Heroes di _Wonderwall_ (/viewuser.php?uid=239791)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** AVVISO ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
<<
Buon compleanno >> una voce femminile dolce e bassa,
arrivò alle orecchie di Shailene, distraendola per un attimo
dai bei sogni che stava facendo.
L’enorme specchio d’acqua circondato da montagne e
alberi verdi e rigogliosi scomparve lentamente dagli occhi assonnati e
socchiusi della bambina e si accomodò in un piccolo angolo
della sua memoria. La ragazzina sbadigliò portandosi una
mano davanti alla bocca e sbattendo le palpebre ancora assonnata e
leggermente irritata dall’interruzione di quel magnifico
sogno. Ricordava quel posto, ci era stata l’estate precedente
con tutta la sua famiglia, o perlomeno con la parte della famiglia che
le piaceva.
<< Dai, piccolina apri gli occhi >>
ripeté la stessa voce, carezzandole il braccio con dolcezza.
Shailene borbottò qualcosa di indistinto e coprì
il viso con le coperte leggere, lasciando i capelli rossicci sparsi sul
cuscino. La risata della donna arrivò leggermente ovattata
dal tessuto delle coperte, ma riuscì comunque a far
comparire un sorriso sincero sulle labbra piene della undicenne.
<< Ancora cinque minuti, zia >> Shailene
cercò di fare la voce più supplichevole e dolce
che potesse fare, ma sapeva bene che il suo sonno era già
finito.
Infatti dopo neanche due secondi le coperte vennero tolte
improvvisamente, permettendo alla leggera brezza di inizio settembre di
procurarle qualche brivido. Un odore di caffè e di
cioccolato raggiunse le sue narici facendo scomparire
l’irritazione in pochi secondi. Per le due cose che preferiva
al mondo poteva perdonare Laura per averla svegliata così
presto. Diamine, erano solo le nove e mezza.
La castana allungò una mano verso la tazza di
caffè, prendendosi il suo tempo prima di cominciare a
parlare. La mattina era sempre scioccante alzarsi e aveva bisogno di
una decina di minuti –e un buon caffè- prima di
essere completamente sveglia. Il caffè le bruciò
la lingua, ma il sapore dolce e al tempo stesso forte la svegliarono
completamente. Strizzò gli occhi, mordendosi la lingua.
<< E’ così strano vedere una
ragazzina di dieci anni bere caffè >>
commentò Laura, alzandosi dal letto.
Poteva decisamente considerarsi la sua frase preferita, la ripeteva
ogni volta che su nipote chiedeva del caffè. Sì,
ok, era strano –e sicuramente non salutare- bere
così tanto caffè, ma la bevanda nera rilassava i
nervi di Shailene e la faceva sentire in pace con se stessa e con il
mondo. La caffeina aveva uno strano effetto su di lei.
Shailene alzò gli occhi al cielo.
<< Undici >> la corresse, facendo nascere
un enorme sorriso sul suo volto.
Finalmente aveva realizzato che giorno fosse. Alzò in piedi
in meno di un paio di secondi e corse a scendere le scale
più velocemente possibile.
<< Lene >> sentì la voce di
Laura chiamarla da sopra le sale, ma la ignorò.
Una decina di lettere erano poggiate sul tavolo. Il suo sorriso si fece
ancora più grande. Prese in mano tutte le lettere, leggendo
velocemente il mittente e il destinatario.
Laura Lovegood.
Laura Lovegood.
Laura Lovegood… Laura Lovegood… Laura
Lovegood… Laura Lovegood… l’undicenne
sentì il cuore battere più veloce e un morsa
soffocante le strinse il petto, impedendole quasi di respirare. Tra
quelle missive ce ne era una sola indicata a lei ed era una stupida
cartolina da parte di sua zia Luna Lovegood. Non fraintendete, adorava
sua zia con tutto il cuore e amava le sue strampalate cartoline, ma non
era quello che sperava trovare quella mattina. Prese un respiro
profondo mentre si sforzava di impedire alle lacrime di uscire dai suoi
occhi. Doveva esserci un errore, non era possibile.
<< Lene, cerchi questa? >> la ragazzina si
accorse del sorriso sulle labbra di sua zia anche senza guardarla
direttamente.
Sentì le braccia della zia circondarle i fianchi e una
lettera con uno strano marchio per chiuderla le comparve davanti agli
occhi appena la donna la poggiò sul tavolo. Shailene
trattenne il respiro e aspettò un paio di secondi prima di
afferrarla con velocità ed aprirla, avvertendo la morsa al
petto allentarsi e il suore riempirsi di eccitazione, calore e
felicità.
SCUOLA DI
MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Preside:
Minerva McGrannit
(Ordine di Merlino, Prima Classe,
Grande Strega, Strega Capo, Supremo Pezzo Grosso,
Confed. Internaz. dei Maghi)
Cara signora Ricci,
Siamo lieti di informarla che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di
Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà
l'elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
L'anno scolastico avrà inizio il 7° settembre.
Distinti
saluti,
Filius Vitius
Vicepreside
Shailene
abbracciò di slancio sua zia, stringendola come mai prima
d’ora. Era felice. Aveva ricevuto la sua lettera e presto
sarebbe andata ad Hogwarts, sarebbe stata smistata in una casa e
sarebbe diventata una vera maga.
<<
Abbiamo delle cose da comprare >>
La bacchetta di sua zia si posò sulla combinazione dei
mattoni sul muro per entrare a Diagon Alley. Seguì
la combinazione con gli occhi, conoscendola a memoria. Era stata
così tante volte a Diagon Alley, a cena dagli zii o
più semplicemente per fare un giro con i suoi cugini, ma mai
era stata tanto eccitata come quella volta. Osservò il muro
aprirsi, rivelando la città colma di maghi e streghe intenti
a fare gli ultimi acquisti.
La magia riempiva l’aria, rendendola satura di quella
felicità e stranezza che popolava il mondo magico. Il
chiacchiericcio delle persone rendeva quel posto così pieno
di vita. Non andava a Diagon Alley da almeno una settimana, ma le
mancava già tantissimo. Adorava stare a casa con Laura.
Vivevano non molto lontano, ma essere in quella casa sembrava quasi
essere fuori dal mondo. E Shailene lo adorava. Aveva tutto a portata di
mano. Con soli trenta minuti poteva arrivare alla città, ma
viveva in un vero e proprio paradiso terrestre.
L’undicenne batté le mani, entrando nella
città a passo di carica e correndo verso la vetrina che
più le interessava: la bacchetta.
<< Lene, aspettami >> urlò
Laura, cercando di farsi sentire sopra il chiacchiericcio della folla.
Shailene la ignorò, entrando nel negozio e facendo cadere
una decina di scatole contenenti bacchette. Il rumore fece sbuffare un
vecchio uomo che guardò la ragazza con disapprovazione.
<< Credo che la disattenzione sia parte integrante della
famiglia Lovegood, ho ragione Lene? >>
Le guance della ragazzina si tinsero di un rosso acceso e
incrociò le mani dietro la schiena, assumendo una posizione
imbarazzata.
<< Credo di sì, Signor Olivander
>> rispose comunque, mostrando sfrontatezza ma in modo
cortese.
Sulle labbra del vecchio comparve un sorriso gentile mentre si
avvicinava al bancone. Quella bambina l’aveva vista per la
prima volta due giorni dopo la sua nascita, trasportata nella
città magica da quella madre un po’ pazza. Ed
adesso stava già comprando la sua prima bacchetta.
Shailene raccolse le scatole dal pavimento riponendole su una mensola.
Si avvicinò al bancone di corsa.
Il campanello della porta suonò in quel momento, avvertendo
dell’entrata di un nuovo cliente. Un rumore sordo, identico a
quello precedente, riempì nuovamente la stanza, facendo
ridere Shailene. Le bacchette erano cadute di nuovo a terra e piegata
su di esse c’era una mossa chioma bionda che si apprestava a
raccoglierle. Anche le guance di Laura si tinsero di rosso quando
alzò il viso sui presenti della stanza.
Olivander sbuffò divertito.
<< Ed ecco anche la zia >>
borbottò a bassa voce, mentre afferrava una bacchetta dalla
mensola e la porgeva all’undicenne.
Lei la afferrò con decisione e la sventolo, facendo crollare
un’intera mensola di bacchette. Sorrise malandrina e la
ridiede al vecchio fabbrica bacchette che sistemò il suo
disastro con un semplice gesto della mano.
<< Prova questa >>
Sventolò la seconda bacchetta e una luce la avvolse.
Immediatamente sentì dentro di se crescere una sensazione di
complicità e di attrazione.
<< E’ la bacchetta a scegliere il mago,
ricordalo Lene >> l’undicenne sorrise verso
Olivander.
Aveva sempre sognato di ascoltare quella frase, sin da quando sua zia
le aveva detto che quella era la frase tipica del venditore di
bacchette.
<< Dieci pollici e tre quarti, in legno di quercia, con
un nucleo di unicorno, indeformabile >>
osservò l’oggetto << è
una bacchetta potente >>
L’undicenne sorrise.
<<
Ricorda Lene, corri esattamente tra i due binari >> la
avvertì nuovamente Laura, carezzandole la testa.
Shailene sbuffò.
<< Lo so zia, lo so >>
La ragazzina strinse con forza il manico del suo carrello e prese un
grande respiro. Osservò la gabbia con il cucciolo di gatto
nero che le restituì uno sguardo di incitamento. Adorava
già la sua piccola Alaska. Era la seconda cosa che aveva
comprato in Diagon Alley, dopo aver scoperto che la zia le aveva
regalato una scopa per il suo compleanno. Non era dell’ultimo
modello (una nimbus 3000), ma Shailene già l’amava
con tutta se stessa.
Strinse maggiormente la presa, trattenne il respiro e prese la
rincorsa. Aspettò l’impatto con il muro, pur
sapendo bene che quello non sarebbe avvenuto. Tutto ciò che
avvertì fu una consistenza acquea passarle attraverso come
qualcosa di ultraterreno. Come un rito di passaggio.
Non era mai stata al binario nove e tre quarti e quello che si
trovò davanti la stupì non poco.
Centinaia e centinaia di ragazzi si aggiravano per il binario, ridendo
e parlando rumorosamente.
Raccomandazioni, consigli, frasi di incoraggiamento e di commozione.
Tutto era così fantastico che Shailene rimase incantata da
quel panorama. Si risvegliò quando la mano gentile di Laura
si poggiò sulla sua spalla.
<< Non voglio essere una zia noiosa e mi fido del tuo
buonsenso, quindi ti dico solo spacca i culi >> Shailene
sorrise radiosa a sua zia, guardandola negli enormi occhi celesti che
lei purtroppo non aveva ereditato dalla famiglia di sua madre.
Fisicamente somigliava molto più ad una mediterranea,
un’italiana, che un inglese. E forse anche un po’
caratterialmente. Dalla famiglia Lovegood probabilmente aveva preso la
sbadataggine e una buona dose di pazzia.
<< Ma attenta ai nargilli >>
Shailene rise, ma prese quella raccomandazione molto sul serio. Non
c’era da scherzare con i nargilli.
“Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da
quel che vedete
io ve lo giuro che mi
scappello
se uno più
bello ne troverete.
Potete tenervi le
vostre bombette
i vostri cilindri
lucidi e alteri,
son io quello che al
posto vi mette
e al mio confronto gli
altri son zeri.
Non c'è
pensiero che nascondiate
che il mio potere non
sappia vedere,
quindi indossatemi ed
ascoltate
qual è la
casa in cui rimanere.
forse Grifondoro la
vostra via,
culla dei coraggiosi di
cuore:
audacia, fegato,
cavalleria
fan di quel luogo uno
splendore.
O forse è a
Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga
è giusto e leale:
qui la pazienza regna
infinita
e il duro lavoro non
è innaturale.
Oppure Corvonero, il
vecchio e il saggio,
se siete svegli e
pronti di mente,
ragione e sapienza qui
trovan linguaggio
che si confà
a simile gente.
O forse a Serpeverde,
ragazzi miei,
voi troverete gli amici
migliori
quei tipi astuti e
affatto babbei
che qui raggiungono
fini ed onori!
Venite dunque senza
paure
E mettetemi in capo
all'istante
Con me sarete in mani
sicure
Perché io
sono un Cappello Parlante!”
Un applauso esplose in sala grande e qualche fischio, proveniente per
lo più da Grifondoro, si diffuse nell’aria,
creando un’atmosfera festosa. Le grida cessarono quando la
preside, Minerva McGrannit, si avvicinò al leggio e
cominciò a chiamare I primini.
Shailene era schiacciata tra due Hugo e Lily e tutti e tre stringevano
le mani degli altri quasi per infondersi coraggio a vicenda.
L’undicenne sapeva che se fossero capitati in case diverse la
loro amicizia sarebbe rimasta comunque solida, ma aveva un
po’ paura.
<< Tranquilla Lene, finiremo tutti e tre a grifondoro
>> sussurrò Hugo, guadagnandosi
un’occhiata di rimprovero da parte di sua cugina.
<< Non importa in che casa finiremo. Saremo sempre noi
tre >> promise la rossa, stringendo la mano con
più forza.
Shailene annuì. Era la verità, lo sentiva. Lo
sapeva.
Angolo Autrice
Buonasera a tutti, sperando che qualcuno abbai letto il primo capitolo
e che abbia tempo e voglia di lggere anche questo angolo autrice!
Voglio solo darvi il benvenuto e chiedervi cosa ne pensato di questo
capitolo e cosa vi aspettate dalla storia :) Sinceramente non ho
un'idea precisa, non so come finirà ne tantomeno cosa
succederà quindi lo scopriremo insieme! Per la pubblicazione
dei primi capitoli non dovrebbe esserci problema visto che li ho
già scritti, ma per gli altri non garantiso considerando che
sono un'exhange student al momento e non ho tutto questo tempo! E' lo
stesso motivo per cui ho sospeso l'altra storia (se vi va di dare
un'occhiata ve ne sarei grata)!
Comunque come ho già detto i personaggi nella descrizione
sono solo alcuni dei più interessanti, ma ovviamente ci
saranno anche Lily, Rose, Albus, Scorpius e tanti altri :) Shailene
ovviamente sarà uno di questi, devo ammettere che il
personaggio è basato su di me, ma le cose che abbiamo in
comune non sono poi molte, per ora direi la sbadataggine e l'aspetto
fisico!
Detto questo, spero che la mia storia vi abbia interessato e che
decidiate di seguirla! Per ora ringrazio chi ha letto e un grazie
ancora più grande se ci sarà qualche anima pia
che avrà voglia di recensire :)
Ci sentiamo presto
p.s mi scuso per l'impaginazione, ma non capisco perchè
questo sito non funziona
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Lysander Scamander poteva
affermare con orgoglio di appartenere alla meravigliosa e gloriosa
casata
Grifondoro e, ancora meglio, di essere il cercatore di
quest’ultima, nominato
per tre anni di fila cercatore migliore della scuola.
Lysander Scamander, oramai
arrivato al suo ottavo anno ad Hogwarts, poteva affermare che aveva
tutto e
che, molto probabilmente, era la persona più felice in quel
dannatissimo
castello. Era circondato da un gruppo di amici che lo adoravano quasi
come
fosse un Dio in terra, i suoi voti in tutte le materie erano
più che
rispettabili, la sua camera da prefetto era ciò che ogni
ragazzo adolescente
potesse desiderare, aveva file di ragazze che avrebbero fatto carte
false per
uscire con lui ed il suo futuro da giocatore di Quidditch era
praticamente
assicurato. Sarebbe stato ricco e famoso senza dover fare niente di
particolarmente faticoso in cambio. Solamente il gioco che,
contrariamente
all’opinione di tutto il castello, odiava con tutto se
stesso.
Perché sì,
Lysander
Scamander odiava il Quidditch con tutto se stesso, non che non fosse un
ragazzo
sportivo, anzi, ma proprio non riusciva a capire quello sport per cui
aveva poi
scoperto avere un talento naturale.
Poteva dire poi, con un
sospiro di sollievo, di essere scampato alla vena di pazzia che
apparteneva
alla sua famiglia che, a quanto pareva, aveva saltato
un’intera generazione,
potendo considerare anche Lorcan normale.
Beh sì, forse Lorcan era
l’unica pecca nella vita perfetta di Lysander Scamander. Suo
fratello gemello e
suo migliore amico prima del primo anno ad Hogwarts dopo il quale,
essendo
stati smistati in case diverse e soprattutto storicamente rivali, erano
diventati quasi nemici per la pelle.
Ma Lysander voleva bene a
Lorcan e nonostante tutto non lo avrebbe mai abbandonato, né
tantomeno tradito.
Lysander conosceva il suo
segreto, ma, lo giurava su Godric Grifondoro, era ben custodito.
Lorcan Scamander era tutto
quello che non voleva essere. Tanto per cominciare era stato smistato a
Serpeverde quasi senza aver poggiato il cappello sulla testa, se poi a
questo
ci si aggiunge una famiglia con tutte le rotelle fuori posto, un
fratello
gemello perfetto, l’incapacità di riuscita in
tutte le materie scolastiche
tranne che in pozioni e un talento innaturale per trovarsi in
situazione
scomode beh ecco che si otteneva la vita di Lorcan.
Un diciottenne con
complessi di inferiorità e innamorato del suo migliore
amico. Lorcan lo aveva
scoperto quasi tre anni prima di essere gay e l’avrebbe anche
accettato,
sebbene non con poche difficoltà, ma l’essere
innamorato perso di Albus Severus
Potter era decisamente troppo.
E così si limitava ad
ignorare. Ignorare tutto, i suoi sentimenti, la sua famiglia, suo
fratello. La
sua vita. Loran Scamander viveva per inerzia. Si lasciava trasportare
dagli
eventi senza nemmeno provare a cambiare il corso delle cose e prendere
in mano
la sua vita.
Sarebbe stato troppo
difficile, troppo faticoso, troppo doloroso.
Non per niente era finito
a Serpeverde. Era un vigliacco e ne era perfettamente consapevole, ma
non
faceva niente per cambiare le cose.
E a Lorcan andava bene
così almeno fino a quando, quell’estate stessa,
Lysander lo aveva scoperto.
Solo a ripensarci le sue guance, e tutta la sua faccia, prendeva quel
colorito
rosso peperone che davvero molto raramente si manifestava sul suo viso.
Beh, era stato a dir poco
imbarazzante. Lysander era entrato in camera da letto proprio mentre il
gemello
serpeverde dava sfogo ai suoi istinti e alle sue frustrazioni con un
ragazzo
appena conosciuto. Ubriaco fradicio e nudo come un verme non era stato
in grado
di fare altro se non mettersi a piangere davanti agli occhi sconvolti
di suo
fratello.
Lysander non l’aveva
preso
in giro o insultato. L’aveva guardato, abbracciato e gli
aveva sussurrato
all’orecchio di stare tranquillo.
Non l’aveva detto a
nessuno e Lorcan sapeva che mai l’avrebbe fatto
perché, nonostante tutto,
nonostante le incomprensioni e i litigi, Lysander era suo fratello e
gli voleva
bene.
Ted Lupin era soddisfatto
della sua vita. A soli ventidue anni era diventato un auror e quello
stesso
anno avrebbe iniziato ad insegnare ad Hogwarts Difesa Contro Le Arti
Oscure
invece di concludere il praticantato e lavorare poi al reparto auror
del
ministero.
Ma quello era proprio
ciò
che aveva voluto da quando aveva messo piede nella scuola di magia e
stregoneria. Sarebbe voluto diventare insegnante per trasmettere ai
ragazzi,
che non erano poi tanto più giovani di lui,
l’amore per la magia e anche per
l’insegnamento.
Poi avrebbe finalmente
avuto una camera ed un ufficio dignitoso. Infatti Ted, che aveva
passato la sua
infanzia nella casa dei Potter, una volta compiuti i diciassette anni e
quindi
diventato maggiorenne, aveva lasciato la confortabile villetta per
trasferirsi
in un puzzolente e minuscolo appartamento diviso con altri due ragazzi
che,
come lui, andavano alla ricerca della propria autonomia.
Non fraintendete, Ted era
immensamente grato ai Potter e considerava Ginny ed Harry come genitori
ed allo
stesso modo trattava James, Albus e Lily come fratelli minori, ma,
Harry lo
aveva sempre detto, lui era uno spirito libero ed indipendente. A
quanto pare
non erano solo i capelli l’eredità lasciatagli da
sua madre. Perché, anche se
ad una prima occhiata, Teddy poteva sembrare tutto suo padre, il
carattere era
molto più simile a quello di Ninfadora Tonks che a quello di
Remus Lupin.
Non aveva mai avuto una
ragazza fissa così come non aveva mai avuto un piano
stabilito fino a quando
quell’anno, mentre vagava per le strade di Diagon Alley dopo
una serata con gli
amici, si era imbattuto in una disperata, bagnata e solitaria Rose
Weasley che,
dopo aver rifiutato il suo aiuto per mezz’ora buona, si era
finalmente arresa
ed aveva accettato di andare a casa sua per cambiarsi i vestiti e
magari
godersi una buona camomilla.
E da allora Rose Weasley
era diventata la sua variabile e la sua costante. Era fastidiosamente
organizzata e ordinata, ma aveva il potere di ridurre in brandelli i
piani che
lei stessa aveva progettato con tanta minuziosità. Con Rose
tutto era una
sorpresa, tutto era nuovo e finalmente Ted si era reso conto di potersi
legare sentimentalmente
a qualcuno.
Rose era la sua eccezione.
Alice Paciock era diversa.
Era totalmente diversa da suo padre sia per aspetto fisico che per
carattere e
sua madre le aveva conferito giusto qualche tratto del viso. Infatti,
nata da
due genitori grifondoro, uno dei quali era stato, nonostante tutto, uno
degli
eroi della seconda guerra magica, Alice era finita a Serpeverde.
Ma non se ne era stupita
più di tanto così come non lo avevano fatto i
suoi genitori, a differenza
dell’intera popolazione del mondo magico e soprattutto di
quella della scuola
di magia e stregoneria di Hogwarts. La ragazza che tutti si aspettavano
di
trovare aveva due versioni: o una grifondoro coraggiosa o una
tassorosso timida
e poco loquace.
Neanche a dirlo, Alice non
rispecchiava nessuna delle due. Non sapeva se il cappello parlante
avesse mai
sbagliato, ma era assolutamente sicura che con lei avesse preso la
decisione
giusta.
Era una strega brillante,
ambiziosa che ambiva alla gloria e che raramente si fermava davanti a
qualcosa
o a qualcuno. Il suo motto era ‘se non ti fa comodo allora
evitalo’.
Semplicemente passava
sopra a tutto ciò che non le andava a genio. Ovviamente
anche lei aveva le sue
eccezioni.
Nonostante fosse come un
pesce fuor d’acqua in quella famiglia non avrebbe mai voluto
farli soffrire,
non consapevolmente comunque. Così ogni volta che faceva
qualcosa di sbagliato
che deludeva i suoi genitori, ma soprattutto suo padre, Alice soffriva.
Soffriva così tanto da doversi allontanare da tutto e da
tutti purché gli altri
non se ne accorgessero.
Non piangeva, non le
piaceva piangere, aveva fatto una promessa a se stessa
all’età di soli sei anni.
Urlava. Alice preferiva sfogarsi alla maniera babbana.
Prendeva la sua scopa e
volava a velocità inaudita verso quella che oramai era
diventata la sua
palestra personale. Palestra forse era un tantino esagerato, tutto
quello che
potevi trovare in quel buco di appartamento vicino al lago nero era una
sacco
da box e dei pesi con cui potesse allenarsi.
E così ogni volta che
Alice
soffriva trasformava il dolore in rabbia e prendeva a pugni quel sacco
fino a
farsi sanguinare le nocche. E tirava calci fino a quando non le si
gonfiavano i
polpacci.
Quella era l’unica
costante della vita di Alice Paciock, l’unica cosa che
riusciva a farla sentire
meglio.
James Sirius Potter era
stanco. Era stanco senza aver davvero fatto niente ed aveva cominciato
a stancarsi
alla tenera età
di quattordici anni.
Un giorno aveva aperto gli
occhi e aveva deciso di cambiare, perché quello non era
più lui, ma solo una
copia sbiadita di suo padre.
Un ottimo cercatore, un
talento naturale per la difesa contro le arti oscure e naturalmente per
mettersi nei guai, due amici con cui affrontava la scuola e la vita e
un’espressione da pesce lesso sempre stampata in viso come se
in tutto quello
che accadesse lui
fosse solo la vittima
e che non avesse il potere di cambiare gli eventi.
Ma almeno suo padre, il
grande Harry Potter, il bambino sopravvissuto, aveva avuto la
possibilità di
dimostrare il proprio valore.
E così James rimpiangeva
la guerra. Perché lui voleva essere acclamato, voleva essere
un eroe e voleva
che tutti quanti lo sapessero. Ma ogni volta che quel pensiero passava
nella
sua mente si dava dell’idiota e si sentiva in colpa
perché una guerra avrebbe
potuto distruggere tutto. La sua famiglia, i suoi amici, la sua casa,
la sua
vita.
Non avrebbe sopportato di
perdere Lily. Certo, perdere Albus o i suoi genitori sarebbe stato
straziante,
ma la sua piccola sorellina era tutto ciò che davvero gli
interessava e a lei
dedicava tutto l’amore che possedeva che, ormai si era
convinto, non era poi
molto.
Lily Luna Potter con la
sua vivacità e la sua forza era l’unica persona
che riusciva a farlo essere se
stesso.
Quel giorno, a quattordici
anni, era diventato una persona che nemmeno conosceva. Scontroso,
scorbutico,
menefreghista e totalmente incurante delle regole. Ma almeno con Lily
riusciva
ad essere il ragazzo solare, intraprendente, gioviale, audace,
coraggioso,
testardo ed ironico che veramente era.
Non la copia sbiadita di
suo padre ne tantomeno quel ragazzo sconosciuto che si ostinava ad
interpretare. Semplicemente James Sirius Potter. Semplicemente se
stesso.
Lily era la sua costante.
Beh, Lily e il suo adorato ‘Fight Club’.
James infatti, pur
ignorando Alice Paciock e la sua esistenza e avendole parlato una volta
o due
durante gli incontri di suo padre con la famiglia Paciock, era
più simile a lei
di quanto si aspettasse. Entrambi si sfogavano con la violenza.
James aveva cominciato a
combattere quando aveva sedici anni. Un piccolo gruppetto di ragazzi ad
Hogwarts aveva avuto la brillante idea di riunirsi nella Foresta
Proibita ogni
domenica e prendersi a pugni fino a quando l’altro non si
arrendeva.
James era bravo. Vinceva
sempre e quello sembrava conferirgli la gloria di sui aveva bisogno.
Anche se
doveva sopportare qualche occhio nero.
Axel Lovegood era strano.
Era tutto ciò che ci si potesse aspettare da qualcuno
appartenente a quella
famiglia. Pur non essendo sua madre la Lovegood più pazza si
poteva dire che
Axel fosse tutto sua zia.
Era la copia di Luna
Lovegood al femminile, non tanto per l’aspetto fisico, avendo
ripreso dalla
parte materna solo gli enormi occhi celesti che lo rendevano ancora
più strano,
quanto per una questione caratteriale.
Axel non si arrabbiava
mai, tutto ciò che diceva era quantomeno strano e la maggior
parte delle volte
difficile da credere, era decisamente scaramantico e di
un’intelligenza quasi
spaventosa. Non per niente era stato smistato a corvonero. E non per
caso era
diventato il migliore amico di sua cugina Shailene, entrando nel
gruppetto più
strano e stravagante di Hogwarts insieme a Lily Potter e Hugo Weasley.
I due grifondoro era
decisamente pazzi almeno quanto Axel e Lene, ma in un modo
più sregolato.
Non c’era un giorno in
cui
non finissero nei guai per una lezione saltata o per uno stupido
scherzo. I
degni discendenti di George e Fred Weasley, così ormai li
definiva tutto il
castello. E per proprietà transitiva anche Shailene e Axel
erano così chiamati.
Al corvonero tutto questo
andava bene. Quando era con i suoi amici poteva essere se stesso e dare
sfogo
alla sua natura stravagante senza essere giudicato.
Per quel che ne sapeva le
uniche teste libere da gorgosprizzi in tutta Hogwarts erano quelle dei
tre
pazzi con cui passava le sue giornate.
Louis Weasley era normale.
Era tutto ciò che si immagina quando si pensava ad un
ragazzo ordinario e
perfettamente nella media. E come tutte le persone ordinarie odiava la
monotonia
della sua vita che era tutto tranne che eccezionale.
Se poi si aggiungeva il
fatto di essere membro della famiglia Weasley quel ragazzo deludeva
tutte le
aspettative che le persone potevano farsi su di lui. Poco importava che
un
ottavo del suo sangue fosse di veela e niente poteva la sua
straordinaria
bellezza contro la mediocrità del suo carattere.
O per lo meno era quello
che pensava Louis quando guardava i suoi cugini. Tutti loro avevano
qualcosa di
speciale, anche James, nonostante provasse ad allontanare tutto e tutti
da lui,
suscitava più interesse di lui.
Louis non aveva
l’intelligenza di sua sorella Victoire, oramai uscita da quel
manicomio che tutti
si ostinavano a chiamare scuola, e non possedeva nemmeno la
caparbietà e
l’astuzia di Dominique a cui, nonostante i colori argento
verde della sua
divisa, o probabilmente proprio grazie a quelli, bastava uno sguardo o
un
sorriso per far cadere tutti ai suoi piedi.
Louis era gentile,
disponibile e leale, certo, come d’altronde ogni tassorosso
che si rispetti. Ma
quello era tutto. Era riuscito ad entrare nella squadra di quidditch
probabilmente solo per mancanza di un cercatore più capace
e, forse, aiutato
dal suo cognome.
Ok, non era tanto male
come cercatore, ma non era neanche un talento. Nella media.
Louis Weasley era
fastidiosamente nella media.
Angolo
Autrice
ecco qui il seondo
capitolo che arriva prima del previsto, ma era pronto e non mi piace
lasciare le storie con un solo capitolo :)
Qui incontriamo per la
prima volta i personaggi della descrizione, come ho già
detto non sono gi unici e gli altri verranno presentati con il
proseguire dei capitoli! Non ho niente di importante da dire quindi mi
limito a ringraziare chi ha letto , chi segue\ricorda\preferisce la
storia e soprattutto le due ragazze che hanno recensito!
Voglio anche
specificare che, come ho scritto nella desrizione a permanenza ad
Hogwarts si è estesa di due anni, decisione presa dalla
preside dopo la seconda guerra magica per preparare al meglio gli
studenti in un'eventuale futura battaglia!
Spero che il capitolo
piaccia, anche se è solo una mera presentazione! Vi prego di
recensire anche se non è di vostro gradimento,
così da poter migiorare! Grazie per aver letto :)
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Dominique Weasley si
sedette al tavolo dei serpeverde, sorridendo alle ragazze che
prontamente la
circondarono eccitate per seguire la nuova storia della giovane strega.
Era
ogni giorno la stessa storia, ogni volta che metteva piede in Sala
Grande, o
peggio ancora nella Sala Comune, veniva letteralmente assalita da tutte
le
ragazze presenti ed era costretta, si fa per dire, a raccontare
qualcosa sulla
sua meravigliosa vita. Che la storia riguardasse un ragazzo o un
atteggiamento
di superiorità nei confronti di un primino o ancora un
duello con uno di quei
stupidi grifondoro poco importava, l’importante era che lei
raccontasse una
storia o desse qualche giudizio.
Ciò che Dominique
Weasley
diceva era legge.
La realtà era che
Dominique Wesley era una vera stronza e quella caratteristica
accompagnata dal
suo cognome, i colori della sua divisa e il sangue veela che scorreva
nelle sue
vene la rendevano la regina indiscussa di tutta Hogwarts.
Nessuno l’avrebbe voluta
davvero come nemica, perché lei, era risaputo, sapeva essere
pericolosa.
<< Dom, ti ho vista
con Lysander sul treno >> disse Marie Smith attirando in
quel modo
maggiore attenzione sulla bionda che sorrise, limitandosi ad annuire in
modo
affermativo.
<< Siamo appena
arrivati ad Hogwarts e già ti dai da fare >>
osservò ghignando Sandra
Jones.
<< Beh, lo sapete,
con Lysander avevo un conto in sospeso >> rispose,
sorridendo
apertamente.
Era meglio essere chiare
con quelle due se voleva vedere pubblicata sul giornalino la perfetta
storia.
La verità era che Marie e Sandra erano delle vere pettegole
e, come da copione,
avevano dato vita al giornalino di Hogwarts, per colpa del quale molte
amicizie
e relazioni erano state distrutte. Ma, Dominique lo sapeva, quelle due
non si
sarebbero mai permesse di pubblicare qualcosa contro il suo consenso,
poteva
benissimo considerarle i suoi cagnolini e proprio per questo poteva
affermare
di sapere cosa succedesse ad Hogwarts come se avesse occhi ed orecchie
dappertutto.
E se una coppia non le
piaceva non doveva metterci poi troppa fatica per farli lasciare,
bastava un
sorriso e un completino sexy per far cadere tutti ai suoi piedi. Ed era
per
quello che, quando Lysander aveva cominciato ad ottenere sempre
più ammiratrici,
aveva deciso che era arrivato il momento di marchiare il territorio.
Non per
impedirgli di avvicinarsi a qualcuna, a lei di quel biondino non
importava un
bel niente, ma per la semplice soddisfazione di dire che era riuscita a
prendersi anche lui.
E ne era valsa la pena.
Dominique ghignò, ascoltando le risatine e i sospiri delle
ragazze intorno a
lei mentre si apprestava a raccontare il tutto nel dettaglio. Quella
era
decisamente la parte migliore.
Dominique non era né
pudica né tantomeno una santarella e di certo non aveva
paura di farlo vedere.
<< Nel bagno del
treno, ma che classe >> una voce ironica e tagliente si
intromise nel
racconto della Weasley che prendeva sempre di più
l’aspetto di un porno.
La bionda ghignò
nuovamente verso la nuova arrivata e fisso la ragazzina con occhi quasi
dolci.
Si sistemò i lunghi capelli biondi che ricadevano in boccoli
sulle spalle e si
inumidì le labbra prima di rispondere, solo per rendere il
tutto il più
teatrale possibile.
Alice Paciock alzò gli
occhi al cielo, stizzita da quella scenetta calcolata. Solitamente
restava in
silenzio, ma una cosa che proprio non riusciva a tollerare erano i
racconti
dannatamente particolareggiati di quella mezza veela da strapazzo.
Soprattutto
non durante il primo cenone ad Hogwarts. Quello doveva essere un bel
momento,
non una tortura.
La diciottenne guardò la
più piccola negli occhi, perfettamente circondati da un
trucco nero pesante
che, anche non addicendosi alla bellezza quasi delicata di Alice, le
donava.
<< Dovresti cercare
anche tu qualcuno, anzi di fare la verginella gelosa >>
rispose
Dominique, credendo di riuscire a fregarla e a farla soffrire.
Ma la verità era che, se
Dominique Weasley era stronza, Alice Paciock lo era almeno il doppio.
Per la
seconda volta alzò gli occhi celesti al cielo, prima di
ghignare a sua volta, scoprendo
una fila perfetta di piccoli denti bianchi sotto delle labbra rosee non
troppo
sottili.
Guardò la serpeverde
più
grande negli occhi, ugualmente chiari, ma incredibilmente diversi.
<< Già,
quest’anno
quando sono partita per Hogwarts ho deciso come obiettivo quello di
diventare
una troia come te >> sorrise dolce e pronunciò
la frase con ammirazione.
Dominique schioccò la
lingua sul palato, guardandola con disapprovazione. La piccola Paciock
non le
era mai andata a genio, fino a quel momento però si erano
per lo più ignorate,
ma quell’anno sembrava più che intenzionata a
starle tra i piedi.
<<
Cos’è questa,
gelosia? >> la guardò con pena
<< Ti sei presa una cotta per
Scamander, Alice? >>
La sedicenne scoppiò a
ridere e senza nemmeno degnarla di una risposta si girò
verso la preside
McGrannit che, dopo essersi avvicinata al leggio reclamava
l’attenzione di
tutti i presenti.
Anche Dominique e le sue
fedeli compagne rivolsero l’attenzione alla preside. Lo
smistamento dei primini
si era appena concluso e quell’anno la casa prediletta
sembrava quella dei
Tassorosso. La ragazza sbuffò contrariata. Sempre
più pappamolli riempivano
quella scuola da strapazzo.
Se quella dannata preside
non avesse cambiato il sistema educativo, allungandolo di due anni, a
quell’ora
sarebbe già fuori da quella gabbia di matti.
<< Prima di iniziare
il cenone avrei tre annunci da fare >> nella Sala Grande
calò il
silenzio.
<< Prima di tutto,
benvenuti ai ragazzi che stanno per affrontare il loro primo anno e
bentornati
a coloro che invece conoscono già la nostra scuola.
Quest’anno avremmo una
nuova studentessa, trasferitasi dal collegio francese Beauxbatons che
entrerà a
far parte della casata dei Serpeverde >>
Un applauso si levò dal
tavolo di Alice, mentre la ragazza aveva individuato la nuova arrivata
e la
guardava con aria diffidente. Era senza dubbio un’altra
stupida veela a
giudicare dal suo aspetto, dal portamento, dallo sguardo e
dall’effetto che
aveva su tutti i presenti. La ragazza fece una smorfia disgustata
mentre tale ‘Arielle
Moreau’ si
accomodava al loro
tavolo. Come se non ce ne fossero abbastanza.
<< Ora vi prego di
dare il benvenuto al nuovo professore di difesa contro le arti oscure:
Ted
Lupin >>
Un applauso, decisamente
più forte del precedente si diffuse per la Sala Grande e,
questa volta, anche
Alice partecipò, sorpresa dalla bella novità. Non
che avesse molta confidenza
con Ted Lupin, ma le era sempre in qualche modo piaciuto e lo aveva
sempre
stimato. Un coro di sospiri dalla parte femminile di Hogwarts alla
vista del
ragazzo le fece alzare ancora una volta gli occhi al cielo. Non
c’era dubbio,
Ted era decisamente un bel ragazzo, giovane e molto avvenente, ma
perché
bisognava mettere in imbarazzo il genere femminile in quel modo?
<< Ora
l’ultima e
più importante notizia >> il silenzio si
presentò nuovamente tra gli
studenti, pronti ad ascoltare eccitati ciò che la preside
aveva da dire.
<< Dopo anni,
finalmente,
Hogwarts è stato nuovamente scelto per ospitare il torneo
tre maghi al quale,
come negli anni precedenti potranno partecipare solo gli studenti dal
settimo
anno in poi >> un brontolio di disapprovazione si diffuse
per la sala, ma
la McGrannit lo zittì subito, rivolgendo
un’occhiataccia ad ogni studente che
si azzardava ad aprire la bocca.
<< Tuttavia ci
saranno dei cambiamenti, i ragazzi scelti dal calice saranno due per
ogni
scuola, dopodiché si terra un duello per decidere il
migliore tra i due. Da
allora inizieranno le prove vere e proprie. Ricordate, questo non
è un gioco
>>
Un applauso eccitato e
impaziente si levo da tutti e quattro i tavoli e mormorii di sorpresa e
felicità si fecero sempre più evidenti.
C’era chi non vedeva
l’ora
di partecipare al torneo, chi lo considerava troppo pericoloso e chi
ricordava
le grandi gesta del grande Harry Potter durante l’ultimo
Torneo Tremaghi che si
era svolto ad Hogwarts. Poi ancora chi si dispiaceva per la morte di
Cedric
Diggory , chi si preoccupava per il ballo del ceppo e chi non vedeva
l’ora di
conoscere le altre scuole.
E proprio i desideri di
questi ultimi vennero esauditi dalla preside che richiamò di
nuovo l’attenzione
annunciando con un sorriso:
<< Ed ora date un
caloroso benvenuto alla scuola di magia e stregoneria di Beauxbatons
>>
le porte della Sala Grande si aprirono ed uno stormo di uccelli bianchi
si
librò in ria, avvolgendo tutte e quattro le casate di
Hogwarts, che li
guardarono ammirati.
Alice Paciock non si
lasciò distrarre e restò con lo sguardo fisso
sull’entrata. Presto si
rivelarono una cinquantina di ragazze vestite di rosa che procedevano
con passo
elegante e aggraziato verso dei tavoli che erano appena apparsi davanti
alla
preside.
Alice le guardò
schifata. Rosa. Non avrebbero
potuto scegliere un
colore peggiore, le faceva sembrare dei confetti che danzavano e
cantavano.
Ridicole.
Ma non ridicole quanto la
scuola di Durmstrang, i cui ragazzi entrarono in sala a cavallo delle
loro
scope, mentre a terra altri si esibivano in acrobazie ed alcuni si
avvicinarono
alle ragazze di Hogwarts per regalare loro una rosa.
Un ragazzo alto e
muscoloso, con folti capelli biondi e profondi occhi nocciola si
avvicinò ad
Alice, porgendole una rosa con un sorriso sensuale.
<< No, grazie
>> rispose la ragazza, girandosi dalla parte opposta e
cercando di
trattenere una smorfia disgustata.
Tutto quello era fatto per
attirare più attenzione possibile, per dimostrare alle altre
scuole che loro
erano migliori e che avrebbero potuto avere tutto ciò che
desideravano. Era
quello in cui consisteva il torneo e no, Alice non era minimamente
interessata.
Il russo poggiò comunque
la rosa sul tavolo, davanti alla sedicenne, che lo guardò
con altezzosità. Ma
quello sorrise, facendole l’occhiolino e dirigendosi verso i
suoi compagni.
<< Che il banchetto
abbia inizio >>
E le tavole si riempirono
di portate deliziose così come l’immensa sala si
riempì di chiacchiere
concitate.
Bentornata
ad Hogwarts pensò Alice,
rivolgendo un sorriso amichevole ad Albus
Potter, che si era appena seduto davanti a lei e cominciando a mangiare.
Angolo Autrice
Buona sera a tutti! Devo
ammettere che questo capitolo non mi piace per niente, ma ormai
l’avevo scritto
e non mi viene in mente nessuna idea per cambiarlo! Qui incontriamo
Dominique e
Alice, ma la cosa più importante è
l’annuncio di un nuovo Torneo Tremaghi che,
dopo aver presentato tutti i personaggi adeguatamente (o quasi tutti)
sarà un
argomento di fondamentale importanza!
Vorrei specificare che
questa storia non riguarda solo drammi adolescenziali! Ovviamente sono
presenti
e, devo ammetterlo, ne sono abbastanza, ma c’è
dell’altro! Ecco perché ho
cercato di non rendere i personaggi scontati!
Detto questo mi dileguo e
provo a lasciarvi le foto delle due ragazze come le immagino io!
Ci sentiamo presto!
Dominique
Alice
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Shailene
prese con velocità la sua sacca e si chiuse la porta alle
spalle, lasciando la sua camera da prefetto nel disordine
più totale. Quella mattina si era svegliata vergognosamente
tardi, dopo un sogno popolato da gorgosprizzi e nargilli che
l’aveva distratta più del consentito.
Sbadigliò,
senza nemmeno coprirsi la bocca, mentre evitava due primini e correva
verso l’uscita della torre dei Corvonero. La porta si
aprì davanti a lei e la ragazza corse velocemente, andando a
sbattere contro più di una persona e rivolgendo loro un
veloce ‘scusa’ urlato durante la sua folle corse.
Inciampò
più volte nei suoi stessi piedi e si maledette per essere
così fastidiosamente distratta e per non essere stata
completamente immune ai geni della famiglia Lovegood. Perché
Shailene Sara Ricci non poteva certo essere definita normale, ma non
era una pazza completa come sua zia e suo cugino Axel, che tra
l’altro adorava.
Cercò
di correre più veloce, mentre addentava una mela che aveva
afferrato prima di uscire e con l’altra mano si sistemava la
tracolla sulla spalla. Quel movimento brusco le fece andare i capelli
davanti agli occhi e le coprirono la visuale per dieci secondi, che
bastarono per travolgere qualcuno davanti a lei e cadere sopra questa
sconosciuta persona, sbattendo la testa sul petto solido e facendo
cadere la mela sul pavimento.
<<
Diamine, quella era la mia colazione >> si
lamentò ad alta voce, osservando la mela rotolare sul
corridoio e poi cadere verso il vuoto.
Se
avesse preso qualcuno in testa, l’aver saltato la colazione
non sarebbe stato il suo più grande problema.
Solo
in quel momento si ricordò che saltare la colazione non
era il suo più grande problema. Si mise a sedere
velocemente, borbottando un ‘cazzo’ tra i denti e
imprecando una seconda volta quando, nel tentativo mal riuscito di
alzarsi, scivolò nuovamente e ricadde come un peso morto sul
corpo sotto di lei che, questa volta, si lasciò sfuggire un
gemito di dolore.
Shailene
non era mica un peso piuma.
<<
Oh, scusa, mi dispiace, ma sono davvero in ritardo a lezione per la
terza volta in una settimana e questa mattina non ho preso il mio
caffè, quindi sono particolarmente distratta. Mi
disp… >>
<<
Va bene, va bene, ho capito >> ribatté
scocciata una voce profonda e leggermente familiare.
Solo
allora Shailene alzò il viso ed incontrò gli
occhi nocciola di James Sirius Potter che la fissavano scocciati e
infastiditi, ma anche divertiti.
<<
Potresti alzarti? Mi stai schiacciando le costole >> si
lamentò, spingendola delicatamente per le spalle.
La
ragazza annuì con forza facendo sbattere il mento sulla
fronte del castano che si lamentò di nuovo del dolore e
così Shailene gli rivolse un’altra ondata di scuse
che lo travolsero completamente.
<<
Scusami, scusami di nuovo Jamie. I nargilli devono essere parecchi
oggi, non senti anche tu l’aria un po’ pesante?
>>
Il
ragazzo alzò un sopracciglio preso alla sprovvista,
sì dalle stronzate che quella pazza stava blaterando, ma
soprattutto dalla confidenza che si era presa.
<<
Jamie? >> chiese con un’espressione scettica,
facendo sorridere la castana.
Lui
e Shailene si erano a malapena parlati quando erano piccoli e comunque
la loro ultima conversazione risaliva almeno a cinque anni fa, prima
che la sua trasformazione allontanasse tutti quanti. Non che avesse
allontanato lei, considerando che non erano mai stati vicini.
<<
Oh, sì, Lily ti chiama sempre così, credo di
essermi abituata >> sorrise ancora << Io
sono Shailene Sara Ricci >> gli tese un mano che il
ragazzo afferrò leggermente confuso.
Perché
doveva utilizzare nome e cognome? Perché quella ragazza
doveva essere così strana?
Beh,
non per niente è amica di Lily ed Hugo.
<<
So chi sei >> rispose solamente, continuando a guardarla
<< Cosa ci fai ancora in questa ala del castello?
>> chiese, dimenticandosi completamente la sua maschera
di menefreghismo.
Nemmeno
conosceva quella ragazza, non sapeva niente di lei, eppure non riusciva
a fingere. Probabilmente le ricordava troppo sua sorella.
Effettivamente però Shailene non aveva niente di simile a
Lily. I suoi capelli erano castani lunghi e mossi e anche se avevano
qualche riflesso ramato, non potevano essere paragonati a quelli rosso
fuoco e lisci della piccola Potter, gli occhi erano color miele ed
oscillavano tra un nocciola e un verde poco deciso in contrasto con
quelli scuri di sua sorella e le labbra erano piene. Lily poi era
decisamente più alta.
Ma
il loro carattere per alcuni tratti si somigliava davvero e quello
spingeva il grifondoro ad avere una confidenza ed una naturalezza mai
conosciute prima di allora.
<<
La sveglia non ha suonato >>
<<
Sveglia? >>
<<
Oh, sì, è un oggetto babbano che squilla quando
è l’ora di alzarsi, figo no? >> un
sorriso più grande le illuminò il viso e
contagiò anche il ragazzo.
Solo
in quel momento James Potter si era reso conto di essere ancora seduto
a terra con quella strana ragazza a cavalcioni su di lui e sorrise
ancora, quando lesse la stessa consapevolezza negli occhi della
corvonero.
Aprì
la bocca per fare una battuta, ma Shailene si alzò di
scatto, facendo appello a tutto il suo equilibrio per non cadere
nuovamente e con le guance rosse per la vergogna ricominciò
a correre come una pazza per il corridoio, urlando un ‘ciao,
Jamie’ al ragazzo che ancora la fissava sbalordito.
James
Sirius Potter la osservò correre via mentre sentiva il peso
della sua maschera gravare nuovamente sul suo viso, ma alleggerito da
un sorriso divertito e rispose al saluto, pur essendo consapevole che
lei non sarebbe mai riuscita a sentirlo.
<<
Ciao, Shai >>
Lorcan
gettò con noncuranza i libri sul banco dell’aula
di pozioni, ignorando le lamentele del professore e sedendosi vicino ad
un Albus che lo guardava contrariato, ma anche divertito.
<<
Di nuovo in ritardo Lor? >> chiese ironico, restando con
gli occhi fissi sul libro che una loro compagna di casa stava leggendo.
Il
biondo aprì il proprio libro e finse di ascoltare la lezione
mentre disegnava ghirigori al bordo del testo e con la testa vagava tra
i mille pensieri che lo tormentavano e, tra tutto quanto,
l’unico punto fisso era proprio lui, Albus Severus Potter,
seduto al suo fianco, il suo migliore amico di fianco a Scorpius Malfoy
che proprio in quel momento gli stava rivolgendo un’occhiata
complice mentre un areoplanino di carta planava sul suo banco.
Lorcan
lo guardò incuriosito e lo aprì, sentendo gli
occhi del suo compagno di banco puntati sul foglietto.
Scorpius
aveva disegnato Lorcan che seduto al suo banco era impegnato a fare una
pozione che subito dopo esplodeva ricoprendo la sua faccia di una
sostanza verde non identificata. Albus trattenne a stento una risata,
mentre il gemello fece una smorfia disgustata per nascondere un
sorriso.
Scorpius
non avrebbe mai smesso di prenderlo in giro per quell’unica
sola volta in cui una pozione non gli era riuscita, ma, Lorcan ne era
sicuro, non era stata colpa sua. Quell’imbecille di Malfoy
aveva aggiunto di nascosto dell’acqua raggia e quando Lorcan
aveva scaldato la pozione il tutto era esploso, non solo ricoprendolo
di schifosa roba verde, ma facendogli guadagnare un Troll
nell’unica materia che mai gli fosse riuscita.
All’inizio
si era arrabbiato, ma dopo una settimana passata ad ignorare Scorpius e
le continue suppliche di Albus aveva ceduto e l’aveva
perdonato. Dannatissimi occhi cerulei e dannatissimo Potter.
Ora,
dopo quasi quattro mesi, riusciva quasi a riderci sopra. Quasi.
Lorcan,
che solitamente riusciva ad affrontare l’ora di pozioni senza
sforzi troppo grandi, quella mattina cominciava a sentirsi oppresso e
infastidito dall’aria umida e scura di quella stanza. Cazzo,
era praticamente senza nemmeno una finestra. Lui era una serpe,
abituato a vivere sottoterra, ma non riusciva più a
sopportare quell’ambiente chiuso. Chissà come
facevano i grifoni o i corvi a restare per ore intere in quel covo
senza tentare prima il suicidio. Per i tassi non doveva essere troppo
difficile, accettavano il tutto senza troppa difficoltà.
L’unica
persona che gli impediva di lasciare la stanza in quel momento era
seduta proprio accanto a sé e prendeva il nome di Albus
Severus Potter.
Albus
Severus Potter che, in quel momento era impegnato ad osservare il
profilo della nuova arrivata. Una francesina veela del cazzo, che oltre
ad essere insopportabile non faceva altro che scuotere i capelli e
giudicare tutti dall’alto in basso.
Albus
Severus Potter che afferrò una penna e scrisse qualcosa su
un foglietto che poi lanciò in direzione della ragazza che,
dopo averlo letto, lo guardò maliziosa.
Rispose
con un areoplanino che questa volta Loran riuscì a leggere.
‘Stasera
alle otto, sala comune’. A Lorcan venne da vomitare.
Albus
Severus Potter che si girò verso il suo migliore amico e gli
fece l’occhiolino mimando un ‘stasera me la
scopo’ con le labbra.
Lorcan
non si sforzò nemmeno di sorridere. Prese la sua sacca e si
diresse verso la porta di uscita ignorando le grida di Lumacorno che
blaterava di togliere i punti alla sua stessa casa e uscì
sbattendosi la porta alle spalle.
Lorcan
aprì con forza la porta del bagno maschile al terzo piano e
si avvicinò allo specchio. Guardò il suo riflesso
sentendo una crescente rabbia dentro di sé. Stava rovinando
tutto.
