Scarlet Red

di Ameliasvk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** L'uomo del mistero ***
Capitolo 3: *** Incubo ***
Capitolo 4: *** Inizia Il Gioco ***
Capitolo 5: *** Dove Finisce La Realtà ***
Capitolo 6: *** Al Chiaro Di Luna ***
Capitolo 7: *** Oltre La Porta ***
Capitolo 8: *** Lieve Contatto ***
Capitolo 9: *** Masquerade ***
Capitolo 10: *** In Trappola ***
Capitolo 11: *** Il Marchio ***
Capitolo 12: *** La Tana Del Leone ***
Capitolo 13: *** Questioni Di Cuore ***
Capitolo 14: *** Fuori Dalla Gabbia ***
Capitolo 15: *** Il Volto Del Mostro ***
Capitolo 16: *** Sapore di Sangue ***
Capitolo 17: *** Il Colore Delle Fiamme ***
Capitolo 18: *** Attenzioni Indesiderate ***
Capitolo 19: *** Tutto E Niente ***
Capitolo 20: *** Connessione ***
Capitolo 21: *** Tra Le Braccia Delle Tenebre ***
Capitolo 22: *** Promesse ***
Capitolo 23: *** I Giorni Contati ***
Capitolo 24: *** In Pasto Alle Fiamme ***
Capitolo 25: *** Cibo Per Demoni ***
Capitolo 26: *** E. ***
Capitolo 27: *** Come Un Fantasma ***
Capitolo 28: *** Lontano ***
Capitolo 29: *** Perseguitato Dalle Ombre ***
Capitolo 30: *** Il Padrone ***
Capitolo 31: *** Meine Liebe ***
Capitolo 32: *** Slyvermon ***
Capitolo 33: *** Da Soli ***
Capitolo 34: *** Sangue Del Mio Sangue ***
Capitolo 35: *** Passato Sepolto ***
Capitolo 36: *** Lasciati Guardare ***
Capitolo 37: *** Nigel Von Kleemt ***
Capitolo 38: *** Incontro All'Oscurità ***
Capitolo 39: *** Golden Eyes ***
Capitolo 40: *** Assassinio ***
Capitolo 41: *** Tempo Di Confessioni ***
Capitolo 42: *** Le Ragioni Dell'Ailthium ***
Capitolo 43: *** Cassandra ***
Capitolo 44: *** Speranza ***
Capitolo 45: *** Avviso ***
Capitolo 46: *** Miraggio ***
Capitolo 47: *** Patto Col Diavolo ***
Capitolo 48: *** Molossis ***
Capitolo 49: *** L'Arena ***
Capitolo 50: *** La Ribellione ***
Capitolo 51: *** L'Inizio Della Fine ***
Capitolo 52: *** La Chiave ***
Capitolo 53: *** Luna Scarlatta ***
Capitolo 54: *** Tra Bugie E Verità ***
Capitolo 55: *** Delirium ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione
        
 
         In principio ci furono le fiamme. 
Rosse, peccaminose, guizzanti. Tutto ebbe inizio con loro e tutto vi finì, come se l'intera totalità del mio mondo fosse stata ingurgitata dalla rovente bocca di un vulcano in eruzione.
         Il buio mi accecava, il silenzio mi assordava mentre precipitavo sempre più giù, sempre più in basso, tra le viscere dell'abisso.
Stavo bruciando e volevo gridare, sì.
Ma con quale bocca?
Non riuscivo più ad individuare le parti del mio corpo.
         Ciononostante, sentivo l'aria venirmi meno, i polmoni chiudersi e la gola raschiare. Era un dolore immenso, quello che provavo. Qualcosa di completamente disarmante. Ma per quanto cercassi la sua origine all'esterno, era pressoché impossibile individuarla: il fuoco ero io, ce l'avevo dentro e mi scorreva nelle vene al posto del sangue.
         D’un tratto però, qualcosa cambiò e al crepitare delle fiamme si aggiunsero dei mugolii arrochiti. Suoni ruvidi, bassi, gutturali... più ringhi che vere e proprie voci umane. Allarmata, smisi di annaspare tra un respiro e l'altro.
Non c'era tempo da perdere: dovevo andare via, scappare lontano! Ovunque ed in qualunque luogo, purché fossi stata al sicuro da loro.
         Mi feci forza e con grande fatica, cominciai a correre.
Percepivo il pericolo alle spalle, ma non avevo il coraggio di voltarmi... avevo troppa paura. Così continuai a fuggire, muovendo le gambe come un automa: era l'adrenalina a farmi andare avanti, nient'altro. Ma per quanto avrei resistito ancora? Avevo il fiato corto, la gola riarsa e la milza in fiamme.
         Nel tragitto verso la salvezza, inciampai ripetutamente, rialzandomi di volta in volta sempre più fiacca, svigorita, esausta. Finché le forze non mi abbandonarono del tutto, facendomi stramazzare al suolo. Fu allora che chiusi gli occhi e quando li riaprii, mi ritrovai completamente circondata. 
         “Arrenditi …” mugugnarono all'unisono, storpiando le parole con grida incredibilmente roche, graffianti.
         “Arrenditi  a noi...” 
Ed erano tanti, troppi. Un'invasione. La mole talmente vasta che non riuscivo nemmeno a contarli.
         Indietreggiai disgustata, trascinandomi via con le braccia. Era assurdo... del tutto irreale! Ma loro erano lì, davanti ai miei occhi e non potevo fare a meno di credere a quello che vedevo: creature deformi, ingobbite, con arti ricurvi e scapole incredibilmente sporgenti. Se ne stavano ritti e immobili, le fauci spalancate, mentre gli occhi erano fissi su di me, intenti a divorarmi pezzo per pezzo.
         Rabbrividii dal terrore, portando una mano all'altezza della bocca per fermare i conati di vomito. Poi venne il buio e mi ritrovai prigioniera, bloccata a terra sotto l'asfissiante peso dei loro corpi plumbei e putrefatti.
         Le creature sfoderarono gli artigli, dopodiché cominciarono ad incidere sulla mia pelle uno strano marchio stilizzato, dalla forma ricurva, simile a dei viticci.
         Le ferite che all'inizio mi furono inferte, presero gradualmente ad espandersi da sole, tingendo il mio corpo di rosso. Man mano che aggirava il seno, il disegno diventava sempre più complesso, ramificandosi in venature curve, arcane, fin troppo elaborate, per poi scendere sul ventre e percorrere tutta la gamba destra.
Il dolore era indescrivibile; talmente intenso che cominciai a urlare infinite volte, fino a sentire le corde vocali lacerarsi e bruciare all'interno della gola.
Mi tapparono la bocca, mentre dal basso si alzarono sommessi dei sussurri silenziosi, flebili versi continui recitati in una lingua aspra, dura, incomprensibile alle mie orecchie.
          Poi, tutto cambiò e quei brusii si tramutarono in urla disperate, acute, assordanti.
          Semplicemente insopportabili.
Sentii i timpani incrinarsi, far male da morire, finché non si aggiunse altro dolore a quello preesistente.
          Restai di sasso.
Uno di loro, mi aveva appena trafitto il cuore, trapassando il petto con la mano.
          Subito dopo sentii il mio ventre lacerarsi, le mie gambe spezzarsi ed il mio polso sanguinare sotto le loro zanne. Ogni cosa si dipinse di rosso, eppure non provai dolore. Non più, perlomeno.
Colta dal panico, mi chiesi che cosa stesse accadendo.
Loro potevano farmi ciò che volevano, tuttavia nulla aveva effetto perché io rimanevo comunque in vita.
Le urla di morte che mi circondavano, continuarono il loro abominevole requiem salendo di tono, fino a raggiungere le vette dell’impossibile. Poi, di colpo, cessarono. Ed il silenzio calò improvvisamente come un maestoso sipario, lasciandomi del tutto sola al di là del palcoscenico. I mostri erano scomparsi.
         Mi alzai faticosamente in piedi, barcollando per trovare l'equilibrio.
Che strano, mi sentivo osservata ma non vedevo nulla. D'un tratto sentii freddo. 
         “Vieni da me …” disse flebilmente una voce.
         Sembrava così lontana, eppure di consistenza piena, quasi palpabile; avevo l'impressione di poterla sfiorare con la punta delle dita solamente alzando un braccio.
         Chiusi gli occhi per concentrarmi e capire da dove provenisse, ma non riuscii a darmi una spiegazione.
Era ovunque e in nessun posto.
         Riaprii gli occhi e di scatto indietreggiai spaventata.
Un'ombra scura si ergeva dinanzi a me in tutta la sua cupa e minacciosa figura, mentre un leggero profumo muschiato si faceva strada tra le mie narici. Almeno in apparenza quell'essere sembrava un umano, ma qualcosa nella sua postura mi diceva il contrario.
Aguzzai la vista senza però scorgere nulla, poiché un mantello nero come la pece gli celava il viso… sì, ma non gli occhi.
In un solo secondo quello sguardo fu capace di imprigionare il mio, facendomi sprofondare in un vortice azzurro, quasi irreale, freddo come il ghiaccio.
         Lui mi fissava intensamente, con bramosia ed io, incantata, non potevo fare altro che restituire lo sguardo senza riuscire a staccare i miei occhi suoi.
          “Amelia …” sussurrò languidamente.
          Che bel suono aveva il mio nome pronunciato dalle sue labbra.
Avevo sentito dire che il canto delle sirene ammaliasse i marinai attirandoli verso la morte, ma al posto delle sirene, erano quegli occhi che mi stavano stregando, distruggendo ogni mia difesa.                     
         “Prendi la mia mano” disse con voce procace, sensuale, vellutata.
          Con un movimento fluido ed aggraziato mi tese dolcemente il palmo ed io l’afferrai senza indugi.
Non appena le nostre pelli si sfiorarono, i suoi occhi si accesero di rosso.
          Un rosso fiammeggiante, intenso, scarlatto... come il sangue vivo!   


 
***

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Capitolo 2
*** L'uomo del mistero ***


Capitolo 1

L'Uomo Del Mistero

_ Amelie_

Londra, 1882.
         Presa dallo spavento, mi svegliai di soprassalto.
Avevo la fronte madida di sudore ed il cuore così agitato che quasi sembrava volesse uscirmi fuori petto. Fuori era buio, ma ovunque posassi lo sguardo non vedevo altro che piccole macchioline rosse danzare per aria.
Terrorizzata, mi guardai intorno per capire cosa diamine fosse accaduto e perché mai mi trovassi vestita di tutto punto, in un posto polveroso e sporco come la vecchia biblioteca!
         Ancora intontita dal sonno, mi alzai in piedi di scatto, tuttavia ci misi troppa foga nel farlo e prima ancora che potessi accorgermene, fui investita da una pioggia di antichi tomi consunti, spessi e pesanti come grossi mattoni.
         “Meraviglioso” pensai, “ci mancava solo questa!”.
         Del tutto scocciata, mi rialzai da terra scansando i libri con un piede.
Notai dispiaciuta che il mio bel vestito di seta verde era diventato ormai inutilizzabile: c'erano delle profonde scuciture sulle maniche e sulla scollatura, le gonne si erano sporcate d’inchiostro e polvere, mentre su alcuni punti penzolavano fili di ragnatela e  pezzi di stoffa sgualcita.
         “Dannazione!” imprecai tra me e me. 
         Di quel vestito non me ne importava poi molto, ma era pur sempre un regalo di Lamia, e come tale andava difeso a costo della vita.
Dopo l’ennesimo litigio avuto con lei, infatti, mi ero rifugiata in quella vecchia stanza così da sbollire i nervi e stare per un po’ di tempo in pace con me stessa. In fin dei conti, sapevo di essere un'inetta, ne ero ben cosciente e fuggire di fronte alle difficoltà era la cosa che sapevo fare meglio.
Per quanto riguardava il disastro che avevo addosso, invece... dovevo essermi addormentata sotto il tavolo senza rendermene conto, facendo nuovamente quell'orrido incubo che da sempre mi perseguitava.
         Nel ripensarci, un brivido di terrore mi corse lungo la schiena e con stupore, mi resi conto che la nebbiolina scarlatta che mi velava gli occhi, ormai si era dissolta nel nulla come neve al sole.
         Sicuramente, Eva ci avrebbe messo poco tempo a trovarmi: sapeva bene quali fossero i miei nascondigli e tra l'altro, non era certo complicato per lei scrutare all'interno dei miei pensieri. Mi conosceva meglio di chiunque altro; peccato però, che di chiedere scusa a Lamia, non volessi proprio saperne: lei era nel torto ed io avevo ragione.
Abbastanza semplice come concetto, no?
Sposare uno sconosciuto era un'idea pressoché inconcepibile, che non stava né in cielo né in terra! Oltretutto faticavo a comprendere il tornaconto personale di quell'uomo, dato che la primogenita era Eva e nelle mie vene non scorreva neanche una goccia del sangue dei von Kleemt.
Avrebbe ereditato tutto lei.
I miei genitori adottivi non volevano sentire ragioni e per quanto riguardava le questioni sulla mia nascita, erano pronti a tutto purché la cosa restasse segreta; io stessa avevo scoperto la verità solo da pochi anni.
         Comunque, oramai era ufficiale e nel giro di qualche mese sarei diventata la moglie di un perfetto sconosciuto.
Ero contrariata, triste ed amareggiata, ma la cosa che più di tutte m'infastidiva, era quella di esser trattata come merce di scambio.
Cosa credevano che fossi? Una mucca?
James e Lamia avevano taciuto fino all’ultimo secondo sull’identità di questo fantomatico marito, almeno fino a quel giorno; e cioè il giorno del mio fidanzamento ufficiale. Quella sera, infatti, si sarebbe tenuto un ballo in onore del mio diciassettesimo compleanno, e i miei genitori avevano tutte le intenzioni di cogliere l’occasione al volo, annunciando così la felice conclusione dei loro nuovi affari.
         Arrabbiata, diedi un calcio alla gamba del tavolo e feci crollare altre pile di libri che a stento riuscivano a stare in equilibrio. Mi abbassai per raccogliere quello che avevo fatto nuovamente cadere, ma prima che potessi anche solo respirare, la porta della biblioteca si aprì scricchiolando.
         << Sapevo che eri qui. >> disse Eva con voce divertita.
         << Ed io sapevo che mi avresti trovato. >> affermai, senza però guardarla negli occhi.
         << Amelie, gli invitati arriveranno a momenti. Ti ricordo che questo ballo... >>
         << Sì, sì, lo so. Questo ballo è in mio onore! >> la interruppi cantilenando.
         Poi alzai lo sguardo su di lei e come sempre, provai un pizzico di ammirata invidia nei suoi confronti: pelle candida come la neve, leggermente rosea sulle gote; lunghi capelli color miele, lisci e setosi; occhi verdi come il mare e uno splendido vestito color panna, decorato qua e là con ricami preziosi fatti di pizzi e merletti raffinati.
Guardai lei, così bella, perfetta e poi, disgustata, abbassai lo sguardo su me stessa.
         << Amelie, ma che cosa hai fatto a questo vestito? >> domandò seccata, avvicinandosi per toccare lo strappo sulle maniche.
         << Si è rovinato. >> ammisi, dicendo semplicemente la verità.
         Eva non fece in tempo ad aprire bocca per rimproverarmi che dalla porta semi aperta, apparve Lamia con gli occhi fiammeggianti di rabbia e l’acconciatura bionda leggermente in disordine per la lunga corsa.
         << Amelie! Che cosa ci fai tu qui?! >>
         << Non vi preoccupate madre. Amelie stava per venire con me a prepararsi. >> rispose prontamente Eva al mio posto.
         Lamia guardò torva a entrambe. Era tanto bella quanto arrabbiata.
         << Ora? >> chiese sarcastica.
         << S- sì... >> risposi timidamente. << Ora. >>
         Per un attimo il suo volto sfiorò i toni del viola, ma seppe mantenere la calma celando la sua furia con maestria, assumendo un'espressione di ferro.
         << Amelie, prendi questo, è un regalo del tuo fidanzato. Indossalo. Fra dieci minuti vi voglio entrambe ad accogliere gli ospiti e… >>
         << Ma è impossibile! >> proruppe Eva scavalcando la voce della madre.
Lamia si girò di scatto verso la figlia con uno sguardo truce.
         << Eva, per favore. Non dire sciocchezze! Volere è potere. E Amelie deve essere pronta entro dieci minuti, non un secondo in più! >>
         Dopodiché, Eva fu quasi costretta dalla madre ad occuparsi sia del trucco che dell’acconciatura, senza l’aiuto delle domestiche, che erano fin troppo impegnate negli ultimi preparativi per il ricevimento.
         Strappò velocemente la carta della scatola contenente il regalo di quel tale, e m’infilò uno splendido vestito di seta blu, come la notte.
Rimasi sbalordita dalla raffinata squisitezza della lavorazione in pizzo sulla stoffa, ma purtroppo continuai a sentirmi poco a mio agio. D'altronde, ero la tipica ragazza che vestiva in modo pudico, quasi clericale, con abiti informi e gonne molto larghe. Tenevo spesso i capelli sciolti per nascondere il viso e una fascia restringente per coprire il seno. Non che odiassi il mio corpo, chiariamolo, ma non sopportavo l'idea che le persone potessero giudicarmi unicamente in base all'aspetto esteriore. Quindi cercavo di non attirare troppo l'attenzione, ma l’ampia scollatura del corpetto ricamato, faceva risaltare in modo provocante quel seno tanto procace che tentavo in tutti i modi di nascondere e che la silhouette slanciata dell’abito, sottolineava in maniera così evidente.
         Chissà se gli sarei piaciuta... o se sarei stata felice, con il mio promesso sposo?
Pur non volendo, continuavo costantemente a chiedermelo. Era paradossale, lo sapevo fin troppo bene... ma per un attimo, venni sfiorata dall’idea che forse sarebbe andato tutto per il meglio e che magari, una vota conosciuti, ci saremmo potuti innamorare perdutamente l'uno dell'altra; non per i nostri rispettivi titoli e proprietà, ma perché eravamo semplicemente noi stessi. Un uomo ed una donna come tanti. Due persone in procinto di condividere un'intera esistenza insieme.
         Quell'illusione, comunque, durò poco.
Con una ripresa incredibile, nel giro di pochi secondi tornai con i piedi a terra e sorrisi fra me e me. Meglio non lasciarsi andare a melense fantasticherie, perché in fin dei conti... si trattava solo di affari.
         Quando Eva finì l’opera nei dieci minuti prestabiliti, non volli nemmeno guardarmi allo specchio.
         << Mio Dio, Amelie. Sei bellissima! >> disse esaminandomi stupefatta.
         << Oh, grazie mille! >> risposi con euforia, mascherando dietro un amabile sorriso il fatto che non le credessi minimamente.
---
        
         Lui mi stava aspettando sotto il porticato, nella loggia inferiore sul lato nord della casa.
O almeno così mi aveva riferito Eva.
         Le avevo chiesto più volte di accompagnarmi, anche perché era piuttosto sconveniente per una signorina di buona famiglia aggirarsi sola di notte, tuttavia le mie suppliche non avevano avuto il successo desiderato.
         “È stato lui a volere così... ” aveva affermato Eva.
         “ E poi pensaci bene Amelie, sarà un primo incontro davvero romantico!” aveva aggiunto ammiccando con l’occhio.
         Fortunatamente, anche i miei genitori erano al corrente di quell’incontro tanto informale, tanto da dare la loro approvazione.
Intanto camminavo lentamente, fermandomi più volte e guardando spesso indietro, così da ritardare il più possibile il fatidico incontro.
È inutile dire quanto fossi curiosa riguardo all’identità del mio futuro sposo, eppure avrei preferito di gran lunga non doverlo mai incontrare.
         L'avevo spesso immaginato come un vecchio signore sulla sessantina, magari vedovo o qualcosa del genere, con baffi impomatati, barba folta e lunghi basettoni alla Francesco Giuseppe D’Asburgo. Ma proprio mentre avevo impresso nella mente l’immagine dell’Imperatore austriaco, ecco comparire davanti ai miei occhi Mr. Adam Faberschneider.
         Per un secondo, mi accarezzò il pensiero che fosse lui il mio fantomatico fidanzato, ma poi tornai con i piedi a terra, scuotendo lievemente il capo. Ma sì... doveva trovarsi da quelle parti per caso.
Dopo aver nascosto il mio turbamento dietro ad un'espressione educata e cordiale, mi avvicinai all'aitante gentiluomo che mi stava di fronte.
         << Buonasera, Amelie. >> mi salutò, prendendo la mia mano per baciarla.
         << V- vi siete perso, signore? >> chiesi timidamente, ignorando i suoi occhi per non distogliere successivamente lo sguardo come una bimbetta imbarazzata.
         << No. >> affermò piatto, percorrendo il mio corpo con gli occhi.
         << Mi trovo nel luogo giusto, al momento giusto. >>
         Come al solito, sentii le farfalle nello stomaco e il cuore accelerare il battito.
Nel bagliore lunare accentuato dalle illuminazioni esterne, i suoi occhi grigi parevano quasi argentati, come il riflesso della luna sul pelo dell'acqua.
         << E voi, Amelie, siete nel posto giusto? >> il tono mellifluo della sua voce, mi fece sobbalzare dalla vergogna.
         << S- sì. C- credo di si. >> balbettai in preda alle palpitazioni, poi, senza volerlo, mi rotolò fuori dalla bocca un incerto: << Voi invece state aspettando qualcuno in particolare, signore? >>
         “Sì, voi …” sognai ad occhi aperti che pronunciasse quelle parole, ma ero cosciente dell’assurdità di un tale pensiero.
         Lui sorrise mostrando i bei denti bianchi.
         << Sì, è voi che aspetto, mia cara. >>
         Lo guardai sbalordita, con gli occhi che sembravano volermi uscire fuori dalle orbite. Immediatamente mi diedi un bel pizzico sul braccio, così forte che urlai dal dolore. Alzai lo sguardo e lui era ancora lì, che mi guardava con aria decisamente confusa.
         << State bene? >> chiese gentilmente.
         << S- sì! Certo! >> farfugliai.
         Ma … no, non stavo affatto bene. O meglio, ero talmente felice da stare male per la troppa contentezza.
Non potevo credere che il mio promesso sposo fosse lui, il famigerato Adam Faberschneider, l'uomo più bello ed ambito dalle signore di mezza Inghilterra.
Nonostante sapessi che quello che mi stava accadendo non fosse un sogno, ancora stentavo a crederlo. Forse Dio aveva finalmente ascoltato le mie preghiere! Avevo passato intere notti a sperare in un suo sguardo durante le feste o nei salotti... sempre. I nostri genitori si conoscevano da tempo ed io potevo affermare di essere cresciuta insieme a lui, certo... sempre ad una debita distanza. Io e Adam avevamo parlato molte volte, ma il suo atteggiamento nei miei confronti era sempre stato di cordiale amicizia e mai avrei immaginato di destare il suo interesse.
         Per me, era sempre stato un amore a senso unico: mi bastava osservarlo da lontano per essere felice.
         Ma ora lui era lì, davanti ai miei occhi, vivido e concreto, con un sorriso angelico dipinto sul bel volto e la mano tesa verso la mia. Feci per afferrarla, ma a quell’immagine si frappose quella del mio sogno; l’uomo sconosciuto con il palmo proteso verso di me, i suoi occhi scarlatti che fiammeggiavano nei miei.
Spaventata, ritrassi velocemente la mano e Adam sorrise in modo bieco.
         << State tranquilla… >> disse, << Non vi mangio mica. >>
         Cercai di abbozzare un sorriso, ripetendomi mentalmente di stare calma.
Infondo era stato solo un brutto sogno.
Presi la sua mano, lui fece un lieve inchino e sfiorò con le labbra il dorso della mia. Poi mi prese a braccetto.
         << È ora di andare. >> dichiarò rivolgendo lo sguardo all’edificio principale che s’intravedeva dall’altra parte.
         << Non aspettano che noi. >>

 
***

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Capitolo 3
*** Incubo ***


Capitolo2

Incubo

 
_ Amelie_
        
         Non mi erano mai piaciuti eventi mondani come balli, ricevimenti e feste: li trovavo avvenimenti frivoli, superficiali e noiosi... proprio come le persone che vi prendevano parte.
         Un vociare di gente si alzò dalla sala da ballo quando un paggio, da sopra la sontuosa scalinata, annunciò ad alta voce i nostri nomi con eccessiva enfasi. Intimorita, mi strinsi al braccio del mio cavaliere, quasi per dimostrare a me stessa ancora una volta che era tutto vero.
         Scendemmo le scale e non appena Adam sostò sull’ultimo gradino, molti giovani gentiluomini e belle dame dai vestiti costosi lo circondarono di complimenti e di lusinghe.
Cosa analoga, accadde a me.
Non avevo mai avuto così tanta gente intorno, una miriade di persone che volevano congratularsi e stringermi la mano. E mentre io mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, Adam sembrava completamente a suo agio.
         Fummo inghiottiti dalla folla.
Nella confusione, il mio fidanzato si scusò dicendomi di aspettarlo poiché aveva alcune faccende da sbrigare. 
         Mi salutò con un casto bacio, posando le labbra sulla mia fronte. In quel momento, sentii le guance avvampare e il cuore scoppiare d'orgoglio. Lui era mio, ed io non riuscivo a capacitarmene.
Nel frattempo Eva se ne stava al centro della sala, circondata dalle mille attenzioni di aitanti gentiluomini, mentre Lamia e James, brindavano insieme ai loro amici e conoscenti, in prossimità del maestoso camino in alabastro che il precedente conte von Kleemt, Sir Edmund, fece importare direttamente dall'Austria.
         Mi guardai intorno.
Davanti a me si apriva quel mondo sfavillante e fiabesco con un arcobaleno di colori brillanti mossi a suon di musica. La sala era immensa, decorata da affreschi cinquecenteschi e arazzi preziosi. Enormi vetrate dipingevano la stanza di un blu notte, mentre il pavimento di marmo lustro e splendente rifletteva la luce bianca dei tre grandissimi lampadari di cristallo posti sul soffitto affrescato da un artista italiano del XIV secolo.
Mi sentivo tremendamente inopportuna, fuori luogo... eppure quella era casa mia.
Stufa di aspettare, cominciai a vagare senza meta per la sala. Ero preoccupata: tutti gli invitati erano arrivati, ma di Adam nessuna traccia. Sembrava essere scomparso, svanito nel nulla. Dileguato nell’aria.
         Ero così preoccupata che presi coraggio e cominciai a chiedere in giro, dapprima ai suoi genitori, poi ai suoi amici e successivamente ai conoscenti, ma nessuno sembrava averlo visto dopo che se n’era andato. Fu proprio quando gettai la spugna, che una cameriera dal sorriso sfavillante mi si avvicinò con passo incerto.
Era Marie.
         << Mademoiselle, ho ricevuto l’ordine di portarvi questo messaggio. È da parte di Mr. Faberschneider. >> ridacchiò.
         Afferrai il biglietto che mi porgeva, aprendolo con impazienza.

Raggiungetemi al più presto.
Vi aspetterò con ansia nella vecchia biblioteca, dove da bambini giocavamo a nascondino.
Adam


         << Davvero posso andare? >> chiesi imbarazzata a Marie che, conoscendola, doveva aver già letto il contenuto del bigliettino prima di consegnarmelo.
         Mi sembrava inappropriato lasciare la festa così su due piedi, per poi andare a incontrare il mio fidanzato in un luogo buio e isolato come la biblioteca.
         << Perchè no, milady? Mr. Adam vorrà farvi una sorpresa! Basterà non stare via per troppo tempo... non trovate?>> insinuò maliziosa.
         Ero talmente curiosa e felice che mi congedai velocemente e corsi al piano di sopra quasi canticchiando.
Di che sorpresa poteva trattarsi?
         Ero stata in quella biblioteca a dormire fino a qualche ora prima, ma in quel momento l’imbarazzo era tale da non riuscire più a respirare. Ad ogni secondo che passava il cuore mi saliva un po’ di più verso la gola.
Dovevo bussare o abbassare semplicemente la maniglia?
Era quello il dilemma.
         Volevo fargli anch’io una sorpresa, ma allo stesso tempo non volevo sembrare maleducata. Così optai per bussare educatamente e poi entrare, ma prima che potessi sfiorare la maniglia con una sola nocca delle dita, il gemito di una donna invase l’aria.
No, non poteva essere.
In quel momento pensai di aver sentito male, ma i gemiti cominciarono a intervallarsi con ritmi sempre più frenetici.
 Deglutii a fatica. 
Molto lentamente mi abbassai per sbirciare dalla serratura e quello che vidi, mi fece venire la nausea.
Era uno scherzo, vero?
Adam era il mio promesso sposo, noi due dovevamo... sposarci.
Mi rifiutai categoricamente di credere a quello che vedevano i miei occhi, ma non potei fare altrimenti.
La verità era lì, a pochi passi da me, e faceva male come un pugno ricevuto in pieno stomaco.
         A malapena riuscivo a respirare.
Tutte le illusioni che ormai da anni conservavo gelosamente nel cuore, si stavano sgretolando sotto i miei occhi. Erano andate in fumo.
Calde lacrime mi rigarono le guance, ma erano lacrime amare, avvelenate da quella vista oscena e disgustosa. Sentivo i versi di quella donna fin dentro le ossa.
         Adam si muoveva freneticamente sul corpo di lei gemendo a sua volta. Intanto la donna lo toccava con cupidigia, baciandolo e aggrappandosi alle sue membra muscolose con le mani e con le cosce. Gli bisbigliò all’orecchio parole indicibili e poi gli affondò le unghie nella schiena, facendolo gridare di piacere.
         Non volevo più guardare, eppure qualcosa mi spingeva a non distogliere lo sguardo.
Stanca di violentare così sadicamente i miei occhi, mi alzai da terra per girare i tacchi e andarmene, ma il corpo non diede ascolto alla volontà e senza quasi rendermene conto, mi ritrovai ad abbassare la maniglia, spalancando la porta.
         I due amanti si girarono di scatto verso di me.
         << Era questa la vostra sorpresa? >> chiesi con la voce rotta dal pianto, non riuscivo a parlare.
         Lui neanche si ricompose, anzi... rimase attaccato alle gonne della sua donna che continuava a guardarmi dall’alto verso il basso, con superiorità.
         << Lei è Cherry Bathorie. >> disse.
         La osservai distrattamente, con occhi velati, quasi vitrei.
Era una donna sfacciata, ricca di arroganza, senza pudore. Se ne stava tranquillamente appoggiata al tavolo, con le gambe in alto, allargate verso Adam. Il corsetto slacciato mostrava un seno piccolo, ricoperto da segni violacei, mentre i suoi occhi erano grigi, come quelli di Adam, e i suoi capelli rossi avevano lo stesso colore delle fiamme.
          Il ricordo del mio incubo riaffiorò e mi portai le mani alla bocca per fermare la nausea.
I due si guardarono in faccia e scoppiarono in una fragorosa risata.
         D’un tratto la mia vista annebbiata dalle lacrime, si fece improvvisamente chiara e nitida. Si baciarono, una, due, infinite volte, continuando quello che io avevo interrotto con la mia intrusione. Non parvero curarsi della mia presenza ma ogni tanto Adam si girava a scrutarmi di sottecchi, divertito. Giunti a quel punto, potevo benissimo andarmene, urlare a squarciagola fino a scatenare uno scandalo… ne avevo tutto il diritto, eppure non riuscivo a muovere un solo muscolo. Ero letteralmente paralizzata.
         All'improvviso però, la donna di nome Cherry s'allontanò dalla bocca di Adam, rivolgendo il capo verso di me.
Leggevo nei suoi occhi la boriosa soddisfazione di chi ha appena vinto un duello.
Mi studiò in silenzio per alcuni secondi, poi schioccò altezzosamente la lingua, trafiggendomi da parte a parte con lo sguardo.
         << Tesoro… vuoi forse unirti a noi? >> cantilenò.
         << Cosa?! >> gridai indignata. 
         << Bella idea, cherie!>> s'intromise lui con tono divertito. Dopodiché si rivolse a me sorridendo: << Non fissarci con quegli occhi disgustati, mia cara. È del tutto naturale avere un amante, lo era nei tempi antichi e lo è tuttora, perciò non dovresti stupirti più di tanto. >>
          << Come osate... con quale coraggio?! >> ruggii in preda alla disperazione.
         << Non sono obbligato a darti spiegazioni, Amelie. Se mi va di giacere con altre donne, lo farò con o senza il tuo consenso. Ho pensato che mettere le cose in chiaro fin da subito, avrebbe giovato al nostro matrimonio. >> rispose con sufficienza, quasi seccato.
         << E che mi dite dell’amore? Io vi ho sempre amato! >> urlai portando le mani sul cuore, mentre migliaia di spilli sembravano trapassarmi lo sterno.
         << Le mogli servono per governare la casa e fare figli, non per essere amate.>> rispose lui con sufficienza.
         Quelle sue parole, furono la goccia che fece traboccare il vaso.
L’ira cominciò a salirmi rapidamente al cervello, annebbiandomi i sensi. Provai l'ardente desiderio di strapparmi il cuore dal petto con le mie stesse mani e buttarglielo in faccia. Non ce la facevo più. Poi, il mio corpo si mosse da solo.
         Alzai una mano al cielo, e con tutta la forza che possedevo colpii il bel volto di Adam, che colto di sorpresa, non ebbe neppure il tempo di ritrarsi. La rossa urlò. Lui mi trafisse con lo sguardo, ma i suoi occhi d'argento non avevano più alcun potere su di me. Mi disgustavano e basta.
Gli voltai le spalle. Non sarei rimasta un secondo di più in quell'orribile posto.
         << È così che ringrazi la mia sincerità?! >> urlò imbestialito.
         << Te la farò pagare! >>aggiunse.
         << Lo giuro sul mio onore! >>
---
 
         Stanca di sentire le grida di Adam che inveiva violentemente contro di me, cominciai a correre alla ricerca di un qualsiasi posto dove andare.
La mia mente era nel caos più totale e le immagini che avevo appena visto danzavano davanti ai miei occhi come un vortice, ricolme di frustrazione e rabbia.
         Mi allontanai sempre di più, fino ad uscire in giardino. Non ricordavo che strada avessi preso per arrivarci, ma ormai ero lì, imprigionata nel labirinto delle siepi.
Rallentai il passo.
Era buio, il cuore sembrava volermi scoppiare e la lunga corsa aveva mozzato il mio respiro. Cercai di calmarmi. Adam ormai era lontano.
Continuai a seguire il sentiero formato dalle piante che sembrava essere infinito.
         C’era qualcosa di diverso nell’aria, un profumo strano, dolciastro, a tratti nauseabondo, come l’odore dei fiori appassiti. Il silenzio era inquietante. Mi sentivo osservata, spiata dalle ombre. Il cuore ricominciò ad accelerare e l’ansia si posò come piombo sul mio petto. Intanto, l’atmosfera stava diventando sempre più pesante, opprimente. La tensione faceva vibrare l'aria fresca della notte, portando con sé l'angosciante certezza di essere seguita.
         << Amelia… >> sibilò il buio.
         Un brivido agghiacciante mi corse lungo la schiena, facendomi tremare come una foglia.
Mi girai di scatto, ma non c'era nessuno dietro di me.
         Terrorizzata dal nulla, ricominciai a correre fra le siepi verdeggiati con quel sussurro spaventoso che mi rimbombava nella mente, come una maledizione. Il mio nome, era una maledizione, o forse... lo ero io stessa?
Stremata per la fatica, mi accasciai a terra davanti alla splendida fontana di Venere e Cupido. L'acqua zampillava cristallina ai piedi della dea, dando vita ad una piccola cascata che si riversava sulla parte concava della conchiglia sottostante. Mi sciacquai le mani, poi la faccia. Finalmente avevo trovato un po' di pace; una pace che però, non sarebbe durata a lungo.
         D’un tratto dalle ombre della notte, cominciarono a levarsi strani rumori, mugolii atterriti e rochi, dapprima sommessi e poi sempre più insistenti.
Decine di luci rosse si accesero nel buio.
Cercai di scappare ma qualcosa bloccava le mie gambe. Quelle ombre si avvicinarono, circondandomi e sibilando come serpenti le loro strane preghiere. Occhi vermigli splendevano nei loro volti putrefatti. Volevo gridare ma la mia bocca non emetteva alcun suono.
Le creature dei miei incubi s’erano incarnate in qualcosa di tangibile, di reale. Non erano più spettri relegati al mio inconscio.
Proprio come nel sogno s'impossessarono del mio corpo, buttandomi a terra e strappandomi di dosso le vesti con gli artigli e con i denti.
Cercai di divincolarmi, ma fu tutto inutile sotto quelle strette ferree. Prima ancora che potessero scalfire la mia carne con le zanne acuminate, si sentì un urlo disumano. Poi un altro... un altro, ed un altro ancora.
C'era odore di sangue, nell'aria.
Sangue bruciato.
         “Che cosa sta accadendo?” mi chiesi, senza capire a cosa fosse dovuto tutto quel trambusto intorno a me.
         Intanto io ero rimasta a terra, libera dalla presa di quei mostri.
Le urla e i versi spaventosi cessarono all’improvviso, proprio com’erano cominciati.
Riuscii a mettermi seduta raccogliendo i brandelli del mio vestito.
Mi girai più volte, convinta di essere ancora sotto lo sguardo di qualcuno. Provai la strana sensazione di aver già vissuto quella scena, forse nel mio incubo. Solo un sogno poteva essere così assurdo, eppure la stoffa lacera che avevo fra le dita e le ossa intorpidite dalla colluttazione, mi dicevano il contrario.
         Da lontano cominciarono a udirsi dei passi, un rumore inquietante seguito da fastidiosi crepitii del selciato. L’acqua cessò di uscire dalla fontana e un brivido di terrore mi fece rizzare i peli sulle braccia.
Il vento sibilò fra gli alberi e una figura maschile fece capolino all'interno del mio campo visivo.
         Il chiarore lunare illuminava a malapena la sua sagoma minacciosa che... aveva decisamente qualcosa che non andava. La posa del corpo era scomposta e la testa leggermente inclinata da un lato. Impaurita, mi rannicchiai su me stessa sperando con tutte le forze, di stare ancora sognando.
Ma così non fu.
Quell'essere rimase lì, immobile, a fissarmi.
Deglutii a fatica e rimpiansi amaramente di essere nata.
Lui s'inginocchiò ed un raggio di luna lo colpì in viso mentre si abbassava.
Non disse nulla, non fece nulla.
Restammo così a fissarci per un attimo eterno.
Sentivo il cuore salirmi in gola e scendere nello stomaco subito dopo. Non avevo mai visto degli occhi così belli… limpidi.
Sembravano ghiaccio.
         Annaspai improvvisamente alla famigliare sensazione che provai nell’incontrare quello sguardo. Qualcosa di strano mi attirava contro quella persona ed io ignoravo completamente cosa fosse. Lo temevo come la morte stessa, ma con la medesima intensità desideravo conoscere ogni particolare del suo volto a me celato dalla notte, comprendere perché all'improvviso, delle lacrime cominciarono nuovamente a sgorgarmi dagli occhi.
Poi capii.
Volevo gridare, spaccare tutto e sfogarmi. Ma riuscivo solo a piangere.
Quello sguardo così bello e calmante mi stava completamente stregando. Fui pervasa dalla stessa, strana sensazione del mio sogno; e così, senza ragionarci nemmeno un secondo, ignorando sia la ragione che il buon senso, mi buttai tra le braccia di quello sconosciuto e mi sfogai come non mai. Lui non si spostò né mi respinse. Rimase semplicemente fermo dov'era, senza fare una piega. Al contatto col suo corpo, sentii quella sensazione così bizzarra aumentare vertiginosamente, di colpo, dopodiché nelle mie narici entrò un profumo dolcissimo, sembrava… sembrava, oh, non so nemmeno io che cosa sembrasse, ma era l'odore più buono che avessi mai sentito.
Mi lasciai inebriare da quell’aroma delizioso e per qualche istante mentre piangevo a dirotto, mi sentii al sicuro. Protetta.
         Alzai di poco lo sguardo, giusto il tempo di scorgere quei suoi magnifici occhi, ma quello che vidi, mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.
         Rosso.
I suoi occhi si erano tinti di rosso! Ardevano nei miei, come fiamme.
         Cercai di indietreggiare, ma lo sconosciuto dagli occhi scarlatti mi bloccò entrambe le braccia con una sola mano. Aveva agito così velocemente che non ebbi il tempo di rendermene conto. L’unica cosa che riuscivo a distinguere era il colore sgargiante dei suoi occhi. Quelli di un mostro, di un demone, o peggio, quelli del mio incubo.
         Poco dopo, sentii il suo respiro solleticarmi il volto.
Teneva la mia testa inclinata, immobilizzata dalla sua stretta forte come l’acciaio. Avevo paura, ma inspiegabilmente ero affascinata da quell’essere spaventoso. L’impulso di sopravvivenza mi diceva di gridare a squarciagola, di dimenarmi e di lottare, insomma… di fare qualcosa, una qualsiasi cosa! Ma le sue dita fredde e forti mi serravano le labbra.
         Poi si avvicinò lentamente, aprì la bocca… e un istante dopo, sentii un dolore pungente lacerarmi alla base del collo.
L’odore del mio sangue si sparse nell’aria come incenso profumato. Sembrava che mi avessero perforato la gola con delle lame da cucina. Poi il colore del sangue invase la mia testa. Lo vedevo ovunque: a terra, sui vestiti, sulla mia pelle e all’interno dei suoi occhi.
Mi ardeva dentro come magma.
         Lentamente, i miei sensi cominciarono ad affievolirsi.
Mi sentivo stanca, debole… assonnata. Percepivo a malapena la morbidezza delle sue labbra calde sulla pelle, con la vaga coscienza dei suoi denti affondati nella mia carne.
         Le palpebre si fecero pesanti e il dolore fu ovattato da un dolce tepore.
         Piano, piano persi completamente i sensi e sprofondai di nuovo in quell’incubo infernale… intrappolata in uno spiraglio rosso, scarlatto come il sangue.
 
***

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Capitolo 4
*** Inizia Il Gioco ***


Capitolo 3

Inizia Il Gioco

_ Miguel_
        
        Il dolce profumo del sangue si sparse nell'aria, mescolandosi malamente col rancido fetore emanato dal terreno.
Trattenni il respiro, dopodiché chiusi gli occhi. La mia mente iniziò a lavorare rapidamente, analizzando a fondo qualsiasi cosa i miei sensi fossero stati in grado di percepire oltre l'orizzonte in fiamme. Migliaia d'informazioni s'affollarono nella mia testa simultaneamente, come l'acqua dei fiumi che sbocca nel mare.
         D'un tratto, trovai ciò che cercavo.
Era la voce di una donna che gridava a squarciagola, disperatamente, quasi volesse lacerare l'aria che le stava intorno.
Poi le urla si fecero più forti, più penetranti, rimbombando tra il fumo e le fiamme, fin dentro le mie ossa.
Rabbrividii e senza rendermene conto, cominciai ad inseguire quel suono disperato.
Chi era?
Cosa le era accaduto?
Quella voce mi stava chiamando: invocava me, il mio aiuto... ed ormai non c'era più tempo.
La sentii salire di tono e arrochirsi di botto, fino a svanire.
Ci furono altri due strilli, intensi, straziati, poi il silenzio s'impadronì dell'aria.
         Le lingue di fuoco si attenuarono e mi ritrovai sotto gli occhi l'agghiacciante scena del massacro. Pensai immediatamente d'intervenire e di ucciderli tutti, uno ad uno ma dovetti desistere.
Inghiottii il groppo che avevo in gola, sottomettendo me stesso alla lucida e fredda razionalità del mio cervello.
Dovevo aspettare e non essere avventato.
Finii così per mascherare magistralmente la mia presenza dietro alle fiamme, mimetizzandomi con tutto il resto. Intanto, quei mostri infernali se ne stavano lì, in gruppo, ammassati l’un l’altro come un branco di cani rognosi, in lotta per aggiudicarsi il miglior pezzo di carne. La ragazza, di cui vedevo a malapena i capelli giaceva a terra, immobile, sotto il peso di quei corpi putrefatti in movimento.
          “Eccola” mi dissi, “L'ho trovata”. 
         Era lei la Chiave, il pezzo mancante del puzzle.
Ma lo dimenticai all’istante.
Senza rendermene conto, mi lasciai eccitare dall’odore dolciastro di quel sangue e come diretta conseguenza, abbassai le difese, rendendomi visibile agli occhi di quelle creature.
Una volta fiutata la mia presenza, i Ghuldrash si dileguarono nel nulla, senza nemmeno attaccare.
Rimasi un po’ perplesso dalla loro strana reazione ma non me ne curai più di tanto, anzi, ringraziai il cielo per non esser stato costretto a sporcarmi le mani con creature di così basso livello.
Dopodiché guardai a terra e sorrisi amaramente.
Ero arrivato troppo tardi?
         Mi avvicinai lentamente alla pozza di sangue, quel tanto per verificare quanto fosse ridotto male il cadavere, ma con stupore, trovai la ragazza ancora intatta, viva e vegeta come se nulla le fosse accaduto. Non era ferita, ma aveva giusto qualche graffietto che si rimarginava a vista d’occhio sulla pelle nuda, ricoperta da strani marchi ricurvi, disegnati col sangue.
         Cominciai a fissarla con cupidigia, incapace di distogliere lo sguardo. I miei sensi erano in subbuglio, i nervi a fior di pelle e il flusso cardiaco accelerato. Non avevo mai visto nulla di più bello e allettante in tutta la mia vita.
Ed era mia.
Lo sapevo, l’avevo sempre saputo e... anche lei lo sapeva.
Cominciai a desiderarla ardentemente e non come un cacciatore faceva con la propria preda, no, ma in modo più basso, più terreno… come potrei dire?
Umano.
         Sentivo di poter precipitare nell’abisso scuro dei suoi occhi e non tornare più a galla.
Per un attimo che sembrò eterno, soffermai lo sguardo sulle sue morbide curve, accentuate da quegli strani disegni.
Aveva un corpo bellissimo, ben proporzionato e formoso.
Qualsiasi uomo sarebbe impazzito per una donna del genere, ma io non ero affatto umano e non era normale, per uno della mia stirpe, provare quel tipo di attrazione. Lasciai stare i motivi stilizzati che le percorrevano il petto prosperoso, per posare gli occhi sulla bocca appena dischiusa, soffice e piena, rossa come un rubino. Dei lunghi capelli castani dai riflessi ramati le scendevano sul corpo e dietro la schiena in morbide onde, fino al sedere. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, i miei occhi non facevano altro che divorarla pezzo per pezzo, saggiando ogni centimetro del suo corpo.
         Accadde però che il desiderio puramente umano di prima, si tramutò in perversa brama di sangue.
 Gli occhi iniziarono a bruciare e nel giro di pochi secondi si accesero di sangue, diventando scarlatti. Le zanne stimolate dalla fame, si allungarono, pungendomi il labbro inferiore. Ormai era troppo tardi: nessuno poteva fermarmi, tantomeno me stesso.
         Le tesi la mano, gentilmente, e dalla mia bocca scivolò languidamente un nome sconosciuto, nostalgico... estremamente famigliare.
         “ Amelia... ” dissi, e lei, rapita, si alzò in piedi, avvicinandosi senza distogliere lo sguardo.
         “Prendi la mia mano” sussurrai, attirandola verso di me.
Bastò un attimo per farla cadere nella mia trappola, come una splendida farfalla impigliata nella tela del ragno.
         Afferrò la mia mano, le nostre pelli si toccarono, ed io, incapace di resistere, l’attaccai, precipitando in una voragine profonda, densa, rossa come il sangue.

---
 
         Così finiva il mio sogno e nello stesso identico modo, era terminata la notte precedente.
Un sogno premonitore?
Forse.
Non credevo nel fato, nella predestinazione ed altre sciocchezze simili, ma trovare quella ragazza sola, di notte, in un posto così isolato... era stato decisamente un brutto scherzo del destino.
         Certo, avevo sbagliato e non avrei dovuto aggredirla, ma in quel momento, non ne avevo potuto fare a meno.
Era facile crogiolarsi nel rimorso col senno di poi, eppure, proprio come nel sogno, ero stato travolto dal corso degli eventi e ancora non riuscivo a capacitarmene. Non avevo mai provato nulla di simile; un desiderio così grande, soffocante, capace di levarmi il fiato e farmi contorcere lo stomaco dal dolore.
Avevo pensato ingenuamente di averla salvata dalla minaccia dei Ghuldrash, sottovalutando la mia di pericolosità. Ma soprattutto, non potevo credere di essere stato così vorace, ingordo e avido come quella notte.
Dov’era finito il mio freddo distacco?
La mia moderazione e il gelido autocontrollo di cui andavo tanto fiero?
Non ne avevo la minima idea.
Anche perché durante il ballo, mi ero nutrito abbondantemente. Prima da una graziosa fanciulla per niente dispiaciuta delle mie attenzioni, e dopo da un’altra dama desiderosa di donarmi un po’ del suo sangue.
La caccia, tutto sommato si era rivelata abbastanza proficua e non avevo bisogno di nutrirmi ulteriormente.
Ma quella ragazza mi aveva assuefatto il cervello.
Avevo bevuto da lei con una tale bramosia da far paura persino a me stesso, e quando mi ero accorto del gigantesco errore che avevo commesso; scoprire che quella, non era altro che la figlia della contessa von Kleemt, era stata una sorpresa di cui avrei fatto volentieri a meno.
         “Beh, pazienza” pensai annoiato.
         Infondo non me ne importava poi così tanto, anzi. Ero stato anche piuttosto sagace nel contenermi. In fin dei conti, Amelie von Kleemt non era altro che cibo, per me.
Delizioso, vero, ma pur sempre cibo.
         D’un tratto però, il filo logico dei miei pensieri venne interrotto dalle urla di quella donna tediosa, che come una furia, irruppe nella stanza scardinando quasi la porta.
         << Tu... lurido mostro schifoso! >> dopo avermi letteralmente sputato contro quelle parole, cercò di ricomporsi e prese posto dietro la scrivania del marito.
         << Suvvia, contessa… non scaldatevi troppo, ho un tremendo mal di testa. >> dissi portando una mano alla tempia.
         Colse immediatamente l'ironia nella frase, tanto che il viso le divenne paonazzo dalla rabbia.
         << E dimmi, hai la minima idea di cos’hai combinato?! >>
         << Ho commesso un errore, tutto qui. Non avrei mai dovuto attaccare vostra figlia, questo è vero. Ma cosa volete? Che m’inginocchi di fronte a voi implorando miseramente pietà?>>
         << Non osare prenderti gioco di me, Miguel! >> disse digrignando i denti.
         Fece un lungo respiro e poi col capo indicò la poltrona vuota di fronte alla scrivania.
Rifiutai gentilmente di sedermi e restai in piedi vicino alla finestra.
         << Quello che hai fatto ieri notte… Miguel, è imperdonabile. Amelie ha una grave malattia del sangue. Non si tratta di semplice anemia, è qualcosa che nemmeno i migliori medici hanno saputo catalogare. La mancanza di sangue la porta a continui svenimenti ed attacchi di febbre. Quando era bambina, le crisi erano meno frequenti, ma ultimamente gli intervalli di tempo sono via via diminuiti. Si teme che non riesca a superare la soglia dei vent’anni! >> fece una lunga pausa, poi riprese con voce sconsolata.
         << È per questo che avevo deciso di farla maritare il prima possibile! E tu, cosa fai? Non solo distruggi la sua festa di fidanzamento uccidendo quegli “esseri” lì fuori, ma l’aggredisci senza pietà, come la peggiore delle bestie! >>
Tuttavia, le parole della contessa von Kleemt vennero interrotte da un pianto isterico.
         << Non ne avevo idea. >> dissi gelidamente.
La donna si voltò verso di me, gli occhi lucidi, accusatori… pieni di odio.
         << Beh, adesso ne sei a conoscenza. >>
         << Che intenzioni avete? >> chiesi sfoggiando un sorriso sghembo, solo per assaporare il gusto di averla messa in difficoltà, dato che conoscevo già la risposta.
<< Oh, se solo potessi… ti ucciderei con le mie stesse mani! Sia te, che tutta la tua razza immonda… ma ho bisogno di te, Miguel. Ho bisogno della tua forza, della tua prontezza di riflessi e soprattutto della tua protezione, anche se… >>
         << “Anche se” cosa? >> la incalzai.
         << Beh, dopo quello che è accaduto ieri notte, dubito che potrai servire ai miei propositi. >>
         << Nella lettera che mi avevate inviato… non specificavate di quali “propositi” si trattasse, contessa. >>
         << Oh, suvvia. Sai benissimo di cosa parlo. Ho un… diciamo che ho un conto in sospeso con quella persona – se così possiamo definirla – ed io temo che possa vendicarsi sulle mie due bambine, soprattutto Amelie. È lei quella che va protetta maggiormente. Mia figlia Eva gode di ottima salute… ma Amelie, è molto più vulnerabile. So bene quanto il suo aspetto esteriore dimostri il contrario, ma è poco più che una bambina! >>
         << Una bambina, eh… >> sussurrai impercettibilmente, tanto che la contessa Lamia non dovette avvertire che un sospiro.
         Eppure, ripensando alla ragazza che avevo attaccato la notte appena trascorsa, mi venne da ridere. Poteva esser considerata tutto, fuorché una bambina.
         << Quindi... mi state dicendo che il mio compito, consisterebbe nel proteggere la vita della vostra adorata “bambina”. Fino a questo punto, tutto chiaro, ma... non avevate accennato alla presenza di un futuro marito, o sbaglio? Potrebbe benissimo proteggerla lui, anzi... ritengo che la mia presenza sia alquanto superflua in questo caso… >>
         << No, Miguel… non sbagli, ma Adam non è minimamente in grado di difenderla. Quei mostri hanno fiutato il suo odore e ho il sospetto che possano attaccarla di nuovo. Sai meglio di me che per distruggere quelle creature delle semplici armi non sono sufficienti. Ci vuole ben altro....quindi, desideravo affidare questo incarico a te, o almeno quelli erano i miei propositi fino a ieri sera. Ora come ora, non credo proprio che tu possa proteggere mia figlia. Non quando a malapena sei riuscito a controllarti prima di ucciderla. >> l’affermazione della contessa mi irritò parecchio, colpendomi nel vivo.
         Da quando in qua permettevo a una stupida ragazzina di mettermi così in ridicolo?
Quella dannata aveva il nefasto potere di annullare la mia volontà e rendermi succube del suo sangue.
Avevo lasciato Vienna con la scusa di quell’incarico, tanto valeva restare e portarlo a termine, no?
         Di certo avrebbe giovato ai miei piani e se davvero “quella persona” aveva dei conti in sospeso con la contessa Lamia, non potevo far altro che accettare la sua proposta.
Era un'opportunità da cogliere al volo.
Sin dall’arrivo della sua lettera avevo acconsentito, ma dopo “l’incidente della fontana”, se così vogliamo definirlo, la mia convinzione aveva un tantino vacillato.
         Odiavo perdere, soprattutto quando c’era di mezzo il mio orgoglio.
         << Accetto l’incarico, contessa. >> dissi occupando la poltrona di fronte a lei.                
         Allargai le gambe, appoggiandomi languidamente allo schienale.
         << Proteggerò voi e le vostre figlie. >> aggiunsi.
         Poi un sorriso tetro nacque sul mio volto.
         << Chissà, dopotutto potrebbe rivelarsi un gioco piuttosto interessante… >>

 

***

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Capitolo 5
*** Dove Finisce La Realtà ***


Capitolo 4

Dove Finisce La Realtà

 
_ Amelie_
        
         Molto lentamente aprii gli occhi, vedendo tutto quello che mi circondava sotto quella strana velatura rossa.
Tuttavia, restai calma ed immobile nel letto.
 Non avevo voglia di agitarmi, tantomeno di mettermi a gridare come l’ultima volta. A che sarebbe servito, se non a sprecare inutili energie? 
Quel velo scarlatto pian piano si stava dissolvendo, automaticamente, lasciando il mio campo visivo libero da quella fastidiosa coltre rossastra. L’elaborato orologio a dondolo appeso al muro, segnava le undici di mattina. Che cosa singolare... non ricordavo di essermi coricata tardi, eppure sentivo la testa leggera, quasi vuota, come se durante il sonno fossero svanite tutte le mie preoccupazioni.
Cos’è che era accaduto? Non riuscivo a ricordare.
         Spostai di poco lo sguardo e, davanti a me, vidi Lamia seduta su una poltrona imbottita, poco lontana dal bordo del mio letto.
Strano.
Aveva i lunghi capelli biondi sciolti dietro la schiena e il volto affondato fra le mani. Sembrava disperata.
D’istinto mi spostai in avanti, verso di lei, ma un dolore indescrivibile mi trafisse il collo, come una pugnalata in piena carotide. Urlai talmente forte da far crepitare i vetri delle finestre.
         << Amelie, piccola mia! Finalmente ti sei svegliata! Come ti senti? Stai bene?>> domandò con voce ansiosa, quasi stridula.
         << M-mi fa male il collo >> cercai di dire, ma la mia mente era nel caos più totale.
         << Madre, vi scongiuro… ditemi che cos’è successo! >> le ordinai, sforzandomi di alzare la voce.
         Dal canto suo, Lamia si limitò a fissare la fasciatura che mi cingeva il collo.
I suoi occhi erano tremendamente duri, furenti.
         << Non ricordi proprio nulla? >> sussurrò, distogliendo di colpo lo sguardo.
         All’improvviso i ricordi vennero a galla; rivedevo attraverso gli occhi della mente lui, il mio promesso sposo, allacciato convulsamente alle cosce di quella donna. Poi un altro flusso di immagini spezzettate. La notte, il buio, il giardino immerso dalle ombre… quella paura indescrivibile e la costante sensazione di essere spiata. Sentivo tutte quelle emozioni in modo amplificato, vivido, intenso. Come se le stessi rivivendo una seconda volta. Mi portai istintivamente entrambe le mani alla nuca, piegandomi in avanti dal dolore. Mi stavo sentendo male, avevo la nausea e la testa mi girava in continuazione. No, non volevo ricordare. Eppure fu impossibile arrestare il flusso dei pensieri che mi riportarono alla memoria l’individuo dagli occhi scarlatti.
         Lasciai cadere le mani sulle coperte e rimasi per molto tempo in silenzio, con lo sguardo fisso sulle mie dita.
         Ci volle un po’, ma alla fine trovai la forza per parlare.
         << Cos’erano, quegl’esseri? >> sussurrai a fil di voce.
         Lamia prese la mia mano, stringendosela forte tra le dita.
         << Li chiamano Ghuldrash. >> rispose. << Belve divoratrici di carne umana. C'è stato un tempo in cui erano ancora esseri umani…>>
         << Ma cosa state farneticando, madre? >> chiesi sconvolta dalle sue affermazioni.
         Doveva essersi scolata come minimo una bottiglia di sherry a stomaco vuoto per vaneggiare simili sciocchezze con tanta naturalezza.
         << Non sto delirando, bambina mia. Tu mi hai fatto una domanda e io ho semplicemente risposto. I Ghuldrash sono un pericolo reale. Li hai visti con i tuoi stessi occhi, no? Non puoi negarlo. >>
         Ci fu un lungo minuto di silenzio e da una parte, dovetti ammettere di sentirmi rincuorata. Più volte avevo temuto di aver perso il senno, ma a quanto sembrava quelle creature non risiedevano solo nei miei incubi.
         Esistevano veramente.
         << E questa… >> dissi indicando la ferita. << Anche questa, è opera loro? >>
         La mamma strinse i pugni e scosse il capo.
         << No, Amelie… >> rispose fra i denti. << Quella è l'opera di un demonio. Ne esistono veramente pochi di quella razza e sono tutti incredibilmente forti. >>
         Nel sentir pronunciare quelle parole, un brivido di terrore mi corse lungo la schiena facendomi tremare dalla testa ai piedi.
         << Un demonio!? Cosa intendete dire?! >> gridai terrorizzata.
         Lamia, con un gesto veloce mi tappò la bocca.
         << Zitta, non urlare! In questa casa anche i muri hanno le orecchie. Voglio che la cosa rimanga segreta!>>
         La guardai sbalordita, con gli occhi che sembravano volermi uscire fuori dalle orbite.
         << Segreta…>> parlottai incredula. 
La crisi di nervi era sempre più vicina; non sapevo più a cosa pensare.
Dove finiva la realtà?
E dove la fantasia? 
         Una parte di me sentendo il dolore della ferita, iniziava a credere a quelle affermazioni assurde su mostri, cadaveri e bevitori di sangue; mentre l’altra, quella più ragionevole ed assennata, rifiutava ogni singola parola, catalogando il tutto come un’enorme, colossale e gigantesca frottola.
         Cercai di trattenermi, ma alla fine scoppiai in un pianto isterico.
         << Ma cosa dite? >> singhiozzai. << Mi rifiuto di credere alle vostre parole! E anche se fosse tutto vero, mi chiedo perché? Perché? U-un mostro o qualsiasi cosa sia, mi assale e… e d-devo pure star zitta? Per di più mantenendo il segreto? No… non posso permettere che si ripeta ancora ciò che mi è acc… >>
         << Non accadrà più. >> m’interruppe una voce maschile.
         Mi girai di scatto verso la porta, ignorando il dolore che proveniva dal collo. Era strano, ma avevo la sensazione di aver già assistito a quella scena. Poi lo vidi e il mondo smise di girare.
         Lui era lì, appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto in modo arrogante e sfrontato. Portava ancora il soprabito addosso che, a giudicare dal taglio austero e raffinato, doveva sicuramente costare un occhio della testa. Mi sforzai di chiudere la bocca. Dovevo ammettere di non aver mai visto un uomo con dei lineamenti simili… così delicati e marcati allo stesso tempo.
         Posai dapprima lo sguardo sugli zigomi alti, ben cesellati, notando con crescente incredulità quanto fosse sconvolgente la sua bellezza. Aveva un naso fine, perfetto e delle labbra sensuali, né troppo sottili né troppo carnose. I suoi capelli erano di un castano molto scuro, lisci, forse un po’ scompigliati, mentre la sua pelle era chiara, anzi… leggermente olivastra. Quel tanto da contrastare in modo sublime con gli occhi azzurri e dal taglio lievemente allungato.
         “Che occhi”  pensai sentendomi a disagio, con una crescente sensazione di ansia e preoccupazione.
         Rimasi paralizzata nel riconoscerli.
Erano gli occhi del mio aggressore: sia onirico che reale.
         Con orrore, lo guardai avvicinarsi lentamente alla mia matrigna e baciarle la mano. Al contatto con le sue labbra, Lamia fece una lieve smorfia per poi rivolgere lo sguardo altrove. Per nulla offeso, si girò verso di me, guardandomi apertamente in volto. Mi sentii trafitta dal ghiaccio liquido dei suoi occhi, che con insistenza, sembravano volermi divorare.
         << Amelie, ti presento il signor Meterjnick; Miguel Meterjnick. >> esordì Lamia con  un sospiro, dopodiché digrignò i denti.
         << Miguel, lei è Amelie von Kleemt, mia figlia. >>
         Lui accennò un lieve sorriso e senza togliermi gli occhi di dosso si rivolse a Lamia come se io non fossi stata presente.
          << Come sta…? >>
         << Guardala tu stesso. Infondo, l’hai ridotta tu, così. O forse sbaglio? >>
         << No, non sbagliate mia cara contessa. Ma piuttosto, perché non dite alla vostra graziosa figlioletta in che cosa consiste il mio compito? >> disse sfoderando un sorriso tagliente.
         << Di cosa sta parlando, madre? >> la pregai.
         << Beh… da oggi in poi, Miguel sarà il tuo precettore. Baderà a te in mia assenza e si occuperà della tua istruzione.>>
         Non potevo credere alle sue parole.
         << Come? >>
         << Hai sentito bene, bambina mia. >>
         << M- ma cosa dite? Siete forse impazzita?! È lui, madre! Lui è quel mostro che mi ha attaccato la scorsa notte! Vi rendete conto?!>> urlai disperata. << E poi io, sto per… >> le parole mi morirono in gola.
         “Sto per sposarmi” avrei voluto gridare ma, al ricordo di Adam, del piombo si posò alla base del mio petto, soffocandomi il respiro.
         << Adam non è in grado di proteggerti, ma Miguel si. >> intervenne Lamia.
         Mai furono pronunciate parole più vere, perlomeno nella prima parte della frase. Per quanto riguardava la seconda… beh, era pura blasfemia.
         << Nella parola 'proteggere', rientrano anche questo genere di cose? >> dissi indicando la benda.
         Ero impaurita ed arrabbiata, ma riuscii comunque a trattenere le lacrime.
         << È stata la prima ed ultima volta, milady.>> dichiarò solennemente, <>
         Oh... non gli credevo affatto, ma ovviamente doveva esser stato lui a scacciare quei Ghuldrash. Puntò i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Lamia, e lei, dopo nemmeno un secondo ci squadrò entrambi con rammarico.
         << Bene, vi lascio soli. >> affermò stizzita.
         Avrei voluto fermarla e dirle di cacciare immediatamente quel pericoloso individuo dalla mia camera, ma ero così sconvolta che a malapena riuscii a guardarla in faccia. Non trovando resistenza, Lamia si dileguò nel nulla, sbattendo la porta con forza. Oh, no... io e quel Miguel, eravamo rimasti soli.
Sentii il mio cuore mancare un battito. Poi lui si avvicinò ed io, istintivamente, portai la mano sul collo per coprire la ferita.
         << Vi ho fatto male, vero? >> disse con voce vellutata, mentre con la punta delle dita sfiorava lievemente la fasciatura.
         << No, non toccatemi! >> urlai terrorizzata.
Senza fare una piega, ritirò il braccio appuntando ancora una volta i suoi occhi nei miei. Improvvisamente, il tempo parve fermarsi ed il mondo si ristrinse all'interno delle sue pupille.
Sentivo la testa così leggera, esistevamo solo noi due, io e lui.
Ei suoi occhi.
Mi sentivo così legata a quegli occhi, dannatamente intrecciata al loro destino.
Ma perché?
Perché mi stregavano a tal punto?
         Lui sorrise, e quel ghigno tanto sfacciato mi fece ritornare bruscamente alla realtà. Oh, non osavo immaginare che tipo di faccia dovessi aver fatto per farlo sghignazzare in modo così insolente e, imbarazzata, girai il capo dall’altra parte.
         << Vogliate perdonarmi. >> affermò per nulla pentito.  
         << Ho sbagliato con voi, la notte scorsa. Non mi sarei dovuto nemmeno avvicinare. >> aggiunse poco dopo senza espressione nella voce, contraendo la mascella.
         Avevo i nervi a fior di pelle.
         << V- voi mi chiedete scusa? Dopo avermi quasi dissanguata, signore, non pensate che sia un po’ poco? >> gracchiai.
         Sì, mi aspettavo delle scuse da parte sua, ma sincere. Come minimo un segno di rammarico, qualcosa… ma quell’impudente girò i tacchi e si diresse verso la porta come se nulla fosse.
         Poi si voltò verso di me, lentamente, con aria fiera, gelida, quasi beffarda.
Gli angoli della sua bocca si curvarono all'insù, disegnando il più enigmatico dei sorrisi; dopodiché portò il dito indice sulle labbra, facendomi segno di stare zitta.
Fui pervasa dall'irrefrenabile voglia di cacciarlo via a calci, sì... stavo quasi per farlo, ma in quell’istante i suoi occhi parvero fiammeggiare e il cuore che avevo nel petto, si mise a martellare senza preavviso contro la gabbia toracica.
         Miguel sorrise di nuovo e se ne andò, lasciandomi sola, in compagnia del battito traditore del mio cuore.

_ Miguel_
        
         Come primo compito, la contessa Lamia mi aveva ordinato di raccogliere informazioni su una certa Miss Bathorie.
A quanto risultava, la sera precedente, mentre io ero impegnato a “cenare”, qualcuno della servitù aveva visto il futuro genero della contessa, in atteggiamenti alquanto – intimi? – con una donna dai capelli rossi.
Dopo varie ricerche, avevo scoperto l’identità della misteriosa ragazza che, faceva parte della famiglia Bathorie, nota nell’alta società grazie alla cattiva fama di usurai e barattatori di titoli nobiliari.
         Era logico che Lamia volesse fare luce sull’accaduto, ma mi seccava il fatto che fossi proprio io ad occuparmi del lavoro sporco. Infondo quella Cherry Bathorie, non era altro che l’amante del fidanzato di Amelie, cosa del tutto normale, anche se di bassa etica morale.
Sorrisi fra me e me.
Se si fosse sparsa la voce, ci sarebbero state gravi ripercussioni, non solo sulla famiglia von Kleemt, ma anche sulla casata dei Faberschneider che ultimamente navigava in cattive acque. Credevo ben poco che quel Piccolo Tarlo di Amelie avesse scoperto la tresca dei due amanti, ma in quei pochi minuti che ero riuscito a stare nella stessa stanza con lei senza saltarle addosso, avevo capito che qualcosa, a proposito del fidanzato, l’aveva turbata.
Ovviamente, sapevo che forse il suo strano comportamento era dovuto al timore che provava nei miei confronti, eppure qualcosa non mi tornava… perché aveva reagito in quel modo?
Bah, infondo di che m’impicciavo io?
Dovevo solo tenerla a bada, uccidere qualche carogna schifosa ed aspettare. Aspettare la Luna Scarlatta.
         Comunque cominciavo a pensare che quella ragazza andasse guardata a vista. Amelie era una fonte inesauribile di guai, non solo per se stessa ma anche per gli altri. Però, dovevo ammettere di essermi abbastanza divertito a giocare con lei poco prima nelle sue stanze. La ragazzina aveva un bel caratterino e rispondeva a tono. Inoltre s’imbarazzava facilmente e mandarla nel pallone mi metteva di buon'umore. Tuttavia, la sua presenza mi creava non pochi problemi; primo fra tutti, il suo profumo. Non riuscivo a spiegarmelo, ma l’odore del suo sangue aveva uno strano ascendente su di me. Nonostante sazio e appagato dallo spuntino della notte precedente, non mi bastava, ne volevo altro, sempre di più.
Chissà come sarebbe stato affondare di nuovo i denti in quella carne soffice, perforare quel collo delicato, sempre più giù, ancora più in profondità… fino a sentire quel calore pulsante nella gola e stringere con tutte le mie forze il suo corpo indifeso tra le mie braccia.
         << Per l’amor del cielo! Non qui! >> disse eccitata Cherry Bathorie, avvinghiandosi mollemente al collo di quel Faberschneider.
         Mi ero quasi dimenticato della presenza di quei due; era un’ora che stavano appartati dietro quel vicolo ad amoreggiare, e ancora non avevano combinato nulla. Avevo seguito la ragazza fino in città; dopo esser scesa da una vettura si era infilata nei vicoli di una zona disabitata dell'East - end, dove era facile incontrarsi con lui in pieno giorno. Nel guardarli, non potei far altro che chiedermi perché quell’idiota non avesse scelto lei come moglie, invece di Amelie. In fin dei conti anche la Bathorie apparteneva all’aristocrazia, ma riflettendoci bene, la sua dote doveva essere cosa di poco conto se comparata a quella dei von Kleemt. 
         << Ti voglio... >> bisbigliò lui, la voce arrochita dal desiderio.
La ragazza non era brutta, ma neppure bella. Personalmente, non l’avrei scelta nemmeno come spuntino pomeridiano. Il suo viso era scialbo, banale, quasi completamente punteggiato di lentiggini, mentre il resto del corpo sembrava appartenesse ad una ragazzina. Era arido, acerbo, con un petto poco sviluppato e i fianchi stretti, leggermente androgini. Mi piacevano le rosse, ma quella proprio non mi attirava.
Intanto lui cercava di alzarle le gonne, ma la Bathorie si ritraeva con maestria, spostandogli le mani dalle gambe al seno. Fece aderire ancor più sensualmente il corpo a quello dell’amante. Gli sussurrò qualcosa nell’orecchio, dopodiché cominciò a muovere ritmicamente le anche, per poi rifiutarlo una seconda volta.
Che tattica!
Quella Miss Bathorie era una vera esperta nel come far eccitare un uomo. Le pulsazioni cardiache del poveretto erano aumentate, la pressione sanguigna si era alzata fino alle stelle e, con disgusto, ne immaginai la diretta conseguenza fisiologica. Lui la desiderava e lei si faceva desiderare. Non era forse quello, il miglior modo per tenere al guinzaglio un uomo?
D’un tratto, lei lo scansò: << No! >> gemette.
         << Oh, andiamo! Che colpa ne ho io, se quella sgualdrinella s'è fatta male? >> urlò irritato Faberschneider.
Aguzzai immediatamente l’udito, sicuro che stessero parlando di Amelie.
         << Certo, certo. Non sai niente e non hai nessuna colpa, tu! Ma ricorda: finché non la sposerai, io non ti darò un bel niente, mio caro! >> sbraitò lei, allacciandosi frettolosamente i bottoni del corsetto.
         << Ma tesoro mio... Cosa stai dicendo? Se non sbaglio sei stata proprio tu a volere che ci scoprisse! Se ti fossi controllata, lei non avrebbe sospettato nulla e noi ci saremmo potuti accaparrare la sua dote senza il rischio di uno scandalo! Ora invece... pendiamo dalle labbra di quella stupida ragazzina! >> esclamò esasperato.
         La Bathorie dal canto suo cominciò a sghignazzare cingendolo con le braccia.
         << Oh, non credo che questo sia un problema! Prima o poi sarebbe venuta a saperlo comunque. Noi abbiamo solo accelerato un po’ i tempi. >> rispose con sufficienza.
         << Dobbiamo solo sperare che non venga a galla questa storia prima del matrimonio, altrimenti ne sarà intaccato l’onore dei Faberschneider! >> mormorò lui contro le sue labbra.
         Lei scoppiò a ridere.
         << Tu e il tuo onore! >>
Poi ci fu un altro flusso di risolini acuti, decisamente fastidiosi per le mie orecchie.
         << Puoi stare tranquillo, mio caro. Quella sciocca ragazzina ti ama a tal punto che pur di sposarsi con te, calpesterebbe il suo di onore. Almeno adesso si è resa conto dell’incommensurabile differenza che c’è tra me e lei. >> e così dicendo, ridacchiò un'altra volta, rompendomi quasi i timpani.
         << Te lo devo proprio dire… sei stata perfida… >>
Lei sorrise, come se le avessero appena fatto un complimento.
         << Che male c'è? Volevo solamente umiliarla un po’. Noi Bathorie abbiamo dei conti in sospeso con la sua famiglia... e poi quella sua aria afflitta da cucciolo impaurito mi ha sempre fatto venire i nervi. Non la posso proprio soffrire! >> starnazzò la rossa.
Non aveva peli sulla lingua, eh?
<< Suvvia, non è poi così male… >> affermò lui sorridendo.
<< Ma stai scherzando, spero! Si vocifera persino che non sia veramente figlia dei von Kleemt, ma una trovatella adottata alla nascita... e si permettono di prometterla in sposa a te! Che assurdità! Poi fosse bella… il suo viso è mediocre e il suo corpo, volgare. >>
         Dopo quell'affermazione, mi venne quasi da ridere: chi era che possedeva un volto mediocre ed un corpo volgare? Di certo non Amelie.
         << Hai pienamente ragione, mia cara... >> e dicendo così, le si aggrappò di nuovo addosso, ricominciando a spogliarla.
         Le lusinghe ebbero l’effetto desiderato e lei si concedette senza tanti preamboli. Ero stufo di stare lì ad osservare, ma dovetti resistere e continuare il mio lavoro. Cosa ci trovava quell’Adam di così attraente in una prostituta di quart’ordine come Cherry Bathorie?
Amelie non gli andava bene?
Era un tale imbecille da preferire una ranocchia ad una principessa?
         In quel momento una leggera voglia di andare lì e prenderlo a pugni mi fece formicolare le mani. Che soddisfazione sarebbe stata, vedere il suo corpo a terra, insanguinato e privo di sensi, magari accompagnato dalle urla di terrore della Bathorie. Scacciai a malincuore il pensiero di dare una bella lezione a quel verme. Magari un'altra volta…
         Terminato l’amplesso, i due amanti si rivestirono, uscirono di soppiatto dal vicolo deserto e Adam chiamò una carrozza. Sostituire il cocchiere, fu fin troppo facile, ma purtroppo il mio carico di lavoro era raddoppiato.
         << Lascia fare a me, amore mio... quella piccola sgualdrinella è innamorata perdutamente del sottoscritto. Pende dalle mie labbra e sta pur certa che non oserebbe mai fare qualcosa contro di me. Ci penserò io a lavorarmela per bene e vedrai… una volta sposati, la sua dote sarà nostra! >> ribadì Adam con tono sornione dall’interno dell’abitacolo.
         << Oh si! E dopo averla ripulita per bene, chiederai l’annullamento del matrimonio, vero? Una donna divorziata, se ripudiata dalla famiglia, finisce irrimediabilmente sulla strada!>> cinguettò la Bathorie.
         Dall’abitacolo della carrozza si levarono delle risate, poi altre ed altre ancora.
Avevo i nervi a fior di pelle. Irritato come non mai, tirai violentemente le redini dei cavalli, facendo arrestare improvvisamente la carrozza.
         Quando lady Bathorie si sporse dal finestrino per controllare a cosa fosse dovuto tutto quel fracasso, trovò i cavalli distesi a terra, privi di vita con la gola lacerata dalle briglie.
         Del cocchiere nessuna traccia.

 
***

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Capitolo 6
*** Al Chiaro Di Luna ***


Capitolo 5

Al Chiaro Di Luna

_ Amelie_
        
        Durante la giornata non avevo fatto assolutamente nulla, se non poltrire nel letto ed assumere strane medicine.
Il dottor Ravaléc era stato molto chiaro: evitare di alzarsi dal letto e non fare sforzi di alcun genere… il che significava, oziare dal mattino alla sera.
Non che mi dispiacesse, ma dopo un po’ il “dolce far niente” diventava noioso e l’ultima cosa di cui avevo bisogno era restar troppo tempo da sola con i miei pensieri. Soprattutto perché l’immagine di quel Miguel, non faceva altro che tormentarmi.
         Verso le cinque del pomeriggio, Lamia e James vennero a farmi visita. Eva, che si trovava già nella mia stanza, accolse allegramente i genitori abbracciando prima il padre e baciando delicatamente sulla guancia la madre. Ma Lamia aveva l’espressione corrucciata e non diede molta importanza  alle dimostrazioni d’affetto della figlia.
         James, accortosi della reazione delusa di Eva, posò una mano sulla spalla della moglie e incitò Lamia a parlare.
         << Perdona tua madre, Eva. Ma abbiamo brutte notizie.>> proruppe James al posto di Lamia, che continuava a fissarmi con un'espressione indecifrabile.
         << Cos’è successo?>> chiesi un po’ timorosa.
         Lamia sospirò e appoggiandosi al braccio del marito, cominciò a parlare. 
         << Il fidanzamento è stato annullato.>> disse.
         Eva per lo stupore fece cadere a terra il vaso a cui stava cambiando l’acqua.
         << C- cosa?>> sibilai incredula.
         << Hai sentito bene, bambina mia...>> affermò James tirando fuori dalla tasca del panciotto un biglietto firmato dal Adam.
          Lamia strappò il foglio dalle dita guantate del marito e si avvicinò per mostrarmelo. Afferrai quel pezzo di carta come se fosse stato cosparso di veleno e con prudenza, lo aprii per svelarne il contenuto.
         Era una lettera di scuse, inviatami dai genitori di Adam, che spiegava, oltre all’inadeguatezza del figlio, anche i motivi che l’avevano spinto a diventare mio marito. Sottolinearono più volte di averlo diseredato; non solo per la sua cattiva condotta ma, soprattutto, per l’affronto che aveva mosso a me e a tutta la mia famiglia.
         Alzai lo sguardo verso di Lamia; evidentemente lei si aspettava una qualche mia reazione dovuta alla disperazione o all’umiliazione di essere stata abbandonata, ma io non reagii. Rimasi muta a fissare le pareti dietro di lei che, a mano a mano, si tingevano dei caldi colori pomeridiani.
         << Oh, Amelie... Mi dispiace tanto. Deve essere dura per te.>> bisbigliò Eva che aveva letto la lettera alle mie spalle.
         << No, non preoccuparti. Non fa niente.>> affermai con tranquillità.  
         Stavo bene, davvero.
Non sentivo il bisogno di piangere semplicemente perché non avevo più lacrime da versare. Soprattutto per uno come Adam.
Nel pensarci mi venne quasi da ridere, anzi dovetti proprio trattenermi per non farlo. Dopo quello che avevo scoperto la sera precedente, ero pronta a far finta di niente e sposarlo comunque, perché infondo, ne ero sempre stata innamorata.
Ma ora, la notizia che non mi volesse nemmeno come copertura per le sue scappatelle... era degradante.
Valevo così poco?  
Come avevo potuto immaginare di sposare Adam accontentandomi esclusivamente della nostra unione sulla carta?
Un matrimonio solido era fondato su ben altro. Non sulla convenienza e la totale sottomissione, ma bensì sull'amore, la fiducia ed il rispetto reciproco, cose di cui ero testimone giorno dopo giorno osservando Lamia e James.
         Affranta, mi lasciai cadere all’indietro, battendo la schiena sul materasso morbido e caldo.
Non volevo avere nessuno intorno, nemmeno i miei famigliari… anzi, soprattutto loro. Sorrisi debolmente e congedai tutti quanti dichiarando di avere un tremendo mal di testa. Per mia fortuna, nessuno osò contrariarmi.
         Rimasta sola nella stanza, decisi di alzarmi una vota per tutte dal letto, per andare alla finestra e ammirare il tramonto con le sue sfumature vermiglie.
Molto presto però, mi accorsi che quel colore purpureo mi dava la nausea.
Non volevo ricordare l’aggressione subita da quei mostri ma fu quasi impossibile fermare il flusso dei miei pensieri. Poi, dall’alto, notai che con i suoi ultimi raggi, il tardo crepuscolo estivo illuminava un cespuglio di rose bianche appena sbocciate.
         Rimasi un po’ di tempo appoggiata al davanzale, ma poi decisi di uscire.
Che senso aveva restare chiusa in camera a crogiolarmi nel dolore?
Proprio non ce la facevo. 
Avevo bisogno di distrarmi, di pensare ad altre cose, di dimenticare tutto e ricominciare da capo. Volevo concentrarmi solo sulle cose belle della vita, accantonando tutto ciò che mi feriva.
         Con un po’ di fatica riuscii ad infilarmi la vestaglia sulla camicia da notte e, una volta fuori dalla mia camera, scesi le scale a rilento, sperando che non mi colpisse una vertigine.
         Non conoscevo bene la mia malattia; Lamia non me ne parlava mai, ma in cuor mio, sapevo che c’era.
 I dottori continuavano a chiamarla “anemia”, ma sospettavo che si trattasse di qualcosa ancora più grave. La sentivo sempre lì, in agguato, come un predatore in attesa del momento propizio per attaccare. Ogni tanto mi capitava di svenire, avere piccoli capogiri e sentirmi debole come un fuscello. Altre volte ancora, sopraggiungevano improvvisi attacchi di febbre.
 Ora che quel mostro di Miguel mi aveva quasi dissanguato… non osavo nemmeno immaginarne le conseguenze.
         Arrivata in giardino, cercai con lo sguardo quel cespuglio in fiore, candido come la neve.
Il cielo si andava via via imbrunendo ma questo non impedì al biancore delle rose di risplendere nel buio. Ero ansiosa di raggiungerle, tanto che accelerai il passo e, senza accorgermene, inciampai su un dislivello del terreno finendo col sedere a terra. Mi sbrigai ad alzarmi e con una strana ansia nel cuore, ripresi la ricerca, non curandomi della perdita delle pantofole.
          “Devo sbrigarmi!” pensai fra me e me.
         Ma cosa mi stava accadendo?
Forse, per via dell’oscurità, il mio cuore stava diventando sempre più inquieto.
         Raggiunsi il cespuglio ansimando per la corsa e spinta da chissà quale pensiero, presi una delle rose spezzandone il gambo.
 La tirai via con violenza, talmente forte che mi ferii le dita con le spine.
 Stranamente, non provai dolore ma piacere.
Il sangue si addensò sulla puntura per poi scivolare velocemente sulla pelle e scendere a piccole gocce sui petali candidi della rosa. A quella vista, la gola cominciò a farmi male e con sorpresa, mi resi conto che più tingevo i delicati petali di rosso e più la rosa diventava bella, incredibilmente eterea e fragile.
         Completamente ammaliata da quella visione, e senza nessun nesso logico, cominciai ad insistere su più punti della ferita facendo uscire una maggiore quantità sangue. Provai un'inquietante soddisfazione nel vederlo sgorgare. Poi, una sensazione strana, elettrica, mi fece accapponare la pelle. Ero così stordita, e allo stesso tempo eccitata. 
         Improvvisamente, il mio corpo si mosse da solo.
Afferrai con forza la rosa  - non curandomi delle spine che si erano infilzate sul mio palmo - , e leccai bramosamente ogni goccia di sangue che si era posata sui petali bianchi.
Ma non mi bastava.
Gettai furiosamente la rosa a terra, avventandomi sulle ferite che mi ero appena procurata.
Mi sentivo strana… il mio sangue, era strano.
Caldo, denso e delizioso.
Aveva un sapore particolare, sapeva di ruggine e di miele mischiato a qualcos’altro impossibile da identificare.
Possibile che fosse così buono?
Cominciai a sentire caldo.
         Lasciai stare la mano ferita e con un gesto fluido, slacciai la vestaglia, facendomela scivolare addosso e cadere a terra. Feci un passo in avanti alzando lentamente gli occhi al cielo.
Davanti a me, c’era solo la luna: non vedevo altro che lei.
         Il mio sguardo rimase incollato sulla sua superficie argentea, e rapita da quella candida bellezza, mi arrampicai su una panchina di pietra, alzando il braccio verso il cielo.
Volevo sfiorarla, toccarla, prenderla e cullarla tra le mie braccia.
Lei era lì per me, lo sapevo.
Ecco, mi bastava allungare la mano un po’ di più per avere quasi l’impressione di afferrarla… c’ero quasi, ma qualcosa mi tirò giù, facendomi barcollare.
Era Lamia.
         << Amelie! Amelie!>> gridava, mentre ignorandola, continuavo a fissare l’astro che splendeva alle sue spalle.
         << Amelie! Che cosa ci fai qui?! È notte! E…>> d’un tratto si interruppe bruscamente.
         Sentii le sue mani scuotermi con forza, ma la luna non voleva lasciarmi andare.
          << Per l’amor del cielo, riprenditi!>> mugolò arrivando persino a schiaffeggiarmi.
         << Non guardare la luna!>> urlò con tutte le sue forze... ma non volevo distogliere lo sguardo.
         Non capiva che era impossibile, per me?
D'un tratto qualcuno mi sollevò da terra, portandomi via.
         Cominciai a scalciare e a dimenarmi furiosamente.
Con gli occhi cercavo il cielo, ma prima che potessi accorgermene, mi avevano bendato. Poi, colsi un profumo famigliare, simile all’odore delle rose. Lasciai che quella fragranza mi avvolgesse completamente, come un candido velo.
         Dopodiché, mi abbandonai a quel dolce abbraccio sentendo il mio corpo sempre più leggero, quasi fluttuante.
Chiusi gli occhi, perdendo lentamente i sensi. 
         Che cosa bizzarra... mi ero dimenticata persino della luna.

_ Miguel_

         Stavo perdendo la pazienza.
Guardavo quella porta chiusa di sottecchi, sperando che il conte e la contessa decidessero finalmente di andarsene.
Lamia, di tanto in tanto mi fissava, cercando di studiare le mie reazioni, mentre suo marito, il conte James von Kleemt si limitava ad ignorarmi.
Sapeva chi fossi e del perché mi trovassi lì, ma non pareva volersene curare.
         Intanto, me ne stavo appoggiato al muro, con le mani incrociate sul petto.
Non vedevo l’ora che il dottore uscisse.
Era frustrante, ma ancora non riuscivo a capire cosa fosse accaduto a quella ragazza.
         Circa mezz’ora prima, Lamia era venuta da me in lacrime gridando ai quattro venti che la sua “adorata bambina” era svanita nel nulla. Inizialmente, aveva cercato di incolpare il sottoscritto, ma si era dovuta ricredere quando successivamente, un servitore disse di aver visto la contessina in giardino.
Una volta arrivati, trovammo Amelie in piedi su una panchina, con le mani ferite e un braccio rivolto verso la luna.
Era stata un’impresa ardua calmarla, ma alla fine, in qualche modo ce l’avevo fatta. Ed ora era lì, addormentata dietro quella porta.
Non riuscivo a spiegarmi quel suo strano comportamento e la cosa mi faceva innervosire ancora di più; la luna sembrava averla stregata, rendendola completamente succube.
Ma perché?
Che fosse Amelie, la Chiave di tutto?
 No, non poteva essere.
Amelie era solo ragazzina e io... io non potevo rimanere ancora per molto tempo a Londra, almeno non in quel periodo.
Ormai era questione di tempo, qualche mese forse, ma prima o poi, volente o nolente il “Sigillo” si sarebbe rotto.
Ed io cosa facevo?
Mi trovavo nell’unico posto da cui sarei dovuto tenermi a debita distanza!
         Ispirai profondamente: l’odore del suo sangue impregnava l’aria, mettendo a dura prova l'autocontrollo che mi era rimasto.
La cosa migliore da fare per entrambi era che io mi dileguassi, ma non riuscivo a farlo.
O forse non volevo.
         Finalmente la porta si aprì.
Il dottor George Ravaléc uscì dalla stanza seguito dalla primogenita dei von Kleemt, Eva.  L’uomo aveva il volto segnato dal tempo, con delle profonde rughe sulla fronte e ai lati della bocca. Dei lunghi baffi grigi incorniciavano le labbra sottili, rattrappite, mentre il capo era parzialmente sprovvisto di capelli.
Tutto in quella persona sembrava appassire, deteriorandosi a vista d'occhio, come i fogli di carta bruciati dalle fiamme di un camino. Solo lo sguardo rasentava ancora la vivacità di una mente sveglia, dotata di una straordinaria intelligenza.
Con quegli stessi occhi, guardò con aria perplessa prima la contessa e poi il conte.
         << In anni e anni di esercizio medico…>> disse, << Non ho mai visto una persona sopravvivere con così poco sangue in corpo.>>
         Lamia sembrò agitarsi.
         << Come sta?>> chiese.
         Il dottore la guardò intensamente.
         << Vostra figlia sembra stare bene, l’effetto del sonnifero dovrebbe svanire fra qualche minuto, quindi, è meglio lasciarla riposare. Per quanto riguarda le ferite, sono solo graffietti, deve essersi punta con i rovi delle rose…>>                                                           
         Fece una pausa, poi riprese, sollecitato dallo sguardo apprensivo della contessa.
         << Credo si tratti di sonnambulismo. Altrimenti, non saprei a cosa attribuire il suo strano comportamento. Capita spesso al giorno d’oggi, di imbattersi in casi simili.>>
         << Possiamo parlare di queste cose anche nel mio ufficio.>> si affrettò a dire il conte von Kleemt, lanciandomi furtivamente un'occhiata. 
         Lamia approvò in pieno la proposta del marito, dopodiché si appoggiò torpidamente al braccio di Eva, congedandosi. 
         << Ora puoi anche andare, ragazzo.>> mi disse l’anziano medico sorridendo educatamente.
         Feci un segno d'assenso col capo.
Conscio di essere rimasto solo, m’inoltrai nella stanza, seguito soltanto dalla mia ombra.
         Entrando, una zaffata di profumo mi colpì in pieno volto e, per un solo istante, vidi tutto sotto la solita luce rossastra di chi è eccitato dalla presenza di sangue. La stanza era molto buia, illuminata a malapena dalla luce di una candela.
Le finestre, come ordinato da Lamia, erano state chiuse.
         “Non voglio che si veda la luna!” aveva urlato disperata.
Mi avvicinai, facendo molta attenzione a non fare rumore; se Amelie si fosse svegliata, avrei corso il rischio di essere scoperto e non volevo che si mettesse a urlare. Poi, nel vederla un sorriso nacque sulle mie labbra.
Era mille volte più bella di quanto ricordassi, così terribilmente invitante mentre dormiva beata in quel letto che fu difficile darsi una calmata.
Lamia aveva ragione, dannatamente ragione.
Amelie sembrava sul serio una bambina.
Dolce e indifesa.
Vulnerabile… decisamente troppo.
Un nodo mi si bloccò in gola.
I suoi lunghi capelli erano sparsi disordinatamente sul cuscino disegnando strane onde dai riflessi ramati.
Avrei voluto afferrarne una ciocca e giocherellarci un po’ per saggiarne la morbidezza, ma mi trattenni: non dovevo correre rischi inutili. 
         Subito dopo lasciai cadere lo sguardo sulla sua bocca, appena socchiusa… pallida. Esangue. Con la punta delle dita, le sfiorai il collo bendato e la chiazza rossa sulle fasciature mi macchiò i polpastrelli.
         “Vattene!” urlava la parte razionale del mio cervello, ma gli occhi le si erano incollati addosso e non avevano alcuna intenzione di staccarsi.
Più guardavo quella ragazza, più la bestia voleva uscire, saltarle addosso, sbatterla a terra e possederla fin nel profondo, per poi dilaniarle la gola con le zanne…
Non avevo mai visto tanta purezza in tutta la mia vita e l’unico desiderio che avevo, era dissacrarla. Sporcandola con le mie stesse mani.
Provavo odio per lei. La volevo così tanto… e non potevo averla.
Stinsi forte i pugni, fino a conficcare le unghie nel palmo della mano.
No, non potevo resistere a tanto.
Bruciato dal desiderio, e ardente di collera girai i tacchi per andarmene ma qualcosa bloccò il mio soprabito.
         << C- chi vi ha dato il permesso di entrare?>> disse debolmente, senza lasciare il lembo di stoffa.
         Cercai di nascondere l’eccitazione rossa dei miei occhi e con molta fatica, mi girai verso di lei, fingendo indifferenza.
         << Vostra madre, milady.>> dissi automaticamente, sforzandomi di mantenere un tono freddo ed impassibile.
         Lei mi guardò terrorizzata: si vedeva lontano un miglio che mi temeva come la morte stessa, eppure non lasciava mai il mio sguardo.
         << E perché ci siete solo voi, qui? Dove si trovano gli altri?>> 
         << Non sono affari che vi riguardano.>> dissi sorridendo beffardamente.
         No. Non sarebbero bastate mille donne per appagare quel malsano desiderio, né mille, né un milione.
Volevo solo lei, la desideravo con una tale intensità da volerla uccidere.
Solo mia, solo per me… e finalmente capivo, perché la contessa Lamia fosse tanto preoccupata per Amelie.
Lei aveva qualcosa di anormale… il suo sangue, era anormale.
Paragonabile all’Ambrosia, il leggendario nettare degli dei… nessun demone avrebbe potuto resistere a una tale tentazione, io prima di tutti.
E non potevo averlo.
Nessuno poteva averlo!
         La rabbia fece cadere la maschera di calma e compostezza che mi ero costruito con tanta fatica, rivelando il rosso eccitato dei miei occhi.
Lei si ritrasse, cercando protezione sotto le coperte.
Voleva urlare, ma prima che potesse farlo, le strappai le coperte di mano, facendola cadere all’indietro, sul cuscino.
         In un attimo le fui addosso, sovrastandola col mio corpo.
Sentivo il suo respiro caldo infrangersi sulla mia pelle come le onde facevano sulla sabbia. Il cuore le batteva a mille, causando un aumento del flusso sanguineo. Il profumo della sua pelle, mescolato a quello del suo sangue, mi annebbiava i sensi, facendomi perdere il lume della ragione.
         Posai lo sguardo sul suo corpo e per un attimo la mia vista si annebbiò.
 La scollatura della camicia da notte, mostrava un bel seno, morbido e pieno… chissà come sarebbe stato, conficcare le zanne in un punto così soffice?
 Incuriosito, avvicinai il volto, scoprendole il petto con una mano.
Al contatto con l’aria fredda, la sua pelle s’inturgidì. 
Non avevo mai visto nulla di più bello, credevo che non esistesse tanta perfezione nel mondo.
Immediatamente, cercò di ribellarsi, scalciando con i piedi e graffiando la mia pelle con le unghie.
Non lo sapeva che mi stava facendo il solletico?
Bloccai le sue braccia con una mano e insediai una gamba fra le sue cosce, così da fermare col mio peso anche quelle.
Ormai non ero più in me.
La volevo… volevo tutto di lei.
La sete mi ardeva nella gola e la coscienza del suo petto bollente ed ansante sotto il mio, mi stava facendo impazzire.
         << Farai meglio a stare zitta, ragazzina…>> le sussurrai delicatamente all’orecchio per poi scendere sul collo e strapparle via la benda con i denti.
         Aprii la bocca, e lentamente cominciai a lambire con la punta della lingua i due forellini rossi che le avevo lasciato la sera precedente.
Erano roventi, pulsanti, pronti per essere aperti una seconda volta.
         Le zanne stimolate dalla fame si allungarono, gli occhi fiammeggiarono e infine...
 

***
 

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Capitolo 7
*** Oltre La Porta ***


Capitolo 6

Oltre La Porta

_ Amelie_
        
         La luce tenue delle candele illuminava a malapena la stanza e si rifletteva sulle pareti tingendole con diverse sfumature, che variavano dall’arancio all’ambra e nei punti più in ombra anche al rosso.
L’atmosfera era calda, densa, talmente carica di elettricità che sentivo la pelle frizzare a contatto con l’aria.
Quella luce soffusa riempiva di riflessi dorati i suoi capelli scuri, che in certi punti si univano ai miei, dando origine a strani disegni sulle lenzuola candide. Avevo gli occhi lucidi, sbarrati per la paura, e le pupille dilatate. Il mio corpo scottava e il cuore -che già da prima batteva a mille -ormai aveva preso il volo, incitato dalla vicinanza di Miguel.
         Oh, Miguel… Il suo bel corpo sovrastava possente il mio, fungendo da gabbia e le spalle ampie da mura invalicabili. Sapevo di dover lottare con tutte le mie forze, ma la paura mi aveva pietrificato.
         Intanto lui continuava a fissarmi intensamente, divorandomi con lo sguardo. Aveva gli occhi scarlatti, affamati… desiderosi di sangue.
Infinitamente provocanti.
Schifata dai miei stessi pensieri, cercai di girare il capo dall’altra parte ma lui si avvicinò costringendomi a guardarlo in faccia. Le sue labbra erano così vicine, tanto da poter sentire il suo respiro fresco infrangersi sulla mia pelle come una brezza primaverile.
         Improvvisamente, mi scoprì il seno, arrivando quasi a strappare la stoffa della camicia da notte. Lo spacco della scollatura era aperto e frusciava, oscillando convulsamente mente alzavo ed abbassavo il petto. Ma non provai vergogna, no... ero troppo scioccata per permettermi di farlo. Lo vidi appuntare il rosso rilucente dei suoi occhi sulla pelle nuda del seno; sembrava volerlo divorare con lo sguardo, strappando quella carne soffice a morsi.
Pezzo per pezzo.
Poi, di nuovo i suoi occhi.
Erano profondi, voraci… incredibilmente penetranti.
         Mi mancava l’aria.
Ero terrorizzata e allo stesso tempo sentivo salire dal basso una strana eccitazione. Provai a respingerlo, scalciando e graffiando la sua pelle ma i miei colpi parevano carezze. Miguel, dall’alto della sua posizione, mi cinse con le braccia, immobilizzandomi dapprima con una mano e successivamente, insediando una gamba fra le mie cosce.
         << Farai meglio a stare zitta, ragazzina.>> sussurrò dolcemente, la voce vellutata come una carezza.
         Scese sul mio collo e con i denti strappò via la benda che lo cingeva.
La ferita cominciò a pulsare, sia per il contatto con l’aria che per la sua lingua che con delicatezza spaziava da un forellino all’altro.
Sentii un brivido correre su tutto il corpo e, subito dopo, le fiamme tornarono a infuocarmi la pelle.
         Socchiuse le labbra, le sue zanne acuminate brillarono, i suoi occhi scarlatti scintillarono e … No!
---
         Mi svegliai di colpo, inzuppata di sudore fino al midollo.
Sconvolta, cominciai a guardarmi intorno col timore di trovare Miguel nella stanza. Fortunatamente lui non c’era.
Dovevo aver fatto nuovamente uno strano sogno, sì: non poteva essere altrimenti.
Il mio inconscio faceva brutti scherzi, ultimamente.
         Avevo i sensi così eccitati che non sarei riuscita a dormire nemmeno con una dose di sonnifero per cavalli, ma dovevo assolutamente riprender sonno; sapevo che se fossi rimasta sveglia, i miei pensieri avrebbero preso una strana piega e non volevo. Così senza accorgermene portai una mano al collo e quando tastai la parte ferita, mi accorsi che la fasciatura era scomparsa.
         “Che strano...” pensai.
         Doveva certamente essersi staccata mentre dormivo.
Cercai la benda ovunque per poi ritrovarla sotto le coperte.
Sembrava che l’avessero strappata a morsi.
Incredula, mi guardai il petto e vidi la camicia da notte aperta, i bottoni a malapena si reggevano nelle asole e il seno era scoperto.
Un brivido di terrore mi corse lungo la schiena.
         Quel sogno … era stato il frutto della mia fervida immaginazione, vero?

_ Miguel_

         Chiusi l’arma con un semplice gesto, spingendo la pietra rossa verso l’interno. Avevo ripetuto quell’azione così tante volte, da svolgere tutto in automatico, senza riflettere.
Mi portai il ciondolo al collo e lo nascosi sotto il colletto della camicia.
L'oro che lo placcava era freddo, e la pietra rossa che giaceva al suo interno ancora grondava sangue; meglio che nessuno la vedesse.
         Schifato, mi guardai dapprima le mani incrostate di sangue e poi i vestiti logorati dalla battaglia.
         “Peccato...” pensai, quel completo mi piaceva.
         Sbuffai in modo seccato.
Neanche tre bagni consecutivi sarebbero riusciti a togliermi di dosso quella puzza infernale: un odore tanto sgradevole quanto pesante, opprimente come il peso del cielo.
Questa volta però, quegli esseri ripugnanti mi erano parsi differenti, più deboli forse?
         I loro corpi giacevano ancora a terra, distesi in modo scomposto, privi di vita. Quei Ghuldrash in poco tempo avevano cominciato a decomporsi, per poi polverizzarsi e svanire nel nulla lasciando il pavimento imbrattato di sangue. Feci un lungo sospiro e con fare annoiato, mi diressi verso gli appartamenti assegnatimi dalla contessa Lamia per soggiornare all'interno della villa.
         Fortunatamente, la comparsa di quei mostri mi aveva impedito di azzannare per la seconda volta il collo di quel Piccolo Tarlo; maledizione, ci ero andato veramente vicino… qualche secondo di ritardo e l’irreparabile sarebbe accaduto.
Non volevo pensarci, ma per una volta quelle carogne erano apparse nel luogo giusto al momento giusto.
Certo, mi era costato tempo e fatica ammazzarli tutti, però dovevo ammettere che... infondo, erano serviti per sbollire non solo la rabbia, ma anche la fame.
         Scesi le scale e mi ritrovai al secondo piano, a pochi passi dalla camera di Amelie.
La luce delle candele s’intravedeva al disotto della porta.
Lei era agitata, lo capivo dai battiti accelerati del suo cuore che risuonavano come tamburi nelle mie orecchie; ma cosa ci faceva ancora sveglia?
Ricordavo perfettamente che prima di lasciare la stanza, ero riuscito a farle perdere i sensi... eppure, sentivo i suoi respiri affannosi e il rumore dei suoi passi sul pavimento.
Il desiderio di spalancare quella porta e riprendere da dove avevamo interrotto mi tentava come non mai, ma cercai di darmi una calmata e con molto sforzo, tirai avanti. Poi, le mie orecchie percepirono dei rumori, quasi delle voci sommesse.
         Verso la fine del corridoio, vicino alla biblioteca si trovava una porta bianca, quasi indistinguibile dalle pareti.
Era leggermente socchiusa.
Cercai di non curarmene -anche perché le mie stanze si trovavano sulla parte opposta della casa-, ma i rumori si andavano via via affievolendo dietro il suo spessore.      Girai la maniglia ed entrai, ritrovandomi così in uno stanzino buio dal soffitto basso e le mura impolverate. L’assenza di luce non fu un problema per i miei occhi, ma comunque non riuscivo a capire bene da dove provenissero quelle voci. 
Uno strano odore chimico impregnava l’aria che sapeva di chiuso e di muffa.
Tastai il muro, fino a trovare un piccolo rigonfiamento simile a una leva, che spinsi verso il basso.
         Dopo qualche secondo, una botola si aprì vicino ai miei piedi.
Cominciai a scendere le scale lignee che portavano sempre più in profondità, fino ad arrivare nei sotterranei della villa. Mano a mano che scendevo, le voci si facevano sempre più nitide e distinte, tanto che riuscii a riconoscerle.
Erano il conte James e il medico che poco prima aveva visitato Amelie.
Arrivato alla fine delle scale, percorsi un breve tragitto che conduceva direttamente a una massiccia porta di ferro battuto semi-chiusa.
Un filo di luce rossastra filtrava dalla serratura fino a proiettarsi sul muro rugoso alle mie spalle.
Mi sporsi in avanti, ed entrai nella stanza senza destare il minimo sospetto.
Mentre i due uomini stavano in piedi uno di fianco all’altro, riuscii ad infilarmi dietro uno scaffale impolverato.
         Quel posto buio ed inospitale sembrava essere un locale abbastanza ampio, diviso in due da una pesante tenda di velluto nero. C’erano strani attrezzi tutt’intorno alle mensole degli scaffali e sui tre tavoli si trovava una vasta quantità di ampolle, contenitori e boccette dalle svariate forme e contenuti.
         << Non immaginavo una simile conseguenza!>> proruppe l’anziano medico, porgendo una fiala al conte.         
         James si limitò a grattarsi la barba, afferrando il piccolo oggetto con fare pensieroso.
         << Quando avete prelevato questo sangue?>> disse facendo ondeggiare il liquido rosso nella boccetta trasparente.
         << Mentre la stavo visitando.>> rispose il vecchio. Fece una lunga pausa per riprendere l’ampolla, poi aggiunse: << È veramente straordinario. Se versato in poche dosi, riesce ad annientare qualsiasi effetto della decomposizione corporea, rigenera le cellule ma…>>
         << “Ma” cosa?>> lo incitò severamente il conte, abbassando lo sguardo sulla fiala rossa.
         << Ma se assunto in dosi maggiori, le cavie cominciano a deperire velocemente, disfacendosi nell’arco di pochi secondi. Non riesco a spiegarmelo>> ammise il dottore.
         << Mi raccomando George, non fatene parola con mia moglie.>> disse asciutto il marito di Lamia, mentre il medico annuiva.
         Dopodiché, i due uomini lasciarono la stanza.
 Il dottore disse qualcosa al conte, sottovoce, ma non ne compresi il senso.
         << Stai tranquillo, George. Ti sei dimenticato della presenza di quel tizio? >> affermò James, la voce sempre più lontana.
         << Però sarebbe un vero peccato.>> confermò l'anziano medico, prima di uscire dal mio campo uditivo.
         Finalmente, ero rimasto solo.
Volevo scoprire di cosa stessero parlando i due uomini così mi diressi verso il tavolo, dove avevano lasciato la fialetta.   
Non fu difficile trovarla fra le altre: era l’unica a contenere sangue.
La portai vicino al volto e osservai per qualche secondo il contenuto, troppo rosso e denso per essere comune sangue freddo.
Stappai la fialetta e odorai ciò che conteneva.
I miei occhi immediatamente si eccitarono, diventando scarlatti e la rabbia mi salì fino al cervello, facendomi ardere la gola.
L’avrei riconosciuto fra cento tipi di sangue.
Anche mille, o un milione.
Non c’era rischio che mi sbagliassi... e quello, era senza ombra di dubbio il sangue di Amelie.
Lottai contro me stesso, per non ingollare il contenuto della fiala e – con molta fatica – rimisi tutto come l'avevo trovato.
         Girai di scatto la testa verso l’altra ala della stanza e in meno di un secondo, mi ritrovai davanti alla grande tenda di velluto nero.
Puzzava di muffa.
Afferrai la sua pesante stoffa e con molta, forse eccessiva forza la tirai, scoprendo ciò che celava: corpi putridi e scomposti se ne stavano distesi sui tavoli – tre per la precisione – uno per ogni creatura. Delle cinghie rinforzate da catene di ferro, li bloccavano, alternandosi a lacci e manette.
         Quei Ghuldrash non si muovevano, non mugolavano, sembravano morti.
Erano morti.  
         Ma qualcosa non andava… perché non si decomponevano?
 

***

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Capitolo 8
*** Lieve Contatto ***


Capitolo 7

Lieve Contatto

_ Amelie_
        
         Dopo l’episodio della “luna piena”, la ferita al collo guarì in poco tempo.
Il caro dottor Ravaléc, sosteneva che l'assurdità del mio comportamento fosse dovuta  al manifestarsi del sonnambulismo; e se lo affermava lui che era medico… io che ragione avevo di contraddirlo?
         Ormai erano passate due settimane dalla rottura del mio fidanzamento con Adam e ancora non mi ero ripresa del tutto. Qualche volta mi capitava di ripensare a lui, diciamo che era inevitabile; ma non ritenevo che fosse necessario continuare a sprecare così i miei sentimenti.
Inoltre, con l’arrivo di quel Miguel Meterjnick, le giornate si erano rivelate un vero inferno: non solo ero reclusa in casa come una criminale, ma quell’insolente creatura dagli occhi di ghiaccio non mi lasciava un secondo in pace.
Era l'essere più arrogante, puntiglioso, volubile e dispotico che avessi mai incontrato.
Semplicemente insopportabile!
Si teneva sempre a debita distanza, tuttavia il suo sguardo mi seguiva costantemente, sia di giorno che di notte.
O almeno, così sembrava a me.
Eva sosteneva tutt'altro; secondo lei, infatti, oltre agli orari di lezione - in cui assolveva irreprensibilmente al suo ruolo di precettore - Miguel non mi degnava neanche di uno sguardo. E ciò, oltre che ad infastidirmi, mi turbava non poco... soprattutto da quando l’avevo “sognato”, risvegliandomi col seno nudo e la benda strappata.
Oh, al diavolo!
Che fosse maledetto....
         Col suo arrivo, la mia vita si era tramutata in un’odissea di disastri!
Stare a contatto con lui mi faceva una tale rabbia che l’avrei strangolato volentieri, ma a quanto sembrava, solo a me la sua presenza era indigesta e proprio non capivo perché tutti – tranne Lamia – si fossero lasciati abbindolare così facilmente dalla sua bella faccia. 
Che li avesse stregati?
Certo, non potevo negare l'evidenza. Miguel ci sapeva fare con le persone.
Oltre ad essere bello, era anche intelligente ed incredibilmente carismatico, ma per quanto fascino possedesse, me lo sentivo fin nelle viscere che aveva un’anima malvagia, nera come la pece.
Ed io l’odiavo.
Lo detestavo con tutto il cuore per quello che mi aveva fatto, e niente avrebbe mai alterato i miei sentimenti… o almeno così credevo.
         Improvvisamente i miei pensieri vennero interrotti dal rumore di una porta che veniva aperta. Non appena lo vidi entrare nella stanza, mi sbrigai a tirar su le coperte e nascondermi sotto di esse, infagottata fino alla testa.
         << A-altri cinque minuti…>> biascicai, fingendo di essermi appena svegliata.
         << Alzatevi.>> ordinò, tirando via la trapunta.
         << Che modi! Faccio da sola!>> urlai infastidita, trattenendo il copriletto con le mani.
         Ultimamente, Miguel entrava e usciva dalla mia stanza come se nulla fosse. Lamia non era d’accordo e faceva di tutto per evitarlo ma non poteva niente contro di lui, poiché era stata lei stessa a nominarlo mio precettore.
         << Sbrigatevi, siete lenta come una lumaca.>> disse in modo annoiato, appoggiando la spalla sulla colonna del mio letto.
         Il gingillo che aveva attaccato sul sopracciglio destro brillò.
Non capivo perché si ostinasse a presentarsi con un simile ornamento sul volto... era un atto di ribellione? O forse una trovata da Dandy modaiolo?
         Accortosi del mio strano sguardo, sorrise di rimando, sensualmente, lasciando intravedere di proposito i denti bianchi.
Solo i canini erano leggermente più aguzzi della norma.
         << Si chiama piercing.>> affermò, << Dubito che l'abbiate mai visto. Non è una pratica molto diffusa... qui in Occidente.>>
         << Io non vi ho chiesto nulla! Non mi interessano minimamente le vostre stranezze!>> puntualizzai.
         I suoi occhi di ghiaccio indugiarono divertiti sul mio volto.
         << Chiedo venia, milady... ma avevo l'impressione che lo steste fissando. Mi sentivo osservato.>> dichiarò, inarcando il sopracciglio perforato dal piercing.
         Arrossii fulmineamente.
Morivo dalla voglia di rispondergli a tono, urlargli contro e negare tutto, ma mi trattenni. In fin dei conti, sapevo qual'era il suo scopo: voleva solo provocarmi.
         << Vattene.>> sibilai tra i denti, << Non ti ho dato il permesso di entrare!>>.
         Lui sorrise di nuovo, ma in modo beffardo.
Pareva che le mie reazioni lo divertissero.
         Non si curò minimamente del mio disappunto e senza permesso si avviò verso l’armadio ricolmo di vestiti. Prese un abito da giorno color zafferano a righine bianche e altri capi di vestiario.
         << Bene, noto con piacere che siamo passati direttamente al “tu” …>> disse accennando un sorriso.
         Si stava burlando della mia distrazione, quel disgraziato!
         << Non ti rispetto, quindi non penso di doverti elevare a una conversazione di tono formale.>> lo imitai nel modo di parlare, rendendo la mia voce fredda e inespressiva.
         Lui mi guardò glacialmente, ma la sua bocca restò curvata all'insù.
Era decisamente minaccioso.
         Dopodiché ci vollero due falcate, e fui di nuovo alla sua portata.
Afferrò il mio braccio e “delicatamente” mi scaraventò fuori dal letto.
Barcollai un po’ e una volta trovato l’equilibrio lo fissai ardentemente, sperando di potergli cavare gli occhi dalle orbite. Sapevo che non avrei mai potuto farlo, sarebbe stato un sacrilegio… ma l’importante era che non lo scoprisse lui.
Nel frattempo Miguel non parve disturbato dai molteplici sguardi omicidi che gli lanciavo, e con aria compiaciuta, scrutò il mio corpo coperto solamente dalla seta color panna e dai merletti ben ricamati della camicia da notte.
Un’ondata d’imbarazzo mi colpì in pieno volto.
Non mi ero minimamente resa conto di aver indosso solo quel capo di biancheria così osé e al solo pensiero che lui potesse immaginarsi chissà cosa, mi sentii avvampare.
Portai immediatamente una mano al seno e con l’altra cercai di tirargli un sonoro ceffone ma lui con molta tranquillità mi bloccò la mano.
Avevo dimenticato quanto fosse forte e che, se lo desiderava poteva torcermi l’osso del collo in qualunque momento.
Il terrore mi fece tremare come una foglia e Miguel parve accorgersene.
Sorrise amabilmente, lasciando andare la mia mano.
         << Ti disprezzo!>> affermai con odio nella voce, e di tutta risposta ricevetti una scossa del capo.
         << Puoi anche disprezzarmi …>> sostenne con calma, usando il “tu” di proposito.
         << Ma milady, non si arrossisce in questo modo... davanti ad una persona che si disprezza.>>
         Volevo sprofondare al piano di sotto.
         << Vai al diavolo!>>gli urlai.
         Sembrava divertito.
Arrabbiata, gli strappai dalle mani i vestiti che aveva preso per me dall’armadio, ma lo feci con eccessiva enfasi, e nel tentativo di girare i tacchi, persi l’equilibrio e gli piombai addosso a peso morto, come un sacco di patate.
Ovviamente Miguel con i suoi riflessi pronti cercò di aggrapparsi alla colonna del letto, ma evidentemente non calcolò bene la distanza e afferrò la tenda del baldacchino.
Fu tutto così veloce.
Sentii la stoffa della tenda lacerarsi, dopodiché, un tonfo a terra.
Rimasi attaccata alle sue spalle ampie come se fossero state l’unica cosa solida su cui reggersi.
         I vestiti si erano sparsi sul pavimento insieme alla biancheria e alle scarpe.
Il suo respiro fresco s’infrangeva sul mio volto, e le nostre labbra erano così vicine da sfiorarsi a malapena.
Avevo la leggera brezza del suo alito che s'infrangeva sulla mia bocca umida.
Lui non si ritrasse né mi scansò, anzi rimase immobile sotto il mio peso.
Intanto il mio respiro con l’aumentare dei battiti cominciò a farsi irregolare; non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui, i miei occhi erano imprigionati nell’azzurro ghiaccio dei suoi. Poi un’improvvisa voglia mi pervase, facendomi desiderare ardentemente di avvicinare il volto.
Come sarebbe stato, posare la mia bocca sulla sua?
Labbra contro labbra.
         Chiusi gli occhi… e poi, ricordai Adam che baciava quella donna.
Nauseata da quelle immagini, spinsi via Miguel e mi alzai di scatto. Passai violentemente una mano sulla bocca, sfregando forte, come se mi fossi appena sporcata con dell'inchiostro indelebile.
C’eravamo leggermente sfiorati, ma non potevo permettere che sulle mie labbra rimanesse la sensazione di quel lieve contatto.
Lui, come se nulla fosse si alzò da terra per dirigersi verso la porta.
Non disse una sola parola, ma quando si girò, notai che i suoi occhi erano diventati scarlatti.
         Portò una mano alla bocca e con la lingua, si sfiorò sensualmente il labbro inferiore, quasi degustando il sapore della propria pelle.
Il mio cuore tremò.
         << Via di qui!>> urlai.
         Ma chissà per quale ragione, una volta che Miguel se ne fu andato, delle calde lacrime cominciarono a rincorrersi sulle mie guance.
         “Che strano …” pensai.
         Credevo di averle perdute tutte.

_ Miguel_

         Mi trovavo nelle camere della servitù.
L’orologio batteva quasi le dodici e a quell’ora tutti erano impegnati nei lavori domestici, quindi i dormitori erano liberi.
Marie, una cameriera che quella mattina non era di servizio si stava intrattenendo con me, per nulla dispiaciuta delle mie attenzioni.
         << Prendi questo, Marie. Mi basta un piccolo graffio...>> dissi con voce procace, porgendo il pugnale alla ragazza con i capelli scuri che mi stava davanti.
         Lei l’afferrò, senza staccare gli occhi dai miei e con deferenza si alzò le gonne, slacciò il corsetto e si fece un lieve taglio sul fianco sinistro.
Un rivoletto di sangue rosso scuro corse lungo la ferita, fino ad inzuppare i candidi merletti bianchi della sua divisa da lavoro.
         “Che bel posto per pranzare” pensai, e con ingordigia abbassai la testa sul suo ventre piatto.
         Immediatamente, il sangue caldo della ragazza cominciò a defluire all’interno della mia bocca.
Evitai di affondare i denti, non volevo lasciare segni e soprattutto quel sangue non era così buono da prenderne in quantità eccessiva, anzi. Aveva un gusto piuttosto mediocre, decisamente inferiore a quello di Amelie.
         Lei gemette, forse di piacere, e avvinghiò le braccia intorno al mio collo; le sue mani perse fra i miei capelli.
         << S- signore…!>> gridò, quando con la mano le strappai la stoffa sulla scollatura, scoprendole il petto.
         Parve non dispiacerle, quindi continuai imperterrito.
Come avrei voluto che al suo posto, ci fosse stata quella stupida ragazzina!
Rabbrividii.
Non mi sarei certamente fatto degli scrupoli con lei… tutt'altro, se quello fosse stato il corpo di Amelie, avrei usato le zanne senza pensarci.
Istintivamente.
         In quel momento di distrazione, la cameriera si sporse in avanti e mi baciò.
Risposi al bacio, muovendo le labbra come un automa.
Ma che sapore avevano le labbra di Amelie?
A quel pensiero i miei occhi si fecero ancora più scarlatti.
Come potevo non ripensare a ciò che era accaduto prima nelle sue stanze?
Eravamo soli.
Io e lei.
Oh, se solo non si fosse scansata per tempo!
Sicuramente avrei potuto baciarla. E poi?
Non osavo immaginarlo. E non osavo immaginare nemmeno quanta forza mi ci fosse voluta per mantenere la calma e non saltarle addosso come una belva affamata. 
Presi fiato e ritornai in me.
Costrinsi quella ragazza, Marie, a farsi un'altra incisione, magari sul petto, e quando ubbidì mi ritrovai con la lingua sulla sua ferita.
Quella maledetta Amelie… era sua la colpa se in quel momento mi trovavo a dover elemosinare il sangue dalle cameriere!
Ricordavo bene quella lieve sensazione sulle labbra, e provavo quasi ribrezzo nel posarle su un altro corpo che non fosse il suo.
Ma non potevo attaccarla di nuovo, non ora che ero così affamato.
         << Oh, signor Miguel! Vi prego… fatemi vostra!>>disse ansante, aggrappandosi alle mie spalle.
         E così feci; ero talmente assuefatto dal desiderio che immaginai le stesse parole della cameriera pronunciate dalla bocca di Amelie: mi sembrava di averla sotto il peso del mio corpo, di baciare le sue labbra e di toccare la sua pelle nuda con la mia.
Andammo avanti così per minuti interminabili, ma ben presto però, ricordai che quella ragazza che stringevo fra le braccia non era Amelie… anzi, non le somigliava affatto. Il suo sangue era disgustoso e l’odore della sua pelle mi dava la nausea.
         Mi staccai da lei inorridito, lasciandola mezza nuda fra gli stracci della sua divisa.
         << S- signor Miguel, vi scongiuro… non andatevene! Volete altro sangue? Sono pronta a darvelo tutto, se lo desiderate!>> a quelle parole mi venne da ridere, soprattutto perché non sarebbe bastato il sangue di tutta la servitù per appagare il mio desiderio.
         Noncurante delle sue suppliche, quindi... mi risistemai gli abiti, e dopo averlo fatto feci un passo verso di lei.
         << Spiacente, Marie. Vorrei tanto poterlo fare... ma vedi, c'è un piccolo problema: il tuo sangue non mi piace. Non ha un buon sapore.>> le sussurrai all’orecchio dopo essermi avvicinato.
         Lei parve rabbrividire, ma prima che potesse fare o dire qualunque cosa, le afferrai il volto, posando la mia fronte sulla sua.
Nel giro di pochi secondi, vidi rifluire nella mia testa tutti i suoi ricordi, da quelli più remoti a quelli relativamente presenti e una volta svuotata della memoria, la lasciai svenuta a terra.
         << Stai tranquilla, Marie… non ricorderai nulla al tuo risveglio, e per quanto riguarda la divisa, beh... devi essertela strappata da sola. Per sbaglio, ovviamente.>>


 
***

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Capitolo 9
*** Masquerade ***


Capitolo 8

Masquerade

_ Miguel_

         Quella mattina, Lamia mi fece convocare nell’ufficio di suo marito.
Quando entrai l’odore di Amelie era quasi insostenibile, ma feci spallucce e sigillai il turbamento dietro ad un'inflessibile maschera di calma e compostezza.
         << Buongiorno, contessa…>> la salutai educatamente con un baciamano, come suo solito però, Lamia fece una smorfia di disgusto.
Aspettai che Amelie mi guardasse, ma niente; se ne stava col capo girato dall’altra parte fingendo di esaminare i complicati arazzi settecenteschi appesi alla parete.
         << Buongiorno anche a voi, milady.>> dissi con finta riverenza, dirigendomi verso di lei.
         Non appena mi vide avanzare per afferrarle la mano, scattò in piedi, lo sguardo che non superava la soglia delle mie scarpe.
         << B- buongiorno!>> borbottò senza alzare gli occhi.
         Le afferrai la mano e – sfidando la voglia di affondarle le zanne nel polso – le sfiorai delicatamente il dorso con le labbra.
Una piccola scossa elettrica attraversò la mia pelle e a giudicare dal sussulto, anche la sua.
Non appena le lasciai la mano, lei se la portò meccanicamente vicino al volto.
Si vergognava, e la cosa mi divertiva un mondo; lo si capiva soprattutto dai battiti accelerati del suo cuore e dall’espressione facciale… come se avesse scritto il logo “imbarazzo” sulla fronte, a caratteri cubitali.
         << Ora basta, Miguel. Siediti, per cortesia.>> intervenne Lamia in tono arcigno.
         Feci come mi era stato appena ordinato e una volta seduto, divaricai le gambe per rilassare un po’ i muscoli.
Poi guardai verso Amelie.
Era semplicemente adorabile quella mattina: indossava un vestito molto semplice, di soffice mussola azzurra, che ben s'intonava al colore della sua pelle, mentre un nastro del medesimo colore le incorniciava i capelli sciolti, facendola sembrare una bambolina di porcellana. 
Nel contemplarla, mi lasciai sfuggire un ghigno divertito.
Se ne stava tutta impettita, dritta come un fuso a pasticciare nervosamente con le dita. Era tesa, agitata, completamente nel pallone.
          D'un tratto, Lamia simulò alcuni colpi di tosse per richiamare la mia attenzione. Evidentemente, la irritava parecchio il fatto che indugiassi più del dovuto su Amelie.
         << Perché mi avete fatto convocare, contessa?>> dissi rivolgendole il più glaciale degli sguardi.
         << Beh… Miguel, credo che tu sappia del ballo che questa sera si terrà a Sapphire Hill, la residenza dei Woodville. >> feci segno di sì con la testa, era ovvio che ne fossi al corrente, ma non avevo la benché minima voglia di andarci.
         << E con ciò?>> domandai, sferzandole un sorriso tagliente. << Cosa dovrebbe importarmene?>>
         Amelie strinse i pugni.
         << Madre, per favore...lasciate stare! Sapete benissimo che non sono d’accordo! Anche Eva è senza cavaliere, quindi non vedo il perché di questa riunione! Vi prego! Non voglio avere niente a che fare con quest’individuo!>> supplicò con voce tremante.
         Mi fu quasi impossibile non sorridere.
         << Quindi, volete che questa sera vi faccia da cavaliere, eh… milady?>>
         << No! Assolutamente no!>> gridò terrorizzata, guardandomi in faccia per la prima volta da quando ero entrato.
         << Si, Miguel… per favore>> s’intromise Lamia.
         << Signore, decidetevi! >> proruppe il conte James entrando nella stanza.
         Di scatto, guardai quell’uomo imponente con i baffi e la barba castani avvicinarsi alla moglie per salutarla con un bacio. Dalla notte in cui ero sceso nei sotterranei, quella porta semi-invisibile non si era più riaperta.
Avevo cercato di investigare sulla faccenda, ma sia il dottor Ravaléc che il conte, erano stati ben attenti a non lasciare tracce.
Non c’era nulla che potessi fare, almeno per il momento.
         << Signor conte…>> dissi inclinando appena il capo per salutarlo, e lui si girò verso di me con aria benevola.
         I suoi occhi verdi esitarono per un secondo nei miei.
         << Suvvia, ragazzo mio! Puoi chiamarmi semplicemente James!>>
         << Certamente, Signor Conte.>> risposi con un sorriso di rimando, freddo quanto bastava per fargli capire che non ero disposto a dargli troppa confidenza.
         << A quanto vedo, Amelie, non vuoi questo bel giovanotto come cavaliere … eppure è raro trovare una -creatura?- tanto speciale…>> a quell’affermazione Amelie guardò il padre quasi come ultimamente fissava me, quindi supposi che volesse infilargli un coltello in gola.
         << Semplicemente, padre… non riesco a comprendere il motivo per cui, non mi è permesso andare al ballo senza un accompagnatore! Preferirei segregarmi in casa, piuttosto che entrare a braccetto con quest'individuo!>> disse voltandosi dall'altra parte.
         Sorrisi fra me e me.
Possibile che la turbasse tanto, guardarmi in faccia?
         << Ma tesoro mio… >> fece il conte rivolgendosi ad Amelie. << Dobbiamo risollevare l’onore della famiglia von Kleemt! Dopo lo scandalo dei Faberschneider abbiamo bisogno di dimostrare a tutta l’alta società, che niente può infangare il nostro buon nome. Questo ballo sarà un po’ come un riscatto da parte nostra e soprattutto potrebbe essere il luogo propizio per contrarre nuovi affari! Dobbiamo trovarti un nuovo marito, e Miguel servirà solo per accompagnarti… nulla più. Quando qualcuno vorrà ballare con te… si farà semplicemente da parte.>>
         << E questo, cosa avrebbe a che fare con me? Eva è molto più adatta!>> disse Amelie, cercando di arrampicarsi sugli specchi.
         << Infatti anche Eva sarà presente, come tutta la famiglia del resto.>> la voce di Lamia sembrava di un'ottava più bassa.
         << Molto bene.>> sostenne la ragazza, << Il signor Meterjnick, qui presente sarà molto lieto di accompagnare lei, io ho veramente un tremendo mal di testa!>>
         << Miguel, non l’ascoltare. Mi duole doverlo chiedere proprio a te, ma in così poco tempo è quasi impossibile trovare un giovanotto disposto a farle da accompagnatore. Amelie è appena stata liquidata dal suo precedente fidanzato… quindi è ovvio che nessuno per ora gli si voglia avvicinare. Ma Mrs. Woodville è una donna eccentrica, dai gusti particolari, e non si accontenta di un banale festicciola. Vuole che il suo ballo in maschera venga ricordato negli annali come il miglior evento modano di tutta la Stagione londinese. Ogni invitato deve essere obbligatoriamente accompagnato da un partner di sesso opposto. Quindi, farai da cavaliere a mia figlia. E non si tratta di un invito.>> asserì inacidita.
         << Suvvia, tesoro… non puoi obbligarlo!>> intervenne James, ed Amelie annuì.
         << Certo padre… ma scommetto che il signor Meterjnick ha talmente tanto di quel lavoro da svolgere che non riuscirebbe a chiudere occhio… meglio lasciarlo in pace per questa sera! >> suggerì lei con fare subdolamente adorabile.
         << State tranquilla, milady… per me sarà un vero onore potervi accompagnare.>> detto questo, mi congedai facendo un lieve inchino e poco dopo mi dileguai come un'ombra dalla stanza.
         In lontananza sentii Amelie gridare a squarciagola contro la decisione mia e dei genitori.
Un sorriso mi nacque sulle labbra.
         Ero impaziente e non vedevo l’ora che calasse la notte.

_ Amelie_

         Ero di pessimo umore.
Infischiandosene altamente delle mie proteste, Eva e Lamia avevano cercato di trascinarmi in carrozza, e purtroppo ci erano riuscite.
         Le guardai con rabbia.
Ultimamente il mio istinto omicida si era aguzzato e lanciavo occhiatacce a chiunque, vecchi e bambini compresi. Per quanto riguardava quelle due, erano state delle vere arpie; avevano complottato con Josephine - la mia vecchia tata, nonché attuale cameriera personale- che minacciava di non portarmi più la colazione a letto, nel caso mi fossi rifiutata di partecipare al ballo dei Woodville.
Ma il loro tentativo di minacciarmi, non era stato inquietante quanto il pacco regalo che poche ore prima mi era stato fatto recapitare.
Ricordai di essermi molto spaventata nel vedere quella grossa scatola bianca, che una volta aperta, aveva rivelato un vero e proprio tesoro luccicante. Avevo sentito le forze mancarmi e mi ero appoggiata ad Eva che si trovava a grandi linee nella mia stessa situazione. Entrambe, non potevamo credere ai nostri occhi.
         Lo scatolone conteneva un meraviglioso vestito bianco in stile impero, una cintura ricamata con brillanti che andava posta sotto il seno e vari merletti che sbucavano candidi sia dall'abbondante scollatura, che dall’estremità delle maniche a palloncino. Le lunghe pieghe drappeggiate dell’abito erano un trionfo di veli sovrapposti, candidi e leggeri. Come nuvole. Poi, nascoste dalla profondità della scatola, c’erano anche una coroncina di forma concentrica, una maschera veneziana – che copriva solo gli occhi ed il naso –, e delle splendide ali bianche, grandi e lucenti quanto bastava da sembrare verosimili. Le migliaia di piume che le ricoprivano, erano state attaccate una ad una su dei brillanti.
Doveva trattarsi di un costume per il ballo in maschera, ma non c’era nessun bigliettino che svelasse l’identità del misterioso mittente. Inutile dire che la cosa mi sconvolse e m'inquietò al contempo.
Quel vestito valeva certamente una fortuna, ma chi poteva essere tanto folle da farmi recapitare un simile regalo?
Non ne avevo la minima idea... ma nel dubbio, attribuii il tutto ai miei genitori adottivi: chi altro poteva esser stato se non loro?
         << Io proprio non ti capisco!>> sbuffò rassegnata mia sorella.
         Con aria interrogativa, mi voltai a guardarla.
         << Che intendi dire?>>
         << Beh, è ovvio che una volta entrate, dovrai toglierti quell'orribile mantello di dosso. Stai solo offuscando la bellezza di quell'abito meraviglioso, Amelie.>> asserì imbronciata.
         La ignorai categoricamente, accostando il capo contro il finestrino della carrozza.
Era ovvio che non l’avrei tolto: quel mantello era la mia unica e sola speranza di passare inosservata. Il vestito che avevo indosso era straordinariamente bello, ma troppo appariscente. Sembravo un grosso uccello imbalsamato, con tanto di maschera e gonnella.
Mi acquattai ancora di più alla finestrella dell’abitacolo, sporgendomi lievemente in avanti. Dall’orizzonte cominciarono a vedersi le luci di Sapphire Hill, che come raggi, si stagliavano dalla terra verso il cielo. Sentii un nodo stringersi all’altezza dello stomaco e portai una mano alla bocca: Era lì.
Lui era lì, e mi stava aspettando.
---
        
Il grande portone intarsiato con mogano e legno d’acero, si aprì davanti ai nostri occhi. Per un attimo la luce che sprigionò mi accecò e dovetti reggermi saldamente al suo braccio per non perdere l’equilibrio.
La sala da ballo pullulava di gente, tanto che all’entrata fu difficile persino farsi spazio e passare.
         Mr. e Mrs. Woodville, in abiti prettamente rinascimentali, ci diedero calorosamente il benvenuto.
         << Non vuoi togliere il mantello, Amelia cara?>> 
         Alla domanda della padrona di casa, scossi violentemente la testa.
         << No, signora Woodville! Fa parte del mio travestimento...>> risposi, sfoggiando il sorriso più amabile del mio repertorio.
         Il mio cavaliere si lasciò scappare un sogghigno divertito, ma decisi di ignorarlo. Dopodiché, salutammo cordialmente i nostri ospiti e ci dirigemmo al centro della sala.
         Tutti gli invitati si erano muniti di travestimenti sfarzosi ed eleganti; persino la contessa di Highfild, nota per la sua austerità, si era concessa uno svolazzante costume di foggia settecentesca, con tanto di parrucca bianca e nei finti.
         Delle composizioni floreali dal gusto pregevole erano state appese su ogni fila di colonne, sino ad arrivare sulla maestosa scalinata, che come una cascata d’oro placcato e rosso cremisi, si riversava sulle mattonelle lustre del pavimento.
Quanta meraviglia!
I miei occhi non facevano altro che vagare da una parte all'altra della sala da ballo, completamente affascinati e trasognati.
Ero stata a molti atri balli come quello, ma i Woodville per la loro serata mondana non avevano badato a spese.
         Per un istante, ebbi la terrificante sensazione che i battiti tamburellanti del mio cuore potessero sovrastare il suono dell'orchestra.
Miguel era lì, accanto a me, e non riuscivo ancora a crederci: stavo entrando a braccetto con lui.
         D'un tratto, tutta l’attenzione sembrava essersi focalizzata su di noi.
Ero tremendamente in imbarazzo.
Al nostro passaggio, tutte le signore in maschera si erano voltate per guardarci, la bocca socchiusa per lo stupore: mangiavano Miguel con gli occhi.
E come poterle biasimare quando io stessa avevo avuto la medesima reazione?
         Rividi con gli occhi della mente il mio arrivo a Sapphire Hill, ringraziando il cielo per non essere svenuta all'istante.
Avevo trovato Miguel avvolto da un mantello di raso nero, con le braccia incrociate sul petto e la schiena poggiata al muro. L’abito sottostante era del medesimo colore, ma decorato su polsini e colletto con ricami d’oro, molto elaborati. Infine, delle grandi ali nere, simili a quelle di un pipistrello, si ergevano con prepotenza dalle sue spalle ampie.
Ricordai che nel vederlo, il cuore mi era quasi salito in gola.
Possibile che nonostante il taglio austero del vestito, Miguel sprigionasse sensualità da tutti i pori?
Oh si, eccome se era possibile!
Il travestimento da Demone era perfetto e lui, semplicemente magnifico... di una bellezza sconvolgente.
         << Sembrate la morte in persona con questo mantello, milady.>> disse riportandomi al presente.
         Inarcò il sopracciglio destro e la luce colpì fulmineamente il gingillo che ci aveva attaccato sopra.
         << Se io sembro la morte, voi…>> sottolineai, << siete identico a Satana.>>
         Alle mie parole, fece un grande sorriso e con fare del tutto elegante si portò la mascherina nera al volto.
         << Così mi lusingate, mademoiselle>> dichiarò con voce suadente.
         Spiazzata dalla sua risposta, rimasi a fissarlo inebetita, senza controbattere.
         << Ed ecco la sgualdrinella della serata!>> proruppe una voce maschile alle nostre spalle.        
         Mi girai di scatto e vidi quella donna, Cherry Bathorie, attaccata al braccio di Adam. Un moto di nausea mi salì dalla bocca dello stomaco fino in gola. Entrambi ci fissavano divertiti. La testa di Adam spuntava da sotto un'armatura medioevale, mentre Cherry era vestita da naiade, coi capelli rossi tirati all’indietro e un vestito dal taglio antico, di uno sgargiante color giallo canarino, molto scollato.
         << E voi sareste?>> disse Miguel con voce inespressiva.
         Improvvisamente gli occhi grigiastri della rossa si spalancarono dallo stupore. Percorsero la figura del suo corpo con ardore, soffermandosi incantati prima sul basso ventre, poi sui pettorali ed infine nell’azzurro cielo dei suoi occhi.
         << Sono Miss Bathorie, ma voi potete chiamarmi Cherry, mio signore!>> con fare civettuolo gli porse il braccio per essere baciata sul dorso della mano, ma Miguel ignorò la donna e si diresse verso Adam.
         << E tu che vuoi, bastardo?>> gli urlò lui, chiaramente ubriaco.
         Miguel si limitò a trafiggerlo con gli occhi, dopodiché, con fare educato mi prese per mano.
         << Siete pregato, di non rivolgervi alla mia dama in modo così volgare, signor Faberschneider. La vostra presenza insudicia l’aria.>>  rispose Miguel, indirizzandogli la più gelida delle occhiate.
         Vidi Adam fremere di rabbia e ne fui compiaciuta.
Miguel non contento, gli rivolse una delle sue risate beffarde, capaci di far perdere le staffe anche al più paziente degli uomini e Adam, di scatto, cercò di colpirlo al volto. I riflessi del mio accompagnatore, però, furono fulminei. Schivò il colpo, e con la mano che era rimasta libera bloccò saldamente il pugno.
         << Non vi conviene sfidarmi.>> disse in tono calmo, ma qualcosa nella voce di Miguel suonò come una minaccia di morte.
         << M- ma cosa…>>
         Adam fu colto da un improvviso brivido di terrore, e Cherry gli buttò le braccia al collo per fermare i tremori.
Soddisfatto del suo operato, Miguel mi trascinò per un braccio al centro della sala da ballo, proprio sotto al grande lampadario di cristallo.
         << Lasciami andare!>> gli ordinai cercando di svincolarmi dalla sua presa, ma lui ignorò le mie proteste e mi tirò a se.
         Posò un braccio sulle mie spalle e l’altro sui fianchi, poi sfoderando uno splendido sorriso disse: << Balla con me, Amelie…>>.
         Il mio cuore per un secondo cessò di battere e prima che potessi accorgermene, mi ritrovai a volteggiare sotto le delicate e composte note di un valzer viennese. Non potevo crederci, ma le lezioni di danza di Madame Breecht, stavano dando i loro frutti.
         Ci muovevamo in sincronia, come se la musica tutt’attorno fosse stata composta appositamente per noi due.
         Le luci della sala svolazzavano a tempo, seguendo la scia tracciata dai nostri movimenti. Miguel sorrise nuovamente… ed il mondo tutt'intorno a noi cominciò a brillare. No, non c’era assolutamente traccia di ironia sulle sue labbra sensuali… nemmeno l’ombra. Il suo sorriso era puro, spontaneo e limpido... completamente disarmante.
Prese la mia mano e senza preavviso mi fece fare una piroetta, poi un'altra ed un'altra ancora.         
Era così bello danzare; con gli altri cavalieri era sempre stato imbarazzante, ma con Miguel avevo l’impressione di non aver fatto altro da tutta una vita. Sotto le luci accecanti dei lampadari, i suoi occhi si fecero ancora più chiari, ancora più belli, come cristalli d'acqua limpida. I suoi lineamenti si addolcirono e il suo volto s’irradiò di una bellezza che mai avrei osato immaginare in questo mondo.
Sembrava un angelo.
         Mi chiesi trasognata che fine avesse fatto la bestia assetata di sangue che dimorava all’interno del suo corpo.
C’era mai stata?
Oh, ma che importanza aveva?
Non era mai stato così bello, così affascinante e così amabile come in quel momento. Avrei tanto desiderato stringermi ancora di più al suo corpo, fare un bel respiro profondo e bearmi del suo profumo delizioso... spettinargli i capelli, sfiorare con la punta delle dita la sua guancia, le sue labbra, il suo sorriso… e magari riprendere da dove ci eravamo fermati in camera mia…
         A quel pensiero assurdo, scossi la testa.
Cosa mi stava accadendo?
         << Non andartene per conto tuo, devi lasciarti guidare… sì, così. >> disse facendomi fare un'altra piroetta.
         Sorrisi fra me e me: parlava proprio come Madame Breecht.
Restammo a ballare per non so quanto, e in quel lasso di tempo mi sembrò di volare.
Non m'interessava se cominciavo ad avere il fiatone ed i miei piedi imploravano pietà... non m'importava di niente. Niente che non fosse Miguel, ovviamente.
         Poi ci fu un rumore assordante, le note del valzer di Strauss cessarono e vidi Adam in cima alle scale con una bottiglia di vino rotta in mano.
Era sudato, aveva il viso rosso per la sbronza e l’abito macchiato dal vino.
         << Signori… e… Signore!>> gridò tra un singhiozzo e l’altro, la voce cantilenate e instabile, impastata dal troppo bere.
         Tutti i presenti, me compresa si girarono a fissarlo.
Lui sorrise in modo ebete, poi con una mano indicò un punto tra la folla.
Immediatamente, gli sguardi si spostarono dalle scale al centro della pista dove ci trovavamo io e Miguel ancora attaccati l'una all'altro.
         << Tu…>> disse Adam puntandomi il dito contro, << Sgualdrina! È colpa tua se ora sono rovinato!>>
         Cominciò a scendere le scale barcollando e la folla si aprì al suo passaggio, divertita e allo stesso tempo indignata dalla scena, poi si fermò a qualche passo da me, puntandomi la bottiglia rotta in direzione del viso.
         << Hai visto come mi hai ridotto, eh? Sei contenta? È tutta colpa tua… puttanella che non sei altro! Già sei fra le braccia di un altro uomo! Che c’è? Perché mi guardi così? Ti faccio schifo?>> sibilò fra i denti, minacciandomi con la bottiglia.
         Miguel si parò davanti a me, ma la cosa fece imbestialire Adam.
         << Levati di mezzo, bastardo! Avanti! Voglio solo rovinare la faccia a questa piccola sgualdrina! È stata lei a parlare! Io lo so!>>
         Rimasi impietrita a guardarlo.
Cos’era che avrei fatto, io?
Mi stava apertamente insultando davanti a tutti, e non una persona qualsiasi… ma Adam. Pensavo di riuscire a resistere ma gli occhi si riempirono di lacrime. Non era dolore, no. Più che altro si trattava di incredulità mista a vergogna e tristezza. Per colpa mia si stava causando tutto quel putiferio e la famiglia von Kleemt, non ne sarebbe uscita vincitrice.
         << Avanti, bell’imbusto! Dimmi un po’… cosa ci trovi in questa sciacquetta? Guardala, conciata così sembra una stracciona… ti piacciono le straccione per caso?>> Miguel rimase impassibile a quelle parole, e Adam si infuriò ancora di più.
         << Che c’è? Ho colto nel segno? Anzi, no… fammi indovinare! Lei ti fa schifo, ma vuoi i suoi soldi… quindi le giri intorno con la speranza che una volta tolta di mezzo, l’eredità passi tutta nelle tue mani! Che fottuto genio che sei! Avrei voluto fare anch'io una cosa del genere... ma qualcuno ha parlato e ora mi hanno diseredato! Sono un fallito capisci? Un fallito! E tutto per colpa di questa puttana da quattro soldi! Guardala!… >>
         Continuò ad insultarmi ed ogni sua parola fu un susseguirsi di veleno liquido. Ormai le cose che mi proferiva con tanto ardore, da un orecchio mi entravano e dall’altro mi uscivano. Solo il caos regnava nei miei pensieri.
         Poi, Adam si gettò di scatto verso Miguel, spingendolo in direzione delle scale.
Sentii degli strilli nella sala, ma non me ne curai. A quel punto, anche se avevo gli occhi aperti, non ci vedevo più. Avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio, quindi non riuscivo a rendermi conto di ciò che veramente mi circondava. Ad un certo punto vidi un’ombra fare capolino sulle scale, Adam era a terra privo di sensi. Sempre più incombente, l’ombra cominciò ad avvicinarsi, facendosi strada tra la folla. Lentamente, mano a mano che avanzava, la vidi prendere forma nel volto di Miguel. Tutti che fissavano la scena e io che non riuscivo a muovermi.
Miguel prese il fiocco che teneva legato il mio mantello, e con decisione lo tirò.
La stoffa scura scivolò lungo il mio corpo cadendo a terra come una goccia di sangue. Le ali bianche, che fino ad allora erano rimaste incurvate verso il basso, s’innalzarono all’istante scoprendo il vestito candido che portavo sotto.
         Rimasi immobile a fissare il nulla senza reagire. E continuai a non reagire, anche quando lui mi afferrò per un braccio, e mi tirò a se. Prese la mia testa fra le mani e poi, senza alcun preavviso, avvicinò languidamente le labbra alle mie.
Una vampata di calore m'incendiò il corpo, il mio cuore si rianimò e le ginocchia si fecero molli.
Cominciai a sentire le sue morbide labbra premere delicatamente contro le mie, poi con più forza la sua lingua aprì la mia bocca, entrando al suo interno alla ricerca di chissà cosa.
         All’inizio, la mia mente ancora confusa non riuscì a capire esattamente quello che stava accadendo, ma non appena compresi che il leggero sapore di sangue che sentivo in bocca, era quello della sua saliva, il terrore allo stato puro si impadronì del mio corpo.
Volevo… anzi dovevo liberarmi, fuggire via, da qualche parte… qualsiasi parte!
Ma come?
Senza volerlo le mie labbra iniziarono a muoversi col suo stesso ritmo, ansimando alla ricerca di un respiro.
Sarei voluta rimanere così in eterno.
Le sue labbra erano calde, morbide, tremendamente invitanti… sentivo gli occhi di tutti i presenti addosso, ma non poteva importarmene di meno.
Era così bella la sensazione che provavo fra le sue braccia, a contatto con la sua bocca... che pensare ad Adam non mi feriva più.
         Quanto avevo aspettato inconsciamente quel momento?
Le sue labbra a contatto con le mie, fuse, in una cosa sola.
         Quanto l'avevo desiderato?
         Quanto l'avevo bramato?
Decisamente troppo.
E quando Miguel si staccò da me, lo fece solo per riprendere fiato. Poi, si leccò quel poco di saliva che gli era rimasta sul labbro superiore e rise. 
Il mormorio sdegnato della folla crebbe.
         Mi girai verso di Eva e l’imbarazzo mi colpì al cuore come una lama affilata. Lei mi guardava impietrita con gli occhi spalancati, mentre Lamia, beh... la sua espressione era a dir poco indecifrabile. Sarei voluta sprofondare diversi metri nel terreno senza più risalire!
         Ma cosa diavolo avevo combinato?
Non potevo credere di aver dato un simile spettacolo davanti a tutte quelle persone. Inoltre Miguel aveva osato rubarmi il mio primo bacio e io, stolta, gliel’avevo offerto su un piatto d’argento.
         << Signori e signore, vi prego di continuare.>> disse zittendo tutte le chiacchiere di sottofondo.
         << Con permesso.>> pronunciò quelle parole con un filo di ironia nella voce, guardando il viso paonazzo di Lamia.
         Si lasciò scappare un lieve ghigno divertito e poi senza nessun preavviso mi prese tra le braccia.
Non potrei dire come, ma senza fare una piega, mi ritrovai con i piedi sollevati da terra e la testa appoggiata al suo petto. Il suo profumo era così buono che per qualche secondo mi annebbiò la testa.
         Poi, con estrema facilità uscimmo dalla porta principale ignorando non solo i miei famigliari ma anche la folla di politici ed aristocratici che ci fissava con le orbite fuori dagli occhi e la bocca spalancata.
         Ed ora… che ne sarebbe stato di me?
 

