Radioactive

di Arabella1897
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm waking up to ash and dust ***
Capitolo 2: *** I’m turning to a monster and it keeps getting stronger ***
Capitolo 3: *** Look into my eyes it's where my demons hyde ***
Capitolo 4: *** But life ain't what it seems ***



Capitolo 1
*** I'm waking up to ash and dust ***


Salve a tutti! Il titolo di questa fan fiction incentrata sugli Helsa è ovviamente il titolo di una canzone degli Imagine Dragons, ovvero Radioactive. Non so perché ce la vedo particolarmente bene a rappresentare Elsa e i suoi poteri. Dopotutto mi è venuta l’idea proprio ascoltando la canzone e quindi eccomi a tentare di buttare giù qualcosa di vagamente decente. Ovviamente sono ben accette critiche, suggerimenti e consigli di qualsiasi genere. Ah e ovviamente fino alla fine forza Helsa! xD


Radioactive
 
Erano passati più di sei anni ormai da quando il mondo aveva preso una piega diversa, da quando Arendelle aveva scoperto di essere governata da una regina non completamente umana. La regina Elsa era stata considerata un mostro, una strega, un qualcosa che mai gli umani, coloro i quali erano privi di alcun potere, avrebbero potuto capire ed apprezzare. Sebbene, per l’appunto, fossero ormai passati sei anni, la Regina ancora non si era sentita accettata e continuava a considerarsi alienata da una società che non era ancora in grado di farla integrare. La vita da regnanti, tecnicamente, sarebbe dovuta essere facile, qualunque suddito avrebbe dovuto, volente o nolente, apprezzare la propria regina, così non pareva essere per Elsa. Certo, oggigiorno i sorrisi non mancavano, chiunque le passasse accanto o le si rivolgesse donava a lei un sorriso ed un inchino, ma spesso si era ritrovata a domandarsi quanto tutto ciò fosse vero e quanto, invece, fosse solo una facciata per evitare problemi. Si trattava di sorrisi veri o celavano sapientemente un disgusto ed una paura per ella, che di umano aveva solo il dolce viso?
I dubbi, i quali si erano presentati sin dal dopo inverno perenne scaturito dalla regina, erano rimasti per quei sei anni, torturandola, logorandola lentamente. Ormai Elsa sapeva mentire a sé stessa e molto bene. Affermava di stare bene, di sentirsi bene quando in realtà una ben celata tristezza le stava gelando il cuore.
La vita con ella era stata dura e continuava ad esserlo. Nelle favole c’era sempre il lieto fine, ma nella vita reale? Per Anna, sua sorella, c’era stato, aveva sposato l’uomo che amava, Kristoff ed avevano avuto pure due gemelli. Perché questo “happy ending” che tutti desideravano ardentemente, per lei tardava ad arrivare? Non aveva già sofferto abbastanza? Per quanto ancora avrebbe dovuto pagare per i suoi peccati? Forse il Purgatorio non sarebbe mai giunto a termine e il Paradiso sarebbe rimasta solo una mera speranza, unico filo di speranza che ancora la spingeva a lottare. Quanto ancora avrebbe potuto farlo? Erano ventitré anni che annaspava in cerca di aria, che rimaneva sul filo del rasoio. Ella voleva solo essere felice, un po’ come Anna.
Aveva imparato ad osservare silenziosamente sua sorella, l’aveva vista ridere, arrabbiarsi con il suo amato, giocare e vivere spensierata. Elsa stessa si nutriva di quelle visioni, come se Anna riuscisse a vivere un po’ anche per lei. Quella però non era vita, non poteva vivere attraverso i momenti felici di altri.
Aveva messo da parte qualsiasi sfizio, qualsiasi desiderio, qualsiasi cosa che le portasse un po’ di gioia per il suo Regno ed il benessere di quest’ultimo. Aveva rinunciato ai suoi poteri per permettere agli abitanti di Arendelle di vivere serenamente. Aveva messo in gabbia sé stessa per il suo popolo. La sua magia era stata rinchiusa nel suo cuore e viveva solamente nei ricordi della Regina, nulla più. All’inizio era stata dura rinunciarvi, ma poi, lentamente, molto lentamente, il controllo aveva avuto la meglio, conducendola a celare del tutto ciò che la rendeva così diversa dagli altri. Ciò che non era riuscita a fare da bambina e che aveva indotto i suoi genitori a partire in viaggio per cercare una cura per tale maledizione, era stato compiuto da donna. Ci aveva messo tutta la sua volontà, la sua dedizione, la sua determinazione e vi era riuscita. Non le servivano più nemmeno i guanti, i quali erano stati rinchiusi nel cassetto, un po’ come i suoi sogni. Nonostante quell’impegno e il raggiungimento di quell’obbiettivo, la gente ancora la temeva, la disprezzava, l’allontanava.
Più volte Elsa aveva affermato che Arendelle non necessitava di un Re, era perfettamente in grado di mandare avanti da sola un Regno, segno di un’emancipazione femminile in atto. La realtà era un’altra, non era solo il desiderio di dimostrare agli altri, specialmente gli uomini, di essere forte e sicura, di poter governare senza timore… la vera motivazione per la quale dalle vermiglie labbra della giovane donna uscivano tali parole era che nessuno si era fatto avanti, tra i principi di altri regni, per chiederle la mano. Il primo ed ultimo principe che aveva avuto tali intenzioni era stato il tredicesimo figlio del Re delle Isole del Sud, Hans, colui che aveva tentato di uccidere lei e sua sorella. Ad essere precisi, Hans aveva avuto come iniziale obiettivo quello di sposare Elsa, desideroso di diventare Re, ma accortosi della lontananza e freddezza della principessa, era stato indotto ad adescare la sorellina, Anna. Era successo quello che era successo poi. Facendo i conti con la nuda e cruda verità, nessuno si era mai spinto a conoscerla con l’obiettivo di averla come sposa. Sapeva che sarebbe stata in grado di proseguire quell’irto cammino, chiamato vita, senza alcuno affianco, dopotutto vi era riuscita fino adesso, no? Però vedendo Anna così felice con suo marito ed i suoi figli, si chiedeva perché qualcosa di vagamente simile non potesse accadere anche a lei.
Lo sguardo della Regina, prima rivolto al giardino che si estendeva sotto la sua camera, si abbassò sulle sue mani, prive di guanti. Silenziosamente rimase a rimirarle. Erano bianche, eteree e fredde, come il suo cuore solitario. Le strinse in due pugni, mordendosi il labbro inferiore mentre scuoteva il capo, tentando vanamente di eliminare quei tristi pensieri. Si diede della stupida, imponendosi per l’ennesima volta di piantarla di pensare così negativamente, la felicità sarebbe arrivata anche per lei prima o poi. Sorrise con amarezza, alzandosi dal divanetto sul quale riposava, si diresse verso la sua scrivania. Il lavoro l’attendeva, una miriade di scartoffie erano sparse sul pregiato legno ed una penna bianca, unita ad un calamaio, attendeva di essere presa ed utilizzata.  Passò così il suo pomeriggio, sola, come sempre, a prendersi cura del suo regno, premurosa come una madre nei confronti del suo bambino.
All’ora di cena venne interrotta da una esagitata Anna, la quale piombò nel suo studio, ridestandola dal suo lavoro. Intorpidita e irrigidita per la posizione china tenuta fino a quel momento, Elsa si stiracchiò, donando alla sorella uno stanco sorriso.
- Tu lavori troppo! – Venne accusata dalla giovane madre, mentre l’abbracciava con affetto.
La regina ricambiò, evitando di replicare per stroncare sul nascere una possibile quanto prevedibile discussione. Conosceva la testardaggine di Anna e, di conseguenza, preferiva evitare di discutere, soprattutto per vani motivi.
Fece per aprire bocca, ma si interruppe quando notò sbucare da dietro la gonna di Anna un faccino tondo. Si trattava di San, il maschietto di Kristoff ed Anna, gemello di Dubhe, la femminuccia. Aveva cinque anni e mezzo, ma era una peste. Sebbene Elsa fosse sempre stata restia dal intrattenersi con loro, temendo i suoi poteri, quella piccola peste bubbonica aveva sempre tentato un approccio. In realtà non ci aveva mai rinunciato, era attratto dalla distante zia, voleva probabilmente sciogliere quel gelo che attorniava il suo cuore. Anche quel giorno, con un sorrisetto beffardo stampato sul viso lentigginoso, balzando fuori dal suo nascondiglio, corse verso Elsa, urlando come un disperato. Come una scimmia tentò di arrampicarsi sulla gonna della zia, urlando il suo nome. Aveva imparato prima a dire Elsa, nome non semplice, piuttosto che mamma e papà, ma nonostante questa dimostrazione di affetto la regina si era sempre mostrata scostante dal piccoletto. San non si era lasciato scoraggiare, a dimostrazione di ciò, bastava guardarlo cercare con tutto sé stesso l’attenzione della regnante.
- Elsa! Elsa Elsa Elsa! Braccio! – Urlò rendendosi conto che non sarebbe stato in grado di scalare il lungo abito azzurro della donna.
Anna osservava appoggiata allo stipite della porta con un sorrisetto soddisfatto, come se le piacesse che suo figlio portasse un po’ di calore alla sorella, dimostrandole che non tutti le erano ostili.
Elsa fu costretta, a malincuore, a sollevare il bambino. Si vedeva chiaramente quanto non fosse abituata a tenere in braccio piccoli marmocchi. Immediatamente il furfante le stampò un bacio sul naso e poi l’abbracciò con affetto, sospirando contento. Quel gesto, così spontaneo e sincero, fece nascere l’ombra di un sorriso sulle labbra della regina. Anna era rimasta ad osservare la scena e non poté far altro che constatare quanto suo figlio e sua sorella si assomigliassero esteticamente, entrambi biondi, stessi occhi azzurri e grandi, carnagione eterea, solo le lentiggini di San dimostravano che vi era qualcosa anche della madre. Ovviamente, caratterialmente erano opposti, ma dopotutto gli opposti non si attraggono?
Fu quando San prese a giocare con la lunga traccia di Elsa, che la ragazza si ridestò e allontanò bruscamente il piccolo.
- Tieniti la tua peste, Anna. – Si ritrovò a dire sbrigativa, allontanandolo da lei e porgendolo alla madre. Il timore era sempre lo stesso: fare del male ad una innocente creatura.
Gli occhi celestiali di Elsa si rabbuiarono non appena persero il contatto con il corpicino caldo di San, il quale reclamò nuovamente la zia. Fu Anna ad intervenire e a calmare proprio figlio, aveva perfettamente compreso le paure della sorella.
Terminata la cena, Elsa si ritirò ben presto nelle sue stanze, sentendosi improvvisamente un blocco al petto. L’ansia cresceva, come le succedeva negli ultimi mesi quasi tutte le sere. Il petto si alzava e abbassava a ritmi sostenuti e il viso diventava ancora più pallida. Corse verso i suoi appartamenti e si chiuse dentro. Aveva il fiato corto, ma sapeva non essere colpa della corsa. Rimase diversi minuti appoggiata alla pesante porta, lo sguardo perso davanti a sé e il cuore che martellava potente nel suo petto. Sapeva benissimo cosa le stava accadendo per l’ennesima volta: stava avendo un attacco di panico. Si staccò dalla porta e barcollò verso il letto, lasciandosi cadere sopra. Il respiro era ancora affannoso, il suo cuore non accennava a calmarsi, la stanza attorno a sé si fece più sfocata. Tentava di mettere a fuoco, ma vanamente. Passarono minuti, forse ore prima che tutto si fermasse e lei potesse prendere di nuovo il controllo di sé stessa. Aveva bisogno di ghiaccio, di freddo, dei suoi poteri. Con mano tremolante, dovuta alla crisi appena avuta, fece il solito movimento per poter dar vita ad un gioco di ghiacci, ma nulla si produsse dalla destra. Ci ritentò, questa volta muovendo la sinistra, il risultato fu lo stesso: nulla. Niente di niente. Imprecò sottovoce, riprovandoci ancora, ma senza produrre alcunché. Fece un terzo tentativo, poi un quarto ed un quinto e così via, sempre più frustrata e disperata. Si alzò persino, spaventata dal fatto che nessuna magia sembrava più vivere in lei. Perché non riusciva ad usare i suoi poteri ora che aveva imparato a controllarli? Barcollò in avanti, raggiungendo la scrivania, facendo un ultimo e vano tentativo. Urlò colma di rabbia, buttando a terra, con un gesto iracondo, qualsiasi cosa vi fosse sul tavolo sul quale aveva lavorato per tutto il pomeriggio. Nuovamente il cuore prese a rimbombarle nel petto ed un’insolita ira le invase anima e corpo. Urlò di nuovo, afferrando un vaso e buttandolo a terra con forza. Compì lo stesso gesto con un altro oggetto e poi un altro ancora, intervallando nuovi tentativi di liberare la propria magia, la vera Elsa. Continuò così fino a quando non cadde a terra in una valle di lacrime. L’ira venne sostituita dalla disperazione e dal pianto. Si addormentò, stremata, appoggiata al sedia dall’imbottitura di velluto rosso.
 
