Salve genteeeee!!! Eccomi, finalmente, dopo un secolo sono
risortaaaa!!! In una soprta di delirio da insonnia
aggiorno due fanfic in piena notte, nella speranza che mi colga un sonno tale
da dormire 18 ore filate (see, magari ç__ç!)
Allora, diciamo che questo cap è nato in tre tempi: prima c’ho
lavorato sull’onda dell’entusiasmo del 2°, poi in un periodo di ultra-stress (infatti
c’è un pezzo molto depressivo), la fine… Boh, la fine è semplicemente smielata
xP, raccomando di non assumere troppi zuccheri nella giornata in cui lo
leggerete ^^”””! Avevo detto che avrei fatto al max 3 cap per questa spin-off,
ma alla fine diventeranno quattro… Non smetto mai di dare problemi ai miei
personaggi xD!
I ringraziamenti alla fine del capitolo! A dopoo!
Paragrafo
3 ◦ Ricordi di cenere bianca(*)
(*) riferimento ai nomi di “Shiro” (bianco) e “Haine” (di cui uno dei
kanji, hai, vuol dire appunto cenere)
- Quindi non riesci proprio a
ricordare?
Guardo la figura al mio fianco: non
riesco a capire com’è fatta, né come sia in viso, ma so che è una delle tre
ragazze che vedo sempre.
- No.
Lei incrocia le braccia al petto e
mi fissa. Intuisco che sta sorridendo, un sorriso allegro e spavaldo.
- Non mi puoi aiutare? – le
domando.
- Stai scherzando?! Come faccio ad
aiutarti se tu non ti ricordi di me?
- Ha ragione.
È la seconda delle tre. È piccolina
e parla sempre piano, a volte quasi non riesco a sentirla.
- E allora come devo fare? – la
piccolina scuote la testa, triste:
- Non lo so, fratellone…
- Non stare a spaccartici la testa.
È la terza. Quella che mi si è
avvicinata la sera in cui mi sono risvegliato.
- Te l’ha detto anche Haine-chan,
no? – sorride – Devi aspettare un po’.
Annuisco, arrendevole, in fondo
hanno ragione.
La guardo, ma lei si limita a
sorridermi ancora.
Sento il profumo del mare.
- Stai tranquillo, ogni tanto
verremo a controllare! – ride la prima delle tre.
- Stacci bene, fratellone!
Si allontanano. L’orizzonte è
talmente bianco che non riesco a seguirle con lo sguardo…
Si dissolvono…
Affondano, affondano sempre più in
quella nube bianca…
Una stanza fredda.
Un letto rotto.
Muri freddi e grigi.
Conosco questa stanza.
… Dov’è?
Dove sono?...
… Un’infermeria.
Non riesco a respirare, non riesco
a muovermi.
Sento il sangue in bocca…
No, vi prego… Fateli smettere…
Fatelo smettere…
Fatelo smettere…!
Fatelo smettere!
Basta!
Shiro
si alzò di scatto, facendo cadere il cuscino a terra con un tonfo sordo. Restò
immobile qualche minuto, prendendo affannosamente fiato, una mano sulla fronte
madida.
Era
successo di nuovo.
Si
massaggiò le tempie, sospirando, per lo meno era già mattina: la volta prima si
era svegliato che erano a malapena le due di notte, ma c’era voluto del buono
per riaddormentarsi. Si alzò con uno sbadiglio, il sole era ancora basso nel
cielo, ma la sveglia sul comodino confermò che erano già le sette e quaranta.
Il ragazzo fece per prendere una maglietta dalla sedia sotto la finestra, ma un
leggero raspare alla porta lo fermò un istante; sorrise, quando scorse il muso
allegro di Ribbon spingerla per entrare.
-
Ciao piccolo – lo salutò, finendo di vestirsi – sei venuto a svegliarmi?
Il
cane abbaiò felice, lasciandosi arruffare il pelo divertito.
Subito
dopo Shiro sentì una voce mormorare in corridoio: Haine stava cercando il cane.
Sorrise sotto i baffi.
-
Haine? Ribbon è qui. – la vide accostarsi appena alla porta – Entra pure.
-
Oh, cavolo, mi spiace! – si scusò lei, sbuffando – Ribbon, piccola peste!
-
Stai tranquilla, tanto ero già sveglio.
Lei,
intuendo, gli rivolse un’occhiata preoccupata:
-
Stai bene?
-
Certo, tranquilla. – le sorrise; la brunetta, però, non sembrava convinta – Ora
però ho una gran fame!
Haine
sospirò e, capendo che la conversazione non sarebbe continuata, ricambiò il
sorriso con una strizzata d’occhio:
-
Papà è già andato all’attacco. Vado a tenerti qualcosa da parte, sbrigati!
Lui
rise ed annuì, lasciando andare Ribbon che seguì la padroncina (probabilmente
speranzoso di un piccolo regalino prelevato dalla colazione).
Mentre
il ragazzo scendeva in cucina si massaggiò ancora la testa, sbuffando
rassegnato.
Da
quando era uscito dal coma gli succedeva
di frequente di fare sogni come quello di poco prima: frammenti confusi che lui
non riusciva a scindere tra ricordi e fantasia si ammucchiavano gli uni sugli
altri, come granelli di sabbia spinti dal vento, senza lasciargli la
possibilità di riportarli ad un evento, un luogo, un volto. Ne aveva parlato ad
Haine quasi subito e lei gli aveva suggerito di annotare tutto quel che
ricordava, di volta in volta, così da poter poi rileggere tutto con calma e,
magari, riuscire a ricavarne qualcosa.
Shiro
aveva seguito il consiglio e qualche risultato, seppur minimo, s’era visto;
purtroppo, era come dover riformare un puzzle partendo dalle tessere di due
punti diametralmente opposti e tutte non incastrabili tra loro. Praticamente
impossibile.
Haine
lo incoraggiava sempre, ascoltando paziente i suoi piccoli riassunti e
dicendogli che quelli, seppur frammenti, erano parte della sua memoria, il che
voleva dire che un giorno l’avrebbe recuperata del tutto.
Shiro
ci sperava. Altro non poteva fare.
-
Ben alzato! – lo salutò allegramente Sentaro, una ciotola ormai vuota in mano,
mentre il ragazzo entrava in cucina – Che faccia scura stamattina!
-
Ho solo dormito un po’ così… - sorrise lui vago.
Sentaro
fece spallucce e non aggiunse altro.
-
Haineeee! Mi dai il bis?
-
Quello è un tris ormai, papà! – lo sgridò la figlia, brandendo il mestolo del
riso come una clava – E se ti rimpinzi ancora un po’ salterai di nuovo il
pranzo!
-
Che figlia cattiva! – piagnucolò lui prendendola in giro – L’hai sentita,
Shiro? Vuole farmi morire di fame!
-
Ma smettila *gocc*! Sei tu che, anche ieri – calcò l’accento su quell’ultima
parte – hai lasciato metà del bento che ti avevo preparato!
Shiro
si trattenne dal ridere: non che Sentaro fosse un padre immaturo, ma si
divertiva a stuzzicare la figlia con quelle scenette da bambino.
Il
bruno si sedette, guardando ancora un po’ l’uomo protestare ad un’Haine che,
insensibile, lo ignorò porgendo una ciotola di riso al ragazzo.
-
Ti lascerò stare soltanto perché è tardi! – disse l’uomo melodrammatico,
alzandosi – Ma mi avrai sulla coscienza!
-
Sì, sì, certo…
-
Come sei cattiva *gocc*!
-
Dai, pa’, fai tardi davvero! – concluse lei, porgendogli il foulard in cui era
avvolta la scatola del pranzo –Vai su.
L’uomo
sorrise e la baciò sulla guancia.
-
D’accordo. A stasera, allora. Shiro… - il ragazzo sorrise al suo saluto – Ciao
Ribbon, non fare danni, eh?
Il
cane abbaiò come ad assentire.
-
Ah, e voi due non combinate niente in mia assenza! – aggiunse malizioso, una
borsa blu degli attrezzi sulla spalla, sporgendosi dal corridoio – Mi
raccomando!
-
PAPÀ!!!
L’uomo
fuggì prima che la figlia, scarlatta in volto, gli tirasse il mestolo dritto in
fronte. Shiro si limitò a sospirare.
-
Quello stupido di un genitore *gocc*…!
-
Dai, non te la prendere. – cercò di calmarla – Stava scherzando.
Sì, lo so, ma ogni volta che fa
queste sue battute idiote io per reazione non faccio che pensarci!
Pensò
lei, sempre con le guance rosso acceso, risedendosi per finire di mangiare.
Sospirò,
ormai Shiro viveva in casa loro da più di un mese e mezzo, ma lei non si era
ancora abituata alle frecciatine che suo padre le lanciava di quando in quando.
Alle volte avrebbe voluto avere un padre normale,
che magari ad un’idea del genere si sarebbe anche ingelosito: no, proprio lei
doveva avere l’unico genitore che si comportava come un fratellino dispettoso!
Che poi lei non vedeva il motivo di quelle sue supposizioni. Certo, Shiro era
un ragazzo carino, le era simpatico e ormai erano diventati amici, ma da quello
a piacerle in quel senso, c’era un
abisso.
Per
lo meno, tentava di convincersi di questo in tutti i modi.
-
Bene, io ho finito! – disse allegra, posando le bacchette – Vado a fare le
camere.
-
D’accordo, lascia qui che ci penso io.
La
brunetta trottò di sopra baldanzosa.
Ormai
quella era la loro quotidianità. La mattina, come aveva sempre fatto da quando
viveva da sola col padre, Haine si alzava e preparava la colazione per tutti;
poi, dato che era in vacanza, rifaceva le camere, sbrigava le faccende di casa
e si metteva a fare i compiti, mentre Sentaro andava a lavorare. Shiro, che si
era ripreso quasi del tutto e non aveva la minima intenzione di restarsene con
le mani in mano, si era auto-eletto responsabile del “lavaggio piatti” e di
Ribbon che, anche quella mattina, quando gli vide mettere a posto l’ultimo
piatto, prese con la bocca il suo guinzaglio da sopra il mobiletto vicino
all’ingresso e corse indietro scodinzolando.
-
Ho capito, ho capito! – rise Shiro vedendoselo davanti – Dai, andiamo.
Quando
terminavano la passeggiata, Shiro e Ribbon salivano in camera del ragazzo,
finchè Haine non scendeva a prendere il cane per giocare un po’ con lui.
Il
pomeriggio i due ragazzi andavano in ospedale per la seduta di fisioterapia di
Shiro; lui a volte cercava di svicolare, ma la brunetta, inflessibile, non
lasciava scampo.
Era
l’infermierona Mitsumi (come la
chiamava scherzosamente Shiro) ad occuparsi della sua fisioterapia: era stato
un sollievo quando l’avevano saputo, la donna aveva modi di fare anche troppo
schietti, ma era gentile e simpatica, quindi sia il diretto interessato che
Haine, che osservava da un angolino tutta la visita, si trovavano bene con lei;
qualche volta veniva a trovarli anche la signora Toruhmiya, che si era già
affezionata al ragazzo e controllava sempre quando finalmente si sarebbe “tolto
dalle scatole” e avrebbe “cominciato a divertirsi fuori di lì!”.
Non
che ci fosse moltissimo da fare da quelle parti. Gensenkaien(*) era una
cittadina piccola, e molti dei suoi abitanti, approfittando delle vacanze, se
n’erano andati verso sud, fuggendo dall’estate fresca dell’Hokkaido per una più
soleggiata; molti negozi e locali erano chiusi e, Shiro in particolar modo,
s’era dovuto trovare un hobby: i libri.
