Someone from the past

di Roscoe24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Erano passati anni, forse troppi.
Fissava il cellulare che aveva in mano indecisa sul da farsi. Forse non era opportuno.
Ma dopotutto nemmeno quello che aveva visto quella sera le sembrava opportuno. Per qualche istante si è ripetuta che doveva aver visto male per forza, che certe cose non sono naturali.
Ma poi l’aveva rivisto e questa volta non di sfuggita, l’aveva visto chiaro come il sole e a quel punto non c’era più posto per i dubbi.
Si passa una mano tra i capelli.
Devi promettermi che qualsiasi cosa ti sembrerà strana, mi chiamerai immediatamente. E io arriverò il prima possibile.
Era stato lui a dirglielo, quel giorno di sei anni fa quando si erano salutati.
Promettimelo.
Lei aveva promesso, senza capire bene a cosa potesse riferirsi.
Ma con tutto ciò che ha visto negli ultimi giorni, forse un’idea se l’è fatta.
Chiude gli occhi ed espira.
Li riapre e decide di far partire la chiamata.
Dopo interminabili squilli, scatta la segreteria.
Sono Sam. Lasciate un messaggio e sarete richiamati.
“Ehm.. ciao Sam.. non.. non so se ti ricordi di me.. Sono..” Dio quanto si sente stupida. Ciò che sta per uscire dalla sua bocca è una vera assurdità “..Sono Talia. Talia Harrison. Non so se ti ricordi, ma sei anni fa, prima di partire mi hai fatto promettere che se avessi visto qualcosa di strano ti avrei chiamato.. non so se la proposta è ancora valida, ma sul serio non so chi chiamare..” Sente la sua voce incrinarsi un po’ per il panico, ma poi prosegue.. “Sam credo che il mio capo si mangi le persone.” 

--

La casa di Bobby non c’è più. È andata. Persa. Bruciata. Si sono trasferiti in mezzo ad un bosco, in una specie capanna dove vivono senza elettricità, acqua calda, riscaldamento. Dean non fa altro che ripetere che vivere così non è vivere, che se deve passare la sua vita nascosto come un ratto tanto vale andare a farsi mangiare dai Leviatani.
Suo fratello, a volte, è insopportabile, pensa Sam. Non c’è bisogno che faccia notare tutti i loro disagi. Sia lui che Bobby hanno gli occhi e tutti gli altri sensi funzionanti al cento per cento, sanno di vivere in una bettola. Sospira. Questa storia dei Leviatani sta diventando sempre più grande e loro brancolano sempre più nel buio.
“Sam!” lo chiama Dean a gran voce.
“Che vuoi?” gli risponde lui prontamente.
“Il tuo telefono vibra ogni due minuti da dieci minuti. O lo fai smettere o lo lancio fuori dalla finestra! Disturba il mio sonno!”
Sam sbuffa. Tu disturbi la mia pazienza, invece si trova a pensare, ma non lo dice ad alta voce. Sa che inizierebbero a litigare ed è troppo stanco per affrontare un litigio.
Si dirige in sala dove Dean è stravaccato su quello che chiamano divano. Ha gli occhi chiusi, ma sa che non dorme.
Afferra il telefono e ascolta il messaggio che la segreteria gli segnala.
Non può crederci.
Quella voce. Non la sente da troppo tempo! Si è ricordata di lui! Chissà cosa avrà pensato negli ultimi anni, visto ciò che passano in tv: la rapina con Heriksen, i loro sosia Leviatani che uccidono masse di persone, eppure l’ha chiamato lo stesso.
Si ricorda bene di Talia. Erano al college insieme, lei era un anno più piccola di lui. Era così gentile e così impacciata che l’ha sempre trovata adorabile. Arrossiva sempre appena qualcuno le faceva un complimento e non parlava mai a voce troppo alta, nonostante sapesse dire la sua ragione e fosse capace di dare filo da torcere con quella lingua tagliente che si ritrovava.
Il suo messaggio, comunque, non promette niente di buono. Scuote Dean dal suo non-sonno e lo obbliga ad alzarsi da quel divano pulcioso.
“Siamo appena tornati da una caccia, perché mi rompi l’anima?” brontola, mettendosi a sedere.
Sam lo guarda con la sua tipica faccia da rimprovero, stringendo le labbra e alzando leggermente gli angoli della bocca. Quella tipica faccia che suo fratello chiama “la bitchface”. Pff.
“Abbiamo un lavoro da fare!” si limita a dirgli, lanciando il cellulare che Dean afferra al volo. Ascolta il messaggio e senza dire una parola, afferra il borsone ancora pieno di armi, le chiavi della macchina e con Sam al suo fianco esce di casa per salire sull’Impala.


 

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Capitolo 2
*** 2. ***


“Sai dove abita?” chiede Dean, l’acceleratore pigiato al massimo per divorare meglio i chilometri.
“Pasadena.”
A questa velocità la raggiungeranno in massimo dieci ore.
“Non mi ha lasciato un luogo dove trovarla, quindi l’ho cercata su Facebook.”
“Su Facebook?” fa eco Dean.
“Talia non è una criminale, quindi sarebbe stato pressoché inutile cercarla negli archivi della polizia. L’ho cercata nel modo in cui le persone normali si trovano.”
“E l’hai trovata?”
“Si. A quanto pare fa la cameriera da Tasty Food. Quanto pensi ci metteremo ad arrivare in California?” gli chiede, leggermente agitato.
“Poco. Sta’ tranquillo, Sammy. Non le succederà niente.”


Pasadena, 23.58.
Dopo le cose che ha visto, essere l’ultima a lasciare il locale a quest’ora non le fa piacere. Ha iniziato a guardare il suo capo con timore e non quello tipico di chi ha paura di essere licenziato, diciamo più con il terrore di realizzare che al mondo esistono persone che mangiano altre persone. Lei non vuole essere mangiata, cacchiarola. Lei vuole vivere una vita lunga lontana da qualsiasi zanna possibile e immaginabile. Sospira mentre volge le spalle al negozio e si incammina verso casa. Non prende mai la macchina per venire a lavorare, di solito le piace fare il tragitto a piedi anche perché richiede solo una mezz’ora di cammino. A quest’ora di notte, però, con le strade semi deserte e un capo mangia-dipendenti, la mezz’ora di cammino non è per niente invitante. Rabbrividisce, nonostante non ci sia quel gran freddo, probabilmente è solo la paura che le sta attanagliando lo stomaco. Si tira su il cappuccio della felpa e si stringe in se stessa. Quel gesto la fa sentire un po’ più protetta. Continua a camminare a passo svelto, ogni tanto si guarda le spalle e ad ogni macchina che le passa accanto il cuore le salta, facendole rischiare un mini infarto tutte le volte. Inspira ed espira. Ancora. Dentro. Fuori. Calmati. Sono le cose che si ripete ad ogni passo. È quasi a metà strada quando sente una macchina rallentare proprio al suo fianco. È la volta buona che ci lascia le penne, altro che vita lunga e lontana dalla zanne, lei sta per morire in una stradina periferica che puzza di pipì di gatto e vomito. Sta per mettersi a correre quando dal finestrino esce una voce familiare.
“Grazie a Dio ti abbiamo trovata.”
Si china per guardare dentro alla macchina cercando conferma ai suoi pensieri.
Si apre in un enorme sorriso quando riconosce Sam.
“Sam Winchester. Mi hai creduta! Non sai quanto te ne sia grata!”
Sam esce dall’auto ergendosi in tutta la sua altezza. Talia rimane a guardarlo un attimo, come imbambolata. Sam è estremamente, esageratamente alto, lei gli arriva si e no al petto. Porta i capelli lunghi e il suo viso ha perso quell’innocenza che lo caratterizzava a Stanford nonostante i suoi occhi esprimano sempre quel senso di purezza e fiducia che lei ha sempre trovato rassicurante. Si china per stringerla a se e per un attimo la ragazza si sente come avvolta da un enorme plaid, quelli caldi che d’inverno ti riscaldano dal freddo glaciale e ti fanno sentire protetta da eventuali mostri notturni. Lo stringe perché averlo lì in quel momento è una benedizione e vuole esprimergli tutta la sua gratitudine. Sono sei anni che non si vedono, né sentono, ma è bastata una telefonata e lui è arrivato. I suoi muscoli si rilassano sempre di più, tanto che smette di tremare.
“Ok, Talia. Va tutto bene.” le sussurra, passandole una mano sulla schiena. “Sali in macchina, ti portiamo a casa.”
Talia obbedisce. Sale sul sedile posteriore e si rannicchia, ancora leggermente spaventata. Saluta il ragazzo alla guida che deduce essere il fratello di Sam, Dean. Non l’ha mai conosciuto, ma Sam l’ha nominato, qualche volta. Dean, il fratello maggiore che si prendeva cura di lui quando suo padre non c’era. E a detta di Sam, suo padre non c’era mai.  
“Grazie per essere venuti.” Dice.
“Di niente.” Risponde Dean, guardandola dallo specchietto. Nota che la ragazza abbassa subito lo sguardo. È rannicchiata in se stessa, non sa bene se sia per la paura provata poco prima o per l’imbarazzo. È bassina, sarà sul metro e sessanta – l’ha dedotto paragonandola all’altezza di Sam, poco prima. I suoi capelli sono lunghi e ricci, di un castano rossastro. Non riesce a vederle bene il viso, visto la penombra che regna nell’abitacolo, ma sembra carina. Gli ricorda una bambola di porcellana. Quelle che metti su una mensola e ammiri per il resto della tua vita, ma che non sposti mai perché hai paura che toccandole potresti farle cadere e finire in mille pezzi.
Talia guarda fuori dal finestrino, guardinga. Dean mette in moto e parte, lasciando quella stradina e dirigendosi sempre più verso il centro, dove c’è la vita. Gente che cammina per strada, ragazzi che hanno sforato di troppo il coprifuoco e stanno tornando a casa, correndo. Il cacciatore si ferma al semaforo rosso e tira un’occhiata furtiva alla passeggera. Sembra più rilassata, tanto che ha persino smesso di mordicchiarsi il labbro.
Quando il verde scatta, Dean riparte, ma si rende conto di non sapere dove andare.
“Ehm.. Talia?” la chiama. La ragazza lo guarda nello specchietto. “Dove devo andare?”
“Oh, giusto. Scusate. Curva ora a destra.”
Dean obbedisce. Sbucano in una strada piena di casette tutte piccole e tutte attaccate l’una all’altra, divise solo da delle strisce di giardino laterali.
“Ecco, imbocca il vialetto a sinistra.”
Dean fa nuovamente come gli dice e sbucano davanti ad una casetta veramente piccola, bianca con le persiane blu. Parcheggia nel vialetto e scendono dalla macchina.
I Winchester d’istinto si mettono ai lati della ragazza e Talia, improvvisamente, si sente una specie di nana da giardino. È sempre stata consapevole della sua bassezza, ma mai come in quel momento, dove alla sua destra sta Sam che ad occhio e croce supera il metro e novanta e alla sua sinistra sta suo fratello che sarà un metro e ottanta se non di più.
Una volta arrivati davanti alla porta, Talia rovista dentro alla sua borsa per trovare le chiavi, apre e fa entrare i due fratelli.
“Questa è la mia umilissima dimora. Mi casa es tu casa, se si dice così.” Dice accendendo la luce.
La casa è piccola, ma in ordine. La cucina e la sala sono praticamente la stessa stanza, divise solo da mezzo muretto. C’è un corridoio che probabilmente porta alle camere e al bagno. Tutto sommato, è accogliente.
“Talia..” comincia Sam.
Lei si volta a guardarlo. Capisce dalla sua espressione cosa vuole sapere e lei è pronta a dirglielo.
“Metto su del caffè, ok? Ne ho bisogno.”
I due annuiscono, Dean torna in macchina a prendere il borsone con le armi per precauzione e Sam rimane con Talia.
La osserva mentre si toglie la felpa, rimanendo con una canottiera bianca che le aderisce perfettamente al corpo, evidenziando la pancia piatta e – nonostante Sam si sforzi di non notarlo – il seno sorretto perfettamente dal reggiseno anch’esso bianco.
La guarda legarsi i lunghi capelli in un ciuffo disordinato da cui esce qualche riccio. Sorride. Quel gesto gli è così familiare. Lo faceva sempre quando doveva concentrarsi per fare qualcosa.
Talia inizia a trafficare con la moca del caffè e non si rende conto di avere gli occhi di Sam puntati addosso.
Quando Dean torna, invece, è la prima cosa che nota. Lo sguardo negli occhi di suo fratello è languido e tenero. Guarda quella ragazza come se fosse una specie di visione paradisiaca e in effetti non fa fatica a capire il perché, Talia ha decisamente dei punti a suo favore, tipo il culetto a mandolino, fasciato perfettamente nei jeans. Ma Dean ha l’impressione che nello sguardo di suo fratello ci sia qualcosa che vada al di là dell’evidente bellezza fisica della ragazza.
“Sam?” lo chiama per distoglierlo dalla sua improvvisa trance.
Il minore si volta verso il fratello. “Mh?”
“Vuoi un fazzolettino per asciugare la bava, per caso? C’è qualcosa che non mi hai detto?” assottiglia lo sguardo mentre chiede l’ultima domanda, come se volesse scrutare dentro alla testolina instabile di suo fratello.
“No. Ti ho detto tutto.” Conclude, alzando le spalle.
Dean sgrana gli occhi, sentendosi palesemente preso per il culo.
“Quindi una tua vecchia amica del college la guardi come se avessi appena visto la cosa più bella di questo mondo? Hai idea di che faccia avessi, prima che entrassi? Sembravi in estasi!”
Sam si sente ferito nel vivo, vorrebbe ribattere che non ha capito un bel niente, ma Talia li chiama.
“Il caffè è pronto!”
Il maggiore dei Winchester tira un’occhiata al minore come per dire non te la caverai così, piccolo bastardo e Sam semplicemente lo liquida con un gesto della mano. Cosa che fa ancora più infuriare Dean. Come si permette?
Dean si toglie il giubbotto e lo sistema sul divano – dopo che Sam ha fatto la stessa cosa. Si tira su le maniche della camicia e si accomoda al tavolo, vicino al suo caro fratellino.
Com’è che si dice? Prima il dovere poi il piacere. Se sono lì è per un motivo serio, quindi ascolterà ciò che Talia ha da dire e poi procederà a fare domande che non riguardano in alcun modo i Leviatani.

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


Talia è seduta di fronte ai fratelli e stringe in mano la sua tazza piena di caffè. Ne prende un sorso prima di cominciare a parlare. Ora che ci pensa, anzi che il caffè avrebbe dovuto preparare una camomilla, almeno le avrebbe steso i nervi anzi che aumentare la sua agitazione. Dettagli.
“È cominciato tutto quattro giorni fa..” comincia, prendendo un altro sorso di caffè “..Dal retro del negozio provenivano degli strani rumori così sono andata a controllare. Era già capitato in passato e spesso erano ratti che venivano a mangiare nella nostra spazzatura, ma che andavano comunque cacciati visto che rischiavano di entrare nel ristorante.” Non se n’è resa conto, ma ha iniziato di nuovo a tremare. Capisce che il suo corpo è scosso dai brividi quando Sam le poggia una mano sulla sua, avvolgendola quasi del tutto e lei, istintivamente, si calma. Quel contatto la riporta indietro di anni, quando lei aveva i suoi problemi e lui l’ascoltava sfogarsi. Finiva sempre per stringerla forte a se e dirle che tutto si sarebbe sistemato. Sam ha sempre avuto un effetto rassicurante, su di lei. Se lui le diceva che tutto sarebbe andato bene, lei ci credeva. Si rilassa un po’ e i brividi cessano, così prosegue.
“La prima volta ho visto Jeremy Allen, il mio capo, chino su un mio collega, Adam Moore. Adam era nuovo, era arrivato da si e no una settimana, non aveva una bella storia alle spalle: faceva uso di droghe ed era persino stato in galera 2 anni, per spaccio e possesso illegale di sostanze stupefacenti. Per questo, comunque, non meritava di morire. Continuava a ripetere che questo lavoro era la sua seconda occasione, che avrebbe smesso di deludere la sua famiglia e si sarebbe guadagnato da vivere come una persona onesta..” la sua voce si incrina, gli occhi le si riempiono di lacrime che tenta di ritrarre, ma nonostante gli sforzi, una più svelta delle altre le riga la guancia destra. Se l’asciuga in fretta. Tira su con il naso e riprende: “La seconda vittima è stata Melissa Bell. Lei lavorava al Tasty Food da un mese, aveva finito da poco la scuola e stava cercando un lavoretto temporaneo prima dell’inizio del college. Lei e Adam avevano legato molto, probabilmente perché lui vedeva in lei tutto ciò che non era mai stato prima del suo cambiamento: pulito, onesto, fresco. Melissa era così giovane..” la sua voce spezzata, ridotta ad un sussurro roco. Le lacrime ormai incontrollabili che scendono silenziose. Li conosceva da poco, ma considerava quei ragazzi degli amici e pensare che avessero fatto una fine così brutale le faceva attorcigliare lo stomaco dal dolore e della rabbia: nessuno merita di morire così, non così giovani, non come se fossero degli animali da macello.
Alza lo sguardo sui due fratelli che fino a quel momento l’hanno ascoltata senza proferire parola. Si scambiano un’occhiata furtiva e Dean fa un cenno d’assenso con la testa a Sam, come se avesse dato il permesso a quest’ultimo di fare una cosa che silenziosamente gli aveva chiesto.
“Hai notato se la sua bocca fosse.. strana?” domanda Sam.
Talia annuisce con vigore. “La prima volta credevo di aver visto male, ma la seconda ne sono stata certa: la sua bocca gli ha coperto tutta la faccia ed era piena di zanne.”
Sam e Dean all’unisono si appoggiano allo schienale della sedia. Dean incrocia le braccia al petto.
“Sono loro.” Dice.
“Sono loro.” Conferma Sam. “Ma perché sono qui? E soprattutto perché farsi notare?”
“Non ne ho idea. Magari c’entra con la questione della carne nei ristoranti!” ipotizza Dean “Avete inserito un nuovo panino, ultimamente?” domanda diretto a Talia.
“Si. Sinceramente, non capisco come la gente possa trovare appetitosa una pressata di tre volatili diversi, ma quel panino è richiestissimo!”
Sam ridacchia, guardando suo fratello, mentre Dean invece lo fulmina, risentito. È un errore che risale a settimane fa, non è forse ora di passarci sopra?
“Tu?” domanda Talia, indicando il maggiore dei fratelli, il quale, non capendo, si indica a sua volta e dice: “Io, cosa?”
“Tu hai mangiato quel panino!” deduce Talia.
Dean alza gli occhi cielo: ci mancava solo ricevere la predica dall’amichetta sexy di Sammy.
“Avevo fame, ok? Ed era buono!”
“Si, ma ti ha quasi avvelenato!” puntualizza Sam.
“Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava in quel coso!”
Entrambi i fratelli la guardano, incuriositi.
“Si, insomma.. conosco un ragazzo che viene spesso al locale e prendeva sempre questo panino.. più ne mangiava, più si rincretiniva era come se cominciasse a perdere il senso della realtà, come se non gli importasse più di nulla, avevo paura che fosse effetto dei tre volatili pressati, sapete, che fosse una specie di virus, così l’ho convinto ad uscire insieme, ho fatto in modo che si ubriacasse e che vomitasse tutto. È stato così male che se gli nomino ‘panino’ e ‘vodka’ nella stessa frase torna verde!”
“Sei sveglia, ragazza, complimenti!” afferma Dean, colpito. Quella ragazza sa il fatto suo.
Talia a quelle parole, abbassa lo sguardo sulle sue mani e arrossisce violentemente. Non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, soprattutto perché il contesto le sembrava alquanto inopportuno, ma trovava Dean davvero bello. Forse erano i suoi occhi verdi, o le sue labbra piene, o forse le sue spalle larghe – o forse tutto l’insieme.
Si schiarisce la gola, sentendosi come un’adolescente stupida – non ha più l’età per arrossire come una ragazzina al primo complimento, pensava di aver superato quella fase della sua vita, e invece..
“G-grazie.” Si trova a balbettare.
Dopo aver recuperato la sua stabilità mentale, si trova a chiedere ciò che l’attanaglia di più: “Cosa sono questi esseri? Insomma, voi mi credete e non sembrate nemmeno tanto scossi.”
Sam e Dean sospirano.
Talia inizia a pensare che la loro sincronia sia strana. Ma in una maniera tenera.
“Leviatani.” Risponde Sam.
“Leviatani?” chiede Talia “Quelli della Bibbia? Non erano rappresentati come mostri marini?”
I fratelli la guardano confusi. Non hanno la minima idea di cosa stia parlando.
“Cosa?” domanda Dean.
“Nell’Antico Testamento i Leviatani sono descritti come mostri marini dall’incredibile forza, nessuna creatura sulla Terra è pari a loro e tutti li temono, sono come re su tutte le bestie più superbe. Allegoricamente parlando, rappresentano il caos primordiale, la potenza priva di controllo. Biblicamente parlando, invece, rappresentano l’espressione della volontà divina e sono simbolo della potenza del Creatore.”
Dean la sgrana gli occhi e rimane momentaneamente perplesso. Quell’atteggiamento gli ricorda tremendamente qualcuno: Sam. Non fa fatica a credere che siano diventati amici.
“Si può sapere come fai a saperlo?”
Lei lo guarda e risponde ovvia: “Leggo.” Aggiunge anche un’alzata di spalle.
“La Bibbia.” Afferma lui, come se fosse assurdo che qualcuno di propria volontà leggesse un simile libro.
“Si, potrà sorprenderti, ma è un libro anche quello.” Commenta lei, sarcastica.
Sam ridacchia, divertito dall’espressione risentita che si stampa sul viso di suo fratello a quelle parole.
Anzi che ribattere, però, Dean guarda suo fratello e i due iniziano una nuova conversazione silenziosa fatta di sguardi che non promettono niente di buono.
“Tal, devi venire con noi.” Comincia Sam.
“Dove?”
“In un posto sicuro.” Conclude Dean.
Lei passa lo sguardo da uno all’altro dei ragazzi, convinta che le dicano da un momento all’altro che è uno scherzo.
“N-non posso.”
“Perché? Perché qui c’è la tua casa? Ci sono i tuoi cari?” sbotta Dean. Proprio non sopporta quando fanno le scenate. Loro propongono a delle possibili vittime di salvargli il culo e puntualmente queste trovano delle scuse assurde.
L’espressione di Talia si incupisce, Sam lo nota e tenta di fermare suo fratello sul nascere prima che possa peggiorare ulteriormente le cose, ma Dean non lo ascolta.
“Li avvertirai! Dirai loro che devi partire e metterai le tue chiappe in macchina! Ti rendi conto che quel mostro ti ha vista, vero? Fa finta di niente perché non aspetta altro che il momento giusto per portarti in un vicoletto e fare di te la sua cena!”
La sua voce risuona in quella casa, come un’eco.
Talia sa che ha ragione, anche se avrebbe preferito glielo dicesse in un modo diverso. Stupido, arrogante, pallone gonfiato. In questo momento lo detesta. Vorrebbe solo prenderlo a pugni per quello che ha detto. Ha la boccaccia più larga di quel mostro e le ha fatto più male lui con quelle due frasi che il mostro se l’azzannasse davvero.
Si alza dalla sedia, meccanicamente raccoglie le tazze vuote e le mette nel lavandino. Le sciacqua velocemente e le mette al loro posto. Si volta nuovamente verso i fratelli, impietriti. Sam è il ritratto del dispiacere, probabilmente perché conosce la sua storia e conosce anche quel bastardo di suo fratello e i suoi stupidi modi. Dean, invece continua a fissarla con quell’aria da sergente, come se lei fosse un soldatino e lui stesse aspettando di vederla obbedire prontamente. Se non fosse una signora gli sputerebbe in faccia.
“Non devo avvertire nessuno, Dean. Sono tutti morti. Posso prendere almeno qualcosa o non ho diritto nemmeno a questo?” sibila, affilando lo sguardo.
Probabilmente, Medusa aveva la stessa espressione prima di pietrificare gli uomini che incrociavano il suo cammino, pensa Dean. Ok, forse è stato un po’ burbero, ma che poteva saperne, lui? Sam avrebbe dovuto avvertirlo! Lo sa che lui è impulsivo e non ragiona sulle cose, sa quanto lo faccia innervosire quando rifiutano di essere aiutati! Stupido Sam, doveva dirgli tutto!
Non risponde, la guarda semplicemente sparire nel corridoio con Sam alle calcagna. 