Quel
maledettissimo amore stava lentamente distruggendo tutto quello che
Lorcan aveva costruito con fatica nella sua vita. Gli impediva di
studiare, non gli permetteva di concentrarsi sul campo da quidditch e
presto avrebbe rovinato anche la sua amicizia con Albus, allontanandolo
definitivamente da lui. E Lorcan questo non voleva accettarlo, ma non
sapeva come evitarlo. Non sapeva come avrebbe dovuto affrontare la cosa
e l’unica soluzione possibile sembrava quella di lasciare che
la vita proseguisse il suo corso senza nemmeno rendersi conto che lo
stava ferendo. Perché sì, Lorcan stava soffrendo.
Un
nuovo sentimento di rabbia si impossessò di lui quando le
parole di Albus si fecero di nuovo chiare nella sua testa.
Sentì il respiro farsi pesante e un peso premergli sul
petto.
Allentò
la cravatta, ma non era abbastanza. Sbottonò i primi bottoni
della camicia, ma ancora una volta non era abbastanza.
Un
rumore di vetri infranti si disperse per la stanza e Lorcan si accorse
di aver tirato un pugno allo specchio solo quando guardò la
sua mano sanguinante. E il dolore arrivò, ma non era
abbastanza. Lorcan era arrabbiato.
Tirò
un altro pugno ed un altro ancora e caricò il quarto quando
una mano gli bloccò il braccio ed una voce profonda e
sorpresa arrivò alle sue orecchie.
<<
Sei forse impazzito? >> Louis Weasley guardava il biondo
come se fosse appena uscito da un manicomio.
La
sua giornata non faceva altro che peggiorare. Si era svegliato di umore
nero e la situazione non era certo migliorata quando aveva preso
un’enorme e decisamente poco gradita D in erbologia. Tutti
quelli della sua casata erano dannatamente bravi in quella materia e
lui si sentiva dannatamente stupido ogni volta che dovevano anche
semplicemente piantare un seme. Ma almeno per quell’aspetto
poteva considerarsi diverso dagli altri, non in modo positivo, certo,
ma per lo meno non rientrava nella media.
E
chi se lo sarebbe mai aspettato di trovare Lorcan Scamander intento a
dare pugni ad uno specchio del bagno maschile.
<<
Che vuoi? >> gli ringhiò contro il serpeverde,
spingendolo indietro.
Louis
fece due passi indietro a causa della forte spinta del biondo, ma non
si lasciò intimorire dalla voce rabbiosa né
tantomeno dall’espressione minacciosa.
<<
Cosa è successo? >> non si
avvicinò, credendo che almeno in quel modo avrebbe potuto
calmare un po’ il ragazzo che si limitò a
rivolgergli un’occhiata indifferente.
<<
Non sono affari tuoi, vattene >>
Ma
Louis lo sapeva Lorcan non lo stava cacciando, gli stava chiedendo
aiuto. Lo osservò. La camicia sbottonata e la cravatta
allentata, l’espressione ferita e la mano
sanguinante. E Louis in quel momento seppe cosa fare.
In
quel momento ringraziò di essere un tassorosso nella media e
di non essere scappato davanti alla richiesta muta di aiuto.
Ringraziò di non essere diverso dai suoi leali compagni di
casa. Ringraziò di essere gentile e premuroso, come tutti.
Si
avvicinò a Lorcan e gli afferrò una mano, poi
prese dei tovaglioli di carta, trasfigurandoli in una benda e la
poggiò sul lavandino. Sciacquò la mano
insanguinata e tolse con grazia i vetri che erano rimasti incastrati
nella pelle e la fasciò sotto lo sguardo incantato e
sorpreso di Lorcan.
Louis
era poco più alto di lui e aveva i capelli più
tendenti al dorato, con due grandi occhi grigi, il naso piccolo e la
bocca piena, sembrava gridare al mondo che un ottavo del suo sangue non
era umano. Poi ripensò al suo atteggiamento ad Hogwarts.
Louis sembrava nascondersi, al contrario di Dominique e di Victoire
prima di lei.
Louis
girò gli occhi verso Lorcan e fissò
l’azzurro cielo che infuriava ancora arrabbiato, ma
decisamente più calmo. Non poteva sapere che in quel momento
Lorcan tutto pensava di lui fuorché fosse nella media.
Perché non tutti l’avrebbero aiutato e non tutti
si sarebbero fermati ad osservarlo con il semplice scopo di assicurarsi
che stesse bene.
Lorcan
Scamander non pensava che Louis Weasley fosse mediocre.
<<
Grazie >> sussurrò, continuando ad osservarlo
negli occhi.
Louis
sorrise e alzò le spalle.
<<
Figurati. Ci si vede in giro >> e uscì dal
bagno.
Angolo
Autrice
Ciao
a tutte :) Ecco il quarto capitolo dove incontriamo Louis, Lorcan,
Shailene e James!
Spero
davvero che vi piacia! Non ho molto da dire se non ringraziare tutti e
pregare per una reensione in modo da migliorare :)
Provo
a lasciarvi le foto dei personaggi
James:
James
Shailene:
Shailene
Lorcan:
Lorcan
Louis:
Louis
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Ted Lupin era calmo. Si
trovava nella sua stanza da due ore, già pronto per la
lezione e che guardava
impassibile un punto davanti a lui.
D’altronde non
c’era
ragione per agitarsi, lui era un ottimo mago e i suoi allievi lo
avrebbero
apprezzato. Di quello ne era certo, ma sarebbe stato in grado di farsi
rispettare? Dopotutto aveva solo tre anni in più rispetto ai
ragazzi
dell’ultimo anno ed era la prima volta dopo duecento anni che
Hogwarts assumeva
un professore così giovane.
Ma Ted se lo era meritato,
era sempre stato un mago brillante e non aveva nessuna ragione di
preoccuparsi.
Ma era nervoso, cazzo. Si
passò una mano tra i capelli, che avevano cambiato colore
prendendo una
sfumatura più scura. Adorava avere il potere di cambiare il
colore dei suoi
capelli, ma odiava il fatto che quelli potessero farlo benissimo da
soli,
rivelando a tutti quanti le sue emozioni. E pensare che Ted Lupin era
sempre
stato bravo a nasconderle. Era sempre stato bravo a nascondere un sacco
di
cose, come da piccolo faceva con la cioccolata nella sua camera, con i
trucchi
di Ginny o ancora con i giocattoli di Lily.
Sospirò ancora,
guardando
l’orologio. Tra soli due minuti sarebbe iniziata la sua prima
lezione e lui era
ancora lì, a piangersi addosso e ad essere troppo
preoccupato di arrivare in
ritardo da farlo per davvero.
Quando aprì la porta
della
sua aula il silenzio si diffuse tra gli studenti dell’ottavo
anno che lo
guardarono con un misto di ammirazione e aspettativa. Beh,
d’altronde non
poteva certo aspettarsi altro da Tassorosso e Corvonero. I primi erano
troppo
gentili e i secondi avevano una curiosità troppo spiccata
per permettere a dei
pregiudizi di far parte del loro giudizio.
Avrebbe dovuto saperlo,
dopo aver trascorso tutto quel tempo con Rose.
Rose. Da
quando era arrivato ad Hogwarts non le aveva ancora parlato di persona,
le
aveva solo scritto qualche lettera alla quale la ragazza
però non aveva
risposto e questo lo aveva fatto preoccupare non poco. Era forse
arrabbiata?
La cercò con lo sguardo
mentre si dirigeva verso la cattedra e dava il benvenuto ai suoi
studenti.
Quando incrociò gli occhi celesti della ragazza
però non vi lesse risentimento.
Le labbra erano aperte in un sorriso di incoraggiamento e i capelli
rossi e
ricci erano intrecciati sulla testa per arrivare poi fino a
metà schiena e
rendere ancora più dolce la sua bellezza disarmante. Come
aveva fatto a non
accorgersi di lei prima proprio non riusciva a capirlo.
<< Bene, possiamo
iniziare >> disse, ricambiando il sorriso della Weasley.
Ora era calmo.
La lezione era andata a
gonfie vele e Ted Lupin non vedeva l’ora di iniziarne una
nuova. I ragazzi si
erano dimostrati ben disposti e contenti di apprendere da qualcuno che
poteva
capirli più di un malandato novantenne che li puniva per
ogni singolo errore.
Sbagliare era umano e, come diceva un vecchio detto babbano che ad
Harry
piaceva ripetere di continuo, ‘sbagliando si
impara’.
Qualcuno busso alla porta
del suo ufficio, sorprendendolo.
<< Avanti
>>
sulla soglia apparve una figura magra e slanciata che, dopo aver chiuso
la
porta alle sue spalle, si diresse verso la cattedra dove lui era
seduto.
Anche il ventiduenne si
alzò e posò le mani sui fianchi della ragazza,
stringendola a sé ed aspirando a
pieni polmoni il suo profumo. Quanto le era mancata.
<< Sei stato bravo
professore >> disse Rose con voce soave, ricambiando
l’abbraccio.
Ted si allontanò giusto
quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi.
<< Perché
non hai
risposto alle mie lettere? >>
Non c’era segno di accusa
nella sue voce, solo confusione e forse un po’ di
preoccupazione. Ormai lo
aveva capito, non sarebbe mai riuscito a decifrare completamente i
comportamenti
di Rose. Quando guardava il suo viso riusciva a capirla come se fosse
stata una
pergamena spiegata. Capiva le sue emozioni e i suoi turbamenti e sapeva
come
farla stare meglio, ma alcune volte, proprio quando credeva di averla
finalmente decifrata, Rose faceva qualcosa che lo sconvolgeva e lo
mandava in
confusione.
La sua costante e la sua
variabile.
<< Volevo che tu
venissi a parlarmi >>
<< Non sei
arrabbiata? >>
<< Dovrei esserlo?
>>
Ted alzò le spalle prima
di scuotere la testa con decisione. No, non c’era nessun
motivo per il quale
Rose sarebbe dovuta arrabbiarsi.
<< Ed infatti non lo
sono >> sussurrò.
Le mani della ragazza si
incastrarono con i capelli di lui, che stavano assumendo un colore
rosso possibile
solo in due casi –quando era arrabbiato o quando stava per
diventare
incredibilmente passionale- , e lo strinse a sé, facendo
combaciare le loro
labbra.
Quello che era un bacio
appena accennato divenne tutt’altro, travolgendo i due
ragazzi, che si lasciarono
trasportare dall’istinto e dal desiderio.
Un rumore di passi che si
dirigevano verso il suo ufficio li fece staccare con
velocità e Rose si
affrettò a riallacciare i bottoni della sua camicia
incredibilmente rossa in
volto, mentre Ted cercava di sistemare i suoi capelli.
La porta si aprì
rivelando
la chioma scura di Albus Severus Potter che sorrise felice ai due.
<< Ehi Teddy, ciao
Rose >> disse entrando.
Lupin sospirò
più
tranquillo e sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Di
certo avrebbe dovuto
mostrare la sua abilità nel nascondere le cose, ma coprire
la sua relazione con
Rose sarebbe stato più impegnativo del previsto.
Lysander Scamander ne era
certo. Quello sarebbe stato il suo anno. L’anno in cui
avrebbe raggiunto
l’apice della sua popolarità e la sua vita sarebbe
diventata davvero perfetta.
Era cominciato bene, aveva
pensato il ragazzo, mentre si scopava Dominique Weasley in uno dei
bagni del
treno per Hogwarts, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto
così positivo.
Il Torneo Tremaghi ad
Hogwarts. Lysander sorrise. Avrebbe partecipato, avrebbe vinto e
finalmente
tutti avrebbero riconosciuto la sua superiorità rispetto
agli altri studenti
della scuola.
Beh sì, Lysander
Scamander
era bello, intelligente, sportivo, simpatico, gentile, con
un’immensa autostima
nei propri confronti, ma, purtroppo, era anche esibizionista e talvolta
poteva
sembrare un vero e proprio pallone gonfiato. Tutta Hogwarts lo
giustifica però
pensando che aveva tutti i diritti per essere un pallone gonfiato.
Si passò una mano tra i
capelli, rivolgendo un sorrisetto malizioso ad una strega del suo anno
appartenente a Tassorosso che non riusciva a staccargli gli occhi di
dosso e
fece una smorfia compiaciuta quando sentì i risolini delle
sue amiche.
Era così facile
suscitare
quelle reazioni che il ragazzo talvolta si dimenticava che non tutta la
popolazione femminile di Hogwarts era ai suoi piedi. Non mancavano di
ricordarglielo quel gruppetto di ragazze di cui, però,
almeno la metà era
andata a letto con lui e si era arrabbiata così tanto quando
l’aveva scaricata
che gli portava ancora rancore.
Ma il grifondoro non se ne
faceva certo un problema. Sapeva perfettamente che non si poteva
piacere a
tutti e l’importante non era quello, ma suscitare una
qualunque emozione nella
persona che ti sta di fronte.
Lysander lo sapeva.
L’indifferenza era l’unica cosa che proprio non
riusciva a sopportare.
La porta della sala grande
comparve davanti a lui e il ragazzo entrò, guardandosi
intorno. Non c’era
nessuno lì, era l’unico e ne fu contento. Doveva
mettere il suo biglietto nel
calice e, nonostante le sue manie di protagonismo, per quella volta
voleva
essere solo. Nessuno doveva disturbarlo.
Prese un pezzetto di
pergamena e velocemente scrisse con l’inchiostro nero
‘Lysander Scamander’,
dopodiché sospirò fissando il suo nome.
E se non fosse stato
scelto? E se fosse stato scelto?
A Lysander non piaceva
ammetterlo, ma anche lui a volte aveva paura e l’ultima volta
che quel torneo
era stato ospitato ad Hogwarts un ragazzo ci aveva rimesso la vita ed
un altro
ci era andato più che vicino.
Quello era pericoloso.
Il gemello si diresse
verso il calice, sorpassando la linea dell’età e
lasciò cadere il bigliettino
al suo interno appena prima di sentire delle voci e dei passi
avvicinarsi.
<< Ho detto no
>> una voce scocciata e parecchio infastidita raggiunse
le orecchie di
Lysander che, non riconoscendola, si esibì in una smorfia
confusa.
<< Non era una
domanda >> rispose una voce maschile, seguita da uno
sbuffo.
In quel momento una ragazzina
almeno due anni e venti centimetri più piccola di lui fece
il suo ingresso in
sala grande. Aveva i libri stretti al petto con fare irritato e gli
occhi,
circondati di un nero pesante stretti in due fessure, i capelli neri
erano
invece legati in due trecce che le ricadevano di fianco al viso fino a
sopra il
seno, conferendole un’aria adorabile che faceva a pugni con
l’espressione che
la ragazza aveva assunto in quel momento.
Lysander la riconobbe e la
identificò come Alice Paciock. Un’Alice Paciock
decisamente incazzata.
La sedicenne estrasse
infatti la banchetta da sotto il mantello e la puntò contro
una seconda figura
che l’aveva appena raggiunta, probabilmente con
l’intenzione di schiantarlo. Il
ragazzo davanti a lei, alto quanto Lysander ma almeno con il doppio dei
muscoli, e Lysander non ne aveva pochi, alzò le mani e
spalancò gli occhi
davanti a quelli fiammeggianti della serpeverde.
<< E
cos’era allora?
Un ordine? Non sono un cane. Ho detto che non voglio uscire con te e la
tua
faccia del cazzo e le battutine calcolate non mi faranno cambiare idea
>>
Il mago schioccò la
lingua
facendo un passo indietro e guardando la strega con un pizzico di
paura, ma
come biasimarlo? Alice in quel momento sembrava una pazza arrabbiata
pronta ad
attaccare.
<< Tu sei
completamente fuori di testa >> ribatté,
sistemandosi i capelli.
Lysander lo guardò e si
accorse di non conoscerlo, poi affinò lo sguardo e
notò che non indossava la
divisa di Hogwarts e che, quindi, non poteva appartenere alla loro
scuola.
Alice sorrise sadica e
fece un cenno con la testa verso l’uscita.
<< Vedo che hai
capito. Perfetto, ora sparisci >> lo sconosciuto
ubbidì all’ordine e
scomparve dagli occhi di Lysander velocemente.
Il ragazzo sorrise e si
avvicinò alla strega che proprio in quel momento stava
rimettendo a posto la
bacchetta e sbuffava, ripensando alla situazione appena vissuta.
Possibile che
quella sottospecie di uomo non accettasse un no come risposta?
<< Che caratteraccio
>> il castano si avvicinò alla ragazza,
sorridendole amichevole.
Alice lo fissò tra
l’infastidito, lo scocciato e l’incuriosito.
Sbuffò nuovamente ed
alzò
gli occhi al cielo. Possibile che non poteva restare un po’
in pace e da sola?
Cosa avevano tutti quel giorno, perché tutto d’un
tratto cominciavano a
parlarle? Aveva forse scritto in fronte ‘oggi vi
sopporto’?
<< E tu chi saresti?
>> chiese disinteressata.
Si avvicinò ad una panca
e
si sedette incrociando le gambe. Lysander la osservò quasi
divertito, e dico
quasi perché era inaudito, ripeto inaudito, che lei non lo
conoscesse. Lui si
ricordava il suo nome e comunque non era solo per la sua
popolarità, ma loro
erano amici di famiglia. Come faceva a scordarsi una bellezza del
genere?
Il diciottenne ignorò il
fastidio e si sedette accanto a lei che, però, leggendo una
pergamena continuò
ad ignorarlo.
<< Lysander
Scamander >>
Alice alzò la testa di
scatto, facendo affiorare sul viso del grifondoro un sorrisetto
compiaciuto che
però scomparve quando Paciock si alzo ed imprecò
contro la pergamena.
<< Cazzo!
>>
<< Tutto bene?
>> la ragazza gli rivolse uno sguardo omicida.
<< Non sono affari
tuoi >>
Lysander continuò ad
ignorare il suo tono ostile.
<< Problemi con i
compiti? Posso aiutarti se vuoi >>
L’offerta di Lysander non
era del tutto disinteressata e Alice se ne accorse senza troppa
difficoltà.
<< Ascoltami,
Lysander Scamander, vedi di farti gli affari tuoi e di girarmi lontano.
Mi stai
innervosendo >> arricciò le labbra e
gonfiò le guance in una smorfia che
doveva essere infastidita, ma che procurò nel ragazzo una
risata e fece
sbuffare la mora.
Con passo veloce si
diresse verso l’uscita della Sala Grande, ma venne presto
affiancata dal castano
che, essendo molto più alto di lei, aveva delle gambe molto
più lunghe e di
conseguenza un passo molto più veloce.
<< Ti sembra che
voglia la tua compagnia? >>
<< Sai,
più di una
volta, guardare un film mi ha rilassato i nervi >> disse
il ragazzo,
ignorando il suo commento poco carino.
<< Buon per te
>> sbuffò Alice.
<< Credo che
dovresti tentare. Nel mio dormitorio c’è una tv a
schermo piatto, roba babbana,
ma davvero molto utile e la mia collezione di film è molto
varia >>
sbuffò di nuovo, ma questo non fermò di certo il
grifondoro che, se era finito
in quella casa un motivo doveva pure esserci, era cocciuto come un
mulo.
Continuò così
ad elencare
i vari titoli dei suoi film preferiti, ignorando le risposte ironiche
di Alice
e continuando a camminarle di fianco, nonostante fosse visibilmente
irritata dalla
sua presenza e non facesse niente per nasconderlo. Anzi, sembrava desse
il suo
meglio per farglielo notare.
E Lysander lo aveva
notato, ovvio che lo aveva fatto, non era mica stupido, ma si stava
divertendo
troppo per lasciarla andare in quel momento.
<< Mi stai
ascoltando? Lasciami in pace >> disse per
l’ennesima volta la serpeverde,
portandosi le mani sul viso e sbuffando disperata.
<< Ho anche dei film
babbani, sai non sono poi tanto male, anzi ce ne sono alcuni proprio
niente
male >> continuò imperterrito, ignorando
ancora una volta le sue
proteste.
Alice Paciock non era
certo famosa per la sua infinita pazienza, anzi quella dote le mancava
quasi
completamente. Senza pensarci due volte o preoccuparsi che qualcuno
potesse
vederla, estrasse la bacchetta da sotto il mantello e la
puntò contro il mago
che, a differenza del precedente, fece solo un sorrisino divertito e,
Alice
doveva ammetterlo, sensuale.
<< Dai Alice, metti
via la bacchetta, impiega le tue energie in qualcosa di più
producente che
minacciare i maghi che cercano di essere gentili con te
>>
La ragazza sorrise ed
inclinò la testa, osservando Lysander negli occhi. Lui
ricambiò lo sguardo.
<< Stupeficium
>>
L’incantesimo
colpì il
gemello in pieno petto e venne violentemente sbattuto contro la parete
opposta.
Qualche primino osservò la scena scandalizzato o decisamente
spaventato, mentre
quelli più grandi si limitavano ad essere stupiti.
Stupiti dal vedere
Lysander Scamander parlare con Alice Potter e stupiti dal fatto che lei
lo
avesse appena schiantato. Non per il fatto in sé,
intendiamoci non era poi così
incredibile da credere che Alice litigasse con qualcuno e ricorresse
poi alla
magia, ma perché quel qualcuno era
Lysander Scamander.
I ragazzi faticavano a
credere che il grifondoro si fosse fatto battere senza nemmeno provare
a
contrattaccare e le ragazze credevano che, nonostante tutto, Alice
fosse umana
e soprattutto una ragazza. E una ragazza se Lysander
Scamander, uno dei più ambiti della scuola, le
parlava lei non lo
schiantava.
La mora si sistemò il
ciuffo di capelli che le ricadeva davanti agli occhi e sorrise
soddisfatta.
<< Goditi la tua
collezione di film, Lysander Scamander >> disse,
sorridendo divertita e
percorrendo il corridoio senza nemmeno guardarlo.
Il grifondoro si rialzò,
si sistemò la camicia, si passò una mano tra i
capelli e sorrise. Sorrise
divertito mentre osservava la schiena della strega allontanarsi.
Angolo Autrice
Ciao a tutti :) ecco il
nuovo capitolo dove incontriamo due dei personaggi delle descrizione e
rivediamo Alice (che adoro)!
Vorrei specificare che il
ragazzo che ci sta provando era lo stesso della rosa e che
probabilmente lo
incontreremo più in là, ma per ora ancora non ho
scelto chi lo interpreterà!
Non ho molto da dire,
quindi semplicemente vi ringrazio (tutte quante) e spero che qualcuno
recensirà
perché voglio davvero sapere che ne pensate! Le critiche
sono buon accette!
Ho cambiato il nome della storia e la descrizione!
Ecco le foto :
TED
ROSE
(non ho idea di chi questa ragazza sia quindi probabilmente non
pubblicherò
altre foto di Rose, o forse sì, ma di atre persone, non so )
LYSANDER
ALICE
ALBUS
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Essere un serpeverde ormai
ad Hogwarts non veniva considerato sinonimo dell’essere
cattivo. Dopo la
seconda guerra magica tutte le case avevano deciso, in un tacito
accordo, di
non fare più distinzioni. Anche i cognomi avevano perso
d’importanza ed essere
un figlio di un mangiamorte non era grave come una volta. La nuova
generazione
non poteva lamentarsi di alcunché.
Il loro mondo era in pace
ed avevano la possibilità di creare da soli la propria
identità, senza
influenze dei genitori eroi o di quelli che in passato erano stati i
cattivi.
Scorpius Malfoy era sempre
stato grato di questo radicale cambiamento e dell’apertura
mentale dei suoi
compagni ed andava fiero del suo nome. Non perché fosse un
purosangue in grado
di ricordare il suo intero albero genealogico, e credetemi lo era, ma
perché
sapeva di non avere niente di cui vergognarsi.
Suo padre e suo nonno
prima di lui avevano fatto delle scelte sbagliate, era vero, ma adesso
Draco
era un mangiamorte redento che lavorava come auror al ministero e
faceva coppia
fissa con i due eroi della guerra Ronald Weasley e Harry Potter.
Il piccolo Malfoy inoltre
non era certo suo padre.
Ok, era finito tra i
serpeverde e i suoi tratti somatici lo ricordavano un tantino, ma,
tanto per
cominciare, sorrideva molto di più, era diventato il
migliore amico di Albus
Potter ed era ben accettato da tutta la gang Weasley-Potter, essendo
anche lui
un combina guai di prima categoria.
Infatti non mancavano
certo i giorni in cui l’ufficio della McGrannit era pieno di
teenager che
cercavano invano di discolparsi per l’ultimo scherzo e poi
finivano in
punizione. Sì, si poteva dire che la preside McGrannit fosse
una delle loro più
care amiche.
Scorpius era anche
particolarmente bello, dolce, divertente e con quel tocco di malizia
che non
gli impediva di avere tutte le ragazze ai suoi piedi. Peccato che, a
differenza
di quasi tutto il suo gruppo di amici, Malfoy quelle ragazze non le
voleva.
No, non era gay, ma
credeva nell’amore e non lo eccitava affatto il pensiero di
fare sesso con
qualcuna di cui il giorno dopo non avrebbe nemmeno ricordato il nome.
Lui
voleva una vera relazione, voleva ridere e scherzare con la sua
ragazza,
parlare, guardare un film e passeggiare mano nella mano.
Basti sapere che aveva perso
la sua verginità solo l’anno precedente con una
ragazza con cui aveva avuto un
anno di relazione e che poi l’aveva lasciato per un amore
estivo.
Sogni leggermente strani
per un ragazzo di diciotto anni.
Ma Scorpius era
profondamente convinto che l’amore esistesse e per lui aveva
un nome ed un
viso: Dominique Weasley.
Paradossalmente lei era
l’unica appartenente al clan Weasley-Potter presente ad
Hogwarts con la quale
non avesse un rapporto stretto, probabilmente perché tra lei
e i cugini non
scorreva buon sangue.
La tipica storiella dei
film babbani, solamente vissuta al contrario. Lui, dolce e sensibile.
Lei,
stronza, un tantino troia e piena di se stessa.
La coppia perfetta.
Fino a quell’anno aveva
vissuto la sua cotta in silenzio, solo Albus e Lorcan ne erano a
conoscenza, ma
si era letteralmente stufato. Voleva il suo lieto fine.
Quell’anno avrebbe fatto
innamorare Dominique Weasley.
Scorpius entrò nella
propria sala comune, guardandosi intorno alla ricerca di Lorcan. Il
ragazzo,
dopo la sua uscita di scena durante la lezione di pozione, era
scomparso per
l’intera giornata e, nonostante lui ed Albus
l’avessero cercato dappertutto,
era sparito da ogni radar, tranne, ovviamente, quello della Mappa Del
Malandrino.
Quando il secondogenito
Potter l’aveva rintracciato, avevano constatato che si
trovava al lago nero e
quando Lorcan andava al Lago Nero solo una era la possibile
spiegazione. Voleva
stare da solo.
Avevano quindi abbandonato
l’idea di andargli a parlare, ma Scorpius aveva sperato di
poterlo incontrare
nella Sala Comune dopo cena, considerando che non si era fatto vedere
nemmeno
lì. Ma di Lorcan Scamander si erano perse tutte le tracce.
Scorpius sbuffò
scocciato,
passandosi una mano tra i capelli biondi e continuando a guardarsi
intorno. Potter
era andato all’appuntamento con la nuova arrivata qualche ora
prima e lui di
certo non aveva l’intenzione di fare tutte le scale a ritroso
per cercare un
po’ di compagnia. Si sedette sul divano verde argento ed
aprì il libro di
pozioni che aveva in mano. Era una delle sue materie preferite e
manteneva
costantemente una media dignitosa non andando sotto l’O in
ogni test, ma
ripassare non aveva fatto mai male a nessuno.
Aveva letto le prime due
righe della nuova lezione quando il quadro della sala comune dei
Serpeverde si
aprì e Scorpius alzò la testa, rivolgendola verso
la nuova arrivata.
Dominique Weasley era
sempre perfetta. Anche in quel momento, non aveva nemmeno una ciocca di
capelli
fuori posto, la divisa, accorciata più del consentito, le
fasciava le forme
perfette facendo fantasticare la mente del ragazzo, la cravatta
leggermente
allargata le dava un’aria da cattiva ragazza a cui Scorpius
proprio non sapeva
resistere.
Deglutì a vuoto,
cercando
di prendere coraggio. Quella era la sua occasione. Quello sarebbe stato
il
giorno in cui finalmente avrebbe ottenuto qualcosa.
La ragazza chiuse con
velocità il quadro dietro di lei, appena prima che qualcuno
sbattesse
violentemente i pugni sopra di esso.
<< Dominique, apri
immediatamente questo cavolo di dipinto >>
tuonò una voce dall’altro lato
della stanza che Scorpius riconobbe, ma non riuscì ad
identificare.
La ragazza ignorò le
lamentele della persona misteriosa e si sistemò i lunghi
capelli biondi dietro
la schiena, camminando verso i dormitori femminili.
Il giovane Malfoy si
alzò
di scatto e prima che se ne rendesse conto aveva fatto fermare e
voltare la
ragazza gridando il suo nome.
La serpeverde lo guardò
interrogativa e Scorpius in quel momento non poté fare altro
che arrossire
leggermente davanti alla sua figura perfetta.
<< Ciao Scorpius
>> la voce era dolce e calda, confusa e divertita al
tempo stesso.
<< Ciao
>>
Cercò di non balbettare,
imponendosi di mantenere una certa calma. Era stato tanto coraggioso, o
stupido, dipende di punti di vista, da fermarla prima che lei potesse
ancora
una volta sparire dalla sua vista senza una, seppure stupida e corta,
conversazione.
Non poteva rovinare il
tutto.
<< Come stai?
>> chiese, schiarendosi la voce.
Dominique Weasley non era
certo conosciuta per la sua dolcezza, la sua più rinomata
qualità era senza
dubbio la malizia.
E Scorpius mancava alla
sua lista. Sorrise provocante e fece un paio di passi verso di lui. Lei
lo
sapeva. Sapeva perfettamente che Scorpius Malfoy era cotto di lei. Se
ne era
accorta.
<< In
realtà sono un
po’ nervosa. Ho bisogno di un bagno caldo >>
sussurrò, avvicinandosi
ancora fino ad essere a meno di dieci centimetri di distanza da lui.
Anche
Scorpius, mosso da chissà quale forza superiore, fece un
passo avanti. Se
avesse respirato più profondamente sarebbe arrivato a
toccarle il seno con il
petto. Dominique si protese verso di lui ben attenta a non sfiorarlo e
si
avvicinò al suo orecchio.
<< E di un
massaggio. Mi fai compagnia? >> chiese retorica,
lasciando poi un bacio
languido dietro l’orecchio del biondo che fece appello a
tutta la sua forza per
non sospirare come un ragazzino alle prime armi.
Quello non era ciò che
Scorpius faceva di solito. Non avrebbe mai acconsentito se a
chiederglielo
fosse stata un’altra ragazza, ma quella era Dominique
Weasley, il suo sogno
proibito, e gli stava chiedendo di fare sesso con lei. Non poteva dire
di no.
Aprì la bocca per
rispondere che, sì, ovviamente le avrebbe fatto volentieri
compagnia, ma venne
interrotto da un altro paio di colpi contro l’arazzo del
quadro ed altre urla
di cui Scorpius, confuso com’era, non riconobbe per la
seconda volta il
proprietario.
<< Domi, apri
immediatamente questo cazzo di quadro o ti giuro che distruggo la
parete
>>
La ragazza schioccò la
lingua, sorridendo cattiva verso l’entrata che in quel
momento si aprì.
L’espressione negli occhi di Dominique cambiò
radicalmente e da superba si
trasformò in incerta e anche un po’ spaventata.
Non che non avesse ragione di
esserlo.
Proprio in quel momento,
infatti, dietro ad un ignaro e decisamente confuso serpeverde del primo
anno,
apparve la figura minuta di Lily Luna Potter che, con la bacchetta alla
mano e
passo decisamente infuriato, si diresse verso la cugina.
<< Tu –
disse
puntandogli contro la bacchetta- brutta stronza che non sei altro. Come
ti sei
permessa? Sai benissimo cosa sta passando, ma nemmeno questa volta ti
sei
risparmiata le tue stupide battutine da quattro soldi. Per Merlino,
è tuo cugino >>
Scorpius non comprese il
motivo della discussione, ma capì dall’espressione
arrabbiata di Lily che
doveva essere serio. Dominique si riappropriò della sua
sicurezza e si
allontanò di un passo dal serpeverde che, sorpreso
dall’entrata in scena della
rossa, era rimasto immobile, a pochi centimetri dalla serpeverde.
<< Tuo fratello
è
grande abbastanza da difendersi da solo e a me non importa niente dei
suoi
compressi di inferiorità >>
Ondeggiò i capelli e si
diresse verso il dormitorio, senza guardare nessuno.
Lily imprecò nuovamente
e
cercò di lanciarle una maledizione, ma Scorpius glielo
impedì, togliendole la
bacchetta di mano e fermandola quando provò a risolvere la
questione alla
babbana. In quel momento odiava davvero quella ragazza, ma per lui era
come una
sorella e non le avrebbe permesso di fare una sciocchezza del genere ed
essere
espulsa.
La lasciò andare solo
quando Dominique scomparve.
<< Brutto idiota!
–urlò, lanciandosi contro Scorpius e colpendolo al
petto- che diamine ti
prende? Stavi per scoparti quella troia? >>
Il ragazzo dopo il terzo
colpo al petto le bloccò le mani e la guardò con
sguardo severo.
<< Lily, piano con
le parole >>
<< Chi sei, mia
madre? >> sbuffò la rossa, cercando di
liberarsi dalla presa del biondino
che, però, non la lasciò andare.
<< Che è
successo? >>
chiese ignorandola.
<< E’
successo che
non avevo mai realizzato quanto quella appartenesse a questa casa prima
di oggi
>>
Scorpius le lasciò le
mani
e un lampo di comprensione passò negli occhi di Lily. Il
ragazzo si girò,
diretto nel proprio dormitorio prima che la piccola Potter lo
bloccasse.
<< Mi dispiace,
Scorp. Non intendevo quello >> si era rivolta a lui con
dolcezza,
abbassando la voce ed il volto.
Non avrebbe mai voluto
offenderlo in quel modo. Lei voleva davvero bene a Scorpius,
probabilmente più
del consentito.
Il ragazzo sospirò e si
passò una mano tra i capelli in un gesto nervoso.
<< E’ tutto
okay,
Lils –si girò verso di lei e prese le sue mani tra
le proprie- Cosa ha fatto
Dominique a James? Non negarlo so che si tratta di lui >>
Lily abbassò il capo e
si
strinse nelle spalle, non rispondendo.
<< Vuoi parlarne?
>>
La ragazza scosse la
testa.
<< Ti va di andare a
nuotare? >>
La grifondoro alzò
nuovamente il capo e lo guardò negli occhi chiari,
sorridendo divertita.
<< Scorp, sono le
dieci di sera. Non possiamo uscire adesso >>
<< E’ per
questo che
esiste la stanza delle necessità >>
Lils scoppiò a ridere
seguita
dal serpeverde che cominciò a dirigersi verso
l’uscita del dormitorio per poi
andare al terzo piano.
I ragazzi camminarono tre
volte davanti al muro del terzo piano e una porta enorme e con
ghirigori a
decorarla comparve davanti a loro.
Lily la spinse con una
mano entrando nella stanza che, per loro, si era trasformata in un
enorme
piscina. Le luci erano soffuse e la vasca era grande, l’acqua
limpida e
nell’aria c’era profumo di umidità. Ai
bordi della piscina c’erano dei
trampolini e degli scivoli e a qualche metro di distanza dei materassi.
Lily
capì che, anche senza averlo programmato, lei e Scorpius
quella sera avrebbero
dormito lì.
<< Forza, Lils, che
aspetti? >> la rossa si girò verso il biondo e
lo osservò togliersi la
cravatta e poi la camicia, cominciando a sbottonare la cintura.
Distolse lo sguardo solo
per cominciare a fare lo stesso. Sciolse il nodo e sbottonò
la camicia,
lasciandola scivolare sulle braccia.
Sorrise a Scorpius che si
era buttato in acqua ed ora la guardava con divertimento, mentre tirava
giù la
zip della gonna e si toglieva le converse, lasciando il tutto al bordo
della
piscina.
Si buttò anche lei
nell’acqua, scatenando le risate del ragazzo.
Sì,
pensò
Lily, voglio decisamente troppo bene a
Scorpius.
Angolo Autrice
Ciao a tutte :) Oggi
spendo poche parole perché sono davvero molto stanca!
Non ho ricontrollato il
capitolo e spero che non ci siano errori! Incontriamo due nuovi
personaggi (non
mi pare di aver parlato di Lily e Scorpius) e rincontriamo Dominique.
A volte credo davvero che
i personaggi principali siano troppi (e ce ne saranno anche altri)
perché fatico
a stare dietro a tutti! Ovviamente c’è chi
avrà più spazio, ma su tutti verrà
detto qualcosina perché credo che ognuno abbia una storia da
raccontare!
Ringrazio tutti e vi auguro buona notte!
p.s Oggi niente immagini,
Lily e Scorpius li aggiungo al prossimo capitolo
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Axel Lovegood viveva la
sua vita senza preoccupazioni o, perlomeno, era quello che tutti gli
studenti
di Hogwarts pensavano quando incontravano lo sguardo perso del ragazzo
e il
sorriso sincero che aleggiava costantemente sulle sue labbra. Ogni
singolo studente,
fatta eccezione per sua cugina, pensava che Axel si lasciasse
trasportare dalla
vita, senza preoccuparsi degli eventi o senza provare a cambiarli.
Pensavano
che semplicemente li accettasse.
Mai cosa fu più
sbagliata.
Non era la vita a trasportare Axel, ma Axel a trasportare la vita. Quel
ragazzo
era vita pura, era vita in sé.
Non c’era cosa che
succedesse che a lui non piaceva e non perché fosse un
manipolatore,
semplicemente perché era nel suo sangue. Allo stesso modo in
cui era un mago,
il corvonero aveva la capacità di non lasciarsi mai
trasportare dagli eventi.
Ma nessuno davvero lo
capiva. Lui era sempre così tranquillo, così
riflessivo, così stravagante, così
inumanamente calmo e candido che pochi riuscivano a credere
che lui fosse veramente umano.
Quando lo si sentiva
parlare non c’era discorso in cui non fosse in grado di
inserire nargilli,
gorgosprizzi o creature magiche di vario genere e soprattutto ignote a
tutto il
mondo magico.
Ma Axel, così come
Shailene, non era pazzo. Era semplicemente un passo avanti agli altri.
E sì,
era un passo avanti agli altri perché sapeva
dell’esistenza dei nargilli. E dei
gorgosprizzi. E di creature che nessuno credeva esistessero ma che
erano lì,
davanti ai loro occhi. E li confondevano. E si prendevano gioco di
loro.
Ma non di Axel. Perché
Axel sapeva. Aveva sempre creduto, e credeva ancora fermamente, che la
chiave
di tutto era lì, nel sapere. Nel conoscere. Nella
consapevolezza.
Questo era ciò che ti
rendeva libero. Libero dall’ignoranza, libero dai pregiudizi,
libero dai
malintesi, libero dalle catene, libero dal verme delle
mostruosità umane.
Ed era per questo che era
così difficile raggiungere Axel, perché lui era
libero, lui viveva in un’altra
dimensione, nella quale solo Shailene, e non sempre, poteva fargli
compagnia. E
non perché lui non permettesse ad altri di avvicinarsi, gli
avrebbe fatto molto
piacere riuscire a condividere quel posto con qualcun altro, ma per il
semplice
fatto che non ci riuscivano. Loro erano prigionieri. Incatenati alle
passioni,
all’incoscienza, all’ignoranza,
all’impulsività. Legati alla natura umana,
ciò
che, volenti o nolenti, è dentro di noi e non ci abbandona
fino all’ultimo
respiro.
Quella mattina Axel si
svegliò tardi. Ormai la colazione stava per giungere al
termine, ma lui sapeva
che sarebbe riuscito a mangiare. Il tempo era ingannatore. Scorreva
così veloce
quando tutto quello che avresti voluto era che rallentasse il suo
correre ed
invece si muoveva piano quando tutto ciò che desideravi era
che quel momento
passasse.
Ma Axel non se ne era mai
preoccupato. Il tempo era intelligente, ma lui lo era ancora di
più. Sistemò
con accuratezza la cravatta e, dopo aver controllato di aver preso
tutto
l’occorrente, si diresse in Sala Grande. L’enorme
spazio era oramai quasi
completamente vuoto, ad eccezion fatta per qualche ritardataria anima
che si
apprestava a finire la propria colazione in fretta, tossendo a vote per
la
troppa velocità. Axel sorrise quando vide al tavolo
corvonero la testa castana
con riflessi rossi di sua cugina, che sorseggiava con calma il suo
famoso caffè
mattutino. Si avvicinò a lei con passo cadenzato, osservando
il soffitto della
Sala Grande. Quel giorno le nuvole erano bianche, non minacciose e,
sinceramente, molto belle. Sembravano pure, innocenti. Axel sorrise di
nuovo,
quel sorriso stravagante e attraente che portava tutti a fissarlo con
una punta
di curiosità e, perché no?, un po’ di
scetticismo.
<< Buongiorno
>> disse il ragazzo, sedendosi di fronte alla cugina e
servendosi un
piatto di pancake.
Amava mangiare di mattina,
amava la colazione più di ogni altro pasto e non
l’avrebbe saltata per niente
al mondo.
<< Buongiorno. Non
è
suonata la sveglia? >> chiese di rimando lei.
Axel scosse la testa e
sorrise davanti all’interesse di Lene per gli oggetti
babbani. Lui non aveva
una sveglia. Gli piaceva svegliarsi con il sole la mattina.
<< Credo che questa
mattina un gruppo di simpatici animaletti abbia deciso di farmi fare
tardi,
chiudendo le tende della finestra >>
No, non stava scherzando.
La corvonero sbarrò gli occhi, interessata alla sua storia.
Bevve un altro
sorso della bevanda scura, chiudendo gli occhi per comprendere a pieno
quel
sapore.
Shailene Ricci lo sapeva,
lo aveva sempre saputo, il caffè non era per tutti. Andava
capito ed apprezzato,
andava compreso e assaporato, andava accettato ed incoraggiato. Erano
poche le
persone che davvero sapevano gustare un caffè, un vero
caffè. Quello corto,
quello forte, qualche volta amaro. Per lei quello della mattina era un
rituale
di altissima importanza a pari merito solo con quello della sera, prima
di
andare a letto. Si ritrovava divisa in due ad amare ed odiare quel
rituale.
Amare perché era parte di lei, odiare perché
sapeva essere lascito della parte
italiana di lei, della parte babbana. Della parte che l’aveva
abbandonata. Di
suo padre.
Ma mai ci aveva
rinunciato. Mai lo aveva sostituito. Quello era il suo rituale, quella
era lei.
<< Non li definirei
simpatici >> fece una smorfia con le labbra ed Axel
sorrise di rimando.
<< Solo un
po’
dispettosi, ma anche loro devono divertirsi >>
Anche Shailene sorrise e
guardò il cielo, persa nei propri pensieri. Era
nell’altra dimensione ora.
Chiuse gli occhi ed
inspirò. Ecco Axel a farle compagnia.
<< Vorrei conoscerli
–disse senza aprire gli occhi- devono essere creature
interessanti. Hai mai
provato a parargli? >>
Il ragazzo ridacchiò.
<< Qualche volta
>> ammise << Ma non rispondono
>>
<< Maleducati
>> brontolò Shailene.
Axel fece per rispondere,
ma la conversazione venne interrotta da urla di incitamento e fischi
che
precedettero l’entrata in scena di una decina di ragazzi non
appartenenti ad
Hogwarts.
Tra le risate che
riempivano la stanza, uno dei ragazzi si pose davanti al calice
sventolando le
mani per zittire i suoi compagni che, quando lui iniziò a
parlare, fecero
silenzio limitandosi a scambiarsi occhiate divertite e risolini di
complicità.
<< Oggi, quello che
sarà il vostro campione, metterà il suo nome nel
calice di fuoco >>
annunciò, sorridendo.
I suoi amici lo
acclamarono cominciando ad urlare incitazioni di cui sia Shailene sia
Axel
compresero poco, essendo in quello che il ragazzo presupponeva essere
russo.
Uno sbuffo scocciato
attirò l’attenzione dei due. Alice Paciock si era
appena seduta al loro tavolo
e si serviva con tranquillità una porzione di pancetta e
uova strapazzate.
<< Sbruffone
>> borbottò, versandosi del latte.
I due cugini sorrisero,
scambiandosi un’occhiata divertita. Sempre più
spesso, quando Shailene ed Axel
erano soli, Alice si univa al gruppetto. Non parlava molto, si limitava
ad
ascoltare e scambiare qualche battuta di tanto in tanto, ma ai ragazzi
non
importava. Piaceva ad entrambi la sua compagnia silenziosa tanto quanto
a lei
piacevano le loro strampalate discussioni.
<< Buongiorno, Alice
>> la salutò Axel, sorridendole tranquillo.
La ragazza ricambiò con
un
sorriso sghembo che rivolse anche a Shailene.
<< Sai credo che
quel ragazzo abbia la pancia piena di pichirimini* >>
Entrambe le ragazze lo
guardarono confuse e la corvonero si stupì di non conoscere,
di non aver mai
nemmeno sentito, il nome di quelle
creature.
<<
Cos’è un
pichirimino? >>
Il corvonero sorrise,
passandosi una mano tra i capelli biondo cenere, prima di rispondere.
<< E’ una
creatura magica
che zia Luna sta studiando proprio in questo momento. Mi ha inviato
ieri una
lettera dove spiegava le caratteristiche che aveva già
riscontrato. È
invisibile e si annida nella pancia delle perone, rendendole spavalde
ed
esibizioniste >>
Alice sbuffò di nuovo,
lanciando un’occhiataccia al ragazzo che ancora rideva con i
suoi compagni
idioti. Quello i pichimirini, o come diavolo si chiamavano, non li
aveva
nemmeno incrociati per caso.
<< No, Ax, quello
lì
è così per natura. Se poi i suoi amici sapessero
che è scappato quando ho
tirato fuori la bacchetta non lo acclamerebbero più di tanto
>>
<< Tirato fuori la
bacchetta? >>
<< Mi aveva chiesto
di uscire ed era diventato insistente >>
la serpeverde liquidò la situazione con
un’alzata di spalle, facendo
ridere i due ragazzi.
<< Non insistente
quanto il nostro Scamander >> insinuò Axel,
senza malizia o cattiveria.
Quelle caratteristiche non
facevano proprio parte di lui. Era una semplice constatazione, pura e
cristallina. Era vero. Con quel ragazzo di Durmstrang si era limitata a
cacciar
fuori la bacchetta, invece Lys non se l’era cavata con tanto
poco.
Le due ragazze scoppiarono
a ridere.
<< E chi è
più
insistente del nostro Lysander? >>
Louis Weasley quella
mattina non aveva proprio voglia di alzarsi dal letto. Le sue coperte
erano
così calde e il materasso così comodo ed
accogliente. Ma purtroppo, in quella
mattina fredda di metà settembre, Louis era costretto ad
alzarsi dal letto. Non
poteva mancare alla lezione di pozione, non di nuovo e soprattutto non
a
quella, perché sarebbe stata l’ultima dedicata
alla Bevanda Balbettante di cui,
in tutta sincerità, Louis non riusciva proprio a capire
l’utilizzo. Che scopo
c’era nel far balbettare una persona?
Purtroppo per lui in
quella materia era un disastro e non aveva nemmeno capito un tubo di
come
prepararla e la settimana successiva avrebbe avuto un test proprio su
quell’intruglio. Avrebbe preso un altro Troll, se lo sentiva.
Così, quella mattina,
tra
le proteste del suo corpo, il ragazzo si alzò svogliato e
cominciò a vestirsi
altrettanto lentamente. Si chiese perché non avesse potuto
avere il talento
innato di Dominique per quella materia così difficile ed
odiosa, mentre si
infilava i pantaloni leggeri. Si domandò, sbuffando,
perché, pur essendo solo
metà settembre, dovesse fare così freddo, mentre
si sfilava la t-shirt del
pigiama e cominciava ad indossare la camicia. Fece il nodo alla
cravatta e,
dopo essersi passato una mano tra i capelli dorati, uscì dal
suo dormitorio
senza nemmeno guardarsi allo specchio.
Quando uscì
dall’aula di
pozioni, Louis Weasley, non era mai stato più giù
di morale. I suoi capelli
erano crespi e decisamente gonfi, la sua faccia ricoperta da una patina
nera di
polvere data dall’esplosione del suo calderone dovuta a
chissà quale errore.
Cosa ancora peggiore i Tassorosso quella mattina avevano avuto lezione
con i
Corvonero che, come tutti d’altronde si aspettavano, aveva
eccelso anche in
quella materia. Il ragazzo sbuffò essendo consapevole che il
mercoledì
successivo un’altra enorme e sconsolante T si sarebbe
aggiunta al registro di
pozioni.
Alla fine dell’anno
sarebbe stato bocciato in quella materia, lo sapeva ed era anche
consapevole di
non poter farci un bel niente.
Beh, tanto il L.U.F.O (Livello Unico e Finale Ordinario)** in pozioni probabilmente
non gli sarebbe
servito. Aveva semplicemente bisogno di passare sette materie, anche le
più
stupide, per uscire da quella scuola e creare il suo futuro. Cosa
avrebbe fatto
non lo sapeva, ma non lo riteneva poi così importante.
Si passò
una
mano sul viso, già stanco di quella giornata, nonostante
fosse appena iniziata,
e quando si accorse del nero che la sporcava si ricordò del
piccolo
inconveniente a pozioni e decise di andar in bagno per lavarsi quella
roba di
dosso.
Si
posizionò
davanti allo specchio, cominciando a strofinare con le mani il nero che
sporcava le sopracciglia, l’attaccatura dei capelli, le
labbra, le guance e
addirittura le orecchie. Sembrava appena uscito da un campo di
battaglia,
definizione non completamente sbagliata considerando la sua postazione
dopo
l’esercitazione.
Louis
sbuffò
di nuovo.
<< Sai,
sei un mago >>
Louis quasi
spaventato da quella voce alzò di scatto a testa, sbattendo
con la fronte
contro il vetro e scatenando una risatina da parte del nuovo arrivato.
Il
tassorosso si girò ad osservarlo ed incrociò lo
sguardo divertito di Lorcan
Scamander che lo fissava con quegli occhi di ghiaccio.
<<
Sì,
ne sono consapevole >> rispose il più grande,
tornando a guardare il suo
riflesso nello specchio, cercando di non arrossire.
Era ancora
tutto, completamente nero.
Il biondo
cenere prese la sua bacchetta e la puntò contro il viso del
più grande
sussurrando un ‘tergeo’
a bassa voce.
La polvere nera scomparve dal viso del diciannovenne che si
girò verso il serpeverde
leggermente imbarazzato.
<<
Grazie >>
Lorcan
alzò le
spalle in risposta.
<< Cosa
è successo? >> chiese, avvicinandosi per
buttare un po’ d’acqua sul viso.
D’altronde
era
per quello che si era recato nei bagni maschili, per prendersi una
pausa e rinfrescarsi
la mente. Stare con il migliore amico risultava sempre più
difficile e ogni
volta che lui di esibiva in un commento su una ragazza o nei racconti
della
serata passata con Arielle sentiva
il
cuore dividersi in tanti piccoli pezzettini. E più passava
il tempo più gli
sembrava difficile poterlo rimettere insieme.
<<
Pozioni >> spiegò Louis, alzando le spalle
<< Non sono un granché,
ho fatto esplodere il calderone >>
La risata di
Lorcan si diffuse per il bagno, contagiando anche l’altro,
che si ritrovò a
sorridere per la prima volta in quella giornata.
<< Come
va la mano? >> chiese, lanciando un’occhiata
alla mano destra da cui
erano sparite tutte le fasciature.
Il serpeverde
gliela mostrò, sorridendo.
<< Come
nuova >>
Weasley
sorrise ed annuì. Nessuno dei due parlò per
qualche minuto, immergendosi in un
silenzio completamente privo di imbarazzo.
Louis lavò
le
mani, pensando alla sua giornata fino a quel momento. Era iniziata
davvero
male, ma, proprio per questo, non poteva che migliorare. Ed aveva
già
cominciato a farlo.
<< Vuoi
una mano? >> chiese Lorcan all’improvviso,
distraendo il ragazzo dai suoi
pensieri. << Per pozioni intendo >>
spiegò, guardandolo negli
occhi.
Louis Weasley
sorrise di nuovo. Dopotutto la sua giornata non era così
male, anzi cominciava
ad assumere una piega interessante.
<<
Sarebbe fantastico >>
Hugo Weasley
era quello che poteva essere considerato un degno discendente della
famiglia
Weasley, a partire dal suo aspetto. Capelli rossi, lentiggini sul naso,
carnagione chiara, fisico non proprio palestrato –beh, se
doveva essere
sincero, aveva probabilmente qualche chilo di troppo, ma non ne aveva
mai fatto
un problema.