I’m waking up to ash and dust
I wipe my brow and I sweat my rust
I’m breathing in the chemicals
 
Elsa si risvegliò di soprassalto, il braccio destro indolenzito, probabilmente il suo capo era rimasto appoggiato su di esso per tutta la notte. Il sole era ormai alto nel cielo, a constatare dall’insistente luce che entrava nella camera e qualcuno bussava con forza alla sua porta.
- Un attimo! – Si ritrovò a replicare, senza nemmeno sapere di chi si trattasse. Il bussare cessò all’istante e ciò le fece intuire si trattasse una qualche cameriera che attendeva di aiutarla a sistemarsi. Si alzò lentamente, dolorante per la posizione scomoda che aveva tenuto per tutta la notte. Passandosi una mano tra i capelli arruffati affermò, senza aprire, che si sarebbe sistemata da sola. La presunta cameriera rispose, allontanandosi poi dalla camera. La ragazza si guardò attorno, constatando con disappunto che aveva realmente distrutto la sua camera e non si trattava solo di un incubo. Sospirò, scuotendo il capo mesta. Il bello era che non aveva messo soqquadro la sua stanza con i suoi poteri, ma semplicemente con la furia di una normale donna priva di alcuna maledizione. Si rese conto che sarebbe dovuta essere contenta, se i suoi poteri erano spariti significava essere libera finalmente! Purtroppo un’opprimente tristezza le attanagliava il cuore, non concedendole alcuna minima felicità, nemmeno ora che sapeva di non poter più nuocere a nessuno, nemmeno a suo nipote, San. In quell’istante rabbrividì, portandosi le mani sfregarsi sulle braccia per un po’ di calore. Fu costretta ad accendere un fuoco, mentre con calma ragionava sul da farsi.
La cosa più sensata e razionale sarebbe stata quella di costringersi a vivere così, dopotutto aveva represso i suoi poteri fino ad ora, che senso aveva riaverli indietro? Ma la parte più ribelle, che fino a quel momento non era mai uscita prepotentemente allo scoperto, le diceva che avrebbe dovuto fare qualcosa. Socchiuse appena gli occhi, allungando le mani verso il caminetto appena acceso, il fuoco scaldava le mani intorpidite dal freddo, solleticando la pelle con delicatezza. Che cosa fare? Che cosa doveva succedere per risvegliare o ritrovare la magia che le apparteneva? Stando ai suoi calcoli l’ultima volta che un solo fiocco di neve era svolazzato dalle sue mani era stato più di un mese fa e ciò la mandò in panico. Fino a quella sera non aveva più provato ad utilizzare i suoi poteri, se n’era quasi scordata.
Coccolata dal calore sprigionato dal fuocherello del camino, una nuova certezza si fece strada in lei. Aprì gli occhi di scatto, occhi esterni avrebbero potuto notare che una strana e nuova luce aveva iniziato a brillare negli occhi della Regina, pareva quasi trattarsi di determinazione. Era stufa di reprimere sé stessa, era stufa di mettere da parte qualsiasi cosa la rendesse vagamente felice per qualcuno egoista. In quel momento riuscì a provare rabbia persino per il suo popolo, che nonostante fingesse di volerla, in segreto provava ancora paura nei suoi confronti. Si alzò di scatto, decisa a prendere in mano le redini della sua vita. Voleva indietro i suoi poteri, voleva ritornare ad essere sé stessa. Un barlume di malsana idea le iniziò a tartassare la mente e sulla base di quei pensieri si mosse, si fiondò all’armadio dal quale tirò fuori dei vestiti a caso, chiamò la servitù e diede ordini secchi su cosa preparare. Sarebbe partita domattina all’alba e così fece. Non diede molte spiegazioni ad Anna, si limitò ad affermare che necessitava di allontanarsi un poco e intanto ne avrebbe approfittato per tentare di riaprire i rapporti commerciali con le Isole del Sud, patria di colui che aveva tentato di assassinarla: il principe Hans.
 
 
NOTE AUTRICE: mi rendo conto che Hans è stato solo citato e che non è ancora comparso, ma lo farà presto, nel prossimo capitolo. Per questo ho preferito concentrarmi su Elsa e sul perché spingerla ad andare da lui, anche se non l’ho svelato proprio del tutto.
Sembra la solita Elsa, quella di questo primo capitolo, con insicurezze e tanti dubbi, in realtà le voglio dare un tocco diverso, sempre fragile, ma anche fortemente arrabbiata con il mondo che la circonda. Non so se ci riuscirò, anche perché di solito quando scrivi i personaggi fanno quello che vogliono e le idee cambiano in corso d’opera.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Baci
Arabella

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Capitolo 2
*** I’m turning to a monster and it keeps getting stronger ***


Ciao a tutti! Come state? Inizialmente avevo pensato di postare questo capitolo venerdì, ma siccome era concluso mi dispiaceva fargli fare la muffa. Ho deciso di regalarvelo in anticipo. Spero vi piaccia!
Volevo ringraziare per le belle recensioni ricevute ^^
Ci vediamo alla fine! Buona lettura :)
 

Monster

Ever I since I could remember,
Everything inside of me,
Just wanted to fit in.
I was never one for pretenders,
Everything I tried to be,
Just wouldn’t settle in.
If I told you what I was,
Would you turn back on me?
Even if I seem dangerous,
Would you be scared?