Era
stata Haine a consigliargli di leggere. “Se non puoi allenare i muscoli per
adesso – gli aveva detto – allena il cervello!”. E la cosa si era rivelata un
ottimo passatempo. La mente di Shiro, dopo due anni di inattività, sembrava
affamata di sapere; il ragazzo sfogliava di tutto, narrativa, saggistica, ogni
cosa leggibile praticamente: dopo aver quasi divorato la piccola biblioteca
domestica degli Ichinomiya (escludendo i libri di elettronica di Sentaro che,
nonostante tutto, sarebbe stato molto difficile trovare interessanti), il
ragazzo s’era fatto mostrare dov’era la biblioteca civica, e quasi ogni due o
tre giorni riportava un libro e ne prendeva un altro. Haine ricordava divertita
la prima volta che lo aveva accompagnato e la faccia del ragazzo alla vista
della bibliotecaria, una vecchina sulla settantina (diceva lei, Haine
ipotizzava anche ottantina) sveglia come un grillo, magrissima e tutta ricurva,
con due occhiali sul naso dalle lenti tanto spesse che l’unica cosa
distinguibile a colpo d’occhio del suo viso erano gli ingigantiti occhi celeste
spento.
-
A me fa paura! – aveva mormorato Shiro mentre uscivano - Sembra un’arpia sul
trespolo!
Haine
aveva creduto fosse una battutaccia, ma quando si era accorta che il ragazzo si
era inquietato sul serio era scoppiata a ridere fin quasi alle lacrime.
Shiro
era fatto così. Non era un ingenuo, ma possedeva una sincerità tale che spesso
disorientava; era assai più probabile che facesse un commento severo, ma
onesto, piuttosto che dicesse una bugia per indorare la pillola. Era sempre
gentile con tutti e con Haine, che spesso non riusciva a trovare le parole
adatte per sostenerlo, o si trovava in difficoltà ad esprimere quel che voleva
dire, aveva una pazienza ed una dolcezza, per cui lei non si stupiva poi molto
se in tanti, anche all’ospedale, avessero preso a vociferare che fossero
fidanzati.
Lei
smentiva sempre con convinzione, anche se questo le costava un’ampia dose di
autocontrollo per non divorarli a parole, furiosa dall’imbarazzo.
Shiro
sorrideva sempre quando la vedeva in imbarazzo, la trovava incredibilmente
dolce. Certo, non era semplice credere che l’energica ragazza che bacchettava
il padre la mattina a colazione come una madre col figlio lo fosse, ma Shiro
sapeva benissimo che invece era così.
Haine
non era brava a parole: quando doveva esprimere un suo pensiero a voce
s’inceppava, spesso arrossendo, e ancor più spesso alla fine rinunciava in
preda alla vergogna; preferiva scrivere, inchiostro e penna le rendevano più
semplice comunicare quelle cose per cui, purtroppo, spesso la gente è sorda o,
peggio, ride divertita. A scuola non aveva molti amici. Non che fosse
malvoluta, ma era una di quelle persone che preferisce starsene per i fatti
proprio piuttosto che invischiarsi nella baraonda di sua iniziativa, così la
maggior parte delle volte i suoi compagni non la chiamavano nemmeno alle uscite
di gruppo o alle feste.
Il
suo primo, vero amico, sembrava essere stato proprio Shiro; quando si mettevano
a chiacchierare lui l’ascoltava, in silenzio, senza emettere un giudizio, e
questo faceva sentire la ragazza abbastanza rilassata da essere semplicemente
se stessa. Spesso lui la spiazzava, ricordando cose che lei gli aveva detto
mentre era in coma: ogni volta, lui diceva di non ricordare quando avesse
sentito quella o quell’altra cosa, eppure sapeva alla perfezione i gusti della
ragazza, cosa le piaceva fare, cosa la spaventata. Non tutto, certo, ma molte
cose sì.
Haine
ne aveva parlato al dottor Ryuichi, ma lui non aveva saputo darle una risposta
precisa.
-
Può darsi – aveva supposto – che involontariamente ricordi le vostre
“conversazioni”, ma non serbi memoria del momento in cui le ha ascoltate perché
era incosciente.
Ad
Haine la cosa non piaceva moltissimo, si sentiva come svantaggiata nei confronti
del ragazzo, lei di lui sapeva così poco…! Così, appena c’era occasione, gli
faceva il terzo grado per scoprire (o riscoprire assieme a lui) cosa gli
piaceva e cosa no. Era quasi un gioco a cui ormai entrambi erano abituati, e
che anzi li divertiva parecchio. Spesso gli “interrogatori” di Haine si
svolgevano in riva al mare: al ragazzo piaceva molto, e sembrava che trovarsi a
passeggiare sulla sabbia, avvolto dal profumo della salsedine, lo facesse
sentire a proprio agio. Qualche volta la brunetta lo osservava perdersi nei
suoi pensieri, mentre era impegnato a scrutare l’oceano, e lei non riusciva a
non domandarsi dove volasse la sua mente, quand’era così assorto.
***
La risacca lontana sembra
sussurrare.
Come una cantilena.
Come una preghiera.
L’odore del sale mi entra nei
polmoni, restandoci per ore.
- Sei pensieroso, fratellone?
Sono ancora loro. Stavolta è la
Terza, è sola.
Le ho distinte così.
La Rossa. Ride sempre, nella mia
mente distinguo solo questi capelli, corti, rossi come il fuoco.
La Piccolina. È quella
timida,che parla poco, è quasi una
bambina.
Lei è la Terza. È quella che
distinguo di meno, quasi fosse trasparente.
Ma la sua voce mi tranquillizza.
- … Stavo pensando al mare.
- Che bello! – la sento sospirare –
Anche a me piace tanto il mare!
Sorrido.
Sento la risacca mormorare.
- … Fratellone, ti ricordi?
- Cosa?
- Il mare. Non te lo ricordi?
Provo a pensarci. Sì… qualcosa…
Una scogliera brulla.
La spuma che sale, quasi scalando
le rocce, e si disperde nell’aria bagnandoti il viso.
- Te lo ricordi?
- Sì.
Lei non sembra felice.
- Fratellone, perché vuoi ricordare
a tutti i costi?
La guardo stranito.
- Perché? È la mia vita che ho
dimenticato…!
- Ma ci sono delle cose brutte, dietro!
– dice triste – Cose che… Forse sarebbe meglio non ricordassi.
Non le rispondo.
- Anch’io vorrei scordarle…
- Ma ci siete anche voi tre, vero?
– le domando concitato – Tu e quelle altre due ragazze.
Lei mi fissa, sempre triste.
Annuisce.
- Allora devo ricordare!
- Però…!
- Però cosa?
Sospira. Il profumo del mare s’è
fatto intenso, riesco quasi a sentire l’acqua che mi lambisce le caviglie.
- Se tu ti ricordassi – mi dice
grave – abbandoneresti Haine-chan.
- Cosa? Cosa stai dicendo?
- L’abbandoneresti. – fa convinta.
- Io non posso abbandonare Haine!
Sembra sorpresa dalle mie parole;
lo ammetto, anch’io lo sono, ma non ritiro la frase.
- Ne sei sicuro?
La fisso senza rispondere. Ne sono
sicuro?
- Sì.
Sorride.
- Allora va bene. – si volta,
prendendo ad allontanarsi – Haine-chan ti vuole bene. Non farla piangere,
fratellone!
Il suono delle onde si sta
allontanando.
Non sento più il profumo della
salsedine.
Sta tornando tutto bianco…
Perché dovrei far piangere Haine?
Anch’io le voglio bene, lei m’ha
salvato!
Solo questo…
Credo…
Però…
Non voglio farla stare male.
Non voglio che soffra!
Chi è che sta piangendo?
Una ragazzina coi capelli neri…
Non è la Piccolina.
Un momento… Quello sono io?
- Stai tranquilla, è tutto a posto.
– mi vedo chinarmi su di lei, sembra ferita – Ti fa molto male?
Lei annuisce e io sospiro. Perché?
Cos’è successo?
Non capisco…
- Tu non hai mai capito!
Tutto torna di colpo bianco. C’è
qualcuno di fronte a me.
- Chi sei?
Un ragazzo dai capelli castani. Un
ragazzo dagli occhi verdi.
Un ragazzo dagli occhi colmi di
odio.
- TU NON HAI MAI CAPITO NULLA!
Allungo la mano come per fermarlo,
ma il bianco torna a coprire tutto.
Aspetta, non andartene…
Voglio capire!
Cos’ho sbagliato? Cos’ho fatto?!
Voglio capire, maledizione!
Ma non c’è nessuno che mi senta.
C’è solo bianco…
Bianco assoluto…
Bianco agghiacciante…
Detesto tutto questo…
Nemmeno a te piace il bianco, vero?
Haine…
Bianco. Sembra inghiotta tutto.
Sembra cancelli tutto.
Haine…
La
ragazza si stiracchiò sulla sedia, tutta indolenzita; si stropicciò gli occhi,
costringendosi ad accendere la luce sul comodino perché ormai quella del sole
non bastava più ad illuminare la sua stanza. fece ruotare la penna nella mano e
riprese la lettura:
Qualche volta lo osservo, quando comincia a
camminare sovrappensiero lungo la battigia: sembra quasi che si estranei dal
mondo e si perde a fissare l’orizzonte (non so perché, a volte mi viene in
mente l’immagine di quel navigatore italiano - Colombo, se non ricordo male - e
mi viene da ridere xD!). Ogni tanto prende un’aria triste quando guarda il
mare, e la cosa mi spiace: vorrei aiutarlo, ma non so come fare…
L’idea di rivedergli quella faccia distrutta
che aveva i primi giorni mi fa stringere il cuore! Non è giusto, insomma!
Io… Vorrei che fosse felice. Di solito mi
sembra sereno, anche se non riesce ancora a ricordare, ma ho paura che la sua
sia solo una posa.
Haine
afferrò saldamente la biro blu e, quasi fosse uno scalpello, si avventò con un
segno spesso sulle ultime righe.
Io… Vorrei che fosse felice. Di solito mi sembra sereno, anche se non
riesce ancora a ricordare, ma ho paura che la sua sia solo una posa.
Sospirò, così andava
meglio.
Non
posso scrivere una cosa simile. Non metterti a sognare, scema!
Sollevò annoiata lo
sguardo sul piccolo calendario da tavolo: 25 Agosto. I suoi occhi scorsero
pigri i giorni restanti prima della malefica data, segnata in rosso nella
colonnina del mese successivo, sul margine, dove l’1 Settembre sembrava il titolo
di una locandina horror.
Sbuffò, prendendo a
dondolare sulla sedia; l’estate era volata via veloce, e già i venti dal
continente stavano raffreddando l’isola di Hokkaido, privandola della sua
stagione bella. Presto sarebbero ricominciate le lezioni. Le veniva male al
pensiero.
In preda ad una crisi
di nostalgia s’era messa a rileggere le pagine del suo diario, che era quasi
arrivato alla fine tanto aveva scritto. Si fermò su una pagina con una vistosa
impronta di zampa canina al centro.
7 Luglio 2002. Soleggiato, ma con tanto vento
Caro Diario,
dato che oggi è domenica, io e papà abbiamo
deciso di portare Shiro a fare un giro per il “selvaggio entroterra
dell’Hokkaido” XD! Il dottor Ryuichi ha detto che, se non si sforza troppo, al suo
fisico può solo far bene un po’ d’aria di montagna.
