Bilbo & Thorin

di ThorinOakenshield
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo sbaglio più bello della mia vita ***
Capitolo 2: *** La festa ***
Capitolo 3: *** Una scortese interruzione ***
Capitolo 4: *** La battaglia ***
Capitolo 5: *** Giorni di agonia ***
Capitolo 6: *** Un aiuto inaspettato ***
Capitolo 7: *** Sogni ***
Capitolo 8: *** Per sempre nel mio cuore ***
Capitolo 9: *** L'unica cosa da fare è partire ***
Capitolo 10: *** Imboscata ***
Capitolo 11: *** Nella casa di Beorn ***
Capitolo 12: *** Faccio paura? ***
Capitolo 13: *** La curiosità di Bilbo ***
Capitolo 14: *** In quattordici si è in compagnia ***
Capitolo 15: *** Alla locanda del Drago che ronfa ***
Capitolo 16: *** All of the stars ***
Capitolo 17: *** Ricordi e risveglio movimentato ***
Capitolo 18: *** Tra imbarazzo e sollievo ***
Capitolo 19: *** Contrasti ***
Capitolo 20: *** Non voglio perderti di nuovo ***
Capitolo 21: *** La quiete... ***
Capitolo 22: *** ... prima della tempesta ***
Capitolo 23: *** He was my friend ***



Capitolo 1
*** Lo sbaglio più bello della mia vita ***


Lo sbaglio più bello della mia vita

Lo sbaglio più bello della mia vita

Bilbo si trovava fuori dalla Montagna Solitaria. Si trovava proprio davanti alla porta segreta dove mesi fa, lui e
i nani, avevano preso un colpo pensando di essere arrivati troppo tardi per trovare la serratura.

Lo hobbit – stranamente – pensava a questi ricordi con il sorriso stampato in faccia, mentre guardava il sole tramontare, annidandosi tra le montagne, dipingendo il cielo di rosa, arancione tenue e di blu.
Quell'avventura era stata straziante, lui e i suoi amici avevano affrontato pericoli su pericoli rischiando svariate volte la morte. Partire per la Montagna Solitaria è stato uno sbaglio, si disse Bilbo, lo sbaglio più bello della mia vita e che ricommetterei per altre centocinquanta milioni di volte!
Infatti, in quel lungo viaggio, lo hobbit aveva conosciuto persone meravigliose che ora erano parte integrante della sua vita. Avevano condiviso sogni, paure, emozioni, risate e dolori che li avevano resi uniti più che mai.
Per questo il signor Baggins pensava con gioia alle avventure passate con i nani perché, nonostante le avversità, adesso erano tutti salvi che festeggiavano a Erebor.
Ma c'era un motivo ancora più grande per il quale Bilbo era grato a se stesso per aver seguito Gandalf e i nani: Thorin, il suo più grande amico. Non era sicuro che anche il Re sotto la Montagna lo considerasse così, anzi, probabilmente no! si disse lo hobbit, infatti aveva paura di esprimere i suoi sentimenti all'orgoglioso nano, poiché era certo che l'avrebbe cacciato via a pedate nel sedere!
"Mastro Baggins, cosa fate qui tutto solo?" Bilbo quasi cadde giù dalla Montagna: quella era la voce profonda e sensuale di Thorin Scudodiquercia.
Il povero e piccolo hobbit oscillò, perse l'equilibrio e sarebbe caduto giù se Thorin non l'avesse afferrato per il colletto della camicia. Lo tirò indietro e Bilbo si ritrovò a terra. Dopo aver ripreso fiato per lo spavento, si alzò in piedi e si spolverò nervosamente i vestiti cercando in tutti i modi possibili e immaginabili di non incontrare gli occhi azzurri del Re. Ma era impossibile: la tentazione d'incrociare quello sguardo affascinante era più forte di lui.
Thorin lo stava guardando con un mezzo sorriso, divertito.
"Oh, Thorin! Sei tu!..." Bilbo smise di sistemarsi i vestiti. Dopodiché, imbarazzato, fece un colpo di tosse e s'inchinò.
Il nano lo fermò con un gesto della mano. "Non ce n'è bisogno, mio caro amico."
Lo hobbit rimase ancora un secondo con la schiena ricurva, perplesso. Thorin mi ha chiamato "caro amico"?! Passato l'attimo di smarrimento, Bilbo si mise dritto e tossì nuovamente.
"Cosa ci fai qui tutto solo? La festa non è di tuo gradimento, per caso?"
Il signor Baggins fece fatica a capire se si trattasse di un rimprovero. Rimase impacciato a dondolarsi leggermente di lato, fissando impallidito lo sguardo severo e fermo di Thorin. "Ehm... no, no no no no." Scosse il dito davanti a sé, agitato. "La festa è sbalorditiva! E l'incoronazione non è stata da meno, anzi. L'ho trovata molto... molto... ehm..."
"Regale?" gli suggerì il nano, divertito.
"Sì sì sì! Regale! Ecco!" Bilbo sorrise nervosamente. Si concesse il consueto colpo di tosse, poi riprese: "È che c'è troppa confusione ed io non sono abituato a tutta questa euforia. Nella Contea partecipavo di rado alle feste, sono sempre stato un tipo piuttosto tranquillo."
"Capisco." Fu tutto quello che disse il Re sotto la Montagna.
Scese il silenzio. Si sentivano soltanto i grilli. La situazione era piuttosto imbarazzante. Bilbo si stava dondolando sui talloni con le mani dietro alla schiena e stava guardando da un'altra parte. Alla fine si decise a porgergli la domanda che stava trattenendo sulla punta della lingua: "E tu come mai sei venuto qui?"
Thorin lo scrutò con i suoi profondi occhi glaciali e lo hobbit si sentì raggelare. D'istinto chinò il capo, pentendosi subito della sua domanda. Il fatto è che non sapeva mai cosa dire all'orgoglioso re dei nani, aveva sempre paura di offenderlo e, di conseguenza, di farlo arrabbiare.
"Avevo bisogno di un po' d'aria, tutto qui. Anche io come te non sono abituato a queste feste sfarzose. Quand'ero un giovane principe dei nani e mio padre organizzava eventi nelle ampie sale di Erebor, io mi astenevo."
"Oh." Bilbo, impacciato, non riuscì a trovare un commento più intelligente.
Thorin alzò leggermente le spalle e sorrise lievemente. "Pazienza, vorrà dire che rimarrò un po' qui con te a farti compagnia." Si sedette contro la fredda roccia e fece cenno a lo hobbit di accomodarsi accanto a lui.
Il signor Baggins, esitante, si sedette vicino al nano e ringraziò il cielo che fosse così buio, così non si riusciva a vedere il suo rossore. Però stava tremando freneticamente. Sembrava un coniglietto smarrito.
"Rilassati, non ti mangio mica" commentò Thorin con una punta di sarcasmo.
"Co... cosa?" Ecco perché Bilbo evitava sempre di trovarsi in compagnia di Scudodiquercia: finiva sempre col fare pessime figure!
"Bilbo," lo hobbit trasalì: quella era la prima volta che il nano lo chiamava per nome, "insieme ne abbiamo passate di cotte e di crude. Hai servito me e i miei compagni egregiamente, senza contare che ci hai salvato la vita più di una volta. E non dimenticherò mai quella notte in cui buttasti all'aria tutti i tuoi timori e ti gettasti sull'orco, per salvarmi. Da quel momento abbandonai ogni diffidenza che provavo per te e, nel caso te lo fossi dimenticato, diventammo amici. Non voglio mai più che tu ti senta in soggezione vicino a me o che mi riservi un atteggiamento di riguardo, perché non mi devi niente."
Lo hobbit si sentiva imbarazzato da quel discorso, però era felice che Thorin lo considerasse un amico. "V... va bene" balbettò distrattamente.
Accidenti... Thorin si è accorto che mi sento nervoso quando sto vicino a lui! pensò Bilbo, arrossendo ancora una volta. Sedermi accanto a lui è stato uno sbaglio, sorrise, lo sbaglio più bello della mia vita.

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Capitolo 2
*** La festa ***


La festa

I dodici nani della compagnia di Thorin erano seduti tutti allo stesso lungo e rettangolare tavolo in legno, con Gandalf a capo tavola. Stavano tutti ridendo sguaiatamente, mentre lo stregone e Balin scossero la testa, divertiti. "Bah, i giovani..." dissero all'unisono, per poi guardarsi e scoppiare a ridere.
Bilbo e Thorin non potevano essere biasimati per essersi allontanati un attimo: la confusione che c'era in quella sala era impressionante! I nani erano uno più euforico dell'altro, tutti ubriachi: o cantavano, o ballavano sui tavoli, o suonavano la fisarmonica o urlavano e ridevano come dei selvaggi, con un boccale pieno di birra in mano.
Fili e Kili avevano rimorchiato due nane piuttosto pompose e le stavano tenendo a braccetto, seduti a tavola con gli altri. Anche loro davano l'impressione di non essere del tutto sobrie.
Fili rise al solo pensiero di Tauriel che arrivava all'improvviso e ammazzava suo fratello. Forse l'elfa non aveva preso una saggia decisione tornandosene al Reame Boscoso lasciando il suo adorato nano in balia alle belle nane di Erebor. Però Kili si sentiva molto solo senza Tauriel, aveva bisogno di sfogarsi un po'. Di solito non era così farfallone, anzi... era da un'eternità che non vedeva una nana! L'unica donna della sua vita era sua madre, poiché fino ad oggi aveva vissuto solo per suo fratello, suo zio e per il desiderio di ammirare le ampie sale di Erebor.
Fili e Kili con quelle due nane, però, ora si stavano giusto un po' scocciando: non facevano altro che chiedere di Thorin. Era sempre stato così, loro zio: faceva cadere ai suoi piedi una lunga schiera di nane e neanche se ne accorgeva.
Lo hobbit e il Re sotto la Montagna entrarono proprio in quel momento e si chiesero come mai non fossero rimasti a guardare le stelle, non appena furono nuovamente investiti dalla caotica vivacità dei nani.
Thorin e Bilbo si avviarono verso il loro tavolo e, appena i loro amici li videro, alzarono in alto il boccale e risero di più.
"Thorin! Bilbo! Amici miei! Dov'eravate finiti?" chiese loro Dwalin. Era buffo perché, ogni volta che si rivolgeva a qualcuno, sembrava che volesse aggredirlo, anche quando voleva solo essere amichevole.
"Avevamo bisogno di un po' d'aria, tutto qui." Fu la laconica risposta del re, che guardò il suo vecchio amico con una punta di tenerezza.
"Eravate spariti per un bel po', insieme poi! Stavamo cominciando a pensare che..." Kili guardò con occhi furbi suo fratello, il quale capì tutto e cominciò a sghignazzare assieme a lui. Tutto il tavolo scoppiò in una rumorosa risata, la quale infastidì non poco Thorin e fece arrossire violentemente Bilbo.
Scudodiquercia diede un colpetto a Fili e a Kili. "Mi sa che per voi è giunta l'ora di andare a dormire..." Li guardò con talmente tanta intensità che le nane strette ai due fratelli svennero incrociando quello sguardo.
Altre risate a volontà, naturalmente, ma questo momento allegro fu interrotto bruscamente da un tonfo...

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Capitolo 3
*** Una scortese interruzione ***


Una scortese interruzione

Thorin, i nani, Gandalf e Bilbo si precipitarono sulla terrazza di Erebor per vedere da dove provenissero quei tonfi. La risposta la ricevettero abbassando lo sguardo sulle rovine di Dale: un gruppo di orchi ai piedi della Montagna Solitaria. Avevano una catapulta, con la quale avevano lanciato delle rocce contro Erebor.
Il Re sotto la Montagna corrugò la fronte e guardò con astio quelle creature disgustose. "Ah, e così non hanno digerito la sconfitta? Non hanno ancora capito che con il popolo di Durin non si scherza? Che non hanno speranze contro di noi?!" sbraitò. Scosse la testa, nervoso. "Evidentemente la morte di Azog non è stata d'esempio per tutti loro!"

Un orco dal volto più martoriato del normale fece un cenno a un suo compagno che stava accanto a lui. Questo annuì facendo un verso gutturale, dopodiché lui e altri orchi presero una roccia e la posarono sulla catapulta.

L'espressione di Thorin Scudodiquercia, da truce, divenne preoccupata: si fece sempre più nitida la figura di una roccia che si scagliava verso di lui e i suoi amici.
"Tutti dentro, presto!" L'urlo gli uscì istintivamente dalla bocca.
In men che non si dica Thorin, Bilbo, Gandalf e i dodici nani furono di nuovo nelle ampie sale di Erebor, mentre il rumore della roccia che si rompeva contro la terrazza riempiva loro le orecchie.

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Capitolo 4
*** La battaglia ***


La battaglia

La festa era cessata di colpo. La fiamma delle torce appese alle pareti era tremolata, la sala era sobbalzata e un mormorio di terrore era nato tra i nani.
"Ci sono gli orchi qua fuori!" gridò Thorin con la spada sguainata, correndo tra la sua gente. "Uomini! Seguitemi! Insegniamo loro a non squarciare più la quiete di Erebor."
Fili, Kili, Balin, Dwalin, Bifur, Bofur, Bombur, Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin, insieme ad altri nani guerrieri, alzarono in aria le loro armi e gridarono in segno di assenso.
"Le donne e i bambini sono pregati di recarsi ai piani superiori e di non muoversi da lì per nessun motivo al mondo. Agli orchi ci pensiamo noi."
"Avete sentito il vostro re? Su, avanti... all'attacco!" li incitò Gandalf.
Altre grida di assenso, poi i nani corsero verso la Porta principale.
"No Bilbo. Tu no." Il Re sotto la Montagna fermò lo hobbit con un gentile gesto della mano.
Il signor Baggins lo guardò stupito. I suoi occhi si posarono sul braccio che lo bloccava e sugli occhi di Thorin, rispettivamente. "Co... come io no?" balbettò.
Il re gli sorrise. "Ci hai già serviti abbastanza durante il viaggio. Il tuo l'hai fatto, non voglio che rischi più la vita. Ho già perso mio padre e mio nonno, non voglio perdere anche un amico." Le ultime parole le aveva pronunciate con tristezza e il sorriso era improvvisamente scomparso dalle sue labbra. Non parlava di Thrain e di Thror da quando erano morti, era troppo doloroso per lui. La loro assenza era un dolore che lo accompagnava ogni giorno e che non lo avrebbe mai abbandonato.
Bilbo capì come si stesse sentendo, così mise la sua docile manina sul braccio forte e muscoloso di Scudodiquercia. "Non ti preoccupare: sarò prudente. Non mi perderai e per me è un onore aiutarvi."
Thorin corrugò la fronte, levò la mano dello hobbit dal suo braccio e gli strinse il polso. Fu a un soffio dal suo viso. "Tu adesso andrai al piano di sopra dalle donne e dai bambini e non ti muoverai da lì, se no non saranno gli orchi a spezzarti le gambe, ma lo farò io personalmente." Detto questo si voltò e corse fuori dalla Montagna.
Bilbo rimase a guardare nella sua direzione. Sospirò. Ah, Thorin... testardo come sempre! corrugò la fronte. Ma io, se voglio, posso esserlo ancora di più.

Non appena il condottiero degli orchi vide Thorin e i suoi uscire dalla Montagna Solitaria, fece cenno al suo compagno di smetterla di lanciare pietre con la catapulta. Questo obbedì.
I nani e gli orchi rimasero fermi a guardarsi con astio, venti metri che li separavano, la nebbia che li avvolgeva e il vento che sussurrava minaccioso. Sembrava il canto di un fantasma.
Bolg gridò feroce, rivolto al Re dei Nani: "Tu hai ucciso mio padre!"
"E tuo padre ha ucciso mio nonno e condotto alla follia mio padre!" gli urlò di rimando il nano.
L'orco esplose in una sonora e agghiacciante risata. "Se lo meritavano. Entrambi erano una nullità, non valevano neanche un misero ninnolo del loro sporco tesoro. Proprio come te!"
Thorin sentì il sangue montargli alla testa, ma stranamente si trattenne: sapeva che era controproducente perdere le staffe prima della battaglia. Così inghiottì tutti gli insulti che conosceva e respirò a fondo, nel disperato tentativo di calmarsi.
"Vuoi chiacchierare o combattere?!"
"Avanti! All'attacco!" Lo stregone scosse in alto il suo bastone, i dodici nani si misero in posa da combattimento, pronti a scagliarsi contro quelle creature disgustose.
"Fermi!" ordinò Thorin. "Lo dico io quand'è il momento di attaccare..." Momento di pausa. "ATTACCATE!"
Ci fu il massacro.
Gli orchi si gettarono sui nani e i nani si gettarono sugli orchi.
Thorin Scudodiquercia si stava guardando intorno ostinatamente: voleva avere la soddisfazione di uccidere Bolg. Lui aveva insultato la sua famiglia, ora non l'avrebbe passata liscia. Si sarebbe assicurato che avesse avuto una morte lenta e dolorosa, però doveva essere per mano sua.
Il problema è che, in mezzo a quelle furie scatenate, non lo trovava. Spesso degli orchi si abbatterono su di lui, ma Thorin li fece fuori senza problemi, senza neanche pensare all'attacco da sferrare: lui e la tecnica erano in due pianeti diversi. Da quando era bambino lo avevano sempre annoiato le tecniche di combattimento. Lui lottava seguendo il suo istinto, sul campo di battaglia sembrava una bestia indomita che tentava di liberarsi dalla sua gabbia.
Eccolo! Era lì! Al di fuori di quel trambusto. Lo stava guardando e sembrava che, con lo sguardo, gli stesse dicendo: Su, avanti, vieni a prendermi: sono qui. Ti sfido.
Il re ricambiò lo sguardo truce. Aveva accettato la sfida.
Si avvicinò furioso a Bolg, facendosi strada a colpi di spada.
Gandalf, con un incantesimo, fece fuori sei orchi che lo stavano circondando. Poi si voltò ansimando verso Thorin. "Thorin! I tuoi uomini sono in difficoltà!"
Non lo stava neanche ascoltando.
"Thorin!" lo chiamò ancora lo stregone grigio, disperato.
Ma l'orgoglioso condottiero sembrava non udirlo. Per lui, in quel momento, il resto non esisteva. C'erano soltanto lui e la sua spada, Orcrist, davanti a quel dannato bastardo.
Bolg era il doppio di lui e lo stava guardando dall'alto al basso, con superbia. Scudodiquercia sostenne il suo sguardo, senza dare segni di inferiorità.
"Dai. Fallo. Puniscimi per aver insultato i tuoi cari e per averti fatto piangere come un bambino offeso" lo canzonò l'orco con un sorriso beffardo stampato sulla sua putrida faccia.
Thorin aggrottò ancora di più la fronte e strinse forte Orcrist. "Non aspetto altro."
Il loro duello ebbe inizio.
Nessuno dei due aveva una tecnica impeccabile, contavano entrambi sulla loro forza. Duellarono per un bel po' di tempo, ma alla fine solo uno riuscì ad avere la meglio: il nano buttò a terra l'orco dandogli un calcio in pancia. Alzò in alto la spada, pronto ad infilzarlo. Assaporò la sua paura e gli sembrò di sentire già l'odore del sangue.
"THORIIIIIN!" strillò per l'ennesima volta Gandalf il Grigio, con tutto il fiato che aveva in gola. "Bilbo è ferito!"
Finalmente il re parve udirlo. La fronte si rilassò, la spada gli cadde dalle mani e si voltò verso lo stregone. "Bilbo?" Non gli aveva forse detto di restare al piano di sopra? Che diamine ci faceva là? E cosa intendeva dire con ferito?
Bolg approfittò della distrazione di Thorin per dargli un forte pugno in pancia. Egli si accasciò dolorante.
L'orco si alzò e notò che i suoi compagni erano stati decimati. I nani avevano vinto. Grugnì rabbioso, poi sbraitò: "Ritiriamoci! Ma torneremo, sappiate che non è finita qui."
E, così com'erano venuti, se ne andarono.

Non appena Thorin Scudodiquercia si riprese dal pugno, corse verso i suoi amici, che erano tutti in cerchio intorno al corpo inerme di Bilbo. Li spinse, poi si gettò sul corpo dello hobbit. "Bilbo!," gridò, "perché non sei rimasto alla Montagna? Che diamine ti avevo detto?! Sciocco di uno scassinatore che non sei altro!"
Bilbo aveva gli occhi chiusi, tuttavia respirava ancora, ma molto debolmente. Era pallido come un cencio.
"Che... che... che cosa gli è successo?" chiese Ori con un filo di voce.
Gandalf si avvicinò allo hobbit e gli esaminò la violacea ferita che aveva sul ginocchio. Ritrasse lo sguardo, allibito, sperando di trovarsi in un incubo.
I nani lo circondarono. "Che cos'ha? Allora?" lo assillarono, agitati.
Lo stregone, prima di rispondere, guardò il suolo e fece un respiro profondo. Doveva finire così? Dopodiché si voltò verso i suoi amici e rispose tutto d'un fiato: "La freccia che l'ha colpito... era avvelenata."
Silenzio. I nani si scambiarono un'occhiata disperata.
Thorin guardò Gandalf, senza levare la mano dalla ferita di Bilbo.
No. No. No!

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Capitolo 5
*** Giorni di agonia ***


Giorni di agonia

Portarono Bilbo immediatamente da un guaritore. Thorin lo teneva per le gambe e Gandalf per le braccia.
Il resto dei nani era dietro di loro. Erano tutti accigliati e molti di loro si stavano mangiando le unghie dal nervoso. Speravano solo che il loro amico stesse bene, avevano una paura tremenda.
Il guaritore, Bes, guardò con un punto interrogativo il re e lo stregone stendere lo hobbit sul lettino per i pazienti. "Che cosa gli è successo?" domandò loro.
"È ferito. È stato colpito da una freccia avvelenata" rispose affannato Thorin. Aveva fretta, fretta che il suo migliore amico guarisse, aveva fretta di poterlo abbracciare di nuovo e, alla fretta, si mescolava anche la paura.
Il Re dei Nani credeva di non conoscere affatto la paura: in battaglia si gettava sul nemico senza esitare e, quando Gandalf gli aveva consegnato la mappa e consigliato di radunare i Sette Eserciti dei Nani, non aveva pensato neanche per un secondo ai rischi dell'impresa, voleva soltanto riprendersi la sua terra natia. Ma durante il viaggio aveva assaggiato la paura, l'aveva provata sulla sua pelle... la paura di perdere le persone amate. Ebbene adesso la stava sentendo di nuovo, gli martellava nel petto in una maniera insopportabile.
"Fatemi un po' vedere..." mormorò Bes prendendo una lente d'ingrandimento. Dopodiché esaminò meticolosamente la ferita.
Ci mise un po' e gli amici di Bilbo erano sempre più ansiosi. Si sentivano in bilico su una corda sospesa su un prato di piante piene di spine. L'attesa è una brutta bestia.
"Ho provato a farlo rinvenire con un incantesimo, di solito funziona, l'ho fatto tante volte; ma questo tipo di veleno mi è del tutto sconosciuto, Bolg e i suoi devono averlo lavorato recentemente" disse lo stregone grigio. "In ogni caso io sono uno stregone, non un medico. Quindi ho pensato bene di portarlo da voi."
"Avete fatto bene." Fu tutto quello che uscì dalla bocca del nano. Il suo motto era: Poche chiacchiere e lavoro, era un professionista ed esigeva tutta la concentrazione possibile durante il suo lavoro. I nani di Erebor malati si rivolgevano sempre a lui, era il migliore della Montagna, aveva anche assistito i feriti durante numerose guerre. Tuttavia i nani e Gandalf non riuscivano a stare tranquilli, ogni secondo che passava erano sempre più agitati. Quell'attesa li stava uccidendo e tutto quel silenzio sapeva tanto di quiete prima della tempesta.
Persino Bofur, che era sempre ottimista, si sentiva male, e questo non aiutava di certo a far star meglio gli altri. Ciò non era rassicurante.
"Questo tipo di veleno non lo conosco neanch'io."
Il cuore si bloccò nel petto a tutti loro e guardarono il nano con occhi sgranati. Anche Gandalf, che notoriamente cercava di non perdersi d'animo, si sentì mancare.
Ma, quello che si sentì peggio di tutti, fu Thorin.
"Come sarebbe a dire che non conosci questo veleno?" scattò il re, poi afferrò Bes per il colletto della camicia e gli sputò in faccia: "Ti pago perciò che tu assista me e la mia gente nel momento del bisogno. Noi ci affidiamo a te e tu ora non sei in grado di curare lo hobbit senza il quale non saresti qui neanche tu?! Mi aspettavo di meglio da te!"
"Thorin calmati!" lo ammonì Gandalf il Grigio. "Come ho già detto, è probabile che gli orchi lo abbiano inventato da poco questo veleno, è logico che non lo conosca."
"Infatti" deglutì il dottore.
Scudodiquercia lo guardò con astio, ma pensandoci su Gandalf aveva ragione. Come al solito! si sorprese a pensare con fastidio. Così mollò in malo modo Bes, il quale continuò, dopo essersi ripreso dallo spavento: "Però ho riconosciuto alcune sostanze nella ferita, quindi posso provare a fare qualcosa. Ci sono probabilità che si riprenda."
"Beh, allora spicciati!" ruggì Thorin.
Il guaritore si sistemò gli occhialini sul naso, scombussolato. "Sarà un lavoro lungo, potrà richiedere una o due settimane."
"Qualsiasi cosa, basta che lo salviate" intervenne affannato Fili, che stava stringendo a sé suo fratello che non era riuscito a trattenersi: stava piangendo.
"Farò del mio meglio, lo giuro. Sono molto riconoscente al signor Baggins per quello che ha fatto per i nani di Erebor e non dovete temere: sono riuscito a guarire ferite molto ma molto gravi."
"Questo lo sappiamo, per questo ci affidiamo a te" gli disse dolcemente Balin, mentre con la mano destra accarezzava il dorso di Kili.
"Dai, andiamo ragazzi, lasciamolo lavorare" tagliò corto Thorin Scudodiquercia.
Così gli altri si congedarono, a parte Gandalf e Thorin. Quest'ultimo, prima di andare via, si rivolse un' altra volta velenoso a Bes: "Vedi di non deludermi: questo hobbit significa molto per me e, se lo lascerai morire, avrai fatto un torto molto grave al tuo re."
Il dottore era rimasto a guardare nella direzione del re, successivamente sospirò.
Gandalf gli mise una mano sulla spalla e gli disse gentilmente: "Perdonatelo, è soltanto nervoso per la situazione di Bilbo. Ci tiene veramente tanto a lui, come del resto tutti noi."
Bes gli concesse un sorriso e rispose: "Figuratevi! So come si sta sentendo il re e so che è una persona d'oro. Io ero presente quando aiutava la nostra gente a mettersi in salvo e a rifarsi una vita, ha aiutato molto anche me."

Thorin stava misurando la sala con lunghi passi, mentre i suoi compagni erano seduti contro il muro, Kili che continuava a singhiozzare stretto a Fili e a Dwalin.
"Una o due settimane ha detto. Che mi venga un colpo! Come se io riuscissi a starmene tutti questi giorni bello tranquillo ad aspettare la notizia che il nostro scassinatore si è ripreso!" borbottò rabbiosamente il re.
"Mi dispiace zio" mugolò Kili.
All'improvviso Scudodiquercia si voltò verso suo nipote.
"Non sono abbastanza forte."
Thorin lo guardò stupito, poi si avvicinò a lui e si mise alla sua altezza. "Cosa intendi dire?" sussurrò.
"Tu...," inghiottì le lacrime, "mi hai sempre detto che un re dev'essere forte e non cedere alla debolezza. Ma è più forte di me! Io non voglio che Bilbo muoia!"
Il Re dei Nani rimase un attimo in silenzio, poi sorrise dolcemente e accarezzò la nuca di Kili. "Kili," sibilò alzandogli il mento con due dita, costringendolo a guardarlo negli occhi.
Il giovane nano aveva i grandi occhi da cerbiatto arrossati. Quand'era così sembrava ancora bambino e fece molta tenerezza a suo zio.
"Siamo esseri umani e non c'è niente di più umano di provare dolore. Un re è anche una persona, questo l'ho capito da poco. E piangere davanti agli altri dimostrando pubblicamente le proprie debolezze richiede molto coraggio e, soprattutto, molta forza d'animo."
Kili lo fissò stupito.
Suo zio gli concesse un altro sorriso e un'altra carezza. "Tu che piangi per una persona a te cara, sei molto forte. E ricorda: non c'è niente di male nel farlo" aggiunse.
Kili pianse di più e si strinse forte al suo re, il quale lo accolse calorosamente nel suo abbraccio.

Quella sera, quando Bes si era ritirato e aveva fatto una pausa, Thorin decise di andare a trovare Bilbo.
Entrò silenziosamente nella stanza, facendo cigolare la porta e facendo entrare un raggio di luce a illuminare il corpicino dello hobbit steso sul lettino.
Il re si sentì stringere lo stomaco e prese in considerazione l'idea di andarsene: vedere il suo amico in quelle condizioni, pallido come un morto, addormentato e nelle stesse condizioni di un vegetale, gli faceva male e di certo, la ferita violacea sul ginocchio che si stava facendo sempre più nitida, non aiutava.
Codardo! si rimproverò Thorin. Che razza di amico saresti se scappassi abbandonandolo proprio nel momento del bisogno?! Così fece un lungo e profondo respiro, poi avanzò verso lo scassinatore.
Il signor Baggins non dava segni di miglioramento.
Il re si sedette accanto a lui e lo guardò con affetto, sforzandosi di sorridere. Allungò il braccio verso di lui e gli scostò un due riccioli castani dagli occhi chiusi. "Bilbo," disse con dolcezza, sorridendo divertito. "Lo sai che quando dormi sembri un bambino?"
Il pancino dello hobbit si rialzava e riabbassava in continuazione, mentre lui respirava debolmente con il naso. Sì, sembrava proprio un bambino.
Il sorriso, piano piano, scomparve dalle labbra del nano. Sapeva che vederlo sarebbe stato doloroso, ma non pensava così tanto. Prese ad accarezzargli le spalle. "Ti siamo tutti vicini" mormorò. "Te la caverai, sei in gamba. Sei piccolo ma d'acciaio. Sei rimasto intero per tutta l'avventura, non vedo perché non dovresti farcela adesso. Bes è un grande medico, troverà certamente un modo per salvarti. Gli orchi non vinceranno, non prenderanno il nostro cuore. Te lo prometto."
Thorin si chiese come poteva promettere una cosa alla quale non credeva neanche lui. La vita gli si era sempre rivoltata contro e, senza motivo, gli aveva portato via tutto: prima sua madre, suo fratello, poi suo nonno, suo padre e anche sua sorella Dìs. Non si sarebbe stupito se avesse perso anche il suo migliore amico.
"Se tu puoi sentirmi adesso, voglio farti sapere che mi sto allungando verso di te, per farti sapere che non sei solo" aggiunse tra le lacrime, dopodiché strinse la manina di Bilbo e lasciò che le lacrime scorressero calde e rapide lungo il suo viso.
Sarà il nostro piccolo segreto.

I giorni passavano e Thorin continuava ad andare a trovare Bilbo. Preferiva andarci da solo, si disse di essere sciocco perché si vergognava di farsi vedere piangere davanti ai suoi amici.
Un giorno riuscì a trovare il coraggio di andare anche con gli altri. Fece fatica a trattenersi: fu una scena piuttosto commovente.
Ori gli aveva portato un ritratto, un ritratto che raffigurava Bilbo e che aveva disegnato con le sue mani.
Bofur gli donò un centrino e risero tutti quanti quando ricordò di quello che gli aveva rovinato usandolo come strofinaccio.
Fili e Kili gli consegnarono un servizio di piatti che era appartenuto a loro madre, quest'ultimo piangendo.
"Scusa ancora per il bagno" scherzò Fili, facendo ridere suo fratello.
Thorin sorrise lievemente, commosso.
Gli altri nani, invece, gli donarono dei fiori, gli stessi fiori che lo hobbit teneva nel suo giardino e che gli piacevano tanto.
E, per completare il tutto, Gandalf mise sul busto di Bilbo una pipa nuova di zecca. "Oh, e non devo scordarmi il tabacco!" replicò dandogli anche una busta.
Rimasero tutti fermi sul capezzale del loro amico, si diedero la mano, stando uniti per lui.

Quando non andava a trovare il signor Baggins, Thorin si dedicava alla sua solita routine. Doveva distrarsi e aveva pur sempre un regno da portare avanti.
Così continuava a lavorare in miniera, a fabbricare spade e, contemporaneamente, ad occuparsi di questioni politiche e burocratiche. Ma la sua testa era sempre altrove. Fisicamente si trovava nella Sala del Trono, ma moralmente stava ancora ai piedi del letto di Bilbo, a vegliare sul suo sonno, sperando che stesse facendo bei sogni.