All’alba la regina partì su una carrozza, un paio di bauli per contenere le sue cose. Portò con sé il desiderio di ritrovare sé stessa e per fare ciò doveva cominciare affrontando colui che aveva tentato di ucciderla. Ogni volta che il suo pensiero si rivolgeva ad Hans, la rabbia cominciava a ribollirle nell’animo, provocandole problemi di controllo. In quegli ultimi mesi e con il passare del tempo qualsiasi desiderio di vendetta era sparito ed Elsa aveva scacciato dai suoi ricordi il volto del principe. Ora voleva ricordare, voleva vederlo in faccia, voleva riempirsi il cuore di rabbia e di desiderio di vendetta, perché solo così sapeva che forse i suoi poteri sarebbero tornati a galla.
Ironia della sorte, sapeva di aver bisogno del suo peggior nemico, aveva bisogno dell’aiuto di Hans.
Sua sorella non aveva preso bene quel suo viaggio. Aveva affermato che non necessitavano di commerciare con le Isole del Sud, anzi che non voleva proprio averci a che fare. Elsa non le aveva detto tutta la verità, non le interessava ristabilire tratte commerciali con quel regno, le interessava poter sfogare la propria ira nei confronti del tredicesimo figlio del re. Terribile da pensare, non è vero? Eppure era la sua ultima speranza, ormai l’apatia nei confronti di tutti l’aveva colpita e se l’amore serviva per dissolvere la magia da lei creata, perché non cercare nell’odio e nella rabbia il pretesto per ritrovarla? Non sapeva a cosa l’avrebbe condotta ciò che aveva in mente, sapeva solamente che doveva provarci e che da comune umana, quale aveva voluto essere per anni, non voleva vivere. Contraddittoria come cosa, ma si sa chiunque desidera ciò che non può avere ed ora che ella non possedeva più i suoi poteri non desiderava altro che riaverli indietro.
Ci volle un’intera giornata di viaggio prima di giungere a destinazione.
Elsa venne accolta con calore e circondata ben presto da quattordici componenti della famiglia reale, ne mancava solo uno all’appello: Hans. Il re con cordialità la rassicurò affermando che il ragazzo si trovava in condizioni di prigionia nelle sue stanze, isolato da tutti, pur mantenendo un minimo di dignità umana che si confaceva ad un principe. Chiese persino ad Elsa se desiderava che venisse trasferito altrove durante tutta la sua permanenza nel regno. Ella declinò con un sorriso, affermando che non ce ne sarebbe stato bisogno, ma che anzi avrebbe desiderato vederlo per ricevere le sue scuse.
Il decimo figlio della coppia reale, il quale doveva chiamarsi Fen, l’accompagnò in giro per il castello, mostrandole l’enorme fortezza, giungendo infine nell’ala più isolata di quella dimora, ove era costretto alla “reclusione” il tredicesimo principe.
- E qui è dove si trova Hans, vostra maestà. -
Non affibbiò alcun appellativo negativo al fratello, ma bastò udire il tono di voce e l’espressione dipinta sulla faccia del decimo per comprendere che provava disgusto e persino odio nei confronti del tredicesimo. Come se ciò non bastasse si permise persino di appoggiare, a mo’ di conforto, una mano su quella nuda di Elsa. Tale gesto la fece irrigidire, sebbene avessero camminato a braccetto tutto quel tempo. Fu inusuale quel tocco, nessuno si era mai permesso, sia perché si trattava della regina sia perché era pericolosa, di toccarle una mano. Fu piacevole quel contatto e al tempo stesso irritante. Piacevole perché nessuno l’aveva mai sfiorata, nemmeno per sbaglio e lui l’aveva fatto apertamente senza timore. Irritante perché che diritto aveva di concedersi tale intimo gesto?
Scosse appena il capo, Elsa, mentre lanciava un’occhiata alla porta del principe Hans, sorvegliata da due guardie.
- Grazie per le delucidazioni, Principe Fen. E’ stato un piacere fare la vostra conoscenza, ma se non vi dispiace sono molto stanca per il viaggio. Desidererei ritirarmi nelle mie stanze. –
- Il piacere è tutto mio, vostra Maestà. Vi accompagno. I vostri bagagli sono già là. – Un sorriso affabile accompagnò le cordiali parole del principe ed Elsa andò in confusione. Aveva percepito l’odio rivolto al tredicesimo fratello, ma aveva anche notato la disponibilità che Fen le aveva rivolto. Non la considerava come una disgrazia? Un mostro? Quel mostro che aveva rovinato la vita al fratello? Comprese che non sempre l’amore fraterno, come il suo e quello di Anna, era sempre valido. Si ritenne fortunata per una volta nella sua vita e ringraziò il cielo per averle dato Anna. Si congedò ben presto dal principe e si ritirò nelle sue stanze.
La sorpresa che ricevette una volta entrata nei suoi appartamenti la colpì violentemente. Una volta aperto uno dei due bauli urlò, costretta a fare un passo indietro. Dentro si era nascosto San, il figlio di sua sorella. Come diavolo aveva fatto? Ma soprattutto aveva patito le pene dell’inferno, sballottato a destra e manca, in quell’angusto baule per tutta la durata del viaggio. Lo prese immediatamente in braccio, giusto per accertarsi che fosse sano e salvo. Lo ispezionò rigirandoselo tra le braccia, per poi tirare un sospirò di sollievo appurato che fosse integro. Solo allora si permise di rimproverarlo, stringendolo sempre a sé.
- San! Che cosa ti è saltato in mente di infilarti nel mio baule? È pericoloso! Chissà cosa penseranno tua madre e tuo padre della tua scomparsa?! – Parlò a raffica, come se il bambino di cinque anni avesse potuto comprendere tutte quelle parole.
- Elsa triste, io ti voglio bene. – Frasi sconclusionate che però dicevano la verità. Arrivò persino un abbraccio e un bacio da parte del bambino, il quale si accoccolò stanco tra le braccia della zia. Elsa si ritrovò a stringerlo a sé, cullandolo dolcemente, rispondendogli che anch’ella gli voleva bene, ma ammonendolo che d’ora in poi avrebbe dovuto dirle tutto quello che avrebbe fatto.
- Va bene. – Acconsentì il piccoletto, sospirando, mentre gli occhi iniziavano a farsi pesanti per il lungo viaggio. Non appena San si fu addormentato e posizionato con cura nel letto, Elsa si sbrigò a scrivere una lettera a sua sorella, rassicurandola che il figlio si trovava con lei. La fece mandare immediatamente, sperando fosse arrivata al più presto. Elsa non sapeva cosa significasse perdere un figlio, ma poteva immaginarlo, lontanamente, ma poteva farlo.
Si addormentò ben presto, affianco del bambino, il quale aveva subito scovato tristezza nel suo sguardo.
Il mattino seguente, la regina si alzò presto, svegliata dall’esuberanza del nipote, il quale desiderava visitare l’enorme castello. Fecero assieme colazione, ovviamente dopo aver comunicato la presenza di quella peste. Tutti notaro l’estrema somiglianza tra i due, ma nessuno osò chiedere se fosse suo figlio, si limitarono tutti a fare i complimenti a San. Persino Fen parve incuriosito, sebbene inizialmente stupito, della presenza di quel bambino.
San venne ben presto affidato ad una balia, la quale si sarebbe presa cura di lui e così Elsa poté intrattenere delle trattative con il Re ed i principi.
Solo dopo pranzo ebbe qualche ora libera da dedicare a sé stessa, come le aveva suggerito il principe Fen. No, non avrebbe seguito il suo consiglio, ma si sarebbe recata da Hans. Rivoleva i suoi poteri e li rivoleva subito, era meglio tagliare la testa al toro immediatamente.
Ricordava perfettamente la strada da percorrere per giungere all’ala riservata al principe rinnegato, non ci mise poi molto a giungere a destinazione.
Spiegò alle guardie il motivo della sua visita e queste la fecero entrare senza indugio. Poco prima che si chiudessero le porte alle sue spalle, ancora con lo sguardo a terra, il suo nome venne pronunciato da una vocina infantile. Si trattava di San, il quale corse dentro nella stanza, aggrappandosi alla sua gonna e rimirandola con un sorriso dolce. Le guardie fecero il loro ingresso, ma prima che potessero afferrare il piccolo furfante, Elsa affermò che era tutto a posto, che poteva restare. Così, rassicurati dal sorriso dolce della donna, chiusero nuovamente le porte. Solo allora la Regina si permise di alzare lo sguardo e notare con estremo disappunto che Hans non era solo, ma che con lui vi erano anche due cortigiane, pronte a dare inizio ad un dopo pranzo di passioni in un folle ménage à trois. Era così che spendeva i suoi giorni di prigionia? Hans, in mezzo alle due a petto nudo, era fermo immobile, lo sguardo stupito dalla duplice visione. Si ridestò subito però, mentre un sorrisetto compiaciuto appariva sul suo viso.
Elsa, all’opposto, si mosse solo quando San le tirò il vestito. Solo allora si rese conto di avere un minore in una camera bollente e prontamente lo nascose dietro di sé, sebbene il nipote non ne volesse sapere.
- Chi è? Cosa sta facendo? Perché ci sono due donne? Lo conosci? – Troppe domande le vennero fatte in quel momento carico di imbarazzo e di rabbia. Elsa tentava di tenere il bambino dietro di sé, mentre osservava schifata Hans, il quale con un gesto secco cacciò le due amanti, facendole uscire dalla stanza.
- Non rispondete alle domande che vi sono state poste? – Si era dimenticata del suo suono ingannevole che aveva la voce di quell’uomo, così calda, così rassicurante, ma tagliente allo stesso tempo.
Hans si chinò, osservando il bambino, nascosto in parte dietro l’azzurra e ampia gonna della zia, tenuto per un braccio dalla mano priva di guanto della stessa.
Che cosa avrebbe dovuto rispondergli? Che quello era colui che aveva tentato di uccidere lei e sua madre? Che era in procinto di consumare con due prostitute? Scosse appena il capo, gelando con lo sguardo l’uomo davanti a sé, mentre San chiedeva ancora risposta.
- Se non volete rispondere, lo farò io. – Si avvicinò ulteriormente al bambino, mentre Elsa ancora non lucida, arretrava portando con sé San.
- Sono l’eroe che ha tentato di salvare Arendelle da un mostro e tu sei…? – Porse una mano al bambino, mentre l’ira continuava a crescere in Elsa. Avrebbe voluto rispondergli come osava definirla mostro, ma se così avesse fatto si sarebbe esposta con il nipote e l’ultima cosa che voleva era deturpare l’anima innocente di un bambino. San sfuggì dal suo controllo e andò davanti ad ella, afferrando la mano protratta di quell’assassino.
- Wow! Quale mostro? Quando? Io sono San! – Dalle labbra del bambino uscirò parole cariche di entusiasmo, curiose di conoscere quella storia che mai gli era stata raccontata.
- Ma gli eroi non tentano di salvare, loro sono forti e salvano e basta. – Rinfacciò ulteriormente San, acuto e attento a qualsiasi parola. Per un attimo Elsa fu orgogliosa e contenta di come avesse incastrato Hans.
- Nella realtà non sempre il bene vince sul male, ometto. – La regina notò come lo sguardo da pazzo di Hans era rivolto tutto al bambino e ciò non le piacque. Afferrò il bambino e lo avvicinò a sé, proteggendolo, per quanto potesse, dalle grinfie di quell’uomo. Chiamò le guardie e ordinò loro di portare via San, intimando che avrebbe fatto punire la balia se questa si fosse lasciata scappare nuovamente quella piccola peste. Il bambino non voleva però andarsene, la curiosità di sapere quale fosse il mostro e di interloquire ancora con Hans pareva logorarlo.
-Il Principe Hans ti racconterà la storia un’altra volta. - Disse Elsa per convincerlo a seguire le guardie.
- Me lo prometti? – Come poteva un bambino così piccolo essere così entusiasta di conoscere un uomo tanto crudele? Ovvio, non conosceva la reale natura di quel principe, ma se si era nascosto in un baule per non abbandonare Elsa, chissà cosa avrebbe potuto compiere pur di udire quella storia!
La regina era preoccupata, ma acconsentì mormorando un lieve promesso. San se ne andò e finalmente poté rimanere sola con il tredicesimo principe delle Isole del Sud. Rivolse lo sguardo all’uomo, ancora a torso nudo, egocentrico e narcisista come sempre.
- Sebbene avessero annunciato il vostro arrivo, Elsa, non pensavo che sareste venuta da me. La cosa mi fa pensare che il mio fascino eserciti su di voi ancora un qualche potere. – Ridacchiò sommessamente, avvicinandosi alla regina con passi lenti e misurati, incuriosito dalla sua presenza.
La regina avrebbe voluto rispondergli che il fascino su di lei non l’aveva mai avuto e che l’unica che si era lasciata abbindolare da lui era stata Anna, non lei.
- Il presunto eroe qui presente è tenuto a rivolgersi a me come Sua Maestà. Non ricordo di avere mai avuto con voi, principe Hans, un rapporto così intimo da permettervi di chiamarmi per nome. – Si mosse con estrema eleganza e senza andare a chiedere alcun permesso si accomodò su un divanetto, posizionato vicino ad un’ampia finestra. La stanza era piuttosto accogliente, non eccessivamente grande, ma abbastanza ricca da mostrare il sangue blu di Hans. Viveva in una prigione d’orata. Nella disgrazia di aver fallito nella sua missione, aveva trovato fortuna che la sua famiglia lo trattasse ancora con dignità. Fosse stato per Elsa lo avrebbe costretto ai lavori forzati tutti i giorni.
La regina accavallò le gambe con nonchalance e attese che il principe si accomodasse da qualche parte, speranzosa che avesse almeno il pudore di rivestirsi. A quanto pare era talmente narcisista da voler rimanere a petto nudo per tutta la loro chiacchierata. Credeva di poter avere una qualche influenza su di lei? Credeva di avere a che fare con una stolta? Elsa ricordava bene che cosa era successo sei anni e fa e non sarebbero di certo stati due addominali messi in mostra a farle vedere quell’uomo con occhi diversi.
