L'albero dell'impiccato

di Seven Scars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Felici Hunger Games ***
Capitolo 2: *** Il male che conosciamo ***
Capitolo 3: *** Di corda una collana ***
Capitolo 4: *** Tu mi ami. Vero o falso? ***



Capitolo 1
*** Felici Hunger Games ***


Felici Hunger Games

 

Run, run, run and hide
Somewhere no one else can find
Tall trees bend and lean pointing where to go
Where you will still be all alone.
Don't you fred, my dear
It'll all be over soon
I'll be waiting here for you“


 

Il giorno della mietitura è considerato un grande evento in tutta Panem e a modo suo lo è, perchè decide le sorti di molti. Non sono in gioco soltanto la vita dei tributi, e dire soltanto è un eufemismo, ma anche quella dei parenti, dei distretti, degli amici e di chi sopravvive a questa strage.
 

Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”


Quando alla mietitura sentii Effie urlare fiera il nome di Primrose Everdeen come tributo femminile del Distretto 12 mi si bloccò il corpo, perchè già sapevo, sapevo che lei avrebbe urlato quelle tre parole.


Mi offro volontaria!”


Non avrei dovuto, ma il terrore si impadronì delle mie ossa e non potei fare a meno di sussurrare il suo nome. Pregai perchè non venisse accettata la sua proposta.Non lei, chiunque altra sarebbe andata bene. In confronto avrei preferito il sacrificio della sorellina appena dodicenne e mi sentii tanto male per averlo pensato che avvertivo l'acido in bocca. È soprattutto questo il peggio degli Hunger Games: spingono a volere la morte degli altri.

Quando Effie Trinket accolse la sua richiesta mi sentii morire dentro.


Non preoccuparti figliolo, non hai mai fatto tessere. Siete in tanti, tu non uscirai”


Era avvenuto tutto talmente in fretta che nemmeno mi resi conto che era arrivato il momento. Già, proprio quello che avrebbe dovuto importarmi di più. C'è stato un attimo in cui, dopo essermi reso conto che era arrivato il turno per il sorteggio maschile, avrei voluto urlare “Fermi, non ancora!”, ma rimasi zitto. Mi si bloccò la voce in gola dal terrore di cosa sarebbe potuto accadere dopo pochi secondi. Mi ero lasciato distrarre da lei e dalla sorella, non ero ancora psicologicamente pronto. Il punto è, lo sarei mai stato? Ovviamente no. Eppure in quell'istante la mia mente lo cercava ancora quel minuto in più nell'incertezza assoluta, senza sapere cosa mi sarebbe accaduto. Meglio rimanere nel limbo piuttosto che dover affrontare la realtà di dover entrare nell'arena.
Dimenticai totalmente lei e la sorellina che piangeva e questa è una delle cose di cui più mi pento. L'unica cosa che riuscii a fare fu deglutire e chiudere gli occhi non appena sentii Effie Trinket parlare di nuovo, braccia tese e pugni chiusi, le nocche bianche.


E' giunto il momento di scegliere il nostro tributo maschile. Peeta Mellark!”


Mi si fermò il cuore. Tutti si fermarono, tutto il mondo si bloccò. Il compagno alla mia destra, mio padre che assisteva alla scena a qualche metro più in là, gli uccelli che volavano alti sopra di noi.
Mi sentivo lontano da tutti. Non mi sembrava reale, per alcuni istanti pareva soltanto uno dei miei incubi più frequenti, niente di più. Non poteva essere vero, c'era quella strana luce, quella che vediamo solo nei sogni. Era tutto troppo nitido o troppo sfocato, non riuscivo a capirlo.

E intanto non mi muovevo. Ero fermo, immobile al mio posto, con i pugni ancora serrati. Ci impiegai troppo, parevano ore, per capire che era tutto vero, perchè mi guardavano tutti. Gli sguardi di decine e decine di ragazzi (alcuni poco più che bambini) su di me, sul mio viso, sulle spalle, felici che fossi io il tributo. Solo io ancora non riuscivo a focalizzare la mia attenzione su questo, non capivo per la prima volta nella mia vita cosa implicasse l'essere sorteggiato da quell'urna. Sapevo solo che dovevo muovermi, dovevo salire sul palco. Mossi un passo, poi un altro, poi ancora un altro. Mi sentivo come un pezzo di legno, come un bambino che sta imparando a camminare. Un passo, poi un altro, poi un altro ancora e fui sul palco. Mi voltai a guardare “il pubblico” e credo quello sia stato il momento peggiore della mia vita. In quel preciso istante capii che non sarei mai più tornato a casa. Non avrei più rivisto la mia famiglia, il distretto 12. Sarei morto, probabilmente in qualche modo orribile quanto spettacolare, non c'era dubbio.