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Capitolo 4
*** 4. ***


Quando Sam entra nella stanza, trova Talia in piedi davanti al suo letto che getta alla rinfusa vestiti dentro ad un borsone senza nemmeno guardarli. Non controlla nemmeno che siano pantaloni o magliette, sembra quasi che faccia quel gesto per prendersela con qualcuno e in quel momento i suoi vestiti sembrano la valvola di sfogo migliore.
“Tal?” la chiama, discreto. Lei non si volta, così lui continua ad avvicinarsi piano. Sa che l’ha sentito, così si ferma dietro di lei. Le posa una mano sulla spalla e lei immediatamente si ferma. Si volta e senza alzare il viso per guardare Sam, affonda la faccia nel suo petto e si aggrappa alla sua camicia come se fosse un’ancora. Lui, la avvolge in un abbraccio senza dire niente. Sa che in momenti come questi le parole non servono, sono inutili. Sa che l’unica cosa da fare è farle sentire la propria presenza mentre lei si svuota di tutto il dolore che quella ferita le provoca.  Le accarezza piano la schiena e la culla, parlandole sottovoce come potrebbe fare con un bambino spaventato dal buio.
“Va tutto bene. Dean non voleva dire ciò che ha detto. Non.. non gli ho raccontato tutta la tua storia, pensavo stesse a te farlo solo se avessi voluto.”
I singhiozzi cessano. Talia alza il viso, trovando immediatamente gli occhi di Sam su di lei.
“Lo so..” sussurra. La sua voce è talmente flebile e roca dal pianto che Sam la percepisce appena.
“Ma l’ho detestato per come mi ha parlato.” Confessa, imbarazzata. Dean è pur sempre il fratello di Sam e dire una cosa del genere non è proprio il modo migliore per riallacciare i rapporti.
“Lo so. Ma se conosco un minimo mio fratello – e lo conosco – si sta maledicendo in tutte le lingue che conosce e probabilmente mi incolperà per non avergli detto niente.”
Tal accenna un sorriso, immaginando Dean grande e grosso che si torce le mani in preda a quell’ansia che solo la consapevolezza di aver fatto una cavolata ti fa provare. Non sorride certo perché è sadica, precisiamo, semplicemente perché Dean – che fa tanto il burbero – probabilmente è uno tenero.
Talia si asciuga il viso e abbraccia Sam: “Grazie Sam. Scusa se ho reagito così.”
“Non devi scusarti, con quello che hai passato è normale tu reagisca in questo modo. Finisci di prepararti, ok? Io e Dean ti aspettiamo di là, prenditi tutto il tempo necessario!”
Talia lo ringrazia nuovamente e lo guarda uscire dalla sua stanza.
Sam le è mancato così tanto, in questi anni, ma non se l’è mai sentita di chiamarlo. Si ricorda benissimo il momento in cui se n’è andato. È stato dopo il funerale di Jessica. Erano distrutti, tutti, ma Sam aveva una luce negli occhi che non gli apparteneva, era scosso, ma sembrava furioso, tremendamente incazzato e.. colpevole. Sam sembrava si sentisse colpevole. L’aveva accompagnata a casa perché le doveva parlare, così aveva detto.
Avevano camminato e parlato. Una cosa che era così naturale per loro, se non fosse stato per gli abiti neri, il luogo da cui provenivano e la piega che la loro conversazione avrebbe preso.
M-mio fratello è in città.
Ci aveva girato intorno un secolo prima di pronunciare quella frase. Si era mordicchiato le labbra per almeno sei metri di strada prima che riuscisse a pronunciarla. Era nervoso, Tal se lo ricorda bene.
E sai.. con quello che è successo, pensavo di andare a stare un po’ con lui.
Aveva abbassato lo sguardo e calciato un sassolino.
N-non so quanto starò via, ma devi promettermi che qualsiasi cosa strana vedrai, mi chiamerai. Qualsiasi, Tal. Intesi? Io tornerò immediatamente. Io tornerò sempre, per te.
E lei aveva promesso. Aveva visto Sam allontanarsi da casa sua con la sua solita andatura. L’aveva seguito fino a che non era diventato alto quanto un lego e poi era rientrata in casa, convinta che non si sarebbero più rivisti.


“Sei un idiota. Lo sai, vero?”
“Perché? Sei tu quello che le ha urlato contro!”
“Si, ma sei tu quello che non mi ha detto niente! Ti avevo domandato se mi avevi detto tutto e hai avuto anche il coraggio di dire si!”
“Non stava a me dirtelo, ti pare?”
“Ah no? E a chi stava? A lei? O magari avrei dovuto prima chiederle Ehi senti, prima che faccia una figura del cazzo, i tuoi genitori sono per caso morti? Cos’hai nel cervello, Sam??”
Litigare sottovoce è una delle cose più difficili che due persone possano fare. Soprattutto se si è fratelli. Soprattutto se entrambi pensano di aver ragione.
“Perché semplicemente non ammetti di aver sbagliato?”
“Non che tu sia completamente innocente, amico mio. Avresti almeno potuto dirmi di essere delicato!”
“Dovresti imparare a essere delicato a prescindere!”
Dean sbuffa. Dio quanto non lo sopporta quando rigira la frittata. Lo liquida con un gesto della mano perché sente arrivare Talia e non vuole che senta i loro bisbigli e sussurri. La ragazza non è stupida, capirebbe immediatamente che c’è qualcosa che non va.
Le va incontro perché sente di doverle come minimo della scuse. Anche se pensa che una parte della colpa sia da attribuire a suo fratello, riconosce di aver sbagliato.
Quando lo vede avvicinarsi a lei, Talia si irrigidisce, ma non lo scaccia. Dean la guarda negli occhi, notandoli per la prima volta. Hanno un colore indefinito: a prima vista sembrerebbero color nocciola, ma osservando meglio nota delle pagliuzze dorate che si incastrano con un verde scuro. Sono così belli.
Si trova momentaneamente a disagio davanti a quegli occhi che lo osservano così profondamente. Non capisce bene cosa possa significare quello sguardo. Non sembra che Tal si aspetti delle scuse, ma non sembra nemmeno che stia per infilzarlo con un coltello da cucina. Semplicemente, lo sta guardando negli occhi.
“Io.. io credo di doverti delle scuse.” Dice, grattandosi la nuca, imbarazzato.
Lei gli accenna un mezzo sorriso – che Dean ritiene una specie di vittoria. Il lato positivo è che non l’ha trafitto con lo sguardo come poco prima.
“Sta’ tranquillo. Non potevi sapere.”
“Forse dovrei imparare ad essere più delicato.” Conclude, pensando che forse in fondo Sam non ha tutti i torti. Ma non lo ammetterà mai davanti al suo fratellino che non aspetta altro che sentirsi dire che aveva ragione.
“Forse dovresti, si.” Concorda lei.
“Siamo apposto?”
“Si, Dean. Siamo apposto.”

 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Si erano messi in macchina alle due di notte, Dean guidava da più di due ore. Iniziava a sentire la stanchezza che appesantiva sempre di più le sue palpebre. Facendo un conto sommario, erano più di ventiquattro ore che non dormiva, iniziava a non riuscire più a stare sveglio. Vicino a lui, Sam si era addormentato da poco, mentre Tal dormiva da qualche ora nel sedile posteriore dell’Impala.
 Senza accorgersene prende un buco senza rallentare e fa dare uno scossone ai suoi compagni di viaggio. Sam, però, non apre nemmeno gli occhi, Tal invece si sveglia del tutto.
“Che è successo?” gli chiede strofinandosi gli occhi.
“Ho preso un buco. Non volevo svegliarti.”
“Figurati. Ho dormito anche troppo. Tu piuttosto non hai una bella cera, quant’è che non dormi?” Si è fatta avanti. Sbuca da dietro e lo studia, pensierosa.
“Non lo so.”
“Invece lo sai e non me lo vuoi dire, il che implica che le ore che hai accumulato senza dormire sono troppe. Ferma la macchina.”
“Che cosa?”
“Ferma la macchina. Guido io.”
Ok, è pazza.
“Nessuno guida la mia macchina, dolcezza!” risponde lui, ovvio.
“Quindi la tua grande idea quale sarebbe, genio? Guidare fino a svenire dal sonno e farci finire contro un albero?”
“Io non sverrò dal sonno!”
“Oh si che lo farai. Hai preso un buco a tutta velocità, questo implica disattenzione.”
Se avessero preso suo fratello e l’avessero intrappolato in un corpo di donna, quello che sarebbe venuto fuori sarebbe proprio Talia.
Talia Harrison, la sosia femmina di Sam Winchester.
Non può competere con due Sam nella stessa macchina, non è equo!
Si ferma a bordo della strada e si volta verso di lei.
“Punto primo: sei insopportabile. Punto secondo: cercheremo un motel, dormiremo qualche ora e poi ci rimetteremo in marcia.” Sembra glielo stia imponendo, o sbaglia? Dean e il suo snervante atteggiamento sputa ordini.
Tal alza gli occhi al cielo. “Punto primo: sei un idiota. Punto secondo: il tuo piano geniale non regge. Se non l’avessi notato, dolcezza, avete dei sosia Leviatani che terrorizzano la gente e massacrano masse a casaccio, pensi che ti lasceranno mai affittare una camera senza chiamare la polizia?”
Insopportabile, impertinente e dannatamente nella ragione.
Non possono far vedere le loro facce da nessuna parte. Già una volta ad una stazione di servizio hanno dovuta darsela a gambe perché il commesso li aveva riconosciuti. Sbuffa frustrato. Hanno finito le scorte di caffeina e lui non può reggere altre ore sveglio. E di certo non può svegliare Sammy che sta riposando beato e ricaricando le sue batterie. L’unica alternativa possibile è quella offerta da Miss ho-sempre-una-soluzione-per-tutto. Preferirebbe farsi mangiare la faccia (e lui tiene alla sua faccia, è con quella che rimorchia)  che far guidare la sua macchina ad un’estranea, ma razionalmente è l’unica soluzione.
“Falle solo un graffio e ti consegno personalmente al tuo capo dalla bocca larga!”
Tal non risponde, si limita ad uscire dalla macchina e Dean fa lo stesso. Prima di scambiarsi i posti, lui le si mette davanti e la inchioda con lo sguardo.
“Trattala come si deve.” È serio, tremendamente serio. I suoi occhi sono così fermi e decisi che sembra che in quella macchina ci custodisca la sua anima. Un po’ come Davi Jones custodiva il forziere con dentro il suo cuore.
Tal rimane leggermente spiazzata da quella reazione, ma decide di non ribattere.
“D’accordo.” Dice prima di mettersi al volante. Aspetta che Dean si sistemi nel sedile posteriore e poi parte.

---


Il primo pensiero che balena nella testa di Sam appena si sveglia è che suo fratello abbia perso completamente il lume della ragione. Perché non esiste in nessun universo che Dean Winchester faccia guidare la sua ‘Piccola’ a qualcun altro che non sia se stesso. Nonostante siano passati anni, fa ancora le smorfie di disappunto quando è Sam a chiedergli di guidare.
“Buongiorno” lo saluta Talia, al volante.
“Dove siamo?” mugugna lui, strizzando gli occhi che vengono invasi dalla luce mattutina.
“South Dakota. Appena entrati.”
“Perché sei al volante?”
“Perché tuo fratello stava per crollare dalla stanchezza. Ieri notte ha preso un buco a tutta velocità. Ho pensato che qualche ora di sonno gli facesse bene.”
“Direi. Non ha dormito per più di ventiquattro ore.”
Sam a quella frase nota il cambiamento di espressione sul viso di Talia. Come se le fosse venuto in mente qualcosa che vuole chiedere, ma che non sa come chiedere. La conosce abbastanza da sapere che sta solo cercando il momento giusto, e visto che Dean dorme ancora, perché non adesso? Dove sono solo loro due e per lei è sicuramente più facile aprirsi?
“Tal, che c’è?”
La ragazza si sistema sul sedile e stringe il volante un po’ di più, facendo diventare le nocche momentaneamente bianche.
“Sam, cos’è questa storia? Ti ho chiamato dicendoti una cosa a cui non avrebbe creduto nessuno, ma tu sei venuto e non solo mi hai creduta, ma mi hai anche detto cosa è quella creatura! Non voglio sembrarti ingrata solo che..”
“Vorresti capire.” Conclude lui per lei.
Talia sospira, come se si fosse tolta un peso.
“Si..” conferma, voltandosi leggermente per guardarlo e riportando subito gli occhi sulla strada.
“È difficile ed è una storia lunga. Il succo della questione è che nel mondo.. sai.. esistono creature che vivono nel buio. Fantasmi, demoni, vampiri. Qualsiasi altra cosa ti venga in mente, esiste. E noi li cacciamo.”
“Quindi tutto ciò che viene descritto nei libri o nei film dell’orrore in realtà non è finzione?”
“No.”
“Wow. Tutto ciò fa sembrare il mondo ancora più vasto e ancora più.. oscuro..”
“Lo so. E mi dispiace che tu ne sia venuta a conoscenza, davvero.”
Talia rimane in silenzio a fissare la strada. Sta pensando, sta metabolizzando.
Anche se sembra calma, Sam si aspetta da un momento all’altro che dia di matto. Danno tutti di matto. O danno a loro dei pazzi.
“Sei andato via per questo? Insomma, quando hai detto che tuo fratello era venuto in città.. facevate già questa vita?”
Quella domanda un po’ lo sorprende. Ma d’altronde Talia non ha mai giudicato al primo impatto. Lei prima di giudicare analizza tutta la situazione, i comportamenti. Non si è mai fermata alle apparenze. È sempre stata quel tipo di ragazza che crede che per conoscere una persona devi conoscere anche la sua storia.
Siamo il frutto di ciò che ci è stato fatto, Sam. Ripeteva sempre. Ciò che siamo, lo dobbiamo anche alle nostre esperienze. Esperienze che solo noi abbiamo vissuto e che nessun altro può capire. Con gli esseri umani ci vuole pazienza.
“Si.” risponde, tornando alla realtà. “Dean non ha mai smesso. Io invece volevo uscire da quella vita, volevo viverne una normale, smettere di cambiare scuola ogni mese e sentirmi sempre il nuovo arrivato, quello strano, così sono venuto al college. Mio padre aveva detto che se fossi uscito di casa, non sarei più dovuto tornare.”
“Per questo li nominavi appena.”
“Si.. Ma poi è successo l’incidente con Jessica e ho deciso di tornare a cacciare.”
“La morte di Jess non è stato un incidente, non è vero?”
Sam scuote la testa per negare.
“E com’è successo?”
“Un demone.”
“È terribile..”
Non parlano più. Non vogliono più rivangare dolori passati, quei dolori che solo la perdita di una persona cara ti fa provare. Il periodo che è venuto dopo quell’incidente, non è stato bello per nessuno. Ne per Sam che ha dovuto combattere non solo con delle creature sovrannaturali, ma anche con i demoni che vivevano dentro di lui; ne per Tal che dopo la scomparsa di Jessica e la partenza di Sam si sentiva la persona più sola e vuota del mondo.
Continua a guidare, in silenzio.
Sam parla solo informarla sulle direzioni da prendere. Quando arrivano alla casa dove vivono, svegliano Dean e si avviano verso l’entrata.

 

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Capitolo 6
*** 6. ***


Una volta dentro  quella che è diventata la loro casa, chiamano Bobby a gran voce. L’uomo emerge dallo scantinato con un’ascia in mano. Appena vede che però i ragazzi sono in compagnia, nasconde l’arma dietro alla schiena.
“Lei chi è?”
“Talia, un’amica.” Risponde Sam.
“Il motivo per cui siete partiti?”
“Si.”
“Bene. L’avete controllata?”
Sam e Dean si guardano. Stupidi. No che non l’hanno controllata, non ci hanno minimamente pensato!
“No?” deduce Bobby. “Ditemi, idioti, siete per caso dei principianti?”
“Certo che no!” risponde Dean, offeso. Sono professionisti, loro. Professionisti sbadati, ma pur sempre professionisti!
“Allora perché non l’avete controllata?”
“Perché..” comincia Dean.
“Perché sono apposto!” si intromette Talia. Stanno parlando di lei come se non ci fosse, come se non li sentisse, come se quella conversazione non la facesse minimamente sentire una criminale. Devono controllarla per cosa? Non è lei quella cattiva!
“Non ne dubito, ma vedi, io non mi fido. Soprattutto in questo periodo.”
Posa l’ascia insanguinata in un angolo della stanza e si passa le mani sul tessuto dei jeans.
“Bobby, non è necessario..” comincia Sam, ma il vecchio cacciatore lo ferma all’istante con un gesto deciso della mano.
“È necessario, ragazzo. Soprattutto con i tempi che corrono. Dovresti saperlo.”  Poi si rivolge anche a Dean: “Dovreste saperlo entrambi.”
Bobby porta lo sguardo su Talia e si avvicina piano a lei. La ragazza non si sente intimorita, forse perché sa che non ha niente che non va e che non ha niente da nascondere.
“Vieni con me.”
Tal ubbidisce. Segue l’uomo in cucina e si siede su una sedia, come lui le dice di fare. Bobby le porge un bicchiere d’acqua e la invita a berlo, lei lo butta giù tutto d’un fiato senza problemi, non capendo bene che tipo di test possa essere bere un po’ d’acqua.
Il cacciatore, però, sembra rilassarsi un pochino.
I test continuano: le fa toccare un’asta di ferro, un coltello d’argento, le fa persino aprire la bocca e le tasta le gengive con una precisione tale che nemmeno un dentista sarebbe in grado di farlo in quella maniera. Non obietta mai, fa sempre ciò che le viene detto di fare, in silenzio. Ma quando vede che Bobby tira fuori un coltello grande da cucina, non riesce a trattenere la domanda.
“A cosa serve, quello?”
“È un altro test. L’ultimo. Devo farti un taglio sul braccio.”
Tal chiude gli occhi e sospira. I coltelli di quelle dimensioni le fanno una paura tremenda e le ricordano spiacevoli eventi che vorrebbe cancellare, ma che purtroppo sono scolpiti nella sua memoria.
“D’accordo.” Si fa forza e gli porge il braccio. “Facciamo in fretta.” Chiude gli occhi e si gira dall’altra parte. Sente la lama fredda che le scorre sulla carne, il bruciore tipico dei tagli e il sangue che cola lento. Ha ancora gli occhi chiusi quando sente che qualcuno le tampona la parte lesa, così decide di aprirli, trovandosi faccia a faccia con un Sam preoccupato.
“Stai bene?” le chiede, mentre le fascia la ferita con una garza. I suoi movimenti sono delicati e lenti. Prima la tampona per fare in modo che il sangue cessi di avanzare e poi con delicatezza e precisione le fascia completamente la ferita.
“Si, Sam, sto bene. È un taglietto.”
Istintivamente, il ragazzo le passa un dito sulla fasciatura per assicurarsi che sia sistemata a dovere.
“Ora che abbiamo stabilito che è apposto, vogliamo pensare a come tenerla al sicuro?” dice poi, rivolgendosi ai due cacciatori.
“Certo, ma prima venite giù, devo mostrarvi una cosa!” dice Bobby, incamminandosi verso il seminterrato. I tre senza obiettare, lo seguono.
 

