetra del lento cambiamento della figlia, del suo ingresso nei Campi Elisi, e del suo incontro con Cloe.
Quando Demetra vide l'affiatamento naturale fra madre e figlia, si sentì male, come se la sua bambina l'avesse tagliata via dalla propria esistenza. Come se si fosse scordata di lei.
- Anche se non si sono mai viste, il legame di sangue sembra aver avuto la meglio.
- Mia figlia però rimane sempre mia figlia.
Demetra cercò di nascondere tutto il suo dolore a Gaia, ma all'antica divinità nulla poteva sfuggire. Essa però non infierì su quella ferita aperta.
Lo scopo di Gaia non era quello di far star male Demetra, ma di farle capire che c'era un ordine prestabilito per ogni cosa; che per il bene del Cosmo, avrebbe dovuto accettare i cambiamenti che erano avvenuti nel mondo che lei conosceva. Solo se fosse stata in grado di accettare tutti quei mutamenti, sarebbe stata in grado di essere felice.
- Alla fine ha accettato la corona... - disse la Dea della Natura, mentre l'immagine annebbiata della figlia che diventava Regina, si dissolveva nel nulla.
- Ed è stata una sua scelta indipendente, mia cara. - Demetra non rispose.
- Non potrò vederla mia più.
- Ci saranno alcune occasioni, Demetra.
- Ma non sarà più come prima.
- Questo è vero. Kore non è più una bambina, non potrai più trattarla come tale.
La Dea delle Messi si guardò attorno, tutto quel bianco le aveva fatto avvertire come un gelo nel cuore.
- Voglio tornare a casa.
- Non farai nulla per ostacolare il cammino di Persefone?
Persefone.
Quel nuovo nome che la figlia si era scelta le faceva venire una orribile sensazione di freddo. Sentiva come se il legame che aveva con la figlia fosse stato reciso di netto.
- Sia così, Gaia. Io non interferirò più con lei.
Demetra si sentì come risucchiare via da quel luogo in cui era rimasta rinchiusa per quel lunghissimo periodo. Demetra chiuse gli occhi e immaginò le verdi colline sulle quali conduceva la figlia quando era ancora solo una bambina.
- Vorrei tanto poter tornare a quei tempi in cui potevo ancora proteggerti...
Quelle parole svanirono assieme alla sua figura da quella dimensione in cui era stata confinata.


Demetra si ritrovò di nuovo nella sua amata terra, nella sua casa, con tutte le sue fidate ancelle riunite al suo capezzale. Demetra provò a parlare, ma non riusciva a proferire parola.
- Non sforzatevi troppo. - disse Atlanteia con il viso corrucciato dalla preoccupazione.
- Avete dormito per cinque giorni da quando siete ricomparsa sulla soglia del palazzo. - Anthea le porse una bevanda fresca e dall'aroma fruttato.
- Eravate ridotta davvero male. Era da secoli che non vi avevamo più vista in uno stato simile. - Egeria non era mai stata il tipo da lasciar trapelare le proprie emozioni, ma in quel momento si poteva leggere un misto di sollievo e di immensa pena. Per tutto il tempo che lei, la Dea delle Messi, era sparita dal mondo, le sue fidate ninfe si erano date da fare non solo per ritrovarla, ma anche per mantenere saldo l'equilibrio del mondo.
- Quando starete meglio...
- Dov'è Kore? Dov'è mia figlia? - Le cinque ninfe riunite nella sua stanza si scambiarono un'occhiata di rammarico.


Quando la loro Dea aveva fatto ritorno nel loro mondo, era svenuta fra le braccia di Anthea, ma non prima di pronunciare parole che inquietarono le cinque ninfe.


Questo non è che l'inizio. Questa era sta per finire. L'Estate Senza Fine è giunta al termine.


Quelle parole non erano il vaneggiamento di una donna provata e in fin di vita. Quelle parole erano una profezia.
Un'infausta profezia.
L'Estate Senza Fine era quel periodo meraviglioso nel quale tutti, uomini, ninfe, creature mostruose e divinità avevano vissuto per secoli, e che ora, con il ritorno di Demetra, stava mostrando il suo declino.
Già i primi cambiamenti erano stati visibili: le piante avevano cominciato a seccarsi, e le foglie a cambiare colore. Per quanto affascinante fosse vedere gli alberi dalle chiome variopinte, le ninfe sapevano che quello era l'inizio di un mutamento radicale.
E tale mutamento si verificò anche con alcuni animali, che avevano cominciato ad adottare certi comportamenti insoliti: alcuni volatili cominciarono a riunirsi in grandi stormi e ad abbandonare i propri nidi, mentre alcune bestie dei boschi sembravano nutrirsi più del normale.


- Divina Demetra, - si fece avanti titubante Phoebe, per rispondere alle insistenti domande della sua Signora, - vostra figlia è diventata la Regina dell'Oltretomba.
Demetra non ebbe alcuna reazione.
Lei già lo sapeva, ma ancora non lo credeva possibile.
Sua figlia si era lasciata plagiare da quell'ingrato di suo fratello. Kore non sarebbe mai più tornata da lei.
Mai più.
Demetra sentì come una stretta lancinante al cuore, e un dolore mai provato prima che le percorreva tutto il fragile corpo.
- Dovete pensare solo a riprendervi, Mia Signora. - Kraneia le porse una ciotola calda. - Rimettetevi in forze, e poi ci riprenderemo Kore.
Il vociare delle ninfe fece quasi arrabbiare Demetra. Parlavano tanto di riprende Kore, la sua kore, ma non sapevano.
Del resto, però, come avrebbero potuto sapere quello che lei aveva passato nella prigione in cui Gaia l'aveva rinchiusa?
Kore non sarebbe più tornata da lei.
Gaia non l'avrebbe permesso.
- No, lasciatela dove sta. Lei ha... - le bruciava, le pesava dover dire quelle parole, - … fatto la sua scelta. E ha scelto Ade.
- Ma ci deve essere... - Demetra zittì Atlanteia. Non voleva più discuterne. Prese la ciotola con la minestra che le avevano preparato e la mangiò.
Non aveva fame, ma il suo corpo la spingeva a nutrirsi.
Sentiva il lamento della natura là fuori.
Sentiva il lamento delle creature.
Sentiva anche le paure degli uomini per quei cambiamenti improvvisi del mondo.
Era stata lei a causarli? Se lo chiese, ma non le importava di conoscere la risposta.
Demetra non voleva più preoccuparsi di nulla.
La sua bambina, la sua unica figlia le era stata strappata, e lei si sentì di nuovo persa e sola.
- Lasciatemi sola, ho voglia di riposare. - Le cinque ninfe esaudirono in silenzio la sua richiesta, ma prima di chiudersi la porta alle spalle, Egeria cercò di far ragionare Demetra: voleva spingerla a riprendersi.
- So che il momento è difficile, ma non dovete abbattervi, o la vita che noi conosciamo avrà fine. Non lasciate che l'oscurità avvolga il vostro cuore.
Demetra non le rispose. Il silenzio di quella stanza era come un macigno indistruttibile.