E i giorni passarono ancora, ancora e ancora ed erano sempre un'agonia. L'unica cosa che il re e i suoi amici potevano fare era aspettare, ma stavano morendo aspettando la notizia che Bilbo era scampato alla morte.
In quel momento Thorin stava battendo il martello su una spada, cercando di non pensare a cose brutte, quando Gandalf lo raggiunse.
"Thorin" lo chiamò amareggiato.
Il nano rimase con il martello a mezz'aria e per poco non se lo fece cadere sul piede. Appoggiò l'arnese e si voltò velocemente verso lo stregone. "Cosa succede? Bilbo si è ripreso?"
"Non lo so, sono venuto a chiamarti perché Bes vuole parlare con noi, ma non sembra di buonumore."
Thorin era già là.

"Allora? Cosa ti avevo detto?!" sbraitò aprendo la porta della stanza con un calcio.
Il guaritore smise all'improvviso di occuparsi dello hobbit e si voltò sudato verso il suo re, che stava avanzando verso di lui guardandolo bieco.
"Mi... mi dispiace, ho fatto di tutto, però..."
"PERÒ COSA?!" lo interruppe urlando, riafferrandolo per la maglia e puntandogli il pugno contro.
Bes sudò freddo e lo guardò con disperazione e paura.
"Basta Thorin. Mettilo giù" lo sgridò Gandalf, stufo delle sue scenate.
Il Re dei Nani lo fulminò con lo sguardo e sbottò: "Non sarà certo uno stregone qualsiasi a dire a me, il re di Erebor, cosa devo fare. E nel mio regno, per giunta!"
"Come vuoi che parli in questa posizione?"
"Parlerà comunque, te l'assicuro!"
Lo stregone alzò gli occhi al soffitto e non ebbe altra scelta: afferrò anche lui il dottore e lo portò lontano dalla portata del Re sotto la Montagna.
Thorin incrociò le braccia sul petto e sbuffò.
Bes, per l'ennesima volta, si sistemò gli occhiali e deglutì una ventina di volte. Dopodiché tossì e disse: "Il signor Baggins è in gravi condizioni. Purtroppo non sono riuscito a trovare l'antidoto giusto. In ogni caso non ho intenzione di arrendermi, ma volevo ugualmente consultare uno stregone e il re prima di andare avanti."
"Sei un bravo medico, non dovresti avere bisogno del parere di nessuno" lo apostrofò Thorin, ma smise di sbottare non appena Gandalf gli lanciò un'occhiataccia: sapeva proprio essere autoritario talvolta, riusciva addirittura a domare una bestia inferocita come Thorin Scudodiquercia!
"Ora che ci penso c'è qualcosa che potremmo fare" ponderò lo stregone.
Thorin lo guardò speranzoso.
"Potremmo chiedere aiuto agli elfi."
Scudodiquercia fece una smorfia di disgusto e voltò la testa dall'altra parte. Ci mancava solo questa! pensò.
"Agli elfi?" Bes sbatté le palpebre, allibito.
"Sì, sono dei geni della medicina. Potremmo andare al Reame Boscoso e..."
"No. No, no e no!" lo interruppe Thorin, nervoso. "Se mettiamo Bilbo nelle mani di quegli spocchiosi degli elfi morirà di sicuro. Oin continuerà a dare una mano al dottore quando servirà e mastro scassinatore si rimetterà in sesto. Non ci serve il loro aiuto."
"Gli elfi ci hanno aiutati durante la Battaglia dei Cinque Eserciti!" scattò Gandalf. "Quand'è che butterai all'aria il tuo orgoglio e sarai meno testardo?"
Bes si sentiva fuori luogo, così propose: "Non è meglio se ne parlate fuori con calma e poi tornate a dirmi che decisione avete preso?"

Thorin Scudodiquercia si trovava in corridoio e si stava passando una mano tra i capelli neri, evitando di guardare negli occhi Gandalf il Grigio.
Traditore! pensò, vuole chiedere aiuto agli elfi dopo quello che hanno fatto a noi nani! Ma da che parte sta?!
"Gli elfi ci avranno pure aiutati durante la Battaglia dei Cinque Eserciti, ma solo perché li faceva comodo e ciò non può cancellare quello che ci hanno fatto dopo l'attacco di Smaug! E per non parlare di quando gli orchi saccheggiarono Moria e profanarono i nostri luoghi sacri! Gli elfi rimasero a guardare senza fare niente!"
"Salvatemi dalla caparbietà dei nani!" borbottò Gandalf, esausto, alzando gli occhi al soffitto.
"Di' pure quello che vuoi. Preferisco morire piuttosto che chiedere aiuto a re Thranduil" disse cocciutamente il Re sotto la Montagna.
"Preferisci che muoia Bilbo?" obiettò lo stregone, ormai privo di pazienza.
Thorin rimase un attimo a fissarlo negli occhi con un'aria di sfida. Ora si era un po' calmato e stava pensando. Quand'era arrabbiato gli riusciva difficile pensare, per questo se l'era presa con Bes.
Quelle parole l'avevano spiazzato. Si chiese se ci tenesse di più al suo orgoglio che a Bilbo. Naturalmente a quest'ultimo! Ma allora avrebbe dovuto...
"E comunque dovresti rivolgere delle scuse a Bes" continuò Gandalf.
"Non ci penso proprio!"
"Thorin..." Lo stregone lo guardò da sotto le sue sopracciglia irsute. Lo stava guardando come un padre guarda il proprio bambino che non vuole confessare di essere stato lui a rompere il vaso preferito della mamma.
"E va bene! Lo farò" capitolò il re, tanto per zittirlo un po'.
"Che cosa farai? Chiederai scusa a Bes o andrai dagli elfi?"
"Tutti e due."

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Capitolo 6
*** Un aiuto inaspettato ***


Un aiuto inaspettato

"Quindi andremo al Reame Boscoso a chiedere aiuto agli elfi?" Gloin guardò Thorin alzando un sopracciglio, incredulo. Anche gli altri nani erano sorpresi dalla scelta del loro capo.
"Precisamente" borbottò il nano, inghiottendo la rabbia. Si sentiva ferito nell'orgoglio nell'abbassarsi così tanto da andare a supplicare Thranduil di salvare il suo amico. Avrebbe preferito salvarlo lui, o che fosse stato salvato dai nani, non di certo dagli elfi. Ma non era il momento di fare gli schizzinosi: l'importante era che Bilbo guarisse.
"Siamo sicuri che non ci tradiranno?" chiese Dwalin, il solito pessimista, le braccia conserte e lo sguardo torvo.
"Non lo siamo" ammise Scudodiquercia che, se c'era una persona della quale non si fidava per niente, quella era il superbo Re degli Elfi.
Dwalin fece una smorfia e gli altri nani cominciarono a protestare. Stavano parlando l'uno sopra l'altro e non si capiva niente.
"E noi lo portiamo comunque?! Questa è imprudenza!" Emerse la voce stridula e seccata di Dori.
"BASTA!" ruggì Thorin, facendo trasalire tutti quanti.
I suoi amici si misero immediatamente in riga.
"Neanch'io mi fido tanto degli elfi; anzi, se c'è un nano tra di noi che non si fida proprio per niente di loro quello sono io, e lo sapete bene. Però dobbiamo riconoscere che ci hanno aiutati durante la Battaglia dei Cinque Eserciti... Se ci hanno aiutati in quella situazione perché non dovrebbero farlo ora? E comunque..." Li guardò amaramente. "Abbiamo altra scelta?"
Fili, Balin, Dwalin, Bifur, Bofur, Bombur, Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin si guardarono. In effetti ha ragione, ponderarono.
"Potrei chiedere aiuto a Tauriel" disse Kili, che era l'unico del gruppo che non si era opposto alla decisione del re.
Si erano voltati tutti insieme verso di lui.
"Mi ha salvato la vita e credo che la mia ferita non fosse stata tanto diversa da quella di Bilbo. Certo, forse meno grave, ma sempre di veleno di orchi si tratta."
Gli occhi si posarono tutti sul Re dei Nani, all'improvviso.
Thorin Scudodiquercia rimase un attimo a guardare suo nipote, titubante. Quella Tauriel non è che gli fosse andata tanto a genio, non la conosceva molto bene e, da quel poco che sapeva, era molto giovane persino tra gli elfi, era una novellina. Chissà che pasticci avrebbe combinato sul signor Baggins! Non voleva neanche pensarci.
Kili insisteva che era superba nell'arte farmaceutica e che gli aveva salvato la vita, ma lui esagerava sempre e poi Thorin credeva solo se vedeva. Suo nipote forse era guarito perché il veleno non era poi così forte e l'elfa non aveva fatto un granché.
Ma Kili ci teneva tanto a Bilbo, non avrebbe mai proposto Tauriel se non fosse stato veramente sicuro delle sue capacità.
Così Thorin si trovò costretto a sospirare. "E sia" consentì chinando il capo. Non voleva incrociare lo sguardo dei suoi compagni, si sentiva debole e permissivo. Essere disposto ad andare a piangere dagli elfi così all'improvviso! Uhm, non era decisamente da lui; ma per il suo migliore amico questo e altro, avrebbe affrontato monti, mari, fiumi e tempeste pur di averlo vivo accanto a sé e, se per salvarlo si sarebbe dovuto umiliare dinanzi a Thranduil, e sia.

"E così ci rincontriamo, Thorin figlio di Thrain." Thranduil voltò lentamente il capo verso il nano.
Thorin gli rivolse uno sguardo assassino. Detestava quel tono beffardo e quello sguardo altezzoso! Ma si trattenne, fece l'ennesimo sforzo. Lo devo a Bilbo.
"Non posso certo dire che per me sia una gioia" gli scappò al Re dei Nani. Una risposta sgarbata non me la toglie nessuno, però! si disse.
L'elfo corrugò leggermente la fronte e lo guardò con un'ira contenuta.
Almeno sono riuscito a levargli quel sorrisino insopportabile dalla faccia.
"La tua gentilezza non ha eguali, lo sai questo?" lo canzonò Thranduil, con la sua solita voce soave.
"Come la tua odiosità! Ma adesso basta con le ciance! Ho affari ben più importanti da trattare" tagliò corto Thorin.
L'elfo si sedette sul suo regale trono e si scostò una ciocca di capelli biondi dagli occhi, aggraziato. "Ti ascolto."
"Gli orchi ci hanno attaccati giorni fa..."
"Oh, immagino che siate venuti per chiederci rinforzi perché non vi danno più pace e non sapete come respingerli!" lo interruppe il Re del Reame Boscoso, trasparendo un sorrisetto malizioso.
Il nano lo fulminò con lo sguardo. "No!" sbottò. "Siamo riusciti a respingerli benissimo senza il vostro aiuto! Non si sono più fatti vivi, evidentemente hanno troppa paura della stirpe di Durin" aggiunse spavaldo.
Thranduil incrociò le braccia sul petto, alzò il capo, lo voltò dall'altra parte e sbuffò, liberandosi di una ciocca bionda che aveva davanti agli occhi.
Sembra proprio una ragazzina scema, pensò Thorin scuotendo la testa.
"Dunque... per quale motivo siete qui?"
"Lo hobbit è rimasto ferito durante la battaglia, è stato ferito da una freccia avvelenata. Lo abbiamo portato a medicare dal miglior medico di Erebor ma quel veleno gli è del tutto sconosciuto e il signor Baggins non dà segni di miglioramento. Abbiamo bisogno di quella tale, Tauriel. Lei magari potrebbe salvarlo." Aveva parlato quasi senza prendere respiro neanche una volta. Era ansioso di una risposta da parte del Re degli Elfi.
Thranduil rimase un attimo in silenzio a fissare pensieroso il nano. Aveva le gambe accavallate e stava tamburellando le dita sul trono. "Non saprei. Tauriel è il capo delle guardie, è molto importante per noi" disse alla fine, guardando il Re dei Nani, vittorioso. Aveva l'espressione di un bambino che stava facendo un dispetto a un suo amico.
A questo punto Thorin perse ogni ritegno, si inginocchiò al trono del suo più acerrimo nemico e lo guardò con disperazione.
Per un secondo l'elfo perse l'aria canzonatoria che aveva sempre e guardò Scudodiquercia con sorpresa.
Il sovrano di Erebor chinò il capo. "Ti prego" disse forzato, buttando all'aria la sua dignità. "Ti sei forse scordato di quando abbiamo combattuto insieme durante la Battaglia dei Cinque Eserciti? Se ci aiuterai un'altra volta prometto che ti saremo riconoscenti a vita e mi dimenticherò del torto che ci avete fatto voi elfi dopo l'attacco di Smaug. Noi nani di Erebor saremo sempre presenti per voi, sempre; ma ti prego: aiuta il nostro amico! Non c'è nulla che m'importi di più."
Il re del Reame Boscoso, in effetti, era un po' stufo del disprezzo che aleggiava tra gli elfi e i nani. Neanche una battaglia era riuscita ad unirli, be'... forse compiendo questo piccolo atto di generosità avrebbero raggiunto un compromesso. Certo, salvare uno hobbit dalla morte era un gesto piccolo, ma le grandi cose sono formate da piccole cose e, spesso e volentieri, sono quest'ultime a fare la differenza.
"E va bene, ti aiuteremo." Per la prima volta dopo anni e anni, Thranduil guardò Thorin con comprensione e gli rivolse un sorriso sincero.
Il sovrano di Erebor alzò lentamente il capo e lo guardò sbalordito, e rimase ancora più sbalordito quando vide che gli stava sorridendo. Senza pensarci due volte gli sorrise anche lui e gli disse con gratitudine: "Grazie."
Questo momento durò poco: re Thranduil recuperò presto la sua compostezza e chiamò a gran voce, ma senza strillare: "Tauriel."
L'elfa fece capolino da un corridoio e, quando vide i nani fuori dalla porta della Sala del Trono, strizzò gli occhi. Ma rimase ancor più sorpresa quando vide Kili.
"Kili!" Non riuscì a trattenersi e si affrettò verso di lui.
Gli altri nani si fecero da parte per lasciarla passare.
"Che cosa ci fai qui?" gli chiese, trattenendo a stento la gioia. Gli era mancato in quei giorni, tanto.
Il giovane nano le sorrise, ma il suo era un sorriso triste. Certo, era felice di vederla, ma Bilbo si trovava pur sempre in fin di vita a Erebor. "È un po' lungo da spiegare. Tu intanto va', te lo spiegherà il tuo re."
L'elfa, confusa, entrò nella Sala del Trono, rivolgendo un ultimo sguardo perplesso al suo amore. "Cosa posso fare per voi, sire?" domandò elegantemente al re, una volta che gli fu davanti.
"Saresti disposta a partire per Erebor?" le chiese di punto in bianco Thranduil.
Tauriel era sempre più confusa. "Perché?"
"Il signor Baggins è stato ferito da una freccia degli orchi. La freccia era avvelenata e il medico non è riuscito a capire di che veleno si tratti. Sta di fatto che lo hobbit non si sveglia e probabilmente morirà se non si fa subito qualcosa... Saresti disposta ad andare a curarlo?" Aveva parlato in fretta. Non c'era tempo da perdere.
La giovane aveva sussultato nel sentir nominare il signor Baggins. Aveva avuto modo di conoscerlo, era un amico di Kili. Una gran brava persona, aveva combattuto valorosamente durante la Battaglia dei Cinque Eserciti. Era stato impossibile non notare quel piccolo hobbit coraggioso. Ne era rimasta impressionata.
"Ma certo, va bene. Non è un problema per me" rispose convinta l'elfa.
"Molto bene. Va' a preparare l'occorrente, partirai all'istante con i nani. Ogni secondo che passa la vita del signor Baggins è sempre più in pericolo."

Tauriel si trovava nella sua stanza. Stava rapidamente frugando nei cassetti qualche erba medicinale che le sarebbe risultata utile per curare Bilbo. Quando le trovò le buttò frettolosamente in una bisaccia elfica che si caricò sulle spalle. Si voltò e fece per uscire, ma prese un colpo notando Legolas là della porta. La stava guardando serio.
"Oh, Legolas, sei tu" ansimò.
"Mio padre mi ha detto che stai per andare a Erebor con i nani."
"È così, si tratta di un'emergenza. Un loro amico è malato e io devo salvarlo. Quindi, se non ti dispiace..." L'elfa cercò di passare, ma il suo amico di sempre la bloccò. Lo guardò interdetta.
"È vero quello che mi hai detto?" sussurrò l'elfo.
"Sì, perché dovrei mentirti?"
"Ah, non lo so... forse per passare un po' di tempo con quel nano?" Legolas le rivolse un'occhiata eloquente, ricca di significato.
Tauriel corrugò la fronte. Non aveva alcuna voglia di discutere di nuovo con lui e, soprattutto, non in quella situazione. Così spostò stizzosamente il suo braccio e sbottò: "Te l'ho già detto. Si tratta di un'emergenza, quindi levati, lasciami passare e non farti paranoie inutili come al tuo solito. Non è proprio il momento!"
Non appena l'elfa fu uscita, Legolas si appoggiò con la schiena al muro e sospirò. La stava perdendo.

La prima cosa che fece Tauriel non appena giunse a Erebor, fu quella di discutere con Gandalf e Bes del veleno che era stato utilizzato sulla freccia. Dopodiché l'elfa ci mise anima e corpo per curare Bilbo, aiutata dallo stregone, dal dottore e da Oin.
"Allora? Come sta?" chiese impaziente Thorin, stando sull'uscio. Dietro di lui stavano facendo capolino tutti gli altri nani.
"Uscite" disse lapidaria l'elfa, posando un'altra foglia sul ginocchio dello hobbit.
Il re ridacchiò amaramente, si passò una mano fra i capelli e disse: "Senti signorina. Io sono il sovrano di Erebor e tu ti trovi nel mio regno. Non puoi dirmi cosa devo fare."
"Ho bisogno di concentrarmi, per favore. Non possiamo lavorare con tante persone tra i piedi" gli spiegò gentilmente l'elfa.
Thorin rivolse uno sguardo a Gandalf, che lo guardò con occhi supplichevoli.
Alla fine il nano cedette per l'ennesima volta nella giornata e uscì con i suoi compagni.

Quelle furono ore d'inferno.
Tauriel non faceva altro che mormorare litanie mentre Gandalf, Oin e Bes le passavano l'occorrente per curare Bilbo.
Nel frattempo i nani si trovavano fuori ad attendere. Alcuni stavano seduti per terra contro il muro, mentre altri stavano alzati e camminavano su e giù con le mani dietro alla schiena. Si muovevano e cambiavano posizione di continuo. Ori e Kili talvolta singhiozzavano, facendosi consolare dagli altri. Parlarono tutti poco e, quando lo facevano, era per ricordare alcuni aneddoti divertenti che avevano come protagonista il loro amico, o per pregare. Ci furono più gesti, in compenso: non furono rare le volte in cui i nani si presero per mano o si abbracciarono, per infondersi coraggio.

Verso sera il lavoro non era ancora finito.
Tauriel stava spingendo una foglia masticata sul ginocchio dello hobbit, continuando con le formule magiche. Si fermò all'istante notando che Bilbo era ancora più bianco di prima, mentre il suo respiro si era fatto eccessivamente debole .
L'elfa sgranò gli occhi. "No, no..." mormorò. "Passatemi la belladonna!" gridò a Gandalf e a Bes, senza mollare il signor Baggins.
Bes prese velocemente la pianta dal tavolo e la passò allo stregone, il quale si affrettò a consegnarla alla guardia del Reame Boscoso. Tauriel l'afferrò, la masticò e poi la mise sul ginocchio di Bilbo.
Nessun segno di miglioramento, anzi...
"DATEMENTE UN'ALTRA, PRESTO! LO STIAMO PERDENDO!" urlò.
I due nani e Gandalf il Grigio non se lo fecero ripetere due volte.
"Coraggio piccolino, non mollare" sibilò Tauriel curando lo hobbit, mentre egli sprofondava sempre di più nell'oscurità.

C'era silenzio tra i nani. Erano tutti che guardavano il pavimento e, quando sentirono di non farcela più e vollero precipitarsi nella stanza, Tauriel uscì sudata e stanca.
Fu ben presto assalita da domande.
"Come sta? Si è ripreso? È vivo? Non è morto, vero?" chiedevano agitati i nani.
"No, non è morto. Ho fatto tutto il possibile ma Bilbo non si è ripreso. Però la situazione è migliorata, potrebbe risvegliarsi uno di questi giorni, nel frattempo siate pazienti e attendete."
Thorin Scudodiquercia sgranò i grandi occhi azzurri. "Attendere?" disse allibito. "Abbiamo atteso per troppo tempo! Quanto ancora dovremo farlo?!"
Tauriel lo guardò con comprensione e rispose semplicemente, senza scomporsi: "A volte, l'unica cosa che si può fare, è aspettare."

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Capitolo 7
*** Sogni ***


Sogni

Non ce la faceva più ci correre su e giù per il suo comodo buco-hobbit strillando come un matto: quando andava da un nano per chiedergli gentilmente di smetterla di fare il giocoliere con i suoi piatti, ecco che ne vedeva altri due che si lanciavano i bicchieri come se fossero stati delle palle da gioco.
Diventerò matto! pensò Bilbo sconcertato, mettendosi le mani nei capelli e scuotendo nervosamente la testa. La più assurda delle avventure mi si è catapultata in casa da un momento all'altro! Ma che vogliono da me? Vadano in malora tutti quanti questi nani!
Ma il signor Baggins rimase ancor più sorpreso quando vide tutti i suoi piatti e le sue posate puliti e messi ordinatamente nella credenza. Si fermò a guardarli stupefatto: si aspettava che fossero ridotti in frantumi!
I nani stavano ridendo per il gran divertimento che avevano provato e per l'espressione basita che lo hobbit aveva dipinta nel volto.
"Hai visto, Bilbo?" gli disse Gandalf, lasciandosi fuggire un sorrisetto vittorioso: amava avere sempre ragione.
"Ah ah! Guardate che faccia!" esclamò Kili indicando Bilbo, reggendosi sui suoi amici per non cadere a terra dal ridere.
L'ilarità generale si interruppe all'improvviso non appena si sentì un
boom boom battere furiosamente la porta.
I nani si voltarono e lo stregone sibilò: "Lui è qui."

Lui chi? si domandò sempre più confuso Bilbo Baggins. Non sapeva perché ma aveva un po' di paura: chi aveva bussato alla sua porta? Sicuramente era qualcuno da temere, visto che i nani erano diventati improvvisamente seri e nessuno di loro aveva più osato aprire bocca. Oppure si trattava di qualcuno di molto ma molto importante, e questo non aiutava di certo il signor Baggins a sentirsi di più a suo agio, poiché raramente aveva avuto a che fare con gente di alto livello; aveva paura di essere inappropriato e di fare una brutta figura.

Bilbo e i nani si trovavano fermi davanti alla porta mentre Gandalf l'apriva con discrezione.
Ben presto tutti loro si ritrovarono davanti un individuo dallo sguardo fiero che guardava verso l'Oriente, mentre le stelle scintillavano dietro di lui e il chiaro di luna lo illuminava. Il misterioso individuo spostò lentamente il capo verso l'nterno della casa e guardò Gandalf il Grigio con superiorità, scrutandolo con i suoi grandi occhi azzurro glaciale. "Gandalf," disse con voce profonda e sensuale. Dopodiché fece un sorrisetto ed entrò nel buco-hobbit con spavalderia, senza salutare nessuno e degnare d'uno sguardo Bilbo, comportandosi come se fosse a casa sua.
Il signor Baggins era rimasto a guardarlo imbambolato: mai in vita sua aveva visto una persona che emanasse così tanto fascino e maestosità.
Quello probabilmente doveva essere il tredicesimo nano, il capo, senza ombra di dubbio. Era piuttosto alto per la sua razza, aveva un fisico muscoloso, lunghi capelli neri e una corta barba che incorniciava delle perfette labbra fine.
"Mi avevi detto che questo posto era facile da trovare. Ho smarrito la strada due volte; non l'avrei trovata affatto se non fosse stato per il segno sulla porta" continuò il bel nano, levandosi il mantello.
Bastarono queste parole per far riprendere Bilbo dal bagliore che emanava quell'individuo.
Che cosa?! Un segno sulla porta?! Orrore!
"Segno?" chiese Bilbo inorridito. "Non c'è alcun segno sulla porta, è stata ridipinta una settimana fa!"
Lo stregone chiuse la porta, impedendo al suo amico di andare a controllare. "C'è un segno, l'ho fatto io personalmente" confessò. Poi, volendo chiudere al più presto quella questione prima che lo hobbit potesse esplodere come una caffettiera, indicò il Nano Estremamente Importante. "Bilbo, permettimi di presentarti il capo della nostra Compagnia: Thorin Scudodiquercia."
Il suddetto Thorin Scudodiquercia si fermò dinanzi al signor Baggins, le braccia incrociate sul petto, il solito sorrisino beffardo stampato in faccia.
Bilbo fece fatica a sostenere il suo sguardo: sentiva l'impulso di chinare il capo, si sentiva giudicato e preso in giro.
"E così, questo è lo hobbit" disse quello con tono canzonatorio. Successivamente cominciò a girargli intorno e a scrutarlo con attenzione, come se fosse stato uno squalo intento a cacciare la propria preda. "Ditemi signor Baggins: avete combattuto molto?"
"Come prego?" Quelle parole lo spaventarono.
"Ascia o spada? Qual è l'arma che preferite?"
"Be', sono bravino a tira-castagne, ma non vedo come questo possa essere rilevante" rispose timidamente lo hobbit, sforzandosi di sorridere al nano, cercando di risultargli simpatico.
Thorin si rimise come prima, fece un ghigno e disse: "Lo immaginavo..." Rivolse un'altra occhiata beffarda a Bilbo e aggiunse trattenendo a stento una risata: "Sembra più un droghiere che uno scassinatore."
Gli altri nani scoppiarono a ridere, compreso Gandalf, mentre il signor Baggins non sapeva se unirsi a loro o sentirsi offeso per quell'affermazione. Era un complimento o cosa? Che tipo ambiguo quello!

"La malattia di Thror." Le parole di Elrond attirarono ancora di più l'attenzione di Bilbo che, fermo sulla terrazza degli elfi, stava da un bel po' ascoltando il discorso tra il Mezzelfo e lo stregone Gandalf.

Che cosa poco rispettosa da parte di un Baggins! si rimproverò Bilbo, ma quella faccenda lo interessava troppo, non poteva fare a meno di origliare.
"Quella attirò il drago. Il Re sotto la Montagna si era lasciato prendere dalla smania dell'oro fino ad accumularne sempre di più, causando solo morte e distruzione. Chi ci dice che anche il Principe Thorin non riscontrerà lo stesso problema? I nani sono una razza avida, inclini alla ricchezza."
Solo allora lo hobbit sentì degli occhi incollati alla sua schiena. Confuso, si voltò e il suo cuore fece un balzo fino in gola non appena notò il principe poco dietro di lui, le mani dietro alla schiena e lo sguardo fiero.
Il signor Baggins si voltò immediatamente e fece finta di niente. Sentì i passi del nano dietro di lui: si stava avvicinando, probabilmente voleva rimproverarlo e chiedergli spiegazione del perché si stesse facendo gli affari suoi. Bilbo passò velocemente in rassegna tutte le scuse che gli vennero in mente. Pensò di dirgli che non stava ascoltando niente e che era semplicemente andato a prendere un po' d'aria e ad ammirare il panorama delle cascate.
Le cose non andarono come lo hobbit si aspettava: Thorin si fermò dietro di lui e chinò il capo, sofferente.
Bilbo si voltò un'altra volta a guardarlo e, per la prima volta, gli fece compassione: quelli dovevano essere brutti ricordi per lui, quel nano ne aveva passate di cotte e di crude.

Panico, stomaco in subbuglio.
È la fine, pensò con sgomento il signor Baggins mentre si reggeva sulla roccia bagnata. Sentiva la mano scivolargli via.
"Presto Bilbo! Prendi la mia mano!" Tra le voci agitate dei suoi amici, Bilbo udì chiaramente quella di Bofur: il nano gli stava porgendo la mano.
Lo hobbit sentì l'adrenalina della vita pulsargli nel petto. Forse c'era ancora una speranza. Con uno sforzo allungò la mano verso Bofur, il quale non riuscì ad afferrarlo e il piccolo Bilbo cadde ancora più giù.
Proprio mentre lo scassinatore aveva perso ogni speranza, Thorin, sbuffando, si buttò giù e lo afferrò per il braccio. Senza un misero sforzo lo issò su e Bilbo fu finalmente salvo.
Accadde però che anche il futuro re non riuscì più a salire. Lo hobbit voleva andare ad aiutarlo: lui gli aveva appena salvato la vita, era in debito con lui; ma era troppo stanco, si stava appena riprendendo dallo shock subito e non se la sentiva di muovere un solo muscolo.
Sei spregevole, Bilbo Baggins, gli disse una vocina dentro di lui, Thorin è in pericolo di vita per colpa tua e tu te ne stai qui impalato!
Il morale del signor Baggins si risollevò non appena Scudodiquercia, aiutato dai suoi compagni, riuscì a tornare su.
"Ma come hai fatto a farti cadere il nostro scassinatore?" Dwalin guardò torvo Dori, il quale protestò: "Non è colpa mia! Si era perso..."
"Lui s'è perso da quando ha messo piede fuori da casa sua!" sbottò all'improvviso Thorin. "Non c'è posto per lui tra noi."
Bilbo si sentì punto da mille spilli affilati, mentre le gocce di pioggia cadevano fitte sul suo capo.

La gioia che Bilbo aveva provato nel rivedere i nani sparì bruscamente non appena sentì Thorin scattare: "Ve lo dico io cos'è successo. Mastro Baggins ha visto la sua occasione e l'ha colta! Pensava sempre al suo soffice letto e al suo caldo focolare da quando ha messo piede fuori dalla porta! Non rivedremo mai più il nostro hobbit... è ormai lontano."
Per l'ennesima volta lo hobbit si sentì ferito dalle parole del capo: perché, perché dubitava di lui? Si era affezionato a tutti loro durante il viaggio, compreso all'orgoglioso condottiero, eppure lui lo insultava, lo riteneva superficiale e mediocre, credeva che a lui non gliene importasse niente del loro destino. No, non era così, Bilbo era una persona altruista e di certo non abbandonava gli amici. Lui valeva, poteva fare grandi cose e presto lo avrebbe dimostrato.
Non ci pensò due volte: si levò l'anello e comparve dall'albero dicendo: "No, invece."
Tutti si voltarono a guardarlo.
Thorin si sentiva un po' a disagio: aveva appena detto che non avrebbero più rivisto lo hobbit e puff! Lui spuntava dal nulla! Odiava avere torto.
Gandalf, Fili e Kili furono quelli che dimostrarono più gioia nel rivederlo.
"Bilbo! Ti davamo per scomparso!" esclamò sorridente Kili.
"Ma come hai fatto a sfuggire ai goblin?" gli domandò confuso e curioso Fili.
Il signor Baggins ridacchiò e, contemporaneamente, frugò nella sua tasca dove teneva la sua buona stella. Che fare? Glielo diceva o non glielo diceva?
"Be', che importanza ha? Lui è qui." Gandalf interruppe il suo dilemma mentale.
"Ha importanza invece" intervenne Thorin, poi guardò lo hobbit dritto negli occhi e, con vivo interesse, gli chiese con un filo di voce: "Perché sei tornato?"
Il signor Baggins ricambiò lo sguardo e sentì di nuovo il famoso impulso di abbassare la testa, ma doveva smetterla di farsi sottomettere così da quel nano, ci voleva polso, lui doveva capire quanto valesse e quanto ci tenesse a lui. Era ora di farsi valere e di sputare fuori tutto quello che aveva dentro.

Insomma, mi sono salvato da un essere inquietante che voleva mangiarmi e da un goblin. Riuscirò a tenere testa a un nano cocciuto.
"Lo so che dubiti di me, l'hai sempre fatto. E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins; mi mancano i miei libri, la mia poltrona, il mio giardino. Vedi... quello è il mio posto, è casa mia. Per questo sono tornato: voi non ce l'avete, una casa, vi è stata portata via... e voglio aiutarvi a riprendervela se posso." Bilbo concluse il suo resoconto sorridendo a Thorin; il suo era un sorriso sincero, un sorriso che voleva dire: "Sono al tuo servizio, potrai sempre contare su di me."
Il principe chinò il capo, il che fece piacere a Bilbo, poi gli rivolse ancora un altro sguardo.