Dean scende le scale per primo. Sa che Bobby li sta portando da quel Leviatano che hanno catturato grazie a quello stregone, ma non sa cosa vedranno. Ed è sicuro che Talia non è abituata al genere di cose che invece loro vedono tutti i giorni, così si ferma di colpo a metà scala e si volta per guardare dietro di lui. Talia, senza rendersene conto, gli finisce addosso.
“Scusa” dice, rimettendosi diritta.
“Non preoccuparti. Ascolta..” comincia. Non sa mai bene come fare per preparare le persone, coinvolte in situazioni simili, a ciò che vedranno. È sicuro che Sam le abbia fatto il discorsetto, che le abbia parlato della loro vita – più o meno nei dettagli. Ma la cosa difficile è passare dalla teoria alla pratica. Non vuole traumatizzare una ragazza a vita più di quanto probabilmente questa esperienza non l’abbia già traumatizzata.
Sospira. Le stringe una mano tra le sue, senza sapere bene il perché di quel gesto, e continua: “Là sotto potresti vedere delle cose bizzarre, cose che non sei abituata a vedere e che potrebbero darti fastidio, o farti paura. Se non ti senti di stare con noi, basta che tu lo dica, ok? E io o Sam ti riportiamo su.”
In quel momento, è come se Talia lo vedesse veramente per la prima volta. Come se vedesse il fratello maggiore di Sam, quello che lo proteggeva e si occupava di lui e non lo spaccone della sera prima. Deve essere una cosa di famiglia perché anche Sam nei suoi confronti è sempre stato protettivo, facendo sempre in modo che lei si sentisse al sicuro, nei momenti bui.
Dean è fatto allo stesso modo. Non la conosce, ma tenta di proteggerla. Le persone con questo istinto sono così rare e preziose che l’unica cosa che le viene da fare è annuire. Vorrebbe aggiungere che è perfettamente in grado di salire delle scale da sola, senza che qualcuno l’accompagni, ma vuole evitare di creare discussioni inutili. Ha capito benissimo perché o uno o l’altro l’accompagnerebbero al piano di sopra: non vogliono che lei, stando sola, rischi di diventare una preda facile nel caso il mostro dia di matto. E lo apprezza. Paradossalmente, nonostante l’esperienza che sta vivendo implichi la conoscenza di un mondo sovrannaturale e l’esistenza di esseri che potrebbero mangiarla, non si è mai sentita così al sicuro in vita sua.
“Bene, allora proseguiamo.” Dice Dean.
Sceso l’ultimo gradino si mettono uno di fianco all’altro – con Tal nel mezzo – e aspettano di vedere la geniale trovata di Bobby.
Solo quando lo sentono imprecare, capiscono che il vecchio cacciatore ha fallito.
“Che palle!” esclama.
“Credevi veramente bastasse così poco? Andiamo, Singer, sei intelligente! Non potevi pensarlo davvero!”
Quella voce proviene da un ragazzo incatenato ad una sedia. Talia lo osserva. È giovane, ha i capelli rasati e dei piercing alle orecchie. Il suo viso e le sue braccia sono coperte da una sostanza liquida, densa e nera.
“Quello non è sangue.” Sussurra.
Dean e Sam le fanno cenno di no con la testa.
Solo in quel momento nota la cicatrice alla base del collo. Come se gli avessero ricucito la testa dopo avergliela staccata, e allora capisce.
“È un Leviatano?” la sua voce, se possibile, ancora più flebile di prima. Nel momento in cui Sam sta per risponderle, viene anticipato dalla creatura.
“Si tesoro, sono un Leviatano. E tu sei la cameriera di Pasadena.”
“Come fai a saperlo?” chiede lei. Se negasse di essere spaventata, mentirebbe. L’idea che uno di quei mostri sappia la sua identità la terrorizza. Cosa vogliono da lei?
“Eri nei nostri piani, zucchero.”
“Perché?”
“Perché abbiamo saputo, tramite i sosia dei due idioti che hai vicino, che tu  e il piccolo Winchester eravate amici. Pensavamo di usarti come esca per attirarli e ucciderli, ma Jeremy ha fallito.”
“Fallito?”
“Si, bambolina, ha fallito. Non ha rispettato i piani e ha preferito dedicarsi ai suoi pasti. Se tu sei riuscita ad arrivare fino qui sana e salva, significa che lui non ti ha toccata nemmeno con un dito e ora probabilmente gli altri l’avranno sistemato per le feste.”
Bobby lo infilza di nuovo, distraendo il mostro da Talia.
La ragazza, però, non smette un attimo di guardarlo. Osserva le sue ferite. Ne ha parecchie che per un normale essere umano sarebbero mortali: cuore, stomaco, testa. Le leggende dicono che per uccidere i licantropi ci vuole l’argento, una grossa pallottola d’argento al cuore. Può capire che un Leviatano, essendo una creatura diversa, possa essere immune alle ferite al cuore, ma la testa? Chi sopravvive senza testa?
C’è qualcosa che non torna.
“È inutile che provi ancora, non puoi farmi del male. Sei solo una sacca che contiene il mio pranzo e quando l’incantesimo sarà finito, sarò estremamente felice di mangiarvi tutti.”
 Se il mostro ha una cicatrice sul collo, significa che Bobby ha provato a staccargliela – e questo spiegherebbe il perché è emerso dallo scantinato con un’ascia. Ma la testa si è riattaccata e bocca larga è tornato attivo. Forse..
“Bobby..” lo chiama. Tutti i presenti portano l’attenzione su di lei.
“Che c’è, ragazza?”
“Posso parlarti un attimo?”
Bobby è confuso e trova la domanda alquanto inopportuna, vista la situazione.
“Adesso?”
“È importante.” Insiste lei.
“Va’ pure. Io sarò di nuovo qui, quando tornerai.” Dice il mostro con un sorriso inquietante sul viso. Un sorriso da squalo, da predatore. Un sorriso che fa venire i brividi.
Bobby appoggia su un tavolo l’asta di ferro appuntito con cui stava infilzando quell’essere e si dirige verso Talia.
“Andiamo su.” gli dice e si incammina su per le scale.
Il cacciatore fa cenno ai ragazzi di seguirlo e i due obbediscono.


Quando arrivano al piano di sopra, i cacciatori guardano la ragazza in attesa che dica ciò che sembrava così importante.
“Ok.” Inizia lei. “Non voglio dirvi come fare il vostro lavoro. Non è mia intenzione..”
“Tal, va’ al sodo.” la interrompe Sam.
“Si, giusto... Pensavo che là sotto ci sono delle cose che non tornano..”
“Oh, intendi tipo il mostro mangia-umani legato alla sedia?” commenta Dean. Tal gli lancia un’occhiataccia.
“Intendevo che la sua testa si è riattaccata al corpo.”
“Già” dice Bobby “Pensavo che tagliandogliela l’avrei eliminato definitivamente.”
“Però forse quella è la strada giusta. Voglio dire, la testa si è riattaccata, non rigenerata. È lo stesso principio dei serpenti e delle stelle marine: se a un serpente stacchi la testa, lui muore. Se tagli una punta ad una stella marina, si rigenera e ricresce. Il Leviatano la sotto, è un serpente. Un serpente con dei geni sovrannaturali che gli permettono di riattaccarsi la testa, ma se la suddetta testa fosse troppo lontana? O chiusa da qualche parte? Lui rimarrebbe morto.”
I tre rimangono in silenzio per elaborare la cosa.
“Potrebbe avere un senso.” Dice Bobby.
“Tanto vale provare.” Afferma Dean, alzando le spalle.
“Direi di si.” Aggiunge Sam.
“Quindi siamo tutti d’accordo di provare?” chiede Bobby recuperando l’ascia che aveva lasciato poco prima in un angolo della stanza.
I tre annuiscono.
“Andiamo a vedere se riusciamo a liberarci di quello stronzo.” Continua il vecchio cacciatore. Si incammina al piano di sotto e con lui i tre ragazzi.


“Siete tornati.” Afferma l’essere. Un lampo famelico illumina i suoi occhi. Quell’occhiata non promette niente di buono e scatena un brutto presentimento nella mente dei presenti: l’incantesimo è agli sgoccioli e lui lo sente.
Il Levitano guarda l’ascia che Bobby tiene ben salda tra le mani.
“Ci hai già provato, Singer.” Lo schernisce.
“Già. Ma dicono sempre che la seconda volta sia quella buona.”
Bobby alza l’ascia e con un movimento netto e deciso gli recide la testa che rotola sul pavimento. Gli occhi aperti e vitrei  rendono il tutto ancora più inquietante.
“Sam, in alto su quel mobile c’è una scatola, prendila.”
Il minore dei Winchester obbedisce e porge la scatola a Bobby.
“Vediamo se il tuo piano funziona.” Dice, rivolgendosi a Talia. A quel punto, afferra la testa e la fascia con uno straccio malconcio e sporco, pieno di quel liquido nero che scorreva nelle vene del Leviatano. Dopo essersi assicurato che fosse coperta a dovere, la pone dentro alla scatola e la sigilla con del nastro isolante.
“Nastro isolante? Scherzi?” commenta Dean.
“Hai un’idea migliore, sapientone?”
“Seppellirla nel bosco, per esempio.”
Bobby sembra pensarci su: “Per una volta non hai avuto una cattiva idea.”
“Io ho sempre un sacco di idee brillanti!” ribatte Dean, offeso.
“Certo, come no.” taglia corto, poi riprende: “Pensateci tu e Sam. E sbarazzatevi anche del corpo. Lasciate la testa nella scatola e seppellitela lontano dal corpo. State il più lontano possibile anche da questa proprietà, mi raccomando. Se dovessero trovarla, siamo l’unica casa nel giro di chilometri, capite bene che sospetterebbero immediatamente di noi.”
“Abbiamo afferrato: andremo il più lontano possibile da qui!”
“Bravi ragazzi. Muovetevi, avanti.”
Dean e Sam prendono il corpo privo di vita, lo trascinano su per le scale e poi fuori di casa fino al bagagliaio della macchina, Bobby li segue e nasconde la testa dentro al frigo con le birre che Dean tiene nel sedile posteriore, in basso.
“Fate attenzione, mi raccomando.” Afferma.
“Certo Bobby, come sempre.” Lo rassicura Dean.
“Avete preso tutto?”
“Si.” risponde Sam.
“Bene. Qualsiasi cosa chiamate.”
“Certo.”
Dean è già in macchina quando Sam si rivolge di nuovo al vecchio cacciatore.
“Ehm, Bobby?”
L’uomo che si stava già dirigendo verso casa, si volta: “Che c’è?”
“Tienila d’occhio, ok?”
“Sta tranquillo, ragazzo, ci penso io a lei.”
“Grazie.”
“Vai adesso, muoviti!”
Sam sale in macchina e Dean mette in moto.

 

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Capitolo 7
*** 7. ***


L’ho visto come la guardi, sai?
Eri innamorato di lei?
Cosa c’è tra di voi?
Cosa vi lega?
Sono domande importanti, con un peso. Sono domande che ronzano nella testa di Dean da quando Sam gli ha detto che dovevano andare in California. Lo sguardo angosciato negli occhi di suo fratello l’ha tormentato per tutta la durata del viaggio.
Pensa a quando è rientrato in casa dopo aver preso le armi e allo sguardo rapito che aveva Sam, al modo in cui è corso da lei quando si è avviata nella sua stanza, o al modo in cui l’abbraccia, al modo in cui si è affrettato a tamponarle quella piccola ferita che Bobby le ha inflitto. Sembra che la voglia custodire in un posto sicuro, in un posto dove niente può farle del male. Sembra che se potesse, Sam le farebbe da scudo umano per qualsiasi cosa malvagia presente in questo mondo. È sicuro, dal modo in cui la guarda, che Sam si prenderebbe una pallottola dritta in fronte per quella ragazza senza pensarci due volte.
E Talia.
Lei si affida totalmente a Sam: l’ha chiamato quando era in pericolo, quando lui le è vicino, lei si rassicura. Basta un gesto minino da parte di Sam e Talia si tranquillizza.
C’è un rapporto tra di loro che, nonostante gli anni passati lontani, non sembra abbia subito i danni che provoca il tempo.
Solo chi è legato da un profondo legame può vantarsi di vivere cose simili.
C’è un pensiero che naviga in mezzo a tutte queste domande e nonostante Dean cerchi di evitare di concentrarcisi, questo sembra nuoti sempre più agile fino ad arrivare prepotente al centro dei suoi pensieri, assillandolo, conficcandosi nella sua mente come un chiodo: se non l’avesse portato via, quel giorno, Sam si sarebbe rifatto una vita? Una vita normale con Tal, magari? Forse, se avesse continuato a vivere con qualcuno che è all’oscuro dell’esistenza del mondo in cui loro vivono ogni dannato giorno, sarebbe riuscito a superare la morte di Jessica in modo normale, senza pensare a come vendicarsi.
Forse non avrebbe dovuto andare a cercarlo, quella notte.
Forse Jessica sarebbe ancora viva.
Forse non avrebbe privato suo fratello della possibilità di vivere una vita normale.
Sam non l’ha scelta, la vita del cacciatore.
Non l’ha mai fatto.
Ne da adolescente, quando era stato suo padre ad indirizzarli alla caccia, ne da uomo, quando l’unico istinto che lo spingeva a cacciare era il desiderio di vendetta.
Sam non hai mai fatto sua la crociata del padre, fino a quando non ha perso Jessica.
John e Sam sono più simili di quanto si possa pensare.
Entrambi hanno iniziato a cacciare per vendicare la perdita della donna amata.
Entrambi hanno una predisposizione alla leadership. Loro non sono soldati, sono comandanti. Per questo tra loro c’è sempre stato un rapporto conflittuale: John era abituato a dare ordini, Sam era restio ad eseguirli. Volevano entrambi la libertà che solo l’indipendenza ti da. Orgogliosi fino al midollo. Testardi a tal punto che hanno preferito allontanarsi l’uno dall’altro piuttosto che cedere uno alle rispettive attitudini.
Scuote la testa, cercando di allontanare quei pensieri che sembra invece non abbiano nessuna intenzione di lasciarlo tranquillo.
Conficca la pala ancora più in profondità nel terreno per sfogare la sua frustrazione. In momenti come questi, l’unica cosa di cui ha bisogno è un drink. O magari due, forse anche tre.
Non gli piace rivangare il periodo in cui lui era diviso tra la lealtà che provava verso suo padre e l’affetto che lo legava – e lo lega tutt’ora – a suo fratello.
Conficca nuovamente la pala nel terreno, tirando su più terra della volta prima.
Lui è stato veramente ciò di cui suo fratello aveva bisogno?
Tieni d’occhio Sam.
Era la sua missione, il suo compito, il suo unico compito. E come l’ha svolto? L’ha trascinato via dall’unica parvenza di normalità che ha caratterizzato la sua vita per lanciarlo in una pozza melmosa fatta di strane premonizioni, dipendenza da sangue demoniaco, inferno, morte e apocalisse. E questo solo per i primi anni. Non riesce ancora a perdonarsi di aver lasciato che Sam si gettasse dentro alla Gabbia con Lucifero e che la sua anima venisse scuoiata.  
Può dire di aver davvero svolto il suo lavoro?
Ha paura della risposta che il suo cervello gli suggerisce con quella vocina che si insidia dentro di lui come una vipera subdola  desiderosa di avvelenare anche le cose buone che ha fatto. Poche, in confronto a tutti i casini che ha combinato.
La sua vita è un completo disastro. Ha visto cose che gli altri esseri umani non possono neanche immaginare e lui per sopportarle è costretto ad aiutarsi con l’alcol, cercando di annegare il più possibile quei ricordi spaventosi e quelle azioni orribili di cui si sente responsabile.
L’unica cosa bella nella sua vita è Sam. Ma può dire di essere l’unica cosa bella nella vita di Sam? Non crede. Anzi, ne è certo.
In momenti come questi, in cui il suo subconscio decide di prendere prepotentemente il sopravvento, prova un’ansia tale che gli si chiude lo stomaco e gli si storcono le budella.
Ha bisogno di bere, di tracannare whisky fino a zittire quella maledetta vocina che lo assilla, che gli ripete cose che non vuole sentire.
Prima o poi riuscirà ad annegarla, no?

“Dean stai bene?”

Sam lo riporta alla realtà.
“Certo.”
Bugiardo.
No che non sta bene, ma non vede perché debba riversare sul suo fratellino i propri problemi.
“Vuoi che continui io?”
“No, tranquillo Sammy, faccio io.”
“Stai scavando da più di un’ora. Facciamo a cambio!”
“Ho detto di no.” La sua voce esce brusca e decisa. Troppo brusca e troppo decisa.
Sam se ne accorge, ma decide di non darci peso.
“D’accordo.”
Dean continua a scavare, concentrato.
Sam lo osserva. Suo fratello in questo periodo si comporta in modo strano: dorme poco, veramente poco, e beve tanto, per non dire troppo. Lo trova sempre immerso nei suoi pensieri, ma quando prova a chiedergli cosa lo preoccupa, cambia discorso o diventa nervoso, o gli risponde male.
Non sa cosa gli stia succedendo, ma la cosa lo preoccupa.
“Ecco fatto. Adesso penso sia abbastanza profondo. Buttiamoci il corpo di quel figlio di puttana e torniamo a casa.”
Esce dalla buca con l’aiuto di Sam e gettano il corpo nella fossa. Lo ricoprono di terra e si allontanano velocemente.
“Pensi che testa e corpo siano abbastanza lontani?” domanda Sam.
“Certo. Una è a sud, il corpo è verso nord. Più di così non so cosa avremmo potuto fare.”
Sam annuisce.
Camminano uno di fianco all’altro, in silenzio. Percorrono tutto il bosco e arrivano alla macchina dopo quindici minuti di cammino.
Salgono in macchina e partono, mantenendo un mutismo a loro estraneo, visto che parlano sempre quando sono in viaggio.
Dean è ancora immerso nei suoi pensieri e Sam lo nota. Sa benissimo che anche riprovando a chiedergli se tutto va bene, mentirebbe. Suo fratello mente sempre quando si tratta di dover esprimere i propri sentimenti o le proprie paure.
Guarda fuori dal finestrino.
Sospira.
“Che c’è?” gli chiede Dean.
“Niente.”
“Sei un pessimo bugiardo.”
“Beh, anche tu.”
Dean non ribatte, incassa il colpo e continua a guidare lungo la strada buia illuminata dai fanali dell’Impala.
“L’ho notato, sai?” comincia Sam, afferrando l’elastico che normalmente porta al polso e iniziando a girarselo tra le mani.
“Ultimamente ti chiudi in te stesso. Mi escludi. Mi tagli fuori. Non mi rendi partecipe di ciò che ti porti dentro, ma so che c’è qualcosa che ti tormenta e ti divora dall’interno. Tiralo fuori, Dean.”
Dean non lo guarda, non ha il coraggio di guardare suo fratello negli occhi.
“No. Discorso chiuso.”
“Con te è sempre la stessa storia!”
“Ho detto: discorso chiuso.”
Freddo come il ghiaccio, testardo come un mulo. Sam decide di lasciar perdere consapevole del fatto che quando Dean si impunta di non voler parlare di ciò che gli passa per la testa è inutile insistere. Continuano il loro viaggio in silenzio. Un silenzio che diventa sempre più pesante ad ogni chilometro percorso.