Passarono i giorni, Demetra riprese colore in volto, e il suo fisico cominciò a riprendersi, ma la natura attorno a loro sembrava ancora provata, e anzi, invece che migliorare, gli alberi perdevano sempre più foglie. Alcuni erano già completamente spogli, e un'aria fresca, come quelle che permeava nelle sere stellate, cominciò a farsi largo in pieno giorno sotto il sole, mentre le notti diventavano sempre più fredde.
Zeus, dopo aver saputo del ritorno della sorella, le fece visita, accompagnato dalla moglie, da Poseidone e da Estia.
Mancava solo Ade a quella rimpatriata, ma per ovvie ragioni, gli Olimpici ritennero opportuno non coinvolgerlo. I tre fratelli ne avevano discusso, e insieme avevano deciso che per un certo periodo, Demetra e Ade, non avrebbero dovuto incontrarsi. Non sapevano quali reazioni la Dea della Natura avrebbe potuto tenere nei suoi riguardi.
Se la tristezza l'aveva portata a far morire la natura, la vista del fratello avrebbe di certo scatenato una rabbia incontrollata, la quale avrebbe potuto dare origine a qualche calamità terribile. Forse addirittura peggiore di quella che Ade a malapena era stato in grado di contenere quando si era visto privato della sua Regina.
- Demetra, siamo contenti di rivederti. - le disse Zeus porgendole dei fiori. Demetra non si era mossa dal letto, e quando aveva visto i fratelli e le sorelle, si era limitata a salutarli debolmente.
- Sorella, se possiamo fare qualcosa per te non hai che da chiedere. - le disse Era, sedendosi accanto a lei. Ma Demetra non rispose, e si limitò a fissare un punto indefinito nel vuoto.
- La natura, quella che dovrebbe essere la tua priorità, là fuori sta morendo... - disse grave Poseidone. - Abbiamo atteso, ma sembra che a te non importi più nulla. A cosa vuoi portarci, Demetra?
Poseidone in genere era un Dio abbastanza amabile. Non amava i conflitti, ma quando le conseguenze delle scelte di altri andavano a ripercuotersi anche sul suo mondo, il buon Dio perdeva le buone maniere.
- Poseidone! - lo incalzò Estia, - Capisco le tue preoccupazioni, ma vedi di non esagerare con le tue accuse.
- Non sto accusando nulla. Voglio solo delle risposte. Quello che sta accadendo là fuori, è tutta opera sua. O se preferite, è la sua inadempienza. A prescindere, lei è l'unica che possa darci qualche risposta, e fare qualcosa per sistemare il problema.
Era e Zeus si guardarono, non sapendo più che dire.
Se da un lato Poseidone aveva ragione, dall'altro non potevano chiedere a Demetra di riprendersi così in fretta per quella che per la Dea delle Messi, era stata la più grande delle perdite.
Era il volere di Madre Gaia, era il volere del Destino stesso... ma ciò non rendeva la separazione meno dolorosa.
Parlando con Ade, avevano anche deciso di non far riunire madre e figlia. Non al momento, non così presto.
Se il loro riavvicinamento avrebbe anche potuto dare un nuovo vigore alla Dea della Natura, dall'altro avrebbe anche potuto distruggerla definitivamente.
Quindi cosa fare?
Far riunire madre e figlia per sempre, rischiando di nuovo un conflitto tra il Regno di Superficie e il Sottosuolo, o tenere le due separate?
Era una scelta ardua, ma alla fine optarono per la strada in apparenza più sicura.
- Demetra, prenditi il tuo tempo, - le disse Zeus accarezzandole i capelli, - ma non lasciare che tutto vada in rovina. Non aspettare che sia troppo tardi per tornare indietro.
Non sappiamo se quello a cui hai dato involontariamente inizio è una strada a senso unico. Non sappiamo se potremo tornare indietro...
Zeus una volta aveva sentito parlare della Fine della Lunga Estate. Lo aveva sentito da sua madre molto tempo prima, come una sorta di fiaba.
E ne era rimasto sia affascinato che terrificato.
La Fine della Lunga Estate rappresentava la fine di un'era. Lui già sapeva che non sarebbero potuti tornare a quello che c'era stato fino a quel momento. Lui l'aveva sempre saputo.
Quando la sorella venne da lui per chiedergli aiuto per la faccenda di Kore, aveva capito che quella bambina avrebbe portato con sé un grande cambiamento che avrebbe coinvolto non solo il regno del quale sarebbe un giorno diventata la sovrana, ma anche quello del mondo che lui aveva governato per tutti quei secoli, e che per molti altri secoli ancora lui avrebbe continuato a vegliare.
Quella strada che avevano oramai imboccato sarebbe stata la sola che avrebbero potuto percorrere. Non c'era più modo di cambiare percorso: avrebbero solo dovuto avanzare.
Ma in quel momento, il Dio degli Dei, il Signore dell'Olimpo che nulla aveva mai avuto da temere, si sentì per un attimo perso e impaurito.
Quel Dio impavido e sprezzante dei pericoli, ebbe paura.
Quei cambiamenti che in quei giorni dell'infanzia aveva tanto temuto e al tempo stesso sperato di vedere, e che in quel preciso momento erano così vicini, lo spaventavano.
Non sapeva ancora se quei mutamenti avrebbero portato a un'era migliore o peggiore.
Si augurò solo che Demetra non cedesse alla rabbia e al dolore, ma che si lasciasse invece guidare dall'amore che aveva provato per la figlia.
Un giorno avrebbe permesso ad entrambe di riabbracciarsi ancora, e sperava che quel giorno non fosse più così lontano. Lui sperava di poterle far riconciliare al più presto, per dare la svolta a quei mutamenti. Per permettere a quella nuova era di avere inizio e di essere ancora più bella di tutte le ere che l'avevano preceduta.


“Devo andarmene da qui”, pensò Demetra, posando un ultimo sguardo alle sue fidate ninfe che dormivano placidamente.
La Dea abbandonò la sua casa e cominciò ad errare per il mondo che lei aveva involontariamente scosso.
Demetra camminò per giorni e giorni, celando la sua identità sia ai mortali che agli immortali.
Vedendo le famiglie in difficoltà per i cambiamenti che non riusciva più a contrastare, e per la dura vita che i mortali avevano sempre condotto, la Dea sentì come una stretta al cuore.
Da un lato avrebbe voluto poter fare qualcosa, come aveva già fatto in passato, ma dall'altro si sentiva ancora più sola.
Aveva provato a superare la separazione dalla figlia, ma ancora, per lei, era un peso inimmaginabile. Un peso che temeva non sarebbe mai più riuscita a levarsi dal cuore.
Non avrebbe mai smesso di amare la sua Kore, mai!
Ade poteva anche avergliela portata via, ma il loro legame era indissolubile. Non avrebbe potuto ribellarsi ai voleri del Destino, di Madre Gaia, e degli altri Dei: loro erano dalla parte di Ade.
Ma non poteva nemmeno subire silenziosamente quell'ingiusta perdita facendo finta che fosse contenta. Avrebbe anche potuto sorridere, ci provava, ma il tumulto nel cuore si rifletteva fuori di lei, nel suo dominio: la Terra.
Demetra non voleva punire gli uomini. Lei li sentiva chiedere perdono e implorare la Dea di ristabilire il mondo, ma quello non era più nei suoi poteri.
Zeus le aveva chiesto più volte se lei sapeva qualcosa, se Madre Gaia le aveva spiegato cosa sarebbe accaduto da quel momento e cosa avrebbero dovuto aspettarsi dalla nuova era.
Zeus glielo chiese, ma Demetra non rispose.
I fratelli e le sorelle di lei pensarono che il suo silenzio fosse dovuto soprattutto per il grande dolore da lei provato, e che l'aveva portata a chiudersi sempre di più in sé stessa.
In realtà, Demetra non rispondeva perché non sapeva nulla, se non che lei stava perdendo sempre più il contatto sia con i suoi poteri, che con la Terra stessa.
Lei non era più padrona di nulla.
Per questo abbandonò la sua casa.
Per questo abbandonò le sue care ninfe.
Demetra si sentiva sempre più persa, e prima che tutto crollasse definitivamente, voleva assaggiare ancora una volta un po' di felicità.


- Quanto a lungo pensavi di tenermelo nascosto? - chiese Persefone al marito, fissandolo con occhi velati dalle lacrime che minacciavano di solcarle il volto da un momento all'altro.
- Mia adorata, speravo che la situazione si risolvesse da sola, ma ora che Demetra è scomparsa... È vero che la situazione sembra essersi stabilizzata lassù, ma siamo fermi in questo stato di “morte” per la natura. Di certo una situazione del genere non può essere definitiva. - Ade scostò lo sguardo fissando lo specchio della sua camera. Sperava che da un momento all'altro Madre Gaia si mettesse in contatto con loro, o che lo facesse Demetra. Persefone sospirò preoccupata. - Se la situazione non dovesse cambiare, la vita finirà con l'estinguersi dal nostro pianeta.
- Lo so. Dobbiamo trovarla e costringerla a mettere tutto a posto. - l'espressione pensierosa del marito mise in allarme la giovane Sovrana.
- A cosa stai pensando?
- Tu non potresti sistemare questo problema? Anche tu, come lei, sei una Dea della Natura. Hypnos sta cercando fra le pergamene se esistono documenti che possano aiutarci, ma intanto forse coi tuoi poteri potresti sistemare un po' la situazione. Arrestare almeno il freddo che ogni giorno è sempre più forte. - Persefone scosse la testa.
- Non sono potente come lei. Potrei provarci, ma temo che i miei poteri non possano nulla di fronte a quello che ho visto.
Persefone si rifugiò fra le braccia del marito che la strinse dolcemente a sé.
- Provarci è già qualcosa. Il mondo è portato a cambiare, in bene e in male, ma non è detto che debba farlo violentemente. Deve andare avanti, mia Regina, ma noi possiamo dargli una mano, agevolando questa fase di passaggio.
- E se non fossimo pronti per questo nuovo mondo? - chiese lei con un sussurro.
- Lo accetteremo comunque, perché non possiamo fare altrimenti. Il mondo cambia, indipendentemente da noi e dai nostri desideri, Persefone.