Se poi si
guardava il suo carattere allora poteva essere considerato la copia
esatta di
un mix tra Fred e George Weasley e Ronald. Tonto –detto con
affetto- e
decisamente poco sveglio come suo padre, esuberante e senza dubbio
malandrino
come i suoi zii.
Non per niente
era chiamato loro degno discendente insieme a sua cugina Lily e a quei
due
pazzi di Axel Scamander e Shailene Ricci.
Lily Luna
Potter era degna figlia di Ginny Weasley e Harry Potter, con forse
qualche
aiuto dai famosi zii sopracitati. Okay, probabilmente loro avevano
fatto il
grande del lavoro.
Lily era
intelligente come sua madre e con un innato talento a cacciarsi in
situazioni
scomode come suo padre –sembrava essere la prescelta anche
lei, sì, per
mettersi nei guai- ma indisciplinata e noncurante delle regole proprio
come i
due pazzi gemelli. Se la cavava in quasi tutte le materie, eccellendo
in Difesa
Contro Le Arti Oscure, eredità dei Potter, e quando si
arrabbiava diventava
quasi più pericolosa e spaventosa di Ginny Weasley
nonostante arrivasse a
malapena al metro e sessanta. Ma Lily era conosciuta più che
altro per gli scherzi
che insieme al cugino fidato e ai due amici inseparabili organizzava
praticamente ogni settimana.
<<
Allora –ricapitolò Hugo- abbiamo venti caccabombe
e dodici fuochi magici
>>
Lily
sbuffò.
<<
Venti
caccabombe non bastano per riempire tutto il dormitorio serpeverde,
cosa
pensava zio George quando ce le ha inviate? >>
Il cugino
scoccò la lingua consapevole che la ragazza avesse ragione.
<<
Dovremo limitarci a quello di Albus, Scorpius e Lorcan, allora
>> si
intromise nella discussione Shailene che si era appena seduta al tavolo
dei
Grifondoro seguita da Axel che rivolse un sorriso trasognato a tutti i
presenti.
Hugo
annuì,
memore dello scherzo che i tre avevano fatto pochi giorni prima. Quando
i
ragazzi erano entrati nel dormitorio lo avevano ritrovato allagato ed
erano
stati investiti da un mare di acqua incantata che dopo averli travolti
aveva
disegnato in aria il nome dei tre serpeverde. Loro non sarebbero stati
certo da
meno. Avrebbero riempito i loro bauli, i letti ed il bagno di
caccabombe,
liberando un fetore che non sarebbe stato affatto facile mandare via.
Era così
il
loro rapporto, irrimediabilmente e meravigliosamente fatto di scherzi a
cui
talvolta partecipava tutta la gang, dando vita ad un vero e proprio
spettacolo.
<<
Anche
quello di Dominique >> disse Lily, incrociando le braccia
sotto il petto
<< E, perché no, quello della sua amichetta
veela. Non mi piace come
guarda mio fratello >>
Dire che fosse
ancora arrabbiata con la cugina era un eufemismo. Non si erano mai
sopportate,
ma aveva raggiunto il limite l’altra sera. Non aveva avuto la
possibilità di
schiantarla – e quella bionda doveva solo ringraziare Malfoy-
e si sarebbe
vendicata in un altro modo.
Ghignò
immaginando la faccia spaventata della mezza veela e le urla stridule
quando
avrebbe scoperto cosa fosse successo ala sua camera.
<<
Albus
le da corda >> notò Hugo, guadagnandosi
un’occhiataccia.
<<
Parlavo di Jamie >> rispose la cugina, attirando
l’attenzione di Shailene.
Non lo aveva
più incontrato dopo il loro scontro e, se doveva essere
sincera, non ci aveva
pensato più di tanto.
<<
Bene.
Anche Dominique >>
Lily sorrise e
continuarono a delineare i dettagli del loro piano. Avrebbero dovuto
fare un
video da inviare a zio George, dopotutto lui era quello che si
divertiva di
più.
Angolo Autrice
Buona sera a tutte :)
L’unica cosa che posso
dire è mi dispiace, perché sinceramente questo
capitolo fa un po’ schifo ora
che lo rileggo, ma non sono riuscita a fare meglio di così!
Incontriamo di nuovo Lily
e vediamo per la prima volta Hugo, spero che questi due vi piacciano!
Rivediamo anche Axel e
sinceramente il suo pezzo è quello che mi è
piaciuto di meno e avrebbe dovuto
essere quello più bello!
*assolutamente una mia
invenzione, molto stupida devo dire
**Ho pensato che visto che
gli anni sono aumentati dovevano farlo anche gli esami! Il nome fa
schifo, lo
so, e non ha alcun senso!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo
8
<< Come ti sei
permessa? >> la voce alterata, isterica, ma soprattutto
conosciuta, fece
ghignare Lily Potter che, seduta al tavolo dei Grifondoro chiacchierava
amabilmente con suo cugino Hugo.
A quel suono alzò la
testa
per incontrare quella decisamente poco tranquilla di Dominique Weasley.
La sua
figura era perfetta, come sempre, ma i tratti dei viso, solitamente
controllati
e superbi, erano distorti dalla rabbia più pura. Lily
capì che aveva ricevuto
il suo scherzo ed aveva fatto due più due. Dopotutto non era
stupida come si
pensava.
<< Di fare cosa?
>> chiese innocentemente la rossa, tirandosi i capelli
lisci dietro le
spalle.
La cugina estrasse la
banchetta dal mantello e la puntò contro la più
piccola che non si scompose e
la guardò con aria di sfida.
<< Sei davvero
così
ottusa da non riuscire a capire contro chi ti sei messa?
>>
Anche Lily si alzò dalla
panca, continuando a guardarla negli occhi. Nella Sala Grande
calò il silenzio
più assoluto, tutti le fissavano in attesa di uno
svolgimento della situazione.
Non era raro incontrare Dominique Weasley e Lily Potter bisticciare in
corridoio, ma solitamente era solo quello. Poche battutine ironiche e
acide,
mai un vero e proprio duello.
Mai, ripeto mai,
Dominique aveva perso il controllo
come quel giorno.
<< Smettila di
comportarti come se fossi in un film, Dominique. Non puoi davvero
credere che
le tue minacce mi facciano paura >>
La rossa puntò le mani
sui
fianchi, senza nemmeno preoccuparsi di estrarre la bacchetta. Conosceva
sua
cugina fin troppo bene e non si sarebbe mai permessa di utilizzare la
magia per
colpirla davanti a tutti i professori. Troppa paura. Paura di perdere
il suo
titolo di studentessa modello e paura di essere espulsa.
La ragazza sbuffò e la
guardò truce, avanzando di un passo.
<< Ti pentirai di
avermi fatto quello stupido scherzo, Lily. Ricordalo >>
detto questo la
serpeverde si girò e tornò al suo tavolo un
momento prima che i professori
intervenissero.
La rossa si sedette di
nuovo e sbuffò scocciata dalla minaccia della cugina. Non
aveva paura di lei.
Erano tante le cose che la spaventavano –di cui alcune
davvero stupide- ma tra
queste non rientrava certo quella serpe di Dominique.
<< Quindi, cosa
dicevamo? Ah, sì, il Torneo Tremaghi >>
riprese il discorso la rossa,
distraendo il cugino dai pensieri che in quel momento lo tormentavano.
<< Sì,
giusto. Ti
iscriverai? >>
Lily annuì.
<< Ovviamente. Non
può mancare un Potter al Torneo. James non si
iscriverà e Albus non è
interessato quindi non ho altra scelta. Devo portare avanti il nome
della
famiglia >> disse con solennità
<< Mi imiterai cugino? >>
Anche Hugo annuì e si
batterono il cinque, sorridendosi, sicuri che almeno uno di loro
sarebbe stato
scelto dal Calice di Fuoco.
<< Pronto cugino?
>> chiese Lily, entrando nel cerchio di luce disegnato
intorno al calice.
<< Pronto. Pronta
cugina? >> ripeté Hugo, seguendola nella sfera
magica.
La ragazza annuì e si
presero la mano, stringendola per cercare di ritrovare il coraggio di
allungare
la mano e lasciare il biglietto in quel maledettissimo calice.
Quello che li aveva
portati a partecipare dopotutto non era puro e semplice coraggio, ma la
voglia
di dimostrare a se stessi che erano degni di portare quei cognomi
così
importanti.
Suo padre ad undici anni
aveva già sconfitto Voldemort per la prima volta e lei
quando i professori la
paragonavano a lui, in senso buono e cattivo, si sentiva quasi in
dovere di
dimostrare che lo meritava. Che non era solo fama. Che lei era forte e
coraggiosa come suo padre.
Lily aveva bisogno di
crederci perché altrimenti sarebbe crollata, crollata come
James. Ed Hugo lo
sapeva, la conosceva. Sentiva lo stesso.
Sua madre era una strega
brillante e suo padre aveva sempre messo al primo posto
l’amicizia e aveva
dimostrato di avere un coraggio che nessuno si sarebbe mai aspettato da
Ronald
Weasley.
Perché, ammettiamolo,
Harry Potter, senza l’aiuto dei suoi migliori amici, non
sarebbe riuscito a
compiere nemmeno metà delle sue meravigliose imprese.
E Hugo sentiva la
pressione. E Lily sentiva la pressione.
Avvertivano che diventava
ogni giorno più forte e pesante e che cominciava a
schiacciarli. Ma loro
lottavano, lottavano insieme. Aiutati da Shailene e Axel.
Perché, ammettiamolo,
senza l’aiuto dei loro migliori amici e l’appoggio
reciproco, sarebbero
crollati.
Lily capiva perché Jamie
si era chiuso in se stesso, capiva perché era cambiato e lei
non voleva
crollare, non voleva diventare un’altra persona.
Lily Potter doveva essere
forte.
Hugo si sentiva
surclassato in tutto. Sua sorella era la progenie perfetta dei suoi
genitori,
beh più che altro di sua madre. Bella, intelligente,
diligente e con un futuro
già assicurato. Non doveva dimostrare niente, bastava uno
sguardo per capire
che fosse loro degna figlia. Ma per quanto riguardava lui, beh,
bisognava
scavare in fondo per capire chi veramente fosse.
E lo stesso valeva per
Lily. Loro erano quelli sempre felici, quelli esuberanti, quelli
divertenti.
Non ti annoiavi di certo quando eri in loro compagnia, ma nessuno li
considerava
come maghi brillanti.
Pochi conoscevano i veri
Hugo e Lily. Axel, Shailene e, per quanto riguardava la ragazza, James.
Gli altri si fermavano
all’apparenza perché è questo che fanno
le persone. Non scavano, si
accontentano di quello che vedono, facendo finta di credere che sia la
verità
quando tutti sono consapevoli che una persona non è solo la
faccia che mostra
agli altri.
Una persona è mille
persone e allo stesso tempo nessuna. È diecimila diverse
versioni della stessa
storia, tutte vissute con una prospettiva diversa, tutte vere e reali,
tutte
ugualmente interessanti.
Lily ed Hugo erano
quelli sempre felici, quelli
esuberanti, quelli divertenti, ma non erano solo quello. Loro erano
intelligenti a modo loro, leali, persone di cui ci si poteva fidare,
coraggiosi. Avrebbero dato tutto per le persone a cui volevano bene. Ci
sarebbero sempre stati. Loro erano persone meravigliose.
Degni figli dei loro
genitori.
Ma erano anche insicuri e
con uno spasmodico bisogno di dimostrarlo.
Lily strinse la mano del
cugino, sotto gli sguardi comprensivi di Shailene e Axel e incoraggiati
dalle
grida e dai fischi dei compagni di casa che, in quel momento, li
circondavano.
Alzarono le mani e le
portarono verso il calice. E Lily Luna Potter lasciò cadere
il bigliettino
nello stesso momento in cui Hugo Weasley aprì la mano.
E le fiamme del calice
diventarono azzurre.
Roxanne Weasley era un
maschiaccio. L’unica cosa femminile che possedeva, causa di
suo grande
rammarico, era l’aspetto.
Roxanne Weasley aveva sempre
pensato che sarebbe dovuta nascere maschio e questa era
l’idea più popolare
anche nella scuola. Non fraintendete, a lei piacevano i ragazzi, ma
questo era
tutto.
Orientamento sessuale,
lunghi capelli castano scuro, viso delicato e corpo niente male era
tutto ciò
di femminile che poteva vantare.
Roxanne indossava vestiti
troppo larghi per la sua taglia, si divertiva a fare gare di alcol (e,
perché
no?, di rutti) con i suoi compagni grifondoro, era interessata alle
scommesse,
non sopportava il colore rosa, il Quidditch era una parte fondamentale
della
sua vita e odiava, lo odiava davvero,
sprecare il suo tempo a pettegolare e a parlare di ragazzi. Era per
questo che
Roxanne era stata accolta a braccia aperte da tutti gli studenti
grifondoro del
suo anno, ma anche dagli amici del fratello e da quelli dei cugini.
La consideravano una di
loro, un amico con cui passare le giornate a chiacchierare, con cui
poter
essere volgari senza essere rimbeccati ogni volta e con cui poter anche
scambiare qualche schiaffo perché Roxanne era
incredibilmente forte. Non per
niente era la migliore battitrice della scuola, un ruolo che,
solitamente, le
ragazze nemmeno prendevano in considerazione.
Ma, nonostante tutto,
Roxanne era una ragazza. E per
quanto
le costasse ammetterlo e per quanto non lo sopportasse, a volte si
sentiva
fuori posto.
Non l’avrebbe mai detto
ad
alta voce, ma si sentiva offesa quando tutti scherzavano sul fatto che
non
avrebbe mai avuto un ragazzo o quando, ad ogni uscita ad Hogsmade,
durante le
quali tutti, o quasi, avevano un appuntamento, lei era
l’unica a rimanere da
sola.
Roxanne Weasley aveva
sedici anni e, per quanto volesse negarlo, voleva qualcuno con cui
condividerli. E non un amico, ma qualcuno con cui condividere
un’intimità
speciale. Voleva innamorarsi.
Ma non l’avrebbe mai
ammesso.
Fred Weasley non era suo
padre. E no, non era neanche suo zio, di cui, purtroppo, aveva solo il
nome.
Non era casinista, non era
simpatico, non aveva poi tutto questo successo con le ragazze e, ci
teneva a
sottolineare che no, non era bianco, ma non era neanche nero. Non che
poi il
colore della sua pelle fosse determinante per la sua
personalità e per
l’atteggiamento che gli altri avevano nei suoi confronti, ma
era sicuro che il
suo colore indefinito fosse lì solo per ricordargli che
nella sua vita niente
era deciso.
Fred Weasley non si
sentiva né carne né pesce.
Non sapeva chi fosse e
semplicemente non riusciva a spiegarsi perché quel maledetto
cappello lo avesse
smistato nella grande casata dei Grifondoro, considerando che lui non
era
orgoglioso, coraggioso né tantomeno esibizionista. Si
sarebbe visto bene vicino
a Louis nell’anonimo tavolo dei Tassorosso, circondato da
gentilezza e fedeltà.
Mettiamola così, Fred
Weasley II era fermamente convinto che quando il Cappello Parlante si
era
posato sulla sua testa e aveva urlato a gran voce
‘Grifondoro’, fosse stato
decisamente confuso o sotto l’incantesimo Imperius di suo
padre o, peggio
ancora, maledettamente ubriaco.
Perché no, no e ancora
no,
Fred non aveva niente del grifondoro. Ed aveva ancora di meno della
famiglia
Weasley. A cominciare dal suo aspetto.
Ma forse, stava
cominciando a pensare ultimamente, le famose caratteristiche Weasley
erano
state inventate di sana pianta, basandosi sui loro genitori,
perché dando
un’occhiata a questa nuova generazione non si potevano certo
catalogare le
persone secondo determinati parametri.
Un Louis decisamente
normale.
Una Dominique altezzosa.
Una Roxanne poco, per non
dire affatto, femminile.
Uno James chiuso in se
stesso.
Una Rose poco loquace (era
piuttosto evidente che la maggior parte dei suoi geni fosse firmato
Granger).
Un Albus poco incline a
dimostrazioni di coraggio in tutti i campi (sentimentale, scolastico e
ci più
ne ha più ne metta).
Una Lucy che, beh, era
Lucy.
Gli unici che sembravano
essere Weasley erano Lily e Hugo.
Una cosa però i Weasley
ce
l’avevano in comune. Chissà come si facevano
trasportare ogni santissima volta
negli scherzi organizzati dai due pazzi sopracitati e, dopotutto, a
nessuno di
loro dispiaceva più di tanto.
Li faceva sentire una
famiglia, male assortita ma sempre una famiglia. Con alcune eccezioni
ovvio,
come per esempio Louis e James. Gli unici a restare sempre per conto
loro e a
non partecipare mai alle famose riunioni Weasley. Quelle riunioni erano
sacre.
Per non parlare poi dei
cugini fuori da Hogwarts (ma quanti ne erano?). Molly e Victoire erano
quanto
di meno Weasley esistesse sulla terra.
La prima magano e la
seconda con un’intelligenza tanto grande quanto la sua
inaspettata passione per
la babbanologia. Di fatti poi aveva trovato lavoro nel mondo babbano.
Ma Fred una cosa simile al
padre ce l’aveva.
Voleva partecipare a quel
dannatissimo torneo.
<< Roxanne, hai
sedici anni >> ribadì Rose alla cugina,
continuando imperterrita a
leggere un libro.
La ragazza annuì e
sorrise.
<< Lo so Rosie, ma
ho fatto una scommessa con papà >>
<< Scommessa che
perderai >> si intromise Fred nel discorso.
La sorella gli fece una
linguaccia e sorrise di nuovo.
<<
Nient’affatto
>>
<< Che scommessa?
>> chiese ancora Rosie.
La rossa alzò finalmente
lo sguardo dal suo libro, guardando insistentemente i cugini che
stavano in
piedi vicino al cerchio magico che circondava il calice.
Fred era già con un
piede
dentro di esso e si apprestava ad aggiungere il suo nome agli altri che
già
erano presenti. Roxanne era poco distante con e mani dietro la schiena,
vestita
alla babbana, mentre stringeva in una mano un pezzettino di pergamena e
nell’altra una pozione non meglio identificata.
<< La pozione
l’ha
fatta Albus, il che vuol dire che funzionerà >>
Rose sbuffò ancora
attirando l’attenzione del più grande che intanto
aveva fatto cadere il suo
nome nel calice.
<< Papà ci
ha
raccontato la storia di quando lui e lo zio hanno provato a partecipare
al
torneo nonostante non fossero abbastanza grandi e Roxanne ha scommesso,
quando
ha saputo che ci sarebbe stato quest’anno, che lei ci sarebbe
riuscita >>
poi sbuffò, sedendosi vicino alla cugina <<
Secondo me si ritroverà
semplicemente con i viso coperto da barba e i capelli tendenti al
bianco
>>
Rose rise, annuendo e
scatenando l’irritazione della mora che strinse le labbra.
<< Siete dei
malfidati >> mostrò la pozione
<< Questa non è una semplice pozione
invecchiante. Albus ha modificato la ricetta, non so in quale strana
maniera, e
funzionerà >>
Mandò giù
l’intero
contenuto.
Sorrise ancora ed entrò
nel cerchio magico che non la respinse. Guardò con
soddisfazione i due e lasciò
cadere la pergamena nel calice. Questa però non cadde mai
tra le fiamme.
Si alzò in volo,
frantumandosi in mille pezzi colorati e rilasciando delle scintille.
Roxanne sbuffò.
<< Quanto meno il
mio dolce viso da donzella non sarà ricoperto da folta e
canuta barba >>
I due la guardarono
accigliati ed anche il viso di Roxanne prese una sfumatura quasi
impaurita.
<< Roxie, ma come
parli? >> chiese Fred, mentre Rose scoppiò a
ridere, consapevole
dell’accaduto.
<< Hai detto che
Albus ha modificato la pozione? >> chiese tra le risate.
La grifondoro annuì e la
consapevolezza la colse all’improvviso. Non avrebbe
più potuto parlare come una
persona normale. Dannato cugino, aveva fatto in modo da farle
pronunciare
parole appartenute a chissà quanti secoli addietro.
<< Oh, Merlino, lo
sfiderò a duello. Gli trafiggerò il petto con la
mia bacchetta >>
Roxanne andò via
tra le
risate dei cugini, blaterando minacce in vecchio stile, su giostre,
cavalli e
giovani donzelle.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
Laila
Scerlì
aveva diciotto anni e si sentiva pronta. Aveva passato una vita a
cercare
qualcosa che rendesse i suoi giorni meno noiosi e no, essere un mago
non
bastava. Non bastava perché questo per lei aveva sempre
rappresentato la
normalità.
Ad undici anni
era entrata a far parte de collegio di Beuxbatons, voti nella media con
qualche
eccezione, amiche e qualche ragazzo sparso qua e là con cui
aveva storie estive
e poi manteneva la corrispondenza via lettera. Non che una sua storia
fosse
durata più di un mese dopo la separazione. Aveva sempre
odiato il fatto che il
college francese fosse interamente a femminile e, sinceramente, non
l'aveva mai
capito. Insomma, mischiare i sessi era una buona cosa, no? Favoriva
l'inserimento e l'equilibrio e tutte quelle stronzate lì. La
verità era che a
quella scuola mancava decisamente un po' di testosterone. Erano
diventate tutte
troppo femmine. Compresa lei.
Quindi quando
aveva scoperto che quell’anno sarebbero stati ospiti di
Hogwarts aveva
letteralmente fatto i salti di gioia. Non perché fosse
sicura di poter avere
una relazione più duratura, ma perché Laila aveva
bisogno di amici e che
fossero maschi. Aveva bisogno di sentirsi disgustata da alcuni loro
comportamenti e lamentarsi della loro volgarità come le
raccontava sua cugina
durante le vacanze.
Aveva bisogno che
qualcuno le imparasse a sputare e ruttare a comando, che le dicessero
che dire
qualche parolaccia non era poi la fine del mondo e che non la
guardassero male
quando, presa dalla fame, si dimenticava un pochino, ma giusto un
pochino,
delle buone maniere.
E poi aveva
bisogno di partecipare a quel torneo. Aveva bisogno di un po’
di movimento
nella sua vita, aveva bisogno di qualcosa di nuovo per scappare dalla
monotonia.
Così
quella
mattina, a solo un giorno dall’estrazione, scrisse il suo
nome su un pezzetto
irregolare di pergamena e si diresse verso a sala grande. Non corse, ma
camminò
piano, prendendosi il tempo di guardarsi intorno ed ammirare la scuola.
Hogwarts era
profondamente diversa da Beuxbatons, a partire dal colore. No, mettiamo
le cose
in chiaro, la loro scuola non era rosa confetto, nonostante le continue
proposte di quella pazza di Roberta, e ancora no, non era ricoperta di
merletti
o incastonata di perle. Ma era un edificio moderno, quasi
dall’aspetto
tecnologico. Laila era arrivata a questa conclusione dopo aver visto,
quell’estate stessa, il palazzo dedicato ad una delle riviste
di moda più in
voga di Parigi.
Quindi, aveva
deciso, la loro scuola era quasi un palazzetto per le riviste di moda e
a lei
piaceva davvero, ma Hogwarts. Hogwarts era diversa.
Camminare per
quei corridoi, circondata da muri di pietra, con finestre ampie che
davano
sull’immenso panorama verde e magico.
Hogwarts
le dava l’idea di essere tornata nel passato.
Lì la
magia si
respirava in ogni angolo. Hogwarts era magia in sé. Qualcosa
di meraviglioso.
Avrebbe dovuto
trasferirsi, seguire le impronte di Arielle, anche se, la sua sola
presenza lì,
rendeva il tutto un po’ meno bello.
Dire che non la
sopportava era un eufemismo.
<<
Laila
>>
Parli
del diavolo e spuntano le corna. Pensò
la ragazza
prima di essere raggiunta da una chioma scura e due occhi celesti che
la
guardavano divertiti.
<<
Arielle
>> rispose, tanto per essere educata.
Dire che la
ragazza non fosse bella era decisamente una bugia e Laila non si era
mai
permessa nemmeno di pensarlo, a differenza delle altre ragazze nella
loro
scuola. Lei era sincera. E sinceramente ammetteva che Arielle era molto
più
bella di lei.
<<
Metti il
tuo nome nel calice? >> chiese la mora, continuando a
tenere il passo,
nonostante l’altra avesse aumentato il ritmo.
Non le andava di
parlarle, non le andava di vederla. Non voleva nemmeno più
pensarla.
<<
Che vuoi?
>>
<<
Sei
scortese, Laila. Non si parla così ad una vecchia amica
>>
La
rimbeccò
quella, con una nota divertita nella voce. Laila bloccò il
suo passo, girandosi
verso di lei e fronteggiandola.
Incrociò
i suoi
occhi con quelli altrettanto celesti dell’altra.
Così simili eppure così
diversi. La veela aveva degli occhi impenetrabili, delle lastre di
ghiaccio,
quasi senza profondità. Mettevano a disagio e infondevano un
po’ di timore,
sicuramente dovuto ai geni veela.
Gli occhi
dell’altra erano caldi, espressivi, strabordanti di energia e
quasi come una
colata di lava fredda. Di ghiacciato quegli occhi avevano solo il
colore.
<<
Non
siamo mai state amiche >>
Nel momento in
cui Arielle sorrise il cuore di Laila perse un battito per poi
cominciare a
battere più veloce, fino a riempire le sue orecchie di quel
rumore che aveva
scordato, ma che le era ancora familiare.
Quanto le
mancavano quegli occhi. Quanto le mancavano quelle labbra. Quanto le
mancavano
quelle mani che ora, con un gesto quasi divertito, le spostavano una
ciocca
bionda dal viso.
<<
No,
siamo state di più >>
La bionda la
ignorò e ricominciò a camminare, ma Arielle non
era della stessa opinione. La
serpeverde prese un braccio della ragazza e la sbatté contro
il muro, facendole
scappare un gemito di dolore.
Nel corridoio non
c’era nessuno.
<<
Stammi
lontana >>
<<
Oh,
Laila, mi è sempre piaciuta questa parte di te
>>
La voce sembrava
dolce e accarezzava tutte le parole con grazia, ma la bionda lo sapeva,
Arielle
non la conosceva nemmeno la dolcezza.
<<
Per te
tutto è un gioco, ma per no. Lasciami in pace
>>
La mora sorrise,
schioccando la lingua. Non rispose, si limito ad avvicinarsi alla
ragazza e
sfiorare le sue labbra.
Laila si
tirò
indietro, ma l’altra premette maggiormente e la bionda non
poté far altro che
arrendersi.
Arrendersi ai
suoi sentimenti, arrendersi alle sue labbra, arrendersi a quella lingua
che
cercava la sua e l’accarezzava senza dolcezza. Ma non si
lamentò, lasciò che
Arielle continuasse a baciarla, stringendola, nonostante sapesse che se
ne
sarebbe pentita, perché lei sarebbe andata via, lasciandola
sola. Ancora una
volta.
Laila non lo
considerava un gioco a differenza dell’altra, ma non poteva
fare altro che
farsi male. Lasciare che lei le facesse male.
Arielle si
staccò
da lei e la guardò con divertimento.
<<
In bocca
a lupo >>
Laila si
lasciò
cadere sul pavimento e prese la testa tra le mani, finalmente sola.
Sospirò e
si strofinò gli occhi stanchi.
Avrebbe dovuto
reagire, lo sapeva, ma non ci riusciva. Era debole. Non sapeva
allontanarla da
sé.
No,
pensò non
è certo la relazione con
un ragazzo che cerco.
Era domenica.
James Sirius
Potter si alzò quella mattina con la consapevolezza che
finalmente era arrivata
domenica anche quella settimana. Sorrise di sbieco e si alzò
dal letto,
scostando le coperte. Il freddo lo colpì con forza,
facendolo rabbrividire. Ma
niente, quella mattina, poteva intaccare il suo buon umore.
Erano le sette di
mattina, il che voleva dire che tutti stavano dormendo, probabilmente
l’intera
scuola, ad eccezione di una ventina di ragazzi che, come lui, si
stavano
preparando.
Lanciò
uno
sguardo al letto di suo cugino Fred che si rigirava tra le coperte e si
diresse
verso il bagno. Fece una doccia veloce ed indossò una
semplice tuta.
Cercando di
essere silenzioso, mise il suo cappotto e uscì dalla stanza
per poi percorrere
i corridoi di Hogwarts e trovarsi finalmente all’esterno. Un
forte vento gli
colpì il viso, facendolo sbuffare.
Era la fine di
settembre e il clima non avrebbe dovuto essere così rigido,
ma a James non
importava.
Il giorno
seguente sarebbe stato il grande giorno dell’estrazione. Ogni
lezione era
cancellata per permettere ai ragazzi di prepararsi psicologicamente.
Che
stronzata.
Quel torneo era
un’immensa stronzata.
Sarebbe
decisamente stato più felice se quegli idioti dei suoi
cugini non avessero
partecipato, ma si era limitato a dirlo a sua sorella. Conversazione
che,
ovviamente, non aveva avuto l’esito sperato.
Lily era stata
irremovibile.
<<
Lily, pensaci, è pericoloso >>
l’aveva pregata,
prendendole una mano e stringendola tra le sue.
La
ragazza si era accoccolata meglio tra le sue braccia, posando la
testa sul suo petto e circondandogli il busto con un braccio magro.
Aveva
sbuffato ed aveva scosso la testa, evitando di guardarlo.
Erano
stesi in riva al lago nero, stretti l’uno
all’altra. James
avvolgeva la sorella come se quell’abbraccio potesse farle
cambiare idea.
<<
Sono preoccupato >>
Le
lasciò un bacio tra i capelli rosso fuoco e la ragazza
alzò il viso,
incontrando gli occhi nocciola del fratello con i suoi più
scuri.
<<
So badare a me stessa >>
<<
Ti farai uccidere >>
La
rossa si alzò senza perdere il contatto visivo.
Incrociò le gambe e
sospirò, portandosi i capelli dietro le orecchie.
Era
strano vedere Lily così seria e concentrata.
<<
Devo farlo >>
<<
Non devi dimostrare niente a nessuno >>
La
ragazza sbuffò e si alzò, irritata dalle parole
del fratello. Anche
James si alzò, pulendosi i pantaloni con le mani e fissando
la grifondoro con
sguardo di rimprovero.
<<
Devo >>
<<
Smettila di dire stronzate >>
<<
Smettila di cercare di decidere per me >> urlò
a ragazza,
girandosi di spalle.
Cominciò
a camminare verso il castello, sentendo la voce scocciata di
James dietro le spalle. Con due falcate il ragazzo, molto
più alto di lei, la
raggiunse. Sbuffò di nuovo, prima di cercare di calmarsi.
<<
Non voglio decidere per te. Sono solo preoccupato >>
<< Lo hai già detto >>
<>
<>
ribatté lei e nel
momento in cui lo disse si accorse di quanto quelle parole fossero
vere.
Tutti
i suoi parenti, escluso Albus e i più piccoli, avevano messo
il
loro nome e sapeva per certo che solo poche persone non
l’avevano fatto. Forse
una decina in tutto il castello, compresi ovviamente Shailene e Axel.
<<
Non posso, Lily, perché io ti conosco. Vincerai
>>
<<
Non dirlo o mi monto la testa >> scherzò,
cercando di sdrammatizzare.
James
sbuffò, comprendendo che non avrebbe mai vinto in quella
conversazione. Bloccò sua sorella per un braccio,
stringendola tra le sue
braccia.
<<
Promettimi che starai attenta >>
Lily
rise.
<<
Promesso >>
Beh, sapeva
dall’inizio che non avrebbe mai potuto impedire a sua sorella
di aggiungere il
suo nome a quel dannatissimo torneo e avrebbe preferito che nessuno dei
suoi
cugini l’avesse fatto perché, diciamocelo, erano
così tanti che uno di loro
sarebbe stato pescato per forza di cose.
Ringraziò
mentalmente suo fratello per avere un minimo di intelligenza. Un
pensiero in
meno.
Si
passò una mano
tra i capelli disordinati, dirigendosi verso la Foresta Proibita. Lui
tutta
quella voglia di mettersi in mostra proprio non la capiva, soprattutto
se il
prezzo poteva essere tanto alto.
Cosa ti spinge a
rischiare la vita per uno stupido torneo? Lui l’avrebbe fatto
solo per la sua
famiglia, solo per Lily.
<<
James
>> una voce, che però non riconobbe, lo
chiamò da lontano.
Il ragazzo non si
girò, continuando per la sua strada senza nemmeno girarsi.
Non era uno dei suoi
parenti, non che se fossero stati loro gli avrebbe dato confidenza,
quindi non
c’era nessuna ragione di fermarsi.
<<
Jamie.
Jamie fermati >> ascoltando quel soprannome, che solo sua
sorella
utilizzava ancora, James capì il proprietario della voce.
E non si
fermò.
Anzi accelerò il ritmo.
Sentì
dei passi
sempre più veloci dietro di lui che si trasformarono presto
in una corsa.
<<
Certo
che sei veloce >> disse la voce femminile che oramai era
decisamente più
vicina al ragazzo.
Potter
girò lo
sguardo velocemente, incrociando gli occhi curiosi di Shailene che lo
guardavano divertiti. Distolse lo sguardo, puntandolo nuovamente
davanti a sé.
<<
Dove
vai? >>
James
sbuffò, non
rispondendo nemmeno questa volta. Ma il sorriso sul volto di Shailene
non
scomparve anzi si allargò quando il ragazzo
rallentò il passo, resosi conto che
lei non si sarebbe fermata né tantomeno rigirata. Finalmente
ritornò a
respirare normalmente. Non era certo abituata a
quell’andatura.
<< I
nargilli ti hanno mangiato la lingua? >>
Il grifondoro
alzò gli occhi al cielo, guardandola di traverso. Possibile
che dovesse sempre
parlare di nargilli?
<<
E’
impossibile, perché i nargilli… >>
<<
Non
mangiano le lingue, lo so >> lo interruppe Shailene.
Ma non era quello
che James intendeva, proprio no. I
nargilli non esistono. Concluse nella sua testa, ma
evitò di dirlo ad alta
voce, considerando che lei non avrebbe di certo cambiato idea.
<<
Io sto
andando da Hagrid, sai gli avevo promesso di aiutarlo con un cucciolo
di drago
che ha appena comprato >>
Ancora una volta
il ragazzo non rispose, continuando semplicemente a camminare, ma la
corvonero
non si sentì insultata o a disagio o ignorata. Sembrava
semplicemente padrona
della situazione.
Continuava a
camminargli accanto quando l’unica cosa che il ragazzo
desiderava era che lei
sparisse e gli lasciasse vivere quella domenica in santa pace.
Tutta
l’empatia
che si era creata tra di loro nel primo incontro era sparita. James
semplicemente provava l’avversione che sentiva verso tutti
gli altri.
Quello era il suo
giorno e una ragazzina qualsiasi non poteva rovinarlo.
<<
Vuoi
venire? >>
<<
No
>> rispose secco, fermandosi.
Erano arrivati al
limite della Foresta Proibita.
<<
Vengo
con te allora. Hagrid ha detto di vederci verso le nove
>> disse,
osservando un orologio da polso.
James
alzò gli
occhi al cielo.
<<
Non se
ne parla >>
<<
Non puoi
impedirmelo >> gli fece la linguaccia.
Gli occhi
divertiti si puntarono nei suoi e per un attimo, solo per un attimo,
James
sorrise dell’impertinenza di quella ragazza che tanto gli
ricordava sua
sorella.
<<
Non
provare a seguirmi >>
<<
Perché?
>>
<<
Perché
no >>
Shailene
sbuffò
in realtà per niente irritata dal comportamento del ragazzo.
Era testarda,
alcune volte a tal punto da essere fastidiosa, lo sapeva. Ma sapeva
anche
quando era il momento di fermarsi.
<<
Ti
aspetto qui, mentre tu vai a farti riempire di pugni >>
disse tranquilla.
James
spalancò
gli occhi, girandosi verso di lei stranito, ma non incontrò
la chioma castano
cioccolato. Aggrottò e sopracciglia confuso, prima che la
voce della ragazzina
richiamò la sua attenzione.
<<
Beh, che
fai? Non vai? >>
Era seduta a
terra, con e gambe incrociate e le mani che giocavano con qualche filo
d’erba.
Borbottò qualcosa come ‘i gorgosprizzi devono
averlo confuso’ che James ignorò
prontamente.
Il ragazzo la
guardò con un sopracciglio alzato, ma non
ribatté. Sena nemmeno una parola
entrò nella Foresta Proibita, non guardandosi indietro.
<<
Terzo
incontro: James Potter e Alexander Nott >> la voce di
Patrick Baston
risvegliò James dai suoi pensieri.
Alexander Nott?
Era la prima volta che il ragazzo si presentava a quegli incontri e
James non
si sarebbe mai aspettato di incontrarlo in una situazione del genere.
Alexander
era un serpeverde del nono anno che di serpeverde, a prima vista, non
aveva
proprio niente.
Sempre
sorridente, con la battuta pronta, ironico e qualche volta arrogante.
James lo
avrebbe visto meglio tra i grifondoro, a volte si comportava proprio
come loro.
Pieno di energia ed esibizionista. Ma Potter aveva imparato ad
osservare e si
era accorto del lato da serpe del ragazzo. Era scaltro, intelligente,
subdolo a
volte. Ma mai si sarebbe aspettato di incontrarlo lì.
Guardò
gli occhi
celesti del serpeverde, pensando che sì, sembrava molto
più grande della sua
età.
I due ragazzi si
portarono uno davanti all’altro e si fissarono negli occhi
per qualche secondo
prima di cominciare. Il primo pugno partì proprio da
Alexander che, anche
essendo più grande e muscoloso di James, aveva decisamente
meno esperienza. Il
grifondoro evitò il gancio destro abbassandosi e colpendolo
allo stomaco,
facendolo piegare in due.
Provo poi a
colpire il viso on una ginocchiata, ma il biondo fermò il
colpo con entrambe le
mani e lo colpì al viso, spaccandogli il labbro.
James
sputò a
terra il sangue, ripagandolo con la stessa moneta. Un gancio destro
sullo
zigomo e uno sinistro sul mento.
Calcio allo
stomaco. Alexander afferrò la sua gamba e lo fece cadere a
terra. James evitò
un pugno e si rialzò colpendolo allo sterno ripetutamente.
Il serpeverde
fece un paio di passi indietro, alzando le mani e tossendo, in segno di
resa.
James si
passò
una mano sotto l’occhio dove c’era un rivolo di
sangue e sputò nuovamente a
terra. Si girò e se ne andò.
<<
Ehi
amico >> una voce sconosciuta lo chiamò,
facendolo fermare.
James si
guardò alle
spalle, vedendo Alexander Nott camminare lentamente verso di lui.
<<
Mi hai
spaccato le costole >>
Il grifondoro non
aveva idea di cosa rispondere. Avrebbe forse dovuto scusarsi con lui?
Dopotutto
mica era colpa sua se si era presentato ai combattimenti, ma lui
avrebbe potuto
essere più delicato. Fece per aprire a bocca, senza sapere
bene cosa dire, ma
Alex liquidò l’affermazione con un gesto della
mano e solo allora James si rese
conto che il tono del ragazzo era scherzoso. Non risentito, ma
divertito.
James lo
guardò.
Lo superava in altezza di pochi centimetri ma aveva le spalle
decisamente più
grandi delle sue.
<<
Andrai
in infermeria? >> chiese, ma il ragazzo scosse la testa,
continuando a
sorridere.
<<
Sono in
grado di curarmi da solo, ma dimmi, la faccia è tanto
rovinata? >>
Si
toccò il viso
quasi alla ricerca di qualche stranezza. Quando l’altro
scosse la testa lui
sospirò sollevato.
<<
Sai, è
un peccato rovinare qualcosa di così bello >>
James lo
guardò
scioccato e poi, forse colpito dalle sue parole, forse dal tono, ferse
dall’espressione o dalla situazione improbabile,
scoppiò a ridere. Alex lo
guardò oltraggiato, ma poi si aggiunse alla sua risata,
tossendo per il dolore
addominale.
<<
Ci si
vede, amico >> disse James, uscendo dalla Foresta
Proibita e sorridendo
mentre lo prendeva in giro per quella parola che per primo gli aveva
rivolto.
Quando James vide
di nuovo la luce del sole, quasi un’ora dopo,
fissò sconvolto il corpo steso a
terra. Shailene era ancora lì. Le gambe fasciate dai jeans e
il busto coperto
da una felpa ameno di due taglie più grande.
Si
avvicinò,
fermandosi accanto a lei e sedendosi sul prato.
Quel giorno, a
quanto pare, era abbastanza loquace.
<<
Hai
aspettato >>
Shailene si
tirò
a sedere e osservò con una smorfia il suo viso. Il
sopracciglio e il labbro
inferiore erano spaccati, ma i suo viso non era molto rovinato. Per lo
meno non
era tumefatto. Shailene sorrise radiosa, annuendo.
<<
Ora devo
andare. Hagrid mi aspetta. Passa una buona giornata >>
Si alzò
e
rivolgendogli un ultimo sorriso e un saluto veloce con la mano si
diresse verso
la capanna del guardiacaccia.
Dopo qualche
passo però si fermò e si girò,
raggiungendolo di nuovo. Si abbassò all’altezza
di James e sotto gli occhi sbalorditi del ragazzo gli lasciò
un bacio sulla
guancia, prima di correre via ridendo.
Questa
ragazza è proprio strana.
Angolo Autrice
Buon pomeriggio mondo! Mi
trovo a pubblicare prima del solito!
Finalmente si sono date le
vacanze, o almeno qui in Svezia è così, quindi,
trovandomi alla casa estiva e
avendo tempo, spero di riuscire a scrivere un po’ di
più!
Passiamo al capitolo. Come
prima cosa vorrei dire anche il nome dei prestavolto di Lily, Hugo,
Roxanne e
Fred prima di commentare!
Come Lily ho scelto Karen Gillan
Hugo è Ed Sheeran
Roxanne è Katerina Graham
Con Fred sono indecisa,
avevo pensato a Luke Pasqualino
o Jacob Artist
Con questo capitolo invece
presento Laila (Ashley Benson) , Arielle (Megan Fox) e Alexander (Chris Evans), che sinceramente adoro!
Vi ringrazio per tutto,
chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e soprattutto
chi la
recensisce!
Vorrei chiedervi ora: chi
è il vostro personaggio femminile preferito? E quello
maschile? Quali credete
saranno le coppie? Che ne pensate dei prestavolto? Di chi dovrei
scrivere
maggiormente?
Lo so che
presto per le domande perché mancano ancora
molti personaggi, ma spero che rispondiate comunque :)
Ci sentiamo presto!
p.s Nel caso non pubblichi
prima di Natale, passate delle buone feste e vi auguro un natale pieno
di
felicità e di neve
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo
10
Minerva McGrannit da
quando era diventata preside non aveva dovuto affrontare nessuna
occasione
speciale, ma avrebbe avuto l’occasione di faro
quell’anno.
Non che avesse paura di
non riuscire a gestirla, dopo tutti quegli anni di vita, quanti sarebbe
rimasto
un mistero, c’erano ben poche cose che non avrebbe potuto
gestire.
Una di loro era Lily
Potter.
Un’altra prendeva i nome
e
il viso di Hugo Weasley.
E poi c’erano i suoi
sentimenti, o meglio l’affetto incondizionato che provava per
i suoi vecchi
studenti e anche quelli nuovi.
Ma, beh, il Torneo
Tremaghi non era poi così difficile da tenere sotto
controllo.
Dopo
essere sopravvissuta a tre generazioni di Potter e
due guerre magiche non sarà uno stupido torneo a
sconfiggermi.
Ma doveva ammettere che il
ballo del ceppo era un’altra delle cose che, beh, potevano
sfuggire al suo
controllo. Non per colpa sua, ovvio, ma quella balbettante bambocciona
banda di
babbuini* avrebbe rovinato tutto, già lo sapeva.
Erano più indisciplinati
dei loro genitori e più ingegnosi dei loro nonni, il che
è tutto dire.
<< Minerva, cosa ti
preoccupa? >> la donna si girò verso il
ritratto di Silente,
rivolgendogli un sorriso.
L’uomo la fissava da
sopra
i suoi occhiali a mezza luna con quello sguardo divertito che non era
scomparso
con il passare degli anni.
Anche il ritratto di Piton
vicino a quello del vecchio preside si interessò alla
conversazione.
La preside mosse la mano
per liquidare la situazione.
<< E’
tardi, devo
andare prima che quei ragazzini distruggano la Sala Grande
>>
Minerva si alzò e si
diresse verso la porta, ma prima di uscire riuscì a cogliere
lo sguardo
divertito e d’intesa che si lanciarono i due presidi dietro
di lei.
<< Silenzio
>>
La voce della preside,
amplificata dalla bacchetta, risuonò nella Sala Grande ed un
improvviso
silenzio si impossessò dell’ambiente, rendendolo
saturo di eccitazione, ansia e
preoccupazione.
Tutti gli sguardi degli
studenti di Hogwarts, Beauxbatons e Dumstrang si puntarono sulla donna
che li
osservava con un sorriso compiaciuto.
Lysander Scamander
deglutì, sentendosi quasi impaurito.
Hugo Weasley e Lily Potter
si presero la mano sotto il tavolo.
Fred Weasley osservò i
visi dei suoi compagni, cercando di non andare in panico.
Roxanne Weasley sbuffò
scocciata, fissando di traverso Albus, ma sentendo comunque la tensione
salire.
Scorpius Malfoy rimase
impassibile.
Rose Weasley continuò a
mangiare.
Shailene Ricci dal tavolo
di Corvonero si lanciò uno sguardo d’intesa con
Axel Lovegood per poi fissare i
loro migliori amici.
Alexander Nott sorrise,
continuando a parlare con la Zabini a bassa voce, elogiando il suo viso
tornato
alla normalità.
James Sirius Potter
fissò
sua sorella.
Lorcan Scamander si mise
le mani al viso.
Louis Weasley guardò la
McGrannit.
<< Bene, cominciamo
>>
Nessuno si azzardò a
pronunciare una parola o ad emettere un bisbiglio. Alexander Nott si
lamentò
dopo un calcio negli stinchi da parte di Naya Zabini e si
zittì completamente
quando la suddetta lo colpì allo stomaco ancora dolorante.
La McGrannit alzò una
mano
al cielo e con un colpo di bacchetta colpì il calice. Le
fiamme diventarono
azzurre e crebbero a dismisura. Tutti gli studenti lo osservano
sbalorditi. Una
pergamena arrivò in mano alla donna.
<< Il primo campione
di Dumstrang è Filip Karante >>
Alice fece una smorfia di
disgusto quando il ragazzo che l’aveva importunata si
alzò tra le grida
eccitate dei suoi compagni.
<< Il secondo
campione di Dumstrang è Ivan Rontik >>
Ivan si alzò,
raggiungendo
il compagno di scuola e rivolgendogli una semplice occhiata e un cenno
della
testa, mentre la scuola scoppiava di nuovo in grida di acclamazione.
Minerva sorrise e fece
segno a tutti di ritornare in silenzio.
<< La prima
campionessa di Beauxbatons è Laila Scerlì
>>
La bionda sorrise e si
alzò, posizionandosi accanto ai due ragazzi e stringendo la
mano ad entrambi.
Filip le rivolse un occhiolino e la ragazza sorrise timida.
Arielle catturò il suo
sguardo, alzando il bicchiere nella sua direzione e sorridendo
divertita quando
quella le rivolse una smorfia infastidita.
Anche la seconda
campionessa di Beauxbatons, Roberta Paurol, raggiunse i chiamati e,
stretta nel
suo abitino rosa, li salutò con una stretta di mano e un
sorriso. Abbracciò
Laila che, scioccata, non l’allontanò.
<< Ed ora, la scuola
ospitante >>
Con un altro colpo di
bacchetta le fiamme del calice divennero nuovamente blu e si alzarono a
dismisura, sputando fuori un pezzetto di pergamena bruciacchiata.
Tutti gli studenti di
Hogwarts fissarono il pezzetto di carta con aspettativa e quasi
reverenza.
Louis avvertì il suo
cuore
fermarsi, mentre aspettava che la McGrannit parlasse e rivelasse il
loro primo
campione.
<< Per Hogwarts il
primo campione, o meglio campionessa –sui volti dei ragazzi
si dipinse una
smorfia delusa- è Lily Luna Potter >>
Delle grida di incitamento
si alzarono da tutti gli studenti di Hogwarts e più di un
grifondoro si alzò in
piedi, applaudendo e acclamando la loro campionessa.
Lily guardò suo cugino
Hugo che l’abbracciò felice e sciolse la stretta
delle loro mani per
permetterle di alzarsi. La ragazza si guardò intorno
spaesata finché Weasley
non l’alzo con la forza.
Solo in quel momento la
rossa capì veramente cosa era successo e sorrise. Un sorriso
così radioso che
per un attimo contagiò anche James. Il primogenito Potter
aveva una smorfia di
preoccupazione dipinta in viso che si allievò un poco quando
la sorella mimò
‘te lo prometto’ con le labbra.
Lily si avvicinò agli
altri e strinse a tutti la mano, mentre le riservavano qualche
complimento e un
paio di ‘prevedibile’ detti con aria divertita.
La preside cercò di
ristabilire l’ordine nella Sala che dopo non poche lamentale
ripiombò nel
silenzio.
Un altro colpo di
bacchetta.
Altre fiamme blu.
Un’altra pergamena
spiegazzata.
<< Il secondo
campione di Hogwarts e nostro ultimo campione è Lysander
Scamander >>
Un altro boato si
sollevò
dalle panche di grifondoro e, in generale, da tutte le case.
Due compagni del gemello
lo alzarono, acclamandolo, mentre quello rideva.
Incontrò lo sguardo
celeste di Alice e le fece un occhiolino divertito. Lei alzò
gli occhi al
cielo.
Si diresse verso gli
altri, venendo fermato più volte da compagni di scuola che
lo abbracciavano
augurandogli buona fortuna come se già dovesse affrontare la
prima prova.
Passò un braccio intorno
alle spalle di Lily che sbuffò divertita, ricambiando
quell’abbraccio strano da
parte dell’amico di infanzia.
<< Ecco a voi, i
campioni del Torneo Tremaghi >>
E nella Sala Grande
scoppiò il caos.
Fred Weasley spinse con una
mano la porta d’ingresso del bagno di Mirtilla Malcontenta al
terzo piano.
Erano le tre di notte e la casata dei Grifondoro stava ancora
festeggiando i
loro due campioni tra alcol, musica ed urla, ma lui aveva bisogno di
tempo da
passare da solo.
Era stato contento di
vedere sua cugina Lily così felice, ma non poteva fare a
meno di pensare di
aver fallito.
Un’altra volta.
Non era riuscito a
dimostrare il suo valore.
Un’altra volta.
Non l’avevano scelto.
Come
nessuno l’aveva mai scelto.
Si avvicinò al lavabo
che
una volta aveva nascosto la camera dei segreti e si lasciò
cadere ai suoi piedi
poggiando la testa sulle ginocchia strette al petto.
Aveva sempre amato quella
storia, quella della camera dei segreti. Quando tutti erano
più piccoli, e a
nessuno importava delle differenze che c’erano tra loro e che
poi si erano
accentuate con il tempo, zio Harry e zio Ron raccontavano
quell’avventura in
tutte le possibili festività, quando l’intera
famiglia si riuniva.
E nessuno era ancora a
conoscenza della condizione di Molly. Lei sorrideva e giocava con gli
altri,
aspettando il suo undicesimo compleanno per ricevere una lettera che
poi non
sarebbe mai arrivata. E avrebbe aspettato ancora, invano. E sarebbe
caduta in
un vortice di depressione adolescenziale e sregolatezza.
E nessuno avrebbe potuto
immaginare quello che poi sarebbe successo a Lucy
all’età di soli tredici anni.
E lei ascoltava quella storia come se non ci fosse
nient’altro di meglio.
E nessuno di loro poteva
predire il loro futuro, futuro nel quale la maggior parte sarebbe
diventata
qualcuno che non voleva essere.
Fred sospirò e
cercò nella
tasca il pacchetto di sigarette magiche alla menta. Ne prese una e se
la infilò
tra le labbra, accendendola con la fiamma della bacchetta.
<< Quella roba ti
uccide
>>
Il ragazzo si girò quasi
spaventato dalle voce, sbattendo la testa contro il lavandino e
imprecando a
bassa voce. L’altro ridacchiò.
Louis Weasley era seduto a
terra con la schiena poggiata contro una porta del bagno, la cravatta
allentata
e i primi bottoni della camicia sbottonati. I capelli erano un disastro
come se
non avesse fatto altro che passarci le mani in gesti quasi disperati.