Abbiamo preso in prestito la jeep del signor
Iwasa, il vicino, perché ormai il furgone di papà non può più salire fin
nell’entroterra, è troppo malconcio ^^”! Shiro si è entusiasmato a vedere il
nostro paesaggio: ha detto che lui in
Hokkaido non era mai stato (segno questa cosa, potrebbe tornargli
utile!). So che a molte persone fa quest’effetto, ma del resto la nostra isola
è “civilizzata” da poco più di 150 anni (visto che ho studiato ;D?). Io sono più
contenta così, è così bello il nostro panorama!
Papà ci ha portati fino al laghetto dove
facevamo i pic-nic con la mamma. Mi sono sentita un po’ triste appena siamo
arrivati, ma ho fatto finta di niente per non fare preoccupare papà (sai com’è
fatto…!).
Se avessi visto le scene della giornata…!
Papà mi prende sempre in giro che mi sono presa una cotta per Shiro, ma
sbaglia: è tra lui e Ribbon che è scattato il colpo di fulmine xD! Il nostro
cucciolo gli sta sempre appiccicato! Pensa, ad un certo punto Shiro ha deciso
di fare due passi nel punto del lago in cui si toccava (si è pure lamentato! “È
fredda!”, ma io glielo avevo detto >_< !) e Ribbon… SPLASH! Subito dietro
=__=””! poi, quando ha realizzato che l’acqua era troppo fredda per i suoi
gusti, è uscito e si è avventato addosso a me!
I miei vestiti sono un disastro, sono pieni
di fango! E papà e Shiro a ridere -___-**! Ah, ma mi sono vendicata! Sai,
quando riempivo la brocca dell’acqua, sono scivolata ^^+… Casualmente,
rovesciandola sulle loro teste XD!
Ho rischiato di finire completamente a mollo!
Sorrise, quel
pomeriggio era stato molto divertente; dopo il “contrattacco” della brunetta si
erano messi a schizzarsi per gioco… Solo che lei si era beccata un raffreddore
da oscar per quasi una settimana. Shiro non la smetteva di scusarsi, ce n’era
voluto per convincerlo a non farsene una colpa.
- E poi – aveva
scherzato Haine – ci siamo scambiati i ruoli: ora sono io la malata!
Erano scoppiati
entrambi a ridere.
Haine scosse la testa,
non ci doveva pensare. Proseguì. Stavolta la sua attenzione fu attirata da due
pagine mezze attaccate, ancora piene di granellini di sabbia.
16 Agosto 2002. Sole, sole, sole!!
Caro Diario,
ci siamo venuti! Ci siamo venuti sul serio!
Siamo ad Okinawa! Credo di stare per svenire
dalla felicità x333!!! Papà ha preso le ferie per una settimana, quindi MARE,
MARE, MARE!!! (Ok, la smetto adesso xD).
Finalmente ho potuto indossare il costume che
mi sono comprata un po’ di tempo fa, quello bianco con gli hibiscus celesti
sopra *-*!
Voglio divertirmi a più non posso!
Spacca-cocomero(**)! Gelati! Il pallone! I racchettoni! NUOTAREEEEE X33333!!!
Ora vado, papà e Shiro mi stanno chiamando
(andiamo in pedalò fino all’isoletta!) continuerò stasera!
Ps. La sai una cosa? Shiro in costume è bellissimo
>\\< !
- EH NO!
Chiuse il diario con
forza. Doveva essere impazzita: non poteva credere di aver scritto cose simili…
Di pensare cose simili!
Riaprì lentamente il
diario con aria mesta, guardando l’ultima annotazione. Fissò ancora la linea
che aveva tracciato sull’ultimo capoverso e calcò ancora con la penna,
ricoprendola d’inchiostro.
Non voleva leggere cose
simili neppure sul suo diario.
Non poteva comportarsi
così da sciocca; era consapevole del fatto che Shiro, presto o tardi, se ne
sarebbe andato: quella non era la sua città, quella non era casa sua, quella
non era la sua vita.
Sembra
che me ne sia dimenticata durante l’estate… Sono una stupida!
Ripensò alla sera
prima, quando l’avvocato Kiriaki era venuto a cena.
Avevano chiacchierato
del più e del meno e, nell’insieme, la serata era stata piacevole. Fino a quel
momento.
Mentre prendevano il
caffè, l’uomo s’era fatto di colpo serio; con lentezza aveva invitato Shiro a
sedersi più vicino, e aveva cominciato, in tono quasi meccanico:
- Ho ribaltato tutti
gli archivi di polizia a cui sono riuscito ad arrivare – aveva cominciato – ma
non ho trovato notizie che potessero ricondurre a te.
Il ragazzo era rimasto
immobile, senza fiatare. Una statua di sale. Haine aveva trattenuto l’impulso
di stringergli la mano.
- Ascoltami bene –
aveva continuato l’uomo – ho una proposta da farti.
Shiro e Haine gli
avevano rivolto un’occhiata indagatrice. Sentaro s’era incupito.
- Che tipo di proposta?
– aveva chiesto Shiro.
- … Ho un amico, a
Sapporo, che forse può aiutarti. È specializzato in casi di scomparsa ed è uno
che ha gli appigli nei posti giusti e con le persone giuste.
Shiro aveva annuito. Ad
Haine non era piaciuta la piega che aveva preso il discorso, ma non aveva detto
nulla.
- Per il momento posso
andare io. – aveva detto l’avvocato – Ma qualche volta dovresti venire con me.
- Con lei?
Haine aveva sentito una
stretta gelida allo stomaco.
- Solo per il tempo
necessario a controllare un po’ di cose. – concluse Kiriaki – Poi torneresti
qui, in attesa degli esiti. Te ne parlo perché il tempo necessario potrebbe
corrispondere anche ad alcune settimane.
Haine aveva fissato il
ragazzo qualche istante, ma la sua espressione decisa l’aveva fatta desistere
dal dire la sua.
- Per me – rispose il
ragazzo - va benissimo.
Ora, riflettendoci,
Haine aveva capito il perché della sua agitazione.
Se avesse davvero
trovato delle risposte, cos’avrebbe impedito a Shiro di restare a Sapporo e,
magari, partire per casa? La sua vera
casa?
Nulla.
Ma lei non aveva alcun diritto
di intromettersi. Erano amici ormai, quello sì, ma non poteva impedirgli di
prendere una decisione del genere; anzi, in quanto amica avrebbe solo dovuto
incoraggiarlo.
Chiuse il diario, era
troppo stanca per continuare a scrivere.
Bussarono alla porta e
lei sentì il raspare di Ribbon contro il legno. Prese un bel respiro e sorrise
naturale:
- Shiro, sei tu?
- Sì. – il ragazzo
entrò piano, mentre il labrador correva a farsi fare due coccole dalla
padroncina – Ti disturbo?
- No, no, tranquillo.
Volevi qualcosa?
- A dire il vero sì.
Si sedette sul letto
della brunetta, che lo scrutava interrogativa.
- Sentaro… Mi ha detto
che domani è una data importante.
L’espressione della
ragazza restò bloccata a quell’affermazione; chinò la testa, sorridendo triste:
- Sì. – lo guardò
malinconica – Andrò a trovare la mamma.
Shiro non disse nulla.
Non aveva mai chiesto niente della madre di Haine né la ragazza ne aveva mai
fatto accenno, ma ora la sua faccia non lasciava presagire niente di allegro.
- … Capisco.
Rimasero in silenzio
qualche minuto. Ribbon, quasi intuendo la situazione, si sedette tranquillo,
poggiando il muso sulla gamba di Haine.
- … Senti, il signor
Kiriaki mi ha detto che andrà a Sapporo già dopodomani.
Haine sobbalzò
impercettibilmente a quella frase, ma dalle sue labbra uscì soltanto un
laconico “ah”.
- … Ti va se domani ti
accompagno?
La brunetta non mutò
espressione:
- … Sì, certo. – non lo
stava guardando – Senti, adesso sono stanca…
- Sì, d’accordo. – si
limitò a rispondere gentilmente – Vieni, Ribbon, da la buonanotte.
Il cucciolo uggiolò, ma
si lasciò condurre fuori obbediente. Quando la stanza fu di nuovo vuota, Haine
si alzò e si lasciò cadere sul letto, la faccia nel cuscino.
Dopodomani.
Quella mattina
l’atmosfera in casa Ichinomiya era decisamente strana; un silenzio cupo
permeava le pareti in legno, e la stanza di Haine in particolare sembrava
congelata, immobile nella sua calma innaturale. Shiro, le orecchie tese, non
sentì la brunetta scendere dalle scale al suo solito modo, né andare a
svegliare il padre per poi dirigersi in cucina con Ribbon alle calcagna: quella
mattina il solo suono che si sentì fu quello della sveglia di Sentaro, seguito
poi dai passi dell’uomo fino al pianterreno. Fu sempre lui ad avvisare Shiro
che la colazione era pronta, invitandolo a scendere; quando il ragazzo si
sedette al tavolo, respirando il forte odore di caffè che aleggiava in tutta la
stanza, Haine non si era ancora vista.
La brunetta spuntò solo
una decina di minuti dopo. Indossava un paio di jeans molto scuri e un golfino
parimenti scuro, quasi nero; aveva legato i capelli in uno chignon morbido e,
quando arrivò in cucina, non si fermò nemmeno a guardare la tavola.
- Prendi qualcosa? – le
domandò Sentaro, anche se sembrava conoscere già la risposta.
- No, grazie. Non ho
granchè fame stamattina. – disse dandogli un bacio sulla guancia – Shiro,
allora vieni anche tu?
- Certo. – rispose lui
alzandosi.
Sentaro diede
un’occhiata allusiva alla figlia, che non rispose.
- State attenti. – sospirò
poi l’uomo – Ci vediamo più tardi.
I due ragazzi uscirono
in silenzio. Haine, camminando lentamente, si diresse verso il centro, sempre
senza dire una sola parola; Shiro la seguiva, anche lui silenzioso.
La brunetta si fermò
all’unico negozio di fiori della città. La commessa, una signora dai capelli
quasi del tutto bianchi, nel vederla le sorrise gentilmente, e sempre senza
parlare indicò un vaso con dei fiori bianchi, grossi all’incirca un terzo di
una mano.
- Gardenie. – spiegò
Haine sottovoce, guardando la faccia interrogativa di Shiro – Il fiore
preferito della mamma.
La commessa porse alla
ragazza un vasetto avvolto in carta rosa pallido; lei pagò rapidamente e uscì,
limitandosi a cambiare con la donna un rapido cenno col capo.
La sosta successiva fu
la fermata dell’autobus, poco distante. Haine si sedette sulla panchina,
sospirando, segno che avrebbero dovuto aspettare un po’. Shiro la guardò un
istante:
- … Sei arrabbiata?
- Come?
- Sei arrabbiata con
me?
- No! Certo che no! –
era vero, lei non era assolutamente arrabbiata con lui – Come t’è venuta un’idea del genere?
- Allora perché sei
arrabbiata?
Lei chinò la testa al
suo sguardo, come se lui avesse potuto scorgervi la verità se solo avesse
scrutato un po’ più attentamente.
- Ora… Non voglio
parlarne. – tagliò corto – E comunque… È solo perché sto andando a trovare la
mamma, nient’altro. Scusa, ma non mi va di chiacchierare.