Volevo piangere. Non lo nascondo, in quel momento avrei voluto piangere, ma ogni lacrima sembrava un macigno. Quindi non piansi. Lo avrei fatto dopo. Poi Effie mi chiese di stringere la mano di Katniss. Le cose erano andate anche peggio dei miei incubi peggiori.

Non sono bastate le prime ore a farmi accettare l'idea di morire. Ho dovuto passare due settimane nel lusso di Capitol City e di quel maledetto treno per capire che tutto quello non era reale. Sarebbe stato reale tutto quello che sarebbe avvenuto dopo, nell'arena, con dodici tributi a scannarsi tra loro. Chi sarebbe stato il primo a cedere? Sarei stato io?


«Lei no. Lei non può, perchè l'ho deciso io.»


Da quel momento credo che per me sia cambiato tutto quanto. Avevo la consapevolezza di dover fare una scelta, la migliore che potessi fare. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che sperare nell'impossibile era come aspettarsi di poter tornare indietro dalla morte: da stupidi. Non so se la scelta che presi fosse la migliore, ma era la migliore per me. Se davvero non avevo speranze, allora perchè non provare a morire con dignità? A morire come io volevo, senza lasciare che qualcuno pensasse di potermi annullare, di decidere quale fosse la migliore inquadratura per mandare in mondovisione la mia morte. All'inizio io credevo di aver paura di morire, ma c'è stato un momento in cui ho avuto chiaro tutto. Alla luce di tutto quello che era successo, la cosa che più temevo era tornare a casa.

 

«Non c'è problema, ti suggerisco io cosa fare. Vincere e tornare a casa. A quel punto non potrà respingerti, ti pare?»

«Non credo che funzionerà. Vincere...non servirebbe, nel mio caso»

«E perchè mai?»

«Perchè lei è venuta qui insieme a me».

 

Haymitch inizialmente non ha fatto i salti di gioia. Non l'ha mai trovata particolarmente simpatica, a tratti non avrei potuto nemmeno biasimarlo. Quando capì che non avrei ceduto non potè fare altro che constatare che, insomma, era geniale. Non mi chiese il motivo, credo abbia capito e basta. Aveva forse altra scelta, se non accettare? Io mi sarei comunque arreso e doveva pur tentare di salvare un tributo del Distretto 12, farla scampare di nuovo a qualcuno. Avrebbe dovuto riportare indietro una vita.

 

«Non sono mai stato in gara per la vittoria»

 

Ed è davvero così importante dove mi trovo ora, dove sono steso a morire? Per molti distretti tutto questo è un onore, per Capitol City uno spettacolo. Per me non è nulla, se non un bosco che non ha alcun significato per me. La verità è che la morte ci rende anonimi e insignificanti, un cumulo d'ossa. E' pur sempre una vita che scivola via che un giorno verrà dimenticata o considerata solo come un sacrificio in nome dell'ingiustizia di Panem.

Prima di mettere piede nell'arena credevo che il più allenato avrebbe vinto, quello che considera uccidere coetanei e vincere gli Hunger Games motivo d'orgoglio, “per se e per i suoi”. Ora, steso qui terra coperto di fango e nascosto tra foglie a sfiorare la morte, mi rendo conto di come le cose vadano davvero: non vince il più forte, ma chi tra questi ha la forza di continuare a vivere anche dopo gli Hunger Games, senza tornare con la mente nell'arena. E' questa la mia unica speranza, l'ultimo gancio a cui potermi aggrappare per sognare che un giorno, alla fine di questi Hunger Games, sia lei ad uscirne come la sola vincitrice. Sono certo che lei nella sua vita non abbia fatto altro che questo e Capitol City ama questo genere di persone, perchè ricorda ai 12 Distretti che c'è ancora la fame e la morte, per quanto se ne voglia fare uno spettacolo.