 
***
 

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Capitolo 10
*** In Trappola ***


Capitolo 9

In Trappola

_ Miguel_

         << Che tu sia maledetto, Miguel Meterjnick!>> urlò Lamia, sbattendo sul tavolo l’articolo di una rivista scandalistica.
         Con aria sprezzante, afferrai il giornale per dargli un'occhiata.
Sulla prima pagina era riportato un articolo che guarda caso, parlava esplicitamente di ciò che la sera prima era accaduto al ballo in maschera a Sapphire Hill, e di come “un aitante sconosciuto” avesse mandato all’ospedale il rampollo dei Faberschneider.
Un sorriso di soddisfazione si dipinse immediatamente sul mio volto.
         “È stato anche fin troppo facile.” pensai.
         Mi era bastato posargli una mano sulla spalla per rompergli il braccio e non ne ero affatto dispiaciuto, tutt'altro. Ricordai l’espressione di dolore e odio con cui la sera prima, quell’imbecille mi aveva guardato, e sorrisi di nuovo.
Purtroppo, mi ero dovuto contenere e non avevo potuto dargli la lezione che realmente si meritava...
         Intanto, dalla comodità della sua poltrona damascata Lamia continuava a fissarmi in silenzio aspettando che finissi di leggere. Senza curarmi della sua fretta, arrivai al punto dove si parlava del bacio “scandaloso” fra me ed Amelie. L’articolo descriveva con dettagli quasi maniacali lo spettacolo che io e lei, avevamo dato “senza nessun ritegno” davanti a tutti. Ma questa volta, non riuscii a nascondere una smorfia di irritazione.
Quei maledetti giornalisti da quattro soldi avevano passato ogni limite.
Però dovevo ammettere di non essere affatto pentito di quello che avevo fatto, soprattutto perché così facendo, avevo evitato che comparisse dal nulla qualche nuovo pretendente per la mano di Amelie.
         << Mia cara contessa… credo proprio che vostra figlia non troverà tanto facilmente un marito.>> dichiarai rivolgendole un sorriso radioso.
         Lei trattenne il respiro, poi si riprese la rivista e la posò su un angolo della scrivania.
         << Mi stai dicendo… >> disse in tono estremamente basso, << Che l’hai fatto di proposito?>>
         Mi limitai a fissarla divertito. Era ovvio no?
         << Voi che ne dite?>> la sfidai.
         << Razza di... ! Come hai potuto farle una cosa del genere? Il tuo compito era…>>  ma non la lasciai continuare, mi alzai in piedi per poi prendere la rivista e dirigermi verso la porta.
         << Non osare andartene così, Miguel! Io non ho ancora finito con te!>> gridò alzandosi a sua volta, quasi scaraventando la poltrona a terra.
         In quel momento mi accorsi che qualcuno stava origliando.
Era Amelie, lo capivo dall’odore.
         << Come vi ho già detto prima di venire qui, contessa, i miei servigi non sono gratuiti. Quindi voglio qualcosa in cambio…>> sorrisi beffardamente e portai la rivista all’altezza della bocca.
         << Non ti basta, vivere nel lusso? Sono io che ti mantengo ora! La tua antica casata, si è estinta da secoli Miguel.>>
         Credeva di ferirmi rivangando il passato, ma alle sue parole allargai il sorriso mostrando bene i denti.
         << Come siete ingenua, contessa. Il passato è passato, e tale rimane. Comunque, ritornando al nostro discorso, penso che ormai abbiate capito… cos’è che voglio.>> alle mie parole il volto di Lamia impallidì.
         Poi aguzzai l’udito, volevo tenere sotto controllo i battiti del cuore di Amelie che ci spiava dal buco della serratura.
         << È molto tempo ormai, che ho rinunciato a decifrare i tuoi pensieri. Su, parla chiaro Miguel, cosa vuoi? Altri soldi?>> chiese con voce affranta.
         Da dietro la porta, Amelie fece un sospiro di sollievo.
         << Non c’è bisogno di preoccuparsi così tanto, contessa. Non è una questione di denaro.>> dissi gettando la rivista a terra.
         << E cos’è, allora?>> mi esortò col tono ansioso.
         << È piuttosto semplice come concetto, e anche abbastanza ovvio…>> feci una lunga pausa, per poi riprendere con voce volutamente melliflua.
         << Voglio Amelie.>>
         Da dietro la porta si sentì un leggero tonfo, come se “qualcuno” fosse caduto all’indietro sbattendo il sedere a terra.
Nel frattempo, il volto della contessa Lamia sfiorò i toni del viola.
         << Cosa hai detto? Sai che non te lo permetterò mai, vero? La farò sposare a qualche buon partito e… >> la voce le morì in gola.
         << “E” cosa? Sapete benissimo che non sarà facile trovarle un marito. E cosa molto più importante, non potete liberarvi di me: la mia presenza è essenziale per la sua sopravvivenza. Amelie necessita della mia protezione.>> sostenni con voce calma.
         << Maledico il giorno in cui ti ho incontrato!>> urlò a squarciagola, ma decisi di ignorarla.
         << Maleditemi pure, contessa… ma lei sarà mia.>> detto ciò, spalancai la porta e nel vedere Amelie cadere goffamente in avanti mi venne da ridere, ma non lo feci.
Senza che mi desse il permesso, l’afferrai per un braccio alzandola in piedi. Dopodiché, la tirai a me e le sfiorai la bocca con la mia, tenendo premute le labbra.
Non fu un bacio come quello della notte precedente, ma quel contatto bastò per farmi salire il sangue alla testa.
Da parte mia, avrei evitato a qualsiasi costo di staccarmi, ma lei in qualche modo riuscì a liberarsi dalla presa, e svincolò via.
         Amelie restò a fissarmi con astio, mentre il suo volto diventava rosso d’imbarazzo.
Quando mi ricordai della presenza abbastanza superflua di Lamia, abbassai il capo verso di lei, facendo gentilmente un inchino.
         << Prima che tu te ne vada, Miguel…>> sbottò la contessa con aria seccata, << Prendi questa. È appena arrivata da Vienna. Dovrebbero essere ordini da parte dell'Ailthium.>>
         Afferrai educatamente la busta bianca con il timbro rosso.
Non c’erano dubbi, il bollo di ceralacca portava impresso il simbolo della Chimera.
Dunque il tempo stava per scadere, eh? Chissà cosa avevano in mente per me il quelli del Consiglio...
         Posai la lettera in una tasca interna della giacca, stando attento a non spiegazzarla.
         << Contessa… spero che terrete in considerazione la mia proposta.>> dissi con falsa riverenza.
         Ma Lamia fece finta di niente, girandosi rabbiosamente dall’altra parte.
Divertito, mi limitai a superare la porta, lasciandola aperta.
Feci due passi, dopo di che mi girai verso Amelie che con impazienza, aspettava sulla soglia che me ne andassi.
         << Ricordatevi che io ottengo sempre quello che voglio, milady...>>
         Lei tremò, forse di terrore ed io sorrisi nel modo in cui riuscivo sempre a farla arrabbiare.
Offesa, mi voltò le spalle e Lamia chiuse la porta dell’ufficio, sbattendola con forza.
Era veramente uno spasso trattare con quelle due, e se tutto fosse andato secondo i miei piani, Amelie non avrebbe avuto scampo.
Sarebbe finita direttamente, tra le fauci del lupo.
         Senza neanche accorgersene...

_ Amelie_

         Ordinai al mio cuore di calmarsi e ai miei polmoni di riprender fiato, ma non ricevetti risposta. Me ne stavo lì, inebetita, a fissare la schiena di Miguel che si allontanava, fino ad uscire dal mio campo visivo.
Che fosse maledetto… non gli era bastato rubarmi il primo bacio?
Serrai i pugni al pensiero che avesse osato farlo un'altra volta, e desiderai che il pavimento m’inghiottisse.
         Ormai era abbastanza ovvio che quell'individuo non conoscesse ritegno; anche dopo il ballo, quando mi aveva trascinato fuori... Dio mio, che rabbia!
Non una parola, non una spiegazione.
Niente di niente.
Si era semplicemente limitato a chiamare una vettura e mi aveva riportato a casa!
         Ma con che diritto?
         Con quale autorità?
         Gli avevo sbraitato contro durante tutto il tragitto e come unica risposta cos’avevo ricevuto?
Un sorriso sghembo e un teatrale:
          “ Non ti preoccupare, Piccolo Tarlo. La festa non era un granché, non ti sei persa niente.
         La collera mi aveva fatto arrossare il volto e prudere le mani.
         Com’è che aveva osato chiamarmi? 
         Piccolo Tarlo?
Ma come si permetteva quel…
         Un colpo di tosse ben simulato mi strappò improvvisamente dal mio monologo mentale. Miguel mi aveva appena baciato e Lamia ci aveva visto. La vergogna che provavo era talmente tanta, da farmi quasi dimenticare il motivo per cui mi trovavo lì: e cioè origliare dietro la porta.
A quel pensiero mi sentii come una ladra nella mia stessa casa e maledissi ulteriormente il persecutore dei miei sogni.
         << Amelie, per favore siediti.>> disse la mia matrigna, porgendomi la sedia.
         Feci come diceva e mi accomodai di fronte a lei.
         << Perché mi avete fatto entrare, madre?>> chiesi preoccupata dalla sua risposta.
         << Vorrei parlarti, Amelie. A proposito di ieri sera. Spiegami cosa hanno visto i miei occhi, e gli occhi di tutti i presenti, al ballo dei Woodville. Per favore.>>
         Un brivido di terrore mi corse lungo la schiena; sapevo che la sera precedente avevo dato spettacolo, e mi sentivo tremendamente in colpa nei confronti della famiglia.
         << Mi dispiace davvero tanto, madre… io non volevo…>>
         << Stai tranquilla, Amelie. Non è stata colpa tua. So bene cosa faceva Adam alle tue spalle ed infatti sono stata io a sollecitare i Faberschneider per l’annullamento del matrimonio…>> disse inarcando un sopracciglio biondo.
         Sorpresa del mancato rimprovero restai a guardarla sbigottita.
         << Come l’avete scoperto? Io non ho detto niente a nessuno… >> ammisi, e il turchese dei suoi occhi parve incupirsi di colpo.
         << È stato Miguel.>> confessò. 
         Qualcosa cominciò a ribollirmi nello stomaco… che fosse irritazione?
         << E chi gli ha dato il permesso di fare una cosa simile?>>
         << Sono stata io. Volevo sapere quali fossero i reali scopi di Adam, e a quanto pare non aveva nulla di buono in mente. Come ben sai, la ricchezza dei Von Kleemt fa gola a molti.>>
         << Capisco.>> biascicai abbassando lo sguardo, nel ripensare a come Adam si fosse accanito contro di me.
          Poi, al ricordo di Miguel che si era parato di fronte a me per difendermi, sentii le guance avvampare.
         << P- perché avete assoldato proprio quel mostro per proteggermi, madre? Non vedete che gode nel mettermi in imbarazzo? Adesso ho la fama di sgualdrina e mangiatrice di uomini! E tutto per colpa sua!>> urlai.
<< In qualche modo, Amelie, hai destato il suo interesse. Ed ora farà di tutto per impedire a qualcun altro di posare gli occhi su di te.>> dichiarò mentre si alzava in piedi.
         Non capivo cosa volesse dire con “destato il suo interesse”, ma a quelle parole il mio cuore cominciò a martellare contro le costole.
         << Farei qualsiasi cosa per proteggerti, Amelie.>> affermò posandomi le mani sulle spalle, poi aggiunse: << Quindi, mi dispiace. Ma non posso permettermi di perdere la collaborazione di Miguel. Non sappiamo quando quei mostri potrebbero fare la loro comparsa e lui, è l’unico in grado di ucciderli. Se ti vuole, bene. Accontenterò questo suo capriccio. Ma ricorda, non gli permetterò mai di farti del male.>>
         << Cosa state cercando di dire, madre?>> chiesi terrorizzata, all’idea di cosa potesse rispondere. 
         Lamia fece il giro del tavolo e riprese posto davanti a me. 
         << Sto semplicemente dicendo, che provvisoriamente… Miguel diventerà il tuo fidanzato.>>
         << Che cosa?!>> gridai in preda al panico.
         Lamia si fece in avanti, posò i gomiti sulla superficie del tavolo e congiunse le mani come per pregare, portandosele vicino alle labbra.
Brutto segno: faceva così quando era arrabbiata.
Molto, molto arrabbiata.
Beh... mai quanto me!
         << Ma madre, è semplicemente assurdo!>>
         << L’alta società lo impone. Sai bene che dopo lo scandalo della scorsa serata, sarai vista di mal’occhio e i pettegolezzi ti seguiranno fino alla tomba, Amelie. Non sai quanto possano essere crudeli le maldicenze. Passano di bocca in bocca acquistando sempre più veleno. E proprio perché fai parte dell’aristocrazia, queste calunnie insozzeranno ancor più a fondo il nome dei Von Kleemt e il tuo onore. Ma c’è una soluzione: se a baciarti, la scorsa sera… fosse stato il tuo effettivo fidanzato, non ci sarebbe stato nulla di male, infondo. Quindi, almeno per il momento, Miguel reciterà la parte dell’aitante promesso sposo, perlomeno finché non si saranno calmate le acque. Penso che a lui non dispiaccia, anzi. Se tutto va bene, non correrai alcun rischio. Devi solo avere pazienza. Come ti ho detto è una decisone del tutto provvisoria...>> al suono delle sue parole, una sensazione indescrivibile mi mozzò il respiro.
         “Ottengo sempre quello che voglio”, l’aveva detto Miguel.
         Ed io ero in trappola. 
Restai alcuni secondi in silenzio, senza muovermi.
Era inutile, ma per quanto ci rimuginassi sopra non ne venivo a capo.
Non c'era soluzione.
Inghiottii il groppo che avevo in gola e mi alzai dalla sedia, rivolgendo a Lamia il più disperato degli sguardi.
Ma lei non rispose.
Si limitò ad abbassare gli occhi, incapace di sostenere il peso dei miei.
         << Ho capito perfettamente, madre.>> furono le mie uniche parole.
         Dopodiché mi diressi verso la porta, spalancandola e richiudendola con forza. 

 

***
 

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Capitolo 11
*** Il Marchio ***


Capitolo 10

Il Marchio

_ Miguel _

         Era notte fonda.
Nell’aria aleggiava una leggera nebbiolina gialla, sordida e maleodorante che, alla luce dei lampioni sembrava densa come crema. I vecchi vicoli dell'East-End brulicavano di gente poco raccomandabile: persone di malaffare, tra cui mendicanti, ladri, ubriaconi e prostitute.
         Sul ciglio della strada, si ergeva un antico palazzo ormai in rovina con i muri sgretolati e gli infissi rotti.
Portai una mano nel taschino interno e tirai fuori quel maledetto foglio di carta. Lo fissai disgustato, poi, alzai lo sguardo verso la catapecchia che avevo di fronte.
No, evidentemente non c’erano dubbi.
         Sulla porta d’ingresso, si levava un’insegna rossa con la scritta gialla, danneggiata e sbiadita dalle intemperie.
“Black Widow” così c’era scritto, e così era riportato anche sul biglietto che mi aveva consegnato Lamia qualche ora prima. Ritornai a guardare l’insegna fatiscente, e sì... doveva sicuramente trattarsi di un bordello.
Sospirai, riponendo con calma la lettera al sicuro.
         Dopo qualche secondo di esitazione, entrai nel locale, coprendomi il volto col colletto del mantello.
 C'era puzza di tabacco, rum e oppio. Ma bene, circolava anche del costoso laudano.
         << Ehi! Bel tenebroso! >> vociò una donna seduta placidamente sul ciglio della porta.
         Nella confusione mi aveva afferrato il braccio.
         << Per due scellini, sono tua tutta la notte!>>
         La guardai per un secondo.
Poteva avere più o meno quarant’anni ma li portava male: del grasso misto a sudore e sporcizia le colava fra le pieghe del doppio mento, finendo fra l’avvallamento dei grossi seni scoperti.
No, decisamente non era lei che stavo cercando.
         << Mi dispiace madame, non posso aiutarvi.>> dissi scrollandomela di dosso.
         << Oh! Ma per te, bel tenebroso posso anche darmi gratis!>> urlò alzandosi faticosamente in piedi, ma la ignorai e passai oltre.
         L’odore di alcol e sesso impregnava l’aria come una pestilenza, costringendomi a non respirare.
Notai con sorpresa che il locale all'interno era piuttosto spazioso; si sviluppava per la maggior parte in lunghezza ed era diviso in vari scompartimenti da logori separé di legno.
Ovviamente ciò non bastava a mantenere la privacy.
         Una macchia nera e dalla forma indistinta, catturò la mia intenzione. Due uomini ebbri, se ne stavano distesi a terra, privi di sensi, afflosciati l'uno sull'altro come abiti dismessi. Nessuno si curava di loro. La gente gli passava accanto senza neanche accorgersene: alcuni finivano per calpestarli, mentre altri si tenevano semplicemente a distanza.
         Sui tavoli quattro donne mezze nude ballavano a suon di quattrini e ovunque, si sentivano gemiti e rumori gutturali.
Alla gente non importava di copulare in pubblico, anzi, ad alcuni clienti piaceva e molto.
Un'allegra canzonetta sconcia cominciò a rimbombare nell'aria col suo ritmo monotono ed incalzante.
Rimpiansi le melodie di Mozart, Handel e Schubert.
Infatti, al pianoforte – mezzo sconquassato e non accordato – se ne stava un ometto calvo, sudicio, con la barba lunga e un occhio di vetro, accompagnato dal canto stonato di tre ragazze coi seni scoperti.
         Girovagai per il locale, mimetizzandomi tra gli altri frequentatori. Per la maggior parte si trattava di uomini facoltosi, ricchi borghesi, avvocati, padri di famiglia… anche aristocratici.
Mi correggo: soprattutto aristocratici.
Nel riconoscere la maggior parte delle facce, feci fatica a trattenere le risate.
Che paradosso esilarante!
Proprio loro che disprezzavano le donne di malaffare, decantando le lodi della virtù e della purezza, la notte andavano a rifugiarsi tra le cosce di una corpulenta meretrice!
Passai oltre, guardandomi bene intorno.
Dopo un po' mi decisi ad avvicinare una ragazza dai capelli corvini che poteva avere all’incirca l’età di Amelie.
         << Vogliate perdonarmi signorina, ma sapete dirmi dove posso trovare Clarice?>> le sussurrai suadentemente nell'orecchio.
         Non appena la ragazza sentì fare il nome dell’altra prostituta, fece una lieve smorfia.
         << Clarice in questo momento è occupata, signore. Si trova al piano di sopra con un altro clien...>>
         Non fece in tempo a finire la frase che improvvisamente, qualcuno dalle stanze private al piano superiore gridò.
Ci furono altri rumori sordi, le urla si moltiplicarono e le porte cominciarono a vomitare fiumi di gente in preda al panico.
Il caos inghiottì il bordello.
Lasciai alla ragazza due scellini per le informazioni e mi recai alla svelta sulle scale. L’odore di quei bastardi imputridiva l’aria più di quanto non fosse già corrotta.
Le urla provenivano dall’ultima porta che era rimasta socchiusa.
         Entrai nella stanza e a terra, sul pavimento sporco, vi trovai una donna col ventre squarciato, mentre sul materasso giaceva supino il cadavere di un uomo completamente nudo e dalla testa mozzata. Il sangue gli colava copiosamente dal collo falciato di netto, insozzando sia le lenzuola sudice che le assi tarlate del pavimento. Ma di quelle bestie, nessuna traccia.
         Qualcosa non mi quadrava… possibile che si fossero dissolti nel nulla?
Guardai la camera da letto con aria diffidente, aguzzando i sensi.
Niente.
La donna pareva ancora respirare, sebbene il suo ventre fosse in pessime condizioni.          Rimasi sorpreso dalla sua avvenenza: era veramente molto bella, con lucenti capelli biondi, riccissimi, e gli occhi di un blu intenso, come il mare al tramonto.
Senza ombra di dubbio, quella doveva essere Clarice.
         << Mamma!>> mi girai verso l’urlo e vidi una bambina di almeno cinque anni accovacciata sul grembo, nascosta dalla stoffa lurida e strappata delle tende.
         Mi abbassai verso la piccola, e lei mi guardò spaventata.
Aveva gli occhi eterocromi: uno castano ed uno azzurro, entrambi lividi ed inondati dalle lacrime.
         << Signore! Ti prego, signore! Aiuta la mia mamma!>> disse scaraventandosi fra le mie braccia.
         Cominciò a piangere e singhiozzare, ma fui costretto ad allontanarla.
No, non era proprio il momento migliore per consolare una futura orfana.
La guardai intensamente negli occhi e poi le sfiorai la fronte con la mano destra.
Le sue palpebre divennero pesanti e dopo pochi secondi si accasciò sulla mia spalla, priva di sensi.
         << Ma bene… a quanto vedo, avete finito di giocare a nascondino.>> sussurrai, girandomi di scatto verso il letto.
         Mi alzai in piedi, posando la piccola a terra.
Vicino al corpo acefalo dell’uomo, se ne stavano adunati tre Ghuldrash, intenti a divorare la sua carne.
Quei mostri alzarono il capo putrefatto. Il sangue dell’uomo che grondava ancora dalle loro fauci.
Quello più grosso, ciondolando si mise in piedi: la postura era scomposta, le ginocchia arcuate erano piegate troppo in avanti e la schiena ingobbita era accentuata dalle scapole sporgenti.
 Barcollando cercò di prendere la rincorsa per avventarsi sul mio collo, ma con un gesto deciso lo spinsi via, mozzandogli la tesa con un rapido colpo di mano. Dopodiché anche gli altri si gettarono all'attacco e ben presto, mi ritrovai nel bel mezzo di una battaglia all'ultimo sangue.
Ci fu lo stridio delle ossa che si laceravano, la carne che veniva strappata… oh, sì.
Io ero nato per quello.
I miei occhi diventarono rossi per l'eccitazione, le zanne si allungarono e le dita tremarono. In un attimo cacciai fuori gli artigli, e in una sola mossa, decapitai un altro Ghuldrash che aveva osato avvicinarsi troppo; altro sangue schizzò sui miei vestiti, sulle mie mani, sulla mia faccia… rendendomi semplicemente mostruoso. E lo ero, ma non potevo fare a meno che provare piacere nell’esserlo.  
Uccidere… sterminare.
Ce l’avevo nel sangue.
L’ultimo Ghuldrash rimasto cercò di fuggire, usando come scudo il cadavere dell’uomo… peccato che non gli servì a niente.
In un attimo gli fui addosso ed anche il suo sangue cominciò a sgorgare come l’acqua di un fiume, sporcando tende, muri e pavimenti.
         I tre corpi ormai giacevano a terra, accasciati, ma prima ancora che potessero rialzarsi, gli stappai il cuore dal petto. Improvvisamente, ricordai in cosa consisteva la mia missione e con disgusto, scaraventai i tre muscoli cardiaci a terra.
         Clarice, la madre della piccola, per qualche strana ragione era ancora viva. Non potevo perdere altro tempo… ne avevo sprecato fin troppo. Quindi, ritirai gli artigli lordi di sangue e mi affrettai a raggiungere la donna morente.
         << Voi siete Clarice, non è vero? Clarice Rouse.>> dissi avvicinandomi al suo volto.
         Clarice annuì, respirando faticosamente.
         << Dove tenete la Chiave, Clarice? So che l’avete voi, dovete solo dirmi dove si trova.>> le sussurrai all’orecchio
         << L- la mia bam- bina…>> disse con voce roca, << S- salva, l… la m-mia… bam-bina…>>
         << La bambina? È lei che ha la Chiave? Clarice?>> ma la donna spalancò gli occhi e scosse la testa violentemente.
         << L-la bambina… s-salvala…>> non feci in tempo ad afferrare la mano che mi stava porgendo, che in pochi secondi Clarice Rouse spirò.
Maledizione!
Non poteva morire prima di rivelarmi il posto dove era custodita la Chiave!
         Rabbiosamente, mi morsicai il labbro inferiore e nel sentire un rivoletto di sangue addensarsi in prossimità della bocca... riuscii a calmarmi.
Le chiusi gli occhi con la punta delle dita, poi mi slacciai il mantello per coprirle il corpo lacero.
         La bambina, che in qualche modo era riuscita a svegliarsi, le si fiondò addosso e scoppiò in lacrime.
Nel vederla, un nodo si strinse all’interno del mio petto.
         << Mamma! Mamma!>> gridava con la vocina rotta dal pianto. 
         Era sull'orlo del baratro, divisa tra quello che vedevano i suoi occhi e quello che non voleva vedere.
Lo sapevo, oh sì.  
Lo sapevo fin troppo bene.
         << Mammina, ti prego! Svegliati!>>
         Sospirai sconsolato.
No, non potevo lasciarla lì... mi sarei odiato a vita se l'avessi fatto. Quindi decisi di rispettare le ultime volontà della madre.
Le sfiorai delicatamente una ciocca di capelli biondi e con gli occhi colmi di lacrime, la piccola si voltò a fissarmi.
Era disperata.
Un brivido mi corse lungo la schiena.
Nei suoi grandi occhi spaventati, rivedevo il me stesso di molti anni prima, quando ero stato solo un bambino inerme, terrorizzato e tremante.
Completamente solo... proprio come lei.
         << È morta.>> dissi, porgendole la mano sporca di sangue.
         Lei rabbrividì, scuotendo il capo.
         << Non è vero, signore. Sta dormendo! Non lo vedi?>> la sua voce era tremolante ma decisa.
         Più che me, sembrava voler convincere se stessa.  
Gli tesi nuovamente il palmo ed una volta che l’ebbe afferrato si accasciò un'altra volta in avanti, priva di sensi.
         Dopo essermela caricata in braccio, mi avvicinai con passo deciso verso quei mostri che giacevano a terra senza vita. Era come immaginavo: invece di decomporsi all’istante, quei corpi erano rimasti intatti, come se non fossero nel pieno della putrefazione.
Ma c'era qualcosa di molto più interessante... 
Aguzzai lo sguardo e quello che vidi, mi ghiacciò il sangue nelle vene.
Inciso sulla loro fronte scura c'era un marchio rosso, sottile, ricurvo.
Un sorriso amaro mi sfiorò le labbra.
         Dov’era che l’avevo già visto?
Portai alla mente le immagini che riguardavano quello strano sogno che avevo fatto su Amelie ancor prima di incontrarla, e improvvisamente ricordai.
Il simbolo sulla fronte dei Ghuldrash, non era altro che un piccolo frammento di quei segni rossi che le lambivano il corpo all’interno del mio sogno.
Strinsi con forza il corpicino della piccola.
         Cosa si celava dietro quel marchio?
         E soprattutto... perché tra tante persone, proprio Amelie?
        

***
 

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Capitolo 12
*** La Tana Del Leone ***


Capitolo 11

La Tana Del Leone

_ Amelie_

         Il ticchettio dell’orologio suonava spaventosamente irritante nella mia testa.
Non riuscivo a prender sonno, eppure il mio letto era così morbido ed invitante.
Lo guardai schifata, pensando che fosse un vero peccato non usufruire di quel bel calduccio, ma con riluttanza tornai alla finestra.
         Un leggero venticello faceva sussurrare le cime degli alberi e la nebbia cingeva l’orizzonte come un lungo drappo cinereo.
Sospirai affranta, appannando col calore del mio respiro il vetro che mi stava di fronte.
Ero un po’ ansiosa in verità, e non facevo altro che chiedermi tra quanto sarebbe ritornato e cosa stesse combinando in quel preciso momento. Mi odiai profondamente per quei pensieri molesti, soprattutto perché io, non potevo proprio preoccuparmi per lui, anzi.
         Guardai nuovamente verso il letto ed un brivido freddo mi attraversò la spina dorsale. Mi costrinsi a tener duro e come se nulla fosse, mi strinsi ancora di più nella vestaglia.
Avrei dovuto fare i salti di gioia per la sua assenza… ma ormai era abbastanza ovvio che fossi preoccupata, no?
Quel miserabile mascalzone non tornava da tre giorni.
Non uno… ma tre maledettissimi giorni!
Nessuno osava immaginare dove diavolo si fosse andato a cacciare… nemmeno Lamia. O così diceva lei.
L’ultima volta che l’avevo visto, come un villano aveva osato baciarmi nuovamente; sembrava quasi che la sua insolenza non conoscesse limiti. Fui costretta ad ammettere però, che nel periodo passato a contatto con Miguel, mi ero quantomeno abituata alla sua presenza. Tanto che mi pareva strano non incrociare il suo sguardo per più di due ore... figuriamoci per tre giorni di seguito!
         “Chissà...” pensai, magari era da qualche parte a spassarsela in dolce compagnia.
         Immediatamente, mi ritrovai la testa invasa dalle immagini del ballo in maschera a casa Woodville.
         Perché quella sera era stato così maledettamente incantevole?
         E soprattutto, perché mi aveva baciata?
Restai immobile a fissare il vuoto fuori dalla finestra, nella speranza di trovare una risposta. Ma non la trovai da nessuna parte.
Poi, mi rivenne in mente il litigio avuto poche ore prima con Eva, ed ulteriore peso andò a raggrumarsi sui miei poveri nervi.
         Che cosa le era preso?
Mia sorella, dopo il bacio scandaloso del ballo, non mi aveva più parlato. Mi evitava come la peste. Certo, capivo perfettamente che magari desiderava avere delle spiegazioni in proposito, ma la sua reazione mi sembrava abbastanza esagerata.
         Comunque, al rumore della carrozza che attraversava il cancello, accantonai i pensieri su Eva e mi concentrai su ciò che vedevano i miei occhi.
         “Eccolo...” mi dissi con voce irritata.
         “Si è degnato di tornare!” ma nel vedere la carrozza che si fermava sull’acciottolato davanti al piazzale, tirai un sospiro di sollievo.
         Scese velocemente dalla vettura, la quale, dopo pochi secondi ripartì.
Miguel era bellissimo, come al solito, ma aveva i vestiti logori e macchiati di… sangue?
Una fitta mi colpì al petto.
         Era ferito?
In preda all’ansia mi sporsi in avanti per vedere meglio, ma fortunatamente mi resi conto che quel sangue, non gli apparteneva. In quel momento però, mi sorse un dubbio.
Se il sangue che aveva addosso non era suo, allora da chi proveniva?
Non era certo da lui, andare in giro in modo così trasandato. Ma oltre agli abiti, qualcosa che teneva fra le braccia attirò la mia attenzione.
Aguzzai lo sguardo, e quando riuscii a distinguere con precisione “cosa” portasse in braccio, il sangue mi si gelò nelle vene.
         Terrorizzata – me ne infischiai di essere mezza nuda – corsi come una matta al piano di sotto.
I miei piedi non parvero toccare terra. Dovevo ad ogni costo salvare quella povera creatura dalle sue grinfie!
Sicuramente non sarebbe passato per la porta principale, quindi mi diressi il più velocemente possibile verso l’entrata secondaria. Sapevo fin troppo bene, cosa Miguel fosse in grado di fare e non volevo che accadesse qualcosa anche a quella bambina indifesa.
Prima che lui potesse solamente abbassare la maniglia della porta, gli piombai di fronte con le orecchie fumanti di rabbia.
         << Dove ti eri cacciato?>> urlai spaventata.
         Lui sorrise.
         << Oh, ma che bell'accoglienza calorosa… Amelie. Proprio degna di te.>> disse spostandomi una ciocca di capelli dal viso.
         Per poco non gli azzannai la mano.
         << Non mi toccare!>>gridai, la voce ansante per la corsa. << E non osare chiamarmi per nome! Ora allontanati immediatamente da quella bambina!>> aggiunsi, per poi lanciargli un'occhiata terrificante.
         Miguel non parve curarsi del mio odio profondo, e con aria annoiata, mi spinse delicatamente da parte.
         << Spostati, per favore. Intralci il passaggio.>> affermò in modo beffardo, << E sai una cosa? Sono convinto che se ti ostinerai a continuare con questo atteggiamento, in poco tempo, diventerai una donna isterica e puntigliosa come la contessa Lamia.>>
         Con quale coraggio osava parlare così di mia madre?
Stavo per ribattere con qualcosa di molto velenoso, quando improvvisamente la bambina si mosse tra le sue braccia.
         << Cosa le hai fatto?>> chiesi disperata, la piccola sembrava essere ricoperta da sangue secco e i suoi occhi erano innaturalmente lividi, cerchiati da profonde contusioni violacee.
         Miguel, irritato aggrottò leggermente le sopracciglia e il piercing brillò alla luce soffusa delle stelle.
         << Puoi stare tranquilla...>> mi rassicurò con voce vellutata. << Il sangue acerbo delle bambine, non è particolarmente di mio gusto.>>
         Dopodiché posò pigramente lo sguardo sul mio collo scoperto, facendomi arrossire. Mi parve quasi di sentir bruciare il punto su cui si erano soffermati i suoi occhi.
         << E il mio?>> rotolò fuori dalle mie labbra.
         Il suo volto per un secondo parve scurirsi, ma poi Miguel riprese a sorridere in modo denigratorio.
         << Meglio non saperlo, Piccolo Tarlo... potresti rimanerci troppo male.>> dichiarò girando i tacchi.
         La preoccupazione per la bambina però, mi fece dimenticare la sua strana allusione.
         << Dove credi di andare? Non ti lascerò portarla via, solo Dio sa, cosa potrebbe accaderle se rimanesse un secondo di più fra le tue braccia!>>
         Miguel si girò nuovamente verso di me, lo sguardo freddo ed inespressivo.
         << A quanto vedo, milady… la vostra fiducia nei miei confronti, cresce di giorno in giorno, eh?>>
         La sua voce era deliberatamente formale e le parole scandite con eccessiva cura.
 Non gli risposi, ma continuai a fissare spaventata il corpicino raggomitolato sul suo petto.
Per un secondo provai persino invidia per quella bambina, ma poi nauseata dai miei stessi pensieri, scacciai via quell’idea così assurda.
         << Se non vi dispiace, vorrei portarla nelle mie stanze.>> affermò con tono piatto.
         << Oh, no! Dovrai passare sul mio cadavere, prima di portarla via!>> mi sfuggì dalla bocca, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsi le parole.
          Lui sorrise in modo bieco, e i suoi denti scintillarono come lame affilate.
Immaginai che non vedesse l’ora di torcermi l’osso del collo, ma di tutta risposta si limitò a guardarmi maliziosamente, con la bocca leggermente incurvata all’insù.
         << Nessuno vi obbliga ad immolarvi per questa bambina. E per quanto riguarda la sua provenienza, non sono costretto a rivelarvela. Non sono affari vostri e comunque, sul da farsi, ne discuterò domattina con vostra madre. La bambina per ora necessita di cure e se proprio non vi fidate di me, milady… potete sempre seguirmi e vigilare sulla piccola. Ma ricordate, non vi sto obbligando a farlo.>>
         A quel punto, non avevo scelta.
         << Verrò>> dissi, << Ma solo per accertarmi della sua salute.>>

---
        
Mi trovavo nella tana del leone.
Avevo seguito Miguel silenziosamente, sforzandomi di non apparire in qualche modo turbata o agitata, eppure le mie fatiche erano valse a ben poco.
Una volta che ebbe chiuso la porta alle sue spalle, trattenni a stento un grido di terrore. Mi sentivo il cuore in gola e le viscere aggrovigliarsi l'una sull'altra in tanti piccoli nodi.
         M'imposi allora di ritrovare la calma, e una volta raggiunto tale scopo, lasciai vagare lo sguardo liberamente, saggiando con gli occhi l'ambiente estraneo che mi circondava.
Fui colta molto presto dallo stupore: quella camera era incredibilmente elegante, immensa e spaziosa. L’ordine assoluto che vi regnava dentro era quasi maniacale, come se non fosse mai stata usata, tantoché provai vergogna nel ripensare a quanto fossi disordinata io.
Un dolce profumo di rose impregnava l’aria.
Quello era l’odore di Miguel e nel constatarlo, il respiro mi divenne irregolare.
         Ancora faticavo a credere di esser entrata in quel posto di mia spontanea volontà, eppure mi trovavo lì, completamente inerme, da sola... con lui.
Una parte di me non desiderava altro che girare i tacchi e correre il più lontano possibile da quel posto, ma non potevo lasciare la piccola in compagnia di Miguel.
Sarebbe stato un atto di vile codardia.
         << Spero che la stanza sia di vostro gradimento.>> disse lui, poggiando con delicatezza il corpicino della bambina nel suo grande e spazioso letto.
         Non gli risposi per evitare l’imbarazzo, e con infinita goffaggine piombai davanti alla piccola cercando di armeggiare con le coperte.
Le sue mani sfiorarono le mie.
         << Non c’è bisogno.>> disse, << Ci penso io.>>
         Nonostante l’imbarazzo derivato da quell'improvviso contatto, notai che qualcosa nella sua voce sembrava essersi addolcito.
Il suo sguardo si posò languidamente sulle mie mani, per poi spostarsi dal petto al collo e soffermarsi a lungo sulla bocca. Un calore improvviso m’incendiò il corpo e lottando contro la timidezza, mi costrinsi a guardarlo negli occhi.
         Il silenzio aleggiò nella stanza, carico e pesante.
         << Amelie… >> pronunciò il mio nome con voce procace, quasi sussurrando, come se avesse voluto accarezzarlo con la lingua.
         << N-non mi pare di averti accordato il permesso di chiamarmi per nome!>> dissi col fiato mozzo.
         Alle mie proteste sul nome, fece spallucce e con tono non curante osò rivolgersi a me con ancora più confidenza.
         << Se non sbaglio ora sei mia, Amelie. Posso chiamarti come voglio, e non mi serve nessun permesso da parte tua.>>
         Perché doveva ricordarmelo?
         << Si tratta di una banale messa in scena… >> ribattei senza alzare lo sguardo.
         Miguel scoppiò a ridere, sommessamente, cercando di darsi un contegno per non svegliare la piccola.
         << Il modo in cui la sera del ballo rispondevi al mio bacio, Amelie… non mi sembrava affatto una banale messa in scena.>> 
         << Adesso tutti pensano che sono una poco di buono! Sei soddisfatto?>>  urlai infuriata, non avevo ancora finito di fargli la predica.
         << Molto.>> disse facendo un lieve ghigno di soddisfazione.
         << Ti odio!>> gridai imbestialita.   
         << Il battito del tuo cuore afferma il contrario.>> ribatté divertito.
         << Se solo potessi, ti caverei gli occhi!>>
         Miguel si sporse in avanti, afferrandomi con forza la mano.
         << Vogliamo scommettere?>>
         Dopodiché prese anche l’altro braccio e mi tirò a se, bloccando l’urlo che voleva uscire dalla mia bocca con le sue labbra.
Cercai di respingerlo, dimenandomi il più possibile, ma non potevo nulla contro la sua stretta ferrea.
Eppure Miguel sembrava diverso dal solito… come se qualcosa di ardente stesse divampando al disotto della sua pelle.
         Senza pensarci due volte, mi spinse all’indietro, facendomi battere la schiena al muro. Dopo l’impatto, riuscii a liberare le mani e con una lo spinsi via. Ma lui fu mille volte più veloce e nell’arco di un secondo, mi ritrovai nuovamente intrappolata fra la parete e le sue braccia d'acciaio.
Volevo gridare, sì... ma la sua bocca me lo impediva e le sue mani non lasciavano il controllo del mio corpo.
Avevo la pelle bollente, il cuore in gola, le farfalle allo stomaco e non riuscivo più a ragionare.
         Dalla bocca, passò al collo, soffermandosi più volte all’interno dell’incavo e sulle clavicole.
         Oh, ma che intenzioni aveva?!
La scia che mi lasciavano i suoi morbidi baci sulla pelle, sembrava divampare in un incendio a contatto con l’aria. Poi ritornò avido sulle mie labbra...  sfiorò le guance, il mento, la fronte… maledizione!
Mi stava facendo impazzire.
L’orgoglio mi diceva di staccargli le labbra a morsi ma qualcos’altro che proveniva da un punto imprecisato del mio corpo, ardeva per non smettere.
         Improvvisamente mi ritrovai a ricambiare il bacio, sebbene la mente si rifiutasse categoricamente di farlo.
Il respiro mancava ad entrambi, eppure nessuno dei due osava staccarsi dall’altro.
         Mio Dio... cosa mi stava succedendo?
Miguel aveva ragione, mi piacevano i suoi baci… tanto quanto mi piaceva lui.
Avevo paura ad ammetterlo, specialmente con me stessa... ma era quella la verità.
         Lui mi strinse a sé, talmente forte che attraverso il petto, potevo sentire il battito frenetico del mio e del suo cuore che picchiettavano all'unisono, l'uno contro l'altro.
Erano sincronizzati.
         Oh, al diavolo tutto quanto!
Ormai non m'importava niente, o almeno niente che non facesse parte di Miguel.
Desideravo… oh! Desideravo di più… molto di più.
Volevo toccarlo anch’io. 
Morivo dalla voglia di stringergli le mani al collo ed abbracciarlo forte… sentire il suo corpo ancora più vicino al mio, ancora più stretto, più intrecciato… fino a fondersi l’uno nell’altro.
Cuore contro cuore.
Non appena ebbi le mani libere le avvinghiai tra i suoi morbidi capelli, ma dopo quel gesto tanto avventato, qualcosa in lui cambiò.
         Il suo corpo parve irrigidirsi, la temperatura corporea abbassarsi di colpo e il battito cardiaco rallentare. Lentamente fece un passo all’indietro portandosi una mano agli occhi.
Non riuscii a capire cosa gli fosse preso, almeno finche non posai lo sguardo sul suo volto: due occhi scarlatti stavano scintillando nel buio... affamati più che mai.
         << Vattene via…>> disse fra i denti.
         Non riuscivo quasi a riconoscerlo; il suo bel volto, solitamente impassibile era contratto da un’espressione famelica.
Animalesca.
         << N-non posso…>> dissi, << Non posso la-sciarti... nella stessa stanza con lei!>> balbettai nervosamente, ricordandomi della bambina che giaceva ignara nel suo letto.
         << Allora prendila e portala via! Ma sparisci immediatamente da questa stanza!>>  ringhiò infuriato.
         Senza pensarci due volte, mi diressi verso la piccola e una volta presa fra le braccia lasciai la stanza.
Sebbene una parte di me volesse stupidamente restare, quella ragionevole mi costrinse a non voltarmi indietro e correre via il più veloce possibile.
         Improvvisamente, sentii nel corridoio l'inconfondibile profumo floreale di Eva. Sapeva di gelsomino.
         In quel momento così frenetico, non gli diedi molta importanza.
E feci male, perché successivamente sarebbe giunto il momento in cui me ne sarei pentita.
         Amaramente.


 
***
 

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Capitolo 13
*** Questioni Di Cuore ***


Capitolo 12

Questioni Di Cuore

_ Miguel_

         Il sole mattutino mi irritava gli occhi, e la notte passata completamente insonne, non aveva di certo giovato a riordinarmi le idee.
Tutt'altro, ero di pessimo umore.
Avevo ancora in bocca il sapore ferroso e mediocre del sangue di quella cameriera... come si chiamava? Non ricordavo più nemmeno il suo nome, o forse non gliel’avevo neanche chiesto.
Beh, pazienza… fatto sta che nutrirmi da lei, era servito a ben poco.
         Disgustato, mi portai una mano al collo alla ricerca del pendente. Non era facile individuarlo; lo tenevo ben nascosto sotto il colletto della camicia, in modo che nessuno potesse rendersi conto della sua esistenza.
Era decisamente importante tenerlo al sicuro… almeno per un altro po’.
Sfiorai leggermente con la punta delle dita la sua superficie d’oro, liscia e fredda, per poi soffermarmi sulla piccola pietra rossa dalla forma pentagonale incastonata al suo interno.
Oh, si. Il rubino era caldo.
Bruciava quasi, sempre di più… proprio come la mia gola riarsa.
Più la piccola pietra diventava incandescente, più la mia sete cresceva, superando qualsiasi limite. Tra me e quell’arma c’era un legame forte, un legame di sangue, indistruttibile ed eterno.
         D'un tratto lasciai stare quel ciondolo dov’era, risistemandomi velocemente il colletto della camicia. Non dovevo sprecare altro tempo, e il calore sprigionato dalla collana, non era altro che un avvertimento.
Il tempo stava per scadere ed io ancora non avevo trovato la Chiave. 
         Alla fine le informazioni dell'Ailthium si erano rivelate inesatte e quella donna, Clarice, era morta ancor prima di rivelarmi qualcosa.
         “Salva mia figlia!” aveva detto, ma cosa voleva significare quella frase?
         Era forse la bambina la Chiave che tutti stavano cercando?
Beh, sinceramente dubitavo che la piccola potesse aver a che fare con quella faccenda, ma fin ora, era l’unico indizio che avevo a disposizione.
Con molta fretta, scesi le scale che portavano all’entrata del giardino e senza rallentare la marcia, mi diressi verso il gazebo in ferro battuto dove stavano facendo colazione il conte James e sua figlia Eva.
Salutai velocemente i due, rifiutando con garbo la proposta del conte di sedermi con loro e prendere una tazza di tè.
         La signorina Eva intanto, mi guardava di sottecchi, studiandomi con cura, dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Appuntai lo sguardo su di lei, freddo ed inespressivo, quel tanto per farla smettere.
Come volevasi dimostrare, la ragazza abbassò gli occhi imbarazzata.
Mi lasciai scappare un risolino e con aria divertita mi congedai da lei e suo padre.
         Non mi andava di restare sotto il sole cocente, così optai per rifugiarmi all’ombra di un bell'albero. Un leggero venticello scompigliò i miei capelli. Avrei dovuto respirare a pieni polmoni quell’aria fresca e piena d’ossigeno, ma proprio non riuscivo a rilassarmi.
Tutti i miei sensi erano tesi, all’erta, con la fame alle costole e l’autocontrollo sotto ai piedi. Trovavo irritante persino dover passare del tempo all’aperto, peccato però che il lavoro chiamava, e purtroppo non potevo fare a meno di assolverlo.
         Mi appoggiai languidamente alla corteccia centenaria di una grande quercia e restai immobile, con lo sguardo fisso verso il giardino, ed improvvisamente qualcosa cambiò.
         “Eccoti qua, Piccolo Tarlo.” mi dissi, aguzzando lo sguardo su Amelie.
         Fin dal mio arrivo nel giardino ero sempre stato consapevole della sua presenza, ma mi ero categoricamente proibito di dargli peso, anche perché non volevo spaventarla dopo ciò che era accaduto la sera prima.
Se solo non l’avessi cacciata così in malo modo dalla mia stanza… la serata si sarebbe conclusa tragicamente.
Lo sapevo.
E sapevo anche che ero stato incauto a baciarla tanto... avidamente?
Ma in quel momento il desiderio di toccarla e sentirla mia, era diventato talmente forte da non riuscire più a respirare.
Non mi ero mai sentito tanto eccitato in tutta la mia vita, ma… perché mi aveva abbracciato?
Quel gesto così improvviso aveva fatto quasi spezzare la sottile linea che teneva ancora legata la ragione al mio corpo.
Dovevo ringraziare solo il Signore, Buddha o una qualsiasi altra entità divina, per non esserle saltato addosso... soprattutto in presenza della bambina.
Sarebbe stato imperdonabile procurarle un ulteriore shock, dato che ero stato io stesso a portarla con me.
         Ovviamente mi aspettavo le solite lamentele da parte della contessa von Kleemt, ma stranamente, Lamia aveva acconsentito ad ospitare la piccola per un po’ di tempo.
Inutile dire che Amelie ne era entusiasta.
Nel solo vedere lei e quella ragazzina, Sophie, giocare felici sul prato, mi era tornato il buon umore.
Me la stavo letteralmente ridendo sotto i baffi.
Non riuscivo a distinguere chi delle due fosse in realtà la più “bambina”.
Gridavano, correvano, e si gettavano a terra ridacchiando come gallinelle. Ad Amelie non importava minimamente di mantenere un contegno da elegante signorina di buona famiglia, e si ruzzolava nell’erba come una qualsiasi bimbetta di paese.
Era passato quasi un mese dal mio arrivo nella residenza dei Von Kleemt, ed ancora non l’avevo vista sorridere in quel modo, così spensieratamente come invece stava facendo insieme alla piccola. Nel vederla finalmente felice, sentii uno strano calore propagarsi all'altezza dello sterno.
E no, non era per via del ciondolo.
         Quella mattina, lei ancora non mi aveva rivolto la parola e si era limitata a guardarmi da lontano, con aria circospetta. Dal canto mio, non avevo problemi a fissarla, anche a costo di sembrare insolente. Anzi, mi piaceva tremendamente metterla in imbarazzo.
         Stavo vagamente pensando di cancellarle la memoria per quanto riguardava la sera precedente… ma mi bloccai. Non volevo toglierle i ricordi del nostro bacio. Volevo che ci pensasse e ripensasse fino allo sfinimento, proprio come facevo io con lei.
Poi, per un secondo, i nostri sguardi si incrociarono, ma Amelie distolse velocemente il suo.
Mi piacevano i suoi occhi, erano profondi e di un colore cangiante, tendente sia al castano che al verde.
         La vista cominciò ad annebbiarsi, e dovetti lottare contro me stesso per non far cadere sui miei occhi il velo scarlatto dell’eccitazione. Anche la pietra rossa del mio ciondolo si fece più calda, diventando incandescente.
Oh, Amelie...  le guardai le labbra, il collo, le gambe affusolate che si intravedevano da sotto le gonne in movimento e…
         << Vi ho visto.>> affermò disinvolta sua sorella Eva, strappandomi bruscamente dai miei pensieri perversi.
         << La scorsa notte.>> precisò, << Vi ho visto con quella cameriera.>>
         Alzai lo sguardo con aria di sfida.
Evidentemente, non ero stato abbastanza cauto.
         << Origliare è maleducazione, signorina Von Kleemt.>> dissi, schioccandole un sorriso tagliente.
         Lei si limitò come pochi minuti prima ad osservarmi, da capo a piedi.
         << Suvvia, Miguel! Sapete benissimo che potete chiamarmi Eva.>> la sua voce era ferma e decisa, proprio come quella di Lamia.
         << Certamente, Eva. Ma vedete… non vorrei darvi troppa confidenza.>> dichiarai gelidamente.
         Lei parve incupirsi.
         << Non mi pare che con Amelie, siate stato così formale, anzi…>> sussurrò acidamente.
         Al ricordo di Amelie, una fitta bruciante colpì improvvisamente la mia gola.
         << Voi non siete Amelie, milady.>> asserii piatto nella voce.
         Lei parve accusare il colpo, poi con estrema sfacciataggine si avvicinò a me posando una mano sulla mia spalla destra.
          << Io non sarò Amelie… >> fece esitante, << Ma so chi e che cosa siete... e mi affascina terribilmente.>>
         Avvicinò il volto al mio orecchio, sfiorandomi la guancia con i suoi capelli che odoravano di gelsomino.
         << Ho saputo da mia madre come stanno in realtà le cose, fin dal principio. Infatti… mi sembrava strano che…>> sfiorò le mie labbra con un dito, << Un uomo come voi, così… di bell’aspetto… si fosse, come dire? Interessato? … ad Amelie. Però non mi sarei mai aspettata che… dalla semplice protezione, foste arrivato a dover interpretare il ruolo del fidanzatino innamorato. Ce ne passa di strada, non credete?>>
         Eva sorrise, e con tono mellifluo le dissi gentilmente di non toccarmi.
Era palese che stesse recitando, ma volendomi divertire ancora un po’ finsi di non accorgermene.
         << Ognuno ha i suoi gusti.>> risposi ironicamente, pensando che sebbene lei fosse una bella ragazza, non rispecchiava abbastanza i miei: mi ricordava troppo la madre.
         << E ditemi, allora… credete forse di poter toccare Amelie? Sapete bene che non è pane per i vostri denti! Io non permetterò mai che voi la…>> si bloccò improvvisamente.
         Bene, si era accorta di aver rivelato troppo.
         << Avanti, Eva. Cosa stavate dicendo poco fa?>> la spronai.
         << Niente. Assolutamente nulla… >> disse sbattendo le ciglia in modo civettuolo.
         Ma a chi voleva darla a bere?
         << Quindi non vi dispiacerà se questa notte, farò una visitina alla stanza di Amelie. Infondo come suo promesso sposo, potrei anche infischiarmene delle buone maniere e fare questo ed altro.>> sussurrai beffardamente.
         Lei sbiancò.
         << No... non oserete! Io non ve lo permetterò!>> ribadì spaventata.
         Mi venne da ridere, ma improvvisamente la fitta alla gola si fece più acuta e la pietra al contatto col mio collo sempre più rovente.
Dannazione… fino ad allora ero sempre riuscito a contenere gli attacchi di fame entro un limite ben delineato, ma da quando vivevo costantemente a contatto con quel Piccolo Tarlo di Amelie, il sangue che bevevo da altri non mi bastava più.
Volevo solo il suo, ma… la fame aumentava di giorno in giorno.
         Eva vide sicuramente i miei occhi vacillare dal rosso all’azzurro: non riuscivo a stabilizzarmi. Poi le fitte diventarono sempre più incalzanti, continue e laceranti. Volevo del sangue, ne avevo bisogno... disperatamente!
         Ansimante, mi girai di scatto verso le figure gioiose di Amelie e la piccola Sophie.
Amelie si era appena messa una ghirlanda di margherite fatta dalla bambina.
         Quanto tempo ci avrei messo per azzannale il collo?
Già assaporavo il sapore delizioso del suo sangue nella mia bocca… e la vista si tinse definitivamente, diventando scarlatta.
         << Oh mio Dio! Ma cosa vi succede?>>  urlò quell’altra che mi stava vicino.
         La mia mente era totalmente presa dal desiderio che avevo di Amelie da riuscire a dimenticare qualsiasi altra cosa che non fosse lei.
         << La fame… >> riuscii a biascicare, ma la mia voce era roca ed impastata.
         Nemmeno la riconoscevo.
Eva guardò velocemente prima me e poi il punto fisso su cui erano posati i miei occhi, poi sussultò.
         << Per l’amor del cielo! Non la toccherete nemmeno con un dito!>> latrò terrorizzata, urlando così forte che desiderai tapparle la bocca una volta per tutte.
         Afferrò il mio braccio così da non lasciarmi andare, ma la sua presa era debole come il suono del mare all’interno di una conchiglia.
         << La voglio… >> mi sfuggì dalle labbra, e senza rendermene conto strattonai Eva a terra per dirigermi verso Amelie.
         Ma la ragazza si attaccò nuovamente al mio braccio, tirandomi all’indietro.
         << Prendete il mio sangue se volete! Ma lasciate in pace Amelie! Lei non può perderlo! Finirebbe per…>>
          “Morire” aggiunse silenziosamente la voce della mia coscienza.
         Portai entrambe le mani agli occhi.
Bruciavano troppo.
         Come mi ero potuto lasciar comandare così dal desiderio?
Se non ci fosse stata Eva, le conseguenze sarebbero state terribili. Ma le fitte ormai erano diventate un dolore onnipresente e continuo, tanto insopportabili da farmi accasciare a terra.
E così feci.
         Lei si sedette sull’erba vicino a me e con mano ferma, si sbottonò le asole del colletto merlettato. Tirò giù la stoffa fino alla clavicola e in un attimo le fui sul collo; poi il battito d’ali di una farfalla, ecco il tempo che ci voleva. Prima ancora che potessi accorgermene, le avevo già perforato la pelle con le zanne e il suo sangue si riversava dritto all’interno della mia bocca, come l’acqua zampillante di una sorgente. E proprio come l’acqua, quel sangue mi sembrava scialbo ed insapore.
Reclinai la testa, affondando sempre più in profondità.
         Con mia grande sorpresa Eva restava completamente immobile; sapevo di farle male, ma la verità era che non me ne importava assolutamente niente. Volevo solo saziarmi, immaginare che quello fosse il sangue di Amelie e scordare di avere lei tra le braccia, ma come spesso accadeva, dopo pochi secondi il sangue altrui cominciava a diventarmi indigesto, nauseabondo… completamente disgustoso.
         D'un tratto immaginai nuovamente di sentire l’odore di Amelie nell'aria, ma quando alzai lo sguardo, mi accorsi che non si trattava di una finzione.
Lei era lì.
Se ne stava in piedi davanti a noi, il viso pallido, trasfigurato dal terrore.
Il suo urlo striminzito si levò basso e gracile, indebolito da una disperazione che mai avevo osato immaginarle sul volto.
         Ci fissava, anzi... mi fissava, e il suo sguardo aveva il potere di trafiggermi da parte a parte, affilato come la lama di un coltello.
Poi, dai suoi splendidi occhi cangianti cominciarono a scendere imperterrite le lacrime.
         Un’altra fitta dolorosa mi colpì.
No, non si trattava della gola.
Era più giù, in profondità, all’interno del mio corpo, forse nel petto... leggermente a sinistra.
         Ci fu un’altra fitta ed un’altra ancora, come se qualcuno si stesse divertendo nel puntellarmi il cuore dall’interno.
Si, il cuore.
         Era da lì che proveniva quell’insensato dolore, e fu proprio in quel momento... che ricordai di possederne uno.

_ Amelie_

         Era una bella giornata.
Una di quelle calde, luminose e vivaci… capaci di farti sorridere spontaneamente, senza motivo.
         Il cielo era limpido, terso e il sole splendeva alto, irradiando il tutto sotto una calda e carezzevole luce. Solo qualche soffice nube bianca si intravedeva all’orizzonte, dipingendo sulla vasta tela del cielo un meraviglioso affresco dalle forme più fantasiose e disparate. Le risate gioiose impregnavano l’aria di una strana elettricità che frizzava sulla pelle.
Ancora non riuscivo a crederci, ma stavo allegramente giocando in giardino con Sophie.
         Chi mai avrebbe potuto immaginare uno sviluppo simile?
 Di certo non io, almeno non così presto.
Unica pecca: sentivo fin nelle ossa lo sguardo di Miguel che vagava sulla mia pelle.
Continuavo a ripetermi di ignorarlo, ordinando a me stessa di non dargli importanza, peccato però che non ci riuscissi del tutto.
         Erano passate più o meno due ore da quando quella mattina l’avevo portata da Lamia e la piccola, sembrava essersi perfettamente ambientata. I lividi sugli occhi avevano ancora una sfumatura bruna, quasi bluastra, ma perlomeno sarebbero guariti in poco tempo, mentre per quanto riguardava la sua memoria… sembrava averla perduta del tutto.
Non ricordava nulla, neppure il suo nome.
Fu così che io e Lamia provvedemmo per trovargliene uno, ribattezzandola col nome della mia bisnonna: Sophie.
Era stato il primo nome che ci era venuto in mente e comunque, la piccina sembrava gradirlo.
         Ricordai che mentre le stavo lavando di dosso tutto quel sangue, i miei occhi si erano focalizzati perplessi su alcune ferite che aveva sulle braccia e sull’addome. Non sembravano lividi, ma più che altro strane cicatrici ancora fresche… e dietro il collo, sotto la nuca, aveva una voglia color porpora.
         Dov’è che l’avevo già vista?
         Forse nei miei sogni?
Proprio non lo sapevo, eppure quella piccola voglia a forma di runa intrecciata, somigliava tremendamente a qualcosa che al momento mi sfuggiva.
          Cosa mai poteva esser accaduto ad una bambina così piccola ed indifesa?
Nel solo immaginarlo, mi vennero i brividi.
Chissà da dove veniva... e chissà perché Miguel l'aveva portata con sé.
Accantonai i pensieri molesti sul mio finto fidanzato e ritornai a concentrarmi sulla bambina. La conoscevo da quella mattina soltanto, eppure riuscivo a capire la piccola Sophie con un solo sguardo. Mi piaceva stare con lei, veramente; tra di noi c’era complicità e molto, molto affiatamento... lo leggevo nei suoi occhi, non potendo far altro che ricambiare a mia volta. E poi, era così dolce e carina! Come potevo resisterle? Soprattutto quando sorrideva, perché le guanciotte paffute diventavano rosee come fiori di pesco.
         Comunque sia, a parte quelle strane cicatrici e i lividi sugli occhi, la bambina per nostra fortuna sembrava stare più che bene, ma la sua buona salute non bastava a cancellare la preoccupazione che provavo nei suoi confronti. Innanzitutto per quanto riguardava Miguel.
         Era ovvio che lo spettacolo della notte scorsa mi avesse turbato così tanto, no?
Ricordavo con chiarezza, quanto il suo viso fosse contratto dal dolore… ma se da un lato trovavo la scena orribile e terrificante, dall’altra parte avevo desiderato con tutta me stessa abbracciarlo forte, cullandolo dolcemente fra le mie braccia.
Non avevo mai provato nulla del genere: una sensazione così strana, travolgente, impetuosa... da farmi dimenticare tutto... persino la paura. Non sarei mai voluta andarmene, ma i suoi occhi… i suoi splendidi occhi erano…
         << Palla!>> urlò la bambina.
         Un secondo dopo, sentii schiaffarsi violentemente sulla mia faccia un pallone di cuoio.
Ringraziai mentalmente Sophie per avermi strappato in modo così – come possiamo dire? – “efficace?” dalla strana piega che stavano prendendo i miei pensieri.
         << Ti sei fatta male, signorina Amelia?>> chiese in tono scherzoso, raccogliendo la palla ai miei piedi.
         Cercai di guardarla con occhi severi, ma alla vista del suo brillante sorriso il cuore mi si sciolse in una poltiglia fumante.
         << Non chiamarmi “signorina Amelia”, per te sono semplicemente Amelie! E certo che mi hai fatto male! Ma ti perdono solo perché sei la bambina più bella del mondo!>> dissi allegramente, cercando di acchiapparla.
         Sophie svincolò via ridendo a crepapelle, poi si voltò a guardarmi con i suoi grandi occhi dal colore diverso: uno azzurro ed uno castano. Erano stupendi.
         << Allora ti chiamerò Amelie!>> esultò entusiasta.
         Mi corse incontro a braccia aperte, stringendomi con forza.
Fui colta da un eccessivo moto d'affetto nei suoi confronti e senza rendermene conto, la presi in braccio. Pesava come una piuma. Le feci fare una giravolta, poi un'altra ed un'altra ancora.
Poi, improvvisamente qualcosa cambiò e la sensazione di avere gli occhi di Miguel puntati addosso, scomparve nel nulla.
Preoccupata, mi guardai intorno.
No, effettivamente non era più nelle vicinanze, però riuscivo ancora a sentire il suo dolce profumo spargersi nell’aria.
         << Amelie, sai dove sono la tua bella sorella e il signore con gli occhi blu? Voglio giocare anche con loro! Solo che non li vedo da nessuna parte, dimmi, tu lo sai dove sono?>> quelle domande, mi spiazzarono.
         Eva, doveva trovarsi sicuramente a pochi passi da noi, ma… per qualche strana ragione non riuscivo più a vederla. Nemmeno Miguel c’era.
Un tremore improvviso mi fece venire la pelle d’oca.  
         Dove si erano cacciati entrambi?
         << Non lo so, piccolina… comunque sia, qui con te ci sono io! Non ti basto, forse?>> la mia voce usciva sempre più acuta di parola in parola.
         Non volevo pensarci, magari era solo una coincidenza che mancassero tutti e due nello stesso momento.
         << Amelie, sei gelosa?>> le sue parole mi colpirono come una freccia, scoccata e poi infrantasi direttamente al centro del bersaglio.
         I bambini proprio non sapevano tener la lingua a freno, eh?
         << Ma cosa vai a pensare? Io, gelosa!>> risi stridulamente, << Ma figuriamoci!>>
         << Allora giocherò solo con te, Amelie!>> prese la palla e cominciò a lanciarmela.
         Mentre la rincorrevo a perdifiato sull’erba, il dubbio che Eva e Miguel fossero insieme da qualche parte, cominciò ad attanagliarmi violentemente la testa.
         “E se Eva provasse interesse nei confronti di Miguel?” pensai, ma a quell’idea inorridii, scuotendo il capo.
         No, non poteva essere.
Era vero che ultimamente io e mia sorella ci parlavamo unicamente se costrette, ma il nostro era solo uno dei tanti battibecchi che si sarebbe risolto col tempo. Inoltre, lui era (seppur temporaneamente) il mio fidanzato e se di Miguel non potevo fidarmi, sapevo per certo che Eva non mi avrebbe mai tradito.
         << Amelie! Vediamo se riesci a prendere questa!>> Sophie prese la palla da terra e la lanciò con tutta la forza che possedeva nelle piccole, gracili braccia.
         Vidi la palla sferzare l’aria, sempre più in alto, per poi sorpassarmi e finire una diecina di metri più lontana, tra le foglie della grande quercia.
Feci un grande respiro e afferrai i miei capelli, legandoli frettolosamente in uno chignon. Erano troppo lunghi, e oltre a darmi fastidio, s'impigliavano dappertutto.
         << La prendo io!>> dissi euforicamente.
         Senza perder tempo, mi diressi saltellando allegramente verso l’antico albero e una volta arrivata, aguzzai lo sguardo.
La palla si era incastrata tra due grosse radici che fuoriuscivano dal terreno. Mi abbassai nel tentativo di afferrarla e per sbaglio, udii ciò che mai avrei voluto sentire: un gridolino sommesso di donna.
         In quel momento il mio sangue defluì alla testa e le mani che reggevano la palla, si fecero fredde ed intorpidite.
Con gambe che parevano di legno, mi mossi verso l’altro lato dell’albero e il lezzo del sangue appena versato, colpì in pieno il mio volto. Provai ad urlare, ma non ci riuscii. La mia bocca era diventata improvvisamente arida.
         Intanto Eva giaceva a terra, fra le braccia di Miguel, mentre lui se ne stava febbrilmente attaccato al suo corpo.
No, non credevo ai miei occhi. Non riuscivo a farlo.
         Perché Eva?
Il suo collo era allungato in segno di offerta e lui, poggiava voracemente le labbra sulla pelle candida della sua gola.
Forse stavo sognando, ma Eva sorrideva.
Quel poco di sangue che avevo in corpo si congelò all’istante, seguito a ruota dal battito del mio cuore che sembrava pomparmi nelle vene del ghiaccio liquido.
         Come osava Miguel fare del male a mia sorella?
         E lei, con quale coraggio riusciva a compiacersene?
All’immagine di quei due, si sovrappose per un secondo quella di Adam e Cherry. Non potevo sopportarlo.
Le stesse labbra che mi avevano baciato, stavano sfiorando la pelle di mia sorella, e le stesse braccia che mi avevano tenuta stretta la notte precedente… stringevano il suo corpo con forza.
         Resosi conto della mia presenza, Miguel alzò la testa dal collo di Eva, in modo riluttante, inchiodandomi all’istante con i suoi occhi duri e spietati. Scarlatti.
Avidi ed affamati.
Gridai disperata.
Sotto quello sguardo infuocato dal rosso, c’era il volto beato di mia sorella che mi guardava soddisfatta.
Lentamente, gli occhi di Miguel si spensero, ritornando al loro azzurro originale ma invece di evitare il contatto visivo, continuò a fissarmi.
         Ed ora… cosa gli era preso?
Miguel sembrava preoccupato, e il suo volto rivelava un forte tormento, come se un dolore pungente lo attanagliasse da qualche parte. Pareva che stesse soffrendo. E molto anche.
         << Amelie…>> pronunciò il mio nome con voce incerta, ma io non risposi.    Non ne avevo la forza.
         << Lasciatela stare Miguel, lei non vi può dare ciò che posso darvi io!>> gridò flebilmente Eva, bloccando il braccio che Miguel stava tendendo verso di me.
         Ma prima che lui potesse aprire nuovamente bocca, Eva lo sovrastò con la voce.
         << Faresti meglio ad andartene, Amelie. Tu non puoi fare nulla per lui, mi saresti solo d’intralcio!>>
         << Ma… Eva!? C- cosa vuole significare questo? Miguel ti stava…>> le parole mi morirono in gola.
         Sapeva cosa fosse Miguel e gli si era offerta?    
         Si rendeva conto di quanto ciò potesse essere pericoloso?
         << Lo stavo nutrendo, esatto.>> fece decisa, << Evidentemente preferisce il mio sangue al tuo. >>
         Volevo andarmene, dimenticare tutto, ma mia sorella ancora non aveva finito con me.
         << Non puoi pretendere che muoia di fame, solo perché tu non puoi dargli del sangue. Lui non ti appartiene, Amelie.>> la sua voce non mi era mai sembrata così dura, nemmeno quando da piccola la facevo infuriare.
         << M-ma, lui è il m-mio fidanzato!>> balbettai, incurante di aver alzato la voce.
         Mi sentivo male, tremendamente male.
Tradita non solo da Eva, la mia adorata sorellastra, ma anche da quel disgraziato di Miguel, che se ne andava in giro ad azzannare il collo delle persone a me care.
         Come avevano potuto farmi una cosa del genere?
Lui era il mio fidanzato!
Anche se momentaneamente, agli occhi di tutti rimaneva il mio futuro sposo e non potevo permettere che un altro –uomo?– a cui ero legata mi tradisse… con mia sorella, per giunta!
         Desiderai di scomparire nel nulla, fagocitata dalla stessa terra che calpestavo.
Dannazione, lui era legato a me, non ad Eva!
E l’idea che con mia sorella avesse fatto le stesse cose che aveva fatto con me, mi mandava in bestia.
Senza rendermene conto, cominciai a piangere e dentro di me, maledissi la palla di cuoio che stringevo sul petto.
         << Non versare quelle lacrime da coccodrillo, Amelie. Sai bene che non hai motivo di farlo.>> le parole di mia sorella furono taglienti come lame, poi sempre con lo stesso tono di voce, aggiunse:<< E comunque non avresti nemmeno motivo di arrabbiarti. So come stanno le cose fra voi due, e so anche che il vostro fidanzamento è fasullo. I nostri genitori l'hanno indetto unicamente per non creare scandalo dopo il ballo dei Woodville.>>
         Da lontano udii Sophie che mi chiamava, ma ignorai la sua voce e mi girai per guardare Eva dritta negli occhi.
         << Scusate il disturbo, allora!>> dissi con voce tendente all’isterismo.
         << Non capisco perché ti debba arrabbiare così tanto! Sai che tipo di creatura è il tuo cosiddetto “fidanzato”… e sai anche di cosa ha bisogno per sopravvivere! Ma tu, mia cara sorellina, non puoi assolutamente dargli ciò che gli serve. Hai così poco sangue che nemmeno riesci a reggerti in piedi!>> urlò, << Invece io, posso dargli tutto ciò che vuole… e anche di più.>>
         << Ti rendi conto di cosa stai dicendo, Eva?>> biascicai disperata, << Non ti riconosco più!>>
         Per un attimo, il fiero disprezzo che si era dipinta sul volto parve quasi andare in pezzi, come fine porcellana in procinto di creparsi.
         << Amelie, sei una stupida! Tu non potrai mai comprendere quello che sto provando io… lo capisci? Non saprai mai cos’è!>>
         << M- ma io…>> volevo ribattere qualcosa, una qualsiasi cosa, solo che le parole mi morirono in gola.
         << Amavi Adam, ma di Miguel non ti importa nulla! Tu non lo ami!>> esclamò convinta delle sue opinioni.
         Peccato solo, che la sua bocca non avesse mai pronunciato nulla di più sbagliato.
         << Ora basta.>> sussurrò freddamente lui, fulminandola con lo sguardo.
         Non appena lei si voltò, Miguel posò delicatamente la fronte sulla sua ed in pochi secondi Eva crollò a terra svenuta.
Nel vedere mia sorella priva di sensi, mi venne la pelle d’oca.
         L’aveva uccisa?
         << C- che diamine le hai fatto?!>> gridai con tutte le mie forze.
         << Niente.>> disse calmo, pulendosi le labbra. << Adesso, la tua cara sorellina non ricorderà più cosa le è accaduto oggi.>>
         << Le hai cancellato la memoria.>> affermai con tono cupo, ma lui non rispose ed io m'infuriai ancora di più.
         << Perché con me non l’hai fatto?>> gli urlai contro, stringendo con forza i pugni.
         Miguel però, si limitava a fissarmi senza aprire bocca.
         << Per quale motivo hai lasciato che mi ricordassi di te? Avrei preferito mille volte morire sotto atroci sofferenze… piuttosto che sapere della tua esistenza!>> stavo gridando.
         Sapevo che non dovevo, ma mi era quasi impossibile mantenere la calma.             
         << Avanti, rispondimi!>> lo esortai, << Ci tenevi così tanto a farmi innamorare di te? Mi odi a tal punto?>> dopodiché mi tappai immediatamente la bocca.
         Non potevo credere di aver detto quelle parole ad alta voce.
Ogni battito del mio cuore era come una pugnalata in pieno petto; non riuscivo  più a guardarlo negli occhi, mi era impossibile farlo senza singhiozzare.
         Così, senza pensarci due volte, girai i tacchi e corsi come una forsennata verso Sophie.
Avevo commesso un errore imperdonabile e per di più mi sentivo profondamente ferita.
         Nel frattempo, il cielo si era oscurato e delle nubi cariche d’acqua resero la volta celeste livida ed ostile.
Ci fu un tuono, poi un altro e come aghi acuminati, la pioggia cominciò a cadere fredda sul mio corpo.
         “Che strano” pensai, sembrava quasi che il cielo piangesse con me. 


***

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Capitolo 14
*** Fuori Dalla Gabbia ***


Capitolo 13

Fuori Dalla Gabbia

_ Miguel_

         Il tempo, sembrava essersi adattato immediatamente al mio pessimo umore.
La pioggia cadeva, ticchettando fredda sulla mia pelle, sui miei occhi… sul mio cuore.
         Cos’è che Amelie aveva detto?
Ancora non me ne capacitavo.
         Quel “ci tenevi tanto a farmi innamorare di te”  l’aveva detto sul serio, o forse l’avevo solo sognato?
Mi abbandonai ad un sospiro lungo e profondo, ma quelle parole non facevano altro che continuare a ronzarmi nella testa, senza interruzione, come se nel mondo non ci fosse stato altro a cui pensare. Mi sentivo completamente raggelato, come se all'interno del mio corpo sorresse del veleno ghiacciato. Anche la pietra rossa che portavo al collo si era raffreddata, come la sete.
         Distrattamente, mi potai una mano alla bocca per pulire le labbra dal sangue di Eva e mentalmente, cercai di maledirmi un’altra volta.
         Cosa mi stava prendendo?
Non ero stato capace di spiccicare una sola parola di fronte ad Amelie, niente di niente.
Il mio unico desiderio era quello di seguirla, bloccarla per un braccio e caricarmela sulle spalle; eppure la stavo lasciando scappare, senza fare nulla, guardandola mentre si allontanava di corsa.
Sì, dovevo fermarla... ma non potevo.
Prima dovevo sistemare una cosa.
         Fingendo indifferenza, mi voltai verso il corpo di Eva, che giaceva a terra privo di sensi e lo spostai, appoggiandolo delicatamente al fusto dell’albero, in modo che non si bagnasse troppo.
Ci fu una folata di vento.
Ma bene... non eravamo soli, io e la contessina.
Qualcosa mi stava osservando, tuttavia non riuscivo a percepire perfettamente di “cosa” si trattasse.
         Trattenni il sorriso amaro che avevo sulle labbra e senza curarmene, mi girai nuovamente verso Amelie. Ormai era solo un puntino all’orizzonte, candido e lontano. Correva in modo disperato, come se avesse il diavolo alle calcagna. E infondo, non aveva tutti i torti.
         Dopodiché ci fu un altro spostamento d'aria.
         “Eccoti allo scoperto...” pensai, fingendo di non essermi accorto della sua presenza.
         Poi, dall’alto si udirono delle risate arrochite e l’aria si riempì dell’odore di una persona a me poco gradita.
         << Ma che bella confessione d’amore, amico mio! Sono commosso! Anche se non saprei dire con esattezza, se quella fanciulla ti ama o ti odia!>> esclamò.
         Mi girai di scatto, fulminando con lo sguardo l’uomo che se ne stava languidamente adagiato su un ramo della quercia.
         << Ryan…>> dissi contando il veleno nelle parole, << Credevo fossi morto.>>
         << Suvvia, Miguel! Potrei dire lo stesso di te. Ti ho cercato in lungo e in largo, sembrava che il diavolo ti avesse portato via con sé!>> schioccò fastidiosamente la lingua, poi continuò divertito: << A quanto pare non sei cambiato di una virgola. Sempre di umore pessimo, eh?>>
         In realtà era lui che mi rovinava l'umore.
Lo guardai con aria di sfida, senza degnarlo di una risposta.
Per niente offeso, Ryan si mise in equilibrio sul ramo ed un attimo dopo, me lo ritrovai di fianco, con il braccio appoggiato sulla mia spalla.
         << Spostati.>> gli ordinai seccato.
         Lui sbuffò, ma poi obbedì, scrollandosi di dosso la pioggia.
         << E quest’altra bella fanciulla?>> disse chinandosi verso Eva. << Mmm, veramente niente male. Non dirmi che te la spassi con entrambe!>> ridacchiò, ma come al solito il suo sorriso non si rispecchiava negli occhi.
         <<  Penso che tu abbia origliato abbastanza.>> affermai con voce beffarda.
         << Se è per questo, amico mio, mi sono anche informato!>> poi aggiunse con tono bislacco: << Tu, che decidi di prendere moglie! Questa sì, che è bella! Quando ne ho sentito parlare, sono morto dalle risate! Anche se ora che l’ho vista, mi rendo perfettamente conto di cosa provi… quella ragazza è decisamente intrigante…>> alle sue parole m’innervosii. 
         <<  Non sono affari che ti riguardano.>> dissi con tono gelido, lanciandogli di rimando un'occhiata tagliente.
         Il volto di Ryan s’incupì.
         << Questo lo dici tu.>> affermò, aguzzando lo sguardo sul mio collo.
         Sapevo cosa stava cercando, e risi della sua prevedibilità.
Mi sbottonai la camicia fino al petto, mettendo in bella mostra il ciondolo che nascondevo al disotto del colletto.
         << Volevi forse vedere questo?>> chiesi con voce denigratoria.
Gli occhi color cobalto di Ryan divennero delle fessure azzurre, per poi tornare ridenti e giocosi, come quelli di un bambino dispettoso.
         << Alla fine hai deciso di tenerlo. Sai volevo proprio …>>
         << Piuttosto Ryan, cosa ci fai qui? Non dovresti essere a Vienna?>> lo interruppi bruscamente, non volendo affrontare l’argomento.
         Per nulla indispettito, Ryan si limitò a rispondere con tono disinteressato:      << Oh, beh... In questo periodo Vienna non è particolarmente di mio gusto. E comunque, sono state le alte sfere ad inviarmi qua.>>
         << Ordini dell'Ailthium, suppongo.>> dichiarai scrollando le spalle.
         << Esatto!>> esclamò ridendo, poi, improvvisamente il suo sorriso si spense e i suoi occhi assunsero un serio cipiglio.
          << Piuttosto, Miguel… sei tu quello che dovrebbe essere a Vienna. Sbaglio o ti avevano proibito di mettere piede qui?>> alle sue parole scossi lievemente il capo.
         << Sai che non prendo ordini da nessuno… tantomeno da quelle vecchie carcasse ammuffite che presiedono l'Ailthium.>> dissi inarcando un sopracciglio.
         Ryan parve incupirsi ancora di più.
         << Ma non puoi rimanere qui. Lo sai benissimo anche tu. Devi...>>
         << Suvvia, Ryan. Posso eccome. D’altronde non l’avete ancora trovata. >> detto questo, portai le mani al ciondolo che avevo sul collo, accarezzando la pietra rossa con la punta delle dita.
         << Se si fosse “rotto”, sarei stato uno dei primi ad accorgersene.>>
         << Oh, sì… tu puoi. Ma vedi, amico mio… le Antiche Scritture dicono che la rottura sarà imminente. "Quando la luna si tingerà di rosso..." , ricordi? Non dovresti trovarti in questo luogo. Non ora.>> dichiarò con voce grave, posandomi una mano sulla spalla.
         Ricambiai il suo gesto con un'occhiata sprezzante.
         << Beh, mettiamola così… sono io che voglio restare. Ovviamente so a quali rischi vado incontro, non sono mica uno stupido! Ma ho vari motivi per trattenermi qui e anche volendo, non potrei andarmene comunque…>> ammisi, ripensando agli impegni che ero tenuto a rispettare nei confronti di quel Piccolo Tarlo.
         Sul volto di Ryan comparve un sorriso stravagante.
         << Certo, certo… quella ragazza dai capelli mossi è piuttosto interessante! Ammalierebbe chiunque con il suo odore, e non nascondo il fatto che desidererei molto volentieri approfondire la sua conoscenza!>>
         Rise in modo irritante, tanto che desiderai strappargli le corde vocali dalla gola con le mie stesse mani.
         Che intenzioni aveva?
         << Si...>> disse, << È decisamente il mio tipo.>>
         Non fece in tempo a battere ciglio che si ritrovò le mie mani attorno al collo, intente a strangolarlo.
         << Non osare avvicinarti a lei.>> lo minacciai con voce lugubre, scandendo le parole una ad una.
         Ryan sussultò.
         << Ma guarda un po’… ho premuto un tasto dolente! Non credevo che la… “fidanzatina” ti interessasse così tanto!>> esclamò con tono gutturale, mentre stringevo ancora di più la presa sul suo collo.
         << Ryan, credevo che tu fossi più intelligente… e anche più agile.>> affermai tirandolo con forza sul fusto dell’albero.
         I suoi piedi penzolavano a venti centimetri da terra.
         << Q-quella ragazza ha decisamente qualcosa che non va… non avrei mai immaginato di vedere sul tuo volto freddo ed impassibile… una simile espressione! Mi meraviglio di te, Miguel!>> gridò e udendo quelle parole, strinsi la presa ancora di più.
         Avevo i nervi a fior di pelle e la rabbia che bruciava, fredda come il ghiaccio. 
         Come osava un misero essere umano parlarmi in quel modo?
Premetti ancora più forte, ma l’abbassamento del flusso cardiaco che percepivo al disotto della sua pelle, mi fece cambiare idea.
Così decisi di scaraventarlo a terra, lasciandolo libero di respirare.
         << Mi… hai colto… impreparato!>> tossì in modo ansante, portandosi una mano alla gola. << Non credevo… che tu, potessi… reagire in questo modo!>>
         Alla sua affermazione, sorrisi.
         << Semplicemente, non voglio che qualcun altro si azzardi a toccare ciò che mi appartiene.>> dissi con tono sprezzante.
         Ryan si rabbuiò.
         << Se la metti così... non fai altro che rendermi il gioco più stimolante!>> dichiarò con noncuranza per poi avvicinarsi al corpo di Eva.
         Desiderai potergli torcere il collo che poco prima gli avevo risparmiato, ma il buon senso mi suggerì di non attaccare… almeno finché Ryan si trovava così pericolosamente vicino ad Eva.
         Tuttavia, una volta accortosi delle mie vere intenzioni, se la caricò in braccio.
         << Credo che farò una bella visitina alla cara contessa Von Kleemt!>> mi sfidò inarcando le labbra in un sorriso sbieco; poi qualcosa nell’aria mutò e lui sorrise.
         << Oh, Miguel… te ne sei accorto, vero? Il tuo bell’uccellino è appena fuggito dalla gabbia… Dovresti proprio correre a riprendertelo.>>

_ Amelie_

         L’orizzonte era fosco, pesante, quasi cianotico.
Il cuore mi rimbombava nel petto, con la stessa forza ed intensità che avevano i tuoni. Ci fu un lampo, poi un altro.
         Il vento sferzava violentemente sul mio volto, sulle mie guance bagnate dalla pioggia e avevo la terribile sensazione che da un momento all’altro la mia faccia potesse tagliarsi a metà. La terra tremò e la giumenta che montavo fece una piccola impennata.
Mi abbassai, sussurrandogli delicatamente di calmarsi… che doveva stare buona.
Non feci in tempo ad accarezzarle la scura criniera che il cielo s’illuminò ancora.
         << Sta calma, Lucy… Sta calma…>> le ripetevo, ma come unica risposta ricevetti un nitrito spaventato.
         Alzai gli occhi al cielo. La pioggia cadeva ripida e fredda sulla mia pelle, penetrando in profondità, fino alle ossa. Avevo il mantello completamente zuppo, e i capelli – che di norma stavano legati in una crocchia – si muovevano liberi dietro la mia schiena, leggermente incollati dall’acqua.
         Il cielo si fece più livido, sfiorando i toni del viola.
No… non potevo più tirarmi indietro, ormai era troppo tardi.
Delle calde lacrime mi offuscarono la vista, ma strinsi ancora più forte le redini del cavallo e pensai sinceramente che fosse stato un bene prendere lezioni di equitazione.
         Lucy batté più volte gli zoccoli nel fango ed aveva ragione. Con quel tempaccio chi mai avrebbe voluto farsi una bella cavalcata?
Solo un pazzo.
         Abbassai gli occhi sul sentiero limaccioso e lanciai un sospiro di sollievo. Il tragitto che portava al bosco sembrava essere abbastanza agibile. Certo, galoppare nella melma non sarebbe stato molto facile ma perlomeno ancora non erano caduti grossi rami e gli ostacoli che c’erano sulla strada, potevano essere aggirati senza troppi problemi. Strattonai lievemente le briglie e col piede diedi un colpetto al fianco dell’animale. Sentivo la stoffa bagnata del mantello battere sulle spalle. Superai con successo gli steccati esterni alla villa e in un batter d’occhio mi ritrovai a cavalcare senza meta all’interno della scura boscaglia.
         Sentivo freddo, la pioggia ancora cadeva a dirotto e nell’aria c’era qualcosa di strano.
Quel posto non mi era mai sembrato così lugubre e macabro come in quell’istante. Quando ero piccola scappavo spesso nella foresta, soprattutto per ripicca verso Lamia e James che non mi dedicavano mai abbastanza tempo. Allora fuggivo per mancanza di attenzione, ma in quel momento… era qualcos’altro a spingermi così lontano.
         << Vai, Lucy! Vai!>> gridai nel vento, incitando la giumenta ad aumentare la velocità.
         Una strana angoscia stava scavando una voragine all’interno del mio stomaco.
Gli alberi che mi circondavano erano ricurvi e tetri. Si piegavano, intrecciandosi tra loro in modo convesso e deforme, come se al posto dei rami ci fossero state delle adunche mani scheletriche… pronte ad afferrarmi in qualsiasi momento.
         Ci fu un altro fragore e all’improvviso si fece più buio.
I grossi nuvoloni s’incupirono e il cielo cominciò a piangere le sue lacrime più gelide. Poi un odore dolciastro s’insinuò serpeggiante nelle mie narici, mentre la strana sensazione che stavo provando da un po’ di tempo, si fece sempre più tangibile.
Il cavallo cominciò ad irritarsi, dopodiché dei bassi ringhi risuonarono nell’aria umida.
L’animale s’impennò e da dietro alcuni cespugli spuntarono minacciose delle figure ferine: erano lupi.
Quattro per la precisione, due neri di grossa taglia mentre i restanti due erano leggermente più piccoli dal manto grigiastro.
         Immediatamente, tirai con forza le briglie e scalciando esortai Lucy a fuggire lontano. I lupi che dapprima si avvicinavano lentamente con passo felpato, si diedero all’inseguimento, correndo come forsennati e in modo più celere. Inizialmente pensai di averli seminati, e con molta ingenuità tirai un grosso sospiro di sollievo… che aimè durò ben poco.
         Era impossibile sfuggirgli.
Quelle bestie ci stavano alle calcagna e per quanto il cavallo potesse essere veloce, loro sembravano esserlo ancor di più. Continuarono a seguirci fra gli stretti sentieri arborei, fino ad arrivare su una via scoscesa che s’interrompeva improvvisamente con un precipizio.
         Lucy si bloccò di botto.
La terra acquitrinosa cedeva sotto i suoi zoccoli. Io non avevo più fiato, respiravo a fatica e il terrore era superato solo dalla disperazione. Non potevamo né andare avanti, né tornare indietro. Eravamo in trappola… i lupi ci avevano accerchiato.
         D’un tratto il manto soffocante e ottenebrato del cielo s’illuminò fulmineamente sotto il riverbero di un lampo, poi dei tuoni ovattarono l’aria con i loro assordanti fragori. Spaventato, il cavallo s’impennò di nuovo, ma questa volta la forza nelle mie braccia venne a mancare. Cercai di calmarla il più possibile, ciononostante la bestia continuava a nitrire e scalciare all’indietro in modo quasi convulso. Sobbalzò ancora un'altra volta, poi si girò su se stesso. Disperata, mi legai le briglie ai polsi, così da non cadere… ma Lucy fu più veloce. Con un sussulto mi scaraventò violentemente a terra per poi correre via, inghiottita dal verdeggiante fogliame della foresta.
         Ora sì, che ero sola.
Nemmeno Lucy voleva condividere con me quell’orribile destino. Ave vo graffi dappertutto e sentivo un dolore crescente lambirmi le ossa. Non feci in tempo a respirare che i lupi dapprima scrutatori, cominciarono ad avvicinarsi lentamente al mio corpo ferito.
         Provai ad alzarmi, ma a giudicare dal dolore pungente che proveniva dalla mia gamba, doveva essersi sicuramente rotta. Quelle bestie continuarono ad avvicinarsi, imperterrite e spietate con le loro lunghe zanne ringhianti. Il più grosso dei quattro, con un solo balzo fu sul mio corpo e pochi secondi dopo, lo furono anche gli altri tre.
         S’avventarono sulla mia carne in modo famelico, mordendo voracemente sia le braccia che le gambe. Urlai, cacciando fuori dalla bocca un grido disperato, nero come la notte… ma nessuno l'avrebbe sentito in un luogo tanto isolato.
Nemmeno Miguel.
E forse fu proprio quella,  la prima volta in tutta la mia vita, in cui desiderai con tutte le mie forze averlo accanto.
         Ma dov’era?
         Perché non veniva a salvarmi?
La rabbia rimpiazzò la mia disperazione.
Se lui non c’era era solo colpa mia, anzi, ero stata io a cercare guai nella foresta.
         Come potevo anche solo osare di pretendere il suo aiuto?
         Con quale diritto?
Ora stavo pagando per i miei errori e meritavo quel dolore, tutto quanto.
         La fitta alla gamba si fece più forte, riportandomi alla drastica realtà.
I lupi stavano continuando a farmi male, graffiando la mia pelle con gli artigli e con le zanne. Cercai di prendere il pugnale che poche ore prima avevo rubato dalla scrivania di James, il quale avevo poi nascosto nel corpetto. Riuscii ad afferrarlo, ma prima ancora di colpire quelle bestiacce con la lama… i lupi si bloccarono.
Alzarono in aria i musi sporchi di sangue e, inaspettatamente caddero tutti e quattro a terra… privi di vita.
         Ignorando il dolore agghiacciante che provavo dappertutto, strisciai sui gomiti, riuscendo in qualche modo a mettermi seduta.
Niente.
Quei corpi non si muovevano.
Girai convulsamente il capo nella disperata ricerca di Miguel… doveva esser stato sicuramente lui ad aver ammazzato quelle belve.
         Chi altri sennò?
Aguzzai lo sguardo fra gli alberi, fra i cespugli, dietro le rocce… oltrepassando con gli occhi sia le foglie che i rami.
Eppure di Miguel nessuna traccia.
Nemmeno quelle bestie sembravano riportare delle ferite e l’unico sangue che li insozzava, era il mio.
         Che si fossero addormentati?
Incredula, portai una mano esitante sul collo di quello che era più alla mia portata e con stupore mi accorsi che non c’erano pulsazioni. Mi spinsi in avanti, la gamba rotta mi faceva male, proprio come le altre ferite appena provocate da quelle bestie, poi guardai sbigottita anche gli altri lupi.
Erano morti all'istante, tutti quanti.
         Prima che potessero arrivarne altri a rivendicare il mio corpo come cena, provai a trascinarmi con le braccia fino al fusto di un albero lì vicino ma le creature che erano appena morte sotto i miei occhi, in modo del tutto innaturale si rialzarono sulle zampe.
I loro musi erano contratti in strane smorfie, le fauci si erano allungate a dismisura, la postura era scomposta e i loro occhi si tingevano di rosso ad ogni secondo.
Lembi di pelle cadevano a terra decomponendosi in un ammasso di carne putrida.
Mi guardavano con i loro occhi fiammeggianti e dei latrati atroci riempirono le loro fauci acuminate.
         Provai un terrore sconfinato.
         Ma non erano morti?
I ringhi crebbero, e sulla fronte di quelle bestie comparve un segno rosso.
Aguzzai lo sguardo per vedere cosa fosse e una volta riconosciuto quel simbolo, il sangue mi si ghiacciò nelle vene.
         Quello, era lo stesso marchio ricurvo del mio sogno… perché quell'incisione era comparsa sui loro corpi?
         E soprattutto, perché quelle creature dopo aver assaggiato il mio sangue erano morte… per poi tornare in vita?


***


Angolo dell'autrice: 
Buonasera! Anche questo capitolo è concluso e molto probabilmente mi arriveranno minacce di morte per come si sta evolvendo la vicenda... so che magari vi aspettavante un Miguel tutto d'un pezzo che rincorreva a braccia aperte la sua bella... e invece niente scena love love XD Quest'oggi abbiamo un Miguel alquanto "perso" che per la prima volta è in difficoltà. Non ha la situazione in mano e tantomeno non sa come comportarsi, come reagire ad una simile rivelazione. Poi entra in scena un nuovo personaggio, Ryan, per il quale premetto di avere un debole XD Ma non vi anticipo niente... lo conoscerete meglio in seguito (spero!) Ma soprattutto abbiamo un'Amelie che poteva benissimo starsene buona e calma... e che invece non piò fare a meno di combinare casini... 
Spero vivamente che non mi odierete dopo ciò! 
Un bacio a tutti e alla prossima! 

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Capitolo 15
*** Il Volto Del Mostro ***


Capitolo 14

Il Volto Del Mostro

_ Miguel_

         Quando arrivai, era già troppo tardi.
Sentivo la rabbia ribollire all’interno del mio corpo come pura lava incandescente. Quegli esseri disgustosi l’avevano accerchiata come un branco di lupi, e a giudicare dal forte odore di sangue che percepivo nell’aria, Amelie doveva essere gravemente ferita.
A quel pensiero, la pietra rossa che portavo al collo si fece più scura, sfiorando i toni dell’ebano.
Non serviva che la vedessi per capirlo: lo sapevo e basta.
Quel rubino era lo specchio della mia anima e nel vedere la pelle di Amelie ridotta in quelle condizioni pietose, divenne completamente nero e ancora più rovente.
Sorrisi biecamente, distendendo bene le dita.
         Erano quattro, ed ora che li guardavo meglio non sembravano Ghuldrash, no... però ne avevano l’odore.
Sentivo quel lezzo disgustoso e dolciastro di carne putrida fin nelle ossa, ma non ne avevo mai visti con simili sembianze, e sebbene somigliassero effettivamente a degli animali, la decomposizione degli strati epidermici parlava chiaro: oramai non si trattava più di comuni lupi, erano in uno stato di putrefazione troppo avanzato.
         Amelie tremava, coprendosi il volto con le mani. I suoi vestiti erano logori, completamente strappati e incrostati dal sangue. Intanto quelle bestie continuavano ad avanzare verso il suo corpo inerme, con le zanne scoperte e i lembi di carne e pelliccia che cadevano a terra, decomponendosi.
No, quelle rogne disgustose non avrebbero avuto scampo.
La furia incandescente di prima mi salì fino alla testa, era una rabbia muta, silenziosa, capace di annullare completamente il mio lato razionale e rendermi una belva assetata di sangue.
         Uno di loro si fece in avanti, Amelie gridò ed io scattai.
In un attimo, quei mostri si accorsero della mia presenza e con ferocia cercarono di saltarmi addosso.
         Sorrisi fra me e me digrignando i denti… non capivano con chi avevano a che fare?
Invece di sprecare il ciondolo come arma, decisi di cacciare fuori gli artigli e con un colpo ben assestato scaraventai uno di quegli esseri a terra strappandogli gli occhi dalle orbite. Disgustato dal sangue che cominciava a fuoriuscirne, mi girai di scatto trapassandone con la mano un’altro che stava cercando di saltarmi addosso.
Altro sangue nero e putrido grondò dalle mie mani.
Ma non era abbastanza.
Conficcai gli artigli nelle membra scure di quell’essere, fino a toccare terra dall’altra parte. Si sentì lo stridio delle ossa che si spezzavano, il frusciare della carne che veniva lacerata, il leggero crepitio dei legamenti che venivano rotti, persino le arterie recise… tutto.
Percepivo ogni cosa, e mi piaceva.
Ero fuori controllo, e così in collera da dimenticare persino che “lei” in quel momento mi stesse fissando terrorizzata. Avevo gli occhi iniettati di sangue e il mio unico desiderio era sterminare una volta per tutte quelle fecce, che avevano osato toccarla con i loro luridi artigli.
         Come avevano potuto farle del male?
Oh, beh… ormai importava poco.
Li avrei prima fatti a pezzi e se proprio non volevano decomporsi da soli, ci avrei pensato io a dargli fuoco!
         Amelie gridò, ma le sue urla non facevano altro che alimentare la mia rabbia.
Dopo aver finito di squarciare il ventre della mia vittima, mi scagliai con forza contro le ultime due creature rimaste. L’impatto con i loro addomi fu violento. Uno mi colpì con gli artigli sul braccio, ferendomi abbastanza profondamente, mentre l’altro cercò di mordermi al collo. Ma con fin troppa ferocia staccai ad entrambi la testa, lasciando cadere i monconi sanguinanti nel fango.
         Ci fu un altro grido, ma non lo ascoltai.
Lei m'implorava di fermarmi, di lasciare stare quelle carogne putrefatte, e cercò anche di alzarsi in piedi per bloccare la mia furia, solo che non riuscivo a darmi pace. Infierii più e più volte su quei corpi, massacrandoli… riducendoli quasi in poltiglia.
Non c’era più razionalità nel mio corpo, no... solo ira.
         Improvvisamente, Amelie tirò un altro urlo, questa volta più roco e lacerato dal dolore.
Fu come riscuotersi da un sogno e di scatto mi girai verso di lei, fissandola con occhi famelici, fiammeggiati sia per la rabbia che per il desiderio.
         << Basta!>> gridò con voce disperata, guardandomi dritto negli occhi.
         “Maledizione!” pensai, era completamente ricoperta di sangue… il suo sangue.
         La gola, a quell'idea mi bruciò come se al disotto della trachea fosse divampato un incendio e le fiamme si stessero propagando per tutto il corpo .
Se ne stava a malapena seduta, le braccia e le gambe erano ricoperte da graffi più o meno profondi e le sue vesti leggere erano oscenamente lacerate, lasciando scoperta più carne di quanta potessi vedere.
Stavo ansimando.
Implorai al mio torace di fermarsi e al cuore di riprendere un ritmo sostenuto.
         Dovevo calmarmi, sì... ma come?
Ritirai immediatamente gli artigli e una fitta mi colpì al cuore.
Lei stava piangendo, tremava come una foglia e singhiozzava convulsamente. Non era la prima volta che vedevo una donna in lacrime, e nella maggior parte dei casi, trovavo la cosa noiosa e patetica. Ma quella volta era diverso. Vedendola in quello stato, provai la strana voglia di prenderla fra le braccia e cullarla dolcemente, come si faceva con i bambini piccoli.
Ma non lo feci... non potevo farlo.
Lei era così fragile da sembrare di vetro, ed io avevo paura di romperla.
         << S- sei un mostro.>> disse flebilmente.
         E aveva ragione.
         << Ve ne siete accorta solo ora, milady?>>
         Feci per avvicinarmi ma lei lanciò un urlo.
         << Stai lontano da me!>> gridò, portandosi faticosamente le braccia sul volto.
         Lei era sconvolta, sì... ma io ero furioso.
Se non fossi arrivato per tempo, sarebbe sicuramente morta sbranata da quelle bestie!
         Era quella la fine che voleva fare?
         << No, non ti avvicinare! E non osare toccarmi con quelle mani sporche di sangue! Tu… tu sei come loro!>> urlò sotto shock.
         “E anche incazzato...” aggiunsi silenziosamente nella mia testa.
         Lei era mia.
         Mia soltanto. 
         E se proprio voleva crepare, doveva prima chiedermi il permesso.
Le mie labbra si curvarono all'insù, tirate, in un sorriso cupo e crudele che metteva bene in risalto i miei denti bianchi... aguzzi come lame.
Feci un passo verso di lei, poi un altro ed un altro ancora.
Non dovevo darle il tempo di indietreggiare. Ma non appena mi specchiai all’interno dei suoi occhi, non vidi altro che la bella faccia di un mostro... completamente ricoperta di sangue.
         << Vattene via!>> strepitò terrorizzata, fissando un punto al di là della mia spalla.
         Fu in quel momento che sentii qualcosa di freddo a contatto con la pelle.
Doveva trattarsi della pioggia, ma era così pungente e agghiacciante da penetrare sia nelle ossa che nel cuore.
         Seguii con lo sguardo il punto in cui i suoi occhi si erano fermati, e restai immobile a contemplare la scena. I quattro corpi in decomposizione se ne stavano a terra, immersi in un lago di sangue e fanghiglia.
Che scena nauseabonda.
Avevo così infierito da farli completamente a pezzi, mutilandoli orrendamente, come il più macabro dei macellai. Poi, tra la melma e il sangue vidi nuovamente quel marchio rosso sulla fronte dei Ghuldrash.
Un altro brivido freddo mi salì alla schiena, facendomi dimenticare tutto il rancore che provavo nei confronti di Amelie.
         Come avevo potuto permettere che lei, vedesse un abominio simile?
Sfiorai leggermente le sue morbide labbra con la punta delle dita e non appena lo feci, Amelie scoppiò nuovamente in lacrime.
         Fu a quel punto che presi una decisione.
D’un tratto, l’afferrai con forza tirandola a me, poggiai lievemente la fronte sulla sua e lei perse i sensi. In un secondo, tutti i ricordi relativi alle ultime ore si riversarono violentemente nella mia testa, con la forza di un fiume in piena. Vidi la disperata corsa a cavallo, la caduta, l’attacco dei lupi e la loro improvvisa morte.
         Come era possibile una cosa simile?
Intanto però, le immagini continuavano a scorrermi davanti agli occhi come una carrellata d’istanti e con estrema fatica, riuscii a catturare i ricordi relativi al mio combattimento. Non volevo cancellarle la memoria, ma non potevo fare altrimenti… almeno per quanto riguardava quelle ultime immagini.
         Era quello che voleva no?
Dimenticare.
         Quella mattina si era arrabbiata perché avevo morso sua sorella, e mi aveva anche detto che si era innamorata di me, peccato solo che in un momento simile, quelle parole mi suonassero tremendamente distanti e false.
Lei non mi amava... magari si sentiva attratta dal mio aspetto esteriore, ma nel profondo del suo cuore provava repulsione per me.
         Sicuramente col gesto avventato di quella mattina, le avevo ricordato il tradimento subito da Adam con quella sgualdrina e la cosa l'aveva scioccata.
Digrignai i denti.
Era ovvio che si fosse infuriata così tanto, ma l’idea che nel suo cuore ci potesse essere ancora quell’imbecille di Adam, mi fece andare in bestia.
         Affaticato, staccai la fronte dalla sua, e con un gesto veloce me la caricai in braccio.
La pioggia gelida cadeva ancora sui nostri corpi.
Ticchettava fastidiosamente, proprio come le lancette di un orologio, lavando via il sangue che sporcava entrambi.
         La stringevo forte tra le mie braccia, inebriandomi appieno col suo dolce profumo.
Dio... era tremendamente invitante, e così indifesa.
Potevo tranquillamente approfittarmi di lei e del suo sangue mentre dormiva, era talmente ferita che nessuno se ne sarebbe accorto, nemmeno un'altro della mia stirpe.
Già... forse una volta avrei anche potuto farlo, ma ora il gioco era cambiato.
Abbassai lievemente la testa sul suo volto addormentato e con estrema delicatezza, le sfiorai le labbra con le mie.
Non c'era nessuna malizia in quel bacio, solo amarezza.
         << Spero che adesso tu sia contenta, Amelie…>> le sussurrai sulla bocca.
         Proprio in quel momento, una calda lacrima scese dolcemente dai suoi occhi chiusi, scivolando giù per le gote pallide. 

 

***


 
Angolo dell'autrice:
Ed eccoci qua! Si, lo so... sono stata fin troppo veloce nell'aggiornamento... ma dato che ce l'avevo già pronto non ho saputo aspettare! Mi prudevano troppo le mani e non ne ho potuto fare a meno! Vi scongiuro, Perdonatemi! Ma passiamo a questo capitolo! Beh, si... insomma! In realtà non ho molto da dire rispetto a questo capitolo... il che è strano, molto molto strano!XD La mia preoccupazione sta più che altro nelle scena di violenza, dove Miguel fa a pezzi quelle creature disgustose... spero di non aver urtato lo stomaco di nessuno! Detto questo, posso anche morire in pace! Quindi aspetterò con ansia che mi diciate qualcosa voi... 
Baciiiii!!!
<3

 

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Capitolo 16
*** Sapore di Sangue ***


Capitolo 15

Sapore Di Sangue
_ Amelie_

         Fiamme, fumo e una pioggia di lava.
Era così che cominciava quell’incubo, ripresentandosi davanti ai miei occhi più macabro e violento del solito.
Incredibilmente nitido e… sì, quasi reale.
         Quelle creature disgustose mi avevano accerchiato e la loro immagine appariva così dettagliata da far impressione.
Semplicemente orribili, rivoltanti… ma questa volta erano diversi. Somigliavano a dei lupi e come tali, sbranavano le mie carni con vorace bramosia.
         Sentivo il dolore sulla pelle, l’affanno nel respiro e il bruciore all’interno della gola che gridava aiuto. Disperazione, rassegnazione, speranza… tutto vagava a briglia sciolta nella mia testa, mescolando sensazioni e sentimenti in un vortice caotico ed incomprensibile.
         Poi, come sempre accadeva nei miei sogni, arrivò l’ombra oscura che avrebbe cacciato via quelle creature. Dalle sue mani spuntarono degli artigli e con quelle lame acuminate smembrò le bestie, facendole atrocemente a pezzi.
         Una volta finito il massacro con un bagno di sangue, l’ombra si tramutò in Miguel… il mio Miguel.
Tutto il suo corpo era lordo di sangue, soprattutto il volto e le mani da cui grondava in gran quantità.
         Mi guardava con occhi affamati, ammalianti, colorati di fiamma. Mi scrutava… sì, ma furiosamente incollerito, mostrando un sorriso diabolico sulle labbra.
          Il suo bel viso si contorse in una smorfia crudele, e sussurrando parole incomprensibili si avvicinò a me per poi…

---
 
         L’urlo di terrore, questa volta uscì dalla mia bocca gracile e sommesso.
Avevo la fronte imperlata di sudore e la sottile stoffa della camicia da notte incollata sulla pelle.
         Ero avvolta da una lieve penombra dalle sfumature bluastre. Da qualche parte in quella stanza proveniva anche la luce di una candela ma ero così debole ed indolenzita che facevo fatica persino a tenere gli occhi aperti.
Deglutii rumorosamente, sentendo la gola secca ed infiammata. Con molto sforzo, riuscii a sbattere le ciglia e con ancora più impegno fui capace di girare la testa, così da capire in che razza di luogo mi trovassi.
         La stanza era buia, spaziosa e mi sembrava famigliare, peccato che non fosse la mia. Era di qualcun altro, qualcuno che col suo profumo delicato ed inconfondibile impregnava l’aria.
         << Vedo che ti sei svegliata.>> disse Miguel con voce carezzevole.
         Peccato che il timbro non rispecchiasse il tono. Suonava aspro e duro come un rimprovero.  
         Dal canto mio, feci un grande respiro, sforzandomi di girare il capo verso di lui.
Se ne stava in piedi, con le spalle rivolte verso la finestra mentre si rigirava fra le dita un bicchiere di vino rosso.
Anche lui mi fissava, solo che il suo sguardo era freddo e sprezzante, capace di trafiggermi e colpirmi forte, come un ceffone tirato in pieno viso.
E faceva male.
         << C–cosa... c-ci faccio qui?>> sussurrai con voce quasi inesistente.
         Miguel fece una lieve smorfia, arricciando il naso.
         << Non ricordi nulla?>> disse severamente, poggiando il calice di cristallo sul mobiletto più vicino.
         << No.>> ammisi, sinceramente sconcertata.
         Lui sorrise appena, rivolgendomi il più ambiguo degli sguardi.
Cercai di tirarmi a sedere, ma una fitta agghiacciante mi fece sussultare, pungendo dolorosamente l’addome e la gamba destra. Lui posò gli occhi sul mio corpo sdraiato e senza perder tempo, lo feci anch’io. Puntai lo sguardo nello stesso posto in cui lui si era fermato a guardare e… restai di sasso.
Completamente scioccata.
         Avevo ferite dappertutto, segni di morsi e graffi più o meno profondi. La gamba sinistra era rotta mentre il braccio destro era disseminato di tagli. Anche i palmi delle mani erano escoriati, come del resto entrambe le ginocchia e gran parte della schiena, che sentivo bruciare a contatto con la stoffa della camicia da notte. Non riuscivo a credere che quel corpo così malandato fosse il mio, ma il dolore che provavo parlava chiaro.
         Cosa mi era successo?
Sentivo che mancava qualcosa.
Ma più cercavo di scavare nei meandri oscuri della mia mente, più non riuscivo a trovare nulla.
Mi sentivo frustrata e confusa.
         Perché ero ferita?
In un attimo vidi l’immagine di Miguel e di Eva sovrapporsi ai miei occhi e non respirai per qualche secondo.
 Una rabbia inaudita mi corse lungo la spina dorsale.
         << Sei un bastardo!>> riuscii al dire mentre il ricordo di loro due mi attanagliava sempre di più.
         << Dì la verità, Miguel... sei stato tu a farmi questo, non è vero?!>> urlai con un po’ più di voce.
         Lui dal canto suo, continuò a fissarmi freddamente senza muovere un muscolo.
Non riuscivo a ricordare nulla, eppure sentivo che era successo qualcosa!
         Perché mi trovavo in quelle condizione pietose?
         Chi mi aveva ridotta così?  
Ma certo, lui.
         << Vai all’inferno!>> dissi puntandogli addosso i miei occhi pieni d’odio.
         Lui si limitò a sorridere in modo arrogante, per poi alzare un braccio ed afferrare delicatamente una ciocca castana che mi era scivolata sulla fronte.
         << Non osare toccarmi!>> gli inveii contro.
Lasciò cadere il ricciolo sulle mie spalle e, seguendo con gli occhi la linea della mia bocca disse:
         << A quanto vedo, mia cara “fidanzatina” hai perso molto sangue, ma non la tua lingua biforcuta.>>
         Tremai dall’irritazione o forse per il tono della sua voce, non saputo dirlo con certezza. Era beffarda, denigratoria, ma crudelmente morbida e vellutata.
         << Cosa mi hai fatto?>> gridai indicandogli le innumerevoli ferite che avevo su tutto il corpo.
         Lui parve incupirsi di colpo.
         << Sei caduta da cavallo.>> disse, ma la sua voce non rispecchiava affatto il sorriso sardonico che aveva stampato sul suo bellissimo volto.
         Alle sue parole, ricordai vagamente di aver preso il cavallo, di essere fuggita via, e sì. Anche della caduta.
         << E i lupi?>> rotolò fuori dalla mia bocca.
Miguel puntò di scatto i suoi occhi nei miei, a stento riusciva a controllarne il colore ed un brivido di terrore mi corse lungo la schiena.
         << I lupi, li ho cacciati via io.>> affermò glacialmente.
         << Q- quindi sono stati loro a conciarmi così?>> chiesi assai titubante e confusa.
         Fece un breve segno d’assenso col capo, dopodiché nella stanza calò un silenzio carico di tensione e di cose non dette.
Non so per quanto tempo restammo lì, muti, nello scrutarci l’un l’altra, ma alla fine quella che distolse lo sguardo e perse il gioco, fui proprio io.
         << S-scusami…>> bisbigliai tacitamente, parlando quasi con me stessa.
         Non volevo che sentisse, ma Miguel l’udì benissimo.
         << Ripetilo.>> mi ordinò, appoggiandosi languidamente allo schienale della sedia accanto al letto.
         Strinsi i pugni, sebbene nel farlo provai dolore.
         << Ho detto… che ti chiedo perdono.>>
         << Ancora.>> replicò.
         << Quante volte devo dirtelo? Mi sono scusata abbastanza!>> gridai infuriata.
         Ma lui lo era ancora di più.
Gli occhi erano lo specchio dell'anima, non mentivano mai, ed i suoi erano furibondi. Sentii un altro brivido attraversarmi la schiena.
         << Vuoi dirmi che cosa avevi intenzione di fare?>> ringhiò, << Volevi ammazzati? Eh, stupida ragazzina?>>.
         La sua voce uscì così grave ed arrochita che il brivido di prima, si sparse su tutto il corpo facendomi venire la pelle d’oca.
         Come osava parlarmi così?
Era solamente colpa sua se ero fuggita via col cavallo!
Se solo non avesse morso Eva, io avrei potuto…
         << Vattene via!>> urlai senza accorgermene.
La sua presenza in quella stanza mi ricordava l’errore che avevo commesso quella mattina prima di andarmene.
         Come avevo potuto dirgli che mi stavo innamorando di lui?
Era una cosa che non stava né in cielo né in terra!
E questo perché l’odiavo, sì.
L’odiavo con tutto il cuore... immensamente.
Peccato che l’amassi con egual misura.
Tanto. Troppo.
Più di quanto l’odiassi.
Ma non potevo darglielo a vedere… non ora che mi ero accorta di quello che c’era tra lui ed Eva.
         << Levati di mezzo! Non voglio avere più niente a che fare con te!>> gli inveii contro, ma lui mi guardò dapprima con occhi sprezzanti e poi, con sfacciataggine si protese verso di me, fino a sfiorare le mie labbra con le sue.
         Il mio cuore parve scoppiare.  
         Mi aveva presa alla sprovvista e non ero riuscita ad evitare quel bacio… o forse non avevo voluto?
Immediatamente cercai di tirarmi indietro, ma visto che muovermi bruscamente mi provocava dolore, rimasi ferma dov’ero alla mercé delle sue morbide labbra.
Pensavo che mi avesse presa con la forza, che da un momento all’altro mi sarei ritrovata con le labbra strappate a morsi e i polsi in frantumi, ma così non fu.
         I suoi baci erano dolci, delicati… quasi delle carezze. Mi trattava come se fossi stata di porcellana, facendo attenzione ad ogni movimento, anche il più piccolo.
Non voleva farmi male.
Era la pura verità che non avevo mai voluto accettare. E questo perché costava troppo farlo, soprattutto al mio orgoglio.
Tuttavia, sotto i suoi baci non potevo far altro che sciogliermi e liquefarmi, come la neve sotto i caldi raggi solari.
Dio, quello lui era così bello da togliere il fiato; senza alcun preavviso appoggiai la mano sulla sua spalla, spingendolo in avanti, ancora più vicino. Ammetto che per una frazione di secondo, temetti un altro rifiuto, ma stavolta Miguel non mi allontanò.
Tutt'altro.
Accettò di buon grado il mio invito e senza staccarsi dalla mia bocca, si sporse sul letto, scostandomi i capelli dal viso. Lo lasciai fare e con mani sempre più esigenti, gli cinsi la schiena, tirandolo verso di me.
         Oh… cosa diavolo stavo facendo?
         Avrei dovuto cacciarlo via a calci... ma come potevo?
Volevo sentirlo vicino, ancora di più, fino ad avere la sensazione di spezzarmi contro la durezza marmorea del suo corpo.
         Poi tutto cambiò: da delicati, i suoi baci divennero avidi, ingordi, come se stesse per divorarmi... e Dio, desideravo più di ogni altra cosa che lo facesse!
S'impossessò rudemente della mia lingua, dopodiché, senza snudare le zanne, cominciò a mordicchiarmi le labbra. Mossa dall'impeto del momento, feci altrettanto. Graffiai con i denti il suo labbro inferiore, saggiandone l'irresistibile morbidezza.
Lo sentii ansimare, poi gemere rocamente. Quel lieve suono rilasciato dalla sua gola, bastò a farmi andare a fuoco.
Ma non ero la sola che bruciava, e me ne compiacqui enormemente.
         Miguel era fuori controllo, ed io lo seguivo a ruota.
Dalla bocca passò a baciarmi il collo, soffermandosi sull'incavo tra le clavicole e la parte superiore dello sterno. Scostò la stoffa della mia vestaglia denudandomi le spalle, ed io, impaziente, infilai le mani al disotto della sua camicia.
         Maledizione, chi era questa ragazza sfacciata che aveva preso il controllo del mio corpo?
No, non ero io... non potevo essere io... eppure era proprio così.
Quella ero io, e sebbene ignorassi effettivamente cosa stessi facendo, mi comportavo in quel modo ugualmente, seguendo un istinto che mi ordinava a gran voce di toccare la sua pelle nuda.
         Posai i palmi all'altezza del suo stomaco piatto, saggiando con le dita la perfetta conformazione dei muscoli addominali. 
Ma d’un tratto Miguel si bloccò, distanziandosi quel tanto da riuscire a guardarmi dritto negli occhi.
         << E così non volevi avere più niente a che fare con me... eh, Amelie?>> sussurrò a due respiri dalla mia bocca.
         Sopraffatta dalla vergogna ritirai immediatamente le mani, come se un fuso acuminato mi avesse punto.
Lo guardai inebetita per qualche secondo, poi mi girai dall’altra parte, lasciando che i capelli mi scivolassero in avanti e creassero una sorta di barriera tra me e lui.
Miguel rise beffardamente, scostandomeli dal volto e senza preavviso, si portò qualche ciocca vicino alla bocca.
         Mi guardò giocosamente con gli occhi azzurri e limpidi, dopodiché vi posò sopra un lieve bacio.
         << Hai davvero dei bellissimi capelli, mio Piccolo Tarlo…>> disse sensualmente, senza lasciar andare i miei boccoli.
         Arrossendo, posai nuovamente la mano sul suo braccio destro e mi resi conto che la camicia era strappata e sporca di sangue. Dallo spacco sulla stoffa, riuscii ad intravedere un taglio netto, profondo, da cui fuoriusciva ancora un po’ di sangue.
         << Sei ferito…>> dichiarai con voce bassa, portandomi le dita sporcate dal suo sangue alla bocca.
Quella ferita sembrava grave, ed io mi sentivo in gran parte responsabile.
         << Potevi anche evitare di farti male e restartene con Eva.>> pensai ad alta voce, acidamente.
         Miguel s’irrigidì.
Il sorriso scomparve dalle sue labbra e gli occhi smisero di brillare, ridiventando freddi e cupi.
Qualcosa nella sua espressione, mi fece tremare.
         << Ti rendi conto di cosa hai rischiato?>> domandò con tono grave.
Io cercai di svincolare, ma la gamba mi faceva troppo male per sfuggire alla sua presa.
         << Non m'importa niente! Ora vattene!>> affermai, decisa più che mai a cacciarlo via, sebbene fossi io a trovarmi nella sua stanza. 
         I suoi occhi per un secondo fiammeggiarono.
         << Milady, vogliate perdonarmi allora… vi prometto che la prossima volta lascerò che i lupi vi sbranino.>> ribadì con tono volutamente reverenziale.
         << Fai pure! Anzi, scusami per aver interrotto lo spuntino pomeridiano! Eva deve essersi arrabbiata!>> replicai coi nervi a fior di pelle.
         << Preferivi forse essere tu stessa, il mio spuntino?>> sibilò tetramente, con uno strano sorriso dipinto sul volto.
         << Si.>> risposi senza alcun nesso logico.
         Il suo sorriso s’incupì ulteriormente.
         << Le parole non si rimangiano…>> disse con voce languida.
         Inghiottii il nodo che avevo in gola e mi sporsi in avanti.
         << Beh, se decidi di mordermi adesso che ho perso così tanto sangue, magari è l’occasione buona per togliermi di mezzo. Anche Adam non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me e se desideri rimanere con Eva, puoi anche farlo. Credo di essere un fastidio notevole per i tuoi piani… quindi ti do il permesso di farla finita.>> il mio tono di voce era calmo, ma ad ogni secondo che passava, mi pentivo delle mie sesse parole.
         Che fosse maledetta la mia linguaccia!
Non pensavo minimamente quelle orribili cose su di lui, davvero, ma era la gelosia ad inebetirmi il cervello e a farmi sputare veleno.
E questo perché ero gelosa.
Gelosa marcia di mia sorella.
         << Sta attenta a quello che dici, ragazzina. E non osare paragonarmi a quell’imbecille di Adam.>>
         Con lo sguardo illeggibile, si tirò fino al gomito la manica destra della camicia rivelando la pelle chiara del braccio.
         “Ma cosa fa?” mi chiesi spaesata.
         Se non fosse stato per le delicate venature bluastre che spuntavano appena dal suo braccio teso, avrei potuto giurare che la sua pelle fosse stata di marmo.
Pensai che magari non volesse sporcarsi i vestiti col mio sangue… evidentemente non era buono come quello di Eva.
Ma non importava: la mia ora era giunta e prolungare ulteriormente quell'agonia non era altro che puro masochismo.
         Con timore mi sporsi ancora più in avanti tendendo il collo.
Lui si avvicinò.
Sentivo il suo respiro fresco infrangersi sulla mia pelle, ma invece di azzannarmi la carotide, si portò il polso alla bocca, e con delicatezza si morse da solo. Sentii a malapena il debole rumore della carne che veniva perforata dalle zanne. Un rivoletto rosso scivolò svelto sul suo braccio, per poi cadere velocemente sulle bianche lenzuola del letto.
Il mio cuore, per un secondo rallentò e sentii chiaramente scorrermi del ghiaccio nelle vene.
Miguel stava succhiando il suo stesso sangue.
Inclinai leggermente la testa, stupita ed incapace di credere a quello che vedevano i miei occhi.
         Ma cosa voleva dimostrare? Non capivo.
         D’un tratto, staccò la bocca dal polso ed una riga scarlatta gli scese agli angoli delle morbide labbra. La ferita che si era auto-provocato, si rigenerò velocemente e prima ancora che potessi lanciare un respiro di sollievo, mi ritrovai con la testa immobilizzata dalle sue mani. Quasi con violenza, mi tirò a se per poi posare le labbra sulla mia bocca e baciarmi un’altra volta.
Ma invece della sua lingua, sentii entrarmi all'interno della bocca un liquido caldo e denso dal sapore inconfondibile: sangue… il suo, sangue.
         All’inizio cercai di respingerlo, solo che il mio corpo non voleva obbedire alla ragione e fui costretta ad inghiottire contro la mia volontà. Desiderai fortemente staccarmi, fuggire via, ma la verità era che non volevo farlo affatto, anzi, ne volevo ancora.
Mi piaceva il suo sangue, e molto. Sapeva di vino rosso, ruggine e di qualcos’altro che non riuscivo a cogliere.
Era delizioso, esaltante, tanto buono da volerne di più.
Sempre di più.
A quel pensiero perverso, cercai di divincolarmi, ma non ci riuscii.
Non volevo che Miguel lasciasse la presa, né tantomeno che si separasse dalle mie labbra.
Sperai che quell’attimo fosse eterno ma aimè, nulla durava per sempre e Miguel si staccò di colpo, con uno strano ghigno impresso sulle labbra.
         Rimasi ferma ed immobile, gli occhi sbarrati dallo stupore e la bocca semiaperta.
Una gocciolina rossa mi scivolò rapidamente dalle labbra, mentre la sua scia tracciava una linea retta fino al mento.
Lui si avvicinò di nuovo, respiro contro respiro.
Chiuse gli occhi e con la punta della lingua, catturò quel dolce rivoletto, cancellandone le tracce.
Uno strano brivido d'eccitazione mi salì dal ventre e il mio cuore parve quasi prendere il volo per librarsi chissà dove.
Miguel, sorridendo si alzò dalla sedia e per un secondo intravidi i suoi denti aguzzi scintillare.
         Perché aveva fatto una cosa del genere?
         << Ora siamo pari, Piccolo Tarlo.>> disse, sfiorando le mie labbra con la punta delle dita.
         Sorrise un'altra volta come lui sapeva fare, dopodiché scomparve nel nulla, avvolto dalle tenebre della stanza.
Portai le dita all’altezza delle labbra, accarezzandole delicatamente come aveva fatto lui poco prima, poi sorrisi.
         Improvvisamente, sentii qualcosa ardere sulla mia gamba e spaventata abbassai lo sguardo.
Era una collana, completamente placcata in oro, con le maglie della catenina larghe e le rifiniture filigranate. Al centro del pendente si stagliava un rubino rosso sangue, dalla forma pentagonale.
Era la più bella pietra preziosa che avessi mai visto ed proprio come un piccolo fuoco, bruciava.
Fissai quell’oggetto misterioso come incantata.
         Dov’è che l’avevo già visto?
         Che l’avesse lasciato Miguel di proposito?
In quel momento, mi sentii osservata dalle ombre, come se dal buio qualcosa mi stesse fissando.
         Peccato solo… che non gli diedi troppa importanza.

 

***



Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Prima di cominciare a sproloquiare a vanvera come so fare mooooolto bene, eccomi qui, a ringraziarvi immensamente per il fatto di essere sopravvissuti a questo lunghissimo capitolo! Vi faccio i complimenti, perchè io mentre lo scrivevo non ero abbastanza sicura di arrivare incolume fin qui! Ma nonostrante tutto ce l'ho fatta, quindi: viva me! Aahahaah XD Come avete potuto notare... succedono un pò di cosine interessanti! Infatti ci è scappato qualche bacetto "innocente", e quel simpaticone di Miguel si diverte a lasciare la bigiotteria in giro... mah! 
Spero vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, in caso contrario, sarò più che lieta di accettare critiche e consigli di ogni sorta! 
Quindi bando alle ciancie e ci vediamo al prossimo capitolo! 
Un mega abbraccio! 
<3

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Capitolo 17
*** Il Colore Delle Fiamme ***


Capitolo 16

Il Colore Delle Fiamme

_ Miguel_

         Il cielo notturno si stagliava nell’orizzonte infinito come un telo di raso nero.
Era il novilunio: oscuro, buio, privo di luce. Nemmeno le stelle rischiaravano il manto fosco della notte perché erano sparite tutte, assieme alla luna.
         Una leggera brezza mi scompigliava i capelli, gelandomi la pelle. Lanciai per un’ultima volta lo sguardo verso l’edificio principale della residenza dei Von Kleemt e sospirai.
         Tutte le luci erano spente, la casa silenziosa, completamente immersa nel sonno; e Amelie?
         Anche lei stava dormendo?
Sorrisi biecamente, constatando che dopo aver ingollato il mio sangue, non poteva fare altrimenti.
         Portai istintivamente una mano al collo, così da poter afferrare il ciondolo ed usarlo come arma, ma aimè ricordai troppo tardi di averlo lasciato al sicuro, nelle mani del mio Piccolo Tarlo.
         Sentii formicolare la punta delle dita e subito dopo, dalle ombre degli alberi ne apparvero altri tre.
         “Ma bene…” pensai divertito, “Altra carne da macello…”.
         Cinque di loro li avevo già annientati: i cadaveri putrefatti marcivano a terra, nell’attesa delle fiamme.
         Le tre figure penzolanti cominciarono a prendere la rincorsa, dividendosi e accerchiandomi alle spalle. Uno di loro, mugolando, si gettò a capofitto sul mio corpo seguito a ruota dai suoi simili.
Evitarli fu facile.
Loro erano lenti, goffi nei movimenti, mentre io ero veloce. Anche troppo.
Con un leggero movimento delle mani, cacciai in fuori gli artigli e con altrettanta facilità li sgozzai uno per uno, simultaneamente, girando su me stesso come una trottola impazzita. I tre corpi caddero subito a terra, aggiungendosi a quelli dei loro compari.
Ma non cantai vittoria, no.
         Ci fu uno spostamento d'aria, altri sussurri, ringhi e mugolii.
I Ghuldrash cominciarono a spuntare come funghi, uno dopo l'altro. Sbucarono ad ondate fuori dai cespugli e dalle chiome degli alberi, moltiplicandosi a vista d'occhio. Non facevo in tempo ad ucciderne uno, che dalla radura ne comparivano altri due.
         Ma cosa stava accadendo?
         Sembravano non avere fine.
Il terreno si stava riempiendo di cadaveri ed io combattevo circondato da una moltitudine di corpi in decomposizione. L’effluvio disgustoso che si levava dal basso m’irritava le narici, mentre attacco dopo attacco, il profondo taglio che avevo sul braccio si aprì ancora di più.
         Uno di loro, approfittò di una fitta improvvisa dovuta alla ferita per sferrarmi un colpo che prese in pieno la mia spalla.
         Altro dolore, altro sangue, altre urla.
Avevo il fiato corto e la fronte imperlata dal sudore. In una sola mossa, decapitai tre teste, mozzai alcuni arti e perforai qualche addome. Ero una furia, sì, ma una furia sull’orlo del cedimento. Ad ogni Ghuldrash che uccidevo, sentivo le forze venirmi meno ed abbandonare il mio corpo, fino ad indebolirmi quasi del tutto.
         Dare il mio sangue ad Amelie, non era stata poi una così bella trovata.
         Ma cos'altro avrei dovuto fare?
Non potevo abbandonarla al suo destino, non lei... soprattutto adesso che si trovava in quelle condizioni pietose! Non era la prima volta che quella sconsiderata aveva rischiato seriamente la pelle, ma in quel momento si trovava in una situazione terribile: aveva perso davvero troppo, troppo sangue.
         Certo, ora mi ritrovavo nei guai fino al collo, eppure non mi pentivo affatto della mia scelta; io ero un“principe della notte”, il mio sangue era puro, speciale, capace di salvarle la vita. Il suo potere curativo era formidabile, specialmente per quanto riguardava gli esseri umani. In un'altra circostanza, sarebbe bastato fare uno spuntino per ripristinare quella mancanza di sangue… ma non avevo avuto nemmeno il tempo di uscire dalla sua porta che l'attacco era cominciato.
         Improvvisamente, la processione di Ghuldrash terminò.
Un silenzio tombale aleggiò nel giardino, interrotto solo dal lieve soffiare del vento.
La mia ombra si stagliava possente su quel cumulo di morti, gli artigli ancora sfoderati e lerci di sangue. Li ritirai immediatamente e passai una mano sulla fronte sudata per scostare i capelli che vi si erano incollati sopra.
Le tempie mi pulsavano e le varie ferite che avevo sul corpo friggevano a contatto con l’aria.
         Scesi da quell’ammasso di corpi, spogliandomi del soprabito logoro.
Silenzio, buio, morte.
Ecco cosa mi circondava: la morte.
Una morte cupa, fredda, nella sua forma più orrenda e ripugnate.
         Guardai quei corpi con disgusto, erano talmente tanti che contarli mi sembrava impossibile. Poi, le fitte alla spalla e al braccio si fecero più feroci.
Finii in ginocchio.
Con le mani mi tenevo la gola che pulsava, ardeva, formicolando insopportabilmente, avida di sangue.
Gli occhi si fecero del tutto scarlatti ma tra i continui spasmi, trovai la forza per alzarmi. Ero così debole ed affaticato da non riuscire nemmeno a reggermi in piedi.
         D’un tratto, sentii la voce di un uomo cantilenare all’orizzonte.
Mi era famigliare... così roca, bassa, dal timbro possente, completamente inappropriato per la sua giovane faccia.
La melodia che intonava quella voce cominciò a farsi strada nei miei pensieri, cullandomi, indebolendomi e annebbiandomi completamente i sensi.
         Prima di sprofondare nello spiraglio nero della notte, vidi la mia immagine riflettersi sulle lenti tondeggianti di quegli occhiali.
         Nelle iridi color cobalto degli occhi di Ryan.

---
        
           Quel flebile sussurro entrò nella mia testa strisciando, viscido e sommesso come il sibilo di un serpente. 
         “Vieni da me, Miguel…” disse la voce, trascinandomi languidamente in un abisso oscuro, nero come la pece.
         “Oh, Miguel… ” continuò a mormorare.
         No, non avevo dubbi: quella era senz’altro la voce di Amelie, ma qualcosa non andava.
Continuava a chiamarmi impazientemente, e di volta in volta, gli implori si facevano sempre più disperati ed opprimenti.
         “Ti prego, vieni…” supplicò con un filo di voce.
         Il cuore mi si strinse nel petto.
         Come potevo resisterle?
Percorsi velocemente un lungo corridoio che sembrava non avere fine, dopodiché mi ritrovai la strada sbarrata da un vicolo cieco e fui costretto a fermarmi.
Qualcosa di freddo, mi sfiorò furtivamente la spalla.
         Che fosse Amelie?
Mi girai di scatto per controllare, ma le mie aspettative si rivelarono sbagliate e oltre alle tenebre, non trovai nulla. Più deluso che irritato, tornai a fissare dritto, trovandomi a pochi passi da una vecchia porta in ferro battuto. Evitai di rimanere stupito, poi con decisione posai la mano sul pomello, fortemente convito che la porta fosse stata chiusa a chiave.
Beh, mi sbagliavo di grosso.
La porta era aperta e la maniglia già abbassata. 
         “Perché ti sei fermato, Miguel? Entra… ti prego! ” m’incitò lei, dall’altra parte della porta.
         Per un attimo mi sentii spaesato.
Non avrei mai pensato che il mio nome potesse essere pronunciato in modo così licenzioso, soprattutto dalla sua voce.
         “Quanto ancora vuoi farmi aspettare? ” nell’udire le sue parole proferite con tanta lascivia, qualcosa scavò una voragine all'interno della mia gola.
         Dopodiché, fu inevitabile e l’eccitazione mi salì alla testa.
Senza farmelo ripetere un’altra volta, decisi di seguire le sue indicazioni ed aprii la porta, sbattendola con forza. I miei occhi – abituati all’oscurità – vennero trafitti dolorosamente dai raggi lunari che, con insolita violenza, attraversavano i vetri di una grande finestra ad arco ogivale posta al centro della stanza.
         Un lezzo disgustoso di fiori appassiti e carne putrida impregnava l’aria che sapeva di muffo, mentre l’odore inconfondibile del suo sangue mi pungeva le narici.
         La stanza non aveva mobilio, era spoglia come i rami di un albero durante i mesi invernali. Del sangue secco, tingeva di rosso le bianche lenzuola che coprivano il pavimento, mentre delle rose ed altri fiori giacevano a terra avvizzendo a vista d’occhio.
         Avevo già assistito ad una scena simile, ma dove?
La testa cominciò a girare, gli occhi a sanguinare e le vecchie immagini si sovrapposero a quelle nuove: la luna, i fiori, il sangue, quei corpi mutilati e ammassati sul pavimento… era tutto come ricordavo… tranne lei.
I ruoli si erano rovesciati, anzi, Amelie era l’unico elemento estraneo in quel macabro quadro di morte.
         Per un secondo, l’idea che ci fosse lei al suo posto mi rilassò, ma quando compresi “che cosa” stesse combinando, l’aria mi venne meno.
Se ne stava seduta sulle ginocchia avvolta dalle ombre. Era vestita di nero, fasciata sensualmente da un abito di pizzo, lungo ed aderente, talmente stretto da non lasciare nulla all’immaginazione. Merletti scuri fuoriuscivano dall’ampia scollatura, mettendo bene in risalto le morbide curve del seno pallido e pieno. Più giù, aperto sulla gamba destra, c’era uno spacco vertiginoso che lasciava intravedere sotto le calze la pelle chiara delle cosce, le ginocchia e le caviglie sottili.
Canticchiava tra sé e sé, accarezzando amorevolmente ciò che teneva in grembo.
         Rabbrividii.
Era una donna. O meglio, il cadavere di una donna.
Poi, poco vicino c’era anche quello di un uomo.
Lo sapevo.
Era stata lei, ad ucciderli. Entrambi.
         Aveva le mani sepolte nelle viscere di quei corpi e con cupidigia, si nutriva del loro sangue. Il suo volto non sembrava nemmeno appartenerle; gli occhi che solitamente tendevano al castano, erano di un verde sgargiante e freddo, luminoso, mentre la bocca rossa come un rubino grondava oltre al sangue, anche il più tetro dei sorrisi.
         Con orrore, mi accorsi che fra le mani stringeva alcune ciocche di capelli rossi…
Al diavolo! Proprio “quei” capelli rossi!
         Dall’interno della gola, sentii nascere un urlo rabbioso, ma le mie corde vocali sembravano essersi lacerate di botto, come del resto i legamenti delle ginocchia. Catene invisibili mi tenevano fermo ed io non riuscivo a spezzarle.
         Cosa mi stava accadendo?
         Perché ero completamente immobilizzato?
         Ma soprattutto, Amelie… perché stava facendo una cosa del genere?
Non potevo crederci… eppure quell’incubo ad occhi aperti si stava ripetendo di nuovo, un’altra volta. Senza che io potessi cambiare il corso degli eventi.
         Vedendo il mio dolore, lei si limitò a guardarmi divertita.
Lasciò in pace i poveri cadaveri e in un attimo, me la ritrovai dietro le spalle.
Viscida come un serpente, s’insinuò fra le mie braccia. Cercai in tutti i modi di spingerla via ma, non riuscivo a farlo e lei, se ne approfittò per nascondere il volto sul mio petto.
         “Vattene!” gridai.
         Per nulla indispettita, mi si strinse contro, ancora di più, facendo sensualmente aderire il suo corpo al mio.
q“ Oh… Miguel, è così che mi accogli?” la sua voce parve affievolirsi, ma io non mi feci ingannare.
         “ Levati di mezzo!” dissi digrignando i denti.
         “Ma… sono io. Sono Amelie… non mi riconosci?” sussurrò con voce angelica, puntando il freddo verde dei sui occhi all’interno dei miei.
         Guardai le sue labbra, così rosse, piene, tinte di sangue… 
         “Baciami… Miguel, avanti. So che lo vuoi…” disse tendendo quelle labbra vermiglie e succose in avanti. 
         Bene, voleva che fossi io a baciarla.
Alla mia mancata risposta, lei si limitò a sorridere e per nulla offesa, se ne tornò saltellando a giocherellare con la carne dei poveri corpi stesi a terra.
         “La mamma voleva salutarti… ” dichiarò seraficamente, quasi cantilenando.
         Prese fra le mani la testa mozza della donna, e scoprì la sua fronte coperta dai lunghi capelli rossi.
Gli occhi vitrei del cadavere erano fissi nei miei, e sul suo volto una volta bellissimo, c’era impressa un’espressione ripugnante.
         Folgorato dai ricordi, non potei fare a meno di distogliere lo sguardo.
Amelie mi guardò soddisfatta per un secondo, poi, con languore, si rigirò la testa tra le mani, verso di lei. Esaminò il moncone e sorridendo avvicinò le labbra a quelle della donna, strappandogliele a morsi. 
         “Amelie!” urlai, ma lei sorrise di nuovo.
Gettò violentemente la testa a terra e si alzò in piedi facendosi strada fra i corpi.
         “Sbagliato …” bisbigliò con voce vellutata, viziosa.
         In un attimo, i suoi occhi verdi si fecero violacei, le morbide onde castane si allisciarono, diventando color sangue pesto, le labbra si assottigliarono e i tratti somatici del viso, mutarono in quelli di Lilith.
         Rise ancora, inarcando le labbra crudelmente, coi denti bianchi ed aguzzi in bella mostra.
Degna del nome demoniaco che portava.
         Bastò un sospiro, che le lenzuola presero fuoco, i corpi a terra cominciarono a bruciare ed il fumo si levò in aria come una coltre scura e velenosa.
L’incendio si propagò fino al soffitto, infiammò prima le travi di legno, poi le tende spruzzate di sangue ed infine le rose che si trovavano sul pavimento.
         Come viscidi serpenti, le fiamme avvolsero Lilith, facendola svanire nel nulla.
Poi, il fuoco cominciò a divampare anche sulla mia pelle, bruciando e raschiando, fino a friggere nelle ossa.
         Non ebbi il tempo di respirare che lo strato letale di fumo m’inghiottì in una morsa rossa, cremisi, come il colore dei suoi occhi eccitati dal sangue.
 