 

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Capitolo 8
*** 8. ***


Arrivano a casa che ormai il buio regna sovrano. Dean parcheggia l’Impala dietro a casa per tenerla nascosta da occhi indiscreti. Ultimamente quella macchina potrebbe essere riconosciuta anche da una vecchia con l’Alzheimer e la cataratta, visto che i telegiornali non perdono mai l’occasione di specificare quale sia il modello dell’auto guidata dai fratelli che sterminano gente innocente.
Giura a se stesso che quando si troverà faccia a faccia con quei bastardi li taglierà la testa: nessuno mette Baby in un angolo, nessuno!
Scende dall’auto seguito da Sam, prendono i loro borsoni e si dirigono verso casa.
Le finestre sono illuminate da una fioca luce giallastra e quando aprono la porta, si trovano a guardare Bobby e Talia immersi in una conversazione così fitta che non si sono nemmeno accorti di loro. I due posano delicatamente le borse sul divano e si chiudono silenziosamente la porta alle spalle, per non disturbarli.
“Ho cerchiato tutte le città in cui sono stati. Apparentemente non seguono uno schema, però poi mi sono detta: sono i sosia di Sam e Dean e hai detto che possono leggere le loro menti, dunque ho pensato che queste città potessero significare qualcosa per loro, ma non riesco a capire cosa. Puoi aiutarmi?”
Seduti al tavolo della cucina, uno di fronte all’altro, illuminati solo dalla luce delle candele, Tal si sporge verso Bobby con una mappa su cui ha cerchiato in rosso determinate città.
Bobby osserva il percorso da lei tracciato e rimane qualche istante in silenzio. Jericho, Blackwater Ridge, Lago Manitoc nel Wisconsin, Toledo, St. Luis.. sono tutti posti dove Dean e Sam hanno risolto i loro primi casi.
Bobby sorride. È una cosa così strana, visto il contesto, ma non può farne a meno: sono settimane che cercano di capire in base a cosa quegli esseri colpiscano e non ci sono mai riusciti. Per la prima volta hanno un vantaggio.
“Ragazza, sei un fenomeno!” e, cosa alquanto atipica per Bobby, si slancia verso di lei per abbracciarla. Tal, disorientata, ricambia la stretta, un po’ insicura.
I Winchester ancora in disparte, guardano la scena perplessi.
“Potete far capire anche noi o volete tenere la scoperta tutta per voi?” chiede il maggiore.
I due al tavolo sussultano.
“Da quanto siete li a fare da tappezzeria?” chiede Bobby, con il suo solito fare burbero.
“Giusto il tempo di guardarvi mentre capivate qualcosa a noi sconosciuto!” ribatte Dean.
“Venite a sedervi, dobbiamo parlare.”
I due giovani cacciatori fanno come viene loro detto, così Bobby inizia a parlare.
“Io e Talia abbiamo cercato di rendere fruttuose le ore che siete stati via. Mentre facevo qualche ricerca sui libri, lei ha cercato tutti i posti in cui i vostri sosia hanno attaccato e li ha segnati su una mappa: è venuto fuori che quei figli di puttana stanno seminando il panico in tutte le città dove avete risolto i vostri primi casi. Capite cosa significa? Abbiamo un vantaggio!”
“Qual è la prossima tappa?” domanda Sam.
“Ankeny, Iowa.” Risponde Tal. “Dobbiamo fare qualcosa.”
Sam la guarda perplesso: “Dobbiamo?”
“Certo. Quei due vanno in giro con le vostre facce da troppo tempo, ormai. Dobbiamo fermarli.”
“E su questo mi trovi d’accordo, Tal. Non stavo contestando questo, stavo contestando il dobbiamo. Tu non verrai con noi.”
Lei aggrotta le sopracciglia: “Perché?”
Sam allarga le braccia come se la risposta fosse ovvia: “Perché?” ripete “Perché quei mostri possono farti del male!”
“Già, ma possono farne anche a voi.”
Sam si alza in piedi di scatto, come se qualcuno gli avesse appena fatto passare la corrente elettrica sulla sedia. Tal, di riflesso, fa la stessa cosa.
“No. Toglitelo dalla testa.”
“No, Sam. Togliti tu dalla testa che io non vi aiuterò!”
“Possono ucciderti!” Esclama alterato. Si passa una mano sulla faccia per cercare di mantenere la calma. Non può assecondare questa sua idea. Non può. Ai tempi di Stanford, ha perso Jessica per colpa del suo passato. Non perderà anche Talia per colpa del suo presente.
“Tu non ti rendi conto..” comincia. Il respiro inizia a farsi affannoso, come se un grosso macigno posto sul suo petto gli impedisse di respirare a dovere, ma Talia si avvicina e gli stringe le mani.
“No Sam, io capisco. Ma è una mia scelta. Non posso rimanere nella base sicura quando so che voi combattete in prima linea.” Lo guarda dritto negli occhi e Sam per un momento si perde dentro a quelle sfumature verdognole che caratterizzano il castano degli occhi della ragazza. Conosce quello sguardo. Ci riconosce la determinazione tipica di chi ha preso una decisione e non ha nessuna intenzione di tornare indietro. E se c’è una cosa che sa di Talia è che una volta presa una decisione, difficilmente rinuncia a portarla a termine.
Sam sospira, rassegnato.
“D’accordo. Ma starai comunque dietro di noi, intesi?”
“Intesi.”
“Bene. Direi che dobbiamo buttare giù un piano.”
Torna a sedersi e Talia fa lo stesso. Bobby e Dean che fin’ora si erano limitati ad assistere alla discussione, fanno un cenno d’assenso con la testa.


Avevano pianificato tutto.
Sarebbero partiti la mattina presto, prima dell’alba con due macchine diverse, lasciando Baby a casa, con grande dispiacere di Dean. Una volta arrivati ad Ankeny, nell’Iowa, avrebbero cercato quei mostri e avrebbero segato loro la testa. Un piano semplice, se si esclude il fatto che quando una cosa sembra semplice non lo è mai. Una cosa positiva durante la serata trascorsa a preparare il piano, era stata la telefonata di Frank Devereaux che, non si sa come e non si sa da chi, aveva scoperto che i Leviatani friggono quando vengono a contatto con il borace.
Singer, se esco vivo da questo casino il nostro debito è saldato. Non voglio più sentirti per il resto della mia vita, sono stato chiaro?
Frank, vecchio pazzo – aveva detto Bobby, dopo aver riattaccato.
Ma sapeva quanto quell’uomo li aveva aiutati e gli era grato per questo.
Dopo questa fondamentale informazione avevano creato almeno cinque bombe al borace, per essere sicuri, in caso di emergenza, di avere almeno qualcosa che rallentasse i Leviatani. Si era fatta mezzanotte in pochissimo tempo e visto che sarebbero partiti nel giro di quattro ore, avevano deciso di cercare di riposare un po’ tutti. Si erano divisi le stanze: Bobby avrebbe dormito sul divano in sala, Tal e i ragazzi nelle due camere da letto – che tutto sembravano meno che vere camere da letto dal momento che non avevano il letto ed erano stati costretti ad improvvisare usando coperte doppie per creare qualcosa che assomigliasse vagamente ad un materasso.
Nella sua stanza, circondata dal buio e dal silenzio, Talia guarda il soffitto completamente sveglia. Non riesce a prendere sonno perché con la giornata che si prospetta domani, l’ultima cosa che riesce a fare è rilassarsi. Dire che ha paura è un eufemismo, ma l’ultima cosa che vuole fare è tirarsi indietro.
Si mette a sedere e si passa le mani tra i capelli: rimanere in quella stanza è inutile, tanto di dormire non se ne parla. Forse potrebbe fare delle ricerche, guardare cosa è successo al locale, magari..
Si alza dalla sua brandina e, silenziosa, esce dalla sua stanza camminando in punta di piedi. Si avvia verso la cucina dove Sam ha lasciato il suo portatile e quando entra con tutta l’intenzione di prenderlo in prestito, trova Dean seduto al tavolo in compagnia di una bottiglia di whisky ormai mezza vuota.
“Che ci fai in piedi?” le domanda non appena la mette a fuoco.
Talia guarda il viso dell’uomo illuminato dalla luce fioca della candela che ha di fronte: i suoi occhi, circondati da profonde occhiaie, sono annacquati e corrotti da quel velo opaco che provoca l’alcol. La sua espressione è dura e tesa e può chiaramente leggere lo sgomento dipinto in quel bellissimo quadro che normalmente sarebbe il viso di Dean.
“Non riesco a dormire.” Risponde finalmente, sedendosi al suo fianco.
Dean la guarda di traverso.
“Non ho detto che puoi sederti.” Afferma, acido.
“Lo so. Ma voglio farlo lo stesso.”
“Perché?”
“Perché sembra tu abbia bisogno di qualcuno, in questo momento.”
L’uomo si passa la lingua sulle labbra e, ostentando un’arroganza che sfoggia solo quando ha intenzione di essere lasciato in pace, dice: “Non ho bisogno di nessuno, tesoro. Tanto meno di te, intesi?”
Tal non si allontana, non lo prende a schiaffi, ne tantomeno gli risponde per le rime, semplicemente continua a guardarlo con la tipica espressione di chi osserva il dolore, di chi sa cosa vuol dire soffrire perché l’ha provato sulla sua pelle, ma non giudica, la tipica espressione di chi capisce che stai soffrendo e non ti biasima, ne tanto meno ti compatisce, ma semplicemente ti comprende.
“Sam è un bravo ascoltatore, sai? L’unica cosa che dovresti fare è iniziare a vederlo come un tuo pari e non come il tuo fratellino da proteggere.”
Quella frase lo colpisce come un pugno in pieno stomaco.
“Vedo che ti ha raccontato un po’ di cose.”
“In verità, no. Sam era un tipo molto riservato per quanto riguardava la sua famiglia, ma una volta mi ha detto quanto tu abbia fatto per lui, di come da ragazzini tu eri sempre presente, mentre vostro padre lavorava.”
“Però se n’è andato lo stesso. È stato uno dei giorni peggiori della mia vita.” Quel ricordo gli fa tornare in mente brutte sensazioni, legate anche a quella volta che aveva sbirciato nel paradiso privato di Sam e aveva realizzato che quello per lui, invece, era un bel ricordo. Si versa un altro bicchiere e lo butta giù tutto d’un fiato.
“Ma ora è qui, con te. È questo quello che conta.”
“Già.” Inizia a passarsi il bicchiere vuoto fra le mani, facendolo rimbalzare come una pallina da ping pong da destra a sinistra in un modo quasi ipnotico. Per qualche istante, l’unico rumore presente nella stanza è lo scorrere del bicchiere sul tavolo.
“Non sono abbastanza sbronzo per continuare questa conversazione con te.”
“Allora non lo fare.”
Dean alza lo sguardo su di lei. La studia, la analizza. Non fa fatica a capire perché Sam si sia fatto dieci ore di macchina per andarla a salvare, quella ragazza ha sicuramente qualcosa di speciale – sembra riesca a capire le persone, sembra abbia la capacità di dire ciò che esattamente ti serve sentire per essere a tuo agio.
“Sam è fortunato ad averti incontrata. Mi dispiace avertelo portato via, si vede che condividete qualcosa di speciale.”
Tal accenna un sorriso: “Non me l’hai portato via. In quel periodo della sua vita, lui aveva bisogno di te.”
“Ma se fosse rimasto con te, forse non sarebbe diventato ciò che è adesso..”
“E cosa c’è di male nell’essere ciò che siete?”
Dean abbozza un sorriso sarcastico: “Si vede che non sai tutta la storia. Abbiamo combinato disastri di dimensioni bibliche, sulle nostre spalle grava una colpa enorme. Abbiamo commesso degli errori imperdonabili..”
“Ma avete anche sempre rimediato, o sbaglio? Non conosco tutta la storia e non pretendo nemmeno che tu me la racconti, ma voglio dirti una cosa: sei umano, Dean. Gli esseri umani sbagliano, commettono errori, fanno gesti impulsivi di cui si pentono e sono colpevoli delle conseguenze che i loro gesti comportano. Ma sanno anche come rimediare a tutto ciò che combinano. Tu e Sam potrete aver fatto degli sbagli nella vostra vita, ma non per questo siete malvagi. Insomma, voi andate in giro a salvare la gente, cosa può esserci di malvagio nel dedicare la propria vita a ciò?”
C’è una luce negli occhi di Talia che risveglia in Dean istinti che l’oscurità che si porta dentro gli aveva assopito: la speranza, la fiducia, l’ipotesi di non essere poi così pessimo come si reputa, la possibilità di perdonarsi per il male che ha commesso.
Si limita a sorriderle, grato. Si alza in piedi e appoggia il bicchiere e la bottiglia sul lavandino. Quando si volta nuovamente verso Talia, ancora seduta, si china e le stampa un bacio sulla fronte: “Parlare con te fa bene. Grazie, Tal.”

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Capitolo 9
*** 9. ***


Escono di casa alle quattro del mattino, come accordato.
Talia e Bobby in una macchina, Sam e Dean in un’altra.
Appena Dean si mette al volante, nota il pony lilla e giallo che penzola dallo specchietto e dopo averlo guardato con una smorfia di disgusto, lo taglia con il suo coltello e lo lancia con tutta l’energia – e il disprezzo – possibile nel sedile posteriore.
“Si può sapere che ti ha fatto quel pony?”
“A parte essere un insulto alla mia virilità ed essere un pugno in un occhio?”
Sam ridacchia.
“Sai, è per questo tuo voler ostentare mascolinità che ci hanno sempre scambiato per una coppia gay!”
Dean lo guarda truce: “Chiudi quella bocca, Sam!”
Sam si lascia scappare un sorriso. Seduto sul sedile del passeggero, guarda davanti a se e nota Bobby e Talia che – dopo un’animata discussione – prendono posto nell’altra macchina: lei al volante, Bobby dal lato del passeggero.
“È strano che la lasci guidare, di solito vuole farlo lui.”
“Già, ma penso abbia una specie di debole per lei, sai – come se tendesse a dargliele tutte vinte, un po’ come se fosse la figlia che non ha mai avuto.”
“Capisco.”
Dean a quel punto si volta verso di lui e, con un sorriso sghembo, aggiunge: “E scommetto che non è l’unico ad avere un debole per lei, non è vero Sammy?” conclude ammiccando.
Sam alza gli occhi al cielo.
“Non è quel tipo di debole.”
“Dici? Ti sei mai visto quando la guardi? Perché io ti ho visto e ogni volta hai un’espressione estasiata.”
“Stanno mettendo in moto.”
Dean fa partire la macchina e si mette dietro all’auto di Tal e Bobby.
“Non cambiare discorso, Sammy.”
Il minore dei Winchester sbuffa, consapevole del fatto che Dean lo torchierà fino a quando non riceverà le informazioni che vuole.
“Cosa vuoi sapere?”
Dean, senza lasciare il volante, alza le spalle, continuando a guardare la strada.
“Non c’è mai stato niente di romantico, se è quello che pensi. Non abbiamo mai avuto quel tipo di rapporto. Insomma, non sono cieco, lo vedo quant’è bella, ma quando l’ho conosciuta ero innamorato di Jessica, quindi suppongo di non averla mai vista sotto quell’ottica per quel motivo.”
“E allora cos’è per te? Non dirmi un’amica perché non è semplicemente quello.”
“Da quando sei diventato uno psicologo?”
“Da quando pensi che sia scemo?”
Sam scuote la testa, quasi divertito da quella conversazione a dir poco fuori luogo. Stanno andando a cercare di uccidere i loro sosia e anzi che rimanere concentrati o ripassare il piano, suo fratello vuole parlare di queste cose. C’è dell’assurdo in tutto questo. Ma d’altronde, la loro vita è assurda da quando Sam aveva sei mesi.
“Vuoi davvero parlarne?”
“Puoi sommetterci il tuo culo che voglio farlo. Abbiamo un viaggio da sostenere e se non parliamo di qualcosa rischio di addormentarmi.”
“Come vuoi..” afferma Sam.
“Tal è un po’ come sorella che non abbiamo mai avuto.” Comincia. “La prima volta che l’ho vista, eravamo ad una festa di Halloween organizzata dal campus. Quelli di una confraternita avevano improvvisato un banco e lei serviva gli alcolici. Sai quanto odio Halloween, quindi puoi immaginare il mio entusiasmo, però Jess ci teneva tanto, così mi sono lasciato convincere. Ma la mia faccia deve aver parlato senza che io dicessi niente, perché quando mi  sono avvicinato al bancone per ordinare delle birre, mi ha sorriso e mi ha detto non sei l’unico qui che non si diverte. Appena ho ricambiato il sorriso lei è diventata tutta rossa e ha cercato di essere il più professionale possibile, ma era imbarazzata e a tratti goffa, quindi non ci è riuscita molto. Non nascondo il fatto che l’ho trovata adorabile.”
“Sam, mi sta venendo il diabete.”
“Sei tu che hai voluto conoscere la storia!”
“Si, ma non volevo gli arcobaleni e le cascate di cioccolato.”
Sam rotea gli occhi.
“Fatto sta che dopo quella sera, ci incontravamo spesso all’università. Ci limitavamo a salutarci e siamo andati avanti così per un bel po’, fino a quando un giorno ci siamo incontrati nell’aula studio. Abbiamo iniziato a parlare e abbiamo subito legato. Dopo poco è diventata anche amica di Jessica.”
Sam si incupisce un attimo, pensando a quel momento felice della sua vita ormai passato. È consapevole che momenti del genere non li avrà mai più, per questo li custodisce molto gelosamente.
“Stavamo bene insieme, siamo entrati nel suo gruppetto di amici fin da subito e ci vedevamo spesso sia per studiare che per uscire. Ho un bel ricordo di quel periodo.. eravamo felici, e se pensi a ciò che disse quel demone qualche anno fa – sai, la faccenda del mio amico al college – sono contento di sapere che almeno quei ragazzi erano felicità autentica e non un piano di Occhi Gialli per tenermi d’occhio.”
Sam smette momentaneamente di parlare, porta lo sguardo sulle mani e fa schioccare l’indice della sinistra. Una sensazione familiare di tristezza mista a rabbia si fa strada dentro di lui, gli fa torcere le budella e gli inquina i ricordi belli che ha di quel periodo. Deglutisce, cercando di mandare il più a fondo possibile quella sensazione orribile per riuscire a continuare.
“Le cose che sembrano perfette, però, non lo sono mai. Una volta per caso ho notato che Tal aveva una benda su un avambraccio. Lei mi ha detto che si era fatta male preparando la cena, ma ho trovato la cosa sospetta perché era un punto troppo alto per essere a tiro di un coltello che usi per cucinare. Avrei dovuto rendermi conto di ciò che succedeva veramente solo per il fatto che nominava appena la sua famiglia. Se penso a quanto ho aspettato, prima di prendere il coraggio e domandarle ciò che sospettavo, mi sento tremendamente in colpa. Potevo intervenire prima e non l’ho fatto.”
“E cosa sospettavi?”
“Che suo padre la maltrattasse.”
“Suo padre? Ha detto che sono tutti morti!”
“Suo padre no. È finito in galera dopo che hanno scoperto che la picchiava.”
“Che figlio di puttana.”
“Puoi dirlo forte. Il bastardo le dava più botte che pane, ma non in punti visibili dagli altri. E il taglio sul braccio? Era opera sua. Quando poi Tal ha capito che poteva fidarsi di me, mi ha raccontato tutto. Quel giorno ha pianto così tanto che credevo si prosciugasse. Sua madre era morta dandola alla luce e suo padre era caduto in una depressione così profonda che incolpava lei dell’accaduto. Ha passato tutta la vita a fargliela pagare, le ripeteva che era lei l’unica colpevole della morte di sua madre e in momenti dove le cose peggioravano, la minacciava anche con il coltello, passando spesso anche alla pratica. Poco dopo avermi raccontato la verità, è venuta ad abitare da me e Jessica. Non sopportavo l’idea che quello stronzo le mettesse le mani addosso. Tal era così dolce e sensibile che non si meritava di vivere in una realtà così spietata. Volevo proteggerla, capisci? Volevo che si sentisse al sicuro perché meritava di sentirsi protetta, lontana da quel figlio di puttana. Ma una volta è venuto a cercarla al college per riportarla a casa. Le si è scaraventato addosso davanti a tutto il campus, le ha messo le mani al collo e continuava a gridare Se non torni immediatamente a casa ti ammazzo, stai certa che lo faccio. Non ci ho più visto dalla rabbia. Mentre Jess chiamava la polizia, mi sono fiondato su di lui e ho iniziato a dargliene di santa ragione. Se ci ripenso sento ancora le urla di Tal e Jess e le ossa del naso di quello stronzo che si rompono sotto ai miei pugni. Ma non mi sono pentito di niente. Penso che se non mi avessero sollevato di peso l’avrei ammazzato. E non mi sarebbe dispiaciuto neanche un po’.”
Sam irrigidisce la mascella rivivendo la rabbia e il disgusto che provava nei confronti di quell’uomo malvagio.
Si schiarisce la voce e continua.
“Poco dopo sono arrivati i poliziotti, hanno raccolto le testimonianze e da quel giorno sono venuti fuori un sacco di indizi che dimostravano come trattasse Talia. Gli hanno dato quindici anni.”
A quel punto, Dean toglie gli occhi dalla strada per incrociare lo sguardo del fratello.
“Se li è meritati tutti.” Afferma glaciale, infastidito dall’idea che un padre possa trattare così il sangue del proprio sangue. “Capisco adesso perché sei così protettivo nei suoi confronti, sai? E non ti biasimo. Lo sarei anche io se conoscessi qualcuno che ha passato ciò che ha passato lei. Ma lascia che ti dica una cosa, Sammy: quella la ragazza se la sa cavare.”
“Anche io me la so cavare, ma tu continui a guardami le spalle e a prenderti cura di me. Non c’è molta differenza tra le due situazioni.”
“Touché.”
“So che è in gamba, ma vorrei fare qualcosa per lei, adesso che posso. Vorrei mantenere la promessa che le ho fatto l’ultima volta che ci siamo visti.”
“Ci stai riuscendo alla grande, se vuoi saperlo.”
“Ho permesso che venisse con noi in una missione suicida, non credo che questo significhi riuscirci alla grande.
“Dalle fiducia, Sam. Può farcela. E poi, ci siamo noi a coprirle le spalle.”
“Già. Ci siamo noi.”
Sam si volta a guardare fuori dal finestrino: è ancora tutto buio. La morsa allo stomaco che solo in panico ti sa dare, inizia a farsi ferrea. È terrorizzato. Non avrebbe mai dovuto assecondare l’idea di Talia: un’idea folle, avventata e senza senso. Le ha promesso che sarebbe tornato per lei e l’ha fatto, ha mantenuto la sua parola, ma la sua promessa non comprendeva la partecipazione della ragazza. Non è per niente tranquillo. Nemmeno l’idea che ci siano loro a coprirle le spalle lo calma un po’ perché tutte le persone a cui tengono che li stanno intorno, inevitabilmente, muoiono. E se Morte dovesse prendersi Talia non se lo perdonerebbe mai.