Sembrava che la Dea delle Messi fosse destinata ad errare in eterno, e per quanto Zeus e gli altri Dei la cercassero, nessuno era stato in grado di ritrovarla.
Demetra, priva di forze, stava per perdere le speranze e ad abbandonarsi alla totale tristezza, ma qualcuno ebbe pietà di lei. Nonostante il suo aspetto di figura anziana, ridotta pelle e ossa, una donna dal nobile aspetto decise di accoglierla e di ospitarla nel suo palazzo. La mortale non sapeva di avere di fronte una delle Grandi Dee, ma mossa dalla semplice pietà verso una donna che sembrava così stremata e sul punto di morire, si era guadagnata subito il rispetto e la benevolenza di Demetra.
Mentre all'esterno l'aria si faceva sempre più pungente, e gli alberi, lentamente, morivano, Demetra stava ritrovando il calore di una famiglia.
Era tornata in una terra a lei davvero cara, e che per parecchio tempo, non aveva più visitato.
Eleusi, quella città che, con la figlia, aveva tanto amato, ora stava restituendo un po' di quel calore che la Dea delle Messi aveva ricercato.
La donna che aveva accolto Demetra, altri non era che Metanira, moglie di Celeo, re di Eleusi.
La donna era molto gentile, e l'aveva presa davvero in simpatia. Vedendo poi l'attaccamento che quell'anziana donna provava per i suoi figli, decise di chiederle di diventare la loro nutrice.
Demetra accettò con piacere, e anche le piante e gli animali che vivevano nei dintorni della cittadina, parvero riprendersi, riacquistando il solito splendore. Usciti però dal territorio di Eleusi, la situazione non dava cenni di miglioramento.
Un giorno uno dei due figli dei sovrani si ammalò, e Demetra riuscì a curarlo, attirando però su di sé i dubbi di uno dei guaritori di corte: Hosios.
Quell'uomo non aveva mai nutrito particolare fiducia nell'anziana donna, e così cominciò a metterla sotto sorveglianza.
Demetra, presa dalla sua nuova famiglia e da quel nuovo ruolo di nutrice, non si era accorta di nulla.
Il benessere che stava provando le bastava, ed era decisa a restituire un po' di quella felicità a quella famiglia. Demetra aveva deciso di rendere immortale il maggiore dei figli dei sovrani della sua amata Eleusi.
Demofoonte le si era molto affezionato, e Demetra sperava che quel bambino avrebbe potuto colmare, anche solo in parte, la perdita della sua bambina.
Con lui le cose sarebbero andate diversamente, pensava lei.
Ogni notte faceva addormentare il bambino, e seguendo alcuni antichi riti, la Dea cercava di eliminare le vesti mortali del bambino, e di renderlo immortale.
Una notte, però, era stata poco cauta, e Hosios era riuscito a sorprenderla. L'uomo non la fermò, ma corse invece dalla regina, che, una volta accorsa sul posto, gridò allontanando la Dea dal figlio, che si svegliò e scoppiò in un pianto dirotto per lo spavento.
- Tu, disgraziata! Cosa cercavi di fare al mio bambino? - gridò lei fra le lacrime, mentre sul posto accorrevano le guardie.
- Ve l'avevo detto io che non potevamo fidarci di questa straniera. - le disse il medico, fissando con disprezzo la povera Demetra che si guardava attorno mentre le guardie la accerchiavano.
- Parla! Cosa volevi fargli? - chiese Metanira con rabbia.
Demetra la fissò e si alzò in piedi. Quando si tolse il velo che le copriva il capo, mostrò ai mortali il suo vero aspetto, e proprio in quel momento arrivò nella stanza anche il re, Celeo, che riconoscendola si inchinò di fronte a lei, implorando il suo perdono.
Lui fu l'unico a riconoscerla, e intimò agli altri presenti di inchinarsi a loro volta.
- Perdonateci, Sua Signoria. Perdonate mia moglie. Perdonate noi poveri mortali per non avervi riconosciuta.
A Demetra non importava più nulla. Con sguardo spento si allontanò dalla stanza di Demofoonte, si allontanò dal palazzo, si allontanò dalla città un tempo amata, mentre le piante si spogliavano di nuovo e definitivamente.
Un'aria gelida si abbatté su Eleusi, fatta dello stesso gelo che aveva preso il comando del suo cuore.
Demetra si era vista di nuovo privata della felicità.
Metanira, interrompendo il rito, lo aveva compromesso definitivamente, e Demofoonte non sarebbe mai potuto diventare un Dio.
Non sarebbe mai potuto restare al suo fianco.
Demetra si sentì ancora più persa, più sola e abbandonata.
Si trascinò per i boschi, mentre il cielo si coprì di nubi, e una strana sostanza comincio a cadere dal cielo.
Era un qualcosa che nessuno aveva mai visto prima di allora. Bianco e freddo come null'altro.
Attoniti, Dei e mortali assistettero alla prima nevicata.
Demetra camminò a lungo nei boschi di alberi morti, mentre la neve ricopriva il suolo. Il mondo venne lentamente coperto da un manto bianco, e le temperature si abbassavano sempre più.
La Dea venne avvolta da dei rami, come a proteggerla, e sotto la loro protezione, lei si addormentò.
Quella non era nemmeno più Demetra, ma solo un involucro svuotato da tutto.


Persefone, pur svolgendo al meglio il proprio ruolo di Regina, non poteva far altro che pensare alla madre.
Ade non poteva in alcun modo distoglierla dalle angosce che lei provava, e questo fece nascere un senso di inadeguatezza nel Dio. Sentimenti che finirono col ripercuotersi nei suoi atteggiamenti, tanto che i giudici e la stessa Persefone, furono stupiti nel vedere Ade in quello stato.
Non era mai stato un Dio simpatico o gioioso, ma l'ansia di Persefone finì col renderlo più distaccato ancora dalle anime che giungevano al loro cospetto.
- Ade, - quella notte, Persefone non poté fare a meno di esternargli le sue preoccupazioni, - io lo so che qualcosa ti turba, ma non puoi comportarti così nella sala del giudizio.
Nel letto accanto a lei, Ade non le rispose, e si girò su un fianco, dandole le spalle.
Da quando si erano sposati, i due avevano sempre dormito assieme, abbracciati teneramente. Lui non l'aveva mai rifiutata, non l'aveva mai allontanata da sé.
Persefone però non era tipo da lasciarsi abbattere, e con forza rigirò il marito sul letto, portandolo a guardarla di nuovo.
- È inutile che tu ti volti. Non puoi ignorarmi!
- Scommetti? - chiese lui alzando un sopracciglio.
- Vuoi scommettere su qualcosa che sai già che non puoi vincere? - disse sorridendogli. - Lo so che sei preoccupato per me, ma non devi. Io... - la Dea distolse lo sguardo mentre pronunciava quelle parole. Nemmeno lei ne era certa, - … Io troverò un modo per superare tutto questo. Sono certa che con mia madre le cose si risolveranno prima o poi.
Sarebbe stato bello poter credere a quelle parole, ma nessuno dei due era realmente convinto di ciò.
- Persefone... il mondo lassù sta andando in rovina a causa di tua madre. Quando hai provato a restituire vigore alle piante del bosco che costeggiano l'entrata del nostro regno, hai visto tu stessa che anche se inizialmente la cosa sembrava funzionare, dopo poco tempo, le piante si spegnevano di nuovo.


Giorni addietro, Ade, Persefone e Hypnos erano saliti in superficie per testare i poteri di Persefone.
Da quando era diventata Sovrana dell'Averno non aveva quasi più esercitato i suoi poteri sulla natura di Superficie.
Persefone spese molte energie per restituire alla Natura che li circondava l'antico splendore e la bellezza rigogliosa che da sempre aveva caratterizzato quel bosco.
Dopo grandi sforzi, sembrava che la natura fosse rifiorita, e lei si era voltata raggiante verso il marito.
- Ce l'ho fatta! Forse posso sistemare tutto, forse posso... - ma il sorriso le morì sulle labbra.
Le piante a cui lei aveva restituito le floride chiome del colore degli smeraldi, stavano di nuovo cambiando, lasciando spazio alle foglie color dell'oro e del fuoco.
Non senza una certa delusione, Ade inviò Hypnos dal fratello per annunciargli l'esito di quell'esperimento.
Demetra aveva dato involontariamente inizio a quello stravolgimento del mondo di Superficie: era quindi l'unica che poteva porvi rimedio.
Nemmeno Persefone, Dea che era diventata potente tanto quanto lei, poteva contrastare quell'immenso potere che la Dea delle Messi aveva involontariamente scatenato.


- Io sono certa che esisterà da qualche parte un rimedio. Ci deve essere. - E Persefone aveva ragione, anche se ancora non lo sapeva.
- Lo spero, mia adorata. Anche se in superficie tutto sta gelando, magari nei prossimi tempi potremmo riuscire a trovare una soluzione. - disse lui stringendo la moglie a sé.
- Lo spero.
Persefone si addormentò abbracciata al marito, ma lui non riuscì a chiudere occhio.


Quel giorno non era stato strano solo per via della preoccupazione che nutriva nei confronti dell'amata sposa.
Hypnos gli aveva rivelato importanti notizie che, dopo una lunghissima ricerca, il Dio del Sonno era stato in grado di scovare.
- Mio Sovrano, mi rincresce, ma per ora queste sono le uniche notizie che mi è stato dato di scovare. - disse il Dio con la voce quasi strozzata, mentre Ade stingeva la pergamena fra le mani.
- No. Mi rifiuto di credere che questo sia l'unico modo per contrastare Demetra. Non dopo tutto quello che abbiamo passato. No, è impossibile! - gridò il Dio facendo tremare la stanza. - È impossibile. - sussurrò ancora, lasciando cadere il documento per terra.
Sembrava che la chiave di tutto potesse essere ancora una volta Persefone. Diventando Regina dell'Oltretomba, essa aveva in parte rinunciato a quel lato di sé legato all'amata superficie, ma in realtà quel legame non era mai stato reciso.
Nel suo Regno, la Dea era ancora in grado di dominare le piante che vi crescevano, ma aveva perso i contatti con la Natura che dominava la Superficie.
Persefone, per riacquistare il potere che aveva sul mondo superiore, avrebbe dovuto rinunciare in parte all'Averno.
-Non è possibile che serva questo. Non dopo tutto quello che è stato fatto per averla con noi. Non dopo tutto quello che lei ha passato. - disse Ade tenendosi la testa fra le mani, con la voce che tremava dalla rabbia e dallo sconforto.
- Di sicuro non rinunceremo a lei, ma se vogliamo fermare l'ondata di morte che si sta diffondendo in Superficie, con Demetra che non si riesce a trovare, l'unica soluzione è quella di chiedere all'unica altra Dea della Natura abbastanza potente, di fare qualcosa. - concluse Hypnos.
- E se dovessi rinunciare a lei? - chiese il Dio con rabbia. - Tu che faresti al mio posto? Se l'unica persona al mondo che ami ti venisse portata via, tu che faresti?
Hypnos sostenne quello sguardo e alla fine gli rispose: - Farei di tutto per salvarla.
Ade sospirò e, prima di lasciare la biblioteca, disse a Hypnos di non farne parola con nessuno. Sarebbe stato lui a dire tutto a Persefone, ma alle sue condizioni, e con i suoi tempi.