***
 



Angolo dell'autrice:
Ehm, salve a tutti... innanzitutto vi ringrazio per aver avuto la pazienza (e perché no? Anche lo stomaco...) per essere arrivati fin qui. So che come capitolo, quest'ultimo, è stato abbastanza incomprensibile e macabro, ma vi assicuro che ne avevo bisogno ai fini della narrazione. Magari vi avrà lasciato con tante domande... come anche può darsi che abbia cominciato a svelarvi qualcosa... non so. Io posso solamente dirvi che da questo punto in poi, la storia comincerà sempre di più ad entrare nel vivo. E sono felicissima di esser arrivata fin qui, davvero. Come avete potuto notare, alla fine del capitolo si nota la presenza di un nuovo personaggio: Lilith. Non vi anticipo niente su di lei, tranne che il suo nome non ha niente a che fare con l'omonimo demone da cui ho preso ispirazione. Detto questo, vi ringrazio ancora per aver letto questo capitolo! 
Un abbraccio 
<3

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Capitolo 18
*** Attenzioni Indesiderate ***


Attenzioni Indesiderate

_ Amelie_

Le mie palpebre si schiusero lentamente, come le margherite bagnate dalla luce del sole. Peccato che di luce, ne vedessi assai poca.
Le pesanti tende di velluto blu erano tirate all’ingiù, in modo da coprire per bene le finestre e mantenere l’ambiente abbastanza in ombra. 
Avevo la netta sensazione di aver dormito troppo, però dovetti ammettere che l’idea di rimanere a letto e prendere sonno un'altra volta, non mi dispiaceva affatto.
“Perché nessuno mi viene a svegliare?” pensai fra me e me.
Immaginai che Josephine si fosse dimenticata di chiamarmi.
Povera donna, ormai aveva superato da tempo la soglia dei settant'anni e alla sua età, gli acciacchi della vecchiaia cominciavano a farsi sentire.
Molto fiaccamente, rotolai sull’altra sponda del letto, infagottandomi per bene sotto le lenzuola.
“Da quanto in qua, il mio letto è così spazioso?” mi chiesi assonnata.
Spostai lo sguardo sulla parete ben decorata, poi sul lampadario a gocce e - con un verso animalesco - sbadigliai, stiracchiandomi per bene.
Non ricordavo che nella mia stanza ci fossero degli arazzi… ma soprattutto, dove diavolo era finito il baldacchino?
Piuttosto confusa, mi sedetti pigramente sulle ginocchia, feci balzare lo sguardo da un punto all’altro e con stupore, mi resi conto che quella, non era la mia stanza, ma bensì la camera di Miguel.
Spalancai gli occhi dallo stupore, facendo correre lo sguardo per tutto l'ambiente in modo agitato.
E lui dov'era?
Mi portai una mano alla bocca, sfiorando timorosamente il labbro inferiore. Sentivo ancora il sapore del suo sangue.
Mi chiesi se quel gesto tanto sconsiderato fosse stato dettato da una sorta di ripicca nei miei confronti, ma non trovai risposta e come sempre, il suo comportamento rimase un arcano mistero ancora da svelare.
Per quanto riguardava il ciondolo d'oro, invece, non capivo se l'avesse perduto oppure no.
Quella strana collana non aveva fatto altro che bruciare per tutto il tempo, come un tizzone in fiamme ed io, ero stata costretta a nasconderla sotto il materasso. Ardeva troppo ed era impossibile per me tenerla addosso.
Nel pensare al fuoco, una fitta mi colpì alla testa.
Sì, avevo fatto un sogno quella notte - un tremendo incubo per la precisione - , solo che non ricordavo nulla.
La mia memoria sembrava bloccata. Frenata. Completamente arrestata, e le uniche cose che riuscivo vagamente a rammentare erano tre: il volto sofferente di Miguel, una stanza ricoperta di lenzuola insanguinate e delle fiamme… divampate in un gigantesco incendio.
<< Oh, milady! Finalmente vi siete svegliata!.>> disse euforicamente una voce sconosciuta.
Con fatica, portai una mano agli occhi per difenderli dalla luce.
La sagoma misteriosa entrò all’interno della stanza, chiuse la porta alle sue spalle e con disinvoltura, andò alla finestra per aprire le tende. Il bagliore del sole, mi accecò di nuovo.
<< C -chi siete voi?>> urlai fragilmente.
I miei occhi, si abituarono in fretta alla luce mattutina e in pochi secondi riuscii a distinguere alla perfezione i lineamenti fanciulleschi dell’uomo che mi stava di fronte.
Mi coprii istintivamente con le coperte e lui, con grande scioltezza, fece la riverenza.
<< Perdonate la mia maleducazione, milady! Il mio nome è Ryan Blackwood, e sono qui al vostro servizio… in veste di nuovo assistente del dottor Ravaléc!>> disse rivolgendomi un grande sorriso che mi contagiò immediatamente.
Lo trovai subito simpatico.
<< Oh, s-sono onorata di fare la vostra conoscenza, Mr. Blackwood.>> affermai timidamente.
Poi, il signor Blackwood, prese con noncuranza la mia mano e la baciò.
<< Il piacere è tutto mio, signorina Amelia. Ma non chiamatemi Mr. Blackwood! Ryan s’intona meglio alla vostra splendida voce!>> sostenne caldamente, mantenendo un raggiante sorriso sulle labbra.
In quel momento, i suoi occhi color cobalto brillarono, proprio come le lenti degli occhiali che teneva sul naso.
<< B- beh, Mr. Blackwood… io, >> cercai di declinare la sua offerta, ma m’interruppe all’istante posando con noncuranza un dito sulle mie labbra.
Quel gesto mi sorprese molto.
<< Chiamatemi Ryan. >> insisté, aggrottando leggermente le sopracciglia.
La sua voce era così profonda e roca, che all’inizio l’avevo scambiata per quella di un uomo maturo. Il volto però, era abbastanza infantile, sia per i grandi occhi azzurri, che per il mare di riccioli ramati che aveva in testa, legati dietro la nuca da un nastro nero. Solo gli occhiali, tondi ed un po’ storti, gli conferivano quel tanto di maturità da far sì che non sembrasse un adolescente.
<< Bene contessina>> proruppe d’un botto, << Vedo che le ferite sono guarite completamente!>>
A quelle sue parole, rimasi un po’ sbigottita.
Già… dov’erano le mie ferite?
Con il terrore negli occhi, mi guardai dapprima i polsi, poi le braccia e le gambe.
<< Io non vedo nulla!>> dissi spaventata, ma lui si limitò a sorridere gaiamente.
<< Siete stata attaccata dai lupi. Io, ho aiutato Miguel a trascinarvi fin qui… senza muovervi troppo, non ricordate? Sono passati tre giorni ormai ...>>
<< Si…>> affermai in modo esitante, << Ricordo i lupi… ma voi, no. E soprattutto, conoscete il mio “fidanzato”?>>
<< Oh, si! Io e Miguel, siamo amici di vecchia data!>> sostenne mentre si sistemava gli occhiali sul naso.
Quindi lo conosceva da tempo… chissà quanto.
<< E come mai, sono guarita così in fretta? Ricordo che le ferite erano piuttosto profonde e anche gravi! Non ho nemmeno le cicatrici!>>
<< Miracolo?>> rise in modo beffardo, poi aggiunse, << Sicuramente, siete guarita grazie al potere rigenerativo del suo sangue… ve l’ha fatto bere, no?>> quella sua affermazione mi spiazzò.
<< C- come fate a…>>
<< Suvvia… milady! Conosco Miguel. So perfettamente cos’è, e che cosa è in grado di fare…>> si limitò a dire.
Al ricordo di cosa avesse fatto il suo suddetto “amico di vecchia data” mi salì la rabbia fino al cervello.
Quel maledetto disgraziato di Miguel, dove diavolo si era cacciato? Certo, grazie al suo sangue ero riuscita a guarire, ma invece di uno sconosciuto, avrei tanto voluto ritrovare lui al mio risveglio...
<< Sapete, milady... a dire la verità lo invidio un po’...>> disse Ryan, avvicinandosi al letto.
Posò un braccio sul materasso e si mise seduto comodamente sul bordo.
<< In che senso?>> chiesi, seriamente incuriosita dal tono serio che aveva assunto la sua voce.
Ryan sorrise suadentemente, dopodiché, riprese a parlare con voce ancora più bassa e roca, che male si addiceva ai suoi lineamenti fanciulleschi.
<< Lo invidio perché il sangue della sua stirpe, è stato in grado di guarire una splendida fanciulla come voi. Ma c’è un altro motivo…>> disse avvicinando ancora di più il volto al mio.
Istintivamente indietreggiai, ma la spalliera del letto bloccò il mio tentativo di sfuggirgli. Sorridendo, mi bloccò la mano, analizzandola attentamente. Sembrava volermela divorare con gli occhi.
All'inizio pensai che fosse una specie di strana visita, un modo molto bizzarro per accertarsi della mia completa guarigione, ma dovetti ricredermi.
Senza nessun preavviso, Ryan Blackwood posò le labbra sulla mia mano, baciandola delicatamente sul dorso.
Il gesto di galanteria, dopo pochi attimi si tramutò in qualcos’altro.
<< Lasciatemi, per favore! Mr. Ryan… questa è maleducazione!>> gridai disperata.
<< Oh... siete così bella, milady! Così speciale!>> sussurrò, con le labbra attaccate alla pelle del mio polso.
Cercai in tutti i modi di respingerlo, di cacciarlo via, ma non ero così forte da riuscirci. Ryan, dal canto suo… continuò imperterrito a sfiorare con la bocca la pelle nuda del braccio fino ad arrivare sulla spalla.
Gridai, ma mi tappò la bocca.
<< Sapete, signorina… Miguel è fortunato ad avervi come futura moglie. Emanate un odore così particolare, delizioso... persino per me che sono un semplice essere umano! Vorrei studiarvi con più attenzione…oh, ma che magnifica rete sanguigna!>> disse sorridendo, mentre con lo sguardo percorreva le ramificazioni azzurrognole delle vene sul mio avambraccio.
<< Avete detto bene! Lui è il mio fidanzato, non voi! E se continuerete con questo atteggiamento, ve la farà pagare cara!>> gridai disperatamente.
Ryan sorrise di nuovo, non beffardamente, ma in modo angelico.
<< Miguel non verrà a spaccarmi la faccia, milady.>> affermò mantenendo quel serafico riso sulla bocca.
<< Mentite! Lui mi difenderà anche stavolta, come ha sempre fatto!>> gridai incollerita, stupendomi io stessa delle parole appena pronunciate.
<< Ah, si?>> sussurrò al mio orecchio per scendere sul collo.
<< Non osate toccarmi!>> gli urlai contro, ritraendomi.
Quel suo innocente sorriso diabolico si fece più largo.
<< Milady… è inutile che insistiate. Miguel non verrà. Né oggi, né domani. Vi ha abbandonato. Ha preferito le sottane di un’altra ragazza a voi… ve l’assicuro io. Tant’è che il conte von Kleemt mi ha nominato nuovo precettore vostro, e di vostra sorella.>>
<< È una menzogna! Lui non può andarsene! È il mio fidanzato!>> affermai con veemenza.
<< Provvisorio.>> mi corresse.
Stavo per ribattere, ma nella frazione di un secondo me lo ritrovai addosso. Quasi a cavalcioni.
Con le gambe bloccò le mie, e con una mano tappò la mia bocca, arrestando l’urlo che stavo per lanciare.
Fece per slacciare la vestaglia che …
<< Ma cosa sta succedendo qui?>> proruppe Eva spalancando la porta.
Ryan in pochi secondi si ricompose e tornò a sorridere amorevolmente.
<< Oh, signorina Eva! Pensateci voi a vostra sorella! È un tale peperino che rifiuta categoricamente di farsi visitare!>> a quelle parole pronunciate in modo così bislacco, mia sorella non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
Ma non vedeva che quell’uomo mi stava importunando?!
<< Eva… io…>>
<< Amelie! Non fare la bambina! Il signor Blackwood è qui per curarti! Non sai che è stato lui a vederti cadere da cavallo? Ti ha salvato la vita!>> s’intromise Eva con tono di rimprovero.
Quindi, credeva che fossi solamente caduta da cavallo?
<< Non è vero! È stato Miguel a salvarmi!>> gridai imbestialita.
Al suono della parola “Miguel” il volto di mia sorella impallidì ed io notai che sul suo collo, c’era una benda.
<< Dottor Blackwood, perdoni la mia maleducazione, ma devo parlare con Amelie in privato.>>
<< Oh, state tranquilla, mia cara! Finirò la visita un'altra volta...>> minacciò lui.
Fece un leggero inchino, dopodiché, con disinvoltura, quello strano individuo si congedò lasciandoci sole nella stanza. Sperai artdentemente di non rivederlo mai più. 
<< Miguel è scomparso.>> sbottò d'un tratto Eva con voce piatta.
Avevo sentito male, vero?
<< Che cosa?!>> alla mia esclamazione, i suoi occhi si rabbuiarono.
<< Sei diventata sorda per caso? Ho detto che il tuo “caro fidanzatino” non si trova da nessuna parte. È svanito nel nulla. >>
<< N-no, stai mentendo anche tu. Vi siete messi tu-tutti d’accordo! Ammettilo!>> balbettai con voce ansiosa.
Non potevo credere alle sue parole, perché farlo, significava dar credito a quelle di Ryan.
Ed io non volevo.
Poi, la mia adorata Eva, mi rivolse uno sguardo così raggelante da poter raffreddare il fuoco.
<< Suvvia, Amelie. Non fare la melodrammatica come al solito. Sai bene che di lui non ci si poteva fidare… la vostra era solo una messa in scena. Una recita da quattro soldi. Ma dovresti esserci abituata no? Adam non ha fatto lo stesso?>> detto questo, girò i tacchi per andarsene.
Sentii il mio volto avvampare e per un secondo i miei occhi non ci videro più.
Afferrai di scatto il suo braccio e prima ancora di darle il tempo di capire cosa stesse succedendo, le tirai un sonoro ceffone dritto in faccia.
<< Ritira immediatamente quello che hai detto!>> minacciai infuriata, ma lei si limitò a fissarmi ardentemente, la mano poggiata sulla guancia destra che a poco a poco diventava sempre più rossa.
<< Mai.>> sussurrò a denti stretti, girando il viso dall’altra parte.
Fece per andarsene ma la mia mano era ben serrata alla manica del suo abito.
<< Guardami in faccia, quando ti parlo!>> gridai, intimandole di girarsi.
Di tutta risposta, mia sorella Eva si voltò rabbiosamente, il volto arrossato, gli occhi lucidi, ricolmi di lacrime fino all’orlo.
<< Sei una stupida, Amelie.>> disse con voce rotta, strattonandomi il braccio.
<< Non capisci che è meglio così?!>>

 
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Angolo dell'autrice:
Salve a tutti e grazie per essere arrivati fin qui! A volte non so bene cosa dire e me ne dispiaccio, soprattutto per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli (Se sono troppo lunghi o troppo corti) Questo probabilmente è troppo corto XD Coooooomunque! In questa parte della storia ritroviamo Amelie alle prese con Ryan, che si rivela a lei come aiutante del dottor Ravaléc... secondo voi è vero? O frose ha riempito la povera ragazza di bugie? Bah... Sono sicura che la nostra new-entry non abbia catturato le vostre simpatie, e poi per finire in bellezza, ritorna Eva! Yuppi!!! Devo dire che rispetto ai primi capitoli ho cercato di far intravedere passo dopo passo, una sorta di cambiamento per quanto riguarda il carattere di Amelie, una sorta di "presa di coscenza"... insomma! Non so se ci sono riuscita (probabilmente no XD) ma ci ho provato! Alla prossima! Un abbraccio <3

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Capitolo 19
*** Tutto E Niente ***


Tutto E Niente

_ Amelie_

Erano le diciotto in punto e mentre il sole tramontava oltre l'orizzonte, il caro dottor Ravaléc tirò fuori dalla sua valigetta di pelle nera, l'attrezzatura necessaria per i prelievi.
Fialette per contenere il sangue, laccetto emostatico, garze e... alla vista dell'ago, tremai come una foglia.
<< State calma, milady. Non è la prima volta che vi faccio un prelievo e sapete che non vi farò male!>> rise l'anziano medico, legandomi saldamente il laccio emostatico intorno al braccio.
<< Oh, lo so dottore. Voi siete eccellente... purtroppo sono io ad essere una completa fifona.>> sussurrai.
Lui si trattenne dal ridere, poi con voce seria mi disse di stingere il pugno.
Passò un batuffolo di cotone imbevuto di alcol sul punto prestabilito e con mani ferme, allineò l'ago all'altezza della vena.
<< Non mi farete male, vero?>> domandai in preda al panico.
In una situazione del genere, persino la piccola Sophie sarebbe stata molto più coraggiosa della sottoscritta. Non potendo fare a meno di vergognarmene, finsi di tranquillizzarmi.
Ero pur sempre una von Kleemt, accidenti!
Dovevo darmi un contegno.
Ravaléc sorrise e dopo pochi secondi una leggera puntura trafisse la carne sul mio braccio, bucando la vena.
Mi trattenni dall'urlare come ossessa.
Poi, come l'acqua zampillante di una fontana, il mio sangue cominciò a riversarsi velocemente all'interno della siringa di vetro.
<< Ecco fatto! Ora potete aprire il pugno.>> esordì dopo pochi secondi, estraendo delicatamente l'ago.
Fulmineamente, le mani esperte di Lamia armeggiarono con le garze sterilizzate, posizionandole sul forellino sanguinante lasciato dalla puntura.
<< State tranquilla contessa, analizzerò questo campione di sangue oggi stesso.>> assicurò con calma il dottore.
Lamia parve rilassarsi.
<< Oh, George, non so proprio come ringraziarti...>>
Lui sorrise lievemente, e con gesto fluido ripose la fiala contenente il mio sangue in un apposito scompartimento all'interno della sua valigetta.
<< Per me è sempre un piacere esservi d'aiuto, mia cara amica. La salute delle vostre adorabili figlie viene prima di tutto!>>
<< A cosa si deve questo prelievo, dottore?>> chiesi innocentemente, tenendo premute le garze sulla puntura.
Lui fece per rispondere, ma Lamia glielo impedì.
<< Mi raccomando, George. Sai cosa devi fare.>> fece una pausa, in cui i loro sguardi si chiarirono più che a voce.
Poi, continuò sottovoce : << Nel caso dovessi riscontrare qualcosa di anomalo, non esitare a dirmelo!>>
Gli occhi castani del medico si soffermarono preoccupati sul mio viso, lasciando intendere qualcosa. Purtroppo, non capii il suo tacito messaggio.
<< Ai vostri ordini, contessa.>> disse poco dopo, facendole un inchino.
<< Signorina Amelia...>>
Le sue labbra baffute si posarono dapprima sul dorso della mia mano, poi su quella di Lamia e nel giro di qualche secondo George Ravaléc si congedò, lasciandoci sole all'interno della camera da letto di Miguel.
Oh, Miguel....
Era una vera tortura per me, restare in quel luogo così saturo della sua presenza.
Il suo dolce profumo aleggiava nell'aria e m'invadeva le narici, facendomi illudere che da un momento all'altro tutto si sarebbe sistemato.
Con gli occhi della mente, lo vedevo stagliarsi di fronte alla finestra, con lo sguardo perso nel vuoto e una coppa di vino tra le mani.
Si girava a guardarmi divertito, con la solita espressione beffarda dipinta sul bel volto da adone greco.  
"Piccolo Tarlo..." dicevano le sue labbra e il mio cuore prendeva il volo, dopodiché la sua immagine svaniva, lasciandomi sola in balìa dei ricordi.
Sentii gli occhi bruciare, e con molta fatica ricacciai indietro le lacrime.
Ancora faticavo ad ammetterlo, ma Miguel mi mancava.
Mi mancava terribilmente.
Erano passati due giorni ormai, dalla sua misteriosa scomparsa... e ancora non riuscivo a darmi pace. Contro tutto e tutti, mi ero ostinata a rimanere lì, nella sua stanza, accampata come un naufrago su un'isola deserta.
Sia James che Lamia mi avevano intimato più volte di ritornare nei miei appartamenti, sortendo invece l'effetto contrario.
Non capivano che non potevo farlo?
Lasciare definitivamente quel luogo, equivaleva a dar credito alle menzogne di Ryan Blackwood.
Ed io non volevo.
" Miguel non verrà. Né oggi, né domani. Vi ha abbandonata.
Eppure le sue parole non facevano altro che rimbombarmi violentemente nella testa, esasperandomi.
<< A cosa servono altri campioni del mio sangue? Il dottor Ravaléc non ne ha già abbastanza?>> dissi sovrappensiero, rompendo finalmente il silenzio carico di tensione che circondava me e Lamia.
Entrambe, ci fissammo intensamente.
Lamia era furiosa.
Continuava a guardarmi accigliata, con occhi cupi, ricolmi di risentimento. Intuivo cosa stesse pensando e non potendo far altro, ricambiai il suo sguardo con altrettanto astio, alzando il mento in atteggiamento di sfida.
La cosa la infastidì ulteriormente e me ne compiacqui.
I suoi occhi turchesi scintillarono di rabbia, ma con evidente fatica, si astené dall'aprir bocca.
<< Allora?>> la incalzai.
<< Servono a me.>> affermò con voce piatta, << Devo capire cosa ti è successo, Amelie... il perché della tua improvvisa guarigione.>>
Alle sue parole, sentii la collera ribollirmi nelle vene.
Mi stava prendendo in giro?
<< Oh... ma lo sapete benissimo, madre!>> le inveii contro, alzando la voce.
Lei mi guardò torva, aizzando ancor di più la mia rabbia.  
<< Sapete che è grazie al sangue di Miguel! È stato lui a salvarmi la vita!>>
Per alcuni secondi, lei non rispose. Poi fece per parlare, ma le parole le morirono in gola.
Il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore, come se qualcuno le avesse appena mozzato un arto.
<< Madre?>> la sollecitai, cominciando a preoccuparmi.
 Lamia trattenne le lacrime a stento, e con voce rotta dal pianto disse: << È proprio per questo! Non lo capisci, Amelie? Quello che lui ti ha fatto... è un abominio!>>
<< Forse, ma voi state facendo altrettanto: perché non volete dirmi la verità? Dov'è Miguel?>> gridai esasperata.
<< Non lo so, Amelie. Ma non te lo direi neanche se lo spessi! Tu non hai idea, di quello che potrebbe accadere, se... nessuno ce l'ha!>> singhiozzò.
Lei era sempre stata il mio idolo, un esempio di virtù, bellezza ed austera eleganza. Ammiravo la sua tenacia, la sua acuta intelligenza e l'inflessibilità del suo carattere... ma ora mi ritrovavo di fronte ad una donna che non conoscevo. E per la prima volta in vita mia, percepii Lamia come un'estranea.
I suoi occhi bagnati dalle lacrime, mi trafissero come un pugnale.
Non l'avevo mai vista così... vulnerabile.
Inghiottii il groppo che avevo in gola, ignorando il senso di colpa che provavo nei suoi confronti.
<< Ma... madre, cosa state dicendo?>> ribattei disperata.
Il silenzio c'inghiottì per alcuni interminabili secondi, dopodiché i suoi occhi si appuntarono all'interno dei miei, senza però guardarmi.
Erano altrove.   
<< Le due linee di sangue... non dovrebbero mai mescolarsi.>> sussurrò sovrappensiero, con un filo di voce.
<< Cosa vuol dire?>> le chiesi, completamente spaesata.
I suoi occhi assenti ebbero un guizzo, ritornando vigili e attenti.
Senza rispondere alla mia domanda, Lamia si portò le mani al volto per cancellare i segni delle lacrime.
Quando tornò a guardarmi, un brivido di terrore fece accapponare la mia pelle, ghiacciandomi il sangue nelle vene.
<< Tutto e niente.>> sibilò tra i denti, con rammarico nella voce. 
Attraversò la stanza a grandi falcate, e nel giro di pochi secondi me la ritrovai di fianco.
Proprio come se nulla fosse accaduto, le sue labbra dipinte di rosso si curvarono all'insù, accennando un falso sorriso.
Si chinò lievemente in avanti e con gesto affettuoso mi baciò sulla guancia.
<< Ti voglio bene, Amelie.>>
Feci per risponderle, ma fu inutile.
Aveva già lasciato la stanza.

_ Miguel_

Faceva freddo e l’aria era satura d’umidità.
Avevo un tremendo mal di testa, ma ancora non mi ero risvegliato del tutto.
I miei sensi erano annebbiati e la mia mente nel caos più totale. Soprattutto dopo l’orribile sogno che avevo fatto.
Al solo ricordo di Lilith, un'altra martellata trafisse il mio cranio.
Rimuginare sul passato, mi dava la nausea. La sua esistenza mi dava la nausea.
Anche pensare, mi dava la nausea.
Mugugnai insensatamente qualcosa, dopodiché, cercai istintivamente di portare il braccio destro all’altezza degli occhi… con scarsi risultati. 
Il mio corpo era immobile e delle catene alternate a cinghie di cuoio m'impedivano qualsiasi movimento.
Mi lasciai sfuggire un'imprecazione in tedesco, poi cominciai a guardarmi intorno.
La puzza di carogna putrefatta mi bruciava le narici, e con stupore mi accorsi di non essere solo.
Alla mia destra, su un altro tavolo, tenuto imprigionato da altrettante corde e catenacci, si trovava il corpo senza vita di un simpatico Ghuldrash. Stessa identica cosa, valeva per la mia sinistra.
“Carino, qui” pensai sarcasticamente, facendo vagare lo sguardo dai volti disastrati di quelle bestie all'interno del locale poco illuminato. Una goccia d'umidità cadde dal soffitto, infrangendosi sulla mia spalla.
Rabbrividii.
Mi trovavo nei sotterranei della villa, legato come un salame e nudo fino alla cintola dei pantaloni... poteva forse andare peggio?
Mi lasciai scappare un sospiro e con vigore, feci forza sulle catene chemi legavano a quel tavolo come un agnello sacrificale.
Purtroppo per me, non c'era niente da fare. 
Le sanguisughe che mi avevano sparso su tutto il corpo tenevano il mio sangue a livelli molto bassi, risucchiando quasi tutta l’energia di cui disponevo. In più, sentivo l’attanagliante morsa della fame farsi strada nelle mie viscere, risalendo fino alla gola.
Ardentemente, proprio come le fiamme del mio sogno.
E Amelie?
Cosa centrava lei, con Lilith?
Al solo pensiero, inorridii. Loro due non avevano nulla da spartire, soprattutto per quanto riguardava quel massacro raccapricciante.
Improvvisamente, si udirono dei passi.
Lenti, strascicati. Preceduti dal rumore di un bastone da passeggio che batteva ritmicamente a terra.
Come l’ultima volta, quel tendaggio di raso nero divideva l’ala della stanza in cui mi trovavo dal resto del locale.
Il portone venne aperto e richiuso subito dopo, quasi con ansia. 
Dell’odore di fumo e tabacco cominciò a diffondersi nell’aria, mescolandosi malamente con gli altri effluvi intossicanti che aleggiavano nell'ambiente.
Un sorriso sghembo e tirato sfiorò le mie labbra.                                                                                               
<< Non si preoccupi, dottor Ravaléc. Sono già sveglio.>> esordii, con la voce un po' roca ed impastata.
Il vecchio medico che si trovava dall’altra parte della stanza, ebbe un fremito.                                            
<< S-sei… Sveglio?>> ripeté lui, ingoiando il groppo che aveva in gola.
<< M-mi hai riconosciuto dall’odore?>> proseguì flebilmente, scansando di lato la tenda che ci separava.
Il suo volto era segnato e pallido, leggermente sudato, mentre gli occhi castani erano scavati, lividi e violacei, come le nubi durante un temporale.                                              
<< Buona idea, questa delle sanguisughe... complimenti.>> affermai indicando quei parassiti attaccati al mio corpo.
<< Molte grazie… figliolo. A quanto pare, le mie bestioline sono riuscite ad affaticarti abbastanza. Sono estremamente soddisfatto del risultato.>> dichiarò ritrovando convinzione nella voce.
<< Qual è il vostro scopo?>> dissi fra i denti.
<< Oh, volevo solo metterti alla prova. Hai ucciso così tanti Ghuldrash e in così poco tempo, un record! Poi c’è da aggiungere il fatto che hai donato il tuo sangue alla signorina Amelia… pessimo tempismo, ragazzo. Pessimo tempismo.>> rise sguaiatamente, incespicando tra un colpo di tosse e l’altro.
<< Voi e Ryan, dottore… mi avete preso di sorpresa. Immaginavo che l’improvvisa comparsa di tutti quei Ghuldrash, fosse opera vostra… ma adesso mi avete dato la certezza che anche quell’incapace di Ryan è coinvolto.>>
Di tutta risposta, ricevetti una scrollata di spalle.
<< Mi eri d’intralcio, ragazzo mio. Avevo bisogno di “aiuto”.>> 
<< Di aiuto…>> lo incalzai.
 << Suvvia, figliolo! Cosa vuoi che ti dica?>> domandò posando la sua valigetta di pelle su un angolo del tavolo.
Lo vidi estrarre una siringa piena di sangue.                                                                             
<< Il perché di tutto questo… ma forse, già lo conosco. È per via della chiave, vero? Siete anche voi un cane dell'Ailthium. O Sbaglio?>> dichiarai con tono beffardo, sprezzante.
Il viso ossuto dell’uomo si fece rosso di rabbia e i suoi infidi occhi castani si ridussero a due minuscole fessure.
<< L'Ailthium! Quelle vecchie cariatidi impomatate ancora osano farsi chiamare “membri della Prima Legione”? Sciocchi! Non sanno che la chiave e il sigillo in realtà sono la stessa cosa?>> urlò furibondo, con gli occhi fuori dalle orbite.
A quell'affermazione, sentii il mio sangue raggelarsi dalla sorpresa.
Era davvero possibile una cosa del genere?
<< Ragazzo mio…>> riprese con più calma, << Vedo che sei degno del tuo rango: un vero mastino da caccia. Ma non sai che una volta di intralcio, l'Ailthium abbatte con facilità i propri predatori? E tu, Miguel, sei d’intralcio.>>
Lo guardai freddamente, con aria di sfida.
<< Perché?>>
Lui parve incupirsi e leggendo nei suoi occhi, capii che non aveva nessuna intenzione di rispondere a quella domanda.
<< Ora dimmi dove nascondi la Mimesis. Ho cercato dappertutto ma non ce l’hai addosso!>> asserì agitato il dottore, pasticciando con la siringa ricolma di sangue che aveva in mano.
<< Devo averla persa… quella collana.>> affermai gelidamente, sfidandolo con gli occhi.
Ormai paonazzo, il vecchio Ravaléc mi piantò quella stessa siringa nella carne, trafiggendomi la vena del braccio.
I suoi occhi brillarono di perfidia.                                                                                                                                                           
<< Non è una semplice collana, e nemmeno una semplice arma! La Mimesis è la mappa per trovare la chiave! So che ce l’avevi tu! Dove l’hai nascosta?!>> urlò infuriato, piantando ancora più in profondità l’ago. 
Il dolore fu immediato e straziante.                                                         
<< Maledetto bastardo…!Cosa mi stai iniettando nelle vene?!>> mugugnai stringendo i denti.
Non per il dolore, no. Ma per il calore che sprigionava quel sangue all’interno del mio corpo.    
<< Oh, questo? È il sangue della signorina Amelia. Lo so che ti piace. Piace a tutti. Ma specialmente a te, giovanotto. Ora, debole come sei, comincerai ad essere divorato dalla fame… sempre di più. Impazzirai. E non potrai fare niente per fermare il suo effetto. Ormai questo sangue è diventato una droga per te. Essendo ciò che sei, non avrà effetti devastanti come quelli che ha avuto sui tuoi amichetti qui vicino… ma ti renderà sempre più succube e dipendente da esso!>> disse con eccessiva enfasi, sfilandomi l’ago dal braccio.
Un rivoletto rosso e denso scese dalla puntura sanguinante.
<< Io ti ammazzo!!!>> ruggii disperato, con gli occhi che s'incendiavano sempre più di rosso.
Non avevo mai provato niente di simile: all'interno dei miei vasi sanguigni inariditi scorreva della lava.
Il mio cuore era come impazzito, le vene si erano ingrossate, la gola raschiava e lo stomaco sembrava contorcersi su se stesso, tra atroci spasmi e contrazioni. Il dolore era insostenibile, ma il vecchio sembrava saperlo molto bene. 
Le sue labbra rigate dalle rughe, si allargarono in un tetro sorriso che rivelava una dentatura scura e marcia.
Quanti Ghuldrash aveva usato come cavie?
Ma soprattutto, quanto sangue aveva sottratto ad Amelie per condurre i suoi abominevoli esperimenti?
<< Vuoi ammazzarmi... eh, ragazzo? E come?>> sghignazzò compiaciuto.
<< Di questo passo... ucciderai solo te stesso.>> 

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Angolo dell'autrice: 
Ed ecoomi giunta fin qua! Come sempre vi ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere fino a questo punto, davvero... GRAZIE MILLE! *_* Molti di voi si chiedevano che fine avesse fatto il buon vecchio Miguel... beh, di certo non se la sta passando proprio bene, il ragazzo... vero? Povero ciccio *Muhahahah*
In questo capitolo ho voluto allentare un po' la presa e cominciare a farvi capire qualcosa (credo).
Innanzi tutto il caro dottor Ravaléc ha gettato finalmente la maschera, rivelando forse più del dovuto. Come si era già capito prima Ryan è immischiato nella faccenda ed entrambi anelano alla collana di Miguel, la Mimesis (riferimento "casuale" a Platone) che oltre ad essere un'arma per uccidere i Ghuldrash è in realtà la mappa per trovare questa stramaledetta "chiave". E qui vi chiederete, ma cos'è questa caz** di chiave... eh ehe eh XD Lo scopriremo solo vivendo, gente! Magari sono le chiavi della mia macchina, o quelle che chiudono a chiave il bagno... chissà! Ok ok... ora la smetto con gli svalvolamenti di testa! Vogliate perdonarmi!
Un abbraccio forte fortissimo <3
Alla prossima!


 

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Capitolo 20
*** Connessione ***


Connessione

_ Amelie_

Josephine arrivò con il carrello della cena verso le sette e mezza, trascinandosi dietro una scia di aromi deliziosi. Quella sera il cibo sembrava particolarmente appetitoso, peccato però che non avessi molta fame.
Mi accarezzai a malincuore lo stomaco, provando un'infinita pena per la povera Mrs. Karris, la quale si era data tanto da fare inutilmente.
<< Cosa ti succede, bambina mia? C'è qualcosa che non va?>> domandò preoccupata Josephine, vedendomi giocherellare svogliatamente con una carota bollita.
<< Non ho fame, Jose...>> ammisi sconsolata.
I suoi grandi occhi scuri mi guardarono accigliati.
Sapevo cosa significava quello sguardo e stoicamente mi preparai all'imminente ramanzina. Era pronta per l'attacco: si rassettò il grembiule da governante e con studiata enfasi, incrociò minacciosamente le mani al petto.
<< Sciocchezze, ma petite. Ci sono fanciulle della tua stessa età ben poco fortunate, in questo mondo. Non hanno dei genitori amorevoli e facoltosi, né un tetto sulla testa. Alcune non sanno neanche di che campare. Oh, povere figlie! Sono costrette a lavorare come operaie, sguattere o peggio... Quindi mon trésor ,ringrazia Iddio per le grazie che ti ha concesso... È peccato lasciare il cibo nel piatto!>> mi rimproverò col suo marcato accento francese.
Poi avvicinò una sedia al letto, accomodandosi sul morbido cuscino di velluto verde.
Mi vergognai infinitamente per la mia ingratitudine: sapevo di poter vantare uno stile di vita che pochi potevano permettersi. Abbassai lo sguardo intristita, cercando di farmi forza e mangiare.
Accortasi del mio repentino cambiamento d'umore Josephine cercò di alleggerire l'atmosfera; si alzò faticosamente dalla poltrona per sedersi accanto a me sul bordo del letto.
Le gonne scure della divisa si gonfiarono, facendola sembrare una chioccia durante la cova delle uova.
Era così buffa che riuscii a malapena a trattenere le risate.
Come potevo non adorarla?
<< Non me ne andrò di qui, fino a quando non avrai finito tutto!>> minacciò con voce solenne, dopodiché si mise a ridacchiare amabilmente, come una ragazzina.  
Contagiata dal suo sorriso, provai a stuzzicare qualcosa, accorgendomi che evidentemente, avevo interpretato male i bisogni del mio corpo. Stavo letteralmente morendo di fame, e senza rendermene conto, ripulii tutto il piatto, abbuffandomi fino a scoppiare.
<< Brava, bambina mia. Devi recuperare le forze, altrimenti non potrai sposarti con quel bel giovanotto!>>
Perchè l'aveva nominato?
Nel pensare a Miguel, fui colpita da una fitta lancinante al cuore, come se una mano invisibile lo stesse stritolando con forza. Mi chiesi se anche lei fosse a conoscenza della scomparsa di Miguel, ma supposi che alla servitù non fosse stato detto nulla.
<< Jose, tu per caso hai notizie di “quel bel giovanotto”?>>
<< No, ma chérie.>> ammise sconsolata, << Sono tre giorni che non lo vedo, ma sta tranquilla. Presto tornerà da te.>>
Nel pronunciare quelle ultime parole, il suo volto paffuto aveva assunto un'espressione sibillina.
<< Come fai ad esserne così sicura?>> domandai ansimando.
Avevo il cuore in tumulto: martellava sempre più violentemente contro le costole, fin quasi a romperle.
<< L'ho capito da come ti guarda, tesoro mio. È pazzo di te.>>
I miei occhi si riempirono di lacrime.
<< Oh, Jose!>> singhiozzai, buttandomi a capofitto tra le sue morbide braccia.
Desideravo con tutta me stessa che lei avesse ragione.
Da quando Miguel era scomparso, avevano tutti dubitato di lui e delle sue intenzioni, tranne la mia Jose!
Lei mi aveva detto esattamente quello che avevo bisogno di sentirmi dire: che lui sarebbe tornato.
La strinsi forte a me, respirando a pieni polmoni il nostalgico profumo emanato dai suoi capelli grigi. Sapeva di miele e lavanda. Quell'abbraccio mi riportò indietro nel tempo, ai giorni felici dell'infanzia, quando ancora non conoscevo il significato della parola "sofferenza". Avevo l'impressione di essere tornata bambina, piccola e fragile come un giocattolo di vetro.
Ero stufa di fingermi forte, trattenere le lacrime e mostrare degli artigli che in realtà non possedevo. L'avevo fatto per troppo tempo, sia con Eva che con Lamia.
Perché non mi capivano?
Eppure erano le persone più importanti della mia vita...
<< Su, ma petite. Basta lacrime... altrimenti viene da piangere anche a me!>> ribadì dolcemente Josephine, sciogliendo l'abbraccio che ci legava.
Sfilò un fazzoletto dalla tasca interna del suo grembiule, e lo usò per asciugare il mio viso bagnato dalle lacrime.
Voleva anche soffiarmi il naso, ma glielo impedii: avevo pur sempre diciassette anni e una reputazione da difendere, io. 
<< Grazie...>> sussurrai a fil di voce.
L'anziana governante mi accarezzò il viso, depositando un tenero bacio sulla mia fronte.
<< È tanto che non ti spazzolo i capelli...Vuoi che rimanga a farti compagnia?>> chiese ugualmente, sebbene conoscesse già la mia risposta.
Difatti, scossi il capo senza parlare.
<< E va bene, ho capito...>> sussurrò dolcemente, rimboccandomi le coperte.
Poi, con passo incerto si diresse verso il comò e spense tutte le luci, lasciando accesa solo la candela di fianco al letto. 
<< Buonanotte, ma chérie.>>
<< Buonanotte, Jose.>>
Aprì la porta, ma esitò ad andarsene.
<< Sì? >>  domandai preoccupata.
 Ma bastò uno sguardo per capirci a vicenda, senza allusioni o spiegazioni verbali.
Lei sapeva ed io sapevo.
Punto.
<< Mi raccomando, Amelie... non fare sciocchezze...>>  

Una volta che Josephine ebbe lasciato definitivamente la stanza, balzai in piedi, afferrai la candela sul comodino e mi diressi alla base del letto.
Feci vagare ansiosamente lo sguardo all'interno della stanza.
Via libera.
Con molta fatica sollevai il pesante materasso, rivelando ciò che si nascondeva tra le doghe di legno.
Il rubino pentagonale incastonato nel ciondolo di Miguel brillò di una luce acuta, incandescente, come il magma in eruzione.
Feci per toccarlo, ma quel lieve contatto bruciò la punta delle mie dita. Anche il metallo era rovente, quindi optai per ripiegare intorno alla mia mano un lembo di stoffa.
Afferrai con delicatezza la catenella filigranata, lasciando ciondolare la pietra davanti ai miei occhi.
Nel guardarla, mi chiesi per l'ennesima volta perché Miguel avesse lasciato un simile oggetto proprio a me... ma come sempre, non trovai risposta.
Era frustante.
La mia mente non si dava pace, continuava ad ipotizzare molte cose, diversi moventi e situazioni, senza mai giungere alla verità.
Eppure di una cosa ero certa: Miguel era un abile calcolatore e non lasciava mai nulla al caso. Quella collana si trovava in mio possesso perché era stato lui stesso a volere così.
L'aveva abbandonata di proposito.
Improvvisamente, la pietra rossa divenne nera, poi di nuovo scarlatta, oscillando convulsamente tra il colore del sangue e quello del carbone.
Spaventata, gettai il ciondolo a terra. Sembrava che il demonio stesso se ne fosse appena impossessato.
Ogni singola cellula del mio corpo mi metteva in guardia, intimandomi di tenere a distanza "quella cosa" luminescente. Ero decisa più che mai ad ascoltare il mio sesto senso, a lasciar perdere... ma spinta da una forza più grande di me, mi accovacciai sul pavimento, riafferrandola a mani nude.
Che cosa stavo facendo?
Ero forse impazzita?
Aspettai qualche secondo, ma non provai dolore. Tutta'altro: la temperatura della pietra si armonizzò alla mia, donandomi un senso di piacevole calore sulla pelle. Dopodiché percepii un tremito e mi parve che il lucido metallo pulsasse, freneticamente, come il cuore accelerato di una persona sottosforzo.
La mia vista s'annebbiò, tingendosi di rosso.
Fui immediatamente sopraffatta da sensazioni orribili, d'inquietudine, paura, sofferenza; la testa cominciò a girarmi, il respiro a farsi irregolare e la gola ad inaridirsi. Avevo sete, fame, le ginocchia non reggevano il mio peso, i miei occhi lacrimavano e lo stomaco si rivoltava sottosopra, dandomi la nausea.
M'accasciai a terra, rannicchiandomi su me stessa.
Il dolore che stavo provando era indescrivibile. Agognavo disperatamente a qualcosa che non potevo avere e da cui sapevo dipendesse la mia intera esistenza. Poi, con gli occhi della mente vidi materializzarsi la mia stessa immagine; non come davanti ad uno specchio… no, ma al di fuori. Con occhi estranei, appartenenti ad un'altra persona... a Miguel.
In quel momento, tale consapevolezza divenne una verità ineluttabile: io ero Miguel.
Noi due eravamo in simbiosi, i nostri cuori battevano all'unisono e l'aria che faticavo a respirare era la sua.
Tutto quello che lui stava provando sulla sua pelle, si riversava istantaneamente sulla mia, con estrema violenza.
Attraverso i suoi pensieri vidi le mie labbra dischiudersi, i miei seni nudi sollevarsi e le vene sul mio collo gonfiarsi e pulsare, mentre un desiderio inesplicabile m'incendiava sia l'anima che il corpo.
Lui mi voleva.
Voleva me, voleva tutto di me.
Bramava il mio sangue con una tale forza da far impallidire il sole… e istantaneamente, lo volevo anch'io.
Mi ritrovai ad anelare il mio stesso sangue.
Ne percepivo lo scorrere impetuoso, la sua sensuale e calda consistenza, eccitandomi al pensiero del suo dolce sapore nella bocca e… soggiogata da quella miriade di emozioni differenti, lasciai cadere la collana dalle mie mani.
D'un tratto, ogni cosa si spense.
Sia Miguel che le brutte sensazioni svanirono nel nulla, inghiottiti dal cupo silenzio che aleggiava nella stanza.
Rotolai lentamente su un fianco, ansimando per la fatica. Dopo qualche secondo, riuscii a mettermi seduta.
I miei occhi erano ancora bagnati dalle lacrime, ma non bruciavano più; anche la fastidiosa coltre rossastra che li ricopriva si era dissolta senza lasciare traccia.
Tutto sembrava essere ritornato alla normalità ed io stavo bene.
Ma Miguel?
Era così anche per lui?
Terrorizzata, balzai in piedi, girando più volte su me stessa come una trottola. L'angoscia più cupa e nera s'era impossessata della mia mente che, ahimè non riusciva a ragionare lucidamente.
Cosa dovevo fare?
Ma soprattutto cosa potevo fare?
Oh, non lo sapevo... non sapevo niente!
Servita e riverita fin dalla più tenera età, avevo vissuto nella bambagia senza mai preoccuparmi effettivamente di niente. C'era sempre stato qualcun altro a fare le cose per me, risolvendomi i problemi... ma quei tempi erano finiti.
Strinsi forte i pugni e ricacciai indietro le lacrime.
Dovevo dimostrare a me stessa e a Miguel di essere forte.
Abbassai gli occhi e il mio sguardo cadde sul rubino pentagonale, che brillava a pochi centimetri dai miei piedi nudi.
Dovevo afferrarlo, ma esitai. Avevo troppa paura del dolore, di restarne soggiogata; però cos'altro potevo fare?
Miguel aveva bisogno di me, del mio aiuto... ed io soltanto conoscevo l'intensità della sua sofferenza.
Ovviamente ignoravo cosa gli fosse accaduto, ma al solo pensiero che qualcuno potesse fargli del male, sentii la collera montare come una marea .
Raccogliendo tutto il coraggio di cui disponevo, agguantai la collana rovente, portandomela rapidamente al collo per indossarla.
Sentii bruciare per alcuni secondi sullo sterno, dopodiché la sua temperatura si uniformò nuovamente alla mia.
Venni immediatamente sopraffatta da una miriade di immagini confuse: volti sfocati, corpi mutilati, ammassati gli uni sugli altri fino a formare una grottesca piramide. Poi venne il buio, la luce, riflessi opachi mi danzarono davanti agli occhi, spezzettati in piccoli frammenti di ricordi perduti. Attimi di realtà si mescolarono al delirio di un sogno.  
All'improvviso, una forza misteriosa si riversò impetuosamente all'interno del mio corpo, che aizzato da un afflusso di adrenalina si mosse da solo. Avevo l'impressione che dell'elettricità allo stato puro mi scorresse nelle vene.
Ero eccitata e frastornata allo stesso tempo.
Sotto l'influsso di quell'arcano potere, mi avvicinai alla porta, abbassai la maniglia e uscii fuori dalla stanza.
Il corridoio era buio, deserto, illuminato a malapena dalla luce delle stelle, che come pulviscolo argentato si diradava dalle finestre.
Presi a correre senza meta, guidata da gambe che non sentivo più mie.
Non saprei come spiegarlo, ma il ciondolo che avevo al collo stava guidando i miei passi, dirigendoli verso una meta oscura. Scesi le scale, svoltai a destra, poi a sinistra, fino ad arrivare davanti la porta della biblioteca.
Ma non era lì che dovevo entrare.
Mi spostai verso destra, posando le mani sulla parete bianca. C'era qualcosa di strano, però.
Sfiorai con la punta delle dita la superficie liscia del muro, trovandovi sopra delle scanalature, dei cardini e perfino una minuscola maniglia.
Spalancai gli occhi dallo stupore; com'era possibile che ignorassi l'esistenza di quella porta?
Tuttavia era così, e fui costretta ad accantonare lo sbalordimento in un'ala remota del mio cervello.
Improvvisamente la pietra del ciondolo si fece più rovente e la sua luce malferma. Le ombre che mi stavano intorno cominciarono a tremolare come fiamme, deformando gli oggetti.
Non sentivo più nessuna elettricità nelle vene, e la morsa invisibile che mi governava si era oramai dissolta nel nulla.
Ero libera di muovermi come più volevo.
Spinta dall'entusiasmo, abbassai con decisione la maniglia ed entrai, richiudendo con cura la porta alle mie spalle.
Una zaffata di muffo e polvere minacciò il mio naso, ciononostante riuscii miracolosamente a non starnutire.
Impaurita, mi guardai intorno.
La luce rossa del rubino era ancora instabile, ma mi permetteva comunque di vedere all'interno di quello stanzino che, a dir la verità, aveva tutta l'aria di essere un semplice ripostiglio adoperato dalla servitù. Senza farmi troppe domande, feci un passo in avanti, distesi le mani di piatto e cominciai a tastare il muro che mi stava di fronte. Dopo alcuni secondi, le mie dita urtarono qualcosa, simile ad un rigonfiamento nella parete rugosa.
Toccai meglio, ritrovandomi tra le mani una leva. Esitai un momento, poi la spinsi verso il basso.
Percepii a malapena un cigolio, dopodiché una botola si aprì vicino ai miei piedi scalzi.
Rimpiansi di non aver indossato le pantofole da camera, e con la paura nel cuore, cominciai a scendere dabbasso, per una lunga scalinata di cui non riuscivo a scorgere la fine.
L'istinto di autoconservazione m'intimava di fare dietrofront, ma come potevo solo lontanamente pensare di fuggire?
Dovevo unicamente farmi coraggio e superare le mie paure.
Lo dovevo a me stessa, quanto a Miguel.
Aiutata dalla luce diffusa dalla collana, continuai la mia lenta discesa nelle viscere della villa, sino ad arrivare alla fine delle scale. Percorsi un breve tragitto in salita, ritrovandomi sulla destra una massiccia porta di ferro battuto. Il rubino brillò ancora più intensamente, bruciandomi la pelle su collo e sterno.
La porta era semiaperta e senza fare alcun rumore varcai la sua soglia.
Le mura trasudavano umidità.
Fui investita da odori nauseanti, forti, di ammoniaca, penicillina ed altre sostanze chimiche.
Il locale in cui mi trovavo era enorme, tagliato trasversalmente da un lungo tendaggio scuro. C'erano mensole e scaffali ovunque. Tre grossi tavoli di metallo stavano allineati parallelamente gli uni agli altri, mentre degli strani attrezzi si alternavano a boccette di vetro, fiale e ampolle ricurve.
Lasciai vagare lo sguardo in quello che sembrava una sottospecie di laboratorio, chiedendomi stupefatta come fosse possibile che esistesse un luogo del genere nei sotterranei della villa.
D'un tratto qualcosa si mosse.
L'aria si riempì di sospiri ansanti, rochi, molto più simili a dei ruggiti che a dei gemiti.
Cominciai a tremare come una foglia.
I respiri si fecero sempre più irregolari, strozzati, e con orrore mi resi conto che provenivano da dietro la grande tenda di velluto nero.
Feci un passo in avanti, poi un'altro, ma mi arrestai all'istante. C'era odore di marcio nell'aria, di cibo rappreso e carne in putrefazione.
Puzzava di Ghuldrash.
Sentii il terrore irrigidirmi le gambe e mozzarmi il respiro.
Non sapevo cosa celasse in verità quella tenda, ma non potevo correre il rischio di scoprirlo. Eppure non riuscivo a muovermi, ero completamente immobilizzata.
Poi ci fu un rumore tintinnante, metallico, come di catene che vengono spezzate.
Ed era proprio così.
Sentii i pesanti anelli di ferro cadere a terra, graffiare il terreno e schizzare al di sotto della tenda, fino a raggiungere i miei piedi nudi.
La paura mi svuotò i polmoni in un sospiro gelido.
Dovevo andarmene, fuggire via, ma invece di correre in direzione della porta, afferrai la pesante stoffa della tenda, tirandola con forza.
Nel vedere cosa celava, i miei occhi si riempirono di lacrime.
Sentii le ginocchia cedere, il cuore gonfiarsi e tremare.
Avrei voluto urlare di gioia, dire mille cose, ma avevo la gola inaridita e l'unica cosa che riuscii a fare fu portare le mani alla bocca e piangere come una ragazzina.
Vidi il rosso dei suoi occhi accendersi e fiammeggiare come la pietra che portavo al collo.
Oh, no. Non era un'allucinazione.
Lui era lì... di fronte a me, e niente aveva più importanza ormai.
Il mondo circostante non esisteva più: c'eravamo solo noi.
Avanzai di qualche passo, insicura sulle gambe.
Poi mi feci forza e con un balzo, gli piombai addosso, avventandomi sulle sue labbra.
Lo baciai intensamente, con una foga che non sapevo di possedere, piangendo e ridendo nello stesso momento.
<< Finalmente...>> singhiozzai tra le lacrime.
<< Finalmente ti ho ritrovato!>>

 
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Angolo dell'autrice!
Saaaaaalve! Come sempre vi ringrazio di cuore per la vostra gentilezza e per aver "retto" anche questo capitolo! Io sono arrivata in pari con la storia che avevo pronta sul pc, quindi d'ora in poi aggiornerò con un ritmo un pò più sostenuto (cercherò di essere veloce, ma potranno capitare intervalli un poco più lunghi rispetto al solito) ... mi scuso profonfamente! 
Ma passiamo al capitolo! :D 
Penso, con questo, di essermi fatta abbastanza perdonare, vero? Vero? VERO? XD
Spero proprio di si! Anche perchè Miguel non vi era mancato per niente... Ahahaha XD 
Come avete potuto notare All'inizio ho inserito anche un nuovo personaggio (già citato negli scorsi capitoli)... la cara Josephine! Che ne dite di lei? Io l'adoro... e penso che si veda XD Per quanto riguarda il resto, non ho molto da commentare... quindi, lascio la parola a voi! Se ci fosse qualcosa che non va, che non vi aggrada, ecc... non esitate a farmelo sapere! 
Un abbraccio! 
<3

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Capitolo 21
*** Tra Le Braccia Delle Tenebre ***


Tra Le Braccia Delle Tenebre

_ Miguel _

L'intero mondo stava andando in malora, ed io con lui, trascinato sul fondo del baratro dai miei stessi deliri.
D'un tratto qualcosa nell'aria cambiò.
Trattenni il respiro e con il cuore in gola, udii la porta al di là della tenda schiudersi e cigolare. Qualcuno entrò all'interno del locale, i piedi nudi contro il pavimento ruvido, e un'acuta fitta di dolore mi colpì alla bocca dello stomaco. Tutto si tinse di rosso e come un veleno mortale, l'irresistibile profumo di Amelie si sparse nell'aria, incendiandomi i sensi.
Oh, maledizione!
Lei era lì, con me, e niente avrebbe più potuto salvarci.
Sentii l'eccitazione salire a dismisura, annientare la mia volontà, fino a che, accecato dalla fame, mi lanciai furiosamente verso la tenda che ci separava.
Il freddo metallo delle catene bloccò i miei movimenti, una, due volte, ma al terzo tentativo sentii gli anelli di ferro stridere ed incrinarsi.
Le catene si spezzarono, frantumandosi in mille pezzi.
Udii le schegge di metallo cadere a terra, slittare sul pavimento fino a raggiungere l'altra parte della stanza.
Amelie sussultò spaventata, io sorrisi biecamente.
Finalmente potevo muovermi.
Con un solo gesto, mi liberai il petto da quei fastidiosi parassiti ematofagi, dopodiché mi sporsi in avanti; i muscoli tesi e le gambe piegate, pronte a scattare verso la mia preda.
"Non hai scampo..." pensai in balìa del desiderio, assuefatto dall'odore del suo sangue. L'aria che mi circondava sembrava aver preso fuoco.
Stavo quasi per avventarmi su di lei, per afferrarla e squarciarle a morsi la tenera carne sulla sua gola; quando all'improvviso ritrovai la lucidità e tornai in me.
Ma cosa stavo facendo?
Dannazione... non doveva andare così!
Volevo gridare, minacciarla, intimarle di andarsene e fuggire il più lontano possibile da me, ma non feci in tempo ad aprir bocca che nella frazione d'un secondo, Amelie tirò via la tenda. 
Poi venne il caos: la stanza cominciò a girare, le pareti ad afflosciarsi su se stesse mentre l'intero universo si addensava all'interno dei suoi occhi ricolmi di lacrime.
Ora nulla aveva più importanza, né il dolore, né la fame. Solo lei.
Il tempo sembrava essersi fermato del tutto .
Ci fissammo reciprocamente, la bocca aperta per lo stupore.
Il solo guardarla, bastava a spiazzarmi il respiro. Era così bella, così fragile... semplicemente irresistibile.
Se ne stava scalza, con i capelli arruffati e la camicia da notte spiegazzata. Al disotto della stoffa s'intravedevano le morbide curve del seno, dei fianchi, delle gambe; tutto in lei sembrava esser stato creato apposta per stregarmi e tormentarmi.
Ma perché?
Per quale motivo ero così visceralmente attratto da quella creatura?
D'un tratto, al centro del suo petto, una luce rossastra catturò la mia attenzione.
Era la Mimesis. Possibile che riuscisse ad indossarla?
Il bagliore che emanava dal mezzo era quasi accecante: sembrava impazzita, il colore della pietra oscillava convulsamente dal rosso al nero senza mai stabilizzarsi. Ma cosa le stava accadendo?
Non si era mai comportata in quel modo.
Poi capii.
Nel frattempo, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, il mio Piccolo Tarlo si portò le mani alla bocca, piangendo e singhiozzando come una ragazzina.
Avrei tanto voluto prenderla fra le braccia, stringerla forte contro di me e asciugare le sue lacrime, ma allo stesso tempo quell'idea mi terrorizzava.
Io ero al limite, per poco non l'avevo attaccata e non sapevo quanto ancora sarei riuscito a tener a sottocontrollo la fame. Il mostro che da tempo immemore divorava le mie viscere, poteva fuoriuscire da un momento all'altro.
Ma d'un tratto, Amelie fece l'unica cosa che non avrebbe mai dovuto fare. 
Si sporse in avanti, e con gambe esitanti fece un passo, due, finché non me la ritrovai addosso. Mi abbracciò con forza, tremando come una foglia. Sentii un brivido d'eccitazione allo stato puro scorrermi lungo la spina dorsale, intensa e veloce come una scarica elettrica.
Dopodiché, fu l'inferno.
Non curandosi del mio torso nudo, quella sconsiderata schiacciò il petto al mio; la stoffa leggera della sua camicia da notte come unica barriera a separare i nostri corpi.
Sentii le zanne all'interno della mia bocca allungarsi e pulsare.
Rabbrividii.
Amelie prese il mio volto fra le mani, premendo le labbra contro la mia bocca.
Mi baciò una, due, infinite volte, piangendo e ridendo nello stesso momento, finché non ebbe più fiato.
<< Finalmente!>> singhiozzò tra le lacrime.
<< Finalmente ti ho ritrovato!>>
Avrei voluto risponderle che l'amavo, sì, che l'amavo con una tale forza da far muovere le montagne, che per lei avrei abbandonato ogni cosa; l'Ailthium, il mio lavoro, la vendetta, persino me stesso... ma riuscii unicamente a ricambiare il suo abbraccio, affondando le mani tra le soffici onde profumate dei suoi capelli.
Quanto avrei resistito, ancora?
Ogni cellula del mio corpo vibrava e si contorceva per lei, smaniosa del suo sangue.
Maledizione... Stavo veramente impazzendo!
Infischiandomene di tutto, presi a baciarle il volto bagnato dalle lacrime, seguendo con le labbra la loro traiettoria trasparente. Mi spinsi più giù, di lato, fino ad arrivare all'incavo tra la mandibola e l'orecchio. Con la lingua seguii la linea affusolata dello sternocleidomastoideo, torturandomi lungo tutto il percorso. Sentivo i battiti del suo cuore riecheggiare nell'aria, pulsare all'interno delle sue vene, fino a farmi perdere del tutto il senno.
Senza rendermene conto, le scostai di lato i capelli ed aprii la bocca. Il calore emanato dal suo corpo mi stordiva i sensi, ma proprio mentre stavo per affondarle i denti nella carne, qualcosa mi bloccò.
<< Su, fallo.>> mormorò contro il mio orecchio, la voce ferma, convinta.
Mi allontanai quel tanto da poterla guardare bene in faccia.
<< Non posso.>> dissi con voce esitante, a malapena riuscivo a parlare.
Lei tese il collo verso di me, in segno d'offerta.
<< Ho detto che puoi farlo, Miguel. Mordimi.>>
<< Maledizione... Amelie! Sei stupida o cosa? ... Non posso farlo!>> ansimai.
Lei si fece più vicina, sbottonandosi leggermente il colletto della camicia da notte.
Vidi la candida pelle del suo petto sollevarsi ed abbassarsi ad ogni respiro, la sensuale curva del seno aderire appena  sotto la stoffa. Ma cosa stava facendo? Se la sua intenzione era quella di farmi perdere del tutto la ragione, beh... ci stava riuscendo alla grande.
Mi voltai per non guardare, ma lei prese il mio volto fra le mani, costringendomi a sostenere il suo sguardo.
<< Lo so che mi vuoi, Miguel. È inutile negarlo.>> affermò con tono deciso, gli occhi cangianti inchiodati all'interno dei miei.
Per un attimo, ebbi la sensazione che mi stessero scavando dentro.
<< Oh, ma per favore...! Tu non hai la minima idea...della fatica che sto facendo per controllarmi.>> sibilai a denti stretti, la voce sempre più roca a causa della fame.
Le sue labbra si curvarono all'insù, disegnando il più amaro dei sorrisi. A stento riusciva a trattenere le lacrime. Mi accarezzò il viso con una mano, mentre con l'altra sistemava alla bell'e meglio i miei capelli.
<< Oh, invece so come ti senti. Lo so eccome. Lo sento... percepisco tutto quello che stai provando tramite questa.>> indicò con gli occhi la Mimesis impazzita, poi aggiunse << Non puoi resistere più di così . Hai bisogno di sangue... del mio sangue.>>
Oh, sì...  il mio Piccolo Tarlo aveva ragione.
Non avrei retto a lungo: avevo un disperato bisogno di lei, del suo sangue delizioso... della mia droga.
Con una furia che non riuscii a controllare la staccai da me, facendola barcollare ed andare a sbattere con la schiena contro il tavolo che mi stava di fianco. Nell'impatto, il cadavere del Ghuldrash che vi era legato sopra oscillò.
<< Vattene!>> ruggii in preda alla disperazione. << Vattene via!>>
Lei si alzò da terra, gli occhi fiammeggianti di rabbia.
<< Stupido mostro succhiasangue! Non me ne andrò di qui fino a quando non ti sarai nutrito come si deve!>>
<< Cosa intendi fare, eh? Obbligarmi?>> cercai di assumere un'aria sprezzante, ma dopo aver pronunciato quella frase, fui colto da un'altra crisi.
Sotto lo sguardo sconvolto di Amelie, cominciai a contorcermi dal dolore, il corpo smosso da continui spasmi.
I miei occhi divennero del tutto rossi, e iniziarono a lacrimare sangue copiosamente.
Lei fece per avvicinarsi, ma la spinsi via di nuovo.
<< Ti... prego!>> sibilai tra un attacco di tosse e l'altro << Lasciami qui... scappa!>>
Neanche io riuscivo a capire dove trovassi la forza per respingerla, ma quella stupida ragazzina non demordeva.
Difatti scosse il capo e fece un passo in avanti.
<< No... non me ne vado nessuna parte! Non senza di te!>> dicendo questo, afferrò un' ampolla dallo scaffale alle sue spalle, buttandola con forza a terra.
I mille frammenti di vetro si sparsero a terra insieme al contenuto, imbrattando il pavimento in pietra di un maleodorante liquido nero.
Mi guardò soddisfatta, il volto illuminato da una luce che non avevo mai visto.
Da quando in qua, il mio piccolo e fragile tarlo era diventato così risoluto, così coraggioso?
<< No, non... farlo...>> la minacciai.
<< Puoi forse impedirmelo?>> rispose, raccogliendo da terra una grossa scheggia di vetro.
<< Non capisci che ... nelle condizioni in cui mi trovo, potrei ucciderti? ... O vuoi che ti uccida, eh?>>
Scosse la testa; i suoi occhi si riempirono di lacrime e le sue labbra accennarono un sorriso. Poi, con un gesto netto e veloce, si ferì al polso con il pezzo di vetro.
Il suo sangue cominciò a colare copiosamente dal taglio che si era appena auto procurata, riversandosi a terra in una pozza scarlatta.
<< Amelie!!!>> gridai in preda al terrore, ma lei sorrise e mi tese il braccio.
<< Non vorrai che vada sprecato, vero?>>
Nonostante la debolezza e le convulsioni, trovai la forza per scattare in piedi cingerla con le braccia. Lei si abbandonò a me, ed insieme ci accasciammo a terra.
Le presi il polso fra le mani e con avidità cominciai a lambire la ferita sanguinante.
Dannazione... quanto avevo bramato quel sangue?
Sentii la fame quietarsi ed accrescere continuamente, a dismisura, fino a rodermi nelle viscere.
Quello era il sapore del paradiso!
Continuai imperterrito a nutrirmi da lei, cercando di non perdere del tutto il controllo.
Ma ahimè limitarmi a leccare quella ferita era impensabile... il sangue non mi bastava: ne volevo di più, sempre di più. Le zanne, estese al massimo della loro lunghezza pulsarono contro le mie gengive. Facevano male...
<< Stupida... sei una stupida, Amelie! Perchè l'hai fatto?!>> ringhiai, riuscendo a malapena a staccarmi dalla sua pelle.
I suoi occhi arrossati dal pianto ebbero un guizzo e il più dolce dei sorrisi solcò le sue labbra, ormai esangui.
<< Sai, Miguel...>>  mormorò con un filo di voce, << Ho pensato che in fin dei conti... non deve essere così terribile, morire tra le braccia dell'uomo che si ama.>>

_ Amelie_

Il mondo cominciava ad assumere contorni sfumati, a tingersi di grigio, mentre sempre più prepotentemente, il sangue defluiva dalle mie vene alla sua bocca. Prima di allora non ero mai stata così consapevole di me, delle mie potenzialità, della vita scalpitante che scorreva all'interno del mio corpo, eppure non esitavo a buttar tutto all'aria.
Lui ormai aveva abbandonato ogni remora, chinando il capo dinnanzi ai bisogni della sua implacabile fame.
E ne ero contenta.
Forse stavo impazzendo, o forse ero solo incredibilmente stupida, ma non riuscivo a pentirmi di nulla.
Tutto quello che facevo, era per Miguel.
Per il mio Miguel.
E se la mia vita poteva in qualche modo salvare la sua, beh... c'era ben poco su cui riflettere.
Gliela avrei donata su un piatto d'argento.
Improvvisamente Miguel staccò le labbra dal mio polso, inchiodandomi con occhi di fuoco.
Lo sapevo. Quell'assaggio non aveva calmato la sua sete... l'aveva solo accresciuta.
 << Basta così, Piccolo Tarlo... >> mi sussurrò contro il polso, accarezzando con la lingua la ferita sanguinante.
Dovette ricorrere a tutto il suo encomiabile autocontrollo, ma alla fine riuscì a voltarsi dall'altra parte. Lo sguardo fisso nel vuoto.  
<< No... >> biascicai debolmente, cercando di mettermi a sedere.
Feci per dire altro, ma lui non mi diede il tempo di aprir bocca.
Afferrò rudemente la gonna della mia camicia da notte, strappandovi un lembo di stoffa abbastanza lungo e  sottile. Poi sollevò il mio braccio sinistro, cominciando a fasciare il polso ferito.
<< Ma cosa stai facendo? >> chiesi contrariata, tentando di  ribellarmi.
Lui ignorò bellamente la mia domanda e una volta finito di armeggiare con la fasciatura, mi sfilò dal collo la sua collana, indossandola a sua volta.
<< Grazie per averla custodita, Amelie. Ma ora è meglio che tu vada. Hai perso molto sangue, è vero... ma non così tanto da non riuscire a camminare.>> disse alzandosi in piedi. << Io me la caverò da solo, non devi preoccuparti.>>
Possibile che fosse così cocciuto?
<< Oh, non dire sciocchezze! Sappiamo entrambi che queste poche gocce non bastano a placare un bel niente! A malapena ti reggi sulle tue gambe...>> affermai, fulminandolo con gli occhi.
Lui fece un sorriso sprezzante, mettendo in bella mostra le labbra sporche di rosso e i denti appuntiti.
<< Per quanto credi che riuscirò a resistere, eh?>> disse con aria minacciosa, cercando di spaventarmi.
Peccato che non avessi affatto paura di lui... non in quel momento perlomeno.
<< Io sono qui per te, Miguel. Perchè tu hai bisogno di me!>>
I suoi occhi scarlatti risplendettero di rabbia.
<< Ma non capisci che potrei perdere la ragione da un momento all'altro?! E se non mi fermassi in tempo? E se finissi per ucciderti?! Sai a cosa stai andando in contro?!>> ringhiò, inorridendo al solo pensiero.
Avrei voluto rispondergli che no, non m'importava... ma a che pro?
Sarebbe stato inutile e questo perché, in fin dei conti, lo sapeva già.
Mi alzai faticosamente in piedi, accostandomi alla sua figura. La sua pelle era segnata da vasti ematomi, ferite ancora aperte e macchie rossastre.
Chi diavolo aveva potuto fargli una cosa del genere?
Ma soprattutto, perché si trovava in un posto tanto orribile?
Gli cinsi la schiena nuda con le mani, sentendo i suoi muscoli irrigidirsi di botto.
Lui non mi respinse, ma nemmeno ricambiò il mio abbraccio. Rimase semplicemente immobile, dritto e fermo come una statua di marmo.
A malapena respirava.
<< Allontanati.>> disse freddo, inespressivo, portandosi le mani all'altezza della bocca.
Eppure sentivo i suoi battiti cardiaci accelerare di secondo in secondo, sempre di più, come se il cuore dovesse scoppiargli da un momento all'altro.
<< Allontanati, ti ho detto!>> ripeté, la voce spezzata, malferma.
Provò a staccarsi da me, ma glielo impedii.
Mi strinsi a lui ancora di più, facendo aderire languidamente il mio corpo al suo.
Un brivido d'eccitazione mi salì lungo la colonna vertebrale, dandomi le vertigini. Percepii lo stesso brivido sulla sua pelle.
<< Ti avevo avvisata!>> gridò infuriato.
Dopodiché fu tutto così caotico: mi ritrovai inchiodata a terra, sovrastata dal suo corpo possente e bloccata dalle sue braccia.
Con un gesto veloce mi strappò il davanti della camicia da notte, denudandomi il petto. Feci per coprirmi, ma le sue mani fermarono le mie.
Non l'avevo mai visto così... spaventoso.
La belva si era risvegliata e mi sorrideva sensualmente, lambendo il profilo delle sue zanne con la lingua.
Deglutii a fatica, poiché mi parve di inghiottire il mio stesso cuore.
<< Era questo quello che volevi, ragazzina?>>
 Caldo come seta, il suo respiro mi accarezzò il viso e scivolò giù, lungo il mio collo.
<< Sì...>> sussurrai contro la sua bocca, sporgendomi per baciarlo.
<< L'hai voluto tu...>> sibilò.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi a lui.
Miguel si protese in avanti, scivolando sulla mia pelle con movimenti aggraziati, da felino.
Sentii una strana smania solleticarmi il ventre, il cuore, le ossa.
Le nostre pelli si toccarono, il suo petto nudo contro il mio.
Quella sensazione mi spiazzò il respiro.
Ma che mi stava accadendo?
Miguel aprì la bocca, dopodiché una leggera puntura mi colpì in prossimità della gola.
All'inizio non me ne accorsi nemmeno, tant'ero assuefatta dal desiderio, ma il vero dolore non tardò a manifestarsi.
Soffocai le urla contro la sua spalla, graffiandogli la schiena con le unghie.
Lo sentii rabbrividire e perdere del tutto il senno: ormai era diventato incontrollabile, dominato unicamente dalla sua natura spietata.
Senza curarsi di farmi male, affondò le zanne ancora più giù, ancora più in profondità... dilaniandomi la carne finché era possibile.
Il mero dolore fu tramutato in fuoco liquido; il mio sangue bruciava, lo sentivo incendiarmi le vene, la pelle, il respiro. Poi il soffitto cominciò a girare su se stesso, vorticosamente, come una trottola impazzita.
<< Amelie...perdonami...>> sussurrò rocamente, trovando la forza di staccarsi dal mio collo.
Ero così debole, così stanca... ma provai ugualmente a guardarlo in faccia.
Non appena lo feci, la mia vista si annebbiò a causa delle lacrime.
Il suo bellissimo volto era stravolto dal dolore, dal rimorso, dalla sofferenza... Eppure i suoi occhi erano tornati blu.
Mi strinse a se, cullandomi dolcemente tra le sue braccia.
<< Alla fine avevo ragione.>> mormorai, <<  Non è poi così male...>>
Dopo aver pronunciato quelle parole, le forze mi abbandonarono del tutto, e come un corpo morto mi afflosciai su me stessa.
Lo sentii scuotermi, prendermi il viso tra le mani e gridare, ma nulla aveva importanza.
Volevo solo dormire.
<< Non permetterò che tu muoia, razza di stupida!>> urlò in preda alla disperazione.
<< Io ti amo!>>
"Anch'io..." avrei voluto rispondergli.
Mi sforzai di prender fiato, ma i miei polmoni si riempirono di fuoco.
Infine, la tenebra cancellò ogni cosa.

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Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Tra varie peripezie (la quasi morte del mio PC e la mia con lui T.T, è stato terribile), sono riuscita finalmente ad aggiornare! Mi scuso profandamente per il ritardo, cercherò di non farlo mai più... giuro... spero!
Ma comunque eccomi qui! T_T
Vi ringrazio profondamente per la pazienza!
Non so come prenderete questo capitolo, io stessa non so come prenderlo... ma mi auguro che non faccia poi tanto schifo... Era da una vita che volevo arrivare fino a questo benedetto punto, ed ora che ho scritto la scena del morso... non so, ho paura che sia stata banale. Detto questo... Lascio a voi la parola, perchè io effettivamente non so troppo che scrivere! Spero solo di non avervi deluso... 
Nel caso ci fossero incongruenze, errori, ecc non esitate a farmelo notare! 
Un abbraccione a tutti e ci vediamo al prossimo! 
<3

 

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Capitolo 22
*** Promesse ***


Promesse

_ Miguel_

I colori dell'alba filtrarono attraverso i vetri delle finestre, tingendo le pareti della mia stanza di calda luce dorata.
Mi richiusi la porta alle spalle, velocemente, stando bene attento a non emettere alcun suono.
In fin dei conti, erano pur sempre le cinque del mattino. Ed io non volevo essere scoperto, non quando la situazione era così delicata.
Scostai dal letto le pesanti coperte, adagiando dolcemente Amelie sul materasso.
"Maledizione!" imprecai a mente.
L'ansia mi divorava lo stomaco.
Con dita esitanti le accarezzai lievemente il volto cereo, esangue, soffermandomi per alcuni secondi sulle labbra.
Erano rigide, fredde... quasi violacee. Ma mi tranquillizzai nel vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi regolarmente, gli occhi chiusi, il respiro pesante.
Mi sedetti sul bordo del letto, non potendo fare a meno che provare un profondo odio per me stesso. Se davvero le fosse successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonato!
Le afferrai una mano gelida, portandomela all'altezza delle labbra.
C'era ben poco da fare, ora. Non mi rimaneva che aspettare.
Prima di lasciare i sotterranei le avevo somministrato qualche goccia del mio sangue, che il "caro" dottor Ravaléc aveva provvidenzialmente dimenticato all'interno del laboratorio. Non ricordavo né quando, né come me l'avesse prelevato, ma fatto sta che trovarlo lì, ben nascosto fra le altre fialette di sangue... era stato un autentico colpo di fortuna.
Depositai un casto bacio sulle labbra di Amelie, che con il passare del tempo stava riacquistando sempre più colore.
Nel constatarlo, tirai un sospiro di sollievo.
Finalmente gli effetti curativi del mio sangue si stavano manifestando.
Tolsi lentamente le fasciature, facendo ben attenzione a non farle male. Non potevo rischiare di svegliarla, anche perché quelle ferite si stavano cicatrizzando bene... ancora un po' di riposo e sarebbero svanite del tutto.
Rimasi a guardarla a lungo, passando le dita tra le onde scompigliate dei suoi capelli.
Adoravo quella sensazione, i grovigli setosi, la morbidezza dei boccoli sotto i polpastrelli...  
Improvvisamente, il suo respiro da profondo e regolare com'era si fece veloce, agitato, pareva che stesse correndo. Il suo petto cominciò ad alzarsi ed abbassarsi convulsamente, mosso da spasmi spaventosi.
Ma che le stava succedendo?
Preoccupato dal suo comportamento, la strinsi a me, ancora di più, cercando di bloccare i movimenti involontari del suo corpo.
<< Chi sei?!>> urlò a squarciagola, senza però aprire gli occhi.
Stava sognando... ma era possibile che un incubo, potesse scuoterla così tanto?
<< Chi sei?!>> ripeté, la voce strozzata dal terrore.
<< Ti prego, lasciami in pace!>>
Si dimenò come un'ossessa, cercando di sfuggirmi dalle braccia. Glielo impedii, ma con le unghie graffiò parte del mio volto e del petto ancora nudo. 
<< Shh, va tutto bene...>> le sussurrai all'orecchio, cullandola dolcemente, avanti e indietro, come se stessi stringendo a me una bambina.
<< Va tutto bene...>> continuai a dire.
Con mani esitanti, le scostai i capelli dalla fronte madida di sudore.
La sua pelle scottava: era fuoco incandescente. Io provavo a domare quelle fiamme impazzite, ma solo dopo alcuni secondi i suoi movimenti divennero deboli, sempre più fiacchi, fino ad arrestarsi del tutto.
Che strano.
Eppure mi sembrava che tutto ciò non avesse avuto luogo, tanto che temetti di esser stato vittima di un'allucinazione. 
Non saprei dire con esattezza per quanto tempo restai in quelle condizioni, stringendola a me con forza, eppure rimanemmo così per delle ore.
Vidi i raggi del sole spostarsi sulle pareti, cambiar forma alle ombre, finché non fui certo di poter interrompere il contatto tra i nostri corpi.
Avevo l'impressione che se solo mi fossi separato da lei, Amelie sarebbe potuta svanire nel nulla, come una sagoma indistinta tra la nebbia.
Ed avevo paura.
<< Devo andare...>> mormorai tra me e me, sapendo che ovviamente lei non avrebbe potuto udirmi.
Tuttavia, quando feci per alzarmi dal letto, mi sentii bloccare dalla stretta delle sue mani. Erano rimaste avvinghiate alle mie; le stringevano con forza, le nocche bianche per lo sforzo. Ma i suoi occhi rimanevano chiusi.
<< Tornerò presto, Piccolo Tarlo.>> dissi sottovoce, sciogliendo l'intreccio delle nostre dita.
<< È una promessa.>>

A quanto sembrava il conte James era via già da qualche giorno, ovviamente a causa del lavoro.
La cosa mi dava da pensare, soprattutto perché non riuscivo a togliermi dalla mente il misterioso dialogo tra lui e il dottor Ravaléc, svoltosi proprio nei sotterranei della villa.
Che ruolo aveva, lui, nel mio "rapimento"?
Ne era a conoscenza? O forse era stato proprio lui ad idearlo?
Le domande mi si affollavano nella testa, caotiche, come la ressa urlante dei soldati nel bel mezzo di una battaglia.
Dissi a Ellen, una sguattera della cucina incontrata casualmente per i corridoi, di farsi un lieve taglio all'altezza dell'avambraccio. La ragazza ubbidì e dopo pochi secondi mi ritrovai con le labbra sulla sua ferita.
Oh, no. Non c'era assolutamente paragone.
Assaggiare il suo sangue dopo aver degustato il nettare delizioso di Amelie, era quasi una blasfemia, come mandar giù catrame bollente... ma in fin dei conti, dovevo ancora recuperare del tutto le forze.
Quando ebbi finito, ero sazio e ben lungi dall'essere appagato.
<< Ti ringrazio per la gentile offerta, Ellen.>>
Lei si guardò il taglio, l'espressione corrucciata, gli occhi pensosi.
<< Non capisco perché ve l'ho lasciato fare, signore.>> disse alzando lo sguardo su di me, seriamente preoccupata.
Finii di allacciarmi il colletto della camicia, e dopo aver indossato anche panciotto e soprabito, mi avvicinai a lei.
<< Vedi, mia cara... >> le sollevai il viso con la punta delle dita, << Di solito non uso mai questo genere di abilità, ma quando non si ha il tempo di sedurre la propria preda... il controllo della mente torna davvero utile, sai?>>
<< Controllo della mente?>> ripeté, strabuzzando gli occhi.
Le sorrisi amabilmente, lasciando intravedere i canini aguzzi di proposito.
<< Ma voi, cosa siete?>> urlò.
<< Chi sono io? Beh, non lo so. Probabilmente il mostro  che culla i tuoi incubi...>>
Detto questo, posai la fronte su quella della ragazza e nel giro di qualche secondo finii per cancellarle la memoria.
Fortunatamente era stata una cosa veloce, dal nostro incontro fino a quel momento erano passati a malapena dieci minuti... quindi c'era ben poco su cui intervenire mentalmente.
Terminato il mio compito, lasciai Ellen a ronfare comodamente su una poltrona della camera degli ospiti, ormai in disuso da settimane. Dopo quasi quattro giorni di torture, digiuno forzato e reclusione, avevo finalmente riacquistato le forze.
Ora niente avrebbe potuto fermarmi. Né Ravaléc, né Ryan e nemmeno il conte von Kleemt in persona.
Senza perder ulteriore tempo, mi diressi con passo deciso verso gli appartamenti della contessa Lamia.
Erano pur sempre le otto del mattino e difficilmente era possibile vederla prima delle nove.
Bussai tre volte alla sua porta, dopodiché entrai ugualmente, sebbene non mi avesse accordato il permesso di farlo.
<< Oh, signore Iddio! Sei tu?!>> gracchiò dalla sua toletta, girandosi di colpo a guardarmi.
Aveva i lunghi capelli d'oro sciolti dietro la schiena, la vestaglia di seta appoggiata sulle spalle e la spazzola stretta in mano.
<< Buongiorno contessa... è un vero piacere rivedervi!>> risi sarcastico. 
Lei storse il naso e controvoglia, tornò a lisciarsi i capelli, puntando gli occhi sulla mia immagine riflessa allo specchio.
<< Che fine avevi fatto, Miguel? Temevo di doverti rimpiazzare con il signor Blackwood.>> sentenziò velenosa.
Alle sue parole sentii un sorriso nascere spontaneamente sulle mie labbra.
Avanzai di qualche passo e una volte che le fui dietro, posai entrambe le mani sulle sue spalle.
Lamia rabbrividì.
<< Cosa vuoi da me?>> sputò in preda al ribrezzo.
<< La domanda è, cara contessa... cos'è che volete voi da me?>> le sussurrai all'orecchio.
A quelle parole il suo volto divenne di ghiaccio.
<< Cosa vuoi dire? Sei sparito per giorni... ti ho fatto cercare ovunque, in lungo e in largo! Sembrava che l'inferno ti avesse inghiottito, Miguel!>>
<< Oh, sì... vi posso assicurare che è stato un inferno...>> mormorai, avvicinando le mani al suo collo.
Lei deglutì, fissando con odio la mia immagine all'interno dello specchio.
<< Parla.>> ordinò perentoria.
Ricambiai il disprezzo all'interno dei suoi occhi con una dose letale di indifferenza.
<< Avete detto di avermi cercato ovunque...>> affermai, << Anche nei sotterranei?>>
Il suo viso assunse un'aria interrogativa.
<< Perché avrei dovuto?>>
<< Per il semplice motivo che mi trovavo lì. >> mi sbilanciai a dire.
La contessa fece tanto d'occhi. Era incredula.
<< Nei sotterranei?!>>
Annuii con la testa, togliendole le mani di dosso.
<< Il signor Blackwood ed il "caro" dottor Ravaléc mi hanno teso un'imboscata.>> Lei scoppiò in una fragorosa risata.
<< Ravaléc e Blackwood...? >> chiese divertita. << Impossibile! Mi rifiuto di crederlo!>>
<< Vi assicuro che è proprio così, contessa.>>
<< Tu vaneggi, Miguel!>> s'impuntò.
Le tolsi di mano la spazzola e con delicatezza, presi a pettinarle i capelli.
Un brivido di terrore le fece accapponare la pelle.
<< Mia signora...>> feci con tono minaccioso, << Sono loro a condurre gli esperimenti sui Ghuldrash, a provocarne gli attacchi e ad abusare impropriamente del sangue di Amelie. L'ho visto con i miei occhi. Hanno mandato contro di me centinaia di quelle creature, con l'unico scopo di affaticarmi e farmi capitolare. Una volta riuscitici, mi hanno tenuto prigioniero per giorni... affamandomi fino all'inverosimile per poi... >>
<< Se quello che dici è vero...>> m'interruppe, << Come fai ad essere qui, adesso? Come sei riuscito a scappare?>>
Vidi il turchese dei suoi occhi appuntarsi malevolmente nei miei.
Sospirai affranto, dopodiché avvicinai il viso al suo.
I nostri volti erano accostati, quasi alla stessa altezza, e ci osservavamo entrambi mediante lo specchio.
<< Amelie...>> sussurrai. Lamia s'irrigidì di botto.
<< Cosa centra lei?>> gridò preoccupata.
<< È stata vostra figlia a trovarmi... è merito suo, se sono ancora vivo.>>
I suoi occhi si riempirono di terrore, poi con un gesto avventato, artigliò la mia mano poggiata sulla sua spalla.
Le sue unghie che spingevano contro la mia pelle, scalfendola.
<< C-cosa le hai fatto, mostro?!>> sibilò a denti stretti, voltandosi per guardarmi negli occhi.
A quelle parole, una fitta lacerante mi colpì al petto, scavandovi una voragine profonda, come l'abisso.
<< Ora sta bene. >> dissi freddo, con labbra che parevano pietra.
<< Cosa?!>> inveì, << Schifoso demone dell'inferno! Cosa hai osato fare alla mia bambina?! Dimmelo, maledizione!>>
Improvvisamente, tutta la spavalderia di cui mi ero fregiato scivolò a terra, inghiottita dal rimorso e dal senso di colpa.
Ma cosa credeva, Lamia?
Che fossi soddisfatto di quello che era accaduto a sua figlia?
Che ne fossi contento?
Con una rabbia che non sapevo di star covando, mi liberai della sua presa per metterle le mani al collo.
Era così lungo, così sottile... sarebbe bastata una lieve pressione da parte mia, per spezzarlo.
<< Cosa... hai... intenzione di fare, Miguel? Vuoi... uccidermi?>> ansimò.
<< Oh, no. Voi mi piacete, contessa! >> strinsi di più, << Però, non azzardatevi mai più a rivolgermi a me in questo modo. Sappiamo entrambi, chi ha il coltello dalla parte del manico... ed io mi sono abbassato ai vostri spocchiosi capricci fin troppe volte. È vero, sono qui su vostro esplicito ordine, ma sono io ad avere la vostra vita nelle mie mani. Sarebbe così facile uccidervi e portare Amelie con me, via, lontano da tutto e tutti... solo io e lei. Invece rischio quotidianamente la vita per voi, per farvi dormire sogni tranquilli e proteggere la vostra preziosa famiglia... ma cosa ottengo in cambio? Disprezzo e diffidenza! Vi sto dicendo che Ravaléc e Ryan sono pericolosi, che tramano alle vostre spalle e usano Amelie per i loro loschi propositi... ma riuscite solo ad inveire contro di me, quando è la mia stessa vita ad essere in gioco! ... Hanno provato a farmi fuori! Lo capite questo? >> ruggii incollerito.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, e senza degnarmi di una risposta, si voltò dall'altra parte.
Non riusciva a sostenere il mio sguardo infuocato.
<< Contessa...>> continuai, il tono di voce meno collerico, << Potrebbe esser implicato nella faccenda anche vostro marito.>>
Il suo cuore mancò qualche battito.
<< James? Il mio James?!>> disse incredula.
Allentai la stretta sul suo collo.
<< Tempo fa ho seguito lui e il dottor Ravaléc nei sotterranei, parlottavano tra loro a causa di una fialetta di sangue. Una volta che ebbero lasciato il locale, perlustrai la stanza, trovandovi nascosti al di là della tenda i corpi senza vita di alcuni Ghuldrash.>>
<< E con questo?>> domandò ansiosa.
<< Una volta morti, quei mostri si disfanno fino a svanire nel nulla. Quelli nel laboratorio di Ravaléc, no. Erano intatti, la degenerazione delle cellule interrotta dal sangue di Amelie.>>
<< No... Non può essere... James non lo farebbe mai! E tu comunque non hai le prove! Potrebbe essere tutta una vile menzogna per coprire il crimine che hai commesso nei confronti di mia figlia!>> singhiozzò.
Possibile che nonostante l'evidenza, non riuscisse a credermi?
<< Non ho mai voluto fare del male ad Amelie... Io la amo!>> dissi inginocchiandomi davanti a lei.
Ero esasperato.
Gli occhi della contessa si ridussero a due fessure traboccanti odio liquido.
<< La ami? Da quando in qua la tua specie è capace di un simile sentimento? Siete delle bestie... >> sentenziò, sputandomi quelle parole addosso, con disprezzo.
<< Se vi può consolare, Amelie prova le stesse cose per me. Non è buffo? È innamorata di una bestia.>>
Il suo volto si fece paonazzo dalla rabbia, gli occhi lucidi, le vene sul collo gonfie e pulsanti.
Era sul punto di scoppiare... peccato che io avessi superato quella soglia già da tempo.
<< Non permetterò mai che voi due stiate insieme, Miguel! Ve lo impedirò! Fosse l'ultima cosa che faccio!>>
<< E come, di grazia>> la incalzai, << Io ed Amelie siamo già fidanzati... ricordate?>>
La contessa si alzò in piedi, i pugni stretti, la bocca serrata dalla rabbia.
<< Bene! Allora il tuo compito finisce qui, Miguel. Non ho più bisogno di te, né dei tuoi servigi.>>
<< Mi state forse cacciando?>> domandai.
Lei annuì, ed un sorriso sardonico le sollevò gli angoli della bocca.
Non l'avevo mai vista così risoluta... così spietata.
<< Prepara le valige e dì addio a mia figlia, perché domani all'alba partirai per Vienna. Per quanto mi riguarda... proteggerò la mia famiglia da sola. Lo farò ad ogni costo, dovessi anche sporcarmi le mani di sangue.>>

_ Amelie_

Improvvisamente, una dolce nenia sussurrata a fil di voce s’insinuò viscidamente nella mia testa, cullando i miei sogni come il tenero abbraccio di una madre.
Era una canzone bellissima, inusuale, dal ritmo lento e moderato.
Raccontava di spade, cavalieri, sanguinose gesta e amori impossibili perduti nel tempo. A tratti avevo come l'impressione di ricordarne le parole, ma stranamente le dimenticavo all'istante.
D'un tratto, qualcosa mutò irreversibilmente.
L'arcana melodia assunse un’intonazione diversa, remota, quasi primitiva e le sue note delicate, vennero storpiate da cacofonici lamenti di morte.
Sentii quella voce vibrarmi all’interno delle ossa e paralizzarmi il cuore, finché non venne il silenzio.
Poi tutto si tinse di nero, sfiorando i toni dell'oscurità più assoluta.
Galleggiai nel bel mezzo del nulla per un tempo deformato, che pareva non aver fine: ore e secondi si confondevano gli uni con gli altri, dando origine al caos.
Dov'era finita quella musica?
All'improvviso, fui travolta da una miriade di sensazioni differenti.
Sentii l'elettricità scorrermi nelle vene, eccitarmi i sensi, fino a che non ebbi l'impressione di andare a fuoco. Poi aprii gli occhi, e mi ritrovai distesa sulla terra nuda, umida di pioggia e fango.
La nebbia invadeva ogni cosa.
Che strano. Indossavo un intricato vestito di pizzo nero, di quelli che si utilizzano per portare il lutto e fra le mani stringevo un bouquet di rose bianche.
Che dovevo farci, con quei fiori? Stordita più che mai cominciai a guardarmi intorno, ma non appena lo feci... il sangue mi si ghiacciò nelle vene.
Accanto a me c'era una bara. La bara aperta di un uomo.
Spinta da una forza più grande di me, mi sporsi per vedere cosa contenesse all'interno, ma quando mi trovai faccia a faccia con Miguel, la paura mi svuotò i polmoni in un sospiro gelido.
Poi fu l'inferno.
"Miguel!!!" gridai in preda alla disperazione, scuotendo il suo corpo privo di vita.
" Maledizione, Miguel... svegliati!" continuai a dire, strozzandomi nelle mie stesse lacrime.
Ma la morte l'aveva irrigidito, facendolo sembrare una bellissima statua di pietra.
No, non poteva essere vero!
Il mio Miguel non poteva esser morto!
Più lo stringevo a me, più avevo l'impressione di precipitare in un baratro profondo, senza un appiglio a cui potermi aggrappare.
"Oh, mia dolce Amelia... eri qui!" proruppe una voce femminile, rimbombando tra la nebbia e gli alberi.
Impaurita, mi staccai da Miguel.
"Chi sei?" gracchiai, il dolore pareva avermi divorato le corde vocali.
Sentii una risata spandersi nell'aria, allegra, argentina, come quella di una bambina.
"Questa domanda dovresti rivolgerla a te stessa, mia cara..." rispose divertita la voce.
Spaventata, girai o capo in tutte le direzioni... eppure non riuscivo a scorgere nulla.
Sembrava che parlassi col vento.
"C-chi sei?! " ripetei al nulla, "Fatti vedere!"
Il silenzio mi avvolse come una soffice cappa di fumo.
Dopodiché tra i vapori della nebbia vidi comparire una sagoma femminile.
Senza rendermene conto, mi sporsi sul  corpo senza vita di Miguel, contrapponendomi tra lui e la figura sdefinita all'orizzonte.
Forse era questione d'istinto o forse di una pazzia imminente, ma sentivo il bisogno viscerale di proteggerlo.
Di difenderlo ad ogni costo... da lei.
"Dovresti allontanarti da lui, mia cara." disse la donna, facendosi avanti.
"Non è pane per i tuoi denti..."
Stavo quasi per risponderle, quando improvvisamente me la ritrovai di fronte.
La sua ombra che incombeva su di me come una condanna a morte.
Con un movimento fluido, da rettile, la donna si fece sempre più vicina, la bocca scarlatta intenta a disegnate il più tetro dei sorrisi.
Poteva davvero esistere un essere simile?
La sua bellezza sconfinava l'umana percezione che avevo delle cose.
Alta, statuaria, pelle diafana e capelli rosso sangue che le lambivano sensualmente il corpo nudo, fino a celarle le perfette rotondità del seno. Aveva gli occhi leggermente allungati, di un viola sgargiante... intenso.
Potevano ipnotizzarti con un solo battito di ciglia. 
"Mammina e papino... non ti hanno insegnato a non toccare le cose degli altri, Amelia?" sibilò languidamente, imprigionandomi all'interno del suo sguardo.
"Chi sei?" urlai, esasperata.
La donna sorrise ancora, mostrando denti bianchi ed aguzzi... come quelli di Miguel.
"Il tuo peggior incubo... tesoro!"
Detto questo, si avvicinò a me di più, sempre di più... fino a sfiorarmi il volto con le labbra. Il suo alito fresco contro il mio viso. 
"Ti prego, lasciami in pace!" gridai.
Senza accorgermene, mi ero accovacciata sul corpo rigido di Miguel, stringendolo una forza che non sapevo di possedere. Non volevo allontanarmi da lui, non quando lei lo guardava così ardentemente.
Rabbrividii. 
I suoi occhi bruciavano di odio, disprezzo... e desiderio.
Cos'era per lei Miguel? Al solo pensiero, sentii la nausea risalirmi lungo la gola. 
Avevo il terrore che lei potesse strapparmelo dalle mani. E così fece.
"Ti avevo detto di stargli alla larga!" ruggì infuriata.
I suoi occhi viola fiammeggiarono dalla rabbia, assumendo il colore delle fiamme. Arricciò le labbra rosse, snudando le zanne in tutta la loro lunghezza.
Era spaventosa! 
Afferrò con forza alcune ciocche dei miei capelli, poi, con una violenza inaudita, le tirò a sé, strattonandomi. 
"Ricorda, piccola bastarda.. Non ti uccido solo perché lui non me lo perdonerebbe mai..." minacciò e senza darmi il tempo di replicare, premette le labbra contro le mie, come a voler suggellare una sorta di promessa.
Più con se stessa che con me.
"Ci rivedremo presto, mia cara Amelia. Molto, molto presto!" rise sguaiatamente.
Feci per ribattere ma non avevo più voce. Il suo bacio mi aveva proscoigato di ogni energia.
Sentii la testa girare vorticosamente, le narici riempirsi di veleno e le palpebre diventare di piombo.

Era un sogno. 
Sapevo che si trattava di un sogno, di un mero incubo... uno dei tanti. Eppure, quella consapevolezza quasi assoluta non bastava a tranquillzzarmi. 
Finalmente il caos ebbe pietà di me, e dopo pochi secondi quella strana melodia tornò ad avvolgermi col suono delicato delle sue note.
Ero libera, sola, leggera come una piuma fluttuante.
Ma quando persi del tutto i sensi, il ricordo di quella donna tornò ad ossessionarmi.
Chi era? Non me l'aveva detto. 
Cosa voleva da me... e da Miguel?
Ma soprattutto, me ne sarei mai liberata? 

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Angolo dell'autrice: 
Salve gente! E colgo l'occasione anche per augurare a tutti voi BUONE FESTE! 
Insomma! Vi ringrazio infinitamente per aver avuto la pazieza di leggere e attebdere così tanto questo capitolo. Lo so, vi avevo promesso che non vi avrei fatto aspettare più così tanto, ma ho avuto serie difficoltà con la stesura di questa parte della storia...e tutto'ora non sono affatto soddisfatta del risultato... Ma vabbè! A natale siamo tutti più buoni... quindi siatelo anche voi con me... ve ne prego T_T  
No vabbè... se dovete essere cattivi, non posso impedirvelo U.U
Quindi viva la sincerità! 
Detto questo... beh! Non ho molto da dire... quindi fatemi sapere voi, soprattutto riguardo a Lamia e all'ultima parte del capitolo con Amelie... 
Vi faccio ancora taaaanti tantissimi auguri, e spero che passiate tutti delle feste meravigliose, tra cenoni abbondanti, spumante, panettoni\pamndori e molti regali! 
Un bacione a tutti voi e alla prossima! 
<3 <3 <3 


 

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Capitolo 23
*** I Giorni Contati ***


I Giorni Contati

_ Miguel_

Ribollivo di rabbia.
Se fosse stato possibile, avrei dissanguato a morte la boriosa contessa che mi dava le spalle, ma ahimè, quella donna mi serviva ancora. Quindi chiamai a raccolta tutta la pazienza e l'autocontrollo che possedevo, feci un bel respiro ed infine provai a contare fino a dieci.
Sembrava facile.
Uno, due, tre, quattro... cinque e... SBAM!
Richiusi violentemente la porta alle mie spalle, fin quasi a scardinarla. Lamia urlò ed io maledissi ulteriormente il giorno in cui l'avevo incontrata.
Perché allora non l'avevo uccisa e basta? 
Sarebbe stato così facile...
Di sicuro, se ciò fosse realmente accaduto, gli eventi avrebbero preso una piega diversa... magari migliore?
Furioso come un toro nel bel mezzo della corrida, lasciai il corridoio per imboccare le scale.
Non avevo tempo da perdere, non quando il mio Piccolo Tarlo mi stava aspettando.
Ogni fibra del mio essere era proiettata verso di lei; i miei sensi la cercavano, i miei occhi la bramavano e il mio corpo fremeva nell'attesa di riabbracciarla una volta per tutte.
Possibile che avessi così bisogno di Amelie?
Che la desiderassi così tanto?
Nel giro di pochi secondi mi ritrovai al piano superiore, il fiato corto per la folle corsa. Feci per aprire il portone della mia camera, ma una mano calda e ben curata si posò sulla mia, bloccandomi.
<< Non ora.>> sentenziò con voce rauca l'uomo. << La signorina Amelia sta ancora dormendo!>>
<< Stai facendo dei progressi, Ryan. Complimenti. Non ti ho sentito arrivare.>> sibilai fra i denti, voltandomi a guardarlo.
Lui ghignò divertito, lasciando la presa con un gesto teatrale.
<< Oh, Miguel... questo è perché il sangue di quella ragazza ti ha dato alla testa!>>
<< Può darsi...>> affermai, << O forse è per colpa del tuo tradimento?>>
Per nulla risentito, quell'imbecille si limitò a sorridere a trentadue denti.
Gli occhi illuminati da un guizzo sadico.
<< Suvvia, amico mio... ti stavo solo facendo un favore!>>
<< Un favore?>> ripetei, inarcando scettico il sopracciglio.
<< Mmh mmh, hai capito bene!>> annuì soddisfatto.
Per chi mi aveva preso?
Feci un passo verso di lui, che prontamente indietreggiò, fino ad arrivare all'altro capo della parete.
Non aveva scampo. Non ora che mi ero ripreso completamente.
<< Ryan...>> mormorai, poggiandogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Lui mi guardò negli occhi, le lenti tondeggianti degli occhiali appannate dalla tensione.
<< Da quanto tempo conosci Ravaléc?>>
Lui deglutì.
<< Non molto.>>
<< Bene, e che mi dici dell'Ailthium? I capi della Prima Legione sanno quello che stai facendo?>>
A quelle parole, il suo viso tirato assunse un'espressione beffarda.
<< Perché, ti interessa?>>
<< Faccio parte dell'organizzazione anche io...>> sussurrai,<< Sono il vostro cane da caccia, ricordi? Il mastino che miete le vostre vittime. Nel caso fossero coinvolti anche loro, dovrei esserne informato prima di tutti.>>
<< Io non sono tenuto a dirti niente.>> replicò d'un fiato.
Che fosse maledetto... mi stava facendo perdere la pazienza!
<< Da che parte stai?>> ruggii infuriato,  stringendo sempre di più la presa.
Le sue labbra si piegarono all'insù, mentre la più roca delle risate gli riempì di latrati  le corde vocali.
<< Dalla mia, ovviamente!>>
La voglia di saltargli addosso e sgozzarlo mi fece prudere la punta delle dita, ma a malincuore, dovetti trattenermi. Amelie era dall'altra parte della stanza... non potevo rischiare di svegliarla.
<< Non so quali siano le tue intenzioni...>> gli intimai, stringendo la presa sulla sua spalla. << Ma non ti permetterò di intralciare i miei piani, soprattutto ciò può nuocere alla mia posizione qui e al mio rapporto con Amelie! Se solo oserete farle di nuovo del male, io...>>
<< Suvvia, Miguel. Ammettilo. Fin ora sei stato unicamente tu a farle del male. Non è quasi morta sotto la stretta delle tue zanne?>> insinuò velenoso, gli occhi ridotti a due fessure azzurre.
<< Come fai a saperlo?>> ringhiai, sentendo le sue ossa scricchiolare sotto la mia stretta.
Ryan ebbe l'impulso di urlare, ma si trattenne: digrignò i denti e sorrise.
<< Secondo te?>> bofonchiò.
<< Era tutta opera vostra? Fin dall'inizio era quello il vostro scopo?>>
Schioccò la lingua altezzosamente, appuntando gli occhi nei miei.
Non vi leggevo nessuna emozione, all'interno. Solo gelo... erano vuoti.
<< Ovvio.>> rispose, sciogliendosi con un gesto fluido dalla mia presa. << Era quello il piano... fin dall'inizio. Avrei guidato io stesso la signorina Amelia fin da te, ma sorprendentemente, ha fatto tutto da sola! Non trovi anche tu che sia buffo?>>
<< Quindi ... era proprio per questo motivo che né tu, né il dottor Ravaléc avete cercato di ostacolare la mia fuga. Ma non capisco...>> mormorai, << Che collegamento c'è tra me, i Ghuldrash, ed il sangue di Amelie? Perchè avete voluto mischiarlo al mio?>>
Ryan socchiuse gli occhi e scosse la testa.
<< Come ti senti, Miguel? Non trovi che ci sia qualcosa di diverso in te?>> chiese d'un tratto, toccando con mano esitante la catenella della Mimesis che si intravedeva al di sotto del colletto sbottonato.
<< Brucio continuamente dal desiderio. Vado a fuoco e mi consumo, nell'attesa di poter assaggiare di nuovo quel sangue delizioso.>> ammisi, << Non trovo pace.>>
<< E...?>>
<< È tutto amplificato. Mi sento strano... non controllo la mia forza.>>
<< Bene...>> sogghignò, tirando la Mimesis di fuori.
Il rubino brillava impazzito... in realtà, non aveva mai smesso. 
<< La rottura sarà imminente.>>
Rimise il ciondolo dov'era, richiudendomi per bene il colletto.
<< Lo so... lo sento.>> sibilai, portandomi una mano al petto.
Sentivo al disotto dei vestiti il rubino bruciare. Ryan mi voltò le spalle, e con passo bislacco, si avvicinò alla mia porta.
<< Vedi, in fin dei conti provo pena per te... amico mio!>> strinse le dita intorno alla maniglia.
 << Ah sì?>> risi beffardamente, avvicinandomi.
Lui aprì la porta, lasciandomi il passaggio libero per entrare.
<< Goditi la sua presenza finché puoi, Miguel. Perché la signorina Amelia ha i giorni contati. >>
 
Mi richiusi la porta alle spalle.
Il cuore a mille, il respiro affannoso e le gengive pulsanti.
I miei occhi si erano tinti di rosso, ma non a causa dell'eccitazione o della brama di sangue... no. Era tutta colpa di Ryan. Le sue ultime parole, mi avevano mandato su tutte le furie e per poco non l'avevo ammazzato lì, sul posto, col mio Piccolo Tarlo a pochi metri di distanza.
Alla fine ero riuscito a controllarmi, ma sulla gola glabra di Ryan erano rimasti i segni della mia stretta.
"No..." pensai compiaciuto, non sarebbero svaniti tanto facilmente.
Man mano che passavano i secondi, la mia vista tornò ad essere normale, il mio respiro regolare e il battito del mio cuore stabile.
Solo la collera continuava ad incendiarmi i sensi, ma relegai il tutto in un angolo remoto del mio cervello.
"Goditi la sua presenza finché puoi."
Che diavolo aveva voluto dire con quella frase?
Continuavo ad arrovellarmi la mente alla ricerca di una possibile spiegazione... ma non riuscii a trovare nulla.
Brancolavo nel buio.
Poi la sentii urlare.
Nel giro di un attimo le fui accanto, i suoi occhi erano sbarrati, eppure sembravano non vedere niente.
Annaspavano nel nulla.
<< Amelie!>> la chiamai, toccandole la mano.
I suoi occhi assenti si fissarono nei miei, senza dar alcun segno di riconoscermi.
Allora provai ad avvicinarmi, a scostarle i capelli dal viso, a rassicurarla con parole dolci, ma il mio Piccolo Tarlo era sotto shock.
Sudava freddo e tremava come una foglia.
L'abbracciai, così da scaldarla col calore del mio corpo ma la sua reazione mi spiazzò. Con una forza che ignoravo possedesse mi spinse via, dopodiché si accovacciò su se stessa, affondando il volto tra le ginocchia. Poi arrivarono le lacrime; la sua schiena piegata in avanti venne scossa dai singhiozzi e la sua gola si riempì di gemiti e lamenti.
Era disperata.
Una fitta di dolore mi colpì al centro della cassa toracica, troncandomi il respiro.
Perchè quella stupida ragazzina non mi permetteva di consolarla?
Vederla in quelle condizioni era straziante, mi faceva sentire debole... inutile.
Ed io detestavo sentirmi in quel modo!
<< Miguel!!!>> gridò d'un tratto, la voce storpiata dal pianto. << Oh, Miguel!>> continuò a dire.
Possibile che non si fosse ancora svegliata del tutto?
<< Ehi, sono qui!>> le dissi.
I tremori si bloccarono di botto e dopo qualche secondo cessò addirittura di respirare.
<< Guardami...>> la incitai, costringendola ad alzare il volto su di me.
I suoi occhi già colmi di lacrime si riempirono ulteriormente, dando vita ad una mezza specie di inondazione.
Smise di sorreggersi le ginocchia, e con mani esitanti mi accarezzò il viso.
Sembrava volersi accertare definitivamente che fossi concreto... reale.
<< Miguel... >> mormorò incredula, << Sei proprio tu?>>
Annuii con la testa.
Poi mi sporsi in avanti, sfiorandole le labbra con un casto bacio.
<< C-credevo... che fossi morto>> singhiozzò, << Ti ho visto dentro una bara... eri così rigido, freddo, sembravi una statua di marmo...  io ero vestita di nero e quella donna...>>
<< Shh... ora calmati.>> la zittii con un altro bacio, << Hai solamente avuto un incubo...>>
<< Ma sembrava così reale... tu eri morto! Morto! Capisci?>>
Nel dirlo si gettò fra le mie braccia, inzuppandomi con le lacrime la camicia e il panciotto.
La strinsi a me.
Restammo a lungo in silenzio, ad ascoltare reciprocamente il rumore dei nostri respiri.
Ma d'un tratto lei si scostò da me, trafiggendomi all'istante con occhi lucidi, accusatori.
<< Perché ti trovavi in quell'orribile posto? Cosa sta succedendo, Miguel?>>
Mi lasciai scappare un sospiro rassegnato, dopodiché incrociai le braccia al petto e con aria sprezzante la guardai dall'alto in basso.
Era giunto il momento di inscenare la mia recita.
<< Non sono cose che ti riguardano, ragazzina.>> dissi freddamente, allontanandomi da lei.
Sentii il suo cuore accelerare il battito e la rabbia soppiantare la preoccupazione nei miei confronti.
Bene... era proprio quello che volevo.
<< Non sono cose che mi riguardano?!>> gridò infuriata, << Se non fosse stato per me, stupido succhiasangue... a quest'ora saresti morto! Morto sul serio... lo capisci?>>
Rimasi in silenzio a fissarla. Non potevo permettermi di lasciar trapelare nulla.
<< E con ciò?>> replicai seccamente.
<< Ti rendi minimamente conto... di quanto io mi sia preoccupata per te, di quanto ti abbia aspettato?>> si asciugò le lacrime con la mano, poi aggiunse: << Ti prego... ti scongiuro... per una volta, fidati di me! Dimmi la verità! Non voglio brancolare ancora nel buio, voglio uscire da questa ignoranza castrante! Ho bisogno di certezze! Devo sapere cosa sta accadendo in questa casa!>>
<< Non sono tenuto a dire nulla.>>
<< Perché all'improvviso tutta questa freddezza? Fino a poco fa mi tenevi tra le tue braccia...>> mormorò confusa.
Le accarezzai il volto con una mano, dolcemente, seguendo la linea dello zigomo e della mandibola.
<< Lo faccio per proteggerti.>> ammisi, pentendomene subito dopo.
Possibile che davanti a lei non riuscissi a controllare nemmeno le mie parole?
<< Non sono una bambina, Miguel. Sono una donna. E penso di avertelo dimostrato.>> affermò decisa, sporgendosi in avanti.
Oh, eccome se l'aveva dimostrato!
Ma era pur sempre una fragile umana, e la faccenda in cui ci trovavamo immischiati, era troppo, troppo grande per lei.
E l'avrebbe schiacciata.
<< Mi dispiace avervi dato delle noie, milady.>> dissi gelidamente, << Ma ero venuto fin qui per informarvi di una cosa...>>
Amelie mi guardò come se avesse avuto di fronte un marziano.
<< Che cosa?>> domandò.
Mi feci più vicino, fino ad arrivare ad una spanna dal suo viso.
Trattenermi dal baciarla fu quasi impossibile, ma alla fine riuscii ad assumere un'espressione beffarda.
<< La contessa vostra madre, mi ha sollevato dal compito di precettore. Il fidanzamento è stato annullato e domani all'alba, sarò costretto a partire per l'Austria.>>
I suoi occhi erano lucidi, spalancati, increduli...  e mi fissavano senza dar l'impressione di scorgere niente.
<< S-smettila di scherzare...>> balbettò, << Non hai il senso dell'umorismo... Miguel!>>
Un sorriso crudele si disegnò sulle mie labbra.
<< Vi sbagliate, milady. Non è uno scherzo... e dubito che ci rivedremo ancora. Questo è un addio.>>
Feci per alzarmi e dirigermi verso la porta, ma le sue mani me lo impedirono.
<< Bugiardo!>> urlò in lacrime, << Sei un maledetto bugiardo!>>
Mi liberai facilmente dalla sua presa, ma non appena lo feci si fiondò su di me, facendomi cadere sul materasso.
<< Non lascerò che tu te ne vada... non voglio! Non lo farò! Piuttosto dovrai passare sul mio cadavere!>> gridò a squarciagola.
<< Ma bene... questo è un invito a nozze, per me!>> sogghignai, mettendo in bella mostra le zanne.
Senza darle il tempo di accorgersene, la sovrastai con il mio peso, bloccandole entrambe le braccia sopra la testa.
Era completamente alla mia mercé.
<< Avanti, fallo... uccidimi!>> m'incitò, << Ma sappiamo entrambi che non ne sei in grado. Tu mi ami, Miguel! Mi ami! >>
<< Taci!>> urlai, ai limiti della sopportazione.
<< È inutile negare l'evidenza... non mi faresti mai del male!>>
Maledizione... perché doveva schiaffarmi in faccia la realtà?
<< Non volevo farti male?! Ma te l'ho fatto!!!>> ruggii infuriato, facendo cadere una volta per tutte la maschera di ghiaccio che avevo indossato.
I miei occhi bruciarono di lacrime, ma trovai la forza per ricacciarle indietro.
Lei non doveva vedermi così!
<< Avresti potuto uccidermi... in quei sotterranei. Avresti potuto farlo, semplicemente... ti sarebbe bastato indugiare ancora un poco, ma non l'hai fatto. Avresti potuto lasciarmi morire a causa delle ferite, ma non l'hai fatto. Credi che sia così stupida da non accorgermi che mi hai dato il tuo sangue? >>
A quelle parole m'impossessai delle sue labbra, fin quasi a divorarle.
Volevo che stesse zitta, che la smettesse con tutte quelle chiacchiere... eppure la sua sola esistenza non faceva altro che mettermi faccia a faccia con la realtà.
Sì, l'amavo!
Amavo Amelie con tutte le mie forze, fino a sentire le viscere attorcigliarsi e il cuore smettere di battere...
L'amavo troppo e questo era un fottutissimo problema!
Non volevo lasciarla andare! Non volevo abbandonarla... ma cos'altro potevo fare? 
<< Portami con te!>> disse d'un fiato, staccandosi da me quel tanto per parlare.
Rimasi a guardarla inebetito per un tempo che parve infinito.
Aveva detto veramente quelle parole?
Il mio cervello si rifiutava di rielaborarle. Con un gesto piuttosto brusco le liberai le mani, poi mi misi a sedere. Le rivolgevo la schiena, così da non poterla guardare.
Sì, dovevo riflettere... e bene. Ma d'un tratto, nulla aveva più senso di quella prospettiva.
Portandola con me l'avrei strappata dalle grinfie di Ravaléc, di Ryan e di chiunque altro avesse voluto farle del male.
<< Ti prego Miguel, portami con te!>> ripeté, abbracciandomi da dietro.
Avvolgente come il calore del sole, sentii il contatto del suo corpo con il mio.
Strinsi i pugni, dopodiché mi voltai a guardarla: a stento tratteneva le lacrime.
<< Amelie... >> cominciai, << Saresti disposta ad abbandonare tutto... pur di venire con me?>>  
Lei annuì vigorosamente, mentre il pianto a lungo represso ricominciava a far capolino dai suoi occhi arrossati.
<< Non so cosa stia succedendo... ma sì. Ti seguirò anche in capo al mondo, se vorrai. Ma ti prego, Miguel... non abbandonarmi. Non lasciarmi qui da sola... io...>>
Poco signorilmente, Amelie tirò su col naso.
Feci per risponderle, ma senza alcun preavviso, si sporse in avanti, buttandomi le braccia al collo.
Lo slancio che ebbe nel farlo fu troppo eccessivo, tant'è che mi ritrovai a battere la schiena contro il materasso.
Oh... maledizione!
Lei era su di me, a cavalcioni e la sua bocca cercava avidamente la mia, come a volermi strappare le labbra a morsi.
Non nego che all'inizio fui piacevolmente sorpreso dalla sua intraprendenza, ma poi i suoi baci iniziarono a scottare, ad essere sempre più profondi, intensi, sensuali. Sentii l'eccitazione ribollirmi il sangue, le zanne estroflettersi e la Mimesis bruciare contro lo sterno.
Ero ubriaco.
Ebbro di lei, della sua pelle, della sua bocca... del suo irresistibile profumo.
Con un movimento fluido invertii la situazione, facendola sdraiare sotto di me.
La luce del sole che filtrava attraverso le tende giocava con i riflessi ramati dei suoi capelli, facendoli sembrare oro fuso.
Era bellissima.
Così dannatamente provocante da togliermi il respiro; sarei potuto rimanere delle ore in religioso silenzio, a contemplarla, come se fosse stata una delle meravigliose madonne dipinte da Raffaello, ma il solo guardare non mi bastava più.
Volevo toccarla... affondare le dita fra le linee sinuose del suo corpo, saggiarne la morbidezza, fino perdermi del tutto in lei.
<< Mi porterai con te...>> ansimò, << O sto ancora sognando?>>
Intrecciai le mie dita alle sue, portandole la mano all'altezza del mio cuore.
Amelie vi premette il palmo sopra, scostando con un lieve gesto la stoffa della camicia.
<< Tu che dici?>> risi beffardamente, mentre con le labbra scendevo a sfiorarle il seno.
Lei s'inarcò all'indietro per facilitarmi il compito: era troppo presa dalla foga e dal desiderio per rendersi conto delle sue stesse azioni.
Sapevo che era uno sbaglio, che ci stavamo spingendo fin troppo oltre, ma proprio non riuscivo a fermarmi.
Feci per liberarla definitivamente dalla camicia da notte, quando all'improvviso ci fu un tonfo sordo, poi un'esplosione e dal piano sottostante si levarono all'unisono orribili grida di morte.
Balzai in piedi all'istante, aguzzando i sensi per capire cosa diamine stesse succedendo. Dopodiché ci fu un'altro boato, poi un'altro, e da sotto la porta cominciarono a levarsi in aria delle spirali di fumo nero.
<< Oh, Miguel... ma cos'è stato?>> chiese terrorizzata, cercando di rivestirsi il più in fretta possibile.
Oh, al diavolo i discorsi!
Non c'era tempo da perdere!
Con uno strattone me la caricai sulle spalle, poi mi diressi in fretta e furia oltre la porta.
Ma eravamo in trappola.
Le fiamme ci avevano circondato, e con loro... una dozzina di Ghuldrash. 
 
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Angolo dell'autrice: 
Bene bene bene! Finalmente eccomi qui... e come sempre vi ringrazio dal più profondo del cuore per esser giunti fino a questo punto! Colgo anche l'occasione per scusarmi... alla fine tra cenoni, parenti a casa e abbuffate di vario genere... ci ho messo più del dovuto per finire questo capitolo... ma che dire? Spero solo che vi sia piaciuto!
Molto probabilmente da oggi in poi, aggiornerò ogni martedì (al massimo mercoledì), ma è ancora tutto da vedere XD 
Sono un po' scettica riguardo a questo capitolo, ma da un lato sono anche molto soddisfatta, perchè finalmente sono riuscita a raggiungere la prima meta che mi ero prefissata. E se vi siete lasciati diabetizzare (ma si può dire??) dall'atmosfera love love tra Miguel e Amelie... beh, non vi anticipo niente ma dal prossimo capitolo in poi ne succederanno delle belle. 
Che mi dite di Ryan? Vi mancava non è vero? (ahahaah XD ma anche no!)  
Detto questo... non capisco perchè mi si inebetisce il cervello quando devo scrivere questo commento finale, quindi lascio la parola a voi! 
Ps. se non fosse per voi e per il vostro sostegno non sarei mai giunta fino a questo punto. Mi rendo conto che ci sono molte cose che debbo ancora sistemare... ma davvero, il vostro supporto è fondamentale per farmi andare avanti! Quindi Grazie mille, grazie grazie grazie *__* 
E anche se leggermente in anticipo... buon anno nuovo!!!
!
<3

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Capitolo 24
*** In Pasto Alle Fiamme ***


In Pasto Alle Fiamme
 
 

_ Amelie_

L'inferno stava divampando sotto i nostri occhi, ed io non ero altro che un'inerme spettatrice, incapace persino di muovere un muscolo.
Faticavo a respirare.
Il fumo aveva invaso il corridoio, velando di grigio tutto ciò su cui posavo lo sguardo.
Gli oggetti avevano perso ogni connotazione materica; sembravano fluttuanti macchie di colore sbiadito, bidimensionali, prive di contorno, spessore e forma.
Solo il profilo traballante delle fiamme era ben definito, nitido e rosso come i petali vellutati di una rosa.
Che strano.
Pareva quasi che l'incendio avesse preso le sembianze di un grosso mostro, che divorava con ingordigia qualunque cosa gli si parasse davanti: tappezzeria, i mobili, tende e... persone.
Soffocai l'urlo di terrore che premeva contro le mie corde vocali per fuoriuscire, distogliendo immediatamente lo sguardo dai due cadaveri che bruciavano a terra. I volti resi irriconoscibili dalle ustioni.
M'imposi di restare calma ed impassibile, auto-convincendomi che in fin dei conti, non poteva andare peggio di così... ma cantai vittoria troppo in fretta.
Decine di occhi rossi si accesero tra le fiamme, rivelando le sagome deformi e scure di alcuni Ghuldrash.
<< Ascoltami bene, Piccolo Tarlo...>> sussurrò Miguel posandomi a terra, la voce roca ma decisa.
Mi guardò per avere una conferma, eppure le parole si rifiutavano di uscire.
Quindi deglutii a fatica, riempiendomi la gola di fumo maleodorante... ma niente. Non avevo più voce.
Terrorizzata, cominciai a guardarmi intorno, la visuale completamente offuscata dalle lacrime.
Oh, maledizione!
Non sapevo più dove rivolgere lo sguardo.
Tutta quella morte, tutto quel fuoco... era uno scherzo, vero?
Forse stavo diventando pazza o forse mi trovavo ancora intrappolata tra le sadiche braccia di Morfeo, eppure i gorgoglii animaleschi di quel Ghuldrash apparivano così dannatamente reali!
<< Amelie!>> urlò Miguel, scuotendomi leggermente per richiamare la mia attenzione.
Incapace di fare qualsiasi altra cosa, mi limitai ad annuire con la testa.
Lui abbozzò un sorriso tirato, dopodiché mi spinse da parte.
<< Sta in dietro... e qualsiasi cosa succeda, non farti mordere da loro!>>
Poi ogni cosa si tinse di sangue.
Con un gesto fulmineo Miguel si lanciò all'attacco, strappandosi dal collo il ciondolo col rubino impazzito.
Spinse la pietra all'interno e nel giro di un secondo, una lama sottile ed affilata, lunga appena un pollice, spuntò fuori dall'estremità inferiore del pendente.
Che aveva intenzione di fare con quell'affare minuscolo?
Sconcertata, mi portai le mani davanti agli occhi per non vedere la misera fine che di lì a poco avrebbe fatto, ma con mia grande sorpresa, l'arma si rivelò incredibilmente utile.
Come se fosse stato del tenero burro, la carne di quei mostri cedeva sotto i poderosi fendenti di Miguel.
Sentii un brivido d'eccitazione solleticarmi la spina dorsale, mentre con occhi increduli lo guardavo lasciarsi dietro un'interminabile scia di sangue.
Era incredibile.
Per quanto quelle creature lo superassero in mole, numero ed altezza, lui sembrava finirli senza alcuna fatica, come se bastasse un lieve graffio da parte di quella piccola lama per mozzare membra, arti e teste.
Colpo dopo colpo, i Ghuldrash s'ammassavano a terra, rigidi, immobili... la loro carne gettata in pasto alle fiamme. Ma per quanto il pavimento si riempisse di cadaveri, la ressa di quei mostri sembrava non avere fine.
<< Dietro di te!>> gridai con tutte le mie forze.
Miguel fece un sorriso sprezzante, dopodiché piroettò su se stesso, decapitando senza fatica il Ghuldrash che gli si stava per lanciare addosso.
Il corpo di quel mostro s'afflosciò su se stesso, mentre un flutto di sangue nero come la pece gli zampillò rapidamente dal collo reciso di netto, sporcando Miguel dalla testa ai piedi.
Sebbene fossi preda del panico più totale, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello spettacolo raccapricciante.
Ero completamente ipnotizzata.
Stregata da quei movimenti fluidi, aggraziati, tanto precisi da sembrare i passi di una danza.
Oh, sì... pareva proprio che Miguel stesse seguendo la coreografia di un folle ballo.
<< Sta giù!!!>> ringhiò d'un tratto, raggiungendomi con un balzo.
Obbedii senza esitazioni, accovacciandomi a terra.
Poi fu tutto così veloce.
Vidi l'arma baluginare alla luce delle fiamme, un pelo sopra la mia testa, fino ad affondare tra le pustole rigonfie del Ghuldrash alle mie spalle.
Oh, no! In arrivo ce n'era un altro!
Furioso come i quattro cavalieri dell'apocalisse, il mio difensore si sporse in avanti, abbatté l'ennesimo ostacolo e tornò sui suoi passi, buttandosi a capofitto nella battaglia.
Erano almeno in dieci, e gli si erano gettati addosso all'unisono, accerchiandolo.
Pregai con tutte le mie forze che riuscisse a liberarsi in fretta, ma proprio in quel momento, vidi un'ombra scura e scomposta ciondolare verso di me, gli occhi rossi e le fauci spalancate fino all'inverosimile.
Quella creatura disgustosa era comparsa dal nulla, e in un attimo mi ritrovai a terra, col corpo dolorante, completamente schiacciato dal suo peso. Presi a dimenarmi come una pazza, nella speranza di divincolarmi, ma fu tutto inutile.
Ero spacciata!
Vidi i suoi occhi brillare, la sua orrida bocca aprirsi e le sue zanne avvicinarsi minacciose al mio volto.
Chiusi gli occhi, ma non accadde nulla.
Poi ci furono delle grida assordanti, e del sangue cominciò a gocciolarmi copiosamente addosso... sporcandomi il viso, il petto e le braccia.
Tutto.
Ma non era il mio sangue.
Aprii gli occhi, e come nel più terribile degli incubi mi ritrovai completamente ricoperta dal sangue di Josephine.
La vecchia governante si accasciò a terra, priva di sensi, i segni del morso vividi e sanguinanti sulla giugulare.
<< Oh mio Dio! Joseeeee!!!>> gridai in preda alla disperazione.
Il Ghuldrash che l'aveva attaccata cadde poco dopo, la testa recisa dagli artigli di Miguel.
<< Allontanati da lei!>> disse strattonandomi il braccio, << Sbrigati!>>
Lo guardai con occhi spiritati, scuotendo violentemente la testa.
<< Come puoi chiedermi una cosa del genere?!>> singhiozzai, << Josephine è come una madre per me...! Non posso lasciarla qui!>>
I suoi occhi mi fulminarono incolleriti, e con tutta la forza che possedeva nella braccia, mi tirò a sé, strappandomi definitivamente dal corpo di Josephine.
No! Non potevo abbandonarla!
Come colpita da una violenta scossa elettrica, presi a agitarmi, urlando e piangendo fino a sentire la gola scoppiare.
<< Lasciami!>> gli intimai, << Non puoi separarmi da Jose!!!>>
<< Maledizione, Amelie! Lo vuoi capire o no, che è tutto inutile?! Non c'è più niente da fare per lei!>> gridò trascinandomi via.
<< No! Non è vero! Josephine è ancora viva!>> insistetti, battendo i pugni contro la sua schiena.
Lui strinse la presa e con me caricata sulle spalle, uccise altri due Ghuldrash.
Nel farlo però abbassò la guardia, e senza ulteriori indugi, riuscii a svincolare lontano dalle sue grinfie.
Le gambe non mi reggevano, ed il mio respiro era mozzo, ma con molta fatica raggiunsi il corpo inerme di Josephine. Subito dopo m'inginocchiai al suo fianco, scoprendo con orrore che ormai non c'era più niente da fare.
Era morta.
Giaceva supina, tra le mie braccia, immobile e fredda come un blocco di pietra.
I suoi polmoni avevano smesso di respirare e il suo cuore di battere.
Cercai di reprimere le lacrime che facevano capolino dai miei occhi, ma non ci riuscii.
Era la prima morte a cui assistevo, e mi sorpresi di come il corpo potesse diventare rigido, e cambiare forma. Nel giro di qualche secondo, la sua pelle s'illividì, e strane pustole maleodoranti cominciarono a lacerare la sua carne.
Improvvisamente, un rumore di ossa che si spezzavano riempì l'aria.
<< Dannazione!>> ruggì Miguel, tirandomi via. << La trasformazione è in atto!>>
L'avevo visto muovere le labbra, ma non riuscivo a capire il significato delle sue parole.
<< "Trasformazione"...>>  ripetei, << Cosa vuol dire?>>
Miguel digrignò i denti, stringendo saldamente la presa intorno al mio polso, fin quasi a farmi male.
Sentii la circolazione bloccarsi, il braccio formicolare, tanto da avere l'impressione di poter perdere del tutto la sensibilità.
<< "Cosa vuol dire"?>> mi fece eco, << Come credi che nascano i Ghuldrash?>>
Spiazzata da quelle parole, mi limitai a scuotere il capo.
<< Non ne ho idea...>> ammisi.
Lui mi fissò con occhi di ghiaccio, gli angoli della bocca leggermente sollevati, intenti a disegnare un sorriso straffottente.
<< Credo che lo scoprirai molto presto.>> replicò gelido.
Proprio in quel momento, il corpo di Josephine si mosse da solo, prendendo a dimenarsi convulsamente.
Le vesti sporche di sangue che aveva indosso si stracciarono, rivelando una schiena adunca e nera che cresceva a dismisura secondo dopo secondo.
Le scapole fuoriuscirono dalla pelle, gli arti si allungarono e sulle dita di mani e piedi, spuntarono degli artigli acuminati.
L'aria si riempì di un odore nauseante, come di carne rancida, andata a male; pervasa dal disgusto e dal terrore, mi nascosi dietro la schiena di Miguel, ma non feci in tempo a respirare che quella cosa che ci stava di fronte, balzò in piedi.
"Oh no, no!" pensai in preda al panico.  "Non può essere!"
Due occhi rossi come braci si appuntarono nei miei, mentre lembi di pelle putrida si staccavano dal resto del suo corpo, cadendo a terra. Gridai con tutte le mie forze.
Quella cosa ringhiò, e dalle sue fauci acuminate colò copiosamente del sangue.
Sperai nuovamente che fosse tutto frutto della mia fervida immaginazione, ma la realtà era lì, a pochi passi da me... e aveva rubato l'ultimo briciolo di umanità alla mia adorata Josephine.

_ Miguel_

Josephine Rambout era morta, e con lei, l'unica speranza che avevamo di lasciare vivi quel posto.
Le fiamme erano troppo alte e le scale maledettamente troppo lontane per restare illesi.
Mi guardai intorno preoccupato, i sensi all'erta, gli artigli pronti a scattare, ma l'infinita processione di quei mostri sembrava terminata con la dipartita della governante.
Il Ghuldrash appena nato dalle sue spoglie mortali di si fece avanti, malfermo e goffo sulle sue nuove gambe.
Era sempre così per quelli nuovi, dovevano prima abituarsi.
Strinsi la Mimesis tra le mani, i polpastrelli saldamente premuti contro il metallo bollente, poi guardai la donna che amavo ed una fitta lancinante mi colpì in pieno petto.
Josephine era come una seconda madre per lei, lo sapevo, e sapevo anche con quanto impegno Amelie s'imponeva di restare in piedi e non crollare a terra in lacrime.
Maledizione... era solamente colpa mia!
Se solo non mi fossi lasciato distrarre da quelle quattro carcasse ammuffite... magari sarei riuscito ad evitare il peggio.
E se non ci fosse stata Josephine?
Che fine avrebbe fatto il mio Piccolo Tarlo?
Oh, non volevo pensarci... la sola idea m'inorridiva.
<< Q-quella cosa... è... la m-mia Jose?>> balbettò, cercando di fare un passo in avanti.
Le bloccai immediatamente il passaggio con un braccio, mentre con l'altro sollevai in aria la Mimesis.
<< No.>> sussurrai, << Non esiste più alcuna Josephine. Quello è solamente un cadavere senz'anima... l'involucro infettato di un mostro.>>
La sentii tremare contro la mia schiena.
<< Jose... Che ne è stato di Jose?!>> urlò disperata, la voce soffocata dalle lacrime.
Avrei voluto prenderla tra le braccia e consolarla, ma non era né il luogo né il momento adatto.
Con gesto piuttosto brusco la spinsi indietro, dopodiché sfoderai gli artigli e mi lanciai all'attacco.
Amelie strillò con una tale forza da incrinare i vetri, peccato però che non potessi darle retta.
Accorgendosi della mia mossa, il Ghuldrash si buttò in avanti, le fauci tese, ben spalancate, tanto potenti da riuscire a mordere l'acciaio.
Ma non avevo tempo da perdere.
Lo superai con un balzo, e dopo avergli assestato un fendente con la Mimesis, lo spinsi a terra.
Oh, no. Non avrebbe avuto scampo.
<< Basta! Miguel, fermati!>> gridò , << Ti prego...Non farle del male!>>
Ma non capiva che quell'abominio andava debellato all'istante!?
Senza perder tempo gli strappai il cuore dal petto, gettandolo con violenza fra le fiamme. Feci la stessa cosa con il corpo che nel giro d'un secondo prese fuoco, crepitando come un ciocco di legno.
Di fronte a quella vista Amelie svenne, ma con un gesto veloce riuscii ad afferrarla prima che ricadesse all'indietro.
Poi me la caricai sulle spalle, cercando in vano di raggiungere le scale.
Erano completamente inagibili. 
Girai a vuoto all'infinito, il monossido di carbonio rilasciato dalla combustione delle fiamme mi dava alla testa, fiaccandomi il respiro ed inebetendomi i sensi.
Ma non potevo demordere.
Non quando da me dipendeva la vita di Amelie.
Forse l'altra rampa di scale era agibile...
Mi diressi dall'altra parte del lungo corridoio disseminato di carcasse carbonizzate, quando d'un tratto ci fu un'altra esplosione, questa volta più vicina.
Il pavimento tremò ed una trave di legno si staccò dal soffitto, cadendo poco lontana da noi.
L'impatto a terra fu violento.
L'incendio si propagò rapidamente sulla moquette, sbarrandomi la strada.
Come potevo superare quelle alte mura di fuoco senza che Amelie si ferisse?
Oh, beh... importava poco.
Ero pronto a tutto pur di proteggerla e portarla in salvo. Anche se ciò significava sacrificare la mia stessa vita.
Poi la casa iniziò a gemere e scricchiolare, i muri si riempirono di crepe, i vetri alle finestre andarono in mille pezzi ed io fui folgorato da un'idea.
Possibile che non ci avessi pensato prima?
Strinsi saldamente Amelie al mio petto, e senza indugiare, mi diressi verso la finestra più vicina.
Era sormontata dal fuoco, ma abbastanza grande da permettere il passaggio di una persona.
<< Miguel... >>  mormorò il mio Piccolo Tarlo rinsavendo, << Cosa vuoi fare?>>
Con un calcio ben assestato, feci cadere gli ultimi frammenti di vetro dalle imposte, poi le sorrisi.
Nei suoi occhi leggevo la disperazione più cupa, ma in qualche modo riuscì a mantenere la calma.
 << Non temere...>> le dissi dolcemente, << Riuscirò a portarti in salvo. Te lo prometto... fosse l'ultima cosa che faccio!>>
Lei annuì, gli occhi arrossati dal fumo e dalle lacrime.
<< Mi fido di te.>>affermò decisa.
Dopodiché... un salto nel vuoto, e il vento freddo della sera ci ustionò il viso.  