 

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Capitolo 10
*** 10. ***


In tutta la sua vita, non ha mai riflettuto sulla parola che usa per indicare il suo mestiere: cacciatore.
Chiunque pensa ad animali, lui non più. Per lui cacciare ha assunto un significato completamente diverso da quando suo padre, a nove anni, gli ha piazzato una pistola in mano dopo che lui gli aveva confessato di avere paura del buio.
E da quel momento, lui ha iniziato a cacciare il buio e tutto ciò che vive in esso. Annienta qualsiasi cosa di qualsiasi specie con una forza inarrestabile che deriva da anni di addestramento, pratica, ossa rotte e un sacco di punti cuciti alla bene e meglio, disinfettati con una bottiglia di liquore. Con gli anni, ha abbandonato la paura ed è diventato la paura.
Non c’è creatura che non li conosca e non li tema.
Non c’è essere che non abbia paura di averli alle calcagna, di essere l’obiettivo della loro caccia.
Sanno come uccidere qualsiasi cosa, sanno come avere la meglio su qualsiasi cosa.
Niente può arrestarli, nemmeno la Morte – e questo negli anni, l’hanno appurato parecchie volte.
Sono i cacciatori che tutti temono.
I fottuti Winchester.
Eppure, adesso, tutta la forza che di solito si sente scorrere nelle vene, prima di una caccia, non c’è, l’ha abbandonato. Non si sente un predatore, qualcuno da cui scappare se vuoi salvarti la pelle, si sente una preda, si sente cacciato, in balia della volontà di qualcun altro, di qualcuno che ti vede come la portata principale di un banchetto abbondante. In questo momento si sente solo come il maiale con la mela in bocca, servito su un piatto d’argento, che tutti bramano avidamente di sentire sotto i denti.
Un brivido che non sa come classificare lo percorre per tutto il corpo, facendogli provare un’insolita sensazione di freddo.
Non si è mai sentito così vulnerabile, così fragile.
Se pensa alle milioni di volte che hanno parlato di come finirà la loro vita, si sente Dean nelle orecchie che ripete me ne andrò con una pistola in mano.
Combattenti. Soldati. Guerrieri. Ecco cosa sono. Non dovrebbe sentirsi fragile. Il loro mondo non finirà inghiottito dalla melma nera, come ha predetto Crono. Finché ci sono loro il mondo non finirà. Hanno fermato l’Apocalisse, hanno rispedito il Diavolo nella sua Gabbia – e nessuno meglio di lui sa quanto sia costato farlo – possono affrontare anche questi esseri. Possono farcela. Devono farcela.
Per un attimo, pensa a come sarebbe essere all’oscuro di tutto.
Cosa proverebbe se fosse uno dei tanti? Se fosse un essere umano ignaro di ciò che succede nel mondo, quando cala la notte?
Ci insegnano fin da bambini che nel buio c’è l’uomo nero, che nell’armadio c’è il mostro, ma nessuno ci crede mai davvero. Crescendo, pensi solo che siano un mucchio di favole montate l’una sull’altra per spaventare i bambini o per raccontare qualcosa di spaventoso ad Halloween. Crescendo, inizi a pensare che i mostri siano altri e che non abbiano niente di soprannaturale: una donna picchiata, un bambino abbandonato, le malattie incurabili, un ragazzo preso di mira al liceo solo perché non è uguale alla massa, gli atti estremi che arrivano a commettere gli uomini perché la vita non gli ha riservato ciò che in realtà meritano. Quelli sono i mostri che ti spaventano, da adulto. E quasi, quasi rimpiangi l’uomo nero. La realtà quotidiana, quella naturale, a tratti sa essere terrificante.
Scaccia quel pensiero che lo incupisce e annerisce ancora di più il suo umore. Quando è angosciato deve spegnere il cervello o rischia di infossarsi in argomenti tetri. Si passa una mano sulla faccia. È stanco. Tremendamente stanco. Si allunga nel sedile posteriore della macchina e prende il termos pieno di caffè. Ne beve un lungo sorso e lo passa a Dean che lo afferra senza troppe storie e tracanna quella bevanda come se ne andasse della sua vita.
Sono in quella macchina da cinque ore. Nessuno dei due ha dormito e nonostante lui avrebbe potuto, non ci ha neanche provato, tanto sa che sarebbe inutile. È troppo agitato anche solo per pensare di potersi rilassare, figuriamoci fare una bella dormita.
Teme tutto questo.
Teme per la vita di Talia.
Teme di fallire, di non riuscire a combattere questa macchia nera e densa che, proprio come fa il petrolio, ingloba e distrugge tutto quello che tocca, trasformandolo in qualcosa di morente di cui resteranno solo resti ammalati, avvelenati.
Sa che c’è qualcosa di più grosso che va al di là dell’uccidere i loro sosia.
Sa che il grande male, Dick Roman, è ancora intoccabile e loro sono in alta marea. Sa che Dick si sta prendendo tutto, sta colonizzando il loro paese per creare riserve piene zeppe di uomini che fungeranno da nutrimento per la propria razza. L’uomo è destinato a passare la vita dentro ad un mattatoio. Non hanno niente in mano, nemmeno una speranza che li veda uscire vincitori da quella battaglia che sembra persa in partenza. È tutto così grande e lui si sente così piccolo, così inadatto. Ma non può arrendersi. Non deve arrendersi. Deve riuscire a nuotare dentro al petrolio e aprire un varco per farci entrare la luce. Non può lasciare che il mondo venga divorato. Non può lasciare che il mondo venga avvolto dal buio. Lui lo combatte il buio, da sempre. E se questa volta ha una bocca enorme con due file di denti aguzzi, poco importa. Lui una soluzione la troverà. Lui un modo di annientare l’oscurità l’ha sempre trovato.
Si volta verso sinistra, dove trova il profilo di suo fratello, concentrato sulla strada. L’hanno sempre fatto insieme, hanno sempre cercato di salvare il mondo insieme – e anche se hanno fatto molti casini, parecchi casini, hanno sempre sistemato le cose.
Saving people. È quello che ha intenzione di fare.
Hunting things. Sarà più difficile delle altre volte? Forse. Ma ci sono sempre riusciti. Hanno sempre portato a termine una caccia, non vede perché questa volta debba essere diverso.
The family business. E finché Dean è al suo fianco, sente che tutto è possibile, anche una missione suicida come la loro. Anche quella che prevede l’eliminazione di Dick Roman, la grande testa del serpente. L’unica cosa che devono fare è sperare che non sia un’idra.

“Che hai?”

Sam fa spallucce: “Niente.”
Dean continua ad osservarlo, senza prestare molta attenzione alla strada, e aggrotta le sopracciglia.
“Ti si legge in faccia che c’è qualcosa che non va.”
“Non ho niente che non va.”
“Sam.” Lo ammonisce “Hai quell’espressione tipica di quando qualcosa ti preoccupa.”

Suo fratello lo conosce troppo bene. A volte, ha addirittura l’impressione che riesca a leggergli dentro, a capire le cose ancora prima che lui stesso le capisca. Quelle volte in cui Dean lo osserva con i suoi grandi occhi limpidi e profondi e scava dentro la sua anima consumata, Sam pensa che per suo fratello essa sia trasparente, cristallina e riesca a leggerla benissimo.  
Ci sono delle volte, invece, dove il comprendersi l’un l’altro sembra una cosa estremamente remota e allora iniziano gli scontri, le litigate, vengono fuori argomenti scomodi che spesso portano a rinfacciarsi errori che vivono nel passato, ma che gravano sul presente. Fortunatamente, questo non è uno di quei momenti.

“È vero, sono preoccupato.”
Dean è tornato a prestare attenzione alla strada. Le mani strette sul volante, l’espressione concentrata.
“E per cosa, esattamente?”
“Per tutto, Dean. Non so come finirà questa storia e..”
“..E temi faremo di nuovo un gran casino.”
Si volta nuovamente a guardarlo, così Sam si limita ad annuire. Dean lo osserva, guarda quegli occhi da cucciolo – quello sguardo che ha da sempre, quello a cui nessuno è mai riuscito a dire di no – e ci legge tutta la preoccupazione che sente dentro di se da quando questa storia è cominciata.
Non parlano mai dei loro problemi, principalmente perché è proprio Dean a voler evitare certi argomenti, ma sa che, anche se non si confidano come due ragazzine ad un pigiama party, condividono le stesse emozioni. Sanno entrambi che questa storia è gigantesca, così come sanno quanto questa storia li preoccupi, ma non lo esternano mai.
“Ascolta Sam. Non è il primo casino in cui ci cacciamo, ok? Abbiamo affrontato catastrofi bibliche – nel senso letterale del termine – riusciremo a trovare una soluzione.”
Sam si limita ad annuire.
“Non sei convinto.”
Non è una domanda.
E ancora una volta, Sam si sente letto da suo fratello.
“No, per niente.”
Non capisce nemmeno bene da dove venga tutta questa sua voglia di parlare di questa cosa, ma ultimamente Dean è stato così distante che non se la sente di allontanarlo ora, visto che sembra propenso ad un dialogo vero.
“Cosa abbiamo in mano? Niente. Sappiamo che Dick divorerà il mondo e noi per ora possiamo solo stare a guardare mentre gli passiamo il ketchup.”
“Primo: le tue metafore fanno schifo. Secondo: non divorerà il mondo, ok? Non glielo permetteremo. Terzo: non è vero che non abbiamo niente, conosciamo i suoi malvagi scopi, i suoi piani e possiamo smantellarli.”
“Come?”
“Ancora non lo so, ma troveremo un modo.”
Sam aggrotta la fronte, poco convinto di tutto ciò, ma decide di crederci. Ha ragione Dean, in fondo: loro trovano sempre un modo.

“Ieri notte ti ho sentito alzarti.”
Decide di cambiare discorso, per alleggerire l’atmosfera che si sta facendo decisamente troppo pesante e loro sono chiusi in quella macchina da troppe ore e hanno troppo sonno arretrato per reggere ancora conversazioni di questo calibro.
Dean non si volta più verso di lui.
“Non volevo svegliarti.”
Questa volta, sembra voglia far morire la conversazione e Sam di questo non si stupisce: quando si parla di cose che riguardano se stesso, Dean tende sempre a chiudersi, a smorzare ogni discorso, perché crede ciò che riguarda se stesso debba risolverselo da solo.
“Perché ti sei alzato?”
“Non avevo sonno.”
“Dormi troppo poco, ultimamente.”
“Lo so.”
La sua parlantina è venuta meno. Tipico. Sam sospira e guarda fuori dal finestrino. È così difficile leggere dentro Dean, a volte. Lui si intestardisce che non vale la pena parlare dei suoi problemi, dunque non lo fa, e pretende che chi gli sta accanto faccia lo stesso. Ma non sa che così facendo, prima o poi esploderà.
“..Non è un periodo facile nemmeno per me.” Comincia, quasi sottovoce, quasi come se avesse paura di fare quella confessione. Sam si volta a guardarlo. Dean ovviamente non incrocia il suo sguardo, ma Sam reputa quella frase – uscita dalla bocca di Dean di sua spontanea volontà, senza che lui continuasse a torchiarlo con le domande – una piccola vittoria.
“Sono preoccupato anche io e ultimamente ho un sacco di pensieri per la testa.”
“Tipo?”
“Ogni genere, Sammy.”
“Per questo bevi così tanto?”
Dean annuisce lentamente, tenendo sempre gli occhi dritti davanti a se.
“Allevia un po’ il dolore e la mia testa smette di tormentarmi, almeno per un po’.”
“Dovresti perdonarti, Dean. Qualsiasi cosa sia ciò che ti spinge a bere e che ti tormenta, dovresti perdonartela. Errare è umano.”
Dean fa un mezzo sorriso, alzando solo l’angolo destro della bocca.
“Tal ha detto la stessa cosa.”
Non sa perché lo dica, ma gli è venuto spontaneo farlo.
Sam aggrotta le sopracciglia, confuso: “Quando?” non ricorda di averglielo sentito dire.
“Ieri notte non riusciva a dormire nemmeno lei. Mi ha visto bere e si è seduta vicino a me. Abbiamo parlato un po’ e mi ha detto la stessa cosa che mi hai detto tu: che siamo umani e in quanto tali, sbagliamo.”
“Non ha tutti i torti.”
Dean non risponde e la conversazione muore definitivamente.

“Sai, una cosa non mi torna.”
“Cosa?”
“Sei stato solo con Talia e ti sei limitato a parlarle.”
“Dove vuoi arrivare, Sam?”
Il minore si trova a sorridere, con sua enorme sorpresa, visto gli argomenti fin’ora trattati.
“Sei stato in una stanza solo con una donna e il massimo che sei riuscito a fare è stato parlarle. Perdi colpi, fratello.”
Dean sorride a sua volta e scuote la testa. Stacca la mano destra dal volante, alza l’indice e inizia a sventolarlo in aria.
“Vedi, se ci avessi provato con lei, poi non ti avrebbe più nemmeno guardato. Si sarebbe perdutamente innamorata di me e del mio incredibile, irresistibile fascino e tanti saluti al caro Sammy-amico-del-college. Saresti passato nel dimenticatoio nel giro di  un giorno. L’ho fatto solo per te, fratellino.”  
Sam scoppia a ridere e Dean lo segue a ruota, regalandosi così un momento che alleggerisce i loro cuori per almeno qualche istante.
“Seriamente. Non ci ho nemmeno pensato, sai? Ho solo apprezzato che volesse parlare per cercare di farmi stare meglio.”
Sam annuisce: “È una cosa che ha sempre fatto.”
Dean non risponde, evidentemente non sa cosa dire.
Proseguono in silenzio per qualche chilometro, fino a quando, superata una brutta curva, non trovano un posto di blocco, proprio all’entrata di Ankeny. Dean rallenta d’istinto, ma il poliziotto ormai li ha visti e fa cenno loro di avvicinarsi.
“Merda. E ora che facciamo?”
“Stiamo calmi. Avvicinati.”
“Ci riconosceranno, Sam.”
“Cosa vuoi fare, allora? Invertire la marcia e dare il via ad un inseguimento?”
“Riuscirei a seminarli.”
Non sono convinti sul da farsi. La situazione è complicata e sembra non ci sia una via d’uscita sicura. Dean sta per fare inversione di marcia, quando vedono la macchina di Bobby – con il vecchio cacciatore al volante – che li supera e si avvia al posto si blocco, così da attirare l’attenzione del poliziotto.
Nello stesso istante, il telefono di Sam squilla: Talia.
“Pronto?”
“Ha detto Bobby che se non vi sbrigate ad invertire la marcia vi prende a calci nel sedere. Lasciate la macchina da qualche parte e raggiungeteci a piedi.”

Robert Singer, santo protettore dei cacciatori o degli idioti, se dobbiamo usare le sue parole.
Dean si sbriga ad obbedire e torna indietro prima che il poliziotto possa rendersene conto.

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Capitolo 11
*** 11. ***


Lasciano la macchina nascosta in mezzo alla boscaglia che costeggia la strada. Scendono dall’auto e si avviano a piedi verso la città con in spalla la borsa con tutto il necessario per prepararsi alla battaglia. Dopo quasi quaranta minuti di cammino raggiungono Ankeny e Dean telefona a Bobby per sapere dove si trovino esattamente lui e Talia.
“Ragazzo. Ce l’avete fatta.”
“Si, siamo arrivati.”
Il sole delle dieci della mattina inonda il viso di Dean facendogli strizzare gli occhi. Si guarda intorno per osservare se possa esserci qualcosa di sospetto, ma la calma che li circonda gli fa capire che il massacro non è ancora avvenuto e che forse questa volta hanno veramente un vantaggio.
“Siamo nella stazione degli autobus. Proseguite dritti, a piedi dovreste metterci quindici minuti.”
Il giovane cacciatore attacca il telefono e comunica a Sam ciò che Bobby gli ha detto. I due si avviano senza smettere di guardarsi intorno quasi come se si aspettassero da un momento all’altro l’inizio dell’armageddon. La città, comunque, sembra tranquilla. Le strade sono colme di gente che ha iniziato la sua giornata da un bel po’, i negozi sono aperti e gente esce ed entra tranquillamente. Dean si sofferma a guardare una bambina che tira un lembo della gonna della madre la quale è intenta a comprare un mazzo di fiori viola. Quando presta attenzione alla figlia, la piccola le indica un grosso fiore giallo – che Dean non sa distinguere, per lui i fiori sono tutti uguali – e la madre sorride. La vede parlare con il fioraio il quale aggiunge al mazzo anche il fiore indicato dalla bimba, che batte le manine felice. È così incantato a prestare attenzione a quel piccolo angolo di normalità che Sam deve colpirlo due volte all’altezza del petto per attirare la sua attenzione.
“Che c’è?”
“Guarda là.” Con l’indice indica verso una pompa di benzina, dove una Chevy Impala del ’67 ha appena parcheggiato.
“Sono loro!”
Sam annuisce.
“Cosa facciamo? Non possiamo intervenire qui e ora.” Dice con il panico nella voce. Non sa bene perché, ma con lo sguardo si trova a cercare la madre e la bambina di poco prima. Sospira di sollievo, quando nota che si sono allontanate.
“Dobbiamo chiamare Bobby.”
Ma quando Sam cerca di tirare fuori il cellulare, una voce risuona metallica nell’aria, propagandosi per tutta la strada e attirando l’attenzione dei presenti. Dean e Sam compresi. Solo in quel momento, si rendono conto che quel suono proviene dall’alto parlante di una voltante della polizia che li ha appena individuati e li sta intimando di non muoversi.
“Alzate le mani.” Ordina la voce.
“Merda. Siamo fottuti!” dice Dean a denti stretti.
Sam lo guarda con un’espressione ovvia, stringendo le labbra e alzando gli angoli della bocca: “Ma dai? Perché non mi dici qualcosa che non so?”
La macchina della polizia si ferma proprio davanti a loro e quando i due agenti escono per ammanettarli, loro non oppongono resistenza.

“State commettendo un grave errore!” grida Dean mentre il poliziotto lo spintona dentro alla sua cella. Lo hanno separato da Sam appena hanno messo piede dentro alla stazione di polizia. E come se non bastasse, gli hanno requisito il borsone con le armi. Non ne va una per il verso giusto, dannazione.
“Sta’ zitto.”
“Ho diritto ad una telefonata!”
Il poliziotto lo guarda storto. Evidentemente, se fosse per lui non gliela farebbe fare, quella dannata telefonata, ma la prassi lo impone anche nei peggiori casi. Così, riluttante, tira fuori il telefono di servizio e gli chiede che numero debba comporre. Dean senza pensarci due volte, detta quello di Bobby.
“Pronto?”
“Bobby, ci hanno arrestati. I Leviatani sono in città, li abbiamo visti. Devi fare qualcosa.”
“Vi hanno beccati?” la voce di Bobby risuona alterata e preoccupata. “Dannazione, ragazzo.”
Il poliziotto attacca prima che il vecchio cacciatore possa aggiungere altro. Dean gli lancia un’occhiataccia torva, risentito da quel comportamento. Deve mordersi la lingua per non urlare in faccia a quel deficiente che ha rinchiuso in cella l’unico in grado di salvargli il culo.


“Che palle!” impreca Bobby, ancora seduto al volante della sua macchina, lanciando il telefono sul cruscotto. Il loro piano è andato a monte e adesso deve trovare un modo per salvare i ragazzi e uccidere i Leviatani. Che schifo di situazione.
“Dobbiamo inventarci un altro piano: Dean e Sam sono in prigione!” dice a Tal mentre mette in moto e si dirige alla stazione di polizia.
“Merda.”
“Puoi dirlo forte, ragazza.”
Le rotelle dentro al cervello di Bobby iniziano a lavorare frenetiche: maledetto il momento in cui non ha elaborato un piano di riserva. Ci vuole sempre un piano B, un piano di fuga che permetta di uscire incolumi da una caccia. Perché non ci ha pensato prima? Questi non sono errori che commette, di solito. Accelera e continua a pensare. Se i ragazzi hanno visto i Leviatani, probabilmente quei mostri sanno che sono stati arrestati, quindi c’è la possibilità che raggiungano la stazione di polizia per farli fuori. Deve trovare un modo per entrare.
Si volta verso destra, dove trova Talia intenta a fissarlo come se si aspettasse da un momento all’altro che le dia la soluzione. E in quell’istante ha un’illuminazione.
“Devi fare da diversivo.”
“Come?” chiede, perplessa.
“Ho bisogno di entrare in centrale, ma non posso passare dalla porta principale con una borsa piena d’armi. Mi controllerebbero e tanti saluti, saremmo al punto di partenza. Devi distrarli.”
“Ok. Cosa devo fare?”
“Entrerai urlando, trafelata e spaventata. Devi essere convincente. Io entrerò di soppiatto e andrò a cercare i ragazzi.”
Talia annuisce convinta.
Ha una paura fottuta, ma vuole aiutarli più di ogni altra cosa.