Lui continuò a
guardarla. Haine si costrinse ad alzare il viso per dimostrare che non gli
mentiva, perdendosi un istante in quelle iridi scure.
- D’accordo. – sospirò
lui alla fine – Allora ne riparliamo.
Lei annuì, cercando di
rilassarsi: doveva sorridere, o sua madre si sarebbe preoccupata.
Non parlarono più.
Circa una ventina di minuti dopo arrivò l’autobus numero 48, completamente
deserto; Haine ci salì sopra, tranquilla, e andò a sedersi col ragazzo sula
penultima coppia di sedili. Lo sgangherato pullman prese la strada per la
montagna, cigolando e stridendo: la salita era ripida, la strada polverosa e
piena di buche che sballottavano il povero mezzo, facendo gemere cupamente le
sospensioni.
Dopo quasi mezz’ora di
viaggio, Shiro iniziò a preoccuparsi, non aveva mai visto Haine così cupa, e il
fatto che non volesse discuterne lo rendeva nervoso. Stava per dire qualcosa per
rompere quel gelo che s’era creato, quando il suo sguardo fu attirato da
quattro casupole, poste praticamente sulla cima della montagna.
- Il villaggio natale
della mamma. – spiegò Haine – Lei è cresciuta tra questi boschi.
- Tu no? – le domandò
dolcemente, pregando che non si chiudesse di nuovo nel silenzio.
Lei sorrise facendo un
cenno di diniego:
- No. Sono nata a
Sapporo, dove mamma e papà si sono conosciuti.
- Vivevate a Sapporo?
- Sì. – rispose. Il suo
tono era basso, quasi tremulo rispetto a quello che il ragazzo era ormai
abituato a sentirle usare – Mamma studiava lettere, papà era apprendista presso
un vecchio signore che costruiva televisori: si sono sposati quando lei era al
quarto anno di università, e lei ha dato la tesi che era incinta di me.
Le scappò un sorriso.
Shiro rise:
- Una donna senza
troppi pensieri!
Haine annuì.
- Abbiamo vissuto
laggiù fino a sei anni fa.
Il suo tono di abbassò
di nuovo. Shiro la guardò in silenzio, mentre l’autobus prendeva a rallentare.
- Oh, siamo arrivati! –
esclamò la brunetta – Forza, vieni.
Il ragazzo obbedì.
L’autobus li abbandonò apparentemente in mezzo al nulla: dietro di loro, la
strada che portava a valle, di fronte lo sterrato che partiva e arrivava fino
al villaggio della montagna, verso cui il pullman si era avviato; ai lati e
tutt’attorno, boschi e valli.
Haine avanzò sicura,
attraversò la strada e prese a camminare in mezzo agli alberi, la pianta
stretta tra le braccia come un tesoro. I due camminarono per circa una decina
di minuti, finchè il bosco non prese a diradarsi.
Di fronte a loro si
aprì una radura che saliva dolcemente il crinale di una collinetta; la mano
dell’uomo si scorgeva nella recinzione in muretti a secco e nell’erba
accuratamente potata, come nelle cupe pietre tombali che tagliavano il
paesaggio come aculei protesi al cielo.
Shiro sentì una
spiacevole sensazione al petto. Aveva pensato giusto, purtroppo.
Haine avanzò,
lentamente, avvicinandosi ad un gruppetto di lastre vicino all’ingresso. Shiro
la lasciò andare avanti, seguendola pian piano, e finendo di avvicinarsi
soltanto quando lei si fermò.
La brunetta s’accucciò,
liberando il vaso dalla carta rosa e posandolo accanto alla lapide. Shiro si
chinò vicino a lei, leggendo l’iscrizione
Ayumi Ichinomiya (Ayumi Anasaki)
14 Marzo 1961 – 26 Agosto 1994
Il ragazzo prese un
bastoncino d’incenso, lo accese e lo poggiò accanto alla lastra della base, in
silenzio. Haine continuava a fissare l’iscrizione immobile, solo un debole
sorriso a piegarle le labbra.
- Sei anni fa – iniziò,
così piano da essere appena udibile – Mamma si ammalò di tumore. I medici se ne
accorsero in tempo e cominciarono le cure; lei stava reagendo bene, eravamo
incoraggiati, anche i dottori erano ottimisti…
Si fermò, come se
dovesse prendere fiato. Shiro continuava a fissarla.
- Poi la cosa si
aggravò. – mormorò – Di colpo. Nel giro di due mesi…
Non terminò la frase,
nascondendo il viso tra le ginocchia. Shiro le sfiorò la nuca con gentilezza,
mentre lei tratteneva i singhiozzi.
- Scusa…! Non… Volevo
piangere. – sussurrò – Era meglio se non venivi...!
Lui scosse la testa,
prendendole la mano nella propria. Haine sorrise impercettibilmente, ma le
lacrime sembravano non aver finito il proprio lavoro e ripresero subito a
scorrere.
- Vuoi restare un po’
da sola?
Lei fece freneticamente
cenno di no con la testa, ricambiando la stretta. Restarono così per parecchio
tempo, in silenzio, ma anche quando i singhiozzi sommessi della brunetta
cessarono del tutto, le loro mani restarono unite.
L’autobus del ritorno
arrivò un’ora più tardi. Shiro ed Haine erano in piedi, in mezzo alla strada
deserta, aspettando da almeno una decina di minuti quando la sagoma del mezzo,
lucida sotto il sole si affacciò da dietro una curva.
Non avevano più parlato
dopo aver lasciato il cimitero, ma l’atmosfera era rilassata rispetto alla
partenza. Di quando in quando, la brunetta abbassava lo sguardo, verso le loro
mani: avrebbe voluto stringere la sua ancora un po’…
Come all’andata, il
pullman era deserto; i due si sedettero nuovamente sui sedili posteriori,
mentre il mezzo ingranava rumorosamente la marcia e partiva.
- Ora mi dici perché
eri arrabbiata?
La domanda di Shiro la
colse alla sprovvista. Haine lo guardò un po’ smarrita, prendendo poi a fissare
senza interesse fuori dal finestrino:
- … Quando torni –
bofonchiò – devi raccontarmi tutto quel che ti succederà, ok?
Lui non rispose.
- Non… Sono stata molto
utile, durante questi mesi – riprese piano – e forse non lo sarò nemmeno dopo,
ma…
- Ti racconterò tutto.
– sorrise Shiro – Però quando torno voglio del nabe (***)!
Lei si voltò, scrutando
la sua aria allegra con rassegnazione, ma non riuscì a non sciogliersi in un
sorriso:
- D’accordo! Promesso!
Il sorriso del ragazzo
svanì un istante, senza che Haine se ne accorgesse.
-
Promesso!
-
Certamente. – sorrise lui con dolcezza.
-
E quando tornerò da papà, mangeremo tutti assieme il nabe!
-
Tu… Non glielo dirai, vero fratellone?
-
… No, non lo farò.
Il
sorriso di Shiro fece solo sospirare la sua interlocutrice:
-
Però… Promettimi che quando saremo fuori di qui lo farai!
-
… D’accordo. Promesso.
L’autobus ebbe un
sobbalzo; Shiro, perso nei suoi pensieri, tornò confusamente alla realtà.
Accanto a lui, Haine si
era appisolata, e ora la sua testa ondeggiava pericolosamente per non posarsi alla
spalla del ragazzo. Shiro la scostò delicatamente, facendola appoggiare a lui.
Sorrise un istante, per poi incupirsi nuovamente.
- Haine-chan
ti vuole bene. Non farla piangere, fratellone! -
“Promesso.”.
***
La sveglia partì a
suonare con foga, traballando lievemente sul comodino; la mano di Haine, come
uno zombie, prese a zampettare sulla superficie del mobile, nel tentativo
d’individuare la molestatrice di sogni, finchè le sue dita non sfiorarono la
liscia e fredda plastica dell’orologio. Con un colpo secco Haine lo spense,
strisciando poi fuori da sotto il lenzuolo: le sette, lessero i suoi occhi
impiastricciati di sonno.
La brunetta si lasciò
cadere a peso morto sul guanciale, implorando pietà, ma la voce di suo padre
che la chiamava dal pianterreno dissolse le sue speranze.
Si alzò scomposta,
sbadigliando sonoramente, e sempre con lo sguardo spento si trascinò fino in
bagno: guardò con orrore la sua aria distrutta nello specchio e si schizzò il
viso con acqua fresca, tentando di rianimarsi un pochino ed assumere un aspetto
per lo meno accettabile; una volta lavata e leggermente meno intontita, la
ragazza tornò velocemente in camera per finire di vestirsi, scorgendo Ribbon
che l’aspettava come una sentinella in cima alle scale.
- Un minuto e arrivo. –
disse la ragazza con voce impastata. Lui abbaiò sonoramente.
Nella stanza, Haine
guardò sconsolata la sua divisa appesa alla gruccia. La odiava. Non tanto per
la gonna, con un motivo scozzese blu e lunga fino al ginocchio, né per la giacchetta,
per quanto fosse di un color celeste acceso che ricordava vagamente (e in
maniera terrificante) i grembiulini dell’asilo; quello che trovava davvero
insopportabile indossare era quella camicetta tutta fronzoli, turchino slavato,
e l’orrendo fiocchetto che spuntava sul colletto.
Sembro
un gattino agghindato dalla padroncina di sei anni.
Si guardò per
l’ennesima volta allo specchio, con aria depressa, ormai s’era rassegnata a
trascorrere il resto del liceo con quello straccio orrendo. Si legò i capelli
nei suoi solito codini e scese rapidamente in cucina, come al solito rischiava
di fare tardi.
Sulla tavola c’era
apparecchiato soltanto per lei, latte e cereali. Sentaro, riposta la tazza che
aveva usato nello scolapiatti, stava uscendo con aria trafelata.
- Vai già? – gli
domandò vaga la figlia, sedendosi.
- Mmm. – fu la risposta
dell’uomo, che reggeva le chiavi del furgoncino tra le labbra – Mi ha chiamato
un tizio per una riparazione a domicilio, devo passare in negozio e poi correre
da lui o mi mangerò tutta la mattinata.
Haine annuì distratta,
si lasciò schioccare un bacio sulla guancia e prese a mangiare, mentre Sentaro
salutava Ribbon ed usciva.
La casa cadde nel
silenzio. Haine finì rapidamente la sua porzione di cereali ed il latte e,
abbandonate le posate nel lavandino, afferrò lo zaino e la giacca.
- Non fare quella
faccia, Ribbon. – disse dolcemente al cane, che aveva preso a guardarla
supplichevole – Sai che devo andare! Stasera giochiamo quanto vuoi, promesso.
Lui uggiolò appena.
- Ah, giusto! – esclamò
la ragazza improvvisamente – Accidenti…!
Corse nuovamente di
sopra, fino alla sua scrivania, afferrò una foto consunta dal ripiano e,
infilatala in borsa, ridiscese le scale a velocità supersonica, guardando
preoccupata l’orologio.
- È tardiii!!! Ci
vediamo, Ribbon! Fai il bravo!
Il cane abbaiò in
risposta mentre lei chiudeva la porta e, infagottata nel giubbotto, prendeva a
correre all’impazzata.
Il liceo pubblico di
Gensenkaien si trovava poco lontano dal centro città, vero l’entroterra. Era una
scuola abbastanza piccola, che però raccoglieva, assieme alle vicine scuole
medie, gli studenti della città e di altri tre paesini vicini; molti degli
alunni si conoscevano quindi da molto tempo, perché avevano frequentato la
maggior parte degli studi assieme o addirittura erano cresciuti tra le stesse
quattro casupole.