- Oh lo avreste avuto se non vi foste barricata insieme alla vostra solitudine nella vostra stanza, lasciando quell’inetta di vostra sorella a girare ingenuamente per il castello. – Cercarono di ferirla tali parole, ma non vi riuscirono, anzi non la scalfirono minimamente. Non avrebbe mai dato dell’inetta a sua sorella, ma dell’ingenua sì.
- Avete trovato comunque il modo per avvicinarmi e avete fallito miseramente, Principe Hans io fossi in voi mi atteggerei meno da diva. Io sono libera e voi siete in questa splendida prigione d’orata, il che mi fa pensare che qualcosa nel vostro piano sia andato storto. – Con fare teatrale si portò sconcertata la mano alla bocca, scrollando subito dopo le spalle. Gli occhi azzurri di Elsa, apparentemente sicuri nascondevano in realtà una fragilità che ancora la contraddistingueva dal resto del mondo. Era fragile, sebbene volesse dimostrarsi a tutti costi come forte e sicura di sé.
- Non avrò una corona in testa, non sarò principe o re di Arendelle, ma, vostra Maestà, se proclamate così insistentemente la mia disfatta, che cosa ci fate in questa stanza? – Touché. Si sentì improvvisamente in trappola e, sebbene avesse tentato in tutti i modi di non far trasparire alcunché, notò come gli occhi di Hans saettarono su lei, desiderosi di comprendere tutto su quel crollo improvviso. Si era alzato e aveva preso a girarle attorno, come un predatore fa nei confronti della sua preda. La regina non si mosse, ma rimase ferma immobile, cercando di dimostrarsi quanto più distaccata possibile.
- Pretendo le vostre scuse. – Sbagliato e lui lo sapeva, glielo si poteva leggere in faccia, dall’espressione compiaciuta che vi si era disegnata sopra.
- Una donna appagata come voi, che cosa se ne fa delle mie scuse? Che senso ha pretenderle dopo sei anni? Eravate troppo spaventata prima per poterle ottenere? Vi facevo troppa paura, forse? – Continuò a ronzarle attorno, permettendosi persino di sfiorarle le semi nude spalle. Il suo tocco era caldo, delicato, ma invadente allo stesso tempo. Elsa non era ancora riuscita a reagire, lo guardava inerte.
- No, è solo un pretesto quello delle scuse, voi è altro che desiderate, ve lo si può leggere negli occhi. – Era così un libro aperto? Al punto tale che persino quel narcisista di Hans era in grado di comprendere che nel suo petto vi era in corso una tempesta silenziosa? E perché mai gli altri non erano stati capaci di capirlo? Erano forse troppo cechi? Troppo concentrati su loro stessi per potersi accorgere della silenziosa richiesta d’aiuto della loro regina? Ed Anna?
No, la realtà era un’altra, lei era troppo simile a lui e se agli altri era in grado di celare paure e angosce, con lui non era possibile. Erano entrambi mostri e tra bestie ci si capiva alla perfezione.
- Sentiamo, che problemi ha il mostro di Arendelle? Ha congelato mezzo paese di nuovo? O semplicemente anche i vostri cittadini si sono accorti di quanto siate un abominio? – Colpita e affondata. Quello aveva fatto male e parecchio. Aveva come sentito un crack nel suo petto e qualcosa infrangersi ulteriormente. Era il suo cuore? Si morse con violenza le labbra e bloccò la mano vagabonda del principe, gelandolo con lo sguardo.
- Ops! Ho forse toccato un tasto dolente, sua Maestà? – Quel solito sorriso sornione fece capolino sul viso del tredicesimo e Elsa si sentì ribollire di rabbia. Eppure quell’ira non le permetteva di sbloccare i suoi poteri. Tentò di far confluire il ghiaccio del suo cuore alle mani, per dare una lezione a quel cafone, ma non accadde nulla.
- Io non sono un abominio! – Si ritrovò a biascicare, stringendo convulsamente il braccio al principe, improvvisamente anch’ella in piedi e di fronte a lui. Staccò la mano solo quando gli occhi di lui si posarono su quel contatto, pensieroso, cercando di comprendere che cosa volesse fare la donna.
Elsa si allontanò di qualche passo, spaventata dalla mancata risposta della sua magia. Diede le spalle all’uomo, mossa altamente sbagliata, e fece per uscire. Non fece nemmeno un paio di passi che venne afferrata per il polso sinistro e costretta ad indietreggiare, sbattendo poi contro il petto scolpito del principe.
- Lasciami immediatamente o mi metterò ad urlare! -
Così stava mettendo a repentaglio il suo segreto e ben presto lui ne sarebbe stato a conoscenza.
- Che bisogno avete delle guardie? Potreste infilzarmi con un solo schiocco di dita! – Le abbaiò addosso brutalmente, il suo viso a pochi centimetri da quello di lei, troppo vicini, quasi fossero stati due passionali amanti.
Lo sguardo di lei cadde sulla mano che lui le teneva alta, bloccata per il polso. Basterebbe uno schiocco di dita quella frase le frullava in testa, ma non riusciva a reagire, a liberarsi dalla sua morsa. Ciò venne notato dall’attento principe, il quale fece scorrere l’attenzione dalla mano agli occhi di lei e poi ancora un paio di volte.
- Voi… voi non siete più la Regina delle nevi! – Esclamò, attirandola ancora più a sé, incurante di quanto lei tentasse vanamente di allontanarsi.
- Voi siete innocua! – Furono quelle parole, che la colpirono come lame a farla reagire. Un sonoro ceffone partì dalla mano destra della principessa ed andò a depositarsi sulla guancia sinistra del principe. Quel colpo colse di sorpresa Hans, il quale mai e poi mai si sarebbe aspettato suddetta reazione. La lasciò andare, portando una mano sull’arrossata guancia sinistra, massaggiandola divertito.
- Quasi innocua – Biascicò mentre lei fuggiva dalla stanza, lasciandolo solo.
Hans di certo non si preoccupò di inseguirla, qualcosa gli suggeriva che sarebbe tornata da lui e che non sarebbe passato poi molto, in più aveva promesso al figlio che sarebbe stato lui a raccontagli la vera storia di Arendelle. Il principe si stese sul suo letto a baldacchino, sospirando ed incrociando le braccia al di sotto del capo.
Quell’improvvisa quanto inaspettata visita aveva reso meno noiosa la sua prigionia. Aveva scoperto cose interessanti sulla donna che aveva tentato di uccidere anni fa. Aveva, a quanto pareva, avuto un figlio e di conseguenza doveva essersi sposata, anche se la cosa gli puzzava, in quanto mai erano giunte voci al castello sul presunto matrimonio della Regina Elsa e di Mister Sconosciuto. Che avesse semplicemente avuto una relazione senza giungere al matrimonio? Non erano nemmeno arrivati pettegolezzi di scandalo a palazzo, quindi gli pareva ancora più improbabile della prima ipotesi. Aveva scartato a priori l’idea che non fosse suo quel marmocchio, dopotutto avevano la stessa carnagione, gli stessi profondi ed intensi occhi azzurri, lo stesso colore di capelli. La somiglianza era palese, sebbene il piccoletto, da quel poco che aveva potuto constatare, aveva le lentiggini. Scosse il capo, incapace momentaneamente di trovare una soluzione a tale dilemma. Non giunse ad una soluzione, ma optò per allontanare quelle mere curiosità e di rivolgere la propria attenzione al fatto che la Regina di Arendelle fosse totalmente innocua. Nonostante ciò era stato in grado di ricevere un potente schiaffo, ma era stato proprio quel colpo inflittogli che lo aveva reso consapevole della debolezza della donna. L’unico quesito che aleggiava intorno a quel mistero era perché, se realmente aveva perso i suoi poteri, si era recata da lui. Che cosa l’aveva spinta ad incontrare l’uomo che detestava di più sulla faccia della terra? Doveva esserci un motivo, altrimenti tutta la faccenda non avrebbe avuto senso e lui l’avrebbe scoperto. Dopotutto che altro di meglio aveva da fare?
Non richiamò più indietro le cortigiane, ma si limitò a fantasticare su Elsa e su come l’avrebbe distrutta lentamente se ella si fosse ancora recata da lui. Non aveva dimenticato in quei sei anni, non si era pentito di ciò che aveva fatto e voleva vendetta perché la vita a cui era stato condannato dopo il tentato e duplice omicidio gli risultava stretta.
Elsa nel frattempo era fuggita nelle sue camere e, nonostante avesse concluso che apprezzasse le attenzioni che il Principe Fen le rivolgeva, declinò il suo invito ad una passeggiata. Doveva ragionare, doveva rimanere da sola per calmarsi e ragionare sul da farsi. Si era fatta scoprire come un pollo, come se Hans avesse il potere di leggerle nella mente ed il suo piano si complicava e di parecchio. Anche perché gli insulti ricevuti, come mostro e abominio, non erano poi serviti granché e la magia, ammesso che vi fosse ancora, rimaneva celata nel suo cuore.
Da quando aveva iniziato a nascondere totalmente la propria magia, aveva iniziato a sentirsi più debole, come se una lenta malattia la stesse logorando dall’interno. A tale quesito si era risposta che era solo un fatto mentale e nulla più. Col passare dei mesi però aveva iniziato, in cuor suo, a comprendere che forse non era solo un fattore psicologico, ma che quel raggelarsi del suo cuore, quel suo costante avere freddo era qualcosa di più serio e grave. Che i suoi stessi poteri, imprigionati dentro di lei, le si stessero ritorcendo contro? Non voleva ammetterlo, ma probabilmente era proprio così.
La cosa terribile era che nessuno pareva essere in grado di aiutarla, o meglio, ai suoi occhi nessuno sembrava competente per aiutarla, dopotutto lei non aveva chiesto aiuto a nessuno e non aveva intenzione di farlo. Aveva sperato che Hans le facesse perdere il controllo, insultandola, ma non era successo niente di niente. Quando lui l’aveva afferrata e l’aveva attirata a sé con un sorriso crudele stampato sul viso, aveva tentato in tutti i modi di sprigionare la sua magia, di fare come le aveva suggerito lui stesso, di infilzarlo con il suo ghiaccio, ma invano, le sue mani non si erano nemmeno raffreddate, erano rimaste appena appena tiepide. E allora sì che si era sentita un’inetta, si era sentita ancora più debole di quanto non fosse già.
Doveva reagire perché egoisticamente non voleva morire, non voleva che il suo stesso ghiaccio la gelasse e la uccidesse. Lei voleva vivere e trovare finalmente quella felicità che tanto si era ostinata a cercare e mai trovata.
Quella sera non scese a cenare con i regnanti, disse loro che non si sentiva molto bene e che avrebbe mangiato qualcosa in camera sua con San. Il bambino era stato condotto nelle sue stanze, ben felice di poter passare del tempo con sua zia.
Mangiarono in silenzio, come se il bimbo avesse capito che Elsa non era molto in vena di chiacchiere. Solo quando ebbe finito il suo piatto si alzò e si avvicino alla Regina, prendendole una mano tra le sue e constatando quanto fosse fredda tentò di scaldarla tra le sue. A quel gesto la ragazza sorrise, accarezzando con la mano libera la testa del bambino. Si rese conto di quanto volesse bene a quel bambino che sembrava così tanto capirla. Peccato che lui non fosse a conoscenza dei suoi poteri, Elsa aveva ritenuto più semplice tenerli nascosti anche a lui, non voleva essere vista da sua nipote come un mostro. San volle a tutti i costi sedersi sulle sue gambe ed insieme a lei volle terminare i compiti che la Balia delle Isole del Sud le aveva affidato. Doveva scrivere delle semplici parole, ma che per un bambino di cinque anni non era così facile, dopotutto aveva appena imparato a l’alfabeto.
Con il bambino sulle gambe e le braccia di lei avvolte attorno al suo corpicino per proteggerlo dal mondo esterno, Hans si ritrovò a spiare la scena, essendosi rifugiato sull’enorme balconata della camera della regina. L’uomo era stato in grado di eludere i controlli e di spiare con successo quello strano duo.
Un principe dal cuore di pietra come il suo non avrebbe dovuto lasciarsi intenerire da tale scena, ma non riuscì a trattenersi ed un lieve sorriso apparve sul suo viso, addolcendo i cattivi tratti. Si ritrovò a pensare al perché la sua famiglia non fosse stata così, semplice, ma piena d’amore. Il bambino e la presunta mamma trasmettevano una dolcezza che avrebbe dovuto fargli ribrezzo, ma che in realtà lo condusse a ripensare con tristezza al suo passato. Se era diventato ciò che era diventato era solo per colpa della sua famiglia. Suo padre non lo aveva mai considerato, lo aveva sempre ritenuto un peso, essendo lui un figlio illegittimo, avuto da una relazione extra coniugale. La reale madre non aveva quasi fatto in tempo a darlo al mondo che immediatamente era stata tolta di mezzo. A detta di suo padre era morta di parto, ma sapeva bene che non si trattava della verità, quando era solo un adolescente aveva udito una discussione tra la regina ed il re, nella quale era spuntato fuori che la donna, la vera madre, era stata tolta di mezzo perché considerata ingombrante, la stessa sorte era accaduta al medico che aveva permesso il parto. Si era chiesto perché mai lui fosse sopravvissuto ed era giunto alla conclusione che ormai il popolo sapeva del bastardo e ucciderlo avrebbe macchiato la fedina apparentemente pulita del re.
Ed eccolo lì ancora vivo e col cuore frantumato, rimesso insieme all’odio per la sua famiglia e per chiunque provasse una benché minima felicità.
Di fatti quel sentimento strano che gli stava scaldando il cuore mentre visionava la tenera scena, venne sostituito da una malsana gelosia. Fu costretto spostarsi da ove si trovava, vedere Elsa e il bambino stretti in un abbraccio colmo di amore aveva ricominciato a disgustarlo e si sarebbe trovato a vomitare se i suoi occhi verdi si fossero ancora posati su quella scena.