 
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Angolo Dell'Autrice: 
Salve a tutti, oggi è arrivata la befana! Ahahaha XD Finalmente eccomi qui, in po' sclerata a causa della fine delle vacanze e molto in ansia riguardo a questo capitolo! Innanzi tutto voglio ringraziarvi come sempre per esser giunti fino a questo punto, davvero! *_* 
Più in basso vi ringrazierò uno per uno... ma ora torniamo a noi! 
Questo capitolo l'ho scritto di fretta e furia, e sebbene l'abbia riletto un bel pò di volte, credo che qualcosa mi sia sfuggito (quindi se ci sono errori ecc, non esitate a farmelo notare). Poooi, a qualcuno (Zia Pinky XD) avevo anticipato che questo capitolo sarebbe stato "caliente"... beh, cara, non ho forse mantenuto la promessa? Ahahhaha XD 
Spero solo che non mi fucilerete per come si stanno evolvendo le cose, e per la lunghezza del capitolo, che ahimé è piuttosto cortarello rispetto ai precedenti... ma fidatevi, il prossimo sarà denso di avvenimenti! 
Riguardo all'inizio, ero molto preoccupata per la descrizione dell'incendio... volevo renderla al meglio, e non so se ci sono riuscita. Poi, come sempre, quando si tratta di quelle docili creaturine tanto graziose che sono Ghuldrah, mi sono lasciata un po' prendere la mano... e vi chiedo scusa, perchè so che sono piuttosto disgustose... soprattutto dopo pranzo... <.< 
Ma parliamo del "colpo di scena"... la morte di Josephine. Come autrice, mi sento un'assassina T.T Ma era necessario ai fini della storia, soprattutto per spiegare come in realtà nascono i Ghuldrash... 
E poi... boh, non so più che dire! Quindi fate voi... XD 
Ringrazio tutti dal più profondo del cuore! Nessuno escluso! Dalle lettrici silenziose che hanno trovato la pazienza e il tempo per leggere questa storia, a tutte le persone che hanno aggiunto "Scarlet Red" alle loro liste: 

ChibiRoby, Delia_Blue, Drachen; Dreaming Love, DustFingers, elenania, Elle Okumura, Elyserei, Jane Stevens, Muffin_90. nadine5, pandasia, Piccola Yuki, savy85, _Shinigami_Dragon_, Bea 22, BlackGirl_Chan, Ellie966, Juniper1711, LizzieMc111, opale nero, PinkyRosie FiveStars,WhitheGirl_Chan, supersara, rampolstinski e smartis98! 
E infine un grazie particolare alle ragazze che hanno recensito fino ad ora T.T Siete fantastiche!
Whit love... 
Rob

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Capitolo 25
*** Cibo Per Demoni ***


Cibo Per Demoni
 

_ Amelie_

Improvvisamente, udii in lontananza l'eco di una voce femminile.
"Amelie..." m'implorava, carezzandomi mellifluamente l'orecchio. " Svegliati! "
Oh... era così maledettamente famigliare!
Dov'era che l'avevo già sentita?
Chiamai a raccolta tutti i miei ricordi, trovandovi all'interno null'altro che un'enorme distesa desertica.
Possibile che non riuscissi ad identificarla?
Eppure era una voce così fuori dal comune, dal timbro deciso, squillante, soave...
 "Amelie!" insistette ancora una volta.
Feci per risponderle, ma d'un tratto avevo perduto la facoltà di parlare: le mie labbra si muovevano a stento, senza emettere alcun suono, mute, come l'inesorabile scorrere del tempo.
Poi ogni cosa mutò.
Da lieve e sommesso, il suono di quella voce si fece sempre più acuto, stridulo, insistente... finché non sentii quel rumore assordante rimbombarmi nelle orecchie, aspro come il fragore di un vetro spezzato.
<< Amelie! Riapri gli occhi... coraggio! Devi svegliarti!>> urlò con forza, cambiando improvvisamente sia il tono che il timbro.
Era diversa. Non sembrava nemmeno appartenere alla stessa persona. 
<< Ti prego!>> supplicò, scuotendomi le spalle quasi con violenza.
L'immediato spavento mi fece sussultare, mozzandomi il respiro in un battito di ciglia.
Ma cos'era successo?
Senza rendermene conto avevo spalancato gli occhi, ma la mia vista era debole e offuscata. Davanti a me non vedevo niente, se non il contorno poco definito di una sagoma scura.
<< Ce la fai ad alzarti?>> mi chiese, prendendo forma nel volto di Eva.
Guardai mia sorella per alcuni secondi, stentando quasi a riconoscerla: aveva la vestaglia stropicciata, sporca di fuliggine, i capelli spettinati e il viso terreo.
Tremava di paura.
Con molta fatica piantai le dita nel terreno umido, facendo leva sulle braccia per alzarmi.
Lei mi diede una mano, sorreggendomi prontamente quando le ginocchia ancora troppo deboli per sopportare del tutto il mio peso, cedettero.
<< Stai bene?>> fece preoccupata, gli occhi verdi leggermente lucidi.
Annuii senza parlare.
Avevo la netta sensazione che se l'avessi fatto, la mia gola sarebbe andata a fuoco... proprio come la casa che bruciava davanti ai nostri occhi.
Poi, un pensiero mi folgorò all'istante, rubandomi il respiro.
Dov'era Miguel?
Con il terrore nel cuore, girai su me stessa, facendo vagare ansiosamente lo sguardo dappertutto. Ma ormai era notte e l'intenso bagliore emesso dalle fiamme, era la sola fonte d'illuminazione che avevamo. Le ombre ci avvolgevano come una soffice cappa, disegnando a terra macabri scenari di morte... e fu proprio allora che mi resi definitivamente conto della situazione.
Ci trovavamo nei giardini, in un accampamento provvisorio, circondate da urla, corpi mutilati e odore di carne bruciata.
Insomma, il caos più totale.
Chi era stato così fortunato da scampare all'incendio incolume, ora faceva quello che poteva per aiutare gli altri. Alcune cameriere accudivano i feriti, altre adagiavano i cadaveri sull'erba fresca, mentre dei valletti armati d'acqua cercavano inutilmente di domare le fiamme.
Ma di Miguel nessuna traccia.
Chiusi le mani attorno a quelle di mia sorella, guardandola con gli occhi ricolmi di lacrime.
<< M-Miguel... lui dov'è?>> gracchiai, la voce incredibilmente rauca.
Lei aggrottò istantaneamente le sopracciglia, arricciando le labbra in una smorfia d'insofferenza.
<< Non lo so, Amelie. Ti ha lasciata qui e poi è scomparso nel nulla.>> rispose seccamente, trafiggendomi con lo sguardo.
<< Che vuol dire?!>> gridai in preda allo sgomento, stringendole le mani fino a farle male.
Lei cercò di sciogliersi dalla mia morsa, ma proprio in quell'istante una figura corpulenta s'accasciò ai nostri piedi. 
Era Millie.
I capelli rossi parzialmente anneriti dalla cenere, come del resto il volto e gli abiti ormai logori.
<< Oh, signorine... sia ringraziato Iddio! Siete salve!>> cominciò la cuoca, aggrappandosi con forza alle gonne di mia sorella.
<< Millie, sta calma...>> le intimò lei, << Ce la fai ad alzarti?>>
La donna annuì vigorosamente, mettendosi faticosamente in piedi da sola.
Supposi che da come si muoveva, doveva essersi ferita ad una gamba. E difatti avevo ragione: una brutta ustione alla caviglia s'intravedeva al disotto delle gonne strappate, sporgendo in fuori come fango raggrumato.
<< È tutto perduto...>> bofonchiò rassegnata la donna.
<< Cosa vuol dire, Millie? Cosa sta succedendo?>> le domandai disperata.
Lei mi guardò stranita, come se non avesse afferrato del tutto le mie parole.
<< È l'inferno, signorina Amelia. L'inferno...>> sussurrò timorosa, << Dicono sia stato un incidente... un malfunzionamento delle caldaie... ma non è questa la verità. Io li ho visti...>>
Trattenni il respiro.
<< Cosa?>>
Il sangue defluì istantaneamente dal volto rubizzo di Millie, facendola apparire floscia e pallida come uno straccio vecchio.
<< Quei mostri orrendi... i diavoli dell'inferno! Sono stati loro a generare le fiamme! Questa è senza dubbio l'opera del Demonio! >>
I suoi occhi scuri baluginarono impazziti, incrociando nervosamente i miei e quelli di Eva.
Quindi anche lei aveva visto i Ghuldrash... al solo ricordo di quegli esseri immondi, una fitta lacerante mi colpì in pieno petto.
No, non volevo pensare a Josephine e all'orribile fine a cui era andata in contro, ma non potei farne a meno.
Avevo ancora il suo sangue addosso; mi sporcava la camicia da notte, il volto, le mani... tutto!
Ed era ancora fresco.
<< Suvvia...>> intervenne mia sorella, << Non è possibile!>>
<< Vi dico che è così, milady! Li ho visti con questi occhi!>> protestò rimpettita la cuoca.
Eva liquidò le sue farneticazioni con un gesto impaziente della mano, ed io mi chiesi cos'avrei dovuto fare.
Dire la verità o tacere?
Non capivo quale delle due opzioni fosse la migliore.
Ma d'un tratto un lampo ferì la volta scura del cielo, trascinandosi dietro altre scintille ed un boato spaventoso. La terra tremò sotto i nostri piedi, tanto che fummo costrette a reggerci l'una con l'altra per non cadere. Poi l'ennesima esplosione, e anche le finestre del terzo piano cominciarono a vomitare una vasta quantità di detriti, fumo e cenere.
<< Oh, Signore!>> urlò Millie, tracciandosi sul petto il segno della croce. << Quando arriveranno i pompieri? Presto o tardi l'incendio raggiungerà anche l'ala nord della casa e... >>
A quelle parole , Eva sussultò spaventata.
 << L'ala nord è stata evacuata, vero? Dov'è mia madre? Dove si trova?>> chiese d'un fiato, girando il capo in tutte le direzioni nella speranza di scorgerla in mezzo alle altre persone lì accampate.
Ma Millie scosse mestamente la testa.
<< Non ne ho idea, milady... sono desolata!>>
<< Che vuol dire?>> m'intromisi, << La mamma non è in salvo?!>>
Millie scoppiò in lacrime, ricadendo pesantemente a terra sulle ginocchia.
<< Oh, non lo so! Il dottore giovane... quel Blackwood, lui... lui aveva detto che l'avrebbe aiutata a fuggire! Io non potevo muovermi, dovevo far scappare le sguattere e le altre ragazze della servitù! Non potevo tornare lì dentro!>>
Di scatto mi abbassai verso di lei, afferrandola bruscamente per le spalle.
<< Millie, ascoltami! Devi ascoltarmi, va bene? Ricordi di averla vista? E se sì... Dove?!>>
La donna assentì, dopodiché puntò gli occhi sulle fiamme che con indicibile voracità divoravano la casa.
<< Era rimasta bloccata nell'ufficio del signor Conte, al terzo piano...>>
Sembrava che la testa volesse scoppiarmi da un momento all'altro.
Il mondo mi stava crollando addosso, e le parole di Millie non facevano altro che aggiungere ulteriore peso sulle mie povere membra.
<< Il t-terzo piano...>> ripetei inebetita, << Il terzo piano è appena andato a fuoco.>>
Oh, no... non poteva essere!
Mi rifiutavo categoricamente di crederlo!
Ma se Lamia si trovava nell'ufficio di James, allora...
<< Non dovete preoccuparvi... lei sta bene.>> esordì all'improvviso una vocina acuta.
Ci voltammo all'unisono in direzione degli alberi, da dove nel giro di pochi secondi si materializzò la piccola sagoma di Sophie.
Che strano...
La bambina appariva perfetta.
Non c'erano i segni dell'incendio sul suo corpo, né sui suoi vestiti, anzi. La sua pelle era pulita, i capelli biondi ben pettinati e la camiciola da notte stirata e candida, senza il minimo accenno di uno strappo sui merletti.
<< Ehi!>> gridai, precipitandomi a prenderla in braccio.
Ma come spaventata, lei si scostò da me, indietreggiando di un passo.
<< Che ti succede?>> le chiesi, piuttosto sconcertata.
Non era da lei avere un simile comportamento, soprattutto nei miei confronti.
<< Io lo so...>> disse, strusciando i piedini nudi contro l'erba umida di rugiada.
Il silenzio ci avvolse per alcuni attimi terrificanti, ricolmi di angoscia e tensione.
<< Sai dov'è la contessa?>> strepitò Eva, improvvisamente fiduciosa.
Ma la bambina non la degnò di uno sguardo, tutt'altro.
Appuntò i suoi occhi dal colore diverso nei miei, nascondendo timidamente il faccino paffuto dietro Todd, l'orsetto di pezza regalatole da Lamia.
<< È salva...>> dichiarò flebilmente, << Lui è corso a liberarla.>>
<< Lui chi?>> la mia voce era poco più che un sussurro.
<< Il signore dagli occhi blu... >>
Strinsi i pugni.
<< Miguel?!>> sibilai incredula, il cuore gonfio di speranza.
La piccola mosse il capo in segno d'assenso, porgendomi con decisione la mano minuta.
Il palmo era segnato da una sottile voluta rossa, che s'intrecciava su se stessa come i rovi di una rosa. Non appena aguzzai lo sguardo per vederla meglio, la voluta rossa scomparve nel nulla ed io temetti di aver perso il lume della ragione.
Forse stavo veramente impazzendo...
<< Vieni con me...>> mormorò, << Ti porterò da lui.>>
Oh, mledizione!
Sapevo che seguirla sarebbe stata una follia.
Sophie era solo una bambina, e molto probabilmente non riusciva nemmeno a comprendere appieno la gravità della situazione... ma non potevo restarmene con le mani in mano.
Non quando a rischio c'era la vita delle persone che  amavo.
Quindi, afferrai la sua manina senza esitazione, lasciandomi guidare dai suoi passi.
<< Amelie, dove stai andando?!>> strillò Eva, nel vano tentativo di fermarmi.
Tese la mano all'ultimo momento, afferrando malamente il mio polso.
<< Da Miguel.>> replicai gelida. 
<< Ma ti sta dando di volta il cervello? È troppo pericoloso!>> ribadì lei, stringendo la presa.
Con uno strattone mi liberai la mano, dopodiché le voltai le spalle, cominciando ad incamminarmi con Sophie verso l'ingresso della villa che sputava fuoco.
<< Morirai...>> disse scoppiando in lacrime.
Mi voltai a guardarla, col cuore in gola e gli occhi ricolmi di calde lacrime. 
<< Ho già perso Josephine...>> sibilai a denti stretti, << E non ho intenzione di perdere nessun altro.>>

_ Miguel_

Finalmente i corridoi del secondo piano erano liberi.
Con la punta delle dita sfiorai la sottile lama della Mimesis, ripulendola dall'eccessivo strato di sangue che vi si era incrostato sopra.
Il metallo era caldo; pulsava nell'attesa dell'ennesimo attacco, proprio come me, ancora eccitato dal clamore della battaglia.
Peccato solo che non ci fosse più niente da combattere.
La testa dell'ultimo Ghuldrash che avevo ucciso penzolava dalla mia mano sinistra, mentre il resto del suo corpo scomposto giaceva a terra, schiacciato dalla suola delle mie scarpe.
Feci un bel respiro profondo, dopodiché lasciai che il moncone ricadesse sulle piastrelle in marmo del pavimento.
Spinsi la pietra rossa all'indietro e nel giro di un secondo, l'arma mortale ritornò ad essere un innocuo ciondolo d'oro dalla catenella filigranata.
<< È inutile.>> intimai al buio, << Lo so che ti stai nascondendo dietro quella porta... esci allo scoperto!>>
Silenzio.
Aguzzai i sensi, facendo bene attenzione a non trascurare nessuna informazione.
Ma non c'erano dubbi: si trattava di un essere umano, poiché l'infinita ressa di Ghuldrash era terminata col cadavere steso sotto i miei piedi.
Scesi da lì con un balzo, udendo le sue costole spezzate scricchiolare, proprio come ghiaia calpestata.
Quel rumore così lugubre si sparse velocemente per tutta la stanza, facendo sussultare il misterioso individuo rintanato dietro la porta.
Sentivo il folle picchiettare del suo cuore contro la cassa toracica, il respiro ansante, affaticato... ma sebbene riuscissi a captarne così bene la sua presenza, non ero in grado di riconoscerne l'odore.
C'era davvero troppo fumo.
<< Ho capito...>> dissi avvicinandomi all'altro capo della stanza, << Se non vuoi collaborare con le buone, lo farai con le cattive.>>
Niente.
<< Conterò fino a tre...>> continuai, << Uno...>>
Feci un passo.
<< Due...>>
Snudai le zanne.
<< E tr...>>
<< Non posso muovermi!>> gridò l'uomo, << Mi tengono prigioniero e ho una gamba ferita! Probabilmente è rotta!>>
Nel giro di un secondo mi precipitai davanti quella porta, ma con un crescente senso d'irritazione, mi resi conto che era stata chiusa a chiave.
Provai a forzare la serratura, finché l'impazienza ebbe la meglio su di me, costringendomi a scardinare il portone dai propri assi.
<< Mi sorprende vedervi qui, signor Conte.>> affermai entrando nell'appartamento del dottor Ravaléc.
La stanza era buia, spartana... incredibilmente spoglia.
Sugli scaffali non c'erano libri, le finestre erano prive di tende e i mobili erano sormontati da uno spesso strato di polvere.
Abbassai gli occhi sulla figura accovacciata a terra e per un attimo, ebbi l'impressione di trovarmi di fronte al pallido e magro riflesso dell'uomo che era stato una volta James Von Kleemt.
Fortunatamente, mi ricredetti subito dopo.
I suoi occhi verdi brillavano di rabbia, disprezzo e vendetta... ardevano come lampi nella notte, proprio come i miei.
Nel vedermi ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, un sorriso si disegnò al di sotto dei suoi lunghi ed incolti baffi.
La cosa mi stupì.
Il conte era sempre stato un uomo elegante, distinto, tutto d'un pezzo, che adorava mostrasi al meglio e prendersi cura del proprio aspetto fisico. Ma la persona che mi stava di fronte sembrava più un mendicante che un nobiluomo. Aveva le labbra screpolate, il viso scavato e dava l'impressione di non mangiare, né tantomeno lavarsi da giorni.
Le sue mani erano tenute legate dietro la schiena da spesse cinghie di cuoio, mentre la sua gamba destra era rigida e scomposta, inchiodata a terra da un grosso perno d'acciaio che gli forava la tibia, trapassando l'osso da parte a parte.
<< Pensavo foste in viaggio di lavoro...>> osservai sarcastico.
Lui digrignò i denti, dopodiché fece una baldanzosa alzata di spalle.
<< L'idea era quella.>> ammise, << Peccato che il mio vecchio e caro "amico" George la pensasse diversamente!>>
Mi inginocchiai al suo fianco, e con un gesto fulmineo liberai la sua caviglia dal perno che la bloccava.
Il conte represse l'urlo di dolore che gli inumidì gli occhi, e proprio come se fosse stato una sorgente di acqua limpida, il sangue cominciò a grondare copiosamente dalla sua ferita.
Quella vista stuzzicò immediatamente il mio appetito a lungo represso, ma ebbi l'accortezza di non farglielo notare.
<< Non so come ringraziarti, ragazzo mio! Davvero! Grazie... grazie! Ti devo la vita!>> grugnì, afferrandomi le mani.
Gli passai il braccio intorno alle spalle, e con una spinta lo aiutai a mettersi in piedi.
<< Riuscite a camminare da solo?>>
L'uomo annuì, ma non appena lo lasciai libero le ginocchia gli cedettero, costringendomi a prenderlo in braccio.
<< Oh... no! Non preoccuparti! Ce la faccio da solo!>> protestò.
Obbedii ai suoi ordini, mettendolo giù come se fosse stato una ragazzina in difficoltà.
Poi, senza rendermene conto, mi ritrovai a soffocare una risata.
Sapevo che non era quello il momento migliore per ridere, ma dovetti ammettere che come scena era piuttosto divertente.
 << Deduco che questa sia opera del vostro 'vecchio e caro amico George'...>> insinuai, schioccandogli un'occhiata tagliente.
Il suo volto s'incupì all'istante, assumendo un'espressione risentita, di sconfinato dolore.
<< Già...>> replicò accigliato, << È proprio così.>>
Finii di sciogliere anche i legacci che gli segavano i polsi, dopodiché uscimmo dalla stanza il più in fretta possibile, prima che le fiamme potessero raggiungere anche quell'ala della grande casa.
Ma era troppo tardi, l'incendio ci aveva circondato.
Dannazione!
Non c'era tempo da perdere... il conte sapeva troppe cose ed io dovevo portarlo in salvo.
Mentre scendevamo al piano inferiore, i suoi occhi impazziti vagarono dappertutto, trattenendo a stento le lacrime.
<< Brucia...>> disse, fissando disperato il fuoco che smangiucchiava la carta da parati del corridoio. << La mia casa brucia... ed è tutta colpa mia!>>
A quelle parole aguzzai l'udito.
Era dunque come avevo sempre sospettato?
C'era lui dietro ogni cosa?
Schivammo una trave che si era appena staccata dal soffitto, continuando ad incamminarci verso l'uscita secondaria.
<< Che volete dire, milord?>>
Le sue mani afferrarono le mie, stringendole con forza.
<< Non è come pensi, ragazzo mio! Niente qui è come sembra! Ho assecondato i loschi piani di George per amore... capisci? Per amore della mia famiglia!>>
<< Non vi capisco...>>
Poi le sue gambe smisero di muoversi, costringendomi a fermare la nostra corsa verso l'esterno.
Verso la salvezza.
<< Dobbiamo andare!>> ruggii, strattonandolo con violenza, ma il conte non si mosse.
<< Tu và, salvati e porta al sicuro le mie figlie... io devo trovare mia moglie.>> disse, << Ormai non c'è più tempo!>>
<< Vostra moglie?> domandai scettico, << Credevo fosse al sicuro, i servitori che ho liberato pocanzi hanno giurato di averla vista fuggire...>>
<< Mentono! Lei non è al sicuro... Non lo è affatto!>> gridò, asciugandosi le lacrime con l'orlo delle maniche a sbuffo.
<< Cosa volete dire?!>>
La sua bocca coperta dai baffi assunse un'espressione dura, furente, scavando dei solchi profondi ai lati del naso e nel mezzo delle sopracciglia.
Improvvisamente, l'affascinante conte Von Kleemt pareva invecchiato di vent'anni.
<< Voglio dire che non avrei mai dovuto dare il mio appoggio a George Ravaléc... che sono stato un uomo ingenuo, uno stupido, un povero stolto. Sapevo che lui era pericoloso, che i suoi esperimenti su quei mostri ci avrebbero portato solo sventure... ma credevo nel suo genio... nel potere prodigioso della sua scienza! Senza rendermene conto, mi sono lasciato ingannare dalle sue promesse, dalle false speranze che mi dava la sua ricerca... ed ora raccolgo ciò che ho seminato!>> la sua voce tremava di collera troppo a lungo repressa, e per un attimo, temetti che gli occhi potessero saltargli fuori dalle orbite.
<< È per via di Amelie, vero? È a causa del suo sangue!>> azzardai.
Il conte sospirò pesantemente, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
<< Sì.>> confessò esitante, << Cercavo una cura per la sua malattia.>>
<< E la contessa? Ne era a conoscenza?>>
James scosse il capo.
<< Lamia non doveva sapere niente. Sono stato bene attento a tacerle ogni cosa, sapendo che non avrebbe mai approvato l'utilizzo di quelle creature come cavie. Ma ora è tutto inutile... ha scoperto ogni cosa.>>
Rabbrividii al ricordo dell'ultima conversazione avuta con la contessa... evidentemente, dovevo avergli messo la pulce nell'orecchio.
<< Ho investigato a lungo su voi e il dottore.>> ammisi, << Immagino che la mia presenza fosse d'intralcio... se avessi scoperto qualcosa riguardo ai vostri piani, non avrei esitato a rivelarlo alla contessa. E voi non volevate coinvolgerla. Quindi mi chiedo se non siate stato voi ad organizzare il mio rapimento...>>
L'uomo scosse di nuovo il capo, a destra e sinistra, negando tutto.
<< Oh, no. Non sarei mai arrivato a tanto. George ha fatto tutto di testa sua.>>
Dovevo credergli?
<< Quindi... anche tutto questo è opera sua?>> chiesi guardandomi intorno.
<< Credo di sì. Non poteva fare altrimenti... non dopo esser stato scoperto da mia moglie.>> rispose James.
<< Beh... sono stato io ad avvisarla...>> gli rivelai.
Lui spalancò gli occhi, dopodiché li ridusse a due fessure verdi.
<< Allora che Dio abbia pietà di te, ragazzo!>> sibilò appena, la voce flebile come un sussurro.
Il conte Von Kleemt girò faticosamente i tacchi, poi con passo zoppicante, cercò di raggiungere la rampa di scale alle mie spalle.
<< Dove andate?>> ringhiai.
<< Nei sotterranei!>>gridò, << E se davvero le folli minacce di George hanno un senso, la mia adorata Lamia non diverrà altro che l'ultima delle sue cavie! Cibo per demoni!>>

_ Amelie_

<< Da questa parte.>> indicò la piccola, trascinandomi all'interno del corridoio in fiamme.
Fortunatamente l'incendio aveva raggiunto da poco quel lato della casa, il che significava che era ancora possibile camminare e muoversi abbastanza liberamente.
Seguii Sophie per un tragitto che parve infinito fino a che  non arrivammo in cima alle scale.
Il fumo aleggiava in aria come fitta nebbia, appannandomi la visuale col suo soffice drappo grigio.
Cominciavo seriamente a chiedermi cosa mi fosse preso.
Possibile che fossi stata così stupida?
Così imprudente?
Era pericoloso restare lì, lo sapevo... e sapevo soprattutto che non ero in grado di badare a me stessa, figuriamoci a proteggere Sophie!
Al solo pensiero di non essere in grado di difenderla, il panico s'impossessò del mio corpo.
Oh, insomma!
Dovevo esser forte, risoluta... ma ero solo in grado di tremare come una foglia in balia del vento.
Strinsi la manina di Sophie contro la mia, ancora più forte, fin quasi  a stritolarla. Non volevo farle male, eppure non riuscivo a controllarmi.
Avevo il disperato bisogno di sentirla vicino... al sicuro.
Ma non appena la stretta si fece troppo forte, la bimba si voltò a fissarmi contrariata.
<< Che c'è?>> chiese
<< Basta, Sophie... dobbiamo tornare indietro!>>
<< Ma siamo quasi arrivate!>> si lagnò.
La guardai fisso negli occhi, sentendo di secondo in secondo lo stomaco aggrovigliarsi su se stesso per la paura.
Dovevo fidarmi?
E se dalle ombre fossero comparsi altri Ghuldrash?
Che ne sarebbe stato di noi?
Io non ero Miguel, non possedevo una forza sovrumana, né tantomeno artigli pronti a scattare come e quando desideravo.
Ero solo una povera sprovveduta... e con il mio comportamento irresponsabile, mi stavo cacciando nel mezzo di una missione suicida.
<< Sei sicura?>> chiesi esitante.
La bimba annuì, scuotendo lievemente i folti riccioli biondi.
<< Manca poco.>>
Arrivammo di fronte alla vecchia biblioteca, la porta socchiusa, dalla quale filtrava un nastro di luce rossastra.
Lo sapevo, erano fiamme e non appena me ne accorsi, feci un passo indietro, trascinando Sophie per un braccio.
<< Scappiamo!>> urlai.
Ma la piccola aveva altri piani.
Con una tale forza da far impallidire Maciste, mi spinse in avanti, costringendomi ad entrare.
Oh, mio Dio... non potevo credere ai miei occhi.
Il fuoco era dappertutto; divorava muri, tende, scaffali e libri... aveva invaso completamente la stanza, facendola somigliare ad un'enorme fornace.
Ma per quanto le lingue di fuoco lambissero gli oggetti, quest'ultimi non bruciavano... no.
Rimanevano solidi e compatti, incorrotti dal lento rosicchiare delle fiamme.
Provai a toccarle, ma non accadde nulla.
Nessun bruciore, nessuna ustione... solo un lieve senso di calore che mi attraversava la pelle.
Mi voltai stupita in direzione di Sophie, ma c'era qualcosa che non andava.
Gli angoli delle sue piccole labbra erano sollevati in un sorriso beffardo, gli occhi fissi e attenti su un punto indefinito alle mie spalle. Seguii timorosamente la traiettoria del suo sguardo, fino a scorgere accovacciata sul tappeto un fagotto candido... la figura dormiente di una bambina.
Un'altra Sophie.
D'un tratto l'aria mi mancò, facendomi annaspare alla ricerca di un respiro.
No, non ero pazza... in quella stanza c'erano due Sophie!
Due!
Feci guizzare gli occhi da un volto all'altro, rifiutando categoricamente di credere a ciò che vedevo.
Stessi boccoli biondi, stesse guance paffute... persino gli indumenti e il pupazzo di stoffa che entrambe stringevano al petto era identico.
<< Tu non sei Sophie!>> riuscii a mormorare, rivolgendomi alla bambina che stava al mio fianco.
Lei mi guardò negli occhi ed una vertigine improvvisa mi fece accapponare la pelle.
<< Esatto!>> esclamò, tutta contenta.
Improvvisamente la falsa Sophie allargò il suo sorriso, mostrando dei denti bianchi, aguzzi... da predatore.
<< Ma cos...>> le parole mi morirono in gola.
I suoi occhi baluginarono di viola, poi di rosso, e le pareti in fiamme cominciarono a turbinarmi intorno, come un vortice impazzito.
<< Ora dormi...>> m'intimò con dolcezza, << Dormi, mia dolce Amelia...>>
<< Chi sei?!>> riuscii a dire.
Sentii la sua risata cristallina entrarmi nella testa ed incrinarmi i timpani, costringendomi ad urlare di dolore.
<< Shh... non è importante. Non ora. Sta tranquilla e dormi... dormi... Veglierò io su di te...>> sussurrò piano, la voce che d'un tratto suonava più profonda e bassa, come quella di una donna adulta.
La testa mi girava, la vista si appannava, e all'improvviso ebbi l'impressione di non avere più il terreno sotto i piedi; sembrava che  il pavimento fosse scomparso nel nulla, lasciando al suo posto un enorme, gigantesco baratro.
Ed io non potevo fare a meno di sprofondare in quella spaventosa voragine... di più, sempre più in basso, fino a raggiungere le purulente viscere dell'inferno.  

 
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Angolo dell'Autrice: 
Hallo gente! Diciamo chè è un bel po' che non ci si vede (quasi due settimane!) e vi imploro di perdonarmi! La mia intenzione era quella di aggiornare per tempo martedì... ma ho avuto un blocco a metà capitolo e sono entrata in una profonda crisi esistenziale XD (roba del tipo, perchè esisto? Chi sono? Dove sono? Come mi chiamo? Esistono gli alieni??) ma scleri a parte, sono anche stata impegnatissima con lo studio... quindi ho potuto finire tutto e aggiornare solo oggi! Mea culpa!!! T.T 
Cooooomunque! Faccio sempre i consueti ringraziamenti a tutti coloro che perdono tempo a leggere le mie strampalataggini (?) -ma esiste come parola?!- XD e ringrazio dal più profondo del cuore chi segue questa storia ed è riuscito ad arrivare alla fine di questo capitolo U.U Thank you very much! <3 
Ma passiamo al capitolo! 
Visto che ci ho messo tanto ad aggiornare, ho voluto farlo un po' più lungo... così da farmi perdonare! Pooooi... succedono un sacco di cosine! La nostra Ame si risveglia nel caos più completo, con la cara (vi è mancata, vero?) Eva che come sempre è simpatica come una zampata agli stinchi XD ahahah XD naaah, non è vero! Questa volta si è comportata civilmente... credo. Dopo compaiono altri personaggi che mi ero lasciata indietro, tra cui il conte James e la piccola Sophie. Che ne pensate di loro? 
Spero che non mi ucciderete per la piega che sta prendendo la storia XD Nemmeno io so bene dove sto andando a parare... quindi boh! Lo scopriremo solo vivendo! Mi auguro di essere più veloce per quanto riguarda il prossimo aggiornamento! 
 Ed ora i ringraziamenti!: 
Dunque U.U
Ringrazio Wall_Flower, Angelmary90 e haston per aver aggiunto la storia alle loro liste. 
E un grazie speciale alle fantastiche ragazze che hanno avuto la bontà di recensire l'ultimo capitolo:
Delia_Blue, Muffin90, LizzieMC111, PinkyRosie FinveStars, BlackGirl_Chan, WhiteGirl_Chan e Wall_Flower 

Ci vediamo alla prossima! 
Un megabaci0ne a tutti <3 

Rob



 

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Capitolo 26
*** E. ***


E.
 
_ Miguel_

L'ennesimo, immenso fragore fece tremare ancora una volta le pareti.
Ma per quanto tempo avrebbe retto la struttura della casa?
Non facevo altro che chiedermelo.
Il pensiero che tutto crollasse da un momento all'altro, seppellendoci sotto un'enorme montagna di macerie fumanti, mi preoccupava non poco... anzi, era il fulcro esatto dei miei timori. In fin dei conti, era passato davvero troppo tempo dalla prima esplosione... e per quanto la residenza dei von Kleemt fosse grande, solida e ben costruita, l'incendio non faceva altro che propagarsi velocemente, fagocitando con ingordigia qualunque cosa gli si parasse davanti.
Il conte sbuffò affranto, dopodiché si lasciò cingere le spalle, accettando con sollievo il saldo appoggio fornitogli dalle mie braccia.
Immediatamente si voltò a guardarmi negli occhi, il volto smagrito,  sudato, intento a mostrarmi un'espressione di muta gratitudine. Gli risposi accennando un lieve sorriso, dopodiché cominciai a guardarmi intorno.
Non avrei saputo dire con esattezza dov'era ubicato lo stretto corridoio che stavamo percorrendo, ma il padre di Amelie sembrava avere tutto sotto controllo.
"Conosco ogni angolo, ogni porta e ogni passaggio segreto di questa casa!" aveva ammesso con un certo orgoglio qualche minuto prima, "Vedrai, ragazzo mio! Grazie a questo cunicolo, giungeremo nei sotterranei in men che non si dica!"
Fin ora l'avevo assecondato senza batter ciglio, continuando a seguire l'oscuro sentiero scavato nella roccia, ma più scendevamo nelle viscere della terra, più ero scettico riguardo al suo piano.
Cosa si aspettava di trovare?
L'idea che la contessa fosse già morta, era da prendere in seria considerazione, e molto probabilmente, né io né lui eravamo in grado di fare qualcosa.
Eppure, l'ostinata speranza che animava il cuore di quell'uomo non accennava a spegnersi.
Da una parte lo trovavo ammirevole; la forza sprigionata dai suoi sentimenti nei confronti della moglie era irriducibile, e quasi mi commuoveva.
Insomma, quanti uomini erano disposti a sacrificare la loro vita, per amore di un altro individuo? Beh, di sicuro ben pochi.
Purtroppo l'essere umano era di per sé un animale egoista, volto unicamente a soddisfare i propri bisogni e i propri desideri, nulla aveva più importanza dell'autoconservazione personale.
Si trattava di puro e semplice istinto di sopravvivenza. Charles Darwin non ci avrebbe trovato niente di strano e sinceramente, nemmeno io.
Ma quando entrava in gioco l'amore, le carte in tavola venivano completamente rimescolate e cambiava tutto.
Era a causa di questo sublime, bizzarro e quanto mai inesplicabile sentimento, che l'uomo metteva da parte il suo innato egoismo per la vita di un'altra persona, interponendo il bene di quest'ultima al proprio.
Quindi al diavolo la ragione, al diavolo il buon senso!
Ogni cosa passava in secondo piano quando c'era di mezzo l'amore.
Ed io, giorno dopo giorno, non facevo altro che provarlo sulla mia pelle. Amelie invadeva ogni mio pensiero. E nonostante fossi in serio pericolo, col rischio di morire da un momento all'altro, non riuscivo a liberarmi la mente dalla sua immagine persistente.
Oh, il mio Piccolo Tarlo. Nel saperla al sicuro, mi lasciai scappare un sospiro di sollievo.
Poteva accadermi di tutto, non m'interessava cosa... l'importante era che lei fosse sana e salva.
<< Perchè mi stai aiutando? >> mi chiese d'un tratto suo padre, rompendo il silenzio che ci avvolgeva.
Sentivo le costole del conte premere attraverso la stoffa, come se la sua pelle non fosse stata altro che un ulteriore strato di seta sottilissima.
<< Perchè non dovrei farlo?>> risposi assumendo un'aria beffarda, << Non sono forse il vostro umile servitore?>>
Nel sentire le mie parole, un afflusso di risa spasmodiche fece vibrare con forza il suo petto scarno.
 << Tu, un servo? Suvvia, ragazzo mio... sai meglio di me che non lo sei mai stato. Conosco molto bene la natura del patto che hai stipulato con mia moglie, ma la verità è che niente ti obbliga a fare questo per me... per noi. Vedi, non capisco quale sia ora il tuo tornaconto.>> ammise.
Abbracciai con lo sguardo tutto l'ambiente ricoperto da un denso spessore d'ombra, poi tornai ad osservare il signor James, scoccandogli un'occhiata più che eloquente.
<< Si tratta di Ravaléc...>> spiegai, << Tutto questo è opera sua e non voglio che la passi liscia... voglio ucciderlo con le mie mani. Sapete, l'innumerevole orda di mostri che mi ha lanciato contro sia ora che in passato, non si è creata da sola. Per essa sono state sacrificate centinaia di vite umane... vite innocenti, che hanno avuto la sfortuna di capitare sulla sua strada. Dove si è procurato così tanti corpi, e come è venuto a conoscenza di tali informazioni? Ci sono molte cose da chiarire a riguardo... e per quanto le sue ricerche possano essere considerate geniali ed avanzate... un uomo, un misero essere umano, e per di più da solo, non riuscirebbe mai a creare e governare creature pericolose e sanguinarie come i Ghuldrash. È impossibile. Il ché mi fa pensare che ci sia qualcosa di strano, sotto. Qualcosa che non torna... ed io devo assolutamente scoprire che cosa.>>
<< Che intendi dire, ragazzo? Che George non sia da solo?>>
Annuii con la testa.
<< È esattamente ciò che penso. Il buon vecchio dottore, il caro George Ravaléc... non è mai stato da solo, in questa vicenda.  Qualcuno o qualcosa lo sta aiutando nell'ombra, tirando le fila come un bravo marionettista.>>
Un brivido di terrore fece accapponare la pelle del conte, il quale si girò a guardarmi con occhi increduli, spaventati.
Mosse le labbra senza emettere alcun suono, poi ritentò, ma quello che ne venne fuori fu un flebile mormorio.
<< Non dirmi che potrebbe essere...>>
Alzai un sopracciglio, sorridendo divertito a quell'idea.
Il solo pensiero mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
<< Oh, Non lo so.>> ammisi, << Ma, sul serio... non vedo l'ora di scoprirlo.>>
James mi guardò per alcuni secondi come se non avesse compreso le mie parole, poi s'ammutolì di colpo, abbassando gli occhi sulla brutta ferita alla caviglia che, purtroppo per lui, non aveva cessato un momento di sanguinare.
Era infetta... e fermare il cammino dell'infezione, nella più rosea delle ipotesi, gli avrebbe costato l'amputazione netta dell'arto.
<< Prego Dio che non sia così!>> dichiarò tutto d'un fiato, << Non può trattarsi di...>>
Proprio in quel momento, il cunicolo s'interruppe dinnanzi alla porta secondaria che apriva il laboratorio di Ravaléc.
L'aria era irrespirabile, sapeva di fumo, sangue e morte.
Avanzai d'un passo, lentamente, trascinandomi dietro il corpo dolorante del conte.
<< Cos'è questo?>> sussurrai impercettibilmente.
Un odore strano, m'incendiò istantaneamente le narici e la Mimesis prese d'un tratto a bruciare contro la mia pelle.
Avevo i sensi in subbuglio: i miei occhi s'accesero di sangue, le gengive cominciarono a pulsare e la gola prese fuoco.
Poi, una moltitudine di grida mostruose si levò dalle ombre, finché una nuova razza di Ghuldrash uscì allo scoperto.
Aguzzai lo sguardo.
Sulla loro fronte marchiata a fuoco c'era un simbolo; un sottile segno ricurvo, fatto di rovi intrecciati e voluminose volute ridondanti.
 << Pregate Dio quanto volete, signor conte. >> sussurrai estroflettendo i canini, << Perché nel caso non dovessimo farcela... dubito che ci ritroveremo entrambi al suo cospetto!>>

L'urlo della bestia riecheggiò tre volte nel buio dei sotterranei, aspro e furioso come il ruggito di una tempesta.
Poi giunse il preludio del silenzio.
Le grida si smorzarono di colpo, i muscoli si rilassarono e le fauci spalancate del Ghuldrash divennero il pallido riflesso di una fornace vuota.
Senza perder tempo, attorcigliai le falangi attorno ai suoi visceri, strappandoli via con una tale potenza da far paura persino a me stesso. Vidi quel sangue nero sgorgarmi dalle mani, i suoi occhi di brace rigirarsi all'indietro e il suo corpo afflosciarsi pesantemente a terra, privo di vita.
<< S-sono morti?!>> si fece avanti il conte, la voce tremante per lo spavento.
Deglutii a fatica, sentendo un fastidioso groppo in gola. 
<< Si.>> dichiarai, << Non dovrete più preoccuparvi per loro, signore. Sono morti.>>
Mi guardai schifato le mani lorde di sangue, dopodiché girai i tacchi, dirigendomi verso la porta del laboratorio.
Ma non feci in tempo ad avanzare di un solo passo, che dalle mie spalle, giunsero degli strani gorgoglii.
Ci fu un tonfo, poi un altro, e il crepitio delle ossa spezzate riempì l'ambiente, facendomi dubitare seriamente della mia sanità mentale.
<< Cosa...?>> sibilò terrorizzato il conte, << Non erano morti?>>
Mi voltai in direzione dei corpi.
Possibile che fosse tutto vero?
Le numerose ferite che gli avevo appena inferto si stavano cicatrizzando velocemente, rimarginandosi del tutto sotto i miei occhi increduli. Rimasi senza fiato.
Com'era possibile una cosa del genere?
Intimai al conte James ti tenersi indietro, ed infine mi lancia all'attacco. Ma quei fottuti bastardi erano tornati in vita ancora più potenti e veloci di prima.
Senza che potessi evitarlo, mi ritrovai passivamente ad incassare i loro colpi.
Erano forti, maledizione!
Tremendamente forti.
Sentii il mio respiro bloccarsi e le mie ginocchia cedere, facendomi crollare a terra come un corpo privo di ossa.
Ed erano solo in cinque contro uno!
Normalmente questa lieve disparità numerica non sarebbe stata affatto un problema, anzi. Ma io ero stanco, stremato e loro... beh, loro erano così diversi. Forse fin troppo.
Non appena riuscii a tenermi in piedi senza barcollare, cacciai in fuori gli artigli.
Eh, no... stavolta non avrebbero avuto scampo.
Per ogni colpo infertomi, li avrei ripagati il doppio.
Mi gettai nella mischia urlando, la mano destra conficcata nel petto rigonfio di uno, la sinistra nello stomaco di un altro. I due corpi ricaddero a terra, mentre con una giravolta schivavo gli attacchi da parte degli altri tre.
Poi gli regalai il più raggiante dei miei sorrisi, accarezzandomi il labbro inferiore con la lingua.
<< Pronti a morire per sempre?>> gli intimai, sfilandomi dal collo la Mimesis.
Spinsi la pietra all'interno e dopo pochi secondi, il sangue zampillò da ogni dove, ricadendomi addosso come una fitta pioggerellina estiva. Mi lasciai ricoprire completamente da quelle gocce nerastre, respirando a pieni polmoni l'odore della vittoria.
Ma non c'era tempo da perdere!
Non potevo rischiare che si risvegliassero!
Così senza ulteriori indugi, mi accanii ancora una volta contro quei corpi martoriati, fino a ridurli in poltiglia. La violenza della scena era tale, che il conte fu costretto a distogliere inorridito lo sguardo.
<< Ora basta... ragazzo mio!>> supplicò lui, venendomi incontro.
Gli occhi che indugiavano disgustati su quel macabro scenario.
<< Dobbiamo fermare George e salvare mia moglie!>>
<< Se fossi in voi, non canterei vittoria troppo in fretta!>>
Sia io che il conte ci voltammo sorpresi in direzione della voce, trovando alle nostre spalle il tirapiedi numero uno del dottor Ravaléc: Ryan Blackwood.
" Niente male..." pensai, fissandolo negli occhi.
Come sempre riusciva a celarmi con maestria la sua presenza. Un'abilità che pochi all'Ailthium potevano vantare.
Lo guardai avvicinarsi al conte James e tendergli la mano, ma l'uomo la rifiutò sdegnosamente.
<< Che ci fai tu qui? Razza di Giuda!>> gli gridò contro.
Ryan non gli rispose subito, quindi si limitò a ritirare la mano e abbassare il capo in segno di saluto.
<< Mio caro signor conte! È bello vedervi ancora... ehm, vivo.>>
Vidi James tremare di rabbia, ma con un notevole sforzò evitò di prenderlo a pugni in faccia. Cosa che avrei fatto io stesso... e con infinito piacere, se non avessi trovato nella presenza del mio commilitone qualcosa di strano.
Poi notai ad uno sguardo più attento, quanto il suo aspetto non fosse dei migliori. Aveva gli abiti spiegazzati, gli occhiali rotti, il viso accaldato e incredibilmente sporco. Purtroppo, niente di  tutto questo aveva contribuito a cancellargli quell'irritante sorrisetto sornione dalla faccia.
<< Vuoi forse far compagnia a questi mostri?>> lo minacciai, sollevando gli artigli a mo' di avvertimento.
Lui scosse con vigore la testa riccioluta.
<< Non fraintendetemi, amico mio... sono qui per aiutarvi!>>
Sentii la collera del conte ribollirgli nel petto.
<< Aiutarci!>> sputò sprezzante, << Come hai aiutato mia moglie?! Mi avevi promesso che l'avresti portata in salvo!>>
Guardai entrambi con rinnovata curiosità.
I due si conoscevano... e non solo superficialmente. Ma a fondo.
E come non poteva esser altrimenti?
Sia Ryan che il conte erano legati alla figura di Ravaléc, il che spiegava molte cose... prima fra tutte, la libertà d'azione di cui godeva l'uomo più giovane.
<< Ho tentato...>> rispose Ryan, avanzando d'un passo verso il James, la mano destra sul cuore.
<< Hai tentato?>> ripeté il conte.
<< Certo! Ma non potevo lasciare che il dottore dubitasse di me! Non in quel momento!>>
<< E con questo cosa vuoi dire?>> lo interruppi.
Gli occhi chiari di Ryan si posarono sorpresi sul mio viso, poi su qualcosa al di là della mia spalla.
Senza pensarci seguii la traiettoria del suo sguardo, ritrovandomi di fronte a qualcosa di disgustoso. Brulicanti come milioni d'insetti, lembi di carne e pelle si ricucivano attorno alle ossa di quelle creature, che secondo dopo secondo, riacquistavano le loro fattezze originali. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena e una vertigine improvvisa farmi girare la testa.
Com'era possibile che quei mostri fossero di nuovo in piedi?
Ma soprattutto... cosa diavolo erano?
Quei "cosi" potevano esser considerati tutto... fuorché Ghuldrash!
I Ghuldrash, i veri Ghuldrash, se venivano uccisi, morivano.
Le loro cellule erano in costante decomposizione ed una volta fatti a pezzi restavano tali. Ma questi no. Questi potevano essere uccisi anche mille volte, senza mai morire del tutto. Riuscivano sempre a sopravvivere, a rigenerarsi... persino dopo esser stati ridotti a brandelli.
Il conte indietreggiò, Ryan si fece avanti, intrecciando le dita affusolate attorno al manico di un pugnale.
<< Che intenzioni hai?>> gli chiesi, stringendo la Mimesis con i polpastrelli.
Lui mi sorrise, gli occhi che baluginavano di eccitazione.
Puntò il pugnale verso di me, piegò leggermente le ginocchia e con un lancio formidabile lo conficcò in gola a uno di quei mostri, che si stava avvicinando troppo al conte.
<< Te l'ho già detto, Miguel! Non ho secondi fini questa volta... voglio solo aiutarvi!>>
Detto questo, fece un balzo in avanti, recuperando l'arma con maestria.
Un altro Ghuldrash gli si fece addosso, ma venne prontamente sgozzato dalla sua lama.
La stessa identica cosa accadde a me, e nel giro di pochi secondi ci ritrovammo a batterci spalla a spalla... proprio come ai vecchi tempi all'interno dell'Ailthium.
E come non poteva esser altrimenti?
Entrambi conoscevamo alla perfezione il metodo di combattimento dell'altro; riuscivamo a sincronizzarci, a muoverci di volta in volta come un solo essere, con un solo corpo e una sola mente.
Ma per quante volte riuscivamo a farli fuori, quei mostri tornavano comunque in vita.
Improvvisamente, uno di loro si staccò dal resto del gruppo per gettarsi sul corpo del povero conte.
Con un salto gli fui subito addosso, mozzandogli il capo con gli artigli.
Poi ci fu un grido, un lento singulto e il corpo della creatura si polverizzò sotto il mio sguardo incredulo.
Di lui non era rimasto altro che un mucchietto sparpagliato di polvere.
<< La testa!>> urlò il James, stringendo un pezzo di vetro sanguinante con entrambe le mani.
<< Distruggete il simbolo sulla loro testa!>>
Stremati, io e Ryan ci guardammo in faccia, poi rivolgemmo gli occhi al segno rosso che si stagliava come un marchio di fabbrica sulla loro fronte.
Com'era possibile che non ci avessimo pensato prima?

Quando finalmente riuscimmo ad aprire la porta del laboratorio, fummo accolti da un benvenuto assai silenzioso.
Non c'erano altri mostruosi Ghuldrash ad attenderci, né tantomeno il loro folle creatore.
Il locale era esattamente come lo ricordavo: immenso, freddo e buio.
Per quanto riguardava Ryan... beh, per una volta stava tornando utile e mi seguiva mestamente, con il conte caricato sulle spalle.
<< Qualche traccia di mia moglie? E George?>> fece preoccupato quest'ultimo, sforzandosi di respirare.
<< Un attimo...>> gli risposi, chiudendo gli occhi per concentrarmi meglio.
Poi, eccolo!
Un respiro, dei polmoni gonfi d'aria e il lieve rumore di un cuore pulsante, che recalcitrava con forza contro una cassa toracica. 
<< Dietro quella tenda!>> dissi, indicando il luogo che mi aveva ospitato per più di tre giorni.
Con passo felpato, ci dirigemmo verso il pesante tendaggio nero, spostandolo di lato.
<< Lamia! Lamia! Amore mio!>> gridò il conte, dimenandosi come un pazzo per scendere dalla schiena di Ryan.
<< Amore mio!>> continuò a ripetere.
Ryan non potendo fare altrimenti lo lasciò andare, e zoppicando alla bell'e meglio, James von Kleemt raggiunse finalmente la sua adorata consorte.
Lei era pallida come un cencio, priva di sensi e legata saldamente al tavolino chirurgico. La vestaglia leggermente sbottonata sul petto. Mentre Ryan e il marito si davano da fare per liberarla, io lasciai che i miei occhi vagassero da soli per la sala, posandosi su quante più cose potessero.
C'erano vari tipi di medicine e pozioni lasciate aperte sul tavolino, mentre numerose siringhe e fiale di sangue se ne stavano sparse un po' ovunque. Alcune erano cadute a terra, altre se ne stavano ancora sigillate in uno scompartimento apposito... ma tutto, sembrava esser stato abbandonato da poco. E in gran fretta.
<< Dove può essersi cacciato?>> domandò il conte, abbracciando con forza la moglie incosciente.
Era così emozionato che oltre alla voce, gli tremavano anche le mani.
<< Non lo so>> risposi, << Ma dovunque sia in questo momento... non ci è andato di sua volontà.>>
Ryan annuii.
<< Dobbiamo trovarlo.>> disse.
Ci fu uno strano tremolio, poi un lieve boato. Il rumore smorzato dalla distanza.
<< Dobbiamo andarcene!>> urlai, << Prendiamo la contessa e filiamo via! Tra poco qui crollerà tutto! >>
Il signor James si staccò mal volentieri da sua moglie e con passo claudicante si diresse tra due scaffali addossati al muro.
<< Da questa parte, presto!>> bisbigliò circospetto, spingendo un libro verso l'interno della mensola in legno.
Non appena quest'ultimo toccò il fondo della parete, oltre il muro si sentì un debole rumore metallico, e gli enormi scaffali si spostarono da soli, dando vita ad una sorta di passaggio segreto.
<< E di grazia, dove ci condurrà.. questo?>> intervenne Ryan riluttante, prendendo la contessa in braccio.
Il volto del conte James s'illuminò d'astuzia, lasciando che fossero gli occhi verdi a parlare in sua vece.
<< In un luogo sicuro.>> affermai, leggendo la sua espressione.
L'uomo si lasciò caricare sulle mie spalle, e con passo deciso, mi diressi nelle oscure profondità di quel cunicolo stretto ed angusto, che sembrava non avere una fine.
Ryan e la contessa ci seguivano a pochi centimetri di distanza.
<< In un luogo sicuro...>> confermò il conte poco dopo. << Ma non solo.>>
<< Cosa volete dire?>> gli domandai.
Lui si sporse in avanti, fino a solleticarmi l'orecchio sinistro con i baffi.
<< Questo tunnel è l'unico che porta all'esterno. Sfocia nelle scuderie.>> poi senza farsi sentire da Ryan, aggiunse: << Vuol dire che la caccia all'uomo è aperta. Seguendo il tunnel... troveremo George!>>

_ Amelie_

La prima cosa che percepii non appena sveglia, fu l'assenza di fumo.
Non mi sembrava vero, ma finalmente le mie narici erano libere di respirare. Sentivo l'aria fredda accarezzarmi la pelle, il vento scuotermi i capelli e l'odore del fieno riempirmi i polmoni.
Come ridestata da un sogno ad occhi aperti, portai il busto in avanti, mettendomi faticosamente a sedere. Avevo un gran mal di testa e non osavo aprire gli occhi per paura di trovarmi nuovamente circondata dalle fiamme.
Il solo ricordo mi fece tremare come una foglia.
Poi, d'un tratto, qualcosa sul mio grembo si mosse.
Terrorizzata, spalancai gli occhi fino a sentirli uscire fuori dalle orbite.
Ma cosa ci faceva Sophie con me?!
All'interno delle stalle, per giunta!
Guardai la bambina placidamente addormentata, con la testolina bionda posata sulle mie gambe, finché non fui certa di essere del tutto sveglia.
O stavo ancora dormendo?
Col cuore in gola lasciai vagare lo sguardo da una parte all'altra della scuderia, ma oltre a noi due e ai cavalli irrequieti, non sembrava esserci nessun altro.
Cos'era successo?
Perché ci trovavamo lì?
Ma soprattutto... che ne era stato dell'incendio?
<< Sophie!>> la chiamai, scuotendola delicatamente per svegliarla.
<< Sophie, apri gli occhi!>>
La bimba mugolò insensatamente qualcosa, poi si voltò dall'altra parte, stringendo a sé le mie coscie a mo' di cuscino.
<< Devi svegliarti!>> le intimai alzando la voce.
Lei aprì prima l'occhio azzurro, poi quello castano e con fare assonnato si stropicciò il faccino paffuto.
<< S-sei  proprio tu?>> domandai d'un fiato, << Sei Sophie?!>>
Lei mi guardò stralunata, facendo leva sulle piccole braccia per mettersi seduta.
<< Sono io...>> mormorò, << Perchè me lo chiedi, Amelie?>>
La esaminai con aria circospetta, cercando di intravedere sul suo viso eventuali anormalità.
Il fatto era che non sembrava esserci alcun problema... nessun luccichio violaceo all'interno dei suoi occhi, nessuna venatura rossastra sul palmo delle mani.
Lei era lei, ed io sempre più confusa e sull'orlo di una crisi di nervi.
 << Dove siamo?>> chiese poco dopo, guardandosi intorno come avevo fatto io poco prima.
<< Nelle scuderie...>> replicai, cercando di alzarmi in piedi.
<< E cosa ci facciamo qui...?>>
La guardai seriamente preoccupata.
Forse tutto quello che ricordavo era stato un incubo... uno tanti che mi ossessionavano da qualche tempo a questa parte.
Forse io e Sophie non eravamo mai entrate in quella strana biblioteca, che bruciava senza pender fuoco, ed io non avevo mai visto due bambine completamente identiche, con lo stesso volto di Sophie.
Magari sì, era stato tutto un enorme e lunghissimo sogno e la mia casa non aveva mai preso fuoco... Josephine era ancora in vita e Miguel nella sua stanza, intento a sorseggiare un calice di vino.
<< Tu non ricordi niente?>> la sollecitai d'un tratto, << Niente di niente?>>
La piccola scosse il capo, facendo oscillare i boccoli d'oro che le incorniciavano il volto. 
<< Ricordo che sono andata a dormire con Todd.>> disse stringendosi al petto l'animaletto di pezza.
Non mi ero minimamente resa conto che ci fosse anche lui.
Poi il cielo che si intravedeva dalle grandi finestre si tinse per un istante di rosso, come se un lampo lanciato da Zeus avesse squarciato il drappo nero che ricopriva la volta celeste.
Dopo la luce venne il boato.
La terra tremò scossa da mille singulti, mentre i cavalli già spaventati impazzirono del tutto. Sembravano diavoli dell'inferno, e proprio come quelle mostruose creature cominciarono a nitrire e scalciate oltre i parapetti in legno.
Strinsi Sophie al petto, dopodiché me la caricai in braccio ed insieme ci accostammo alla finestra per vedere cosa stava accadendo.
Nel frattempo erano arrivati i pompieri, ma le loro grosse tubature e le pompe dell'acqua erano servite a ben poco.
Le fiamme avevano vinto.
Lo scheletro che reggeva saldamente la struttura della casa era crollato, ed insieme a lui un cumolo di macerie annerite dal fuoco.
Un numeroso gruppetto di gente si era riunito davanti a quel triste spettacolo, e sebbene una parte del mio cuore fosse morta e sepolta sotto le rovine fumanti di quella casa, l'altra parte si rallegrava nel vedere così tanti sopravvissuti.
Senza che potessi in alcun modo impedirlo, i miei occhi si riempirono di lacrime che scivolarono giù lentamente, amare come la vista di cui erano intrise.
Feci scendere Sophie dalle mie braccia, la quale andò a rifugiarsi chissà dove.
Oh, davvero, ormai non aveva importanza.
Niente aveva importanza.
Straziata dal dolore mi accasciai a terra, piangendo e singhiozzando fino a sentire gli occhi bruciare e l'aria venirmi meno.
Mi sentivo responsabile; era come se tutte quelle persone fossero morte a causa mia, per colpa della mia vile inettitudine!
Josephine si era sacrificata per me, aveva dato la vita per salvarmi, ed io non ero stata in grado di fare niente!
Assolutamente nulla!
E Lamia? E il mio Miguel?
Che fine aveva fatto Miguel?!
Perchè mi aveva lasciato sola?
Avevo così tanto bisogno di lui, di saperlo vivo, al sicuro... accanto a me!
E non riuscivo a controllarmi.
Ero inconsolabile.
Non oso immaginare per quanto tempo restai in quello stato pietoso, a crogiolarmi passivamente nel dolore... ma alla fine trovai la forza di alzarmi in piedi ed asciugare le lacrime.
A che sarebbe servito piangere?
Le persone che avevano perduto la vita nell'incendio, sarebbero forse tornate indietro?
Scossi la testa a quel pensiero tanto assurdo, e con rinnovato coraggio mi misi alla ricerca di Sophie.
Come prima cosa, dovevamo trovare Miguel.
Lui era vivo! Lo sapevo. 
Era una certezza assoluta che mi veniva da dentro, come se il mio corpo fosse cosciente del suo respiro e del sangue che gli scorreva nelle vene. Prima o poi sarebbe tornato da me.
Lo sentivo nelle ossa... all'interno del mio sangue. 
Improvvisamente, una folata di vento gelido mi colpì in pieno volto, facendomi rabbrividire dalla testa ai piedi.
Sembrava che il vento avesse trascinato con sé delle voci e che qualcuno mi stesse chiamando.
<< Sophie? Sei tu?>> domandai al buio della stalla.
Silenzio.
<< Sophie... esci fuori!>> continuai.
Ma niente.
<< Ehi... non è questo il momento di giocare, Sophie! Non è proprio il caso! Non ora!>> gridai, la voce sempre più stridula.
Mi pareva di avere un macigno al posto del cuore, che con un crescente senso d'ansia mi schiacciava il petto sempre di più, fino a farmi sprofondare nel terreno.
Anche stavolta la bambina non rispose.
Cominciai così a vagare nella stalla alla sua ricerca, fino a che il nitrito di un cavallo non tradì la sua presenza.
<< Oh, finalmente ti ho trovata piccola pest...>>
Non feci in tempo a terminare la frase che un urlo nero come la morte s'impossessò delle mie corde vocali.
Incapace di restare in piedi, crollai a terra sulle ginocchia, a pochi centimetri da quell'orrore.
<> esordì tutta eccitata la bambina, << Sono usciti da quella botola laggiù! Dietro quelle balle di fieno!>>
Oh, no!
Non potevo permetterle di posare gli occhi su quello che avevo appena visto io.
Ricacciando indietro le lacrime, mi voltai a guardarla, trovandomi di fronte all'impossibile.
La manina di Sophie era avvolta attorno a quella di Miguel, che a sua volta sorreggeva mio padre, e dietro di loro c'era Ryan Blackwood con in braccio mia madre priva di sensi.
Erano tutti salvi... sporchi fuliggine e sangue, ma fortunatamente salvi.
Peccato solo che non avessi il tempo per gioirne.
<< Cosa c'è lì...? Cosa nascondi?>> fece curiosa la piccola, sporgendosi per guardare.
Cercai di impedirglielo ma fu tutto inutile.
<< C-cos'è successo al dottore?>> chiese nell'ingenuità dei suoi cinque anni.
Come poteva capirlo?
I suoi occhi non erano in grado di rielaborare quello che avevano di fronte.
Guardai lei, poi tutti loro, ed infine quella cosa.
Che avrei dovuto fare?
Cosa significava?
Miguel adagiò mio padre a terra, dopodiché si frappose fra me e la piccola, coprendole la visuale.
<< Adesso è tutto finito.>> disse James, incapace di guardare la scena.
<< È tutto finito?>> gli feci eco.
Potevo davvero crederlo?
Miguel guardò a terra, poi posò l'azzurro glaciale dei suoi occhi nei miei, raggelandomi all'istante.
Non c'era amore nel suo sguardo, solo un'interminabile distesa di gelo, una collera muta, fredda, bollente come il ghiaccio.
<< Oh, no... non è finito niente.>> sibilò a denti stretti, << È appena cominciato!>>

Ed intanto, il cadavere di George Ravaléc giaceva supino su un letto di fango e paglia.
Il corpo orribilmente deturpato, la gola sbranata da fauci animalesche e il volto congelato in un'espressione ripugnante, a metà tra il piacere e la sorpresa.
I suoi occhi erano fissi nel vuoto, spalancati, come anche la bocca da cui fuoriusciva lateralmente la lingua.
Con mano esitante, gli abbassai le palpebre. Il contatto con la sua pelle gelida, mi diede i brividi.
Poi abbassi lo sguardo sul suo petto, portandomi le mani alla bocca per fermare i numerosi conati di vomito.
Ma chi aveva potuto fare un simile scempio?
Più osservavo la scena, più non riuscivo a capacitarmene.
La sua camicia ed il panciotto erano stati strappati sul davanti, così da lasciare scoperto il petto e mostrare cosa ci fosse scritto sopra.
Toccai le ferite, ma ritirai subito la mano. Ero confusa.
Le lettere erano state accuratamente incise e scavate nella carne con una bella calligrafia, elegante, sofisticata, leggermente inclinata di lato.
La pelle umana usata alla stregua della carta,  ed il sangue come inchiostro vermiglio.
 

"Finalmente ti ho trovata.
Tuo per sempre

E."


--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 
Angolo dell'autrice! 
Salve a tutti! In primo luogo, come sempre, vi ringrazio profondamente per esser riusciti a giungere fin qui, e se state leggendo queste note, è perchè siete riusciti a finire il capitolo! Ahahaha XD 
Che dire? 
Stavolta ho fatto passare solo una settimana, quindi posso considerare di essser stata brava... vero? VERO??? XD  (assecondatemi, vi prego!) 
Ma adesso passiamo oltre! Aaaaallora! In questo capitolo, confesso di essermi lasciata un pò prendere la mano per alcune cose e anche non volendo, ne è uscito fuori qualcosa di chilometrico <.< Penso che sia il più lungo capitolo che abbia scritto fin ora, e spero che la cosa non vi abbia annoiato! Davvero T.T 
Però succedono un sacco di cose... prima fra tutte, la comparsa di questo nuovo tipo di Ghuldrash! Ehehehe! Devo dire che mi piace il rapporto che si sta crando tra James e Miguel... e non mi dispiace nemmeno questa nuova "conversione" di Ryan (spero che non mi ucciderete per questo) che almeno per una volta torna utile all'umanità e aiuta Miguel a sconfiggere quelle creature tanto abominevoli! 
Poi c'è la parte di Amelie e Sophie... e, TADAAAAAN! 
Il colpo di scena finale! Con il ritrovamento del dottore da parte di Ame e l'entrata in scena di questo nuovo misterioso personaggio, che evidentemente ha usato Ravaléc come post-it umano XD 
Eh, si! Anche oggi mi sono macchiata di un omicidio >.< ma sono contenta perchè finalmente sono riuscita a far entrare in gioco "E." 
Ma ora passiamo ai ringraziamenti! Dunque... 

Ringrazio tutti coloro che perdono tempo davanti a questa storia, chi legge silenziosamente e chi ha aggiunto questo delirio alle proprie liste:
Klau_123, nora1991, gelidovendto, Darkparadise e forever_angel. 
Poi ringrazio anche le fantastiche ragazze che hanno rcensito l'ultimo capitolo: PinkyRosie FiveStars, Delia_Blue, Muffin_90, Angelmary90, LizzieMC111, BlackGirl_Chan e WhiteGirl_Chan! 
Grazie mille *-*
Quindi niente, spero che il capitolo non vi abbia disgustato troppo e che continerete a seguirmi anche nelle prossime puntate! 
Un bacione
Rob <3


 

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Capitolo 27
*** Come Un Fantasma ***


Come Un Fantasma

_ Miguel_

I rumori della città appena destata filtravano attraverso le spesse pareti del piccolo studio londinese, mentre all'altro capo della stanza, la contessa Lamia esaminava con attenzione i rapporti della Scotland Yard in merito all'incendio.
<< "Catastrofico incidente" dicono! "Malfunzionamento delle caldaie!">> esclamò irritata, << Quante sciocchezze in una sola pagina!>> 
Richiusi silenziosamente la porta alle mie spalle, facendo un lieve inchino che venne prontamente ignorato.
Alla mancata risposta da parte sua, feci spallucce e senza chiederle il permesso, mi sedetti di fronte a lei.
<< Vi trovo in forma.>> la salutai, incrociando le braccia al petto.
Lamia si limitò ad alzare gli occhi dal foglio, facendo un segno d'assenso col capo.
Era tesa e di pessimo umore. Sembrava quasi che il suo corpo, involontariamente,  emanasse energie negative visibili ad occhio nudo. Lascia vagare liberamente lo sguardo in quell'ambiente così estraneo, asettico, ostile.
I bei mobili erano stati coperti da lunghi teli bianchi, mentre gli oggetti d'arredamento più costosi e delicati erano stati diligentemente imballati in teche di legno. Solo qualche dipinto a sfondo paesaggistico o floreale era rimasto dov'era; ultimo stendardo di ricchezza volto a decorare le spoglie pareti dello studio.
Infine, cumuli di vecchi libri contabili erano stati abbandonati a terra, nella costante attesa di essere imballati anch'essi.
Il tutto, si ripeteva più o meno costantemente in ogni stanza, contribuendo ad accentuare fino all'inverosimile il senso di desolazione ed abbandono che abbracciava l'intero edificio.
Eravamo in partenza, quindi a cosa serviva tirar a lucido la casa londinese di May Fair?
Ormai erano passate due settimane da quella maledetta notte, eppure c'era ancora molto lavoro da sbrigare a riguardo: le indagini della polizia andavano depistate, le banche rassicurate e le numerose spese mediche saldate il prima possibile.
Non c'era tempo da perdere.
Non quando si doveva lasciare Londra in fretta e furia.
Nel frattempo la gente bisbigliava, lavorava di fantasia, inventando storie e congetture riguardo a quello che era accaduto, ma tutti concordavano su un unico punto: sembrava che l'intera famiglia von Kleemt stesse fuggendo, come se avesse il diavolo alle calcagna.
Beh... riflettendoci bene, era proprio così.
Strinsi i pugni e trattenni il fiato; ripensare a quella faccenda mi faceva ribollire il sangue di rabbia, ma non potevo permettere a me stesso di ricadere in quel baratro oscuro, senza fondo... non quando c'era in gioco la sicurezza del mio Piccolo Tarlo.
<< Allora?!>> 
La contessa aveva tossito più volte per richiamare la mia attenzione, ma solo in quel momento mi ero reso conto che mi stava parlando .
<< Dicevate?>> dissi con aria annoiata.
<< Ravaléc! Cos'hanno trovato i poliziotti a riguardo?>>
<< Niente.>> risposi con calma, << Ancora non hanno identificato il corpo. Non potevo permettere che lo trovassero... non con il petto in quelle condizioni e la gola squarciata. La scoperta di un omicidio finirebbe per attirare troppe attenzioni sulla vostra famiglia, quindi mi sono premurato di farlo sparire.>>
<< L'hai carbonizzato?>>
Annuii con la testa.
<< Quella stessa sera, contessa. Non ve ne ho parlato per rispetto alle vostre condizioni.>>
Lei sbuffò, poi inclinò la testa leggermente di lato. I bei lineamenti del suo volto erano contratti da un'espressione interrogativa.
<< E dov'è ora?>>
<< Insieme agli altri, nell'obitorio. Aspetta la sepoltura in seguito al riconoscimento.>>
<< Quanto ci vorrà?>>
<< Non ne ho idea. Molti di loro saranno irriconoscibili.>> aggiunsi sottovoce, << Ad esempio la povera Josephine Rambout.>>
Nel ricordare la sua vecchia governante, una lacrima le scivolò furtivamente dagli occhi, ma venne subito intercettata e la sua scia cancellata.
La contessa Von Kleemt non poteva permettersi di mostrare debolezza.
Soprattutto di fronte a me.
<< Che morte terribile... >> replicò in tono sommesso, la voce tremante nonostante il rigido autocontrollo che si era imposta.
<< Le volevate bene.>> dissi.
Era un dato di fatto.
Lei annuì con un cenno del capo.
<< Ci ha vist... no, cioè, m-mi ha visto nascere.>> balbettò confusamente, gli occhi spalancati, come se avesse appena confessato il più tremendo degli omicidi.
La cosa m'insospettì.
<< Mi ha visto nascere...>> ripeté, quasi per convincersi. << Anni e anni fa, Josephine lavorava per la mia famiglia. Era la mia balia. >>
<< Capisco...>> sussurrai, guardandola negli occhi.
Non sapevo nulla del suo passato, nulla che in qualche modo precedesse il suo matrimonio col conte.
Quella donna era sempre stata un mistero, persino per gli annali dell'Ailthium.
<< Cosa mi dici di Blackwood?>> cambiò improvvisamente discorso.
<< Assicura di essere sempre stato dalla nostra parte.>> sostenni inespressivo.
<< E tu gli credi? Ti fidi di lui?>>
<< No.>> risposi , << Ryan è un inaffidabile voltagabbana, leale solo a se stesso e all'Ailthium. Dava la caccia a Ravaléc già da alcuni mesi, e si è unito a lui solo per studiarlo da vicino. In fin dei conti, è e rimane un bugiardo di prima categoria.>>
<< Vuoi dire che non è mai stato fedele al dottore?>>
<< A quanto pare no.>>
<< Non ti capisco, Miguel. Cosa vuoi dire?>>
Mi sporsi in avanti.
<< Sapete come chiamano Ryan all'interno Ailthium?>>
Lei scosse la testa.
<< "Camaleòn"... il camaleonte. Prima cambia forma e colore, si mimetizza all'ambiente, si rende innocuo. Dopo si avvicina alla preda, lentamente, la induce a fidarsi, ad abbassare la guardia e infine... >>
<< E cosa voleva il "Camaleonte" da Ravaléc?>> fece lei, appoggiandosi pesantemente allo schienale della poltrona.
<< Indagava per conto della Prima Legione. A quanto mi risulta, il dottor Ravaléc era un ex-membro dell'Ailthium. Un addetto alla ricerca, per la precisione. È fuggito dall'organizzazione in seguito ad alcune pericolose scoperte riguardanti la nascita dei Ghuldrash. Pensate che George Ravaléc non era altro che un nome fittizio, in realtà quell'uomo si chiamava Harold Winford, ed era originario del Kent.>>
La contessa si lascò scappare un sospiro sconsolato, poi ritornò a lavoro.
Parlare del dottore le era ancora molto difficile, soprattutto dopo quello che le era successo.
La guardai per alcuni secondi negli occhi con l'intento di scrutarne i pensieri, ma non ci riuscii. La sua maschera di fredda indifferenza era ben salda e attualmente impenetrabile.
Poi spostai lo sguardo sul resto del viso.
Una nuova ruga le era comparsa sulla fronte, nel mezzo delle sopracciglia bionde ed arcuate.
Aveva il volto scavato dalla fatica e dal poco sonno; gli occhi erano leggermente cerchiati di viola e la sua pelle appariva molto pallida, sottile, tesa... sembrava che lei potesse svenire da un momento all'altro.
<< Sto bene...>> sbottò, << Sono sana come un pesce!>>
Beh, quello lo sapevo.
L'incendio era stato clemente con lei, eppure non ne era uscita completamente indenne. La sua ferita era molto profonda... e tutt'altro che fisica.
<< Come sta il signor conte?>> domandai sinceramente preoccupato, << Si è abituato alla protesi in legno? >>
A quelle parole, vidi Lamia trattenere il fiato.
<< No...>> mormorò, abbassando impercettibilmente la voce.
<< Ancora non può usarla. La pelle deve prima rimarginarsi del tutto e ci vuole tempo. Troppo tempo.>>
Mi ritrovai senza più parole.
Cosa potevo dirle?
Mi dispiaceva veramente tanto per suo marito, ma in fin dei conti era andata meglio così.
Quanto tempo avrebbe potuto resistere, con la gamba in quelle condizioni?
Meglio perdere un arto, piuttosto che la vita... e James Von Kleemt, a causa di quella terribile infezione... aveva rischiato grosso.
<< Perchè mi avete convocato, contessa? È stato solo per via di Ravaléc?>> dissi infine, rompendo il silenzio imbarazzato che era caduto su di noi.
Lei abbassò lo sguardo, poi sospirò un'altra volta.
<< No. Non è solo per quello. Vedi, Miguel... io ho...>>  deglutì a fatica, << Ho bisogno di parlarti.>>
Non era da lei rivolgersi a me con quel tono sommesso, quindi mi misi comodo e aprii bene le orecchie: doveva trattarsi di qualcosa di veramente importante.
<< Ditemi pure.>>
Lei si schiarì la voce, poi, fissando un punto oltre la mia spalla, cominciò a parlare.
<< T-ti devo le mie scuse...>>
Un momento.
Avevo sentito bene?
<< Come?>> sussurrai, incapace di trattenere un sorriso divertito.
Lamia si morse un labbro, gli occhi che evitavano di posarsi nei miei.
<< Ho detto... che ti devo le mie scuse...>> ripeté, la voce tremante.
<< Scusatemi ma non capisco...>> confessai.
<< Riguardo a Ravaléc... riguardo a tutto!>> continuò, << Tu avevi ragione, Miguel. Mi avevi messo in guardia su di lui... ed io non ho voluto ascoltarti. Mi sono lasciata trasportare nel rancore nei confronti della tua specie... e ho perduto di vista la situazione. Mi dispiace molto per come mi sono comportata con te. Non avrei dovuto cacciarti, né dirti quelle cose... non te lo meritavi. >>
Mi sforzai di chiudere la bocca.
Le sue parole mi avevano letteralmente scioccato.
<< Beh... fate bene a non fidarvi di me. Sono decisamente inaffidabile.>> ammisi.
Ma perché lo stavo facendo?
Finalmente quella pazza bisbetica della contessa mi stava trattando con un minimo di rispetto, eppure preferivo quando m'insultava apertamente ogni giorno.
Era strano vederla così gentile nei miei confronti, così strano da farmi venire la pelle d'oca.
<< Inaffidabile?>> mi fece eco, << Ci hai salvati dalle fiamme, Miguel. Ci hai salvati tutti. Se non fosse stato per te, né io, né James, né molti altri sarebbero qui in questo momento. Ti dobbiamo la vita!>>
Bene, era ufficiale.
Cominciavo a sentirmi a disagio.
Mi agitai imbarazzato sulla sedia, momentaneamente senza parole. 
Non ero abituato ad avere una conversazione civile con lei. La preferivo prima.
<< Ho fatto solo il mio dovere>> risposi, << Come da contratto.>>
Lei scosse la testa, le pallide labbra tese in un sorriso.
<< Come un uomo d'onore.>> mi corresse, enfatizzando al massimo la parola "uomo".
Tanto che non riuscii più a trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata.
<< Ma contessa, non sono un essere umano...>>
Lei incrociò le mani al grembo, fissandomi dritto negli occhi.
<< Beh, ti sbagli...>> disse schioccando altezzosamente la lingua, << La verità, Miguel... è che sei più "umano" di quanto pensi. Ed ora, avrei un piccolo favore da chiederti.>>
Sfilò dalla tasca interna del suo vestito una lettera, la carta lievemente stropicciata e il sigillo dei Von Kleemt impresso sulla ceralacca.
<< Riguarda "E."...>> disse con aria grave.
Afferrai la lettera con studiata lentezza, dopodiché l'aprii, leggendo con curiosità quello che riportava il biglietto.
Lì per lì, la cosa mi stupì molto.
Poi tornai a fissarla, mentre un sorriso tagliente m'illuminava il volto.
<< Ai vostri ordini, contessa. Sarà fatto... con estremo piacere.>>

_ Amelie_

Erano le cinque del mattino.
Il cielo aveva appena cominciato a rischiararsi all'orizzonte, tingendo le monumentali mura del cimitero di Highgate con un'insolita sfumatura bluastra.
Dissi al cocchiere di aspettarmi poco prima dell'entrata, gli pagai quanto dovuto e lui annuì bruscamente, aiutandomi a scendere dalla carrozza.
<< Non ci metterò molto.>> lo informai, ma la sua espressione sembrava contrariata.
<< Questo non è il luogo adatto alle signorine di buona famiglia come voi, milady. Soprattutto se sole.>>
Mi voltai a guardarlo, sfoggiando il più rassicurante dei miei sorrisi.
<< Non vi preoccupate... signore, saprò badare a me stessa.>>
Detto questo, girai i tacchi e oltrepassai l'ingresso.
Il regno dei morti si apriva dinnanzi ai miei occhi in tutta la sua silenziosa magnificenza, disegnando all'orizzonte un mare fatto di statue e croci.
M'incamminai lungo il sentiero principale, mentre i lumini posti sulle lapidi tremolavano al mio passaggio.
Ad alcuni un cimitero deserto poteva apparire spaventoso, ma non a me...perlomeno non in quel momento.
Dopo l'esperienza dell'incendio, ben poche cose riuscivano a terrorizzarmi, ed il fatto che quei morti, rimanessero tali, mi era di grande conforto.
D'un tratto, un gelido soffio di vento fece muovere il pizzo nero delle mie gonne, procurandomi un'infinità di brividi lungo la schiena.
Mi strinsi nel mantello bordato di pelliccia ed avanzai d'un passo.
Non mi ero resa conto di essermi fermata davanti alla tomba di un bambino.
Un malinconico angelo di pietra era languidamente poggiato sull'effige che riportava il nome del piccolo, "Harry Northon" c'era scritto, ma non riuscivo a leggere bene il seguito.
A malincuore passai oltre.
La nebbia era così fitta da appannarmi quasi completamente la vista, cancellando le svariate iscrizioni su lapidi e croci in pietra.
Il freddo mi entrava nelle ossa, rallentava il mio cuore, fino a darmi l'impressione che potesse zittirsi e diventare anch'esso una rigida scultura di marmo.
Pieno di castagni e di tigli che impedivano la vista del cielo, Highgate sembrava più un bosco che un cimitero.
Continuai a camminare fra le silenti sepolture per un tempo che parve infinito, poi la vidi e il mio cuore si rianimò.
La cripta dei Von Kleemt era un'immensa struttura in granito, sormontata da un arco egizio e due alti obelischi.
Superai l'ingresso, dove il sentiero curvava dolcemente verso le tombe disposte a semicerchio, con le loro porte in stile romano.
Tutti coloro che avevo da sempre considerato miei antenati, erano tumulati in quelle sepolture, ma la verità che dimenticavo troppo spesso, era che io e quelle persone non avevamo mai avuto legami di sangue.
Eravamo estranei.
Ripensai a tutte le tombe che avevo incontrato durante il mio tragitto, ai volti seriosi dei ritratti fotografici, ai nomi sbiaditi sulla fredda pietra e mi chiesi se i miei veri genitori non fossero sepolti in quello stesso cimitero, da qualche parte, sotto lo spesso strato di terra che avevo calpestato.
Ma scossi la testa a quei pensieri poco costruttivi.
Se loro fossero stati morti o vivi... faceva forse differenza?
Mi avevano abbandonato; magari non mi volevano, o forse non avevano abbastanza denaro da sfamarmi, ma la realtà delle cose non mutava.
Io ero una Von Kleemt, adesso. E niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea.
Con molta più forza di quanto avevo immaginato, ricacciai indietro le lacrime e senza perder tempo, m'inginocchiai a terra.
Posai il bouquet di rose sulla tomba del precedente conte, ed infine chiusi gli occhi.
<< Ti prego...>> dissi, unendo le mani in segno di preghiera.
Non ero mai stata fortemente credente, a volte dubitavo persino dell'esistenza divina, ma in quel momento, pregare il Signore era l'unica cosa che potessi fare.
Non per me, no... ma per loro. 
<< Ti prego, Signore...>> ripetei ancora più forte, << Proteggi la cara Josephine e tutte le persone che hanno perduto la vita nell'incendio. Proteggi il loro spirito, la loro anima immortale, affinché possa raggiungere il cielo e la pace eterna. Non farli precipitare nel baratro dell'inferno, salvali! Erano persone buone, persone con dei sani principi! Perchè hai permesso che morissero?>>
Mi rannicchiai in posizione fetale, mi misi a piangere e ben presto il mio corpo fu scosso da una miriade singhiozzi dolorosi.
<< Perché?!>> gemetti disperata, << Perchè hai lasciato che Josephine morisse al posto mio?! È colpa mia! È soltanto colpa mia!>>
<< Oh, questo è sicuro.>> fece una voce alle mie spalle.
Mi voltai spaventata, trovandomi di fronte la figura in controluce di una donna riccamente abbigliata a lutto.
<< Se non fosse stato per te, sarebbero ancora vivi. Tutti loro... anche Josephine.>> continuò con voce maligna.
Avevo capito male, vero?
La fissai incredula per alcuni secondi, stando ben attenta a non emettere alcun suono.
La sconosciuta si fece avanti; il passo felpato, il lungo strascico che frusciava contro le mattonelle di marmo, spazzando via la polvere.
Un raffinato mantello scuro le scivolava sulle spalle, lasciando scoperto il davanti dell'abito.
Non indossava gioielli, né spille o altri orpelli simili; ma farle da unico ornamento, c'era un'elegante veletta nera bordata di pizzo, con ricami così pregevoli e fitti da celarle quasi completamente il viso.
<< M-mi scusi?>> balbettai, incapace di dire qualsiasi altra cosa.
La sentii sghignazzare e farsi avanti, finché non si fermò a pochi passi da me.
Con un movimento del tutto casuale, mi tese la mano che rifiutai prontamente.
Non volevo che mi toccasse.
Chiamai a raccolta tutte le mie forze, dopodiché mi alzai goffamente in piedi, asciugandomi gli occhi col dorso della mano.
<< Ci conosciamo?>> le chiesi, indurendo il tono di voce.
C'era qualcosa di strano in lei, qualcosa che mi dava i brividi.
La donna scosse lentamente il capo, facendo oscillare le pieghe del velo nero.
<< Dovresti saperlo.>>
Tremai come una foglia.
La sua voce mi era estremamente famigliare.
<< Chi è lei?>> continuai, << Che cosa vuole da me?>>
Con un gesto estremamente fluido ed aggraziato, la donna prese il mio volto tra le mani.
Aveva le dita lunghe, ghiacciate, bianche come l'avorio.
<< Cosa voglio da te?>> mi fece eco, << Oh, mia piccola Amelia... proprio non lo sai? Non te lo ricordi?>>
Le sue parole mi spiazzarono.
Cosa voleva dire?
Ma soprattutto... come faceva a conoscere il mio nome?!  
<< I-io non capisco! Davvero! Non so niente!>> sbottai, cercando senza riuscirci di svincolare dalla sua presa.
Era vicina.
Maledettamente troppo vicina.
Attraverso il velo scuro potevo intravedere il luccichio di denti aguzzi e il baluginare di iridi viola.
Sapevo di dovermi muovere, di dover fuggire via, ma dove?
Ero intrappolata dalla sua stretta ferrea e irremovibile.
Allora tentai di respirare, ma i polmoni mi tradirono e le ginocchia mi cedettero.
Fu in quell'istante che cominciaia a dubitare di me stessa e della suddetta "realtà" che mi circondava. 
Chi era quella donna? 
Era un essere reale o un'apparizione?
Oh, al diavolo! Senza dubbio era colei che da qualche tempo a questa parte, aveva invaso i miei incubi.
Ma come aveva fatto a trovarmi nella cripta di famiglia?
<< Chiunque tu sia... ti prego, vattene!>> gridai.
La mia voce era piena di paura.
<< Perchè mi segui?>>
<< Lo sai il perché...>> disse stringendo la presa, le sue unghie che per poco non si conficcavano nelle mie guance.
Il cuore mi martellava nel petto.
Non sapevo come rispondelre, o se veramente dovessi risponderle.
La pressione delle sue dita, aumentò impercettibilmente.
"Finché non mi muovo" mi dissi, "Non si muoverà neanche lei... non mi farà del male..."
Ma mi sbagliavo di grosso.
Irritata dal mio mutismo, la donna mi spinse di lato, facendomi battere la schiena contro il duro pavimento.
Un attimo dopo, mi fu addosso. 
<< Cosa vuoi da me? Perché mi fai questo?!>>
<< Dovresti saperlo!>> ruggì, strappandosi la veletta di dosso.
Ci fu un turbinare di capelli rossi dalle sfumature sanguigne, e nel giro di pochi istanti mi ritrovai faccia a faccia con la donna del mio incubo.
La pelle diafana, gli occhi viola, la seducente bocca piegata all'insù, in un sorriso sardonico.
<< Dovresti saperlo... >> ripeté, posandomi un casto bacio sulla fronte, come si fa con i morti.
<< Non lo so! Non so niente! Lasciami in pace... ti prego!>> mi misi a singhiozzare.
Ma le sue labbra non smettevano di sorridere.
Incapace di sopportare oltre, mi coprii il volto con le mani e non cessai di piangere finché non ebbi le dita completamente zuppe.
Non so per quanto tempo rimasi lì, ad affogare la paura nelle mie stesse lacrime... eppure, quando rialzai gli occhi, lei non c'era più.
Era scomparsa nel nulla... svanita nell'aria. 
Proprio come una fugace apparizione tra la nebbia... o meglio, come un fantasma.

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Angolo dell'autrice: 
Alloraaa! Come sempre grazie a tutti per aver letto fin qui... e bla bla bla! Insomma, mi sono resa conto che all'inizio scrivo sempre le stesse cose, quindi stavolta mi sono prefissata di non annoiare nessuno ed essere semplice e concisa U.U 
Ci riuscirò? Bah, ne dubito fortemente, ma almeno ci provo! Ahahahah XD 
Duuuuunque dunque dunque!
All'inizio di questo capitolo ci troviamo a fare i conti con quello che è successo dopo l'incendio, e come era prevedibile la situazione è tutt'altro che rosea. Insomma, è morta della gente che non può avere una degna sepoltura perché irriconoscibile, il conte si ritrova senza una gamba, la famiglia senza più una casa e mille altri impicci. Poi, come si è già visto, la nostra Lamia nasconde qualcosa, ma in compenso, ha ammesso di aver sbagliato con Miguel... arrivando addirittura a chiedergli scusa... beh! Miguel che non viene insltato da lei per più di un capitolo è una vera rarità! U.U 
Però devo ammettere che vederla così "tranquilla" mi ha fatto un pochino senso XD Proprio come Miguel la preferisco di più quando è burbera ed isterica <3 
Ma chissà quale incarico sarà, questo che riguarda "E."? 
E che ne dite della parte al cimitero con Ame? Devo dire che mi ha fatto uscire pazza quel punto del capitolo... davvero! E spero di aver reso abbastanza l'idea di "cimitero" che avevo... bah!
E... dolcisinfundo c'è di nuovo quella benedetta tizia che ogni tanto compare a rompere le scatole... eh, già! Ultimamente sono molto cattiva con Amelie <.< gliene faccio capitare di tutti i colori... poverella! Vedrò nel prossimo capitolo se riesco a farmi perdonare allora... chissà! *tralalalalalalààà* 
 Ed ora i ringraziamenti! U.U 
Ringrazio Lady Moonlight per aver aggiunto questa storia alle seguite e come sempre le fantastiche ragazze che hanno recensito l'ultimo capitolo: PinkyRosie FiveStars, WhiteGirl_Chan, Muffin_90 e LizzieMC111
Alla prossima!
Un bacio 
Rob 
<3

 

 

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Capitolo 28
*** Lontano ***


Lontano

_ Miguel_

Avevo passato la notte insonne.
I locali malfamati dell'East-End pullulavano come sempre di gente; le calde luci a petrolio filtravano attraverso le imposte, proiettando all'esterno strani giochi ottici, fatti di ombre  in movimento e sagome colorate.
I mendicanti si affollavano per le strade, parandosi stoicamente davanti le vetture in movimento, nella vana speranza di destare pietà in qualche facoltoso passeggero. 
Ben pochi di loro riuscivano nell'intento; tutti gli altri erano costretti ad arrangiarsi da soli, a rubare di nascosto o, più semplicemente, a morire di fame. E questo perché agli occhi della società, quelle vite valevano meno di niente.
Sbuffai annoiato, fermandomi esattamente al centro della strada.
I passanti mi evitavano, mi stavano alla larga, cambiando direzione ogni qualvolta m'incrociavano sul loro cammino.
Ovviamente ignoravano chi fossi; ma i loro sensi, seppur poco sviluppati, percepivano qualcosa di sbagliato in me, qualcosa di anormale... da temere quanto la morte stessa.
E facevano bene.  
Chiusi gli occhi per concentrarmi meglio, acuendo istantaneamente i sensi.
Poco dopo, giunse l'esplosione: una miriade di rumori, odori e sapori s'addensarono nella mia mente, pulsando come grosse arterie recise di netto.
Sentivo i gemiti gutturali dei clienti all'interno dei bordelli, le risate sguaiate delle prostitute, il fruscio dei loro abiti succinti e poi più lontano, oltre il quartiere, il vagito di un bimbo abbandonato.
Ma a che serviva sforzarsi così tanto?
Era inutile.
Dovevo semplicemente arrendermi all'idea che per quella sera non avrei concluso niente.
Ormai giravo a vuoto da ore e francamente, cominciavo a perdere la speranza.
Quante volte ero stato depistato?
Quanti scambi di persona?
E quanti falsi allarmi?
Avevo gozzovigliato in giro da una bettola all'altra senza mai giungere ad un indizio. Ed " E ." non era altro che un fantasma dispettoso, sadico, che si divertiva a disseminare Londra di tracce invisibili.
Infuriato, accartocciai il biglietto che mi aveva consegnato Lamia, buttandolo con malagrazia a terra.
Che si fottesse lei e quel dannato bastardo!
Eppure sentivo la pelle formicolare, i sensi costantemente in allerta, come se sapessi che prima o poi qualcosa di brutto sarebbe inevitabilmente accaduto.
Anche la Mimesis bruciava e la calma apparente di quella notte, non faceva altro che amplificare quella terribile sensazione.
<< Buon'uomo... un po' di carità!>> gorgogliò un ometto sudicio, afferrando con tutte le sue forze un lembo del mio mantello.
Lo guardai con indifferenza, notando le sue vesti logore emanare l'odore dell'alcol.
<< Aiutatemi... sto morendo di fame!>> insistette.
Gli sorrisi amabilmente, facendogli intravedere appena i canini.
Il suo volto rubizzo e supplichevole di colpo sbiancò.
<< No...>> mormorò, indietreggiando di qualche passo.
Gli occhi lucidi, pronti a scoppiare in lacrime da un momento all'altro.
<< N-no!>> continuò a dire.
Inutile specificare che la sua strana reazione m'incuriosì parecchio.
Non avevo snudato le zanne, né tantomeno mostrato il rosso luminescente dei miei occhi assetati dal sangue... ma nonostante tutto quell'uomo sembrava aver capito cosa fossi.
Avanzai di un passo, poi di un altro, intrappolandolo in un vicolo cieco.
<< N-non ti avvicinare, mostro!>> mi urlò contro, la voce tremolante come la fiammella di una candela in balìa del vento.
<< Come, prego?>> gli sussurrai all'orecchio, evitando di inalare l'odore nauseabondo che emanava.
Il suo corpo venne scosso da un tremito piuttosto violento, e prima che potessi fare o dire qualsiasi altra cosa, l'uomo cominciò a piangere senza alcun ritegno.
<< T-ti prego! Non mi uccidere!>> singhiozzò, << I-io... ho una famiglia... dei figli! Non ti basta aver preso la vita di mio fratello Jasper?!>>
Le sue parole mi spiazzarono completamente.
Chi era Jasper?
<< Non so chi tu sia...>> sibilai a denti stretti, stringendogli le mani attorno alla gola.
<< U-un attimo...>> ansimò, socchiudendo gli occhi per scorgere meglio il mio viso.
<< Tu non sei lui...!>>
Il mio sorriso si allargò, mentre un'enorme voragine sembrava aprirsi al di sotto del mio cuore.
<< Lui...>> ripetei, << Di chi stai parlando?>>
Sebbene avessi ancora le mani attorno al suo collo, l'ometto parve rilassarsi.
<< P-perdonatemi, signore! I-io devo avervi confuso con qualcun altro!>>
Oh, beh... risposta sbagliata.
Strinsi la presa fino a sentire le sue vene pulsare prepotentemente contro i miei polpastrelli, un battito dopo l'altro.
<< Come ti chiami?>> gli chiesi, sollevando le labbra in un sorriso cordiale.
<< Jack... signore! Mi chiamo Jackson Cole!>> si affrettò a rispondere.
<< Jack...>> gli feci eco, << Ci tieni alla tua pelle, no? >>
Jack annuì senza esitazioni.
<< Bene... ti propongo un patto. Se vuoi salva la vita, devi raccontarmi tutto quello che sai!>>
Alle mie parole, lui deglutì a fatica, strabuzzando gli occhi in continuazione.
<< I-io... non so niente...>> boccheggiò, << Niente!>>
Serrai ancora più forte le dita, fin quasi a farlo strozzare con la sua stessa saliva.
<< Sei un pessimo bugiardo, Jack...>> lo incalzai, << Ed io non ho molta pazienza con i bugiardi. Quindi sta a te decidere: vivere o morire? Dimmi quello che sai, e ti prometto che ti lascerò andare. >>
Jack mi fisso senza parlare per alcuni secondi; respirava pesantemente dal naso, poiché le sue labbra erano saldamente cucite l'una sull'altra.
Ancora qualche minuto e sarebbe andato in iperventilazione... eppure, nonostante tutto, quel disgraziato non aveva intenzione di aprir bocca.
Per un attimo lo trovai ammirevole, ma quanto ancora avrebbe resistito sotto la mia presa?
<< H-highgate.>> disse infine, prendendo quanto più fiato possibile.
Lo lasciai libero dalla mia stretta, tuttavia, invece che scappare ambe levate cadde a terra, atterrando malamente sulle ginocchia .
<< Highgate? Cosa vuol dire?>>
Jack tossì più volte, massaggiandosi con mani tremanti la gola.
<< Non so dirvi altro, signor mostro.>> sputò a terra, voltandosi a guardarmi con occhi astiosi. << Ma troverete nell'obitorio di Highgate tutte le risposte che state cercando.>>

---

Le prime luci dell'alba s'erano da poco affacciate all'orizzonte, rischiarando col loro splendore la cupa penombra all'interno dell'obitorio di Highgate.
Mi guardai intorno con aria circospetta, trattenendo il fiato per non respirare gli stomachevoli miasmi di morte e carne putrefatta.
La stanza era grande, spaziosa, ma piuttosto affollata.
Due eleganti finestre in stile gotico arieggiavano l'intero ambiente, che al momento ospitava in tutto sette persone, due delle quali - me compreso - ancora viventi.
<< Questo è l'ultimo?>> chiesi al mio interlocutore, scostando il telo bianco dal volto deturpato della vittima.
Ryan annuì senza parlare, gli angoli della bocca stranamente tirati verso il basso.
L'avevo letteralmente buttato giù dal letto, trascinandolo fino al cimitero affinché mi aiutasse con le indagini.
L'osservai di sottecchi, notando con crescente irritazione che teneva ancora  gli occhi bassi, incollati a terra, intenti studiare le varie macchie di sangue che sporcavano di rosso le mattonelle consunte del pavimento.
No, non era da lui essere così serio.
Mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato, dopodiché tastai la gola sbrindellata dell'uomo che giaceva privo di vita sulla brandina dell'obitorio; la ferita era profonda, seghettata, inferta con una tale violenza da strappare di netto la testa dal collo.
Il resto del corpo, invece, non presentava alcun segno di colluttazione.
O quasi.
<< Zanne.>> decretai alla fine, ritirando lentamente la mano.
<< Solo delle zanne ben acuminate possono aver compiuto un tale scempio.>>
Ormai chiuso nel suo mutismo, Ryan fece un altro segno d'assenso; il suo turbamento era inspiegabile, infondato, e aveva l'infausto potere d'innervosirmi fino all'inverosimile.
 << Allora?>> lo incitai, << Non hai niente da dire a proposito di questo pover' uomo?>>
Lui scrollò distrattamente le spalle, come se la vicenda in sé non avesse la benché minima importanza.
<< Jasper Cole, 47 anni, scapolo. Lavorava come valletto nella residenza dei McTully, a due isolati di distanza dal palazzo dei Von Kleemt.>>
Nel sentire il nome dell'uomo, un brivido gelido mi attraversò la spina dorsale.
<< Jasper...>> sussurrai, accarezzando il nome con la lingua.
Quello era lo stesso nome pronunciato da Jack.
Lo stesso uomo che mi aveva accusato di aver ucciso.
Osservai il suo volto asimmetrico, pallido e bianco come il telo che gli celava la parte inferiore del corpo.
Non l'avevo mai visto.
<< E gli altri?>> dissi pensieroso, voltandomi in direzione degli ulteriori quattro corpi.
<< I cadaveri sono stati rinvenuti tre ore fa, in luoghi diversi ma in linea d'aria tutti incredibilmente vicini alla casa di May Fair.>>
Possibile che i miei sospetti fossero fondati?
<< Causa del decesso?>> domandai.
<< Dissanguamento.>>
Inghiottii il fastidioso groppo che mi pressava la gola.
<< Sai cosa vuol dire?>>
Ryan distolse lo sguardo.
<< Lo sai?>> insistetti.
Il silenzio aleggiò indisturbato per alcuni secondi, mentre io e lui ci scrutavamo a vicenda. Non volava una mosca.
<< Allora?>> continuai.
Il suo cuore aveva d'un tratto accelerato il battito.
Potevo percepire l'odore acre e intenso della sua paura crescere a dismisura, fino ad impregnare quasi completamente l'aria.
Era terrorizzato.
<< No.>> si decise finalmente a rispondere, << Non lo so. Ma posso immaginarlo...>>
Ricoprii con cura il cadavere di Jasper Cole... poi, un puntino rosso catturò la mia attenzione.
<< Dimmi, Ryan... Con chi credi che abbiamo a che fare?>>
Il giovane scosse vigorosamente la testa.
<< Non ne ho idea... forse un Ghuldrash?>>
Trattenni le risate a stento.
<< Un Ghuldrash? Oh, no. Se fosse stata opera di quelle bestie, ce ne saremmo accorti da un bel pezzo. >>
<< Giusto...>> concordò, << Non si sono trasformati. Ma allora...>>
<< Sì. È esattamente come sembra>> lo interruppi.
Vidi i suoi occhi incupirsi, fino ad assumere il medesimo colore del mare in tempesta.
<< Ho sperato fino all'ultimo che non fosse così...>> mormorò a bassa voce, quasi tra sé e sé.
Evidentemente, anche lui era giunto alla mia stessa conclusione.
<< Guarda qui...>>  lo invitai, scostando il lenzuolo per mostrargli l'avambraccio di Jasper Cole.
C'era una macchia di sangue raggrumato sulla sua pelle, una ferita poco visibile e profonda appena un millimetro.
Mi ero accorto della sua presenza perché aveva sporcato la stoffa di sangue.
<< Il segno di una scheggia...>> affermò Ryan, grattando il grumo rosso scuro.
Poi, improvvisamente, il suo viso cambiò espressione.
<< A-aspetta, Miguel...>> disse alzando gli occhi dalla ferita, << Guarda meglio, presto!>>
Aguzzai lo sguardo sul braccio del cadavere, poi capii.
Una piccola "E" era stata incisa a sangue sulla sua pelle; controllammo anche gli altri corpi, trovandovi il marchio della lettera impresso esattamente nello stesso punto.
<< Oh, Cristo!>> imprecò Ryan, << È davvero possibile?>>
Lo guardai con aria scettica, inarcando appena il sopracciglio destro.
<< Beh... a quanto pare questo "E."  si diverte a giocare con noi. Conosce le nostre mosse e sa anticipatamente come reagiremo. Come un gatto con il topo, ci gira intorno silenziosamente, aspettando il momento propizio per divorarci.>>
Una gocciolina di sudore gli scivolò velocemente dalla fronte.
<< Ma quali sono le sue intenzioni? Che scopo ha fare tutto questo?>> domandò esasperato, indicando i corpi stesi sulle brandine.
<< Hai detto che le vittime sono stare rinvenute in linea d'aria vicino alla casa londinese dei Von Kleemt, giusto?>>
Ryan annuì.
<< Quindi... dato i precedenti, l'avvertimento di "E." è piuttosto chiaro.>> sibilai, << Se il cerchio si restringe, i prossimi a cadere saranno i Von Kleemt.>>

_ Amelie_

Raggiunsi l'uscita del cimitero in uno stato catatonico; la mente altrove, le gambe che si muovevano unicamente per inerzia.
Il pallido sole mattutino s'affacciava timidamente tra le nuvole, mentre Highgate cominciava ad affollarsi.
C'era gente un po' ovunque.
Vidi un uomo sulla sessantina ripulire la tomba della moglie dalle erbacce, e una giovane coppia di sposi piangere mestamente la scomparsa della loro bambina. Senza volerlo mi fermai a guardarli.
Doveva essere terribile perdere un figlio, specialmente se così piccolo.
Proprio in quel momento, due anziane signore mi passarono accanto, chiacchierando fitto fitto tra di loro.
Ma c'era qualcosa di strano.
Continuavano a voltarsi nella mia direzione, indicandomi costantemente con la mano.
"L'hai guardata bene? " sibilò una.
" Cos'ha in faccia?" replicò l'altra, accostando la bocca all'orecchio della sua comare.
La vecchia annuì, facendosi in fretta e furia il segno della croce.
Supposi che al momento il mio aspetto non fosse dei migliori e senza dar loro peso, continuai dritta per la mia strada.
Volevo solo andarmene al più presto... dimenticare tutto. Rinascere a nuova vita; priva di memorie istintive e ricordi; pura, come quella bambina impietosamente sepolta nella nuda terra.
Finalmente mi ero lasciata alle spalle quel desolato luogo di morte, ma invece di trovare carrozza e cocchiere ad attendermi, m'imbattei nel vuoto più assoluto.
Che fine aveva fatto quell'uomo?
Con un crescente senso d'angoscia cominciai a girare su me stessa, nella vana speranza di scorgerlo da qualche parte.
Poi, senza preavviso, una mano si posò sulla mia spalla facendomi sussultare.
<< Miguel!>> esclamai, << C-cosa ci fai tu qui?>>
Lui mi guardò intensamente, facendomi annegare nell'abisso azzurro dei suoi occhi.
Peccato che quell'incanto fosse destinato a non durare troppo a lungo.
<< Io? Cosa ci faccio qui... io?>> ringhiò a denti stretti, le sopracciglia aggrottate in un'espressione più che eloquente.
<< Sai che potrei farti esattamente la stessa domanda, vero?>> continuò, la voce vellutata ma fredda come il suo sguardo.
Annuii mestamente, dopodiché sospirai affranta.
<< Come sapevi di trovarmi qui?>>
Lui non rispose, ma restò a fissarmi con aria interrogativa.
<< Allora?>> lo incitai.
Davanti alla mia insistenza, sbuffò esasperato.
<< Non sono affari tuoi...>> disse infine, rivolgendo lo sguardo all' entrata dell'obitorio.
Cosa c'era di così interessante in quell'edificio spaventoso?
Stavo appunto per ribattere qualcosa, quando Miguel si fece avanti, afferrandomi rudemente il viso.
<< Ci sono dei segni rossi qui... dei graffi.>> dichiarò, toccando appena le mie guance.
Per un attimo, rividi con gli occhi della mente le iridi violacee di quella donna... le sue unghie affilate, il suo sorriso crudele... ed ebbi l'impressione di non avere più la terra sotto i piedi.
Mi mancava l'aria.
<< A-avevo prurito e mi sono grattata.>> mentii spudoratamente.
Per mia grande fortuna, lui non parve accorgersene.
O forse no?
<< Tu mi stai nascondendo qualcosa, Amelie. Cosa ti è successo?>>
<< Assolutamente niente!>> replicai.
<< Mi credi forse così stupido? Sei terrorizzata... e questi... beh, non hai le unghie così affilate e lunghe da riuscire a farteli da sola.>>
Mi guardai con astio le mani, furiosa con me stessa per non essere riuscita ad inventare qualcosa di meglio.
<< Allora?>> m'incalzò.   
<< Mi sono semplicemente graffiata!>> insistetti.
Sorprendentemente, riuscii a dirlo con una tale convinzione da abbindolare persino me stessa.  
<< Beh, fatto sta che non devi andare in giro da sola. Non senza una scorta.>> mi rimproverò, lasciando la presa sul mio volto.
Ma con quale coraggio osava darmi ordini?
Proprio lui, che dalla notte dell'incendio mi parlava a malapena!
<< Non mi è permesso neanche venire al cimitero e pregare?>> sbottai, << Non mi è permessa un po' di libertà?>>
Miguel mi fissò in silenzio per alcuni secondi, poi il suo sguardo tanto freddo ed inespressivo si addolcì.
<< Ti prego di perdonarmi. Ero semplicemente preoccupato per te, mio Piccolo Tarlo... >> mi sussurrò sensualmente all'orecchio, mentre con estrema delicatezza, le sue braccia mi cingevano in un caldo abbraccio.
Inebetita dalla sua risposta, lo lasciai fare.
Ma com'era possibile?
Tutta la rabbia e l'irritazione che avevo provato nei suoi confronti, svanirono all'istante, spazzate via da un'illogica sensazione di felicità.
La freddezza dei giorni passati mi appariva ora così finta, così irreale, come un'enorme messa in scena mal'orchestrata.
Quindi chiusi gli occhi e mi abbandonai completamente a lui.
Posai le mani sulla sua schiena ampia, accarezzandogli le scapole e i muscoli tesi al disotto dei vestiti.
Senza rendermene conto, avevo sepolto il viso sul suo petto, respirando a pieni polmoni il suo profumo così irresistibile.
Oh, maledizione!
Quanto avrei voluto mettermi in punta di piedi e baciarlo!
Fremevo letteralmente dalla voglia... peccato solo che non me ne diede il tempo.
Nel giro di un secondo mi aveva afferrato il volto, impossessandosi della mia bocca subito dopo.
Pareva un assetato a cui era stata offerta dell'acqua fresca.
Mi baciava con una tale irruenza da arrossarmi le lebbra, divorandole pezzo per pezzo.
Per un istante il mondo che ci circondava si oscurò completamente, ed io riuscii a dimenticare tutto... ogni cosa: l'incendio, la morte di Josephine, il messaggio lasciato da "E."... ma non il volto spietato di quella donna...
Nel ripensare a lei, una fitta lancinante mi colpì la bocca dello stomaco.
Mi staccai bruscamente da lui, rifiutando di guardarlo negli occhi.
Non volevo che mi vedesse in faccia, non quando ero così prossima al pianto.
<< Ti ho fatto male?>> chiese preoccupato, tirandomi a sé.
Scossi violentemente la testa, approfittando dell'occasione per nascondere il viso sul suo petto.
<< Sei scappata di nascosto, vero? >> mormorò contro i miei capelli. La sua domanda mi lasciò di stucco.
Come faceva a saperlo?
<< Si...>> confessai, << Non ne potevo più di fare la reclusa in casa! E poi...>>
<< " Poi" cosa?>> mi rimbeccò, stringendo ancora di più la presa.
Inghiottii il groppo che avevo in gola, allontanandomi da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
<< E poi... volevo rendere omaggio a Josephine, pregare per lei e per gli altri. Da quando ci siamo trasferiti a May Fair, voi... tutti voi, non avete fatto altro che proibirmi di uscire e di farmi vedere in giro!>>
La sua mascella s'indurì.
<<  È il prezzo da pagare per la tua protezione.>>
<< La mia protezione?>> ripetei incredula, << Quale protezione?!>>
<< Credi forse di essere al sicuro?>> mi inveì contro, alzando di colpo la voce.
<< Sei così stolta da crederlo davvero?>>
In poche occasioni l'avevo visto così adirato, ed ogni volta... tra noi due era finita male. Mi ritrovai improvvisamente a trattenere un urlo, mentre lui mi stringeva le mani contro le sue, incurante del mio dolore.
Era come se da un momento all'altro potessi sentire le falangi rompersi sotto la sua presa.
Poi, un sorriso crudele gli illuminò il volto.
<< Lo so che mi stai nascondendo qualcosa... lo sento. Quindi sputa il rospo.>>
Avrei voluto parlargli della donna che avevo incontrato poche ore prima nella cripta di famiglia, ma qualcosa m'induceva a rimanere in silenzio.
<< L'hai voluto tu, ragazzina!>> ringhiò a denti stretti.
Ancor prima che potessi ribattere, mi ritrovai sollevata da terra, stretta nella morsa delle sue braccia.
<< Dove mi stai portando? Maledizione, Miguel... Fammi scendere!>> urlai.
Vidi i suoi denti luccicare di sadico splendore e i suoi occhi vacillare impazziti dal rosso all'azzurro.
Non era più in sé.
<< Ti porto lontano da qui! Highgate è pericoloso. Ogni luogo, per te... è pericoloso!>>
In quel momento, sentii la collera accrescere a dismisura, fino ad incendiarmi le viscere.
Tremavo di paura.
Morte e desolazione s'erano da un giorno all'altro impadronite della mia vita, costringendomi a subire silenziosamente le angherie di un destino infausto .
<< Credi che non lo sappia?!>> gridai disperata, << Ma cos'altro posso fare?! Dove posso andare?! >>
I suoi occhi mi fulminarono imbestialiti, ma invece di ribattere qualcosa, si limitò a rallentare il passo, fino a fermarsi del tutto.
<< E questo cosa vuol dire?>> domandai in preda allo stupore, mentre una carrozza trainata da quattro cavalli ci veniva incontro.
Nel riconoscerla, provai un moto d'indignazione: era la stessa che mi aveva abbandonato quella mattina.
<< Prego.>> disse il cocchiere, aprendo gentilmente la portiera della vettura.
Miguel fece un cenno col capo, liquidandolo subito dopo.
<< Che stai facendo?>> gli chiesi.
Ovviamente non rispose.
Si sbrigò a depositarmi sul sedile interno dell'abitacolo, prendendo posto accanto a me.
<< Allora?>>
Mi guardò intensamente negli occhi, imprigionandomi con lo sguardo.
Rimasi senza respirare per alcuni istanti, frastornata dallo sconvolgente potere che sembravano emanare quei pozzi senza fine.
<< Perchè mi fai questo?>> biascicai, sentendo le mie forze rifluire all'esterno.
Ero così debole... così assonnata.
Udivo con chiarezza i battiti del mio cuore farsi sempre più lenti, silenziosi... mentre secondo dopo secondo, venivo risucchiata dalle torbide oscurità delle sue pupille.
<< P-perché lo fai?>> ripetei.
La sua risata mi giunse appena, ovattata dal progressivo stordimento che mi annebbiava i sensi.
<< Perchè ti amo...>> disse con semplicità.
La sua voce era incredibilmente dolce, vellutata... pareva un sussurro di seta nel cuore della notte.
<< D-dove...>> tentai, << Dove m-mi porti?>> riuscii a dire, sentendo che la carrozza cominciava a muoversi.
Il trotto dei cavalli fungeva quasi da nenia.
Con estrema delicatezza, Miguel si fece avanti, sfiorandomi le labbra con le sue.
Ne assaporai languidamente la morbidezza, cosciente del fatto che da lì a poco non avrei più potuto farlo.
<< D-dove mi porti...?>>
Lui mi baciò nuovamente sulla bocca, dopodiché percepii la pressione delle sue braccia intorno al corpo.
Mi avvolgeva la vita, i fianchi, le spalle... tutto.
Ed io non desideravo altro che sciogliermi in lui, completamente, fino a sprofondare in quell'oscuro oblio così simile alla morte.
<< Lontano... >> bisbigliò suadente al mio orecchio, << Lontano da qui, lontano da lui... Lontano tutto questo.>> 

 
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Angolo dell'autrice! 
Saaaaaaalve!
Ebbene, no... mi dispiace deludervi ma non sono morta! XD 
Finalmente dopo i secoli dei secoli sono riuscita ad aggiornare, e mi duole profondamente avervi fatto attendere così tanto! 
Purtroppo, per quanto riguarda la stesura di questa storia, la crisi esistenziale è sempre dietro l'angolo e gli impegni con l'accademia si moltiplicano a vista d'occhio! Quindi niente... spero che possiate perdonare questa povera peccatrice che per addolcire la pillola... ci ha fatto scappare qualche baccetto tra Ame e Mig! In fin dei conti, è San Valentino anche per loro! Ahahaha! 
Cooooomunque! 
Riguardo a questo capitolo posso affermare di aver avuto delle difficoltà nel completarlo, ma alla fine in qualche modo ce l'ho fatta! 
Ovviamente sono ben lungi dall'essere soddisfatta, ma c'est la vie! XD 
Pooooi, qui abbiamo un Miguel allo stremo delle forze che si ritrova a dover affrontare un nemico invisibile, sadico e con la fissa per i messaggi criptati... (mandare un sms, no?) che li ha letteralmente circondati. Poi, Ame e Mig si ritrovano esattamente nello stesso posto... Sarà un caso? Bah bah bah!
E poi boh... non so che dire! Quindi fate voi! 
Vi ringrazio come sempre tutti dal più profondo del cuore... 
Un bacione 
Rob 
<3

 

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Capitolo 29
*** Perseguitato Dalle Ombre ***


Perseguitato Dalle Ombre
 

_ Miguel_

Sebbene il terreno fosse poco accidentato, i continui sbalzi della carrozza non facevano altro che irritarmi.
Provavo in tutti i modi a mantenere la calma, ma era più forte di me: essere sballottato da una parte all'altra mi dava a nervi.
Stufo dell'ennesimo scossone, inveii mentalmente contro la pessima guida di David, ripromettendomi, una volta giunti a destinazione, di licenziarlo seduta stante.
Non ce la facevo più... ero letteralmente a pezzi; stanco delle innumerevoli notti passate in bianco, dei sedili scomodi, del freddo pungente e delle eccessive ore di viaggio.
Ma non era il troppo star fermo a rendermi irrequieto, tutt'altro.
La mia mente era percorsa da un costante senso d'allerta, la Mimesis bruciava e nell'aria c'era qualcosa di strano, stantio... sinistro.
Era dalla notte dell'incendio, che mi trascinavo dietro quella sgradevole sensazione, e ancora non riuscivo a liberarmene.
Mi ero illuso che col tempo sarebbe tutto svanito, l'avevo fatto più volte... ma le ore passavano, i giorni si alternavano ed io non trovavo pace.
Ero perseguitato dalle ombre.
Sospirai pesantemente, dopodiché mi abbandonai contro lo schienale del sedile imbottito.
Volevo spegnere il cervello, isolarmi dal resto del mondo e non pensare più a niente.
Peccato solo che non potessi farlo: avevo troppe cose di cui preoccuparmi e poco tempo a disposizione.
Infatti, mi ero ritrovato ad agire d'impulso, attuando il "piano B" prima ancora di avvisare la contessa.
Nel ripensare a Lamia, un sorriso mi solcò le labbra.
Chissà quanto si sarebbe adirata, nello scoprire che la sua adorata bambina era sparita nel nulla.
Pregustavo ad occhi chiusi la scena, rimpiangendo amaramente di non essere lì per potervi assistere.
Ma non avevo "rapito" Amelie per divertimento, e nemmeno per fare un torno a Lamia.
Oh, no.
L'avevo portata via con me per un'unica ragione: proteggerla dalle minacce di "E.".
Quell'essere senza volto era sulle sue tracce, lo era sempre stato... sempre, fin dall'inizio.
Tuttavia, sarebbe dovuto passare sul mio cadavere, prima di torcerle anche solo un capello.
Per la prima volta in vita mia, mi ritrovavo faccia a faccia con qualcosa che andava ben oltre il mio controllo, il mio potere, le mie capacità... e ne ero terrorizzato.
Completamente.
Ma cosa poteva mai volere un pericoloso serial killer, dal mio Piccolo Tarlo?
Ripensai al passato, a tutto quello che mi era capitato negli ultimi mesi e feci il punto della situazione.
I Von Kleemt nascondevano qualcosa, questo era sicuro... ma cosa?
Magari era tutto legato alla follia di Ravaléc, ai suoi rancori nei confronti del conte James... o forse al sangue di Amelie?
Quella domanda attanagliava la mia mente in continuazione, ma più mi arrovellavo in supposizioni e congetture, più non venivo a capo di niente.
Era come se qualcosa mi bloccasse, impedendomi di giungere ad una conclusione.
La sola cosa certa riguardava la morte Ravaléc; il suo omicidio non era stato casuale, ma ben architettato.
Un vero e proprio colpo da maestro, volto a distogliere la nostra attenzione da qualcosa o qualcuno di molto importante.
Quindi, era stato un diversivo, una copertura, un clamoroso tentativo di depistaggio.
Uno specchio per le allodole.
Normalmente, i Ghuldrash erano creature solitarie, non amavano muoversi in gruppo, e raramente attaccavano lo stesso posto una seconda volta.
Eppure, prima che andasse a fuoco, la defunta residenza di campagna dei Von Kleemt era divenuta un alveare, un vero e proprio nido per quelle creature infernali. Gli esperimenti di Ravaléc avevano dato vita ad una nuova stirpe di mostri, rendendoli quasi invincibili.
Ma come aveva fatto?
Per quanto la sua mente diabolica fosse geniale, il dottore non era solo in quell'impresa.
Qualcuno l'aveva aiutato.
E non era difficile immaginare chi fosse, in realtà, a tirare le fila.
Esausto, accostai la testa al finestrino, premendo le tempie contro il vetro gelido.
Per un breve istante, riuscii a rilassarmi; infiniti filari d'alberi e cespugli mi sfrecciarono accanto, giocando a rincorrersi oltre la linea dell'orizzonte.
Immaginai di stare fuori, all'aria aperta, la brezza della sera che mi pungeva il viso... ma l'incantesimo si spezzò all'istante, lasciandomi di stucco e senza fiato.
Con un notevole sforzo m'imposi di non guardarla, di non prestarle attenzione... ma come potevo?
Mi mancava l'aria.
L'intero abitacolo era pregno del suo odore, che alla stregua di un pericoloso gas tossico, aveva il potere di incendiarmi le narici, i polmoni, la gola... tutto! Rendendomi null'altro che il fantoccio di me stesso.
Alla ricerca di una qualsiasi distrazione, afferrai bruscamente la portiera della carrozza, stritolando la maniglia tra le dita.
Peccato che quel freddo metallo non potesse nulla contro la mia forza sovrumana.
Nel giro di pochi secondi, infatti, lo sentii incrinarsi sotto la mia stretta, deformandosi, fino ad assumere le sembianze di uno stampo, su cui era impressa la forma delle mie falangi.
Improvvisamente ci fu un'altra fitta, l'ennesimo senso di soffocamento, e il mondo circostante cominciò ad assumere infinite sfumature rossastre.
Oh no, non poteva accadere di nuovo, non in quel momento.... non con lei presente!
Ma non riuscii a contenermi.
<< Maledizione!>> imprecai furibondo, allontanandomi il più possibile dall'oggetto dei miei desideri.
Ma cosa potevo fare?
La crisi era in atto ed io avevo un disperato bisogno di nutrirmi.
Mi bastò posare lo sguardo su di lei, per sentire lo stomaco contorcersi ed aprirsi in un'enorme voragine. Senza volerlo m'inumidii le labbra, pregustando con gli occhi il sapore della sua pelle.
Amelie era bellissima, così dannatamente indifesa, disarmante... e del tutto ignara degli effetti devastanti che stava avendo sul mio equilibrio psicofisico.
La guardai fare una lieve smorfia nel sonno, mugolare appena, mentre con regolarità il suo petto si alzava ed abbassava, riempiendo l'aria di profondi respiri.
Aveva le spalle coperte da un pesante mantello di velluto, sotto il quale spuntava un abito nero, accollato, dalla gonna ampia, totalmente ricoperta di pizzo.
Oh, Dio... tremavo dalla voglia di strapparle di dosso quei vestiti!
Per un attimo la odiai, detestando con tutte le mie forze sia lei che il suo sangue delizioso.
Poi chiusi gli occhi, immaginandola placidamente avvolta dalle mie braccia: il collo niveo, scoperto, allungato verso di me in segno d'offerta.
A quel pensiero, indurii la mascella, serrando i denti che pulsavano indolenziti contro le gengive.
Quanto avrei voluto distogliere lo sguardo, allontanarmi e fuggire via... ma non potevo!
Non ci riuscivo.
Ero completamente ipnotizzato da lei, dal suo corpo, dal suo profumo inebriante.
Spinto unicamente dalla brama di sangue, mi sporsi in avanti, verso di lei.
Il mio volto a due respiri dal suo.
Oh, sì... io la volevo.
La desideravo.
E l'avrei avuta.
Senza perder tempo, mi avvicinai di più, sempre di più, scoprendole con delicatezza la gola pulsante.
La sua pelle era incredibilmente liscia, delicata, morbida come il petalo di una rosa.
Sfiorai con la lingua la linea affusolata del suo collo, denudai istantaneamente le zanne e... mi bloccai di colpo, soffocando l'urlo che minacciò di svegliarla.
La Mimesis era impazzita.
D'un tratto, la sua temperatura già sopraelevata divenne insostenibilmente alta.
Mi arse la pelle sullo sterno, ustionandola malamente.
Sembrava quasi che il metallo volto a rivestire la pietra fosse sul punto di liquefarsi.
Brutalmente risvegliato dal mio stato di trance, mi affrettai a staccarmi da lei, sbottonandomi con foga il colletto della camicia.
Sentivo la pelle friggere a contatto col ciondolo incandescente, ma incurante del dolore, lo afferrai a mani nude.
Non era normale che la Mimesis si comportasse così... non con me, perlomeno!
Vidi il rubino scarlatto rabbuiarsi, tingersi di nero, finché il bruciore non divenne costante ed insostenibile.
<< David!>> gridai, battendo le mani contro la parete della carrozza.
<< Per Dio! David, fermati!>>
Piuttosto interdetto, il cocchiere fece come ordinato.
Ma non aspettai che i cavalli arrestassero la loro corsa, no.
Non appena mi fu possibile, mi scaraventai fuori dalla vettura, accasciandomi a terra sotto lo sguardo sbigottito di David.
<< Mio signore!>> fece l'uomo angosciato, << Vi sentite male?>>
Le sue parole mi arrivavano a malapena.
Respiravo a fatica, annaspando tra le onde come un naufrago prossimo all'annegamento.
<< Mio signore!>> ripeté, correndo al mio fianco.
Lo sentii sollevarmi la testa e posare una mano ghiacciata sulla mia fronte, che ritirò all'istante, come se avesse appena ricevuto una violenta scarica elettrica.
<< Ma voi scottate!>> mugolò, << Avete la febbre alta!>>
Colto dal panico, David cominciò a guardare in tutte le direzioni alla ricerca di un soccorso.
Ma ci eravamo fermati in mezzo al nulla, avvolti da un fitto sentiero boscoso sulla strada del Nord.
<< Hai fatto quello che ti chiesto?>> sibilai a fatica, sforzandomi per guardarlo dritto negli occhi.
Lui annuì.
<< Ho inviato la vostra missiva alla contessa, nessuno sa dove siamo diretti.>>
<< Bene...>> sussurrai, provando ad alzarmi in piedi.
<< Cosa posso fare per voi?>> si preoccupò, tornando a tastandomi nuovamente la fronte.
Ma il breve contatto con la sua pelle, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi voltai lentamente nella sua direzione, lo trafissi con lo sguardo, dopodiché sollevai le labbra in un sorriso tetro.
Percepivo tutto, di quell'uomo: il suo sangue pompato dal cuore, le vene pulsanti, il respiro affannato.
Tutto.
Eppure... in un attimo, ogni cosa divenne futile, priva d'importanza.
<< Ho fame...>> ansimai, afferrandolo per il bavero della camicia.
<< Nutrimi!>>
Colto di sorpresa, il cocchiere cominciò a guardarsi in torno con aria circospetta, mentre alcune goccioline di sudore presero a solcargli la fronte.
<< S-siete affamato?>> domandò, << Oh, sì! Dovrei avere un tozzo di pane nella mia bors...>>
Non lo lasciai continuare.
Con una tale forza che non riuscii a trattenere, lo atterrai, bloccandogli le braccia sul suolo fangoso.
Dapprima il pover'uomo mi guardò terrorizzato, con i globi oculari che sembravano volergli fuoriuscire dalle orbite; poi aprì la bocca e provò ad urlare.
Impedirglielo fu facile.
Gli arpionai la gola con le zanne, mozzandogli il respiro in un istante.
Irruente come un fiume in piena, il sangue di David rifluì all'interno della mia bocca, risvegliando dal suo temporaneo assopimento la belva che dimorava dentro di me.
Ben presto, ogni suo tentativo di ribellarsi si rivelò inutile; le sue grida vennero smorzate, i muscoli si rilassarono e la coscienza abbandonò le sue membra sempre più deboli.
Lo sentii afflosciarsi tra le mie braccia, mentre la vita gli defluiva via, lontano, all'interno della mia bocca.
Quel sangue così essenziale per lui, così inestimabile... per me non era altro che un insipido surrogato, un ripiego, un rimpiazzo.
Era il lenitivo contro ogni dolore, l'analgesico che mi salvava dalla fame.
Per un attimo riuscii a rilassarmi, ma ben presto quel surrogato dal sapore insignificante divenne disgustoso, nauseante, corrosivo come acido.
In preda al dolore più cupo, mi staccai fulmineamente dalla giugulare dell'uomo, sputando a terra quanto più sangue potevo.
Dannazione!
Quello non era semplice sangue, no... ma veleno allo stato puro.
<< Miguel...>> mi sentii chiamare, << Cos'hai? Lo spuntino ti è andato di traverso?>>
Nel riconoscere quella voce, il mio corpo s'irrigidì all'istante.
Oh, no... non poteva essere lei.
<< Sorpreso... di vedermi?>> continuò in tono canzonatorio.
Come un automa privo di coscienza, mi voltai a guardarla.
La sua bellezza era disarmante, proprio come la ricordavo; i lunghi capelli rosso sangue le scendevano liberi dietro la schiena, mentre i suoi occhi d'ametista brillavano di folle perfidia. 
 << Lilith...>> sussurrai d'un fiato.
Lei fece un cenno divertito col capo, dopodiché arricciò le labbra in un sorriso crudele.
I denti bianchi ed aguzzi messi in bella mostra.
<< Da quanto tempo...>> bisbigliò sensualmente, inumidendosi le labbra con lascivia.
<< Mi sei mancato tanto.>>

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Angolo dell'autrice: 
Tadadadaaaaaan! 
Udite udite, finalmente questa pazza sconclusionata della sottoscritta ce l'ha fatta... in qualche modo ad andare avanti! So che sono stata imperdonabile, sono sparita dalla circolazione per tanto tempo... eppure, adesso sono qui T.T 
Mi scuso davvero per l'enorme ritardo, ma a fine mese ci sono stati gli esami ed io non ho potuto dedicarmi molto alla scrittura, inoltre, ho avuto delle difficoltà ENORMI con questo capitolo, che ho scritto e riscritto infinite volte... ma alla fine basta, mi sono decisa a laciarlo così!
Spero solo che sia di vostro gradimento! ç_ç 
Qui abbiamo un Miguel che non ce la fa più, è stanco di tutto e tutti, e per la prima volta si trova a dover combattere contro un nemico invisibile, che vuole fare la festa alla sua bella! Ma quel simpaticone di E. non è l'unico pericolo, per la nostra Amelie... in realtà la lista comincia ad essere piuttosto lunga, e primo fra tutti c'è lo stesso Miguel... sempre più assuefatto dal suo sangue. 
Purtroppo, ci va a rimettere un'innocente (evviva il mio sadismo! XD)
Miguel non sembra gradire la merenda e cigliegina sulla torta, compare Lilith ad incasinare ancora di più le cose! Yuppieee! (ok, non uccidetemi!) 
Detto questo, non ho molto con cui proseguire! 
Vi ringrazio per aver letto fin qui ed aver avuto la pazienza di aspettarmi con gli aggiornamenti.
La prossima volta cercherò di essere più celere! lo giuro! 
Poooooi, mi auguro che questo capitolo seppur corto vi sia piaciuto e se dovesse esserci qualcosa che non vi garba, qualche errore ecc. non esitate a dirmelo! Ogni critica è bene accetta! 
Ora vi saluto! 
Un bacione
Rob 

<3



 

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Capitolo 30
*** Il Padrone ***


Il Padrone

_ Amelie_  

Risvegliarsi fu come riaffiorare dalle acque, aprire i polmoni e respirare.
Sentivo l'adrenalina corrermi nelle vene, il sangue prender fuoco per poi trasformarsi in lava. Avevo fame, sete e un costante bisogno di prender fiato, come se l'aria non fosse mai abbastanza.
Spaventata da quel terrificante senso di soffocamento, spalancai gli occhi.
Il buio mi avvolgeva nel suo gelido abbraccio.
Non avevo idea di dove fossi, né perché mi trovassi lì, ma nonostante lo shock iniziale, riuscii a calmarmi. I battiti cardiaci rallentarono, il respiro si regolarizzò e tutto tornò alla normalità. O quasi.
Ricordavo di aver viaggiato a lungo, con il corpo che sobbalzava da una parte all'altra, disteso su qualcosa di scomodo. Poi il vuoto più assoluto.
Con un notevole sforzo di volontà, mi girai su un fianco.
Ero sdraiata in un grande letto, sotto pesanti coperte di velluto. Un flebile nastro di luce ambrata filtrava attraverso la stoffa delle tende, rendendo visibili i contorni di una grande stanza quadrangolare.
Afferrai alcuni lembi di tessuto, dopodiché feci leva sulle braccia per portarmi a sedere.
<< M-miguel?>> gracchiai, rivolta al nulla.
La mia voce era roca, bassa, impastata dal sonno.
Feci vagare ansiosamente lo sguardo all'interno dell'ambiente, trovandovi null'altro che una moltitudine di mobili impolverati e dalle fattezze antiquate. Un imponente guardaroba intagliato, risalente al quindicesimo secolo, si trovava di fronte al mio letto, mentre grandi quadri raffiguranti paesaggi e nature morte, decoravano pregevolmente le pareti di nuda pietra.
<< Miguel?>> insistetti, << Ti prego, rispondimi!>>
Ma il silenzio fu molto più eloquente.
Scansai le lenzuola di lato e mi portai in piedi.
Una leggera vertigine fece roteare la stanza, ma in qualche modo riuscii a non cadere.
Sulla sinistra, c'era un vecchio specchio dalla forma rettangolare addossato alla parete. Per un solo istante, la pallida figura riflessa al suo interno mi spaventò.
Avevo un aspetto orribile: ero spettinata, trasandata; le mie guance apparivano segnate da alcuni graffi, mentre le mie labbra erano screpolate, esangui, quasi cadaveriche.
Ma dov'erano finiti i miei abiti?
Fissai a lungo la ricca vestaglia di seta che mi fasciava la pelle: le lunghe maniche mi coprivano i polsi e l'orlo toccava terra. Era un capo indubbiamente bellissimo, ma troppo grande per me. A giudicare dalla misura, doveva appartenere ad una donna molto più alta.
Sospirai a fondo, poi feci un passo in avanti, in direzione dello specchio. Posai una mano sulla sua superficie; era liscia e fredda, poi spostai l'indice verso l'alto, come per toccarmi i solchi sulle guance.
Rabbrividii.
Il ricordo di quella donna non voleva abbandonarmi: rivedevo con gli occhi della mente le sue unghie affilate scalfirmi la pelle, i suoi occhi baluginare e il suo sorriso allargarsi crudelmente. Ordinai a me stessa di non pensarci.
Volevo solo dimenticare, scordarmi di tutto.
Così, ricacciai indietro le lacrime e i brutti pensieri, focalizzando l'attenzione sulla stoffa che mi ricopriva la pelle.
Qualcuno doveva avermi cambiato e messo a letto... ma chi?
Mi voltai in direzione della porta e mi diressi al centro della stanza.
Sebbene fossi circondata dal lusso, le mura trasudavano muffa, umidità e odore di chiuso.
Tutto, in quel luogo, faceva presagire che fosse disabitato da tempo immemore.
<< Ehilà...!>> dissi titubante, << C'è qualcuno qui?>>
Com'era prevedibile, l'unico suono che si udì fu l'eco della mia voce.
<< Rispondete, vi prego!>>
Ma niente.
Ero spaventata, delusa, frustrata... e sola.
Miguel mi aveva abbandonato di nuovo.
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi e la rabbia tuonare come una tempesta. Stavo quasi per mettermi ad urlare, quando un leggero rumore di passi me lo impedì.
La porta alle mie spalle si aprì impercettibilmente, poi si richiuse.
C'era qualcuno.
<< Chi c'è?>> sussurrai d'un fiato.
L'ansia mi premeva contro le costole, mozzandomi il respiro.
Avevo paura persino della mia stessa ombra.
<< Miguel, sei tu?>>
Una mano fredda si posò sulle mie spalle, facendomi sussultare.
<< Miguel!>> gridai, col cuore gonfio di speranza.
Ma invece dei suoi splendidi occhi azzurri, incontrai due vispe pozze color pece.
<< Spiacente, milady. Non volevo spaventarvi.>> disse l'intrusa.
Il sorriso si spense istantaneamente sulle mie labbra, raggelandomi il sangue.
<< Chi siete, voi?>> chiesi sull'orlo del pianto.
La giovane donna si fece avanti, chinando il capo in segno di rispetto.
Doveva trattarsi di una cameriera.
Aveva all'incirca la mia età, profondi occhi scuri e capelli nerissimi; nel complesso era una bella ragazza, ma qualcosa nel suo volto m'incuteva timore.
<< Il mio nome è Brigitte, milady. E ho il compito di prepararvi per la cena. Ormai manca poco al tramonto e il mio padrone desidera fregiarsi della vostra compagnia, stasera.>>
Rimasi immobile a fissarla.
Di che diavolo stava parlando?
<< Il vostro padrone?>> domandai incredula, << Che vuol dire? Mi dispiace ma non capisco... dove sono? Chi è il vostro padrone? Perché mi trovo qui?!>>
Senza volerlo avevo alzato la voce, ma non potevo farci niente.
Quella situazione era assurda ed io esigevo delle risposte.
Brigitte mi fissò contrariata, trattenendo a stento una smorfia di disgusto.
<< Saprete tutto a tempo debito, signorina.>> disse sprezzante.
<< Tutto a tempo debito?>> la rimbeccai, << Che vuol dire?>>
<< Semplicemente quello che ho detto.>> tagliò corto.
<< E Miguel? Il mio fidanzato... era con me, prima! Lui dove si trova?>> continuai imperterrita, afferrandole con forza le mani.
<< Come vi ho già detto, saprete tutto a tempo debito.>> replicò impettita, << Ed ora seguitemi, per favore.>>

---

L'ostentata reticenza di Brigitte era sfiancante.
Ogni tipo di approccio nei suoi confronti, si era rivelato inutile, al punto da costringermi a desistere.
Non voleva parlarmi, né tantomeno rispondere alle mie domande.
Quella maledetta ragazza aveva la bocca cucita, era muta come un pesce!
Cominciavo ad odiarla.
La guardai accendere un lumino e farmi strada; la fiammella della candela tremolava in balìa degli spifferi, proiettando a terra ombre deformi, allungate, terrificanti.
Osservai con timore alcuni fregi raffiguranti diavoletti, satiri e altre bestiole maligne, immaginando che da un momento all'altro quelle figure potessero prender vita e saltarmi addosso.
Beh, forse stavo diventando paranoica, lo ammetto... ma quel luogo trasudava oscurità da ogni crepa.
<< Che tipo di struttura è, questa?>> le chiesi, tanto per fare conversazione.
Avevo notato per caso alcune decorazioni a sfondo religioso sul soffitto; il Cristo al centro della "Deposizione" aveva un volto bellissimo.
<< Si tratta forse di una vecchia abazia sconsacrata?>> proseguii.
Brigitte si girò a guardarmi, sembrava scocciata.
<< No, milady. Questo è un castello medievale risalente all'undicesimo secolo. Pare che Re Stefano, allo stremo delle forze, l'abbia adoperato come fortezza contro i continui attacchi dell'Imperatrice Matilde, durante l'Anarchia.>>
Stupita dalla sua risposta, ammutolii.
Non sapevo come controbattere, quindi mi limitai a seguirla in silenzio.
Ci inoltrammo nei meandri della struttura, percorrendo insieme un lungo corridoio in pietra.
Attraversammo diversi ambienti, fino varcare la soglia di un imponente salone. Le finestre erano alte, strette, nascoste da pesanti teli di broccato nero, che impedivano alla luce di trapelare all'interno dell'edificio. La sola fonte d'illuminazione era costituita da eleganti candelabri d'argento a più bracci.
Alcuni arazzi di antica fattura adornavano l'ambiente, ma nel complesso, le pareti risultavano spoglie ed ingrigite dalle infiltrazioni d'acqua. Solo l'alto soffitto arcuato manteneva l'originario splendore, sebbene in alcuni punti l'intonaco fosse irrimediabilmente rovinato.
<< Dove mi stai portando?>> chiesi d'un tratto, stufa di quel mutismo snervante.
<< Abbiate pazienza, milady. Il maniero è grande, ma siamo quasi arrivate.>>
La vidi svoltare a sinistra, poi prendere le scale.
Salimmo due piani, attraversammo diversi cunicoli, fino a ritrovarci in un'ampia stanza da bagno.
<< Questa è Olivia, milady. Vi aiuterà a prepararvi.>> disse, presentandomi ad una donna bionda, sulla cinquantina.
Olivia mi sorrise amabilmente, dopodiché Brigitte lasciò la stanza.
Colsi immediatamente l'occasione per rivolgere le mie domande alla donna, ma anche lei sembrava restia a parlare.
<< L'acqua è calda, milady. Volete che vi aiuti a spogliarvi?>>
La guardai esterrefatta, arrossendo fino alla radice dei capelli.
<< N-no.>> balbettai imbarazzata, << F-faccio da sola, grazie!>>
Aspettavo che anche lei si congedasse, ma niente.
<< Puoi andare...>> la pregai.
Sperai in vano che mi ascoltasse, ciò nonostante Olivia scosse la testa.
<< Oh, no. Il padrone mi ha detto di badare a voi per tutto il tempo. Sono qui per servivi.>>
<< Capisco...>> sibilai, fortemente contrariata.
Le viscere mi si contorsero dalla rabbia.
Chi era questo fantomatico "padrone"?
Cosa voleva da me?
Ma soprattutto... che fine aveva fatto Miguel?
<< Questa è la vasca.>> affermò, scortandomi con delicatezza all'interno di un altro ambiente.
Il vapore caldo mi appannò momentaneamente la vista, poi si diradò.
Olivia si era premunita di trascinarmi al centro di quello stanzino circolare, claustrofobico, con le pareti basse e ricoperte di specchi.
Nel vedere le nostre immagini riflesse così tante volte, mi sentii soffocare.
Pareva quasi che fossimo circondate da una moltitudine di persone.
Una folla.
<< Che stana stanza da bagno...>> biascicai, cercando di non apparire troppo scossa.
Olivia sorrise.
<< Un po' eccentrica, vero? Piaceva molto alla madre del padrone.>>
Stavo quasi per farle un'altra domanda, quando sentii le sue mani liberare i bottoni della mia camicia da notte, dalle proprie asole.
<< Olivia, ti ringrazio... ma come ti ho già detto prima, vorrei spogliarmi da sola!>>
La donna arretrò di un passo, senza mai smettere di fissarmi.
Avevo qualche problema a mostrarmi nuda davanti a lei.
Di solito mi lavavo da sola, oppure mi facevo aiutare dallapove ra Josephine... ma non era mia abitudine spogliarmi di fronte a persone estranee!
Controvoglia, mi sfilai dalla testa la vestaglia ed entrai nella vasca da bagno.
Nonostante gli ultimi avvenimenti, il contatto con l'acqua mi rilassò all'istante: era calda al punto giusto e profumava di lavanda.
Nel frattempo Olivia s'era fatta avanti e con mani sapienti, prese a massaggiarmi il capo, la nuca, le tempie.
Aveva un tocco estremamente delicato.
Respirai a fondo, dopodiché chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue carezze.
Che senso aveva opporsi?
Non ce la facevo più.
Ero stanca... di tutto.
Stanca dei continui segreti, delle morti, dell'ignoto.
Un attimo prima ero tra le braccia dell'uomo che amavo, l'attimo dopo in un luogo sconosciuto, ostile, circondata da persone che non conoscevo.
Senza rendermene conto, scoppiai in una fragorosa risata isterica.
La situazione era talmente surreale da sembrare comica.
Lasciai che il tempo mi scivolasse addosso, come l'acqua, finché Olivia non ebbe finito di lavarmi i capelli.
<< Ecco fatto, milady!>> disse avvolgendomi nell'asciugamano.
Stavo quasi per ringraziarla, quando la porta si spalancò.
<< Questi ve li manda il padrone.>> esordì Brigitte, entrando in fretta e furia.
<< Sono per voi.>>
Esaminai attentamente il fagotto informe che la ragazza stringeva tra le mani, rimanendo a bocca aperta.
<< Per me?>> ripetei scettica.
La cameriera più giovane annuì.
<< È un regalo del padrone, signorina. Vuole che lo indossiate per la cena.>>

---

Quando i preparativi furono ultimati, Olivia mi trascinò nuovamente nella stanza degli specchi.
<< Da qui potrete rimirarvi in tutte le angolazioni.>> disse con aria soddisfatta.
Immaginai di essere investita per la seconda volta da una nuvola d'umidità, ma sorprendentemente, la vasca era svanita e con essa, anche il vapore acqueo.
L'aria era asciutta e gli specchi privi di aloni.
<< Hai fatto un buon lavoro Olivia, il padrone ne sarà contento.>> approvò freddamente Brigitte, fermandosi sulla soglia.
Seppur restia a farlo, non riuscii a contenere la curiosità; staccai gli occhi dal pavimento, li fissai in direzione degli specchi ed avvampai.
Per un attimo mi sembrò di avere le traveggole: stentavo a riconoscermi.
Incerta sulle gambe feci un passo in avanti, mi voltai di profilo, piroettai sul posto e mi cimentai in una riverenza.
Davvero, quella non ero io, ma a malincuore dovetti ammettere che il "regalo" del padrone mi calzava a pennello.
Si trattava, infatti, di un magnifico abito da sera color verde smeraldo, privo di maniche, col bustino stretto in vita e la gonna estremamente ampia.
Sebbene il taglio fosse un po' antiquato, il vestito era di una bellezza sconvolgente.
Con mani esitanti, accarezzai la seta tesa sul corpetto rigido, gli intarsi di stoffa, le delicate decorazioni in pizzo sulla scollatura, fino a risalire al girocollo in madreperla e smeraldi.
Due orecchini a goccia, di medesima fattura, mi adornavano i lati del viso, mentre alcuni boccoli ribelli scendevano languidamente tra le mie scapole.
Osservai con attenzione l'intricata acconciatura, i ricchi fermagli di smeraldo... poi spostai lo sguardo poco più in basso, sul mio viso leggermente truccato, irriconoscibile.
Il verde dell'abito richiamava in parte il colore dei miei occhi, che ora apparivano incredibilmente grandi e profondi.
Non mi erano mai parsi così belli.
Mi sfiorai appena le ciglia, seguii con l'indice la linea dello zigomo e mi soffermai sulle gote.
Un filo di cipria nascondeva alla perfezione i segni dei graffi, tanto da farmi dubitare della loro esistenza.
<< Siete davvero bellissima, milady!>> esultò Olivia.
A differenza di quella musona di Brigitte, lei era veramente entusiasta.
<< Oh, b-beh...>> balbettai imbarazzata,<< G-grazie mill...>>
<< Mi dispiace interrompervi, signorina. Ma ho l'ordine di scortarvi dal padrone.>> intervenne Brigitte.
Peccato che la sua fugace occhiata malevola, non fosse sfuggita né a me né a Olivia.
<< Da questa parte.>> continuò.
La seguii senza esitazione, sebbene un terribile senso di nausea mi stesse scombussolando lo stomaco.
Avevo paura dell'ignoto, di quello che di lì a poco avrei dovuto affrontare.
Non sapevo cosa aspettarmi.
<< Siamo arrivate.>> m'informò dopo qualche minuto, fermandosi dinnanzi ad un antico portone di quercia.
Con aria annoiata bussò due volte, dopodiché abbassò la maniglia e mi fece entrare.
Non appena misi piede nella stanza, un forte odore d'incenso, vernici e spezie orientali mi colpì in pieno viso.
Era tutto talmente illogico, assurdo, irreale...
Mi guardai intorno con aria sognante, gli occhi che guizzavano impazziti da una parte all'altra.
Non avevo mai visto nulla di simile.
La stanza era enorme, di forma ottagonale; il marmo scuro del pavimento era lustro, rigato da una miriade di venature bianche; sul soffitto brillava un maestoso lampadario di cristallo, mentre una meravigliosa tavola imbandita dominava centralmente l'ambiente.
Ero estasiata.
Eppure, tutto quel lusso svaniva in confronto alla magnificenza delle pareti.
Centinaia di dipinti di ogni forma e dimensione le tappezzavano completamente: c'erano raffigurazioni sacre, paesaggi, nature morte... ma in particolar modo, ritratti di donna.
Mi avvicinai alla parete più vicina per scorgere meglio le opere d'arte, focalizzandomi soprattutto su un piccolo quadro dalla cornice argentata.
Era incredibile, davvero... ma la fanciulla dipinta sulla tela, somigliava tantissimo a mia sorella Eva.
Strizzai bene gli occhi, facendomi ancora più vicina.
I lineamenti della ragazza erano delicati e perfetti come i suoi; stesse labbra, identico taglio degli occhi, ma i capelli erano molto più chiari, biondi, dorati come quelli di Lamia.
Oh, mio Dio... quella era Lamia.
Sbigottita dalla scoperta, presi a scandagliare ogni superficie pittorica, trovandovi spesso il volto adolescenziale di mia madre.
C'era lei vestita a festa, da camera, con graziosi fiocchi azzurri tra i capelli e bambole di pezza tra le mani.
Poi, qualcosa cambiò.
Alla figura di Lamia si aggiunse quella di un'altra giovane, che a giudicare dalle fattezze, doveva avere qualche anno più di lei.
Potevo vederne gli abiti raffinati, la pelle candida e i folti capelli scuri, ma non la sua fisionomia.
I tratti del viso erano stati brutalmente cancellati dall'artista, che con pennellate estremamente violente, s'era accanito sul supporto in tela fin quasi a bucarlo.
Man mano che andavo avanti, le immagini di Lamia diventarono sempre più rare, fino a svanire del tutto.
C'era solo quella misteriosa ragazza senza volto.
Mi chiesi chi fosse, perché conoscesse la mia matrigna, ma soprattutto cos'avesse fatto di male per meritare un simile destino.
<< Vedo che la mia piccola pinacoteca ha destato il vostro interesse, mia cara...>> esordì una profonda voce maschile alle mie spalle.  
Trasalii all'istante, voltandomi con aria colpevole.
Dopodiché fu questione di un attimo: incontrai gli occhi verdi dello sconosciuto e il mondo prese a girare al contrario.
Ero incredula, spaesata... completamente esterrefatta.
<< P-padre?>> mugugnai, dubitando delle mie stesse facoltà mentali.<< Cosa ci fate qui?>>
Lo vidi avanzare e prendermi la mano.
<< Mi dispiace deluderti, bambina.>> affermò dolcemente, << Ma mi confondi con qualcun'altro.>>
 Un momento... com'era possibile?
Quell'uomo era la copia esatta di mio padre!
<< Smettila papà... n-non prendermi in giro! Cos'è tutta questa farsa? N-non è affatto divertente!>> risi nervosamente, indietreggiando senza volerlo.
Lui mi accarezzò teneramente una guancia, dopodiché scosse la testa.
<< Non sono tuo padre.>>
<< E allora chi siete?!>> domandai.
L'uomo restò a fissarmi senza emettere alcun suono, l'espressione del suo volto era imperscrutabile.
<< Esigo delle risposte, signore! Se non siete mio padre, chi diavolo siete?!>> ripetei ansimando.
Sentivo il tessuto del corpetto schiacciarmi il cuore, i polmoni, le viscere... mi mancava l'aria.
Con un gesto incredibilmente fluido, lo sconosciuto mi afferrò per la vita, tirandomi a sé per abbracciarmi.
<< Mi chiamo Nigel von Kleemt, signorina. Padrone di questo castello e fratello maggiore dell'uomo che chiami "padre".>> sussurrò contro i miei capelli, << È un vero piacere conoscerti!>>

 
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Angolo dell'autrice: 
Salve a tutti! 
Se siete arrivati qui, in questo punto, vuol dire che avete letto il capitolo fino alla fine, e ve ne sono immensamente grata! 
Diciamo che stavolta Madama Ispirazione è venuta a trovarmi un po' prima e non ho fatto passare eccessivamente troppo tempo dall'ultimo aggiornamento! :D 
(ok, forse sbaglio XD) 
Cooooomunque, eccoci qui! 
Vi avevo lasciato in compagnia di Miguel e Lilith, la scorsa volta... e invece adesso vi catapulto in tutt'altro luogo, con una sfilza di nuovi personaggi! Ora, vi starete chiedendo che cosa brulica nell mia mente bacata, che diavolo è successo ad Amelie per ritrovarsi in un luogo tanto strano... ma soprattutto che fine abbia fatto il nostro Miguelito... eh! Scoprirete tutto nella prossima puntata (forse XD) 
Fatto sta che cambiare aria non fa troppo male, e mi sono uccisa per descrivere al meglio l'interno del castello (chissà se ci sono riuscita? Mah!) 
Qui facciamo la conoscenza di Brigitte, Olivia e dolcisinfundo... Nigel! 
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di loro a primo acchitto, ecco! Soprattutto per quanto riguarda Niguel, che a dispetto di quanto avevo immaginato inizialmente, credo che si rivelerà un personaggio molto importante! 
Poi c'è anche il fatto dei dipinti sfregiati e di Lamia... ma sorvoliamo... ;D
Quindi niente! Ringrazio tutte le persone che leggono, e le magnifiche ragazze ch recensicono nonostante io sia una frana negli aggiornamenti... è grazie a voi se trovo la forza per andare avanti! 
Ma non voglio farvi venire il diabete con le mie smancerie, quindi alla prossima! 
Spero di non farvi aspettare troppo! 
Un bacione
Rob

<3

 

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Capitolo 31
*** Meine Liebe ***


Meine Liebe

_ Miguel_

Rosso.
I miei occhi non riuscivano a vedere altro.
Proprio come una pericolosa malattia virale, lo sentivo invadermi il corpo e contaminarmi, mentre le insidiose spire della fame mi avviluppavano lo stomaco. Di nuovo.
Improvvisamente, un lampo di luce squarciò le tenebre che mi circondavano: mi ritrovai al centro di una camera semibuia, spaziosa, con un grosso letto a baldacchino addossato alla parete.
Credevo di essere solo, ma c'era qualcuno... in quel letto.
Un uomo disteso supino, immobile, rigido e pallido come un'eterea scultura di marmo.
Fissai a lungo quei lineamenti fini e marcati allo stesso tempo; gli zigomi alti, ben cesellati; il naso dritto e la bocca severa.
C'era tanta famigliarità in quel volto addormentato... forse fin troppa.
Decisi così di avvicinarmi al suo capezzale, spostare le coperte e guardare meglio.
Quando fui abbastanza vicino, il cuore rallentò di qualche battito, poi prese ad iniettarmi ghiaccio nelle vene.
Le lenzuola bianche erano sporche di sangue; le scostai di lato, scoprendo una profonda ferita sanguinolenta, dentellata, che gli squarciava trasversalmente la gola.
Ma quello era solo l'inizio.
Il resto del corpo era ridotto a un colabrodo... completamente devastato.
C'erano graffi, escoriazioni, ustioni e vasti ematomi violacei un po' ovunque; le braccia erano piene di solchi scavati nella carne, mentre il petto era disseminato da tanti piccoli forellini ravvicinati.
Segni inconfutabili di artigli e zanne.
Eppure, tutto il mio stupore svaniva di fronte a quel viso.
Il mio viso.
Senza rendermene conto, mi accostai ancora di più al letto.
Sentivo una strana eccitazione percorrermi la spina dorsale; era come osservare la propria immagine attraverso uno specchio d'acqua torbida.
Era tutto sbagliato, inesatto, distorto.
" Quanta bellezza..." fece la voce dei miei incubi, prendendo vita dal nulla.
Fu allora che mi resi conto di star sognando.
Vidi la sua immagine materializzarsi da una spessa coltre nera, che svanì senza lasciar traccia dopo pochi secondi.
" Tu..." bisbigliai.
Avevo gli occhi di brace, affilati come lame.
" Sei lento a guarire..." constatò con aria soddisfatta, " Devo averti fatto molto male."
" Potrei dire lo stesso di te." replicai sprezzante.
Lei si limitò ad annuire con la testa.
" Credevo fossi un gentiluomo, Meine Liebe..." sussurrò sensualmente, inumidendosi le labbra sull'ultima parola.
Meine Liebe.
Erano decenni ormai che non venivo più chiamato con quell'appellativo... ma udirlo dalla sua voce, fu come farsi strappare il cuore dal petto.
" Cosa pretendevi, eh? Che ti accogliessi a braccia aperte?" le inveii contro.
" Perché no? Sono pur sempre tua..."
" Taci... lurida puttana! Non sei un bel niente, per me! Hai capito? ... Niente!"
La collera m'incendiava il sangue a tal punto da farmi attorcigliare le viscere dalla fame.
Il dolore che ne derivò fu lancinante, così intenso da farmi crollare sulle ginocchia.
Senza poterlo impedire, mi accovacciai a terra, cullato dal suono delle sue risate.
" Oh... quanto adoro vederti al limite, Miguel... Sei terribilmente invitante, così tormentato... fuori controllo, completamente schiacciato dalla brama di sangue."  disse con la voce arrochita dal desiderio.
" Fottiti." sibilai a denti stretti.
I suoi occhi d'ametista guizzarono nei miei.
Erano pozze profonde, senza fine, ricolme d'interessata malizia.
" Sai, mi è venuta nostalgia: rimpiango te, noi due... i vecchi tempi. Come posso esserti stata lontano per così tanto tempo?"
Per un attimo, le sue parole sfrontate ebbero il potere pietrificarmi.
Poi, senza che potessi rendermene conto, percepii il suo tocco artigliato sulla pelle, le unghie contro il collo, la spina dorsale... le spalle.
Era come giocare con la cuspide avvelenata di uno scorpione.
" Maledizione, Lilith! Che cosa ci fai qui?!Dimmelo!" ringhiai, preda della furia più nera.
D'un tratto, lo scenario mutò insieme al mio umore; la stanza scomparve, si dissolse nel nulla insieme ai mobili, al letto e al mio corpo dormiente; svanirono le pareti, mentre una densa nebbia d'alabastro colmò di fumo lo spazio vuoto.
" Meine Liebe..."
Le sue dita mi sfiorarono delicatamente la guancia, facendomi rabbrividire nonostante cercassi in tutti i modi di restare impassibile.
Ma come potevo contenermi, fingere indifferenza... o mantenere la calma?
Era semplicemente assurdo!
Non ce l'avrei mai fatta!
Lei era lì, di fronte a me... e il mio corpo fremeva all'idea di staccarle la testa dal collo.
Come sarebbe stato esaudire quel desiderio?
Assaporare la libertà, la gloria... il gusto della vendetta?
Mi bastava chiudere gli occhi per immaginarlo; ma invece che quietarmi, quella visione sortì l'effetto contrario.
" Cosa ci faccio qui?" mi fece eco, caricando la sua voce di provocante aspettativa.
" Avanti, parla!" gli ordinai perentorio.
Lilith si mosse sinuosamente, come un rettile velenoso.
Oh, mio Dio... volevo ucciderla, farla finita una volta per tutte.
Non sembrava una cosa troppo difficile.
Bastava afferrare la Mimesis, liberare la lama e fare un taglio netto alla base della gola.
Sarebbe stato un lavoro pulito, asettico, quasi chirurgico.
Non potevo fare errori, né tantomeno permettere alle emozioni di avere il sopravvento.
" Oh, beh..." disse lei, facendosi sempre più vicina.
" Non sei contento di vedermi, Miguel?"
La vidi cingermi le spalle e non poter far nulla per fermarla.
Sembrava quasi che una forza invisibile avesse preso possesso dei miei muscoli, pietrificandoli all'istante.
" Tu non sei veramente qui... questo non è reale!" sussurrai contro i suoi capelli setosi.
Avevano addosso l'odore acre dei fiori secchi.  
" Vuoi che ti lasci libero?" chiese, " Ne sei proprio sicuro?"
Feci per risponderle, ma d'un tratto avevo perso l'uso della parola.
" Shhh... non mi serve una risposta, Meine Liebe... " continuò, posando le labbra sull'incavo del mio collo.
Provai a liberarmi dalla sua presa, a contrastarla, ma le forze sembravano avermi abbandonato del tutto.
Ero debole... inerme, come la preda tra spire di un grosso serpente.
" Vieni con me... abbandona tutto, accetta la mia offerta!" disse, graffiandomi con forza la scapola destra. Un fastidioso pizzicore m'infiammò la zona colpita, che si arrossò subito dopo.
" Tu sei pazza!"
" Può darsi... ma cerco solo di salvarti la vita." mormorò.
La sua voce era lieve, delicata come una carezza.
" Salvarmi la vita!" replicai furioso, " E da cosa?Da chi!?!"
Nell'udire le mie parole, il suo volto si rabbuiò all'istante.
" Niente è come sembra, Meine Liebe... niente. Il fardello che porti al collo è una magra eredità, una maledizione che grava costantemente sulla tua testa. Il suo potere è troppo grande... smisurato, e tu non sei abbastanza forte per poterlo controllare. Non ora che la 'rottura' è imminente."
" Questo lo so anche io..."
ammisi a malincuore, "Ma non posso far altro che aspettare!"
Lilith scosse la testa, lentamente, gli occhi fissi nei miei. Sembrava volermi scavare dentro.
" Lascia che ti aiuti..." m'implorò, "Lascia quella sciocca ragazzina umana al suo destino. Lei non ti riguarda, non è per te...!"
Nel ripensare ad Amelie, sentii l'aria venirmi meno e il terreno mancarmi sotto i piedi.
Pochi passi mi separavano dall'orlo del baratro.
" Tu... come osi!." gridai, " Come osi insozzarla con le tue sudice labbra? Non hai il diritto di parlare di lei!"
Il suo sorriso aguzzo si allargò a dismisura.
" Avrei dovuto ucciderti!" ammisi con amarezza.
" Sì..." concordò, " Avresti dovuto... ma non l'hai fatto. Ed ora ne subirai le conseguenze, Miguel. La tua 'compassione' non è altro che debolezza: presto o tardi ti si ritorcerà contro."
Percepivo il suo alito fresco sulla gola.
" Vattene!" la minacciai, " Lasciami in pace!"
" Non posso..."
Avvicinò il volto al mio, le sue labbra erano schiuse, sensuali, dipinte di sangue vermiglio.
" Esci dalla mia mente!" continuai.
" E perché dovrei farlo? Mi diverto così tanto qui con te..."
 A quel punto non ci vidi più: i ricordi del passato mi ferirono gli occhi, la mente ed il cuore, innescando dentro di me la scintilla della follia.
Sentii l'odio esplodermi nel petto, la rabbia annebbiarmi la vista, dopodiché le sue urla stridule invasero l'aria, riecheggiando nelle ombre, fino ai più oscuri recessi del mio cervello.
Ero io a tenere in pugno la situazione, non lei.
Si trattava della mia mente, del mio inconscio e del mio mondo onirico.
Si trattava di me.
E lei non aveva alcun potere.
Rinvigorito da una nuova, prorompente ed incontrollabile forza, spezzai le catene invisibili che mi tenevano prigioniero.
Non ero più sotto il suo controllo: ora comandavo io.
Con una violenza inaudita la spinsi a terra, bloccandole ogni via di fuga.
" E ora ti diverti?" le ringhiai contro, le zanne snudate, pronte a squarciarle la gola.
Lilith cerò invano di liberarsi, di spingermi via, ma le sue braccia avevano perso ogni vigore.
Erano rami spezzati.
Deboli fuscelli ricoperti da un sottile strato di muscoli.
" Che c'è?" sibilai divertito, " Ti sto facendo male?"
A malapena riuscì a prender fiato per parlare.
" Oh, sì... " gracchiò, " Ma è estremamente eccitante vederti così... Meine Liebe!"
" No! Non chiamarmi in quel modo!" ringhiai, stritolandole i collo con le mani.
Sentii le mie dita affondare nella sua carne, di più, sempre più a fondo.... fino a bloccarle il respiro e la circolazione sanguigna.
Passarono alcuni interminabili secondi, scanditi dalle grida e dagli spasmi; poi venne il silenzio.
Non sentivo più niente.
I suoi occhi avevano smesso di brillare, il cuore di pompare sangue e i polmoni di riempirsi d'aria.
Era rigida, fredda, immobile come un involucro vuoto.
Senza batter ciglio, continuai ad osservarla a lungo, finché non decisi di abbandonare la presa e lasciarla libera.
Non appena le mie dita si staccarono dal suo collo, la testa ricadde all'indietro.
Un tonfo sordo.
Sentii il suo cranio cozzare col pavimento e qualcosa di caldo rigarmi le guance.
No, non potevo piangere... non per lei.
Non dopo quello che aveva fatto.
Eppure le lacrime che m'invadevano gli occhi erano inarrestabili.
" Perchè sei tornata?" domandai, conscio di non poter ricevere una risposta.
Ci fu un fruscio d'aria gelida, dei sussurri fluttuanti, poi i rimasugli della sua essenza si polverizzarono tra le mie mani.
Mille coriandoli luminosi mi caddero addosso.
Polvere alla polvere...
Uno strano senso di quiete si posò sul mio cuore: finalmente se n'era andata, l'avevo cacciata via... ed ero rimasto solo!
Ma l'euforia per quella constatazione si spense prima di sbocciare.
" Sono tornata per te, Meine Liebe..." esalò infine il silenzio, " Per te... e per lei..."