Il castano sbuffò,
rilasciando una nuvoletta di fumo e continuando a toccarsi la parte
lesa. Alzò
le spalle per liquidare la situazione.
Non voleva ignorare Louis,
non per una volta che quello finalmente gli stava parlando, ma non
sapeva
davvero cosa rispondere perché il ragazzo aveva ragione. Ma
Fred era
altrettanto convinto che non sarebbero state delle stupide sigarette ad
ammazzarlo. Insomma, sarebbe stata una morte abbastanza degradante e
lui non lo
avrebbe permesso. Per Morgana, piuttosto si sarebbe fatto uccidere in
un
duello.
Come se fosse possibile
per lui imbastire un duello serio.
<< Finiti i
festeggiamenti? >> chiese ancora il Tassorosso,
desideroso di avere una
conversazione.
Aveva sempre apprezzato il
silenzio, ma non lo voleva in quel momento.
<< No, semplicemente
non sono in vena >>
Louis annuì comprensivo
e
Fred prese un’altra boccata di fumo, aprendo poi la bocca per
parlare ancora.
Ma il rumore della porta che si apriva e richiudeva lo interruppe.
Entrambi i ragazzi si
voltarono verso la nuova arrivata e Roxanne, una volta accortasi di
loro, gli
sorrise.
Raggiunse il fratello e si
sedette accanto a lui.
<< Buonasera a tutti
>> salutò con voce divertita.
<< Roxie, quella
è
la mia maglietta >>
La castana scosse le
spalle e arricciò le labbra, guardando il suo vestiario,
constatando che sì,
quella era la maglietta del fratello. Quindi sorrise ancora, annuendo e
ignorando l’espressione irritata del ragazzo.
Si rivolse poi al cugino,
osservandolo.
<< Come te la passi,
Lou? >>
<< Una meraviglia.
È
per questo che mi trovo alle tre di notte in un bagno >>
<< Uh, hai imparato
a fare dell’ironia? Non è da te >>
Nelle parole della ragazza
non c’era cattiveria, solo divertimento e Louis
scoppiò a ridere, scuotendo la
testa.
<< Riunione di
famiglia improvvisata? >>
La voce di Hugo fece
voltare i presenti che gli sorrisero. Nessuno di loro aveva dimenticato
il peso
allo stomaco che li attanagliava per aver perso, ma lo sentivano
alleggerito,
avendo la possibilità di dividerlo con gli altri.
Louis per un momento si
chiese perché continuava ad evitare le famose e sacre
riunioni di famiglia. Si
chiese perché si ostinava ad essere normale fuori da quel
nucleo di cugini,
sapendo che avrebbe potuto essere normale con loro. Anche la testa di
Rose
Weasley comparve vicino a quella del fratello ed entrambi si sedettero
vicino
al cugino Tassorosso, sorridendogli quasi per rassicurarlo.
Per dirgli che lì era
ben
accento.
<< Una cosa del
genere >> rispose Fred, accendendosi un’altra
sigaretta.
<< Quella roba ti
uccide >>
<< Non ripeterti,
Lou, sei noioso >>
I ragazzi risero,
bloccandosi quando la testa bionda di Dominique comparve davanti a
loro.
La ragazza sbuffò,
riappropriandosi della facciata di superiorità che aveva
lasciato il posto per
un attimo, solo per un attimo, ad una smorfia delusa e quasi triste.
<< Non si
può stare
tranquilli nemmeno in bagno >>
Si lamentò, andandosi
però
a sedere vicino al fratello e lanciandogli un’occhiata
preoccupata. Louis le
sorrise, stringendole la mano.
Dominique non era il
mostro che tutti si aspettavano, Louis lo sapeva. Semplicemente aveva
bisogno
di quella facciata, ma non perché nascondesse una timidezza,
una dolcezza e una
insicurezza unica, no, Dominique era sicura di sé e
disinibita a livelli quasi
inumani. Ma nascondeva qualcosa di più grande e lo
nascondeva a tutti.
I suoi cugini, i suoi
genitori, i suoi fratelli. Era il suo peso da portare e sapeva che
l’avrebbe
portata ad un punto di non ritorno, quindi teneva tutti lontani da
sé.
Se non si avvicinavano non
avrebbero sofferto quando lei non ci sarebbe stata più,
perché lo sapeva che
quel momento sarebbe arrivato presto, troppo presto.
E poi, tanto per essere
sinceri, giocare all’odiarsi la divertiva.
<< Roxanne, tu che
ci fai qui? Lo sapevi che il calice non ti avrebbe scelto
>>
L’interessata prese la
sigaretta dalle labbra del fratello per portarla alle sue ed inspirare
profondamente.
<< Ehi, Rox, non
puoi fumare >>
In risposta la ragazza
sbuffò una nuvola di fumo in faccia al fratello, che si
riprese la sigaretta,
mentre ognuno in quella stanza scoppiava a ridere.
<< Solo per colpa di
Albus >> precisò.
<< Per lo meno
adesso puoi parlare normalmente >>
<< E non sai quanto
tempo ci ho messo per riuscirci >>
<< Siete
insopportabili >>
Dominique sbuffò e
chiuse
gli occhi poggiando la testa alla porta dietro di lei. Finse di
ignorare i suoi
cugini che continuarono a parlare e battibeccare tra di loro.
<< Siamo dei cattivi
cugini? >>
Chiese Rose, facendo
zittire tutti. Roxanne, stirò le gambe, incrociandole poi
nella posizione più
maschile che Fred conoscesse. Lui abbassò il viso, Louis
sospirò e Dominique
aprì un occhio.
Ma Hugo sorrise e scosse
la testa sicuro.
<< Saremo
lì per
lei, ogni giorno ed ogni prova. Abbiamo solo bisogno di una notte, Lily
capirà
>>
E Dominique sorrise, come
i suoi consanguinei nella stanza.
Era per questo che una
volta ogni due settimane partecipava a quelle riunioni, nonostante si
limitasse
a rimanere seduta ed ascoltare le loro voci e osservare i loro
movimenti, i
loro sorrisi. Le davano ancora una parvenza della normalità
che sapeva non le
apparteneva più.
Ma
dopotutto non c’è niente di male nello scappare
dalla realtà per alcune ore.
Lysander Scamander era
preoccupato. E non perché il suo bicchiere fosse nuovamente
vuoto o perché la
testa avesse cominciato a girare vorticosamente o perché non
avesse baciato
ancora nessuno quella sera ed erano già le quattro e mezza.
Schioccò la lingua sul
palato e si rese conto di non voler partecipare più a quella
festa. Aveva
bisogno di aria fresca.
La camicia era appiccicata
al suo corpo, mezza aperta, per colpa del lieve strato di sudore che lo
ricopriva, e i capelli erano decisamente un disastro.
Aveva bisogno di tempo per
riflettere.
Evitando un paio di
grifondoro su di giri si diresse verso il quadro ed uscì
dalla propria sala
comune, dopo aver lanciato uno sguardo a Lily Potter, che rideva con
un’amica
all’angolo della stanza.
La festa era per loro due,
ma dopo le prime due ore tutti se ne erano dimenticati e, a parte
qualche
brindisi sporadico in loro onore, nessuno sembrava accorgersi della
loro
presenza.
Ed entrambi ne erano
grati. Avevano bisogno di tempo per metabolizzare. Erano felici, ma
anche
abbastanza confusi.
Lysander si sarebbe
aspettato altre sensazioni, non certo quella preoccupazione di non
essere
abbastanza, mista ad un briciolo di soddisfazione ed eccitazione che
però
venivano soppresse dalla paura.
Era dannatamente
spaventato.
Sospirò finalmente
libero
da tutto quel rumore e da quella confusione, quando il ritratto della
Signora
Grassa si chiuse dietro di lui.
<< E’ tardi
ragazzo,
dovresti essere dentro >> si lamentò la donna
che venne prontamente
ignorata dal biondo.
Con un altro sospiro si
diresse verso la guferia. Aveva bisogno di silenzio e solitudine e, in
quel
momento, persino i bisbigli dei quadri di Hogwarts sembravano rumorosi.
Finalmente l’aria fredda
lo colpì, facendo irrigidire i suoi muscoli, ma
permettendogli di svegliarsi e
la testa si stabilizzò un po’ di più.
Si lasciò cadere a terra
seduto, chiudendo gli occhi e non scomponendosi quando sentì
una voce fin
troppo conosciuta parlare vicino a lui.
<< Ti stavo
aspettando, Lys >>
Lorcan Scamander era
seduto accanto al fratello con l’espressione contratta e lo
sguardo rivolto
verso il cielo.
Le stelle, quella sera,
erano coperte da nuvole che rendevano il cielo cupo, ma
quell’aria fredda e
quell’annuncio di tempesta rassicurarono Lorcan.
Lui adorava i temporali.
Gli piaceva il rumore e l’odore della pioggia. Gli piaceva
poter restare sotto
la pioggia ad ascoltare solo quel ticchettio e finalmente potersi
sfogare.
E piangere.
Perché, si, Lorcan
piangeva e ancora sì, era un ragazzo. Ed il fatto che fosse
gay non c’entrava.
Anche i ragazzi piangono.
Forse l’amore per la
pioggia era l’unica cosa che i due fratelli avevano in
comune.
<< Perché
siamo così
diversi? Intendo, siamo gemelli cazzo, almeno fisicamente dovremmo
essere
identici >>
Lysander aveva aperto gli
occhi ed ora guardava anche lui al cielo, ma colse il movimento delle
spalle di
Lorcan dopo che lui ebbe pronunciato quelle parole.
<< Sai, siamo
gemelli eterozigoti, il che vuol dire che non ci assomigliamo
più di due
fratelli >>
Lysander sbuffò
divertito.
<< Non fare il
secchione >>
Lorcan scosse la testa sorridendo.
<< Sai che noia, se
fossimo uguali. E poi non vorresti essere come me >>
No, ok, non era quello che
Lorcan avrebbe voluto dire. Voleva essere spiritoso e dirgli
scherzosamente che
non avrebbe voluto essere come lui. E avrebbero riso insieme.
Ma la smorfia di dolore
che era impressa sul suo viso diceva tutt’altro. E allora
Lorcan capì, capì che
aveva bisogno di parlarne, capì che aveva bisogno di
parlarne con suo fratello.
Lysander non lo guardò,
restò con lo sguardo fisso sulle stelle, ma gli diede un
pugno sul braccio che
di scherzoso aveva ben poco.
<< Non dirlo
nemmeno, Lorc. Non hai niente di sbagliato. Essere gay non è
qualcosa di cui
vergognarti. Mamma lo accetterà, papà lo
accetterà, i tuoi amici lo
accetteranno ed io l’ho già accettato da tempo.
Degli altri sinceramente chi se
ne frega. Se sono idioti sono problemi loro. Tu vai bene
così >>
La voce era quasi
arrabbiata, ma con una nota di stanchezza e una comprensione che mai
Lorcan
aveva sentito nella voce del fratello. Ma si accorse che era
così che lo
conosceva che, nonostante tutto, lui sapeva come Lysander era fatto,
conosceva
tutto di lui.
<< Non posso dirlo a
tutti. Non sono pronto >>
Lysander annuì.
<< Quando lo farai
picchierò chiunque si permetterà di dire qualcosa
>>
<< Stai attento Lys
>>
<< Lo farò
>>
Entrambi si girarono verso
l’altro e si guardarono sorridendosi.
<< Mi sei mancato
>> disse Lysander.
Lorcan ghignò.
<< Non fare la
femminuccia >>
Lysander lo colpì ancora
una volta alla spalla, intimandogli di non essere così gay
quando lui si
lamentò.
E restarono nella guferia
tutta la notte a recuperare il tempo perduto. Sapevano che non
sarebbero stati
sempre insieme da quel momento, ma sapevano anche che avevano
recuperato il
loro rapporto.
E per adesso era abbastanza.
Angolo Autrice
AUGURIIIII
Lo so che oramai sono le
dieci e mezza passate, ma sono ancora in tempo per darvi gli auguri di
natale!
Ho aggiornato prestissimo!
Forse addirittura troppo presto, ma è Natale quindi volevo
farvi una sorpresa!
Passiamo al capitolo:
finalmente vengono scoperti i campioni! Chi pensate vincerà?
Sinceramente mi è
piaciuto
scrivere l’incontro tra i cugini e quello tra i fratelli,
spero di essere
riuscita a renderlo bene!
Presto saprete il segreto
di Dominique e quello che è successo a Lucy!
Ringrazio tutti e vi
auguro buon natale ancora una volta!
Spero che mi farete
sentire il vostro parere!
*Ovviamente preso dal
quarto film
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Scrivo
qui per chiedere scusa a chi ha già letto il capitolo! Non
so come io abbia fatto, ma era pieno di errori grammaticali che spero
siano dati dalla distrazione mentre lo scrivevo! Comunque spero di aver
rimediato e che sia d vostro gradimento! Inoltre questo è il
mio FACEBOOK
creato
apposta per le mie storie e, anche se ancora non
c’è niente, se qualcuno mi chiederà
l’amicizia e sarà interessato ad anticipazioni e
qualunque cosa mi venga in mente pubblicherò presto! Adesso
vi auguro buona lettura!
Capitolo
11
<< Un Club dei Duellanti? >> chiese ancora
Ted.
La McGrannit distese le labbra in una linea stretta e gli
lanciò un'occhiata tra il disperato e il frustato.
Annuì con veemenza.
<< Sì, Lupin. Cosa c'è che non
capisci? >>
Ted scosse la testa, cercando di pensare alle varie
possibilità. Lo sapeva, l'ultima vota che un Club dei
Duellanti era stato aperto si temeva per l'incolumità degli
studenti a causa di un serpente di dimensioni non trascurabili che si
aggirava nelle tubature della scuola, pietrificando
mezzosangue.
Rabbrividì, ripensando alla storia che a Ron piaceva tanto
raccontare, che Ginny ed Harry non la pensavano allo stesso modo non lo
riteneva poi così importante. A lui, personalmente, la
storia era sempre piaciuta, ma i serpenti, al contrario, gli
suscitavano un certo ribrezzo.
Adesso, non fraintendetemi, quello di indire un Club dei Duellanti era
uno dei sogni di Ted. Si sarebbe divertito non poco, ma quella
situazione non lo convinceva.
<< Perché? >> diede voce ai suoi
dubbi, accarezzandosi il mento.
La McGrannit si limitò a scrollare le spalle, tornando con i
ricordi a ciò che era successo solo quella mattina quando la
chiamata di Harry Potter l'aveva colta del tutto impreparata.
La donna era seduta nella poltrona del suo ufficio dove era
andata di fretta subito dopo l'avviso della chiamata dell'auror.
Aspettava pazientemente, rivolgendo un'occhiata al camino ogni qual
volta gli sembrava di udire un qualche strepitio più
rumoroso o quando semplicemente intravedeva per sbaglio il viso
dell'uomo uscire dalla cenere.
Il piede destro continuava a battere ritmicamente sul pavimento di
pietra, mentre stringeva con forza la vestaglia intorno al corpo, come
se volesse proteggersi da qualcosa, anche se, la preside lo sapeva, non
c'era niente di cui essere spaventati.
Non era certo la prima volta che Harry Potter chiamava a qualunque ora
per domande e comunicazioni che alla donna risultavano alquanto
stupide. Chi se lo sarebbe mai aspettato che il bambino sopravvissuto
si sarebbe poi rivelato un padre così apprensivo e,
parliamoci chiaro, anche abbastanza inappropriato?
"Lily ha mangiato oggi?"
"Albus è andato a lezione?"
"Come le sembra James?"
"George si chiedeva se Roxie avesse ricevuto il suo pacco"
Ormai aveva smesso anche di preoccuparsi quando riceveva lettere e
chiamate da lui, ma doveva per fora rispondere perché Harry
Potter era il capo Auror e Minerva aveva imparato che nella vita i
pericoli sono sempre dietro l'angolo.
Che poi lui approfittava della sua posizione era tutta un'altra
storia.
Quindi alle cinque di mattina la McGrannit aspettava stretta nella sua
vestaglia, con i capelli argentati sciolti ad incorniciarle il viso
che, nonostante gli anni passati rimaneva lo stesso seppur con qualche
ruga in più, e con un peso nel petto che non la faceva
sentire al sicuro.
<< Per precauzione >> disse,
risvegliandosi dai propri pensieri.
Ted la fissò per qualche secondo sospettoso, facendola
sospirare.
<< E per preparare i ragazzi per il Torneo
Tremaghi>> aggiunse poi.
Lupin alzò un sopracciglio.
<< E la vera ragione? >>
Le fiamme del camino diventarono verdi e la figura di Harry
Potter comparve nel suo ufficio. La donna si alzò sorpresa
dalla sedia, fissando quello che, anche se cresciuto, no riusciva a non
vedere e considerare come un ragazzo.
Harry Potter era cambiato nell'aspetto, ovviamente gi anni passati
cominciavano a far comparire qualche ruga sulla pelle, ma l'espressione
era sempre la stessa. Lui era sempre o stesso.
La preside aveva sempre trovato meraviglioso il modo in cui tutto
ciò che aveva dovuto sopportare non l'avesse distrutto, ma
solamente reso più forte. Gli era stata negata l'infanzia,
l'adolescenza e una famiglia, ma lui non si era mai arreso.
<< Potter, cosa ci fai qui? >>
La McGrannit strinse di più la vestaglia contro i corpo e
guardò attentamente l'auror. Sembrava distrutto.
La pelle era più pallida del solido, segnata da profonde
occhiaie, i capelli erano sporchi e disordinati e gli occhi
stanchi.
<< So che aspettava una mia chiamata preside, ma la
questione è importante >>
<< Siediti, Potter >>
L'uomo prese posto su una delle poltrone e si passo una mano sul viso,
sospirando esausto.
<< Abbiamo trovato un cadavere questa notte e la cosa non
sarebbe tanto strana, se non si tenesse conto delle modalità
dell'omicidio. E' il terzo in una settimana >>
Harry fece una pausa e sospirò ancora, mentre la donna
trattenne il respiro e lo guardava come se fosse posseduto.
<< I segnali non possono essere ignorati,
professoressa>>
All'auror sembrò di essere tornato nel passato, in quel
periodo della sua vita che sarebbe dovuto essere il migliore e che
invece si era rivelato il più oscuro. Ma non si era mai
lamentato, perché aveva trovato l'amore.
L'amore per Ginny, Ron, Hermione. L'amore per la famiglia Weasley che
poi era diventata anche la sua. L'amore per Sirius.
La pace però l'aveva trovata dopo. Quando Voldemort era
scomparso. Quando aveva baciato Ginny stretta in un vestito bianco il
giorno del suo matrimonio, quando aveva fatto da testimone a Ron ed
Hermione, quando aveva stretto tra le braccia i suoi figli, quando
James insisteva per mettere lui la stella sull'albero nonostante non
arrivasse nemmeno alla sedia, quando Albus correva per casa dopo
essersi rotolato nel fango, quando Lily rubava la cioccolata dalla
dispensa e poi lo guardava con quello sguardo angelico e gli sorrideva
innocente.
Aveva trovato l'amore quando tutto era difficile.
Aveva trovato la pace e la felicità quando tutto era
finito.
Avrebbe trovato il dolore e la disperazione quando tutto sarebbe
ricominciato.
<< Quali sono le modalità?>>
<< Le vittime sono state scelte a caso, non mi sembra ci
sia una logica precisa, ma a tutte è stato inferto con il
fuoco il marchio nero per ben due volte >>
La McGrannit trattenne il respiro.
<< Una sul viso, l'altra sul petto ed un punto
interrogativo sulla pancia. La cosa più spaventosa
è la scritta, professoressa, 'chi sarà il
prossimo?' >>
La preside si alzò di scatto, intercettando o sguardo di
Albus Silente e Severus Piton su di lei. Anche Harry
incrociò gli occhi dei due uomini per chiedere aiuto. Per
cercare una soluzione che sempre si era celata dietro gli occhiali a
mezza luna di Silente. O per trovare un risvolto inaspettato come
quello che Piton era stato in grado di dare.
Era stata per quell'uomo, che da sempre Harry aveva odiato, che era
riuscito a vincere la guerra. E gliene era grato e sempre lo sarebbe
stato. Lo rispettava.
Ed aveva bisogno del suo aiuto.
<< I ragazzi devono essere pronti>>
<< Sono d'accordo >>
<< Chi può prepararli? >>
<< Ted Lupin >>
Alla fine de racconto, il ventiduenne si alzò
dalla sedia e le riservò un cenno di saluto.
<< Non si verrà a sapere >>
specificò, ancora prima che lei la imponesse come
condizione.
Minerva annuì.
<< I ragazzi non devono preoccuparsi>>
<< Diremo che è per il Torneo. Per
divertimento >>
La donna annuì e Teddy uscì dallo
studio.
Siamo proprio nella merda.
Alexander Nott non aveva pregiudizi. La guerra era finita da anni ormai
e, detta con sincerità, a lui non importava niente se un
pazzo con manie di protagonismo più di venti anni prima si
era messo in testa di governare il mondo magico.
Davvero, non sapeva da dove iniziare per giudicare Voldemort.
Probabilmente dal fatto che fosse senza naso o senza capelli o, ancora,
bianco cadaverico e beh, decisamente troppo magro. In sintesi, si
poteva dire che non fosse affatto attraente, a differenza del
sopracitato Alexander Nott.
Per quanto riguarda l'ideologia leggermente filofascista,
Alec era abbastanza sicuro che con lo sterminio dei mezzosangue avesse
esagerato. Ma giusto un po' , eh.
Tornando a noi, abbiamo stabilito che ad Alexander Nott di Lord
Voldemort non importava un fico secco.
Questo però non significa che la sua famiglia la pensasse
allo stesso modo. E non parlo dei genitori che, bene o male,
accettavano le nuove leggi e anche i babbani, ma dei suoi nonni e i
parenti alla lontana che non vedevano decisamente la cosa di buon
occhio. Sembrava quasi che aspettassero un ritorno di Voldemort per
essere nuovamente suoi seguaci.
Alec li ignorava per la maggior parte del tempo e, durante i pranzi di
famiglia, quando il disgusto per il sangue del suo sangue diventava
insostenibile si imitava ad alarsi ed andare via.
Niente duelli, niente discussioni, niente fughe drammatiche di casa.
Non che Alexander Nott non fosse drammatico, anzi lo era al limite del
consentito. Una cosa però gli mancava.
Aveva i soldi, aveva la bellezza, era capitano della squadra di
Quidditch e caposcuola, aveva la popolarità, aveva degli
amici, aveva una ragazza.
Ma un cosa gli mancava.
Non aveva coraggio. Se era finito tra le serpi, qualcosa doveva pure
esserci. Era scaltro, astuto, intelligente, ma gli mancava il
coraggio.
Non aveva fegato.
Non aveva mai rischiato nemmeno di saltare una lezione, figurarsi di
disconoscere la sua famiglia, derivante da una lunga stirpe di
purosangue (loro ci tenevano tanto che fosse specificato).
Ma dopotutto non gli interessava più di tanto, aveva tutto
quello che desiderava e il coraggio non gli serviva.
Per ora.
Una cosa che Alec non aveva mai cercato era l'amore. Lui non
credeva nelle fiabe. Non era mai stato attratto dal 'vissero per sempre
felici e contenti' e non perché non fosse una bella
prospettiva, semplicemente perché non esisteva.
La vita era breve ed era solo una successione di fatti. Eventi felici e
tristi si susseguivano senza che tu potessi mai accelerare il tempo o
renderlo più lento per goderti un momento di gioia.
Quindi se saresti morto felice o triste dipendeva solo dal
caso.
Dal caso sì, perché lui non ci credeva in
Merlino, né tantomeno nel destino. L'idea che fosse esistito
un mago che aveva dato origine a tutto era assurda e il fatto che
avesse già in mente tutto ciò che sarebbe
successo era ancora più ridicolo.
Alec non credeva nel 'vissero per sempre felici e contenti'
semplicemente perché non esisteva. Non c'era nessuna
felicità, era solo un'assenza momentanea di tristezza, di
dolore.
E non c'era nessun 'per sempre'. La vita finisce. Non esiste il per
sempre.
E pensava a queste cose mentre abbracciava la sua ragazza, con il viso
poggiato sulla sua spalla e la testa altrove.
Marie Smith parlava senza nemmeno concedersi nemmeno un secondo per
riprendere fiato o semplicemente accorgersi che il suo adorato
fidanzato non stava ascoltando nemmeno una sillaba dell'importantissima
cosa che gli stava raccontando.
Ad Alec piaceva Marie, gli piaceva davvero, ma non la sopportava quando
entrava nella modalità pettegola. La preferiva
zitta.
<< Ci credi, Alec? >>
Lui annuì, rendendosi conto che aveva pronunciato il suo
nome. La ragazza sorrise soddisfatta e continuò il suo
racconto, facendolo estraniare per una seconda volta.
<< Mi dispiace, Marie, ma devo andare. Devo finire la
pergamena di trasfigurazione >>
La diciottenne interruppe i discorso e lo guardò un po'
irritata, ma gli rivolse un sorriso e un bacio a fior di
labbra.
<< Finirò il racconto questa sera,
Caposcuola>> disse maliziosa.
Alec sorrise e dopo un bacio decisamente meno casto del primo la
salutò e si diresse verso la biblioteca.
Non che si fosse allontanato per fare i compiti, il suo obiettivo era
quello di allontanarsi il più possibile dai pettegolezzi di
Marie, ma la pergamena di trasfigurazione esisteva davvero e, dato che
ora aveva tempo, tanto valeva scrivere qualche riga.
Che poi, a lui, il pettegolezzo piaceva, ma quando i loro discorsi si
riducevano solo a quello non riusciva a sopportarlo per più
di mezz'ora consecutiva.
Aprì la porta della biblioteca, immergendosi nell'odore di
libri e pergamene. Il chiacchiericcio degli studenti arrivò
alle sue orecchie e lo rilassò immediatamente.
Non che quel luogo gli fosse mai particolarmente piaciuto, ma nei pochi
momenti in cui aveva bisogno di stare solo (non che fossero molti, in
tutti quegli anni ad Hogwarts potevano essere contati sulle dita di una
mano) era il luogo perfetto.
C'era silenzio, ma non troppo.
C'era rumore, ma non troppo.
Era perfetto.
Sorrise rilassato e si avviò alla sezione della biblioteca
dedicata alla trasfigurazione. In realtà non aveva bisogno
dei libri, considerando che quell'argomento lo padroneggiava con
maestria. Ma per lo meno se ne avesse avuto bisogno non sarebbe stato
troppo lontano.
<< Tu. Io ti affatturo >>
Una voce bassa, ma decisamente arrabbiata lo distolse dalla scrittura
della pergamena.
<< Andiamo, Rox, era solo uno scherzo>>
Il ragazzo riconobbe la voce divertita di Albus Potter e decise di
prestare attenzione alla conversazione.
<< Uno scherzo? >> urlò la
ragazza, ricevendo un'occhiataccia dalla bibliotecaria che
ignorò prontamente, ma abbassò ugualmente la
voce.
<< Beh, non era divertente >> una risatina
fece sorridere Nott<< Non ridere Al, o giuro che ti
schianto seduta stante>>
<< Per lo meno non ti è cresciuta la
barba>>
<< Lo avrei preferito. Ho dovuto parlare come una
cogliona deficiente per quattro giorni, Al. Quattro cazzo di giorni
>>
Alec alzò un sopracciglio. Però,
delicata la ragazza.
<< Hai parlato come una ragazza,
dovresti provarci più spesso>>
Roxanne Weasley aprì la bocca per rispondere a suo cugino,
magari sputandogli addosso tutte le parolacce che conosceva e gli
insulti più coloriti del suo repertorio per poi concludere
il tutto con un calcio o un pugno ben assestato, ma fu interrotta da un
'non ha tutti i torti' borbottato dall'altra parte dello scaffale.
La Grifondoro aggrottò le sopracciglia e prendendo il cugino
per la cravatta verde argento che portava al collo, oggetto che in quel
momento le sembrava abbastanza utile per strozzarlo, lo
trascinò dietro di sé.
Con forza sbatté la mano sul tavolo ed Alec alzò
lo sguardo, guardandola come se fosse pazza. Non che avesse
torto.
Osservò la pelle scura completamente priva di trucco, i
capelli scuri raccolti in una coda disordinata, la t-shirt di Quidditch
larga, probabilmente non sua, che nascondeva le sue forme, i jeans
altrettanto grandi ed infine un paio di scarpe da ginnastica.
Non era domenica, era a malapena giovedì mattina, e sarebbe
stato obbligatorio indossare la divisa scolastica, ma evidentemente a
Roxanne non importava più di tanto. Erano sempre i meno i
giorni in cui la si vedeva girare per i corridoi senza la gonna o la
camicetta e la cravatta Grifondoro, unico indumento della divisa che
indossava con orgoglio, legato nei posti più strani. A volte
utilizzato come bandana, altre come elastico, altre ancora
semplicemente portato al collo slacciato. E comunque i giorni in cui
indossava la divisa erano quelli in cui era così stanca da
non rendersi nemmeno conto del cibo che mangiava.
<< Che cazzo hai detto? >> chiese,
fissandolo negli occhi, brandendo ancora con una mano la cravatta del
giovane Potter che cercava invano di calmarla.
Alec alzò un sopracciglio fino all'attaccatura dei capelli e
sorrise innocentemente.
<< Che Al non ha tutti i torti >>
ripeté tranquillamente, ignorando l'espressione arrabbiata
della ragazza e quella di avvertimento del suo compagno di
casa.
Quello per Roxanne non era un buon giorno.
Primo, si era alzata con la luna storta e non era riuscita a svegliarsi
neanche dopo il quinto caffè.
Secondo, aveva avuto due ore di pozioni e trascorrere tanto tempo in
quel covo la deprimeva non poco.
Terzo, durante il pranzo era così stanca da essersi
addormentata, perdendo così 'occasione di mangiare la
meravigliosa pasta preparata con tanto amore dagli elfi. E se il cibo
era sacro, e lo era davvero, per la Grifondoro quello italiano era come
Merlino.
Quarto, il momento del risveglio non era certo stato aiutato dalla
lezione di storia della magia. Quel fantasma che avevano come
professore concitava il sonno. E la ragazza non aveva neanche il lusso
di perdersi in fantasie dove sarebbe morto in modo lento ed atroce
perché questo era già successo e non gli aveva di
certo impedito di annoiare i suoi studenti. Come fosse morto, non lo
sapeva, ma sperava, senza cattiveria ovviamente, che fosse stato
doloroso.
Quinto, quel deficiente di Albus, dopo essere riuscito a scappare per
più di una settimana, non aveva fatto altro che prendersi
gioco di lei, facendo crescere la sua irritazione.
Ed adesso poteva aggiungere alla lista una sesta motivazione. Quel
cretino di Nott che si immischiava in affari che di certo non lo
riguardavano.
<< Ascoltami, idiota, oggi non sono dell'umore. Ma se
vuoi aggiungerti alla fila di persone che devo schiantare puoi metterti
dietro a quel rincoglionito di mio cugino >>
Mosse la mano con cui ancora tratteneva il ragazzo come per renderlo
più palese. Albus sbuffò, strattonando ancora una
volta il braccio della cugina, stavolta con più forza,
riuscendo finalmente a liberarsi dalla sua presa ferrea.
Alec sorrise ancora portandosi la piuma alla bocca. Non
distolse lo sguardo da quello di Roxanne, mantenendo il contatto visivo
e alzando le sopracciglia, facendola irritare ancora di
più.
<< Sai, Weasley, essere un po' più femminile
non ti farebbe male. Non che comportandoti da maschiaccio tu non sia
eccitante, ma dai l'idea di una un po' violenta. Però, se ti
piace il sadomaso sono aperto a nuove esperienze >>
Roxanne grugnì, facendo sospirare il ragazzo davanti a lei
di finta delusione e divertimento.
<< Sei disgustoso. Pensa alla tua ragazza >>
<< Non preoccuparti per lei, è ampiamente
soddisfatta >>
Beh, okay, forse qualcosa su Alexander Nott c'era da aggiungerla. Era,
come dire, decisamente poco serio. Che ci si intenda, non aveva mai
tradito Marie e probabilmente si sarebbero lasciati prima di avere la
possibilità fisica di farlo, ma non aveva mai rinunciato a
battutine e provocazioni con le altre ragazze. E farlo con Roxanne
Weasley si stava rivelando piuttosto divertente.
Quindi, ricapitolando, era ricco, bello, capitano, caposcuola,
popolare, intelligente, scaltro, astuto, divertente, con amici ed una
ragazza, ma era anche vanitoso, poco serio, durante la maggior parte
della sua vita, leggermente egocentrico ed anche quello che alcune
ragazze definirebbero stronzo.
Non nascondeva una lista delle ragazze con cui andava al letto, e ne
erano tante, nella sua camera. Non faceva nessuna scommessa sui
sentimenti delle persone. Metteva sempre in chiaro le sue intenzioni e
più di una volta si era fermato prima del sesso con una
ragazza innamorata della sua immagine ( della sua immagine,
sì, perché non conoscevano il vero lui e non
avrebbero potuto amarlo). A maggior ragione se era vergine.
Ma lui le storie serie non sapeva nemmeno dove stessero di casa. Era
fidanzato con Marie da solo due settimane e già pensava alla
possibilità di lasciarla.
Alle ragazze piaceva chiamarlo stronzo solo perché lui non
credeva nell'amore. Solo perché non credeva nel 'vissero per
sempre felici e contenti'.
Okay, forse anche per le battutine decisamente fuori luogo.
<< Vai a farti fottere Nott >> disse
Roxanne, girandosi di spalle e dirigendosi verso l'uscita della
biblioteca.
Aveva bisogno di un po' di tempo tra amici.
<< Con piacere. Ti aspetto nella mia camera stasera
Weasley >>
Tutto ciò che ricevette in risposta fu un ringhio ed un dito
medio alzato nella sua direzione che lo fecero ridere.
Albus nel frattempo fissava i due ragazzi, spostando i suoi occhi verdi
dall'uno all'altro e accarezzandosi il mento come se stesse riflettendo
su qualcosa di fondamentale importanza.
<< Tu sei malato, Nott >> concluse in fine,
facendo ridere il castano.
<< Beh, Albus, tua cugina è
pazza>>
Questo non c'entra niente , pensò
stupito il giovane Potter.
Angolo Autrice
Finalmente ho pubblicato!
Inizio con il dirvi che il problema a Windows non è risolto,
ma è davvero troppo tempo che non pubblico quindi ho deciso
di riscrivere il capitolo.
Rincontriamo Roxanne nella sua versione arrabbiata (non è
così sboccata di solito, forse solo un po') e Nott,
personaggio che semplicemente adoro! Abbiamo anche un po' del nostro
Albus Potter che presto avrà la sua storia e un piccolo
sguardo a quello che accadrà di qui a poco, ovvero la parte
misteriosa della storia!
Cosa ne pensate? Sono davvero molto curiosa di saperlo!
Se volete sapere i presta volti basta chiedere e vi dirò il
nome dei personaggi che ho scelto!
Beh, non mi dilungo altro, ringrazio tutti e vi prego di lasciare una
recensione :) Spero di sentirvi presto!
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Ricordo
che questo è l’account di FACEBOOK
creato per le storie! Spero che siate interessati J
Vi auguro una
buona lettura, ci vediamo sotto!
Capitolo
12
Albus fece il nodo alla
cravatta, aggiustandosi il colletto della camicia e indossando un
maglione al
di sopra. L’aria era diventata gelida ancora prima che
Novembre si affacciasse
alle porte di Hogwarts. Era davvero stufo di tutto quel freddo, non
sopportava
il vento gelido e davvero non capiva perché la McGrannit non
si decidesse a
fare un incantesimo di riscaldamento per farli stare bene per lo meno
all’interno del castello.
Prese la tracolla e
passandosi una mano tra i capelli si diresse verso l’uscita.
Sia Scorpius che
Lorcan erano usciti presto quella mattina; non che la cosa
l’avesse stupito più
di tanto.
Scamander quando era
nervoso, stato d’animo che lo accompagnava da quando aveva
messo piede nella
scuola quell’anno, si rifugiava negli angoletti
più nascosti della scuola per
stare per conto suo. Lui e Scorpius avevano provato a farlo parlare, ma
ogni
volta il ragazzo non faceva altro che rinchiudersi in se stesso,
lasciandoli
fuori da un muro di cemento che costruiva piano piano intorno a
sé. Se le cose
non fossero cambiate in breve tempo, Albus l’avrebbe preso a
pugni fino a farlo
confessare. Lorcan era cambiato durante quegli anni ad Hogwarts, un
po’ come
tutti loro, e lui proprio non riusciva a sopportare di restare a
guardare
impassibile mentre uno dei suoi migliori amici si distruggeva come
aveva fatto
suo fratello.
Non aveva potuto impedire
che quello accadesse a James, non era mai stato il fratello presente
che
avrebbe voluto essere, non si era accorto del mutamento del suo
comportamento,
nonostante questo fosse avvenuto lentamente e palesemente.
I sensi di colpa lo
divoravano, anche se forse più per una questione di egoismo
che per vero amore
verso il maggiore, ma non avrebbe permesso che a Lorcan fosse capitato
lo
stesso.
Malfoy dal canto suo era
un ragazzo molto mattiniero ed era solito alzarsi all’alba e
fare una
passeggiata prima di colazione.
Con passo lento si diresse
verso la Sala Grande, sentendo lo stomaco brontolare e
sbuffò, accorgendosi che
tutto ciò che si sarebbe potuto permettere sarebbe stata una
colazione molto, molto, veloce.
Mancava a mala pena un
quarto d’ora all’inizio della sua prima lezione.
Aumentò a
velocità del suo
passo, cercando di guadagnare qualche minuto. Aveva davvero bisogno di
mettere
qualcosa tra i denti o sarebbe svenuto durante la lezione di Difesa
Contro le
Arti Oscure e Ted non ne sarebbe stato per niente contento.
La sua attenzione fu
attirata da una figura che procedeva a passo di furia nel corridoio,
andandogli
incontro.
Albus riconobbe la figura
snella ed alta di una ragazza e quando quella fu abbastanza vicina la
identificò come Cassandra Nott.
Poi si accorse dei capelli
bagnati, della divisa gocciolante e dell’espressione
scocciata, ma non
arrabbiata.
<< Quando ci si fa
la doccia, solitamente si tolgono i vestiti >> le fece
notare Albus una
volta che si ritrovarono uno davanti all’altro.
Le sorrise senza
derisione, solo decisamente divertito.
<< Fuori piove
>>
spiegò senza interesse.
Il ragazzo la guardò
meglio, rendendosi conto solo in quel momento quanto Cassandra fosse
diversa da
suo fratello.
I capelli erano molto
più
scuri e le ricadevano fino alla vita stretta, fasciata dalla camicia
bianca
che, essendo bagnata, si era attaccata al suo corpo ed era diventata
leggermente trasparente; la pelle era ambrata in netto contrasto con
quella
chiara del fratello e, infine, gli occhi erano castani, profondi,
opposti a
quelli del maggiore.
E le mancante somiglianze
non si fermavano all’aspetto fisico. Chiunque li conoscesse
faticava a credere
che fossero fratelli. Alexander era esibizionista, lei era
più timida e le
piaceva starsene per i fatti suoi con un ristretto gruppo di amici. Era
tranquilla, le piaceva studiare ed era estremamente facile
imbarazzarla. Ed era
Tassorosso.
Ora, Albus non si era mai
fermato davvero ad osservarla, la conosceva di vista solo per le poche
vote che
l’aveva incontrata con il fratello e si erano fermati a fare
due chiacchiere,
ma si accorse, in quel momento, di quanto Cassandra fosse carina. Molto
carina.
<< Dove vai?
>>
<< A cambiarmi
>> rispose, indicandosi come per fargli notare le sue
palesi condizioni.
Albus fece un sorrisetto e
passò lo sguardo sul suo corpo, analizzandolo senza
imbarazzo.
La sedicenne arrossì
violentemente e distolse lo sguardo dal Serpeverde davanti a lei,
concentrandosi sulla parete dietro alle sue spalle.
Cassandra non era
interessata a Potter, non lo era mai stata. Certo, ammetteva che lui
fosse decisamente
un bel ragazzo, uno dei più belli della scuola, desiderabile
e aveva sentito
dire in giro che fosse anche simpatico. Ma non era il suo tipo.
Aveva le idee chiare su
chi fosse il ragazzo adatto a lei e Albus Potter non rientrava in
nessuno dei punti
di quella lista.
1.
Modesto
2.
Dolce
3.
Solare
4.
Coraggioso
5.
Romantico
6.
Divertente
7.
Hugo Weasley
Beh, forse avrebbe potuto
soddisfare un paio di punti, ma per quanto riguardava il settimo,
quello più
importante e decisamente non interscambiabile, era senza speranza.
Sì, Cassandra Nott era
innamorata da un anno e due mesi di Hugo Weasley. Non del bulletto
della
scuola, né tantomeno del ragazzo più sexy che
avesse mai visto o del tipico
bello e dannato. Ma di un ragazzo sempre felice, altruista, dolce, che
si cacciava
spesso nei guai e sì, con qualche chilo di troppo.
Ma quanto Albus l’aveva
studiata con quello sguardo non aveva potuto fare a meno di sentirsi in
imbarazzo e arrossire come una ragazzina alle prime armi. Soprattutto
perché
Cassandra era una ragazzina alle
prime armi.
<< Beh, io- io vado
>> balbettò.
Portò le mani davanti al
petto nel tentativo di coprire il reggiseno nero che portava sotto,
dopo
essersi accorta dello sguardo insistente di Albus in quel punto
specifico.
Il ragazzo sorrise,
riprendendo a camminare e fermandosi a pochi centimetri da lei. Si
piegò
leggermente per arrivare al suo orecchio.
<< Ci si vede in
giro, Cassandra >> sussurrò, lasciandola sola
subito dopo.
Diede un’occhiata al suo
orologio e alzò gli occhi al cielo.
Perfetto, aveva saltato la
sua colazione.
Lucy Weasley quella
mattina si alzò e guardò fuori dalla finestra,
stupendosi dell’assenza di neve
che, al contrario degli anni precedenti, non era ancora comparsa ad
Hogwarts.
Sbuffò contrariata.
Insomma, era già Dicembre e non si vedeva nemmeno un fiocco
di neve. Nemmeno
uno.
Lei amava la neve e, se il
tempo avesse continuato quel corso, non avrebbe avuto il suo bianco
natale.
Qualcosa che aspettava tutto l’anno.
Si alzò, scostando le
coperte dal suo corpo e rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono
terra. Si
diresse in bagno quasi correndo. Odiava i brividi che le percorrevano
la
schiena al contatto con una superfice fredda.
Il freddo dentro le mura
del castello era l’unica pecca durante l’inverno.
Aprì il getto
d’acqua
calda ed entrò nella doccia sentendo i muscoli rilassarsi.
Insaponò i capelli e
sciacquò il corpo. Si piegò per togliere i
capelli dalla doccia e fu allora che
la vide. La sua gamba destra era deturpata da una cicatrice lunga dal
ginocchio
fino al linguine, leggermente sopra elevata.
La fissò sconvolta per
qualche secondo.
La ferita che aveva
lasciato quel segno sarebbe dovuta essere davvero profonda, grave, eppure lei non ricordava affatto
di essersela procurata.
Deglutì a vuoto.
Portò la
mano sul segno di un passato che per quanto si sforzasse non riusciva
proprio a
ricordare. Seguì la linea rosea e chiuse gli occhi, cercando
nella sua memoria.
Nei suoi ricordi.
Ma niente, non c’era
niente.
L’ultimo suo
‘incidente’
era stato quasi sette mesi prima quando era caduta dalle scale per
andare alla
guferia e si era fatta due rampe rotolando. Certo, non era stato
piacevole,
assolutamente no, ma niente di troppo grave.
Aveva avuto il braccio
fasciato per tre giorni ed era stata in infermeria per una notte,
ritornando
subito come nuova e saltando un compito di erbologia. Cosa che
l’aveva un po’
irritata.
Aprì gli occhi posandoli
sulla mano sinistra e ricordandosi di come si fosse bruciata alla Tana
mentre a
soli sette anni cercava di aiutare nonna Molly a preparare il pranzo.
Osservò
la cicatrice piccola e rosea che troneggiava invece
sull’avambraccio, segno di
quando Jamie aveva fatto cadere le forbici e per sbaglio erano finite
su una
Lucy di a mala pena sei anni. Lei aveva pianto per ore e James si era
sorbito
una strigliata come si deve da Ginny, che aveva accettato con la testa
bassa e
cercando di ricacciare le lacrime indietro. Poi quella notte si era
intrufolato
di nascosto nel letto di Lucy e si era scusato ancora, convincendo la
cuginetta
a perdonarlo.
Tutto corrispondeva, tutti
i segni che il suo passato aveva lasciato su di lei, perché
era una distratta
cronica, c’erano ancora, ma si era aggiunto qualcosa che non
avrebbe dovuto
essere lì.
Si asciugò in fretta ed
indossò la divisa, prendendo la borsa con foga e
precipitandosi fuori dal
dormitorio di Tassorosso.
Passò davanti alle
cucine
per la prima volta senza salutare gli elfi e corse fino al dormitorio
dei
Grifondoro.
Non capiva perché si
stesse dirigendo lì, ma c’era qualcosa che la
spingeva verso la torre rosso
oro. Una sensazione che la convinceva che quella fosse la scelta
più
appropriata. La scelta giusta.
Non era mai stata brava a
trattenere le lacrime, non l’aveva mai ritenuto necessario ed
ora le premevano
agli angoli degli occhi celesti, facendoli diventare lucidi.
Non era triste o
arrabbiata. Semplicemente sconvolta.
Proprio quando lei
arrivò
davanti alla torre dei Grifondoro il ritratto della signora grassa si
aprì e
Fred Weasley comparve davanti a lei.
La osservò per alcuni
secondi,
guardò gli occhi lucidi, le gambe scoperte dalle solite
calze e la mano posata
sulla cicatrice e capì. Sospirò e le rivolse uno
sguardo triste e quasi
colpevole.
<< Vieni, Lucy,
dobbiamo parlare >>
Erano sulla torre di
astronomia, seduti uno accanto all’altro. Lucy piangeva e
stringeva le gambe al
petto mentre Fred la avvicinava a sé con un braccio e
cercava di consolarla,
lasciandole baci sulla testa e accarezzandole i capelli rossi.
<< Ho- ho perso la
m-memoria? >> chiese ancora tra i singhiozzi.
Fred annuì e la ragazza
fu
scossa da un pianto più forte, un pianto consapevole.
Consapevole di quello che
le stava succedendo, consapevole di quello che le era successo e
consapevole di
quello che sarebbe successo nel suo futuro. Sarebbe stata la sua croce
da
portare, per sempre. La sua vita non sarebbe stata più la
stessa, non lo era
più da mesi ormai, ma la parte peggiore era che non avrebbe
dovuto affrontare
quella rivelazione una sola volta, ma infinite. Un giorno si sarebbe
svegliata
di nuovo, pensando che tutto fosse normale per poi scoprire che lei la
normalità non l’avrebbe più incontrata.
E avrebbe pianto tutte le sue lacrime,
ogni volta, senza mai esaurire quella scorta a cui poi avrebbe attinto
per
quella successiva.
<< Non so bene come
sia successo, nessuno lo sa. L’anno scorso, durante Dicembre
sei caduta da
questa torre, graffiandoti la gamba con quella croce lì
– la indicò con una
mano- e sbattendo la testa contro il tetto >>
Lucy trattenne il respiro,
incitandolo a continuare con lo sguardo. Fred chiuse gli occhi. Era
troppo
doloroso guardarla e doverle dire quelle cose. Lo era sempre per lui,
ma aveva
scelto di essere colui che le sarebbe stato vicino e
l’avrebbe aiutata a
risollevarsi.
<< James ti ha
visto, ha pronunciato un’arrestum
momentum, salvandoti la vita. Ti ha portato in infermeria. La
ferita alla
gamba era profonda, hai perso molto sangue, ma quella peggiore
l’avevi alla
testa. Hanno dovuto tagliarti i capelli e fasciarti il capo. Quando ti
sei
svegliata, diciassette giorni dopo, non ricordavi niente di quel
giorno, ma
ricordavi tutto il resto >>
Si bloccò
un’altra volta,
ferito dal ricordo del pianto di Lucy al suo risveglio. Più
violento e più
forte di quello che stava vivendo e di tutti quelli che aveva vissuto
da un
anno a quella parte. Le reazioni in realtà erano ogni volta
differenti, a volte
ci scherzava su per evitare di diventare troppo triste, altre si
chiudeva in se
stessa, altre ancora passava le notti a parlare con il cugino, altre
piangeva e
basta.
La ragazza prese la tre
dita una ciocca dei capelli mossi e la osservò.
Li
avranno allungati con la magia. Pensò, percorrendone
tutta la lunghezza. Le
arrivavano fino alla vita. E improvvisamente le sembrò
stupido. Che senso aveva
dare una facciata di normalità quando quella non esisteva?
Avrebbe voluto
tagliarli, come per ricordarsi costantemente, anche quando non vedeva
la
cicatrice, tutto quello che era successo.
Non avevano il diritto di
illuderla così. Li strinse forte tra le mani.
<< Dopo un mese
tutto ciò che avevi vissuto fino a quel momento era sparito
e tu eri ritornata
a quel maledetto dieci dicembre. Ogni mese è sempre lo
stesso, scopri cosa è
successo per la cicatrice, vivi un mese e poi lo dimentichi
ricominciando da
capo >>
La ragazza annuì. Aveva
smesso di piangere, i singhiozzi si erano acquietati ed ora rimaneva
solo
qualche linea salata lasciata dalle lacrime che oramai avevano smesso
di
scendere.
Si strinse al cugino e lui
l’abbracciò con più forza, poggiando il
mento sulla sua testa.
<< Che giorno
è
oggi? >>
<< 27 Ottobre >>
<< Ho quindici anni
allora >>
<< Compiuti da due
mesi >> annuì Fred.
<< Tra quattro
giorni ci sarà la festa >>
<< Ci vieni con me?
>>
Lucy annuì.
<< Ah, ho
dimenticato, quest’anno ci sarà il Torneo
Tremaghi. Lily è stata scelta
>>
Continuarono a parlare per
ore. Fred le raccontò tutto quello che aveva perso in
quell’anno, sentendo i
commenti che oramai conosceva quasi a memoria.
“Teddy
e Victoire si sono lasciati? Ma come, erano perfetti!”
“Dominique
è sempre la solita stronza? Quella ragazza
irrita persino me”
“Lily
e Hugo continuano a mettersi nei guai.
Prevedibile”
“Louis
ha bisogno di noi”
“Rose
dovrebbe studiare di meno”
“Voglio che Jamie torni come era prima”
“Teddy lavora qui? Oh, questa mi è nuova”
“Anche quest’anno Molly si è rifiutata
di venire a passare l’estate con noi? Mi
manca mia sorella”
E Fred continuava ad
ascoltarle come se fosse la prima volta, come se le battutine che ogni
tanto
diceva per alleggerire la tensione fossero ancora divertenti, come se
per lui
fosse facile.
Ma non lo era, non lo era
per niente. Perché quella non era solo la croce di Lucy, ma
era anche la croce
di Fred, ma la portava senza lamentarsi perché lui le voleva
bene. L’aveva
promesso a se stesso e l’aveva promesso a lei mentre era in
coma, ci sarebbe
stato, senza riserve, sempre. Si sarebbe preoccupato più dei
suoi sentimenti
che dei propri. Avrebbe dato tutto per vederla sorridere, ogni giorno,
per fare
in modo che quel giorno non fosse sprecato. L’avrebbe sempre
protetta, da tutto
e da tutti, anche da se stessa.
E Fred non sapeva niente
nella sua vita. Non sapeva chi era stato, chi fosse e chi sarebbe
diventato, ma
era certo che Lucy sarebbe stata sempre al suo fianco. A costo della
vita.
<< No, aspetta, in
che senso hai gi… >>
Prima che Lorcan potesse
concludere la frase, un’esplosione rimbombò nei
sotterranei. I due ragazzi
vennero avvolti da una strana nuvola di fumo rosa fosforescente, che
liberò
nell’aria un odore talmente dolce da far contorcere lo
stomaco del Serpeverde e
comparire sul viso dell’altro una smorfia di disgusto.
Il fumo dal colore
eccentrico si dissolse pian piano, permettendo ai due di vedersi di
nuovo.
Louis osservò il viso di
Lorcan piegato in una smorfia disgustata e coperto da una patina rosa
che non
lasciava scampo neanche ai capelli che, oramai, non erano
più biondi. Scoppiò a
ridere.
Il Serpeverde lo osservò
stranito per qualche secondo (e che cavolo, quella era la seconda volta
che una
pozione gli esplodeva in faccia e, per la
seconda volta, non era affatto colpa sua), ma dopo aver
constatato le
condizioni del Tassorosso, una copia perfetta delle sue, non
poté fare altro
che seguire il ragazzo in una risata.