NOTE AUTRICE: Come vi è parso? 
Ho finalmente introdotto Hans che, ovviamente, non ci ha fatto una figura troppo elegante, ma dettagli. Spero vi piaccia anche la figura di San, personaggio di fantasia da me inserito e creato. 
Spero che vi sia piaciuto il capitolo. Ovviamente sono sempre disponibile a ricevere anche critiche, senza di esse non si cresce purtroppo :) 

Baci 

Arabella
 

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Capitolo 3
*** Look into my eyes it's where my demons hyde ***


Buongiorno gente! Non sapete quanto mi faccia piacere ricevere le vostre recensioni e notare che la storia vi piaccia. Vi giuro, mi riempie il cuore **
Ovviamente vi ringrazio di cuore tutti <3 Questa è la seconda fan fiction che scrivo e, siccome la prima non aveva riscontrato interesse, temevo che pure questa si tramutasse in un secondo flop.
Siete anche voi la mia fonte di ispirazione, che con domande e parole mi date pazze idee per rendere la vita impossibile a queste creature.
 

 
Demons
When your dreams all fail
And the ones we hail
Are the worst of al
And the blood’s run state

I want to hide the truth
I want to shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide
 
Erano passati ormai un paio di giorni da quell’incontro ravvicinato tra Elsa ed Hans, sebbene lui l’avesse spiata più volte quando era riuscito ad eludere i controlli. Lei d’altro canto aveva voluto comprendere bene la situazione e godersi per quei due giorni una totale privazione di incombenze lavorative, permettendo al Principe Fen di accompagnarla in giro per le Isole del Sud. Era un’ottima compagnia, totalmente differente dall’ultimo dei suoi fratelli. Fen era simpatico, disponibile e decisamente attraente. Aveva capelli neri come la pece e gli occhi chiari che contrastavano con il suo crine scuro. Lo sguardo vigile, attento e curioso osservava sempre con estrema e mal celata attrazione la Regina e questo ad Elsa, sebbene all’inizio fosse sembrato impertinente, iniziava a piacere. Per una rara volta si sentiva apprezzata, forse persino desiderata.
In quei due giorni di completo relax il principe non l’aveva abbandonata nemmeno per un istante e con egli pure San, il quale era stato la sua ombra. Avevano girovagato e visitato posti nuovi, belli, meravigliosi, ma soprattutto la Regina si era sentita viva, come mai le era capitato prima di allora. Non aveva più pensato ai suoi poteri e alla mancanza di essi, era riuscita a scordarsi chi fosse e di come terminati quei giorni sarebbe dovuta tornare alla triste realtà. Per il momento voleva godersi quell’ozio e le attenzioni di due maschi, un bambino di cinque anni che pareva non avere che occhi per la propria zia e un principe, il decimo in successione, ma al quale non pareva interessare la ricchezza, bensì solo la bellezza di Elsa.
In quel momento si trovavano loro tre nei pressi uno dei pochi laghi presenti su quell’isola. Pareva di essere nell’Eden e Elsa non poté far altro che ammirare e godersi quello spettacolo.
Camminavano tra la natura e non appena San vide il laghetto corse per giocare, a nulla valsero le raccomandazioni della ragazza, il bambino non l’aveva nemmeno udita.
- Non preoccupatevi, non arriva nemmeno ai 30 cm di profondità. Lo definiamo lago per il semplice motivo che è una delle poche pozze d’acqua dolce che abbiamo. Inizierà sicuramente a giocare con i girini. -
Elsa non era comunque tranquilla, non era suo figlio ed aveva un’enorme responsabilità addosso. Anna aveva acconsentito a lasciarlo a lei durante quella “vacanza”. Osservava il bimbo da lontano, sedutasi a terra, sfiorando con le mani l’erba tenera. Il principe si era seduto accanto a lei ed osservava a sua volta San.
- Siete fortunata ad avere un figlio come San, è adorabile, curioso e desideroso di conoscere, ma nonostante questo non pare essere viziato. – A quelle parole Elsa si ridestò e girandosi verso il principe scoppiò in una sincera risata. Fen non parve comprendere questo improvviso scoppiò di ilarità. Aveva detto qualcosa di sbagliato?
- Vedete mio caro principe, San non è mio figlio, ma mio nipote – Comunicò la regina, rivolgendo all’uomo un bel sorriso.
- Ma concordo con voi, sua madre è fortunata. – Aggiunse subito dopo, mentre restava voltata verso il principe.
- Ed io che ero convinto, come tutti dopotutto, che fosse vostro figlio! Vi assomigliate così tanto che nessuno aveva messo in dubbio nulla, ma anzi ne eravamo tutti certi! – Ridacchiò Fen, scuotendo appena il capo, come se si fosse rasserenato con quella notizia ed in parte lo era, poiché ora avrebbe potuto agire più facilmente. Non aveva le stesse intenzioni del fratello, quell’uomo era realmente infatuato della Regina Elsa, solo che temeva una reazione da parte di ella, dopotutto non poteva di certo biasimarla.
Rimasero seduti lì a lungo, in quel paradiso naturale, che infondeva nei loro cuori gioia. San era preoccupato a catturare poveri girini, mentre Fen dopo una lunga e piacevole chiacchierata si era sporto verso la sua interlocutrice, tentando un approccio. Sebbene Elsa fosse restia, pensò che un semplice bacio non avrebbe mai fatto del male ad alcuno e così sperimentò per la prima volta in vita sua che significasse ricevere un bacio. Temeva di essere incapace, ma ben presto riuscì a ricambiare ciò che il principe stava creando e le loro bocche si fusero, come fossero state una soltanto. Fu San ad interromperli, urlando e sbracciandosi nella direzione per attirare la loro attenzione. Solo quando vi riuscì allora smise di fare il pazzo. Mostrò ad entrambi cosa aveva costruito per la protezione e cura dei girini e poi fu pronto per tornare al palazzo. Il bambino prese la mano della zia e la condusse verso casa, senza però più richiamare l’attenzione del principe. Che fosse geloso? In realtà no, solo che preferiva Hans al fratello per un qualche oscuro motivo. Solo quando si trovò solo con la zia rivelò alla donna che Fen gli piaceva solo come amico. Elsa si lasciò andare in una risata cristallina, agguantando San e prendendolo in braccio. Era convinta che fosse solo gelosia.
- Rimarrai comunque il mio diletto, San. Non ti preoccupare! -
- Lo so, ma stai attenta. – Cosa poteva saperne di amore o desiderio un bambino di cinque anni? Probabilmente più di qualsiasi adulto. Per i bambini l’amore era una cosa genuina, non malata.
Elsa si lasciò andare ad un sospiro, schioccando un bacio al nipote, mettendolo poi giù. Quest’ultimo scappò via, affermando che doveva vedersi con un suo amico.
Sorrise di nuovo la regina, contenta che il bambino si fosse fatto delle amicizie. Incapace di tenere a freno la propria curiosità, iniziò a seguire il nipote, desiderosa di godersi la scena di due bambini giocare. Anche nei due precedenti giorni era successa la stessa cosa, lui era sgattaiolato via per andare a giocare. Era solo curiosità quella di Elsa, non ci vedeva alcun pericolo nell’amicizia tra un bambino di Arendelle ed uno delle Isole del Sud.
Senza farsi notare sgattaiolò dietro San e si bloccò solo quando pure il bambino si fu arrestato. Era nel bel mezzo di nulla, fermo, dritto, l’occhio vigile alla ricerca di qualcuno che tardava ad arrivare. Elsa poteva notare quanto scalpitasse il bambino e solo quando una sagoma iniziò a stagliarsi in lontananza il bambino si calmò, correndo incontro al famoso amico.
Con orrore constatò che non si trattava di un bambino, ma bensì di un uomo ed uno in particolare: Hans!
San aveva iniziato a scappare per incontrarsi con quella vipera?
Fu costretta a portarsi una mano alla bocca per soffocare un’imprecazione.
Hans scese da cavallo e con un solo gesto, senza apparente fatica, issò San sul suo destriero, tenendo le redini dell’animale.
Che diavolo pensava di fare? Era un bambino di cinque anni, non poteva salire su un cavallo da guerra! I due si mossero, Hans guidava il cavallo, apparentemente docile e mansueto, e San gli poneva domande su domande. Il principe rispondeva con pazienza, una pazienza che Elsa non gli aveva mai visto e non credeva potesse caratterizzarlo, ma giunse alla conclusione che stesse recitando. La ragazza si limitò a seguire silenziosamente i due, desiderosa di sentire i loro discorsi. Non riusciva a captare poi molto, era troppo lontana per farlo, così decise di diminuire ulteriormente la distanza che la separava dai due.
- Fen vi ha portato in giro per il regno di nuovo? – fu la domanda che Hans pose al bambino, continuando nella passeggiata.
- Sì, ma non è stato molto divertente. Non mi piace Fen. – Elsa non riusciva a capire che cosa vi trovasse di poco gradevole San nei confronti di Fen. Davvero, non riusciva a capacitarsene.
In tutta risposta il tredicesimo principe rise, divertito da quella affermazione.
- L’ha anche baciata ed è stato disgustoso! – Se ne uscì il bambino, fingendo un conato di vomito per rendere il tutto ancora più teatrale.
- Davvero? E lei? Ha ricambiato? – Hans si fece più attento, come se quell’argomento gli interessa particolarmente.
- Oh lei ricambiava, eccome! Fino a quando non ho interrotto tutto per far loro vedere una stupida tana per dei girini. – Quindi San li aveva interrotti di proposito, non gli interessava alcunché far vedere la sua creazione per le piccole rane! Elsa rimase scioccata da tale comportamento, non se lo aspettava da un bambino della sua età.
- Mi piaci di più tu. Elsa ha bisogno di essere felice, ma anche di avventura. Altrimenti se ne sta tutto il giorno chiusa in camera. – Secondo Elsa, Hans lo stava solo prendendo in giro, San non meritava di essere trattato in quel modo.
- Hans posso dirti una cosa? – Quest’ultimo annuì solamente, in attesa della confessione del piccolo principe.
- Elsa è un fiore. In casa i fiori muoiono, mentre all’aria aperta rinascono, no? E poi è bella, non deve stare da sola. E’ per questo che mi sono nascosto nel baule e sono venuto qui, per non lasciarla sola. A casa mamma ha Kristoff, mentre Elsa non ha nessuno. Vero? Ti piace Elsa? – Le parole di San le strinsero il cuore, facendole scendere una sola e solitaria lacrima. Era da tanto che Elsa non piangeva, ma il nipote l’aveva proprio commossa.
Hans parve sorpreso quanto lei sia dalla profondità del bambino, sia dal fatto che non fosse suo figlio.
- Sì, è molto bella tua zia. – Si limitò a dire il principe, intuendo che la madre fosse Anna, colei che aveva abbindolato sei anni prima.
- Dovresti chiederle di uscire! Se vuoi glielo chiedo io da parte tua! Non ti direbbe di no, lei è troppo buona. – In che meandri si stava conducendo quel discorso?
- Non credo accetterebbe, non siamo molto amici. – Replicò Hans facendo le spallucce.
- L’hai fatta arrabbiare? – San sembrava non demordere.
- Tanti anni fa. -
San fece per aprire di nuovo bocca, ma Hans gli fece cenno di tacere e sguainò la spada. C’era qualcuno e quel qualcuno era Elsa, la quale aveva messo un piede in fallo, facendo rompere un rametto secco. La Regina si ritrovò improvvisamente bloccata contro il tronco di una secolare pianta, una tagliente lama premuta contro il collo e gli occhi verdi di Hans dritti nei suoi. Aveva il cuore che batteva a mille, pareva quasi che avrebbe potuto sfondare le pareti del suo petto.
- Elsa! – Esclamò San stupito di vederla lì e soprattutto bloccata da Hans.
- Vostra Maestà – Bofonchiò il principe, lasciando immediatamente la presa sulla donna.
Elsa fece per avvicinarsi a San e tirarlo immediatamente giù dal grigio animale, timorosa potesse cadere o gli potesse succedere qualcosa per mano di Hans, ma il suo abito rimase impigliato nei rovi e i suoi passi furono vani. Fu costretta a chinarsi e distruggere quel bell’abito, creatosi addosso quando ancora possedeva la magia. Non appena i pezzi di tessuto si separano dall’intero abito, lasciandole un profondo spacco sulla gonna che arrivava a più di metà coscia, i pezzi che caddero a terra si tramutarono in acqua. Pure i suoi abiti stavano morendo, non bastava ella stessa che lentamente si sentiva spegnersi. Non fu l’unica a notare quel tramutarsi in acqua, ma gli stessi Hans e San videro tutto.
- E’ magia quella! – Esclamò il bambino e a quelle parole Elsa si volse con gli occhi spalancati verso il nipote, il quale aveva assistito a quella disgrazia.
- Ma quale magia, è solo un abito fatto apposta da sarte esperte per illudere gli stolti che la magia esista. Non crederai in queste cose, vero San? – Fu Hans a salvarla dall’impiccio. Aveva capito subito che il bambino non era a conoscenza del terribile segreto della donna e così aveva evitato che il marmocchio potesse risentire di un mondo al quale non apparteneva, fatto di magia, potere e sete di sangue. Hans si rispecchiava in quel bimbo, così genuinamente ingenuo, ma desideroso di fare del bene, come era stato lui da piccolo, quando ancora non conosceva l’odio e il disprezzo. Voleva preservare quell’anima innocente dal mondo degli adulti, nonostante fosse il nipote di colei che detestava e aveva detestato.
- Dici sul serio? Per poco non ci avevo creduto! – San sembrava credere come oro colato alle parole del principe, come se avesse una forte influenza su di lui e probabilmente l’aveva.
Elsa non poté replicare a nulla, era stata salvata dal proprio nemico e basta, doveva accettarlo. Afferrò così la mano che Hans le porgeva per uscire dal pantano in cui si trovava e mormorò un mesto grazie. Avrebbe fatto i conti con lui dopo.
- San sarebbe meglio tornare indietro ora. – Annunciò avvicinandosi al destriero, allungando le braccia verso il bambino per accoglierlo in braccio. Questo scosse violentemente la testa e non accennò minimamente a muoversi.
- Hans mi ha promesso che mi avrebbe fatto imparare ad usare la spada oggi! Ho bisogno di muovermi, sono stato con i girini tutto il giorno, Elsa. Ti prego ti prego ti prego! Può insegnarlo anche a te, così sarai più sicura e tranquilla da tutti coloro che ti guardano male. Li ho visti ad Arendelle! – Così il bambino la stava mettendo nei guai, stava svelando troppo ad Hans, il quale molto probabilmente pensava di essere la sua unica e sola minaccia. No, ne aveva molti di nemici che si fingevano amici.
Prima che Elsa potesse negare, affermando che era pericoloso per un bambino usare la spada, Hans tirò fuori dal suo mantello un paio di spade di legno e con un sorriso smagliante si rivolse alla Regina.
Idiota si ritrovò a pensare volgarmente la ragazza, sbuffando e acconsentendo. Non che le andasse realmente di starsene con Hans e San nel bel mezzo del nulla, priva di alcun suo potere. Si stava pure domandando in che razza di prigionia si trovasse il principe, visto che era libero di girare a cavallo e di spingersi così lontano dal palazzo. L’uomo tirò giù Hans dal cavallo e legò l’animale ad un ramo. Elsa nel frattempo si sedette a terra, tanto ormai il vestito era completamente da buttare, lo spacco era troppo profondo, avrebbe destato inutili pettegolezzi.
Rimase ferma ad osservare i due, Hans gli spiegava le regole basilari e mostrava al bambino, il quale pendeva dalle sue labbra, i movimenti che avrebbe dovuto fare. Quando ebbe terminato con la teoria tentarono di mettere in pratica gli insegnamenti orali. Nel vederli così buffi, per quanto Hans fosse elegante nei movimenti, Elsa finì più volte per ridere e battere anche le mani quando necessitava. San era invasato da quella nuova arte e quando il bimbo fu stanco il principe si lasciò andare in un’ammonizione che lasciò perplessa e sorpresa la Regina.
- Ricorda San, quest’arte si usa solamente in caso di pericolo e mai con l’intento di ferire a morte o peggio uccidere. Intesi? Giuramelo San.- Fu severo, ma corretto, come mai lo era stato. Sembrava quasi tenesse realmente a quel bambino e lo volesse condurre verso la retta via, totalmente opposta a quella che aveva intrapreso lui. San in tutta risposta e con estrema serietà annuì deciso, promettendo ciò che gli era stato chiesto e a quel punto il principe gli scompigliò i capelli con un sorriso, compiaciuto del suo discepolo.
- Elsa tocca a te! -
La ragazza tentò di declinare l’offerta, ma l’insistenza di San e il sorriso furbo di Hans la spinsero a crollare e ad accettare.
I fondamenti della spada vennero rispiegati anche a lei e così pure per le posizioni. Il principe tentava di toccarla il meno possibile, ma in certi momenti fu inevitabile. Il tutto cambiò quando iniziarono lo scontro diretto. Elsa si diede più volte della ridicola per le mosse assurde alle quali si lasciava andare e per le quali veniva ripresa dal maestro. Finì più volte al tappetto, ipoteticamente infilzata in più parti del corpo e San se la rideva di gusto, felice che sua zia fosse più impedita di lui in quella danza mortale. In effetti non aveva tutti i torti, lei era abituata a danzare con il ghiaccio, a creare vita o a distruggerla con il potente potere del ghiaccio e del freddo, non con un’impura arma. Esasperata dalle continuate stoccate che riceveva e dalle innumerevoli morti, si ritrovò a giocare sporco e mentre la finta lama di legno le veniva puntata per l’ennesima volta al petto, fece finta di svenire, obbligando Hans a soccorrerla. Quando si ritrovò tra le sue braccia muscolose, gli diede un’improvvisa gomitata nello stomaco e, cogliendolo impreparato, i suoi addominali non poterono fare nulla. Si staccò da lui e con uno sgambetto lo mandò pure con le gambe all’aria. Questa volta la finta arma era puntata verso di lui e un sorriso soddisfatto era apparso sulle scarlatte labbra della donna. Hans la guardava esterrefatto, mentre San se la rideva della grossa.
- Giochi sporco! Non vale! – Esclamò il principe, mentre si riprendeva dallo shock di aver appena vissuto e visto una Elsa non arrendevole e con spina dorsale.
- Avrò pur imparato da qualcuno, principe Hans. – Le rinfacciò la ragazza, soddisfatta del coraggio e dell’idea che aveva avuto. Non fece nemmeno in tempo a complimentarsi mentalmente con sé stessa che venne immediatamente attaccata dall’uomo, il quale la buttò a terra, atterrandola con il proprio peso.
- E guerra sia allora! – Non si trattava più di utilizzare la spada, ma di solletico, il che era ben peggio. Persino San, rinvigoritosi, si buttò sulla zia e prese a tormentarla con fastidioso solletico. La donna, immobilizzata dal peso dell’uomo e torturata dal nipote, rideva come mai aveva fatto in vita sua, apparendo ancora più bella e splendente del normale. Sembrava radiosa e felice. Fu a quella vista che Hans si domandò con quale coraggio, in passato, aveva tentato di privare il mondo di tale splendida creatura. Cacciò via immediatamente quei pensieri inusuali e ordinò a San di andare a recuperare il cavallo, mentre lui non si decideva a liberare la ragazza. Elsa lo guardava con il fiato corto, ancora immersa in quel mondo di allegria e privo di pensieri negativi, non era ancora conscia di essere bloccata a terra dall’uomo che aveva attentato alla sua vita sei anni prima. Lo osservava tranquilla, priva di ansia o angoscia, semplicemente rimaneva inerme, osservandolo con occhi curiosi. Hans era ancora chinato su di lei e le sue mani non erano poi molto lontane dal suo viso, erano appoggiate proprio ai lati. Lo smeraldino sguardo di lui era incatenato a quello lapislazzulo di lei e in un lento movimento si ritrovò ad assaggiare le labbra della donna. Fu un gesto che gli venne spontaneo, non ci pensò molto mentre agiva, Hans desiderava solamente diminuire velocemente lo spazio che divideva le loro bocche per togliersi una volta per tutte lo sfizio di aver baciato due sorelle, ma soprattutto una donna dotata, almeno in passato, di magia. Il principe doveva ammettere che la Regina aveva un certo fascino, o per meglio dire, l’avrebbe avuto se ella avesse creduto maggiormente in sé stessa e se avesse messo da parte la fragilità che la contraddistingueva. Hans avrebbe scommesso in un palese quanto immediato rifiuto della ragazza, cosa che invece non avvenne, almeno non subito. Anzi le mani di lei corsero sulle braccia del principe, scivolando leggere, definendo i muscoli del ragazzo, sussultando a quello strano e piacevole contatto. Elsa sapeva che non avrebbe mai dovuto fare tal cosa, ma in quel momento la mente confusa non le permetteva di ragionare razionalmente. In quel momento di totale incoscienza e perdizione le sue mani sprigionarono lievi fiocchi di neve, i quali fecero rabbrividire l’uomo. Entrambi si bloccarono, aprirono di scatto di occhi, mentre lei staccava immediatamente le mani dal corpo caldo di lui, portandole davanti agli occhi e notando come due piccoli fiocchi erano ancora presenti su di esse. Sorrise e si trattò di uno dei più bei sorrisi che Hans avesse mai visto. Per quanto difficile gli risultasse, dovette ammettere che vederla sorridere era quasi appagante, come una beatitudine, dopotutto non era da tutti poter rimirare cotanta bellezza da così vicino. Con uno spintone Elsa allontanò bruscamente il principe e si sollevò con le mani tremanti. La sua magia! La sua magia era risorta! Le mani non riuscivano a starle ferme e lei piangeva per la gioia, del tutto disinteressata al bollente bacio che aveva scambiato anche con il tredicesimo dei fratelli. Il suo pensiero era rivolto alla sua magia e null’altro. Si sforzò di creare nuovi fiocchi di neve, ma non successe nulla. Hans la guardava a debita distanza, incerto sul da farsi. Non successe più nulla, niente più neve, niente più ghiaccio. Frustrata batté un piede a terra, proprio nel momento in cui San, che aveva osservato compiaciuto la scena da lontano, si stava avvicinando.
- Noto con piacere che con Fen non è scoccata la stessa scintilla, o forse dovrei dire lo stesso fiocco di neve! – Le sussurrò soddisfatto Hans, consapevole di averla in pugno ora più che mai, mentre le passava accanto, concedendosi persino il privilegio di appoggiare una mano sulla sua schiena, facendola scendere sul lato b della donna.
A quel contatto la Regina si irrigidì, strabuzzando gli occhi azzurri, sconcertata dalla cafonaggine di quel principe. Un’espressione irata andò lentamente a dipingersi sul viso, proprio mentre afferrava la mano di quest’ultimo e con un secco gesto la spostava, allontanandola da sé.
- Non permettetevi più, cafone. – Si ritrovò a sussurrare la ragazza, le labbra contratte ed un’espressione che dimostrava tutta la sua indignazione.
- Altrimenti che cosa mi fate, vostra Maestà? -
Idiota, Elsa non avrebbe saputo definirlo altrimenti. Evitò di dire alcunché, limitandosi a sbuffare sonoramente e ad alzare gli occhi al cielo, esasperata dal suo dover tacere per la presenza del nipote.
Hans non si era scomposto in quanto era consapevole di avere il coltello dalla parte del manico, così afferrò San e lo rimise sul cavallo, prese le redini ed iniziò ad incamminarsi verso il castello, lasciandola li nella sua disperazione.
Elsa era frustrata, irritata dalla libertà che si era preso Hans, demoralizzata per il fatto che i suoi poteri fossero scomparsi ancora, sconvolta dal fatto che fossero invece comparsi con il bacio rubatole dal tredicesimo principe.
La regina era un mix di emozioni che, anni fa, l’avrebbero resa una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere, ma che ora la rendevano solo una donna incapace di descrivere le sue emozioni.
- Elsa? – Una voce tenera e carica di preoccupazione giunse fino alla donna e la riscosse, inducendola ad alzare il capo e lentamente ad aggregarsi allo strano trio che si era formato poco più in là, ovvero un cavallo, un principe rinnegato ed un bambino. Li osservò rimanendo a debita distanza, chiedendosi come avesse potuto Hans stregare San ed indurlo a scappare da lei per seguire quel finto eroe.
Ancora una volta la regina si domandò come potesse quell’uomo affascinare così tanto le persone, al punto tale da indurle a perdere il senno e seguirlo ovunque.
 