La sera prima dell'inizio degli Hunger Games le dissi che la cosa importante per me era morire con dignità, senza perdere me stesso e diventare una loro pedina. So che quando morirò sarò visto solo come un tributo che non è stato abbastanza forte da farcela. La verità? Non mi interessa affatto cosa penseranno gli altri, nemmeno lei. So quello che ho fatto e i motivi che mi hanno spinto ad andare avanti col mio piano. Questa è l'unica cosa che conta davvero per me. Non mi rendono un eroe, ma non è questo che voglio essere.
 

«Scappa! Scappa!»

 

Vorrei non morire ora solo per assicurarmi che lei sia l'unica a sopravvivere, alla fine di tutto. Fa freddo, davvero freddo, per quanto il sole voglia battere forte sulla mia gamba, per quanto la notte voglia scendere leggera sul mio corpo bloccato dal dolore. Non c'è differenza ormai, notte e giorno sono lo stesso. Tendo l'orecchio al suono dei cannoni e inizia la paura. Guardo in alto quando sento l'inno provenire dagli alberi, dal fiume, dal cielo, dalla luna e il panico mi attanaglia lo stomaco.
Non c'è la sua foto nel cielo.


“Buy yourself another day”

 

E' stata aggiunta una nuova regola: entrambi i tributi dello stesso distretto saranno dichiarati vincitori, se sono gli ultimi due a restare vivi”

 

Silenzio.

Si blocca il vento, le foglie sono immobili e i piccoli animaletti che cercano riparo o cibo o scappano ora sono fermi, con l'orecchio teso.
Non è possibile.

Come può essere vero? Come può essere così facile, ora, tornare a casa in due? Se avessi la forza riderei anche, per il tempismo. Perchè è ironico, no? Sono qui, completamente mimetizzato tra foglie e roccia, con una gamba quasi distrutta che non smette di sanguinare.

E' davvero possibile l'impossibile?







Angolo dell'autore:
La canzone è "Kingdom come", the Civil Wars. La oneshot raccontata dal punto di vista di Peeta mentre è mimetizzato nel bosco dell'arena nei suoi primi Hunger Games.

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Capitolo 2
*** Il male che conosciamo ***


Il male che conosciamo
 

 

“Cara mamma e cara Prim,

non trovate un po' banale questo inizio? Io si. Mi sembra davvero troppo convenzionale, troppo formale. Non è per noi, ma non ho altro modo per dirvi in breve quanto care siate al mio cuore.

Non ho intenzione di parlare a vuoto, di usare giri di parole – quella è l'abilità di Peeta, non la mia - solo per rimandare quello che ho intenzione di dirvi, quello che credo voi pensiate già da mesi. Io non tornerò a casa, non questa volta. Non vi ho promesso che sarei tornata e voi stesse non me lo avete chiesto, perché sapevate che questa volta non potevo. Non è nel mio stile avere rimpianti, né tantomeno ricordare i tempi passati in cui, in brevi e rari momenti, avevo almeno l'illusione di vivere tranquilla. È il passato ormai, quello non conta più.

Sarà una lettera breve, lo giuro. Tutto quello che avevo da dire l'ho già detto, o forse in realtà non ce n'era bisogno. Lascio che siano gli anni passati insieme a parlare per me.

Mamma, prenditi cura di Prim, non ti chiedo altro. Milione di volte ti ho detto cosa fare e cosa no: niente tessere, niente caccia, insegnale ciò che è necessario per essere una guaritrice. Non farla diventare come me. Non allontanarti mai, non adesso e non di nuovo.

Prim, prenditi cura di te stessa, non di nostra madre. Impara da lei, ma non essere come lei e nemmeno come me. Sii te stessa, sei già straordinaria così. Sei dolce, bellissima e  più saggia di quanto dovresti alla tua età (tutte qualità che fanno impazzire i ragazzi). Non dare retta a Haymitch quando ti parlerà male di me e nemmeno a Peeta quando mi innalzerà come una dea. So che lo faranno, ma non sono nessuna delle due versioni. Ricordami solo per come mi hai conosciuta e non ti sbaglierai.

Mamma, ascolta il mio cuore, perché ora finisce un battito, ma ne inizia un altro. So che puoi sentirlo, ovunque io sia. So che puoi sentirlo perché un tempo non lo facevi, ma ora è diverso. Ora sei con me.