Si passò una mano sul
viso, cercando di rimuovere quella polvere disgustosa quanto meno dagli
occhi,
con la sola conseguenza di impiastrare di più la sua faccia.
<< Sai che sei un
mago, vero? >> chiese Louis, sghignazzando in quella che
doveva essere
l’imitazione di Lorcan.
Ben riuscita, tra l’altro.
Il diciottenne sbuffò
sorridendo, mentre l’altro prendeva la bacchetta e con un
veloce ‘gratta e
netta’ faceva scomparire quel colore osceno dal viso e dai
capelli di entrambi.
<< Sei un disastro.
Come ha fatto a diventare rosa? >>
Louis non si offese per la
constatazione, assolutamente veritiera, di Lorcan. Alzò le
spalle in un gesto
di non curanza e accennò al fatto che forse, ma solo forse,
aveva aggiunto un
paio di radici di valeriana perché le aveva scambiate per
lumache.
L’altro
scoppiò in un’atra
risata e Louis sorrise imbarazzato rendendosi conto, solo in quel
momento, che
scambiare la valeriana per delle lumache non era cosa da tutti.
Il fatto era che non aveva
prestato attenzione. Non aveva ascoltato nemmeno una parola di quello
che
Lorcan aveva detto né tantomeno aveva letto la ricetta del
libro, trovandosi a
mescolare radici di valeriana, zolfo e conchiglie tritate nella
direzione
sbagliata. Ingredienti che, tra l’altro, non era presenti
nella preparazione
della pozione.
<< Perché
sei così
distratto? >> chiese allora Lorcan, sedendosi su una
delle sedie dietro
il bancone.
Fece evanescere il
calderone e ripulì il ripiano di lavoro, capendo che per
quel giorno la
lezione, decisamente fallimentare, era finita.
Il ragazzo alzò
un’altra
volta le spalle, sedendosi a sua volta. Era di quell’umore
tutte le volte che i
suoi cugini indicevano una riunione del clan Weasley e che, oramai
sicuri del
rifiuto, si limitavano a non invitarlo.
La verità era che gli
sarebbe piaciuto se avessero continuato a tentare e, Louis ne era
convinto, non
sarebbe dispiaciuto nemmeno a James.
<<
C’è una riunione
>>
Lorcan, nonostante la
frase un po’ ambigua, capì il senso. Albus glielo
aveva detto che quella
settimana si sarebbero riuniti nel bagno di Mirtilla Malcontenta, come
facevano
ogni due settimane.
<< Vacci
>>
<< Non sono stato
invitato >>
<< Perché
non ci vai
mai? >> all’occhiata interrogativa del
più grande Lorcan alzò le spalle e
si limitò a spiegare << Me lo ha detto Al
>>
<< Ti piace, eh?
>>
Lorcan sbarrò gli occhi
e
il suo corpo si irrigidì, diventando una lastra di ghiaccio.
Le mani stese
lungo i fianchi, i pugni chiusi con tale forza da far sbiancare le
nocche, le
spalle rigide e la schiena dritta in modo quasi innaturale.
Non era bravo a nascondere
le cose, Lorcan. Chiunque, in quel momento, si sarebbe accorto di
quanto la
frase di Louis l’avesse colpito e tutti sarebbero giunti alla
stessa
conclusione.
Weasley aveva ragione.
Era chiaro come il sole,
eppure Scamander decise di seguire quello che oramai, da quando aveva
scoperto
di essere gay, era diventato il suo motto.
Negare,
negare anche davanti all’evidenza.
<< Non so di cosa tu
stia parlando >>
La voce era fredda, con
l’obiettivo di allontanare da sé tutti quanti.
Alzò il muro che, piano piano,
negli anni aveva costruito. Un muro di bugie, falsità,
maschere per nascondere
un’infinita tristezza, per nascondere la sua
fragilità e soprattutto per celare
la verità.
Una verità che lo
straziava da dentro, dilaniandogli il petto e portandolo
all’esasperazione.
Portandolo a dimenticare
chi fosse.
Ogni giorno Lorcan perdeva
una parte di sé e diventava sempre di più quello
che si ostinava a fingere di
essere.
Il suo muro sembrava
diventare sempre più inespugnabile ogni minuto che passava,
isolandolo dal
mondo. Non rendendolo partecipe della vita. Facendolo vivere per
inerzia.
Respirava solo perché il
suo corpo richiedeva aria e perché quell’azione
non gli procurava nessuna
fatica, camminava tra i corridoi solo perché oramai le sue
gambe avevano
imparato a farlo da sole, senza che il cervello desse indicazioni, il
suo cuore
batteva solo perché non dipendeva da una sua decisione.
Il suo volto sembrava
essersi dimenticato come si sorridesse, come se costasse troppa fatica.
Parlava
sempre meno come se ogni parola fosse un’arma da poter
utilizzare contro di lui
per scoprire la verità.
Lorcan sopravviveva, ma
aveva smesso di vivere.
Louis sospirò.
<< Non nasconderti.
Non dico di dichiararti a tutti, ma non nasconderti da me e nemmeno da
Albus
>>
Il Serpeverde emise una
risata sprezzante.
<< Ma che ne sai tu
di quello che si prova? Che ne sai della mia vita? Chi ti credi di
essere?
>>
Il biondo prese la sua
sacca con veemenza e uscì fuori dall’aula a passo
di marcia. Louis lo osservò
andare via e si lasciò andare sulla sedia su cui era seduto.
Aveva ragione, lui
non era nessuno per dargli dei consigli, si conoscevano a malapena. Ma
Louis lo
aveva osservato tutti i giorni da quando si erano incontrati per la
prima volta
in bagno, dopo la crisi di Lorcan. Aveva notato come guardava Albus e
vedeva
come ogni giorno si avvicinasse a quella che, per lui, avrebbe
rappresentato la
fine.
Lorcan sarebbe morto
dentro, perché non si può nascondere se stessi
senza conseguenze. Alla fine il
nostro essere viene del tutto annullato in maniera irreversibile. Se
non si
trova il coraggio di combattere si muore.
È una legge fisica.
E Louis era sicuro che la
morte dell’essere fosse peggiore della semplice morte fisica.
Perché quando
un’Avada Kedavra ti colpiva, tutto finiva in un attimo. Un
lampo di luce verde
e smetti di respirare, di vedere, di sentire. Un lampo di luce verde e
il tuo
cuore smette di battere, il cervello di lavorare, i muscoli di
muoversi.
Un lampo di luce verde e
tutto finisce. Senza dolore, senza preoccupazioni.
Ma quando la morte è
psicologica allora è lenta, dolorosa, inesorabile. E diventi
un corpo
respirante senz’anima. Il bacio dei dissennatori non era
l’unico modo per
perdere l’anima, la propria essenza.
Louis l’aveva visto con
James e lo stava vedendo con se stesso. E si sentì un
ipocrita. Come poteva
dire a Lorcan di lottare quando lui stesso si era arreso?
<< Ti capisco
più di
quanto tu possa immaginare, Lorcan >>
Lorcan uscì
dall’aula di
pozioni per poi andare a passo svelto verso la Sala Comune dei
Serpeverde.
Aveva bisogno di stare da solo, di pensare, di ricostruire quello che
Louis
sembrava aver distrutto.
Il suo muro cadeva a
pezzi, le sue maschere si stavano dissolvendo.
Lorcan non aveva mai avuto
paura di diventare chi pretendeva di essere, lui aveva paura di non
riuscire a
farlo. Oramai si era convinto di essere sulla strada giusta. Rinnegare
se
stesso per arrivare ad essere qualcuno migliore. Qualcuno senza quei
problemi.
Qualcuno normale.
Aveva constato quanto le
barriere fossero pericolose e forti, ma solo in quel momento si rese
conto di
quanto invece fosse facile distruggerle. Una parola, una frase, un
gesto e il
suo muro crollava. E le sue maschere si dissolvevano.
Non era giusto. Louis non
aveva il diritto di farlo. Lui non sapeva niente, non si rendeva conto
di
quello che doveva passare.
Lorcan voleva
annullarsi. Lui voleva morire
dentro. Perché era più
facile. Perché era così semplice limitarsi a
sopravvivere. A respirare e basta.
Senza scelte, semplicemente seguendo la vita, senza preoccupazioni.
Era così semplice
lasciarsi morire, ma altrettanto lungo. E mentre in un primo momento
Lorcan
aveva tentato di trovare la forza, adesso si limitava ad aspettare e
sperare
che il tempo scorresse più veloce e che lo portasse con lui.
Che lo lasciasse morire.
Per non soffrire. E Louis
non aveva il diritto di fargli affrontare se stesso.
Lui non sapeva, non
conosceva.
<< Ehi, Lorcan
>>
La barriera del ragazzo
perse un altro mattone mentre continuava a sgretolarsi sempre
più velocemente,
mentre sentiva il dolore crescere e tutti i suoi problemi tornare a
galla di
nuovo.
Perché quelle barriere
erano così deboli? Perché doveva soffrire
così tanto?
Non si fermo e allungò
il
passo, sentendo gli occhi bruciargli e le lacrime premere contro il
bordo,
cercando di uscire. Ma Lorcan tentò di trattenerle.
Tentò di mantenere quelle
poche maschere che erano ancora presenti. Se proprio non poteva
ricostruire il
muro, doveva salvare il salvabile.
Si aggrappò a quei
mattoni
fatti di finte sicurezze e false verità. Fatti di anni di
bugie e di sorrisi
ostentati, di risate che nascondevano invece le lacrime.
Cercò di proteggere
tutte le menzogne che aveva detto fino a quel momento nel disperato
tentativo
di imbavagliate quella poca verità che era rimasta da
nascondere. Di non
permettere a tutto il dolore di venire fuori.
Di poter soffrire un po’
di meno.
<< Lorcan, ti vuoi
fermare? >>
Una mano si aggrappò al
suo braccio e lo costrinse a voltarsi, strattonandolo con forza.
Scamander si
girò per il contraccolpo ed incrociò un paio di
occhi verdi. Occhi che diedero
un ultimo scossone alle fondamenta e fecero crollare tutto.
I mattoni si sgretolarono
e Lorcan perse la presa, cadendo nel vuoto, venendo inghiottito dal
nero che lo
circondava.
Venne sopraffatto dalla
verità. Venne soffocato dal dolore.
<< Qual è
il
problema? >> chiese Al in un’espressione
preoccupata.
Tutto finì. Tutto
crollò.
E rimase solo Lorcan con le sue verità, con le sue lacrime,
con le sue
sofferenze in un corridoio. Con Albus.
E non ce la fece più,
perché era stanco. Era stanco e sconfitto, dilaniato in ogni
parte del suo
essere.
Sapeva che il suo migliore
amico era etero, lo sapeva fin troppo bene, ma in quel momento non gli
importava. Non gli importava di niente.
Solo nel futuro prossimo
si sarebbe reso conto di quanto avesse sbagliato, del dolore che ne
sarebbe
derivato. E solo in un futuro più remoto sarebbe stato grato
del suo gesto.
<< Il problema
è che
ti amo, Al >>
Non lasciò al moro la
possibilità di comprendere a pieno le sue parole, non gli
lasciò il tempo
necessario per metabolizzare, né gli fu possibile accorgersi
o impedire quello
che sarebbe successo pochi secondi dopo.
Lorcan avvicinò con una
mano il viso di Albus al suo e premette le labbra sulle sue con forza.
Fu solo un bacio a stampo
che però sapeva di lacrime, di sofferenza, di errori, di
amore e di amicizia,
di rabbia e di sollievo.
<< Mi dispiace
>> sussurrò Lorcan, staccandosi dal suo
migliore amico e correndo verso
il dormitorio senza voltarsi indietro.
Albus restò fermo,
scioccato, senza la possibilità di muoversi.
Mentre qualcuno, dietro
una statua, aveva avuto il tempo di scattare una foto. Sorrise,
fissando Potter
fermo, come se fosse fatto di pietra, e Scamander correre via, dopo
averle
regalato lo scoop dell’anno.
Angolo Autrice
Ciao a tutti!
Finalmente ho aggiornato!
Word funziona di nuovo ed è decisamente più
facile e veloce per me, correggere
i capitoli anzi che riscriverli da capo!
Passiamo al capitolo:
Incontriamo uno due degli ultimi personaggi che saranno presenti nella
storia,
Lucy e Cassandra! Dico subito che non avranno un ruolo molto
importante, ma le
rincontreremo, soprattutto Lucy!
Si scopre ciò che non si
sapeva sulla povera Weasley e spero che sia stato inaspettato ed
infine, lasciatemi
dire finalmente, Albus scopre quale sia il problema di Lorcan.
Purtroppo però
non è l’unico!
Ringrazio chi
segue/ricorda/preferisce e chi recensisce la storia! Ci sentiamo presto!
AVVISO! Allora
ho due cose da dire:
1.
Pensavo di dividere la storia in
due parti e quindi
farla diventare la serie, perché c’è
ancora tanto che deve accadere e non
voglio che sia infinita! Voi cosa ne pensate?
2.
Volevo chiedere se qualcuna di voi,
che sia critica
sia sul contenuto che sul modo di scrivere, potesse farmi da
‘seconda’, ovvero
correggere i capitoli e dirmi cosa poter migliorare prima della
pubblicazione!
Non
siete obbligate ovviamente, pensavo semplicemente che un capitolo
revisionato
da due persone sia sempre meglio di quello revisionato da una.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
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le note, c’è un’avviso!
Capitolo
13
<<
Questo club è
stato istituito per essere il palco dei duelli tra i campioni estratti.
Tra una
settimana ci sarà la sfida tra i due campioni di Durmstrang,
dopo cinque giorni
quella tra le ragazze di Beauxbatons per finire poi con Hogwarts il
quindici novembre,
una settimana prima del ballo del ceppo >>
L’aula
di Difesa Contro le
Arti Oscure, accuratamente ingrandita e sgomberata, era piena di
studenti di
tutte le scuole che andavano dai quindici ai diciannove anni. Al centro
della
sala era stato fatto comparire un palco in legno, rialzato di un metro
e mezzo
dal pavimento, coperto ai lati da tendoni che recavano i simboli delle
tre
scuole uno accanto all’altro.
Tutti
fissavano Ted
incuriositi. Lui da sopra i palco parlava guardando tutti i suoi
studenti. Le
ragazze si lanciavano occhiati intenditrici e si lasciavano andare in
risolini
stupidi, mentre le più sfacciate lo fissavano languide e
talvolta si lasciavano
sfuggire un commento a voce troppo alta perché lui non le
sentisse.
Teddy
era abituato. Aveva
passato i suoi nove anni di scuola ad essere ammirato e a ricambiare le
espressioni maliziose delle sue ammiratrici. A dire la
verità la sua vita era
stata cosi anche fuori dall’ambiente scolastico, nei primi
anni, prima che
incappasse in quella rossa che, nonostante si stesse sforzando, proprio
non
riusciva a distinguere tra la folla.
<<
Domande? >>
chiese, facendo vagare gli occhi tra le teste degli studenti.
Si
fermò su una chioma
rossa ma sbuffò, dopo essersi reso conto che quei capelli
erano troppo scuri e
troppo lisci per essere quelli di Rose.
<<
Ci dai una
dimostrazione? >>
Proprio
la chioma rossa
che aveva individuato, che poi aveva scoperto appartenere a Lily, aveva
attirato l’attenzione di tutti su di sé. La voce
era calma e confidenziale. Non
gli aveva dato del lei né tantomeno gli aveva rivolto
occhiate languide.
Al
solo pensiero di quello
sguardo negli occhi nocciola di Lily rivolto a lui gli si contorse lo
stomaco.
Al solo pensiero di quello sguardo negli occhi nocciola di Lily, ma
rivoto a
qualcun altro sentì la rabbia e il fastidio crescere.
Ormai
la ragazza aveva
raggiunto i diciassette anni ed era diventata adulta, o per lo meno il
suo
corpo lo era, ma per lui rimaneva la piccola Lily. Quella che si
intrufolava
nel suo letto dopo un brutto sogno, quella che smetteva di parlargli,
costringendo James ed Albus a farle da corrieri, quando gli rubava gli
orsacchiotti di peluche, quella che lo ricopriva di neve e che si
tuffava dalle
sue spalle quando erano al mare.
Rimaneva
sua sorella Lily.
La sua Lily. E, anche se nessuno se
lo sarebbe mai aspettato, Teddy era estremamente protettivo e geloso
nei suoi
confronti.
Si
ritrovò a biasimare
colui che poi sarebbe diventato il suo ragazzo perché tra se
stesso, Harry,
James ed Albus non avrebbe avuto vita facile.
<<
Certo >>
rispose sicuro << Qualche volontario? >>
sorrise ai suoi studenti.
Chi
fece qualche passo
indietro, chi fissò il pavimento, chi il soffitto, chi
bisbigliò qualcosa a chi
lo circondava pur di non guardare Ted negli occhi e aumentare le
possibilità di
essere scelti.
Neanche
i Grifondoro
ebbero l’audacia di farsi avanti.
Una
mano si alzò nei
pressi della porta e lo sguardo di Ted si puntò
sull’unica parte del corpo che
riusciva a vedere.
<<
Bene. Chi sei?
>> chiese.
<<
Rose Weasley
>> rispose la ragazza mentre si faceva spazio tra i suoi
compagni.
Riuscì
ad arrivare al
palco e salì sopra, lisciandosi poi le pieghe della camicia
che aderiva al suo
corpo.
Teddy
la fissò, cercando
di distogliere lo sguardo da quel corpo sfinato ed elegante, dai quei
ricci
rossi che le cadevano fino a sotto il seno piccolo, da quelle
lentiggini che le
ricoprivano il volto chiaro e da quegli occhi celesti che lo facevano
impazzire
ogni volta che li incontrava.
Gli
occhi di Rose per lui
erano casa. Erano caldi, nonostante il colore, e profondi, avvolgenti.
Completamente diversi da quelli di Victoire.
Ricordava
i suoi occhi,
ricordava l’energia che emanavano, l’ottimismo, la
tempesta di emozioni.
Gli
occhi di Victoire
erano esattamente come lei, un tornado. Bella da far impallidire
qualunque
donna le camminasse vicino, ma non per questo fanatica o
insopportabile.
Completamente diversa dai suoi fratelli.
Eppure
tra di loro non
aveva funzionato. Ci avevano provato, ci avevano provato davvero, ma
non ci
erano riusciti. Troppo simili per stare insieme. Quando si cerca di
combinare
due spiriti liberi il risultato non può essere altro che,
beh, un disastro.
Rose
invece era quello di
più perfetto che potesse esistere per lui. Non era neanche
lontanamente bella
quanto Victoire, ma per Ted era bellissima e soprattutto era unica.
Sembrava
così fragile
mentre nascondeva una forza invidiabile.
Victoire
era stata una
parentesi divertente, Rose sarebbe stata il suo futuro.
<<
Niente
maledizioni senza perdono >> qualche risatina si diffuse
per la stanza e
Rose alzò gli occhi al cielo << Ma non ci
andremo tanto leggeri. Questa è
una simulazione di un duello vero, esattamente come sarà
quello tra i partecipanti
al Torneo >>
La
rossa davanti a lui
annuì ed impugno la bacchetta. Si avvicinò al suo
insegnante e dopo averlo
fissato negli occhi chiari, sorrise in segno di sfida.
Si
inchinarono e fecero
tre passi in direzioni opposte.
<<
Uno. Due. Tre
>>
<<
Impedimenta
>> Rose urlò l’incantesimo che si
infranse contro il protego di Ted.
Lui
rispose con un
incantesimo non verbale, ma la ragazza lo evitò prontamente
spostandosi verso
destra.
Una
scintilla rossa lasciò
la bacchetta di Rose, ma al suo avversario bastò muovere un
passo all’indietro
per evitarla.
Lo stesso incantesimo
partì dal lato opposto e
la Corvonero evocò a sua volta un protego
bene assestato.
<<
Conjunctivitus >>
Ted
riuscì ad abbassarsi
giusto in tempo per evitare l’incantesimo che Rose gli aveva
lanciato e,
proprio mentre si preparava a rispondere, un levicorpus
lo colpì.
Si
ritrovò a mezz’aria con
la testa all’ingiù e appeso per un piede. Non si
diede pena per provare a
colpire la ragazza perché, nello stesso momento in cui
l’aveva guardata, aveva
capito che avrebbe sbagliato.
Infatti
Rose lasciò andare
l’incantesimo, per sostituirlo con uno schiantesimo che
però manco il
bersaglio.
Lupin
cadde a terra e
senza nemmeno rialzarsi la disarmò.
<<
Bel duello
>> disse con il fiatone.
Si
tirò su a sedere e si
aggiusto la camicia che portava per poi fissare la ragazza di
sottecchi. Rose
aveva le labbra serrate e contrasse per un secondo la mascella come se
fosse
irritata dall’esito del combattimento. Raccolse la bacchetta
e gli rivolse un
sorriso.
<<
Mi hai battuto
>>
<<
Avresti vinto se
avessi trovato un modo per lasciarmi sospeso in aria >>
Gli
occhi chiari di Rose
si illuminarono come se avesse appena capito la soluzione, ma nello
stesso
momento si alzarono al cielo come se quella stessa soluzione fosse
così ovvia
da non poter credere di non esserci arrivata da sola.
<<
Bene >> Ted
si girò nuovamente verso gli studenti e li guardò
uno ad uno << Chi sono
i prossimi due? >>
La
preside batté un paio
di volte le mani ed intimò silenzio ai ragazzi che
parlottavano tra di loro. Il
palco per il club dei duellanti era scomparso lasciando spazio al
vuoto. La
sala era ancora più spaziosa del solito e tutto
ciò che era presente erano
delle panche attaccate alle pareti, dove tutti erano seduti, e uno
stereo
antiquato anche per il mondo della magia.
La
donna batté le mani
ancora una volta e finalmente l’attenzione degli studenti si
puntò su di lei.
Tutti gli studenti a partire dal quinto anno erano lì.
Avrebbe dato poi delle
lezioni anche a quelli più piccoli, ma era impossibile
radunarli tutti in una
stanza, quindi aveva preferito dividerli.
<<
In poco meno di
un mese, dopo che i tre campioni verranno scelti ci sarà il
ballo del Ceppo
>>
Le
ragazze sorrisero
contente e i ragazzi le osservarono, cercando di decidere con chi si
sarebbero
fatti avanti.
James
Potter si limitava a
fissare fuori dalla finestra. Non essere presente a quelle stupide
lezioni di
danza significava essere espulsi e, considerando che quello era il suo
ultimo
anno e che doveva resistere ancora solo sette mesi e mezzo, non ne
valeva la
pena. Ma lui a quel ballo non ci avrebbe messo piede, così
come non sarebbe
andato alla festa di Halloween.
<<
Non azzardatevi a
rendere ridicola la mia scuola quella sera o vi ritroverete sul treno
di
ritorno a casa e con una lettera di raccomandazione da parte mia per
fare in
modo che non verrete accettati da nessuna scuola >>
La
McGrannit aveva sempre
avuto una certa predisposizione naturale per le minacce e Albus
rabbrividì,
guardando quella donna come se fosse posseduta.
Era
pazza, completamente
pazza. Era solo un ballo, per la miseria.
<<
Nessuno scherzo
>>
Un’occhiata
di fuoco nella
direzione di Lily ed Hugo che sghignazzarono e si diedero il cinque.
<<
Niente alcol
>>
Questa
volta si rivolse a
Roxanne che diede di gomito ad Albus e Scorpius, seduti accanto a lei,
e lanciò
un’occhiata d’intesa a Lysander dalla parte
opposta.
Per
un attimo gli occhi
del Potter mediano si fermarono sulla figura di Lorcan, seduta accanto
al
gemello, ma distolse gli occhi prima che il ragazzo potesse
incrociarli.
<<
Niente
sbruffonate >>
Alexander
Nott sorrise
angelico.
<<
Il ballo del
ceppo è una tradizione importante ed una danza che merita
rispetto, è per
questo che siete qui adesso. Per imparare i passi >>
Scrutò
tutti i suoi
studenti, dopo di ché alzò gli occhi al cielo.
<<
Una Weasley
qualunque, grazie >>
Le
ragazze chiamate in
causa si lanciarono uno sguardo da un lato ad un altro della stanza.
Lily
scosse la testa inorridita, Lucy abbassò lo sguardo, era una
pessima ballerina,
Dominique si spostò i capelli dalla spalla in un gesto di
superiorità, Rose si
irrigidì e Roxanne si limitò a fissare le sue
cugine.
La
mora si alzò dal suo
posto e sorrise incoraggiante alla preside che in quel momento aveva
assunto
uno sguardo decisamente disperato, come a chiedere se non ce ne fosse
proprio
un’altra.
<<
Andiamo prof,
sono una ballerina provetta >>
La
ragazza le diede una
pacca sulla spalla abbastanza forte da farla sbilanciare in avanti.
Sussurrò un
‘ops’ mentre le risate dei suoi amici invadevano la
stanza.
<<
Sa cosa è
richiesto alle ragazze durante il ballo del Ceppo, signorina Weasley?
>>
Lei
alzò le spalle non
curante.
<<
Un cavaliere?
>> chiese.
L’altra
fisso il suo
abbigliamento con sguardo critico.
<<
Un vestito
>>
Anche
la mora portò gli
occhi scuri su ciò che indossava. Si stirò la
t-shirt grande e consunta con le
mani ed si spolverò i jeans sbiaditi in qualche punto, ma
abbastanza stretti da
essere considerati femminili.
<<
E dei tacchi
>>
Osservò
le sue converse
rovinate e scoppiò a ridere.
<<
Ma vuole vedermi
a terra? >>
<<
La salverà il suo
cavaliere >>
Roxanne
schioccò la lingua
divertita ed imitò un’espressione delusa.
Alzò le mani quasi a mostrarle che
non aveva niente.
<<
Niente
accompagnatore >>
<<
Gliene troverò
uno >>
<<
Ma guardi che non
si deve scomodare >>
Quelle
erano le esatte
parole che avrebbe voluto dire la Weasley, ma non fu lei a
pronunciarle.
Entrambe si voltarono alla destra di Roxanne ed incontrarono lo sguardo
maledettamente divertito di Alexander Nott.
Nemmeno
lui indossava la
divisa scolastica, come la maggior parte degli studenti. I suoi
pantaloni erano
nuovi di zecca o, per lo meno, affatto rovinati e la camicia che
indossava,
leggermente tirata su sulle braccia, scopriva i muscoli degli
avambracci, ma
non era abbastanza stretta da fasciare i muscoli del petto.
Aveva
i gomiti poggiati
sulle ginocchia e la fissava con quegli occhi celesti, ignorando
completamente
la McGrannit che gli stava chiedendo di spiegarsi.
<<
Rox è un po’
distratta, ma abbiamo deciso di andarci insieme >>
La
ragazza sbatté le
palpebre non capendo.
Rox?
Da quando la chiamava
Rox? E da quando sarebbero andati al ballo insieme?
E lei
non era distratta.
Okay, forse un po’.
Sbuffò
scocciata.
<<
Ma per piacere, è
il ragazzo della Smith. E comunque sarebbe troppo ubriaco per reggermi
mentre
barcollo sui tacchi >>
Marie,
sentendosi chiamata
in causa, si alzò e si diresse verso l’uscita,
ignorando i richiami della
preside, imitando una perfetta uscita drammatica in grande stile.
Ancora
le bruciava
parecchio la rottura non richiesta.
<<
Signor Nott,
venga qui >> il ragazzo obbedì.
<< Ora, signorina Weasley, ha un
accompagnatore >>
Accese
l’obsoleto stereo
ed una musica altrettanto vecchia, ma quasi piacevole si diffuse per la
sala.
La donna si avvicinò ai ragazzi, spingendoli sempre
più vicini e costringendo
Roxanne a posare una mano sulla spalla di Alec e afferrare quella del
ragazzo
con l’altra.
Lui
sorrise vittorioso e
lei sbuffò.
Ma
perché si era fatta
volontaria? Maledisse tutte le sue cugine nella sua testa e
lanciò uno sguardo
di fuoco a Lily che la fissava sghignazzando.
La
Grifondoro le fece un
occhiolino.
<<
Niente drammi
adolescenziali al mio ballo. Rimandate al giorno dopo >>
minacciò la
preside, avvicinandosi a loro.
Gli
puntò un dito contro e
assottigliò gli occhi.
<<
E niente alcol
>>
<<
La festa di
Halloween, non è stata effettivamente un granché
non trovi? Insomma non è
successo niente di eclatante come negli altri anni. Niente scenate,
niente
risse >>
Lily
si bloccò e si girò
verso il ragazzo biondo accanto a lei, guardandolo preoccupata e
incuriosita
dal suo silenzio. Scorpius non era certo uno che stava zitto e
soprattutto non
con lei.
Quando
passavano del tempo
insieme, cosa che succedeva sempre più spesso ultimamente,
non stavano un
minuto zitti, a meno che non si accorgessero che il silenzio era
proprio quello
di cui avevano bisogno. Tra di oro c’era sempre stato un
equilibrio perfetto.
Il
silenzio era solo un
patto fatto senza parlarsi, istaurato per perdersi nei propri pensieri
mentre
ci si beava della compagnia dell’altro. Ma quel silenzio non
era uno di quelli.
Lily
cominciava a sentirsi
a disagio e lo sguardo di Scorpius era lontano.
La
ragazza sospirò scocciata.
<<
Che succede?
>>
Il
ragazzo non le rispose
e continuò a camminare, guardando davanti a sé
come se non l’avesse nemmeno
sentita. La rossa, infastidita, gli prese un braccio e lo costrinse a
fermarsi.
Lui sobbalzò e la scossa, finalmente, lo svegliò
dai suoi pensieri. La guardò
sorpreso.
<<
Che? >>
chiese, rendendosi conto di non aver ascoltato la domanda.
Lily
gonfiò le guance che
la fecero somigliare ad una bambina e Scorpius ridacchiò
divertito.
<<
A cosa pensavi?
>>
<<
Al ballo >>
La
rossa si sedette e
subito dopo il ragazzo prese posto accanto a lei. Entrambi fissarono
l’orizzonte oltre il lago e lei lanciò
un’occhiata alla Foresta Proibita. Si
chiedeva spesso perché vigesse ancora il divieto di andare a
fare una
passeggiata lì, considerando che comunque tutti lo facevano,
fregandosene delle
regole.
Lei
stessa ci era stata
più volte di quante fosse entrata in biblioteca e
sinceramente non aveva
trovato niente di così pericoloso o spaventoso. E, ad ogni
modo, loro erano dei
maghi, avrebbero potuto difendersi perfettamente da soli.
<<
Hai già in mente
chi invitare? >> chiese, evitando di guardarlo.
Non
voleva sapere la
risposta perché sapeva che non le sarebbe piaciuta. La
malsana, e alquanto
incomprensibile, cotta che Scorpius aveva proprio verso la cugina che
lei non
sopportava era assurda e decisamente dolorosa.
Era
arrivata a fare pace
con i suoi sentimenti, aveva dovuto farlo dopo la nottata che avevano
passato
in piscina. Dopo quel bagno durante il quale avevano scherzato tra di
loro e
dopo che avevano dormito abbracciati tutta la notte. Dopo che si erano
baciati.
O
meglio, dopo che lei lo aveva
baciato.
Solo
al pensiero arrossiva
e si sentiva di nuovo una maniaca. Solo che lui stava dormendo
così
tranquillamente ed era così bello. Le sue labbra
così morbide, le sue ciglia
così lunghe.
Ricordò
la loro
consistenza quando le aveva posate delicatamente sulle sue e
l’imbarazzo quando
l’aveva sentito muoversi leggermente. Si era ritirata, si era
stesa e con le
guance in fiamme aveva finto di dormire.
Ma
lui non si era
svegliato.
Arrossì
anche in quel
momento e spostò i capelli lunghi a coprirle il viso per non
farglielo
scoprire.
<<
Dominique
>> sussurrò Scorpius.
Fece
un sospiro e Lily
chiuse gli occhi come se così il dolore fosse più
sopportabile. Lui prese un
sasso da terra e lo lanciò nel lago, facendolo rimbalzare un
paio di volte.
<<
Ma non avrò il
coraggio di chiederglielo >>
La
voce del ragazzo era
così abbattuta da costringere Lily ad aprire gli occhi e
prendere in mano la
situazione.
Aveva
fatto pace con i
suoi sentimenti ed aveva anche capito che dovevano restare nascosti per
il bene
della loro amicizia. Ci teneva troppo per rovinarla perché
aveva una cotta per
lui, dopotutto era normale. Scorpius era bello, simpatico e le voleva
bene.
Ma
non sarebbe durata per
sempre.
E non
riusciva a vederlo
così per colpa di Dominique.
<<
Senti Scorpius,
mia cugina non ti merita. È solo una stronza che crede di
poter avere tutto
>>
Lui
alzò lo sguardo su di
lei e provò a parlare, ma Lily non glielo permise. Si
alzò in piedi,
scrollandosi l’erba dalla gonna della divisa della scuola e
gli rivolse un
sorrisino.
<<
Ma se sei
fermamente convinto che è quello che vuoi allora caccia
fuori le palle, non
rompere –lo avvisò quando fece per ribattere alla
sua parolaccia-, e vai a
chiederglielo. È troia, ma non ti mangia >>
<<
Non è… >>
L’occhiata
ammonitrice di
Lily bloccò la sua protesta.
<<
Ok, forse un po’
>> ammise, ridacchiando.
Lei
alzò gli occhi al
cielo e cominciò ad allontanarsi verso il castello.
<<
Dove vai?
>>
<<
A cercare il mio
appuntamento per il ballo >> urlò in modo che
potesse sentirla.
<<
Axel >> la
voce di Lily interruppe la conversazione che Axel e Shailene stavano
avendo, ma
nessuno dei due parve infastidito dalla cosa.
Gli
sorrisero entrambi e
lei diede loro due veloci baci sulla guancia.
<<
Ciao Lene
>> salutò anche la ragazza.
Lei
la prese sotto
braccio.
<<
Ho visto che eri
con Scorpius >> disse, sorridendole.
Shailene
non era il tipo
di ragazza da sorridere con furbizia, non aveva mai avuto problemi ad
ammettere
quanto alcuni ragazzi fossero carini, ma solo se qualcun altro chiedeva
la sua
opinione, mai di sua spontanea volontà. Non
perché fosse timida, anzi, ma
semplicemente non le interessava.
Quindi,
quando lesse un
velo di malizia nel suo sguardo, il sopracciglio di Lily
scattò in alto,
confondendosi quasi con l’attaccatura dei capelli.
<<
Facevamo una
passeggiata >> spiegò, guardandola
attentamente.
Shai
annuì e lanciò uno
sguardo a suo cugino che sghignazzò. Dire che quei due non
fossero bravi a
mantenere un segreto era a dir poco un eufemismo. Erano sempre troppo
sinceri e
poi, semplicemente, nemmeno ci provavano.
La
rossa sbuffò.
<<
Cosa succede?
>>
Lene
alzò le spalle e Axel
sghignazzò ancora. La Potter sbuffò di nuovo e
punto un dito contro il petto
del ragazzo che la fissava con occhi sognanti e divertiti. Era
lì con loro ma
allo stesso tempo lontano. Lily lo invidiava così tanto per
la sua capacità di
estraniarsi dal mondo, di crearsene uno proprio.
<<
Mia cugina si è
messa in testa di fare da cupido >>
<<
Non è vero
>> si difese la ragazza, incrociando le braccia a petto,
oltraggiata.
Lily
la guardò scioccata.
<<
Cupido? >>
Shailene
sbuffò.
<<
No, non sono
cupido. Ho semplicemente notato che ti piace Scorpius e non vedo
l’ora che vi
mettiate insieme. Ma starò al mio posto >> si
affrettò ad aggiungere
quando Lily la guardò male.
<<
Non mi piace
Scorpius >>
<<
Ah-a >>
Sia
Shailene che Axel
annuirono per assecondarla con la tipica espressione di chi non crede a
niente
di ciò che hai detto. Con la tipica espressione che
innervosiva Lily oltre ogni
dire.
<<
Sono seria
>>
<<
Certo >>
<<
Davvero >>
<<
Assolutamente
>>
<<
Ok, mi piace
>> ammise.
Entrambi
sorrisero e
annuirono, concitati.
<<
Andrete al ballo
insieme? >> chiese, Shailene.
Lily
sospirò e scosse la
testa e l’amica si imbronciò leggermente. Aprirono
la porta della Sala Grande e
si sedettero al tavolo dei Corvonero, nell’ultima parte.
Lanciarono uno sguardo
al Serpeverde che, forse per la prima volta in quell’anno,
era seduto al tavolo
della sua casa.
Davanti
a Dominique.
Lui
disse qualcosa che
fece ridere la ragazza e arrossire lui stesso. Lily si sentì
divisa in due. Da
una parte sperava che la cugina rifiutasse Scorpius,
dall’altra si sentiva
un’egoista anche solo per averlo pensato e pregava che non
stesse ridendo in
faccia alla sua proposta. O l’avrebbe uccisa.
<<
Vuole andarci con
lei >>
Indicò
disgustata la mezza
veela. Dominique si spostò i capelli di lato con un
movimento sinuoso, facendo
girare tutto il tavolo di Serpeverde a guardarla.
Shailene
sbuffò,
servendosi un paio di cosce di pollo e le patate arrosto.
Addentò una di loro e
rimase in silenzio, cosa insolita per la ragazza.
Entrambi
capirono che era
persa nei suoi pensieri quando seguirono la traiettoria del suo sguardo
vedendolo piantato esattamente alla parete opposta.
<<
E tu con chi ci
vai? >> chiese Axel, continuando a sorridere.
Lily
si sentì tutto d’un
tratto imbarazzata. Quando aveva lasciato Scorpius sulla riva del Lago
Nero era
davvero determinata a trovare Axel e chiedergli di andare al ballo con
lei.
Ovviamente da amici.
Ma
adesso che ce l’aveva
trovato, tranquillo e sorridente come sempre, il coraggio era
scomparso,
lasciando spazio ad un’insolita sensazione di disagio.
Balbettò
qualcosa mentre
si serviva anche lei una porzione di patate arrosto e un paio di cosce
di
pollo. Ne agguantò un’altra, seguendo
l’esempio dell’amica che si era riempita
di nuovo il piatto.
<<
Stavo pensando,
ci andiamo insieme? Da amici >>
Dopotutto
non aveva niente
da temere, conosceva Axel da una vita, da prima di arrivare ad
Hogwarts, anche
se il loro rapporto si era stretto durante il primo anno.
Prima
che il ragazzo
potesse rispondere Hugo Weasley prese posso accanto a loro e, ancora
prima di
riempirsi il piatto, afferrò una coscia di pollo e
l’addentò.
<<
Certo >>
<<
Certo cosa?
>> chiese il rosso, ancora masticando.
<<
Hugo chiudi la
bocca >>
Il
ragazzo fece la
linguaccia alla cugina e continuò a mangiare, ignorando
persino la sua domanda.
<<
Tu con chi ci
vai, Shai? >> chiese Lily.
La
ragazza si riscosse
dalla sua trance e sorrise radiosa.
<<
Con tuo fratello
>> dichiarò sicura.
<<
Albus? >>
Lily
la guardò stupita.
Shailene ed Albus si conoscevano da quando erano minuscoli, ma suo
fratello non
aveva mai dato segni di interesse verso di lei, così come il
sentimento di
disinteresse era ricambiato dall’amica.
Trovava
altamente
improbabile che lui avesse cambiato idea così
repentinamente, soprattutto
considerando che era da quando Arielle era arrivata che non le toglieva
gli
occhi di dosso.
<<
No >>
commentò tranquilla Shailene << James
>>
Lily
lasciò cadere la
forchetta nel piatto nello stesso momento in cui Hugo lasciò
andare la coscia
di pollo, rimanendo a bocca aperta e offrendo loro una visione
tutt’altro che
desiderata.
Solo
Axel sorrise felice e
commentò un ‘sembra un bravo ragazzo’,
tornando poi a blaterare di strani
esserini osservando la reazione degli amici.
<<
Te lo ha chiesto?
>>
La
prima a riscuotersi e
porgere la domanda fu Lily, mentre suo cugino continuava a guardare
Shailene
come se fosse completamente pazza e potesse alzarsi in quel momento e
lanciare
maledizioni senza perdono al tavolo degli insegnanti.
Shailene
scosse la testa,
per niente abbattuta da quel piccolo particolare e, continuando a
sorridere
come era solita fare, spiegò.
<<
Non è venuto
nemmeno alla festa di Halloween ed è sempre solo. Glielo
chiederò domani.
Naturalmente è da amici >>
<<
Tu e mio cugino
non siete amici >>
Hugo
era ancora sconvolto.
<<
Dovresti avere un
piano B. Non credo che verrà >> disse Lily,
girando la testa verso il
tavolo dei Grifondoro.
Era
esattamente nel punto
che prima Shailene fissava e la ragazza si rese conto che probabilmente
aveva
appena elaborato quella pazza teoria. James, sentendosi osservato,
alzò la
testa dal piatto e fissò il gruppetto, spostando poi lo
sguardo in quello di
Lily, interrogativo.
<<
Oh, nel caso dice
di no, ci vado con Hugo >>
<<
Ehi >>
protestò il diretto interessato << Dovresti
prima chiedermelo >>
Shailene
sventolò la mano
in aria come se fosse cosa di poca importanza ed Hugo
sbuffò.
Al
tavolo dei Serpeverde,
Scorpius cercava di farsi coraggio per invitare Dominique al ballo del
Ceppo
con lui.
Ma, a
quanto pareva,
l’aveva già raccolto ed esaurito tutto per sedersi
davanti a lei ed iniziare
una conversazione, dire qualche battutina stupida e farla ridere.
Dominique
dopo che la loro
chiacchierata era finita bruscamente, senza cercare di salvarla, aveva
parlato
senza entusiasmo con le sue compagne di dormitorio, lanciando qualche
occhiata
al biondo.
<<
Domi >> la
chiamò lui, spinto da uno strano spirito autolesionista.
La
ragazza si bloccò e gli
rivolse uno sguardo curioso, sorridendogli per spingerlo a continuare.
Scorpius
sperò di non aver aperto bocca e deglutì
arrossendo. Ma ormai aveva parlato e
non poteva fare la figura dello stupido più di quanto non
stesse già facendo.
<<
Vieni al ballo
con me? >>
Non
aveva balbettato ed
era riuscito a guardarla negli occhi. Era un inizio.
Lei
lo fissò e sorrise.
<<
Certo >>
Angolo
Autrice
Eccomi
finalmente con il
terzo capitolo!
Allora,
vediamo cosa
succedere. Prima lezione del club dei duellanti e un pochino di spazio
dedicato
a Rose e Ted. Alla fine dell’ultimo libro la Rowling ha reso
ufficiale la
relazione tra Ted e Vic quindi anche io l’ho aggiunta alla
storia. Ma è finita,
sepolta.
Poooi,
vediamo un po’,
Alec e Roxie. Che ne pensate?
E di
Lily e Scorpius? Lo so
che non è proprio bello che adesso quello stupido biondo
vada al ballo con Dominique,
ma trovo carino che Lily ci vada insieme a Axel, voi no?
Ovviamente
nessuno da
credito all’idea strampalata di Shailene. Avranno ragione?
AVVISO: allora, lo
scorso capitolo avevo chiesto cosa ne pensavate di una
serie. Se sarà così credo che la prima parte si
concluderà con il sedicesimo o
il diciassettesimo capitolo e poi verrà la seconda,
prevalentemente di azione.
Oppure tutto insieme. Non
saprei,
cosa ne pensate?
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo
14
Lorcan
era esausto. Di
notte non dormiva e di giorno i professori non facevano altro che
svegliarlo e
disturbare il suo tanto ricercato riposo. La conclusione era che non
riusciva a
far passare due ore consecutive senza provare a chiudere occhio e allo
stesso
modo non poteva riposare per nemmeno trenta stupidi minuti.
Di
notte proprio non se ne
parlava. La mente, che fino a quel momento non aveva fatto altro che
pregare per
un attimo di riposo, sembrava improvvisamente sveglia e pronta a fargli
passare
una nottataccia.
Lui
ed Albus non si
parlavano.
Non
che cercasse di
cambiare la cosa, ma il migliore amico non l’aveva cercato e
lui aveva lasciato
stare.
Sapeva
di dovergli dare
tempo. Ed era questo quello che si ripeteva tutti i giorni
convincendosi che
fosse il motivo per cui non gli si avvicinava.
La
verità era che aveva
una paura fottuta di quello che avrebbe potuto dirgli. Aveva paura
della
possibilità in cui Albus gli urlava in faccia di non volerlo
più vedere, di
stargli lontano.
Aveva
paura che lui
provasse repulsione nei suoi confronti.
Scorpius
cercava di capire
cosa fosse successo tra i due e di fare il mediatore pacifico. Non che
quel
ruolo gli riuscisse bene, ma non dava segni di voler arrendersi.
Continuava
semplicemente a girare come una trottola tra i due. Lorcan non aveva la
forza,
e nemmeno la voglia, di respingerlo, ma non aveva niente da dire.
Quindi
passavano le giornate in silenzio e Scorpius non si azzardava a
lamentarsi.
Louis
aveva provato ad
avvicinarsi più volte, per parlarsi, per chiarirsi. Ma di
certo quello non era
nelle intenzioni di Lorcan. Non era giusto prendersela con Louis, lo
sapeva, ma
non riusciva a fare altro che fingere di essere arrabbiato con lui per
non
ammettere di esserlo con se stesso.
Per
avergli urlato
addosso, per aver baciato Albus, per non muovere un dito per far
sì che le cose
cambiassero.
Quella
mattina Lorcan si
alzò dal letto, come sempre, prima che gli altri due
potessero anche solo
pensare di aprire gli occhi. Negli ultimi giorni era sempre
così, rientrava
tardi, passava una notte insonne ed usciva prima dell’alba.
Si
fece una doccia veloce
senza guardarsi allo specchio. Non voleva vedere il suo viso sciupato,
le occhiaie
profonde, la carnagione pallida.
Era
diventato uno schifo.
L’ultima volta che si era guardato allo specchio risaliva ad
almeno una
settimana prima e il suo riflesso lo aveva spaventato. Non era
più lui.
Finalmente era riuscito nel suo intento di trasformarsi in un qualcun
altro,
perché il viso che vedeva riflesso, l’espressione
che vedeva riflessa non aveva
niente del ragazzo che era prima di quell’estate. Non aveva
la spensieratezza,
non aveva la speranza, non aveva niente.
Prese
la sua sacca e uscì
dal dormitorio facendo attenzione a non svegliare i suoi compagni.
Chiuse
il quadro che
copriva l’entrata del dormitorio dietro di sé e si
diresse verso la torre di
astronomia. Era il posto perfetto per restare da soli, tranquillo e
solitario.
Nessuno che vedeva, nessuno che ascoltava.
Spesso
però Lorcan si
chiedeva se fosse davvero necessario rintanarsi negli angoli bui per
impedire
di essere sentiti, perché nessuno l’aveva mai
ascoltato. Nessuno si era accorto
delle sue grida, delle sue richieste di aiuto.
Lorcan,
anche se non lo
avrebbe mai ammesso, non voleva stare solo, ma lo era sempre, anche
quando era
circondato da persone.
Entrò
in Sala Grande
quando ormai era già piena e si diresse al tavolo dei
Serpeverde, sedendosi
all’estremità, lontano di una decina di posti da
Albus e Scorpius che
chiacchieravano tranquillamente con Alexander Nott.
Non
lo notarono e Lorcan
non fece niente per farsi notare. Si servì un paio di
pancake e un tazza di
caffè, sentendo la familiare sensazione di sonno farsi
strada dentro di lui.
Se
avesse continuato a non
dormire prima o poi sarebbe crollato, doveva trovare un modo per uscire
da
quello stato catatonico in cui era caduto.
<<
Ma che cazzo
>>
Una
serie di imprecazione
si diffuse per tutti e quattro i tavoli di Hogwarts, risvegliando
Lorcan dalla
trance in cui era caduto.
Alzò
gli occhi e rimase
stupito da quello che trovò davanti a sé.
Centinaia e centinaia di cartoline
cadevano dal soffitto incantato di Hogwarts, finendo nella colazione e
tra i
capelli degli studenti che si lamentavano.
Quando
i primi si
accorsero di ciò che quelle cartoline erano davvero un
silenzio inquietante e
sorpreso calò nel castello, rotto subito dopo dai commenti
sussurrati a bassa
voce fatti al vicino, le risate e le occhiate lanciate al tavolo dei
Serpeverde.
Una
delle cartoline era
finita esattamente al centro del piatto di Lorcan, girata, con la parte
bianca
rivolta verso di lui.
Ancora
prima di poter
capire di cosa si trattasse, Lorcan sentì la pesantezza
degli sguardi degli studenti
su di sé.
Spalancò
gli occhi e
osservò ciò che gli si presentava davanti con
orrore e paura. Ciò che vedeva
era una foto sua e di Albus.
Mentre
si baciavano.
Lui
ed Albus.
Che
si baciavano.
La
prima cosa che avvertì
fu lo stomaco contorcersi al pensiero che ciò che vedeva non
sarebbe mai
successo ancora. La seconda cosa fu il cuore rompersi nel petto nel
rendersi
conto che erano carini insieme, ma
che quello non avrebbe cambiato niente.
La
terza e la più
devastante fu il peso degli sguardi su di lui, delle chiacchiere, delle
risate,
degli insulti. E si sentì cadere.
Alzò
lo sguardo
incontrando quello assolutamente incredulo di Scorpius. E poi li vide.
Quegli
occhi verdi che lo fissavano intraducibili.
Non
capì se Albus fosse
arrabbiato, dispiaciuto, sorpreso. Se lo odiava o se gli voleva ancora
bene.
Si
sentì distrutto. Si
sentì improvvisamente devastato, stanco. Morto.
Quegli
occhi che tanto
amava lo avevano ucciso.
Si
alzò e si diresse verso
l’uscita. Camminò lentamente, evitando gli
sguardi, comportandosi come se nulla
fosse successo.
Non
avrebbe concesso a
nessuno la soddisfazione di vederlo a pezzi, perché era
chiaramente quello il
motivo per cui avevano fatto quello scherzo. Non poteva essere
altrimenti,
perché era chiaro che quelle foto avrebbero rovinato
un’amicizia e soprattutto
devastato una persona.
Come
si poteva giocare con
i sentimenti altrui in questo modo? Come si poteva essere tanto
insensibili?
Come poteva guardarcisi ancora allo specchio dopo aver appena ucciso
qualcuno?
Perché
Lorcan si sentiva
morto.
Quando
oltrepassò il
portone corse. Corse come non aveva mai fatto. Corse lontano da suo
fratello
che si era alzato e lo aveva seguito. Corse lontano dalle grida di
Scorpius.
Corse lontano dallo sguardo dispiaciuto di Louis. E corse via da Albus.
Corse
via anche da se
stesso perché non si voleva più.
<<
Il ballo del
ceppo segna l’unione tra le scuole. Andarci con qualcuno
proveniente da una
scuola diversa sarebbe l’obbiettivo >>
<<
No >>
<<
Sarebbe una bella
serata >>
<<
No >>
<<
Per non parlare
poi del dopo serata >>
<<
No >>
<<
Saprei come farti
divertire >>
<<
No >>
<<
Immagina le mie
mani… >>
<<
No, no e ancora
no >>
Alice
lo interruppe prima
che potesse continuare a dire stronzate, alzando una mano davanti al
suo viso e
facendogli segno di stare zitto.
<<
Non andrò al
ballo e non ci andrei mai con te >>
<<
Credo che tu
abbia troppi pregiudizi >>
La
ragazza sbuffò,
evidentemente scocciata, ma quello non fece cambiare
l’espressione di malizia e
superbia che Filip aveva dipinta in volto.
Quel
ragazzo non si
arrendeva mai. Più volte durante la settimana
l’aveva avvicinata cercando di
convincerla ad andare al ballo con lui. Non si era fermato neanche
davanti ad
una fattura orcovolante e ad uno schiantesimo ben assestato. Doveva
ammettere
che fosse molto più coraggioso di quanto lo avesse giudicato
all’inizio.
E
anche molto più
ostinato, purtroppo.
<<
Non mi interessa
una relazione >> disse con voce ferma.
Gli
rivolse un’occhiata veloce
e, anche se a malincuore, dovette ammettere che Filip era decisamente
un bel
ragazzo. A tutti gli effetti desiderabile.
Capelli
biondi come il
grano e leggermente ricci, occhi celesti, spalle possenti, petto ampio
e
addominali scolpiti.
Come
faceva a sapere
quanto fossero ben fatti i suoi addominali? Beh, non era poi tanto
strano
trovare uno dei campioni di Durmstrang correre a torso nudo in riva al
lago
nero o semplicemente liberarsi della maglia nei momenti più
impensabili con la
più banale scusa del ‘qui fa proprio
caldo’.