Quando si erano
trasferiti, Haine si era così trovata in difficoltà: in mezzo a loro era
l’unica davvero estranea, e non era mai riuscita a superare completamente il
muro che esisteva tra lei e gli altri studenti.
Quella mattina
l’atmosfera nella sua classe era di quieta sonnolenza. Colpa del prof di
letteratura, pensò Haine, guardando annoiata l’uomo alto e secco dietro la
cattedra, che parlava con un ritmo talmente monotono da far passare a chiunque
la voglia di seguire.
Haine sospirò, a lei
era già passata alla frase “buongiorno, ragazzi.”. Si stiracchiò un poco sul
banco, il posto migliore, quasi in fondo, vicino alla finestra, e si perse a
guardare fuori dalla finestra: ormai gli alberi avevano tutti assunto
colorazioni gialle e rosse, perdendo lentamente le loro foglie ricoprivano pian
piano le strade e il cortile sottostante, smosse unicamente dal vento.
Sospirò ancora, aprendo
distrattamente il libro ad una pagina a caso.
Da quando Shiro era
andata a Sapporo erano già trascorse due settimane e lei ancora non sapeva
nulla, se non che il ragazzo e l’avvocato Kiriaki (che almeno ogni due giorni
dava un rapido colpo di telefono a Sentaro) stavano continuando a vagare tra
uffici, moduli, scartoffie e stazioni di polizia.
Haine sospirò ancora,
aveva bisogno di distrarsi o se avesse continuato ad arrovellarsi il cervello
su cosa stesse succedendo laggiù, sarebbe impazzita. Allungò con delicatezza la
mano verso la cartella, estrasse il suo quaderno rosso e, messo il libro di
letteratura a mo’ di barriera, riprese il suo racconto da dove l’aveva
lasciato.
L. sorrise, al colmo della gioia. Quell’incantesimo era stato un
portento! Finalmente aveva J. tutto per lei: avrebbe potuto scoprire cosa gli
piaceva, cosa sentiva… Tutto! Tutto quanto!
“E poi…”.
L. si coprì il viso con le mani, rossa d’imbarazzo, prendendo a
saltellare dalla contentezza e canticchiando a mezza voce:
<< L. e J., L. e J. …! >>
Ma doveva stare attenta, non doveva lasciarsi scappare di bocca
nulla con nessuno! O allora sì che sarebbero stati guai…
Il professore, prima della lezione, annunciò con tono grave che
l’alunno J. era stato dichiarato ufficialmente scomparso. L. avvertì un piccolo
fremito a quella frase, ma restò impassibile, anche quando lui continuò,
invitando tutti gli studenti che avessero anche la più piccola informazione al
riguardo di avvertire lui o uno degli altri docenti.
L. restò immobile qualche secondo quando l’insegnante terminò,
rilassando le spalle. Tutto bene, andava tutto bene.
“Però forse i suoi saranno preoccupati. – pensò – Forse potrei
parlarne con J., potremmo scrivergli una lettera per tranquillizzarli… Sì, e
come spiego al prof come l’ho avuta? Potrei sempre farmi dire da J. dov’è casa
sua, potrei infilare la lettera nella cassetta della posta…”.
Ci si scervellò sopra tutta la mattinata, ma senza trovare una
soluzione convincente. Mentre usciva in corridoio, durante l’intervallo, scorse
un piccolo gruppetto di ragazze poco distante dalla loro aula: una di loro
parlava a voce alta, quasi gridando, e piangeva. L. si avvicinò, con
discrezione, tendendo l’orecchio:
<< Dai Micchi, fatti coraggio… >> disse una delle
altre ragazze a quella in lacrime, accarezzandole la nuca.
<< Non riesco a crederci! – strillò questa in risposta,
fissando rabbiosa un nugolo di studenti della 1° C – Com’è possibile che
nessuno di voi l’abbia visto?! DOV’È?! COS’È SUCCESSO A J.?!? >>
L. sobbalzò appena, perché quella ragazza cercava J.? Chi era?
Lei non ricordava di averla mai vista assieme al ragazzo, forse era la sorella?
“No, non si assomigliano… E poi porta la divisa della nostra
scuola, l’avrei saputo…”.
<< Micchi, coraggio, calmati adesso. >> disse
un’altra delle studentesse, allontanando gentilmente la ragazza.
<< Se scopriste qualcosa – mormorò un’altra, preoccupata –
ditecelo, per favore… >>
<< Non scopriranno un accidente! – urlò Micchi – Gli è
successo qualcosa, lo sento! >>
Le sfuggì un singhiozzo più forte, ormai disperata.
<< Micchi, ti prego, non fare così…! >>
Ma la ragazza non sembrava riuscire a smettere. L. si allontanò
velocemente, stringendo il suo block notes al petto.
“Non è successo nulla. – si disse convinta – Non deve
disperarsi. J. sta bene. si calmerà… Sì, J. sta bene. non deve preoccuparsi,
non deve
- Ichinomiya!
Haine posò di scatto la
penna, sussultando spaventata.
- K-Kuwasabe! –
mormorò, scrutando il ragazzo accanto al suo banco – Mi hai spaventata!
- È la seconda volta
che ti chiamo. – sbuffò lui seccato – Il prof è uscito da cinque minuti, mi
spieghi cosa stai facendo?
Solo allora Haine si
accorse di aver scritto per tutta l’ora di lezione. Arrossì appena,
indispettita, e chiuse velocemente il quaderno facendolo sparire nella
cartella:
- Proprio nulla…
Il ragazzo fece
spallucce, non erano fatti suoi in fondo.
- Piuttosto… L’hai
portata allora?
- Ah! Sì, certo! – fece
lei, ricordandosi di colpo perché gli avesse chiesto aiuto.
Si chinò nuovamente
verso la cartella ed estrasse la foto che aveva preso quella mattina,
porgendogliela reverente:
- Pensi si possa fare
qualcosa?
Kuwasabe era un genio
del computer. Aveva lavorato assieme a quasi tutti i club della scuola, sia
alle elementari che alle medie, per fare manifesti, gestire e stampare foto digitali,
creare sondaggi on-line, colonne sonore per il club di teatro e quant’altro, e
l’anno precedente aveva fondato il club multimediale del liceo; era di certo il
più adatto a risolvere il suo problema.
Kuwasabe si rigirò
ancora un istante la vecchia foto che Haine e Shiro avevano trovato tra gli
effetti personali del ragazzo, quindi sospirò:
- È parecchio malconcia
– disse scettico – ci dovrò lavorare un bel po’! E forse anche di più…
- Non preoccuparti, non
serve che tu la finisca in breve. – precisò lei – Mettici tutto il tempo che ti
serve, ma ti prego, davvero, fai il possibile!
- Ci proverò… -
concluse, infilandosi la foto in tasca – In cambio… Restiamo come d’accordo,
ok?
Lei sorrise, stringendo
i pugni in una posa decisa:
- Tranquillo, ci penserò
io a prendere gli appunti!
Kuwasabe avrebbe dovuto
lavorare ad un allestimento col club di teatro nei mesi successivi, e
soprattutto le settimane precedenti alla rappresentazione sarebbe stato
costretto a saltare alcune ore di lezione; Haine, in cambio del tempo che gli
avrebbe rubato stare dietro alla foto (sapeva che di uno come Kuwasabe ci si
poteva fidare) avrebbe preso gli appunti anche per lui: era comunque abituata a
farne un paio di copie, mentre studiava, perché riscriversi i punti fondamentali
l’aiutava a memorizzare; quindi il suo sforzo sarebbe stato più redditizio.
Speriamo
che riesca a fare qualcosa con quella foto…
La mattinata trascorse
lenta e monotona. Quando Haine uscì finalmente nel cortile, si sentiva ancor
più rintronata di quando era entrata e non faceva altro che stiracchiarsi
platealmente, indolenzita.
Dato che era in quello
stato, non si stupì di vederlo accanto al cancello d’ingresso, forse aveva le
traveccole.
Le prese quasi un colpo
quando si accorse che non se lo stava
immaginando.
- Haine!
Shiro prese a gesticolare con la mano,
facendole segno di raggiungerlo. La brunetta, a bocca aperta, trotterellò nella
sua direzione senza smettere di fissarlo:
- Shiro! Ma che… Che ci
fai qui?! Credevo… Credevo fossi ancora a…!
- Io e Kiriaki siamo
tornati poco fa – spiegò semplicemente – ho visto l’ora e gli ho chiesto di
farmi scendere qui, così ti accompagnavo a casa.
Haine si lasciò
sfuggire un sorriso, ma questo svanì nell’istante in cui avvertì il cicaleggio
sempre più forte alle sue spalle e il suo cervello focalizzò meglio la
situazione.
Shiro.
Un
ragazzo.
È
venuto a prendermi.
Da
solo!
A
SCUOLA!
- È meglio se ce la
filiamo subito *gocc*…!
Il ragazzo la fissò
confuso, ma non ebbe la prontezza di riflessi di darle retta; come Haine aveva
previsto, avvertì le occhiate indagatrici dei compagni trapanarle la schiena, e
cinque delle alunne della sua classe si disposero a schiera al loro fianco,
un’aria maliziosa in volto.
- Ciao Ichinomiya-chan!
- … Ciao… - la voce di
Haine sembrava provenire dall’oltretomba tanto era cupa.
- Non ci presenti il
tuo amico? – domandò una morettina dai capelli corti.
La brunetta avrebbe
voluto volentieri ricevere un oggetto qualsiasi tra capo e collo, così da
svenire e svegliarsi, possibilmente, cinque o sei ore dopo, all’incirca a dieci
chilometri da scuola; ma fu costretta a rispondere:
- Certo… - sospirò,
tentando di ignorare le occhiate divertite che stava ricevendo – Ebiwasa-chan,
Tooga-chan, Shiba, Mikaoru, Madoka-chan… Questo è Shiro-kun.
Le cinque esclamarono
in coro “piacere!” con sorrisi allegri. Shiro ricambiò, anche se lanciò
un’occhiata in tralice ad Haine, intuendo la situazione: non l’aveva mai
chiamato con un suffisso(****), era meglio scappare da lì al più presto.
- Non sei di qui, vero?
– gli domandò una alta con gli occhiali. Shiro annuì:
- Già. Vengo da Tokyo.
– “Almeno, credo…”.
Una ragazza dai capelli
lunghi lo scrutò un istante, illuminandosi di colpo:
- Mi sembrava di averti
già visto…! – contraddisse la compagna – Sul giornale! Qualche tempo fa… Sei John Doe, vero?
Il gruppetto trattenne
il fiato, prendendo a confabulare tra sé e sé. Haine sbiancò, non poteva
lasciare che facessero domande su Shiro, avrebbero finito per scoprire che
viveva a casa sua, e allora sarebbe stata la fine! Doveva trovare una scusa, e
in fretta.
- Già, sono io. – rispose Shiro pacato – Ora, però, dovete
scusarmi, dobbiamo proprio andare. Devo prendere la medicina, vero Haine?
- Eh? Ah, sì, sì,
certo…
Senza aggiungere altro il
ragazzo la afferrò delicatamente per un braccio e la trascinò via sotto lo
sguardo seccato delle presenti, che però non poterono ribattere.
Camminarono lentamente
finchè non ebbero svoltato l’angolo e, finalmente liberi da sguardi estranei,
scoppiarono entrambi a ridere.
- “Medicina”?! – Haine
lo guardò con quasi le lacrime agli occhi – Ma che scusa è?! Cosa sei, un
novantenne che ha l’ora della medicina?!