Bobby parcheggia poco distante dalla stazione di polizia. Quando spegne il motore si volta a guardare Talia che sembra un fascio di nervi. Si tortura le mani e si morde il labbro inferiore a tal punto che intravede una minuscola macchia di sangue che la ragazza lecca via con la lingua.
“Sei sicura di volerlo fare? Se non te la senti..”
“No. Voglio farlo.” Si affretta a rispondere.
“Non sei obbligata a farlo.”
“Lo so, ma voglio farlo.” Ripete.
Bobby non aggiunge altro. Le lascia tutto il tempo necessario che le serve. Talia, dopo aver ispirato ed espirato almeno sette volte, si decide ad uscire da quella macchina e ad avviarsi verso la stazione di polizia.
Sente Bobby alle sue spalle che le dice di stare attenta, lei si volta e gli sorride cercando di essere il più rassicurante possibile. Il problema è che non ci crede nemmeno lei. Non sa se può farcela. Loro sono abituati a questo genere di cose, lei no. Cercare di essere d’aiuto teoricamente è un cosa, passare all’azione è un’altra. Espira di nuovo, cercando di regolarizzare il battito cardiaco che sembra sia impazzito. Quando arriva alla centrale, si fa coraggio ed entra. Spinge la porta e fa del suo meglio per attirare l’attenzione. Fa come le ha detto Bobby, entra urlando, cercando di sembrare il più spaventata possibile.
“Aiutatemi, vi prego!” si trova a gridare. “Un uomo in strada mi ha aggredita!” Gli agenti si affrettano ad andarle incontro per scoprire cos’è successo. La circondano e le fanno moltissime domande a cui Tal, con sua grande sorpresa, riesce a rispondere, mentendo alla perfezione.
Intravede con la coda dell’occhio Bobby che riesce ad entrare, passando completamente inosservato, così continua la sua recita fino a quando non lo vede sparire del tutto.

Dean dentro alla sua cella si muove irrequieto come un leone in gabbia. Si passa le mani sulla faccia e gira in tondo. Ha fatto così tante volte lo stesso percorso che non si stupirebbe se vedesse il solco. Il problema è che odia sentirsi inutile, impotente.
Vorrebbe fare qualcosa, risolvere la situazione e spuntare dalla lista dei loro problemi i sosia Leviatani.
Sbuffa frustrato.
Quando sente dei passi che si dirigono verso di lui, si aspetta di vedere Bobby sbucare da un momento all’altro. L’unica cosa che vede, invece, è se stesso che lo guarda.
Quel figlio di puttana gli sorride beffardo.
Dean è in trappola e quel bastardo non vede l’ora di mangiarlo.
“Sai, ho aspettato così tanto questo momento.” Comincia, camminando avanti e indietro, lentamente. Sta giocando con lui. Vuole farlo sentire con le spalle al muro, senza via d’uscita, ma Dean non si lascia intimidire.
“Voglio dire, sono stufo di stare qua dentro. Essere te è una tale noia. Ti odi in una maniera così profonda e hai questo complesso dell’eroe che ti grava sulle spalle. Pensare che hai delle capacità così elevate. Tu e tuo fratello potreste usare tutta la conoscenza che avete per sfruttare i più deboli e invece cosa fate? Passate la vostra vita a fare gli eroi. Hai idea di quanto detesti sentire i tuoi lamenti? I sensi di colpa che hai mi fanno venire il vomito. Passi la tua esistenza a maledirti per non aver salvato questo, quello e quell’altro. Fa schifo essere te.”
Dean non risponde. Si limita ad osservarlo dritto negli occhi. La mascella rigida, lo sguardo severo. Odia quell’essere con tutto se stesso. L’unica cosa che vorrebbe fare è tagliargli quella testa di cazzo e guardarla rotolare priva di vita sul pavimento. Ma ovviamente, nelle sue condizioni è un po’ difficile.
Il mostro si avvicina lentamente e prende una chiave dalla tasca dei jeans. Apre la cella di Dean e allarga le braccia.
“Avanti Winchester, fammi vedere cosa sai fare.”
Quella frase ha lo stesso effetto che può fare un telo sventolato in faccia ad un toro. Dean si lancia su di lui con una furia cieca, e quando atterrano uno sopra all’altro, inizia a colpirlo con violenza. E più lo picchia, più lo piccherebbe. Ma mentre la rabbia dentro di se monta sempre di più, il Leviatano non fa altro che ridere.
“Ti odi così tanto che ci provi gusto a prenderti a pugni, non è vero?”
Dio, quanto vorrebbe tappargli quella boccaccia insolente.
Che cosa ne sa lui della sua vita? Di ciò che ha passato? Di come si sente ogni dannata mattina quando apre gli occhi e lo schifo della sua vita gli piomba addosso ricordandogli che se lui cammina su questa terra è perché altri si sono sacrificati.
Suo padre per lui è andato all’inferno.
Jo, Ellen, Ash, Pamela. Tutti andati, tutti morti perché l’hanno incontrato.
Anche Castiel non c’è più.
L’immagine dell’angelo che si getta in acqua e sparisce lasciando solo una melma nera ed un impermeabile rovinato, gli balena in testa. Non ci vede più dalla rabbia. Ha perso un amico, un membro della sua famiglia, per colpa di questi mostri. Continua a picchiare quell’essere che non oppone resistenza e non smette di ridere di lui. Si prende gioco della sua vita, delle sue emozioni, delle sue perdite, del suo dolore lacerante. Vorrebbe gridare, urlare, ma la voce gli rimane bloccata in gola.
“Dean!” la voce che sente non è la sua, è lontana, distante, confusa. Sa che c’è qualcuno alle sue spalle che lo sta chiamando, ma non gli importa.
Sente così tanto dolore dentro di se che ora che ha qualcuno con cui prendersela non vuole fermarsi. Il fatto che quel qualcuno abbia le sue sembianze rende la cosa ancora migliore. D'altronde è lui l’unico colpevole di quelle morti.
“DEAN!” questa volta un grido forte e chiaro come il sole giunge alle sue orecchie, una mano gli afferra la spalla e lo tira indietro. Mette a fuoco quella figura: Sam. Suo fratello lo guarda con uno sguardo angosciato. Solo ora si rende conto di tremare. Passa lo sguardo dietro la spalla di Sam e vede Bobby tagliare la testa del mostro e metterla dentro ad un sacco.
“Dean, va tutto bene?”
“S-si..”
Gli fanno male le mani. Le pelle sulle nocche è squarciata e coperta del suo stesso sangue. Guarda se stesso senza testa e trova quell’immagine stranamente liberatoria.
“Andiamo ragazzi, ne manca ancora uno!” intima Bobby, lanciando un’occhiata preoccupata al maggiore.
Il vecchio cacciatore poi esce da quella stanza e i due fratelli lo seguono. Ora devono trovare l’altro.



“Ti prego, smettila!” supplica tra i singhiozzi.
Se le avessero chiesto quale fosse uno dei suoi peggiori incubi, avrebbe risposto descrivendo la realtà che stava vivendo adesso: Sam Winchester che la picchia come faceva suo padre.
Sa che non è il vero Sam, sa che è un mostro che ha assunto le sue sembianze, ma la cosa la paralizza comunque.
Aveva fatto tutto ciò che Bobby le aveva detto di fare e poco dopo che lui era sparito, aveva visto Sam venirle incontro. Era convinta che Bobby fosse già riuscito a liberarlo, invece, quando lui l’aveva guardata con quello sguardo carico d’odio, aveva capito che quello non era il vero Sam. Le si era avventato addosso, scaraventandola contro il muro e prendendola a calci.
Come faceva suo padre.
La costringeva a rannicchiarsi in una angolo con le mani intorno alla pancia per proteggersela, per cercare di contenere almeno un po’ i danni.
Il Leviatano doveva saperlo perché lei l’aveva raccontato a Sam. Gli aveva confessato quanto odiasse quei momenti dove si trovava costretta al muro come una bestia ad aspettare che il dolore finisse e che suo padre si allontanasse. Rivivere quei ricordi e associare quelle azioni al volto di Sam la distrugge dentro. Guardare quegli occhi che la osservano come se provasse solo pena per lei e gusto nel farle del male, le stringe il cuore e le fa solo venire voglia di piangere. Sam non le farebbe mai una cosa del genere, ne è sicura, ma l’immagine che le si prospetta davanti la terrorizza a morte. Chiude gli occhi, perché non vuole più vedere quella realtà così crudele. Ancora una volta, si trova ad aspettare che il momento passi, che l’onda violenta cessi e che lei si ritrovi a terra con il corpo dolorante e le lacrime secche sulle guance.
“Sei così patetica.” Inizia il mostro. La costringe a sollevarsi da terra afferrandola per il collo. Glielo stringe così tanto che bastano pochissimi minuti perché lei inizi a sentire la gola bruciare.
“Non capisco proprio come faccia ad essere affezionato ad una creatura così inetta come te.” continua a stringerle la gola, sempre più forte. Sente il respiro andare via sempre di più, come se fosse in apnea, l’ossigeno che non le arriva più al cervello, le immagini storte, le voci lontane. Sta iniziando a vedere tutto nero quando sente la voce di Dean che grida qualcosa. Non sa bene cosa, non capisce. È così lontano e così sfuocato.
Quando il mostro la lascia improvvisamente, facendola cadere a terra, e lei comincia nuovamente a respirare, capisce che deve avergli lanciato una bomba al borace. Il mostro si contorce sotto a quel liquido e la sua pelle inizia a fumare. Piano, piano il respiro si regolarizza e riesce a mettere sempre più a fuoco la realtà. E proprio in quel momento, vede Sam che con un colpo secco e deciso recide la testa del mostro e Bobby che prontamente la rinchiude in un sacchetto.
Il minore dei Winchester si affretta ad andare verso di lei. La testa le fa un male cane e le gira tremendamente.
“Ti porto via di qui.”
Non le domanda come sta, perché non è cieco, vede che è ridotta piuttosto male. L’importante è che sia viva, se poi dovrà passare settimane a medicarla non gli importa. Si prenderà cura lui di lei, assicurandosi che tutte le ferite guariscano. La solleva di peso, prendendola in braccio e dirigendosi all’uscita. Sente il suo corpo diventare sempre più pesante tra le proprie braccia, segno che sta per perdere i sensi.
“Va tutto bene, piccola. Ci sono io qui con te. Ci sarò sempre per te, ricordi?”
Lei fa giusto in tempo ad accennare un sorriso, per fargli capire che ha percepito la frase, prima di chiudere gli occhi e svenire del tutto.

 

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Capitolo 12
*** 12. ***


Sono in viaggio da qualche ora ormai. Sam e Dean hanno recuperato la macchina che avevano nascosto e il minore si è sistemato con Talia nel sedile posteriore. Tal dorme da quando sono partiti e Sam non ha smesso un attimo di assicurarsi che stia bene. Le ha medicato la fronte con l’occorrente che tengono nel borsone delle armi e ha tamponato tutte le ferite per fare in modo che smettessero di sanguinare. Ha potuto fare ben poco per i segni sul collo che non smette di guardare da quando sono in viaggio.
Dean, alla guida, nota quel particolare. Guarda Sammy dallo specchietto retrovisore che tiene la testa di Talia sulle gambe e le accarezza i capelli, come se volesse farle sentire la sua presenza, ma il suo sguardo non lascia un attimo il collo della ragazza, segnato da una riga violacea. Lo conosce abbastanza da capire che Sam si sta silenziosamente incolpando delle condizioni di Talia, pensando che probabilmente se lui avesse insistito di più, lei sarebbe rimasta a casa, al sicuro. Dean non ne è molto convinto, se deve essere onesto. Non conosce quella ragazza quanto la conosce Sam, ovviamente, ma una cosa l’ha capita: è piuttosto testarda. Si era messa in testa di andare con loro e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea, nemmeno se Sam si fosse messo in ginocchio. Ciò non toglie che se potesse tornare indietro, legherebbe Tal a una sedia fino al loro ritorno. Almeno adesso lei non sarebbe ridotta in queste condizioni e suo fratello non avrebbe quell’espressione sofferente in viso.
Continua a guidare, in silenzio, guardando la macchina di Bobby davanti a loro. Periodicamente lancia un’occhiata a suo fratello che è teso come una corda di violino, gli guarda lo zigomo gonfio e il rivolo di sangue secco che parte dal sopracciglio rotto e arriva fino a sotto l’occhio. Quando arriveranno a casa dovrà mettergli almeno due punti.
“Sam, andrà tutto bene.” si trova a dire, di punto in bianco.
Sam porta lo sguardo su di lui e lo guarda con gli occhi colmi di sgomento.
“Ne sei sicuro? È ridotta così per colpa mia. La conoscono, Dean. Non è finita qui, capisci? Noi abbiamo così tanto lavoro da fare e lei non può starsene da sola, sanno chi è! Se la volessero tornare a prendere? Se le facessero del male, o la torturassero?” la sua voce si incrina e Dean può chiaramente notare dallo specchietto che un velo di lacrime ha riempito gli occhi di suo fratello. Sam le ricaccia prepotentemente indietro strizzando gli occhi un po’ più forte del dovuto.
“Ascolta, Sammy. Sanno chi è, è vero, ma chi lo sapeva è morto e anche se avesse dovuto dirlo a qualcuno, le troveremo un nascondiglio adeguato, ok? Quando tutto questo sarà finito, potrà tornare alla sua vita normale, ma fino ad allora starà nascosta al sicuro, lontana da tutto questo.”
“Sono ovunque, come faremo ad essere certi che sarà lontana abbastanza da essere al sicuro?”
“Bobby saprà come fare.”
Sam si trova ad annuire, senza convinzione. Porta lo sguardo su Talia e per un momento gli sembra così fragile, sotto le sue dita, che teme che solo accarezzandola possa romperla. La rivede per un attimo rannicchiata a quel muro che aspetta che lui – il finto lui – finisca di ferirla e nello stesso istante, rivive l’immagine di Talia ragazzina che, in lacrime, gli confessa l’inferno che è costretta a vivere tutti i giorni. Gli occhi arrossati dal pianto, la voce spezzata dallo sgomento, le guance rigate dalle lacrime e il corpo scosso da un tremito di angoscia e terrore. Era in momenti come quelli che lui la stringeva a se e le sussurrava che tutto si sarebbe sistemato, che sarebbero riusciti a dimostrare ciò che era costretta a subire dal proprio padre e che quell’uomo l’avrebbe pagata, in un modo o nell’altro. Lei si aggrappava a lui così forte che a volte Sam pensava potesse addirittura togliergli il respiro. Quel gesto era la tacita richiesta di aiuto che Talia gli rivolgeva quasi ogni sera, quando lui la riaccompagnava a casa e lei doveva fare i conti con ciò che l’aspettava. In una sera come quelle, dove il suo abbraccio era più forte del solito, Sam aveva deciso che se non potevano dimostrare come veniva trattata in casa propria, allora in quella casa non ci avrebbe proprio messo più piede.
Non si può andare avanti così, non possiamo continuare a lasciarti nelle sue mani pur sapendo quello che ti fa. Verrai a stare con noi.
Verrà a cercarmi, Sam.
Non mi interessa. Forza, andiamo via di qui.

Aveva rimesso in moto la macchina e si erano avviati verso quella che era casa sua e di Jessica. Ricorda benissimo che Jess non aveva battuto ciglio sulla questione, anzi, era quasi più convinta di lui che dovesse restare.
Era così spaventata, Talia. Una ragazza così giovane con delle cicatrici così profonde nell’anima che difficilmente l’avrebbero abbandonata. Un trauma marchiato a fuoco sul cuore dal suo stesso sangue, da colui che tecnicamente avrebbe dovuto amarla più della sua stessa vita, avrebbe dovuto rispettarla, avrebbe dovuto volerla vedere felice, da colui che semplicemente avrebbe dovuto volerla vedere crescere e starle accanto mentre lo faceva.
Talia non ha mai avuto niente di tutto questo.
Talia non ha mai avuto una madre e suo padre era un mostro.
Talia è diventata donna troppo presto, rinunciando alla spensieratezza tipica dell’infanzia perché doveva fare in conti con qualcosa di crudele come la realtà in cui viveva.
Tutto ciò gli fa pensare che Talia sembra fragile – così fragile da potersi frantumare sotto ad una carezza – ma non lo è affatto. Nonostante tutto quello che ha passato, ha trovato il modo di andare avanti, di farsi una vita, di cavarsela da sola. Si è piegata, ma non si è mai spezzata. Ha guardato i suoi demoni in faccia e li ha affrontati. Probabilmente non è sempre uscita vincitrice – del resto, nessun essere umano riesce a sconfiggere tutti i demoni che vivono dentro di se – ma ha imparato a convivere con quelli più ostili, dando loro la buonanotte prima di andare a dormire e salutandoli la mattina appena sveglia, accettando la loro esistenza senza per forza farsi schiacciare dalla loro presenza. Talia è più forte di quanto si possa pensare.
Sam accenna un debole sorriso, a quel pensiero. Le passa una mano sulla guancia e in quel momento, lei sorride impercettibilmente, muovendo solo un angolo della bocca. Piano, piano apre gli occhi e mette a fuoco la figura di Sam che continua a guardarla per assicurarsi che vada tutto bene.
“Ciao.” Lo saluta. Si guardano negli occhi, incastrandosi l’uno nello sguardo dell’altra per un attimo che sembra non finire mai. Sam sorride, sentendo la sua voce. Non è mai stato così felice di sentire quel suono come in questo momento.
“Ciao.” Le risponde.
Talia si mette piano, piano a sedere e si accosta vicino a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Sam si aggiusta in modo che lei stia comoda, appoggia la testa su quella di Talia e le prende la mano, facendo incrociare le loro dita.
“Ciao Tal, sono felice tu ti sia risvegliata!” dice Dean, sentendosi in imbarazzo e improvvisamente di troppo. Non ha visto lo sguardo di Talia, ma ha visto quello di Sam – e quello era uno di quegli sguardi che non necessitano di parole, o di spiegazioni, era uno di quegli sguardi che parlano anche troppo, che gridano con una voce udibile anche a chi non vuole sentire. Nel momento esatto in cui Talia ha aperto gli occhi, Sam ha ricominciato a respirare.
Sono legati da qualcosa di così profondo, quei due, che risulta difficile anche affermare cosa sia perché dandogli un nome, semplicemente verrebbe ridotto, quasi ridicolizzato. Non c’è amicizia, tra di loro, né amore: c’è appartenenza. Sono legati da un filo conduttore indistruttibile che li porterà sempre a ritrovarsi lungo la loro strada. Non importa quante volte si separeranno, quante volte non condivideranno lo stesso destino, troveranno sempre un modo per ricongiungersi.

--

Quando Dean parcheggia la macchina davanti a casa è ormai tardo pomeriggio. Il viaggio è durato un bel po’ e lui è tremendamente stanco.
Sam e Talia si sono addormentati da un’oretta, ancora con le mani incrociate e le teste vicine. È un’immagine così tenera che Dean si trova a sorridere, guardandoli. Talia gli sta simpatica, non gli dispiacerebbe vederla intorno a Sam – e poi quando lei è nelle vicinanze, suo fratello sembra meno preoccupato, come se lei avesse la capacità di fare da balsamo ai suoi problemi. Ovviamente, la preoccupazione di Sam aumenta se pensa ad una possibile situazione di pericolo in cui Talia potrebbe essere coinvolta, ma nelle azioni quotidiane – come quando a casa della ragazza Sam era intento a osservarla mentre preparava il caffè – sembra che il suo cuore si alleggerisca. E Dio solo sa quanto Sam abbia bisogno di sentire un po’ il cuore leggero.
Dean si allunga verso il sedile posteriore e tocca appena Sam, chiamandolo sottovoce. Il minore apre gli occhi lentamente e si guarda intorno.
“Siamo arrivati.” Gli sussurra Dean. Per un attimo, gli sembra di rivivere uno dei tanti momenti in cui da bambini, Sam si addormentava e lui, nel sedile del passeggero, si voltava per chiamarlo. Quando apriva gli occhi, Dean gli sussurrava sempre che erano arrivati e Sam  si guardava intorno chiedendo dove si trovassero. Rivolgeva sempre a lui le domande, perché sapeva che John, dopo ore trascorse al volante e chilometri mangiati più velocemente del normale, non era molto propenso al dialogo. Dean lo sapeva, per questo rispondeva sempre lui al suo fratellino.
“Dove siamo?”
“A casa.”
Sam si strofina un occhio con la mano libera e nello stesso momento sente Tal vicino a se che si muove e solleva la testa dalla sua spalla.
“Siamo arrivati?” domanda lei con la voce ancora assonnata.
“Si.” risponde Dean, ancora seduto al volante. “Ce la fai a camminare?”
“Credo di si.”
“D’accordo.”
Dean scende dalla macchina e dopo aver afferrato il borsone delle armi dalla bauliera si dirige verso casa dove Bobby lo aspetta sulla porta.