Ma
che diamine, erano a
Novembre, non faceva caldo proprio per niente.
<<
Nessuna relazione
>>
Non
che Alice fosse
interessata alla forma fisica di Filip. Non si era mai ritrovata a
spiare il
ragazzo durante i suoi esercizi, come molte altre, ma sì,
aveva degli occhi.
Sì, era una ragazza. E ancora sì, i suoi ormoni
funzionavano perfettamente,
nonostante le vivide proteste della padrona.
<<
Non sono
interessata a legami carnali >> mentì Alice,
cercando di convincere anche
se stessa.
Poteva
benissimo vivere
senza. Lo aveva fatto fino a quel momento.
<<
Non sono
interessata ai legami e basta >> aggiustò il
tiro, sperando che quella
volta le parole uscite dalla sua bocca corrispondessero a
verità.
E
ancora una volta dovette
mordersi la lingua e rimproverarsi per quella stupida bugia.
Il
problema era che Alice
cominciava a soffrire la solitudine. Era sempre stata bene da sola, ma
ultimamente cominciava a sentire il bisogno di rintanarsi in posti dove
qualcuno poteva circondarla. Anche senza parlare, anche senza
guardarla.
Sentiva
sempre la mancanza
di Axel e Shailene quando non passava del tempo con loro.
Alice
dopo sedici anni
passati in solitudine cominciava a sentirsi veramente sola.
Adesso,
vuoi che siano gli
ormoni o dei stupidi sogni di ogni ragazzina, ma aveva bisogno di
persone
intorno a sé, perché la solitudine aveva
cominciato a spaventarla.
E se
fosse morta? Chi ci
sarebbe stato a piangere per lei? Sua madre e suo padre, forse. E poi?
E poi
niente.
La
Paciock era sempre
stata abbastanza drammatica e non faceva altro che immaginare il suo
funerale a
cui erano presenti solo due persone che non sembravano nemmeno soffrire
poi
molto.
Era
stata così brava ad
allontanare tutti e a diventare quella che era da spaventare
addirittura se
stessa.
Perché
l’aveva fatto?
Alice non sapeva rispondersi.
Era
così. Era sempre stata
così.
Forte,
decisa, solitaria,
silenziosa, anticonformista. Forse un po’ cattiva.
La
mattina si alzava,
contornava gli occhi di nero, legava i capelli la maggior parte delle
volte, ed
usciva senza nemmeno stupirsi. Era normale, perché lei era
sempre stata così.
Nessuna
maschera, nessun
travestimento.
Alice
era esattamente la
stronza che mostrava e sapeva di non meritare che qualcuno tenesse
veramente a
lei.
Ma ci
sperava lo stesso.
<<
Saprei farti
divertire >> sussurrò ancora Filip,
avvicinandosi di un passo, ma
restando a distanza di sicurezza.
Alice
lo incuriosiva. Gli
piaceva. Era bella, ironica, spavalda, incurante. Un personaggio molto
interessante, ma Filip non era scemo, si era già beccato
più di un incantesimo
e, anche se non avrebbe rinunciato, gli sarebbe piaciuto evitarne
altri.
<<
Mi dispiace, ma
la nostra Alice ha già un appuntamento per il ballo
>>
Ovviamente
la voce che
aveva parlato non era della ragazza.
Lysander
Scamander fece la
sua gloriosa comparsa in scena. Circondò le spalle esili
della Serpeverde con
un braccio e la strinse leggermente quando provò a
liberarsi.
Alice
si girò stupefatta
verso di lui, guardandolo con un misto di sorpresa e irritazione. Si
agitò
sotto quello strano abbraccio con la sola conseguenza di far aumentare
la
stretta del ragazzo.
Ma
che diavolo avevano
tutti e due?
<<
Ma vuoi
lasciarmi? >> sbraitò la mora, scocciata.
Cercò
di mantenere una
smorfia vicina all’indifferenza per non dare a nessuno di
loro la possibilità
di avere la soddisfazione di farla arrabbiare. Ma due erano davvero
troppi e
l’irritazione era chiaramente visibile sul viso di Alice,
soprattutto in quegli
occhi così chiari.
<<
Oh >> disse
Scamander rivolgendosi all’altro << Sai
com’è, non sopporta le
manifestazioni di affetto in pubblico >>
spiegò alzando le spalle e
sorridendo.
<<
Comunque per
adesso è prenotata, ma magari puoi provarci la prossima
volta >>
Filip
li osservò per
qualche secondo prima di alzare le spalle.
<<
Ci vediamo al
ballo Alice >>
Disse
e se ne andò con un
cenno di saluto ai due.
Alice
lo guardò sbigottita
e rivolse lo stesso sguardo a Lysander che aveva ancora il braccio
intorno alle
sue spalle. Con una smorfia stizzita si liberò dalla presa
del ragazzo e
cominciò a camminare a passo veloce verso
l’entrata della scuola.
Lysander
la osservò.
Indossava la divisa della scuola, ma riusciva a darle un tocco
decisamente
personale. Le calze pesanti strappate in alcuni punti, gli anfibi neri
e
pesanti ai piedi, la giacca di pelle sopra la camicia bianca, la
cravatta
allentata.
Osservò
i pugni chiusi
lungo i fianchi e i capelli legati in due trecce e sorrise.
Le
corse dietro e la
raggiunse, adattando il suo passo alla camminata furiosa di lei.
<<
Allora, hai già
deciso cosa indossare? >> le chiese con un sorriso
innocente sul viso.
<<
Io non ci vengo
al ballo con te >>
Lysander
schioccò la
lingua sul palato.
<<
Dovresti
ringraziarmi per averti liberato di quello lì
>> disse divertito.
Ovviamente
non lo pensava
davvero. Alice avrebbe benissimo potuto farcela da sola.
<<
Io non ci vengo
al ballo con te >> ripeté ancora una volta,
ancora più convinta di prima.
Il
Grifondoro agitò una
mano davanti al viso, come se stesse dicendo una cosa di poco conto.
<<
Oh, dai, non fare
la difficile. È solo una serata >>
<<
Io non… >>
cominciò lei, con tutta l’intenzione di ripetere
quello che oramai sembrava
essere diventato un mantra, ma l’altro la interruppe.
<<
Ti tratterò come
una principessa >>
Alice
si esibì in una
smorfia disgustata e quella frase bastò a farle interrompere
la marcia.
Lysander fece altri due passi prima di accorgersene e tornare indietro
ridendo.
<<
Non sono una
principessa >> disse con tanto ribrezzo da aumentare le
risate del
castano.
<<
Oh, non ti
preoccupare. Non ti costringerò a mettere un vestito rosa
sbrilluccicante e non
verrò a prenderti con una carrozza. Né ti
salverò come se fossi una donzella in
pericolo >>
Alice
lo fissò per alcuni
istanti.
Lysander
non era bello
quanto Filip e quello lo aveva constatato fin da subito. I capelli
erano più
tendenti al castano e gli occhi al nocciola, ma erano verdi in quel
momento, il
naso era forse troppo grande e non aveva un fisico robusto e
altrettanto
scolpito come l’altro. Ma era senza dubbio attraente e Alice
capì che quello
che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi era
l’atteggiamento.
Ma a
lei era indifferente.
Bugia.
Probabilmente
era quello
il motivo per cui Lysander si era avvicinato, perché pensava
che lei non
conoscesse la sua esistenza. Ma si era sbagliato.
Alice
ammetteva che fosse
un bel ragazzo, magari anche piacevole. Ammetteva di essere attratta da
lui. Ma
la cosa che la rendeva diversa da tutte le altre era che non le
importava.
Perché Lysander poteva essere affascinante quanto gli
pareva, e di certo non
gli era indifferente, ma Alice non smaniava dalla voglia di passare una
serata
con lui, non lo sognava, né lo definiva il ragazzo perfetto
perché non lo era.
<<
Perché dovrei
uscire con te? >> gli concesse, esasperata.
Lysander
sorrise.
<<
Perché per una
sera, mi concederei di essere io la donzella in pericolo e ti
farò credere di
potermi salvare >> scherzò lui.
Alice
lo fissò e sbatté un
paio di volte le palpebre prima di scoppiare a ridere.
Non
aveva mai avuto quello
spirito da crocerossina che invece era appartenuto a sua madre e
Lysander non
gli era mai interessato, ma era riuscito a catturare la sua attenzione.
Lysander
non era mai stato
al centro dei suoi pensieri, ma l’aveva fatta sorridere.
Lysander
non era l’uomo
dei suoi sogni perché quello non esisteva, ma
l’aveva fatta ridere.
Lysander,
in quell’attimo,
aveva sbloccato qualcosa in lei e non perché fosse bello o
affascinante, ma
perché era stato spontaneo e divertente, aggettivi che Alice
aveva addirittura dimenticato.
Forse
si meritava una
possibilità.
Lorcan
non aveva pianto.
Ci aveva provato, ma le lacrime proprio non volevano saperne di uscire
anche se
lui ne aveva un bisogno malato.
Si
era aspettato di
sentirsi vuoto, di sentirsi morto come durante i primi minuti dopo aver
visto
quella dannatissima foto. Si era aspettato di sentirsi privo di
emozioni e lo
aveva sperato. Lo aveva sperato perché per un momento non
aveva provato niente,
nemmeno il dolore o la repulsione. Niente ed era quasi in pace.
Ma
poi tutto era arrivato.
La sofferenza, le ferite, l’odio, l’amore, il
disgusto, la negazione, il
ribrezzo. Tutto. E l’aveva sopraffatto.
Ma
non era riuscito a
piangere nemmeno una lacrima.
Era
andato sotto il
Platano Picchiatore, ormai così vecchio da non provare
nemmeno a fargli del
male, e si era seduto. Aveva chiuso gli occhi ed aveva aspettato quasi
con
impazienza che quei rami tornassero in vita e lo schiacciassero.
Perché
quello era troppo.
Era troppo pieno di tutte le emozioni e non riusciva a liberarsi.
Ma
non poteva fare niente.
Quindi
aveva chiuso gli
occhi, poggiato la schiena al legno e si era lasciato dilaniare dal
dolore. Si
era lasciato spaccare, spezzare, lacerare dalle emozioni.
Lo
aveva sentito quando si
era seduto, ma non aveva aperto gli occhi, non gli importava di chi
fosse, non
gli importava che qualcuno lo vedesse.
Il
nuovo arrivato aveva
borbottato un ‘ciao’ e lui lo aveva riconosciuto,
dopo di che non aveva più
parlato, ma lui sapeva che fosse ancora lì, seduto al suo
fianco.
Louis
era stato
silenzioso, aveva rispettato la sua volontà di restare in
silenzio.
Era
stato in silenzio con
lui e Lorcan si sentì in colpa per come lo aveva trattato.
Louis non c’entrava
niente.
Erano
restati in silenzio
ed il Tassorosso non si era lamentano, non aveva sbuffato, aveva
semplicemente
aspettato che lui parlasse.
E
Lorcan lo aveva fatto,
dopo un po’.
<<
Mi dispiace
>> aveva detto, restando con gli occhi chiusi.
<<
Non è importante
>> aveva risposto Louis, tranquillo.
Allora
l’altro aveva
aperto gli occhi e lo aveva guardato di traverso perché lui
doveva essere
arrabbiato. Perché lo aveva trattato male, da zerbino, e non
se lo meritava.
<<
Lo è >>
Il
ragazzo aprì gli occhi
a sua volta e si sedette incrociando le gambe, mettendosi davanti a
Lorcan.
<<
So cosa
significa, Lor. So cosa significa essere secondi, anzi non essere
scelti
affatto >> fece un sorrisino triste << So
cosa significa essere
messi da parte >>
<<
Tu ti sei messo
da parte da solo, Lou. I tuoi cugini ti vogliono bene >>
<<
Non sono
abbastanza >>
Lorcan
si arrabbiò, perché
non era vero.
<<
Chi lo dice?
>>
<<
Lo riconosco. I
miei cugini sono tutti… particolari >> storse
le labbra a quell’aggettivo
perché non era giusto, ma non ne trovò uno
migliore << Io non ho niente
di speciale >>
<<
Smettila di
autocommiserarti. Non risolverai niente comportandoti così
>>
<<
Nemmeno tu
>>
Restarono
in silenzio per
qualche secondo. La natura, intorno a loro, riempì il
silenzio con il fruscio
delle foglie e il vento che scompigliava i capelli ad entrambi. Louis
alla fine
prese quel poco coraggio che aveva, lo raccolse tutto e lo
utilizzò, anche se
quello che stava per fare poteva essere considerato sbagliato.
Puntò
le mani a terra e si
sporse verso Lorcan, sfiorando la bocca con la sua e, vedendo che non
si
allontanava, premendo con più decisione. Fu un bacio dato di
sfuggita, appena
accennato. Improvvisato.
Lorcan
lo fissò ad occhi
sbarrati e seguì il ragazzo in tutti i suoi movimenti. Louis
si alzò, si pulì i
pantaloni e gli lanciò un’occhiata.
<<
So essere la
seconda scelta, Lorcan. Anche se fa male >>
Se ne
andò e sapeva di
aver fatto la cosa sbagliata. Forse non per Lorcan, perché
lui aveva un
disperato bisogno di qualcuno che condividesse le sue pene, ma per se
stesso.
Perché
era vero, Louis era
abituato ad essere la seconda scelta, l’opzione di riserva,
ma non era vero che
faceva male. Era straziante.
E la
cosa peggiore era che
Lorcan aveva ragione. Era lui che decideva di essere secondo.
Lorcan
si alzò dalla sua
postazione e si diresse verso il castello. Era sera ormai e aveva
bisogno di
dormire e di mangiare. Aveva saltato tutte le lezioni, ma non gli
importava.
Voleva
solo andare al
letto e rilassarsi.
<<
Ehi, checca
>>
Lorcan
non si fermò, pur
sapendo che era destinato a lui quel saluto. Continuò a
camminare.
<<
Ehi, parlo con te
>>
Una
mano gli afferrò il
braccio e il Serpeverde si ritrovò sbattuto contro il muro.
Soffocò un gemito
di dolore, quando avvertì una parte di pietra sporgente
colpirgli lo spazio in
mezzo alle scapole, ma non si azzardò a replicare.
Non
li guardò negli occhi,
non voleva farlo, ma seppe che non li conosceva nemmeno. Non sapeva chi
fossero, non ricordava le loro voci né tantomeno i loro
visi.
E
allora cosa volevano da
lui? Perché non lo lasciavano in pace?
<<
Lasciatemi stare
>>
Gli
altri risero. Erano
tre. Uno lo reggeva al muro, tenendolo per le spalle, gli altri due gli
stavano
vicino, con le braccia incrociate al petto e un ghigno dipinto sulle
labbra.
<<
Stai calmo
finocchio, vogliamo solo sapere se d’ora in poi dovremmo
girare con dei tappi
in culo >>
Era
sempre quello che lo
teneva fermo a parlare.
Lorcan
non seppe perché,
ma si ritrovò a rispondere. Si ritrovò a fare
qualcosa una volta tanto e non
lasciare che tutto gli passasse davanti come se non fosse la sua vita.
Perché
quella era la sua vita, per la miseria.
<<
Ero gay anche
prima di oggi, imbecilli, e mi pare che non abbia mai provato a
molestarvi. Non
rientrate nei miei desideri >>
Quello
che lo reggeva lo
spinse di più verso il muro e fece un segno con la testa
verso uno degli altri.
Il pugno che lo colpì allo stomaco gli fece mancare il
respiro. Rimase a bocca
aperta e la chiuse solo quando un altro pugno, proveniente dalla parte
opposta,
lo colpì un po’ più sopra, alle
costole.
Cercò
di non lamentarsi. E
cercò davvero di stare in silenzio, ma non ci
riuscì perché si era stufato.
Si
era davvero stufato di
lasciarsi trasportare.
Questa è la mia vita e
devo reagire. È la mia vita.
Il
Serpeverde si esibì in
una risata sprezzante.
<<
Cos’è, siete dei
gay repressi? Vi dispiace così tanto non rientrare nelle mie
grazie? >>
Un
pugno lo colpì sul viso
proprio mentre un calcio lo colpiva alla pancia, costringendolo a
piegarsi dal
dolore. Non poté fare niente per evitare una ginocchiata in
pieno viso che gli
fece sanguinare il naso.
Si
preparò per un altro
colpo, ma una voce interruppe il massacro.
<<
Allontanatevi
subito >>
Ordinò
qualcuno che Lorcan
non riconobbe. La voce era familiare, sapeva di averla ascoltata e di
averci
parlato anche più di una volta, ma allo stesso modo aveva
capito che era da
troppo tempo che non l’ascoltava per riconoscere davvero di
chi fosse.
<<
Tre contro uno.
Che schifo >>
Il
Serpeverde alzò il
viso, incontrando i lineamenti conosciuti di James Sirius Potter che li
fissava
con disgusto. Ma non fissava con disgusto lui, non lo disprezzava.
Il
ragazzo era
apparentemente rilassato. Le mani nelle tasche dei pantaloni della
divisa, le
gambe rilassate, la bacchetta lasciata nella tasca interna del mantello
senza
nemmeno provare a prenderla.
Il
capo dei tre rise.
<<
Ma quindi hai una
storia con entrambi i Potter? Mh, interessante. In questa scuola ci
sono più
malati di quanti mi aspettassi >>
Quella
parola colpì
Lorcan. Malati. Era questo che
era?
Malato?
Scosse
la testa con
convinzione. Essere gay non era una malattia. Non era sbagliato. Lo
sapeva, lo
sapeva, lo sapeva. Ma allora perché era così
facile credergli? Perché era così
facile convincersi di essere lui quello sbagliato? Perché
quelle parole
risultavano così vere?
James
fece per ribattere,
ma non ci riuscì perché un lampo di luce
colpì il ragazzo che teneva Lorcan al
muro in pieno petto e fu scaraventato sul muro poco distante da loro.
Tutti
si girarono
osservando stupefatti una ragazzina con la bacchetta sguainata. Tutti
riconobbero le treccine e gli occhi circondati di nero. Alice si
avvicinò con
lentezza a colui che aveva appena schiantato e si piegò
sulle ginocchia per
poterlo guardare negli occhi.
Era
furiosa, ma sorrise,
quasi angelica.
<<
Sì, hai ragione,
ci sono più malati di quanti mi aspettassi in questa scuola
e tu sei quello
messo peggio >>
Nello
stesso momento un
rumore sordo di qualcuno che venina sbattuto al muro attirò
l’attenzione di
tutti i presenti, compresa quella di Alice.
Lysander
Scamander aveva
appena inchiodato uno degli aggressori alla parete e con un braccio gli
spingeva il collo. Il viso era trasfigurato in una smorfia
d’ira e non c’era
traccia del sorriso che aleggiava sempre sulle labbra.
Quello
era suo fratello.
<<
Non. Azzardatevi.
A. Toccare. Mio. Fratello. Mai. Più >>
scandì ogni parola, rafforzando la
presa ad ogni lettera.
Gli
sferrò un cazzotto in
pieno viso e poi lo lasciò cadere, resistendo alla
tentazione di prenderlo a
calci.
<<
Se vi vedo ancora
intorno a Lorcan vi farò pentire di aver anche solo pensato
di avvicinarvi
>> minacciò con voce cupa.
<<
Siete gay
entrambi. Ma che è, una cosa di famiglia? >>
disse l’unico dei tre che
era rimasto in piedi.
James
fece un passo in
avanti nello stesso momento in cui Lysander si avvicinò ed
Alice impugnò di
nuovo la bacchetta, ma tutti vennero interrotti da una voce. Che non
era quella
dei ragazzi a terra né quella di Lorcan.
<<
Che succede qui?
>>
Albus
Potter si avvicinò
al gruppetto, osservandoli tutti. Guardò suo fratello e
lanciò un occhiata
perplessa a Lysander ed Alice prima di soffermarsi su Lorcan. E
capì.
Lo
guardò sofferente e
capì cosa fosse successo.
<<
Stai bene?
>> chiese, avvicinandosi a lui e cercando di aiutarlo a
mettersi in
piedi.
Lorcan
lo fissò incredulo
e guardò tutti gli altri con la stessa espressione. Ma che
cos’era, una
congiura?
Avevano
deciso di farsi
tutti una passeggiata quando lo stavano picchiando? Doveva davvero
sorbirsi
anche quell’umiliazione?
Per
la prima volta
desiderò di non aver incontrato Albus.
Che ironia di merda che ha la vita.
<<
Sto bene >>
si alzò e si staccò dall’amico,
guardandolo con dolore.
Solo
vederlo gli faceva
male.
Si
avvicinò al fratello e
gli posò una mano sulla spalla e guardò gli altri
due con gratitudine.
<<
Ce la faccio da
solo >> disse sicuro.
Perché
si era stancato di
essere salvato. Non ne aveva bisogno, sapeva farlo per conto suo.
Poteva
benissimo salvarsi da solo.
Si
avvicinò all’ultimo
ragazzo e per un attimo fu sul punto di colpirlo, ma poi si trattenne.
Lui non
era come loro.
<<
Non mi importa
quello che pensi. Non devo piacerti, non voglio piacerti. E se non lo
sapessi,
siamo nel ventunesimo secolo e l’unico che dovrebbe
vergognarsi di se stesso
sei proprio tu. E i tuoi amici –li indicò-.
Perché è assurdo che troviate
malato essere gay. Io non me ne vergogno >>
Sorrise
ad Alice,
scompigliò i capelli a Lysander, tirò un pugno
scherzoso sulla spalla di James,
che, per un attimo, si concesse un sorriso, abbracciò Albus
che, dopo un
momento di esitazione, ricambio la stretta amichevole e se ne
andò.
Questa è la mia vita. E
la rivoglio.
Angolo
Autrice
Ecco
qui il
quattordicesimo capitolo! So di essere un po’ in ritardo, ma
sono stata
leggermente impegnata ultimamente. Però in questo momento mi
trovo al letto
malata e ho pensato che fosse davvero ora di aggiornare.
Credo
che prima della fine
della prima parte della storia, la situazione di Lorcan non si
risolverà. Nel senso
che verrà lasciata in sospeso così, sia con Albus
che con Louis, perché ci sono
molti altri personaggi che avranno uno spazio.
Dopo
di che, volevo
ricordarvi FACEBOOK
e semplicemente chiedere una piccola recensione per sapere cosa ne
pensate.
Ringrazio
che legge,
segue/preferisce/ricorda la storia e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Ronald
Weasley credeva
veramente che tutto fosse finito quella dannata notte.
Aveva
perso suo fratello,
conquistando un buco dentro di sé che mai sarebbe guarito,
ma aveva cercato di
consolarsi dicendo che quella era finalmente la fine. Che avrebbero
avuto tutta
la vita per onorare a dovere la morte di Fred, tutti insieme. Senza
problemi.
Ma
quando mai Ronald
Weasley aveva avuto ragione? Quando mai le cose andavano come ci si
aspettava
che andassero?
Facile:
mai.
Dopotutto
avrebbe dovuto
aspettarselo. Mica aveva chiesto lui di essere su un cavallo decapitato
al
primo anno e di certo si sarebbe risparmiato di seguire i ragni al
secondo
–andiamo, a quale stupido verrebbe mai in mente di seguire i
ragni (a quanto
pare al suo migliore amico)- , avrebbe fatto volentieri a meno di farsi
quasi
staccare una gamba al terzo anno o irrompere nel ministero al quinto,
per non
parlare della ricerca degli Horcrux.
Ma
l’aveva accettato
perché poi era tutto finito. Nella sofferenza sì,
ma era riuscito a rialzarsi e
non poteva davvero credere che quella non fosse stata la vera fine.
<<
Lumus >> sussurrò,
portando la
bacchetta davanti agli occhi.
Di
colpo la casa si
illuminò, lasciandolo di sasso.
Tutto
era perfettamente al
suo posto. Niente era stato toccato, la casa era in perfetto ordine,
niente ad
indicare che probabilmente era stato commesso un omicidio
lì. Ma c’era qualcosa
che non quadrava e Ron se ne accorse subito.
Era
troppo scuro, troppo
silenzioso. E quell’odore. Lui lo conosceva bene, sapeva di
morte.
Sentì
i passi leggeri dei
suoi colleghi alle sue spalle e deglutì, pensando ad
Hermione. Aveva una brutta
sensazione e, anche se raramente aveva ragione, quando sentiva che
qualcosa di
non troppo buono sarebbe successo quello, beh, accadeva.
Poi
vatti a spiegare
perché.
Che
ironia che ha la vita.
Distolse
i pensieri da
casa sua dove probabilmente sua moglie lo stava aspettando in piedi,
nonostante
fosse l’una passata, davanti a una tazza di thè,
preoccupata come ogni volta.
Lei
non si era mai
abituata a quelle ronde notturne. Hermione era pronta sempre a
rischiare la
vita, ma quando era Ron a farlo non poteva far a meno di preoccuparsi
con tutta
se stessa.
Ronald
fece qualche passo
avanti seguito dalla sua squadra. Dean Thomas lo seguiva a un passo di
distanza
e quello lo confortava.
Dean
era un ottimo auror
e, in caso di battaglia, avrebbero avuto buone possibilità.
Erano nove, tutti
preparati, tutti pronti a rischiare la vita.
Il
salotto si presentò
davanti ai loro occhi come il più normale dei salotti. Un
divano grigio, un
tappeto antico, una televisione a plasma e un tavolino in legno dove
erano
posati degli occhiali e un libro ancora aperto.
Un
pianoforte era poco
distante e la lampada appesa al soffitto spenta.
Normale.
Se non fosse
stato per la donna che tranquilla era in piedi in mezzo al salone, con
la
bacchetta, illuminata da un incantesimo, puntata contro il proprio
viso.
Ron
la riconobbe. Non
avevano mai parlato tanto ed erano passati anni, ma Ron la riconobbe.
<<
Cho >>
disse, rilassandosi.
Cho
Chang sorrise e l’ex
Grifondoro ricambiò senza accorgersi di quello che sarebbe
successo di lì a
poco. Abbassò la bacchetta nello stesso momento in cui Cho
puntò la sua verso
di loro.
Ron
non l’aveva notato, ma
Dean sì. Aveva visto gli occhi di Cho e li aveva trovati
vitrei, come se dentro
di lei non ci fosse niente.
Prima
che la donna
pronunciò l’incantesimo Dean spinse
l’amico di lato, facendolo cadere sul
pavimento con un tonfo.
Un
lampo di luce verde
fuoriuscì dalla bacchetta di Cho e colpì Dean
Thomas in pieno petto.
L’uomo
guardò Ron per un
ultima volta e poi cadde a terra. Gli occhi spalancati, la bocca aperta
come
per dire qualcosa che non sarebbe mai più riuscito a
pronunciare.
Dean Thomas cadde a terra, morto.
Cho
puntò la bacchetta
verso di sé, sulla fronte. Non pronunciò alcun
incantesimo e con un sorriso
fece apparire un Marchio Nero. La maglia che indossava venne ridotta a
brandelli da un altro incantesimo, lasciandola in reggiseno ed un altro
Marchio
Nero comparve sul petto.
Uno
degli auror si
avvicinò a lei con la bacchetta sguainata, ma fu sbattuto
all’indietro da uno
schiantesimo tanto forte da farlo svenire.
Tutti
la guardavano
ipnotizzati. Provarono ad avvicinarsi e a lanciare qualche incantesimo
per
fermarla, ma ogni cosa veniva fermata da un protego
così potente da nemmeno scalfire la donna di
mezz’età.
Ron
non poté far altro che
guardarla, come tutti, sapendo già quello che sarebbe
successo tra poco. Osservò
il viso calmo e rilassato e quegli occhi che finalmente aveva notato
essere
vuoti e si accorse che Cho era sotto imperio.
Osservò le poche rughe che erano apparse sul viso
ancora giovanile, guardò
le onde dei capelli scure arrivare fino alla vita, il corpo magro.
Cho
era così simile a
tanti anni fa che gli risultò difficile riuscire a credere a
quello che stava
accadendo.
Sentì
la paura farsi
strada dentro di sé, insieme alla consapevolezza di non
poter fermare quello
che sarebbe successo e ai sensi di colpa per Dean. Dean, uno dei suoi
più cari
amici era morto, e Cho lo avrebbe seguito in breve tempo.
Tutti
osservarono il punto
interrogativo, seguito dalla fatidica frase ‘chi
sarà il prossimo?’, comparire
sulla pancia piatta della donna.
Lei
sorrise, come in pace
con se stessa, ignorando il sangue che colava dalla testa, dal petto e
dallo
stomaco, dove già esistevano delle cicatrici.
Puntò
la bacchetta alla
testa.
<<
Avada Kedavra >>
Il
corpo di Cho cadde a
terra.
È
giusto spendere due parole
in memoria di chi ci ha lasciati.
Dean
Thomas aveva
combattuto coraggiosamente al fianco di Harry Potter durante
l’ultima battaglia
contro Voldemort. Aveva finito gli studi e poi era entrato
all’accademia degli
auror dove aveva incontrato una brillante strega, sposandola dopo
cinque anni
di fidanzamento.
A
trent’anni aveva avuto
una bambina, Madison Thomas, e solo due anni dopo si era aggiunto alla
famiglia
Mark Thomas.
Dean
Thomas era un uomo
coraggioso, un marito dolce, un padre amorevole, un amico fidato.
Dean
Thomas non sarebbe
mai stato dimenticato.
Cho
Chang era stata una
studentessa intelligente, una ragazza caritatevole e una combattente
coraggiosa. Non si era sposata, ma aveva dato alla luce una bambina,
Sonja
Chang, a soli venti anni. Lavorava al ministero all’ufficio
misteri e passava i
week end con i suoi bellissimi nipotini.
Cho
Chang era stata una
brava persona e non sarebbe stata giudicata per quella fine.
Hermione
Granger aprì la
porta di casa sua, trovando davanti a sé suo marito. Ron era
sconvolto.
Entrò
in casa senza dire
una parola, si lasciò abbracciare e circondare
dall’amore e dal sollievo di
Hermione, sapendo che, se non fosse stato per Dean, lui non sarebbe
stato lì.
Non l’avrebbe mai rivista. Non avrebbe mai rivisto i suoi
bambini.
Dean.
Dean era morto. Dean
era morto per colpa sua. Dean era morto per salvarlo.
Ron
restò in silenzio per
ore, fissando senza muoversi la tazza di thè sul tavolo ed
Hermione gli fece
compagnia senza chiedere niente, senza forzarlo a parlare. E Ron gliene
fu
grato.
Passarono
le tre e poi le
quattro, le cinque e le sei. E Ron non aveva ancora parlato, non si era
ancora
mosso, non aveva spostato lo sguardo.
Hermione
guardò l’orologio
e capì di dover fare qualcosa.
<<
Ron >> lo
chiamò, sussurrando.
E le
sembrò di essere
tornata a più di venti anni prima, quando erano alla ricerca
di quei dannati
Horcrux e Ron non faceva altro che ascoltare la radio e fissarla senza
parlare,
senza guardarla davvero.
E le
sembrò di essere
tornata alla fine di quella battaglia, quando Ron si era buttato
piangendo sul
corpo di Fred, senza lasciarlo andare. Senza riuscire a credere alla
sua morte,
urlandogli di alzarsi, di aprire gli occhi, di dire qualcosa.
E le
sembrò di essere
tornata a quando avevano visto il corpo di Harry e tutti avevano
creduto che
fosse morto e Ron lo aveva fissato colpevole di non essere riuscito a
fermarlo.
E le
sembrò di essere
tornata al funerale di Fred e ai mesi successivi, quando Ron non
parlava e non
mangiava.
Le
sembrò di essere una
ragazzina senza il potere di cambiare le cose, inutile. Si
sentì piccola e
indifesa.
Strinse
le braccia intorno
al busto come a consolarsi e si avvicinò a suo marito,
poggiandogli una mano
sulla spalla.
<<
Ron >>
ripeté con più decisione << Cosa
è successo? >> gli chiese.
Ma
lei non era più una
ragazzina e si ricordò che avevano superato tutti quei
momenti. Si ricordò di
essere una donna forte e che molte volte era stata lei a far
risollevare Ron.
Si ricordò che inutile non lo era mai stata, non si era
permessa di esserlo. E
non lo sarebbe stata nemmeno quel momento.
Non
era lei ad aver
bisogno di consolazione, non ne aveva mai avuto bisogno.
Circondò
le spalle di Ron
in un abbraccio e lui si lasciò andare, posando la testa
sulla sua spalla, stremato.
Non
lo sentì singhiozzare,
ma si accorse che stava piangendo.
<<
Dean è morto e
Cho Chang si è uccisa >>
Hermione
non commentò e lo
strinse di più, chiudendo gli occhi a sua volta e sentendo
che si inumidivano
ad ogni sussurrò di Ron.
<<
Dean è morto per
colpa mia >> disse Ron. << E’
morto per colpa mia >> ripeté.
Ron
continuò a piangere
sulla spalla di Hermione, ripetendo quella frase come se non riuscisse
a
crederci.
<<
Le regole le
conoscete. Niente maledizioni senza perdono, ma è un duello
a tutti gli effetti
e quindi dovete provare a vincere e non essere troppo gentili con
l’altro
>>
Ted
ripeté comunque le
‘famose regole’, guardando i due contendenti sul
palco nella stanza di Difesa
Contro Le Arti Oscure.
Filip
Karante e Ivan Rontik
si fronteggiavano, uno davanti all’altro, bacchette alla mano
e sorrisi
spavaldi.
Tutta
la sala era riempita
da studenti di ogni scuola, dal primo all’ultimo anno, che
fissavano la scena
cercando di non perdersi nemmeno un particolare di quello scontro.
Finalmente
il giorno della prima sfida tra i due campioni scelti dal calice era
arrivata e
tutti non aspettavano altro che l’inizio di
quell’incontro.
I
professori e i tre
presidi erano nelle prime file, seduti su una panchina fatta apposta
per loro. Il
preside di Dumstrang guardava con orgoglio i suoi studenti, mentre la
gigantessa, preside di Beauxbatons, li fissava con sguardo divertito e
incuriosito. La McGrannit invece sorrideva tranquilla, con le mani
giunte sul
grembo e le gambe accavallate in una posizione elegante.
Teddy
fissò i due e scese
dal ‘campo di battaglia’, sedendosi sulla panca
alla destra di Lumacorno, che
fissava i ragazzi con le mani sulla pancia e le labbra piegate in un
sorriso.
La
preside di Hogwarts si
alzò e lanciò delle scintille verso il soffitto
incantato.
<<
Che il primo
duello abbia inizio >>
Filip
si avvicinò al suo
avversario. Fecero entrambi un inchino e si allontanarono di tre passi
l’uno
dall’altro.
Uno.
Due.
Tre.
Dei
lampi rossi uscirono
dalla punta delle bacchette nello stesso identico momento e si
infransero l’una
contro l’altra rendendo i colpi innocui.
Filip
fu il primo ad
attaccare di nuovo, mancando però il bersaglio che si
spostò leggermente di
lato. L’altro rispose con un incantesimo di disarmo che venne
bloccato da un protego ben
eseguito.
I
duelli erano la
specialità di Filip. Quando aveva saputo che il campione si
sarebbe deciso con
un duello era stato molto più che contento e quando era
venuto a conoscenza che
il suo avversario sarebbe stato Ivan aveva quasi fatto i salti di
gioia.
Si
potevano dire tante
cose su Ivan Rontik, che fosse coraggioso, intelligente, bravo in quasi
tutte
le materie, discreto giocatore di quidditch, bel ragazzo, buon partito.
Ma di
certo non ci sapeva fare con la bacchetta. Almeno non quanto Filip.
Si
era davvero impegnato
durante quelle settimane. Ci aveva davvero provato, si era allenato e
aveva
duellato tutti i giorni, cercando di raggiungere un livello
accettabile.
Cercando di avere almeno una possibilità di vincere.
Ma il
duello finì dopo
nemmeno dieci minuti.
Ivan
fu scaraventato
violentemente contro la parete. Svenne per il colpo e la bacchetta
cadde
accanto al corpo senza sensi.
Un
boato di esclamazioni e
incitazioni si sollevò nella sala, facendo sorridere il
campione di Dumstrang.
Dire
che Laila fosse
preoccupata era decisamente un eufemismo. Non che fosse male con la
bacchetta,
ma i duelli la innervosivano. Era sempre stato così e sempre
lo sarebbe stato.
Senza
contare che l’unico
posto dove aveva avuto la possibilità di duellare era tra le
mura rassicuranti
della sua scuola, sotto lo sguardo attento dei professori e con ragazze
che si
preoccupavano anche delle minima unghia rotta. Roberta era una di
quelle e
questo consolava un po’ la bionda.
Diede
una veloce occhiata
alle sue unghie. Erano corte, prive di smalto e decisamente poco
curate. Non ci
aveva mai pensato più di tanto, succedeva ogni tanto che
passasse dello smalto
dai colori pastello quando era in compagnia delle sue amiche, ma per
lei non
erano mai state niente di importante.
Ci
aveva anche provato a
portarle lunghe per un certo periodo di tempo, periodo che era durato a
malapena una settimana, dopo la quale aveva cominciato di nuovo a
morderle.
Il
corridoio che portava
alla Sala Grande si riempì di mormorii eccitati e subito
dopo decine e decine
di studenti si riversarono nello spazio. A Laila piacevano i posti
affollati
perché non le davano la possibilità di rimanere
sola. Odiava stare sola.
Anche
solo essere
circondata da persone che ridevano e parlavano, anche se non con lei,
le dava
un senso di benessere, la faceva sentire parte del mondo.
Se
puoi sentire le loro
parole, se puoi sentire le loro risate, se avverti il loro profumo, se
li vedi
allora significa che sei viva.
Se
sei da sola cosa ti
impedisce di pensare che in realtà tu non esisti? Che in
realtà non sei morta?
Quella
era la sua più
grande paura. Non la morte, perché dopo essere morta per lo
meno non avresti
sentito niente, non te ne saresti accorta. Ma la solitudine.
La
spaventava a morte
restare da sola.
Quel
giorno le lezioni era
state cancellate e Laila non poteva esserne più contenta, il
tempo libero le
avrebbe dato la possibilità di esplorare un po’ il
castello, fare una
passeggiata in riva a quel lago che le era sembrato un paradiso e
magari farsi
un giro per il prato immenso di Hogwarts. Sarebbe andata volentieri
anche nella
Foresta Proibita, aveva sempre amato passeggiare nei boschi, ma sarebbe
sicuramente stata sola se fosse andata lì e, come diceva il
nome, era proibita.
Il che voleva dire che non avrebbe potuto avventurarsi.
Aveva
un grande rispetto
per le regole, Laila. Non aveva mai passato quella fase di ribellione
che, come
secondo una legge non scritta, doveva appartenere a tutti gli
adolescenti e
soprattutto a tutti quelli della sua famiglia. Sua cugina era stata
davvero un
problema per i suoi genitori: feste, fughe di casa con i vari ragazzi,
fumo,
alcol, droga.
Ma a
diciannove anni aveva
messo la testa a posto ed adesso, al contrario di tutte le aspettative,
era entrata
all’università di medimagia ed era anche piuttosto
brava.
Ma la
peggiore era stata,
ed era ancora, sua sorella maggiore. Ventuno anni e ancora con lo
spirito
ribelle di una ragazzina.
Lei
no. Non era mai stata
così e mai lo sarebbe stata. D’altronde qualcuno
di responsabile in famiglia
doveva anche esserci.
Lei
era sempre stata
l’orgoglio dei suoi genitori, non perché fosse la
figlia perfetta, era molto
lontana dall’esserlo, ma perché non avevano
nient’altro a cui aspirare.
Quando
avevano scoperto la
sua omosessualità erano stati costretti a chiudere un occhio
in confronto
all’overdose che aveva rischiato di uccidere Eve, sua sorella
maggiore.
Si
arrotolò la sciarpa
intorno al collo e uscì all’esterno del castello.
Quasi
ogni studente di
ogni scuola era lì. Chi da solo, chi in gruppetti, tutti si
godevano la
giornata libera e l’aria decisamente rigida, essendo ormai
novembre, non
impediva loro di divertirsi. O leggere un semplice libro. O cantare una
qualche
canzone.
Laila
sorrise e si strinse
maggiormente nel cappotto. Nel chiacchiericcio concitato degli studenti
si
avvicinò al Lago Nero, dove un paio di coppiette erano
abbracciate o qualche
amico scherzava, cercando di buttare l’altro in acqua.
Inciampò
su qualcosa e
cadde a terra, fermando la caduta con le mani appena in tempo per
impedirsi di
battere la testa, ma si ritrovò ugualmente qualche filo
d’erba in bocca.
<<
Oh, ti sei fatta
male? >> disse un voce femminile.
Laila
alzò la testa e si
girò incontrando uno sguardo chiaro su di lei. Si mise a
sedere, ripulendosi
ancora la bocca dalla terra e scrollandosi i vestiti.
Non
era inciampata su
qualcosa, ma su qualcuno.
Guardò la
ragazza davanti a sé e le sorrise come a rassicurarla.
<<
No. Scusa se ti
sono venuta addosso, non ti avevo visto >> rispose.
Lei
alzò le spalle con
noncuranza.
<<
Figurati >>
Laila
la guardò. I capelli
rossi erano lunghi e lisci e le arrivavano fino sotto la vita, il viso
era un
ovale, le guance leggermente paffute, la pelle candida, il naso
piccolo, la
bocca rosea e dei grandi e limpidi occhi celesti, circondati da folte
ciglia.
Il
corpo esile e una
generosa spruzzata di lentiggini sul naso, sulle guance e sparse per il
viso.
Sorrise
di nuovo e si
accorse che i denti davanti avevano un piccolo difetto, essendo
leggermente
separati, ma era un bel sorriso. Esprimeva gioia.
<<
Io sono Lucy
Weasley >> si presentò, tendendole una mano.
Lei
la strinse a sorrise a
sua volta.
<<
Laila Scerlì
>>
<<
Di solito vado in
biblioteca nei giorni di pausa >>
Laila
rise, girandosi a
guardare la ragazza stesa al suo fianco.
<<
Studi sempre?
>> chiese.
Lucy
scosse la testa.
<<
La biblioteca mi
rilassa, è l’unico posto dove sai troverai solo
Rose >>
<<
Chi è Rose?
>>
<<
Mia cugina
>>
Erano
sdraiate sull’erba
oramai da mezz’ora, chiacchieravano, ridevano e scherzavano
come due amiche di
vecchia data. Laila aveva scoperto che Lucy era più piccola
di lei di tre anni.
Frequentava il quinto anno di Hogwarts. Aveva però problemi
a memorizzare ogni
incantesimo ed era sicura che l’unico motivo per cui i
professori la mandavano
avanti era che la sua famiglia era famosa.
<<
Sai anche mia
cugina parteciperà al Torneo? >> disse la
rossa, tornando a guardare le
nuvole.
Il
cielo cominciava a
farsi scuro e osservandolo attentamente potevano distinguersi un paio
di stelle
e la luna che aspettava di brillare.
Forse
erano le sei. Tra
un’ora ci sarebbe stata finalmente la cena. Era
così affamata.
<<
Rose? >>
<<
No, Lily >>
<<
Ma quanto cugine
hai? >>
Lucy
rise, dandole uno
schiaffetto leggero sul braccio e contagiando anche l’altra.
Continuarono
a parlare per
una decina di minuti, di tutto o di niente. Laila le disse che era
nervosa per
il duello e Lucy le aveva raccomandato di stare tranquilla e limitarsi
a dare
il meglio.
<<
Lucy, andiamo
dentro? >>
Una
voce maschile
interruppe le ragazze ed entrambe si voltarono per guardare il nuovo
arrivato.
Laila
si trovò di fronte
un ragazzo alto, con la pelle mulatta, i capelli scuri così
come gli occhi. Le
fissava stranito, ma ricambiò il sorriso che la bionda gli
rivolse.
Lucy
si alzò, sorridendo
al ragazzo e scrollandosi la gonna della divisa che aveva indossato
anche quel
giorno.
<<
Certo Fred
>> poi si rivolse alla sua nuova conoscenza ed
agitò la mano << Ci
vediamo, Laila. È stato un piacere conoscerti
>>
Lei
annuì e le sorrise,
salutandola a sua volta.
Il
piatto che aveva di
fronte scomparve appena Laila pensò di essere arrivata al
suo limite.
Quel
giorno era
decisamente affamata. O meglio, era nervosa. E quando era nervosa
mangiava.
Forse
però non era stata
una grande idea. Tra solo un’ora avrebbe avuto il suo duello
e forse andarci
così pesante l’avrebbe svantaggiata.
Se devo perdere è meglio
farlo a pancia piena. Pensò,
alzandosi dalla tavolata.
Quei
cinque giorni erano
stati decisamente divertenti. Aveva incontrato un’altra volta
Lucy, questa
volta in biblioteca (ok, forse l’aveva cercata
lì) e avevano studiato insieme quel giorno.
L’aveva aiutata con la
trasfigurazione e si era accorta che la ragazzina aveva uno sviluppato
talento
in erbologia dove lei, invece, non eccelleva.
Dopo
si erano viste ogni
giorno e avevano studiato insieme o semplicemente chiacchierato di
qualcosa di
stupido.
Aveva
incontrato un paio
di volte anche il ragazzo con la carnagione mulatta, ma si erano a
malapena
salutati e sapeva il suo nome solo perché aveva sentito Lucy
chiamarlo. Fred. O
Freddy, dipendeva dall’umore della ragazza.
Era
probabilmente il suo
ragazzo, aveva ipotizzato Laila. E questo un po’ la
disturbava. A lei Lucy
piaceva. Cioè, non provava emozioni forti per lei, a
malapena la conosceva, ma
c’era alchimia tra loro e Laila sapeva che sarebbero potuto
essere buone
amiche.
E poi
era attratta da lei.
Lucy era molto carina. Non sexy, non provocante, ma attraente. I
lineamenti
erano dolci, esattamente come lei, e a volte la facevano sembrare
più piccola
di quella che in realtà era. E a Laila piaceva.
Si
diresse verso
l’esterno, cercando un posto dove avrebbe potuto provare a
calmarsi. Si sedette
sugli scalini e poggiò il viso sulle mani, sbuffando aria
condensata per quanto
fosse freddo.
Anche
quel giorno avevano
avuto la possibilità di indossare vestiti normali, essendo
state sospese le
lezioni per il secondo duello. Il suo.
Laila
aveva scelto
qualcosa di semplice, dei leggins pesanti, un maglione largo e delle
scarpette
da ginnastica. Non molto elegante, ma decisamente comodo e
confortevole.
Avvertì
qualcuno sedersi
accanto a lei e si girò incontrando gli occhi scuri di Fred
che la osservavano.
<<
Ciao >>
sorrise lei.
<<
Ciao >>
Entrambi
rimasero in
silenzio e la ragazza spostò lo sguardo verso il panorama.
Non sapeva cosa
dire. Non era poi così brava nella conversazione, a volte
troppo timida per
iniziare a parlare.
Fortunatamente
ci pensò
lui perché a Laila non piaceva il silenzio.
<<
Senti, tu sembri
una brava ragazza, ma questa cosa non può funzionare
>>
Lei
aggrottò le
sopracciglia.
<<
Quale cosa?
>>
<<
Tu e Lucy
>>
Laila
aprì la bocca e lo
guardò negli occhi senza sapere bene cosa rispondere.
Abbassò lo sguardo sulle
sue scarpe e strusciò tra di loro le punte dei piedi, tanto
per tenersi
occupata.
<<
Non sto cercando
di rubarti la ragazza >> borbottò, continuando
a guardare il terreno.
Okay,
forse, e solo forse,
ci aveva pensato un paio di volte. Ma questo non significava che ci
avrebbe
davvero provato. Una cosa che avrebbe sempre rispettato erano i legami
tra le
persone e lei non avrebbe mai diviso qualcuno di sua spontanea
volontà, non si
sarebbe mai permessa. Non le piaceva giocare con i sentimenti.
Quel
pensiero le fece
tornare in mente un paio di occhi celesti e una folta chioma nera,
accompagnata
da un viso e da un corpo perfetto.
Scosse
la testa, cercando
di liberarsi dell’immagine di Arielle. Non si erano
più parlate.
Lei
non le si era più
avvicinata e Laila si era guardata bene dal farlo. Standole lontano
avrebbe
avuto più possibilità di dimenticarla.
Ma
Laila lo sapeva che non
era facile. Credeva di averlo fatto, di essersela finalmente tolta
dalla testa,
ma poi l’aveva rivista e le sue certezze erano crollate.
Perché
Arielle era
bellissima.
La
risata di Fred
interruppe i suoi pensieri, cogliendola di sorpresa. Laila
alzò il viso e cercò
gli occhi dell’altro che però non
riuscì ad incontrare. Il ragazzo era piegano,
con gli occhi chiusi ed una mano sulla pancia, cercando di fermare la
risata.
Ha una bella risata,
pensò Laila, è
divertente.
Il
Grifondoro si asciugò
gli occhi con la t-shirt che aveva indossato sotto il cappotto e
guardò
nuovamente la bionda ancora con un sorriso divertito stampato in viso.
<<
Lucy non è la mia
ragazza, è mia cugina >>
Laila
spalancò gli occhi e
lo fissò stupita.
<<
Ma non è questo
il punto >> riprese lui, tornando serio <<
Lucy ha problemi di
memoria >>
La
bionda sorrise e scosse
le spalle, rilassata.
<<
Oh, lo so, mi ha
detto di avere problemi a ricordare gli incantesimi >>
Fred
sospirò e si passò
una mano sul viso.
<<
I suoi problemi
sono leggermente più gravi di così
>> spiegò, evitando il suo sguardo
<< Lucy non si ricorderà di te, fra meno di un
mese >>
Laila
fece per parlare, ma
lui la interruppe.
<<
Ha avuto un
incidente più o meno un anno fa ed è ferma a quel
giorno. Vive un mese e poi
torna indietro dimenticando tutto l’accaduto >>
<<
E’-è impossibile.
Insomma lei sa di essere al quinto anno e sa ciò che succede
>>
Fred
la guardò di nuovo e
Laila sperò di leggere nei suoi occhi una bugia che,
però, non riuscì a
trovare.
Il
colore scuro degli
occhi della ragazzo era caldo e dentro quel calore si nascondeva solo
la
verità. Gli occhi di Fred sembravano incapaci di mentire.
Lui sembrava incapace
di mentire.
<<
Questo perché le
racconto tutto. Ogni volta. Ogni ventisettesimo del mese dimentica
tutto. E
dimenticherà anche te. Non è facile, Laila. Non
sei pronta >>
Fred
si alzò e si spolverò
i jeans. La salutò con un mano e se ne andò,
lasciandola sola.
L’intero
corpo studenti
esultò e Laila si guardò intorno, sorridendo
felice. O almeno, cercando di
apparire felice.
Aveva
vinto. Finalmente
aveva vinto.
Era
la campionessa di
Beauxbatons.
Osservò
la folla,
incontrando lo sguardo di Arielle che le sorrise maliziosa.
Continuò la sua
ricerca e finalmente trovò lo sguardo scuro di Fred, vicino
a lui Lucy
sorrideva e batteva le mani.
Osservò
il ragazzo. Aveva
ragione, quello non era affatto facile e mai lo sarebbe stato.
Era
pronta?
Laila
non lo sapeva.
Angolo
Autrice
Eccomi
dopo una settimana
a pubblicare il quindicesimo capitolo di questa storia!
Allora
comincio con il
dire che il primo ‘libro’ avrà 18
capitoli quindi ne mancano solo tre. Devo ancora
finire di scrivere il diciassettesimo, a cui manca una piccola parte e
tutto il
diciottesimo che non credo sarà lungo come gli altri
perché è una specie di
epilogo!
Ora
chiedo: come si fa a
creare una serie? Perché io non lo so ahah
Comunque
passiamo al
capitolo: allora riguardo alla pria parte non ho molto da dire solo che
mi
trovo sempre in imbarazzo a scrivere della vecchia generazione. Nemmeno
per le
altre parti ho molto da dire e lascio commentare voi!
Grazie a tutte, ci
sentiamo presto!
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo
16
<<
Jamie >>
James
sbuffò e in risposta
alla voce che l’aveva chiamato aumentò il passo.
Non era possibile.
Quella
ragazzina era una
maledizione. Lo salutava ogni volta che si incrociavano per i corridoi
o
semplicemente quando si trovava sotto un albero a leggere o studiare o
farsi i
benedetti fatti suoi, lo raggiungeva e si stendeva vicino a lui.
Non
si smuoveva nemmeno
dopo le sue più che esplicite richieste, fatte ovviamente
dopo una serie di
sbuffi così pesanti che solo quelli avrebbero dovuto far
volarla via.