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Angolo dell'autrice: 
Saaaalve a tutti! In realtà mi trovo sempre un po' in difficoltà quando arrivo a scrivere le note finali, non so troppo bene il perché XD 
Comunque anche stavolta sono riuscita ad andare avanti, e come promesso, rieccoci con Miguel... che no, non è andato a fare una scampagnata in Nuova Zelanda!
Aaaaaallora... stavolta ci troviamo nella psiche del nostro Mig, in cui si è intrufolata quella "cara" ragazzuola... Lilith. Ora, sebbene abbia volontariamente saltato la parte che viene in seguito al loro incontro, credo che da alcuni scambi di battute si capisca cosa sia successo in realtà tra i due. Per chi non l'avesse capito, beh... di certo non si sono messi a giocare a dama insieme, ecco! 
Credo forse di avervi incasinato ancora di più le idee, ma ad essere sinceri, ho disseminato il capitolo di piccoli indizi riguardanti loro due. 
E niente... ora sta a voi farmi sapere se avete gradito o meno, se ci sono problemi, errori e via dicendo! Io sono sempre qui U.U
Inoltre, mi scuso come sempre per l'aggiornamento giunto in ritardo... ma capitemi! Sono in una fase cruciale della storia, dove è mooooolto dfficile giostrare le varie scene, i personaggi e le vicende che seguiranno! Ma nonostante tutto, sapere che ci sono persone che continuano a leggere e sostenermi, è davvero una cosa meravigliosa T.T Dico davvero e non mi stancherò mai di ricordarvelo! Grazie mille! Se non fosse per voi che leggete e commentate, non sarei di certo arrivata fino a questo punto! 
Quindi niente... vi chiedo solo di essere un po' pazienti con me... ma di tranquillizzarvi, perchè appena possbile troverò il tempo di aggiornare! 
Ancora mille grazie e ci vediamo alla prossima! 
Un bacione
Rob
<3

 

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Capitolo 32
*** Slyvermon ***


Slyvermon

_ Amelie_

Non potevo fare a meno di battere i piedi a terra.
Tap, tap, tap.
Un rumore continuo, fastidioso, dettato unicamente dall'agitazione che provavo in quel momento.
<< Trovo che questa sfumatura di verde ti doni molto, mia cara. S'intona perfettamente alle screziature dei tuoi occhi! >> disse il padrone di casa dall'altro capo del tavolo.
Mi stupii del suo tono di voce: era caldo, avvolgente e colloquiale.
Ci teneva che fossi a mio agio... ma come si dice, il troppo storpia e le sue eccessive premure dopo in po' sortivano l'effetto contrario.
<< Sei impressionante!>> continuò imperterrito, << Davvero bellissima... >>
Imbarazzata come non mai, mi affrettai a distogliere lo sguardo.
 << V-vi ringrazio...>> farfugliai a fil di voce.
Davanti al mio acceso rossore, non poté fare a meno di sogghignare divertito.
<< Non essere timida, bambina! È la pura e semplice verità...>>
Completamente a disagio, mi guardai intorno con aria spaesata.
Volevo alzarmi da tavola, correre via e fuggire lontano, ma la comparsa di Brigitte me lo impedì.
Spavalda come solo una nobildonna sapeva essere, la giovane serva si avvicinò silenziosamente al tavolo, la schiena dritta, il capo reclinato verso l'alto e le palpebre abbassate a mezz'asta.
Tra le mani stringeva una costosa bottiglia di vino bianco, molto pregiato, probabilmente di origine francese.
<< Posso?>> mi chiese, la voce un poco più stridula del normale.
Proprio come dettato dal galateo, fu costretta in primo luogo a servire me, poi il suo signore.
Ma la cosa sembrava infastidirla.
E Molto.
<< Gradite dell'altro?>> domandò in tono diverso, rivolgendo sguardi colmi d'ammirazione al suo padrone.
Nigel si limitò ad ignorarli e a scuotere il capo, congedandola con gentilezza, dopodiché un silenzio imbarazzante calò sulla tavola imbandita.
Mi rigirai nervosamente il calice di cristallo tra le dita, gli occhi fissi all'interno del bicchiere.
Oh mio Dio!
In che razza di situazione mi ero cacciata?!
Tesa come una corda di violino, avvicinai il bordo del calice alla bocca, bagnandomi appena le labbra.
Mi bastava odorare l'aroma di quel liquido trasparente e speziato per sentir girare la testa.
<< Il vino non è di tuo gradimento?>> si preoccupò lui.
<< Oh! N-no, signore...>> balbettai impacciata, << È veramente buonissimo, dico davvero...>>
<< Suvvia, figliola! Ti ho già detto di chiamarmi "zio". So che è difficile abituarsi all'idea, dopotutto non ci conosciamo affatto... io e te. Ma è quello che sono. Tuo zio Nigel!>>
Per poco il vino non mi andò di traverso.
<< Sì... certo.>> parlottai esitante,  <<  Ma vedete, è così strano per me... Fino a qualche ora fa non sapevo nemmeno della vostra esistenza...>>
Senza volerlo, mi ritrovai a fissare i suoi occhi verdi, tersi come un prato primaverile; erano talmente simili a quelli di mio padre da far venire i brividi.
Non solo per il colore o per il taglio, no... ma per l'espressione.
Trasudavano forza, saggezza, comprensione ed un'infinita modestia.
<< Ehi, bambina...>> disse sfiorandomi le guance, << No, non piangere... Sei al sicuro qui. Sei tra amici.>>
Incredula, mi portai una mano all'altezza degli occhi: aveva ragione lui, stavo piangendo.
<< M-mi d-dispiace...>> provai a dire, ma avevo la voce bassa, rotta, tremolante.
Somigliava ad un latrato.
Tentai nell'impresa ancora una volta, senza però avere successo: ero un fiume in piena, pronto a straripare da un momento all'altro.
Non potendo fare altrimenti, mi coprii il volto con le mani, abbandonandomi completamente alle lacrime.
Ma cosa mi stava accadendo?
Ero preda dello sconforto più nero. Mi mancava Miguel, la mia casa, la mia famiglia.
A malapena riuscivo a concentrarmi su me stessa, figuriamoci su quello che mi stava intorno.
<< Shhh, sta tranquilla... va tutto bene.>> sussurrò dolcemente il signore del maniero, lasciando il suo posto al solo scopo di consolarmi.
Si fermò dietro di me, cingendomi le spalle nude con estrema delicatezza.
Per un attimo ebbi l'istinto di scansarlo via, ma sorprendentemente, il calore sprigionato dalle sue mani riuscì un poco a calmarmi.
La sua vicinanza era rassicurante come l'odore di casa.
<< V-vi prego di p-perdonarmi, signore! I-il mio comportamento è deplorevole...>> singhiozzai.
Sentii le sue mani accarezzarmi la nuca, poi risalire l'acconciatura ed intrecciarsi ai miei capelli.
Giocherellò per alcuni secondi con i miei boccoli, infine, riprese posto a capotavola.
La sua espressione era indecifrabile.
<< Non preoccuparti, mia cara...>> mi tranquillizzò, << Immagino quanto tutto questo sia insostenibile per te...>>
Assentii poco convinta, asciugandomi gli occhi con un fazzoletto di stoffa.
<< Dobbiamo parlare, signor... ehm, zio!>> dichiarai, ritrovando finalmente la voce.
Lo vidi far cenno di "sì" col capo.
<< Avanti.>>
<< Si tratta di... tutto questo.>> iniziai, << Se sapete qualcosa... una qualsiasi cosa... vi chiedo di non esitare! Ditemi dove mi trovo! Perché sono qui, con voi? ... Ma soprattutto, che fine ha fatto Miguel? Lui era con me... ne sono certa! Che cosa gli è accaduto?!>>
Lui si agitò ansiosamente nella sedia, aggrottando le sopracciglia fino ad unirle.
<< Vuoi dire...>> cominciò esitante, << Che non sai niente? Sei all'oscuro di tutto?>>
Annuii vigorosamente.
<< Proprio così: non so nulla. Nessuno mi ha informato di alcunché! Ma insomma... è ora che io sappia! Non sono più una bimbetta col moccio al naso... sono una donna e ho tutto il diritto di apprendere la verità!>> urlai, incapace di controllare le mie corde vocali.
<< Mi sembra giusto...>> concordò Nigel, incrociando le braccia al petto.
Lo guardai spaesata.
<< Dite davvero?>>
<< La penso esattamente come te, bambina. Devi conoscere ogni cosa...>> spiegò, afferrando coltello e forchetta. A stento riuscivo a trattenere una nuova ondata di lacrime.
<< Ma prima, mangiamo.>> aggiunse poco dopo.
Feci per controbattere, ma un dito si posò sulle mie labbra per zittirmi.
<< Saprai tutto a tempo debito. Ed ora... rilassati!>> 
Muta come un'ombra, Brigitte ricomparve alle mie spalle con la cena.
Le numerose portate vennero servite in tavola, mentre con maestria mio "zio" Nigel m'intratteneva con curiosi aneddoti riguardanti le svariate ricostruzioni del castello avvenute nel corso dei secoli.
Mi nutrii del suo cibo, del vino, delle sue parole coinvolgenti, ma trascorsi il resto della serata in silenzio.
Non avevo voglia di parlare, non quando mi trovavo a brancolare nella totale ignoranza.
Il non sapere era una sensazione orribile, mi faceva sentire inutile, superflua... debole.
Ed ero stanca di esserlo.
Volevo poter decidere per me, conoscere la situazione, fare qualcosa!
Era un peccato così grande, desiderare una cosa del genere? Avere un minimo di potere decisionale sulla mia vita... un briciolo di libertà?
D'un tratto, il debole suono di un violino mi riportò alla realtà.
La cena era terminata e al centro della sala svettava l'esile figura di un musicista attempato.
Nel vederlo star ritto come un fuso, sussultai di sorpresa. Era come se fosse spuntato fuori dal nulla.
<< Lui è Claude. A causa di un incidente, ha perso l'uso della parola.>> m'informò Nigel.
Mi voltai in direzione del violinista, che prontamente abbassò il capo in segno di rispetto.
<< Mi dispiace molto.>> sussurrai.
<< Oh, non preoccuparti. Sono passati tanti anni... ed oramai è la sua musica a parlare per lui!>>
Bastarono uno sguardo e un lieve cenno da parte di Nigel, che Claude ricominciò a suonare.
La melodia era incredibilmente famigliare, dolce, cadenzata... ma non riconobbi l'autore.
<< Un brano di Bach! Non è meraviglioso?>> domandò mio "zio" alzandosi da tavola.
Lo vidi avvicinarsi con disinvoltura e porgermi il palmo.
<< Balliamo?>> m'invitò, con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Fui tentata dalla voglia di rifiutare, non ero decisamente dell'umore... ma non riuscii a dire di no a quegli occhi imploranti.
Era come se a chiedermelo, fosse stato mio padre. 
<< E va bene...>> mi arresi, << Ma solo se promettete di dirmi tutto.>>
Nigel ci pensò un po' sopra, pareva titubante.
<< D'accordo...>> disse dopo una lunga pausa, dopodiché mi trascinò al centro della stanza ottagonale e cominciammo a danzare.
Vidi le pareti vorticare a suon di musica, le mille tonalità sgargianti dei dipinti confondersi l'una all'altra, fino a formare un arcobaleno di macchie, scie e spruzzi di colore.
Indiscutibilmente, Nigel era un ballerino provetto, forgiato da numerosi balli e ricevimenti.
Si muoveva nella stanza con destrezza, facendomi volteggiare al suo fianco da una parte all'altra.
All'improvviso, ebbi come l'impressione di poter respirare di nuovo, a pieni polmoni.
Tutta la tensione e la pesantezza che mi schiacciavano le membra sembravano essersi dissolte nell'aria, spazzate via dalla melodia di Claude.
L'ultima volta che avevo danzato così, a cuor leggero, era stato durante il ballo dei Woodville, in compagnia di Miguel.
Nel constatarlo, un macigno si posò nuovamente sul mio cuore.
Non riuscivo a non pensare a lui.
Durante le ultime ore passate in compagnia di Nigel, mille ipotesi si erano affollate nella mia mente: poteva essergli capitato di tutto.
Forse Miguel si era sentito male; quei mostri orrendi chiamati Ghuldrash erano ricomparsi; qualcuno l'aveva ferito, rapito... o peggio: mi aveva abbandonato di sua spontanea volontà.
Molto probabilmente non l'avrei mai più rivisto.
Ed il solo pensiero mi uccideva.
<< Slyvermon.>> disse improvvisamente Nigel, sospirando.
<< Che cosa?>>
<< Slyvermon...>> ripeté, << Ci troviamo a Slyvermon: uno sperduto paesino al confine tra lo Yorkshire ed il Lincolnshire. >>
<< Slyvermon...>> gli feci eco, assaporando il nome tra le labbra. Suonava incredibilmente famigliare.
<< Se non sbaglio, i von Kleemt possiedono delle terre da queste parti...>>  
Lui annuì e per un attimo, i suoi occhi verdi baluginarono di commozione.
<< Questo è il luogo dove io e James siamo cresciuti. I ricordi della nostra infanzia, sono impigliati all'interno di queste spesse mura di pietra. >>
Mi fece fare una piroetta, poi continuò con tono nostalgico.
<< Dubito che il mio fratellino abbia mai menzionato il mio nome...>>
<< Infatti...>> mormorai, << Ho sempre creduto che fosse figlio unico. Ma cosa è accaduto tra voi? Avete per caso litigato?>>
Mio zio si limitò a distogliere lo sguardo.
<< Sei molto perspicace, ragazza.>>
Nel vedere la sua espressione rabbuiarsi, mi sentii incredibilmente in colpa.
<< Oh, vi prego di perdonarmi! Non volevo essere indiscreta...>> mi affrettai a dire.
Lui scosse la testa, sorridendomi appena.
<< Non ha importanza. Sono storie vecchie ed io non ho nessun problema raccontartele. Vivo in solitudine da così tanto tempo, che avere compagnia mi fa uno strano effetto...>>
Detto questo, il ballo s'interruppe e noi ci fermammo in mezzo alla sala.
Nigel fece un cenno a Claude, che prontamente si ritirò senza fare rumore.
<< Vedi, mia cara... io e Jamie siamo gemelli, pochi secondi decretano chi nacque prima e chi dopo, ed essendo io il fratello maggiore, il titolo di conte sarebbe dovuto passare convenzionalmente a me. Crescemmo in simbiosi per tanto tempo, l'uno la metà dell'altro, come se insieme formassimo un unico essere, perfetto e completo... ma poi l'era dei giochi e delle corse a cavallo terminò. La società ci impose chi frequentare, i nostri genitori come affrontare le situazioni, finché non arrivò una donna a separarci definitivamente: Luoise Deplére... la donna che chiami "madre".>>
Sentire il vero nome di Lamia, mi scombussolò non poco.
Nessuno osava chiamarla in quel modo da moltissimo tempo.
<< Eravate innamorato di lei?>> chiesi senza pensarci.
Mi bastava abbracciare con lo sguardo l'intero ambiente, per trovarvi la sua immagine impressa sulle pareti, all'interno di numerosissimi quadri.
<< Oh, no... tutt'altro! All'inizio la detestavo!>> rise divertito, << La vedevo come una nemica, un'intrusa, qualcuno da combattere. In fin dei conti, non era altro che la ragazzina bionda e pestifera che mi rubava l'affetto di mio fratello! Ma come ben sai, odiarla è impossibile e dopo qualche tempo, divenne la mia migliore amica. Tutto sembrava andare per il meglio... fin quando non ci fu un terribile incidente in cui morirono i nostri genitori. Portai in salvo Jamie, ma non riuscii a salvare gli altri... e lui non me lo perdonò mai. Ci fu una lite tra di noi, una tremenda e bruttissima lite. Senza volerlo volarono parole pesanti, insulti e pugni, ci riducemmo l'un l'altro in fin di vita. Fu tua madre a separarci.>>
Lo guardai sbigottita.
<< E poi? Cosa successe?>>
Nigel aveva gli occhi umidi di lacrime e la fronte solcata da profonde rughe orizzontali.
Rivivere quei momenti lo faceva soffrire molto, eppure non potevo fare a meno di voler sapere atro.
Mi sentii una completa egoista, un'insensibile... ma non riuscivo a fermare la mia curiosità.
<< Beh, poi ci separammo del tutto. Gli lasciai il titolo di Conte e mi ritirai in questo castello, in solitudine, a pagare per le mie colpe. Non ho più avuto sue notizie da allora... fino ad adesso...>> concluse in tono sornione.
<< Cosa volete dire?>> domandai, il cuore in ansia.
Mio zio Nigel mi carezzò una guancia, regalandomi un sorriso radioso.
<< Circa una settimana fa, tuo padre mi ha mandato una missiva, in cui mi spiegava cosa fosse accaduto negli ultimi tempi... fino all'incendio. So che c'è un pericoloso assassino sulle tue tracce, che sei in pericolo e mi ha chiesto di ospitarti qui con me, almeno finché la minaccia non sarà definitivamente sventata.>>
Quindi era quella, la verità!
Sopraffatta da quella mastodontica quantità d'informazioni, fui costretta a poggiarmi a lui per non cadere.
<< Volete dire...>> esitai a parlare, << Che è stato tutto calcolato? Ogni cosa?>>
Nigel mi abbracciò con calore, assaporando il profumo dei miei capelli.
<< Proprio così, mia cara. I loro preparativi per un viaggio, a Londra, non erano altro che un diversivo. Stando alle ultime lettere, la famiglia si è trasferita a York facendo credere che anche tu sia con loro... ma non è così.>> affermò, stringendomi ancora di più nella sua presa.
Per un attimo mi sentii soffocare.
<< E Miguel?>> chiesi a bruciapelo, << Lui dov'è? Dovrebbe essere stato lui a portarmi qui. Che fine ha fatto? È fuggito? Perchè non mi ha detto niente?>>
Nel sentir nominare Miguel, Nigel s'irrigidì di botto, sciogliendo freddamente l'abbraccio che ci legava.
<< Quel demone dell'inferno...>> ringhiò, cambiando completamente espressione.
Era furibondo.
<< Dov'è?>> continuai spaventata.
Non era normale un mutamento d'umore così repentino.
Quasi stentavo a riconoscere l'uomo mite e gentile che avevo appena conosciuto.
<< Nelle mie stanze...>> sputò con odio, << A morire in pace...>>
Sentii il mio sangue tramutarsi all'istante in ghiaccio liquido, mentre il cuore galoppava impazzito contro la cassa toracica.
Sembrava essere in procinto di romperla.
<< A morire in pace...>> ripetei, la gola sempre più secca.
<< Vi prego, non scherzate!>>
I suoi occhi verdi mi trapassarono da parte a parte.
<< Io non scherzo affatto.>>
Il terrore s'impossessò del mio corpo, e come una furia mi avventai su di lui.
Nella speranza di ferirlo, gli tempestai il petto di pugni, che lui incassò senza batter ciglio.
<< Cosa gli avete fatto?!>> gridai disperata, << Mio Dio! Cosa gli avete fatto! Voglio vederlo! Io DEVO assolutamente vederlo, vi prego! Portatemi da lui!>>
Nigel bloccò i miei polsi, poi scoppiò in una fragorosa risata.
<< Sta calma, bambina. Calma! Io non gli ho fatto niente... Era già in quelle condizioni quando è arrivato qui, con te. Non so nemmeno come abbia fatto, ma è riuscito a portarti a Slyvermon sana e salva... al sicuro. Poi è crollato. Ha perso davvero troppo sangue e non riesce a guarire. Credo che non ce la farà.>> aveva la voce fredda, atona, inespressiva.
Mi liberai dalla sua presa, piombando a terra senza forze.
Ogni energia che avevo in corpo sembrava essersi esaurita di colpo, risucchiata nel nulla dalle sue stesse parole.
<< Portatemi da lui...>> lo implorai, << Vi prego!>>
<< Sei sicura? Quello che vedrai potrebbe non piacerti!>>
Provai a rispondergli, ma riuscivo solamente a piangere in modo disperato.
<< N-non m'importa!>> singhiozzai, << Voglio vederlo!>>
Sentivo che da un momento all'altro, il mio cuore avrebbe ceduto, lacerandosi dall'interno in mille pezzi.
Lui mi aiutò ad alzarmi, dopodiché mi posò un lieve bacio sulla fronte.
<< E va ben...>>
<< Toglile immediatamente le mani di dosso!>> ruggì una voce alle nostre spalle.
Entrambi ci voltammo in direzione della porta, trovandola spalancata verso l'esterno.
Una figura pallida e sanguinante si portò in avanti. A stento riusciva a tenersi in piedi senza capitolare a terra.
<< Oh mio Dio!>> urlai senza fiato, inorridita e sollevata al contempo.
<< Miguel!>>
Lui mi trafisse con occhi affilati come lame, scarlatti, del medesimo colore delle fiamme. Aveva le zanne snudate, la pelle solcata da profonde ferite ancora aperte e i lineamenti stravolti, irosi, induriti dalla fame.
Era spaventosamente bellissimo.
Con il terrore nel cuore, feci per precipitarmi tra le sue braccia, ma con una stretta decisa, Nigel me lo impedì.
<< Ferma dove sei!>> m'intimò, tirandomi bruscamente a sé.
<< Non ti muovere!>>
Si frappose fra me e Miguel, fungendo da scudo.
Vidi le pupille di Miguel dilatarsi, coprire l'intera iride imporporata dall'eccitazione per poi restringersi all'istante.
Ormai non era più lui, la brama di sangue aveva preso sopravvento sulla sua personalità, rendendolo schiavo dei suoi istinti più bassi.
<< Miguel...>> lo chiamai, ma i suoi occhi vedevano in me null'altro che cibo.
Potevo sentire la sua collera pulsarmi sulla pelle, nel sangue, all'interno del cuore.
Mi scavava dentro, nel profondo... divorandomi pezzo per pezzo.
<< Lasciala...! >>sibilò a denti stretti, minaccioso come una belva selvatica.
Ma Nigel non l'ascoltò, e stinse maggiormente la presa.
Dopodiché il tempo perse ogni valenza, mutò la sua corsa, iniziando a fluire più velocemente.
Ci fu un ringhio, un lieve gorgoglio nell'aria, fin quando delle grida disumane rimbombarono per tutto l'ambiente.
Il sangue era ovunque: perse a scorrere copiosamente sul pavimento, lungo le mie mani e sulle pareti alle mie spalle.
Sporcava di morte ogni cosa.
<< Oh, no... Miguel...>>
Lui alzò il capo verso di me, gli occhi famelici, luminosi, incandescenti come lava.
<< Che cosa hai fatto?!>>

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Angolo dell'autrice
Taaaaaa daaaaan!! Ladis and gentleman ecchime qua! U.U Lo so, lo so, come sempre sono in ritardissimo, ma per farmi perdonare, ho fatto il capitolo lievemente più lungo e in un certo senso "chiaritivo" diciamo... 
Qui abbiamo Amelie alle prese con Nigel, che si mostra ma allo stesso tempo nasconde molte cose. Vorrei sapere cosa ne pensate di lui, perchè io stessa ancora lo devo inquadrare come personaggio! Ahahaha! Ovviamente scherzo... forse! 
Comunque veniamo a sapere che in realtà Ame non si trova a Slyvermon per caso, ma per depistare quel simpaticone di E., che è sulle sue tracce. E quale posto migliore di un paesino sperduto nel nulla? Ehehehe! Poi c'è anche la vicenda di Nigel e James che andrebbe approfondita un poco... ma chissà! Insomma, dopo una cena abbondante, quattro passi di valzer e poi la cigliegina sulla torta! Ecco che ricompare il nostro caro Miguelito, che ahimé non promette niente di buono! 
E niente, come sempre vi ringrazio per essere arrivati fin qui, per aver letto e in particolar modo chi commenta ogni volta! T_T Grazie mille! 
Spero che gradirete anche questo capitolo, se così non fosse, per qualsiasi cosa... io sono sempre qua! 
Un Bacione
Rob

<3

 

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Capitolo 33
*** Da Soli ***


Da Soli

_ Miguel_

Un attacco improvviso, mi costrinse a fermarmi per l'ennesima volta.
Appoggiai la schiena al muro, facendo aderire le braccia lungo i fianchi, dopodiché, inspirai a fondo ed attesi.
Non potevo fare altro.
Rimasi in quella posizione scomoda per un tempo indefinito; cercavo di soffrire in silenzio, di farmi forza e sopportare, ma l'intervallo tra una fitta e l'altra diminuiva di secondo in secondo.
Maledissi mentalmente me stesso, poi la donna che mi aveva ridotto in quel modo.
Come avevo potuto essere così sconsiderato?
Affrontare Lilith, nella radura, si era rivelato un errore madornale.
Lei non era più l'esile ragazzina che ricordavo, no... era cambiata radicalmente, e con lei, l'intensità dei suoi poteri.
Col tempo erano cresciuti a dismisura, andando ben oltre i limiti imposti dalla mia memoria.
Ma in fin dei conti, che pretendevo?
In lei scorreva il loro sangue, la loro linfa vitale... li aveva conquistati in tenera età, compiendo il più perverso ed efferato dei peccati...
Eppure l'avevo sottovalutata!
Mi portai faticosamente una mano al petto, poi risalii con delicatezza il collo: una brutta lesione trasversale mi tagliava lateralmente la gola, lasciando scoperto gran parte del muscolo sottostante.
Poco più in basso, attaccato al manubrio dello sterno, se ne stava il ciondolo dorato della Mimesis.
Il metallo era caldo, rovente, ma ormai non provavo più dolore al suo contatto.
Negli ultimi tempi quel bruciore era diventato una costante, come del resto l'insaziabile senso di fame che mi attanagliava le viscere. Strinsi la collana tra le dita, pigiando appena sul rubino incastonato al suo interno.
Anche il continuo accendersi e spegnersi della pietra, che variava dal rosso al nero, dopo un po' si era rivelato un comportamento normale... soprattutto, quando c'era Amelie nei paraggi.
Il solo pensare a lei, bastò a provocarmi una fitta dolorosa che mi colpì la bocca dello stomaco.
Dopodiché, la pietra impazzì per l'ennesima volta.
Di solito associavo quella reazione a me stesso, come se la Mimesis risentisse in qualche modo della mia eccitazione... ma non poteva essere quella l'unica spiegazione possibile!
Nella mia vita, ero stato affamato infinite volte, e altrettante così esaltato da faticare a respirare... eppure, la collana era sempre rimasta al suo posto, quieta, inanimata... morta. Al massimo variava di poco la sua temperatura.
Tuttavia, Amelie era l'eccezione: solo con lei si comportava in quel modo.
Era una cosa inspiegabile e totalmente illogica... me ne rendevo conto, ma il mio Piccolo Tarlo era l'unico essere al mondo -oltre a me- in grado di risvegliare il suo potere e maneggiarla senza bruciarsi.
Oh, Cristo!
Lei era in grado di utilizzarla!
Quel minuscolo, fatidico, mastodontico particolare mi folgorò come un fulmine a ciel sereno.
Come era possibile una cosa del genere?
Perché mi era sfuggita?
Forse negli ultimi tempi erano accadute troppe cose; c'erano stati il rapimento da parte di Ravaléc, l'incendio, E., la fuga, ed ora la ricomparsa di Lilith nella mia vita.
Tutto stava andando a rotoli velocemente, degenerando nell'arco di pochissime settimane.
Ma non avevo scusanti!
Per quanto fossi stato distratto, depistato e ingannato dagli eventi, non avrei mai dovuto lasciarmi sfuggire quegli indizi. E questo perché il fulcro della situazione, non riguardava E., né tantomeno tutto il resto... bensì Amelie.
Era lei la causa, il legante, l'origine di tutto quel trambusto.
Lei e il suo sangue dai poteri nefasti.
Ancora adesso, la sua scia aleggiava nell'aria che sapeva di muffo, profumando l'ambiente come un incenso dall'aroma speziato.
Oh, sì... era stato lui a guidare i miei passi e condurmi fin lì.
Con un notevole sforzo avanzai di qualche centimetro, mi appoggiai alla massiccia superficie di legno e spalancai il portone che mi stava di fronte.
Sentivo la testa scoppiare e la gola riardere a causa della sete, mentre l'odore del suo sangue mi bruciava i polmoni dall'interno. Il solo respirare era divenuto un supplizio inimmaginabile.
Socchiusi gli occhi, dopodiché mi costrinsi ad ingoiare l'aria dalla bocca.
Due figure indistinte se ne stavano attaccate l'un l'altra, strette in una sorta di abbraccio.
Un uomo ed una donna, entrambi vestiti da sera: lui di nero, lei di verde.
Inizialmente non li riconobbi, ma quando aguzzai la vista per scorgerli meglio, un incendio mi dilagò nel petto.
Era Amelie, dannazione!
La mia Amelie!
E se ne stava accucciata tra le braccia di un altro uomo; le labbra di lui posate sulla sua fronte, le mani intorno ai sui fianchi.
Una gelosia ardente, nera come l'oscurità più profonda s'impossessò del mio corpo, rinvigorendo i muscoli indolenziti dallo scontro con Lilith.
<< Toglile immediatamente le mani di dosso!>> dissi infuriato, contando il veleno nelle parole.
Come riscossi da un sogno ad occhi aperti, entrambi si voltarono a guardarmi.
Per un attimo Amelie non diede segno di riconoscermi, poi il suo volto s'illuminò di speranza.
<< Oh mio Dio! Miguel!>> gridò, gli occhi sommersi dalle lacrime.
Avrei voluto correrle incontro e baciarla ovunque, dirle che l'amavo, che ero felice di rivederla, ma riuscii unicamente a guardarla con astio.
Lei era mia, apparteneva a me... e nessun altro uomo poteva arrogarsi il diritto di toccarla in quel modo!
Fece per precipitarsi nella mia direzione, tuttavia, venne bloccata dalla presa di quel damerino lievemente attempato.  
<< Ferma dove sei!>> le ordinò a denti stretti, << Non ti muovere!>>
Come uno scudo o una barriera umana, l'uomo si interpose fra me e lei, tirandola a sé con fare possessivo.
Normalmente avrei analizzato con calma la situazione, osservando la scena con occhi freddi, distaccati... ma ormai era troppo tardi.
Non ero più in me. 
<< Miguel...>> mi chiamò lei, supplicandomi in una muta richiesta.
Invece che risponderle, rimasi a fissarla con bramosia.
Era così bella, così perfetta, così invitante...
<< Lasciala...!>> ringhiai, rivolgendo l'ultimo avvertimento a quel cicisbeo.

La brama di sangue mi ottenebrava la mente, rendendomi null'altro che una belva famelica, incapace di ragionare lucidamente, di controllarsi.
Nemmeno mi ero reso conto di quanto quello sconosciuto somigliasse al conte, né tantomeno che con ogni probabilità, potesse trattarsi del fantomatico Nigel von Kleemt, il fratello rinnegato di James.
Il traditore.
Ma tutte quelle supposizioni non avevano importanza.
Spinto da una forza più grande di me, mi gettai con gli artigli e le zanne estroflesse sull'unico ostacolo che mi divideva dal mio Piccolo Tarlo.
L'uomo cadde a terra, Amelie lanciò un urlo spettrale, intenso, che mi scavò nell'anima... dopodiché rinsavii da quella follia.
Poco prima di avventarmi sulla mia vittima, afferrai malamente la Mimesis, conficcando la lama appuntita nella carne del mio avambraccio.
Peccato che non fosse abbastanza.
Spinsi l'arma ancora più a fondo, disegnando una linea retta fino all'altezza del gomito.
Sentii il dolore diradarsi velocemente, la pelle bruciare a contatto col metallo, mentre flutti di sangue scarlatto ricadevano a terra, raggrumandosi sul pavimento in una pozza dal profilo irregolare.
Alzai lo sguardo su Amelie, il volto che tanto amavo era trasfigurato dalla disperazione.
<< No... Miguel...>> singhiozzò, incapace di credere a quello che vedevano i suoi occhi. << Che cosa hai fatto?>>
Le sorrisi compiaciuto, poi le forze mi abbandonarono del tutto e crollai come un corpo morto tra le sue braccia.
<< Perché?!>> continuò a dire, << Perché l'hai fatto?!>>
Davvero non lo capiva?
<< N-non volevo farti del male...>> biascicai, la voce bassa, rauca, dannatamente troppo debole.
Lei inghiottì le sue stesse lacrime, cercando in tutti modi di farsi coraggio.  
Nel frattempo, l'uomo che avevo quasi ucciso riuscì a mettersi in piedi.
<< Amelia, mia cara... allontanati da quel mostro! Presto!>>
Cercò in tutti i modi di staccarla da me, ma lei non volle dargli ascolto e con aria disobbediente, mi strinse ancora più forte, schiacciando il petto contro mia schiena nuda.
Quel contatto per poco non mi uccise: potevo sentire le pulsazioni del suo cuore attraverso la pelle, le sue labbra premute sul mio collo e il suo respiro fresco provocarmi un'infinità di brividi.
<< Che ragazzina incosciente! Avanti, obbedisci agli ordini e scostati da lui! È pericoloso! Non lo capisci?!>> sbottò spazientito l'uomo.
Lei lo fulminò con lo sguardo.
<< Lasciatemi in pace!>> strillò, ritraendosi dal suo tocco.
Lo sconosciuto non si diede per vinto: frustrato e arrabbiato tentò nuovamente di trascinarla via, ma anche stavolta lei non cedette.
Era irremovibile come una roccia.
<< Ha ragione lui...>> provai a dire, la voce poco più udibile di un sussurro.
Sebbene detestassi doverlo ammettere, quell'individuo non aveva tutti i torti: ero un pericolo per lei, per lui... per chiunque avesse osato avvicinarsi a me. Quindi, non mi rimaneva che convincerla ad abbandonarmi lì, su quel pavimento imbrattato di sangue e seguire i consigli di quell'uomo.
Dovevo allontanarla per il suo bene.
<< Me la caverò.>> mormorai, pensando a quale sarebbe stata la prossima mossa.
<< No, non è vero!>> si ostinò lei. ,
Possibile che non riuscisse a comprendere la gravità della situazione?
Mi schiarii la gola, ma nel farlo una fitta lancinante mi mozzò il respiro.
<< Amelie... ascoltami: per ora sono di nuovo in me...>> proseguii a fatica, << Il dolore che mi sono procurato mi ha fatto rinsavire... almeno per ora. Tuttavia la fame potrebbe sopraffarmi di nuovo, in qualsiasi momento... ed è troppo, davvero troppo pericoloso per te!>>
Invece che rispondere, Amelie preferì di gran lunga rimanere in silenzio.
<< Avanti, mia cara...>> sospirò con tono suadente la copia esatta di James von Kleemt. << Questa bestia rognosa ha ragione, devi allontanarti al più presto!>>
La sentii digrignare i denti e trattenere il respiro.
Poi esplose.
<< Piuttosto si allontani lei, signor Nigel! Per favore!>> eruppe collerica, << Mi lasci da sola con lui, so quello che faccio e non accetto alcun tipo d'imposizione da parte vostra! Non m'interessa se affermate di essere mio zio o chicchessia! Per quanto mi riguarda, potete dichiararvi addirittura il Re in persona: le cose non cambierebbero! Io amo questa bestia rognosa, e non ho alcuna intenzione di ascoltarvi!>>
Vidi Nigel von Kleemt spalancare gli occhi e retrocedere di qualche passo.
Era impallidito.
Non poteva credere che una ragazzina dall'aspetto tanto innocuo, potesse ribellarsi di punto in bianco alla sua autorità, inveendogli contro in quel modo.
Sorrisi fra me e me... adoravo quel lato ribelle del suo carattere.
<< Il vino deve averti dato alla testa, bambina!>> vociò lui indignato.
Lei scosse il capo.
<< Tutt'altro, signore. Sono pienamente in me.>>
 Una risata aspra rimbombò più volte nella stanza.
<< Ah si? Ed io cosa dovrei fare? Mio fratello e sua moglie contano su di me, mi hanno affidato la tua protezione! Non posso lasciarti tra le sue grinfie! Sarebbe un sacrificio inutile!>>
<< Io sarò al sicuro!>> gridò lei, gli occhi infiammati dalla risoluzione.
<< E dimmi, sciocca ragazzina... quali sarebbero le tue intenzioni? Vuoi nutrirlo col tuo sangue? Pensi forse che così facendo riuscirai a salvargli la vita?>>
<< Non è la prima volta che lo vedo in queste condizioni... e sono al corrente dei pericoli che corro. Ma non posso abbandonarlo qui, a morire dissanguato. Miguel è troppo importante per me, non lo capite? Se perdessi lui... finirei inevitabilmente per perdere il mio stesso cuore!>>
Per un attimo dimenticai di respirare. 
<< E cosa credi?>> fece il fratello di James, puntandomi un dito contro. << Che appena giunto qui, in fin di vita, io abbia ignorato le sue condizioni? Per Diana! Mi è crollato di fronte, privo di sensi, ferito a morte... >>
Con un gesto iroso, si tirò su le maniche della giacca, denudando una porzione di pelle poco più sopra del polso.
Un taglio netto ed obliquo segnava la sua carne di rosso.
<< Che vuol dire?>> sibilò Amelie, visibilmente confusa.
<< Vuol dire che gli ho dato il mio sangue, ho cercato di soccorrerlo... Ma ha rigettato tutto dopo qualche secondo, come se nonostante la sua natura, il suo organismo non fosse più in grado di assimilare sangue umano.>>
<< No, non è possibile...>> disse lei.
<< E invece si...>> affermai, cercando di reggermi sulle mie gambe.
Riuscii a restare in equilibrio per un po', ma le ginocchia mi cedettero e mi accasciai nuovamente a terra.
Mi sentivo così debole, affamato, sull'orlo dell'abisso. Lottavo con tutte le mie forze per rimanere cosciente.
Udii Amelie gridare, poi il rumore delle sue gonne frusciare contro il pavimento.
<< Resta con me!>> diceva, << Miguel, resta con me!>>
Sforzandomi fino all'inverosimile, le sfiorai il volto con le dita.
Era zuppo di lacrime.
<< Lascialo andare...>> intervenne suo zio.
<< No! Non posso!>>
<< Non c'è più niente da fare, per lui... non lo vedi?!>>
<< No non è vero! Io posso salvarlo, vi prego... fatemi provare>>  
Il signore del castello strinse i pugni e con aria rassegnata, ci diede le spalle. Sembrava sull'orlo di crollare sotto le sue suppliche.
<< Ti concedo una notte. Potrai accudirlo e medicargli le ferite... ma non dargli il tuo sangue. So che sei malata e non puoi permetterti il lusso di perdere altro sangue.>>
<< Oh, non m'importa della malattia! Ora sto bene... ma sappiamo entrambi che senza il mio sangue, Miguel non sopravvivrebbe!>>
<< Al sangue provvederò io. Tu pensa solo a prenderti cura di lui. Ovviamente non sarai sola: ti affiancherò Olivia e Brigitte. Tanto per evitare che tu prenda strane iniziative...>>
Vidi Amelie tentennare, la totale confusione attraversarle il volto, poi chiuse gli occhi ed annuì con la testa.
<< E sia... questo ed altro per l'uomo che amo!>>
Sentirselo ribadire per l'ennesima volta, mi fece più male di tutte quelle ferite messe insieme.
Dopodiché, ogni cosa perse la sua consistenza materiale, divenendo pulviscolo colorato.

_ Amelie_

<< Vi ringrazio molto dell'aiuto...>> mi rivolsi alle due domestiche, << Ma ora potete andare.>>
Gli occhi scuri di Brigitte si soffermarono malevoli sul mio volto, mentre Olivia si limitò a sorridere amabilmente.
<< E voi milady? Non vorrete mica passare la notte qui...?>> fece la giovane mora.
Senza dare nell'occhio, Olivia la colpì con una gomitata all'altezza del fianco destro.
<< Perdonatela milady! Questa sciocchina ha la lingua lunga e il cervello di una gallina! Non si rende conto di essere tremendamente indiscreta!>>
<< Oh, non vi preoccupate.>> replicai, << Andrà tutto bene.>>
<< Ma il padrone si è raccomandato di non lasciarvi da sola con... lui.>> proruppe Brigitte, ribadendo gli ordini del suo signore.
Sebbene tentassi in tutti i modi di mantenere un discreto distacco, non riuscii a trattenermi dal guardarla male.
<< So quali sono le condizioni imposte dal signor von Kleemt...>> sbuffai, << Ma non può impedirmi di vegliare sul mio fidanzato! In fin dei conti... si tratta solo di questa notte...>>
Vidi Brigitte buttare lo sguardo oltre le mie spalle, dilungandosi insistentemente sul volto addormentato di Miguel.
Anche così conciato, con tutte quelle brutte ferite a marchiargli il corpo e il pallore cadaverico della sua pelle, era di una bellezza sconvolgente. Sovrumana. Tant'è che la cameriera più giovane, nonostante la sua palese infatuazione per il padrone di casa, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
<< Gli ordini del padrone sono legge.>> sostenne, distogliendo a malincuore l'attenzione da Miguel.
<< Brigitte ha ragione, signorina. Non possiamo disobbedire.>> intervenne Olivia.
Le due donne erano troppo fedeli a Nigel per contravvenire alle sue disposizioni.
" Se non funzionano le buone..." pensai.
Mi costrinsi ad assumere l'espressione più supplichevole del mio repertorio, afferrai le mani di Olivia e me le portai appassionatamente sul cuore.
<< Pensate che sia così sbagliato, per me, voler prendermi cura di lui? Stargli vicino, avere un minimo di privacy?>>
Olivia arretrò di un passo, visibilmente turbata.
<< Vi capisco perfettamente, milady. È del tutto lecita la vostra richiesta... ma il padrone...>>
<< Il problema non sussisterebbe se evitate di parlargliene!  Vi prego, aiutatemi! Ho bisogno di stare con lui... da sola!>> 
Brigitte scosse il capo, disgustata da quell'ignominiosa prospettiva di "tradimento".
Olivia arrancò.
<< Per favore!>> la supplicai, facendo sfoggio dei miei occhi gonfi, arrossati, inumiditi da una quantità spropositata di lacrime.
<< Oh... e va bene!>> si arrese dopo un po' la cameriera più anziana, << Come posso dirvi di no? Se è quello che desiderate, vorrà dire che vi lasceremo da soli... >>
---

Una volta che le due cameriere ebbero lasciato la stanza, mi precipitai a chiudere la porta a chiave -tanto per essere sicuri- , e con passo felpato mi diressi dietro il separé della cabina-armadio.
La camera era come l'avevo lasciata dopo il mio risveglio: grande, polverosa ed estranea.
I mobili dalle forme antiquate e grottesche riempivano ogni angolo libero, incombendo sulle pareti come tozzi profili di giganti.
Sciolsi rapidamente la complicata acconciatura, feci ricadere i miei boccoli sulle spalle e mi spogliai dell'abito verde.
Il sangue fresco di Miguel aveva sporcato irrimediabilmente le gonne e gran parte del corpetto, rendendo l'elegante capo d'abbigliamento un mucchio di stracci inutilizzabili.
Una volta libera da quella prigione di stringhe e stoffa, indossai una comoda camicia da notte, che coprii subito dopo con una vestaglia di morbida seta rosa.
<< Vattene via!>> proruppe la voce di Miguel dall'altro lato della stanza.
Timidamente, uscii allo scoperto, trovandolo con mia sorpresa ancora addormentato.
I suoi occhi erano chiusi, quasi serrati e le iridi al disotto delle palpebre si muovevano ininterrottamente.
Che tipo di sogno stava facendo?
Non feci in tempo a chiedermelo, che le sue sopracciglia si aggrottarono, mentre il resto del volto veniva attraversato da espressioni di puro dolore.
Terrorizzata da quel comportamento improvviso, mi affrettai a raggiungerlo sul letto; il materasso era talmente spazioso da riuscire a contenere entrambi.
Con infinita delicatezza, gli accarezzai dapprima la fronte madida di sudore, poi le guance, discendendo con le dita fino al collo.
Il rubino del suo ciondolo riluceva di un rosso accecante, saturo, rovente... come la temperatura elevata della sua pelle.
Miguel stava male, delirava e si contorceva nel sonno.
E sebbene ritenessi una cosa del genere impossibile, il focolaio della febbre sembrava aver infettato le sue ferite.
Possibile che una creatura della sua risma, un essere demoniaco... potesse ammalarsi come un qualsiasi essere umano?
O era l'eccessiva mancanza di sangue a renderlo così debole?
Beh, in tutti e due i casi... non sapevo a cosa credere e a cosa no.
Era tutto talmente irrazionale!
Colta dal panico, cominciai ad ansimare convulsamente. Oh, no! Non potevo permettere alla paura di avere il sopravvento su di me!
Ritrovato un minimo di controllo, mi sporsi sul comodino, fino ad afferrare un panno imbevuto d'acqua fredda.
Lo strizzai accuratamente all'interno della bacinella, dopodiché lo adagiai sulle tempie di Miguel.
La lieve frescura data dal pezzo di stoffa, lo fece rabbrividire come una foglia.
<< Starai bene...>> gli bisbigliai all'orecchio, << Fidati di me...>>
Grazie alle medicazioni, le ferite avevano smesso di buttar fuori sangue.
Era un ottimo risultato... lo sapevo bene.
Ma quanto ancora avrebbe resistito in quelle condizioni?
Il suo organismo era in subbuglio, la sua vita attaccata a un filo ed io... ero l'unica in grado di salvarlo.
Ritornai con la mente alla stanza ottagonale, prima ancora che Olivia e Brigitte venissero a prenderci. Lo zio Nigel aveva provato a nutrirlo nuovamente con il suo sangue, ma dopo qualche istante, Miguel l'aveva sputato a terra. In quel momento avevo pianto e gridato, pensando che tutto stesse per finire... mentre ora, ero solo più convinta delle mie decisioni.
Presi la forcina che mi appuntava di lato una ciocca di capelli, passandola lentamente sulla pelle sottile del polso.
La scia lasciata dalla punta metallica dell'oggetto, si colorò istantaneamente di rosso e una stilla di sangue mi colò lungo il gomito.
Sentii l'odore dolciastro del mio sangue impregnare l'aria, le coperte, le pareti... finché Miguel non spalancò gli occhi.
Era giunto il momento.
<< Vedo che ti sei svegliato...>> dissi flebilmente, avvicinando il polso ferito alla sua bocca. << Avanti, bevi.>>
I suoi occhi azzurri si appuntarono freddamente nei miei, raggelandomi in un battito di ciglia.
Inghiottii il groppo che avevo in gola, e mi feci ancora più vicina.
<< Sei affamato...>> sussurrai d'un fiato, << Devi nutrirti...>>
Sentii il suo sguardo di ghiaccio percorre il mio corpo da capo a piedi, mentre uno strano brivido d'eccitazione prese a scorrermi sottopelle.
Poi tutto cambiò: le sue iridi s'irrorarono di sangue e i suoi canini si estesero in tutta la loro lunghezza.
Un ringhio rabbioso gli riempì la gola, il petto, i polmoni, mentre un'espressione di puro odio distorse i bei lineamenti del suo volto.
<< Tu... lurida sgualdrina!>> gridò a gran voce, << Lasciami in pace!>>
A-avevo sentito male... vero?
<< M-Miguel...?>> mormorai incredula, << Che cosa ti succede?>>
Feci per accarezzargli il viso, ma le sue mani mi artigliarono le dita con una forza inaudita.
Urlai dal dolore, conscia che da un momento all'altro, potessero scoppiarmi le falangi.
<< Miguel... ti prego! Lasciami! Mi stai facendo male!>> strillai, incespicando tra le urla e il pianto.
<< Sta zitta, puttana! Ne ho abbastanza dei tuoi giochetti!>> 
Inorridita dalle sue parole, provai a catalogarle come frutto di un vaneggiamento... ma non ci riuscii.
I suoni che uscivano dalla sua bocca erano veleno liquido; una sostanza tossica, dannosa, che si insinuava dalle mie orecchie per poi scendere nel cuore, fino ad infettare il resto del corpo.
Lo guardai a lungo con gli occhi colmi di lacrime, nella vana speranza che tornasse in sé.
<< Miguel...>> singhiozzai.
Lui avvicinò il volto al mio, in silenzio, nutrendosi dei miei respiri.
Sentivo il suo alito caldo infrangersi sulla mia pelle, il suo profumo invadermi i polmoni.
Era così vicino, eppure troppo distante.
<< Che cosa vuoi? Parla! Non ti basta avermi rovinato la vita?>>m'inveì contro.
<< R-rovinarti la vita?!>> ripetei spaesata.
Mi fissò dritto negli occhi, facendomi annegare in un mare di porpora.
Era come se volesse strapparmi l'anima dal corpo.
<< Miguel... ti prego!>> provai a farlo ragionare, << Sono io... sono Amelie!>>
Per tutta risposta, Miguel si scagliò fulmineamente su di me, facendomi battere il capo sulla testiera del letto.
Il bruciore che ne derivò mi mozzò il fiato, mentre tante piccole scosse elettriche strisciavano ad intermittenza dal cranio alla nuca.
<< Credi che sia così sciocco?! Non m'ingannerai una seconda volta!>>
<< Ma io... >>
<< Taci! Non voglio ascoltare nessun'altra delle tue bugie!>>
<< Oh, mio Dio... Miguel! Questo non sei tu! >> strepitai, << È la brama di sangue a parlare!>>
Quanto sarei voluta scappare, svincolare dalla sua presa e difendermi... ma la paura mi pietrificava a tal punto da faticare a respirare. Dov'era finito Miguel?
Il mio Miguel!
Colui che mi aveva salvato la vita infinite volte, che mi proteggeva, che mi amava!
Possibile che la fame avesse cancellato ogni sua traccia?
<< Non mi riconosci?>>
Un sorriso crudele gli illuminò il volto pallido.
Sembrava una bellissima statua di marmo, e proprio come il marmo, il suo corpo mi gravava addosso, schiacciandomi inesorabilmente contro il materasso.  
<< Oh, no... so fin troppo bene chi sei!>>
Senza preavviso, si avventò sul mio collo con immane brutalità, dilaniandomi la carne a morsi.
Urlai disperatamente, con tutte le mie forze, fino a sentire la gola crepitare e frantumarsi dall'interno.
Quello che stavo provando era un dolore indescrivibile, lacerante... tanto straziante da farmi supplicare la clemenza della morte.
Ma a che sarebbe servito, invocare?
Miguel mi avrebbe uccisa comunque... 
Con ancora più violenza, conficcò i denti nelle mie carni, sempre più giù, in profondità... scavandomi dentro per il solo gusto di farmi male.
<< Miguel...>> la mia voce era tenue, come un sussurro.
Mi sentivo stanca... pesante, prossima al prosciugamento.
Con le ultime forze che mi rimanevano in corpo, gli cinsi le spalle in un abbraccio, al quale mi abbandonai completamente.
<< Ti amo...>> riuscii a dire, stringendo la presa quanto più potevo.
Come scottato dall'olio bollente, Miguel s'irrigidì all'istante, staccandosi quel tanto da potermi guardare in faccia.
Le labbra gonfie, turgide, macchiate dallo stesso sangue rosso che mi scorreva nelle vene.
<< Tu... non sei Lilith...?>>
D'un tratto la sua espressione era cambiata: non c'era più quella rabbia cieca a distorcergli il viso, no... ma un'infinità incredulità.
Era come se i suoi occhi color di fiamma, mi vedessero per la prima volta.
<< Amelie...!>> gridò esasperato, << Maledizione, Amelie! Sei tu?! Sei proprio tu?>>
Annuii impercettibilmente. Il minimo movimento mi provocava delle fitte atroci.
<< S-sì, Miguel. Sono io...>> mormorai con un filo di voce, << Ma... perché mi hai chiamato in quel modo? Chi è "Lilith"?>> 

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Angolo dell'Autrice: 
Buon salve a tutti! Eccomi qui! ^^
Devo confessarvi che credevo di riuscire ad aggiornare mooooolto prima, stavolta, ma un'idea dell'ultimo momento mi ha fatto sconvolgere un po' le cose...!
Dunque, questa volta il capitolo si divide in due: da una parte abbiamo Miguel che ci svela cosa sia successo veramente con Nigel ed Ame, che pur di non fare una strage preferisce ferirsi... (tanto, rotto per rotto XD) mentre dall'altra abbiamo Amelie alle prese con Miguel una volta che le acque -per così dire- si sono calmate (?) 
Miguel sta male, l'incontro con Lilith l'ha ferito e la sua impossibilità di assumere sangue peggiora di gran lunga le cose. In verità le sue condizioni non sarebbero neanche troppo brutte, normalmente gli basterebbe nutrirsi come si deve per riprendersi del tutto e ritornare splendido splendente (XD) ma ahimè, il mio sadismo ha avuto la meglio, e il povero ragazzo non riesce bere sangue. 
Tornando a noi, Ame gli medica le ferite, convice le due cameriere a dileguarsi e tenta di nutrire il nostro Miguelito con il suo sangue... ma sorpresa! Lui non la riconosce, anzi, crede di avere di fronte Lilith e dopo averla insultata non so quante volte, si avventa su di lei con voracità... 
Ed ora... quello che verrà dopo, lo scopriremo solo vivendo! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, davvero, so che ultimamente le cose non stanno andando nel migliore dei modi, ma grazie a voi, riesco ad andare avanti e posso affermare di essere arrivata a buon punto (forse) XD 
Purtroppo non vi libererete di me troppo presto! 
Detto questo, ringrazio come sempre chi legge e chi resencisce! Siete dei tesori! <3
Un bacione 
Rob 

<3

 

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Capitolo 34
*** Sangue Del Mio Sangue ***


Sangue Del Mio Sangue

_ Miguel_

Dov'era finita Lilith?
Un principio di congelamento dilagò all'interno del mio corpo.
Si sparse silente, sottopelle, fino ad irrorare di ghiaccio i miei vasi sanguigni.
Quella sensazione mi graffiò il respiro.
<< Ti amo...>>
Un suono fievole, sottile, delicato come il canto del vento.
Pareva arrivare da un posto remoto, lontano, trascinato dalla brezza della sera... ma al contempo, era tanto vicino da poterlo palpare con le dita, quasi fosse qualcosa di vivo, scalpitante... solido.
Ed infine, come in un sogno... mi sfiorò.
Un tocco, una lieve pressione, le mie spalle circondate da un paio di braccia esili.
E quel profumo.
Colto dal panico, un  mi staccai dalla giugulare pulsante della mia vittima.
Un flutto scarlatto le scivolò dolcemente sulla sua pelle nivea, aggirò la clavicola e raggiunse la scollatura della camicia da notte, inzuppandola di rosso.
All'inizio non compresi pienamente la situazione; avevo la vista ancora offuscata dal desiderio e la mente in subbuglio, assillata da una miriade di sensazioni differenti.
Era come se l'energia dell'universo si stesse concentrando all'interno del mio corpo, rigenerandomi le cellule, il sangue, l'intero sistema nervoso.
Mi sentivo nuovo, rinato... onnipotente.
La fame si era estinta del tutto, lasciando spazio ad un totale senso di appagamento e beatitudine.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta in cui mi ero sentito così bene?
Chiamai a raccolta i miei ricordi, trovando null'altro che l'immagine di Amelie tra le mie braccia, il suo collo disteso e i miei denti conficcati nella sua carne.
Ormai esisteva solo lei, nella mia testa... lei, e quel suo sangue così speciale.
Il sapore delizioso che mi riempiva il palato, lo ricordava terribilmente: stessa consistenza, stesso aroma, stesso gusto impareggiabile.
Sapeva di miele, ruggine e ambrosia: il nettare degli Déi.
Poi abbassai lo sguardo sul materasso, sulla ragazza che giaceva supina sotto il peso del mio corpo... ed impallidii.
Un brivido gelato mi attraversò la spina dorsale, vertebra dopo vertebra, istantaneamente, sortendo l'effetto di una doccia ghiacciata.
Oh, no!
Ma che cosa avevo fatto?!
<< Amelie...!>> gridai disperato, i polmoni in procinto di scoppiare.
<< Maledizione, Amelie! Sei tu?! Sei proprio tu?>>
Il mio Piccolo Tarlo cercò in tutti i modi di annuire, ma al minimo movimento, la ferita al collo cominciava a sanguinare copiosamente.
La vidi stringere i denti e strizzare gli occhi; le faceva male, talmente tanto da non riuscire nemmeno a piangere.
<< S-sì, Miguel. Sono io... >> mi rispose a stento, << Ma... perché mi hai chiamato in quel modo? Chi è Lilith?>>
In quell'istante, sentii un artiglio affilato stritolarmi il cuore.
Lilith...
Il semplice suono di quel nome, bastava ad insudiciarle le labbra.
La guardai a lungo senza parlare, muto, immobile, pietrificato da quello che vedevano i miei occhi.
Lei era lì, sotto di me e portava sulla pelle i segni impietosi lasciati dalle mie zanne.
La tenera carne nel collo dilaniata da ferite profonde, irregolari: impronte dentali scavate a sangue.
Come avevo potuto farle una cosa del genere?
Io l'amavo, maledizione!
L'amavo!
L'amavo così tanto da potermi strappare il cuore dal petto, a mani nude... e regalarglielo.
Sì, solo per lei.
Solo per il mio Piccolo Tarlo.  
Eppure non ero stato in grado di difenderla.
Allucinato da deliri e visioni distorte, le avevo fatto del male, volontariamente, con il solo scopo di imprimerle i segni del mio odio sulla pelle.
Credevo che lei fosse Lilith, che i suoi occhi nascondessero baluginii d'ametista e le sue labbra delle fauci aguzze, da predatore.
Ma mi sbagliavo.
Mi sbagliavo di grosso.
Tuttavia, un quesito continuava a martellarmi le tempie: come potevo solo lontanamente immaginarlo?
Come potevo sapere?
"Perdonami." avrei voluto dirle, "Ti prego, perdonami!"
Ma non avevo tempo da perdere: l'emorragia non accennava a fermarsi.
Con un gesto così veloce che a stento riuscii a seguirlo con gli occhi, mi portai il polso alla bocca, recidendo la carne con la punta acuminata dei denti.
<< Bevi, presto!>> le ordinai.
<< M-ma come? Se mi dai il tuo sangue... sarà tutto inutile!>> protestò debolmente.
<< Sta zitta e fa come ti dico. Bevi!>>
Le spinsi il polso contro la bocca, costringendola ad ingollare il mio sangue.
Non era la prima volta che lo faceva: l'aveva già assaggiato, in passato... quando era stata attaccata da quel branco di lupi trasformati in Ghuldrash.
I musi incollati alle sue membra, gli artigli nella carne e poi una cacofonia di grida assordanti, una nera ferocia e corpi ridotti in poltiglia.
Ricordare quell'episodio, fu come camminare a piedi nudi su una distesa di vetri rotti.
Le avevo mostrato il mio vero volto, le reali fattezze della mia anima... e lei, beh... lei ne era rimasta scioccata, inorridita... quasi disgustata.
Ed ora invece?
Cos'era cambiato?
Dapprima la sentii restia, quasi riluttante, dopodiché una strana luce si accese all'interno dei suoi occhi scuri, facendo sì che le sue pupille si dilatassero fino a coprire l'intero diametro dell'iride.
Era eccitata.
Lo percepivo attraverso la sua pelle, in quello strano, perverso, legame che ci connetteva l'uno all'altra, come due entità dello stesso organismo.
Un tutt'uno.
I suoi denti graffiarono appena la mia pelle, la lingua lambì sensualmente il taglio, ritardandone, inconsciamente, la rimarginazione.
Poi Amelie si trasformò in lava cocente.
Con una bramosia che non le apparteneva, si attaccò voracemente al mio braccio, conficcandomi le unghie nella carne.
Non se n'era neanche resa conto, ma stava tremando.
Sopraffatto dal mio e dal suo desiderio, le cinsi le spalle con la mano libera, stringendola con forza contro il mio corpo.
Da dove le veniva tutta quella foga?
Cosa le stava accadendo?
Dio...
Quella sciocca ragazzina mi stava facendo impazzire!
Ed io la volevo, dannazione!
La volevo.
Ma stavolta non era la brama di sangue ad ottenebrarmi la mente.
Bensì... qualcos'altro.
<< Vuoi forse dissanguarmi, Piccolo Tarlo?>> le sussurrai dolcemente in un orecchio.
Amelie rabbrividì tra le mie braccia, poi scostò lentamente la bocca dal mio polso.
Aveva gli angoli delle labbra rigati di rosso e sul volto un'espressione colpevole.
Era semplicemente adorabile.
<< Io...>> fece titubante, << M-mi dispiace, Miguel. Mi dispiace davvero tanto... non so cosa mi sia preso! È stata un'esperienza così... strana... non riuscivo a controllare il mio corpo!>>
In quel momento avrei voluto rassicurarla, dirle che fosse tutto normale, ma in realtà... non lo era affatto.
Gli esseri umani non si comportavano in quel modo: a stento riuscivano a sopportare il sapore del nostro sangue.
<< Il tuo polso è già guarito!>> esclamò stupefatta, << Vuol dire che ora stai bene?>>
La guardai dritta negli occhi, affogando per alcuni istanti in quelle pozze scure, rese torbide dalle reminiscenze del desiderio.
<< Sì...>> sibilai, odiandomi per quello che le avevo fatto. << Ora sto bene, non preoccuparti...>>
Vidi le sue labbra incurvarsi in un sorriso, dolcemente, per poi avvicinarsi e posarsi sulle mie.
Una lieve scossa ci attraversò la pelle, non appena le nostre bocche si toccarono.
Dopodiché fu come gettarsi da un dirupo e scendere a caduta libera.
Assaporai con avidità quella morbidezza serica, succosa, degustando con la lingua il sapore del mio stesso sangue.
Sì...
Quel pensiero m'incendiò le viscere.
Il mio sangue mescolato al suo, il suo nel mio.
Un'unica cosa.
Uno scambio equo, perfetto, simbiotico, quasi un bisogno primario.
Primordiale.
Eravamo l'uno la droga dell'altro.
Non potevamo sopravvivere separati.
" Perché?!" mi chiesi, affondando le dita tra le soffici onde dei suoi capelli. L
e accarezzai delicatamente la nuca, le spalle, i fianchi, fino a risalire sulle gote pallide, lievemente ruvide a causa di quei segni rossi.
Graffi.
Li avevo già notati in precedenza, davanti l'entrata del cimitero, ancor prima di trascinarla in carrozza e intraprendere il viaggio.
Ciononostante, il pensiero impellente di portarla via, in un luogo sicuro mi aveva impedito di soffermarmi troppo su quel piccolo particolare; non gli avevo dato peso, non allora... ma adesso?
Le parole di Lilith mi risuonarono nelle orecchie, nitide, chiare, come se me le stesse sussurrando in quel preciso istante.
"Sono tornata per te, Meine Liebe... Per te... e per lei..."
Per lei...
Cosa voleva dire?
Nel sentirsi premere le dita contro le gote, su quei sottili solchi verticali, Amelie s'irrigidì, impallidendo di botto.
<< L'altra volta hai cambiato discorso ed io te l'ho lasciato fare, ragazzina. Ma non credere che adesso te la passerai liscia. Cosa sono questi?>> le mormorai a ridosso delle labbra, << Come te li sei procurati?>>
Mi allontanai quel tanto da poterla osservare bene in faccia, senza però interrompere il contatto con la sua pelle.
Lei cercò di scansarmi, ma riuscì unicamente a distogliere lo sguardo. Brutto segno: mi negava la possibilità di leggerle negli occhi.
<< N-non sono niente!>> minimizzò.
<< Ne sei sicura?>>
La vidi annuire appena, i movimenti del capo resi rigidi dal dolore dei miei morsi.
Fortunatamente, il sangue si era coagulato e la ferita cominciava, seppur lentamente, a cicatrizzarsi.
Anche i graffi sulle guance, con lo scorrere dei secondi, s'erano fatti più tenui.
<< Non prendermi in giro, Piccolo Tarlo...>> dissi, ispirando a pieni polmoni il suo profumo.
<< Sento l'odore delle tue bugie...>>
Lei indietreggiò goffamente, sbattendo la schiena contro la testiera del letto.
Non capiva quanto fosse inutile scappare?
<< I-io... emh, questi...>> cominciò, << Questi non sono niente... nulla d'importante, dico davvero!>>
La sua voce aveva la pretesa di suonare risoluta, calma, sincera... ma un flebile tremore la tradiva.
Stava mentendo.
Spudoratamente.
Glielo leggevo in quegli occhi sfuggenti, cupi, carichi di segreti.
<< Chi ti ha fatto questi graffi?>> ripetei, cercando di mantenere il controllo.
Ma come potevo?
<< Nessuno...>> rispose a denti stretti.
<< Amelie...>>
<< Nessuno!>>
Il silenzio ci avvolse come una cappa afosa, plumbea, carica di elettricità statica.
Stava per scoppiare una tempesta.
<< Ti ho fatto una domanda!>> sbottai.
Nello stesso momento, i suoi occhi tornarono ad inchiodarmi, allacciandosi furiosamente alle mie pupille.
Era arrabbiata. Tremendamente arrabbiata... ma mai quanto me.
<< Allora?>> la incalzai, << Vuoi rispondermi?!>>
<< E se non volessi? Eh? D'altronde, Miguel... anche tu non hai risposto alla mia domanda.>>
La guardai stranito.
<< Lilith...>> sibilò, la voce instabile, incrinata.
<< Chi è Lilith?>>
Sentii il gelo stritolarmi la cassa toracica.
Rabbrividii, poi la guardai negli occhi, perdendomi all'interno delle sue pupille.
Fu come sprofondarci dentro, mentre un turbinio d'immagini confuse prese ad affollarmi la testa, simultaneamente.
Era il caos.
Ogni singolo ricordo tumulato a fatica negli oscuri recessi della mia mente, venne a galla, senza fatica, catapultandomi nuovamente in quell'inferno.
Rividi lei... i suoi meravigliosi sorrisi e quegli occhi di un blu profondo, sconfinato, capace di rubarti il respiro con un solo sguardo.
Dopodiché scene distorte, deformate, disseminate di urla e sangue.
Avrei fatto di tutto, pur di frenare quel flusso incontrollabile di ricordi... ma non ci riuscii, anzi, ne venni totalmente travolto.
Poi, un maestoso filare boscoso si aprì dinnanzi ai miei occhi; l'ombra di un cancello, di una casa, di una parete rugosa illuminata dal candido riflesso dei raggi lunari.
C'erano lenzuola bianche sparse a terra... e dei corpi.
I loro corpi.
<< Lilith... >> ripetei confuso.
Amelie fece un segno d'assenso con la testa.
<< Parlami di lei, Miguel... >> bofonchiò, << Me lo devi...>>
Sentii l'odore pungente dei fiori appassiti bruciarmi le narici, gli occhi, mescolandosi orribilmente al puzzo dei cadaveri che infestavano la mia memoria.
<< Parlami di lei...>> insistette.
Trattenendo a stento la mia forza, le accarezzai delicatamente la linea dello zigomo, fino a sfiorarle le labbra.
Un brivido le percorse il corpo, facendole accapponare la pelle .
<< Stai aprendo ferite molto vecchie, Piccolo tarlo.>> sussurrai a fil di voce, socchiudendo le palpebre.
Lei deglutì a fatica.
<< Non importa.>>
<< Potresti pentirtene...>> l'avvisai.
<< Non lo farò.>>
La sua voce era stranamene risoluta, decisa... come non lo era mai stata.
Inghiottii il groppo che avevo in gola, respirai a fondo ed infine mossi le labbra per parlare.
<< Lei è mia sorella...>> iniziai,<< Sangue del mio sangue.>>

 
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Angolo dell'Autrice: 
Salve a tutti! :D
Non mi sembra vero, dico sul serio, NON MI SEMBRA VERO! Ma... contro tutte le mie supposizioni... sono riuscita ad aggiornare O.O 
Devo fare i complimenti a me stessa, perché effettivamente, era tanto che non aggiornavo così in fretta! Quindi brava me! ahahaha XD 
Ma veniamo al capitolo: 
Dunque, riprendiamo esattamente da dove vi avevo lasciato, e succedono un po' di "cosine" tra Mig e Ame... forse mi sono fatta un attimo lasciata prendere la mano dal romanticismo... non so... ma la prima parte è molto love love. <3 
Vorrei sapere cosa ne pensate della scena dove lui le dà il suo sangue... stranamente, è la parte che ho scritto con minore difficoltà. 
Poi, una volta ritrovate le forze, il nostro Miguelito trova i segni dei graffi sul volto di Ame, i segni che "guarda caso" le aveva lasciato Lilith. Insomma, si crea questa situazione, dove entrambi non sanno niente di quello che è successo all'altro, ma stanno praticamente parlando della stessa persona... 
E poi la rivelazione del secolo! La vera identità di Lilith!
Finalmente ho sganciato la bomba! Eeeeh sì! 
Ve l'aspettavate? 
Spero di non essermi fatta sgamare fin ora XD 
Come sempre, ringrazio dal più profondo del mio corazòn coloro che leggono, mi seguono e recensiscono ogni volta! Non vi dirò mai abbastanza quanto vi adoro! <3 
E niente! 
Ci vediamo col prossimo capitolo!
Un bacione, 
Rob
<3

 

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Capitolo 35
*** Passato Sepolto ***


Passato Sepolto

_ Amelie_

Due pozze di ghiaccio liquido si posarono su di me.
Rabbrividii.
Potevo quasi sentire quel gelo penetrarmi nelle ossa, fulmineamente, fino a cristallizzarmi il cuore.
Non l'avevo mai visto in quelle condizioni.
Mai.
Ed avevo paura.
Non per me; io ero pronta a tutto ormai, preparata al peggio; mi sarei gettata volontariamente nelle fiamme, pur di dimostragli l'intensità il mio amore. Ma il terrore che mi pietrificava il respiro, era unicamente rivolto a lui.
Era per lui.
Come se da un momento all'altro, Miguel potesse disintegrarsi davanti ai miei occhi.
<< T-tua sorella?>> sussurrai incredula, misurando il tono della voce.
<< N-non pensavo tu avessi una sorella...>>
Lui annuì appena.
Aveva i pugni talmente stretti da lasciar intravedere il bianco delle nocche e la mascella incredibilmente serrata.
Tutto il suo corpo era in tensione, rigido, contratto, pronto a scattare in posizione di difesa.
<< Sei soddisfatta, ora? O vuoi sapere altro?>>
Sentii la sua voce graffiare l'aria. 
Era cupa, beffarda, glaciale... non lasciava trasparire alcuna emozione.
Ma mai quanto i suoi occhi.
Incapace di sostenere ancora quello sguardo, feci un segno d'assenso col viso e mi sporsi in avanti per accarezzargli il volto.
C'era qualcosa in lui, qualcosa di magnetico, bruciante, che mi attraeva e respingeva al contempo.
In continuazione.
Da una parte sentivo il bisogno impellente di toccarlo, di abbracciarlo, di circondarlo col calore del mio corpo, ma dall'altra avevo paura persino ad avvicinarmi.
Non toccarlo... se lo tocchi si spezzerà!
Ma prima che potessi solamente sfiorare la sua pelle, Miguel mi trapassò da parte e parte con un'occhiata tagliente.
Non avevo mai visto i suoi occhi così freddi, profondi, torbidi... sembravano sconfinati abissi oceanici nei quali affogare.
<< Non farlo!>> ringhiò.
Piuttosto sconcertata, ritirai la mano.
Lui si allontanò di botto, alzandosi dal letto in malo modo.
<< Cos'hai?>> gli chiesi preoccupata, seguendolo all'interno della stanza con lo sguardo.
Miguel scosse la testa, e senza alcun preavviso, si strappò di dosso le bende che gli fasciavano il corpo.
Ci fu uno stridore aspro, secco, di stoffa lacerata... e le garze insanguinate caddero a terra in brandelli.
Parevano tanti coriandoli di carta.
<< Non ho bisogno di queste!>> disse fra sé, come se io non ci fossi.
Feci per replicare, ma il tenue bagliore dorato delle candele lo illuminò del tutto rivelandone la pelle chiara, liscia e assolutamente intatta. Non c'erano più ferite.
Ogni lesione, anche quella peggiore, si era rimarginata rapidamente, lasciando spazio a lievi chiazze rosate.
Ma ben presto, sarebbero svanite pure quelle.
Involontariamente, m'inumidii le labbra, percependo il lieve sentore del suo sangue a contatto con la lingua.
Una miriade di sensazioni s'affollò all'interno della mia testa, facendomi tremare come una foglia.
Dio mio...
Il solo pensiero di quel sangue, il suo sangue... all'interno della mia bocca, bastava a farmi impazzire. 
Ne volevo ancora.
Schifata dai miei stessi pensieri, mi mordicchiai il labbro superiore.
Ma cosa mi stava accadendo?
Il mio comportamento era assurdo, anormale... eppure non potevo farne a meno.
Volevo sentire nuovamente quel liquido cremisi scorrermi tra le labbra, attraverso i denti e scendermi giù per la gola.
Era così caldo, intenso, invitante... terribilmente delizioso.
Poi, senza volerlo, mi ritrovai con gli occhi incollati alla levigatezza del suo corpo seminudo, muscoloso, marmoreo.
Pareva una scultura del Canova, tanto fosse perfetto.
In uno stato di religiosa contemplazione, mi alzai dal letto, affiancandolo.
Con una lentezza quasi esasperante, lasciai che le mie dita indugiassero sulla sua pelle, sfiorandola appena.
Risalii le sue braccia con le mani, percorsi la linea affusolata delle clavicole, fino a raggiungere la protuberanza delle scapole.
L'epidermide era calda, morbida, pulsante... di una bellezza ultraterrena, che sconfinava nel divino.
Ciononostante, qualcuno aveva osato dilaniarla, accanendosi contro di essa con un'insensata violenza.
Al solo pensiero, un odio cocente m'infiammò la gola.
<< Chi ti ha inferto quelle ferite orribili?!>> scivolò fuori dalla mia bocca.
Lo vidi irrigidirsi, dopodiché Miguel mi scansò da un lato, interrompendo il contatto tra i nostri corpi.
<< È successo durante il viaggio in carrozza, vero?>> supposi ad alta voce.
Lui evitò di rispondermi, e prese a muoversi nervosamente all'interno della stanza.
Camminava a grandi falcate da una parte all'altra, con le braccia incrociate al petto e le sopracciglia corrugate.
Sembrava un animale in gabbia.
<< Siamo forse stati attaccati dai Ghuldrash?>>
Ma lui scrollò le spalle.
<< Oppure... potrebbe essere stata lei?>> ipotizzai esitante, << Lilith?>>
Nell'udire nuovamente quel nome, Miguel intercettò il mio sguardo, facendo rabbrividire fin nelle ossa.
<< Sì...>> fu la sua unica risposta.
<< M-ma lei è tua sorella!>> esclamai, scandalizzata. << Perchè avrebbe dovuto farti del male?!>>
Non riuscivo proprio a capacitarmene.
I suoi passi smisero di risuonare sul pavimento, mentre un sorriso tetro si dipinse sulle sue labbra.
Metteva i brividi.
<< Allora?>> lo incalzai, sempre più impaziente.
Lui inclinò la testa di lato, guardandomi con aria assorta.
Peccato che non mi stesse osservando sul serio, anzi. I suoi occhi erano rivolti altrove, in un luogo lontano, imprecisato.
Erano intrappolati nei foschi recessi della sua memoria e sembravano rivangare un passato antico, ormai sepolto.
Poi un rumore gutturale riempì l'aria, facendomi sussultare all'istante.
Erano risate.
Forti, sguaiate... e provenivano da Miguel.
Le sue spalle erano scosse dai singhiozzi spasmodici di quelle risa, mentre gli occhi parevano quasi lacrimare.
<< Cosa c'è di così divertente?>> mormorai, sconcertata.
Non era da lui scoppiare a ridere in quel modo isterico.
<< Oh, niente... mio Piccolo Tarlo!>> disse, tra un ascesso di risa e l'altro.
<< Assolutamente niente! È solo... tutto così terribilmente comico!>>
Lo guardai stranita, gli occhi che per poco non uscivano fuori dalle orbite, cercando di comprendere almeno il senso delle sue parole.
<< Cosa vuoi dire?>>
Le risate gli morirono in gola, poi giunse il silenzio.
<< Ti chiedi come una sorella possa ferire in questo modo il proprio fratello, eh?>> ghignò divertito, << Per te... che sei abituata alle futili scaramucce, deve sembrarti anomalo, un simile comportamento. Ma per me e Lilith non è mai stato così.>>
<< Che intendi dire?>> sussurrai, avvicinandomi a lui. 
<< Semplicemente che è differente. Diverso da tutto quello che ti hanno insegnato, che credi giusto e che quotidianamente reputi "normale". >> 
Il tono della sua voce era lugubre, spaventoso.
Talmente basso da sembrare un sussurro.
<< Non siete mai andati d'accordo?>> supposi ingenuamente.
<< No, mio Piccolo Tarlo...>> disse contraendo la mascella, << Il nostro rapporto è sempre stato... complicato. Quasi morboso, perverso, malato.>>
Alle sue parole impallidii.
<< "Malato"?>> ripetei, incapace di andare oltre.
Lui mi accarezzò il volto col dorso della mano, poi distolse lo sguardo.
<< Lilith è una pazza, Amelie. Lo è sempre stata.>>
Inconsapevolmente, l'immagine della donna misteriosa mi comparve davanti agli occhi: sorridente, spietata, intenta a strapparmi di mano il corpo senza vita di Miguel.
" Non è pane per i tuoi denti..." aveva ribadito nel mio sogno, a denti stretti, in una più che esplicita minaccia.
Rividi le sue iridi violacee bruciare di gelosia, possesso, ira... ed un terribile presentimento mi ghiacciò il cuore.
Oh, no... non poteva essere vero.
Lei non era chi temevo che fosse!
Ma ormai era tardi, ed il dubbio era riuscito ad insinuarsi viscidamente nella mia testa.
<< Lei com'è fatta?>> bisbigliai appena.
Avevo la gola secca, arida, raschiante.
A stento riuscivo a formulare delle parole.
Miguel restò immobile a fissare il nulla, dopodiché i suoi occhi tornarono a posarsi su di me, interrogativi.
<< Perché me lo chiedi?>>
Inghiottii dolorosamente, stringendo i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi.
<< Devo saperlo. Com'è fatta?>>
<< Occhi viola e capelli rosso sangue.>>
In quel momento, desiderai con tutte le mie forze raggomitolarmi su me stessa ed implodere.
Restai in silenzio per alcuni secondi, la bocca aperta, gli occhi sgranati ed una costante sensazione d'oppressione contro il petto.
<< Oh mio Dio...>> sibilai, << È lei!>>
Formulare quella frase ad alta voce, fu come gettarsi da un crepaccio.
Non mi sentivo più la terra sotto i piedi e tutto prese a vorticarmi intorno, come una trottola.
A malapena percepii le braccia di Miguel scuotermi.
<< Che cos'è successo?! La conosci?!>> mi chiedeva, gridando come un pazzo, preda della paura e della disperazione.
Cercai di articolare una frase di senso compiuto, di rassicurarlo, ma avevo i polmoni chiusi e riuscivo a respirare per puro miracolo.
<< Maledizione, Amelie! Rispondi!>>
Ma niente, ero pietrificata.
<< Non dirmi che è stata lei a... a procurarti quei segni sul viso?!>> scoppiò, << Ma come? Quando? Come può essere entrata in contatto con te?! >>
<< I-io...>> balbettai, << Io non lo so!>>
Gli occhi di Miguel si accesero di rosso, trafiggendomi come lame infuocate.
Erano increduli, sconcertati, furiosi.
Folli.
<< Da quanto tempo va avanti questa storia, eh?>>
Nonostante la collera ben visibile sul volto, la sua voce era incredibilmente atona, inespressiva, calma.
Non tradiva alcuna emozione.
<< N-non lo so... all'inizio credevo fossero solo visioni. Dei sogni orrendi, incubi. Ma durante la mia visita al cimitero, nella cripta di famiglia... l'ho vista. È apparsa davanti a me... in carne ed ossa. Ed era così vivida, concreta, reale! Continuava a ripetermi frasi incomprensibili, sconnesse... eppure, sembrava conoscermi a fondo. Sapeva delle cose di me, cose che non avevo detto ad anima viva. Poi, mi ha conficcato le unghie nella carne, ed è svanita nel nulla.>>
Lo vidi incupirsi, stare muto per secondi interminabili, poi una luce crudele gli illuminò lo sguardo rovente.
<< Io l'ammazzo!>> decretò, totalmente fuori di sé.
Potevo vedergli l'odio ribollire nel petto, fin quasi a soffocargli il respiro.
Preda del terrore più nero, presi a tremare convulsamente, le ginocchia mi cedettero e per poco non mi ritrovai rovinosamente a terra.
Miguel mi aveva afferrato appena in tempo.
<< C-cosa vuole quel mostro da te?!>> ruggì, stingendo la sua morsa fino a farmi male.
<< Non lo so! Non ne ho idea! I-io non so niente! >> gracchiai con voce stridula.
Dopodiché fu tutto troppo veloce.
Nel giro di un secondo mi ritrovai a gambe all'aria, la schiena contro il materasso e il suo corpo avvinghiato al mio.
S'impossessò avidamente delle mie labbra, fin quasi a strapparle, poi si allontanò bruscamente.
<< Miguel...>> sussurrai, il cuore in gola e lo stomaco sottosopra.
Mi portai faticosamente a sedere, cingendolo da dietro con le braccia.
Che strano.
In quel momento, visto di spalle, Miguel sembrava incredibilmente fragile.
Potevo sentire i suoi muscoli contrarsi ad ogni respiro, le vertebre fuoriuscire appena, in rilevo, fino ad aderire perfettamente col mio corpo.
<< La pagherà...>> mugugnò, affondando le mani tra i suoi capelli.
<< Oh, sì... la pagherà cara! Non le permetterò mai di portarmi via anche te, Amelie. Mai!>>
Il suo tono era così roco e straziato da strapparmi l'anima dal petto.
E faceva male.
Mi strinsi a lui ancora di più, con maggiore forza, come se il dolore provocato dalla nostra eccessiva vicinanza potesse annientare tutto il resto.
Cancellare ogni cosa.
Ma non funzionò, anzi.
Mi ritrovai investita da una moltitudine di fitte al cuore, che s'intervallavano a singhiozzi e spasmi.
Che cosa mi stava accadendo?
Non riuscivo a spiegarmelo, era come se la gabbia toracica cozzasse continuamente col muscolo cardiaco, fino ad incrinarsi.
Sentivo quel dolore scorrere muto attraverso le ossa, irradiarsi dall'interno ed esplodere.
Forse era a causa del nostro reciproco scambio di sangue, o forse stavo solamente impazzendo del tutto... non lo sapevo, ma attraverso la mia pelle, potevo percepire la sofferenza di Miguel.
Dentro, come una lieve pressione sullo sterno, che spingeva e spingeva fino a far male da morire.
Il suo dolore era anche il mio.
<< Lei è tua sorella...>> biascicai incredula, << Oh, Dio... Miguel! La donna che popola i miei incubi, è tua sorella!>>
<< E non solo...>> dichiarò a denti stretti, << È anche colei che mi ha rovinato la vita...>>

_ Miguel_

Ungheria, 5 settembre 1685.
Era il giorno del mio sesto compleanno e come di consueto, avevo passato le ore che precedevano il crepuscolo, in attesa.
Sbuffai spazientito, guardandomi intorno con aria circospetta.
Non ne potevo più di quelle quattro mura, così tetre, scure, incombenti.
Sembrava quasi che da un momento all'altro potessero crollare su loro stesse, intrappolandomi tra polvere e cumuli di macerie.
Fissai con astio il portone sigillato dall'esterno, poi le feritoie delle finestre ad arco acuto; le avevo sempre odiate.
Erano troppo strette, tropo alte, troppo... cupe.
La mia unica consolazione era il pavimento: una lunga distesa di marmo sormontata da balocchi e libri, alcuni dei quali aperti, con le pagine consunte e stropicciate.
Mi sporsi su una pila di tomi antichi, portandomi sulle ginocchia un mattoncino rilegato in pelle, le scritte in rilievo, dorate, leggermente sbiadite dal tempo.
Era il "Don Chisciotte de la Mancia", il capolavoro di Miguel de Cervantes, nonché libro preferito della mamma.
Era a causa di quello scrittore spagnolo, infatti, che mi ritrovavo con un nome tanto strano, inusuale, così poco ungherese...
Fissai con astio la copertina, poi cominciai a sfogliare il libro a ritroso, ma mi annoiai dopo pochi secondi.
Possibile che non ci fosse mai niente d'interessante da fare?
Nessuno con cui giocare, parlare o passare gran parte del tempo?
Abbandonai il Don Chisciotte ai piedi del letto, e col cuore in gola mi affrettai a raggiungere la finestra.
L'orizzonte era in fiamme e il sole scivolava languidamente verso basso, dietro le colline, fino a svanire del tutto oltre la sponda del Danubio.
Una sottile linea di terra, separava la volta celeste dall'acqua, mentre il profilo frastagliato della città incombeva sulla riva destra del fiume.
Le ombre s'intensificarono, il paesaggio perse ogni sua connotazione.
Dopodiché, rimase solo il cielo: un'immensa distesa di sangue violaceo, raggrumato in tante piccole nubi rosate.
Sembravano spruzzi di colore, macchie... pennellate frettolose su una tela iridescente.
Estasiato da quella scena, mi appoggiai al davanzale della finestra, rubando con gli occhi le svariate cromie del cielo.
Qualunque pittore sarebbe potuto impazzire di fronte ad un simile spettacolo.
I tramonti di Visegràd erano i più belli che avessi mai visto, benché, allora, non avessi mai avuto la possibilità di vederne altri.
<< Miguel...>> mi sentii chiamare, << Sei qui?>>
Ci fu un fruscio di vesti sul pavimento, poi il rumore di una porta chiusa.
<< Madre!>> esultai, voltandomi all'istante nella sua direzione.
Una'esile figura dalla pelle candida e i capelli rossi, fece capolino all'interno della stanza, avanzando lentamente, contando i passi.
Uno splendido sorriso le illuminava il bel volto, mentre gli occhi, di uno sgargiante blu elettrico, guardavano fissi nel vuoto.
Sembravano zaffiri incastonati nell'avorio.
<< Sono qui.>> dissi, afferrandole la mano.
<< Piccolo mio... mi sei mancato tanto!>> sussurrò.
Aveva una voce così tenue, musicale, più fievole del vento.
Tutto in lei era fragile, delicato, in procinto di spezzarsi da un momento all'altro.
A volte avevo timore persino ad abbracciarla... e questo perché la donna che mi aveva messo al mondo, era diversa.
Completamente differente da me, da mia sorella, da mio padre.
Lei era una mortale.
Nulla più di un debole essere umano.
 << Anche tu mi sei mancata!>> mi lagnai, buttandomi a capofitto tra le pieghe delle sue gonne.
La sentii sghignazzare, dopodiché si inginocchiò per abbracciarmi, ed io approfittai della situazione per affondare il viso tra i suoi capelli. Mi beai del suo profumo, riempiendomi le narici fino a sentirle bruciare.
La mamma aveva un odore buonissimo, invitante.
Chissà se tutti gli umani profumavano in quel modo?
<< Finalmente sei arrivata! Non ce la facevo più ad aspettarti!>> esclamai, staccandomi quel poco per poterla vedere in volto.
Ma rimasi abbagliato.
Gli ultimi raggi solari, le incendiavano i capelli rossi con una sfumatura incandescente, facendoli sembrare lingue di fuoco vivo.
<< Come potevo mancare? È il tuo compleanno... te l'avevo promesso.>>
Le afferrai dolcemente la mano, portandomela al viso affinché potesse accarezzarmi.
Sentii il suo tocco leggero sulle tempie, sul naso, sulle guance, poi appena sopra le palpebre.
Aveva gli occhi aperti, spalancati, ma nessun'immagine filtrava attraverso di essi.
Erano ciechi, inutili, inservibili.
Puramente ornamentali.
<< Somigli molto a tuo padre, Miguel. Siete identici!>> ridacchiò.
<< No, non è vero...>> sibilai tutto impettito.
<< Invece sì...>> dichiarò dolcemente, sfiorandomi ancora.
<< Non voglio somigliargli. Lui è cattivo. Ti tiene sempre lontana da noi!>> gridai con forza, << Vuole averti tutta per sé!>>
Al suono delle mie parole vidi i suoi occhi vitrei annegare nelle lacrime.
<< Non dire così... Arthur è solo molto protettivo. Ultimamente sono stata ... malata... quindi non sono riuscita ad alzarmi dal letto. È per questo che ti ho trascurato. Tuo padre non ha colpe.>>
La guardai intensamente, come a voler marchiare la mia memoria con la sua immagine.
Lei credeva di parlare con un bambino ignorante, ma io sapevo.
Conoscevo fin troppo bene i pensieri di mio padre, il quale, ci teneva separati di proposito.
Aveva paura.
Lo terrificava il pensiero che, nell'impeto della nostra giovane età, potessimo farle del male.
Soprattutto mia sorella.
<< Io non ti ferirei mai!>> mormorai, sprofondando nelle sue braccia.
<< Lo so, amor mio... lo so.>> disse con la voce incrinata dal pianto.
Mi scansai appena, poggiando la fronte alla sua.
Una scarica elettrica s'irradiò attraverso le nostre pelli, connettendo la mente dell'una all'altro.
Gli mostrai la magnificenza del tramonto, i suoi colori accesi, caldi, luminescenti; i riflessi argentati del fiume e i contorni scuri della città.
Volevo che vedesse il mondo attraverso i miei occhi, i miei sensi, i miei pensieri, con l'unico scopo di renderla felice.
<< Ti prego, mamma... Non essere triste! >> la rincuorai. << Ci sono io con te!>>
Senza interrompere il contatto tra le nostre menti, le portai le mani sul mio viso, premendole il più possibile contro la bocca.
Volevo che percepisse il mio sorriso, che lo sentisse... che lo vedesse.
<< Lo vedo...>> bisbigliò.
<< E come? I tuoi occhi sono ciechi.>> eruppe una voce cristallina alle nostre spalle.
Mi voltai in direzione di Lilith, che con passo felpato, si era avvicinata alla finestra.
Somigliava molto alla mamma, sia per quanto riguardava i lineamenti delicati ed i capelli rossi, ma la sua bellezza aveva qualcosa di oscuro, sfuggente, indescrivibile.
Sebbene fosse mia sorella maggiore, e le volessi un gran bene... a volte ne avevo paura.
<< Lily, mia cara...>> mormorò spaesata la mamma, alzandosi in piedi.
<< Cosa ci fai qui?>>
Mia sorella scrollò le spalle, arricciando la bocca in una smorfia d'insofferenza.
<< Beh, è il compleanno del mio fratellino...>> disse, << Non potevo di certo mancare!>>
La mamma parve rilassarsi un poco, e con fare affettuoso le tese le braccia.
Un ghigno divertito sfiorò il volto di mia sorella, ma svanì all'istante, rimpiazzato da un sorriso caldo, spensierato... quasi gentile.
Ci raggiunse in poche falcate, abbracciandoci entrambi.
<< Siete il dono più bello che la vita potesse farmi.>> singhiozzò la mamma, commossa.
<< Ed ora il tuo regalo, Miguel.>> continuò.
Aiutata da Lilith, si fece scortare in un angolo della grande camera, dove una mastodontica arpa dorata svettava tra leggii in legno e spartiture varie.
Ovviamente inutilizzate.
Scostando le lunghe gonne di lato, si sedette sullo sgabello e quando fu pronta, le sue dita bianche pizzicarono le corde dell'arpa.
Un suono, due suoni, un'intera melodia.
L'aria si riempì di note delicate, antiche, intrappolate nello spiraglio del tempo.
Vidi Lilith avvicinarsi e prender posto vicino a me, poi prendere la mia mano e portarsela alle labbra.
<< Sei il mio tesoro, Meine Liebe...>> sussurrò tra le mie dita, << Sei l'unico che non mi mentirà mai, vero?>>
Confuso dalle sue parole, mi voltai a guardarla.
Non ne capivo il senso, ma annuii comunque.
<< Stanotte vieni nella mia stanza, ho qualcosa per te.>> mi bisbigliò nell'orecchio.
<< Un regalo?>> esclamai eccitato.  
Le sue iridi viola guizzarono dal volto della mamma al mio, infine le sue labbra s'incurvarono all'insù, mostrando appena il profilo dei denti aguzzi.
<< È una sorpresa...>> sogghignò.
Dopodiché, svanì nel nulla, dileguandosi come fumo pruriginoso.

---

"Miguel..."
Risuonò Lilith nella mia testa.
"Vieni da me!"
Ancora mezzo assonnato, mi alzai dal letto, stropicciandomi gli occhi.
La luce della luna s'irradiava attraverso le finestre come un getto d'argento liquido, accentuando, nel suo chiarore le inquietanti ombre della stanza.
Facendo attenzione a dove mettevo i piedi, mi diressi alla porta, uscendo dalla camera senza fare rumore.
Non era la prima volta che sgattaiolavo di nascosto per giocare con lei... anche se, ultimamente, il suo comportamento era stato piuttosto strano.
Era cupa, silenziosa... crudele.
L'avevo vista torturare orribilmente un povero gatto, per poi scuoiarlo e dargli fuoco.
Ovviamente la mamma non ne sapeva niente, lei vedeva solo il bene in noi, solo l'amore, ma mio padre no... lui sapeva.
Conosceva la nostra natura, quello che ribolliva nel nostro sangue, i nostri istinti sopiti, e per ritardare in ogni modo lo "sviluppo" delle nostre capacità, ci aveva da sempre insegnato a nutrirci di animali.
Il sangue umano era severamente vietato, soprattutto quello della mamma.
"Meine Liebe!" continuava a chiamarmi.
Mi guardai in giro con aria circospetta; il corridoio era buio e non c'erano finestre, ma da qualche tempo a questa parte, l'oscurità non era più un problema. I miei occhi riuscivano a vedere nelle tenebre, nitidamente, come se fosse giorno.
Ero piuttosto eccitato da quel nuovo potere, come del resto dalla mia forza, dalla velocità e anche dalla resistenza fisica, in continuo accrescimento. Sentivo che ben presto sarei diventato invincibile come papà, o forse di più.
Il solo pensiero, bastava a rallegrarmi.
Mi diressi verso la stanza di Lilith quasi saltellando, col cuore gonfio di aspettativa.
Che tipo di sorpresa era?
Un regalo?
Sperai vivamente in un'uscita notturna, un inseguimento fuori dal castello, nell'immensità della radura.
Volevo correre, sentirmi libero e cacciare.
Sapevo che con papà eravamo andati a caccia solo qualche giorno prima, ma era pur sempre il mio compleanno, ed io avevo voglia di divertirmi.
Stavo quasi per abbassare la maniglia della porta di Lilith, quando un suono assordante rimbombò attraverso le pareti, squarciando l'aria.
Un urlo.
Il suo urlo.
<< Mamma!>> gridai, spalancando la porta con forza.
La luce della luna era stranamente accecante, e per alcuni secondi mi ferì gli occhi. C'era odore di sangue, l'intera stanza ne era impregnata.
Poi li vidi, stesi a terra, in un lago di fanghiglia rossa.
Due corpi.
I loro corpi.
Vicini, dilaniati, uniti per sempre dall'abbraccio della morte.
L'ennesimo grido ferì l'aria, acuto, potente, straziante, ma solo in un secondo momento, mi resi conto che provenisse da me.
<< Mamma! Papà!>>
Fiumi di lacrime m'incendiarono gli occhi, il panico m'immobilizzò, mentre la totale incredulità m'impediva di registrare quelle immagini come "vere".
Ma cos'era successo?
Non so per quanto tempo rimasi lì, immobile, senza riuscire a muovere un muscolo, senza pensare... eppure, d'un tratto, trovai la forza di avvicinarmi.
Feci un passo, due, tre, camminavo a piedi nudi nel sangue.
<< Mamma...>> singhiozzai, << Mamma, svegliati.>>
Ma la mamma non si mosse, continuava a rimanere sdraiata sul pavimento, rida, spezzata, come un ramoscello troppo debole.
Segni rossastri le insudiciavano la pelle bianca, spettrale, mentre un enorme squarcio le tagliava lateralmente l'addome.
Era morta.
La mia mamma era morta...
Incapace di accettare la realtà, mi fiondai sul suo corpo privo di vita, stringendomi a lei, scuotendola, gridando il suo nome...ma era inutile.
Lei non c'era più... e neanche il mio papà.
Con la nausea a rivoltarmi lo stomaco, mi girai nella direzione dell'uomo che mi aveva messo al mondo, trovandolo steso su un lato, la gola tagliata e il cuore macabramente tra le mani.
Qualcuno glielo aveva strappato dal petto.
<< Ti è piaciuta la mia sorpresa?>> soffiò una voce delicata alle mie spalle.
Sentii un sentimento sconosciuto avvelenarmi il sangue, la mente, le ossa, fino ad annebbiarmi la vista.
Non era rabbia, no... ma qualcosa di molto più potente, intenso, bruciante.
Qualcosa di immenso, capace di fracassarti il cranio e il cuore, fino a farlo scoppiare.
Era l'Odio...
<< Lilith... >> ringhiai, << Sei... sei stata tu?!>>
Udii le sue risate argentine trillare nella stanza, come funerei campanelli.
<< E chi altri?>>
Comparì dalle ombre, vestita di seta nera e di sangue.
<< Perché l'hai fatto?!>>
I suoi occhi viola ebbero un tremolio, baluginarono eccitati, poi... per la prima volta, si tinsero di rosso.
Un cremisi intenso, liquido, luminoso, di chi supera la prima barriera e si nutre del sangue umano.
<< Perché?!>> ripetei, fiondandomi su di lei, all'attacco.
Bloccarmi, per mia sorella, fu fin troppo facile.
Lei era più grande di me, più forte, ed io ero solo un bambino.
Con una dolcezza nauseante, mi cinse con le braccia, stringendomi a sé in una morsa di ferro.
<< Oh, Meine Liebe...>> sussurrò, accarezzandomi col tono fievole della sua voce.
<< L'ho fatto perché lo meritavano. Erano dei bugiardi. Lo sono sempre stati...>>
<< No, non è vero!>> ruggii infuriato, dimenandomi.
<< Sei un mostro!>>
La sentii ridere, poi infilarmi dal collo qualcosa di metallico, pesante, quasi rovente.
Era la Mimesis, l'arma preferita di papà.
<< Buon compleanno, Meine Liebe.>>
Mi baciò lievemente a fil di labbra, mi sorrise e poi svanì, lasciandomi solo, orfano, e senza più un luogo dove andare.
Nel lasso di una notte e senza alcuna spiegazione logica, avevo perso ciò che avevo di più caro al mondo: la mia famiglia...
Svuotato di ogni lacrima e privo di forze, mi accasciai a terra, accanto ai cadaveri dei miei genitori.
Mi rannicchiai in posizione fetale, sul loro sangue, poi chiusi gli occhi.
Ormai... era tutto finito. 

 
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Angolo dell'autrice: 
Salve a tutti! Oggi sono un po' di fretta, quindi non mi dilungherò troppo! Dunque, ho diviso il capitolo in due parti: la prima con Amelie che si rende finalmente conto di chi sia in realtà Lilith, e Miguel che si ritrova faccia a faccia con quella notizia; e la seconda con un flashback di Miguel, che detto fra noi, mi sono "ammazzata" a scrivere. In primo luogo perché è una parte importante della storia, e non vedevo l'ora di arrivarci. Dall'altra perché è stato difficile raffrontarsi con un Miguel bambino... infatti temo che nonostante i suoi sei anni, dimostri una maturità intellettuale piuttosto inusuale per la sua età... <.< ma vabbè, leggeva tanto. Vorrei sapere cosa ne pensate di questo flashback, se vi è piaciuto... e se avete avuto, un certo senso di deja-vù... (spero di si) perché riprende un sogno fatto qualche capitolo fa da Miguel, quello dove compare per la prima volta Lilith nei panni di Amelie... ( se non ve lo ricordate, fa niente!) *sigh!* 
Eeeee poiiii.... niente! Vi ringrazio come sempre per la pazienza, e per il fatto di essere arrivati sani e salvi fin qui... grazie di cuore *_*
Ps. A breve dovrò partire per l'Emilia Romagna a causa di un workshop, e starò via una settimana, quindi non so se riuscirò ad aggiornare troppo in fretta... (scusateee T.T) 
Un bacione
Rob 

<3

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Capitolo 36
*** Lasciati Guardare ***


Lasciati Guardare

_ Amelie_

 << Rimasi con loro per giorni interi, immobile, senza mangiare né dormire, mentre il tempo corrompeva i loro corpi. Avrei voluto seguirli anche io, morire con loro, ma c'era quella rabbia, dentro di me, quell'odio incandescente che mi spingeva a vivere. Non potevo arrendermi... lasciarmi andare, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. La loro morte, sarebbe stata inutile. Ed io non volevo. Non potevo premetterlo.>> fece una pausa, poi, con voce incredibilmente roca e flebile, riprese a parlare.
<< Così trovai la forza per lasciare quella casa infestata dai ricordi. Le detti fuoco, la guardai bruciare, infine me ne andai. Vagai per secoli alla ricerca di Lilith, girando in lungo e in largo, dall'Europa alle Americhe, solo per vendetta. Purtroppo, non trovai nulla: di mia sorella... di quel mostro, non c'era alcuna traccia. Almeno... fino a qualche tempo fa. >>
<< Che vuoi dire?!>> singhiozzai, << Non l'hai incontrata durante il viaggio in carrozza?>>
Lui annuì in silenzio, sporgendosi in avanti.
<< Sì, l'ho rivista in quel momento. Ma si è intrufolata nei miei sogni molto tempo prima, prendendo le tue sembianze.>>
<< Le mie sembianze?!>> sussultai.
<< Esatto. Manovrare la mente è un gioco che le è sempre riuscito bene, ma ora i suoi poteri sono accresciuti. Arthur, mio padre... era uno dei Primi, il suo sangue era puro, di un retaggio superiore, nonché dotato di una forza sconfinata. Quella notte, Lilith si nutrì da lui fino ad ucciderlo, assorbendo di conseguenza gran parte dei suoi poteri.>>
A quelle parole, dovetti trattenere un conato di vomito.
<< Ma com'è possibile? Lei era una ragazzina! Se veramente tuo padre era così... invincibile, come ha potuto sopraffarlo>>
Vidi Miguel scuotere il capo, per poi stringersi nelle spalle.
<< Non lo so.>> ammise, << Non ne ho la più pallida idea. Ma una cosa è certa: non ha fatto tutto da sola. Qualcuno deve averla aiutata.>>
<< Ma chi? E perché?!>> gridai, in preda all'incredulità più assoluta.
<< Piacerebbe saperlo anche a me, Amelie.>> mormorò con voce strozzata.
I suoi occhi si persero nuovamente nel vuoto, tra i ricordi... e d'un tratto, il suo viso s'incupì... fino a diventare una maschera di dolore.
Istantaneamente, una fitta lancinante mi colpì in pieno petto: era lui, Miguel, la sua sofferenza che si riversava in me, fisicamente, come una cascata d'acqua bollente.
<< M-mi dispiace così tanto! Eri solo un bambino! Deve essere stato uno strazio per te... sopravvivere... andare avanti. Eri così piccolo, maledizione!>> imprecai, << Come può la tua sorella... la tua stessa sorella... aver compiuto un delitto tanto efferato?!>>
Mi coprii gli occhi con entrambe le mani, illudendomi così di fermare il pianto... ma non ci riuscii.
Affogai nelle mie stesse lacrime, col terrore di fissare gli occhi all'interno dei suoi.
Non volevo sembrare debole, o lagnosa... come una qualsiasi ragazzina viziata, superficiale, vissuta da tutta una vita nella bambagia.
Mi sforzavo di capire, anche solo minimamente, quanto Miguel avesse potuto soffrire da bambino, dopo la strage dei suoi genitori, ma era totalmente impossibile per me.
Non potevo, non ero in grado nemmeno di immaginare l'intensità di tale dolore.
<< Ormai è passato molto tempo, mio Piccolo Tarlo. >> disse, carezzandomi lievemente il volto.
Provai a sorridergli, inutilmente.
Sollevare gli angoli della bocca sembrava quasi un'impresa titanica.
<< Perchè non l'hai uccisa?>> chiesi senza riflettere.
<< Avrei potuto farlo... nonostante la sua forza, avrei potuto farlo. Bastava una maggiore pressione, una stretta decisa, netta, proprio intorno al suo collo. Potevo sentire il suo cuore pulsarle nelle vene, attraverso le mie dite... ma poi, il suo volto... il suo volto mi ha distrutto.>>
<< Cosa vuoi dire?>> domandai col fiato corto, facendomi ancora più vicina.
Sperai in una risposta, un sibilo, un sussurro... ma il silenzio ci avvolse come un drappo troppo pesante.
<< Miguel! Ti prego... parlami! Non... non porterà a nulla tenersi tutto dentro!>>
Vidi il suo volto dalla bellezza sconvolgente indurirsi, contrarsi, mentre una lacrima solitaria ruppe gli argini, all'improvviso, lasciando dietro di sé una scia salata e trasparente.
Il mio cuore arrestò la sua corsa per alcuni interminabili istanti, poi riprese a scalpitare impazzito.
Non avevo mai visto un uomo piangere... in tutta la mia vita.
Nemmeno per sbaglio.
Eppure, trovarmi di fronte alle lacrime di Miguel... fu qualcosa di inaspettato: straziante e bellissimo al contempo.
<< Il suo volto...>> sussurrò, guardandomi negli occhi, senza vergogna.
<< Cos'aveva il suo volto?>> lo incalzai, sospirando.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui, ero come ipnotizzata.
Più mi perdevo all'interno dei suoi occhi, più mi sembrava di precipitare in un baratro di ghiaccio, fino a smarrire del tutto me stessa.
<< Era così simile a quello di mia madre, quasi la sua copia. Potevo leggere in lei gli stessi lineamenti, le stesse espressioni... quasi fosse la sua incarnazione! Non potevo farle del male... ferirla! Il solo fatto di storcerle un capello, sarebbe stato come uccidere la mamma una seconda volta... con le mie mani!>>
La sua voce era dolore liquido, un urlo disperato nel cuore della notte.
Guidata solo dall'istinto e dal bisogno impellente di sentirlo vicino, mi fiondai tra le sue braccia, stringendolo a me con forza, come se quel contatto potesse fondermi a lui, al suo corpo, fino a farmi svanire nel nulla.
<< Shhhh!... Ora ci sono io, qui con te.>> gli bisbigliai all'orecchio, << Non sei solo. Non lo sei più...>>
Lo sentii scostarmi appena, dolcemente, affinché potesse guardarmi in faccia.
Ci scrutammo a vicenda, in silenzio, dopodiché i suoi occhi presero a fissarmi intensamente, con malcelata bramosia ed incredulità.
Rabbrividii come una foglia.
<< Ho paura.>> mi confidò, sorridendo amaramente.
La sua espressione era indecifrabile, ma seria.
Forse troppo.
<< D-di cosa?>> ansimai, sentendomi il cuore in gola.
Il suo sorriso s'incupì maggiormente, fin quasi a morirgli sulle labbra.
Ora eravamo solo noi.
Io e i suoi occhi.
<< Ho paura di perderti, Amelie...>>
Rimasi senza fiato.
<< Credevo di aver seppellito queste emozioni, insieme ai miei genitori...>> continuò, << Ma invece... eccole qui, di nuovo... ad attanagliarmi un cuore che non sapevo neanche più di possedere.>>
Cercai di tornare alla realtà, di dire qualcosa, ma le sue parole mi avevano totalmente disorientato.
Quindi feci un bel respiro, mi riempii d'aria i polmoni e parlai.
<< Anche io ho paura...>> ammisi, torturando un lembo di lenzuolo.
Lui mi sorrise appena, carezzandomi lievemente le guance con la punta delle dita.
Quell'ulteriore contatto, così dolce, a fior di pelle... mi diede un inaspettato coraggio.
Gli afferrai il volto tra le mani e lo tirai a me, vicinissimo, fino a sfiorargli la bocca con le labbra.
Ma non lo baciai, no.
Mi limitai a guardarlo negli occhi.
<< Non voglio perderti Miguel, non ora che... ho finalmente capito l'intensità dei miei sentimenti nei tuo confronti. Io ti amo... ti amo! E qualsiasi cosa voglia tua sorella da me... non le permetterò MAI di farmi del male...>>
<< Promettimelo.>> mi ordinò, con voce perentoria, tremante.
<< Promettimi che sarai sempre dove io possa vederti, sotto il mio sguardo... sempre! Promettimi di non fare sciocchezze, di riflettere prima di agire... e ti prego, Amelie... almeno tu, non mi lasciare!>>
L'ultima frase, mi spiazzò del tutto.
Non era un'imposizione, una pretesa, nemmeno una richiesta... ma una preghiera!
Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi, come spilli di ghiaccio conficcati nelle cornee.
Lui mi stava pregando, m'implorava di non abbandonarlo, di restargli accanto, di non lasciarlo solo... ed io, beh... io non potei fare altro che offrirgli tutta me stessa incondizionatamente.
Premetti il corpo al suo, di più, fino a sentir male ai muscoli.
Ormai combaciavamo ovunque, in ogni angolo.
Pelle contro pelle.
I nostri vestiti come unica barriera.
<< Te lo prometto, Miguel. Io non ti lascerò mai! Mai!>> gli soffiai sulle labbra, impossessandomene avidamente.
Senza troppe remore, Miguel rispose al bacio con altrettanta passione, accanendosi su di me come un lupo famelico.
Ci rigirammo sulle coperte, tra le lenzuola, mentre le prime luci dell'alba rischiaravano le cupe pareti della stanza.
L'allodola cantò, il mondo riprese colore ed il tempo ricominciò la sua corsa, fluendo veloce, di secondo in secondo.
Ma che importanza aveva?
Già...
Che razza d'importanza poteva mai avere, il resto del mondo?!
Io ero con Miguel, il mio Miguel... e non avevo più paura di niente.
Mi sentivo al sicuro, protetta, invincibile! Detentrice di una forza che solo l'amore era in grado di donare.
Indispensabile, travolgente, vitale... come respirare.
Ci attaccammo l'un l'altra, in una lotta continua, primordiale, che ci portava a muoverci in sincrono, a suon di sospiri, come in una danza.
D'un tratto, Miguel ebbe la meglio, mi sottomise, sovrastandomi in tutta la sua figura.
Non c'era un solo centimetro dei nostri corpi che non fosse letteralmente a contatto.
<< C-cosa stiamo facendo?>> balbettai, non sapendo nemmeno io il perché.
Ansante ed eccitato, Miguel non mi rispose...
Anzi.
Mi graffiò la bocca con piccoli morsi, divorandomi pezzo per pezzo.
Ma che stava combinando?
Voleva farmi impazzire del tutto?
Prima ancora che potessi ribattere qualcosa, mi ritrovai con le labbra impegnate, premute alle sue, in un bacio che nel giro di pochi secondi si trasformò in magma bruciante.
Sentii le sue mani percorrere smaniosamente il mio corpo, e la sua bocca scendere in basso, lentamente, torturandomi la pelle con baci deliziosamente infuocati.
Saggiò con la lingua la carne tenera del collo, poi scostò di lato i pizzi della camicia da notte.
Sentii la stoffa frusciare, strapparsi, fino a liberarmi il petto, troppo stretto in quella prigione fatta di seta e merletti.
<< Sei così bella, Amelie... così perfetta...! >> sibilò, avventandosi sul mio seno.
Trattenni a stento un gemito, tappandomi la bocca con il palmo della mano.
Oh Dio... ma che stavamo facendo?
Senza rendermene conto gli affondai le unghie nella schiena, graffiandolo a sangue.
Lui sussultò, emise un sospiro roco e spinse le anche contro il mio bacino, strappandomi un gridolino osceno... tutt'altro che spaventato.
Mi sentii liquefare, le ossa cedere come burro e aprire le gambe maggiormente, inconsciamente, spinta da una forza del tutto incontrollabile.
<< Ti voglio, Amelie...>> mi sussurrò a fior di labbra, con voce melliflua, vellutata.. incredibilmente sensuale.
<< Ti voglio!>> ripeté, con ancor più convinzione, stringendomi il seno tra le mani.
Mi persi all'interno dei suoi occhi, affogando in un mare di lava rossa.
Avrei dovuto allontanarlo, tirarlo via... ma l'unica cosa che riuscii a fare, fu afferrarlo per le spalle e spingerlo a me, su di me, soffocando le mie paure contro le sue labbra.
<< Sono tua...>> boccheggiai.
Vidi il suo sguardo annebbiarsi, le pupille dilatarsi a causa del desiderio e i suoi muscoli muoversi sinuosamente su di me.
Mi sfilò la vestaglia, dalla testa, ed io lo aiutai nel difficile compito alzando le braccia.
Sentii i capelli ricadermi sulle spalle, sul seno, nascondendo le mie forme fino all'altezza della vita.
Colta dal pudore e dall'imbarazzo, mi affrettai a coprirmi con le mani.
<< No...>> dissi con voce flebile, tremante, temendo all'improvviso di non piacergli.
 Lui mi sorrise appena, scostandomi i capelli di lato.
<< Voglio vederti...>> affermò, baciandomi sulle labbra.
<< M-ma io...>> provai a replicare.
Mi posò un dito sulle labbra, ammutolendomi.
<< Ti prego, Amelie... lasciati guardare.>>
Dio...
Come potevo resistergli?
Deglutii a fatica, inghiottendo il mio stesso cuore... poi, con un coraggio che non sapevo nemmeno di possedere, lasciai che le mie mani ricadessero lungo i fianchi.
Vidi il suo sguardo percorrermi febbrilmente il corpo, da capo a piedi, fin quasi a consumarmi.
Ma d'un tratto non provavo più timore, tutt'altro.
Volevo mostrarmi a lui, completamente, con tutti i miei difetti, le mie imperfezioni, nella totalità del mio essere.
Nuda.
Semplicemente esposta; senza più remore, costrizioni o barriere.
Avevo bisogno che lui mi guardasse.
<< Miguel...>> mormorai, la voce impercettibile.
<< Sì?>>
<< Spogliati. Voglio guardarti anch'io...>>
Un ghigno malizioso gli attraversò il volto, dopodiché, senza mai staccare gli occhi dai miei, prese a slacciarsi i pantaloni.
Mi avvicinai, respirai a fondo... ma prima che potesse anche solo arrivare all'ultimo bottone, la porta della camera si spalancò in un boato.
<< Voi due!>> si sentì urlare, << Che cosa state facendo?!>>
Come una belva inferocita, Nigel irruppe nella stanza.
Aveva il volto paonazzo, i vasi sanguigni dilatati, e negli occhi... un'espressione indecifrabile.
Che strano...
Sembravano quasi bruciare di... gelosia?

 
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Angolo dell'Autrice: 
Ehm... salve a tutti! Incredibilmente ed oltre ogni mia più rosea aspettativa... sono riuscita ad aggiornare in tempo... e lasciatemelo dire, quasi alla velocità della luce! 
Non so perché, né tantomeno grazie a quale Santo, ma eccomi qui! Evidentemente, questo tipo di capitoli dall'aria un po' come dire? Surriscaldata (?)... non so, m'ispirano! 
Ma veniamo al dunqe! Dunque: sebbene riconosca il fatto che il capitolo sia un tantino cortarello (perdonatemi), ho deciso di pubblicarlo comunque, senza accorparlo a nessuna parte aggiuntiva, perché quello che verrà nel prossimo futuro (si spera) sarà eccessivamente lungo, e con questa parte qui, sarebbe risultato qualcosa di Chilometrico. 
Bene! 
Qui da come avrete sicuramente notato... ho dato sfogo a tutto il mio romanticismo represso; un pò per mitigare l'atmosfera macabra del precedente capitolo, un po' perché voglio farvi venire il diabete! Quindi, abbiamo Ame e Mig decisamente al limite... non si può passare un'intera notte da soli, nello stesso letto, tra l'altro con lui mezzo spogliato (eh, sì U.U vi ricordo che Mig è a torso nudo) e insomma... non cedere a un certo tipo di... istinti *faccia da maniaca* 
E fu così... che questi due cominciano a spingersi fin troppo oltre... ma poi... Taaaaadaaaan! 
Il premio miglior guastafeste dell'anno viene assegnato al nostro caro Nigel! 
Non vi eravate dimenticati di lui, non è vero?
Ed ora... posso solo dirvi che saranno cavoli amari! 
Vi ringazio come sempre con tutto il cuore, sia coloro che recensiscono che chi legge in silenzio... I love you <3 
Eeeee niente! 
Un bacione gigantissimo 
Vostra 
Rob 
<3


 

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Capitolo 37
*** Nigel Von Kleemt ***


Nigel Von Kleemt

_ Miguel_

<< Credo che tu mi debba delle spiegazioni, ragazzo...>> mi fulminò Nigel von Kleemt, sporgendosi al di sopra della sua tela.
Sentii il pennello sfregare contro la superficie carica di colore, in modo alterato, frettoloso, producendo un rumore tutt'altro che gradevole.
<< Avanti, parla! Che diavolo stavate facendo?!>>
<< E cosa dovrebbe importarvene, di grazia?>> dissi con strafottenza, ormai innervosito dal suo atteggiamento.
L'odore di vernici e colori ad olio mi bruciò le narici, costringendomi a non respirare.
Lasciai lo sguardo libero di vagare all'interno del suo studio, soffermandomi su cornici in legno, tavole preparate a gesso e varie tele arrotolate sul ripiano di uno scaffale.
Alzai il braccio per afferrare un lembo di stoffa ancora da preparare.
Grigia, la trama larga, forse fin troppo.
Accarezzai la sua superficie storcendo il naso.
Non potevo farci niente: detestavo la porosità del lino grezzo a contatto coi polpastrelli.
<< Allora?>> lo incalzai.
Lui sbuffò spazientito, trattenendo la rabbia che gli imporporava il volto.
Non era molto bravo a dissimulare, quindi trovavo inutile che si sforzasse tanto. In qualunque caso, la nostra conversazione era inevitabilmente destinata a tramutarsi in un litigio.
<< "Cosa dovrebbe importarmene"?!>> ripeté su tutte le furie, gettando la tavolozza a terra.
Sembrava quasi che gli occhi potessero fuoriuscirgli dalle orbite, cadere a terra e rotolare sulle assi di legno del pavimento.
Come immagine era piuttosto raccapricciante, ma di certo avrei provato di gran lunga più piacere nel cavarglieli personalmente.
<< Esatto.>> replicai, calibrando a dovere il tono della mia voce.  
<< Cosa stai insinuando?>>
<< Io?>> spalancai gli occhi con finta incredulità, posandomi teatralmente una mano sul petto.
<< Ero solamente in compagnia della mia fidanzata, Sir. E voi, in modo estremamente inopportuno... ci avete interrotto sul più bello.>>
Colpito e affondato.
Dopo quelle parole lo vidi avvampare, sfiorare i toni del viola e puntarmi irosamente un dito contro.
<< Tu...! Razza di bestia in calore! Che avevi intenzione di farle, eh?!>>
<< Non sono di certo affari vostri.>> lo beffeggiai.
La mia voce era volutamente insolente, irritante, accentuata da un ghigno malizioso.
Per poco non me lo ritrovai addosso, pronto a colpirmi a suon di pugni.
<< Dannato bastardo!>> urlò, << Ti stavi approfittando di mia nipote! Come hai osato? Credi che io sia un povero sprovveduto? Ho visto quello che stavate facendo... le vesti strappate, i vostri corpi nudi... e... le lenzuola! Quelle stramaledette lenzuola sporche di sangue!>>
Lo congelai con lo sguardo, stringendo i pugni per non assalirlo in quello stesso istante.
Quel vecchio porco... era arrossito come un ragazzino, nel ripensare al corpo nudo di sua nipote.
<< Quello che faccio con la mia fidanzata, signore, non sono affari che vi riguardano.>> cercai di liquidarlo, facendo di tutto per calmarmi e non dover occorrere alla violenza.
<< Beh, ti sbagli ragazzo! Finché Amelie vivrà qui a Slyvermon, sarà sotto la mia custodia. E di conseguenza, i miei ordini sono legge. >>
<< E cosa farete? >> lo stuzzicai, << Avete intenzione di cacciarmi?>>
Un baluginio iroso gli guizzò negli occhi, facendoli sembrare ancora più verdi.
<< Oh, no. Ho altri piani per te...>>
Di fronte al suo tono sornione, non potei fare a meno che alzare un sopracciglio, incuriosito.
<< Ebbene?>>
Lo zio di Amelie finse di non sentirmi, e con aria imperturbabile, fece due passi indietro, rimirando nel complesso la sua opera.
A giudicare dalle sopracciglia aggrottare e la smorfia di disgusto dipintasi sul suo volto, ipotizzai che il risultato non lo entusiasmasse più di tanto.
Difatti, in un gesto esasperato, coprì il quadro con un telo di cotone bianco.
<< Niente... >> sogghignò, posando i pennelli sporchi nel solvente.
Il colore si sciolse nel liquido trasparente in sottili striature opache, fino ad aprirsi in una sorta di spirale.
<< Che volete dire?>> gli chiesi, gli occhi fissi sul dipinto alle sue spalle.
Era un ritratto di donna, l'ennesimo, sempre con quel volto cancellato.
<< Assolutamente nulla. Solo che dovresti rispettare la mia autorità. Qui comando io.>>
<< Ah, sì? Pensavo che tutto questo - il castello, le terre, la stessa Slyvermon-, fossero in realtà un dono gentilmente concesso da vostro fratello: il conte. >>
<< Non tirare troppo la corda. Se oserai metterti contro di me, ragazzo... la pagherai cara!>> minacciò.
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
<< Sto tremando di paura...>> gli risposi, trattenendo una nuova ondata di risa.
<< Certo, una creatura del tuo rango è dotata di poteri straordinari, lo so bene...>> affermò, togliendosi il camice sporco di colore secco.
<< Ma se non sbaglio, hai le mani legate. Non puoi fare come vuoi... soprattutto con me. Caro signor Meterjnick. >>
<< Ah sì? E cosa me lo impedirebbe?>> replicai, d'un tratto più irritato che mai.
<< La contessa Lamia? Il conte? Beh... in entrambi i casi, nessuno ha il potere di darmi veramente degli ordini. Se sono al loro servizio, è solo perché mi fa comodo. Si tratta di puro rendiconto personale.>>
<< Si tratta di Amelie...>> mi corresse Nigel, digrignando i denti.
Di nuovo quello sguardo, quel modo possessivo d'imporsi, come se quel Piccolo Tarlo, fosse una sua proprietà.
Sua!
Il solo pensiero mi faceva fremere di rabbia!
Stavo letteralmente morendo dalla voglia di dargli una bella lezione, di prenderlo a pugni e tirargli il collo... ma ancora una volta il buon senso prevalse sugli istinti più bassi, facendo sì che mi trattenessi.
<< In ogni caso...>> si schiarì la voce, << Dovrai fare come ti dico.>>
<< E se mi rifiutassi?>> lo sfidai.
Lo vidi avvicinarsi ad un mobiletto addossato alla parete, senza degnarmi di una risposta.
Frugò in un cassetto e tirò fuori vari pezzi di carta, tra cui una lettera ancora sigillata.
Me la porse in silenzio, studiando la mia reazione.
Sullo sfondo rosso scuro della ceralacca, vi era impressa la sagoma della chimera, l'inconfondibile effige dell'Ailthium.
<< E questa?>> domandai, osservandolo con rinnovata curiosità.
Un sorriso incredibilmente falso ed ambiguo gli increspò le labbra.
<< Sono i tuoi Ordini.>> replicò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
<< Questo lo vedo...>> sibilai, afferrando la busta. << Ma non capisco perché li abbiate voi.>>
Nigel abbassò le palpebre a mezz'asta, poi schioccò la lingua, guardandomi dall'alto in basso.
<< Ignori completamente chi io sia... vero?>>
Sentii le dita formicolare, fastidiosamente, come se tanti piccoli insetti camminassero al disotto della mia pelle.
<< Siete il padrone di questo castello, Sir. Nonché fratello maggiore di James von Kleemt, l'attuale conte di Slyvermon.>> gli risposi saccente.
Ma l'uomo scosse la testa, piuttosto divertito.
<< Vedo che non sei poi così informato, Meterjnick. O forse dovrei chiamarti "Sterminatore"?>>
Per un attimo rimasi interdetto.
Come faceva lui a conoscere il mio nome all'interno dell'organizzazione?
Non poteva essere stata Lamia a rivelarglielo... e questo perché la stessa contessa ne ignorava completamente l'esistenza.
In fin dei conti, era un pur sempre un nome in codice, un'informazione riservata, troppo difficile da far trapelare all'esterno.
<< Chi siete?>> lo interrogai, mettendolo alle strette.
Mi sarebbe bastato sollevare di poco il braccio per agguantargli il collo e stritolarlo.
<< Non lo immagini?>> rise divertito.
Lo studiai in silenzio, con attenzione, percorrendo il suo corpo da capo a piedi.
La copia esatta del conte: solo leggermente più alto, i tratti del viso meno marcati, il naso aquilino piuttosto che dritto.
Un uomo, un semplice essere umano.
Ma c'era qualcosa, in lui.
Qualcosa d'incredibilmente sinistro... come un'aura scura, incombente, che lo circondava ogni momento.
<< Ma bene...>> sospirai alla fine, << Siete un membro anche voi.>>
Le sue labbra si allargano, a dismisura, fino a mostrare una schiera di denti bianchi e ben curati.
<< Già...>>
Stranamente, la cosa non mi stupì più di tanto.
<< Non vi ho mai visto... strano. Quindi suppongo che facciate parte del consiglio ristretto; Prima Legione, non è vero?>>
Nigel annuì, accarezzandosi la barba con malcelata soddisfazione.
<< Esattamente.>> ghignò, << Siedo ai vertici. >>
Avrei voluto spaccargli la faccia seduta stante, ma a quella rivelazione non potei far altro che stringere i denti.
Era tutta la giornata che mi trattenevo.
<< Quale onore... sono faccia a faccia con uno dei capi!>> sentenziai sarcastico, facendo una finta riverenza.
Lui se ne accorse, ma si limitò a sorridere compiaciuto, conscio del potere che aveva su di me.
<< Ho sentito molto parlare di te e delle tue gesta, soprattutto dal generale Angus. Tu e il Camaleonte siete famosi, avete collezionato successi innegabili contro la caccia ai Ghuldrash. E sono fiero di averti tra le nostre fila. In un'organizzazione di soli umani, l'aiuto di una creatura come te.... è essenziale: sei il nostro mastino da caccia, l nostro scudo... l'arma più potente. >>
<< Le vostre parole mi lusingano, Sir.>> replicai con voce gelida.
Lui incrociò le braccia al petto, fissandomi intensamente negli occhi.
<< Bene. So che abbiamo cominciato il nostro rapporto nel modo sbagliato. James non mi aveva avvisato della tua presenza. Ma ora che le presentazioni sono state fatte a dovere e le cose messe in chiaro, mi aspetto che eseguirai i miei ordini senza discutere.>> fece una pausa, << Lo devi a quel ciondolo che nascondi sotto il colletto della camicia, ma soprattutto alla memoria di tuo padre.>>
 Nell'udirgli pronunciare quelle parole, sentii la mascella sbriciolarsi per quanto la stessi contraendo.
Il solo riuscire a respirare, si stava rivelando un compito più che arduo.
Con che coraggio osava tirare in ballo mio padre?
<< Domattina ti recherai in città per indagare. Ultimamente stanno accadendo cose strane là giù, cominciano a girare delle voci: persone che svaniscono nel nulla, ritrovamenti di cadaveri... non vorrei che il mio territorio sia stato momentaneamente invaso dai Ghuldrash.>> disse con aria affranta, sebbene il tono contrito non si rispecchiasse all'interno dei suoi occhi.
<< Perchè proprio me? Avete decine di cacciatori ai vostri ordini.>>
<< Sì, è così. Ma nessuno è abbastanza forte, né troppo vicino.>> spiegò, << Per quanto riguarda i dettagli, invece, li troverai tutti nella lettera.>>
<< Ai vostri ordini, Ser.>> ringhiai a denti stretti, trattenendomi dallo stropicciare quel maledetto foglio di carta.
Lo vidi avanzare d'un passo, posarmi una mano sulla spalla e sorridere al disotto dei baffi.
Dopodiché, un lampo di vittoria gli illuminò il volto: Nigel von Kleemt aveva il coltello dalla parte del manico.
E lo sapeva... già.
Lo sapeva fin troppo bene.