L'orrore che provò Bilbo nel vedere il mannaro afferrare Thorin con le sue zanne fu indescrivibile. Il principe gridò dal dolore e questo fu ancora più straziante, ancora di più del sentire Balin urlare
no per lui.
Il bestione gettò violentemente il nano a terra, come se non fosse stato altro che un pezzo di carne.
Orcrist era caduta lontana dalla sua portata.
Azog disse qualcosa nell'orecchio di un altro orco, una cosa che lo hobbit non riuscì a sentire, ma poté intuire cosa gli avesse detto non appena vide quella disgustosa creatura avanzare con passi pesanti verso il futuro re di Erebor.
Bilbo, preoccupatissimo, si alzò in piedi. Sembrava una molla pronta a scattare.
Thorin, non appena si accorse dell'orco dinanzi a lui che teneva un'ascia, tentò di prendere la spada, ma era veramente troppo lontana.
Il signor Baggins sfoderò rapidamente la sua arma. Forse aveva preso una decisione troppo affrettata, non era da lui, non era da un Baggins! Senza alcun dubbio quelli lo avrebbero fatto a pezzi, ma nessuno stava muovendo un dito per il capo e lui non poteva lasciarlo lì a terra inerme. E poi sentiva che, se l'avesse perduto, avrebbe sofferto molto, l'ultima cosa che voleva era che morisse.
Il nano aveva rischiato la vita per lui ed egli non aveva fatto niente per salvarlo, bene, lo avrebbe fatto adesso. Era il momento di pagare i debiti.
L'orco alzò in aria l'ascia, pronto a tagliare la testa al principe, ma ecco che Bilbo, con un grido di battaglia, si lanciò contro di lui spingendolo di lato a terra.
Scudodiquercia voltò debolmente la testa e rimase a bocca aperta nel vedere lo scassinatore in groppa all'orco, che lo infilzava. Evidentemente si era sbagliato sul suo conto, lo aveva pensato poco prima che li attaccassero i mannari, dopo il discorso che aveva tenuto. Ora ne aveva la conferma: si era comportato male con il signor Baggins e ora sarebbe morto senza potergli chiedere scusa. Chiuse definitivamente gli occhi con questo tormento che accompagnava i suoi ultimi battiti del cuore.
Bilbo Baggins si trovava davanti al corpo del suo capo, Pungolo in mano e lo sguardo agguerrito. Mai prima d'ora il suo lato Tuc aveva preso così il sopravvento in lui.
Azog ordinò ai suoi di ucciderlo, però anche questo non avvenne, poiché gli altri nani si lanciarono sugli orchi.
Anche Bilbo diede il suo contributo e lottò contro uno di loro. Naturalmente lo hobbit non era un bravo combattente, certo era coraggioso, ma non forte. Infatti si ritrovò molto presto a terra, mentre l'Orco Pallido si avvicinava ghignando a lui.
Lo scassinatore lo guardò con un'aria da coniglietto smarrito e non ebbe neanche il tempo di provare paura che un'aquila gigante lo afferrò con i suoi artigli e lo lasciò cadere giù dal burrone.
Bilbo credeva di non aver mai urlato così tanto, ma non durò molto l'ansia, visto che un secondo dopo un'altra aquila spuntò e lo fece atterrare sul suo dorso.
Erano salvi, in qualche modo.

"Thorin, svegliati!" esclamò accigliato Gandalf, ma il nano non aprì un occhio.
Bilbo si avvicinò a lui, respirando affannosamente, un po' per l'ansia e un po' per il combattimento di prima.
Lo stregone, vedendo che il capo dei nani non dava segni di vita, provò a farlo rinvenire con un incantesimo. Chiuse gli occhi, gli passò delicatamente la mano destra sul volto e mormorò una breve litania.
I muscoli facciali di Gandalf si rilassarono in un lieve sorriso non appena notò che Thorin Scudodiquercia aveva aperto gli occhi.
"Il mezzuomo?" Fu la prima cosa che sibilò il principe.
Gandalf il Grigio gli sorrise rassicurante e rispose: "Lui è qui. Bilbo sta bene."
Fili, Kili e Dwalin aiutarono il loro leader ad alzarsi, ma egli rifiutò seccamente il loro aiuto, un po' per orgoglio e un po' per il nervoso. Era furioso.
Bilbo, nel vedere che il suo amico stava bene, rilassò le spalle e si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Il suo cuore riprese a battere.
Thorin, anziché ringraziarlo, gli lanciò un'occhiata sprezzante e lo apostrofò: "Tu! Cosa credevi di fare? Ti sei quasi fatto uccidere!"
Il sorriso scomparve veloce dal viso dello hobbit per cedere il posto ad un'espressione perplessa. Ma come? Gli aveva appena salvato la vita e lui lo insultava ancora?! Che altro doveva fare?
"Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c'è posto per te fra noi?" gli ringhiò in faccia il nano, dimostrandogli tutto il suo disprezzo, gli occhi ridotti a due fessure.
Il signor Baggins puntò lo sguardo a terra e sentì le lacrime pungergli gli occhi. No, non era cambiato niente; nulla sarebbe servito a farsi guadagnare l'amicizia e il rispetto da parte del Principe dei Nani, neanche l'azione più generosa e audace del mondo. Bilbo ci teneva ai suoi amici, ma evidentemente loro non avevano bisogno di lui, avrebbe tolto il disturbo.
Scudodiquercia scosse la testa, le labbra socchiuse. "Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia!" Inaspettatamente strinse lo hobbit a sé, commosso, buttando all'aria l'orgoglio. Stava sorridendo, felice e riconoscente.
I nani esultarono ad una sola voce e Gandalf sorrise, ripetendosi per l'ennesima volta che aveva fatto la scelta giusta. Era felice che finalmente anche Thorin se ne fosse accorto.
Bilbo era sempre più confuso: stava sognando o cosa? Prima il capo lo stava insultando violentemente e ora lo abbracciava come se fosse stato il suo orsacchiotto di pezza? Non poteva trattarsi di un sogno, era la realtà, lo scassinatore sentiva con chiarezza le braccia forti del principe strette intorno a lui, sentiva il suo calore rassicurante sul petto. Non c'era spazio per i dubbi: stava succedendo, questo era l'importante.
Bilbo sorrise e ricambiò l'abbraccio.
Non appena Thorin sciolse l'abbraccio, lo guardò seriamente mortificato e si scusò: "Scusa se ho dubitato di te."
"No no, anch'io avrei dubitato di me. Non sono un eroe, né un guerriero..." Guardò Gandalf e aggiunse: "E nemmeno uno scassinatore."
Lo stregone ridacchiò assieme agli altri, persino il leader si lasciò andare e guardò sorridente il suo nuovo amico.
Lo hobbit, senza neanche accorgersene, sorrise anche lui.
Questa era la nascita di una nuova amicizia.


Bilbo aprì gli occhi di colpo e non riuscì a capire dove si trovava: la luce filtrava flebile da una misera finestra affacciata su un paesaggio freddo, di montagna.
L'unica cosa della quale era certo è che si trovava in una stanza piccola, su un morbido letto accanto al quale c'era un tavolo di legno con sopra degli attrezzi strani.
Lo hobbit non aveva la più pallida idea di cosa ci facesse lì, né sapeva come ci era finito. Quella non era casa sua, ma... aspetta... com'era casa sua? Scavò a fondo nella sua mente e cercò di ricordare.
Si massaggiò la fronte e tutto quello che riuscì a sentire fu un forte mal di testa.
Qualcosa ricordava, ricordava di aver appena concluso un sogno piuttosto movimentato. Rammentava di aver abbracciato qualcuno, nel suo sogno, ma non sapeva chi. Anzi, poco dopo si dimenticò pure che ci fosse stato un abbraccio e non ricordò più nulla di cosa avesse sognato di notte, e questo non fu d'aiuto.
Bilbo si mise seduto e, la prima forma di vita che vide, fu un nano obiettivamente bello seduto sul suo letto. Lo stava guardando con dei grandi occhi azzurri, nel suo sguardo c'era eccitazione e gioia, e lo hobbit non capì il perché.
Quel misterioso individuo si fece più vicino a lui e lo prese per le spalle. "Bilbo! Bilbo! Stai bene! Per Durin! Non ci avrei mai giurato! Tu non hai idea di quanto sia felice! Mi sei mancato, amico mio." Lo strinse forte a lui, come la prima volta e provò un tumulto di emozioni indescrivibile. Finalmente aveva ricominciato a sorridere, si sentiva felice esattamente come quando Bilbo lo aveva salvato dagli orchi, solo che allora non aveva ancora recuperato il suo regno. Ora aveva una casa e anche un migliore amico, cosa poteva chiedere di più?
"Scusami, ma tu chi sei?"

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Capitolo 8
*** Per sempre nel mio cuore ***



Per sempre nel mio cuore
Thorin si ricordava perfettamente come si era sentito quando Azog, dinanzi a lui, aveva decapitato suo nonno, lanciando la testa ai suoi piedi come se non fosse stata altro che una palla da gioco. Ecco, in questo momento il Re sotto la Montagna si sentiva allo stesso modo, mentre Bilbo lo guardava inespressivo.
Non si ricorda di me! pensò allarmato Thorin, scuotendo la testa e guardando disperato il suo migliore amico. Non gli dico niente!
Lo hobbit continuava a guardarlo confuso, la sua testa stava scoppiando: che voleva quel tipo da lui? Non ci stava capendo niente! Per Bilbo tutto era iniziato su quel letto, dopo quel lungo sogno che non riusciva più a ricordare.
Il nano non riusciva a sopportare questa situazione, così scappò fuori dalla camera e si mise davanti alla porta. Inspirò ed espirò profondamente, cercando di mantenere la mente lucida.
Va bene, Bilbo non si ricorda di me. Ha perso la memoria. Non mi basterà altro che andare da Bes e… Thorin venne aggredito da un attacco di rabbia, prese a calci una pietra e lacrime calde gli caddero lungo il viso. Adesso non ce la faceva più veramente. Tutto andava male nella sua vita e Bes non sarebbe sicuramente riuscito a far tornare la memoria a Bilbo. Il Re sotto la Montagna pensava che era già tanto se era riuscito a riprendersi Erebor, probabilmente c’era un prezzo da pagare per questo: lo scassinatore, il suo scassinatore.
I deliri mentali di Thorin Scudodiquercia finirono non appena egli sentì singhiozzare dietro alla porta.
Bilbo stava piangendo.
Il nano sentì il suo cuore spezzarsi e, udendo quei lamenti, ebbe ancora più voglia di lasciarsi andare ad un pianto disperato.
Va bene, vita, ho capito che ce l’hai con me… ma lui non ti ha fatto niente! Ti prego, risparmialo!
Thorin si precipitò in camera e si fermò sull’uscio: lo hobbit era piegato in due sul letto, in preda ai singulti. Il suo faccino era tutto rosso dal pianto e si vedeva che non ce la faceva più, perdere la memoria è una cosa seria. Doveva essere molto ma molto difficile per lui.
Il Re sotto la Montagna corse ad abbracciare Bilbo. Egli si abbandonò fra le sue braccia e pianse con la faccia schiacciata su quel petto solido e muscoloso.
Thorin accarezzava lentamente la schiena del suo piccolo amico, mormorandogli all’orecchio: “Shh, passerà tutto Bilbo, passerà tutto, vedrai…”
Gli sto mentendo ancora una volta, si disse il nano, non riesco ad immaginare che questo tormento finirà.
“P… perché mi chiami con quel nome?” mugolò il signor Baggins, senza smettere di piangere e stando attaccato a lui. “Forse è il mio nome. Ma io non lo so, vedi, NON MI RICORDO NIENTE! MI RICORDO SOLO DI ESSERMI SVEGLIATO SU QUESTO DANNATISSIMO LETTO! NON SO CHI SONO, NON SO CHI…” Venne assalito da un attacco di panico e cominciò a gridare e a piangere più forte, ripetendo in continuazione: Non so chi sono.
Thorin lo strinse più forte e cercò di tranquillizzarlo, ma lo hobbit continuava ad agitarsi fra le sue braccia, gridando come un indemoniato. Non l’aveva mai visto così, neanche quando lui stava per morire ferito da Azog, Bilbo aveva sempre mantenuto il controllo.
Una lacrima uscì dall’occhio azzurro del Re, il quale cercò di trattenersi. Doveva essere forte per lui. Prese il suo amico per le spalle e lo costrinse a guardarlo. “Ehi,” sibilò con voce roca e bassa, “guardarmi.”
Lo hobbit alzò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi erano arrossati come la faccia.
“Devi ascoltarmi, io posso dirti tutto, so tutto. Ma tu devi stare calmo e darmi ascolto, va bene?” gli disse dolcemente Thorin. Era agitato, ma non lo diede a vedere.
Bilbo annuì tremando. Non conosceva quel tipo e non sapeva se poteva fidarsi, ma non aveva altra scelta, doveva vederci chiaro in quella faccenda.
“Tu sei un mio caro amico che viene da molto, molto lontano. Abbiamo viaggiato insieme e, durante una battaglia, sei stato ferito. Hai dormito per giorni e giorni ed ora che ti sei risvegliato hai perso la memoria, è l’effetto del veleno degli orchi.”
“Veleno?”
“Sì, veleno. Ma presto passerà tutto, ti porterò dal miglior medico della Montagna, lui troverà certamente un modo per farti tornare la memoria.”
Il signor Baggins non aveva smesso per un secondo di piangere, tuttavia ora era più calmo. Stava pensando. Negli occhi azzurri di quel nano leggeva onestà, probabilmente non gli stava mentendo e, non sapeva perché, ma gli ispirava fiducia. Decise di abbandonarsi a lui, sentiva che era la sua unica ancora di salvezza in quei giorni bui.
“Va bene” sussurrò lo hobbit, a testa bassa.
Thorin lo guardò con tristezza, dopodiché gli diede una leggera pacca sulla spalla.

Bes non era ancora arrivato e Thorin, Bilbo e gli altri nani lo stavano attendendo fuori dalla porta del suo studio.
Il signor Baggins si sentiva leggermente a disagio in mezzo a tutti quei nani che lo fissavano come se lo conoscessero da anni, non sapeva come comportarsi. Tutti loro sapevano chi era lui, e lui non aveva la minima idea di chi fossero loro e lo conoscevano meglio di quanto si conoscesse lui stesso.
Thorin capì come si stesse sentendo il suo amico e sperò che il dottore arrivasse presto.
“Ma veramente non ti ricordi nulla?” Kili interruppe il silenzio.
Suo zio lo guardò eloquente. “Kili, per favore…” Già prima era andato in escandescenze per questo fatto.
Il giovane nano non gli diede ascolto e, nonostante i tentativi di suo fratello e degli altri nani di tenerlo fermo, egli andò da Bilbo e lo prese per le spalle. “Veramente non ti ricordi di quando siamo venuti per la prima volta a Casa Baggins? Di quando ti abbiamo ridotto il bagno in quello stato? E della canzone che abbiamo cantato mentre ti mettevamo a posto la cucina? E tutti gli ostacoli che abbiamo attraversato per arrivare fin qui? Com’è possibile che di tutto ciò non sia rimasto niente?!” gridò furioso, piangendo dalla rabbia. Aveva ereditato quel lato del carattere da suo zio Thorin, quel lato rabbioso e impulsivo. Neanche lui riusciva ad accettare tutto questo e gli dava fastidio il fatto che tutto dovesse sempre e costantemente andare alla cavolo di cane.
Bilbo stava guardando Kili smarrito, mentre lui continuava a scuoterlo per le spalle.
Il Re sotto la Montagna portò via suo nipote dallo hobbit. “Smettila, Kili! Ti ho già detto che non si ricorda niente, vediamo ora cosa dice il dottore. Lascialo in pace, nel frattempo” lo sgridò seccamente.
Il giovane nano trattenne le lacrime ed evitò lo sguardo severo di suo zio.
“Che succede qui?” La voce di Bes fece voltare tutte le teste dei nani dall’altra parte.
Il dottore di Erebor era appena giunto assieme a Gandalf. Quest’ultimo non riuscì a trattenere il suo entusiasmo non appena vide Bilbo.
“Bilbo!” esclamò sgranando gli occhi. Il suo sorriso andava da un'orecchia all'altra. Si avvicinò a lui. “Amico mio! Non sono mai stato così contento di vedere qualcuno in vita mia!”
Thorin fece un passo avanti e lo fermò con un gesto della mano. “Aspetta Gandalf, è presto per gioire.”

Dopo aver avuto un colloquio accurato con Bes, Bilbo fu rilasciato e il dottore volle parlare in privato con Thorin e Gandalf nel suo studio.
Il nano aveva le mani nei capelli, mentre il Re e lo stregone lo guardavano ansiosi.
“Be’? Allora?” scattò Thorin.
Il medico si riprese e finalmente parlò: “Il signor Baggins mi ha detto che voi gli avete raccontato qualcosa del suo passato.”
“Sì, e ho intenzione di dirgli altr…”
“Male” lo interruppe categorico Bes. “Non bisogna mai parlare a qualcuno che ha perso la memoria del suo passato.”
“E perché no?” gli chiese Scudodiquercia, leggermente seccato.
“Perché così gli confondereste ancora di più le idee.”
“Cosa consigliate di fare, allora?” gli domandò invece Gandalf.
“Consiglio di passare un po’ di tempo con lui, fargli vedere posti che ha già attraversato, fargli fare esperienze che ha già vissuto in modo tale che la memoria, piano piano, ritorni. Nel frattempo seguirà delle terapie.”
“Francamente, Bes, c’è una vaga, vaghissima possibilità che Bilbo recuperi la memoria?” Thorin Scudodiquercia lo guardò con le braccia conserte, più serio del solito. “E siate sincero.”
Il dottore ci mise un po’ per rispondere, dal suo sguardo già si capiva che la guarigione sarebbe stata ardua e il Re sotto la Montagna non riuscì a trattenere un sorrisino amaro. “Sì, ma molto vaga” ammise a testa bassa. “L’unica cosa da fare è seguire le istruzioni che vi ho dato e sperare per il meglio.”
Thorin e Gandalf si guardarono allarmati, ma non intenzionati ad arrendersi, proprio ora che avevano recuperato il loro scassinatore non se lo sarebbero lasciato scappare di nuovo.

Bilbo stava percorrendo da solo le ampie sale di Erebor. Accarezzò le colonne e le guardò rapito. I nani, esseri così piccoli e apparentemente insignificanti, erano capaci di costruire tali immensità. Tanto di cappello.
L’entusiasmo dello hobbit per quel posto si spense non appena si rese conto che non aveva idea di dove si trovasse, non ricordava niente di quelle sale mentre, forse, le aveva percorse per anni e anni.
“Bella Erebor, no?” Una voce profonda proveniente dal fondo della sala fece sussultare il signor Baggins sul posto. Si voltò tremando e deglutì non appena vide il grande Thorin Scudodiquercia con la schiena rilassata contro una colonna. Lo stava guardando con le braccia incrociate e un mezzo sorriso.
Quel nano, non sapeva perché, lo faceva sempre sentire in soggezione, eppure, al contempo, gli dava un misterioso senso di protezione. L’unica cosa della quale era certo è che, ogni volta che c’era lui, si sentiva improvvisamente felice e sollevato.
Il piccolo hobbit gli sorrise sinceramente e rispose balbettando: “Sì, ehm, molto. Erebor, è così che si chiama?”
“Sì,” disse Thorin avanzando verso di lui, “è casa mia.”
“Oh.” Bilbo non riuscì a dire altro non appena si ritrovò il Re a un soffio dal suo viso.
“Bes, il dottore, ha detto che sarebbe opportuno che tu segua delle terapie, potrebbero aiutarti a recuperare la memoria.”
“Ha detto altro?”
“Sì. Ha detto anche che dovresti percorrere luoghi che hai già percorso, fare esperienze che hai già fatto e frequentare persone che hai già frequentato.”
“Intanto tu potresti darmi informazioni sul mio passato?” gli chiese supplichevole lo hobbit. Chinò il capo. “Non mi ricordo niente di niente, magari se mi dicessi qualcosa i ricordi potrebbero riaffiorare.”
Thorin scosse la testa. “No,” rispose, “il dottore è stato categorico: questo potrebbe confonderti ancora di più le idee.”
“Il fatto è che ho percorso queste sale, ma non mi dicono niente. Purtroppo non riesco a ricordare" mugolò sconfitto Bilbo.
“È logico che non te le ricordi, hai passato poco tempo qui.”
All’improvviso un’idea andò a crearsi nella mente del Re sotto la Montagna, ma era troppo presto per metterla in atto, doveva pensarci ancora un po’ su.
Nel frattempo c’è qualcos’altro che potrei fare, pensò e, contemporaneamente, tirò fuori una ghianda dalla tasca della casacca. La strinse in un pugno, nascondendola a Bilbo che lo guardò smarrito, chiedendosi cos’avesse preso.
Thorin gli sorrise. “Ciò che sto per mostrarti è una cosa che una persona mi diede poco tempo fa, in un momento un po’ critico.” Aprì la mano e, nel palmo, rivelò la ghianda.
Lo hobbit la guardò e sorrise come sorride un bambino quando gli viene offerta una torta al cioccolato con le fragole sopra.
“Una ghianda” squittì.
Thorin gli sorrise commosso e addolcito: quel sorriso dolce come il miele gli era mancato tanto e pensava che non l’avrebbe mai più rivisto sul volto del signor Baggins. “Eh sì,” annuì, “ti dice niente?”
Piano piano, il sorriso sul volto dello hobbit, si spense. “No…” mugolò disperato.
Anche Thorin smise di sorridere e abbassò le spalle, abbattuto. Sospirò. Successivamente mise la ghianda in mano al suo amico. “Puoi tenerla. Guardala ogni giorno, così magari col tempo ti ricorderai di me.”
Il suo piccolo ma grande amico osservò la ghianda posata sul palmo della sua mano. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare, però era l’unica cosa che aveva che apparteneva alla sua vita. La strinse sul cuore e decise che ne avrebbe fatto tesoro. Chiuse gli occhi.
“Adesso andiamo da Oin che ti preparerà un bel tè verde, il dottore ha detto che è efficacie contro la perdita di memoria.” Thorin gli cinse le spalle e lo costrinse ad avanzare.
Bilbo non si ricordava del giorno in cui gli aveva dato la ghianda, ma il nano lo rammentava perfettamente.

Se ne stava seduto solo in uno dei tanti spazi desolati di Erebor. Aveva numerosi pensieri per la testa: ritornare a casa, il trasporto della sua quattordicesima parte ma, soprattutto, l’Arkengemma. Il Cuore della Montagna si trovava proprio nella sua tasca e sarebbero stati guai se Thorin l’avesse trovata. A Bilbo non importava il fatto che il nano l’avrebbe ucciso, l’unica cosa che lo preoccupava era che il suo amico sarebbe caduto nella dannazione più totale e forse mai più sarebbe tornato l’eroe che era un tempo. Le parole di Balin lo avevano allarmato moltissimo.
Lo hobbit mise la mano in tasca e tirò fuori qualcosa.
“Che cos’hai in mano?” Una voce rabbiosa e profonda gli bloccò il cuore in gola. Si voltò: Thorin stava avanzando freneticamente verso di lui.
Il signor Baggins si alzò e si affrettò a dire: “Non ho niente.”
Scudodiquercia lo guardò diffidente e gli ordinò ostinato: “Mostrami.”
Lo sguardo truce del nano divenne perplesso non appena vide la ghianda sul palmo della mano dello scassinatore.
“L’ho presa nel giardino di Beorn” gli spiegò il suo amico.
Thorin gli sorrise commosso. “E l’hai portata fino a qui…” mormorò.
“La pianterò nel mio giardino, a casa Baggins.”
“Un misero premio, da portare nella Contea” commentò Thorin. Intendeva dire che il signor Baggins si meritava qualcosa di cento volte più prezioso di una misera ghianda, per i servigi che aveva fatto a lui e al resto della Compagnia.
“La pianterò nel mio giardino e ogni volta che la vedrò crescere ricorderò. Ricorderò il bello, il brutto, il bene, il male, chi è sopravvissuto e chi no… E mi ricorderò anche di te” disse Bilbo, sorridendogli.
Thorin ricambiò il sorriso.
Rimasero così, a sorridersi l’un l’altro, tenendo a bada le tenebre con la loro amicizia.
“Puoi tenerla, se vuoi.” Improvvisamente lo hobbit gliela mise in mano.
“No Bilbo, è tua, ti serve per ricordare, veramente…”
“Bubbole” lo interruppe lo hobbit. “Non mi serve di certo una ghianda per ricordarmi di te. Sarai per sempre nel mio cuore.”

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Capitolo 9
*** L'unica cosa da fare è partire ***



L'unica cosa da fare è partire

Thorin fece bere a Bilbo il tè verde. Lo stava guardando intenerito mentre gli teneva la tazza e si assicurava che stesse bevendo tutto: si sentiva come un padre che dà da mangiare al proprio piccolo.
“Su, da bravo, manda giù tutto” gli disse dolcemente il Re.
Una volta finito il tè, lo hobbit si asciugò la bocca con la manica della camicia e guardò il nano con i suoi dolci occhi chiari, soddisfatto.
Thorin si sentì sciogliere. Non aveva smesso neanche per un secondo di sorridere a Bilbo. Anche se il signor Baggins non se lo ricordava, lui era pur sempre quel piccoletto che gli aveva donato la ghianda, quel piccoletto con quell’aria così innocente da riuscire a intenerire persino un troll di montagna affamato. Certo, se il suddetto troll di montagna affamato non era né Berto, né Maso e né Guglielmo.
“Benissimo, un altro tè questa sera e speriamo per il meglio.” Oin fece tornare Thorin alla realtà.
Il nobile nano era sussultato non appena il suo compagno di avventure gli aveva parlato, ma aveva ritrovato subito la sua compostezza. “Perfetto” disse dritto e serio, poi fece per uscire ma, prima che potesse farlo, Oin lo abbracciò.
Il Re sotto la Montagna si strinse a lui e trattenne le lacrime.
“Coraggio…”
I due amici smisero di abbracciarsi non appena udirono un debole lamento alle loro spalle.
Si voltarono.
Bilbo si stava massaggiando la fronte e sembrava che fosse sul punto si svenire da un momento all’altro.
Thorin andò velocemente vicino a lui. “Bilbo, stai bene?” gli chiese accarezzandogli la schiena.
Che domanda del cavolo! Si disse Thorin, è ovvio che non sta bene.
Infatti lo hobbit rispose: “Ho un po’ di mal di testa.”
Il Re sotto la Montagna lo aiutò ad alzarsi. “Ti accompagno a letto, dormendo un po’ il mal di testa ti passerà.”
Il signor Baggins si resse sulle spalle larghe del nano e fece un passo avanti. Subito si fermò e strinse gli occhi, aspettando che il rimbombo passasse.
Scudodiquercia si accorse che il suo amico era debole e che camminare gli avrebbe richiesto uno sforzo pazzesco. Così, senza neanche chiedergli il permesso, lo prese in braccio.
Bilbo rimase sorpreso da quel gesto. Stare in braccio a quell’individuo lo faceva sentire in imbarazzo e non voleva apparire un peso, una persona debole e lagnosa. Volle protestare, dire a quel tale che non era necessario e che ce l’avrebbe fatta a camminare, ma sentiva che a quel nano bisognava obbedire, dentro di sé una vocina gli suggeriva di non mettere mai in discussione le sue decisioni.
Così lo hobbit si arrese e lasciò che il Re lo portasse in braccio.
Certo, Bilbo si sentiva in imbarazzo, ma anche protetto. Probabilmente dev’essere un amico veramente grande per me, pensò Bilbo. La tristezza lo assalì, chiuse gli occhi e affondò la faccia nell’incavo del collo di Thorin. Peccato che non me lo ricordi.
 
Quando Thorin Scudodiquercia entrò nella stanza di Bilbo, egli era già mezzo addormentato.
Il nano chiuse la porta dietro di sé con il piede, dopodiché distese il suo amico sul letto.
Lo hobbit ringraziò il cielo che fossero arrivati, tutto quell’oscillare gli stava facendo venire la nausea. Chiuse gli occhi e si godette la morbidezza del letto, mentre Thorin gli rimboccava le coperte.
Il signor Baggins si sentì rincuorato da quell’improvviso calore. Aprì gli occhi e vide il suo amico ancora lì in piedi, vicino al suo letto. Lo stava guardando.
“Grazie…” sussurrò Bilbo.
Il Re gli sorrise e rispose: “Per gli amici questo e altro.”
Lo hobbit afferrò la mano del nano e lo supplicò: “Non andare via!”
Bilbo non seppe perché ma sentì un moto di fastidio dentro di sé. Non poteva saperlo ma era il suo lato Baggins che lo rimproverava per il suo comportamento infantile ed inappropriato, visto che aveva a che fare con una persona importante.
Thorin era rimasto a guardarlo stupito: il Bilbo che conosceva non avrebbe mai fatto un gesto simile. Non gli aveva dato fastidio, per niente, l’aveva stupito, tutto qui.
Il Re sotto la Montagna sorrise dolcemente. “Non ho intenzione di andare via” rispose, poi si sedette sul letto del suo migliore amico e gli accarezzò i capelli ricci.
“Rimarresti con me finché non mi addormento?” gli chiese timidamente Bilbo. Era vergognato da quella sua sfacciataggine, probabilmente era l’effetto del mal di testa e sapeva per certo che poi se ne sarebbe pentito. Però aveva bisogno della vicinanza di quel nano, lo faceva sentire protetto, sapeva di casa.
Ma casa dov’è?
“Certamente” rispose Thorin.
“Avresti da fare?” Lo hobbit lo guardò mortificato. Non voleva essere troppo invadente.
Scudodiquercia rise.
Ha una risata così calda…
“Be’, in teoria avrei un regno da portare avanti… e anche in pratica. Ma un po’ di tempo per te lo troverò sempre.”
Il piccoletto gli sorrise riconoscente.
“Anche tutto il tempo del mondo” aggiunse il nano, lo disse più a se stesso che a Bilbo.
“Thorin?”
“Dimmi.”
“Mi racconteresti una storia?”
Il Re sotto la Montagna era sempre più basito. Quella richiesta l’aveva spiazzato, non se l’aspettava. Il suo scassinatore riusciva ancora a stupirlo, sempre così imprevedibile.
Thorin decise di accontentare il suo amico, non poteva dirgli di no quando lo guardava con quegli occhi dolci.
Il nobile nano di storie ne conosceva, quand’era piccolo suo nonno gliele aveva raccontate tante, tutte sulla stirpe di Durin. Tutte di guerra, molto simili alle esperienze che aveva vissuto lui, ma quelle non erano storie, erano cose accadute veramente, erano ferite ancora aperte nel cuore di Thorin, al solo pensiero si sentiva male.
Spremendosi le meningi Scudodiquercia si rese conto che conosceva un’altra storia, una storia più dolce e che risvegliava in lui bei ricordi. Sorrise e cominciò a raccontare: “In un buco nel terreno viveva uno hobbit…”
Bilbo Baggins chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle parole del nano, sentendosi trasportare in terre lontane, verdi, dove la terra era ben coltivata, la gente gioviale e il sole sempre splendente. Percorse con il protagonista della storia di Thorin paesaggi incontaminati, ammirò le bellezze di un luogo paradisiaco ove le cascate si stendevano delicatamente sulle rocce, ove il suono di flauti e arpe accompagnavano ogni passo.
Il mal di testa si fece sempre più lieve e il signor Baggins sorrise, sentendosi rilassato, mentre la voce del suo amico si faceva sempre più lontana.
Thorin pensò che in quel momento lui era un po’ come un padre e Bilbo era un po’ come suo figlio. Improvvisamente si rattristì. Avrebbe potuto avere figli, se solo lei non fosse… non fosse…
Non appena ebbe la certezza che lo hobbit si era addormentato, il Re sotto la Montagna si alzò sospirando. Si sentiva un groppo allo stomaco, così decise di uscire dalla stanza per calmarsi un po’. Si appoggiò alla porta e alzò lo sguardo al soffitto, sospirò. Dopodiché chinò il capo e venne travolto dai ricordi.
 
Risate allegre riecheggiavano tra le mura di Erebor, completamente in contrasto con quell’ambiente vuoto e freddo.
Una mezza nana correva giù per le scale con un mantello di pelliccia nera sulle spalle, senza smettere di ridere. Era giovane, sembrava una ragazzina, specialmente per quanto riguarda l’aspetto minuto, però aveva delle belle forme, da donna. I suoi occhi erano grandi e azzurri, la faccia era punteggiata da efelidi e aveva i lunghi capelli lisci legati in due trecce castano ramato. Indossava un lungo abito verde, semplice, da principessa.
Non appena le scale finirono, la giovane si guardò intorno. Rise per la sorpresa non appena si sentì afferrare da dietro e alzare in aria. “Non vale, però!” protestò voltandosi verso colui che l’aveva abbracciata. “Io ho il vestito!”
Thorin fece un mezzo sorriso e le sussurrò sensualmente all’orecchio: “A questo possiamo porre rimedio.”
La mezza nana sgranò gli occhi, sorpresa da quell’oscenità uscita dalla bocca del suo futuro sposo. Poi rise e gli diede un colpetto. “Porco!” lo prese in giro.
Anche il nano rise, poi le fece un inchino. “Ora potrei riavere il mio mantello, milady?” le chiese con scherno.
La ragazza gli gettò il mantello addosso, sempre in modo giocoso. “E va bene, hai vinto!” borbottò.
Thorin continuò a ridere.
Inaspettatamente la mezza nana si gettò fra le sue braccia.
Il principe la strinse forte a sé, pensando a quanto fosse fortunato ad averla.
Lei chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal suo respiro.
“Ti amo Gwarka.” Le baciò la testa.
“Anche io!”
Rimasero per un po’ così, abbracciati, mentre il silenzio regnava intorno a loro.
Solo allora Thorin si rese conto di che ora fosse. “ È ora di andare a dormire, principessa.” La prese in braccio.
“Ma come? Di già?” Lo guardò con quegli occhioni chiari, da cucciolo.
“Sì, di già. E non farmi gli occhi dolci, sai che con me non funzionano, mia cara” scherzò il principe dei nani.
“Vabbè, io ci ho provato” disse Gwarka, divertita.
Thorin fu contagiato dalla sua risata briosa. Dopodiché tornò serio e le disse a bassa voce: “Ti porto a dormire, domani ci aspetta un lungo giorno…”
 
Thorin Scudodiquercia scosse la testa per mandare via quelle immagini. Si era giurato di dimenticare Gwarka, lo faceva stare troppo male, ma qualche volta faceva ancora visita nella sua mente.
Il drago, oltre alla Montagna e a un tesoro, aveva deciso anche di prendersi la sua amata.
Il Re sotto la Montagna prese la saggia decisione di andare a lavorare in fucina, così avrebbe tenuto la mente occupata per un po’.
 