Ma
lei no, non si
arrendeva. Continuava a sorridergli nonostante lui non lo facesse,
continuava a
salutarlo nonostante lui la ignorasse, continuava ad importunarlo
nonostante
fosse più che palese quanto quello gli desse fastidio.
<<
James >>
chiamò ancora la ragazza, allungando il passo a sua volta.
Ma le
sue gambe erano
decisamente più corte di quelle del ragazzo e dovette
mettersi a correre per
raggiungerlo.
Shailene
odiava correre,
lo odiava davvero. Ma continuava a corrergli dietro, ogni volta. E
nonostante
cominciava ad ammettere quanto quella situazione fosse ripetitiva, ed
anche un
poco ridicola a dir la verità, non le importava. Anzi, lo
considerava anche
divertente a volte.
Lei
che lo chiamava, lui
cercava di ignorarla per poi farsi raggiungere, sbuffare fino a non
finire ed
accettare la sua presenza.
<<
Jamie, ti devo
parlare >>
Con
l’ennesimo sbuffo il
ragazzo si fermò e si appoggiò ad una parete con
la schiena, rilasciando le
braccia lungo i fianchi.
Anche
Shailene si fermò.
Poggiò le mani sulle ginocchia e prese un paio di respiri
profondi, abbassando
la testa e lasciando che i capelli le coprissero il viso.
Aveva
già detto che odiava
correre?
<<
Certo che sei
veloce >> commentò, senza guardarlo
<< Quasi quanto lo eri sulla
scopa >>
Un
altro sbuffo.
<<
Che vuoi?
>> chiese sbrigativo.
Prima
quella ragazza se ne
andava prima avrebbe ritrovato la sua tanto amata solitudine.
Il
problema però era che,
nonostante la voce mostrasse tutto il contrario, James non era poi
così
scocciato. Non gli dispiaceva poi così tanto la sua
compagnia. Se fosse stato
così, si sarebbe allontanato lui stesso quando lei si
avvicinava e non si
sarebbe fermato in quel momento.
Non
gli piaceva, diciamo
solo che la odiava meno del resto del mondo.
E
quello Shailene lo
sapeva. Non era stupida e sapeva anche fin troppo bene che le gambe di
James
erano due volte le sue e, se si fosse messo a correre, non
l’avrebbe mai
raggiunto. Era per questo che continuava a cercarlo.
Perché
sapeva di non
essere invadente. O per lo meno non troppo.
<<
Vieni al ballo
con me >> disse sorridendo.
Lo
guardò negli occhi e
lui non vi lesse nessun cenno di incertezza o di paura. Sapeva
benissimo che la
risposta ‘no’ era tra le più papabili,
ma quello non sembrava certo fermarla.
Ma
James riconobbe un
pizzico di timidezza in quello sguardo e nelle guance imporporate di
rosso.
Non
riuscì a reprimere un
sorriso davanti al viso della ragazza, ma si ricompose subito dopo,
riprendendo
la maschera di indifferenza e menefreghismo.
<<
No >> disse
solamente.
Si
staccò dal muro e
ricominciò a camminare, ma con andatura più lenta
di quella precedente.
Shailene
lo raggiunse.
Incrociò le mani dietro la schiena ed alzò lo
sguardo curioso verso di lui,
come se non si fosse aspettata quella risposta, ma comunque non si
fosse offesa.
<<
Perché no?
>>
James
non la guardò.
<<
Perché non mi
piacciono i balli, perché non avevo intenzione di venirci e
perché non so
ballare >>
Ok,
forse avrebbe potuto
risparmiare l’ultima affermazione, anche perché
non era completamente vero.
Riprovò.
<<
E perché non
voglio andarci con te. Sei irritante >> concluse.
Shailene
perse il sorriso
solo per un attimo. Un attimo in cui aveva creduto davvero a quelle
parole. Un
attimo in cui aveva pensato che non la sopportasse.
Poi
l’aveva guardato negli
occhi e aveva capito che sì, la considerava decisamente
irritante, ma riusciva
a sopportare la sua presenza.
<<
Cosa credi ci sia
tra di noi, Shai? >>
La
ragazza ingrandì il
sorriso ad ascoltare quel soprannome e James si chiese se fosse
possibile
vederla triste o seria o arrabbiata, o semplicemente non vederla
sorridere.
E si
rispose che
probabilmente se Shailene avesse smesso di sorridere, qualcosa sarebbe
stato
sbagliato, perché quel sorriso sembrava così giusto.
<<
Siamo amici, no?
>>
Poi
accadde quello che
James non si sarebbe mai aspettato.
Shailene
arrossì, ma non
fu un timido rossore sparso sulle guance. Divenne decisamente rossa, un
rosso
forte, deciso.
James
non poté fare a meno
di sorridere perché in quel momento aveva un’aria
così dolce.
<<
Senti, noi non
siamo amici >>
<<
Mi odi davvero?
>> chiese allora la ragazza.
James
distolse lo sguardo,
incapace di mentirle mentre la guardava negli occhi.
<<
Non ti odio. Mi
sei indifferente come tutti gli altri >>
Shailene
annuì con
convinzione. Cercò il suo sguardo per l’ultima
volta e James si sentì in colpa
perché quando la guardò in viso si accorse che
non stava sorridendo.
<<
Capito >>
Rose
si guardò intorno con
aria circospetta e, dopo aver constatato che non c’era
nessuno, aprì la porta
della biblioteca, chiudendola subito dopo di sé.
Sapeva
di non dover essere
lì, non in quella parte della biblioteca al terzo piano, ma
non aveva saputo
resistere. Quella era la parte di sé che i genitori
probabilmente avrebbero
evitato volentieri di trasmetterle. Una curiosità
così acuta da sconfinare nel
pericolo.
Prese
dal mantello la sua
bacchetta e illuminò la stanza, sussurrando
l’incantesimo. Quella parte del
castello, in cui doveva ammettere di essere stata più di una
volta, era sempre
immersa nel buio più totale, nonostante fuori fosse a
malapena mezzogiorno.
Si
mosse tra gli scaffali
alti, cercando i libri sulla prima e sulla seconda guerra magica.
Aveva
programmato una
visita al reparto proibito subito dopo il primo duello al club dei
duellanti,
ma, a causa di un certo insegnate, non era riuscita ad andarci prima di
quel
pomeriggio.
Rose
non era stupida,
aveva ereditato la capacità intuitiva dalla madre, e di
certo non si sarebbe
fatta convincere da una scusa che stava a malapena in piedi.
Sbuffò
ripensandoci. Un club di duellanti per il Torneo Tremaghi.
Aveva
visto le espressioni
preoccupate sui visi degli insegnanti, anche su quello di Teddy, e
aveva letto
la preoccupazione anche nelle poche righe che sua madre le aveva
scritto.
Si
sedette su una sedia
impolverata e sfilò la lettera dal mantello, aprendola
nuovamente. Le parole di
Hermione erano state strane, confuse e preoccupate. Ad una prima
occhiata, e
soprattutto a chi non conosceva la strega, potevano sembrare semplici
raccomandazioni da madre. Ma Rose sapeva come era la donna e sapeva che
le
stava dicendo qualcosa. O che semplicemente aveva scritto senza davvero
tenere
in conto l’intelligenza della ragazza. Ma Hermione era troppo
intelligente per
lasciarsi scappare parole preziose e soprattutto l’importante
non era quello,
ma il fatto che qualcosa di strano c’era. E Rose
l’avrebbe scoperto.
Cara Rose,
non ci sentiamo da almeno una
settimana e mi manca
leggere quello che hai da dirmi. So che tua cugina è stata
scelta al Torneo
Tremaghi e che presto avrà il duello contro Lysander. Non
sarà facile.
Rose stai attenta a tua cugina, il
Torneo è sempre
stato pericoloso e gli avvenimenti sempre inaspettati.
So anche che Teddy ha intrapreso un
club dei duellanti
(portagli i saluti miei e di Ron). Ricorda, Rose, in tutto
ciò che fai presta
attenzione e non lasciarti trasportare.
Ti voglio bene,
mamma
Avvenimenti
inaspettati.
Ricorda, Rose. Presta attenzione in tutto ciò che fai. Non
farti trasportare
dagli avvenimenti.
Rose,
dopo aver passato
almeno un paio di notti insonni, era arrivata a delle conclusione.
Insolite, ma
comunque probabili.
Erano
tutti riferiti alla
guerra che avevano dovuto affrontare, quello che non si erano
aspettati,
l’attenzione ad ogni comportamento per sapere di chi potevano
fidarsi, chi si
era lasciato trasportare e si era adattato a decisioni non sue. E quel
‘ricorda
Rose’.
Era
evidentemente riferito
al club e al torneo passati. Il primo era stato instaurato in risposta
ad un
pericolo e il secondo non era stato proprio un successo.
Rose
aveva provato a
parlarne con Ted. Sbuffò al solo ricordo.
<< Cosa sta
succedendo? >> chiese la
ragazza diretta, irrompendo nell’ufficio di Ted subito dopo
il loro “duello”.
Il ragazzo alzò lo
sguardo dalle pergamene e fissò la
diciottenne. Sul viso era dipinto un sorriso di circostanza che a Rose
non
piacque per niente. Era solo qualche mese che erano fidanzati, ma la
ragazza
aveva imparato a riconoscere le sue espressioni e quel sorriso non
significa
niente di buono.
Stava per mentirle.
<< Cosa intendi?
>> rispose.
Si passò una mano tra i
capelli azzurri, che
cominciavano a prendere una sfumatura più pallida, segno di
agitazione. Abbassò
gli occhi sulle pergamene per evitare di incontrare il suo sguardo.
Era quello il segreto. Non guardare
gli occhi di Rose
o avrebbe spifferato tutto in men che non si dica e non poteva farlo.
<< Sai cosa intendo
>>
<< No, Rose
>>
La rossa sbuffò e si
portò i capelli ricci dietro
l’orecchio per poi guardare di nuovo il fidanzato che fingeva
di lavorare.
Odiava quando le persone le
nascondevano la verità.
<< Va bene. Vuoi fare
il finto tonto? >>
chiese retorica, riprendendo a parlare subito dopo <<
Intendo, perché
avete instituito un club dei duellanti? >>
Teddy alzò le spalle e
si sforzò di non far cambiare
il colore dei suoi capelli. Se avesse perso l’azzurro per
lasciare posto a un
bianco poco rassicurante di certo Rose avrebbe avuto la prova di quanto
le sue
parole fossero vere.
<< Per il Torneo
>>
<< Credi che sia stupida? >>
Rose strinse i pugni, cominciando
ad innervosirsi.
<< No, affatto
>>
<< E allora non
mentirmi >>
Teddy si alzò dalla
cattedra e si avvicinò a lei. Le
prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
<< Rilassati, Rose
>> disse, cambiando
discorso.
Le prese il mento e alzò
il viso all’altezza del sue,
guardandola finalmente negli occhi. Le lasciò un bacio a
fior di labbra, ma,
prima che potesse baciarla davvero, la ragazza si liberò
della sua mano e si
allontanò, guardandolo con fastidio.
<< Ted, se vuoi
tenere i tuoi segreti fai pure,
ma non trattarmi come se fossi stupida. So che sta succedendo qualcosa
e
qualunque cosa sia lo scoprirò, anche se non mi aiuterai
>>
Se ne andò e
sbatté la porta dietro le sue spalle.
Teddy sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
Ted
aveva cercato di tenerla
occupata il più possibile, ma la sua posizione di insegnante
significava anche
avere delle responsabilità che non poteva rimandare
così, mentre lui aveva una
lezione, Rose ne aveva approfittato.
Dopo
quella discussione e
la lettera di sua madre era ancora più certa che ci fosse
qualcosa da scoprire.
Che qualcosa stava succedendo. E lei poteva scoprirlo. Doveva
scoprirlo.
Prese
un libro e lo aprì,
cominciando a leggere.
Cosa
sperava di scoprire,
sinceramente, non lo sapeva. Ma da qualche parte doveva pur iniziare.
Dominique
uscì dal
dormitorio di Serpeverde, stringendo una lettera tra le mani e cercando
di
mantenere la sua solita espressione indifferente.
Strinse
entrambi i pugni
lungo i fianchi, quando Marie Smith e Sandra Jones le si avvicinarono
sorridendo. Non si preoccupò di ricambiare il sorriso, ma si
fermò prima di
imboccare l’uscita per il giardino e si lasciò
raggiungere dalle ragazze.
Tutto
ciò che doveva fare
era comportarsi normalmente, senza lasciar trapelare il suo turbamento.
<<
Ehi, Domi, hai
saputo? >> chiese Sandra.
Sul
viso di Marie si
dipinse un’espressione compiaciuta e la Serpeverde
capì che la ragazza si
riferiva alla foto che solo un paio di giorni prima era caduta dal
cielo,
inondando la Sala Grande.
Il
corpo di Dominique si
irrigidì all’istante e riservò alle due
un’occhiata di puro odio. Lorcan e
Lysander Scamander erano stati amici di famiglia sin da quando erano
nati e
tutti loro erano cresciuti insieme. Non che avesse stretto
chissà quale grande
rapporto con i due, come per tutti gli altri, ma questo non significava
che
godeva della loro umiliazione.
Strinse
maggiormente i
pugni, stropicciando la lettera e facendo diventare le nocche bianche.
<<
Che Nott ti ha
lasciata per correre dietro a mia cugina Roxanne? >> si
rivolse alla
Smith, che si irrigidì, ma non rispose alla provocazione.
<<
Ora se volete
scusarmi >>
Riprese
a camminare,
ignorando gli sguardi delle due puntati sulla sua schiena.
Uscì
nel giardino di
Hogwarts e si diresse sotto il Platano Picchiatore, poggiando la
schiena
davanti l’entrata della Stamberga Strillante.
Portò
le ginocchia al
petto e posò sopra di esse la lettera e sospirò,
guardandola truce.
Sinceramente avrebbe preferito se fosse arrivata qualche settimana, o
meglio
mese, dopo.
Il
retro recitava il suo
nome ed il nome del mittente: Gabrielle Delacoure.
Girò
la lettera e l’aprì,
chiudendo gli occhi e prendendo un grande respiro. Trattenne
l’aria per pochi
secondi per poi lasciarla andare.
Non
era pronta e mai lo
sarebbe stata, ma doveva trovare il coraggio per farlo.
Cara Dominique,
come ti senti? Come va la scuola?
Spero tutto bene.
Vorrei ritardare il più
possibile quello che sto per
dirti in questa lettera perché non è affatto
piacevole, ma so di doverlo fare
quindi mi sto costringendo a scrivere queste parole.
Ho ricevuto i risultati dal San
Mungo e sono ore che
fisso questo foglio bianco, cercando il coraggio di mettere tutto nero
su
bianco. Ma non è facile. Sono ore che piango.
Mi dispiace tanto, Domi, ma il tuo
tumore non è
curabile. Puoi sottoporti alla chemioterapia e guadagnare un paio di
mesi, ma
non andrà via.
È ormai al quarto stadio
e le metastasi hanno
raggiunto anche il fegato e i polmoni, non limitandosi solo al
cervello.
Ti restano cinque mesi di vita,
sette con le cure.
Presto arriverà la
lettera dall’ospedale, ma so che
volevi fossi io a dirtelo. Mi dispiace se non l’ho fatto nel
modo appropriato,
ma non so fare meglio di così.
Non volermene.
Con amore,
tua zia Gabrielle.
Dominique
rilesse la lettera
di nuovo ed una volta ancora fino a quando quelle parole non si
impressero
nella sua memoria con il fuoco, oramai irremovibili.
Lesse
ancora una volta per
assicurarsi di aver capito bene e lo fece di nuovo, cercando di non
concentrarsi sulle gocce bagnate che impregnavano la carta e
infastidivano
l’inchiostro.
Sua
zia aveva pianto anche
mentre scriveva.
Dominique
appallottolò la
carta e la gettò lontano, poggiando la testa sulle
ginocchia. Sapeva di stare
male, ma mai si sarebbe aspettata di stare così male.
Cervello,
fegato e
polmoni.
Era
fregata.
Cinque
mesi di vita.
Come
si poteva dire ad una
ragazza di diciotto anni che le rimanevano cinque mesi di vita?
Come
avrebbe detto a sua
madre che sarebbe morta, quando lei non sapeva nemmeno del suo
malessere? E a
suo padre? Victoire? Louis?
Louis
sarebbe crollato,
Dominique lo sapeva. Perché lui le voleva bene davvero, lui
sapeva chi era
davvero. A lui sarebbe mancata.
Forse
gli altri cugini
sarebbero addirittura stati contenti se si fosse tolta dai piedi.
Con
quel pensiero fisso in
testa, Dominique avvertì le guance cominciare a bagnarsi, ma
solo quando
l’acqua salata raggiunse le labbra disegnate si accorse che
quelle erano
lacrime.
Chiuse
gli occhi,
strizzandoli, come a voler togliere dalla sua mente quelle parole,
ormai
scolpite. Parole che l’avrebbero accompagnata fino alla
morte.
Non poi per così tanto. Pensò
Dominique con ironia, continuando a piangere.
Strinse le braccia intorno al busto e si dondolò, cercando
di calmare i
singhiozzi che, imperterriti, continuavano a scuoterle il petto e
interromperle
il respiro.
Aveva
scoperto il suo
tumore un anno prima mentre trascorreva le vacanze in Francia da sua
zia ed era
svenuta costringendola a portarla al San Mungo. Era questo
l’unico motivo per
il quale Gabrielle ne era a conoscenza, perché era stata con
lei.
Dominique
l’aveva pregata
di non dire niente a nessuno, nemmeno a suo marito e sua zia, dopo
pianti e
preghiere, le aveva dato ascolto dando al medimago il suo nome come
riferimento
e non quello della sorella.
Ma
adesso il tempo
stringeva e Dominique doveva rivelarlo a tutti. Dire che dopo cinque
mesi
sarebbe morta, perché lei non avrebbe fatto la terapia.
Che
senso aveva vivere due
mesi in preda al dolore? Senza sentire il tuo corpo? Perdere i capelli,
le
sopracciglia, il colore roseo delle sue guance. Perdere la sua bellezza
e la
sua forza, trovando solo debolezza, dolore e sofferenza.
Che
senso aveva continuare
a sopravvivere quando si era già morti?
Dominique
non voleva
morire, lei non l’aveva mai voluto, nonostante la sua vita
non fosse quella che
lei aveva sempre desiderato.
Non
aveva lasciato che
nessuno si avvicinasse a lei, essendo già di per
sé solitaria ed arrogante, poi
quando aveva scoperto la malattia aveva fatto di tutto per respingere
tutti
colore che tentavano di stabilire un rapporto. Ed adesso, seduta
sull’erba
fredda con la schiena a contatto con il legno umido, le ginocchia
strette al
petto, il respiro spezzato e la lettera stretta in una mano, i pugni
così
serrati da farle male e le lacrime che non volevano scomparire, si
chiese, per
la prima volta, se avesse agito nel modo più appropriato.
Era
sola. Non aveva
nessuno da cui andare, abbracciare e piangere tutta la notte. Sentire
false
parole di conforto che, per lo meno, davano l’illusione che
tutto sarebbe
potuto risolversi.
Sapeva
che non era così,
lo sapeva, ma ne aveva maledettamente bisogno. Aveva bisogno di
qualcuno che la
stringesse e le sussurrasse che l’avrebbero superata insieme,
che era forte
abbastanza per farcela, che non poteva immaginare la sua vita senza di
lei.
Cinque
mesi. Ancora cinque
mesi di solitudine. I suoi ultimi mesi.
Come
era morire? Cosa si
provava? Sarebbe stato lento per lei, doloroso, interminabile. Forse lo
meritava, dopotutto non era mai stata la figlia perfetta, la
studentessa
perfetta, l’amica perfetta, la ragazza perfetta, la cugina
perfetta.
Dominique
Weasley non era
perfetta. E questa consapevolezza la colpì come un forte
pugno allo stomaco.
Capì che lei perfetta non lo era mai stata.
Era
solo un involucro
bellissimo che nascondeva morte e desolazione. Cosa aveva dentro
Dominique?
Qualcosa
di brutto,
orribile, disgustoso.
Chi
era Dominique?
Lei
non lo sapeva. O
meglio, non voleva accettarlo. Non poteva accettare di essere solo una
ragazzina spocchiosa, arrogante, egocentrica, superba, cattiva. Dove
erano i
suoi pregi? Perché non riusciva più a vederli?
Un
urlo strozzato le uscì
dalle labbra carnose e lei non si preoccupò di nasconderlo,
non voleva
nasconderlo.
Urlò
ancora ed accartocciò
la lettera, lanciandola lontana e lasciandosi andare con un altro urlo.
Non
voleva più vedere quel
foglio, non voleva più guardare la realtà,
perché il suo mondo di finzione le
piaceva di più. Un mondo dove lei non era malata e poteva
permettersi di
allontanare tutti, perché sapeva che avrebbe poi avuto tempo
per poterli
riavvicinare.
Ecco
cosa voleva
Dominique, ecco cosa aveva nel suo mondo. Tempo.
Aprì
gli occhi e ritrovò
nel suo campo visivo non solo l’erba, ma la punta di un paio
di scarpe da
ginnastica. Si lasciò sfuggire un urletto, quasi spaventata,
e fece un salto
all’indietro, sbattendo con la schiena sul legno duro del
vecchio albero ed
esibendosi in un’espressione di dolore.
<<
Non lo sai che
piangere non risolve le situazioni? >>
La
ragazza alzò gli occhi
verso la voce maschile che aveva parlato e riservò
un’occhiataccia al ragazzo.
Riconobbe i lineamenti di Frank Paciock e sbuffò, cercando
di rendersi
presentabile e asciugarsi le lacrime che, però, non riusciva
a fermare.
<<
Non lo sai che
parlare così agli sconosciuti è maleducazione?
>> rispose saccente la
bionda.
Si
passò una mano sul viso
e tirò su con il naso, distogliendo lo sguardo da quello
scuro del ragazzo.
Frank
alzò le spalle con
disinteresse e si lasciò cadere sul prato davanti a
Dominique che storse le
labbra in una smorfia schifata.
<<
Tu non sei una
sconosciuta Domi >> disse lui, guardandola negli occhi.
La
mezza veela deglutì e
distolse lo sguardo dai profondi occhi castani di lui. Le tornavano in
mente troppi
ricordi che non voleva rivangare. Non di nuovo. Non adesso.
Ricordi
che tornavano ogni
sera e che aveva accettato nel caldo e nella solitudine del suo letto,
come
protezione dall’umidità dei sotterranei. Ricordi
che non poteva affrontare alla
luce del sole.
<<
Sì, lo sono,
adesso. Tu non mi conosci >>
Frank
sorrise e afferrò la
sua mano destra con la propria, mentre dava un colpetto sulla sinistra
e le
incitava a dargli il cinque.
Dominique
sbuffò ancora,
ma lo accontentò. Invertirono poi le mani e si diedero il
cinque con la
sinistra, unendole poi ancora e sbattendo i pugni subito dopo.
<<
Sbagli sempre.
Deve esplodere alla fine, Domi >>
La
ragazza scoppiò a
ridere, chiudendo gli occhi per il mal di testa che la colpì
subito dopo.
Odiava piangere.
Lo
guardò negli occhi e
abbatté le barriere nella sua testa, lasciando che i ricordi
si insinuassero
tra i suoi pensieri e la portassero indietro. A quando era felice. A
quando
aveva qualcuno. A quel periodo della sua vita che era durato troppo
poco.
Una bambina di sette anni stringeva
la mano di sua
madre mentre si dirigevano verso una casa pericolante e per niente
rassicurante. Ma Dominique adorava quella casa, adorava
l’odore delle frittelle
appena fatte di nonna Molly, adorava fare gli scherzi a Vic insieme a
Roxanne,
adorava vedere James e Fred fare qualche stupidaggine e venire poi
rimproverati
dai genitori, adorava parlare di magia con Rose, o ridere con Lily e
Hugo,
adorava aiutare Albus a trovare un modo per rubare i dolci senza che
gli adulti
se ne accorgessero. Adorava quando Lysander e Lorcan venivano.
Adorava la Tana.
Finalmente l’estate era
arrivata ed i bambini
avrebbero trascorso i tre mesi in quella casa che ognuno di loro amava
con
tutto se stesso per ciò che rappresentava per loro.
La porta di legno si
aprì e la figura di una donna
ormai anziana comparì sulla soglia. Dominique
lasciò la mano di sua madre e
corse tra le braccia della nonna, stringendola a sé e
stampandole un bacio
sulla guancia paffuta.
<< Benvenuta, cara
>> la salutò,
lasciandole un bacio sui lunghi capelli biondi << Stavo
giusto preparando
la cena >>
Dominique sorrise, mostrando un
paio di denti che
erano caduti e la nonna sorrise, riposandola a terra.
Entrarono insieme a Fleur e le
più grandi si diressero
in cucina, mentre lei corse nel soggiorno dove sapeva fossero i suoi
cugini.
<< Sono arrivata
>> urlò, entrando nella
stanza.
In un battito di ciglia si
trovò con il sedere a
terra. Si lamentò, aprendo i grandi occhi celesti e
fissandoli in quelli scuri
che si trovavano alla sua stessa altezza.
<< Chi sei?
>> chiese scocciata.
Il bambino davanti a lei
alzò le spalle.
<< Frank Paciock
>>
<< Dovresti chiedere
scusa >>
<< E per cosa?
>>
Dominique sbuffò e gli
riservò un’occhiata truce.
<< Per avermi fatta
cadere >>
<< Sei tu quella che
correva >>
La bambina sbuffò di
nuovo e, senza degnarlo di una
risposta, si alzò, si spolverò il vestitino e
andò dai suoi cugini.
Caro Frank,
non me la sto facendo sotto come
una femminuccia. E
comunque vorrei ricordarti che io sono una femmina, quindi ho il
diritto di
comportarmi da femmina.
Non dirmi che non sei impaurito per
lo smistamento
perché non ti credo. Perché di solito sei tu la
femminuccia tra di noi.
Ho paura di capitare in una casa
diversa dalla tua e
di non vederti più tanto spesso.
Ma ne parliamo sul treno, tra una
settimana.
Ti voglio bene
Dominique
<< Frank, sei qui?
>> Dominique si guardò
intorno, illuminando lo spazio circostante con la bacchetta e cercando
di
parlare a voce bassa.
Se Gazza l’avesse vista
in giro per il castello a
quell’ora di notte, sarebbe stata espulsa e concludere la sua
carriera
scolastica a tredici anni non era tra i suoi piani.
Nessuna risposta.
Una mano le afferrò il
braccio e Dominique saltò in
aria, con l’intenzione di urlare, ma un’altra mano
le coprì la bocca,
impedendoglielo. Venne trascinata in un corridoio buio che
scoprì essere poi
quello per Mielandia. Il passaggio segreto si chiuse ed una risata si
disperse
nell’abitacolo.
<< Sei sempre una
femminuccia, Domi >>
La ragazza colpì Frank
sul braccio ed incrociò le
braccia al petto, alzando il naso in su ed esibendo un’aria
offesa.
Le mani di Frank si posarono sulle
sue spalle e posò
la testa sul capo. Dominique arrossì.
<< Su, vieni, ho
messo da parte una scorta di cioccorane
solo per te. E questa volta ti costringerò a provare le
gelatine tutti i gusti
più uno. Non fare la schizzinosa >>
Dominique salì le scale
verso la guferia, ripetendo
nella sua testa il discorso che si era preparata.
Sperava che Frank non fosse in
ritardo o avrebbe perso
tutto il coraggio per affrontarlo. Ormai avevano entrambi quattordici
anni e
Dominique non poteva più mentire su quello che sentiva per
lui. Frank era il
suo migliore amico e la attraeva. La attraeva pericolosamente.
Era l’unica persona che
le stava vicina nonostante
ormai fosse diventata la reginetta insopportabile della scuola. I suoi
cugini e
lei si erano allontanati, tutti loro erano cambiati e avevano preso le
proprie
strade, ma Frank no. Lui era ancora lì e non era cambiato.
Aveva ancora
l’innocenza di un bambino e la spensieratezza di quando non
erano ancora ad
Hogwarts. Era quello che le piaceva di più.
Oltre ai capelli scuri e gli occhi
cioccolato così
profondi, le mani grande, le spalle large e anche quel filo di pancetta
che
aveva ancora. Le piaceva quell’aria da eterno bambino e anche
leggermente tonta
a volte, la stessa espressione del padre.
<< Ciao Domi
>>
Lui la salutò, quando la bacchetta della strega
illuminò il luogo
avvolto nella completa oscurità. Era gennaio, il cielo era
coperto e un vento
rigido fece rabbrividire la ragazza.
<< Ciao Frank
>>
La Weasley pronunciò
‘Nox’ e intascò nuovamente la
bacchetta. Preferiva l’oscurità,
l’aiutava con il suo discorso.
Dichiararsi non era così
facile per lei che non
l’aveva mai fatto. Dominique aveva cominciato a scoprire il
suo corpo ed aveva
capito che, in futuro, avrebbe voluto che solo Frank la toccasse come
vedeva
fare ai ragazzi più grandi di loro. Voleva solo lui.
<< Cosa volevi dirmi?
>> chiese il ragazzo,
avvicinandosi a lei.
Deglutì e chiuse gli
occhi nonostante non vedesse
niente ugualmente. Tutte le parole sparirono, lasciandola brancolare
nel buio
più assoluto. Lei provava a cercarle, ma tutto
ciò che avrebbe voluto dire si
era volatizzato nel nulla, lasciandola sola.
Il cuore batteva veloce,
così tanto da impedirle di
sentire altro.
Dominique respirò
pesantemente e poi si mosse. Alzò le
punte e poggiò le mani sulle spalle di Frank, riconoscendo
la loro consistenza.
Sfiorò la sua bocca con la propria.
Frank fece un passo indietro ed
illuminò la stanza con
la sua bacchetta.
<< Cosa fai?
>> chiese, sconcertato,
guardandola negli occhi.
Dominique arrossì.
Sentì l’imbarazzo farsi spazio in
lei e poi essere mandato via dalla delusione e dalla rabbia.
Strinse i pugni e trattenne il
respiro.
<< Pensavo di
piacerti. Per quale altro motivo
mi staresti affianco? >>
Frank la guardò stupito,
non riuscendo a ribattere.
Dominique sbatté un piede a terra e si girò di
spalle. Sentì gli occhi pungerle
e le lacrime arrivare.
<< Sei solo un
ragazzino immaturo ed io non
voglio avere niente a che fare con te >>
E corse via.
<<
Dominique, sono
ancora io e sono ancora qui. E tu sei ancora tu. Non sei cambiata
>>
La
strega distolse lo
sguardo, puntandolo sul punto dove aveva lanciato la lettera. Ma quella
non
c’era.
<<
Vuoi dire che
sono sempre stata una stronza insensibile? >> chiese,
girandosi di nuovo
verso di lui.
Ed
eccolo lì, il foglio
rovinato, ancora stropicciato, poggiato sulle gambe di Frank.
Il
ragazzo annuì con un
sorriso.
<<
Esattamente
>>
Dominique
scoppiò a
ridere.
Angolo
Autrice
Eccomi di nuovo qui
con un capitolo più che lungo che
tocca diversi punti.
Shailene che chiede a
James di accompagnarla al ballo e
la sua risposta negativa (ma non è finita qui, non
disperate), Rose e il
mistero con un piccolo momento Teddy/Rose ed infine, signori e signore,
il
grande segreto di Dominique Weasley e una piccola partecipazione del
nostro
nuovo personaggio Frank!
Allora ho appena
finito di scrivere i diciottesimo
capitolo e con quello si concluderà la prima storia della
serie! Non vedo l’ora
che lo leggiate!
Da adesso
comincerò a stendere a trama per la seconda
parte e spero di fare abbastanza in fretta!
Detto questo, non vedo
l’ora di conoscere le vostre
opinioni e sapere che ne pensate! Vi ricordo ancora FACEBOOK e
ringrazio chi legge, chi ricorda/segue/preferisce e soprattutto chi
recensisce!
Ci sentiamo presto!
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Shailene
si lasciò cadere
sul letto della sua camera, lasciando la testa al di fuori del bordo. I
capelli
lunghi toccavano terra, mentre gli occhi della ragazza erano fissi sul
soffitto, pensierosi. Aveva le mani congiunte in grembo, le gambe
piegate
coperte da una tuta sgualcita e le labbra piegate in una smorfia
confusa.
Axel
era invece seduto a
terra, una gamba piegata e l’altra distesa, le braccia
rilassate e gli occhi chiusi,
con un sorriso che aleggiava sulle labbra fine.
Alice
era in piedi,
appoggiata alla porta e lo sguardo annoiato puntato fuori dalla
finestra.
Indossava ancora la divisa scolastica perché non aveva avuto
ne tempo ne voglia
di tornare nei sotterranei per cambiarsi dopo le lezioni e poi andare
sulla
torre Corvonero per incontrarsi con i due.
La
stanza era immersa in
un silenzio tutt’altro che imbarazzante, ognuno di loro aveva
questioni a cui
pensare, domande da porsi, dubbi da risolvere.
Alice
si lasciò cadere a
terra, incrociò le gambe e portò le mani sulle
ginocchia. Stava bene, in quel
momento si sentiva parte di qualcosa. Chiuse gli occhi, ma la
consapevolezza di
non essere da sola rimase con lei e la fece sospirare di sollievo.
Quella
camera era disordinata ai limiti dell’immaginabile, Shailene
sembrava essere
impegnata in una riflessione da premio Nobel ed Axel era apparentemente
addormentato, ma ad Alice andava bene perché loro erano
lì.
Erano
lì e lei non era
sola. Erano lì e non l’avrebbero lasciata.
Alice
se ne rendeva conto
ogni giorno di più, aveva bisogno di persone di cui fidarsi,
perché lei non
bastava più. Aveva bisogno di sentire drammi adolescenziali
perché si era
stancata dell’indifferenza che provava. Aveva bisogno di
sapere come fosse
ridere così tanto da non riuscire a trattenere le lacrime,
perché lei lo aveva
dimenticato. Aveva bisogno di infastidirsi per un comportamento
inappropriato
perché sarebbe significato che le importava. Aveva bisogno
di qualcuno che
l’abbracciasse e si accorgesse delle sue ferite
perché lei continuava a
sanguinare.
Il
suo pensiero corse a
suo padre, quell’uomo che l’aveva sempre amata, ma
che lei aveva puntualmente
respinto, confinandolo al di là della sua freddezza. E
pensò a sua madre. A
quando era tornata a casa con un vestito nuovo e lei lo aveva lasciato
nella
busta in salotto senza nemmeno preoccuparsi di fingere di averlo visto.
A
quando non aveva risposto alla sua lettera. A quando aveva mandato al
diavolo
Neville dopo il discorso sui suoi voti.
Alice
aveva qualcosa di
sbagliato, lo sapeva. Lo sapeva perché non riusciva a
fidarsi di nessuno. Lo
sapeva perché non riusciva a sfogarsi in alcun modo. Niente
era più abbastanza.
Né le urla né il sacco da box. Perché
quella rabbia che provava, quella
inadeguatezza, restava lì, dentro di lei.
Ogni
giorno, ogni ora,
ogni minuto, ogni secondo.
Una
rabbia cieca. Verso
nessuno. Verso tutti. Verso se stessa. Verso la sua famiglia. Verso le
ingiustizie. Verso le gentilezze.
Verso
la vita.
Alice
era profondamente
arrabbiata con la vita. Il perché non lo sapeva. Ma sapeva
che la mattina,
quando si svegliava, era arrabbiata. Che la sera, quando si
addormentava, era
arrabbiata.
Ma in
quel momento, in
quella stanza, non lo era. Era serena.
<<
Non capisco
>> irruppe Shailene, rimanendo comunque immobile nella
sua posizione.
Alice
aprì gli occhi e la
guardò interrogativa, ma la ragazza cadde nuovamente nel
silenzio, grattandosi
una guancia con una mano e continuando a fissare il soffitto come se
tra le
crepe dell’intonaco potesse leggere le risposte che cercava.
<<
Shai, non è colpa
tua >> le rispose invece Axel, senza scomporsi
minimamente.
Gli
occhi ancora chiusi,
l’espressione ancora felice.
La
Corvonero scattò sul
letto, attirando di nuovo l’attenzione dell’altra.
Si mise seduta a gambe
incrociate, gomiti sulle ginocchia e posò la testa sulle
mani, aggrottando le
sopracciglia.
<<
Ma non capisco
>> ripeté ancora.
Alice
alzò un
sopracciglio, continuando a fissarla in silenzio. Shailene era strana.
Seguire il
suo filo di pensieri risultava più di qualche volta davvero
complicato ed Alice
aveva imparato che, se davvero voleva una risposta esauriente, doveva
allora
chiedere il motivo del problema, altrimenti la ragazza avrebbe
continuato a
blaterare frasi senza alcuna connessione logica.
<<
Cosa non capisci?
>> chiese allora, chiudendo nuovamente gli occhi.
<<
Perché mi ha
detto di no >>
<<
James? >>
chiese conferma la ragazza.
<<
James >>
rispose l’altra, sospirando.
Shailene
davvero non
riusciva a capire. Le parole di James erano rimaste scolpite nella sua
testa e
non volevano saperne di scomparire.
“Mi sei indifferente come tutti gli altri”
Non
capiva. Avevano
passato del tempo insieme ed il ragazzo non sembrava indifferente. Non
che le
avesse dato chissà quale segnale, ma non si comportava come
faceva come tutti
gli altri. Le parlava, non la scacciava. Qualche volta le sorrideva.
<<
Shai non
preoccuparti, andrà meglio la prossima volta
>> la rassicurò il cugino.
Shailene
sbuffò e si stese
sul letto con un tonfo sordo, chiudendo nuovamente gli occhi.
Perché
le persone si
complicavano la vita da sole? Non bastavano i problemi che si ponevano
ogni
giorno?
La
vita andava presa con
leggerezza, con serenità. Bisognava afferrare ogni occasione
come se fosse
l’ultima e bisognava vivere al massimo, senza paure. Ma chi
non ha paura?
La
paura fa parte
dell’essere umano. È il primo sentimento nato, la
prima emozione che tutti
proviamo. È la paura che governa la vita.
La
paura del passato. La
paura del presente. La paura del futuro.
C’è
chi ha paura dei
ragni, chi dei serpenti. C’è chi teme di essere
dimenticato, chi di non essere
amato. Chi ha paura di non valere abbastanza, dei sentimenti, delle
parole, dei
gesti, delle azioni, delle novità, delle perdite e delle
conquiste. E chi ha
paura del concetto della paura stessa.
E
Shailene lo sapeva che
James aveva paura. James era pieno di paure che mai avrebbe potuto
superare da
solo. Quelle paure l’avevano schiacciato. Quelle paure
avevano schiacciato
tutti gli studenti della scuola.
Non
avevano bisogno di un
mostro per avere paura. Le persone sono brave a distruggersi da sole.
Non c’era
bisogno dei dissennatori per portare via la felicità,
perché il genere umano ha
la capacità di rendere tutto triste, scuro, buio. Anche
quando c’è la luce.
Anche
quando non ce ne è
bisogno.
Shailene
era umana.
Shailene aveva paura come tutti gli altri. Sapeva che Alice aveva paura
di
restare sola, sapeva che Lily e Hugo avevano paura di deludere il
mondo, sapeva
che Scorpius aveva paura di un rifiuto e che Dominique aveva paura
della
vicinanza di qualcuno, sapeva che Lorcan aveva paura di essere se
stesso, che
Lysander temeva l’indifferenza, Lucy aveva paura di
dimenticare, Freddie di
essere visto. E ancora, aveva osservato Laila ed aveva capito che aveva
paura
della solitudine e del silenzio, Filip di fallire, Ted delle
costrizioni, Rose
dei pregiudizi. Cassandra della notorietà, Alec delle
opposizioni, Albus delle
prove, Louis dei confronti, Roxanne di esporsi troppo, Arielle di
essere
ignorata, Frank delle perdite.
Quel
castello era pieno di
paure e Shailene non riusciva a credere che Axel non ne avesse nemmeno
una.
Lo
osservava. Lo guardava.
Lo studiava. Ma non riusciva a vedere niente. Non capiva. Axel sembrava
immune.
Sembrava libero, ma lei lo sapeva che essere liberi era impossibile. Il
terrore, quello non se ne va mai. Resta con te.
Ma,
lui, di cosa aveva
paura?
<<
Axel >>
<<
Mhmh >>
<<
Hai paura?
>> chiese semplicemente lei, restando con gli occhi
chiusi.
Alice
puntò lo sguardo sul
ragazzo giusto in tempo per vederlo sorridere. Axel sospirò.
<<
Sì >>
rispose, sicuro.
<<
Di cosa? >>
Il
silenzio cadde nella
stanza e i tre ragazzi aspettarono. Shailene aspettava di sapere, Alice
aspettava
di capire ed Axel aspettava di scoprire. Scoprire la sua paura.
Perché
lui non ci aveva
mai pensato. Non ci aveva mai riflettuto, ma sapeva di averne una.
<<
Di avere paura
>> rispose infine.
Aveva
paura di svegliarsi
un giorno e scoprire di aver paura di qualcosa. Di un compito, di un
discorso,
dei sentimenti, della morte. Di qualunque cosa. Aveva paura di avere
paura. Era
terrorizzato dall’essere bloccato.
Shailene
non rispose.
Alice
ragionò in silenzio.
Axel
nascose la sua paura
in un cassetto. Ed era così che andava avanti. Non, non
avendo paure, ma
ignorandole, nascondendole, cercando di non curarsene.
<<
Tagliati i
capelli >> disse improvvisamente Axel.
Shailene
sbarrò gli occhi.
<<
Come scusa?
>>
<<
A volte un
cambiamento porta cambiamenti >> si intromise Alice,
alzandosi dalla sua
posizione.
Si
avvicinò al letto della
Corvonero e si sedette sul materasso.
Axel
sorrise ed aprì gli
occhi, alzandosi a sua volta.
<<
I capelli sono un
punto di raccolta per i Gorgosprizzi che confondono chi ti guarda.
Magari è ciò
che è successo a James* >> spiegò
Axel.
Shai
deglutì e guardò i
due amici.
Oh,
beh, quella era una
delle sue paure. Le piacevano i capelli lunghi.
Sospirò.
<<
Tagliamoli
>> decise, alzando le spalle.
<<
Buongiorno a te
>>
James
alzò lo sguardo dal
piatto della sua colazione oramai mezzo vuoto, mentre stringeva nella
mano
destra una tazza di caffè macchiato.
I
suoi capelli quella mattina non ne avevano proprio voluto sapere di
mettersi apposto
e, dopo svariati tentativi, aveva lasciato perdere, uscendo sbuffano
dalla
porta del suo dormitorio.
Si
spostò con la mano
libera un paio di ciuffi caduti davanti agli occhi ed
osservò la ragazza seduta
davanti a lui.
Shailene
gli sorrise,
portandosi una ciocca di capelli cioccolato dietro l’orecchio
e dando un morso
al cornetto appena afferrato.
James
sbatté le palpebre
un paio di volte, cercando di capire se quello che avesse davanti fosse
un
sogno o più semplicemente se la stanchezza cominciasse a
giocargli brutti
scherzi, dandogli le allucinazioni. La fissò ancora per
qualche secondo, bevve
un sorso di caffè dalla sua tazza, poi si decise a parlare.
<<
Ti sei tagliata i
capelli >>
Il
tono era un misto tra
una domanda e un’affermazione.
<<
Che perspicacia
>> rispose la ragazza, rivolgendogli un altro sorriso.
Il
Grifondoro la fissò
ancora. I capelli cioccolato, prima lunghi fino alla vita, arrivavano
adesso
poco sopra le spalle in onde leggere ed appena accennate. I riflessi
rossi
sembravano più evidenti, messi in risalto dalla luce che li
colpiva, insolita
per quel periodo dell’anno. Il viso sembrava quasi
più pieno con quel taglio di
capelli e le conferivano un’aria più matura, ma
allo stesso tempo più
sbarazzina accentuata dal sorriso radioso e gli occhi espressivi,
tendenti al
verde.
La
linea del taglio non
era precisa, dando spazio a qualche ciuffo più lungo e
qualcuno più corto di
tanto in tanto.
Le
stavano bene. le
stavano bene davvero.
<<
Li hai tinti?
>> chiese ancora incredulo.
Shailene
scosse la testa e
si passò una mano tra l’oggetto
dell’attenzione di James, sbuffando quando si
rese conto che erano già finiti. Erano davvero corti per
lei.
<<
Ti piacciono?
>> domandò, afferrando un altro cornetto e
riempendo nuovamente la tazza di
caffè.
Si
sentiva energica,
pronta a tutto. Alle lezioni, alla riunione Weasley/Potter alla quale
partecipava come invitata speciale, a chiedere nuovamente a James di
accompagnarla al ballo. Non le importava della risposta.
<<
Ti stanno davvero
bene >> si lasciò sfuggire il ragazzo a bassa
voce.
Un
sussurrò abbastanza
rumoroso da arrivare alle orecchie della Corvonero e farla sorridere
contenta.
<<
Ma perché li hai
tagliati? >> chiese ancora lui.
James
non aveva la forza
quella mattina di continuare a recitare, di continuare a comportarsi
come aveva
fatto in quel momento. Era così stanco da non riuscire
nemmeno a controllare le
parole che diceva.
Quella
notte non aveva
dormito. Era rimasto nel letto, girandosi tra le coperte e pensando
incessantemente all’incontro del club che avrebbe avuto
quella mattina. Era
stato rimandato quella domenica. Lo avrebbero fatto nel pomeriggio, ma
James
non era sicuro di riuscir a vincere l’incontro di quella
giornata.
Shailene
alzò le spalle
non curante.
<<
A volte un
cambiamento porta cambiamenti >> disse con voce solenne,
annuendo con la
testa.
<<
Chi lo ha detto?
>> chiese divertito James.
Shai
sorrise ancora.
<<
Alice >>
James
bevve ancora dalla
sua tazza e morse un cornetto per nascondere un sorrisino che era
appena
spuntato sul suo viso.
Quella
ragazza era uno
spasso. Era gioia e divertimento puro.
<<
E che cambiamento
vorresti nella tua vita? >>
<<
Vieni al ballo
con me >> disse ancora Shailene, sicura.
James
smise di sorridere e
si accigliò. Poggiò la tazza sul tavolo e
guardò la ragazza sospirando.
<<
Non fa per me
>>
<<
E’ solo un ballo
>>
<<
Non fa per me
>>
La
Corvonero sospirò e
alzò gli occhi al cielo, ma dopo cinque secondi riprese a
sorridere. Si alzò
dalla panca e la scavalcò, poi si sistemò i jeans
e il maglione sgualcito.
<<
Vieni con me
>>
<<
Non lo farò
>> affermò James, seduto sull’erba.
Shailene
fece un paio di
giri intorno a lui, volando sulla sua scopa nuova di zecca. Sua zia
Laura ne
aveva inviata una a lei e una ad Axel la settimana scorsa, dicendo che
erano il
regalo di Natale arrivato in anticipo.
Shailene
non avrebbe
trascorso il natale con loro quell’anno, nonostante le sue
continue proteste.
Laura l’aveva quasi costretta ad andare in Italia dalla sua
‘famiglia’ babbana.
Aveva cercato di opporsi, ma la zia si era imposta ed aveva
già comprato il
biglietto aereo, sostenendo che non sarebbe potuta presentarsi nel
camino di
una casa di babbani. Sarebbero morti tutti d’infarto
istantaneo.
L’aveva
accettato per
adesso, ma non si sarebbe arresa tanto facilmente. Il natale per lei
era un
periodo da passare a casa di Luna insieme ai gemelli Scamander ed Axel
per poi
recarsi qualche giorno alla Tana e festeggiare con i Weasley e i
Potter,
ospitata da Lily.
<<
Non pensavo fosse
così codardo >> disse Shailene, stuzzicando
James.
Il
ragazzo strinse le
labbra e cercò di convincersi a resistere e non cedere alle
sue provocazioni.
Purtroppo quella non era mai stata una sua caratteristica.
<<
Non ho paura.
Semplicemente non fa per me >>
Shai
sbuffò e si alzò di
qualche metro da terra, lanciandogli un’occhiata di sfida.
<<
Sembra la tua
frase preferita >> disse, volteggiando in aria e
saggiando la libertà che
provava in sella alla scopa << Ammettilo che in
realtà hai paura. Paura
di ballare e paura di volare. O meglio paura di perdere una gara di
volo contro
di me >>
Per
enfatizzare le sue
parole, la ragazza aumentò la velocità fino ad
arrivare ad un albero vicino ed
afferrare una seconda scopa, poggiata lì appena qualche
minuto prima.
Si
trovavano nel giardino
di Hogwarts, poco distanti sia dalla Foresta Proibita sia dal Lago
Nero.
La
Corvonero tornò
indietro e lanciò la scopa a James che
l’afferrò immediatamente.
<<
Hai ancora i
riflessi da cercatore >> commentò lei, sorrise
ancora << Ma capisco
che senza allenamento tu non possa battermi. Non preoccuparti, capita a
tutti
di essere impreparati >>
James
sbuffò e sorrise, oramai
sicuro che la ragazza avrebbe vinto quella battaglia. Si
alzò e montò in sella
alla scopa rovinata di proprietà della scuola, si diede una
piccola spinta con
i piedi e si liberò in aria, raggiungendo Shailene, che
sorrideva vittoriosa,
in pochi secondi.
<<
Questa sfida non
è equa >> esordì lui
<< La mia scopa appartiene al secolo scorso
>> si lamentò.
<<
E il migliore
cercatore di Hogwarts si fa fermare da queste piccolezze?
>> chiese
retorica, guardandolo co sfida << Mi deludi
>>
James
sbuffò e si
posizionò meglio sulla scopa.
<<
Tre >>
<<
Due >>
<<
Uno >>
<<
Via >>
I due
ragazzi partirono.
Shailene si piegò sul manico di scopa e spinse di
più con le gambe, cercando di
aumentare la velocità, imitata da James nei movimenti. Il
ragazzo afferrò la
scopa all’estremità e si spinse più in
là, superando la ragazza di qualche
centimetro.
<<
Guarda lì
>>
James
indicò un punto in
cielo e la Corvonero si voltò a guardarlo, lasciando che lui
la superasse.
Il
manico di scopa del
Grifondoro fu il primo ad attraversare la linea del
‘traguardo’, ovvero la riva
opposta del Lago Nero. La mora diminuì la
velocità, ma non si fermò quando
incontrò James sulla strada, sbattendo contro di lui e
facendolo cadere a terra
con il corpo sotto il suo.
Rotolarono
per un paio di
metri mentre i manici di scopa cadevano sull’erba. Shailene
si trovò seduta sul
suo bacino e fu colta da un déjà-vu del loro
primo incontro.
<<
Cerchi di
uccidermi? >>
<<
Hai barato
>> rispose la ragazza, cercando di imitare una voce
infastidita, ma
continuando a sorridere.
James
rise e si tirò su
con il busto, avvicinandosi notevolmente e facendola arrossire. Si
sentiva
strano. Si sentiva leggero.
Una
sensazione che dopo
tutti quegli anni aveva quasi dimenticato.
I
loro visi erano a meno
di venti centimetri di distanza ed entrambi sentivano la vicinanza
dell’altro.
Shailene si sentì imbarazzata. Si sentì nuda
sotto lo sguardo di James, sotto i
suoi occhi nocciola così vicini, sotto il profumo
così mascolino, sotto le
labbra aperte in un ghigno ironico.
Riconobbe
quel James che
osservava quando aveva undici anni, riconobbe quel James di cui Lily le
parlava.
Il
ragazzo si avvicinò di
più e la castana arrossì maggiormente.
<<
Ti rendo nervosa,
Shailene? >> sussurrò.
La
ragazza schioccò la
lingua sul palato e cercò di reprimere l’imbarazzo
e la timidezza per una
situazione così nuova.
<<
Sì >>
rispose con sincerità alzando le spalle << Ed
io? Ti rendo nervoso James?
>> sussurrò si rimando, avvicinandosi ancora
di più.
I
loro nasi si sfioravano
e se solo avessero mosso le labbra avrebbero toccato quelle
dell’altro.
James
posò le mani sui
suoi fianchi e chiuse gli occhi ispirando.
<<
Mi fai sentire
leggero >>
Un
sussurro che fece
sfiorare le loro labbra. Un sussurro che fece sorridere Shailene. Un
sussurro
che cambiò qualcosa nel loro rapporto.
<<
Vieni al ballo
con me >>
James
sospirò.
<<
No. Non fa per me
>>
Shailene
sbuffò, ma
sorrise. Si avvicinò ancora al ragazzo e sfiorò
leggermente le sue labbra prima
di lasciargli un veloce bacio sulla guancia.
<< Ehi, amico, cosa ti
è successo? >>
Una
voce ormai conosciuta
raggiunse le orecchie di James appena fuori dalla foresta proibita. Il
ragazzo
si fermò, aspettando che Alec lo raggiungesse.