Prim, ascolta il mio cuore, perché batte per te. Nascondi il tuo amore per me, nascondi il tuo dolore. Fatti forza e prendi in mano la tua vita, perché ho sempre la speranza che un giorno potrai vivere da persona libera. Nascondi il tuo amore per me contro il male che conosciamo entrambe, ma sappi che il nostro affetto sopravviverà anche nei giorni più bui. Non verrà mai intaccato da loro, Primrose Everdeen, perché il nostro amore è autentico come la rosa che sboccia a primavera, come una farfalla che si posa sulla mano.

Lasciate che l'amore che ci lega sia nascosto in posto che non potranno mai raggiungere, protetto dalla malvagità di chi oggi mi ha strappata via e di chi un giorno vorrà portarvi via il resto, perché allora saprò di essere veramente al sicuro.

Vostra per sempre,

Katniss”

 




Angolo dell'autore
Questa è la lettera che ho immaginato che Katniss avrebbe potuto scrivere alla madre e alla sorella, prima di partire per i suoi secondi Hunger Games. La lettera è ispirata alla canzone "Dark days", the Punch brothers.  

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Capitolo 3
*** Di corda una collana ***


Di corda una collana

 

Prendo la corda.
La piego in due parti uguali.
Prendo una delle estremità e la avvolgo stretta intorno all'altra.
Avvolgo molte volte finché la prima estremità della corda non finisce.
Tiro il cappio.
La corda si tende.

Finito.

 

Vedo appena il movimento delle mie mani nel buio della cantina. Dormono tutti, o meglio, tutti quelli che sono rimasti. Forse è solo Peeta ad essere ancora sveglio, ma non credo sia per i miei stessi motivi. Non mi capita spesso di non riuscire a dormire, ma quando succede non conto le pecore o le stelle in cielo. Immagino di tirare frecce col mio arco nel bosco del 12, di realizzare trappole. O di fare un nodo scorsoio. Sembra triste e deprimente, ma dipende dalle prospettive. Quel nodo non è certo per me.

Mi manca il sapore delle more. Quando io e Katniss avevamo il permesso di andare a caccia fuori dal Distretto 13 ne abbiamo mangiata qualcuna. Ma erano diverse, più amare. Anche noi siamo diversi, più freddi. Tutte quelle parole dette tra una mora e l'altra quando andavamo ancora a cacciare nel nostro bosco erano vere, ma Katniss non lo sapeva ancora. Ora lo sa.
Lei, però, non c'era quando il Distretto 12 è stato raso al suolo, andato, completamente distrutto. Non era certo a divertirsi, ma era con Peeta. Era con Peeta, ma era a morire.
 

Svolgo.

Abraham took Isaac hand
and led him to the lonesome hill”

 

Siamo stati costretti a vivere nel silenzio, a morire di fame, a sacrificarci per un futuro che non sarebbe arrivato. A volte mi chiedo come sarebbe andata se io e Katniss fossimo davvero fuggiti. Nei boschi saremmo sopravvissuti, avremmo cacciato all'infinito, lontano da Panem.
Ma sarebbe davvero stato così? Saremmo riusciti ad allontanarci veramente? Credo di no.
Se anche non avessimo avuto i miei fratelli e le nostre sorelle, le nostre madri, ora saremmo liberi? Credo di no.

La libertà non esiste in questo posto. Non esisteva nemmeno al Distretto 12, anche se non c'era la corrente alla recinzione oltre il Prato, anche se i Pacificatori chiudevano entrambi gli occhi, anche se il Sindaco era dei nostri. In altri Distretti si dice che non siano mai stati tanto indulgenti quando non si rispettavano le regole. Eppure nemmeno noi eravamo liberi. Siamo stati costretti a guardare le persone che amavamo morire nei modi peggiori: chi dalla fame, chi nell'arena. C'era chi preferiva nascondersi dietro la paura del “cosa accadrebbe se”. Altri osservavano con la coda dell'occhio mentre si sforzavano di trovare qualcosa da fare con l'unico scopo di costringersi a pensare che, viste da un televisore e da quell'angolazione, le cose assumevano un diverso significato. Non parevano più reali, c'era più distacco. Ma accadevano e noi non facevamo niente.