Una volta finito di lavorare una spada, Thorin si avviò verso la Sala del Trono e si nascose non appena vide delle nane passare per il suo stesso corridoio. Le conosceva, lo tenevano sempre a parlare tre ore non appena lo incontravano.
Erano cinque in tutto, delle oche starnazzanti, non c’era modo migliore per descriverle. Indossavano sempre sontuosi abiti ricchi di gioielli e i loro capelli erano acconciati con improbabili acconciature.
Erano innamorate di lui…
“Vostra Maestà, vi state nascondendo, per caso?”
Thorin strinse gli occhi e inghiottì un’imprecazione, poi si voltò verso la nana. Si sforzò di sorridere e di apparire educato. “No, milady.” Le baciò la mano.
Ella ridacchiò lusingata, diventando rossa con le sue amiche.
Un’altra nana si aggrappò a lui e lo guardò con occhi sognanti. “Dove andate così di fretta, sire?”
Al Re quei modi così confidenziali non piacevano, chi erano loro per permettersi di stargli così vicino? E poi lui aveva già avuto una fidanzata e non aveva intenzione di rimpiazzarla. Era una questione di rispetto.
“Non credo che vi riguardi” rispose secco il nano.
“Se non è importante potreste venire a farci visita nel nostro letto…” disse un’altra appendendosi letteralmente a lui.
Questo era troppo. Che insolenza! Il Re già era nervoso di suo per via di Bilbo, ci mancavano soltanto queste oche a mettere la ciliegina sulla torta!
“Chi vi dà il diritto di rivolgervi così sfacciatamente al vostro re?!” scattò levandosele di dosso.
Le nane indietreggiarono spaventate dal suo improvviso scatto d’ira.
“Non siete nessuno per permettervi così tanta confidenza con me, nessuno.” Sottolineò l’ultima parola, poi se ne andò.
Era importante quello che voleva fare, doveva pensare, pensare a una soluzione per il suo più caro amico.
Non appena giunse nella Sala del Trono, trovò Gandalf. Perfetto. Era proprio la persona con la quale voleva parlare.
“Gandalf” disse e avanzò verso di lui, come la prima volta in cui aveva messo piede a Casa Baggins, solo con più foga.
Lo stregone si voltò verso di lui e gli chiese: “Oh, Thorin. Come sta Bilb... ?”
“Devo parlarti” lo interruppe serio.
Gandalf lo guardò a bocca leggermente aperta. Come mai tutta questa fretta? Era successo qualcosa di grave?
“Riguarda Bilbo.”
Lo stregone chinò il capo. “Ti ascolto.”
“Bes ha detto che sarebbe opportuno che Bilbo percorresse posti che ha già percorso, dico bene?”
“Sì.”
“E che facesse esperienze che ha già vissuto, erro?”
“Non erri.”
“Ebbene è da stamattina che ci penso, ho un’idea che potrebbe aiutare Bilbo a ritrovare la memoria, ma volevo consultarti prima di metterla in atto. Voglio riportarlo nella Contea, a Casa Baggins. Rifaremo tutto il percorso che abbiamo fatto per venire ad Erebor, man mano che avanziamo potrebbe ricordare.”
Gandalf era rimasto ad ascoltarlo in silenzio e ancora adesso non aprì bocca. Era sorpreso, non si sarebbe mai aspettato che Thorin avrebbe acconsentito a lasciare che il suo scassinatore tornasse nella Contea così presto.
“Nella Contea, eh?”
“Esattamente” rispose Scudodiquercia. “Quello è il posto dove Bilbo è stato di più, il posto che ha sempre sognato di rivedere da quando è cominciata la nostra avventura. Solo lì potrebbe ricordare, a mio avviso” gli spiegò Thorin, ansioso di ricevere un parere da parte dello stregone.
Deve tenerci veramente a Bilbo, se è disposto a lasciarlo andare per il suo bene, pensò tra sé Gandalf. In effetti il nano aveva ragione: quale posto migliore della Contea per ricordare? L’uomo si riprese subito dai suoi pensieri e rispose: “L’idea non è male, ma è troppo rischioso, Thorin.”
Il Re sotto la Montagna corrugò la fronte. Qualsiasi cosa decidesse di fare lui non era mai d’accordo.
“Riattraversare Bosco Atro? Andarsene in giro per le Terre Selvagge quando ci sono ancora Bolg e i suoi che ti danno la caccia? No Thorin, rischieresti solo di farlo morire.”
“Non riattraverseremo Bosco Atro, non sono stupido!” sbottò Thorin Scudodiquercia, irritato dal fatto che Gandalf avesse pensato che avrebbe potuto compiere un’idiozia simile. “E per quanto riguarda le Terre Selvagge non preoccuparti. Mi sembra di essere un guerriero esperto abbastanza.”
“Sarai pure un guerriero esperto e quello che vuoi, ma durante il viaggio se non fossi intervenuto io certe volte tu e i tuoi compari sareste già morti!”
“ORA BASTA!” sbraitò il sovrano di Erebor.
Gandalf era sussultato e sembrava che persino le pareti fossero tremate all’ira del Re sotto la Montagna.
Io sono il sovrano di Erebor, io decido!” disse con foga, indicandosi con un pugno sul petto.
Mi chiede un parere e poi non mi ascolta, un classico.
“Hai detto bene. Sei il sovrano di Erebor, non di Bilbo” obiettò nervosamente lo stregone.
Thorin chinò il capo.
“E pertanto non puoi decidere sul suo destino. In questa situazione le decisioni le prendono le persone che gli vogliono bene, quelle che gli sono più vicine, ma le prendono insieme. Non puoi sempre metterti a fare il tiranno e imporre le tue idee. Questa è una faccenda delicata che va trattata con tatto, non possiamo metterci a fare le prime cose che ci passano per la testa.”
Il nano alzò lo sguardo verso di lui, respirando a fondo, cercando di calmarsi, i pugni stretti. “Ma tu pensi davvero che io prenderei decisioni a caso per quanto riguarda la salute di Bilbo?” I suoi occhi erano ridotti a due fessure. “Io ci tengo a lui e farei qualsiasi cosa per farlo stare bene. Ho pensato di farlo tornare nella Contea perché mi sembra che sia la cosa migliore, queste sale non gli dicono niente e credo che farlo restare qui sia una perdita di tempo, quelle terapie sono una perdita di tempo. Lo vedo sempre più confuso e non tollero più, Gandalf, non tollero più i suoi occhi spenti ogni volta che mi guarda. Tutti noi non tolleriamo più. Bisogna agire.
C’era sicurezza nelle parole del Re, molta sicurezza. E bisogna riconoscere che aveva ragione: le terapie sembravano per lo più superflue e ad Erebor c’era stato per troppo poco tempo.
Thorin si avvicinò di più allo stregone e lo guardò con occhi supplichevoli. “Ti prego Gandalf, abbi fiducia in me, mi conosci abbastanza per sapere che, quando voglio qualcosa, non mi arrendo. Ebbene io voglio che Bilbo ritrovi la memoria. Farò qualsiasi cosa per aiutarlo, e l’unica cosa che resta da fare è partire.”

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Capitolo 10
*** Imboscata ***


Imboscata

Bilbo non avrebbe saputo dire con certezza come si era sentito quando il grandissimo Thorin Scudodiquercia in persona gli aveva informato che avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio da solo con lui. Da un lato era felice di quella notizia, poiché quel nano gli piaceva, gli ispirava fiducia; da un altro lato, invece, si sentiva nervoso, visto che Thorin lo metteva sempre in soggezione.
Sta di fatto che il Re sotto la Montagna gli aveva detto che, la destinazione a cui erano diretti, gli avrebbe di certo fatto ricordare ogni cosa. In più lo stregone Gandalf aveva affermato che l’idea di Thorin era buona e, se lo diceva lui, c’era da fidarsi. Quel vecchio era molto carismatico: Bilbo pendeva sempre dalle sue labbra e prendeva come oro colato ogni parola che pronunciava. Anche lui, evidentemente, è un mio grande amico, pensò.
Dopo aver finito di preparare lo zaino, mise inconsapevolmente la mano in tasca e tastò qualcosa di freddo. Si fermò un attimo e, incuriosito, tirò fuori l’oggetto che aveva toccato. Era un anello, un anello d’oro. Questa era la prima volta da quando aveva memoria che lo hobbit vedeva quel gioiello misterioso. Si soffermò parecchio su di esso, rigirandoselo tra le dita.
Sono sposato per caso? Si domandò.
Si disse che avrebbe eventualmente chiesto spiegazioni a Thorin, ma si ricordò presto che egli non avrebbe potuto dirgli niente, stando ai consigli del dottor Bes.
Tanto valeva mettersi in viaggio e vedere questo misterioso posto che lo avrebbe aiutato a ricordare.
Così Bilbo rimise l’anello in tasca e uscì dalla sua camera.
 
Il signor Baggins chiuse piano la porta. Quando si voltò perse l’equilibrio e soffocò un grido. Sarebbe caduto per terra se non ci fosse stata la porta dietro di lui.
Thorin lo guardò con un mezzo sorriso, trattenendo a stento una risata.
Lo hobbit si asciugò una goccia di sudore dalla fronte e sospirò. “Oh, Thorin,” ansimò.
“Come mai questa reazione? Guarda che non ti mangio mica” lo prese bonariamente in giro il nano, guardandolo con affetto, come si guarda un vecchio amico.
Bilbo arrossì violentemente e si sentì improvvisamente caldo, come se avesse avuto la febbre. Ecco, ci mancava soltanto che facessi un’altra delle mie figuracce!
Lo hobbit era talmente imbarazzato per la figura che aveva fatto, che cominciò a balbettare frasi sconnesse tra di loro, non sapendo cosa dire di preciso.
Il nano si stava divertendo sempre di più. Non era cambiato per niente il suo piccolo hobbit, la sua memoria se n’era andata ma lui era sempre lì, il solito goffo e impacciatissimo Bilbo Baggins, lo Scassinatore.
“Non faticarti, stavo solo scherzando” ridacchiò Thorin, interrompendo i deliri del suo amico.
Bilbo sorrise anche lui, dopodiché rimase in silenzio.
“Hai preso tutto?” gli chiese alla fine il Re, serio.
“Cos…?” Lo hobbit si diede una per la testa quando ebbe realizzato cosa gli avesse chiesto Thorin e rispose agitato: “Sì sì sì! Sono pronto.”
“Molto bene.” Thorin tirò su il suo zaino e fece cenno a Bilbo di seguirlo.
 
La partenza era stata programmata per l’alba, infatti sia Thorin che Bilbo si erano svegliati prestissimo. C’era un motivo per questo fatto: volevano che la loro partenza fosse oscura agli altri membri della Compagnia; non era per cattiveria, no, è che in quattordici sarebbero stati fin troppo numerosi e avrebbero potuto attirare occhi indiscreti. Gandalf aveva suggerito questo a Thorin e il nano, per una volta, aveva fatto tesoro delle sue parole. Così aveva preso la decisione che sarebbero partiti molto presto, così gli altri della Compagnia non avrebbero saputo del loro viaggio e non avrebbero insistito per accompagnarli, perché Thorin sapeva per certo che i suoi amici non li avrebbero mai lasciati andare da soli, in particolare Kili.
 
Ora lo stregone, lo hobbit e il Re sotto la Montagna si trovavano fuori dalla Porta Principale.
“Mi raccomando: non entrate a Bosco Atro, costeggiatelo e poi aggiratelo lungo il margine settentrionale, nella distesa desolata che lo separa dalle Montagne Grigie” ripeté Gandalf a Thorin, per l’ennesima volta. Sembrava una madre che stava dando di continuo indicazioni al figlio che stava per andare in gita scolastica.
Il nano alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Gandalf,” disse, “me l’hai già detto un’infinità di volte. Non sono stupido.”
Lo stregone ridacchiò, sbuffando un po’ di fumo dalla pipa. “Quando parli così sembri proprio un giovane nel pieno della sua adolescenza” lo prese in giro.
Thorin si concesse un breve sorriso, mentre Bilbo ridacchiò divertito da quell'affermazione.
Lo sguardo di Gandalf cadde sullo hobbit e all’improvviso si fece serio.
Lo hobbit si irrigidì.
Non appena lo stregone fu davanti a Bilbo, lo abbracciò.
Il signor Baggins strinse Gandalf e constatò che quel gesto gli aveva fatto piacere: gli stava molto simpatico quell’anziano signore e, inoltre, gli destava delle sensazioni misteriose, probabilmente erano il frutto della grande amicizia che c’era tra i due.
Una volta sciolto l’abbraccio, lo stregone prese il suo amico per le spalle e lo guardò intensamente negli occhi. “Sii prudente, sono stato chiaro?” Si trattava più di un ordine che di una domanda.
Lo hobbit sorrise ed annuì.
Gandalf ricambiò il sorriso, successivamente si voltò verso Thorin Scudodiquercia e cominciò: “Mi raccomando, non…”
Il Re sotto la Montagna sorrise divertito. “Ripetimelo un’altra volta, stregone, e ti arriva un’ascia su per il posteriore.”
Bilbo e Gandalf scoppiarono a ridere.
 
Dopo che ebbero caricato gli zaini sui pony, iniziarono il loro viaggio. Certo, non senza interruzioni…
Infatti Bilbo ebbe difficoltà nel montare il suo pony: quando mise le mani sul dorso dell’animale, quest’ultimo si spostò e lo hobbit perse quasi l’equilibrio. Una seconda volta era montato così velocemente che era caduto dall’altra parte.
Thorin, ormai fiero e solenne in groppa al suo pony, aveva fatto fatica a non scoppiare a ridere in faccia al suo migliore amico. “Vuoi una mano?” si era offerto gentilmente.
Lo hobbit, stanco di fare brutte figure e determinato a mantenere quel briciolo di orgoglio che caratterizza ognuno di noi, aveva riposto: “No no, ce la faccio.”
E in effetti ce l’aveva fatta, solo che il pony non era andato nella direzione che voleva lui!
Dopo tanti tentativi e svariati starnuti dovuti all’allergia, Bilbo riuscì a domare il pony e il viaggio poté iniziare.
 
La strada che Gandalf aveva consigliato a Bilbo e a Thorin di seguire era molto lunga e anche molto desolata.
Il viaggio fu piuttosto silenzioso. Il nano cavalcava sicuro dinanzi allo hobbit mentre lui lo seguiva guardandosi intorno. Stava cercando un indizio che avrebbe potuto fargli ricordare qualcosa, ma niente, tabula rasa.
Qualche volta i due amici si fermavano per mangiare qualcosa. Thorin aveva provveduto affinché il signor Baggins avesse avuto più cibo possibile, sapendo quanto era profondo il suo stomaco.
Il re di Erebor, invece, non mangiava tanto. Si era portato dietro il minimo indispensabile per non morire di fame. La sua unica vera droga era la birra.
Bilbo aveva notato che il suo compagno di viaggio spesso beveva da una borraccia che aveva legata alla cintura.
“Cos’è quello che stai bevendo?” gli aveva chiesto un giorno lo hobbit, quando erano seduti per terra a mangiare qualcosa.
Thorin si era riscosso non appena aveva udito la vocetta stridula di Bilbo. Si era asciugato la bocca con la manica della camicia e aveva riposto: “Birra.” Non era riuscito a trattenere un sorriso: il suo amico era adorabile con quella sua curiosità, sembrava un bambino che faceva domande ad un adulto. Gli ricordò tanto Fili e Kili quand’erano piccoli.
“Oh” disse Bilbo. Dopo un po’ chiese timidamente: “Posso provare?”
A quella domanda, Thorin sputò la birra che stava bevendo e scoppiò a ridere.
Lo hobbit era confuso, tuttavia incantato dalla risata calda e profonda del nano. Pensò che quella era la prima volta che lo sentiva ridere veramente e non poté non riconoscere che udirlo ridere era musica per le sue orecchie.
Una volta finito il momento di ilarità, Scudodiquercia scosse la borraccia. “Questa è birra nanica, preparata apposta per i nani. Se voi hobbit la berreste andreste fuori di senno.”
Il signor Baggins inclinò la testa di lato. “Hobbit?”
“Lascia perdere” sospirò il nano, abbattuto. “Capirai tutto quando giungeremo a destinazione.”
Bilbo decise per l’ennesima volta di non assecondare la sua curiosità, piuttosto rimase ad osservare il suo amico mentre mandava giù la bevanda. Osservò il suo collo robusto ricoperto da una leggera peluria che si accentuava all’inizio del petto, lì dove il nano aveva una piccola scollatura.
Inconsciamente lo hobbit mise il naso dentro la camicia, controllando se aveva anche lui i peli sul petto.
 
Più volte durante il viaggio Bilbo aveva fissato Thorin: lo ammirava per quella sua postura fiera, quella sua aria sicura e quella forza interiore e fisica che lo caratterizzavano. Lo invidiava per quella sua virilità, si disse che Thorin era l’esempio perfetto di maschio. Se c’era qualcuno degno di portare quell’attributo, quello era il Re sotto la Montagna.
Un giorno, di nascosto, lo hobbit aveva contemplato la propria immagine nell’acqua della sua borraccia. Non aveva la barba come il suo amico e questo fatto lo rattristì un poco. Inconsapevolmente provò ad imitare l’espressione seria e accattivante di Thorin e il risultato fu un pulcino imbronciato.
Bilbo fece una smorfia. Sembro un bambino piuttosto che un uomo. Naturalmente il poveretto non poteva ricordarsi che faceva parte della razza hobbit, la quale non era famosa per la sua maturità fisica.
Ancora una volta lo hobbit si domandò se avesse avuto una moglie o, più semplicemente, una fidanzata. Con rammarico si disse che sicuramente non aveva né l’una né l’altra a causa del suo aspetto perennemente infantile, brutto no, per l’amor del cielo! Ma infantile.
Gli occhi di Bilbo si posarono su Thorin, che stava cavalcando davanti a lui, dritto e sicuro come sempre.
Il signor Baggins sospirò. Se solo fossi virile e sviluppato come lui! Dopodiché strinse le redini e avanzò.
 
Ormai l’improbabile duo aveva oltrepassato la landa desolata e si trovava in una radura.
Era notte e, oltre allo scoppiettio delle fiamme, l’unico rumore che si udiva era quello dei gufi.
Thorin aveva cacciato un po’ di scoiattoli e aveva acceso un fuoco per cucinarli. Bilbo aveva ammirato la maestria con cui il nano aveva adoperato l’arco, con una precisione mozzafiato e non aveva mai mancato il bersaglio. Allo hobbit avevano fatto un po’ pena quegli scoiattoli, ma qualcosa dovevano pur mangiare.
Mentre si trovavano seduti intorno al fuoco, Bilbo osservava interessato Thorin che mangiava, mentre teneva la guancia poggiata sul pugno, incantato. Decise di porgli la domanda che da giorni stava trattenendo sulla punta della lingua: “Thorin, sei fidanzato?”
Il nano stava per addentare lo scoiattolo, ma si interruppe e fissò Bilbo a bocca aperta. Come mai quella domanda così sfacciata? Non era da lui. Ma Thorin non rimase in silenzio solo per lo stupore, bensì anche per il dolore: ogni volta che sentiva la parola fidanzata o moglie veniva assalito dai ricordi. Avrebbe potuto averne una.
Il Re chinò il capo, con dolore.
Lo hobbit pensò di averlo messo in imbarazzo, così si affrettò a scusarsi: “Scusa, non volevo sembrare maleducato o troppo curioso, non sei tenuto a rispondermi, è solo che…” Si diede dello stupido per quello che stava per dire “mi sembrerebbe strano che un bel nano come te non abbia una compagna, o una spasimante.”
Il condottiero, sempre a testa bassa, sorrise con amarezza. “Di spasimanti ne ho anche troppe” ammise senza troppa modestia.
Bilbo sorrise tra sé. Modesto il ragazzone.
Dopo un po’ Thorin rialzò il capo e guardò il suo amico tenendo la fronte corrugata. “Se non ti dispiace preferirei non affrontare questo argomento!” rispose nervoso.
Lo hobbit si sentì spiazzato da quell’improvviso rimprovero, da quando si era svegliato su quel letto il nano non si era mai arrabbiato con lui; aveva capito che era un tipo irascibile, ma non aveva mai sfogato la sua ira su di lui. Oltre a confusione, il signor Baggins provò anche dispiacere, evidentemente aveva toccato un tasto dolente.
Non volendo insistere per non far arrabbiare il suo amico o per causargli sofferenza, Bilbo abbassò lo sguardo e sussurrò: “Perdonami.”
 
Il fuoco scoppiettava e i grilli avevano smesso di fare cri cri. Bilbo stava ancora tenendo il viso rivolto verso il basso, mentre Thorin fissava le fiamme, corrucciato. Forse sei stato troppo duro con Bilbo, gli sussurrò una vocina dentro di lui, cosa vuoi che ne sappia lui di cos’è accaduto alla tua amata? Non sa neanche chi è lui! In un momento come questo dovresti stargli vicino e trattarlo con delicatezza, non commettere lo stesso errore di una volta, l’hai già fatto soffrire un tempo, non si merita questo trattamento. Siete amici, gli amici parlano, era solo curioso. Cosa ti costa appagare questa sua piccola curiosità e farlo sentire importante e distrarlo per un attimo dai suoi problemi? Gli amici parlano di tutto, specie di amore. E poi ti farebbe bene uscire un po’ dal tuo guscio, fa male tenersi tutto dentro, prima o poi esploderai e non c’è niente di meglio di sfogarsi con un amico.
I lineamenti di Thorin si rilassarono. “Gwarka” sibilò.
Lo hobbit lo guardò sempre più perplesso. “Come?”
“La mia amata,” rispose, “si chiamava Gwarka.”
“Oh…” Bilbo era contento che la barriera si fosse infranta e che ora potessero cominciare a parlare come veri amici, il punto è che non sapeva cosa chiedergli, non essendo preparato sull’argomento, inoltre aveva paura di farlo innervosire di nuovo. “E com’era?” azzardò.
Il nano sorrise, cullato dai ricordi, e fece cenno al suo amico di accomodarsi accanto a lui.
Lo hobbit sorrise e si sedette vicino a Thorin.
“Aveva i capelli lunghi, castano ramato, sempre legati in due buffe trecce. I suoi occhi erano enormi, luminosi e azzurri come un cielo estivo. Era una mezza nana, suo padre era un nano, mentre sua madre un’umana” raccontò fissando il fuoco che ardeva, come se lì dentro avesse rivisto il viso del suo unico vero amore, che rideva come un tempo. Sorrise deliziato. “Il suo viso pallido e delicato era punteggiato da mille efelidi ed era minuta, come una bambina.”
Il signor Baggins era commosso dai ricordi del nano, adorava vederlo sorridere felice e pensò che sarebbe stato bello avere una persona da amare in una maniera così incondizionata come Thorin amava Gwarka. O meglio, aveva amato…
“Doveva essere molto graziosa” disse Bilbo, sorridendogli.
“Sì, lo era” sorrise Thorin, senza staccare gli occhi dal fuoco. All’improvviso corrugò la fronte e alzò lo sguardo. “Se solo lui non avesse deciso di porre fine alla sua giovane vita!”
Lo hobbit non sapeva cosa dirgli e aveva tante domande: chi era lui? Cos’era successo? Ma non osò chiederglielo, dovevano essere argomenti delicati.
Dunque Bilbo Baggins si ritrovò con un piede nella fossa, non sapeva più cosa dire. Fu salvato, se così si può dire, da un fruscio.
Il nano si irrigidì e, d’impulso, posò la mano sull’elsa di Orcrist.
“Che… cos’è stato?” balbettò lo hobbit e, senza neanche rendersene conto, la sua mano corse all’anello che aveva nella tasca.
Thorin non rispose, sfoderò la spada e, allo stesso tempo, un gruppo di orchi saltò giù dagli alberi.
Bilbo indossò velocemente l’anello e sparì.
Il nano, nonostante fosse stato concentrato sulla battaglia, notò che il suo amico era sparito indossando un anello. Guardò nella sua direzione, stupefatto e allo stesso tempo preoccupato. “Bilbo!” gridò.
Purtroppo questo fatto aveva distratto il sovrano di Erebor e segnato un punto a favore di un orco, che aveva spinto il nano a terra.
Scudodiquercia tentò di alzarsi, ma due orchi lo trattennero per le braccia, impedendogli di muoversi.
Il mostro che aveva spinto Thorin si avvicinò a lui e gli puntò la lama alla gola.
Il guerriero nanico si agitò con rabbia, non poteva morire così, giammai!
Per fortuna le cose non andarono come si aspettava: si udì il rumore di una lama che trapassava della carne, sulla pancia dell'orco andò a crearsi una profonda ferita. La bestia rimase un attimo immobile con gli occhi aperti, dopodiché cadde in avanti, priva di vita.
Gli orchi rimasero basiti: nessuno stava combattendo! Eppure un sacco dei loro compagni stavano morendo infilzati da qualcosa.
Thorin si liberò facilmente dei suoi aggressori e riprese a combattere valorosamente, mentre Bilbo infilzava alcuni orchi con Pungolo o lanciava loro pietre.
Ben presto ci fu una strage di orchi, non ne rimase più nessuno.
Alla fine della breve lotta il signor Baggins si levò l’anello e lo guardò a bocca aperta. Era veramente diventato invisibile? E aveva veramente ucciso degli orchi? Chi era mai?
Thorin ripose la spada nel fodero e guardò il suo amico tenendo le labbra socchiuse. “Quell’anello… dove l’hai preso? Da quanto tempo ce l’hai?” Subito dopo si diede dello stupido, ricordandosi che lo hobbit non avrebbe potuto dargli delle risposte.
Il nano aveva un sospetto e si ripromise che più avanti avrebbe indagato.

 

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Capitolo 11
*** Nella casa di Beorn ***


Nella casa di Beorn


Dalla notte in cui gli orchi si erano nascosti sugli alberi, Thorin non riuscì più a darsi pace: faceva la guardia ogni notte e non dormiva mai (tanto era abituato a dormire poco), svegliava prestissimo Bilbo e pretendeva che tenesse una certa andatura.
Nonostante il suo scarso senso dell’orientamento, il nano si ricordava che non lontano dal punto in cui si trovavano c’era la casa di Beorn. Voleva raggiungerla velocemente per stare un attimo tranquillo, sicuro che gli orchi non avrebbero osato attaccarli.
Thorin si giurò che, una volta conclusa quell’assurda disavventura, l’avrebbe fatta pagare a Bolg, non si sarebbe dato pace finché non sarebbe morto anche quel pezzo di lerciume.
 
Bilbo Baggins fece un po’ di fatica a stare dietro a Thorin: il suo passo era decisamente più frettoloso del suo, nonostante lo hobbit non fosse stato lento e fosse inconsapevolmente abituato alle lunghe camminate.
Tuttavia Bilbo non osò lamentarsi neanche una volta, avendo avuto paura di far arrabbiare Thorin. Gli voleva bene, sentiva che c’era un legame profondo tra loro due, lo avvertiva e il nano gli infondeva sicurezza, ma da un altro lato un po’ lo spaventava. Sarà stato quel suo aspetto così imponente, sta di fatto che il signor Baggins non riusciva a darsi una risposta.
Spesso rallentava e veniva ripreso dal nano, a quel punto accelerava il passo, nonostante fosse stato stanco e pensieroso: non riusciva a smettere di pensare a quella notte. Era accaduto qualcosa di misterioso: era diventato invisibile! Grazie ad un anello, per giunta. Non riusciva a spiegarsi come mai aveva avvertito una forte necessità di indossare quell’anello, era stato come se esso lo avesse chiamato.
Bilbo aveva parlato di questa sensazione a Thorin, il quale aveva scrollato le spalle e aveva riposto: “In questo caso non ti rispondo per il semplice fatto che la risposta non la so nemmeno io. Non ho idea di come tu abbia trovato quell’anello, come non ho idea di quanto tempo è che tu lo possiedi. Comunque ti è stato utile per abbattere quegli orchi, quindi penso che se continuassi ad usarlo in caso di necessità non sarebbe un’idea malvagia.”
Lo hobbit non poté non essere d’accordo con il suo amico, anche se avrebbe preferito che non ci fossero state altre occasioni in cui sarebbe stato opportuno l’utilizzo dell’Anello.
 
Dopo un paio di giorni di camminata, Thorin scorse in lontananza una lunga e bassa casa fatta in legno. Sorrise. Non era stato poi tanto difficile, si era perso solo tre volte.
“Mastro Baggins” richiamò lo hobbit dietro di lui.
Egli lo raggiunse trainando il pony.
Non appena gli fu vicino, il nano gli indicò la casa. “Ci accamperemo lì per un po’.”
Bilbo osservò da lontano la casa e la definì subito molto spaziosa. Dev’essere molto accogliente, pensò, mentre Thorin rifletté: Chissà che non gli faccia tornare in mente qualcosa…
 
Più si avvicinavano alla casa di Beorn, più l’aria si riempiva di api gigantesche.
Bilbo le guardò un po’ intimorito, pensando che se lo avessero punto sarebbe diventato gonfio come un melone.
Qualche volta capitava che un’ape gli si posasse sul naso e lo hobbit si affrettava a mandarla via. Quando se ne andava una, arrivava un’altra e Bilbo non poté non provare invidia per il suo compagno di viaggio: le api a lui non si erano neanche avvicinate.
Il signor Baggins sorrise divertito. Persino le api lo temono…
Evidentemente quelle bestiacce vedevano lo hobbit come un bersaglio facile, a causa del suo aspetto minuto. Ma io non mi farò mettere i piedi in testa, nossignore! Pensò stizzito Bilbo, agitandosi di continuo per mandare via gli insetti.
Thorin sentì il suo amico brontolare in silenzio. Con un mezzo sorriso, si voltò verso di lui. “Tutto a posto, mastro Baggins?”
L’ex scassinatore smise subito di parlare da solo e si fermò, pensando di aver fatto l’ennesima figuraccia. Balbettò che andava tutto bene.
Il nano gli sorrise un’altra volta, dopodiché si voltò e riprese a camminare.
Lo hobbit lo seguì trattenendo a stento una risata: le api se n’erano andate proprio quando lui si era voltato a guardarlo.
Magari anche a me bastasse guardare le api per mandarle via.
Bilbo trovò che, la capacità di Thorin di pietrificare le persone solo con uno sguardo, fosse un vero e proprio dono.
 
Non appena Bilbo e Thorin si trovarono di fronte al cancello di legno mezzo aperto, il nano si fermò e si rivolse al suo migliore amico: “Allora, la persona da cui stiamo andando adesso ci conosce, siamo suoi amici. All’inizio può sembrarti strana ma non c’è ragione di avere paura. Inoltre ti pregherei di non nominare cacciatori, fabbricanti di pellicce o simili perché il nostro anfitrione è un grande amante degli animali. Sono stato chiaro?”
Lo hobbit annuì smarrito, chiedendosi come mai ci fosse stato così tanto bisogno di specificare quelle cose. E che intendeva dire Thorin con l’espressione all’inizio può sembrarti un po’ strano? Quella storia gli stava piacendo sempre di meno.
“Sta’ dietro di me” sussurrò Thorin aprendo piano piano il cancello, il quale cigolò un po’.
A quelle parole il signor Baggins s’irrigidì, pensando che non era tanto sicuro di voler entrare in quella casa. Se il suddetto anfitrione era loro amico come mai c’era bisogno di tutta quella prudenza?
Il nano e lo hobbit si ritrovarono in un grande giardino pieno di api e fiori.
Vicino alla porta di casa c’era un omone grande e grosso che stava battendo un'ascia su un pezzo di legno.
Non appena lo vide, Bilbo soffocò un grido e si strinse a Thorin. Chiuse gli occhi.
 