NOTE AUTRICE: Come vi è parso? Spero vi sia piaciuto! Vi avverto che il prossimo capitolo, già in revisione, sarà uno di quelli più importanti e sinceramente non vedo l’ora di farvelo leggere.
Grazie a chi recensirà o solo leggerà questo capitolo <3
Alla prossima!

Arabella

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Capitolo 4
*** But life ain't what it seems ***


Ciao raga! Come state? Spero bene! Io sono sotto con gli esami universitari e quindi vi dico già in anticipo che non so quanto posterò il prossimo capitolo, ovviamente massimo tra un paio di settimane. Abbiate pietà di me, please! Buona lettura sweeties <3
 


Dream
We all are living in a dream,
But life ain’t what it seems
Oh everything’s a mess
And all these sorrows I have seen
They lead me to believe
That everything’s a mess
But I wanna dream
 


Non aveva detto una sola parola quando aveva fatto scendere San dal suo cavallo e lo aveva consegnato alla Regina di Arendelle, si era limitato a sorridere prima al bambino e poi alla donna, infine si era voltato e aveva condotto l’animale nelle scuderie per permettergli di riposare.
Quando ebbe terminato nella stalla se ne tornò nelle sue stanze, ovviamente non lo avevano aspettato.
Mentre camminava un sorriso dispettoso era disegnato sulle labbra di Hans. Una volta giunto a destinazione entrò e si ritrovò una delle sue innumerevoli amanti, ovvero una delle future spose del suo undicesimo fratello, Jensen. Si trattava di una principessa di una terra lontana, che nemmeno ricordava, era invaghita di lui sin dal primo momento che l’aveva visto e da quel momento aveva fatto di tutto per finire tra le lenzuola di quel dannato principe. Era riuscita nell’intento, ma non per particolari meriti della stessa, ma solo perché Hans non era uno che diceva di no ad una passionale notte. Oltretutto era un ottimo modo per fare uno screzio ad un suo fratellastro. Non appena varcò la soglia si ritrovò la principessina, appena diciottenne, in piedi, ansiosa di vedere il suo amante. Hans si era sempre chiesto che cosa ci vedeva in lui quella ragazzina, sapeva bene di essere affascinante, ma perché buttarsi tra le braccia di un rinnegato piuttosto che uno degli altri principi presenti in quel castello? Era forse il fascino del pericolo? Del bello e dannato? Non aveva mai osato chiederle alcunché, non voleva avere questioni, ciò che desiderava era soddisfare i suoi più animaleschi istinti e nulla più. Non le piaceva nemmeno particolarmente quella giovane donna, appunto troppo giovane e frivola per lui che aveva vissuto sulla sua pelle esperienze terribili. Ci andava a letto solo perché aveva voglia di fare sesso e perché ella era la promessa sposa di uno dei suoi fratelli, nulla più. Certo, era bella, molto bella, ma dell’evanescente bellezza non se ne faceva nulla se oltre a quella non vi era sostanza.
Non appena fu entrato non lasciò dire alcunché alla ragazza, ma la zittì prontamente con un ruvido bacio. Non aveva alcun desiderio di ascoltare la sua petulante voce, non aveva voglia di sentirsi dire che le era mancato troppo, non voleva udire nulla da lei. Continuò così, zittendola ogni qual volta che ella tentasse di parlargli. La portò ben presto sul letto ed una volta privata delle sue vesti si lasciò andare in un’apparente sfrenata passione. Alla fine del rapporto la ragazzina voleva fermarsi un po’ con lui, voleva chiacchierare, ma Hans non aveva tempo per quelle sciocchezze. L’aveva sempre cacciata quando aveva tentato di fermarsi, ella più volte aveva espresso il suo desiderio di fermarsi e stare con lui, si era persino lasciata andare affermando con decisione che era innamorata di lui. Hans non sapeva di che farsene dell’amore di una ragazzina, cosa poteva saperne lei di cosa fosse quel sentimento così puro e così profondo se tra loro vi era mera attrazione fisica e nient’altro. Il problema era che nemmeno il principe conosceva cosa significasse essere amato e ben voluto. Nessuno nella sua famiglia lo amava e lo aveva mai amato, era sempre stato il reietto di quella stirpe reale. Lui era il bastardo venuto al mondo per errore, non sarebbe mai dovuto esistere. Più volte si era trovato a pensare che non vi fosse posto per lui in quel mondo. Diverse erano stati i momenti in cui la sua mente, colta da profondi attimi di depressione, aveva persino sfiorato l’idea del suicidio, ponendo così fine a quella infinita solitudine, a quell’eterna sofferenza che attanagliava il suo animo e lo logorava lentamente.
Aveva vissuto una terribile infanzia, abbandonato da chiunque, odiato da chiunque in quel castello, isolato dagli stessi servitori i quali lo avevano sempre osservato con estremo disprezzo, nonostante fosse comunque stato sempre considerato un principe.
Aveva compreso, con lo scorrere del tempo, che suo padre lo aveva tenuto in vita solo perché il popolo delle Isole del Sud sapeva delle scappatelle del lascivo sovrano. Il re aveva capito che se lo avesse ucciso avrebbe macchiato la già scarsa benevolenza dei suoi sudditi, mettendo ancora più in bilico quel rapporto. L’uomo non era mai stato particolarmente amato dai cittadini, mentre Hans era sempre stato apprezzato. Ecco, il vero punto di forza di quel principe maledetto era stata proprio la simpatia che il popolo aveva da subito nutrito per quel bambino, poi ragazzino ed infine uomo.
Hans aveva sempre passato molto tempo in mezzo ai sudditi del padre che non nel palazzo reale. Aveva sempre preferito il popolo e la semplicità che lo caratterizzava piuttosto che la nobiltà spocchiosa. Erano le mille sfaccettature delle persone che componevano le Isole del Sud che lo avevano affascinato, stregato e rapito, conducendolo a diventare un grande amico, persino di quelli che non lo conoscevano, dei cittadini. Era sempre stato preferito lui a qualunque altro dei suoi fratellastri, sebbene fosse solo un bastardo. La simpatia che aveva suscitato nella povera gente lo aveva reso immune a qualsiasi tentativo di omicidio che Re Dries aveva inizialmente ideato per lui. Il sovrano aveva compreso che se avesse ucciso il figlio, togliendolo di mezzo una volta per tutte, simulando un incidente avrebbe comunque avuto il popolo in rivolta. Quel ragazzino rappresentava in un modo o nell’altro le Isole del Sud.
Hans amava il popolo e il popolo amava lui, anche ora che era stato riconosciuto come un pazzo scriteriato che aveva tentato di appropriarsi del Regno di Arendelle, provando ad uccidere principessa e regina. Lo avrebbero sempre supportato perché da sempre comprendevano la sua condizione, ciò che lo aveva condotto a quelle nefandezze. Non giustificavano la malvagità, ma credevano nelle seconde chance e l’avevano concessa al loro beniamino, colui che meglio di chiunque rappresentava quanto la vita potesse essere crudele.
Hans si trovava sdraiato tra le lenzuola arruffate, l’aria stanca dipinta sul viso e lo sguardo perso ad osservare il soffitto. Aveva cacciato la ragazzina ed ora era completamente solo. Anche se persino circondato da persone, lì a palazzo, si era sempre sentito solo. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, mentre si voltava su un fianco, appoggiandosi successivamente al soffice cuscino. Chiuse gli occhi e tentò di dormire, sebbene una serie di pensieri gli frullavano nella testa, rendendolo irrequieto e incapace di lasciarsi accogliere tra le braccia di Morfeo. Nella sua mente continuava a stagliarsi l’immagine delle labbra di Elsa. Sebbene avesse appena terminato di scambiarsi bollenti baci con quella principessina, ricordava perfettamente il sapore della bocca della regina. Si sfiorò le labbra d’istinto, pentendosi improvvisamente di essersi lasciato traviare nuovamente da quella ragazzina ed essersi tolto di dosso il profumo inebriante della regnante di Arendelle.
Si rese conto di quanto aveva sempre desiderato averla, non per niente quando si era recato ad Arendelle per diventare re, il suo primo obiettivo era stato quello di conquistare il gelido cuore di Elsa. Non era partito con l’intenzione di uccidere nessuno, non era mai stato nei piani iniziali. Anzi, non appena aveva messo piede sulla nave diretta ad Arendelle, era stato più che convinto che avere accesso a quel cuore sarebbe stato un gioco da ragazzi, così non era stato e il risultato lo si poteva benissimo notare anche quella sera. Era solo e lo sarebbe sempre stato.
Per l’ennesima volta si ritrovò a fare i conti con la ormai conosciuta consapevolezza che lo tormentava da tempo: la voleva. Non era questione di attrazione fisica, si trattava di una vera e propria fissazione. Voleva Elsa e basta. Questo non perché ne fosse invaghito come quello stolto di Fen, ma per semplice vendetta. Dopotutto, era colpa sua se si trovava costretto ad una prigionia costante, se era stato riportato da quella maledetta famiglia ed in quel maledetto castello.
Se solo lei si fosse aperta e lasciata conquistare sei anni prima lui sarebbe stato certamente Re, ma magari col tempo sarebbe stato persino in grado di amarla. Ovviamente si trattavano di pensieri confusi, dettati dalla disperazione di una vita di solitudine e di prigionia, di una vita vissuta solo per metà.
Hans si voltò di scatto dall’altra parte, tirandosi su le coperte con un gesto secco, sbuffando per l’idiozia di quei pensieri.
Il sonno arrivò dopo una lunga agonia. Non fu tranquillo, ma bensì incubi invasero nuovamente la mente del giovane uomo, inducendolo più volte ad urlare.
“Corri! Ho detto corri, Hans!” una voce non faceva altro che ripetergli queste parole. Si guardò in giro, non riuscendo a capire inizialmente ove si trovasse. Fu un piccolo dettaglio a permettergli di comprendere che si trovava nelle vecchie scuderie del castello. Iniziò a correre, percorrendo quel lungo corridoio che divideva i vari box degli animali. Aveva il fiato corto, le gambe gli dolevano, al punto tale che si ritrovò a zoppicare vistosamente. Fu costretto a rallentare, la caviglia sinistra era stata colpita da una fitta violenta e, nell’abbassare lo sguardo, notò con orrore che essa sanguinava. “Scappa Hans!” di  nuovo quella voce che gli intimava di fuggire. Non se lo fece ripetere due volte e, zoppicando, continuò ad allontanarsi. Iniziò a guardarsi attorno, rivoli di sangue scorrevano affianco a lui. Ai lati, nei box dei cavalli, erano presenti corpi umani, straziati, irriconoscibili. I volti erano sfigurati, con un’espressione allucinata, infernale. Continuò ad avanzare, sempre più faticosamente, mentre questa volta era il braccio sinistro a sanguinare e a dolere. Un singhiozzo attirò la sua attenzione. Si voltò e vide una donna accovacciata a terra. Si avvicinò lentamente e posò una mano sulla spalla di questa. Quando ella sollevò il viso e rivolse lo sguardo al giovane, Hans poté notare con estremo orrore che il volto era sfigurato, gli occhi iniettati di sangue, le guance scavate, scheletriche. “Tu mi hai ucciso! Tu mi hai ucciso! Sei un assassino! Un mostro! Sei solo un mostro!” E proprio mentre si staccava e allontanava dalla donna, incolpato dell’ennesima morte, venne colpito al ventre una, due, tre volte, fino a cadere a terra agonizzante in una pozza di sangue, che andava ad aumentare di momento in momento, fino a sommergerlo totalmente. Non sentiva male per le ferite che gli erano state inferte, il problema era semplicemente riuscire a trovare ossigeno. Annaspava in cerca di aria, mentre tutto quel sangue lo affogava lentamente. Possibile che fosse tutto suo? Continuò ad annaspare, cercando prezioso ossigeno.
L’ennesimo urlo squarciò la notte ed Hans si ritrovò a tirarsi su di scatto, riemergendo da quel folle incubo. Era uno dei tanti che ogni notte lo tormentava. Aveva il fiato corto, la fronte imperlata di sudore, le mani stringevano convulsamente le lenzuola. Si costrinse a calmarsi e poi a tentare, vanamente, di riprendere sonno. Erano anni che i suoi sonni non erano più tranquilli. Si ritrovò nuovamente ad addossare la colpa ad Elsa. Ella avrebbe potuto salvarlo sei anni fa, invece lo aveva condannato nuovamente ad una infame vita.
Voleva vendetta e l’avrebbe ottenuta.
 