Tuttavia, quando le due divinità vennero chiamate poche ore dopo per recarsi di nuovo nella sala del giudizio, dato che molte, troppe anime, avevano letteralmente invaso il loro regno, il Dio si vide costretto a dire alla Dea quello che Hypnos aveva scoperto; così, nonostante il gran trambusto, costrinse la moglie a tornare nelle loro stanze.
Persefone ascoltò in silenzio ciò che il marito aveva da dirle. Apprese con dolore quella notizia, in special modo per via di tutti i patimenti che la coppia aveva subito dopo che Madre Gaia le aveva rivelato la verità.
Persefone sperava che ci potessero essere altre spiegazioni, che esistessero altri modi per poter rimediare al danno provocato da sua madre, ma il Dio scosse la testa tristemente.
- Madre Gaia non può averci fatto patire così tanto, per poi di nuovo costringermi alle Superficie per arginare il danno causato da mia madre.
- Lo credo anche io. - rispose lui composto, mentre la moglie camminava avanti e indietro per la loro camera da letto.
- Per poter ricreare ciò che era stato, dovrei riconnettermi con il mondo di Superficie... questo non implica che debba abbandonare l'Averno, no?
Ade non rispose. Nemmeno lui sapeva con certezza cosa potessero fare.
- Forse dovremmo lasciare che tutto si svolga così come sta accadendo ora. - continuò Persefone. - Del resto era previsto un mutamento, e forse questo fa parte di questo processo. Forse stiamo sbagliando nel volerlo contrastare, forse... - ma la Dea si fermò. Una parte di lei voleva che quelle parole appena pronunciate rispecchiassero il vero, ma lei lo sapeva che le sue erano bugie dette più per convincere sé stessa che Ade.
I visi dei mortali che aveva scorto, morti per il freddo o la carestia, le erano rimasti tutti nel cuore, e ogni volta lo sentiva come se stesse sanguinando per il dolore.
Non poteva essere giusto tutto quello che si era riversato nel Regno che una volta aveva tanto amato, nel Regno che una volta era la sua amata casa.
Persefone abbracciò Ade, chiedendogli fra i singhiozzi che cosa dovesse fare, ma nemmeno lui sapeva cosa dirle, se non “Non lasciarmi solo”.
Quando Persefone incontrò gli occhi lucidi di Ade, il Signore dell'Averno le esternò tutto il dolore e il patimento che lui avrebbe provato nel doversi separare da lei. Sapeva che era giusto lasciarla andare se era per il bene del Cosmo, ma lui non voleva, né poteva rinunciare a lei, alla sua unica e amata sposa. Non dopo tutto ciò che avevano trascorso.
Quelle parole piene di preoccupazione e amore non erano da Ade, e nessuno lo avrebbe mai saputo. Nessuno avrebbe mai conosciuto quel lato tanto tenero e fragile del suo carattere. Solo a Persefone sarebbe stato concesso quel grande onore.
L'amata Superficie o il suo Sottosuolo? Cosa mai avrebbe potuto fare? Cosa mai avrebbe potuto scegliere?
Prima ancora che potesse davvero prendere in considerazione solo una delle due scelte, Persefone vide un melograno sul tavolo della stanza, e allora qualcosa scattò nella sua testa.
- Ade...
- Cosa c'è?
- So cosa devo fare. Non devo rinunciare a te e all'Averno. Non devo nemmeno rinunciare a mia madre e alla Superficie. Io posso fermare il gelo che si sta espandendo nel mondo senza doverti dire addio. - disse lei baciandolo per la gioia.
Ade non capiva, e quando le chiese spiegazioni, lei lo trascinò fino all'ingresso del loro Regno.
Persefone non era mai uscita in Superficie da quando questa aveva cominciato a ricoprirsi dal freddo manto bianco. Ad accoglierla ci fu una bufera tremenda, che per un attimo la fece desistere dal proseguire.
Ma nonostante avvertisse la morsa del gelo, la Dea si fece largo nella neve, e si avvicinò all'albero di melograno che sembrava protetto ancora da un mistico potere. L'albero aveva ancora i suoi frutti, e non sembrava essere toccato dal freddo che invece aveva intaccato tutte le altre piante.
- Amore mio, ti ricordi quando mi hai raccontato la leggenda di questo albero? - Ade annuì. - Io ho capito che anche io sono come lui. Lui ha un gemello nel nostro regno, è come se l'uno fosse un aspetto ulteriore dell'altro. I due alberi sono un tutt'uno, divisi nel corpo, ma non nello spirito. Come loro, anche io sono come divisa in due entità. Io sono sia Persefone, la Regina dell'Averno, che Kore, figlia di Demetra e Dea della Natura.
Questi sono entrambi aspetti del mio essere. Io sono diventata un tutt'uno col Sottosuolo; amo ognuno dei suoi abitanti e adoro le sue terre, così quanto amo ogni cosa di te, mio amato. Io non smetterò mai di amare tutto questo... così come non ho mai smesso di amare le verdi colline, i fiori variopinti, o il calore del Sole con cui sono cresciuta.
Persefone fece comparire il melograno nella sua mano, e ne colse un altro dall'albero.
La Dea si avvicinò al Dio, e con le lacrime agli occhi gli comunicò la sua decisione.
- Io non voglio stare senza di te, ma anche qui hanno bisogno di me. Una delle antiche leggi dell'Averno stabilisce che chiunque mangi il cibo degli Inferi, vi sarà per sempre legato... - disse fissando il Melograno dell'albero che loro avevano fatto ricrescere. - … Tu però non mi hai mai fatta nutrire con esso, ma solo coi frutti di questo mondo. Perché? Anche se ero già diventata tua, anche se l'Averno mi aveva accettato come sua Regina, ancora qualcosa ti frenava dall'incatenarmi definitivamente al nostro mondo.
- Non lo so nemmeno io. Forse sentivo che non eri pronta ancora a rinunciare del tutto alla superficie, e ora me ne sto pentendo. - disse lui distogliendo lo sguardo. Persefone sorrise, prendendo il viso di lui fra le mani, baciandoglielo con passione.
- Io sono e rimarrò tua per sempre. Ti chiedo però di lasciarmi libera di scegliere questo percorso.
Ade la abbracciò, dandole così il suo assenso, anche se molto forzato.
Ade non avrebbe mai voluto dover rinunciare a lei, ma Persefone aveva già fatto la sua scelta.
La Dea e il Dio aprirono i due frutti, il melograno dell'Averno e quello della superficie, prendendo sei semi da ognuno.
- Io sono sia Persefone che Kore, e appartengo ad entrambi i Regni, ora e per sempre.
La Dea inghiottì i dodici semi, e per un momento il tempo parve fermarsi. Una luce inghiottì le due divinità, e quando essa si esaurì, la bufera si placò di colpo.
Ade guardò stupefatto la sua Persefone, i cui occhi d'ambra miravano fissi verso un punto lontano.
- So dove si trova. -


Con Ade che la accompagnava, la Dea si fece largo fra la neve che si sciolse al suo passaggio.
Camminarono a lungo, per ore, ma alla fine trovarono quel bozzolo in cui la Dea delle Messi si era rinchiusa.
- Madre! Madre! - gridò lei, cercando di farsi largo fra i rovi che avevano coperto la Dea. Demetra, sentendo la voce della figlia, si risvegliò da quel torpore, da quel sonno apparentemente imperturbabile, in cui era caduta.
- Kore? - chiese sbalordita. - Sei davvero... la mia Kore?
- Sì, sono io.
- No, non è vero. La mia bambina non c'è più. - Persefone e Ade si guardarono sbalorditi. Avevano fatto tutta quella strada per lei, a causa sua la natura si era spenta, e lei non riconosceva più la figlia?
- Demetra, non dire stupidaggini, certo che è tua figlia! - disse Ade con un impeto di rabbia.
- No, la mia bambina mi è stata portata via. - disse la Dea con voce tremante.
- Madre, so di avervi fatta angustiare, ma sono sempre io. Io sono Persefone, Regina dell'Averno, e la tua unica figlia.
- No, mia figlia non c'è più.
- Madre! Ti sarai anche arresa, ma in nome di tutto ciò che io amo, io non lo farò! Non ti abbandonerò e salverò tutti quanti. - Persefone riuscì a far breccia nel groviglio di rami, e ad allungare una mano per toccarla.
Con forza riuscì a far ritirare i rovi e si trovò davanti una donna tremante e provata. Con dolcezza le si avvicinò, la abbracciò e le posò un bacio sulla guancia.
- È tutto finito.
Demetra pianse e la neve tutto intorno si sciolse, mentre il sole riprendeva a splendere sempre più caldo nel cielo.
- La mia bambina... - tremando, Demetra abbracciò Persefone, mentre sul posto arrivavano anche Zeus, Poseidone e gli Dei Gemelli.
Finalmente era tutto finito.
Il calore di Persefone, il suo amore e la sua gioia di vivere, avevano appena battuto la fredda morsa del gelo che si era impadronita del cuore di Demetra.
Quello era un inizio, quella era una nuova era.
La primavera aveva vinto sull'inverno.