 

Prendo la corda.
La piego in due parti uguali.

 

While his daughter hid and watched
she dared no breathe she was so still”

 

Credo che Katniss non si rendesse conto davvero di cosa avesse creato, nemmeno quando le è stato spiegato tutto al Distretto 13. Ha creato l'occasione che mancava, quella di non nascondersi più dietro i “cosa accadrebbe se” o di fingere che le cose non ci toccassero. Ha creato lei la ribellione, perché ha reso visibile la fiamma di odio che sopita continuava a crescere negli abitanti di Panem. È stato per un gesto istintivo che ha dato il via alla guerra, ma se non ci fosse stato ora sarebbe tutto diverso. Tutto uguale a prima.
 

Avvolgo.

Just as an angel cried for the slaughter
Abraham's daughter raised her voice”

 

«Se solo i Distretti sapessero quanto potere hanno, Katniss, noi ora non saremmo qui a cacciare per i nostri fratelli. È questo che Capitol City continua a fare con i giochi: farci credere che il fatto stesso di vivere sia una concessione». Queste furono le parole che le dissi una di quelle volte in cui ci sedevamo a mangiare le more al Distretto 12. Ricordo che annuì, poi raccolse una mora e la lanciò in aria, per poi atterrare nella mia bocca. Aveva comunque un sapore più dolce.

 

Avvolgo molte volte finché la prima estremità della corda non finisce.
Tiro il cappio.

Then the angel asked her what her name was,
She said, - I have none.
Then he asked - How can this be?
- My father never gave me one.”

 

Poche ore e sarà tutto finito. Entro domani la nostra agonia sarà finita, o la vita o la morte. Ormai Capitol City non può far altro che arrendersi, perchè non c'è speranza che possano sopraffare i ribelli. Siamo in troppi, siamo agguerriti. La differenza tra noi e loro è che noi siamo abituati a pagare qualunque prezzo, perchè ci è rimasto ben poco; loro, invece, non sono abituati al sacrificio, perchè si sono sempre serviti di noi. E' arrivato il momento di dimostrare che siamo persone libere, che scelgono da soli il proprio destino, senza andare incontro alla morte perchè deciso da qualcun altro o dal caso.

E' questo il momento in cui dovrei avere paura? Immagino di si. Paura di cosa esattamente? Di morire? Di vedere morire le persone che amo? O di non vincere la guerra? Credo che la cosa che più mi spaventi sia l'ultima. Non ho paura di morire, perchè ho votato la mia vita a questa rivolta nel momento in cui è iniziata. Anche quando la rivolta era ben lontana dall'iniziare, ho sempre pensato che se ci fosse stato un qualche movimento rivoluzionario io ne avrei fatto parte, con tutte le conseguenze del caso. Certo, ho paura di vedere le persone che amo morire davanti a me. In realtà è soltanto una quella esposta davvero alla battaglia. Ma l'idea di perdere la guerra mi terrorizza più di tutto, perchè in quel caso le persone che amo rimaste in vita ne subirebbero le conseguenze. Violenze, torture, uccisioni, fame, morte, peggio. Il solo pensiero mi fa rabbrividire.

Non accadrà, perchè noi abbiamo un motivo troppo importante per lottare. Noi lottiamo per la vita, non per le scarpe alla moda o la parrucca del momento. Lottiamo per la libertà, non per i trucchi appariscenti.

E allora che guerra sia.

 

La corda si tende.
Finito.
Il cappio è pronto per te, Presidente Snow.

 

And when he saw her, raised for the slaughter,
Abraham's daughter raised her bow.
- How darest you child defy your father?
You better let young Isaac go.”

 

Angolo dell'autore
Questa breve oneshot è ispirata alla canzone "Abraham's Daughter", Arcade Fire, dal punto di vista di Gale la sera prima dell'inizio dell'attacco a Capitol City.

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Capitolo 4
*** Tu mi ami. Vero o falso? ***


Tu mi ami. Vero o falso?


 

Quando Gale mi disse che Katniss avrebbe scelto chi dei due era più indispensabile alla sua sopravvivenza non avevo capito appieno le sue parole. L'idea che Gale, il suo più caro amico, ritenesse la scelta di Katniss così priva di sentimento mi aveva fatto domandare se noi due non fossimo altro che delle pedine per lei. Non ho mai pensato che Katniss potesse scegliermi, ma nemmeno avevo creduto possibile, sino ad allora, che potesse davvero essere tanto insensibile.