*
 
Elsa aveva lasciato passare un intero giorno da quel bacio inaspettato scambiato con Hans. Ovvio, aveva ripensato anche a quello che Fen gli aveva rubato e rubato più volte, stranamente felice all’idea che almeno lui non la temesse o la detestasse. Sebbene ormai fosse una donna ed una regina, Elsa si poteva considerare ancora come una bambina dal punto di vista relazionale con gli uomini. Il primo bacio lo aveva ricevuto proprio da Fen due giorni prima, il secondo invece era arrivato da una fonte insospettabile che l’aveva scossa, sorpresa, ma che almeno aveva mostrato che i suoi poteri non erano del tutto scomparsi. Quel minimo fiocco di neve, sviluppatosi dalle sue delicate mani, era la prova che i poteri non erano spariti del tutto e qualcosa di magico viveva ancora lei, celato nel profondo, ma ancora vivo.
Durante la scorsa giornata, passata accanto a Fen, a svolgere le faccende legate alla sua sovranità e rapporti commerciali con quel posto e non, aveva ripensato più volte a nuove soluzioni per la sua magia, per farla tornare a splendere. Si era chiesta che cosa l’avesse accesa in quel modo, quando le sue labbra si erano infuocate al tocco di quelle di Hans. Si era domandata perché mai non fosse successo lo stesso con Fen, uomo che decisamente l’aggradava di più rispetto al fratello. Che cosa era stato a ricordarle come si accendessero i suoi poteri? Impossibile si trattasse solo di un bacio, specialmente scambiato con il peggiore dei suoi nemici.
Aveva ragionato parecchio e si era informata sulla vita che Hans aveva condotto in quel castello, sia prima che dopo il fattaccio. Aveva ricevuto pareri contrastanti, aveva sentito trapelare odio, tristezza, pena dalle parole di coloro che aveva discusso con lei. Era stato al di fuori del castello che aveva scoperto come invece fosse apprezzato dal popolo delle Isolde del Sud, o per lo meno, i cittadini aveva parlato bene di lui.
Aveva deciso così che avrebbe tastato con mano quella benevolenza rivolta a quel pazzo e così aveva richiesto il permesso di poter essere accompagnata dal prigioniero nel paese circostante il castello. I regnanti erano stati restii dal concederle il permesso di una giornata interna, aveva più volte cercando di affidarle anche un qualche soldato per la loro difesa personale, o meglio quella di Elsa, ma ella aveva declinato, affermando che era benissimo in grado di difendersi da sola, persino da Hans. Il re temeva una fuga del figlio, ma le parole rassicuranti di Elsa gli fecero cambiare idea. Ottenuto il permesso, la ragazza si era recata nelle stanze del principe, comunicandogli quello che aveva stabilito di fare.
- Mi state dicendo che mi porterete al guinzaglio tra la mia gente? – Sebbene il ragazzo avesse voluto dimostrare disappunto per tale idea, non riuscì più di tanto a trattenere l’entusiasmo. Era da troppo tempo che non scendeva in mezzo alla gente come lui, persone semplici, grandi lavoratrici.
- Ad una condizione! Niente guardie, vostra Maestà! – Aggiunse poco dopo, mentre un sorriso entusiasta si andava a dipingere sulle sue labbra. Avrebbe voluto trattenersi, ma non ci riusciva.
- Già provveduto alla vostra scontata richiesta. Ora preparatevi, partiremo tra meno di mezz’ora. – Annunciò seria Elsa, mentre usciva dalla stanza e si ritirava nelle sue stanze per cambiarsi. Non si sarebbe fatta riconoscere, altrimenti i sudditi del Regno delle Isole del Sud non si sarebbero comportati con naturalezza. Aveva programmato tutto, eccitata quanto lui, desiderosa di non essere sé stessa per una volta. Mise una lozione speciale sui capelli, in modo che da biondi passassero ad un castano chiaro. Era temporanea quella colorazione, una volta lavata la lunga chioma essa sarebbe tornata a splendere del suo colore naturale. Stessa cosa fece per le sopracciglia. Indossò abiti meno ricchi, meno sofisticati, meno appariscenti, la quale la fecero sembrare una ragazza normale, bella, ma non regale. Si guardò allo specchio, notando come i capelli castani la facessero sembrare più simile ad Anna.
San sarebbe rimasto al castello, era riuscita a trovare un compromesso con quella piccola peste. Una volta pronta uscì, raggiungendo un Hans euforico e già in groppa al suo cavallo. Erano entrambi irrequieti, sia l’uomo in sella che l’animale, come se entrambi avessero aspettato a lungo quel momento.
- Non vorrete andare a cavallo, principe Hans! – Esclamò la ragazza, abbassando il cappuccio che le copriva il castano crine. Hans si girò e scioccato osservò la regina di Arendelle. Che fine aveva fatto la vecchia Elsa? Era stata brutalmente sostituita da una sconosciuta, la quale era sì molto bella, ma non equiparabile allo splendore della reale regina.
- Tutti i vostri tentativi di non sembrare la Regina di Arendelle andranno in fumo se vi farete accompagnare da una ricca carrozza. – Rispose il giovane, scendendo da cavallo e aiutando la giovane sovrana a montare a cavallo. Una volta issata su Elsa, salì a sua volta. Non ci fu nemmeno bisogno di dirle di attaccarsi a lui, che già le sue braccia circondavano la vita del principe, quasi convulsamente.
I cavalli non erano mai stati gli animali preferiti di Elsa, anzi tutt’altro, un poco li temeva. Non era mai andata a cavallo, quella era la prima volta che vi saliva.
Hans se ne accorse, ma non disse nulla, un lieve ghigno comparve sulle sue labbra, poi partì a tutta birra.
Non vi misero poi molto a giungere a destinazione, all’inizio del paese. Solo allora il principe fermò l’animale, quasi di scatto, nonostante quello le braccia di Elsa non smettevano di stringere convulsamente la vita dell’uomo. Era terrorizzata e lui l’aveva fatto apposta, poteva scommetterci.
- Se mi lasci andare, ti aiuto a scendere, Electra. – Le diede del tu, cambiandole persino nome, giusto per mantenere la sua copertura. Elsa pareva non rispondere e così Hans si permise di spostare le sue mani, allargandole le braccia lentamente. Scese giù con un balzo e poi aiuto la ragazza a fare altrettanto. Constatò che aveva un colorito verdognolo, poco salutare e che le tremavano le gambe. Fu costretto a sostenerla, mentre quella si guardava attorno smarrita.
- Vieni, siediti un attimo, Electra. – Diede enfasi sul nuovo nome, assaporandolo quasi fosse stato un piccolo e buono dolcetto. Elsa lo seguì docilmente, andando a sedersi.
Passò qualche minuto e solo dopo che il colorito verdognolo sfumava verso una tonalità più sana, Elsa si permise di parlare.
- Voi! Voi siete uno spudorato pallone gonfiato! Voi… argh! Siete impossibile! La prossima volta giuro che vi rimetto addosso e mi sforzerò con tutta me stessa di farlo! – Borbottò con ira la ragazza, alzandosi e pulendosi il vestito. Tutto quel “vomitare” di parole non aveva fatto altro che far ridere Hans.
- Electra poi? Ma che cosa vi salta in mente? Con tutti i nomi possibili che c’erano! Electra? – Fu costretta ad abbassare il tono di voce, mentre Hans la prendeva per mano e la conduceva verso le prime case del paese.
- Un nome perfetto per una ragazza desiderosa di elevarsi socialmente, insomma è questo il ruolo che stai interpretando, cara Electra. – Elsa fu costretta a mordersi la lingua per evitare di replicare. Ormai si stavano addentrando nel paese e non era saggio discutere in quel modo.
Hans aveva cambiato i piani, visto che lei aveva pensato di fingersi una sua cugina in visita da lontano. Lui aveva distrutto tutto, inventandosi una mal assortita coppia di futuri sposini, in cui lei doveva recitare la parte di una donna desiderosa di sposare un uomo abbiente. Ovviamente lui recitava sé stesso, il narcisista ben desideroso di fare l’idiota anche con donne diverse dalla sua futura sposa.
Hans venne fermato più volte ed invitato in diverse case. Elsa poté constatare quanto fosse amato dal suo popolo. Chiunque lo salutava, affermando quanto fosse mancato per tutto quel tempo. Gli uomini chiedevano chi fosse la fanciulla che lo accompagnava e ormai Elsa rispondeva prontamente. La giovane donna si ritrovò a pensare che era quasi divertente fingere di essere qualcun altro. Elektra era diversa da lei, era più spigliata, più sveglia e più disponibile ad interloquire con gli altri, al punto tale che più volte venne detto ad Hans di essere fortunato ad avere una come lei. Parevano contenti di vedere come il loro principe avesse finalmente trovato la felicità.
Giunsero in una locanda e anche lì vennero accolti con gioia, specialmente dalla proprietaria, una donna grassoccia sulla cinquantina, parecchio sboccata, poco fine, ma senza peli sulla lingua.
Eveline, un nome che mal si addiceva alla sua figura, rimase diversi istanti ad osservare Elsa. Pareva incuriosita e sospettosa allo stesso tempo, al punto tale che si avvicinò, proprio mentre Hans veniva portato a giocare lontano da lei. Tentò invano il principe di non lasciare sola Elsa, ma Eveline lo rassicurò affermando che l’avrebbe salvata dalle mani lunghe degli uomini di quel posto. Elsa fu costretta ad un confronto con la donna. Ne era quasi spaventata, aveva notato come il suo sguardo si era posato su di lei.
- Non vi ho mai viste da queste parti. Come avete detto di chiamarvi? – La donna aveva iniziato a ronzarle attorno, osservandola con estrema e morbosa curiosità.
- Vengo da lontano, signora. Mi chiamo Electra. – Per la prima volta in vita sua doveva portare rispetto per una donna apparentemente superiore a lei.
Eveline si ritrovò a toccarle i lunghi capelli, sciogliendoglieli e lasciando che essi ricadessero sulle fragili spalle della regina di Arendelle. Erano arruffati, indomiti e le davano un’aria selvaggia quasi.
- Da dove per la precisione? E perché volete rapire il cuore del mio Hans? -
Nuove domande, pretendeva nuove risposte, più esaustive.
- Dal Regno delle Cascate, signora. – Come rispondere alla seconda domanda? Intanto la donna continuava ad osservarla, studiando le sue fattezze, toccandola di tanto in tanto e scuotendo il capo subito dopo.
Nel frattempo Hans osservava la scena da lontano, pronto ad intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno.
- Non voglio il cuore di Hans. – Elsa sapeva che tale risposta non l’avrebbe soddisfatta.
- Non ritenete che abbia sofferto già a sufficienza? Volete infliggergli ulteriore dolore? Rifiutato da quella frigida Elsa di Arendelle, condannato a pubbliche fustigazioni ogni sei mesi, costretto alla prigionia ed ora che è poco più libero arrivate voi, a prendervi gioco del suo cuore. – Non erano domande, ma mere affermazioni, le quali dimostravano quanto fosse attaccata a quel ragazzo e quanto detestasse la regina di Arendelle. Per non parlare delle pubbliche fustigazioni?
All’udire tali parole, Elsa si era portata le mani alla bocca, trattenendo un grido di puro terrore per la scena. Si era voltata immediatamente verso Hans, il quale gli dava però le spalle. Quelle spalle martoriate dalla violenza dei sovrani delle Isolde del Sud. No, non era a conoscenza di questo dettaglio, non sarebbe mai stata d’accordo. Non aveva voluto la sua morte e nemmeno una pena corporale.
- Cosa ne pensate della regina Elsa di Arendelle, Electra? – Eveline era scaltra, bastava guardarla in faccia per comprendere quanto fosse avanti rispetto ad Elsa.
- Sapete, me la ricordate per certi versi. Carnagione pallida, profondi occhi azzurri, viso molto simile. Conosco molto bene il suo viso, ci ho giocato a freccette molte volte. – Eveline prese a braccetto Elsa, conducendola fuori dal suo locale. La regina delle neve iniziava ad avere paura, quella donna aveva capito tutto e lei era nei guai.
- Non capisco solo perché prendersi gioco nuovamente di lui, insomma è palese che sia preso da voi, mi capite? Hans è bravo a mentire, ma io ormai ho imparato a conoscerlo. Non vi ha perso di vista un attimo da quando siete entrati qua. – Elsa deglutì, cercando di mantenersi composta.
- Vuole solo proteggermi e nulla più. – Rispose la ragazza con poca convinzione.
- Oh no no, ha sempre protetto qualunque giovane donna, ma per voi il comportamento è diverso. Ora ve lo mostro, cara Elsa… - La regina di Arendelle non fece in tempo a reagire in alcun modo che ben presto si ritrovò con un pugnale puntato alla gola. Eveline la guardava con un sorriso pazzo, sghignazzando divertita. Non passò poi molto tempo, giusto pochi istanti, che ben presto la donna fu disarmata e sbattuta con violenza contro le mura della sua locanda. Hans teneva stretto contro il grasso collo della donna il pugnale che prima era rivolto verso Elsa.
- Avete visto Elsa? Avete compreso ciò che intendo? Non distruggetelo per l’ennesima volta o non tornerà mai più sulla retta via. – Hans pareva non capire, ma Elsa sì, anche se non voleva crederci.
Eveline voleva bene a quel dannato principe, lo aveva fatto per mostrare alla regina di Arendelle di non sbagliare nuovamente, di non condurlo di nuovo verso la via per l’inferno.
- Eveline, che cosa stai dicendo? Si può sapere che ti prende? – Incalzò il giovane, non riuscendo a comprendere il significato di quelle parole.