Beorn smise si tagliare il legno non appena udì un fruscio. Qualcuno si trovava nel suo giardino.
Il mutatore di pelle ringhiò e strinse il manico dell'ascia. Dopodiché si voltò e Bilbo si strinse più forte al suo amico.
Thorin non si irrigidì: erano loro amici, non avevano alcuna ragione di preoccuparsi.
Infatti, non appena Beorn vide chi erano gli “intrusi”, alzò le enormi sopracciglia in segno di stupore e alleggerì la presa sull' arma. “Thorin Scudodiquercia? Bilbo Baggins?” chiese incredulo: non si aspettava che sarebbero venuti a fargli visita.
“Salute Beorn!” lo salutò educatamente il Re sotto la Montagna avvicinandosi a lui finché non furono faccia a faccia.
“Salute a voi, amici miei.” Subito dopo il mutatore di pelle sorrise e aggiunse: “Per fortuna che mi sono accorto che eravate voi, se no vi avrei tagliato la testa di netto con la mia ascia.”
“Dubito che ciò sarebbe avvenuto: la mia arma avrebbe immediatamente schivato la tua, salvando così le nostre povere teste” obiettò Thorin con un sorriso strafottente e pieno di orgoglio.
L’omone rise divertito dalla loro amichevole lotta a parole, poi inclinò la testa. “Lui cos’ha?”
Il nano si voltò e vide Bilbo attaccato al suo braccio. I suoi occhi erano chiusi e stava tremando, mentre dalla bocca emetteva versi molto simili al mugolio di un cane.
Beorn si avvicinò al signor Baggins e gli mise una mano sulla spalla. “Signor Baggins! Per l’amor di Eru, smettetela di fare così! Ho già una decina di cani e mi bastano e avanzano” lo prese bonariamente in giro.
Bilbo aprì timidamente gli occhi e nello sguardo del mutatore di pelle non vide ferocia o rabbia, bensì gentilezza.
Lo hobbit si diede dello stupido per come si era comportato e probabilmente aveva anche offeso Beorn mostrando in un modo così evidente che aveva paura di lui.
Thorin, notando che il suo migliore amico era in imbarazzo e che non sapeva cosa dire, prese lui la parola: “Il signor Baggins ha perso la memoria.”
L’uomo che si trasformava in orso lo guardò stupefatto. “Ha perso la memoria?”
“Sì, a causa di una freccia degli orchi.”
Beorn era sempre più basito e preoccupato. “Siete stati attaccati dagli orchi?”
Thorin annuì.
“Ma come? Dopo la Battaglia dei Cinque Eserciti di orchi ne sono rimasti pochi e per di più spaventati, si sono nascosti nelle caverne più profonde. Neanche i Mannari osano uscire allo scoperto.”
“Questo lo so, il problema è che dovevamo uccidere anche Bolg, il figlio di Azog: è determinato a vendicare la morte del padre ed è affiancato da un buon numero di orchi. Notti fa i suoi compagni ci hanno teso un’imboscata.”
“Senti senti!”
“Per questo siamo qui: abbiamo bisogno di un posto dove stare tranquilli per un po’.”
“Ma dove siete diretti?”
“Alla Contea, ritengo che quel posto potrebbe far tornare qualche ricordo a Bilbo.”
“Capito… ma che cosa fate ancora qua?! Prego, accomodatevi! Fate come se foste a casa vostra!”
 
La sala di Beorn era veramente molto grande, Bilbo, quando vi mise piede, si sentì ancora più piccolo. Era tutta in legno e al centro ardeva un bel fuocherello.
Non appena il mutatore di pelle batté le mani, giunsero sei bei pony bianchi e un paio di cani grigi, forti e slanciati. Beorn rivolse loro alcune parole che lo hobbit giudicò subito incomprensibili.
Subito dopo gli animali uscirono e tornarono con una bella tovaglia bianca e delle posate.
Il tavolo era talmente basso che persino Bilbo riuscì ad accomodarsi. Thorin prese posto accanto a lui, mentre Beorn si sedette su una sedia nera a capotavola.
Il trio mangiò formaggio, pane e qualche dolce al miele, accompagnando il tutto con un buon bicchiere di vino rosso.
 
Bilbo era felice: non aveva mangiato così bene da quando aveva memoria. Un buon pasto era proprio quello che ci voleva.
Il pomeriggio era passato velocemente e il trio si era divertito: avevano parlato tra loro di leggende perdute, di animali, di cibo e di montagne e fiumi.
Dopo il pasto lo hobbit girovagò per la casa toccando ogni cosa. Era molto curioso. Si fermò quando notò un’enorme arpa arrugginita. La guardò incuriosito e non poté fare a meno di domandarsi a cosa servisse quell'oggetto misterioso. Si avvicinò all’arpa e cominciò a pizzicare le corde, sussultò non appena esse emisero un suono.
“Arpa” disse un vocione alle sue spalle.
Bilbo fece un altro salto. Si tranquillizzò non appena si voltò e vide il suo amico Thorin.
“Quell’oggetto si chiama arpa.” Il nano era appoggiato con la schiena contro il muro e teneva le braccia incrociate, intenerito dallo hobbit.
“A cosa serve?” gli chiese curioso il signor Baggins.
Scudodiquercia sorrise ed avanzò verso l’arpa. La prese in mano e rispose: “A questo.” Pizzicò un po’ le corde, provocando una melodia che risultava immediatamente piacevole alle orecchie.
Lo hobbit chiuse gli occhi e sorrise. “Musica” sussurrò.
A Thorin venne in mente un’idea che forse sarebbe stata d’aiuto per il suo amico. Si sedette su uno sgabello e cambiò la melodia.
Bilbo aprì gli occhi, questa musica era decisamente più triste di quella precedente, tuttavia affascinante. Era impossibile non ascoltarla.
Il nano intonò con il suo vocione baritonale:
 
Lontano sui
Nebbiosi monti gelati,
in antri oscuri e desolati
partir dobbiamo,
l’alba scortiamo
per ritrovare gli ori incantati.
 
Ruggenti i pini
Sulle vette,
dei venti il pianto
nella notte.
Il fuoco ardeva,
fiamme spargeva.
Alberi accesi,
torce di luce.
 
Questo canto emozionò tantissimo Bilbo Baggins, lo rese malinconico e, al contempo, ansioso. Ansioso di continuare il viaggio con il suo amico e di ammirare con lui le montagne di cui parlava la canzone.


 

 

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Capitolo 12
*** Faccio paura? ***


Faccio paura?

I dodici nani della Compagnia di Thorin Scudodiquercia si trovavano tutti a fare colazione in una delle numerose taverne di Dale.
Dopo la Battaglia dei Cinque Eserciti la città ai piedi della Montagna era stata ricostruita sotto la guida di Bard l’Arciere e, piano piano, stava ritornando al suo antico splendore.
Gandalf si trovava sull’uscio della Stanza del Giullare, stava guardando i suoi amici brindare alla salute di Bilbo Baggins. Non sapevano ancora che lo hobbit era partito con Thorin, il giorno precedente credevano che stesse dormendo e non avevano voluto disturbarlo, per quanto riguarda il loro re lo stregone aveva raccontato che era in giro per affari.
Balin era l’unico che non aveva creduto alle parole di Gandalf, ma non aveva detto niente: era saggio abbastanza da capire che era meglio se loro restavano a Erebor.
Finché Thorin Scudodiquercia non sarebbe tornato, Dain avrebbe occupato il suo posto sul trono.
 
Lo stregone fece un lungo respiro ed entrò.
Non appena i nani lo videro, lo invitarono allegramente a sedersi con loro.
“Allora, Gandy!” Kili gli diede una pacca sulla schiena.
“Ti ho già detto mille volte che non mi piace essere chiamato Gandy!” Gandalf lo guardò con occhi assassini. Era vecchio ma sapeva incutere un certo rispetto e timore.
Il giovane nano era a conoscenza delle grandi capacità dello stregone, così si fece piccolo piccolo e chiese scusa, causando l’ilarità da parte di suo fratello.
Fili smise di ridere non appena Kili gli diede uno scappellotto.
“Bilbo è già sveglio?” domandò Bofur.
Gandalf impallidì e si grattò la nuca, balbettò versi e frasi sconnesse tra di loro.
“Già, ieri ha dormito tutto il giorno… ci piacerebbe fargli visita oggi” aggiunse Bombur, tenendo un pollo arrosto in mano. Successivamente se lo mise in bocca e tirò fuori solo le ossa.
“Ehm, ecco… veramente Bilbo sta ancora dormendo” mentì Gandalf.
I nani lo guardarono certi dispiaciuti e altri sospettosi.
“Ancora?” Oin inarcò un sopracciglio.
“Sì, ancora.”
“Strano,” continuò Oin, “la perdita di memoria non dovrebbe causare sonnolenza e ha dormito parecchio ieri, dubito che sia stanco anche oggi. Dovrebbe essere riposato e già sveglio.”
A questo punto lo stregone si innervosì e si arrabbiò: “Sta passando un momento difficile, è stanco. Non siete più dei bambini, dovreste capire quando una persona ha bisogno di riposare; se sta dormendo non mi pare il caso di insistere, passerete un po’ di tempo con lui un’altra volta.”
Gandalf avrebbe detto loro la verità solo quando i due amici si sarebbero trovati il più lontano possibile dalla Montagna Solitaria.
I nani chinarono il capo, tutti tranne Dwalin e Gloin, i quali volevano fare di testa loro.
Balin conosceva molto bene suo fratello e si era accorto che non aveva intenzione di obbedire allo stregone, così disse: “Gandalf ha ragione, ragazzi. Dopo tutto quello che ha passato e tutta la confusione che Bilbo sente dentro di sé sarà stanco, forse è meglio non stressarlo troppo. Quando si sveglierà staremo con lui.” Di nascosto, fece l’occhiolino a Gandalf.
Lo stregone lo ringraziò con lo sguardo.
 
“Questo, e questo… e poi ancora questo.” Beorn aveva riempito lo zaino di Thorin con un sacco di cibo: miele, formaggio, pane, frutta e verdura.
Bilbo si era divertito a guardare l’espressione che aveva fatto Thorin man mano che il mutatore di pelle lo riempiva di roba.
“Grazie” rispose il nano, scombussolato: il suo zaino sembrava una palla, per quanto era pieno. Pesava infinitamente, ma per lui non era un problema, con tutti i muscoli che aveva sarebbe stata una passeggiata portarsi dietro tutto il giorno quel bagaglio, solo che era un nano. Un nano, per Durin! Aveva bisogno di carne, non di fragoline, carotine e banane.
In ogni caso il Re sotto la Montagna era grato a Beorn per l’aiuto che gli aveva dato e non se lo sarebbe mai dimenticato. E poi il viaggio era troppo lungo per permettersi di fare lo schizzinoso, l’importante era avere qualcosa da mangiare, anche se Thorin si giurò che avrebbe cacciato qualche cervo strada facendo.
Lo hobbit, invece, era al settimo cielo! Alla vista della frutta, della verdura e del formaggio il suo stomaco aveva brontolato, probabilmente erano i suoi cibi preferiti, non che la carne non gli piacesse, avrebbe mangiato persino un albero!
“Per gli amici questo e altro” disse Beorn.
Il nano e l’omone si strinsero la mano, giurandosi amicizia eterna.
“Semmai avessi bisogno di aiuto, conta pure sui nani di Erebor.” Così si salutarono i tre amici.
Il mutatore di pelle rimase in giardino, a controllare la partenza dello hobbit e del nano.
 
Durante il viaggio Bilbo aveva un po’ perso la sua timidezza e il suo stato di soggezione che avvertiva quando si trovava in compagnia del nano, un po’ perché ormai erano in confidenza, un po’ perché spesso Thorin lo aveva rimproverato quando balbettava o arrossiva davanti a lui. Era suo amico, per la miseria! Non un suo suddito.
Al sovrano di Erebor faceva tenerezza lo hobbit quando balbettava, ma a volte lo trovava irritante. Trovava irritante che tutti balbettassero quando si rivolgevano a lui, poteva capire le donne che magari si erano prese una bella sbandata e non ci capivano più niente, però a volte lo facevano anche i maschi… che fossero anche loro innamorati di lui? Oppure avvertivano la loro inferiorità di fronte al Re sotto la Montagna… e se invece avevano paura?
A questo pensiero Thorin sgranò gli occhi: la gente aveva paura di lui?
Il nano si voltò verso Bilbo, che stava cavalcando accanto a lui e gli stava parlando da un bel po’ di chissà che cosa. All’inizio lo aveva ascoltato, ma poi si era rotto di sentir parlare solo di piante, frutti e fiori. Era un guerriero, non una donnicciola.
Mentre il suo amico continuava a ciarlare, Thorin Scudodiquercia gli chiese a bruciapelo: “Io faccio paura?”
Il signor Baggins finì improvvisamente il suo discorso e lo guardò con occhi sgranati. “Eh???!” fece confuso.
“Io incuto timore alle persone, di solito?” ripeté il nano.
Bilbo rimase per un attimo smarrito: che gli rispondeva, adesso? Aveva paura di offenderlo dicendo la verità.
“Ti pregherei di essere sincero, non mi offendo e non mi arrabbio nemmeno.” Infatti il Re non si sarebbe offeso, solo che gli sarebbe un po’ dispiaciuto far paura alla gente. Spesso il timore e la soggezione che avevano le persone quando parlavano con lui lo facevano sentire potente, lo facevano sentire un vero Re, ma un grande sovrano non deve incutere timore alla sua gente, bensì fiducia.
Lo hobbit non poteva mentire a Thorin, se ne sarebbe accorto perché non era un asso nel raccontare bugie, così rispose: “A volte puoi fare un po’ di paura, sì.”
Il nano sospirò pesantemente. “Cos’è che fa tanto paura di me? Sentiamo.” Non era irritato.
“Be’, ecco…” Bilbo si rimise dritto e trovò coraggio. “Forse è per quel tuo aspetto imponente e il cipiglio che hai spesso.”
Il nano guardò avanti e ci pensò un attimo, dopo un po’ disse indignato: “Io non ho spesso il cipiglio.”
Il suo migliore amico sorrise divertito. “Oh sì, invece.”
Thorin lo guardò sbalordito.
Lo hobbit, prima di scoppiare a ridere, lo prese in giro: “Sei un gran brontolone e anche permaloso.”
Scudodiquercia rise e gli diede scherzosamente un colpetto con lo zaino.

 

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Capitolo 13
*** La curiosità di Bilbo ***


Chiedo scusa per l'immenso ritardo! çwç Questa fanfiction sta diventando un incubo, non so più che inventarmi ma, fortunatamente, ho già in mente come fare il prossimo capitolo.
Vi avverto che ultimamemte non ho fantasia, quindi questo capitolo, come quello precedente, non è un granché xD. Ho voluto inserire una storia che riguarda l'ostilità che c'è tra Nani ed Elfi, molti di voi la conosceranno già ma, in caso contrario, godetevela, è interessante ;).
Ringrazio chi sta leggendo questa storia, in particolare Leila91, Innamoratahobbit96, Zury Watson e Daenerys21.
Vi adoro!
Un bacio
Lucri <3


La curiosità di Bilbo

La compagnia di orchi che faceva parte del battaglione comandato dall’ufficiale Alarr, stava tornando pesantemente alla tenda nell’oscura radura.
Brokk teneva il capo chinato verso il basso e i pugni stretti. Si vergognava. Bolg si era fidato di lui, esattamente come Azog aveva riposto la sua fiducia nella sua persona quand’era ancora vivo. Anche l’ufficiale del battaglione non aveva dubitato mai di lui, neanche un secondo; eppure adesso doveva ammettere che aveva fallito, doveva sopportare gli occhi di tutti puntati sulla sua armatura mentre confessava il fallimento. Lui, il grande combattente Brokk, che si faceva mettere nel sacco da solo due avversari. Ma non era solo l’umiliazione per la sconfitta che lo affliggeva, bensì anche il misterioso avversario invisibile. Aveva un brutto presentimento.
Non appena Alarr sentì l’inconfondibile passo di marcia dei suoi uomini, smise di lucidare la sua ascia ormai ben affilata. Alzò il naso dall’arma e si ritrovò davanti lo sguardo torvo del capitano.
Dorguz… zuranimid. Gelnakhanishim.” Padrone… li abbiamo persi. Siamo stati…
L’ufficiale digrignò i denti, rivelando le sue zanne sporche di sangue e affilate. “Sha nargiz ob-hakhtil. Nargiz khobdi… Rani Khozdil!” sbraitò alzandosi. Ciò che aveva detto significava: non voglio scuse. Ciò che voglio è la testa del Re dei Nani!
Murganish dum… Turim hag shad! Zorzor go-kairaz obguraniz” mentì il capitano della compagnia. Aveva mentito poiché le sue parole significavano: ci surclassavano nel numero… Non c’era nulla che potessimo fare! A malapena sono fuggito insieme alla mia vita. Brokk avrebbe preferito morire piuttosto che ammettere di essere stato messo nel sacco da solo un nano e un nemico invisibile. A questo proposito, subito dopo raccontò dell’avversario che non erano riusciti a vedere.
Alarr lo ascoltò con attenzione e, ad ogni parola, era sempre più nervoso. Ordinò ad un orco che gli stava accanto di mandare una lettera a Bolg, in cui gli riferiva ciò che gli aveva raccontato Brokk.
Dopo quell’imboscata deludente gli orchi erano ancora più intenzionati a prendere la testa del Re dei Nani, ma questa volta era la testa di un altro soggetto che bramavano di più.
 
Bilbo starnutì rumorosamente e si tastò l’interno delle tasche.
Thorin si voltò verso di lui con l’intento di chiedergli come stesse.
Lo hobbit gli fece un cenno con la mano, come per dirgli di non preoccuparsi. “Il pelo di cavallo, mi fa reazione.”
Ormai erano in vista delle Montagne Nebbiose e il signor Baggins era meravigliato: gli ricordavano tanto qualcosa…
Il nano notò il suo stupore. “Ti dicono niente?” gli chiese celando un sorrisetto soddisfatto e speranzoso.
“Sì” rispose lui a bocca aperta. “Sembrano le montagne di cui mi hai parlato nella tua storia, quella che mi hai raccontato quand’ero a letto.”
L’entusiasmo del Re sotto la Montagna si spense in un attimo. Per un momento aveva pensato che un briciolo di memoria fosse tornato nella mente del suo amico. Pensò che forse, tutto questo, fosse inutile, non aveva la certezza che, vedendo la Contea, Bilbo avrebbe ricordato ogni cosa. Chissà, magari avrebbe ricordato solo quello che era successo prima che tredici nani bussassero alla sua porta. Scacciò quel pensiero con stizza, scuotendo il capo. Non voleva neanche prendere in considerazione quell’eventualità.
“C’è qualcosa che non va?” Bilbo si sporse leggermente dal suo pony e osservò il suo migliore amico, preoccupato.
Thorin gli sorrise per rassicurarlo. “Tranquillo, è tutto a posto” mentì.
Dopo un attimo di esitazione, lo hobbit gli domandò: “Thorin, posso chiederti una cosa?”
Egli fece un grugnito di assenso.
Bilbo Baggins si mise comodo sul pony. “Quand’ero ad Erebor ho spesso sentito Dwalin lamentarsi degli elfi; molti nani lo fanno, ho notato. Come mai?” Era curioso di saperlo. Non aveva mai soddisfatto questa sua piccola curiosità, temeva di far arrabbiare i nani e ci aveva pensato molto prima di porgere questo quesito al nobile nano, poiché, tra tutti i nani brontoloni e irascibili, lui era di certo il peggiore.
Come aveva temuto, Thorin Scudodiquercia strinse nervosamente le redini e divenne scuro in volto. È vero: gli elfi e i nani si erano alleati nella Battaglia dei Cinque Eserciti e il sovrano di Erebor aveva stabilito una tregua con sire Thranduil, ma certi torti non si dimenticano e non è facile deporre le armi dopo così tanto tempo di ostilità.
Ma alla fine il nano sospirò pesantemente e rispose: “Un tempo il mio regno era stato preso da un drago, la mia gente era stata mandata prepotentemente via dalla loro casa, non avevamo un posto dove andare e molti nani erano gravemente feriti o troppo deboli per sopportare un pellegrinaggio. Di fronte a tutto questo scempio, gli elfi comandati da Thranduil rimasero impassibili e non mossero un dito per aiutarci.”
Lo hobbit aveva ascoltato assorto la risposta del nano. Lo invidiava per quel suo carisma, ogni volta che parlava pendeva dalle sue labbra, riusciva a farsi ascoltare sempre e comunque. Pensò che gli elfi si fossero comportati in modo egoista e giustificò l’odio che i nani covavano nei loro confronti.
Dopo che ebbe inghiottito la rabbia e la voglia di prendere a calci una roccia, Thorin alzò il capo. “Ma, ad essere più precisi, il disprezzo che aleggia tra nani ed elfi ha radici molto ma molto più antiche.”
Il signor Baggins si avvicinò col pony ancora di più al suo amico, in preda all’interesse. Gli piaceva ascoltare storie.
“L’ostilità tra elfi e nani esiste da quando i nani di Belegost e Nogrod incontrarono gli elfi di Thingol, Supremo Signore delle genti del Doriath.”
“Cosa accadde?” Bilbo lo guardò con occhi vivaci e luminosi.
Prima di parlare, il nano fece passare un po’ di tempo, tanto per far patire ancora un po’ il suo amico. Adorava vederlo col fiato sul collo, sembrava proprio un bambino a cui il padre stava raccontando la favola della buonanotte. “Thingol si era impossessato di uno dei Silmaril, una gemma magica, e chiamò una compagnia di nani per incastonarlo nella più bella collana mai esistita, la Nauglamir.
I nani fecero un ottimo lavoro e crearono la collana più bella che sia mai esistita nella Terra di Mezzo” narrò il nano, sorridendo ammirato. Si emozionava sempre quando si trattava dell’artigianato dei membri della sua razza, era fiero di essere un nano, una creatura capace di costruire oggetti di rara bellezza.
Il signor Baggins era sempre più interessato, sperò che il suo amico ci mettesse poco a continuare.
Il Re sotto la Montagna chinò il capo. “Thingol, per sottrarsi al pagamento, ordinò che i nani venissero uccisi nel Doriath. Solo due sopravvissero e si recarono nelle Montagne Azzurre per riferire l’accaduto” concluse rabbuiato. Al solo pensiero di quanto fossero stati meschini gli elfi si innervosiva e gli veniva voglia di urlare tutti gli insulti che conosceva in Khuzdul.
Bilbo era rimasto a bocca aperta e si ripeté quanto gli elfi fossero una razza subdola e falsa.

In realtà la storia che aveva narrato Thorin era errata, poiché i nani erano rimasti incantati dalla Nauglamir e si erano rifiutati di consegnarla al Re degli Elfi, il quale si era arrabbiato e li aveva ordinato di andarsene dal Doriath, ma i nani lo uccisero, dando inizio così alla famosa ostilità tra le due razze.

Ma nessun membro della razza nanica conosceva questa versione.
Senza neanche accorgersene, i due amici erano già giunti al punto in cui si erano arrampicati sugli alberi per sfuggire ai Mannari, molti mesi fa.
Quel luogo era portatore di brutti ricordi, per Thorin, visto che lì era quasi morto e aveva scoperto che Azog era ancora vivo.
Bilbo invece ebbe una visione. Rammentò per un secondo un pezzo del sogno che aveva fatto prima si svegliarsi in quella stanza misteriosa e sconosciuta.
 
Urlava, urlava dal dolore.
Si sentiva come se fosse lui tra le fauci del Mannaro e non il capo della Compagnia, il Re, la sua guida.
Il mostro gettò il nano a terra e poco tempo dopo un orco si avvicinò per tagliargli la testa.
No! Non poteva morire, non doveva morire. Senza pensarci un attimo, l’esserino sfoderò la spada e guardò preoccupato la sua preda. Aveva paura, ma quella cosa andava fatta.
 
Bilbo Baggins si riscosse e cercò di ricordare quel particolare del sogno, ma esso svanì così velocemente com’era venuto.
Lo hobbit si sforzò di far riaffiorare alla mente quel ricordo, ma era tutto inutile. I suoi tentativi si interruppero quando Thorin lo bloccò con il braccio e gli intimò di fare silenzio.


 

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Capitolo 14
*** In quattordici si è in compagnia ***


In quattordici si è in compagnia

I fruscii si fecero sempre più vicini.
Thorin si avvicinò ai cespugli e, allo stesso tempo, mise una mano sull’elsa della spada. Bilbo, dietro di lui, fece la stessa cosa e tirò fuori dalle tasche l’Anello.
Quando il nano si fece più vicino alla folta vegetazione e fu pronto a sfoderare Orcrist e a suonargliele di santa ragione a chiunque avesse turbato la sua pace, due volti famigliari uscirono dai cespugli.
“Zio Thoriiiiin!” gridarono due giovani nani saltando addosso al loro suddetto zio.
Thorin Scudodiquercia rotolò sull’erba con addosso Fili e Kili, i quali erano contentissimi di vederlo. I due fratelli e gli altri nani avevano camminato il più velocemente possibile, temendo che lo hobbit e il Re sotto la Montagna fossero ormai troppo lontani e che non li avrebbero mai più raggiunti. Non si sarebbero mai aspettati di trovarli proprio lì, anche loro.
Bilbo Baggins rimise il suo tesoro in tasca e ridacchiò con la mano davanti alla bocca di fronte alla scena del regale sovrano di Erebor tutto sporco di terra e fango con i due buffi nanetti sopra di lui.
Thorin aveva il mento appoggiato sulla mano e stava sbuffando, mentre Fili e Kili gli tiravano i capelli e ridevano come matti.
I due giovani nani la smisero di torturare lo zio solo quando videro lo hobbit.
Lo scassinatore li guardò allarmato, temendo che sarebbero saltati addosso anche a lui.
“Signor Boggins!” esclamò felicissimo Kili con un sorriso che gli andava da un’orecchia all’altra.
Suo fratello Fili alzò gli occhi al cielo. “Baggins, Kili, è Baggins. Quante volte devo ripetertelo?” sbuffò.
Naturalmente i due giovani nani lasciarono subito in pace Thorin per correre da Bilbo, il quale fece un passo indietro e chiuse gli occhi, ma le cose non andarono come si aspettava. Infatti Fili e Kili non gli saltarono addosso, bensì gli strinsero energicamente la mano come se avessero voluto staccargli il braccio e si complimentarono con lui perché lo vedevano informa.
Piano piano, dagli alberi folti, spuntarono gli altri membri dell’antica Compagnia, come margherite su un prato.
Bilbo li guardò con affetto. Era contento di rivederli, gli erano mancati quei caotici e simpaticissimi nani, lo rendevano allegro.
Balin, Dwalin, Bifur, Bofur, Bombur, Nori, Ori, Dori, Oin e Gloin andarono dal loro carissimo amico, di corsa, per poco non calpestarono Thorin, che era ancora a terra. Stava cercando di mantenere la calma e di non strappare i capelli dei suoi nipoti, uno per uno.
Dwalin afferrò Fili e Kili per la casacca e li levò bruscamente dal signor Baggins. “Smettetela voi due! Non vedete che così gli spezzate quegli stuzzicadenti che ha per braccia?!” li sgridò. Subito dopo diede un fortissimo colpo sulla schiena a Bilbo, facendolo quasi cadere in avanti. “Come va, ragazzo?”
“B… bene…”
“Siamo così felici di vederti!” Bofur non gli diede il tempo di aggiungere altro, poiché lo abbracciò con forza, come se avesse voluto stritolarlo.
Ovviamente gli altri nani andarono avanti a torturare il loro amico, il quale era tutto scombussolato.
“Ragazzi, per favore, lasciatelo respirare” lo salvò Balin.
Così gli amici dello hobbit si calmarono e lo salutarono più tranquillamente, senza attentare alla sua vita.
“Ehm ehm!” Qualcuno richiamò l’attenzione dei nani. Questi, quando si voltarono, si ritrovarono davanti un imbronciato, sporco e spettinato Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna.
Fili e Kili lo indicarono ridendo. “Ah ah ah! Ti abbiamo sistemato per bene, zio! Voglio proprio vedere se così conciato ci ruberai ancora le nane!” lo canzonò il nano più giovane.
“E io voglio proprio vedere se avrete ancora il coraggio di disobbedirmi e di saltarmi addosso dopo che vi avrò riportati a Erebor a calci” rispose con tono lo zio, facendoli tacere all’istante.
“Che succede, vecchio mio? Sei offeso perché non abbiamo salutato anche te così calorosamente?” Dwalin sorrise divertito. “Quando perderai la memoria anche tu ne riparleremo.”
Thorin non rispose e guardò i suoi uomini in cagnesco, uno ad uno.
I nani chinarono il capo, sentendosi bruciare da quello sguardo severo e accusatorio.
L’unico che stava guardando in faccia il Re era Balin, poiché, almeno lui, aveva la coscienza a posto. “Giuro che ho cercato di trattenerli, ragazzo, ma non c’è stato verso di farli ragionare.”
Thorin Scudodiquercia non disse ancora niente, stava cercando di distruggere qualsiasi impulso di ammazzare ogni membro della sua vecchia Compagnia. Odiava non avere tutto sotto controllo e odiava ancora di più quando i suoi ordini non venivano rispettati. Aveva espressamente detto a Gandalf di non dire niente ai suoi amici e di non permettere loro di seguire lui e lo hobbit. E adesso cosa succedeva? Se li ritrovava tutti e dodici davanti e, come se non bastasse, più rumorosi del solito. Fu un miracolo se tutti gli orchi della Terra di Mezzo non li attaccarono.
Fortunatamente Thorin aveva appreso a sue spese che con la violenza e la rabbia non si otteneva nulla e, col tempo, stava imparando a controllarsi. “Tornate ad Erebor” sbottò voltandosi e riprendendo a camminare.
I nani si guardarono stupefatti: sarebbero dovuti tornare alla Montagna Solitaria dopo tutta la strada che avevano fatto? Veramente il Re sotto la Montagna non li voleva al suo fianco in questa nuova avventura? Loro erano una compagnia ormai, avrebbero sempre affrontato i pericoli insieme.
“Mastro Baggins, ti consiglio di tenere il passo” lo richiamò il nano, senza voltarsi a degnare di uno sguardo i suoi dispiaciuti compagni di avventure.
Bilbo guardò tristemente i suoi spensierati amici. Gli dispiaceva salutarli, anche perché con loro ci sarebbe stato da divertirsi, non erano certo come Thorin che, a volte, faceva venire voglia di suicidarsi.
Notando che il suo amico ci stava mettendo troppo per rispondere, Scudodiquercia si voltò spazientito verso di lui. “Allora?” Cominciò ad alzare la voce, tuttavia cercò di mantenere la calma e di non risultare troppo seccato, il punto è che si sentiva esplodere: già era nervoso e irritabile per la storia della perdita della memoria, ci mancava solo che gli altri li seguissero attirando un esercito di orchi e quant’altro.
Bilbo Baggins, a malincuore, si separò dagli amici e avanzò lentamente verso il sovrano della Montagna Solitaria, trascinando i piedi con un’aria da cane bastonato.
Thorin lo guardò avvicinarsi e sospirò. Sapeva che gli avrebbe fatto piacere se fossero venuti anche gli altri, era consapevole di non essere di buona compagnia, però bisognava prendere in considerazione i rischi: tredici nani e uno hobbit davano troppo nell’occhio, con Bolg e i suoi che li davano la caccia sarebbero stati braccati subito.
Una volta che il nano e lo scassinatore si furono voltati ed ebbero ripreso il loro viaggio, Kili urlò verso lo zio: “Perché non ci vuoi al tuo fianco, zio?”
Il Re sbuffò, sapendo che sarebbe stata dura far ragionare suo nipote più giovane e convincerlo a tornare indietro, aveva ereditato il carattere testardo da lui e sua sorella che, in quanto a testa dura, batteva tutti i nani di Arda. Decise che lo avrebbe ignorato e che sarebbe andato avanti finché lui non si sarebbe stancato di gridargli contro di tutto.
“Bilbo è anche un nostro amico, sai?” continuò arrabbiatissimo Kili. “E poi siamo i tuoi migliori guerrieri, non è forse meglio essere in quattordici anziché in due contro un branco di orchi?”
“A dir la verità sono riuscito a mettere fuori gioco un battaglione di orchi, e voi non eravate con me” si vantò Thorin Scudodiquercia, in preda all’orgoglio.
Bilbo avrebbe voluto precisare che anche lui aveva dato la sua parte in quel combattimento, ma decise di stare zitto per umiltà e prudenza.
“Pensa a quanto sarebbe stato facile se noi fossimo stati al tuo fianco” replicò il nano moro, con aria furba.
A quelle parole, il Re sotto la Montagna si fermò. In effetti se l’era vista brutta quella notte e probabilmente, se fossero stati in quattordici anziché in due, la vittoria sarebbe stata più scontata. Le parole del nipote lo avevano fatto riflettere: non è forse meglio essere in quattordici anziché in due contro un branco di orchi? Stranamente non ci aveva pensato, e neanche Gandalf, è che non avevano intenzione di misurarsi con quelle bestiacce, volevano semplicemente tornare nella Contea con più discrezione possibile, cosa che non era più tanto ardua per via della vittoria dei nani, degli elfi e degli uomini nella Battaglia dei Cinque Eserciti.
Kili sorrise allegramente. “E poi, in quattordici, si è in compagnia.”