Sam apre la portiera e scende dalla macchina, facendo il giro e andando ad aprire la portiera dal lato di Talia.
“Forza, appoggiati a me.” Dice quando lei scende e fa il primo passo.
“Sam, ce la faccio.”
“Lo so, ma voglio che ti appoggi a me. Assecondami, ok? Mi fa stare più tranquillo.”
“D’accordo.”
A quel punto, Sam le circonda la vita e la tira a se, delicatamente. Insieme percorrono il breve tragitto fino alla casa ed entrano.
“Come state, ragazzi?” chiede Bobby, appena varcano la soglia della porta, avvicinandosi a loro per controllare con i propri occhi che siano tutti interi.
“Bene.” rispondono Sam e Talia.
Bobby continua a studiarli: passa lo sguardo sulle ferite visibili di entrambi e quando si assicura che non ci sia niente di troppo dannoso, o permanente, si allontana senza dire niente, dirigendosi in cucina.
“Sam, siediti!” urla Dean, dal bagno.
Sam non capisce il perché di quell’uscita, ma ubbidisce e si siede sul divano. Anche perché gli fanno così male le gambe che un po’ di riposo non può fargli altro che bene. Talia si siede vicino a lui. Questa volta, però, non si toccano. Poco dopo Dean fa capolino in sala armato di disinfettante, cotone, ago, filo e cerotto e si dirige deciso verso Sam che lo guarda perplesso.
“Cosa hai intenzione di fare?”
“Di cucirti la bocca per sempre, almeno smetti di fare domande cretine.”
Dean gli afferra il viso tra le mani e lo volta verso sinistra, in modo da avere una perfetta visuale del sopracciglio destro rovinato.
“Dean, non è necessario.”
“Sta’ zitto.”
Con l’espressione più concentrata che riesce a fare, Dean si mette a tamponare il taglio di Sam, togliendo il sangue secco e disinfettando la ferita.
“Brucia.”
“Lo so.”
Il maggiore continua a tenere gli occhi sulla ferita e, mettendo la lingua tra le labbra, inizia a cucire i due lembi di pelle con cura e cercando di essere il più delicato possibile. Sam si lascia medicare in silenzio, aspettando che Dean abbia finito. Talia osserva la scena in silenzio, non potendo fare a meno di pensare a quanta tenerezza ci sia in quel gesto: Dean, che nonostante abbia riportato delle ferite come Sam, si preoccupa prima di medicare il suo fratellino. E sembra proprio che non gli importi che il fratellino in questione sia quasi due metri e sappia ormai benissimo cavarsela da solo, lui continuerà ad occuparsi di lui, assicurandosi che stia bene.
Sam, dal canto suo, sembra così abituato a gesti del genere che non ribatte nemmeno più di tanto e lascia che Dean lo medichi, probabilmente come quando lo faceva da ragazzino, quando Sammy gli correva incontro con la bua e lui doveva curarlo. Tal può solo ipotizzarlo, ma dalle cose che le disse Sam ai tempi di Stanford, ha idea che se il piccolo Sam si fosse sbucciato un ginocchio, sarebbe andato dritto da Dean e non dal loro papà. Chissà se John  lo sapeva e, nel caso l’avesse saputo, chissà cosa provava all’idea che il proprio figlio, in caso di necessità, si rivolgesse al fratello e non a lui. Probabilmente, sarebbe stato combattuto tra il rimanerci male e l’essere felice che i suoi figli fossero così uniti.
Questo le fa pensare a quanto la loro unione sia palese. Tal l’ha notato, nonostante sia stata poco con loro. Sam e Dean gravitano uno intorno all’altro esattamente come fa la Luna intorno alla Terra. È come se ci fosse una calamita tra di loro che li spinge ad avvicinarsi sempre di più, una dipendenza che persiste nel tempo e supera le diversità.   
“Finito?”
La voce di Sam la desta dai suoi pensieri.
Vede Dean annuire.
“Grazie.”
Il maggiore non gli risponde, si limita ad accennare un sorriso a labbra strette, senza mostrare i denti. Si passa velocemente una mano sulla faccia.
“Avete fame? Perché io sto morendo.” Esordisce poi.
Sam annuisce, così Dean porta l’attenzione su Talia che annuisce a sua volta.
“Bene, vado a prendere qualcosa.” conclude, prendendo la giacca e infilandosela. “Bobby!” grida. “Esco, vado a prendere da mangiare, vuoi qualcosa?”
“Aspetta, vengo con te!” urla in risposta, arrivando dalla cucina dove era rimasto fin’ora a fare solo Dio sa cosa.
“Posso farcela!”
“Sei morto solo da qualche ora e vuoi già farti vedere in una tavola calda a prendere da mangiare? Dimmi, ragazzo, ti sei bevuto il cervello?”
Dean rimane con la bocca aperta e un dito a mezz’aria con tutta l’intenzione di rispondere per le rime a quella affermazione, ma come sempre Bobby ha ragione, quindi a lui non resta che chiudere la bocca – altrimenti potrebbe rischiare di mangiarsi una mosca senza volerlo – abbassare il dito, prendere le chiavi e uscire da quella casa seguito dal vecchio cacciatore.

Sam e Talia, ormai rimasti soli, si aggiustano meglio sul divano, in modo che la presenza di uno non costringa l’altro a stare scomodo. Tal teme che Sam non ci stia proprio su quel divano con lei vicino, vista la sua altezza, così si sistema in fondo lasciando a lui più spazio possibile. A Sam, però, quel gesto non piace. La guarda aggrottando le sopracciglia, confuso.
“Dove vai?”
“Ti lascio spazio!”
“Ne ho abbastanza di spazio, vieni qua.”
Lei si avvicina, felice che lui gliel’abbia chiesto. In realtà, ora che il problema “sosia Leviatani” è risolto, è felice di stare con lui e di averlo così vicino. Sa benissimo che tutto questo non durerà, sa benissimo che la sua guerra è ancora lunga e per ora ha vinto solo una battaglia, sa benissimo che come ogni soldato, Sam dovrà tornare al fronte, ma per adesso vuole solo pensare al fatto che possono stare insieme e concedersi un minimo di tranquillità. D’istinto si trova a cercare la mano di Sam per stringerla con la sua, come se quel gesto rendesse più reale la sua presenza, come se stringendolo in quel modo lui fosse più concreto.
“Come stai, Tal?” le chiede.
 Con la mano libera, lei traccia dei piccoli cerchi immaginari sul dorso della mano di Sam, stretta alla sua.
“Sto bene, Sam. Stai tranquillo.”
“Non ci riesco. Non faccio altro che pensare a te rannicchiata a quel muro e alle cose che hai potuto pensare vivendo quell’esperienza.”
“Sapevo che non eri te, Sam. So che non mi faresti mai una cosa del genere.”
Non vuole dirgli del terrore che ha provato e che la paralizzava guardando il viso di Sam e associandolo alle azioni che faceva suo padre, perché sa che lo farebbe stare male. E lei non vuole che lui si senta in colpa di qualcosa che non ha fatto.
“Mi dispiace, Tal.”
“Non è colpa tua, ok? E poi, guardami, sto bene.”
Sam d’istinto abbassa lo sguardo sul suo collo, sulla riga viola e marcata che lo divide a metà. Tal se ne accorge e gli porta due dita sotto al mento per fargli alzare la testa facendogli distogliere lo sguardo da quella ferita. Vuole che Sam si concentri su altro e non su quel segno, vuole che dai suoi occhi si cancelli quello sguardo colpevole e che provi a tranquillizzarsi un po’.
“Smettila di guardarlo. Nemmeno questo è colpa tua. Niente di tutto ciò che mi è successo è colpa tua. È stato tutto conseguenza di una mia scelta, di un mio comportamento e se la vogliamo dire tutta della mia totale incapacità di combattere.” Si trova a sorridere mentre dice l’ultima frase, per cercare di sdrammatizzare un pochino quella situazione.
Sam ricambia accennando un sorriso timido e breve.
“Ecco, voglio vedere un sorriso su quel viso. Sappi che te ne ho visti fare di meglio, Winchester. Devi riprovare!”
Sam abbassa gli occhi e sorride per davvero, questa volta, grato per quel tentativo di alleggerire la situazione e l’atmosfera. Tal ha sempre avuto questa capacità. Quando si trovava a Stanford, c’erano dei momenti in cui l’indecisione di chiamare Dean per sapere come stava, si faceva più forte del solito, ma puntualmente rinunciava per paura che potesse rispondere John. Quei momenti lo facevano stare male, perché gli mancava suo fratello, ma non voleva sentire John e le sue sgridate dal momento che sapeva come sarebbe andata a finire: una lite, una parola di troppo e sarebbero andati ad allargare quella voragine che ormai lo divideva da suo padre. Sam non voleva che la voragine si creasse anche con Dean, quindi non li ha mai chiamati. Non aveva mai detto a Talia il motivo del suo malumore e lei aveva sempre rispettato il fatto che lui non ne volesse parlare, ma ha sempre trovato il modo di tirargli su il morale. Sempre. Mai una volta che si fosse tirata indietro. Lui si rattristava e lei era lì al suo fianco armata di un sorriso luminoso e una birra. Bevevano e parlavano del più e del meno, dalle cose futili, alla creazione dell’universo, dall’importanza del progresso nel mondo, all’affronto che si fa alla pizza condendola con l’ananas.
Ritrovava il buonumore ogni volta.
“Quello è un sorriso per cui posso ritenermi soddisfatta.”
Sam alza lo sguardo su di lei e questa volta non si sofferma a guardare il segno sul collo, ma si perde a guardare i suoi occhi di quel colore che gli è sempre piaciuto, ma non è mai riuscito ad identificare, così grandi, luminosi e pieni di fiducia nonostante abbiano visto cose orribili durante la loro vita. La guarda rendendosi conto di metterla sotto ad una luce completamente diversa da quella in cui l’ha sempre messa e sente il cuore accelerare non appena quella consapevolezza lo colpisce all’improvviso come un fulmine a ciel sereno. D’istinto avvicina il viso al suo e quando vede che lei non si ritrae, senza nessuna logica, si trova ad appoggiare le labbra sulle sue. È un contatto così delicato che teme che Tal possa percepirlo appena, ma poi lei schiude la bocca e lo bacia per davvero. Sam le prende il viso tra le mani e lei appoggia le proprie sui suoi polsi. Gli sembra di essere un adolescente alle prime armi, come se tutta l’esperienza fatta negli anni non esistesse più. Si baciano con la timidezza di quei baci dolci e delicati, quasi insicuri, tipici di chi sta scoprendo per la prima volta, di chi varca quella soglia tra amicizia e attrazione. È una cosa strana per entrambi, ma che allo stesso tempo gli viene naturale fare, come se fosse giusto, come se in un’altra dimensione parallela loro fossero destinati a stare insieme per sempre  come due anime affini che si sono trovate nella moltitudine vasta dell’universo.
Non sanno per quanto vanno avanti e non gli interessa nemmeno saperlo perché l’unica cosa che vogliono, in questo istante, è percepirsi, sentirsi, scoprirsi in un modo totalmente nuovo, ringraziando il cielo, Dio, o chi per esso che siano lì a vivere quell’attimo che sa solo di loro, che appartiene solo a loro e che rimarrà impresso nelle loro menti – e nei loro cuori – per sempre.


 

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Capitolo 13
*** 13. ***


Sono insieme. Ancora.
Sono vicini.
Uno sull’altro.
Sam sdraiato completamente sul divano e Talia sdraiata sopra di lui. Le mani incrociate sul suo petto e il mento appoggiato ad esse. I capelli sciolti le incorniciano il viso.
È così bella, pensa Sam, da non sembrare nemmeno reale.
Le percorre la schiena con un dito, passando l’indice nella cavità della spina dorsale, lentamente. Talia ringrazia il cielo di avere una maglietta dalle maniche lunghe che copre i brividi che le stanno riempiendo il corpo.
Sorride.
Quel gesto, il momento che sta vivendo, la riempie di una gioia pura, così in contrasto con la situazione che sta vivendo,  che la definirebbe quasi assurda. Ma non riesce a pensare ad altro se non a Sam, alle sue mani su si lei, ai loro corpi così vicini e alla felicità che le da tutto questo.
“A cosa stai pensando?”
“Lascia stare.” Afferma. La sola idea di confessargli una cosa simile, la fa sentire una ragazzina sciocca.
“No, voglio saperlo.”
“No, lascia perdere.”
Sam sorride, intenerito dal suo tono leggermente imbarazzato.
“D’accordo. Allora parliamo d’altro: raccontami la tua vita. Voglio sapere tutto. Da quando me ne sono andato a quando mi hai chiamato.”
Tal aggrotta le sopracciglia: “Perché?”
“Perché abbiamo parlato anche troppo di mostri e di ciò che faccio, voglio sapere cosa hai fatto te. Com’è la tua vita.”
Tal si sistema meglio su di lui, muovendosi delicatamente per non fargli del male. Entrambi iniziano a sentire le conseguenze della battaglia. L’unica differenza è che Sam ci ha fatto l’abitudine, mentre Tal sente ogni muscolo dolerle al minimo movimento.
Poco prima che si sistemassero in quella posizione, avevano deciso di darsi almeno una ripulita. Così uno alla volta sono andati in bagno per darsi una sistemata. E Tal, davanti al lavandino dove sopra c’è uno specchio, mentre si toglieva la maglietta per lavarsi, aveva sentito tutte le conseguenze di aver tenuto i muscoli rigidi per così tanto tempo: ogni movimento, era una specie di tortura. Le facevano così male i muscoli che anche togliersi la maglietta sembrava un’impresa. Ogni parte del suo corpo gridava pietà. Aveva notato anche il livido violaceo sul costato, grosso quanto un melone, particolare che non avrebbe detto a Sam, così come non gli avrebbe fatto capire quanto le dolessero i muscoli. Non voleva farlo cadere di nuovo in quello stato di preoccupazione, ora che sembrava rilassarsi un po’.
Dopo essersi messa comoda, Tal inizia a pensare. Alza un angolo della bocca e si gratta il naso, intenta a trovare il modo di cominciare.
“Vediamo.. quando sei partito..”
Ricorda quanto male facesse sentirsi sola, dopo che lui se n’era andato. Nonostante avesse ancora i suoi amici, l’assenza di Sam era una presenza costante: lo cercava ogni giorno, in ogni luogo, con la speranza di vederlo apparire da qualche parte come per magia. Era come se qualcuno l’avesse privata di un organo fondamentale per la sua sopravvivenza. Con il tempo, poi, si era abituata a quel vuoto che Sam le aveva lasciato – come se avesse scavato un buco nel suo cuore – ed era andata avanti, costruendosi il suo cammino con la speranza che magari un giorno si sarebbero rincontrati e si sarebbero raccontati tutto ciò che era successo loro. Magari Sam le avrebbe presentato la sua nuova ragazza e lei avrebbe fatto lo stesso, si sarebbero ritrovati un contesto sereno, senza nessun’ombra di violenza o cattiveria che li seguisse, nessun incendio improvviso, nessun padre troppo violento. Niente. Solo loro due e la loro nuova, normale realtà. Due amici che si rincontrano percorrendo il cammino della vita e ricordano i tempi andati del college. Tempi che si sarebbero messi a raccontare, ad una cena, ai loro rispettivi compagni. Lei avrebbe legato con la ragazza di Sam e Sam avrebbe fatto lo stesso con il suo ragazzo. Si immaginava una cosa del genere, pensando ad un loro possibile incontro. Quelle scene tipiche che si vedono nei film, dove tutto è perfetto, gioioso e c’è un’armonia innaturale. Ma le piaceva immaginare una cosa perfetta, perché la perfezione la puoi solo immaginare, può esistere solo nei sogni, la puoi solo idealizzare perché sai che nella realtà non esiste. Se pensa invece a come si sono ritrovati, trova la cosa ironica. Sembra non ci sia mai niente di normale, quando loro sono insieme.
“..Mi sono laureata. Ho lavorato in uno studio legale – i primi tempi come stagista, il che significa che ero come una specie di schiava. Facevo moltissime fotocopie e portavo un sacco di caffè. Insomma, mi facevano fare tutto tranne che ciò per cui mi ero laureata, ma andava bene così. Mi stavo facendo le ossa e imparavo un sacco di cose. L’avvocato a cui ero affidata, tra un caffè e l’altro, mi faceva leggere delle cause e mi chiedeva come le avrei risolte. Io rispondevo come meglio credevo e lui ribatteva sempre, facendomi notare cose che non avevo notato. Era stimolante perché mi apriva la mente e mi insegnava il mestiere sulla pratica, non solo con la teoria. Dopo un anno come stagista, mi ha offerto un posto come avvocato. Ero così eccitata! La cosa però è durata poco più di tre anni perché hanno dovuto fare dei tagli al personale ed essendo una degli ultimi arrivati, mi hanno licenziata. Dopo, ho trovato lavoro da Tasty Food e poi il resto lo sai.”
Le loro vite sono state così diverse, pensa Sam.
Mentre lei si laureava, lui era intento a capire cosa volesse Occhi Gialli da lui, il perché avesse quelle strane visioni sul futuro.
Mentre Talia lavorava come tutte le ragazze della sua età, lui aveva scoperto di avere del sangue demoniaco dentro di se ed essere il prescelto di Azazel per guidare l’esercito di demoni in una guerra sovrannaturale.
Mentre Tal viveva la sua vita, lui stava morendo. Anzi, è morto.
Morto e risorto – grazie a Dean che aveva venduto la sua anima. Se ripensa a quel momento, l’immagine del segugio infernale che dilania il corpo di suo fratello per portarlo negli inferi è la prima cosa che gli balza in mente e sente ancora il groppo alla gola che monta prepotente. Quello è stato uno dei momenti più terribili della sua vita.
Successivamente, ha appreso di essere destinato a tramutarsi in un mostro drogato di sangue di demone con poteri enormi, smisurati.
Poi, ha scoperto di essere l’unico tramite in grado di sopportare la presenza e la potenza di Lucifero senza morire – il tramite originale. Il prescelto. Colui che era destinato ad essere il vestito perfetto per Satana nella lotta che avrebbe dato il via all’Apocalisse.
Lucifero contro Michele.
Sam contro Dean.
Il figlio ribelle contro il figlio leale.
L’abominio contro l’uomo giusto.
Ha vissuto così tante esperienze fuori dal normale che si stupisce persino che Tal lo veda come lo stesso ragazzo di Stanford e non come il soldato fatto a pezzi che è in realtà.
“Sam? Che c’è?”
“Niente.”
“Ti sei incantato a fissare un punto dietro le mie spalle. Pensavo anche ci fosse qualcuno o qualcosa di strano. Non mi stupirei, dopo ciò che ho visto, sai?”
Sam accenna un sorriso e la stringe tra la braccia. Quel gesto fa scattare in Talia una sensazione profonda di protezione, come se adesso, inglobata nell’abbraccio di Sam, niente potrebbe farle del male.
“Ho avuto un pensiero strano, tutto qui.”
“Ah si? E quale?” Mentre glielo chiede, gli sistema i capelli dietro alle orecchie per vedere bene il suo viso: guarda gli occhi di Sam, che un momento prima sono azzurri e il momento dopo diventano verdi; osserva i movimenti impercettibili che fa con le sopracciglia quando cambia espressione; segue con l’indice la lunghezza del suo naso con la punta all’insù, che trova estremamente adorabile.
Gli angoli della bocca di Sam si alzano, aprendosi piano in uno di quei sorrisi che piacciono tanto a Tal.
“Che stai facendo?” le chiede.
“Aspetto che mi dici che pensiero hai avuto.”
“E lo fai mentre mi tocchi il naso?”
“Mi piace il tuo naso.” Dice lei d’istinto, arrossendo un po’.
Sam ride, trovando la spontaneità con cui Tal ha detto quella frase estremamente genuina. Senza pensarci troppo, alza la testa per raggiungere il suo viso e stamparle un bacio sulle labbra.
“Allora, me lo vuoi dire o no?”
Sam scuote la testa: “Lascia stare, era un pensiero passeggero.”
“D’accordo. Ma sai che puoi dirmelo, quando e se ti andrà di farlo.”
Sam annuisce, mentre si apre in uno sbadiglio che non riesce a trattenere.
“Dovresti dormire un po’.”
“Dovremmo farlo entrambi.”
Si sistemano in modo diverso: si mettono entrambi in costa, Tal tra lo schienale del divano e Sam, con la schiena appoggiata al suo petto. Il cacciatore le mette un braccio intorno alla vita e la tira maggiormente a se, facendo aderire i loro corpi ancora di più. Non dicono più niente. Rimangono in silenzio ad aspettare che Morfeo venga a fargli visita. E con le giornate che hanno passato, non ci vuole molto prima che entrambi cadano in un sonno profondo.