- Lasciala andare, Hans. E’ stata solo un’incomprensione. Credeva fossi un’altra persona. – Elsa appoggiò una mano sul braccio di Hans, come a convincerlo che andava tutto bene, gli sorrise dolcemente. Il principe lasciò andare lentamente la donna, la quale scappò via, non prima di aver lanciato uno sguardo d’intesa con Elsa.
- Stai bene? – Il principe le alzò leggermente il mento, per controllare che il pugnale non le avesse fatto nulla, ma purtroppo non era così. Un lungo taglio, non profondo, si stagliava sul collo della regina e un rivolo di sangue macchiava la sua bianca pelle.
Una smorfia di disgusto fece increspare appena le labbra del principe, mentre con un gesto secco distruggeva parte della propria camicia per poterle fasciare il collo. Con delicatezza avvolse la benda procurata attorno al collo della ragazza. Avrebbe dovuto provar paura Elsa, ma in quel momento non riusciva a staccare gli occhi da quelli verdi di lui, mentre egli, con fare meticoloso, si preoccupava di quel taglio superficiale. Avrebbe potuto strangolarla, ma non lo fece, non gli balenò nemmeno in mente in un tale gesto. Quando ebbe finito, Elsa allungò una mano e toccò quella del principe, ancora appoggiata al suo collo.
- Grazie, Hans. – Fu quel contatto a riscuoterlo e ad annuire distrattamente, mentre le prendeva la mano per condurla lontano da li.
Elsa si lasciò portare in giro da lui, fino a quando non giunsero, seguiti dal cavallo di Hans, in un bosco isolato, il quale circondava un piccolo laghetto. Non fece domande, si limitò a guardarsi attorno, sentendo quell’anima dannata più simile a lei di quanto non avesse creduto.
Come lei si era nascosta nel suo castello di ghiaccio, così lui andava a perdersi in quell’isola verde, lontano da tutto e tutti.
La ragazza si tolse le scarpe e, sollevando appena l’abito, immerse i piedi nell’acqua. Sospirò, mentre un sorriso sincero accompagnava l’espressione beata di quel refrigerio.
Hans la rimirava da lontano, seduto su una roccia. I suoi pensieri erano confusi, così come lo era il suo cuore. Ripensò alle parole di Eveline e di come fosse scattato quando aveva visto la lama tagliare appena le carni della regina di Arendelle. Aveva agito d’istinto, senza permettere alla ragione di intervenire. Avrebbe voluto arrabbiarsi con sé stesso in quel momento per tale ingenuità, soprattutto quando i suoi piani erano ben altri, ma concordò con sé stesso che avrebbe avuto tempo una volta tornato a palazzo per rimproverarsi da solo.
Si alzò, quindi, avvicinandosi ad Elsa, rimanendo però in silenzio. Fu un gesto repentino della regina a ridestarlo. Della fredda acqua gli arrivò addosso assieme ad una cristallina risata. Era stata Elsa a bagnarlo ed ora ella rideva di lui. Non ci pensò due volte, tolse quello che rimaneva della sua camicia e le scarpe, poi con agilità si mosse verso la donna, schizzandola.
Iniziò una vera e propria battaglia e solo quando furono completamente fradici si lasciarono andare nelle acque del laghetto per una breve nuotata.
Elsa non aveva mai riso così tanto in vita sua, aveva persino male alle guance, per nulla abituate a quella fatica che faceva così bene al cuore. S’immerse, andando sotto persino con la testa, mentre una chiazza marrone iniziava a spandersi dai suoi capelli. Il biondo crine si stava facendo valere, tornando a splendere, restituendo ad Elsa la sua originale bellezza. Hans nel frattempo si era avvicinato, nuotando fino a lei.
- Complimenti, state rendendo marroni le acque del mio laghetto. – Le rinfacciò con finto disappunto.
Elsa si guardò attorno, notando il guaio che aveva combinato.
- Mi spiace, non ci avevo pensato. Avrei dovuto invece! Oh cielo, che disastro! Mi dispiace davvero! – Era realmente dispiaciuta per aver sporcato le acque del suo laghetto, a cui doveva essere molto legato. Ella continuò a guardarsi attorno, sconsolata per ciò che aveva fatto, non accorgendosi di come il principe si fosse avvicinato ulteriormente, arrivando a pochi centimetri dal suo viso.
- Vi perdono solo perché siete voi. – Non vi fu tempo per le repliche, ma solo per lo scambio del secondo bacio. Le mani di Hans erano corse sui fianchi della regina e in una frazione di secondo aveva annullato la piccola distanza che ancora li separava. Elsa non aveva opposto resistenza nemmeno questa volta, ma in automatico aveva appoggiato le braccia sulle spalle del principe e si era lasciata sostenere, in quanto lui toccava e lei no. Non vi era stato timore da parte della ragazza, ma solo un gran desiderio di assaggiare nuovamente quelle labbra tanto invitanti. Diede la colpa di tale suo entusiasmo al fatto che nessuno si era interessato a lei prima di allora, quando in realtà, in cuor suo, sapeva bene che quelle labbra l’attraessero molto di più che non quelle di Fen. Il bacio durò a lungo, i loro corpi erano stretti e combaciavano alla perfezione. Non vi era spazio per nessun pensiero, se non quello del reciproco e ardente desiderio. L’acqua era fredda, ma i loro corpi non sentivano nulla, ribollivano di calore proprio e di passione. Dei poteri di Elsa nemmeno l’ombra, ma in quel momento non aveva nemmeno il tempo di pensarci, impegnata com’era ad intrecciare la propria lingua con quella di colui che sei anni prima aveva tentato di ucciderla.
- Hans, noi… noi non – Venne prontamente zittita dalle labbra di Hans, le quali si posizionarono poi sul suo collo, togliendo le bende. Le labbra del giovane andarono a posarsi sulla ferita, baciandola con estrema delicatezza, come se quel bacio potesse curare immediatamente i danni subiti dal pugnale. A quel contatto Elsa rabbrividì, ma non per il male, per il semplice fatto che trovasse più che piacevole tutto quello e quell’intimità che si stava creando.
Le mani di lei erano andate a sfiorare i perfetti addominali di lui, mentre quelle di lui si erano infilate sotto la fluttuante gonna. Elsa aveva intrecciato le gambe attorno alla vita di lui per reggersi da sola e permettere alle mani maschili di esplorare posti che nessuno aveva mai violato prima di allora. Elsa era consapevole del fatto che avrebbe dovuto fermarsi per amor proprio, della propria famiglia, di Arendelle, ma Hans era tutto ciò che di proibito aveva ed era proprio quel pericolo e quel desiderio di trasgredire a delle regole che si era auto imposta che rendeva il tutto più eccitante.
Fu proprio mentre le cose si facevano più spinte che un dolore al petto la colpì, costringendola ad accartocciarsi su se stessa, abbandonando le labbra del principe. Si toccò il petto, dal lato sinistro, ove si trovava il cuore. Doleva e proprio mentre era stretta dalle braccia del principe, ancora all’oscuro di ciò che stesse accadendo, una piccola ciocca di biondi capelli si tinse, come per magia di castano chiaro. Non se ne accorse ella, ma bensì Hans, il quale ricordò immediatamente la ciocca bianca di Anna il giorno in cui l’aveva conosciuta.
- Sto bene, sto bene. – Comunicò Elsa prima che lui potesse bombardarla di domande. Proprio mentre terminava di parlare si accorse di una ciocca più scura tra i suoi capelli. Scioccata se la rigirò tra le mani, cercando, con crescente ansia, di eliminare quel marrone dai suoi capelli. In cuor suo sapeva che quella ciocca era esattamente l’inverso di ciò che era accaduto anni e anni prima alla sorella Anna.
- Non viene via, Hans. Rimangono marroni. – Continuò a sfregare, lasciandosi impossessare da un’angoscia sempre più grande, mentre Hans la trascinava verso riva.
Una volta giunti dove ella toccava alla perfezione le bloccò le mani, guardandola dritta negli occhi.
- Ora ti calmi e mi lasci dare un’occhiata, intesi? – Fu deciso, lasciando ad ella la sola possibilità di annuire.
Hans lasciò le sue mani e la osservò qualche istante, notando con disappunto come le sue labbra stessero diventando violacee per il freddo. Si mosse andandole alle spalle e sfiorando la ciocca castana che partiva dalla radice dei capelli. Cercò di ripulirla, sperando si trattasse di quella sorta di lozione che le era stata messa sui capelli. Il colore non accennava a diminuire e spiccava tra il resto della folta criniera bionda. L’aveva visto con i suoi occhi, era stata la magia a renderla scura e non sarebbe bastata tutta la sua buona volontà per farla ritornare del colore originale. Elsa aveva iniziato a tremare, così senza dire alcunché l’afferrò per le spalle, sollevandola e conducendola fuori dall’acqua. Sembrava in trance, così la spogliò lentamente, lasciandole addosso solo la fradicia sottoveste. L’avvolse prontamente con la sua camicia, tentando di asciugarla come poteva, mentre la giovane regina piangeva silenziosamente. La fece sedere su un masso al sole e si preoccupò di accendere un fuocherello per tentare di asciugarla e farle passare il gelo che la tormentava. Le si sedette accanto, cercando di evitare che il suo sguardo cadesse troppo sul corpo snello della regina. Le sue forme erano messe in mostra dalla sottoveste bagnata, attaccata alle sue membra. Le prese le mani tra le sue e le massaggiò per scaldarle. Quando vi fu riuscito le lasciò andare, passando ai capelli della ragazza, arruffati e scompigliati. Li portò indietro, cercando di districarli come poteva. Li accarezzava con una dolcezza che non credeva di possedere, mentre la ragazza continuava a rimanere in silenzio.
Continuò a lungo, rilassandosi davanti al fuocherello che sprigionava calore. Elsa aveva smesso di piangere e si era appoggiata con il capo sul ventre dell’uomo, ancora in piedi e dietro di lei. Aveva alzato lo sguardo, poggiando i suoi zaffiri occhi su di lui, lo rimirava in silenzio. A quel punto Hans lasciò andare i capelli e con un gesto altrettanto delicato asciugò le guance bagnate di lacrime. Si rispecchiò in quegli occhi, si rivide in tutta quella sofferenza, si rivide in ella. Non erano poi così diversi, in fondo. Si chinò leggermente, fino a sfiorare nuovamente le sue labbra, come a dirle di non aver paura, lui era lì con lei.
Non appena Elsa si fu scaldata e ripresa da ciò che era successo, ripartirono alla volta del Castello dei regnanti delle Isole del Sud. Rimasero in silenzio a lungo, camminando fianco a fianco. Hans non se l’era sentita di costringerla a salire a cavallo, non dopo quello che era successo.
Il silenzio, calato su di loro, venne rotto dalla flebile voce di Elsa.
- Ti fustigano, non è vero? – Fece una breve pausa.
- Ogni sei mesi? – avrebbe voluto chiedergli il perché non gliel’aveva detto, ma sarebbe stata una domanda insensata. Lei non si era curata di sapere come stesse il prigioniero, perché mai lui avrebbe dovuto dirle che veniva frustato come pena per i reati commessi?
- Lo hanno fatto, in passato, ma non mi colpiscono più, Elsa. – Hans mentì spudoratamente, aveva nuove cicatrici fresche sulla schiena, dovute alle fustigazioni di quattro settimane fa.
- Ora capisco perché la gente mi detesta… - Parlò più a sé stessa, che non a lui. Era una constatazione bella e buona, mentre lo sguardo rimaneva perso nel vuoto ed ella avanzava per inerzia. Hans non sapeva cosa dire per rincuorarla, aveva imparato a convivere con quelle stesse certezza che aveva anch’ella.
- Ti chiedo scusa, Hans, per quello che ti ho fatto patire in questi sei anni. Io non ne avevo idea… - E pensare che era giunta fin lì per pretendere in parte le sue scuse ed ora era lei a porgerle a lui.
- Non avresti potuto fare nulla. – Tentò vanamente di rassicurarla il principe. Eppure il fatto che Elsa si sentisse in colpa avrebbe dovuto renderlo felice, dopotutto era lo scopo che si era prefissato da quando lei era giunta nelle Isole del Sud. In quel momento però non riusciva a gioire di quei sensi di colpa, non dopo che aveva sentito il suo minuto corpo accartocciarsi su se stesso per colpa della sua stessa magia.
Giunsero ben presto a palazzo e lì vennero accolti dagli sguardi increduli dei presenti.
Fen corse immediatamente da Elsa e la coprì con la sua giacca, cercando di scaldarla come poté. Una smorfia fece capolino sul viso di Hans, quasi fosse stato geloso di quel prodigarsi. Se solo Fen avesse saputo come ella si era lasciata trasportare dalle emozioni poche ore prima… ah avrebbe goduto.
- Che diamine hai combinato Hans?! – Esclamò il decimo fratello, puntando immediatamente il dito contro il fratellastro.
- Non ha fatto nulla, principe Fen. E’ stata colpa mia, ho spaventato il cavallo e siamo caduti in un laghetto, nulla di pericoloso. – Mentì, ma lo fece per evitare alcuna punizione per Hans, lui si era dimostrato premuroso nei suoi confronti. Venne ispezionata dallo sguardo attento del principe Fen. La ferita sul collo venne subito scoperta con enorme disappunto.
- Cadendo mi sono tagliata, credetemi Fen, sto bene e la colpa non è di Hans. – Fen non pareva crederci, si limitava a lanciare occhiate torve al fratello. 



NOTE AUTRICE: Non ho molto da dire oggi, se non che vorrei ringraziare coloro che mi stanno seguendo e recensendo. Vi ringrazio davvero di cuore <3

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