 

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Capitolo 15
*** Alla locanda del Drago che ronfa ***


Alla locanda del Drago che ronfa
 

Salve salvino! Ebbene, eccomi qua con un nuovo capitolo, vi avverto che è piuttosto allegro ma non abituatevi troppo a tutta quest’allegria, è pur sempre una fanfiction drammatica! ^^
Non mi prendo nessun merito per il nome della locanda, poiché l’ho preso in prestito dal cartone animato Cacciatori di draghi.
Ancora una volta ringrazio Leila91, Daenerys 21, Innamoratahobbit96, Khilian e coloro che stanno seguendo questa storia, che i peli dei vostri piedi non cadano mai! (?) <3
Lucri :)


I dodici nani erano stati fin troppo rumorosi per i gusti di Thorin: non avevano smesso di parlare neanche per un secondo – e il loro tono di voce era tutt’altro che basso –, ogni due per tre ridevano sguaiatamente, sovente avevano cantato in coro una serie di canzoni spassose e volgari e avevano fatto gara di rutti.
Per il Re sotto la Montagna era una gioia vedere lo hobbit così felice e rilassato, se stessero semplicemente facendo una scampagnata in montagna gli avrebbe anche fatto piacere tutta quella letizia e magari si sarebbe unito ai suoi amici, però non stavano facendo una gita, stavano riportando Bilbo a casa mentre avevano un branco di orchi alle calcagna.
Così Thorin Scudodiquercia aveva svariate volte rimproverato i suoi compagni di viaggio, ma era come parlare al muro: non appena si voltava e passava qualche minuto, i dodici nani riprendevano a fare gli sciocchi. Non lo facevano per innervosire il capo o per il semplice gusto di disobbedirgli, semplicemente non riuscivano a stare seri neanche per cinque secondi.
Verso sera la caotica e bizzarra comitiva giunse in vista di un villaggio con fortificazioni in legno. Un villaggio di uomini. Ora che gli orchi erano stati sconfitti e i Mannari non si facevano più vedere, altri uomini erano giunti dal sud per abbattere alberi in quella zona e costruire dimore nei boschi, nelle vallate e lungo le sponde del fiume.
Gli stomaci dello hobbit e dei nani brontolavano. Lungo il tragitto Thorin aveva cacciato qualche scoiattolo ma quegli animali avevano un saporaccio! Le uniche cose che i nostri eroi chiedevano erano un buon pasto e un letto caldo per quella notte. Così si avviarono verso le mura del villaggio.
Non appena le guardie videro avvicinarsi quei quattordici individui, si misero subito sull’attenti ma, riconoscendo il grande Thorin Scudodiquercia, li fecero passare.
Il villaggio era molto rustico, con il terreno polveroso e le case in legno.
La gente mormorava guardando di sottecchi la desueta compagnia, alcuni si inchinavano dinanzi al Re sotto la Montagna, colmandolo di orgoglio.
“Quella locanda m’ispira.” Kili distrasse tutti i suoi amici dai loro pensieri.
I nani e il signor Baggins si voltarono e videro una locanda alta, leggermente storta, con un grande portone in legno. Era in contrasto con gli altri edifici poiché era costruita quasi completamente in pietra.
Nori aguzzò la vista e lesse l’insegna: “La Taverna del Drago che ronfa.”
Thorin fece un sorrisetto acido. “Già dal nome non mi piace.”
“Non deve piacerci per forza,” disse Balin, “dobbiamo solo cenare e dormire, poi l’indomani partiremo.”
In ogni caso i nani, specialmente Bilbo, erano troppo stanchi e affamati per fare gli schizzinosi, quindi decisero di varcare la soglia della taverna.
Non appena misero piede dentro la locanda, tutti si voltarono a guardarli. Riconoscendo Thorin dalle descrizioni e dalle rappresentazioni sugli arazzi, chinarono il capo.
Il Re sotto la Montagna provò ancora una volta un infinito orgoglio di fronte al rispetto che le persone dimostravano verso la sua nobile stirpe. Avanzò solennemente per il pavimento di pietra, seguito dai suoi amici.
Al bancone si trovava un donnone dai lunghi capelli rossi, sembrava felice che i valorosi nani fossero entrati proprio nella sua locanda, ciò la rendeva fiera. “Buonasera! Cosa posso fare per voi, cari nani?” La sua voce era profonda per essere quella di una donna e fece fatica a celare l’eccitazione nella sua frase.
“Desideriamo semplicemente un buon pasto e un letto per la notte, brava donna.” Thorin buttò sul bancone un borsellino pieno di monete d’oro.
Quando la locandiera vide il contenuto di quella piccola sacca, le brillarono gli occhi. Non aveva mai visto così tanto oro in tutta la sua lunga vita! Una volta ripresa dallo stupore, chiamò a gran voce: “Susann! Fa’ accomodare i nostri ospiti.”
Ai nani e allo hobbit si avvicinò una giovane donna bionda, in carne come quella che doveva essere sua madre.
Fili e Kili, notando il seno prosperoso della figlia della locandiera nascosto alla bell’e meglio dalla camicetta, si diedero una gomitata a ridacchiarono a bassa voce, guardandosi con aria maliziosa.
Thorin conosceva bene i suoi polli e aveva capito che i due giovani nani avevano dato una sbirciatina alle grazie della ragazza, così diede loro una per la testa.
“Seguitemi, miei cari nani” li invitò con voce soave Susann, facendo loro cenno di seguirla. Ella li condusse ad un lungo tavolo in legno attaccato al muro, vicino alle finestre.
Thorin si sedette tra Bilbo e Dwalin, di fronte ai nipoti, per tenerli d’occhio.
“Cosa vi porto, signori?” La giovane locandiera rivolse al Re sotto la Montagna un sorriso smagliante e sbatté le ciglia, senza neanche degnare di uno sguardo Fili e Kili, i quali le avevano fatto l’occhiolino. Inutile dire che c’erano rimasti male per via della mancata attenzione della ragazza.
“Quattordici birre e un montone arrosto, abbastanza grande per tutti noi” rispose freddo Thorin, senza badare ai tentativi di seduzione di Susann.
La ragazza smise di sorridere, si aspettava almeno un sorriso da quel nano, invece lui l’aveva congedata il più velocemente e freddamente possibile. Quindi andò a riferire l’ordine offesa.
Fili e Kili guardarono male loro zio. “Zio, smettila” disse il nano biondo.
“Di fare cosa?” domandò Scudodiquercia preparandosi la pipa.
“Di rubarci le donne” rispose Kili.
Dwalin rise, mentre il Re sotto alla Montagna alzò le spalle. “A dir la verità io non faccio niente, sono loro che vengono da me” ammise senza preoccuparsi di apparire immodesto.
Mentre tutti ridevano per le espressioni contrariate e l’insuccesso di Fili e Kili, Bilbo mise la mano in tasca. Ma quella volta non cercò l’anello, no, bensì la ghianda. La tirò fuori e la guardò sotto alla luce tenue della sera. Se la rigirò tra le dita osservandola con attenzione, aspettando che un ricordo gli riaffiorasse alla mente.
“Tutto a posto?” La voce bassa e rauca di Thorin lo riportò alla realtà.
Lo hobbit chiuse gli occhi e scosse la testa, per tornare in sé, dopodiché si voltò verso l’amico e gli sorrise nervosamente. “Sì, tutto a posto,” mentì. In realtà era cupo e pensieroso da un bel po’ di ore e Scudodiquercia si era accorto di questo. Neanche i nani erano riusciti a tirare il signor Baggins su di morale, era confuso e a volte pensava di trovarsi in un sogno o di essere morto.
Il Re sotto la Montagna abbassò lo sguardo e notò la ghianda che lo scassinatore stava tenendo in mano. Sospirò. “Abbi pazienza, la memoria non ti tornerà così da un momento all’altro, non ti scoraggiare se non riesci subito a ricordare le cose. Piano piano tornerà tutto come prima, te l’assicuro.” Detto questo si concentrò sulla birra che Susann gli aveva appena portato.
“Ecco qua, mio signore!” esclamò raggiante la locandiera, stando attenta a far vedere il seno al nano mentre si inchinava.
“Grazie.” Prese il boccale e se lo portò alle labbra, senza guardarla neanche per un secondo. Aveva cose più importanti a cui pensare, non aveva tempo per stare dietro a una sciocca ragazzina che si illudeva di essere degna delle attenzioni del re.
Susann rimase ancora un attimo ferma a fissarlo, nella speranza che accadesse qualcosa.
Non appena ebbe bevuto un po’ di birra, Thorin si voltò verso la locandiera.
Ella sobbalzò, sperando che finalmente il nobile nano sarebbe ceduto alle sue moine.
Tutto quello che Thorin Scudodiquercia le disse fu: “Il montone, ragazza.”
La giovinetta si sentì come se nel terreno si fosse aperta una voragine e l’avesse risucchiata al suo interno.
Balin guardò con rimprovero il suo Re, pensando che sarebbe potuto essere almeno un po’ più dolce e meno freddo, era pur sempre una ragazzina, non avrà avuto neanche vent’anni quella poveretta.
“Ehm… mia madre lo sta preparando, quando sarà pronto ve lo porterò” rispose imbarazzata Susann: quel nano stava cominciando a metterla in soggezione e a farla sentire fuori luogo, così prese la decisione di andarsene, non si sentiva a suo agio accanto a lui.
L’unico che non provò compassione per la locandiera fu Thorin, continuava a fissare il fondo del suo boccale, affatto pentito per come aveva trattato la giovane.
“Zio.” Kili ruppe il silenzio. “Mi sa proprio che l’hai rattristita…” Sorrise malizioso. “Allora io e Fili, più tardi, la tireremo su di morale, visto che a te non piace.”
Lo zio guardò il nipote più giovane dritto in faccia, gli occhi ridotti a due fessure. “Io invece non credo proprio” disse duramente. “Siete due principi, non due zoticoni qualsiasi che passano tutta la loro vita nelle locande ad allungare le mani su tutte le donne che passano loro accanto. Comportatevi con più onore, non vi ho educati così.”
Ancora una volta Fili e Kili abbassarono la testa.
Bilbo Baggins non tornò su di morale neanche quando Susann arrivò reggendo un piatto con su sopra un enorme e saporito montone. Stava morendo di fame, ma quella volta neanche il cibo sarebbe riuscito a rallegrarlo.
I nani si accorsero della tristezza di Bilbo, così Nori si avvicinò all’orecchio di Dwalin e gli sussurrò qualcosa. Quello annuì e subito dopo parlò nell’orecchio di Thorin.
Lo hobbit guardò senza capire i suoi amici che si sussurravano qualcosa all’orecchio uno dietro l’altro.
Una volta concluso il passaparola, i tredici amici del signor Baggins rivolsero a quest’ultimo un sorriso a trentadue denti e iniziarono a cantare, tutti tranne Thorin che non conosceva quella canzone:
 
Scheggia le coppe, sbriciola i piatti!
Lame e forchette torci non poco!
Ciò Bilbo Baggins odia da matti.
Spacca bottiglie, da’ i tappi al fuoco

Strappa tovaglie, sul grasso salta!
Riversa il latte nel ripostiglio!
A piè del letto tutto ribalta!
L’uscio di vino spruzza vermiglio!

Getta stoviglie
nell’acqua che scotta,
Col gran pastello tritale bene;
e se qualcosa resta non rotta
buttarla in terra tosto conviene!

Ciò Bilbo Baggins odia da matti!
Attento dunque tu con quei piatti!

 
I tredici nani scoppiarono a ridere, anche Thorin: non aveva mai sentito quella canzone e gli scappò un sorriso al solo pensiero dei disastri che i suoi uomini avevano combinato a casa dello scassinatore. Non sarebbero cambiati mai.
Anche Bilbo rise, soprattutto perché tutti si erano voltati a guardare i suoi folli amici; attiravano l’attenzione ovunque andassero. Allo hobbit sembrava di aver già udito quella composizione, solo che non si ricordava né dove né quando. In ogni caso si sentì meglio: quei tipi pazzerelli erano degli assi per quanto riguardava far sorridere le persone.
Nori si guardò intorno con circospezione, dopodiché si mise nella giacca una forchetta.
Dori tossì per attirare la sua attenzione.
Il buffo nanetto dalla complicata acconciatura guardò il fratello, lo stava guardando severamente, come se fosse stato suo padre.
Nori alzò le spalle e fece l’espressione più incolpevole che poté. “Che c’è? L’hai detto tu stesso che a casa ci mancano posate” si giustificò.
Dori scosse la testa, mentre gli altri scoppiarono in una rumorosa risata.
La serata trascorse con altri siparietti comici ma, la punta di diamante, ci fu quando Dwalin chiese a suo fratello Balin: “Ehi, fratello, ti ricordi di quella volta che Thorin era piccolo ed era scappato per l’ennesima volta dalle tue lezioni? Thrain era talmente arrabbiato che l’aveva trascinato a Erebor tirandolo per un orecchio, davanti a tutti, poi!”
Altre risate a volontà. Quello che si divertì più di tutti fu Bilbo: gli faceva strano immaginarsi un mini Thorin capriccioso preso per un orecchio dal padre.
“Ti ricordo, caro Dwalin, che quel giorno anche tu ti saresti dovuto trovare a lezione, invece stavi scorrazzando per i boschi insieme a me. Nel caso te lo fossi dimenticato tuo padre ti diede talmente tanti colpi sul sedere che esso diventò rosso.” Thorin Scudodiquercia mise le braccia conserte e guardò vittorioso il vecchio amico.
Dwalin mise il broncio, nel momento in cui l’ilarità dei suoi amici gli entrava nelle orecchie.

 

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Capitolo 16
*** All of the stars ***


Bilbo Baggins guardò ancora una volta la ghianda posata sul palmo della sua mano. Non gli diceva niente. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, stringendo la ghianda. Voleva concentrarsi per provare a ricordare il sogno, o ciò che c’era stato prima. Il problema è che non ce la faceva a pensare con il sottofondo delle risate dei nani, i quali lo chiamavano di continuo e gli davano delle pacche sulla schiena.
“Scusate.” All’improvviso lo hobbit aprì gli occhi.
I suoi amici la smisero di ciarlare e lo guardarono preoccupati: la sua espressione non li piaceva per niente.
“Ho bisogno di un po’ d’aria, torno subito.” Senza aggiungere altro, il signor Baggins si alzò dalla panca di legno e uscì, sentendo gli occhi degli altri incollati sulla schiena.
 
L’aria fredda dell’inverno lo punse in faccia non appena mise piede fuori dal Drago che ronfa. Si strinse la giacchetta rossa e camminò verso le mura della città, venendo rallentato dal vento.
C’erano ancora molte persone in giro: chiacchieravano fra loro, ridevano, portavano i figli a spasso oppure stavano tornando a casa.
Una volta superata la porta, Bilbo si diresse a un torrente che aveva visto mentre lui e i nani stavano raggiungendo la città fortificata.
Lo hobbit si sedette sulla riva e alzò il capo: sopra di lui le stelle scintillavano nel cielo blu notte come mille piccoli diamanti.
“Tutto bene?” Bilbo fece un salto ma, quando riconobbe quella voce amica, si calmò.
Thorin Scudodiquercia era in piedi vicino a lui e lo stava guardando turbato.
L’ex scassinatore gli sorrise velocemente, nervoso. “S… sì, tutto bene!” mentì, poi riprese a guardare le stelle, sentendosi a disagio per la vicinanza del nano e per il silenzio che c’era tra loro.
Il Re sotto la Montagna sospirò fissando l’erba, sapendo che in realtà il suo amico non stava affatto bene. Si distrasse dai suoi pensieri quando notò che lo hobbit stava tremando. Non ci pensò due volte e circondò le sue spalle con il suo mantello.
Bilbo si sentì rincuorato da quell’improvviso calore, ma il nano? Non aveva freddo? Infatti gli disse: “Sei molto gentile, ma non voglio che tu ti prenda il raffreddore per colpa mia.”
“Sciocchezze,” rispose Thorin, “noi nani sopportiamo meglio il freddo.”
Il signor Baggins decise di non insistere, anche perché sarebbe stato inutile visto che il suo amico, quando prendeva una decisione, non cambiava idea neanche morto.
In maniera del tutto inaspettata, Scudodiquercia si sedette accanto allo hobbit. Quest’ultimo fece un verso di sorpresa: si aspettava che lo avrebbe trascinato dentro la taverna o che se ne sarebbe andato… il Re non gli dava l’idea di essere un tipo che si fermasse a guardare le stelle.
“Sdraiati,” gli ordinò Thorin.
Bilbo lo guardò sgranando gli occhi, faticando a interpretare quell’ordine. “Prego?” La sua voce era stridula, com’era quand’era seccato, ma cercò di celare la sua indignazione il più possibile.
Il nano ridacchiò. “Non voglio violentarti, ormai dovresti saperlo che mi piacciono le donne” disse. “Ti ho detto di sdraiarti perché così stai più comodo, ti viene il torcicollo se guardi le stelle seduto in quel modo.”
Stupido! Stupido! Stupido! Si rimproverò Bilbo dentro di sé. Come al solito aveva fatto la sua bella figura e ringraziò il cielo che fosse buio, così il nano non avrebbe notato le sue guance purpuree.
Alla fine lo hobbit si sdraiò accanto al suo migliore amico. In effetti così era più comodo osservare quei minuscoli diamanti sullo sfondo scuro.
“Sai come si chiama quella costellazione?” Thorin indicò un punto nel cielo.
Bilbo seguì il suo dito con lo sguardo e scosse la testa. “No,” rispose.
“Si chiama Valacirca,” gli spiegò il nano, “è una costellazione importante, è stata posta nel cielo da Varda come monito a Melkor e ai suoi servi.”
“Oh.” Bilbo, in realtà, non aveva capito un accidenti: chi diamine era Melkor? E Varda?
Scudodiquercia prese la saggia decisione di non parlare al suo amico di altre costellazioni, tanto non ricordava quasi niente della Terra di Mezzo, sarebbe stato come spiegare qualcosa di complesso a un bambino. Scavò nella sua mente in cerca di qualcosa che avrebbe tirato su il morale allo hobbit, alla fine la trovò e gli chiese: “Vuoi che ti canti una canzone?”
“Una canzone?”
“Sì, una molto bella che cantavo sempre a Fili e Kili quand’erano piccoli.” A Thorin piaceva cantare per i suoi amici, aveva una bellissima voce e gli dispiacque non aver avuto la sua arpa con sé, in quel momento.
“Va bene” rispose il signor Baggins. Aveva già avuto l’onore di sentirlo cantare e trovava che la sua voce fosse meravigliosa, quindi fu entusiasta della proposta del suo amico.
Il Re sotto la Montagna si schiarì la voce e intonò dolcemente:
 
È solo un’altra notte
E sto fissando la luna
Ho visto una stella cadente
E ho pensato a te
Ho cantato una ninna nanna
In riva al fiume e sapevo che
Se tu fossi stato qui,
L’avrei cantata a te

Tu sei dall’altra parte
Mentre l’orizzonte si divide in due
Io sono lontano dal vederti
Riesco a vedere le stelle
dai Monti Azzurri
Mi chiedo, non le vedi anche tu?


Quindi, apri gli occhi e guarda
Il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ci guideranno
Nella notte con me
E so che queste cicatrici sanguineranno
Mentre entrambi i nostri cuori sanguineranno
Tutte queste stelle ci guideranno a casa


Questa canzone il nano l’aveva scritta pensando a Gwarka, quand’era morta. Tuttavia non lo rattristiva, perché aveva il sapore della speranza: due persone che si volevano bene erano lontane ma, tutto sommato, non lo erano poi così tanto, perché ognuna di loro si sarebbe portata l’altra nel cuore.
Ebbene questo pezzo ricordava a Thorin quello che stavano passando lui e Bilbo. Il suo migliore amico era molto lontano da lui, non era più la persona che aveva conosciuto quella volta a Casa Baggins, però lui non l’avrebbe mai dimenticata. Qualsiasi piega avrebbero preso gli eventi.

Angolino autrice:
Eccomi qua! :D Dopo il solito e imperdonabile ritardo. Ringrazio ancora una volta chi legge e recensisce e ci terrei a precisare che, la canzone che canta Thorin, non mi appartiene, è di Ed Sheeran e si intitola All of the stars.
Un bacione enorme a tutti voi!
Lucri :)

 

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Capitolo 17
*** Ricordi e risveglio movimentato ***


Bilbo chiuse piano piano gli occhi, mentre la testa gli dondolava avanti. Ormai addormentato e quindi affatto consapevole di quello che stava facendo, cadde su Thorin e si ritrovò con la testa sulle sue gambe.
Il nano sobbalzò leggermente e, quando notò lo hobbit appisolato su di lui, sperò con tutto se stesso che nessuno li stesse guardando. Dopo essersi accertato che erano soli, Thorin scosse poco gentilmente l’amico. “Bilbo,” lo chiamò, ma il signor Baggins non diede segni di vita.
Sbuffando, Scudodiquercia lo toccò un’altra volta. “Bilbo” disse nuovamente.
Niente da fare: lo hobbit continuava a dormire profondamente come un ghiro.
Il Re sotto la Montagna prese in considerazione l’idea di svegliarlo, ma non se la sentiva di farlo: Bilbo stava dormendo così bene! E chissà da quanto tempo non aveva avuto un sonno così pesante. Però non poteva certo dormire all’aperto; così, controvoglia, il nano prese in braccio il corpicino dello hobbit. Spero che i miei nipoti siano già andati a dormire: non sopporterei i loro commenti idioti, pensò corrucciato lo stoico Thorin Scudodiquercia.
 
Quando fece ingresso nella locanda, tutti gli occhi si puntarono su di lui. Thorin desiderò ardentemente di scomparire all’improvviso esattamente come aveva fatto il suo migliore amico quella notte, durante l’imboscata degli orchi, soprattutto quando notò con un certo dispiacere che i suoi nipoti erano ancora belli svegli.
“Wow! Tu e Bilbo…” commentò con malizia Kili, guardando suo zio negli occhi, divertito.
“Te lo tiro in testa se non chiudi un po’ quel becco” gli rispose duramente il Re dei Nani.
A quelle parole, il giovane nano si zittì, non tenendoci a ricevere sulla capoccia uno hobbit grassottello.
Susann si appoggiò sul bancone di legno e sbuffò indignata, levandosi una ciocca bionda dagli occhi. “Preferisce persino uno hobbit a me!”
Thorin Scudodiquercia fece uno sforzo enorme per non mettersi a gridare a tutti di farsi gli affari loro. Si limitò a digrignare i denti, poi sparì su per le scale.
 
Il nano apprese con un certo dispiacere che, quella notte, avrebbe dovuto condividere la camera con Bilbo. Non che avesse qualcosa contro di lui, per carità! Solo che, dopo questa news, sarebbe stato ancora più difficile zittire i maliziosissimi nani.
 
Thorin si mise lo hobbit sulla spalla per riuscire ad aprire la porta. L’interno della piccola stanza era illuminato dal chiaro di luna, il quale penetrava nella camera grazie alle tende aperte.
L’ambiente era piuttosto angusto, specialmente per il Re, abituato agli ampi saloni di Erebor. Ma era più che sufficiente per due persone, e poi ci avrebbero passato solo una notte.
Thorin Scudodiquercia avanzò pesantemente verso il letto, facendo scricchiolare il pavimento con i suoi pesanti stivali. Ancora una volta rimboccò le coperte al signor Baggins.
Era tardi, il nano e i suoi compagni di viaggio avrebbero dovuto andare a dormire presto, visto che l’indomani si sarebbero messi in cammino all’alba. Tuttavia, Thorin non si distese accanto all’amico, bensì si sedette sul letto, accanto alla testolina riccioluta di Bilbo. Il Re sotto la Montagna lo guardò per un attimo: dormiva serenamente, probabilmente neanche la Battaglia dei Cinque Eserciti sarebbe riuscita a destarlo. Al solo pensiero di quel giorno, Thorin rabbrividì. Aveva rischiato di morire, per un attimo aveva visto la vita scivolargli via, dopo aver faticato così tanto per riprendersi la sua terra natia.
 
Si inginocchiò, pieno di dolore.
È vero: Azog era morto e i Nani, gli Uomini e gli Elfi stavano vincendo la battaglia; dopodiché avrebbe dato agli abitanti di Pontelagolungo e agli elfi silvani ciò che volevano, poi sarebbe tornato nel tuo tanto amato regno e avrebbe regnato con onore e orgoglio. Tuttavia, quella era una vittoria amara: come poteva festeggiare se aveva appena perso un nipote? Il suo erede al trono, colui che aveva cresciuto come un figlio… e Kili? Dov’era finito? Era morto anche lui? Il povero Re non riusciva a darsi pace.
I pensieri del nano si interruppero non appena egli notò qualcosa: Azog stava galleggiando sotto al ghiaccio e i suoi occhi erano aperti. Sembrava che lo stesse guardando.
Pieno di orrore, Thorin si alzò e guardò con attenzione il volto del suo più acerrimo nemico. Seguì il corpo che veniva trasportato dall’acqua: voleva accertarsi che quel pezzo di lerciume fosse morto.
Azog il Profanatore chiuse gli occhi e il nano pensò erroneamente che ormai si trovasse all’Inferno. Questo sbaglio gli costò caro: Scudodiquercia si distrasse e l’orco gli infilzò il piede, dopo aver aperto gli occhi e sorriso malignamente.
Il nano lanciò un urlo che squarciò l’aria. Più che un urlo sembrava un ruggito, il ruggito di un fiero leone, ferito nell’orgoglio e nel corpo.
Azog, con una forza bruta, ruppe il ghiaccio e costrinse l’avversario a terra. Quest’ultimo provò in tutti i modi ad opporsi ma, ottenebrato dalla stanchezza del combattimento e dal dolore fisico e morale, l’unica cosa che riuscì a fare fu trattenere la lama nemica con la sua.
Il condottiero degli orchi era consapevole del fatto che aveva il nemico in pugno. Rivolse a Thorin un sorriso malvagio e spinse l’arma più che poté.
Scudodiquercia resistette, anche se sentiva che presto non ce l’avrebbe più fatta ad opporre resistenza. Quel maledetto aveva il coltello dalla parte del manico. Il nano corrugò la fronte, soprattutto dopo aver visto lo sguardo beffardo che gli stava rivolgendo l’orco: va bene, lui sarebbe morto, ma quel dannato bastardo l’avrebbe seguito nella tomba.
All’improvviso Thorin Scudodiquercia rivide il viso di suo nonno e di suo nipote più grande. Si sarebbe sacrificato per vendicarli. Così, con coraggio, il nobile nano levò la sua lama, consentendo ad Azog di trapassarlo.
Il sorriso malefico dell’orco si allargò, di fronte all’immagine del re nanico a terra, sofferente. Azog fece presto a gongolarsi, però, visto che Thorin ci mise un attimo a infilzarlo.
Colto di sorpresa, il Profanatore smise di sorridere e rimase per una frazione di secondo fermo, basito.
Quei secondi bastarono al nano per recuperare le poche forze che gli erano rimaste e mettersi sopra all’avversario. Lo trapassò con Orcrist con talmente tanto vigore, che persino il ghiaccio riportò danni.
Il nano si avvicinò  al volto di Azog: voleva vedere la paura nei suoi occhi.
Quando Azog il Profanatore fu finalmente morto e stecchito, Thorin si levò debolmente dal suo corpo, rivolgendogli un’ultima occhiata di astio. Si alzò in piedi e ci tenne ad osservare dall’alto il suo regno, prima di lasciarsi andare tra le braccia di Mahal. Aveva lavato via gli errori del passato con gesta gloriose in battaglia, eppure continuava a sentire un fastidio dentro di sé. Ma certo! Come aveva fatto a dimenticarsene? Sarebbe morto senza aver posto le sue scuse al suo amico, a colui che aveva solo cercato di aiutarlo, colui che aveva tentato di aprirgli gli occhi quando era troppo cieco per vedere.
Con questa amara consapevolezza nel cuore, il grande Thorin Scudodiquercia cadde a terra.
L’amarezza si trasformò presto in sollievo, quando il Re sotto la Montagna vide lo hobbit correre verso di lui. Erebor era stata riconquistata, Azog era morto, gli orchi sconfitti e presto avrebbe chiesto scusa allo scassinatore; ogni cosa era a posto.
“Bilbo,” sussurrò debolmente il nano, “sei qui. Sono contento.”
“Non muoverti, non muoverti” gli disse il signor Baggins, senza far notare troppo la sua agitazione. Doveva mantenere la calma in un momento come quello. Quindi, lentamente e senza farsi prendere dal panico, esaminò la ferita dell’amico; non appena si rese conto delle gravi condizioni del nano, si portò una mano alla bocca, avvertendo un conato di vomito.
“Rimangio tutto ciò che ho detto sui bastioni, hai fatto quello che un vero amico avrebbe fatto.” Thorin lo guardò supplichevole, quasi piangendo: si sentiva uno schifo per come si era comportato. “Ti prego, perdonami per averti messo in un tale pericolo, ero troppo cieco per vedere.”
Bilbo pensò erroneamente che il nano si stesse riferendo a tutte le avventure passate prima che Smaug morisse. E così, egli pensava di aver sbagliato mettendolo in mezzo a certe situazioni, ma le cose non stavano in quel modo: era da tempo che lo hobbit non si era sentito così vivo. La parte più tucchica di sé era stata soddisfatta egregiamente. Il signor Baggins gli sorrise, per rassicurarlo. “Sono felice di aver condiviso i tuoi pericoli, Thorin, dal primo all’ultimo.”
Il nano lo guardò negli occhi, sorpreso da quell’affermazione.
Bilbo ricambiò lo sguardo. “È più di quanto meriti un Baggins.”
Thorin Scudodiquercia, sentendo il suo cuore più leggero dopo quella rivelazione, rivolse all’amico un sorriso sincero. “Addio, mastro scassinatore.”
Lo hobbit fece un profondo respiro, non sentendosi pronto per quell’addio.
“Ritorna ai tuoi libri, alla tua comoda poltrona. Pianta i tuoi alberi, guardali crescere.”
Bilbo si commosse constatando che l’amico si ricordasse cosa gli aveva detto prima dell’arrivo dei Mannari, quando tutto era ancora perfetto.
Sentendo le forze venirgli sempre di meno, Thorin si affrettò a dirgli la frase che stava trattenendo sulla punta della lingua da un bel po’: “Se un maggior numero di noi considerasse la casa al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più felice.”
Bilbo Baggins era acuto abbastanza da accorgersi che il suo migliore amico stava morendo. Non riusciva ancora a crederci, quella situazione era troppo brutta per essere vera. Si gettò sul suo corpo, sentendo le lacrime farsi sempre più forti. “No, no, no, no! Thorin! Non osare! Guarda, ci sono le Aquile, le Aquile sono qui.”
Scudodiquercia avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che spettacolo meraviglioso fossero quelle nobili Aquile che volavano fiere nel cielo plumbeo, ma non riusciva ad emettere nessun suono. Vedeva tutto sempre più fosco, mentre la vocina agitata dello hobbit diventava piano piano un rumore confuso.
 
Thorin ricordava perfettamente il sollievo che aveva avvertito nel cuore quando si era reso conto che Gandalf l’aveva riportato nel regno dei vivi con un incantesimo, e la gioia era stata ancora più grande quando aveva visto Fili vivo e vegeto sul suo capezzale. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza lo stregone.
Il nano sorrise commosso rammentando lo spavento che aveva letto negli occhi dello scassinatore quando l’aveva trovato moribondo sul fiume ghiacciato di Collecorvo. Lo sguardo del Re si posò un’altra volta su Bilbo Baggins.
Lo hobbit aveva la bocca leggermente aperta, da essa uscivano respiri appena percepibili, mentre lui dormiva rannicchiato su se stesso, come un bambino bisognoso di affetto.
Il nano lo guardò leggermente risentito. Quand’è che la smetterai di farmi passare per una balia? Sorrise. Dormi quanto vuoi, te la sei meritata una bella dormita. Pensato questo, Thorin si distese accanto a lui.
 
L’indomani, proprio come era stato programmato, i nani si svegliarono presto.
Si trovavano tutti fuori dalla locanda. Il tempo era sereno e la gente del posto stava tranquillamente camminando per le strade, mentre Thorin si assicurava che non mancasse nulla. All’improvviso, il nano si bloccò e si guardò introno. “Dove sono Fili e Kili?”
I suoi amici si guardarono negli occhi, non sapendo se dirgli la verità o meno.
Non era necessario dare spiegazioni, poiché il Re aveva inteso ogni cosa. Conosceva i suoi polli. Così, dopo aver sbuffato sonoramente, si era precipitato dentro il Drago che ronfa.
 
Susann aveva i lunghi capelli biondi sparpagliati sul letto, mentre Fili dormiva alla sua destra e Kili alla sua sinistra. Il sole entrava dalla finestra, illuminando il letto disordinato.
Thorin Scudodiquercia entrò nella camera come una furia. Il colpo alla porta era stato talmente forte che la ragazza si era svegliata di scatto. Notando il nano davanti al letto, la giovane si fece mille illusioni. Gli circondò il collo con le braccia e gli fece gli occhi dolci. “Se volevate unirvi a noi bastava dirlo” gli disse con sensualità.
Il nano se la levò di dosso. “LEVAMI LE MANI DI DOSSO, SGUALDRINA!” gridò furioso.
A quel punto, anche Fili e Kili si svegliarono. Inutile dire che presero un colpo ritrovandosi loro zio davanti agli occhi, arrabbiato come non mai. I due giovani nani sorrisero con aria innocente; prima che potessero difendersi a parole, Thorin li afferrò per le orecchie e li trascinò nudi fuori dalla locanda, umiliandoli davanti a tutti. Non c’era punizione migliore, si disse.
I nani, non appena videro Fili e Kili nudi come vermi, ridacchiarono.
Scudodiquercia uscì subito dopo, lanciando addosso ai suoi nipoti i loro vestiti e i loro bagagli.
I nani più giovani della Compagnia si guardarono con aria complice, consapevoli che l’avevano combinata grossa.