_ Amelie _

Il vento ululò contro le alte mura del castello, raggelandomi fin dentro le ossa.
Rabbrividii.
Una sferzata d'aria ghiacciata mi schiaffeggiò violentemente il volto, facendo spostare di lato il prezioso mantello blu scuro regalatomi da Nigel: l'unico indumento in grado di garantirmi ancora un po' di calore.
Non appena ebbi recuperato i due lembi di velluto svolazzante, mi strinsi al loro interno, ahimè senza successo.
Per quanto mi coprissi... il mio corpo non la smetteva di tremare.
Faceva troppo freddo.
Ben presto il sole sarebbe sorto, portandosi dietro l'ennesima giornata tediosa, fatta di porte chiuse, libri e solitarie passeggiate nel salone. 
Sbuffai spazientita, chiedendomi per la milionesima volta che cosa ci facessi io, di primo mattino, fuori e al gelo sul tetto della torretta di nord-ovest.
Ovviamente da quell'altezza si poteva godere di un paesaggio mozzafiato, selvaggio e verdeggiante, ma non me ne curai. Avevo ben altro a cui pensare.
<< Eccoti qui, Piccolo Tarlo...>> sussurrò una voce più che famigliare alle mie spalle.
Trattenni il respiro e mi voltai, mentre con aria trasognata, lo guardavo avvicinarsi lentamente, con il passo sicuro e silenzioso di un predatore.
Non l'avevo più visto da quell'incidente in camera, dopo che Nigel aveva quasi sfondato la porta, trovandoci in atteggiamenti piuttosto... intimi.
Il solo ricordo bastò ad imporporarmi le guance e farmi morire d'imbarazzo.
Sia per la situazione che si era venuta a creare, sia per quello che eravamo in procinto di fare.
Se solo Lamia l'avesse scoperto... oh, non ci volevo nemmeno pensare.
<< Miguel...>> mormorai, sentendomi il cuore in gola.
Mi sorrise come soltanto lui sapeva fare, in quel modo arrogante, indisponente, incredibilmente sensuale... tanto da farmi tremare le gambe.
Era insopportabile e adorabile allo stesso tempo, ed io ero combattuta: morivo dalla voglia di saltargli addosso, quanto di fargli una bella ramanzina.
Indecisa sul da farsi, mi limitai a rimanere ferma dov'ero, affinché mi raggiungesse.
<< Pensavo che quelle due arpie non smettessero nemmeno un secondo di tenerti d'occhio...>> mi disse a fior di labbra, avvicinandosi per baciarmi.
Quel lieve contatto mi destabilizzò del tutto, facendo sì che mi gettassi tra le sue braccia senza alcun ritegno.
D'un tratto, non sentivo più freddo... anzi.
Emanavo calore da ogni poro.
<< S-sono riuscita a... sgattaiolare via s-senza che... mi vedessero...>> ansimai tra un bacio e l'altro, senza fiato.
Lo sentii ridere di cuore, poi scostarsi un poco.
Possibile che Miguel fosse davvero mio?
Quella semplice constatazione mi dava i brividi.
Il mio Miguel...
Sempre col sorriso sulle labbra, allacciò gli occhi ai miei, facendomi annegare in quelle acque cristalline, chiare, terse come un cielo primaverile.
<< Vedo che stai imparando bene...>> bisbigliò malizioso, << Questi incontri clandestini sono terribilmente eccitanti.>>
Arrossii fino alla punta dei capelli, spingendolo via.
<< C-cosa volevi?>> cambiai discorso, visibilmente turbata.
Lui trattenne un risolino e con aria divertita, mi accarezzò la guancia.
Maledizione!
Il suo tocco... seppur lieve, aveva lasciato una scia infuocata sulla mia pelle, tanto da ustionarmi.
<< A c-cosa devo questo?>> dissi a fatica, posando lo sguardo altrove.
Frugai per alcuni secondi tra le mie tasche, porgendogli subito dopo un bigliettino stropicciato, vergato dalle linee sinuose della sua scrittura.
<< Che vuol dire "All'alba sulla torre nord-occidentale"?>> domandai.
Il suo volto s'incupì all'istante, tramutandosi in una maschera di fredda indifferenza.
<< Volevo parlarti...>> ammise, affievolendo la voce.
<< Possibilmente da solo.>>
Annuii appena con la testa, seria, stringendo il bigliettino tra le dita.
<< Cosa succede?>> m'informai.
Lui si fece scappare un sospiro rassegnato, e dopo essersi passato una mano tra i capelli, cominciò a parlare.
<< Ho alcune... faccende da sbrigare, Amelie. Partirò tra poco... non so quanto ci vorrà per tornare.>>
Mi ci vollero alcuni secondi per afferrare il senso delle sue parole, un'altra carrellata d'instanti per recepire il messaggio.
<< Dovrai abbandonare il castello?>>
Miguel fece segno di "sì" col capo, l'espressione di marmo, imperscrutabile.
<< Sarà solo per qualche giorno...>>
Istantaneamente, i miei polmoni riempirono di ghiaccio e un groppo mi strozzò il respiro.
<< M-ma come?>> gracchiai, << No... Miguel! Non puoi lasciarmi qui!>>
Lo vidi indurire la mascella e stringere i pugni, ma la sua voce risuonò incredibilmente solida, irremovibile, perentoria.
<< Non posso rifiutarmi. Devo andare.>>
<< Allora portami con te!>> gridai quasi, infischiandomene di far troppo rumore.
L'espressione gelida dei suoi occhi si addolcì un poco, ma rimase comunque a distanza, esercitando tutto l'autocontrollo che possedeva.
<< Non posso.>>
<< Ti prego!>> lo implorai, << Non voglio restare in questo posto senza di te! Non lasciarmi da sola!>>
Prima ancora che potessi accorgermene, mi ritrovai con il viso contro il suo petto e il corpo incollato al suo, avvolto completamente dal calore delle sue braccia.
<< Con chi credi di avere a che fare, Piccolo Tarlo?! Con chi?>> disse stringendomi a sé così forte fa farmi scricchiolare le ossa.
<< Io...>> parlottai, ma ovviamente la sua era una domanda retorica.
Sprofondò il volto tra i miei capelli, solleticandomi un lobo con le labbra.
Un brivido infuocato mi percorse tutta la spina dorsale. Mi sentivo talmente strana... preda di un qualcosa d'innominabile, peccaminoso, stupefacente...
<< Credi che voglia lasciarti qui, con quell'uomo... in balìa di un luogo sconosciuto?!>> ringhiò, << Oh, no! Piuttosto metterei a fuoco e fiamme tutto, pur di portarti con me, Amelie. Ma non posso!>>
<< Perché non puoi?>> m'impuntai come una bambina capricciosa.
<< È troppo pericoloso, lo capisci?>>
Ferita dal suo tono di voce, cercai invano di sottrarmi al suo abbraccio, ma i suoi muscoli sembravano fatti di pietra ed io avevo la resistenza di un ramoscello spezzato.
Alla fine, dopo svariati quanto inutili tentavi... mi arresi.
<< E va bene, Miguel.>> sussurrai, sentendo la gola secca e gli occhi pizzicare. << Fa quello che devi. Non sarò di certo io a fermarti. Ma ti prego...>>
Mi bloccai, incapace di andare avanti.
<< Cosa?>> m'incitò, cullandomi avanti e indietro, guidato dal canto del vento.
<< Ti prego... fa presto. Ritorna da me!>>
Percepii un lieve sussulto scuotergli il corpo, poi la sua presa si fece ancora più salda, come se potessi sparire e disintegrarmi da un momento all'altro.
<< Proverò ad esser qui prima di sera, Amelie...>> bisbigliò in prossimità del mio orecchio, << Te lo prometto.>>
L'ennesima folata d'aria gelida c'investì come un onda, facendo svolazzare da tutte le parti le nostre vesti.
<< Mi troverai qui, stasera. Su questo bastione... ad aspettarti.>>
Sentii la sua stretta farsi meno salda, fino a svanire.
Non ci toccavamo più.
<< E va bene, Piccolo Tarlo.>> mi soffiò sulle labbra, << Ma nel frattempo, tieniti a debita distanza da tuo zio. Non mi fido di lui... e per come si stanno mettendo le cose... non dovresti farlo nemmeno tu.>>

---

Il resto della giornata passò in modo estremamente monotono.
Ritornai di soppiatto nella mia camera, fingendo di svegliarmi non appena Brigitte ebbe solcato la porta della stanza.
Con estrema malavoglia, mi aiutò a vestirmi, pettinarmi e prepararmi per il giorno.
La colazione fu servita alle nove in punto, nel salone ottagonale, ma stranamente, lo zio Nigel non era presente.
<< Il padrone si scusa, milady.>> eruppe Olivia con una caraffa di spremuta in mano, << Tuttavia stamani è estremamente impegnato. Vi prega di mangiare senza di lui e di non preoccuparvi, sarà di ritorno per l'ora di pranzo.>>
Mi limitai ad annuire, composta, senza far trapelare il mio immenso sollievo.
Non che trovassi la compagnia di Nigel noiosa, affatto... ma Miguel aveva ragione.
In lui c'era qualcosa di strano, inquietante, che mi metteva in soggezione ed alcune volte in imbarazzo.
Era il modo in cui mi guardava, come i suoi occhi verdi, così simili a quelli di James mi accarezzavano da capo a piedi.
C'era una vena di desiderio in quello sguardo, che andava oltre il mero apprezzamento.
Comunque sia, la mattinata proseguì senza troppi intoppi, tra ore interminabili di lettura, tediosi discorsi con me stessa e l'esplorazione del rione settentrionale del castello.
Dopo un lasso di tempo quasi infinito, giunse persino l'ora di pranzo, ma di Nigel nessuna traccia.
Passai in solitudine anche il resto del pomeriggio, finché, stufa di starmene con le mani in mano, decisi di abbandonarmi alle carezze di un bel bagno rilassante.
<< L'acqua è troppo calda, signorina?>> si preoccupò Olivia.
<< No, assolutamente. È perfetta così... grazie.>> mi affrettai a dire.
La donna mi sorrise amabilmente, fece un lieve inchino, poi svanì nel nulla, dileguandosi tra le nuvole di vapore.
<< Olivia?>> la chiamai, senza ricevere alcuna risposta.
Che strano.
Di solito dovevo pregarla di lasciarmi sola durante il bagno, ed ora se ne andava di sua spontanea volontà.
Mi guardai intorno con aria circospetta, vedendo null'altro che uno spazio vuoto e una miriade di specchi appannati.
Ancora interdetta dal comportamento anomalo della domestica, mi lasciai andare contro lo schienale della vasca, rilassando le membra nell'acqua calda e profumata di lavanda.
Chiusi gli occhi, respirai a fondo e per un attimo il mondo cessò di girare.
Era da tanto, troppo tempo che desideravo liberare la mente, distendermi, riappropriarmi della banale normalità.
Ero così stanca di lottare, stufa della fuga, di nascondermi, dei continui pericoli e dell'oceano di sangue che si era aperto ai miei piedi.
I Ghuldrash, Ravaléc, E., Lilith... non avevano fatto altro che sconvolgermi la vita, rubandomi quanto di più caro possedevo: l'amore e la vicinanza della mia famiglia.
Oh, mi mancavano così tanto!
Eva e i suoi futili litigi, Lamia, James, la piccola Sophie... e Josephine.
La mia dolce, adorata, cara Josephine...
Cercai di reprimere un'ondata di lacrime, ma in mezzo a tutto quel vapore acqueo, era impossibile distinguere i segni del mio pianto.
Desideravo con tutte le mie forze tornare a casa; la mia vera, vecchia, splendida casa.
Non la residenza di May Fair a Londra, no... ma le mura che avevano conosciuto la mia infanzia, tra i giardini e le fontane, i fiori e l'aria tersa di campagna.
Quelle stesse mura che ora giacevano incenerite su un cumolo di macerie.
Inghiottii il groppo amaro che avevo in gola, e con un gesto tutt'altro che delicato, presi a sfregare la mia pelle arrossata dal calore.
Volevo sciogliermi nell'acqua, scorticarmi, fino a staccarmi di dosso quei ricordi pruriginosi, fatti di morte, fumo e fiamme.
Ma proprio mentre stavo quasi per graffiare a sangue l'epidermide, udii dei passi risuonare nella piccola stanza degli specchi.
Uno, due, tre.
Poi il nulla.
Una sagoma scura e indefinita comparve tra le spire di vapore, facendomi sussultare dallo spavento.
<< Olivia, sei tu?>>
Silenzio.
<< Brigitte?>>
Ancora niente.
<< M-Mig...>>
Non feci in tempo a terminare la domanda, che un paio di mani forti mi trascinarono fuori dalla vasca.
L'acqua si riversò in gran quantità sul pavimento, fin quasi ad allagarlo.
Rabbrividii, la pelle d'oca, inturgidita dall'improvviso sbalzo termico, o forse da quella stretta violenta, stritolatrice, che bloccava la circolazione all'interno dei miei vasi sanguigni
<< Miguel?>> ripetei, col cuore in gola e lo stomaco sottosopra. << Sei tu?>>
Ma non ricevetti alcuna risposta verbale, solo un rantolo ed un urlo rabbioso.
<< No... >> gemetti, << Tu non sei Miguel!>>
<< Esatto, bambina. Non lo sono!>>
Sentii il mio sangue tramutarsi in ghiaccio e i polmoni riempirsi di veleno.
<< Zio Nigel...>> sussurrai incredula, la voce che rifiutava di fuoriuscire dalla mia bocca. << Siete proprio voi?>>
La sua risata collerica rimbombò tra le mura a specchio, mentre il vapore si diradava in prossimità del suo volto.
Per un attimo lo scambiai per mio padre, e la cosa mi lasciò senza fiato.
<< Che state facendo?!>> urlai, cercando di coprirmi.
Ma le sue mani agguantavano saldamente i miei polsi, impedendomi ogni movimento.
Gli intimai di allontanarsi, di lasciarmi, di non guardarmi, ma i suoi occhi verdi percorrevano con avidità il mio corpo nudo, bagnato, completamente inerme.
<< La tua bellezza...>> mormorò emozionato, << È qualcosa di unico... irripetibile! Nessun pittore riuscirebbe a coglierne le mille sfaccettature, i toni delicati, decisi, le curve sublimi, così irresistibilmente perfette... Oh, mia cara! Superi di gran lunga la mia immaginazione!>>
Un conato di vomito mi attorcigliò le viscere.
<< Ma cosa state dicendo?!>> gridai, << Lasciatemi!>>
Chiamai a raccolta tutta la forza che avevo in corpo, dimenandomi come una pazza.
<< Ferma, bambina... sta ferma!>>
Sentii le sue mani abbandonare i miei polsi, per afferrarmi i fianchi e sollevarmi da terra.
Tempestai le sue spalle di pugni, scalciando alla cieca, ma ben presto un dolore acuto mi colpì la schiena.
Mi aveva letteralmente gettato a terra, l'intera colonna vertebrale a contatto con le fredde piastrelle del pavimento.
<< Vattene!!!>> strillai, fino a sentire le corde vocali in fiamme.
Ma lui si limitò a sorridere, il volto adorante e negli occhi un baluginio folle, sinistro... perverso.
<< Shh... non urlare...>> disse con voce arrochita, << Non devi aver paura di me...>>
Cercai in vano di liberarmi, ma il suo corpo massiccio incombeva su di me, bloccandomi sia le braccia che le gambe. Ero in trappola. Completamente alla sua mercé.
<< Perché mi fate questo?!>> gridai in lacrime, << Voi... siete mio zio!>>
Un riso malvagio gli sollevò le labbra verso l'alto.
<< Tuo zio?>> ghignò, << Oh, no... mia cara. Credevo lo sapessi anche tu. Noi non abbiamo legami di sangue...>>
Non mi lasciò nemmeno il tempo di controbattere, che le sue mani si mossero smaniose sulle mie membra. Un senso di nausea m'invase la bocca dello stomaco, mentre in modo sempre più invadente, le sue dita affondavano sui miei seni, come tentacoli, fin quasi a stritolarli.
Urlai dal dolore, dal disgusto, desiderando solo che tutto quell'orrore smettesse. Volevo morire.
<< No... vi prego! Smettetela di toccarmi!>>
Ma Nigel continuava imperterrito, accarezzandomi con bramosia.
<< Non posso... sei troppo bella, Amelie... >> boccheggiò, << Oh, Dio... le somigli così tanto!>>
Poi le sue labbra e le sue mani furono dappertutto, mi lambirono avide, arrivando fin dove nemmeno Miguel aveva osato spingersi.
Il mio Miguel...
Dov'era?
Perché non veniva a salvarmi?
Che ne sarebbe stato di me, se Nigel avesse continuato?
La paura mi scosse le membra e l'adrenalina mi salì al cervello, pompando acido corrosivo nelle vene, fino al cuore.
Poi le sue mani.
Irruente, ingorde, impazienti.
Le sentii scivolare dal mio petto, sull'addome, giù per le gambe ed un altro brivido di terrore m'immobilizzò del tutto.
Ero spacciata.
<< Miguel!!!>> gridai, in un ultimo sprazzo di lucidità.
Ma ciò non fece che infervorare la rabbia del mio aguzzino.
<< Sta zitta!>> m'intimò, la bocca pericolosamente vicina alla mia.
<< No...>> mormorai, senza più voce. << Non potete farlo!>>
Ma lui non ebbe pietà.
Si avventò di nuovo su di me, come una bestia, insozzandomi con lei mani, col corpo, con le parole.
Il tempo prese a scorrere a rilento, i rumori attutiti dal vapore, dal freddo, dalle mie urla disperate.
Mi sentivo male, così sporca, profanata, impura.
Ma più protestavo e mi agitavo tra le sue braccia, più Nigel sembrava eccitarsi.
<< Urla finché vuoi... nessuno verrà a salvarti. Lui non verrà.>> ansimò, stringendomi ancora più forte, in modo che non potessi muovermi. << Ora sei mia.>>
Udii la cinghia dei suoi pantaloni slacciarsi, la stoffa frusciare e il suo sogghigno allargarsi a dismisura.
Infine... mi specchiai all'interno dei suoi occhi, leggendovi null'altro che la fine. 

 
-----------------------------------------------------------------------------------------------------

Angolo dell'Autrice! 
Salve a tutti! Vi ero mancata? A quanto pare il ritiro spirituale tra i monti romagnoli non ha portato troppi benefici... perché con questo capitolo... credo di essermi guadagnata il vostro odio incondizionato T.T 
Non linciatemi, per favore! Ahimè era tutto necessario... ( credo che se Amelie potesse, in questo momento mi strozzerebbe... quindi non sentitevi soli nel vostro disprezzo!)
Ma oltre ai vari convenevoli e alle minacce di morte che spero di non ricevere... veniamo al punto!
Nigel!
E a chi poteva esser dedicato il titolo iniziale, se non al personaggio chiave di tutto il capitolo??
Beh... direi che il caro "zietto" abbia giocato bene le sue carte. Innanzi tutto, ha pensato bene di allontanare Miguel grazie alla sua influenza (infatti abbiamo scoperto qualcosina in più sul suo conto...) poooooi... tolto di mezzo l'unico ostacolo... beh! Lascio la parola a voi! 
Come sempre vi ringrazio dal profondo del corazon, sia a chi legge e chi recensisce pazientemente!
Siamo in un punto focale della storia, e non vedo l'ora di andare avanti... anche se il peggio deve ancora arrivare! Un bacione a tutti... 
Vostra
Rob

<3
 

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Capitolo 38
*** Incontro All'Oscurità ***


Incontro All'Oscurità

 _ Miguel_

C'era silenzio nell'aria, fin troppo.
Tanto da far sembrare i miei passi assordanti, pesanti come macigni, ed ogni mio respiro un boato frastornante.
Con la Mimesis stretta in mano e la lama sguainata, svoltai l'angolo a ridosso del fienile, lentamente, contando uno ad uno i battiti del mio cuore.
Mi trovavo nella fattoria dei Collins, una graziosa famigliola di contadini nella periferia sud-occidentale di Slyvermon.
Una zona tranquilla, senza dubbio, ma affetta da un morbo invisibile, che decimava notte dopo notte il numero di abitanti della tenuta.
Secondo le informazioni di Nigel, infatti, l'intero perimetro della fattoria era pericolosamente a rischio.
Negli ultimi tempi, c'erano state delle sparizioni misteriose, da quelle parti.
Non solo erano svaniti nel nulla i due figli adolescenti del fattore, ma anche alcuni braccianti: John e Patrick Collins, Hugh Peterson, Frank Redfild e Richard Danson.
Il primo a far perdere le proprie tracce, era stato John, la settimana precedente, dopodiché gli eventi si erano accavallati e nel giro di sette notti, erano scomparse altre quattro persone.
Seppur sospetta, la vicenda non avrebbe suscitato tanto clamore, se non fosse stato per degli strani ritrovamenti nelle vicinanze del fienile.
Si trattava di abiti dismessi, strappati, inzuppati di sangue... e carcasse di animali orribilmente dilaniate.
La maggior parte della gente, vedeva in quei rinvenimenti le prove inconfutabili delle fauci assassine di una bestia di grossa taglia... un orso o un lupo, mentre io temevo ben altro.
Ma ovviamente, preferivo tenere quelle idee per me e sperare di non aver ragione.
Passai qualche secondo restando immobile, come una pietra, i muscoli tesi e pronti a scattare in qualsiasi momento; poi mi guardai furtivamente alle spalle, puntando gli occhi oltre il portone spalancato, sul paesaggio circostante.
Le mura merlettate del castello erano visibili anche da un punto così lontano; le torri, talmente alte e tozze, si ergevano sulla cima della montagna come massicci giganti.
Cosa stava facendo il mio Piccolo Tarlo?
Mi bastava pensare a lei per fremere d'impazienza.
Volevo vederla, abbracciarla, sprofondare il volto tra i suoi capelli e ubriacarmi del suo odore.
La volevo... tanto, troppo.
Ma ero anche in apprensione per lei.
Temevo che potesse accaderle qualcosa, lì, sola, tra le grinfie di quell'uomo dai mille volti.
Non sapevo nemmeno io il perché, eppure non potevo farne a meno.
C'era come un senso d'allarme, in me.
Una sorta di richiamo, un formicolio, un peso opprimente sulla bocca dello stomaco.
Lasciai che la preoccupazione mi scivolasse addosso, momentaneamente, poi mi concentrai sull'ambiente circostante.
Eppure non sentivo niente: era come se quel posto fosse totalmente asettico, abbandonato, privo di ogni forma di vita. Presi fiato, dopodiché mi spostai verso sinistra.
La via era libera, il fienile spoglio ed io ero solo.
O forse no.
Ci fu un lieve fruscio, uno spostamento d'aria... e d'un tratto, all'odore di paglia e bestiame si aggiunse un puzzo nauseabondo, tutt'altro che sconosciuto.
Il locale si riempì di rantoli, grugniti, finché due Ghuldrash con la fronte marchiata di rosso, si pararono davanti a me.
<< Cominciavo a sentire la vostra mancanza, ragazzi!>> ghignai, snudando le zanne.
<< Con chi ho il piacere di fare conoscenza?>> proseguii, << John? Patrick? O magari Frank?>>
Di tutta risposta, ricevetti un gorgoglio indecifrabile ed un assalto in piena regola.
La carogna più grossa, si gettò sul mio corpo con tutto il suo peso, facendomi battere la schiena a terra.
Aveva la bocca nera, spalancata, completamente imbrattata di sangue e i denti acuminati, pronti a conficcarsi nella mia carne.
Facendo leva su tutta la mia forza, gli immobilizzai le mascelle, aprendogli il torace verticalmente, con un fendente ben assestato della Mimesis.
L'odore stomachevole della carne bruciata mi riempì le narici, costringendomi a non respirare.
Senza rimuovere l'arma, spostai il braccio verso l'alto, mentre con un ulteriore colpo gli ferii la base della gola.
Il sangue schizzò ovunque, in flutti scuri, vischiosi, fino a ricoprirmi del tutto.
Ma non avevo tempo da perdere, non quando altro mostro si accingeva ad attaccarmi.
Rotolai di lato e scattai in piedi, schivando contemporaneamente un colpo all'altezza della spalla.
La seconda creatura ringhiò, furente, mentre pezzi imputriditi della sua pelle si staccavano dal resto del corpo. M'inchiodò con gli occhi vermigli, dopodiché prese la rincorsa e si fece avanti.
Ma i suoi passi erano goffi, lenti, barcollanti, segno rivelatore di un Ghuldrash appena nato.
Mi avventai su di lui, gli artigli della mano sinistra del tutto sfoderati.
Ci fu rumore di ossa rotte, di epidermide strappata, e il rimbombo pulsante del suo cuore contro le mie dita.
Ma non feci in tempo a fare nulla, nemmeno a lasciarmi scappare un sospiro di sollievo, che alle mie spalle ne comparvero altri tre.
Un sorriso beffardo si dipinse sulle mie labbra, mentre girando su me stesso, mi accanii sui loro corpi deformi e rigonfi.
Ma non avevo di fronte dei semplici Ghuldrash, no... e quei marchi sulle loro teste ne erano la prova.
Mostri impuri, geneticamente modificati.
Erano identici agli esperimenti di Ravaléc, quegli esseri che avevo affrontato nei sotterranei della villa grazie all'aiuto di Ryan.
Ma come era possibile una cosa del genere?
Quella notte li avevamo sterminati tutti...
Non potevano esserci sfuggiti.
Era assolutamente impossibile.
Eppure mi trovavo di fronte proprio quella tipologia di mostri.
Mi accanii nuovamente su di loro, riducendoli in poltiglia.
Peccato che fu tutto inutile.
Nonostante i corpi ridotti ad un colabrodo e le ferite mortali, i Ghuldrash si rialzarono all'unisono, tutti e cinque da terra, completamente rigenerati ed ancora più forti.
Per un attimo temetti di non avere scampo, poi ricordai.
Con tutte le forze che avevo a disposizione, mi gettai nella mischia, cancellandogli a sangue quei simboli dalla fronte.
Non appena anche l'ultimo segno rosso scomparve dalla mia vista, i loro cadaveri caddero a terra, disfacendosi in pulviscolo maleodorante.
Così si risolveva il caso della fattoria, il mistero che avvolgeva la sparizione di tutte quelle persone, ma la maggior parte dei miei interrogativi rimasero senza risposta.
Perché proprio quei ragazzi?
Perché a Slyvermon?
Ma soprattutto, come avevano fatto quel tipo di creature a sopravvivere?
Non erano morte con Ravaléc?
Osservai attentamente quei granelli di polvere danzare nell'aria, stringendo i pugni per contenere la rabbia.
Beh, ovviamente no.
Qualcun'altro sapeva come crearli... ed un nome cominciò a ronzarmi nella testa.
Ma prima che potessi anche solo formularlo a parole, una fitta improvvisa mi colpì al petto.
Senza fiato, crollai di peso sulle ginocchia, boccheggiando alla ricerca di un respiro.
Era un dolore straziante, che andava ben oltre la fame o le ferite corporee.
Era qualcosa di nuovo, intenso, una sorta di stilettata all'altezza del cuore.
<< Amelie...>> sussurrai, rendendomene a malapena conto.
La Mimesis che stritolavo tra le mani, prese ad accendersi e spegnersi, la temperatura del metallo ben oltre i limiti del sopportabile.
Non sapevo come, per quale motivo o perché proprio in quel momento... ma sentivo che c'era qualcosa che non andava. 
Si trattava di Amelie, del mio  Piccolo Tarlo...
Era strano, eppure potevo percepirlo chiaramente, al disotto della pelle e all'interno dei vasi sanguigni, che pompavano al cuore null'altro che paura e panico.
Ma cosa le stava accadendo?
Era in pericolo?
Ignorando quel dolore straziante al petto e la Mimesis in fiamme, mi precipitai al di fuori del fienile, nella luce violacea del crepuscolo, pronto a tornare da lei.

_ Amelie_

Ero prossima al soffocamento.
Sentivo il mondo vorticarmi attorno, frenetico, incalzante, mentre con prepotenza, le mani di Nigel lambivano ogni parte del mio corpo.
<< Sei mia...>> ansimò, la voce ridotta ad un sussurro roco, viscido, lussurioso.
Cercai per l'ennesima volta di scansarlo, di svincolare dalla sua presa, ma ogni mio tentativo risultava inutile.
Ero schiacciata, bloccata tra il pavimento e le sue braccia.
<< L-lasciatemi!>> gridai, girando il capo di lato per sfuggire ai suoi baci.
Ma un grugnito ed una stretta ancora più salda, furono la sua unica risposta.
<< Vi prego!>>
Poi udii quel rumore.
La cinghia che si sfilava, i bottoni che cedevano... infine la sua nudità che premeva contro di me, provocandomi innumerevoli conati di vomito.
Volevo morire, letteralmente.
Abbassare le palpebre e non sentire più niente, estraniarmi dal mondo, dall'universo, scomparire in una manciata di vento.
Ma più desideravo il sopraggiungere della morte, più restavo vigile, sveglia, sensibile ad ogni abominevole sopruso.
<< Avanti, Amelie... dillo!>> mi soffiò nelle orecchie, << Dì che sei mia!>>
Sentii lo stomaco rivoltarsi e il sapore della mia stessa bile nella bocca.
<< N-no...!>> farfugliai.
<< Dillo!>>
<< No!>> ripetei, << Non lo farò mai! Non sono di vostra proprietà! Io vi disprezzo!>>
Con le ultime forze rimastemi, provai a spingerlo via, ma l'unica cosa che ottenni fu la sua risata denigratoria.
<< Cosa credi di fare, eh?>>
Ma non lo ascoltai.
<< Aiuto!!>> strillai, << Aiutatemi, vi prego!>>
Purtroppo, le risa sguaiate di Nigel non cessavano di assordarmi.
Oh, maledizione!
Che cosa potevo fare?
Il caos regnava nei miei pensieri, pietrificando ogni mia connessione nervosa.
Dovevo andarmene, trovare il modo di fuggire... ma dove?
Come?
L'angoscia prevalse sulla ragione, il delirio sulla cognizione della realtà e senza che potessi fermarmi, cominciai a gridare a squarciagola, disperatamente, fino a strozzarmi nelle mie stesse lacrime.
<< Miguel!!!>> invocai, << Miguel, dove sei?!>>
Ma come poteva sentirmi?
Lui era lontano... troppo lontano!
Non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungermi...
<< Ti prego, Mig-...>>
Ma le dita di Nigel mi tapparono la bocca.
<< Shhh!Non devi pronunciare quel nome in mia presenza...>> sussurrò, << Sei una bambina cattiva... e come tale, dovrò punirti...>>
Sentii la sua pelle nuda scivolare sulla mia, il peso del suo corpo, il suo odore, quella nauseante sensazione di contatto.
Non ero una sciocca, sapevo cosa stava per accadere, ma la paura mi portava a negarlo, a rimanere ancorata a quella flebile speranza che presto o tardi sarebbe svanito tutto nel nulla, come se ogni cosa non fosse stata altro che il frutto malato della mia immaginazione.
Un sogno, un mero incubo... da cui potersi tranquillamente risvegliare.
Ma la verità era un'altra... e Nigel von Kleemt - colui che avevo cominciato a considerare come uno zio-  stava per compiere il più orribile e disgustoso dei peccati.
<< Ed ora...>> disse ansante, scostandosi di poco. << Sarai totalmente mia!>>
In quel momento avrei voluto gridare, dimenarmi, affogare nei miei stessi respiri, ma non avevo più forze, mi sentivo vuota, spezzata, priva di energie.
Ero come un giocattolo rotto, alla stregua di una bambola di pezza.
Udii la sua lingua carezzarmi il volto, il collo, i lobi delle orecchie... e le sue mani spostarsi sul mio seno, in un movimento circolare e repentino.
All'improvviso, il suo respiro divenne più corto, pesante, come se stesse correndo.
Infine, avvertii suo bacino ritrarsi un poco.
Era giunto il momento.
Lo sapevo, lo sentivo... ma l'unica cosa che riuscii a fare, fu chiudere gli occhi e trattenere il fiato.
Le lacrime mi bruciarono le guance, i polmoni si riempirono fino a scoppiare e poi...
Il nulla.
Nessuna pressione, nessun dolore, solo la sensazione dello spazio vuoto intorno al mio corpo.
<< M-ma cosa...?>> sibilò Nigel, << Co-sa...?>>
La sua voce era in frantumi.
Aprii fulmineamente gli occhi, trovandomi faccia a faccia con la sua espressione sbigottita.
<< I-io...>> sussurrò, tremando come una foglia.
<< I-o ti... io ti ho... >> ma le parole gli morirono in gola.
Vidi i suoi occhi verdi perdersi all'interno dei miei, le sue pupille dilatarsi, inumidirsi di lacrime e il suo volto tramutarsi in una maschera di dolore.
Feci per approfittare della sua esitazione, in modo da scappare; ma c'era qualcosa in lui... nel suo viso straziato, che mi teneva lì, bloccata, inchiodata al pavimento.
Improvvisamente, il suo sguardo si annebbiò, diventando cupo, torbido, nebuloso.
Mi guardava senza vedermi, mentre le sue membra venivano scosse da continui brividi freddi.
<< Io... t-ti amo!>> gorgogliò, << T-ti ho... s-sempre amata...>>
Con la punta delle dita mi carezzò il viso, ghiacciandomi il sangue nelle vene.
<< Oh... mia adorata! Mia amata... Christine...>>
Christine?
Non feci nemmeno in tempo a chiedermi di cosa stesse parlando, che Nigel von Kleemt si accasciò a terra, su un fianco, gli occhi spalancati e il petto immobile.
Non respirava più.
Con l'orrore nel cuore, mi sporsi in avanti, trovando null'altro che il suo corpo ancora caldo ma... privo di vita.
E-era morto.
Nigel... lui... era morto!
Gli tastai il polso, il collo, le tempie, dopodiché il panico s'impossessò della mia mente e le lacrime mi offuscarono la vista.
<< Nigel!>> mormorai, accarezzandogli le spalle nude.
C'era del sangue.
Ovunque.
Gli zampillava dalla schiena, copiosamente, riversandosi sul resto del corpo come un rivolo di porpora.
La ferita era rivoltante, scura, larga quanto un pugno e si trovava all'altezza della scapola sinistra, in prossimità del muscolo cardiaco.
Non avevo mai visto nulla di simile.
La carne era lacerata, piegata verso l'interno; si potevano scorgere addirittura frammenti di coste tra i grumi di sangue e pelle.
Inorridita dalla scena, indietreggiai verso la vasca, portandomi faticosamente in piedi.
Ma cosa gli era successo?
Quando?
Chi era stato?
Ma soprattutto, perché non mi ero resa conto di niente?
Con il panico nel cuore, mi voltai in tutte le direzioni alla ricerca dell'assassino, ma non trovai nulla: solo specchi appannati ed un oceano di vapore.
<< M-Miguel?>> provai a dire, la voce pressoché inesistente. << Miguel, è opera tua?>>
Doveva pur esserci una spiegazione logica... un indizio, un qualcosa!
Ma l'unica risposta che ricevetti, fu il silenzio assoluto ed incorrotto di un luogo abbandonato.
Non c'era nessuno con me in quella stanza: ero da sola.
Completamente.
<< C-c'è qualcuno qui?>>
Colta dal terrore e dall'ansia più nera, mi allontanai dal cadavere ancora fresco di Nigel, scivolando su una pozza di sangue.
Caddi rovinosamente a terra, sbattendo forte le ginocchia contro il pavimento duro, ma mi rialzai subito dopo incurante della sbucciatura sanguinante.
Non avevo tempo da perdere.
Dovevo scappare, fuggire via, andarmene da quel posto infestato dalla morte!
Con passo zoppicante e le ossa indolenzite, mi diressi verso la porta, afferrai la vestaglia che era appesa al pomello e mi precipitai fuori, al buio.
La indossai alla bell'e meglio, giusto per coprire il mio corpo nudo, poi presi a correre tra cunicoli e corridoi poco illuminati.
Ormai conoscevo bene la strada, sapevo dove dirigermi e svoltatre, quale rampa di scala prendere, fino a salire su, sempre più in alto.
<< Miguel!>> lo chiamai, col cuore gonfio di cupa speranza.
Se davvero era stato lui a...
Oh, no.
Non volevo neanche pensarci.
 << Miguel sei qui?>>
Ma non appena raggiunsi il tetto del bastione nord-occidentale, una folata di vento gelido m'investì completamente, ghiacciandomi.
<< Miguel...>> singhiozzai, << Miguel... dove sei?>>
Girai su me stessa, in tondo, come una trottola impazzita in mezzo alle tenebre della sera.
Invocai il suo nome, disperatamente, senza però ricevere alcuna risposta.
Stremata e sopraffatta dagli eventi, crollai a terra, rannicchiandomi in posizione fetale.
Che cos'era successo?
Nigel era morto, sì.
Morto.
Di botto, improvvisamente, tenendomi stretta alle sue braccia.
Era deceduto senza che potessi accorgermene, ucciso da qualcuno... di invisibile.
Perché di un qualcuno si trattava.
Non poteva essersi procurato quella ferita letale da solo....
Ma chi allora?
Qual'era volto del suo assassino?
Nel tumulto vorticante dei miei pensieri, avevo immediatamente pensato a Miguel... ma ora, cominciavo a temere persino la mia stessa ombra.
Rimasi ferma dov'ero per un tempo che parve infinito, mentre il gelo mi entrava nelle ossa e il vento intonava le sue canzoni.
Poi, d'improvviso, sentii come una carezza sul viso.
Un tocco freddo, delicato, impalpabile.
Quasi un soffio.
Aprii di scatto gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per liberarmi delle lacrime.
Ma non c'era niente.
Solo un'immensa distesa d'aria e terra, un cielo oscuro, privo di stelle ed una luna illuminata per metà.
La bruma copriva gran parte del paesaggio circostante, rendendo i contorni merlettati del bastione indefiniti, sfumati, come un'apparizione onirica.
Ma d'un tratto, cambiò ogni cosa.
La notte si fece più fredda e più scura, mentre il disco lunare svaniva nella nebbia.
Mi voltai verso le luci soffuse della città, rimanendo bloccata da ciò che vidi.
Tentai di respirare, ma i polmoni mi tradirono e uno spasmo di paura mi colpì la bocca dello stomaco.
Era una persona o un'apparizione?
Preoccupandomi per la mia sanità mentale, mi sporsi in avanti, le unghie conficcate nella nuda pietra.
Proprio di fronte a me, si stagliava la sagoma oscura di un uomo.
Non potevo scorgere nulla di lui, se non il costante svolazzare del lungo mantello lungo le spalle.
<< Miguel?>> ripetei, per l'ennesima volta.
Ma lui non si mosse.
<< No... tu non sei Miguel...>> farfugliai insensatamente, quasi tra me e me.
<< A-allora... c-chi sei?>>
La figura inclinò la testa di lato, aprendo le braccia come per accogliermi nel suo abbraccio.
<< Chiunque tu sia, ti prego, vattene!>> dissi.
Ciononostante, la mia voce era piena di paura, non aveva niente che potesse spingerlo ad obbedirmi.  
Lo vidi scrollare le spalle, in silenzio, poi avanzare nella mia direzione.
Uno, due, tre, quattro.
Il suono dei suoi passi, mi scavò nelle viscere come una malattia mortale.
<< Che cosa vuoi?>> chiesi prossima al pianto.
"Voglio te..."
Non aveva parlato, ma sentii ugualmente quella voce sconosciuta carezzarmi la mente.
Era profonda, melliflua, sensuale...  nostalgica.
Mi era famigliare quanto la mia.
<< Ma cosa?>>
L'uomo si fermò a pochi centimetri da me, rivelandosi ai miei occhi in tutta la sua avvenenza.
Sembrava giovane, sui venticinque anni, ma qualcosa nella sua postura e nei lineamenti cesellati del volto mi diceva il contrario.
Restai per alcuni secondi senza respirare, a fissarlo, incapace di riscuotermi da quel lieve stato di trance.
E come potevo?
Era bellissimo.
I suoi capelli parevano seta dorata, la sua pelle avorio, mentre i suoi occhi erano pozzi profondi in cui si annegava.
Intensi, magnetici, luminosi come oro fuso.
Lo vidi sorridere, mostrare appena il profilo aguzzo dei denti, dopodiché il suo sguardo aureo si tinse di fiamme e sangue.
Indietreggiai spaventata, ma le sue mani afferrarono le mie, e in un gesto del tutto inaspettato, se le portò all'altezza delle labbra, depositando dei casti baci su entrambi i dorsi.
<< Perdonami.>> sussurrò, parlando finalmente ad alta voce.
Il suo accento era di origine indecifrabile, ma comunque aristocratico.
Sembrava aver vissuto in centinaia di luoghi diversi simultaneamente
<< Non capisco...>> mormorai, << Per quale motivo dovrei perdonarvi?>>
Mi sentivo così strana in sua presenza, come se una forza inarrestabile m'inebetisse i sensi e mi spingesse verso di lui, verso il suo corpo avvolto dalle tenebre, in direzione dei suoi occhi.
Incontro all'oscurità.
<< Sono stato io.>>
Non proseguì, né disse dell'altro, eppure il senso delle sue parole era molto più che chiaro.
<< Avete ucciso voi... Nigel?>> rotolò fuori dalla mia bocca.
Gli angoli delle sue labbra si sollevarono maggiormente, regalandomi il più tetro e spaventoso dei sorrisi.
<< Sì.>> ammise, facendosi ancora più vicino.
<< Non potevo lasciare che quel porco schifoso t'insudiciasse...>>
Ora i suoi occhi erano una distesa di sangue vermiglio.
Mi persi al loro interno, annaspando alla ricerca di un respiro.
Stavo per affogarci dentro senza neanche accorgermene.
<< C-chi sei?>> balbettai.
Il suo sorriso si allargò a dismisura, le sue iridi baluginarono ed il resto del mondo cessò di esistere.
<< Ho molti nomi, mia dolce Amelia. Alcuni dei quali, persi tra le spirali del tempo. Ma tu, mia cara... >> sussurrò delicatamente al mio orecchio, << Puoi chiamarmi semplicemente... Erick.>> 

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Angolo dell'autrice: 
Saaaaalve a todos! Eccomi qui, prima di quanto immaginassi e col cuore a mille, perchè ero talmente su di giri da aver riletto a malapena questo capitolo sfornato di fretta e furia! (Quindi se ci sono problemi o errori, dite pure!)
Coooomque! 
Non ci credo, ma finalmente sono arrivata a questo punto cruciale! Eh, si! Perché di un punto cruciale si tratta! Erano mesi... ma che dico? Anni! Che non vedevo l'ora di arrivare fin qui... e per questo, ringrazio con tutto il cuore voi, perché senza il vostro supporto, dubito che ci sarei riuscita! 
Ma saltiamo i convenevoli e andiamo dritti al dunque! 
Dunque! XD
La prima parte del capitolo, si apre con il nostro Miguelito alla presa con quelle graziose creaturine chiamate Ghuldrash! Vi erano mancate, vero? xD A me un pochino... 
Poooi, ritorniamo a dove avevamo lasciato Ame, e cioè... tra le grinfie di Nigel. Ma proprio mentre stava per capitare l'irreparabile... Zac! Il caro zietto ci lascia le penne... e... compare finalmente Erick <3 
*_* sono troppo contenta di avervelo finalmente presentato! Siiiii *-*
(Insomma, non si nota che non vedevo l'ora, vero?) 
Bene, saltati i momenti di follia, vorrei sapere cosa ne pensate del capitolo, se vi è piaciuto, ma soprattutto che idea vi siete fatti di Erick...
Un bacione
Rob 
<3

 

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Capitolo 39
*** Golden Eyes ***


Golden Eyes

_ Miguel_

Un flebile rumore, un cigolio e il portone del castello si aprì squittendo, come una moltitudine di ratti affamati.
Mi affrettai ad entrare, precipitandomi il più in fretta possibile al suo interno.
Non c'erano luci d rischiarare l'ambiente: nessuna lampada ad olio, lume o candelabro; i maestosi lampadari di cristallo pendevano dal soffitto come grossi ragni, le braccia impolverate, sporche, rese opache dai troppi anni d'incuria.
Ma cos'era successo?
C'era troppo buio, troppo silenzio.
Dov'era la servitù?
Mi guardai in giro spaesato, i sensi all'erta, pronti a captare il minimo movimento o spostamento d'aria... ma non avvertii nulla.
Solo una quiete stantia, falsa, innaturale.
Sembrava quasi un posto disabitato.
Eppure, il mio cervello registrò tutte quelle informazioni solo a metà.
La fitta al petto si acuì insopportabilmente, soffocandomi il respiro.
Dannazione!
Amelie era in pericolo, lo sentivo, ma allo stesso tempo non riuscivo a percepire la sua presenza.
Era ovunque e in nessun posto.
Aguzzai maggiormente i sensi, spingendomi più un là, oltre il perimetro del maniero... ma all'improvviso, avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio.
Immensi banchi di nebbia mi ottenebravano la coscienza, mentre qualcosa d'incredibilmente potente, mi respingeva.
Ma cosa?
Mi sentivo strano, d'un tratto debole ed intontito.
Era come prendere a testate un muro massiccio, ripetutamente, fino a sentire le ossa del cranio cozzare le une contro le altre.
Avanzai faticosamente verso la scalinata, un passo dopo l'altro, ma le ginocchia cedettero al peso della gravità, facendomi stramazzare al suolo privo di energie.
Avevo l'impressione di trovarmi all'interno di un campo di forza, delimitato da barriere invisibili... talmente potenti da sembrare solide mura d'acciaio.
Dopodiché, fu tutto così veloce.
Sentii le orecchie fischiare, l'aria farsi di piombo e gli occhi bruciare intensamente, fino a lacrimare sangue.
Ma non ero io ad avere dei problemi, era qualcun'altro a causarmeli...qualcuno d'infinitamente forte.
Qualcuno della mia specie, ovvio... ma chi?
Solo i Primi possedevano dei poteri tanto smisurati... tuttavia, con la morte di mio padre si erano estinti del tutto.
O forse no?
Incapace di dare un senso ai miei pensieri, fui folgorato dalla vista di occhi violacei e luminescenti.
Ma certo... Lilith!
Chi altri poteva fregiarsi di una simile potenza, se non mia sorella?
Oh, sì... quella prigione elettromagnetica, era senza ombra di dubbio opera sua!
<< Lurida puttana!>> gridai, << Esci allo scoperto!>>
Ma invece che dalle sue risa sguaiate, l'aria fu lacerata da un urlo straziante, assordante, che rimbombò tra le pareti come l'eco di un tuono.
<< Nooooo!!!>> strillava la voce, << No!!!>>
Sentii il sangue raggrumarsi in scaglie di ghiaccio, mentre una furia cieca ed incontrollabile imperversava per tutto il mio corpo.
Non si trattava di Amelie, vero?
Il solo pensiero che quell'urlo agghiacciante provenisse dalle sue labbra, m'incendiò le viscere, donandomi una forza che io stesso ignoravo di possedere.
Percepii i miei muscoli distendersi, rilassarsi, i polmoni riprendere il loro funzionamento e la vista tornare normale.
Di botto, la gravità aveva smesso di schiacciarmi contro il pavimento, lasciandomi libero di muovermi, scattare in piedi e correre all'impazzata.
Non sapevo nemmeno dove stessi andando, seguivo l'istinto e l'impercettibile scia di sangue che aveva attecchito sui tendami e le pareti.
<< Amelie!>> gridai, irrompendo in una piccola stanza circolare.
Nuvole di vapore m'investirono in pieno volto, mentre l'odore ferroso del sangue mi solleticava le narici.
Adesso non era più una fievole traccia, ma una zaffata intensa, prepotente, tanto forte da frastornarmi per alcuni istanti.
Una miriade di specchi rettangolari restituì la mia immagine all'infinito, ma i miei occhi erano fissi su ben altro e per un attimo, dimenticai persino di respirare.
<< Amor mio...>> sussurrò la donna, stringendo tra le braccia il cadavere di Nigel von Kleemt.
Il corpo nudo e pallido dell'uomo spiccava come neve, in netto contrasto con l'abito scuro della cameriera.
<< Brigitte...>> la chiamai, usando il tono più sottile e delicato del mio repertorio.
Ma la ragazza m'ignorò, continuando a piangere convulsamente e cullare il suo padrone tra le braccia.
Le gonne della sua divisa da lavoro erano zuppe d'acqua e di sangue.
Solo in seguito, mi resi conto che c'era una vasca in ceramica, alle loro spalle... e seppur lieve, la scia di un profumo che conoscevo fin troppo bene.
Amelie.
<< Cos'è successo?>> interrogai la giovane.
La vidi deglutire a fatica, poi due occhi arrossati e neri come l'inchiostro si posarono su di me.
<< Non lo so...>> rispose in preda ai singhiozzi, << Ci... lui ci aveva detto di non intervenire...  e che...>>
Si bloccò, tirando su col naso.
<< Che cosa?>> la incitai, facendomi ancora più vicino.
Il volto di Nigel era cereo, rigido, ma incredibilmente sereno.
Qualunque fosse stato il motivo del suo decesso, era morto col sorriso sulla labbra.
<< Se... se mai alle nostre orecchie f-fossero giunte delle urla... avremmo dovuto ignorarle.>>
<< Che cosa vuoi dire? >>
<< L-le urla...>> balbattò, << Le urla della ragazza...>>
Nell'udire le sue parole, non ci vidi più dalla rabbia.
Le strappai il cadavere dalle braccia, afferrandola per il colletto della divisa da cameriera.
Brigitte era un fiume di lacrime.
Leggevo nei suoi occhi la paura, lo sgomento, il dolore... ma non poteva importarmene di meno.
Lei sapeva... sì.
Sapeva cos'era accaduto in quella maledetta stanza... e avrebbe fatto meglio a vuotare velocemente il sacco, se non voleva davvero raggiungere il suo amato Nigel all'inferno.
<< Parla.>> dissi con voce perentoria, stringendo la presa sul suo collo.
Per quanto spaventata, la giovane serva scosse la testa, tenendo le labbra ben serrate.
<< Avanti, parla!>> ringhiai incollerito, << Cos'è successo ad Amelie?!>>
La ragazza tossì, distolse lo sguardo e cominciò a tremare.
<< I-io non so niente. Dico d-davero! Ho solo aiutato O-Olivia a preparare il bagno per la signorina. L-lei è... è entata e poi...>>
<< "Poi" cosa?>>
<< Il padrone l'ha seguita...>>
Le zanne mi pulsarono dolorosamente contro le gengive, mentre cercavo in tutti i modi di contenermi e non sgozzare quella piccola ragazzina seduta stante.
<< Cos'è successo... dopo?>> faticai persino a parlare.
Brigitte scosse la testa, disperata.
<< Non lo... so! Per alcuni minuti non si è sentito niente... poi la ragazza ha cominciato a gridare! Le sue urla erano assordarti, invocava aiuto, ma né io né Olivia potevamo fare qualcosa: il padrone ce lo aveva vietato.>>
Uno spasmo di panico e disgusto mi capovolse lo stomaco.
Poi guardai il corpo nudo di Nigel.
<< Le ha usato violenza?!>> ruggii, << Quel lurido bastardo... le ha...>>
Ma le parole mi morirono in gola.
No... non poteva essere vero.
Non potevo accettarlo.
Nigel... quell'essere schifoso, quel vile porco... aveva osato fare del male al mio Piccolo Tarlo!
Ecco perché quegli ordini tanto improvvisi, quel suo rivelarsi...
Aveva giocato le sue carte fino all'ultimo, approfittandosi della sua posizione di comando all'interno dell'Ailthium, della mia impossibilità di rifiutare e della mia assenza.
Aveva puntato tutto su quello!
A stento riuscii a reprimere un urlo furioso!
Quel figlio di puttana!
Mentre io combattevo contro i Ghuldrash, lui tentava di violare la mia fidanzata!
Guidato unicamente dall'ira, strinsi il collo di Brigitte fin quasi a spezzarlo.
<< C-così... m-mi... s-strozzate!>> farfugliò la giovane, in un rantolo quasi inudibile.
Avrei dovuto fermarmi, farla respirare, eppure la sua espressione di puro terrore e le sue grida di protesta, erano musica per le mie orecchie.
<< Com'è morto, il bastardo?>> le soffiai in faccia.
I suoi occhi affogarono nelle lacrime, mentre il suo corpo veniva scosso da violenti tremolii.
<< L'ha ucciso lei!!!>> strillò, con la voce che rasentava quasi la follia.
<< Chi altri, sennò? Erano soli... nessuno ha varcato questa soglia! ... Deve esser stata lei... per forza!>>
Le liberai la gola immediatamente, precipitandomi a controllare il corpo senza vita di Nigel.
Non era passato molto tempo dal momento del decesso, ma già cominciavano a notarsi i primi segni del rigor mortis.
<< Non è opera di Amelie...>> mormorai quasi a me stesso.
Toccai con la punta delle dita il grosso foro sulla schiena del cadavere, saggiando il calore e la vischiosità del sangue.
Era una ferita letale, inferta alle spalle, a mani nude... munite di artigli.
<< C-come fate a dirlo?>> ansimò Brigitte, riprendendosi dal mancato strangolamento.
<< Così...>>
Sotto il suo sguardo esterrefatto ed inorridito, infilai la mano destra all'interno del foro.
La ferita era grossa quanto in mio pugno, tanto da combaciarvi alla perfezione.
A quella vista macabra, la giovane cameriera sbottò a piangere.
<< No! Vi prego! Abbiate pietà del suo corpo!>>
<< Pietà? E per cosa?>> ghignai, estraendo la mano dalla carne di Niguel.
<< Il padrone ha sbagliato... ma non era un uomo cattivo. L-lui è sempre stata gentile con me... io l'amavo!>>
Una fragorosa risata fece tremare le mie corde vocali.
<< Era uno stupratore... un vigliacco!>> gridai, << E ha avuto la fine che si meritava. Gli hanno strappato il cuore...>>
Nel pronunciare quelle parole, un brivido ghiacciato mi corse lungo la schiena.
<< Dove si trova Amelie?>> le domandai con voce dolce, melliflua.
Vidi Brigitte scuotere il capo e strisciare all'indietro, sul pavimento allagato dal sangue.
<< Non lo so...>>
<< Sai troppe poche cose, mia cara...>> dissi sfiorandole una guancia, << Di questo passo, finirai unicamente per peggiorare la tua posizione.>>

_ Amelie_

Ero come un naufrago alla deriva.
Trascinato dalle onde, affogavo nelle torbide acque delle sue pupille scure, nere, profonde quanto le viscere dell'inferno.
Non avevo mai visto degli occhi simili; quelli di Miguel erano ghiaccio e fuoco insieme, bellissimi, due specchi rivolti verso il cielo... ma questi... 
Questi racchiudevano in sé la luce del sole e le più tetre oscurità degli abissi.
Erano due gioielli d'oro fuso, puro, baluginante.
Una distesa di grano maturo agli arbori dell'estate.
<< Erick...>>
Pronunciai il suo nome senza neanche accorgermene, scandendo bene ogni lettera.
Aveva un suono così famigliare, sulle mie labbra... tanto da farmi tremare.
Razionalmente capivo in che situazione mi trovassi; percepivo la sua pericolosità, il fatto che fosse uno spietato assassino e che le sue mani fossero ancora sporche del sangue di Nigel.
Razionalmente.
Ma il mio corpo aveva un'idea del tutto diversa... ed oltre ogni logica, fremeva a causa della sua vicinanza.
Mi sentivo strana... d'un tratto, era come se del fuoco liquido mi scorresse nelle vene.
Avevo i muscoli in tensione, i nervi contratti ed ogni connessione nervosa sovraeccitata.
Ero terribilmente affascinata da quell'individuo dorato... ogni cosa di lui sembrava attirarmi, ammaliarmi, trascinarmi inesorabilmente tra quelle braccia avvolte dalle tenebre.
Ma non si trattava di attrazione fisica, oh no... ma qualcosa di... diverso.
Non riuscirei a spiegarlo nemmeno avendo a disposizione un milione di parole.
Poi, improvvisamente... sentii come una fitta all'altezza del cuore.
Il dolore fu fulmineo ed acuto al contempo, tanto da lasciarmi senza fiato.
Era Miguel... il mio Miguel.
Ed era vicino.
Il mio cuore ebbe un tuffo, e sperai che mi raggiungesse il più presto possibile.
Poi, come riscossa da un sogno ad occhi aperti, interruppi il contatto con le mani di Erick, indietreggiando lentamente, ancora avvolta da un sottile strato di torpore.
Ma cosa mi era accaduto?
Cos'era stata quella sensazione che aveva imperversato per tutto il mio corpo?
Quel calore avvolgente, quel richiamo, quel senso di quiete.
<< Cosa vuoi da me?>> sussurrai d'un fiato.
Lui mi sorrise appena, inarcando le splendide labbra all'insù.
Di nuovo quel luccichio sinistro, quei denti bianchi ed aguzzi come lame.
Era anche lui uno di loro, proprio come Miguel.
<< Ho già risposto a questa domanda...>> fece con voce suadente, << Appena tre minuti fa.>>
Mi sentii arrossire, fin quasi a sfiorare i toni del viola.
<< Non... i-io non ho sentito le tue parole.>> mugugnai, usando il "tu" senza neanche rendermene conto.
<< Non ho parlato, infatti. Ma credo tu abbia udito ugualmente la mia risposta. Voglio te.>>
<< E per... >> esitai, << Per quale motivo?>>
Per un solo istante, le sue iridi color dell'oro si screziarono di rosso.
Ma tornarono normali dopo pochi secondi.
<< Non è né il tempo, né il luogo per affrontare un simile argomento... mia dolce Amelia.>>
<< Che cosa vuol dire?>> mi affrettai a ribattere.
Lo vidi sorridere e scuotere la testa, lievemente, facendo brillare alla luce della luna i suoi riccioli dorati.
A stento, riuscii a trattenermi dalla voglia di accarezzarli.
Sembravano così terribilmente soffici e setosi...
Come se si fosse sintonizzato sui miei pensieri, lo vidi avanzare e sollevare un braccio verso di me, fino a sfiorare una ciocca ancora bagnata dei miei capelli.
 << Sei più bella di quanto avessi immaginato...>> mormorò, facendosi ancora più vicino.
Per un attimo mi tornarono in mente le parole di Nigel, le sue mani, il suo tocco, il suo corpo a stretto contatto col mio. Riuscii a non vomitare per un puro miracolo.
Tuttavia, Erick non mi guardava lascivamente... come aveva invece fatto quell'uomo.
Oh no.
E neanche con la bruciante bramosia propria degli occhi di Miguel. 
Non c'era desiderio nei suoi occhi, solo calma e contemplazione.
Improvvisamente, le sue dita mi sfiorarono il profilo di uno zigomo, scendendo appena sulle labbra.
<< Non puoi nemmeno immaginare per quanto tempo io ti abbia cercata...>> disse in un sussurro, circondandomi con le braccia.
Percepii il calore del suo corpo avvolgermi e le falde del suo mantello scivolarmi sulle spalle.
Per un attimo rimasi pietrificata, senza respirare, poi il mio cuore riprese a battere ad un ritmo vertiginoso.
<< Erick...>> lo supplicai, << Dimmi chi sei veramente.>>
Alla mia richiesta lo sentii sospirare, ma non disse nulla.
Rimase immobile, con le braccia che mi tenevano stretta al suo petto e il viso affondato nei miei capelli.
Per un attimo dimenticai tutto, ogni cosa, abbandonandomi a quell'abbraccio sconosciuto.
Lui aveva un odore così buono... nostalgico... ma contro ogni logica, mi riportò alla mente il profumo inconfondibile del mio Miguel.
Era strano, totalmente surreale... eppure, in qualche modo si somigliavano.
<< Sei "E.", non è vero?>> gli chiesi col cuore in gola.
<< Sì.>> confessò al mio orecchio, << Sono io.>>
Avevo già dei sospetti, ma quell'ultima rivelazione verbale mi ghiacciò comunque gran parte della colonna vertebrale.
Stavo abbracciando un assassino.
La prima cosa che avrei dovuto fare, sarebbe stata scappare, dimenarmi, fuggire lontano da lui... un essere spregevole, capace di compiere stragi e di firmare col sangue le proprie vittime.
Un abominio vivente, un mostro.
Eppure non riuscivo ad odiarlo, né ad avere paura di lui.
Ma cosa mi stava accadendo?
Era così assurdo quello che provavo... come se in qualche modo sapessi che Erick non avrebbe mai potuto farmi del male.
<< Mi eri mancata così tanto...>> disse con voce vellutata, dolce come zucchero.
<< Perché? Io non... io non ti conosco!>>
Ero esausta, provata dagli eventi, nuda sotto il sottile strato della vestaglia e fradicia.
Rischiavo di prendere una polmonite, un attacco di cuore e probabilmente di andare in coma a causa delle troppe domande senza risposta che mi ronzavano per la testa.
<< Non mi conosci...>> ripeté sogghignando, << Ne sei proprio sicura?>>
Quella domanda mi spiazzò.
La mia mente avrebbe risposto di sì... ma la mia... anima?
C'era qualcosa in lui... qualcosa di terribilmente sbagliato.
<< Io non lo so. Ho come... l'impressione di conoscerti... ma...>> mi bloccai di botto.
<< Lo so...>> mi soffiò sulle guance, << Lo so fin troppo bene.>>
I suoi occhi s'incatenarono ai miei, imprigionandomi.
<< Vieni con me, mia dolce Amelia.>> mormorò a voce bassa.
<< Cosa?>> biasciai, completamente spaesata.
<< Abbandona tutto e vieni via con me. Non te ne pentirai.>>
<< I-io...>> balbettai, << Io non posso. Miguel... lui...>>
Non appena pronunciai il nome del mio amato, gli occhi aurei di Erick s'illuminarono di pura ira.
Li vidi risplendere di rabbia, d'odio, e di qualcosa di assolutamente indecifrabile.
La magia che ci circondava si ruppe, ed io tornai alla realtà, lontana dalla languida malia del suo sguardo.
Mi sciolsi fulmineamente dall'abbraccio, poi feci due passi indietro.
Lui mi lasciò fare e come una scultura di marmo, restò lì, immobile, senza battere ciglio.
<< E sia...>> sibilò, digrignando i denti.
Poi le sue labbra si piegarono all'insù, disegnando il più crudele e tetro dei sorrisi.
<< I tempi non sono ancora maturi... e tu non sei pronta. Vorrà dire che attenderò ancora un po'. In fin dei conti... ho aspettato per decenni.>>
Con un gesto talmente veloce da sfuggire alla mia vista, mi tirò nuovamente a sé, depositando un lieve bacio sulla mia fronte.
<< Arrivederci, mia cara.>> sussurrò a fil di pelle, senza staccare le labbra.
<< E ricorda, la prossima volta che c'incontreremo... sarà unicamente per tuo volere.>>
<< Cosa vuol dire?>> gracchiai.
Il suo sorriso si fece sfavillante, tanto d'abbagliarmi.
<< Semplice tesoro... vuol dire che sarai tu stessa a chiamarmi.>>
Detto questo, un'improvvisa folata di vento mi trapassò le membra, costringendomi a chiudere gli occhi.
Quando li riaprii, non trovai nessuno.
Erick era scomparso, inghiottito dalle ombre ed io... ero di nuovo sola. 

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Angolo dell'Autrice! 
Zaaaaaalve! A quanto pare, in questi giorni ho messo il turbo, ma non assicuro che continuerò con questa velocità ancora per molto. Gli esami sono alle porte e molto probabilmente, non riuscirò ad aggiornare così in fretta! Ma tranquilli... siamo arrivati a buon punto... oddio, mancano ancora tanti, troppi... capitoli ma nella mia testolina bacata... comincio a vedere la fine del tunnel! 
Ma ora passiamo al capitolo... Dunque! U.U 
Nella prima parte abbiamo il nostro Miguelito... tutto bello e baldanzoso non appena mette piede nel castello, viene stordito da una forza misteriosa, che riesce quasi a metterlo KO... poi si riprende convinto che ad urlare sia stata la sua bella... ma niente! Trova invece quella simpaticona di Brigitte col corpo senza vita di Nigel. Oddio, a me non è mai stata simpatica, la ragazza, ma devo ammettere che mentre scrivevo questo capitolo mi ha fatto pena. Povera... soprattutto perché si trova a dover affrontare le ire di Miguel...
Pooooi, ritornando ad Ame e il nostro E... beh... che dire? Lungi da me sostituire nel cuore della fanciulla il nostro Miguelito, anche perché come ribadisce lei stessa... quello ce l'attira in Erick è qualcosa di totalmente diverso dai sentimenti che prova per Mig. E poi diciamo che Erick è molto potente, e molte reazioni da parte di Ame, sono dovute al suo magnetismo e ai poteri che esercita su di lei...
Detto questo... non so più cosa dire... lascio la parola a voi.
Come sempre, vi ringrazio dal più profondo del cuore, sia chi legge che chi recensisce <3
Un bacione... 
Rob
<3

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Capitolo 40
*** Assassinio ***


Assassinio

_ Miguel_

Il tetto del bastione non era troppo lontano.
Mi bastava seguire il corridoio, svoltare a destra e salire la ripida scalinata che mi avrebbe portato a destinazione.
Una volta in cima, la gelida brezza notturna mi colpì in viso con la medesima intensità di un uragano. Nessuna stella brillava in quel cielo cupo, gonfio, pregno di nuvole e d'umidità.
Nemmeno una... anzi.
La sola fonte d'illuminazione era data dal profilo addormentato della luna, che con i suoi pallidi raggi faticava a rischiarare le nette ombre del paesaggio circostante. Senza perder altro tempo inutilmente, mi guardai intorno.
C'era un lungo varco scavato nella roccia, file interminabili di mattoni e poi uno spazio aperto, circolare, sormontato da una sorta di piedistallo rialzato... su cui poggiava lo stendardo bianco e rosso dei von Kleemt.
L'affare giaceva immoto al centro del cerchio, inchiodato alla pavimentazione come uno spillo infilzato nella lana.
Feci scivolare la Mimesis tra le dita, facendo ben attenzione a non tradire troppo in fretta la mia presenza, dopodiché, cominciai a spostarmi nel buio.
Mura alte e rugose si alternavano a parapetti crollati, dando vita ad un particolare gioco ottico, fatto di geometrie sia simmetriche che irregolari.
Il tutto accentuato dalla cappa nera della notte.
Col cuore colmo d'agitazione per lei, girai a vuoto per alcuni secondi, senza però scorgere o trovare niente.
Ero nel bel bezzo di una situazione di stallo; diviso tra la voglia di correre a cercarla come un folle, invocando il suo nome a squarciagola; e tra l'amara constatazione dei fatti.
Amelie era svanita, scomparsa nel nulla... questo, almeno, finché il vento non decise di cambiare direzione.
Ci fu una sferzata poderosa, una vera tempesta d'aria... e nell'arco d'un battito di ciglia, la flebile traccia che stavo seguendo... da impalpabile divenne incredibilmente forte, intensa, tanto da stordirmi.
<< Amelie!>> mi rivolsi all'ignoto.
Eppure non ci fu alcuna risposta.
<< Lo so che sei qui. Lo sento...>> continuai.
Ma nulla.
Il silenzio perdurava, aleggiando come fitta bruma su un mare in burrasca.
<< Amelie... ti prego!>>
Non avrei mai creduto, nel corso della mia lunga vita di giungere al punto di dover implorare qualcuno.
Eppure, implorare era il termine esatto.
<< Amelie!>>
Questa volta ci fu un lieve singulto, un frusciare di stoffa bagnata e... non appena svoltai l'angolo grosso piedistallo in pietra, un'esile figura vestita di bianco catturò completamente la mia attenzione.
Eccola.
Se ne stava lì, da sola, afflosciata su sé stessa come un abito dismesso.
Aveva le spalle incurvate, la testa sepolta tra le ginocchia e un'incredibile difficoltà nel respirare.
Era annientata, distrutta, un pallido fagotto di lacrime e stracci.
<< Stai tremando...>> constai.
Avanzai d'un passo, poi di un altro, finché le fui tanto vicino da sfiorarla.
Lei alzò a malapena lo sguardo su di me, trapassandomi da parte a parte, senza vedermi realmente.
<< N-non riesco a... s-mettere. F-reddo... ho tanto freddo.>> mormorò con voce flebile, confusa.
Un nodo doloroso mi si strinse in gola, fin quasi a soffocarmi.
Ma che mi prendeva?
Finalmente l'avevo ritrovata, lei... era viva, stava bene e nessuna ferita evidente sembrava marchiarle le membra.
Eppure non riuscivo a darmi pace...
E come potevo?
La collera mi circolava nelle vene insieme al sangue, facendomi desiderare unicamente il caos.
Volevo gridare, ridurre in poltiglia il cadavere di Nigel e radere al suolo tutto: il castello, Slyvermon... l'intera contea dello Yorkshire se necessario!
<< M-Miguel...>> farfugliò, << Sei... tu? Sei proprio tu...?>>
Si sporse leggermente in avanti, una mano tesa e tremante verso di me.
L'afferrai, baciandone il dorso, il palmo, le dita.
Assaporare nuovamente la consistenza della sua pelle fu un'emozione unica, folgorante, ma sentirla così fredda e rigida a contatto con le mie labbra, fu peggio di una stilettata in pieno petto.
<< Sì, sono io... mio Piccolo Tarlo...>>
 Mi staccai malvolentieri dal tocco delle sue mani, poi, senza nemmeno darle il tempo di respirare, la sollevai tra le braccia, avvolgendola tra i lembi in velluto nero del mio soprabito.
<< G-grazie...>> balbettò, rabbrividendo per l'improvviso sbalzo termico.
Il calore del mio corpo si scontrava col gelo del suo, in una battaglia che speravo con tutto il me stesso di vincere.
La guardai negli occhi e una fitta di puro dolore parve stritolarmi il cuore.
Lei sembrava così piccola, ora. 
Fragile, indifesa... un tenero pulcino bagnato.
Ma totalmente sotto shock.
Il suo volto non era mai stato così terreo e stanco.
Mai.
Nemmeno nei momenti peggiori; quando la sua vita era stata attaccata ad un filo, e il suo sangue scorreva a fiumi, sporcandomi di rosso le labbra.
Oh, dannazione!
Come aveva fatto a resistere fino ad allora?
Era nuda, sotto quel leggero strato di stoffa... nuda.
Come il cadavere di Nigel nella stanza degli specchi.
 << Nigel...>> sibilai a denti stretti, << Lui ti ha...>>
Ma continuare a parlare, sembrava d'un tratto diventato impossibile.
Ogni suono mi moriva in gola, bloccandosi a metà, tra i denti e la punta della lingua.
In quel momento, realizzai di essere un codardo: avevo paura di affrontare quel discorso, non volevo sapere che cosa Nigel le avesse fatto... faceva troppo male.
Ma non potevo nemmeno rimanere con quel dubbio attanagliante nella testa.
Dovevo sapere.
Scoprire quale fosse la verità.
A qualunque costo.  
<< No.>> rispose in un sussurro, scuotendo lentamente il capo.
<< Vuol dire che non...>>
<< Esatto.>> biascicò, <<  Lui non mi ha fatto niente. Non... non ne ha avuto il tempo... di...>>
<< Oh...>>
Sentii il mio cuore fremere, scoppiarmi nel petto e una pura scarica d'euforia incendiarmi le vene.
All'improvviso ogni cosa aveva perso la sua importanza.
Sia Nigel che le sue perverse macchinazioni.
Nella mia mente c'era solo spazio per lei... la donna che amavo più della mia stessa vita.
<< M-Miguel... >> incespicò, << C-così mi soffochi!>>
Ma non allentai la presa, tutt'altro.
La sollevai da terra, prendendola in braccio come se fosse stata una bambina... dopodiché, cominciai a girare su me stesso in un turbinare d'abiti e di risate.
<< Stai bene...>> le dissi a fior di labbra, disseminandole il viso di baci.
Lei rispose con passione, fin quasi a divorarmi... ma c'era qualcosa di strano nei suoi gesti.
Un'urgenza, uno struggimento, come cercasse in tutti i modi di distrarmi e dissimulare.
Lo leggevo in ogni suo gesto, in ogni sua carezza, ogni volta che le nostre bocche ansanti s'incontravano.
Dovevo darle atto che si stava impegnando, davvero.
Peccato solo che avessi già capito tutto.
Tentava disperatamente di nascondermi qualcosa... ma cosa?
Mi soffermai su quei pensieri per brevi istanti, poi il suo odore delizioso sortì l'effetto di una droga. Mi ubriacai di lei, della sua pelle, del suo profumo, fino a sentire il cervello liquefarsi e le narici pizzicare.
Poco importavano i suoi tentativi d'occultamento.
  << Sei qui...>> ansimò tra un bacio e l'altro, << Finalmente sei qui!>>
 Avrei voluto risponderle di sì, che non l'avrei più lasciata, ma la sua bocca me lo impediva.
Dio...
Era così bello sprofondare le mani sul suo soffice seno, baciarla, accarezzarla, premere il corpo contro il suo e... sentirla mia.
Mia soltanto.
Non so per quanto tempo andammo avanti così, annegando l'uno tra  le braccia dell'altra; minuti ed ore si alternavano, secondo dopo secondo, fino a perdere ogni valenza.
Poi il suo atteggiamento cambiò.
Con un'irruenza che non le apparteneva, si avvinghiò al mio corpo.
Mi sentii stringere convulsamente dalle sue mani, che con foga febbrile presero a passarmi in rassegna il petto, la schiena, i fianchi, fino a risalire sul viso.
<< Ho avuto così tanta paura, Miguel!>> singhiozzò, << È stato terribile... io... ho cercato di difendermi, sì... ci ho provato... ma lui era troppo forte per me! Non riuscivo a scrollarmelo di dosso! Poi ho urlato... Oh mio Dio quanto ho urlato! Ho chiamato aiuto, invocato il tuo nome... ma tu... non rispondevi...>>
Quelle parole mi ferirono nel profondo, come un fendente conficcato all'altezza del cuore.
Cristo... lei si era trovata in pericolo!
Quel verme schifoso di Nigel aveva provato a violentarla, a violare quel corpo così puro, perfetto, che consideravo sacro...e non mi ero trovato lì per difenderla!
Mi torturai a quell'idea, trattenendo a stento delle brucianti lacrime di frustrazione.
Poco importava se mi trovavo a kilometri di distanza, impegnato a sterminare una fitta nidiata di Ghuldrash.
Non c'ero stato nel momento del bisogno, ed ora non potevo far altro che detestare me stesso e raccogliere i cocci.  
<< Sarei voluta morire, in quel momento.>> confessò, << Chiudere gli occhi e non sentire più niente... ma le sue mani erano ovunque, come tentacoli e la sua lingua un viscido contenitore di veleno... oh Dio! Stavo per temere il peggio, quando ...>>
La sua voce si affievolì di colpo.
<< Quando poi... è... morto.>>
Quella semplice frase, mi destabilizzò nel profondo, facendomi rabbrividire contro la mia volontà.
<< Com'è successo?>> le domandai.
Come travolta da una scarica di corrente elettrica, Amelie sussultò, distogliendo lo sguardo per evitare i miei occhi.
<< I-io...>>
<< Tu cosa?>> la incalzai.
Ricordavo perfettamente la ferita sulla schiena dell'uomo, la sua dimensione, la profondità...
<< No, Miguel.... io non...>> proseguì, deglutendo.
Le sfiorai il volto con la punta delle dita, costringendola una volta per tutte a guardarmi.
C'era paura nei suoi occhi, un terrore vibrante, immenso, talmente smisurato da schiacciarla.
<< Ho visto il suo cadavere...>> ammisi, << È stato colpito alle spalle, il cuore completamente asportato.>>
Mi aspettavo che controbattesse, che dicesse qualcosa... una qualunque cosa, ma Amelie rimase in silenzio.
Si limitava ad osservarmi con la bocca serrata e l'espressione di pietra. Del tutto indecifrabile.
<< Tu sai cos'è successo.>>
La mia non era una domanda, ma un'affermazione.  
<< L'hai visto...>> le bisbigliai all'orecchio.
La sentii soffocare un fremito,dopodiché un filo di voce si fece strada tra le sue labbra.
<< Io...  non mi sono accorta di... niente!>>
Ispirai ed espirai a fondo, cercando di calmarmi... ma ormai ero al limite della sopportazione.
<< Amelie, ti prego... parla!>> la implorai, << Qualcuno deve pur averlo ucciso!>>
In un attimo i suoi occhi si riempirono di lacrime, trasformandosi in liquide pozze scure, delle voragini senza fondo in cui precipitare.
<< Sì.>> fu la sua replica.
Secca, dura, della stessa consistenza del granito.
<< È stato qualcuno della mia razza, vero? Forse... Lilith?>>
<< No!>> esclamò.
La sua voce s'era fatta d'un tratto alta, squillante, il preludio di un grido.
<< Non è stata Lilith ad ucciderlo.>>
<< E chi, allora?>>
Il suo sguardo ebbe un guizzo e l'ombra di un sorriso si posò sulle sue labbra.
Non l'avevo mai vista ridere in quel modo.
<< È stato lui... "E.".>> dichiarò sommessamente.
Il tono basso, incrinato, poco più che un sibilo.
<< Erick.>>

_ Amelie_

Improvvisamente, il gelo tornò a martoriarmi le carni.
C'era troppo spazio, tra di noi... troppa distanza.
Le nostre pelli non erano più a contatto e i miei piedi nudi toccavano di nuovo il suolo.
Mi aveva poggiata a terra prima ancora che potessi rendermene conto, e mi guardava, sì. Mi guardava intensamente, con gli occhi rifulgenti di rabbia e le iridi irrorate di sangue.
<< Miguel...>> mormorai, col cuore in procinto di fracassare la mia cassa toracica.
Feci un passo in avanti, alzando un braccio per accarezzargli il volto, ma lui scansò via la mia mano, indietreggiando.
<< Erick...>> pronunciò quel nome come un insulto.
Mi squadrò da capo a piedi, trafiggendomi con sguardi affilati, taglienti, tanto freddi da sembrare lame.
 << Miguel, io...>> continuai, tuttavia non mi fece finire.
Me lo ritrovai addosso.
Le sue labbra avviluppate irosamente alle mie, mentre il profilo acuminato delle sue zanne mi pungeva la lingua.
Sentii il fievole sentore dolciastro del mio sangue, il suo respiro farsi irregolare, finché non mi ritrovai imprigionata tra il muro e le sue braccia.
<< M-mi fai male...>> tentai.
Ma le sue mani mi strinsero con ancora più forza, più prepotenza, quasi volesse sbriciolarmi le ossa.
<< Come fai a conoscere il suo nome?>> domandò incollerito, << Come?!>>
Ero così sconvolta da non riuscire a rispondere.
<< Allora?>> ringhiò.
Aveva la voce ansante,dubbiosa... accusatoria.
D'un tratto mi sentii sporca, come se nell'interagire con Erick avessi commesso il più subdolo ed immondo dei peccati.
<< Pensavo fossi stato tu, ad uccidere Nigel!>> strepitai, << L'ho sperato fino all'ultimo. Col cuore gonfio di speranza, sono salita fin quassù, urlando il tuo nome... Miguel. Ma tu non c'eri, non rispondevi e... e io avevo terribilmente bisogno di te.>>
Alle mie parole vidi la sua espressione mutare.
Non era più arrabbiato, o forse si, ma unicamente con se stesso.
Leggevo una profonda sofferenza in lui, all'interno dei suoi occhi, tanto che temetti di esserne inevitabilmente inghiottita.
<< Mi dispiace, Amelie... Mi dispiace così tanto!>>
Ogni sua parla aveva la stessa consistenza di una cascata d'olio bollente.
<< È stato lui a comparire dal nulla, come un'illusione. Io non sapevo che fare, ero immobilizzata dalla paura... poi mi ha parlato. Sembrava conoscermi... sapere delle cose su di me...>>
<< Che cosa?>>
<< Non ne ho idea... mi sentivo così confusa, come se stesse esercitando una specie di forza su di me, un'attrazione... ed io non riuscivo a resistere.>>
Sentii Miguel imprecare, stringere i pugni e digrignare i denti.
<< Ha usato i suoi poteri, quel maledetto! Oh sì, era sua anche la barriera che c'era di sotto. M'impediva di capire dove tu fossi finita!>>
Trascorsero alcuni secondi di silenzio, in cui i nostri sguardi restarono incollati.
Io non sapevo che dire, lui faceva di tutto per trattenersi.
Ma alla fine parlò.
<< Cosa voleva da te?>>
<< Non l'ho ancora capito.>> ammisi, << Diceva di volermi portare via con sé... ma quando ho rifiutato, non ha fatto storie. Anzi. È svanito senza lasciare traccia... e poco dopo, sei arrivato tu.>>
Lo sentii cingermi le spalle, affondare la testa sull'incavo del mio collo e stringermi forte.
Senza violenza, stavolta.
<< Qualsiasi cosa voglia, Amelie... non gli permetterò mai di farti del male! >> dichiarò con vece tremante, più a sé stesso che a me.
<< Lo so...>>
Le sue dita s'intrecciarono ai miei capelli, con delicatezza, rendendomi schiava e succube del suo tocco.
Quanto mi era mancato?
Avevo l'impressione di sciogliermi, liquefarmi, di essere come docile argilla tra le sue mani.
Semplicemente malleabile.
Con dei lievi tocchi mi plasmava a suo piacimento, modellandomi sapientemente, come un mastro ceramista alle prese con un vaso.
Stordita dal suo profumo inconfondibile e sensuale, non potei far altro che chiudere gli occhi e riempirmi i polmoni d'aria. Sembrava tutto finito... finalmente!
Nigel era morto, Erick se n'era andato e Miguel mi teneva stretta a sé, tra le sue braccia.
A stento riuscivo a trattenere le lacrime.
Mi sentivo così al sicuro, ora.
Protetta.
Come non mi ero sentita da ormai troppo tempo.
<< Che faremo ora? Dove andremo?>> gli chiesi, la voce bassa, impastata.
Un sospiro gli scappò dalle labbra, ma invece di rispondere... mi spinse via.
Il suo gesto tanto avventato mi aveva lasciato completamente di stucco.
Ero sbigottita.
<< Ma cos->>
<< Shhh!>> mi zittì, posando l'indice sulle mie labbra.
Si guardò furtivamente intorno, sbuffando col naso, come un toro.
<< Non siamo soli... >> disse sporgendosi in avanti.
<< Che vuol dire?>> bisbigliai.
<< Non lo so, non mi è chiaro... ma percepisco delle presenze...>>
Col cuore in tumulto, feci vagare lo sguardo ovunque.
Le ombre erano scure, pesanti, dense... potevano nascondere qualunque cosa, qualsiasi pericolo.
<< Amelie...>> richiamò la mia attenzione.
<< Sì?>>
<< Appena ti darò il via, allontanati il più possibile e corri a nasconderti. Hai capito?>>
Annuii vigorosamente, poi accadde.
Una sferzata di vento gelido fendette l'aria, qualcosa mutò, e le ombre proiettate dal parapetto in pietra si mossero.
<< ORA!>> urlò, << Allontanati!>>
Rimasi a guardarlo spaesata, i polmoni chiusi, il cuore sul punto di scoppiare, finché l'adrenalina fece il suo corso, andando in circolo e facendomi scattare.
Corsi verso il declivio costituito dalla scalinata, acquattandomi dietro una porzione di muro.
Non ero più a portata di mano, ma abbastanza vicino da poter scorgere il mio Miguel alla perfezione.
Nell'osservare la sua schiena, il mio muscolo cardiaco saltò un battito.
Raramente l'avevo visto così... preoccupato, ed ogni volta era stato a causa di quei mostri immondi chiamati Ghuldrash.
L'idea che quelle bestie si fossero acquattate da qualche parte, aspettando solo il momento migliore di saltarci addosso... mi nauseava.
Gettai uno sguardo pieno di paura alle mie spalle, poi tornai a posare gli occhi su Miguel.
Se ne stava col corpo proteso in avanti, pronto a scattare e i muscoli tirati come una corda di violino.
Le iridi vermiglie spiccavano come fiamme nell'oscurità, fregiandosi di una luminescenza sovrannaturale, inquietante, quasi demoniaca.
D'un tratto però, il mondo cominciò a vorticare.
Uno schiocco fragoroso fendette l'aria, una folata di vento ci avvolse e... dal nulla, comparvero due sagome incappucciate e una frusta composta da catene di metallo.
L'arma calò impietosamente sul pavimento, crepando l'antica superficie della pietra.
Era un avvertimento, lo sapevo bene.
Se davvero avessero voluto fargli del male, ci sarebbero riusciti.
Ma i due uomini, sembravano avere un piano ben preciso in testa.
Con un gesto arrogante, quello più grosso scrollò le spalle, mentre il suo compare dall'aria mingherlina, riavvolgeva le catene tra le sue mani.
Li vidi scambiarsi uno sguardo d'intesa, muovere il capo in segno d'assenso, per poi avvicinarsi minacciosi a Miguel e... cominciare a parlare.
Ero troppo lontana per captare il senso delle loro frasi, le parole mi arrivavano in modo frammentario, confuso, ovattate dalla distanza che ci separava.
Aguzzai l'udito per capirci qualcosa, ma nelle mie orecchie risuonavano unicamente ronzii incomprensibili.
Solo in seguito mi resi conto che non stavano parlando in inglese, ma bensì in tedesco.
Nel lasso di pochi minuti, però, la conversazione degenerò in un litigio e due uomini incappucciati si fiondarono a suon di pugni su Miguel. Il mio cuore accelerò di colpo, mozzandomi il respiro. Grazie alla sua forza inumana, Miguel li scaraventò lontano, ma fu tutto inutile. Quei due erano degli ossi duri. Come se nulla fosse accaduto, si rialzarono in piedi, scaraventandosi nuovamente su di lui.
Stavolta li scansò, spostandosi di lato, ma quello più basso gli scagliò addosso la sua frusta tintinnante, scavandogli la carne all'altezza della spalla.
Sentii Miguel urlare, imprecare in quella lingua sconosciuta, poi estrarre gli artigli e gettarsi su di loro come una furia.
I due riuscirono ad evitarlo per puro miracolo, dopodiché seguirono degli interminabili minuti di violenza.
Miguel schivò i loro colpi, fulmineamente, muovendosi da una parte all'altra con l'eleganza d'un felino.
Ne ferì uno alla gamba, rigandogli di rosso la coscia, fino al ginocchio.
L'uomo gridò dal dolore, contorcendosi, poi la frusta gli cadde a terra.
Miguel la raccolse, mentre un ghigno malvagio gli increspava le labbra.
L'agitò in aria, pericolosamente, dando vita ad una moltitudine di cerchi.
<< E adesso?!>> lo sentii ringhiare divertito.
Conficcai le unghie nella nuda pietra, mordendomi la lingua per non urlare.
<< Allora?!>> gridò.
Vidi gli anelli di metallo baluginare come stelle, poi una sferzata, il sibilo del vento... e senza alcuna pietà, l'arma si scagliò sulla carne del suo stesso padrone.
L'uomo boccheggiò, rilasciando un urlo disperato, finché le maglie d'acciaio non tornarono ad accanirsi su di lui.
Ma ero così presa dalla scena, da non rendermi conto di un piccolo, catastrofico, particolare...
Dov'era finito il secondo uomo, l'energumeno?
Poi lo vidi, alle sue spalle... pronto a prenderlo di sorpresa.
<< Miguel!!!!>> lo chiamai, abbandonando il mio nascondiglio per avvisarlo del pericolo.
Ma nel giro di un secondo, delle mani rudi e forti m'impedirono di andare avanti.
<< Ehi, tu... ragazzina. Che cosa credi di fare?>>
Una figura alta e massiccia mi si parò di fronte, bloccandomi il passaggio.
Era lui: l'uomo che stava per attaccarlo... ma come aveva fatto?
Si era mosso ad un velocità incredibile, tanto da sfidare l'umana percezione delle cose.
<< C-chi siete?>> ansimai.
L'uomo abbassò il cappuccio, lasciando che il suo mantello nero ricadesse a terra.
Dapprima distinsi vagamente un torace nudo, poi una cospicua massa di muscoli guizzanti, ed infine un volto dai lineamenti marcati, con labbra sottili, naso dritto e un'arcata sopraccigliare sporgente.
<< Lasciatela stare!>> ruggì Miguel, << Altrimenti l'ammazzo!>>
Con una crudeltà inaudita, spinse gli artigli nel petto della propria vittima, facendolo dimenare dal pianto.
<< Mi hai sentito, razza bastardo?!>> rincarò la dose, affondando ancora più in profondità con le dita.
Lo sconosciuto mi guardò con astio, gli occhi socchiusi, ridotti a due fessure luccicanti.
Con quella poca luce, mi era impossibile coglierne il colore, ma la sfumatura bronzea della pelle e il profilo calvo della testa erano più che visibile.
<< Ehi, Camaleonte! Che cosa ne facciamo di lei?>> disse rivolgendosi all'ignoto.
Una risata rauca e possente riempì l'aria, mentre i vago sentore di un ricordo riaffiorò nella mia alla mente.
<< Oh, Angus... non vorrai mica accontentare il nostro amico così in fretta!>> latrò il Camaleonte tra una risata e l'altra.
<< Ryan...>> sussurrai incredula, << Ryan Blackwood! Sei tu?>>
Il colosso chiamato Angus si scansò di lato, lasciandomi la visuale libera.
Una terza ombra dal mantello scuro era comparsa alle spalle di Miguel, rivelando una sagoma smilza e asciutta.
Solo in un secondo momento, mi resi conto della lama che stringeva in mano: un pugnale dall'elsa argentata.
Puntato direttamente contro la gola del mio Miguel.
<< Amelie, scappa!>> lo sentii urlare.
<< No!>> replicai in lacrime, << Non ti lascio qui!>>
<< Ma che scenetta deliziosa!>> s'intromise Ryan, << Davvero commovente!>>
<< Maledetta carogna! Lascialo andare...!>> sibilai con disprezzo.
Lui si limitò a sorridere raggiante, il viso dai tratti adolescenziali che poco s'intonava  col timbro cupo e profondo della sua voce.
<< Signorina Amelia... >> disse facendo un lieve inchino, << Vuoi forse unirti a noi?>>
Ignorai la sua domanda, cercando di superare la barriera corporea composta da Angus, ma ogni mio tentativo risultò inutile.
Era grosso ed irremovibile come un monolite di pietra.
<< Dannazione, Ryan!>> vociò Miguel, << Amelie non ha colpe, lasciatela andare!>>
Angus intensificò appena la pressione delle sue dita contro i miei polsi, mentre Ryan scosse il capo in segno di disapprovazione.
<< Miguel... amico mio! Non ti facevo così scettico. Io e Angus siamo gentiluomini, lo sai. Non potremmo mai fare del male ad una creatura così speciale come la signorina qui presente.>>
Fece una pausa, sfiorando col filo della lama la gola di Miguel.
<< O forse no. Ma mi conosci... sai che odio la violenza, soprattutto se indirizzata ai danni del gentil sesso. Tuttavia, c'è un piccolo problema: non ho molto tempo da perdere... e se non ti decidi a collaborare... beh, mi costringi ad usare maniere più... persuasive...>>
La sua testa si abbassò in un lieve cenno, cosicché i suoi riccioli color rame gli ricaddero sulla fronte e sulle spalle. Stranamente, li portava sciolti.
<< Angus...>> mormorò.
Vidi una scintilla perversa brillargli negli occhi di cobalto, che con un lungo sguardo percorsero il mio corpo, per poi spostarsi sul volto del suo compare.
Angus colse subito la sua tacita richiesta, annuendo appena con il capo.
Con mia grande sorpresa, sentii le sue mani abbandonarmi i polsi, liberarli per risalire e... imprigionarmi il collo.
Un brivido di puro terrore mi congelò la spina dorsale, facendomi tremare come una foglia.
Ma che diavolo stava succedendo?
Chi era questo gigante?
Che ci faceva con Ryan?
Ma soprattutto, che cosa voleva farmi?
All'improvviso, la sua presa si fece d'acciaio, potevo percepire le sue grosse dita callose serrarmi la gola, stringere forte, sempre di più, fino a strangolarmi.
I miei polmoni si svuotarono, le vie respiratorie s'intasarono e senza rendermene conto, cominciai a tossire convulsamente alla ricerca di una boccata d'aria.
Non ce la facevo più... il mondo aveva preso a girare, ad appannarsi, tingendosi di grigio pulviscolo danzante.
Troppo velocemente, le mie orecchie presero a fischiare e ogni rumore mi giunse attutito da una fitta coltre di nubi temporalesche.
Ma... era davvero quella, la morte?
<< Tu... lurido figlio di puttana! Non osare toccarla!>> urlò Miguel nel colmo della disperazione.
A stento riuscii ad aprire gli occhi e guardarlo. Il suo sguardo non era mai stato così intenso, delirante, rabbioso.
Rifulgeva di una luce accecante, come le braci ardenti su un mare di lava.
<< Non comportarti da villano, Angus. La signorina ci serve viva... per ora...>>
Il compagno nerboruto di Ryan obbedì senza esitazioni ai suoi ordini, allentando la presa per consentirmi di prender fiato. Mi strozzai nella mia stessa saliva, tossendo  ed annaspando, fino a sputare sangue.
Dio... se faceva male!
Avevo la testa attaccata al collo per miracolo e i polmoni completamente in fiamme.
<< Se non ti arrendi, Miguel... >> lo minacciò Ryan, << Angus potrebbe non essere più così gentile con la tua bella! La scelta è tua.>>
Vidi Miguel tentennare, trafiggere con gli occhi quel traditore di Ryan, la montagna di carne che mi teneva prigioniera e poi il volto dell'uomo che giaceva inerme sotto di lui.
<< Avanti, amico mio...>> continuò il Camaleonte, << Sai cosa devi fare.>>
Le labbra di Miguel si piegarono verso l'alto, in un sorriso amaro, del tutto arrogante.
<< Ho la sua vita, nelle mie mani. Basterebbe una pressione leggermente maggiore, uno spostamento avventato... e addio al caro Joseph!>>
<< Suvvia, Miguel... lascialo andare!>> proruppe Ryan, << Se lo farai, Angus libererà il collo della tua graziosa fidanzata. Mi sembra uno scambio equo...>>
Credevo di aver fatto il pieno di esperienze assurde... almeno per quella lunga notte; ma a quanto sembrava mi sbagliavo di grosso, e la situazione non faceva altro che aggravarsi!
<< Non farlo, Miguel! Deve trattarsi di una trappola!>> gridai, tra un rantolo e l'altro.
Ma lui scosse il capo, fissando Ryan negli occhi.
<< Promettimi che lei sarà al sicuro!>> gli intimò.
Ryan assentì, mentre un grande sorriso gli tagliava orizzontalmente gran parte della faccia.
<< Hai la mia parola...>>
Dopodiché, fu tutto terribilmente caotico, veloce, confuso.
Miguel estrasse la mano dal petto dell'uomo chiamato Joseph, e un vistoso flutto scarlatto fuoriuscì dalla ferita.
<< E ora Amelie!>> ringhiò, << Liberatela!>>
Angus lasciò del tutto la presa, scaraventandomi malamente a terra solo per il gusto di farlo.
<< E ora...>> ridacchiò Ryan, << Arrenditi.>>
I suoi occhi vermigli cercarono i miei, li trovarono, e senza distogliere lo sguardo dal mio, acconsentì alla richiesta di Ryan.
<< Mi arrendo.>>
<< No! Miguel... non farlo!!!>> strillai in preda al panico.
Lui fece in tempo ad inclinare la testa e sorridermi, poi Angus lo afferrò per gola, assestandogli un pugno poderoso all'altezza dello stomaco.
Con estrema cattiveria, l'energumeno calvo infierì sul corpo dell'uomo che amavo, mentre Ryan osservava la scena con occhi divertiti.
<< Scappa!>> sibilarono le sue labbra.
Ma come potevo?
Sentivo il crepitio del mio cuore che si spezzava, l'esplosione all'interno della gabbia toracica, e i suoi mille pezzi che si conficcavano nella carne.
Era un dolore assurdo, lancinante, molto più bruciante di una qualsiasi ferita esterna.
Eppure, quel suo sorriso non svaniva.
Restava lì, disegnato sulle sue labbra, irremovibile come un blocco di pietra.
Ma non era beffardo o malvagio, né tantomeno derisorio... oh no.
Il suo sorriso era dolce, triste, lievemente rassegnato... ma felice.
Sollevato.
In lui c'era la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta.
Di avermi protetto.
<< Ed ora?>> ansimai col cuore in frantumi, << Che cosa gli farete?>>
Ryan ignorò la mia domanda, incatenando i polsi di Miguel con delle manette d'acciaio.
<< Miguel Meterjnick!>> tuonò con voce solenne, << Per ordine dell'Ailthium e del Sacro Consiglio Ristretto... ti dichiaro in arresto per l'assassinio di Nigel von Kleemt.>>

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Angolo dell'autrice! 
Salve a tutti, mi disiace per essermi fatta aspettare troppo, ma mi trovo in prossimità della fine dei corsi e con le lezioni è tutto un macello! Poi, per quanto mi dolga, oggi non posso dilungarmi troppo con le note finali perché sono di fretta! Quindi, nel caso trovate ripetizioni, errori ed orrori, vi prego di perdonarmi. In questo capitolo ho riesumato Ryan... eh, eh eh! Vi era mancato? E poi ho presentato un nuovo personaggio, Angus... che insieme al suo compare, sono veniti a prelevare il nostro Miguelito! Eeeeeh, nei prossimi capitoli ne vedremo delle belle! Come sempre vi ringrazio con tutto il cuore per il supporto, per leggere e recensire... e vorrei sapere cosa ne pensate di questo capitolo!
Un bacio 
Rob 
<3

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Capitolo 41
*** Tempo Di Confessioni ***


Tempo Di Confessioni

_ Miguel_

Il buio si alternava ritmicamente a fievoli bagliori; i guizzi di fiamma a profonde campiture scure, mentre tutt'intorno regnava il caos.
Ovunque posassi lo sguardo, non c'era altro che rumore, disordine... pura anarchia.
Un vortice asfissiante, fatto di voci, membra intrecciate e mani smaniose.
Rapaci.
Quasi degli artigli.
<< Sterminatore!>> mi sentii chiamare.
Ma non me ne curai, anzi.
Continuai imperterrito il mio cammino, passando attraverso quelle braccia protese, allungate come tentacoli oltre le sbarre.   
<< Sterminatore!>> continuarono.
Tuttavia i suoni erano confusi, indefiniti, meri mormorii nel miasma delle prigioni.
Si trattava per la maggior parte di assassini, ladri, stupratori... la peggior feccia dell'umanità.
Non rientrava nei miei compiti occuparmi di loro, ma quando scarseggiavano i Ghuldrash da abbattere, la Prima Legione pretendeva da parte mia l'assolvimento di incarichi meno pericolosi... come quello di "giustiziere".
Al solo pensiero, soffocai una risata.
Giustiziere...
Ma di cosa? Per conto di chi?
Dell'Ailthium?
Un'organizzazione segreta, belligerante , dalla storia millenaria... ma estremamente corrotta, fino al midollo.
Per quanto i suoi ideali potessero fregiarsi di nobili intenti ed agognare alla salvezza, le sue fondamenta erano marce, imputridite, sul punto di crollare su sé stesse.
Purtroppo, si trattava unicamente di una questione di tempo.
I primi grandi pilastri avevano già cominciato ad incrinarsi.
<< Non restare lì impalato!>> vociò Angus, distogliendomi dai miei pensieri.
Con una sferzata poderosa, strattonò la catena che mi teneva legati i polsi, forzandomi ad avanzare dietro di lui.
Un prigioniero sputò a terra, catturando nuovamente la mia attenzione.
Per qualche strana ragione, non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi.
Pover'uomo...
Per colpa del suo stile di vita efferato, in un modo o nell'altro si era ritrovato a pestare i piedi dell'organizzazione, la quale, senza remore, si prodigava affinché queste persone svanissero.
Nel nulla, nell'oblio, come spettri di anime dannate.
Ed ora li osservavo, sì.
Facevo scivolare lo sguardo sui loro volti sporchi, sudati.
Una sottile patina di lerciume rendeva la loro pelle scura, quasi nera, mentre i capelli avevano preso le sembianze di un'unica una massa solida e collosa.
Come feroci animali da circo, se ne stavano accalcati nelle loro gabbie, circoscritti dal perimetro delle sbarre d'acciaio.
Lo spazio era troppo poco, troppo angusto.
Claustrofobico.
A stento riusciva a contenere quella moltitudine spropositata di carne e sangue.
Ma non era finita lì.
Lo sapevo fin troppo bene.
Quella era solo l'anticamera delle carceri. Una sottospecie di limbo, un luogo indefinito.
Di passaggio.
Le vere prigioni avevano inizio più in basso.
Scortato da quel figlio di puttana di Angus, discesi una lunga scalinata, finché l'ennesimo filare sterminato di gabbie riempì la mia vista.
<< Ti ricordi di loro?>> ghignò il bastardo, facendomi strada con una torcia.
La flebile luce delle fiamme rischiarò le pareti in pietra, prive di finestre, gettando a terra il profilo traballante delle nostre sagome.
La sua domanda rimase in sospeso, ma non gli risposi.
Non a voce.
Mi limitai semplicemente a guardarlo storto, con strafottenza, annuendo con un lieve cenno del capo.
Per chi mi aveva preso?
Ovviamente li ricordavo tutti.
Conoscevo i loro nomi a memoria, ogni dato perfettamente registrato, catalogato ed immagazzinato.
Un marchio indelebile, impresso a fuoco nella mia corteccia celebrale.
Senza proferir parola, io e quell'energumeno ci spostammo nelle ombre.
Le sue grosse dita strette intorno al catenaccio che mi legava i polsi.
E tirava.
Con forza, il fiato mozzo per la fatica.
Angus era famoso per la sua forza, era un generale... un alto ufficiale!
Ricopriva una delle cariche maggiori all'interno della Legione, ma in quanto ad intelligenza... di certo non brillava. Avevamo lavorato fianco a fianco infinite volte, conoscevo molto bene l'entità della sua potenza, ma era pur sempre un umano. Potevo schiacciarlo come e quando volevo.
Il problema era che... purtroppo, non potevo.
Quei bastardi tenevano Amelie come ostaggio, e bastava un passo falso da parte mia, per metterla in pericolo di vita.
Maledetti bastardi...
Mi controllavano, sì... ma attraverso un fottutissimo ricatto!
Senza nemmeno rendermene conto, passammo nel mezzo di un lungo corridoio, tra due fila parallele, fatte di sbarre d'acciaio e rigidi portoni in ferro battuto.
Il baccano laggiù era ancora più assordante.
Doloroso.
Mi faceva fischiare le orecchie, sovraccaricandole di una quantità eccessiva d'informazioni.
C'era chi imprecava, chi malediceva il mio nome, chi semplicemente non riusciva a trattenere le urla per la disperazione. Era il delirio, la follia, la bocca dell'inferno.
Poi ogni cosa si spense, le urla cessarono e la stridente cacofonia s'affievolì in sussurri sempre più lontani.
Angus si fece di lato, la torcia puntata in avanti, la luce ingurgitata completamente dall'oscurità.
C'era silenzio ora.
Forse fin troppo.
Ma la quiete durò solo pochi attimi; il tempo d'un sospiro, di un fremito, di un battito di ciglia.
Adesso non c'erano più le gabbie, nessuna cella addossata alle pareti.
Solo il vuoto.
Un baratro immenso, oscuro... una gola che sprofondava sempre più in basso.
Sempre più giù... nelle tenebre.
Tra le viscere della terra.

_ Amelie_

<< Fatemi uscire!>> gridai
Ma non ricevetti alcuna risposta.
Decisi allora di guardarmi attorno, stretta in quegli abiti che non erano i miei, in quella stanza sconosciuta, eccentrica, che non riuscivo a riconoscere.
Mi era tutto nuovo.
Tutto ostile.
Mi trovavo in una camera dall'aspetto piuttosto singolare; la luce emessa dai candelabri invadeva ogni superficie disponibile; c'erano poltrone imbottite, sedie, un grazioso divanetto di forma arrotondata e una specchiera addossata alle mura.
Poi, alle mie spalle svettava il letto: eccessivo, enorme... un tripudio di lusso e cattivo gusto.
Sgargianti sete cinesi si alternavano a broccati dalle tinte cupe, mentre cuscini d'ogni tipo e fattura erano sparsi sul materasso. Il tutto decorato sui toni del rosa, del blu e del giallo più acceso.
Non avevo mai visto nulla di simile.
Ogni superficie sembrava finta, surreale, persino il pavimento cosparso da una moquette azzurrina pareva frutto di un vaneggiamento, di un'illusione.
Si aveva l'impressione di vivere in una casa per le bambole.  
A quel pensiero assurdo scossi la testa, stringendo i pugni con forza, quasi a volermi accertare che le fitte che sentivo fossero reali.
Purtroppo, lo erano eccome.
 << Ehi...>> continuai con voce incerta, << Lo so che sei lì fuori! Mi hai sentito?!>>
Oh, sì.
Chiunque ci fosse stato al di là della soglia, aveva udito alla perfezione le mie parole... ma si limitava a giocare, a nascondersi pur di non rivelare la sua presenza.
Ed io stufa... stavo perdendo la pazienza!
Proprio così, perché sapevo di non essere sola.
Percepivo le risate, le voci sommesse, i respiri pesanti.
Tutto.
<< Per favore!>> urlai.
Ma niente, nulla.
La cappa di silenzio persisteva, avvolgendomi in modo sempre più asfissiante nella sua gelida morsa.
Dopodiché, discese l'angoscia.
Una lacrima traditrice ruppe gli argini dei miei occhi, scivolando velocemente verso il basso, sulle gote, per poi andare a morire agli angoli delle labbra.
Sentii il sapore del sale invadermi il palato, ustionarmi la gola, ma cercai ugualmente di darmi un contegno.
Non c'era tempo da perdere, perlomeno non a causa di inutili piagnistei.
Quindi mi alzai da terra, e senza ulteriori indugi mi avventai come una pazza contro il portone.
Dannazione!
La maniglia in ferro era bloccata, irrigidita dalla ruggine e dalla mancanza d'olio.
Non si muoveva, non si abbassava, restava semplicemente immobile.
Allora presi ad urlare, a dimenarmi, sforzando le corde vocali fino all'impossibile.
Ero disperata.
Nel giro di una notte, avevo perduto tutto quanto... di nuovo.
Nigel aveva tentato di stuprarmi, Erick l'aveva ucciso e Miguel... beh, Miguel era stato fatto prigioniero da Ryan.
Il solo pensiero bastava a disgustarmi.
Conati di vomito si alternavano ad inondazioni di lacrime, mozzandomi il respiro più d'una volta.
E tutto per colpa di Ryan...
Quel viscido verme traditore!
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Arrestare Miguel... ma con quale diritto?
Sotto che accusa?
Lui era innocente... non c'entrava assolutamente nulla con l'assassinio di Nigel!
<< Ryan!>> strepitai, le labbra incollate alla porta. 
Erano ore che invocavo il suo nome invano.
<< Apri questa porta!>> continuai imperterrita, sbattendo le nocche contro la superficie rigida del legno.
I colpi erano secchi, furiosi, una raffica di pugni e collera repressa.
<< Lo so che sei qui fuori! Fammi uscire!Ti prego...>> lo implorai disperata, << Dimmi di Miguel...>>
 A malapena percepivo le ossa infrangersi su quella massa compatta, scricchiolante, ma incredibilmente solida.
<< Lui... dov'è?! Dove l'avete portato?>>  
Sconquassata dall'ennesimo senso di nausea, reclinai la testa indietro, cercando in tutti i modi di respirare.
Era difficile.
Ad ogni rantolo soffocato, sembrava che inspirassi veleno.
L'aria aveva assunto la consistenza del piombo e i miei polmoni parevano sanguinare.
Ma che mi stava accadendo?
Forse... sì, forse mi trovavo imprigionata all'interno di un orribile incubo...  o magari stavo impazzendo del tutto.
Chissà.
Come scottata da una cascata d'olio bollente, mi allontanai da quella porta sigillata, posando le mani sulle tempie.
Per un attimo, sembrò quasi che quel contatto potesse alleviare le mie sofferenze...
Quanto mi sbagliavo!
Nel giro di un secondo, il sollievo divenne afflizione, dolore, e la realtà si riversò su di me come una doccia gelata.
Faceva male.
Tremendamente male.
<< Fammi uscire!!!>> ripetei, la voce talmente alta da spaccarmi i timpani.
Ma non ci fu alcuna risposta.
 << Maledizione, Ryan! Ti ordino di farmi uscire di qui! ORA!!!>>
Per l'ennesima volta, tempestai la porta di pugni, fino a sentire le nocche infrangersi e bruciare.
Mi accanii sul legno con tutta la forza che possedevo, dando fondo alle ultime energie che mi erano rimaste.
Ma alla fine, come un fantoccio a cui avevano tagliato i fili... caddi a terra.
Esausta, svuotata, esaurita di ogni linfa vitale.
<< Ti prego!>>
L'aria si riempì dei miei singhiozzi, mentre con il cuore in frantumi fissavo la ruggine sui cardini, nelle speranza di sentirli scricchiolare.
Dopodiché ci fu il silenzio più assoluto, interrotto unicamente dal ritmico ticchettare di un orologio a pendolo.
Le lancette segnavano le tre e un quarto, ma non avrei saputo se del mattino o del pomeriggio.
La stanza era priva di finestre e quel portone chiuso rappresentava l'unica via d'uscita.
Improvvisamente, però... ci fu un ronzio metallico, d'ingranaggi, e l'orologio batté l'ora quattro volte, cinque, fino ad arrestarsi sullo scandire del settimo battito.
Il suono rimbombò tra i muri, frastornante come il contraccolpo d'un tuono, facendomi sussultare spaventata.
Ma com'era possibile?
Le sottili stanghette dorate erano ferme alle tre e un quarto...
<< Quanto baccano! Quell'orologio è insopportabile, quasi quanto le tue urla!>>
Per poco non sputai via il mio stesso cuore.
Mi voltai di scatto verso la porta, trovandola improvvisamente spalancata.
<< C-chi sei? C... Come sei entrata?!>> gracchiai terrorizzata.
La ragazza si fece avanti con nonchalance, scrollando lievemente le spalle.
Possibile che non l'avessi sentita varcare quella soglia?!
<< Il mio nome è Elizabeth, ho il compito di vegliare su di te. Ma se ti va puoi chiamarmi Lizzy.>>
Il sorriso che la giovane mi rivolse fu quasi accecante, tanto che dovetti distogliere lo sguardo per non restarne folgorata.
Ma non le risposi, non parlai.
Restai semplicemente zitta, nell'attesa che le mie pulsazioni cardiache riacquistassero un ritmo normale.
L'improvvisa comparsa di quella fanciulla, mi aveva lasciato senza fiato.
<< Ti senti male?>> fece sporgendosi in avanti.
La vidi tendermi gentilmente una mano, ma con un gesto brusco la rifiutai.
Non volevo che mi toccasse.
<< Tu sei una di loro!>> le ringhiai contro, << Fai parte della stessa combriccola di Ryan!>>
Mi alzai in piedi senza il suo aiuto, fronteggiandola in tutta la mia altezza.
Elizabeth mi guardò con aria di sfida, incrociando le braccia al petto in un atteggiamento che voleva essere minaccioso... peccato che la sovrastassi di ben trenta centimetri.
Era una ragazza di bell'aspetto, ma piuttosto bassa, con fluenti capelli castani e occhi color nocciola.
Solo in seguito mi resi conto che fosse vestita come un uomo: indossava un vecchio completo grigio antracite, con tanto di cravatta annodata al collo, guanti e panciotto.
<< E quindi?>> disse con voce stizzita, << Faccio parte dell'Ailthium, sì! Sono una cacciatrice e ne vado fiera! Qualche problema?>>
<< Molti.>> sibilai.
Un ghigno strafottente le sfiorò le labbra, facendola sembrare quasi minacciosa.
Ma non del tutto.
<< Beh, vorrà dire che dovrai farteli passare, principessina dei miei stivali!>>
Sentii i miei polmoni gonfiarsi di boria, erano pronti a scoppiare da un momento all'altro.
<< Come mi hai chiamata?>> m'inviperii.
Elizabeth schioccò altezzosamente la lingua.
<< Oh, beh... te ne stai lì, tutta composta, indignata, con la puzza sotto al naso... Scendi dal piedistallo, tesoro, ora appartieni all'Ailthium!>>
<< Che cosa vuol dire?>> strepitai.
<< Semplicemente quello che ho detto: sei nostra ospite, adesso. Non avrai scampo...>>
La guardai con occhi spiritati, come se davanti a me ci fosse un'entità aliena.
<< Tu sei pazza!>> gridai, << Io non appartengo a nessuno! Mi avete portato qui con la forza, avete rapito Miguel... siete tutti dei bastardi!>>
La giovane inarcò leggermente un sopracciglio, sorridendo a mezza bocca.
<< E così sei tu...>> sogghignò, squadrandomi dalla testa ai piedi.
Dopo un'attenta analisi, annuì col capo, tornando a fissarmi con aria divertita.
<< Sei tu la "mela della discordia"... colei che ha fatto imprigionare lo Sterminatore...>>
<<
Non so di cosa stai parlando...>> bofonchiai.
<< Miguel Meterjnick...>> replicò, << Lo Sterminatore...>>
Nel sentir pronunciare il nome di Miguel dalle sue labbra, una fitta dolorosa mi colpì al cuore.
Non sapevo cosa centrasse lui con questa mezza specie di congregazione dal nome assurdo... ma era certo che all'interno di quest'ultima fosse conosciuto fin troppo bene.
<< "Sterminatore">> ripetei, << Perché lo chiami così?>>
Elizabeth riuscì a stento a trattenere le risate.
<< Non lo sai?>> domandò incredula, << Davvero non lo sai?>>
Scossi la testa imbarazzata, mentre le mie guance sfioravano i toni del viola.
Miguel era sempre stato riservato, soprattutto per quanto riguardava le questioni di lavoro...
<< Beh... lui è la nostra arma più potente. Il nostro mastino da caccia. È lo sterminatore di Ghuldrash.>> esclamò con aria fiera.
Poi i suoi occhi castani si rabbuiarono.
<< Ma per colpa tua... sarà sottoposto ad un processo. E sai una cosa, principessina? Nessun imputato ne è mai uscito vivo.>>
<< Che cosa?!>> urlai, terrorizzata dalle sue parole.
Elizabeth distolse lo sguardo.
<< No!>> strillai, << Non può essere! Lui è innocente! Non è stato lui ad uccidere Nigel! Io lo so!>>
Con una foga che non riuscii a contenere, afferrai le mani di Elizabeth, costringendola a guardarmi in faccia.
<< Devi credermi!>>
I suoi occhi ebbero un guizzo.
<< Ti credo.>> disse puntando le pupille nelle mie, << Ma loro sono convinti del contrario!>>
<< Chi?!>> chiesi in preda al panico.
La ragazza ricambiò la mia stretta, con vigore, fin quasi a stritolarmi le dita.
Era piccola, bassa, ma incredibilmente forte.
<< Ma non sai proprio niente, tu!>> vociò esasperata, << Loro! I capi! Quelli del consiglio ristretto!>>
<< Fammi parlare con loro! Gli spiegherò tutto!>> mi affrettai a dire.
Ma Elizabeth scoppiò in una fragorosa risata.
<< Tu vaneggi, principessina! Senza una convocazione, è impossibile incontrarli. E loro non convocano. Mai. Nessuno li ha mai visti, nessuno conosce le loro facce. Nemmeno i membri più importanti.>>
Quella notizia calò su di me come una scrollata di pioggia ghiacciata.
E adesso?
Che cosa potevo  fare?
<< Lizzy, ti prego!>> la implorai, arrivando a chiamarla persino con il diminuitivo del suo nome... pur di entrare le sue grazie.
Non so se lo stratagemma fece effetto, ma quantomeno riuscii ad ottenere la sua completa attenzione.
<< Ti scongiuro... devi aiutarmi! Dobbiamo liberare Miguel, presto... subio, il prima possibile! Lui è innocente! Non può essere processato per un crimine che non ha commesso!>>
La brunetta accentuò maggiormente la presa sulle mie mani.
<< Su questo siamo d'accordo.>> sostené, << Ma non so come aiutarti.>>
 
<< Non dire così, ti prego! Non posso parlare con nessun altro?>>
Alle mie parole, il suo volto s'illuminò di speranza ed un sorriso ricco di promesse le increspò le labbra.
<< Cassandra...>> sussurrò piano, con un filo di voce, quasi fosse un sacrilegio pronunciare quel nome in vano. << Sì, Cassandra... non c'è soluzione! Lei è la sola in grado di fare qualcosa.>>

_ Miguel_

Raramente le torture avevano effetto su di me; la pelle tendeva a rigenerarsi velocemente, senza sanguinare, per poi tornare liscia e compatta, come nuova.
Ma la flagellazione, era una sevizia di tutt'altra pasta.
Il segreto stava nella velocità: più i colpi venivano inferti in modo incalzante, minore era tempo a disposizione delle ferite per guarire.
Ovvio, ogni caso era a sé stante... ma una pena del genere, se inflitta magistralmente, era piuttosto efficace.
 << Allora?!>> ghignò Angus, tra una sferzata e l'altra. << Ti sei deciso o no?>>
Mi morsi la lingua pur di non parlare, e stringendo i pugni, sopportai stoicamente un altra carrellata di frustate.
<< Razza di bastardo!>> imprecò esausto, facendo cadere l'arma a terra.
<< Che c'è, Angus?>> lo sfidai, << Sei già stanco? Basta così poco a fiaccarti?>>
Gli occhietti da cinghiale dell'energumeno si ridussero a due fessure scure, senza fondo.
Potevo leggere al loro interno, ma non trovai altro che odio e frustrazione.
Stavo mettendo a dura prova i suoi nervi, provocandolo in continuazione, ma lui non se ne rendeva nemmeno conto.
<< Brutto stronzo!>> ringhiò, << Te la faccio vedere io!>>
Con un piegamento mal calcolato, protese le braccia a terra in direzione della frusta e dopo averla afferrata, tornò in piedi barcollando.
Impressa sul suo volto c'era un'espressione rivoltante, animalesca.
Un puro concentrato di disprezzo.
<< Confessa!>> tuonò, << Devi confessare!>>
Ma le mie labbra, stoicamente, rimasero serrate.
<< Avanti!>>
Il Metallo fischiò, le catene tirarono e per la milionesima volta, la frusta calò impietosa sulla mia schiena.
Sentii il cuoio scalfire la carne, la pelle lacerarsi e un fottio di sangue fuoriuscire dalle ferite.
Il liquido rosso m'inzuppava completamente i vestiti, rendendoli vischiosi come fango.
<< Confessa!>> continuò a gridare quel figlio di puttana. << Avanti, Miguel! Confessa!>>
<< No... mai!>> sibilai, stringendo i denti per non urlare.
Ma Angus non sopportava un "no" come risposta, e con ulteriore violenza, scudisciò l'ennesimo colpo sulla mia spalla.
Al pari di un veleno mortale, il dolore dilagò fulmineamente attraverso i vasi sanguigni, incendiandoli.
Ma ormai c'ero abituato.
Innumerevoli strisce scarlatte, percorrevano la mia schiena in ogni direzione; si sovrapponevano tra loro, le une sulle altre, in un reticolo fitto, composto unicamente da solchi profondi e lembi di pelle sbrindellata.
<< Non fare lo spavaldo, amico! Non ti servirà a niente!>> ruggì il bestione.
<< Fottiti!>> tossii, sputando a terra il mio stesso sangue.
A quella vista Angus sorrise, forse soddisfatto del suo operato.
<< Ottimo lavoro, Angy!>> esordì una voce alle nostre spalle.
Era roca, irritante, fin  troppo riconoscibile.
<< Camaleonte...>> lo accolse il mio aguzzino.
A stento riuscii a voltare il capo, quel tanto per distinguere la sagoma smilza e ben vestita di Ryan.
<< Miguel... caro amico mio...>> si rivolse a me, sfoggiando il più fasullo dei sorrisi.
<< Se sei qui per consigliarmi amorevolmente di confessare, stai sprecando fiato.>> lo avvisai, << Sono innocente. Non confesserò MAI un crimine che non ho commesso!>>
La sua risata gutturale si sparse tra le mura dei sotterranei, diradandosi in echi sempre più bassi, lontani.
Fino a svanire nel nulla, fagocitata dal buio.
<< Non ti facevo così sciocco, Miguel!>> fece con tono disinteressato, avanzando di qualche passo.
<< Deve essersi fottuto il cervello!>> commentò Angus.
Ryan raggiunse gli anelli che tenevano le mie braccia sollevate, accarezzandoli con la punta delle dita.
<< Hai perso molto sangue, amico mio. E ne perderai ancora... presto o tardi la fame si risveglierà ed il tuo corpo inizierà a reclamare una sostanziosa quantità di nutrimento...>>
Senza staccare gli occhi dai miei, fece scivolare una mano nel taschino interno del suo soprabito nero, rivelando la presenza di una boccetta di vetro, contenente un liquido scuro.
Sangue...
Alla sua vista, una fitta improvvisa mi attanagliò lo stomaco.
<< Sono sopravvissuto a situazioni peggiori...>> sogghignai, celando il dolore dietro una maschera d'inflessibile arroganza.
Ryan sorrise amabilmente, ma non i suoi occhi.  
<< Oh, Miguel... ma non abbiamo ancora finito con te!>> mormorò d'un fiato, sfiorandomi le labbra con il tappo della boccetta.
La vicinanza del sangue eccitò irrimediabilmente i miei sensi, e fuori controllo, i miei occhi s'irrorarono di porpora.
<< Potresti porre fine alle tue sofferenze con un'unica parola... non è difficile, ti basta confessare. Avanti... >>
<< Preferirei bruciare al rogo, piuttosto!>> gli inveii contro.
Vidi il volto di Ryan rabbuiarsi, il suo sorriso spegnersi e lo sguardo diventare totalmente inespressivo.
<< Bene... tra meno di un giorno avrà inizio il processo. E chissà, amico mio... con tutte le probabilità, il tuo desiderio finirà per avverarsi.>>

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Angolo dell'Autrice: 
Saaaaaaaalveee! Vi ero mancata? Voi moltissimo T.T
Purtroppo questo è un PERIODACCIO e devo sto preparando ben 6 esami... quindi immaginate quanto io sia schizzata in questo momento! XD Non credo che sia difficile, purtroppo è tanto che non aggiorno, e dopo questo capitolo, credo che passerà altrettanto tempo, poiché la vera e propria sessione d'esami inizierà il 22 giugno e prima di luglio, non credo che riuscirò a postare il prossimo capitolo! Davvero, mi dispiace tantissimo farvi aspettare ma... capitemi! T.T Prometto che mi farò perdonareeee! Lo giuro! 
Coooomunque, tornando a questo capitolo... Beh... Non so nemmeno io che cosa dire... lo considero un capitolo di transizione, dove non succedono chissà quali cose, ma è necessario per la narrazione. Innanzitutto, facciamo un giro nelle prigioni dell'Ailthium... che non sembrano affatto un bel posto >.> e poi comincia anche a delinerarsi maggiormente la figura dell'Ailthium. Purtoppo, il nostro Miguelito non naviga in buone acque... soprattutto tra le grinfie di Angy (non è carinissimo? XD) e Ryan. 
Ame invece, si ritrova reclusa in una stanza stranissima, e dopo vari incontri di box con la porta, fa la conoscenza di Lizzy, una cacciatrice dell'organizzazione che ha il compito di tenerla d'occhio. Non so voi, ma io mi sono divertita un mondo nel descrivere il loro incontro XD Mi piace Lizzy, soprattuto per il modo in cui tratta Amelie. 
Speriamo solo che l'incontro tra le due fanciulle porti a qualcosa di buono per il nostro Miguelito... 
Ps. Non vedo l'ora di scrivere di Cassandra *_* 

Eeeeeeee poi, i ringraziamenti! 
Dunque! Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore, davvero, lo so che ad ogni nota divento monotona e ripetitiva, ma davvero senza di voi che leggete, seguite, e recensite questa storia... non saprei davvero come andare avanti! Mi aiutate tantissimo! E ve ne sono infinitamente grata <3

Un bacione
Vostra, 
Rob 
<3

 

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Capitolo 42
*** Le Ragioni Dell'Ailthium ***


Le Ragioni Dell'Ailthium

_ Amelie_

<< Dobbiamo stare attente.>> disse Lizzy, porgendomi un fagotto informe d'abiti spiegazzati.
Si trattava di un completo maschile: grigio, simile al suo, ma di una sfumatura più chiara, tenue, tendente lievemente al blu.
<< E questi?>> chiesi esterrefatta, << Cosa dovrei farci?>>
Mi guardai furtivamente allo specchio, rimirando l'immagine di una ragazza spaventata, provata dagli eventi, coi capelli tremendamente arruffati, ma coperta completamente da pizzi e merletti.
Anche Lizzy seguì la traiettoria del mio sguardo, storcendo il naso in una smorfia d'insofferenza.
<< Dio... ma sei stupida o cosa?!>> mi rimproverò, << Devi indossarli! Non mi pare una cosa tanto difficile da capire! Insomma... dove credi di andare conciata così? Sei troppo appariscente! Ci scopriranno in un batter d'occhio!>>
<< Che cosa?!>> strepitai.
Io... indossare quei... quei, pantaloni!
Per l'amore del cielo!
Mai!
Ero una ragazza di buona famiglia, io!
Una fanciulla rispettabile!
Non potevo andarmene in giro con un capo d'abbigliamento maschile... sarebbe stato strano... sconveniente!
Ma poi, come se un lampo a ciel sereno avesse cozzato contro il mio cranio, rinsavii da quei pensieri assurdi, da stupida ragazzina superficiale.
Che importava di come mi vestivo?
Ero davvero così sciocca ed inquadrata in quell'ipocrita gabbia morale?
Oh no... la verità era che non poteva fregarmene di meno!
Il mio scopo era quello di salvare Miguel, di fuggire con lui, da una morte certa... non quello di badare al buon costume! Anzi!
Se solo fosse servito, sarei andata in giro completamente nuda pur di portarlo in salvo!
<< Allora?>> mi fece lei spazientita, sbuffando come un toro.
Batteva i piedi insistentemente a terra, scandendo in modo accelerato il passare dei secondi.
La guardai negli occhi, dopodiché abbassai lo sguardo su quel cumulo di stracci.
Vi allungai la mano sopra, esitante, fino a sfiorare la stoffa con la punta delle dita.
L'afferrai.
Sentii la consistenza del tessuto ruvido contro i polpastrelli, un leggero pizzicore, mentre mi portavo la matassa all'altezza del petto.
La strinsi forte, poi alzai gli occhi per incontrare quelli della ragazza minuta che mi stava di fronte.
Entrambe ci fissammo in silenzio, in attesa, finché non mi decisi a regalarle un sorriso strafottente e deciso.
<< Aspettami qui, Lizzy. Due minuti e sono pronta!>>
---

Quando uscii dallo spogliatoio, avvolta unicamente da giacca, camicia e pantaloni, la prima cosa che provai fu... un'incredibile sensazione di libertà.
Non c'erano più lunghe e pesanti gonne a rallentare i miei passi, né eccessivi strati di stoffa a limitare i miei movimenti. D'un tratto, non c'erano più barriere, né tantomeno costrizioni.
Solo la consistenza dell'aria, della leggerezza, dello spazio.
Pura euforia.
Mi sentivo fresca, emancipata, come mai in vita mia... ed era meraviglioso, esaltante, quasi inebriante.
Avevo i brividi.
<< Mmm, niente male! Con quei vestiti e il seno fasciato, potresti proprio passare per un ragazzino!>> proruppe Elizabeth dall'altro lato della stanza, squadrandomi da capo a piedi con occhio critico.
Di norma, avrei dovuto offendermi per un simile "complimento", ma in quel momento non aspiravo ad altro.
Dovevo assomigliare ad un ragazzo!
<< Non credevo che indossare abiti maschili fosse così... elettrizzante!>> ammisi, su di giri, saltando da una parte all'altra della stanza.
Ero un caso perso, ormai.
Non mi sarei tolta quei capi d'abbigliamento mai più!
Davvero!
<< Frena gli entusiasmi, principessina! Non siamo qui per giocare, tutt'altro. Quello che ci accingiamo a fare è contro le regole e... molto pericoloso.>>
Alle sue parole, mi bloccai istantaneamente, ferita.
<< Certo...>> risposi, torturandomi le mani.
Dopodiché tornai a fissarla, stringendo i pugni per farmi forza.
<< Sono pronta!>> affermai.
Lizzy abbozzò una mezza specie di sorrisetto sardonico, e con un movimento fluido, scosse la testa.
<< No. Non ancora, prima dobbiamo fare qualcosa per quei capelli. Tieni.>>
Allungò le braccia nella mia direzione, porgendomi un voluminoso basco di velluto nero.
<< Questo dovrebbe nasconderli tutti.>>
Annuii in silenzio, raccogliendo tutta la matassa di ricci in uno chignon, che prontamente, intrappolai al disotto del cappello.
<< Bene. E ora ascoltami.>> disse abbassando il tono della voce, come se le mura avessero orecchie.
<< Sto rischiando molto, nell'aiutarti. In realtà non dovrei nemmeno interagire con te, se non per tenerti d'occhio. Anzi, nemmeno io so per quale oscuro motivo lo sto facendo, credimi. Neanche mi piacciono le principessine con la puzza sotto il naso come te... ma non posso abbandonare il nostro miglior cacciatore. Lui è sempre stato un mentore per me... un amico. E gli amici non si abbandonano. Mai.>>
Gli occhi color cioccolato di Elizabeth, nel pronunciare quelle parole, si riempirono di calde lacrime.
Ma prima ancora che potessero fuoriuscire e rompere gli argini, si passò il palmo della mano contro gli occhi, stropicciandoli.
Avrei voluto ringraziarla, di cuore, ma prima ancora che potessi aprir bocca, Lizzy riprese a parlare.
<< Quindi ascoltami attentamente e fa come di dico: dovrai seguirmi in silenzio, senza fiatare, gli occhi bassi... nel caso incontrassimo qualcuno, fa parlare ME. Hai capito? Qualsiasi cosa succeda, rimani zitta! >>
I suoi occhi erano decisi, sinceri, tanto che non potei fare a meno di sorriderle.
<< Certo.>> replicai, << Non c'è problema!>>
Per alcuni secondi, Lizzy sembrò scrutarmi con aria dubbiosa, scettica.
Poi però la sua espressione mutò radicalmente, tantoché vidi il suo volto illuminarsi e le sue labbra distendersi a dismisura.
Si ritrovò a ricambiare il mio sorriso.
Radiosa.
<< Molto bene! Così mi piaci, principessina!>> esclamò, << E ora andiamo, Cassandra ci aspetta!>>

---

Cunicoli, corridoi, porte su porte.
Ambienti stravaganti e dagli arredamenti più disparati si aprirono davanti ai miei occhi, lasciandomi letteralmente di stucco.
Dio mio...
 Ma in che razza di posto ero capitata?
Non riuscivo a spiegarmelo.
Era tutto così strano, variopinto, eccentrico.
Esagerato fino all'inverosimile, quasi... finto.
Come una casa per le bambole.
Ed era curioso, davvero, ma non ero in grado di scrollarmi quella sensazione di dosso.
Mi pareva di camminare in un sogno.
Passo dopo passo, con il vago senso di fluttuare, leggera, come se i piedi toccassero a malapena terra.
Poi, i miei pensieri assurdi vennero interrotti da echi di voci lontane.
Due figure vestite completamente di nero comparvero all'imbocco delle scale, dirigendosi con passo veloce verso di noi.
Non appena li visi avvicinarsi, abbassai di scatto la testa, limitandomi a seguire Elizabeth come un ombra.
<< Ehi, Lizzy!>> fece uno, sembrava la voce di un ragazzo.
<< Peter!>> sussultò lei, bloccandosi di botto.
Per poco non le finii addosso.
<< E lui? >> disse il giovane di cui non vedevo il viso, rivolgendosi senza ombra di dubbio a me.
Il cuore mi si ghiacciò istantaneamente nel petto.
Ma non sollevai lo sguardo, no.
Rimasi ferma a fissare le mie scarpe, completamente muta.
Come un pesce.
<< Non l'ho mai visto da queste parti...>> continuò Peter, << È un novellino?>>
Sentii Lizzy fare un profondo sospiro, e poi ridere in modo eccessivo.
Sforzato.
<< Oh, sì... ma certo! Si capisce subito, vero? Me l'hanno assegnato oggi! Ancora deve cominciare l'allenamento!>>
<< Beh, vorrà dire che avrai un bel lavoro da fare! Sembra un ragazzino piuttosto gracile. Dove ce li ha i muscoli?>>
Il ragazzo scoppiò in una profonda risata, ma il suo compare, di cui la mia vista periferica scorgeva solo la punta delle scarpe, gli ricordò di andare.
I due ci salutarono, con garbo, e dopo aver fatto altrettanto, Lizzy mi artigliò un polso, trascinandomi a tutta birra verso un luogo pressoché ignoto.  
<< Quanto manca?>> bisbigliai con un filo di voce.
Lizzy conficcò le unghie nella mia carne, dopodiché si voltò a fissarmi in cagnesco.
L'aria totalmente inviperita.
<< Ti avevo detto di stare zitta!>> sibilò tra i denti, << Comunque, siamo quasi arrivate.>>
Ed infatti, dopo aver svoltato a destra, ci ritrovammo di fronte ad un immenso portone bianco; l'architrave era sormontato da un fregio in legno, a motivi geometrici, mentre al centro, svettava una vistosa iscrizione in rilievo.
"CASSANDRA" c'era scritto, a caratteri cubitali, le lettere dipinte d'oro.
<< Bussa.>> m'intimò Elizabeth.
<< I-io?>> balbettai, sgranando gli occhi.
<< Sei tu quella che vuole incontrarla, no?>>
<< Sì, ma...>>
<< Bussa!>>
Obbedii istantaneamente ai suoi ordini, infrangendo per tre volte le nocche contro la liscia superficie del portone.
Dopodiché, ci fu un cigolio fastidioso e la porta si aprì.
<< Entrate.>> fece una voce dal timbro infantile, quasi stridula. << Vi stavamo aspettando.>>
Nel varcare la soglia, un brivido mi corse lungo la schiena, lasciandomi senza fiato.
L'ambiente in cui ci trovavamo era completamente bianco, un'anticamera vuota, arredata unicamente da due sedie (anch'esse bianche) accostate al muro.
Una seconda porta, del medesimo colore, si stagliava di fronte ai nostri occhi.
<< Benvenute.>>
Ma chi aveva parlato?
Mi guardai intorno spaesata, vedendo null'altro che un eccessivo, fastidioso, candore. S
olo in un secondo momento, mi resi della bambina.
Era stata lei ad aprire bocca.
<< Accomodatevi.>>
Guardai la piccola con maniacale curiosità.
Era uno scricciolo, un mucchietto di pelle lattea e ossa.
Aveva un visino delicato, dall'espressione algida, e grandi occhi grigio-azzurri.
I suoi capelli, invece, erano lunghi ed intrecciati, di un particolarissimo color avorio.
 << Sei tu Cassandra?>> uscì fuori dalla mia bocca.
Lizzy mi colpì al fianco con un gomito, mentre la piccola, che ad occhio e croce non poteva avere più di sette-otto anni, si limitò a trafiggermi con lo sguardo.
<< No.>> replicò fredda, << La signora è nel suo studio.>>
<< E quando potrà riceverci?>> s'intromise Lizzy.
L'inquietante bambina distolse l'attenzione da me, focalizzandosi poi su di lei.
<< A breve.>> rispose, << Ora, però accomodatevi.>>
Ci indicò con un cenno del volto le due sedie, e dopo pochi secondi svanì dietro la porta.
<< Che razza di posto è questo?> > mi voltai a guardare Lizzy.
Lei si strinse nelle spalle.
<< La sala d'aspetto. Ovvio.>>
<< Ci sei già stata qui?>>
<< Solo una volta... ma non preoccuparti. Cassandra è veloc-.>>
Non finì di terminare la frase, che la pallida e smunta ragazzina fece nuovamente la sua comparsa.
<< Amelie von Kleemt.>> mi sentii chiamare.
Ma come faceva a conoscere il mio nome?
<< S-sì?>> le risposi esitante.
<< Seguimi.>>
I miei occhi si spostavano smarriti da lei a Lizzy, senza trovare pace.
<< Vai.>> mi fece quest'ultima, strizzando l'occhio in un segno d'incoraggiamento.
<< Tu non vieni?>> le domandai, il cuore schiacciato dall'ansia.
Lizzy scosse il capo.
<< Non posso. >> sorrise malinconica, << Cassandra ha chiamato solo te, principessina. Devi andare da sola.>>

_ Miguel_

Quanto tempo era passato?
Me lo chiedevo costantemente, a mo' di nenia, contando i secondi, i minuti, le ore.
Ma dopo un po', le cifre perdevano valore, si mescolavano, fino a diventare un ammasso di simboli astratti, privi di significato.
Stavo forse morendo?
Probabile.
Il mio corpo aveva perso un'infinità di sangue e da troppo tempo, non mi nutrivo.
Presto o tardi, le ferite lasciatemi da Angus si sarebbero infettate e con loro, sarebbero giunte la fame, la febbre, ed infine... la parvenza della morte.
Non quella reale, oh no.
Ero relativamente immune, da una tale piaga (a meno che non mi volessero strappare il cuore dal petto, ovvio), ma un progressivo torpore, un sonno eterno, in cui sarei rimasto prigioniero per anni, secoli, addirittura millenni.
Sospeso.
Tra una morte non del tutto compiuta ed una vita non ancora arrestata.
E mi chiesi come sarebbe stato, addormentarmi.
Chiudere gli occhi per sempre, magari sognare.
Ma non appena abbassai le palpebre, l'immagine di Amelie mi trafisse il cuore con un dardo, procurandomi ancora più strazio... ancora più dolore.
Dio... faceva così male!
Ma dovevo resistere, farmi forza... non potevo abbandonarla!
E con quel pensiero fisso ad attanagliarmi la testa, riuscii a stringere i pugni e contrarre i muscoli.
Un'impresa titanica, per com'ero ridotto.
Tuttavia, l'ombra di un sorriso si posò inevitabilmente sulle mie labbra.
La situazione era talmente assurda, da risultare comica.
Difatti, nonostante il colossale impegno profuso da Angus e Ryan... le loro torture erano state vane, non sortendo alcun effetto.
Non c'era stata nessuna confessione, nessuna parola, solo il nulla. Ed ora giacevo lì, a terra, le membra sanguinanti su un letto di lerciume.
Provai a spostarmi verso destra, in modo da non gravare troppo sulla schiena.
La roccia era aguzza, ruvida, gelida come la morte, ma bollente a contatto con le ferite.
Che ardevano, bruciavano, sembravano quasi scoppiettare come ciocchi di legno in una fornace.
Poi si udirono dei passi.
Lenti, strascicati, seguiti da un trillante tintinnare metallico.
Il puzzo dell'alcol m'investì le narici, mentre la chiave girò ritmicamente all'interno della serratura.
Ci fu uno scatto, due, al terzo... il chiavistello venne tirato all'indietro, così che la porta potesse aprirsi indisturbata.
La cella in cui mi trovavo era buia, sudicia, una sorta di buco scavato nella pietra, capace a malapena di contenere una persona, figuriamoci due.
Delle lunghe sbarre d'acciaio delimitavano lo spazio in cui ero circoscritto, mentre uno straccio rattoppato si stagliava come un corpo morto sul pavimento sudicio.
Quello era "letto" e poco distante, giaceva una ciotola di legno mezza vuota, il cui contenuto si era inevitabilmente riversato a terra.
Un colpo di fortuna per i miei compagni di prigionia, che come avidi ratti si scannavano l'un l'altro per un pezzo di pane raffermo.
<< Ben ritrovato, Rufus. È sempre un piacere vederti...>> salutai con finta gentilezza l'anziano guardiano delle prigioni.
Rufus restò a guardarmi interdetto, lisciandosi nervosamente i luridi capelli grigi.
<< Questo è per te. Lo mandano i capi.>> replicò in tono secco, porgendomi una sottile fiala di vetro.
Il liquido rosso contenuto al suo interno mi oscillò davanti agli occhi, catturando completamente la mia attenzione.
Sangue...
Da quant'è che non sentivo quella dolce consistenza a contatto col palato?
Mi bastava chiudere gli occhi per rivedere Amelie tra le mie braccia, la mia bocca contro il suo collo, il pulsare poderoso del suo sangue... e poi l'estasi.
Quell'appagante senso di completamento, di potere, d'onnipotenza... finché il volto di Nigel von Kleemt non fece capolino nella mia testa, invadendo ogni mio pensiero.
Era lui la causa di tutto... era colpa sua.
Grazie alla sua posizione elevata all'interno dell'Ailthium si era premunito di togliermi tra i piedi, e una volta aggirato il maggiore ostacolo, si era accanito sul mio Piccolo Tarlo, cercando in tutti i modi di usarle violenza.
Cristo... al solo pensiero fremevo di rabbia, ma le catene che mi tenevano prigioniero erano incredibilmente forti, dure, del tutto indistruttibili.
Vedendo la mia frustrazione, Rufus mi avvicinò la fiala alla bocca, premendomela contro le labbra affinché trangugiassi l'intero contenuto.
E così feci, mandando giù tutto d'un sorso.
Il suo sapore insipido mi fece istantaneamente contorcere lo stomaco, ma serrai la mascella e continuai ad inghiottire.
Non potevo permettermi di rigettarlo: quelle poche gocce bastavano a malapena per placare le morse sempre più incalzanti della fame.
<< A cosa devo questo trattamento privilegiato?>> chiesi sarcastico, << Il Consiglio Ristretto non si sentirà di certo in colpa, vero? Del resto... stanno trattenendo un'innocente contro la propria volontà.>>
L'uomo si limitò a scuotere la testa, muovendo il corpo in avanti, in un'alzata di spalle.
<< Ti vogliono in forma per il processo, Sterminatore... Mancano poche ore, ormai. Devi essere in grado di rispondere alle domande del Sommo Giudice con lucidità.>>
Alle sue parole, non potei che ribattere.
<< Sono commosso. Un atto di clemenza per un condannato a morte?>>
<< Chissà... ancora non è dato saperlo. Ti hanno ridotto male, questo è vero, ma non sono riusciti a farti confessare. Hai gettato scompiglio... nei piani alti.>>
<< Ah si?>>
Un guizzo improvviso gli animò gli occhi scuri, quasi completamente offuscati da uno spesso strato di cataratta.
<< Questo è il corridoio "T"...>> sibilò, << L'area riservata ai traditori.>>
<< Che paura...>> lo sbeffeggiai, scoppiando in una fragorosa risata.
Il vecchio Rufus si strinse nelle spalle, sorridendo a mezza bocca, in un ghigno sdentato.
<< Non riderei se fossi te... Sterminatore. Fin ora ti sei sempre ritrovato dalla parte opposta, dall'altro lato delle sbarre. Ma ora sei tu il prigioniero... e sai meglio di me quanto questo posto possa essere pericoloso. È impossibile fuggire dalle prigioni dell'Ailthium. >>
Oh sì, lo sapevo.
Ogni sede dell'organizzazione era diversa, cambiava di paese in paese, alternando vecchi opifici abbandonati a lussuosi palazzi, città dai nomi altisonanti a piccoli centri abitati... insomma, c'era una discreta varietà d'ambienti, scenari e stili di costruzione, ma tutte le sedi erano accumunate da una struttura sotterranea simile.
La suddivisione degli spazi era circolare, si sviluppava a spirale, discendendo sempre più in profondità nel sottosuolo.
Il primo strato, ospitava un luogo che a discapito di atti recenti, avevo conosciuto da una posizione piuttosto ravvicinata; ​si trattava di un 
lungo corridoio disseminato di stanze, dedito alle torture e agli interrogatori.
Il secondo strato, invece, aveva preso il nome prettamente dantesco di "Acheronte" ed accoglieva i detenuti in attesa di giudizio.
Poi venivano il terzo e quarto strato, volti a contenere i criminali di razza umana, mente il quinto, denominato anche corridoio "T",  era il luogo dove venivano tenuti prigionieri i traditori... una schiera piuttosto cospicua, della quale ero entrato a far parte senza nemmeno rendermene conto.
Il sesto ed ultimo strato, infine... era riservato a tutt'altra tipologia di ospiti.
Esasperato, strattonai ancora una volta le catene.
Ero debole, certo, ma il sangue appena ingollato cominciava a dare i suoi frutti, facendo sì che un formicolio fastidioso mi attraversasse le membra ad ondate.
Sorrisi fra me e me.
Le ferite si stavano rimarginando, del tutto, e le energie sembravano scorrere nuovamente all'interno del mio sistema circolatorio.
Conscio di ciò, feci di nuovo forza sulle catene.
<< Perchè non si spezzano?>> dissi rivolgendo lo sguardo al sottile strato di metallo che legava le mie manette ad un grosso perno d'acciaio.
Rufus soffocò una risata, mentre le sue dita scheletrite si posavano sugli esili anelli, facendoli vibrare.
<< Non sottovalutarle, Sterminatore...>> latrò con voce rauca, << Queste catene sono state rese indistruttibili da un incantesimo della stessa Cassandra.>>
<< Da quando in qua, il consiglio scomoda la strega per un mero traditore?>> chiesi sarcastico.
<< Da quando la nostra arma ci si è rivoltata contro.>>
Già... un'arma.
Ecco cos'ero per loro.
<< È questo il ringraziamento per i miei servigi? Eravate polvere prima del mio arrivo! L'unico motivo per cui ho deciso di sottostare al volere della Prima Legione, è stato a causa sua...>>
<< Oh sì... conosco questa storia. Tuo padre... >>
<< Esatto.>> risposi, << È stato lui il fondatore originario dell'Ordine. Secoli e secoli fa.>>
Rufus si fece più vicino, le mani nodose che dalle catene si spostavano sul mio collo, sulla nuca, fino ad afferrarmi rudemente i capelli.
<< E dimmi, Sterminatore...>>
Con uno strattone, mi costrinse a sollevare la testa, mentre sul suo volto rigato dal tempo, un sorriso, un concentrato di pura crudeltà, iniziava a prender vita.
<< Non credi che sia proprio questa... la ragione per cui ti vogliono morto?>>

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Angolo dell'Autrice: 
Holà! L'estate è cominciata da tempo, ma io sono ancora una mozzarellina che al mare ci va solo di notte, nei suoi sogni *sigh* 
E infatti, gli esami non sono ancora terminati... ma in un attimo di follia e fuga dalle responsabilità, mi sono ritrovata a scrivere e... eccomi qua! Con un nuovo capitolo! 
Bene! ... o male, non so! 
Fatto sta, che un pochino sono riuscita ad andare avanti e a mettere le basi per quello che verrà in seguito.
Quindi, se l'altra volta avevamo fatto un giretto all'interno delle prigioni, oggi la vostra guida turistica vi ha mostrato la parte "superiore" dell'Ailthum e più in particolare, ci avviciniamo sempre di più ad incontrare Cassandra *_*
In questo capitolo, mi sono lasciata un pò andare ai momenti tra Lizzy e Ame, ma non posso farci niente, sono troppo belle insieme! E poi mi sono divertita un mondo, durante il difficile rapporto tra Amelie e i vestiti da uomo. Voi ci riderete su, ma a quei tempi, per una ragazza di buona famiglia, era un tabù nonché una cosa considerata tremendamente volgare,  il fatto di indossare abiti maschili e spacciarsi per un uomo. Quindi, la sua reazione iniziale potrebbe sembrare esagerata, ma era più che naturale, ai tempi... 
Poooi, il nostro Miguelito è sopravvissuto alle torture, ma sarà così anche per il processo, che è sempre più imminete? Chi lo sa? Io non di certo U.U 
E con questo, vi lascio con un mega bacione! E spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento! 