- È la prima cosa che
m’è venuta in mente! – si giustificò lui – Quel che vorrei sapere è perché stai
ridendo!
- E tu?
- Per le loro facce,
non credevo se la sarebbero bevuta!
- La mia è una risata
isterica! – fece lei con voce stridula – Credevo di morire là, sotto
l’Inquisizione Spagnola!
Quell’ultima frase fece
soltanto venire ad entrambi un altro attacco di ridarella.
Quando finalmente si
furono calmati, Haine lo guardò sorridendo:
- Sono felice che tu
sia venuto. Bentornato!
Shiro ricambiò il
sorriso:
- Cosa si mangia di
buono stasera?
- Che domande…! –
ridacchiò lei – Nabe!
***
-
Natale? Che cos’è?
Shiro
guardò la piccola figura al suo fianco. La sua faccetta curiosa lo faceva stare
bene, lo rendeva felice più di ogni altra cosa.
-
È una festa.
-
Una festa?
-
Già. A dire la verità sarebbe una festa cristiana – spiegò dolcemente – ma qui da
noi è una delle feste degli innamorati.
Alla
ragazzina brillarono gli occhi:
-
Davvero?!
-
Già. Si può addobbare un albero come fanno in Europa, ma soprattutto ci si
scambia dei regali.
-
Ah, adesso ricordo! La mamma addobbava sempre un alberello con dei nastri
dorati… Non sapevo che si chiamasse “Natale” questa festa!
Shiro
rise:
-
Come fai a non saperlo? Lo sanno tutti!
Lei
mise il broncio:
-
Sei antipatico, Shiro nii-chan!
Lui
le diede un buffetto sulla testa, strappandole un sorriso.
Sorridi
sempre.
Sempre
così…
Sii
felice, e lo sarò anch’io…
Un
momento…
L’immagine
divenne confusa, avvolta nella nebbia bianca.
Chi
c’è?
Chi
sei?
Tu…
A
chi… Stavo pensando?
Una
persona che non… Ricordo…
…
Oppure…
No…
Tu sei…?
Haine?
Così com’era voltata l’estate,
anche l’autunno abbandonò velocemente Gensenkaien e il freddo vento del nord
cominciò a lambire la costa con foga sempre maggiore, facendo ammassare nuvole
lattescenti cariche di pioggia. E poi la pioggia iniziò a diventare neve e a
ricoprire silenziosa la città, gli alberi e il litorale, vestendo Gensenkaien
di bianco.
Era arrivato Dicembre,
la settimana prima di Natale. Luci colorate ed insegne variopinte facevano
ormai capolino da tutte le vetrine, affollate sempre più da gente occupata
negli acquisti dell’ultimo minuto. A casa Ichinomiya l’atmosfera era
decisamente più tranquilla e, anzi, né Haine né Sentaro avevano ancora pensato
ad addobbare l’albero, ma la brunetta non si dava problemi: erano abituati a
farlo assieme, nei giorni prima della Vigilia, ormai era una tradizione.
E quell’anno, ci
sarebbe stato anche Shiro.
Dopo il primo viaggio a
Sapporo, che purtroppo s’era rivelato infruttuoso, lui e l’avvocato Kiriaki
erano spariti altre quattro volte, sempre una o due settimane. Finalmente l’uomo
sembrava aver trovato una pista promettente, ma aveva lasciato tornare il
ragazzo dagli Ichinomiya, rassicurandolo che avrebbe avuto sue notizie quando
possibile.
Inizialmente Shiro era
rimasto in allerta: passava le giornate sempre agitato, scrutando di quando in
quando il vialetto davanti casa e andando a vedere se suonasse il telefono, ma
questo era rimasto muto; alla fine si era rassegnato ad aspettare.
Haine era solo felice
di questo. Finchè aveva avuto lezione si erano visti poco, senza contare i periodi
in cui lui era a Sapporo, e dovevano stare attenti alle compagne della ragazza
che, dalla prima visita di Shiro, non smettevano di tampinarla. Finalmente ora
sarebbero potuti stare un po’ tranquilli; in più, durante le vacanze invernali
Haine aveva sempre pochi compiti, quindi più tempo libero, e voleva
trascorrerlo il più possibile assieme a lui.
Sapeva di essersi
ripromessa di non comportarsi così, ma non poteva farci niente, non riusciva a
trattenersi. Anche in quel momento, in cui erano entrambi seduti sul divano del
salotto a chiacchierare con due tazze di cioccolata fumante tra le mani, non
riusciva a non sentirsi al settimo cielo.
Di colpo Ribbon,
sdraiato vicino al caminetto, corse all’ingresso: Sentaro, armato di giaccone
pensante, stava uscendo con un grosso borsone in mano.
- Papà, cosa succede? –
gli domandò Haine preoccupata, raggiungendolo.
- Scusami tesoro –
disse con voce bassa, la bocca tappata dalla sciarpa pesante – Dovrò…
Assentarmi un paio di giorni.
- Cosa?! – lo guardò
mortificata – Ma papà, Natale è dopodomani!
- Sì, lo so, mi
dispiace – fece lui – Mi ha chiamato la ditta che mi fornisce gli
elettrodomestici, pare che stiano avendo una fusione di società, o un cambio di
dirigente… Non so bene.
- Ma così, di colpo?!
- Lo so, lo so,
avrebbero potuto avvisarmi prima, – bofonchiò – ma sai come sono quei tipi!
Quello che è sicuro è che almeno fino a metà Gennaio non potranno garantirmi le
spedizioni, e sai bene come va dopo Natale: gente a frotte che vuol cambiare
questo, quello, richiede la garanzia per quell’altro che non funziona…! Devo
fare un po’ di scorta in negozio.
- Sì… - sospirò lei –
Certo…
- Stai tranquilla. – la
rassicurò baciandola sulla fronte – Tornerò al massimo per il pomeriggio del
giorno di Natale. Per qualunque cosa chiamami; i soldi sono al solito posto.
- Ti serve una mano,
Sentaro? – domandò Shiro gentile.
- Non preoccuparti. Tu
pensa a badare alla mia bambina. – gli rispose con una strizzata d’occhio.
- Papà! Chi sarebbe la
bambina?!
L’uomo rise, uscendo:
- Ci vediamo presto,
ragazzi.
I due si fermarono
sulla soglia, guardandolo salire sul furgone infagottato come un salame.
- Stai attento!
L’uomo rivolse un cenno
alla figlia e, col camioncino che tossicchiava, sparì velocemente verso la
periferia, i fari che ferivano la sera buia.
Shiro tornò rapidamente
in salotto seguito da Ribbon, mentre Haine richiudeva la porta, un solo
pensiero che le si stava affacciando prepotente alla mente.
Suo padre sarebbe
tornato il giorno di Natale.
Quindi la sera della
Vigilia sarebbero stati solo loro due.
Io
e Shiro. Soli. La vigilia di Natale.
Strinse con forza la
maniglia della porta, il cuore che le batteva all’impazzata. Non riusciva a non
essere felice, ma le sembrava assurdo che una serie di situazioni del genere continuassero
a capitare a lei proprio con un ragazzo che, sicuramente, un giorno se ne
sarebbe andato.
Ma
che ho fatto di male?!
- Haine! Guarda che se
non vieni, la tua cioccolata me la finisco io!
- S-s-sì! – sobbalzò
lei, staccando la morsa delle mani dal pomello - E-eccomi!
Entrò in salotto rigida
come una scopetta e si sedette sul divano nel punto più lontano possibile dal
ragazzo, pregando che il rossore fosse scomparso. Shiro sembrava non aver
notato nulla e riprese a sorseggiare la sua cioccolata con tranquillità:
- Cerco che tuo padre
*gocc*…
- Fa sempre le cose
così. Se deve andare, parte e basta. – sospirò lei, prendendo un buon sorso di
cioccolata per rilassarsi – Non si fa troppi problemi ad avvisarmi mentre sta
uscendo *gocc*.
Shiro sorrise:
- Si vede che si fida
molto di te.
Haine assunse
un’espressione compiaciuta.
- Ora che ci penso… -
riflettè poi il ragazzo – Tu e Sentaro non avevate delle cose da fare assieme
domani?
L’aria gongolante della
brunetta scomparve all’instante:
- Accidenti! È vero!
Dovevamo andare a compare l’albero…! – mise il broncio, affondando con la
schiena nel divano – L’anno scorso Ribbon, giocando, ha praticamente distrutto
quello vecchio… E dovevamo prendere anche un po’ di decorazioni, quelle della
vecchia casa sono ormai inutilizzabili…
Cacciò la testa
all’indietro, sospirando cupa. Shiro diede un’occhiata eloquente a Ribbon, lì
vicino, che replicò inclinando la testa con aria innocente, come a dire “non
l’ho mica fatto apposta!”. Haine si rigirò la tazza tra le mani, mormorando:
- Che Natale è senza
albero?
- Beh, possiamo andarci
io e te.
- Come?
- Domattina
controlliamo cos’è rimasto di “utilizzabile” – continuò lui sorridendo – e al
pomeriggio andiamo a compare l’albero e quel che serve, per l’albero e per la
cena dei prossimi due giorni. Che ne dici?
Se avesse dovuto dire
la verità, Haine sarebbe saltata in piedi sul divano prendendo a ballonzolarci
sopra in preda ad una crisi di ridarella.
Si trattenne.
- Certo! Allora
facciamo così, va benissimo!
Il mattino successivo
Haine si alzò decisamente di buon’ora; si stiracchiò per bene, un sorriso che
non l’abbandonava dalla sera prima che le arrivava da un orecchio all’altro, e
guardò fuori: c’era un cielo stranamente terso e un bel sole pallido splendeva
sulla neve candida, facendola assomigliare alla glassa di una torta.
La brunetta si lavò e
vestì rapidamente, correndo a preparare la colazione. Quando ebbe predisposto
tutto andò nello sgabuzzino, infilandosi come un serpente in mezzo a scatoloni
e cianfrusaglie nel tentativo di estrarre i cartoni giusti. Finalmente i suoi
occhi scorsero la scrittura un po’ sbilenca di suo padre e la dicitura NATALE
spuntò in mezzo al marasma; con fatica immane Haine allungò un braccio, tirando
lo scatolone per un lato quando bastava per riuscire a portarlo fuori da lì
senza farsi cadere addosso tutto il resto della roba che c’era la dentro: tira
e spingi, girati e piegati, alla fine la brunetta riemerse coperta di polvere
fino alle orecchie, ma con la scatola sulle ginocchia, soddisfatta.
- Ma che hai
combinato?!
La risata di Shiro le
fece quasi cadere il bottino dalle mani:
- Come cos’ho
combinato? Ho riesumato la scatola degli addobbi! – disse trionfante; Shiro
scosse la testa:
- Sembri un pupazzo di neve,
sei bianca dalla testa ai piedi!
Haine si guardò un
istante, in effetti aveva polvere dappertutto. Shiro ridacchiò ancora,
levandole gli addobbi dalle mani:
- Dai, pulisciti un
po’…!
Lei obbedì, mentre il
ragazzo portava lo scatolone in salotto.
- Li controlliamo dopo
colazione, però!
- Sì, sta tranquillo.
Tossicchiò lei, finendo
di spazzarsi i pantaloni. Quando Shiro tornò, fece rapidamente un giro su se
stessa:
- Allora? – lui
sospirò:
- Hai dimenticato qui…
Le passò delicatamente
una mano sulla testa, poi le sfiorò le guance col dorso della mano; Haine restò
immobile con gli occhi serrati, sentendo i suoi battiti accelerare.