 

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Capitolo 18
*** Tra imbarazzo e sollievo ***


I nani e lo hobbit erano ripartiti di gran carriera. Avevano subito abbandonato la città e, in poco tempo, erano giunti in un bosco.
Il sole era alto nel cielo, quella mattina, e illuminava di tanto in tanto il sentiero che stavano percorrendo i nostri eroi, ostacolato qualche volta dagli alberi folti.
Thorin cavalcava il pony bianco in testa al gruppo, seguito da Bilbo. Quest’ultimo aveva le gote completamente purpuree e non riusciva ad alzare il naso dal collo del suo destriero. Già i commenti sciocchi dei nani l’avevano imbarazzato abbastanza quella mattina, non aveva l’ardire di incrociare la schiena del Re sotto la Montagna.
 
I raggi solari gli sfiorarono gentilmente il viso dai lineamenti perennemente infantili e delicati, senza un accenno di barba. Gli uccellini cinguettavano allegri, proprio come quella mattina a Casa Baggins, subito dopo la riunione inaspettata. Solo che il signor Baggins non poteva ricordarsela.
Bilbo emise un verso indecifrabile e si accoccolò su se stesso, stringendo il cuscino, come se fosse stato una persona cara.
“Mastro Baggins, c’è qualcosa che non va?”
Da quando in qua i cuscini parlavano?
Lo hobbit aprì immediatamente gli occhi e gli ci volle poco tempo per realizzare che, ciò che stava abbracciando, era un nano.
Bilbo balzò letteralmente giù dal letto e poco bastò che si mettesse ad urlare come un matto, svegliando tutta la locanda.
Il grande Thorin Scudodiquercia si voltò a guardarlo, il volto rilassato in un sorrisino divertito.
Il piccoletto aveva una mano sul petto e stava respirando bene a fondo, come se avesse appena finito di fare un giro di corsa per tutte le sale di Erebor. “T… Thorin! Mi hai spaventato.” Questo fu tutto quello che Bilbo riuscì a dire, con tono garbato, ovviamente. Non c’era un velo di irritazione nella sua voce. Solo imbarazzo.
Il nano stava ancora sorridendo. “Desolato.” Repentinamente, calciò via le coperte e si alzò in piedi, tornando serio.
Il povero signor Baggins non aveva neanche il coraggio di guardarlo negli occhi. È vero, erano amici, però Thorin era pur sempre una persona di riguardo e lo hobbit si era comportato in modo troppo confidenziale, ovvero irrispettoso. Senza contare che era tremendamente timido.
Scudodiquercia si sciacquò la faccia con un secchio che si trovava nella stanza, subito dopo si infilò gli stivali e indossò il mantello. Prima di uscire, diede un colpetto alla spalla di Bilbo, facendogli fare un altro saltello.
Lo scassinatore aveva nuovamente trattenuto un grido.
Thorin sorrise. “Sappi che non ti giudico.”
Lo hobbit lo fissò smarrito: di cosa avrebbe dovuto giudicarlo? Forse per la brutta figura che aveva appena fatto. Purtroppo, queste parole non bastarono per tranquillizzarlo.
“Ammetto che questo fatto mi renda alquanto sconcertato” continuò il nano, con un’espressione strana in volto. Alzò le spalle. “Ma del resto, non possiamo comandare i nostri sentimenti.”
Questa volta il signor Baggins era confuso.

Non possiamo comandare i nostri sentimenti.
Che intendeva dire con quella frase?
Lo sguardo del Re si indurì. “Nonostante ti comprenda e rispetti i tuoi gusti, devo però pregarti di non fare più una cosa del genere. Sono fedele alla mia Gwarka e trovo che sia oltremodo indecoroso per un re fare certe cose con uno hobbit. Intesi?”

L’ha detto veramente o me lo sono solo sognato? Si domandò Bilbo, sbigottito. Non appena ebbe preso atto della realtà della situazione, si indignò alquanto. “A me piacciono le donne!” squittì con un tono più alto di quanto avesse voluto.
Normalmente era lo scassinatore ad essere perpetuamente in imbarazzo. Tuttavia, dopo l’esclamazione di Bilbo, Thorin abbandonò per un momento la sua consueta aria da nano sicuro di sé e sgranò gli occhi a più puntate.
Il signor Baggins era rosso in viso, non per il disagio, bensì per la rabbia. L’acredine fece presto a dissolversi come se fosse stata nebbia, poiché Bilbo fece un’espressione mortificata e allungò il braccio verso l’amico. “P… perdonami, non volevo gridare.”
Adesso Scudodiquercia comprendeva come doveva sentirsi quel piccoletto tutte le volte che faceva una pessima figura. Volendo rapidamente liquidare quella questione, il nano scosse la testa. “Non fa niente, Bilbo. Sul serio, è tutto a posto.” Si voltò e uscì dalla stanza, non potendo sopportare oltre la vicinanza con lo hobbit.
Il signor Baggins era pentito per come aveva risposto a Thorin. Subito dopo, il pentimento si trasformò in irritazione.
Ma pensa di piacere a tutti? Pensato questo, lo hobbit si lavò e si vestì.
 
Come aveva potuto compiere un simile gesto?
Bilbo avvertì l’impulso di indossare l’Anello e diventare invisibile. Si domandò come avrebbe fatto a guardare Thorin negli occhi, per i prossimi giorni: non solo l’aveva abbracciato nel sonno, ma gli aveva anche risposto male.
Il signor Baggins non riusciva a smettere di pensarci.
 
“Thorin, resta con noi!”
“Thorin, resisti!”
Gli sembrava di trovarsi dentro una campana di vetro: i suoni gli rimbombavano intorno, senza giungere completamente alle orecchie.
Il Re sotto la Montagna era stato bruscamente riportato alla realtà. Chiudeva e riapriva continuamente gli occhi, alternando il buio con le immagini di Gandalf e Oin, chini su di lui. Ritrovò la coscienza non appena notò una figura minuta alle spalle dei due amici: il signor Baggins era lì, poco lontano dal suo capezzale. Era bianco in volto e si stava tormentando le mani, senza levare lo sguardo dal corpo debole e dolorante del nano.
“Bilbo!” Thorin scattò a sedere, facendo prendere un colpo al medico e allo stregone.
Scudodiquercia non si era mai sentito così confuso in vita sua: l’ultima cosa che ricordava era di essere stato sul fiume ghiacciato di Collecorvo, in fin di vita. Rammentava che lo scassinatore era rimasto accanto a lui fino alle fine, indicandogli le Aquile che volavano alte e fiere nel cielo, belle come non mai. Poi, il buio totale.
Nessun ricordo di un ipotetico incontro con Mahal, con Thror o con Frerin era presente nella mente di Thorin, gli sembrava di essere morto e, subito dopo, di essersi risvegliato su quel letto.
Il Re sotto la Montagna era talmente pensieroso, che non fece nemmeno caso al fatto che lo hobbit si era slanciato verso di lui, coinvolgendolo in un abbraccio disperato e, allo stesso tempo, felice. “Thorin! Sei vivo! Non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita!” gridava contento Bilbo Baggins, tra le lacrime. Ma le sue erano lacrime di gioia.
Gandalf il Grigio sorrise a quella vista, pensando agli attriti che all’inizio c’erano stati tra lo hobbit e Scudodiquercia. Ebbene, ora eccoli lì, abbracciati vogliosamente, come se l’uno fosse stato la cosa più importante al mondo per l’altro.
Udendo gli squittii felici del signor Baggins, gli altri nani intuirono che la loro guida era sana e salva. Dunque si precipitarono dentro la stanza come un branco di bisonti che fuggono dai cacciatori, travolgendo ogni cosa.
Per poco Gandalf e Oin non furono calpestati!
In poco tempo, Thorin si ritrovò circondato da degli eccitatissimi nani. Non aspettavano neanche che uno di loro finisse di abbracciare il Re, si piombavano sull’amico come delle leonesse che balzano sulla preda, impedendogli di respirare.
Scudodiquercia rideva, dando, talvolta, una carezza sulla testa di Fili e Kili, che erano quelli che stavano dando più platealmente mostra della loro letizia.
“Ragazzi, per favore, un po’ di contegno!” Oin attirò la loro attenzione battendo un piede per terra.
Solo allora i nani si resero conto del loro comportamento inappropriato e lasciarono in pace Thorin. La gioia era talmente immensa che persino Balin e Dwalin avevano “aggredito” Scudodiquercia. Solitamente l’anziano nano era molto posato e capiva quando qualcuno aveva bisogno di riposare o gli serviva tempo per riprendersi, mentre il guerriero pelato si lasciava difficilmente andare alle effusioni.
Gandalf, dal canto suo, non aveva smesso per un secondo di ridacchiare sotto ai baffi.
Ho proprio assortito una gran bella Compagnia, pensò soddisfatto e commosso.
“Sei vivo, a quanto vedo” esclamò il Re sotto la Montagna, rivolgendo al nipote più grande uno sguardo luminoso e sorridente.
Fili sorrise. “Gandalf mi ha curato in fretta…” La sua espressione si incupì. “Non si può dire la stessa cosa di te, eravamo tutti in pensiero. Non ti risvegliavi più.”
Kili colse suo fratello alla sprovvista, dandogli un vigoroso colpo sulla schiena. “Non ci pensare più, fratello! Ora lo zio sta bene ed è vivo e vegeto, è questo quello che conta.” Aveva parlato a voce alta ed era pieno di brio, come sempre. Non aveva senso continuare a struggersi, lo zio era ancora con loro e bisognava darsi alla pazza gioia.
Thorin aveva un bellissimo sorriso stampato in faccia, mentre osservava colmo di orgoglio i suoi due eredi. Non era mai stato così fiero di loro: lo avevano seguito fino alla tana del lupo, senza paura, e ne erano usciti vincenti.
Gli occhi azzurri del nano si incollarono improvvisamente su Bilbo Baggins. Lo hobbit, come sempre, era rimasto in disparte e non avevano bisogno di rivolgersi parole. Tuttavia il nano voleva parlare con lui. “Lasciatemi soli con il signor Baggins, per favore.”
Il tono e l’espressione di Scudodiquercia erano talmente severi che Bilbo temette che l’amico lo avrebbe sgridato.
Non avrei dovuto stringerlo a me in quel modo, rifletté pentito lo scassinatore, è pur sempre un re! Il punto è che la contentezza di vederlo scampato alla morte era stata così grande che persino il rispettabilissimo e tranquillissimo signor Baggins di Casa Baggins non era riuscito a trattenersi.
Oppure è ancora arrabbiato con me per la questione dell’Arkengemma. Thorin gli aveva chiesto scusa, dopo essere stato ferito gravemente da Azog; ma la lunaticità di quel nano era ben nota a tutti, quindi Bilbo non si sarebbe certamente sorpreso se l’amico avesse voluto fargli la paternale ancora per quella storia.
Gli altri nani non si fecero pregare e lasciarono lo scassinatore e il Re da soli.
Lo sguardo di Scudodiquercia non si era ingentilito affatto e lo hobbit temeva di incontrare quegli occhi austeri.
“Grazie” sussurrò Thorin alzando gli zigomi in un dolcissimo sorriso.
Il signor Baggins lo guardò sbalordito: tra tutte le cose che si aspettava, un ringraziamento era sicuramente l’ultima.
“Mi hai assistito fino alle fine e, senza di te, probabilmente sarei morto” continuò il nano, pensando logicamente che fosse stato proprio Bilbo a portarlo da Gandalf. “Inoltre mi sento in dovere di porgerti le mie scuse.”
Lo hobbit alzò le sopracciglia: se il grazie di Thorin lo aveva spiazzato, le sue scuse lo avevano messo in uno stato di trance.
Sogno o son desto? Si domandò inevitabilmente lo scassinatore. Il Re sotto la Montagna si era già scusato con lui, ma era stato sul punto di morire, probabilmente la sua mente era attanagliata dal dolore, forse non si stava neanche rendendo conto di cosa stesse dicendo.
Superato lo stupore, Bilbo sorrise con affetto all’amico. “Non devi scusarti di nulla, Thorin.”
“Invece sì” obiettò con ostinazione Scudodiquercia. “Malgrado ti abbia già rivolto le mie scuse, esse non mi sembreranno mai sufficienti.”
Senza rendersene conto, lo hobbit aveva allungato il braccio e la sua mano si era posata sulla spalla dell’amico.
Thorin guardò basito la manina piccola dello scassinatore appoggiata su di lui. Notoriamente egli non era mai così confidenziale.
“Thorin,” disse Bilbo, “non eri tu a comportati in quel modo. La colpa è tutta della malattia. Sono sicuro che, se il tuo cuore non fosse stato oscurato da quel morbo mentale, ti saresti comportato diversamente.” Gli sorrise. “Poiché sei un nano saggio e onorevole.”
Quelle parole avevano tranquillizzato il Re sotto la Montagna, il quale non riusciva a smettere di sentirsi in colpa per come aveva trattato lo scassinatore. Ma, dopo la frase del signor Baggins, si era sentito il cuore più leggero. “Come posso sdebitarmi?” gli domandò ricambiando il sorriso.
“Ho già la mia quattordicesima parte, Thorin” rispose lo hobbit. “Non voglio altro, veramente. Dovrei essere io a sdebitarmi con voi: non mi sono mai sentito così vivo in tutta la mia vita.” Repentinamente, arrossì per quella improvvisa confessione.
Dall’altra parte, Scudodiquercia stava continuando a sorridere al suo piccolo amico. “Rimani per un po’ a Erebor.”
“Come?”
“Adesso ci sarà l’incoronazione, alla quale seguirà una grande festa. Ti vorrei al mio fianco in questo periodo di pace e prosperità” gli spiegò il bel nano.
Quel discorso aveva fatto piacere a Bilbo e, al contempo, lo aveva reso sempre più sorpreso.
Naturalmente il signor Baggins accettò con piacere.
Fu così che tutto ebbe inizio.
 

Angolino autrice:
 
Salve! Come andiamo tutti?
Oltre a chiedervi scusa per il consueto ritardo, ci terrei a precisare che la scena iniziale, quella in cui Thorin pensa che Bilbo sia gay, potrebbe leggermente somigliare a una scena che ha descritto FedeD nella Principessa di Durin (una fanfiction che vi consiglio di leggere).
Anyway, cercherò di metterci meno tempo possibile ad aggiornare. Il punto è che la scuola mi sta soffocando (?). In ogni caso ho delle idee in mente, quindi ce la metterò tutta per mettermi subito al lavoro.
Un bacione!
Lucri

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Capitolo 19
*** Contrasti ***


Il rumore dello straccio strofinato sugli stivali di Scudodiquercia riempiva l’aria della radura in cui si erano accampati i nostri eroi.
Kili aveva la fronte corrugata come quando era bambino e faceva i capricci. Strofinava il pezzo di stoffa con talmente foga che pareva che avesse voluto rigare la lastra di metallo delle scarpe dello zio.
“Va bene. Basta così” lo fermò Thorin con una voce così bassa che sembrava fosse provenuta dalle viscere della terra.
Il giovane nano si sedette a terra con un sospiro, esausto.
Fili aveva finito da un bel po’ di lucidare gli stivali dello zio, tuttavia era ancora sfibrato: la punizione non si fermava certamente lì. Infatti i due giovani nani erano tenuti a portare un bagaglio ancora più pesante di quello precedente, facevano il turno di guardia ogni notte e consumavano pasti decisamente miseri.
Perché io e Kili abbiamo voluto a tutti i costi accompagnare nostro zio verso la Contea? Siamo dei folli! Pensò il nano biondo una volta che il fratello minore l’ebbe raggiunto sul masso.
Thorin preparò un giaciglio servendosi del mantello e del suo zaino. “Le tenebre stanno avanzando, sapete cosa dovete fare” disse secco ai suoi nipoti.
Fili e Kili si scambiarono uno sguardo esasperato.
Bilbo era consapevole del fatto che i due principi si fossero comportati in maniera vergognosa, però quei due poveretti era da notti che non dormivano come Eru comanda. Era giusto che venissero puniti, però lo hobbit aveva il cuore tenero e riteneva che Thorin stesse esagerando.
Trovando un po’ di stabilità nelle gambe e fermezza nella voce, il signor Baggins si mise attiguo al Re sotto la Montagna, dopo aver tratto un profondo sospiro.
Scudodiquercia, percependo i passi leggeri dello hobbit e avvertendo nell’aria quel famigliare odore di fiori e cibo che col tempo aveva imparato ad apprezzare, si mise seduto contro il masso ricoperto di muschio e osservò l’amico con sguardo accigliato. “Bilbo,” disse, “ti senti poco bene?”
Repentinamente, tredici occhi si incollarono sul signor Baggins, facendolo sentire leggermente a disagio. Tutta quella premura lo commuoveva, ma dopo un po’ era stufo di essere trattato come un malato. Talvolta aveva l’impressione di essere un vecchio pieno di acciacchi che aveva bisogno ogni due per tre dell’assistenza di qualcuno.
Superato il fastidio e l’imbarazzo, lo hobbit fece un colpo di tosse. “Mai stato meglio” rispose con una punta di amarezza nella voce. “Volevo soltanto parlarti.”
Il tono serio e lo sguardo arcigno dello scassinatore impensierirono non poco Thorin. Passò velocemente in rassegna tutte le azioni che aveva compiuto nell’arco di una settimana, esaminandole una per una, per accertarsi che non avesse fatto nulla di male. Gli bastò una frazione di secondo per ricordare quel mattino alla locanda.
Il nano ringraziò Mahal che fosse buio, poiché era diventato paonazzo. “Dimmi tutto.”
Bilbo si lasciò andare le braccia lungo i fianchi e prese un altro respiro, trovando sorprendentemente interessante un filo d’erba che spuntava più rigoglioso in mezzo a tanti altri. “Non vorrei mettere in discussione la tua autorità, ma secondo me dovresti essere meno severo con Fili e Kili” disse con il tono più educato possibile.
A dispetto dei modi garbati dello scassinatore, il volto di Thorin si rabbuiò e, nonostante l’oscurità, lo hobbit poté notare benissimo gli occhi del nano farsi più piccoli sotto le sopracciglia irsute. Se c’era una cosa che il Re sotto la Montagna odiava più degli elfi, quella era quando qualcuno osava dargli consigli su come educare i suoi nipoti.
Notando l’espressione truce stampata in faccia all’amico, Bilbo mise le mani avanti. “Non prendertela, non è mia intenzione recarti offesa. Solo che secondo me dovresti essere meno rigido con Fili e Kili.” Mise le mani in tasca e si strinse nelle spalle, chinando un’altra volta il capo. “Insomma, è da giorni che mangiano poco e dormono ancora meno. Trovo che la tua punizione, ora, sia più che sufficiente, hanno imparato la lezione. Inoltre hanno bisogno di forze per intraprendere il viaggio.”
“Sono nani, possono sopportare un misero viaggio verso la Contea anche mangiando solo pane e dormendo un’ora e mezza” rispose brusco Thorin. “Quando avevo la loro età e andavo in battaglia pensi che avessi avuto un banchetto a mia disposizione? A volte non chiudevo occhio neanche per un secondo.”
Il signor Baggins non aveva ancora trovato il coraggio di incontrare il volto duro del nano. Dentro di sé si stava creando un’altra emozione… che fosse rabbia?
Bilbo scacciò quel pensiero dalla testa, scuotendo il capo. Doveva mantenere la calma, non era nella sua indole perdere le staffe per una cosa così futile. “Capisco. Ma ormai sono passati quasi sette giorni, Thorin, e li vedo sempre più stanchi.”
Scudodiquercia fece un gesto stizzito, come se avesse avuto una zanzara fastidiosa che gli ronzava intorno. “Una settimana? Che vuoi che sia!” Si rimise comodo sul mantello e chiuse gli occhi. “Va’ a dormire e non mettere mai più in discussione i miei ordini.”
Lo hobbit diede un’altra occhiata ai due giovani eredi di Durin: avevano gli occhi che si stavano chiudendo da soli. In quel momento gli fecero una pena inaudita. “Ti porgo le mie scuse…” Si morse il labbro prima di continuare a parlare. “Posso almeno dar loro un pezzo di carne che è avanzato?”
A quel punto Thorin aprì gli occhi di scatto. I suoi occhi glaciali, di notte, diventavano blu e non perdevano la loro luminosità. Sembravano delle stelle che illuminavano lo spazio circostante. Ma in quel momento emanavano un’aura minacciosa. “Ti ho già detto di andare a dormire” scattò il nano cercando di controllare la rabbia. “Il capo sono io e loro sono i miei nipoti, decido io come e anche quando punirli. Non mi piace la piega che stai prendendo, mastro scassinatore. Già quella mattina alla locanda ti sei comportato in maniera indecorosa.”
Quelle parole giunsero allo hobbit con lo stesso impatto di una secchiata d’acqua ghiacciata in pieno inverno. All’imbarazzo si mischiò l’ira.
Dal canto suo, Scudodiquercia si sentì le guance andare in fiamme. Aveva veramente pronunciato quelle parole?
Questa volta fu il signor Baggins ad assumere un’espressione iraconda. “Ancora con quella storia?” sbottò con un tono stranamente alto, accaparrandosi le attenzioni di tutti i nani.
Per un momento Bilbo tornò a essere lo hobbit di sempre, quello posato e di buon costume, quindi si rimproverò mille volte per aver alzato la voce e non poté non arrossire. Però non ce la faceva più di fare pessime figure a causa di Thorin, a volte aveva l’impressione che quel nano lo facesse apposta a metterlo in mezzo a situazioni imbarazzanti.
Il Re sotto la Montagna, invece, sbatté le palpebre più volte, sorpreso da quello scatto. Da quando si era risvegliato su quel letto non aveva mai visto lo scassinatore arrabbiato.
“Non l’ho fatto apposta, va bene?” continuò Bilbo quando ebbe ritrovato un altro po’ di vigore. “Mi dispiace se le mie semplici e impure mani hanno osato sfiorare la vostra regalissima schiena, oh vostra maestà” disse con tono ironico ed enfatico, facendo un inchino a dir poco pomposo che sapeva tanto di scherno.
Thorin Scudodiquercia era sempre più stupefatto, esattamente come i suoi compagni. Fili e Kili non sapevano se mettersi a ridere o se rimanere seri, vista la gravità della situazione.
“Ti sono grato per l’aiuto che mi stai dando e ti ho sempre portato rispetto, visto che sei un re e te lo devo.” I lineamenti di Bilbo si indurirono ancora di più. “Però devi smetterla di assumere atteggiamenti così altezzosi, è irritante.”
Nella radura era calato un silenzio degno di una tomba. La silenziosità era talmente immensa che, aprendo bene le orecchie, si sarebbe riuscito ad udire persino il sangue scorrere nelle vene.
I nani stavano facendo scorrere lo sguardo da Thorin a Bilbo, molti di loro temevano la reazione del re, specialmente Balin: conosceva molto bene Scudodiquercia, era come un figlio per lui ed era al corrente del fatto che possedesse una testa talmente calda da far invidia al fuoco di Smaug.
Questo era decisamente troppo per il Re sotto la Montagna. Avvertì l’impulso guerriero premergli nel petto, ma lo represse all’istante. “Vattene” sibilò a bassa voce. “Vattene, prima che ti metta le mani addosso.”
 
La bruma inondava le gole, le valli e le radure, conferendo a quell’ambiente un aspetto spettrale.
Bilbo Baggins si era allontanato velocemente dal gruppo, dopo essere rimasto a bocca asciutta per le parole dell’amico.
Vattene, prima che ti metta le mani addosso.
Lo hobbit non seppe perché, ma il tono velenoso e sibilante con cui il nano aveva pronunciato quella frase aveva risvegliato in lui un brivido che era corso per tutta la schiena.
Bilbo era ancora arrabbiato con Thorin ma, al contempo, dispiaciuto. Ci teneva a lui e sperò con tutto il suo cuore che sarebbero tornati a rivolgersi la parola. Anche perché non aveva nient’altro al mondo, a parte quei bizzarri nani.
La debole luce della luna rischiarava a malapena il sentiero ma lo hobbit, con l’ausilio della sua vista ben sviluppata, riusciva a non incespicare tra i sassi.
Ben presto il verso dei gufi non fu il solo rumore a fare compagnia a Bilbo: nell’aria si udirono grugniti concitati e il crocchiare di rami calpestati.
Il signor Baggins si fermò un attimo e osservò con sguardo indagatore gli alberi che si stagliavano dinanzi a lui. La boscaglia si era acquietata, ma Bilbo continuava a non sentirsi sicuro lì, tutto solo. Così prese la saggia decisione di voltarsi per tornare dai suoi amici.
Meglio un Thorin arrabbiato di un troll affamato.
Nel momento in cui lo hobbit si girò dall’altra parte, non riuscì a soffocare il grido che si era fatto strada per la sua gola e cadde con il sedere a terra, errando nelle tenebre.

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Capitolo 20
*** Non voglio perderti di nuovo ***


Non appena aveva udito quel grido così famigliare, Thorin non ci aveva pensato due volte e si era addentrato nel bosco, dimenticandosi improvvisamente delle parole offensive dello hobbit. Che importanza aveva quella piccola disputa? Il suo migliore amico poteva trovarsi in gravi difficoltà, questa era la cosa importante. Aveva già rischiato di perderlo una volta, non avrebbe tollerato una seconda.
I nani dell’antica Compagnia seguivano il loro Re, incespicando a causa dei sassi e venendo rallentati dai rami, nella foga della corsa.
Il Re sotto la Montagna non sentiva più alcun lamento e non sapeva se ritenere ciò un buon segno. Poco dopo aver discusso con lo scassinatore, aveva solamente avvertito un grido secco e breve risuonare tra gli alberi… poi il silenzio totale.
Aveva paura.
E se fosse stato ucciso?
Thorin scacciò subito quel pensiero dalla sua testa. No, non poteva essere così. L’unica cosa da fare in quel momento era trovare Bilbo.
Non appena Scudodiquercia svoltò a destra, andò a sbattere contro qualcuno. Il nano cadde a terra, mentre un essere alto e dal volto putrefatto si avvicinò ghignando a lui, reggendo un letale bastone da combattimento.
Bolg era arrivato.
 
Si trovava rinchiuso in una buia e fredda caverna. Era lì dentro da neanche venti minuti, eppure a lui parevano un’eternità. Quei mostri l’avevano afferrato con le loro sporche mani e l’avevano condotto con la forza dentro quell’antro oscuro, impedendogli di gridare servendosi di uno straccio lurido e puzzolente, usato su chissà quante altre povere vittime in passato.
Ebbene, adesso eccolo lì, tenuto fermo da un orco grande e grosso mentre un altro altrettanto massiccio si trovava fermo davanti a lui. Quest’ultimo non stava facendo altro che tirare in causa un certo anello.
Bilbo Baggins poteva immaginare a quale anello si stesse riferendo e le sue volontà erano più che palesi: impossessarsene. Ma lo hobbit non aveva alcuna intenzione di consegnare quell’oggetto d’oro a quel mostro, qualcosa in lui si era affezionato a quel gioiello, lo considerava il suo tesoro.
Purtroppo i continui rifiuti di Bilbo stavano rendendo Alarr sempre più furioso. La mano tozza e callosa dell’orco si chiuse a pugno e volò verso la faccia del signor Baggins. Egli si ritrovò la testa girata violentemente dall’altra parte, mentre un rivolo di sangue usciva dalla sua bocca.
“L’Anello!” ruggì l’ufficiale degli orchi per l’ennesima volta.
Nonostante il dolore e la consapevolezza delle conseguenze di un altro rifiuto, Bilbo trovò la forza per scuotere veementemente il capo.
Questo gesto fece adirare maggiormente l’orco. In men che non si dica, la testa dello scassinatore si voltò dalla parte opposta. Quel colpo vigoroso causò un’altra perdita di sangue. Ben presto le mani del bestione che stava trattenendo Bilbo si tinsero di rosso cupo.
Alla fine Alarr si ritrovò costretto a perquisire la vittima in cerca dell’Anello.
Lo hobbit si agitò e scalciò, colpendo in faccia il suo aggressore. Sfortunatamente quel calcio servì ben poco contro un orco della stazza di Alarr, infatti quest’ultimo si riprese in un nanosecondo e fu pronto a fare seriamente male allo scassinatore, quando un’ascia da lancio si conficcò nel suo cranio.
Gli occhi della bestia rimasero spalancati dallo stupore, mentre il suo volto si era contorto in una smorfia di dolore. Cadde con la faccia sul corpo di Bilbo, rivelando la presenza di Bofur alle sue spalle.
 
I Mannari ringhiavano mettendo in mostra i denti affilati come rasoi e si stavano facendo sempre più vicini ai nani. Questi ultimi avevano le armi pronte in mano e non vedevano l’ora di combattere al fianco del loro Re.
Dopo un urlo agghiacciante di Bolg, gli orchi si gettarono sui nani e Thorin emise un grido di battaglia. Orcrist intercettò immediatamente il bastone del figlio di Azog. L’orco, infuriato per quell’attacco dall’esito vergognoso, cominciò a menare colpi a destra e a manca, con una furia cieca, nella speranza di colpire l’avversario.
Per buona sorte, Scudodiquercia era un guerriero esperto abbastanza da riuscire a schivare i colpi di quel bestione dalla robustezza spropositata.
 
Bilbo, Bofur, Bombur e Bifur giunsero correndo nel punto del bosco in cui i loro amici stavano duellando.
Fortunatamente numerosi Mannari erano stati abbattuti, l’unico problema erano gli orchi.
Uno di quei mostri andò incontro allo hobbit. Egli non aspettò che tagliasse di netto la sua testa: puntò Pungolo contro il petto del nemico.
In ogni caso il signor Baggins non riuscì ad uccidere l’orco, poiché Bifur si era rapidamente scagliato contro la creatura e l’aveva brutalmente mutilata con la sua lancia dalla lama ben appuntita.
Rimosso quell’ostacolo, Bofur, Bombur e Bifur si unirono ai loro compagni e le diedero di santa ragione agli orchi rimasti.
Bilbo invece non stava smettendo di guardarsi intorno. Non si preoccupava neanche del fatto che un nemico avrebbe potuto ucciderlo da un momento all’altro con una facilità disarmante, vista la sua distrazione. Ma un pensiero costante non voleva saperne di lasciare la mente dello hobbit: Thorin. Quest’ultimo era sparito. Gli occhi di Bilbo saettavano da una parte all’altra e non riuscivano a scorgere il Re sotto la Montagna nel bel mezzo di quel trambusto.
“Thoriiiin!” Lo hobbit incollò lo sguardo su Dwalin non appena lo udì gridare quel nome tanto amato. Dopo aver sgozzato con un pugnale un orco, il guerriero pelato si era inoltrato nel folto degli alberi.
Bilbo Baggins non ci pensò due volte: lo seguì.
 
Gli alberi di quella piccola radura erano talmente intricati che neanche un raggio di luna riusciva a filtrare tra le foglie, illuminando così il corpo dei due contendenti.
Thorin e Bolg si stavano girando intorno lentamente in una danza mortale, pensando al prossimo attacco da sferrare. Il Re dei Nani aveva l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, quella volta in cui aveva ucciso Azog sul fiume ghiacciato di Collecorvo.
Repentinamente, il grande orco fece turbinare l’arma sopra il suo capo, dopodiché tentò un attacco in diagonale per tagliare di netto la testa del suo avversario.
Scudodiquercia, per salvare la sua povera capoccia, fu costretto ad abbassarsi e finì nel piccolo stagno. Bolg spinse il bastone contro Orcrist, mentre il nano stava facendo sempre più fatica nel trattenere la lama nemica. Stava per slogarsi una caviglia.
Bilbo e Dwalin giunsero proprio in quel momento.
“Thorin…” sussurrò lo hobbit tenendo gli occhi spalancati dall’orrore. Non ebbe il tempo per accorrere in aiuto del caro amico, poiché tutto intorno a lui divenne sfocato ed ebbe come l’impressione di essere stato spinto all’indietro da una forza misteriosa.
 
Nonostante il grosso pericolo che correvano, il grande Thorin Scudodiquercia trovò l’ardire per scendere dall’albero e dirigersi verso la radura in fiamme.
Rimase aggrappato ai rami a fissarlo a bocca aperta. Avrebbe voluto dargli dello sciocco, urlargli di tornare indietro. Quel nano lo trattava come se fosse stato soltanto uno straccio sudicio e usato, ma allora perché stava temendo così tanto per la sua incolumità? Perché si sentiva che avrebbe sofferto molto se lo avesse perso?
La verità è che lo hobbit, durante il viaggio, aveva avuto modo di affezionarsi a quel provato condottiero; tutto sommato lo capiva: casa sua mancava tanto anche a lui. Non voleva neanche pensare a quanto doveva aver sofferto Thorin per aver perso tutto.

 
Piano piano, tutto tornò al suo posto e Bilbo Baggins rimase impalato nel punto in cui si trovava. Troppo impegnato a cercare di ricordare quel rapido e confuso flashback, non si accorse che Thorin era riuscito a spingere Bolg contro un albero, uscendo da quella situazione spiacevole. Dwalin si era affrettato a dare manforte al suo vecchio amico.
Lo hobbit scosse la testa, come ste stesse cercando di svegliarsi da un sogno. Successivamente strinse deciso l’elsa di Pungolo e mosse i primi passi verso i nani. L’intenzione di Bilbo di contribuire alla morte di Bolg si interruppe nel momento esatto in cui il diretto interessato conficcò profondamente un pugnale nel fianco sinistro di Thorin Scudodiquercia. Il grido di dolore del nano riportò un’altra volta il signor Baggins indietro nel tempo.
 