“No, sei tu che non capisci! Non posso accettarlo, proprio no!”
“Non puoi accettare cosa, di non diventare uno zombie con il cervello fuso?”
“No. Non accetto di dover mangiare del cibo per conigli! Sono un guerriero, porca puttana!”
“No, sei una lagna, è diverso. Non fai altro che lamentarti da quando siamo partiti da quel market.”
“Era un market vegano! Sai dove si trova l’origine del male? In posti come quelli!”
Bobby alza gli occhi al cielo e sbuffa il più rumorosamente possibile per far recepire a Dean la sua frustrazione: inizia a perdere la pazienza. Sta diventando troppo vecchio per questo genere di cose.
“Per l’amore del cielo, chiudi quella bocca.”
Infila la chiave nella serratura della porta di casa e la fa scattare. Quando varca la soglia viene inondato dal buio pesto della stanza.
“Perché è tutto buio?” sussurra Dean, ora intento a capire cosa stia succedendo e meno avvezzo a lamentarsi del cibo per conigli di Bobby.
“E come diavolo faccio a saperlo? Ero con te!”
Dean fa una smorfia e alza le spalle: Bobby ha ragione.
“Sam??” chiama il cacciatore più giovane.
Nessuna risposta.
“Sam??” chiama più forte.
Nessuna risposta.
L’ansia piano, piano inizia a farsi strada in lui, il sangue inizia a scorrere freddo per tutto il suo corpo, andandosi a conficcare in testa come tanti piccoli spilli.
“SAM! Porca puttana!” grida spazientito.
Un suono confuso proviene dal buio. I due cacciatori sentono una voce impastata che biascica cose indistinte e poi un tonfo sordo sul pavimento.
“Cacchio.”
Dean sospira sollevato, riconoscendo la voce di Sam.
“Odio questo posto. Quando possiamo trovarci un luogo che abbia l’elettricità? Mi sembra di essere nell’era preistorica!”
“Ed eccolo che torna a lamentarsi!”  dice Bobby. Raggiunge a tastoni il mobiletto che è vicino all’ingresso e ci trova la candela che aveva lasciato lì nel caso si fossero presentate occasioni come questa. L’accende. La fioca luce illumina lievemente la stanza.
“Stai bene, ragazzo?” chiede, vendendo Sam che si alza dal pavimento ancora un po’ stordito dal sonno.
“Si.” dice, strofinandosi gli occhi.
“Ragazzi, che succede?”
Tal ha la voce assonnata tanto quanto quella di Sam.
Un sorriso furbo si disegna sulle labbra di Dean, che improvvisamente inizia a farsi i migliori film mentali su ciò che possa essere successo tra Tal e Sammy in loro assenza. E bravo il suo fratellino.
“Eravate troppo occupati per accendere qualche candela?” domanda, cercando – inutilmente – di nascondere il velo di malizia nella sua voce.
Talia ringrazia che ci sia poca luce perché sente le guance surriscaldarsi non appena Dean finisce di fare quella domanda, segno che le sue guance stanno diventando rosse come il più maturo dei pomodori.
“Sta’ zitto, Dean. Accendine qualcuna, piuttosto!”
Dopo qualche istante, un bagliore giallastro riempie tutta quella stanza, illuminandone la maggior parte.
“Volevi la luce? Eccola!” esclama Dean, allargando le braccia e rivolgendo un sorriso enorme a suo fratello.
Sam scuote la testa e si avvicina a Bobby, prendendo il sacchetto che il vecchio cacciatore teneva in mano e posandolo sopra al tavolo.
“Cosa avete comprato di buono?”
“Di buono, niente.” comincia Dean, avvicinandosi al tavolo e sistemandosi al suo fianco. Il maggiore infila una mano dentro al sacchetto mentre il minore rimane a guardare, come se da un momento all’altro Dean dovesse tirare fuori una  colomba dal cilindro.
“Abbiamo: avocado, pomodori, insalata, mele, fragole, arance, pane, acqua e … basta. È la razione di provviste più triste che io abbia mai visto.”
Mentre elenca le cose, Dean le tira fuori dal sacchetto, accompagnando il tutto con la più seccata delle espressioni. Si volta verso suo fratello con le labbra strette, alzando gli angoli della bocca, mostrando le fossette che si formano ai lati delle labbra.
“Non è triste, è salutare.”
“Parli bene, tu. Mangi come una capra tutti i giorni. Io non sono abituato a questo genere di cose.” Riporta lo sguardo sul cibo poggiato sul tavolo e lo percorre tutto con un’espressione disgustata.
“Il tuo cuore ti ringrazierà!”
“E anche il tuo fegato!” si intromette Bobby.
“Non venirmi a parlare di fegato sano, proprio tu.”
Bobby affila lo sguardo, fulminando Dean: “Non parlarmi così, ragazzo.”
Tal in silenzio osserva la scena. Fino ad ora, non aveva mai fatto caso a quanto Bobby significasse per quei ragazzi. Ha pensato che fosse come una specie di vecchio amico di famiglia, ma ora che li guarda discutere si rende conto che Bobby è parte della loro famiglia. C’è molta confidenza tra di loro, ma anche un profondo senso di rispetto e ha percepito l’ammirazione che Dean e Sam provano nei confronti di quell’uomo.
I tre continuano a discutere, su cose come le sbagliate abitudini di Dean riguardo al cibo e altre cose che Tal non afferra perché iniziano a parlare uno sopra all’altro in maniera estremamente chiassosa.
“Ragazzi?” tenta di chiamarli per distrarli dalla loro disputa.
Ma ovviamente, nessuno la considera.
“RAGAZZI!”
I tre si voltano, come se improvvisamente la vedessero di nuovo. Quasi come si fossero provvisoriamente dimenticati della sua presenza, troppo presi dalla loro discussione per ricordarsi di una quarta presenza.
“Avete finito?”
Annuiscono.
“Bene. Vi va se provo a ordinare il tutto insieme, in modo che sembri qualcosa di appetitoso?”
“Si, grazie!” esclama Dean, quasi come se gli avesse promesso di trasformare tutto quel cibo salutare in una bistecca grossa e succosa.
Tal ride: “D’accordo. Ma non prometto niente!”
“Ti aiuto, ti va?”  si affretta a domandarle Sam, accennandole un sorriso.
“Certo” risponde lei.
Dean e Bobby si scambiano un’occhiata alquanto eloquente e si tolgono di mezzo con la scusa di occupare il tempo per fare altre ricerche.

Rimasti soli in cucina, illuminati solo dalla luce fioca delle candele, Sam guarda Tal intenta nella sua impresa. La osserva cercare un coltello e iniziare a tagliare fette di pane con precisione, quasi come se il suo scopo fosse proprio quello di farle tutte grandi uguali. Passa lo sguardo sul suo profilo, sui ricci che le cadono davanti al viso, mentre tiene la testa bassa. Vede appena la sua espressione concentrata, sotto a tutti quei capelli. Si mette dietro di lei e glieli porta con cura sulla schiena.
“Così ci vedi meglio.” Le dice, stringendole la vita e portando il mento sulla sua spalla, facendo capolino con il viso in modo che riesca a vedere cosa sta facendo Tal.
“Quanto sei premuroso!”
Lui ridacchia e, dopo averle dato un bacio su una spalla, scioglie l’abbraccio e le chiede come può rendersi utile.
“Tagli i pomodori?”
“D’accordo.”
Sam si mette vicino a lei e imita i suoi movimenti, tagliando con cura i pomodori.
Sono uno a fianco all’altra, in piedi, davanti al piano cottura. Potrebbe benissimo essere una scena normale, se le circostanze fossero diverse.
Potrebbero essere benissimo una coppia che si trova a preparare una cena improvvisata e l’unico disagio nella loro vita sarebbe la mancanza di luce temporanea dovuta da un blackout.
Ma sanno entrambi che non è così.
Sanno che la loro vita non è normale.
Sanno che si trovano in quella casa per nascondersi da una cosa più grande di loro e che il blackout non è temporaneo.
La loro cena fatta con le provviste più triste che esistano citando Dean, è necessaria se non vogliono finire dentro ad un mattatoio per uomini, dove verranno osservati da dei mostri, come se fossero topi da laboratorio.
“Sam..” si trova a dire Tal “..Riuscirete a .. sai, insomma.. ad uscire da tutto questo?” la sua voce esce quasi un sussurro, ma Sam percepisce tutta la preoccupazione di Talia.
Si schiarisce la gola, non sapendo bene come rispondere. Non vuole mentirle, ma non vuole nemmeno darle una risposta totalmente negativa che le spazzi via le speranze.
“Non lo so. Ma stiamo facendo dei passi avanti. Bobby ci aiuta tanto e lui, sai, è un genio. Tutti i cacciatori gli chiedono aiuto perché è il migliore e ha sempre una soluzione per tutto. Troveremo un modo per farcela.”
Tal annuisce.
Improvvisamente, ricorda i pensieri che ha avuto poco prima guardando i ragazzi insieme a Bobby e, forse per la necessità improvvisa che sente di cambiare argomento, si trova a dire: “Bobby vi vuole bene. Si vede.”
Sam sorride.
“Bobby ci ha cresciuti, in pratica. Sai papà aveva sempre molto lavoro da fare, quindi ci lasciava da Bobby il più delle volte. È lui che mi ha insegnato a giocare a scacchi. Ha continuato a prendersi cura di noi anche quando papà è morto.”
Quella frase colpisce Tal come una secchiata d’acqua in pieno petto d’inverno. Solo ora si rende conto di non avergli chiesto niente di suo padre e se ne vergogna profondamente. Il fatto è che Sam, però, è sempre stato estremamente riservato riguardo alla sua famiglia, non ne parlava quasi mai e quando lo faceva, sembrava che non ci fossero mai buone notizie. Anche se la consapevolezza che Sam non avesse un bel rapporto con suo padre, non la giustifica da non avergli chiesto niente, di non essersi insospettita della sua assenza.
“Mi dispiace, Sam. Non lo sapevo. Com’è successo?”
“Lo stesso demone che ha ucciso Jess e mia madre. Quando siamo riusciti a stanarlo, Dean gli ha conficcato una pallottola in testa, con una pistola speciale. Ci siamo presi la nostra vendetta.”
Il suo sguardo si rattrista al suono di quelle parole che riempiono la stanza con un silenzio pesante, fatto di sofferenza e di anni passati a combattere una lotta che gridava alla vendetta per una famiglia distrutta, per un amore strappato.
Sono ferite aperte, quelle di Sam. Non ancora cicatrizzate perché troppo profonde affinché riescano a curarsi in fretta. Tal guarda il suo viso e nota tutto il peso dell’esperienza vissuta tra cose più grandi di lui, tra cose che gli uomini creano solo per raccontare storie del terrore.
Sam è umano e deve avere a che fare con cose sovraumane tutti i giorni della sua vita da quando era un ragazzino.
Tal lo abbraccia, stringendolo forte.
“Mi dispiace, Sam. Per tutto quanto. Per tua madre, per Jess, per tutte le cose che hai passato e che non conosco, ma che ti hanno fatto male.”
Sam ricambia la stretta, sentendosi improvvisamente più tranquillo, come se quel contatto sciogliesse ogni preoccupazione, ogni ansia, come se lo liberasse da ogni brutto ricordo anche solo per qualche istante.
“Non devi dispiacerti.”
“Sappi che sei un grande uomo, Sam Winchester. Un cavaliere dalla lucente armatura che salva il mondo in sella ad un cavallo ferrato.”
E se lo dice lei, Sam un po’ ci crede, a quelle parole. Se lo dice lei, forse tutte le cose brutte che ha fatto in questi anni, possono essere compensate da quelle buone, da aver salvato tante persone. Ha sacrificato se stesso per fermare l’Apocalisse e quando è tornato, l’unica cosa a cui pensava era a quanto quell’esperienza avesse devastato lui e chi gli stava intorno, ma adesso si rende conto di aver anche salvato moltissime persone, se non il mondo intero. E questo, lo fa sentire meglio. Lo fa sentire utile, in qualche modo. Lo fa stare.. bene. L’idea di aver salvato tante persone gli da una spinta in più per voler salvare il mondo anche questa volta, senza lasciarsi sopraffare dall’idea che, invece, sono tutti i trappola.
Hanno affrontato Lucifero in persona – che ha giocato con la sua anima come se fosse la sua bambola preferita – riusciranno a uccidere Dick e a far crollare il suo impero.
“Questo implicherebbe che ci fossi io alla guida dell’impala e sai cosa comporterebbe? Il non avere più l’uso delle gambe.” Sussurra e Tal ride.
“Ho notato quanto Dean ama quella macchina.”
“Ama più lei di me, a momenti.”
“Nah, su questo ho dei forti dubbi.”
Sam sorride e la abbraccia più forte, come se se la volesse infilare dentro al cuore. È talmente piccola, in confronto a lui, che potrebbe anche starci. Le è così grato, in questo momento. Sembra che Talia riesca a dargli la spinta giusta per non arrendersi, per non mollare. Vuole che il mondo sopravviva perché lui ha bisogno di sapere che lei esiste, che lei vive, che c’è anche se saranno lontani.
“Dovremmo finire ciò che stavamo facendo, o Dean mangerà entrambi.”
Sam ride: “Non posso darti torto.”

Dopo cena, Sam e Talia sono andati nella stanza in cui ha dormito la ragazza la sera prima. Mentre stavano mangiando i loro crostini con l’avocado e il pomodoro mischiati insieme, Dean non faceva altro che parlare con la bocca piena, dicendo che alla fine, questa roba non è male – specificando, però, che appena sarà possibile mangiare di nuovo carne, la prima cosa che farà sarà spararsi almeno due cheeseburger. Talia aveva riso. Dean le sta simpatico. E le fa piacere vedere che sul suo viso quel velo di angoscia si è ammorbidito, almeno un po’. Lui e Sam sotto questo punto di vista sembrano molto simili: entrambi sono stati segnati dalla loro vita e dalle loro perdite.
Tal, sdraiata sulla brandina mentre aspetta che Sam finisca di prepararsi per la notte, si trova a pensare ad un Dean bambino che, senza madre e con un padre assente, si prende cura del piccolo Sam.
Dean ha dovuto diventare grande subito, rinunciando all’infanzia, ma impegnandosi al massimo affinché Sam ne avesse una.
Si è preso cura del suo fratellino, facendo in modo che non gli mancasse niente e standogli sempre vicino, facendogli sempre sentire la sua presenza. Questo Sam gliel’ha sempre detto.
Mio fratello.. Dean, ricordi che te l’ho nominato?
Si, certo.
Ecco. Lui c’è sempre stato per me. E credo gli sarò sempre grato, di questo. Anche se devo ancora perdonarlo per avermi detto che babbo natale non esiste!

Sono cresciuti uno con l’altro. Dean è la presenza costante nella vita di Sam e viceversa. Sono come due ciliegie, legate all’estremità dello stesso rametto.
“A che pensi?” la voce di Sam la distrae dal suo filo di pensieri. Si volta verso di lui: ha una maglietta grigia a maniche corte e i pantaloni della tuta blu scuro. Le viene da sorridere, pensando che anche quando erano a Stanford quell’abbigliamento era quello che lui definiva ‘pigiama’. Le sue abitudini, negli anni, non sono cambiate, a quanto pare.
“A tante cose. Ma soprattutto al fatto che vedi ancora come pigiama maglietta e tuta.”
Sam si avvicina a lei e si sdraia al suo fianco.
“Tu hai addosso una felpa e un paio di leggins. Dove sta la differenza?”
“Vero, ma se fossi a casa indosserei un vero pigiama, uno di quelli di pile belli spessi. È questa la differenza: io uso pigiami veri, io amo i pigiami veri.”
Casa.
Sono passati giorni da quando è partita – o meglio, fuggita – da casa sua, ma le sembrano passati anni. Sono cambiate così tante cose che se pensa a se stessa qualche giorno fa, le sembra di vedere un’altra persona.
“Sam..” lo chiama e lui si volta a guardarla. Si mettono entrambi in costa per guardarsi in viso. “..Quando potrò tornare a casa mia?”
Sam sospira.
“Non mi fraintendere..” continua lei, non sapendo come interpretare il sospiro di Sam, “..Mi fa piacere stare insieme a te, lo sai. Passerei tutto il tempo che ho insieme a te..”
“..Lo so.” La interrompe. Le accarezza il viso, strofinandole il pollice sulla guancia. “Lo so, non devi specificarlo. Per ora, però, non puoi tornare a casa tua. Io, Bobby e Dean stiamo cercando un posto sicuro in cui farti stare fino a quando questo non sarà tutto finito. È per la tua sicurezza. Quando siamo venuti a prenderti e ci hai portato a casa, avrebbero potuto seguirci e magari in questo momento c’è un Leviatano che non aspetta altro che fai ritorno a casa per farti del male.”
Tal annuisce. Non ci aveva pensato. Sam ha ragione, non può tornare a casa, non ora. Deve aspettare che le acque si calmino, che quei mostri vengano annientati. Solo allora potrà tornare a casa. L’idea, un po’, la rattrista. Alla fine, stare lontano da casa per un tempo ignoto non piace a nessuno, ti fa sentire estraneo in qualsiasi posto tu vada.
“D’accordo.” Dice infine. “Avete già un’idea?”
“Bobby dice di avere un contatto che potrebbe fare al caso nostro. Domani chiamerà, credo.”
“Va bene.”
Sam si avvicina ancora di più e la stringe a se. Il viso di Tal nascosto sul suo petto, il mento di Sam appoggiato sulla testa della ragazza.
“Tornerai a casa, fidati di me.”
“Promettimi anzi che tornerai sano e salvo. Ho bisogno di sapere che ce la farai, che uscirai vincitore da tutto questo.”
Tornare a casa con la consapevolezza che Sam potrebbe non esserci più, non le piace.
Non le interessa tornare a casa, se lui deve morire.
Perché casa, è dove Sam sta con lei.
Casa, è stare abbracciata a lui e sentire il battito del suo cuore nelle orecchie.
Casa, è sapere che Sam respira, cammina, sorride, pensa, esiste, vive, sta bene.
Casa, è Sam. Ed esiste solo se esiste anche lui.
“Te lo prometto. Tornerò sempre da te e per te, ricordi?”
Tal lo stringe forte, così forte che Sam sente il respiro mancargli per qualche attimo. Si ricorda quegli abbracci: i momenti in cui Tal si aggrappava a lui come un’ancora di salvezza per non affondare. Adesso, però, sembra che lo stringa forte per non lasciarlo andare, come se stando vicino a lei, lui non potesse allontanarsi e di conseguenza, rischiare di farsi del male. Lo stringe come per impedirgli di andare. Lo stringe perché egoisticamente parlando, lo vorrebbe al suo fianco fino alla fine dei suoi giorni, ora che l’ha ritrovato. Vorrebbe svegliarsi la mattina e vedere Sam. Andare a letto la sera e vedere sempre Sam. Passare la giornata con lui. Vivere una vita normale, insieme.
La consapevolezza che per loro ciò non è possibile le fa salire un groppo alla gola e le fa pizzicare gli occhi, ma ricaccia le lacrime prima che si formino: non vuole piangere.
“Me lo ricordo. Hai mantenuto la promessa una volta, spero tu la mantenga ancora.”

Ma Sam non manterrà la parola. Non questa volta. Anche se ancora non lo sa.
La loro situazione avrebbe preso una piega totalmente diversa da come avevano previsto.
Bobby avrebbe chiamato il suo contatto, Molly, una cacciatrice della Louisiana, ormai in pensione e avvezza ad aiutare i cacciatori più giovani.
E una volta arrivati da Molly, i Winchester avrebbero salutato Talia.
Dean con un abbraccio stritolante e un bacio sulla fronte.
Prenditi cura di te, d’accordo?
Nessuno al di fuori di Dean saprà mai quanto lui stesso sia grato a quella ragazza per aver regalato a Sam degli attimi di pura felicità in un momento così buio, per lui.
In cuor suo, Dean spera vivamente che ci sia un futuro per quei due, che sono stati creati appositamente per stare insieme. La metà dello stesso essere. Perfetti come i pezzi di un puzzle che si incastrano l’uno nell’altro senza difficoltà, andandosi a completare.
Sam, invece, le avrebbe dato un bacio lento e lungo, come se volesse prolungare il più possibile il loro tempo insieme. La verità è che l’idea di andarsene un’altra volta, non gli piaceva per niente. Voleva stare con lei. Vedere lei. Vivere con lei e di lei. Saperla al sicuro. Ma sapeva anche che affinché tutto questo si avverasse, dovevano prima risolvere il loro problema più grande.
Tal l’avrebbe abbracciato di nuovo come la sera che lui le aveva promesso che sarebbe sopravvissuto a Dick, e questa volta,  non sarebbe riuscita ad impedire alle lacrime di scendere e rigarle il viso.
Tornerò.
Ti aspetterò.

L’avrebbe guardato salire a bordo dell’Impala e avrebbe guardato la macchina diventare sempre più piccola, fino a raggiungere le dimensioni di un puntino nero.
Anni diversi, stesso scenario: Sam che si allontana diventando sempre più piccolo fino ad essere inghiottito dall’orizzonte.

Dal canto suo, Sam, dopo aver sconfitto Dick, si sarebbe diretto da lei a bordo dell’Impala, perché era talmente disorientato, talmente perso e spaesato che aveva bisogno di Talia.
Dean e Cas erano scomparsi insieme a Dick, e Bobby.. Bobby era stato ucciso da Dick.
Sam, dopo aver vinto quella guerra, sarebbe rimasto solo – poteva reputarsi davvero un vincitore? – e l’unica cosa che desiderava era stare con Talia.
Voleva incrociare il suo sguardo e sentirsi meno affranto, meno a pezzi, meno disintegrato.
Dick aveva portato via la sua famiglia e Talia era l’unica persona che gli rimaneva al mondo, l’unica persona che desiderava avere vicino in quel momento.
Ma nel suo viaggio verso la Louisiana, il destino avrebbe messo la mano tra Sam e Tal ancora una volta – come se non volesse un futuro per loro, come se volesse sottolineare che anche se esiste la tua anima gemella, non necessariamente passerai la tua vita con lei – facendo in modo che Sam investisse un cane.
E sappiamo tutti com’è andata a finire.


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Non so bene come funzioni questa cosa delle note dell’autore e fine pagina e, se devo essere onesta, non so nemmeno se lo sto facendo nel modo giusto xD
Non sono per niente brava in queste cose, quindi non so nemmeno cosa scrivere esattamente (sono un disastro, chiedo perdono!) se non che la storia finisce qui e spero che sia piaciuta almeno un pochino a chi ci si è imbattuto. Grazie a chiunque l’abbia seguita, letta, recensita, messa tra i preferiti, ricordata o che si sia preso la briga di spulciarla. Lo apprezzo molto! :) 

 

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