Ps. Come sempre, vi ringazio TUTTI dal più profondo del cuore! Vi voglio bene T.T

Con affetto 
Rob

<3

 

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Capitolo 43
*** Cassandra ***


Cassandra

_Amelie_

Varcai con timore la soglia, dopodiché uno spiraglio di luce accecante mi ferì istantaneamente gli occhi. 
<< Entra, bambina. Sei la benvenuta.>> disse una bellissima voce di donna, da lontano.
Eppure avevo la tremenda sensazione che fosse vicina.
Forse troppo. 
<< Cassandra?>> domandai al nulla. 
Avanzai di un passo, verso l'ignoto, poi mi fermai. 
<< Ti aspettavo.>> fece lei.
Ed una sagoma opaca si materializzò all'interno del mio campo visivo.
I contorni erano sfocati, le forme confuse, ma lentamente, ogni cosa tornò al suo posto, acquistando colore, nitidezza ed un'apparenza tridimensionale. 
Finalmente, i miei occhi si erano abituati a quell'eccessiva quantità di luce, tanto da farmi distinguere alla perfezione ogni angolo dello spazio che mi circondava. 
Si trattava di uno studio: uno di quelli caotici, disordinati, ricoperti da mensole e scaffali ricolmi di libri.
Al centro della stanza, svettava una grossa scrivania verniciata di bianco, mentre la parete orientale, era del tutto costituita da immense vetrate trasparenti.
Era quella la fonte di disturbo, la causa di tutta quella fastidiosissima luce.
Ne entrava troppa. 
<< Ti da fastidio la luce dell'alba, mia cara?>> esordì la donna, comparendo alle mie spalle.
Che strano, per una frazione di secondo, mi ero quasi dimenticata della sua presenza. 
<< Non più.>> ammisi, voltandomi a guardarla. 
<< È solo questione di abitudine.>> finì lei per me. 
La donna che mi stava di fronte era imponente, statuaria, elegantemente avvolta da una abito traslucido, color panna.
Lunghi capelli lisci le ricadevano dietro le spalle, in un chiarore innaturale, niveo, che sembrava mescolarsi del tutto al colore della veste.
Di contrasto, però, i suoi occhi erano neri come la pece e la sua pelle aveva una malsana sfumatura grigiastra.
Per un attimo, mi persi all'interno di quelle iridi scure, senza fondo... tantoché ebbi l'impressione di affogare in un mare d'inchiostro. 
Era la donna più strana che avessi mai visto.
Vecchia e giovane al contempo: sottili rughe le increspavano il volto, il collo, le mani, ma simultaneamente, l'epidermide sembrava tonica e trasparente, come quella di un bambino. 
<< I-io...>> cominciai esitante.
Tuttavia, un dito affusolato e leggermente ricurvo si posò sulla mia bocca. 
<< Lo so, bambina. Non devi dirmi niente... so già perché sei qui.>> 
Inspiegabilmente, non fui sorpresa da quella risposta.
Tutt'altro. 
A quel pensiero, percepii il sollievo gonfiarmi i polmoni ed il cuore riprendere il suo regolare battito.
Solo allora, mi resi conto di aver trattenuto il respiro. 
<< Amelie von Kleemt...>> sussurrò languidamente, << La nipote di Nigel.>>
Nel sentir pronunciare quel nome, un conato di vomito mi attorcigliò lo stomaco, stritolandolo. 
<< Io e... quell'individuo, signora, non avevamo alcun legame di sangue.>> la corressi. 
Lei parve scrollare le spalle in modo disinteressanto.
<< Dettagli, mia cara. Dettagli.>>
Con un movimento del tutto aggraziato, la donna sfiorò le mie guance.
Il suo tocco era freddo, gelido, come al posto delle dita avesse avuto degli aghi ghiacciati.
Ed infatti, a contatto con la sua pelle, non potei far altro che sussultare ed indietreggiare di qualche passo.
Stavo rabbrividedo. 
<< Siediti, coraggio.>> disse con fin troppa calma, indicando una poltroncina imbottita. << Abbiamo molto di cui parlare.>>
Feci come ordinato, prendendo posto di fronte alla sua scrivania. 
Lei fece altrettanto, accomodandosi al lato opposto, i nostri sguardi che non smettevano di scavarsi dentro a vicenda, in silenzio, tastando un terreno che aveva tutta l'aria di essere instabile. 
<< Gradisci una tazza di tè?>> chiese gentilmente.
Quale tè?
Mi guardai intorno spaesata, poi sussultai.
Proprio di fianco a lei, dove prima non c'era alcunché, ora giaceva una fumante teiera, con tanto di piattini, biscottini appena sfornati e tazzine in porcellana.
Ma... come aveva fatto?
Del tutto esterrefatta, tentai più volte di stropicciarmi gli occhi.
Magari avevo le traveggole, o forse il digiuno cominciava a farmi brutti scherzi, chissà!
Fatto sta, che non riuscivo a credere ai miei occhi. 
<< Allora?>> mi spronò con cortesia, << Ne vuoi un po'?>>
Avrei dovuto risponderle di no, che non avrei mai e poi mai ingurgitato un simile intruglio, frutto di chissà quale stregoneria...
Ciononostante... la fame è fame e i dolcetti adagiati accanto alle tazzine, avevano un aspetto tremendamente delizioso!
<< Sì, grazie!>> risposi, pentendomene subito dopo.
La donna sorrise amabilmente, riempiendo con infinita classe e scioltezza la tazzina di tè. 
Oh, mio Dio... l'Oolong! 
Era la qualità di tè che preferivo... ma come faceva a saperlo?
Alquanto dubbiosa, catalogai il tutto come un "caso fortuito" e afferrai la tazzina, portandomela alle labbra.
Non appena sorseggiai il caldo liquido ambrato, una stranissima sensazione di calma mi avvolse i nervi, le membra, rilassandomi all'istante. 
D'un tratto, mi era tutto più chiaro. 
<< Dovete aiutarmi.>> rotolò fuori dalla mia bocca.
Cassandra soppesò le mie parole, dipingendosi un enigmatico sorriso sulle labbra. 
<< Mi piacerebbe, cara.>> disse rigirandosi tra le mani la sua bevanda, << Ma non posso.>>
Sentii la rabbia formicolarmi sottopelle, tuttavia, quando aprii bocca, il tono della mia voce era incredibilmente tranquillo, posato.
Tanto da farmi paura.
<< Perchè? Elizabeth mi aveva assicurato il contrario.>>
<< Elizabeth è una cara ragazza, con un cuore troppo tenero. Ma non sa quanto possa essere rischiosa una tale richiesta, soprattutto per me.>>
<< Che cosa intendete dire?>>
<< So che non è stato lui ad uccidere Nigel. Lo sanno tutti. Ma i membri del Consiglio Ristretto lo vogliono morto, e non c'è niente che io possa fare per salvarlo. Il destino del tuo amato Miguel è ormai segnato.>>
Digerire quelle parole, fu come mandar giù catrame bollente. 
<< Ma come potete dirmi questo?>> alzai d'un tratto la voce, l'innaturale senso di calma che vacillava. << Non potete abbandonarlo! Lui non ha fatto niente! Io lo so! Non è stato Miguel!>> 
<< Lo so, bambina. Lo so. Ma non c'è niente da fare, lo capisci? Stasera il Consiglio si riunirà nell'Arena... e il processo avrà inizio. Non lo lasceranno in vita, è un personaggio troppo scomodo.>>
<< Ma perché?>> mi sforzai di gridare, << Credevo che Miguel fosse la risorsa più importante in vostro possesso! A quale scopo ucciderlo?!>> 
Vidi il volto senza età di Cassandra accigliarsi, gli occhi diventare ancora più cupi e le sue labbra serrarsi in una linea dritta, severa, incolore. 
<< Ci sono tante cose che ignori, una fra queste è la vera natura di questo posto. Sai cos'è l'Ailthium?>>
Alla sua domanda mi sentii mancare. 
<< Non molto in verità...>> confessai, ritrovando un tono stabile. 
<< Lo immaginavo...>> fece lei.
La vidi sporgersi in avanti.
I suoi grandi occhi d'onice s'allacciarono i miei, l'incatenarono, finché con voce cupa e sommessa, riprese finalmcente a parlare. 
<< Vedi, mia cara... Quest'organizzazione affonda le sue radici nel quattordicesimo secolo, epoca di sanguinose guerre e conflitti, ma soprattutto, culla di un morbo spaventoso, che decimò in un arco di tempo relativamente breve, un terzo della popolazione europea. In molti la chiamano "Morte Nera", "Grande Moria", o più comunemente... "Peste Nera".>>
<< La "Peste Nera"?>> ripetei, incredula. 
<< Esatto. La più grande epidemia della storia! Ma quello che non sai... e che da sempre l'Ailthium tenta di tenere segreta... è la verità riguardante la pestilenza. >>
<< Che volete dire?>> 
<< Semplicemente che gli avvenimenti riportati sui libri, non sono altro che menzogne ben costruite. Non sono stati i roditori ad infestare un intero continente, ma bensì i Ghuldrash. Esseri immondi, mostruosi, che come una pandemia senza limiti, si abbatté sul mondo allora conosciuto. Di morso in morso, la gente iniziò a trasformarsi: comparvero piaghe, pustole nere, maleodoranti. La pelle andò in putrefazione, i corpi si deformarono e dalle spoglie mortali, nacquero mostri senz'anima. Affamati di carne e sangue umano, i Ghuldrash dilagarono ovunque; distrussero villaggi, rasero al suolo intere città, lasciandosi dietro una scia sterminata di morti che... inevitabilmente, andavano a rimpolpare le loro fetide fila. Era l'inferno in terra. Non c'era più distinzione tra il regno dei vivi e l'aldilà... solo un'immensa distesa di morte. Se solo il morbo avesse continuato a dilagare, non ci sono dubbi che nel giro di qualche anno, il genere umano avrebbe finito definitivamente per estinguersi. Beh, questo fin quando lui non decise da che parte stare. >>
<< Lui?>>
<< Esatto, bambina. Lui. L'entità superiore che intervenne in nostra difesa.>> 
A stento, riuscii ad aprire i polmoni e respirare.
<< Di chi si trattava?>> domandai d'un fiato.
Cassandra abbassò lo sguardo, poi lo posò all'interno dei miei occhi.
Ma non era me che guardava, lo sapevo.
Le sue pupille nere, indistinguibili dall'iride rincorrevano altri tempi, altri luoghi, altre vite. 
<< Non di un "Dio", se è quello a cui stavi pensando...>> replicò con un filo di voce, << Ma un essere demoniaco, il più potente di tutti. Un'appartenente alla Stirpe della Notte... uno dei Primi.>>
I Primi...
Dov'è che avevo già sentito quel nome?
<< Il padre di Miguel...>> sussurrai, senza neanche accorgermene.
E per la prima volta, vidi Cassandra perdere ogni compostezza e sussultare. 
<< Allora lo sai...>>
<< Cosa?>>
<< Di Arthur... è stato lui a fondare l'organizzazione. È a lui che dobbiamo l'estinzione del morbo e la creazione dell'Ailthium. Grazie a poche stille del suo sangue, fondò una razza di valorosi guerrieri, che da generazione in generazione, difendono il mondo dalla minaccia dei Ghuldrash.>>
Ovviamente, la notizia mi lasciò di stucco.
<< I-io... no! Non lo sapevo!>> esclamai, << Quindi... il padre di Miguel ha costruito tutto questo?>>
Cassandra annuì, dopodiché mi afferrò la mano. 
<< Adesso capisci?>>
La guardai spaesata, senza comprendere veramente dove volesse arrivare.
<< No, signora. Capisco solo che, di diritto, questo posto dovrebbe appartenere a Miguel...>> 
Percepii la stretta delle sue dita farsi sempre più pressante.
<< Ed infatti è così. O perlomeno dovrebbe esserlo. Arthur fu alla guida dell'organizzazione dal 1347 al 1353, dopodiché lasciò l'Ailthium nelle mani degli esseri umani. Questi individui, contrariamente alle direttive di Arthur, crearono delle vere e proprie caste, dove i più deboli avrebbero dovuto sottostare al volere dei più ricchi, dei più forti. È una deformazione dell'intelletto umano. Il potere corrompe gli animi, la mente, rende futili anche le più nobili intenzioni. Fu così che nacque il Consiglio Ristretto, un gruppo composto da 7 cacciatori "anziani" nelle cui mani, risiede l'intero controllo dell'Ailthium. Nigel era uno di loro e grazie alla sua morte, gli altri membri hanno trovato la scusa per togliersi dai piedi un fastidioso rivale: il figlio dello stesso Arthur.>>
<< Oh, mio Dio!>> strepitai. 
Improvvisamente, mi fu tutto chiaro. 
<< Pensano che Miguel possa rivendicare i propri diritti sull'Ailthium... estirpando così il loro potere!>>
Il sorriso di Cassandra si allargò a dismisura.
<< Indovinato.>>
<< Ma...>> 
Ero confusa.
<< Per quale motivo l'hanno lasciato in vita fin ora?>>
<< Semplice, mia cara. Aspettavano il momento propizio, il momento in cui... l'infallibile arma avesse commesso un passo falso. Ma lui era troppo forte, troppo astuto e privo di qualsivoglia punto debole... oh, beh... almeno fino ad ora. Adesso sei tu, la sua debolezza. E non fuggirà mai, sapendoti nelle mani del Consiglio. Mai.>>
Quelle parole, furono peggio di una stilettata in piena carotide. 
<< No...>> sussurrai, mentre la vista cominciava ad offuscarsi sempre di più.
Sentii gli occhi pizzicare, bruciare, e grossi goccioloni affacciarsi dal condotto lacrimale. 
<< Non piangere, tesoro... non è colpa tua...>>
<< Come fate a dirlo!>> scoppiai, << Sì che è colpa mia! Mia! Mia soltanto! ... Se io non ci fossi, se non mi avesse mai incontrata... tutto questo non sarebbe accaduto! È tutta colpa mia!!!>>
Provai a respirare, ad aprire i polmoni, ma avevo l'impressione di mandar giù una cascata di lava incandescente. 
<< Aiutatemi, Cassandra! Vi scongiuro! Da sola non posso farcela... ho bisogno di voi, del vostro aiuto! Non vi importa niente di Miguel?>> singhiozzai, << Non ha valore, per voi, la sua vita?>>
A malapena vidi il suo volto contrarsi in una smorfia di dolore.
<< Non sai di cosa parli, ragazzina!>>
<< E allora aiutatemi! Aiutatemi a liberarlo!>>
<< Non posso...>> 
Di scatto, abbandonai la mia postazione, precipitandomi ai suoi piedi.
Mi inginocchiai e con la faccia rivolta al pavimento, mi prostrai al suo cospetto. Non m'importava che fosse un gesto svilente, umiliante, tutt'altro. Ero pronta a qualunque cosa, persino a baciarle la suola delle scarpe se necessario.
<< Cassandra...>> la implorai.
Sentii una lieve pressione sulla nuca, sulle spalle, poi le sue mani che mi afferravano per le braccia, costringendomi ad alzarmi.
<< Non posso aiutarti.>> ripeté per l'ennesima volta, << Io... non posso aiutarti, Amelie. Ma ciò non toglie che possa farlo qualcun altro.>>
Improvvisamente, la debole e fioca fiammella della speranza si riaccese nel mio cuore.
Forse... sì!
Forse niente era ancora perduto!
<< Di chi si tratta? Ti prego, Cassandra! Dimmelo!>>
La donna mi squadrò da capo a piedi, con quei suoi occhi neri, impenetrabili, dopodiché la sua mano mi carezzò il viso.
<< Dubito che la risposta possa piacerti...>>
<< Non importa. Sono pronta a tutto pur di salvarlo!>>
Gli angoli delle sue labbra si piegarono all'insù, le sottili pieghe intorno agli occhi che prendevano consistenza, infittendosi, come le radici di un albero. 
<< Ebbene, ogni sede dell'Ailthium è una fortezza invalicabile, protetta da centinaia di valenti cacciatori. Nessun uomo o donna normale può esserti d'aiuto. E nemmeno nessun cacciatore. >>
<< E allora?>> chiesi esasperata. 
Un ghigno malvagio le illuminò lo sguardo, facendola sembrare d'un tratto una ragazzina. 
<< C'è solo un essere, in grado di aiutarti. Un essere tanto forte quanto pericoloso, lo stesso individuo che hai incontrato su quel bastione, bambina. Il vero colpevole. >>
In quello stesso istante, il mio sangue parve raggrumarsi in tanti piccoli cristalli di ghiaccio, trafiggendomi le vene dall'interno.
No... non poteva essere... non si riferiva davvero a lui!
<< Erick...>> mormorai, la voce così debole da sembrare inesistente.
Poco più che un lieve respiro. 
<< Proprio lui...>> ridacchiò Cassandra. 
Una fitta lancinante mi colpì alla testa, e all'improvviso ricordai le ultime parole che quell'essere mi aveva rivolto.
Avevo il cuore a mille, il fiato corto e la sua splendida voce che, come una nenia cantilenante, non faceva altro che risuonare di continuo all'interno della mia scatola cranica.
La prossima volta che c'incontreremo, mia cara... Sarà unicamente per tuo volere... " aveva detto, " Sarai tu stessa a chiamarmi. "

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Angolo dell'Autrice! 
Salve a tutti *-*
Finalmente mi sono liberata degli esami e... eccomi qui con un nuovo capitolo! 
Cavolo, mi sto accorgendo che stanno diventando davvero tanti, quindi sto meditando sul fatto di dividere la storia in due parti... voi che dite? Può andare come idea o sarebbe una boiata? Bah, per ora è solo una sciocchezza che mi frulla per la testa, ma nei prossimi capitoli (non vi dico quanti, -perché non lo so neanche io-) si arriverà ad una grossa SVOLTA.... che potrebbe segnare la fine, ma soprattutto l'inizio di tante cose... quindi non so...
Ma passiamo al capitolo! :D 
In primo luogo, spero vi piaccia! Ero impaziente di presentarvi Cassandra... che come avrete capito... è un tipo piuttosto misterioso. Non so, spero che non vi abbia deluso. A me piace molto! 
E niente... di per sé non succedono molte cose... ma la conversazione che ha con Cassy, credo sia piuttosto illuminante. Innanzitutto perché si viene a scoprire qualcosa in più sull'Ailthium, come è nata, ecc... e poi, il perchè questi del Consiglio ce l'abbiano così tanto col nostro Miguelito... povero lui T.T  L'è tutta colpa del babbo! 
Ma poi arriviamo alla rivelazione shock! 
Come tutti all'interno dell'Ailthium, Cassandra ha le mani legate. Non può aiutare Amelie... né salvare Miguel... ma Erick, a quanto pare... è l'unica speranza che ci rimane <.< 
Detto questo, smetto di annoiarvi con le mie ciarle inutili e vi ringrazio come sempre dal più prodondo del cuore T.T 
Grazie, grazie, grazie!
 
Un megabacione enormissimo 
Rob
<3

 

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Capitolo 44
*** Speranza ***


Speranza

_ Amelie_

D'un tratto, ogni cosa attorno a me prese a girare.
<< Amelie?>> mi sentii chiamare, << Stai bene?>>
Ma no... non stavo affatto bene, e nel giro di un secondo, mi ritrovai con la vista completamente appannata e le tempie formicolanti.
Dopodiché la stasi.
Alcuni istanti di sospensione, farciti da una miriade di puntini grigi danzanti nell'aria.
Poi nemmeno più quelli.
Era come se... all'improvviso, avessi perduto tutti e cinque i sensi.
Passarono minuti interminabili; attimi che parevano ore, secondi che arrestavano di botto la loro corsa, e la terrificante sensazione dell'oblio.
<< Amelie!>> continuò la voce, risvegliando parzialmente la mia coscienza.
<< Riprenditi!>
Avrei voluto risponderle, formulare delle frasi di senso compiuto, ma avevo l'impressione di essere legata, imbavagliata, mi era impossibile persino respirare.
<< Adesso calmati, Amelie... non ti agitare. Segui me, segui la mia voce...>>
E così feci.
La voce intonò un canto.
Un canto celestiale; fatto di note dolci, armoniose... e parole incomprensibili.
All'inizio non lo riconobbi nemmeno.
Era in qualche modo diverso da come lo ricordavo... ma non del tutto.
Anzi.
Più la melodia andava avanti, più alle mie orecchie sembrava famigliare.
<< Ed ora, bambina... >> sussurrò incredibilmente vicina, << Apri gli occhi.>>
Nel solo udire quelle parole, un fremito mi attraversò le ossa, fulmineamente, come una scarica d'elettricità allo stato puro.
<< I-io...>> mormorai confusa, cercando di alzare il capo dalla superficie del tavolo.
Ci riuscii con un po' di sforzo, ciononostante, la sensazione di smarrimento non accennava ad andarsene.
Ero rimasta profondamente turbata dalla mia reazione.
Possibile che le parole di Cassandra riguardo ad Erick, mi avessero scosso a tal punto?
Tanto da farmi avere un mancamento?
<< Non del tutto...>>  replicò lei, con calma, come a voler rispondere ai numerosi quesiti che m'intasavano la testa.
<< C-come, prego?>>
Sentii le sue mani cingere delicatamente le mie, in un tocco gelido, agghiacciante.
In un certo qual senso, la sua pelle era fredda quanto quella di un cadavere.
<< La mia rivelazione ti ha scosso, è vero. Ma dimmi, Amelie cara... quant'è che non dormi?>>
A dir la verità, non lo sapevo neanche io...
<< Immaginavo...>> concluse.
La guardai con occhi stralunati, incapace di spiegarmi il suo strano comportamento.
Come sapeva quello che stavo che stavo pensando?
<< Leggo nel pensiero, bambina.>>  rivelò poco dopo, << Mi basta avere un contatto fisico con il soggetto in questione per captare tutti i suoi pensieri.>>
Immediatamente, abbassai lo sguardo sulle nostre mani unite e in un eccesso di stizza, le ritirai via con uno strattone.
Ma Cassandra si limitò a sorridere divertita.
<< La tua mente è piuttosto interessante... >> aggiunse, << Ci sono cose nascoste, lì dentro, cose sfuggenti, inafferrabili, persino per una strega potente come me.>>
<< Una strega?>> sussultai.
I suoi occhi neri luccicarono d'orgoglio.
<< È quello che sono...>>
Deglutii a fatica, la gola che improvvisamente s'era fatta arida.
Era difficile, incredibilmente difficile... mandar giù un simile boccone.
<< Voi siete una strega...>> ripetei, << E com'è possibile che con tutti i vostri poteri... non siete in grado di aiutarmi?!>>
<< Ho le mani legate.>>
Ed io ero esasperata!
<< Cassandra... ti prego!>>
<< Sai già cosa fare.>>
<< Invece... no, non lo so!>>
<< Suvvia, bambina! Stai mentendo a te stessa...>>
<< Ma non posso chiedere aiuto ad Erick!>> sbottai, << Lui è... uno spietato assassino!>>
<< Questo lo so, ma è anche la tua unica speranza.>>
Con la paura nel cuore, distolsi lo sguardo dai suoi occhi d'onice.
Ero in trappola, senza alcuna via d'uscita.
La vita di Miguel era appesa ad un filo e a quanto pare, l'unico in grado di fare qualcosa... era proprio colui da cui Miguel aveva cercato in tutti modi salvarmi.
Si trattava di "E.", il famigerato serial kliller... il folle assassino che firmava le sue vittime col sangue.
E far coincidere a questa macabra figura il volto angelico di Erick, era quasi una blasfemia.
Davvero si trattava della stessa persona? 
Se solo non l'avesse ammesso lui stesso, per me sarebbe stato impossibile credere ad una simile verità.
Ciononstante, i fatti erano quelli e oltre ad aver ucciso Nigel, l'affascinante Erick si era macchiato anche dell'omicidio di Ravaléc.
Provai in tutti i modi a trattenermi, ma al solo pensiero, un brivido di terrore mi corse lungo la schiena.
<< N-no... non può essere!>> m'impuntai, << È troppo pericoloso!>>
<< Non per te...>> affermò Cassandra, inarcando in un sorriso gli angoli delle labbra.
<< Che cosa vuol dire?>>
<< Semplicemente quello che ho detto, bambina. Sai meglio di me che Erick non oserà torcerti un solo capello. Beh... per adesso almeno.>>
Feci per replicare, ma vederla alzarsi in uno scatto improvviso, mi fece ammutolire di colpo.
Senza mai distogliere gli occhi dai miei, fece il giro della scrivania, fino a raggiungere il mio fianco.
Si abbassò e per un istante i suoi lunghi capelli color latte mi solleticarono il volto, le palbre... dopodiché, percepii nuovamente il suo tocco sulla pelle.
Eppure non erano le sue mani a sfiorarmi, no... ma la sua fronte, che con eccessiva forza, premeva contro la mia.
Inizialmente mi spaventai a morte.
Pensavo che volesse uccidermi, fracassarmi il cranio a testate, ma poi un formicolante senso di benessere si sparse lungo tutto il mio corpo e... ogni cosa mi fu chiara.
Non voleva leggermi dentro, o indagare, e nemmeno scavare nei meandri più oscuri della mia memoria.
Non stavolta, perlomeno. 
Cassandra voleva solo... comunicare.
"Ascoltami bene, Amelie. Io sono dalla tua parte. Voglio aiutarti. Ma di fronte a te hai un'unica soluzione. O Erick o la morte di Miguel. Decidi. Ovviamente, la scelta non è facile. Affidarti ad Erick vuol dire mettere a repentaglio il tuo futuro: pretenderà qualcosa in cambio da te...un Sacrificio. Il più grande di tutti..."
Ed istantaneamente, riaffiorarono di nuovo quei ricordi; Erick che mi stringeva a sé, il calore del suo corpo contro il mio, l'oro liquido dei suoi occhi... e le sue parole.
Voleva che lo seguissi, maledizione!
Che abbandonassi per sempre il mio Miguel...
<< No!>> gridai disperata, << Non lo permetterò mai!>>
" Sciocca ragazzina! Non lo capisci? È la tua unica speranza!"
Accecata dalla rabbia e dalla frustrazione, mi dimenai come una pazza, fino a divincolare dalla sua presa.
Il contatto s'interruppe e lei crollò a terra come uno straccio afflosciato.
<< Stai sfidando la morte, lo sai?>> ghignò crudele.
I miei occhi si abbassarono su di lei, all'interno delle sue iridi color pece.
Sembravano due macchie d'inchiostro in un mare di snervante chiarore.
<< Se tentare il tutto per tutto, equivale a sfidare la morte...>> sibilai a denti stretti, << Bene... vorrà dire che sarò ben lieta di farlo!>>

---

<< Ma dico... sei impazzita? Ti rendi conto, che è una follia?!>>
Avrei voluto fermarmi, prender fiato e spiegarle per bene la situazione... ma non avevo tempo da perdere: dovevo muovermi, andare via, uscire il più velocemente possibile da quel posto!
<< Ehi, principessina! Sto parlando con te!>> gracchiò, << Dove credi di andare?! Non sai neanche la strada!>>
Allentai di poco la velocità , senza però fermare i miei passi.
<< Ma insomma!>> si ostinò, cercando di raggiungermi. << Dove stai andando?!>>
Sentii la sua mano afferrarmi un polso e tirare.
<< Ma che ti prende?>> gridò.
Lizzy era incredibilmente forte, molto più di me... ma io avevo dalla mia parte la disperazione, il ché mi donava un vigore sconosciuto, più duro e tenace dell'acciaio.
Ed infatti, mi bastò un solo strattone per liberarmi dalla sua presa e riprendere a camminare.
<< Si può sapere dove stai andando?!>>
Dio... quant'era fastidiosa!
<< Nelle prigioni!>> replicai sprezzante.
La sentii irrigidirsi, ma non mi voltai per controllare la sua espressione.
<< L'ho detto e lo ripeto: tu sei pazza! >> vociò, << Non sai neanche cosa stai farneticando!>>
<< Lizzy... ti prego, lasciami andare!>> la implorai.
<< "Lizzy" un bel niente! Mi spieghi cosa diavolo stai facendo, eh? Sei uscita di fretta e furia dallo studio di Cassandra... così, di colpo, senza dire una parola! E sentiamo, ti sembra il modo di comportarsi? Non dovresti essere una signorina di buona famiglia, tu?! Che ne è della tua educazione?>>
<< Che si fotta l'educazione!>> sibilai, << È l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento!>>
Peccato che Lizzy non avesse ancora finito, anzi.
Pur di continuare il suo rimprovero, finì per parlarmi sopra.
Alla faccia della buona educazione, insomma!
<< ... E te ne esci con queste idee malate sulle prigioni! Ma dico... sai almeno che posti sono?! Non né uscirai viva, te lo assicuro... e poi, ehi! Dove vai? Guarda che stai sbagliando strada!>>
Non volevo assolutamente darle soddisfazione, però, dopo quelle parole... fui costretta a fermarmi.
Di nuovo.
<< E allora indicami la strada!>> ringhiai.
<< Neanche per sogno, te lo scordi!>> mi rimbeccò, << Non ho intenzione di assecondare le follie di una pazza ingrata! Insomma... ti rendi conto dei pericoli che ho corso per farti incontrare Cassandra?! Lei è la strega dell'Ailthium! Ha tanto potere quanto tutti i membri del Consiglio messi insieme! È una leggenda vivente!>>
<< Ah sì?>> scoppiai in una risata isterica, << E dov'è tutto questo famoso potere, di grazia?! Quella donna non mi è stata si nessun aiuto! È inutile come tutti voi...>>
Vidi la ragazzetta di fronte a me incupirsi; i suoi occhi ridursi a fessure luccicanti, color cioccolato, dopodiché un sonoro ceffone mi colpì il volto.
Immediatamente, mi portai la mano sulla guancia arrossata.
Pizzicava terribilmente, ma quello che faceva più male non era la parte lesa... oh no.
Ma il colossale senso d'impotenza che mi stritolava il cuore.
Cosa potevo mai fare io, da sola, contro un'organizzazione pericolosa come l'Ailthium?
Ero completamente spacciata...
Lo sapevo, ma non riuscivo ad arrendermi.
Non quanto si trattava di Miguel!
<< Mi ha detto di no, Lizzy!>> mi ritrovai a singhiozzare, le lacrime a lungo trattenute, ora avevano irrimediabilmente rotto gli argini.
Mi stropicciai gli occhi con una mano, mentre con l'altra mi tastavo il petto, all'altezza del cuore.
La fitta che sentivo era straziante, mi corrodeva dall'interno.
<< Vuol dire che è stato tutto inutile?>> domandò, avanzando di un passo.
Annuii senza parlare.
Il corridoio che ci accoglieva era ampio, deserto e silenzioso, tanto da restituire all'infinito gli echi del mio pianto.
 << Dai... non fare così...>> disse mestamente, << Non sono a mio agio, con le lacrime...>>
Mi affrettai a tirare su col naso, ma prima che potessi rendermene conto, mi ritrovai con la faccia schiacciata contro il suo petto e le sue braccia attorno alle mie spalle, chiuse in quello che voleva essere un goffo abbraccio.
<< Così mi soffochi...>> riuscii a dire.
Imbarazzata da quell'eccessiva dimostrazione d'affetto, Lizzy lasciò la presa, permettendomi finalmente di respirare.
<< G-grazie...>> bofonchiai, piuttosto confusa.
Non mi aspettavo su simile comportamento, soprattutto da una ragazza come lei.
<< Le prigioni sono da quella parte.>> disse poi con cautela, indicando un grosso portone alle mie spalle.
Era un affare mastodontico, dalle fattezze raffinate, ma piuttosto vecchio e tarlato.
"Oh, mio Dio... Lizzy...!" pensai commossa.
Avrei voluto ringraziarla, sul serio, dal più profondo del cuore... ma più la guardavo, più non riuscivo a trattenere una nuova ondata di lacrime.
<< Davvero Lizzy... non so come ringraziarti! Hai rischiato così tanto per m->>
<< Shhhh!>> m'interruppe, << Non crederai mica di poterti liberare di me così facilmente, vero?>>
Ed un sorriso abbagliante le solcò le labbra.
<< Ma...>> feci stupefatta, << Che vuol dire?>>
<< Semplice, principessina! Non posso lasciarti andare da sola... ricordi? Ho l'ordine di tenerti d'occhio! E poi... sei abbastanza folle da starmi simpatica!>>
Incapace di resistere, mi fiondai tra le sue braccia, col sorriso che proprio non voleva saperne di abbandonarmi.
Ed era assurdo... ma non riuscivo a controllarmi.
Sentivo una strana euforia frizzare sulla pelle, come tante bollicine effervescenti.
Ma cos'era?
All'inizio mi dissi calore umano, poi fiducia, dopo ancora affetto, però non era abbastanza.
Allora la strinsi più forte, fin quasi a stritolarla, dopodiché, capii ogni cosa.
Si trattava di speranza.
Aldilà di ogni logica, contro tutte le avversità... quella lieve fiammella non faceva altro che bruciare ed illuminare il mio cammino.
Del resto, come potevo non sperare?
Mi trovavo in un luogo orribile, ostile, circondata unicamente da pericoli... eppure, nonostante tutto quel lerciume, ero riuscita a trovare un'amica.

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Angolo dell'autrice! 
Salve a tutti! Come vi butta? A me boh... piuttosto bene dai! Diciamo che le vacanze mi hanno addolcito e stranamente, mi sono lasciata andare ad un capitolo abbastanza tranquillo, pieno d'affetto e amicizia e buoni sentimenti *_* 
Ma dico? Sicuri che stiamo parlando proprio della mia storia? Bah... comincio ad avere i miei dubbi. 
Diciamo che l'accoppiata Ame\Lizzy mi manda in brodo di giuggiole, e alla fine si vede anche troppo! <.< 
Maledizione a quelle due! 
Ma passiamo al capitolo! Dunque! Spero che vi sia piaciuto... io ho molti dubbi in proposito... forse perchè non c'è stato sangue e nemmeno è morto qualcuno... chissà! Fatto sta che non mi convince del tutto.
Nella prima parte, scopriamo qualcosa in più su Cassandra, che a quanto pare è in grado di leggere nella mente delle persone grazie al contatto fisico... Ame ne é ovviamente spaventata ma ancora di più perchè a quanto pare, l'unica soluzione possibile, pare quella di chiedere aiuto a Erick. Ma Ame è una capa tosta, e insomma, si è impuntata di poter riuscire a far tutto da sola. Insomma, un pò "chi fa da sé, fa per tre..." ma non so se in questo caso possa valere. Lizzy ovviamente la prende per una pazza scapestrata... ma a quanto pare la follia di Amelie è contagiosa, e finisce per rimbecillire anche Lizzy <.< 
Ce la faranno queste due disgraziate a combinare qualcosa? 

Come sempre, vi ringrazio per il supporto! Sia chi legge in silenzio, sia chi recensisce con dovizia e pazienza!
Davvero, vi adoro con tutto il mio corazòn <3

Un bacione, 
Rob
<3

 

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Capitolo 45
*** Avviso ***


Avviso

Salve a tutti! 
Da come avrete sicuramente intuito, questo non è un capitolo. Infatti, non appena pubblicherò il prossimo chappy, cancellerò questo piccolo avvertimento!
Insomma, eccoci qui! 
Volevo avvisarvi che a causa dell'eccessiva lunghezza, ho intenzione di dividere "Scarlet Red" in DUE parti.
E udite, udite! Con la prima, sono quasi arrivata al termine!
Infatti, se i miei calcoli sono esatti, mancano più o meno cinque sei capitoli alla conclusione.
Ma devo ancora decidere...
Per il resto, mi scuso infinitamente per l'eccessivo ritardo nell'aggiornamento.
So che è passato molto tempo... lo so benissimo! E mi dispiace da morire!
Credevo che con l'inizio dell'estate avrei potuto procedere spedita con la pubblicazione senza troppi intoppi, ma a rompermi le uova nel paniere è giunto un lavoretto part-time (di cui ho ASSOLUTO bisogno) per tirare avanti con gli studi...
Quindi perdonatemi.
Vi prometto che a breve aggiornerò "Scarlet Red" con un nuovo capitolo... dovrete solo avere un briciolo di pazienza in più... 

Quindi, spero proprio che vogliate aspettarmi!
Posso assicurarvi che non ve ne pentirete!
Giuro!
E con questo...vi comunico che al massimo, entro dopodomani, avrete il capitolo a disposizione! 

Nel frattempo, vi regalo una piccola anteprima! 

---

"Quanto mi erano mancate, quelle labbra? 
Avevo l'impressione di non aver bramato altro da tutta una vita. 
Le violenze subite, l'infinite torture... svanivano a confronto col dolore della sua lontananza.
" Miguel..." sussurrava languidamente, "Amore mio..." 
Il suono della sua voce era tenue, delicato, sconcertante.

Trasudava al contempo timore e desiderio.
Ingenuità e sensualità come due facce della stessa medaglia. 

Sentii le sue labbra unirsi lentamente nelle mie, lambirle, finché da soffice e lento, il bacio si fece rovente. 
Dopodiché, l'estasi. 
Le mani affondarono nella carne, le lingue s'intrecciarono, fino a farmi perdere del tutto il lume della ragione."

--- 

Spero vivamente vi abbia incuriosito! Fatemi sapere cosa ne pensate! 

Un bacione, 

Rob

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Capitolo 46
*** Miraggio ***


Miraggio
 
_ Miguel_

Non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Le palpebre pesavano come piombo; si abbassavano ed alzavano convulsamente, in bilico, tra la veglia e l'oblio dell'incoscienza.
Ma l'attesa dell'inevitabile non era mai stata così devastante: ormai mancavano poche ore all'inizio del processo, ed ancora non erano venuti a prendermi.
Magari Rufus si era dimenticato, i secondini non erano stati informati, o molto più probabilmente, quel vecchio ubriacone era svenuto da qualche parte a causa della sbornia.
Comunque sia, tutta quella situazione era snervante.
Odiavo aspettare.
L'attesa mi destabilizzava, m'incollava addosso l'ansia, mi corrodeva dentro... ed io non lo sopportavo.
Mi faceva sentire inutile, impotente, soprattutto quando la posta in gioco era così alta.
Respirai a fondo, dopodiché con le ultime forze che mi rimanevano in corpo, strattonai quelle dannate catene per l'ultima volta.
L'acuto stridio del metallo mi graffiò i timpani, ma ahimè, ogni tentativo di spezzarle risultava vano.
L'incantesimo di Cassandra era troppo potente, e quel poco sangue che avevo ingurgitato tre ora prima, era servito a malapena per rimarginare le ferite più superficiali di schiena e torace.
Il resto del mio corpo, era ridotto ad un colabrodo.
<< Maledetto Angus...>> ringhiai, << Sta pur certo che te la farò pagare...>>
Quello non era solo un vaneggiamento risentito, oh no... ma una promessa.
Quello stronzo non avrebbe avuto scampo.
Già pregustavo la scena: le mie mani lorde del suo sangue, il pallore spettrale della sua pelle e la gelida morsa della morte dipinta sul suo volto ripugnante.
L'avrei ammazzato, sì.
Ma tra atroci sevizie e sofferenze.
Senza pietà.
Eppure, quell'idea non bastava a soddisfarmi.
Volevo di più... pretendevo altro.
Ma cosa?
Quel senso di vuoto non accennava ad andarsene, e d'un tratto... ogni cosa perse del tutto la sua importanza.
Non volevo più saperne niente di Angus, né del Consiglio e neanche di Ryan.
Volevo solamente fuggire, uscire da quel posto... respirare.
Lasciarmi alle spalle tutto quello che aveva a che fare col fetido odore delle prigioni e le sue asfissianti mura di pietra.
La libertà non era mai stata così lontana.
Tuttavia, senza rendermene conto, la mia mente ricominciò a vagare; solcò le scanalature del pavimento, la serratura arrugginita, e poi via... oltre le sbarre d'acciaio, fino alla scalinata.
 Al di là delle pareti.
Sfiorò le stanze superiori, gli addobbi eccentrici, le decorazioni eccessive, per poi soffermarsi su un unico pensiero.
Lei.
Sì, lei era lì.
L'avevo raggiunta... e la vedevo disperarsi, in lacrime, reclusa in una gabbia dorata, senza la minima possibilità di cambiare le cose.
E come avrebbe potuto?
Loro non glielo avrebbero mai lasciato fare.
Ormai conoscevo fin troppo bene il modus operandi di quei cani rognosi del Consiglio: erano infidi, sospettosi, tanto da temere uno scricciolo di ragazza come Amelie.
Eppure, non avevano tutti i torti.
Lei era pericolosa, molto più di quanto potesse sembrare.
Sebbene fosse dotata di un'infinita goffaggine, Amelie aveva dalla sua parte la forza della disperazione; era una ragazza forte, determinata, e incredibilmente coraggiosa.
Avrebbe fatto di tutto... sacrificato qualsiasi cosa pur di salvarmi.
Persino fare un patto col diavolo... e questo, mi terrorizzava più della sentenza che gravava sulla mia testa.
<< Maledizione!>> imprecai, digrignando i denti fino a sentir male.
Il pensare a lei, faceva inevitabilmente riaffiorare nella mia mente ricordi proibiti.
Lei contro il mio corpo, le lenzuola spiegazzate, il sapore delle sue labbra e poi... il suo profumo delizioso.
Vivido come non mai, quell'odore paradisiaco mi ustionò le narici, i polmoni, il cuore.
La tenebra s'irrorò di sangue, dopodichè, la sua immagine prese a danzarmi dinnanzi agli occhi.
Era semplicemente irresistibile, bellissima, avvolta unicamente da un manto scarlatto.
La seta frusciò a contatto con i suoi seni, i veli caddero a terra, rivelando con estrema chiarezza la perfezione assoluta del suo corpo.
Deglutii a fatica, incapace di distogliere lo sguardo.
La divoravo con gli occhi.
La sua pelle era candida, nivea, talmente splendida da sembrare di porcellana.
I lunghi capelli parevano intessuti d'oro, fili di bronzo e rame, mentre gli occhi... oh, i suoi occhi.
Rifulgevano d'un bagliore sconosciuto.
Intenso.
L'usuale sfumatura castana dell'iride, era sostituita da pagliuzze verdi, tanto chiare da sembrare frammenti di smeraldo. Eppure, v'era racchiusa anche dell'oscurità, in quello sguardo.
Uno spesso strato buio, sconfinato, che tramutava le sue pupille in cupi buchi neri nei quali precipitare.
Ma niente era come le sue labbra.
Piene, succose, vermiglie come fragole mature.
Le potevo sentire aprirsi, premere contro la mia pelle e scivolare giù... lungo il collo.
Delicatamente, saggiando la sua consistenza, per poi risalire, aggirare la mandibola e raggiungere la mia bocca.
Quanto mi erano mancate, quelle labbra?
Avevo l'impressione di non aver bramato altro da tutta una vita.
Le violenze subite, l'infinite torture... svanivano a confronto col dolore della sua lontananza.
Lei era come l'aria, come il vento, come il sangue... 
Semplicemente essenziale.
" Miguel..." sussurrava languidamente, "Amore mio..."
Il suono della sua voce era tenue, delicato, sconcertante.
Trasudava al contempo timore e desiderio.
Ingenuità e sensualità come due facce della stessa medaglia.
Sentii le sue labbra unirsi lentamente nelle mie, lambirle, finché da soffice e lento, il bacio si fece rovente.
Dopodiché, l'estasi.
Le mani affondarono nella carne, le lingue s'intrecciarono, fino a farmi perdere del tutto il lume della ragione.
Cristo... !
Fremevo dalla voglia di possederla, spalancarle le gambe e farla finalmente mia... ma prima di giungere a quel fatidico momento, le morse della fame spezzarono l'incantesimo, riportandomi crudamente alla realtà.
Fu terribile.
Quasi quanto ricevere una stilettata in pieno petto, al centro del cuore.
In un battito d'ala, ogni cosa era svanita nel nulla.
Evaporata.
Come un abbaglio, un'illusione, un miraggio.
Preso dal panico, feci vagare instancabilmente lo sguardo da una parte all'altra della cella.
Non trovavo pace, lei... doveva pur essere da qualche parte!
Ma non c'era.
Non c'era!
Mi aveva abbandonato di nuovo.
Mi aveva lasciato solo.
E la follia parve quasi soffocarmi nella sua stretta rovente.
Ormai non avevo più niente tra le mie mani, solo una manciata d'incubi e sogni infranti.
Non esisteva più alcun inganno della mente, nessuna speranza, nessuna Amelie avvinghiata tra le mie braccia...
O forse... no?
Un flebile odore si sparse all'interno dell'ambiente, scontrandosi malamente con il rancido puzzo delle prigioni.
Era inconfondibile, inebriante, eccitante.
Una vera e propria droga.
" Ma no..." mi dissi, " Non può essere!"
 Eppure...

_ Amelie_

Davanti ai miei occhi, si apriva l'ignoto.
Fila e fila di porte serrate, chiuse, dipinte completamente di bianco; superfici rigide, sormontate da catene e grossi chiavistelli metallici.
Tutt'intorno, un lungo corridoio circolare.
Ogni porta, recava inciso sopra un numero romano.
In totale, ce n'erano ventisette.
Ma solo dalla numero "V" provenivano delle urla disumane.
<< Ma cosa... >> mormorai confusa, << Che sta succedendo lì dentro? Sono grida di dolore, quelle?>>
Lizzy si limitò ad annuire e senza degnarmi di uno sguardo, aprì bocca per parlare.
<< Sì. Sono le voci dei prigionieri sotto interrogatorio.>>
<< Come, prego?>> ero incredula.
<< Non farci caso, ma...>> abbassò sensibilmente il suo tono di voce, << Le vedi tutte queste porte?>>
Feci segno di "sì" col capo.
<< Dietro la soglia di ognuna, si tengono gli interrogatori. La maggior parte delle volte non c'è bisogno di calcare la mano sugli accusati, confessano i loro peccati senza troppi intoppi. Ma quando si ha a che fare con delinquenti di una certa risma... Beh, non si esclude l'utilizzo di metodi un poco più ortodossi.>>
<< La tortura...>> sussurrai d'un fiato.
A malapena me n'ero resa conto.
<< P-parli della tortura, vero?>> balbettai in preda all'orrore, ero disgustata!
<< Shhh, fa silenzio!>> mi ammonì lei, zittendomi con una mano.
Non appena mi lasciò libera di parlare, le inveii contro.
<< Mio dio, Lizzy! Che diavolo di organizzazione siete, voi?! Solo dei pazzi furiosi arriverebbero ai vostri livelli! Dei pazzi! Usare simili metodi ancora adesso... ma vi rendete conto? Siamo nel diciannovesimo secolo, maledizione! È illegale trattare le persone in questo modo! Illegale!>>
<< Ti ho detto di fare silenzio! Ci sentiranno!>>
Ma non le diedi ascolto.
Ero semplicemente terrorizzata.
Non credevo possibile che potessero esistere veramente dei luoghi del genere... dove la vita umana veniva considerata meno di niente ed era lecito utilizzare la tortura per estorcere informazioni.
Lo trovavo barbaro, assurdo, del tutto inconcepibile.
<< Adesso calmati...>> sussurrò lei, cercando di rabbonirmi.
Avrei voluto impuntarmi, gridarle in faccia tutto il mio disprezzo per l'organizzazione di cui faceva parte.
Aprirle gli occhi.
Ma a che sarebbe servito?
Solamente a farci scoprire e mandare all'aria ogni cosa.
Quindi respirai a fondo, abbassai le palpebere e contai fino a tre.
Quando riaprii gli occhi, ero calma... ma non riuscii a trattenermi dal dirle in faccia quello che pensavo.
<< Tutto questo è riprovevole.>>
<< Benvenuta nell'Ailthium, mia cara...>> fece lei trafelata.
Senza ulteriori indugi, mi sentii tirare dalla sua mano ed insieme, riprendemmo a camminare.
Il corridoio era deserto, nudo di qualsivoglia spoglia.
Solo un ammasso di pietre, portoni e lampade ad olio.
Avremmo dovuto procedere con cautela, prestando ben attenzione a non fare rumore... ma all'improvviso, Lizzy accelerò il passo, costringendomi a correrle dietro.
Ero letteralmente senza fiato.
Non per la fatica, no... ma a causa della paura.
" E se non riuscissi a salvarlo?" pensai, " Se fosse tutto inutile?"
Forse non c'era soluzione.
Miguel sarebbe morto comunque e tutti gli sforzi fatti in quel momento, non erano altro che meri vaneggiamenti di una ragazzina.
Lizzy aveva ragione: si trattava di una missione suicida.
Come darle torto?
La soluzione migliore sarebbe stata ascoltare l'istinto di sopravvivenza ed arrendersi, gettare la spugna.
Prostrarsi davanti alle ingiuste macchinazioni del destino.
Ma cos'altro avrei potuto fare?
Aspettare passivamente ed in silenzio che la situazione migliorasse?
O magari starmene immobile, con le mani in mano, mentre una congrega di folli squilibrati attentava alla vita dell'uomo che amavo?!
Oh... beh!
No, signore!
Non potevo assolutamente permetterlo!
Quindi, nonostante la totale stoltezza delle mie gesta... seguitavo a percorrere la mia strada!
Ci lasciammo il corridoio alle spalle, dopodiché imboccammo una lunga rampa di scale.
Le discendemmo in silenzio, appiattendoci alle pareti come insetti.
Una volta giunte all'imbocco del piano inferiore, Lizzy mi strattonò una spalla.
<< Ascoltami bene, principessina! Da qui in poi le cose si complicano!>>
Annuii col capo, vigorosamente.
Sapevo perfettamente quale fosse la posta in gioco: ero pronta a tutto.
<< Questa è l'entrata dell'Acheronte, il secondo girone. Ospita al suo interno i detenuti in attesa di giudizio.>>
La mia giovane amica avanzò di un passo, calandosi il cappuccio del mantello sulla testa.
Imitai il suo gesto senza batter ciglio, come un automa, facendo altrettanto con il mio.
Ma per poco non le starnutii in faccia.
Quel... "coso" era un capo d'abbigliamento piuttosto singolare.
Diciamo pure logoro, sgualcito, dotato di un odore decisamente troppo intenso...
Ma il puzzo sprigionato da quell'affare, non era niente in confronto al miasma fetido che aleggiava nell'intero ambiente.
L'aria era rancida, sapeva di lerciume, abbandono e putrescenza.
<< Che cosa inumana...>> mormorai tra me e me.
<< Che cosa ti avevo detto?>> fece Lizzy, colpendomi il fianco con una gomitata.
Ma come potevo fingere indifferenza?
Le bocche dell'inferno si erano appena aperte dinnanzi ai miei occhi.
Rischiavano d'inghiottirmi.
Seguendo i passi di Lizzy, attraversai interi filari di sbarre, mani protese e corpi intrecciati.
I detenuti erano tenuti come animali, in gabbia; lo spazio vitale tra un individuo e l'altro era del tutto inesistente.
Se ne stavano ammassati, corpi schiacciati contro altri corpi... le mani imploranti, infilate tra le sbarre e protese verso l'esterno.
Volte ad afferrare un briciolo di libertà.
Alcuni si dimenavano, altri urlavano, altri ancora se ne stavano semplicemente affacciati tra le aste di ferro.
E ci guardavano passare.
Miguel non era lì, lo sapevo.
Durante il tragitto, Lizzy mi aveva raccontato di un certo "corridoio T" l'area riservata ai traditori.
Avremmo dovuto scendere altri due piani prima di giungere a destinazione.
Eppure, non riuscivo a darmi pace.
Gli occhi di quegli uomini erano fosse scure, burroni senza fondo, che non ci abbandonavano mai.
Sembravano volerti scavare dentro, incedere la pelle come acido corrosivo.
Ed io, non riuscivo a resistere.
Provavo pena per loro.
Ma com'era possibile?
Lizzy mi aveva raccontato dei loro crimini immondi, dei loro disfatti, ciononostante, quell'orribile reclusione dava l'impressione di essere una pena più che sufficiente.
Troppo terribile, persino per loro.
" Miguel..." pensai, cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime. "Chissà come ti hanno ridotto..."
Ma non osavo immaginarlo.
Se i comuni malfattori erano trattati in modo così atroce, allora... com'era l'accoglienza riservata ai "traditori"?
Doveva sicuramente sconfinare nell'abominio più totale.
Sopraffatta da quei tetri pensieri, stentai quasi a respirare.
<< Sì, là giù è molto peggio. Ma ora fai attenzione. Stanno arrivando le guardie... fingi indifferenza e lascia parlare me, intesi?>>
Acconsentii con un cenno del capo.
Mi limitai dunque a seguirla, facendo ben attenzione a dove mettevo i piedi.
Poi, giunsero dei passi, e il mio cuore parve congelarsi.
Dopodiché, due figure alte e slanciate, completamente vestite di nero, entrarono nel nostro campo visivo.
Erano uomini giovani, massicci, indubbiamente forti.
Diversi nei tratti e nei colori, ma ammantati dallo stesso mantello logoro che solcava le spalle sia a me che a Elizabeth.
Supposi dovesse trattarsi di una mezza specie di divisa riconoscitiva.
<< Lizzy!>> esclamò uno, quello dai lineamenti più aggraziati.  << Ti hanno assegnato alle prigioni, quest'oggi?>>
La ragazza annuì col capo, sforzandosi di sorridere senza destare sospetti.
<< Indovinato!>> rispose, << Porto questo novellino a fare un giro turistico!>>
Entrambe le guardie abbassarono lo sguardo su di me.
Mi sentivo esaminata, scrutata, fin nel profondo del mio essere... ma mi sforzai comunque di mantenere un atteggiamento disinvolto.
Non potevo permettere che scoprissero l'inganno.
<< Un novellino, eh? >> fece l'altro, che prima era rimasto in silenzio.
L'uomo avanzò d'un passo, e con un gesto improvviso, mi afferrò il braccio.
" Dannazione!" pensai in preda all'orrore, " L'ha capito!"
Ma la fragorosa risata che fuoriuscì dalle sue corde vocali, mi spiazzò del tutto.
<< E dove sarebbero i muscoli?>> domandò divertito, tastando il mio braccio alla ricerca di una massa muscolare inesistente. << Cazzo, Liz! È morbido come quello di una ragazza!>>
Lizzy si fece avanti, parandosi di fronte a lui, in modo che mi lasciasse andare.
<< Ah sì? Cos'avresti da ridire sui muscoli di una ragazza, eh? Vuoi forse assaggiare i miei?>> minacciò, fingendo di scherzare.
La guardia non se ne rese nemmeno conto, ma la sua voce trasudava belligeranza.
<< Oh no...>> fece lui, ritraendosi. Un sorriso a trentadue denti gli tagliava a metà la faccia. << Non sono mica matto!>>
<< Ne sei sicuro?>> lo sfidò.
<< Ci tengo alla pelle!>> rise lui.
<< Andiamo, Danny!>> intervenne il suo compare, << Lasciamo Litz al suo lavoro! Dobbiamo finire di perlustrare la zona.>>
L'uomo mi lasciò uno sguardo sospettoso, ma nulla di più.
Non disse niente, anzi. Si limitò a trascinare il suo collega per un braccio.
<< Buon lavoro, ragazzi!>> s'affrettò a dire Lizzy, accomiatandosi.
I due la salutarono con un cenno, dopodiché sparirono alle nostre spalle.
Via libera.
Arrivate alla seconda rampa di scale, Elizabeth si assicurò che nessuno ci stesse e seguendo, e come se avessimo il diavolo alle calcagna, mi trascinò in luoghi bui e corridoio scoscesi.
Quelle maledette prigioni sembravano immense, senza fine.
Si protendevano ben oltre il sottosuolo, discendendo giù, sempre più in basso, in una spirale vorticante che pareva voler raggiungere il centro della terra.
Scene di uomini imprigionati come bestiame da macello, si ripeterono anche ai piani inferiori... ma miracolosamente, non trovammo sulla nostra strada ostacoli evidenti.
Le guardie, una volta accertatesi dell'identità di Lizzy, si tranquillizzavano, lasciando sia me che la mia amica libere di proseguire.
Ma quando giungemmo a destinazione, le cose cambiarono del tutto.
Attraversammo un grosso portone, poi il vuoto.
Il buio era talmente denso da sembrare gelatina, mentre un baratro di cui non scorgevo la fine, si apriva davanti ai nostri occhi.
<< E questo?>> domandai, col cuore in tumulto e i polmoni svuotati.
La strada era sbarrata, non esisteva alcuna via di fuga.
Solo quella fossa scura, enorme, senza fine.
<< Allora?>> la spronai, << Che cosa facciamo?>>
Lizzy si voltò a finalmente a fissarmi.
I suoi grandi occhi castani erano eccitati, rilucenti, come polvere di stelle.
<< Sei pronta a saltare?>>
---

Il contatto con l'acqua fu devastante.
Una pioggia di spilli, uno schiaffo improvviso, il riverbero di uno scoppio, poi l'assenza di gravità.
Come appuntiti aghi di ghiaccio, il freddo si conficcò nella mia carne, penetrando in profondità, fino a raggelare le ossa.
Per un breve istante, riuscii a riaffiorare in superficie; giusto il tempo di prender fiato, poi giù, nelle più cupe oscurità dell'abisso.
Il gelo sembrava tagliarmi la faccia a metà. lIncurante del dolore, provai a muovermi, a dimenare le braccia, a scalciare... ma ogni tentativo risultava vano.
Non riuscivo a raggiungere la superficie.
Improvvisamente però, delle braccia piuttosto esili giunsero in mio soccorso.
Mi sentii afferrare, tirare, mentre a causa della mancanza d'ossigeno, i miei sensi si affievolivano di secondo in secondo.
Ero al limite.
Ancora pochi istanti, e avrei definitivamente perso conoscenza.
Uno, due, tre... quat-.
Ma il contatto con l'aria fresca, non tardò ad arrivare.
Ebbi un fremito, poi la mia bocca si spalancò ed emise un rantolo strozzato.
Avevo bisogno d'ossigeno, d'aria, di gonfiare i polmoni fino a farli scoppiare.
E così feci.
Dopo ci furono solo rumori indistinti, echi lontani, seguiti dalla vaga consapevolezza di galleggiare sul pelo dell'acqua.
Infine, nemmeno più quello.
Solo la durezza del suolo contro la schiena, gli abiti zuppi e le membra infreddolite.
Tremavo come una foglia.
<< Riprenditi!>> gridò Elizabeth, scuotendomi le spalle con forza.
Tentai con tutte le mie forze di formulare una risposta, ma l'impresa risultò impossibile.
Avevo bevuto troppa acqua, ed ora, non facevo altro che rigettarla dalla bocca.
Ero esausta, perfino di vivere.
<< Avanti, Amelie! Respira! Dobbiamo muoverci. Qui non siamo al sicuro!>>
Riuscii in qualche modo a rotolare su un fianco e mettermi seduta.
La comodità dei vestiti da uomo, annullata d'un colpo dalla pesantezza delle stoffe bagnate.
I pantaloni aderivano al corpo come una seconda pelle.
<< D-dove siamo?>> tossii, fin quasi a strozzarmi.
<< Nell'anticamera del corridoio "T".>> rispose Lizzy, aiutandomi ad alzarmi.
Il corridoio "T"...
Ma allora...
M'irrigidii di botto, destabilizzata, cominciando a sudare freddo.
No... non poteva essere!
<< A-allora... s-siamo arrivate?>> boccheggiai.
<< Non ancora. Ma ci siamo quasi. Questo tunnel non è altro che una scorciatoia.>>disse, << Da qui si può sgattaiolare indisturbati fino all'entrata, peccato che nessuno ha mai fatto ritorno...>>
<< Che intendi dire?>> le chiesi, ritrovando un tono di voce abbastanza normale.
<< Le guardie che sorvegliano questa zona, hanno l'ordine di uccidere a vista. Bisogna conoscere il codice per aver salva la pelle... ma solo i generali e gli alti ufficiali dell'Ailthium sono in grado di possederlo. >>
<< Potrebbero uccidere persino te?>> le domandai.
I suoi occhi si fecero talmente scuri da sfiorare i toni dell'ebano.
<< Persino me...>> confermò, << Ed ora andiamo.>>
Mi tese il palmo della mano, poi mi aiutò ad alzarmi.
Per alcuni secondi, faticai a rimanere in equilibrio.
Le gambe mi cedevano in continuazione, come se al posto delle ossa, avessi avuto pastafrolla bagnata.
<< Per di qua!>> mormorò quasi tra se, trascinandomi fuori dal fango.
Ci lasciammo dietro quella fossa d'acqua torbida, per poi imboccare il primo cunicolo a destra.
Tuttavia, tenere il passo, risultò un'impresa quasi impossibile.
Più ci inoltravamo in quel dedalo intricato di cunicoli, più il passo di Lizzy si faceva veloce.
Stava letteralmente correndo.
Molte volte inciampai nelle mie stesse scarpe, altre ancora in quelle di Lizzy, mentre un'irrefrenabile senso di angoscia, mi mozzava il respiro.
<< Quanto manca?>> sospirai.
<< Non molto.>>
Tuttavia, non riuscivo a scrollarmi di dosso quell'orrenda sensazione: temevo che stessimo girando a vuoto.
Anzi.
Ne ero quasi certa.
Le pareti di roccia s'assomigliavano tutte, ogni scenario era simile all'altro, tanto da rendere vano qualunque tentativo di riconoscimento.
Ma non per Lizzy, no.
Lei sembrava saper esattamente dove andare, cosa fare, come comportarsi.
Ed io mi ritrovai ad ammirarla. Incondizionatamente. Era davvero una ragazza incredibile.
Persa tra quei pensieri, mi accorsi solo in un secondo momento che l'ambiente era mutato in qualcosa di... diverso.
Ci trovavamo all'entrata di una grande sala rossa: era sormontata da colonne, un alto soffitto e un'infinità di piccole candele addossate alle pareti.
Il resto della stanza, era sommerso da una lieve penombra che c'impediva di vedere più in là del nostro naso.
Aguzzai lo sguardo, dopodiché la vidi.
Tra le alte colonne laterali, una minuscola scala sprofondava nel terreno.
<< Porta direttamente all'entrata del corridoio "T"...>> m'informò.
L'emozione, mi colpì come un dardo di fuoco all'altezza del cuore.
"Presto..." mi dicevo, " Presto sarò lì da te..."
Insieme, imboccammo la scalinata che ci avrebbe condotto da Miguel.
Mi limitavo ad avanzare lentamente, in punta di piedi, seguendo l'agile figura di Lizzy che scendeva i gradini con un'insolita grazia felina.
Ma non appena raggiunta la fine delle scale, ogni cosa mutò.
Vidi il volto di Lizzy cambiare colore, impallidire, per poi imperlarsi di un sottile strato di sudore.
Era preoccupata, troppo, tanto da artigliarmi il polso con le unghie.
<< Merda!>> imprecò, << Corri! Presto! Sento dei rumori provenire da nord. >>
<< Ma cosa?>>
Io non sentivo niente.
<< Shhh, non voglio che le guardie ci sentano!>> mi strattonò il braccio, << E prendi questo!>>
Senza perder tempo ulteriormente, mi porse un lungo pugnale affilato.
Era pesante, nero, non più lungo del palmo della mia mano e... terribilmente affilato.
Lo guardai spaventata, col cuore che pareva volermi fracassare la gabbia toracica.
Ero a malapena in grado di brandirlo.
Oh, mio Dio...
Avrei dovuto uccidere qualcuno?
La sola idea bastava a pietrificarmi.
Cominciammo a correre a perdifiato, finché troppo prese dalla foga di guardarci le spalle, dimenticammo totalmente di controllare chi o che cosa avremmo potuto trovarci di fronte.
Poi, trattenni a stento un grido strozzato: loro, le guardie... ci avevano trovato.

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Angolo dell'autrice!
Salve a tutti e perdonate l'ulteriore ritardo T.T io e le date di pubblicazione facciamo proprio a cazzotti! Comunque, oggi mi sono presa un bello spavento! Credevo che il mio pc fosse definitivamente morto e con lui questo capitolo, che è stato quasi un parto... quindi, ho rischiato di perdere il mio pargoletto. Forever T.T *momento di lutto* 
Ma invece no! In qualche modo, non so come nemmeno io, sono riuscita a far partire il pc di nuovo ed eccomi qui! 
Allora, premetto che ho dato solo una letta veloce e sto morta di sonno... quindi se trovate orrori, errori ecc... sappiate che è a causa del sonno! No, vabbè... sono io che sto rincretinita! 
Comuque... passando al chappy, non so troppo cosa dire! Solo che sono molto in ansi e vorrei sapere cosa ne pensate! Spero non vi faccia troppo schifo... purtroppo mi trovo in un punto alquanto difficile della storia! 
Come sempre, vi ringrazio TUTTI del supporto e l'affetto che dimostrate per questa storia!
Vi adoro! 
Un bacione...
Rob

<3

 

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Capitolo 47
*** Patto Col Diavolo ***


Patto Col Diavolo

_ Miguel_

La luce dorata delle fiaccole era debole, traballante, ma bastava a rischiarare l'ambiente circostante.
Ero solo.
Non c'era niente, in quella cella.
Niente di visibile ad occhio umano.
Ma io la sentivo, quella presenza, percepivo la sua essenza invadere lo spazio.
Lei era ovunque e in nessun posto.
<< Esci fuori...>> sibilai con un filo di voce, << È inutile nascondersi. Potrai anche avere addosso il suo odore, ma non mi faccio ingannare così facilmente: tu non sei lei...>>
Ci fu un lieve singulto, l'eco soffocato di una risata e nel giro di un secondo, l'aria putrescente s'arricchì di un aroma marino, speziato, dal retrogusto acidulo.
Semplicemente inconfondibile.
<< Povero tesoro...>> gorgogliò la donna, << Guarda come ti hanno ridotto!>>
Un pallido chiarore fuoriuscì furtivamente dalle tenebre, rivelando una figura sinuosa, aggraziata, completamente vestita di bianco.
<< Cassandra...>> sussurrai, << Sei per caso venuta a compatirmi?>>
La strega soppeso le mie parole, scuotendo lievemente il capo.
<< Non potrei mai...>>
<< Beh, allora sarai venuta a controllare queste...>> dissi indicando le catene ai miei polsi, << Ma sta pure tranquilla, stanno svolgendo il loro lavoro al meglio!>>
<< Ne dubitavi?>> rise, compiaciuta.
<< Niente affatto.>> sbuffai, << Ma perché sei qui?>>
La donna si fece più vicina, poi s'inginocchiò, strusciando la stoffa della sua tunica sul pavimento lercio.
<< Ero solo preoccupata per te... Miguel caro.>> mormorò, addolcendo la voce.
Le sue dita ghiacciate mi sfiorarono il volto, la fronte, per poi indugiare sul profilo delle labbra.
<< Sei affamato... il sangue che ti ha dato Rufus non è servito poi a molto.>>
<< Ho passato momenti peggiori...>> confessai.
<< Lo vedo.>> dichiarò piatta, interrompendo tutt'un tratto il contatto fisico.
Aveva sondato la mia mente a sufficienza, ma per qualche strano motivo, sembrava quasi infastidita.
<< Che c'è? I miei ricordi non sono stati di tuo gusto?>> la punzecchiai.
La vidi inarcare un sopracciglio, scuotere il capo e schioccare la lingua in modo sprezzante.
<< Tutt'altro, ragazzo mio. Li ho trovati estremamente interessanti...soprattutto quelli inerenti al periodo che hai passato insieme ai Von Kleemt. Sono accadute un'infinità di cose dall'ultima volta che ci siamo incontrati... Cose di cui non hai fatto minimamente parola con il Consiglio. Ci hai tenuto all'oscuro... sì, ma di tua spontanea volontà.>>
Sapevo a cosa si stesse riferendo, ed il solo pensiero che potesse usare quelle informazioni per fare del male ad Amelie... bastò a farmi ribollire il sangue di rabbia.
<< Tu non...>> incominciai.
<< Sta tranquillo... io sono dalla vostra parte...>> mi zittì subito dopo.
Ma davvero?
Che cosa esilarante!
Incapace di trattenermi, le scoppiai letteralmente a ridere in faccia.
<< Ah sì?>> sghignazzai, << E dovrei crederti, Cassandra?>>
La sua mano tornò ad accarezzarmi il volto, con estrema, estenuante, lentezza... mentre la sua espressione mutava, prendendo sembianze sconosciute.
Del tutto indecifrabile.
Quella dannata strega era l'enigma fatto persona.
<< Sta tranquillo...>> bisbigliò, accostando la fronte alla mia.
Ed immediatamente, il mio cervello fu subissato d'immagini.
Vidi lo studio di Cassandra, la luce accecante e poi lei, il mio Piccolo Tarlo entrare nella stanza.
Era pallida, esausta e... vestita come un uomo.
Ma non feci nemmeno in tempo a sentirla parlare, che la connessione tra la mia mente e quella di Cassandra s'interruppe.
La strega si era di nuovo scostata da me.
<< Com'è possibile?>> bofonchiai, incredulo. << Ryan mi aveva detto che ...>>
<< Quegli stupidi le hanno affidato Elizabeth...>> m'interruppe.
<< Lizzy?>>
Era strano, ma nell'apprendere quella notizia mi sentii in qualche modo sollevato.
<< Esatto... Lizzy. È stata lei a portarla da me.>>
<< Ma come?>>
Cassandra sbuffò spazientita.
<< Tu, ragazzo mio... tendi a sottovalutarla troppo. Amelie è una ragazza in gamba, ma temo che non farà in tempo a raggiungerti. Loro stanno arrivando.>>
<< Che vuol dire?>> domandai, senza fiato.
<< Semplicemente quello che ho detto...>>
<< Cassandra!>> la implorai, arrivando persino a stritolarle le mani.
Volevo che sentisse sulla sua pelle la mia disperazione.
Non riuscivo a controllarmi.
<< Non posso aggiungere altro.>> sentenziò, divincolandosi dalla mia presa.
<< Il tempo che ho a disposizione, è estremamente limitato...>> aggiunse subito dopo, << I sencondi passano, e sta quasi per esaurirsi del tutto. Quindi ascoltami bene, Miguel: lei è al sicuro, con Lizzy. Ma non ancora per molto. Quelle due sciocche si sono messe in testa di poterti salvare da sole, ma non sanno che a guardia del corridoio "T" ci sono i Molossis. Le uccideranno senza troppi preamboli.>>
<< Allora, fa qualcosa... dannazione!>> le inveii contro, << Salvale!>>
<< Mi piacerebbe...>> si affrettò a dire, << Ma non posso.>>
<< Cassandra... ti prego!>>
Se solo avessi potuto, avrei cominciato a strisciare a terra come un verme.
Che importanza potevano mai avere parole come "dignità" e "onore" in un mondo dove lei non c'era?
No... no, no!
Non potevo assolutamente permetterlo.
Avrei fatto di tutto, per Amelie; affrontato di buon grado qualsiasi tortura, qualunque tipo di dolore, e se necessario, dato in pasto a quelle belve la mia stessa vita.
Poi, d'un tratto... ogni cosa mi fu chiara.
<< Mi sono stufato dei tuoi giochetti, Cassandra!>> sibilai a denti stretti, << È giunto il momento di parlare chiaro: che cosa vuoi da me?>>
Il suo volto senza età si dipinse di falsa innocenza.
<< Io?>> si additò il petto teatralmente, << Soltanto avvisarti. Renderti partecipe....>>
<< Non dire stronzate!>> ringhiai, << Sputa il rospo! Tu non fai mai niente per niente. Vuoi sempre qualcosa in cambio. Sempre.>>
<< Mio caro... è questo che pensi di me?>>
<< Ti conosco...>> replicai, gelido. << Perché fare tutta questa strada, per affari che non ti riguardano? A cosa devo tanto disturbo da parte tua?>>
Le sue labbra sottili ed incredibilmente pallide si tesero ancor di più, fino a disegnare un sorriso sardonico.
Aveva denti dritti, perfetti, smaglianti.
Ma quale veleno si celava dietro un simile candore tanto innocuo?
Non feci tempo a chiedermelo, che un improvviso fragore si sparse nell'aria.
Urla, schiamazzi, ed imprecazioni irruppero nella cella, mentre dall'altro lato piccola stanza, il trillare metallico delle chiavi, cozzò contro la serratura.
E le sbarre si aprirono verso l'esterno, cigolando.
Poi il guizzare maligno degli occhi di Cassandra.
<< Miguel Meterjnick!>> tuonò la strega, alzandosi da terra in tutta la sua altezza.
Un cospicuo gruppo composto da una decina di uomini, si pararono ordinatamente alle sue spalle.
I mantelli di pregiato velluto color porpora, erano rivelatori.
Gridavano a gran voce il loro status, l'esatta posizione che occupavano all'interno dell'organizzazione.
Si trattava infatti di Molossis, mastini da caccia, addestrati ad uccidere qualsiasi cosa gli si fosse parata davanti.
Non avevano coscienza, nessuna pietà. 
Erano come macchine da combattimento, volte unicamente a seguire gli ordini del Consiglio. 
<< Il tempo a tua disposizione è terminato.>> proseguì Cassandra, avando d'un passo.
I suoi occhi neri baluginarono, il suo sorriso s'allargò, e prendendomi le mani, avvicinò le labbra al mio orecchio.
Ma non parlò, non disse niente.
Perlomeno... non a voce.
Anzi.
Le sue parole si riversarono come fiumi in piena nella mia testa, invadendola.
Stava utilizzando il contatto fisico per attuare una comunicazione mentale.
Non voleva che i Molossis ci sentissero, e quando capii il perché... rimasi completamente allibito.
Senza fiato.
Il mio cuore mancò qualche battito, poi, un afflusso di sangue e ghiaccio prese a scorrermi violentemente nelle vene.
Non era possibile... lei, sì.
Lei voleva...
Avrei dovuto tirarmi indietro, rifiutare, sputarle in faccia tutto il mio disprezzo.
Ma le sue condizioni erano chiare... ed io, non potevo fare altro che sottomettermi al suo volere.
<< E sia...>> replicai, la voce talmente bassa da sembrare quasi inudibile.
Ormai era troppo tardi per i ripensamenti.
Avevo stipulato un patto col diavolo, e come tale, andava rispettato.
Da entrambe le parti.
Cassandra sorrise e con un gesto plateale, fece segno ai Molossis d'intervenire.
<< Portatelo via...>> gli ordinò, << Il signor Meterjnick deve prepararsi in vista del processo.>>
Gli uomini le obbedirono, circondandomi in un istante con i loro corpi avvolti di porpora.
Erano armati fino ai denti.
Ma quando afferrarono le catene che mi stringevano i polsi per trascinarmi fuori dalla cella, un inatteso calore mi ustionò il palmo della mano.
"Finalmente..." pensai, facendomi furtivamente scivolare l'oggetto in tasca.
Sorrisi biecamente.
Almeno in quella prima parte, Cassandra era stata di parola.
Grazie a lei, la Mimesis... era tornata da me.
Potevo di nuovo stringerla tra le mie mani.

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Angolo dell'Autrice: 
O.O
Salve a tutti...
Credo di non aver mai, lo dico e lo ripeto.... MAI, aggiornato con una simile velocità. 
Mi faccio paura da sola... e non credo che si ripeterà in futuro con una simile celerità O.o
Ma è anche vero che il capitolo è un pò più corto del solito (appena 5 pagine di word)... ma fidatevi, non potevo fare altrimenti. 
La parte che viene dopo è moooolto lunga e complessa, e se le avessi unite... sarebbe venuto fuori qualcosa di eccessivamente chilometrico. 
Quindi, va bene così... almenospero! 
Ma veniamo al capitolo... sorpresa sorpresona, la misteriosa presenza captata da Miguelito non è niente popò di meno che Cassandra in visita turistica nelle prigioni. I due chiaccherano un pò del più e del meno, poi Cassy si cimenta nel doppio, triplo, quadruplo gioco... e sotto i baffi dei bestioni col mantello rosso, stringe una sorta di patto con Mig. Ma di che si tratta? Come mai la strega gli ha fatto riavere la Mimesis? 
Aaaah boh!
Posso solo dirvi che lo scopriremo nelle prossime puntate!

Come sempre, vi ringrazio per le letture e le recensioni! Vi amo!

Ps. fatemi sapere cosa ne pensate!

Un bacione, 

Rob
 <3


 

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Capitolo 48
*** Molossis ***


Molossis

_ Amelie_

I passi delle guardie risuonarono pesantemente nell'aria, mentre un miscuglio semiliquido di ghiaia e fanghiglia, scoppiettava come ciocchi di legna riarsa a contatto con le suole delle loro scarpe.
Strinsi forte il pugnale tra le dita, poi cercai di deglutire, invano.
La mia gola era secca, arida, scavata al suo interno da una dolorosa colata d'acido.
I rumori s'intensificarono.
Passo dopo passo, la presenza di quegli individui prese a gravare sulle nostre teste come una sentenza di morte.
E forse lo era.
Dopodiché, fumi di terrore presero a scorrermi nelle vene.
Era inevitabile.
E d'un tratto, loro erano lì... a pochi metri da noi.
<< Stanno arrivando!>> mormorò Lizzy, appiattendosi contro la parete rocciosa alle nostre spalle.
Immediatamente, feci altrettanto.
Non volevo farmi trovare impreparata.
Quindi serrai i pugni e chiusi gli occhi, fino a sentir male alla testa.
Se proprio dovevo morire, volevo farlo adeguatamente, con l'immagine di Miguel impressa a fuoco nella mia mente.
All'improvviso, però, mi sentii tirare.
Il mio povero cuore guizzò istantaneamente verso la gola, poi precipitò giù, troncandomi il respiro a metà.
Ma era solo Lizzy, che preoccupata dal tremolio spasmodico delle mie mani, si era affrettata a cingermele con forza.
<< Sta calma...>> sussurrò con un filo di voce, << Annulla del tutto le tue emozioni, almeno provaci: loro sono in grado di fiutare la tua paura.>>
Allora decisi di darmi un contegno, aprire i polmoni e respirare.
Sapevo che probabilmente sarebbe stato tutto inutile: quello non era altro che un disperato tentativo di passare inosservate, eppure... contro ogni logica, la nostra tattica si rivelò efficace.
Gli uomini erano soltanto in due, e ci passarono davanti senza degnarci di uno sguardo.
La cosa mi lasciò senza fiato, completamente sbigottita.
In quella fitta penombra, eravamo invisibili.
Persino ai loro occhi.
<< Maledizione! Che cosa ci fanno loro qui?>> imprecò d'un tratto Lizzy, non appena l'ultima guardia ebbe svoltato sul cunicolo di destra.
<< Che cosa?>> bisbigliai.
Non riuscivo a capire. Ma quando mi voltai a guardarla, stentai quasi a riconoscerla.
Era impallidita di botto: la sua pelle era talmente bianca e tirata, da sembrare cadaverica.
<< Lizzy...>> la spronai, << Che sta succedendo?>>
<< Hai v-visto i loro m-mantelli?>> balbettò in preda al panico.
Annuii con la testa.
Erano capi pesanti, all'apparenza costosi, di una sfavillante sfumatura color porpora.
<< E allora?>>
<< Beh, non credevo che avremmo incontrato proprio loro...>> continuò, << Oh, no. Avere a che fare con i Molossis, non rientrava affatto nei miei piani!>>
<< Che intendi dire? Non sono quelle le guardie di cui mi parlavi?>> la interrogai.
<< Magari lo fossero... ma no!>> scosse il capo.
Ero sinceramente preoccupata.
Sebbene la conoscessi da poco meno di ventiquattrore... non avevo mai visto la coraggiosa Lizzy con una simile espressione.
Pareva pietrificata dalla paura.
<< Cosa sano i Molossis?>>
Lizzy ridusse i suoi grandi occhi marroni a due fessure scure, mentre le sopracciglia si aggrottarono profondamente, fino a formare una sorta di "V" sulla fronte.
<< I cani da guardia del Consiglio: sono forti, senza pietà... duri a morire. Incredibilmente riservati. Di solito non frequentano mai queste parti. Sono relegati ai piani superiori.>> rispose.
Come, come, come?
La faccenda s'era fatta così intricata che la mia testa minacciava seriamente di scoppiare.
<< Ed ora che facciamo?>> domandai.
Avevo il cuore in tumulto.
Lei mi fissò intensamente, poi mi sorrise amabilmente.
<< Semplice, li seguiamo.>> replicò.
<< Che cosa?!>> forse avevo capito male...
<< Li seguiamo.>> ripeté, << Non sono mai scesa fin quaggiù, quindi non so da che parte si trovi effettivamente l'entrata del corridoio "T". >>
<< Vuoi dire...>> boccheggiai, << Che dovremmo seguirli per trovare la strada?>>
Lizzy fece un segno d'assenso col capo.
<< Tu sei pazza!>> le ringhiai contro.
<< Hai forse un'idea migliore?!>> disse fra i denti, risentita.
Avrei tanto voluto risponderle per le rime, la sua strafottenza m'irritava come poche cose nella vita... tuttavia, su quel punto, fui irrimediabilmente costretta a tacere.
Non sapevo niente dell'Ailthium, tantomeno di quelle diaboliche prigioni!
<< Va bene!>> borbottai.
Ma dentro mi sentivo di esplodere!
Com'era possibile una cosa del genere?
In che razza di situazione ci stavamo cacciando?
Quegli uomini erano pericolosi, dannazione!
Quanto tempo ci avrebbero impiegato a scoprirci?
E quanto per ucciderci?
Non osavo immaginarlo, eppure me lo sentivo.
Presto o tardi ci avremmo lasciato la pelle, poco ma sicuro!
<< Ed ora andiamo!>> mi spronò, trascinandomi per un braccio.
La seguii in silenzio, maledicendo ad ogni passo lei e le sue idee così brillanti.
<< Hanno preso il terzo cunicolo...>> biascicò, inoltrandosi nell'antro oscuro.
Era così buio, lì dentro, da non riuscire a vedere ad una spanna dal naso.
Tuttavia, la nostra personale dose di fortuna sembrava non averci abbandonato del tutto.
Difatti, ad una decina di metri di distanza, una flebile luce giallastra si accese nel nero più totale.
Erano loro, i Molossis!
<<
Avanti!>> mi sentii spintonare.
E fu proprio allora, che da fuggiasche ci tramutammo in inseguitrici.
Senza perder mai di vista il baluginio lontano delle loro torce, ci facemmo strada tra le rocce ed il fango, fino ad arrivare ad un corridoio più ampio e scosceso, che terminava esattamente in prossimità di un grosso portone.
Al di là di esso, solo il silenzio.
<< Eccoci arrivate!>> sentenziò lei, << Questa è l'entrata!>>
C'eravamo nascoste dietro un massiccio strato di pietra calcarea, e da lì, spiavamo i movimenti dei Molossis.
Però che strano...
Invece di entrare, i due energumeni si erano parati di fronte al portone, in attesa.
Di cosa?
Non avrei saputo dirlo.
Tenevano le gambe divaricate e le braccia posate sui fianchi.
Rigide, in quella che pretendeva d'essere una posa minacciosa.
" Ed ora?" mi chiesi.
Quegli uomini erano montagne: troppo grandi e grossi per poter essere alla nostra portata.
Ma non era solo una questione di mole.
Non del tutto, almeno
<< Sono armati fino ai denti...>> borbottò Lizzy, in apprensione.
E lo ero pure io.
C'erano spade, pugnali, pistole e fucili dalle svariate forme e misure... un intero armamentario ambulante, insomma! Eppure, Lizzy riuscì misteriosamente a non perdere del tutto la calma.
Ma come ci riusciva?
Io ero letteralmente immobilizzata dal terrore.
Poi, ricordai: lei non era come me.
Non lo era affatto.
Lavorava per l'Ailthium da chissà quanto tempo, proprio come Angus, Ryan e i mastodontici Molossis...
Era una di loro.
Una guerriera, una cacciatrice.
Sapeva badare a sé stessa: era in grado di difendersi, di combattere e mettersi in salvo.
Da sola, contando unicamente sulle proprie forze.
E per un istante, la invidiai come non mai.
Lei era tutto quello che non ero io, tutto quello che avrei voluto essere.
La guardai con rammarico, cercando in ogni modo di tirarmi su.
Lei restituì lo sguardo, poi si mosse in avanti.
Nel farlo, non produsse alcun rumore e munendosi della grazia d'un felino, continuò ad avanzare.
Voleva prenderlo di sorpresa, ma ci sarebbe riuscita?
Non osavo sperarlo.
Eppure riuscì a proseguire senza intoppi.
Fece altri due passi, oltrepassò la parete rocciosa, poi si fermò.
Uno dei Molossis girò il capo nella nostra direzione.
Oddio, Lizzy!
Incapace di guardare, chiusi gli occhi in preda al terrore.
Non volevo vederla morire... oh, no!
Non avrei retto un simile colpo!
Ma nessun rumore fendette l'aria, anzi.
Con mio sommo sollievo, ritrovai Lizzy sana e salva.
I Molossis non si erano resi conto di niente.
Grazie a Dio!
Lizzy avanzò nelle tenebre, quasi alla cieca, poi si voltò a fissarmi.
Il suo sguardo era acuto, penetrante, e dopo essersi appiattita contro l'ennesima parete, s'indicò l'occhio destro con l'indice, facendomi segno di prestare attenzione.
Dovevo tenermi pronta.
Annuii al suo cenno, dopodiché alzai in aria il pugnale nero che mi aveva dato, facendo sì che lo vedesse. 
Di tutta risposta, un sorrisetto beffardo le illuminò il viso.
Passarono alcuni secondi di stasi, finché dalle tasche esterne dei suoi pantaloni da uomo, estrasse una lucida monetina da un penny.
La vidi rigirarsela tra le dita, con fare nervoso.
Aveva la fronte imperlata di sudore e i capelli appiccicati alle tempie.
Ma come faceva a non crollare?
Le mie gambe tremavano a tal punto da impedirmi di stare in piedi.
Poi Lizzy emise un respiro profondo, e la scagliò lontano.
L'oggetto metallico andò a cozzare contro la superficie della grande porta alle spalle dei Molossis, per rotolare successivamente sul pavimento.
<< Chi va la?>> tuonò uno, scattando in avanti.
L'altro ghignò appena, stringendo con malcelata sicurezza una pistola tra le mani.
Eravamo spacciate!
Lo vidi sollevare l'arma fino all'altezza degli occhi, mirare al buio e fare fuoco.
<< Uscite fuori, o vi ammazzo sul serio!>> vociò, premendo nuovamente il grilletto.
Una, due, tre... troppe volte.
Sentii il riverbero degli spari bucarmi i timpani, le ossa, mentre spirali di fumo grigio fuoriuscivano lentamente dalla canna della sua pistola.
Per fortuna, né io né Lizzy fummo colpite.
Ma l'ultimo proiettile, per poco non mi ferì una gamba.
Il Molossis munito di pistola ci aveva individuato.
<< Come volete...>> latrò, ricaricando le munizioni.
Ma prima ancora che l'arma da fuoco potesse riprendere a sputare pallottole, un grido di battaglia ferì l'aria e Lizzy si lanciò all'attacco con il pugnale stretto in mano.
Era veloce.
Incredibilmente veloce.
I movimenti del suo corpo talmente celeri da risultare invisibili ad occhio umano.
Ma non era la sola a possedere una simile qualità.
Il Molossis con la rivoltella le si parò davanti, incominciando a sparare a raffica.
Lizzy schivò ogni colpo, facilmente, ingaggiando una mezza specie di danza scoordinata.
Era incredibile...
Riusciva a tenere testa ad un uomo tanto massiccio, per di più armato di pistola.
Un esaltante sentimento, un miscuglio malriuscito di speranza ed aspettativa, si fece strada nel mio cuore.
Sì.
Poteva farcela!
" Vai, Lizzy!"
Ma dov'era finito l'altro?
Mi voltai immediatamente in tutte le direzioni, i miei occhi che guizzavano impazziti da una parte all'altra.
Eppure, niente.
Non lo vedevo.
<< Ma tu guarda!>> esordì il buio, << Una ragazza!>>
Nell'udire quella voce roca, ebbi l'impressione di svenire.
"Eccolo qua! " pensai in preda al panico, "Mi ha trovata."
Ed ora?
Sentii la paura invadere ogni fibra del mio essere, scavarmi nel profondo, finché la nausea non fu tale che pensai di vomitare il mio stesso cuore.
Poi, fu molto peggio.
<< È giunta la tua ora...>> sentenziò la guardia.
Il suo sadico sorriso squarciò l'ombra più nera, allargandosi a dismisura.
Era ripugnante.
Allora strinsi il pugnale con ancora più forza, indietreggiando silenziosamente.
Desiderai con tutta me stessa che il terreno m'inghiottisse.
Ma non lo fece.
In un ultimo disperato tentativo, cercai con lo sguardo l'aiuto di Lizzy.
Tuttavia, non c'era più niente da fare: il Molossis l'aveva atterrata, puntandole il suo stesso pugnale alla gola.
"Perdonami!" sembravano dire i suoi occhi, mentre mi fissavano dall'altro capo del locale.
Quindi eravamo giunte alla fine?
Sospirai a fondo, avanzando d'un passo verso il mio aguzzino.
Che senso aveva scappare?
Avevo fallito, in tutto. 
Miguel... mi dispiace così tanto... 
L'uomo sogghignò divertito, protendendo le braccia verso di me, in direzione della mia gola.
Voleva strangolarmi.
E lo fece.
Ma prima che la pressione delle sue dita potesse diventare letale, un sibilo metallico mi sfiorò l'orecchio.
Poi il tumulto.
Le grosse mani del Molossis abbandonarono la presa, di botto, finché non vidi quest'ultimo accasciarsi come un corpo morto sul pavimento.
Mio Dio... 
Lui era morto, veramente!
Incapace di trattenermi... scoppiai a piangere, mentre una grande chiazza rossa, resa torbida dall'oscurità, si allargava intorno al corpo dell'uomo.
Al centro del suo petto, brillava l'impugnatura del mio pugnale nero.
Ero stata io?
Inorridita, mi fissai le mani sporche di sangue.
Ero davvero stata io? Non me ne capacitavo... com'era possibile?
Avevo appena ucciso un uomo... o forse no?
Mi voltai dall'altra parte, col cuore gonfio d'aspettativa. Magari era stata Lizzy... sì, non poteva essere altrimenti! Ma quando incontrai il suo sguardo, per poco non rimasi pietrificata. Il suo volto era bianco, pallido come uno straccio ei suoi occhi sbarrati mi guardavano con incredulità.
Oh, mio Dio!
<< Perché l'hai fatto?>> biascicò, alzandosi da terra.
Il corpo del suo giaceva ai suoi piedi, in un lago di sangue.
La gola trapassata da parte a parte.
Beh... anche lei, non ci era andata di certo leggera.
Feci per parlare, ma una folata di vento gelido mi paralizzò le ossa.
Non ce l'aveva con me.
I suoi occhi mi oltrepassavano.
C'era qualcun altro alle mie spalle.
Dopodiché un risolino acuto investì l'aria.
<< Ordini della mia Signora.>> proruppe dal nulla una vocetta fastidiosa.
Dov'è che l'avo già sentita?
Mi voltai istantaneamente, trovandomi faccia a faccia con un visetto smunto, pallido, e due inquietanti occhi grigio-azzurri.
Era la ragazzina al servizio di Cassandra.
<< S-sei...>> la voce mi morì in gola.
<< Sì.>> trillò, giocherellando con le mani.
<< Sono stata io.>>
Il sangue mi defluì dal cervello, dandomi le vertigini.
Ma bene, stavo impazzendo.
Non c'era ombra di dubbio.
<< Non dire assurdità...>> mormorai, << Sei soltanto una bambina! E i pugnali...>>
<< Irys ha usato la telecinesi.>> s'intromise Lizzy, raggiungendo il mio fianco.
Che cosa?
<< Telecinesi?>> bofonchiai.
La ragazzina, Irys, si strinse nelle spalle.
Come se spostare gli oggetti senza toccarli, fosse una cosa del tutto normale.
<< Non sono qui per parlare di me.>> disse, avvicinandosi d'un passo.
Lizzy s'irrigidì.
<< E per quale motivo allora?>>
Un lieve sorriso solcò le labbra di Irys, mentre il tintinnio della sua risata rimbombava da una parte all'altra.
<< Ordini della Signora.>> ripeté, << Ho il compito di scortarvi nei piani superiori. Vi aspetta nell'Arena.>>
<< L'Arena?>> chiesi.
Guizzai con lo sguardo in direzione di Lizzy, ma quello che trovai non mi piacque affatto.
Il suo viso era terreo, la sua espressione funerea.
Non prometteva niente di buono.
<< Vuol dire che non c'è più tempo? L'hanno già portato via?!>>
Irys ignorò completamente la mia domanda.
<< Da questa parte...>> sospirò.
<< Aspetta!>> la fermai, << Che cosa vuol dire?>>
I suoi occhi m'inchiodarono con uno sguardo glaciale.
<< La mia Signora vi sta aspettando.>> sussurrò con un filo di voce, << Il processo sta per iniziare.>> 

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Angolo dell'Autrice!
Salve salvino! *alla Ned Flanders* 
Stranamente, non vi ho fatto aspettare poi molto, dai... ma bando alle ciancie! 
Finalmente scopriamo cosa è successo ad Ame e Lizzy, che come preannunciato nel capitolo precedente, devono vedersela con i Molossis. Ovviamente nonostante ci provino con tutte le loro forze, gli energumeni vestiti di rosso sono fortissimi... ma! Ecco Irys, la bambina inquietante, la servetta di Cassy. Ve la ricordavate? Io scommetto di no XD 
Cmq la ragazzina non è brava solo a fare il lancio dei coltelli grazie alla telecinesi, no... è anche un tom tom coi fiocchi! Che porterà le due ragazze dritte dritte da Cassy! Siete pronte ad assistere a questo fantomatico Processo???
Io non vedo l'ora! 
Ed adesso, come sempre vi ringrazio per il supporto, per le recensioni e per le letture T.T Se sono arrivata fin qui è merito vostro! Grazieeeee
Farò il possibile per aggiornare entro sabato prossimo... se mi parte la mano, anche prima! Quindi boh, staremo a vedere! Un bacione
Rob

<3

 

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Capitolo 49
*** L'Arena ***


L'Arena
 

_ Miguel_

Lassù, in alto, oltre il buio delle prigioni e le stravaganti bizzarrie degli alloggi e delle camere di rappresentanza, si stagliava un lungo corridoio cosparso di porte.
Era un luogo buio, misterioso, illuminato a malapena dal tenue luccicore delle torce.
Le mura erano spoglie, verniciate di bianco, ed il soffitto incredibilmente basso; dava quel senso di claustrofobica chiusura, di tomba, come se da un momento all'altro le pareti dovessero crollare su loro stesse e seppellirci al disotto delle macerie.
Più mi guardavo in giro, più mi mancava l'ara.
In quasi centocinquanta anni di onorato servizio all'interno dell'Ailthium, avevo attraversato quell'androne in sole tre occasioni.
Tutte e tre finite inevitabilmente male.
Come da manuale, i processati erano stati dichiarati colpevoli e di conseguenza, puniti con la pena capitale: l'aquila di sangue.
Una tortura orrenda, inumana, che consisteva nel separare le costole della vittima dalla spina dorsale.
Le ossa erano spezzate in maniera tale da farle sembrare effettivamente un paio d'ali insanguinate, dopodiché, i polmoni venivano estratti dalla gabbia toracica per poi essere adagiati sulle spalle.
Il tutto, mentre il condannato era ancora in vita.
Il solo pensiero bastava a ghiacciarmi il sangue... ma l'avrebbero fatto anche con me?
All'improvviso, un tocco gelido mi riportò alla realtà.
Era Cassandra, che con la punta delle dita mi aveva appena sfiorato una guancia.
" Oh no... " parlò all'interno della mia testa, "Non solo..."
" Che c'è? Il Consiglio non si fida del suo boia?"
le risposi.
Il suo sorriso si allargò impercettibilmente, e i suoi occhi d'onice scintillarono come diamanti.
" Tutt'altro, mio caro... Non si fidano di te. Non abbiamo mai processato uno della tua stirpe, quindi gli Anziani pensano che nonostante tutto... riuscirai a sopravvivere all'Aquila di Sangue. Quindi, vogliono accertarsi che la tua dipartita sia... definitiva."
La guardai con finto stupore, sollevando subito dopo le labbra in un sorriso sghembo, arrogante.
" Dipartita definitiva..." ripetei, " E come, di grazia?"
I suoi polpastrelli interruppero il contatto, ed in un turbinio di stoffe, la vidi voltarsi per poi accelerare il passo.
<< Lascialo a me, Jorge.>> intimò al Molossis che reggeva le mie catene.
L'uomo la fissò per un attimo interdetto, dopodiché obbedì agli ordini della strega, lasciandole in mano le redini della situazione.
Ma non appena gli anelli metallici sfiorarono la sua pelle, una violentissima scossa elettrica attraversò l'oggetto inanimato, facendomi dimenare e gridare al dolore.
Quello non era niente: solo un assaggio, un avvertimento.
Una gratuita dimostrazione di forza, volta unicamente a farmi comprendere chi fosse, tra noi due, ad avere il coltello dalla parte del manico. 
Brutta stronza...
Se non avessimo stipulato quel patto, le sarei saltato al collo senza alcuna esitazione.
Che sapore disgustoso poteva mai avere... il sangue di una strega tanto vecchia?
Morivo dalla voglia di scoprirlo, ma più di ogni altra cosa al mondo, di cancellarle quel sorrisetto sardonico dalla faccia.
Non riuscivo a sopportarlo.
<< Eccoci arrivati, Sterminatore...>> tuonò lei, girandosi un'ultima volta a guardarmi.
I suoi occhi sembravano più scuri della morte, senza fondo... erano tenebra liquida.  
Ci eravamo fermati, sì.
Proprio lì di fronte.
E non me n'ero minimamente reso conto.
<< Ma bene...>> mormorai tra me e me.
Alzai lo sguardo sull'enorme portone di bronzo che mi stava di fronte, notando immediatamente le affascinanti raffigurazioni che vi erano scolpite sopra.
Saltavano subito all'occhio, e in un certo qual senso... incutevano persino terrore.
Ma non mi lasciai spaventare dall'incredibile verosimiglianza del metallo fuso, né tantomeno dalla maestosità di quei corpi intrecciati.
Ogni cosa era finta, mera imitazione... nulla più che vuoto decorativismo.
La parte superiore del portone, si chiudeva con una forma ogivale, dalla quale spuntava un bassorilievo rappresentante un sole, con al centro l'imponente sagoma della Chimera, indiscusso araldo dell'Ailthium.
Poi, più in basso, si stagliava un intricato groviglio di membra intrecciate: c'erano angeli, diavoli, orrende belve alate e una moltitudine di fiamme recalcitranti.
Il tutto farcito da strani rilievi e simboli esoterici.
<< "Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate...">> recitai.
Il volto di Cassandra rimase impassibile, freddo, finché il suo sguardo non si posò sulla porta che veniva aperta dai Molossis.
Un flebile nastro di luce venne proiettato sul pavimento, l'aria si riempì di urla ed insulti, mentre con ancora più vigore, le catene che mi serravano i polsi presero a tirare.
Lanciai lo sguardo all'interno di quello spiraglio di luce, poi indietro, da dove eravamo venuti.
Ma era troppo tardi, ormai.
Non potevo più scappare.
Senza fare rumore, abbassai la mano sui pantaloni e con la punta delle dita, tastai la Mimesis attraverso gli strati di stoffa. Non appena sfiorai il leggero rigonfiamento all'interno della tasca destra, mi lasciai scappare un flebile sospiro di sollievo.
Eccoti qua...
Ma non c'era bisogno di toccarla, per sentire la sua presenza.
La percepivo e basta.
Fisicamente.
Come se il mio sangue pulsasse all'interno del rubino scarlatto e viceversa: eravamo un'unica cosa.
Eppure, avevo bisogno di assicurarmi che la Mimesis fosse lì, sotto il mio controllo, a portata di mano.
Ne andava della mia sanità mentale.
<< Avanti, entra.>> mormorò Jorge, strattonandomi all'interno della sala.
<< Non speravo in una simile affluenza!>> replicai sottovoce.
Jorge mi trafisse con lo sguardo, ma non disse nient'alto.
Si limitò a rimanere in silenzio, com'era consono ad un buon soldato.
D'altra parte, fu proprio Cassandra ad intercedere per lui.
<< Non lo vedi, mio caro Miguel? Sono tutti impazienti di mandarti all'inferno.>>

---

Placidamente adagiata sull'ultimo piano dell'edificio, l'Arena consisteva in un enorme sala dalla pianta circolare, con ampie mura in laterizio ed un soffitto altissimo, che sembrava terminare con una pseudo cupola a cassettoni.
Al centro esatto della struttura si apriva una specie di lucernario, dal quale filtrava un sottile cono di luce argentata.
Si trattava della luna, che col suo dolce abbraccio accarezzava la lustra pavimentazione lastricata e le varie architetture interne che fungevano d'arredamento.
Sottili colonne di marmo, in stile prettamente corinzio, adornavano l'intero perimetro della stanza, dividendo l'ambiente in tre differenti livelli: la prima galleria, riservata esclusivamente al pubblico; la seconda galleria, volta a contenere la giuria; ed infine, un soppalco coperto di veli.
Veniva chiamato velario e celava a tutta l'organizzazione i volti e le fattezze appartenenti ai vari membri del Consiglio Ristretto.
Nessuno doveva scoprire la loro identità: era severamente vietato.
Abbracciai con lo sguardo l'ambiente, ritrovandomi al centro esatto dell'Arena; tutt'intorno, il caos.
La stanza era talmente ampia, da riuscire ad accogliere sui suoi spalti almeno un migliaio di persone... escluse le guardie, ovviamente.
E frementi d'eccitazione, tutti quegli spettatori indesiderati invocavano a gran voce la mia morte.
La cosa non avrebbe dovuto scalfirmi, io ero superiore a tutto quello... eppure, non riuscii ad evitare di provare un'infinita collera nei loro confronti.
Ero furioso, irritato, disgustato.
Era quello il ringraziamento per i miei servigi?
Per anni e anni di lotte, stragi ed uccisioni?
Per le innumerevoli vite che avevo troncato in nome dell'Ailthium?
Mi sentivo tradito.
Sapevo di non essere mai stato nelle grazie del Consiglio... ma loro, i miei compagni di mille battaglie... come potevano acclamare con un tale fervore la pena capitale? 
Un irrefrenabile istinto omicida fece ribollire il mio sangue, tanto da incendiarmi per un attimo gli occhi di rosso.
Non potevo sopportare la loro vista, non ci riuscivo.
Ma distogliere lo sguardo non servì assolutamente a niente.
Le loro grida erano ovunque: perforavano i timpani, mi assordano, e come fastidiosi latrati destabilizzavano la mia attenzione.
Mi distraevano.
<< Silenzio!>> si udì gridare all'improvviso, << Fate silenzio!>>
In tutta la sua statura, si fece avanti Angus.
Indossava una tunica grigia, lunga fino ai piedi e sulle spalle, un cupo mantello di velluto blu: simbolo del suo alto retaggio di Generale.
Nonostante la sua mole esagerata, si muoveva elegantemente, con la grazia innata di un felino.
Al suo passaggio tra la folla, il pubblico si zittì all'istante.
La sala del giudizio era avvolta da una cappa di surreale silenzio.
Senza aggiungere altro, il Generale scese gli ultimi gradini che separavano gli spalti dall'alto colonnato, dopodiché entrò nell'arena.
I nostri sguardi si fronteggiarono, mentre, strafottenti come non mai, le sue labbra dall'aspetto rozzo si piegavano in un sorriso.
Gioiva del momento, della posizione privilegiata in cui si trovava.
Del potere.
Ed io, lo odiai con ogni fibra del mio essere.
<< Angus...>> sibilai a denti stretti.
I suoi infidi occhi scuri si posarono all'interno dei miei, poi sugli spalti.
<< Fate entrare i Gladiatori!>> urlò.
Un brivido freddo mi attraversò la spina dorsale, vertebra dopo vertebra.
Ma cosa stava succedendo?
Non credevo ai miei occhi.
<< E questo cosa vuol dire?>> ringhiai, << Cos'è questa pagliacciata?!>>
Il sorriso beffardo di Angus si allargò a dismisura.
<< Che c'è, Sterminatore? Non sei contento della calorosa accoglienza?>>
<< Tutt'altro. Ne sono infinitamente onorato!>> ghignai sprezzante.
Angus fece altrettanto.
Proprio dinnanzi a noi, si stagliavano le possenti figure di un centinaio di detenuti.
I loro polsi erano liberi, privi di qualsivoglia restrizione metallica e tra le loro dita scintillavano affilate armi da taglio.
Coltelli, sciabole, spade, sciabole, pugnali... addirittura lance e asce bipenni: un intero arsenale da battaglia.
E non era difficile indovinare quale fosse il loro scopo.
<< Credevo che i processi si svolgessero diversamente...>> mi rivolsi ad Angus.
Lui si strinse nelle spalle.
<< Per te abbiamo fatto un'eccezione, Miguel. Sei troppo pericoloso. Potresti giocarci brutti scherzi.>>
Non riuscii a trattenere le risate.
<< Ah si? Quindi volete sfinirmi, prima di cominciare?>>
Il suo sguardo fu illuminato da una scintilla sadica, e avvicinando il capo al mio, prese a parlarmi sottovoce.
<< Esatto, amico mio. E poi...>> mi sussurrò nell'orecchio, << Il Consiglio vuole fare pulizia... divertirsi...>>
Finita la frase, Angus si scostò da me.
Voleva che li osservassi... i suoi Gladiatori.
Che focalizzassi la mia attenzione su di loro.
E così feci.
Dapprima li guardai in faccia, uno per uno, poi spostai lo sguardo sulla tribuna riservata al banco dei giudici.
Come sempre, le poltrone erano tre e venivano poste su diversi livelli d'altezza.
Il podio più alto, era occupato da un uomo anziano, piuttosto calvo, completamente vestito di nero.
<< Bartholomew Parrish!>> lo salutai, alzando la voce affinché tutti potessero udirmi.
<< Quale piacere!>>
Vidi i suoi piccoli occhi infossati spostarsi su di me, inchiodarmi, finché pungenti come spilli, le sue pupille mi trafissero da parte a parte.
<< Silenzio in aula!>> vociò l'uomo in sovrappeso che sedeva alla sua destra.
<< Come osi rivolgerti così irrispettosamente al Giudice Supremo?>> continuò l'altro, alla sua sinistra.
Bartholomew placò gli animi con un molle cenno della mano, invitandomi gentilmente ad avanzare d'un passo.
<< Miguel Meterjnick...>> mi chiamò, << Per ordine del Sacro Consiglio Ristretto, dell'Ailthium e di Nostro Signore... sei stato richiamato qui, in questa sede... in questo luogo di parità e giustizia per essere giudicato. Ma... ciò non avverrà.>>
Fece una lunga pausa.
<< Almeno, non prima di aver pagato pegno.>>
A stento, riuscii a trattenere un'ondata irrefrenabile di risate e senza troppi intoppi, il vecchio Bartholomew riprese a parlare.
<< Qunto sei disposto a pagare, per la salvezza? Quante vite potrai mai sacrificare? Beh, a quanto pare... lo scopriremo molto presto. Non sarai processato. Non prima di aver affrontato, sconfitto ed ucciso in battaglia... ognuno di questi criminali.>>
Di tutta risposta, i Gladiatori sollevarono le armi in aria, cominciando ad urlare a squarciagola.
<< Per quanto riguarda voi, invece...>> disse rivolgendosi direttamente a loro, << Chiunque riuscirà a portarmi la testa dello Sterminatore, sarà ricompensato. Premio: la grazia ed il rilascio immediato dalle prigioni.>>
Ulteriori grida, stavolta d'esultanza, si unirono alle precedenti.
Si trattava di una questione di sopravvivenza.
Poveri uomini...
Come potevano anche solo immaginare prendere in considerazione l'idea di rifiutare?
Il Consiglio li stava manipolando, l'illudeva, offrendogli una libertà che non sarebbe mai giunta.
Maledetti bastardi...
Mandare al macello tutte quelle persone?
Per cosa?
Per il macabro gusto di farlo?
Per la noia?
Per sfiancarmi?
O forse... erano veramente così stupidi da pensare anche solo lontanamente, che quell'insulso manipolo di uomini potesse fermarmi?
Ero ferito, vero.
Anche affamato e dannatamente troppo debole.
Ma ero pur sempre un mostro; un mostro dotato di una forza sovrumana.
Non avevano alcuna speranza di sconfiggermi.
Nessuna chance.
Erano come agnellini sacrificali, mandati direttamente tra le fauci del leone.
<< Ed ora...>> intervenne Angus, << Che i giochi abbiano inizio!>>

 
---

<< No!>> gridai, smorzando immediatamente gli animi.
I Gladiatori rimasero a fissarmi interdetti.
Mentalmente, ringraziai qualunque entità divina avesse accolto le mie preghiere.
<< Vi prego...>> continuai, rivolgendomi direttamente a loro. << Ascoltatemi.>>
Quegli uomini erano sul piede di guerra, avrebbero potuto infischiarsene della mia voce e partite ugualmente alla carica, ma non lo fecero. Stranamente, rimasero in silenzio. Le orecchie tese, e sui volti... un'espressione di puro terrore.
Mi temevano... e facevano bene.
<< Ascoltatemi.>> ripetei, << Credete davvero... a queste insulse promesse? Non vi hanno forse ingannato già troppe volte... questi cani rognosi? Non vi hanno già portato via tutto?>>
L'assoluto mutismo delle loro bocche, mi incoraggiò ad andare avanti.
Non volava una mosca e l'intera sala sembrava pendere dalle mie labbra.
<< Molti di voi mi conoscono...>> asserii, guardando fugacemente il pubblico sugli spalti.
Poi ritornai alla cospiqua guarnigione di galeotti che mi stava di fronte.
<< Tutti gli altri, invece, conosceranno la mia fama.>>
Vidi la maggior parte di loro annuire.
<< Quindi saprete con chi... o più precisamente con -cosa- avete a che fare. Io non sono come voi. Sono la morte, il vostro incubo più recondito. La mia forza eguaglia quella di tutti voi messi assieme; le mie mani possono spezzare le vostre ossa con un leggero tocco. I miei artigli mozzarvi gli arti. E i miei denti...>> snudai le zanne, << Sono in grado di dilaniarvi la carne senza alcuna pietà. Posso nutrirmi da voi. Di voi. Del vostro sangue. E grazie ad esso rigenerarmi e divenire ancora più potente. Quasi invincibile.>>
Alcuni presero ad indietreggiare, altri a tremare, altri ancora a stringere convulsamente la propria arma tra le mani. Come se il metallo tagliente, in qualche modo, potesse difenderli dalle mie parole.
Ma non accennai a smettere, anzi.
Ero un fiume in piena di ammonimento e persuasione.
Volevo farli ragionare, portarli dalla mia parte, evitare un'inutile strage.
<< Perché morire invano?>> alzai la voce, << Perché regalare un'ulteriore soddisfazione a questi bastardi? Il Consiglio sta solo giocando, con voi. Gioca con le vostre vite, con i vostri sentimenti, con le vostre illusioni. E allora mi chiedo: per quanto ancora avete intenzione di abbassare la testa e sottostare a questo folle e perverso gioco? >>
Un vociare sommesso si alzò dalle loro fila.
Li stavo confondendo.
Aguzzando l'udito, potevo sentire molti di loro confabulare a mio favore.
Ma ce n'erano tanti altri ancora indecisi, vacillanti.
Scettici.
<< Unitevi a me!>> proseguii, scattando in avanti.
Il titillare delle catene graffiò il pavimento.
<< Unitevi a me! Insieme... tutti noi... potremmo rivoltarci contro questo sistema corrotto, malato... potremmo finalmente prendere il potere e ribellarci. La libertà sarebbe per tutti, per ognuno di voi e non soltanto per un unico individuo! Aboliremo le torture e le prigioni. Nessuna esecuzione, nessuna pena di morte. Solo giustizia. Quindi ve lo ripeto: unitevi a me! Seguitemi. Lottate al mio fianco. Ed insieme, riusciremo a riconquistare la nostra libertà!>> strepitai, << Morte all'Ailthium!>>
Un boato assordante di acclamazioni esplose nell'aria.
<< Morte all'Ailthium!>> invocarono in coro.
E come furie dell'inferno, i miei Gladiatori dimenarono le armi al cielo.
Allora rivolsi lo sguardo in direzione di Bartholomew, che dall'alto della sua posizione fissava la scena con sguardo annoiato.
Ma tutta l'indifferenza della quale si forgiava, non era altro che una facciata.
Il suo volto era cereo, pallido, e le sue labbra sottili erano scosse da leggeri fremiti.
Poi appuntai gli occhi sulla faccia di Angus.
Era il ritratto della collera: urlava, sbraitava, impartiva ordini a destra e a manca.
Un sorriso bieco m'illuminò il volto, dopodiché, l'eccitazione dell'imminente battaglia mi colorò gli occhi di rosso. 


 
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Angolo dell'Autrice: 
Salve a tutti!Ecchime qua!
Ladis and Gentlemen! 
Come va? A me potrebbe andare meglio, ma si va avanti!
Mi scuso profondamente per il ritardo... avevo accennato al fatto che probabilmente avrei aggiornato entro ieri... ma ahimè sono in ritardo di un giorno! Vi chiedo perdono! Ma nel bene e nel male eccomi qui... con questo nuovo capitolo... che per me è stato letteralmente un parto O.O
Spero che vi sia piaciuto, e che sia riuscita a rendere l'Arena come ce l'avevo in testa. Chissà?
Inizialmente volevo rendere il capitolo da entrambi i punti di vista di Ame e Mig... ma poi ho deciso di riservare lo spazio tutto per Miguelito.
In realtà non ho molto da dire... spero che lo facciate voi! E mi auguro che non sia venuto su qualcosa di terribile!
In tal caso, non esitate a dirmelo! 
E niente, vi ringrazio con tutto il cuore e vi annuncio che siamo vicini al termine della prima parte di Scarlet! 
Escludendo questo, infatti... potrebbero mancare ancora cinque\sei capitoli (lo so, avevo detto la stessa cosa per i capitoli precedenti, ma in fase di scrittura poi... ne sono venuti inevitabilemente su degli altri) XD
Fatto sta, che siamo vicini al termine di questo supplizio! XD 

Un bacione enormissimo

Vostra, 
Rob
<3 


 

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Capitolo 50
*** La Ribellione ***


La Ribellione


_ Amelie_

Il mio cuore stava impazzendo.
Mi tamburellava furiosamente nel petto, tanto forte da darmi la sensazione che da un momento all'altro potesse implodere, scoppiare.
Si trattava forse di un infarto?
Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermelo, che dal basso, si levarono cacofoniche grida di morte.
Guardai Lizzy di fianco a me, poi le minute spalle della nostra accompagnatrice.
Investiti dalla luce soffusa di quello strano posto, i suoi capelli parevano quasi argentati.
<< Morte all'Ailthium!>> strillarono alcuni uomini.
Con sempre maggiore sgomento, feci un passo in avanti.
Non potevo credere ai miei occhi: cosa stava accadendo?
Quasi a tentoni, trovai le mani di Lizzy, stritolandogliele nelle mie.
<< Cos'è questo?>> gracchiai.
Davanti ai miei occhi, si apriva una bolgia tumultuosa, caotica, fatta di corpi sanguinanti ed urla sguaiate.
Lame conto lame, uomini contro uomini, detenuti contro Molossis.
Mi chiesi spasmodicamente chi stesse avendo la meglio, ma non si capiva.
Da quella distanza, era impossibile definirlo con esattezza.
C'era troppa confusione.
<< Buon Dio...>> mormorò Lizzy, ricambiando la stretta delle mie mani.
Aveva i palmi sudati e negli occhi un'espressione di puro terrore.
<< Cosa sta accadendo?>> domandai.
Irys, - la ragazzina in grado di utilizzare la telecinesi, nonché fidata servitrice di Cassandra- si limitava a seguire la scena con occhi spenti, distaccati.
Dava l'impressione che si stesse annoiando.
<< La mia Signora non ne sarà affatto contenta.>> sussurrò, << Tutto questo... non rientrava nei piani. È troppo presto.>>
<< Cosa intendi dire?>> la incalzai.
Per un attimo, il suo sguardo inespressivo si posò su di me, inchiodandomi, ma non durò che pochi secondi.
Il tempo d'un battito di ciglia, dopodiché... lo distolse con naturalezza.
<< Non lo vedi da sola?>> chiese in tono sprezzante, << È in atto una rivolta.>>
Nell'udire quelle parole, sentii il mio stomaco contorcersi in una capriola.
<< Una rivolta?>> ero incredula.
Lizzy abbandonò la mia mano e avanzando di qualche passo, si sporse in avanti per vedere meglio.
Ci trovavamo all'interno di una sala enorme, sull'ultimo spalto di quella che sembrava essere una grossa mensola di marmo.
Sotto di noi, la battaglia imperversava senza sosta.
Era assurdo, eppure avevo come l'impressione di essere stata catapultata indietro nel tempo, nell'era Imperiale, dove era del tutto normale assistere a simili combattimenti.
Proprio come nei cruenti Giochi romani, uomini che sembravano in tutto e per tutto dei moderni gladiatori, si scontravano gli uni contro gli altri; mentre su un palco rialzato, svettava l'imponente figura d'un vecchio omino calvo.
A giudicare dall'abbigliamento, aveva tutta l'aria di essere una persona estremamente importante.
Magari era il capo dell'intera organizzazione.
<< Lui è Bartholomew Parrish.>> spiegò Lizzy, intercettando la direzione del mio sguardo.
<< Chi è?.>> domandai.
<< Il nostro Giudice Supremo, colui che stringe nelle sue mani i fili del nostro destino. È l'unico uomo all'interno dell'Ailthium ad aver interagito faccia a faccia con i membri del Consiglio Ristretto. Non c'è nessuno potente come lui. Nemmeno Cassandra.>>
Quelle affermazioni bastarono ad inondarmi la schiena di brividi.
Cassandra era spaventosa, ma a quanto risultava dalle parole di Lizzy, questo Bartholomew Parrish lo era molto di più.
Improvvisamente, ci fu un boato assordante, metallico, come di acciaio incrinato.
Vidi la gente ammassarsi ai lati dell'arena, correre a perdifiato pur di scappare: era terrorizzata.
Non c'era alcuna differenza tra prigionieri e Molossis.
Entrambe le parti, se la facevano sotto dalla paura.
Ma cosa stava accadendo?
Un varco si aprì al centro esatto della pavimentazione, lasciando al suo interno i contorni indistinti di due sagome maschili.
Una a terra, distesa supina in un lago di sangue; l'altra in piedi, tremante, la schiena incurvata in avanti.
Qualche metro più in là, brillavano i frammenti spezzati di una catena.
Oh, mio Dio!
Avrei potuto riconoscere quella figura ovunque, in qualsiasi caso, persino a un chilometro di distanza.
Il mio cuore si fermò per attimi interminabili, poi riprese a battere furiosamente contro la cassa toracica.
Ad ogni colpo, sentivo i polmoni graffiare e la gola inaridirsi.
Mi mancava il respiro.
<< Miguel...>> mormorai, la voce frantumata in mille pezzi.
Era così flebile da risultare inudibile.
Eppure, nel momento esatto in cui pronunciai il suo nome... un paio di occhi scarlatti si allacciarono ai miei, togliendomi definitivamente il fiato.
Rischiavo di collassare.
Non mi ero mai sentita così.
L'elettricità allo stato puro mi scorreva nelle vene, mentre un vortice incontrollabile di sentimenti m'inondò gli occhi di lacrime.
Non riuscivo a fermarle.
Era impossibile.
Ma nonostante la vista offuscata dal pianto, il bagliore rosso sprigionato dalle sue iridi si era impresso a fuoco nella mia testa.
Come una solco, una ferita... un marchio.
Non sarebbe svanito nemmeno se avessi serrato le palpebre.
Accortasi della mia reazione, Lizzy prese a tirarmi, a strattonarmi il braccio, ma niente aveva effetto su di me.
Ero completamente ipnotizzata da Miguel e dai suoi occhi di fiamma.
<< Amelie!>> prese allora ad urlare lei, << Muoviti! Dobbiamo andarcene!>>
Ma non l'ascoltai.
Non potevo ascoltarla.
L'intero universo s'era addensato nelle pupille del mio amato Miguel ed il mondo aveva preso a girare solo e per noi.
Poi i suoi occhi ebbero un guizzo: da sorpresi ed increduli si fecero scrutatori.
Li vidi soffermarsi languidamente sul mio viso, percorrermi il corpo, per poi inchiodarmi nuovamente.
Erano avidi, smaniosi, affamati.
Mi ammaliavano senza alcun ritegno, inebetendomi i sensi, come una droga.
<< Amelie...>> mimarono le sue labbra.
Ed istantaneamente, il cuore mi esplose nel petto.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'avevo visto?
Giorni?
Settimane?
O forse secoli?
Non avrei saputo dirlo.
L'unica cosa che contava era che lui stesse bene, che fosse ancora vivo.
" Ma per quanto, ancora?"
Quel pensiero mi ghiacciò il sangue nelle vene.
Innumerevoli ferite gli segnavano la pelle nuda del torso, mentre vasti ematomi macchiavano di viola la schiena e gran parte del volto.
Era esausto, provato dagli eventi, dalla fame e dalla battaglia.
Ma gran parte del sangue che aveva addosso, non gli apparteneva.
Anzi.
Proveniva direttamente dal cadavere steso ai suoi piedi.
Ma quello...
Come avevo fatto a non accorgermene prima?
Il corpo sdraiato a terra apparteneva al compare nerboruto di Ryan Blackwood, quel certo Angus... che come un animale scuoiato, annegava nel suo stesso sangue.
Miguel l'avevo ucciso.
Deglutii a fatica, mentre innumerevoli brividi giocavano a rincorrersi lungo la mia colonna vertebrale.
<< E muoviti!>> mi strattonò per l'ennesima volta Lizzy.
Tuttavia non riuscii ad accontentarla.
Dapprima rimasi immobile; quando le sue braccia presero a trascinarmi con maggiore forza, puntai i piedi a terra.
Ero come una bambina cocciuta, disubbidiente, che alla prima occasione, riusciva a svincolare dalla presa salda della mamma, per scappare.
E così feci.
Senza guardarmi indietro, presi a correre sugli spalti.
Mi sembrava di volare, a malapena i miei piedi toccavano terra.
Solo in un secondo momento, mi resi conto della risata beffarda di Irys.
Arrivava da dietro, acuta come il trillare di mille campanelle; ma più mi allontanavo, più quella voce sembrava seguirmi. Allarmata, mi voltai all'indietro, giusto il tempo di controllare se effettivamente quella strana ragazzina avesse preso a rincorrermi... ma niente.
Lei non era altro che un puntino candido, lontano.
<< Esci dalla mia testa!>> gridai, il fiato mozzato dalla corsa.
Ahimé, non ricevetti alcuna risposta.
Solo risa sguaiate.
<< Non puoi fermarmi!>> insistetti.
" Oh, ma non voglio mica farlo." mi parlò nella testa, " Se davvero ti avessi voluta fermare, sta pur certa che non avresti potuto avanzare nemmeno di un passo."
Dopodiché riprese a ridere.
"Vai, sciocca ragazza! Vai..." sogghignò, " Raggiungi lo Sterminatore!"
Ma non avevo tempo per lei, dovevo sbrigarmi.
Miguel mi stava aspettando.
Nonostante la fretta, però, trovai degl'irti ostacoli sulla mia strada: un fiume sciabordante di gente incappucciata defluiva dalle scalinate, alla disperata ricerca di un varco, di un luogo sicuro dove nascondersi, o più semplicemente... di una via di fuga.
Avrei voluto aiutarli, tuttavia m'intralciavano il passaggio, facendomi procedere controcorrente.
Venni quindi sballottata in tutte le direzioni, tra spintoni, spallate ed imprecazioni colorite.
Ciononostante, alla fine riuscii a raggiungere il termine dei gradini.
Davanti a me, si apriva la fossa dei dannati.
C'era puzzo di morte ovunque.
Il pavimento lustro dell'Arena era totalmente inondato di sangue, pezzi di membra umane e cadaveri brutalmente massacrati.
C'era chi aveva la gola squarciata, chi era stato privato di uno o più arti, chi poteva vantare una testa mozzata o chi, nella peggiore delle ipotesi, aveva sparso tutti i visceri a terra, in un lago scivoloso e maleodorante.
A stento, riuscii a trattenere un conato di vomito.
Ero letteralmente disgustata.
Ma non potevo fermarmi.
Non ora.
Col cuore in gola e i polmoni in fiamme, mi guardai intorno, cercando con tutte le mie forze di non svenire.
<< Amelie.>> mi sentii chiamare,<< Sono qui!>>
Feci per girare i tacchi e corrergli incontro, ma prima ancora che potessi raggiungerlo, un sibilo metallico ferì l'aria... ed immediatamente dopo, la base della mia gola.
<< Ma cosa...>>
Fu tutto ciò che riuscii a dire.
Gli avvenimenti si susseguirono in maniera talmente veloce, che a malapena riuscii a distinguere la sagoma informe che minacciava le mie carni.
Si trattava di un pugnale, che contro tutte le leggi della fisica, rimaneva sospeso in aria, volteggiante, senza nessuna mano che lo impugnasse.
Il filo della lama, era pericolosamente premuto contro la mia pelle.
La scalfiva appena.
<< No!>> ringhiò Miguel, << Lasciala andare!>>
<< Ah sì?>> lo sfidò una voce tutt'altro che sconosciuta.
<< Irys!>> strepitai.
Non potevo vederla, ma il suono penetrante dei suoi risolini rimbombava per tutta la sala.
Sta usando la telecinesi...
Senza perder tempo, Miguel colmò la distanza che ci separava... o almeno, tentò di farlo.
<< Sta fermo!>> lo ammonì la bambina, << Prova a fare un solo passo, e le taglio la gola. Di netto. Morirà entro pochi secondi.>>
<< Non puoi farlo...>> sibilò lui.
<< Vuoi scommettere?>>
Ed infatti, a mo' di dimostrazione, sentii il pugnale premere con maggiore forza contro la gola. 
 << Ahi...>> mi sfuggì un grido, mentre stringevo i pugni e serravo gli occhi a causa del bruciore.
Sentii un rivolo caldo scendermi giù, lungo il collo, per poi gocciolare sui vestiti e infrangersi contro il terreno.
Due macchie vermiglie s'addensarono sul colletto della mia camicia da uomo, aprendosi come boccioli di rosa in primavera.
 << Ho qui il tuo punto debole, Sterminatore. O sbaglio? Non è forse lei tuo tallone d'Achille?>>
Mai come prima di allora, Irys mi era sembrata pericolosa.
C'era qualcosa di perverso in lei, la stessa aura ambigua che avvolgeva la figura di Cassandra.
Metteva i brividi solo a guardarla.
<< Basta, ora smettila!>> ruggì Miguel, la voce incrinata dalla disperazione.
<< Lasciala andare...>>
Irys sghignazzò soddisfatta, ma invece di lasciare la presa, fece sì che la lama si spostasse lievemente verso destra, allargando di qualche millimetro la ferita.
<< Non toccarla!>> continuò ad urlare, << Dannazione! Ti ho detto di lasciarla stare! Toglile quel pugnale di dosso!>>
Era su tutte le furie. A stento, riusciva a contenere i violenti palpiti del suo corpo.
<< Miguel...>> provai a dire.
Era scosso dai tremiti, dalla collera, dalla frustrazione.
Ma i suoi occhi di brace non rilucevano unicamente per la rabbia... oh, no.
Le sue pupille dilatate ardevano a causa dell'angoscia, del panico.
Racchiuso in loro, c'era il riflesso atavico della paura.
Del terrore più nero ed irrazionale.
Della follia.
<< Se vuoi che non la uccida qui, davanti ai tuoi occhi... dovrai fare come ti dico.>>
Se solo uno sguardo avesse potuto uccidere, Irys si sarebbe ritrovata completamente a pezzi.
Miguel la fissò con odio, smembrandola con gli occhi ad ogni battito di ciglia.
Sembrava un animale in gabbia, che punta la preda al di là delle sbarre.
Avrei giurato che da un momento all'altro le sarebbe saltato al collo per attuare i propri propositi, ma sorprendentemente, le sue iridi irrorate di sangue si riempirono di lacrime, e come un corpo morto, ricadde pesantemente sulle proprie ginocchia.
<< Farò tutto quello che vuoi...>> disse rassegnato, << Ti offrirò volentieri la mia stessa vita, in cambio... Ma ti prego...>>
Le parole gli morirono in gola.
No, no, no!
<< Miguel, non farlo!>> singhiozzai.
Vidi le sue pupille scure restringersi, diventare punti di spillo, per poi dilatarsi, fin quasi a ricoprire gran parte della superficie luminescente dell'iride.
Posò quelle pozze senza fondo su di me, il bellissimo volto si rilassò un poco, dopodiché, le sue labbra pallide si sollevarono verso l'alto, dando vita al più dolce dei sorrisi.
<< Salvala.>>
Un unica parola.
Tre sillabe.
L'intero universo che andava in frantumi.
<< No...>> lo implorai, << Non farlo.>>
Ma lui si era già arreso.
Un dolore struggente, mi tagliò a metà il muscolo cardiaco.
Facava male. 
Dannatamente troppo male.
<< Amelie...>> sussurrarono d'un tratto le sue labbra, << Potrei sacrificare chiunque, distruggere qualsiasi cosa... l'intero mondo, se necessario.>>
Si bloccò, mantenendo sempre quel fragile sorriso sospeso a mezz'aria.
<< Ma vedi,>> riprese a parlare, << Non potrei mai sopportare l'idea che qualcuno possa farti del male.>>
Ebbi un tuffo al cuore; le lacrime mi pizzicarono il viso, la bocca, la gola, come una colata di acido corrosivo a contatto con la pelle.
<< Sei uno stupido!>> gracchiai, sentendo le corde vocali lacerarsi dall'interno.
<< Uno stupido!>> ripetei.
Vidi il suo volto contrarsi in una smorfia di dolore, i suoi occhi risplendere come un rubino e le sue labbra  serrarsi in una linea netta. Severa.
<< Può darsi.>> mormorò con un filo di voce, distogliendo lo sguardo.
<< D'altronde...l'amore rende stupidi.>>
Dopodiché si voltò in direzione di Irys, annuendo lentamente col capo.
<< Cosa devo fare?>>
La mia giovane aguzzina sorrise senza mostrare i denti.
Sollevò gli occhi grigio-azzurri in direzione degli spalti, ed infine li appuntò sul volto incartapecorito di Bartholomew Parrish.
Il vecchio Giudice Supremo restituì l'occhiata in silenzio, inarcando verso l'alto un folto sopracciglio biancastro.
La bambina assentì a quel muto ordine, e rivolgendo nuovamente l'attenzione a Miguel, si decise a parlare.
<< È molto semplice, Sterminatore.>> annunciò con tono soave, << Tu hai dato inizio alla rivolta, e tu vi porrai fine.>>
Irys abbracciò con lo sguardo l'intero perimetro dell'Arena, focalizzandosi sui numerosi detenuti ancora in vita.   
<< Ed ora... >> sentenzió, << Uccidili tutti.>>

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Angolo dell'Autrice:
Salve, gente! 
Innanzitutto vi auguro un buon ferragosto! 
Miracolosamente, sono riuscita ad aggiornare in tempo e ancora stento troppo a crederlo O.O 
Sono stata brava, dai. 
Non assicuro tanta bravura nella revisione del testo. Al momento sono le due di notte, e anche se l'ho letto e riletto, SICURAMENTE ci saranno un sacco di errori sfuggiti al mio cervello fritto dal sonno T.T Perdono!
Se ci dovessero essere problemi, ditemi pure! 
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Finalmente Ame e Mig si rincontrano, ma le cose non sembrano andare come dovrebbero e dalla parziale situazione di passaggio in cui versavano i gladiatori capitanati da Mig, grazie alla comparsa di Ame le cose si sono complicata... 
Mai na gioia, insomma! *comincio ad aver paura io stessa del mio sadismo*
Lato positivo? 
Boh... forse la morte di Angus. Voi che ne dite?
Come sempre, vi ringrazio dal più profondo del mio Corazòn <3 

Un bacione
Rob

<3

 

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Capitolo 51
*** L'Inizio Della Fine ***


L'Inizio Della Fine
...