Ricordo che quella notte non dormii affatto. Non che le altre notti avessi dormito tanto placidamente, ma per qualche motivo sentivo che eravamo vicini alla fine, quella che non avevo visto giungere con nessuna delle due edizioni degli Hunger Games a cui ho preso parte come tributo. Sapevo che, a breve, la guerra sarebbe terminata, se eravamo fortunati a favore dei ribelli. Ma, per quanto mi riguardava, non credevo di arrivarci vivo.

I ricordi dei momenti successivi a quella notte sono vaghi e confusi.
Travestiti.
Gente di Capitol City che correva nei vicoli.
Pacificatori.
Katniss, già lontana da me con Gale.
Baccelli. Anfiteatro.
Bambini.
Fuoco.

Fuoco.
Ricordo di essere andato a fuoco. Dolore. Poi niente.

Credevo di essere morto, e in qualche angolo della mia mente, almeno quella non depistata, speravo fosse così. Sono stato molto tempo in ospedale, a Capitol City. Qualche volta Haymitch è venuto a trovarmi, ad aggiornarmi sugli esiti della guerra, finita il giorno dello scoppio del detonatore, quando sono andato in fiamme. Snow era stato catturato in attesa di essere ucciso, Capitol City finalmente nelle mani dei ribelli. Domandai di Katniss e Haymitch mi disse tutto quanto.

Fuoco. Bambini.
Prim.

Sapevo che per quanto Katniss potesse sopportare, quel dolore era troppo. Come fuoco che ustiona la carne per la vita, senza darti respiro né tregua.

Ero sotto morfamina, ma potevo sentire la paura scorrermi nel sangue, paura che Katniss potesse fare qualcosa di avventato, dettato dalla disperazione, come morire.
«Dobbiamo fare in modo tale che non si uccida, Peeta» mi disse Gale, quando dopo tempo fui dimesso dall'ospedale. Era qualche giorno prima dell'esecuzione pubblica di Snow. Lo avevo guardato a lungo, forse con la sua stessa disperazione negli occhi, perchè poi ci stringemmo in un abbraccio che sapeva di addio. Eravamo sempre stati in competizione per via di Katniss, ma la verità era che noi due ci piacevamo. E' un tipo a posto, Gale.

La rividi per la prima volta il giorno dell'esecuzione di Snow. In quel momento pensai all'ironia con cui la sorte si era presa gioco di lei. Era diventata letteralmente la ragazza di fuoco
Allora credevo di conoscere le sue intenzioni. Aveva detto di voler uccidere Snow ed era quello che le veniva offerto su un piatto d'argento quel giorno. Ma forse Gale sapeva qualcosa di più, perchè quando Katniss spostò la freccia dal cuore di Snow verso la presidente Coin - che era stata a capo della rivolta per tutto il tempo della sua durata - voltò la testa verso di me come se già sapesse.

“Morso della notte”. Vidi queste parole formarsi con urgenza e paura sulle sue labbra e allora capii.

Tutti mi ringraziarono per averle salvato la vita quel giorno. Nessuno, però, sa che Katniss aveva perso tutto. Solo un tributo vincitore può capirlo. Chi ha messo piede nell'arena e ci è morto dentro ha perso la vita. Chi ne è uscito vincitore ha perso tutto il resto. Libertà, felicità, sogni, speranze, amore, sono parole che, se un tempo erano rappresentate da qualcosa, usciti dall'arena diventano vuote e senza senso. Katniss aveva perso molte cose nelle due edizioni degli Hunger Games, ma aveva ancora Prim. E avevano aspettato la fine di tutto per portarle via l'unica cosa rimasta.

Gale mi spiegò, mentre Katniss era abbandonata a se stessa nella 'sua' stanza ad aspettare di morire, che la bomba che aveva ucciso Prim probabilmente non era di Snow, non di Capitol City, ma dei ribelli. E Katniss lo sapeva.