 
L'angolo di Shera ^^

Salve a tutti, è un bel po' che non pubblicavo nulla, e oggi, finalmente, sono stata in grado di postarvi il penultimo capitolo di questa storia che mi ha tenuta impegnata negli ultimi cinque mesi.
Questo capitolo è stato scritto a più riprese nelle ultime tre settimane.
La prima settimana di lavoro il Pc non l'ho praticamente visto, solo qualche rapida connessione, ma nulla di che. Le mie notti erano un incubo continuo O_O. È stata dura, e, per certi versi, lo è ancora.Per un nuovo lavoro è sempre così, e riprendere a ritmi serrati, dopo così tanto tempo di inattività, si sta rivelando più arduo di quanto non avessi previsto.

Riguardo il capitolo, io spero vi sia piaciuto.
Stavolta ho voluto riprendere Demetra, e darle l'ultimo grosso spazio, dato che è grazie a lei se si sono venute a creare le stagioni... anche se negli ultimi anni pare che autunno e inverno si siano quasi del tutto esaurite.
La storia del melograno e della "pazzia" di Demetra, erano uno dei punti cardine della storia fin dal suo concepimento.
Non mi è mai piaciuta l'idea della creazione dell'inverno come forma di protesta o punizione, da parte di Demetra. Io ho sempre appoggiato di più l'idea che la sua fosse un'esplosione di dolore.
Voi che ne dite?
Una parte di me è un po' triste nel dover dire che siamo praticamente alla fine, ma dall'altra, non posso che esserne contenta ^_^.
È stato un bel percorso e sono fiera di quello che ho fatto e scritto, ma è giunto il momento di mettere la parola fine anche a questa storia.
Settimana prossima probabilmente pubblicherò l'ultima OS, pronta praticamente da un mese XD.
Potrebbe non piacere, ma era una sfida, e me la son giocata così :P.

Ringrazio APTX_4869 per aver aggiunto la mia storia fra le seguite e Arya Tata Montrose, ubriachi_di_sorrisi e Damned  per aver aggiunto la storia fra le preferite. E ringrazio ancora tutti voi che ancora mi seguite e commentate, in particolar modo ringrazio Manto, sempre in prima linea a confortarmi e a commentare, Elpida e Saliman, grazie a tutte voi.

Un abbraccio e, spero, a presto ^_^

Baci

Shera ♥

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Epilogo ***


- Epilogo -






Dopo che Persefone riabbracciò la madre, la fredda neve che aveva abbracciato la terra lentamente si sciolse, lasciando che la vita rifiorisse, che gli animali addormentati si risvegliassero e uscissero dalle loro tane, che gli uccelli tornassero nuovamente a popolare i cieli e che le piante si riempissero di nuovo di folte chiome dal colore degli smeraldi splendenti mentre i fiori restituivano colori sgargianti alle belle colline.
Alla vista della figlia e al calore del suo abbraccio, Demetra sembrava essersi ripresa completamente.
Riavere con sé l'amata Persefone l'aveva aiutata prima di tutto ad uscire da quel bozzolo di dolore che lei stessa aveva costruito. Persefone l'aveva richiamata indietro, restituendole la voglia di vivere. Demetra realizzò che non poteva permettere che tutti soffrissero come lei; era stata ingiusta a lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento su di lei e sui suoi poteri, e per un istante se ne rammaricò. Così compì il suo miracolo restituendo al mondo quella stabilità che sembrava andata persa.
Persefone era tornata per salvare la Superficie dalla fredda morsa del gelo. Ma soprattutto, Persefone era tornata per salvare lei dalla fredda malinconia. Per rivedere sua madre.
Demetra aveva temuto che la figlia non l'avrebbe mai più amata, e ritrovarla invece lì con lei, mentre le stringeva la mano e le diceva quanto era importante, aveva fatto scattare qualcosa nella potente Dea.
- Mi sei mancata così tanto. - le disse fra le lacrime.
- Anche tu, madre mia. Anche tu. - rispose Persefone fra i singhiozzi.
Anche se erano rimasti in disparte, Zeus e i suoi fratelli avevano deciso di tornare sull'Olimpo.
La crisi di Demetra era stata scongiurata, ma c'erano ancora delle questioni da affrontare. Questioni sulle quali non avrebbero dovuto indugiare ulteriormente.
Ade aveva fatto preparare il proprio cocchio, e anche se Demetra era restia dal salirvi sopra, non si sarebbe potuta opporre a quella convocazione da parte di Zeus sul Monte Olimpo.


- Bene, ora che tutto sembra essere risolto, dobbiamo capire cosa fare, come comportarci di fronte a ciò che è accaduto. - disse Zeus guardando uno ad uno fratelli e sorelle. Persefone era rimasta in disparte fuori dalla sala, assieme a Thanatos e a Hypnos, mentre aspettava di essere convocata a sua volta. Avrebbe dovuto lasciar discutere i potenti fino a che non fosse venuto il suo momento. Le sue scelte avevano fatto sì che l'Inverno scatenato dalla madre avesse fine. Ma il mondo di prima non sarebbe mai più tornato.
- Non sarà più lunga del solito. - disse Thanatos con fare ironico.
- Lo so, ma questa attesa è insopportabile. Vorrei sapere che cosa stanno dicendo. - disse la Dea fissando con apprensione la porta.
- Alla fine voi avete già fatto la vostra scelta, no? - le chiese Hypnos sorridendole e cercando di trasmetterle coraggio.
- Sì, ma so già che anche questo farà rattristare mia madre. - disse lei sospirando.
- Non puoi correrle sempre dietro, mia Regina. Anche lei deve capire che non può mettere sempre al primo posto i suoi desideri.
- Thanatos! - lo sgridò il fratello. Persefone non rispose, sperava unicamente che la madre riuscisse, per una volta, a comprenderla e a riuscire a trovare un compromesso fra i desideri di entrambe.