- Forse è meglio che
vai a lavarti la faccia – riflettè lui dopo qualche minuto – Così sto solo
facendo più danni *gocc*!
- Sì, forse è meglio. –
rispose con un filo di voce – Vai… Vai pure a fare colazione, ti raggiungo.
La brunetta saettò su
per le scale e si chiuse in bagno, prendendo due generose mani di acqua gelata
e schiaffandosele sul viso.
Di quel passo non
avrebbe resistito fino a sera.
Si guardò un istante
allo specchio, riflettendo, così però era ingiusto. Anche con tutta la vicenda
che si portava appresso, Shiro era pur sempre un ragazzo come tanti altri, e
lei una ragazza come tante altre, perché non poteva semplicemente pensarla
così?
Lo avrebbe fatto, aveva
deciso. Basta con la storia della sua memoria, del pensiero che un giorno se ne
sarebbe andato. Per il resto della giornata, lui sarebbe stato semplicemente
Shiro.
Quando ebbero entrambi
mangiato i due ragazzi si misero di fronte alla scatola degli addobbi e
cominciarono ad ispezionarla. La situazione era ancor più tragica di quanto
Haine ricordasse: nello scatolone c’erano solo una decina di palline di
plastica dall’aria triste, un nastrino dorato e dei resti non meglio
identificati che, dedusse Shiro, probabilmente appartenevano all’ex-albero
dell’anno precedente.
- Direi che bisogna far
compere.
- Decisamente!
Si prepararono ad
uscire per quel pomeriggio presto. Subito dopo pranzo Haine si fiondò in camera
e non spuntò più fino all’ora di uscita; Shiro, che leggeva distrattamente in
salotto con Ribbon accanto, ogni tanto guardava il labrador con aria confusa:
- Secondo te che ha?
In tutta risposta
Ribbon sbadigliò.
Circa un quarto d’ora
prima dell’orario che avevano stabilito il ragazzo si decise a salire fino alla
camera della ragazza, ma quando bussò alla porta lei si limitò a rispondere di
aspettarla di sotto.
Obbediente Shiro
l’aspettò nell’ingresso, il montgomery sotto braccio, cercando di
tranquillizzare Ribbon che sembrava fermamente intenzionato a seguirli.
- Siamo usciti venti
minuti fa! – puntualizzò il ragazzo – Ora non puoi seguir…
Si bloccò, scorgendo
finalmente la sagoma di Haine che scendeva le scale; guardò Ribbon andarle
incontro e si preparò a farle una battuta per il ritardo, ma quando la vide
restò muto.
- Beh? – gli domandò
lei timidamente – Cosa c’è?
- Sei davvero carina
vestita così! – ridacchiò appena – Tu che ne dici Ribbon?
Il cane abbaiò come a
confermare.
Haine sorrise, leggermente
rossa. Certamente doveva avere un aspetto più elaborato del solito, ci aveva
messo due ore a prepararsi! Aveva indossato la sua maglietta preferita, quella
leggerissima rosa pallido con applicato
un altro strato di stoffa, fatto come una canotta ad una spallina fucsia, sulla
zona del busto; la gonna a pieghe che suo padre le aveva regalato al compleanno
(praticamente nuova), leggins nero lucido e stivaletti scuri. Aveva finalmente
sciolto i capelli, che le sfioravano le spalle con un’onda morbida, e si era
leggermente truccata, un velo di ombretto e un bel lucidalabbra rosa
trasparente; evento più unico che raro, dato che i suoi trucchi giacevano
inermi da mesi, per il semplice motivo che era una di quelle persone che hanno
il vizio di fregarsi gli occhi, specialmente quando sono stanche: se si fosse
truccata per andare a scuola, nel giro di mezz’ora avrebbe avuto la faccia di
un Picasso.
Forse
ho esagerato… Così capirà tutto!
Si era ripromessa di
considerarlo un ragazzo come tutti, ma non voleva che Shiro capisse la verità
sui suoi sentimenti. Temeva che avrebbero potuto metterlo in difficoltà, e non
avrebbe sopportato che il loro rapporto si guastasse.
- Non posso mica uscire
in divisa! – ridacchiò con naturalezza la brunetta, afferrando la giacca – Beh,
cosa aspettiamo? Andiamo, dai!
Le strade del centro
non erano molto affollate quel pomeriggio, solo qualche coppietta sgusciava tra
le stradine parlottando e ridacchiando, e un paio di famigliole erano intente a
controllare che i bambini, giocando a palle di neve, non centrassero qualcosa
(o qualcuno) di estraneo.
Haine si sentiva al
colmo della felicità. Quando entrarono nel negozio, prese a guardare tutto
quello che c’era sugli scaffali con l’energia di una bambina in un negozio di
giocattoli:
- Guarda questo che
carinoo! Ah, questo è adorabile!
- Se lo dici tu *gocc*…
- a Shiro quegli addobbi sembravano quasi tutti uguali – Ma ti ricordo che
abbiamo un budget limitato… Non possiamo saccheggiare il negozio! Ed è inutile
che fissi quell’albero, non ci starà mai
in casa *gocc*!!
Haine, però, sembrava
non sentirlo. Lui sospirò, sorridendo, in fondo era fatta così.
Alla fine quando
uscirono avevano comprato più della metà della roba che piaceva alla ragazza,
che camminava quasi canticchiando, euforica.
- Questa roba pesa un
quintale *gocc*.
- Come sei noioso! – lo
prese in giro – Per due sacchetti!
- Proprio due… - si
limitò a rispondere ridendo.
Nonostante il “carico”,
passeggiarono ancora a lungo, fermandosi anche per fare rifornimento per la
cena. Haine non sapeva più come ringraziare il cielo per quel pomeriggio,
avrebbe solo voluto continuasse in eterno.
Ma il cielo non lascia
troppe concessioni e, presto, il sole calò. Scese un freddo pungente e,
rapidamente, mentre le fioche luci dei lampioni prendevano ad illuminare le
strade, il cielo nero velluto si riempì di stelle, nitide come gemme splendenti
nell’aria tersa.
- È meglio rientrare. –
puntualizzò Shiro, quasi trascinando via la ragazza da una vetrina – Sta
cominciando a farsi tardi.
- Di già? – fece lei
malinconica.
- Beh, io avrei una
discreta fame, non so te…
Si sentì un gorgoglio
sommesso; Haine divenne paonazza.
- Ehm *gocc*…
- Direi che è meglio
rientrare. – sorrise lui tranquillo.
Mamma
che figura...!
- Dai, dammi le buste.
Con gentilezza afferrò
i sacchetti e, con la mano libera, prese quella della brunetta, avviandosi
rapidamente verso casa; Haine caracollò qualche istante dietro di lui,
stringendo il pacchetto della torta che avevano comprato al petto: mantenne lo
sguardo incollato al marciapiedi per tutto il tragitto, e stavolta non ebbe il
coraggio di ricambiare la stretta neppure di poco.
Poco dopo essere
arrivati a casa Haine si fiondò ai fornelli. Innanzitutto, perché era tardi e doveva
recuperare il tempo perduto a gironzolare, se non volevano cenare a mezzanotte
passata; secondo, perché doveva tenere la mente occupata e non pensare al
ragazzo, che se ne stava in salotto a giocare con Ribbon.
Ogni tanto lanciava
occhiate furtive al soggiorno, stando attenta a non farsi scoprire. I suoi
occhi saettavano veloci verso l’albero che Shiro aveva addobbato - dato che era
piccolo, era riuscito a cavarsela da solo -
e si fermavano un istante sul pacchetto rosso che lei aveva infilato
sotto ai rami senza farsi vedere. Aveva quel pacchetto nascosto nella sua
stanza da più di una settimana: niente di speciale, doveva ammetterlo, ma non
le era venuta nessuna idea migliore. Qualcosa di fatto a mano, fuori
discussione: per il bricolage e i ferri aveva la stessa abilità di un elefante;
vestiti era squallido; qualcosa che desiderava… Certo, dove poteva trovare uno
strizzacervelli simpatico e a buon mercato che lo aiutasse a fargli tornare la
memoria con uno schiocco di dita? Alla fine aveva ripiegato su quel regalo. Gli
sarebbe piaciuto, aveva preso quel libro in biblioteca molte volte, ma Shiro
non voleva mai chiedere soldi a Sentaro: anche se l’uomo ne aveva praticamente
l’affidamento, Shiro non gli aveva mai chiesto un soldo, perfino i (pochi) vestiti
avevano dovuto costringerlo a comprarli.
- È pronto!
Sentendo la voce della
ragazza, Ribbon abbaiò allegro e si fiondò in cucina ancor prima che Shiro si
fosse alzato, speranzoso di un bocconcino appetitoso in regalo.
- Uao, quanta roba! –
esclamò il ragazzo sedendosi – Ma ce la faremo a finire tutto *gocc*?
Ammirò la tavola
imbandita, dove la torta che avevano comprato faceva bella vista come
centrotavola, candida di panna ed invitante quasi quanto il profumino che si
alzava dai piatti fumanti.
- Mi ci sono impegnata!
– fece Haine orgogliosa.
- Allora prometto che
faremo onore alla cuoca. Vero Ribbon?
Il cane abbaiò
convinto, prendendo a scodinzolare frenetico. I due scoppiarono a ridere.
Passarono la cena
chiacchierando e ridendo, riuscendo a spazzolare quasi tutti quel che Haine
aveva preparato. Alla fine, però, dovettero arrendersi, e mentre si
accomodavano meglio sulle sedie con l’aria insonnolita e le pance piene, la
ragazza si sforzò di alzarsi:
- Almeno non dovrò
cucinare domani. – ammiccò, mentre metteva gli avanzi in dei contenitori di
plastica e gli infilava in frigo.
- Non so se riuscirò a
mangiarli… - scherzò Shiro – Ho mangiato tanto da andare avanti due giorni con
le riserve!
Lei lo guardò un
istante, per poi sorridere furbetta:
- Quindi non c’è spazio
per la torta?
- Per quella c’è sempre
spazio.
Haine scoppiò a ridere
di nuovo.
Shiro e Ribbon andarono
in salotto, dove il ragazzo si lasciò sprofondare nel divano e il cane si
abbandonò col muso sulle sue ginocchia, l’aria assonnata. Haine tagliò due
fette di dolce e le portò nell’altra stanza, anche lei fermamente intenzionata
a gustarsi il dessert spaparanzata sui cuscini.
Era appena entrata in
soggiorno, quando il telefono squillò.
- Chi può essere a
quest’ora? – domandò appena Shiro, alzandosi. Haine scosse la testa:
- Forse è papà…
- Vado io, tu pensa a
mettere in salvo la torta.
Haine sorrise ed
obbedì. Posò i piattini con il dolce a distanza di sicurezza da Ribbon, che già
li puntava goloso, e sentì distratta Shiro rispondere alla chiamata.
- Casa Ichinomiya,
chi…?
Il ragazzo si zittì di
colpo. Haine si voltò stupita verso il corridoio, facendosi più attenta.
- Kiriaki-san…
Haine si bloccò,
sentendo una fastidiosa morsa alla gola.
Perché, perché stava
chiamando proprio in quel momento? Allontanò con un gesto svogliato l’ennesimo
tentativo di attacco di Ribbon, guardando un po’ delusa l’espressione eccitata
di Shiro.