Dal momento in cui il mio nome fu sorteggiato per gli Hunger Games ho visto scivolarmi tra le mani tutto quello che prima faceva parte della mia vita. La mia famiglia, il Distretto 12, il negozio, la mia innocenza e già allora sapevo che era solo l'inizio. Sono arrivato a perdere la mia mente, i miei pensieri sono stati manipolati da Snow, eppure so che, anche nei momenti di pura pazzia, la mia speranza era ancora viva. Era Katniss, l'unica cosa che mi rimaneva e dovevo fare di tutto per salvarla. Erano sacrificabili anche le vite degli altri, la mia prima di tutto.

 

Today I’ve cried a many tear
And pain is in my heart
Around me lies a somber scene
I don’t know where to start
But I feel warmth on my skin
The stars have all aligned
The wind has blown but now I know
That tomorrow will be kinder”

 

Non credevo che Katniss scegliesse me, ma lo speravo. Una volta che la sua vita e la mia non erano più a rischio come prima, ho davvero creduto nella possibilità di realizzare una nuova vita insieme a lei. Non quella di prima, ma una che nascesse con noi, che ci stavamo ricostruendo da capo. Ci sono voluti mesi prima che Katniss potesse guardarmi di nuovo come Peeta Mellark, il ragazzo del pane, e non il mostro manipolato da Capitol City. Credevo non sarebbe più successo, che sarei rimasto sempre un estraneo davanti al suo dolore incessante e inguaribile. Ce ne vollero ancora di più perchè io riuscissi a vedermi allo specchio come Peeta Mellark.

Dopo molto tempo, però, il sole tornò timido a risplendere su di noi, sul Distretto 12. Una nuova speranza ci diede la forza di rialzarci, a dispetto del male che aveva rovinato le nostre vite e quella delle persone che avevamo amato. Ci rimanevano solo manciate di ricordi, ma quando riuscimmo a metterle per iscritto ci fu data anche la possibilità di ricominciare, di vivere per chi non aveva potuto, prendendo parte ad una guerra in cui non aveva vinto nessuno.

 

Often I wonder why I try
Hoping for an end.
Sorrow weighs my shoulders down
And trouble haunts my mind,
But I know the present will not last
And tomorrow will be kinder”

 

Oggi lo capisco cosa intendeva dire Gale quella notte. Ho fatto tesoro delle sue parole, col tempo. Mi capita spesso di pensare a lui, ormai nel Distretto 2 senza alcuna necessità di tornare alla vecchia casa. So che anche Katniss lo pensa spesso, nonostante non me ne parli poi tanto. Gale aveva sempre saputo, a differenza mia, che Katniss avrebbe scelto me. Lui la conosceva meglio di chiunque altro e aveva ragione: Katniss doveva sopravvivere, richiamare a se i brandelli di carne e anima che quegli Hunger Games e quella guerra avevano disseminato lontano. Lei dice sempre che è grazie a me se ha ritrovato la voglia di vivere, ma io non penso di avere avuto questo potere su di lei. Non so cosa io abbia fatto di preciso in questi vent'anni per farglielo credere. L'ho amata e l'amerò per tutta la vita, ma questo l'ho sempre dato per scontato. Parlavo sul serio quando alla sua richiesta di restare con lei e io le rispondevo “Sempre”. So soltanto quello che provo per lei che nel tempo, nonostante tutto, non è mai cambiato, ma si è rafforzato. L'unica cosa che gli Hunger Games non mi hanno portato via. La guerra l'aveva distrutta e deturpata, ma per me è sempre stata l'ancora di salvezza, la ragione per cui ho lottato contro tutti, soprattutto contro me stesso. Volevo vivere per farla tornare a vivere. Per rivederla sorridere e sentirla di nuovo cantare. Per osservarla mentre va a caccia. Per guardare i suoi occhi grigi di nuovo vivi e non spenti dalla sofferenza.

Ora, guardando i nostri figli correre nel Prato e lei che li osserva sorridendo, capisco che non c'è niente di male nel cercare disperatamente la propria sopravvivenza in qualcun altro. Sono orgoglioso di essere stato la sua sopravvivenza, così come da ora in avanti lo saranno i nostri figli. Siamo riusciti a fare qualcosa che i nostri genitori speravano per noi: dare un futuro a chi, un tempo, credevamo di non poter concedere. 






Angolo dell'autore:
La oneshot è isirata alla canzone "Tomorrow will be kinder", the Secret Sisters e racconta il punto di vista di Peeta, ambientata all'epilogo finale della saga.

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