- Ora che ci siamo ritrovate, non potete portarmi via mia figlia. Non di nuovo. - disse Demetra fissando Zeus con decisione.
- Nessuno vuole tenervi separate, ma tua figlia ha dei doveri verso il Sottosuolo, non scordatelo, sorella. - disse Poseidone, senza nemmeno guardarla.
- Lo capisco, miei cari fratelli e sorelle, ma io ho più bisogno di lei di quanto l'Averno non potrebbe mai averne. Avete visto cosa è capitato. Se me la portaste via di nuovo, non so cosa potrebbe accadere. - Demetra sapeva che non avrebbe più potuto vivere sua figlia come aveva sempre fatto anni addietro, ma non intendeva nemmeno dover rinunciare a lei. - Sono magnanima e potrei lasciare che mia figlia passi un mese o due all'anno nel Sottosuolo. So che ha mangiato un frutto dell'Averno, ma questo non significa che debba vivere in eterno laggiù.
- Cosa? Non credo di avere capito bene. - disse Ade con voce gelida fissando la sorella dal suo piccolo trono posto al centro della sala in cui loro stavano conversando.
- Demetra cara, non credi che tua figlia avrebbe piacere di passare più tempo assieme a suo marito nella loro dimora? - le chiese Era con voce più dolce. - È chiaro che lei vi ami entrambi in egual misura. Potrebbe passare metà dell'anno con te e l'altra metà con lui.
- Anche se a te la situazione non piace, non significa che tua figlia debba essere separata dalla persona che ama. - continuò Estia, carezzandole la testa. - Se Ade volesse potrebbe avere le stesse pretese, e non credo ti farebbe piacere passare solo un mese o due con la tua Persefone. L'idea di Era è molto buona e anche giusta.
- Tre mesi, non uno di più. - disse infine Demetra, lasciandosi cullare dalla dolcezza delle due sorelle.
- Zeus... - Ade scambiò con lui uno sguardo intenso. Il Re degli Dei comprese il messaggio del fratello. Non poteva permettere che ci fossero ulteriori scontri, non dopo la catastrofe appena sfiorata. Doveva portare Demetra alla ragione.
- È stata tua figlia a scegliere di mangiare il frutto del Sottosuolo... Forse è il caso di parlarne con lei, non ti pare, Demetra?
Persefone entrò nella sala scortata dagli Dei gemelli che non l'avevano mai lasciata sola, e si sedette accanto al marito.
- Madre, Padre, e voi tutti. Io, tempo fa, ho scelto di diventare Signora degli Inferi per restituire a quel mondo l'Equilibrio a lungo perduto. Non ho mai scordato la Superficie, ma ho scelto di vivere al fianco di mio marito. - disse lei fissando Ade per un istante. La mano le tremava e Ade la prese fra le sue, senza dire null'altro. - Quando mia madre ha perso il controllo io non ne ho saputo nulla, fino a che è stato inevitabile dirmi cosa stava accadendo quassù. È stata dura dover scegliere cosa fare, ma per salvare questo nostro mondo dal gelo che lo aveva inghiottito, ho dovuto di nuovo fare una scelta difficile. Lo so che non posso stare contemporaneamente con l'una e con l'altro, anche se mi piacerebbe. - Lei e Ade si scambiarono uno sguardo complice. Lui sapeva, e aveva accettato, anche se il dolore era grande. Anche se quella decisione li avrebbe fatti soffrire entrambi, lui non avrebbe mai smesso di appoggiarla. - Come ha giustamente suggerito Era, io passerò metà dell'anno con mio marito, per regnare nel Sottosuolo, e l'altra metà dell'anno la passerò in Superficie come Dea della Natura, con mia madre e tutti voi.
L'unico modo per salvare tutto e tutti era non solo tornare da mia madre nella speranza di farla riprendere, ma anche scegliere di dividermi tra quelle che sono davvero le mie due vite. Superficie e Sottosuolo, due aspetti di questo stesso mondo che mi ha dato la vita. Io sono sia una creatura della Superficie che una creatura del Sottosuolo. Per questo ho mangiato metà di entrambi i melograni, uno del mondo di sopra e uno di quello di sotto.
- Ne sei certa? Sei mesi laggiù ti debiliteranno, figlia mia. - disse Demetra raggiungendo la figlia, abbracciandola teneramente e guardandola come se lei avesse deciso di gettarsi in un vulcano come vittima sacrificale.
- Sì, è la cosa giusta da fare. Inoltre, io amo quelle terre, mia adorata madre. Quella è casa mia adesso.
Il dispiacere che si dipinse sul volto di Demetra fece rattristare la giovane Dea, ma lei era decisa a non smuoversi da quelle che erano le sue scelte.
- Io sono certa che è stato Ade, e magari anche gli altri miei fratelli, a convincerti che quella è la strada più giusta, ma potresti pentirtene. - Demetra aveva la voce che tremava dall'amarezza , ma decise di cambiare tono. Di supplicare la figlia a rivedere i suoi piani. - Potresti trascorrere solo quattro mesi laggiù. La Superficie è di gran lunga migliore. La Natura stessa ha bisogno di te.
- È proprio per questo che ho deciso di passare metà anno con te in Superficie. Per aiutare così le piante e i campi a fiorire e maturare, per curare gli animali e vederli crescere, per assistere l'uomo e anche per godere dei caldi raggi del sole.
- Sei mesi potrebbero non essere sufficienti. Otto mi sembrano il minino che io possa accettare. Lo sai benissimo quanto la Natura possa essere fragile se non la curiamo con la giusta premura. - Ma Persefone era irremovibile, tanto che Demetra minacciò ancora la figlia e i fratelli di far ripiombare il mondo nell'Inverno.
- Ma è proprio questo ciò che devi fare, madre. - le rispose la figlia, che subito dopo venne osservata con perplessità dalle grandi divinità presenti.
- Il mondo è pronto per una nuova era, la stessa alla quale tu, madre mia adorata, hai dato inizio. Sarà un nuovo mondo, diverso da quello che noi conosciamo, ma ci abitueremo. Non esisterà più un solo grande periodo di caldo, di frutti succosi e deliziosi, di grano maturo e dorato, e di fresche serate passate a cantare e ballare sotto la luna piena.
Il mondo sta per conoscere una nuova era fatta di foglie dorate, di aria fresca , di venti freddi e pungenti, di manti di neve e di cieli così limpidi come non si sono mai visti.
Ciò che Madre Gaia aveva annunciato era un nuovo ciclo naturale di cui abbiamo avuto un assaggio. - Persefone osservò singolarmente ognuno degli Dei che la stavano silenziosamente ascoltando. Tranne Ade, e forse anche Estia, gli altri sembravano davvero scettici di fronte alle sue parole.
- Non ti dico, madre mia adorata, di scatenare il tuo dolore sul mondo, provocando morti ovunque, ma di lasciare che la natura si addormenti per un po', fino a che io non farò ritorno.
- E non credi che questo sia deleterio per il mondo? - le chiese con voce calma Poseidone.
- No, anzi, in realtà è l'esatto contrario. - Persefone indicò allora lo specchio presente nella sala, e pregò madre Gaia di mostrare a tutti loro come il mondo era cambiato dopo quell'inaspettato mutamento forzato da Demetra. L'antica divinità accolse la richiesta della giovane Dea, facendo apparire nello specchio le immagini di quel mondo che si stava affacciando su di una nuova era.
La natura rifiorita non era mai stata così bella, così brillante e rigogliosa.
- La natura ha anche bisogno di riposare ogni tanto. - disse Persefone con la voce emozionata. - Può sembrare morta, ma in realtà si sta solo preparando per rinascere ancora e più bella di prima. Autunno e Inverno non saranno una condanna, ma un dono.
- E se l'uomo non fosse pronto? Se noi non lo fossimo? - chiese Zeus studiando la figlia.
- Possiamo provare ad opporci al cambiamento, ma tutto questo oramai è già avviato e non può essere fermato. Noi possiamo solo accettarlo e cogliere il meglio da esso. Guardate l'uomo: è una creatura che, nonostante la sua fragilità, sa adattarsi di fronte alle avversità del suo cammino. Magari avrà difficoltà nell'accettare questo nuovo mondo, ma un giorno sarà per lui naturale. - Il viso di Persefone era illuminato di una luce meravigliosa. Le divinità, fino ad allora stupite, finirono con l'annuire e col fare i complimenti alla Dea, che a differenza loro era riuscita a comprendere la natura di quel nuovo mondo, il senso di quel nuovo equilibrio.
Tutti avrebbero dovuto fare del proprio meglio per adattarsi a quella nuova realtà. Non sarebbe stato semplice, lo sapevano, ma ce l'avrebbero fatta.
Tutte le divinità accolsero gli avvisi e i consigli della Dea.
Tutti tranne Demetra, che ancora una volta sembrava scettica.
- Persefone, se è questo ciò che desideri io non posso fermarti, lo so. Fin da quando eri una tenera bambina, hai fatto tutto di testa tua, finendo anche col cacciarti nei guai. - Demetra abbracciò teneramente la figlia, facendo tirare un sospiro di sollievo ai fratelli e alle sorelle.
- Non posso dire di approvare il tuo matrimonio, ma penso di poter mettere da parte tutto per te. Sei la mia unica figlia, e il bene che ti voglio è infinito. - Persefone aveva le lacrime agli occhi, e la gioia che le si dipinse sul volto fece emozionare Era ed Estia.
- Madre mia, non disperarti mai più per me, perché io son felice della vita che ho scelto.
- Lo so. La mia sola paura è che potresti pentirtene un giorno. Non potrai mai più voltarti indietro o riprendere la strada che hai lasciato. Vivendo nel Sottosuolo non potrai mai conoscere la gioia di essere madre, lo sai questo?
Persefone aveva capito subito l'intento della madre: Demetra sperava di poter dissuadere la figlia dalla sua scelta con quell'ultimo tentativo, ricordando alla giovane la vita della Superficie, e allo stesso tempo ammonendola del suo destino nel regno della morte. Quella madre sperava di poter tenere stretta ancora la figlia a sé, ma al contempo temeva che lo stesso dolore che lei aveva provato per la sua sterilità, potesse essere vissuto anche da Persefone. Voleva risparmiale quel dolore inconsolabile che lei aveva provato per anni e che le aveva lacerato l'anima.
- Madre mia... - disse la Dea della Natura e Regina del Sottosuolo, avvicinandosi al marito che sembrava del tutto distaccato da quanto si stavano dicendo le due Dee. - … forse non potrò generare mai la vita in questo corpo, ma io ho già dei figli. Io sono diventata parte sia dell'Averno che della Superficie. Le piante, gli animali, l'uomo sono figli della Terra, così come le creature e le anime che popolano l'Averno sono figli di quest'ultimo. Loro sono tutti figli dei Regni a cui appartengo. Di conseguenza, loro sono tutti miei figli. Per questo io non sarò mai triste e mai sola. - disse stringendosi al marito con sguardo sereno.
Demetra alla fine si arrese, capendo che non avrebbe mai potuto averla vinta sulla figlia.
Avrebbe continuato a rimproverare il fratello per avergliela portata via, ma nel profondo del cuore era felice, perché sapeva che la sua Kore era felice, e in buone mani.
Demetra, guardando negli occhi della figlia, capì che per la felicità di entrambe avrebbe dovuto mettere da parte le sue esigenze egoiste. Per la loro felicità non avrebbe dovuto nemmeno mettere davanti i bisogni della figlia. Demetra capì che avrebbe dovuto guardare ai desideri di entrambe.
- Io ne ho già parlato con Ade, e abbiamo deciso che da oggi, per i prossimi sei mesi, io vivrò quassù in Superficie, facendo il mio dovere di Dea. La natura crescerà rigogliosa conoscendo l'apice tra qualche tempo. Le piante saranno così cariche di frutti come non si sono mai viste. Vedrete che meraviglia. - disse la Regina dell'Averno. - Passato questo tempo tornerò da mio marito nel nostro regno, e mia madre accompagnerà la natura in questa nuova fase, l'Autunno. Le piante si addormenteranno e così anche gli animali, ma faranno la comparsa nuove creature, nuove piante e nuovi frutti. Il mondo cambierà per molti versi, ma ci saranno novità molto gradite. E quando i sei mesi saranno trascorsi tornerò di nuovo in Superficie. Questa è la vita che ho scelto di vivere. Questo per preservare l'Equilibrio del Cosmo.
La decisione nello sguardo di Persefone non ammetteva alcuna replica. In quel momento non era semplicemente Persefone a parlare, ma il Cosmo stesso, attraverso di lei.
I cambiamenti che avevano coinvolto il loro mondo e che lo avevano catapultato in una nuova era, avrebbero portato a una nuova realtà. Una realtà annunciata da molti secoli.
Il mondo cambia, la vita cambia.
Tutto è un costante cambiamento, Persefone lo aveva capito, e sapeva che lei ne avrebbe fatto parte.
Ade si era arreso ai voleri della moglie, Demetra aveva accettato perché era l'unica cosa da fare e perché sapeva che la figlia sarebbe rimasta al suo fianco in un modo o nell'altro.
Zeus e le altre divinità avevano compreso che non era solo Persefone ad aver parlato, ma la stessa Madre Gaia.
La giovane Dea, un tempo mortale, era stata guidata lungo tutta la sua vita dal suo cuore. Sul suo cammino erano stati disseminati eventi che l'avrebbero portata un giorno a dover scegliere chi diventare. Amata da tutti, Kore aveva scelto di diventare Persefone. Kore portò la luce nell'Averno. Diventò lei stessa quella nuova luce per quel regno Sotterraneo, lontano dal calore del sole. Lontano dal mondo dei vivi, con i quali era cresciuta e diventata forte.
Persefone aveva poi capito che non poteva troncare i legami col suo passato, e che la Natura aveva ancora bisogno di lei. Lei, l'unico ponte fra quei due mondi in apparenza così diversi e distanti.
Due mondi che erano entrambi parte del suo essere.
Persefone aveva scelto di dividersi fra i suoi mondi, l'amata Superficie e l'amato Sottosuolo.
Solo lei avrebbe potuto riuscire in quell'impresa. Lei, nata dalla Terra e dalle acque dell'Averno, elevata a Dea.
Solo lei in tutto il Cosmo.
Lei aveva capito che la sua esistenza aveva dato origine a un nuovo mondo, e voleva fare del suo meglio per plasmare quella nuova realtà con tutto il suo amore.