Tutto
ciò che il
Serpeverde mostrava era un livido appena accennato sulla guancia, messo
in
evidenza dallo strato di sudore che risplendeva sulla pelle.
D’altro canto il
Grifondoro portava dei segni ben più profondi. La parte
inferiore del viso era
completamente coperta da sangue, gli zigomi riportavano grandi e scuri
lividi e
il sopracciglio destro rilasciava una strisciolina di sangue che
arrivava fino
all’occhio.
James
tirò su on il naso e
passò il braccio sulla bocca, pulendola e lasciando una scia
insanguinata
sull’avambraccio.
<<
Sono solo un po’
distratto >> rispose, riprendendo a camminare.
Alec
asciugò il sudore
dalla fronte e annuì come se avesse capito il problema
dell’altro.
<<
Queste ragazze ci
portano via tutte le energie >>
Il
Grifondoro alzò un
sopracciglio divertito e ghignò, osservando
l’espressione corrucciata e seria
del compagno di scuola. Detta da Alexander Nott quella frase assumeva
una sfumatura
ironica.
<<
Oh, beh,
scommetto che mia cugina non ti lascia nemmeno respirare
>>
Alec
sospirò affranto.
<<
Esatto. Roxie è
sempre intorno a me, ma come biasimarla? È difficile
resistermi >>
<<
Roxie? >>
Il
Serpeverde annuì
convinto.
<<
Le piace quando
la chiamo così >>
James
scoppiò a ridere e
si piegò su se stesso, poggiando le mani sulle ginocchia.
Una fitta
particolarmente forte dallo stomaco maltrattato nel combattimento lo
colpì
all’improvviso, costringendolo a tossire un paio di volte.
Guardò in alto verso
l’altro e si passò una mano sulla fronte.
<<
Mi hai ucciso
>> disse.
Alec
alzò le spalle noncurante
e ricominciò a camminare.
<<
Beh, l’ultima
volta le parti erano invertite >>
James
lo raggiunse e si
sedette sulla riva del Lago Nero, lanciando un’occhiata alla
spiaggia opposta
dove solo poco tempo prima era con Shailene.
<<
E’ carina. Strana
ma carina >> commentò Alec.
Si
lasciò cadere sull’erba
e sospirò, lamentandosi per la botta che il suo povero e
bellissimo sedere
aveva preso, facendo ridere James.
Si
sentiva diverso
ultimamente. Sentiva delle emozioni anche quando non si trovava con
Lily,
cominciava a provare delle cose, a sorridere senza accorgersene a
sentire
nuovamente il bisogno di parlare.
Come
quando era bambino.
Cominciava
a sentirsi
vivo. James era arrivato ad un punto dove nemmeno la rabbia poteva
risvegliarlo, poteva essere considerato un morto che cammina, un guscio
vuoto,
senza sentimenti.
Senza
niente.
Ed
adesso cominciava a
ricredersi, cominciava a ricordare come era vivere. E gli piaceva.
Sorridere
appariva naturale, ridere come qualcosa che gli appartenesse, parlare
come se
non avesse mai smesso.
Alec
e Shailene gli davano
la voglia di provare delle emozioni. Era però Lily
l’unica a dover essere
ringraziata per aver mantenuto viva la speranza. Per non averlo fatto
morire.
<<
E’ irritante
>> rispose, alzando le spalle.
Alec
alzò le sopracciglia
un paio di volte e gli rivolse un’occhiata scettica.
<<
Non ci credi
nemmeno tu >>
<<
Stai attento
>> lo avvertì James, cambiando discorso.
<<
A cosa? >>
<<
A Roxanne. Quella
ragazza è forte, davvero forte >>
Alec
rise, ma gli rivolse
poi uno sguardo quasi intimorito.
<<
In effetti un po’
mi fa paura >>
<<
Ne fa a tutti
>>
<<
Puoi farcela
>> ripeté la ragazza per l’ennesima
volta.
Lily
Potter era davanti
allo specchio del bagno, le mani poggiate sul lavandino e gli occhi
fissi sul
suo riflesso. Prese un grande respiro e trattenne l’aria per
qualche secondo,
provando a calmarsi, ma la sua testa ed il suo corpo non volevano
proprio
saperne. Il suo cervello continuava a proiettare immagini di lei
sconfitta
durante il duello o peggio, andando più in la nel tempo, di
lei morta durante
una delle prove del torneo, mentre il suo corpo non smetteva di
tremare.
Chiuse
gli occhi, cercando
di bloccare. Bloccare la sua mente, bloccare le gambe che sembravano
così
instabili.
Lily
non era suo padre,
non dava il meglio di sé sotto stress, non riusciva a
mantenere la calma quando
era sotto pressione. Una semplice ragazza. Lily era una semplice
ragazza.
Ma
non era quello che
tutti si aspettavano da lei. La semplicità, la
normalità non era ciò che le
persone si aspettavano dalla figlia del grande Harry Potter.
<<
Puoi farcela
>> disse ancora, fissando gli occhi nocciola.
Strinse
la presa sul
lavandino e raddrizzò le spalle, cercando di darsi coraggio.
Era
il grande giorno,
quello del suo duello. Quello che avrebbe deciso se si sarebbe
presentata al
ballo come la campionessa o come colei che aveva perso.
Il
giorno che avrebbe
deciso se fosse davvero degna del cognome che portava o se non avesse
niente del
padre.
Dopo
la caduta psicologica
di James e le chiare dimostrazione delle differenze di Albus, il mondo
magico
aveva riposto tutte le sue speranze per qualcosa di fantastico nella
piccola
Potter. Lily aveva sempre sentito la pressione, il peso che le gravava
sulle
spalle. L’obbligo di essere speciale.
Questa
era la sua
occasione per dimostrare di esserlo davvero. Per rendere fiero suo
padre,
nonostante lo fosse sempre.
Harry
non aveva bisogno di
grandi dimostrazioni per essere fiero della sua bambina. Amava Lily,
l’amava
con tutto se stesso. E l’ammirava, perché la sua
piccola Lily era speciale, lo
era sempre stata.
<<
Puoi farcela
>>
Lily
chiuse gli occhi ed
aspettò cinque secondi nel buio, poi li aprì e si
staccò dal lavandino. Lanciò
un’ultima occhiata al suo riflesso e abbandonò lo
specchio. Prese un respiro ed
uscì dal bagno.
Poteva
farcela.
<<
Ecco a voi
l’ultimo duello che precederà il Torneo Tremaghi.
Scopriremo tra poco l’ultimo
campione >> disse Teddy.
Spostò
lo sguardo dal
grande pubblico e lo posò su Lily alla sua destra,
rivolgendole un sorriso e
uno sguardo di incoraggiamento, lanciò un’occhiata
anche a Lysander che
sorrideva apparentemente rilassato. Lily trattenne il fiato e si
sforzò di
muovere gli angoli della bocca e di sorridere.
<<
Che il duello
abbia inizio >>
Lupin
scese dal palco e si
unì ai professori che osservavano i due ragazzi. Il silenzio
cadde tra le
scuole e tutti gli occhi si posarono sui due.
Lily
e Lys si
fronteggiarono alzando la bacchetta e rivolgendosi sorrisi di sfida,
che
nascondevano da entrambe le parti paura, eccitazione e ansia. Si
separarono di
tre passi l’uno dall’altra e aspettarono il tre
dell’insegnante di difesa
contro le arti oscure.
Uno.
Due.
Tre.
Il
primo incantesimo partì
dalla bacchetta di Lysander, ma mancò il bersagli,
scagliandosi contro il muro
dietro la ragazza che, come contrattacco, utilizzò uno
schiantesimo che riuscì
a sfiorare lo sfidante.
Si
guardarono negli occhi
e nello stesso momento i due studenti
lanciarono un incantesimo di disarmo che si infranse
contro quello
dell’altro, scatenando delle scintille. Lysander fu il primo
a riprendersi
dallo scontro e a lanciare un altro incantesimo che questa volta
colpì il
bersaglio, scaraventando la ragazza indietro e facendola cadere a
terra.
L’intera
stanza trattenne
il fiato e guardò ad occhi sgranati la Grifondoro che,
stringendo con forza la bacchetta,
lanciò un confundus all’avversario
prima che potesse disarmarla. Lysander si riprese appena in tempo per
ripararsi
dallo schiantesimo della rossa.
I due
ragazzi si
guardarono negli occhi per una manciata di secondi, cercando di
anticipare la
mossa dell’altro o, per lo meno, di cercare una buona difesa.
Lily prese un
lungo respiro e cercò di non perdere il contatto visivo,
mentre con la coda
dell’occhio destro vedeva la bacchetta dell’alto
muoversi verso l’alto. In un
battito di ciglia delle fiamme si librarono in aria, procedendo
velocemente
verso la ragazza che, all’ultimo momento, riuscì a
ripararsi con uno scudo
d’acqua. Il fuoco però non venne completamente
domato e Lysander lo rafforzò
con un’altra ondata di fiamme che si unirono alle vecchie,
formando una spirale
rossa.
La
diciassettenne guardò
ipnotizzata il fuoco ad occhi sbarrati e fece un paio di passi indietro
quando
avanzò verso di lei. Il pavimento di legno bruciò
e le fiamme si propagarono
per tutta la piattaforma, circondando i due ragazzi e liberando una
dose
massiccia di fumo.
Teddy
lanciò un’occhiata
preoccupata alla McGrannit che annuì ed il professore
liberò un incantesimo di
protezione che limitò l’ardemonio al campo di
battaglia.
Lysander
evocò facilmente
uno scudo acqueo che domò il fuoco ed il calore intorno a
lui. Lily, d’altro
canto, osservò spaventata il fumo e le fiamme che la
circondavano.
Era
in trappola.
Una
delle punte infuocate
di trasformò nella testa di un drago che ruggì
contro di lei, facendola
indietreggiare ancora.
Sussurrò
un protego che le
allontanò di poco, ma
dopo cinque secondi tornarono all’attacco, colpendola di
striscio al viso e
facendola gemere di dolore lasciando una piccola bruciatura accanto al
sopracciglio e un alone nero a circondarla. Lily cadde a terra ed
impugno la
bacchetta, cercando di domare le fiamme.
<<
Expelliarmus
>> urlò Lysander, colpendo in pieno la
ragazza.
La
bacchetta di Lily volò
in aria e cadde a terra vicino al palo. La rossa osservò
l’ardemonio venir
domato dal vincitore e in pochi secondi il fuoco ed il calore
sparirono,
lasciando solamente una nuvola di fumo.
Lily
osservò il campione
di Hogwarts.
Aveva
fallito.
Aveva
perso.
Cara Rose,
come stai? Come sta Hugo? Ho saputo
che oggi si terrà
il combattimento di tua cugina, spero che nessuno si farà
male.
Ho ricevuto la tua risposta ed i
documenti che hai
trovato nella biblioteca scolastica ( anche se non approvo la tua
decisione di
andare nel reparto proibito).
Mi dispiace dire che, purtroppo,
hai ragione. Qualcosa
succederà presto. Qualcosa sta già succedendo.
Non so che cosa sia, nessuno lo sa,
ma credo sarà più
grande e più pericoloso di ciò che è
accaduto a noi. Presto, molto presto,
Hogwarts lo saprà perché dopo gli ultimi eventi
sarà impossibile nasconderlo.
Rose, qualcosa si muove
nell’ombra e voi dovete essere
pronti ad affrontarla, dovete essere in grado di difendervi.
Mi dispiace dirti di non poterti
aiutare. Brancoliamo
nel buio, ma stiamo cercando di scoprire qualcosa.
Fai attenzione Rose, non
avventurarti in posti in cui
sarai lontana dal castello e soprattutto non andare da sola. Stai
lontana dalla
Foresta Proibita e cerca di restare lontana dai guai e tenere lontano
anche tuo
fratello.
Harry, io e to padre stiamo
indagando. Ti darò presto
notizie.
Ti voglio bene,
Mamma
Rose
sospirò, ripiegando
la lettera e poggiandola sulle ginocchia piegate. La gonna della divisa
scolastica si alzò leggermente sulle gambe magre della
ragazza che strinse le
braccia intorno al busto. Poggiò il viso sulla finestra ed
osservò il temporale
che infuriava fuori dal castello.
La
biblioteca era
silenziosa e completamente vuota. I Grifondoro festeggiavano nella
torre rosso
oro, mentre Hugo, Shailene e Axel avevano trascinato Lily a Mielandia
tramite
il passaggio segreto per tirarle su il morale dopo la sconfitta.
Le
altre case erano state
ospitate dal vincitore e tutti sembravano divertirsi senza sapere
ciò che
sarebbe successo di lì a poco.
Rose
non alzò gli occhi
quando sentì qualcuno sedersi dal lato opposto della
finestra perché sapeva chi
era. Riusciva a riconoscere la pesantezza dei passi ed il profumo che
l’avvolgeva. Non aveva bisogno di vedere per sapere.
<<
Non voglio
mentirti >> sussurrò Ted.
Il
ragazzo puntò lo
sguardo fuori dalla finestra verso la Foresta Proibita e il Lago Nero,
osservò
la pioggia che si posava sul vetro e seguì il percorso delle
gocce, cerando un
modo per parlare a Rose. Per farle capire ciò che non era
così semplice da
spiegare.
La
ragazza gli risparmiò
la fatica, allungandogli la lettera che aveva poggiato sulle ginocchia.
Ted la
afferrò e la lesse velocemente.
<<
Siamo nei guai,
Teddy. Quelli veri >>
16 Novembre 2024
Il 13 Novembre un gruppo di Auror
esperti ed allenati
sono entrati nella casa di Cho Chang , 44 anni impiegata
all’ufficio misteri
presso il Ministero della magia, dopo una soffiata anonima. La squadra,
composta
da nove membri e guidata da uno degli eroi della Seconda Guerra Magica
Ronald
Weasley affiancato da Dean Thomas, si è trovata davanti ad
una casa normale,
senza segni di effrazione o di tentato furto.
<< La signora Chang
era sotto effetto imperio
>> testimonia un auror parte della squadra, Mortimer
Donsey.
<< Erano giorni che
mia madre era strana
>> testimonia sua figlia, appena uscita
dall’asilo dopo aver ripreso i
suoi bambini << La settimana scorsa è venuta a
cena da noi e non era mia
madre >>
Il capo della missione, Ronald
Weasley, non ha
rilasciato commenti.
<< Quando tutto ci
sarà più chiaro avrete una testimonianza
>>
Queste sono state le uniche parole
che i tre eroi
della Seconda Guerra Magica, Hermione Granger, Ronald Weasley e Harry
Potter,
hanno riservato alla stampa. Ma una fuga di notizie da una voce anonima
ci fa
sapere ciò che davvero è successo quella notte e
soprattutto che questa non è a
prima volta che gli auror si trovano davanti ad un caso del genere.
Sotto l’articolo viene
riportata la foto di Cho Chang
morta e segnata da profonde cicatrici significative in più
parti del corpo.
Purtroppo quella notte si
è verificata più di una
perdita per il mondo magico, infatti anche Dean Thomas è
stato ucciso dalla
stessa compagna di scuola che si è poi suicidata
imprimendosi quelle cicatrici.
Il corpo di Cho Chang è poi sparito questa notte alle 3.
Gli auror brancola nel buio. Chi si
dovrà affrontare
questa volta?
Il
silenzio cadde tra le
mura di Hogwarts.
*Ovviamente
inventato, spero
che non dia fastidio che io abbia usato
degli ‘animali già esistenti’.
Angolo
Autrice
Ed
eccoci arrivati al
penultimo capitolo della storia!
Allora
scrivo velocemente
qualcosa e poi vi lascio perché vado un po’ di
fretta!
Vediamo
un po’…. In questo
capitolo rivediamo insieme Axel, Shailene ed Alice ed un piccolo
cambiamento da
parte di Shailene (che cambierà ancora nel prossimo
capitolo)! Poi abbiamo di
nuovo un po’ del nostro James (che io adoro) e Alec (che amo
profondamente)! James
e Shailene non andranno al ballo insieme, ma il quasi bacio compensa,
no?
Piccolissima
parte su Ted
e Rose con allegata lettera e articolo di giornale!
Spero
che il capitolo vi
sia piaciuto e vi ricordo l’accaunt facebook con le foto dei
personaggi e
piccole anticipazioni sulla storia!
Ringrazio
chi legge, chi
segue/ricorda/preferisce e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo
18
Arriva
un momento nella vita di un ragazza in un cui riesce a ritrovarsi
nell’animo di
tutte le altre. Non importa quanto diversa tu sia, poco femminile,
strana,
timida, studiosa, cattiva, indifferente, solare.
Quando
sei davanti allo
specchio, stretta in un vestito meraviglioso che mai indosserai
nuovamente
nella vita, i pensieri di tutte si allineano e per un secondo, solo per
un
secondo, ognuna di noi apprezza ciò che vede. Poi si ritorna
esattamente come
si era prima.
Ed
è questo il momento che
sta assaporando Alice. Si guarda riflessa e non si riconosce.
Ed
è questo il momento che
sta attraversando Dominique. Vede la sua immagine e riesce a non
pensare a
nient’altro.
Ed
è questo il momento che
vive Shailene. Fa un paio di giravolte e osserva sorridendo il vestito
che le
ha regalato zia Laura.
Ed
è questo il momento che
ama Lily. Si vede e per la prima volta non pensa di andare al ballo con
la
persona sbagliata.
Ed
è questo il momento che
da soddisfazione a Rose. Si è trasformata, per una sera, in
una ragazza bella
oltre che intelligente.
Ed
è questo il momento che
aspettava Lucy. Le sembra quasi di non avere problemi.
Ed
è questo il momento che
fa storcere la bocca a Roxanne per nascondere un sorriso. Anche lei sa
essere
una ragazza.
Ed
è questo il momento che
fa arrossire Cassandra. Questa sera non si sente timida.
Ed
è questo il momento che
fa sorridere Laila. Tra tutti i balli in cui è andata sente
che questo sarà il
migliore.
Ed
è questo il momento che
fa ghignare Arielle. È sempre stata perfetta.
Rettifico,
c’è una persona
che non sta attraversando questo momento. Torniamo indietro di un paio
d’ore.
<<
Naya cosa
significa che non vieni al ballo? >>
La
ragazza fu fermata
dalla mano forte di Alec che la guardava ad occhi sbarrati. Alexander
Nott e
Naya Zabini erano migliori amici da quando avevano imparato per la
prima volta
a camminare. Le madri dei due erano cresciute insieme e così
avevano fatto i
due ragazzi, condividendo tutto ciò che avevano. E
ovviamente litigando ogni
qual volta che ne avevano l’occasione.
E
Alec poteva affermare
con fierezza di essere riuscito a vincere tre volte in tutta la sua
vita. Era
qualcosa di cui andare fiero, davvero.
Naya
era la tipica ragazza
che nelle discussione aveva sempre la meglio. Intelligente, determinata
ed
abbastanza subdola da colpire il punto debole
dell’avversario. E poi aveva
quell’aria da spocchiosa purosangue mancata di un soffio che
intimoriva non
poco.
<<
Significa che non
vengo >> rispose semplicemente, continuando a camminare.
Alec
la affiancò e la
guardò oltraggiato.
<<
Ma perché?
>>
La
ragazza sbuffò,
stringendo i libri al petto. Non aveva tempo per discutere di qualcosa
di così
stupido e non aveva tempo per andare al ballo. Era in ritardo on una
pergamena
di pozioni e aveva tutte le intenzioni di finirla quella sera.
<<
Perché il ballo
del Ceppo è solo una stupida istituzione >>
rispose, continuando a
guardare dritta davanti a sé.
Alec
la osservò per un
momento quasi allibito.
<<
Ma se fino a ieri
non vedevi l’ora di andare >>
<<
Questo è errato.
Ti avevo semplicemente mostrato il vestito >>
<<
E sorridevi
>>
<<
Io sorrido sempre
>> sbuffò Naya, aumentando la
velocità del passo.
Ovviamente
il ragazzo
impiegò poco meno di due secondi a raggiungerla di nuovo.
<<
Smettila di dire
stronzate e dimmi cosa è successo >>
Alec
l’afferrò per un
braccio e la trascinò fuori dal castello, fermandosi sotto
un arco che li
avrebbe coperti dalla pioggia.
Naya
si sedette su uno
scalino e chiuse gli occhi, aspirando l’odore a pieni
polmoni. Aveva sempre
amato la pioggia. Amava i temporali, i tuoni, i fulmini e la sensazione
che il
rumore delle gocce le dava mentre lei era semplicemente seduta dentro
la sua
stanza con una coperta a tenerle caldo, una cioccolata calda e un buon
libro.
Amava
la pioggia d’estate,
quando poteva uscire, sedersi sulle rive del lago vicino casa sua e
godersi
semplicemente le gocce fredde che le bagnavano il viso e i capelli. Per
ciò che
poteva ricordare lei la pioggia l’aveva sempre amata.
L’aveva
amata da quando
sua madre la portava a fare lunghe passeggiate, mentre le parlava di
come fosse
importante avere una propria opinione.
L’aveva
amata da quando
suo padre le leggeva le storie di Beda il Bardo quando
c’erano i temporali.
L’aveva
amata da quando
fingeva di averne paura per dormire con i suoi genitori e sopprimere
incubi ben
peggiori.
L’aveva
amata quando sua
nonna l’aveva finalmente accettata, nonostante le sue idee
anticonformiste per
quella famiglia. Andando contro l’opinione di suo nonno.
L’aveva
amata da quando
aveva piovuto al suo compleanno e lei ed Alec avevano passato la
giornata a
mollo nel lago.
L’aveva
amata da sempre.
Il
Serpeverde si sedette
accanto a lei ed estrasse dalla tasca una sigaretta, accendendola poi
con la
bacchetta. Prese una grande boccata e poi rilasciò il fumo
che colpì il viso
della ragazza. Naya fece una smorfia disgustata.
Il
fumo lo aveva sempre
odiato.
<<
Puoi evitare?
>> chiese scocciata, arricciando il naso.
<<
No >>
rispose Alec, divertito.
Quella
era sempre stata
una delle loro discussioni ricorrenti. Alec aveva cominciato a fumare
da quando
aveva tredici anni e Naya aveva intrapreso da allora una campagna
contro il
fumo. Quando ne avevano sedici era arrivata a nascondergli le sigarette
o
rubargli la bacchetta per evitare che potesse accenderle. Avevano
litigato
davvero quella volta ed alla fine la ragazza si era arresa per
preservare la
loro amicizia.
Quella
era stata una delle
vittorie di Alec.
Ma
non avrebbe vinto anche
quel giorno.
Naya
afferrò la sigaretta
e la buttò a terra, calpestandola con un piede per poi farla
evanescere con la
bacchetta.
<<
Ehi, ma perché
devi essere così prepotente? >>
borbottò il ragazzo, ricevendo in
risposta solo un sbuffo.
Capì
allora che la
faccenda era seria. Se Naya non imbastiva una vera discussione per una
sciocchezza allora non stava bene, nascondeva qualcosa. E Alec non era
mai
stato un tipo troppo paziente.
La
loro amicizia
funzionava così. Lui la assillava per sapere i suoi problemi
e lei, dopo
ventimila proteste, finalmente cedeva.
Ma
questa volta Naya non
aveva voglia di giocare.
<<
Stamattina mi ha
scritto mio nonno >> esordì.
Il
silenzio cadde tra i
due ed Alec assunse un’espressione seria.
<<
Cosa riguardava
la lettera? >>
<<
Il ballo del
ceppo. Credo che mamma gli abbia detto che sarei andata tra amici e
ovviamente
lui non pensa sia questo il modo giusto per presentarmi a tutte le
scuole
quindi ha pagato un ragazzo di Dumstrang per chiedermi di andare
>> accennò
una risatina nervosa << Il bello è che io ci
avevo creduto davvero
all’invito di quel ragazzo prima di ricevere la lettera. Ha
pagato un
purosangue con antenati mangiamorte e idee che seguono quel filone di
pensiero
perché per lui è ciò che si adatta di
più a me >>
I
ragazzi rimasero in
silenzio per qualche secondo. Naya doveva metabolizzare davvero
ciò che era
successo, dirlo ad alta voce lo rendeva reale.
Alec
sapeva che l’amica
non aveva finito ed aspettava che aggiungesse qualcos’altro.
<<
Gli ho risposto che
poteva andarsene al diavolo e che non sarei andata al ballo ed
è esattamente
ciò che farò >>
Alec
schioccò la lingua
sul palato e le diede due pacche sulle spalle.
<<
E allora andiamo
a Hogsmade a divertirci un po’ >>
Naya
scosse la testa.
<<
Tu vai al ballo.
Devi rompere le scatole alla Weasley, ricordi? >>
Prima
che il ragazzo
potesse controbattere e lamentarsi, Naya si alzò e
ritornò dentro il castello.
Lei
sarebbe andata ad
Hogsmade.
Alice
si guardò allo
specchio e storse la bocca. Ora che la magia era finita, riusciva a
vedere come
fosse sbagliata stretta in quel vestito. Come fosse sbagliata inserita
in quel
contesto. Come sarebbe stata sbagliata al fianco di Lysander.
Come
fosse sbagliata lei
in generale.
Alice
non apparteneva a
quel mondo, fatto di brillantini e lustrini, fidanzati e vestiti. Non
ci era
mai appartenuta e non sapeva come gestirlo e per lei, che non lasciava
mai a
nessuno l’onore di scompigliarle la vita, era un gran
problema.
Non
sapeva come gestire
Lysander e questo era una catastrofe.
Ma,
ancora peggio, non
sapeva come gestire se stessa ad un ballo, in sua presenza. Quella sera
sarebbe
stata un gran punto interrogativo e Alice non era pronta per i punti
interrogativi. Lei voleva i punti o, male che andasse, quelli
esclamativi. Ma
quelli interrogativi no.
Le
situazioni incerte no.
Come
si gestiva
l’attrazione? Come si gestivano le risate ed i sorrisi?
Alice
non lo sapeva. Non
si ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva passato una
serata con qualcuno
che l’attraeva e forse non se lo ricordava perché
non era mai successo.
E
soprattutto, ora che
Lysander aveva vinto la sfida, come si gestiva essere
l’appuntamento di un
campione?
Come
si ballava?
Alice
sbuffò contrariata e
si lasciò cadere sul letto della camera di Shailene.
<<
Io non vado
>> annunciò ad alta voce, portandosi le mani
davanti agli occhi.
Shailene
le aveva chiesto
di vedersi per prepararsi insieme e quando era arrivata nella stanza
aveva
trovato anche la presenza di Lily. Le aveva dato fastidio
all’inizio, ma la
rossa non l’aveva attaccata o ignorata, ma si era comportata
come se fossero
amiche da sempre.
Era
così facile andare
d’accordo con Lily che Alice si stupì di non
esserci riuscita da piccola.
Quella ragazza era solare, simpatica, estroversa e amichevole, ma mai
invadente. Proprio la rossa si sedette sul letto accanto a lei,
tirandosi
indietro i capelli lunghi, mentre dal bagno provenivano dei borbottii
indistinti da parte di Shailene che si era chiusa lì dentro
almeno un quarto
d’ora prima.
<<
Sarà divertente.
Lysander è un ragazzo alla mano e se ti stuferai di stare
con lui potrai sempre
venire con noi >> la rassicurò, guardandola.
Alice
spostò le mani dagli
occhi e si tirò leggermente su poggiandosi sui gomiti e
ricambiando l’occhiata.
<<
Non è il mio tipo
di serata >>
Lily
alzò le spalle e le
sorrise.
<<
Non è nemmeno il
mio. La McGrannit mi ha ritirato tutti i tiri vispi Weasley che avevo.
Ha
controllato anche nella mia camera >>
Le
due scoppiarono a
ridere e le risate aumentarono quando dalla porta del bagno
uscì una Shailene
con dei capelli biondi gonfi, crespi e un’espressione
tutt’altro che felice.
<<
Ho cercato di lisciare
i capelli con un coso babbano, ma mi sono bruciata e non ha funzionato
>>
<<
Perché sei
bionda? >>
Shailene
alzò le spalle.
<<
Volevo provare
>>
Lily
si stese sul letto,
continuando a ridere con le mani sulla pancia e le lacrime agli occhi
mentre
Alice sistemò con la bacchetta il disastro sulla testa della
Corvonero.
<<
Mi piace il tuo
vestito, Alice >> disse Shailene, mentre si avvicinava
alla sedia per
prendere il suo.
La
Serpeverde si diede
un’occhiata e storse la bocca. Il vestito era decisamente
carino, ma allo
stesso modo la faceva sentire a disagio. Era lilla, lungo fino alla
coscia e a
palloncino.
<<
A me no >>
rispose, ributtandosi nuovamente sul letto.
Lily
si alzò e la squadrò
dall’alto, dopo di che aprì la porta della stanza
ed appellò qualcosa dalla
sua. Dopo pochi secondi lanciò un altro vestito ad Alice che
la guardò
stralunata.
<<
Provalo >>
disse solo, tornando davanti allo specchio per sistemarsi il trucco.
La
Serpeverde infilò il
vestito e si diede un’occhiata, rimanendo impressionata. Era
corto fino a metà
coscia, nero, con le maniche lunghe e una linea morbida. Al suo fianco
comparve
Shailene e dopo poco anche Lily. La Corvonero indossava un vestito
lungo bianco
con uno scollo sulla schiena, mentre la Grifondoro ne indossava uno
perla corto
a metà coscia e che le lasciava la schiena scoperta.
<<
Sarà una bella
serata >>
<<
Hugo, sono qui
>>
Shailene
allungò la mano
scuotendola in alto per attirare l’attenzione su di
sé e cercare di chiamare
l’amico che parlava allegramente con suo cugino.
James
non era venuto, ma a
lei non dispiaceva più di tanto, non avrebbe potuto
costringerlo a fare
qualcosa che lui non voleva.
<<
Lene, smettila di
agitarti tanto >> la rimproverò Lily,
tirandosi i capelli indietro.
Si
incamminò verso i due
ragazzi seguita dalla Corvonero che, nel frattempo, si guardava
intorno,
soffermandosi su ogni ragazzo e ragazza presente nella sala. Ognuno
aveva
indossato qualcosa di diverso dal solito vestiario, ognuno sembrava
unico.
Shailene
incontrò lo
sguardo di Alice che le sorrise imbarazzata mentre Lysander le parlava,
vide
Cassandra Nott che rideva insieme alle amiche e Lucy Weasley sotto
braccio con
il cugino mentre Laila Scerlì li guardava da lontano.
Osservò Dominique che
camminava regalmente verso l’uscita e Arielle che si
avvicinava ad Albus
guardandolo maliziosa, e lui che la ricambiava. Vide Roxanne ed Alec
discutere
mentre la ragazza copriva con le braccia la scollatura del vestito. Si
accorse
di Scorpius e dello sguardo adorante verso la Weasley veela e di Frank
e del
suo sguardo strano. Vide Lorcan appoggiato ad una colonna e Louis poco
distante
che gli lanciava occhiate di sottecchi. Osservò Rose
avvicinarsi al fratello
per salutarlo mentre Marie era accompagnata da Filip e seguita a poca
distanza
dall’inseparabile Sandra.
<<
Wow >>
esordì Hugo, quando vide finalmente le due amiche
avvicinarsi.
Sistemò
la cravatta e si
avvicinò a Shailene, lasciando che Axel si accostasse a
Lily, prendendola
sottobraccio.
<<
Signorina
>> scherzò il rosso, porgendole la mano.
Shailene
rise e accettò
l’invito, dirigendosi verso la Sala Grande, addobbata per
l’occasione.
Naya
spostò la statua per
avere accesso al passaggio segreto per Hogsmade e si
intrufolò nel corridoio stretto,
non preoccupandosi nemmeno di non fare troppo rumore. Tutti erano al
ballo e
nessuno l’avrebbe vista.
Rimise
la statua al suo
posto e illuminò la strada con la luce della bacchetta,
rivelando le scalette
che si presentavano davanti a lei. Con una mano strinse il maglione su
di sé,
cercando di tenersi più caldo possibile e
maledicendosi per non aver indossato il cappotto.
Strinse
la bacchetta e
cominciò a scendere le scale, sbuffando per togliere dal
viso un ciuffo di
capelli che era scappato alla cosa di cavallo che aveva arrangiato
prima di
uscire.
Arrivò
alla fine della
galleria e spinse in alto la botola, aprendola e causando un rumore
sordo.
Poggiò la bacchetta sulla superfice di legno della parte
posteriore dei ‘Tre
Manici di Scopa’ e poi si tirò su con le mani
mettendosi a sedere sul pavimento
e lasciando le gambe penzolare nel vuoto.
Sospirò
e pulì le mani tra
di loro, alzandosi e chiudendo poi la botola. Si abbassò per
prendere la
bacchetta ma una mano più grande e più veloce
della sua la afferrò prima che
potesse arrivarci.
Naya
alzò di scatto lo
sguardo con un espressione arrabbiata dipinta sul viso e il dito
puntato contro
il ladro.
<<
Ridammela subito
>> intimò.
Chi
aveva preso la bacchetta
si rivelò essere un ragazzo che adesso sorrideva
osservandola e rigirandosi tra
le mani il prezioso stecchetto di legno. Naya lo osservò e
si ritrovò a pensare
che avesse qualcosa di familiare, qualcosa nei capelli biondi e mossi,
o negli
occhi scuri o ancora nelle fossette ai lati delle guance.
<<
Ridammela
>> disse ancora, facendo un passo verso di lui.
Il
ragazzo alzò lo
sguardo, incrociando gli occhi di lei e facendola rabbrividire.
Perché quello
sguardo lei lo conosceva. Lo conosceva bene.
Solo
non riusciva a
collegare il nome al viso, perché era un viso che non vedeva
da anni ed un nome
che non sentiva pronunciato da altrettanti.
<<
Naya, sei sempre
stata così prepotente >> borbottò
lui, guardandola divertito.
La
Serpeverde aggrottò le
sopracciglia e serrò la mascella quando pronunciò
il suo nome e indietreggiò di
un passo. Si era appena resa conto di essere disarmata e quel ragazzo
aveva un
qualcosa di misterioso e pericoloso dentro il suo sguardo.
Si
girò, sempre tenendo la
bacchetta tra le mani, prese uno scatolone che aveva poggiato a terra e
si
incamminò verso il bar.
<<
Ehi, aspetta. La
mia bacchetta >> si lamentò la ragazza con
voce arrabbiata.
Tutto
ciò che ricevette fu
una risata e una risposta che la fece sbuffare.
<<
Vieni dentro
Zabini, ti offro una burrobirra >>
Naya
corse per
raggiungerlo e lo seguì dentro la porta per il personale,
entrando nel bar
semivuoto e sedendosi su uno sgabello mentre il ragazzo allacciava un
grembiule
dietro la schiena e cominciava a mettere apposto la merce, posando la
bacchetta
sul bancone. La diciannovenne la afferrò velocemente e la
infilò dentro i
pantaloni, sentendosi immediatamente più sicura.
<<
E’ il tuo modo
per affermare la tua superiorità o le notizie degli ultimi
giorni ti hanno resa
paranoica? >> chiese retorico, lanciandole
un’occhiata di sbieco.
La
ragazza sbuffò e spostò
nuovamente un ciuffo di capelli da davanti agli occhi.
<<
Si può sapere chi
sei? >>
<<
Così ferisci i
miei sentimenti, Naya >>
Sospirò
affranto e si
portò una mano sul cuore per fingersi davvero ferito. Fu
allora che Naya lo
riconobbe. Lo riconobbe dietro il sorriso divertito e dietro le
sopracciglia
corrucciate.
<<
Rosier >>
sussurrò, lanciandogli un’occhiata quasi
dispiaciuta << Sei finito a fare
il cameriere? >> aggiunse, riprendendo la sua solita
aria.
Lui
rise. Afferrò due
boccali e preparò due burrobirre, sedendosi poi
dall’altro lato del bancone e
cominciando a sorseggiare la sua.
Evan
Rosier, nipote di uno
dei più grandi mangiamorte mai esistiti e figlio di un padre
cresciuto con gli
stessi principi. Migliore amico di Naya e Alec, almeno fino a quando
non
avevano compiuto undici anni.
Evan
era stato dichiarato
magono e rinnegato dalla sua famiglia, costretto a vivere da solo. Dopo
i primi
tempi di scambi di lettere con i due ragazzi il loro rapporto si era
affievolito ed allentato sempre di più fino ad arrivare ad
un punto di rottura.
Fino
ad arrivare ad un
punto di non ritorno.
<<
Cosa ci fai ad
Hogsmade? >> chiese.
Naya
afferrò il suo
boccale di burrobirra e prese un lungo sorso prima di rispondere.
<<
Non avevo voglia
di andare al ballo >>
<<
Nessuno a
chiedere la tua mano? Te l’ho sempre detto Zabini, tu
spaventi i ragazzi
>>
<<
Chissà per quale
scherzo della natura l’unico a non sembrare spaventato sia tu
>>
Evan
si sporse di più sul
bancone e si avvicinò repentinamente alla ragazza,
trattenendola delicatamente
per il collo facendo in modo che non si allontanasse.
<<
Perché io ti
conosco >> le sussurrò all’orecchio.
La
Serpeverde si liberò
della sua stretta con una mano e si tirò indietro, imitando
un’espressione
disgustata.
<<
Giù le mani
>>
Evan
rise, lavando il suo
boccale e offrendone un altro alla ragazza che lo accettò
senza protestare.
<<
Come sta l’idiota?
>> chiese, ridendo ancora.
Parlare
con Evan era
naturale. Le sembrava che non avessero mai smesso.
<<
Non dovresti
essere con Lily? >> chiese Shailene.
Aveva
parlato senza
nemmeno voltarsi per assicurarsi chi fosse, perché lei lo
sapeva chi l’aveva
raggiunta appena fuori dal castello. Solo un’ora dopo essere
arrivata al ballo
infatti Lene aveva deciso di allontanarsi un po’ e si era
rifugiata sotto
l’arco che portava al giardino di Hogwarts. Voleva vedere le
stelle. Il cielo,
soprattutto di notte, le sembrava così grande e immenso che
li si sentiva
piccola e di conseguenza anche i suoi problemi lo erano.
Perché, strano ma
vero, anche Shailene Ricci aveva dei problemi ed erano più
vicini di quanto si
sarebbe mai spettata.
Axel
si sedette accanto a
lei, poggiandole sulle spalle nude la sua giacca. Sorrise, guardando le
stelle
insieme alla cugina.
<<
Lily ed Hugo
cercano di aiutare Roxanne e Alec a correggere il punch sotto lo
sguardo
attento della McGrannit >> le disse.
Shailene
rise e poi il silenzio
cadde tra i due. Aveva sempre apprezzato la capacità di Axel
di rimanere in
silenzio, di aspettare che lei fosse pronta a parlare, di non spingerla
a
raccontare ciò che non voleva. Aveva sempre apprezzato la
sua capacità di
capirla ed accettarla.
Anche
quella volta Axel
non disse una parola, non fece un movimento, non sospirò
nemmeno una volta.
Semplicemente attese che sua cugina fosse pronta a dirgli tutto.
Perché sapeva
lo sarebbe stata.
E la
confessione di
Shailene non tardò ad arrivare.
<<
Mio padre vuole
che passi le vacanze di Natale da lui >> rise ironica
<< Non
ricordavo nemmeno di avercelo un padre >>
La
Corvonero poggiò i
gomiti sulle ginocchia e sospirò, facendo volare un ciuffo
che era caduto
davanti agli occhi.
<<
Tutti meritano
una seconda possibilità >>
<<
Di possibilità ne
ha avute anche troppe >>
Shailene
non aveva mai
perdonato suo padre e dubitava che sarebbe riuscita a farlo in un
immediato
futuro. Dopo aver scoperto che Danielle Lovegood era una maga le aveva
abbandonate entrambe, rintanandosi in Italia e non dando mai sue
notizie o
aiuto economico.
Poi
era successo. Danielle
era morta quando lei aveva solo cinque anni e Shailene era stata
costretta a
passare due mesi da suo padre in Italia prima che Laura Lovegood
riuscisse a
prenderla sotto la sua custodia. Così da allora aveva
vissuto con Laura e suo
figlio Axel.
Una
settimana all’anno non
bastava per aggiustare tutto ciò che era andato storto nella
sua vita per colpa
di quell’uomo. Una settimana all’anno durante la
quale lui era gentile non
bastava per farle perdonare ciò che aveva fatto a sua madre.
Una settimana
all’anno era niente in confronto ai diciassette anni della
sua vita che aveva
perso.
Simone
Ricci non sapeva
niente di sua figlia e mai avrebbe saputo qualcosa perché
Shailene non era
pronta a farsi conoscere.
Simone
Ricci l’avrebbe
costretta a passare il Natale in una famiglia che non era sua e a cui
non
voleva appartenere.
Simone
Ricci aveva
indirettamente ucciso sua madre e tutto ciò che
c’era di brutto nella sua vita
dipendeva da lui.
<<
Passerò le
vacanze in Italia, ma non pensasse che questo basti a sistemare tutto
>>
disse, alzandosi dai gradini
spolverandosi il vestito bianco.
Sbuffò,
vedendo che una
macchia non andava via e poi alzò le spalle, decidendo che
in realtà non le
importava.
Non
si sentiva mai così
pesante, non sentiva mai questo masso sullo stomaco o il groppo in gola
che non
la faceva respirare. Aveva bisogno di ritrovare la sua leggerezza e
spensieratezza e l’unico con cui poteva farlo era Axel.
<<
Facciamo un giro
nella Foresta Proibita? >> chiese, sorridendo malandrina.
Axel
sorrise ed annuì,
incamminandosi al fianco della cugina.
Cominciarono
a parlare
come se lei non avesse detto niente, tralasciando la sua situazione
familiare e
soffermandosi sulle cose più assurde. Essendo semplicemente
loro. Passando quel
tempo da soli di cui avevano bisogno per ritrovarsi. Concentrandosi
solamente
sul loro rapporto.
Shailene
considerava Axel
suo fratello, tanto quanto Axel considerava Shailene sua sorella. Non
di
sangue, ma avevano sempre passato tutto insieme, erano cresciuti
insieme,
avevano vissuto insieme, avevano scoperto la magia insieme e imparato a
guidare
un manico di scopa.
Erano
sempre stati
inseparabili e sempre lo sarebbero stati.
Si
fecero strada tra i
rami folti della Foresta Proibita e la ragazza si
complimentò con se stessa per
aver cambiato le scarpe appena le era stato possibile. Si addentrarono
nell’oscurità della selva, stando attenti a non
inciampare troppe volte nei rami
che uscivano dal terreno.
Un
alito di vento più
forte degli altri e il rumore di un ramo che si spezza mise in guardia
Shailene
che si fermò sul posto ed afferrò la manica della
giacca di Axel.
<<
Hai sentito?
>>
Il
ragazzo annuì e cercò
la bacchetta tra le tasche prima di ricordarsi di averla lasciata in
dormitorio.
<<
Hai la bacchetta?
>> chiese, sperando in una risposta affermativa.
La
Corvonero scosse la
testa ed un altro alito di vento a fece girare dalla parte opposta.
Niente. Non
c’era niente.
Solo
rami e foglie, terra
e fango. Eppure Shailene lo sentiva. Sentiva la sensazione di freddo
farsi
strada dentro di lei e procurarle dei brividi. Sentiva
l’odore della paura che
aleggiava intorno a loro come una nube. Sentiva la presa di Axel sul
braccio
che però non riusciva a rassicurarla.
Un
atro alito di vento, un
altro ramo spezzato.
<<
Torniamo indietro
>> sussurrò la ragazza facendo un passo
indietro e calpestando una pozza
di fango che sporcò il bianco candido del vestito.
Axel
annuì.
Un
altro alito di vento,
un altro ramo spezzato.
Axel
lo sentiva. Sentiva
una presenza che si aggirava intorno a loro, giocando come se fossero
dei topi
in trappola. Sentiva i bisbigli che non potevano appartenere ad
animali.
Sentiva l’odore del sangue che presto sarebbe scorso.
Per
la prima volta in vita
sua Axel sentiva la paura e la preoccupazione. Sentiva il germe del
terrore
farsi strada dentro di lui e scalare il corpo fino ad arrivare al
cervello. Lo
sentiva sotto pelle, nel sangue, nelle cellule. Lo sentiva aggirarsi
nello
stomaco e giocare a pizzicare diverse parti solo per divertimento. Lo
sentiva
dentro di sé e sentiva che non se ne sarebbe andato.
Un
altro alito di vento,
un altro ramo spezzato.
Una
risata. Una risata
sinistra si propagò per la foresta, sbattendo sugli alberi e
tornando indietro.
La risata era ovunque.
Ed
allora Axel capì. Erano
circondati.
Riuscì
a comprendere ciò
che sarebbe successo un secondo prima che successe davvero.
Afferrò le spalle
di Shailene e la trascinò verso il basso, facendola cadere a
terra un attimo
prima che degli incantesimi si scontrarono al centro del cerchio che
gli
aggressori avevano creato.
Axel
alzò lo sguardo e
cercò di individuare delle figure umane tra i rami e le
foglie, ma nemmeno
un’ombra era distinguibile nel buio della foresta.
Afferrò la mano di Shailene
e cominciò a correre verso l’interno del bosco.
Erano
soli, circondati e
non avevano bacchette. L’unica speranza di sopravvivenza che
avevano era quella
di nascondersi nella Foresta e di pregare che qualcuno si accorgesse
della loro
assenza.
La
ragazza inciampò in una
radice e cadde a terra, sbattendo le mani e il naso. Si
graffiò i palmi e un
rivolo di sangue le sporcò a bocca mentre al centro del
vestito si estendeva
una macchia marrone. Axel fu colpito da uno schiantesimo e
andò a sbattere
contro l’albero che avevano di fronte, cadendo a terra con un
mugolio di
dolore. Shailene si avvicinò a lui e lo aiutò a
farlo rialzare. Ricominciarono
a correre fino ad arrivare ad una radura.
Un
altro alito di vento,
un altro ramo spezzato, un’altra risata.
Dall’ombra
venne fuori una
figura umana. Vestita normalmente, viso scoperto e bacchetta alla mano.
Shailene
ed Axel
conoscevano quel viso.
<<
Teddy? >>
chiese Shailene, indietreggiando di un altro passo.
L’uomo
sorrise sinistro e
scosse la testa, avvicinandosi a loro.
Il
silenzio era di nuovo
calato nella foresta ed Axel si accorse che loro tre erano gli unici ad
essere
rimasti. L’esercito che prima li aveva accerchiati non
c’era più, probabilmente
avevano valutato la situazione rendendosi conto che una persona bastava
per
uccidere due ragazzini diciassettenni senza bacchette.
<<
No, ma mi piaceva
l’idea che fosse la sua l’ultima faccia che vedrete
prima di morire >>
rispose, avvicinandosi di un passo ancora.
I due
si allontanarono
fino a quando non furono costretti a fermarsi, impediti da un albero.
Una
goccia cadde sulla
guancia di Axel. Il ragazzo l’asciugò con la mano
e si accorse che era sangue.
Alzò il viso verso il cielo e lo vide. Un corpo lievitava
sopra di loro, con
uno taglio sulla schiena.
Il
finto Ted sorrise e con
un gesto veloce della bacchetta inferì un taglio ben
più lungo e profondo sulla
schiena di quello che Axel pensava essere un corpo già
morto. Lo girò
dall’altro lato ed inferì lo stesso taglio.
Una
cascata di sangue
cadde sui due ragazzi che si ritrovarono coperti di quel liquido rosso
e
appiccicoso. Un odore pesante si liberò nell’aria
insieme al grido che Shailene
aveva emesso quando il corpo dissanguato era caduto sopra di lei,
facendola
cadere.
Si
agitò sotto al peso del
morto e riuscì a liberarsi solo quando Teddy
spostò il corpo con un cenno di
bacchetta.
E fu
allora che Shailene
la riconobbe. Il corpo di Cho Chang era steso davanti a lei, inerme.
Privo di
vita.
Si
allontanò strisciando sul
terreno ed emettendo un gemito di paura mista a dispiacere.
Un
lampo rosso lasciò la
bacchetta del finto insegnate e colpì Axel allo stomaco. Il
ragazzo si guardò e
toccò una macchia più scura che si faceva largo
sulla camicia già completamente
sporca di sangue.
Altro
sangue. Il suo
sangue.
Si
sentì improvvisamente
debole e avvertì le gambe cedere, facendolo cadere sulle
ginocchia. Mugugnò di
dolore e guardò Shailene con gli occhi appannati di lacrime.
Ted
rise.
<<
Cerca di
salvarlo, ragazzina >>
E
sparì.
Shailene
si avvicinò al
corpo di Axel, cercando di alzarlo e peggiorando così la
situazione.
<<
Axel, non
addormentarti ok? Andrà tutto bene, promesso,
però devi aiutarmi >> disse
con voce spezzata, cercando di risultare il più convincente
possibile.
Axel
annuì e portò un
braccio sulle spalle di Shailene, cercando di alzarsi. La ragazza fece
forza
sulle ginocchia e riuscì a mettersi in piedi, reggendo a
malapena il peso del cugino.
Lanciò
un’occhiata al
corpo di Cho e lo guardò dispiaciuta prima di dirigersi
verso l’uscita della
Foresta Proibita.
Caddero
diverse volte e
altrettante volte si rialzarono, cercando con tutte le loro forze di
uscire da
quell’inferno e di cercare aiuto.
Finalmente
rividero il
chiarore della luna e si incamminarono verso il castello, mentre il
corpo di
Axel perdeva quasi tutte le energie.
Il
portone della sala
grande era davanti a loro. Shailene richiamò a sé
tutte le sue forze e avanzò
di ancora qualche passo, trovandosi finalmente davanti ai ragazzi che
ballavano
a ritmo di musica.
<<
Aiuto >>
sussurrò, sentendo il peso di Axel crescere.
Diede
un’occhiata a suo
cugino e si accorse che aveva chiuso gli occhi.
<<
Aiuto >>
gridò allora, attirando l’attenzione di tutti su
di sé.
Nello
stesso momento Axel
svenne e cadde a terra portando Shailene dietro di sé.
La
musica si fermò e il
silenzio cadde tra le scuole.
Angolo
Autrice
Sono
in ritardo, lo so, ma
questo è l’ultimo capitolo della prima storia e mi
dispiace tantissimo
pubblicarlo!
Ho
scritto una parte del
primo capitolo della seconda storia della serie, ma
aspetterò un po’ prima di
pubblicarla, perché voglio avvantaggiarmi un po’!
Passiamo
al capitolo. Andiamo
per ordine:
1-
Naya e Evan: cosa dire? Devo ammettere che la
persona
indirizzata a lei all’inizio era un’altra (magari
provate a indovinarla ahah),
ma ho voluto introdurre nella storia un altro personaggio che esce un
po’ dagli
schemi! Un Rosier magono che, talaltro, ha anche ripreso il nome del
nonno.
2-
Shailene : si scopre un po’ di
più sulla famiglia di
Shai. La relazione familiare attuale sarà più
chiara quando la nostra Corvonero
festeggerà il Natale in Italia, con la sua famiglia babbana?
Cosa credete che
succederà?
3-
E infine, Shai e Axel: quello che
è successo nella
foresta e ciò che ne conseguirà. Non ho molto da
dire in proposito, ma vorrei
specificare che il volto di Ted è stato scelto a caso tra
tanti e che l’uso
della pozione polisucco per questo scopo sarà abbastanza
ricorrente!
Ci
ho messo parecchio a pubblicare anche perché non sono molto
sicura di questo
capitolo che, essendo l’ultimo e soprattutto quello di
svolta, deve essere
scritto bene. Non sono sicura di esserci riuscita, ma lascio a voi i
commenti.
Per
finire, vi ricordo l’account di FACEBOOK
e
ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia!
Grazie
a chi l’ha inserita tra le seguite.
Grazie
a chi l’ha ritenuta degna di essere tra le proprie ricordate.
Grazie
a coloro che l’hanno considerata tra le preferite.
E
soprattutto grazie a voi che avete speso un po’ di tempo per
dirmi le vostre
opinioni!
Spero
di riuscire ad aggiungere la prossima storia abbastanza presto!
Ci
sentiamo!
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Capitolo 19 *** AVVISO ***
AVVISO
Buona sera a tutti! So che mi credevate morta ed invee non lo sono! So anche che avevo promesso che mi sarei fatta sentire presto e invece non l'ho fatto! Ho aggiunto questo avviso solo con lo scopo di dirvi che ho pubblicato il seguito di questa storia, sperando che a qualunque ancora interessi leggerlo!
Se c'è ancora qualcuno, beh, non vedo l'ora di sapere se vi intriga e di leggere i vostri commenti!
La storia si chiama Time is up- Heroes e, dato che sono idiota e non so fare i collegamenti ipertestuali potete trovarla sulla mia pagina!
Spero davvero di sentirvi presto!
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