- No, stia tranquillo,
noi… Sì, sì… Però, mi dica, allora?! Com’è andata? Cosa…?
Ci fu nuovamente silenzio.
Haine sporse di più la testa per vedere meglio il ragazzo: questo fissava un
punto sul muro, inespressivo, senza dire una parola mentre ascoltava
l’avvocato; poi Shiro sorrise triste:
- Sì, certo, ho capito.
Non si preoccupi, la ringrazio moltissimo per il suo aiuto. A presto
Kiriaki-san, e buon Natale.
Il ragazzo chiuse la
comunicazione. Tornò in salotto nel più perfetto silenzio, sedendosi lentamente
sul divano con un’espressione delusa in volto; Haine lo fissò preoccupata:
- Cos’è successo? Tutto
bene?
Lui poggiò i gomiti
sulle ginocchia, abbandonando la testa in giù:
- È finita…
- Come?!
- Kiriaki-san ha detto
che la pista che avevamo trovato era un vicolo cieco. – sospirò cupo – Ora non
ci sono altri posti in cui possiamo andare a cercare, né possiamo accedere ad
altri mezzi per avere informazioni su di me.
- Come sarebbe…? Io
credevo…
- Kiriaki-san dice che
questo è il massimo che potevamo fare. A questo punto, si aprono tutte quelle
possibilità che è impossibile vagliare senza tirare in ballo poliziotti ed
assistenti sociali: potrei essere giapponese solo per metà, quindi avere la
nazionalità di uno dei miei genitori e non essere registrato all’anagrafe di
questo stato; potrei aver vissuto qui per qualche tempo e non ricordarmelo, o
potrei essere di Tokyo, o di qualunque altra città ed essere arrivato in
Hokkaido solo poco prima di finire in coma. Potrei anche aver vissuto
all’estero… Tutte possibilità che non si possono confermare, a meno che non mi
ritorni la memoria.
Haine lo fissò in
silenzio. Un’idea si fece largo nella sua mente, quasi subdola, che alla frase
di Shiro continuava a ricollegarsi come un’equazione.
Deve
aspettare.
Non
può andarsene.
Quindi…
Si morse il labbro,
sentendo il gelo premerle sul petto: come poteva pensare una cosa simile?!
Chinò la testa di
scatto, nascondendo il viso.
- Haine, che ti
prende…? – domandò Shiro preoccupato – Ehi, ma tu stai piangendo!
Lei non si mosse, le
spalle he tremavano mentre tentava di trattenere le lacrime.
- Haine, dai non fare
così. – cercò di calmarla, sfiorandole la nuca con una mano – Non…
Lei lo allontanò di
colpo, prendendo poi a fregarsi nervosamente il viso con le mani, asciugando le
lacrime.
Non voleva la
consolasse.
Non voleva che fosse
gentile con lei.
Non se lo meritava. Era
meglio che la trattasse male, e forse lei si sarebbe sentita un po’ meno
colpevole.
- Haine…
Lei tirò sonoramente su
col naso, finendo di asciugarsi alla bene e meglio le guance fradice.
- … ndo…
- Come?
- … Quando… - ripetè
lei con voce roca – Hai detto… Quando hai detto che quella… Quella era l’ultima
possibilità io… Mi sono dispiaciuta… Però…
Le sfuggì un singhiozzo
secco che le incrinò la voce.
- Però… Poi io ho
pensato che… Che saresti rimasto qui e sono stata… Sono stata
Non
dirglielo, stupida!
- … Sono stata felice…
- Eh?
- … Scusami, non
volevo…! – pigolò lei – Non sai chi sei! È una cosa così crudele che io abbia
pensato…! Solo che…! Solo che, dopo che avete cominciato a cercare notizie sul
tuo passato… Ho pensato… Scusami, ti prego!
Si fermò un istante,
tentando di riprendere fiato. Shiro non parlava, limitandosi solo a scostarle
qualche ciuffo di capelli dietro l’orecchio; stavolta Haine non lo scacciò.
Si sentiva un verme.
Era stato un pensiero
stupido. Cattivo.
E una speranza subdola.
Come poteva aver
sperato che lui restasse li?! Era della sua vita che si parlava, stava cercando
di ricordarsene, eppure… Eppure lei lo aveva sperato.
Che restasse lì.
Con loro.
Qui
con me e papà.
Con
noi.
- Ho pensato… - riprese
lei dopo un po’, con voce sottile – Che se avessi avuto le notizie che cercavi…
Te ne saresti andato subito e…
- Haine…
- In realtà… Vorrei che
tu restassi qui…
Con
noi.
Le
parole giuste sono “con noi”.
Con…
- … Con me…
Accidenti!
Calò qualche secondo di
silenzio, mentre Shiro continuava a guardarla senza cambiare espressione. Haine
si passò il dorso della mano sul viso, rossa come un papavero tra il pianto e
la vergogna.
- No… N-non è che… Non
volevo dire… S-senti, io…
Lui le fece segno di
tacere. Le sorrise con dolcezza, sfiorandole la guancia con una mano.
- Grazie.
Haine lo guardò
confusa.
- Haine-chan
ti vuole bene. Non farla piangere, fratellone! -
Haine
doveva ammettere di averci pensato, un paio di volte, di essersi immaginata la scena.
Certo non avrebbe mai voluto avere la faccia che aveva in quel momento, con gli
occhi gonfi e lucidi, le guance arrossate e l’espressione triste, né si sarebbe
aspettata che succedesse nel bel mezzo di una sua dichiarazione così patetica.
Decisamente
il quadretto era troppo poco romantico e abbastanza imbarazzante.
Eppure,
proprio in quel momento, Shiro la stava baciando.
Non ebbe quasi il tempo
di focalizzare la situazione che lui s’era già allontanato, guardandola con un
misto di dolcezza e curiosità. Haine si portò due dita alle labbra,
premendocele poi contro con forza, il cuore che riprese a battere al doppio
della velocità; sentì di arrossire violentemente e Shiro ridacchiò.
- N-non ridere! –
mormorò lei, confusa.
- Scusa – disse
premendole la fronte contro la sua – è che sei così carina…!
Lei chinò la testa in
imbarazzo.
- … P-perché…?
- Me lo stai chiedendo
sul serio? – le domandò.
- Certo che te lo
chiedo! – protestò lei – I-io non… Non mi hai mai fatto capire qualcosa!
Lui la guardò, aspettando
continuasse. Haine trovava difficilissimo guardarlo negli occhi:
- E ora, dopo che io me
ne esco con questa confessione stupida…!
- Haine.
Le prese il mento tra
le dita, senza smettere di accarezzarle la nuca.
- Non sono arrabbiato
per quel che hai pensato. Non è che mi hai impedito di avere delle risposte o
hai nascosto dei dati importanti, hai solo pensato che ti sarebbe piaciuto che
io mi fermassi qui. – la guardò con finto fare indagatore, ma gli si leggeva
una luce scherzosa negli occhi scuri – Non hai nascosto niente vero?
Lei si lasciò andare ad
una risatina un po’ nervosa:
- No. Però…
- Nessun “però”, è ok.
Davvero. E per questo – le sorrise con dolcezza, battendole appena l’indice
contro le labbra – pensavo semplicemente che non fosse il caso.
- In che senso?
- Beh, non era detto
che fossi il tuo tipo! – rise – E poi, scusa, ho quel piccolo problema della
memoria e… Insomma, ci potrebbero essere altre centinaia di motivi per cui non
dovrei piacerti.
- Ma non è vero!
- Tu invece perché non
me l’hai detto?
Haine lo fissò,
arrossendo di nuovo:
- … Beh, ecco… Tu sei sempre così gentile,
avevo paura di metterti in difficoltà, e poi c’erano…
S’interruppe un
istante. Shiro sorrise, fissandola, e lei ricambiò con un sospiro.
- C’erano?
- Centinaia di motivi
per cui non avrei dovuto piacerti.
- Non è vero.
Si sorrisero, restando
lì vicini e in silenzio per alcuni minuti.
- Che dici, - fece poi
lui, baciandola sulla guancia – mangiamo la torta prima che se la spazzoli
Ribbon?
Haine rise di nuovo,
annuendo. Mentre prendeva il dolce, Shiro si sistemò meglio sul divano:
- Chissà che ne penserà
Sentaro… Dici che mi tira dietro qualcosa?
- Non vorrai dirglielo,
spero!
- Sarà un po’ difficile
nasconderglielo – disse allusivo – viviamo sotto lo stesso tetto.
- No, ti prego! Mi
prenderà in giro a vita!
- Dovresti preoccuparti
che invece si arrabbi con me *gocc*. – borbottò lui. Haine sorrise furba:
- Mah… Forse un po’ il
rischio c’è…
- Ohi ohi!
La brunetta rise di
gusto e, coi due piattini in mano, si sedette quasi saltando sul divano,
appiccicandosi al ragazzo con un sorrisetto divertito; lui sollevò un
sopracciglio e la guardò sorridendo, mentre entrambi si avventavano sulla
torta.
Haine pensò che fosse
la torta più buona che avesse mai mangiato.
(*)
città dell’Hokkaido realmente esistente; coordinate geografiche e nome sn
esatti, per la descrizione, ammetto, ho inventato ^^””. Avevo bisogno di un
nome per un paesino relativamente piccolo, ma non trovandone ho preso il primo
che mi piaceva di più xP, gomen!
(**)
avete presente il film della serie, con Hilary sulla spiaggia armata di mazza
^^ (che ancora un po’ e invece del cocomero fracassa la testa di Takao)? Quello
xD!
(***)
una specie di stufato che si cuoce in tavola, con carne e verdure (è buoniiiissimo
^ç^!!)
(****)
[BASTA NOTEEEE!! ndTutti – sorry, il chappy è lungo ç__ç ndRia] il Giappone
chiamare una persona per nome e senza il suffisso (vezzeggiativo – “kun” e
“chan” – o di rispetto – “san” e “sama” – che sia) è considerato indice di estrema confidenza ;)…
Lo so, lo so, è
terribilmente pieno di zuccheri xPPPP (Bleah -___-“”. ndKei – Ma tu che vuoi?!
Non ci sei, e oltretutto non accetto commenti da uno che ha la sensibilità di
un iceberg! Sparisci, và!). cosa dite, sono da pomodori? Da patate marce? Da
fucilazione xD? Decidete voi, ma non mi fate troppo male ^^””… Ringraziamo chi
è sopravvissuto fin’ora!!!
Ametista: scusami per averti fatto aspettare
tanto, col tuo entusiasmo mi sento cattivissima ç__ç! Ho anche un po’ paura a
scoprire la tua reazione a questo cap ^^””… Ps magari prima della fine Akira
ricomparirà, chissà ;)…
Ella_Sella_Lella: naaa, troppi complimenti, poi ci crederò
sul serio xD (e scommetto che tu 6 molto + bella di tua sorella è.é!). Beh,
spero che anche questo cap ti stupisca, anche se è altamente depressivo per
buona parte xP
Violet_Rose: eccovi accontentate ^^. Spero di
aver corretto tutti gli errori ^^”” (se in questo qualcuno m’è scappato, gomen,
sn quasi le due xD) grazie mille!
Lenn chan: nee-sama, che onore!! Sn troppo
contenta di ricevere complimenti da te ^\\^ (gongola, gongola – See, i sette
nani! ndKei – Ma sparisci!). x il momento ancora niente memoria, succederà nel
prossimo… E sarà il delirio! (ho detto troppo!).
Ci si vede alla
prossima, sperando sia presto xD! Ciao a tutteeee!