Non fu il Fato a dettare il suo cammino, non solo. Persefone aveva deciso da sola, padrona del suo destino, se accettare o meno quello che la vita le aveva messo davanti.
Nella nostra esistenza ci si ritrova a dover fare delle scelte, e spesso si attribuiscono determinati eventi al Destino, al Fato.
In realtà, le uniche cose scritte della nostra vita sono il punto di partenza e l'inevitabile fine. Tutto il resto dipende unicamente da noi.
Lei ha scelto chi essere, lei ha scelto chi diventare e lei sola ha scelto chi amare.


- Ne sei ancora convinta, mia Regina? - chiese Ade una volta finita la riunione.
Zeus, Poseidone e le sue sorelle avevano accettato quanto sua moglie aveva da dire. Sapevano tutti che i primi anni sarebbero stati duri, ma erano pronti ad adattarsi al nuovo mondo.
Lui però nutriva ancora dei dubbi. Dubbi che Demetra aveva fatto sorgere in lui, invece che nella giovane.
- Lo sai, amore mio.
- Però tua madre ha ragione. Io e te non avremo mai... - Quando Persefone capì quello a cui lui si riferiva gli posò le dita sulle labbra.
- È davvero questo a preoccuparti? Hai forse paura che perda la ragione o che commetta pazzie? - “Tu hai paura che diventi come lei”, era questo che in realtà voleva dire Persefone.
Il silenzio di Ade fu per lei una triste conferma.
- Amore mio, - disse carezzandogli il volto, - quello che ho detto è la verità. Nel mio cuore ogni creatura dell'Averno è una nostra creature. Un nostro figlio.
- E se poi non ti bastasse? - La voce di Ade tremava lievemente, ma Persefone non se lo lasciò sfuggire.
- Ade, non so se rimanere più intenerita dalla tua preoccupazione per me, o se invece arrabbiarmi per la tua poca fiducia nei miei riguardi.
- Io ho fiducia in te. È solo che non voglio che un giorno tu possa pentirti. - Persefone sorrise, e baciò con dolcezza il marito.
Fin dalla tenera età, lei era già legata ad Ade da un filo invisibile che aveva unito le loro anime fin dalla notte dei tempi, prima ancora della loro stessa nascita.
Ma solo la voglia di entrambi di stare insieme li aveva portati ad unirsi indissolubilmente.
- L'unica cosa di cui potrei pentirmi sarebbe il fatto di dovermi allontanare da te per un motivo così sciocco. - lei sorrise e fece comparire un melograno: una metà nella mano di lei e l'altra nella mano di lui. - Io e te siamo uniti, per sempre. Noi altro non siamo che l'uno la metà dell'altra, proprio come questo frutto. - disse sovrapponendo la propria metà a quella di lui. - Se il mio ventre non partorirà nulla, per me non è importante. L'unica cosa che per me conta è passare la mia intera esistenza al tuo fianco.
Ade lasciò cadere il frutto e l'abbracciò.
- Come farò a passare i prossimi sei mesi senza di te? - Persefone gli accarezzò i capelli.
- Io non tornerò nell'Averno per questo periodo, ma nulla ti vieta di fare visita a me. - gli sussurrò all'orecchio. - Certo, non per questo dovrai dimenticarti dei tuoi doveri. In mia assenza dovrai adempiere ai tuoi compiti con zelo. Thanatos me lo direbbe se tu ti comportassi male.
I due innamorati si scambiarono un dolce sguardo, e come se quello fosse l'ultimo istante per loro, si scambiarono un lunghissimo bacio.


Sul monte Olimpo venne celebrata una grande festa in onore di quella nuova Primavera. In particolare, si festeggiò il ritorno di Demetra e della sua amata figlia.
Nessuno venne escluso: divinità di tutti i Regni del Cosmo vennero invitate per i grandi festeggiamenti.
Persefone, che fin dalla sua infanzia era stata così amata da tutti, era felice al fianco del tenebroso marito che le altre divinità evitavano con timore reverenziale.
Fra le vecchie e nuove amicizie, Persefone sembrava splendere ancora di più.
- Sempre lei di mezzo. - borbottò Afrodite sorseggiando un bicchiere di vino. - Mai una festa in mio onore.
- Non è vero, mia cara. Qualche tempo fa ricordo che in tuo onore c'era stato un grosso evento. Strano tu l'abbia dimenticato. - le disse Ares togliendole di mano l'ennesimo bicchiere stracolmo.
- Non è la stessa cosa, Ares. Non è la stessa cosa!
In quel momento, Persefone si avvicinò a loro.
- Cosa vuoi? - le chiese Afrodite con voce strozzata e con sguardo truce.
- Volevo solo ringraziarti, Afrodite. - La Dea strabuzzò gli occhi, mentre Persefone le sorrideva con una dolcezza così sincera che la Dea ne rimase quasi abbagliata.
Nessuno le aveva mai rivolto un sorriso vero e gentile come quello.
- Per cosa? - le chiese con voce tentennante.
- Involontariamente, coi tuoi comportamenti e con le tue azioni, io sono arrivata a questo. Non te ne voglio dare tutto il merito, ma non posso negare che anche i tuoi interventi abbiano avuto il loro peso sulla mia esistenza. - le spiegò lei con dolcezza. - Quindi, grazie per aver reso migliore la mia vita. Spero che un giorno anche tu possa avere la gioia che meriti. - non vi era sarcasmo in quelle parole.
Persefone sapeva che Afrodite era in realtà una Dea molto più fragile e sola di quanto gli altri non si aspettassero. La sua non era pietà, ma solidarietà.
Persefone sapeva quanto Ares amasse quella Dea turbolenta, e si augurava che un giorno quei due potessero conoscere anche solo in parte la sua stessa felicità.
- Buona fortuna, Afrodite. - disse la Regina dell'Averno, congedandosi dalla Dea interdetta e ammutolita, e tornando fra le sue adorate Artemide e Atena.
- Non era così male come pensavi, dopotutto. - commentò Ares porgendo di nuovo il bicchiere alla Dea che invece lo rifiutò.
Non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, ma in quel momento si sentì in colpa per molte delle azioni discutibili da lei commesse. Afrodite avrebbe lasciato trascorrere molti anni prima di avvicinarsi con vero spirito di pentimento e di amicizia alla Dea della Natura, ma quando quel tempo sarebbe giunto, le due avrebbero stretto un legame così indissolubile che nessuno avrebbe mai più potuto separarle.


- Direi che qui le cose stanno davvero andando bene, non ti pare? - commentò Thanatos col fratello.
- Sì, ma io l'avevo sempre saputo. Non posso dire che è tutto merito mio, ma senza di me... - disse sorridendo.
- Ah, e io? Senza di me Ade non si sarebbe mai deciso, e lo sai anche tu! - gli rispose quasi risentito, anche se sapeva benissimo che il fratello stava scherzando.
- Anche se schivo, il Nostro Signore sa quello che fa, e non avrebbe mai rinunciato a lei.
- Però senza la nostra spinta... chi lo sa? - guardandosi, i due scoppiarono a ridere.
- Nonostante le fatiche e le sofferenze, guardali ora... non potrebbero essere più felici.
- Anche se per via di Demetra saranno separati per metà dell'anno... - cominciò Thanatos.
- … le loro anime saranno per sempre connesse.
Persefone era felice fra le sue vecchie amiche, con le quali aveva tanto da raccontare, mentre il marito era stato preso in disparte dai fratelli per festeggiare. Anche se distanti nel salone, gli occhi dell'una cercavano sempre quelli dell'altro e viceversa; e quando gli sguardi si incrociavano, un dolce sorriso illuminava i loro volti.
Gli Dei gemelli guardavano con ammirazione i loro Signori che si divertivano al sontuoso banchetto, fieri di quello che era stato il loro percorso e con la preghiera nel cuore che i due non si separassero mai.