_ Amelie _

Quando Miguel ebbe finito la mattanza d'uomini, si ritrovò completamente ricoperto di sangue.
Metteva i brividi solo a guardarlo.
"Mio Dio... " pensai, inorridita.
Ma non era la prima volta, per me. L'avevo già visto in quelle condizioni... completamente zuppo, da capo a piedi; la pelle perfetta insudiciata di rosso, i capelli scuri appiccicati alle tempie, vischiosi, resi umidi da un miscuglio maleodorante di sudore e sangue.
Eppure, quel liquido denso e vermiglio era così diverso dalla putrida linfa vitale dei Ghuldrash.
Il loro sangue era scuro, nerastro... totalmente alieno.
Mentre quello che ora gli vedevo scorrere addosso, aveva la vivida crudezza del peccato mortale.
Era il frutto di una strage.
No. Non puoi averlo fatto... non per me!
Distolsi lo sguardo da quello scempio, incapace di sopportare oltre.
Era uno spettacolo raccapricciante.
" No..." continuavo a ripetermi.
Lui, il mio Miguel... non poteva averlo fatto davvero.
No...
Mi rifiutavo categoricamente di crederlo.
Tuttavia, mi bastava posare lo sguardo a terra, per rendermi conto della portata effettiva delle sue azioni.
Li aveva uccisi veramente.
Per me.
Un ondata di sconforto mi fece vacillare in avanti, col rischio di conficcarmi la lama del pugnale nel collo, da sola, senza l'aiuto della telecinesi di Irys.
Per un attimo, quell'idea malsana mi sfiorò la mente.
Allettandomi.
" È tutta colpa mia!" pensai, in preda alla disperazione.
Solo ed unicamente colpa mia.
Quegli uomini... oh, mio Dio!
Tutti quegli uomini, erano stati massacrati da Miguel affinché io potessi salvarmi!
<< Miguel...>> provai a richiamare la sua attenzione.
Ma lui era muto, sordo, immobile.
Fissava con sguardo vacuo l'orrore che si stagliava ai suoi piedi, senza battere ciglio.
Nemmeno respirava.
Si limitava a rimanere in equilibrio sulle proprie gambe, ma la sua mente era altrove, i suoi occhi persi nel vuoto.
Poi giunse il rumore.
Il punto di rottura.
Lo scrosciante sciabordio di un applauso.
Dal soppalco centrale, si udii l'eco di una risata profonda, rauca, mentre appollaiato sul proprio trono rialzato, Bartholomew Parrish batteva vistosamente le mani.
Gli occhietti infidi scintillavano di pura soddisfazione.
<< Che meraviglia!>> esultò quest'ultimo, totalmente estasiato.
<< Non assistevo ad un simile massacro da tempi immemori. Lo vali tutto, il tuo soprannome, ragazzo.>>
La risata dell'uomo divenne assordante.
Ma Miguel non l'ascoltò.
Rimase semplicemente fermo dov'era, col volto abbassato, in religioso silenzio a contemplare il suo macabro operato.
<< Sterminatore...>> ridacchiò amabilmente, << Davvero appropriato...>>
Un tocco improvviso mi fece sussultare.
<< Muoviti.>> mi ordinò Irys, << La mia Signora ci attende nel suo palco.>>
<< No...>> mi rifiutai di seguirla, ma una leggera pressione della lama contro la giugulare, mi fece immediatamente cambiare idea.
Lanciai un ultimo sguardo a Miguel, tuttavia, non ricevetti alcuna risposta: non si era mosso di una virgola.
<< Ed ora... la sentanza!>> annunciò l'omone che sedeva alla sinistra del giudice.
Seguirono allora un'infinità di parole; una schiera di Molossis sopravvissuti alla ribellione dei detenuti, si affiancò alla figura immota di Miguel.
Lo circondarono completamente, legandogli i polsi con un nuovo filare di catene argentee.
Un ulteriore "regalo" di Cassandra, dicevano.
Immaginai di vedere l'Arena intrisa di altro sangue, ma con mia grande sorpresa, Miguel non oppose resistenza.
Si lasciò incatenare, senza remore... benché con risentita violenza, quegli uomini lo spintonarono di fronte al podio del Giudice Supremo.
Ma cos'aveva intenzione di fare?
Subire passivamente?
Avrei tanto voluto gridargli in faccia di non farlo, di non arrendersi, che non poteva fermarsi prorio ora... tuttavia, non potei farlo. 
Fui infatti costretta a seguire i passi di Irys, che continuando a puntarmi il coltello alla gola, mi faceva strada attraverso gli spalti.
Adesso il pubblico si era calmato; l'idea che la ribellione potesse concretizzarsi in qualcosa di reale era sfumata del tutto, lasciando i membri dell'Ailthium rilassati, al sicuro, convinti più che mai che il peggio fosse passato.
Chissà se avevano ragione.
Io non riuscivo a darmi pace.
Avevo come l'impressione che di lì a poco, sarebbe scoppiato nuovamente il putiferio.
Quello vero, stavolta.
Come se l'orribile carneficina appena avvenuta, non fosse stata altro che la punta di un ice-berg.
Ed infondo avevo ragione.
Ora che Miguel era di nuovo alla mercé di quei pazzi, non osavo immaginare come sarebbe andata a finire.
Ero terrorizzata più che mai.
" Miguel, ti prego..." mi ripetevo a mo' di nenia, " Cerca di resistere... io... m'inventerò qualcosa! Lo giuro! Non lascerò mai che ti uccid-
<< Entra, sbrigati.>> mi strattonò Irys.
Non appena misi piede nel piccolo palco riservato a Cassandra, il pugnale che avevo puntato alla gola cadde a terra, inanimato.
Mi portai immediatamente le mani al collo, quasi per accertarmi che fosse ancora lì, intatto.
Ma non del tutto.
Un grumo appiccicoso di sangue mi aveva macchiato i polpastrelli, tuttavia non me ne curai.
I miei occhi erano incollati sul volto senza età di Cassandra.
Seduta accanto a lei, c'era Lizzy.
Mi tranquillizzai nel constatare che almeno la mia amica stesse bene, ma l'espressione che aveva dipinto sul suo bel visetto mi sconcertò non poco.
Era l'esatto riflesso della mia: trasudava disperazione, rammarico, ed un infinito senso di colpa.
<< Mi dispiace così tanto...Io... non credevo che...>> bofonchiò timidamente, tendendomi le mani.
Ahimé non ebbi il tempo di afferrarle, che Cassandra si alzò in piedi.
Mi ordinò perentoriamente di prendere il suo posto, poi si sedette sulla sedia accanto alla mia.
<< Da qui si gode di una vista migliore, non trovi?>>
Avevo sulla punta della lingua una miriade d'insulti con cui ricoprirla, ma in qualche modo, riuscii a trattenermi.
Non ero affatto nella posizione adatta per potermi permettere un simile comportamento.
Non con lei.
Quindi mi ritrovai ad annuire senza proferir parola.
Irys, nel frattempo, era svanita nel nulla.
<< Ed ora?>> mi rivolsi a Lizzy, << Che cosa accadrà?>>
La ragazza fece per rispondere, ma Cassandra la precedette.
<< Il processo avrà finalmente inizio.>>
La guardai incredula.
<< E fin ora? Cos'è successo, fin ora?>> domandai, sempre più sconcertata.
<< Semplice, bambina. Miguel doveva pagare pegno. Certo, ci sono stati degli "imprevisti" ma ora che i Gladiatori sono deceduti, tutto potrà svolgersi secondo i piani.>>
Pronunciò le ultime due parole, con fin troppa enfasi.
Tanto da farmi rabbrividire.
Ma quali erano, questi famigerati "piani"?
Non feci in tempo a chiederglielo che il Giudice Parrish riprese a parlare.
La voce solenne, tonante, rauca.
Come il gracidare d'un grosso rospo.
<< È risaputo che nel corso degli ultimi centocinquanta anni, l'Ailthium ha potuto progredire grazie all'aiuto del nostro fidato mastino da caccia, il qui presente Miguel Meterjnick. Tuttavia, non è un segreto che costui nutra un odio profondo e spietato nei confronti del Sacro Consiglio Ristretto, per tutto quello in cui crediamo e per la nostra retta organizzazione, volta unicamente a salvaguardare la difesa del genere umano. Come tutti saprete, Miguel Meterjnick può vantare un retaggio speciale all'interno dell'Ailthium. È l'unico discendente diretto del nostro Fondatore, e per questo, si è potuto inserire nelle fila dell'organizzazione senza sottostare alle regole dei ranghi e delle gerarchie. Ciononostante, per ordine del nostro stesso Fondatore, il governo dell'Ailthium dovrà sempre e comunque risiedere nelle mani del Consiglio.>>
Fece una pausa, ed io approfittai dell'occasione per sporgermi in avanti.
Miguel aveva alzato la testa, adesso.
E lo fissava con indifferenza, come se a parlare non fosse stato altro che l'ululato del vento.
Il vecchio Giudice si schiarì la voce, poi riprese da si era fermato.
<< Ed è dunque per questo, per la sua insaziabile fame di potere, che appena possibile... Miguel Meterjnick si è allontanato dalla nostra comunità; e senza radici, né fede, né amore... si è gettato nel crogiolo di un nuovo incarico, non pertinente ai nostri ordini di sterminio. >>
Dalla platea, si levarono degli applausi.
<< Fu così...>> continuò Parrish, << Che il seme malvagio che aveva in sé, già forte ed innato, trovò terreno fertile in cui prosperare. Guidato dall'ambizione e dal cieco amor proprio, costui ha ignobilmente assassinato Nigel von Kleemt, uno degli anziani, nonché onorato membro del Sacro Consiglio Ristretto.>>
L'ennesima pausa.
Il respiro mi restò bloccato in gola.
<< Ed è per tanto...>> annunciò il Giudice, rivolgendosi direttamente a Miguel.
<< Che io...Bartholomew Parrish, Sommo capo di questa sede, in virtù dei poteri conferitimi... ti dichiaro colpevole di omicidio. Non solo ai danni del defunto Nigel, ma anche a fronte dell'orribile strage che si è svolta quest'oggi sotto i nostri occhi!>>
<< No!>> urlai con tutta la voce che avevo in corpo, << Non potete farlo!>>
Il sangue mi ribollì a causa della collera, fino a farmi scoppiare!
Sommo Giudice o meno... come poteva quel vecchio psicopatico accusarlo di una cosa del genere?!
<< Siete stati voi... voi maledetti bastardi ad incastrarlo!>> strillai, << L'avete costretto voi ad uccidere tutti quegli uomini! Voi! L'avete ignobilmente ricattato, ed ora pretendete di dargli la colpa?! Mi fate schifo!>>
Non ero più in me.
Strepitavo attaccata alla ringhiera del palco, sporgendomi in avanti affinché mi sentissero.
Non avevo paura del vuoto che si stagliava sotto ai miei piedi, né di cadere. 
Il mio unico desiderio, era che finalmente qualcuno si decidesse ad ascoltarmi!
Come faceva tutta quella gente a rimanere fredda ed impassibile di fronte ad una simile barbarie?
No, no, no... dovevano pur prestarmi attenzione, quei figli di puttana!
<< Fatemi testimoniare! Vi prego!>> continuai imperterrita, << Io c'ero, quella notte! Ero  lì, la sera in cui è morto Nigel! Ero con lui! E posso assicurarvi che non è stato Miguel ad assassinarlo! Non è stato lui! Ve lo giuro su quanto ho di più sacro! Dovete credermi!>>
Il pubblico era in fermento.
Alcuni si voltarono a guardarmi, altri m'indicarono con la punta delle dita, ma Parrish non mi degnò neanche di uno sguardo.
Si limitò ad accarezzare con gli occhi il volto di Miguel, assaporando la drammaticità di quel momento.
<< Quindi, mio caro Sterminatore... ti condanno a morte!>> proseguì, << Verrai
giustiziato domani mattina all'alba: l'aquila di sangue ti aspetta. Subito dopo, il tuo corpo verà assicurato alle fiamme. Non possiamo permetterci che tu sopravviva.>>
<< No!!!>> esclamai in preda alla disperazione.
Non poteva essere vero!
Mi dimenai come una pazza, urlando con tutte le mie forze di lasciarlo andare.
D'un tratto, qualcosa nell'aria mutò irreversibilmente.
Miguel si voltò a fissarmi brevemente, la frazione d'un secondo, poi spostò lo sguardo sull'espressione imperscrutabile di Cassandra.
Lei ricambiò l'occhiata, incurvando a malapena le labbra in un sorriso.
<< Vai...>> sussurrò con un filo di voce.
Miguel fece un segno d'assenso col capo.
Dopo, fu tutto tremendamente veloce.
Ci fu un acuto stridio metallico, e le catene che serravano i polsi di Miguel esplosero in aria come fuochi d'artificio.
La nebbiolina argenta sprigionata dallo scoppio, mise momentaneamente fuori gioco i Molossis che lo circondavano.
Gli uomini vestiti di porpora si accasciarono a terra, tra  urla ed immani lamenti, mentre i mantelli costosi venivano macchiati dal sangue delle innumerevoli vittime lasciate lì a marcire, sul pavimento.
Ma che diamine...?
Una volta libero, Miguel cacciò in fuori gli artigli e saltando da una parte all'altra delle pareti, riuscì ad arrampicarsi fulmineamente sull'alto podio presidiato da Parrish e dai suoi compari.
<< Tranquilli, miei signori!>> enunciò con gelido sarcasmo, << Questo non è altro che l'inizio della fine...>>
Per un attimo, gli intravidi tra le mani un luccichio dorato; sembrava tenere tra le dita qualcosa di piccolo.
Forse un coltello?
Ma no, non poteva essere.
Poi capii.
Si trattava della Mimesis.
Un intenso bagliore rosso illuminò il volto terrorizzato di Bartholomew Parrish, dopodiché, null'altro che urla sguaiate.
Bastò un semplice movimento dell'avambraccio: un gesto netto, pulito, privo d'esitazione.
La lama frusciò a contatto con la carne e le teste dei tre uomini capitombolarono a terra con un tonfo sordo.
Il mio cuore mancò un battito.
No... non è possibile!
Eppure, fiumi di sangue sgorgavano con eccezionale potenza da quei cadaveri acefali.
Li aveva decapitati con un unico colpo.
<< Ma cosa...>> biasciai.   
Ero letteralmente senza fiato.
Lo vidi chinarsi elegantemente, con la grazia di un felino, dopodiché l'Arena fu invasa da istanti d'inorridito silenzio.
Nessuno osava muoversi, né tantomeno parlare.
Avevano tutti troppa paura.
Dopo aver raccolto i tre monconi da terra, Miguel si voltò in direzione del pubblico.
Li sollevò in aria con un gesto teatrale, e con voce bassa e profonda, scoppiò in una fragorosa risata.
<< Amici miei!>> gridò, << Ecco a voi gli impostori!>>
Lanciò tra gli spalti le due teste appartenenti ai compari di Parrish.
Le vidi rotolare sui gradini, a poca distanza l'una dall'altra, mentre in un moto di paura e ribrezzo, il pubblico scattò in piedi, sussultando.
<< Ho pena di voi, sapete? Tutti questi anni al servizio di un'organizzazione fondata sulla menzogna. Siete stati ingannati. Da sempre. Siete stati agnellini sacrificali tra le grinfie dei lupi. Animali da macello.>>
Poi si strinse al petto la testa mozza di Parrish; il sangue gli aveva imbrattato il naso, le guance grinzose e la bocca, mentre gli occhi erano rimasti spalancati in un'espressione di puro terrore.
<< Ma è giunto il momento di farla finita, signori!>> proseguì, << È giunto il momento di guardare in faccia la realtà.>>
Trattenni il respiro.
Con un balzo leggiadro, si arrampicò sullo spalto superiore, quello completamente celato agli occhi da un fitto alternarsi di veli.
Sembrava nascondere qualcuno... sì, ma non appena Miguel squarciò quell'imponente quantità di stoffa, furono delle sedie vuote a catturare il mio sguardo.
Non c'era nessuno lì.
<< Vedete?>> enunciò, allargando il tetro sorriso a dismisura.
<< Non esiste alcun Sacro Consiglio Ristretto, qui. Non c'è mai stato. Lo stesso Nigel von Kleemt non era altro che una pedina nelle mani di Bartholomew Parrish. Non lo capite? Il Giudice e le sua congrega vi hanno ingannato per tutto questo tempo!>>
Un vociare incollerito si levò dalla platea.
Vidi Miguel annuire, lentamente, mentre il rosso rilucente del suo sguardo si spegneva nell'usuale color cielo.
Tuttavia, non c'era niente di terso, in quegli occhi. Solo una cupa e tempestosa distesa di ghiaccio.
<< Ed ora...>> sussurrò, << Godetevi lo spettacolo!>>
Fece un salto nel vuoto, atterrando al suolo con la leggiadria di un gatto selvatico.
Si accovacciò sulle ginocchia, allargò le gambe, dopodiché scomparve nel nulla.
L'ansia mi divorò le viscere come un branco di piragna, attaccandosi alle mie carni pezzo per pezzo, con famelica brutalità.
Ma che diavolo...?
All'improvviso un lieve rumore di passi scalfì l'aria e dal vuoto della ringhiera a cui ero aggrappata, intravidi un baluginare di iridi azzurre.
Per poco non persi i sensi.
Ma invece di'incontrare le mie braccia, Miguel scavalcò il parapetto e tirò dritto, ignorandomi.
I suoi occhi erano tutti per Cassandra.
<< Ecco qua.>> mormorò a denti stretti.
Un sorriso crudele gl'incurvò le labbra verso l'alto.
Non avevo mai visto niente di più bello e terrificante al tempo steso.
Con gli artigli ancora sfoderati, sollevò la mano destra in direzione di Cassandra, che impassibile, osservava la scena dal suo scranno imbottito di velluto.
Un luccichio maligno le illuminò il volto, mentre dall'altra parte, Miguel lasciò ruzzolare la testa di Bartholomew Parrish ai suoi piedi.
<< Come potete vedere... ho tenuto fede al nostro patto, signora.>> disse avanzando d'un passo.
La sua voce era bassa, iraconda, ma melliflua come zucchero.
Nel constatarlo il sorriso di Cassandra si allargò a dismisura.
<< Lo vedo.>> replicò lei.
Era raggiante. 
Vidi gli occhi di Miguel esitare brevemente sul mio volto, accarezzarmi con lo sguardo, per poi tornare a focalizzarsi unicamente su quello di Cassandra.
<< Ora sta a voi...>> aggiunse sottovoce, << Mantenere la parola data.>>

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Angolo dell'Autrice! 
Salve a tutti! ^^
Purtroppo, sono dell'umore adatto a continui spargimenti di sangue... quindi se non avete gradito l'eccessiva violenza del capitolo... scusatemi profondamente. Ma stavo in vena di massacri (come se nel precedente capitolo non ce ne fossero stati a sufficenza.) 
Comunque, spero che nonostante tutto il capitolo vi sia piaciuto... non è lunghissimo, ma è denso di avvenimenti. Primo fra tutti, lo sterminio dei Gladiatori. Il capitolo si apre proprio con questa scena, e vorrei essere riuscita a trasmettere la drammaticità di quel gesto. Miguel era completamente ricoperto dal sangue umano. Come Amelie, l'avevamo già visto in tali condizioni... non è la prima volta che s'insudicia in questo modo, ma la differenza sta che precedentemente, tale sangue apparteneva ai Ghuldrash. Ora invece si tratta di una trentina di uomini. Esseri umani "innocenti", se così vogliamo definirli - sebbene siano dei criminali incalliti, secondo l'Ailthium.-, prigionieri come lui... compagni. Si tratta di sacrificare trenta vite, per una sola. E Miguel non ha alcuna esitazione a farlo. Ma veniamo al resto... Il Giudice supremo fa il suo bel discorsetto, inventando una miriade di stronzat* pur di condannare Mig con il massimo della pena. Arriva persino ad accusare Mig della strage, quando sono stati loro stessi a volere che avvenisse... insomma, cose da matti. Ame prova a ribellarsi, a far ragionare quella folla di smidollati spettatori, ma niente. Poi Cassandra fa finalmente la sua mossa. Libera Miguel e lui non solo smaschera Parrish e i suoi compari, ma si prende anche le loro teste e le consegna nelle mani di Cassandra. Si è quindi svelato il misterioso patto segreto che i due avevano stipulato... ed ora, quello che succederà in seguito, lo scopriremo solo vivendo! 
Ok, ora basta. Non voglio più annoiarvi con le mie chiacchere. 
Spero mi facciate sapere cosa ne pensate di questo capitolo! Ci tengo in particolar modo.
Come sempre, vi ringrazio del supporto e della pazienza! 
Un bacione, 
Rob 
<3

 

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Capitolo 52
*** La Chiave ***


La Chiave
...

 
_ Miguel_

Ero sotto lo sguardo di tutti.
Sentivo le occhiate degli spettatori scavarmi solchi alla base della schiena, sulle scapole, lungo le vertebre... nel centro esatto della nuca.
Potevo percepire la loro incredulità e il loro terrore anche da quella distanza.
Mi temevano, come la morte stessa.
Ed ora mi guardavano dagli spalti, dalla loro personale "bolla" di protezione, chiusi in una sorta di spaventato mutismo.
Non osava volare una mosca.
Anche il mio Piccolo Tarlo era inorridito di fronte alla mia ferocia.
Avevo decimato una trentina di uomini e decapitato i tre membri più importanti dell'Ailthium, e tutto sotto il suo sguardo attonito.
Sarebbe mai riuscita a perdonarmi?
<< Miguel.>> mi chiamò, avanzando d'un passo.
Ma non la guardai. Non osavo farlo.
D'un tratto, ero diventato il peggiore dei codardi; avevo paura di incontrare i suoi occhi, di perdermi in quelle pozze contornate dalle lacrime, di leggervi dentro nient'altro che disprezzo.
<< Miguel, ti prego...>> m'implorò, << Guardami.>>
Come potevo resisterle?
Morivo dalla voglia che avevo di lei, nonostante tutti e nonostante tutto... ma la portata di simili pensieri mi spiazzava completamente.
Avevo appena ucciso degli uomini, maledizione!
Mi ero nutrito da loro, avidamente, facendo il bagno nel loro sangue... eppure, non riuscivo a ragionare lucidamente.
La presenza di Amelie mi destabilizzava, impedendo al mio cervello di funzionare correttamente.
Girava tutto intorno a lei.
L'aria era pregna del suo odore, che come una brezza profumata, spazzava via la stomachevole cappa di morte che invadeva ogni angolo dell'Arena.
" Ignorala!" mi ripetevo in continuazione, " Devi ignorarla!"
Con molta fatica, congelai il turbamento dietro una spessa corazza di ghiaccio, limitandomi ad alzare la testa e tendere le labbra in un sorriso strafottente.
Concentrai la mia attenzione altrove, o almeno... ci provai.
<< Sto aspettando di ricevere la mia parte.>> fronteggiai Cassandra.
Tuttavia, la perfida strega sembrava avere tutta l'intenzione di non rispondere alla mia domanda.
Come un gufo impagliato, se ne stava ritta e immobile, avvolta nel suo elegante vestito argentato; gli occhi di tenebra che spaziavano da una parte all'altra, dal mio volto a quello di Amelie.
Aveva un'aria divertita, soddisfatta... eppure, non prestava la minima attenzione al moncone sanguinolento che le sporcava di rosso 'orlo dell'abito.
<< Miguel, ti scongiuro!>> continuò dall'altra parte Amelie.
La sua voce era debole, incrinata, distorta dallo sgomento e dal dolore.
Risuonava nell'ambiente come vetro spezzato.
Sentii un calore improvviso esplodermi alle spalle, come una carrellata di fuochi pirotecnici.
Corpo contro corpo, pelle contro pelle.
Percepivo lo scorrere impetuoso del suo sangue attraverso i lievi palpiti della cute, i singhiozzi strozzati del suo cuore a contatto con il mio. Finalmente fusi, uniti, sincronizzati.
<< Piccolo Tarlo...>>
<< Shhh...>>
Le sue braccia mi avvolsero delicatamente, come un manto protettivo, scivolando sul lerciume e sul sangue altrui.
Non le importava di sporcarsi, né dei terribili peccati da me commessi.
La sua unica preoccupazione, era che fossi vivo, che stessi bene.
Quell'improvvisa consapevolezza mi gonfiò il cuore di gioia.
<< Dovresti allontanarti...>> sussurrai, maledicendomi mentalmente per una simile affermazione.
<< Come puoi chiedermi una cosa del genere?>> singhiozzò, << Non ti lascerò mai andare! Non ora che sei qui... tra le mie braccia.>>
Incapace di resistere oltre, la tirai per un polso, facendola roteare come una trottola.
L'attirai a me, la strinsi con forza, fino ad avere l'impressione di perdermi all'interno del suo corpo.
Ma c'erano troppe barriere: vestiti, strati di pelle, muscoli... ossa.
Desiderai che svanisse tutto, lasciando le nostre anime libere di sciogliersi l'una all'interno dell'altra.
Così da poter diventare un unicum.
Un tutt'uno.
Spinto da quel desiderio bruciante e spasmodico, affondai con maggiore violenza le dita nella sua carne, dopodiché le catturai le labbra, fino a perdermi in un dedalo intricato di emozioni.
I nostri baci non erano mai stati così... avidi, smaniosi, roventi.
Ci divoravamo a vicenda, con la stessa famelica voracità di una belva costretta al digiuno per tanto, troppo tempo.
Ma più mi nutrivo di lei, del suo profumo, della sua soffice bocca... più la fame accresceva, lasciandomi insoddisfatto.
Senza fiato.
Mi sembrava di non averne mai abbastanza.
Volevo... oh, volevo...
<< Ma che bella scenetta...>> proruppe una voce alle nostre spalle.
Era unica nel suo genere.
Avrei potuto riconoscerla anche tra un milione di voci diverse.
<< Ryan...>> sibilai, staccandomi da Amelie quel tanto per poterlo vedere in volto.
<< Oh, vi prego. Continuate pure. Non era mia intenzione disturbarvi... >> ridacchiò divertito, << Sono un inguaribile romantico!>>
Con passo celere, si avvicinò a Cassandra, che nel frattempo se la rideva sotto i baffi.
<< Mia Signora...>> la salutò, chinandosi in una riverenza e facendole il baciamano.
<< Mi chiedevo che fine avessi fatto, Camaleonte! >> gorgogliò lei, << Ti sei perso il meglio dello spettacolo!>>
<< Chiedo venia, mia Signora.>> disse inchiodandomi con lo sguardo, << Urgeva che i preparativi fossero portati a termine.>>
<< Ottimo.>> sentenziò la strega.
Lanciò uno sguardo a Lizzy, poi ad Amelie... che sebbene tentasse di nasconderlo, stava tremando come una foglia per la nuova entrata in scena di Blackwood.
<< Tienila ferma.>> disse rivolgendosi a Ryan.
Per un attimo, m'irrigidii pensando che volesse strapparmi dalle mani il mio Piccolo Tarlo, ma l'ordine di Cassandra non riguardava Amelie... bensì, la scaltra Lizzy che nel frattempo aveva estratto dalle sue tasche un pugnale... e, senza esitazione, lo stava puntando in direzione della stessa strega.
<< Sta buona...>> l'ammonì Ryan, comparendo alle sue spalle.
<< Traditore!>> gli ringhiò contro Lizzy.
Si dimenò come una gatta selvatica, fendendo l'aria alla cieca, ma Ryan sapeva il fatto suo e dopo una breve lotta, ebbe la meglio sulla ragazzina vestita da uomo, intrappolandole i polsi tra le sue mani.
<< Ci tieni o no alla pelle?>> le sussurrò lui contro un orecchio.
<< Lasciami andare, figlio di puttana!>> gridò lei, << Ti taglierò i testicoli, lo giuro! E te li farò mangiare per colazione, se non mi lasci andare!>>
<< Oh, oh... ma che gattina guerrafondaia!>> la stuzzicò, << Sarebbe un vero peccato ucciderti!>>
<< Lasciale stare!>> si fece avanti Amelie.
I pugni serrati per la rabbia che tentava di contenere.
<< Sta ferma...>> le intimai, bloccandola per le spalle.
Non potevo permettere che si facesse del male, non ora che potevo di nuovo stringerla tra le mie braccia.
<< No...>> cercò di ribellarsi, << Lizzy... lei è in pericolo!>>
<< Lo siete tutti.>> disse una vocetta stridula, comparendo dal nulla.
La fida Irys, le cui tracce si erano dissolte come fumo nell'aria, era ora ricomparsa, portandosi dietro il corpo acefalo di Bartholomew Parrish.
Quella vista, per un attimo, fu in grado di farmi contorcere lo stomaco dal disgusto.
Mosso dal potere telecinetico della ragazzina, il cadavere senza testa camminava un passo alla volta, ciondolando da una parte all'altra in modo lento, sostenuto, mentre flotti purpurei di sangue lasciavano la loro scia sul pavimento.
<< Ben fatto, mia cara!>> esultò Cassandra.
Irys fece un ossequioso inchino rivolto alla sua padrona, costringendo quello che rimaneva del giudice Parrish a fare altrettanto.
La scena fu orribile e grottesca.
Raramente avevo visto Irys all'opera, ma vederla utilizzare il corpo ancora caldo di un morto come burattino, metteva decisamente i brividi.
Più guardavo quel fantoccio senza fili, più avevo la sensazione di trovarmi nella sua stessa situazione.
Non eravamo poi così diversi, anzi.
Cassandra mi teneva in pugno proprio come Irys faceva con lui, ma senza l'artificio della telecinesi. 
<< Mia Signora, ora che Bartholomew Parrish è qui, possiamo dare inizio alla cerimonia.>> mormorò la ragazzina.
Vidi Cassandra sorridere, girare intorno alla testa del defunto Giudice Supremo e chinarsi in avanti per raccoglierla.
Il sangue le colò lungo le mani, per poi sporcarle i polsi sottili e gli orli argentei delle lunghe maniche.
La sollevò in aria, sporgendosi dalla balaustra del suo palco affinché tutti potessero vederla.
<< Secondo la legge dell'Ailthium...>> enunciò a voce alta, << Il futuro capo dell'organizzazione deve essere votato all'unanimità dai membri del Consiglio Ristretto. In assenza di tale evenienza, sta alla persona più importante per rango e gerarchia, nominare verbalmente e pubblicamente colui - o colei- nelle cui mani risiederà l'intero potere decisionale per quanto riguarda la nostra comunità.>>
Il silenzio era talmente fitto da sembrare un'entità solida, quasi materiale.
Gravava sulle nostre teste come una sentenza di morte.
<< Ma cosa sta succedendo?>>
Amelie era stanca, nauseata, avvilita.
Si aggrappava al mio corpo come se il terreno si stesse sgretolando sotto i nostri piedi, e le mie spalle fossero state l'unico appiglio a cui reggersi per non precipitare.
<< Vuole consacrarsi Regina...>> affermai, inorridendo alla sola idea.
Non c'erano stati regnanti all'interno dell'Ailthium da almeno tre secoli.
L'ultimo a fregiarsi di tale titolo, era morto in casi misteriosi, probabilmente avvelenato dai membri del Consiglio Ristretto.
<< Non puoi auto-incoronarti Regina!>> strillò Lizzy, scalciando a destra e manca per liberarsi dalla stretta di Ryan.
Cassandra la degnò a malapena di uno sguardo, mentre con passo lento e deciso, raggiungeva la marionetta senza vita tenuta in piedi da Irys.
<< Non mi sto auto-incoronando, infatti.>> sghignazzò la strega, << Vedi, mia cara Elizabeht... sono una serva fedele dell'organizzazione. Un membro onorato. E ho tutta l'intenzione di rispettare il protocollo.>>
<< Ah, sì?>> fece la ragazza, sputandole addosso tutto il suo disprezzo.
<< Non lo vedi?>> replicò Cassandra.
Lizzy scosse la testa.
<< Bartholomew Parrish è morto, stringi la sua testa tra le mani... non è in grado di pronunciare alcuna parola. Non potrà farlo mai più.>>
"Non esserne troppo sicura, ragazza..." pensai fra me e me.
E come volevasi dimostrare, Cassandra smentì le sue parole, adagiando il capo mozzo sul collo insanguinato del vecchio Giudice.
La carne sfrigolò leggermente, le ossa combaciarono, e spinta dal potere di Irys, la testa di Parrish tornò al suo posto, in un precario, quanto agghiacciante, equilibrio.
<< Chi l'ha detto che il mio caro amico Bartholomew non potrà più parlare?>> ghignò, << Sentiamo!>>
Le sue risate si librarono come gracidii nell'aria, riempiendo gli spalti di angoscia e terrore.
Pensavano di aver assistito al peggio... quegli sciocchi, purtroppo le sorprese per noi non erano affatto finite.
<< Cassandra.>>
Un tuono sordo, lugubre e distorto.
Come l'annuncio di una tempesta, sentii quel'unica parola risuonare dalla labbra violacee di Parrish.
Quella era la sua voce, indubbiamente... ma ora appariva diversa, del tutto storpiata dal macabro timbro della morte.
<< Cassandra...>> continuò a dire, << Figlia della luna, guardiana delle scritture e Somma Sacerdotessa della notte. Io, Bartholomew Parrish...>>
Strinsi Amelie tra le braccia, mentre i brividi percorrevano violentemente ogni centimetro del suo corpo.
<< Lo so che è orribile...>> le sussurrai all'orecchio, cercando di tranquillizzarla.
<< Miguel... io...>> balbettò.
Era nel panico più totale.
Quindi l'abbracciai ancora più forte, con maggiore intensità. Doveva smetterla di tremare.
<< Devi resistere.>> la spronai, << Lo so che non è facile. Ma presto sarà tutto finito e Cassandra ci concederà la libertà.>>
<< Come fai a dirlo?>> mormorò.
<< Me l'ha promesso.>>
La sentii irrigidirsi e scuotere la testa.
<< Come fai a fidarti di... lei?>>
<< Non mi fido, mio Piccolo Tarlo.>> le confessai, la voce talmente bassa da risultare inudibile persino alle mie orecchie.
<< Ma lo stai facendo.>> sibilò, frustrata.
<< Ho forse alternative migliori?>>
Posai gli occhi su di lei, poi su le labbra raggrinzite del cadavere "vivente".
La sua bocca si muoveva a sincrono con quella della piccola Irys, che come un ventriloquo di grande abilità, faceva sì che il suo burattino inanimato parlasse con la propria voce.
<< ... Conferisco i miei poteri a te, nominandoti mia erede e capo indiscusso dell'Ailthium.>> diceva, << Il Consiglio è pertanto abolito: nessuna legge e nessun individuo, potrà mai interporre il suo potere al tuo. Ogni tua volontà, verrà accettata e rispettata come legge. La tua parola sarà legge!>>
<< Lunga vita alla Regina!>> tuonò Ryan.
Un vociare smorto e scoordinato si unì con malavoglia alle grida del Camaleonte.
<< Lunga vira alla Regina!>>
<< Sì!>> urlò Cassandra.
Alzò le braccia al cielo in un gesto d'onnipotenza, mentre come un giocattolo rotto, il corpo di Parrish crollava a terra.
<< Ho aspettato questo giorno da secoli! E finalmente è arrivato!>>
Non avevo mai visto brillare i suoi occhi scuri in quel modo.
Parevano screziati da mille frammenti di specchio.
Nell'impeto del momento, si lasciò andare ad un grido liberatorio.
<< Sì!>> strepitò, << L'Ailthium è mia! Ed ora anche la chiave!>>
A quelle parole, mi sentii mancare il fiato.
<< Che cosa intendi dire?>> ringhiai.
L'esaltazione doveva averle annebbiato momentaneamente il cervello.
Ma il suo enorme sorriso non si spense, anzi. Si allargò a dismisura, finché la sua dentatura nera e marcia non fu del tutto visibile.
<< Ti avevo promesso la libertà.>> dichiarò, << Ed io sono una Sovrana giusta e magnanima. Sei libero di andare, se vuoi... nessuno ti fermerà. Ma non ricordo di aver barattato insieme alla tua, anche la libertà della fanciulla che stringi con tanta passione tra le braccia.>>
<< No!>> ruggii incollerito, << Lei viene con me! È mia!>>
<< Oh, no... Ti sbagli. Lei è mia.>>
Cominciai a vedere tutto rosso, le zanne fuoriuscirono fulmineamente dalle gengive, fino a farle sanguinare.
<< Cassandra...>> sibilai a denti stretti, << Non osare toccarla!>>
Vidi gli occhi della strega illuminarsi di gioia, come se stesse già pregustando il sapore della vittoria.
<< Io posso fare quello che voglio... ragazzino.>> fece avvicinandosi di un passo, due, tre. Dopodiché svanì nel nulla, ricomparendo subito dopo di fronte a noi.
Non ebbi il tempo di fare niente.
Una forza sconosciuta mi entrò nelle vene, bruciando come lava incandescente legamenti, tessuti connettivi ed ossa. Dall'interno.
Mi accascia a terra, incapace di fare qualsiasi altra cosa se non urlare.
Amelie mi prese tra le braccia, cullandomi a sé, tuttavia niente riusciva a calmare le mie sofferenze. Nemmeno la sua vicinanza.
<< Questo è solo un assaggio, Miguel.>> ridacchiò divertita.
Ma da dove le veniva, tutto quel potere?
Non riuscivo a spiegarmelo.
Cassandra era sempre stata dotata di grandi capacità magiche, vero... eppure non aveva mai posseduto una simile forza. Era qualcosa di anormale, dirompente... completamente estranea ai suoi usuali trucchetti.
Si trattava quindi di un nuovo "acquisto"... se così possiamo definirlo.
Un quantitativo di energia smisurato, che da un giorno all'altro l'aveva resa invincibile.
Tuttavia troppe cose non quadravano.
Altrimenti... avrebbe potuto conquistare l'Ailthium per conto suo, senza aver bisogno del mio aiuto e di così tante diaboliche macchinazioni.
Poi capii ogni cosa...
<< Maledetta!>> le inveii contro, tra una fitta di dolore lancinante e l'altra.
<< Tu lo sapevi... dannazione! Lo sapevi! E non hai detto niente!>>
La sentii sghignazzare senza alcun ritegno, come la perfida strega che era.
<< Già...>> confessò, << L'ho capito non appena i miei occhi si sono posati su di lei. L'ho sentito. Come un fuoco prorompente al centro del petto. Ma quello che mi sorprende, mio caro... è come tu non ti sia reso conto di niente...>>
Le fitte s'intensificarono, facendomi sputare sangue.
<< Vi scongiuro, Cassandra!>> gridò Amelie, sporgendosi verso di lei.
<< Che cosa c'è bambina?>> la blandì con finta dolcezza, << Vuoi che smetta di fargli del male?>>
<< Sì!>> replicò disperata, << Prendi me al suo posto... ma ti prego! Basta con questa tortura!>>
<< Lo vorrei tanto mia cara... ma vedi? Se lo lasciassi andare, lui proverebbe a portarti via da me... e questo io non posso proprio permetterlo.>>
<< Perché?>> chiese lei, << Perchè non volete che me ne vada?>>
I pensieri cominciarono a vorticarmi chiassosamente nella testa.
Il dolore era tale da farmi scoppiare le tempie, ma vividi come non mai, i ricordi di quella notte si frapposero fra me ed il presente.
Vedevo con gli occhi della mente il buio del giardino della residenza di campagna dei Von Kleemt, la luna riflessa sul pelo dell'acqua, la fresca brezza della sera... poi lei, il suo odore.
I miei sensi erano completamente impazziti, come il rubino della Mimesis, che da fredda pietra totalmente morta, si era tramutato in un tizzone ardente.
Non avevo mai provato nulla del genere, prima di allora.
Mai.
Eppure, l'arrivo tempestivo dei Ghuldrash aveva fatto sì che non mi concentrassi a fondo su quella reazione insolita.
Mi ero accanito contro quei mostri con una violenza incontrollabile, e una volta sconfitti, non ero stato in grado di ragionare lucidamente.
Il suo profumo era troppo forte, troppo dolce, troppo inebriante.
Mi aveva liquefatto il cervello in un battito di ciglia, rendendomi null'altro che una belva assetata di sangue.
E come la più famelica delle bestie, mi ero avventato su di lei... su quel collo di seta, fino a sprofondare le zanne con immane voracità nella sua carne.
Sempre più giù, in profondità, fino a dissanguarla quasi del tutto.
Eppure Amelie non era stata l'unica a rimetterci qualcosa, quella notte. Io avevo perso me stesso.
Ciononostante l'avevo sentita anche io quell'attrazione, quell'elettricità,quella forza irrefrenabile... ma l'avevo ignorata.
Semplicemente.
Catalogando il tutto come il frutto perverso della mia immaginazione.
Anche in seguito, quando gli indizi non facevano altro che portare in quell'unica direzione, la parte razionale del mio cervello si era rifiutata categoricamente di accettare quella realtà come tale.
Era impossibile, per me.
Ed ora che avevo l'evidenza proprio davanti a me, sotto agli occhi... ero inconsciamente portato a credere il contrario.
<< "Perchè", mi chiedi?>> ripeté con studiata lentezza Cassandra, strappandomi così dalla ressa disordinata dei miei pensieri.
Amelie annuì debolmente, provocando nella strega un'ulteriore eccedenza di risa.
Di punto in bianco, sentii le scosse di puro dolore attenuarsi un poco, forse a causa dell'eccessiva ilarità provocata dalla domanda di Amelie.   
<< È semplice, bambina.>> s'inumidì le labbra, << Non posso lasciarti andare perché sei troppo importante per me. Per l'Ailthium. Tu sei colei che stavamo cercando da  decenni, ormai.>>
<< Io?>> domandò esterrefatta, << Perché proprio io?>>
Vidi Cassandra aprire bocca per risponderle, tuttavia, non le diedi il tempo di emettere alcun suono che la sovrastai con la voce.
<< Proprio così Amelie...>> mormorai a denti stretti, << Sei tu il punto di congiunzione... la chiave.>>

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Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti, come va?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che anche qui, voi non vogliate trucidarmi su due piedi. Insomma, credo che sia un caitolo strano.... giù di lì non è che succede chissà cosa, ma è anche vero che ci sono grossi cambiamenti e colpi di scena. 
Ma veniamo al capitolo in sé per sé: allora, abbiamo Miguel che pretende la sua ricompensa da Cassy, la quale lo ignora bellamente e si fa incoronare "Regina" dell'Ailthium da niente-popò-di-meno-che il cadavere di Bart in persona. Ovviamene qui vi saranno sorti dei dubbi: perchè l'ha fatto ammazzare se poi aveva bisogno di lui? Beh... Cassandra non si sarebbe scomodata tanto, se non fosse stata certa che Bart non avrebbe MAI accettato di proclamarla capo indiscusso. Quindi meglio farlo fuori, e aggirare la legge con un "trucchetto" se possiamo definirlo così... poco ortodosso XD L'importante era che fosse la voce di Parrish ad investirla di un simile potere... non per forza che lui fosse vivo. E grazie all'aiuto di quella ragazzina malefica, Cass è riuscita nell'impresa. Credo che la scena di Bart che cammina senza testa... sia stata un pochino macabra... chiedo perdono se vi ha infastidito...
Poi sì, in mezzo a tutto questo sangue ci ho voluto mettere finalmente Ame e Mig che si abbracciano e sbaciucchiano un po', so che volete ben altro da loro due ma... insomma, non è proprio il contesto adatto XD
Fatto sta, che Cassy dice a Mig che è libero di andare se vuole, ma il patto stipulato vale solo per lui. Ame deve rimanere con lei. Da qui il putiferio... e poi la scoperta eclatante, che alla fine, tanto eclatante non era. Vi ricordate della "chiave" di cui ciarlavo tanto nella prima parte della storia? Ecco, è Amelie. Svelato l'arcano (?) mistero... 
E ora ditemi voi che cosa ne pensate... 
Io vi abbraccio tutti e vi rinrazio dal più profondo del cuore! 
Alla prossima! 
Un bacio, 
Rob
<3

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Capitolo 53
*** Luna Scarlatta ***


Luna Scarlatta

_ Amelie_

Non avevo perduto le mie capacità uditive, tutt'altro.
Le parole pronunciate da Miguel erano state chiare, immediate.
Mi avevano perforato i timpani da un orecchio all'altro, rombando come tuoni fragorosi agli albori di una tempesta.
<< La chiave...>> mormorai allibita, << Io... sarei la chiave?>>
Quella parola era così strana, sulle mie labbra.
Suonava incredibilmente ruvida, chiusa, arcana.
Graffiava la gola dall'interno, fino a farla bruciare.
<< Purtroppo è così...>>
Guardai in basso, verso il volto dell'uomo che amavo e che adesso giaceva tra le mie braccia; era bastato così poco... per farlo crollare a terra, tra grida assordanti ed immani dolori.
Un solo sguardo da parte di Cassandra.
Ma adesso il peggio era passato: l'attenzione della folle strega era completamente rivolta su di me, sul mio viso, sulle mie reazioni.
Eppure, quest'ultime tardavano ad arrivare.
Era come se una fitta cappa d'indolenza mi fosse scivolata addosso, lavando via ogni sorta di emozione.
Non provavo più niente, non riuscivo a muovermi, a malapena avevo la forza di respirare... e per quanto tentassi di rimanere lucida e razionale, la mia mente non faceva che vagare a ritroso, rifugiandosi ovunque, tranne che nell'effettiva dimensione del presente.
Mi rifiutavo di accettare la realtà che mi circondava; gli infiniti orrori a cui avevo assistito, le urla, il sangue... ma soprattutto, quel vorticare fastidioso di parole senza senso.
Per un attimo, mi illusi di poter scappare da tutto quello.
Andare via, di fuggire lontano... ciononostante, c'era sempre lui a tenermi incatenata lì.
Lui, Miguel.
Il mio amore, il mio legame, il mio unico punto di contatto con il mondo esterno.
Lo guardai a lungo, con la vaga coscienza del suo sguardo su di me e del suo respiro diventato sempre più costante.
Di nuovo regolare.
Quel poco che s'intravedeva del suo viso segnato dalla battaglia e dal troppo sangue, aveva ripreso colore, mentre i suoi occhi di zaffiro avevano smesso di emettere bagliori rossastri.
<< Miguel...>> mormorai, incapace di aggiungere altro.
Avrei voluto che continuasse a parlare, che mi spiegasse per filo e per segno l'intera situazione, ma con mia grande sorpresa, lo vidi distogliere lo sguardo e scuotere la testa.
Fece leva sulle braccia per alzarsi, si liberò senza fatica dalla mia presa, dopodiché, come se nulla fosse stato... si erse in piedi per fronteggiare Cassandra.
Rabbrividii.
C'era del fuoco, nei loro occhi.
Fiamme che crepitavano in silenzio, in un muto dibattito tra menti.
Oh, sì.
Io lo sapevo: loro due si stavano parlando.
Comunicavano. 
Ma a proposito di cosa?
Spinta da una sorta di misteriosa smania, seguii il suo esempio e mi alzai in piedi.
Eravamo in tre, ora.
Tre paia di sguardi che si sfidavano vicendevolmente, all'ultimo sangue.
Tuttavia, sia Miguel che Cassandra erano fin troppo impegnati ad annientarsi fra loro per prestarmi la dovuta attenzione.
E non potevo permetterlo. Non dopo tutto quello che entrambi mi avevano detto.
<< Cos'è la chiave?>> ripetei, decisa più che mai a farmi sentire.
Vidi le iridi di Cassandra posarsi su di me e brillare come diamanti.
Pareva rimirare il più grande tesoro mai esistito sulla faccia della terra, che ora, da un momento all'altro sembrava essere entrato in suo possesso.
<< Cosa vuol dire?>> continuai, << La chiave di cosa?>>
Ruotai il capo in direzione di Miguel, affinché potessi incontrare il blu sconfinato dei suoi occhi, ma il mio sguardo non fu ricambiato.
Le sue pupille s'erano fatte appuntite come spilli e fissavano con astio il volto senza tempo della strega bianca.
<< L'hai fatto per la Profezia, non è vero?>> si decise finalmente a parlare, << Sapevi quali erano i piani di Parrish e dei suoi tirapiedi a proposito della chiave. Lo sapevi fin troppo bene. Ed è per questo, che hai complottato nell'ombra affinché tutto ciò potesse avverarsi.>>
Con un gesto plateale, Miguel allargò le braccia verso l'alto, abbracciando virtualmente l'intero perimetro dell'Arena.
<< Grazie ai tuoi poteri psichici, avresti potuto scagionarmi in qualsiasi momento dalle false accuse che mi gravavano addosso... ma non l'hai fatto. Volevi che Parrish e gli altri mi processassero. Volevi che mi condannassero e che con la sentenza di morte sulla testa, non avessi altra scelta che assecondare i tuoi piani. Il tuo unico scopo era servirti di me, avermi in tuo potere, così da potermi utilizzare come un burattino da controllare a tuo piacimento. Ma non avevi tenuto conto che avrei cercato un altro modo, per evitare la condanna! Non potevi immaginare che avrei convinto i Gladiatori ad aiutarmi nella rivolta. Così ti sei giocata l'unica carta vincente in tuo possesso: Amelie. Sapevi perfettamente quali fossero i miei sentimenti nei suoi confronti, che lei sarebbe stata il mio tallone d'Achille, ma soprattutto... che per lei avrei compiuto una strage. E così è stato. Ho ucciso i miei compagni di battaglia, pur di salvarle la vita. Poveri uomini, vero, per nulla innocenti, ma che non meritavano di morire in quel modo orrendo. Neanche fossero stati delle bestie. Eppure non ti bastava tutto quel sangue, no. Non era sufficiente. Così, in un modo o nell'altro... mi hai costretto ad obbedire ai tuoi ordini, facendo sì che ti offrissi su un piatto d'argento la testa del Giudice Supremo e dei suoi compari.>>
Mentre parlava, gli occhi gelidi di Miguel mutavano colore di secondo in secondo, passando dall'azzurro, al rosso più intenso, per poi ritornare al loro tono originale. 
<< Grazie a me, hai voluto quello che desideravi.>> aggiunse subito dopo, << Il potere incontrastato. La totale sottomissione dell'Ailthium ai tuoi voleri. Così da autoproclamarti Regina ed abolire ogni potere in possesso al Consiglio. Tu->>
Uno scrosciare improvviso, interruppe bruscamente le accuse di Miguel nei confronti della sua interlocutrice.
Era stata proprio Cassandra, infatti, a prorompere in una fragorosa risata.
<< Bene!>> esclamò giuliva, << Vedo che hai capito tutto quanto, ma ti sfugge ancora qualcosa.>>
Vidi Miguel inchiodarla col più tagliente degli sguardi. Avrebbe potuto incenerirla, se solo ne avesse avuto il potere.
<< Ah sì?>> rispose lui, con aria strafottente.
<< Certamente...>> sussurrò di rimando Cassandra.
La strega bianca volse lo sguardo su di me, mentre i suoi occhi d'ebano brillavano come tizzoni ardenti.
Poi giunse il contatto.
Un tocco gelido, proprio lì, alla base della nuca.
Sentii innumerevoli brividi di freddo incresparmi la pelle, mentre le mani della strega scendevano per posarsi sulle mie spalle.
Potevo percepire il gelo anche sotto strati di stoffa e pelle.
<< Ma che...>>
Come aveva fatto a comparirmi alle spalle?
Non appena me ne resi conto, cercai in tutti i modi di liberarmi, ma la sua stretta era ferrea, irremovibile, come ghiaccio tramutato in pietra.
<< Vedi, caro il mio Sterminatore... dovresti essermi grato, per averle salvato la vita. Se non fosse stato per me, questa graziosa bambolina sarebbe finita direttamente nelle mani di Bartholomew... e sai meglio di me, cosa le avrebbe fatto quell'animale!>>
<< Di cosa sta parlando, Miguel?>> m'intromisi nel discorso.
Lui mi fissò intensamente negli occhi, senza però proferire parola.
<< Non appena scoperta la tua vera identità, mia dolce bambina...>> rispose Cassandra al suo posto, << Il Giudice Supremo non avrebbe certamente avuto pietà. Anzi. Ti avrebbe uccisa senza alcuna esitazione, con le sue stesse mani.>>
Che cosa?
Quella notizia era... sì, decisamente assurda!
<< U-uccidermi?>> balbettai, << Perchè?>>
<< Sei la chiave di molte cose, mia cara.>> spiegò lei con voce pacata, << Ma non è né questo il momento, né il luogo adatto per intraprendere un simile discorso; ti basti sapere che ti cercavamo da decenni, qui all'Ailthium. Quegli sciocchi ti hanno sempre reputata pericolosa, un danno per l'umanità... ma non hanno mai capito quanto potere risieda dentro di te! Quali incredibili potenzialità! La verità è che ci sei indispensabile, e che grazie a te e alla forza racchiusa all'interno del tuo sangue, riusciremo a salvare questo mondo corrotto e perverso dall'oscurità. Tu sei il nostro faro nella notte, bambina. La nostra luce.>>
<< E questo, cosa vuol dire? Io... non... non riesco a capire...>>
<< Capirai, tesoro. Lo capirai molto presto... più in fretta di quanto pensi.>>
<< Ma io...>> strepitai, bloccandomi all'istante.
Una smorfia d'insofferenza le increspò il viso pallido, dando via ad un sottile groviglio di pieghe ai lati della bocca e degli occhi.
<< Esistono cose che vanno oltre la tua comprensione. È naturale. L'Ailthium ha fatto sì che queste verità venissero celate agli esseri umani da millenni di polvere ed insabbiamenti. >>
<< E cosa centra con me... tutto questo?>>
<< Oh, beh... tu sei la chiave per accedere al potere.>>
<< Io? E come?>>
<< "Quando la luna si tingerà di rosso...">> recitò ad alta voce Miguel, facendomi sussultare dallo spavento. Era stato muto ed immobile fino ad allora.
Cassandra fece un cenno d'assenso con la testa.
<< Esattamente. >>
<< È solo una stupida leggenda.>> fece lui.
<< L'unica e sola Profezia rivelata nelle Scritture, vorrai dire...>> lo rimbeccò lei, << Quanto di più vicino alla Verità assoluta.>>
<< Sei solo una pazza delirante, Cassandra!>> s'intromise Lizzy, urlando come un'ossessa dall'altro capo del palco.
Ryan le tappò immediatamente la bocca, facendo sempre più pressione contro la sua gola.
Sentii Lizzy mugugnare, tentare di dire qualcosa, ma il filo della lama che il Camaleonte le puntava addosso, bastava per ammansirla a dovere.
Almeno per un poco.
<< Sta zitta, gattina!>> gracchiò lui, cercando in tutti i modi di tenerla ferma.
Eppure, Lizzy era di tutt'atro avviso.
<< Non stai facendo tutto questo per l'organizzazione, né tantomeno per il genere umano!>> ringhiò incollerita, << Cassandra! Lo stai facendo unicamente per te stessa!>>
<< Non lo nego.>> asserì la strega bianca, << Tuttavia, ogni mio desiderio... non è forse un imperativo per l'Ailthium?>>
Con un gesto fulmineo mi afferrò per il gomito, costringendomi ad affiancarla sul lato destro.
<< Lo spettacolo è finito!>> urlò a gran voce, rivolgendosi a chiunque fosse in grado di sentirla.
<< Andatevene via tutti quanti, nessuno escluso!>> continuò, << Tranne la chiave, lo Sterminatore, e una decina di Molossis.>>
<< Anche io, mia signora?>> domandò mestamente quell'infame di Ryan.
<< Soprattutto tu, mio caro. Non ne posso più delle continue grida di quella ragazzetta! Portala via... poi, sistemala come si deve!>>
<< No! Non potete farlo!>> ringhiai come un'animale ferito, <<  Non la portate via!>>
Ma Ryan Blackwood era insensibile alle mie preghiere, e dopo infiniti calci e pugni da parte della sua "protetta", li vidi sparire entrambi al di là del separé in velluto scuro.
Anche la gente sugli spalti aveva cominciato a scemare, abbandonando la loro postazione come si farebbe con una nave in procinto di affondare.
<< E adesso?>> chiesi tra le lacrime, << Che cosa avete intenzione di fare?>>
Sentii le mani di Cassandra risalire delicatamente lungo le mie braccia, fino alle scapole.
<< Niente, bambina. Voglio solo tenerti qui, accanto a me.>>
<< Lasciala andare!>> proruppe Miguel, scattando fulmineamente in avanti.
<< E perché dovrei? Avere la chiave così vicino intensifica i miei poteri. Li esalta a dismisura. L'energia sprigionata da questa insulsa ragazzina mi riempie le viscere di una forza talmente grande da farmi scoppiare. E non le ho ancora fatto nulla...>>
Il suo sguardo incrociò quello di Miguel, sfidandolo.
Lui era una maschera di collera e frustrazione.
<< Ti ho detto... di lasciala andare!>> minacciò, sfoderando gli artigli a mo' di avvertimento.
<< Altrimenti?>> lo sbeffeggiò lei.
<< Ti strapperò il cuore dal petto e lo mangerò. Oppure preferisci che recida la tua testa, mia signora? Magari proprio come ho fatto col tuo amico, Bartholomew Parrish.>>
Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché Cassandra iniziò a sghignazzare.
Fu questione di un istante, il tempo d'un battito di ciglia, e il volto di Miguel prese a contorcersi in una maschera di puro dolore.
<< Non impari mai la lezione, eh?>> fece lei, stringendo maggiormente la presa su di me.
Stava di nuovo utilizzando i suoi poteri malefici, costringendolo a sottostare al suo volere.
<< Smettila, Cassandra!>> la implorai.
Vedere Miguel in quello stato, era straziante. Come ricevere un miliardo di stilettate all'altezza del cuore.
<< E perché? Il caro Sterminatore ancora non ha capito chi è comanda. Vuole altre prove del mio immenso potere... ora che tu mi sei così vicina!>>
<< Maledetta bastarda...>> ringhiò lui, cercando in tutti i modi di non crollare a terra.
Ma quanto avrebbe resistito, stavolta?
Il suo corpo era scosso dai tremori, barcollava, presto o tardi le gambe gli avrebbero ceduto, facendolo cadere nuovamente a terra.
La strega emise un lieve fischio con la bocca, poi decise di aver giocato abbastanza.
<< Ti basta o vuoi che continui?>> chiese una volta che le membra di Miguel smisero di tremare.
Lui sputò a terra un groviglio di saliva e sangue, inchiodandola con uno sguardo di fuoco.
<< So cosa vuoi fare, Cassandra... L'ho capito!>> sibilò a denti stretti, << Ma non puoi farlo!>>
<< E chi me lo impedirebbe?>> disse lei, << Tu?>>
Un ulteriore eccesso di risa riempì il piccolo palco riservato alla strega, spargendo il suo eco per tutta l'Arena, diventata ormai un vuoto deserto.
C'erano solo i cadaveri, adesso... a farci da testimoni.
<< E come?>>
Silenzio.
<< Pensi di fare tutto questo per amore?>>
Ancora silenzio.
Ma cosa...
<< Avanti, non fare l'ipocrita!>> continuò a stuzzicarlo, << La verità è che vuoi tenerla tutta per te. Ho letto nei recessi della tua mente. So quello che realmente provi. Perchè hai un così... disperato bisogno di lei. E credimi, l'amore centra ben poco in tutto questo.>>
All'inizio fu come una puntura lieve, leggermente fastidiosa.
Poi, quelle parole mi colpirono violentemente al cuore, traforandolo da parte a parte, come un dardo infuocato conficcato nelle carni.
" È così, Miguel?!" pensai in preda al panico, " Stanno davvero così.... le cose?"
No, no, no. Mi rifiutavo di crederlo!
Ma il duraturo mutismo del mio Miguel, non faceva altro che avvalorare l'immensa quantità di veleno sputato fuori dalle labbra di Cassandra.
Il dubbio mi stava lacerando l'anima.
<< So cosa stai provando in questo momento.>> aggiunse lei poco dopo, sfiorandomi delicatamente una guancia con le labbra.
<< Sei incredulo, spaventato, arrabbiato. Non puoi credere che la tua dolce Amelie, il tuo... -come ti piace chiamarla?- Piccolo Tarlo, sia in realtà la chiave che tutti cercano! Deve sembrarti assurdo, irreale... eppure l'hai sempre saputo. Nel profondo, ne sei sempre stato cosciente. Ma è più facile mentire a sé stessi, che accettare la verità... dico bene?>>
<< Smettila...>> mormorò Miguel con un filo di voce.
Ma Cassandra non gli diede ascolto, continuando imperterrita ad attaccare briga.
<< Hai usufruito del suo sangue in più di un'occasione, Sterminatore. Ti sei nutrito di lei... ed è solo grazie a questo che sei ancora in vita. Dovresti esserle grato.>> si bloccò, fece una pausa, dopo la quale riprese a parlare.
<< Ciononostante, dovresti anche odiarla. D'ora in avanti, ti sarà impossibile sopravvivere senza il suo sangue. Ti ha reso succube, dipendente. Sei completamente in suo potere. Inoltre, non ti sarà possibile nutrirti da nessun altro. Ma questo... lo sai già, non è vero?>>
Lui fece per replicare, ma senza rendermene conto, glielo impedii.
<< Le cose stanno davvero così, Miguel?>>
Finalmente, i suoi occhi si posarono su di me: non erano mai stati tanto freddi, inespressivi, crudeli.
Sembravano ghiaccio cristallizzato.
<< No.>> fu la sua unica risposta.
E nel giro d'un secondo, quello stesso ghiaccio divenne fuoco.
Le sue iridi si colorarono completamente di sangue e in uno scatto improvviso, me lo ritrovai quasi addosso.
O meglio, addosso a Cassandra.
Le sue mani stringevano il lungo collo da cigno della strega, in una morsa che ben presto le avrebbe tolto per sempre il respiro.
<< Muori...!>> gridò come impazzito, << Maledetta puttana! Muori!>>
Ma le labbra della donna si piegarono all'insù, beffardamente.
<< Portatelo via.>> sussurrarono appena.
E dall'ombra comparvero delle figure alte, massicce, i mantelli color porpora che rifulgevano come fiamme.
Si fiondarono su Miguel senza esitazione, colpendolo ovunque, purché lasciasse la presa sulla gola della loro signora.
Ma lui non demordeva.
Per quanto quegli energumeni cercassero di strapparlo da Cassandra, le sue dita rimanevano avviluppate a quel collo, stringendo ancora.
Ed ancora, ed ancora.
Cassandra emise un urlo strozzato, poi venne il sangue.
Dei pugnali animati di vita propria, si levarono improvvisamente in aria, colpendo Miguel alle spalle.
<< No!>> urlai con tutte le mie forze, << Irys!>>
La bambina che nel frattempo se n'era stata in disparte, mi rivolse un sorriso tagliente, sinistro, da predatore.
Bastò un lieve guizzo dei suoi occhi per conficcare le lame ancor più in profondità, nella carne già fin troppo martoriata dalla prigionia e dalla battaglia.
<< Basta ti prego!>> la implorai, senza più voce.
Quanto avrei voluto inginocchiarmi di fronte a lei e strisciare, purché smettesse di infliggere dolore all'uomo che amavo. Ma la stretta di Cassandra me lo impediva.
<< Portatelo via, ho detto!>> ripeté in un rantolo soffocato, << Via!>>
Gli uomini incappucciati, approfittando dell'ennesimo pugnale lanciato da Irys, riuscirono a tirare via Miguel, liberando una volta per tutte la loro padrona.
<< Io ti ucciderò, lo giuro!>> strepitò lui, rivolgendo tutta la sua furia a Cassandra.
<< Staremo a vedere...>> lo sfidò lei, la voce incredibilmente roca e bassa.
Si tastò la gola per assicurarsi che fosse tutto in ordine, dopodiché mi strattonò il braccio, affinché mi parassi proprio di fronte al suo corpo.
Che vigliacca!
Si stava nascondendo dietro di me, usandomi come scudo.
Ma in quel momento, niente aveva importanza.
Né lei, né il caos che m'imperversava intorno.
Solo Miguel.
Per un breve istante i nostri occhi s'incontrarono, incatenandosi l'uno all'altro.
Non so quello che lesse all'interno del mio sguardo, non oso immaginarlo, eppure senza alcuna esitazione, lo vidi fare segno di "no" con la testa.
Aveva capito le mie intenzioni ancor prima che potessi farlo io stessa.
<< No, Amelie. >> mi ammonì, << Non osare neanche pensarlo!>>
Ma ormai era troppo tardi: avevo già preso la mia decisione.
<< Cassandra, ti prego. Farò tutto quello che vuoi, qualsiasi cosa mi dirai di fare... io l'accetterò di buon grado. Mi sottometto totalmente alla tua volontà. Ma liberalo. Per favore, liberalo! Ti darò la mia vita, in cambio della sua... tutta me stessa, se necessario!>> la supplicai, senza distogliere lo sguardo da lui.
Passarono alcuni secondi di desolante silenzio, dopodiché la strega bianca si decise a parlare.
<< E sia.>> concesse, << Ma non posso permettermi di lasciarlo libero. È un ostaggio troppo prezioso.>>
<< Perché?!>> gridai disperata, << Ti ho detto che sarò completamente alla tua mercé!>>
<< Non offenderti, bambina cara. Ma non sono stupida. In questo momento ci stiamo toccando, la tua mente è a stretto contatto con la mia... e tu non hai segreti per me. So che non appena l'avrò lasciato libero, tu ti toglierai la vita. E non mi sta bene. Non ora, perlomeno.>>
<< E quindi cosa vuoi fare? Tenerlo imprigionato a vita?>>
Con mia grande sorpresa, però... fu lo stesso Miguel a parlare.
<< No, non a vita.>> disse dipingendosi sul viso una sorta di sorriso sghembo, quasi rassegnato. 
<< Ma almeno, fino a quando non giungerà la Luna Scarlatta. E con essa... la "rottura" del Sigillo.>>

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Angolo dell'Autrice
Saaaaaaaalve! Lo so, sono imperdonabile... ci ho messo un eternità per aggiornare... e mi dispiace tantissimo! Ma gli esami non hanno pietà per niente e per nessuno, tantomeno per me... e anche se sono ancora in fase "studio intensivo" ho trovato il tempo per andare un po' avanti con questa follia! Lo so, le cose si mettono sempre peggio e voi ormai mi odierete a morte T.T cercate di non farlo, vi supplico! Vi avevo anche detto che a brevea avrei concluso con questa prima parte, ed è così ve lo giuro! Siamo veramente agli sgoccioli! Ma sinceramente non so quanti capitoli mancano a codesta "fine"... Insomma, pochi... ma non saprei dirvi precisamente quanti, perché nello scrivere le cose cambiano sempre un pochino rispetto alla mia volontà T.T
Detto questo, spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto... certo, non c'è stata poi tutta questa azione, ma penso che siano state dette e "rivelate" soprattutto, molte cose importanti... prima fra tutte, il motivo di tutto questo macello e degli intrighi di Cassandra... 
Quindi, non posso far altro che ringraziarvi tutti dal più profondo del cuore e sperare che vogliate farmi sapere cosa ne pensate... <3
Un bacione
Rob
<3

 

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Capitolo 54
*** Tra Bugie E Verità ***


Tra Bugie E Verità

...


_ Miguel_

Bizzarro, davvero.
Mi guardai intorno con aria divertita, fingendo, persino con me stesso... che in fin dei conti, le cose non erano andate poi così male.
O almeno, ci provavo.
Era estremamente difficile restare ottimisti, quando il resto del mondo ti crollava addosso, inesorabilmente, come tonnellate di neve e roccia nel bel mezzo una valanga.
Ma cos'altro potevo fare?
I piagnistei disperati non avevano mai fatto per me; era inutile, quantomeno improduttivo abbattersi di fronte alle difficoltà... arrendersi.
Eppure, sembrava quasi che il Destino provasse una sadica soddisfazione nell'accanirsi contro di me.
Tentava in ogni modo di piegarmi, di spezzarmi... di ridurre in frantumi la mia volontà , senza mai riuscirci del tutto.
Perlomeno, fino ad ora.
Stanco di stare in piedi, mi lasciai cadere a terra, tra tintinnii di catene e putridume.
Le ferite alla schiena bruciavano come l'inferno; le pugnalate infertemi dalla telecinesi di Irys erano state calibrate bene, nei minimi dettagli, sommandosi agli innumerevoli squarci che avevo un po' su tutto il corpo a causa della battaglia.
Ma contrariamente a quanto avessi mai potuto immaginare, gli stessi Molossis che si erano premuniti d'imprigionarmi, avevano provveduto ripulirle accuratamente.
A fondo.
Il sangue mi era stato totalmente lavato via di dosso, mentre degli abiti puliti avevano preso il posto degli ormai vecchi e consunti stracci che portavo da circa una settimana.
<< A cosa devo, questo onore?>> avevo chiesto al comandante del piccolo gruppo di Molossis.
<< Ordini della Regina.>> si era limitato a rispondere, << Ti vuole in ordine, presentabile, in modo da poter presenziare al Rito della Luna Scarlatta.>>
<< Sai già quando si terrà?>> gli avevo domandato col cuore in gola.
Il Molossis si era stretto nelle spalle, per poi guardarmi con aria truce e scuotere la testa.
<< No, non ancora. Ma si vocifera che il momento sia vicino... Secondo la Regina, la luna è quasi in posizione e quando il cerchio verrà completato, finiranno anche i tuoi giorni su questa terra, Sterminatore.>>
Così aveva detto prima di andarsene, seguito dal modesto plotone dei suoi uomini.
<< Figlio di puttana!>> gli avevo inveito contro, senza però ricevere alcuna risposta.
Quel bastardo mi aveva lasciato solo, a marcire, preda della rabbia, della frustrazione e della fame.
Sì, la fame.
Sebbene mi fosse stata offerta una quantità esigua di sangue umano al solo scopo di rimettermi in forze, come era prevedibile... lo avevo rigettato tutto dopo pochi minuti, incapace di assimilarne anche solo una goccia.
" Che spreco..." pensai affranto, ritornando con la mente al presente, mentre un'ulteriore fitta mi colpì inevitabilmente alla bocca dello stomaco.  
Senza il prezioso sangue di Amelie, ero perduto.
Non esisteva nient'altro in questo mondo capace di placare la mia fame come quel rosso nettare profumato.
Assolutamente niente.
Solo lui... e quella sua consistenza unica, ammaliante, colma di... forza.
Mi costava caro doverlo ammettere, ma Cassandra aveva ragione.
C'era un potere immenso custodito al suo interno, un potere tanto grande ed inebriante, da diventare venefico.
Pericoloso.
Morte allo stato liquido.
E lo sapevo, maledizione!
Nel profondo della mia mente... l'avevo sempre saputo!
Ma proprio come aveva specificato la nuova "Regina" dell'Ailthium, avevo mentito a me stesso fin dall'inizio, catalogando il tutto come una bizzarra anomalia, un'alterazione delle mie percezioni.
Ed ora mi ritrovavo a bruciare, sì... come lava incandescente nel cratere di un vulcano; ero preda della smania, della fame e di un desiderio incessante, talmente grande da stritolarmi le viscere in una morsa letale.
Tuttavia, era diventato un dolore persistente, quello... con il quale avevo imparato a convivere.
Sì, ma per quanto ancora?
Non avendo finestre ed orologi a disposizione: ignoravo completamente quanto tempo fosse passato da quando i Molossis, nel pieno della loro "delicatezza" mi avessero "gentilmente" trascinato nelle prigioni; potevano essere trascorse ore, come giorni.
Non avrei saputo dirlo con esattezza.
Ma nonostante tutto quello che era accaduto, l'odore senza pari di Amelie riecheggiava ancora nelle mie narici.
Mi stuzzicava, m'inebriava, mi torturava.
Come la più terribile delle maledizioni, mi si era incollato addosso per mai più abbandonarmi.
Mai più...
Oh, no... no!
Quello era decisamente troppo, persino per me!
<< Dannazione!>> imprecai con tutta la disperazione che avevo in corpo.
In un raptus improvviso, presi a graffiarmi le braccia con le unghie, scavando in profondità, nella pelle, fino a creare solchi vermigli... ricolmi di sangue.
Ma ciò non bastava, no.
Allora cominciai a lacerarmi il petto, l'addome, i fianchi... volevo che quella sensazione svanisse!
Che evaporasse via, nell'aria... ma niente era abbastanza.
Più ferivo le mie carni, più il calore del suo corpo contro il mio era evidente, vivido, ustionante.
Non riuscivo a scrollarmi di dosso il suo ricordo.
Eppure eravamo così lontani, adesso... maledettamente troppo lontani!
" Cassandra l'avrà già portata nelle sue stanze..." pensai, mentre il dolore del tutto fisico che provavo a causa della sua distanza, mi contorceva lo stomaco con spasmi violenti.
" Non la lascerà mai andare."
Ma non era quello, a preoccuparmi.
Non quanto l'imminente arrivo della Luna Scarlatta.
Se solo Amelie non fosse riuscita a scappare...
No, no, no!
Per me era impossibile anche solo immaginarlo!
<< Fatemi uscire!>> gridai al nulla, scaraventandomi contro le sbarre con immane potenza.
Le catene che mi legavano i polsi trillarono come campanelli d'allarme, ma il rumore da loro emesso si perse nel vuoto delle celle, fino a scemare in un pallido sussurro.
Dopodiché, il silenzio dell'abbandono tornò ad impregnare l'aria, rendendola secca, arida... insopportabilmente soffocante.
Non c'era più nessuno adesso a fare baccano.
Le numerose gabbie erano state svuotate; i prigionieri mandati a morire come Gladiatori nell'Arena, mentre le loro postazioni erano rimaste vuote,  incustodite, preda dei ratti, della polvere e della ruggine.
Se non fossi stato certo dell'effettiva gravità della situazione, sarei scoppiato a ridere fino a lacrimare.
"Ed eccomi qui!" pensai, "Esattamente al punto di partenza... solo più solo."
Mi guardai distrattamente gli innumerevoli graffi che mi ero da poco auto-procurato, senza però riuscire a trattenere una risata.
Diventerò pazzo...
Oh, sì.
I segni della follia non erano mai stati così evidenti in me.
Ben presto, la mancanza di sangue nell'organismo avrebbe azzerato non solo le mie forze, ma anche ogni capacità cognitiva e celebrale.
Mi avrebbe reso un mostro privo di coscienza, pronto a tutto pur di accaparrasi un po' di nutrimento... arrivando persino a fare uso del proprio sangue pur di rimanere in vita.
Ma l'idea di giungere in qualche modo all'autofagia bastava a nausearmi.
Quindi, se volevo sopravvivere... non potevo far altro che aggrapparmi all'illusione che qualcuno, da un momemto all'altro... potesse arrivare in mio soccorso.
Magari con una lama ben affilata tra le mani e la voglia di porre fine alle mie sofferenze.
Per sempre.
Non feci in tempo a figurarmelo nella mente, che una presenza umana si manifestò in quel deserto di morte e desolazione in cui si erano ormai trasformate le prigioni.
Dapprima non riconobbi quell'odore, scambiandolo per quello di uno sconosciuto... ma poi, le note acute ed inconfondibili dell'acqua di colonia di Ryan mi resero l'identificazione un gioco da ragazzi.
<< Sei venuto a farmi compagnia, signor Blackwood?>> domandai con tono sarcastico.
Un'ombra indefinita si materializzò oltre le sbarre, prendendo poi forma nella figura asciutta e slanciata di quell'imbecille.
<< Non è il momento di fare tanto il sarcastico!>> si affrettò a dire lui, guardandosi intorno con aria circospetta.
Era agitato, col fiatone, il cuore in fiamme e la fronte imperlata di sudore; ad occhio e croce, sembrava aver corso ininterrottamente fino ad allora.
Ma perché?
<< A cosa devo la tua visita?>> lo interrogai, coprendomi le ferite sulle braccia meglio che potevo.
Per mia fortuna non le notò, quantomeno non in quel momento; era troppo impegnato a recuperare il fiato per fare attenzione ai dettagli.
<< Sono corso immediatamente qui, Miguel... non appena sono venuto a conoscenza del luogo in cui ti avevano imprigionato!>>
<< Perché tanta premura, Blackwood? Non è da te... soprattutto dopo quello che hai fatto.>>
<< Tu non capisci, Miguel!>> proruppe di botto, aggrappandosi con forza alle sbarre.
Forse tempo addietro avrebbe anche potuto convincermi, ma non ora.
Il suo tradimento aveva cancellato ogni cosa, qualsiasi legame fosse mai esistito tra noi due.
Per me era come se fosse morto.
<< Cosa non capisco?>> lo istigai, << Quanto siano stati bene architettati i tuoi imbrogli? Beh, amico! Puoi starne certo... è l'unica cosa che fin ora mi è chiara. Sei sempre stato un'infame doppiogiochista, un bugiardo, un traditore... e nell'Arena, finalmente... hai scoperto le tue carte! Sei stato agli ordini di Cassandra fin dall'inizio non è vero? Ammettilo!>>
Lui scosse la testa, stringendo le sbarre con forza, come se avesse voluto spezzarle.
<< No, Miguel!>> s'impuntò, << Non è come pensi! Posso assicurartelo!>>
Sbuffai spazientito, stufo del fastidioso ciarlare della sua bocca!
<< Non ti credo. Sei solo un lurido bastardo, un figlio di puttana!>>
<< È vero, Miguel. Non mi sono comportato correttamente con te; ho tradito la tua fiducia così tante volte che ormai ho perso il conto. E sì, le mie intenzioni non sono mai state chiare. Ma c'è un motivo a tutto questo! Te lo giuro! Almeno prova ad ascoltarmi!>>
Il suo sguardo si fece cupo, lucido, quasi grondante di lacrime... ma non mi feci impietosire.
Anzi...
Le mie dita vennero scosse da un tremito, alla sola idea di cavargli gli occhi dalle orbite con le mie stessa mani.
<< Perché dovrei farlo?! Perché dovrei ascoltarti?!>>
Il suo labbro inferiore tremò.
<< Perché devi conoscere la verità, Miguel! Tu devi sapere...>>
<< Sapere cosa?>> ringhiai, << La tua Verità? Suvvia, Camaleonte! Quella parola non è mai esistita sul tuo vocabolario!>>
Lo vidi assumere un'espressione sconsolata e scuotere la testa.
Cercava negare, il bastardo...
<< Non è così. E se solo mi farai parlare... te lo dimostrerò! Ma prima...>> disse frugando nel suo soprabito, << Permettimi di aiutarti.>>
Estrasse dalle sue tasche una fialetta trasparente, in vetro... contenente del liquido color amaranto.
<< Se cerchi di comprarmi, sappi che non ci riuscirai.>> affermai infuriato.
Lo vidi far cenno di "no" col capo, mentre mi porgeva il piccolo oggetto tra le sbarre di acciaio.
<< Non fare lo stupido, Miguel. Li ho visti quei segni che hai addosso... e non te li hanno provocati i Molossis. Sei stato tu stesso a farli! Non puoi negarlo...>> sentenziò saccente, << Hai perso troppo sangue quest'oggi, inoltre è dalla tua cattura che non ti nutri adeguatamente... presto o tardi finirai per perdere il senno!>>
<< Devo ringraziare te per questo, non credi?>> sibilai a denti stretti.
Vidi chiaramente che avrebbe voluto ribattere a tono, ma il buon senso e l'istinto di sopravvivenza fecero sì che desistesse dal parlare.
<< Sbaglio o non eri tu, quello sul tetto di Slyvermon, giunto da incredibilmente lontano solo per catturarmi? E qui nei sotterranei? In questa stessa cella? Non eri forse tu, Ryan Blackwood... ad incitare la frusta di Angus? O non lo ricordi?>>
<< Lo ricordo perfettamente, Miguel...>> disse con tono estremamente contrito, << Ma ho dovuto farlo. Il Consiglio me l'aveva ordinato, volevano la tua testa... ed io non potevo oppormi al loro volere! Non sai quanto ho sofferto, nel vederti trattato così ingiustamente... ma se non avessi fatto come desideravano, avrei fatto la tua stessa fine! Ed io non potevo permetterlo... mi avrebbero ucciso, con le loro torture! E questo perché siamo diversi io e te: non appartengo alla tua razza, non ho un minimo della tua forza e della tua resistenza... sono solo un essere umano! Quindi ho pensato in primo luogo a garantirmi la sopravvivenza! Sono stato un codardo, questo è vero... ma tutto quello che ho fatto è perché non ho avuto scelta! Devi credermi!>>
Lo trapassai da parte a parte con un'occhiata tagliente, assaporando con crescente soddisfazione l'espressione di puro panico che Ryan si era dipinto sul viso.
<< Posso anche crederti, cosa che ovviamente non ho intenzione di fare. Ma quello che mi hai appena raccontato, non giustifica neanche in parte il tuo comportamento. Non hai messo solo a repentaglio la mia vita, Ryan... ma soprattutto quella di Amelie e io questo... non posso proprio perdonartelo. Se non fosse stato per te... ora, Cassandra non sarebbe mai arrivata a possedere tanto potere e non terrebbe Amelie prigioniera nell'attesa della Luna Scarlat->>
Ma non feci in tempo a terminare la frase, che il Camaleonte scoppiò a rumorosamente a ridere.
<< Oh, Miguel...>> ghignò divertito, << Credi davvero che sia stato tutto un caso? Credi che Cassandra non avesse programmato tutto già da tempo? >>
Fece una pausa, nella quale mi scrutò intensamente per poi riprendere a parlare.
<< Era stato tutto calcolato, fin dall'inizio!>>
<< Cosa vuol dire?>>
<<  Perché la lettera della Contessa Von Kleemt è capitata proprio nelle tue mani, te lo sei mai chiesto?>> fece sporgendosi in avanti, << È vero, vi eravate conosciuti entrambi tempo addietro, ma non è questo il motivo del tuo incarico. Lei non aveva richiesto i tuoi servigi, ma per qualche misterioso motivo.... gli ordini di protezione nei confronti della piccola Von Kleemt, sono finiti proprio tra le tue mani.>>
<< Vuoi dire che...>>
<< Sì, esatto. C'era Cassandra dietro tutto questo. La richiesta della Contessa Lamia era stata affidata unicamente all'Ailthium. Chiunque avrebbe potuto assolvere quel compito, ma Cassandra ha fatto in modo che la lettera venisse indirizzata solo ed esclusivamente a te.>>
<< Quindi l'aveva sempre saputo, di Amelie...>> mormorai quasi tra me e me, << Ancor prima che venisse trascinata a forza qui all'Ailthium.>>  
Vidi Ryan asserire col capo, mentre il fioco bagliore delle torce si rifletteva in modo assai traballante sulle lenti tondeggianti dei suoi occhiali.
<< Proprio così, Miguel. Cassandra aveva fatto le sue ricerche da tempo, organizzando tutto nei minimi dettagli.>>
Quella notizia ebbe il funesto potere di spiazzarmi.
<< Ma come?>>
Ero semplicemente incredulo.
<< Credevi di aver capito tutto, di lei... ma se c'è una cosa che ho imparato lavorando in questo posto, è mai fidarsi della strega bianca!>>
<< Se le cose stanno veramente così... mi viene quasi da pensare che sia stata lei a manovrare Ravaléc, affinché tutti quei Ghuldrash attaccassero Amelie.>>
Ryan annuì.
<< Infatti e proprio quello che è accaduto. Il caro dottor Ravaléc era sempre stato ai suoi comandi, fin dall'inizio. Infatti, è stato lui ad informarla sulle particolarità del sangue di Amelie... e poi, da dove credi che provenissero tutti quei Ghuldrash?>>
<< Le nostre prigioni...>> sospirai, << Ma certo! L'ultimo girone ne è pieno!>>
Dovetti per un attimo poggiarmi a qualcosa di soldo per non cadere.
Era tutto così caotico, disordinato, un vero dedalo senza fine... ma finalmente ogni cosa sembrava andare al proprio posto.
Possibile che fosse stato tutto calcolato da quella puttana vestita di bianco? 
C'era lei, dietro ad ogni cosa.
Eppure, non tutti i pezzi del puzzle erano stati ricomposti.
Mancava ancora qualcosa...
<< Anche Nigel? E per quanto riguarda E.?>> domandai a bruciapelo, << Cassandra ha a che fare anche con loro?>>
Gli occhi color cobalto di Ryan scattarono dritti ad inchiodare i miei.
<< No, non con Nigel. Lui ha agito da solo. Per quanto riguarda E., invece... non saprei cosa risponderti.>> affermò con aria decisa, << Può darsi di sì, che abbiano dei legami... ma chi può dirlo? La strega dell'Ailthium è una maestra nel tessere inganni... e tu lo sai meglio di chiunque altro.>>
Ryan aveva preferito tenersi sul vago, eppure era palese quanto anche lui non credesse alle proprie parole.
Stavo quasi per interrogarlo ancora a proposito di E., quando un'intensa fitta al ventre mi fece accasciare a terra.
<< Miguel!>> gridò lui, armeggiando con le chiavi per entrare.
Sentii la serratura scattare e i suoi passi rimbombare come tuoni nei miei timpani.
<< Prendi questo! Presto!>> disse porgendomi la boccetta ricolma di sangue.
La spinsi via con un gesto della mano, cercando in tutti i modi di rimettermi seduto.
<< Non fare lo sciocco! Ne hai bisogno!>> mi rimproverò lui, cercando di togliere il tappo che la chiudeva ermeticamente.
<< No...>> biascicai, << Non servirebbe a niente!>>
<< Ma cosa dici! Hai bisogno di nutrimento!>>
<< Credi che non lo sappia? La fame mi sta divorando le viscere dall'interno... ma quel sangue non servirà niente. È inutile. Per quanto sia fresco o di ottima qualità...>> boccheggiai, << Il mio organismo finirà per rigettarlo!>>
Fu in quel momento che un sorriso accecante gli piegò le labbra verso l'alto.
<< Non questo, amico mio.>> fece stappando la fialetta, << Ne sono sicuro!>>
E non appena l'odore del liquido si sparse nell'aria, sentii lo stomaco rivoltarsi al contrario, la gola bruciare e gli occhi assumere il colore delle fiamme.
<< Non è possibile...>> mormorai, << Questo è...>>
<< Il sangue di Amelie... esatto. Conservavo questa boccetta da tempo, per studiare i suoi effetti a livello microscopico...>> spiegò, << Ma credo che in questo momento, tu ne abbia più bisogno di me. È poco, lo so. Inoltre, per quanto conservato bene... è stato prelevato da molto tempo. Quindi dubito che colmerà la tua fame... ma basterà per non farti impazzire. Beh, almeno per qualche giorno.>>
Detto questo, mi porse nuovamente la fialetta di vetro, e senza alcuna esitazione ingollai il suo contenuto voracemente, fino all'ultima goccia.
Il fuoco liquido contenuto il quel sangue mi esplose nelle vene, nelle arterie, nei capillari... donandomi per qualche secondo, una sensazione di pura estasi.
<< Grazie...>> dissi ad occhi chiusi, cercando di prolungare il più possibile quell'istante colmo d'appagamento.
Ma come ormai sapevo fin troppo bene... quel lieve torpore dei sensi durò assai poco, per poi esaurirsi velocemente in una smania ancora maggiore.
Non mi bastavano quelle poche stille, ne volevo di più.
Di più.
Ancora di più.
<< Cerca di calmarti...>> s'intromise Ryan, << Era l'unico campione in mio possesso.>>
Riaprii gli occhi per guardarlo in faccia, ma gli effetti dell'eccitazione erano ancora troppo visibili su di me.
Avevo il fiato corto, le zanne totalmente snudate e gli occhi rossi a causa della brama di sangue.
<< Perché sei venuto qui, Ryan?>> ansimai, << Qual'é il tuo vero scopo?>>
Il suo sguardo si fece plumbeo, e con espressione funerea scrollò teatralmente le spalle.
<< Volevo fare ammenda, Miguel. Come un peccatore, che inorridito dalle sue innumerevoli colpe chiede l'assoluzione al prete. E anche se i miei peccati non potranno mai essere cancellati, desideravo che almeno tu conoscessi la verità. Soprattutto ora ch->>
<< Soprattutto ora che la mia fine è segnata.>> finii di parlare al suo posto.
Incapace di reggere la vista del mio volto, il Camaleonte distolse lo sguardo.
<< Ti senti responsabile...>> affermai, << Ed in parte è così.>>
<< Mi dispiace così tanto Miguel! Se solo potessi fare qualcosa per te... per voi! Ti giuro che lo farei senza esitazioni!>>
<< Per come stanno le cose adesso, dubito che riuscirai nel tuo intento. E lo sai anche tu. Avresti potuto fare qualcosa prima, qualunque cosa... ma non l'hai fatto. Ed ora, è impossibile frenare l'ingranaggio che ha messo in moto Cassandra.>>
I miei occhi si posarono su di lui, impietosi. 
<< Ma se davvero vuoi fare ammenda... una cosa che potresti fare ci sarebbe....>>
<< Che cosa?!>> si rianimò.
Con una certa fatica, mi sporsi in avanti, in modo da potermi avvicinare alla sua figura.
Tesi le labbra vicino al suo orecchio destro, inspirai, dopodiché cominciai a parlare.
<< No... è troppo pericoloso! Per me significherebbe morte certa!>> esplose poco dopo.
Mi scansai quel tanto da poterlo guardare negli occhi, mentre un sorriso beffardo prese ad illuminarmi il volto.
<< Forse sì o forse no.>> decretai, << Ma è l'unica soluzione che hai per redimerti, amico. Ne va della salvezza della tua anima. E di tutte le anime del mondo.>>

_ Amelie _

La spazzola scivolò dolcemente sui miei capelli, districando i nodi fino alle punte.
Il profumo della lavanda infestava l'aria rappresa di quel posto, rendendola più respirabile, nostalgica... incredibilmente famigliare.
<< Ti sto facendo male?>>
Quella voce era proprio come la ricordavo.
Calda, stucchevole, zuccherosa... come il miele caramellato.
<< No...>> biascicai, ed era vero.
Come poteva... lei, anche solo immaginare di potermi fare del male?
Tutto ciò era senza senso, inammissibile, come ipotizzare che il sole sorgesse ad Ovest e tramontasse ad Est.
Sentii la donna che mi stava alle spalle reprimere una risata.
Non era di certo un suono aggraziato, quello... ma quanto di più dolce rammentassi nella mia mente.
Era uno sbuffo sommesso, quasi soffocato.
Ricordava tempi remoti, lontani, migliori.
Quasi felici, oserei dire.
<< Hai proprio dei bellissimi capelli, ma petit!>> sussurrò appena, sporgendosi in avanti.
<< Davvero bellissimi.>>
Accostò la testa alla mia, facendo sì che i nostri sguardi potessero incontrarsi alla stessa altezza sulla lastra riflettente dello specchio.
Il suo era cioccolato fuso, fondente, contornato da rade ciglia color sabbia; il mio invece, ricordava le radici degli alberi, screziate qua e là da sottili fili d'erba smeraldina.
<< Ma cosa dici!>> esclamai di rimando.
Ma non aggiunsi oltre, non ne trovai il coraggio.
Vidi i suoi caldi occhi castani fissarsi su di me, sul mio volto, scrutandolo con aria circospetta, interrogativa; lei era sempre stata sensibile ai miei cambiamenti d'umore, capiva immediatamente quando qualcosa non andava.
Di solito questa sua "abilità" era la mia ancora di salvezza, l'unico appiglio su cui potessi aggrapparmi per non precipitare. Ma non allora.
Non in quel momento, perlomeno.
Distolsi velocemente lo sguardo dal suo, fissandolo altrove.
Le parole mi erano rimaste bloccate in gola, tra la trachea e la punta della lingua.
E spingevano, premevano, facevano di tutto pur di uscire allo scoperto.
Sarebbe bastata una semplice distrazione, nulla di più, e quelle infide traditrici mi sarebbero esplose tra le labbra.
Ciononostante, riuscii a trattenermi e a tenere a bada il fiato.
Morivo dalla voglia di parlarle, continuare il discorso e subissarla di domande, ma la paura che tutto potesse svanire da un momento all'altro, bastava a farmi raggelare il sangue nelle vene.
<< Non ti senti a tuo agio, qui?>> aggiunse sottovoce, << Così potrebbe andare meglio?>>
Non feci in tempo ad aprir bocca per chiederle spiegazioni, che d'un tratto, ogni cosa attorno a noi mutò forma e colore, trasformandosi in un batter d'occhio in qualcosa di... diverso.
<< Ma come...>> mormorai, totalmente allibita. << Come è possibile?>>
Tra un colpo di spazzola e un sospiro appena accennato, lo scenario che ci accoglieva era cambiato.
Non c'erano più quei colori sgargianti, volgari, ridondanti.
Solo un discreto lusso e dell'ariosa semplicità.
I colori pastello dell'intonaco e della carta da parati, si alternavano elegantemente a quelli dei numerosi dipinti appesi al muro.
Tutto, in quella stanza era tale e quale a come ricordavo: i mobili, le tende, la moquette acquamarina sul pavimento.
Per poco non mi sentii mancare.
C'erano decisamente troppi ricordi custoditi in quelle quattro mura... talmente tanti da farmi scoppiare il cuore.
Per un attimo rimasi sbigottita, senza fiato.
Avevo l'impressione di essere tornata indietro nel tempo... quando ancora vivevo sotto lo stesso tetto dei Von Kleemt, tra coloro che consideravo le persone più importanti della mia vita, la mia famiglia... ed il fuoco non aveva divorato assolutamente niente della nostra casa.
Accarezzai il portagioie di fronte a me, i vari fermagli, i vasetti di cosmetici e le boccette trasparenti contenenti liquidi dalle più svariate opacità e tinture.
Quello che preferivo, era leggermente rosato, dai vaghi riflessi ambrati.
Lo afferrai con mani tremanti, portandomelo dritto all'altezza del naso.
Sebbene la boccetta di vetro fosse ermeticamente chiusa, all'esterno traspariva comunque una leggera stilla di profumo speziato, esotico, come i territori baciati dal sole da cui proveniva.
<< Ti è sempre piaciuta, quella fragranza.>> disse con tono lieve la donna che mi stava alle spalle.
<< Già... tu lo sai meglio di chiunque altro.>>
Lei represse un lieve risolino, e con tocco delicato, afferrò un'altra ciocca ribelle per spazzolarla.
Rimisi la boccetta di profumo al suo posto, dopodiché chiusi gli occhi.
Volevo prolungare quella sensazione di benessere il più possibile.
Era così rilassante, abbandonarsi al tocco sapiente e delicato di quelle mani.
Avrei voluto che tutto si fermasse, bloccando per l'eternità quel breve istante di perfezione.
Dove la quiete regnava sovrana, la mia vecchia casa era ancora in piedi e Josephine mi rincuorava le giornate con la sua presenza.
Sì... desideravo che tutto ciò potesse durare per sempre.
Eppure, le mie non erano altro che mere, quanto mai egoistiche illusioni.
Bugie.
Falsità a cui aggrapparsi.
E questo perché niente sarebbe rimasto immobile, fermo, immutato.
Neanche il ricordo che possedevo di Josephine.
Sì, Josephine.
La mia adorata Jose che sembrava essere ritornata dal regno dei morti soltanto per me.
<< Perché sei qui?>> rotolò di scatto fuori dalla mia bocca, mentre ancora tenevo le palpebre abbassate.
<< Per farti compagnia, ma cherie! Non è ovvio?>>
Sentii gli occhi pizzicare terribilmente, ma cercai d'ignorali.
<< Jose...>> iniziai, << Tu non sei veramente qui, non è vero? Non sei altro che uno scherzo della mia mente. Un'allucinazione.>>
Proprio in quel momento, una lieve carezza mi sfiorò la nuca, provocandomi un'infinità di brividi lungo la schiena.
<< Sono reale, bambina. E starò insieme a te per sempre, se lo vorrai.>>
Un sorriso amaro mi solcò le labbra, mentre il sapore della bile m'invadeva il palato.
<< Dì la verità... tu non sei Josephine.>> affermai con un filo di voce.
La carezza terminò in quello stesso istante, come del resto ogni contatto con la persona alle mie spalle.
<< Credevi davvero di riuscire ad ingannarmi, Cassandra?>>
Aprii gli occhi di scatto, e come volevasi dimostrare, l'immagine riflessa nello specchio non corrispondeva affatto con quella corpulenta di Josephine, bensì con l'esile e candida figura della strega bianca.
<< Credevo apprezzassi di più il mio regalo di benvenuto... volevo metterti a tuo agio, mia cara. Farti distendere un attimo i muscoli.>> cantilenò, inchiodandomi attraverso il suo riflesso.
<< Per un poco ci sei riuscita.>> confessai, << Ma per quanto lo desideri con tutto il cuore, Josephine non tornerà mai più da me. Né lei, né tutte le persone che ho perduto durante il cammino che mi ha portata qui. Da te.>>
<< Sagge parole, ragazzina. Davvero sagge. Ma se vorrai, io potrò riportarle da te ogni volta che desideri.>>
La guardai di sottecchi attraverso la superficie lucida dello specchio, dopodiché mi voltai a fissarla.
Negli occhi, stavolta.
<< Perché tutte queste premure, Cassandra? Cos'è che vuoi veramente da me?>>
La strega mi scrutò a lungo, facendomi annegare in quel mare d'inchiostro che erano le sue pupille.
<< Per ora voglio semplicemente averti vicina... al sicuro.>>
<< "Per ora"?>> ripetei.
<< Sì, per ora.>> si limitò a rispondere.
<< Cosa vuol dire?>>
I suoi occhi di carbone ebbero un guizzo, mentre il più tetro dei sorrisi le allargava la bocca a dismisura.
C'era dentatura nera, stavolta, al disotto delle labbra.
Marcia.
<< Non avrò bisogno di te in eterno, bambina. Il tempo che hai a disposizione sta per esaurirsi e tra non molto, la Luna Scarlatta sarà alta in cielo. Sarà allora che la Profezia si compirà e il tuo compito, su questa terra... avrà termine.>>
<< V-vorrà dire... che morirò?>> farfugliai col cuore in gola.
Cassandra fece segno di "sì" col capo.
<< Purtoppo è in evitabile. Solo con la tua morte, potrà compiersi il Rito. Ed io bisogno di te, del tuo sacrificio per rompere il Sigillo.>>
Elegante come un felino, Cassandra si spostò sulla destra, per poi lasciarsi cadere mollemente su un divanetto imbottito alle mie spalle.
<< Cos'è il Sigillo? Di cosa si tratta?>> domandai tutto d'un fiato.
A stento riuscivo a respirare, ma apprendere quelle notizie, era come annegare in acque torbide, gelide, profonde.
Capaci di rubarmi l'aria e farmi scoppiare i polmoni.
<< "Quando la luna si tingerà di rosso,">> recitò con aria solenne, << "Il sangue della Vergine dissacrata verrà versato, il Sigillo si romperà e dal suo ventre germoglierà il frutto del male. Una vita sfiorirà ed un altra prenderà il suo posto, risvegliando dal suo profondo sonno colei che regna su orde di demoni.">>
<< Cosa vorrebbe dire, questo?>> le chiesi sbigottita.
<< Semplice. Questo è quello che recita la Profezia. E sarò proprio io, colei che renderà possibile la rottura del Sigillo... grazie al tuo sacrificio, ovviamente. Verrà il momento in cui tuo sangue scorrerà a fiumi sotto i raggi scarlatti della luna, e la tua dipartita renderà possibile l'apertura del Portale. La terra tremerà, il mare verrà squarciato e riuniti sotto il mio vessillo... "orde di demoni" razzieranno il mondo!>>
Rabbrividii dal terrore, mentre immagini apocalittiche prendevano vita davanti ai miei occhi.
Vedevo il cielo assumere il colore della cenere, le fiamme divorare il terreno e un esercito di orribili Ghuldrash infestare strade, paesi, intere città...
E tutto grazie a me, al mio sangue, che secondo i racconti di Cassandra... possedeva il più terribile e nefasto dei poteri.
Porterò l'Inferno in terra!
<< No... non puoi dire sul serio...>> protestai, ma la sua risata stridula mi zittì all'istante.
<< Oh, sì... invece! Avrò tra le mie mani le sorti dell'intero pianeta! Tutti dovranno inginocchiarsi di fronte alla mia potenza!>>
Di nuovo risa, guaiti, quasi urla alternate a singhiozzi.
La pazzia aveva avvelenato la sua mente da chissà quanto tempo, fin nel profondo, rendendola un'assassina priva di scrupoli... pronta a tutto pur di raggiungere la vetta delle proprie ambizioni.
Ma per quanto potere potesse riuscire ad accumulare, alla fine... nulla sarebbe mai stato abbastanza.
Cassandra non si sarebbe accontentata.
Mai.
Desiderando l'impossibile e l'inimmaginabile, arrivando persino a sfidare le leggi dell'universo pur di ottenerlo.
<< Dove hai portato Miguel? E Lizzy?>> mi preoccupai all'improvviso.
Per me... ormai, non c'era più niente da fare.
Ero spacciata.
Destinata a morire come un agnello sacrificale.
Ma loro... no.
Cassandra non poteva prendersi anche le loro vite.
Vedendomi sull'orlo delle lacrima, la strega si alzò in piedi per raggiungere un'altra volta le mie spalle.
<< Sta tranquilla, mia dolce bambina...>> sussurrò con tono mellifluo, << Quella scellerata di Elizabeth è stata portata nelle sue stanze, mentre il tuo amato Miguel si trova dietro le sbarre, nelle prigioni.>>
<< Devi lasciarli andare via.>> le ordinai.
<< Mi sembrava di averti già dato una risposta, a tal proposito.>> mi rispose con aria saccente.
<< Ti prego... Ti prometto che non farò niente, se li libererai. Sarò viva e vegeta per l'avvento della Luna Scarlatta! Devi credermi!>>
Il suo viso s'illuminò di benevolenza, tuttavia non fu altro che una misera facciata.
<< No. Non lo farò.>>
<< Ti scongiuro!>> la implorai.
<< Ti ho detto di no.>>
Lacrime brucianti mi ustionarono gli occhi, grida di morte mi lacerarono la gola, ma niente, nemmeno la più terribile delle tempeste fu in grado di smuoverla.
Con la voce a pezzi e le unghie conficcate nei palmi, mi accasciai a terra senza più forze; sembrava che il pianto mi avesse corroso la faccia, i muscoli, le ossa, fino a rendere il mio corpo nulla più che una carcassa senz'anima.
<< Dimmi almeno che sopravvivranno. Ti prego.>>
Vidi la strega piegarsi in ginocchio, di fronte a me, le sudice pozze che aveva al posto degli occhi cercare di incontrare il mio sguardo.
Ma non volevo che lo facesse, non volevo che m'intrappolasse con quelle pupille scure ed indistinguibili dal resto dell'iride.
<< Pensi che col tuo sacrificio loro avranno salva la vita?>> domandò retorica, << Ebbene, no... piccola cara! Saranno i primi a perire, posso assicurartelo! Nel mio regno non ci sarà alcuna pietà per i traditori!>>
E dicendo così, si alzò in piedi, mostrandomi null'altro che l'orlo ricamato d'argento delle sue gonne.
<< Buonanotte, mia cara.>> mi salutò sulla soglia della camera, come era solita fare Josephine prima di andare a dormire.
<< E mi raccomando...>> aggiunse, << Sai quali sono le condizioni. Le conosci bene. Quindi, non fare sciocchezze di cui finirai inevitabilmente per pentirti.>>
A malapena, trovai la forza per restituirle lo sguardo.
<< Farò come desiderate... mia Signora!>> le sputai contro.
Poi ricordai di non aver ancora finito, con lei.
<< Un momento!>> gridai, mentre lei si voltava a fissarmi.
Il viso a malapena sfiorato da un'espressione sorpresa.
<< Sì?>>
<< Riguarda la Luna Scarlatta.>> replicai, << Quando verrà il momento della mia morte?>>
I suoi occhi di tenebra indugiarono per alcuni secondi su di me, quasi avessero voluto sezionarmi la pelle e scavarmi dentro lo strato di muscoli e ossa.
<< Nessuno lo sa. C'è chi vocifera solo in presenza della luna piena, altri a proposito della luna calante... ma la verità è potrebbe verificarsi in qualsiasi momento.>>
<< Anche stanotte?>> domandai d'un fiato.
<< Anche stanotte. In fin dei conti... ci sarà il plenilunio!>>
<< Vorrà dire che pregherò perché ciò avvenga.>> le lanciai un'ultima sfida, << Meglio tagliare di netto la testa al toro, piuttosto che prolungarne inutilmente la sofferenza.>>
Lei sorrise di rimando, mostrò i denti scuri dopodiché svanì dietro la massiccia superficie in legno della porta.
Ci furono due scatti alla serratura, il rumore di passi che si allontanavano, infine, il silenzio.
Con molta fatica, riuscii ad alzarmi da terra e a mantenere un equilibrio stabile.
Volsi lo sguardo in direzione delle tende, poi sull'orologio in ottone appeso alla parete.
" Sono le quattro di pomeriggio..." constai, notando un sottile nastro di luce dorata filtrare attraverso il pesante velluto dei tendaggi.
A differenza della precedente camera in cui ero stata segregata, questa era munita di finestre, anche piuttosto grandi, e addirittura di un orologio funzionante.
Le lancette di quest'ultimo si muovevano ritmicamente, ticchettando di secondo in secondo, accompagnate da un sottile rumore d'ingranaggi.
Possibile che fosse passato tutto quel tempo?
Quando Cassandra mi aveva fatto trascinare via dall'Arena, l'alba non aveva ancora sfiorato il cielo, mentre ora la calda luce del sole pomeridiano faceva capolino dalle finestre.
Erano passate molte ore dal mio arrivo in quella camera, eppure non ricordavo niente a tal proposito.
Come ci ero arrivata?
Mi aveva accompagnato qualcuno?
Dove mi trovavo?
Ma tutte quelle domande, non poterono far altro che rimanere irrisolte.
La mia mente era una tabula rasa, completamente svuotata... come se qualcuno mi avesse strappato di dosso i ricordi inerenti alle ultime ore.
Nel constatare ciò, pensai immediatamente a Cassandra; di sicuro era opera sua... tuttavia, non avrei potuto dirlo con esattezza.
Ogni cosa era incerta, oscura.
Sfumata.
Semplicemente indefinita.
Come la sagoma di una persona vista attraverso immensi banchi di nebbia.
Non avevo più appigli, nessuna certezza... tranne una: quella di darmi una mossa.
Dovevo agire, sì... e in fretta.
Non avevo tempo da perdere, soprattutto se ciò equivaleva a riflettere.
E questo perché se solo mi fossi soffermata troppo a rimuginarci sopra, la codardia e il buon senso avrebbero avuto la meglio sul mio lato irrazionale, impedendomi così di portare a termine ciò di cui avevo più paura.
Uno, due, tre.
Dopo aver atteso ancora qualche istante, mi guardai intorno con aria furtiva.
Mi serviva qualcosa di appuntito, possibilmente ben affilato, ma Cassandra si era premunita di farmi trovare nella stanza solo oggetti soffici ed innocui.
Disperata, mi passai in rassegna il resto del corpo.
I lerci abiti da uomo cha avevo indossato fino a poco prima, erano misteriosamente svaniti, e con loro il pugnale che mi aveva regalato Lizzy.
<< Maledizione!>> imprecai, tastando alla rinfusa la candida camicia da notte che portavo addosso.
Doveva pur esserci qualcosa da utilizzare!
Ma tra i vari merletti e le soffici balze, non c'era assolutamente niente che potesse fare al caso mio.
Disperata, mi portai una mano alla testa, in modo da ravviare all'indietro un ciuffo ribelle, ma fu proprio in quel momento che una folgore improvvisa mi attraversò la mente.
"Ma certo!" pensai, " I fermagli per i capelli!"
Mi precipitai immediatamente verso il mobile della toletta, scaraventando sul pavimento qualunque cosa non potesse servirmi.
Poi lo trovai, lì, travestito da splendido gioiello con cui fissare i boccoli.
Era uno spillone in puro avorio, con al centro incastonate alcune gemme dorate.
Sembravano topazi.
Ma era l'estremità appuntita dell'oggetto ad interessarmi; con un gesto talmente veloce da non riuscire a vederlo, strappai il prezioso monile dal suo involucro di velluto verde, portandomelo istantaneamente all'altezza del polso.
Strinsi i denti, serrai gli occhi, dopodiché... un movimento secco, deciso, bruciante.
La punta acuminata del fermacapelli scalfì la mia carne, lasciandosi dietro una scia scarlatta, da cui iniziò a sgorgare lentamente del sangue.
Man mano che i secondi s'intervallavano, il liquido rosso andò ad imbrattare tappeti, vestiti, pavimenti, rendendo il mio equilibrio sempre più precario e le mie ginocchia deboli.
" Che stupida!" pensai.
Cassandra mi aveva avvertito.
Sapevo a cosa stavo andando in contro, che probabilmente quello sarebbe stato l'errore più grande della mia vita, ma la verità è che non me ne importava niente.
Ero stanca, davvero nauseata; per troppo tempo non avevo avuto alcun potere decisionale, su niente... compresa la mia stessa vita.
Ma ora basta. 
Sempre con la punta del fermaglio conficcata nella carne, tra spirali di dolore ed urla soffocate, spinsi lo spuntone sempre più giù, in profondità, nella speranza di scalfire maggiormente le vene.
Ben presto, l'angelo della morte sarebbe giunto a reclamare la mia anima, e gliela avrei data... sì, ma a caro prezzo.
<< Miguel...>> sussurrai in un soffio, << Ti prego, perdonami.>>
Lacrime di rassegnazione mi scivolarono lungo le guance, un sorriso amaro m'increspò le labbra e il mio cuore mancò un battito.
Due, tre.
Il mondo divenne d'un tratto più sfocato, freddo, inospitale.
Buio.
Fin quando le tenebre inghiottirono ogni cosa. 

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Angolo dell'Autrice:
Salve gente! Come vi butta?! Io sono reduce da una sessione di esami alquanto strana, ma finalmente sono riuscita ad aggiornare questo travaglio!
Rispetto agli ultimi capitoli, devo dire che questo mi è uscito piuttosto lungo... ma vabbè, spero non vi susciti troppi problemi! 
Vi era mancato Miguel? A me tantissimo T.T Ma bando alle ciance!
Insomma, nella prima parte abbiamo Mig di nuovo nelle prigioni, lasciato in balia della fame e di un imminente pazzia... povero. Proprio a ciccio, spunta quel simpaticone di Ryan, blaterando roba strana. Voi gli credete? Io avrei i miei dubbi XD Comunque, Mig viene a sapere più specificatamente dei piani di Cassy, e che... in realtà fin dall'inizio della storia, c'era sempre stata lei dietro a Ravalèc e agli attacchi da parte dei Ghuldrash... E il nostro caro E.? C'entra qualcosa con Cassy? 
Ormai da quella donna potremmo aspettarci di tutto... 
Per quanto riguarda Ame, invece... la troviamo all'inizio in compagnia di una vecchia conoscenza, Josephine <3 che a me era mancata tantissimo. Ovviamente, non c'era troppo da sperarci, inqunato era solo un trucchetto da parte di Cassy che tentava di tener Amelie buona. Anche dalla loro parte, veniami a conoscenza di tante cosine... prima fra tutte la Profezia, e poi che per rompere il Sigillo, la nostra Ame è destinata a fare la fine di un'arancia spremuta... <.< povera. 
Insomma, le cose peggiorano a vista d'occhio, vanno male anche quando non potrebbero andar peggio di così, e spero vivamente che non vogliate linciarmi >_<
Per favore, abbiate pietà di me. Se tutto va bene, il prossimo capitolo dovrebbe essere il PENULTIMO... e ho in mente grandi cose *muhahahahahaha*!
Con affetto, mi ritiro... 
Un bacione a tutti e un sentito ringraziamento per essere giunti fin qua giù... 
Alla prossima!
Rob 

<3

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Capitolo 55
*** Delirium ***


Delirium


_ Miguel_

Un rullo di tamburi invase l'aria.
Non saprei dire per quanto tempo rimasi semplicemente lì, in ascolto, ma ben presto al mormorio sommesso di quell'unico strumento se ne aggiunse un secondo, un terzo... poi un altro ancora.
Col passare dei minuti, i fragori si fecero più forti e stridenti, sovrapponendosi l'un l'atro in una danza misteriosa, atavica, incalzante.
Sempre più sfrenata.
" Ma cosa...?" pensai in preda alla confusione.
Non c'erano pause, nessun tipo di regola; battuta dopo battuta, il ritmo cresceva vertiginosamente, mutando schema con la stessa volubilità del vento.
Era un continuo innalzamento di volume, di ritmo, di tono; una scia inarrestabile, che mi trapassava i timpani con immane violenza, senza pietà, stritolandomi le tempie in una morsa dilaniante.
Tuttavia, qualcosa non andava.
Ci fu una violenta esplosione... e di nuovo un'altra.
Poi venne lo strazio sottoforma di suono.
Quello vero, stavolta.
Sentii le urla dei tamburi alzarsi di botto, accrescendo sempre di più, a dismisura, fino a tramutarsi in qualcosa di orripilante.
Intontito e fortemente provato, sbattei le palpebre più e più volte, come a volermi risvegliare definitivamente da quel brutto sogno, ma era tutto inutile... non ci riuscivo.
L'incubo non voleva cessare.
Allora cominciai a guardarmi in giro alla ricerca di una via di fuga, di uno spiraglio di speranza, di qualsiasi cosa!
Ma come trovarla?
Non c'era niente intorno a me, assolutamente nulla!
Solo immense distese di tenebra che si disperdevano a vista d'occhio; una landa desolata, buia, priva di gravità, dove sembrava quasi che il mio corpo fluttuasse nell'aria.
Senza peso.
<< Smettetela!>> ringhiai.
 La mia voce era roca, storpiata, come il latrato agonizzante di una bestia ferita.
<< Che cosa volete?>>
Di tutta risposta, sentii le grida dei tamburi calare drasticamente, fino a disperdersi nell'aria; c'erano solo sussurri adesso, bisbigli gorgoglianti, smorzati ed astiosi, come maledizioni intessute sottovoce.  
<< Chi siete?>> urlai verso l'ignoto, << Venite fuori!>>
Udii l'eco della mia voce protrarsi nello spazio vuoto, senza però incontrare alcuna barriera.
Ero solo, sì.
Solo.
Ma c'era qualcosa che non mi tornava: da dove provenivano quei mormorii?
Erano così lontani... eppure incredibilmente vicini, tanto da poter sentire il loro ronzio risuonarmi costantemente nelle orecchie.
Al loro interno, come se il suono non provenisse da fuori, ma dal centro esatto della mia scatola cranica.
E rombava, urlava, scavava... affondando sempre di più quella scure invisibile nel mio cervello.
"Sto diventando matto!" mi dissi.
Non poteva essere altrimenti.
Ma oltre al senno, avevo l'impressione di aver perduto anche ogni ricordo inerente al passato.
La mia testa era un recipiente vuoto, leggero.
Una tabula rasa.
E non riuscivo a venirne a capo!
Tutti i miei tentativi fallivano dopo pochi istanti, ed era svilente, doloroso, nauseante.
Per quanto mi sforzassi, la mia memoria rimaneva com'era e più cercavo di riportarla a galla, più i tamburi ritornavano a martellarmi nelle tempie. Non c'era modo di farli smettere.
Allora chiusi gli occhi, nella vana speranza di domare tutto quel caos, tuttavia... l'unica cosa che riuscii a fare, fu percepire quelle grida farsi sempre più vicine.
Ma dov'erano finite le prigioni?
E le catene e... le sbarre?
Fui letteralmente folgorato da quei pensieri improvvisi, tuttavia, non trovai alcuna spiegazione.
Di quali prigioni stavo parlando?
Quali catene, quali sbarre?
Dannazione!
C'era qualcosa che mi bloccava e non riuscivo a ricordare!
Non ce la facevo... e in preda allo sconforto, cominciai ad urlare e girare su me stesso come una trottola impazzita.
Così presi a correre con tutte le mie forze, disperatamente; alla ricerca di cosa, però, non avrei saputo dirlo.
Mi lasciavo guidare dalle voci, dalle grida, dai tamburi.
Oltre l'orizzonte di cui non vedevo la linea, oltre la fatica, oltre lo sfinimento.
Senza mai fermarmi.
Avrei potuto proseguire così per ore, forse per giorni, ma all'interno di quella dimensione il tempo si dilatava e restringeva a suo piacimento.
Non c'erano certezze, né tantomeno regole.
La relatività regnava sovrana.
Quindi non mi sorpresi quando lo spazio che mi gravitava intorno iniziò ad alterarsi, fino a cambiare forma e colore.
Dal vuoto al pieno, dall'aperto al chiuso.
Ora non potevo più correre: alte mura in laterizio m'ingabbiavano all'interno di una camera circolare, dal tetto basso, illuminata a malapena dalla calda luce aranciata delle candele.
Mi guardai intorno con aria circospetta, il cuore che ancora galoppava nel petto come un cavallo imbizzarrito.
La stanza in cui mi trovavo era spoglia, le pareti nude.
Solo il pavimento guizzava di vita, cosparso com'era di lumi e candelabri.
Sembravano indicarmi una via, un sentiero, una sorta di strada da percorrere.
Restai fermo a fissare le fiamme per un po', affascinato, poi spostai lo sguardo sulla porta che mi stava di fronte.
Era enorme e somigliava vagamente a qualcosa che avevo già visto in precedenza, sì... ma dove?
Un altro ricordo che mi sfuggiva fra le dita, come granelli di sabbia dalla consistenza troppo fine.
Con circospezione, decisi di avvicinarmi d'un passo alla mastodontica superficie in bronzo, poi di un altro ancora.
Le bizzarre figure che vi erano ritratte sopra sembravano incredibilmente realistiche, dinamiche, guizzanti, come se da un momento all'altro la materia in cui erano state scolpite potesse prendere vita.
Si trattava di corpi giovani, scalpitanti: Angeli e Demoni dalle membra eternamente intrecciate.
Sublimi, nei loro volti di bronzo.
Grotteschi, infinitamente terrificanti.
Sollevai una mano per saggiare la fredda durezza del materiale, ma non appena sfiorai la superficie della porta, i cardini cigolarono e la maniglia si abbassò.
Non c'erano più tamburi adesso ad infestare l'aria, nessuna voce stridente.
Solo un quieto silenzio, del tutto irreale.
Ma cosa si trovava dall'altra parte?
Mi mossi in avanti, quasi alla cieca... e fu come immergersi in una pozza d'acqua torbida.
Melmosa.
Oltrepassai la soglia senza nemmeno rendermene conto, dopodiché... fui investito da un immenso calore.
Potevo sentire il mio corpo sciogliersi e bruciare, scosso da spasmodici sussulti, come se una scarica letale di elettricità mi stesse trapassando da parte a parte.
Quel dolore immane si propagò ovunque, simultaneamente, mentre miliardi d'immagini, voci e sensazioni perdute s'affollavano con velocità sovrumana all'interno della mia testa.
Ed era il delirio, sì.
La cacofonia come pura essenza del caos.
Una pietra rossa brillava incastonata nell'oro, una mano la reggeva, finché non fui sommerso da un'infinità di volti, di nomi, di significati.
Vidi corpi spezzati imputridirsi ai miei piedi, arti mutilati, poi ancora morte, sangue e gole recise di netto.
Le scene più cruente e disparate s'intervallarono davanti ai miei occhi, in modo confuso, per poi lasciare spazio ad un'unica immagine che spazzò via tutto il resto.
Ed era come perdersi nella contemplazione del Paradiso, mentre un nettare delizioso, più dolce dell'Ambrosia, incendiava subdolamente le mie narici.
<< Amelie!>> gridai in preda al panico, riportando alla mente l'ultima immagine che avevo di lei.
Finalmente ricordavo, sì!
Tutte le tessere del puzzle erano tornate al proprio posto... ciononostante, ogni ricordo recuperato era come piombo, che di volta in volta si posava sul mio cuore fino a sconquassarlo.
<< Maledizione, Amelie! Dove sei?!>>
Mi guardai ansiosamente intorno, vedendo null'altro che vuota oscurità.
Ma che diavolo stavo facendo?
Lei era in pericolo, tra le grinfie di Cassandra ed io dovevo a tutti costi ritrovarla e portarla in salvo!
Non c'era tempo da perdere!
Ma lei dov'era?
Dove si trovava?
Sicuramente, Cassandra l'aveva portata via, con sé... per rinchiuderla chissà dove all'interno dell'Ailthium.
Magari nelle sue stanze?
Avevo la testa in procinto di scoppiare e nessuna risposta a disposizione.
Pensare lucidamente era pressoché impossibile!
Però una cosa la sapevo con certezza: non mi trovavo più nelle prigioni, né dentro l'Ailthium in generale.
Non fisicamente perlomeno.
Eppure, l'enorme portale da me attraversato, era decisamente familiare.
Aveva le sembianze di quello che precedeva l'entrata dell'Arena, ma al suo interno non c'era niente.
Nulla che riconducesse a quel posto, solo buio e devastazione.
Avanzai lentamente in quella nebbiolina brunastra e purulenta; sentivo il rumore dei miei passi a contatto con la pavimentazione, il mio respiro riecheggiare nel vuoto, ma non vedevo ad una spanna dal naso.
Era come camminare sul filo di un rasoio, completamente bendati.
Continuai in quelle condizioni per qualche altro passo, un piede alla volta, poi però mi fermai.
Era inutile proseguire in quella direzione, totalmente insensato, dato che il percorso s'interrompeva bruscamente con un vicolo cieco.
Emisi un lieve sospiro di frustrazione, poi ripresi a far vagare lo sguardo ovunque potesse posarsi.
Doveva pur esserci un modo per  proseguire... magari se fossi tornato indietro...?!
Sì, non poteva essere altrimenti!
Quindi mi voltai e con la disperazione nel cuore, presi a correre verso la soglia che mi ero lasciato alle spalle.
L'avevo quasi raggiunta... mi mancava poco, ma prima che potessi avanzare anche solo di un passo, una luce accecante mi ferì gli occhi.
Lo scenario cambiò improvvisamente, la porta svanì, e polverose coltri di fumo m'inghiottirono tra le fornaci dell'inferno.
Mi risvegliai altrove.
In un altro tempo, forse.
In un altro luogo.
Vedevo le scintille rosse ardere all'interno dei bracieri, il fuoco danzare nelle pire, mentre da dietro l'altare sacrificale, la pallida figura di Cassandra si stagliava contro la parete come una scultura vivente.
Il bianco era il suo colore, il suo segno distintivo, ed ora le brillava addosso come una cascata di diamanti; dalle pieghe della tunica immacolata ai capelli lasciati sciolti dietro le spalle.
Eppure, non l'avevo mai vista in quelle condizioni.
Aveva lo sguardo folle, scintillante di lacrime, lucido come la superficie iridescente di un opale nero;
la bocca era atteggiata in un macabro sorriso e le dita ossute stringevano convulsamente l'elsa di uno splendido pugnale dorato.
Ma l'oro non era l'unico colore a brillare.
La lama grondava sangue in abbondanza e sotto di essa, giaceva il corpo ormai esanime di una fanciulla.
Non vedevo bene da quella distanza; c'era troppa gente a coprirmi la visuale, troppi corpi in movimento, concitati, che assistevano alla scena come in trance.
Riuscii a farmi spazio a fatica, dopodiché aguzzai lo sguardo.
All'inizio fu difficile persino identificare quelle forme.
Poi capii.
E il terrore allo stato puro s'impossessò della mia mente, dei miei polmoni, del mio cuore.
Non respiravo più, mi reggevo in piedi a stento ed ogni battito involontario, era come una pugnalata in pieno petto.
<< Amelie...>> sussurrai incredulo, con un filo di voce.
E come avrebbe potuto mai udirmi?
Inghiottii il groppo che mi raschiava la gola... e per un attimo, mi parve di mandare giù del fiele, poi ci riprovai, urlando come un folle per sovrastare il suono di tutte quelle voci.
<< Amelie!>>
Ma lei non rispondeva, non si muoveva.
<< Ti prego, Amelie...>> continuai imperterrito, << Svegliati!>>
Silenzio.
Immobilità.
Il mio terrore che cresceva a dismisura.
I capelli arruffati le coprivano gran parte del volto, ma non il resto del corpo... no.
Era tutto in vista: braccia, seni, gambe.
Non c'era nessun velo a celarne la pallida perfezione.
Nient'altro che fumo e luce e aria.
Lei era nuda sotto il mio sguardo.
Completamente nuda... e il candore delle sue carni pareva quasi eguagliare quello della pietra su cui era adagiata, facendola sembrare più una splendida scultura marmorea, che un vero e proprio essere umano.
La sua bellezza trascendeva il tempo, lo spazio, rendendola la più sublime delle creature, al pari di una Dèa dormiente.
Ma più venivo rapito da quella visione, più mi rendevo conto che c'era qualcosa d'infinitamente sbagliato, in lei.
Nonostante lo scorrere dei secondi, il suo petto restava silenzioso e i suoi polmoni sgonfi.
Non c'erano battiti, contrazioni, né tantomeno singulti.
Non c'era vita, e la statica rigidità delle sue membra portava con sé l'inconfondibile marchio della morte.
<< No...>> farfugliai, la voce talmente fievole da risultare inudibile.
<< Non può essere!>>
Fu allora che mi resi conto del segno rosso.
Proprio lì, all'altezza del cuore.
Un grosso squarcio vermiglio, che si apriva a orribilmente sotto la lama acuminata del pugnale di Cassandra, fino a formare una sorta di "X" dentellata.
Nel vedere quella ferita ancora sanguinante, mi sentii contorcere lo stomaco dal disgusto.
Quella non era la verità, una cosa del genere non era possibile!
Già...
Lei non era lì... no!
Il mio Piccolo Tarlo non era veramente mor-...
Oh, non riuscivo nemmeno a pensarlo!
Quell'idea era totalmente assurda, irreale, falsa!
Doveva esserlo per forza!
Eppure quel corpo era proprio lì, sotto i miei occhi... così tremendamente immobile, bianco.
Morto...
Ma no, no, no!
La mia Amelie non era morta!
Non era possibile!
E per un attimo, riuscii quasi ad illudermi che non fosse lei quella fanciulla... che in realtà mi stessi sbagliando.
Magari si trattava di un'altra.
Quante giovani donne con le sue stesse caratteristiche fisiche esistevano a questo mondo?
Probabilmente tante, troppe.
Ciononostante, nessuna di queste ragazze possedeva quel profumo delizioso, unico, impareggiabile: solo lei, maledizione!
Solo e soltanto lei!
In quel momento fui pervaso da una furia nera, cieca... incontrollabile.
Un ruggito che mi scavava il petto dall'interno e che quasi si faceva strada ad unghiate nella  mia cassa toracica.
Sembrava volesse sbucarmi fuori dalle costole ed inghiottire tutto il resto.
Senza che me ne resi conto, iniziai a gridare in direzione di Cassandra, imprecando con tutte le mie forze e giurando vendetta... poi, presi a scaraventarmi su qualsiasi cosa mi si parasse di fronte.
C'era molta di distanza, tra me e l'altare.
Ma nessun ostacolo era in grado di frenare la mia ira.
Così incominciai a spaccare tutto, a lottare contro uomini, donne... addirittura contro le fiamme.
Malgrado ciò, fermarmi era un'impresa impossibile.
Quindi m'immersi nel sangue, nella morte, nella distruzione... in un circolo perverso e vizioso, dove ad ogni vita umana recisa, ne corrispondeva una di tutt'altra natura.
Fu proprio così, che ogni cadavere che mi lasciavo alle spalle riprese a vivere; vidi quella pelle imputridirsi, i tratti somatici mutare e le forme anatomiche distorcersi fino all'inverosimile.
Infine, comparivano le zanne, gli artigli e grandi occhi rossi... ardenti come braci.
<< Venite da me!>> gli esortai, la voce folle di rabbia.
Decine di Ghuldrash allora si levarono in piedi, sorgendo dalle ceneri delle loro stesse spoglie mortali.
Ma non aveva importanza.
Ora che Lei non c'era più, niente contava veramente!
Né il mondo, né il Rito, né tantomeno Cassandra.
Che si fottesse, sia lei che il suo stramaledetto Sigillo!
<< Tieniti pronta!>> sibilai a denti stretti, trafiggendo la strega bianca con lo sguardo.
<< La prossima sarai tu!>>
Lei sorrise, dopodiché fece un lieve segno col capo ed i Ghuldrash iniziarono a muoversi.
Li vidi ringhiare come bestie, ciondolare in avanti, per poi gettarsi all'attacco simultaneamente.
Erano enormi, massicci, veloci, molto più di quanto ricordassi, ma fin troppo instabili sulle loro nuove gambe.
Sconfiggerli fu facile.
Tuttavia, per assicurarmi una dipartita definitiva fui costretto a fracassargli il cranio, fino a ridurlo in una fanghiglia nerastra e maleodorante.
Nessuno avrebbe potuto arrestare la mia corsa, nemmeno Cassandra con i suoi nuovi poteri.
O almeno... così credevo.
<< Ma bravo...>>  si complimentò la vecchia strega, incurvandosi in avanti, sul corpo privo di vita della mia Amelie.
<< Li hai sconfitti tutti.>> continuò, << Eh sì...tutti i miei adorati figli sono morti per mano tua, Sterminatore. Ma... credi davvero che riuscirai a fare lo stesso con me?>>
Con un debole movimento della mano, le scostò i capelli dal volto, scoprendolo del tutto alla mia vista.
Non c'erano contrazioni di dolore in quello che vedevo; gli occhi di Amelie erano chiusi, sereni, la sua espressione calma e rilassata, mentre la bocca risultava appena dischiusa.
Congelata eternamente in quella posizione, come nell'atto di riprendere fiato.
Mio Dio, sembrava che stesse dormendo... e mi si strinse il cuore nel vederla così perfetta, pura, intatta.
Il mio Piccolo Tarlo combina guai, il mio unico amore... la mia splendida Dea dormiente.
Dava proprio quell'impressione, sì.
Ma più mi perdevo in quei lineamenti, più il mio cuore arrancava, zoppicava, fino a grondare sangue.
Sentivo le pulsazioni cardiache rallentare, quello strano muscolo involontario saltare più volte i battiti, finché un bruciore improvviso mi ustionò gli occhi, poi le guance.
Solo in un secondo momento, mi resi conto che si trattava di lacrime.
Stavo piangendo, sì.
Ma cos'altro potevo fare?
Lei era morta! Morta! Ed io non riuscivo a frenare quell'inutile pianto.
<< Vuoi uccidermi, non è vero?>> fece Cassandra, accarezzandole dolcemente il profilo degli zigomi.
Ma tutto l'odio che provavo nei confronti di quella megera, non era niente se paragonato a quello che riservavo esclusivamente a me stesso.
" Perché?!" mi chiedevo, " Perché, perché, perchè?! Per quale motivo non sono riuscito a difenderla?!"
Proprio io, che avevo compiuto una strage e decapitato il Giudice Supremo senza alcuna pietà!
Io, che avevo la forza di venti uomini e una velocità del tutto inumana, sovrannaturale!
Come avevo potuto permettere che accadesse tutto questo?!
<< Allora?>>
I suoi occhi m'inchiodarono con uno sguardo di pece, mentre le sue labbra scure si posavano sulla fronte di Amelie, sulle sue gote pallide, per poi scendere a baciarle castamente la bocca.
<< Non toccarla!>> gridai con tutta la voce che avevo in corpo, << Toglile immediatamente quelle luride labbra di dosso! Mi hai sentito?! Non devi più toccarla!>>
La strega bianca si staccò un poco da lei, ed un sorriso marcio si allargò orribilmente sulla sua faccia.
<< Allora vieni qui!>> mi esortò, << Uccidimi! Fammi esalare l'ultimo respiro!>>
Non me lo feci ripetere due volte, e con la disperazione che mi ribolliva nel sangue, mi precipitai su quella stramaledetta scalinata, fino a raggiungere l'altare.
Da lì, l'odore del sangue di Amelie era insopportabile: impregnava tutto senza alcuna distinzione, dall'aria che mi entrava nei polmoni al marmo che calpestavano i miei piedi.
Era ovunque... e mi soffocava, sì.
Mi asfissiava.
Come venefiche spire di fumo nel bel mezzo di un incendio.
<< Povero sciocco! Tutta questa strada per niente!>> gridò Cassandra, mostrando biecamente la sua vera faccia.
Si trattava di un volto bianco, incartapecorito, con profondi solchi intorno agli occhi e ai lati delle labbra.
C'era sempre stato un ché di antico, in lei... un forte contrasto, dato dalla sua natura duplice e perversamente ambigua.
Lei incarnava l'unione degli opposti: bianco e nero, bene e male, gioventù e vecchiaia.
Ora, però... non c'era più traccia della sua velata ed insolita giovinezza.
La pelle aveva perduto ogni tonicità, lo sguardo ogni splendore, e la dentatura... di solito perfetta, era ormai un'orribile accozzaglia di putridume nero.
<< Che tu sia maledetta!>> ringhiai, << Che cosa hai fatto?!>>
La sua bocca disumana si spalancò e dalle sue corde vocali fuoriuscirono dei guati frastornanti.
Si trattava di risate, sì.
Turpi risa volgari, sguaiate, che le distorcevano le labbra fino a farle sembrare delle fauci bestiali.
<< Sei arrivato troppo tardi!>> esclamò, << Davvero troppo tardi! Il Rito è stato compiuto e la tua adorata Amelie... giace qui, ora... su questa fredda lastra di marmo. Morta...!>>
Abbassò lo sguardo su Amelie, lambendole il corpo con una lunga occhiata, poi rivolse la sua attenzione altrove.
Alle mie spalle.
<< La Luna Scarlatta...>> sussurrai, puntando gli occhi nella sua stessa direzione.
E con infinita sorpresa, mi resi conto che dietro di me non c'era più nulla: nessuna scalinata, nessuna stanza, nessuna porta.
Solo bruma gelida e fango.
Infiniti filari di alberi si aprivano dinnanzi a me, dando vita ad una sorta di foresta oscura, rigogliosa, con piante dai fusti altissimi e torreggianti, da cui fuoriusciva una fitta chioma puntuta.
Ma non era finita lì.
Molto più in alto, oltre le cime dei sempreverdi e dei pini, c'era un punto dove le nebbie si erano parzialmente dissolte, rivelando un disco concentrico e luminoso, con la superficie lattiginosa irrorata di sangue.
Brividi di terrore mi corsero lungo la spina dorsale, mentre i raggi rossastri della luna discendevano verso il basso, sul grande podio di pietra, fino ad illuminare completamente la figura che giaceva immota sull'altare. 
<< Cosa c'è?>> sibilò lei, gettando il suo pugnale a terra.
<< Perché ti sei fermato?>>
Restai per alcuni secondi muto, paralizzato, mentre la luce della luna imbeveva da capo a piedi il cadavere della donna che amavo.
<< Cosa stai aspettando?>> mi derise Cassandra.
Tuttavia non mi mossi, né tantomeno proferii parola.
Rimasi semplicemente fermo dov'ero, in attesa che il terreno c'inghiottisse entrambi.
Ma non era ancora finita... oh, no.
L'impossibile si stava manifestando davanti ai miei occhi, ed io non potevo fare altro che assistere impotente.
Vidi quei raggi di fuoco rosso lambirle il corpo più intensamente, con maggior vigore, finché il sangue ormai coagulato della ferita ricominciò nuovamente a fluire verso l'esterno.
Dapprima con lentezza, quasi a stento, poi sempre più copiosamente.
Segni ricurvi, dal colore vermiglio, le comparvero su tutto il corpo, dando vita ad un intricato dedalo di volute e simboli intrecciati.
<< Finalmente! Il Sigillo sta per rompersi!>> esultò la strega, urlando al cielo tutta la sua folle gioia.
Accecato dall'ira, feci per scattare in avanti, afferrarle il collo e strangolarla, ma una forza sconosciuta mi paralizzò completamente gli arti, il respiro, la lingua.
Non avevo mai provato un simile potere su di me: era qualcosa di enorme, sconfinato, sconosciuto.
Talmente potente da spezzarmi le ossa e farmi capitolare a terra.
Eppure, contro ogni logica... riuscii a non emettere alcun suono.
Non un grido, non un rantolo, nemmeno un' implorazione sussurrata.
Rimasi stoicamente zitto, in silenzio, con il solo scopo d'irritarla.
Sì... volevo scatenare su di me la furia della strega bianca, più di quanto stessi già facendo.
<< Che ne pensi dei miei nuovi poteri?>> ruggì dall'alto della sua posizione eretta, << Non li trovi strabilianti?>>
Un calcio mi colpì al fianco sinistro, ripetutamente, mentre il dolore che sentivo dentro non faceva altro che accrescere di secondo in secondo.
Tuttavia, non le bastava dilaniarmi dall'interno, no... voleva che soffrissi fino all'inverosimile.
Voleva farmi cedere, capitolare, implorare il suo nome per una pietà che sapevamo entrambi non avrei mai ricevuto.
E che fosse dannata... ci stava riuscendo!
<< Avanti, Miguel! Urla!>> ringhiò frustrata, << Fammi sentire la tua voce! Il tuo dolore... le tue suppliche! Implorami di avere pietà!>>
<< T-taci, puttana!>> le sputai contro.
E lei sogghignò, come una pazza, fino a scoppiare letteralmente in una fragorosa risata.
<< L'hai voluto tu!>>
E lo strazio si fece inimmaginabile, atroce, incandescente.
Di quel passo, non avrei resistito a lungo, anzi.
Sentivo dall'interno i miei vasi sanguigni esplodere uno dopo l'altro; il rumore dei legamenti e delle ossa che si frantumavano era persistente, quasi un sottofondo ritmato, che andava a tempo con il rullo dei tamburi.
Ma non me ne preoccupai, no.
In fin dei conti era quello che volevo e Cassandra mi stava aiutando.
Mi donava a sua insaputa ciò che nel profondo avevo sempre desiderato: la morte.
Proprio così, la morte.
Non aspettavo altro.
Non bramavo altro.
Solo quel lento ed inesorabile precipitare, l'ebbrezza della vertigine, il respiro mozzato di botto.
Ma no, la mia dipartita non sarebbe sopraggiunta così velocemente.
Avrei dovuto continuare a patire per ancora molto tempo, prima di addormentarmi e chiudere gli occhi per l'eternità... dopodiché, la svolta.
Via la sofferenza, via il respiro e la mia stessa esistenza.  
Finalmente, sarei potuto essere libero.
Libero di morire... di liquefarmi nel nulla, fino a diventare il nulla.
E raggiungere Lei... ovunque si trovasse.
Quindi, finii per accettare quel destino di buon grado, prendendolo come una vera e propria benedizione.
Come l'unica soluzione possibile.
<< C-Cassandra...>> balbettai, senza forze.
Strinsi i pugni fino a sentir le nocche infrangersi, tuttavia non potevo cedere proprio in quel momento.
"Non ancora..." mi ripetevo " Mi serve più tempo."
Sollevai lo sguardo in direzione della strega bianca, le sorrisi e sospirai.
<< G-grazie...>> le dissi in un ultimo rantolo strozzato, fino a che non mi abbandonai completamente tra i flutti di quel dolore senza fine.
Sentii le onde dell'incoscienza travolgermi, accarezzarmi le membra in un gelido abbraccio... poi, nient'altro che formicolii ed echi lontani.
Non udivo più nulla, non percepivo nulla, non sentivo più alcun dolore.
Era tutto troppo distante, irraggiungibile, ovattato.
Ogni cosa avvizziva e si spegneva senza fare rumore, finché... abbassai le palpebre e l'oscurità calò definitivamente sui miei occhi.
E chissà... magari questa volta sarebbe stato così per sempre.

_ Amelie_

<< Sai quello che devi fare...>>
La voce riecheggiò più volte nella stanza dismessa, tra la stoffa strappata e il sangue versato.
<< No!>> mormorai, << Non puoi chiedermi questo!>>
Ma parlare mi costava molto; il mio respiro era fiacco, debole, a malapena sufficiente per gonfiarmi i polmoni ansito dopo ansito.
Tossì una volta di troppo, forse due, fino a riempirmi la bocca col sapore rugginoso e stranamente dolciastro del mio stesso sangue.
<< N-no...>> continuai, << N-non lo farò!>>
E per un momento temetti di rimanere a corto di fiato.
La figura che mi stava di fronte si accovacciò vicino ai miei piedi, allungando una mano per sfiorarmi le caviglie, l'incavo che congiungeva le ginocchia, le braccia, ed infine il volto.
Ero un burattino senza fili, alla completa mercé delle sue dita.
<< Invece lo farai...>> disse piano, la voce talmente sottile da somigliare ad un alito di vento.
<< Non posso, no.>> ribadii, << Non alle tue condizioni!>>
L'ombra di un sorriso apparve sul suo volto, ma non si scompose... anzi.
Nonostante il mio ennesimo rifiuto, la sua espressione rimase quieta, immutata, del tutto imperturbabile.
<< Ormai è inutile, Amelie. Non si può più tornare indietro. >>
Ed era vero, maledizione!
Dannatamente vero!
<< Mi rifiuto di farlo!>> ribadii con tutte le mie forze.
Strinsi i pugni fino ad infilzarmi i palmi con le unghie, e presa dall'impeto della mia collera, trovai il modo per mettermi in ginocchio e sorreggere il suo sguardo.
Ma non c'era fine a quegli occhi, solo un'immensità dilagante, fatta d'infiniti buchi neri pronti a risucchiarmi.
<< Ti prego!>> finii per implorare, << Prendi la mia vita adesso... in questo momento! È tua! Puoi fare di me quello che più ti pare... ma ti scongiuro di avere pietà! Non costringermi a farlo!>>
Tuttavia, la figura non rispose.
Si limitò ad uccidermi con lo sguardo, sbranandomi con occhi famelici, crudeli, calcolatori.
Sentii il suo respiro infrangersi sulla mia faccia, come brezza di primavera, mentre la vicinanza tra noi due si restringeva pericolosamente.
Poi un leggero tocco; le sue dita bianche e affusolate presero ad accarezzarmi dolcemente il collo, fino a raggiungere la nuca e la punta delle scapole.
<< No...>> sussurrò con voce soave, gentile, sfiorandomi il lobo destro con le labbra.  
Brividi gelidi mi corsero lungo la spina dorsale, facendomi accapponare la pelle.
<< Non c'è più tempo per i ripensamenti. Sei costretta a farlo, non hai scelta!>>
<< Ma...>> cercai di obiettare.
<< Shhhh...>> mi zittì, poggiandomi l'indice sulle labbra.
<< Sai bene che è l'unica soluzione possibile, mia cara. A meno che...>>
<< "A meno che"cosa?>> sbottai bruscamente.
<< A meno che tu voglia vederlo ancora vivo...>> fu la sua unica risposta.
E nell'udire quelle parole, sentii il mio cuore cedere e frantumarsi come vetro sottile.
<< Perché mi fai questo?>> singhiozzai, cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime.
Ciononostante, la figura non rispose... ignorando del tutto la mia domanda.
<< Fa come ti ho detto.>> si limitò a dire, << Arrenditi alla mia volontà, obbedisci. Solo allora accetterò la tua richiesta.>>
<< E lo salverai?>> chiesi in preda al pianto, << Dimmi di sì! Ti prego... promettimi che porterai in salvo Miguel!>>
Vidi i suoi occhi assottigliarsi come lame, la sua bocca atteggiarsi ad un sorriso mentre un'espressione di pura malvagità distorse orribilmente i tratti somatici del suo viso.
<< Questo, mia cara bambina...>> sogghignò, << Dipende solo e soltanto da te.>>

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Angolo dell'Autrice: 
Salve...* si avvicina in punta di piedi* ^^'
Lo so, sono sparita per tantissimissimissimissimo tempo T.T Sono una persona orribile ed imperdonabile... ma posso assicurarvi che non ho potuto fare altrimenti. Questo non è un bel periodo e ultimamente non ho avuto né il tempo, né la testa per scrivere. Mi dispiace tantissimo avervi creato dei disagi e se qualcuno si è risentito a causa di questa cosa, beh... vi chiedo umilmente perdono. Ma davvero... non ce l'ho fatta a pubblicare prima. La stesura di questo capitolo è stata molto più difficoltosa di quanto pensassi e più volte sono stata sul punto di mandare tutto a quel paese. Ma non l'ho fatto. Bene o male sono riuscita ad arrivare fin qui e vi chiedo perdono con la coda tra le gambe. Quindi niente.... spero solo di non avervi deluso e che il capitolo sia di vostro gradimento. Mi auguro che me lo facciate sapere, perché in fin dei conti, l'unico motivo per cui non ho mandato tutto a putta*e siete voi. 
Un bacione
Rob


 

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