Il Mannaro afferrò tra i suoi denti affilati il corpo del nano. Quest’ultimo lanciò un grido che squarciò l’aria, facendo scattare in piedi il signor Baggins. Nessuno stava muovendo un dito per salvare il capo della Compagnia. Non poteva lasciarlo morire così.
L’orrore aumentò non appena quella fiera gettò a terra Thorin come se non fosse stato altro che un pezzo di carne.
Bilbo avvertì nel ventre una fitta lancinante, come se fosse stato colpito lui e non Scudodiquercia.
Non appena un orco si accostò al Re per recidergli il capo con un solo colpo di sciabola, lo hobbit non indugiò oltre: doveva salvarlo.

 
“Thorin!” Senza neanche rendersene conto, il nome del nano era uscito dalla bocca del signor Baggins. Si stupì poiché, finalmente, non aveva chiamato la persona che aveva trovato seduta sul suo capezzale quando era troppo confuso per ricordare, bensì aveva appellato quel nano maleducato, sfrontato e altezzoso che tempo addietro aveva varcato la soglia di Casa Baggins.
 
Bolg digrignò i denti con aria soddisfatta, somigliando in una maniera inquietante al padre defunto. Rigirò con violenza il pugnale nel corpo di Thorin.
Dwalin afferrò quel pezzo di lerciume da dietro, levando così la lama dal fianco del Re sotto la Montagna.
Le armi di Dwalin e Bolg cozzarono l’una contro l’altra, sfavillando scintille d’acciaio, mentre Scudodiquercia si trovava inerme a terra, una mano a coprire il sangue che sgorgava rapido dalla profonda ferita.
Bilbo Baggins corse incontro a Thorin e, la prima cosa che fece dopo aver sussurrato allarmato il nome dell’amico, fu esaminare con lo sguardo il taglio. A quell’orrida vista, gli riaffiorò alla mente anche il frangente in cui aveva trovato il nano ferito sul fiume ghiacciato di Collecorvo.
Lo hobbit fu sul punto di curare la pugnalata, quando Dwalin e Bolg giunsero a combattere proprio attigui ai due amici. Bilbo si spostò il più velocemente possibile per non venire calpestato da quelle belve scatenate.
Thorin Scudodiquercia, dal canto suo, con le poche forze che gli erano rimaste, afferrò Orcrist e penetrò la lunga lama elfica nella schiena del figlio di Azog.
 
L’Antro di Lucri:
 
Ed eccomi qua con il consueto ritardo! :D
Scusate ancora TwT lo studio mi ha massacrata in questi ultimi giorni.
In ogni caso… siete contenti che Bilbo abbia ritrovato la memoria? ^___^ Certo, ora resta il fatto che Thorin è rimasto ferito, ma non disperate! Cercherò di non lasciarvi troppo sulle spine.
Comunque la storia sta volgendo al termine; non so dire esattamente quanti capitoli manchino… probabilmente tre, o forse due.
Vi ringrazio per la vostra pazienza xD
Un bacio
Lucri

 

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Capitolo 21
*** La quiete... ***


Bolg, fino a pochi secondi fa, era sul punto di sferrare un attacco mortale a un Dwalin a terra, tenendo il bastone da combattimento in alto sopra il capo. Non si sarebbe mai aspettato che Thorin Scudodiquercia avesse avuto forza a sufficienza per colpirlo a tradimento.
Dunque, ora il figlio di Azog aveva gli occhi spalancati dallo stupore. In bocca avvertì presto il sapore metallico del sangue.
Il Re sotto la Montagna, ringhiando come se fosse stato un leone o un’altra fiera inferocita, si sporse dolorante verso Bolg e gli recise le gambe con un solo colpo di sciabola, schizzando sangue sulle facce dei suoi amici.
Il corpo dell’orco si accasciò al suolo ormai privato di ogni forza vitale.
Questa fu la fine di Bolg l’Orco.
 
A rigor di logica, Bilbo e Dwalin dovevano essere contenti, visto che quel pezzo di lerciume era morto nel modo più doloroso e vergognoso che possa esistere. Però Thorin era pur sempre gravemente ferito.
“Oin!” gridò Dwalin con tutto il fiato che aveva in gola, mentre lo hobbit si trovava fermo accanto a lui, a fissare con occhi sgranati il suo migliore amico inerme sul terreno macchiato di sangue.
Il medico della Compagnia non giunse.
Gli occhi del guerriero pelato cominciarono a pizzicargli, ma represse le lacrime: era un nano e per giunta un soldato, non poteva permettersi di piangere come una donnicciola. Senza contare che il suo Re non era ancora morto, era troppo presto per darsi per vinto.
Notando che Oin ci stava mettendo troppo tempo per arrivare, Dwalin lo appellò nuovamente, spinto da una furia indescrivibile.
Gli altri nani spuntarono dagli alberi come margherite da un prato. Avevano da poco sistemato gli ultimi orchi ed erano dipinti di rosso scuro dalla testa ai piedi.
Scorgendo Thorin Scudodiquercia riverso su un letto di sangue, il cuore si bloccò nel petto a tutti quanti. Balin cominciò a singhiozzare.
Il nano dalla barba canuta non era l’unico ad essersi lasciato andare alle lacrime, poiché Bilbo Baggins era diventato da un bel po’ preda dei singulti e il suo faccino era tutto arrossato. Lucciconi salati e di dolore gli rigavano copiosamente le guance paffute da bambino.
Oin non si permise di farsi impressionare, bisognava agire in fretta: prese velocemente una benda e si apprestò a bendare la profonda ferita del Re. Dovette fare numerosi giri e stringere molto, visto che il sangue non ne voleva sapere di smetterla di sgorgare dal fianco del nano.
Subito dopo, il dottore afferrò Thorin per le braccia, mentre Bombur per le gambe. L’intenzione era quella di stenderlo in una grotta lì vicino, per poi occuparsi maggiormente di lui.
Il resto della Compagnia seguì i due nani come se fossero state delle ombre, mentre il Re sotto la Montagna avvertiva le palpebre farsi sempre più pesanti, il respiro meno regolare e ogni cosa intorno a lui sempre più sfocata e confusa.
Le voci concitate e impaurite dei suoi amici giungevano come echi alle sue orecchie. Prima di sprofondare in un sonno profondo, l’ultima cosa che Scudodiquercia vide fu il volto preoccupato dello scassinatore. Con le poche forze che gli erano rimaste, allungò il braccio verso di lui.
 
Com’è strana la vita: fino a poco tempo fa era Thorin quello che si struggeva per il signor Baggins, mentre lo osservava venir disteso su un letto, completamente privo di sensi.
Adesso lo hobbit comprendeva come doveva essersi sentito il nano nel momento in cui era stato riportato a Erebor dopo l’attacco di Bolg e i suoi.
Mentre i nani circondavano il corpo del capo e parlavano l’uno sopra l’altro, Bilbo tirò fuori dalla tasche la ghianda e la strinse in un pugno. Si portò la mano all’altezza della bocca e vi depositò un rapido bacio, tenendo gli occhi serrati. “Chiunque mi stia ascoltando, ti prego, salvalo” sussurrò con una voce talmente flebile che nessuno lo udì. In ogni caso, anche se avesse pregato a voce alta alcun nano avrebbe sentito le sue parole, perché l’agitazione era talmente immensa che copriva ogni suono.
Oin aveva racimolato delle ragnatele e le aveva messe sulla ferita di Thorin perché, a suo avviso, esse risultavano sorprendentemente utili quando si trattava di frenare un’emorragia. “Dell’acqua fredda!” disse il medico a gran voce, guardando i suoi compagni uno ad uno. “Chi va a raccogliere un po’ di acqua nel bosco?”
“V… vado io” balbettò lo hobbit alzando timidamente il ditino, come se fosse stato uno scolaretto intento a rispondere a un quesito della maestra.
Oin chinò il capo in segno di assenso.
Dopo aver tratto un profondo sospiro, Bilbo uscì dalla caverna. Voleva rendersi utile, oltre ad allontanarsi da quella situazione spiacevole: non ce la faceva più di vedere il suo migliore amico in quelle condizioni.
 
Non era stato difficile trovare dell’acqua in quella boscaglia, poiché era gremita di pozzanghere e, non lontano da lì, scorreva un piccolo ruscello. Il liquido era oltremodo ghiacciato, l’ideale per un’emorragia spropositata come quella di Scudodiquercia.
I nani formavano un fitto crocchio dinanzi al corpo di Thorin. Il signor Baggins li raggiunse e consegnò loro l’acqua che aveva raccolto nella borraccia.
I suoi amici continuarono a trafficare sulla ferita del loro Re e, con gran sollievo di Bilbo, tutto stava procedendo alla perfezione. A parere di Oin, presto l’emorragia si sarebbe fermata e a Thorin non sarebbe bastato altro che un po’ di riposo per rimettersi in sesto.
Lo hobbit ci sperava tanto.
 
Ancora una volta ebbe l’impressione di essere tornato indietro nel tempo: dormire in quella caverna buia, fredda e bagnata gli riportò alla mente il frangente in cui si era trovato con i nani a coricarsi in quell’antro nelle Montagna Nebbiose, al sicuro dai giganti di pietra.
Dormire per modo di dire, pensò infastidito lo hobbit dopo che l’ennesima goccia d’acqua gli era finita sul naso. Stizzito, si spostò, ma il soffitto sgocciolava da tutte le parti.
“Mastro Baggins, sei sveglio?”
Bilbo fece un salto sul posto e, per un attimo, quella voce pensò di essersela sognata. Si voltò alla ricerca della fonte di quel suono profondo e, l’unica cosa che riuscì a vedere, furono due brillanti occhioni blu. Le iridi del nano erano talmente chiare che persino l’oscurità più assoluta non riusciva a privare l’osservatore della gioia di ammirarle.
Thorin Scudodiquercia era sdraiato su un fianco e aveva un mezzo sorriso dolcissimo che gli increspava le labbra.
Colmo di gioia e ancora preoccupato di trovarsi in un bel sogno, lo hobbit alzò gli zigomi. “Sei vivo…”
 
Gli altri nani della Compagnia stavano dormendo della grossa. Bombur stava emettendo continuamente dei rumorosissimi ronfi che, tuttavia, sembravano non disturbare i due chiacchieroni che stavano conversando amabilmente attigui all’entrata della grotta, illuminati dai pallidi raggi lunari.
“Sicuro di stare bene?” chiese Bilbo con un filo di voce, allungando timidamente il braccio, come per vezzeggiare la ferita dell’amico.
Thorin incurvò nuovamente le labbra. “Rilassati, mastro Baggins, ho passato di peggio.” E qui la sua mente corse inevitabilmente su quel fiume ghiacciato di mesi prima.
Bilbo Baggins chinò il capo e si grattò la nuca. “Be’, in ogni caso volevo dirti…”
“Scusa.”
Lo hobbit lo guardò con occhi spalancati. “Co… cosa?” Voleva porgergli una domanda o gli aveva semplicemente chiesto perdono?
Senza guardarlo negli occhi, come se si vergognasse di ammettere di avere sbagliato, il Re sotto la Montagna rispose: “Volevo chiederti scusa per come ti ho trattato prima dell’arrivo degli orchi.”
Il grande Thorin Scudodiquercia che chiede scusa per la quarta volta? Pensò attonito il signor Baggins. Devo avere un qualche potere speciale.
Thorin fece una smorfia di fastidio perché, di fatto, gli disturbava dover confessare quello che stava per dire. “Ammetto di avere spesso attacchi di megalomania, in passato mia sorella molte volte mi ha rimproverato per questo.”
Lo hobbit si trovava seduto davanti a lui, a gambe incrociate, e ora il suo volto era rilassato in un amichevole sorriso. “Non preoccuparti, Thorin” gli disse. “Ognuno di noi ha i suoi difetti.” Arrossì. “Io, per esempio, a volte non riesco a tenere a freno la lingua. Che posso farci? Ho ereditato questa parte del mio carattere dai Tuc, per questo sono stato irrispettoso nei tuoi confronti e anch’io voglio chiederti scusa.”
Scudodiquercia sorrise a sua volta e porse la mano al suo piccolo amico. “Nessun rancore?”
Bilbo osservò stupito il braccio allungato verso di lui. A volte faticava ancora ad abituarsi alla confidenza che c’era tra lui e il Re dei Nani.
Quando si fu ripreso dai suoi pensieri, lo hobbit ricambiò il sorriso e strinse la mano calda e grossa del nano con la sua piccola e morbida. “Nessun rancore.”
Prima di coricarsi, Thorin ci tenne a dire una cosa a Bilbo. Lo chiamò.
Il signor Baggins si voltò a guardarlo.
Il Re sotto la Montagna incollò gli occhi sul terreno gelido come la pietra con cui era stata modellata Erebor. Non era sua consuetudine dire qualcosa di dolce o gentile, poiché le sue esperienze passate e il suo titolo gli avevano imposto di indossare una maschera di freddezza e impassibilità. Persino con i suoi nipoti, quand’erano piccoli, si lasciava difficilmente andare a dimostrazioni di affetto.
Però aveva finalmente ritrovato il suo amico dopo tante peripezie, colui con cui aveva affrontato di tutto e di più e con il quale poteva permettersi di sembrare umano una volta ogni tanto. E poi in quella grotta isolata e solitaria non c’era nessun diplomatico, nessun generale, nessun funzionario e quant’altro.
Quindi, dopo essersi concesso un sospiro, Thorin mormorò: “Sono molto felice che tu abbia ritrovato la memoria.”
Bilbo sorrise intenerito prima di cadere tra le braccia di qualche sogno meraviglioso. “Buonanotte, Thorin.”

 
 
 

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Capitolo 22
*** ... prima della tempesta ***


 
L’unica cosa che riusciva a vedere era il tratto di grotta su cui si era appisolato fino a poche ore fa. Spinto dalla forza della disperazione, si affrettò verso quello spiraglio di luce ma, per quanto si stesse sforzando di muoversi il più velocemente possibile, gli sembrava di star procedendo al rallentatore.
La figura nera era sempre più vicina.
Voltò lievemente il capo e la vide affrettarsi verso di lui. Non aveva tempo da perdere. Con rabbia trascinò le gambe verso la grotta, ma continuava ad avere l’impressione che ad esse fossero stati assicurati dei massi.
Troppo tardi: la figura nera lo raggiunse e lo portò via con sé.
 
***
 
Fu strappato dal mondo dei sogni da delle risatine sommesse.
Bilbo Baggins aprì gli occhi di scatto. Sicuramente sono Fili e Kili che vogliono farmi uno scherzo, pensò tenendo i muscoli tesi. Ma non mi farò trovare impreparato.
“Lo svegliamo?” L’udito ben sviluppato gli suggerì che a parlare era stato Bofur. Il suo tono stranamente serio lo inquietò e rilassò i muscoli.
Ben presto, lo hobbit si rese conto che, quelle che aveva scambiato per risate, erano singhiozzi. Intuì subito che era Balin quello che stava piangendo.
“Forse è meglio se glielo diciamo domani” sibilò Dwalin con l’umore a pezzi. “Lo distruggerebbe e ha bisogno di dormire.”
Alle sue spalle Bilbo udiva anche i flebili lamenti di Fili e Kili.
Il signor Baggins non era stupido e non c’era bisogno che i suoi amici gli dicessero niente. Le lacrime furono più rapide della sua mente.
L’attenzione dei nani venne focalizzata dallo scassinatore a terra, il quale veniva continuamente scosso dai singulti.
Balin e Bofur si scambiarono un’occhiata disperata. Senza pensarci due volte, quest’ultimo si accostò allo hobbit e lo abbracciò da dietro.
Bilbo pianse ancora più convulsamente e si lasciò stringere dall’amico. In quel momento aveva bisogno di tutto l’affetto possibile.
 
Perché, perché?
 
Queste erano le uniche parole che rimbombavano per la testa di Bilbo Baggins.
 
Avevo appena recuperato la memoria, non vedevo l’ora di tornare a Erebor per riprendere ciò che avevamo lasciato.
 
Prima di addormentarsi aveva già pregustato con la mente le future serate che avrebbe vissuto con i suoi amici scapestrati. Perché doveva accadere quel che era accaduto?
 
Chiunque mi stia ascoltando, io ti odio! Thorin aveva appena recuperato il suo regno, era un nano d’onore e zio di due bellissimi nipoti, non aveva fatto nulla di male per meritarsi quest’ingiustizia.
Ti stai forse prendendo gioco di lui? L’hai fatto scampare alla morte due volte per poi farlo morire per davvero?
 
A Bofur si erano aggiunti anche Balin, Fili e Kili.
Bilbo ora era troppo arrabbiato per comprendere che i tre nani volevano semplicemente condividere con lui quell’insopportabile cordoglio, così se li scrollò di dosso e corse fuori dalla grotta.
 
Bilbo Baggins corse più veloce che poté per il bosco, non badando ai suoi amici che lo chiamavano disperati. Temevano che avrebbe commesso un’enorme sciocchezza.
Nella foga della corsa, lo hobbit inciampò su un sasso e si ritrovò con la faccia immersa in un piccolo e algido ruscello. Nella caduta la ghianda era ruzzolata via dalla sua mano e ora l’acqua la stava trascinando via.
Colmo di dolore, Bilbo la osservò farsi sempre più lontana da lui, esattamente come il suo migliore amico.
Comparvero altri lucciconi agli angoli degli occhi del signor Baggins.
 
È un incubo.
 
Cercava di illudersi Bilbo.
 
Se qualcuno lassù mi sta ascoltando, ti prego, svegliami!
 
***
 
“Com’è successo?” domandò Bilbo Baggins con un filo di voce il giorno dopo. Era rigido come un pezzo di legno, il suo viso era arrossato, le sue parole roche e i suoi occhi gonfi come non lo erano mai stati in vita sua.
“L’emorragia è tornata di notte, mentre stava dormendo” rispose Oin con un’aria da funerale. “Quel maledetto gli aveva colpito la milza.”
Lo hobbit tirò su col naso, continuando a fissare un punto indefinito nel vuoto. “Ma come? Ieri notte sembrava che fosse fuori pericolo.” Dentro di sé continuava a sperare di trovarsi in un brutto sogno. Presto si sarebbe svegliato e avrebbe trovato il suo amico sveglio accanto a sé, che gli rivolgeva uno dei suoi bellissimi e brillanti sorrisi.
“Era quello che pensavamo” singhiozzò il medico della Compagnia, mentre nessun altro nano aveva la forza per parlare. “Non mi ero accorto che quel pezzo di lerciume gli aveva ferito la milza e non la smetterò di sentirmi in colpa per tutto il resto della mia vita.”
Gloin si appressò al fratello sordo e gli diede una pacca sulla spalla. “Non devi sentirti in colpa,” cercò di consolarlo.
“Invece sì” obiettò caparbiamente Oin. “Ho privato Erebor del miglior re che abbia mai avuto, devo qualcosa a tutti voi.”
Bilbo aveva smesso già da un pezzo di ascoltarlo e ora si trovava in ginocchio dinanzi al corpo privo di vita di Thorin Scudodiquercia.
Se solo ci fosse stato Gandalf… pensò prima di scoppiare in lacrime sul corpo del suo più grande amico.
 
L’Antro di Lucri:
 
Lo so, lo so… mi odierete dopo questa nefandezza.
Ma state tranquilli: anch’io mi odio per questo, mi sono decisamente rovinata la giornata, eh eh…
Comunque, in principio, avevo in mente un finale diverso, volevo fare che Thorin sopravviveva e che Bilbo tornava nella Contea. Solo che non è nella mia indole fare un lieto fine, mi annoia troppo, e così in seguito mi è venuta in mente questa scelleratezza.
Non odiatemi troppo çç
Presto dovrei pubblicare l’ultimo capitolo e intanto ne approfitto per ringraziare i miei silenti lettori e chi recensisce.
Un bacio!
Lucri
P.s. Il sogno iniziale è di Thorin.

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Capitolo 23
*** He was my friend ***


Il corpo cereo e ben vestito di Thorin Scudodiquercia era illuminato fiocamente da delle piccole candele poste all’estremità della tomba di pietra.
L’altura sulla quale era stato sistemato il cadavere del Re sotto la Montagna era circondata da delle alte torce e dai nani che procedevano in processione intorno all’amico.
Nessuno della Compagnia aveva la forza per dire alcunché.
Dwalin era fermo a osservare mesto il corpo privo di vita del suo antico compagno d’armi. Per la prima volta da quando era morto suo padre Fundin nella Battaglia di Azanulbizar, pianse.
È buio, vecchio scemo, si rimproverò dentro di sé. Nessuno se ne accorgerà.
Naturalmente Dwalin non era l’unico ad essersi lasciato andare alle lacrime: Balin, Fili, Kili e Bilbo erano continuamente scossi dai singulti.
Balin aveva perso colui che da sempre aveva considerato come un figlio, mentre Fili e Kili erano stati crudelmente privati della loro guida, del punto di riferimento che avevano avuto da quando avevano memoria.
Se il vecchio nano aveva perso un figlio, ai due giovani principi era stato portato via un padre.
Questa volta è finita per davvero, disse una vocina crudele nella testa del signor Baggins. Thorin è morto e neanche Gandalf potrà riportarlo nel mondo dei vivi.
Allo hobbit pizzicarono maggiormente gli occhi e fu costretto a reprimere ulteriori lamenti, poiché di questo passo sarebbe in poco tempo morto soffocato dalle sue stesse lacrime.
Vedere il volto diafano e rilassato del suo migliore amico provocava a Bilbo un dolore indescrivibile, un dolore che lo riportò con la mente indietro nel tempo, quando in giovane età era improvvisamente diventato orfano.
 
Ora sono solo di nuovo.
 
Lo hobbit avrebbe voluto adagiare la ghianda sulla spoglia di Thorin Scudodiquercia, ma ben presto la cruda realtà tornò a fargli visita: essa era stata portata via da quell’algido ruscello, l’unica cosa che rimaneva di quella splendida amicizia spezzata via precocemente, a parte i bei ricordi di giorni passati.
Thorin era stato vestito con l’armatura nera che aveva trovato di ritorno a Erebor, dopo aver affrontato tante peripezie che comprendevano troll, giganti di pietra e orchi molesti.
I nani avevano voluto a tutti costi trasportare il corpo del nano fino alla Montagna Solitaria.
Non lo seppelliremo in questo luogo sperduto e senza nome, dove poche persone possono venire a trovarlo. Aveva detto Dwalin e Bilbo non poteva trovarsi in disaccordo con lui: il posto di Thorin era ad Erebor e lo era sempre stato.
“Il Re è morto!” enunciò con tono solenne Gandalf il Grigio senza lasciare che la mestizia che covava nel cuore tradisse la sua tranquillità in quel momento. “Lunga vita al re!”
“Lunga vita al re!” gli fece eco Balin sfoderando la sua spada insieme ai suoi compagni.
Dain chinò il capo e Bilbo avvertì un moto di fastidio all’interno di sé: vedere la corona di Thorin sbrilluccicare sul capo di quel nano gli faceva venire voglia di storcere il naso. Il legittimo Re sotto la Montagna era Scudodiquercia, lui aveva rischiato la vita per Erebor, mentre Piediferro si era rifiutato di accompagnare suo cugino nell’impresa.
 
Le mani calde e affettuose di Bofur sulla sua schiena gli fecero seccamente notare che, tornare a casa e lasciare i suoi amici a Erebor, sarebbe stato ancora più difficile di quanto pensasse.
Il nano dal buffo cappello era l’ultimo che stava salutando e sentiva di star lasciando un altro buon amico.
Bofur sciolse improvvisamente l’abbraccio e mise le sue mani sulle spalle di Bilbo. Puntò i suoi occhi lucidi in quelli dello hobbit. “Non sparire, mi raccomando” gli disse con tono categorico. “Vieni a trovarci qualche volta.”
Il signor Baggins accennò un sorriso. “Lo farò,” rispose, “e anche voi siete sempre i benvenuti a Casa Baggins. Ricordate che il tè è alle quattro, ce n’è in abbondanza per tutti.”
I nani sorrisero commossi e per poco Bofur non scoppiò in lacrime di nuovo.
Chinando lo sguardo e tirando su col naso, Bilbo aggiunse: “Mi dispiace per la piega che hanno preso gli eventi. Avremmo potuto passare una bella vacanza… se solo avessi obbedito a Thorin! È tutta colpa mia.” Stava facendo sempre più difficoltà a parlare e le sue parole si stavano trasformando in singhiozzi. “Se fossi rimasto a Erebor durante l’attacco degli orchi, non avrei perso la memoria. Non ci sarebbe stato bisogno di riportarmi nella Contea e Thorin non sarebbe… non sarebbe…” Non riuscì a concludere la frase, le lacrime lo assalirono ed emise dei flebili mugolii.
I suoi amici rimasero e guardarlo fermi e in silenzio, con il cuore a pezzi. Non esistono parole per consolare una persona che ha perso un amico così caro e, anche se ci fossero state, loro e lo hobbit si trovavano sulla stessa barca. Non avevano la forza per pensare a Scudodiquercia.
Balin era più tenero di cuore e ci tenne a dare almeno una pacca sulla spalla a Bilbo. Lacrime salate gli rigavano le guance. “Non è stata colpa tua, ragazzo” disse asciugandosi le gote. “La colpa è tutta di Bolg, ma per fortuna ha avuto quello che si meritava.”
Gli altri nani chinarono il capo, convenendo con il vecchio nano.
Una volta che si fu ripreso un po’, lo hobbit rivolse uno sguardo a Balin e gli concesse un sorriso.
Sentendo che di lì a poco sarebbe scoppiato per l’ennesima volta, Bilbo alzò i tacchi e raggiunse Gandalf, mentre i nani rimasero sulla soglia della Montagna Solitaria a vegliare sulla loro partenza.
 
Dopo aver salutato Gandalf, Bilbo Baggins era definitivamente solo in quel triste viaggio.
Aveva fatto fatica a non piagnucolare ogni qualvolta lui e lo stregone raggiungevano una tappa di quell’indimenticabile e inaspettata avventura: ogni luogo, ogni angolo possedeva un ricordo prezioso.
Rimpiango quella notte in cui i troll ci avevano intrappolati nei sacchi, aveva pensato il signor Baggins, almeno Thorin era vivo.
Ora che aveva le verdi colline che si perdevano a vista d’occhio dinanzi a lui, lo hobbit tornò per un momento a essere il degno figlio di Bungo Baggins, tanto gli era mancata quell’accogliente dimora.
Molto bene: hai di nuovo la tua casa accogliente, comoda e colma di cibo… ma sei solo come un cane abbandonato. Di nuovo quella fastidiosissima voce! E gli dispiaceva ammettere che aveva ragione: nella Contea non aveva tantissimi amici; certo, aveva quei due o quattro hobbit con cui conversava qualche volta al mercato o con i quali gustava delle tazze di tè, ma considerarli amici era troppo.
Senza contare che ora Bilbo si sarebbe dovuto sorbire di nuovo quella cleptomane di Lobelia Sackville-Baggins.
Il lato Baggins si impadronì nuovamente dello hobbit non appena questo si accorse di una cosa sconcertante: i suoi mobili, i suoi piatti e… Bilbo sgranò gli occhi in preda all’orrore: i suoi centrini!
Dunque, come stavo dicendo: i mobili, i piatti, i centrini e tanti altri beni erano stati messi all’asta dinanzi a Vicolo Cieco.
Preso da una furia irrefrenabile, Bilbo Baggins raggiunse velocemente il vecchio hobbit che stava sperperando i suoi averi a mezza Hobbiville.
 
“Fermi tutti! Fermi tutti!” gridò a gran voce Bilbo Baggins scuotendo le braccia.
Malgrado l’insistente vociare eccitato dei vari hobbit di Hobbiville, tutti riuscirono ad udire il signor Baggins e si voltarono a guardarlo.
“E tu chi sei?” gli chiese una donna in carne con l’aria da finta tonta.
Bilbo puntò i suoi occhi nei suoi. “Lo sai benissimo chi sono, Lobelia Sackville-Baggins!” sbottò riprendendosi le sue forchette. “Sono il proprietario di questa casa e non sono affatto morto!”
“Chi ci dice che voi siate il vero Bilbo Baggins?” intervenne il signore con il cappello nero, quello che stava vendendo gli oggetti di Casa Baggins.
Sbuffando, Bilbo rivelò il contratto da scassinatore che aveva firmato – senza rivelare di cosa si trattasse, ovviamente. Aveva già perso abbastanza il rispetto da parte dei suoi compaesani, non era proprio il caso che scoprissero che aveva offerto la sua disponibilità come ladro.
Il venditore osservò con attenzione la firma in fondo al foglio, inforcando gli occhiali. “Sì, sembra che voi siate l’effettivo Bilbo Baggins.”
Bilbo sospirò sollevato: ci mancava solo che non potesse più rimettere piede nel suo comodo e tanto amato buco-hobbit.
“Aspettate!” lo fermò con la voce lo hobbit dal cilindro nero. “Chi è questa persona a cui avete offerto i vostri servizi? Thorin Scudodiquercia.”
Bastarono quelle parole per far bloccare il signor Baggins sull’uscio. Nell’udire quel nome dovette ricacciare indietro le lacrime che stavano spingendo per uscirgli dagli occhi. Si voltò verso il suo interlocutore e lo guardò con sguardo grave. “Era mio amico” rispose tutto d’un fiato, prima di scoppiare a piangere un’altra volta.
Con l’umore a pezzi, Bilbo Baggins rimise piede nella sua calorosa dimora. Durante quel lungo viaggio aveva più volte espresso il desiderio di fare ritorno nel suo buco-hobbit; ora, l’unica cosa che voleva, era rivedere almeno una volta il suo migliore amico.
 
Anni dopo…
 
“Zio Bilbo! Zio Bilbo!”
Bilbo Baggins sorrise nell’udire quella vocina da bambino. Dopo l’avventura con i nani ci aveva messo molto tempo per riabituarsi alla Contea e per tornare a sorridere… per fortuna nei suoi giorni era subentrato un piccolo hobbit dal cespuglio corvino in testa.
Frodo Baggins era rimasto orfano in seguito all’annegamento dei suoi genitori ed era riuscito a portare uno spiraglio di luce nella vita solitaria e malinconica dello zio.
“Dimmi, Frodo.” Bilbo smise improvvisamente di occuparsi delle sue piante e rivolse un affettuoso sorriso al piccolo Frodo.
Il giovane hobbit mostrò al tutore un foglio sgualcito color caffè. “Chi è Thorin Scudodiquercia?”
Ogni volta che sentiva quel nome, il signor Baggins si irrigidiva e gli sembrava che il mondo gli fosse cascato sulle spalle.
Notando lo sguardo triste e serio dello zio, Frodo inclinò il capo con aria perplessa.
Il piccoletto non aveva la più pallida idea di chi fosse quel Nano Estremamente Importante, poiché Bilbo non gli aveva mai raccontato di quel viaggio inaspettato che aveva bussato alla sua porta tanti anni fa. Semplicemente perché c’erano ferite ancora aperte nel cuore del signor Baggins, ferite che non ne volevano sapere di rimarginarsi ed egli non aveva intenzione di alimentarle ripensando a quella persona speciale che aveva perso.
Alla fine Bilbo fece un mezzo sorriso e si sedette sulla sedia a dondolo. “Vieni qui, Frodo.” Fece cenno al nipote di accomodarsi sulle sue ginocchia. “È tempo che tu sappia una cosa.”
In preda alla curiosità e con un sorrisone che gli contorceva i tratti somatici, Frodo Baggins guizzò in braccio allo zio, in un’infervorata attesa.
“C’era una volta, in una terra molto lontana a est, un regno prospero e meraviglioso chiamato Erebor…”
Il piccoletto ascoltava rapito le parole del parente, mentre il sole splendeva luminoso sull’erba verde del loro giardino.
“Thorin Scudodiquercia era il principe di questo regno nanico. Un brutto giorno…”
 
The end
 
L’Antro di Lucri:
 
Sciao belli!
Ho concluso questo deprimente capitolo proprio nel giorno giusto: oggi è morto il mio criceto ç_ç e mio papà ha pensato bene di avvisarmi mentre ero a scuola tramite un sms, come se non fossi stata già abbastanza depressa nel trovarmi in quella lurida baracca.
Vabbè, passiamo ai fatti.
Questa fanfiction è stata la primissima che ho scritto e va avanti da due anni, se non erro. Ci sono affezionatissima e, sotto sotto, mi dispiace averla conclusa. Mi mancherà çç
Comunque vorrei precisare una cosa: mi sono presa l’ennesima licenza, poiché mi sono accorta troppo tardi di aver sbagliato… In realtà il successore di Thorin sarebbe Fili, però sovrappensiero ho scordato il fatto che ho lasciato il giovane nano in vita, così ora il Re sotto la Montagna è Dain xD. Sorry TwT
Ci terrei a ringraziare chi ha aggiunto la storia alle preferite, alle seguite, alle ricordate e, specialmente, i recensori: Leila91, Innamoratahobbit96, Daenerys21, Zury Watson e Khilian.
Grazie di cuore! Vi voglio bene <3
Un bacione enorme
 
Lucri

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