- Alla fine tutto è bene quel che finisce bene. - disse Zeus alzando il calice di vino. Ade sorrise lievemente e annuì, mentre Poseidone li abbracciava entrambi con caloroso vigore.
- Sì, fratello, e credo che non potrebbe andare meglio di così... - disse distratto il Signore dell'Averno, incrociando i suoi occhi di Ametista con quelli d'Ambra della sua adorata Persefone. Fu allora che si congedò dai fratelli, percorse deciso la sala e, prendendo in disparte la moglie, la prese in braccio e la portò via dalla festa; e Persefone, piacevolmente colpita e divertita da quel “ratto” inaspettato, si abbandonò felice fra le forti braccia del suo amato. Insieme, lontani da tutto, in un luogo appartato e sconosciuto, i due Sovrani del Sottosuolo poterono godere l'uno della compagnia dell'altra. Loro due soltanto.
Ade e Persefone avrebbero dovuto separarsi ogni anno, ma entrambi sapevano che avrebbero potuto contare sempre l'uno sull'altra. Il loro amore avrebbe superato qualsiasi ostacolo, così come il tempo che inesorabile sarebbe trascorso.
I Sovrani dell'Averno avevano affrontato tante difficoltà per poter stare insieme, ma una volta superati gli ostacoli le loro anime furono per sempre legate.
Per sempre insieme.


Da allora, ogni anno, nell'ultimo giorno d'Inverno, i due sposi sparivano dal mondo, sparivano dall'Averno e dalla Superficie per godere insieme delle ultime ore nel loro luogo sconosciuto a tutti.
In Primavera e in Estate, Ade avrebbe comunque fatto qualche piccola scappatella in Superficie per poter strappare anche solo un bacio alla moglie, nonostante le ire di Demetra. E allo stesso modo, in Autunno e in Inverno, Demetra avrebbe cercato di attirare la figlia, con qualche scusa, fuori, in Superficie, per qualche ora, o qualche giorno, durante quello che era il periodo in cui la Dea avrebbe dovuto invece regnare nel Sottosuolo.
Persefone sapeva che quelle della madre altre non erano che scuse, ma a lei non importava, e per l'immenso amore che provava, decideva di fare finta di nulla, e accettava di buon grado quei brevi e dolci momenti al fianco di sua madre.
I secoli si sarebbero susseguiti veloci, ma il suo amore per la madre non si sarebbe mai estinto.
Con gli anni, Persefone divenne la migliore delle Regine, tanto che in Superficie il suo culto si diffuse, divenendo adorata tanto quanto lo era la Regina degli Dei.
Il suo amore per Ade non conobbe cedimento, e di secolo in secolo, divenne oggetto di molte opere, letterarie e artistiche.


* * *



- Io continuo a pensare che lo scultore ti abbia fatto esageratamente brutto, ma la statua è davvero splendida. - disse Persefone, osservando ancora una volta quella statua che molti secoli prima l'aveva affascinata.
- Ricordami, perché siamo venuti proprio qui? - chiese Ade, guardando quasi con disgusto gli abiti moderni che la moglie lo aveva costretto ad indossare.
- Con mia madre mi son sempre divertita a mescolarmi con gli umani, e con te è sempre così difficile poter trovare del tempo per fare qualcosa di simile. - disse lei con voce dispiaciuta. - Ho pensato che proprio oggi ti avrebbe fatto piacere venire con me in questo... “museo”. - Ade sorrise. Molti secoli prima, proprio in quel giorno, lui l'aveva scortata nel suo regno, e le aveva mostrato quella stessa statua.
Il dio dei morti fissò con amore la moglie che lo guardava con la stessa dolcezza di quei giorni così lontani.
- Abbiamo dovuto però abbandonare il nostro lavoro per essere qui oggi.
- Radamanto, Minosse ed Eaco se la caveranno. - disse lei abbracciandolo tra la folla che si susseguiva rumorosa per la sala.
- I nostri doveri dovrebbero venire prima di tutto.
- Lo so, ma credo che ogni tanto possiamo concederci momenti come questi. - il suo sorriso scaldò il cuore di Ade.
- Grazie, mia dolce Persefone. - disse lui portandosi alla bocca la mano di lei per baciarle le dita.
- Per cosa?
- Per aver portato la luce non solo nel nostro regno e in questo, ma anche nella mia vita.
- Grazie a te per avermi permesso di farlo.
I due innamorati si baciarono di fronte alla bella statua, mentre il mondo attorno a loro, per un breve istante, fu come congelato. Un momento solo in cui il tempo veniva fermato.
Il loro amore era cresciuto lentamente e non avrebbe mai conosciuto fine.
Sarebbe durato fino alla fine del mondo.
E anche oltre.


- Madre Gaia, siete contenta? - chiese Atropo, mentre fissava nella pozza le due divinità dell'Oltretomba che si divertivano per un giorno nel mondo dei mortali.
- Alla fine avevamo avuto ragione, no? - disse Cloto. - Demetra ha dovuto cedere il passo ad Ade, ma quello che non le avevamo detto era che il mondo, e lei stessa, ne avrebbero giovato. L'inizio è stato difficile, ma col tempo, anche Demetra è rifiorita, ritrovando se stessa.
- Se le avessimo detto tutto fin dall'inizio, le cose avrebbero potuto essere diverse. Alla fine, è grazie alle loro azioni che il Cosmo ha ritrovato il suo Equilibrio.
- Il mondo sarebbe stato diverso se loro avessero fatto altre scelte, - disse Madre Gaia, - cambiando in meglio o in peggio. Demetra, Dea delle Messi, ha dovuto soffrire per poter dare vita alla nuova era delle Stagioni, e questo ha reso più meravigliosa la Natura della Superficie. Ade, Signore dell'Oltretomba, ha dovuto vivere a lungo in tetra solitudine per governare sull'Averno, e questo ha reso più inestimabile la compagnia di Persefone. E Persefone, Dea della Natura e Regina dell'Averno, è maturata grazie all'amore e alla premura delle due divinità, e questo l'ha resa una Dea forte e indipendente, padrona del suo stesso destino. Se le tre divinità non avessero capito l'importanza dell'Equilibrio, oggi non saremmo qui. Io credo che, alla fine, tutti loro, tutti i nostri figli, abbiano trovato la loro strada, regalando al Cosmo l'opportunità per rifiorire.
Le quattro divinità osservarono ancora una volta Ade e Persefone, mentre la loro immagine svaniva alla loro vista.
Nessuna di loro aveva mai avuto davvero potere sulle vite dei mortali e degli Dei, nemmeno su quelle dei Signori dell'Oltretomba: erano stati semplicemente ad osservare, tessendo per loro ogni possibile cammino, e aspettando che fossero loro a decidere quale fra i tanti percorrere.


Ade e Persefone da tempo sapevano che ogni loro vittoria, ogni loro sconfitta, ogni pianto o gioia erano frutto delle loro scelte. E non avrebbero potuto desiderare altro.
La loro era una vita meravigliosa proprio perché loro stessi l'avevano costruita, insieme.
Mentre fuori dal museo cominciava a nevicare, i due, stretti nel loro caldo abbraccio, si scambiarono un altro sguardo carico di quell'amore eterno, di quella luce meravigliosa che quei due erano in grado di accendere stando insieme e che rischiarava anche le tenebre più oscure.
La Luce dell'Averno.


 
Fine
 
L'angolo di Shera ♥

Salve a tutti.
C'erano tante cose che avrei voluto dire, davvero tante. Ma in questo momento non mi vengono in mente.
Voglio ringraziare prima di tutto il mio fidanzato che mi ha aiutata, e soprattutto sopportata, nei cinque mesi di stesura di questa storia. Senza di lui non so come avrei fatto ♥.
Ringrazio ancora Manto e Crateide, per essere sempre state di sostegno, lasciandomi commenti e impressioni. Grazie mille ragazze, non avete idea di quanto le vostre parole mi siano state d'aiuto.
Ringrazio Saliman, e tutte le altre persone che hanno lettp, commentato e aggiunto alle liste questo mio lavoro. Siete davvero tanti, e non me lo sarei mai aspettata. Questo è stato il primo, e spero non unico, lavoro che ha suscitato un così alto interesse. Quindi grazie di cuore.

Ho altri progetti in testa, ma non so quando e quali porterò avanti nei prossimi mesi. È difficile che in questi ultimi giorni mi metta sotto a scrivere. Ma tranquilli: tornerò presto ♥


E per ultimo, voglio dedicare questo Epilogo a una persona in particolare, che ci ha lasciati due notti fa.
Dedico questo a mia nonna.
Io e lei abbiamo avuto un rapporto un po' conflittuale, ma ci volevamo bene. Sarà strano stare senza di lei d'ora in avanti, ma il suo ricordo non verrà mai cancellato.
Grazie nonna per essere sempre stata un esempio di donna forte e indipendente, per avermi regalato una meravigliosa infanzia e tanti sorrisi.
Non so cosa ci sia dall'altra parte, ma chiunque ti abbia accolta, sono certa che l'avrà fatto con tutti gli onori.


Barbara

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3215483